Non puoi chiedermi questo

di Nidham
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non puoi chiedermi questo ***
Capitolo 2: *** Dopo il buio. ***
Capitolo 3: *** Lacrime ***
Capitolo 4: *** Fraintendimenti ***
Capitolo 5: *** Capo ***
Capitolo 6: *** Ancora... ***
Capitolo 7: *** Complotto ***
Capitolo 8: *** Ritorno ***
Capitolo 9: *** Un erede ***
Capitolo 10: *** Amici ***
Capitolo 11: *** Interludio ***
Capitolo 12: *** Sorpresa ***
Capitolo 13: *** Delirante ***
Capitolo 14: *** Dubbi e certezze ***
Capitolo 15: *** Vestiti ***
Capitolo 16: *** Verità ***
Capitolo 17: *** Incoscienza ***
Capitolo 18: *** Nell'anima ***
Capitolo 19: *** Un attimo ***
Capitolo 20: *** Alba ***
Capitolo 21: *** Determinazione ***
Capitolo 22: *** Battaglia ***
Capitolo 23: *** I Cancelli ***
Capitolo 24: *** Preghiere ***
Capitolo 25: *** Alistair ***
Capitolo 26: *** Zevran ***
Capitolo 27: *** Morrigan ***
Capitolo 28: *** The end ***
Capitolo 29: *** Se la morte non è la fine... ***
Capitolo 30: *** Per un amico ***
Capitolo 31: *** Riunione ***
Capitolo 32: *** Maschi... ***
Capitolo 33: *** Una storia ***
Capitolo 34: *** Dubbi e certezze ***
Capitolo 35: *** Scelte ***
Capitolo 36: *** In viaggio ***
Capitolo 37: *** Malchom ***
Capitolo 38: *** Un momento ***
Capitolo 39: *** Nel frattempo ***
Capitolo 40: *** Scontro ***
Capitolo 41: *** Requiem ***
Capitolo 42: *** Perché mi avete cercato? ***
Capitolo 43: *** Decisione ***
Capitolo 44: *** Confessioni ***
Capitolo 45: *** Stupore ***
Capitolo 46: *** Certezze devastanti ***
Capitolo 47: *** Dimmi come fare ***
Capitolo 48: *** Puoi farlo ***
Capitolo 49: *** Lo specchio ***
Capitolo 50: *** Oblio ***
Capitolo 51: *** Demone ***
Capitolo 52: *** Devi lasciarmi andare ***
Capitolo 53: *** Eilin ***
Capitolo 54: *** Un pomeriggio di fine estate ***
Capitolo 55: *** Grazie ***
Capitolo 56: *** Duetto ***
Capitolo 57: *** Ferita fortunata ***
Capitolo 58: *** Scelte ***
Capitolo 59: *** Perché? ***
Capitolo 60: *** Il rito ***
Capitolo 61: *** Un eroe e un re ***
Capitolo 62: *** Domani ***
Capitolo 63: *** In ***
Capitolo 64: *** Una culla, una spada e un pozzo ***
Capitolo 65: *** Visioni ***
Capitolo 66: *** Baciami ***
Capitolo 67: *** Nulla ***
Capitolo 68: *** Chi può solo stare a osservare ***
Capitolo 69: *** Chi può solo stare a osservare II ***
Capitolo 70: *** Fine (stavolta davvero) ***



Capitolo 1
*** Non puoi chiedermi questo ***


Mentre la porta si chiude alle mie spalle, sento il cuore soffocarmi la gola.

Non voglio piangere, non l'ho mai fatto e non ho intenzione di cominciare adesso. Non consumerò per te le lacrime che non ho versato per la mia famiglia.

Da quando Riordan ha svelato la verità, il sacrificio celato dietro il destino dei Custodi Grigi, ho allontanato dalla mia mente ogni illusione di lieto fine per noi.

Forse sarà lui a colpire l'arcidemone, ma se così non fosse, allora sai, come lo so io, che dovrà toccare a me.

Non avevo paura, né sprecavo tempo a compiangermi o rimpiangere i giorni di te che avrei perduto.

E' inutile combattere contro ciò che deve essere fatto. Inutile ribellarsi al proprio dovere o maledirlo. Non è rassegnazione, solo consapevolezza.

Poi, poche parole mi hanno aperto un nuovo mondo.

“Esiste un'altra strada” ha detto Morrigan. “Un figlio che contenga l'anima di un dio... un figlio mio e di un Custode!”.

Un abisso oscuro di speranza, un futuro incerto di errori contro un presente certo di morte.

Mi fido di lei e sono certa che, oltre alle sue precedenti trame e ai suoi desideri personali, voglia darci una possibilità di salvezza, ma credi forse che l'idea di saperti tra le sue braccia, l'idea di immaginare il calore del tuo corpo sul suo... dei suoi respiri nei tuoi... non mi avrebbe fatto male? Che i denti aguzzi della gelosia non mi stessero già attanagliando il petto?

Ma avremmo avuto un futuro.

Sono venuta da te perché non potevo rispondere al tuo posto, perché dovevi sapere e decidere, anche se, fino ad oggi, non avevi mai voluto farlo.

E' stata una scelta. La tua scelta.

Quella che mai avrebbe potuto essere la mia.

Mi hai chiesto di tacere ed io l'ho fatto.

L'odio più forte dell'amore. L'onore più forte dell'amore.

Non so quale regola morale o vergogna o senso del dovere ti abbia spinto a pronunciare quelle parole: “Non puoi chiedermi questo. Non veramente.”

E io non l'ho fatto.

Mi sono morsa le labbra e dilaniata il cuore, ma ho taciuto. E ho accettato il tuo addio, senza parole.

Questo solo posso lasciarti adesso: un silenzio vuoto, colmo della consapevolezza di aver fatto la cosa giusta.

Perché forse è così, forse è stata veramente l'unica scelta possibile.

Un nuovo dio, incarnato, libero di imperversare su questa terra già martoriata, una follia.

Eppure non mi sarebbe importato.

Forse non dovevo diventare un Custode, se posso dimenticare così facilmente il bene di coloro che dovrei proteggere.

Eppure li ho protetti. Li ho difesi col mio sangue e la mia anima. Ho seppellito il mio dolore e ho impugnato la spada.

Ho dimenticato la vendetta e vissuto per quanti nemmeno conosco; per questa nostra terra, che aveva assunto colori più dolci e profumi più gentili, da quando, per la prima volta, mi avevi detto... da quando, per la prima volta, mi avevi chiesto...

Sono solo ricordi. Inutili.

Ricordi che dimenticherai. E in cui, forse, mi addormenterò, molto presto, per sempre.

“Non puoi chiedermi questo!” e la tua voce era incredula e indignata. Un'eresia, l'offerta di vivere. Un peccato imperdonabile, la speranza di ritagliare qualcosa per noi, dopo tanto sacrificio, dopo tanta disperazione.

E ora non so se sia stato il pericolo di sguinzagliare un demone redivivo o il disgusto di unirti a qualcuno per cui non hai mai saputo provare fiducia a spingerti con tanta decisione verso la scelta di perdermi.

Non ha importanza.

Vorrei che il mio cuore smettesse di urlarmi che sono una stupida.

La stessa parola che Morrigan mi ha sussurrato, prima di andarsene.

Una stupida.

E so di esserlo. Perché odio la scelta che hai fatto. E odio te, per averla fatta. Per non avermi amato abbastanza, per non aver almeno dubitato di poter scegliere me.

Non hai avuto dubbi, nell'abbandonarmi.

E' quasi ironico, se rammento quanti titubanti pensieri avevano accompagnato la tua scelta di possedermi. Sicuramente perdere la propria virtù era una decisione più terribile, rispetto all'idea di veder morire qualcuno cui si è finto di voler concedere la propria vita.

Sono ingiusta, lo so.

Tu sei un cavaliere e un uomo dal cuore incredibilmente puro, tanto da non accorgerti di poter ferire con la tua luce coloro che ti circondano.

Non ho dubbi che la tua scelta sia stata la più giusta, la più coraggiosa, la più nobile.

Non temo di morire per essa. Se non ti avessi mai conosciuto, sarebbe stata anche la mia.

Ma ti ho conosciuto e so con assoluta chiarezza che, se le nostre posizioni fossero state invertite, mi sarei unita con ogni demone dell'Oblio, pur di vederti ancora al mio fianco, oltre l'abisso della prossima battaglia.

Va bene così. Morire era il mio destino, fin da quando quel bastardo schifoso ha annientato la mia famiglia e massacrato la mia gente.

Ora è cibo per i vermi e ho rubato abbastanza tempo alla vita per poterlo vedere agonizzante sulla punta della mia spada.

Tanto mi basta. Posso raggiungere i miei cari senza vergogna.

Quando il regno, il tuo regno, sarà al sicuro, non avrei avuto comunque ragioni per rimanere.

Tu eri l'unica, ma ormai credo che quel sentimento così strano e profondo, inimmaginabile nell'oscurità che ci circondava, non fosse altro che un bel sogno, incapace di sopravvivere con l'avvento dell'alba.

La notte sta finendo. Farò in modo che sia così. Perché è mio dovere. Perché è giusto. Perché lo voglio.

Sarà il mio ultimo regalo per te, mio odiato amore.

Poiché non avrei mai potuto donarti una nuova vita, ti offro la mia, anche se non nel modo in cui pensavo di farlo quando lo sussurravo al tuo cuore, nel calore freddo della nostra tenda.

E mi dimenticherai, come è giusto che sia.

E il mio spirito non avrà pace in questa consapevolezza. Perché davvero ti ho amato, quanto adesso ti odio.

“Non puoi chiedermi questo!” e volevi dire: “Non puoi chiedermi di amarti abbastanza da rinunciare al mio onore, da rinunciare ai miei principi, da rinunciare alla mia indiscussa moralità.”

“Non puoi chiedermi questo” è vero. Se fossi stata al tuo posto, tu non avresti dovuto chiedermelo mai.

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Capitolo 2
*** Dopo il buio. ***


Zevran è piombato nella stanza senza bussare, quasi fossimo ancora nell'accampamento e non ci fosse una solida porta di quercia a guardia della nostra intimità.

Ho fatto appena in tempo a nascondere lo smarrimento nei miei occhi dietro un velo di falsa indifferenza e sono rimasta ferma, seduta ai piedi del letto, le mani abbandonate lungo i fianchi e il volto inespressivo.

“Ho visto Morrigan lasciare il castello!” ha esordito con urgenza e stupore.

Il silenzio è scorso tra noi come un'unica onda su un mare vuoto e piatto.

Avrei voluto rispondergli, ma la lingua era incollata al palato e il fiato non voleva saperne di uscire dalle mie labbra.

Morrigan se ne sta andando.

“Lo so!” avrei voluto dirgli. “Mi dispiace...”

Ma che senso avrebbe avuto? Come avrei potuto spiegare il motivo, la verità, senza metterlo al corrente di tutto? Senza poggiare sulle sue spalle il fardello di un'ineluttabile destino?

Così mi sono limitata ad annuire, a non alzare gli occhi su di lui, a non cambiare espressione.

“Dove diamine crede di andare, per tutti gli stramaledetti dei?” ha continuato, forse pensando che avessimo un qualche brillante piano di cui non era stato messo al corrente, sperando che i fatti fossero diversi da come, in realtà, già li aveva immaginati con assoluta certezza.

Ho stretto il copriletto di lana tra le dita, avvertendo, per la prima volta, la ruvida consistenza di quella stoffa, pregiata più di qualsiasi altra coperta su cui avessi avuto la fortuna di poggiarmi da mesi, ma pungente al tocco, come i cocci dei miei sogni infranti.

“Tutti se ne vanno, prima o poi” avrei dovuto rispondere, ma una risata pericolosa e insensata stava premendo nella mia gola e non potevo rischiare di disserrare le labbra, o sarebbe fuoriuscita feroce e folle e crudele e vigliacca.

Vigliacca e infantile, sì! Così mi sentivo. Perché affacciandomi sull'orlo dell'abisso di quel mondo, che un tempo era stato di pace, riuscivo solo a vedere le lacrime del mio cuore spezzato.

Non ero certo l'unica ad aver perso molto, in quella folle guerra che è stata chiamata Flagello.

Non ero certo la sola, in quella stanza, a sapere cosa significasse solitudine, paura, disincanto!

Ma io ero il loro capo, anche se era assurdo pensarlo e impossibile capirne il senso. Da mesi guardavano a me per avere coraggio, per trovare quelle certezze che ancora io stessa non avevo saputo inventarmi.

Non potevo cedere, non dovevo vacillare. Non ora, a un passo dalla fine e dalla vittoria. Dovevo fingere speranze anche se non ne avevo più alcuna.

E allora perché la voce si rifiutava di uscire? Perché i miei occhi tremavano e le spalle urlavano del dolore di singhiozzi a stento trattenuti?

Che capo avrei potuto essere, per quel esercito, per i miei amici, se ero una donna tanto debole?

Zevran si è chinato davanti a me e ho visto il suo volto, preoccupato, affacciarsi sul mio.

“Cosa sta succedendo, Eilin?” la sua voce è stata un sussurro gentile, perché, in fondo, è sempre stato il solo a saper leggere dentro la mia anima, senza bisogno di parole.

Un unica carezza e il fiato è uscito di nuovo dai miei polmoni, raschiandoli e ferendoli, ma senza far tremare le mie labbra.

“Cosa sta succedendo?” ha ripetuto, sfiorandomi la guancia con la punta delle dita.

Ho alzato lo sguardo su di lui, arrendendomi al calore di quegli occhi color del miele, di solito canzonatori o spietati, ma adesso dolci e caldi, quanto il suo tocco.

Zevran meritava di più della mia codardia, della mia futile disperazione. Meritava di più di una patetica donnetta persa in un languido rimpianto.

Ha abbandonato la sua vita perché si è fidato di me e perché io mi sono fidata di lui.

Così ho sorriso e rinunciato all'ultimo frammento di anima che avevo conservato per me stessa.

“Morrigan non combatterà con noi l'ultima battaglia, amico mio.”

Ero fiera di quanto la mia voce apparisse ferma e sicura.

“Non è la risposta alla mia domanda.”

Ho fatto per alzarmi, ma mi ha trattenuto, con ferrea gentilezza.

Avrei voluto che non lo avesse fatto, perché davanti a una tale manifestazione di affetto ho rischiato quasi di crollare. Ma non mi sono sciolta dal suo abbraccio e ho continuato a sorridere.

“Pensavo foste amiche.”

Ho annuito e per un po' nessuno di noi ha aggiunto altro.

Poi Zevran si è alzato di scatto, la calma pervasa da una gelida furia.

“Abbiamo bisogno di lei!” ha gridato senza alzare la voce. "Devi andare a riprenderla.”

“E costringerla a combattere?” l'ho interrotto, questa volta con la durezza di un comandante.

Sapevo che avrebbe voluto rispondere con un secco “Sì”, ma ha chiuso la bocca prima di controbattere.

“Non ho mai costretto nessuno a seguirmi, Zevran. Non inizierò adesso” poi, sdrammatizzando, “e, comunque, sai bene che se anche volessi provarci otterrei solo di vederci trasformare tutti in rospi... o magari in graziosi maialini rosa!”

Il mio tentativo di ilarità è caduto nel nulla.

“Allora non abbiamo speranze...”

Ho visto le sue spalle piegarsi, la sua espressione farsi vuota e distante. E, d'un tratto, la mia rabbia, la mia tristezza hanno perso importanza di fronte a quella resa.

Non potevo accettare di far crollare tutto quello che avevamo tanto faticosamente costruito. Non per un motivo così meschino come una delusione amorosa! Il disgusto per la mia infantile perdita di ragionevolezza ha rischiato di soffocarmi, ma ho serrato la mascella e non ho indietreggiato più.

“C'è speranza, invece. Ci sarà sempre, finché combatteremo.”

L'ho preso per le spalle, quasi scuotendolo, e lui mi ha trapassato l'anima con un semplice sguardo.

“Tu stessa non ne hai. L'ho visto” ma le sue parole hanno perso sicurezza mentre fissava lo sguardo nei miei occhi, vedendo svanirne la verità proprio mentre le pronunciava.

“Noi siamo speranza, Zevran. Tu, un assassino che ha creduto nella vita, Leliana, con la sua fede quasi insensata, Oghren, in tutto il suo rude coraggio. Wynne e la sua esasperante, saccente saggezza! Persino quel matto di un Qunari, duro come la roccia! Noi saremo la speranza per questa terra martoriata, perché abbiamo combattuto per difenderla e lo faremo ancora, con ogni respiro e ogni goccia di sangue, contro la logica e la paura, contro noi stessi e la nostra voglia di vivere. C'è ancora speranza, perché noi la costruiremo!”

Mi ha fissato impietoso, cercando segni della mia debolezza.

“Perché se n'è andata?” ha insistito.

“Mi ha dato un scelta e ha fatto la sua.”

“Quale?”

Ho scosso la testa. Ormai era un problema lontano, un bivio già superato in questo cammino verso la salvezza. Faceva ancora male, ma era come se non avesse avuto importanza, come fossi riuscita a liberarmene nel momento stesso in cui mi ero separata dall'ultima parte di me che ancora desiderava un futuro per se stessa, una felicità egoistica, senza essersi accorta che una simile opportunità era morta nel momento stesso in cui avevo accettato il mio ruolo.

Sorridendo, l'ho stretto a me per un attimo.

“Grazie di essere qui” gli ho sussurrato.

“Ehi, sai benissimo che avrei potuto esserci da molto prima, se solo me ne avessi dato l'opportunità, invece di appartarti sempre nella tenda con quell'imbranato!”

Le sue canzonature erano balsamo per le mie orecchie.

“A proposito” ha aggiunto, titubante e feroce. “Pensavo di vederlo qui, stanotte. Anzi, speravo di sorprendervi in qualche contorsione strana, in modo da poterlo prendere in giro fino alla fine dei suoi giorni!”

Un battito spezzato, una stilettata al petto, ma subito ho ripreso il controllo.

L'ho guardato e ho risposto senza parole, senza più lacrime in fondo ai miei occhi.

“E' uno stupido” mi ha sussurrato. “Il tuo amore vale più di tutto il mondo.”

Ho riso. E finalmente ho accettato la verità per cui ho lottato dal primo istante in cui ho impugnato la spada contro la Prole oscura.

“Niente vale più di questo nostro mondo.”

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Capitolo 3
*** Lacrime ***


Siamo rimasti immobili per un tempo indefinito, in piedi, i volti vicini, illuminati dai riflessi di un fuoco che man mano si è fatto più debole.

Il silenzio confortante di pensieri condivisi. La quieta consapevolezza di una scelta inevitabile.

“Dovrei lasciarti dormire qualche ora. Domani sarà una giornata movimentata” ha sussurrato Zevran, senza infrangere quella pace.

Ho fatto per annuire, ma la mia mano si è mossa prima dei miei pensieri, afferrandogli un lembo della camicia.

Mi ha guardato sorpreso, arricciando un angolo della bocca e sollevando un sopracciglio.

“Non andartene” e solo mentre lo dicevo mi sono resa conto di quanto lo desiderassi. “Non andartene” ho ripetuto, fissandolo negli occhi, decisa e fragile come una bambina.

Per un attimo ho creduto che avrebbe rifiutato, o frainteso, o approfittato della mia insensata richiesta per prendermi in giro.

Invece si è limitato a sorridere, senza allegria, e a sfiorarmi la fronte con un bacio.

Mentre l'osservavo sfilarsi gli stivali, con movimenti incredibilmente sensuali per un gesto di solito tanto goffo, ho sentito un nuovo calore riscaldarmi il petto.

Ho accettato di rinunciare alla mia vita, ai miei desideri, a me stessa. Ho accettato di diventare in tutto e per tutto l'arma che porterà la pace in queste terre, ma non adesso, non ancora.

Domattina, al sorgere del sole, rinascerò come ciò che devo essere.

Adesso, in questi ultimi aliti di oscurità, ho bisogno di sentire il calore di un cuore che batta all'unisono col mio, il conforto di braccia amiche che stringano il corpo cui sto per rinunciare, la forza di un affetto che riesca a tenermi insieme mentre mi sento scivolare via.

Senza fretta, mi sono liberata dell'armatura, lasciandola cadere in disordine sul pavimento.

Non era imbarazzante stare davanti a lui con indosso solo una camicia di cotone.

Non era lussurioso osservare la luce ambrata della fiamma danzare sui muscoli scolpiti e snelli del suo torace.

Tutto era incredibilmente dolce e naturale.

Sdraiandosi con fare felino sotto le coperte, mi ha lanciato uno sguardo tanto ironico da farmi sorridere, mentre afferravo la mano che aveva teso verso di me.

“Sai che questa storia non dovrà mai uscire da qui?” ha minacciato al mio orecchio, lasciandomi accoccolare al suo fianco. “La mia reputazione ne sarebbe distrutta!”

Ho annuito con aria grave, in risposta alla finta severità della sua affermazione.

Ha sospirato, stringendomi con più forza e appoggiando il mento sulla mia testa.

“Sto davvero perdendo il mio fascino...”

Ho chiuso gli occhi mentre il suono della mia risata mi cullava l'anima.


 

Mi sono svegliata con un senso di confortante benessere, pulita dagli incubi rabbiosi e brucianti della notte.

Ero sola, ma sulle lenzuola avvertivo ancora il suo profumo di muschio e spezie.

Mi sono concessa il tempo di stiracchiarmi e percepire il mio corpo.

Non era la sensazione che avevo provato quella mattina di un tempo ormai perduto tra le nebbie del sogno: non era l'euforia brillante che aveva pervaso ogni centimetro della mia pelle, non era la gioia incontenibile dell'essersi sentita uno con il primo, palpitante amore.

Eppure, anche se avevamo solo dormito abbracciati, se ci eravamo uniti solo coi nostri respiri, c'era una dolcezza struggente che mi avvolgeva e mi cullava. Un conforto pacato ed eterno, che sapevo mi avrebbe accompagnato in quegli ultimi giorni, laddove il brivido selvaggio e assoluto di un'unione perfetta e insostituibile non aveva saputo seguirmi.

Avrei voluto che non se andasse, avrei voluto aprire gli occhi e vedere i suoi sorridermi, canzonatori.

Ma l'alba aveva già tinto di rosa le cime degli alberi. I nostri compagni si stavano svegliando, inutile perdersi in spiegazioni assurde su assurdi mormorii.

Mi sono alzata con calma. C'era ancora una cosa che dovevo fare, prima di affrontare gli altri. E lui.

Dalla sacca ho tirato fuori il piccolo scrigno di legno in cui avevo conservato i miei ultimi tesori.

L'ho fatto rimanendo in ginocchio, quasi avessi voluto pregare un dio in cui mai ho riposto fiducia.

Mi sono accorta che la mia mano stava tremando leggermente, ma nessuno avrebbe potuto accorgersene e solo questo contava, ormai: mantenere il mio ruolo per pochi, fondamentali attimi, affinché tutti potessero continuare a credere nella vittoria.

Un sospiro e ho alzato il coperchio con un unico movimento, senza più darmi tempo di pensare.

La rosa di Alistair ha catturato tutta la mia attenzione.

Era ancora bella, come quando me l'aveva data.

L'ho sfiorata dolcemente e ho saputo di sfiorare lui.

“Non credevo che una cosa così bella potesse nascere in tanta desolazione” aveva detto, e il mio cuore aveva perso un battito, raccogliendola tra le mani, sfiorando le sue.

Mi sono affacciata alla finestra, offrendo il volto al vento fresco del mattino.

Non capivo perché la mia vista si facesse via via più appannata.

Doveva essere il riverbero del primo sole, che mi feriva gli occhi.

Ho sentito i petali morbidi tra le mie dita, poi... più niente e la mia mano si è aperta verso il cielo a raccogliere il vuoto, mentre lacrime rosse svanivano all'orizzonte.

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Capitolo 4
*** Fraintendimenti ***


Mentre chiudevo le ultime fibbie della mia armatura, il raschiare sottile del ferro, lucido e ben oliato, risuonava con cupa ineluttabilità sul mio cuore e sulla mia anima. Ogni gancio era un sigillo per la mia volontà e una catena per la mia egoistica paura.
L'Arle se n'era appena andato e aveva approvato la mia proposta. Adesso avrei dovuto solo imporla al mio perduto braccio destro, al mio scudo, alla mia forza. Al coraggioso, onesto e onorevole amore, ormai non più mio.
Non gli sarebbe piaciuto, ma non aveva importanza.
Il dovere, ormai, era l'unica cosa che contasse. L'aveva scelto e, se io l'odiavo per questo, avrei imparato ad ammirarlo perché l'avrebbe perseguito.
Mi sono guardata allo specchio un'ultima volta. Per un secondo ho rivisto me stessa com'ero stata solo qualche mese prima: abito di velluto un po' in disordine e nastri tra i capelli. Mani forti, ma candide. Spalle troppo erette per una dama e sguardo troppo deciso, ma ancora pulito, ingenuo, stupido. Non desideravo il mio mondo, solo perché mai avrei creduto di vederlo distruggere.
Ho chiuso gli occhi e girato lo specchio.
Passato. Inutile. Indispensabile.
Sentendomi solo in parte padrona di me, ma sicura di saper fingere la forza che ancora non possedevo, mi sono diretta alla sua porta, ascoltando il silenzio del corridoio di pietra, in cui i miei passi scivolavano leggeri, confondendosi col sottile fruscio degli arazzi vermigli alle pareti, sfiorati con gentilezza dalla brezza del mattino.
Quel castello era tanto simile al mio da farmi sperare, assurdamente, che tutto potesse esser stato un sogno, un terribile incubo da cui, finalmente, mi sarei svegliata; sarei scesa nel salone e mia madre mi avrebbe rimproverata per il ritardo, mentre mio padre avrebbe sorriso sotto i baffi, affrettandosi a nascondere il volto nella tazza. Mio fratello mi avrebbe servito uova e pomodori, ben sapendo che le odiavo, e mi avrebbe sfidato a lasciarli nel piatto, affinché contraddicessi i miei sermoni sulla vergogna dello sprecare il cibo.
Ho poggiato una mano alla parete, artigliandola e graffiandomi.
Quante sciocchezze! In mesi di battaglie, morte e dolore non avevo ancora saputo crescere e cercavo di credere nelle favole. Patetico!
Ho bussato con più forza di quanto avrei voluto. In assenza di risposta, mi sono limitata ad entrare.
Pensavo, speravo quasi, di trovare la stanza vuota, ma Alistair era lì, immobile, le spalle leggermente curve, le mani conserte sul pomo della spada, il volto inclinato verso la luce del sole, con le labbra strette in un'espressione di sofferenza e rabbia come mai gli avevo visto.
Il primo istinto è stato di corrergli tra le braccia e cancellare con un bacio quella piega amara che mi feriva il cuore, ma ho stretto i pugni, rimanendo sulla soglia.
Non mi ha invitato ad avvicinarmi, né ha parlato.
“Sono venuta per riferirti ciò che il tuo padre adottivo ed io pensiamo sia giusto fare.”
Ancora il silenzio. Cominciavo ad irritarmi. C'è poco che odi più della fuga in un mutismo insensato.
“Considerata la tua posizione" ho continuato, riflettendo che, tutto sommato, la mia ambasciata avrebbe potuto essere più veloce, se si fosse limitato ad ascoltarla, senza replicare, "abbiamo deciso che non potrai rischiare la vita continuando a scendere in battaglia. Il futuro re e ultima speranza di pace della nostra nazione non può morire infilzato dalla lama di qualche infimo mostriciattolo.”
“L'ho visto entrare nella tua stanza.”
Aveva sussurrato a tono tanto basso, scivolando sulle mie stesse parole, che non ho afferrato subito il senso della frase, ma mi sono zittita.
Forse questo gli ha dato coraggio, perché, a voce più alta, ha continuato: “L'ho visto entrare a tarda notte e non è uscito se non poco prima dell'alba!” alla fine stava quasi urlando.
Ho sbattuto le palpebre. Davvero stavamo parlando di questo? Gelosia?
Avrei riso se mi fossi ancora ricordata come fare.
Ha alzato gli occhi verso di me e ho visto le lacrime oltre il suo sguardo ferito e deluso.
Forse sperava di leggere una giustificazione sul mio volto, ma, se pure fossi stata capace di far cadere la mia maschera di fredda imperturbabilità, per esporgli il mio cuore, non avrei avuto nessun pentimento da offrirgli, dato che non c'era stata colpa.
Ho visto la mia freddezza trapassargli il cuore.
“Sei stata a letto con lui...”
Di nuovo una frase sussurrata, che si apriva alla speranza di una mia negazione.
Ancora, non potevo aiutarlo. Ero stata a letto con Zevran, era innegabile; il fatto che si fosse limitato a stringermi a sé e a confortarmi, come un amico, come un fratello, non cambiava la verità della sua errata domanda inespressa.
Alistair si è avvicinato a me come una furia, afferrandomi il polso.
“Ci sei andata a letto?”
Questo era troppo. L'ho sentito con una forza che mi ha sorpreso, al di là dell'insensibilità che mi pervadeva. Come osava dubitare di me, del mio amore? Del mio onore! Lui che mi aveva sacrificato, per conservare il suo!
La mia rabbia si è accesa nella sua, ma ormai era una fiamma gelida, che mi ha portato solo a sciogliermi dalla presa, articolando un secco “sì”, con gli occhi fissi nei suoi.
Poi, senza battere ciglio, l'ho visto crollare in ginocchio.
“Oggi parlerai alle truppe e le inciterai. Poi ci seguirai con l'Arle, nelle retrovie.”
Non mi sono curata di attendere una risposta e ho richiuso la porta alle mie spalle e tra i nostri cuori.

........

Zevran stava sistemando le sacche sul suo cavallo, quando vide Alistair farglisi incontro.
Aveva l'espressione cupa, ma, dato che non pensava ne conoscesse altre, non se ne preoccupò.
“Quale gioia!" prese a canzonarlo, come di consueto. "Il futuro re, faro di speranza di tutto il Ferelden che scende nelle stalle tra i comuni mortali! Posso avere l'onore di stendere il mantello sotto i vostri piedi, affinché non infanghiate i vostri regali stivali, maestà?”

E si esibì in un elaborato inchino, ignorando la vena che iniziava a pulsare più ferocemente sulla tempia del compagno.
“Sei un bastardo!” gli sputò in faccia Alistair.
“Vero” si limitò ad osservare, pensando fosse una delle sue solite, pessime risposte alle prese in giro. “Ma ti ricordo come, tecnicamente, lo sia anche tu! In fondo non è una situazione così tragica, non ti pare?”
Ignorando l'insulto, Alistair lo prese per la spalla, stringendo troppo forte, perché fosse un gioco, tanto che Zevran portò lo sguardo sulla sua mano, alzando un sopracciglio, guardingo.
“Ti sei divertito?”
“Intendi nella mia vita, in questi piacevoli mesi in cui ho sguazzato nel fango a caccia di Prole oscura, o ieri?”
L'ultima parola gli uscì di bocca nella più assoluta innocenza, dato che stava ancora cercando di capire se il suo compagno fosse in preda ai postumi di una colossale sbronza, cosa piuttosto improbabile viste le sue noiose abitudini, o se, piuttosto, non manifestasse i primi sintomi di pazzia.
Ma per Alistair fu la conferma di ogni sospetto e, assurdamente, lesse in quell'innocua affermazione un mondo di velenosi sottintesi, a dimostrazione di quanto pericolosa possa essere un'anima onesta e ingenua, quando si convince di essere stata ingannata.
“Suppongo avrai usato tutti i tuoi trucchi e le tue sordide manovre per mettermi in ridicolo e mostrare ancor meglio la mia inesperienza! Chissà quanto avrete riso di me, dopo!”
A questo punto, Zevran era davvero perplesso e anche un po' preoccupato: la pazzia cominciava ad essere la spiegazione più plausibile per un siffatto comportamento.
“Anche se mi sono sempre vantato del mio intuito e della mia mente pronta, ammetto di non seguirti.”
“Non farmi passare da ingenuo!” gridò, spingendolo alla parete.
“Lasciami” Zevran non alzò la voce, ma i suoi occhi avevano riacquistato la luce tagliente dell'assassino, quella luce che, ultimamente, avevano saputo mitigare in un più dolce calore.
“Avevo quasi cominciato a crederti mio amico” Alistair non si mosse, ma chinò il volto, allentando la presa.
“Già" sussurrò Zevran. “quasi... In fondo sono solo mesi che combattiamo fianco a fianco e ti guardo le spalle. In ogni caso, amici o no, continuo a non capire e voglio che ti scansi da me, a meno che tu non desideri aprirti a qualche nuovo orizzonte, che pensavo fossi troppo pudico per desiderare.”

Sorrise, con finta lussuria, cercando, per l'ultima volta, di buttare la conversazione sullo scherzo.
In altre circostanze non avrebbe esitato a riconoscere i tipici sintomi dell'amante geloso nella follia di Alistair, ma, per una volta in vita sua, non aveva fatto niente che non fosse puro e innocente e, forse per l'assoluta novità della situazione, si trovava impreparato ad affrontarne le conseguenze.
Il Custode si allontanò da lui con un movimento repentino e, altrettanto rapidamente, sferrò un pugno che andò ad infrangersi sulla parete di legno dove, fino ad un istante prima, c'era la faccia di Zevran.
“Perché ci sei andato a letto?” gridò.
“Con chi?” urlò l'altro di rimando, istintivamente, prima di comprendere, ad un tratto, di cosa stessero parlando.
“Stai scherzando, vero?” si trovò a sentirsi dire, con tono tanto perplesso da suonare stupido alle sue stesse orecchie da elfo.
“Non negare! Ti ho visto!” Alistair mise mano alla spada, ma la voce pericolosamente calma dell'assassino lo bloccò, un attimo prima che la sguainasse.
“Non farlo. Se estrarrai la lama, non torneremo indietro e sarebbe un modo veramente stupido di morire: tu sotto i miei pugnali, io con la corda al collo.”
“Sei tanto sicuro di battermi?”
“Abbastanza, anche se non quanto sono sicuro che tu sia impazzito.”
“Mi ha confessato di essere venuta a letto con te. Nemmeno io potevo crederci.”
“Evidentemente non ci credevi abbastanza. Sei uno sciocco Alistair, un patetico, enorme sciocco, che, nell'arco di sola mezza giornata, è riuscito a distruggere la cosa più bella che la vita avesse potuto regalargli. E solo gli dei sanno che nemmeno la meritavi.”
“Ti prego, risparmiami la predica! Non dubito che tu possa avere più armi di me, sotto le lenzuola, e immagino come tu possa averle fatto provare vette di piacere che con il povero, imbranato sottoscritto, non avrebbe mai potuto conoscere, ma io l'amavo e non era sordido sesso ciò che condividevo con lei.”
Per un secondo Zevran fu tentato di replicare che non c'era niente di sordido in un po' di sano, piacevole esercizio amoroso, ma non era più dell'umore per fare battute.
“Evidentemente non l'amavi abbastanza, o non la conoscevi abbastanza, perché altrimenti non saremmo qui a intavolare questa poco piacevole conversazione.”
Il suo discorso voleva sottintendere che non avrebbe dovuto mai dubitare del suo amore, ma, in mezzo a tanta rabbia, ottenne solo, nuovamente, di alimentarne le fiamme.
“Non illuderti, sciocco elfetto, si è solo servita di te! Aveva bisogno di un figlio per quella strega. E quando io gliel'ho negato, evidentemente hanno trovato un'altra soluzione.”
Di nuovo il buio completo. Zevran non si era mai sentito tanto stupido in vita sua.
“Ecco perché odio questi onesti paladini della giustizia" meditò. "Sono troppo idioti sia per capire, che per farsi capire!”
“Probabilmente Morrigan ha trovato il modo di compiere il suo demoniaco rituale su Eilin, invece che su se stessa, ma, a quel punto, serviva... uno stallone da monta.”

Sputò le ultime parole, sperando di ferirlo, solo che ormai aveva perso tanto credito agli occhi di Zevran, che questi veniva a malapena toccato dalle sue parole.
“Sei felice di sapere che il tuo bambino verrà allevato da una strega e sarà la reincarnazione di un dio antico? Probabilmente distruggerà questa terra, che tanto cerchiamo di proteggere, ma magari avverrà tra dieci o venti anni, quindi noi non dobbiamo preoccuparcene giusto?”
“Morrigan ha lasciato il castello stanotte” replicò l'elfo, semplicemente. “Sono andato dal nostro capo a chiederle spiegazioni, ma mi ha detto soltanto che la maga le aveva proposto una scelta, che era stata rifiutata. Non avevo capito a cosa si riferisse fino ad ora.”
Alistair scosse la testa, incapace di afferrare il senso di quelle parole.
“Eilin era sconvolta, spaventata, anche se ha fatto di tutto perché non me ne accorgessi. Se tu non l'avessi notato, quella ragazzina, di nemmeno sedici anni, ha sempre lottato con se stessa per sopportare il peso delle responsabilità che tutti noi, tu per primo, le abbiamo imposto!”
Adesso era Zevran a gridare e lo trovò dannatamente catartico, tanto più perché non gli era mai successo di farlo, non veramente, non per rabbia.
“Io stesso avevo paura. Senza Morrigan le nostre speranze di vittoria si sono assottigliate miserevolmente. Wynne, povera vecchietta, non vale un'unghia della strega.”
“Wynne è...” provò ad intercalare Alistair, la cui espressione stava diventando sempre più vacua.
“Wynne non è argomento di conversazione adesso. Dimmi esattamente ciò che Eilin non ha voluto rivelarmi, in questa lunga notte in cui l'ho tenuta stretta a me, perché non andasse in pezzi. In questa notte dove ho passato i minuti ad ascoltare ogni cambiamento del suo respiro, mentre le carezzavo i capelli e pregavo che potesse dormire un sogno senza sogni e trovare la pace e la forza, per quest'ultima sfida. Avresti dovuto esserci tu, al mio posto, è vero. Ma non c'eri. Perché? Perché tu eri troppo orgoglioso e perso nel tuo mondo, per interessarti di lei! Ecco perché. Dici di amarla e subito l'hai insultata coi tuoi sospetti. L'hai abbandonata e ferita" Zevran battè le mani, mimando un applauso privo di allegria. "Ti faccio i miei complimenti, mi hai abbondantemente superato come bastardo. E ora dimmi, brutto idiota, di che diavolo di rituale stavi parlando? Perché, se tu non hai il coraggio di affrontare la verità, non voglio essere io a ignorarla!”. 

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Capitolo 5
*** Capo ***


Trovai Leliana e Wynne esattamente dove mi ero aspettata: inginocchiate sulle cupe e fredde panche della piccola cappella privata dell'Arle.
C'era un terribile, vuoto silenzio, tra quelle mura spoglie e grige, quasi la morte aleggiasse anche su quel dio, vero o presunto, che si supponeva dovesse ascoltare i nostri lamenti.
“Sei venuta a unirti a noi, bambina?”
Il sussurro velato della maga non riuscì a vincere quella quiete funesta, ma, anzi, ne rese ancora più minacciosa la presenza.
Scossi la testa, incerta se parlare e affidare anche la mia voce a quell'oscuro silenzio; ma la paura aveva già preso troppo di me, per quel giorno, così alzai il mento e strinsi i pugni.
“Sai che non prego, così come sai che non sono più una bambina” Il mio tono era tanto privo di inflessione che tagliò l'aria come un coltello arroventato, disperdendone i fantasmi.
“Siamo tutti bambini davanti a...”
“Sai anche" la interruppi senza curarmi delle buone maniere, "che non credo in alcun dio. Se anche ne esistesse qualcuno, direi che si è piuttosto palesemente disinteressato di noi, quindi non trovo motivo di perdere il mio tempo curandomi di lui”
“Non dovresti bestemmiare in un giorno così importante e difficile!” Leliana era onestamente scandalizzata.
Non ero mai stata così diretta e cruda nell'esprimere le mie opinioni teologiche, pur non avendone mai fatto mistero. Probabilmente l'ingenuo bardo sperava ancora di potermi convertire.
Ma il tempo delle speranze inutili era finito, per me, come per tutti.
Ormai potevamo permetterci un'unica, grande illusione, un unico scopo e un unico credo: la vittoria.
E se io mi ero svegliata a quella consapevolezza, avrebbero, purtroppo, dovuto farlo anche loro.
Non potevo permettermi esitazioni o insensate azioni, nate da falsi idealismi.
“Leliana, il mio unico dio, adesso, è la mia spada, la mia sola preghiera, il mio braccio e ti giuro che non bestemmierò mai contro di loro. Ma tutto il resto, per me, è soltanto vento e polvere, quindi, ti chiedo, per favore, di non perdere il tuo tempo a cercare di convincermi. Non ci riusciresti e finiremmo per litigare. Tieniti i tuoi dei ed io mi terrò i miei”
“C'è più dolore in te, bam...” Wynne si zittì prima di finire la parola, semplicemente guardandomi negli occhi. Non so cosa potesse leggervi, non ero in grado di dire quale fosse la mia espressione, sapevo solo di sentirmi fredda come la roccia e dura come il ferro e di aver composto il mio volto in questa consapevolezza.
“Sono venuta a dirvi che il nostro re non combatterà con noi queste ultime battaglie. Rimarrà nelle retrovie, dove potrà essere più al sicuro, se si può parlare di sicurezza in simili circostanze”
“Come hai convinto Alistair ad accettare?” sussurrò Leliana, mentre la maga annuiva, in segno di saggia approvazione.
“Non l'ho convinto. L'Arle ed io abbiamo deciso che fosse la cosa migliore”
Volevano fossi il loro capo? Ebbene, lo sarei stata, fino in fondo.
Mio padre mi aveva insegnato che esiste un tempo in cui un signore può permettersi il lusso di ascoltare la voce dei suoi amici e consiglieri, e un tempo in cui rimane solo, col peso della sua responsabilità.
Quel tempo era arrivato ed io ero sola.
“Inoltre, Wynne, dovremo fare maggior affidamento su di te, da ora in poi. Mi spiace chiederti più di quanto tu abbia già dato, ma la posta in gioco è troppo alta, perchè possa permettermi di essere gentile”
“Sono pronta a dare la vita fin dal momento in cui ho voluto seguirvi. Non devi aver timore a chiedermelo!”
“Non lo avrò, infatti”
“Come mai questo cambiamento?" intercalò il bardo. "Credevo fosse Morrigan la nostra... punta di diamante!” C'era una scheggia di veleno, nel suo tono pur così dolce e pacato, un ricordo della vecchia Leliana, forse, oppure semplicemente il fiato di un'umana antipatia.
“Morrigan non sarà con noi. Se n'è andata stanotte”
L'espressione di sconcerto e paura che si diffuse sui loro volti era abbastanza assurda, per qualcuno che, fino al giorno prima, aveva auspicato che la fattucchiera ci liberasse della sua immonda presenza.
“Se n'è andata...” Wynne cadde a sedere, con più sconforto che buonagrazia.
“Sapevo che non dovevamo fidarci di lei!” Leliana si dimenticò di essere nella cappella e alzò la voce più di quanto non l'avessi mai sentita fare.
“Se lo sapevi, non sarai sorpresa dalla sua decisione e non avrai bisogno di tempo per riprenderti dallo shock. Questo mi conforta” Non avevo voglia, né tempo, di perdermi in spiegazioni o giustificazioni per quella partenza.
Quale che fosse stato il motivo, Morrigan se n'era andata. Non c'era davvero niente che potesse cambiare questa semplice verità.
“Cosa faremo adesso?” La voce di Wynne tremava leggermente.
“Raduneremo le truppe, lasceremo la relativa sicurezza del castello e riprenderemo a combattere, aprendoci la strada fino all'arcidemone. I piani non sono cambiati e mi aspetto che vengano messi in atto entro la terza ora della mattina. Quindi, se ancora non avete finito con le genuflessioni, vi consiglio di sbrigarvi, perchè non tollererò ritardi, a meno che non stiano a significare che non sarete più della partita”
Le guardai per un lungo attimo, scrutandole fino in fondo all'anima e chiudendo più strettamente la mia, poi annuii, come se mi fosse piaciuto quanto avevo visto, e mi diressi a passo veloce fuori da quella vuota, fredda stanza.

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Capitolo 6
*** Ancora... ***


Il sole splendeva alto nel cielo, quando la colonna di soldati si mise in cammino.
Io ero in testa, con Alistair poco dietro di me, vicino all'Arle.
Non ci eravamo detti una sola parola, da quando ci eravamo incontrati, nel cortile del castello.
Non c'erano state scuse, né rimproveri.
Non c'era stato niente.
Sentivo il suo sguardo posarsi su di me, di tanto in tanto, ma era una carezza vuota, troppo leggera perché potesse raggiungermi.
Il cielo era terso, come può esserlo solo in certe perfette giornate invernali, quando il freddo è pungente, ma la luce è talmente pura che sembra riscaldare il cuore stesso e ferire l'anima con una falsa promessa di primavera.
Zevran faceva la spola tra me e le ultime file della colonna, dove Oghren arrancava faticosamente, esitando ad abbandonare i postumi della colossale sbronza cui si era condannato non appena aveva saputo della repentina partenza della maga “dalle forme mozzafiato”, come l'aveva definita prima di tuffarsi nell'ennesimo boccale di birra.
Leliana e Wynne mi tenevano il broncio, forse per il tono troppo duro con cui le avevo congedate, nella cappella.
Sospirai, scuotendo la testa. Il loro mutismo non mi toccava minimamente.
Era un altro il silenzio che mi catturava e mi toglieva la concentrazione, portandomi a sprecare energie per impedirmi di voltarmi indietro.
Maledissi la mia debolezza e il dannato potere che quel bestione aveva ancora su di me.
Per tutta la giornata si tenne a distanza, anche quando ci fermammo per un pranzo veloce e l'Arle si sedette al mio fianco per discutere gli ultimi dettagli dell'attacco.
Rimase isolato da tutti, il volto inespressivo, la mente lontana... i soldati guardavano a lui, per essere guidati, ma non era pronto ad assumersene la responsabilità, quindi toccava a me rimpiazzarlo, anche se non sarebbe stato ancora per molto.
“Beh" e un sonoro rutto mi esplose nelle orecchie, "il nostro cavaliere ha la luna storta oggi!”
La piccola mano pesante di Oghren si abbattè sulle mie spalle, facendomi quasi rovesciare la zuppa sui pantaloni dell'Arle.
“Due piccioncini non dovrebbero litigare alla vigilia di uno scontro così importante!”
Il suo alito era talmente infuso di alcool che pensai di potermici ubriacare in pochi respiri.
“Cos'è successo? La lancetta non ha raggiunto la mezzanotte? L'elfetta aveva ragione a prenderlo in giro per le sue scarse prestazioni?” Rise sguaiatamente, reggendosi la pancia.
“Oghren...” Di solito la sua allegria era contagiosa e la sua ostentata grossolanità mi faceva sorridere, ma non quel giorno, non su quell'argomento.
Zevran mi tolse dall'imbarazzo di rispondere, afferrando il nano per lo scudo e tirandoselo dietro.
“Ehi! Malefica elfetta...” protestò Oghren, cercando, con scarsi risultati, di divincolarsi.
“Scusami, Eilin!” mi gridò Zev, voltandosi appena verso di me. “Mi è sfuggito da sotto il naso, mentre cercavo di nascondergli la fiaschetta col liquore che si è portato dietro!”
Gli sorrisi, riconoscente, e ottenni in cambio il suo più seducente e ridicolo sguardo da conquistatore, che guidò il mio sorriso a sfiorarmi gli occhi.
Non so se Alistair ci stesse guardando, non so se avesse ascoltato.
Nel giro di un giorno era diventato impenetrabile, per me. Un estraneo che ancora possedeva il mio cuore e mi costringeva a viverne senza.
Lo vidi alzarsi con fatica, quasi facendo uno sforzo di volontà, ed andare a sistemare il cavallo senza degnare nessuno di una parola o di un gesto.
Le sue spalle rimanevano erette, ma il peso che gli avevo imposto sul cuore lo schiacciava e lo indeboliva.
“Non avreste comunque potuto rimanere insieme." come sempre, l'Arle parlava con la saggezza crudele e innegabile del politico e del padre "Dovrà imparare a cavarsela da solo. E' sempre stato un ragazzo gentile, ma non ha mai voluto assumersi la responsabilità del comando. Un buon guerriero, coraggioso, leale, ma privo di ambizione.”
“Per questo sarà un buon re" lo interruppi, "perché non vuole esserlo. Ma avete ragione, naturalmente. Deve imparare ad accettare il dolore di quel potere che non può più rifiutare... e lo farà, ne sono certa.”
“Lo farà, sì. Ma senza di voi, mia signora. Perdonatemi, ma so che i Custodi non possono facilmente generare eredi...”
Mi limitai a fissarlo, senza battere ciglio.
“Avrei voluto parlarne alla fine dello scontro" continuò, mostrando solo un soffio di imbarazzo. "Vedevo quanta forza Alistair traesse dalla vostra presenza e non osavo incrinarla, in un momento così delicato. Ma adesso credo che si sia già verificato qualcosa, per cui...”
“Ciò che è successo, mio signore, non vi riguarda. E non sta a me rassicurarvi sulla futura discendenza del Ferelden. Se qualche pensiero del genere vi affligge, rivolgetevi al vostro sovrano. Il mio unico compito è quello di guidarvi alla vittoria in questa folle guerra, non di sanare dubbi indiscreti." Senza dargli tempo di controbattere, gettai di lato quel che restava del mio cibo e mi alzai, gridando "In marcia, uomini! Verso la capitale!”
Fu facile perdermi nel caos che precede la partenza di un così ampio manipolo di soldati e fu facile ignorare tutti, nel corso di quell'infinito pomeriggio, in cui nessun Prole oscura ebbe il buon gusto di attaccarci, in modo da farmi sfogare un po' di quella rabbia che sentivo artigliarmi la gola.
Ma temevo il buio e l'accampamento, più di quanto temessi l'arcidemone in persona; anche per questo li costrinsi ad una marcia forzata fin oltre il primo avanzare della notte e fu per questo che montai la mia tenda distante dai fuochi, al limitare del campo, nonostante sapessi fosse inappropriato, per un comandante, non stare vicino al cuore delle proprie truppe.
Lucidai le mie lame e controllai l'armatura, come ogni sera.
Vento mi si era accovacciato ai piedi, silenzioso, pronto a confortarmi non appena avessi allungato una mano verso di lui. Ma non potevo concedermi nemmeno questa piccola debolezza, non potevo rischiare di incrinare la barriera di ghiaccio in cui mi ero volontariamente imprigionata.
Zevran lo sapeva e non si avvicinò, per quanto leggessi, nei suoi occhi, la voglia prepotente di raggiungermi e stringermi tra le braccia, cancellando quella follia dalla mia anima.
Mi disapprovava, credo, ma non mi giudicava e io gli ero grata come mai avrei saputo esprimergli.
Piano piano il silenzio mi avvolse. Tutti si erano ritirati, a parte i pochi estratti a sorte per il primo turno di guardia, ed io ero rimasta sola, al limitare della luce di un fuoco morente.
“C'è tanta bellezza in voi...”
Sbattei gli occhi, mentre il sussurro del vento mi accarezzava.
Credetti di sognare, o di avere un incubo, finchè non lo vidi uscire dalle ombre accanto alla mia tenda.
Sentii i muscoli della schiena tendersi alla spasmo e rimasi immobile.
“Sono un uomo fortunato” continuò, ripetendo le parole che già una volta mi aveva regalato, quando ci eravamo trovati insieme, oltre la fine del mondo.
Si inginocchiò davanti a me e io abbassai la testa, rifiutandomi di guardarlo, come una bambina cocciuta e sciocca.
Vento ringhiò piano, avvertendo il mio nervosismo, ma aveva sempre avuto un debole per Alistair e quando lui gli concesse quella carezza che io gli avevo negato, si allontanò soddisfatto e  scodinzolante.
Sentii la sua mano avvicinarsi al mio volto e serrai le palpebre, mordendomi il labbro fino a farlo sanguinare, ma fu solo quando mi sollevò il mento con la punta del dito che riuscii a ritrarmi, con tanta veemenza che quasi caddi sulla schiena.
“Perché mi fai questo?” Voleva essere una supplica, ma uscì come un ringhio basso dalla mia gola.
“Perdonami” sussurrò soltanto, senza allontanarsi, senza smettere di fissarmi.
Non volevo guardare nei suoi occhi, non volevo perdermi o ritrovarmi.
Il nulla era una benedizione e il mio cuore bramava altra sofferenza.
Quasi contro la mia volontà, il mio sguardo si alzò verso il suo.
E allora lo vidi di nuovo e non riuscii più a parlare, perché leggevo nella sua anima, come se quell'ultima terribile notte non fosse mai esistita, come se quel giorno non ci avesse allontanati, come se non fossi morta e rinata senza la mia vita.
Scivolò verso di me, senza esitazione e senza imperiosità, con la naturalezza di chi ricerca l'unione con un'altra parte di sé, ed io non seppi fermarlo.
Fece scorrere le mani sulle mie braccia, leggere e possessive, lasciando solo lo spazio di un respiro tra i nostri corpi.
Sarebbe stato facile appoggiarmi al suo petto e abbandonarmi a quel profumo che aveva confortato tante delle mie notti, sarebbe stato facile allungare il volto a cercare la morbida forza di quelle labbra tanto amate.
In fondo cosa importava, se pure fosse stata una finzione? La fine ci avrebbe raggiunti comunque. Perché non sognare e non illudersi, ancora una volta, che potesse esistere un amore e una vita, oltre il buio dell'ineluttabilità?
Il suo alito sfiorò la mia bocca, caldo e confortante, ma io non alzai il volto ad accoglierlo.
Non so se il tempo possa guarire le ferite del cuore, ma so che la mia era ancora pulsante di un dolore sordo e troppo profondo, perché pochi gesti potessero ghermirmi e trascinarmi nel sogno.
“Ti ho amato tanto... te solo, in tutta la vita” sussurrai, e le mani di Alistair ricaddero con disperata consapevolezza lungo i suoi fianchi.
“Non avrei dovuto dubitare di te, Eilin. Io...” Un altro tentativo, un altra carezza.
“Non importa. Non devi scusarti.”
“Devo invece e non per quello soltanto.” La sua voce era forte, adesso, carica di determinazione e coraggio.
“Ti ho lasciato portare da sola un peso inimmaginabile e non mi hai mai chiesto niente in cambio...”
“Fino ad ieri” lo fermai e vidi la speranza sgretolarsi nei suoi occhi, lasciandovi un'inaspettata durezza.
“Non ti chiederò perdono per non essermi unito alla strega. Sono ancora certo di aver fatto l'unica scelta possibile. Di questo non posso scusarmi, mia adorata, nemmeno per avere di nuovo la gioia di stringerti a me.”
“Non voglio le tue scuse, Alistair. Non ti odio, né ho bisogno di perdonarti qualcosa. La tua è stata la scelta di un re e mi ha resa orgogliosa. Ma io ti avevo sempre considerato solo il mio amore... e perderti mi ha spezzato il cuore.”
“Eilin... io sono il tuo amore. Non ho voluto altri che te, lo sai, in ogni senso del mio essere!”
Fui io a sollevare la mano verso la sua guancia, fu la mia volontà ad carezzare, un'altra volta, quei lineamenti tanto cari.
“Tu eri il mio amore e sei il mio re. Io ero il tuo amore e ora sono la tua miglior spada. Ti regalerò un regno libero da questo Flagello e so che lo guiderai con onore e saggezza.”
“Con te...” Afferrò la mano che stavo allontanando dal suo volto, stringendola quasi fino a farmi urlare.
“Non esiste possibilità per entrambi, nel futuro, e tu lo sai.”
“Riordan...”
“Riordan è troppo debole, Alistair." Il mio tono aveva la terribile, spietata freddezza di un dato di fatto." Non dovrebbe nemmeno scendere in battaglia... se solo avessi potuto lasciare indietro qualcuno.”
Un vento freddo si insinuò tra noi, facendoci rabbrividire.
“Quindi è davvero il mio onore che ti ha condannata...” Chiuse gli occhi, accettando una verità, che non era del tutto reale.
“La guerra ha le sue regole, Alistair. Il mio sangue non sarà sulle tue mani. Io sono ciò che questi tempi mi hanno costretto ad essere, ma non fingerò di non averlo scelto, né mi umilierò maledicendo il destino. Ho voluto combattere e ho dato tutto quello che avevo per il mio onore e la mia terra.” Sospirai e il respiro uscì tremulo dalle mie labbra. “Non negherò di aver paura, né di averti odiato per non aver scelto la mia vita al di là di ogni cosa. Ma è stato il pensiero di una bambina viziata, che voleva un domani solo per se stessa e la sua gioia... Io sono un Custode grigio, Alistair. E morirò come tale. Quindi, ti prego, non cercarmi ancora come la donna che amavi, non ho tanta forza da vivere due vite. Conserva, per me, nel tuo cuore, il ricordo della mia giovinezza e guarda la mia fine, perché ti giuro che sarà degna di ciò per cui mi hai amata!”

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Capitolo 7
*** Complotto ***


“Non ha voluto ascoltarti...” la voce di Zevran uscì dall'oscurità al margine del campo, facendolo sussultare.

Solo aguzzando la vista, Alistair riuscì ad intravedere la forma snella dell'elfo, immobile contro il tronco di un albero, le braccia conserte e le gambe appena divaricate.

“Come immaginavo” continuò, sempre in un sussurro.

“Cos'altro avrei dovuto fare o dire?” C'era rabbia nel tono del Custode, una frustrazione talmente profonda che raschiava le sue stesse parole, rendendole feroci. “Le ho detto quanto mi dispiaccia, le ho detto che la amo...”

“Lei lo sa già questo, Alistair”

“E allora che posso fare? Tu sei un esperto di donne, no? Dovresti pur conoscere qualche...”

“Formula magica?”

“Sì!... No! Cosa mi fai dire? Qualche trucco, qualche modo per riconquistare la sua fiducia. I miei sentimenti per lei non sono cambiati”

Zevran si avvicinò lentamente, silenzioso quanto le ombre che lo circondavano, sinuoso come un serpente pronto a balzare sulla preda e altrettanto imperscrutabile.

Per un attimo ebbe l'impulso di allontanarsi senza degnare quello sciocco di una parvenza di risposta, ma uno sguardo al suo volto tirato e triste lo costrinse a cambiare idea e a maledirsi nel frattempo.

Sospirò, rassegnato, e scosse la testa, ma l'espressione di Alistair non mutò. Rimase a fissarlo fiducioso e risoluto, come chi è pronto ad accettare qualsiasi soluzione possibile per raggiungere il proprio scopo.

“Siediti e portami della birra. Sarà una lunga notte, se voglio fare di te un seduttore”

Alistair si voltò di scatto, ma le ultime parole dell'elfo lo richiamarono, lasciandolo con un piede sollevato in aria. “Non è detto che ci sia una soluzione, però!” Si vide costretto ad ammettere Zevran, “Eilin è diversa da qualsiasi altra donna abbia mai conosciuto e ben più testarda di qualsiasi mulo abbia mai avuto la sfortuna di cavalcare”

Un sorriso sfiorò appena le labbra del Custode al pensiero della sua amata con lunghe orecchie pelose, ma si spense nell'ansia di un possibile fallimento.

Non osava rassegnarsi, né all'idea di aver perso il suo cuore, né, tanto meno, all'idea di averla condannata a morte certa. Ma, se per il secondo timore non poteva che pregare il Creatore, per il primo aveva la soluzione a portata di mano: doveva spremere dall'amico qualsiasi espediente potesse balzargli alla mente. Qualcosa avrebbe funzionato, non era possibile altrimenti.

Corse a procurarsi il liquore, mentre Zevran cominciava a chiedersi cosa potessero escogitare perché quella storia, trasformatasi in tragedia, tornasse a tingersi di luce; per il bene di Eilin, se non per altro... meritava di essere felice!

Aveva avuto fiducia in lui quando chiunque l'avrebbe semplicemente ucciso. Aveva riso al suo fianco e pianto tra le sue braccia, senza versare lacrime.

A suo modo, Zevran sapeva di essersi invaghito di lei e non si vergognava ad ammettere di averla anche desiderata, in un primo tempo. Ma poi, ciò che quella piccola, cocciuta, incomprensibile donna aveva saputo creare, tra loro, era diventato ben più di una banale storia di amore o sesso. Eilin gli aveva regalato la sua amicizia e, per la prima volta, l'assassino si era scoperto uomo...

“Insomma, elfo!” si corresse mentalmente.

L'idea che il suo destino fosse segnato e non le rimanessero più di pochi giorni era insopportabile. Quanto poteva essere ingiusta la vita? Le aveva già strappato tutto, cos'altro poteva pretendere da lei? E la consapevolezza che Eilin si fosse rassegnata alla morte lo mandava su tutte le furie.

Se l'unica cosa che potesse spingerla a lottare contro il destino era quel suo patetico Custode, ebbene glielo avrebbe restituito con un grosso fiocco rosso legato al collo e con i suoi migliori auguri...

Una smorfia gli deturpò i lineamenti, ricordando le parole di Riordan, che Alistair gli aveva raccontato solo poche ore prima: “l'unico modo per fermare il flagello...”.

Per quanto lo riguardava avrebbe potuto anche veder perire tutto il Ferelden, piuttosto che immolare la sua unica amica sull'altare sacrificale. Ma sapeva bene che Eilin possedeva un senso del dovere e dell'onore dannatamente forte. Era già stato un miracolo che avesse accettato lo stratagemma di Morrigan!

Ripensando alla stupidità di Alistair, si alzò di scatto, pronto a lasciarlo cuocere nel suo brodo, come il pollo che era, ma così non avrebbe aiutato nessuno, se non la sua rabbia, e quello, adesso, era un lusso che non poteva permettersi.

Quando Alistair ritornò, con due boccali di terracotta colmi di birra calda e poco invitante, lo trovò intento a fissare le fiamme di un piccolo falò che aveva allestito davanti alla sua tenda.

“Sono pronto!” Esordì il Custode, lasciandosi cadere a gambe incrociate davanti a lui.

Zevran annuì impercettibilmente, poi iniziò a spiegare il suo piano.

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Capitolo 8
*** Ritorno ***


Continuavo ad agitarmi sul giaciglio, persa in uno stato di dormiveglia fastidioso.

Il mio corpo agognava il riposo e l'oblio, ma la mia mente si rifiutava di collaborare, quasi pensasse stupido perdere anche pochi di quei preziosi momenti che mi erano concessi.

I miei occhi rimanevano ostinatamente serrati, ma ero pienamente consapevole di ogni cosa intorno a me: il respiro pesante di Vento, accovacciato ai miei piedi, il passo lento e assonnato delle guardie, al cambio di turno, il lieve mutare della brezza che mi portava l'odore del fuoco...

Non avrei saputo dire quando, finalmente, avessi ceduto al sonno, ma non credo fosse passato più di qualche minuto prima che quel dannato testone arrivasse.

Il mio istinto, abituato alla sua presenza, non mi svegliò e il suo odore e il suo calore riempirono la tenda, cullandomi nel sogno.

Sentii la sua mano carezzarmi la nuca e, stupidamente, mugolai di piacere, senza aprire gli occhi.

Era talmente naturale, talmente giusto, che il mio corpo si mosse da solo, stringendosi al suo.

Ma quando le sue labbra si posarono sulle mie, finalmente la mia razionalità prese il sopravvento e, in un lampo, lo spinsi fuori dal giaciglio, col respiro mozzo e lo sguardo sbarrato.

Mi portai la coperta al petto, quasi fossi nuda, e lo fissai offesa e arruffata, mentre, senza scomporsi, rimaneva inginocchiato al mio fianco, lo sguardo ostinato e fisso nel mio.

“Che dannazione credi di fare?”

Non rispose, ma si sporse di nuovo su di me, prendendomi i capelli con mano ferma e tirandoli fino a farmi rovesciare la testa all'indietro.

Vidi il suo volto avvicinarsi con snervante calma... ci sarebbero state decine di mosse che avrei potuto provare su di lui, per allontanarlo, ma il mio corpo pareva non volermi obbedire.

Per un attimo credetti di star ancora sognando, finché il suo alito speziato mi carezzò le guance, provocandomi brividi traditori in tutto il corpo.

Volevo arrendermi! Questa era la terribile verità, che mi apparve in tutto il suo allucinante splendore nel momento in cui aprii la mia bocca per ricevere il suo bacio, prepotente e possessivo.

C'era qualcosa di diverso in lui, quella notte...

Non mi aveva mai baciata così, con tanto impeto, con tanta veemenza, quasi se ne infischiasse di qualsiasi cosa avrei potuto desiderare, ma ben consapevole di star facendo proprio ciò che io stessa non avevo ancora capito di volere.

Era così facile lasciarsi andare, così facile lasciarlo scegliere per me, almeno una volta...

Le sue mani si strinsero sulla mia vita, spingendomi sotto di lui, mentre continuava ad esplorare ogni angolo della mia bocca in un bacio sempre più esigente.

Forse, se l'avessi lasciato continuare, avrebbe potuto strapparmi via ogni disperato timore, ogni tremebonda angoscia...

Sembrava così forte adesso! Non c'erano esitazioni, nei suoi gesti, non c'erano domande, nei suoi occhi. Mi stringeva a sé con fiera autorità, avvolgendomi in una fiamma da cui, per la prima volta in vita mia, avrei solo voluto essere travolta e consumata.

Lo amavo ancora, non avevo mai smesso di saperlo, ma fu proprio quando quelle parole cercarono di sfuggirmi dalle labbra che il dolore si rinnovò più forte, in fondo al mio petto, ricordandomi quanto profonda fosse la ferita che mi aveva inferto colui cui tanto ardentemente desideravo donarmi.

La reazione del mio corpo dovette essere istantanea, perché, nel momento in cui una lacrima maledetta rotolò sulla mia guancia, Alistair si fermò, rimanendo appoggiato con le mani ai lati del mio volto, gli occhi fissi nei miei, il cuore rimbombante sul mio petto.

“Ti amo.” Disse soltanto.

Ma avevo già imparato quanto questo non potesse bastare... non in quella guerra, non per noi.

“Per favore...” Non riuscii a pronunciare più di un sussurro, mentre le mie mani, contraddicendomi, gli artigliavano le spalle.

 

Hai mai riflettuto sulla terribile, insensata differenza che c'è tra il temere di poter morire e il sapere di doverlo fare?”

La voce di Zevran manteneva un tono leggero, ma i suoi occhi erano terribilmente seri, mentre giocherellava con uno dei suoi pugnali e ne saggiava il filo.

Sono un Custode, convivo ogni giorno con l'idea che morirò presto” aveva risposto semplicemente.

No." Aveva sospirato "E' evidente che non ci hai mai posto mente”

Alistair aggrottò la fronte, confuso dalla piega che stava prendendo la conversazione.

Cosa può mai entrarci tutto questo, con Eilin e...”

La morte ci segue fin dal nostro primo respiro, è una verità banale. Ma quanti, che non abbiano qualche strana forma di perversione mentale, passano il loro tempo a pensarci? E' il nostro stesso istinto di sopravvivenza che ci spinge a dimeticarci di dover morire. Se siamo in guerra... o esercitiamo mestieri... particolari" e, nel dirlo, indicò alternativamente entrambi, col boccale di birra ormai vuoto, "ne siamo appena più consapevoli, ma riusciamo a dormire, a mangiare, a respirare solo perché, comunque, speriamo di essere ancora vivi il giorno dopo!”

Zevran rimase un attimo in silenzio, stringendo le mani sulla sua coppa fino a farsi sbiancare le nocche.

Una volta fui catturato, durante una missione. Mi torturarono a lungo, cercando di farmi parlare, e, ti giuro, l'avrei anche fatto se fossi stato davvero a conoscenza di quanto mi stavano chiedendo!" sorrise mollemente, quasi fosse un ricordo divertente. "In alcuni momenti pensai di voler morire, ma era una bugia! Ogni volta che i miei carcerieri si allontanavano, ringraziavo piuttosto gli dei di esser vivo e aver la speranza di fuggire. Solo ad un certo punto mi sentii davvero perduto: quando mi strinsero il collo nel cappio della forca.”

E come diamine sei sopravvissuto?” Alistair lo interruppe, dimenticandosi, per un attimo, che non fosse quella la storia cui era interessato, ma l'elfo liquidò la sua curiosità con un semplice gesto.

Quando seppi che stavo per morire, qualcosa si ruppe in fondo alla mia anima e la paura mi assalì, per la prima volta in vita mia. Tutto divenne grigio e freddo e io sentii che il mio cuore smetteva di battere molto prima che mi venisse a mancare il respiro. Durò pochi attimi, perché poi, di nuovo, l'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento e ricominciai a lottare, ma non oso nemmeno immaginare come possa sentirsi qualcuno, anche di molto coraggioso, che cammina ora dopo ora sapendo, con assoluta certezza, di star andando a infilare volontariamente il collo in un cappio... e che non ci sarà nessuna possibilità di salvezza... e che sarà stata la mano di colui che più amava ad aver stretto il nodo.”

Alistair abbassò lo sguardo, mentre un groppo acido gli stringeva la gola.

Ora tu vieni qui e mi chiedi come fare per “riconquistarla”, come fosse una banale lite tra innamorati e tu non fossi il suo assassino.”

Quando il Custode alzò gli occhi, con una muta protesta, Zevran fermò le sue parole con rabbia.

Puoi parlarmi di onore, di antichi dei che rinascono e di qualsiasi altra sciocchezza ti venga in mente per giustificarti, ma non puoi cambiare i fatti. E ti dirò di più: Eilin, da brava paladina giudiziosa, conosce e capisce perfettamente le tue ragioni, anche se io non potrò mai rassegnarmici! E ti giustifica a sua volta!”

Allora perché...?” Il tono di immenso dolore che Zevran avvertì in quella disperata invocazione, gli bloccò la risposta velenosa che aveva sulle labbra.

Non hai bisogno di chiedere il suo perdono, né di riconquistare il suo amore, perché già li possiedi entrambi.” C'era solo stanchezza, adesso, nella sua voce, e il dolore terribile di chi sa che niente di quanto potrà fare o escogitare porterà ad altro che un sollievo momentaneo e futile.

Ma Eilin, per quanto coraggiosa, è pur sempre umana. Non puoi davvero aspettarti di condannarla a morte la notte prima e trovarla felice e piena di vita la mattina dopo! Quando hai rifutato di concederle una speranza, sputando sul rituale di Morrigan, ha capito perfettamente cosa sarebbe successo e ha reagito nell'unico modo possibile: ha chiuso se stessa in un angolo e si è barricata dietro al suo dovere!”

Ma Riordan...”

Andiamo, Alistair, solo tu puoi aspettarti che un uomo che è ancora ferito e provato dalle torture e dalla prigionia sia in grado di affrontare e sconfiggere l'Arcidemone! Tra parentesi, sono quasi certo che nemmeno Eilin, all'inizio, ti credesse così ingenuo... quando ha capito che tu davvero ne eri convinto, le ha dato almeno un po' di sollievo.”

Anch'io potrei farlo, però!” C'era determinazione adesso, nei suoi occhi, e una cieca furia.

Tu sei il re.”

Titolo che non ho mai voluto.” La voce di Alistair salì di tono, senza, però, perdersi nella rabbia. “E' stata proprio lei a impormelo.”

Sia come sia, tu hai delle responsabilità cui non puoi sottrarti”

Quindi avrei potuto generare un figlio che sarebbe stato il prossimo dio-tiranno del Ferelden, ma non sono libero di sacrificare la mia vita al posto della donna che amo?”

Detto così può sembrare brutale, ma è dannatamente vero”

Alistair alzò le braccia al cielo, quasi a minacciare il Creatore per la sua stramaledetta ironia di pessimo gusto.

Senza contare che la tua morte sarebbe un dolore anche peggiore per lei... per quanto, di nuovo, io non riesca a capacitarmene!”

Potresti tenere per te il tuo sarcasmo?” L'espressione del Custode era quella di un lupo ferito a morte e Zevran ne provò pietà, al di là del risentimento che nutriva verso colui che, per un sentimento assurdo quale l'onore, aveva sacrificato una vita.

Ho accettato di aiutarti, per amore di lei. Ma posso solo sperare di regalarle... regalarvi" si corresse dopo un attimo, "qualche ultimo giorno di pace. Non esiste niente di più per voi.”

Vedendo che il suo sguardo si incrinava nella disperazione, si protese verso di lui e gli strinse una spalla, scuotendolo.

Devi essere forte, se davvero la ami, perché l'unica cosa che potrai fare sarà accompagnarla al patibolo e fare in modo che il suo cammino sia il meno doloroso possibile”

Respingendo le lacrime che già gli appannavano la vista, Alistair annuì con foza.

E' possibile?” Chiese, con voce appena troppo fioca.

Sei l'unico che possa farlo e spero che lo sia. Ma dovrai lottare contro la sua volontà, perché ha eretto barriere solidissime intorno a sé ed è convinta di soffrire meno, se rimane chiusa al loro interno”

Mi ha chiesto di lasciarla stare, di dimenticarmi che sia una donna...”

Lo so, ma, per quanto possa convincersene, non è una semplice arma. Il suo cuore sanguinerà fino alla fine, anche dietro al ghiaccio... dovrai solo farglielo capire...”

 

“No.” Mi rispose sulle labbra, riprendendo a baciarmi con foga, passandomi le mani sulle spalle, tra i capelli, plasmando il mio corpo contro il suo, mentre continuava a sussussare quella semplice parola, che non voleva dire niente e voleva dire tutto...

C'era un dolore cupo, nei suoi gesti appassionati, che iniziai ad avvertire solo quando lo stato di incosciente meraviglia lasciò il posto alla consapevolezza di noi.

C'era amore e desiderio, ma non c'era speranza in lui, come non ce n'era in me.

Mi schiacciò con maggior forza sul giaciglio e io lo lasciai fare.

Non stava offrendomi un'illusione, non cercava vane speranze. Questo mi sorprese e mi confuse.

Anche quella strana forza, che stava ostentando, oltre ad essergli totalmente innaturale, mi appariva, adesso, più fragile di tutti i suoi vecchi timori.

Si aggrappava ancora a me, ma si offriva anche perché mi appoggiassi a lui, mentre entrambi procedevamo nudi e indifesi verso l'inevitabile.

Non so se sia stato amore, ciò che condividemmo quella notte. Non fu passione, né lussuria, questo è certo, ma se l'amore è il trionfo della vita, allora non è ciò che celebrammo unendoci in quell'abbraccio.

Non ci furono parole, né di conforto, né di disperazione.

Non sarebbero servite a niente.

Quando l'alba ci sorprese, mi chiesi dove avrei trovato la forza di affrontare quel viaggio, ora che la mia determinazione giaceva stropicciata ai piedi del letto insieme ai miei vestiti, ma la mano di Alistair si strinse introno alla mia, fredda e sicura, nelle ultime ombre del primo mattino.

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Capitolo 9
*** Un erede ***


“Alistair!” La voce severa e pacata dell'Arle lo riscosse dai suoi pensieri, mentre, ormai da diversi minuti, se ne stava perfettamente immobile, perso nell'atto di sistemare il suo equipaggiamento.

Eilin l'aveva allontanato dalla tenda poco dopo l'alba, nonostante dividersi fosse stata un'agonia.

Gli aveva sorriso e promesso che non sarebbe stato quello il loro addio, che ci sarebbero state altre notti, altri baci, altri preziosi istanti da condividere prima della fine.

Se appartenersi era il loro destino, non sarebbe fuggita... questo gli aveva sussurrato sulle labbra, con la mano appena tremante nella sua e gli occhi scuri e profondi persi in una consapevolezza che la rendeva ancora più impossibilmente bella.

E lui aveva annuito e sorriso a sua volta, ricacciando la verità del dolore, i sensi di colpa, la paura, in nome di un coraggio che pregava di trovare e saperle infondere, anche se era sempre stata lei quella più forte tra loro, era sempre stata lei il suo coraggio.

Se solo fosse stato perfetto...

“Il momento perfetto, il luogo perfetto” Scosse la testa, ripetendo le sue sciocche parole nella mente. Parole a cui lei aveva riso, mentre si alzava sulla punta dei piedi, le guance arrossate e lo sguardo, per la prima volta, timido, stringendosi a lui.

Quanto tempo perduto, senza sapere che anche l'attimo meno perfetto tra loro sarebbe stato, comunque, il più completo e meraviglioso della sua vita.

E ora il sipario si preparava a calare, in nome di un ideale e di un popolo che ancora non sentiva suo.

Si volse lentamente verso colui che gli aveva fatto da padre, ergendosi in tutta la sua altezza e rifiutando di mostrarsi ancora debole.

“Al vostro servizio”

Eamon scosse la testa, aguzzando gli occhi nella meraviglia di una così repentina trasformazione.

“Non qui, dobbiamo discutere di una faccenda delicata”

Alistair gli fece cenno di precederlo, mentre, con la coda dell'occhio, sbirciava le figure del campo, sperando di intravedere l'unica con cui, davvero, avrebbe voluto parlare.

Si fecero largo tra le tende e i soldati, fino a raggiungere un angolo appartato del campo, dietro una rastrelliera per le armi.

L'Arle sembrava stranamente a disagio, ma il Custode non dette segno di averlo notato e si preparò ad ascoltarlo, in silenzio, finché un leggero sospiro e un colpo di tosse non lo costrinsero a intervenire.

“Vi ascolto, qualunque cosa vogliate dirmi”

“Avevo sperato di evitare questa conversazione, ma quanto è successo l'ha reso impossibile!”

Alistair si limitò a sollevare un sopracciglio.

“Tu sei il re del Ferelden” Fece una pausa, come se quel concetto racchiudesse in sé tutto ciò che potesse essere importante e non notando lo spasmo di rabbia che aveva contratto le spalle del guerriero, nel sentirlo.

“Hai dei doveri e so che li onorerai nel miglior modo possibile, ma c'è qualcosa che potrebbe costarti più sacrificio delle altre...”

Vedendo che Alistair non sembrava voler intervenire, sospirò di nuovo e, poggiandosi le mani sui fianchi, si risolse a continuare.

“Devi lasciare Eilin, adesso, prima che la battaglia finisca”

Lo sguardo del Custode, a quelle parole, si fece di fuoco, ma trattenne le parole brusche che premevano per uscirgli dalle labbra e si limitò a sibilare un secco: “Mai!”

“Cerca di essere ragionevole, per una volta. Non nego le sue ottime qualità e i suoi pregi. Sarebbe una buona regina, tanto più che i soldati già la adorano e la seguono con entusiasmo. Ma so qualcosa sul vostro Ordine..." abbassò ulteriormente la voce, con fare cospiratore, "qualcosa che rende impossibile la vostra unione!”

Era talmente assurdo che Alistair si ritrovò a fissarlo senza riuscire a provare alcuna emozione.

Un bambino... stavano parlando di un erede, una speranza per il futuro, quando, per lui, non poteva esistere altro che un istante di presente.

Allora, incredibilmente, assurdamente, esplose in una fragorosa risata, folle nella sua crudele ferocia.

Eamon lo fissò in preda alla più viva confusione, mentre il Custode si piegava in due, reggendosi la pancia e asciugandosi gli occhi, incapace di trattenersi.

“Benedetto ragazzo, non è il momento di cedere alla pazzia! Per il Creatore, ricomponiti!”

Lo prese per le spalle, strattonandolo.

“Il problema è serio. Eilin è già considerata un'eroina, dalle truppe e dal popolo. Potrebbe non essere una mossa saggia lasciarla dopo la vittoria, quando sarà ancora più amata! Se rimarrai con lei fino alla fine...”

“La fine? Cosa ne sapete voi, della fine?” Tutta l'ilarità che sembrava averlo attanagliato si era dissolta con la rapidità di un lampo e ora lo sguardo di Alistair trasudava veleno e tormentata ostinazione.

“Ditemi, di grazia, quale fine immaginate, per me, mio Arle, quando avremo difeso la nostra bella terra? Un matrimonio di stato? Una nidiata di pargoletti festanti?”

“Immagino il tuo bene e quello del tuo popolo, a qualsiasi costo!”

“Qualsiasi costo...” le parole sembravano fuoco sulla sua lingua. “Non avete la minima idea del costo che ho dovuto pagare per il mio popolo.”

“So che non hai avuto una vita facile...” La voce di Eamon si era fatta condiscendente, rassegnato ad ascoltare la solita vecchia lagna sulla sua adolescenza tormentata.

“Non è a quelle sciocchezze che mi riferisco!”

L'Arle tacque, facendo un piccolo passo indietro di fronte a tanta veemenza.

Il respiro di Alistair era affannoso, come se stesse utilizzando ogni fibra della sua volontà per mantenere la calma.

Digrignò i denti, in un sorriso ferino che trasfigurò i suoi lineamenti in una maschera grottesca di dolore, ma, quando parlò, il tono fu pacato e perentorio.

“Io la amo” disse soltanto “Se fossi stato un uomo migliore, questa sarebbe l'unica risposta che avrei dovuto darvi. Se fossi stato degno di lei...”

Le mani gli ricaddero lungo i fianchi e apparve stanco, come se tutto il mondo gli pesasse sulle spalle.

“Vorrei potervi dire che non la lascerò mai, che me infischio di bambini, destino e obblighi sociali! Vorrei potervi dire che la mia vita non avrà senso senza averla accanto... e che non l'abbandonerò né per l'onore, né per il dovere... Vorrei potervi dire che sono stato un uomo coraggioso e ho affrontato ogni genere di prova, per il suo amore... Vorrei potervi dire tutto questo, perché non è altro che ciò che provo! Ma la verità è un'altra, molto meno nobile... molto meno giusta... La verità è che io, contro il mio cuore e contro me stesso, l'ho già abbandonata”

L'Arle alzò una mano, ma Alistair gli impedì di parlare.

“Vi prego di non compiacervene e non dire nulla, o potrei pentirmi delle mie parole e dei miei gesti. Io sono il peggior re che potrà mai salire sul trono del Ferelden, Eamon, perché il mio primo gesto come sovrano è stato quello di un codardo e un assassino!”

“Di cosa diamine stai parlando?”

“Non importa che voi lo sappiate, ma voglio che sia chiara una cosa: se il destino non fosse scritto, se esistesse anche un solo modo per rimediare a ciò che ho fatto, io prenderei tutti i vostri discorsi sulla dinastia e sulla sovranità e ve li ricaccerei in gola! E, tanto perché vi rassegniate all'idea: non ci sarà nessuna donna cui giacerò al fianco, dopo la fine!”

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Capitolo 10
*** Amici ***


L'avevo visto sgattaiolare lontano da me più volte, quella mattina, segno evidente che qualcosa non andava, o non sarebbe andata presto: Zevran era sempre un vulcano di energie, appena sveglio, e avevo imparato che, se provava a evitarmi, o aveva combinato un guaio o stava escogitandone uno.

In questa occasione ero più propensa a credere nella prima ipotesi, soprattutto perché era proprio per questo che lo stavo cercando...

La notte appena trascorsa era stata impossibile e pazzesca, ma mi sarei giocata la testa sul fatto che non ne fossimo stati artefici solo Alistair ed io.

Doveva esserci stato lo zampino di un terzo ficcanaso; poiché Oghren l'avevo trovato ancora ubriaco sotto una panca e Sten non si sarebbe immischiato in faccende amorose nemmeno sotto tortura, l'unico nome possibile rimaneva uno.

Alla terza svolta che gli vidi prendere, per farmi perdere le sue tracce, giocai d'anticipo e, tornando sui miei passi, gli sbarrai la strada.

Il sorriso innocente e solare che gli illuminò il volto, aprendosi da un orecchio puntuto all'altro, fu un capolavoro di artificiosità, confermando in pieno ogni mio sospetto. Tanto più che, senza accorgersene, aveva preso a tormentarsi la cinghia dei pantaloni, cosa che faceva solo quando si sentiva sotto pressione...

Incrociai le braccia e attesi.

“Ehm... buongiorno mio capitano, bellissima giornata per andare a caccia di Prole oscura, non trovi? Ti vedo molto più in forma dell'ultima volta, probabilmente dormire all'aria aperta giova al tuo incarnato.”

“Zevran...”

“Dovresti anche provare ad utilizzare quella maschera ai cetrioli di cui parlava ieri sera Leliana. Se sperava potesse far qualcosa per Wynne, il successo su di te dovrebbe essere assicurato!”

“Zev...”

“In ogni caso, lo so, tu non hai tempo per queste sciocchezze, sei solo un guerriero coriaceo e che si lascerà crescere lunghe setole di pelo su tutto il corpo...”

“Zevran!” Dovetti alzare la voce, per interrompere quello sconclusionato profluvio di parole; quando, finalmente, alzò gli occhi su di me: “grazie”, dissi, semplicemente.

La sua espressione mutò con la rapidità di un soffio di vento, trasformandolo da scanzonato e faceto in dolce e preoccupato.

Allungò una mano a carezzarmi la guancia e io chinai il volto, trattenendola a me.

“Di niente, principessa. Non ho proprio fatto nulla che meriti la tua riconoscenza.”

C'era rimpianto, nel suo tono, e un affetto tanto profondo che mi scivolò dentro, fondendosi alla mia anima.

“Tu hai fatto più di chiunque altro, per me. Sempre.”

Dovetti interrompermi, perché la voce rischiava di incrinarsi e non avevo nessuna intenzione di metterlo in imbarazzo con banali manifestazioni di sentimentalismo.

Ma sapevo che aveva già intuito il mio stato d'animo... lo faceva sempre, senza bisogno di parole o gesti, solo guardandomi negli occhi.

Lo vidi sorridere e mi strinse a sé, scompigliandomi i capelli con il pugno.

“Sei proprio una sciocca! Cosa mai ci può essere da piangere, ora? Le cose si sono sistemate, no? Quel tuo bietolone dall'armatura scintillante ti tedierà per un altro po' di tempo...”

“Non è un bietolone!” Protestai, allacciandogli le mani intorno alla vita. “E tu sei, in assoluto, la persona cui tengo di più al mondo.”

“Alistair sarebbe geloso...”

“Sono innamorata di lui.” Lo dissi con una naturalezza che mi stupì, avvertendo solo una piccola fitta di dolore, in fondo al petto. “Ma tu sei qualcosa di diverso e anche più speciale, nel mio cuore. Non chiedermi di spiegartelo...”

“Non lo farò.” La sua voce era roca, adesso, e mortalmente seria.

Non potevo vedere il suo volto, ma sapevo che aveva stretto le labbra in una piega amara e lo sguardo si era fatto triste.

“Non puoi rimediare a tutto, Zevran, ma sappi che mi hai salvato quando rischiavo ben più della vita. Mi hai salvato quando nemmeno credevo di averne bisogno. Cosa mai potresti fare di più?”

“Non è giusto Eilin! Non posso pensare che...”

“Nemmeno io lo ritengo giusto e nemmeno io riesco a pensarci. Non avevo messo su tutta quella storia sul diventare un'arma e rinunciare ai miei sentimenti solo per divertirmi, sai?” Sorrisi, spingendo il volto contro il suo collo e facendogli il solletico col naso.

“Eddai, smettila” si lamentò, ma mi sorrise di rimando, carezzandomi la schiena.

“Avevo paura... ho paura. E sono dannatamente arrabbiata. Ma sei stato proprio tu a mostrarmi quanto sbagliassi, nel lasciare che le mie ansie e il mio dolore mi uccidessero ben prima di quando fosse il momento.”

“Io non...”

“Quel momento verrà, amico mio dolcissimo. E verrà presto. Posso non pensarci, ma non posso dimenticarlo. Avrò ancora paura e desidererò fuggire. Probabilmente mi chiuderò di nuovo in me stessa e affronterò la fine da sola” gli presi le mani e gli schioccai un bacio sulla guancia. “Ma adesso siamo insieme, tutti noi. E siamo vivi. Solo questo conta, non trovi?”

Mi alzò il volto con le dita, fino a farmi incontrare il suo sguardo. La sua forza alimentava la mia, in una fiamma strana e meravigliosa. Una fiamma che non era amore, né passione, ma qualcosa di più profondo e insondabile, un'unione di anime che nessuna parola al mondo avrebbe potuto descrivere o classificare.

“Siamo insieme e lo saremo fino a qualsiasi fine che sia stata scritta per noi. Questo te lo giuro, Eilin, sull'onore che non ho mai avuto... e sulla mia virilità!” alzò il mento, in un'espressione burlescamente solenne. “Che la mia lancetta possa non raggiungere più la mezzanotte, se mai dovessi abbandonarti!”

“La tua lancetta è talmente insignificante che non si capisce neanche che ora stia segnando!” Il burbero mugghio di Oghren, arrivato alle nostre spalle nel più assoluto e incredibile silenzio, ci fece sobbalzare.

Ci voltammo a fissarlo all'unisono, sgranando gli occhi alla vista dei mutandoni a righe che indossava sotto il corpetto dell'armatura, e iniziammo a ridere, ignorando le sue proteste, finché anche lui non si unì alla nostra insensata ilarità, scacciando con noi il freddo di quella perfetta mattina d'inverno.

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Capitolo 11
*** Interludio ***


I giorni si susseguivano monotoni e veloci, mentre proseguivamo a tappe forzate verso la capitale, ansiosi e titubanti di giungervi il prima possibile.

Solo qualche volta fummo attaccati da disordinate orde di Prole oscura, ma, nonostante l'incredibile ferocia con cui si riversavano sulle nostre truppe, riuscimmo a respingerli sempre senza troppe perdite.

Il problema era che quegli attacchi, mentre esaltavano Oghren e rinfocolavano la sua sete di battaglia, prostravano gli uomini e li rendevano più timorosi: chi non aveva mai avuto la sfortuna di combattere contro quelle creature le trovava anche più terribili di quanto non immaginasse, mentre coloro che erano sopravvissuti in precedenza alla loro malvagità, tornavano a chiedersi per quante volte il destino sarebbe stato benigno e li avrebbe lasciati in vita.

Leliana pregava con più fervore, sera dopo sera.

Wynne si era chiusa in un silenzio meditabondo, mentre curava i feriti e studiava alacremente i suoi incantesimi

Sten era, come sempre, duro e imperscrutabile, cosa di cui, per una volta, ringraziavo il Creatore.

Anche i racconti truculenti di Oghren, per quanto entusiasti, non erano troppo utili a risollevare il morale degli uomini... fortunatamente avevamo ancora abbastanza birra da renderlo inoffensivo prima che spingesse tutti ad una fuga precipitosa.

Zevran precedeva la colonna in avanscoperta, giorno e notte, quasi senza sosta, setacciando i dintorni e seguendo ogni possibile traccia di nemici; erano stati proprio la sua abilità e il suo coraggio a permetterci di contrapporci con successo a tutti gli assalti, rinsaldando la speranza nelle truppe.

Alistair stava guadagnandosi, battaglia dopo battaglia, il rispetto e l'amore del suo esercito, combattendo ostinatamente in prima fila, nonostante il parere contrario mio e dell'Arle, lasciando scorrere il suo sangue insieme a quello dei soldati, rifiutando qualsiasi privilegio o favore e rendendomi orgogliosa dell'uomo che era stato e del re che stava diventando.

In quel mondo imperfetto, imparavamo a creare tra noi una sorta di incerta armonia, con cui contrapporci alla sarabanda demoniaca cui correvamo incontro.

Per quanto riguardava me, il tempo sembrava trascorrere in maniera strana, dilatandosi e contraendosi senza alcun senso... i minuti potevano durare ore e le ore soltanto attimi.

Combattevo, davo ordini, calavo le lame sul collo di quelle insensate creature, per poi aprire gli occhi e ritrovarmi nel buio, tra le braccia del mio amore, senza neanche ricordarmi come fosse successo.

Forse era perché evitavo di pormi domande, o anche solo di fermarmi a riflettere. Forse era il caos di quei giorni e il peso della responsabilità di guidare tanti uomini verso la battaglia e una morte quasi certa. O forse era solo la mia mente che iniziava ad abbandonarmi...

In qualsiasi caso, quando le mura devastate di Denerim apparvero all'orizzonte, stentai a credere ai miei occhi e mi volsi, d'istinto, verso sinistra, quasi aspettandomi di vedere il bastone nodoso di Morrighan, ma incontrando solo lo sguardo freddo e severo di Eamon.

La devastazione era anche più profonda di quanto avessi temuto.

Ne avevamo avuto innumerevoli assaggi, nel corso della nostra marcia, ma se il corpo straziato della nostra terra ci aveva amareggiato, vederne il cuore ancora pulsante strappato dal petto e dilaniato fece esplodere in noi una rabbia inestinguibile, tanto feroce da cancellare persino la paura.

“E così è giunta...” sussurrai tra me, stringendo le redini e facendo scartare di lato il cavallo, sensibile alla mia tensione.

La mano di Alistair trovò la mia spalla e sentii che il suo pensiero correva insieme al mio ad un'unica consapevolezza.

Credevo che sarei nuovamente crollata, che il rimpianto e l'ansia mi avrebbero soffocato, ma tutto ciò che provai fu una cupa consapevolezza, scevra di qualsiasi dolore.

Ero pronta.

Strinsi la mano del mio compagno con fermezza, ottenendo in cambio uno stiracchiato contrarsi di labbra, in una parvenza di sorriso.

Al contrario di me, Alistair non era pronto a dirmi addio, ma avrebbe finto, fino alla fine, il coraggio di cui avevo bisogno.

Anche Zevran si era portato al mio fianco, in silenzio. Non ci furono contatti, tra noi, né parole, ma solo un breve intrecciarsi di sguardi e una perfetta intesa.

Sospirai.

“Accampiamoci qui. Non ho nessuna intenzione di infilarmi là dentro al calare delle tenebre.”

L'Arle annuì e si volse per dare l'ordine, mentre io smontavo di sella e mi dirigevo, a grandi passi, verso la cima della collina, che ci avrebbe fatto da scudo in quell'ultima notte di riposo.

Rimasi sola finchè l'ultima luce del sole si spense alle mie spalle, nascondendo la desolazione di quella valle che avevo visto traboccare di vita e speranze solo poco tempo prima.

“Rinascerà.”

La voce pacata di Alistair mi carezzò la nuca, mentre le sue mani si stringevano intorno alle mie spalle e il suo volto si nascondeva sul mio collo.

Allungai un braccio per avvicinarmi ancora di più al suo corpo e annuii.

“Ti amo” ripeté per l'ennesima volta, senza stancarsi della mia muta risposta.

“Ti amo”, sussurrò al mio orecchio, lambendolo con tocco leggero come ali di farfalla.

“Ti amo” alitò contro la mia guancia, coprendola di baci delicati.

“Ti amo” ruggì nella mia bocca, divorandone le labbra con disperazione febbrile.

“Ti amo”... fu l'ultima cosa che sentii, prima di perdermi nel suo calore.

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Capitolo 12
*** Sorpresa ***


“Ti amo.” Furono le prime parole che udii, quando riemersi dall'incoscienza dorata in cui eravamo sprofondati.

Dal campo arrivava indistinta la voce degli uomini, confusa col rumore sordo delle stoviglie. Evidentemente non era ancora passata l'ora del rancio ed io arrossii, pensando a quanti avrebbero potuto vederci, mentre ci eravamo dimenticati del resto del mondo.

“Hai fame?” mi chiese, scostandomi un ciuffo di capelli dalla guancia.

Disteso al mio fianco, leggermente sollevato su un gomito, con soltanto i pantaloni addosso, appariva rilassato e sereno come mai era stato negli ultimi giorni.

Scossi la testa e mi strinsi di più al suo corpo, decidendo di ignorare il pudore e il buonsenso che mi gridavano di rivestirmi e tornare al campo, secondo il mio dovere.

Alistair sorrise e mi trascinò sopra di sé, cullandomi al petto e coprendomi col suo mantello.

“Vorrei poterti tenere per sempre così” sussurrò, con gli occhi persi verso la volta stellata, “vorrei sentire l'erba morbida sotto di me e il calore del tuo corpo sul mio ogni notte e ogni giorno”

Non volevo frasi d'addio o promesse malinconiche, ma quelle parole, per quanto assurde, non facevano male e non contenevano dolore o rimpianto.

Alzai il volto a osservare il suo, sorpresa da tanta pacata rassegnazione, quasi volessi trovare dipinta, sui suoi lineamenti, la verità che pensavo nascondesse nelle parole.

Ma scoprii solo un sorriso leggero e uno sguardo limpido e quieto.

“E' una notte bellissima, non credi?”

Seguii la direzione del suo sguardo e fui colta da reverente meraviglia, perché le sue parole erano follemente vere.

Ad un passo dalla distruzione e dalla guerra, circondati dalle tenebre di un Flagello che si era spinto troppo oltre, minacciando di annientare tutto ciò che più amavamo, quella notte possedeva ancora una profonda bellezza, racchiusa nello squarcio di cielo stellato sopra di noi e nella luce argentea di un'ultima falce di luna.

“Per tutta la vita ho passato giorno dopo giorno a rimpiangere ciò che avevo perduto, o che non avevo mai avuto. Mi sono lagnato e compianto e ho sprecato il tempo mio e di chi mi stava vicino per aspettare un momento perfetto, in cui tutto fosse esattamente come l'avevo immaginato... Non avrei potuto essere più stupido!” Lo disse come un semplice dato di fatto, senza esitazioni, scuse o rincrescimento.

“Non è peccato soffrire per ciò che abbiamo perso...”

“Ma è peccato buttare la propria vita nel ricordo del passato o nella speranza di un ipotetico futuro, quando abbiamo tutto un presente da costruire e da vivere!”

Mi fissò con un'intensità nuova, scevra di dolcezza, ma carica di amore.

“Questo l'ho imparato da te e non so dove tu abbia trovato la pazienza per insegnarmi.” Sorrise, trasformando i suoi ringraziamenti solenni in una battuta di spirito.

“Non sei stato un allievo molto attento, questo è sicuro.” Alzai il dito, con fare ammonitore, adeguandomi al suo tentativo di allegria.

“Me l'hanno sempre detto tutti i miei insegnanti” sospirò, con finta rassegnazione, “ma non ne avevo mai avuti di carini come te”

Risi, candidamente, nascondendo il volto contro la sua spalla e non vedendo il lampo di disperazione che gli attraversava lo sguardo.

“Qualsiasi cosa succeda, ci saranno sempre stelle sopra di noi e nessun Arcidemone potrà essere tanto grande da nasconderle ai nostri occhi”

Annuii, aspirando il profumo caldo della sua pelle, che sapeva di forza e fragilità, di coraggio e disperazione ed era tanto simile al mio da confondermi e confortarmi ad un tempo.

Avrei voluto dirgli che mi sarebbe mancato, ovunque fossi finita dopo quella battaglia... avrei voluto dirgli che l'amavo e che gli auguravo ogni felicità, dopo di me. Ma ero troppo vigliacca per un addio, anche se ero certa che presto l'avrei rimpianto. Ero troppo vigliacca per non sperare che le parole non dette, per una volta, rimanessero comunque tra di noi, come un soffio di vento imprigionato in una sfera di vetro, fragile e indistruttibile nella sua perfezione.

Lo baciai con foga, strappandolo ai suoi pensieri. Non volevo parlasse ancora, non volevo rischiare di rompere l'incanto in cui mi stava cullando.

Ma Alistair stava diventando molto più coraggioso di me e aveva un'altra parola da pronunciare, anche se era l'ultima che mi sarei aspettata di sentir uscire dalle sue labbra.

Divincolandosi gentilmente dal mio abbraccio, si alzò in ginocchio, portandomi a sedere di fronte a lui, con solo il mantello stretto al petto a coprirmi.

Mi fissò sorridendo e poi divenne estremamente serio e solenne, tanto che stavo per aprire bocca e chiedere cosa mai avesse in mente, quando la sua affermazione bloccò ogni mio pensiero e ogni mia volontà.

“Sposami.” Disse con voce sicura e profonda.

“Sposami”... non una domanda, ma una preghiera e un ordine, cui seppe rispondere solo il frusciare delle foglie intorno a noi, mentre io spalancavo la bocca in un'assoluta e confusa meraviglia.

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Capitolo 13
*** Delirante ***


Mentre la morte e il delirio della Prole oscura premeva contro le nostre menti e l'Arcidemone invadeva la nostra anima con promesse di disperazione, io mi trovai, in un attimo, trasportata fuori dalla realtà da quell'unica, inaspettata, incomprensibile parola: “sposami”.

Un'insieme assurdo di sillabe che squarciò il mio cuore come una lama di ghiaccio.

“Sposami!”

Come se esistesse un futuro, come se avessimo ancora speranza...

“Sposami!”

Come se potessi giurargli eterno amore, eterna fedeltà, eterno conforto...

“Sposami!”

Iniziai a scuotere la testa, ma il suo sguardo, cocciuto e implacabile, mi tenne ferma a sé, inchiodando ogni mia volontà.

“Sposami!”

Non sapevo se le sue labbra l'avessero ripetuto, ma il mio cuore l'aveva sentito di nuovo, quel dolore, quell'incanto...

Volevo farlo! E pregai il Creatore che mi desse la forza di resistere ad un tale paradosso, ma volevo con ogni fibra del mio essere promettermi a lui, legarlo a me, sognare di noi.

La sua mano salì a raccogliere una lacrima che non mi ero accorta di aver versato e si fermò sulla mia guancia, sicura e delicata, impedendomi di abbassare il volto e sottrarmi a quell'illusione.

Senza alcuna pietà, senza concedere niente ai miei dubbi e alla mia cruda ragionevolezza, si impossessò delle mie labbra, in un bacio casto e selvaggio, ferendomi con languido fervore e mischiando il suo sangue al mio, finché il respiro non mi mancò in gola e le mie mani gli artigliarono le spalle, in una muta risposta.

Solo allora allontanò il volto, per lo spazio di un alito di fiato, guardandomi con una gioia tanto immensa, quanto incredibile, come un qualsiasi fidanzato, che avesse nel cuore il sogno di un futuro e la promessa di un'eternità.

Cercai di sorridere, senza successo, ma il forzato stiracchiarsi delle mie labbra sembrò bastargli.

Ero arruffata e nuda, sicuramente diversa da come avrei potuto mai immaginarmi nel ricevere una proposta di matrimonio.

Intorno a noi c'erano desolazione e fumo maleodorante, il vocio dei soldati e la crudeltà della guerra... niente avrebbe potuto essere meno perfetto.

Ma Alistair invadeva tutto il mio campo visivo e il mio mondo nasceva e moriva tra le sue braccia.

Quando feci per aprire bocca, seppi che nulla di quanto avrei potuto dire avrebbe avuto un senso, perché entrambi ne eravamo già dolorosamente consapevoli; ma se avevamo deciso di ignorarla, perché sprecare tempo e fiato con la realtà, quando già ci dominava in ogni istante, con implacabile ferocia?

Mi strinsi a lui, lasciando cadere il mantello con cui mi ero fatta scudo.

Ogni “per sempre” che avremmo pronunciato avrebbe avuto senso nell'immensità di un solo battito di cuore, ma quel giuramento non sarebbe stato, per questo, meno solenne.

“Anche se potessi averti solo per un giorno o per un'ora, vorrei che tutto il mondo sapesse che sei mia!” mi sussurrò al seno, sfiorandomi il cuore con un bacio.

“E' folle...” Protestai senza convinzione, carezzandogli i capelli.

“Allora è perfetto, perché da quando ci siamo incontrati, è nella follia che siamo stati costretti a vivere”

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Capitolo 14
*** Dubbi e certezze ***


“Devo congratularmi?”

La voce bassa e canzonatoria di Zevran si fece lentamente strada nei miei pensieri e mi accorsi di essere rimasta ferma, per non so quanto tempo, al centro della tenda, con lo sguardo sperso e la mente completamente annebbiata.

Alistair mi aveva accompagnato e si era dileguato canticchiando, con passo veloce e sguardo felicemente ebete, mentre borbottava qualcosa su sacerdoti e Leliana e vestiti...

Mi voltai verso l'elfo, o forse fu lui a spostarsi di fronte a me, perché non ero ancora troppo padrona di me stessa e dei miei movimenti.

Di sicuro alzai lo sguardo e lessi la più completa incredulità nei suoi occhi, anche se, probabilmente, altro non erano che lo specchio dei miei.

Meccanicamente gli mostrai la piccola statuina di pietra dura, a forma di non so quale orripilante mostro, che Alistair mi aveva dato al posto del più classico anello.

 

Se avessi potuto fare a modo mio – aveva detto, mentre ancora continuava a baciarmi e carezzarmi, come fossi stata la cosa più preziosa e fragile del suo mondo – se avessi potuto rendere tutto perfetto, adesso ti offrirei un brillante grande quanto il palmo della mia mano... anche se magari avrei dovuto rubarlo, visto che non credo avrò troppo denaro nemmeno come re!” Il sorriso fanciullesco che mi aveva dedicato mi aveva fatto ridere piano e sciogliere tra le sue braccia, mentre continuava “Ma so che a te non piacciono le cose perfette, quindi ho pensato di darti un pegno diverso del mio amore...” A quel punto aveva tirato fuori dalla bisaccia una delle sue buffe bambole e me l'aveva offerta, rimettendosi in ginocchio, proprio secondo le più comuni tradizioni.

 

Zevran me la prese dalle mani, osservandola scettico, ma senza commentare.

“Quindi la bella notizia è vera?” sentenziò, dopo un attimo, nascondendo lo stupore dietro un sorriso assolutamente troppo brillante, per essere sincero.

“E' una bella notizia?” chiesi a me stessa quanto a lui.

Finalmente riuscii a muovermi, ma non fu un gran miglioramento, perché iniziai a camminare avanti ed indietro per la tenda, come un leone in gabbia.

“Di solito i matrimoni lo sono.”

La sua voce rimaneva troppo controllata e appena un po' ironica. Era triste, lo sentivo come se me lo stesse urlando a pieni polmoni. Sapeva quanto fosse assurdamente malinconica e dolorosa quell'idea, al di là della sua possibile poesia e bellezza.

Un matrimonio è l'esaltazione della vita, ma io l'avrei celebrato giusto la notte precedente al mio più che probabile funerale!

“Eilin...” Mi prese tra le braccia, interrompendo il mio folle peregrinare e riportando il mondo sul giusto asse. Gli appoggiai la testa sulla spalla e lasciai che mi carezzasse i capelli. Il suo profumo era caldo e reale, mischiato all'odore del sangue e della fatica.

“Avrei dovuto rifiutare. Avrei dovuto saperlo...”

“Devi fare solo ciò che vuoi, ciò che credi meglio per te stessa.”

“Io non lo so più cosa voglio, Zev” a quel punto stavo quasi gridando, ma, per fortuna, la voce rimaneva ovattata contro il suo petto. “Un matrimonio! ti rendi conto? Certo che lo desidero! L'ho desiderato da quando mi sono accorta di essermi innamorata di lui.”

“Quindi, per una volta, il nostro beneamato bietolone ha fatto una mossa saggia.”

“No! Sì...dannazione, non lo so, capisci?”

Zevran annuì piano, stringendomi con più forza, quasi temesse potessi andare in pezzi, come quella notte al castello dell'Arle, quando solo le sue braccia mi avevano impedito di perdere me stessa.

In un modo o nell'altro, Alistair riusciva a mandarmi fuori di testa; sbuffai, esasperata.

“Già era difficile fingere che tutto fosse normale, che ci fosse speranza... che ci fosse un domani...”

“Lo so.”

“Adesso ho accettato di sposarlo, di giurargli eterno amore, eterna fedeltà... di sicuro il mio adorato sposo non dovrà preoccuparsi di essermi fedele a lungo!”

“Eilin!” Zevran mi scosse, scostandomi appena da sé e fissandomi con fermezza. “Non dire sciocchezze! Queste battute sagaci sono una mia prerogativa, non tua.” Sorrise, mitigando il rimprovero con un bacio sulla fronte.

Abbassai lo sguardo e rimasi in silenzio, finché lui non si chinò a cercare i miei occhi e sorrise.

“Io credo dovresti essere felice, come ogni sposina che si rispetti.”

Al mio tentativo di protesta, mi chiuse le labbra con il dito.

“Ascoltami per un attimo, prima di bofonchiare” aspettò di vedere se l'avrei interrotto ancora e riprese. “Non nego che tu abbia ragione, nei tuoi timori su Riordan, anch'io sono scettico sulle sue possibilità. Ma non mi sarei nemmeno mai aspettato che Alistair tirasse fuori il coraggio e ti facesse la proposta! Il mondo è evidentemente impazzito!”

Sorrisi, scuotendo la testa.

“Una cosa l'ho imparata nei miei lunghi anni oscuri, prima che una bellissima principessa mi raccogliesse dal ciglio della strada e si prendesse cura di me...” lo disse con tono scherzoso, ma c'era stato un brivido, nella sua voce, e le sue mani avevano aumentato la stretta su di me, prima di continuare. “Possiamo avere un'idea molto certa di quale sia il nostro futuro, ma non lo conosceremo mai finché non sarà diventato passato. Forse domani morirai” di nuovo mi strinse con più decisione. “Forse moriremo tutti e il Flagello cancellerà il nostro ricordo. O forse festeggeremo per i prossimi cinquant'anni una splendida vittoria e io verrò a insidiare le tue figlie, non appena saranno abbastanza grandi da assomigliare alla madre!” gli diedi una pacca scherzosa, ma non lo interruppi. “Non possiamo conoscere niente, finché non lo avremo vissuto. Quindi ti chiedo: al di là di ieri e di domani, tu vuoi, oggi, diventare la moglie di un Custode imbranato che presto sarà anche il nostro riverito sovrano?”

Il mio cuore perse un battito, mentre annuivo inconsapevolmente e mi rendevo conto, ad un tratto, che di lì a pochi minuti sarei stata una sola persona, di fronte a tutto il mondo, con l'uomo che amavo, che gli avrei offerto le mie promesse, così come già gli avevo offerto il mio cuore.

Sorrisi, con aria ebete.

“Bene” Zevran si staccò lentamente da me, continuando a fissarmi; c'era dolcezza, nei suoi occhi, una gioia pacata e profonda al di là di un velo di malinconia “Allora, questo è il momento giusto per chiederti se posso baciare la sposa...”

Non attese risposta, né avrei saputo dargliela.

Le sue labbra si posarono sulle mie, fresche e delicate come un fiocco di neve, morbide come un abbraccio e risolute come la verità.

Fu solo un attimo e fu al di fuori del tempo. Poi mi carezzò la guancia con la punta delle dita e si dileguò nelle ombre, portandosi via un minuscolo frammento della mia anima.

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Capitolo 15
*** Vestiti ***


Avevo appena fatto in tempo a ricomporre la mia espressione, quando Leliana si affacciò dai veli della tenda, con l'aria di un gatto coperto di panna e le braccia colme di stoffe colorate e ninnoli strani.

Alzai un sopracciglio, facendole cenno di entrare.

Corse ad abbracciarmi, quasi soffocandomi in mezzo a tutta quella chincaglieria, come fossimo sempre state grandi amiche e non fosse stata lei quella che, con aria offesa, si era premurata di ignorarmi in ogni momento dei giorni precedenti.

A quel punto, mi fu evidente come i matrimoni assomigliassero ai funerali, quando si trattava di creare illusorie amicizie o fallace emotività.

Sospirai, perché, se pure Zevran mi aveva aperto gli occhi su un lato della verità, questo non mi aveva reso cieca a tutto il resto e non ero pronta per affrontare uno sfrenato ottimismo.

“Alistair è venuto a chiedere il mio aiuto!” tubò con la sua voce da usignolo, cominciando a sistemare in bell'ordine dei vestiti sulla branda.

Questo spiegava la sua euforia: Leliana adorava sentirsi utile e, adesso, poter credere di assistermi in quello che avrebbe dovuto essere il momento più importante della mia vita la estasiava.

Meglio così, comunque. Mi ero stufata del suo cattivo umore e sarebbe stata più utile in battaglia se avesse ascoltato i miei ordini guardandomi negli occhi, invece che oltre le spalle.

Per un attimo mi chiesi quando fossi diventata tanto cinica e insensibile.

Non che fossi mai stata una dolce fanciulla, ma sapevo apprezzare una persona buona, quando l'avevo vicino.

Mia cognata ed io non eravamo diventate grandi amiche o confidenti, ma ci eravamo sempre rispettate a vicenda. Magari, a volte, avevo considerato la sua gentilezza come ingenuità, ma l'avevo anche ammirata per il suo candore. Non avevo motivi per non apprezzare Leliana e la sua amabile cortesia...

Ripensai agli ultimi mesi della mia vita, immersi nel sangue e nella morte. Probabilmente non era sensato sperare di esservi passata indenne. Eppure sapevo di non potermi giustificare con tanta semplicità. C'era stato dolore, è vero, ma c'erano stati anche calore e vita, c'erano stati amici e amore, speranza e coraggio... c'era stata tanta luce da non potermi rassegnare a vedere il buio strisciare così a fondo dentro di me.

Così le sorrisi e cercai di renderlo meno finto di quanto il mio cuore non mi suggerisse.

Sicuramente una parte di me doveva esserle grata, per il suo interessamento... solo che non riuscivo più a vederla!

“Quando ho incontrato i suoi occhi, ho capito subito cosa aveva combinato! Aveva la classica espressione felice e un po' smarrita dei fidanzatini” rise e mi si avvicinò, poggiandomi al petto un bellissimo abito di velluto color ardesia, con pizzi e trine sulle maniche ampie. Poi arricciò il naso “No, il grigio non è adatto a un matrimonio e poi non si intona alla tua carnagione.” Parve preoccupata “Se quello sciocco mi avesse avvertito prima, avrei potuto fare qualcosa per mitigare la tua abbronzatura e renderti la pelle più luminosa! Benedetta Andraste, gli uomini non hanno il minimo senso pratico!”

Alzai gli occhi al cielo, in un moto istintivo, ma, per fortuna, non vide il mio ingrato gesto di esasperazione.

“Dovremo accontentarci di quanto abbiamo, Leliana” cercai di rassicurarla “Ti sono debitrice per il tuo intervento e la tua generosità. Quegli abiti sono tutti splendidi ed è già un sollievo pensare di non sposarmi in armatura di cuoio e stivaloni.”

Mi accorsi di essere sincera solo mentre lo dicevo.

Evidentemente la vanità non era morta come la mia cortesia, passando attraverso gli artigli dei Prole oscura. Forse non mi faceva onore, ma era dannatamente vero.

“Perché non aspettare la fine di questa battaglia, mi chiedo” sussurrò l'assassina redenta, senza guardarmi “Perché tanta fretta? C'era una punta di ansia, nella sua voce, e non era quella di ogni uomo mentre si appresta a mettere il collo nel cappio del matrimonio.”

Mi sorprese che Leliana avesse imparato a leggere il pensiero, perché era esattamente la scusa che stavo per propinarle. Non avrei potuto raccontarle la verità, in quel momento. Non ne avrei avuto né il tempo, né il coraggio. Inoltre già in troppi si stavano preoccupando di dover scavare una fossa per me, la sera successiva, non avevo davvero bisogno di un altro becchino.

“Non sono una stupida, Eilin.” Lo disse come un dato di fatto, senza accusarmi di niente e, altrettanto semplicemente, potei risponderle “Non l'ho mai creduto.”

“Eppure tu e Alistair, forse anche Zevran, mi state nascondendo qualcosa di grosso. Un segreto che vi avvelena l'anima da giorni e che, per un attimo, ha anche rischiato di distruggervi.”

Accorgendosi che non avevo intenzione di rispondere, continuò, feroce “Abbiamo combattuto fianco a fianco, ti ho guardato le spalle e ho creduto in te, sia in battaglia che nel raccontarti la mia vita. Speravo di essermi guadagnata la tua fiducia, se non la tua amicizia...”

Ecco, era fatta: era riuscita a farmi sentire in colpa. Odiavo queste tattiche maledettamente femminili di recriminazione velata... soprattutto quando avevano un fondo di sincerità.

Avrei dovuto dire qualcosa di dolce, ma ciò che mi uscì dalle labbra fu solo altrettanto sincero.

“Tu sei una donna forte e coraggiosa, Leliana. Hai saputo essere fedele a te stessa, con ardore e fierezza, in ogni attimo della tua vita e in ogni tua scelta. Questo ti fa onore e ti ha valso la mia più completa ammirazione. Se non mi fossi fidata di te, non ti avrei accolto come compagna; se fossi stata degna di te, saremmo potute essere amiche. Ma io non sono una persona buona e il Creatore non mi ha benedetto con la fede. Tu, come anche Wynne, siete troppo pure e giuste, perché io possa sperare di mischiarmi a voi... “

“Tu sei buona... a tuo modo” dovette correggersi e la sua esitazione mi fece sorridere.

“Forse, se davvero esiste più di un modo per esserlo. Ma non è ciò che ricerco. Ho raccolto il mio fardello, quando mi è stato poggiato sulle spalle, e ho passato gli ultimi mesi a sostenerlo con quanto onore e determinazione possedessi. Questo non mi rende speciale, perché ho solo compiuto il mio dovere e non ti nego di averlo maledetto, a volte, così come altre mi sono rallegrata che fosse toccato a me... ma solo perché detesto l'idea di affidare a un estraneo ogni mia possibilità di salvezza!”

“Saresti potuta fuggire, potevi rifiutare il tuo ruolo. Il tuo coraggio è indiscusso e ammirevole”

“Non è stato coraggio, Leliana, ma odio. Odio per quel verme schifoso che ha massacrato la mia famiglia! Odio per i Prole oscura che devastano la nostra terra! Odio per la pazzia di Loghain che ci ha quasi condannato tutti... Puro e semplice odio. Capisci, quindi, perché non possiamo essere amiche? La tua è una guerra di pace e salvezza, la mia è solo vendetta!”

Il suo sguardo fu meno sconvolto di quanto mi aspettassi e anche meno severo. C'era quasi pietà, in quegli enormi occhi da cerbiatto, tristezza per le mie parole o, forse, per la mia stessa anima.

Non volevo la compassione di nessuno, ma sentii le lacrime offuscarmi la vista, davanti all'evidenza di quanto fossi diventata dura e impietosa, nell'approssimarmi alla fine.

Le ricacciai in gola.

Ero ciò che sapevo essere e non avevo tempo per esami di coscienza o redenzione, se pure di redenzione avevo bisogno.

Inoltre quella era la notte delle mie nozze e forse l'ultima della mia vita...

“Mi piacerebbe provare l'abito lavanda, se non ti dispiace” cambiai discorso, adattando il mio tono alla leggerezza dell'argomento e interrompendo il profluvio di sincerità che rischiava di soffocarmi “Potrà sembrarti strano, con i miei capelli e gli occhi castani, ma è un colore che mi ha sempre donato...”

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Capitolo 16
*** Verità ***


“Ti prego, Zevran! Ho già perso troppo tempo coi discorsi insensati di Eamon, non voglio far attendere Eilin un secondo di più”

Alistair aveva parlato senza neanche voltarsi, non appena l'elfo aveva messo piede nella tenda.

“Vi ho sentito, anzi credo vi abbiano sentito in molti, nel campo”

“I toni si sono un po' surriscaldati...” replicò semplicemente, lottando con una fibbia dell'armatura e non riuscendo a nascondere il leggero tremore delle mani.

L'assassino scosse la testa, rassegnato, e si fece avanti per aiutarlo.

“Sembri emozionato come una vergine” tentò di scherzare, ma nessuno dei due aveva veramente voglia di perdersi nelle loro solite, sciocche schermaglie.

C'era troppo dolore, in quella gioia. Troppa solitudine, in quell'unione.

Schinieri, pettorale, mantello... con lenta fretta Alistair si preparava alle nozze, dedicando al suo aspetto una particolare cura e nascondendo, dietro la banalità di quei gesti, l'insensatezza della realtà.

In quel momento non c'era niente, in lui, che ricordasse la gioia spensierata con cui era riuscito ad ingannare Eilin. Il suo volto era grave e freddo, innaturalmente severo.

Quella farsa... quel sogno, che aveva voluto regalarle e regalarsi, stava suggendo ogni goccia del suo coraggio.

Il silenzio si fece pesante, facendo rimpiangere a Zevran le urla sommesse dell'Arle e i suoi fastidiosi rimproveri sul dovere, il regno e gli eredi.

“Avrebbe ragione sai?” sussurrò ad un tratto il Custode “Se le cose fossero diverse, Eamon non sbaglierebbe a preoccuparsi per noi. E' difficile che possiamo generare figli e sarebbe stato mio dovere pensare al futuro del regno”

Zevran non rispose, intuendone l'inutilità.

“Non mi sarebbe importato, comunque” continuò, infatti, quasi senza ricordare la presenza dell'elfo accanto a sé “Eilin è l'unica cosa bella di tutta la mia vita, il mio solo amore... Un figlio nostro sarebbe il miracolo più grande che il Creatore potrebbe concedermi”

“Sarebbe stato...”

Alistair lo guardò senza capire, mentre Zevran leggeva tra le righe di quel folle discorso la conferma al suo peggior timore.

“Cos'hai in mente, Alistair?” Lo chiese col tono freddo e feroce dell'assassino, mentre il cuore gli soffocava la gola.

Non avendo risposta, lo prese per il braccio, costringendolo a fissarlo negli occhi.

“Cos'hai in mente?” ripeté, sibilando.

“Niente” Ed era una porta chiusa con fermezza contro il mondo, uno scudo impenetrabile contro qualsiasi attacco.

Zevran l'osservò per un unico istante, poi lo colpì con un pugno alla mascella, con tanto ardore da rischiare di scagliarlo a terra, se non fosse stato per la forza e la prontezza di riflessi dell'altro.

“Cos'hai in mente, Alistair?” chiese, per l'ennesima volta, con rabbia controllata.

L'unica risposta che ottenne fu uno sguardo determinato e freddo, tanto incredibile su quel viso da farlo indietreggiare di un passo, prima di tornare alla carica.

“Cos'hai in mente?” gli urlò contro, senza alzare la voce “Pazzo di un Custode senza cervello!”

Vide la rabbia montare nei suoi occhi, mischiata alla disperazione, ma non raggiunse le sue labbra.

“Non puoi aver progettato davvero una simile follia...”

“Eilin è forte, coraggiosa e sicuramente ha la stoffa del capo più di quanto potrei mai averla io” si limitò a replicare, con tale naturalezza da far sembrare sensato il suo improponibile disegno.

“Eilin è forte, coraggiosa ed è un ottimo capo” replicò Zevran, tentando di mantenere il controllo “Ma non vorrebbe sopravvivere alla tua morte. Potrebbe farlo, questo è sicuro, ma non lo vorrebbe!”

“Ed io, allora? Dovrei volerlo?” questa volta la rabbia di Alistair esplose in tutta la sua violenza “Io che nemmeno potrei sopravviverle, perché è lei la mia vita!” Solo facendo appello ad ogni grammo di volontà riuscì a non gridare, ma si protese verso l'elfo con ferocia, colmando in un passo la distanza tra i loro corpi e sputandogli in faccia la verità.

“E' la soluzione migliore per tutti”

“Migliore per te!” Zevran tremava di collera e preoccupazione “Vuoi sposarla per renderla regina davanti alle truppe e al mondo e legittimarla, così, a regnare al tuo posto...”

“Voglio sposarla perché l'amo”

L'elfo scosse la testa “Non parlare di amore. Non ora”

“Perché? E' la verità. L'amo più della mia stessa vita”

“Sono belle parole Alistair. Belle quanto stupide!” contro ogni volontà, Zevran gridò, infischiandosene di quanti avrebbero potuto udirlo.

“Più stupide di quelle che ho pronunciato quando l'ho condannata? Non lo credo.”

“Almeno altrettanto, perché così la stai tradendo una seconda volta. E in modo anche peggiore della prima”

“Quando ho rifiutato il rituale di Morrigan l'ho abbandonata. Chiedendole di sposarmi l'ho tradita”

“Sei pazzo...”

“Sono solo un egoista e forse un vigliacco” il sorriso che gli increspò le labbra era più simile ad un ringhio “Posso giurarti che il primo peccato contro di lei l'ho commesso senza intenzione. Ma non negherò di aver progettato consapevolmente di farle del male, adesso”

“Alistair... Eilin non potrebbe mai perdonarti”

“Allora saremo in due” Non c'era rassegnazione, nella sua voce, solo consapevolezza e una pericolosa decisione.

“Quante volte credi possa spezzarsi il cuore di un uomo? Quanto dolore potrà sopportare? Le hai fatto piangere la sua morte ed è sopravvissuta... come potrà salvarsi dalla tua?”

Per la prima volta, lo sguardo di Alistair si incrinò e chinò la testa, ma solo per un attimo.

“Ho fiducia in lei. So che saprà fare, come sempre, la cosa giusta”

“Ovvero rinunciare a se stessa per il bene comune, vero? In fondo è questo che ha fatto fin'ora, quindi speri che possa trovare la forza di lottare quando tu non hai abbastanza coraggio per farlo!”

“Voglio solo che possa vivere! E' tanto sbagliato questo?”

“Sì! Perché la costringeresti a vivere senza di te! Anche se solo gli dei sanno come possa voler vivere con te!”

“Se avessi fatto ciò che era giusto, invece di ciò che ritenevo giusto, adesso non saremmo qui a discutere. Forse avremmo dovuto combattere presto contro un nuovo Flagello, o qualcosa di anche più terribile... ma era una battaglia che avremmo potuto vincere... non come questa. Domani nessuno di noi potrà festeggiare, qualsiasi cosa accada”

“Non lascerò che ti suicidi e l'uccida, Alistair. Di questo puoi star sicuro”

“Preferisci che viva io, piuttosto che lei? Lei che è tanto migliore di me e che tu ami”

Il volto di Zevran non tradì alcuna emozione.

“Non sono così ingenuo, amico mio. Forse lo sono stato, ma quel tempo è finito da un pezzo. Non preoccuparti, non sono geloso, amarla è la cosa più normale che un uomo possa fare. Spero solo che ti prenderai cura di lei”

“Lo farò... impedendoti di commettere questa pazzia”

“Vuoi andarle a raccontare i tuoi sospetti e rovinarle l'ultimo momento felice che posso donarle?”

“Voglio proteggerla!”

“Anch'io. E lo faccio nell'unico modo possibile. Non è il modo perfetto, questo è certo...” il suo sorriso fu dolce, nella malinconia “Forse sarà Riordan a sconfiggere l'Arcidemone e il Creatore mi perdoni se anelo così ardentemente la sua morte! Ma se questo non dovesse accadere, se la scelta fosse tra lei e me, in quale altro modo potrei proteggerla, se non costringendola a vivere?”

“Accettando la sua scelta”

“Non è stata una sua scelta! L'unico motivo per cui avrebbe dovuto esser lei, a sacrificarsi, era la dannata corona del Ferelden che pesava sulla mia testa! Sposandola, avremo entrambi le stesse responsabilità e gli stessi doveri e sono più che certo di non sbagliarmi se dico che, tra noi due, sia lei la miglior sovrana”

Quando Zevran fece per protestare, Alistair lo fermò. “Se avessi più coraggio, accetterei il dolore della sua perdita e la guarderei morire... ma sarebbe davvero coraggioso starsene immobili, al sicuro, lasciando morire chi si ama? Il dolore passa, col tempo. Le ferite si rimarginano e la vita ti trascina con sé, anche contro la tua volontà. Eilin potrebbe ancora sorridere, amare, avere figli... E' la mia speranza. E' una possibilità. Se domani la lasciassi andare, se scegliessi il mio dolore e la sua morte, a me resterebbe comunque l'illusione di un futuro, mentre per lei esisterebbe solo la certezza di una buia, fredda tomba e l'inutile consolazione del ricordo”

Zevran chiuse gli occhi, incapace di sopportare la calma con cui il Custode discuteva la fine di entrambi...

“Io sono solo un assassino” sussurrò, stringendo i denti, per non far tremare la voce “Per me la morte è un puro e semplice dato di fatto, scevro da tanti salamelecchi. Forse la tua logica è sensata e tu sarai l'eroe che salverà la principessa... ma Eilin non è una principessa. Lei è già un eroe e per gli eroi il dolore non passa col tempo, né le ferite si rimarginano. Ti ha scelto come unico gesto di egoismo, ti ha amato come unico dono a se stessa. Se vivrà, dopo di te, lo farà per il dovere e non ci saranno sorrisi, né amore, né figli. Questo io credo, al di là di ogni tuo filosofeggiare. Ma io sono solo un assassino e non conosco il futuro. Posso, però, dirti, con certezza, qualcosa sul presente: se pure tu avessi ragione, Eilin non merita altro che la verità e la possibilità di scegliere, anche quando la scelta è impossibile. Dille il tuo progetto, feriscila, distruggila, ma non tradirla”.

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Capitolo 17
*** Incoscienza ***


Il brusio, nel campo, era diventato, incredibilmente, più gioioso e vivace.

La paura e la morte serpeggiavano ancora nelle voci dei soldati, ma l'insensatezza dell'idea di Alistair era riuscita, per un attimo, ad annebbiarne il ricordo: tutti sembravano indaffarati a rendere reale l'inganno che c'eravamo costruiti intorno.

Sorrisi al piccolo specchio che Leliana mi aveva lasciato, stupendomi del tempo trascorso da quando avevo visto, per l'ultima volta, lo sguardo di una donna al di là di quel vetro argentato.

Ero bella e questo mi rendeva assurdamente felice. Il trucco leggero donava lucentezza al mio viso e i sottili nastri argentei, intrecciati tra i miei capelli, ne mitigavano la barbarie del taglio. La seta mi carezzava morbida la pelle, facendomi sentire più nuda di quanto non ricordassi lecito e rendendomi piacevolmente impacciati i movimenti.

Persino Eamon, quando era accorso a sommergermi di rimproveri e raccomandazioni, era rimasto a bocca aperta, confuso nel trovarsi davanti una dama, al posto di un guerriero.

Un tempo avrei odiato quello sguardo, negli occhi di in un uomo... l'apprezzamento per il mio aspetto più che per le mie abilità... ma non adesso. Adesso avevo bisogno di dimenticare l'onore e la spada per fingere, un ultimo istante, che il mondo non fosse impazzito.

Scossi la testa, rassegnata alla mia stupidità e alle beffe di un destino che mi portava a desiderare sempre ciò che non avevo.

Un vento leggero gonfiò i teli della tenda e mi avvolse nel penetrante odore della realtà e del sangue. Sospirai, reprimendo uno stupido brivido, mentre la mia immagine si faceva appena più sfuocata, nello specchio.

L'alba sarebbe giunta presto e avrebbe cancellato gli ultimi sprazzi di quel breve sogno, ma adesso era ancora notte e io indossavo ancora la mia veste da sposa...

Da fuori, udii la voce di Alistair rispondere, sorpresa e decisa, ad una protesta di Oghren sulla scelta dei canti con cui Leliana avrebbe accompagnato quella semplice cerimonia e ringraziai mentalmente il Creatore che il mio futuro sposo non si fosse lasciato convincere a optare per qualcosa di più vivace.

Wynne sembrava essersi rassegnata alle nostre nozze, nonostante i timori che condivideva con l'Arle, e si era assunta il compito di rallegrare l'ambiente con qualche decorazione e un po' di magia.

Sten non aveva detto una sola parola e credo progettasse di allontanarsi dal campo prima dell'inizio di quella follia; se Morrigan fosse stata con noi, probabilmente l'avrebbe accompagnato.

Fu un pensiero stupido e strinsi i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi, mentre un sapore acre di paura mi riempiva la gola e minacciava di sopraffare ogni mia buona intenzione.

“Eilin...” per la prima volta, la voce di Zevran mi apparve più funerea del mio umore.

Avvertirlo alle mie spalle non mi sorprese: riusciva sempre ad avvicinarsi senza che lo udissi, nonostante la somma fiducia che nutrivo nel mio udito e nel mio istinto; ma forse non era solo per le sue innegabili doti di assassino... egli era parte di me, del mio cuore e mi piaceva credere fosse questa, soprattutto, la ragione per cui tanto facilmente riusciva a superare ogni mia difesa.

Contrassi i muscoli della schiena, prima di decidermi a fronteggiarlo, perché, in cuor mio, già sapevo il motivo di tanta preoccupazione.

“Va tutto bene?” Mi volsi con un sorriso, facendo ondeggiare la gonna intorno ai fianchi e sperando in qualche apprezzamento assurdamente malizioso che dissipasse quella tensione.

“Devo parlarti, anche se forse mi odierai!”

“Di cosa, Zev? Se vuoi dirmi che il color magnolia non mi dona, sappi che potrei lasciarti in pasto a Leliana: è stata una sua scelta. Io preferivo il lavanda!”

“Sei bellissima! E lo sai” Protestò, lasciandosi distrarre per un attimo, ma senza abbandonare l'umor nero.

“Allora il problema sono i nastri? O questi assurdi orecchini a goccia?”

“Devo dirti una cosa su Alistair...”

Sorrisi, senza allegria e senza esitazioni.

“Cosa, Zevran?” continuai a fissarlo, quieta “Che progetta una follia, rendendomi regina prima che moglie?”

Lo vidi sgranare gli occhi “Allora lo sai?”

Fu il mio turno di sorprendermi, nonostante mi fossi ripromessa di non farlo “Allora è vero? Peste e dannazione!”

“Eilin!” Il tono indignato di Zevran sarebbe stato comico, se avessi potuto apprezzarlo, al di là del dolore nel veder confermata la mia più cupa ipotesi.

“Mi hai preso in giro...”

“No!” lo interruppi, respingendo il primo moto di sconforto e accorgendomi di riuscirci con più facilità di quanto non avrei potuto supporre “Ho tirato ad indovinare e tu hai convalidato i miei timori!”

Ero calma, senza alcun tremore nella voce o ombra nello sguardo.

“E' uno stupido!” mi limitai a sentenziare.

“Lo lascerai fare?” Nascosta dall'assoluto stupore, lessi una nota di speranza in quella domanda, un desiderio appena accennato, ma prepotente, che, per un attimo, dissipò la malinconia.

Scossi la testa, ancora sorridendo, e vidi quel flebile lampo di luce abbandonare i suoi occhi.

“Non posso, Zevran. Non voglio”

Annuì, semplicemente.

“Come hai...?”

“Sono state le parole di Eamon a farmi riflettere, per la prima volta, sul ruolo che avrei assunto, sposando Alistair. Ti parrà incredibile, ma l'idea che sarei stata regina non mi aveva proprio sfiorato. Mia madre si sarà rivoltata nella tomba, per la mia sconsideratezza... o lo avrebbe fatto, se ne avesse avuta una!”

Zevran mi strinse a sé, preoccupato dall'indifferenza che avvertiva nelle mie parole, più di quanto non lo sarebbe stato se mi avesse visto piangere o urlare.

“Poi Leliana si è intromessa, raccontando all'Arle le parole di Alistair, nel preannunciarle il nostro frettoloso matrimonio: qualche stupidaggine sul fatto che tutti avrebbero dovuto sapere che io ero la donna da lui scelta per regnare al suo fianco... che non poteva permettersi di aspettare per mostrare al mondo il nostro legame... cose così.”

Mi scostai leggermente dal suo petto e accantonai le spiegazioni con un gesto della mano.

“Non sono stupida e sono paranoica per natura, Zevran.”

“Che farai?”

“Sto per sposarmi, che altro vuoi che faccia? Dovrebbe impiegarmi almeno tutta la notte...”

“Mi spieghi come diamine riesci a scherzarci su?”

Mi strinsi nelle spalle.

“Preferisci mi metta a gridare? O che esca da qui brandendo la spada e minacciando di ucciderlo? Posso farlo, se ti tranquillizza.”

“Per quanto mi riguarda, niente potrà più tranquillizzarmi!” Aveva l'aria arruffata di un cucciolo ed era talmente strano, in lui, che non potei evitare di ridere.

“Oh, Zevran, ti adoro! E ti ringrazio per aver deciso di avvertirmi e di consolarmi... lo hai sempre fatto e so che l'avresti fatto sempre.”

Gli sfiorai la guancia con un bacio.

“Ma, ti assicuro, sto bene” annuii, fiduciosa e sorpresa dalla verità delle mie parole “Adesso uscirò da qui e mi godrò lo sguardo ammirato di tutti quelli che, fino ad adesso, non mi hanno visto altro che come un soldato. Poi pronuncerò un giuramento sincero quanto a breve termine e brinderò con tutti voi alla nostra felicità... sicura che sopravvivrà almeno fino a domani. Non è poco, tutto sommato. Quanti, nella loro vita, possono vantare una notte intera di gioia?”

“Gli parlerai?”

“No. Mi limiterò a metterlo davanti al fatto compiuto, come avrebbe voluto fare lui.”

“Eilin... perdonami... io...”

Gli poggia il dito sulle labbra. “Non ce n'è motivo.”

“Non avrei voluto causarti dolore, ma non potevo...”

“Lo so. E ti ringrazio.”

Mi voltai per uscire e approfittare di quell'inaspettato attimo di incoscienza che mi aveva pervaso, poi tornai sui miei passi e lo strinsi di nuovo a me.

“Sai, in fondo sono felice che abbia almeno desiderato morire al mio posto! Non glielo lascerlò mai fare, ma sapere che l'avrebbe desiderato... è inebriante! Grazie di avermelo detto.”

Risi e lo trascinai con me verso la luce dei fuochi, lasciando che il lembo della tenda si chiudesse tra noi e l'oscurità.

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Capitolo 18
*** Nell'anima ***


In cuor mio sapevo di stare mentendo, a Zevran, a Alistair... a me stessa prima di tutto.

Sapevo che in un piccolo, remoto angolo della mia anima albergavano ancora tutta la mia rabbia e la mia angoscia, imprigionate in se stesse, soffocate da un'impossibile volontà, mascherate dal bisogno di una finzione improbabile...

Sapevo che presto avrebbero rotto i cancelli della loro gabbia e mi avrebbero travolto, dilaniandomi e torturandomi...

Lo sapevo con la stessa sicurezza che mi spingeva ad ignorarle.

E faceva male. Faceva paura.

Eppure fingevo, ancora una volta, sempre con maggior successo. Perché se prima ero riuscita a ingannare gli altri, adesso sentivo che persino la mia ragione aveva iniziato a cedere il passo ad un'illusoria follia, creando intorno al mio animo una quiete pericolosa e allettante, inutile quanto fugace.

Ma non aveva importanza. Non rischiavo di perdere la realtà. Sarebbe stata essa stessa a venirmi a cercare, più presto di quanto avrei voluto, con prepotenza e rabbia, feroce per esser stata messa da parte, impietosa nella sua vendetta verso chi, tanto deliberatamente, aveva deciso di farsene beffe, anche se solo per un attimo.

Le luci del campo erano abbaglianti, nel loro flebile fulgore. La voce melodiosa di Leliana mi ruotava intorno, senza sfiorarmi e senza darmi via di fuga.

Indossando un abito meraviglioso e non mio, vestivo la parte di quanto non ero mai stata, godendo della bellezza fugace del mio esser donna a lungo ignorato, giocando a fare la sposa per non pensare a quale sarebbe stato, presto, il mio unico, freddo letto di nozze.

Gli sguardi di tutti erano su di me, curiosi, perplessi, rasserenati, nel loro timore, da quella parentesi di inaspettata festa.

E io sorridevo, con sguardo limpido e aria sicura.

E mi sentivo serena e fuori dal mondo, perché avevo scelto di vivere e la vita non può essere divisa con la morte.

Procedevo eretta e altera, ondeggiando appena i fianchi, con una pudica parvenza di sensualità.

Sarei vissuta in quell'attimo. L'avevo scelto, per me e quanti avevano creduto in me.

E vivere significa sorridere, anche quando avresti voglia di piangere.

Così sorridevo, osservando il mio amore... il mio ingenuo, odiato e adorato sposo, che si ergeva nobile e fiero, con aria sognante, alla fine di un breve corridoio creato per noi tra i soldati, mentre avanzavo veloce verso di lui e verso le nostre bugiarde, solenni promesse.

Sentivo le mie gambe tremare, ma mi convinsi che fosse l'emozione.

Sentivo il cuore battere troppo forte e troppo dolorosamente, ma giurai a me stessa fosse la contentezza...

E ancora sorrisi, credendo in quell'ostentato stiracchiarsi delle mie labbra.

E mi sentii felice, dimenticando me stessa.

Quando la mano di Alistair si strinse con forza sulla mia, giurai che il calore di quel contatto sarebbe bastato a dissipare le ombre di quell'ultima notte che mi era stata concessa.

Così mi persi nei suoi occhi e mi abbeverai nel suo amore, ricacciando il dolore che minacciava di travolgermi, per l'ennesima, disperata volta.

Alistair mi si strinse al fianco, più vicino di quanto imponesse l'etichetta, ma conscio di quanto sarebbe stato assurdo rispettare inutili regole degli uomini, in un momento che niente aveva di umano.

L'avevo odiato, e amato anche nell'odio, quando avevo creduto mi avesse abbandonata alla morte.

L'avevo odiato, e ammirato anche nell'odio, quando aveva scelto l'onore al posto dell'amore per me.

Ma adesso eravamo vicini, sospesi sull'abisso di un destino cui non potevamo sottrarci e che ci avrebbe inghiottito entrambi, cancellando i nostri voti, con l'avvento dell'alba, dividendo le nostre mani congiunte tra la vita e la morte, con la verità del mondo.

Aveva scelto di gettarsi nell'abisso per salvarmi, senza pensare che non avrebbe mai potuto trovare la mia vita nella sua morte...

Eppure, su una cosa non avevo mentito... e forse ero meschina e egoista nell'ammetterlo.

Il solo pensiero che fosse pronto a perdersi, per me, rendeva più leggero il mio viaggio verso la fine.

Mi stava mentendo e avrei dovuto infuriarmi, per l'inganno che aveva creduto di intessermi intorno...

Ma non avevo fiato per la rabbia, né tempo per l'indignazione.

Così rimaneva solo la dolce consapevolezza che mi aveva amato tanto, quanto io amavo lui...

E sorrisi, stringendo con più forza la sua mano, intrecciando le dita alle sue, avvertendo una remissiva serenità capace di portarmi fuori dal mondo.

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Capitolo 19
*** Un attimo ***


“Oltre questa e ogni altra notte, la mia mano stringerà la tua. Oltre ogni alba e ogni tramonto, i miei occhi si specchieranno nei tuoi. Oltre la vita e oltre la morte, camminerò al tuo fianco. La mia anima proteggerà la tua e il mio cuore batterà nel tuo petto finché la terra non avrà cancellato il nostro ricordo”

Le sue mani salirono a carezzarmi le guance, cancellando il tremito della mia pelle.

Il silenzio, intorno a noi, era assordante. Tutto sembrava immobile e irreale, mentre quelle parole scivolavano tra i nostri corpi e salivano a squarciare la volta del cielo, unendosi alle stelle.

Il volto di Alistair, illuminato dalla luce cupa delle torce, era composto e regale, ma il suo sguardo mi carezzava con la dolcezza e il calore del sole di primavera, mostrandomi la verità di quelle fugaci promesse, riscaldandomi con una fiamma tanto immensa da scacciare ogni timore e ogni incertezza.

“Io ti ho trovato come mio amore e ti ho scelto come mia sposa. Niente che esista in questo mondo o nell'altro potrà cancellare la verità delle mie parole. Niente che uomini o demoni possano ordire, riuscirà a infrangere il mio giuramento. Tu sei mia ed io sono tuo, per un attimo e per sempre”

Sentii le lacrime bruciare oltre le palpebre e il cuore perdere un battito, mentre si chinava a sfiorarmi le labbra con un bacio delicato e prepotente.

Un attimo e per sempre... questo era il nostro voto e la nostra verità, un amore che non poteva permettersi di credere nel futuro, ma che racchiudeva in sé ogni istante di un impossibile infinito.

La sua anima si fuse alla mia con il suo respiro, mentre il mondo aspettava che ricambiassi quel dono, per riprendere a esistere.

Ma la mia mente era vuota e la mia voce spezzata...

Avrei dovuto conoscere le parole per rispondere a una così dolce e solenne promessa, ma la mia anima si ribellava all'idea di comporre l'epitaffio per la nostra lapide.

Così indugiai sulle sue labbra e cercai l'illusione nel mio cuore.

Ancora una volta, ancora per quell'attimo che ci eravamo concessi.

Io ero la sua sposa e dovevo trovare la forza per dirglielo, anche se questo significava ammettere che presto tutto sarebbe finito, che la nostra unione sarebbe vissuta solo nell'immortalità del ricordo.

Il miagolio sommesso di un gatto, al margine del campo, spezzò il silenzio irreale in cui stavo annegando ed io sorrisi, allontanando i nostri volti per l'inconsistente spazio di un sospiro.

Avevo camminato oltre l'orrore e la devastazione, avevo conosciuto la rabbia e abbracciato l'odio, avevo ucciso per dovere e per vendetta... tutto per trovarmi adesso indifesa e timida davanti alla realizzazione dei miei più profondi desideri.

Presi fiato e radunai il coraggio, perché tutto ciò che ero non diventasse irreale nella mia codardia.

Sorrisi e vidi gli occhi di Alistair brillare in quella tremula fiamma di serenità che troppo a lungo ci eravamo negati.

La mia voce fu solo un sussurro, ma il suo cuore era nel mio e avrebbe potuto udirla anche attraverso il silenzio.

“Ti amo” ho mormorato “Ti ho amato nella devastazione e ti amerò nella pace. Ti ho trovato nella morte e ti apparterrò oltre la morte. Questo solo posso prometterti, mia dolcissima anima, perché io non conosco parole per raccontare l'amore e neppure per rinchiuderlo in una gabbia di giuramenti; non conosco la verità che ci attende oltre il buio di questa notte, né oltre la luce della nuova alba, ma so che ti amo, al di là di ogni gioia e ogni dolore. E so che, se esiste un'eternità, per me si trova nel tuo cuore”

Lo strinsi con disperazione, abbandonando ogni pensiero nella bruma del sogno, sorda alle parole della sacerdotessa, che benediva la nostra unione, estranea alle grida di acclamazione dei soldati e degli amici, che ci si assiepavano intorno, indifferente allo scorrere del tempo, che ci trascinava verso l'abisso...

“Ti amo” gridai sulle sue labbra “Ti amerò in quest'attimo e per sempre”

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Capitolo 20
*** Alba ***


La notte si stava ritirando a grandi passi, fuggendo a nascondersi timida negli angoli di tende ancora addormentate, tra le fronde gelide di alberi non germogliati, negli anfratti umidi di muschio ai piedi della collina...

L'alba era imminente, ma le ultime stelle pietose promettevano fugaci barlumi di speranza alla nostra illusione.

Sapevo di aver ballato e riso e scherzato, per un tempo infinito e brevissimo...

Sapevo di aver bevuto da boccali sbreccati e di aver rischiato la vita con la fiaschetta di liquore speciale di Oghren...

Sapevo di aver assaggiato uno strambo pasticcio dal gusto indefinito che Leliana aveva chiamato torta...

Ricordavo le braccia di Alistair sollevarmi da terra e portarmi nella tenda, tra i fischi e le burle dei soldati... e poi i baci, i gemiti soffocati, il calore dei nostri corpi avvinti in un abbraccio disperato.

Tutto era confuso, ma impresso a fuoco nella mia mente, vivo nei miei respiri, prepotente nel mio cuore, con la dolcezza e la crudeltà di ogni ricordo troppo impossibilmente bello per poterlo trattenere al di là della fugace perfezione di un attimo.

Il freddo del primo calore mattutino si era insinuato nel nostro giaciglio, mentre la mano di Alistair, inconsciamente, mi attirava più stretta a sé.

Nel sonno, il suo volto appariva di nuovo innocente e disteso, ma in lui non c'era più niente del ragazzo ingenuo e timido che aveva dormito al mio fianco la prima volta; il Flagello si era portato via parte del suo cuore, insieme ad ogni frammento di spensierata giovinezza.

Cercai di immaginarlo negli anni a venire, quando il miele dei suoi capelli si sarebbe tinto di grigio e le rughe, intorno ai suoi occhi, sarebbero state segno di saggezza e non di preoccupazione.

Cercai di immaginarlo in abiti eleganti, seduto su un trono troppo stretto per la sua felicità, serio e annoiato davanti a questuanti e politici, con gli occhi rivolti ad una spada impolverata divenuta trofeo.

Cercai di immaginarlo nel volto di un bambino con le guance paffute e il mento volitivo, tanto simile a lui, ma con qualcosa di estraneo che non ci appartenesse... un bimbo che fosse il suo futuro e che odiai nell'attimo stesso in cui gli augurai di stringerlo tra le braccia.

Sfiorai per l'ennesima volta le sue labbra, quasi a volervi imprimere il marchio del mio amore, perché qualsiasi altra donna l'avesse, un giorno, abbracciato, non potesse cancellare l'odore della mia pelle dal suo corpo e dalla sua anima.

Lo guardai sorridere, ancora perso nel sogno, mentre arricciava appena il naso in una buffa smorfia di piacere e fastidio.

Avrei voluto svegliarlo e parlare ancora con lui; avrei voluto amarlo un'ultima volta, carezzarlo, cullarlo fino a che il Sole non fosse tornato a ritirarsi oltre i confini del cielo... fino a che la battaglia non fosse divenuta un ricordo sfuocato di incubi indistinti...

Avrei voluto perdermi in noi per sempre...

Ma avevo già avuto tutto il tempo che potessimo concederci e forse più di quanto meritassi.

Mentre la luce della realtà scivolava piano oltre i bordi della tenda, incalazando il buio che ancora circondava il nostro giaciglio, mi chiesi quante persone fossero morte o stessero soffrendo a causa delle mie egoistiche romanticherie, quante case fossero state distrutte in ogni attimo che avevo perso per me stessa, quanti bambini avessero pianto la perdita della madre per ogni bacio che avevo rubato al destino.

Scossi la testa, ricacciando un inutile rimorso che non ero neppure in grado di provare.

Il passato non esisteva più.

Il presente era l'unica cosa che potessere sopravvivivere.

Era il momento, quello che avevo temuto e fuggito, quello per cui avevo pianto senza lacrime e riso senza gioia, quello che avevo maledetto e accettato in ogni respiro.

Il momento della fine e di un nuovo inizio, il momento di morire perché potesse esserci ancora vita.

Senza far rumore, mi allontanai da Alistair e da quel calore in cui troppo a lungo mi ero crogiolata.

Chiusi gli occhi, proteggendo nel mio cuore la vita a cui stavo per rinunciare.

Un ultimo istante...

La mia armatura mi aspettava disposta in bell'ordine sulla sedia, con accanto la statuina deforme che il mio coraggioso, prezioso amore mi aveva donato, insieme al suo nome.

Indossai l'una e nascosi l'altra, perché quel giorno non ero una sposa, né un'amante. Quel giorno non ci sarebbero stati sorrisi o sussurri, ma solo il clangore della spada e il rantolo di agonia dei nostri nemici.

Amore...”

La sua voce, alle mie spalle, fu un sussurro appassionato, ma non avevo più coraggio per voltarmi e rispondere.

Era la fine, lo sapevamo entrambi, e un altro addio non avrebbe cambiato la realtà o lenito il dolore.

Mi accorsi che il leggero rumore ritrmico che udivo altro non era che il sommesso battito del mio cuore, mentre cercava di uscirmi dal petto, ascoltando il suo corpo abbandonare le coperte e avvicinarsi a me, nudo e perfetto nella luce ambrata del mattino.

Un passo ancora e avrebbe potuto sfiorarmi, ma si fermò ad un cenno della mia mano, troppo perentorio perché potesse ignorarlo, troppo duro perché ci appartenesse.

Amore...”

Adesso risuonava feroce come se fossi stata io a pronunciare quella semplice, incredibile parola.

Abbassai il volto, sconfitta.

Per un attimo e per sempre.”

Senza voltarmi indietro, senza asciugare le lacrime che mi solcavano le guancie, lo abbandonai al conforto delle ultime ombre di incanto, mentre quel giuramento, che avevo appena sussurrato, urlava nella mia anima, dilaniandola. 

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Capitolo 21
*** Determinazione ***


Credevo che l'ultima battaglia sarebbe nata nel caos e nella paura, ma trovai il campo ordinato e gli uomini pronti a mettersi in marcia.

C'era un'incredibile quiete, in quel silenzio, una consapevolezza coraggiosa che rasentava la rassegnazione.

Oltre quell'impossibile equilibrio, nel mio cuore, l'urlo demoniaco dell'arcidemone copriva le grida insensate della mia anima.

Dietro di me, la vita e il passato erano nascosti dal velo pesante di una malconcia tenda di cotone; davanti a me, la morte e il futuro brillavano feroci nelle armature ammaccate di decine di soldati.

Sospirai senza fiato e feci scivolare le spade nei foderi di cuoio con la naturalezza di chi, ormai, le ha rese prolungamenti delle proprie braccia.

Il sole era ancora un'inconsistente scia di luce all'orizzonte, ma prometteva di ergersi fiero sulla nostra vittoria.

Perché questa era l'unica verità possibile di quella folle alba: la certezza del nostro trionfo.

Il lezzo acre di fuoco e decomposizione riempiva l'aria, cercando di soffocare le nostre speranze, ma la nostra era un fede senza luce e ruggiva rabbiosa e tenace oltre ogni ragionevolezza.

Sorrisi, in un ghigno da lupo.

Ero pronta.

Ogni trepidazione, ogni angoscia, ogni sogno... tutto ciò che ero stata e che ero si dissolveva nell'ineluttabilità del presente.

Era il momento di combattere, per un futuro che non avrei visto, ma che si sarebbe ricordato di me.

Era il momento di combattere, per un futuro che non avrei conosciuto, ma che avrebbe accolto e cullato coloro che amavo...

La voce oscura del nemico bruciava nel mio petto, prepotente e violenta. Io tacevo.

Non sarebbero state mie le parole che, in quell'alba di sangue, avrebbero condotto gli uomini alla vittoria e alla morte. Un altro era pronto a raccogliere quel fardello e sapevo che ne sarebbe stato degno, che ne avrebbe avuto il coraggio, laddove io non potevo più trovarne.

Avrei combattuto con loro per l'ultima volta, ma ormai ero sola, anche se nessuno poteva ancora rendersene conto... anche se qualcuno non voleva ancora crederlo.

I passi pesanti di Alistair si fusero al mio respiro, mentre l'ultima illusione di noi svaniva nel sole.

Cercò la mia mano senza parlare, per un attimo e per sempre, ma io non la accolsi, perché avevamo consumato l'ultimo addio che potevamo concederci ed era inutile indulgere in quella dolce malinconia ancora una volta.

Sentii il suo dolore, ma, pur senza guardarlo, seppi che non era stato altro che un battito spezzato di cuore. Il suo volto era rimasto fermo e fiero davanti alla verità. Le sue spalle erano rimaste erette nel sollevare quel peso che per tanto tempo aveva rifiutato di portare.

Era pronto.

Forse pronto a morire e non a perdermi, ma di certo, quel giorno, era pronto a diventare un re e una guida per il suo popolo.

Sorrisi, con orgoglio e tenerezza.

Avrei voluto dirgli che lo amavo e sarei stata fiera di rimanere al suo fianco per sempre. Avrei voluto confessargli che non l'avrei mai lasciato morire per me... perché non ero abbastanza generosa da accettare di soffrire al suo posto... perché non ero abbastanza forte da sapergli perdonare la sua maledetta, onorevole scelta al di là della sua vita...

Ma tacevo, perché non c'era più tempo per i rimpianti, perché avevo già concesso troppo alla mia debolezza.

Era il momento di diventare ciò che avevo accettato di essere, eppure dovevo chiedere al destino di pazientare ancora per un attimo, prima di abbandonarmi al suo volere. C'era un'altra persona a cui il mio cuore non sapeva dire addio senza che i miei occhi potessero vederla, almeno un'ultima volta...

Il suo volto, nascosto dall'ombra degli alberi, era l'unico che riuscissi a trovare, al di là del velo sfuocato di quell'abbacinante, spietata realtà.

Ed egli rispose al mio richiamo senza che una sola parola uscisse dalle mie labbra.

Lo sguardo di Zevran, cupo e freddo, nell'approssimarsi della battaglia, si alzò ad incontrare il mio, per sciogliersi in un calore scarmigliato e canzonatorio che si riflesse nei miei occhi.

Con fare ossequioso si eresse in un perfetto saluto militare e poi rovinò la sua posa, ammiccando con sorriso da satiro.

Scossi la testa, serrando in me quell'immagine e sentendo ogni rimpianto scivolarmi via di dosso, mentre mi decidevo a voltarmi verso Denerim e verso la fine, così da non vedere la mano del mio feroce, dolce assassino che saliva leggera e incerta alle labbra per raccogliervi un bacio che la brezza fresca del mattino portasse fino alla mia anima.

 

 

 

E' davvero una vita che non trovavo il modo di aggiornare! Lavoro, lavoro, lavoro... almeno fossero anche stati “soldi, soldi, soldi” ;-p. Anche adesso, ho avuto soltanto un briciolo di tempo per riafferrare la storia e provare a buttar giù qualcosa (che spero risulterà meno orrido di come appaia a me, in questo momento -_-), tanto per riprenderci la mano, aspettando l'arrivo di agosto e, voglio credere, di un po' di tempo libero ^_^

Se c'è qualcuno che ancora si ricorda di questa ff: un bacione e grazie per la pazienza!!!!

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Capitolo 22
*** Battaglia ***


Le spade si facevano sempre più pesanti nelle mie mani, il sudore mi annebbiava gli occhi, mischiato alla polvere e al sangue, mio e di quelle orrende, pietose creature che continuavano a circondarci e ghermirci da ogni lato.

Sentivo il tremore dei muscoli portati allo stremo e la stanchezza di quanti combattevano al mio fianco come fosse stata la mia, ma i cancelli di Denerim sembravano ancora troppo lontani.

Non c'era tempo per pensare, non c'era tempo per dare ordini o inventare strategie. Eravamo tutti soli nell'ultima battaglia e, al contempo, combattevamo come un unico corpo e un'unica anima, per la sola fine possibile: sopravvivere.

Intorno a me coglievo frammenti di una realtà vermiglia e maleodorante, mentre le mie lame continuavano a tagliare e spaccare carne e ossa deformi, un passo dopo l'altro, un mostro dopo l'altro...

Sentivo Alistair avanzare al mio fianco e lo vidi parare per un soffio un fendente impreciso quanto violento di un genlock decisamente troppo grande perché potesse affrontarlo da solo; eppure non potevo andare in suo aiuto, chiusa com'ero in mezzo a un nugolo urlante di hurlock pronti a reclamare la mia testa. Imprecai tra i denti e pregai che la sua indiscussa abilità di guerriero fosse sufficiente a fargli da scudo e corazza contro quella follia.

Eamon e Riordan stavano guidando un piccolo manipolo a incalzare il fianco destro, mentre i nani riuscivano a coprirci le spalle, mantenendo salda la posizione guadagnata, con Oghren in testa agli altri, deciso a spostarsi ovunque la battaglia fosse più cruenta, grondando sangue dalla barba e dai capelli scarmigliati, ma esibendo un'euforia talmente genuina da risultare inquietante.

Zevran danzava letteralmente tra i genlock, elargendo morte con la grazia ferina di una pantera, tanto rapido e sinuoso da farmi quasi credere impossibile che i colpi rozzi e maldestri dei Prole oscura potessero sfiorarlo... ma sapevo con dolorosa certezza che il velo rosso di cui era coperto non poteva appartenere soltanto ai nostri nemici. Fui sollevata nel vedere Leliana al suo fianco. Insieme rappresentavano uno spettacolo di tenebrosa bellezza e di nuovo, osservando la gentile, dolce fanciulla così dura e decisa in mezzo a tanto orrore, mi chiesi cosa mi avesse impedito di diventarle veramente amica.

Una fitta al braccio mi costrinse a dimenticare i miei compagni per continuare a sopravvivere. Serrando nel cuore la speranza che anche Wynne e Sten fossero ancora vivi, mi strappai via la punta rugginosa di una lancia dalla carne, trascinando il mostro che la brandiva a morire sulla mia spada.

Eravamo molti, quel giorno, sulla piana di Denerim, pronti a donare vita in cambio di speranza, morte in cambio di un domani.

Umani, elfi, nani... tutti avevano creduto in una luce fragile come il fuoco di una candela ed erano accorsi a proteggerla, rispettando un giuramento polveroso e confidando nella determinazione di un bizzaro, quanto improbabile gruppo di eroi improvvisati.

Eppure eravamo lì, insieme, senza distinzioni di razza o casta, sangue rosso con sangue rosso, paura con paura, fierezza con fierezza.

Saremmo morti o vissuti con la certezza di aver combattuto fino alla fine per quanto di giusto e bello ognuno potesse sperare di proteggere.

Alistair urlò un avvertimento e mi chinai d'istinto, evitando il bastone che stava per frantumarmi la spalla.

Eravamo molti... ma loro erano anche di più.

Ancora una volta desiderai Morrigan al mio fianco, mentre il fuoco dei maghi guidati da Irving fendeva l'aria, riempiendola dell'odore acre di carne bruciata.

Un passo alla volta, non dovevamo avere fretta. Ma la stanchezza era pronta a ghermirci non meno dei Prole oscura. I cancelli si ergevano come un miraggio a portata della nostra mano, per poi sfuggirci irridenti, tuffandosi nella marea senza volto di quei mostri.

Vidi Zevran cadere e rialzarsi. Sten sollevare due hurlock a mani nude e scagliarli lontano come fossero stati fragili cuccioli. Alistair incitare gli uomini a nuovo coraggio con il solo esempio della sua determinazione... Quella era l'ultima battaglia e non avremmo avuto altre possibilità. La nostra libertà viveva sulla punta delle nostre spade, per questo nessuno si sarebbe arreso, nessuno avrebbe arretrato... per questo avremmo conquistato quella porta e reso sicure quelle mura, fosse anche stata l'ultima cosa che avremmo fatto.

C'era giustizia in quella lotta e una fatalità incontrovertibile, ma, mentre massacravo quegli esseri che tanto avevo odiato e tanto avevo avuto motivi di odiare, mi resi conto, per la prima volta, che c'era anche una tristezza diversa da quella che ci spingeva a combattere... un dolore nascosto e inascoltato di esseri generati da un male che non erano in grado di comprendere e che li possedeva al di là della loro volontà... la tristezza di esseri contorti nel corpo e nello spirito non per scelta o debolezza, ma solo per una beffa del destino e i capricci di un male troppo antico per arrendersi a un sonno infinito.

Fu allora, forse, che compresi davvero cosa significasse essere un Custode grigio. Fu allora che seppi, con assoluta certezza, che avrei affondato la spada nel cuore di quell'arcidemone maledetto, che ancora ruggiva nel mio petto la sua sfida inumana e, se mai fosse esistito un Creatore, l'avrei pregato, per la prima volta in vita mia, affinché la mia anima fosse abbastanza forte da contenere quell'orrore in eterno.

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Capitolo 23
*** I Cancelli ***


Se fu la volontà, o la disperazione, a guidarci fino ai Cancelli cittadini, non avrei saputo dirlo. Sapevo solo che, stanchi, ma non piegati, eravamo infine giunti a liberare un passaggio per il futuro e la speranza, racchiusi tra mura instabili e macerie fumanti, che ancora rappresentavano, per noi, il simbolo di quel domani così incerto e così desiderato.

Avevamo lasciato molti dei nostri come pegno per quella piccola vittoria, ma ancora di più erano i corpi dei nemici che macchiavano col loro sangue fetido la piana di Denerim.

Sorrisi, scostandomi un ciuffo di capelli, madidi di sudore, dalla fronte. Una battaglia non è mai buona, ma quando riesci a contare una sola perdita contro tre o quattro dell'avversario, devi trovare comunque la forza di gioire. Erano parole di mio padre e, adesso più che mai, risuonavano prepotenti nella mia mente, perché capivo come i vivi meritassero non meno rispetto dei morti e come quell'amara, terribile consapevolezza di trionfo, per quanto effimera, esigesse il prezzo di un'ingrata, temporanea amnesia.

Avremmo avuto il tempo di onorare gli eroi caduti... io stessa sarei stata tra loro. Ma eravamo ancora vivi ed eravamo tutt'altro che in salvo.

“Stai bene, mia sposa e mio amore?” La voce di Alistair, affannata, ma ferma, mi avvolse come le sue braccia non potevano fare.

Appariva scarmigliato, con l'armatura ammaccata e varie ferite in ogni parte del corpo, ma teneva le spalle erette e il suo sguardo era duro e fiero, mentre si posava sulle truppe, contando mentalmente le perdite e valutando le nostre possibilità.

Annuii, cedendo solo per un istante a quello stupido sentimentalismo che ancora mi attanagliava il cuore, e sfiorandogli il dorso della mano con la punta delle dita.

Era l'ultima volta che l'avrei visto. L'ultimo addio dei miei occhi a colui che, in quei mesi, aveva saputo riempirli di luce e di lacrime.

Avremmo dovuto dividerci in quell'attimo e quella consapevolezza mi spaventò più dell'idea stessa di morire, perché, fino ad allora, non avevo realizzato del tutto che non avrei potuto averlo al mio fianco, nel momento della fine... che non mi sarei spenta nel suo abbraccio, se davvero volevo salvarlo...

Dovevo perderlo allora, per impedirmi di perderlo per sempre.

Maledissi la sua determinazione a morire al mio posto, che solo la notte prima mi aveva portato conforto, e scossi la testa per la mia stupida ingenuità, dalla quale,ormai era ovvio, mi sarei liberata soltanto morendo.

Trattenni un inutile sospiro e indurii il mio sguardo insieme al mio cuore, cercando di convincermi che non avrebbe fatto differenza morire con o senza il mio amore al fianco. Ma ogni battito di quel fastidioso organo che ancora avevo nel petto mi ripeteva “Bugiarda! Bugiarda! Bugiarda!”.

Lo volevo con me, volevo fosse il suo volto l'ultima cosa che avrei visto, volevo fosse il suo profumo a circondarmi nell'ultimo attimo... soprattutto non volevo lasciare questo mondo da sola.

Ma erano solo sciocche romanticherie. Il mio corpo sarebbe stato, probabilmente, schiacciato tra i viscidi artigli di un drago maleodorante, nel momento della morte, e i miei occhi si sarebbero chiusi su un macabro spettacolo di squame insanguinate e ossa spezzate.

Inutile rimuginarci sopra. Quella era solo l'ultima parte della verità che mi ero illusa di aver accettato... tanto valeva affrontarla senza troppi piagnistei da femminuccia.

Riordan si avvicinò a noi, seguito da Eamon e Wynne.

“Dobbiamo mantenere questa posizione.” Respirava con fatica, reggendosi una spalla che appariva orrendamente fuori posto nella sua mano. “Ho intravisto due generali di quel maledetto, mentre stavo combattendo. Non possiamo permetter loro di aiutarlo quando lo affronteremo.”

“Alcuni di noi dovranno proteggere i cancelli, ma non sarà facile, perché avrete bisogno che la maggior parte delle truppe venga con voi.” Wynne aveva parlato con tono pacato, in modo che soltanto noi potessimo udirla, saggiamente evitando di alimentare il panico tra i soldati.

Nel guardarla mi sorpresi a pensare che avrei potuto affezionarmi di più, a lei, se l'avessi vista altre volte così spettinata e arruffata, coi vestiti in disordine e l'espressione selvaggia degna di una battaglia... era stato irritante guardarla uscire da ogni scontro con i capelli in perfetto ordine e lo sguardo imperturbabile e saccente di un maestro di scuola.

“Se è qui che lo scontro sarà più cruento, lascia che rimanga!” La voce di Oghren non aveva perso la sua roboante potenza, mentre si faceva largo tra gli uomini per avvicinarsi a me.

Lo guardai con affetto e, d'istinto, mi chinai a posargli un bacio veloce sulla barba ispida, meravigliandomi di trovarvi ancora sentore di alcool, nonostante fosse completamente incrostata di sangue.

L'idea che sarebbe potuto morire mi era intollerabile... l'idea che qualcuno dei miei amici, dei miei compagni non avrebbe potuto festeggiare la nostra vittoria non era sostenibile.

Io sarei morta, ma loro dovevano vivere. Non esistevano altre possibilità.

Cercai, tra la folla, il volto di quanti ancora non si erano avvicinati a noi.

Vidi Leliana impegnata a confortare un giovane soldato il cui viso appariva orribilmente sfigurato

da un colpo di spada, mentre Sten si ergeva perfettamente immobile e granitico ai margini dello spiazzo.

Continuai a guardarmi intorno, sempre più freneticamente.

Dov'era il suo sorriso irriverente? Dov'erano i suoi occhi brucianti come il ghiaccio?

Ogni chioma bionda che riuscivo ad intravedere non portava il suo volto... ogni orecchio a punta che scorgevo non apparteneva a lui...

Sentii il panico attanagliarmi le membra, più crudele e feroce di quanto non avessi mai provato.

Io potevo morire, ma non lui... mai lui...

Zevran...

 

 

“So che sei qui.” Un'ombra minacciosa si staccò dalle altre, scivolando in silenzio oltre i cadaveri di uomini, elfi e genlock.

C'era quiete, adesso, in quell'angolo di inferno, mentre i soldati si erano raccolti intorno ai loro generali e i morti si preparavano all'eternità.

C'era quiete nel buio di quell'anfratto devastato, troppo sporco di sangue per godere della luce del sole.

“So che sei qui, strega delle Selve.”

“E cos'hai intenzione di fare di questa tua consapevolezza, orecchie a punta?”

Morrigan si parò davanti all'elfo con aria beffarda, ignorando i pugnali insanguinati che egli stringeva ancora tra le mani, e poggiandosi pigramente al suo bastone.

“Ho intenzione di chiederti un unico, semplice favore...”

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Capitolo 24
*** Preghiere ***


Quasi non avevo ascoltato Riordan, mentre ci illustrava il piano. La mia mente era vuota e il mio petto sembrava incapace di incamerare aria.

Non potevo permettermi distrazioni e tentennamenti, ma la semplice, orribile idea che Zevran fosse sperso in quella landa devastata di corpi, che fosse ferito, o morto, senza che potessi soccorrerlo, mi rendeva impossibile qualsiasi pensiero che non fosse per lui.

Ancora una volta, mi trovavo davanti alla mia sconfinata debolezza, in bilico tra il mio cuore e il mio onore, e non credevo di aver più aliti di coraggio, né brandelli di determinazione da sacrificare ad un astratto bene superiore.

Alistair si appoggiò lievemente al mio fianco. Il calore del suo sangue scivolò sulle mie dita, mischiandosi al sudore e alla polvere, ricordandomi una promessa già espressa e a cui non volevo sottrarmi.

Strinsi i denti fin quasi a spezzarli, perché, per quanto dolore avessi provato fino ad allora, per quanto profonde fossero state la paura e la rabbia, niente sembrava eguagliare il vuoto oscuro che l'inconcepibile assenza di uno sguardo aveva lasciato nella mia anima.

Avevo sopportato il virtuoso tradimento di colui che amavo, avevo sorriso quando avrei voluto piangere e guidato uomini in battaglia mentre avrei voluto solo stringermi le ginocchia al petto e nascondermi in un angolo, ma non significava niente; tutto l'eroismo di cui mi ero ammantata, la durezza dietro alla quale mi ero nascosta, non erano altro che abili inganni, fragili quanto la vita dell'uomo... elfo... che, in silenzio, senza gloriose profferte o promesse, aveva saputo donarmi la volontà di renderli reali.

Deglutendo, costrinsi la mia mente a svegliarsi, certa che presto avrei potuto liberamente consegnarla ad un incubo infinito, da cui sarei riemersa solo per tirare le orecchie a punta di un incosciente assassino che aveva osato farmi temere per la sua vita...

“Sta bene!” cercai di convincere me stessa. “Sta bene!”

Scuotendo la testa, mi accorsi di aver probabilmente sprecato molte buone occasioni per convincere il mio testardo marito a rimanere al sicuro, poiché Riordan era ormai arrivato alla fine della sua spiegazione.

“Cercheremo di attirare l'Arcidemone a Forte Drakon e lì sarò pronto a ucciderlo.”

La sua voce era ferma e sicura, ma, per la prima volta, scorsi anche nello sguardo di Alistair la consapevolezza che quelle fossero solo parole, dettate dalla speranza e dal coraggio, ma incapaci di plasmare la realtà al loro volere.

In ogni caso, Forte Drakon era una scelta sensata, avremmo potuto chiudere quel bastardo con le ali al muro e avere una possibilità concreta di annientarlo.

Quella torre sarebbe stata la sua tomba... e quella di chi avrebbe inferto l'ultimo colpo alle sue scaglie maleodoranti.

Percepii il corpo del mio amore irrigidirsi, quasi avesse intuito i miei pensieri.

Uno di noi avrebbe dovuto rimanere con gli uomini a difesa dei Cancelli, l'altro sarebbe andato incontro alla morte. Cosa potevo dire per convincerlo a lasciarmi andare, dopo che egli stesso mi aveva consegnato al destino, per poi pentirsi e offrirsi in sacrificio al mio posto? Come potevo convincerlo che non avrei mai accettato l'elemosina di qualche patetico anno di vita, se avessi dovuto viverlo senza di lui?

Un ordine diretto era impensabile, una supplica sarebbe stata infantile e una lite fuori luogo.

Avrei avuto bisogno di ogni briciolo di buonsenso rimastomi, per escogitare qualcosa di sensato, ma come potevo riuscirsi se la mia mente continuava a ripetere soltanto: “Sta bene, sta bene, sta bene...” in un mantra caotico e disperato?

Pregai per un aiuto che non speravo di ottenere, volgendo lo sguardo da Wynne a Oghren, in una muta richiesta di soccorso che non potevano fornirmi.

Ottenni solo un sopracciglio inarcato, con aria interrogativa, e un rutto sonoro, ammorbante di alcool.

Avrei dovuto soddisfare da sola il mio egoismo, trovando un modo per abbandonare colui che amavo alla vita solitaria, che egli stesso voleva impormi.

“Credete che potrebbe funzionare, mio re?” l'Arle si era rivolto a Alistair con tono pacato, ma a voce abbastanza alta da poter essere udito dai soldati. Era importante che gli uomini lo vedessero determinato e forte e che, soprattutto, fosse ben chiaro a chi spettasse l'ultima parola, sul campo di battaglia, come in una reggia.

Maledissi mentalmente Eamon, perché aveva ristretto drammaticamente il tempo a mia disposizione: nel momento stesso in cui Alistair avesse dato l'ordine, non avrei più avuto modo di confutarlo, a meno che non volessi rovinare per sempre la sua autorità di regnante.

“Mio sovrano...” iniziai, ma senza troppa convinzione.

“Il nostro illustre alleato ha parlato con saggezza” era la voce di un sovrano, quella che sovrastò il mio patetico tentativo di intervenire, ferma, roboante e, allo stesso tempo, pervasa da quell'alone di affabile schiettezza che avrebbe fatto di lui un re amato, oltre che rispettato. “La sua esperienza di Custode Grigio, unita al nostro coraggio e alla nostra determinazione, ci porterà ad avere ragione dei nostri nemici! La fine di questo giorno sarà illuminata dalla nostra vittoria!”

I soldati fecero eco alla sua finta sicurezza con grida di esultanza.

“Ma la battaglia non è ancora terminata e i nostri sacrifici non sono conclusi” Alistair riuscì a farsi udire al di sopra delle acclamazioni. “Vinceremo, come abbiamo vinto in questa gloriosa alba di riconquista. Sbaraglieremo le orde di mostri che per troppo tempo hanno lordato questa terra e ricacceremo l'Arcidemone negli inferi che l'hanno vomitato. Ma devo chiedervi di combattere con me un'ultima volta, prima che la pace possa benedirci con il suo dolce abbraccio. Sarete al mio fianco, in quest'ultima prova?” alzò la spada, con un movimento deciso, che gli costò un'impercettibile smorfia di dolore, al riaprirsi delle ferite che aveva sul petto, ma gli guadagnò il luminoso consenso di ogni uomo, elfo o nano che l'avesse udito.

Dovevo interromperlo, ma non potevo farlo. Per un attimo desiderai che tornasse a essere l'uomo titubante e ingenuo che avevo conosciuto... e seppi che sarebbe bastato il mio inopportuno intervento, in un momento così delicato, perché la mia balzana speranza si realizzasse.

“Gli elfi e le guardie di Redcliff rimarranno a presidiare i Cancelli e impediranno al nemico di prenderci alle spalle. Gli altri dovranno affrontare l'orrore che ancora si annida in città” volse lo sguardo intorno a sé, senza un fremito di ciglia a minare la sicurezza dei suoi ordini, lasciando il tempo ai soldati di comprenderli e farli propri. “Io...”, mentre alzavo inutilmente le dita, per cercare di interromperlo, accadde qualcosa di strano, nei suoi occhi, e la voce gli morì in gola per un attimo, impedendogli di pronunciare la sua condanna a morte. Sembrava confuso, quasi stordito. Si portò la mano alla testa, scrollandola e riprendendo rapidamente coscienza di sé, ma, in quel breve istante di esitazione, una voce si levò chiara tra i soldati “Il nostro re ai Cancelli con noi!”.

Alistair sgranò gli occhi, mentre la stessa esortazione risuonava cristallina da un altro angolo delle truppe, finché non divenne un grido inarrestabile e continuo, impossibile da ignorare.

“Il mio coraggioso signore non vi deluderà!” intervenni allora, sovrastando la loro ovazione. “Io comanderò le truppe che andranno a caccia dell'Arcidemone”.

Nell'ultima eco di quell'esultanza disperata, si perse lo sguardo di puro orrore e tormento di Alistair, costretto al silenzio da quello stesso senso del dovere che aveva cercato di usare contro di me.

Vigliaccamente, non seppi costringermi ad affrontarlo, e mi augurai che potesse non perdonarmi mai quel tradimento, che pure lui per primo aveva escogitato, e che questo lo portasse a odiarmi tanto quanto l'avevo odiato io, in quell'infausta notte che aveva decretato il nostro destino.

Fu in quel momento, con la vista annebbiata da un velo di lacrime che mai avrei potuto versare, che notai un movimento sinuoso, nelle retrovie... un barlume di miele, laddove si era alzata, per prima, quella strana richiesta a cui Alistair doveva la vita... il sorriso di Zevran mi trovò tra la folla e seppi, con assoluta certezza, che non era stato il Creatore a rispondere alle mie preghiere...

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Capitolo 25
*** Alistair ***


Mentre stavo allontanandomi in silenzio, defilandomi tra decine di corpi sudati e tremanti, per raggiungere l'unica figura che desiderassi, ad un tempo, stringere a me e picchiare selvaggiamente, fui strattonata indietro, con violenza, da una mano forte e decisa, ritrovandomi contro il petto ampio di Alistair prima di raccogliere abbastanza coraggio per fuggire.

C'era rabbia, in lui, una rabbia profonda che si propagava oltre la prigione della sua pelle, avvolgendomi e dilaniandomi con una ferocia che non gli riconoscevo. Non c'era niente, in quell'abbraccio, che potesse donarmi calore o conforto, nessun amuleto che potessi stringere al petto prima di vibrare il colpo fatidico.

Io lo sapevo e avevo voluto evitarlo. Lo sapevo e, per paura, avevo tentato di fuggire prima che quell'ultimo addio si portasse via le nostre anime e i nostri giuramenti.

Alistair aveva vissuto nel sogno, nutrendo un'assurda e crudele speranza di redenzione, ma il perverso teatrino che avevamo inventato, per sopravvivere a quegli ultimi giorni di orrore, si stava disgregando di fronte ai suoi occhi, lasciandolo solo e vulnerabile ad affrontare la verità che per troppo tempo aveva voluto ignorare.

Il sipario calava sull'ultimo atto e non lasciava tempo per colpi di scena o salvataggi eroici; così il cavaliere tornava ad essere carnefice e quell'abbraccio diventava l'addio di un uomo disperato, i cui sensi di colpa non potevano accettare un saluto privo di rancore e disperazione.

Tremai sul suo petto, senza osare quasi emettere fiato, e seppi, con assoluta certezza, che noi non esistevamo più, eravamo morti in quell'attimo di oscurità assoluta.

Serrai le palpebre, mentre sentivo lo stesso profumo di Alistair divenirmi estraneo e, per un istante, temetti che il dolore tracimasse dai nostri corpi, sommergendo come un'onda melmosa chiunque ci fosse accanto.

Ma l'angoscia permeava ogni atomo del campo di battaglia e, per fortuna, la verità, che tanto era stata crudele con noi, aveva deciso di risparmiare gli innocenti e ammantarsi un'ultima volta col velo dell'inganno.

Gli uomini che ci videro si lanciarono in ignare acclamazioni di giubilo, forse rincuorati da quella scena apparentemente dolce e romantica, tanto banale quanto improbabile, in mezzo a un perpetuo lutto. Ci fu persino chi osò mormorare un commento salace, strappando sorrisi stentati ai vicini.

Secoli prima, sarei arrossita, ascoltando quelle parole, o, più probabilmente, avrei riso con loro, prima di punire con un calcio ben piazzato chiunque avesse osato provare a mettermi in imbarazzo.

Ma era un'altra vita, un'altra Eilin.

“Perché?” il sussurro di Alistair risuonò nella mia mente come un rimprovero, dimentico di conoscere più di ogni altro la giusta risposta.

Tacqui, perché era finito il tempo per le spiegazioni e il rimpianto.

Tacqui, perché non avrei mai potuto trovare parole abbastanza sensate da permettergli di perdonare se stesso e me.

Mi sciolsi dal suo abbraccio e non incontrai nessuna resistenza. Aveva capito.

Mi fissò un'ultima volta, quasi senza vedermi. I suoi occhi percorsero ogni tratto del mio viso, ma io sapevo che non stava guardando me, bensì il ricordo di ciò che eravamo stati e avremmo potuto essere. Mi sfiorò appena la guancia con la punta delle dita e rabbrividii nel gelo impersonale di quel tocco, prima così caldo e mio.

Non rispose al sorriso che tentai di donargli, non si chinò a lasciarmi un ultimo bacio.

L'avevo tradito e avevo spezzato la sua vita, non contava che egli stesso ne fosse stato il primo artefice e che avesse progettato di tradirmi in ugual misura, non contavano i giuramenti che ci eravamo scambiati solo poche ore prima. L'avevo tradito e condannato allo stesso inferno in cui egli stesso aveva progettato di abbandonarmi. L'avevo tradito e costretto a vivere nel ricordo della sua scelta.

Avevo sperato che mi odiasse, ma l'odio per se stesso era stato più forte e da quello niente avrebbe mai potuto guarirlo, tanto meno io.

Gli voltai le spalle senza che facesse niente per trattenermi.

I soldati si erano in parte dispersi, andando a occupare la posizione loro assegnata.

Sentii i suoi passi allontanarsi esitanti, poi sempre più rapidi e decisi.

Osai voltarmi un'ultima volta, ma ciò che vidi fu solo un lembo del suo mantello che si confondeva tra le truppe.

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Capitolo 26
*** Zevran ***


Il suo calore mi accarezzò le spalle, circondandomi senza sfiorarmi, proteggendomi meglio della più robusta armatura.

Non avevo bisogno di voltarmi a guardarlo, per sapere che era al mio fianco, come sempre, per sempre... Con assurda meraviglia, al di là dei miei infantili, egoistici timori, mi resi conto che non sarei mai stata davvero sola, neanche alla fine, neanche di fronte a quel drago puzzolente a cui avrei sacrificato il poco che mi rimaneva da donare a quanti avessero creduto in me.

Sorrisi, segretamente.

Non avevo mai pensato potessero esistere varie forme di quel sentimento insensato ed inspiegabile chiamato amore. Eppure, nel breve tempo in cui la vita mi aveva strappato molto e regalato tutto, avevo potuto conoscerne due delle più pure e assolute.

Ad una avevo concesso il mio cuore, l'altra avrebbe posseduto la mia anima in eterno.

“Grazie” sussurrai quasi a me stessa, mentre il suo fiato leggero mi carezzava i capelli, senza che le sue labbra osassero lambirmi.

“Non ringraziarmi” il suo tono era duro, ma non feroce. “Non sono fiero di aver aiutato quel folle a ucciderti.”

Mi voltai di scatto, trovandomi a meno di un sospiro da lui, la mia bocca quasi sulla sua, gli occhi incatenati ai suoi.

Non ci sarebbero stati addii, tra di noi, perché non avrei dovuto mai lasciarlo andare, né egli me l'avrebbe permesso. Così non temevo la sua vicinanza, né fuggivo dalle sue parole.

“Hai solo rispettato la mia scelta. Non mi hai condannata a morte.”

Scosse la testa con veemenza, ma senza distogliere lo sguardo, quasi gli risultasse impossibile dividerlo dal mio.

“Potevo tacere e domani avrei percepito ancora il tuo profumo, avrei sfiorato il tuo calore, mi sarei perso nei tuoi occhi...” alzò la mano a cercarmi la guancia, tanto rapido e delicato da farmi pensare di averlo sognato. “Avrei potuto scegliere che tu vivessi e quel bastardo morisse, ma, se l'avessi fatto, cosa avrei salvato di te? Domani il tuo profumo sarebbe stato freddo, il tuo calore dimenticato, il tuo sguardo appassito... così ho fatto quello che volevi e passerò il resto della vita a chiedermi cosa tu abbia trovato in lui di tanto magnifico da permettere che il mondo rinunciasse a una creatura incredibile come te.”

Deglutii a fatica, ma senza indietreggiare.

“Il mondo potrà benissimo fare a meno di me” cercai di ironizzare, ma la sua risposta, semplice e tagliente, fu più dura da accettare di qualsiasi altra verità cui mi fossi piegata.

“Ed io?”

Il sospiro uscì tremulo dal mio petto, ma non doloroso. Tra noi c'era inquietudine, dispiacere, ma il calore di quello strano sentimento che ci aveva unito fin dal primo attimo stemperava ogni angoscia in una più profonda malinconia.

“Tu non mi abbandonerai...” una supplica che era anche un'affermazione.

“Mai” la sua voce non esitò neppure per un attimo nel pronunciare quella promessa. “Però sarai tu a farlo.”

“Io morirò, Zevran, non ti abbandonerò... non te.”

Vidi che non mi credeva, ma tacque, perché, comunque, quell'illusione era tutto ciò cui potesse aggrapparsi. Forse, un giorno, avrebbe riconosciuto che non gli avevo mentito, quando il rimpianto avesse lasciato il posto al ricordo. Ma in quel momento potevo solo stringergli la mano e sorridergli per ricordargli che ero ancora viva.

“Fidati di me” sussurrai soltanto. “Come io mi sono fidata di te.”

Non disse niente, ma strinse più forte la mia mano, mentre i rumori della battaglia ci riportavano alla verità.

“Beh, abbiamo una lucertola troppo cresciuta da abbattere, giusto?” il sarcasmo, nella sua voce, aveva perso la sua brillantezza, ma era molto più di quanto potessi chiedere, così annuii e gli voltai le spalle, certa che avrei udito sempre i suoi passi accanto a me.

Mi fermai solo per un attimo “Non ha intenzione di farsi vedere, vero?” lo dissi senza guardarlo, certa che sapesse a chi mi riferivo.

“Non lo so. Neanche a lei piace l'idea di avermi aiutato a salvare il bietolone a scapito della tua vita.”

Annuii, riprendendo il cammino, ma Zevran mi fermò, trattenendomi per il fodero di una delle mie spade, tanto che quasi persi l'equilibrio.

“Come fai a sapere che è tornata? Credevo che il mio occhio di falco fosse stato l'unico a scorgerla tra i soldati...”

“Infatti. Ma pensi non riconosca un suo incantesimo di confusione, quando ne vedo uno?” quasi risi, davanti alla sua espressione sbigottita, e gli schioccai un istintivo bacio sulla guancia, tirandogli un orecchio, proprio come aveva sempre odiato che facessi. “Avete agito al momento giusto...”

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Capitolo 27
*** Morrigan ***


Avrebbe dovuto essere epica e mirabolante. Avrebbe potuto essere sconvolgente e memorabile, ma, in realtà, la lotta che mi portò su quelle mura, in quella notte senza stelle, fu soltanto orribile e sanguinosa come ogni altra battaglia che avessi vissuto fino ad allora.

Ci furono grida di dolore e di minaccia, ossa spezzate e pelle strappata; ci fu sangue rosso, misto a sangue nero, scorso a decorare grottescamente il terreno... ci furono paura e speranza, lacrime e rabbia, ma niente che facesse presagire la fine per come la conoscevo.

La mia morte non sarebbe stata altro che un piccolo sacrificio in quel martirio di desolazione. Nessun evento eccezionale l'avrebbe predetta e, quando fosse avvenuta, nessuna meraviglia l'avrebbe accompagnata.

Ero solo una tra quei tanti, coraggiosi granelli di polvere, destinati a volare, in silenzio, oltre il velo del tempo.

Avvertii Zevran appoggiarsi alla mia spalla, dopo essersi leggermente sbilanciato in un improbabile affondo che aveva trapassato il cranio di un genlock, avvicinatosi troppo alla mia schiena.

Assurdamente mi resi conto che avrei potuto morire prima di quanto non mi fossi rassegnata a fare, se fossi stata tanto stupida da distrarmi a comporre il mio epitaffio.

Le mie lame erano intrise di quell'orrendo liquido vischioso da cui, ormai, non avrei più potuto liberarle. Il mio volto era coperto di sudore e polvere, il mio corpo era stanco e quasi piegato dalla stanchezza, ma dovevo continuare ad avanzare, circondata da quegli uomini che avevano avuto la forza di credere nella speranza di un futuro, memore di una promessa, espressa quando ancora non sapevo quanta follia avrebbe richiesto.

“Stai bene?” un semplice ansito a mezza voce, cui seppi rispondere solo con un cenno rapido e impersonale.

L'urlo agghiacciante dell'Arcidemone mi penetrò il cuore, costringendomi quasi a cadere al suolo.

Sapevo che, da qualche parte, in quella città ormai irriconoscibile, un altro avrebbe vacillato di fronte alla rabbia cieca di quel grido, ma la pericolosa piega che i miei pensieri stavano prendendo fu bruscamente interrotta dal calore insopportabile di un'enorme palla di fuoco che liberò la piazza davanti a noi da buona parte dei nemici.

“A quest'ora avrei potuto essere a rilassarmi nella mia amata palude...” la voce sensuale e beffarda di Morrigan mi raggiunse dall'oscurità. “Ma avreste impiegato tutta la notte a farvi largo tra questi mostriciattoli.”

Vederla avanzare col suo solito passo ferino, tra il fumo e le macerie, eretta e fiera come se non fosse stata circondata da cadaveri putrescenti e melma maleodorante, mi fece quasi credere che tutto sarebbe andato per il meglio, che la paura e la trepidazione degli ultimi giorni fossero stati inutili...

“Sei ancora sicura che ne valga la pena?” si fermò davanti a me, abbastanza vicina da farmi sentire il suo calore, ma non abbastanza da arrivare a sfiorarmi.

Sorrisi.

Avrei voluto dirle che avevo sentito la sua mancanza, che l'avrei voluta al mio fianco, in ognuna di quelle orribili ore che mi avevano condotta fin lì, che avrei dovuto ascoltarla e consegnarle Alistair,legato ed impacchettato, perché ne facesse quello che voleva... avrei voluto dirle che ero felice di vederla... ma sarebbero state solo banalità e Morrigan le avrebbe detestate.

“Grazie per avermi dato il tempo di salvarlo” dissi soltanto.

Per la prima volta, sentii un sospiro tremulo abbandonare le sue labbra e vidi i suoi occhi incrinarsi in una rassegnazione che solo Zevran poteva comprendere.

“Mi era stato chiesto un favore...” si ricompose immediatamente. “Da qualcuno a cui non potevo rifiutarlo, perché so quanto tenga a te.”

Annuii, senza smettere di fissarla, mentre la mia mano, istintivamente, cercava quella di colui al quale, da tempo, mi ero rassegnata ad essere perpetuamente riconoscente.

“Sei una stupida!” sussurrò, scuotendo la testa.

“Lo so.”

“Morirai per un uomo che non ha avuto il coraggio di salvarti!”

La mano di Zevran si strinse più saldamente sulla mia.

“Non morirò per lui, Morrigan, non sminuirmi così.”

“Avrei potuto salvarti...”

Cancellai le sue parole con un gesto secco della mano.“Era un'altra vita, un'altra storia, con un finale diverso e forse attori diversi. Ma io sono qui, adesso, con il peso di tutte le scelte che ho fatto e che, probabilmente, non rifarei, ma che non posso, né voglio, cancellare. Sono qui e non accetto di lasciarti, mentre credi che morirò per un motivo tanto banale come l'amore!”

“Infatti non è per amore, che ci abbandonerai” la sua voce era vibrante di una strana pacatezza. “Lo farai per orgoglio, per dovere... per coraggio, ma, soprattutto, lo farai per egoismo, perché ci hai amato talmente tanto da non aver saputo accettare di perderci...”

 

Ok, ok, so che ogni volta dico che siamo alla fine... ed è vero! Ma potevo lasciar sparire Morrigan senza darle almeno la battuta finale?? E senza spiegare quale fosse il “favore” che Zev le aveva chiesto? Non che sia venuto granché, onestamente, come addio...

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Capitolo 28
*** The end ***


Eravamo forti noi tre, insieme. Forse non invincibili, ma sicuramente in grado di dare filo da torcere a qualsiasi nemico. La magia di Morrigan era letale e spietata, mentre le lame di Zevran, senza sbagliare un colpo, facevano da contrappunto alle mie, nella danza selvaggia e armoniosa di morte in cui, ormai, eravamo divenuti maestri. Ci muovevamo come un sol uomo, senza bisogno di parlare o guardarci, forti dell'assoluta sicurezza che avremmo sempre combattuto fianco a fianco.

Procedevamo senza indugio, falciando mostri e ignorando l'odore acre della loro carne bruciata, respirando affannati e costringendo i muscoli a rimanere saldi e scattanti, oltre il dolore e la fatica; sapevamo che avremmo raggiunto in tempo la nostra meta, sapevamo che la vittoria sarebbe stata nostra. Eppure, innegabilmente, avvertivamo la mancanza di qualcosa... di qualcuno...

La sua assenza pesava su di noi, come un vuoto incolmabile, anche se nessuno si sarebbe mai concesso di ammetterlo... lui, che sempre ci aveva fatto scudo col suo corpo e la sua spada, lui, che sempre aveva sostenuto, senza apparente sforzo, ogni assalto, dandoci il tempo di contrattaccare...

Avevamo condiviso troppo, perché potessimo semplicemente dimenticare cosa significasse averlo accanto. Per me era stato amico, compagno e amore, e l'avevo pianto in ognuna di queste sue forme, ma solo allora mi rendevo conto di quanto avessi fatto affidamento su di lui anche come guerriero e di come non fossi sola a rimpiangerlo in tale ruolo. L'imprecazione a mezza voce di Morrigan, mentre scagliava l'ennesimo muro di ghiaccio per trattenere l'orda oscura, mi confermò come nemmeno lei fosse immune alla nostalgia...

Sospirai, se non altro potevo consolarmi con la certezza che gli altri, ai cancelli, sarebbero stati al sicuro. Alistair li avrebbe protetti tutti e non avrebbe permesso che arretrassero di un passo.

Non provavo più dolore, nel pensare al suo nome. In realtà non provavo più niente, se non un senso di urgenza che mi spingeva a espormi forse un po' troppo e mi aveva procurato un paio di graffi supplementari, dei quali avrei potuto fare piacevolmente a meno.

Combattevo in uno strano limbo di incoscienza e concentrazione, meravigliandomi, a volte, di trovare la mia spada piantata nel torace puzzolente di un genlock o di aver schivato, istintivamente, il colpo rozzo di una mazza nemica.

Poi ci fu un suono che seppe riportarmi completamente alla realtà e scandì, come il rintocco indifferente e preciso di una campana, il momento della mia fine.

L'urlo di Riordan fu breve e ovattato, ma ebbi l'impressione che potesse essere udito in ogni angolo del Ferelden.

Non volsi la testa a guardare ciò che quel grido spezzato mi aveva già raccontato, ma riconobbi l'esatto momento in cui il corpo martoriato del custode incontrò le pietre impietose del selciato.

Egoisticamente, il mio primo pensiero non fu di dolore per la sua morte, ma racchiuse soltanto la vuota soddisfazione di non aver ceduto ad un'insensata speranza per me stessa.

Ormai niente mi separava dal mio destino e anche se non potevo convincermi di andarmene senza rimpianti, almeno avrei avuto la certezza di aver compiuto il mio dovere senza risparmiarmi nulla.

Colsi solo per un attimo lo sguardo accusatore di Morrigan e non seppi trovare parole per mitigarlo. In fondo, non ero neppure certa che non avesse ragione... ma ogni rimpianto avrebbe avuto solo il potere di farmi ammettere l'inutilità del mio sacrificio.

Zevran mi strinse una spalla, con mano ferma e rassicurante: al di là di un fumoso muro di fiamme, provocate dall'ultimo incantesimo della strega, la torre si ergeva minacciosa e lacera davanti ai nostri occhi e, sulla sommità, come un orrendo incubo, la figura maestosa e orribile dell'arcidemone ruggì tutto il suo odio nella nostra direzione.

…...

Alcune storie diventano leggende e quelle stesse leggende diventano future storie.

In molti canteranno del tuo coraggio e del tuo sacrifico; le tue gesta si trasformeranno in poesia, il tuo amore in fiaba, la tua irruenza in avventura.

Ti piangeranno e ti osanneranno; erigeranno statue e proclameranno il giorno della tua morte come festa nazionale.

Ma nessuno, mai, potrà cantare davvero di te, perché nessuno avrà tanta forza da imbrigliare in poche parole quello spirito luminoso e oscuro che mi trascinò via dalla morte, per confinarmi nell'abisso.

Eppure io voglio che tu venga ricordata, non solo nel mio cuore, ma nel cuore di chiunque ti debba una vita e un futuro. Io voglio che il mondo sappia quali furono le tue ultime parole e i tuoi ultimi gesti, perché non trovai poesia, in loro, ma soltanto la terribile ineluttabilità di un destino a cui non avesti la codardia di sottrarti.

Eilin...

Quando la torre si parò davanti a noi, come un nemico nascosto nell'ombra, pronto a saltarci alla gola, il tuo ultimo sorriso fu per me, mentre il grido selvaggio di quel mostro ci rimbombava nelle orecchie e nel cuore.

Non c'erano lacrime, sulle tue guance; i tuoi occhi erano cupi e determinati, ma io sapevo la verità e non seppi sorriderti, perché non ho mai posseduto il tuo altruismo e non ho mai saputo mentirti.

Adesso, quel sorriso negato pesa sulla mia anima come la più tremenda delle colpe e vorrei che tu potessi vederlo, mentre costringo le mie labbra a inventarlo, davanti a questa pietra grigia che ti protegge e ti separa da me.

Alistair ha preparato una commovente preghiera, per dirti addio. Sono certo che ne avremmo riso assieme a lungo, se tu non mi avessi abbandonato. Ma ora non ci sei e io devo ammettere di non aver saputo trattenere qualche lacrima, mentre lo ascoltavo parlare delle tue virtù, con quella sua voce bassa e maestosa, appena rotta da un dolore vigliacco e inutile.

Lo odierò sempre, per ciò che ti ha fatto... anche se so che tu non approveresti... anche se so che tu l'hai perdonato.

Ma tu eri gentile, nonostante non volessi ammetterlo. Eri dolce e giovane e innocente. Avrei dovuto esserci io, al tuo posto, io che ho strisciato per ogni angolo sporco e velenoso di questo mondo, io che ho ucciso, mentito, rubato... io, che, senza te, non ho più niente per cui vivere...

Eppure mi hai lasciato qui, a scontare la pena della tua assenza, ed io ti ho aiutato a farlo, perché non sarei riuscito a sopportare il peso del tuo dolore, sapendo di poterlo evitare.

Così il Re vive e l'eroe muore, come in ogni storia che si rispetti, ma questa è la realtà e non ci sarà consolazione, per chi ha stretto il tuo corpo martoriato fra le braccia, strappandolo dalle spire luride di un drago deforme, non ci sarà pace per chi ha visto diventare ciechi i tuoi occhi, mentre vagavano in cerca di un volto che non potevi trovare...

Io ero accanto a te, nell'ultimo attimo, e sarò con te, per sempre.

Ma la tua promessa non l'hai mantenuta. Mi avevi detto che sarebbe andato tutto bene, che non mi avresti lasciato. Sapevo che era una bugia, ma ho creduto in una falsa speranza fino alla fine e adesso non ti sento vicina, come so che tu vorresti.

Il tuo corpo è stato composto in un sonno di finta serenità, ma io so che non ti sveglierai mai e sono solo.

Non ricordo come trovai il coraggio di lasciarti salire quei gradini traballanti, che ci avrebbero portati alla fine. Forse il furore della battaglia rendeva incerti i miei pensieri, quanto i miei passi. Avrei voluto stringerti tra le braccia e baciarti, assaggiare a pieno il tuo calore, almeno per una volta, dirti che ti amavo... che non volevo vederti morire per qualcuno che non meritava di vivere al tuo posto.

Ma non feci niente, se non lasciarti andare, riparandoti la schiena dai colpi di quelle maledette creature senz'anima, che ancora si affollavano introno a noi, proteggendoti perché tu potessi arrivare salva alla cima e al sacrificio.

E tu non ti voltasti indietro, non esitasti nemmeno per un attimo, ma quasi corresti incontro a quel destino che tanto avevi temuto e che, comunque, avevi abbracciato, per il bene di una terra a cui non dovevi niente... per la salvezza di chi, come me, la salvezza non l'aveva mai conosciuta.

Il fetore rancido della morte e della putrefazione saturava l'aria, rendendola irrespirabile, ma i bardi canteranno di come un lieve odore di fiori abbia circondato il tuo cadavere cullandolo nel suo ultimo viaggio, perché il tuo inutile innamorato ha posto una rosa, sulla tua tomba, e questo gesto patetico ha già infiammato la fantasia di quanti sapranno vedere solo il simbolo che tu rappresenti e non la donna che tu eri.

L'arcidemone ci apparve ancora più grande di quanto non temessimo e so che anche tu, per un attimo, pensasti di cedere alla disperazione, perché sembrava impossibile poterlo abbattere... Poi hai stretto con più forza le spade e ho visto il tuo mento alzarsi in una sfida silenziosa, verso il mostro e verso te stessa. Così hai avanzato, senza scivolare sulla pietre sporche di sangue e marciume, senza un fremito, eretta e fiera verso l'ultima battaglia, perché, ormai da tempo, non combattevi per la speranza, ma per il dovere, e niente avrebbe potuto incrinare la tua volontà.

Morrigan era con noi, ma non so dire quando si sia allontanata, perché il suo rimpianto e il suo dolore non hanno conosciuto addio. Ho visto la forza dei suoi incantesimi affievolirsi nella colonna di luce che ti ha circondato e poi più niente. Siamo rimasti soli e io non riuscivo a tenere insieme il tuo corpo e la tua anima, ma potevo solo stringerti piano, consapevole di come tu fossi ormai oltre qualsiasi dolore, ma timoroso di procuratene ancora... Ti ho stretto al petto e ti ho cullato come se avessi potuto accompagnarti nell'abisso, conscio, in realtà, di voler solo aggrapparmi all'ultimo alito di te, che ancora sentivo carezzarmi il cuore.

Non so se tu abbia avvertito la mia presenza al tuo fianco, non so quanto soli si possa essere nella morte, ma almeno so che qualcuno ti ha riscaldato, mentre le tue membra diventavano vuote e irriconoscibili, nel niente che ti stava divorando. Almeno posso illudermi che tu non abbia avuto paura, in quell'ultimo attimo che mi è stato concesso con te. E se anche non ero l'uomo che avresti scelto per quell'addio, io ero lì e tu non eri sola.

Vivrò perché a questo mi hai condannato e ti amerò perché è giusto che qualcuno continui ad amarti per sempre.

Alistair ti ricorderà, Wynne e Leliana ti compiangeranno, Oghren si ubriacherà alla tua salute e forse persino Sten ti rimpiangerà, ma solo io porterò il peso di questo amore fino alla fine dei miei giorni e proteggerò la tua anima con la mia, perché so di averne salvato un frammento, in un bacio leggero che mi donasti in quella notte di festa, in cui promettesti il tuo cuore e il tuo corpo ad un altro, ma, senza parole e senza giuramenti, affidasti a me il tuo spirito.

 

 

E così ecco la fine. E' stato un parto luuuungo, lo ammetto, e mi dispiace di aver tardato tanto nell'aggiornare. In realtà, come per tutti gli altri brani, anche questo se ne è uscito di getto, alla fine, proprio stamattina ^_^ Ma davvero non sapevo decidermi, nei giorni scorsi, a mettermi qui e buttar giù qualcosa. Sia perché, tuttora, ho paura di aver rovinato il finale, sia perché, comunque, non trovavo il coraggio di scrivere“the end” e rendere ineluttabile la morte della mia povera Eilin. Ho anche pensato, varie volte, di salvarla, avevo anche un'idea plausibile, in mente... ma poi mi sembrava che, dopo tutte le storie e le paturnie fatte per tanti capitoli, non ne sarebbe uscita con una bella figura ^_^

Ringrazio quanti abbiano avuto la costanza di seguire la mia storia e chiunque abbia trovato il tempo di lasciare una recensione, sempre graditissima! Spero di non avervi deluso proprio sul finire e spero di scrivere presto qualcosa di nuovo, o, magari di proseguire questa stessa ff, inventandomi eventi futuri o passati!

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Capitolo 29
*** Se la morte non è la fine... ***


Perché siamo condannati ad amare, se i ricordi devono diventare veleno e la malinconia ferire più di una spada affilata? Perché non si può vivere nel rimpianto, senza lasciarsi uccidere dal vuoto incolmabile che ti scava nell'anima, dilaniandoti con artigli impietosi?

E' solo una follia credere di poter sorridere della tua assenza, illudersi che un giorno il pensiero di te faccia meno male.

Ogni respiro è una morsa dolorosa intorno al cuore. E non vorrei esalarlo, non vorrei respirare quest'aria che non ha più il tuo profumo.

Tutto ciò che aveva senso, quando eri accanto a me, è adesso inutile e spento, nell'agonia del vuoto che hai lasciato.

E forse sono un inguaribile egoista, ma non riesco a portare ancora il peso di un sentimento tanto distruttivo... e maledico quel giorno in cui non mi hai ucciso, la tua generosità che non ha avuto pietà di me... maledico me stesso e la mia debolezza, di ieri e di oggi, che mi ha trascinato in un vortice di oscurità senza via di fuga... maledico il mondo e ogni suo abitante, che ancora sorrida di quel sorriso che tu gli hai regalato... maledico te, che hai avuto il coraggio di morire, ma non di farmi vivere...

Maledico ogni notte che mi porta il sogno di te e agogno di addormentarmi per sognarti ancora.

 

…...

 

“Adesso basta, ragazzo” la voce di Oghren, stranamente sobria, si perse nel vociare caotico della locanda fumosa, dove ladri e prostitute tenevano banco, in forzata allegria, con canzonacce volgari e insulti poco originali. “L'alcool non è fatto per le elfette!”

Zevran si limitò a rispondere con un grugnito indistinto, senza neanche alzare la testa dal bancone unto e scheggiato, che gli pareva essere l'unica ancora di salvataggio dal vorticare insensato del mondo che lo circondava.

“Lasciami in pace” mugolò. “Non ho bisogno dell'aiuto di nessuno, tanto meno di un nano ubriacone.”

“Almeno io sono capace di ubriacarmi! E ne provo un gran gusto. Anzi, non farmi pensare a quello che mi sono perso per venire a cercare la tua testa di rapa! Ti ricordo che non sono io a trovarmi steso sul pavimento lurido di qualche bettola, sera dopo sera, soltanto perché non ho il coraggio di affrontare la notte, senza qualche litro di liquore nelle budella.”

L'elfo provò a scuotere la testa, ma gli parve che non uno, bensì mille nani si stessero divertendo a prenderla a calci, così si limitò ad aprire un occhio annebbiato verso il compagno e a dirigergli quella che sperava essere una buona espressione di minaccia e indifferenza.

“Sono passati sei mesi, Zevran...” il suo tono si era fatto stranamente gentile. “Per tutti gli stramaledetti Arcidemoni del sottosuolo! Che i pidocchi possano infestarmi la barba, se riesco a capirti! Persino quel bietolone del nostro Re sta cercando una nuova moglie, ormai!”

Solo il suono sordo di vetro infranto interruppe quella tirata, sempre più accalorata, mentre il sangue dell'amico, incredibilmente rosso alla luce soffusa delle lanterne, si mischiava al liquido ambrato e puzzolente della birra di terza mano, gocciolando sul legno.

“Morte e dannazione!” Zevran si portò la mano alla bocca, in un gesto istintivo, ottenendo solo di ferirsi ulteriormente con le schegge.

“Ehi tu, bel faccino, dovrai ripagarlo quel bicchiere!” il locandiere, corpulento e più sudicio del suo locale, si era materializzato dal nulla, dando sfoggio di un'agilità insospettabile, considerata la sua mole, ma si ritrasse d'istinto davanti agli occhi gelidi e totalmente inumani dell'elfo.

“Andiamo” Oghren strattonò l'amico per un braccio, lanciando qualche moneta al padrone e soffocando, con una carezza alla lama della ben affilata ascia, qualsiasi ulteriore recriminazione da parte sua. “Usciamo da questo tugurio.”

Senza fare resistenza, l'elfo si lasciò trascinare fino ad una piccola piazza, con una fontana dedicata ad Andraste, mentre il nano borbottava parole incomprensibili.

La notte era silenziosa, con un denso manto di nubi che non lasciavano molte speranze per l'alba successiva.

“Sciacquati il volto, ne hai bisogno.”

“Che vuoi da me, nano? A meno che tu non abbia ancora un po' della tua riserva speciale, credo di non gradire la tua compagnia.”

“Sei meno ubriaco di quanto vuoi far credere eh, elfetta?” sogghignò Oghren, piantandosi a gambe divaricate davanti a lui, col mento in avanti e i pollici nella cintura.

“Mi hai interrotto sul più bello.”

“Se quello, per te, era il momento migliore della tua serata di bevute, non verrò mai in locanda con te! Ma, d'altra parte, sei solo un moscerino rinsecchito, cosa vuoi saperne di cose da veri maschi?”

“Che dannazione vuoi, insomma? La mia pazienza ha un limite e, come hai detto tu, non sono ancora tanto ubriaco da non poter estrarre il mio pugnale.”

“Piano con le minacce, bambolina! Il vecchio Oghren è qui per fare un favore ad un'amica... e anche perché era preoccupato per quella tua brutta faccia, che è quasi irriconoscibile, adesso.”

“Nessuno ti ha chiesto niente, né a te, né agli altri...”

“Ma, nonostante tutto, sei diventato il noiosissimo argomento di molte serate, quando ho la malaugurata idea di passare al castello a trovare Wynne e Leliana. Se non fosse per le cosce così sode di quella ragazzina non so proprio cosa ci andrei a fare! La conversazione è parecchio scadente, visto che si parla quasi solo di te.”

“Fatevi gli affari vostri. Non sono un problema che dovete risolvere.”

“Invece sì, brutto stupido ingrato! Siamo amici...”

“Non siamo niente!” gridò Zevran, perdendo d'un colpo l'aria indifferente che aveva cercato di ostentare. “Io non sono niente, per nessuno...”

Oghren sospirò pesantemente e si concesse un rutto sonoro, mentre si lasciava cadere sul bordo della fontana, passandosi la mano tra la nuvola informe di capelli che, in quei mesi, si erano allungati in ciuffi disordinati e stepposi, coprendogli il viso.

“Manca molto a tutti noi” disse piano.

“Non voglio parlarne.”

“Eppure devi farlo, o non potrai mai lasciarla andare.”

“Non voglio lasciarla andare.”

“Eilin non vorrebbe vederti ridotto così...”

La risata che salì dalla gola di Zevran fu il suono più inquietante e doloroso che il nano avesse mai sentito.

“Non credo di dovermi preoccupare più di cosa Eilin avrebbe o meno potuto volere, non credi? E' morta! Non esiste più niente di lei, se non quel pacchiano monumento che il nostro Reuccio le sta facendo costruire...” scosse la testa, incurante del dolore che quel gesto gli procurava. “Non è neanche somigliante...”

“Devi smetterla di buttarti via in questo modo! Io sto pensando di unirmi ai Custodi, pare che si stiano riorganizzando in qualche sperduta fortezza, di cui Alistair mi ha detto il nome, ma che ora non ricordo...”

“No.”

“Allora trovati un lavoro, apri una locanda o mettiti a fare la spia per il Re...”

“No.”

“Se vuoi morire, gettati da un ponte e, almeno, evitaci questo strazio, perché, sinceramente, comincio ad essere già stufo delle tue lagne! Le volevi bene, lo so. Anch'io le ero affezionato, per le tette di Andraste! Era una bambina così graziosa, ma aveva il coraggio di un vero nano. Ma piangerla non la farà tornare.”

“Io la sogno” sussurrò, quasi a se stesso. “Ogni notte, da mesi! Mi chiama, dal fondo di una landa desolata, mentre intravedo appena il suo corpo, nascosto da un'oscurità fastidiosa e irreale. Grida il mio nome, capisci? e chiede il mio aiuto... l'aiuto che avrei dovuto darle quando era in vita.”

“E' solo la tua immaginazione e il tuo dannato senso di colpa.”

“Me lo ripeto dal primo giorno, stupido nano! Credi che sia completamente rimbecillito? Eppure, ogni notte, il sogno si fa più vivido e la sua voce più debole... e, per quanto possa aver bevuto, all'alba ricordo ogni dettaglio di quell'incubo.”

“Allora, mio piccolo genio, forse dovremmo fare qualche domanda a qualcuno che potrebbe saperne più di noi, di sogni e premonizioni, non credi?”

“Non è una premonizione...”
“Se davvero lo pensassi, non saremmo qui a parlarne come due comari. Ora vieni con me!”

“Dove?”

“Dall'ultima persona che ho voglia di vedere e l'unica che potrebbe risponderci: Wynne.”

 

Così, rieccomi qua ^_^ Da quando avevo messo la parola “fine” alla ff, mi frullava in testa l'idea di un piccolo seguito e, ovviamente, non potevo tenerlo per me, giusto? Quindi, eccomi di nuovo ad annoiarvi con un racconto totalmente inventato, che, da Dragon Age, riprende soltanto personaggi e ambientazione, ma è completamente slegato dalla trama. Spero vi piaccia!!!

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Capitolo 30
*** Per un amico ***


“Questa non è la strada per il castello.”

“Certo che no, mammoletta! Non ti farebbero neanche entrare, in questo stato.”

“Ma fanno entrare te...” il sarcasmo era gelido e non celava altro che stanchezza, priva di qualsiasi tentativo di amichevole spiritosaggine.

“Ascoltami elfetta, i nani non vengono fatti entrare da nessuna parte, vanno dove vogliono e senza bisogno di tante infiorettature o salamelecchi! Deve ancora nascere la guardia che possa tenermi fuori da qualche luogo o il cortigiano effeminato che osi protestare sul mio odore o lo stato della mia barba. Ma questo non vale per le femminucce come te; hai bisogno di darti una ripulita, indossare una camicia decente e magari levarti di dosso l'odore di stalla.”

“Non mi interessa, Oghren.”

“Non te l'ho chiesto. E ora sali, siamo arrivati.”

Si erano fermati di scatto, a metà di una viuzza pulita e anonima, in cui l'orrore del Flagello era stato brutalmente spazzato via dall'irremovibile ostinazione di quanti si illudevano di poter cancellare il dolore e la devastazione con un secchio di vernice e qualche restauro.

Il portone era di robusta quercia scura, rudemente intagliato e con un pesante batacchio di ferro.

“Che posto è?”

“Casa mia!” Oghren pronunciò quell'affermazione con un misto di fastidio e soddisfazione, come se non sapesse decidersi sui sentimenti da provare davanti a una simile realtà. “Alistair ha insistito perché avessi un buco personale in cui rintanarmi, qui, in città.”

“Suppongo non ne potesse più di vederti strisciare fuori all'improvviso da ogni angolo del castello... o di sentire il leggiadro suono dei tuoi rutti attraverso le pareti.”

“Se fosse per questo, sarebbe parecchio deluso. E ora muovi quei piedi, se non vuoi che ti porti su come un sacco di patate.”

L'interno era silenzioso e stranamente asettico, come il ventre di una donna sterile. Zevran trattenne un brivido, mentre un freddo improvviso gli scuoteva le membra; non c'era niente che desse vita a quel luogo, niente che lo rendesse reale, appartenente a qualcuno, tanto meno a una personalità straripante come quella di Oghren.

“Una tomba sarebbe più allegra.”

“Non passo molto tempo qui. Quando vengo nella capitale ho di meglio da fare che interpretare il ruolo della bella massaia, dannazione!”

“Non credevo fossi mai andato via.”

“Dovevo rintanarmi in questa città puzzolente ad attendere che il cielo mi cadesse in testa? Ho una vita da ricostruirmi e anche tu, per quanto ti piaccia dimenticarlo” Oghren gli puntò contro l'indice tozzo, bloccando con forza qualsiasi tentativo di recriminazione. “Ho sempre pensato che chiunque si lasci morire, per salvare qualcun altro, sia stupido, ma eroico. Però chi rimane in vita e si comporta come se fosse morto è stupido e basta!”

“Non mi interessa la tua opinione.”

“Questo è quello che dicono gli stupidi. Ma tu non lo eri, ragazzo. Non lo sei. Non sai bere e ti stai comportando da perfetto idiota, ma non lo sei davvero. Quindi adesso lavati, sistemati i vestiti e comincia a riprenderti quel dannato cervello da elfetta che stavi cercando di affogare in birra di pessima qualità.”

Il respiro uscì tremulo dalla gola dell'assassino, mentre le sue spalle si rifiutavano di piegarsi sotto il peso di un dolore troppo grande per poter essere portato in solitudine.

Incapace di decidere, stanco di fuggire, di ricordare, di dimenticare, stanco di obiezioni e proteste, stanco di ciò che era e di ciò che era stato, Zevran rimase interdetto e sperduto di fronte alla fermezza granitica dell'amico, chiedendosi se avesse alcun senso abbandonare l'autodistruzione solitaria a cui si era volontariamente condannato, per portare la morte che aveva nel cuore a quanti quella morte avevano voluto ignorare.

“Se non vuoi farlo per te stesso, o per quanti di noi si preoccupano per te, fallo per lei” il nano gli si era avvicinato tanto che l'olezzo del suo fiato lo colpì con la violenza di un pugno. “Se i tuoi sogni fossero più di semplici incubi, potresti avere un lavoro da fare.”

“Sono incubi!” Zevran strinse i pugni, come per trattenere a forza quella flebile verità, cui egli stesso aveva iniziato a non credere. Se non lo fossero stati, cosa avrebbe significato? Cosa avrebbe potuto fare? Già una volta non aveva saputo proteggerla, quante volte ancora avrebbe dovuto fallire?

“O forse, per qualche diavoleria che io ignoro, la piccola Eilin ti sta chiamando...”

“A quale fine? Vuole che la raggiunga nella morte? Se fosse così non ho bisogno del consiglio di nessuno, sono capacissimo di accontentarla da solo.”

Un pugno lo colpì con violenza sulla mascella, facendolo barcollare e schiarendogli la mente annebbiata dal liquore.

“Non bestemmiare!” la voce di Oghren era minacciosa e carica di una rabbia a lungo repressa, che minacciava adesso di rompere gli argini, tracimando incontenibile dai suoi occhi, dalla sua bocca e dalle sue mani. “Proprio tu, che dici di amarla, non bestemmiare!”

“Ma perché me?” sibilò Zevran, quasi augurandosi che quella ferocia, fredda e vuota, dietro la quale nascondeva la disperazione, avrebbe provocato il nano fino a spingerlo a cacciarlo. “Se avesse bisogno di un qualsiasi stramaledetto aiuto metafisico, perché non cercare colui che amava e che ha sposato? Perché non tormentare lui? O magari Wynne o persino Morrigan, che, almeno, avrebbero saputo riconoscere le sue invocazioni? E non avrebbero fatto passare mesi, senza far niente per soccorrerla... se non bere con più decisione... e maledire la notte e le sue creazioni...”

Alla fine la sua voce non era divenuta altro che un sussurro e, sebbene si ostinasse a mantenere lo sguardo fermo e impassibile, Oghren vide le lacrime non versate dietro ai suoi occhi, l'oscurità di una ferita mai rimarginata, ormai in cancrena, in fondo al suo cuore, e provò pena per quell'uomo a cui la vita aveva tolto tanto e donato tanto poco.

Ad ogni modo, certo che qualsiasi tentativo di accondiscendenza sarebbe stato sgradito, mantenne il volto truce e minaccioso, mentre lo trascinava quasi di peso verso un catino di acqua gelida in un angolo e, senza tante cerimonie, gli immergeva la testa sotto, più e più volte, fino a farlo boccheggiare, fino a farlo tornare totalmente sobrio e conscio di quanto forte fosse la pena che niente, nemmeno la sua incredibile volontà, avrebbe mai potuto nascondere.

“Non ho la minima idea del perché Eilin possa esser ricorsa a te, se davvero, in qualche assurdo modo, sta cercando aiuto dal mondo degli spiriti” brontolò, infine, mentre tendeva un asciugamano polveroso ad uno Zevran scarmigliato e mezzo affogato, ma più simile a se stesso di quanto non fosse stato da mesi. “Forse perché si fidava di te, perché non l'hai mai tradita e perché sei stato tu e tu solo a starle accanto fino alla fine. O forse perché la morte l'ha resa completamente pazza! Non lo so e non mi importa. So, però, che se tu non scoprirai la verità, il dolore che provi, per il tuo assurdo senso di colpa, diverrà tanto feroce che non ti basterà la birra di tutto il regno per tenerlo a bada. Adesso, dato che ho già dato fondo a tutta la mia pazienza e alle mie buone maniere, e che non mi rassegnerò a vederti suicidare lentamente, in modo tanto futile, puoi decidere se preferisci seguirmi con le tue gambe o se vuoi che ti chiuda in un sacco, ti imbavagli e ti trascini fino al castello come un vitello mugghiante.”

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Capitolo 31
*** Riunione ***


Il brusio leggero si interruppe all'acuto cigolio della porta.

La stanza era in penombra, troppo ampia perché la luce brillante del fuoco, che ancora ardeva prepotente nel camino, potesse rischiararla tutta; una candela frusciava tremula sulla pregiata scrivania di ciliegio, quasi abbandonata a se stessa e alle tenebre che rischiavano di inghiottirla.

Da quando Leliana e Wynne avevano accettato di rimanere al castello, la biblioteca era risorta a nuova vita, con volumi che si spogliavano della polvere di mesi, forse di anni, per riscoprire la vellutata ruvidezza della pelle, l'incanto dei colori sbiaditi delle lettere, incise in oro e bronzo sulle copertine, l'armonia dell'impalpabile crepitare di sottile carta pergamena.

Di solito Alistair ne era felice, ma, a quell'ora tanto tarda, quando credeva che soltanto le guardie e i fantasmi si aggirassero per quei freddi corridoi di pietra, non riuscì ad evitare un moto di fastidio, nel vedere violato l'ultimo luogo in cui sperava di trovar rifugio dagli incubi che lo divoravano.

“Vostra maestà” la giovane donna fu la prima ad esibirsi in una riverenza formale e aggraziata, mentre Wynne fu bloccata a metà dello stesso gesto dal tono perentorio del Custode.

“Vi prego, no! Almeno non quando siamo soli.”

Forse era stato troppo brusco, perché entrambe rimasero per un attimo sospese nel decifrare il suo desiderio.

“Sono ancora il ragazzo che ha combattuto al vostro fianco poco tempo fa...” cercò di spiegare e di spiegarsi, perché capissero quanto pesante fosse per lui quel titolo, che già altri avrebbero voluto strappargli; per far sapere loro quanto inutile e vuota gli sembrasse la parola con cui adesso tutti lo identificavano, solo perché qualcuno, più forte e capace di lui, aveva deciso di porgergli una corona che non desiderava e non meritava; per rammentare a se stesso e ai pochi che ancora volevano ricordarlo come fosse semplicemente un uomo, insicuro, fragile... e solo.

Lo schiocco sordo di un ceppo, nel fuoco, lo riscosse, portandolo a tentare un piccolo passo dentro la stanza, ancora incerto se chiedere loro di lasciarlo o rassegnarsi a tornare nel cupo mausoleo di ricordi che era la sua camera.

Prima che potesse aprire bocca, Wynne si intromise tra i suoi pensieri.

“Cercavate consiglio tra queste vecchie pagine, Alistair?” la maga lo studiò attentamente, sperando di penetrare il velo di notte dietro al quale l'uomo continuava a celare il suo volto. “Venite accanto al fuoco, abbiamo del vino speziato, se volete. La notte è fredda e non fa bene vegliare in solitudine.”

“Vi ringrazio, ma non sono dell'umore adatto a sostenere una conversazione.”

“Avete nuovamente discusso con l'Arle?” quasi senza rumore, Leliana gli era comparsa al fianco e lo guidava, gentilmente, ma con fermezza, verso quella illusoria pozza di luce che pareva racchiudere ogni speranza di salvezza contro le ombre della realtà.

“Ormai è quasi una tradizione” cercò di scherzare, senza allegria, mentre si lasciava cadere sfinito su una morbida poltrona di broccato color smeraldo. “Per lui il passato non esiste, se non è utile al futuro... e forse nemmeno in quel caso.”

“E' anziano e saggio” intervenne Wynne, porgendogli una coppa fumante, da cui si spandeva il pungente aroma della cannella. “Sa bene quanto sia facile perdersi nei ricordi e abbandonare ogni possibilità di costruirne di nuovi. Chi, come me, ha avuto la ventura di trascorrere tanti anni su questa terra, ha imparato a proprie spese che le occasioni perse rimangono solo rimpianti, mentre ogni esperienza, anche dolorosa o sbagliata, ma vissuta a pieno, si trasforma, col tempo, in uno scampolo della propria anima.”

Alistair non rispose, all'apparenza perso ad osservare la leggera danza di quel liquido color sangue che ancora non aveva assaggiato e già trovava rivoltante, perché legato a parole tanto vere quanto insensate.

“Sono certa che Eamon vi offra consigli soltanto per il vostro bene...” Leliana si protese a sfiorargli una spalla, ma si ritrasse immediatamente, al muto suono della sua tensione.

“Eamon parla per il bene di questa terra. Ed è giusto che sia così, ma questo non significa che la cosa debba piacermi.”

“Siete un buon regnante, Alistair. Il popolo vi adora e vede quanto vi sforziate di agire con giustizia e rettitudine.”

“Cerco di agire per il meglio, ma questo non fa di me un buon re. Al massimo potrei esser definito una brava persona.”

“E forse l'una cosa esclude l'altra?”

“Non lo so, ma di certo non è sufficiente.”

“Lasciate che siano gli altri a dirlo. Siete troppo severo con voi stesso.”

Il giovane scosse impercettibilmente la testa, decidendosi a bagnare le labbra secche e screpolate in quel vino che forse poteva promettergli l'oblio.

Massime di prudenza, perle di saggezza, raccomandazioni di efficienza, tutto suonava vuoto al suo orecchio, tutto era insensato, inutile, aleatorio.

Non aveva mai voluto il potere, anzi, l'aveva temuto con ogni fibra del suo essere. La responsabilità per la vita degli altri, per la loro prosperità o il loro dolore, il peso di impossibili decisioni su una giustizia impraticabile, le piccole schermaglie meschine per una corruzione mascherata da favori... quale senso potevano avere, in un universo in cui l'unica persona in grado di arginarle non esisteva più?

Ancora una volta si trovò a pensare a lei e, ancora una volta, contro ogni volontà, credette di odiarla più di quanto non sapesse di averla amata; ma forse odiava solo se stesso, per averle permesso di abbandonarlo, per essere stato troppo debole, troppo sciocco, troppo virtuoso.

In quei lunghi, orribili mesi non era passato attimo in cui il peso della sua assenza non l'avesse soffocato e confuso, mentre si dibatteva furiosamente per cercare di restare a galla oltre la rete di intrighi e politica in cui ella stessa l'aveva gettato e in cui, per lei sola, si impegnava a sopravvivere.

Come poteva spiegare, a donne tanto coraggiose e forti, tanto capaci di dimenticare e credere nel futuro, che ancora sentiva il suo profumo sulla pelle, intenso e dolce come una carezza, ogni volta che chiudeva gli occhi? Come poteva raccontare a qualcuno che il suo cuore si era fermato nell'istante stesso in cui i suoi occhi erano stati costretti a posarsi sul corpo martoriato di colei che, fino a un attimo prima, era stata la sua bellissima, fiera, giovane compagna?

Sei mesi sembravano un tempo infinito per ricordare, ma erano solo un battito di ciglia per dimenticare tutta una vita.

Eppure, sempre più spesso, man mano che la durezza della realtà lo imbrigliava e lo divorava, si trovava a ripensare al suo amore, ai suoi desideri, come ad un brutto sogno da cui fuggire, un incubo dal quale nascondersi; si scopriva a desiderare di non averla mai conosciuta, perché faceva troppo male ammettere che non l'avrebbe mai più potuta stringere, che non avrebbe più baciato le sue labbra, che non avrebbe mai potuto chiederle perdono...

“Siete certo, Alistair, che non ci sia un motivo più specifico che non vi lascia dormire?” la voce dolce e melodiosa di Leliana lo attraversò come un pugnale, riportandolo in un lampo a quella stanza fredda e al presente. “Nessuno vi biasimerà se vorrete aspettare, prima di abbandonare il lutto.”

Forse nessuno l'avrebbe biasimato, ma, di certo, Eamon gli avrebbe reso la vita impossibile.

Era un Custode, battezzato e lordato nel sangue della Prole Oscura. Il suo seme era quasi sterile e i suoi giorni, in un modo o nell'altro, contati.

Probabilmente nessuno si sarebbe meravigliato, se avesse aspettato un altro anno, o magari due, prima di scegliere una nuova moglie, ma poteva essere certo di averne il tempo? Poteva convincersi che avrebbe avuto modo di generare il tanto prezioso erede, se avesse sprecato altri mesi in una vuota autocommiserazione? Oppure tutti i suoi sforzi, tutto quel sacrificio, la violenza che faceva ogni giorno su se stesso, per riportare pace e stabilità al popolo che Eilin gli aveva imposto, sarebbero stati vani?

“Sappiamo che siete ancora innamorato di lei...” si intromise Wynne. “Io ero contraria alla vostra unione, ma non potevo negare che il vostro amore fosse tra i più puri...”

“Non è così!” Alistair aveva stretto la coppa con tanta forza da incrinarla. “Se davvero il mio amore per lei fosse stato tanto puro, avrei avuto il coraggio di sporcarmi un po', pur di difenderlo.”

Gettando il liquore avanzato nel camino, si alzò di scatto, incapace di sopportare ancora il calore del fuoco sul volto, la luce della sua confessione sul cuore.

“Io l'amavo, è vero. E' stata l'unica donna che ho mai amato, ma non la meritavo.”

“Cosa dite?” Leliana cercò di avvicinarlo, per non lasciarlo perdersi nelle ombre. “Le avete donato tutto di voi!”

“Fuorché l'unica cosa che davvero avrebbe avuto un senso: la vita” nessuno si era accorto della figura che, silenziosamente, se ne stava appoggiata con fare sprezzante allo stipite della porta, le braccia incrociate e il volto coperto da un ciuffo disordinato di capelli color miele.

“Zevran!” Wynne si era alzata, puntando il dito verso di lui, come una maestra pronta a rimproverare un allievo indisciplinato, ma impreparata ad affrontare un uomo a cui nessuno poteva più insegnare niente.

“Evitatemi la predica, maga. Dovreste saper ben riconoscere la verità” la schernì. “In ogni caso, non sono certo io quello che possa permettersi di rimproverare qualcuno.”

“Tu eri con lei, almeno...” il tono del re era tanto cupo quanto rabbioso.

“E l'ho guardata morire.”

“Ma l'avresti salvata, se avessi potuto!”

“Adesso basta!” Oghren si era fatto largo sbuffando nella stanza, tirando una violenta spallata all'elfo e strattonandosi la barba per rimanere in equilibrio. “Coi se non si costruiscono gallerie, dannati testoni. E nemmeno con le recriminazioni, verso se stessi o verso gli altri.”

Nel silenziò che lo seguì, il nano prese a guardarsi intorno, aprendosi in un sorriso alla vista del bollitore ancora colmo di una bevanda dall'aspetto invitante, o, almeno, liquoroso.

Si sedette a gambe incrociate sul bordo del camino e si versò un'abbondante porzione di vino, provvedendo a berne rumorosamente una buona dosa, prima di pulirsi la bocca con la manica.

“Siete tutti degli sciocchi, se pensate di onorarla piangendola o compiangendovi. Eilin era una guerriera e un capo, sapeva prendere da sola le decisioni giuste e non aveva bisogno della vostra protezione. Quindi smettetela di frignare come marmocchi!”

Un sospiro tremulo uscì dalla gola di Zevran, mentre si impegnava a trattenere le parole pungenti che gli erano salite alla lingua e, soprattutto, mentre si costringeva a non dire ciò che solo lui ben conosceva, ovvero che sì, la sua amata era stata indomita e coraggiosa, aveva saputo assumersi il fardello che tutti loro avrebbero dovuto portare e dimenticarsi di se stessa, ma era stata anche una bambina spaventata e abbandonata, una donna che si era sentita tradita dall'unico che avrebbe potuto prometterle protezione, una fidanzata che si era avviata alle nozze, sapendo, in cuor suo, di pronunciare effimeri giuramenti... tutto questo era stata e molto di più. E se il suo orgoglio poteva onorarla nel suo ruolo di comandante e martire, il suo amore non poteva impedirsi di piangerla nella sua veste di donna che voleva vivere e aveva dovuto scegliere di morire.

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Capitolo 32
*** Maschi... ***


“Oghren ha ragione.”

“Grazie, vostra maestosa altezza” sogghignò il nano, levando la coppa, come in un brindisi muto, e facendo schizzare fuori buona parte del vino. “I nani hanno sempre ragione!”

Alistair strinse le labbra, per frenare una risposta mordace, ma fu Zevran a impedirgli di parlare, precedendolo.

“Vogliate perdonare la mia scortesia e il mio sarcasmo. Solo ora, davanti ad una così alta espressione di saggezza nanica, mi accorgo di quanto il mio commento fosse fuori luogo.”

“Non c'è bisogno di...” la voce di Wynne si frenò, non appena i suoi occhi incontrarono quelli vuoti e spenti dell'elfo. Benché fosse certa di trovarsi davanti al guerriero che per tanti giorni aveva combattuto al suo fianco, non era capace di riconoscerlo. Il suo volto non era mutato, se non per farsi più scarno; il suo corpo pareva ancora forte e scattante, sebbene palesemente affaticato, ma gli occhi, quelli non avevano più niente di conosciuto. Li aveva visti derisori e indifferenti, quando, fallito l'attentato per cui era stato assoldato, si aspettava di venire ucciso o consegnato alla giustizia; li aveva visti freddi e determinati, durante la lotta; li aveva visti cupi e dolci, ogni volta che si posavano su Eilin, ma mai li aveva visti così sperduti e assenti, lo specchio di un'anima tormentata, cui niente rimaneva per vivere.

“Sono felice che abbiate accettato di venire a trovarci” cambiò frase e espressione, in un lampo, facendogli segno di sedersi vicino a lei. “Temevamo quasi che aveste lasciato Denerim.”

Zevran non si mosse, né si degnò di rispondere.

“Sapeva che ti saresti costruito una nuova vita, Alistair. Non devi temere di offendere la sua memoria” non c'era ironia, adesso, nelle sue parole, solo disillusa consapevolezza. “Immaginava un figlio che fosse solo tuo, già la notte in cui ha accettato di sposarti.”

Il giovane sovrano si passò la mano tremante sul volto e tra i capelli, quasi a scacciare un pensiero più doloroso dei sensi di colpa.

“Lo sapevi anche tu, anche se forse non volevi... non vuoi ammetterlo. Perché Eilin non ti avrebbe mai lasciato morire e nemmeno tu puoi essere stato tanto stupido da immaginare il contrario.”

“Io speravo che sapesse scegliere meglio di me” Alistair non sollevò gli occhi sul compagno, né osò affrontare il suo riflesso nel niente che, era certo, avrebbe visto su quel volto. “Speravo di rimediare a un errore che non era rimediabile, né perdonabile. Speravo che mi odiasse almeno per una piccola parte di quanto meritavo.”

“E speravi che permettesse ad un altro di affrontare ciò che ella stessa non sapeva costringersi a fronteggiare? A te, soprattutto?”

“Sì! Lo speravo. Ho sperato di farlo contro la sua volontà, se necessario. Perché l'amavo e...”

“Perché hai paura di essere re, senza di lei.”

Il sospiro del Custode si diffuse nel silenzio della stanza.

Nessuno sembrava possedere abbastanza coraggio da disperdere quell'oscurità, nemmeno Oghren, che rimaneva cupo e chino, a osservare la punta delle sue trecce immergersi nel liquore e uscirne coperte da invitanti goccioline dal colore sanguigno.

“Perché hai paura di essere vivo, senza di lei...” mormorò il Corvo, stringendo i pugni, fino a conficcarsi le unghie nella carne, pur di non ammettere di aver dato voce alla sua stessa agonia. “Comunque, l'ha resa felice il fatto che tu, almeno, avessi pensato di prendere il suo posto” si trovò, allora, a sussurrare quasi contro la propria volontà, disprezzandosi per quell'impulso insensato di consolare colui che aveva giurato di odiare fino all'ultimo dei suoi respiri.

Alistair scosse la testa.

“Ma anche questo eri tu a saperlo, non io. Sarebbe stato meglio se me l'avessi portata via, quando ne hai avuto la possibilità!”

“Che vai farneticando? Eilin non...”

“Ti ha amato. Come amava me, o forse di più.”

Con una rabbia che spaventò persino lui stesso, Zevran si trovò a divorare la distanza che lo separava dal compagno con un unico balzo, frenandosi solo all'ultimo momento dallo sbatterlo, con violenza, contro la parete.

“Ha sempre pensato che fossi tu l'altra metà del suo cuore! Smettila di farneticare e non usare questi trucchetti per metterti in pace la coscienza.”

Contro ogni previsione, tra lo stupore generale, il re rise, graffiandosi la gola con quel suono che ormai gli era sconosciuto, piegandosi su stesso, quasi i muscoli della sua schiena non lo sorreggessero più, artigliando i braccioli della poltrona fino a farsi sanguinare le dita.

“Ti assicuro, mio giovane assassino, che da quando quelle maledette parole da verginella oltraggiata hanno lasciato le mie labbra, ormai troppo tempo fa, niente che possa, o possano, raccontarmi può più farmi sentire... in pace” sentenziò, quando l'accesso di risa si spense, repentinamente quanto era esploso. “Ma ho imparato, ormai, a non nascondermi dalla verità. Io ero, di certo, la metà del suo cuore, ma tu eri la metà della sua anima. E se tu fossi stato con lei, adesso non dovremmo affrontare questa insensata e futile conversazione.”

Fece per alzarsi, ma la mano di Zevran lo trattenne, con presa decisa, ma stranamente delicata.

“Ti chiedo perdono” le parole stupirono tutti, anche chi le aveva pronunciate. “Non ero venuto fin qui per litigare o aprire vecchie ferite. Sappiamo farci del male benissimo da soli. Ho perso la testa e non è da me.”

“Non devi scusarti. Non ti si addice e non serve a niente.”

“Credo sia meglio tolga il distur...”

“L'ho trascinato qui perché il ragazzo, da un po' di tempo, ha perso la testa ed è convinto di essere diventato una specie di sciamano o di mago, capace di parlare coi morti” ruttò il nano, riscuotendosi, prima che l'atmosfera si guastasse di nuovo e, soprattutto, prima che tutta la fatica persa quella notte diventasse vana e l'elfo diventasse nuovamente uccel di bosco. “Mettiti a sedere, elfetta” lo rimproverò. “E non pensare neanche per un secondo di andartene a disturbare qualcun altro. Noi siamo tuoi amici e siamo disposti a sopportarti per un altro po', ma solo se la smetti di comportarti da totale idiota. Fai il bravo e racconta anche agli altri quello che dici di vedere, di notte. Probabilmente sono solo sogni portati dall'alcol, ma se c'è qualcuno in grado di dirlo siete proprio voi, Wynne. L'avremmo spiegato prima, se i galli non si fossero messi a razzolare nel pollaio, alzando la cresta.” Lo sguardo di disapprovazione che riuscì a lanciare verso entrambi fu una tale combinazione di severità e stramberia, che nessuno dei due seppe decidere se arrossire o ribellarsi a quel, pur meritato, rimprovero.

 

E si va avanti con questa storia ^_^ Prometto che, nel prossimo capitolo, verrà fuori la verità su questi famigerati sogni. La sto tirando per le lunghe, lo ammetto, e sto diventando noiosa. Chiedo venia... ^_^

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Capitolo 33
*** Una storia ***


“Di cosa stai parlando Oghren?” per la prima volta, Alistair si concentrò su di lui, ma tornò immediatamente a fissare il suo sguardo sull'elfo, quasi a cercare nella sua anima un segno di ironia o di patetico scherzo, per un annuncio tanto insensato. “Di cosa sta parlando?”

C'era ben più che vuota curiosità, nel suo tono; la voce del re, sebbene controllata e venata di disincanto, nascondeva un vibrante interesse, come di un uomo ormai stanco di ascoltare incubi o sogni, ma bisognoso di credere in ogni frammento di essi.

“Sta soltanto interpretando uno sciocco racconto che ho avuto la sfortunata idea di confidargli” Zevran scosse la testa, incapace di osservare come l'orrore in cui era costretto a vivere, ogni notte, potesse trasformarsi in una flebile scintilla di speranza, nel cuore distorto di un amante disperato.

Eppure, adesso che era lì, circondato da vecchi compagni e ricordi di un troppo recente passato, non poteva pensare di fuggire di nuovo, come un vigliacco, tornando a rintanarsi nel buio di una frustrante e pericolosa inconsapevolezza.

Il nano poteva anche essere un ubriacone e avere la bocca troppo larga, ma forse aveva dimostrato buonsenso, strappandolo dalla sua autocommiserazione inconcludente e spingendolo a cercare la verità.

In fondo era ciò che gli aveva insegnato Eilin, fin dal loro primo incontro: guardare i fatti senza illusioni e senza paura, perché, qualunque sentimento si fosse mai voluto imporre su di essi, non avrebbe infine potuto mutarne la sostanza.

Ai tempi l'aveva ritenuta saggiamente pragmatica, ma, dopo la sua scomparsa, non aveva saputo seguire quel prudente consiglio e aveva macchiato ogni gesto, ogni pensiero, ogni decisione con il veleno acre di un'angoscia tanto profonda da distorcere non soltanto la verità, ma anche lui stesso.

“Zevran...” Leliana sussurrò appena il suo nome, quasi temesse di vederlo scomparire nella notte che si era trascinato appresso. “Vorresti parlarne anche con noi? Tutti saremmo ansiosi di aiutarti.”

“Non è me che dovreste aiutare, se mai le mie parole fossero più di fiato dato alle labbra” Zevran sorrise, con aria da lupo, per nascondere la paura che tremolava al di là dell'illusione. “Ma forse nessuno potrebbe aiutare nessuno.”

“Potremo saperlo solo dopo che avremo conosciuto i fatti” Wynne aveva ripreso il controllo della sua placida imperturbabilità, mostrando di nuovo il volto da anziana maestra che tanto aveva infastidito la giovane Custode. “Oghren non è uno sciocco e le sue intuizioni, per quanto puramente istintive, spesso racchiudono profonda saggezza. Quindi, adesso, per favore, prova ad aprirti con noi e cercheremo di capire che cosa ti stia accadendo.”

Con un sospiro, più di incoraggiamento, che di rassegnazione, l'assassino si decise ad appoggiarsi al bordo della scrivania, rimanendo in bilico tra il vivace chiarore del fuoco, nel camino, e la solida oscurità di quell'ora così tarda, a cui le sue parole sembravano più adeguate.

Alistair continuava a fissarlo, con aria quasi bramosa, mantenendosi a stento seduto sull'orlo della poltrona, con una tensione tale, in tutto il corpo, che avrebbe potuto scattare all'attacco al primo accenno di bisogno.

“E' strano” pensò l'elfo, mentre cercava il modo meno folle per iniziare il suo racconto. “Io ho smesso di esistere da quando ti ho perso, amore mio, ma non avevo capito che anche tuo marito, in tutte le sue gesta da re, non aspettava altro che un'occasione per tornare a essere vivo.”

“Per favore, Zevran” lo sollecitò Leliana. “L'ora si fa sempre più oscura e la paura attanaglia i nostri cuori.”

“Che stupidaggine!” Oghren le assestò una vivace pacca sul braccio, soffermandosi impercettibilmente su rotondità che non aveva mai smesso di apprezzare. “Io non ho paura di niente e direi che, in questa stanza, di codardi non ce ne siano. D'altra parte non ho voglia di aspettare il mattino guardando un pallido elfuccio che fa smorfie e sospira, come una femmina. Quindi dacci un taglio, ragazzo, e vediamo di portare in fondo questa faccenda.”

“E' iniziato tutto qualche mese fa... è iniziato poco dopo la sua morte, la prima volta che la stanchezza mi ha costretto a chiudere gli occhi e sprofondare nell'incubo.”

“A quei tempi...” Wynne esistò, come cercando l'espressione più corretta. “E' possibile che, in quel momento, tu già avessi ecceduto nel bere?”

“No, non mi ero mai concesso quel sollievo. Non volevo perdermi nemmeno un briciolo di divertimento, obnubilando il mio dolore; l'alcool è venuto dopo. Ma ti sono grato per aver sottolineato questo punto, ci farà risparmiare sospetti in seguito.”

“Non volevo mancarti di rispetto...”

“Non l'hai fatto” Zevran liquidò le sue scuse, con un gesto della mano. “Non ricordo dove fossi crollato, forse ero in strada, o forse in una locanda, ma ricordo molto bene come quel sonno poco avesse di naturale. Era troppo greve perché le mie palpebre potessero racchiuderlo, troppo profondo perché lo riconoscessi come tale. Pensai di essere prossimo a morire e ne fui felice, disprezzandomi, poi persi qualsiasi capacità di riflettere e aprii gli occhi in una realtà diversa, ma altrettanto concreta di quella in cui ci troviamo adesso. Tutto appariva sfuocato e insensato, con colori ovattati e contorni sfumati, quasi stessi guardando attraverso una qualche strana lente distorcente. Per un po' non mi mossi, cercando di ritrovare il controllo di me stesso. Avvertivo una terribile fatica, nel respirare, ma era una sensazione lontana, come se mi giungesse da un altro me stesso. Poi riuscii a muovere un passo, lento e pesante, e un altro ancora, spostandomi in un corridoio di polvere rosata, circondato da contorte rocce aguzze. Non vedevo nessuno, intorno a me, ma sentivo di essere osservato e avevo paura. Avrei voluto correre, ma era impossibile, così mi limitavo a trascinarmi avanti senza una meta, senza neanche volerlo, spinto da un bisogno più forte della mia volontà. Non saprei dire quanto tempo rimasi in quell'incubo, so solo che, ad un tratto, il paesaggio mutò e sbucai in una radura, se così possiamo definirla, in tutto simile all'ambiente a cui, ormai, mi ero abituato, ma estremamente più ampia e, di certo, più oscura. Ne indovinavo i contorni, ma non riuscivo a scrutarne il centro, nonostante sapessi, con assoluta certezza, che era proprio lì che sarei dovuto arrivare. Fu allora che la sentii, per la prima volta.”

“Aiutami, ti prego. Portami via da quest'incubo... portami via da qui!”

Tutti rimasero senza parole, perché quella voce non era venuta dall'elfo, ma si era fatta strada tra le labbra serrate di Alistair.

Zevran si volse verso di lui, con la rapidità dell'assassino, afferrando, prima degli altri, il senso di quella rivelazione.

“Anche tu...”

“Credevo fosse solo la voce del suo ricordo e del mio rimpianto” i suoi occhi si muovevano rapidi sui volti che lo fissavano muti. “Credevo di sentire solo ciò che volevo, in un patetico tentativo di soffocare i miei sensi di colpa. Non ho mai visto niente, non ho provato alcuna delle sensazioni che tu hai descritto.”

“Eppure hai recitato, una per una, le parole che, per mesi, ho cercato di annegare in un'inutile marea di ebrezza...”

“E' l'Oblio” Wynne li interruppe, il volto contratto in una smorfia di paura, che la rendeva stranamente umana. “Voi, Alistair, forse per la vostra educazione da Templare, vi siete limitato a sfiorarne la soglia, ma tu, Zevran, non so come, sei arrivato a sollevare un velo troppo pericoloso per poterlo ignorare”

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Capitolo 34
*** Dubbi e certezze ***


“Voi scherzate!” il re sembrava aver perso ogni briciolo di speranza e guardava la maga con occhi sbarrati e gonfi di terrore. “Nessuno può accedere a quel mondo. Nessuno dovrebbe accedervi mai!”

“Io non sono un mago” lo interruppe Zevran, eccitato all'idea di non essere, forse, impazzito del tutto, ma angosciato dal timore di aver perso, a causa della sua stupidità, giorni preziosi per salvare colei che diceva di amare. “Non ho mai avuto alcun tipo di abilità, in questo senso. Come potrei esser riuscito ad arrivare in un luogo di cui solo voi avete il controllo?”

“Noi non ne abbiamo il controllo, purtroppo. Ne siamo tormentati e pericolosamente attratti; passiamo ogni istante della vita a lottare per non essere ghermiti da quegli immondi demoni, ci addestriamo duramente per resistere alle tentazioni e mantenere la nostra integrità. Tutti abbiamo ben visto cosa possa succedere nel finire preda di una di quelle sporche creature! Quel povero bambino si è macchiato di colpe che non avrebbe mai dovuto sopportare e che troppi hanno dovuto subire.”

“Ma Connor aveva il dono!” Alistair si ritrovò quasi a gridare, per la frustrazione.

“Infatti, per questo il vostro racconto mi lascia perplessa. Eppure ciò che Zevran ha visto corrisponde in modo inquietante a ciò che vidi io, durante il mio Tormento.”

“Il richiamo oscuro del regno dei sogni è molto forte” Leliana sussurrò appena, lo sguardo fisso sulle fiamme, quasi parlasse a sé stessa. “Tanto più forte per coloro che vogliono fuggire dalla realtà.”

“Io non...”

“Non ti sto dando del codardo, Zevran. Ma davvero puoi negare di non aver mai desiderato la pace?”

“Potrei anche essermi immaginato tutto. In fondo ne ho viste di cose strane, negli ultimi tempi” usò il tono scanzonato con cui, da sempre, si faceva scudo contro pensieri troppo funesti. “E ho avuto il mio assaggio di quell'ameno posticino, quando abbiamo rimesso in ordine la torre dei maghi. Probabilmente il mio subconscio ha rielaborato immagini che avevo visto in quell'occasione.”

“E' possibile” Wynne, però, continuava ad accarezzarsi il mento, con aria meditabonda, rifiutandosi di liquidare con troppa facilità quello che, potenzialmente, avrebbe potuto diventare un serio pericolo. “E tenderei a crederlo, se anche Alistair non avesse praticamente avuto la tua stessa esperienza.”

“Io ho soltanto sentito una voce.”

“La sua voce che pronunciava la stessa invocazione. Non è un dettaglio insignificante.”

“Entrambi avremmo dato la nostra vita, per lei. Cosa c'è di tanto strano nel fatto che sogniamo di sentirla chiederci aiuto?” c'era una disperazione tale, nelle sue parole, che, per un attimo, la maga non fu in grado di rispondergli.

La natura pragmatica dell'elfo lo spingeva con prepotenza a concordare col Custode. Aveva passato gli ultimi mesi ad elaborare teorie simili, impedendosi di credere a una verità che, se comprovata, avrebbe significato ammettere di non aver protetto colei che amava non soltanto in vita, ma anche in morte. E questo era più quanto pensasse di riuscire a sopportare.

Sicuramente di trattava solo di terribili sogni, nati dal rimpianto e dal senso di colpa. Eppure, se davvero fosse stato così, perché continuava a tentare di fuggire, perdendosi in un'inscoscienza artefatta, che, pure, non poteva proteggerlo da essi?

“In ogni caso, cosa mai ci farebbe il nostro capo nell'Oblio?” Oghren si strinse nelle spalle, alzando il volto sui compagni. “Ammettiamo pure che questi due carciofi siano riusciti a capitare, per sbaglio, in codesto luogo che chiunque, sano di mente, vorrebbe evitare. Ma Eilin? E' morta, dannazione! Il suo spirito dovrebbe essere in pace. A meno che, davvero, questo mondo schifoso non sia anche più ingiusto di quanto non pensi, per la barba di Andraste!”

“Questo è vero, Wynne” si intromise Leliana, prima che il nano si lanciasse in qualche altra espressione troppo colorita. “Sicuramente la giovane Custode, adesso, si sta godendo l'abbraccio della nostra signora...”

“Perché solo un Custode può uccidere davvero un Arcidemone?” si udì chiedere Zevran, pur conoscendo già la risposta. “Che ne è della sua anima, dopo che ha sacrificato il suo corpo nella lotta contro un dio?”

“Noi abbiamo sangue di prole oscura, nelle vene. Per questo possiamo affrontare quel mostro e impedire che il suo spirito si reincarni.”

“E questo cosa significa?”

“Cosa vorresti farmi dire, Zevran?”

“Io ero con Eilin, in quell'ultima battaglia, e sono certo che non avesse ferite mortali, quando ha trapassato la gola di quel bastardo.”

“Il Custode deve dare la sua vita, è un sacrificio inevitabile...”

Le mani dell'elfo si strinsero istintivamente a pugno, mentre il suo cuore perdeva un battito, ricordando quella stessa spiegazione sussurrata da labbra diverse, in un mondo diverso, quando ancora tutto pareva avere un senso.

Deglutì sonoramente, ricacciando in gola il grido di rabbia e frustrazione che, da quel lontano attimo d'inferno, aveva attanagliato il suo cuore.

Credeva di averlo soffocato, nel vuoto abisso che si era spalancato dentro di lui, quando aveva stretto quel corpo esanime tra le braccia, raccogliendone l'ultimo respiro e morendo con esso.

Invece era ancora nel suo petto, prepotente e raschiante, come una lama non affilata e, ormai, non avrebbe più neanche saputo dire se avesse davvero provato, o meno, a scacciarlo dalla sua anima.

“Ragazzo” il tono di Oghren era stranamente tenero, quasi si stesse rivolgendo ad un animale ferito e pericoloso. “Cerca di essere più chiaro, per una volta.”

“Sono anche troppo chiaro, vecchio ubriacone!” la sua rabbia verso l'amico era totalmente ingiustificata, ma non riuscì a trattenersi. “Forse non siamo solo rimasti fermi a guardare la nostra amica morire. Forse la sua vita non è stato il maggior sacrifico richiestole da quel folle destino che lo stramaledetto rituale dei Custodi vi ha imposto! Pensateci bene? Come facciamo, veramente, a sapere che adesso Eilin è in pace? Puoi assicurarcelo tu, Leliana? O magari puoi chiederlo alla tua Andraste! No, non puoi. La verità è che forse l'abbiamo abbandonata a un'eternità da cui mai potrà rinascere... E quello che mi ha fatto dire, nano, è più di quanto riesca anche solo a sospettare!”

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Capitolo 35
*** Scelte ***


La luce argentina del primo sole aveva appena baciato le cime degli alberi, quando l'elfo, in silenzio, sgusciò via da quella stanza piena di oscuri ricordi e nuove preoccupazioni, per tornare a godere di una più privata e soffocante sofferenza.

Oghren si era da tempo addormentato, scomposto, ai piedi del camino, con la brocca di vino, ormai vuota, in una mano, e la camicia ornata da vivaci macchie vermiglie, aperta sul petto villoso. Non si sarebbe accorto della sua fuga neanche se gli avesse camminato sopra.

In quanto agli altri, non erano mai stati, davvero, interessati a lui, se non per quanto avesse avuto da raccontare. Erano stati i suoi compagni, avevano imparato a stimarsi, o, almeno, a sopportarsi reciprocamente, ma soltanto due persone gli erano mai state, veramente, vicine; solo due persone avrebbero potuto avvertire l'impalpabile vuoto lasciato dalla sua assenza, quand'anche avesse usato tutti i suoi trucchi e le sue abilità, per ingannarli: una l'aveva abbandonato, l'altra stava russando.

Forse era ingiusto. Forse Wynne, in quel suo modo pedante e un po' troppo cattedratico, cercava sinceramente di dimostrargli qualche premura; e Leliana, dal canto suo, era rinata nell'amore per ogni creatura, quindi doveva essergli quantomeno affezionata... Su Alistair era quasi certo di non sbagliare, rifiutandosi di credere ad una particolare amicizia nei suoi confronti.

Ma non aveva nessuna importanza, non ne aveva mai avuta.

Si era unito a loro per degli splendidi e arguti occhi scuri, che, senza alcun motivo, l'aveva guardato come fosse stato un uomo e non un'arma pericolosa. Si era unito a loro per una voce ferma e gentile, che aveva voluto, senza alcuna logica, offrirgli una scelta, laddove egli stesso non ne aveva offerte mai. Si era unito a loro per una mano affusolata e forte, che aveva stretto la sua in una presa indissolubile, da cui, ancora adesso, rifiutava di sciogliersi.

Si era unito a loro per la donna che amava, e che, in quello stesso istante, stava decomponendosi in un'arida e fredda tomba, mentre la sua anima, probabilmente, era perduta oltre ogni speranza.

“Se davvero aveste avuto accesso a quel mondo di corruzione, incubo e delirio” aveva sentenziato Wynne, senza guardarli in faccia. “Se davvero qualcosa di oscuro vi stesse chiamando, dovete assolutamente rifiutare di rispondere a quell'invocazione.”

Zevran ancora si chiedeva come avesse potuto evitare di staccarle all'istante la testa dal collo, ad una simile eresia.

“Dovrò studiare questa faccenda, tornare in fretta alla Torre del Circolo, consultarmi con altri maghi, ma voi dovete capire che, se pure Eilin, in qualche modo, fosse finita nell'Oblio, adesso sarebbe una creatura corrotta e perversa, non la ragazza gentile e coraggiosa che tutti noi ricordiamo” si era aggrappata alla mano di Alistair, costringendolo ad annuire, con sguardo implacabile. “Voi lo sapete, maestà! Sapete cosa significhi perdersi in quelle lande... un'anima, tanto più se priva del dono, dell'addestramento, non potrebbe conservarsi pura.”

Il re non aveva risposto. Il suo sguardo era vuoto, sperduto, le sue spalle chine sotto il peso di quel nuovo orrore, mentre cercava di decidere se cedere alla disciplina, cui l'avevano educato, o abbandonarsi all'amore per colei che, per pochi, brevissimi attimi, era stata sua compagna e sua moglie.

Eppure non c'era scelta. Questo, per Zevran, era chiaro più del sole.

Se Eilin lo stava chiamando, nessuna ragione, nessuna patetica prudenza, o perversa logica avrebbe potuto tenerlo lontano da lei.

Così aveva dato la sua parola alla maga, abbandonandola alle sue vigliacche riflessioni. Aveva sorriso a Leliana e battuto con energia la mano sulla spalla di Oghren, sorridendo alla sua espressione sospettosa, in un muto ringraziamento per il suo aiuto e i suoi consigli. Aveva posato gli occhi su Alistair, sperando, senza risultato, di scorgere un barlume di determinazione, in lui... Poi li aveva maledetti tutti, nel suo cuore, per aver anche soltanto potuto considerare l'idea di tradire chi, per loro, aveva donato tutta se stessa.

“Potrebbe essere un trucco demoniaco” aveva aggiunto Wynne, stringendosi le mani al petto, in un istintivo gesto di difesa. “Un demone del desiderio ben saprebbe come tentarvi...”

“O, magari, potrebbe trattarsi di uno spirito benigno, come quello che veglia su di voi” aveva provato a consolarli Leliana.

“Difficile, date le circostanze” la maga non aveva nessun dubbio, nella sua condanna. “Quale spirito positivo potrebbe avvicinarsi a chi è stato toccato dall'Arcidemone?”

Una logica stringente, ma totalmente inutile.

Se cercando Eilin avesse dovuto tirar fuori dall'Oblio ogni dannato demone contenuto in esso e magari anche tutti gli dei oscuri della Città nera, l'avrebbe fatto senza rimpianti.

Aveva combattuto secondo onore, accettato di lasciar morire il bene per il sacrificio e sopportato di vivere nel rimpianto, tutto perché lei glielo aveva chiesto, perché l'aveva illuso che la morte non sarebbe stata la fine; ma adesso non si parlava più del logorio di un corpo, non si discuteva di ossa e sangue. Niente valeva la dannazione di qualcuno che, per nessun motivo, meritava di essere dannato.

E poi, non c'era più nessuno che avesse tanto potere su di lui, da spingerlo a credere che fosse giusto scegliere il bene di molti contro quello di uno solo, che fosse giusto arrendersi a condannare un'anima, per salvare quelle di chi non fosse in grado di difendersi da solo.

Nessun codice morale o pensiero caritatevole avrebbe potuto convincerlo ad abbandonare una seconda volta il suo comandante, la sua amica, il suo cuore... il mondo non sarebbe finito per questo. E se anche fosse finito, non sarebbe stato un prezzo troppo alto, per la sua salvezza.

 

Ed ecco un altro piccolo capitolo. Non so quando avrò modo/tempo di aggiornare, visto come si prospettano caotici i prossimi mesi, ma, intanto, che ne dite, vale la pena continuare a lavorarci? ^_^

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Capitolo 36
*** In viaggio ***


Mi sono allontanato indisturbato dalla città, ma non mi illudo che non mi cercheranno, fosse solo per impedirmi di compiere qualche sciocchezza. Sono bravo nel far perdere le mie tracce, ma non sottovaluto i miei vecchi compagni, tanto più che non conosco bene tutti i trucchetti, ai quali potrebbe ricorrere la vecchia strega.

Una parte di me, molto piccola, avrebbe voluto avvertire Oghren del mio piano, ma quello stupido nano avrebbe insistito per accompagnarmi e mi avrebbe rallentato, con le sue gambette tozze, che non so come possano sopportare il peso di tutto il liquore che continua a versarsi in corpo. Una volta mi ero ripromesso di tirar su qualche soldo, scommettendo con gli altri su quanto tempo sarebbe passato, prima che si piegassero su se stesse, ma nessuno aveva voluto assecondarmi.

Era un altro tempo, un'altra vita.

Questo è un viaggio che devo compiere da solo.

Sono lucido come non lo ero mai stato e non sento alcun bisogno di ottenebrare la mia mente dalla verità. Adesso so che non sono un patetico visionario, incapace di affrontare con un briciolo di coraggio il proprio dolore. So che non la sto disonorando, rifiutandomi di accettare la sua morte.

Eilin mi sta chiamando, ha bisogno di me ed io non la lascerò sola un'altra volta. Non la lascerò sola mai più, a qualsiasi costo.

Non è stato per paura, se, negli ultimi due giorni, mi sono rifiutato di dormire; ho preferito mettere più distanza possibile tra me e i miei eventuali inseguitori e non sopportavo l'idea di sprecare nemmeno un altro attimo, dopo aver gettato inutilmente al vento gli ultimi mesi. Ma adesso la mia volontà non sostiene più il mio corpo e devo rassegnarmi a chiudere gli occhi per qualche ora.

Dopo aver attraversato queste terre, in mezzo alla devastazione e al terrore del Flagello, mi appare strano trovare solo calma desolazione e vuoto silenzio, intorno a me. E' quasi destabilizzante non doversi preoccupare di un possibile attacco di genlock, ma pensare piuttosto ad un modo per difendersi dai lupi. Forse avrei dovuto fermarmi in qualche locanda. Ne ho notate un paio, lungo la strada, che ostentavano mura dipinte di fresco e cartelli palesemente nuovi di zecca, in un barbaro tentativo di dimenticare uno scomodo passato.

Eilin mi direbbe che sono ingiusto e che non so godere di un piacere tanto innocente quanto la speranza. Mi direbbe di non odiare tutte le persone in cui mi sono imbattuto in questo viaggio, solo perché cercano di nascondere il vecchio dolore con nuovi sorrisi, ma io non sono un uomo buono, quindi mi disturba sapere che, nella loro mente, abbiano già cancellato il ricordo di chi, quei sorrisi, non potrà più regalarmeli. E non mi consola neanche credere che conservino ancora una fugace immagine di lei, nei loro cuori, se non trovano la forza per continuare a piangerla.

Alla luce dei fatti, di certo la locanda non sarebbe stata una buona soluzione.

Per tutta la vita ho viaggiato da solo, fondendomi con le ombre, nascondendomi da ogni forma di umanità, anche dalla mia. Non conoscevo nient'altro, né volevo qualcosa di diverso.

Eppure, adesso, sento un inspiegabile nodo, in fondo alla gola, mentre mi accingo a preparare il campo. Non posso e non voglio dare un nome a questo sentimento, ma più volte, come uno stupido, mi ritrovo ad allungare la mano verso il niente, quasi aspettandomi che un fantasma la stringa fra le sue.

Mi sento solo e questo è molto più doloroso del semplice esserlo.

Quando appartenevo ai Corvi, non erano molte le missioni da compiere con qualche collega, e, anche in quei casi, non ero mai veramente in compagnia. Un'arma non ha amici e un assassino non possiede la fiducia.

Non ricordo se fosse stato difficile impararlo; tutto sommato non lo credo, perché mi ci ero adattato piuttosto comodamente. L'istinto di sopravvivenza era la sola sensazione da uomo che ci venisse concesso di conservare e non avevo rimpianti.

Poi, qualcuno mi disse che non vedere il proprio cuore non significava esserne privi.

Fu in quel momento che avvertii, per la prima volta, un battito irregolare nel mio petto e un inspiegabile umidore dietro le palpebre.

Da allora mi sono rassegnato a vivere e costretto a morire; anche se, in momenti come questo, può risultare scomodo, non ho nessuna intenzione di rinunciare all'anima che, senza averla meritata, ho ricevuto in dono.

Evito di accendere un fuoco e mangio un tozzo di pane con un po' di carne secca, attento a qualsiasi suono giunga alle mie orecchie.

Non ve ne sono molti, in verità, ma la foresta non è neanche muta, come mi era parsa all'inizio.

La vita sta tornando a prendere possesso di queste terre, che ormai hanno bisogno di contadini, pastori, fabbri e non più di eroi.

Una civetta mi osserva dalla cima di un albero, gli occhi brillanti al riflesso della luna; non ho voglia di ucciderla, per mangiarmela a colazione, così la ripago con la sua stessa indifferenza e rimango immobile, a sguazzare nei miei pensieri.

Le Selve sono ancora lontane e non ho nessuna certezza che possano essere la fine del mio viaggio.

Non mi accorgo di essermi addormentato, finché non apro gli occhi sul paesaggio brullo e insensato, da cui, stupidamente, ho cercato, per mesi, di fuggire.

Forse, se fossi un uomo ragionevole, dovrei provare più paura adesso che so di cosa si tratti, ma , nonostante le raccomandazioni di Wynne o l'ansia dipinta sul volto di Leliana, ho piena intenzione di esplorare questo mondo, in attesa di trovare Morrigan e costringerla a guidarmici dentro.

Non avverto la sua voce, non ancora, ma, di certo, qualcuno o qualcosa mi sta osservando. Forse è sempre stato così, ma non mi ero mai permesso di analizzare le mie sensazioni, qui dentro, quasi avessi dimenticato ogni briciolo del mio faticoso addestramento.

Se ne avessi il tempo, me ne vergognerei, ma non servirebbe a nulla e, adesso che sono di nuovo in me stesso, niente mi costringerà a fallire.

Non credo troverò punti di riferimento precisi, una volta che mi sarò inoltrato nell'Oblio, quindi cerco di osservare ogni più assurdo dettaglio, nella speranza che possa guidarmi in futuro. Se avessi potuto, avrei volentieri chiesto maggiori spiegazioni a Wynne, ma si sarebbe solo insospettita e non avrei cavato un ragno dal buco, quindi, ancora una volta, posso contare solo su me stesso.

Scuoto la testa, nel vano tentativo di rompere la sensazione di intorpidimento che mi pervade. Sento le membra pesanti e lo sguardo appannato, anche se, forse, sono i contorni stessi delle cose ad essere innaturalmente sfumati.

Vedo solo una strada, davanti a me, circondata da contorte formazioni di roccia porosa, levigata fino a diventare tagliente. Me ne tengo a distanza, istintivamente convinto che non sia saggio lasciare qualcosa di mio, qui dentro, neanche una goccia di sangue.

Il terreno è solido, sotto i miei piedi, ma c'è una sabbia finissima, quasi rilucente, che lo ricopre, pur non conservando memoria dei miei passi.

È difficile essere prudenti, in un luogo che non segue nessuna legge fisica o logica.

Non saprei dire quanto a lungo abbia camminato. Ad un certo punto, il tempo ha perso importanza in questo eterno crepuscolo.

Ho avuto persino il dubbio di aver girato in tondo, ma niente è venuto a confermarmelo.

Ora che vorrei più di ogni altra cosa sentire la sua voce, mi circonda solo il silenzio.

Forse dovrei rassegnarmi a tornare indietro, ma non sono abituato a darmi per vinto e, comunque, non credo potrei uscire da qui semplicemente tornando nel luogo da cui vi sono entrato, se pure fossi in grado di ritrovarlo.

Così vado avanti e continuo a sperare.

Ancora sabbia, ancora rocce.

Poi, all'improvviso, come se avessi girato un angolo invisibile, la strada finisce in uno spazio molto più ampio, con un pavimento di mattoni scheggiati e colonne rovinate a fargli da corona.

Nella sua incompletezza e irregolarità, somiglia al salone di un qualche castello, privo di tetto e pareti.

Sullo sfondo, appeso come un arazzo sperduto in quel cielo senza orizzonte, si staglia il contorno di una città, nera più della notte e spaventosa più dell'alba, immensa come il mare e soverchiante come la tempesta.

Conosco a stento quella che, fino ad ora, avevo considerato una leggenda, ma le mie ginocchia si piegano involontariamente, davanti alla cupa magnificenza della prigione divina, che mi è stato dato il terribile privilegio di osservare.

“Zevran...” la sua voce mi riscuote dal torpore di morte in cui quella tomba mi stava risucchiando. “Zevran...”

Sono in piedi, completamente all'erta, cercando di orientarmi in quello spazio vuoto e infinito che risucchia ogni capacità cognitiva. Non riesco a intuire da dove provenga il suo richiamo, sembra avvolgermi completamente, come fosse tutto intorno a me, eppure non c'è eco, qui.

Ad un tratto, con la coda dell'occhio, scorgo un leggero movimento sulla mia destra, un breve lampo argentato nell'oscurità. Cerco di costringermi a correre in quella direzione, ma avverto un dolore improvviso sotto le costole e la mia mano, senza un'apparente spiegazione, è sporca di sangue, quando si ritrae dal mio torace.

“Zevran!” ancora un richiamo, ma stavolta il tono è più cupo e sardonico.

“Ti abbiamo ritrovato, finalmente, pecorella smarrita” parole dure, pronunciate con freddezza da una voce gutturale, atona, per niente femminile; non capisco cosa stia succedendo e non so trovarne una spiegazione.

Mentre l'istinto mi grida prepotentemente di scappare, mi accorgo di non riuscire a muovermi e avverto la terribile sensazione di essere in trappola, con le braccia strette in una morsa di gelido acciaio.

Grido e mi trovo a fissare il mio volto, riflesso negli occhi di vetro di un Corvo, vittoriosamente chino su di me.

 

Rieccomi qua! Tra il lavoro e il tempo perso a aggiornare il nuovo racconto che ho messo su e su cui mi sono incaponita di volere lavorare (anche se non so cosa possa venirne fuori ^_^), ci ho messo un pochetto a aggiornare... spero, almeno, che il capitolo vi piaccia e vi rassicuro che, a idea, la parte di divagazione, con Zev in mano ai Corvi, non dovrebbe essere troppo lunga... almeno credo ;-P

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Capitolo 37
*** Malchom ***


“L'inattività ti ha rammollito, disertore” sogghigna, fiero del suo facile trionfo, mentre mi costringe ad alzarmi, con un secco strattone. “Ecco la fine ingloriosa di uno dei più famigerati Corvi di Antiva.”

La sua risata è vuota quanto le sue emozioni. Persino la soddisfazione di aver portato a termine una caccia non gli procura, ormai, alcun reale piacere e questo lo rende un avversario dannatamente più pericoloso. Riconosco il suo volto, anche se non lo vedevo da anni: carnagione scura, piccoli occhi cerulei, dall'aria sfuggente, una cicatrice all'angolo della bocca e un naso prominente, simile al becco di un falco; Malchom era uno dei più anziani, tra noi, e dei più glacialmente spietati.

Si bisbigliavano storie su di lui già quando io ero un bambino, alcuni lo vedevano come un eroe, altri, ancora legati ad un barlume di umanità, lo temevano più degli spauracchi orribili che ci inventavamo come favole della buonanotte.

Ormai dovrebbe aver superato da un pezzo la quarantina, un'età quasi impensabile per uno della nostra professione, soprattutto se votato a lanciarsi nelle missioni più pericolose e folli fin dall'infanzia, ma il suo volto non mostra alcun segno di decadimento, né la sua forza pare intaccata dalla stanchezza.

Come una spada del miglior acciaio, si erge indifferente e monolitico, davanti a me, squadrandomi con una maschera di disprezzo che so non provare veramente.

Vorrei ritrovare la sua stessa indifferenza, perché, adesso, le emozioni che mi hanno salvato rischiano di uccidermi. E io non posso permettermelo, non prima di aver compiuto la mia missione.

Scuoto la testa, ricercando un barlume di lucidità e maledicendo la mia stoltezza; se non mi fossi addentrato così profondamente nel sogno, non mi sarei fatto catturare come un novellino. D'altra parte recriminare è inutile e controproducente, preferisco usare il tempo che mi rimane per saggiare la consistenza delle catene che ho ai polsi e verificare la gravità della ferita al torace.

Non temo che sferri il colpo fatale nei prossimi minuti, se avesse voluto uccidermi non avrebbe perso tempo a svegliarmi e legarmi. D'altra parte, non è dando i fatti per scontati che sono sopravvissuto tutti questi anni.

Mentre mi spinge davanti a sé, con brutale noncuranza, sono costretto ad accettare una notizia buona e una pessima: il coltello che ha usato per ferirmi non era avvelenato, né ha colpito organi vitali, il che è positivo; in compenso, le manette con cui mi ha incatenato sono un maledettissimo congegno di ferro pieno, molto difficile da scassinare.

Alla luce dei fatti, la mia priorità è guadagnare tempo.

“Sai, una volta avevo detto di rimpiangere l'odore del cuoio di Antiva, ma adesso che lo sento di nuovo, credo proprio di essermi sbagliato” avrei preferito avessero mandato una donna, a cercarmi. Non sono più allenato ad esercitare il mio fascino su altri del mio sesso, mi viene più naturale irritarli, dopo i mesi trascorsi con quei due imbranati di Alistair e Oghren. “Dovresti perdere cinque minuti del tuo tempo per farti un bagno, se hai intenzione di accompagnarmi per il prossimo futuro.”

In genere noi Corvi amavamo le piccole scaramucce senza importanza; ogni strampalato insulto, vero o presunto che fosse, diventava una scusa per sfidarci e saggiare la nostra abilità, ovviamente quando non eravamo in vista di qualcuno dei nostri comandanti. O, forse, come mi disse una volta Eilin, dopo aver smesso di ridere per il mio racconto di un mortale duello a cui avevo partecipato, a difesa dell'onore di una mucca, questo era solo il modo inconscio e un po' perverso che avevamo per riaffermare noi stessi, al di là del nostro ruolo, comportandoci volontariamente da sciocchi, pur di trovare una ragione per usare le nostre abilità al di fuori dell'ordine per cui eravamo stati addestrati. All'epoca pensai che solo una donna gentile come lei avrebbe potuto vedere nella stupidità crudele e violenta di un assassino, pronto a uccidere un compagno per la più infima minuzia, una forma di riaffermazione della propria umanità, ma, in seguito, una parte del mio cuore si è trovata a darle ragione.

Purtroppo, il mio inopportuno compagno è molto oltre l'inusuale spensieratezza dei giovani e non credo basterà qualche facezia per spingerlo a fingere una banale irritazione e sfidarmi.

“Non devi aver faticato troppo, per trovarmi, visto che non mi stavo nascondendo.”

“Tutti noi ci nascondiamo, sempre” il suo tono è atono, la sua affermazione lapidaria. “Puoi aver perso l'addestramento e il buon senso, ma non credo tu abbia perso l'istinto.”

Vorrei potergli dare ragione, perché, in questa situazione, mi sarebbe particolarmente utile riconoscermi in quanto dice, ma se il mio istinto è quello che mi ha portato sulla cima di una torre, a schivare con folle disperazione gli artigli di un drago putrescente, pur di rimanere un ultimo istante con la donna che non ho saputo proteggere, come posso sperare mi appartenesse l'indole da vigliacco e parassita in cui sono stato allevato e che, adesso, potrebbe salvarmi?

Non che mi illuda di non essere stato un profittatore bastardo, insensibile e spietato. Lo ero e non me ne vergognavo. Ma i problemi morali sono l'ultima mia preoccupazione, in questo momento.

In parte è vero ciò che afferma con tanta sicurezza. Noi ci nascondiamo, in ogni attimo di vita, per salvare la nostra e ghermire quella delle nostre vittime. Nessun Corvo ha diritto alla pensione. Sapevo che, un giorno, qualcuno avrebbe bussato alla mia porta e mi avrebbe consegnato un pugnale dritto nel cuore, se non fossi stato abbastanza abile da mostrargli per primo la sua stessa generosità. Sarebbe stato molto più facile e sicuro sparire nel nulla, far perdere ogni traccia della mia esistenza, ma io non potevo farlo, non senza consegnare all'oblio anche una parte di lei. Un pensiero che mi è insopportabile più di qualsiasi tortura possano aver in serbo per me i miei vecchi mandanti.

La ferita pulsa ad ogni passo, sopratutto considerato che vengo strattonato, più che sorretto, nell'intrico di rami e radici del sottobosco.

Per un istante rimpiango la presenza delle teste vuote con cui mi ero abituato a viaggiare.

Oghren sarebbe potuto sbucare da un cespuglio e colpire il ginocchio del mio nemico, prima ancora che questi si rendesse conto di cosa fosse successo, mentre Alistair si sarebbe parato di fronte a me con il suo scudo luccicante, in una mirabile imitazione del perfetto paladino, dando tempo a Sten di spaccare la testa del bastardo, prima che Leliana potesse finire di recitare una preghiera per la sua anima.

Essere soli non ti costringe a vincoli, ma non ti rende più forte. C'era stato un momento in cui avevo quasi creduto a questa favola, ma poi era stata proprio la più cupa disillusione a spingermi tra le braccia dell'unica persona che mai avrebbe potuto farmi davvero trovare la fede.

“Devo sentirmi lusingato che abbiano mandato te, a uccidermi. Una leggenda per uccidere una leggenda, quanto meno appropriato.”

“Tu sei solo un traditore” ha replicato, sempre senza scomporsi, ma almeno non chiudendosi in un più pericoloso mutismo. “E se avessi dovuto ucciderti, saresti già morto.”

“Allora sei qui per salvarmi? Sei il mio principe dall'argentea armatura? Perché, se è così, ti avverto che non mi trasformerai in una bella principessa, con un bacio.”

“La tua ironia è famosa, quanto inopportuna. Eri un bravo assassino, ma sei sempre stato un pessimo Corvo.”

“Ti ringrazio, ma non serve che tu mi lusinghi, visto che, al momento, mi trovo costretto, comunque, a tollerare la tua sgradita compagnia” devo compiere movimenti leggeri, con le mani, perché il buio non riuscirebbe a nascondere i miei tentativi al suo occhio allenato. “Sapevo già di non rischiare la vita, ma questo ha solo stuzzicato maggiormente la mia curiosità.”

“Sbagli ancora.”

Potrei giurare, anche senza voltarmi a guardarlo, che abbia composto le labbra nella parvenza di un sorriso sarcastico, perché è quello che, per convenzione, meglio sia adatterebbe al suo tono.

“Se non rischi la vita è solo perché non ne hai più una che ti appartenga, dal momento in cui ci hai traditi. D'altra parte, se ancora non ti ho ucciso, è perché il tuo corpo, ancora cosciente e capace di urlare, vale più del tuo cadavere puzzolente.”

“Quanta banalità!” esclamo con fare teatrale. “Davvero i tuoi superiori non sanno inventarsi qualcosa di meglio della tortura, per salvare il loro presunto onore?”

“Quello che faranno di te non mi interessa e non credo troverai piacevoli i loro progetti, anche se non saranno originali.”

“Per pura curiosità, quanto ti pagheranno per quest'impresa?”

“Più di quanto potresti offrirmi tu, per convincermi a rilasciarti.”

“Adesso sono un eroe, mettimi alla prova.”

“Gli eroi sono poveri, per questo diventano eroi. E quando accumulano abbastanza ricchezza, allora diventano i cattivi.”

“In ogni caso non compro quello che posso prendermi gratis.”

“Saggia politica, quando puoi metterla in pratica.”

Vorrei sapere dove ci stiamo dirigendo. Per adesso abbiamo proceduto a piedi, ma non ha abbandonato il mio cavallo; potrebbe volerlo rivendere, come aggiunta al suo premio, o potrebbe usarlo per non affaticare il suo, costringendolo a portare un peso eccessivo per un viaggio troppo lungo.

Di certo alla fine del bosco non troverò risposte, ma ho bisogno di più tempo per cancellare le domande. In particolare, ho bisogno di tempo per scoprire dove tenga le chiavi di queste catene.

In un impeto di pura teatralità, mi accascio al suolo, gemendo appena, come farebbe qualcuno che, pur soffrendo orribilmente, non voglia mostrare la propria debolezza al suo nemico.

E' una danza sottile, quella che sto inscenando, perché la mia spalla sa danzarla come o più di me. Ma Malchom, il Corvo perfetto, non può immaginare quanta forza alberghi nella volontà di un traditore.

 

Ora inizio anche a inventarmi personaggi... ma sono solo comprimari, non temete ^_^

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Capitolo 38
*** Un momento ***


Mi strattona con maggior violenza, incapace di credere che provi tanto dolore da non riuscire a camminare, o, più probabilmente, indifferente a qualsiasi mia difficoltà, vera o presunta che sia. Finché avrò un alito di vita e sarò abbastanza in buono stato da poter apprezzare il servizietto che i suoi capi hanno in serbo per me, non gli interessa quanto atroce possa essere il mio viaggio. Tra l'altro sono certo abbia un'idea abbastanza precisa di cosa stia provando, visto che siamo tutti più che esperti nell'infliggere ferite. Ad ogni modo, continuo ad opporre una debole resistenza, sperando creda che, ormai, mi sia totalmente rammollito. Muovo un passo incerto, sempre piegato su me stesso, poi mi accascio nuovamente a terra, con un gemito appena più pronunciato.

“Smettila di comportarti da femminuccia” mi rimprovera, senza avvicinarsi. “Non sei un eroe da così tanto tempo.”

E' strano come ci abbiano educato a pensare al bene come a qualcosa di debole e tremebondo. Io stesso, quando accettai di annientare gli ultimi Custodi, mi aspettavo di trovarmi davanti un paio di mammolette supponenti e boriose, incapaci di affrontare la vita nella sua vera essenza, cioè tranelli e crudo assassinio; era un pensiero assurdo, tanto più considerando cosa vengano addestrati a combattere simili guerrieri, ma, nella mia mente, rappresentavano i paladini stolti delle storie da bambini e, quindi, potevano essere solo stupidi martiri, maldestri nel difendere se stessi.

Adesso che le mie vecchie convinzioni escono dalla bocca di un altro, mi accorgo di quanto fossi ridicolo nel credervi.

“Sto perdendo troppo sangue” sbotto a mezza voce. “Non sei così bravo come dicono, se non riesci neanche a calibrare un colpo di stiletto contro un uomo addormentato.”

Potrei aver trovato l'unico mezzo per stimolare una sua reazione, perché, per la prima volta, intravedo un barlume di emozione dietro lo specchio dei suoi occhi.

E' un lampo quasi impercettibile, ma è anche la mia unica speranza.

“Credo proprio non intascherai a pieno la tua ricompensa” ridacchio, gorgogliando, quasi volessi io stesso farmi beffe di lui. “Mi dispiace solo di non essere presente quando consegnerai un cadavere involontario alla gilda.”

“Per essere uno che sta per morire, hai abbastanza fiato in corpo” mi gira intorno, osservandomi con estrema attenzione, ma rimanendo a un passo di distanza da me.

Non muovo un muscolo e non mi volto a guardarlo, fingendo un impercettibile tremore, che potrebbe attribuire a un principio di svenimento.

Sono bravo nel recitare, almeno quanto Malchom può esserlo nell'indagare.

Devo ammettere, comunque, che questa forma di raffinatezza manca, in effetti, agli eroi, che si limitano a correre avanti con la spada sguainata, emanando fierezza e bellezza da tutti i pori, e non hanno bisogno di mirabolanti finzioni o intricati sotterfugi.

Forse è per questo che ci insegnavano a trattarli da sciocchi, senza pensare che occorre molto più coraggio e fermezza nel dimostrare la verità, piuttosto che nel nasconderla.

E poi, al di là di ogni speculazione teorica, Eilin era un eroe, quindi gli eroi sono, senza dubbio, creature meravigliose.

Per questo, credo, sarò in grado di sopravvivere anche a questa fastidiosa difficoltà; io ho combattuto con dei campioni, ma non sono mai diventato uno di loro, nonostante ciò che dica il mio non voluto compagno.

“Si faranno grasse risate, quando capiranno il perché tu stia consegnando loro un corpo senza vita, invece di uno ancora capace di emettere qualche gratificante urletto di dolore.”

“Tu non stai morendo” ringhia, con meno sicurezza di quanto voglia ammettere. “Sei solo un elfo bastardo che vuole fottermi, ma ti stai confondendo: sappiamo entrambi che quello abituato a calarsi le brache, per completare le proprie missioni, sei soltanto tu. Io non ne ho mai avuto bisogno.”

Stringo il pugno, involontariamente. So che sta mentendo, che tutti noi siamo stati puttane, oltre che assassini, ma Malchom è ancora un Corvo, quindi non prova la vergogna di un uomo, nel ricordare ciò che il suo corpo è stato costretto a sopportare.

Io, purtroppo, ho perso la capacità di nascondermi dietro al manto dell'indifferenza e non sono più capace di ridere delle carezze subite, o, a maggior ragione, di fingere, anche solo con me stesso, di averle apprezzate.

Non nego di aver avuto momenti divertenti, quando mi trastullavo nel letto di qualche graziosa fanciulla, magari prima di legarle un nastro di seta intorno alla gola, ma ci sono stati anche nobilastri bavosi e ruvidi cavalieri, ai quali ho sussurrato parole mielose nel veleno della notte, prima di vendicare un dolore che non conoscevo, infilzandoli col mio pugnale.

Anche per questo ero felice che Eilin avesse scelto Alistair, nonostante il mio egoismo desiderasse ardentemente ci scambiassimo di posto. Non sarebbe stato giusto sfiorare qualcosa di tanto bello e puro, con le mani sporche della vergogna di anni.

Di sicuro, se adesso il mio gentile amore potesse sentirmi, mi troverei con la guancia dolorante per un pugno ben assestato, perché non avrebbe tollerato mi svilissi tanto. I suoi occhi sapevano mondarmi da ogni colpa e mi vedevano in tutto ciò che ero, colpevole e vittima, perdonando l'uno e consolando l'altra.

“Sai, c'è chi condannerebbe il violentatore, più del violentato” cerco la forza per canzonarlo. “Pare ragionino così, nella società civile.”

“La società è la maschera dietro la quale si nasconde chi nasce vittima. Sei caduto veramente in basso, se hai deciso di indossarla.”

“Può essere, ma non dovrò convivere per molto con questa vergogna” sospiro, provando a rialzarmi e articolare qualche passo stentato. “Invece tu dovrai spiegare come hai fatto a uccidere involontariamente qualcuno di così inetto e affronterai questa ignominia per anni.”

E' velocissimo a sbattermi contro il tronco di un albero, ma anch'io ho buoni riflessi e riesco ad attutire il colpo, riuscendo anche a non darlo a vedere.

Adesso il suo volto è vicinissimo al mio e il suo corpo mi schiaccia con violenza, mentre mi afferra i capelli, torcendomi la testa all'indietro, in modo che possa guardarlo negli occhi.

“Sei solo una piccola sgualdrina inutile” mi sibila sulle labbra, sputando fiele. “Credi di essere furbo, ma io uccidevo sovrani quando ancora tu succhiavi il latte da quella puttana di tua madre.”

Esibisco quel sorriso irriverente che tanto sa far infuriare coloro a cui lo rivolgo.

“Ogni volta che insulti me, insulti te stesso, ex leggenda dei Corvi, che non ha saputo portare a termine un incarico tanto semplice contro un così patetico rivale.”

Non vorrei aver esagerato, perché noto una vena tremendamente gonfia sulla sua fronte e gli occhi sembrano iniettati di sangue.

Mi sferra un pugno sui reni che mi toglie il respiro, ma ha ancora abbastanza lucidità da non crearmi danni permanenti. Qualsiasi cosa possa dirgli, per innervosirlo, ammetto che il vecchio me stesso stia provando un briciolo di rispetto per la sua abilità. E' davvero un degno membro della gilda, se lo consideriamo secondo i loro parametri.

Oghren mi starebbe già rincorrendo per il bosco, con l'ascia alzata e i capelli ritti, gridando come un folle insulti irripetibili.

D'altra parte noi impariamo l'autocontrollo prima ancora dell'alfabeto. E impariamo anche che basta un istante per sovvertire l'ordine delle cose e trasformare una vittoria in sconfitta.

Questo è l'errore che ha commesso il mio nemico, questo è il momento che aspettavo per tornare ad essere ciò che non avrei voluto diventare.

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Capitolo 39
*** Nel frattempo ***


“Dove dannazione può essersi cacciato quello stramaledetto elfo, per le tette di Andraste?” Alistair non era solito bestemmiare, ma, negli ultimi due giorni, aveva dovuto concordare con Oghren in merito al valore catartico di un'imprecazione ben piazzata.

Aveva fatto setacciare la città palmo a palmo, interrogato ogni possibile testimone, distolto la guardia reale dai suoi usuali e più importanti compiti, pur di trovarlo, ma quel malefico assassino sembrava sparito in una nuvola di fumo. Nessuno l'aveva visto lasciare il castello, nessuno era riuscito a trovare una seppur minima traccia che indicasse dove fosse diretto.

“Avrei dovuto chiuderlo nelle segrete, non offrirgli una stanza” borbottò il re, rinunciando a consumare definitivamente il tappeto e sedendosi, con aria sconfortata, dietro ad una scrivania di quercia invasa da un ormai indistricabile disordine. “Dovevamo immaginare che avrebbe preso il volo.”

“E' evidente che non voglia farsi trovare” il nano era rimasto composto, con un leggero sorrisino stampato sotto la barba, a godersi l'insolita sfuriata del suo usualmente compassato amico e signore. “Tutto sommato, se non vuole il nostro aiuto, non possiamo imporglielo.”
“Io non voglio trovarlo per aiutarlo” Alistair lo guardò con occhi di brace. “Io voglio trovarlo per strangolarlo con le mie stesse mani.”

Zevran era il suo più stretto legame con l'unica cosa che avesse mai amato, era il suo rivale e il suo amico, la sua condanna e la sua nemesi. Solo il Creatore sapeva che non gli sarebbe importato di perdere le tracce di quell'odioso individuo, se Eilin non avesse creato quel legame così vivido tra loro tre, ma l'elfo era l'unico che potesse capirlo, l'unico che potesse aiutarlo. Non aveva il diritto di fuggire e decidere da solo il destino di tutti; non aveva il diritto di arrogarsi il compito di salvarla.

“Forse è per questo che non vuole farsi trovare” sbottò Oghren con una grassa risata, tenendosi la pancia prominente con la mano libera dal boccale. “Quell'elfetta ha un istinto di sopravvivenza molto sviluppato.”

L'occhiataccia che si guadagnò spense un po' il suo buonumore, ma non scoraggiò il nano, pur muovendolo a compassione.

“Calmati ragazzo, hai la faccia tutta rossa e tirata. Sembri uno di quei rospi di palude che Flemeth teneva sotto vetro” si alzò, per battergli, un po' maldestramente, la mano sulla spalla. “Wynne e Leliana sono già in viaggio verso la Torre, presto ci faranno avere notizie...”

“E mi impediranno di andare in suo soccorso” Alistair si passò la mano sugli occhi, prima di tirare indietro il volto, mostrando tutta la sua stanchezza. “Perché se è l'Oblio quello che ho avvertito, nessuna persona dotata di buonsenso mi permetterebbe di andarci a curiosare.”

Oghren si trattenne a stento dal dar voce a quanto entrambi sapevano, perché non c'era bisogno di parole per comprendere come fosse stata proprio questa consapevolezza a spingere Zevran alla fuga. Nessuna logica o prudenza avrebbero potuto fermarlo, se si trattava di Eilin.

“Mi sembrava che nemmeno tu fossi molto ansioso di infilarti in quell'inferno” disse invece, con tono piatto. “Hai dato la tua parola alla maga senza esitare.” Non voleva essere un rimprovero, ma Alistair si vergognò ugualmente della sua codardia.

Era stato suo marito, suo amante, suo compagno, le aveva promesso amore e protezione, aveva pianto per lei e rimpianto le sue scelta, ma adesso che si trovava nuovamente ad un bivio, tra la morale comune e il suo bene, pensava ancora di tradirla.

“Le buone sorelle avevano ragione, quando dicevano di non fare sesso prima del matrimonio” sentenziò con un sorriso privo di luce. “Se non mi fossi approfittato di lei, quella notte, forse le cose sarebbero andate diversamente, forse avrebbe scelto diversamente.”

“Forse tu saresti morto vergine come uno stupido” questa volta la mano si mosse più decisa, tirandogli un sonoro scappellotto. “Che razza di ciance vai facendo? Tu e Eilin eravate innamorati e, per quanto del buon sesso possa essere importante per rinsaldare un sentimento del genere, non credo tu fossi così bravo da aver potuto influenzare il suo affetto, solo portandotela a letto. Quindi è evidente che la ragazza ti amava per ciò che sei, non per il tuo orologio!”

“Quello che volevo dire è che non avrei dovuto legarla a me” bofonchiò, massaggiandosi il bernoccolo che già stava formandosi sulla sommità del suo cranio. “Zevran sarebbe stato un compagno migliore e ora potrebbero essere vivi e felici a metter su famiglia.”

“L'elfetta ha qualche buona qualità, non posso negarlo” si guardò intorno, quasi temesse di vederlo spuntare da un angolo per rinfacciargli quell'affermazione. “E tu non dovrai mai dirgli che l'ho ammesso! Ma il nostro capo, per chissà quale motivo, ha scelto te. Non era una stupida e non credo sia giusto sminuire la sua volontà, solo per sentirsi più in pace con la propria coscienza. Eilin si è presa la responsabilità delle sue decisioni. E' ora che tu faccia altrettanto.”

“L'ho fatto” Alistair quasi gridò, per la frustrazione. “E lei è morta.”

Aveva i pugni talmente serrati che delle gocce di sangue scivolarono sulla superficie lucida della scrivania, macchiando le mappe che vi erano affastellate.

Si fissarono per un lungo attimo, la furia devastata di occhi vuoti e sperduti riflessa nell'abisso calmo e triste di uno sguardo consapevole.

Fu un leggero, ma deciso, bussare alla porta che li riscosse, dando loro appena il tempo di ricomporsi prima che l'Arle irrompesse con prepotente decisione nella stanza.

“Questa follia deve finire, Alistair” non era solito usare il suo titolo, in privato, quasi a sottolineare il suo vecchio ruolo e la sua autorità. “Non potete continuare a sguinzagliare le guardie per le strade cittadine come fossero cani da fiuto, né potete perdere altro tempo con queste sciocchezze. Il regno ha bisogno di voi e i morti devono essere lasciati nelle tombe.”

Troppo preso dalla sua tirata non notò la luce assassina che, per un attimo, aveva illuminato gli occhi del suo pupillo, né si accorse del pericoloso tendersi dei muscoli delle sue spalle.

“Wynne mi ha informato, prima di allontanarsi, del motivo del suo viaggio. Mi ha chiesto di prendermi cura di voi...”

“Gentile da parte sua” il sarcasmo era così denso che si sarebbe potuto tagliare con la spada.

“E io ho intenzione di farlo, impedendovi di rendervi ridicolo e perdere il vostro prezioso tempo in faccende senza senso.”
“Senza senso?” adesso Alistair era in piedi, lo sguardo fisso in quello dell'uomo che aveva sempre considerato un padre, pronto a saltargli alla gola. “La mia sposa potrebbe essere imprigionata in qualche dannato ricettacolo d'inferno e preoccuparmene non avrebbe senso?”

“La tua sposa è morta!”

“Perché noi potessimo vivere, terrei a specificare” la voce di Oghren quasi non fu udita nel crepitio di elettricità che pervadeva l'aria.

“Devi rassegnarti” aggiunse Eamon, cercando di moderare il tono. “Per quanto possa essere doloroso, non sei l'unico ad aver perso qualcuno, in questa follia, ma sei l'unico che abbia il potere di aiutare e consolare quanti ancora stanno soffrendo.”

Il re si costrinse a soffocare le parole velenose che aveva in gola con un profondo sospiro. Sapeva che l'Arle era mosso solo dalle migliori intenzioni, che voleva aiutarlo a comprendere i suoi doveri, le sue responsabilità, ma nessuno le conosceva meglio di lui; aveva condannato a morte il suo stesso cuore, pur di fare la cosa giusta.

Si trovò a pensare a quanto Zevran fosse fortunato, nel poter decidere liberamente di se stesso, senza vincoli, senza problemi. In fondo era per quello che aveva sempre potuto far la parte dell'eroe, perché non era lui a doversi preoccupare della ricostruzione di un regno, non era lui a cui guardavano per ristabilire l'ordine, emanare nuovi editti, riportare la pace e la prosperità.

“Se fossi libero, non esisterei a correre da te, amore mio” sussurrò piano, tra sé e sé. “Se fossi libero dalle catene che tu mi hai imposto, sarei un passo avanti a lui, nel cercarti.” Ma seppe, nello stesso momento in cui lo diceva, di star ingannando la sua stessa anima, perché non era il senso del dovere a distinguerlo dall'elfo, non erano il peso della responsabilità, o il desiderio di giustizia a impedirgli di fare ciò che Zevran aveva già fatto. Forse, in passato, aveva condannato Eilin per un insensato senso dell'onore, ma adesso pensava di abbandonarla solo per paura.

Chinò il volto, schiacciato da quella terribile consapevolezza; era cresciuto temendo l'Oblio con ogni fibra del suo essere, aveva letto e visto cosa significasse cadere preda di quei demoni e non era certo di avere abbastanza forza per sconfiggerli. Ma se era solo questo a trattenerlo, poteva ancora combattere. Non avrebbe potuto disonorarla rinnegando ciò per cui l'aveva costretta a morire, ma poteva ben lottare contro i suoi timori infantili e andare dietro a quel disgraziato dalle orecchie a punta, aiutandolo a raggiungere il luogo dove il loro amore era tenuto prigioniero.

“Mi stai ascoltando?” la voce di Eamon era piuttosto seccata, quando penetrò il muro di pensieri che l'avevano soffocata.

“Veramente no” Alistair sorrise, il primo vero sorriso dopo mesi. “Ma non ha importanza. Vi affido la guida del regno per le prossime settimane Eamon, sono certo farete un lavoro eccellente come e più di quanto farei io.”

“Che stai dicendo?” era talmente sorpreso da non riuscire nemmeno a gridare. Persino Oghren rivolse uno sguardo perplesso al vecchio compagno, pur con un sogghigno speranzoso, mentre la mano correva d'istinto a saggiare la lama dell'ascia.

“Dico che dovrò assentarmi per un po' e che non ho timore a lasciarti le redini della baracca. La situazione si è abbastanza stabilizzata da permettermi di fare ciò che è giusto, senza rischiare di mandare tutto in malora.”

“Ma come? Cosa?”

Oghren era già sulla porta, mentre il Custode metteva il sigillo reale nella mano tremante dell'Arle, ancora sconvolto, stringendoglielo nel pugno con fare rassicurante.

“Potete sopravvivere benissimo senza di me, per qualche giorno, ma la mia regina non deve rimanere un secondo di più in quell'incubo. Dite questo a Wynne, quando tornerà.”

“Dove andiamo ragazzo?” la voce del nano sprizzava orgoglio e soddisfazione.

“Nell'unico posto dove Zevran abbia potuto pensare di trovare aiuto, dalla strega delle selve.”

E il sorriso di Oghren divenne anche più raggiante.

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Capitolo 40
*** Scontro ***


Il mio movimento è quasi impercettibile, un leggero alzarsi della spalla, una veloce inclinazione del busto e ottengo abbastanza spazio per caricare il colpo senza che il mio avversario possa mettersi in allarme. Si è avvicinato troppo a me, dimenticando la prudenza, probabilmente credendomi ormai incapace di creargli qualche difficoltà, o, forse, cedendo per un istante a una più che giustificata rabbia.

Per una volta è confortante scoprire come anche le leggende possano cadere.

Sento il suo corpo teso e fremente, mentre continua a schiacciarmi contro la ruvida corteccia di quest'albero, incerto se prendersi la banale soddisfazione di pestarmi a sangue o vincere il suo brutale istinto e mantenermi in buono stato per i suoi superiori.

Il suo volto rimane inespressivo, ma, adesso che ho scatenato una reazione vagamente umana in lui, potrei raccontargli nel dettaglio tutti i pensieri che si affollano nella sua mente, con un minimo margine di errore.

Malchom è forte, disciplinato e insensibile, non solo verso gli altri, ma anche verso se stesso; deve esserlo, per sopravvivere nella Gilda, ma possiede un difetto comune a tutti i Corvi: l'arroganza, portata ai massimi livelli dalla sua indiscussa abilità e dalla conseguente fama.

Anch'io ero arrogante, per quanto preferissi definirmi consapevole, ma la mia boria è morta nel momento in cui mi sono scoperto totalmente impotente di fronte al destino di chi avrei voluto proteggere. E adesso sono spaventato dall'idea di fallire di nuovo, dalla tremenda consapevolezza di non essere più abile del mio vecchio compagno, dalla constatazione realistica di non partire avvantaggiato, in questo scontro, e di non essere invincibile; ho riconosciuto i miei limiti e temo di non riuscire a superarli, ma non posso permettermi di esitare, né di lasciarmi sopraffare dai dubbi.

Forse adesso so di poter fallire, ma so anche che non lo farò, a nessun costo.

“Se ti sei messo in testa strane idee, sappi che non sei davvero il mio tipo” sussurro lascivo. “Preferisco uomini un po' meno incapaci.”

Il ringhio che gli fuoriesce dai denti non ha niente di umano e, se non fossi ciò che sono, potrebbe quasi intimorirmi. Lo vedo alzare il pugno, in un moto istintivo di vendetta, ma è un movimento impreciso, per quanto violento, e ho tutto il tempo di abbassarmi nella sua stretta, adesso meno ferrea, per colpirlo al naso con una rapida testata. Sento il dolore dell'impatto, ma avverto anche il confortante suono della cartilagine che si rompe, mentre, finalmente, sul terreno inizia a gocciolare sangue non mio. In un lampo sfrutto la forza del colpo che stava portando, per sbilanciarlo, infilando una gamba tra le sue e spingendolo indietro con una spallata.

Malchom è una dannata roccia, tutto muscoli e allenamento, ma io sono bravo a danzare, anche quando non posso usare le mani, e sono riuscito a guadagnare qualche metro di spazio e qualche secondo di vantaggio, anche se non sono stato in grado di farlo cadere.

Gli sporchi trucchi non mi hanno mai scandalizzato e non mi faccio problemi a centrarlo con un calcio ben piazzato mentre sta riacquistando l'equilibrio, costringendolo a piegarsi su se stesso, nonostante sia riuscito ad attutire gran parte del colpo.

Non riesco a nascondere un moto di frustrazione; è troppo in gamba per tentare uno scontro in queste condizioni, è più robusto di me, non è legato come un salame e si è preso molte delle mie armi, quando mi ha perguisito. La mia unica possibilità è riuscire a seminarlo, ma il cavallo è fuggito spaventato dal rumore e quindi non mi rimane altro da fare che tirargli in faccia un po' di terra e foglie, per distrarlo, e poi darmi ad una fuga precipitosa, mentre tento di aprire le manette con la chiave che gli ho sfilato dalla cintura, prima di colpirlo.

Ovviamente non è l'azione più semplice del mondo infilare questo aggeggio minuscolo nella sua minuscola serratura, mentre saltello tra radici e muschio, cercando di non perdere l'equilibrio, ma l'adrenalina è un incentivo potente e faccio in tempo a liberarmi un polso prima di voltarmi per colpire Malchom con quello stesso anello di ferro che mi imprigionava, usandolo a mo di mazza.

Miro al volto, ma colpisco la spalla, procurandogli ben poco danno e, immediatamente, sono costretto a una schivata di fortuna per non farmi infilzare da uno dei suoi coltelli.

Afferro al volo la lama e lo ripago con la stessa moneta, riuscendo a procuragli una piccola ferita al fianco, troppo leggera perché possa infastidirlo.

Con un movimento fluido estraggo dallo stivale il piccolo pugnale che non è riuscito a sequestrarmi e, per un attimo, rimpiango di aver perso l'abitudine di avvelenare le mie lame. Contro la Prole oscura era totalmente inutile e Eilin credeva non fosse una pratica molto corretta, verso altri essere umani. Non che combattesse come un paladino, rifuggendo da qualsiasi trucco o scorrettezza, anzi, era piuttosto aggressiva e determinata in battaglia, ma, semplicemente, non era un'assassina; in fondo è anche il motivo per cui sono ancora vivo

Comunque sia, in questa circostanza, è stato un comportamento sciocco e imprudente, che potrebbe costarmi più di quanto non voglia immaginare.

La mia unica fortuna, per adesso, è che il mio avversario non voglia ancora uccidermi, perché, altrimenti, non avrei probabilmente avuto scampo. Siano lodati il suo autocontrollo e il suo senso del dovere.

Malchom mi guarda con un odio indifferente, ormai padrone delle sue emozioni.

Ha un sorrisino ironico stampato a bella posta sul volto, ma gli occhi rimangono vuoti e freddi, mentre mi squadrano come fossi una preda succulenta.

“Mi complimento con te, bambolina” la sua voce è piatta, al di là del sogghigno in cui prova a modularla. “Sei ancora capace di tirar fuori gli artigli, a quanto pare. Bene, almeno mi potrò divertire un po'.”

Se gli voltassi le spalle adesso non avrei scampo, così ignoro il pulsare sordo della ferita e scatto in avanti, con un affondo fulmineo, a cui risponde estraendo la spada e deviando il colpo.

Ci stiamo studiando, ma non ho tempo per i giochetti. Ha più probabilità di me di vincere, se portiamo troppo in lungo questo combattimento.

Senza staccare gli occhi dai suoi, analizzo il terreno di scontro, consapevole che il mio avversario stia facendo lo stesso.

Foglie secche, pietre scivolose, rami spezzati e radici contorte. Non ci sono molti spazi favorevoli in cui spostarsi. Schivo la sua lama quando è a pochi centimetri dal mio collo e ruoto su me stesso, portandomi alle sue spalle e colpendolo con un calcio al ginocchio.

Grugnisce e si piega, ma riesce a rotolare via dal mio attacco.

Sono indebolito e continuo a perdere sangue, per colpa di questa maledetta ferita, che diventa più fastidiosa man mano che combatto.

Lo incalzo, costringendolo a arretrare, giocandomi il tutto e per tutto in una serie di affondi velocissimi, che gli aprono vari graffi sul petto e sulle braccia, ma che, purtroppo, non raggiungono nessun organo vitale.

Spero di portarlo con le spalle contro un albero, bloccandogli la via di fuga, ma proprio quando penso di esserci riuscito, spicca un balzo incredibile, data la sua mole, e, aggrappandosi ad un ramo, si arrampica fuori della mia portata, per poi lanciarmisi contro dall'alto.

Una mossa che avevo previsto e che le mie preghiere al Creatore non gli hanno impedito di compiere, così sono pronto a scansarmi, ma una gamba mi tradisce e non riesco a evitare del tutto la sua lama, che si insinua con precisione chirurgica nella minuscola fessura tra il mio pettorale e gli spallacci di cuoio.

Lo sento ridere e, infischiandomene del danno che potrei procurarmi, mi strappo via il pugnale dalla spalla, colpendolo al ventre con lo stiletto che tengo nascosto nei bracciali.

Sento il ferro penetrare a fondo nella carne, ma Malchom non è un uomo comune e, probabilmente, ha in corpo tanta di quella droga da non avvertire nemmeno dolore, così non perde neppure tempo a guardare la ferita, ma mi si getta contro con tutto il suo peso, schiacciandomi a terra prima che abbia modo di sfuggirgli.

Mi tira un pugno violento all'altezza dei reni, togliendomi il fiato, mentre ruoto nella sua presa, per trovarmelo di fronte, imponente e eccitato dalla lotta, con la spada puntata contro la mia gola.

In questo momento so che potrebbe anche uccidermi, dimenticandosi totalmente gli ordini ricevuti, così rimango immobile e lascio cadere il pugnale, in un gesto di resa.

Lo osservo ansimare pesantemente, non tanto per la fatica, quanto per cercare di ritrovare la calma, e rimango immobile, per non interrompere la sua concentrazione, visto che, ora come ora, la mia vita si basa sulla sua capacità di riacquistare la freddezza per cui è tanto famoso.

Di certo scivolare nell'ombra alle spalle di un bersaglio, uccidendolo senza far rumore, non è divertente quanto un bel combattimento e, evidentemente, il glaciale Malchom non è immune al fascino del duello, visto che sembra trasfigurato dall'ebbrezza dello scontro.

Mi sto chiedendo come sfruttare questa scoperta a mio vantaggio, quando lo vedo sgranare gli occhi e spalancare la bocca in un grido strozzato, mentre il suo corpo si irrigidisce e si inarca in uno spasmo innaturale.

Ne approfitto per liberarmi di lui con un calcio e, non appena il suo corpo cade di lato, mi trovo di fronte una figura bassa e tozza, intenta a estrarre una pesante ascia da lancio dalla schiena del cadavere.

“Un'elfetta per bene non dovrebbe girare per il bosco tutta da sola” mi canzona Oghren. “Potrebbe incontrare il lupo cattivo.”

La sua risata riecheggia tra gli alberi, coprendo solo in parte il fruscio degli stivali di Alistiar, mentre esce da dietro un cespuglio, con la balestra scarica in una mano e uno sguardo omicida negli occhi.

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Capitolo 41
*** Requiem ***


So che i morti dovrebbero essere lasciati riposare in pace, ma se quella pace viene loro negata, è così sbagliato lottare per ottenerla?

A volte la vita richiede coraggio, ma la morte dovrebbe promettere solo serenità.

Avevo sognato giorni di sole e volti sorridenti. Avevo riso per finte battaglie e facili vittorie, professando un onore da romanzo e desiderando in segreto un amore da fiaba, ma mai avevo pensato alla morte, né creduto davvero potesse esistere.

Ero invincibile e immortale, come tutti i ragazzi.

Ero forte e senza paura, come gli eroi delle leggende.

Non c'era avventura che non potessi compiere, né montagna che non potessi scalare.

Il mondo era bello e facile, racchiuso tra mura di soffice bambagia, da cui volevo fuggire, sapendo che avrei sempre potuto tornare a rifugiarmi in esse.

Vivevo un'illusione e l'illusione era reale, in una notte fatta di sole, su cui mai avrei creduto sarebbe sorta l'alba.

Avevo gli occhi chiusi quando la luce li ha raggiunti, bagnandoli di sangue; avevo lo sguardo colmo di utopie quando il sogno si è infranto in un pulviscolo di lacrime.

Il mondo ha bussato alla mia porta e richiesto il suo prezzo, in un incubo in cui le battaglie non conoscevano gloria e la vittoria pretendeva in cambio dolorose sconfitte.

L'infanzia era finita e non c'era tempo per l'adolescenza.

Non c'era più musica intorno a me, ma clangore di spade; non c'erano voci gentili, ma grida dissonanti di mostri inimmaginabili. Gli amici erano diventati avversari e i giochi si erano trasformati in dolore. Non c'erano speranze, ma solo distruzione. Tutto ciò che di bello e giusto conoscevo era diventato sbagliato.

La primavera era finita e tutti sembravano pronti ad accogliere il più triste degli inverni.

Eppure io desideravo ancora vivere un'estate, per quanto rovente di pianto e riarsa di dolore.

Desideravo credere che il sogno sarebbe tornato e avrebbe nascosto il fuoco con il luccichio lontano delle stelle.

Ho combattuto per un tramonto gentile e gocce di rugiada.

Ho combattuto per un onore da romanzo e un amore da fiaba.

Ho combattuto anche quando ho saputo che potevo morire.

E ancora sognavo che lui avrebbe riempito i miei giorni di magia, che mi avrebbe strappato dall'incubo per racchiudermi tra mura di soffice bambagia.

Ho sognato anche alle soglie dell'autunno, quando il nostro albero era spoglio e il tronco congelato, perché gemme nascessero sui rami scheletrici e i fiori tornassero a sbocciare.

Ma non è stato lui a raccogliere i miei ultimi petali e non sarà lui a salvarmi ora che non posso salvare me stessa.

Non è mai buio, in questo luogo surreale, né c'è mai veramente luce.

Credevo che morire sarebbe stata la parte più difficile, ma non immaginavo che la vera tortura sarebbe iniziata dopo, quando non avrei avuto più armi con cui difendermi, né speranze per cui lottare.

Le mie radici erano solide, non mi sono mai chinata alle tempeste che spazzavano la terra intorno a me, ma ora sono polvere nel vento immobile che mi disperde atomo dopo atomo e qualcosa di oscuro e potente brama la mia anima, non più solo mia.

Ho paura e non posso piangere.

È ancora con me e mi lega con le stesse catene che lo imprigionano in quest'abisso; l'arcidemone, il dio corrotto che ho sconfitto, anela la sua vendetta.

Io sono il suo sigillo e lui è il mio. Lotta con la mia volontà, confonde i miei ricordi, si nutre di me come un parassita. Istante dopo istante la sua corruzione si riversa nel cuore che più non possiedo, trasformandomi.

Non posso impedirlo e presto non riuscirò a contrastarlo. Sono stanca e le catene sono pesanti su questo strano corpo incorporeo che ancora custodisce le mie sembianze.

Ho chiuso gli occhi nella luce accecante e li ho riaperti nella penombra, confusa e smarrita.

Ho abbandonato le mie spoglie mortali sulle pietre sbreccate di una torre in rovina e mi sono rialzata su lucide lastre di marmo nero, circondata e oppressa da svettanti guglie di tenebra, leggiadre e orribili come dita di sangue protese verso un orizzonte violaceo.

Fuggire è impossibile e forse non esiste salvezza, perché non posso morire ancora.

Eppure ho gridato il loro nome, quando il terrore ha vinto l'altruismo, quando la rabbia ha superato la forza. Ho gridato e continuo a gridare, perché non posso accettare di sparire in quest'incubo o, peggio, trasfigurarmi in esso.

In vita ho amato due uomini, uno nei miei sogni di fanciulla, l'altro nella mia realtà di donna. Ad uno ho donato corpo e cuore, all'altro tutta la mia anima. Ho giurato a me stessa di proteggerli entrambi, ma adesso grido il loro nome e li trascino nell'abisso.

So che verranno e temo lo facciano; so che uno di loro mi salverà e temo di non riuscire a salvarlo.

Serro le labbra, ma il loro nome riecheggia con forza intorno a me e si disperde nei vicoli deserti di un glorioso passato.

Zevran mi troverà, laddove Alistair sarà costretto una volta ancora ad abbandonarmi, per il dovere che io stessa gli ho imposto.

Zevran mi troverà e mi cullerà finché non arriverà la pace, come fece in quella lunga notte in cui l'ultimo sogno si infranse, come fece in quella fugace notte in cui l'ultimo alito di vita si spense.

Grido di dolore e disperazione, perché sono morta per salvarli e nella morte rischio la loro dannazione.

Non posso accettare di metterli in pericolo e non riesco a contenere l'immane bisogno che ho di loro.

Prego che il re mantenga il suo ruolo, ma quale forza potrà mai trattenere l'assassino, se l'altra metà della sua anima lo chiama a rinnegare la salvezza che in un giorno lontano gli aveva donato?

 

Ammetto di stare palesemente reinventandomi l'ambientazione del gioco! Spero nella vostra indulgenza e spero di non snaturare troppo la “realtà” di Dragon Age. Non ho idea di cosa potesse accadere al Custode, dopo il sacrificio, ma mi sembrava piuttosto logico che non potesse ottenere la pace, da lì tutta questa storia... Un mega grazie a chi ancora mi sta leggendo!

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Capitolo 42
*** Perché mi avete cercato? ***


“Forza, spostati da lì” Oghren tirò via il corpo senza vita di Malchom, liberando le gambe dell'amico. “Sei tutto da rattoppare e hai un aspetto orrendo.”

In effetti Zevran non si sentiva al massimo della forma, ma lo stupore di esserseli visti piombare davanti era tale da cancellare anche la sua capacità di avvertire il dolore.

“Smettila di guardarlo come se volessi sbranarlo, Alistair, e dammi una mano. L'elfetta deve aver sbattuto la testa troppo forte e ora è sotto shock.”

I due compagni non si mossero, né proferirono parola. Continuavano a fissarsi con occhi cupi e determinati, sfidandosi reciprocamente a sfuggire a quel confronto silenzioso, misurando la determinazione l'uno dell'altro in un duello di volontà il cui unico scopo era sapere quanto di loro sarebbero stati disposti a perdere, pur di raggiungere una vittoria comune.

L'assassino non si fidava di chi, solo poco tempo prima, aveva scelto la propria anima, invece del proprio cuore; il re non tollerava di scorgere il suo sacrificio trasformato in colpa, nello specchio senza fondo di un'anima che non conosceva il peso di portare la vita di un regno sulle spalle.

Se le circostanze fossero state diverse, non avrebbero mai accettato di tornare a viaggiare insieme; non c'era niente che li unisse, niente che potesse spingerli a cercare la reciproca compagnia, se non il ricordo suppurante di un dolore troppo vivo per essere perdonato.

Eppure, adesso che si erano ritrovati, lontani dal mondo e dal presente, persi in una caccia insensata e imprescindibile, votati ad una missione suicida e salvifica, entrambi si stavano rendendo conto che non avrebbero potuto raggiungere da soli il proprio scopo, che avrebbero avuto bisogno l'uno dell'altro, così come lei aveva avuto bisogno di entrambi, per ottenere l'unica vittoria che avrebbe potuto dar loro la pace.

Fu Zevran a rompere per primo il silenzio, con un sospiro basso che era anche un'offerta di tregua.

“Come dannazione avete fatto a trovarmi?”

Alistair contrasse le labbra, ancora restio ad accettare l'inevitabile, nonostante avesse iniziato quel viaggio proprio per ottenerlo.

“Non abbiamo trovato te” bofonchiò Oghren, lanciando un'occhiata di fuoco al Custode, perché la smettesse di comportarsi da idiota e si decidesse finalmente ad essere uomo.“Abbiamo seguito lui.” Alzò la testa dell'assassino, scuotendolo per i capelli, come avesse avuto in mano un pezzo di stoffa stropicciata.

“Immaginavo dove ti saresti diretto” il re distolse lo sguardo, quasi che costringersi a rivolgergli la parola consumasse tutta la sua determinazione. “Ma non riuscivamo a trovare le tue tracce.”

“Sei bravino, per essere un'elfetta” deciso a non lasciarsi coinvolgere nella follia comune, il nano iniziò ad armeggiare con bende e unguenti, assumendo un'aria più comica che professionale e guadagnandosi un'occhiata dubbiosa a cui rispose con un gesto poco signorile del dito.

“Poi ci siamo accorti di non essere i soli a fare domande sul tuo conto. Hai una discreta schiera di nemici, se proprio vuoi saperlo.”

“Molti nemici, molto onore, giusto?” voleva essere ironico, ma suonava solo sarcastico.

“Certo” Alistair ricacciò in gola le parole velenose che gli erano quasi sfuggite dalle labbra. “In ogni caso, i tuoi molti nemici ti cercavano e direi che ti stiano ancora cercando, eccezion fatta per questo qui, che ora è cadavere.”

“Ci siamo detti: chi meglio di un corvo, per prendere un corvo? Ne abbiamo rintracciati un paio e abbiamo scelto quello che si dirigeva più o meno nella zona in cui anche noi credevamo di trovarti.”

“Non è stato facile seguirlo senza farci notare, era abile e acuto; per fortuna, man mano che si avvicinava alla preda, sembrava isolarsi sempre più da quanto aveva intorno. Probabilmente era troppo sicuro di se stesso, per preoccuparsi di possibili nemici.”

“E ha dimostrato pienamente la sua stupidità prendendosi la mia ascia dritta dritta in quella testa vuota.”

“Malchom era un avversario temibile, un assassino spietato. Siete stati bravi, anche se doveva essere molto peggiorato, negli ultimi mesi, per non accorgersi di essere seguito da un nano con un alito così pesante da uccidere i passeri a trenta metri di distanza. Ahi!”

“Scusa, ti ho fatto male?” la voce di Oghren era candida quanto un fiocco di neve, mentre stringeva con più forza la fascia intorno alla spalla dell'amico, facendo leva con lo stivale contro i suoi reni. “E, comunque, siamo sempre rimasti sottovento.”

Nè Zevran, né Alistair riuscirono a trattenere un sorriso, subito nascosto non appena si resero conto di averlo condiviso.

“Perché mi avete cercato?” questa era la domanda più importante, l'unica che meritasse davvero una risposta, perché se avessero confessato di aver fatto tutta quella strada solo per riportarlo indietro, sarebbe stato costretto a deluderli e forse anche a ferirli, o peggio, pur di non rinunciare al suo scopo. Nessuna elucubrazione razionale o sermone su beni superiori avrebbero potuto distoglierlo dal fare l'unica cosa possibile.

“Perché tu non sai a cosa vai incontro” sibilò Alistair, tornando finalmente a fissarlo con aria di sfida. “Ma io sì.”

“Credi che non sappia cosa sto facendo?”

“Credo tu non sappia cosa stai rischiando.”

“Sono pronto a rischiare tutto.”

“Anche lei?”

Quella domanda aveva un'unica risposta, ma per Zevran non era necessario pronunciarla, quanto scoprire i motivi della domanda stessa.

“Tu non conosci le leggi che regolano l'Oblio” continuò Alistair, infervorato dall'ansia di spiegargli la gravità delle possibili conseguenze dei suoi gesti e incoraggiato dal suo silenzio. “Nessuno le conosce, nemmeno i maghi, che pure sono gli unici ad averne almeno una vaga idea; per questo usano i Templari, durante le loro prove. C'è anche chi dice che l'Oblio non segua nessuna legge, né fisica, né metafisica. E' un mondo assurdo e crudele, abitato da creature ancora più assurde e crudeli. L'hai ben visto, durante il nostro viaggio.”

“Ricordo bene Connor, non preoccuparti. E ricordo anche le scaramucce alla Torre del Circolo. Vai al punto, Alistair, perché niente di ciò che stai dicendo è una novità.”

“Non voglio essere originale, voglio solo che tu capisca la gravità delle tue azioni, prima di compierle” la sua rabbia era a stento trattenuta dalla patina di civiltà del suo tono. “E non voglio neanche impedirti di realizzarle, anche se ogni fibra del mio essere si ribella a quest'idea e ti odia per avermi costretto ad accettarla.”

Si chinò su di lui, sputandogli le ultime parole direttamente sulla bocca

“Voglio solo aiutarti, dannazione!”

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Capitolo 43
*** Decisione ***


Per quanto in fondo al cuore se l'aspettasse, Zevran non riuscì a trattenere un moto di stupore nell'udire quell'incresciosa dichiarazione, espressa con tono tanto sincero e affranto, da qualcuno che probabilmente avrebbe preferito tagliarsi un braccio piuttosto che aver a che fare con lui e con la sua folle ricerca.

Alistair temeva l'Oblio, era stato cresciuto in quella paura, educato ad essa, come ogni individuo dotato di un briciolo di saggezza, eppure, adesso, se ne stava davanti a lui senza battere ciglio, con il volto teso in una determinazione eretta su fondamenta di ineluttabilità, pronto a offrirsi volontario per una missione semi suicida che divergeva da ogni suo principio morale.

Pur non volendo, era impossibile non ammirarlo per un gesto tanto disperato, dettato unicamente dall'amore e dal rimorso, per quanto l'elfo continuasse a ritenere inutile rimpiangere ciò che si sarebbe facilmente potuto scongiurare.

“Tu non sai a cosa corri incontro” continuò Alistair, con voce piatta e roca, quasi inudibile. “Non sai nemmeno come entrare nell'Oblio o se sia possibile farlo.”

“Tu sì?” non era certo di esser riuscito a mitigare il sarcasmo, ma non aveva intenzione di scusarsene, anche se un frammento della sua anima lo pungeva con vecchi ricordi di polverosi combattimenti fianco a fianco e avventurosi bivacchi vicino al fuoco.

Vederli spuntare dal nulla, proprio un attimo prima del disastro, aveva fatto breccia nel muro di insensibile rancore che si era eretto intorno, provocando in lui un'ondata di gratitudine mista a sollievo che, però, non poteva fargli dimenticare di star parlando con l'assassino involontario e consapevole di colei che aveva promesso di salvare.

“Nessuno sa niente di queste fesserie” si intromise Oghren, allontanando il Custode con una spallata, mentre finiva di mummificare il ferito. “I maghi si tengono stretta la loro versione della storia, spacciandola per verità, e i Templari fomentano la superstizione, terrorizzando i poveracci, ma il Creatore incenerisca la mia fiaschetta e ci faccia saltare tutti in aria se crederò mai che non esistano altre possibilità.”

Zevran lesse lo scetticismo negli occhi dell'antico compagno, ma anche il desiderio smisurato di credere in una bugia rassicurante. Non per la prima volta, si chiese cosa fosse giusto fare, cosa lei avrebbe voluto che facesse. Un aiuto gli avrebbe fatto comodo, come aveva appena constatato, con sommo disappunto, ma era dura tollerare l'idea di affidarsi proprio a chi gli aveva tolto tutto. In realtà conosceva molto bene la risposta; era quella per cui si era lasciato convincere a recarsi un'ultima volta al castello ed era anche quella per cui non aveva spaccato la faccia al suo re, non appena aveva promesso a Wynne di non far niente senza il suo consenso: Eilin aveva perdonato Alistair per averla condannata, così come, in un tempo ormai troppo lontano, aveva perdonato lui per averla assalita, quindi come poteva un umile assassino arrogarsi il diritto di condannare chi mostrava di essere tanto pentito per la propria colpa?

Assolverlo era impensabile, giustificarlo inconcepibile, ma poteva almeno tollerare di aiutarlo a redimersi, accrescendo proporzionalmente le proprie possibilità di avere successo.

Inoltre il Custode aveva compiuto il primo passo sulla strada della perdizione e guadagnato un po' di punti nella sua stima, infrangendo la parola data a quella maga bigotta e tremebonda che avrebbe lasciato il suo vecchio capo a marcire tra atroci sofferenze, pur di non rischiare il suo prezioso fondo schiena.

“Se vi ricordate bene, già una volta abbiamo dimostrato come i barbogi della Torre non siano tanto onniscienti” continuò il nano, incurante delle elucubrazioni mentali che facevano tacere i due stolti spilungoni che doveva portarsi appresso. “Dicono che soltanto i maghi possano raggiungere l'Oblio, ma, mentre salvavamo la loro baracca, ci siamo finiti tutti e posso garantirvi che nessuno meno di me ha un briciolo di magia in corpo.”

“Però fu un demone a spedirci lì” protestò Alistair, saggiamente. “E mi auguro di non trovarmene davanti un altro.”

“Date le circostanze, non credo si possa rifiutare un aiuto, da chiunque arrivi” le fasciature erano più fastidiose delle ferite stesse, ma Zevran evitò di lamentarsi, intimamente commosso dalle maldestre cure di Oghren. “Comunque non avevo in mente strani rituali d'evocazione.”

“So cos'hai in mente e non è un piano molto più prudente.”

“Però decisamente più affascinante” sogghignò il nano, assumendo per un attimo uno sguardo ebete. “Quella maga ha un davanzale così sfacciato da far invidia a Felsi.”

“E anche il carattere non è da meno” borbottò l'elfo, schivando all'ultimo secondo una gomitata in parti sensibili e ancora sane del suo corpo. “Morrigan era affezionata a Eilin, a suo modo. Se esiste una possibilità per salvarla, sono sicuro che non si tirerà indietro.”

Evitò di accennare al fatto che fosse stata proprio la maga a ventilare l'unica soluzione possibile perché tutta quella storia non finisse in tragedia, se solo qualcuno avesse avuto abbastanza buon senso da accettarla, anche perché era certo vi stesse pensando pure Alistair, con quel suo sguardo crucciato e l'aria mesta.

Forse era un'illusione e la strega delle Selve li avrebbe spediti all'inferno senza mezze parole, ma se già una volta era stata ambasciatrice di un rimedio ignorato dai Custodi stessi, che pure avrebbero dovuto essere le somme autorità in materia di Arcidemone e Flagello, avrebbe ben potuto scovare un qualsiasi trucco o incantesimo proibito capace di aiutarli.

“Non voglio impedirvi di venire con me” sentenziò infine, incerto se avrebbe dovuto pentirsi della propria decisione. “Ma sappiate che io ho intenzione di salvare Eilin a qualsiasi costo e con qualsiasi mezzo, lecito o illecito, a meno che non debba massacrare un villaggio di bambini o torturare un centinaio di vergini, azioni che il nostro capo disapproverebbe eccessivamente. La mia anima è già nera, ma sono pronto a macchiarla con ogni altro peccato immaginabile, pur di tirarla fuori da quell'incubo, per cui, se pensate di sollevare vuote obiezioni moraliste una volta che avremo trovato una soluzione, non fatemi perdere tempo e lasciatemi andare per la mia strada.”

 

Uhm... la sto tirando troppo per le lunghe? ^_^ Non so mai dove possa andare a parare quando inizio un capitolo, ma posso assicurare che dovrebbero esserci delle svolte già dal prossimo! Grazie mille a chiunque continui a seguire questa ff e grazie millissime a chi ha la pazienza di continuare a incoraggiarmi e consigliarmi con le recensioni.

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Capitolo 44
*** Confessioni ***


“E' peggio che cercare uno stramaledetto ago in uno stramaledetto pagliaio!” sbottò, non per la prima volta, Oghren, mentre cercava con poco successo di liberare l'ascia dalle costole spezzate di un lupo macilento. “Anzi, l'ago, almeno, non può andarsene in giro sulle proprie gambe, portando un bel paio di tette a destra e sinistra per queste puzzolenti lande, senza concederci il piacere di osservarle.”

“Non siamo neppure certi di trovarla qui” aggiunse Alistair, per consolidare l'ottimismo. “Adesso che Flemeth non c'è più, quella maga rinnegata potrebbe essersi diretta ovunque a compiere i suoi malefici.”

Zevran non rispose, ormai abituato alle loro vuote lamentele e indifferente a qualsiasi difficoltà, vera o presunta, potessero rappresentare. Erano passati tre giorni dal loro incontro e non avevano individuato il benché minimo indizio che potesse portarli da Morrigan, ma, nonostante l'umore del gruppo fosse notevolmente peggiorato ora dopo ora, per lui questo era un risultato preventivato. Tanto più che non era neanche certo fosse quella la fine della sua ricerca, nonostante le labili speranze a cui continuava ad aggrapparsi; per quanto la strega avesse dato prova di essere a conoscenza di segreti interessanti, di certo non era onnisciente o onnipotente e poteva anche esserci la seppur remota possibilità che non avesse, comunque, alcuna intenzione di aiutarli. Per quanto ne sapeva, quella strana donna poteva anche essere nei paraggi a osservarli con un sorriso sarcastico dipinto sul volto e il bastone pronto a lanciare una palla di fuoco che li avrebbe inceneriti in un istante. Non escludeva questa eventualità, che anche Alistair aveva bofonchiato a mezza voce solo la sera prima, davanti al pezzo di pane secco che aveva costituito la loro cena, ma non ci credeva troppo.

A differenza del Custode, Zevran aveva riposto quasi subito fiducia in Morrigan, se non altro perché sentiva quanto Eilin tenesse a lei; non era una dolce fanciulla indifesa, con gli occhi colmi di stelle e il cuore gonfio di buoni sentimenti, ma il suo cinismo non era gratuitamente crudele e il suo egoismo derivava forse più dall'abitudine che da un'istintiva indifferenza per il resto del mondo. Si era sinceramente affezionata al loro capo, non c'erano dubbi al riguardo e, seppure i suoi sentimenti avrebbero potuto essersi annacquati, in quei lunghi, faticosi mesi, l'elfo non riusciva a credere che si sarebbe davvero rifiutata di aiutarli, se avesse potuto farlo.

In ogni caso, aveva pronto anche un piano di riserva, di cui non aveva fatto parola ai suoi compari, perché non sapeva come avrebbero preso l'idea di introdursi furtivamente nella Torre del Circolo e rubare un po' di libri dalla sezione proibita, giusto per farsi una cultura che andasse oltre la dottrina che quei maghetti volevano inculcare a tutti loro poveri sciocchi.

“Dovremmo spingerci un po' più a nord” Oghren poggiò una mano sulla spalla dell'ex-templare, stringendola brevemente, in un moto di ruvida tenerezza piuttosto insolito, per lui. “A meno che non la troviamo davvero nella sua vecchia casa e mi ci giocherei la barba che non sarà lì.”

Alistair non replicò, ma strinse con più forza il pomo della spada, chiudendo gli occhi per un attimo, e Zevran non se la sentì di biasimarlo, o deriderlo, per la sua comprensibile riluttanza a dirigersi di nuovo in quel luogo così gonfio di ricordi, per quanto non comprendesse, a quel punto, come riuscisse a vivere a pochi passi dalla torre dove lei aveva perso la vita.

Ostagar. Il luogo dove tutto aveva avuto inizio, dove il destino dei Custodi grigi aveva quasi raggiunto un ingiusto epilogo, dove la polvere era rossa del sangue di centinaia di eroici guerrieri, traditi e massacrati dalla follia crudele di un fanatico invasato.

Ostagar, simbolo della crudeltà e della disperazione, cuore straziato del Flagello, culla martoriata del riposo eterno di un intero ordine e del suo comandante, l'austero e indomito Duncan, guida e padre per Alistair, speranza e coraggio per chiunque avesse creduto in lui.

“Auguriamoci che non ce ne sia bisogno” si sentì in dovere di rassicurarli Zevran, per quanto fosse consapevole di star praticamente mentendo. “In fondo non credo ci sia niente di interessante per la strega, tra quelle rovine.”

“Giusto, giusto” bofonchiò il nano, cogliendone lo sguardo d'intesa. “E Morrigan non è tipa da perder tempo in melense rimembranze.”

“Posso affrontarlo” la voce di Alistair era cupa e atona. “Apprezzo la vostra sollecitudine, ma non ho bisogno di pietà. Potrò camminare tra i resti dell'accampamento senza mettermi a piangere come una femminuccia.”

Zevran si trattenne dal ricordare le varie volte in cui i fatti avevano smentito quei buoni propositi, ma auspicò che stavolta si rivelassero sinceri; non sapeva se avrebbe tollerato di vederlo versare lacrime per qualcuno che non fosse la sua sposa ed era certo non avrebbe giovato ai loro rapporti se l'avesse preso a pugni mentre frignava sul presunto tumulo del suo mentore.

“Auguriamoci di trovarla a casa” mormorò tra sé e sé, alzando gli occhi al cielo. “Per il bene di tutti.”

“E allora muoviamoci” intervenne il nano, con pratica saggezza. “Di certo non arriveremo da nessuna parte stando qui a rimirare le mosche.”

Erano una strana compagnia, legata dal passato e dal futuro, ma incrinata dal presente, retta da una volontà più forte degli interessi e dissapori personali, fondata su una solida base di fiducia e lealtà reciproche, ma scevra da quell'entusiasmo doloroso e catartico che l'aveva mossa durante i faticosi mesi di esplorazione e battaglie per sconfiggere l'arcidemone. Era stata Eilin a riunirli intorno a sé, dando a ciascuno di loro lo scopo e il coraggio, ed era di nuovo lei a tenerli vicini, dopo che la sua morte li aveva divisi, dando loro il sogno e la consolazione, ma le vecchie ferite non si potevano semplicemente dimenticare, soprattutto quando ancora vomitavano pus e sangue, e per quanto gli antichi compagni potessero fingere di aver trovato la pace in nome di un bene comune, nei loro gesti e nelle loro parole si respirava il disagio sussurrato di un fragile cameratismo di facciata.

La capanna era vuota e polverosa come il cuore della sua precedente proprietaria. Gli scaffali erano stati saccheggiati da libri e pozioni, il baule era aperto e vuoto per metà, ma non sarebbe stato facile capire quando qualcuno avesse messo piede lì dentro per l'ultima volta, perché le uniche impronte visibili sullo strato immacolato di sporcizia che ricopriva il pavimento erano le loro.

Non c'era molto da dire e ogni commento sarebbe suonato banale.

Non si erano davvero aspettati di trovarla, ma ciascuno, per motivi diversi, era deluso e frustrato per l'insuccesso preventivato.

“Quasi quasi avrei preferito ritrovarmi davanti un'altra volta Flemeth in forma di drago” si lamentò Oghren, lasciandosi cadere pesantemente su una sedia traballante, che scricchiolò penosamente sotto il suo peso, ma riuscì miracolosamente a reggerlo. “Almeno avremmo potuto torchiarla per avere informazioni.”

“Non è facile torturare un drago” cercò di scherzare l'elfo, senza smettere di cercare indizi, per quanto infimi, in ogni angolo della stanza. “Io sono un cultore di quell'arte, ma non saprei da dove iniziare.”

“Potremmo tenerla ferma per la coda e poi...”

“Io credo siano almeno quattro o cinque mesi che non torna qui” li interruppe Alistair, scuotendosi la polvere dalle ginocchia, con fare ben poco regale. “Probabilmente è venuta a casa subito dopo” balbettò e deglutì, incapace di finire la frase. “Ma chissà dove diamine è andata a cacciarsi adesso.”

“Potrebbe anche trovarsi a Denerim, per quanto ne sappiamo, o a Brecilian o in qualsiasi buco di questo mondo che le sia venuto in mente.”

“Sapevamo benissimo che non sarebbe stato facile” Zevran era stanco di incoraggiarli, non li aveva obbligati a seguirlo e non era stato lui ad illuderli che la ricerca si sarebbe conclusa positivamente e in breve tempo. “Forse sarà anche inutile, ma io ho tutta l'intenzione di continuare a provare e se quando avrò trovato Morrigan non saprà o vorrà aiutarmi, cercherò ancora e ancora finché avrò un alito di fiato in corpo, perché qualsiasi delusione o disperazione possa provare adesso non sarebbe niente rispetto alla consapevolezza di aver abbandonato di nuovo colei che ho amato.”

Si rese conto di quel che aveva detto solo quando, riacquistato il controllo, si trovò a fissare il volto imbarazzato del nano e quello granitico di Alistair, intento a scrutarlo torvo da dietro le sopracciglia crucciate.

I suoi sentimenti non erano un segreto, ma era la prima volta che dava loro voce e adesso si sentiva nudo e indifeso di fronte agli altri e a se stesso, incerto su come affrontare una verità tanto grande venuta finalmente alla luce.

Se il Custode l'avesse preso a pugni non si sarebbe ribellato. In fondo era di sua moglie che stavano parlando e, nonostante tutto il male che potesse averle fatto, rimaneva suo legittimo diritto difendere il loro sentimento da fatue ed inutile romanticherie esterne.

Ma Alistair non gli si avventò contro come una belva, né iniziò a inveire o minacciare; sembrava quasi congelato da una rivelazione che non era una sorpresa, ma che l'aveva trafitto come la lama arroventata di un coltello nella sua immensa e semplice giustezza.

“Anche lei ti amava” disse soltanto, strappandosi le parole ad una ad una dal profondo del petto.

“Amava più te, ha scelto sempre te” c'era rimpianto nella voce di Zevran, ma anche rassegnazione e coraggio. “Io non sono mai stato un vero rivale.”

“Non eri un rivale perché non c'era lotta tra noi. Tu sei stato parte di lei, al di là di me, al di là di noi, fin da quando avete avuto modo di conoscervi. Mi ha amato, per quanto sia impossibile immaginarlo, mi ha protetto e consolato, ha dato la vita per salvare la mia anima, ma non ha mai smesso di essere legata a te.”

“Non rinnegare la sincerità dei suoi sentimenti per te, Alistair” era arrabbiato, adesso. “Non sminuire la sua memoria, accusandola di esserti stata infedele, anche solo col pensiero.”

“Che abbia amato te non significa che mi sia stata infedele, per quanto sia stato geloso di quei sentimenti e lo sia ancora. Ma non posso fingere di non sapere che se la vita l'ha resa mia sposa, la morte l'ha unita a te in eterno.”

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Capitolo 45
*** Stupore ***


Solo il vento osò commentare quelle parole, proferite a mezza voce, ma fragorose più del rombo di un tuono, mentre i due amici, i due rivali, si fronteggiavano immoti e incerti nel vuoto di un'indiscutibile realtà che li circondava e li proteggeva dal passato e dal futuro.

Per una volta l'elfo non sapeva quali fossero le argomentazioni giuste da pronunciare o se ve ne fossero alcune, mentre Alistair, svuotato e rinvigorito da una confessione troppo dolorosa per essere catartica, non sentiva il bisogno di turbare l'ordinato disequilibrio che li circondava.

Eilin era morta, lontana da entrambi, ma non persa per entrambi. La sua eredità era stata un regno per chi non avrebbe mai dovuto essere re e una speranza per chi la speranza non l'aveva provata mai. Adesso rimaneva solo un'ultima battaglia da combattere, perché il desiderio di chi aveva dato tutto in nome dell'onore e dell'amore non diventasse sterile e freddo più della tomba in cui il suo corpo era costretto a riposare. Ma non sarebbe servito a niente continuare a combattere come galli in un pollaio, contendendosi un affetto che non aveva conosciuto confini e non avrebbe potuto essere conquistato o perduto; non sarebbe servito a niente rinvangare imperdonabili colpe e illusori ideali, guardandosi in cagnesco nell'inespressa consapevolezza di un odio insensato nato dalla gelosia e dal rimorso. Quello sarebbe stato il loro ultimo viaggio insieme, la loro ultima caccia, e se salvare il mondo dal Flagello era parsa un causa nobile e santa, strappare il loro comandante, la loro regina, la loro anima dalle grinfie puzzolenti di un ingiusto destino era un movente ancora più sacro.

Fu Zevran ad allungare per primo la mano verso il re, ma Alistair non esitò a stringerla, siglando un patto più solenne di un giuramento, in nome di una volontà estranea e comune ad entrambi.

“Era ora abbandonaste il poppatoio e iniziaste a comportarvi da uomini” ruggì Oghren, nascondendo la commozione dietro un brontolio rude e forzatamente maschio. “Cominciavo a temere di dover calar le brache a tutt'e due voi, teste dure, e farvi entrare un po' di sale in zucca a forza di cinghiate.”

“Non credo sarebbe stato il caso” protestò il Custode, un po' imbarazzato e un po' divertito da quella minaccia così colorita.

“E ti avverto che non sarebbe servito a niente, almeno per me” sorrise Zevran, osservando la sua mano come se non gli appartenesse e avesse agito di sua spontanea volontà. “Ho perso il conto delle verghe che mi hanno rotto sulla schiena da piccolo.”

“Non sei mai passato tra le mani di un nano, ragazzo” lo minacciò col dito massiccio e ruvido. “Al confronto le botte che hai ricevuto ti sarebbero sembrate carezze.”

“Oghren, so che non vedi l'ora di mettermi le mani addosso, ma dovremo cercare un approccio meno cruento. Tu sei sexy, ma non mi piace il sadomaso” lo canzonò, rabbrividendo al pensiero involontario del nano inguainato in un completo borchiato di pelle nera.

“Aspetta che ti prenda e non avrai più voglia di scherzare” cercò di alzarsi dalla sedia con troppo entusiasmo, provocando l'esplosione di schegge e imprecazioni che già da un po' i suoi compagni avevano preventivato e temuto. “Dannazione elfetta, guarda cos'hai combinato!”

“Non agitarti” Alistiar provò a sollevarlo e, nello stesso tempo, a schivare i calci che il nano distribuiva alla rinfusa intorno a sé, nel vuoto tentativo di recuperare l'equilibrio.

“E smettetela di fare tanto baccano.”

Nella stanza calò il più assoluto silenzio, quasi i tre compagni fossero diventati di sale e l'aria stessa avesse soggiogato e represso ogni minimo rumore. Se quelle parole fossero state il fetido ruggito di un arcidemone avrebbero provocato meno sbigottimento.

“Il gatto vi ha mangiato la lingua? O non sapete come scusarvi per esser entrati senza permesso in casa mia e aver distrutto parte del mio mobilio?”

Quella voce, suadente e imperiosa, carica di sinuosa ironia, non avrebbe potuto essere confusa con altre, ma furono tre paia di occhi sgranati e increduli che risposero muti a quell'insignificante provocazione.

“Vi entreranno le mosche in bocca, se non serrate la mascella” Morrigan era in piedi sulla soglia, una sagoma scura, bellissima e feroce contro il bagliore sanguigno del tramonto, il mento alzato e lo sguardo velato di sospetto e dissimulata malinconia, le mani affusolate appoggiate distrattamente al bastone e le gambe divaricate in una posa di falsa noncuranza. “Non credo di essere cambiata tanto, in questi mesi, da suscitare un tale stupore.”

“Non sei cambiata per niente” Oghren, ancora a terra, fu il primo a riprendersi, facendo vagare lo sguardo sulle curve perfette della maga con palese ammirazione, per poi inchiodarsi sul suo panorama preferito con un sorriso ebete stampato sotto la barba. “Non sono cambiate affatto, direi.”

“Nemmeno la tua sfacciataggine, nano” ma a Zevran non sfuggì l'impercettibile sorriso che tese per un istante la piega amara di quelle labbra carnose, mentre tentavano di mantenere un'aria di rimprovero. “E non mi onora pensare che vi siate presi la briga di far tanta strada solo per osservarmi il seno.”

“Ne varrebbe la pena...”

“Ma non è per questo che siamo qui” l'interruppe l'elfo, scavalcandolo con un balzo e portandosi a meno di un passo da Morrigan. “Perdona la nostra sorpresa, ma avevamo perso le speranze di vederti comparire qui.”

“E dove pensavate di trovarmi? Sotto un cavolo dell'orto reale?”

“Magari!”

Zevran lo fulminò con lo sguardo, ben consapevole che niente avrebbe potuto trattenere Oghren dal godersi a pieno quell'inaspettata visone paradisiaca, con occhiate lascive e commenti inopportuni.

“La casa sembrava deserta e non avevamo trovato traccia del tuo passaggio, nelle Selve.”

“Non sono usa lasciare tracce e non mi servono quattro mura come rifugio” nel dirlo, il suo sguardo si spostò istintivamente verso un punto del cortile con la terra ancora annerita di sangue e fumo e Zevran non seppe intuire se i suoi pensieri fossero rivolti a colei che le era stata madre, maestra e vittima o all'unica amica che, proprio in quel luogo, aveva dato prova di fidarsi della sua parola al di là di ogni possibile logica.

“Abbiamo bisogno del tuo aiuto” nessuno più della maga si stupì che quelle parole fossero pronunciate proprio dalla persona che meno avrebbe voluto dirle. “Abbiamo bisogno di te, per salvare lei.”

“Adesso vuoi salvarla, patetico e insignificante re di una terra di folli?” Morrigan rise, ma era un suono freddo e spaventoso, come unghie su un vetro incrinato. “Lei è morta e non c'è niente che si possa salvare del suo corpo putrefatto, a meno che tu non desideri renderla uno zombi puzzolente. Hai gusti tanto perversi? O forse la vedovanza ti pesa e vuoi approfittare dell'offerta che ti feci una notte di tanto tempo fa e che allora rifiutasti con sdegno e follia? Non ci sono verginelle svenevoli in città pronte a scaldarti il letto?”

Alistair impallidì, ma si costrinse al silenzio, implorando con lo sguardo Zevran perché spiegasse il loro scopo e la loro missione, prima che la sua volontà venisse meno e rispondesse con l'acciaio al veleno di quelle parole tormentose.

“Non abbiamo il diritto di chiederti niente e tu hai ogni ragione di disprezzarci” l'assassino alzò gli occhi in quelli vuoti e remoti della maga, tremando di fronte alle tenebre che erano il suo stesso riflesso. “Ma Eilin era tua amica e tu la rispettavi.”

“Il passato è un tempo finito, Corvo. Se voi non sapete rassegnarvi, non conosco pozioni o incantesimi che possano sopperire alla vostra stupidità.”

“Ma forse conosci un modo per rendere futuro il presente e per far sì che l'anima dell'unica persona che ti abbia mai voluto incondizionatamente bene non marcisca come una rosa tra le dita gelide dell'inverno” Oghren la guardava fisso in volto, reclinando la testa in modo quasi innaturale e tenendosi fieramente eretto, con le mani appoggiate alla cintura. “Puoi burlarti di noi, ma non ti permetto di burlarti di lei.”

Fu Morrigan, allora, a tacere, non trovando dentro di sé parole abbastanza feroci e disumane per nascondere dietro una maschera di imperturbabile cinismo il dolore che era scaturito in lei nel trovarsi di nuovo faccia a faccia con coloro che, per un breve, impensabile momento, avevano condiviso l'unico battito che avesse scosso il suo cuore. Era questo che temeva, quando si era rifiutata di avvicinarli, fin dal primo momento in cui aveva saputo che vagavano per le Selve; era questo che l'aveva spinta a seguirli a distanza, in silenzio, come un'ombra di sventura, colma di invidia e risentimento per la loro stupidità e la patetica bigotteria che li aveva spinti a scegliere la morte, invece della vita, l'onore, invece della verità.

Non aveva perso uno solo dei loro passi, ma non aveva saputo decidersi a unire nuovamente i suoi ad essi, perché credeva al di là di ogni dubbio che la fine sarebbe stata nuovamente la stessa: sangue e sciagura.

Eppure qualcosa a cui non avrebbe saputo dare un nome, forse istinto, forse destino, l'aveva infine spinta ad affacciarsi a quella porta, che solo pochi mesi prima aveva giurato di non varcare mai più, solo per trovarsi a vomitare quelle parole che non sapeva desiderasse dire, in uno sfogo primitivo e surreale per la morte di qualcuno che un giorno aveva saputo sorriderle e che adesso, al di là della ragionevolezza, tornava dalla tomba a chiederle aiuto.

 

E finalmente qualcosa è successo ^_^ non che la storia abbia fatto passi da gigante, ma almeno son riuscita a far comparire l'ultimo personaggio mancante!! E' stata dura e, lo ammetto, in prima battuta non avevo neanche pensato andasse così il loro ricongiungimento... tant'è, spero il capitoletto non sia deludente e spero di riuscire ad aggiornare di nuovo in tempi civili.

Grazie a chiunque stia con pazienza continuando a seguire questa ff e a chiunque mi incoraggi e consigli con le recensioni!!!!

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Capitolo 46
*** Certezze devastanti ***


"Non preoccuparti, nano" si costrinse a sibilare, comprendo col veleno la rabbia e l'impotenza per sentimenti che non sapeva contrastare. "Non sono usa burlarmi dei morti."
"Non abbiamo diritto di chiederti niente" la interruppe Zevran, le mani abbandonate lungo i fianchi, i pugni serrati, il volto scolpito nella pietra. "Ma sono disposto a offrirti qualsiasi cosa, in cambio della tua attenzione."
"Questo presupporrebbe che ci sia qualcosa di tuo che possa interessarmi, ma il tuo smisurato ego fa sì che tu ti sopravvaluti."
"E' ormai molto tempo che non commetto quell'errore" sorrise, senza allegria. "Anche se ammetto di rimpiangere i bei tempi spensierati in cui ero solito indulgere in un po' di sano e gradevole autocompiacimento."
"Allora torna in città e accompagna i tuoi amici in qualche bordello, troverete di certo una femmina disposta a lusingarvi in cambio di qualche spicciolo."
"Ma non troveremo nessuno capace di salvare l'ultimo alito di speranza a cui non siamo degni di aggrapparci, ma che non possiamo abbandonare, perché da esso dipende il futuro di qualcuno a cui tu stessa, in passato, non hai esitato a offrire aiuto."
"Eilin meritava il mio rispetto, finché non ha deciso di piegarsi alla stupida volontà di un caprone inetto e egoista, come fanno tutte le femmine di questo mondo, capaci solo di abbassare la testa davanti al volere dell'idiota al quale hanno concesso il proprio cuore."
"Sei ingiusta" la voce di Alistair era tanto greve che sembrava non appartenergli. "Verso di lei, se non verso di me."
"Ingiusta? Io? Belle parole da parte di un assassino, che ha passato mesi guardandomi dall'alto della sua presunta superiorità morale, bofonchiando insignificanti e patetiche banalità sull'onore e la virtù, mentre se ne stava rintanato in un angolo a piagnucolare e lasciava agli altri il lavoro sporco e la fatica, per poi coronare la sua gloria con l'immolazione di una martire volontaria sull'altare della sua purezza" battè le mani con disprezzo, abbracciando con uno stesso sguardo gelido tutta la compagnia. "Bella parola: ingiustizia, quando sentiamo di esserne vittime, vero Alistair? Eppure non ti è mai venuto in mente di essere stato ingiusto verso di lei, o verso di me."
"Ti sbagli" fu come un colpo di frusta, repentino e selvaggio. "Lo penso ogni istante, da quella notte."
Morrigan storse le labbra in una piega sgradevole, fiutando la verità di quelle parole, ma incapace di accettarne il valore.
"Non ho mai sopportato gli inutili rimorsi di coscienza" lo sbeffeggiò, invece. "Ho sempre creduto fossero per i vigliacchi, capaci di essere crudeli, ma incapaci di sopportare il peso delle proprie azioni."
"Puoi accusare Alistair di molte cose, ma certo non di vigliaccheria" Zevran non avrebbe mai saputo spiegarsi da dove gli fosse uscito l'istinto di difendere l'antico compagno, soprattutto tenendo conto che, seppur con toni diversi, le idee della strega non dissentivano di molto dalle sue. "E certo non sei sincera quando fingi di non capire e rispettare i sentimenti che spinsero Eilin ad accettare una scelta che anch'io, come te, ho giudicato folle, ma che è nata da quegli gli stessi principi per i quali l'abbiamo seguita, onorata e amata."
"Fiducia e libertà" mormorò la maga, socchiudendo le palpebre. 
"Lei non era tanto il nostro capo, quanto la nostra guida" annuì Zevran, deglutendo per scacciare la fastidiosa sensazione di angoscia che gli serrava il petto. "Non ha mai imposto niente a nessuno di noi."
"Ma che importanza può avere, ormai, tutto questo?" l'esasperazione si mischiava al risentimento e al rimpianto, erodendo la sua volontà."Adesso siete qui, a rinvangare un passato che non rinnego, ma che non voglio ricordare, e perdete il mio e il vostro tempo a implorare favori per quella che immagino già sia la più assoluta e improbabile sciocchezza che mi sia mai stata propinata..."
"Io credo" ma si corresse, alzando il mento con aria di sfida. "Noi siamo convinti che l'anima di Eilin non abbia raggiunto la pace, dopo la sua morte, ma che sia tenuta prigioniera nell'Oblio, torturata e dilaniata da quel mostro ripugnante incapace di accettare la propria sconfitta."
L'aveva detto tutto d'un fiato, temendo lo scoppio di risa beffarde da parte della maga e, al contempo, quasi augurandosi di vedere un lampo di sarcastica incredulità in quegli occhi d'abisso, che potesse fargli sperare di aver mal interpretato i suoi sogni, di aver sbagliato a dar fiducia alla spiegazione pessimistica di Wynne su quella che altro non avrebbe potuto essere se non follia, nata dal rimorso e dalla sofferenza. Anche se non era sicuro di crederci, per un attimo si scoprì a desiderare di potersi nuovamente giudicare patetico e pazzo, come nei lunghi mesi trascorsi ad abbrutirsi nelle più squallide bettole di Denerim, piuttosto che affrontare l'eventualità che Morrigan confermasse la loro teoria, ma ignorasse un qualsiasi modo per porvi rimedio.
"Noi siamo qui perché Eilin grida nei nostri sogni, chiedendo aiuto, ma senza di te, non sappiamo come fare per darglielo" sussurrò infine, incapace di sopportare il silenzio che aveva accompagnato le sue parole e l'espressione di disperato orrore che aveva scorto sul volto della strega, prima che voltasse loro le spalle, portandosi in un angolo buio della stanza. "Dicci che siamo dei caproni senza cervello, Morrigan" la implorò, senza vergognarsi di mostrare la sua disperazione. "O dicci che sai come liberarla."
Alistair fremeva, correndo con lo sguardo dalla maga all'elfo, in un moto istintivo e irrefrenabile di ansia repressa che logorava la sua lucidità, facendolo sentire fastidiosamente giovane e indifeso, come nei giorni lontani e sfuocati di quell'infanzia che tanto aveva odiato e che si era reso conto di aver abbandonato solo quando aveva stretto per l'ultima volta al petto il corpo di colei che, con la sua vita, gli aveva permesso di conservare intatti i suoi sogni e la sua ingenuità, attraverso l'orrore e il degrado di un Flagello che non avrebbe dovuto lasciarlo vivo e solo oltre la fine delle sue illusioni.
Avrebbe voluto parlare, aggiungere la sua voce all'appello accorato dell'amico, ma non conosceva parole che potessero spiegare quello che sentiva, ogni volta che la voce della sua sposa, del suo amore, risuonava nel buio imperscrutabile di un sogno sconfinato, che si trasmormava in incubo; non conosceva la profondità della paura che gli attanagliava le viscere e gli impediva di sbirciare al di là di quelle tenebre, seguendo il filo invisibile di un sussurro sospirato oltre la disperazione e la rovina, per rincorrere fantasmi di parole, in un regno fatto di fumo e vento che ogni essere vivente doveva e voleva temere.
Non aveva il diritto di chiedere aiuto, perché era due volte vigliacco e due volte assassino, e sapeva che Morrigan non avrebbe avuto pietà né di lui, né del suo pentimento, ma Zevran aveva tutto il diritto di ottenere risposte e speranza, perché non aveva tradito mai, né aveva mai smesso di mettere la sua vita e la sua anima in gioco per colei che non sarebbe spettato a lui difendere. Zevran poteva guardare la maga negli occhi e non vergognarsi di ciò che avrebbe visto riflesso in essi, così Alistair taceva e pregava, mentre i secondi diventavano minuti e la trepidazione si trasformava in tormento, mentre Oghren sbuffava sottovoce e tormentava le fibbie dell'armatura con gesti insensati, mentre il silenzio si addensava sui loro cuori e l'incertezza pesava sulle loro anime, in attesa di un gesto, di un suono che li salvasse o li distruggesse, insieme al desiderio di lei.
"Morrigan" fu l'elfo a parlare, quando la luce dell'ultimo sole si era ritirata oltre la soglia. "La notte ormai è vicina e di notte, follia o meno, lei viene da me. Non perderò nessun preziosissimo istante di lei, in attesa di parole che non puoi o non vuoi pronunciare. Quindi dimmi, adesso, di andarmene e non ti disturberemo oltre. Cercherò altrove quello che qui non avrò trovato, ma non lascierò che il buio mi avvolga un'altra volta, senza cercare un qualsiasi maledetto modo per non lasciarla sola."
Le spalle di Morrigan rimanevano tese e immobili, ma la mano salì a stringere il legno ruvido del bastone, finché piccole gocce di sangue scivolarono a terra, fondendosi alla polvere e alla roccia, in una muta offerta sacrificale.
La strega non si volse, nè chinò il capo, ma quando parlò, la sua voce suonò stranamente fioca e incerta nell'orgoglio della sua postura.
"Niente viene concesso per niente, in questo mondo, e il più grande sacrificio non basta a saziare la fame di equilibrio di un universo ingrato, che ben poco è disposto a concedere a chi, più degli altri, è capace di donare se stesso. I Custodi credono di sapere, i maghi, nella loro torre d'avorio, sono certi di comprendere e i Templari si arrogano il diritto di catechizzare, ma nessuno può conoscere la morte, né ciò che ci attende oltre il velo. Riordan vi parlò di un antico dovere, quasi un sacro rituale, che voi poveri, sciocchi Custodi sareste divenuti degni di compiere, in virtù di poche gocce di veleno mischiate al vostro sangue, prima ancora che vi venisse spiegato il loro significato. Vi disse che la vita sarebbe stata il prezzo da pagare in nome della salvezza e se anche non era uno scambio da poco, di certo lo scopo avrebbe valso il sacrificio. Così siete morti, secolo dopo secolo, Flagello dopo Flagello, nella fulgida certezza di aver dato al mondo una nuova alba, di aver sconfitto il male e la corruzione con il vostro eroico sacrificio..." un risata amara gli sfuggì tra i denti, mentre la voce si distorceva sempre più in un ansito roco e disumano. "Ho creduto che fosse una sciocchezza fin da quando mia madre mi parlò per la prima volta di questa barbara usanza, travestita da nobiltà. E adesso mi dite che finalmente anche voi vi siete svegliati dal sogno e vi siete resi conto che non è la vita del Custode a salvare il mondo, bensì la sua anima e siete corsi da me perché non siete disposti a pagare un prezzo tanto alto, per il bene superiore a cui eravate certi di saper sacrificare tutto, anche se quando vi offrii il modo per non rinunciare ad altro che ad un po' di integrità, mi voltaste le spalle e mi definiste malvagia e indegna e abietta."
"Tu sapevi?" e la rabbia era tale che non ci fu neanche rimprovero, nella voce atona di Zevran, solo incredula delusione. "Tu l'hai comunque lasciata andare?"
"Un sacrificio è un sacrificio, no?" Morrigan lanciava fiamme dagli occhi, quando si volse a fronteggiarlo. "Che importa la sua entità, quando lo scopo è degno? E poi non ero io a dover decidere al suo posto, come lei non aveva deciso per me o per gli altri. Che avreste fatto, se aveste saputo? Avreste lasciato che il Flagello distruggesse ogni cosa? O avreste costretto il nostro stallone a piantare il suo seme nel mio ventre, scommettendo sulla mia capacità di saper educare alla bontà e all'altruismo un dio incarnato? E che avrei fatto io, se avessi saputo allora quanto importante fosse la scelta che stavo offrendo a chi pensava di rischiare solo un soffio di vita e non l'eternità?" mormorò infine, quasi a se stessa, accasciandosi contro il tavolo, svuotata da ogni emozione, di fronte al trasformarsi disperato di quelli che aveva sempre voluto considerare deliri pessimstici, in certezze devastanti.

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Capitolo 47
*** Dimmi come fare ***


“Quindi Riordan ha mentito?” proruppe Alistair, in un singhiozzo strozzato che ottenne in risposta solo uno sguardo colmo di disprezzo.

“Dipende cosa intendi per mentire, paladino. Se significa non dire la verità, allora sì, puoi ritenerti offeso nel tuo amor proprio” strinse le labbra, sarcastica, ignorando il tentativo di protesta di lui. “Ma se credi che quel tuo pazzo compare conoscesse la menzogna nelle sue parole, allora sei anche più stupido di quanto pensassi.”

“Nessuno sapeva, giusto?” intervenne Zevran, invadendo lo spazio vitale di Morrigan con il peso della sua disperata determinazione e fregandosene bellamente delle sue occhiatacce. “Nessuno aveva idea di cosa sacrificassero veramente i Custodi” adesso era a meno di un passo da lei, il volto livido e teso riflesso in due pozze di caotica tempesta. “Ma allora tu come puoi conoscere la verità che a tutti gli altri è ignota?”

Forse sperava ancora di poter racimolare un dubbio in quella sua amara inconfutabilità, un soffio di incertezza che lo portasse a sperare in un destino diverso; forse voleva sentirsi dire che erano solo orride teorie, sperequazioni astratte su interrogativi teorici, perché al di là di tutto non aveva sentito pronunciare una sola nota che lo portasse a intravedere la soluzione per una condanna peggiore della morte. O forse voleva soltanto che la lama penetrasse del tutto nel suo cuore, infrangendogli ogni respiro, distruggendo qualsiasi vacillamento.

“Rispondi, strega!” le urlò in faccia, sputandole contro un disprezzo che non era diretto tanto a lei quanto a se stesso. “Come potresti essere più dotta o saggia di decine di maghi, Custodi e Templari?”

“Perché io uso il cervello” Morrigan lo spinse via senza fatica, perché tutta la forza dell'elfo era, adesso, solo una vuota facciata di sabbia mascherata da granito. “Perché non mi faccio incantare da favolette religiose o banali moralismi. Come potete pensare che distruggendo il corpo di uno spirito divino incarnato, questi possa essere distrutto? E dove credete che finisca l'anima, una volta rotta la barriera di carne che la conteneva? Se la vostra zuccherosa Leliana fosse qui, vi spiegherebbe con noiosi sofismi tutta la barbosa teoria clericale sul Creatore, la Città d'oro e il destino dei mortali dopo aver esalato l'ultimo respiro, convincendovi dell'immortalità dello spirito, nonché, nel frattempo, di qualche altra patetica sciocchezza, ma io mi limiterò a dirvi che non posso proprio credere che un antico dio, la cui anima palesemente non può essere annientata, sia disposto a tornarsene con la coda tra le gambe nella sua prigione puzzolente, solo perché un idiota qualunque gli ha rovinato il vestitino di carne con cui si era manifestato su questo piano di esistenza. E poi, se così fosse, perché mai ci sarebbe bisogno proprio di un Custode, per uccidere l'Arcidemone? Chiunque fosse abbastanza abile nel combattere potrebbe riuscirci.”

“Noi siamo legati alla Prole Oscura...” iniziò Alistair.

“Ed è il vostro spirito, macchiato dalla corruzione, ma ancora integro nel coraggio e nello spirito di sacrificio, a vincolare il dio nel suo esilio” terminò Zevran quasi senza fiato. “Il sangue nero serve da tramite tra voi e l'Arcidemone, mentre, morendo, siete destinati a trasformarvi in catene per qualcosa che altrimenti non potrebbe essere incatenato.”

C'era orrore, sul suo volto, mentre dava finalmente voce a quanto di più spaventoso avesse immaginato negli ultimi mesi, e i suoi occhi non osarono alzarsi ad incontrare quelli di Alistair, incapace di decidere se avrebbe rischiato di saltargli alla gola o mettersi a piangere come una donnetta, davanti alla mostruosità del peccato di cui lo riteneva colpevole.

“Nessun anima umana può sperare di contenerne una divina” Oghren era rimasto in silenzio fino ad allora, ma, di fronte allo sgomento e al terrore che si erano impadroniti dei compagni, si vide costretto a porgere quella domanda che gli altri sembravano incapaci di formulare. “Che cosa succederà, quindi, alla nostra Eilin?”

“Il suo spirito sarà infranto, dilaniato, consumato finché non resterà altro che corruzione e oscurità, di cui il dio potrà nutrirsi e da cui, probabilmente, trarrà nuova forza per generare un altro Flagello.”

Morrigan non era solita ricorrere a giri di parole o addolcimenti per propinare a qualcuno i suoi dati di fatto, ma stavolta c'era stato un briciolo di esitazione nel suo tono perentorio, che rimase sospeso tra loro nel silenzio che l'aveva accolto e racchiuso come un sudario.

Nessuno voleva credere a ciò che già da troppo tempo aveva temuto vero. Nessuno voleva essere il primo a confermare con una parola o un semplice suono una realtà così inimmaginabilmente atroce.

Eppure non avevano percorso tanta strada solo per chinare la testa davanti alla conferma di un incubo; erano lì per distruggere le proprie paure e disfare un male che non avrebbe mai dovuto essere fatto.

“Bene” e la voce di Zevran suonò fredda e distante nella capanna, come un colpo di martello su acciaio temperato. “Eilin è davvero nell'Oblio, quindi, come immaginavamo. Il suo spirito non si è solo smarrito, ma è trattenuto in quella fogna da una volontà superiore e malvagia, che utilizza ogni istante che perdiamo a compiangerci per infliggergli torture indicibili e immeritate” le sue spalle, incurvate dal peso della rivelazione appena ottenuta, tornarono a serrarsi in un moto di sfida, mentre la mano stringeva istintivamente l'impugnatura del pugnale, quasi avesse potuto lanciarlo attraverso le stelle per raggiungere quel mostro e trafiggergli il cuore che di certo non possedeva.“Adesso devi dirci come possiamo salvarla, Morrigan.”

Sei paia di occhi si alzarono titubanti e fiduciosi sulla strega, che spostò nervosa il peso da un piede all'altro, irritata da tanta aspettativa riposta nelle sue conoscenze e, al contempo, infastidita dal voler ad ogni costo evitare di riservare loro un'altra delusione.

Sapeva di non aver nessun tipo di dovere nei confronti di quegli sciocchi; avevano rifiutato il suo aiuto quando l'aveva offerto quasi disinteressatamente e quando sarebbe stato semplice e opportuno accettarlo, ma la supplicavano adesso di tirar fuori un miracolo per rimediare al danno che, per orgoglio, stupidità o moralismo, avevano combinato.

Avrebbe dovuto ridere in faccia a quei testoni e mandarli al diavolo, magari lanciando contro a qualcuno anche una bella maledizione ben congegnata, eppure non riusciva a trovare dentro di sé abbastanza cinismo e collera per mantenere il suo ruolo e continuare ad essere solo la strega cattiva delle Selve.

Era di Eilin che stavano parlando; di Eilin che l'aveva ringraziata con un sorriso, non appena aveva aperto gli occhi in quello stesso letto su cui ora Alistair sedeva con le mani giunte e il volto segnato da nuove rughe di dolore; di Eilin che passava lunghe ore al suo fianco, rispettando i suoi silenzi e ascoltando i suoi consigli; di Eilin che non l'aveva mai giudicata, ma si era semplicemente fidata di lei e l'aveva protetta e accolta come un'amica, laddove nessun altro aveva mai avuto la voglia o il coraggio di farlo.

L'aveva odiata quando, vedendola tornare nella sua stanza, in quel maledetto castello pieno di spifferi, aveva letto nei suoi occhi la risposta alla sua offerta e aveva saputo che non avrebbe potuto donarle un futuro; l'aveva ritenuta debole, vigliacca e patetica. Avrebbe dovuto costringere quel bietolone a compiere il suo dovere, avrebbe dovuto legarlo al letto e infilargli in gola una qualsiasi pozione che lo costringesse a essere uomo anche contro la sua volontà, questo avrebbe dovuto fare, al di là di qualsiasi scelta; ma non le aveva detto niente di tutto questo, anche se non era riuscita a spiegarsene il motivo, l'aveva solo guardata, con freddezza, aveva letto nei suoi occhi la speranza, nascosta ed inespressa, di continuare ad averla vicino, nonostante la sua offerta fosse stata rifiutata, le aveva dato della stupida e aveva chiuso una pesante porta di quercia tra di loro.

Poco importava che non si fosse mai allontanata veramente, che, contro ogni logica, avesse continuato a seguirli in silenzio, nascosta nelle ombre, giorno dopo giorno, fino alla fine; Eilin si fidava di lei e lei l'aveva abbandonata, e questa era la spina che sentiva strisciare dolorosamente nel petto ogni volta che provava a chiudere gli occhi, pur non sapendo dare un nome a una sensazione così fastidiosa.

Adesso quei seccanti individui venivano nella sua casa a ricordarle ciò che avrebbe potuto fare e non aveva fatto, ciò che avrebbe potuto dire e non aveva detto.

“Io so che possiamo salvarla” Zevran le poggiò la mano sulla spalla, facendola trasalire e portandola a scostarsi bruscamente, quasi soffiando come una gatta. “Io so che devo salvarla” rincarò. “E che tu puoi darmi il mezzo per farlo.”

“Potrebbe non esistere già più niente di lei” provò a ferirlo, pregando di non dover credere alle sue stesse parole.

“Ti sbagli, Eilin è più forte di chiunque altro e io so che la voce che sento, in sogno, non è l'eco di un sussurro passato.”

“Dimmi come andare da lei, Morrigan!” Alistair si avvicinò a loro, le guance rigate di lacrime, ma lo sguardo deciso. “Dicci come impedire che continui a perpetrarsi una tale ingiustizia.”

“Faremo qualsiasi cosa in nostro potere” Oghren sbatté con forza il pugno sul tavolo, sollevando nuvoli di polvere opalescente e costringendo alla fuga un paio di ragni polputi. “E anche ciò che non sappiamo di riuscire a fare, pur di liberarla, basta solo tu ci indichi la strada.”

La maga li guardò ad uno ad uno, mentre l'ironia, nei suoi occhi, lasciava il posto ad una cupa determinazione; sapeva quanto assurdo fosse pensare che bastasse un incantesimo o un qualsiasi rituale magico per porre rimedio a quanto era stato fatto, non era neanche certa che esistesse qualcosa da tentare, di fronte all'immensità di quello che si proponevano, ma forse c'era un modo, altrettanto oscuro e terribile, per strappare dall'abisso l'anima della sua amica. L'unico dubbio era se il prezzo che tale rimedio avrebbe comportato sarebbe stato tra quelli accettabili per Eilin, o se non li avrebbe odiati e maledetti in eterno per averla salvata nonostante le conseguenze.

In ogni caso, avevano una scelta e sarebbe stata lei a compierla, insieme a colui che quella stessa scelta avrebbe dovuto subire. Fissò Zevran e non ebbe bisogno di parole per sapere che si sarebbe spinto oltre la dannazione pur di raggiungere il suo scopo; osservò il pallore angosciato di Alistair e credette che, per una volta, non avrebbe attinto alle sue rigide regole morali per fermarli; lanciò una rapida occhiata a Oghren, ma quel che vide fu solo determinazione e voglia di mettersi all'opera.

“Per prima cosa, devo penetrare nei tuoi sogni, elfo e capire cosa credi di stare vedendo”.

 

E rieccomi qui, dopo più tempo di quanto avrei voluto ^_^ Oggi ho rubato un paio di ore al dovere e ho buttato giù questo capitolo, che, probabilmente, nonostante le mie intenzioni, rivela meno di quanto preventivato... son diventata prolissa, chiedo venia!!!

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Capitolo 48
*** Puoi farlo ***


“Sei in grado di farlo?”

“No, Alistair” lo guardò storto la maga. “Ma ho intenzione di farvelo credere, in modo da prendermi ben bene gioco di voi.”

“Non era quello che intendevo” borbottò il Custode, arrossendo leggermente.

“Immagino cosa intendessi, ma cerca di intendermi tu, adesso” gli puntò contro il bastone, seria come non era mai apparsa prima di allora. “Dovremo fare cose che sicuramente non ti piaceranno, cose che disapproverai e che i tuoi candidi maghi del Circolo non vorrebbero neanche nominare. D'altra parte, se aveste potuto contare sulla vecchia Wynne non vi saresti presi il disturbo di venir a disturbare me, giusto? Io sono la vostra unica speranza, al momento, ma non sono di sicuro una fulgida luce in mezzo alla tempesta, non le assomiglio neppure. Posso provare a fare qualcosa, ma non sarà il bene assoluto per cui voi paladini avete combattuto durante il Flagello, non sarà un'eroica canzone di redenzione e speranza e non richiederà soltanto azioni gloriose e pie. Forse quello che faremo non piacerebbe neanche a colei per cui siamo disposti a farlo, ma se hai intenzione di storcere il naso prima di ogni mia azione, è meglio tu esca adesso da quella porta e non ritorni mai più al mio cospetto.”

Non c'era minaccia, nel suo tono, ma era tanto gelido e perentorio da non ammettere repliche.

Per un attimo Zevran credette che il compagno avrebbe accolto il suggerimento della maga e sarebbe fuggito di nuovo a gambe levate davanti alla possibilità di dover compiere un po' di male pur di ottenere un po' di bene , ma Alistair si limitò a incrociare le braccia sul petto e a fissare gli occhi in quelli irati di Morrigan, mostrando una notevole dose di determinazione.

“Eilin non approverebbe sacrifici umani” sentenziò con voce ferma. “Se dovremmo ricorrere a quello, allora faremo meglio a spostarci a Denerim.”

“Perché poi i Templari possano catturarmi e giustiziarmi per i miei crimini di Maleficar?”

“Perché ho le prigioni piene di furfanti in attesa di incontrare la lama del boia. Se proprio dovessimo uccidere qualcuno, tanto varrebbe usare uno di loro.”

Chiunque avesse osservato la scena dall'esterno avrebbe riso delle espressioni scioccamente allibite dipinte sul volto dei tre compagni che avevano ascoltato parole tanto ciniche sgorgare dall'ultima bocca dalla quale si sarebbero aspettati di sentirle uscire, ma il Custode non sembrò far caso alle loro mascelle slogate, né si preoccupò di giustificare la sua freddezza con qualche patetica scusa buonista: era un re, ormai, e la sua purezza, se mai ne aveva posseduta una, era morta nell'istante stesso in cui aveva accettato la corona.

Certo, aveva intenzione di regnare con giustizia, di onorare la memoria di colei che l'aveva condannato a quel supplizio, ma non poteva fingere di non essere già stato costretto a cedere a compromessi, pur di difendere il suo popolo, non poteva illudersi di riuscire a costruire un regno di perpetua rettitudine, senza mai sporcarsi le mani per la sopravvivenza sua e di quanti gli fossero sottoposti. Quando era un soldato e un ragazzo, aveva sognato di non dover cedere di fronte all'ingiustizia e al peccato; in nome di quello stupido ideale si era reso colpevole di un delitto peggiore di qualsiasi altro avesse potuto perpetrare. Adesso non avrebbe accettato che un poveraccio innocente fosse sacrificato sull'altare della loro nobile causa, ma non si sarebbe opposto a consegnare una manciata di rifiuti della società al pugnale della strega, piuttosto che alla mannaia del carnefice.

“Per adesso, credo che potremo farne a meno” riacquistò il controllo Morrigan, irritata dall'essersi lasciata sorprendere come un'ingenua scolaretta, ma stranamente soddisfatta da quell'imprevedibile Alistair, così diverso da quello che aveva conosciuto e disprezzato solo pochi mesi prima. “Userò la magia del sangue, ma non dovrò sgozzare nessuno per aver accesso ai sogni di Zevran.”

“Basterebbe sacrificare un criceto per ottenere abbastanza potere da penetrare nella mente dell'elfetta” rise Oghren, assestando sul fondoschiena dell'assassino una sonora pacca che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto raggiungere il ben più gradevole sedere della maga.

“Non sarà indolore, comunque” la strega si sentì in obbligo di precisarlo, pur immaginando l'indifferenza con cui l'elfo avrebbe accolto il suo avvertimento. “Anche col tuo consenso, questa pratica sarà avvertita come una violenza dalla tua psiche, un'intrusione indesiderata e traumatica.”

Zevran si limitò a stringersi nelle spalle. Avevano già perso anche troppo tempo in chiacchiere, per i suoi gusti, e fremeva dal desiderio di mettersi all'opera. Di se stesso gli importava ben poco, se anche Morrgan gli avesse confessato che, per raggiungere Eilin, avrebbero dovuto strappargli la pelle e bruciargli gli occhi, non l'avrebbe ritenuto un sacrificio rilevante, anche perché solo il Creatore sapeva cosa potesse star subendo il suo amore in quello stesso momento.

“Sto parlando seriamente, ragazzo.”

Quello strano appellativo gli fece inarcare un sopracciglio.

“Lo immaginavo” disse semplicemente, senza alcuna inflessione nella voce.

“Anche se credi di poter sopportare le torture più atroci per il bene di Eilin, qui non si tratta solo di mettere alla prova il tuo coraggio. Dovrai essere abbastanza forte da mantenere insieme la tua mente, quando cercherà di infrangersi sotto il peso del mio condizionamento, e dovrai riuscire a guidarmi lungo i tuoi sogni, nonostante il tuo unico istinto, in quel momento, sarà di scacciarmi.”

Posta in quei termini, la questione si rivelava di certo più spinosa e Zevran si prese un istante per riflettere sulle sue possibilità, perché non poteva permettere al suo orgoglio, o al suo desiderio, di mettere anche solo minimamente a rischio la riuscita di quell'esperimento.

Di certo non mancava di determinazione e, anche se non era tanto sciocco da professare di non temere il dolore, sapeva adattarvisi con sufficiente spirito di rassegnazione, però non si era mai trovato ad affrontare l'influenza di un mago e non sapeva, sinceramente, come avrebbe potuto reagire.

Non era un eroe, per quanto Eilin l'avesse fatto sentire tale, in quei terribili, meravigliosi mesi durante i quali aveva potuto starle accanto; non possedeva la forza morale di Leliana, né il coraggio di Alistair, non era saggio quanto Wynne, né testardo quanto Sten; a onor del vero, ultimamente, era divenuto quasi un ubriacone quanto Oghren, ma l'unica verità inconfutabile era che fosse un assassino, un banale assassino che, per uno strano scherzo del fato, si era trovato a combattere dalla parte giusta della barricata, ma che non conosceva ideali o principi ai quali aggrapparsi una volta abbandonato il ruolo di compagno degli eroi del Ferelden. Come poteva, allora, essere tanto presuntuoso da credere di poterla salvare? Quali prove aveva per dimostrare che sarebbe stato all'altezza di ciò che Morrigan gli chiedeva? Nessuna. Non possedeva uno straccio di niente che potesse rassicurare gli altri e se stesso sulla sua idoneità a quel compito così delicato, ma di certo non si sarebbe tirato indietro. Eilin avrebbe magari meritato un salvatore più fulgido e valoroso, ma adesso c'era solo lui in grado di ricoprire quel ruolo e l'avrebbe fatto al di là di qualsiasi difficoltà o sofferenza, perché, se anche valeva poco come essere umano, Zevran il Corvo era stato un assassino piuttosto tenace e adesso quella testardaggine l'avrebbe aiutato a fare, finalmente, qualcosa di davvero utile.

“Lui può farcela” disse Alistair, prima che l'elfo avesse il tempo di rispondere. “Nessun altro potrebbe.”

“Tu potresti” si trovò a sbottare Zevran, sempre più sorpreso e sempre più convinto che la maga avesse in qualche modo operato uno strano incantesimo per cambiare la personalità del Custode. “Sei forte e ardimentoso...”

“Anche tu e Eilin lo sapeva” non riuscì a trattenere una smorfia, ammettendolo, ma continuò a fissarlo negli occhi. “Si fidava di te. Si fida di te, quindi anch'io lo farò.”

“E anch'io” Oghren smise di fissarsi orripilato la mano contaminata e la sbatté con decisione sul pettorale di metallo dell'armatura, producendo uno strano suono al contempo stridente e ovattato. “Sei un'elfetta migliore di quanto tu non creda.”

“Molto bene” si intromise Morrigan, prima che la situazione diventasse troppo mielosa per essere sopportabile. “Se avete finito di rassicurare il vostro ego con queste patetiche e immaginarie pacche sulle spalle, inizierò a preparare una pozione che farà cadere la nostra vittima in un torpore più profondo del semplice sonno e allestirò il rito che mi permetterà di raggiungere il suo subconscio, sperando che proprio stasera l'imprevedibile Eilin non decida di darci il bidone.”

“Ho avvertito il suo richiamo quasi ogni notte, negli ultimi mesi.”

“Speriamo di non essere particolarmente sfortunati, allora” la strega aveva già la testa infilata tra boccette maleodoranti e alambicchi contorti. “Nano, accendi il fuoco nel camino e tu, bietolone semi-redento, prepara ogni preghiera che conosci e affina l'istinto, perché non si sa mai cosa potrebbe succedere alzando, in qualsiasi modo, il velo.”

 

 

Riusciranno i nostri eroi a procedere in questa avventura? Domanda da un milione di euro!!! In questo capitolo credo di aver dato finalmente un po' di spina dorsale al bietol.. ehm... a Alistair; probabilmente, dopo tanto tempo, mi sto riappacificando col personaggio ^_^ Ovviamente tutto quello che sta succedendo, per quanto ispirato il più possibile alla storia di Dragon Age, è semplicemente frutto della mai fantasia malata, quindi spero di non starmi inventando panzane troppo pazzesche. Come al solito, grazie a chi ancora segue questa lunghissima ff e stragrazie a chi trova anche il tempo e la voglia di lasciare un commento (sempre graditissimo, sia se positivo, che negativo). Alla prossimaaaa

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Capitolo 49
*** Lo specchio ***


Il calore, nella casupola, stava diventando soffocante, ma Morrigan, china e concentrata su di un enorme calderone maleodorante, non sembrava farci caso.

Alistair era nervoso e lanciava occhiate sfuggenti alternativamente a Zevran e ad Oghren, intenti a liberare dal ciarpame quanta più superficie possibile della stanza.

La tensione era palpabile, strisciava attraverso il loro silenzio e saliva con le volute di fumo a formare una cappa densa e pesante sopra le loro teste.

Per quanto la strega avesse dato loro una speranza, rimanevano troppi dubbi e preoccupazioni per potersi dire soddisfatti.

Il nano continuava a inciampare su pile di libri e cumuli di stracci da lui stesso ammucchiati negli angoli e il re era stato obbligato a mettersi a sedere immobile con le braccia conserte, dopo aver quasi distrutto un prezioso alambicco pieno di uno strano liquido nerastro.

Solo Zevran sembrava padrone di sé e della situazione, ma era una maschera che ormai non poteva ingannare nessuno dei suoi antichi compagni.

Di lì a poco avrebbe dovuto affrontare la prova più importante della sua vita, ma era quasi certo che non sarebbe neppure riuscito a prendere sonno, nonostante l'intruglio di Morrigan, a meno che quel tapperottolo brontolone non gli avesse assestato una sonora botta in testa col manico dell'ascia. Non aveva mai avvertito i nervi così tesi, né i muscoli tanto contratti. Tutto sommato un nuovo scontro con l'Arcidemone sarebbe stato preferibile a quanto si proponeva di fare.

Non era l'idea di doversi infilare nuovamente nell'Oblio a spaventarlo, né l'intrusione mentale della maga, per quanto, se avesse potuto ragionare a mente fredda, avrebbe trovato piuttosto fastidioso accettare di affidarsi in maniera così totale ad un'altra persona; il problema era che non credeva minimamente alle parole dei suoi compagni e non era per niente certo di riuscire a guidare Morrigan verso un luogo che nemmeno sapeva dove si trovasse: la voce di Eilin era sempre stata indistinta e non sembrava derivare da un punto preciso, quanto circondarlo e ghermirlo da ogni lato, in un coro cacofonico di echi roboanti e sussurri sfocati.

E se, proprio quella notte, non fosse riuscito a raggiungerla? E se la sua mente non avesse sopportato l'incantesimo? E se...

“Sono pronta” la repentina affermazione della strega squarciò il silenzio e il filo intricato di quei pensieri. “Adesso voglio che tu esca, nano, mentre tu, mio re, dovrai avere la compiacenza di spostarti vicino alla porta e fare quello che ti avevano addestrato a fare in situazioni del genere: sorvegliare.”

Oghren sembrò sul punto di protestare, aprì bocca, guardò gli occhi della maga, si grattò la barba dondolando da un piede all'altro, provò nuovamente a articolare qualche suono inaudibile, poi strinse il braccio del compagno in una morsa ferrea quanto fugace e si diresse a passo svelto fuori dalla stanza.

“Non sono mai stato davvero un Templare” la corresse Alistair, facendo, però, quello che gli era stato ordinato. “Non sono certo di essere pronto a fronteggiare un eventuale pericolo. Non sono neanche sicuro di saperlo riconoscere!”

“Se comincerai a notare qualcosa di simile a quanto avete trovato nella torre dei maghi l'ultima volta che siete andati in visita, potrai iniziare a pensare che qualcosa mi stia sfuggendo di mano.”

“Mi stai chiedendo di ucciderti?” lo sguardo del Custode era fermo e vuoto quanto la sua voce, ma a Zevran non sfuggì il leggero tremore della sua mano, mentre saliva a stringere con forza l'elsa della spada.

Morrigan non tentennò, né sembrò turbata.

“Ti chiedo di fare quanto sia necessario” non si prese neanche il disturbo di guardarlo in faccia, nel dirglielo, e continuò serenamente ad aggiungere con attenzione pizzichi di polvere semi trasparente in una tazza sbreccata dall'aspetto minaccioso. “In ogni caso, al momento, l'unico davvero in pericolo è il nostro eroe dalle orecchie a punta. Te lo ripeto per l'ultima volta, Zevran: sei certo di volerlo fare? Bevuto questo non potrai cambiare idea.”

“Non ho dubbi” mentì disinvolto, con il suo miglior sorriso da conquistatore che, in un'altra vita, Eilin aveva definito irritante come un fondoschiena caduto nell'ortica.

“Se non li avessi non ti staresti fondendo il cervello da due ore e io non ti proporrei neanche l'esperimento, perché ti riterrei un perfetto idiota. Comunque procediamo, la notte non aspetta.”

Con la cenere tracciò un cerchio perfetto al centro della stanza, coprendolo di rune incomprensibili, alla cui vista, per la prima volta, Alistair storse il naso istintivamente, ma ebbe il buonsenso di tacere.

“Togliti la casacca e sdraiati” gli ordinò. “E niente battute scontate, non ho fatto tutta questa fatica solo per la scarsa soddisfazione di guardare quel tuo torace rachitico.”

“Ehi! Meglio della pancetta accumulata in questi mesi di regno dal nostro illustre sovrano” cercò di sdrammatizzare, per rallentare il battito impazzito del proprio cuore, sempre più incontrollabile ad ogni laccio slegato.

C'era stato un tempo in cui aveva sognato mani forti e affusolate intente a compiere quel gesto così banale e così erotico, poi si era trovato a fermarne altre, sconosciute, pagate per un sollievo che non gli avrebbero potuto donare, ma adesso avrebbe voluto strapparsi via di dosso ogni indumento pur di porre fine a quell'ansia e smetterla di tentennare come una donnicciola isterica.

Dentro di sé maledisse ogni bottone, ogni fibbia contro cui si trovò a combattere, ma non cedette all'istinto e continuò a spogliarsi con voluta calma, quasi con volontaria sensualità, perché gli altri avevano bisogno della sua sicurezza, perché meritavano una piccola bugia, per poter credere che tutto sarebbe andato per il meglio e che non ci fosse niente da temere.

Era una bugia penosa e già smascherata in partenza, ma era comunque migliore della nuda verità.

“Bevi” la maga gli passò infine la ciotola con mano ferma, sorridendo alla sua espressione disgustata. “Non è gradevole come quello che cucinavi tu, ma non è peggio della sbobba del nano.”

Un'altra bugia, ma Zevran rifiutò di ammetterlo, confortato dal fatto che, dopo aver buttato giù quell'intruglio, ben poco avrebbe potuto risultargli più difficile.

Anche Morrigan entrò nel cerchio, poggiando il bastone sulle ginocchia e tracciando altri simboli vicino alla testa dell'elfo.

“Cerca di rilassarti e stringi questo” gli porse uno piccolo specchio dorato un po' consunto, ma lucidissimo su tutta la superficie. “Volgilo verso il soffitto.”

“A cosa dovrebbe servire?”

“E' un passaggio e anche un legame” per un attimo la sua voce si incrinò e dovette fare una pausa per recuperare compostezza. “Me lo ha regalato lei, tanto tempo fa.”

La mano di Zevran si aggrappò a quel metallo freddo e liscio come ad un'ancora di salvataggio, un po' più sicuro di riuscire laddove aveva tanto temuto di fallire.

Guardò la maga incidersi il palmo e tracciare una linea di sangue sulla sua fronte, poi sul cuore e, infine, sullo specchio stesso. Provò a rilassarsi e calmare il respiro, cercando quel sonno che ancora sembrava sfuggirgli, ma non si rese conto di aver chiuso gli occhi, finché, sbattendo le palpebre, non si trovò a osservare il paesaggio desolato e nauseante dell'Oblio.

Il sollievo che provò durò solo per un istante perché, subito dopo, uno spasmo pungente e disumano gli afferrò le viscere, risalendo come un'onda lungo la spina dorsale e artigliandogli la testa in una morsa indistruttibile di puro dolore.

Nessuna tortura che avesse mai provato, dalle banali frustate agli uncini roventi, poteva essere paragonabile a quello strazio, che gli annebbiava i sensi e lo spingeva a desiderare solo una morte rapida e pietosa.

Aveva creduto di sapere a cosa sarebbe andato incontro, quando Morrigan aveva provato ad avvertirlo, ma niente avrebbe potuto prepararlo ad affrontare una sofferenza simile, nata dal suo stesso cuore e subita da ogni cellula del suo corpo.

Cercò di mantenersi eretto, ma le ginocchia si piegarono da sole, incapaci di sostenerlo con la pura volontà per più di qualche attimo; vergognandosi di se stesso,si trovò piegato in due, su quella nebbia inconsistente e rosata, a vomitare sangue e acido in conati incontrollabili.

Doveva resistere, doveva trovare un modo per vincere le sue stesse difese e arrendersi a quell'intrusione che ogni fibra del suo essere rifiutava di accettare, ma non era facile mantenere pensieri razionali in quel luogo e ancora meno lo era quando l'unica idea che gli si poneva alla mente era far uscire dalle labbra contratte quel grido straziante che tanto anelava di vedere la luce.

Non che un rumore improvviso avrebbe potuto metterlo più in pericolo di quanto già non fosse: a meno di non credere alle storie, provare emozioni tanto intense in quell'inferno non era raccomandabile.

“Sei un patetico relitto, Zevran” mormorò al nulla, soffocando un gemito. “Una creatura inutile e vigliacca.”

Provò nuovamente ad alzarsi, artigliando l'aria con le mani e graffiandosi contro le rocce seghettate alle quali si era appoggiato in cerca di un illusorio sostegno.

“Non credevo di aver tanto pudore da ribellarmi fino a questo punto all'intrusione nel mio intimo di una bella donna!”

Sudore misto a sangue gli appannava la vista e i denti stridevano dalla violenza con cui li teneva serrati.

Se gli avessero strappato la pelle, bruciato i muscoli e spezzato le ossa non avrebbe potuto provare una sofferenza maggiore, ma, nonostante quello, il suo subconscio rifiutava ostinatamente di obbedire alla sua ragione e presto non avrebbe avuto più neanche la forza per provare a razionalizzare.

“No” e fu un grido, più che un lamento. “Non ho nessuna intenzione di arrendermi.”

“Zevran!”

Quel sussurro, lieve e disperato, fu tutto ciò che gli occorse per dimenticare se stesso. Il dolore non era diminuito, ma aveva perso importanza, davanti alla grandezza dello scopo per cui si trovava a provarlo.

“Zevran” la voce di Eilin era roca e spezzata, ma nascondeva ancora una forza a cui l'elfo tornò ad abbeverarsi e a consolarsi, rilassando i muscoli, sciogliendo i nodi di disperazione che teneva racchiusi nel petto, arrendendosi alla verità e al sogno, fino a scorgere finalmente, davanti a sé, uno specchio ovale dorato, delle dimensioni di un uomo, rilucente di una turbinante luce vermiglia.

 

Un capitolo piuttosto lungo, ma almeno, dopo tanto penare, son arrivati nell'Oblio! Suonino le trombe ^_^ Mi sono completamente inventata il rito con la magia del sangue, ma ho pensato che, a questo punto, un po' di inventiva in più o in meno non avrebbe fatto troppa differenza...

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Capitolo 50
*** Oblio ***


Morrigan sembrava ancora più cupa e affascinante nel riverbero sanguigno di quel varco surreale, mentre prendeva possesso della mente e dell'anima dell'assassino, fondendosi saldamente in essa.

Era bastato arrendersi per un istante per mutare completamente la realtà che li circondava.

Adesso il terreno era duro e vuoto, sferzato da venti caldi di pulviscolo malsano. Le rocce si erano sgretolate e confuse in nuove forme ancora più selvagge, incombenti su di loro come mura di aguzza pietra; la sabbia leggera, che prima scivolava sugli stivali dell'elfo, graffiandoli con granelli infrangibili di lama, era adesso un lastricato perfetto di lastre irregolari e sbreccate, inquietante e infido nel suo disperdersi verso un orizzonte immaginario.

“Ho sentito la sua voce” mormorò alla strega. “E' ancora se stessa.”

“Esistono molte voci nell'Oblio e tutte sono ciò che vorremmo sentire.”

“Come faremo, allora, a riconoscerla?”

“Speriamo.”

Il cinismo della maga era l'ultima cosa di cui l'elfo avesse bisogno, in quel momento, ma era anche l'unica cosa a cui aggrapparsi per districare il caos di emozioni e dubbi in cui stava affogando.

Il dolore gli rendeva difficile concentrarsi, ma l'ansia era anche più fastidiosa, perché non sapeva quanti tentativi avrebbe avuto per portare a termine il suo scopo, ma era quasi certo che uno fosse tutto ciò che gli sarebbe stato concesso.

“Così è quella la famigerata Città nera...” mormorò Morrigan, guardandosi intorno con cipiglio curioso, al di là dell'usuale, severa indifferenza. “E' imponente, non c'è dubbio.”

“A me sembra solo minacciosa.”

“Come qualsiasi paradiso a cui gli uomini abbiano accesso” sorrise con sguardo cattivo. “E credo che la Chiesa, con tutta la sua protervia e la sua santità, non vedrebbe l'ora di imitare le gesta degli antichi Magister e provare a darci una sbirciatina, se solo fosse possibile.”

“Non mi interessa la teologia” sospirò esasperato, per nascondere un lamento. “Dimmi cosa devo fare, non so quanto tempo ci resti.”

“Non posso dirti molto, fai solo ciò che hai sempre fatto, in modo che anch'io possa sentire la sua voce e provare a tracciarne la provenienza.”

In qualsiasi altra circostanza Zevran avrebbe adorato non ricevere ordini specifici, ma adesso sperava in consigli un po' meno vaghi. In realtà non aveva mai fatto niente, per riuscire a percepirla, e, anzi, fino a pochi giorni prima, si era piuttosto impegnato per ignorarla, così non riusciva a capire se avrebbe dovuto concentrarsi su un pensiero specifico di lei o limitarsi a conservare la sua presenza ben salda nel suo cuore, come in ogni suo battito da quando l'aveva conosciuta.

“Camminiamo” disse soltanto, a voce tanto bassa da non infrangere quel illusorio silenzio. “Forse avremo fortuna.”

Ma i secondi scorrevano e le speranze si assottigliavano, senza che un solo cenno arrivasse a guidarli fuori da quel labirinto innaturale che li imprigionava.

“Dannazione Eilin” pensò Zevran, stringendo tanto forte i pugni da lasciare una scia di minuscole macchie rosse sul terreno. “Devi aiutarmi se vuoi che ti aiuti!”

Ma forse era proprio quello, il problema, gli sovvenne ad un tratto: forse la sua incosciente amica, il suo coraggioso amore non voleva ottenere il loro aiuto. Non consciamente, almeno.

“E' possibile che si sia accorta della nostra presenza?”

“Nessuno sa cosa sia o non sia possibile, in questo luogo maledetto” la maga non dovette riflettere neanche un attimo. “La sola certezza, se così possiamo chiamarla, è legata alla Città, che sembra essere l'unico punto fermo in mezzo ad un mondo in costante mutamento. Ma questo è terreno di sogni, Zevran... o di incubi. E non ci sono regole che li governino, a parte, forse, la propria volontà o quella di dei oscuri che non vorremmo conoscere.”

“E se Eilin non volesse essere trovata?”

“Direi che sarebbe stata molto indisponente ad attirarci fin qui per poi cambiare idea.”

“No, ascolta: potrebbe averci invocato in un attimo di debolezza, magari senza volerlo veramente, ma adesso, sapendoci vicini a lei e, quindi, ad un grave pericolo, la sua preoccupazione per noi potrebbe vincere sul suo spirito di conservazione.”

“Mi dipingi più eroica di quanto non sia mai stata” la voce sottile e roca del Custode li spinse a voltarsi all'unisono verso l'angolo da cui era provenuta, con un balzo involontario di stupore.

“Tu...” l'elfo impiegò un solo istante per colmare la distanza che li divideva, chinandosi con un unico, fluido movimento, su quel corpo tanto caro che adesso appariva fragile e martoriato più di quando l'aveva stretto l'ultima volta tra le braccia.

“Sapevo che saresti venuto” e il suo sorriso era tanto dolce da illuminare il fioco riverbero che li circondava. “Sei sempre stato con me.”

Morrigan era rimasta a distanza, la fronte aggrottata, le mani serrate spasmodicamente sul bastone.

La giovane fanciulla che li aveva guidati e spronati in battaglia sembrava adesso poco più di una bambina, legata alla roccia da salde catene di metallo rilucente, sporca di sangue e polvere, scarmigliata e con lo sguardo colmo di un orrore che si sforzava di mitigare, ma non poteva cancellare del tutto.

Zevran non riusciva a credere di poterla sfiorare nuovamente e non sapeva come farlo senza procurarle ulteriore dolore; ogni centimetro del corpo era coperto da piaghe e lividi violacei, le labbra, che pure continuavano a sorridere serene, erano arse dal calore e dalla sete, gli occhi erano cerchiati e contusi, le guance incavate.

Se Alistair avesse potuto vederla, non sarebbe riuscito a trattenere il pianto, ma quello era un momento di gioia, perché, al di là del dolore passato, potevano confidare nella certezza di una salvezza fino a poco prima solo immaginata.

“Ti ho aspettato a lungo” ma non c'era rimprovero nel suo tono. “Te e soltanto te, per sempre.”

Questo era strano, pensò la strega.

Da quando conosceva Eilin, si era sempre chiesta perché non rinunciasse a quel bietolone patetico di cui si era invaghita per trovare la felicità accanto a un maschio un tantino più degno del suo amore, ma l'amica era sempre rimasta ostinatamente legata a entrambi gli uomini che avevano sconvolto la sua vita, l'uno con la stupidità e l'onore, l'altro col coraggio e l'impertinenza. Aveva sposato l'uno e legato parte del suo spirito all'altro, ma era evidente come, persino nella morte, non avesse preso una posizione più decisa, visto che anche Alistair aveva avvertito il suo richiamo.

“Adesso ti libero da queste catene” stava dicendo, intanto, l'assassino, cercando di spezzare la roccia a cui erano serrate. “Ti porto via da qui.”

Nessuna protesta, nessun indugio.

Le mani di Zevran sanguinavano copiosamente, ormai coperte di piaghe, ma gli occhi di Eilin non sembravano preoccuparsene.

Anche questo era strano. Nei mesi in cui aveva condiviso ogni ora del giorno e della notte con quella testona, Morrigan si era trovata anche troppo spesso a paragonarla ad una chioccia per quanto si preoccupava di ogni loro malessere, di ogni graffio, di ogni disagio. Lo faceva in maniera un po' rude, forse, da guerriero più che da mamma, tanto che Leliana, in genere, impiegava un attimo per rendersi conto delle sue premure e non scambiarle per burberi rimproveri, ma non passava sera in cui non spalmasse un po' di unguento su un taglietto sporco di fango di Sten, o preparasse una porzione in più di stufato per la vecchia Wynne, o si ricordasse di chiedere a lei se non avesse abusato troppo delle sue forze, a furia di lanciare incantesimi.

La morte cambia molte cose, non c'erano dubbi su questo, e, per quanto ne sapevano loro, in quei mesi trascorsi nell'Oblio l'anima dell'amica poteva aver subito ogni genere di abominio e essere stata toccata più profondamente di quanto non volessero credere dagli artigli putridi dell'arcidemone, eppure c'era qualcosa di troppo strano nell'arrendevolezza con cui accettava di veder spezzate le catene che la vincolavano e, conseguentemente, vincolavano quel mostro al suo esilio; c'era qualcosa di strano nel sorriso languido con cui osservava pacificamente il suo amico affannarsi e ferirsi nello sforzo disumano di distruggere qualcosa di potenzialmente indistruttibile.

“Ti prego, fai presto” la strega la sentì sussurrare. “Ho bisogno di te.”

“Zevran” un'altra voce si levò nell'aria, tutto intorno a loro, più indistinta e greve, ma anche più forte.

“Zevran!”

Era la voce di Eilin, ma non proveniva dalle labbra serrate in un ghigno malevolo di quella creatura che aveva preso le sue forme...

 

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Capitolo 51
*** Demone ***


“Dannazione!” l'assassino, per puro istinto, rotolò agilmente su se stesso, allontanandosi quel tanto che bastava per non essere colpito da un dardo luminescente.

Davanti ai suoi occhi sbarrati, le catene si dissolsero in fumo e il volto tanto caro della Custode si trasformò in quello inumano e perverso di un demone, con lucida pelle rosata e forme voluttuose.

Morrigan era già in guardia, ma fu Zevran a parare e respingere il secondo attacco, estraendo il pugnale con l'abilità data da anni di allenamento e resa anche più fulminea dalla furia. Se la maga non l'avesse trattenuto, sarebbe saltato al collo di quel mostro senza riflettere, desideroso solo di sfogare la frustrazione e il dolore su chi aveva osato prenderlo in giro.

“Se ti farai uccidere, tutto sarà perduto” lo rimproverò sottovoce, per quanto fosse certa di non poter nascondere niente a quella creatura, nel suo dominio.

“E' già perduta, Corvo” mormorò, infatti, con voce argentina come acqua di ruscello. “Povero, innamorato assassino, divenuto uomo solo per provare sofferenza.”

“Taci, demonio” ringhiò Zevran, stringendo l'elsa del pugnale e preparandosi a colpire. “Le tue parole sono solo veleno.”

“Perché dovrei mentirti?” volteggiò un po' più vicina a loro, per poi allontanarsi elegantemente con una giravolta. “Volevo solo darti quello che sei venuto a cercare e che non avrai altro modo di trovare.”

Zevran attaccò prima ancora che Morrigan potesse pensare ad un modo per impedirglielo. Corse avanti veloce e deciso, per poi scartare di lato a solo un passo dal demone, rotolare alle sue spalle e colpirlo con una pugnalata violentissima in mezzo alla schiena.

Sarebbe stato un assalto mortale per qualsiasi essere vivente, ma non per quel tipo di nemico, che si limitò a contrarre in una smorfia orrenda i muscoli del volto e a soffiare un micidiale vento di ghiaccio contro il suo assalitore, costringendolo a un rocambolesco salto mortale per evitare di rimanere ferito.

“Non puoi sconfiggermi” mugolò senza che la voce perdesse la sua cupa e malefica armonia. “Non puoi opporti a me. Ti conosco e tu mi hai conosciuta, in ogni forma che hai potuto immaginare e in altre che nemmeno supponevi esistessero.”

Morrigan evocò un'accecante colonna di fuoco che strappò un grido stridulo al mostro e diede a Zevran il tempo di rimettersi in guardia, ma non riuscì a porre fine allo scontro.

Il demone era rapido e potente, ancor più di quelli che avevano affrontato nella loro dimensione, e la maga iniziava a temere che, se pure fossero riusciti sconfiggerlo, non avrebbero avuto più la forza, né il tempo per portare a termine la loro missione. Dovevano escogitare un modo per scappare, per quanto fosse difficile immaginarne uno, in quel labirinto.

L'elfo continuava a muoversi in cerchio intorno a quella lussuriosa figura femminile, che niente aveva di donna se non le forme, apparentemente indifferente a qualsiasi cosa gli succedesse intorno,

ma Morrigan aveva ben visto come i suoi occhi si spostassero a tratti, velocemente, su due dei punti della barriera di pietre che anche lei giudicava adatti ad un disperato, quanto necessario, tentativo di fuga.

“Non voglio farti del male” cercò nuovamente di blandirlo, aprendo le braccia in un palese invito. “Tu meriti di essere felice e non troverai gioia in alcun luogo, se non con me. Lascia che mi prenda cura di te, lascia che realizzi il sogno impossibile che si dibatte nel tuo cuore.”

Parlando, aveva iniziato ad avvicinarsi, sinuosa e leggera come come un serpente, ma Zevran non era indietreggiato, anzi, aveva abbassato impercettibilmente la lama del pugnale, tornando a puntarla minacciosa contro il suo petto solo ad un nuovo passo di lei.

“Hai perso la tua amata” continuò, con falso dispiacere nella voce e nello sguardo. “Hai perso ogni ragione di vita, ma io posso farti sorridere di nuovo.”

E Zevran, in effetti, sorrise, un impercettibile dischiudersi delle labbra che non gli illuminò lo sguardo, ma rese più audace quella creatura, attirandola a solo un soffio da lui.

“Colpiscila adesso” pensò Morrigan, mentre si avvicinava guardinga allo stretto varco da cui sperava di intravedere una via d'uscita. “Una pugnalata al volto e scappa!”

Ma l'assassino rimaneva immobile a fissare gli occhi ingannevoli del demone ed a soppesare le sue melliflue parole.

“Meriti di avere ciò che vuoi, hai sofferto abbastanza.”

“Come puoi sapere ciò che voglio?” la sua voce era ferma, ma la mano stringeva con meno forza il pugnale e un fremito di dubbio gli scuoteva le spalle.

“Io vedo nel tuo cuore e sento il tuo desiderio” il mostro gli scivolò alle spalle, chinandosi al suo orecchio e carezzandolo con mani fredde e affusolate.

La maga alzò il bastone, pronta ad intervenire, ma un lampo nello sguardo del compagno le bloccò sulle labbra le parole dell'incantesimo.

Doveva fidarsi di lui, anche se non era facile, anche se non era nella sua natura. Se la situazione non fosse stata tanto drammatica, sarebbe quasi scoppiata a ridere per l'assurda ironia del destino, che la costringeva a compiere la stessa prova di coraggio da lei stessa richiesta poche ore prima proprio a colui che, in quel momento, chinava il volto verso le labbra di un demone della lussuria e sembrava totalmente rapito dalle sue bugie.

“Mi auguro che tu abbia un piano, elfetta” mormorò a se stessa, prendendo in prestito il soprannome usato dal nano. “O saremo spacciati entrambi.”

“Non puoi leggere nel mio cuore” stava sussurrando Zevran, quasi a se stesso, scuotendo la testa in un tentativo di riacquistare lucidità. “Vuoi solo blandirmi.”

“Voglio aiutarti e impedirti di perderti in questo regno, a caccia di una chimera ormai infranta.”

L'elfo ebbe un sussulto e sgranò gli occhi in un muto grido di dolore, ricacciando in gola un groppo acido di paura.

“Non temere, con me sarai al sicuro” gli strinse le braccia intorno al collo, con aria trionfante. “Io non ti respingerò e non ti abbandonerò mai.”

“Neanche lei lo ha fatto” provò a ribattere. “Io sono qui per salvarla...”

“Non puoi farlo” e la voce soave si ruppe in una nota d'acciaio. “Nessuno può raggiungerla lì dove è stata portata.”

“Tu mi stai mentendo!” Zevran gridò, liberandosi dal suo abbraccio e fissandola con il respiro mozzo e lo sguardo ancora in bilico fra rabbia e nostalgia. “Vuoi prenderti gioco di me con i tuoi inganni. Non sai niente!”

“Io so tutto, invece” il demone piroettò su se stesso, mentre la fiamma violacea dei suoi capelli si alzava in volute minacciose. “Io ascolto il sussurro del vento immobile che scuote queste lande e odo il lamento degli dei caduti che governano la città senza tempo e senza luce. La tua Eilin è la nuova prigione e il nuovo cibo per ciò che sotto le sue mani è morto e sulle sue ceneri risorgerà. Molti l'hanno preceduta in quella torre e molti la seguiranno, fino a che non ci sarà più forza nella vostra razza e cadrete insieme alle mura nere che adesso la incatenano.”

Il colpo dell'elfo giunse preciso, rapido e letale, con una violenza quasi inumana, che colse impreparato il mostro e lo scagliò contro le rocce, in un turbine di schegge e polvere.

Morrigan invocò il fulmine e mentre Zevran correva verso di lei lanciò una palla di fuoco alle sue spalle, per guadagnare il tempo di tuffarsi fuori da quella trappola.

“Credevi fosse facile incantarmi?” sorrise l'elfo, strizzandole l'occhio. “Deve ancora nascere la femmina che possa sedurmi.”

Fuggirono senza voltarsi indietro, incuranti del destino di quella creatura e concentrati solo su quanto avevano scoperto dalle sue parole.

La Città nera incombeva su di loro, immota e irraggiungibile, come uno squarcio di tenebra in un cielo senza stelle.

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Capitolo 52
*** Devi lasciarmi andare ***


“Cosa facciamo adesso?” mormorò con voce rotta dallo sforzo Zevran, non appena si fermarono a riprendere fiato e a cercare di capire dove diavolo fossero finiti. “Come arriviamo lassù?”

Morrigan non rispose.

“Conosco le leggende” continuò l'elfo, cercando il suo sguardo sfuggente e rifiutandosi di tacere. “Ma è evidente che non raccontino tutto. Che facciamo?”

La maga lo guardò per la prima volta da quando erano sfuggiti al demone, ma i suoi occhi erano vuoti e immobili, come stelle prive di luce.

“Adesso dobbiamo svegliarci” ordinò soltanto, volgendo le spalle al compagno e svanendo con un unico passo leggero. “Adesso devi svegliarti.”

La voce risuonò acuta nel vuoto della sua assenza, provocando un brivido lungo la schiena dell'assassino, incapace di accettare la fuga quando la meta sembrava così vicina, per quanto irraggiungibile.

“Svegliati amico mio” stavolta il tono era più dolce e la voce più debole. “Vattene e non tornare.”

“Eilin” l'elfo si volse verso le mura nere della sua prigione, allungando la mano e sognando assurdamente di poter arrivare a sfiorarle. “Eilin!”

Il suo grido si spense nel pulviscolo incorporeo di quel mondo freddo e senza vita, ma Zevran era certo che lei fosse riuscita a sentirlo.

“Non ti abbandonerò” promise a se stesso, al Creatore, ai demoni e a chi, adesso, avrebbe voluto scacciarlo. “Non ti abbandonerò più.”

“No, non lo farai elfetta, ma spero proprio tu non ti stia riferendo a me.”
Quando aprì gli occhi, l'assassino si trovò a fissare il volto barbuto di Oghren a meno di un palmo di mano dal suo e la corposa zaffata di liquore nanico che gli investì le narici lo strappò definitivamente al torpore.

“Ho parlato nel sonno?” mormorò, scostandosi e massaggiandosi le tempie per calmarne il martellio ritmico, probabilmente dovuto alla sbornia indiretta provocata da quel maledetto testone più largo che lungo, adesso incomprensibilmente ghignante e soddisfatto.

“Solo un po'” lo zittì Morrigan. “Ma l'importante è che ti sia svegliato, cominciavo a credere di averti perso là dentro.”
“Quanto tempo è passato? Mi è sembrato di averti visto scomparire solo un minuto fa.”
“Quasi due ore. L'alba è vicina.”

“Due ore?” Zevran si avvicinò alla finestra, ignorando lo sguardo triste e indagatore di Alistair, restio ad affrontare qualsiasi sua domanda.

La prima luce si faceva strada a fatica nel groviglio contorto e spettrale di vegetazione che circondava la casa, inasprendo le ombre e confondendo la vista.

“L'ho sentita, in quell'incubo” disse dopo qualche attimo, incapace di decidere se dar voce o no a quella confessione. “Mi ha chiesto di non tornare.”

Per un po' nessuno rispose, finché l'ultimo richiamo della civetta segnò l'avvento improrogabile dell'alba e Oghren ruttò al mondo il suo buongiorno, dopo essersi scolato un altro paio di sorsi di mistura speciale.

“Cosa pensi di fare?” chiese il Custode, senza esprimere alcun emozione, senza neanche guardarlo.

“Le darai retta?”

“Certo che no!”

“Quindi dobbiamo solo capire come fare per disobbedirle.”

“E' un bel guaio” si stiracchiò il nano, grattandosi la barba. “Se è davvero finita nella Città Nera, come ha detto Morrigan, nessuno sarà in grado di andarla a riprendere, volente o nolente. Già l'Oblio era un bel pasticcio, ma questo è una stramaledetta gatta da pelare.”

“Abbiamo fatto molte cose che pensavamo impossibili” lo fulminò con lo sguardo Zevran. “Non sarà peggio che affrontare un drago sproporzionato.”

“Lo è, in realtà” Morrigan sembrava indifferente, come un maestro intento a spiegare una banale lezione teorica a studenti un po' tardi. “Non ci sono notizie di individui penetrati in quel luogo, maghi o meno, oltre a coloro che l'hanno corrotto. E i Magister non erano persone qualunque.”

“Nemmeno tu lo sei” provò a blandirla, con il suo più seducente sorriso. “Mi hai portato nell'Oblio con facilità, mentre quelle vecchie mummia della Torre avrebbero solo fatto in sacco di storie e poi non ci sarebbero riusciti.”

“Il fatto che i maghi... convenzionali si siano stupidamente imposti più restrizioni di me” scosse la mano quasi a voler allontanare un insetto. “Non significa che io non ne abbia.”

“Potrei mettere per scritto questa affermazione” cercò di sdrammatizzare, senza riuscire a sorridere. “Un giorno potrebbe tornarmi utile.”

La maga si limitò ad alzare un sopracciglio, guardandolo col gelo più assoluto negli occhi.

“Andiamo Morrigan, non vorrai davvero dirmi che, arrivati a questo punto, non ci sia niente da fare!”

Anche il Custode si era alzato, avvicinandosi a loro in silenzio, il volto grave, le labbra contratte in una smorfia di malcelata preoccupazione.

Il silenzio era la risposta più terribile che potessero ottenere e si protrasse per istanti che parvero interminabili, finché la donna non sospirò pesantemente e si decise a conceder loro un briciolo di speranza.

“C'è sempre qualcosa che si possa fare” sentenziò, con più convinzione di quanto ne provasse. “Devo solo aver il tempo di studiare la situazione. Quindi levatevi dai piedi e lasciatemi pensare.”

“Grazie” disse Alistair, affrettandosi a spingere un recalcitrante Oghren fuori dalla porta. “Grazie a nome di tutti noi.”

“Aspetta a ringraziarmi e lascia che gli altri parlino per sé, altezza” lo canzonò senza acrimonia. “Tu no, Zevran!”

Lo fermò prima che seguisse i compagni all'esterno.

“Devo parlarti.”

L'elfo si strinse nelle spalle e tornò sui propri passi, allungando lo zaino con le provviste al nano che stava cercando di liberarsi dalla presa ferrea del re pur raggiungere le salsicce piccanti ivi contenute.

Una volta da soli, la stanza sembrò dannatamente più cupa e spoglia, a memoria dei lunghi mesi di solitudine trascorsi.

“Non eri tornata ad abitare qui, vero?” era una domanda, ma sembrava più una semplice constatazione, tanto che la maga evitò di perdersi in una banale risposta.

“Non potevi tollerare il suo ricordo.”

“Non c'era più niente per me, in questo luogo” lo fissò, sfidandolo a contraddirla. “Non dipingermi come una stupida donnetta romantica e malinconica.”

“Io non credo di esserlo, ma so di aver provato i tuoi stessi sentimenti.”

“Perché vuoi trovarla Zevran?”

“Lo sai.”

“Forse io lo so, ma voglio essere sicura che tu lo sappia.”

L'elfo la guardò, interrogativo.

“Dici di amarla, ne sono consapevole” sbuffò, irritata da tanti discorsi sentimentali, ai quali era rifuggita sempre, anche le rare volte in cui Eilin aveva cercato di trascinarvela con l'inganno. “L'amore è uno strano sentimento, talmente ricco di definizioni che qualcuno lo chiama persino odio.”

“Non si tratta d'amore” iniziò a protestare. “Io le devo il mio aiuto.”

“Se lo fai per un assurdo senso di colpa o per quell'onore che tanto decanta lo stupido fuori dalla mia porta, ma al quale speravo tu fossi immune, ti invito ad andartene subito e a non tornare, perché non perderò il mio tempo per motivi così sciocchi.”

“Vuol dire che ritieni l'amore un motivo valido?”

“Dipende.”

“Da cosa?”

“Da come lo ritieni tu.”

“Ammetto di essermi perso.”

“Perché la stai cercando, Zevran?”

“Perché mi ha invocato” mormorò piano. “Perché vuole che vada da lei.”

“Hai ben sentito che ha cambiato idea, su questo punto. La tua teoria probabilmente è corretta e la giovane Eilin adesso è pentita di averci fatto rischiare la vita in un improbabile tentativo di salvataggio.”

“Deve essere solo spaventata e sai quanto sia generosa...”

“Infatti, ma se devo rispettare la sua volontà, non ho bisogno di mettermi a scartabellare tra vecchi libri polverosi a caccia di un incantesimo che probabilmente non esiste.”
“Ha salvato tutti noi!”

“Motivo in più per non buttare alle ortiche il suo sacrificio.”

“Ti stai burlando di me?” gli occhi dell'elfo erano due lame affilate e la mano, istintivamente, corse al pugnale, stringendone con rabbia l'impugnatura d'osso levigato.

“Perché la stai cercando, Zevran?”

“Perché l'amo, contenta?”

“No” Morrigan scosse la testa. “Per amore si può abbandonare i propri amici, tradire la moglie, uccidere la mucca del vicino. Per amore si può ridere, strapparsi i capelli, pronunciare frasi inconsulte e comportarsi da stupidi. Per amore si può anche morire, anche se io lo definisco un gesto più egoistico che romantico. Ma quello che stai per compiere tu va ben oltre qualsiasi azione l'amore possa giustificare.”

“Eilin l'ha fatto.”
“Eilin è morta perché non aveva altra possibilità, non c'era nessuna sdolcinatezza nel suo gesto.”

“Perché questo interrogatorio? Avevi già accettato di aiutarci. E io ti ho detto che sono disposto a tutto pur di salvarla, quante volte ancora dovrò ripetertelo?”

“Ti ho fatto quella domanda quando pensavo che la nostra amica fosse prigioniera in qualche buco oscuro dell'Oblio, quando ero certa di chiedere solo la tua vita, in cambio della sua anima. Ma adesso è diverso.”

“In che modo?”

La maga non rispose.

“Non è cambiato nulla, Morrigan!” la scosse, infischiandosene di invadere il suo spazio vitale, infischiandosene del rischio di trovarsi trasformato in rospo. “La mia risposta è ancora quella di prima: farò qualsiasi cosa pur di non lasciarla all'inferno.”

“Persino finirci tu stesso?”

Zevran sorrise, un sorriso amaro che conteneva solo lacrime.

“Io sono all'inferno.”
“Non hai idea di cosa sia, in realtà.”

“Allora sono disposto a scoprirlo.”
Quando Morrigan fece per protestare, l'elfo la fermò, alzando una mano a chiedere il suo silenzio.

“Non sono una brava persona, lo sai. Nella mia vita posso aver finto molte volte di essere buono, pur di raggiungere i miei scopi e forse, per qualche breve momento, lo sono anche stato, ma pochi mesi di coraggio non trasformano un vigliacco in un eroe. Se c'è un'anima che deve marcire all'inferno, è meglio che sia la mia.”

“Eilin non la penserebbe così.”

“Quando è toccato a lei scegliere, l'ho lasciata andare a morire, ma ora la scelta tocca a me e tu devi lasciarmi andare.”

 

 

Ormai siamo davvero alle battute finali (il che potrebbe voler dire che dovrete sorbirvi un'altra decina di capitoli, conoscendo la mia abilità nel fare previsioni ;-P) e questa volta la parola “fine” sarà davvero definitiva... forse per questo la sto tirando tanto per le lunghe!! Ad ogni modo, ringrazio ancora una volta chiunque stia leggendo questa ff e chi trovi un minuto di tempo per farmi sapere cosa ne pensi ^_^

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Capitolo 53
*** Eilin ***


Sapevo che sarebbe venuto, anche se non credevo davvero che mi avrebbe trovata, nessuno avrebbe potuto farlo, nessuno avrebbe voluto. Questo luogo è l'inferno peggiore che possa mai essere immaginato, la prigione dei dannati impossibili da redimere, l'incubo eterno da cui non esiste risveglio, lo spauracchio per ogni essere vivente teso a scegliere il male, affinché si convinca a desistere. Nessuno penserebbe mai di cercare una strada per raggiungermi qui, nel cuore stesso della corruzione, nell'antro della bestia più feroce. Nessuno potrebbe avere un motivo abbastanza valido per affrontare qualcosa di peggiore della morte. Neanche l'amore vale questa pazzia.

Ma forse la mia fiducia in lui, in tutti loro, era più grande e istintiva di quanto non volessi ammettere a me stessa; volevo essere salvata e sapevo che avrebbero provato a farlo, ma adesso che mi rendo conto di averli davvero condotti in quest'incubo, non posso permettermi di supporre di esserne la responsabile.

E' vigliacco e insensato, stupido e disgustoso, ma la mia paura è già infinita e il mio coraggio si assottiglia, risucchiato goccia a goccia dal mostro a cui mi sono legata e che si nutre da me e dalla mia anima, avido come un neonato poggiato al seno della madre.

Sento l'olezzo del suo fiato scivolarmi sul corpo e la mia debolezza si trasforma in una patetica e ridicola lotta contro me stessa, contro il destino a cui mi sono condannata e contro qualcosa che non comprendo ancora, ma che inizio a conoscere meglio di me stessa.

Non devo cedere neanche per un istante, non devo tremare, non devo dubitare, perché ciò che ero non è più ciò che sono e presto non sarò niente del tutto, se non una scaglia nera su un cuore malato e gelido di rabbia pulsante. Per questo devo ignorare il senso di colpa, per questo non posso credere di essere la carnefice di quanto avessi di più prezioso.

Non voglio scomparire. Non voglio dimenticare.

E' tanto sbagliato questo? Tanto egoista?

Sì, lo è.

Me ne sono resa conto quando ho sentito la sua voce e ho capito, al di là di ogni illusione infantile e tremebonda, che la mia anima non vale il prezzo che sarebbe disposto a pagare.

Non avrebbe senso salvare i miei ricordi, se l'ultimo di essi fosse l'averlo perso per sempre.

Per il Creatore, cosa mai ho fatto? Come ho potuto, dopo aver cercato sempre di mostrarmi coraggiosa e inflessibile e saggia, cedere in maniera tanto stupida al terrore e alla follia?

Io che non ho mai ammesso di amarlo e ho voluto ignorare che mi amasse, io che ho trovato il coraggio di vivere tra le sue braccia e lì sono morta, io che gli ho chiesto di sopravvivermi, di dimenticare, di ricominciare, io che mi sono sacrificata per un ideale e un dovere, aggrappandomi al mio compito come erbaccia avvinghiata alla terra, proprio io che non ho mai permesso alla paura di dominarmi e mi sono vantata della mia determinazione, ho finito per piegarmi al primo soffio di vento, come un fragile fiore di campo privo di radici.

È questo il sintomo della corruzione che mi scorre nelle vene? E' questo un amaro assaggio della crudeltà che mi appresto ad abbracciare?

Non avrei dovuto chiamarlo a me. I morti non devono invocare i vivi. Ho ignorato tutto ciò che mi era stato insegnato, ma come potevo non gridare il loro nome, quando avvertivo la loro presenza scivolare lontano da me?

Tutto ormai è confuso e non so neanche chi fossi o a cosa appartenessi.

Ci sono momenti in cui credo di aver chiuso gli occhi per sempre, in un eternità peggiore della morte, in un vuoto totale da cui non esiste ritorno.

Non so quanto tempo sia passato e non so se il tempo esista in questo limbo a cui appartengo; in fondo i minuti, le ore o persino i secoli hanno smesso di avere un senso o un valore, per me.

La prima volta in cui ho sentito le sue zanne chiudersi intorno al mio cuore mi sono rifiutata di gridare, quasi fosse la tortura di un nemico cui avessi dovuto dimostrare la mia determinazione.

Ho stretto i denti, scalciato e inarcato la schiena fino a spezzarmi le vertebre, ma non ho emesso un fiato.

Non so descrivere la sensazione di sollievo che provai quando rimasi finalmente sola e non so più neanche rammentarla a me stessa, perché adesso, orribilmente, non è più conforto che avverto in sua assenza, ma solo un terribile senso di incompletezza.

Sembrò trascorso un attimo quando il dolore tornò, più feroce e penetrante, ma ancora seppi resistere. Poi mi accorsi di non riuscire più a rammentare il volto di mio padre.

Pensai di stare impazzendo, finché quel mostro non rubò anche il ricordo di mio fratello e di mia madre, lasciando al loro posto immagini di cupa desolazione.

Allora capii quale fosse il vero destino dei Custodi e seppi che per quanta forza avessi potuto dimostrare, non avrei trovato il modo per salvare un briciolo di me stessa.

Come potevo accettarlo? Come potevo sopportare?

Quando il sangue coprì ogni pensiero di ciò che ero stata prima del Flagello, mi resi conto di aver gridato il loro nome e di aver condannato la mia anima a un destino peggiore dell'estinzione. Promisi a me stessa di tacere, eppure ho continuato a gridare e gridare, perché volevo rammentare il loro volto, il volto di coloro che avevo amato in modo diverso e ugualmente totale, perché il suono della loro risata non mutasse in un roco sogghigno, perché il calore dei loro occhi riscaldasse l'inverno che si impadroniva di me.

Ho gridato per salvarmi e sono riuscita a dannarmi oltre ogni dannazione.

Adesso è uno solo il nome che mi separa dall'abisso.

Mi vergogno di me stessa e so di non aver diritto al perdono.

Lui è qui, tornerà per me e affronterà con coraggio l'inferno che io non sono stata capace di sopportare.

Zevran perderà la sua anima in cambio degli ultimi brandelli sfilacciati della mia.

Nella morte l'ho condannato per egoismo, laddove, in vita, avevo voluto solo augurargli gioia e fortuna. Se anche riuscissi a impedirgli di tornare, se anche non riuscisse a farlo, quale pace potrebbe trovare nella consapevolezza di avermi abbandonato ad un destino che nessuno dovrebbe conoscere?

 

Di ritorno da più di 7 ore di conti, legislazione fiscale e schifezze simili non so proprio cosa possa aver tirato fuori in questo breve pezzettino, ma avevo voglia di rimettere mano a questa ff prima di perderla del tutto, quindi chiedo venia e spero che il brano non risulti così orrido come temo ^_^

 

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Capitolo 54
*** Un pomeriggio di fine estate ***


“Molto bene” e il tono glaciale con cui Morrigan pronunciò quelle parole ne confutò all'istante il significato. “Sei padrone del tuo destino.”

Zevran non mosse un muscolo e non tradì alcuna emozione, né di soddisfazione per aver ottenuto il suo scopo, né di paura o tristezza per il destino a cui si era appena condannato. In realtà, al momento, l'unica sensazione che riusciva a provare era una bruciante urgenza, un bisogno irrefrenabile di mettersi all'opera, di concludere ciò che, senza saperlo, aveva iniziato quel lontano pomeriggio di fine estate in cui, per la prima volta, aveva posato lo sguardo su una graziosa bambina dagli occhi quasi vecchi come i suoi.

Ricordava bene l'indifferenza con cui aveva atteso che quel gruppo di sciocchi idealisti si gettasse nella trappola che piuttosto banalmente aveva progettato per loro.

Non era mai difficile prendersi gioco dei cosiddetti eroi, non era necessario inventarsi stratagemmi troppo elaborati: una fragile fanciulla in difficoltà, una richiesta di aiuto espressa con voce tremante e il pollo di turno era già pronto a infilare la testa nel cappio del boia.

Le famigerate “ultime speranze del Ferelden” non erano state da meno e si erano lasciati infinocchiare come il più ingenuo dei contadini; tra l'altro l'interpretazione di quella novellina mandata a abbordarli aveva lasciato molto a desiderare: nessun pathos, nessuna lacrima, nessun tremore virginale. Zevran aveva pensato che avrebbe dovuto insegnarle qualche trucco, magari rimproverarla per la sua incapacità, ma era piuttosto piacevole averla tra le lenzuola e, tutto sommato, non aveva avuto voglia di perder tempo prezioso con consigli inutili. Al massimo si sarebbe inventato qualche giochetto piacevole con cui punirla e, al contempo, divertirsi un po'.

Aveva scosso la testa, deluso. Il fatto che potesse distrarsi con considerazioni tanto futili la diceva lunga sul grado di difficoltà di quel compito.

Mentre se ne stava nascosto all'ombra di una tenda del loro falso accampamento, circondato da un manipolo scelto di assassini dei quali non ricordava neppure il nome, ma conosceva bene le abilità, quasi si era dispiaciuto che tutto fosse stato così facile.

Non dava mai giudizi sugli incarichi che gli venivano affidati, né si permetteva il lusso di decidere se gradisse o meno compierli. I suoi superiori lo mettevano sulla strada e l'assassino si limitava a liberarla da ogni ostacolo gli fosse stato indicato, uomo, donna, bambino o animale. Non provava nulla, non desiderava nulla, ma, in quella occasione, aveva quasi sperato che tutto si rivelasse più difficile del previsto, che quegli stupidi si dimostrassero degni della loro fama e gli permettessero, dopo tanto tempo, di mettere alla prova la sua abilità, di sgranchirsi un po' dall'apatia di lavori banali e sterili che lo soffocavano in un vortice di insensibilità troppo pericoloso per adagiarvisi definitivamente. L'annullamento emotivo era un inevitabile rischio del mestiere, ma crogiolarvisi poteva condurre al verificarsi di un altro rischio, ben più definitivo.

Allungando le braccia per stirare i muscoli e evitare crampi indesiderati, si era augurato almeno di godersi un bello scontro prima di ucciderli, anche se riteneva improbabile che, per quanto abili, potessero resistere per più di un paio di minuti. Aveva studiato approfonditamente le capacità di ogni membro del gruppo e l'unica a preoccuparlo era la maga rinnegata dai capelli corvini e l'espressione perpetuamente strafottente che non era legata quanto gli altri a stupide leggi morali sull'onore e il rispetto della vita.

Con un unico cenno, aveva indicato al compagno alla sua destra di occuparsi esclusivamente di lei, aggirandoli furtivamente non appena avessero messo piede in trappola.

Aveva sentito le loro voci avvicinarsi, sommesse, prudenti, ma non abbastanza per il suo udito finissimo, e aveva sfoderato i pugnali. Poi aveva commesso il primo errore di quel dannato pomeriggio: si era rilassato tanto da concedersi di fissare negli occhi il suo avversario. Ciò che aveva visto non era ciò che si aspettava. Alle spalle del guerriero dall'aria cupa e ingenua che sapeva essere il Custode più anziano, se ne stava la fanciulla che si era ripromesso di uccidere personalmente, il capo di quella sconclusionata compagnia che avrebbe dovuto salvare il mondo e non sapeva riconoscere neanche una banale trappola da mercenari.

Era poco più di una bambina, piccola sotto l'armatura di cuoio che avrebbe dovuto quasi soffocarla col suo peso. Teneva due lame corte in mani affusolate più adatte a pizzicare il liuto che brandire armi e aveva il volto delicato e cesellato di una principessa, non di una guerriera.

Eppure c'era qualcosa nel suo portamento che non faceva dubitare neanche per un attimo che meritasse il ruolo a cui era stata condannata; avanzava fiera e decisa, guardinga nei gesti e svelta nei modi, attenta a ogni membro della squadra per indirizzarlo verso la migliore strategia possibile davanti ad ogni imprevisto.

Non poteva avere più di sedici anni, ma i suoi occhi, di un castano più scuro della terra appena arata, grandi e modellati apposta per essere paragonati a quelli di un cerbiatto in qualche sciocca rima da innamorato, nascondevano, tra ciglia lunghissime, un disincanto proprio solo delle anime che hanno visto troppo e provato troppo dolore per non uscirne invecchiate e sfilacciate, in un giro di dadi col destino la cui posta in gioco è la disperazione, la morte o la forgiatura di uno spirito talmente adamantino da essere capace di dimenticare se stesso e divenire indistruttibile.

Zevran conosceva bene quegli occhi, perché li vedeva riflessi ogni volta in cui si concedeva il lusso di guardarsi in uno specchio; anche se quella ragazza aveva scelto il bene e non il male, il sacrificio e non l'egoismo, il coraggio e non la vigliaccheria, i loro occhi raccontavano la stessa storia, lo stesso disincanto, la stessa cupa consapevolezza del mondo e, per la prima volta, l'assassino si era reso conto di averla sottovalutata e aveva provato una strana sensazione di incomprensibile fastidio nel dover uccidere non uno stupido, saccente eroe, ma un coraggioso sopravvissuto.

Aveva dato il segnale con un attimo di ritardo, il secondo errore di quella sciagurata missione, ma forse, se anche tutto si fosse svolto perfettamente secondo i piani, non sarebbero riusciti a sconfiggerli.

Questo dubbio se lo sarebbe portato nella tomba, o in qualsiasi altro luogo a cui, adesso, fosse destinato.

Sarebbe dovuto morire quel giorno, morire da mostro e da codardo, senza nessuno a seppellire le sue ossa o a piangere la sua perdita.

Era quello che si era aspettato mentre veniva strattonato da quel grosso bue in armatura davanti a colei che non aveva saputo uccidere, perché decidesse il suo destino.

L'aveva guardata negli occhi nascondendo la sua ammirazione dietro una licenziosa ironia, biascicando frasi adulatorie più per abitudine che per sincero interesse, incapace di capire se davvero volesse essere risparmiato o essere liberato, finalmente, dal peso di una vita vuota e inutile.

Aveva agito per istinto o per addestramento e aveva venduto la sua vita in cambio di obbedienza, come i Corvi gli avevano insegnato a fare, pronto a tradire e fuggire al primo mutar del vento, ma allora non si era reso conto che, quella volta, quel contratto che tanto superficialmente si stava apprestando a siglare non si sarebbe potuto sciogliere nell'inganno, perché neppure un assassino col cuore gonfio di tenebra avrebbe potuto rimanere indifferente di fronte a chi, rinato nelle tenebre, aveva saputo trovare e offrire al mondo una luce.

 

 

Rieccomi!! dopo un'assenza più lunga del previsto, cosa mi metto a fare? Non porto avanti la storia, ma mi perdo in un flashback -_- Onestamente non era quello che avevo in mente quando, due ore fa, mi son seduta davanti al pc. Ad ogni modo, ormai è tardi per tornare indietro e spero che il capitolo possa piacervi lo stesso ^_^, così come spero di poter aggiornare prima di quanto non tema al momento. Come sempre, grazie a chiunque segua ancora questa interminabile ff.

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Capitolo 55
*** Grazie ***


La prima volta in cui l'ho visto era mio nemico e un semplice elfo non troppo alto, con la faccia da schiaffi e lo sguardo strafottente.

Non c'era niente che mi piacesse in lui, tanto meno la rapidità con cui si era arreso e mi aveva defraudato della possibilità di ucciderlo, costringendomi a tirarci dietro una mina vagante e un ulteriore problema a cui badare.

Era un Corvo, un assassino patentato e un imbroglione per professione, come potevo fidarmi della sua parola? Eppure, come potevo giustiziarlo dopo che aveva lasciato cadere il suo pugnale?

C'era già abbastanza morte intorno a me senza che vi aggiungessi sangue non proprio innocente, ma almeno ancora rosso e libero dalla corruzione.

Dovetti sopportare diversi rimbrotti, più o meno velati, e confrontarmi con una miriade di opinioni discordanti, dopo aver sentenziato di lasciarlo vivere, ma finché chiunque fosse contrario alla mia decisione non avesse avuto abbastanza fegato da impugnare la spada e staccargli la testa dal collo, il mercenario sarebbe rimasto al nostro servizio... formalmente, se non concretamente.

Le prime notti non ero riuscita a dormire e non mi ero neppure sognata di affidargli un turno di guardia. Passi il buon cuore, ma la stupidità non mi era concessa.

Alistair era ancora più teso di me e passava tanto tempo a osservare il nuovo venuto che Morrigan aveva ipotizzato potesse finire a pomiciare con un hurlock scambiandolo per la sottoscritta o magari che stesse cambiando gusti in fatto di relazioni amorose, provocazione che aveva fatto particolarmente infuriare il mio compagno e aveva dato all'elfo materiale per qualche sardonico flirt, per il quale, del resto, non avrebbe avuto neppure bisogno di particolari incoraggiamenti.

L'assassino sembrava completamente a suo agio con noi, scherzava, si comportava bene e era ansioso di rendersi utile e benaccetto, ma continuavo a chiedermi quanto fosse reale quella recita e quanto fosse frutto del suo desiderio di farci abbassare la guardia.

Non mi concedevo il lusso della fiducia, non gli permettevo di avvicinarsi a me: era stato al soldo di Loghain, era stato un'arma nelle mani di una delle due persone che odiavo di più al mondo e non aveva importanza che adesso l'avesse tradito, non aveva importanza che per lui quel falso eroe fosse nulla più di un nome su un contratto, per me odorava ancora del sangue di decine di coraggiosi guerrieri mandati al massacro, di centinaia di innocenti fagocitati da un incubo a cui io, senza averne i mezzi o le abilità, venivo costretta a cercare un rimedio.

Come potevo volerlo con noi?

Eppure, battaglia dopo battaglia, ammiravo sempre di più la sua abilità e mi scoprivo propensa ad affidarmi ad essa, tanto da non poter negare, alla fine, come fosse stato proprio lui, in alcune circostanze, a salvarmi la vita e a cambiare le sorti dello scontro.

Era agile, dannatamente veloce e impossibilmente aggraziato nel mulinare i pugnali, quasi fossero estensioni del suo braccio; combatteva come fosse impegnato in un'intricata danza di corte e non in un duello con creature puzzolenti e selvagge e, quando tutto era finito, si voltava verso di me con un sorriso che, per molti giorni, avevo giudicato fin troppo compiaciuto per non nascondere una minaccia.

Ero cieca, a quel tempo, e spaventata: da ciò che avevo intorno, dal peso della responsabilità affidatami, dai ricordi che non volevano saperne di darmi pace, da me stessa. Tanto terrorizzata da non riconoscere la malinconia celata in quel breve stiracchiarsi di labbra. Tanto chiusa in una prudenza sospettosa da non vedere al di là della maschera che io stessa lo stavo costringendo ad indossare.

Fu Vento a infrangere questa spirale di crudeli pregiudizi.

Era il mio turno di guardia e stentavo a tenere gli occhi aperti, per essermi stupidamente costretta a non riposare da troppo tempo. Alistair, con molte proteste, si era addormentato, cullato dal mio calore e dal mio profumo, e Sten, concluso il suo compito, non aveva impiegato più di cinque secondi a abbandonarsi al sonno; nel campo si udiva solo il russare sommesso di Oghren e il lieve fruscio delle pagine del libro di preghiere di Leliana.

“Lasciati aiutare” la voce di Zevran mi sembrò tanto vicina che la mia mano strinse la spada prima ancora di riflettere. “Sei sfinita ed è colpa mia, ma non sarà utile per nessuno se ti addormenti in battaglia o non ti accorgi di qualche genlock deciso a farci visita stanotte.”

Non risposi e lo osservai sedersi vicino al fuoco con me. Sembrava stanco, oppure triste, ma in quel momento non credevo che un simile sentimento gli si addicesse: era sempre troppo scanzonato, ironico e giocoso, come se fosse in grado di affrontare la vita con un perpetuo sorriso.

In realtà ero io ad essere troppo stupida e crudele per giudicarlo secondo giustizia.

L'avevo risparmiato perché era un essere umano, ma non mi ero ancora permessa di considerarlo come tale.

“Ti fidi davvero così poco di me?” cercò di farla sembrare una provocazione, una burla, ma le sue parole tremarono impercettibilmente sulle sue labbra contratte dal timore di quanto avrei potuto rispondere. “Ancora non ti ho conquistato col mio indiscusso fascino?”

Mi scoccò il solito sorriso da seduttore e mi accorsi di sbuffare per gioco e non per sincero disprezzo o fastidio, alzando gli occhi al cielo in uno scherzo che ben rispondeva alla sua recita.

Però non risposi, non ancora.

Cosa avrei potuto dirgli? Non sapevo più neppure io quale fosse la verità e quale la menzogna dietro cui mi nascondevo.

Il silenzio rischiò di soffocarmi e avrei dato qualsiasi cosa per vedere ancora la sua espressione strafottente prendermi in giro. Ma non c'erano sorrisi sul suo volto, né luce nei suoi occhi, vera o presunta che fosse. Non c'era ironia nella posa amara delle sue spalle, né imperturbabilità nell'artiglio esangue che era diventata la sua mano.

Fu allora che Vento si allontanò dal mio fianco e si sedette di fronte a lui, scrutandolo con quella calma rassegnazione che solo i cani possono avere di fronte alla stupidità dei loro padroni e distendendo la rigidità della sua mano con un'unica, poderosa leccata.

“Ehi!” Zevran protestò, ritraendosi, con un sorriso sul volto che era molto meno ampio di quello ostentato di solito, ma molto più sincero. “Se anche vuoi uccidermi, preferirei non mi dessi in pasto al cane.”

Vento abbaiò piano, scodinzolando e richiedendo una carezza che vedevo bene come quel feroce assassino avesse voglia di concedergli anche se non credeva di averne diritto.

“Non ti morderà se gli dai ciò che vuole” decisi di andargli in aiuto. “Chi l'accarezza non potrà diventare cibo.”

“Mi dai la tua parola?” stette al gioco, scrutandomi con finta diffidenza. “Non è una fine tecnica per staccarmi un braccio?”

“Diciamo che è una prova di coraggio.”

“Non sia mai che Zevran l'assassino venga accusato di non essere imprudente!” e si impegnò in un tripudio di coccole che lasciarono Vento senza fiato e lui senza un centimetro di pelle asciutto.

“L'imprudenza non è coraggio” osservai dopo un po', quando l'entusiasmo iniziale aveva lasciato spazio a più quiete carezze.

Nessuna risposta.

“Tu sei coraggioso” e lo dissi ben certa di essere sincera.

“No, non lo sono.”

“Ti ho visto combattere, non ti tiri mai indietro.”

“Quella è sventatezza, mancanza di un qualsiasi motivo per interessarmi al risultato dello scontro: se vinco, sopravvivo, se perdo, spero almeno di portare all'inferno con me quanti più nemici possibili.”

Non gli chiesi come potesse non importargli nulla della sua vita, perché conoscevo bene la risposta, anche se non avevo mai pensato che anche lui fosse vittima della stessa malattia alla quale avevo da poco rischiato di soccombere.

Che ne sapevo della sua vita, in fondo? Solo il nome della sua professione. Come avevo potuto essere tanto arrogante da non fargli domande, da non cercare di capire chi fosse e perché?

Per la prima volta mi concessi il lusso di abbassare le mie difese e guardare quel compagno che avevo accolto per un contorto senso di giustizia e che avevo abbandonato alla solitudine e al disprezzo per un vigliacco senso dell'onore.

Era un assassino, è vero, ma non avevo mai avvertito crudeltà in lui, non più che in me stessa, almeno.

Aveva ucciso per denaro, corrotto per dovere e tradito per professione, ma se tutto questo male non aveva potuto intaccarlo veramente, quanto di buono doveva esserci stato in lui, prima che il mondo lo trovasse e lo torturasse fin quasi a sconfiggerlo?

Una parte di me continuava a gridarmi di essere prudente, ma ero stufa di riflettere e stufa di farlo soffrire, perché finalmente vedevo ciò che nascondevano i suoi occhi: un dolore nato dalla consapevolezza sbagliata di non poter abbandonare il proprio passato, di non poter trovare redenzione neppure avendola a portata di mano e abbracciandola fino a sacrificare se stesso.

“Senti, visto che tanto sei deciso a non riposare, approfitterò del mio ruolo di capo di questa sconclusionata compagnia e mi solleverò da questo incarico: il mio turno di guardia lo farai tu e io andrò a dormire”mi stiracchiai platealmente, sbadigliando senza neppure coprirmi la bocca. “A meno che non arrivi un'orda di prole oscura non voglio essere svegliata fino a domattina.”

Lo osservai di sottecchi e riuscii a notare la sorpresa dipinta sul suo volto, subito nascosta da una maschera di insofferenza adatta alla sua battuta di commiato.

“Per questa volta cederò al peso del tuo grado, ma la prossima sporgerò formale reclamo se tutti non adempieremo ugualmente ai nostri compiti.”

Lo mandai gioiosamente al diavolo, tornando nella tenda, senza neanche voltarmi a guardarlo, ma coi sensi sviluppati nei duri mesi trascorsi a combattere lo sentii mormorare un “grazie” che da quella volta in poi mi sono trovata a ricambiare in ogni attimo che il Creatore mi ha concesso di trascorrere al suo fianco.

 

 

Altro racconto del passato... non lo faccio per sadismo, giuro! Tempo fa, però, qualcuno mi aveva chiesto come e quando Eilin fosse passata dall'amare Alistair all'amare Zevran e da allora ho sempre pensato che, in effetti, la faccenda non fosse ben chiara: un po' perché non è per niente limpida neanche nell'animo della protagonista (piuttosto sconvolta dall'amare due uomini contemporaneamente), un po' forse perché la ff prende il via a situazione sentimentale già avanzata. Per questo motivo ho pensato di provare a rimediare e, per farlo, dovevo iniziare dal primo momento in cui Eilin si è fidata di Zev. Vediamo se riuscirò nel mio intento!! ;-p

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Capitolo 56
*** Duetto ***


Sapevo bene che non avrei potuto avvicinarmi a te usando i miei soliti e ben comprovati metodi da seduttore, sapevo che non saresti crollata davanti al mio pur irresistibile sorriso, o a complimenti ben studiati e sussurrati con voce suadente, o ad uno sguardo languido capace di carezzarti come una piuma lungo tutto il corpo. Sapevo che ogni esperienza accumulata in faticosi anni di addestramento si sarebbe rivelata inutile.

Avevo conquistato prede di ogni genere e classe sociale, anche più smaliziate di te, che non avevi certo molto esperienza in ambito sentimentale o amoroso per accontentarti di quel caprone che ti portavi a letto e che aveva scritto “imbranato” su ogni gesto che avessi la sfortuna di osservare; avevo fatto capitolare vergini purissime e piangere di desiderio cortigiane navigate; avevo persino condotto uomini pazzamente omofobici a compiere il grande passo. Eppure davanti a te ero come un bambino che dovesse imparare per la prima volta a vivere e questo perché tu non sei mai stata una preda e io non ero più il cacciatore.

Non nego di aver pensato varie volte che sarebbe stato divertente strapazzarti un po', i primi tempi, ma più viaggiavo al tuo fianco, più mi sentivo meschino per questi pensieri così gretti, quasi ti stessi sciupando anche solo sfiorandoti con la mente: Alistair poteva essere degno di te, con il suo senso del dovere, la sua generosità e la sua purezza, Alistair poteva aspirare a sognarti o persino ad amarti, ma di certo non era giusto che lo facesse un miserabile assassino senza principi e senza morale, che era stato accolto in vostra compagnia solo per un incomprensibile moto di pietà.

Mi sentivo come avessi avuto di nuovo sette anni e la mia vita, per quanto imperfetta, si fosse irrimediabilmente spostata dal suo asse, per diventare qualcosa di diverso e paurosamente inimmaginabile; allora mi avevano venduto per poche sovrane, adesso mi ero venduto per pochi giorni di vita in più, senza neppure essere certo di desiderarli.

Eppure non ero più un bambino e forse, per la prima volta, ero davvero pronto a diventare un uomo: avevo compiuto una scelta di comodo, ma avevo anche ricevuto quello che nessuno mi aveva offerto prima, un'occasione, una possibilità non di morire, ma di iniziare a vivere come ciò che non avevo mai osato sperare di diventare: Zevran Arainai, elfo libero di Antiva.

Chi avrei potuto essere? Come avrei voluto essere?

Da anni non mi facevo più certe domande, da quando il dolore era stato troppo intenso per continuare a rifiutare il ruolo a cui ero stato predestinato.

Avrei voluto chiederti consiglio, ma c'era sempre diffidenza nei tuoi occhi e freddezza nelle tue parole, che pure erano le più sinceramente gentili che mi fossero state rivolte.

Non ti fidavi di me e non potevo biasimarti, anzi la tua prudenza aumentava la stima che già provavo per te. Eppure non volevo esserti di peso, non volevo rappresentare un'ulteriore preoccupazione alle tante che già eri costretta a sopportare e quella notte, se avessi di nuovo rifiutato il mio aiuto, avevo deciso di farmi mettere in catene e giustiziare come l'assassino che ero, perché se anche potevo sopportare il tuo giusto disprezzo, non riuscivo a tollerare di vederti sfinire per causa mia.

Avevi leggeri cerchi viola sotto le palpebre e la pelle del volto era tirata e diafana alla luce del falò. Cosa potevo dirti, proprio io che non ero mai stato a corto di parole? Come farti capire che volevo cambiare, che stavo cambiando, che potevi fidarti di me?

Sembravano tutte patetiche sciocchezze ed ero pronto a capitolare, quando tu mi sorprendesti di nuovo facendomi balzare il cuore che non pensavo di possedere fuori dal petto.

“Fai tu il mio turno di guardia”, nessuna spiegazione, nessuna scusa, nessuna banale rassicurazione, solo fatti crudi e essenziali per dimostrarmi ciò che in nessun altro modo avrebbe potuto essere altrettanto chiaro: sapevi che volevo cambiare, sapevi che stavo cambiando.

Fu l'inizio di ciò che non è ancora terminato.

Giorni dopo, quando ormai il mio turno di guardia veniva regolarmente deciso con gli altri, mi chiedesti se me la sentivo di andare in perlustrazione ed eri certa che sarei tornato ed ero certo che non sarei fuggito.

Quando ti chiesi il perché, ti limitasti a stringerti nelle spalle, con quel gesto così marziale che solo tu potevi rendere sexy, e mi guardasti come fosse stato inutile rispondere.

Parlavamo poco, in quei primi tempi, non ce n'era bisogno: scoprii che sorridevi quando mi guardavi e tu sapevi che io sorridevo quando ti vedevo.

Era uno strano equilibrio, era più di quanto potessi sognare.

 

La notte in cui ti lasciai solo vicino al fuoco dormii bene come non facevo da giorni. Mi sentivo al sicuro e sapevo che, finalmente, tutto era andato al suo giusto posto: tu non avresti permesso ad alcun mostro di avvicinarsi e presto avresti capito di non essere stato un mostro mai.

Non ne abbiamo più parlato, ma so che quello fu l'inizio di ciò che non è ancora terminato.

Non ti consideravo un amico, non ti consideravo adatto ad essere inquadrato in qualsiasi tipo di sterile classificazione: eri Zevran e non eri un assassino.

Non mi credesti, la prima volta che te lo dissi.

Erano poco più delle tre del mattino e c'era troppo silenzio intorno a noi per permetterci altro che un sussurro; gli altri stavano dormendo, ma io non potevo chiudere gli occhi, non in quella notte che solo pochi mesi prima aveva visto la morte di tutto ciò che amavo e che ero.

Mi tenevi al tuo fianco senza farmi domande, non so se qualcuno ti avesse raccontato la mia storia, ma, per la prima volta, sentii di voler ascoltare la tua, per quanto mi fossi ripromessa di non forzarti a confidenze men che spontanee.

“Ti va di parlare?” chiesi semplicemente, senza smettere di fissare la fiamma.

“Di noi? Di come staremmo bene, in questo momento, se la smettessimo di gelarci le chiappe qui fuori e andassimo a coccolarci nella mia tenda?”

Intuii il tuo sorriso e lo ricambiai, ma non mi lasciai distrarre.

“Di te.”

“Sai tutto di me” non sorridevi più, anche se le tue labbra ne avevano mantenuto la piega. “Sono un assassino.”

“Hai fatto l'assassino, ma questo mi dice ben poco del tuo passato.”

“Avrei potuto fare il lustrascarpe, il fabbro o il mantenuto, ma l'assassino non è un mestiere che si possa esercitare e appendere al chiodo la sera, come la zappa del contadino. E' un modo di essere, è come vivi e come muori.”

Avevo sbuffato per la stupidità di quella affermazione e avrei pianto, se avessi potuto, per l'amarezza con cui l'avevi pronunciata.

“Forse è come dici, in generale, ma questo dimostra ancora di più che ho ragione.”

Mi hai guardato totalmente confuso, ma almeno il tuo volto aveva perso quella piega dolorosa.

“Tu non sei un assassino, perché non ne hai mai avuto il cuore” ti ho preso la mano, sfiorandoti per la prima volta, inconsapevole del calore provocatoci da quel gesto innocente. “Non contraddirmi, Zevran, odio dover spiegare l'ovvio e sai bene anche tu che un assassino ora non sarebbe qui.”

Non hai replicato, né hai lasciato la mia mano; mentre iniziavi a raccontarmi di tua madre, del bordello dove eri stato allevato, dei tuoi compagni troppo deboli per sopravvivere e di quelli troppo crudeli per essere compagni di qualcuno, passavi il pollice lungo il mio polso, distrattamente, in una carezza leggera che non nascondeva lussuria, ma solo il desiderio insopprimibile di contatto umano, come nessuno te ne aveva mai offerto, come non avevo mai pensato di sentirne il bisogno.

Quella notte gli spettri dei miei genitori, dei miei amici, di tutte le persone innocenti che non avevo saputo proteggere si dissolsero nel calore della tua mano e se aprirmi il tuo cuore ti portò un po' di sollievo, di certo fu minore di quanto me ne offristi senza neanche il bisogno di pormi domande.

Non te l'ho mai detto, ma Morrigan ci aveva osservati, quella notte, e aveva cominciato a sperare che i miei sentimenti verso Alistair stessero finalmente svanendo per spostarsi su qualcuno di meno sprovveduto.

Faceva il tifo per te, l'avresti ritenuto possibile?

Ovviamente non è mai stata una gara e ti giuro che non mi sono mai soffermata a riflettere sull'insensatezza del mio cuore, neppure quando, tempo dopo, ha iniziato a battere davvero in maniera tanto egoista, facendo di me la più ingenuamente crudele tra le donne.

Quella mattina tutto era ancora come doveva essere e io mi limitai a soffocare nell'acqua, con cui mi stavo sciacquando il volto, sotto il peso della sua domanda piombatami tra capo e collo senza alcun preavviso.

“Pensi di smetterla di comportarti da sciocca e divertirti con quell'elfo?”

“Zevran” calcai sul tuo nome, mentre riprendevo fiato, “non è un giocattolo con cui ci si possa divertire.”

“Di sicuro più del tuo bietolone Alistair.”

“Non mi diverto con Al.”

“Non ne dubito” sbuffò.

“Intendevo dire che non vado a letto con lui per divertirmi e per non annoiarti con discorsi che ti piacciono poco, mi limiterò a questo: non faccio sesso con lui, noi facciamo l'amore.”

“Conoscendo il tipo mi pare improbabile che sappia anche solo la metà di quel che fa” alzò gli occhi al cielo. “Comunque non ti avevo mai visto così serena come ieri notte, nelle altre ricorrenze.”

Non pensavo avesse fatto caso a che giorno fosse, o che si ricordasse quale significato avesse per me, e ne fui segretamente commossa, ma, più di tutto, mi sorpresi a pensare a quanto fossero vere le sue parole: prima di te, nessuno era riuscito ad asciugare quelle lacrime che non mi ero mai permessa di versare.

Ti cercai tra gli altri, ma tu eri distratto da un sermone di Leliana, della quale credevo fossi segretamente infatuato, così non mi vedesti sorriderti e non scopristi mai quanto ti fossi riconoscente.

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Capitolo 57
*** Ferita fortunata ***


Avevi la febbre, ma ti rifiutavi di ammetterlo. La ferita si era infettata e eri troppo cocciuta e infantile per permetterci di prenderci cura di te. Un capo deve essere forte, ma di certo non è invulnerabile: eri troppo giovane per saperlo, troppo inesperta per accettarlo.

Lo scontro con quei maledetti cultisti era stato particolarmente duro e il wraith era stato la classica ciliegina sulla torta per ridurci tutti in condizioni piuttosto imbarazzanti, ma avevamo una missione da compiere, uno stramaledetto vaso da recuperare e, dopo averci curato le ferite, come sempre, pensavi non dovessimo sprecare ulteriore tempo a preoccuparci delle tue.

Avevi inalberato il cipiglio da stoico guerriero insensibile ed eri corsa a destra e sinistra per rattopparci tutti, limitandoti a spalmare di nascosto un po' di unguento sulla bruciatura che quel mago era riuscito a procurarti sulla coscia.

Credo che Wynne se ne fosse accorta, ma, conoscendo il tuo bel carattere, avesse deciso di soprassedere. Scelta piuttosto stupida, visto che di solito non si faceva problemi a sputare consigli assolutamente non richiesti; a onor del vero, non era troppo in forma neppure lei e può darsi non avesse le energie per opporsi alla tua ostinazione.

Io le avevo, ma, se anche mi mandava in bestia la scarsa cura che dimostravi per te stessa, ammiravo ancor di più il coraggio con cui continuavi a sopportare un peso per altri intollerabile e non volevo intromettermi nelle tue scelte, per quanto imprudenti le ritenessi. Così mi limitai a lanciarti un'occhiata ammonitrice che ignorasti bellamente e non smisi di sorvegliarti, probabilmente provocando un feroce attacco di gelosia nel tuo innamorato, che ha sempre avuto troppa fiducia in te per immaginare una tua possibile menzogna su un qualsiasi argomento, compreso il tuo stato di salute.

Probabilmente se ti fossi presentata a lui coperta di sangue e gli avessi assicurato di sentirti benissimo, ti avrebbe creduto a scatola chiusa.

Invece io sapevo che eri perfettamente in grado di mentire, anche se tu hai sempre creduto di farlo a fin di bene, e non mi fidavo per niente del passo sicuro con cui procedevi, né della patetica scusa di aver caldo per giustificare il sudore che ti imperlava la fronte.

Quando rischiasti di farti infilzare da un cultista abbastanza imbranato perché la gamba non aveva retto il tuo peso, decisi che fosse ora di infischiarmene della tua sensibilità e pensare piuttosto a salvarti la vita, ma non potevo semplicemente prenderti per un orecchio e legarti da qualche parte per tenerti al sicuro, né potevo imbastire una scenata davanti agli altri e in mezzo ad un combattimento, l'unica cosa che potevo fare era guardarti le spalle e impedirti il suicidio, in attesa del momento giusto in cui costringerti a riposare.

È stato così che mi sono beccato quella freccia nel fianco che mi ha quasi trapassato il fegato e ho potuto farti assaggiare un po' della tua stessa medicina, ottenendo anche il duplice vantaggio di far fermare la compagnia per una sosta non prevista e che non avresti mai ordinato per te stessa.

Tutto sommato fu una ferita molto propizia.

 

Zevran!” il tuo grido mi risuonò nell'orecchio quasi prima che sentissi la punta di ferro piantata nelle mie viscere. Come te ne fossi accorta, dato che mi davi le spalle, rimane tutt'ora un mistero.

Sto bene” mentii, seguendo il tuo esempio e limitandomi a spezzare l'asticella della freccia, perché non mi intralciasse nei movimenti. “Non preoccuparti.”

Mi guardasti come avessi perso il cervello e ti dedicai il sorriso più serafico che mi concedesse la situazione concitata in cui ci trovavamo, sapendo quanto fosse odiosa una frase del genere per qualcuno che, in realtà, ben sapeva di aver ogni motivo di preoccupazione.

Speravo imparassi la lezione, lo ammetto. Fui volutamente spavaldo e forse un po' sadico, ma sul momento pensai soltanto che quella freccia stesse meglio su di me che su di te e non provai dolore, solo sollievo.

In un certo senso posso dire di aver imparato anch'io una lezione e di aver capito per la prima volta fino in fondo cosa ti spingesse a metterti sempre davanti a noi, a proteggerci col tuo sangue e la tua fatica, a non risparmiarti niente pur di alleviare il nostro fardello; l'unica differenza è che io desideravo farlo per te sola, mentre tu lo facevi per tutti.

Molto nobile, se non si pensa agli infarti sopportati da quanti non avrebbero mai voluto vederti in pericolo.

Rimani dietro di me” ordinasti, ignorando l'ironia della tua affermazione.

Scordatelo!”

Volevi protestare e sapevo che mi sarebbe toccata una sonora lavata di testa, appena ne avessi avuto l'occasione, ma avevi troppo buonsenso per metterti a discutere in quel momento.

Combattemmo fianco a fianco e Alistair venne in nostro soccorso, proteggendoci dietro al suo scudo, mentre Morrigan e Leliana uccidevano gli ultimi arcieri rimasti.

Non fu uno scontro molto impegnativo e mi trovai a fissare la fiamma furente dei tuoi occhi prima di quanto avessi supposto.

Apristi la bocca una, due volte, mentre stringevi la spada con tanta forza da farti sbiancare le nocche e sembravi non trovare insulti abbastanza coloriti da dedicarmi, poi dicesti soltanto:

Controllate il corridoio fino alla prossima svolta e concordate doppi turni di guardia, per stanotte ci accampiamo qui.”

Oghren e Alistair si affrettarono in avanscoperta, mentre Wynne iniziò a sistemare un campo improvvisato, ma tu non spostati l'attenzione da me e, prendendomi per l'orecchio da cui avevo pensato di trascinarti io, mi portasti vicino alla parete, facendomi stendere sul tuo mantello, barbaramente piegato a mo' di giaciglio, e iniziasti ad armeggiare con mani tremanti sui ganci del mio corpetto, provocandomi la prima vera fitta di dolore dal reflusso di adrenalina.

Sei un incosciente” mormoravi. “Un disgraziato senza cervello.”

Avrei voluto protestare, ma ero momentaneamente concentrato sul mordermi le labbra per non ridicolizzarmi con qualche patetico gemito di dolore: la freccia in se stessa l'avrei sopportata, ma continuavi ad agitarla nella mia pancia, cercando di sfilarmi l'armatura di cuoio, e provocavi l'effetto di decine di lame intente a tagliuzzarmi allegramente.

Eilin” per una volta fui felice di vedere il volto della maga anziana. “Gli stai facendo male.”

Forse avresti voluto ribattere in malo modo che me l'ero meritato, ma nel tuo rossore fu evidente la tua inconsapevolezza e, deglutendo, lasciasti spazio a chi sembrava più padrone di sé.

Quello non mi rese felice; avrei preferito fossero le tue mani a curarmi, per quanto rese incerte dalla preoccupazione, avrei preferito fossero i tuoi occhi a carezzarmi, mentre la ferita veniva allargata per far uscire la punta uncinata strappando meno carne possibile e poi veniva cicatrizzata col fuoco, perché Wynne era comunque troppo sfinita per nuovi incantesimi. Tu avresti reso tutta questa sgradevole operazione molto più tollerabile.

Invece ti allontanasti da me, non appena pensasti, erroneamente, di essere dannosa invece che utile, e ti perdesti in decine di altre preoccupazioni che, di solito, avresti delegato agli altri, pur di non riflettere su quanto era successo.

Ovviamente non volesti prendermi in considerazione per fare turni di guardia, ma altrettanto ovviamente non potevi davvero aspettarti che avrei obbedito.

Era la prima volta che qualcuno si feriva al tuo posto?”

Sapevo che mi avevi sentito avvicinare, anche se avevi ostinatamente tenuto lo sguardo fisso sul corridoio vuoto e oscuro davanti a te.

No.”

Allora dovresti sapere che non hai motivo di sentirti in colpa.”

Infatti.”

Sospirai. Quella conversazione sarebbe stata faticosa.

Eilin...”

All'improvviso, come se sentire il suono del tuo nome avesse rotto degli argini invisibili che non avevo idea di dove avessi eretto, esplodesti in una tirata a mezza voce che mi lasciò stordito e senza parole.

Cosa? Cosa vuoi dirmi, Zevran? Che non sei rimasto ferito per colpa mia? Che non è stata la mai stupidità a portarmi a combattere senza essere al meglio della mia forma e che solo per questo sei stato costretto a prenderti una freccia che, in altre circostanze, avrei potuto schivare?”

Veramente...”

Vuoi dirmi che non eri lì proprio perché sapevi che avrei potuto aver bisogno di aiuto e che hai dovuto farmi da scudo umano piuttosto che mettermi sulle ginocchia e darmi una sonora sculacciata come fossi stata una bambina, visto che è così che mi sono comportata, rifiutandomi di accettare i miei limiti?”

Posso farlo?” non riuscii a esimermi dal dirlo, con un sorriso probabilmente troppo sciocco sul volto.

No!” sei arrossita di colpo, rendendoti conto solo allora delle implicazioni piccanti della tua sfuriata, e mi hai colpito alla spalla, per poi scusarti subito, all'impercettibile ruga di dolore formatasi sulla mia fronte.

Sono una sciocca, Zevran, una mocciosa che fino a qualche mese fa prendeva in mano la spada solo per divertimento e non aveva una vera preoccupazione che le attraversasse la mente.”

In quel momento avrei voluto davvero scrollarti fino a farti rimpiangere quella scarsa stima che dimostravi per te stessa, quello stupido e insensato colpevolizzarsi per qualcosa che altro non era se non altruismo e coraggio e incredibile capacità di abnegazione.

Nessun bimbo viziato potrebbe fare ciò che tu stai facendo” lo dissi con durezza, perché odiavo vederti così fragile, perché non potevo stringerti a me e far sciogliere i tuoi dubbi nel mio abbraccio. “Non so come vivessi prima che il tuo mondo ti venisse strappato, ma so per esperienza che non si impara a combattere un Flagello se non si hanno le spalle abbastanza forti da sopportarlo.”

Se quella freccia fosse stata appena più inclinata...”

Sarei stato uno stupido a non deviarla meglio” ti ho posato un dito sulle labbra, trovandole secche e bollenti, più di quanto io stesso non avessi immaginato. “Ascoltami, Eilin e poi ti prego di darmi retta: non sei un capo perfetto, è vero; sei troppo impulsiva, sei inesperta e forse anche un po' ingenua, ma a tutto questo rimedierai col tempo. Ciò che possiedi già, invece, e che ti rende il capo migliore che potessimo desiderare, è una dote che nessun' esperienza al mondo potrebbe portarti: la fede. Non quella idealista e religiosa di Leliana, né quella dogmatica e purista di Wynne, ma quella più semplice e brillante che esista, quella che ci spinge a seguirti in ogni circostanza, anche la più folle: tu hai fede in noi, Eilin. Hai fede nella nostra forza di sconfiggere ciò che sembra invincibile, hai fede nel futuro di un regno che non possiede neppure un presente e hai fede di poter donare tutta te stessa per proteggere chi non vorrebbe mai vedere la tua morte al posto della sua.”

Mi hai guardato senza parlare, quasi a constatare con gli occhi la veridicità delle mie affermazioni, poi hai scosso la testa e rialzato le spalle, in un gesto più significativo di mille parole.

Avevo finito per parlare di tutt'altro rispetto a quanto mi ero prefissato, ma tu dovevi averlo intuito, perché, dopo un attimo, confessasti spontaneamente: “Credo di avere la febbre, Zev.”

Il Creatore sia lodato, avrei voluto gridare.

Ho bisogno di curare meglio questa bruciatura.”

Avrei voluto pensarci io, accertarmi di prendermi cura al meglio di te, ma non era un mio compito, né un mio diritto.

Credo che Alistair abbia ancora un po' di pomata nello zaino” sussurrai semplicemente. “Io preparo qualche trappola qui, così che anche senza fare la guardia, nessuno possa coglierci alle spalle.”

Mi hai sorriso e non hai avuto bisogno di altre parole, mentre ti dirigevi a passo malfermo a svegliare il tuo innamorato, perché finisse ciò che io avevo potuto solo cominciare.


Ecco, questo è il penultimo capitolo di flashback; un attimo di pazienza ancora e poi arriverà la tanto decantata "fine" ^_^, stavolta definitiva, lo prometto ;-P Per capire meglio il nascere e lo svilupparsi del sentimento tra Eilin e Zev ho pensato che l'unica soluzione possibile fosse ricreare qualche momento della loro storia... i primi attimi di fiducia, l'amicizia, i combattimenti fianco a fianco... giusto per vedere come fosse diventato saldo il loro legame anche senza che gli dessero un nome. Non so se io sia riuscita nel mio intento. Me lo auguro ^_^ anche perché, come dicevo, il prossimo capitolo sarà la "confessione" definitiva e se non son riuscita a rendere bene adesso la loro empatia, poi sarà troppo tardi O_o

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Capitolo 58
*** Scelte ***


So che avresti voluto prenderti cura di me, quella notte e mille altre volte ancora. So quanto ti sia costato vedermi allontanare dalla tua preoccupazione, dal tuo affetto, eppure non mi hai mai trattenuto, perché, per quanto ti sia definito un assassino e un mascalzone fino all'ultimo istante, hai sempre avuto l'anima di un vero cavaliere; non un cavaliere da operetta, col cavallo bianco e la piuma sull'elmo, ma un guardiano silenzioso, leale e coraggioso.

Ti ho ammirato dal primo momento in cui mi sono permessa di fidarmi di me e del mio istinto.

Ti ho ammirato in battaglia e ancor più nei rari momenti di pace.

Ti ho ammirato come compagno e come amico, senza definirti mai né l'una né l'altra cosa, perché mi sembravano entrambi ruoli troppo miseri per contenerti.

Ti giuro sulla mia anima, finché ancora ne ho una, che non ho mai pensato di interpretare ciò che provavo per te.

Ti giuro che non ho saputo fino alla fine che ciò che ci univa potesse essere definito amore.

Eri al mio fianco e io ero felice.

Ho amato Alistair, con tutto il cuore, tanto da permettergli di strapparmelo dal petto e distruggere parte di me.

Ho amato Alistair e ancora lo amo, in questa folle prigione a cui sono condannata.

Ho amato la sua dolcezza, il suo coraggio, la sua timidezza. Ho amato anche la purezza con cui mi ha ucciso.

Mi sono innamorata di lui quando credevo di non poter provare altro che odio e disperazione e solitudine.

Eppure sono egoista e viziata, come ti confessai quella notte, tanto tempo fa, perché mentre dico di amarlo e so di essere sincera, non posso più ignorare quello che provavo e provo per te.

E' disgustoso? Immorale?

Probabilmente Wynne lo definirebbe tale e io stessa mi sono trovata a pensarlo, ora come allora, in quell'attimo di oscurità, a Denerim, quando, tra i fumi densi della morte, ho posato per l'ultima volta lo sguardo su di te e ho sentito che il mio cuore perdeva un battito nella consapevolezza che non ti avrei rivisto mai più.

Ho amato Alistair, ho riso con lui, pianto per lui e mi sono legata con le promesse più sacre alla sua vita. Non ho mentito, non l'ho tradito e forse, se non avessi dovuto morire, non avrei mai permesso a me stessa di guardare in quell'angolo profondo della mia anima dove tu avevi preso dimora e dal quale eri sempre emerso a proteggermi e confortarmi, laddove nessun altro aveva mai potuto farlo.

Se non fossi dovuta morire, forse non avrei cercato un nome per l'indefinibile sentimento che da tempo mi portava al tuo fianco per sentirmi vera e viva, per trovare il coraggio che sapevi condividere con la mia codardia, per attingere ad una speranza che entrambi non potevamo alimentare da soli.

Alistair era la luce del mio cuore, ma tu eri la fiamma della mia anima.

E' amore questo? O l'amore è tutt'altro?

E' amore capire senza parole e sorridere per ogni sorriso? È amore non chiedere nulla e donare tutto?

Se è così, nessuno mi ha amato tanto quanto te.

Ma non è per il tuo amore, che ti ho amato.

Alistair è stato il primo, l'amore della mia giovinezza, delle illusioni, delle favole che promettono il lieto fine anche in mezzo alla più cupa tragedia.

Alistair è stato la passione, l'euforia, la gioia della vita.

Tu hai condiviso con me sudore e lacrime. Hai visto la mia oscurità e l'hai abbracciata insieme alla mia luce.

Tu sei stato l'amore del disincanto e della consapevolezza, della fine inevitabile che niente poteva avere di lieto.

Sei stato la forza, la verità e la serenità del tramonto.

Nessuna vita può conoscere solo l'alba e tu sei stato il cielo stellato del mio primo crepuscolo.

Forse sono egoista e forse sono viziata, ma può davvero una creatura mortale arrogarsi la presunzione di decidere se sia più meravigliosa la brillante luce sottile del sole al mattino o la silenziosa e inamovibile fiamma delle stelle, in un cielo immobile di perpetua quiete?

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Capitolo 59
*** Perché? ***


“Ero pronto a morire per lei in cambio della sua vita, Morrigan” sussurrò l'elfo, senza smettere di fissare la fiamma. “Ora sono pronto a dare la mia anima nera per salvare anche solo un frammento della sua.”

La strega continuava a tacere, fingendo di studiare il grosso manuale che si era messa davanti, incerta se condividere le informazioni trovate o portare nella tomba e nella dannazione il barlume di speranza e disperazione che aveva scovato in quelle dannate, vetuste pergamene.

Sapeva che Eilin l'avrebbe maledetta in eterno per aver vanificato il suo sacrificio ad un prezzo tanto alto. Sapeva che non avrebbe mai potuto ottenere perdono.

Ma quale poteva essere la scelta giusta, in un mondo rovesciato che non permetteva giustizia?

Quale la via da seguire, quando l'onore e l'amore, le due virtù che tutti sembravano tanto celebrare, non promettevano altro che tormento e lacrime?

Zevran non meritava forse la scelta che Eilin un tempo si era riservata?

Con quale diritto avrebbe potuto togliergliela?

La sua amica le avrebbe chiesto di tacere? Probabilmente, perché la generosità rende egoisti e ci impedisce di sopportare ciò che imponiamo agli altri di accettare.

Eilin aveva preferito abbandonarla, abbandonare i suoi amici, la sua terra, i suoi futuri doveri e persino il suo stupido innamorato pur di lasciarlo libero di non macchiare la sua patetica virtù.

Dov'era la generosità in questo? Dov'era la logica?

Se avesse limitato un po' l'indipendenza del bietolone al momento opportuno, adesso non sarebbe stata in quell'incubo e non ci sarebbe stato nessuno di loro.

Zevran avrebbe trovato una graziosa elfa con cui consolarsi del suo amore impossibile, Oghren sarebbe rimasto con la sua panciuta nana, il regno avrebbe avuto una regina invece di un Alistair.

E lei avrebbe avuto un figlio e magari non sarebbe diventato la disgrazia che qualcuno temeva.

Tutto sarebbe andato come avrebbe dovuto andare, semplicemente compiendo un po' di male, invece di un futile atto di bene.

Ma Eilin non credeva nel male minore, né scendeva a compromessi.

Avrebbe accettato il rituale perché fidava in lei e credeva fermamente che nulla fosse scritto, per cui anche l'anima di un dio crudele, se rinata nel corpo di un bambino, avrebbe potuto diventare salvezza e non distruzione.

Avrebbe accettato il rituale perché fidava nell'inconcepibile e impensabile senso di giustizia di una maga rinnegata, a cui nessuno avrebbe potuto dare fiducia, eccetto una giovane nobile privata di tutto, fuorché di quanto maggiormente avrebbero voluto toglierle: la speranza.

Eppure era morta e la sua morte aveva causato un unico bene per quanti non la conoscevano e infinito male per chiunque teneva a lei.

Morrigan scosse la testa. Non c'era niente di sensato in ciò che Eilin le aveva insegnato in quei mesi in cui l'aveva resa assurdamente felice, facendole scoprire quello scomodo, nuovo sentimento che tutti definivano amicizia.

Le aveva fatto desiderare la pace e le aveva regalato il dolore, in nome di che cosa?

Una mancata notte di sesso?

Per il Creatore, neppure Leliana avrebbe potuto essere tanto bigotta.

Alzò gli occhi al cielo, per niente sicura del suo ultimo pensiero.

“Nemmeno lei era perfetta” Zevran sembrava avere un dono eccezionale e fastidioso per leggere nel cuore delle persone. “Anch'io, in questi mesi, ho creduto di odiarla molto più di quanto non l'avessi amata.”

“Davvero? Tu?”

“Chi più di me?” si strinse nelle spalle. “Beh, forse Al ne avrebbe avuto maggior ragione, ma credo continuasse a sentirsi troppo in colpa per provare qualsiasi altro sentimento. Eilin ha agito nell'unico modo che le fosse possibile concepire. Sapeva che il suo coraggio racchiudeva un'enorme dose di vigliaccheria, che il suo sacrificio era solo un brandello dell'insostenibile peso che avrebbe poggiato sulle nostre spalle. Non si è mai ritenuta un'eroina.”

“Eppure lo è stata. È scritto anche sulla sua lapide, no? Quindi deve essere vero.”

“Sulla mia lapide, vorrei che scriveste: Zevran l'eccelso, non-morto.”

“Brucerò il tuo corpo e spargerò le ceneri per concimare l'orto di piante aromatiche.”

“Mi sta bene, almeno potrò essere utile a qualcosa.”

Sorrisero insieme per un istante, l'uno specchio del tormento dell'altra.

“Forse dovresti chiedere consiglio al nostro re, è suo compito guidare e sostenere i suoi sudditi in difficoltà.”

“Nessuno può consigliarmi Zevran. Non esiste scelta che possa essere compiuta, adesso. Qualsiasi strada prenderemo porterà a una tragedia.”

“Ma sono io che devo percorrere quella strada, Morrigan” adesso gli occhi dell'elfo erano duri e decisi come se non avessero mai conosciuto quel breve attimo di finta ilarità che li aveva appena sfiorati. “Non devi essere tu a scegliere alcunché.”

“Ti sbagli. Devo decidere se concederti la corda con cui impiccarti o lasciare che il destino che Eilin ha scelto per se stessa trovi il suo naturale compimento.”

“Vuoi che la sua anima venga annientata?”

“No. Ma lei non vorrebbe che lo fosse la tua.”

“Non ne è padrona. Non ha sposato me.”

“Ci odierà.”

“Non penso tu creda ai fantasmi, non potrai comunque riportarla in vita, quindi non potrà rinfacciartelo. Io invece sono qui e posso diventare molto pedante per ottenere qualcosa che voglio.”

A che le serviva la magia, se l'unica soluzione che le offriva era tanto orribile quanto il problema che dovevano risolvere?

“Perché siete venuti qui?” si trovò a ringhiargli contro senza neppure essersi resa conto di aver formulato un simile pensiero.

Perché avete turbato la malinconica rassegnazione in cui vivevo? Voleva dire. Perché mi avete aperto gli occhi ad una speranza che non potrà mai essere tale?

“Mi dispiace” rispose quietamente Zevran. “Anch'io sono un egoista.”

 

 

Brevissimissimo pezzettino, buttato giù in mezz'ora (mi scuso in anticipo per imprecisioni e errori eventuali, che sicuramente ci saranno) per la pura voglia di portare avanti la FF anche in assenza di tempo ^_^ Settimana prossima aggiornerò a modo!!

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Capitolo 60
*** Il rito ***


Non avevano più parlato; l'unico suono che si avvertiva nella stanza era il quieto fruscio delle vecchie pergamene e lo scoppiettio borbottante del fuoco, tenuto vivo da Zevran più per avere qualcosa con cui occupare le mani che per reale interesse.

L'elfo non osava lasciarsi vincere dalla speranza, ma i tentennamenti di Morrigan dovevano pur significare che esistesse una qualche soluzione. Il prezzo che avrebbe richiesto non era importante, né erano importanti gli scrupoli morali della strega. Poteva capire i suoi dubbi, ma non avrebbe mai permesso che lo ostacolassero.

Il problema era che le ore passavano e il silenzio diventava sempre più opprimente.

Sentiva Oghren bofonchiare, all'esterno, ma nessuna risposta da parte del Custode. Era da tempo che non produceva neanche il più flebile suono, tanto che Zevran si era chiesto se non si fosse addormentato, ma, quando si era affacciato dagli scuri, per verificare, l'aveva intravisto inginocchiato nell'erba a qualche decina di passi dalla casa, le mani sul pomo della spada e il volto abbassato, cupo e teso come fosse immerso in profonda preghiera.

Non aveva mai cambiato posizione, neppure per sgranchirsi le giunture, eppure il suo viso non tradiva alcun fastidio o sforzo, anzi, sembrava più rilassato nel conforto di una fede che Zevran si trovò ad invidiare, perché sarebbe stato più facile abbandonarsi ad una forza superiore, confidare nella benevolenza di qualcuno pur così effimero e lontano dai bisogni degli uomini, credere, al di là dell'evidenza, che esistesse un dio buono in grado di ascoltare i loro lamenti.

Sarebbe stato bello inginocchiarsi davanti a una statua di pietra o a un albero o al sole o a qualsiasi altra rappresentazione del divino che le creature mortali volessero inventarsi, per poi alzarsi con le mani piene dei frutti richiesti. Eppure a lui non era mai successo.

Non che avesse pregato molto, nella sua vita, ma, a volte, da bambino, quando i morsi della paura facevano troppo male o la disperazione rischiava di sommergerlo, aveva provato a biascicare qualche improvvisata invocazione di aiuto e non aveva ottenuto altro che silenzio e solitudine; da adulto si era persino scordato che esistesse un dio, umano, elfico o nanico, ma, spinto dall'esempio di Leliana e da un insostenibile senso di impotenza, aveva infine pregato il Creatore perché Riordan riuscisse a uccidere l'arcidemone, perché Eilin fosse salva, ma il cielo se n'era rimasto vuoto e freddo a guardare, infischiandosene dei suoi desideri e persino della giustizia, giudicando troppo futili i dolori degli uomini per perdersi in essi.

Non si sarebbe più svilito a salmodiare per qualcosa che, se pure fosse esistito, l'aveva troppo a lungo ignorato: Morrigan era la sua speranza, una speranza viva e concreta, che gli avrebbe fornito mezzi tangibili per combattere.

Un sospiro frustrato lo riscosse dalle sue fantasticherie, facendolo letteralmente volare al fianco della maga, con i pugni contratti e la fronte aggrottata.

L'ultimo libro che aveva sfogliato finì a terra in un nugolo di polvere e varie pagine si staccarono dalla copertina, ma nessuno vi fece caso.

Zevran non aveva tanto coraggio da osare porre la fatidica domanda, soprattutto non dopo aver cullato e carezzato la speranza di un rimedio, per tutto il giorno; Morrigan era troppo concentrata nelle sue elucubrazioni per degnarsi di fornire una qualsiasi spiegazione. Per fortuna, incuriosito dal rumore e stufo di tanta nullafacenza, Oghren ruppe l'esilio e li strappò al loro cupo rimuginare con un po' di sana concretezza.

“Ebbene?” esordì. “Avete quelle facce perché vi state annoiando a morte o perché il viaggio fin qui è stato inutile? Nel primo caso, propongo una pausa e magari una partita a dadi, nel secondo penso dovremmo rimetterci in marcia e andare a cercare da qualche altra parte.”

Se gli sguardi potessero uccidere, Morrigan lo avrebbe fulminato, ma, per fortuna, non allungò la mano verso la sua staffa e Zev non ritenne necessario provare a calmarla.

“Insomma, è tutto il giorno che aspettiamo all'umido, qui fuori e adesso vi ritrovo qui a fissarvi con l'aria da funerale, immersi in cartacce disordinate piene di rune incomprensibili e penso non ne sappiate nulla di più di stamattina su come tirare fuori la nostra Eilin da questo pasticcio.”

“Non è così” si difese di malavoglia Morrigan, quasi le scocciasse dover dare spiegazioni al nano. “Ho scoperto che uccidendo venti bambini sotto i sette anni per ogni razza, bollendo il loro sangue e bevendolo dai loro crani, potrei ottenere abbastanza potere da aprire un portale materiale per l'Oblio.”

“Bene, quindi non ci resta che andarne a rapire un po', giusto? Magari lo facciamo fare a Alistair, come re basta proclami un editto e se li ritroverà puliti e impacchettati nel salone del castello.”

“Cos'è che dovrei fare?” come evocato dal suo nome, anche il Custode era apparso nel vano della porta, titubante e speranzoso di trovare finalmente la risposta che le sue preghiere non gli avevano concesso.

“Dovresti...” cominciò il nano, ma Morrigan lo interruppe prima che spaventasse a morte il loro compagno, provocando chissà quale sequela di lamentele.

“Credo esista un modo per salvare Eilin” sentenziò, senza badare alla luce felice che subito aveva illuminato gli occhi di tutti i suoi ascoltatori. “E' complicato e, come vi avevo preannunciato, non è un rito che Wynne approverebbe.”

“Ma Wynne non è qui, giusto?” ironizzò Zevran, lanciando, però, un'occhiata preoccupata verso Alistair: il re aveva promesso di non interferire con quanto fosse stato necessario, ma tra il dire e il fare c'era un abisso di ripensamenti e inutili sensi di colpa.

Ad ogni modo il Custode ascoltava le parole di Morrigan senza battere ciglio e l'unico segno di nervosismo era l'impercettibile ticchettare dell'indice sul pomo della spada.

“Inoltre, ci sarà un prezzo da pagare” continuò la maga, questa volta rivolgendosi solo all'assassino, che le sorrise incoraggiante, facendole cenno di proseguire. “Ma se il diretto interessato non se ne cura, non sarò io a preoccuparmene.”

Le sue parole volevano suonare indifferenti, ma non ingannarono nessuno. Zevran sapeva, pur meravigliandosene, quanto le fosse costato accettare di lasciarlo scegliere, sapeva che ne avrebbe portato il peso per un tempo più lungo di quanto non fosse necessario e che si sarebbe chiesta, forse per sempre, se avesse compiuto la scelta giusta. Avrebbe voluto ringraziarla, tranquillizzarla, liberarla da ogni insensato senso di responsabilità, ma non credeva esistesse una sola parola che potesse risultare sensata o un gesto che fosse anche minimamente appropriato all'immenso dono che lei gli stava offrendo, per cui si limitò ad annuire, senza sorridere, senza tremare, mostrandole la verità celata in fondo ai suoi occhi, in un gesto di totale fiducia e rispetto.

Morrigan sembrò capire, ma non per questo sembrò disposta a perdonarlo.

“La prima volta che degli uomini entrarono fisicamente nell'Oblio, furono uccisi centinaia di schiavi e fu usata una quantità improponibile di Lyrium. Oltre a questo, fu anche aperta la strada all'arcidemone Dumat per passare sul nostro piano e trascorrere i successivi duecento anni in bagordi e massacri” la strega notò il pallore di Alistair e si affrettò a continuare, rinunciando alla pausa ad effetto che aveva programmato. “Credo che nessuno di voi, per quanto fermo nei suoi propositi, potrebbe accettare una soluzione del genere, tanto più che non abbiamo neanche uno schiavo a disposizione, figuriamoci centinaia. Però credo che sia in questo procedimento la chiave per raggiungere la Città nera, il luogo dove non si recano né spiriti, né sognatori e che persino i demoni paiono evitare. Credo che un sacrificio di sangue, una buona dose di Lyrium e un po' di sapiente magia proibita potrebbe permettere a uno di noi di varcare quei confini che tutti giudicano inviolabili, ma credo anche che non esista un via di ritorno, per chiunque deciderà di passare al di là delle leggi degli dei e degli uomini.”

Non rivelò quello che l'assassino già sapeva, ovvero che il viaggio avrebbe richiesto non solo la sua vita, ma anche la sua anima; non era un peso che altri dovessero sobbarcarsi, non era un prezzo che altri dovessero pagare.

“Avevi già parlato di un sacrificio di sangue” intervenne Alistair. “Come ti ho detto, se è necessario compierlo preferirei usare qualcuno che già meriti la morte, non un poveretto preso a caso dalla strada e sono certo che anche Eilin lo preferirebbe.”

“Non sarà necessario attingere alle prigioni reali, vostra altezza, non abbiamo bisogno di passare nell'Oblio con il corpo, quindi potrò usare il sangue del diretto interessato.”

“Ma così sarà certo che Zevran non sopravvivrà” protestò Oghren. “Non parliamo più solo di ipotesi.”

“Non importa, nano” l'assassino liquidò il problema con una semplice scrollata di spalle. “Conosco i rischi che corro. E poi potrei riuscire a tornare prima di essermi completamente dissanguato.”

Era una bugia penosa e Morrigan alzò gli occhi al cielo, trattenendosi solo all'ultimo momento dallo sbuffare.

“Una vita per una vita, è questo che proponi?”

“Non sto proponendo niente” ribatté in tono più deciso Zevran. “So perché sono venuto qui e so che farò quanto sarà necessario, proprio come avevo deciso ancor prima di mettermi in viaggio.”

“Dovrò immergerlo completamente nel Lyrium e preparare un altro paio di cosette da maghi che non starò a spiegarvi, poi dovrò evocare un demone, perché prenda possesso del suo corpo. Zevran non è un mago” spiegò, prima che gli sguardi scandalizzati del Custode e del nano fossero seguiti da ancor più indignate proteste. “Non posso inviare la sua mente nell'Oblio, tranne che in sogno, ma lo scarso controllo che avrebbe in quella forma sarebbe insufficiente per svolgere la missione, quindi dovrò procedere a quello che potremmo definire... uno scambio di personalità. Non sarà facile e avrò bisogno soprattutto del tuo aiuto, Alistair, per contenere lo spirito finché Zevran non avrà raggiunto Eilin e l'avrà strappata alla sua prigione.”

“Ma come raggiungerò la Città nera?”

“Il rito degli antichi Magister permise loro di fare ben più che attraversare fisicamente il velo che porta all'Oblio, fece loro raggiungere la Città d'oro. Se questo libro che avete recuperato per me non è menzognero, sono in grado di portare la tua anima davanti a quelle mura, almeno per un breve lasso di tempo. Da lì, però, dovrai trovare da solo la strada per raggiungerla e sarà solo la tua abilità che potrà permetterti di salvarla.”

 

 

Ok, almeno, adesso, sappiamo a grandi linee cosa sarà necessario fare ^_^ Spero di non aver dato sfogo troppo liberamente alla fantasia e accetto suggerimenti, se qualcuno crede che abbia tirato sfondoni troppo grossi, sul rituale!!!

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Capitolo 61
*** Un eroe e un re ***


“Sembrerebbe semplice” borbottò Oghren, tormentandosi i baffi. “Se non pensiamo al piccolissimo dettaglio di un demone infilato a forza nel corpo dell'elfetta.”

“Non sarebbe il primo caso di possessione” provò a tranquillizzarlo il diretto interessato. “Ricordi Connor? Ora sta meglio di prima e un giorno potrà raccontare la sua avventura per far colpo sulle ragazze.”

“Ma Connor ha il dono!”

“E io ho la pellaccia dura” alzò la mano, per interrompere ulteriori obiezioni. “E' inutile discuterne. Non solo quello di Morrigan mi sembra un ottimo piano, migliore di qualsiasi altro avessi immaginato, ma è anche la nostra unica possibilità, quindi la coglierò, con o senza il vostro appoggio.”

“A me preoccupa un po' la questione del lyrium” intervenne Alistair, incredibilmente pratico. “Dove ne troverai tanto?”

“Bah, per immergerci quest'elfo rachitico ne basteranno poche gocce” sbottò il nano, per niente soddisfatto di veder condotto al patibolo un altro amico, nonostante le loro patetiche rassicurazioni. “Ovviamente non ci scordiamo che il contatto con quel veleno gli procurerà diversi problemi, anche se dubito possa diventare più demente di così.”

Nessuno parve sentirlo, o nessuno volle dargli ascolto, così si ritirò imbronciato vicino al camino, maledicendosi tra sé per aver avuto la folle idea di andare a recuperare Zevran dal fondo di un bicchiere per portarlo ad affogare in una pozza di Lyrium.

“Ci sto pensando da quando ho avuto l'idea” confessò Morrigan. “Andare dai nani è escluso, impiegheremmo tempo che non abbiamo e ci esporremmo troppo. Dovrò utilizzare le mie scorte, che per fortuna comprendono anche un po' di lyrium rosso molto potente, ma dovrò modificare l'incantesimo, magari iniettando direttamente il liquido nel corpo di Zevran, per ottenere lo stesso risultato con minor sforzo, per così dire.”

“Non sarà ancora più rischioso?” il custode si trattenne dal pronunciare la prima parola che gli era venuta alle labbra: sicuramente sarebbe stato doloroso, non c'era da dubitarne, ma era anche ovvio che Zevran se ne infischiasse di se stesso, del suo corpo, della sua sanità mentale, teso com'era verso un unico obiettivo, per il quale Alistair non poteva evitare di chiedersi se avrebbe saputo mostrare tanto coraggio.

“Sono l'unico che possa farlo” quasi gli avesse letto nella mente, l'elfo ignorò la domanda formulata a parole, per rispondere a quella inespressa. “Vorresti essere tu a salvarla, ne sono consapevole, magari ne avresti anche maggior diritto, ma io non ho obblighi che mi impongano di rimanere in salute e abbastanza lucido da far credere al popolo di poter essere il loro re. Grazie ai Corvi, non ho mai intrecciato legami né personali, né politici, né commerciali. Voi siete stati i primi a concedermi fiducia e sarete gli unici a dispiacervi un po' per me, se le cose andassero male.”

“Quando” sentenziò Oghren.

“Come?”

“Quando le cose andranno male. Non esistono altre possibilità, neppure se sopravvivessi al demone, all'Oblio o a qualsiasi diavoleria tu possa affrontare lì dentro per salvare Eilin. Una volta che il lyrium sarà nel tuo corpo, anche ammesso che tu sopravviva, sarai come quel giovanotto che abbiamo incontrato nella nostra avventura, quello strano nano giovale e completamente ritardato...”

“Sandal” suggerì Alistair.

“Esatto, sarai una versione appena più alta e parecchio meno simpatica di lui.”

Zevran iniziò a chiedersi se non avesse sbagliato, cercando di rasserenarli, forse avrebbe dovuto dirgli subito che non c'era alcuna possibilità di ritorno, forse avrebbe semplicemente dovuto ammettere che era conscio di poter solo morire, magari tralasciando il piccolo dettaglio sul destino riservato alla sua anima, così avrebbero smesso di preoccuparsi per dettagli insignificanti.

Ad ogni secondo che passava, le loro possibilità diminuivano; per quanto ne sapeva, Eilin adesso si era resa conto che la stavano veramente cercando, che l'avevano quasi raggiunta, ma questo significava che era anche divenuta consapevole di quanto stessero rischiando per salvarla, il che l'avrebbe portata a volerli difendere, magari accelerando il processo di distruzione della sua anima, pur di non metterli ulteriormente in pericolo.

L'avrebbe fatta soffrire, in qualsiasi luogo fosse finita una volta liberata dalla prigione dell'arcidemone; l'avrebbe condannata ad un'eternità malinconica, usurata dai sensi di colpa, perché non sarebbe stata tanto logica da convincersi di aver solo agito per il meglio, chiamandoli a sé. Una persona come Eilin non avrebbe mai accettato di avergli concesso il dono più grande che si potesse immaginare, permettendogli di andare in suo soccorso, di fare finalmente ciò che non aveva potuto quando l'aveva guardata sacrificarsi per lui, per il suo compagno, per i suoi amici, per una folla indistinta di estranei che l'avevano già dimenticata. Allora non aveva potuto prendere il suo posto, non era un Custode e non poteva diventarlo, aveva dovuto mostrarsi coraggioso e lasciarla andare; ma adesso toccava a lui scegliere e essere egoista, toccava a lui sacrificarsi, se di sacrificio si poteva parlare, e non per una massa di volti sconosciuti, ma per guardare un'ultima volta l'unico volto che avesse mai conquistato il suo cuore. Avrebbe voluto mettersi a gridare, pur di convincere i suoi benintenzionati compagni a sbrigarsi, a lasciar lavorare a maga, a soffocarlo con il lyrium e infilargli dentro a forza qualsiasi spirito schifoso avesse riposto alla loro invocazione, tutto, pur di andare da lei.

“Tu, Alistair, potresti ordinare ai maghi o ai Templari di consegnarti il lyrium in loro possesso” Oghren stava continuando a cercare soluzioni meno drastiche e Zevran si rese conto di aver perso buona parte del suo affannarsi. “Sei il re, non possono rifiutartelo.”

“Ma possono fare domande, alle quali non vorremmo rispondere” Morrigan era giustamente lapidaria, su quel punto. “Non ho intenzione di finire in mano ai Templari, nano. Se volete coinvolgere in qualsiasi modo le... autorità, dovrete rivolgervi a Wynne per il vostro incantesimo.”

“Cercavo solo...”

“Lo so, nano” Zevran si sentiva commosso, nonostante tutto, che qualcuno potesse preoccuparsi tanto per lui. L'unica famiglia che avesse mai avuto l'aveva torturato per puro divertimento, anche se la scusa ufficiale era sempre stata testare la sua resistenza al dolore, mentre adesso esistevano persone che volevano difenderlo, proteggerlo, prendersi cura di lui. “Grazie.”

Lo disse con il tono burbero e un po' strafottente che non avrebbe messo in imbarazzo l'amico, costringendolo ad ammissioni non volute di affetto, ma Oghren si schernì ugualmente, arrossendo appena sotto la barba.

“Non lo dico per te, ma per noi. A chi toccherà badarti, alla fine?”

“Oghren, io non tornenò da questo viaggio” ecco, l'aveva confessato. “Ma intendo comunque compierlo e spero che mi aiuterete a portarlo a termine con successo, perché sono pronto a morire, ma non a fallire.”

Il silenzio che seguì durò solo qualche istante, ma parve a tutti un'eternità.

A sorpresa, il primo a romperlo fu Alistair, che stava dimostrando un sangue freddo e un senso pratico inusitati, forse perché, al di là di tutto, comprendeva il desiderio spasmodico dell'elfo di mettersi all'opera, o forse perché non riusciva a tollerare per molto il pensiero di doversi nuovamente fare da parte e guardar morire un altro al suo posto.

“Non possiamo lasciar trapelare questa storia fuori dalle mura della capanna di Flemeth” disse piano. “E comunque, anche ricorrendo al mio titolo, non otterrei altro che inimicarmi il Circolo e i Templari, mettendomi in una posizione molto rischiosa quando ancora non ho consolidato il mio potere. Non posso fare nulla, mi dispiace Zevran.”

“Non dirlo, le tue obiezioni sono sensate. Tanto più che, se qualcuno subodorasse il nostro piano, ci impedirebbero sicuramente di realizzarlo. Il rischio che corriamo non riguarda me soltanto e neppure voi; potenzialmente potremmo scatenare qualcosa di terribilmente potente e per nulla benevolo.”

“Faremo in modo di impedirlo” Alistair fu categorico a quel proposito. “Non permetterò che la salvezza di Eilin avvenga a prezzo di rovinare ciò per cui ha lottato, non sarebbe un buon modo per onorare la sua memoria. Voglio proteggerla come e più di voi, ma devo proteggere anche altri, quindi, onestà per onestà, vi confesserò questo: io ero suo marito, ero l'altro custode che avrebbe potuto affrontare l'arcidemone e dovrei essere io, adesso, ad andare da lei, a qualsiasi costo. Vorrei farlo e odio non poterlo fare, ma ho un dovere da compiere, al di là dei miei desideri, e dovrò essere nuovamente vigliacco e continuare a vivere, mentre Zevran farà la parte dell'eroe e, come un cavaliere dalla scintillante armatura, andrà a salvarla dal drago.”

“Alistair...”

“No, ascoltami” fissò negli occhi i suoi compagni, con una calma feroce che non gli apparteneva. “Non voglio perdermi in stupide recriminazioni. Anche tu l'amavi e so che hai il mio stesso diritto di andare a salvarla, mentre io rimarrò qui a compiere ciò che mi è stato imposto. Ma proprio per questo, ti dico che, se l'incantesimo fallisse, se il demone rischiasse di liberarsi o si presentasse qualsiasi altro rischio per il popolo del Ferelden, io farò qualsiasi cosa in mio potere per impedirlo, anche uccidere il tuo corpo e impedirti di raggiungerla, rendendo vano il tuo sacrificio e condannando me stesso alla dannazione eterna, in questa e in qualsiasi altra vita. Perché se è un re ciò che devo essere, mi comporterò come tale in ogni mio gesto e in ogni pensiero, al di là del mio cuore e del mio volere.”


Ma perché ho perso totalmente la capacità di sintesi?! Inizio il capitolo, pensando di giungere ad un determinato evento e poi i personaggi vogliono dire la loro -_- Beh, spero non vi stiate annoiando troppo ^_^ Coraggio, la fine è comunque vicina!!!

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Capitolo 62
*** Domani ***


“Non diventiamo assurdi” iniziò a protestare Oghren, ma l'elfo lo interruppe.

“Mi sta bene” alzò le mani, quasi in un gesto di resa, poi le strinse a pugno, alzando appena il tono. “Mi sta bene qualsiasi cosa, purché ci decidiamo a darci da fare.”

Alistair annuì, senza parlare, senza più la forza di dire o fare alcunché.

Erano partiti per trovare una speranza e tutto ciò che avevano ottenuto era un oscuro, disperato baratto, senza nessuna garanzia di successo.

“Mettergli fretta non sarà una mossa vincente” Morrigan scosse la testa, disgustata dalla forza appena scoperta in chi, per debolezza, li aveva costretti ad arrivare a tanto. “Non c'è niente di facile in ciò che andremo a tentare, Alistair. Se credi che Zevran si limiterà a passeggiare per i bucolici sentieri dell'Oblio, conversando amabilmente coi demoni e cogliendo margherite oniriche da offrire in dono al drago in cambio dell'anima di Eilin, ti sbagli.”

“Non ho mai pensato niente del genere” le guance del re si erano appena soffuse di un tenue rossore, mentre rifiutava di abbassare lo sguardo di fronte a quello gelido e severo della maga. “Ma ci sono dei principi che non posso dimenticare.”

“Come l'ultima volta?” era un colpo basso, Morrigan ne era consapevole, ma era anche stufa di paladini che brandissero lame scintillanti per distruggere le loro migliori possibilità. “Gli stessi principi per cui l'hai sacrificata e di cui dicevi di esserti pentito?”

Se l'avesse colpito con una palla di fuoco non avrebbe potuto fare più danno: fu come se Alistair avesse incassato fisicamente quel colpo, barcollando e piegandosi leggermente su se stesso, sprofondando ancor più profondamente nell'incubo di sensi di colpa dai quali non aveva mai saputo riemergere del tutto.

Strinse gli occhi e digrignò i denti così violentemente che Zevran credette di vedergliene sputare almeno un paio, ma non una lacrima uscì dalle sue palpebre serrate, non un lamento dalle sue labbra.

Da quando Eilin era morta, sembrava che non sapesse più piangere.

Era strano e forse ironico, ma si era trasformato proprio in ciò che la sua amata aveva provato a diventare dopo quella notte terribile, in cui aveva scelto la morale al posto dell'amore, la tragedia al posto della dannazione. Era un guscio vuoto, un re e non un uomo, un titolo privo di corpo e anima.

Eppure faceva male sentirsi dire ciò che in ogni stante aveva continuato a ripetersi: potevi evitare tutto questo, stupido caprone senza cervello! Potevi salvarla.

Ma la salvezza che avrebbe potuto donarle non avrebbe mai assunto la forma che tutti i suoi compagni si aspettavano. Alistair non avrebbe mai potuto giacere con la strega e contribuire a generare il possibile distruttore di tutto il mondo conosciuto. Davvero si era meravigliato che una persona retta e coraggiosa come Eilin prendesse anche solo in considerazione l'idea e tuttora continuava a meravigliarsene; stavano combattendo proprio contro il male che gli proponevano di salvare, come poteva aver senso? Ma c'era qualcosa che avrebbe potuto e dovuto fare, al di là dei patetici doveri impostigli da una vetusta burocrazia, c'era una scelta che non aveva saputo trovare il modo di compiere, impastoiato in una debolezza di carattere che non aveva giustificazione, in una stupida spirale di timori e incertezze politiche che non avrebbero dovuto interessarlo.

“Avrei dovuto morire al suo posto” sussurrò, senza aprire gli occhi. “Avrei dovuto mandare al diavolo Eamon, il regno e la dannata corona. Il Ferelden si sarebbe trovato un altro sovrano, anche migliore di me, ma voi stessi mi avete impedito di mettere in atto il mio piano. Eilin me l'ha impedito. Avete brigato e truffato affinché fosse lei a recarsi alla torre, solo perché credevate giusto non costringere la nostra terra a sopportare il peso di eventuali lotte intestine per il potere o perché lei lo credeva giusto e voi l'avete appoggiata. Cosa pretendete che faccia? Ora sono ciò che avete voluto che fossi e non sceglierò un nuovo flagello, al posto della salvezza di un'anima, neanche della sua.”

“Farò in modo che non ce ne sia bisogno” per quanto capisse le ragioni del suo compagno, Zevran non poteva in alcun modo condividerle. “Il passato è passato, non ha senso recriminare o distribuire colpe, vere o presunte. Preoccupiamoci del futuro. Salverò Eilin prima che il demone distrugga la prigione del mio corpo e si liberi nel mondo. Se è l'unica strada possibile, sarà quella che percorreremo.”

“Non ti serve un limite di tempo, oltre a tutti gli altri problemi, Zevran” brontolò ancora la maga. “Avrai già abbastanza guai senza dover pensare allo scorrere dei minuti.”

“Eppure dovrò farlo” la sua voce fu una sferzata, secca e tagliente. “E so che tu sarai in grado di aiutarmi. In fondo è per impedire che il sortilegio ci sfugga di mano che ti serve l'aiuto di Alistair, no? Quindi è ovvio che nessuno di noi voglia lasciare un demone libero per il mondo. Dovrò entrare nella città nera prima che siate costretti a qualche gesto estremo, era già preventivato.”

Era la verità, Morrigan lo sapeva, eppure odiava dover concordare con quel santarellino piagnucolone che adesso sapeva esporre le sue idee con tanta convinzione, quando solo pochi mesi prima aveva saputo appena balbettare il suo amore all'unica amica che lei avesse mai avuto.

“Eilin è morta” Zevran le strinse la spalla, ignorando il suo gesto di allontanarlo. “Abbiamo contribuito tutti, lei per prima, al suo sacrificio. Ora contribuiamo a salvare la sua anima e poi potremo riposare in pace.”

“Non tu” avrebbe voluto ribattere la strega. “Tu sarai dannato, sarai la scintilla del prossimo flagello, una scaglia sulla coda di un drago marcescente!”

Ma tacque e si diresse al pentolone, senza più degnare nessuno di loro di uno sguardo.

C'erano moltissimi ingredienti da miscelare per ottenere il filtro che avrebbe potuto, forse, sostituire la procedura usata dagli antichi magister, sempre che il tomo la riportasse in maniera corretta. C'erano decine di formule e passaggi complicati che richiedevano la più assoluta concentrazione.

Non aveva tempo di concedersi distrazioni ed era un bene, perché non aveva più voglia di pensare, di ricordare, di soffrire. La magia era sempre stata la sua forza e il suo rifugio, avrebbe dovuta sostenerla anche in questa prova.

“Sarà tutto pronto per domani” disse soltanto. “Lasciatemi sola, adesso.”

Zevran avrebbe voluto protestare che non avevano ancora una notte e un giorno da concedersi, ma sarebbe stata una lamentela inutile e infantile, un'altra stupida perdita di tempo.

Annuì, uscendo nell'aria umida della palude, fissando il pallido sole che coraggiosamente sfidava la maleodorante coltre di nebbia che lo soffocava e pregando ogni divinità conosciuta e sconosciuta che il tramonto arrivasse presto, portando con sé la speranza di un ultimo sogno.

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Capitolo 63
*** In ***


Quella era di gran lunga la migliore birra che avesse mai assaggiato, fresca, profumata e tanto chiara da permettergli di sbirciare la scollatura della procace figlia del locandiere senza dover abbassare il boccale.

Non c'erano molti momenti piacevoli, nella sua professione, ma nessuno avrebbe mai dovuto dire che Zevran il Corvo non avesse saputo approfittare di ciascuno: le brevi soste necessarie a recuperare energie e salute tra un delitto e l'altro erano i suoi preferiti.

L'ultimo lavoro l'aveva lasciato con un paio di costole incrinate e una distorsione piuttosto fastidiosa e ridicola alla caviglia, ma non era colpa sua se non gli avevano dato il tempo per capire che il Bann di vattelapesca, lungi dall'essere il vedovo probo e sconsolato che diceva, passava le notti in compagnia della guardia più massiccia e erculea del suo esercito.

Ad ognuno i suoi gusti, nessun problema, ma la presenza del compagno aveva alzato di un filo la difficoltà del compito, costringendolo ad improvvisare; ad ogni modo erano morti entrambi e lui, invece, era ancora vivo e pronto per la prossima avventura.

Adesso si trattava solo di aspettare, con pazienza, l'arrivo del suo compagno con i dettagli per il nuovo incarico. Sembrava trascorso un secolo da quando era entrato in quella bettola, ma ancora nessuno l'aveva contattato, né aveva riconosciuto volti noti.

“Che se la prendano pure comoda” mormorò tra sé, facendo cenno alla cameriera per un altro giro di bevute. “Non ho fretta di sfoderare le lame, stanotte.”

Sospirò piano, soffiando un leggero pulviscolo di schiuma corposa sulla testa aggrovigliata di un nano addormentato in equilibrio precario sullo sgabello accanto al suo; era molto tempo che non riusciva più neppure a fingere interesse per quella che avrebbe dovuto essere divenuta, ormai, la sua missione e che, invece, si stava trasformando sempre più in un fardello insostenibile. Era certo di essere venuto a patti con la sua recalcitrante coscienza molti anni prima, quando aveva seppellito ogni vago principio morale di cui avesse percepito sentore, pur nel bordello fatiscente in cui era cresciuto, in cambio di qualche livido in meno e di qualche anno di vita in più. Era certo di aver imparato a vivere per come gli era stato concesso, ricambiando l'ironia del destino con un altrettanto ironica indifferenza per qualsiasi cosa lo circondasse, ma quella notte il disagio non voleva saperne di scivolare via insieme al liquore e il respiro continuava a incepparsi in rantoli pateticamente brevi alla base della gola, come se un macigno di dimensioni epocali gli avesse schiacciato il petto.

C'era qualcosa che gli sfuggiva, un prurito inconfondibile sulla punta delle orecchie che lo spingeva a scrutare ogni forma di vita che lo circondasse come se si aspettasse di vederne uscire un mostro con ali di pipistrello e corna di bue.

Era assurdo, non solo perché, al momento, nessuno poteva aver saputo della sua presenza in quell'angolo sperduto di mondo, ma anche perché la taverna era quasi vuota, ad esclusione del nano ubriaco, del locandiere e sua figlia, della cameriera con le lentiggini e il sedere abbondante e di un paio di avventori tozzi e sudici, con le mani ancora sporche di terra dopo una giornata nei campi.

A meno che uno di loro non fosse il miglior trasformista della terra, non aveva motivo di sentirsi tanto insicuro: un uomo con una vanga, per quanto determinato o arrabbiato, non sarebbe arrivato a dieci passi da lui. E poi da secoli non provava paura, a parte quell'indefinibile e facilmente ignorabile brivido di ansia prima di una missione, nato e subito ucciso nella parte più irrazionale di sé; non aveva niente per cui vivere, danzava con la morte da anni e sapeva che sarebbe stata la sua unica sposa, quindi non aveva senso sprecare energie in paranoie o timori. Una volta soddisfatta la prudenza, qualsiasi altra precauzione sarebbe stata superflua.

Nonostante questo, mentre si dava dell'idiota, controllò con studiata noncuranza il fodero dei pugnali, saggiò la resistenza delle cinghie di cuoio dei bracciali e si sincerò di avere ancora ogni singola pozione e veleno nella scarsella a tracolla.

Non c'era niente che non andasse, a parte il ritardo del suo compare, che, comunque, non sapeva a chi dover fare riferimento, se non per una parola d'ordine, e quindi, anche qualora fosse stato catturato, non avrebbe potuto trascinarlo nei guai.

Il locandiere lo fissò con aria indagatrice e Zevran gli concesse il suo miglior sorriso professionale, quello che aveva studiato appositamente per far capire al prossimo di non essere una minaccia e di non voler guai, ma di non tollerare interferenze coi propri affari. L'uomo capì l'antifona e tornò ad asciugare il vasellame, dando di voce alla figlia perché attizzasse il fuoco e non li facesse crepare tutti di freddo.

Magari era la stagione a renderlo così umorale. L'inverno, in quel lato di mondo, aveva toni troppo cupi e tristi per invogliare ad una seppur forzata risata.

Per un attimo, assurdamente, si chiese se fosse davvero inverno o se il liquore non avesse iniziato a giocargli qualche brutto tiro, ma l'alito tagliente che gli sfiorò le guance, insinuandosi nelle screpolature marce del legno, lo tranquillizzò e lo fece rabbrividire ad un tempo.

C'era qualcosa che stava dimenticando, qualcosa di importante, per cui non avrebbe dovuto rimanere lì a poltrire, ma era un pensiero tanto sfuggente che afferrarlo gli risultava impossibile.

Era certo di non aver trascurato niente, nessuna delle regole per il perfetto assassino pre-missione, aveva controllato tutto più volte e, come sempre, si era complimentato con se stesso per la propria efficienza; non poteva preoccuparsi per un compito che ancora non conosceva e di certo non stava vivendo una tardiva crisi di coscienza per i suoi innumerevoli peccati.

Quindi cosa dannazione poteva essere a pressarlo al punto da non riuscire a mantenere la sua usuale immobilità, ticchettando insistentemente col dorso del piede sulla parete del bancone, come un innamorato al primo appuntamento? Stava attirando l'attenzione e si stava comportando da stupido, eppure non riusciva a costringersi a smettere. Non era stato tanto nervoso neanche la prima volta in cui, poco più che bambino, aveva saputo che presto avrebbe dovuto dividere il letto con uno dei suoi istruttori, per imparare l'arte amatoria, a sentire la loro versione dei fatti. Sospettava che sarebbe stato abbastanza disgustoso e doloroso, ma, come sempre, non aveva fatto un dramma per l'inevitabile. Avrebbe preferito imparare con una donna, ma non ce n'erano molte tra i Corvi e poi...

In effetti forse c'era di mezzo una donna. Zevran si passò la mano sugli occhi, cercando di afferrare quell'intuizione che già lo stava abbandonando.

Rinna.

Era un nome che aveva promesso di non pronunciare mai più, neanche senza voce, il nome dell'errore, della sconfitta, della fine di ciò che mai era iniziato.

Rinna. La giovane elfa che, per un istante, l'aveva illuso di poter essere qualcosa di diverso, qualcosa di più di un pugnale attaccato alla cintura dei suoi aguzzini; l'elfa con cui aveva riso e per la quale aveva pianto senza lacrime; l'elfa che non l'aveva tradito, ma che era morta per la sua incapacità di discernere il vero dalla bugia.

Non ricordava quasi più il suo volto, ormai, ma evidentemente continuava a tormentarlo, dopo tanto tempo, dopo tanta morte, tanto dolore.

I suoi capelli erano lunghi e ondulati, del colore del sole, e gli occhi di un castano così intenso da sembrare neri, grandi, profondi, capaci di frugargli l'anima. Avrebbe potuto perdersi in quegli occhi e morire senza rimpianti.

Ma Rinna non aveva gli occhi castani. Zevran lo rammentò con sgomento: erano azzurri e avevano una luce scanzonata e sensuale che non lasciava spazio per la cupa maturità che si era immaginato.

A chi stava pensando, allora? Chi lo tormentava?

C'era un nome nel suo cuore, se non nella sua mente, e avrebbe potuto afferrarlo, se solo fosse stato più allenato ad ascoltare quel muscolo così fastidioso.

“Hai l'aria cupa, giovane signore” la cameriera si era avvicinata senza che lui se ne accorgesse e questo lo spaventò e lo irritò, nonostante fosse insolito per lui disdegnare un po' di compagnia priva di complicazioni. “Posso fare qualcosa per aiutarti?”

Voleva spingerla via, dirle di lasciarlo in pace, ma aveva un buon profumo e un corpicino accogliente che poteva impedirgli di rimuginare per qualche momento, così sorrise, finì l'ultimo sorso di birra ormai calda e la seguì in un'alcova vicino alla cucina.

Evidentemente il padrone non si preoccupava troppo di mantenere una parvenza di moralità e non sarebbe stato certo Zevran a sobbarcarsi futili problemi altrui, quindi non si preoccupò di chi potesse vederli o divertirsi nell'occhieggiare i seni pallidi della sua compagna occasionale o la morbida rotondità dei suoi glutei; avrebbe preso quanto gli veniva offerto e avrebbe pregato che bastasse per farlo rilassare.

Le sfiorò il collo con la lingua, mentre scendeva con la mano a carezzarle il ventre e sopportava i suoi gemiti di piacere, senza riuscire a trarne alcuna soddisfazione.

“Sono troppo vecchio anche per questi miseri piaceri” pensò tra sé, afferrandole i fianchi con gesti dettati dall'abitudine più che dal bisogno o dalla voglia. “Dovrei solo mettermi in pensione.”

Ma nel suo mestiere non esisteva il riposo prima della fine, esisteva solo la fine, in un momento più o meno tardo della vita, e non era ancora pronto ad accettarla. C'era qualcosa che doveva fare, prima. Qualcosa di inevitabile.

Sentì che la ragazza cercava le sue labbra e si rassegnò a concedergliele, ma nel momento in cui la lingua di lei si insinuò nella sua bocca, viscida e fredda come quella di un serpente, una voce lo richiamò alla ragione.

“Zevran!”

Una preghiera, un'esortazione. La verità.

“Eilin”

All'improvviso tutto andò al suo posto e l'assassino tornò ad essere l'uomo che era stato addormentato nella capanna di Flemeth, prosciugato del proprio sangue, imbottito di liquido bruciante come lava, svuotato della propria anima e inviato a compiere l'unica missione che non poteva fallire.

Spinse via la ragazza, che divenne cenere tra le sue dita, disperdendosi in un vento caldo e fatiscente nato dal nulla a cui le pareti della stanza non sapevano porre rimedio, fino a dissolversi in faloppe incandescenti e brandelli di tenebra, lasciando l'elfo solo in una landa desolata, gelida e opprimente, davanti a un cancello insormontabile, nero come la morte.

 

 

Rieccomi qua, dopo una piccola pausa, in cui ho cercato, senza successo, di utilizzare il poco tempo a disposizione per raccogliere le idee in modo da dare un degno finale a questa storia ^_^ Sto ancora decidendo se dedicare un capitolo specifico al rito (credo dipenderà da quanto mi sentirò sadica), ma almeno, intanto, il piccolo Zev è arrivato a destinazione. Squillino le trombe!!!!!! ;-P

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Capitolo 64
*** Una culla, una spada e un pozzo ***


“Così è questa la Città proibita” pensò tra sé, osservando la possente cinta di mura, lucida e liscia come ebano, apparentemente inespugnabile. “Una lussuosa tomba senza fiori o cordoglio.”

In fondo, era proprio il monumento funebre che si meritava, una buca priva di luce e di pianto.

Era pronto ad affrontare la sfida, anche se ancora riusciva a stento a percepire il proprio corpo come reale, le proprie azioni come movimenti concreti e i propri pensieri come idee e non illusioni. Aveva poco tempo e una sola possibilità.

Il silenzio era un vuoto abisso carico di odio e sconosciuti pericoli, l'oscurità un tripudio di incubi pronti a ghermirlo, eppure, al di là di quella barriera, in una delle torri leggiadre come dita scheletriche di morte, nere più dell'orizzonte che osavano infrangere, si trovavano le ultime vestigia di colei che non meritava di svanire in quel deserto maligno, di colei che voleva rivedere un'ultima volta, sfiorare un'ultima volta, baciare almeno una volta.

Era arrivato fin lì carico di buone intenzioni, il guaio è che nessuna di quelle l'avrebbe aiutato a superare quel dannato portale più adatto al passaggio di un drago che di un misero essere umano.

“Rifletti Zevran” come era solito fare durante le missioni da assassino, provò ad auto-incoraggiarsi, avvicinandosi al massiccio ammasso di quello che poteva sembrare solo legno fossilizzato e annerito, nella speranza di scoprirne un punto debole. “Come puoi scassinare una porta con la serratura grande quanto la tua testa?”

Sugli spalti non si vedeva nessuno, nessuna luce tremolava a infrangere il silenzio.

Tutta la città sembrava un simulacro disabitato, ma l'elfo temeva che le ombre stesse fossero più pericolose di qualsiasi nemico avesse mai affrontato; le sentiva premere sulla sua pelle martoriata, osservarlo, soppesare i suoi gesti come maestri severi pronti a punirlo. Non poteva permettersi di rimanere troppo fermo in un punto.

Ricorda che l'Oblio è un regno vero e proprio, ma è anche una terra ignota e onirica. Tu penetrerai il sogno con il tuo stesso spirito, come fanno i maghi, e i maghi imparano a muoversi in quel paradosso, inventandosi regole proprie o intuendone quelle originali. Dovrai fare lo stesso o non avrai speranza di riuscita.”

Le parole di Morrigan lo colpirono all'improvviso, riaffiorando tra i suoi ricordi confusi.

Non poteva rivolgersi a leggi fisiche, né alle vecchie esperienze da scassinatore o combattente, doveva fare ciò che gli era sempre riuscito meglio: improvvisare.

Un topolino saettò tra le sue gambe, provocandogli un impercettibile sussulto; era stranamente luminescente e quasi trasparente tra i fili contorti di erba secca, eppure era anche la cosa più vivace e meno inquietante che Zevran avesse visto fino ad allora, così si trovò a osservarlo istintivamente e lo vide svanire in un minuscolo foro delle mura, a pochi passi da lui.

“Quindi non sono così perfette come sembrano” riflettè, senza sapere se gioirne o disperarsene. “Avrebbe dovuto venire Oghren quassù, almeno per altezza ci sarebbe passato, anche se la pancia l'avrebbe bloccato a metà strada.”

Si chinò a osservare la crepa, provando a infilarvi una mano e scoprendo, con estrema sorpresa, di riuscire a infilarcela fino al gomito. La cosa più incredibile, poi, fu che anche la testa riuscì a farsi largo agevolmente in quella minuscola fessura, portandosi dietro tutto il corpo, non più in forma umana, ma di roditore.

Era stato poco più di un attimo; appena la coda, o quello che essa rappresentava, uscì dal buco, l'elfo riprese le sue sembianze, con un enorme sospiro di sollievo e un incontrollabile tremito: aveva sopportato ogni genere di tortura, ma sentire il suo corpo costretto e confuso nella pelliccia di un topo le batteva tutte.

Ad ogni modo, era dentro e più facilmente di quanto avesse temuto.

A questo punto non rimaneva altro che esplorare un paio di decine di vecchie torri sinistre e perfettamente somiglianti l'una all'altra, per trovare quella che faceva da prigione a Eilin. Una passeggiata.

Sperava che l'avrebbe chiamato, sperava di seguire la sua voce, ma quella cocciuta donna rimaneva ostinatamente in silenzio, rifiutandosi di soccorrerlo proprio ora che aveva più bisogno di lei.

In compenso, per la prima volta, un rumore sottile lo mise in allarme, spingendolo a correre velocemente oltre l'angolo di un vicolo. Sembrava il suono strascicato di passi pesanti, ma, al tempo stesso, era un bisbiglio soffuso, sfumato, avvertibile più con l'istinto che con i sensi.

Non vide nessuno nella strada davanti a lui, ampia e piastrellata con lastre scivolose di marmo scuro, non sentì i passi avvicinarsi o allontanarsi, ma qualcosa nel suo animo lo spingeva a rimanere nascosto e silenzioso, mentre quell'eco spettrale risuonava nel suo cuore, raggelandolo.

Durò qualche istante, poi, repentino com'era nato, si dissolse, lasciandolo libero di respirare.

Se fosse stato in una normale città, avrebbe pensato al giro di ronda delle guardie e forse il vuoto che aveva sentito animarsi all'improvviso era stata la versione orrorifica di quel banale evento.

Iniziò a correre, sperando di portarsi al centro del cerchio quasi perfetto che gli era sembrata la città, dove svettava la torre più alta, ma le vie non avevano un senso compiuto, né gli permettevano di raggiungere i luoghi che si era prefissato, confondendolo con un labirinto di svolte tortuose e vicoli ciechi, in un ammasso ordinato di case completamente anonime e impossibilmente indistinte in una geometria al tempo stesso perfetta e incoerente.

Sembrava quasi che quel luogo fosse nato da un'amalgama scomposta di miraggi pazzeschi, esplosi su di una precedente architettura razionale e perfetta.

“In fondo questo doveva essere il paradiso” gli sovvenne quando si trovò davanti l'ennesimo muro privo di finestre. “Dovrebbe esserne rimasto qualche segno, in tutta questa corrotta devastazione.”

Fu allora che vide qualcosa oltre la parete di mattoni muffiti, o meglio sotto di essa: un tracciato dorato appena percettibile, proseguimento della stretta viuzza su cui si era avventurato, affiorante come un'illusione dentro quella che sembrava essere una casa.

Senza troppa fiducia, provò a posarvi un primo, incerto passo e, come era successo al portone, si trovò al di là dell'ostacolo, ma non nel corpo di un topo, bensì in forma di spirito.

“Ti vedo” una voce o un tuono ruppe l'incanto, riportandolo alla forma materiale, col cuore a mille e un terrore viscerale nelle membra.

Non c'era niente di umano o vivo in quel ringhio roboante, non c'era odio, né pietà, né qualsiasi forma di emozione riconoscibile: era tenebra allo stato puro e l'elfo sapeva bene a chi appartenesse, anche se non l'aveva mai sentita e pregava di non sentirla mai.

Morrigan gli aveva spiegato che, secondo le leggende, neanche i demoni osavano introdursi nella Città nera, perché la presenza di un male più profondo e infido li terrorizzava, a dimostrazione di quanto gli uomini fossero, in realtà, le creature più diaboliche su ogni piano di esistenza.

Zevran era stato confortato da quella notizia, ma solo adesso si rendeva conto di quanto fosse stato sciocco a pensarlo.

Rimase fermo per un istante, poi, forte del silenzio ritrovato, esplorò la piazza in cui aveva poggiato i piedi dopo l'ultima strana esperienza extracorporea.

Era poco più di un cortile rotondo tra tre torri di pianta quadrata, con un portone a arco sormontato da un elaborato architrave raffigurante rispettivamente: una culla, una spada e un pozzo.

Erano tutti simboli assurdi, ma forse la spada poteva rappresentare un guerriero o una battaglia e Eilin si era sacrificata per porre fine alla più mostruosa e terribile delle guerre, quindi, confidando nella buona sorte che trasformasse anche stavolta le speranze in realtà, Zevran levò una preghiera al Creatore e aprì per prima quella polverosa porta.

 

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Capitolo 65
*** Visioni ***


L'ambiente che lo accolse era quasi inquietante per la sua normalità: una stanza ampia di pietra scura, con un camino spartano privo di fiamma, un largo tavolo rettangolare di legno massiccio e due panche grezze sui lati più lunghi, una rastrelliera senza armi e qualche cassapanca borchiata, chiusa con robusti lucchetti.

“Che razza di posto è mai questo?” si domandò istintivamente l'elfo, cercando di non sfiorare niente, per paura di vederlo svanire o di far scattare chissà quale trappola inimmaginabile. “Sembra la sala d'arme di qualche palazzotto di Denerim, certo non una torre creata da un dio e corrotta da un demone.”

Non c'era alcun rumore lì dentro, né calore e la luce filtrava tremula e spaventata da strette feritoie quasi invisibili vicino al soffitto. Poi udì chiaramente il cigolare di una porta dal piano di sopra e nella frazione di secondo che impiegò per decidere se nascondersi o fuggire, la voce di Alistair l'aveva già raggiunto e pietrificato.

“Finalmente, credevo che non ce l'avessi fatta.”

“E' un'illusione” ripeteva Zevran nella sua mente. “Un incubo.”

Ma le sue labbra non volevano saperne di articolare parola, né le sue gambe di muovere un passo, mentre l'oscurità veniva dissipata dal crepitare azzurrognolo di una torcia fumosa, trasportata lungo la stretta scala di legno da un malmesso e arruffato Custode.

Sembrava più vecchio, o forse solo più stanco: i capelli erano sconclusionati e lunghi sul collo, con striature grigiastre derivate dalla polvere o da un repentino incanutimento; le labbra, screpolate e pallide, avevano una piega amara, ma determinata; un occhio era coperto da una benda insanguinata, mentre l'altro lo scrutava febbrile da un intrico vorticante di piccole rughe.

L'assassino non riusciva a smettere di guardarlo, come un cervo davanti all'arco di un cacciatore.

“Non si è salvato nessun altro?” il tono del Re era freddo, la voce controllata, come se ponesse una domanda per cui già da tempo si fosse rassegnato alla risposta. “Dovremmo abbandonare questo avamposto, abbiamo tardato anche troppo. Non c'è più niente da salvare.”

Zevran doveva fuggire, lo sapeva, lo ricordava. Stava ripiombando nel sogno, perdendo la propria razionalità, e non osava permetterselo, per cui non poté essere meno che sorpreso quando sentì se stesso pronunciare una risposta accalorata.

“Ci sono ancora delle case non evacuate, maestà” l'ultima parola era un misto di rispetto, ironia e implicito richiamo al dovere. “Ci sono bambini, donne indifese...”

“E c'è un'intera regione sotto assedio” adesso Alistair era davanti a lui, con l'armatura ammaccata e sporca di sangue, una mano inerte contro il fianco e lo scudo quasi incrinato pendente da un laccio disfatto sulla schiena. “Conosco la situazione, ma non posso fare niente per loro, neanche rischiando di sacrificare tutti gli altri. I genlock sono ovunque e presto banchetteranno con gli ultimi cadaveri.”

C'era della logica nelle sue parole e il profumo di una discussione troppe volte affrontata e mai finita.

Di certo Zevran non era il più adatto a criticare il principio del bene comune, a meno che non fosse contrario al proprio, ma anche il tempo in cui avrebbe scelto se stesso prima del dovere era ormai sepolto nella storia e adesso non poteva permettersi una manfrina sulla necessità di rischiare molti per tentare di salvare pochi.

E poi chi mai avrebbero dovuto salvare? C'era una sola persona che doveva proteggere e quella torre con il suo strano abitante non era che un tentativo di depistarlo e fargli perdere tempo prezioso.

“So che non vuoi sentirlo dire” Alistair aveva ripreso a parlare, sedendosi sul bordo di una delle panche che scricchiolò pericolosamente sotto il suo peso. “So che non vorrei sentirlo dire neppure io, ma facemmo una scelta, molto tempo fa, e ora dobbiamo affrontarne le conseguenze.”

Fu contro la sua stessa volontà che l'elfo chiese: “Quale scelta?”

La domanda sembrò divertire quello strano fantasma o apparizione, perché una risata roca e crudele riempì la stanza, aumentandone il gelo.

“Avevo proprio bisogno di un po' del tuo sarcasmo” scosse la testa, stringendo i denti per soffocare un lamento, fisico o morale. “Avevo bisogno di ricordare quella scelta, anche se non esiste attimo in cui non la porti nel cuore.”

Un boato feroce, ma ancora distante, li fece voltare entrambi verso la porta, guardinghi.

“Si stanno avvicinando” il Custode fissò gli occhi in quelli confusi e spaventati di Zevran, fraintendendo la causa del suo turbamento. “Abbiamo ancora il tempo di visitare la loro tomba un'ultima volta. Vuoi venire con me?”

Avrebbe dovuto rispondere che no, non voleva assolutamente seguirlo e che anzi avrebbe fatto meglio a occuparsi di altre faccende all'esterno, approfittando di una qualsiasi scusa per sottrarsi a quel delirio, invece lo osservò alzarsi a fatica, col passo malfermo e le spalle curve sotto un invisibile peso, e lo seguì verso una botola laterale che non aveva notato prima, nascosta dall'oscurità o ancora non generata da quella sconcertante visione; lo accompagnò nelle tenebre di una claustrofobica scala a chiocciola scivolosa e umida, coperta di ragnatele, ma priva di vita, come tutto ciò che li circondava, fino a raggiungere una cappella sotterranea incredibilmente ampia e lussuosa, con lanterne perenni dalla luce verdastra e fiori di ferro battuto dalle tinte vivaci lungo tutte le travi e sul soffitto, a formare una visione incantata da regno di fiaba.

“A lui sarebbe venuto un colpo se avesse saputo di finire in un luogo del genere.”

“Lui?” solo parzialmente consapevole di non essere padrone di sé, Zevran rimase shoccato nel comprendere di stare guardando il sarcofago di marmo nero finemente cesellato di un uomo.

“Oghren” Alistair sembrava non trovare più divertente l'incomprensibile ingenuità mostrata dall'amico, ma sembrava anche troppo emotivamente scosso per darsene pensiero. “Quando ci ha lasciato, sei mesi fa, anche tu eri d'accordo sul non gettarlo in una fossa comune. E poi le ossa di lei non sono veramente in questo sacrario, non potrà darle noia che il suo sepolcro, infine, sia stato usato.”

“Meritava una degna sepoltura” acconsentì Zevran, mentre un'immagine incomprensibile gli oscurava la mente e il cuore: una donna in pesante armatura nera, col volto celato dietro una visiera a forma di testa di drago e una spada enorme trasudante fiamme, immersa per metà nel corpo esanime del nano, inginocchiato ai suoi piedi e inerme, come qualcuno a cui fosse stata strappata ogni volontà di lottare.

“Ho continuato a sperare, se si può chiamare speranza, che saremmo riusciti a portarla qui, nel luogo che avevamo costruito per il suo ultimo sonno, quando avevamo abbandonato il sogno di salvarla, ma credevamo di poter ancora concederle quel riposo che fin dall'inizio volevamo donarle. Ho sperato di raggiungerla e sconfiggerla, mentre osservavo i compagni morire e il mio regno sgretolarsi in un fiume di sangue e desolazione, ma ormai so che Oghren rimarrà per sempre da solo, quaggiù, tra le rose che avevo fatto forgiare per lei, finché la terra non sarà coperta di cenere e non rimarrà nessuno a maledire i nostri nomi e la nostra colpa.”

“Volevamo solo giustizia” mormorò l'elfo.

“E avevamo creduto di aver ottenuto un miracolo, quando ti risvegliasti nel tuo corpo, scacciandone il demone, annunciandoci di averla liberata e che sarebbe addirittura tornata da noi” Alistair sfiorava la pietra, dimentico che non contenesse davvero le spoglie della sua amata. “Credetti di non meritare il dono che il Creatore mi aveva concesso, quando corremmo a Denerim e la trovammo viva e rosea di salute nelle stanze del castello. Consegnai il ricavato di sei mesi di tasse a Leliana, perché lo donasse alla chiesa. Invece, lei non era lì. Che ingenui siamo stati a non vedere la morte dietro ai suoi occhi e il male nel miele delle sue parole. Eilin era perduta e noi avevamo liberato la bestia.”

“No!” stavolta era stato Zevran a gridare, non una sua strana e incontrollabile irrazionalità. “No.”

Lo ripeté con maggior veemenza, quasi la forza di quella negazione potesse dissipare da sola la spirale di menzogne in cui si era smarrito.

“L'abbiamo negato per molto tempo, ma è un po' tardi per negarlo ancora.”

“Tutto questo è ridicolo” l'elfo corse su per le scale, senza voltarsi indietro, senza ascoltare altre parole, senza concedersi il lusso di pensare, ma quando arrivò davanti alla porta, lo spettro di Alistair era già lì ad attenderlo.

“L'arcidemone ti ha usato come portale e ha trasformato Eilin da prigione in involucro per la sua anima. Fuggire non ti servirà a nulla.”

“Queste sono bugie” Zevran estrasse le spade corte, stringendole tanto forte da farsi sbiancare le nocche. “Tutto questo non è mai avvenuto.”

“Non avremmo dovuto, per il nostro egoismo, andare contro il volere divino. Lo sai tu, come lo so io.”

“Se il volere del Creatore è che un'anima innocente sia dilaniata dalle fauci putride di un mostro corrotto, allora sono pronto a sfidarlo” fece un passo avanti, mettendosi in posizione di guardia. “Tu non esisti e io devo cercarla.”

“Anche se la costringerai a diventare strumento e causa della fine?” non era più la voce di Alistair, non era forse neanche una voce, perché rimbombava solamente nell'anima dell'assassino, senza sfiorargli le orecchie.

“Se così fosse, ne trarresti abbondante giovamento, perché mai dovresti volermi fermare? Stai solo cercando di imbrogliarmi.”

“O forse neanche noi, che un tempo fummo uomini e peccatori, e che ormai siamo parte e origine di un crudele destino, vogliamo macchiarci di più colpe di quante l'Oblio stesso possa contenerne.”

“Sciocchezze” Zevran gli sputò in faccia il suo disprezzo senza esitazione. “Il male è male e non conosce rimorsi, solo desideri.”

“Tu hai conosciuto il rimorso.”

“Allora ne porterò il peso se la mia azione scatenerà il prossimo Flagello” colpì rapido e preciso, senza chiudere gli occhi, senza chiedersi che effetto avrebbe potuto fargli osservare la macchia vermiglia di sangue allargarsi sul corpo che aveva il volto di un amico. “Il male è male e io non sono mai diventato buono.”

Scavalcò il corpo inerte di quel fantoccio ormai privo di forma e lineamenti, uscendo nell'aria immota di quella città disperata da cui per nessun motivo avrebbe accettato di far ritorno.

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Capitolo 66
*** Baciami ***


Il piano non doveva essere modificato, neanche per un'incredibile, illusoria speranza o per la più cupa e tremenda angoscia. L'assassino sarebbe svanito e l'eroina avrebbe raggiunto la salvezza, in quella che sarebbe stata l'unica vera azione giusta e sacra dal risveglio del primo Arcidemone.

Gli incubi generati da quel mostro non dovevano sfiorarlo, Zevran continuava a ripeterselo; i rischi derivanti dalla sua impresa erano immensi, ma li conosceva e accettava perfettamente, perché riguardavano lui solo e nessun altro avrebbe pagato il prezzo della sua vittoria. Ad un possibile fallimento non riusciva nemmeno a porre pensiero, non era contemplato, né contemplabile, dato che avrebbe significato qualcosa di anche più terribile del sorgere di un ultimo, devastante Flagello.

Il tempo, però, gli stava scivolando tra le dita e non aveva un barlume di indizio in più per raggiungere il suo scopo. Pensare di perquisire quella città infernale palmo a palmo era folle, soprattutto considerando che ogni porta poteva aprirsi su una nuova, sconcertante visione, in grado di rubargli istanti preziosi con una sfiancante lotta di volontà.

Maledisse la testardaggine di Eilin e pregò che il suo silenzio non fosse presagio di sciagura.

Non era ancora troppo tardi, non lo sarebbe stato finché l'ultimo grammo di forza non l'avesse abbandonato e questo non sarebbe successo prima di averla liberata dalle pesanti catene di quella marcescente prigione.

D'istinto lasciò il corpo materiale e la prudenza per scivolare rapido al di là della pareti cangianti di quelle assurde costruzioni, infilandosi in cunicoli che diventavano stanze, scalinate trasformatesi in ampie strade selciate, cantine dai cui lucernari poteva osservare meravigliato i tetti scuri e lucidi di quell'immensa tomba in cui i passi non avevano gambe e la morte non conosceva acciaio.

Razionalmente avrebbe potuto credere di essere solo, ma i suoi sensi sapevano che tutto era vigile e letale intorno a lui, che le ombre nascondevano perdizione e l'aria stessa era un immoto e mefitico veleno; avrebbe dovuto proseguire con cautela, avrebbe voluto poter elaborare uno straccio di piano a cui attenersi, ma se avere un metodo non portava a niente, non rimaneva che affidarsi all'istinto, sperando in un miracolo, in un segno involontario che lo mettesse sulla buona strada. Così continuava a vagare, allargando il cerchio in una spirale labirintica sempre più ampia, ma quando il suo corpo tornò ad essere di carne e sangue, si trovò di nuovo solo e disperato in quella minuscola piazza da cui era fuggito pochi istanti o una vita prima, con le tre torri chiuse a soffocarlo e la sensazione sempre più cocente di un'imminente sconfitta.

Aveva girato in cerchio o forse non si era mai mosso.

Lacrime di rabbia e frustrazione gli appannarono la vista, rifiutandosi di abbandonargli gli occhi; era tutto inutile, assurdo. Come aveva potuto credere di confidare in una speranza laddove esisteva solo disperazione? Che razza di egocentrico pallone gonfiato era stato ad illudersi di riuscire laddove neanche chi fosse stato più degno di lui avrebbe potuto raggiungere la vittoria?

Sapeva di non essere meritevole, ma proprio la sua abiezione lo aveva reso sacrificabile e poi aveva confidato in lei che sempre gli aveva porto la mano, salvandolo da se stesso e dal mondo. Aveva creduto che anche stavolta sarebbe giunta a guidare i suoi passi, che l'avrebbe sollevato dalla sua inettitudine per trasformarlo in qualcosa di più grande e perfetto, in un cavaliere capace di portare a compimento il proprio destino.

Era stata lei ad insegnargli un'altra via, era stata lei a offrirgli un'altra vita, ma ora non poteva o voleva aiutarlo a salvare la sua e l'assassino era solo di fronte a se stesso e ad un sempre più probabile fallimento, solo di fronte ai suoi demoni e alle sue paure, solo di fronte all'unica scelta importante: arrendersi o credere per la prima volta di possedere qualcosa di più dell'inutile abilità nel distruggere.

“Non ti abbandonerò” Zevran pronunciò il suo voto a mezza voce. “Mi senti, Eilin? Io non ti abbandonerò mai, neanche se dovessi continuare a cercarti per mille anni, quando sarò diventato solo un'ombra tra le mille che infestano questo e ogni altro mondo, quando tu sarai svanita per dio e per gli uomini nel ventre senza fondo di un mostro indistruttibile, quando cercarti sarà l'unica cosa che rimarrà di me e di te. Io continuerò a cercarti per sempre e ti troverò, perché è questo il mio destino e la mia vocazione. Ti troverò al di là del tuo volere e della mia paura. E se non potrò salvarti, resterò al tuo fianco e condividerò il tuo tormento, pregando che diventi solo mio.”

Le ultime parole divennero un grido sulle sue labbra e raggiunsero il cielo vuoto e immobile che lo sovrastava, allargandosi come un'onda sottile su un velo di tenebra.

Quando l'ultimo eco di quel lamento si spense, tutto si riempì del silenzio greve e fragile che ricolma l'attimo infinito tra il fulmine e il rombo del tuono, poi l'elfo sbatté le palpebre, serrò i pugni e si gettò a capofitto oltre la porta contrassegnata dall'assurdo disegno di una promessa di vita, inconcepibile in quel luogo di lutto.

“Se è qui che vuoi mettermi alla prova” disse a se stesso, al demone, al Creatore. “Sarà qui che ti sconfiggerò.”

La stanza che lo accolse era simile a quella dell'altra torre, spartana, fredda, buia. Non c'erano finestre, né diverse fonti di luce, ma gli occhi potevano distinguere chiaramente in quella tenebra la totale assenza di qualsiasi mobilio o illusione di abitabilità.

Zevran rimase in ascolto per un secondo, quasi aspettandosi di vedere un nuovo teatrino aprirglisi davanti, ma niente veniva a ingannarlo, così iniziò a salire la stretta scala a chiocciola, perdendo il senso del tempo e dello spazio in una spirale confusa che iniziò a temere fosse infinita, finché non si trovò all'improvviso di fronte ad una porta borchiata, leggermente socchiusa, dalla quale proveniva il suono inequivocabile di un respiro basso e affannoso.

Più per rassicurarsi che per concreta utilità, mise mano alla daga, allargando lo spiraglio fino a vedere parte di una sala enorme, sproporzionata rispetto al resto della torre, con un lussuoso pavimento di marmo vermiglio, pesanti tendaggi scuri alle pareti e un enorme letto a baldacchino nel centro, chiuso da cortine di velluto ricamato.

Il rumore sembrava provenire da lì, ma l'elfo non riusciva davvero ad immaginare cosa avrebbe potuto trovare al di là di quel sipario, così scivolò dentro con la vecchia, consueta calma, silenzioso e scattante come un felino, rapido nel valutare ogni particolare che lo circondasse, pronto a soffocare l'esclamazione di sorpresa alla vista della pesante rastrelliera carica di strumenti di tortura che faceva bella mostra di sé sulla parete ai piedi del letto, dove comunemente si sarebbe dovuto trovare un armadio o una cassapanca.

Zevran quasi sorrise, pensando che il demone non avrebbe potuto scegliere metodo meno efficace per spaventarlo, ma quando alzò il drappo per scoprire quale fosse l'origine del respiro, sentì un brivido freddo lungo la spina dorsale, perché capì che, illusione o realtà, avrebbe dovuto impiegare fino all'ultima energia per impedire che quell'incubo continuasse: riverso sul letto, tra lenzuola stropicciate di seta sfilacciata, giaceva il corpo martoriato di colei che aveva disperato di trovare.

“Non è reale, sarebbe troppo semplice.”

Eilin era inerte di fronte a lui, priva di conoscenza, nuda e terribilmente pallida contro l'oscurità vermiglia delle coperte, sulle quali il sangue fuoriuscito da decine di profonde ferite si confondeva in un groviglio umido di dolore appartenente a decine di antichi e nuovi sacrifici; aveva i polsi legati alla spalliera con pesanti catene rugginose che le avevano inciso profondamente la carne, gonfia e purulenta, fino a scoprire il bianco delle ossa.

“Hai continuato a lottare” non sapeva se l'avesse detto a voce alta, ma maledisse se stesso per essersi permesso di guardare a quell'inganno come alla verità e subito aggiunse: “Non sei qui, non ti ho ancora trovata, vero?”

Sapeva di essere sull'orlo dell'abisso, sapeva che mai come in quel momento avrebbe potuto fallire, eppure si chinò a sfiorarle la guancia, trovandola fredda e madida di sudore, mentre le labbra scottavano di febbre e le palpebre violacee avevano tremolato impazzite al suono della sua voce, ma continuavano a rifiutarsi di aprirsi.

“Sei maledettamente realistica per essere un inganno!” con un titanico sforzo staccò gli occhi da lei, allontanandosi di un passo, ma il fantasma sussurrò il suo nome e la voce era quella che tante volte l'aveva tormentato di notte, quella che aveva cercato di ignorare e che adesso anelava più di tutto di sentire.

“Zevran, vattene.”

Come poteva fuggire ancora, dando per certo che quella che aveva davanti non fosse proprio la risposta alle sue sconclusionate preghiere? Come poteva essere sicuro che l'inganno non si basasse sulla sua incredulità, piuttosto che sulle sue speranze?

Sembrava così vera, così dolorosamente fragile...

Senza accorgersene era tornato ad osservarla e il lampo di rossore che le sfiorò appena le guance fu tanto naturale e umano da portarlo quasi a capitolare, oltre a procurargli un'affine senso di imbarazzo per aver ignorato il suo pudore, per quanto potesse giustificarsi con la totale assenza di desiderio che tutta quella drammatica situazione gli comportava.

“Vattene Zevran” la creatura, Eilin, aveva aperto gli occhi con immenso sforzo, fissandoli in quelli disperati e confusi di lui con una determinazione e un'angoscia quasi tangibili. “Non saresti dovuto venire, non mi perdonerò mai se lui ti prendesse.”

“E io potrei perdonarmi dopo averti abbandonato per la seconda volta?”

“Io ti ho chiamato in questo inferno e sarebbe colpa mia se tu morissi, ma tu non hai fatto niente per condannarmi a questo luogo. Sono state solo le mie scelte a condurmi qui” mettere insieme quelle poche parole parve consumare ogni briciolo di energia e il suo corpo fu scosso da una tosse convulsa che riaprì alcune ferite e la lasciò rannicchiata su se stessa a cercare di recuperare il respiro.

“Non parlare” Zevran, ormai dimentico o incurante di qualsiasi dubbio, si chinò a studiare la serratura delle manette, certo che nessun ingranaggio, per quanto ultraterreno, potesse resistergli. Sembravano un ammasso uniforme di metallo, privo di giunture, ma in qualsiasi modo fossero state forgiate, doveva esistere un sistema per aprirle.

“Non c'è tempo, sta tornando” era solo un sussurro, ma conteneva una paura così folle e così dolorosamente trattenuta che l'elfo sentì il tremito delle mani farsi convulso. “Ti prego, scappa o sarà la fine per entrambi.”

“No!” il suono lugubre di pesanti ali gli sfiorò le orecchie, ma non lo distolse dal suo scopo. “Ti ho lasciato andare una volta, ora faremo a modo mio.”

“Zevran, non ha senso.”

“Probabilmente.”

“Ti ho amato, lo sai?”

Quelle parole riuscirono laddove la paura non aveva avuto presa e l'elfo interruppe il suo disperato tentativo di scasso per guardarla un'ultima volta. Sembrava così debole, adesso, così strana rispetto a colei che ricordava, sempre eretta e fiera, sempre un passo avanti agli altri e oltre qualsiasi stanchezza o debolezza. Sembrava sfinita e sconfitta, eppure c'era ancora tanta determinazione nel suo sguardo, deciso e dolce ad un tempo, mentre pronunciava quelle parole che Zevran non aveva mai creduto che avrebbe udito, così come si era ripromesso di non pronunciarle mai, per quante volte ne fosse stato tentato durante i lunghi mesi in cui aveva viaggiato al suo fianco.

“Baciami e vattene.”

Baciarla, un altro sogno che diventava realtà all'interno di un incubo. Non doveva distrarsi, non ne aveva il tempo, ma cosa potevano cambiare quei pochi secondi di debolezza ormai? Forse sarebbe stato l'unico ricordo felice in un'eternità di dolore. Non meritava neanche quello?

“Baciami” ripeté in un soffio, girando la testa per essergli più vicina. “Non lo desideri?”

Certo che lo desiderava, che domanda sciocca!

Eppure Eilin non aveva mai perso tempo con parole inutili, né aveva mai posto domande se non quando poteva ottenere concrete e sensate risposte.

Stava diventando paranoico e non poteva davvero credere che la morte e tutto ciò che aveva dovuto passare in quella prigione non l'avessero cambiata. Ne era consapevole, ma, nonostante continuasse a ripeterselo, gli sembrò per la prima volta di notare un lampo un po' troppo freddo nei suoi occhi, un accento troppo lascivo nel suo tono.

“Zevran, ti prego” cercò di allungarsi verso di lui, ma le catene la trattennero e la costrinsero a stringere i denti per non lamentarsi.

Era solo un folle crudele a farla supplicare per qualcosa che egli stesso desiderava ardentemente ottenere?

Si chinò sul suo volto, accarezzandone i contorni cesellati, contemplandone la quieta bellezza, inebriandosi del profumo della sua pelle, ma mentre le labbra scivolavano a sfiorare le sue, si ritrasse di scatto, quasi cadendo a terra nella foga di sottrarsi a quel abominio.

“Che succede?” il viso non era mutato, la voce era sconvolta, ma identica a quella della sua amata.

Zevran scosse la testa, allontanandosi ulteriormente dal letto e dalla deforme, lussuriosa creatura che ancora lo osservava attraverso gli occhi di un'altra. Non avrebbe saputo dire cosa l'avesse fermato, non avrebbe mai potuto spiegare quando l'incertezza si fosse trasformata in disperazione per l'inganno da cui quasi si era lasciato irretire; probabilmente era stato l'istinto, o forse quel suo povero, disprezzato cuore, che tanto aveva provato a sopprimere, si era finalmente deciso a soppiantare la sua ragione e guidarlo verso la verità.

La torre ondeggiò e tremò sotto di lui.

“Zevran, ti prego, non c'è più tempo!”

“No, non ce n'è” senza ulteriori indugi si voltò verso la porta, ma laddove c'erano state le scale, sprofondava adesso un abisso oscuro con pareti lisce e rilucenti come alabastro nero.

“Il pozzo” mormorò l'assassino, ricordando l'immagine impressa su l'ultimo torrione, e si lasciò cadere nel vuoto, mentre la voce acuta di Eilin si deformava in un lungo ringhio di frustrazione e un pavimento di roccia ruvida si avvicinava a porre fine alla sua caduta, con un impatto devastante che solo anni di allenamento riuscirono a trasformare in un'agile capriola.

Confuso e ammaccato, l'elfo si acquattò in posizione di guardia, pronto a colpire qualsiasi nemico gli si parasse davanti, ma nella piccola stanza illuminata dai raggi di una luna invisibile vide soltanto il volto preoccupato e arrabbiato di una guerriera stanca, spaventata e per niente sconfitta, pronta a tirarlo per un orecchio non appena l'avesse liberata dalla gabbia a cui cercava ostinatamente di sfuggire.

 

Capitolo molto lungo e, lo ammetto, piuttosto sofferto... nel senso che non mi è uscito “spontaneo” come gli altri, ma ha richiesto più tempo e sforzo, per ottenere poi un risultato che temo sia anche peggiore -_- Sarà che siamo a tirare le fila, non saprei...

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Capitolo 67
*** Nulla ***


Non riusciva a credere ai suoi occhi, non aveva il coraggio di farlo, non in quel luogo, non dopo tutti quegli inganni, eppure la sua anima gli urlava di smetterla di fare lo sciocco e correre da lei. Era l'ultimo stadio della follia o un istinto più forte dell'Oblio stesso?

Eilin si ostinava a non pronunciare verbo, ma rimaneva immobile, le mani ad artiglio sulle sbarre, le spalle erette, frementi, il corpo emaciato, quasi evanescente, ma ancora forte e pronto a scattare al primo segnale di pericolo diverso da quello costante e imprescindibile intrinseco in quel luogo.

Non era come se l'era immaginato; quella prigione sembrava troppo tranquilla, troppo asettica rispetto all'incubo in cui aveva creduto di trovarla, ma forse era stato uno sciocco a pensare che il dolore si nascondesse solo dietro feroci torture e muri di fiamme. Per lui, il più feroce tormento si era mostrato col volto imperturbabile e crudele del nulla, del silenzio, dell'assenza, ed era questo che aveva davanti, ora: un vuoto quieto e immobile, una prigione deserta senz'aria e senza fine, in cui la lotta per mantenere se stessi si perdeva in un abisso interminabile di inutilità e glaciale desolazione, in cui ogni passione, ogni barlume di energia veniva soffocato e corrotto da una stasi desolante, in cui, giorno dopo giorno, in un susseguirsi di istanti senza senso, anche l'animo più forte e determinato avrebbe finito inesorabilmente per trasformarsi in una larva contorta senza volontà e senza ragione alcuna per continuare a combattere.

Aveva creduto di dover affrontare un drago o orde di nemici demoniaci, ma non aveva capito che il più grande pericolo sarebbe venuto proprio da ciò che da sempre aveva oppresso e corteggiato la sua anima: il cupo e indifferente gelo del suo essere assassino.

Già le prime sbarre si stavano innalzando intorno a lui, mentre gli occhi severi e angosciati di Eilin si trasfiguravano in un muto lamento di monito.

Nella morte, quella donna fragile e infrangibile aveva abbracciato il nulla che l'aveva imprigionata, ma l'incontenibile testardaggine del suo cuore l'aveva protetta dal sonno senza sogni che avrebbe dovuto accompagnarla fino al definitivo oblio, permettendole di mantenere se stessa per qualche attimo ancora, permettendole di soffrire, ma esistere di fronte al destino e oltre di esso.

Zevran era cresciuto nel nulla, era stato educato per esserlo, tormentato per accettarlo, schiacciato per non abbandonarlo. La sua fiamma era sopravvissuta per anni sotto la grigia cenere del suo ruolo, per divampare radiosa al primo soffio del cambiamento. Eppure adesso, soverchiato dal peso invisibile di un'intera città dove la morte era sovrana e il suo volere comandava una pace infingarda di sottomissione, l'assassino sentiva i lapilli del suo fervore raffreddarsi, l'afflato incandescente del suo animo indebolirsi, la determinazione implacabile venirgli meno proprio a un passo dalla vittoria.

Questo significava quel simbolo così strano e incomprensibile, questo era il pozzo in cui affogare in se stessi e nella propria debolezza, questo era il cuore immobile dell'universo creato dalla follia dei maghi, la punizione per una brama crudele e la difesa sottile per un inconsapevole genere umano.

Quell'apatia così desolante e dolorosa era il mezzo più astuto e efficace per contenere la smania di potere e il furore selvaggio di esseri troppo potenti per essere contenuti da sbarre, esseri che non potevano trovare pace, ma erano costretti a vivere in mezzo alla sua assenza, in un'effige corrotta e contorta di essa che riusciva a trattenerli e placarli in una confusione immota, capace di fornire agli uomini e al mondo qualche anno di respiro.

I Custodi erano il prezzo di quella tregua, il sigillo sulla crepa formatasi in quel ghiaccio, la toppa su una frattura che senza di loro si sarebbe allargata e sfrangiata fino a vomitare sulla terra ogni più oscuro incubo di quell'universo.

Col loro sacrificio riportavano l'equilibrio e sanavano la rottura, ma l'equilibrio è uno specchio a due facce: la loro morte rigenerava la quiete, ma il loro dolore nutriva e curava l'arcidemone, in una spirale infinita in cui luce e oscurità continuavano entrambe a perdersi in un livido grigiore.

Probabilmente molti Custodi non si erano neanche resi conto del loro fato, avevano chiuso gli occhi sul volto puzzolente di un drago per non aprirli mai più e trasformarsi inconsapevolmente in parte di esso. Forse i Flagelli che si erano succeduti più frequenti o più forti erano nati proprio dallo strano e involontario caos creato da quei guerrieri troppo determinati per accettare pacatamente la loro totale e definitiva distruzione; forse coloro che, come Eilin, avevano resistito e lottato contro l'inevitabile, avevano finito per spostare l'ago della bilancia proprio a favore di chi avevano giurato di distruggere, in un bislacco e sardonico scherzo del destino, incomprensibile nella sua feroce ironia.

Mentre la mente di Zevran cercava di afferrare il bandolo di quelle nuove, contorte teorie, la sua mano si fece debole intorno al pugnale, tanto che solo con estremo sforzo e antico addestramento riuscì a conservarne la presa, prima che scivolasse sul pavimento, adesso chiuso, intorno a lui, da una fitta rete di colonne gelide, sottili come aghi e taglienti come lame.

Quando era successo? Quanto tempo aveva sprecato in assurde fantasticherie?

Eilin continuava a fissarlo e a non parlare. Perché si rifiutava di pronunciare il suo nome? Perché si trincerava in quell'assurdo silenzio?

Aveva bisogno di lei ed era così stanco, così esausto.

Quel silenzio crepuscolare era stranamente accogliente, come l'abbraccio della terra dopo una vita passata a combattere. Non c'era conforto lì, ma neanche disperazione e adesso questa sembrava quasi l'unica cosa importante, l'unica scelta possibile dopo tutto il dolore degli ultimi mesi, dopo le notti perse sul fondo di un bicchiere e i giorni spesi a cercare di dimenticare e pregare di non farlo. Che senso aveva combattere, se non esisteva vittoria?

Eilin era immobile e lo guardava.

I suoi occhi erano l'unica luce in quella tenebra senza vera oscurità, in quel regno senza coraggio e senza carattere. La sua fiamma baluginava timida e ostinata come un faro su un mare senza onde, inutile, immutabile.

Aveva bisogno di lei, della sua voce.

Quel silenzio era doloroso più del vuoto in cui stava sprofondando, perché solo quello era vera assenza, solo quello gli faceva capire che nel nulla mancava qualcosa.

Fu allora che se ne rese conto. Zevran alzò il volto, usando ogni frammento di volontà rimastogli. Quelle sbarre non si sarebbero spezzate con un gesto o una prova di forza. Quella prigione non poteva essere vinta da ciò che era nata per contenere: abbracciarne l'essenza senza esserne consumato, questa era l'unica cosa che avrebbe potuto salvarlo e salvarla, diventare nulla per scivolare nel nulla, essere ciò che era nato per diventare e sconfiggere il destino al suo stesso gioco.

Eilin era immobile e sorrideva.

Le sue guance brillavano del calore di lacrime mai versate, ma i suoi occhi contenevano l'unica luce in quella tenebra senza vera oscurità.

 

 

Ok, torno dopo un po' e dopo un capitolo che sto ancora cercando di modificare (ma mi serve una vera ispirazione, altrimenti farei peggio che meglio ^_^), con un pezzettino molto breve e che ho scritto di getto, approfittando di un'oretta libera tra le miriadi di cose che mi assillano ultimamente XD E' un capitolo di passaggio e spiegazione, penso il penultimo, a meno che l'ultimo non mi venga fuori troppo lungo per non spezzarlo in due... Ad ogni modo, spero sia migliore del precedente e che vi piaccia. Coraggio ahahahaha Siamo a fine!! Grazie, come sempre, per la pazienza, il sostegno e i consigli.

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Capitolo 68
*** Chi può solo stare a osservare ***


Il silenzio era opprimente e infrangibile come una robusta armatura di acciaio temperato. Erano trascorse ore da quando gli occhi dell'elfo si erano chiusi sul pugnale di Morrigan e i suoi bassi gemiti involontari si erano spenti in un nulla ancora più preoccupante della prova tangibile della sua sofferenza. Quando il lyrium era penetrato nel suo corpo, l'elfo si era limitato a stringere i denti in una smorfia sommessa, mentre tutti i muscoli del suo corpo si tendevano e strappavano in preda a spasmi che nessuno dei suoi compagni avrebbe saputo immaginare. Non aveva ceduto alla relativa consolazione di esternare la propria sofferenza in qualche catartico grido liberatorio, ma quando il sangue aveva iniziato a dipingere di una sfumatura vermiglia l'intruglio di acqua e pozioni in cui Morrigan l'aveva fatto immergere, quando la volontà aveva iniziato a cedere il passo all'incoscienza, quei leggeri ansiti tormentati erano stati insieme fonte di angoscia e speranza per i suoi compagni, che vi trovavano la consapevolezza concreta, per quanto orribile, della sua permanenza in quel mondo che con ogni probabilità non avrebbe più visitato.

Adesso, in quell'assoluta, granitica immobilità, Oghren non riusciva a scorgere neanche il sottile affannarsi di quei respiri strozzati che, fino a poco prima, era riuscito con estrema fatica a immaginargli nel petto.

Morrigan era assolutamente irraggiungibile, persa in una concentrazione perfetta che la rendeva più simile ad una statua che a un essere umano. Solo il leggero velo di sudore sulla fronte e intorno al labbro superiore, arricciato in una smorfia spiacevole, dimostravano lo sforzo a cui si stava sottoponendo, la battaglia cui si era consegnata anima e corpo, per dare al compagno il tempo necessario a salvare qualcuno che non voleva più essere salvato.

Il nano avrebbe voluto fermarli, più e più volte, in quell'infinito pomeriggio che avevano trascorso a pianificare, preparare e fingere ottimismo. Avrebbe voluto convincerli a rispettare il rinnovato coraggio di un'anima sfortunata che, in un attimo di disperazione, aveva rinnegato la sua forza, ma aveva saputo riafferrarla con ferocia prima che fosse troppo tardi. Nel silenzio improvviso di Eilin, Oghren non leggeva il segno di una irrimediabile fine, bensì la prova di una nuova, impensabile vittoria dell'uomo contro il potere corrotto di quelle tenebre che già una volta avevano sconfitto. Avrebbero dovuto lasciarla andare, dimenticare la sua debolezza e ricordare l'abnegazione con cui li aveva salutati, in vita, prima che in morte. Il prezzo che Morrigan aveva loro imposto, senza possibilità di scelta, era troppo alto perché chiunque fosse disposto a pagarlo, e di certo non avrebbe permesso all'anima del loro capo di raggiungere la pace, perché nessuno meno di lei sarebbe stata capace di correre in paradiso su di una strada lastricata dal sacrificio di coloro che amava, o peggio di centinaia di innocenti che il demone, con cui avevano farcito il corpo dell'assassino, avrebbe potuto uccidere, se non avessero saputo trattenerlo.

Alistair era quasi altrettanto immobile della strega. Teneva le mani contratte sulla spada, le spalle erette e gli occhi fissi sul corpo immerso in quella improvvisata vasca di legno e metallo, su cui le rune dipinte col sangue e il lyrium spiccavano come occhi arrossati su di un mostro addormentato.

Non aveva proferito parola, mentre guardava la vita scivolare via dal compagno insieme al sangue. Non aveva tremato, né distolto lo sguardo mentre i simbolici magici si attivavano lungo la spirale di cui sorvegliava l'origine, dimostrando l'efficacia del rito e la puzzolente riuscita del loro abietto scambio.

Oghren avrebbe dovuto impedirlo, lo sapeva come sapeva che non avrebbe mai avuto il coraggio di pronunciare quelle poche, semplici parole così giuste e così sbagliate ad un tempo.

Aveva seguito Zevran con determinazione, anzi, era stato il primo a costringerlo a guardare in se stesso e a riconoscere la verità in quelle allucinazioni; era stata colpa sua se l'elfo aveva abbandonato la bottiglia per gettarsi in quell'incubo, ma nessuno di loro avrebbe mai potuto immaginare cosa realmente si celasse dietro quella missione suicida a cui si erano votati.

Eilin meritava la pace, il nano non ne aveva mai dubitato, ma che pace avrebbe potuto trovare in quel delirio che stava trasformando il volto cesellato e irritante dell'elfo in una maschera di vene nerastre e ossa spezzate? Il demone lottava per fondersi alla sua pelle e la magia di Morrigan, unita alle preghiere del Custode, cercava di tenerlo a bada, con uno scontro di volontà che lasciava poco spazio per qualsiasi errore.

Non c'erano segni che Zevran stesse ottenendo qualche risultato, nell'Oblio, e forse non avrebbero mai saputo se tutti quei sacrifici sarebbero valsi a qualcosa. Alla luce della verità che lui soltanto poteva osservare, senza esserne coinvolto a tal punto da esserne risucchiato, quel piano che aveva dato loro speranza era soltanto l'inizio di una nuova tragedia. Solo Zevran, forse, avrebbe trovato una parvenza di pace, pur nell'orrore cui si era condannato, perché, se avesse avuto successo, si sarebbe addormentato nella consapevolezza che ogni tortura che avrebbe subito sarebbe servita a liberare colei che amava e questa certezza l'avrebbe accompagnato nel suo perpetuo dolore; ma loro a cosa avrebbero dovuto aggrapparsi, per trovare la forza di dimenticare? Al cupo pensiero di aver costretto una creatura coraggiosa a convivere per l'eternità coll'insostenibile peso di un unico attimo di codardia? Al ricordo di un amico perduto in un inferno infinito di corruzione? Magari persino al dubbio di aver favorito o accelerato un prossimo Flagello.

Il nano alzò gli occhi sul suo Re, chiedendosi come avesse potuto permettere quella follia, sapendo che non avrebbe comunque potuto impedirla. E poi l'amore rende folli, quasi quanto la gelosia, anche quando è nascosta dietro una patina di rassegnato senso di colpa.

Alistair non si era mai perdonato l'orgoglio e l'ostinazione con cui aveva perseguito l'onore al prezzo dell'amore. Aveva trascorso gli ultimi mesi immerso in un fragile stoicismo in cui aveva affogato il suo cuore in un vortice di responsabilità e impegni mondani, pur di non affrontare se stesso e i propri sentimenti. Adesso, di fronte ad una effimera speranza di rimediare ad un errore che non era stato errore, non si sarebbe tirato indietro, a meno che il piano non prevedesse l'assassinio brutale di un centinaio di vergini. Una volta aveva scelto il bene certo contro un possibile futuro oscuro, pagandone il prezzo più alto, ora, gonfio di disperazione e solitudine, spronato dall'incoscienza generosa e appassionata dell'amico e rivale, non avrebbe saputo trovare abbastanza volontà per voltare nuovamente le spalle alla speranza, in cambio di una più gretta e concreta sicurezza per se stesso e ciò che doveva proteggere.

L'unica concessione che aveva fatto al suo senso del dovere, era stato piegarsi alla frustrante necessità di rimanere nuovamente ad osservare un altro sacrificarsi al suo posto, quietando il morso violento della gelosia in un più malinconico rinnovo del senso di colpa, mentre accettava implicitamente il principio politico e vigliacco secondo il quale la vita di un re vale più di quella di un comune suddito.

Alistair era più Custode che sovrano, più fanciullo che uomo, anche se i giorni trascorsi in solitudine l'avevano forgiato e indurito, oscurando la luce gentile dei suoi occhi, soffocando l'ingenua timidezza della sua voce, costringendo il suo animo a macchiarsi di quelle innocenti nefandezze che il potere impone a chiunque sia costretto a detenerlo.

Adesso, in quella capanna soffocante e gelida, vegliava sulle ultime vestigia della sua purezza, portando sulle spalle il peso della sua responsabilità, pronto a infrangere l'ultimo sogno oscuro che avesse osato concedersi, in nome di un ruolo che non poteva abbandonare.

Oghren avrebbe voluto andargli vicino, stringergli la mano, scuoterlo da quel tortuoso incubo mentale, per mostrargli l'assurdità che stavano commettendo e a cui, ormai, non c'era rimedio possibile. Avrebbe voluto gridare, implorare, bestemmiare, ma aveva perso da un pezzo l'occasione in cui le sue recriminazioni avrebbero potuto essere utili. Avevano compiuto una scelta, potevano solo portarla fino in fondo.

Le ragioni di Morrigan gli rimaneva più oscure. Aveva visto la sua titubanza nell'accettare il suo ruolo in quella pazzia, aveva letto nella sua voce la consapevolezza che stessero solo scambiando un male per un altro, un dolore per un altro, forse anche più terribile, eppure li aveva seguiti, anzi guidati, su quel sentiero senza uscita e adesso rischiava se stessa per una guerra di cui non sarebbe mai stata vincitrice.

Eilin li avrebbe maledetti tutti, nell'aldilà, se mai avesse potuto davvero raggiungerlo, un po' come l'aveva maledetta lui stesso, in un attimo di sconforto, mentre osservava il torace di quell'amico, che non aveva mai voluto ammettere essere tale, coprirsi di sottili cicatrici sotto il pugnale cerimoniale della strega, concentrata nel tracciare simboli protettivi e trappole magiche per trasformarlo in una specie di barbara gabbia vivente. L'aveva maledetta, è vero, anche se si era vergognato subito per quella ingratitudine. Eilin era poco più di una bambina, aveva visto in vita più morte e desolazione di tanti vecchi soldati e mercenari, aveva trovato la forza di sorridere in mezzo alle lacrime, di sperare in un vortice di disperazione, di morire quando avrebbe potuto costringere colui che amava a lasciarla vivere. Adesso era persa chissà dove e chissà in che stato, ignara delle loro intenzioni e della strada che li avrebbe portati a percorrere la sua involontaria e comprensibile richiesta d'aiuto. Come poteva condannarla per aver avuto paura? Come poteva maledirla per aver sperato di salvare almeno una parte di sé? Non meritava la sua rabbia, né, tanto meno, il suo disprezzo, ma loro avrebbero meritato quello di lei, per aver permesso che il suo sacrificio venisse vanificato da un atto di eroica angoscia e vigliacco desiderio.

Un grido selvaggio lo distolse da quelle inutile elucubrazioni, facendogli alzare l'ascia in posizione d'attacco, prima di rendersi conto che il corpo di Zevran era rimasto immobile e solo le sue labbra si erano dischiuse in quel lamento inumano, in cui la voce scanzonata dell'elfo era stata contorta e macchiata dal verso roco e bestiale di una creatura selvaggia, furente di rabbia e bramosia di libertà.

“La strega si sta indebolendo” il nano non sapeva se l'amico l'avesse sentito o ascoltato, ma vide il suo sguardo farsi più vigile, la sua tensione più dolorosa. “Non riuscirà a trattenerlo ancora a lungo.”

Alistair non si mosse, né annuì, ma entrambi sapevano cosa significassero quelle parole.

“Che il creatore ci aiuti” mormorò soltanto, quasi senza dischiudere le labbra, come se si vergognasse di invocare l'aiuto di un dio in quel peccato. “Che il Creatore vegli su di loro.”

Ritorno dopo un discreto periodo d'assenza e non mantengo la mia promessa di metter su il capitolo conclusivo... ma una preziosa recensitrice (AHHHH... recensore femmina, diciamo!) mi ha ricordato che avrebbe avuto senso anche sapere cosa stesse succedendo all'esterno dell'Oblio, prima di mettere la prola fine a questa storia. Così, eccomi qua ^_^ tra l'altro avevo bisogno di un capitolo che mi facesse "rientrare in tema". Spero di avere il tempo materiale (e l'ispirazione) di terminare questa ff senza far trascorrere un altro mese!!!! Grazie a chiunque continui a seguire questa storia!

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Capitolo 69
*** Chi può solo stare a osservare II ***


Il dolore assume forme e impressioni impossibili da immaginare; il sollievo è spesso un quieto inganno dei sensi per sopravvivere ai futuri tormenti. Questa è la ruota che regola l'esistenza, il caos e la quiete, il pianto e il sorriso, l'orrore e la salvezza, l'inesorabile flusso di bugie e verità dietro cui nascondere l'unica certezza impronunciabile: nasciamo per sconfiggere il vuoto, moriamo sconfitti da esso.

In quel pozzo senza luce o calore, in quel crogiolo di eternità troppo simile all'infinito, non poteva esistere un vagito abbastanza coraggioso da rompere il silenzio, non poteva consumarsi quel sacrificio inutile compiuto da ogni uomo per rallentare, appena un attimo, la potenza di un tempo destinato a condurre ogni cosa alla fine.

Eppure, erano lì, non vivi e non morti, sospesi in un soffio sfuggito alle barriere del destino, o creato appositamente da esso perché anche il niente deve essere generato da una scintilla di tutto.

Eilin era la regola, era il sacrificio destinato a mantenere l'unico equilibrio possibile dopo la distruzione della perfezione, ma Zevran, come coloro che secoli addietro avevano sconvolto e dilaniato quel paradiso, era penetrato oltre le pieghe del volere divino e si accingeva, per amore e non per brama, a disfare ancora una volta una trama tanto faticosamente costruita sul sangue e sul dolore di colpevoli e innocenti; se il prezzo per la prima ribellione di avidità era stato un buio, vuoto abisso, cosa sarebbe sorto dall'infrangersi violento di qualcosa che già era tanto simile al nulla da contenerne la perfezione e il disgusto?

Non erano interrogativi che potessero trovare risposta nella mente degli uomini, non erano domande che esseri mortali avrebbero dovuto porsi mai.

Morrigan lo sapeva, lo sentiva, legata a quell'elfo testardo più di quanto non avesse confessato, nel suo dolore, nel suo sollievo, in quel viaggio senza ritorno attraverso l'impossibile e per l'impossibile.

Il rito che aveva compiuto non le permetteva di interagire, di aiutarlo, di guidarlo, ma non l'avrebbe mai abbandonato senza poterne avvertire ogni emozione, senza aver imparato a leggere i suoi sogni attraverso gli occhi vuoti e fissi del suo corpo tormentato e immobile, in cui un demone, confuso e feroce, continuava a infilare artigli velenosi per farsi strada verso un mondo che sperava più accogliente di quello da cui era stato strappato, ma che, se avesse davvero conosciuto, avrebbe voluto abbandonare in preda a cocenti lacrime di frustrazione e rabbia.

Non c'era niente, ormai, dietro quel velo opaco che oscurava le iridi color sole dell'assassino, non c'erano ombre, non c'erano confusi fantasmi ingannatori. Una calma immobile aveva colmato la sua anima, oltre la cortina sanguigna e fiammeggiante della volontà demoniaca. Morrigan sapeva discernere le illusioni mostratele da quell'essere primordiale dai flebili riflessi che ancora l'anima di Zevran sapeva inviarle, ma ormai il buio era divenuto troppo perfetto per indovinarne una screpolatura e la sua forza era divenuta troppo effimera per mantenere qualcosa di diverso dal puro e misero incantesimo di stasi, che permettesse a lei e ai suoi compagni di continuare a sperare nell'insperabile.

L'elfo aveva raggiunto la fine del suo viaggio, ma lì dove si sarebbe combattuta la più aspra battaglia, sarebbe stato perfettamente solo.

Per la prima volta nella vita, o forse appena per la seconda, la strega desiderò pregare per qualcosa che non richiedesse la sua volontà e la sua abilità per raggiungere compimento, desiderò che esistesse qualcuno di più potente di lei, e della magia stessa, che fosse capace di operare miracoli, desiderò che il cuore stanco e disilluso di un uomo potesse essere più forte della volontà spietata di chi, secoli addietro, aveva rinunciato alla propria umanità.

Strinse i denti, rifiutandosi di indietreggiare sotto l'assalto sempre più violento dell'Oblio.

Zevran aveva raggiunto il cuore dell'inferno, ne era certa, come era certa di doversi concentrare anche solo per continuare a respirare; era sfinita, ma non poteva permettersi di rubargli anche solo pochi preziosi attimi per portare a compimento il loro piano. Si era fidato di lei, come loro si erano fidati di lui, e non sarebbe certo stata la prima a deluderli, almeno finché il suo cuore avesse retto il peso di quei battiti troppo veloci, almeno finché la sua mente avesse sopportato la morsa gelida del potere puro e primigenio a cui continuava ad attingere.

“La strega si sta indebolendo”, la voce soffocata del nano le sfiorò le orecchie, ma non intaccò la sua determinazione, anzi, la consapevolezza di aver mostrato un briciolo di debolezza la infervorò e le diede nuova energia.

Ma neanche la sua volontà poté impedirle di sussultare quando la porta della capanna si aprì con un sibilo brusco e graffiante sui profili pallidi e confusi di due donne impaurite contro la luce soffusa dei primi raggi del sole.

 

“Per tutti i demoni dell'Oblio”sbottò Oghren, alzandosi in piedi, in un preoccupante cigolio di giunture e metallo, dimentico di qualsiasi prudente inflessione bassa della voce. “Che diavolo ci fate voi due qui?'

Wynne aveva l'aspetto teso e vibrante di un fantasma, Leliana le spalle contratte e il volto arrabbiato di un angelo vendicatore.

Alistair non si mosse, Morrigan, dopo quel primo moto di sorpresa, le ignorò bellamente, ma il nano non riusciva a fissare quella rabbia repressa, quell'indignazione mista ad una delusione troppo profonda per essere espressa a parole, senza cercare di spiegarsi, di spiegare la loro verità e la loro ragione.

“Abbiamo tutto sotto controllo” provò ad argomentare, poi, correggendosi, perché nemmeno lui era in grado credere alle proprie parole, tentò una sincerità ancora maggiore. “Abbiamo un piano e siamo consapevoli dei rischi, ma li stiamo contenendo.”

“Non si può contenere l'Oblio” sussurrò la voce funerea di Leliana. “Non si può infrangere l'equilibrio e sperare di non pagarne il prezzo.”

“Ne stiamo pagando il prezzo” la rabbia aveva preso il posto del più quieto desiderio di rassicurazione. Lo sguardo del nano corse al guscio infranto che un tempo era stato il corpo di un amico. “Ne ha pagato il prezzo.”

“Un'anima non basta, quando infrangi le leggi stesse del Creatore.”

Morrigan avrebbe voluto che quella santarellina con gli occhi di cielo ingoiasse la sua stessa lingua, ma non aveva abbastanza fiato per rimbeccarla e farla tacere.

Dalla mano di Alistair sangue vermiglio scivolava lungo l'elsa della spada in gocce che prendevano il posto di quelle lacrime che non aveva potuto versare.

“So che le vostre ragioni sono nobili” adesso c'era compassione in quel crudele, inutile rimprovero. “So che desideravate solo proteggere una nobile anima. Ma le vostre azioni possono distruggere più di quanto possano salvare. Zevran non avrebbe dovuto esistere in quel luogo, non avrebbe dovuto raggiungerlo, né sopravvivergli, tanto meno sperare di disfarne la trama.”

“E tu, Morrigan” per la prima volta Wynne fece sentire la sua voce, bassa e stanca, priva di qualsiasi inflessione, “tu, che conosci la magia del sangue, dovevi sapere che il sacrificio di un solo uomo non sarebbe bastato a spalancare i cancelli e richiuderli alle sue spalle, come se fosse semplicemente uscito a passeggiare fuori dalle mura di Denerim.”

Cosa avrebbe potuto rispondere chi era consapevole di aver rischiato il mondo, solo perché il mondo, per come lo conosceva, non aveva senso di esistere?

Come poteva spiegare la maga infida, sprezzante, rinnegata, che se un errore aveva generato un mondo contorto, forse solo compierne un altro, stavolta per un sentimento puro quanto assurdo, per un fiato di speranza e non disperazione, per rimediare a un torto e non per commetterlo, poteva distruggere un equilibrio sbagliato e farne sorgere un altro, magari migliore?

I cambiamenti avvengono nel sangue e nelle lacrime; la stasi è più comoda, più pacifica, ma non necessariamente più giusta.

Morrigan sapeva che forse né il corpo, né l'anima di Zevran sarebbero stati doni sufficienti per quel Creatore ingordo e vendicativo a cui facevano riferimento quelle sciocche fatine che adesso si stagliavano davanti a lei con il cipiglio del giusto dipinto sui volti puri e immacolati; sapeva che se il Custode non fosse riuscito a contenere il portale che ormai era il corpo dell'elfo, ben più di un demone si sarebbe riversato sulla terra. Ma a differenza di coloro che non avevano il coraggio di sporcarsi le mani con il libero arbitrio, nemmeno per il bene di un'amica, nemmeno per amore di una giustizia tanto decantata e che andava ben oltre la salvezza di un unico spirito innocente, Morrigan aveva deciso di rischiare, di sfidare una tregua flebile e troppo corrotta, di schierarsi con il coraggio di chi, senza saperlo, aveva avuto la forza di scoprire e rinnegare la verità, in nome di una speranza a cui aveva dato un volto, ma che era poi simbolo di qualcosa di più grande.

“Sapevi” sentenziò la donna più anziana e più saggia. “Ma sono certa che non tu abbia avvertito questi tuoi sciocchi compagni.”

“Anch'io sapevo” Alistair aveva pronunciato quelle parole quasi senza muovere le labbra, ma vi aveva impresso una forza e una tenacia che mal si aprivano a repliche. “Lo sapeva Zevran, lo sapeva Oghren. Non c'era bisogno di spiegazioni. Forse non conosceremo i dettagli mistici o magici di ciò che abbiamo iniziato, ma siamo qui per portarlo in fondo senza che la spirale apocalittica che tutti temiamo ci inghiotta e inghiotta la pace per cui abbiamo lottato, sofferto e sacrificato noi stessi.”

“Siamo qui perché abbiamo scoperto qualcosa che non poteva essere ignorato” nella voce di Oghren c'era la forza del piccone e del martello, il buio delle gallerie contorte nella terra, la tenacia della roccia e la volontà di un popolo destinato a piegarla, modellarla e renderla docile. “Adesso, anche voi sapete che esiste una strada per sanare un torto. Difficile, pericolosa, spaventosa. O la percorrete con noi, o dovrò impedirvi che cerchiate di sbarrarcela.”

Solo il Creatore avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo, se la dolorosa minaccia del nano, pronunciata con la morte nel cuore e l'ostinazione nella stretta feroce sul manico dell'ascia, avesse dovuto trovare compimento.

Forse il rito sarebbe stato interrotto bruscamente, forse il Custode non avrebbe saputo colpire il corpo di un amico nel modo più efficace, forse Morrigan sarebbe perita sotto il peso stesso delle sue formule magiche.

Ma Wynne e Leliana non erano corse alla capanna di Flemeth per condannare e distruggere; non avevano volato più veloci della tempesta appena scoperta l'assenza dei loro amici, per vomitare vuote parole di biasimo.

Erano furiose, questo è vero, erano spaventate. Ed erano anche profondamente convinte che il bene di uno solo non giustificasse il rischio di molti, se non di tutti. Ma coloro che avevano davanti erano amici, erano compagni di armi, erano membri di qualcosa di più prezioso di una famiglia. Potevano non condividere la loro scelta. Potevano biasimarla e, forse, se fossero state presenti al momento fatidico, avrebbero potuto cercare di impedirla.

Adesso che il dato era tratto, non avrebbero mai fatto niente di tanto sciocco da mettere in pericolo coloro che amavano e tutti quegli innocenti che avevano cercato di salvare. Adesso che vedevano il sangue di Zevran macchiare la terra, scuro, fumante, puzzolente di lyrium e afflato demoniaco, non avevano che una scelta da abbracciare.

“Non tutti i demoni dell'Oblio sono crudeli” mormorò Wynne, inginocchiandosi accanto al suo Re. “Come in ogni luogo esiste il male, così esiste anche il bene. Posso cercare di scoprirne un po' al di là della soglia che Zevran ha attraversato. Posso provare a darvi un po' più di tempo, per cambiare la storia.”

 

 

Oddio... vi ricordate di me? L'ultima volta vi avevo lasciato con la speranza di non far passare un altro mese prima della fine. In effetti, ne son passati 4 o 5 -_- Maledette giornate di 24 ore! Beh, che dire? Se c'è ancora qualcuno che sia interessato a questa ff, spero che il nuovo capitolo, che poi sarebbe la conclusione del precedente (e che mi è servito per togliere la ruggine da dita disabituate a scrivere da troppo tempo), non vi deluda, soprattutto visto quanto l'ho fatto attendere XD

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Capitolo 70
*** Fine (stavolta davvero) ***


L'estate aveva tardato a venire, quell'anno, nascondendosi dietro lunghi pomeriggi piovosi e fragili nebbie mattutine.

Persino in città, dove, solitamente, ci si lamentava per il caldo soffocante e il conseguente sgradevole afrore esalante dalle fogne, si desiderava, ormai, qualche sprazzo di azzurro e un po' di sano sudore.

Il castello, poi, con le sue imponenti mura, da poco completamente ricostruite, ancora più spesse e impenetrabili, custodiva l'umido brivido dell'inverno come uno scomodo tesoro, costringendo i suoi occupanti a feroci accessi di tosse e imprecazioni borbottate in scialli fuori stagione.

Solo il Re sembrava immune a tali fastidi, ma era un soldato, prima che un nobile, e anche con quei fili d'argento tra i capelli manteneva l'aspetto fiero e stoico di un Custode.

Padre!”il grido acuto e sgraziato di un bambino quasi uomo ruppe il silenzio della sala del trono. “Padre!”

Alistair continuava a meravigliarsi della perfezione di quel piccolo se stesso, così impossibile da immaginare eppure tanto reale davanti ai suoi occhi. La prima volta che l'aveva raccolto tra le braccia, urlante, coperto di sangue e liquidi di cui aveva preferito ignorare la natura, gli era sembrato più simile ad un genlock che a un umano, tutto rugoso, scuro di pelle e con la testa arruffata in un intrico selvaggio di peluria sottile. Aveva persino temuto che la corruzione di cui era portatore si fosse trasmessa alla sua creatura, marchiandolo e corrompendolo fin dalla nascita, ma poi, col trascorrere dei giorni, il giovane principe era diventato sempre più bello e paffuto, un bambolotto sorridente, vivace e sgambettante, capace di tenere suo padre in estatica contemplazione per intere notti, mentre sua madre, sfinita dal parto, riacquistava le giuste energie.

Adesso quel fagottino delicato si era trasformato in un giovane dinoccolato, troppo alto per essere aggraziato, ma capace di mulinare le spade corte con un'abilità che Alistair aveva visto solo in altre due persone, durante la sua vita, persone che forse, in qualche modo, avevano vegliato su suo figlio, donandogli parte di quei loro doni di cui il mondo non aveva potuto godere abbastanza a lungo.

Padre, voglio andare a cavallo” il ragazzo lo guardava con aria implorante e, al tempo stesso, scaltra, ben sapendo di trovare in lui un silenzioso alleato contro le lunghe ore di studio che i suoi precettori volevano imporgli, approfittando del tempo inclemente. “Mia madre dice che non è prudente, per via del temporale, ma adesso il cielo è sereno e io ho già finito di leggere il libro di messer Aringa.”

Il Re dovette nascondere un sogghigno dietro la mano, perché, in effetti, il maestro di storia che la Regina aveva scelto sembrava proprio un pesce e aveva lo stesso sguardo spiritato, ma non poteva incoraggiare troppo suo figlio sulla via dell'ironia, quindi, pur contro voglia, assunse un tono severo e lo riprese.

Non è educato attribuire ad altri soprannomi offensivi”e avrebbe voluto aggiungere: “neanche quando sono perfettamente calzanti”.

Heileno abbassò lo sguardo, appena contrito, ma più per il timore di essersi in qualche modo giocato la possibilità di convincerlo che per sincero pentimento. Era un bambino di indole gentile, era generoso e conosceva perfettamente la differenza tra giusto e sbagliato, ma era pur sempre un bambino, vivace, curioso e molto intelligente, per cui non ci si poteva aspettare da lui il contegno mummificato di un perfetto erede al trono, come avrebbe desiderato sua madre.

Ad ogni modo”continuò infatti Alistair, “credo che aver imparato a memoria tutto l'albero genealogico delle principali famiglie del Ferelden richieda una piccola passeggiata.”

Il sorriso radioso che si era guadagnato con quelle poche parole valeva bene il rimbrotto che si sarebbe sorbito in seguito dalla sua consorte. Cercò, comunque, di limitare i danni.

Anche il mio cavallo ha bisogno di sgranchirsi le zampe. Che ne dici se li portiamo a correre fino alla collina?”

Non avrebbe avuto bisogno di chiedere; nel giro di pochi minuti stavano già correndo fuori dalle mura cittadine, schizzandosi di fango gli abiti poco adatti ad una cavalcata e ridendo senza un motivo per la pioggia sottile che bagnava loro il volto, lavando via piacevolmente preoccupazioni e scomode realtà.

Non veniamo qui spesso, padre” si meravigliò, mentre procedevano al passo tra i rami di quel brullo boschetto che il Re non aveva mai permesso fosse abbattuto per ricavarvi terreno coltivabile e adesso appariva come una macchia di verde brillante in mezzo al riverbero giallastro del grano poco maturo. “Credevo non vi piacesse, anche se il vostro desiderio di conservarlo mi confondeva.”

Amo questo luogo” sorrise il Custode. “Ma è un amore che fa male. Spero che tu non debba mai sperimentarlo.”

Perché?” era ancora la sua domanda preferita, tanto che Alistair aveva sempre scherzato, raccontandogli che era stata anche la sua prima parola.

Non voleva metterlo a parte di certi segreti, un bambino doveva credere nell'amore dei propri genitori, ma le ballate ancora cantavano la verità e Heileno era abbastanza grande da poter capire che l'affetto può nascere anche in un cuore spezzato e che può essere sufficiente per creare calore e unione, al di là di promesse eterne e di indimenticabili utopie.

Eravamo accampati qui, prima dell'ultima battaglia. Qui ho fatto la mia prima proposta di matrimonio.”

Non a mia madre” era pura curiosità, scevra di rimproveri, che forse neanche riusciva a formulare. “L'avete sposata dopo aver sconfitto la Prole oscura.”

Non a tua madre.”

È la storia che racconta lo zio Oghren, vero? Quando si ubriaca e diventa triste. Avete chiesto la mano dell'eroina del Ferelden e poi è morta.”

Un riassunto molto sintetico, ma tristemente calzante.

Era bella?” continuò il bambino. “Cioè, so quello che dicono le storie, che era una dea, con occhi come stelle e la pelle profumata di gigli. Ma spesso le storie sono stupide e non dicono la verità.”

Il re si chiese se mentire, se suo figlio volesse solo sentirsi rispondere che Eilin non era bella quanto sua madre, ma aveva sempre cercato di non raccontargli frottole, preferendo piuttosto tacere e adesso che l'aveva portato qui, spinto da chissà quale insano istinto, non poteva esimersi dal rispondere.

Non aveva occhi come stelle, né pelle di porcellana. Era una guerriera, forte, coraggiosa e sì, era bella, ma non aveva l'aspetto da bambola che adesso vogliono attribuirle e che avrebbe odiato con ogni fibra del suo essere. Tua madre assomiglia a una principessa delle fiabe, lei non assomigliava a niente che sia mai stato visto su questa terra.”

Anch'io voglio conoscere una donna come lei, da grande! E voglio combattere al suo fianco e salvare il mondo, come avete fatto voi.”

Alistair gli sorrise, un sorriso malinconico che nascose con una carezza e un bacio.

Io ti auguro di vivere in pace, invece. Di non vedere mai l'orrore di un mondo martoriato e spaventato, di non conoscere mai il dolore di un addio tra lacrime e sangue.”

È così che è morta?”

Io non ero al suo fianco, ma ho visto morire così molti coraggiosi guerrieri e troppi amici.”

Chi c'era con lei? Le storie non ne parlano.”

C'era colui che non l'aveva mai tradita” avrebbe voluto sfogarsi il re. “C'era l'uomo che l'aveva amata come e più di me, dal primo istante, fino all'ultimo istante. C'era l'eroe silenzioso che l'ha salvata da una morte in solitudine e da una fine ancora più terribile ed eterna.”

Ma nessuno mai avrebbe dovuto sapere tutto questo, nessuno, eccetto lui e le altre tre persone che avevano collaborato a quel progetto folle, capace di distruggere ciò che tutti ritenevano avessero salvato.

Wynne era stata perentoria a riguardo, mentre gli stringeva la mano, ormai debole, sporca del sangue di Zevran e del proprio. Aveva fatto promettere a tutti, persino a Morrigan, di non rivelare mai la loro pericolosa follia, e nessuno si era sognato di negarle quel saggio giuramento, dopo che l'anziana maga li aveva salvati, donando all'assassino il suo spirito e concedendogli gli attimi indispensabili per portare a termine la sua missione, laddove il demone invocato dalla strega avrebbe finito per ucciderlo prima che tutto potesse compiersi in una fine meno che disastrosa.

Leliana non si era più avvicinata a loro, dopo quell'episodio. Si era congedata dal passato con il funerale di Zevran e dell'amica, sepolti insieme, nelle Selve, senza sfarzo, senza rumore, senza lacrime, in uno smarrimento troppo profondo per trovare sfogo nel comune cordoglio.

Morrigan aveva assicurato che l'anima di Eilin era salva, ma ancora adesso Alistair faticava a trovare il giusto modo per gioire di quella meraviglia. Del destino di Zevran nessuno sapeva nulla. La maga non aveva potuto più avvertirlo, da quando il demone aveva ceduto il passo allo spirito di Wynne, e il Re sapeva che non se l'era mai perdonato, anche se si rifiutava di ammetterlo. Tutto ciò che poteva dire era che le spoglie del vecchio compagno e rivale giacevano in una fossa coperta di muschio, ma se la sua anima fosse ancora nell'Oblio, o avesse trovato pace con quella del loro comune amore, avrebbe continuato a chiederselo fino all'ultimo respiro.

C'era un nostro compagno,con lei, l'elfo dei Corvi di cui parla la ballata che ti piace tanto”disse solo. "C'era lui a guardarle le spalle, contro l'Arcidemone. Lui, ad aiutarla a sconfiggerlo.”

 

 

 

“Possiamo parlare?” la domanda, sfuggita faticosamente alle sue labbra atrofizzate, era diretta tanto a lei quanto a se stesso, perché, nella debolezza infinita in cui si stava perdendo, non era certo di avere abbastanza fiato da sprecare.

“Le parole sono strane, qui” mormorò Eilin, dopo qualche attimo. “Risuonano come echi sconosciuti in tutto l'Oblio e raggiungono i sogni degli innocenti, trasformandosi in effimere chimere d'incubo.”

“In pratica, vorrebbe dire no?” Zevran riusciva a stento a reggersi in piedi, così l'ironia non poté del tutto a mascherare le sue emozioni.

Di certo non era ciò che voleva dirle, ciò che aveva pensato o desiderato farle sapere, ma in quel momento la verità sembrava troppo prepotente per uscirsene fuori senza distruggerli, i suoi sentimenti troppo scontati per aver bisogno di trovare espressione fisica in quel vuoto che sembrava potesse inghiottirli e macchiarli.

Avrebbe voluto dirle che l'amava, che vederla, anche in quel pozzo oscuro, riempiva la sua anima di un calore dimenticato e immeritato, che l'avrebbe portata al sicuro, a qualsiasi costo, con qualsiasi mezzo, ma, giunti a quel punto, pronunciare anche una sola di tali auliche sciocchezze gli pareva inutile come i commenti sul tempo in una mattinata di pioggia.

Molto meglio concentrarsi sul contingente e dimostrare coi fatti quello che il fiato poteva solo lasciar sperare.

Eilin, però, non doveva pensarla allo stesso modo, perché, per quanto banale, non seppe evitare di pronunciare la più grande sciocchezza che mente umana avesse saputo inventarsi, in chissà quale remota epoca storica: “Perdonami.”

Fu un sussurro, una preghiera e forse un ordine, ma soprattutto fu un ingiusto spreco di parole, perché se avessero dovuto perdersi in stupidaggini, allora Zevran pensò che avrebbe fatto meglio a chiuderle la bocca continuando a mormorarle: “ti amo”, seguendo il suo piano iniziale, piuttosto che dover ascoltare il rimorso per un'azione che gli aveva ridato vita, pur portandolo verso morte certa. Ma non fece niente neanche stavolta, limitandosi a scuotere la testa, o a tentare di farlo, concentrandosi sul freddo penetrante che aveva iniziato a raggiungergli il ventre, provocandogli atroci spasmi convulsi che a stento riusciva a dominare.

“Non avrei dovuto invocarvi qui” continuò imperterrita la giovane, evidentemente incapace di intuire i suoi desideri, in preda ad un cieco e feroce senso di colpa. “Non avreste dovuto dar retta alla mia codardia.”

“Almeno adesso ci riconosci parte della responsabilità” per quanto fosse sicuro di aver intuito il modo per uscire da quella gabbia, riuscire a farlo rimaneva ancora una mera fantasia. “Tu potrai averci chiamati, ma non ci hai costretti a raggiungerti.”

“È quasi la stessa cosa...”

“E, scusa se ti interrompo prima di ascoltare altre idiozie, ma il bietolone non mi perdonerebbe se scordassi di riferirtelo: sia Alistair che io abbiamo passato l'inferno quando ci hai lasciati e l'avremmo attraversato tutto, nudi e con un cactus sulla schiena, pur di rivederti un'ultima volta. Quindi non sentirti in colpa per avermi regalato ciò che più desideravo al mondo, al massimo scusati col tuo Re, per avergli affibbiato una responsabilità tale da impedirgli di seguirmi.”

Anche se credeva di non ricordarsi come si facesse e sapeva di non aver motivo per farlo, Eilin si ritrovò ad allargare la bocca in un sorriso, piccolo, incerto, ma pur sempre reale.

Non era una stupida e intuiva, pur senza averne certezza, che la presenza dell'elfo in quel luogo avrebbe avuto conseguenze devastanti, per lui, se non per altri; la sua mente e la sua anima le rimproveravano il suo egoismo, ma il suo cuore, che ormai esisteva quasi solo per forza di volontà, non riusciva a smettere di esultare.

Non era più da sola insieme agli incubi che l'avevano dilaniata e quasi sconfitta e, per quanto razionalmente fosse certa che sarebbe stato meglio per tutti se si fosse arresa, il solo fatto di sentire di nuovo quella voce, di osservare quel volto, attraverso il velo stanco di nebbia che le copriva lo sguardo, di immaginare il suo profumo al di là dell'ineffabile tanfo di morte e disperazione di quel luogo, il solo fatto di sentirsi viva di nuovo, oltre ogni ragione e rettitudine, la portava a sorridere, come una stupida, per un attimo, solo in quell'attimo, che nell'assenza di tempo dell'Oblio avrebbe anche potuto durare in eterno.

O magari poteva durare giusto un battito di ciglia e, per quanto fosse romantico e dolce rimanere a fissarsi come ebeti innamorati, avrebbe avuto quantomeno senso cercare di non sprecare l'immenso sacrificio compiuto dal suo amico per il puro piacere di rivederlo davanti a sé.

Era la cosa più logica da fare: riprendere il controllo, razionalizzare. E poi cosa avrebbe potuto dirgli ancora? Zevran non voleva le sue scuse e lo capiva, erano inutili e patetiche. Avrebbe voluto forse sentirle dire la verità, ma poteva permettersi di farlo, sarebbe stato giusto? Non potevano bastare poche frasi stiracchiate per descrivergli la complessità e la profondità dei suoi sentimenti e quelle semplici parole che tanto spesso aveva pronunciato per Alistair, e che erano state vere, profonde e importanti, sembravano adesso inadeguate, inespressive, troppo comuni.

Di certo i loro occhi parlavano di quello che le labbra non riuscivano a pronunciare, ma rimanere a logorarsi nell'incertezza non avrebbe giovato a nessuno.

“Hai un piano?” di fronte alle situazioni di crisi, Eilin sapeva evidentemente ritrovare il suo salutare pragmatismo. “Ho provato a tirarmi fuori di qui migliaia di volte, credo, ma non esistono certezze quaggiù, né logiche a cui aggrapparsi. Potrei anche essermi immaginata tutto e aver passato il tempo a scrutare il vuoto.”

Toccò a Zevran sorridere, in un tuffo nel passato ricreato dall'improvvisa forza di quella voce, prima esile e debole, ora di nuovo in grado di trascinarlo all'azione.

Però dirle che non aveva molte idee su come comportarsi e che finora si era mosso a braccio non sembrava propriamente eroico o anche solo costruttivo.

“Ho cercato di spezzare queste sbarre” continuò per fortuna la Custode, esimendolo da una risposta immediata. “Ma presto non ne ho avuto più la forza e, comunque, non credo sia possibile riuscirci. Ho cercato di meditare, di convincermi che tutto fosse un'illusione, ma è reale, che mi piaccia o meno. E poi c'è lui, la creatura, l'insieme di creature... non ho ancora capito come definirlo, ma lo sento dentro di me, intorno a me, ogni istante, come una presenza incorporea e pressante che mi chiama e mi strattona, ferendomi senza ferirmi, uccidendomi senza uccidermi.”

“Il destino dei Custodi è particolarmente ironico” Zevran aveva stretto le lame fino a farsi sanguinare le mani, cercando di respingere la sensazione di apatia con un dolore altrettanto pungente, ma conosciuto. “Tu sei l'ultimo dei sigilli che ha incatenato il Flagello e, al tempo stesso, lo sta nutrendo.”

Eilin annuì, meno sorpresa del previsto di fronte a quella sconcertante rivelazione.

“Non viene mai quaggiù, fisicamente. Non so neanche se abbia un corpo fisico nell'Oblio, ma so per certo che non ne ha bisogno e se anche non ucciderà me, di sicuro non risparmierà te, quindi dobbiamo sbrigarci a uscire.”

“Credo che questo luogo sia in bilico, il punto tra sogno e realtà da cui, probabilmente, quegli antichi maghi corrotti hanno fatto breccia per la Città dorata.”

“Avrebbe senso, visto che mi trovo qui e sono la malta metafisica per questo fantomatico buco.”

“Anche noi siamo in bilico: non possiamo ribellarci, perché, evidentemente, rendiamo solo più pesanti le nostre catene, non possiamo arrenderci, perché facendolo svaniremmo del tutto, cosa che, per inciso, è proprio quella che l'incantesimo o la maledizione che ci tiene quaggiù vorrebbe facessimo.”

“Sembra un dannatissimo vicolo cieco.”

“No, è un paradosso.”

“Ancora peggio. Quando da bambina il mio precettore provava a addentrarsi in questi ghirigori filosofeggianti, mi veniva sempre un feroce mal di testa.”

“Noi, invece, imparavamo a conviverci fin dall'inizio, se non volevamo soccombere, perché tutta la nostra esistenza era paradossale: annientare se stessi per mantenere se stessi, sembra quasi uno scioglilingua” lo disse senza nessun rammarico, senza autocommiserazione, come una semplice verità. “Tu hai sempre avuto una personalità indomita, Eilin, per questo sei riuscita a superare le barriere della tua gabbia con la pura forza di volontà, ma adesso questo non può aiutarti. Devi diventare vuoto, per vincere il vuoto.”

La ragazza lo fissò con aria tanto accigliata e indignata da farlo ridere, ma Zevran soffocò subito quel suono, pur liberatorio, per paura di attirare sgradite attenzioni o peggiorare la loro già precaria condizione. Inoltre il suo corpo stava per cedere, lo sentiva, tramite quel filo di coscienza che ancora era legata alla sua parte materiale, mentre si sgretolava e dissanguava, mentre i suoi organi interni collassavano e marcivano, bruciati dal lyrium e consumati dal demone.

Non aveva fiato per il sollievo, non aveva tempo per lunghe spiegazioni.

“Devi fidarti di me” disse soltanto.

“Come sempre” due semplici parole, più potenti di un “ti amo”. E, dopo averle sentite, l'idea del male che avrebbe dovuto infliggerle diveniva ancora più insostenibile, eppure era necessario, era inevitabile. Forse un uomo come Alistair, nobile, coraggioso e altruista, avrebbe saputo trovare un'altra via, ma lui era un Corvo, era un assassino e conosceva solo la strada più dolorosa e oscura per raggiungere la verità.

“Tu sei morta, Eilin, non esisti più nel mondo” iniziò a sussurrare l'elfo, con tono freddo, impersonale, quasi cantilenante, ignorando la stretta tormentosa al petto davanti allo sguardo confuso e addolorato di lei. “Il tuo corpo marcisce in un prezioso scrigno di pietra, ma ha già perso ogni tratto che ti rappresentasse, è solo carne putrida, puzzolente, vuota. Non fai più parte della realtà, sei un ricordo e presto non sarai altro che polvere dimenticata.”

Eilin taceva, nascondendo dietro una maschera di stoicismo le lacrime che volevano traboccarle dal cuore, evitando di chiedere il motivo di quelle parole, probabilmente intuendolo, ma non per questo sentendole meno dolorose; Zevran la ringraziò mentalmente per quell'ultima e estrema manifestazione di coraggio, ma non si permise di tentennare.

“Hai finito il tuo tempo, per quanto poco sia stato. Non esiste un futuro per te, non esiste un diverso destino. Sei fiato e vento, sei un fantasma. L'eco di un passato che non sa rassegnarsi al presente. Dove prima camminavi, ora c'è solo un vuoto che qualcun altro riempirà, senza neanche sapere che tu sia esistita. Dove prima ridevi, ora c'è silenzio. Dove prima amavi, ora c'è il nulla. Non hai un nome, non puoi essere chiamata, perché non esisti. Non hai sostanza, sei morta.”

Era un gioco pericoloso, senza garanzie. Un'ispirazione che poteva rivelarsi fatale, ma l'unica che avesse avuto, quindi inevitabile, perché di tempo per vagliare ipotesi non ce n'era e non ce ne sarebbe stato.

“La morte è la fine. La morte ti ha già reclamato e il mondo ti ha cancellata. Non c'è niente che tu possa fare, non c'è niente per te, perché tu sei niente, adesso.”

Se fosse riuscito a distruggere la sua volontà di esistere prima che l'Arcidemone avesse consumato la sua anima, forse avrebbe potuto liberarla, salvarla. Non ne era certo, e avrebbe voluto che Morrigan fosse lì a consigliarlo, ma era solo e debole, indegno del ruolo che si era scelto, ma deciso a ricoprirlo al meglio delle sue capacità.

“Sei un miraggio, un'illusione. La tua vita si è spezzata su una torre fatiscente, molti mesi orsono. Tu non sei. Io sto parlando a un ricordo, sto parlando da solo.”

Un gemito sommesso lo fece tremare, ma non interrompere.

Non sapeva dove trovare la forza per continuare a pronunciare certe blasfemie, non sapeva come riuscire a riversare su di lei le parole che tanto spesso gli avevano riservato da bambino, ma che mai gli avevano fatto tanto male quanto ora, che ne era carnefice e non vittima.

Il tempo sembrava eterno, in quel luogo, e eterno sembrava essere diventato il suo tormento e quello di lei, mentre la sua immagine continuava a risplendere, forte e tormentata, nel centro della gabbia.

“Probabilmente sto sbagliando tutto” si trovò a pensare Zevran, cedendo alla disperazione. “Sono venuto qui solo per torturarla.”

Eppure continuò a infierire, a sgretolare pezzo per pezzo la sua essenza, incessantemente, ferocemente, finché, ormai stremato, vide l'immagine di Eilin tremolare, quasi svanire, per un attimo.

Pregò il Creatore di chiamarla a sé, se mai fosse riuscito a liberarla da quella prigione, perché mai spirito ne era stato più degno, ma proprio quando si preparava a sferrare l'ultimo colpo, il suo corpo cedette, scivolando sul pavimento della cella in un groviglio contorno di membra scomposte e dolore.

“Sto morendo” capì. “Dei, vi prego, non ancora, non adesso.”

Ma gli dei non erano misericordiosi, lo sapeva e, per quanto lottasse, avvertiva il respiro farsi rantolante, il battito sempre più irregolare, il cuore sempre più debole.

“Zevran” la voce di Eilin ormai era meno di un sussurro.

Sarebbe bastato così poco, un unico attimo.

Chiuse gli occhi, incapace di osservare il suo patetico fallimento, di accettarlo, di rassegnarsi, ma senza più forze per lottare.

“Perdonami” sussurrò quell'assurda, stupida parola quasi tra le lacrime, ormai stufo di mostrarsi forte, stufo di filosofeggiare, di mentire. “Ti amo.”

Forse fu quell'amore a richiamare a sé una forza che non gli apparteneva, forse fu il suo sacrificio o magari fu solo uno strano scherzo del destino, ma proprio quando tutto sembrava finito, quando la disperazione stava per batterlo, sentì la vita colmargli le membra, delicata, leggera, fragile più di una piuma, ma sufficiente a farlo alzare di nuovo, a dargli la forza per pronunciare le ultime parole di quell'incantesimo oscuro che si era inventato e che aveva intrecciato intorno a loro, nella speranza remota che il male potesse salvare il bene, almeno una volta, in quel luogo dove l'assurdo era reale e la realtà era assurdo.

“Lascia questo luogo, fantasma senza nome” la salutò, cercando di guardarla un'ultima volta negli occhi, che ormai erano un sottile velo colorato contro l'oscurità delle pareti. “Lasciati indietro il passato, il dolore, te stesso. Sei morto, fantasma. Sei niente e il niente non può continuare a esistere.”

L'immagine di Eilin vacillò un'ultima volta, guizzò luminosa e feroce, sforzandosi di resistere, temendo naturalmente l'oblio, poi un grido lacerò il silenzio, un urlo di rabbia, disperazione e paura. La stanza si riempì di invisibile furore, il mondo intero sembrò tremare e spezzarsi come un guscio di noce privo di gheriglio, mentre la gabbia, che aveva contenuto le spoglie immateriali della Custode, rimase finalmente vuota, così semplicemente e velocemente da far pensare che tutto fosse stato un semplice miraggio.

Zevran crollò in ginocchio, sorridendo, ridendo, piangendo. Sentiva la presenza del drago mostruoso su di sé, ma non lo temeva, non gli importava.

Aveva compiuto il suo scopo e, nel caos di fiamme gelide che lo circondava, non aveva motivi per continuare a lottare. Aveva scelto il suo destino e lo aveva percorso fino in fondo; adesso non aveva bisogno di rassegnarsi, poteva accettare il tormento che lo attendeva con animo sereno, perché nella furente disperazione di quell'amalgama di crudeltà e egoismo che il mondo aveva soprannominato Arcidemone intuiva la salvezza dell'unica cosa cui mai avesse tenuto in vita sua.

“Vieni” disse, con un ultimo sorriso di scherno. “Non ti temo.”

Ma non fu l'artiglio del mostro a ghermirlo, non fu il fetore rancido del suo corpo a colmarlo.

Un bacio gentile sfiorò le sue labbra, una mano delicata gli sollevò il volto.

“Vieni” sussurrò Eilin, con sguardo determinato e gentile. “Non ti abbandono.”

 

Oddio... ci siamo davvero, è la fine. Non credevo davvero che ce l'avrei fatta e, probabilmente, dopo tutto il tempo che ho impiegato per arrivarci, ho fatto anche un disastro (ditemelo, in caso, magari la riscrivo!). Ad ogni modo siamo qui, è finita e io ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno continuato a seguire la storia in questi lunghi anni, perché è di anni che sia parla, che mi hanno incoraggiato e dato la voglia di portarla a termine. Grazie davvero!

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