Polisucco

di Erin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E altri inconvenienti ***
Capitolo 2: *** E vicoli ciechi ***
Capitolo 3: *** E idee drastiche ***
Capitolo 4: *** E svolte incerte ***
Capitolo 5: *** E doppi giochi ***
Capitolo 6: *** E preoccupazioni impensabili ***
Capitolo 7: *** E memorie perdute ***
Capitolo 8: *** E credi imposti ***
Capitolo 9: *** E tempi in prestito ***
Capitolo 10: *** E incontri ravvicinati ***
Capitolo 11: *** E ricordi urgenti ***
Capitolo 12: *** E debiti saldati ***
Capitolo 13: *** E contrattempi dolorosi ***
Capitolo 14: *** E finzioni reali ***
Capitolo 15: *** E sentimenti difficili ***
Capitolo 16: *** E contatti strappati ***
Capitolo 17: *** E istinti incontrollabili ***
Capitolo 18: *** E necessità vitali ***
Capitolo 19: *** E ritorni grevi ***



Capitolo 1
*** E altri inconvenienti ***


Intro editato: inizialmente questa storia doveva essere di tre capitoli. Ma l'ispirazione è sempre più forte delle decisioni riflettute e misurate perciò mi trovo a dirvi che ho riaperto la ff e che la continuerò (qui, senza aprire un seguito a parte). Modificherò anche il rating ecc per allinearla ai nuovi sviluppi. Vi ringrazio anche perché, senza il vostro supporto ed entusiasmo, ciò non sarebbe accaduto. Baci, Erin.




POLISUCCO
e altri inconvenienti




« Mosche Crisopa, Sanguisughe, Lunaria, Centinodia... vediamo, Polvere di corno di Bicorno, Pelle tritata di Girilacco, Formicaleoni e... Erba Fondente! C'è tutto » riepilogai, osservando il liquido verdastro che ribolliva nel calderone davanti a me.

« Io non la bevo di nuovo quella cosa orrenda » storse il naso Ron quando un rivolo di fumo intercettò le sue narici. Stava con le mani conserte, sulla difensiva, e non aveva mai staccato gli occhi da me – forse per paura che potessi fargliela tragugiare con la forza.

« Harry, diglielo tu » feci spazientita, mescolando la quinta volta in senso orario. Mi costrinsi a non stringere gli occhi e le labbra per non darla vinta a Ronald; la Polisucco, però, puzzava terribilmente.

« Ron, dobbiamo farlo. Ci servono quelle informazioni. Vuoi fare l'Auror sì o no? Ti capiterà peggio di questo quando lascerai Hogwarts » spiegò con pazienza Harry, appoggiato al muro dietro le sue spalle, con le mani in tasca.

« Harry, mi pare abbastanza evidente che in sei anni di scuola abbiamo rischiato la morte parecchie volte e affrontato nemici e situazioni parecchio incasinate... non penso possa andare peggio di così! » disse con un tono di voce più acuto del solito.

Alzai le sopracciglia, scuotendo la testa con disappunto. « Vigliacco » sussurrai.

« Hermione, ti ho sentito » borbottò.

« Be', io volevo che tu sentissi » cantilenai senza guardarlo. Versai la pozione in tre bicchieri ed in ognuno misi il capello corrispondente al Serpeverde di cui dovevamo prendere le sembianze. La restante la conservai in una bottiglia di vetro: poteva sempre tornare utile.

« In cosa ti trasformerai questa volta? Un gufo? » mi prese in giro Ron.

Gli allungai malamente la polisucco con la ciocca di Theodore Nott. « Ha-ha » risi ironicamente. « Primo: i gufi hanno le piume. Secondo: avevo dodici anni e poca esperienza quando feci la prima Polisucco. Ora sono stata attentissima. »

« Per non dire maniacale » aggiunse Harry, sorridendomi.

Gli sorrisi a mia volta; per me era quasi un complimento.

« Che cosa andate a fare nel dormitorio dei Serpeverde? » irruppe tra noi Mirtilla Malcontenta, uscendo dal pavimento.

Feci un balzo indietro e per poco non rovesciai il contenuto del mio bicchiere.

« Rischiamo la vita, come sempre » sbuffò Ron, simulando poi un conato di vomito.

« Mirtilla, è un segreto, perdonaci » le dissi.

« Questo è il mio bagno e io sento tutto ma non dico niente a nessuno » ci tenne a precisare, occhieggiando nella direzione di Harry, verso il quale fluttuò. « E tu in chi ti trasformi, caro Harry? Sei così bello che è proprio un peccato... »

Harry arrossì e cercò di divincolarsi dalle sue moine inconsistenti. « Blaise... Zabini » disse, rimettendosi a posto gli occhiali che gli erano scivolati sulla punta del naso.

Mirtilla guardò improvvisamente me e prese a ridere. « Non ci sarà di nuovo il pelo di un gatto nel tuo bicchiere? »

Mi accigliai ma non risponsi; vidi Ron ridacchiare e lo sgomitai.

« Forza, beviamo tutto d'un sorso. Abbiamo poco tempo » dissi con fare professionale.

« Herm diventerà Astoria Greengrass. Una con le gambe alte quanto lei, praticamente » ridacchiò ancora Ron.

Lo guardai malissimo. Sfoderai la bacchetta e gliela puntai ai testicoli. « Bevi immediatamente, Ronald Weasley. »

Non se lo fece ripetere ancora. Avvicinammo contemporaneamente il bordo del bicchiere alle labbra e, al mio tre, bevemmo senza nemmeno respirare. Restammo qualche attimo a guardarci, la bocca impastata e l'espressione disgustata. Ripulii il calderone e i bicchieri con un incanto e nascosi tutto dietro un'apertuta segreta nel muro. Quando mi voltai, trovai dinanzi a me Theodore Nott e Blaise Zabini. Mi girai verso lo specchio e mi ritrovai bionda, alta e snob.

Con le divise Serpeverde già indosso, lasciammo il bagno di Mirtilla; avevamo un'ora prima di tornare normali e prima che i veri Theodore, Blaise e Astoria tornassero coscienti. Dovevamo assolutamente capire se Draco Malfoy era effettivamente diventato un Mangiamorte e quanto aveva detto ai suoi più cari amici, che ci apprestavamo a impersonare.

Avevo osservato molto Astoria negli ultimi mesi: era spesso accanto a Draco ma non ero riuscita a capire fino a che punto fossero solo amici o se avessero una relazione; in pubblico, Draco era sempre molto taciturno, poco espansivo, troppo riservato. Nei panni di Astoria speravo di poter ottenere qualche confessione, magari una confidenza; mi ero studiata la sua gestualità e l'avevo osservata anche in aula. Insomma, speravo di riuscire a recitare bene la mia parte senza far insospettire Malfoy.

Harry e Ron avevano avuto lo stesso compito, rispettivamente per Blaise e Theodore. Sapevo che Harry prendeva le cose seriamente ed ero abbastanza tranquilla; Ronald, invece, mi preoccupava. Era approsimativo e pauroso; sperai intensamente che non ci facesse scoprire.

Imboccammo la strada che portava ai dormitori nei sotterranei dove, in base alla pianificazione che avevo fatto negli ultimi mesi, doveva esserci Draco, appena tornato dagli allenamenti di Quidditch.

Per fare tutto quello che ci eravamo proposti, avevo studiato anche molto Malfoy. Ero arrivata ad imparare perfino i ritmi delle sue giornate: sapevo quando e quali corsi seguiva, gli orari in cui studiava in biblioteca, i giorni e i momenti in cui si allenava, quanto ci tempo impiegava in Sala Grande, a pranzo o a cena; perfino cosa prendeva di solito da mangiare e in che misura, per non parlare delle sue capatine al Club dei Duellanti o ad Hogsmeade, per lo più con cadenza regolare. Insomma, il fatto di conoscerlo così bene mi dava un leggero senso di inquietudine e disagio.

« Sangue di Serpente » pronunciai, imitando la voce di Astoria, quando fummo davanti al punto esatto della parete.

Questa scivolò di lato e ringraziai perché sapevo che, a parola d'ordine errata, i due cobra di pietra si sarebbero animati e avrebbero cercato di attaccare. E Ron avrebbe corso via come una femminuccia.

La sala comune dei Serpeverde scendeva di qualche livello con un'ampia scalinata, si apriva in una grande stanza circolare arredata di verde scuro, argento e nero, decorata con uno stile gotico molto raffinato. Tutto l'arredamento sembrava, comunque, molto più lussuoso del nostro.

Draco Malfoy era seduto su una poltrona di velluto scura, la nuca appoggiata alla sommità dello schienale, i capelli gettati all'indietro e un libricino tra le mani, intento a leggere. Le gambe erano incrociate, fasciate da un pantalone nero dal taglio classico; i piedi nudi. Una maglietta di cotone del medesimo colore lasciava scoperto solo il collo latteo.

Sollevò le iride grigie dal bordo del libro appena ci vide. Avanzai per prima, perché mi accorsi che Harry e Ron esitarono. Provai ad aprire la bocca per salutarlo, ma Malfoy riportò gli occhi sulle righe del libro.

« Non sei venuta oggi agli allenamenti » mormorò, voltando pagina con fare noncurante. « Ragazzi » fece poi, a mo' di saluto.

Harry e Ron presero posto sui divani, cercando di apparire più disinibiti possibile.

Mi ricordai di aver visto spesso Astoria sugli splalti Serpeverde a guardare la squadra allenarsi; ricordai anche che domani avevamo il compito di Pozioni e lei non era una cima.

« Sì, scusami. Studiavo in biblioteca, dovevo recuperare » gli dissi.

Lui annuì, poi chiuse il libro e si raddrizzò, massangiandosi la nuca e facendo roteare appena il collo, con gli occhi chiusi.

« Terribili, comunque. Pensavo di morire alla quarta serie di addominali a fine allenamento. Ma abbiamo la partita con i Grifondioti la settimana prossima » fece spallucce, alzandosi in piedi e schioccandosi le dita.

Con la coda dell'occhio, vidi Ron diventare paonazzo e digrignare i denti. Mi avvicinai a Draco per distralo, sperando che non notasse le reazioni prive di logica di Ronald Weasley.

« Verrò al prossimo, però » gli sorrisi. Lui mi sorrise a sua volta. Un sorriso quasi stanco, sereno, di quelli che mai gli avevo visto fare; cambiò quasi i suoi lineamenti, generalmente piegati dalla cattiveria e dal disprezzo.

Poi si sporse verso di me, fece qualche passo e colmò la distranza tra noi. Lasciò cadere la fronte sulla mia spalla; mi mossi istintivamente di un mezzo passo indietro ma mi bloccai prima di concluderlo. Osservai Harry che sgranò gli occhi ma mi disse "stai al gioco" con il labiale.

Mi voltai davanti, sfiorando con il naso i capelli di Malfoy. Profumavano di ambra e sandalo. Lui profumava di ambra e sandalo; non l'avevo mai avuto così vicino. Presi un bel respiro, ma a parlare fu lui.

« Speravo di parlarti di quella cosa di cui abbiamo discusso ieri » lo sentii dire.

Deglutii. Non sapevo assolutamente a cosa stesse alludendo. « Per me è acqua passata » provai, stringendo gli occhi e guardando di nuovo Harry oltre le spalle di Draco. Il mio migliore amico mi fece cenno di andare avanti. Sapevo che questa inaspettata intimità tra Astoria e Malfoy poteva tornarmi estremamente utile ma la situazione mi rendeva agitata, non poco. La loro relazione era per me solo un sospetto; non pensavo che, in privato, fossero così intimi.

« Per me no » sollevò lo sguardo, puntandolo nel mio a pochi centimetri di distanza. Sentivo il suo respiro di menta infrangersi sulla mia pelle. Mi sentii arrossire.

« Draco, io- »

« Ragazzi, un po' di privacy » fece d'un tratto Draco, voltandosi verso Harry e Ron. Quest'ultimo, sempre più paonazzo, non riuscì a dire niente di sensato. Harry si alzò, facendosi imitare da Ron, grattandosi la testa con fare noncurante. « Sì, scusaci. Andiamo in Sala Grande. Chiaritevi, eh » disse infine, allusivo, guardando più me che lui.

Draco si accigliò appena, poi annuì. Aspettò che i due varcassero la porta del dormitorio, attimi in cui il mio cuore andò in fibrillazione e pensai a tutto ciò che dovevo dire, come dovevo comportarmi, cosa dovevo fare nel caso in cui... insomma, sperai di non avere una faccia troppo spaventata.

« Draco, comunque è meglio se parliamo un'altra volta della discussione di ieri. Magari siamo ancora troppo caldi e non ci farebbe bene. Ti vorrei chiedere una cosa, invece... »

« No » disse severo, ma con una nota incredibilmente dolce nella voce. « Voglio chiarire adesso. Non voglio passare un'altra notte in bianco a pensare ai tuoi occhi lucidi » aggiunse.

Mi morsi il labbro involontariamente, cosa che ad Astoria non avevo mai visto fare. Vidi Malfoy scivolare con le iridi sulla mia bocca; feci un passo indietro, poi un altro.

« Per me abbiamo fatto pace » insistetti, compromettendo di molto la mia posizione. Se ero fortunata, potevo chiarire completamente la faccenda, cosìcché lui non tornasse più sull'argomento, nemmeno con la vera Astoria. D'altro canto, rischiavo di creare una situazione in cui a parlare voleva essere lei e Draco le avrebbe sicuramente detto che ormai si erano chiariti, che non c'era più bisogno di parlare. Un'altra opzione era quella di scappare via: mandare in frantumi il piano, gettare al vento mesi e mesi che avevo speso per reperire gli ingredienti e preparare la pozione, rimandare a data da destinarsi le importanti informazioni che l'Ordine aspettava.

« Mi piaci » disse, ignorando le mie parole. Sollevò le mani e le poggiò ai lati del mio viso, facendo scorrere i suoi occhi nei miei. « Ma non sono sicuro di poter fare il passo del fidanzamento. Insomma, siamo amici da una vita e non so se sarebbe la cosa migliore. Dammi tempo. »

Deglutii di nuovo. Mi parve di rivedere, grazie a quelle parole, la storia complicata e – di fatto – inesistente tra me e Ron. « Sono d'accordo » mi limitai a dire, ma mi accorsi che stavo tremando.

Abbassai lo sguardo e misi le mie mani su quelle di Draco, per accompagnarle dolcemente lontano da me. Lui si fece guidare, lasciando il mio viso; ma intrecciò le dita alle mie e me le portò dietro la vita, attirandomi a sè.

Sussultai quando toccai con il seno il suo petto. La sua figura era così virile, i suoi gesti così fermi e sicuri, il suo profumo così carico e inebriante... che mi ritrovai a desiderarlo.

« Ti sento diversa » mi sussurrò sulle labbra, socchiudendo gli occhi.

Mi sentivo inebetita, come drogata e stordita, tanto che non feci nulla quando mi baciò. Mi rubò l'ultimo respiro, dischiudendomi la bocca e penetrandomi con la lingua calda. Le sue mani si strinsero sulla mia schiena, passando attraverso lo spazio delle mie dita; sul tessuto sottile della camicia chiara le avvertii chiaramente sulla mia pelle. Roventi.

Un bacio così intenso non l'avevo mai ricevuto; quelli di Krum erano stati umidi e impacciati. Draco invece era così... passionale. Mi imprigionò i polsi con una mano e l'altra mi si infilò tra i capelli. Mi baciò l'angolo della bocca, il bordo della mascella, il collo e l'orecchio.

Il suo naso scivolò lungo la mia pelle, passando per il mio zigomo, finché non si affiancò al mio naso. Ci si strusciò contro. « Ora abbiamo fatto pace » precisò.

Sorrisi. E mi maledissi per questo. Mi sentivo così bene che... ma non stava baciando davvero me. Stava baciando la sua ragazza o qualcosa di simile, stava baciando Astoria Greengrass e non Hermione Granger.

Gli poggiai le mani sul petto e lo allontanai piano da me. « Comunque io sono preoccupata per te. » Cercai di focalizzarmi di nuovo sul piano che avevo elaborato, anche se tornare lucida e determinata era piuttosto difficile.

Draco alzò un sopracciglio.

« Ti vedo pensieroso, spesso assente. Vorrei che ti confidassi con me, se qualcosa ti turba. Se qualcosa ti spaventa... » lasciai cadere.

Draco contrasse la fronte, alzando appena il mento. « Non mi hai mai detto queste cose. Perché le noti ora? »

Sbattei le ciglia. Cazzo, possibile che Astoria non avesse mai notato che Draco era l'ombra di se stesso negli ultimi mesi? Non aveva mai visto il suo sguardo spento, il suo isolarsi, i suoi dialoghi sussurrati con il professor Piton? Non aveva notato che i suoi voti in Pozioni erano calati e che io, Hermione Granger, ero riuscita a superarlo all'ultimo test? Non si era accorta che l'espressione di Malfoy era passata da quella di un superficiale bambino viziato a quella di un uomo con un macigno sulle spalle, conscio di doverlo portare a destinazione?

« Io... non te l'ho mai detto. Ma è da un po' che volevo » dissi quindi. Gli poggiai una mano sulla spalla. « Ti fidi di me? »

Draco mi guardò a lungo. « Credo di sì. »

« Io sono dalla tua parte » lo incoraggiai.

Si passò una mano tra i capelli, ciocche biondissime che gli ricaddero sulla tempia destra. « Non è niente, Asti. Ho solo più preoccupazioni di prima ora che mio padre rischia Azkaban, sai com'è. »

« Ti stai occupando di tutto tu, lo capisco » me ne andai per un'idea.

« Non solo. Devo anche... sostituirlo in certe occasioni. Non è facile » mi disse allusivo.

Mi parve di capire perfettamente, perciò insistetti. « Ma è quello che vuoi, no? »

Draco sorrise amaramente. « Credo di sì. »

Aggrottai le sopracciglia con una muta domanda negli occhi. Lui la colse.

« Non so se questa cosa faccia davvero per me. Io vorrei solo continuare a studiare Pozioni » confessò.

Mi voltò le spalle e andò a sedersi sul divano. Mi guardò. « Però certe cose vanno fatte. C'è chi crede in me. »

« Io credo in te » mi lasciai sfuggire, complice istintivamente dei sentimenti di sconforto che Draco stava provando. Mi morsi di nuovo le labbra e notai che lui me le fissò. « Insomma, so che prenderai la decisione giusta » continuai.

Draco fece scivolare i piedi scalzi sul tappeto. « Non mi avevi mai dato tutto questo sostegno... »

« Io- »

« Grazie. »

Mi rilassai e gli sorrisi. Guardai l'orologio a pendolo e mi accorsi che la mia ora stava per scadere.

« Adesso devo andare. Ma ne riparliamo » gli dissi, voltandomi e facendo per andarmene.

Sentii i suoi passi affrettarsi dietro di me ma finsi di non notarlo; mi afferrò per la vita e mi girò, arrestando la mia camminata spedita. Mi stavo cominciando ad agitare; mi morsi nuovamente il labbro inferiore e lui me lo catturò a sua volta, succhiandolo appena. Poi, ampliò il bacio.

« Penso che la discussione di ieri sia servita. Ti vedo diversa » mi disse ancora una volta. Sembrava felice. Una felicità che, mi resi conto, non riuscivo a lasciare andare. Tornare ad essere me stessa, con una pseudo-relazione come quella con Ron - che paragonato a Draco era sentimentalmente un bambino con la sfera emotiva di un cucchiaino – mi deprimeva. Mi resi conto che volevo far parte della vita di qualcuno come Astoria faceva parte di quella di Draco. Volevo che qualcuno mi facesse sentire così desiderata ogni giorno. Invidiai Astoria, m'invaghii di Draco. Tutto successe in un attimo e non me ne accorsi.

Mi allontanai rapida, varcai la soglia del dormitorio e, appena si chiuse il muro alle mie spalle, girai e sinistra e m'infilai in una strettoia. Continuai spedita, cercando di calmare i battiti e i respiri, passandomi ripetutamente le dita tremanti sulla bocca, calda e che sapeva ancora di lui. Sentivo che stavo per tornare normale, perciò mi tolsi la cravatta e l'appallottolai, stretta nel pugno destro.

Sulla lingua aveva ancora il suo sapore, nelle narici ancora il suo profumo. Salii in uno sgabuzzino, dove trovai Harry e Ron nella loro forma originaria, intenti a slegare i tre Serperverde ancora in parte assopiti. Esitai sulla figura di Astoria Greengrass; un morso di nervosismo mi prese allo stomaco.

« Allora? » fece Ron. Harry mi guardò.

« Niente di quello che speravo. Però ho capito che sta prendendo il posto del padre, che sta collaborando con i Mangiamorte. Ma nemmeno lui ne è troppo convinto. Di voler seguire questa strada, intendo » spiegai, dando intanto una mano a rimettere le cravatte ai colli di Theodore e Blaise, mentre Ron la rimetteva ad Astoria.

Li portammo di peso al piano inferiore, lasciandoli in posti diversi. Astoria su una panchina dietro le serre, dove l'avevamo trovata – poteva magari pensare di essersi appisolata, non ricordandosene. Theodore e Blaise in biblioteca – passammo con il mantello dell'invisibilità - chini e assopiti sui libri in un tavolo un po' appartato.

Ci ritirammo nel nostro dormitorio prima di cena, così raccontai loro tutto. Quando finii, rimasi a guardare il camino scoppiettante, persa nei miei pensieri, giocherellando con il mio labbro inferiore e rimurginando.

« Com'è stato... con te? » mi chiese d'un tratto Ron.

Mi voltai. « Cosa? » riemersi dai miei ricordi.

« Malfoy... ti ha toccata? »

« No. Abbiamo solo parlato » mentii. Mi sorpresi di volermi tenere quelle sensazioni per me, come un segreto importante.

« Meglio » borbottò tra sè e sè, tornando a voltarsi verso Harry.

A cena, in Sala Grande, mi resi conto che spesso osservavo Malfoy. Il suo sguardo era così diverso da quello che aveva avuto con me, da soli... o meglio, con Astoria. In quel momento era freddo e tagliente; in privato era caldo e sensuale.

Mi morsi il labbro inferiore ripensando al suo sapore. E Draco, come se l'avessi chiamato, intercettò il mio sguardo. Non riuscii subito a guardare altrove; lui esitò sulla mia figura e mi parve che la sua espressione mutasse verso un'inaspettata curiosità.



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Capitolo 2
*** E vicoli ciechi ***


Intro: grazie per le recensioni che mi avete lasciato! Vi lascio alla lettura del nuovo capitolo. A venerdì prossimo! Baci, Erin.




POLISUCCO

e vicoli ciechi




« Ci devi riprovare. »

Abbassai lo sguardo sulle mani giunte che tenevo poggiate sul ventre. Dischiusi la bocca per parlare e sbattei le palpebre.

« Io... non- »

« Hermione » continuò Remus Lupin con fare paterno, accovacciandosi davanti a me e poggiando le sue mani ruvide sopra le mie. Sobbalzai appena e ricambiai lo sguardo intenso. « So che ti stiamo chiedendo una cosa davvero, davvero ingiusta per la tua età. Ma sono tempi difficili... e tu sei la strega più brillante della tua età » sorrise incoraggiante, così sorrisi a mia volta.

Mi strinse i palmi attorno alle nocche sbiancate e tese; sollevai lo sguardo verso Harry, Ron, Tonks, il signore e la signora Weasley... non potevo deludere tutte quelle persone. Non potevo deludere l'Ordine e la Resistenza.

« Lo farò » dissi con voce appena udibile. Poi ci riprovai. « Lo farò. Contate su di me » assicurai.

Lupin si alzò, non curandosi di celare la sua felicità. D'altronde ero la loro chiave di volta dopo mesi e mesi di calma piatta, in cui era difficile reperire le informazioni e anticipare le mosse delle schiere oscure.

Tremai. Il freddo della Stamberga Strillante penetrava oltre il legno marcio della struttura e ti scavava le ossa. Deglutii. Mi chiusi i bottoni del cappotto fino al mento, mi alzai a mia volta e me ne andai, seguita dai passi incerti di Harry e Ron.

Uscimmo dalla base del Platano Picchiatore e una sferzata di vento gelido pieno di neve ci colpì; sentii Ron borbottare che gli mancava l'estate.

Era passata appena una settimana da quando mi ero trasformata in Astoria e da quel giorno, almeno un po', tutto era cambiato. La mia percezione delle cose, i miei pensieri, le mie paure. La mia risolutezza era svanita, portata via dalle ultime temperature miti di fine novembre. Non ero sinceramente riuscita a dimenticare il vuoto allo stomaco che avevo provato quando Malfoy mi aveva baciata e non avevo alcuna intenzione di ritrovarmi di nuovo in sua prossimità, tanto più di nuovo nei panni della Greengrass: avevo ardentemente sperato che non dovessi rifarlo, ma non potevo concedermi il lusso di dire di no, almeno non in quel momento delle nostre vite. Mi passai il dorso della mano sull'occhio destro, poi rapidamente sul sinistro, sperando che i miei amici non capissero che stavo piangendo. Se potevo aiutare l'Ordine della Fenice, dovevo farlo.

Infilai le dita ghiacciate in tasca, abbassando la testa per via del vento; camminammo nei giardini, superando le serre e il campo da Quidditch, fino al portone principale del Castello di Hogwarts.

Appena varcammo l'ingresso, quando mi tolsi il cappello e mi portai i capelli dietro le orecchie, Ron spintonò Harry e quest'ultimo mi si fece accanto.

« Sei sicura che te la senti? » mi chiese, come sputando via delle parole che avevano a lungo premuto contro i denti.

Annuii solamente. Così, Harry ci riprovò. « Non devi sentirti addosso tutta la responsabilità di questa faccenda. Non avevamo informazioni prima e ce la siamo cavati lo stesso. Possiamo dire che ci hai provato, ma non hai ottenuto niente » continuò, poggiandomi una mano sulla spalla.

Distolsi lo sguardo. « No Harry, devo farlo. Non dormirei più la notte » confessai. « Contano su di me. Posso scoprire di Malfoy e di tante cose facendolo crollare, facendolo confessare. Non posso tirarmi indietro proprio ora che le cose si fanno difficili » aggiunsi ritrovando una certa risolutezza, alzando gli occhi nei suoi.

Harry Potter mi scrutò a lungo, poi annuì. « Noi saremo in giro, non sarai sola. Nel castello c'è Silente, la McGranitt e, insomma, per qualsiasi cosa noi-»

Gli sorrisi. « Basta » dissi con voce affettuosa. « Basta preoccuparti per me. Ora sono una persona adulta, Harry. »

Lui strinse la mano sulla mia spalla. « Lo so. »

Rivolsi il mio sguardo anche a Ronald, col viso corrucciato, incapace di comunicarmi quello che pensava davvero. « Non stare in pensiero » gli dissi. « Non sto andando in guerra. Malfoy è solo uno stupido furetto » scherzai e lo vidi sorridere.

Ci fermammo a parlare sottovoce per decidere come e quando; io premevo per farlo subito, immediatamente, quella sera stessa. Via il dente, via il dolore. Avrei scritto un gufo a Malfoy dicendogli di vederci alla Torre di Astronomia dopo cena, così saremmo stati soli, e non avrei rischiato di affrontare eventuali compagni di Casa.

Presa la decisione, mi congedai da loro per dirigermi prima alla guferia - dove con un incantesimo contraffeci la calligrafia di Astoria e scrissi a Malfoy - poi al bagno di Mirtilla Malcontenta per recuperare la Polisucco che avevo nascosto dietro un pannello segreto. Loro, intanto, avrebbero neutralizzato Astoria Greengrass.

Il bagno era deserto; esitai, guardandomi intorno. Ticchettai con i mocassini di pelle sulle piastrelle lucide e avanzai verso l'ultima toilette. Ci entrai e mi chiusi dentro. Tolsi, con un incanto, il camuffamento che avevo lanciato alla porzione di muro dietro lo scarico; spostai due pietre e ne estrassi una bottiglia di vetro dal collo allungato e una sostanza verdognola all'interno. Piegai il naso in una smorfia di disgusto. Chiusi la tavoletta del gabinetto e mi ci sedetti sopra, rigirandomi la bottiglia tra le mani.

Ora o mai più. Dovevo farlo finché ero sicura di aver preso la decisione giusta. Cos'era che mi spaventava così tanto? Perché l'idea di trasformarmi di nuovo in Astoria mi fece tremare la mano con cui aprivo il tappo della Polisucco?

Versai il contenuto in una fialetta più piccola e nascosi tutto, nuovamente, nel mio anfratto segreto. Misi la fialetta dentro al mio mantello e ringraziai che, quel giorno, Mirtilla non fosse nel bagno a rigirarsi i pollici, aspettando il malcapitato di turno per traumatizzarlo con le sue improvvise apparizioni.

Uscii nel corriodoi e scesi di qualche piano per raggiungere Harry e Ron. Bussai quattro volte, con un preciso ritmo che avevamo stabilito, sulla parete dello sgabuzzino; Ron mi aprì.

« È appena crollata » mi disse. Mi avvicinai a lei, osservandola per un istante di troppo, poi mi ridestai e le tolsi la cravatta, il maglione e le scarpe, ovvero ciò che mi occorreva per modificare la divisa standard di Hogwarts e impersonare la Serpeverde.

Quando ebbi finito, tirai fuori la Polisucco dal mio mantello, piegato e nascosto insieme alle mie cose; le staccai un capello e lo immersi nel liquido nauseabondo. Senza guardare gli occhi di Harry e Ron, buttai giù tutto d'un fiato.

Attesi, strizzando gli occhi e deglutendo più volte per mandare via il sapore.

« Ci sei » fece Harry, indicando il mio volto. Mi osservai in un pezzo di vetro di uno specchio infranto.

« Vado » annunciai, imboccai l'uscita ma un braccio mi trattenne. Mi voltai ad osservai il volto di Ronald. « Stai attenta » mi disse. Gli sorrisi solamente, poi andai.

Guardai l'orologio a pendolo del corridoio del terzo piano: le nove. La mia ora era cominciata e scivolava già inesorabile verso la fine; mi sudavano le mani e mi sentivo le gambe inconsistenti.

Salii di qualche piano, presi le scale e mi diressi rapidamente alla Torre. La stanza circolare era adornata di cuscini, magiscopi, libri e cartine dell'universo; tutto illuminato solo dalla lieve luce della luna. Accesi qualche candela con la bacchetta, poi presi posto in un angolo appartato e attesi.

Furono i dieci minuti più lunghi della mia vita; speravo e temevo che Draco Malfoy non si presentasse. Poi, eccolo lì, sulla soglia della porta: la mano destra appoggiata sullo stipite, la camicia arrotolata fino ai gomiti – come se non sentisse freddo – il pantalone nero che gli fasciava le gambe atletiche, lo sguardo tagliente come la lama di una spada, i capelli così chiari da sembrare creati dal riflesso della luna.

« Sei arrivato » gli dissi.

Lui, all'inizio, non si mosse. Poi avanzò di qualche passo, scansando i cuscini che riempivano il pavimento, raggiungendomi. Restò in piedi a guardarmi, così dovetti sollevare il collo per incontrare le sue iridi.

« Non aspettavo un tuo messaggio » sussurrò.

Cercai di calarmi nella parte lasciando Hermione nei recessi della mia persona. « Volevo farti una sorpresa » dissi, più lasciva di quello che mi sarei aspettata.

Malfoy si accovacciò sulle gambe, poggiando gli avambracci sulle ginocchia, così i nostri volti furono alla stessa altezza.

« E... ti avevo promesso che ne avremmo riparlato con più calma di quelle cose » continuai, prendendo coraggio e allungando una mano sulla sua.

Draco sembrò trasalire, il volto contratto. « Quali cose? »

« Il discorso che abbiamo lasciato in sospeso la settimana scorsa. Voglio farti capire che per te ci sono. Che voglio ascoltare le tue preoccupazioni, provare ad aiutarti... » lasciai cadere la frase.

Lui osservò la mia mano poggiata sulla propria, poi l'afferrò e intrecciò le dita con le mie. Si sedette completamente, accanto a me.

« Non c'è niente che voglio condividere ad alta voce » confessò, sempre giocherellando con la mia mano e guardandola.

« Non puoi tenerti tutto dentro » lo incitai.

Ora che eravamo più vicini sentivo di nuovo quel profumo che mi aveva attirato tanto: una miscela di ambra e sandalo che cozzava con la sua figura algida, a cui avrei associato un profumo più agrumato. La fragranza che sentivo era invece calda, accogliente, invitante, seducente e portava con sè il fascino dell'oriente antico.

« L'ho sempre fatto » sorrise amaramente, guardandomi. Le sue iridi erano rese trasparenti dalla luce della luna che tagliava la stanza con i suoi raggi bianchi.

« Puoi provare a confidarti una volta e-»

« L'ho fatto, ma non è andata bene » la sua voce cambiò di tono. Divenne amara e il suo sguardo si assottigliò. Gli strinsi involontariamente la mano.

« Riprova con me » gli sussurrai. « Io voglio davvero starti accanto... »

Chi era che parlava adesso? Ero davvero così brava a recitare? O stavo provando un'assurda e irrazionale empatia per Draco Malfoy? Perché il desiderio di aiutarlo superava il desiderio di ottenere informazioni per l'Ordine?

Lo sentii ridere. Una risata appena accennata ma pungente come non mi sarei mai aspettata in quel momento. « Astoria... » mormorò. « Tu sì che mi conosci bene. »

Mi strinse la mano più forte, fino a farmi male. Non distolse lo sguardo dal mio e nemmeno io lo feci; ma dischiusi appena la bocca malcelando una fitta di dolore al polso.

« Draco... »

Con l'altra mano afferrò la sua bacchetta e me la puntò contro prima che potessi reagire.

« Incarceramus » soffiò.

Improvvisamente comparirono delle corde dai cuscini che mi tirarono all'indietro e mi bloccarono al pavimento, intrecciandosi lungo le mia gambe, braccia e perfino intorno al mio collo. Cominciai a respirare convulsamente, abbassando e alzando il seno in un ritmo crescente.

« Che diavolo-»

« Chi sei? » alzò il tono di voce, troneggiando sopra di me.

Sgranai gli occhi e lo fissai, incapace di dire qualsiasi cosa. Poi deglutii. « Draco, sono io, ma cosa dici, lasciami! » esclamai.

Malfoy aprì le gambe e mise i piedi attorno ai miei fianchi, poi si abbassò per guardarmi dritto negli occhi. « Dimmi chi sei e giuro che non ti crucio qui, all'istante » sibilò.

Deglutii ancora una volta. Come aveva fatto a capirlo? Cosa avevo sbagliato? Cosa era successo in quei rapidi istanti?

« Draco... non so di cosa stai parlando... ti prego, lasciami » provai; i miei occhi cominciarono a farsi lucidi mentre tentavo di dare degli strattoni alle corde con tutto il corpo.

« Vuoi sapere come ho fatto a scoprirlo? Io e Astoria abbiamo litigato tre giorni fa. E ci siamo lasciati. Ma, mi dicevo, poteva anche capitare che volesse vedermi da sola per parlare... » cominciò.

« Infatti – Draco, ti prego – io volevo solo parlare un po'... sono io, ti giuro » riprovai.

Lui sorrise divertito. « Ah... che bugiarda. O devo dire bugiardo? Dimmi chi sei! Eri tu anche la settimana scorsa, eh? Ho baciato te, invece che lei... che schifo! » disse, contraendo la mascella.

« Non capisco cosa stai dicendo, Draco! Lasciami andare e ti spiego tutto! »

Lui rise ancora una volta; una delle risate più crudeli che io avessi mai visto. « Credo che invece aspetterò che passi del tempo per vederti tornare normale... e scoprire chi sei. »

Si sollevò dal mio corpo e si diresse verso le candele, spegnendole una ad una con una calma impressionante. Mi sembrava di morire.

« Sai perché so che stai mentendo? »

« Io non sto mentendo... ti prego, ti prego Draco... » lo supplicai, ormai terrorizzata.

« Perché » continuò, muovendosi sinuoso per la stanza come un ragno che osservi il bozzolo ricoperto di saliva in cui ha avvolto la sua preda, « io ho parlato con Astoria, dopo quella volta in cui ho parlato con te. Mi sono confidato. Sai cosa le ho detto? » lasciò in sospeso. « Cosa ho detto ad Astoria, eh? Sentiamo. »

Mi interrogò, avvicinandosi di nuovo. Guardai la sua figura all'ombra della sera, nel silenzio immobile della stanza; si potevano percepire solo i miei respiri agitati.

« Che non vuoi fare il Mangiamorte » provai. Seria, consapevole, intuendo i suoi pensieri.

Draco si accigliò. Sbatté le palpebre e mi guardò stranito. « Come lo sai, tu- »

« Io sono Astoria » ripetei.

« No, non lo sei! » esclamò, visibilimente alterato. « E cosa, cosa mi avresti risposto quella volta? COSA? » ripetè.

Sgranai gli occhi. Cosa poteva aver risposto? D'altronde avevano litigato e si erano lasciati e ora eravamo a questo punto. « Che non ero d'accordo... » mormorai.

« Già » sorrise lui, amaramente. « Mi hai dato del pazzo! Uno senza spina dorsale, senza palle, senza virilità. Una femminuccia, una vergogna. »

« Draco, io... »

« Ed ora mi chiedi di confidarti i miei pensieri, che tu per me ci sarai sempre » proseguì, ignorando i miei tentativi di farlo calmare.

« E' vero, io... »

« E' invece no! Astoria è solo una lurida insensibile. Non mi ha mai amato e ha sempre pensato solo al mio cognome, ai miei soldi. Sarai anche brava a capirmi ma non sei lei... »

« Ti prego, io-»

« Sei troppo dolce per essere lei » mormorò, quasi tra sè e sè, prendendo a vagare per la stanza senza una meta.

Mi zittii. Osservai la schiena ampia e muscolosa coperta dal cotone sottile della camicia bianca; mi dava le spalle, le mani in tasca, la testa leggermente abbandonata verso il basso che scopriva la nuca lattea. Poi si voltò.

« Cosa volevi ottenere? A cosa ti servono certe informazioni? Sarai mica... del trio dei miracoli? » aggiunse, sgranando gli occhi.

Mi sorpresi a mia volta. « Draco, smettila! Io ci ho pensato, ecco perché sono tornata a parlarti. Per fare pace, per farti capire che per te ci sono sempre... » mi morsi il labbro con fare nervoso.

Lui mi osservò e sorrise. « Quel gesto mi fa impazzire. Ma lei non lo fa mai » mi disse.

Mi maledissi con tutta me stessa. Distolsi lo sguardo, sempre più convinta che da quella Torre non sarei uscita viva. Sentii i rintocchi delle dieci ripetersi inesorabili, risuonando come un'eco in tutto il castello. Chiusi gli occhi con forza, sapendo che stavo per tornare normale.

Non volli guardare. Non volli guardare l'espressione disgustata di Draco Malfoy mentre tornavo ad essere Hermione Granger. Non avrei sopportato di sentirmi così umiliata, così ridicolizzata. Ma stava accadendo e non potevo farci niente.

« Tu... » lo sentii dire e capii che la trasformazione era completa. Sentii il peso dei boccoli castani che mi ricaddero lungo le spalle; avvertii i miei piedi ridursi nelle scarpe due numeri più grandi delle mie.

Aprii le palpebre e lo osservai. Sapevo di avere gli occhi pieni di lacrime e lo sguardo atterrito come mai avrei sopportato di farmi vedere da lui.

« Lasciami... » mormorai con la voce rotta. « Fammi andare via, ti prego. »

« Cosa volevi? » sbottò, poi si avvicinò a me. Si abbassò sul mio corpo e mi afferrò per i capelli. « Cosa cazzo volevi da me? » mi strattonò.

« Io volevo » singhiozzai, poi cercai di riprendermi almeno in parte. L'orgoglio mi bruciava dentro terribilimente. « Io volevo solo aiutarti » dissi. E mi resi conto che non era, poi, una bugia così grande.

Mi osservò a lungo, allentando gradualmente la presa sui miei capelli. Fece scorrere le sue pupille nelle mie e i nostri respiri si adeguarono allo stesso ritmo. Dovette percepire la mia sincerità, ma ne fu visibilmente turbato. Sollevò la bacchetta e me la puntò contro.

« Diffindo » sussurrò.

Le corde si spezzarono in tantissimi pezzi e la pressione che esercitavano sul mio corpo svanì all'improvviso. Mi toccai le braccia e le gambe, mi massaggiai il collo. Sbattei le palpebre e trovai ancora i miei occhi umidi.

« Grazie » gli dissi, sollevandomi.

Ci osservammo per qualche istante, in piedi l'uno davanti all'altra. Non sapevo davvero perché mi avesse lasciato andare, se l'avevano convinto le mie parole o se aveva provato compassione per me. Lo osservavo in viso, mai completamente sereno e disteso come lo avevo visto quella volta al suo dormitorio; potevo leggerci dentro rabbia, risentimento, diffidenza ma anche curiosità.

Feci un passo, poi un altro, diretta all'uscita. Gli passai accanto e lui non si mosse neanche di un millimetro. Lo superai e affrettai i passi, fino alla porta; poi, corsi via.

Corsi disperatamente lungo il corridoio dell'ultimo piano, strappandomi via la cravatta e cercando di guardare oltre il muro di lacrime che occludeva i miei occhi.

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Capitolo 3
*** E idee drastiche ***


Intro: modifico queste poche righe specificando che questo non è l'ultimo cap. Ho riaperto la storia e la continuerò qui, a breve. Grazie per il vostro supporto, per avermi seguito e ispirato. Baci, Erin.




POLISUCCO

e idee drastiche



Mi fermai, appoggiandomi contro le fredde pietre che ricoprivano i muri del Castello di Hogwarts. Un orologio a pendolo segnava le dieci e quindici. Era da poco passato il coprifuoco e io dovevo affrettarmi a tornare allo stanzino dove Harry e Ron mi stavano aspettando.

Mi asciugai di nuovo le lacrime salate e ripresi a camminare, spedita, cercando di ritornare in me. Poi mi fermai. E se Astoria si era risvegliata? E se avevo compromesso anche loro con il mio ritardo?

Raggiunsi circospetta il luogo in cui li avevo lasciati; sbirciai dalla porta accostata, con il respiro che mi agitava i polmoni e un forte senso di nausea ad attanagliarmi la gola.

« Herm! Ma che diavolo! » aprì all'improvviso la porta Ronald. « Ma dov'eri finita? Abbiamo dovuto sistemare Astoria da soli ed era senza scarpe e cravatta e- »

Harry gli rifilò una gomitata; forse aveva notato i miei occhi lucidi, forse aveva semplicemente pensato al peggio. E in quel momento era proprio ciò che era accaduto.

« Ho fallito » mormorai, guardando negli occhi entrambi.

Ron sbiancò; si dovette appoggiare allo stipite della porta. « Vuoi-vuoi dire che ti ha riconosciuto? »

Annuii gravemente. Harry contrasse la fronte, consapevole, ma non disse nulla. Restai a torturarmi le mani in attesa di una soluzione che piovesse dal cielo.

« Dobbiamo andare alla stamberga e dirlo all'Ordine » disse infine Harry. Annuii, convinta anch'io che fosse l'unica cosa ragionevole.

Ci spostammo con il mantello dell'invisibilità, benché godessimo della protezione di alcuni professori; uscimmo nei giardini gelidi immersi nel buio e nel silenzio.

Davanti agli occhi severi e preoccupati di Remus Lupin, accorso di fretta per capire cosa era accaduto, non riuscii subito a parlare. Poi gli raccontai tutto. Mi aspettavo scenate sul fatto che ero stata irresponsabile, precipitosa, poco attenta; invece, mi chiese scusa.

« Ti abbiamo chiesto troppo, è colpa nostra. Stagli alla larga. Godrai, come sempre, della protezione di Hogwarts e non ti capiterà niente. Ma stagli alla larga » mi ribadì. Ci salutò affettuosamente e, di nuovo col mantello dell'invisibilità sulle spalle, tornammo al Castello e ci rintanammo nel nostro dormitorio.

Per me, i giorni a seguire, furono pesanti come macigni. Non ero capace di accettare un fallimento, non ne ero mai stata in grado. Quelle poche volte che avevo avuto qualche cedimento, nello studio e nella vita, avevo sempre ritentato per riuscire a ottenere il risultato sperato. Adesso, pur volendo trasgredire le istruzioni di Lupin, non potevo assolutamente riprendere le sembianze di Astoria né di qualche altro Serpeverde, perché Draco Malfoy non era stupido.

Era chiaro: l'avevo sottovalutato. Pensai e ripensai a quanto ero stata sciocca a non informarmi prima, per bene, su quale fosse la situazione tra loro dopo una settimana in cui avevo smesso di osservarli. Ero stata imprudente. Mi maledicevo perché avrei potuto aspettare, organizzarmi meglio; eppure ero sempre stata paziente e controllata. Perché mai ero stata così precipitosa?

Questi pensieri, purtroppo, non mi abbandonarono. La vista di Malfoy a lezione, in Sala Grande, durante le partite di Quidditch, nei corridoi, al club dei duellanti, mi riportava alla memoria il mio fallimento. Corrugavo la fronte, distoglievo lo sguardo e mi davo della cretina.

Per lo più studiavo, come avevo sempre fatto; ma ora, più di prima, passavo interi momenti liberi in Biblioteca, senza Harry e Ron, perché perfino i loro sguardi mi ricordavano l'umiliazione subita – benché fossero comprensivi e gentili con me. Nessuno dei due si era permesso di accusarmi né eravamo tornati sull'argomento; ma io sentivo che Harry aveva pensato, almeno una volta, che ero stata una sciocca.

Dicembre arrivò e così anche tanta neve, tanti compiti e tante gite ad Hogsmeade. Cominciarono anche le feste del Lumaclub a cui Lumacorno premeva affinché andassi, dopo che la prima volta non mi ero presentata. Perciò, dopo un mese dagli eventi, cominciai a perdonare me stessa e mi concessi il diritto di distrarmi e partecipare.

Indossai un abito rosso, mi passai attorno alle spalle una stola di lana e mi incamminai, ad un passo da Harry e Ginny che si tenevano vicini. In quel momento mi dispiacque che Ronald non ci fosse, mi sentii davvero di troppo; ma riflettei sul fatto che non c'erano altri motivi per cui volevo Ron accanto a me.

La festa era più piacevole di quello che mi sarei aspettata; l'ambiente era sereno, la musica non troppo alta, il cibo buono e le persone abbastanza selezionate. Dopo una mezz'ora e un calice di champagne, cominciai a sentirmi leggera.

« Levami le mani di dosso, lurido Magonò! » sentii all'improvviso dall'ingresso dalla sala. Molti studenti si affacciarono a sbirciare cosa stesse accadendo; poi, sentii un'altra voce.

« Professor Lumacorno, signore, ho appena trovato questo ragazzo nascosto in un corridoio di sopra » sputacchiò Gazza, trattenendo Draco Malfoy per la spalla della giacca. « Sostiene di essere stato invitato alla sua fest- »

« D'accordo d'accordo! Volevo imbucarmi, contento? » si trattonò via Draco.

Lo guardai attraverso le fessure lasciate tra i corpi dei presenti in sala; notai il suo sguardo truce, disgustato e rancoroso. Era vestito completamente di nero, con una giacca e un pantalone classico. I suoi capelli biondissimi riflettevano le luci aranciate dell'ambiente.

« L'accompagnerò io. Fuori » intervenne Piton con pesante flemma.

Vidi Malfoy deformare le sue labbra, se possibile, in un disgusto ancora maggiore. Ci fu un attimo di attesa in cui pareva che il giovane Serpeverde si volesse scagliare alla gola del neo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure.

« Certamente... professore » sibilò infine e si fece accompagnare fuori senza dire altro.

Lumacorno ruppe il silenzio con una risatina imbarazzata e invitò gli ospiti a riprendere la festa; la musica ripartì e dopo una prima esitazione tutti tornarono al buffet o parlare animatamente.

Approfittando della festa che aveva ripreso a scorrere, scivolai tra gli studenti diretta all'uscita; lentamente lasciai la sala e mi ritrovai nel corriodoio silenzioso e fiocamente illuminato. Sentii delle voci; mi tolsi le scarpe e le tenni nella mano sinistra, per evitare di fare rumore. Così, cercai di avvicinarmi alla sorgente del suono che sentivo e mi nascosi dietro una serie di colonne quando fui vicina.

Malfoy e Piton stavano discutendo con voce soffiata e denti stretti; sentii dire che Draco era stato scelto, che doveva farlo, che il Signore Oscuro credeva in lui, che era la sua occasione. Sentii di Piton e del voto infrangibile con cui doveva proteggere il suo pupillo.

Mi premetti una mano sulla bocca per fermare la sorpresa e la paura che mi stava attanagliando lo stomaco. Era quello che dovevo scoprire, fin dall'inizio; con quelle informazioni potevo riscattarmi. Provai un senso di soddisfazione misto ad un senso di angoscia ma anche preoccupazione: non tanto per quello che avevo scoperto in sé, quanto per la strada che Draco aveva scelto di intraprendere.

Appena possibile, riferii tutto a Harry e Ron e poi all'Ordine. Lupin era convinto che di Piton ci si poteva fidare, che il suo era un doppiogioco a nostro favore. Io non sapevo cosa credere; ma, nella mia mente, c'era un piccolo e immotivato spazio riempito dalla preoccupazione che nutrivo per Draco. Sentii il bisogno di aiutarlo, di nuovo. Un'emozione che non avrei dovuto provare, che non mi faceva bene e che non avrei mai potuto confessare a nessuno.

Passarono dei mesi, lenti e imprigriti dal freddo dell'inverno. Harry era spesso lontano da Hogwarts; ci dava solo informazioni a metà, circa dei viaggi che doveva intraprendere con Silente. Una volta avevo provato a chiedere di più ma pareva che anche Harry avesse idee confuse a riguardo del vero scopo di quei sopralluoghi.

Dal canto mio, cercavo di restare concentrata sulla vita del Castello e sui compiti. Mi isolavo più di prima perché avevo pensieri che mi tenevano sveglia la notte; mi sembrava di essere bloccata, inutile e impotente nei confronti di una cosa così importante.

E sapevo, sapevo benissimo che dovevo girare alla larga da Malfoy e dai suoi strani spostamenti ma non riuscivo; e non riuscivo nemmeno a confessare a me stessa il reale motivo.

Un giorno come altri, lo vidi scomparire nella stanza delle necessità e, prima che si chiudesse il passaggio, decisi di entrare. Me ne pentii un attimo dopo, quando gli istinti lasciarono spazio alla razionalità. Il respiro mi si fece affannoso e il cuore mi batté a ritmo forsennato, lo stomaco mi si svuotò e le gambe mi tremarono. Provai a muovermi nella moltitudine di oggetti e mobili che erano stati nascosti in quella stanza magica; intanto, sentivo la sua voce sottile e i suoi spostamenti ma non lo vedevo.

Mi spostai ancora e finalmente potei notarlo; armeggiava con una sorta di armadio stretto e alto, angolare. Lo vidi estrarre quello che pareva essere un uccellino morto; non potevo vedere la sua espressione perché era di spalle.

Urtai con il piede un piatto di ottone che oscillò e sbattè contro un candelabro; risuonò nel silenzio della stanza un rumore metallico.

Draco si voltò d'improvviso; afferrò la bacchetta e chiuse l'armadio, camminando e guardandosi intorno. Mi accucciai, maledicendomi. Lo vidi sparire dietro una libreria molto alta, stracolma di vecchi vasi e cofanetti; mi affacciai per capire se avevo via libera per cercare di andarmene.

« Mezzosangue » disse la sua voce alle mie spalle. Spostai la mano destra sulla bacchetta. « Non ci provare » disse ancora. « Solleva le mani. »

Deglutii. Sollevai lentamente i palmi. « Alzati e girati, lentamente » continuò. Obbedii, terrorizzata all'idea che, soli in quella stanza, avrebbe potuto uccidermi, nascondere il mio corpo in qualche anfratto e nessuno lo avrebbe mai saputo.

Mi sollevai e mi voltai, tenendo sempre le mani all'altezza delle spalle, puntando finalmente i miei occhi nei suoi. Erano passati mesi dall'ultima volta che ci eravamo trovati in quella situazione.

« Mi ero persa » dissi senza troppa convinzione. Infatti, lui rise.

« Mezzosangue... » cantilenò. « Stai cercando di morire a tutti i costi, eh? Proprio non vuoi prenderlo questo diploma. »

Corrugai la fronte ma non distolsi lo sguardo dal suo: freddo come un temporale invernale. La linea del suo naso era dritta, severa, quasi in contrasto con la bocca appena carnosa e rosata; le spalle ampie erano fasciate da un maglione nero a collo alto, appena arrotolato sugli avambracci che lasciava intravedere il marchio che, fino a qualche mese prima, non aveva. La mano destra, diafana e affusolata, teneva la bacchetta tra le dita, con la punta che indicava pericolosamente il mio sterno.

Tentai il tutto per tutto; se voleva uccidermi, l'avrebbe fatto comunque. « Cosa stai facendo qui? »

Lui si accigliò. « Ti aspetti davvero che te lo dica? »

Mi morsi il labbro inferiore e lui sbatté le palpebre, per un attimo come distratto. « Non volevi diventare un mangiamorte... » riprovai.

« Le intenzioni cambiano a seconda degli eventi » rispose glaciale.

« E cosa ti ha fatto cambiare idea? »

Draco sorrise amaramente. « Tu, mezzosangue. Tu e la tua stupidità. »

Mi accalorai. « Io? Io che ho cercato in tutti i modi di farti capire che era la scelta sbagliata? » sbottai.

« Da quella storia ho capito che non potrò mai decidere. Blaise, Theodore... e Astoria, gente come loro non prevede che possa dire no al Signore Oscuro. Così come i miei » fece una smorfia di dolore e chiuse per un attimo gli occhi, distendendo la schiena. « E' il naturale flusso delle cose che- »

« Tu puoi decidere, Draco. Tu puoi. Puoi farlo! » ripetei con decisione. « La scenata di Astoria, le parole dei tuoi amici o della tua famiglia non sono la legge a cui devi sottostare. Tu non appartieni a loro, appartieni solo a te stesso! »

La mano di Malfoy tremò. Sembrò volersi abbassare ma, dopo un istante, lui la riportò alta; stavolta puntava al mio viso.

« Cosa ne puoi sapere tu? » disse con rabbia. « Tu con la tua bella vita, con i tuoi amichetti! Senza problemi, senza responsabilità! »

« Anch'io ho i miei problemi! Anch'io ho le mie responsabilità! Anch'io ho scelto e perso, sono stata sconfitta ma mi rialzo sempre e continuo a combattere! » gli dissi. Le braccia mi dolevano e presero a vibrare per la tensione.

« Tu non sai niente, Mezzosangue. Non sai niente della mia vita! » esclamò. « Non sai niente di me! »

« Io voglio aiutarti! Fidati di me, vieni con me » dissi, facendo un passo verso di lui.

Draco distese il braccio e strinse le dita attorno alla bacchetta scura.

« Posso aiutarti. Draco, io-»

« Stupeficium! »

Venni sbalzata lontano da lui e caddi contro degli oggetti, perdendo i sensi.

Mi risvegliai dopo non so quanto. Ero ricoperta di polvere e mi doleva la testa; dovetti aiutarmi, sorreggendomi ad una sedia, per rimettermi in piedi. Mi spazzolai i vestiti e lasciai la Stanza delle Necessità.

Mi aveva colpito con così tanta forza e rabbia che ero svenuta all'istante; fremevo di risentimento e l'orgoglio mi bruciava nelle vene come fuoco. Mi decisi, in quel momento, che non lo avrei più aiutato. Che aveva definitivamente scelto e che io non potevo farci più niente.



Harry mancava da tre giorni e di lui non avevamo alcuna notizia. Era cominciata la stagione delle piogge, il cielo era sempre scuro e tutto sempre umido. Ronald era diventato taciturno e depresso; Ginny parlava solo di Harry e ci chiedeva in continuazione quando l'avrebbe rivisto. Odiavo non sapere cosa stesse accadendo.

Poi, un giorno più scuro di altri, provai un fortissimo senso di irrequietezza. Non riuscivo a stare seduta sulla sedia, come se la Biblioteca mi sembrasse troppo piccola, troppo angusta.

Incontrai Ron nei giardini, appena uscito dagli allenamenti di Quidditch di quel pomeriggio. Sentimmo dei rumori appena udibili provenire dalla Torre di Astronomia. Sollevai lo sguardo oltre le spalle di Ron e vidi un uomo precipitare dalla balaustra esterna.

In un attimo fu a terra.

Mi portai le mani alla bocca. Ron si voltò e vide quel corpo, riverso, lontano centinaia di metri da noi.

« Che diamine- »

« E' appena caduto... mi sembrava, mi sembrava... » biasciai tra le dita, cominciando a tremare.

« Andiamo a vedere? » mi chiese Ron in un sussurro. Annuii.

Ci incamminammo verso il Castello finché non vidi uscire Piton, quella che mi pareva Bellatrix Lestrange e altre figure scure dalla base dell'edificio. A seguire, Harry con la bacchetta sguainata.

Gridava, ma non riuscivo a capire cosa. Volarono incantesimi ma tutto si concluse in un attimo: il gruppo si smaterializzò e sparì nel nulla; Harry cadde sulle ginocchia, solo.

Mi affrettai per raggiungerlo. Ron mi stette dietro e, quando fummo abbastanza vicini, cominciammo a chiamarlo.

Harry si voltò; il volto rigato da lacrime, il corpo scosso da fremiti. Si girò, indicando il corpo riverso ai piedi dei muri di Hogwarts che adesso riconoscevo distintamente come quello di Albus Silente.

« L'ha... l'ha ucciso! »

« Chi l'ha ucciso? Chi, Harry? » cercai i suoi occhi.

« Piton! Piton l'ha ucciso! »

In quel momento uscì un'altra sagoma dal buio dell'ingresso principale. Draco Malfoy arrancava zoppicando e perdeva sangue dalla tempia destra. Quando Harry lo vide, si alzò e ci si scagliò contro.

« Tu! Lurido, schifoso mangiamorte! » lo afferrò per il maglione, mentre Malfoy restava inerme con gli occhi quasi assenti.

« Harry! » esclamai.

Lui si voltò a guardarmi. « Era con loro, erano d'accordo! Ha cercato di uccidere Silente! » mi spiegò rabbioso.

« Non l'ho ucciso, però » mormorò Draco.

Harry lo guardò con rabbia, senza lasciare la presa. « L'hai disarmato, l'hai reso indifeso... »

« Ho combattuto con mia zia e con quel lurido di Piton per non farlo! E per non andare con loro! Sono rimasto qui, ad affrontare ciò che mi merito! Perciò uccidimi, Potter! Tanto non mi aspetta niente, da nessuna parte » esclamò, perdendo vigore nelle ultime parole.

Harry lo fissò con una malvagità che mai gli avevo visto negli occhi; gli andai vicino e lo scostai con decisione. Lasciò il maglione di Draco che fece qualche passo indietro barcollando.

Ron andò al fianco di Harry e così tutti e tre guardammo Malfoy. Non seppi dire se Harry pensò seriamente di ucciderlo; di sbarazzarsi di lui diventando giustiziere e carnefice, vendicandosi e seguendo l'istinto di quel momento. Ma non lo fece. E nemmeno Draco sollevò mai la bacchetta. Restammo a guardarci per qualche istante.

Non avevo ben capito cosa era successo; potevo vedere solo il corpo di Silente immobile, percepivo la rabbia del mio migliore amico e guardavo negli occhi un ragazzo a cui non importava più nulla della propria vita.

Feci un passo verso Draco, poi un altro; lui indietreggiò, spaventato da me. Poi cercò i miei occhi, facendo scorrere furiosamente le pupille nelle mie, cercando qualcosa che sapevo bene.

« Vuoi aiutarmi? »

Annuii. Distesi le braccia e lentamente le portai attorno al suo torace; quando lo circondai del tutto, in quello che sembrava un semplice abbraccio, lui cedette appena sulle gambe e si appoggiò, stanco, su di me. Le sue labbra si ritrovarono all'altezza del mio orecchio.

« Allora portami con te » sussurrò.

Ci pensai su meno di quello che avrei dovuto. Mi feci inebriare dal suo calore e dal profumo d'ambra, dalla verità che avevo letto nei suoi occhi. Mi voltai appena verso Harry e Ron.

« Ci vediamo davanti al quartier generale » dissi. E con Draco Malfoy tra le braccia mi smaterializzai e apparsi, dopo pochi istanti, davanti Grimmauld Place n°12.




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Capitolo 4
*** E svolte incerte ***


Intro: eccomi con un nuovo capitolo. Ho deciso, come potete leggere dalle precedenti premesse (che ho editato) di continuare qui la ff. Vi consiglio una canzone che ascolto mentre scrivo di Draco e che a parer mio rispecchia molto il suo stato d'animo al momento (capirete perché anche leggendo il capitolo): Chop Suey dei System of a Down. Più avanti ve ne indicherò altre se vi piace l'idea! Vi lascio alla lettura. Fatemi sapere cosa ne pensate ^-^




POLISUCCO

e svolte incerte



Il silenzio e l'umido della sera che avvolgeva Grimmauld Place mi colpì in pieno viso. Sbattei la palpebre, cadendo pesantemente con le piante sull'asfalto; cedetti appena sulle ginocchia con il peso addosso di Draco Malfoy.

Lui cercò di rimettersi in piedi, guardandosi intorno stranito e confuso. Le sue dita strinsero la stoffa del mio maglione all'altezza dei fianchi, come ancorandosi, seppur la sua attenzione fosse rivolta alle sue spalle. Lì si erano appena smaterializzati Harry e Ron.

Guardai il mio migliore amico e dischiusi le labbra, la fronte contratta nella mia decisione. « Dovevo » risposi alla sua tacita domanda.

Harry Potter camminò verso di me e mi spinse sulla clavicola destra, continuando ad avanzare, così mi separai da Malfoy e feci qualche passo indietro per non cadere.

« Tu sei un'irresponsabile! Ma cosa ti dice la testa? Portarlo qui... » indicò, senza guardarlo, il palazzo in cui il numero dodici era celato.

« Harry io... tu devi capire! Malfoy ha solo noi adesso! » dissi concitata.

Vidi Draco, con la coda dell'occhio, fissarmi con attenzione; Ronald, invece, squadrava il suo nemico giurato con confusione mista a palese rabbia.

« Insomma, ha scelto di non uccidere Silente! » proseguii.

« Non pronunciare quel nome, con il suo corpo ancora caldo riverso su un prato che-»

« Harry! » fermai quel fiume di parole, mettendogli le mani intorno al viso. « Lo so che sei sconvolto. No, guardami. Lo so. » Feci una pausa, stringendo le mani sui suoi zigomi. « Anch'io non posso crederci. Ma cosa avrei dovuto fare? »

« Malfoy non merita di essere salvato... » sibilò.

« Questo lo decideremo tutti noi » intervenne una voce profonda e adulta.

Entrambi ci voltammo a guardare Remus Lupin con accanto Malocchio Moody. « Entriamo dentro, adesso » disse l'ultimo.

Camminando nel corridoio cupo del quartier generale della Resistenza, avevo davanti a me la schiena di Draco, ampia e muscolosa, spezzata dai movimenti incerti della gamba destra che ogni tanto cedeva.

Non ero certa di aver fatto la scelta giusta; le parole di Harry su ciò che avrebbe meritato Malfoy mi avevano stranito. Potevo mettere una pietra su tutto ciò che era stato Draco nei nostri confronti, in quegli anni? Mentre riflettevo, mi resi anche conto che non lo avrei mai lasciato lì, da solo, con lo sguardo perso e vuoto, con gli occhi freddi come pezzi di vetro. Perciò, in parte, avevo comunque preso la decisione che avevo avvertito subito come giusta. Come morale. Mi venne un'irrazionale voglia di allungare una mano, poggiare il palmo sui suoi dorsali e fargli sentire il mio calore, ma mi trattenni.

Arrivammo nella stanza più grande e ci aprimmo intorno al tavolo sotto gli occhi degli altri presenti, tra cui il signor Weasley e Nymphadora Tonks.

Lupin poggiò una mano sulla spalla di Draco e accompagnò il gesto per farlo sedere.

Tonks guardò stranita il compagno. « E' il figlio dei Malfoy? Prendiamo anche prigionieri, adesso? »

Lupin scosse la testa. « Sembra essere venuto qui di sua spontanea volontà. »

Il signor Wealsey affiancò il figlio e gli strinse le spalle con un gesto d'affetto. « Stai bene? » Ron annuì.

« Silente è morto » annunciò Harry, « Malfoy l'ha disarmato e Piton l'ha ucciso! » esclamò. Tonks si portò una mano alla bocca e guardò nuovamente Remus.

« Avevi detto che potevamo fidarci di lui! Avevi detto che Silente si fidava di lui! » gridò ancora Harry, con gli occhi pieni di lacrime.

Lupin crollò su una sedia, confuso, passandosi le mani tra i capelli. Poi saettò i suoi occhi chiari su Draco Malfoy.

« Parla » fece.

Draco si strinse la stoffa dei pantaloni tra le dita. « Il signore Oscuro ha chiesto a me di farlo... potevo portare onore alla mia famiglia. Ma comunque, se mi fossi rifiutato, ci avrebbe ucciso. » Fece una pausa, senza guardare nessuno. « Piton mi proteggeva, a suo modo. Credo addirittura con un voto infrangibile. Ma, alla fine dei conti, non ce l'ho fatta. Sono... scappato. »

« Ha combattuto contro Bellatrix e Piton ed è rimasto al Castello » intervenni, sporgendomi sul tavolo.

Malfoy mi guardò. « Sì, insomma... Non ho un posto dove andare. E non so se i miei sono ancora vivi, attualmente » disse con limpidezza, con voce pacata come se stesse parlando di qualcosa che non gli apparteneva. Proprio per questo, mi parve di notare la vacuità dei suoi occhi.

« Io non mi fido » sentenziò Harry, incrociando le braccia al petto. « Non lo voglio qui. »

Lupin scosse la testa e si alzò in piedi. « Mi occuperò di fare chiarezza in questa vicenda. Intanto, il ragazzo resta qui » disse. Guardò brevemente il resto dei presenti che annuirono.

« Come puoi? Come potete?! »

« Harry » lo bloccò Lupin, fissandolo negli occhi verdi della madre. « Ora siamo tutti sconvolti ma prendere decisioni senza aver chiara tutta la vicenda non è da me. Malfoy resta qui e poi si decide con calma cosa fare. »

Harry lasciò la stanza e Ron, senza dire una parola, si affrettò a raggiungerlo. Calò un silenzio grave sul tavolo spoglio del soggiorno.

« Hermione » mi guardò Lupin. « Mi sembri, come sempre, la più ragionevole. Trovi dei vestiti vecchi di Sirius nella stanza dove hai dormito l'ultima volta. Dalli al giovane Malfoy » poi si rivolse agli altri e li guardò con serietà. « Convochiamo tutti per una riunione straordinaria. »

Capii che dovevo lasciare il soggiorno. Feci cenno a Draco che si alzò senza dire nulla e mi seguì fuori. Salimmo al piano di sopra, verso le camere da letto; entrai in quella dove c'erano due letti a castello e mi diressi all'armadio ampio e scuro appoggiato alla parete in fondo. Dal cassetto tirai fuori un pantalone e una t-shirt blu navy che mi parvero potessero andare a Draco. Glieli porsi e gli indicai il bagno. Tirai fuori dalla mia borsa del dittamo e lo poggiai sugli indumenti che teneva piegati sulle braccia.

« Sulla tempia e sulla ferita della gamba » gli dissi. Lui annuì. Si voltò e sparì oltre la porta. Restai qualche istante interdetta, come dispiaciuta di non aver sentito da lui delle parole – qualsiasi parola, invece che il silenzio. Poi sentii il rumore della chiave nella toppa e feci due passi indietro, andandomene.

Mi distesi sul materasso di sotto del letto a castello, addossato al muro a destra; in quel momento entrarono Harry e Ron. Senza dire nulla, presero posto sulla struttura letto a sinistra, il primo sopra e il secondo sotto. Harry aprì una copia della Gazzetta del Profeta e accese una debole luce; Ron prese a sfogliare delle foto in movimento dell'ultima vacanza che aveva fatto con la famiglia, in Egitto.

« Avete intenzione di tornare a parlarmi, prima o poi? » dissi.

Harry abbassò la Gazzetta per guardarmi. « Forse » fece con un tono di voce meno duro di quello che mi sarei aspettata. Ron si voltò verso di me. « Herm io stanotte non dormo con quella serpe qua dentro » si lamentò.

Mi venne da sorridere. « Diamogli una possibilità. Lui la sta dando a noi. »

Harry si mise a sedere. « No, la cosa non è vicendevole. Noi la stiamo dando a lui. »

« Harry... in un attimo ha perso tutto. I genitori, gli amici, il futuro-»

Mi voltai improvvisamente, rendendomi conto che sulla soglia della porta c'era Draco Malfoy. Aveva indossato i vestiti che un tempo erano stati di Sirius e quando Harry se ne accorse, spense la sua luce e si voltò dall'altra parte. Ron fece lo stesso, dandogli le spalle e accovacciandosi con il cuscino tra le gambe.

La luce affianco al mio comodino era accesa. Gli feci un sorriso per dirgli di avanzare.

Draco poggiò il dittamo su una mensola, insieme ai suoi vecchi abiti strappati e macchiati di sangue; guardò il letto sopra il mio.

« Dormo lì? »

Io annuii. Lui imboccò la scala prima che potessi dirgli qualcosa. Vidi le sue gambe scomparire, il materasso muoversi fino a fermarsi del tutto; poi fu come se sopra non ci fosse nessuno.

Restai ad osservare la rete di metallo sopra di me, chiedendomi se e cosa potessi fare per farlo stare meglio. Sembrava l'ombra di se stesso e io non riuscivo a smettere di pensarci.


Il mattino seguente uscirono tutti per andare al funerale di Silente perciò restammo in casa solo noi tre e Draco. Harry camminava avanti e dietro con frenesia, biascicando a denti stretti che avrebbe dovuto essere ad Hogwarts anche lui e che se era bloccato lì era solo colpa di Malfoy. Ronald mangiava, assente, giocando con le briciole rimaste nel piatto; aveva trovato una vecchia rivista di scope magiche e la stava sfogliando con poca attenzione.

Io ero appollaiata sotto la finestra, con un cuscino dietro la schiena, a leggere un vecchio libro di erbologia della biblioteca di casa Black; ma i miei occhi si spostavano dalle righe della stessa pagina al punto in cui avevo visto sparire Draco da mezz'ora.

Avevo un viscerale bisogno di parlare con lui, trattenuto troppo a lungo; perciò chiusi il libro e mi alzai, diretta nella sala accanto. La trovai vuota. Svoltai nel corridoio e mi affacciai in cucina, nel soggiorno, negli stanzini, nei bagni aperti; imboccai le scale e raggiunsi il secondo piano: le camere da letto erano vuote. Sentii poi dei rumori in mansarda; salii la scala a chiocciola che portava in una camera dal tetto basso, piena di vecchio mobilio coperto da teli bianchi, polvere e puzza di muffa.

Malfoy teneva un coccio di vetro affilato tra le dita e i polsi perdevano sangue; gli occhi erano rossi e cerchiati da quella che sembrava una notte insonne. Lacrime ormai vecchie avevano lasciato solchi umidi sulle guance. I capelli, biondo burro, stavano scomposti ad incorniciare un viso così bello quanto pallido. E quel sangue, che scendeva dai polsi sulle ginocchia e gli inzuppava perfino il pantalone, che gli lambiva le caviglie appena scoperte e bagnava i piedi nudi e affusolati – quel sangue, era ovunque.

Mi fiondai su di lui. Gli strinsi i polsi per fermare l'emorragia e Draco sbatté gli occhi, tornando cosciente. Le sue pupille nerissime scorrevano furiose nelle mie, ostacolate dalle palpebre che cadevano pesanti per riappropriarsi completamente dei suoi occhi.

« Fermati » mi sussurrò.

Mugugnai di no e mi accorsi che stavo piangendo. Con le mani piene di sangue gli diedi dei colpetti sulle guance per non farlo riaddormentare, me le passai sul viso per scostarmi i capelli e sentii subito il sapore ferroso che ormai aveva sporcato anche me.

Mi alzai barcollando ma, decisa, corsi al piano di sotto; afferrai il dittamo sulla mensola della nostra camera e scappai, inciampando e cercando di vedere oltre le lacrime, per raggiungerlo di nuovo.

Stappai la bottiglia con le mani che tremavano, gliela versai sui polsi e mi strappai dei lembi dalla maglia, arrotolandoli intorno alle sue ferite.

« Fermati » mi ripeté con voce appena udibile.

« No... no... » mormorai, continuando a fasciare i tagli. Sapevo che il dittamo aveva effetto immediato ma quei solchi erano così profondi che temevo si potessero irrazionalmente riaprire e portarlo alla morte.

Mi alzai di nuovo, corsi ancora al piano di sotto e afferrai la mia borsa, cercandovi dentro frettolosamente una pozione ricostituente che portavo sempre con me. La trovai dopo poco e tornai sopra, concitata, accovacciandomi davanti a lui e portandogliela alle bocca.

Draco mi fissava con le sue pozze gelide prive di espressione; sembravano scavarmi dentro e oltrepassarmi, tanto che esitai. Poi gli dilatai le labbra con le mie dita e gli feci bere la pozione contro la sua – debole – volontà.

Tossì e io rimasi seduta lì accanto, aspettando di veder tornare un minimo di colorito sul suo viso.

« Sei tutta sporca di sangue » mi disse dopo poco, riaprendo gli occhi.

« Come ti senti? »

« …meglio. »

« Perché l'hai fatto? » gli domandai.

Draco distolse lo sguardo. Si mise meglio a sedere e sembrò avesse recuperato parte delle forze. « Sono troppo vigliacco per questa vita » mi rispose, guardando il vetro rotto ancora pieno del suo sangue.

« Nessuno è pronto a quello che stiamo affrontando. Ma lo facciamo » gli dissi.

« Tu sei sempre stata forte » disse in un fievole sorriso. Mi guardò. « Ti ho sempre preso in giro e tu non ti sei mai piegata. Ti ho sempre ammirato. »

Dischiusi appena le labbra. Mi passai nervosamente le dita tra i capelli e li sistemai dietro le orecchie. « Io non sono così forte come credi. »

« Oh sì » continuò lui. « La più forte dei tre. L'ho sempre pensato » mi disse. « Perfino con me, perfino con i tuoi nemici sei forte. Vai sempre avanti a testa alta. »

« Perché mi dici queste cose? »

Lui esitò. Si toccò le fasciature che gli avevo fatto e contrasse appena la sopracciglia arcuate. « Perché so che senza di te non sarei qui, adesso. Però non so se merito di vivere » mi confessò.

« Se la pensi così, fai qualcosa per meritarlo. Uccidersi è smettere di combattere » gli dissi.

Draco mi guardò. « Sei la migliore di noi. » Esitò. « Perciò ti ho sempre odiato. »

Strinse le labbra carnose in una fitta di dolore. Si passò le mani tra i capelli per toglierli dagli occhi e si appoggiò ad un mobile per alzarsi. Non lo aiutai ma non lo persi di vista nemmeno un attimo.

Quando fu in piedi, mi alzai a mia volta. Lui cominciò a muoversi e io lo affiancai, restandogli vicina ma senza mai toccarlo. Si appoggiò al passamano della scala a chiocciola e scese al piano inferiore, dirigendosi alla camera che dividevamo. Salì sul letto a castello e si distese con un sospiro di sollievo.

« Non devi starmi sempre intorno. Non ci riproverò » disse togliendosi le bende. Osservai i suoi polsi sporchi ma chiusi. « E mettiti una maglia nuova, ti si vede perfino l'ombelico » aggiunse.

Mi voltai all'istante. Mi passai i polpastrelli sull'addome accorgendomi che la t-shirt strappata si fermava appena sotto lo sterno. « Vado a prenderti qualcosa da mangiare in cucina. »

« Non voglio niente » sentii dire alla sua voce, ma ero già uscita.

Passai dal bagno per togliermi il sangue dalla faccia e cambiarmi maglia; non riuscivo a decidere se avrei dovuto dirlo ad Harry e Ron.

In cucina trovai i miei amici pressoché nella stessa posizione: Ron aveva smesso di mangiare ma si era appisolato con la testa sulla rivista. Harry si rigirava una sfera di legno tra le mani, la lanciava e la riafferrava; sembrava perso nei suoi pensieri.

Afferrai nella dispensa del pane e della frutta secca; nessuno dei due mi prestò attenzione perciò colsi la palla al balzo. Tornai al piano di sopra ma notai che Draco si era addormentato.

Poggiai il cibo sul comodino e mi avvicinai lentamente al bordo del letto alto. I suoi capelli erano sparsi sul cuscino e gli lambivano le sopracciglia, chiare eppur espressive; gli occhi chiusi erano affusolati, le labbra appoggiate l'una contro l'altra e la mascella contratta. Strinse appena il centro della fronte su quello che parve un pensiero negativo. La t-shirt di cotone che indossava era sottile e si appoggiava sugli addominali definiti e asciutti di anni di Quidditch; le vene risaltavano sui suoi avambracci e scendevano lungo i polsi e il dorso delle mani grandi, fino alle dita lunghe. I lembi di stoffa della mia maglietta stavano sparsi attorno, macchiati di sangue ormai quasi marroncino, ma le incisioni che si era procurato non c'erano più.

Voltò improvvisamente la testa nella mia direzione, sempre premuta contro il cuscino; spalancò i suoi occhi freddi. Notai nuovamente delle leggere occhiaie ombreggiargli di grigio la pelle candida.

« Non volevo svegliarti » sussurrai. « Ma se vuoi mangiare c'è qualcosa sul comodino » gli dissi.

Presi un libro in un gesto meccanico e, senza la reale intenzione di leggere, mi stesi sul mio letto, incrociando le gambe una sull'altra.

Dopo qualche attimo vidi i suoi piedi scendere dalla scaletta e finsi di non guardare; si avvicinò al comodino e mangiò due datteri e un po' di pane.

« Non mi piace essere in debito » disse ad un certo punto.

Spostai gli occhi su di lui e abbassai il libro sulla pancia. « Non sei in debito con me » chiarii.

Lui alzò appena le sopracciglia. « Granger, non sono un tuo problema. Mettitelo bene in testa. »

Guardai le punte dei miei piedi. « Questo lo so... » dissi, non troppo convinta.

« No, non lo sai. Ti comporti come se-» si interruppe bruscamente senza finire la frase.

Mi morsi il labbro inferiore, poi mi misi a sedere sul bordo del letto e lo guardai. « Sei tu che mi hai chiesto di aiutarti! Ed io-»

« L'hai fatto! » esclamò Draco, facendo un passo. « L'hai fatto. Ora basta. Troverò il modo di andare avanti da solo, come ho sempre fatto. »

Mi alzai, facendo un passo verso di lui. « Tentando di suicidarti? »

« Non sono affari tuoi cosa farò della mia vita » disse a denti stretti.

« No, certo, ma non ti farai del male davanti a me. Non resterò a guardare... è una cosa che non puoi chiedermi di fare » spiegai accalorata.

« Voi Grifondoro e la bontà d'animo... » mi canzonò appena, guardando verso la finestra.

Strinsi i pugni lungo il corpo. « Sei sempre stato così odioso » mormorai.

Draco mi guardò. « Infatti. Meglio se mi tolgo da torno, no? »

Scossi la testa. « Imbecille » biascicai, mi risedetti sul letto e presi a tormentarmi le dita.

« Ti sei divertita a baciarmi? »

Divenni paonazza. Dischiusi le labbra e cercai di prendere ossigeno ma era come se qualcuno me lo impedisse fisicamente. « Io, io non-»

« Cosa? » m'incitò, cercando i miei occhi e tenendoli incatenati ai suoi. Era come un magnete, nonostante fossimo distanti.

« Non potevo fare diversamente » dissi.

Draco mi sorrise, guardandomi da sotto le sopracciglia arcuate. « Certo. »

« Cancelliamo quei momenti, ti spiace? Ora dovremmo stare molto insieme e non voglio che... insomma, non voglio parlarne più » m'impuntai, alzandomi e dandogli le spalle, fingendo di sistemare il mio letto.

« Fin dall'inizio... volevi davvero aiutarmi? »

La sua voce mi arrivò quasi insicura, ma non lo vedevo. Esitai. « Non del tutto. Ma sì » deglutii, « volevo aiutarti al di là della missione. D'altronde ho fatto tutto questo per-»

Mi voltai e mi bloccai quando vidi i suoi occhi lucidi di lacrime. « Non mi piace essere in debito » ripeté, poi andò via. Io mi lasciai cadere seduta sul letto, pensierosa, confusa, stanca e incerta. E stranita dal desiderio che avevo di abbracciarlo.

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Capitolo 5
*** E doppi giochi ***


Intro: rieccomi qui! Grazie mille per il tempo che dedicate alla mia storia, recensendola (mi fate venir voglia di scrivere un altro capitolo immediatamente quando leggo le vostre parole *-*) e semplicemente leggendola. Voglio condividere con voi un'immagine che ho creato qualche tempo fa per questa fanfiction, dato che l'ho inserita su wattpad e lì mi chiedeva di aggiungere una copertina:




POLISUCCO

e doppi giochi



« Siamo tornati. »

Sentii la voce di Tonks all'ingresso di Casa Black e mi affrettai a scendere le scale, incrociando un altrettanto impaziente Harry. Ci scambiammo una rapida occhiata, poi Ron cadde dal divano del salone con un tonfo netto. « Miseriaccia, è notte fonda! » fece.

« E allora? » chiese sbrigativo Harry.

Lupin alzò appena le spalle. « C'erano moltissimi maghi e magonò. E' stata una cerimonia sentita e no, purtroppo non abbiamo scoperto niente di rilevante. Se ora mi permettete... » alzò lo sguardo e distese la fronte. « Draco » disse, così ci voltammo verso le scale.

Malfoy era in piedi, incerto, incuriosito, meno debole di quella mattina e con un'espressione più cosciente.

« Proprio te cercavo. Vorrei parlarti » continuò Lupin.

Malocchio Moody, che chiudeva la fila, scosse la testa e si avviò verso il soggiorno borbottando, precisamente verso il mobile dei liquori. Nymphadora si stava massaggiando la nuca e sussurrò a Remus che si sarebbe avviata in camera da letto. Restammo perciò, nel giro di qualche istante, solo noi.

« Di cosa vuole parlarmi, professore? »

« Non sono più il tuo professore da anni. Va bene Remus. »

Draco esitò. « Remus » si corresse.

« Mettiamoci comodi » fece cenno verso la sala da pranzo e Harry intercettò il suo sguardo. « Potete assistere, sì » rispose alla sua tacita domanda.

Seguii Draco con lo sguardo, fin quando mi passò davanti e varcò per primo la soglia della stanza; fui l'ultima ad entrare e mi chiusi la porta alle spalle.

La sala da pranzo era immersa nel silenzio; intorno al tavolo lungo erano disposte ordinatamente le sedie e un vaso con dei tulipani balzava all'occhio per la freschezza che donava a quell'ambiente vecchio. Dei mobili alti erano addossati lungo le pareti, pieni di servizi da the, tovaglie, candelabri e calici di cristallo in disuso. Il lampadario che cadeva dal soffitto, proprio al centro della stanza, era acceso per metà.

Dato che la stanza non aveva finestre, il fresco piacevole di quella notte di Giugno non arrivava fin lì; c'era, invece, un caldo fastidioso che mi fece slacciare un bottone della camicetta. Presi posto a qualche sedia di distanza da Draco, vicino a Ron, mentre Harry restò in piedi.

« Bene » esordì Lupin guardando Draco. « A me e all'Ordine è venuta un'idea per farti guadagnare la permanenza qui dentro e la nostra protezione » disse.

Vidi Malfoy irrigidirsi. Il volto gli divenne profondo come se lo attraversassero milioni di pensieri e contemporaneamente il nulla. I suoi occhi limpidi furono coperti un solo istante dalle palpebre, poi alzò il mento nella direzione di Lupin affinché proseguisse.

« E so che ti sto per chiedere una cosa non adatta ai tuoi sedici anni né minimamente corretta, in generale. Ma siamo in guerra o, almeno, alle porte di essa. Si cresce in fretta. Si deve crescere in fretta: non possiamo fare sconti a nessuno, tanto meno a noi stessi. »

Draco annuì. « Lo capisco. »

Sia io che Harry che Ronald respiravamo silenziosamente per non perderci nemmeno un attimo di ciò che Lupin stava per dire. Personalmente, non sapevo cosa aspettarmi.

« È passato poco più di un giorno da ciò che è accaduto al Castello di Hogwarts, perciò mi pare il momento adatto per agire. Dovrai tornare a casa tua e incontrare il Signore Oscuro. »

Draco sgranò gli occhi chiari; ci lessi dentro lo stupore e la paura di dover affrontare qualcosa da cui era a fatica scappato.

« Perché...? »

« Sarai la nostra spia » spiegò senza giri di parole Lupin.

Harry fece scattare le sue iridi verdi sull'uomo; il capo di Ron s'inclinò a sinistra, incredulo. Io concentrai la mia attenzione su Draco: il suo sguardo era diventato stretto e consapevole, come di chi non ha bisogno di altre parole per capire cosa fare.

« Non potrai dire a nessuno, nessuno – nemmeno ai tuoi genitori - che fai il doppio gioco per noi. Meglio, dovrai fargli credere che fai il doppio gioco per favorire loro: dovranno credere che dopo il fallimento con Silente, tu abbia deciso di infiltrarti qui per farti ben volere dall'Ordine della Fenice e per passare informazioni a loro. Invece sono a noi che arriveranno certe informazioni. Mi segui? »

Draco, con mia grande sorpresa, annuì. Harry scattò in piedi.

« Questo significa fidarsi di lui! Non sappiamo cosa farà se lo rimandiamo indietro, non sappiamo da che parte starà davvero! »

« Harry » lo interruppe Lupin con un gesto della mano. « Lascia fare a me. »

Il mio amico lo guardò con incredulità. Cercò la complicità di Ronald.

« Remus, anch'io non credo sia una buona idea » disse quest'ultimo.

« Draco, tu te la senti? » domandai senza rendermene conto. Avevo ignorato tutti per guardare solo lui.

Malfoy spostò la sua attenzione su di me e mi guardò per qualche attimo. Mi morsi il labbro inferiore rendendomi conto di aver parlato a sproposito.

« Posso farlo » disse solamente.

Lupin, leggermente sollevato, annuì. « Concorderai con me tutte le informazioni che dovrai dare ai Mangiamorte riguardo noi e il nostro Quartier Generale. Opererai sotto copertura probabilmente per tutta la vita o – ci si augura – fino alla fine della guerra. Sii credibile, non lasciar trapelare emozioni che possano tradirti. E non fidarti di nessuno » concluse sottolineando particolarmente l'ultima frase.

« Queste cose le ho imparate da piccolo » fece Draco con un leggero sorriso.

« Noi ti proteggeremo. E proteggeremo anche la tua famiglia, nei limiti di ciò che ci è possibile e nei limiti di quanto loro si faranno aiutare » fece capire Lupin.

Malfoy annuì ancora una volta. Harry si avviò alla porta e lasciò la stanza senza dire nulla. Poco dopo, Ron lo seguì. Strinsi la mano in un pugno e sentii le unghie pungermi il palmo: non sopportavo la loro ostinazione.

« I ragazzi si abitueranno presto a te » si scusò l'ex professore.

« Non è fondamentale » mormorò Draco. « Mi piace la discrezione e il silenzio e da solo sto benissimo. »

« Meglio, perché il mestiere della spia è duro e solitario » disse Lupin, che sapevo essere spia a sua volta tra i lupi mannari.

« Quando dovrei cominciare? »

Mi voltai a guardarlo; mi preoccupava pensare a quella rapida decisione di agire per conto dell'Ordine con un tentativo di suicidio così recente.

« Quanto prima, altrimenti la copertura salta. Se sei convinto, passo a spiegarti tutti i particolari. »

Restai a sentire tutto, seduta a qualche sedia da Draco, mentre Lupin gesticolava e camminava avanti e dietro attorno al capotavola. A Malfoy spiegò, tra l'altro, che ai Mangiamorte doveva comunicare che il nostro Quartier Generale si trovava a Mallow street 7°, celato da opportune magie anti-localizzazione; che eravamo in pochi a farne parte, tra cui Lupin, Malocchio e qualche affiliato che nemmeno lui era riuscito a conoscere – non doveva menzionare la presenza di noi ragazzi; doveva anche dire che per adesso lo tenevano sotto osservazione, perciò non sapeva ancora molto altro.

« Da te vorremmo sapere tutto ciò che di rilevante riesci a scoprire. Ed anche, e ovviamente, eventuali attacchi, mirati a cose e persone, che tentiamo di sventare ogni giorno ma che non riusciamo a prevedere. Ritornerai qui appena potrai staccarti senza destare sospetto: dovrai smaterializzarti nel finto luogo del Quartier Generale e poi attuare una seconda smaterializzazione, controllando di non essere seguito. Altrimenti, se impossibilitato a tornare, ci scriverai via gufo ogni qualvolta entrerai in possesso di informazioni utili » concluse.

Draco si scrisse le finte informazioni su un foglietto che infilò nella tasca dei pantaloni, poi si alzò e si passò una mano tra i capelli chiari.

« Mi muovo subito, allora » disse a Lupin e lui annuì.

Uscì dalla stanza riservandomi un'occhiata rapida; lasciò la porta socchiusa e io attesi i suoi passi allontanarsi prima di avvicinarmi a Remus. Stava per raggiungerlo quando lo fermai.

« Malfoy ha... tentato di uccidersi. Tagliandosi... le vene dei polsi » sussurrai, con pause che non riuscii ad evitare, perché quasi mi mancarono le parole.

Lupin dilatò le palpebre. Io annuii, gravemente.

« L'ho fermato giusto in tempo. Ho ripulito tutto con un Gratta e Netta perché non so se voglio dirlo ad Harry e Ron. Non so quanto gli farebbe bene venire a conoscenza di questa sua debolezza » spiegai rapida, guardandomi di tanto in tanto alle spalle. « Però voglio che, almeno tu, lo sappia. Io credo che in Draco ci sia molto di più di un ragazzo viziato che non è riuscito ad uccidere Silente per semplice paura » aggiunsi. « Credo che » feci una pausa, deglutendo e soppesando le parole, « credo che sia sinceramente pentito, che non voglia percorrere la strada del padre, che però pensi che non ci sia altro per lui. Questa opportunità che gli date, probabilmente, è la spinta che adesso gli serve per capire che c'è altro che può fare. »

Lupin mi poggiò una mano sulla spalla e mi sorrise. « Stai tranquilla. Se la caverà. »

Sollevai lo sguardo, confusa dalla sua frase; mi aspettavo che mi avrebbe detto tutt'altro, soprattutto riguardo Malfoy. Ma, forse, Lupin aveva inteso qualcosa che io ancora non avevo afferrato del tutto. Incerta, annuii.

Lo aiutai, perciò, a preparare le cose per la partenza di Draco. Sarebbe partito l'indomani all'alba, dicendo ai genitori che si era staccato dal gruppo della Resistenza momentaneamente e che voleva parlare con il Signore Oscuro per metterlo a conoscenza di ciò che aveva saputo su di noi.

Quando tutto fu pronto erano le due di notte e mancavano appena quattro ore all'alba; il mio sonno era svanito del tutto, perciò scesi nel salone a sinistra e mi accoccolai su una poltrona accanto al camino spento. Fuori pioveva e la temperatura era scesa, piacevolmente, di qualche grado.

Mi passai i polpastrelli sulle labbra, pensierosa, immersa in vecchi e nuovi ricordi e con addosso una sensazione d'ansia e preoccupazione che non avrei dovuto sentire.

« Nemmeno tu riesci a dormire » sentii dire alla mia destra e vidi Draco. La sua non era una domanda, ma una costatazione. Era scalzo e come sempre silenzioso, tanto che non avevo avvertito la sua presenza.

« Ho mal di testa e sto aspettando che la medicina faccia effetto » mentii, per non dover dire che il sonno l'avevo perso anche – soprattuttosolamente – a causa sua. In realtà, mentivo maledettamente a me stessa.

Draco avanzò nel salone e si lasciò cadere sul divano scuro, facendo roteare il collo e socchiudendo gli occhi.

« Come ti senti? » gli domandai.

« Non più agitato di un compito in classe di Pozioni » mi fece lui.

Mi ritrovai a sorridere, ripensando ai giorni quasi spensierati che ci eravamo lasciati alle spalle al Castello.

« Ti preoccupa rivedere i tuoi genitori? Tua zia? E Piton? » chiesi.

Lui scosse la testa. « Mi preoccupa solo rivedere mia madre. Gli altri li ignorerò come sempre e li farò parlare finché non se ne sentiranno compiaciuti. »

Ignorai i vari riferimenti. « Perché tua madre? »

« Perché è l'unica di cui m'importa e l'unica che non vorrei ferire mai. Sarà dura mentirle » confessò.

Mi morsi il labbro inferiore, pensando alla sua difficile situazione. Non avevo mai fatto la spia ma sapevo, dai racconti di Lupin, essere una cosa terribile, che metteva a dura prova i tuoi nervi e la tua forza d'animo. Temevo che Draco non fosse pronto ma sapevo che quella era la spinta che gli serviva.

« Come fai a tremare a fine Giugno? » mi domandò, guardandomi le gambe. Notai, effettivamente, che le ginocchia vibravano appena.

« Non ho freddo » diedi voce ai miei pensieri, mentre avrei fatto meglio a starmene zitta e trovare una coperta. Non era il freddo che mi faceva tremare: era una strana e angosciosa adrenalina a cui non riuscivo a dare un nome.

« E allora perché tremi? »

« Stanchezza » mi limitai a dire, evitando di guardarlo.

Calò il silenzio per qualche attimo; mi appoggiai allo schienale della poltrona con la guancia, guardando le foto in movimento sopra il bordo del camino. Mi rannicchiai maggiormente, stringendomi le gambe contro il seno e avvolgendole con le braccia; le mie dita sfiorarono le caviglie nude.

« Tu cosa pensavi di fare dopo Hogwarts? » mi domandò la sua voce. Mi voltai a guardarlo.

« Il Medimago. Inizialmente avevo pensato all'Auror ma in realtà non sono una da prima linea » spiegai.

« Quindi hai l'indole da crocerossina » mi prese in giro con un sorriso.

« No, non è vero » aggrottai le sopracciglia.

« Non aiuteresti chiunque, se in pericolo? »

Non sapevo cosa rispondere, ma dovevo rispondere di sì. « Sì, aiuterei chiunque. »

« Allora ho ragione » mi disse.

Io feci spallucce. « Però devono meritarlo. Non aiuterei qualcuno che so farebbe del male una volta in forma. »

« Come sapevi di poterti fidare di me? »

Sapevo che sarebbe arrivata quella domanda. « Be', lo sentivo. »

« E' una risposta debole » sussurrò.

Deglutii e mi sistemai meglio sulla poltrona. Mi aggiustai i capelli dietro le orecchie e guardai Draco negli occhi di vetro plumbeo con cui mi teneva agganciata; sentii le guance imporporarsi e deglutii di nuovo. « Non si possono spiegare i sentimenti » sussurrai. Ecco, mi ero sbilanciata. Complimenti, davvero.

« La razionale e precisa So-tutto-io che prende una decisione senza pensare, seguendo l'istinto » commentò lui, ironico.

« A volte mi capita » commentai, distogliendo lo sguardo dalla sua figura.

Si alzò improvvisamente, spiegandosi la stoffa del pantalone; lo guardai con una sorpresa che non riuscii subito a nascondere: mi resi conto che temevo il momento della sua partenza.

Mi alzai in piedi a mia volta, senza riflettere, lasciando le braccia distese lungo il corpo. Trattenni il respiro, come in procinto di fare qualcosa. Draco mi guardò, la fronte appena contratta.

Nessuno dei due disse nulla. Io avrei voluto dirgli moltissime cose eppure non sapevo bene cosa, nel dettaglio, avrebbe detto la mia voce se l'avessi lasciata parlare. Lo vidi, infine, stringere i pugni e voltarsi, lasciando la stanza e sparendo dalla mia vista. Mi lasciai ricadere sulla poltrona dopo aver a lungo fissato il vuoto.



Mi risvegliai sulla poltrona con dei rumori proveniente dall'ingresso, che vedevo tagliato dallo spiraglio dell'arcata della porta. Vidi Lupin accompagnare Draco alla soglia e parlare sottovoce con fare paterno. In uno stato ancora di dormiveglia, non lo persi di vista nemmeno per un istante ma lui non mi guardò mai. La porta d'ingresso si richiuse e Lupin si passò le mani tra i capelli con aria stanca, emettendo un sonoro respiro. Fu allora che notò che ero sveglia.

« Facciamo un bel the caldo, poi ho delle cose importanti da dire a voi tre » mi disse, poi sparì in cucina. Rimasi acciambellata per qualche istante con già, sotto la pelle, la strana e immotivata mancanza che sentivo per Draco Malfoy.

In cucina, Tonks stava servendo la colazione che Moody stava opportunamente correggendo con del rum. Mi ero abituata a vedere, ormai, loro tre fare soggiorno fisso al Quartier Generale quando c'eravamo noi; il professore Lumacorno, i signori Weasley e amici e conoscenti dell'Ordine facevano capolino solo sporadicamente o erano a loro volta contatto per altri nuclei di Resistenza; si tendeva, comunque, a non affollare mai la base per dare l'idea di essere dislocati il più possibile e scongiurare attacchi mirati a farci fuori in un'unica soluzione.

Nymphadora, seppur a prima vista lo si escludeva, aveva una fare materno che tirava fuori in occasioni come quella; gli sorrisi quando mi versò il the e lei mi scompigliò i capelli.

« Devo obbligatoriamente aggiornarvi sulle ultime, importanti, notizie che l'Ordine ha ottenuto. Non ho potuto esprimermi prima per via del giovane Malfoy » disse Lupin. Bevve un sorso di succo d'ananas, poi proseguì. « Silente era già molto malato dopo che una maledizione l'aveva contagiato; pare durante una recente missione alla ricerca di un Horcrux » guardò Harry, che annuì consapevole. « Perciò, la sua morte è stata orchestrata da lui stesso. »

« Cosa? » scattò il mio amico con le mani sul tavolo.

Ron si accigliò, guardando Lupin. « Perché avrebbe scelto di farsi uccidere? » domandò.

« Perché gli restava davvero poco da vivere e ha usato questa occasione perché sapeva benissimo che Voldemort aveva incaricato Draco di ucciderlo. E sapeva che, probabilmente, il ragazzo non l'avrebbe fatto. O almeno, ci sperava. »

Guardai Harry, il cui viso era divenuto pallido. Questo rimescolava le carte in gioco.

« Ha chiesto perciò a Severus di farlo. Di ucciderlo, qualora Draco avesse fatto un passo indietro. Questo avrebbe garantito al vostro professore la fiducia completa di Voldemort per continuare a sabotarlo dell'interno. Perché, vedete, Piton è sempre stato dalla nostra parte. »

Passarono degli attimi di silenzio consapevole. Nella mia mente passai in rassegna rapidamente, come in un vortice impazzito, le situazioni in cui avevo dubitato di Piton.

« Perché a Malfoy non abbiamo detto che c'è già una spia? » domandò Harry. Lo guardai, felice che fosse stato lui a porre quella domanda.

« Perché voglio che non sappia di essere controllato. Voglio che pensi che sia solo, per testarlo e capire se possiamo fidarci. Severus ovviamente lo terrà d'occhio e ci dirà se è stato leale nei nostri confronti » spiegò Remus.

Mi sentii sollevata a sapere che il professor Piton era dalla nostra parte: non riuscivo a capire, completamente, se potevamo fidarci di lui a pieno ma mi rinfrancava l'idea che Draco avesse qualcuno che vegliava su di lui.

Ci congedammo e il resto della giornata passò priva di impegni particolari. Malocchio dovette allontanarsi, insieme a Lupin, per dei servizi di marginale importanza. Tonks restò a Grimmauld place e chiese il mio aiuto per preparare della polisucco e della pozione ricostituente, due intrugli di cui si faceva grande uso nelle file della Resistenza.

Fui contenta di tenermi impegnata; ma non riuscii completamente a smettere di pensare a Draco e di essere preoccupata per lui.

A cena vennero anche il signor Weasley e suo figlio Bill che portarono pane, formaggio e prosciutto; si bevve Burrobirra e Idromele e, sul tardi, Whisky Incendiario. Ma io mangiai poco e non bevvi altro che acqua. Avevo lo stomaco contratto in una fastidiosa morsa.

Quando la porta d'ingresso si aprii, mi alzai di scatto e feci qualche passo; la signora Weasley si tolse l'impermeabile zuppo di pioggia e mi sorrise, così le sorrisi di rimando e tornai a sedere. Mi sentii così stupida e vulnerabile.

Passarono delle ore che mi videro impegnata a leggere un manuale di architettura babbana che non m'interessava per niente; pian piano, tutti andarono a dormire e restarono svegli solo Lupin ed Harry. Quest'ultimo mi venne incontro e si sedette sul divano al mio fianco.

« Remus mi ha detto ciò che ha fatto Malfoy » sussurrò. Lo guardai in attesa. « Mi dispiace, pensavo fosse più superficiale » aggiunse.

Sorrisi appena. « Non lo conosciamo affatto, in fondo. »

« Già » mormorò Harry. « Lo dirò anche a Ron. Magari, forse, una possibilità provo a dargliela. Voglio solo capire cosa ci dirà Piton riguardo il suo comportamento come spia. »

In quel momento, un gufo planò in corrispondenza delle nostre finestre e una lettera scivolò oltre il bordo della fessura apposta nella porta d'ingresso, poggiandosi sul tappeto interno di Casa Black. Harry si alzò a controllare ma fu Lupin a chiarire ogni dubbio.

« Verde Smeraldo è Severus. Vediamo che notizie ci porta » disse. Aprì la busta e lesse velocemente. Con un sorriso la consegnò nelle mani di Harry e guardò me. « Pare che il giovane Malfoy abbia fatto un ottimo lavoro. »


Nervi saldi, carisma immutato, credibilità intatta.

Il filo si è riavvolto al gomitolo, possiamo procedere.


Nonostante le criptiche informazioni, era chiaro a cosa volesse alludere il professor Piton. Sorrisi a mia volta a Lupin e avvertii un senso di rilassamento che mi ricordò le poche ore di sonno che aveva il mio corpo.

Salii in camera e mi poggiai sul letto; ascoltai le chiacchiere di Harry e Ron a cui non partecipai attivamente. Ronald fu messo a conoscenza del tentativo di suicidio di Draco e delle buone notizie che portava la scarna missiva; riparlarono a lungo di Piton e di ciò che aveva fatto e faceva per l'Ordine della Fenice. E, prima che me ne rendessi conto, scivolai nel sonno.

Quando riaprii gli occhi, mi parvero passati appena cinque minuti ma l'orologio sul comodino segnava le tre di notte.

La figura di Draco, illuminata debolmente dalla luce della luna, era in piedi nella camera; si era appena tolto la camicia e stava a torso nudo. Si levò le scarpe e fece per slacciarsi la cintura. Quando mi vide, si fermò. Non m'importava tanto di averlo visto quasi nudo; o meglio, quel fattore passò subito in secondo piano quando notai le cicatrici che decoravano fittamente la sua schiena ampia.

Sollevai il capo dal cuscino e mi poggiai sul gomito destro. « Chi te l'ha fatte? » soffiai.

Draco mi guardò cupo. Si riallacciò la cintura e afferrò il pigiama dalla sedia accanto a cui si stava spogliando. « Mio padre » disse solo dopo qualche attimo.

Sparì dalla camera da letto per qualche istante; quando tornò era vestito per la notte. Salì sul letto sopra il mio senza dire niente, così mi feci coraggio a parlare per prima.

« Perché... le cicatrici? »

« Perché lo deludevo » disse la sua voce.

Mi si contrasse lo stomaco per la rabbia. « E' una cosa troppo crudele. »

« Sono vecchie. E poi ne ho viste di peggio » sussurrò.

Rabbrividii. E mi trattenni dall'indagare ancora: avrei voluto chiedergli tutto della sua vita; avrei parlato con lui per ore. Avrei voluto ridurre quella poca distanza che ci divideva, salire la scaletta di metallo, accoccolarmi accanto a lui e fargli sentire che c'ero. Un pensiero impensabile.

« Com'è stato rivedere tua madre? »

« Non facile. »

« Riesci a stare contro di lei? »

« E'... complicato. »

« In questo momento odii tutti a parte lei, vero? »

« Basta domande, adesso » disse con voce stanca. Mi resi conto che lo stavo spremendo troppo e che, sicuramente, aveva passato una giornata terribile e pesante. Avrei rimandato al giorno dopo le mie curiosità.

« Certo » mi scusai.

Mi voltai sul fianco e mi accoccolai contro il cuscino, cullandomi appena e cercando calore dalle coperte.

« Non ti odio, Granger » lo sentii dire dopo poco ma non risposi, fingendo di essermi addormentata.







***



piccola nota: sono in dubbio se scrivere anche dal punto di vista di Draco (questo capitolo ma anche quelli a venire). Preferireste leggere gli eventi che lo riguardano (quando è solo) dal suo punto di vista o, proseguendo la narrazione, far sì che lui li racconti successivamente all'Ordine e ad Hermione? Fatemi sapere ^-^ Baci!




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Capitolo 6
*** E preoccupazioni impensabili ***


Intro: per la vostra gioia, eccomi con un altro cap ad appena qualche giorno dal precedente! Devo essere sincera, le idee ce l'ho e anche la voglia di scrivere, ma sono soprattutto le vostre recensioni a motivarmi ^-^ spero che anche questo capitolo vi piaccia! Fatemi sapere :) vi mando un bacione!




POLISUCCO

e preoccupazioni impensabili



Mi svegliai tardi; me ne accorsi perché la camera era vuota. Tutti erano già scesi, perfino Ronald. Avvertii dei rumori provenire dalla cucina e così misi i piedi nudi per terra, indossai le infradito e imboccai le scale, con indosso i miei pantaloncini con t-shirt abbinata rosso borgogna, che componevano il mio pigiama.

Mi affacciai nella sala da pranzo, trovando numerose persone a fare colazione. Esitai sulla soglia, finché non mi passò qualcuno accanto; la pelle del suo braccio sfiorò la mia, le sue dita scivolarono sulla stoffa del mio pantaloncino e il suo profumo di ambra e sandalo mi avvolse le narici. Draco si voltò a guardarmi sopra la spalla per un attimo, ancora a contatto con me, per via dello spazio stretto della porta. Poi mi superò e prese posto.

« Ora che ci siamo tutti direi che possiamo cominciare una riunione ampliata » disse Lupin, alludendo visibilmente a noi ragazzi.

Avvolti in abiti comodi o per casa, gli ospiti di Casa Black quella mattina erano Tonks, Moody, i signori Weasley, Kingsley, il professore Lumacorno e Bill Weasley.

Presi posto accanto a Draco, perché le altre sedie erano occupate. Mentre improvvisamente appariva una ricca colazione, per via di una magia del professor Lumacorno, Lupin fece cenno a Draco. « Raccontaci di ieri » gli disse.

Draco sollevò appena il capo. « Sì... Mi sono smaterializzato prima nel finto luogo del Quartier Generale, poi a Malfoy Manor » cominciò. « Sono andato dritto da mio padre e gli ho detto tutto ciò che avevamo concordato: che l'attacco a mia zia e Piton era stato fatto di proposito quando mi ero accorto di aver fallito nell'uccidere Silente. Gli ho detto che, in quel momento, ho ragionato, pensando a come evitare che il Signore Oscuro uccidesse noi Malfoy. Allora ho preso la decisione di fingere di ribellarmi e attaccarli, per guadagnare la fiducia dell'Ordine e poter essere utile ai Mangiamorte dall'interno della Resistenza. Mio padre ci ha creduto: mi ha detto che sono un vigliacco ma che la mia astuzia mi salva » abbassò appena il capo, sorridendo amaramente. Gli guardai le dita lunghe giocherellare con un nastro di seta nero. « Mio padre ha organizzato subito un incontro con Voldemort; è venuto a Malfoy Manor con mia zia, Piton e Greyback. Ho detto a lui le stesse cose, specificando che ho cercato un modo per compiacerlo, per servirlo; credo di essere stato convincente. » Fece una pausa, guardando Lupin. « Voldemort ha detto che sono sotto esame, che ancora non sa se può fidarsi di me ma che la furbizia è una dote che apprezza se ben canalizzata. Che, se sarò in grado di portare a termine il mio compito qui con voi, la mia famiglia vivrà. Perciò mi ha rispedito subito qui: vuole che scopra i vostri piani a breve termine e vorrebbe soprattutto sapere dove si trova Potter in questo momento » concluse, incrociando gli occhi di Harry proprio davanti a lui, dall'altra parte del tavolo.

Lupin congiunse le mani davanti alla bocca, appoggiandosi leggermente contro. « Bene, siamo sulla buona strada. Quando dovrai tornare da loro? »

« Appena so qualcosa di rilevante. »

« Sembra quello che gli abbiamo detto noi... » borbottò Ron, dando un morso al suo cornetto alla confettura di ciliegie.

« Bene, bene » ripeté Lupin. Guardò i presenti e la consapevolezza che era scesa su quel tavolo. « Prima di tornare ad occuparci di eventi spiacevoli e pesanti, godiamoci questa bella colazione » disse in un sorriso, stringendo sul tavolo la mano a Tonks.

Facemmo colazione parlando di leggerezze, quasi come se ci trovassimo al tavolo dei Grifondoro un giorno qualsiasi dell'anno scolastico; l'unico piuttosto silenzioso fu Malfoy.

Quando lasciammo la sala da pranzo, cercai i suoi occhi; quando s'intrecciarono ai miei, mi mossi indietro di un passo e, sempre guardandolo, mi spostai nel corridoio verso la piccola biblioteca della casa.

Draco indossava degli abiti sportivi: il pantalone di un tuta grigia e delle scarpe di tela, con sopra una t-shirt color bosco. Ipotizzai che avesse preso – in maniera nascosta – quello che gli serviva prima di tornare da noi.

Camminando lentamente, voltavo il capo sopra la spalla per sincerarmi che mi stesse seguendo; le sue braccia toniche e definite stavano ai lati del corpo e le sue mani erano nascoste nelle tasche. Il suo sguardo era assottigliato e le sue labbra piegate appena in una smorfia di interdizione.

Quando fummo nella biblioteca, chiusi lentamente la porta e mi poggiai con la schiena contro di essa. L'ambiente era raccolto e intimo; l'odore di polvere e carta riempiva la sala. Un'ampia finestra illuminava l'ambiente, avvolta da una pesante tenda color crema che aveva visto tempi migliori. Per terra, tre tappeti persiani coprivano il parquet rovinato, tanto che quasi non si vedeva; c'erano anche un divanetto, due poltrone singole, un pouf e una scrivania. Le pareti, invece, erano ricolme di libri fino al soffitto, con una scaletta addossata contro gli scaffali che permetteva di raggiungere i piani più alti quando non si aveva la bacchetta a portata di mano per esercitare un wingardium leviosa.

« Perché siamo qui? » mi domandò la sua voce piena e bassa, mentre la luce del giorno filtrava attraverso i suoi capelli e le sue iridi.

Mi morsi appena il labbro inferiore. « Perché voglio sapere com'è andata con tua madre, com'è stato per te tornare lì, affrontare tuo padre... insomma, io-» mi fermai, dischiudendo le labbra ma guardandomi i piedi nudi che poggiavano sulla gomma nera delle infradito. « Io vorrei sapere come stai » aggiunsi, sollevando lo sguardo e incrociando il suo.

Draco appoggiò il fondoschiena ad uno scaffale dietro di sé, mantenendo le mani in tasca; guardò la pila di libri polverosa che stava sulla scrivania in disuso.

« Granger, sono vivo. Sto bene » mi rispose.

« Non intendo fisicamente » lo incalzai.

Lui tornò a guardarmi. « Mia madre ha pianto quando mi ha visto. Mi ha detto che il Signore Oscuro ha minacciato di ucciderli se non mi fossi ripresentato a chiedere perdono; ma temo che ci avrebbe uccisi tutti comunque se non avessi detto quelle cose, facendogli credere che per lui ho ancora una qualche utilità. Ma siamo sul filo del rasoio – perciò, Granger, per adesso sto bene » mi disse con voce atona.

Mi spostai dalla porta e mi diressi verso di lui. Draco seguì i miei movimenti finché non incrociai le mani davanti il mio inguine e mi fermai a pochi passi da lui.

Volevo davvero, e tanto intensamente, toccarlo. Sentire il suo corpo contro il mio, riprovare quella sensazione adrenalinica che si era impadronita di me quando mi aveva baciato sotto polisucco.

« Non devi essermi amica a tutti i costi. Te l'ho detto, non sono un tuo problema » mi disse Draco, facendo scorrere le sue pupille nelle mie.

« Io voglio esserti amica, non mi sento obbligata ad esserlo » feci.

Lui annuì, abbassando appena il mento. Si sfilò la mano sinistra dalla tasca e, tra le dita, vidi il nastro di seta nera con cui giocava poco prima. Lo vidi sorridere appena.

« Non so perché l'ho fatto, ma non è nulla » mormorò prima di porgermelo.

Allungai la mano e le mie dita sfiorarono quella stoffa delicata e lucida larga appena due centimetri; mi accorsi solo allora che al centro non c'era una linea decorativa che lo percorreva da un'estremità all'altra, ma delle parole intarsiate, senza spazi e con uno stile raffinato ed elegante.

« E' una magia di protezione; è scritto in arabo, l'ho preso in un viaggio che feci qualche anno fa. Vorrei che lo usassi per legarti i capelli » mi disse.

Me lo rigirai tra i polpastrelli e prima che Draco potesse aggiungere altro, gli passai le mani intorno al torace e mi strinsi a lui. Le sue braccia restarono sospese; sentii il suo cuore accelerare e il suo profumo intenso invadermi la testa.

Le sue dita percorsero il dorso della mia pelle finché non trovarono le mie mani; le staccarono delicatamente da sé e le portarono di nuovo avanti a lui, costringendomi a fare un mezzo passo indietro.

Il suo volto era rigido, i muscoli del suo collo e delle sue spalle tesi, i suoi occhi socchiusi – eppure rilucevano come ematite. Mi guardò intensamente, quasi come se avesse voluto farmi del male.

« Draco... »

« Shh » sussurrò a qualche soffio dal mio viso, poggiandomi un dito tremante sulla bocca. Le sue labbra si serrarono e le mascelle si contrassero. Si allontanò da me e andò verso l'uscita, aprì la porta e se la richiuse alle spalle senza aggiungere nulla.



Quel pomeriggio, Harry mise a conoscenza me e Ron di un luogo in cui credeva ci potesse essere un altro Horcrux. Pianificammo la partenza e l'occorrente e partimmo quella sera stessa. Prima di andare, però, avevo indossato un jeans aderente e spesso, degli anfibi e una maglia a maniche lunghe; avevo inoltre la mia solita borsa dove conservavo ogni qualsivoglia oggetto. Mi ero intrecciata i capelli sul lato del viso, legandoli con il nastro di Draco. Mi ero osservata a lungo nello specchio dai bordi consumati del secondo piano; quelle parole in oro, fitte e ricamate, erano scomparse appena la stoffa era entrata a contatto con i miei capelli. Ci passai sopra le dita, pensando a lui.

Non avevo avuto modo di salutare Draco né di rivederlo; era partito anche lui, d'accordo con Lupin, per un sopralluogo con Kingsley di media importanza a Nocturne Alley, affinché qualche Mangiamorte potesse riferire di aver visto Draco Malfoy con maghi della Resistenza e confermare l'infiltrazione al Signore Oscuro. Tutto finalizzato a passare informazioni false sugli spostamenti dell'Ordine.

Noi uscimmo in Grimmauld Place dopo le ventuno. La temperatura era leggermente più fresca senza sole e la pioggia aveva smesso di riempire l'aria di quei giorni. Affondai, comunque, gli anfibi in una pozzanghera quasi prosciugata.

Ci allontanammo di qualche isolato, attenti a non essere seguiti, finché non ci smaterializzammo tenendoci per mano. Riapparimmo, pochi istanti dopo, a Godric's Hollow.

Il paese era in festa per la commemorazione del patrono; lanterne di carta decoravano il cielo, passando su fili trasparenti che andavano da una casa all'altra. Babbani e maghi avevano affollato le strade: le vie erano piene di persone con gelati, caramelle e ventagli di cotone. Nonostante l'aria gioiosa, mi voltai preoccupata a guardare Harry e il suo volto incerto.

« Una festa? » gli dissi.

« Non lo sapevo » scosse appena la testa. « Ma poco male; faremo le nostre ricerche passando inosservati » aggiunse.

Un uomo vestito da clown ci diede dei palloncini e Ronald ne prese uno, portandolo con sé. Camminando, la musica di quella che pareva una banda in piena regola si fece sempre più vicina; attraversammo alcuni viottoli facendoci largo tra gli abitanti di Godric's Hollow.

Una signora anziana, con una casacca smanicata color fango, mi offrì delle caramelle che rifiutai con cortesia; lei insistette, così ne presi un paio ma le misi in tasca.

« Allora, dove dovremmo andare adesso? » domandai ad Harry, affiancandolo.

« Non ho un'idea precisa, solo delle sensazioni. Se siamo in prossimità di un Horcrux, me ne accorgerò » disse.

Io annuii e continuai a seguirlo, guardandomi intorno. C'era un gruppo di bambini che giocava a rincorrersi ed uno di loro mi urtò, proseguendo oltre senza curarsene; sorrisi, ripensando a me alla loro età.

« Quel ragazzino rosso ti assomiglia » dissi a Ron, così lui si voltò a guardarlo e fece spallucce, senza rispondermi.

Mi infilai una mano in tasca e tirai fuori una caramella, offrendogliela; Ron scosse la testa. « No, non la voglio. »

Mi accigliai. « Che strano » gli sorrisi, ma lui non mi diede modo di scherzare, chiudendo lì la conversazione e affrettandosi ad affiancare Harry. Non sapevo cosa avesse ma qualcosa c'era.

Svoltammo in un vicolo dove stavano caramellando delle mele rosse; vidi Ronald illuminarsi e accelerare appena il passo per sentirne da vicino l'odore. Scossi la testa e seguii il gruppo. Non era un bene, però, dimenticarci perché eravamo lì. Tirai appena un lembo della t-shirt di Harry e attirai la sua attenzione.

« E se andassimo verso la collina? »

Lui scosse appena la testa, finché non si bloccò e guardò oltre la mia testa. « Il cimitero... » lo sentii mormorare.

Mi voltai e mi resi conto che, in un piccolo spazio a ridosso della chiesa, c'erano una trentina di tombe ricoperte di fiori ed edera; collegai che i genitori di Harry dovevano essere stati sepolti proprio lì.

Lo lasciai allontanarsi da solo, seguendolo con lo sguardo. Poi richiamai Ron e gli feci notare la cosa; seguimmo Harry a distanza e gli lasciammo modo di stare un attimo per conto suo.

« Granger! »

Mi girai e mi trovai davanti Draco Malfoy. Respirava affannosamente e aveva i capelli appena spettinati; indossava una maglia nera a mezze maniche e un jeans chiaro ficcato in degli anfibi alla caviglia.

« Draco... » lasciai cadere, guardandolo avvicinarsi e squadrarmi da capo a piedi.

« Stai bene? »

Annuii, confusa. Poi alzò gli occhi sui miei amici e vidi Harry tornare verso di noi.

« Malfoy, che ci fa qui? »

« Sono venuto a dare una mano. »

« Non mi serve il tuo-»

« Non combatto per te, Potter » lo interruppe assottigliando gli occhi, in un'espressione che mi ricordò molto le loro frecciatine nei corridoi di Hogwarts. Poi si rivolse a me, afferrandomi per i lati delle spalle. « Pare che stasera ci sarà un attacco dei Mangiamorte. Vogliono fare una spedizione punitiva per i maghi che qui vivono a contatto con i babbani. Una cosa plateale, durante la festa » disse concitato, facendo scorrere i suoi occhi nei miei. « Io non posso restare con voi, dovrò stare con loro... » lasciò in sospeso, contraendo il viso. « Devi andare via. »

« Non posso andare via » dissi senza pensarci. « Ci sarà bisogno di tutto l'aiuto possibile! »

« No, non potete servigli questa occasione su un piatto d'argento! Voi tre dovete tornare alla base perché non possono prendere Potter » disse, guardando anche Harry e Ron. Infine si rivolse a loro. « Lo sapete meglio di me che dovete tenere un profilo basso. L'Ordine avviserà con dei patronus tutti i maghi di Godric's Hollow affinché siano preparati all'attacco imminente, ma non possiamo far evacuare il paese perché si capirebbe che c'è una talpa tra i Mangiamorte. Io farò quello che posso dalla mia posizione. »

Harry lo guardò a lungo, poi annuì. « Ha ragione. Andiamo via » disse superandolo, seguito da Ron che non smetteva di guardare me e Malfoy. Passandomi accanto, infatti, mi afferrò per un braccio. « Herm, muoviti » mi disse.

Annuii ma tornai a guardare Draco. Le sue mani lasciarono lentamente le mie spalle e mi spinse appena verso Ron. « Vai » mi disse.

« Stai attento, ti prego » gli sussurrai guardandolo negli occhi e lui accennò ad un sì con il capo.

Mi voltai verso Ronald e andai via, mantenuta dalla salda stretta del mio amico, mentre mi voltavo sopra la spalla a guardare la figura di Draco. La seconda volta che mi girai, però, non lo trovai più. Mi costrinsi a camminare rapidamente e raggiungere un punto nascosto da cui ci smaterializzammo. Casa Black era deserta e vuota, come mi sentivo io in quel momento.


Tenevo le labbra poggiate sulle mani giunte, i gomiti sulle ginocchia, seduta sul bordo della sedia come in procinto di alzarmi. Ero irrequieta. Harry camminava avanti e dietro, controllando l'ora sull'appariscente orologio a cucù del salone. Ron stava raggomitolato sul divano, la faccia distorta in un'espressione di timore.

Lupin e gli altri erano tornati da mezz'ora circa, dopo aver diffuso la voce tra i maghi del paese; temendo che potesse seminarsi il panico, due dell'Ordine erano rimasti lì, precisamente Malocchio e Kingsley, sotto polisucco, a gestire la situazione. Gli unici ad essere portati via furono i bambini.

« Non sembra passare mai il tempo... »

« Ron, non possiamo fare altro che aspettare » gli aveva risposto Harry, fermandosi davanti alla tende tirate della finestra. Ronald sbuffò, cambiando posizione.

« Possibile che non possiamo prendere la polisucco anche noi e andare a dare una mano? »

« No Ron, se dovesse finire l'effetto o se venissimo catturati, loro avrebbero un enorme coltello dalla parte del manico. »

« Ma non possiamo stare qui a-»

« Ma cosa credi? Che io sia contento di essere sempre protetto, sempre tenuto al caldo? Quando perfino Malfoy è la fuori ad aiutare?! »

« Oh, fate silenzio! » esplosi, sollevandomi all'in piedi. Entrambi mi guardarono con stupore. « Basta! Non voglio sentire più niente! » esclamai, perdendo il controllo; lasciai il salone e mi andai a chiudere in biblioteca.

Respirai. L'aria di polvere e carta mi calmò appena; ma mi ricordò anche l'ultima volta che ero stata lì, quella mattina. Mi sedetti su una poltrona, guardai il vuoto e presi a mordicchiarmi il polpastrello dell'indice. Mi spaventava e mi faceva rabbia ammetterlo, ma ero più preoccupata a sapere Draco in quella situazione che se, al suo posto, ci fosse stato Harry; mi dissi che, probabilmente, era perché sapeva che il mio amico ne aveva passate tante e sapeva cavarsela benissimo da solo. Mentre Draco, invece, era in un periodo delicato della sua vita e certe cose non le aveva mai affrontate direttamente. Ma, in fondo, prendevo in giro solo me stessa.

Delle nocche bussarono alla porta e questa si aprì prima che avessi dato il via libera. Lupin entrò silenzioso e se la richiuse alle spalle; mi sorrise con fare paterno.

« Che ci fai qui, tutta sola? »

Mi tolsi le dita dalla bocca e le incrociai, strette, sotto il seno. « Cerco di calmarmi » ammisi, sinceramente.

« Sì, ti ho sentito poco fa » annuì, dirigendosi verso gli scaffali, « e ti capisco. Quando vuoi bene a qualcuno è sempre complicato. »

Lo guardai sgranando gli occhi, poi corrucciandoli. « Non riesco a capire » feci, vaga. Era vero: non riuscivo a capire cosa realmente mi stesse dicendo.

Lui sorrise appena. « Sai, è stato Severus a scrivermi quando ha saputo che Draco era fuggito con voi. Ha usato lo pseudonimo di Verde Smeraldo e mi ha chiesto di vederci a Londra. Lì mi ha raccontato tutto; inizialmente non volevo crederci... » fece una pausa, alzando il capo verso il lampadario impolverato. « Severus Piton un Mangiamorte, ma anche fedele a Silente, che in tutti questi anni ha fatto il doppio gioco, proteggendo Harry. Ho capito perfettamente perché, finora, tutti ne eravamo all'oscuro; poi, le carte in tavola sono cambiate. » Mi guardò per un attimo. « Il voto infrangibile che ha stretto per proteggere Draco lo continua a vincolare ma Severus avrebbe protetto in ogni caso il ragazzo. C'è lui a vegliare sul giovane Malfoy » concluse, infilando le mani nelle tasche di un vecchio golf color cammello.

« Perché mi dici queste cose, proprio a me? E non ad Harry » aggiunsi.

« Perché tu adesso hai bisogno di sapere. Di sapere che Draco è in ottime mani. Che rischia, come rischiamo tutti, ogni giorno. Ma che ha qualcuno lì che lo protegge » mi disse.

Mi portai le mani alle labbra, strinsi le palpebre e guardai altrove. Sentii chiaramente gli occhi bruciarmi e in un attimo si riempirono di lacrime. « Io... non vedo l'ora che torni » sussurrai flebilmente.


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Capitolo 7
*** E memorie perdute ***


Intro: Ciao fanciulle (perché credo che mi seguano solo fanciulle xD)! Questo sarà un capitolo molto intenso e necessariamente drammatico. Spero che, l'andamento della storia, stia convincendo tutti. Grazie delle appassionate ed entusiaste recensioni: rispondo personalmente ad ognuno di voi perché apprezzo tantissimo il tempo che dedicate a leggermi e lasciarmi un commento. Passiamo alla storia e... fatemi sapere cosa ne pensate di questa svolta! Ps. La canzone che ha accompagnato la mia scrittura durante il capitolo è stata questa: https://www.youtube.com/watch?v=LFf6p6actPo




POLISUCCO

e memorie perdute



« Ron, alza il volume. »

Le notizie che abbiamo da Godric's Hollow sono confuse e frammentarie. Sappiamo, però, che l'attacco è stato durissimo. La cattiveria con cui i Mangiamorte, mascherati, hanno colpito è stata senza precedenti. Non sappiamo ancora le modalità e le tempistiche dell'attacco, ma sappiamo che ha contato numerose perdite da entrambi i fronti...

Mi strinsi la stoffa della maglia tra le mani. Eravamo nel salone principale di Casa Black - le frequenze di un vecchio apparecchio impostate su Radio Potter - ad ascoltare le notizie che venivano diffuse sulla strage di Godric's Hollow; come se non fossero bastate le informazioni che ci erano arrivavate tutta la notte via gufo e dal camino, attraverso la testa di Kingsley che comunicava da una taverna del luogo.

Tonks, Lupin, i signori Weasley, i figli e altri amici della Resistenza stavano aiutando il paese a rimettersi in piedi dopo l'attacco. E noi eravamo ancora lì, in quella stanza divenuta troppo piccola per tutti e tre.

Mi alzai e andai in cucina a prendere da bere. Il contatto con il vetro e il liquido fresco nella gola mi ridiede lucidità: afferrai con le dita il bordo del mobile e fissai la caraffa in cui oscillava l'acqua.

Era quasi l'alba e nessuno aveva chiuso occhio, quella notte. Pensai ai miei genitori e al fatto che mi credevano ancora a studiare ad Hogwarts, completamente ignari di ciò che stava accadendo nel mondo – magico e non. Riflettei nuovamente su una cosa che aveva accompagnato i miei pensieri in quei giorni e presi una decisione che sarebbe stata, per sempre, irreversibile.

« Herm... »

Mi voltai, osservando Ron sulla soglia. Teneva le braccia stese lungo i fianchi, i palmi aperti e il corpo proteso verso di me, ma non accennava a ridurre la distanza tra noi.

« Hai una faccia terribile » mi disse infine.

Sorrisi appena. « Grazie » feci ironica.

« No, sul serio. Siamo tutti devastati da questa cosa... ma tu-»

« Ron » lo interruppi. Non volevo sentire nessuno parlare, non volevo parlare con nessuno. « Sto bene » continuai.

Lui scosse la testa e provò a muovere qualche passo. « No, io ti ho visto » mormorò.

Portai la mia attenzione sulla sua fronte aggrottata; improvvisamente le sue orecchie erano diventate rosse come i suoi capelli ma la sua faccia aveva perso qualche tono di rosa.

« Non capisco... »

« Ieri mattina, nella biblioteca » spiegò.

Non dissi nulla, appoggiandomi con la schiena al bancone della cucina e continuando ad aspettare che mi facesse capire dove voleva andare a parare.

« Tu e Malfoy, abbracciati » concluse.

Sollevai appena le sopracciglia. « La porta era chiusa » dissi senza pensarci. Ma, in effetti, nessuno avrebbe potuto vederci.

Ronald scosse nuovamente la testa. « Sì ma io ho guardato dalla toppa... »

« Tu cosa? » alzai appena il tono di voce.

« Herm, vi ho seguito. Ero preoccupato. Ultimamente tu... » lasciò di nuovo in sospeso, mordicchiandosi l'interno della guancia, senza guardarmi. « Tu e lui... insomma, che ti prende? » mi fulminò, improvvisamente, con i suoi occhi tondi.

Strinsi le mani fino a far sbiancare le nocche: non era assolutamente il momento per sentirmi sotto accusa. « Ron, ma che diavolo vuoi? » sbottai.

« Cosa provi per lui? » esclamò infine, alzando in mento verso di me, il volto livido e teso.

Sgranai appena gli occhi per la sincerità e la severità con cui mi stava, stranamente, affrontando: non era mai stato capace di dirmi nulla di importante in tutti quegli anni che ci conoscevamo. Ma, quella volta, fui io a distogliere lo sguardo, a non volerlo affrontare; l'impeto e il nervosismo che mi avevano aggrovigliato lo stomaco fino a poco prima svanirono. Mi sentii messa a nudo, incapace di articolare una risposta convincente.

« Non lo so » sussurrai, per quanto ancora mentissi a me stessa.

Ron fece un sorriso forzato. « Volevo sentirmi dire niente. » Fece una pausa. « Non lo so è già- »

« Qualcosa » lo anticipai e lo ammisi a voce alta.

Lui mi guardò con rassegnazione. « C'è mai stata una speranza, per me? »

Tornai a guardarlo, confusa da tanta schiettezza. Perché adesso? Perché, in tutto quel tempo, non mi aveva mai fatto capire che ci tenesse davvero a me? Ma, in fondo, cos'era peggio? Sentirsi dire che c'era stata ma che era sfumata per colpa della sua goffaggine o dire che non c'era mai stata alcuna possibilità? E qual era la verità, poi?

« Mi dispiace Ron » dissi solamente.

Lui mi sorrise ancora una volta, in quel modo impacciato e incerto che lo caratterizzava sempre; scosse la testa e la gola gli si irrigidì, come trattenendo qualcosa di amaro che non riusciva proprio a mandare giù. Non disse altro e andò via, lasciandomi di nuovo sola in cucina.


Fui sulla soglia della porta dopo qualche ora. Radio Potter aveva finito di trasmettere e Harry si era finalmente addormentato, seguito da Ron. Li osservai qualche istante, facendomi calmare dai loro respiri regolari.

Scrissi uno scarno bigliettino che lasciai sul tavolo al centro dei divani. Mi diressi alla porta d'ingresso e afferrai lo stipite di legno con fermezza, quasi che una parte dei miei pensieri stesse cercando di trattenermi da ciò che avevo intenzione di fare. Ma non mi diedi modo di riflettere ulteriormente: imboccai l'uscita e mi smaterializzai nei pressi di casa mia.

La villetta della mia famiglia risplendeva dei colori dell'estate. Il sole accarezzava i fiori che mia madre cresceva con tanta cura e il vialetto di ghiaia era perfettamente ordinato, come piaceva a mio padre. Lo percorsi, affondando appena nei sassolini che avvertii sotto le suole; accarezzai il dorso del campanello della porta, prendendo un respiro profondo. L'aria che lasciò le mie labbra era bollente.

Bussai e, dopo pochi istanti, il viso di mia madre mi accolse con stupore.

« Tesoro... che ci fai qui? »

« La scuola è finita prima » le sorrisi, osservandola quasi con timore. Lei aprì le braccia e io mi ci buttai dentro, stringendola forte. Il profumo di casa mi diede il benvenuto.

« Che bella sorpresa! » esclamò, ridacchiando, ficcandomi il naso tra i capelli così simili ai suoi.

Mio padre comparve alle sue spalle, la stessa faccia stupita. « Ti aspettavamo la settimana prossima! Come mai? Come stai? » mi domandò a raffica.

« Thomas, facciamola entrare prima! » fece mia madre e lui si batté una mano sulla fronte. « Ma certo, piccola mia, vieni qui » disse tirandomi dentro.

Pranzammo insieme e chiacchierammo di tante cose; gli raccontai della scuola e di tanti aneddoti divertenti, non accennando a nulla che potesse avere qualche connotazione negativa. Desideravo tanto passare qualche ora con loro dimenticandomi di tutto ciò che c'era fuori casa Granger.

Preso dalla nostalgia e ripetendo continuamente quanto mi fossi fatta grande, quanto fossi ormai una donna bellissima, mio padre riaprì un vecchio album di fotografie che mi ritraevano da piccola. Ridemmo e scherzammo, richiamando alla memoria vecchi racconti.

Si ricordarono della prima volta che mi avevano accompagnato al binario 9 e ¾ e del mio entusiasmo; delle mie magie accidentali, della curiosità dei vicini, della mia crescita scolastica. Delle amicizie che temevo di non farmi e che alla fine avevo stretto; di quanto sentivano la mia mancava quando, durante l'anno, non ero con loro.

Mi assentai solo un attimo, per tornare in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. E in quel momento qualcosa mi riportò al motivo per cui ero tornata in quel luogo; notai la mia bacchetta fare capolino fuori dallo zaino con cui ero venuta, abbandonato ai piedi del tavolo - quasi come se mi fossi dimenticata della sua esistenza. L'afferrai e la tirai fuori, rigirandomela tra le dita; guardai i miei genitori di spalle sul divano, ridere ancora per quelle foto ingiallite e imbarazzanti.

« Tesoro, queste devi proprio vederle! »

Gli occhi mi si riempirono di lacrime mentre avanzavo nel salone.

« Qui aveva solo tre anni, che ricordi... »

Distesi un braccio esitante, diretto alle loro nuche. Sapevo che erano l'unica cosa che mi teneva legata alla vecchia vita, che non mi permetteva di andare oltre; sapevo che li avrei persi per sempre. Mi portai la mano sinistra sulla destra, stringendola, tenendola ferma sul suo obiettivo, come obbligandola a fare ciò che dovevo fare. Ruotai appena il polso e pronunciai l'incantesimo che mi fece tremare la voce.

« Oblivion. »

La mia immagine sparì, lentamente, da tutte le fotografie che loro avevano tra le mani. Non potei – e non volli – vedere la loro espressione mentre ciò accadeva, mentre io sparivo inesorabilmente dai loro ricordi.

Afferrai lo zaino e uscii rapidamente da quella casa, sentendolo più pesante sulle spalle: avevo preso, mentre mia madre lavava i piatti, tutto ciò che poteva servirmi e tutto ciò da cui non volevo separarmi. Tranne una cosa. Quella, la più importante, l'avevo lasciata indietro.

Mi passai il dorso della mano sugli occhi ma questi continuarono a grondare lacrime. Affrettai il passo, senza voltarmi, camminando a testa bassa, verso un punto da cui avrei potuto smaterializzarmi.

Apparvi poco distante da Grimmauld place n°12; ci misi qualche istante a far calmare i respiri e i singhiozzi. Ancora non mi capacitavo della portata della mia scelta: mi sentivo come dentro una bolla pronta a scoppiare da un momento all'altro, una bolla che per adesso mi distorceva la percezione di ciò che mi circondava.

Quando aprii la porta, fu Ron il primo a corrermi incontro. I suoi occhi erano preoccupati.

« Ma dove... »

« Non puoi andare via così! » esclamò Harry, apparendo nel mio campo visivo.

Abbassai il capo e passai tra loro, urtandoli e superandoli diretta alle scale.

« Che significa “esco, torno subito”, eh?! » mi urlò Harry dietro le spalle, agitando il bigliettino che avevo lasciato. « Sei stata via delle ore! »

Continuai a camminare, salendo i primi gradini e stringendo le dita attorno alle cinghie dello zaino. Dei passi si unirono ai miei e una mano mi voltò all'indietro.

« Che... » lasciò in sospeso Harry, forse quando vide i miei occhi rossi.

« Sono stata dai miei » biascicai, « e li ho obliviati. » Sentii, improvvisamente, il sapore delle mie lacrime sotto il labbro superiore.

Harry spostò le sue pupille tra le mie e strinse la fronte. Mi abbracciò, silenzioso, e io lo lasciai fare, senza avere però la forza di ricambiarlo. Ron stette ad osservarci in disparte per un tempo che mi parve indefinito.

In quel momento la porta si aprì e rientrarono Lupin, Tonks e gli altri. Mi asciugai rapidamente il viso e mi allontanai da Harry.

Corsi giù verso Lupin ma lo sguardo che mi restituì non mi piacque per niente. Avevo paura di chiedergli qualsiasi cosa.

« Non ho notizie » mi anticipò. « Nessuno ha saputo dire chi erano i Mangiamorte a Godric's Hollow perché erano mascherati. E quando siamo arrivati noi, loro già erano andati via. » Fece una pausa, socchiudendo le labbra in un'espressione incerta. « Ti mentirei se ti dicessi che so dove si trova. »

Harry guardò me, poi Lupin. « Stai dicendo che avete perso le tracce di Malfoy? »

« E' con loro, sicuramente » intervenne Malocchio e Lupin abbassò appena il capo, stringendo la mascella.

Io spostai lo sguardo su entrambi; sentivo la gola secca e l'incapacità di parlare, di chiedere altre notizie, altre informazioni. Per fortuna Harry mi anticipò.

« Ma perché è con loro? Cioè, per rendere credibile la sua copertura dovrebbe essere qui, con noi, infiltrato nella Resistenza... perché è con loro? » ripeté Harry, guardando tutti i presenti.

Nella mia mente, un pensiero s'insinuò fastidiosamente, un pensiero che mi artigliò lo stomaco in una morsa. Mi accorsi di avere i palmi delle mani umidi di sudore e le ginocchia deboli.

« Dai Remus, devi dirglielo » fece ad un certo punto Nymphadora, spingendolo appena.

Cercai gli occhi del mio ex professore di Difesa Contro le Arti Oscure. « Cosa... dovremmo sapere? » domandai, esitante.

Lupin si passò entrambe le mani tra i capelli, prendendo un bel respiro. « Draco, fingendo di essersi infiltrato da noi per favorire loro, ha passato a Voldemort delle informazioni sbagliate su di noi. Per depistarlo. In particolare una, di cui adesso mi pento grandemente » cominciò a spiegare.

Corrucciai appena la fronte, incerta. « Non capisco cosa... »

« Un'informazione che ha concordato con me, che faceva capo ad un piano che lui stesso ha messo su in questi due giorni, ma che non avrei mai, mai dovuto accettare. Anche se... ci ha portato nettamente in vantaggio. »

Guardai nuovamente Harry, mentre qualcosa mi sfuggiva dalla comprensione e non capivo ancora bene la portata di ciò che ci stava dicendo Lupin.

« E' stato un accordo tra me e Draco. Ed è stato lui a propormelo... io non volevo, ma lui pensava di potercela fare » disse ancora, quasi scusandosi, mentre mi guardava con esitazione.

Mi portai la mano destra alle labbra. « Non riesco... non capisco... » biascicai.

Remus mi guardò negli occhi con determinazione. « Draco aveva in mente questo piano: ha detto a Voldemort che ci avrebbe attirati a Godric's Hollow per ucciderci tutti nella strage che si è compiuta questa notte. In realtà era una trappola per gli stessi Mangiamorte: sperava – speravamo - di decimare le loro schiere... ed in parte è stato così! Draco ci ha dato modo di metterci in grosso vantaggio. Stanotte è morta Bellatrix Lestrange. » Fece una pausa, poggiandomi una mano sulla spalla. « Voldemort ha scoperto, però, l'inganno; ha torturato il giovane Malfoy e gli ha strappato via tutte le reali informazioni che aveva su di noi. Per fortuna, queste informazioni sono state prelevate da Piton in persona tramite il veritaserum e perciò sono state riferite comunque falsificate a Voldemort. »

Non afferrai granché di ciò che cercò, con pazienza, di spiegarmi. Non m'importava sapere perché, non m'importava capire come; non m'importava conoscere le conseguenze, per la Resistenza, di quell'atto avventato. In quel momento, il mio cervello aveva bisogno solo di acquisire un'informazione semplicissima, come la morfina per un malato terminale.

« Draco... dov'è? »

Lupin si passò nuovamente le mani sul viso. « Non lo so. Non so di preciso dove sia, né come stia. Ma so una cosa, perché è stato Severus a dirmi tutto: Voldemort ha ucciso Lucius e Narcissa Malfoy. Ha resettato Draco, togliendogli dalla mente il ricordo del rapporto che aveva stretto con noi e facendogli credere che è stato Harry ad uccidergli i genitori. Non so che progetti abbia in mente per lui ma... »

Feci un passo indietro, allargando le braccia per sorreggermi a qualcosa, qualunque cosa, prima di cadere con le ginocchia per terra. Ma trascinai con me solo l'aria. In un attimo si chinarono su di me delle facce che mi apparvero indistinte, immobili, silenti. Eppure vedevo le loro bocche muoversi e loro stessi agitarsi. Poi, fu tutto buio.



« Non ha dormito per niente. E poi oggi è andata a casa sua, dai suoi genitori, a dirgli addio. Ad obliviarli. E' stato troppo per lei. »

« Capisco. Ha perso troppo in un giorno solo. »

« Perché... proprio Malfoy? »

« Ronald, non si comanda ai sentimenti. »

« Perché così... tanto? »

Ci fu un attimo di silenzio che accompagnò il mio risveglio. Sbattei appena le palpebre ma i miei occhi si rifiutarono di aprirsi del tutto.

« Si sta riprendendo. Adesso, quello che dovete fare, è starle vicino. Hermione è testarda ma voi dovete starle vicino, Harry. »

« Lo so, io-»

« Il tempo guarisce ogni ferita. »

Lentamente mi alzai a sedere, facendo leva con i palmi sul materasso, poggiando poi la schiena contro il cuscino. Ron mi prese una mano tra le sue.

« Ci hai fatto spaventare, meno male che sei un osso duro tu » si chinò su di me Harry. I suoi occhi verdi cercarono di trasmettermi una gioia che non riuscì a contagiarmi affatto.

Mi ritrassi dal contatto con Ron; mi passai le mani intorno al collo e rimasi a fissare il lenzuolo bianco che mi copriva le gambe.

« Herm, vuoi mangiare qualcosa, eh? Vuoi bere? Vuoi che ti porto un libro? » fece la voce di Ron.

« Avevi detto... avevi detto che Draco era protetto. » Sollevai gli occhi su Lupin e lui li abbassò.

« Hermione, perdonami... »

« Mi avevi detto che dovevo stare tranquilla! Perché? » mi sporsi. « Perché non mi hai detto la verità? »

« E' stata una decisione di Draco » mi disse.

« Io avevo il diritto di sapere » sibilai tra i denti.

« In una guerra si devono fare dei sacrifici... e il ragazzo l'aveva capito perfettamente. Con questa trappola li abbiamo messi in forte difficoltà! Abbiamo ucciso il braccio destro di Voldemort e- »

« Ma abbiamo perso Draco! » esclamai, sentendo gli occhi bruciarmi e una rabbia incontrollata montarmi dentro.

« Perdonami Hermione » ripeté Lupin distogliendo lo sguardo. E mi resi conto che capì perfettamente che non c'era niente che poteva dirmi, nulla che poteva fare, non in quel momento almeno, per alleviare il mio dolore. Mi poggiò una mano sulla gamba, quasi come una carezza, poi se ne andò.

Guardai Harry, poi Ron. « Voglio restare da sola. » Mi girai sul fianco, accoccolandomi in posizione fetale.

« No Hermione, non ti lasciamo da sola! »

« Vi prego, solo un altro po' » mormorai.

« Ti staremo vicino, ti aiuteremo a riprenderti » Ron era affacciato su di me, il flusso della sue parole non riusciva ad arginarsi. « Faremo del nostro meglio per farti capire che hai ancora noi! »

Mi portai i palmi sulle orecchie per non sentire; le mie mani sfiorarono della stoffa morbida che era intrecciata ai miei capelli. Ci passai sopra le dita, lentamente, come se avessi paura di pungermi; poi sciolsi la treccia e ne estrassi il nastro, portandolo davanti ai miei occhi. Le parole dorate ricomparvero a decorare quel sottile pezzo di seta. Me lo rigirai tra le mani, arrotolandolo tra le dita e poi portandomele alla bocca. Restai così, cullandomi appena, non curandomi che Harry e Ron fossero ancora lì.

« Non puoi lasciarti andare così... » sentii dire alla voce di Harry.

Strinsi gli occhi, i denti, la fronte, le nocche fino a sbiancarle. Che volevano da me? Che volevano da me? « Andate via... »

« Non puoi smettere di combattere... »

« Hermione, ti aiuterò io a dimenticarlo! » intervenne Ron, afferrandomi il viso tra le mani.

Lo scansai in modo violento, ritraendomi. « Vai via! » esclamai.

Guardai il dolore negli occhi di Ron ma in quel momento non m'importava di ferirlo. Harry lo afferrò per una spalla e lo tirò lentamente via da me, mi guardò e mi sorrise appena. « Noi ci saremo sempre per te. »

Si allontanarono dal mio letto e dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle, lasciandomi finalmente nel silenzio apparente dei miei pensieri.

In realtà, ripercorrevo furiosamente tutti gli attimi e le parole che ci eravamo scambiati, io e Draco. Il nostro bacio, quando io non ero me stessa; i suoi occhi come vetro smerigliato, rabbiosi eppure in cerca di redenzione. La sua freddezza, il suo ritrarsi, la sua decisione. La sua preoccupazione per me, solo per me. Il suo profumo. La sua consapevolezza. Il momento in cui avevo visto lui e Lupin sulla soglia della porta, parlare a bassa voce tra loro. L'ultimo sguardo che ci eravamo scambiati a Godric's Hollow, le sue mani che lentamente mi avevano lasciato andare e le mie parole, le mie speranze. E il nastro che mi aveva regalato... sentiva che non sarebbe tornato? Si era sacrificato per noi, tentando il tutto per tutto. Aveva, infine, deciso di compiere in altro modo il suicidio che io gli avevo impedito di compiere?

Ma una cosa mi tormentava come un insopportabile ronzio, impossibile da mettere a tacere. Una cosa che non riuscivo ad immaginare come avrei mai potuto digerire.

« Mi ha dimenticato » mormorai sulle labbra. « Mi ha dimenticato. »

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Capitolo 8
*** E credi imposti ***


Intro: salve a tutti! Mi scuso per l'enorme ritardo con cui aggiorno. Non ho intenzione di abbandonare la storia, a volte rallento per impegni di studio/lavoro perciò non preoccupatevi! Detto ciò, ecco a voi l'ottavo capitolo. C'è una sorpresa “narrativa” ma non svelo niente per non fare spoiler u.u

Un bacione e... ai commenti! Sì, perché come vedete quando voi mi dedicate tempo per farmi sapere cosa ne pensate tramite le recensioni, io sono sempre entusiastissima di rispondervi e lo faccio a tutti, uno per uno.




POLISUCCO

e credi imposti



Spalancai gli occhi, uscendo dall'incubo come da un'apnea. Inspirai profondamente, poi espirai attraverso le labbra dischiuse. Il torace mi si alzava e abbassava sotto lo sforzo del respiro affannato.

Mi passai le dita sulla fronte, facendole scivolare sulle tempie e richiudendo le palpebre. Mi sollevai a sedere, provando fitte muscolari diffuse in tutto il corpo. Guardai il cielo all'alba, oltre la finestra della mia camera da letto: tutto taceva. Distesi le gambe e poi le piegai, portandole al torace; distorsi il viso in una smorfia di dolore. Feci roteare il collo e distesi la nuca, abbassandomi a guardare l'ombelico. Le ciocche di capelli mi solleticarono le sopracciglia e alcune mi lambirono le labbra. Ci passai una mano dentro, riportandole a posto.

Un rumore, che intercettai molto prima che l'uomo si palesasse davanti alla mia porta, accompagnò l'ingresso di Severus Piton.

« Scendi subito » mi disse solamente, così annuii.

Misi i piedi per terra, trovando conforto nel pavimento fresco. Feci pressione sulle mani per sollevarmi, tendendo le braccia e gli avambracci, finché non fui in piedi.

Mi sentivo spezzato. Come riemerso da una lunga influenza che mi aveva tenuto a letto per settimane. Invece, avevo dormito appena due ore dopo che era accaduto; dopo che Potter e i suoi avevano fatto irruzione nella mia casa e avevano ucciso i miei genitori e mia zia. Dopo avermi schiantato, erano fuggiti con la coda tra le gambe ed io... dovevo aver perso i sensi. Perché mi sembrava di avere uno strano e insopportabile vuoto di memoria.

Presi dalla sedia in legno massello una camicia nera e la indossai; infilai un pantalone classico e delle scarpe di pelle del medesimo colore. Mi guardai allo specchio. Il vetro mi restituì l'immagine di un ragazzo pallido e dal volto contratto. Chiusi, lentamente, i bottoni dei polsini, infilando quei dischi di onice nero nelle asole; mi passai nuovamente le mani tra i capelli e imboccai l'uscita.

Malfoy Manor era immersa nel silenzio. I suoi ampi spazi, le sue tende tirate, i suoi colori scuri, i suoi soffitti ampi e antichi, tutto mi ricordava i momenti che avevo passato con mio padre e con mia madre; nel bene e nel male.

Eppure non sentivo la loro mancanza.

L'ossigeno riempiva e svuotava dolorosamente la mia cassa toracica, frastornata dalla violenta caduta a causa dello schiantesimo, che mi aveva sbalzato dall'altra parte del salone principale. Era stato Potter a lanciarmelo. Con la stessa bacchetta che un attimo prima aveva freddato i miei. Avevo osservato, con la guancia premuta contro il pavimento, i loro corpi riversi, più bianchi che mai, immobili nella loro perfezione; poi avevo perso i sensi.

Eppure non sentivo la loro mancanza.

Quando fui nella sala da pranzo, trovai Severus in piedi accanto al lungo tavolo in mogano. Il Signore Oscuro era seduto con le mani incrociate davanti allo sterno e un leggero sorriso ad increspargli le labbra di cenere. Gli altri erano andati tutti via.

Voldemort si alzò e aggirò il tavolo, mentre Piton chinava appena il capo e si faceva da parte. Lo raggiunsi e mi abbassai su un ginocchio, chinandomi per baciargli l'orlo della veste. Sentii la sua mano fredda toccarmi la spalla.

« Draco... » pronunciò con una voce che mi arrivò sinuosa fin dentro le ossa. Sollevai lo sguardo e poi mi rialzai. « Stanotte abbiamo perso molto. Tre Mangiamorte, dei migliori dei nostri, sono stati brutalmente uccisi da quegli sciocchi e vili traditori del loro sangue » disse con disgusto ma con un'espressione quasi divertita.

« Sì, signore » annuii, tenendo il capo leggermente abbassato.

Le sue dita si strinsero sulla stoffa della mia camicia; si avvicinò di qualche spanna al lato del mio viso. « Tu devi vendicarli, Draco. I tuoi genitori, tua zia... meritano vendetta. Harry Potter li ha uccisi. Perciò va ucciso lui e tutti gli altri che lo sostengono » mi sussurrò all'orecchio.

« Sì, signore » ripetei.

« Bravo. » Si leccò le labbra, allontanandosi da me. « Tu vali molto, Draco. Tu starai al mio fianco, d'ora in poi. »

« Sì, signore. »

« Severus » fece quindi, girandosi di spalle. « Quella cosa va fatta adesso. »

Piton annuì e mi passò accanto, poggiandomi una mano sul braccio; capii che dovevo andare con lui e lo seguii, senza domandare.

Uscimmo da Malfoy Manor, percorrendo i giardini ancora umidi e freschi; poi, ci smaterializzammo in quella che mi parve Little Hangleton. Le strade erano deserte, il sole non era ancora sorto del tutto.

« Dobbiamo andare a Casa Riddle e ultimare un servizio per il Signore Oscuro » mi spiegò Severus.

Feci per muovere un passo in avanti, ma lui mi bloccò, poggiandomi una mano sullo stomaco. Mi voltai a guardarlo.

« Bevi prima questo » mi disse, tirando fuori una fiala dal mantello.

Lo guardai interdetto. « Cos'è? »

« Un ricostituente. Si nota che sei in piedi a stento » spiegò, tenendo la pozione protesa verso di me.

Esitai, osservando il volto del mio ex professore, placido e impassibile come sempre. Afferrai quindi la medicina e la odorai. Non mi sembrò familiare a nessun intruglio con cui avessi mai avuto a che fare. « Non è una pozione ricostituente » dissi, secco.

Piton alzò le sopracciglia. « Cosa pensi? Che io ti stia dando qualcosa di tossico? Sono il tuo padrino. »

Lo guardai a lungo. Presi un bel respiro, avvertendo un cedimento involontario alle ginocchia; feci un mezzo passo in avanti per non perdere l'equilibrio.

« Bevi » mi ripeté.

Osservai il colore ambiguo della fiala e, senza mai smettere di tenere gli occhi su di lui, bevvi il contenuto in un sorso; socchiusi appena le palpebre per il sapore orribile.

« Va bene, adesso andiamo » gli dissi, buttando la boccetta per terra. Vidi Piton raccoglierla e rimettersela nella tasca interna del mantello; sollevai le spalle sbuffando appena. Poi mi raggiunse e insieme attraversammo la piazza del paese e risalimmo i giardini frontali di Casa Riddle.

L'imponente maniero si presentava cupo in tutta la sua bellezza. Ricoperto di edera e con numerose finestre sbarrate da lastre di legno, mostrava chiaramente i segni di un abbandono prolungato.

Spingemmo la porta in avanti senza alcuna fatica e, poco dopo, questa si frantumò alle nostre spalle. Superammo un paio di camere, completamente rivoltate e distrutte, come se lì dentro avesse corso un'orda impazzita di centauri.

Spostai l'anta di un vecchio armadio perché mi sbarrava la strada, riempiendo il corridoio; scavalcai dei vetri rotti di uno specchio in cui mi riflessi per un istante.

C'era odore di muffa e fiori secchi, ma anche di quello che mi parve legno bagnato. Sfiorai la strato di polvere che ricopriva un vecchio giradischi magico e non mi accorsi delle minuscole schegge di vetro che erano schizzate fin lì. Mi tagliai così i polpastrelli, che si ricoprirono di sangue.

Vidi chiaramente - come in quel momento vedevo la schiena di Piton a pochi passi da me - degli occhi color nocciola, con dei raggi dorati che decoravano il cerchio dell'iride, apparire nella mia mente. Così chiari, così definiti, così familiari. E sentii che appartenevano ad una donna. Mi appoggiai, quasi cedendo nuovamente sulle gambe, al tavolino circolare che avevo lì accanto; mi portai l'altra mano, tremante e incerta, sulle sopracciglia.

« Tutto bene? »

Sollevai lo sguardo attraverso le dita. « Benissimo » risposi deciso, ma con voce roca. Mi osservai i polpastrelli screziati di bollicine di sangue scuro; mi tolsi due vetrini rimasti attaccati, tamponai le dita sopra la camicia e poi le succhiai. L'odore ferroso mi riempì le narici e un altro mi invase i sensi: dittamo. Ma non c'era alcuna pozione lì accanto che potesse suggerirmi quella fragranza.

Ripensai alla stranezza di quelle sensazioni, visive e olfattive, arrivate d'improvviso. Ma, soprattutto, ripensai all'immagine di quello sguardo che cercava il mio, disperatamente. Scossi impercettibilmente la testa, mi passai la mano sinistra tra i capelli e proseguii.

« Sei sicuro che vada tutto bene? » mi domandò nuovamente Piton, quando lo raggiunsi.

Annuii. « Mai stato meglio » dissi sbrigativo ma, nonostante la mia perfetta compostezza, lo vidi osservarmi di sbieco durante il corso delle nostre ricerche.

Arrivammo, dopo pochi minuti, in una stanza circolare. Il camino era distrutto, i divani avevano i cuscini come scavati, i tappeti erano ricoperti da uno strato scuro di sporcizia.

Severus si diresse ad una vetrinetta che conteneva, ancora intatte, delle ceramiche bianche fittamente decorate di azzurro e verde. Estrasse una pergamena arrotolata da una lunga caraffa, la infilò in una tasca del mantello e tornò verso di me.

« Cos'è? » domandai.

« Una cosa per il Signore Oscuro » disse, superandomi.

Non chiesi altro. Camminai alle sue spalle e uscimmo da Casa Riddle. Lanciai qualche occhiata al punto del suo mantello dove sapevo esserci la pergamena ed una di queste volte, Piton incrociò il mio sguardo.

« Sapere troppo non fa bene » commentò ed io distolsi l'attenzione, guardando la fine dei giardini davanti a me.

« Certo. »

Sentii i suoi occhi sulla mia tempia destra. « Alcune volte è meglio non saperle le cose, o magari dimenticarle. »

Una fitta mi attraversò il capo da parte a parte. Strinsi la fronte e le palpebre e mi fermai un istante, con un senso di nausea ad attanagliarmi lo stomaco.

« Che ti succede? »

« Sto bene » sibilai tra i denti.

« Draco... »

Draco. Una voce nella mia mente. Non quella di Severus Piton, non quella del Signore Oscuro, non quella dei miei genitori.

Incominciai a percepire i suoni ovattati, come se il rumore dei nostri piedi nell'erba, il vento leggero tra i cespugli, il frusciare della sua veste – come se tutto appartenesse ad un ricordo lontano e ciò che era nella mia mente fosse, invece, reale e presente.

E nella mia mente c'erano quella voce, quegli occhi, quell'odore.

Caddi sulle ginocchia in un tonfo, attutito dall'erba. Sentii le rotule infrangersi nei sassolini commisti alla terra, avvertii il senso di nausea risalire lungo la gola e infine vomitai. Mi sporsi in avanti, contraendo la schiena e gli addominali, disgustato e innervosito da quella debolezza. Sputai e mi risollevai in piedi.

Piton mi porse un fazzoletto, cercò di rassicurarmi ma non lo capii. Poi disse nuovamente il mio nome, così mi voltai a guardarlo.

« Bevi altro ricostituente » fece, allungami un'altra fialetta di liquido.

Quella volta non ci pensai su molto; buttai giù quella pozione amara che però sembrò rinfrescarmi la gola.

« E' normale che ti senti debole » mi spiegò. « Del tutto normale. »

Annuii senza guardarlo, tamponandomi nuovamente le labbra con il fazzoletto. Mi passai una mano dietro la nuca e feci una rotazione del capo, sentendo scoccare l'osso cervicale.

« Quel maledetto » sibilai tra i denti, assottigliando gli occhi.

« Potter? »

« Chi, se no? »

Piton si riprese la fiala che avevo ancora tra le dita. « Ti ricordi il momento in cui ha colpito i tuoi? » Annuii. « Lo ricordi bene? »

Lo guardai di traverso. « Certo che lo ricordo bene » ma non lo ricordavo affatto bene.

« Ricordi quando ti ha schiantato? »

« Sì. »

« Quando Hermione Granger ha colpito tua zia, prima che Potter la finisse? »

Aprii la bocca e la richiusi. Contrassi la fronte. « Lei... »

« Hermione Jane Granger » scandì Piton.

Lo guardai, contraendo la mascella. « So chi è lei. »

« Ti ricordi di lei? »

Un'altra fitta mi attraversò la testa e mi piegai appena per il dolore. Strinsi i denti. « Perché mi fai queste domande? »

« Per testare la tua lucidità. Non servi a nulla al Signore Oscuro se non riesci a riprenderti. » In un attimo era diventato sbrigativo e diretto.

« Lo so benissimo » dissi con rabbia.

« Ricordi di Hermione Granger che lancia un incantesimo a tua zia Bellatrix? »

« Certo che lo ricordo! » esclamai, stringendo i pugni e puntando i miei occhi nei suoi.

Severus alzò appena il mento e socchiuse lo sguardo. « D'accordo. » Si portò un lembo del mantello alla spalla opposta e riprese a camminare, oltrepassando il cancello principale di Casa Riddle.




Il giorno seguente, Malfoy Manor ospitò gran parte delle persone più in vista del Mondo Magico; nessuno voleva mancare ai funerali dei signori Malfoy né poteva - chiaramente - permetterselo.

Sapevo benissimo che tutti i presenti, nessuno escluso, versava false lacrime e profondeva finte parole di rammarico ma non m'importava: ero io il primo a guardare la cerimonia con distacco e assenza.

Passò circa mezzora in cui non potei muovermi - l'angusta posizione eretta e il braccio perennemente disteso, stretto o strattonato da esagerata commozione, mi faceva solo desiderare di chinarmi e toccarmi le punte dei piedi per distendere i muscoli. Severus Piton mi stava accanto, lo sguardo contratto e quasi impassibile, forse più del mio, mentre ricevevo le sentite condoglianze di tutti i presenti. Dall'altra parte avevo Voldemort, che mi teneva una mano gelida sulla spalla e riceveva a sua volta baci alla veste.

Poi, finalmente, un flusso silenzioso e costante fece sì che gli ospiti lasciassero il maniero, finché rimanemmo solo in pochi, ovvero la stretta cerchia di Mangiamorte fedeli all'Oscuro Signore. Prendemmo posto all'enorme tavolo della sala da pranzo, gli elfi domestici accesero le candele tutt'intorno e servirono liquori e frutta secca.

La voce di Lord Voldemort echeggiò forte eppure profonda in quella stanza dal soffitto sconfinato. « La causa di questo giorno di lutto e commiato è Harry Potter. Un ragazzino stupido e maldestro che con qualche aiuto e qualche informazione in più è riuscito a uccidere tre dei più rispettabili Mangiamorte. Il povero, povero Draco ora si trova da solo. Ma lui è forte, fedele come suo padre; io ho tante cose in mente per lui, per vendicarsi del giovane Potter e dei suoi amichetti. »

I presenti mi guardarono con ammirazione: godevo delle attenzioni dell'Oscuro. Anzi, pareva quasi che mi stesse portando sotto la sua ala.

« La Resistenza » rise e con lui risero tutti i maghi seduti, « pensa di averci indebolito. Ma noi abbiamo importanti informazioni su di loro. » Provai una fitta alle costole e mi parve di vedere Voldemort provocarmi dolore con la magia, cercando di farmi dire qualcosa; piegai appena le sopracciglia ma non mossi alcun altro muscolo del viso o del corpo, non pensandoci.

Voldemort continuò a parlare, illustrando i prossimi piano d'attacco e i compiti che spettavano ad ognuno di noi. Io e Severus fummo incaricati di svolgere altre missioni per diretto conto del Signore Oscuro; nuovamente, fui guardato con invidia.

Era notte inoltrata quando, con nuvole di fumo nero, tutti lasciarono la mia casa e rimasi solo con la servitù. Dissi al capo degli elfi di non avere fame e di non venirmi a chiamare se non per preciso ordine di Lord Voldemort. Così, mi chiusi in camera da letto e mi stesi a pancia su sul materasso.

Respirai, lentamente, alzando e abbassando la cassa toracica. Non erano passati nemmeno due giorni da quando mi ero risvegliato lì, nella mia camera, a fare i conti con la morte dei miei, con l'intrusione di San Potter nel mio maniero – tutte cose che non ricordavo effettivamente. Avevo invece bagliori curiosi, ricordi lontani che mi apparivano quasi irreali, avvolti da una nebbia fitta e spessa. Forse era stato il trauma a rendermi tutto così difficile da ricordare.

Chiusi gli occhi. Improvvisamente, vidi uno sguardo d'ambra penetrami i pensieri. Stai attento, ti prego.

Mi alzai a sedere, sgranando gli occhi. Avevo sentito una voce femminile, chiara come l'acqua, nella mia testa. Mi guardai istintivamente attorno. Non era la voce di mia madre, né di mia zia, né di nessuno a cui potessi ricollegarla. Notai una fiala sul comodino, vicino c'era un pezzo strappato di una pergamena; c'era scritto “prima di andare a dormire. S.P.” Era la pozione che mi stava somministrando Piton e l'ansia che mi aveva provocato quella voce mosse automaticamente la mia mano verso l'intruglio, così lo bevvi tutto d'un fiato: dovevo riprendermi in fretta ed essere utile al Signore Oscuro come lui desiderava, vendicarmi di Potter e la sua banda di idioti, riprendere in mano la mia vita.




Erano passate due settimane da quando erano morti i miei e mia zia. Come tutte le sere quando restavo da solo, ero alla mia scrivania, davanti alla pagina bianca di un taccuino incantato; era un'abitudine che avevo preso di recente, da circa una settimana, per appuntare le stramberie che attraversavano la mia mente. Mi sembrava che metterle nero su bianco mi facesse bene: alla fine le rileggevo e mi sembravano così assurde che con un sorriso lo mettevo via.

Scrivevo di certi falsi – ero sicuro – ricordi che parevano appartenermi; si collegavano ad una presunta permanenza al Quartier Generale della Resistenza, ricordi di una sorta di pacifica e sincera convivenza con Potter, Lenticchia e gli altri e di una... specie di indescrivibile intesa con la Granger. Cose assurde, insomma. Ma non ne avevo parlato con nessuno: né con Piton, né tantomeno con l'Oscuro Signore. Era inutile e controproducente dirgli che sognavo un indirizzo diverso in cui loro erano ubicati – rispetto a quello che noi credevamo - oppure che non ricordavo affatto l'uccisione di mio padre da parte di Harry Potter. Ed era ancora più inutile dire a qualcuno quello che provavo per...

Mi alzai bruscamente dalla sedia, tanto che questa cadde all'indietro. M'infilai le oxford nere di pelle e mi passai il mantello sulle spalle, uscendo dalla villa di tutta fretta: Piton mi aspettava per un compito.

Imboccai il viale d'uscita verso il cancello, immerso nel buio pesto della sera, rischiarato solo dalle fiaccole magiche; senza fermarmi, continuando a procedere a passo svelto, una nuvola di fumo mi avvolse mentre pensavo alla mia destinazione.

Mi materializzai in una strada che mi apparve subito deserta. Era una via piuttosto piccola, che ad un primo sguardo sembrava residenziale. Una fila di lampioni illuminava il marciapiede, umido da una recente pioggia. Davanti a me c'era un palazzo basso ma molto lungo, di quelli dove ci sono numerose ville a schiera e appartamenti adiacenti.

Accanto a me, l'insegna alla fine del palo di metallo recava il nome della strada: Grimmauld Place. Il nome mi fece subito collegare i pensieri che tormentavano i miei sogni nell'ultimo periodo. Perché ero finito lì? Dovevo smetterla di pensare e ripensare a quei vaneggiamenti, soprattutto quando mi smaterializzavo.

Aggrottai la fronte, scossi appena la testa. Stavo per andare via, per smaterializzarmi dove Severus mi attendeva, ma sollevai istintivamente lo sguardo ad una delle finestre illuminate e qualcosa nella mia testa mi suggerì che solo io potevo vedere quella porzione di palazzo; ma non m'interessava. Quello che catalizzò la mia attenzione, le mie emozioni – che sembrarono riemergere dal fondo della mia anima – e i miei occhi fu la sagoma di una donna. I folti capelli ricci le sfioravano i lati delle braccia ma, essendo la luce alle sue spalle, non ne distinguevo i dettagli. Ma sentivo che era lei. Qualcosa in quella sagoma mi fece esitare; ma qualcos'altro mi ordinò di andarmene di lì così, rapido, mi voltai e feci qualche passo verso la fine del viale, sparendo poi in una nuvola di fumo.

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Capitolo 9
*** E tempi in prestito ***


Intro: so che posto con enorme ritardo, vi chiedo davvero e sinceramente scusa e spero che il capitolo vi piaccia.

ps. Nel capitolo, come in altri passati e come farò in altri futuri (specialmente nel prossimo), mi ricollego al filo principale che ha tracciato la nostra Rowling ma ne do la mia personale riscrittura.




POLISUCCO

e tempi in prestito



« Ci accampiamo qui, stanotte? » mi domandò Ron.

Mi fermai, affondando con i piedi nella terra morbida del sottobosco. Annusai l'aria e il piacevole odore di resina; voltandomi a guardare uno spazio tra gli alberi, decisi che andava bene ed annuii. « Passo agli incantesimi di protezione. Tu pensa alla tenda » gli dissi.

Lui ed Harry sistemarono il nostro riparo provvisorio, in quella notte di fine Luglio calda e secca; con la bacchetta tesa verso il cielo, io mormorai le magie di rito.

« Anche stavolta un nulla di fatto. Sentivo che a Moonhigh non ci sarebbe stato nessun Horcrux » borbottò Ronald, stendendosi di lato al fuoco.

« Anch'io lo sospettavo. Ma d'altronde le informazioni in nostro possesso sono davvero poche » fece Harry.

« Non perdetevi d'animo » gli sorrisi, tirando da sopra le fiamme una piccola pentola. « La prossima volta saremo più fortunati. »

Harry venne a sedersi con entusiasmo al mio fianco, stringendomi il braccio. « Finalmente. Mi mancava vederti sorridere. »

Io distesi di più le labbra, abbassando lo sguardo sui ceppi incandescenti; ma le guance persero un po' di forza e il sorriso si affievolì.

Erano passate due settimane dall'ultima volta che avevo pianto. Avevo ricomposto, fin troppo rapidamente, me stessa. Il dovere e l'impellenza della guerra non mi avevano permesso di riflettere, di restare egoisticamente a compatirmi.

È accaduto e deve farsene una ragione. Questa la frase che avevo sentito uscire dalla bocca di Malocchio quando non pensava potessi sentirlo; mi era sembrata, dopo appena un paio di giorni, ed il primo che mi degnavo di mangiare, la frase più orribile e priva di sentimento che qualcuno potesse pensare di dire. Ma poi mi ero accorta che quella era l'unica frase che dovevo onorare e a cui dovevo sottostare nella mia situazione.

Ero la pedina di una partita a scacchi di un'importanza più che determinante; si trattava di giocarsi le ultime carte e di portare il mondo magico verso la sconfitta o la rinascita.

Non c'era tempo per me. Non c'era mai stato tempo per Hermione, solo per il soldato che ero diventata per l'Ordine. Non c'era stato tempo nemmeno per Draco, per il suo sacrificio, tempo per riflettere e per evitare l'inevitabile. E in una vorticosa situazione fatta di sotterfugi e tempi in prestito che rubavamo al nemico, non c'era la possibilità di fermarsi e compatirsi, fermarsi e smettere di agire: la guerra, quel fiume in piena che correva rapido, mi avrebbe travolto e distrutto. Dovevo continuare a camminare.

Correre, correre, correre.

Alzai lo sguardo. « Domani direi di controllare nel paese limitrofo, giusto per essere sicuri. »

Harry lasciò la presa sul mio braccio e annuì grave. « Altrimenti si ricomincia a correre contro il tempo. »



L'alba trovò i miei occhi svegli. Anche se ero tornata troppo presto a combattere, ciò non voleva dire aver cancellato la tempesta che mi scoppiava dentro la gabbia toracica, graffiandomi i polmoni quando respiravo più forte, strisciandomi fino al cervello e riempendolo di tuoni neri, sogni nefasti, che mi facevano tremare le vene e i polsi.

L'alba era chiara e pulita, lenta e calma; non era a conoscenza – o non si curava – dei nostri tempi stretti.

Mi sollevai a sedere e mi legai i capelli, alzandomi in piedi e stirando il colpo verso il cielo. Roteai il collo e lo sentii scricchiolare; mi affacciai nella tenda e chiamai i ragazzi.

Ci mettemmo in marcia per il paese vicino, smaterializzandoci più in là nel bosco e poi continuando a piedi.

« Facciamo il punto della situazione » annaspò Ronald camminando, « Il diario che aveva mia sorella era un Horcrux, giusto? »

« Giusto » annuì Harry senza fermarsi.

« E l'abbiamo distrutto. »

« Già » feci.

« L'anello dei Gaunt l'ha distrutto Silente. E siamo a due. »

« Ron, a cosa serve questo elenco? »

Ron si fermò. « Harry, fammi vedere il medaglione falso. »

Harry lo assecondò, sbuffando appena e tirandolo fuori dallo zaino. « Ecco a te. »

Incrociai le braccia al seno, aspettando che Ron guardasse per l'ennesima volta quel dannato oggetto.

« Ronald, per quanto te lo rigiri tra le mani quel coso non diverrà vero. C'è anche un biglietto che lo dice, eh. »

« R.A.B. » mormorò sulle labbra.

« Già, R.A.B.. Ron, cosa vu-»

« Forse so chi è. »

Alzai le sopracciglia e strinsi di più le braccia. Guardai Harry che lo fissava rassegnato. « E chi sarebbe, quindi? »

« Non fate i cretini, so che può sembrare strano che io sappia qualcosa in più di voi. Ma stavolta è così » mugugnò, rificcando il biglietto nel falso medaglione e dandolo ad Harry.

Si avvicinò ad entrambi, si guardò intorno e poi sussurrò. « Qualche giorno fa stavo scappando da un ragno al Quartier Generale e sono finito nella camera con l'albero genealogico dei Black sulla parete. » Deglutì, quindi si leccò le labbra. « R.A.B. potrebbe essere Regulus Arcturus Black, il fratello minore di Sirius. »

« Ma Regulus era un mangiamorte! Aderì alle idee di Voldemort fin da subito, mi pare! » esclamai. « Perché mai avrebbe rubato l'Horcrux e ingannato il suo Signore? »

Harry strinse la fronte. « Sirius mi disse che suo fratello doveva aver fatto marcia indietro, impaurito dalla vera natura di Voldemort e da quello che impartiva ai suoi seguaci. E così Voldemort in persona lo aveva ucciso - o fatto uccidere, in effetti. »

« E se... fosse stato un atto di coraggio quello per cui fu condannato? » mormorai sovrappensiero.

« Sì, sì esatto! » parlò Ron. « Se fosse stato lui a mettere i bastoni tra le ruote di Tu-sai-chi? »

Restammo in silenzio a pensare seriamente all'eventualità. Poi, Harry sollevò lo sguardo. « C'è solo un modo per scoprirlo. Torniamo al Quartier Generale. »

« Per vedere l'albero genealogico? Harry, non mi credi? »

« No Ron, penso tu abbia ragione. Voglio parlare con qualcuno che lo conosceva bene. »

« E chi? » mi voltai, stupita.

« Kreacher. »



Tornammo subito a Grimmauld Place numero 12 e trovammo Casa Black vuota. Salimmo rapidamente in mansarda, dove l'elfo si era rintanato da quando avevamo cominciato a frequentare stabilmente quella casa.

Kreacher non aveva una bella opinione di noi e in generale di ogni mago che non fosse fedele alla causa oscura; bastava pensare che nonostante fosse, di fatto, “proprietà” di Harry – anche se io odiavo moltissimo quella parola – continuava a prendere ordini dal vecchio ritratto della madre di Sirius. Comunque, mi era sempre apparso come un qualsiasi vecchio scorbutico e rancoroso, ancorato al passato.

Quando gli facemmo visita, stava lucidando dei monili d'argento appartenuti alla signora Black.

« Kreacher, dobbiamo parlarti. »

L'elfo domestico si girò come freddato. Ci guardò con i suoi occhi piccoli e neri, poi si alzò di scatto, andandosi a nascondere dietro degli scatoloni impilati.

« Kreacher, ehi! » esclamò Harry aggirando gli oggetti e lui gli scappò ancora. Si andò ad accucciare dietro un baule urlando che dovevamo andare via.

Harry ripartì all'attacco ma lo raggiunsi e lo fermai. Gli infilai la mano in tasca e presi il medaglione, avvicinandomi lentamente verso l'elfo.

« Kreacher, io sono Hermione. Non voglio farti del male... » dissi dolcemente. « Ci serve... ci serve sapere solo una cosa e poi ce ne andiamo. Va bene? »

Vidi i suoi occhi comparire appena oltre la soglia del baule. « Ecco, guarda. Hai mai visto questo medaglione? » aggiunsi, facendolo dondolare a mezz'aria tra me e lui.

« È... è il medaglione di padron Regulus » borbottò.

« Ce n'erano due, no? » intervenne Harry. « Dov'è... quell'altro? »

L'elfo emise dei suoni rochi dalla gola, scuotendo appena la testa. « No... Kreacher non lo sa dov'è l'altro medaglione. »

« Sì, ma tu l'hai mai visto? Era in questa casa? » domandai.

Mi fissò per un istante con sguardo terribile. « Sudicia mezzosangue, arrivano i Mangiamorte! » urlò come indemoniato, lanciandosi contro di me. Mi graffiò la mano con le sue unghie dure e affilate e delle gocce di sangue zampillarono via.

Ron lo spinse e lui cadde all'indietro.

« Ah! Traditore del tuo sangue! » gli inveì contro l'elfo.

Harry guardò prima la mia mano, poi di nuovo Kreacher. « Ora tu mi dici dov'è e io non ti taglio la testa » sibilò, agitandogli nuovamente il medaglione davanti.

Kreacher sgranò gli occhi. Forse sapeva di essere proprietà di Harry o forse era solo spaventato per la sua vita. Ma, alla fine, parlò.

« Sì... era qui. » La sua voce era roca come quella di un persona che non parlava da mesi. « In questa casa. Un oggetto molto malvagio... »

« Che vuoi dire? » lo incalzò Harry, mentre l'elfo arretrava.

« Prima che padron Regulus morisse ha ordinato a Kreacher di distruggerlo ma per quanto Kreacher ci abbia provato non ci è riuscito... » disse, lo sguardo ora assorto nel vuoto. Si portò le mani attorno all'esile corpo, come a volersi schermare da qualcosa.

« Ma... dov'è ora? » domandò Harry. « L'ha preso qualcuno? »

« Lui è arrivato di notte, ha rubato molte cose... compreso il medaglione... »

« Chi è stato? » lo interruppe Harry. Poi alzò la voce. « Chi è stato, Kreacher?! »

Kreacher strizzò gli occhi e le labbra e fece uno sforzo nel pronunciare quel nome. « Mundungus » disse infine. « Mundungus Fletcher. »

Harry si voltò a guardarci, io annuì.

« Trovalo » gli disse.

E Kreacher svanì, lasciandoci soli nella mansarda di Grimmauld place numero 12.




Poco dopo, mentre Ronald si era appisolato e io guardavo fuori il tempo umido e piovigginoso di Londra, sentimmo un rumore improvviso provenire dalla cucina.

Harry si ricacciò il boccino in tasca e si alzò di scatto, come facemmo tutti, per andare nella direzione del suono.

Kreacher, con l'aiuto di un inatteso Dobby, stava trascinando Mundungus Fletcher – il quale pareva aver preso una brutta botta in testa. Lo disarmai immediatamente, prendendo con un incanto la sua bacchetta.

Fu soprattutto Dobby a parlare, a dire di aver visto Kreacher a Dian Alley e di averlo aiutato quando aveva sentito il nome di Harry Potter.

Mundungus, intanto, arretrava verso il fondo della cucina e borbottava qualcosa sul fatto che l'avevamo trascinato lì come un ladro.

« Lo sanno tutti che sei davvero un ladro, feccia » lo appellò Ron.

« Poche chiacchiere » intervenne Harry. « Quando hai ripulito Casa Black – e non negarlo – hai trovato un medaglione? »

Mundungus sgranò gli occhi e si sporse in avanti. « Perché, era prezioso? »

« Ce l'hai ancora? » domandai.

« No... » sorrise Ron. « La feccia teme solo di non averci fatto abbastanza. »

« L'ho dato via per niente, che fesso! » pianse quasi. « Io stavo lì, a vendere la mia roba a Diagon Alley, quando una del Ministero compare e mi chiede di vedere la licenza! » si lamentò. « Dice che vuole sbattermi dentro e l'avrebbe pure fatto, se non le veniva la fissa per quel medaglione! »

« E chi era la strega? »

« Non lo so, io-» si interruppe quando intercettò qualcosa sul pavimento. Si abbassò e prese un giornale. In copertina c'era Dolores Umbridge. Mundungus parve seriamente sorpreso. « Oh eccola, è lei. A lei ho venduto il medaglione.»




« Siamo noi » disse la voce di Tonks nel corridoio d'ingresso di Casa Black.

Mi sporsi dalla poltrona su cui ero accucciata; vidi Harry andarle in contro insieme a Ron. Con lei c'erano Lupin, Malocchio, il padre di Ron e la madre. Si abbracciarono con calore e ne fui quasi invidiosa.

A cena avemmo tutti molte cose da raccontare. Lasciammo che Tonks ci mettesse al corrente degli ultimi scontri con le schiere oscure, poi fu il nostro turno di aggiornarla sulle importanti novità.

L'idea di aver di nuovo un obiettivo concreto su cui puntare ci elettrizzava tutti; eppure, per appropriarci di quel medaglione, dovevamo rischiare molto e giocarci bene le carte a nostra disposizione.

Si trattava di un piano davvero complicato: entrare al Ministero, completamente in mano ai Mangiamorte che effettuavano costanti controlli a tappeto, trovare e togliere alla Umbridge un oggetto che, quasi certamente, portava al collo e andarcene incolumi dall'edificio.

Mi lasciai andare contro lo schienale della sedia, quasi demoralizzata. Rimanemmo a lungo in silenzio, a pensare ad un ben congegnato piano d'azione che non avesse falle e contenesse delle eventuali seconde opzioni. Alla fine, fui io a parlare, riportando alla memoria un escamotage fin troppo familiare.

« Polisucco. »

Molti paia di occhi si voltarono a guardarmi e non dovetti attendere molto per vederli anche annuire. Era la soluzione più ovvia e meno rischiosa che avevamo per introdurci li dentro. Era rischioso, certo; ma non c'era qualcosa di meno pericoloso e incerto, perciò la Polisucco era la trovata più adatta alle nostre esigenze.

Per preparare la pozione in questione, di norma, avremmo impiegato quasi un mese – senza contare il reperimento e pre-lavorazione dei vari ingredienti. Ma per fortuna nella credenza del Quartier Generale dell'Ordine della Fenice, la Polisucco era un elemento chiave sempre a disposizione, che non poteva e doveva assolutamente mancare.



Dopo cena, mi diressi in bagno per una doccia ristoratrice. Rimasi a lungo sotto il getto d'acqua, distendendo i nervi tesi della cervicale e lavandomi un paio di volte i capelli crespi, pieni di foglie secche e polvere, reduci da giorni di pellegrinaggio tra boschi e paesi sperduti. Tornando in camera mi lasciai cadere sul letto e, come ogni volta, diedi uno sguardo al materasso vuoto sopra di me. Nessuno ci aveva dormito dopo di lui.

Afferrai un libro e mi misi a leggere, anche se l'ansia per ciò che ci aspettava il giorno seguente mi distrasse troppo. Rilessi troppe volte la stessa pagina. Quindi, decisi di chiuderlo. Rimasi con le braccia incrociate a fissare la rete sopra di me, pensando. Pensai a quello che avevo fatto, a quello che mi aspettava. Quando i miei pensieri sfioravano il ricordo di Draco lo sovrapponevano con quello che adesso sapevo su di lui.

Seppur Lupin cercasse di nascondermi certe informazioni, avevo sbirciato alcune lettere che arrivavano a Casa Black da Verde Smeraldo e, infine, avevo costretto Tonks a parlarmi, a dirmi tutto ciò che stava accadendo, tutto ciò che sapeva.

Pareva che Draco fosse diventato il braccio destro di Voldemort; che fosse spietato, inflessibile, l'ombra di se stesso. Che seguisse ciecamente ciò che il Signore Oscuro voleva, come un automa. Sembrava che Voldemort, ultimamente, si fidasse solo di lui: nemmeno Piton era riuscito ad entrare nelle sue grazie come aveva fatto Draco in così poco tempo. Tra le schiere dei Mangiamorte si vociferava della freddezza e inesorabilità del giovane Malfoy.

Non l'avevo più visto da quel giorno a Godric's Hollow ma, dopo che Tonks mi aveva detto tutto, quando arrivavo nel luogo dove c'era stata una rappresaglia, una qualsiasi azione dei Mangiamorte, la mia mente immaginava Draco, lì tra le macerie, in piedi a fissarmi, con il sorriso freddo e malevolo che mi aveva riservato a scuola per sette anni.

Non riuscivo – o forse non volevo – ricordare il modo in cui mi aveva guardato durante la sua permanenza a Grimmauld Place. Avevo deciso di rimuovere ogni sensazione positiva che avevo collegato a lui: per me era diventato ciò che era destinato ad essere, ovvero un Mangiamorte spietato che stava dalla parte opposta alla mia, con cui avrei dovuto un giorno scontrarmi e per cui avrei dovuto provare solo odio. Solo odio.

Mi voltai sul fianco, rannicchiandomi su me stessa, stringendo i denti e pregando chissà cosa di farmi dimenticare Draco Malfoy. Certo, c'era sempre l'oblivion. Avrei potuto scegliere di dimenticare usando la magia; insomma, la soluzione esisteva. Ma ero davvero pronta a lasciarlo andare? Ero davvero pronta a rinunciare a lui, a rinunciare all'idea che si potesse ricordare di me? Quando cominciavo a pensare così, la parte di me che voleva riportarmi con i piedi per terra mi faceva chiaramente presente che non c'era nulla da ricordare. Io e Draco non avevamo niente da ricordare. Non esisteva qualcosa di solo nostro, non c'era stato veramente niente tra noi e niente poteva testimoniarlo. No. Qualcosa c'era. Mi sfiorai il nastro di seta nera che portavo da allora tra i capelli; non me n'ero mai separata. Sì, ma in fondo, non ti ha detto che ti amava. Non c'è niente da ricordare. Non sei mai stata niente per lui.

Strinsi i denti, le palpebre e la fronte, portandomi le mani sulle orecchie come se potessi smettere di sentire la mia stessa voce. Era vero. Mi ero legata a lui più di quanto lui si fosse legato a me. Se poi aveva davvero mai provato qualcosa per me.

Mi alzai dal letto e scesi in cucina a prendere dell'acqua. Bevvi lunghi sorsi e mi massaggiai il collo indolenzito. Tornai lentamente sopra, notando Harry e Ron placidamente addormentati. Mi avvicinai alla finestra, chinandomi sul comodino per spegnere la piccola luce che puntava sul mio letto, che usavo per leggere e non disturbarli. Ma non lo feci. Invece, spalancai gli occhi.

Una figura completamente vestita di nero, il volto pallido e i capelli biondi come il burro, era giù in strada e teneva il mento sollevato verso la mia finestra.

Non osai sbattere le palpebre. Rimasi agganciata a quello sguardo di vetro come se fossi stata improvvisamente pietrificata. Nella mente mi passò il tutto e il niente in un istante. Un solo istante. E dovetti reggermi al davanzale per non cedere sulle gambe.

Tutto quello su cui avevo faticosamente lavorato, tutto ciò che avevo accettato come inevitabile - si era drasticamente infranto.

Corsi fuori dalla camera e poi giù per le scale, così rapidamente che mi parve di cadere ad ogni passo. Scalza, sentii qualche scheggia di legno del vecchio parquet dissestato graffiarmi le piante, ma non me ne curai.

Spalancai la porta d'ingresso e uscii in strada. Sotto il lampione, laddove l'avevo visto, non c'era nessuno. Voltai febbrilmente la testa in tutte le direzioni, mossi rapidamente gli occhi a destra e a sinistra, il respiro affannato e le pupille sgranate.

« Hermione! Che-»

Mi girai di scatto, deglutendo. « Tonks, lui era lì, era qui, proprio qui, sotto quel lampione, era qui, così vicino, avrei potuto parlargli, avrei potuto toccarlo, era lì, sull'altro marciapiede, proprio lì, guardava verso la mia finestra, era lui, era qui, era Draco » parlai convulsamente, guardando ancora nella direzione in cui l'avevo visto.

Sentii la mano di Tonks poggiarsi sulla mia spalla e così mi voltai.

« Entriamo dentro, adesso » mi disse. Colsi una severità nei suoi occhi che non mi sarei aspettata.

« Ma che... Tonks-»

« Vieni dentro » m'interruppe.

Feci scorrere i miei occhi nei suoi, per cercare il motivo di tanta freddezza. Intanto, il mio cuore non accennava a calmare i battiti. « Ma io, ma lui... »

« Non poteva essere lui. Basta rincorrere i fantasmi. »

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Capitolo 10
*** E incontri ravvicinati ***


Intro: sorpresa! Avevo già in mente cosa sarebbe successo nel capitolo 10 così mi sono ritagliata un po' di tempo per scriverlo (tra studio e lavoro c.c). Ma non è tutto merito della mia volontà: ringrazio Sae Morinaga che, con la sua lunga e appassionata recensione, mi ha fatto venir voglia di tornare subito a immergermi in questa scrittura. Grazie.




POLISUCCO

e incontri ravvicinati



Casa Riddle era sempre immersa in una coltre di buio e polvere. Ma la puzza, rispetto a due settimane prima, sembrava quasi aumentata - come se un cadavere fosse stato lasciato lì dentro a marcire.

« Sei in ritardo » disse Severus, dritto e immobile nella sua lunga casacca nera.

Rispetto a due settimane prima era cambiata anche un'altra cosa: ero io, adesso, a dover mettere la mano in quella caraffa di ceramica per estrarre la pergamena da portare al Signore Oscuro. Era io a dover portare a termine direttamente le indicazioni di Voldemort e non Piton. Lui mi seguiva, continuava a somministrarmi quelle sue pozioni ricostituenti e mi proteggeva, da padrino qual era. Sospettai che avesse perfino stretto un voto infragibile con mia madre dati i suoi atteggiamenti, ma non glielo chiesi: mi era accanto e questo mi bastava.

« Sì, sono in ritardo » dissi, continuando a camminare in direzione della vetrinetta, senza aggiungere altro.

Infilai la mano nella caraffa, presi il rotolo e lo nascosti sotto l'ala sinistra del mio mantello. Non osavo guardarne il contenuto ma avevo capito che si trattava di una comunicazione segreta che avveniva tra l'Oscuro e una seconda persona, forse perfino infiltrata nella resistenza, che gli passava informazioni.

« Domattina non posso venire con te al Ministero » disse Severus, mentre uscivamo nei giardini umidi e silenziosi.

« Perché mai? »

« Il Signore Oscuro mi ha affidato un altro compito. Tieni » fece, porgendomi un sacchetto pieno di fialette. « Potrei stare via per qualche giorno. »


***

L'alba mi trovò nuovamente con gli occhi aperti. Rimasi a guardare la rete del materasso sopra il mio, respirando piano. Quel giorno ci aspettava una grande prova di coraggio e non potevamo commettere alcun errore; se fossimo riusciti a recuperare il medaglione di Salazar avremmo riportato un enorme vittoria.

Harry, a colazione, ci confidò che pensava fermamente che altri Horcrux si trovassero proprio ad Hogwarts; il problema era, però, che il castello era ormai occupato dai Mangiamorte e, anche se Piton si apprestava a ricoprire ufficialmente il ruolo di Preside dal primo settembre, in quel momento era quasi impossibile pensare di andare lì per fare delle ricerche. Avevamo deciso di rimandare, perciò, almeno fino all'inizio dell'anno scolastico. Inoltre, Hogwarts doveva necessariamente essere l'ultima tappa, l'ultimo scontro: da lì saremmo usciti o vincenti o perdenti, o vivi o morti.

Ripetemmo brevemente il programma d'azione che ci aspettava: l'idea era di rubare l'identità di ministeriali casuali, lasciarli addormentati per almeno un'ora e prendere i loro vestiti, cercando di trovare nel più breve tempo possibile la Umbridge e sottrarle – con l'inganno o con la violenza – quel maledetto medaglione. Infine, tornati al Quartier Generale, distruggerlo.

Mi chiusi in bagno, mi gettai l'acqua fredda sul viso e mi guardai a lungo allo specchio: dovevo restare concentrata, non spostare i pensieri altrove – nemmeno a quello che credevo di aver visto la sera prima. Tonks aveva ragione: dovevo smetterla di inseguire i fantasmi.

Indossai un jeans e una tshirt nera, scarpe comode e capelli legati; mi concessi di intrecciarvi anche il nastro di Draco, sperando che potesse proteggermi da tutti i pericoli.

Erano le otto in punto quando lasciammo Grimmauld Place per smaterializzarci a Londra. Ero stata davvero poche volte nella capitale e non ero sicura che mi piacesse molto la caoticità di una metropoli. Troppe persone, troppe macchine. Tutto viaggiava veloce mentre i miei pensieri avevano bisogno di calma, tempi sospesi e sangue freddo.

Raggiungemmo la zona dov'era ubicato il Ministero della Magia ma sapevamo bene che l'ingresso non era visibile ai Babbani; dovemmo restare in attesa, nascosti tra la folla, fino ad intercettare delle possibili prede, possibilmente due uomini e una donna.

« Herm, sono nervoso » mormorò Ron con le mani lungo il corpo, i pugni chiusi.

« Andrà tutto bene » dissi, senza guardarlo, muovendo gli occhi frettolosi tra le persone.

« Ron, andrà tutto bene » ripeté Harry, ma sembrava che perfino lui non ne fosse convinto.


***

Uscii dal camino dell'atrio principale e mi diressi con passo svelto agli ascensori. Durante il tragitto intercettai molti sguardi, più o meno impauriti, probabilmente più del mio cognome che dalla mia figura.

« Buongiorno signor Malfoy » « Buongiorno signore » « Che piacere averla al nostro Dipartimento! »

Convenevoli. Mi limitavo ad annuire senza salutare a mia volta; i convenevoli e le venerazioni delle persone mi avevano sempre urtato. Il loro non era rispetto, era solo paura. La paura era sempre stata utile, sempre necessaria per i Malfoy; con la paura si costruisce, stratifica ed edifica la propria volontà. Ma, in realtà, la paura mi disgustava e più di tutto la debolezza mi urtava. E con i loro saluti da leccapiedi impauriti, i maghi inferiori al mio rango mi urtavano.

« Cosa posso fare per lei, signore? » mi venne in contro Davies. Era un uomo sulla cinquantina, stazza robusta e occhiali spessi.

« Mi servono i documenti dei controlli sull'entrate e uscite dell'ultimo periodo » gli dissi.

« Ma certo, certo. Se si accomoda nel mio ufficio le faccio portare da bere e tutti i documenti, in modo che possa visionarli con calma. »

Annuii e lo seguii, passando per il pianerottolo affollato; c'era un via vai di dipendenti e di fogli che volavano in direzioni diverse.

« E' sempre un piacere averla qui! Le rinnovo le condoglianze per la morte dei suoi genitori, purtroppo non ho mai potuto fargliele di persona » parlò fittamente, continuando a camminare. Personalmente, l'avevo forse visto due volte prendere ordini da mio padre in quello stesso ufficio, ma non lo conoscevo affatto.

« Lei sta seguendo le orme di suo padre, lui ne sarebbe fiero. In questa battaglia bisogna sapere da che parte stare e lei ha scelto quella giusta, come ovvio che fosse. Controllate il flusso di entrata/uscita mezzosangue, giusto? Cercate qualcuno in particolare? »

« Si limiti a portarmi le carte e torni ad occuparsi dei suoi doveri » lo freddai.

Lui non mi guardò, mi mostrò solo un sorriso imbarazzato. « Ma certo, mi perdoni, sono un gran chiacchierone » si zittì.

Mi fece accomodare nel suo ufficio personale e mi fece servire del whisky incendiario con ghiaccio. Mi disse infine che avrebbe mandato immediatamente qualcuno con tutte le carte e si chiuse la porta dietro, lasciandomi solo. Mi avvicinai alle finestre e mi massaggiai il collo indolenzito.


***

« Dobbiamo restare uniti » disse Harry nell'atrio affollato del Ministero della Magia. O meglio, a parlare era Harry ma l'aspetto era quello di un triste signore con sguardo appeso e pancia molle.

« Se non troviamo in fretta la Umbridge torniamo un altro giorno, non possiamo rischiare » feci, tirandomi appena più giù la giacca stretta che mi fasciava i fianchi. Non avevo mai indossato un tailleur più scomodo di quello.

« Gli ascensori » indicò Ronald e così ci dirigemmo in fretta verso il fondo della sala.

« Mafalda! »

Mi fermai davanti l'ascensore con numerosi maghi in attesa come noi dell'arrivo.

« Mafalda, ehi! »

Le porte si aprirono e il flusso cominciò ad entrare. Harry e Ron mi passarono accanto e, quando feci per mettere un piede all'interno, una mano mi afferrò.

« Mafalda, per tutti i diavoli, ti sto chiamando da mezz'ora! »

Sgranai gli occhi e mi trovai affianco una donna accaldata e sconvolta. « Devi venire subito con me, c'è bisogno di te al dipartimento! Io quei cavolo di registri non li conosco proprio! » continuò e con la coda dell'occhio vidi le porte dell'ascensore chiudersi e i volti preoccupati di Harry e Ron. Poi si chiusero del tutto. Ci eravamo persi.

« Veramente io stavo correndo a svolgere un importante compito per-»

« No, no! E' più importante quello che devi fare al dipartimento! »

La sua faccia era rossa e la sua voce quasi stridula.

« Che... che è successo? » mi arrischiai a chiedere, pur non sapendo assolutamente chi fosse né per cosa fosse l'urgenza.

« Il signor Malfoy è piombato da noi stamattina, dice di voler vedere i registri di entrata e uscita, ma io non conosco la parola d'ordine per aprire il mobile e se non ci sbrighiamo Davies mangerà la testa a me e poi anche a te! » continuò con lo stesso impeto.

Non ebbi nemmeno il tempo di sgranare gli occhi e perdere un respiro che la donna mi infilò nell'ascensore successivo.


***

Erano dieci minuti che aspettavo. Avevo finito il mio bicchiere di whisky incendiario e il ghiaccio si era quasi del tutto sciolto.

Camminai avanti e dietro, guardando le foto e i certificati appesi alla parete a destra dell'ufficio, accanto alla porta. Riportavano varie menzioni di merito attribuite al signor Davies e ai suoi sottoposti, in particolare a tale Mafalda Hopkirk.

Mi avvicinai nuovamente alle finestre per vedere il traffico mattutino di Londra. Poveri babbani: senza la smaterializzazione o le passaporte, erano obbligati a stare stipati in quelle cassette di latta con ruote e perdere chissà quanto tempo per fare appena cento metri. Ai miei occhi da mago erano sempre apparsi come un gradino inferiore della scala evolutiva.

Preso da una fulminante e impellente insoddisfazione, mi voltai deciso verso la porta e a passi svelti la raggiunsi. La aprii, già pronto a richiamare Davies, quando quasi mi scontrai con una donna sui quaranta, l'aria spaurita e una pila pericolante di registri tra le mani.

« Oh Merlino » fece quella, barcollando all'indietro e facendosi sbilanciare dal peso.

Con un movimento secco di bacchetta feci lievitare i volumi e li direzionai alla scrivania.

« Lei è? » le domandai prestandole poca attenzione.

« Mafalda Hopkirk, signore » disse la sua voce sottile. « Se è tutto, andrei. »

Alzai un sopracciglio. « Non è assolutamente tutto. Devo controllare le entrate e uscite dal 21 giugno e non ho intenzione di impazzire tra queste carte da solo. »

Mi appoggiai con il fondoschiena al bordo del tavolo, incrociando le braccia al petto. « Quindi è pregata di chiudere la porta e rendersi utile. Pare anche aver ricevuto delle menzioni di merito. Si faccia onore » aggiunsi, guardandola da sotto le sopracciglia.

La strega teneva ancora le mani unite, le gambe dritte come tronchi e gli occhi all'in giù.

« Si-signor Malfoy, ho un compito molto importante da svolgere e davvero dovrei andare... »

Lasciai il mio posto, dirigendomi a passi lenti e cadenzati nella sua direzione. Mi sembrò che tremasse addirittura.

« Chiuda la porta e si venga a sedere di fronte la scrivania » le ripetei da vicino.


***

Non avevo mai provato tanta ansia in vita mia. Davvero, non credevo avrei retto.

Deglutii e non potei fare altro che obbedirgli, sperando di trovare presto chiunque o qualsiasi cosa cercasse ed avere quindi il permesso di defilarmi.

« Ma-ma certo, signor Malfoy » dissi, chiudendo il battente di legno della porta.

Non avrei certamente pensato di trovarmelo davanti in una situazione del genere; magari sul campo di battaglia, faccia a faccia con le bacchetta sguainate – per non parlare di quella parte di me che sperava, ogni volta, di vederlo ricomparire colmo dei suoi ricordi perduti – ma certamente non avrei immaginato di incontrarlo, di nuovo, nei panni di un'altra persona.

Draco si allontanò da me e prese posto sulla sedia di pelle girevole; io mi sedetti di fronte, su una sedia. Il sole che filtrava dalle finestre gli rendeva i capelli perfino più chiari e i suoi occhi parevano pioggia; le mascelle definite erano contratte, le mani lunghe e affusolate sfioravano le copertine dei registri. Gli abiti erano completamente neri, come la sua anima. Eppure non riuscivo a smettere di pensare quanto fosse attraente. Guardarlo, sapendo di non essere guardata – di non essere riconosciuta – mi dava un misto di adrenalina, ansia, paura e voglia. Mi era mancato. Mi mancava. Notai solo quando mi guardò di nuovo un'ombra violacea sotto gli occhi, segno di notti interrotte da incubi ricorrenti. Come le mie.

« Si dia da fare » mi esortò.

« Certo » mi ripresi, afferrando tre registri e cominciando ad aprirli.

« Lei dovrebbe conoscerli a memoria. Mi risulta che sia lei a monitorare gli ingressi al Ministero » disse.

« Con il lavoro che c'è da fare non ricordo tutto a memoria » dissi senza guardarlo, « ma ci vorrà un attimo » aggiunsi in fretta.

« Lo spero. Non ho tutta la giornata. »

Io non ho nemmeno un'ora.

Individuai, più per fortuna che per altro, il registro di giugno e andai al fondo, fino al giorno 21.

« Ecco, da qui in poi » gli dissi, girandolo nella sua direzione. « Se mi dice cosa sta cercando sicuramente faremo più in fretta. »

Draco sollevò gli occhi chiari su di me, lame sotto le sopracciglia arcuate. Poi sovrappose le mani sotto il mento e si appoggiò appena sopra. « Mi serve sapere i nomi dei maghi e delle streghe che sono entrati ed usciti al di fuori degli orari di lavoro. »

« Sospetta qualcosa, signore? »

« Sospetto sempre qualcosa. »

« E in particolare...? »

Draco inclinò appena la testa. « In questo dipartimento siete tutti troppo curiosi. »

Diventai rossa, distolsi lo sguardo. « Mi scusi » biascicai, sperando che non avesse notato nulla di strano.

« Sa che Potter e i suoi sono ricercati in tutto il Mondo Magico, vero? »

« Sì, ne sono a conoscenza. »

« Loro, o altri per loro conto, potrebbero avere in mente di fare un giro al Ministero per compiere qualche atto scellerato... »

Sbiancai e non osai guardarlo. « Qu-qui siamo sempre molto severi con i controlli. »

« Me lo auguro » disse poi, tornando a prestare intenzione ai registri. « Perciò si muova a dirmi quali sono i movimenti sospetti che vede registrati nell'ultimo mese. »

Annuii e finsi di leggere le pagine del registro di giugno, poi feci la stessa cosa con quello di luglio. Li accostai, confrontandoli, fingendo insomma di sapere quello che stavo facendo.

« Può sicuramente dare un'occhiata a questa e questa riga, e anche a questa del 26 luglio per essere sicuri » feci infine, porgendogli i due registri. Avevo sparato completamente a caso e mi feci mille scrupoli per coloro i quali rischiavo di colpire; ma avevo qualcosa di più importante da portare al termine e troppo poco tempo a disposizione.


***

« Bene » annuii, guardando nomi e orari. Attesi qualche minuto, più perché mi divertiva il fatto che la signora Hopkirk avesse fretta e che io avessi il potere di mantenerla su quella sedia. Soddisfazione infantile, lo sapevo.

Alzai gli occhi su di lei con l'intenzione di dirle che era libera di andare, finché non vidi qualcosa di fin troppo familiare che attirò la mia attenzione.

« Quel nastro. Quello che porta tra i capelli. »

La vidi inorridire. Una reazione fin troppo esagerata per una constatazione così calma. Si portò una mano ai capelli, i suoi polpastrelli toccarono la stoffa di seta nera e sembrò inorridire ancora di più.

« È solo un nastro. »

Lo guardai ancora, sporgendomi sopra la scrivania verso di lei.

« Questo nastro... » e nella mia mente apparve un nastro magico che ricordavo fin troppo bene; uno sciamano che me l'aveva regalato in uno dei viaggi con la mia famiglia; poi delle immagini corrotte, non perfettamente chiare e limpide come le prime: mi vidi in una biblioteca, in una casa, con una ragazza, con Hermione Granger. La mia fervida immaginazione mi suggeriva che, un tempo, avevo dato a lei quel nastro.

« Se le piace posso darglielo! » Nella voce della strega c'era una certa urgenza.

Scossi la testa, tornando al presente, divertito dal fatto che potesse pensare una cosa così frivola sul sottoscritto. « No. Che sciocchezze » tornai al mio posto. « Mi sembrava solo di averlo già visto. »

Nonostante il clima teso si fosse leggermente mitigato, non riuscii a togliere gli occhi da quel nastro. Era vero; era un semplice nastro nero ma la mia mente lo collegava a importanti e lontani ricordi.


***

« Può andare » disse finalmente, dopo quella che mi era parsa un'intera vita. Mi alzai si scatto e per poco non perdetti l'equilibrio; le gambe parevano burro fuso e la testa avvolta in un cerchio di corde.

« La saluto, signor Malfoy » dissi con un mezzo inchino del capo e mi voltai rapida, diretta alla porta.

« Quand'è che si è fatta male? »

Mi bloccai a metà strada e il cuore aumentò ancora i battiti. La porta sembrava così vicina eppure così irraggiungibile.

« Non capisco... »

« La mano destra. »

Feci scendere lo sguardo e vidi la pelle graffiata. I graffi che mi aveva lasciato Kreacher. Stavo tornando normale.

« P-prima, con la carta. La carta taglia. »

« Prima non li aveva. »

« E' capitato poco fa, quando lei... »

« Prima non li aveva. Io non perdo alcun dettaglio » ribadì con severità.

Chiusi gli occhi e presi un bel respiro. Lo sentii muoversi nella mia direzione ma rimasi ferma, impalata, a dargli le spalle. Pregai che mi lasciasse andare. Pregai chissàcosa con tutta me stessa.

« Come fa a tremare a fine Luglio? »

« Non ho freddo. »

« E allora perché trema? »

« Stanchezza... »

Un discorso già fatto, delle parole così banali eppure appartenute ad un passato fin troppo familiare, fin troppo vicino, fin troppo urgente di essere ricordato.

Mi voltai, lo guardai dritto negli occhi. « Signor Malfoy, adesso devo andare. Devo completare il mio lavoro. »

Lui mi guardò a lungo. Il suo sguardo mi parve diverso, mi scavò dentro, fin nel profondo e il suo profumo d'ambra mi inebriò i sensi. « Vada pure » mormorò in un sussurro e io feci un passo indietro, poi mi voltai e afferrai la maniglia della porta. Lo vidi girarsi e portarsi una mano alla nuca. Improvvisamente non volevo lasciarlo; sapevo che non l'avrei rivisto, probabilmente mai più. « Stai attento, ti prego » sussurrai e quando mi accorsi di averlo detto ad alta voce, era troppo tardi.

Draco aveva sollevato il capo e poi si era girato a guardarmi. I suoi occhi erano un misto di stupore e consapevolezza.

Schizzai fuori dall'ufficio e corsi agli ascensori, maledicendomi con tutta me stessa.


***

Dischiusi le labbra e vidi la porta chiudersi di botto.

« Stai attento, ti prego. » La voce di Hermione. Godric's Hollow. L'ultima volta che l'avevo vista.

No! Spinsi lo schienale della sedia e questa cadde all'indietro in un tonfo. Erano ricordi falsi. Era impossibile, era irreale. Ero malato.

« Stai attento, ti prego. »

« Diavolo! » esclamai, passandomi furiosamente la mano tra i capelli. Digrignai i denti, mi accovacciai sulle gambe e mi coprii le tempie con i palmi. Non sono ricordi reali. Non sono ricordi reali.

Mi alzai di scatto e mi girò la testa, ma non me ne importai. Uscii dall'ufficio e mi diressi agli ascensori.

« Oh signor Malfoy, ha finito? Le occorre qualcos'altro? » mi intercettò Davies. Non mi fermai e lui stette al mio passo.

« Ho bisogno della signora Hopkirk. »

« Era con lei un attimo fa. »

« Lo so bene » lo guardai con il disgusto che riservavo agli idioti. « L'ho lasciata andare ma ho ancora bisogno di lei. »

« Ha preso l'ascensore » m'indicò, faticando a mantenere il mio passo.

Mi fermai davanti all'apparecchio e vidi i bottoni luminosi dei piani lampeggiare, fino a fermarsi al piano atrio.

« Arrivederci signor Malfoy » mi salutò quello ma non gli risposi. Presi il secondo ascensore e cliccai 'atrio'.


***

Stavo ancora correndo quando avvertii le scarpe diventarmi, improvvisamente, troppo strette.

« Cacchio » gemetti, saltellando e togliendomele, poi continuando a correre. Quella Mafalda portava 35 di piede, maledetta!

Vidi, tra la folla dell'atrio, Harry e Ron completamente ri-trasformati che correvano verso i camini; al loro seguito una scia di guardie ministeriali che lanciavano incanti all'impazzata.

Afferrai la bacchetta e lanciai loro degli schiantesimi e degli incantesimi di disarmo, continuando a correre.

« Da questa parte! » urlai loro e Harry mi vide, afferrò Ron per un braccio e cambiarono bruscamente direzione.

La folla attutì il fiume in piena di guardie e guadagnammo qualche secondo.

« Abbiamo il medaglione! » gridò Ron.

« Ai camini, di qua! » urlai.

Tutto accade in pochi secondi. Li spinsi nella coltre di metropolvere verdastra e così sparì il primo, poi il secondo e quando venne il mio turno qualcuno mi afferrò il braccio ma caddi lo stesso nel passaggio.



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Capitolo 11
*** E ricordi urgenti ***


Intro: va bene, non fateci l'abitudine u.u però so di dovermi far perdonare per tutti i mesi che vi ho fatto aspettare e poi le vostre recensioni mi danno una carica che nemmeno immaginate!




POLISUCCO

e ricordi urgenti



Caddi per terra, strusciando le ginocchia sui rami appuntiti del sottobosco, poi rovinai sul fianco. L'impatto col suolo mi tolse il fiato. Spiragli di luce filtravano fino a terra, davanti ai miei occhi. Vedevo di lato i fusti degli alberi che dalle radici fuoriuscite si ergevano maestosi e rendevano quel posto tranquillo e fresco, come lo ricordavo da piccola. Era la prima cosa che mi era venuta in mente, il primo posto a cui avevo pensato: in quel bosco avevo passato molte domeniche con la mia famiglia, tra pic-nic ed escursioni. Ma non importava dov'eravamo. Importava che fossi riuscita a focalizzarmi non più su Grimmauld place, che nel giro di qualche secondo fossi stata in grado di lasciare la mano di Ron e pensare ad un altro luogo. Ce l'avevo fatta. Il Quartier Generale era salvo.

Mi voltai sulla pancia e mi sollevai sulle braccia, avvertendo dolori diffusi in tutto il corpo. Sentii un rumore alle mie spalle e mi voltai di scatto, accovacciata nell'erba.

A pochi passai da me, in procinto di rialzarsi, c'era Draco Lucius Malfoy. Sgranai gli occhi e mi si svuotò lo stomaco. Lui si voltò e i suoi occhi mi fissarono come lame di ghiaccio. Cercai istintivamente la bacchetta. Mi tastai il fianco destro, ma nulla. Con la coda dell'occhio, la vidi per terra a poche braccia da me.

Mi alzai di scatto e lui fece lo stesso. Fu su di me prima che potessi mettere il palmo sul mio unico strumento di difesa; mi bloccò con il suo corpo e mi atterrò. Non ero forte; non avevo mai lottato contro un uomo senza l'aiuto della magia.

« Mezzosangue » disse, cercando di bloccarmi le braccia con cui mi dimenavo. « Eri tu, lo sapevo! »

Scalciai, senza prenderlo; ottenni solo di strisciare all'indietro sulla schiena. Draco s'infilò nello spazio tra le mie gambe e aderì con il bacino al mio, per evitare i miei calci. Provai a dargli delle tallonate sulla schiena ma non sembravo fargli male.

« Ferma... stai ferma! »

Mi dimenai, cercai di schiaffeggiarlo e cercai di divincolarmi in tutti i modi ma Draco era più forte di me. Gli sputai sulla faccia e la sua espressione cambiò in una cieca rabbia: mi afferrò con forza i polsi e li sbatté violentemente al suolo, ai lati delle spalle. Mi mancò il respiro e tossii per l'impatto che tutto il mio corpo ebbe con il terreno.

Adesso, mentre troneggiava su di me, potevo rivedere l'espressione malvagiamente soddisfatta che mi aveva riservato durante gli anni scolastici, quando riusciva a farmi sentire piccola e sporca.

« Draco, lasciami andare! » urlai, mentre la vista mi si appannava per colpa delle lacrime.

« Non azzardarti a chiamarmi per nome! » urlò a sua volta, chinandosi su di me e stringendomi con più forza i polsi.

« Mi-mi fai male » biascicai « lasciami, lasciami andare! » mi agitai, digrignando i denti « Draco, maledizione! »

« Tu » cominciò lui, a pochi centimetri dal mio viso « tu mi hai fatto qualcosa e ora mi dirai cosa e mi darai l'antidoto. Così, forse, ti risparmierò la vita. »

Feci scorrere furiosamente le mie pupille nelle sue. « Ma che... »

« E' inutile che fai la finta tonta, Mezzosangue. So bene che mi hai somministrato qualcosa... o magari è stato un incantesimo? La sera della morte di Silente o magari ancora prima... » ragionava, come sovrappensiero, come divertito dalla mia paura.

« Non so di cosa tu stia parlando » gli dissi, sbattendo le palpebre per far cadere le lacrime e tornare a vedere.

« Certo, come no » sorrise. Poi divenne serio, incredibilmente serio. « Ho delle immagini in testa che riguardano te, dei falsi ricordi, delle menzogne, che mi stanno divorando il cervello! » urlò, stringendo ancora di più i miei polsi.

« Ah... Draco... » soffiai senza forze. Non mi sentivo più le mani.

« Non chiamarmi per nome! » tuonò come tuonarono i suoi occhi in tempesta, grigio-azzurri, rapiti da un vortice di nuvole.

« Siamo stati vicini... siamo stati amici... »

« Tu menti! » mi urlò sul viso.

« Non sto... non sto mentendo » dissi, stringendo forte gli occhi e prendendo a singhiozzare.

« Ti ucciderò e così sparirà tutto quello che mi hai messo nella testa » sibilò contro le mie labbra e io tremai, con la fredda consapevolezza che nella sua follia mi avrebbe davvero ucciso, proprio lì, proprio in quel momento.

« Tu ricordi il nastro » tentai, « ricordi di avermelo regalato. L'hai preso in un viaggio, è una magia araba di protezione. Me l'hai dato per proteggermi in tua assenza! » esclamai, spingendo il torace e agitando le spalle. « Diamine, deve fare davvero schifo se non riesce nemmeno a difendermi da te! » urlai.

I suoi occhi si aprirono e la sua mascella contratta perse forza. Mi guardò con confusa urgenza, dischiuse le labbra e la sua stretta sui miei polsi si allentò.

Più confusa di lui pensai che solo provando a parlare avrei continuato a stimolare qualcosa, qualsiasi cosa avesse nei suoi ricordi tormentati. E ad avere salva la vita. « Ma forse... il nastro sa riconoscere le intenzioni malvagie. E tu non hai mai voluto farmi davvero del male. Tu non mi faresti del male, io e te... abbiamo un legame » parlai senza fermarmi, senza prendere fiato « Ci siamo trovati in un modo strano, solo nostro. Ci siamo riconosciuti... Ci siamo fatti forza l'un l'altro, abbiamo imparato a capirci nei silenzi, io ho- »

« Stai zitta... » m'interruppe con un filo di voce. Ma io non demorsi.

« Ricordi quando mi hai chiesto di portarti con me? Ricordi quando hai cercato di ucciderti? Ricordi quando a Godric's Hollow eri preoccupato per me, e io per te? »


« Stai attento, ti prego. »


« Zitta... » ripeté; mentre il volto andava contraendosi la sua forza si affievoliva.

« Non so cosa c'è stato tra noi, se potrà mai riesserci... ma, ti prego, ti prego Draco, ricordati di me. »

Con il polso destro quasi del tutto libero, mossi appena la mano e gli sfiorai le nocche con le mie dita. Lui arretrò, come scottato; uscì dalle mie gambe e strisciò rapido indietro sull'erba. Si guardò intorno, come se d'un tratto non sapesse dove fosse.

Tentai, seppur priva di forze, di rialzarmi. Riuscii a portarmi in ginocchio e provai a raggiungerlo ma lui arretrò ancora. Aveva lo sguardo perso, vacuo, lontano. Allungai una mano.

« Non mi toccare. »

« Draco... »

« Non chiamarmi per nome! » urlò, trafiggendomi con i suoi occhi grigi appena lucidi.

Si alzò di scatto e io arretrai, spaventata, sull'erba. Mi guardò un'ultima volta, per un tempo così lungo eppure così breve. Poi fece un passo indietro, un altro ancora e sparì inghiottito in una nuvola di fumo.


***


Appoggiai i palmi sulla porta e diedi qualche colpo leggero. La colluttazione e prima ancora l'impatto col suolo mi avevano regalato un bel po' di lividi; la smaterializzazione, poi, mi aveva tolto le ultime briciole di forza.

Sentii il rumore dello spioncino che veniva scostato; poi la porta si spalancò e vidi che c'erano tutti, alle spalle di Harry, a fissarmi preoccupati.

« Herm! »

Mi appoggiai a lui per paura di cadere a terra, sentivo le gambe molli e le ginocchia bruciare. Almeno ero riuscita a tornare a casa.

« Merlino, Hermione! »

« Portate del dittamo e un ricostituente, forza! »

Davanti a me c'era un via vai che non riuscivo a vedere distintamente per colpa della coltre di liquido salato che mi riempiva le orbite.

« So-sono viva, sto bene » agitai appena una mano, per tranquillizzarli. « Ho solo bisogno di fare un bagno. »

« Hai tutte le ginocchia escoriate e i polsi così viola che paiono neri » disse Lupin osservandomi.

« Lo so. »

Remus mi prese in braccio e mi depositò sul divano prima che potessi dirgli di non farlo.

« Che diavolo è successo? » sbottò Harry, accorrendo rapido al mio capezzale. « Eri con noi e un attimo dopo... »

« Qualcuno mi aveva afferrato. Non potevo mostrargli dove stavamo » dissi, accettando di buon grado il ricostituente che mi avevano avvicinato alle labbra.

Bevvi tutto d'un sorso e dopo pochi istanti mi sentii subito meglio. Mi toccai i polsi ma provavo delle fitte dolorosissime, come se mi ci stessero infilando decine di lame contemporaneamente.

« Chi era? Che ti ha fatto? »

« Era Draco. »

Tutti si scambiarono uno sguardo spaventato. Ronald sbiancò e poi divenne rosso paonazzo; lo vidi agitarsi e tentare di dire qualcosa ma lo precedetti.

« Abbiamo avuto una colluttazione ma credo che, alla fine, abbia ricordato qualcosa. Mi ha lasciato andare. »

Tonks spostò Lupin e si piazzò davanti a me, con espressione rabbiosa. « Hermione, ma cosa ti dice la testa? Draco ormai è perso! »

Scossi appena la testa. « No. »

Mi afferrò per le spalle ed Harry la richiamò. « Lasciala stare Tonks, sta male, è debo- »

« È proprio adesso il momento giusto! » esclamò, senza smettere di guardarmi negli occhi. « Deve capire quanto ha rischiato. »

Ricambiai il profondo sguardo in silenzio.

« Non puoi fargli tornare i ricordi. Meglio che tu ci rinunci fin fa adesso. Ormai è andata » scandì come se avesse a che fare come una stupida.

« Non è vero » scandii a mia volta. « L'ho visto con i miei occhi. »

« Ti sei illusa. Devi accettare l'idea che lui non tornerà. »

« Potrebbe non tornare. Potrebbe non ricordare. Ma io- »

« Vuoi provarci, eh? A costo di rimetterci la vita? » esclamò con foga.

« Nimphadora... » la fermò Lupin, mettendole una mano sulla spalla. « Va bene così. » Poi si rivolse a me. « Lei è solo preoccupata. Vuole proteggerti. »

Abbassai le sopracciglia sugli occhi, fissandola. « Posso proteggermi da sola » dissi secca, poi feci forza sui braccioli della poltrona e mi alzai.

Me ne andai lentamente verso le scale e le imboccai, ignare delle loro voci, senza voltarmi indietro.

Mi chiusi in bagno e mi spogliai, gettando i vestiti per terra e riempiendo la vasca con molto sapone alla vaniglia.


***


« Cazzo. »

Mi passai violentemente le mani nei capelli e restai ad osservarmi nello specchio del bagno. Respirai, non perdendomi d'occhio, cercando di calmare il cuore e il respiro. Mi sciacquai la pelle con acqua gelida e mi asciugai lentamente. Tornai ad osservarmi come se qualcosa potesse cambiare.

« Cazzo. »

Mi voltai, nascondendo il viso tra le mani e respirando nei palmi. Ad occhi chiusi rivedevo la scena che avevo appena lasciato. Rivedevo i suoi occhi colmi di lacrime, sentivo il suo tremore sotto il mio corpo e provavo rabbia, tristezza, impotenza e ancora rabbia.

Rabbia perché non avrei voluto farle del male, perché non riuscivo a farle del male. Tristezza perché avrei voluto solo che smettesse di piangere, che stesse bene; e impotenza, perché non riuscivo a gestire una situazione come quella che stavo vivendo, colma di domande e vuoti. Ma poi tornava la rabbia, con me stesso, una rabbia cieca che mi trovava debole, incerto, inadatto.

Hermione.

Non le avrei mai fatto del male, aveva ragione lei. Ma su cos'altro aveva ragione? Era davvero come diceva, i miei ricordi erano reali? Chi aveva ucciso i miei genitori se non era stato Potter?

Mi sentivo come se mi mancasse qualcosa, come quando sai di aver dormito almeno otto ore ma non ricordi assolutamente nessun sogno, solo il momento in cui hai chiuso gli occhi... ed è già mattina. Un'insoddisfazione che non riesci a spiegarti ti prende la gola ma presto l'accantoni e cominci la tua giornata.

Io non riuscivo ad andare avanti. Perciò, quella strega, qualcosa doveva sapere più di me.

Hermione. Hermione.

« Cazzo. »


Entrai nel salone principale di Malfoy Manor e vidi il Signore Oscuro seduto a capotavola, le mani giunte e lo sguardo immerso in chissà quali pensieri. Accanto a lui Nagini, arrotolata attorno alle gambe della sedia e vigile su ciò che accadeva intorno al suo padrone.

« Sono qui, mio Signore. »

Voldemort aprì gli occhi e spostò l'attenzione su di me. Distese le labbra sottili e mi fece cenno di avanzare. « Il mio giovane e brillante ragazzo, ormai uomo. »

« Sempre ai vostri ordini, Signore » accennai ad un inchino del capo.

« Ho ottenuto delle importanti informazioni sull'Ordine della Fenice... o come si fanno chiamare quei quattro fessi » cominciò, alzandosi in piedi. « Pare siano entrati in possesso di qualcosa che mi appartiene. Una cosa molto, molto importante che credevo perduta. »

Aggrottai appena la fronte ma rimasi in silenzio. Non pensai a niente, come mi era stato insegnato, per paura che lui potesse leggermi qualcosa dentro.

« Ho bisogno di questo oggetto. Lo rivoglio » aggiunse, camminando verso di me. « E confido nel fatto che tu farai di tutto per scoprire, nel minor tempo possibile, dove si trova. E quindi lo porterai da me. »

« Mio Signore... posso sapere la forma di quest'oggetto? » domandai atono, celando la mia curiosità.

« È un medaglione » disse, poggiandomi una mano sulla spalla. Avvicinò il viso e mi guardò a fondo negli occhi. « Trovalo, Draco. »


***


Uscii dall'acqua come da una lunga apnea e restai a calmare i battiti. Un piede dopo l'altro, scavalcai la vasca e mi avvolsi l'asciugamano attorno al corpo. Mi guardai allo specchio e mi pettinai i capelli, districando i nodi che si formavano ogni volta.

Tornai in camera e lasciai cadere l'asciugamano per terra, restando nuda. Afferrai degli abiti comodi e lentamente mi rivestii. Ci misi più del normale; con la mente ero completamente altrove.

Sollevai il capo, ridestandomi dai pensieri, mi sporsi verso il davanzale e recuperai un bicchiere; mi fermai. Giù in strada, sul marciapiede opposto al mio, c'era Draco.

Come la volta precedente teneva il mento sollevato verso la mia finestra, nel cono di luce del lampione. Indossava degli abiti scuri e il lungo mantello gli avvolgeva il corpo fino alle caviglie.

Sembrava una statua di cera, il riflesso del ragazzo che avevo conosciuto e con cui mi ero più volte scontrata. Perfino da lì potevo notare la sua pelle estremamente pallida e gli occhi appesantiti da profonde occhiaie.

Poggiai i palmi sul vetro e lo osservai. Draco restò immobile. Avevo paura di interrompere quel contatto visivo e perderlo; una parte di me voleva correre giù da lui – se era lì qualcosa voleva significare – ma una parte non sapeva cosa aspettarsi: temevo che le sue intenzioni non fossero pacifiche. E se avesse ricordato la nostra ubicazione e fosse tornato per tradirci? O se era lì per attaccarmi, per vendicarsi di ciò che pensava gli avessi fatto? Immaginavo le parole di Tonks nella mia testa: mi diceva di non azzardarmi a scendere senza aver avvertito tutti, di prendere le giuste precauzioni e di pensare all'ipotesi peggiore.

Contrassi le dita sul vetro, avvicinando il naso e la fronte. In realtà volevo davvero solo scendere e poterlo sfiorare, lo volevo con tutta me stessa.

Draco ruppe la sua immobilità afferrando il lembo sinistro del mantello; fece un gesto circolare, venne risucchiato dal fumo che si avviluppò come un serpente nero attorno alla sua figura. Spalancai la finestra e mi sporsi in avanti, aprendo la bocca per parlare.

Emerse dal fumo, prima che Draco sparisse del tutto, un uccello di carta bianca; volò fino al mio davanzale e si poggiò con le zampe. Era l'origami di una gru. Si aprì del tutto e divenne un foglio privo di pieghe, completamente liscio, con su scritte un manciata di parole in calligrafia elegante e sottile.



Sta cercando il suo medaglione. E sa che l'avete preso voi.



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Capitolo 12
*** E debiti saldati ***


Intro: buonsalve! Ho cercato di aggiornare relativamente in fretta, spero che il cap vi piaccia. Fatemi sapere come sempre, anche con una breve frase, cosa ve n'è parso! Bacioni.




POLISUCCO

e debiti saldati



Non ho mai sopportato di essere in debito verso qualcuno. Esserlo ti pone in una situazione di svantaggio: se sei ricattabile e manovrabile, sei debole. Inoltre, non puoi sapere quando quella persona ti chiederà di saldarlo; dovrai dire sì anche se nel momento in cui si presenta a riscuotere le condizioni sono per te sfavorevoli.

Mentre mi smaterializzavo via da Grimmauld place, però, pensai che non era esattamente per questi motivi che avevo mandato un messaggio ad Hermione. Una parte di me – che faticosamente cercavo di lasciare ai margini della mia coscienza – voleva renderle il favore. Voleva davvero ripagarla per tutto quello che aveva fatto per me fino a quel momento e per quello che stava continuando a fare il suo ricordo dentro di me: era solo per merito suo che stavo risalendo con le unghie dal pozzo in cui ero caduto. La sua voce in superficie mi chiamava e, sebbene fosse più facile ignorarla o pensare che fosse un'allucinazione, quella voce, quella strega, significava per me qualcosa di più di ciò che ero disposto ad ammettere.

E più ricordavo, più ragionavo.


Più tornavo a desiderarla, più sapevo che dovevo starle lontano.


***


« Lui sa che abbiamo noi il medaglione » esordii, dopo aver a lungo fissato gli ospiti di Casa Black fare colazione nella sala pranzo.

Le loro teste si sollevarono verso di me, ancora sulla soglia della porta con la mano sullo stipite. Era mattina presto e faceva ancora fresco nonostante l'estate avanzasse afosa.

« Cosa? »

« Voldemort sa. »

Ronald si asciugò il latte sulla bocca e deglutì. « E tu come fai a saperlo? »

Ovviamente mi ero aspettata quella domanda. Tirai fuori il messaggio di Draco e lo dispiegai sul tavolo, passandoci le dita sopra. Tutti si affacciarono verso il biglietto e qualcuno assottigliò gli occhi.

« Che significa? Chi lo manda? » domandò Lupin, con lo sguardo fisso sulla carta.

« Draco. »

Tonks fece scattare la testa verso l'alto, guardandomi severa. « È una trappola. »

Mi accigliai. « Come fai a-»

« È ovvio, Hermione. Perché, nonostante la sua memoria perduta, nonostante sia attualmente il braccio dentro di Voldemort, ti ha mandato- aspetta, vi siete rivisti? » domandò improvvisamente.

Esitai. « No, è arrivato via gufo. »

Tonks per un attimo mi fissò, poi tornò a guardare il biglietto. Sentivo che se le avessi detto che era venuto fin sotto la mia finestra, avrebbe dato di matto. Forse ero io ad essere troppo superficiale, troppo fiduciosa nei confronti di Draco?

« Comunque, che ti abbia scritto una cosa tanto delicata al solo scopo di aiutarti mi pare inverosimile » continuò.

Misi la mano sul biglietto, tirandolo via dal tavolo e ficcandomelo in tasca. « Io credo che stia cominciando a ricordare, invece. Quando ci siamo scontrati-»

« Ti ha fatto del male » mi interruppe Lupin, ma dal suo viso non traspariva lo stesso accanimento della compagna.

« Era confuso, » tentai di giustificarmi. Di giustificarlo. « Mi ha detto che i ricordi si sovrappongono a ciò che crede reale, non è facile. Ma si è fermato » li guardai, « mi ha lasciato andare. E poi questo messaggio. »

Harry corrucciò la fronte. « Parli di una trappola, » esordì, rivolto a Tonks. « Ma, in fondo, è una pura e semplice informazione utile. Non ci sta mica dicendo di incontrarci chissadove o chiedendo di fare chissacosa. Ci sta solo mettendo in guardia. »

« Grazie, Harry » annuii nella sua direzione. Mi sorrise.

« In effetti credo che non ci sia niente da temere » disse Lupin, poggiando una mano sulla spalla di Nimphadora. « Al massimo, da sperare » aggiunse con un sorriso, rivolto a me.

« La speranza è pericolosa » borbottò Tonks.

« Direi che il ragazzo si sta riprendendo » intervenne Malocchio, trangugiando del caffè fumante. « Direi che la questione è chiusa. »

In quel momento lo adorai. Gli sorrisi e sorrisi perfino a Tonks che rimase corrucciata a guardare altrove.


***


Malfoy Manor era immersa nel silenzio della sera. Le tende si gonfiavano e riabbassavano, spinte dal piacevole vento che entrava dalle grandi portefinestre del salone principale.

Aspettavo Severus con impazienza; erano cinque giorni che non lo vedevo, non era mai stato via tanto a lungo.

Ero seduto al capotavola opposto a quello che occupava, di solito, il Signore Oscuro. Tenevo le mani incrociate sulla superficie levigata e lucidata di quercia; la gamba si muoveva costante in un impercettibile e ansioso tremolio.

Avevo maturato di dire tutto al mio padrino; dei pensieri che ormai mi stavano divorando la testa, di ciò che avevo fatto e di ciò che volevo fare. Avrebbe potuto capirmi? Mi avrebbe tradito, invece? Non lo sapevo, perciò esitavo. Temevo che confidandogli tutto avrei compromesso la mia posizione e... avrei perso l'occasione di aiutare Hermione dall'interno.

Già. Una frase che non avrei mai immaginato nemmeno di pensare; erano giorni che pensavo a quel messaggio che le avevo scritto, a quel gesto impulsivo che avevo compiuto. Una parte di me se n'era pentita, un'altra parte continuava a ripetermi che avevo fatto la cosa giusta.

Mi passai i polpastrelli sul marchio nero, lucido e perfetto nei contorni; risaltava come un'ustione sulla mia pelle chiara. E stava lì a fissarmi, a ricordarmi costantemente cos'ero diventato nell'ultimo anno. Abbassai la manica della maglia, tirandola giù fino al polso; potevo sperare di non essere solo un vile Mangiamorte? C'era qualcosa di più?

Un rumore mi fece voltare la testa all'indietro e vidi Severus avanzare verso di me. Mi alzai e attesi che mi fosse di fronte. Avrei voluto chiedergli come stava, ma tacqui. Invece, lo domandò lui a me.

« Sto... bene » risposi. « Sono solo stanco » aggiunsi subito dopo, come a volermi giustificare davanti al suo sguardo indagatore.

Mi aggirai per il salone, andando verso le tende di seta verde, lasciando che mi carezzassero le gambe e venissero risucchiate indietro.

« Stai prendendo il ricostituente? »

Annuii, senza guardarlo.

« Te ne lascio un'altra scorta. Probabilmente riparto subito. »

Mi voltai con il volto corrucciato. « Di nuovo? »

Severus annuì. « È necessario. »

« Che stai facendo? » domandai, dopo aver a lungo esitato.

Lui si sedette sulla sedia dov'ero pochi minuti prima; si portò le mani alla radice del naso adunco e chiuse per un attimo gli occhi. « Sto dando la mia vita per la causa. »

Mi girai completamente, poi feci qualche passo, appoggiando le mani sul bordo del tavolo. « Che stai facendo? » ripetei, lentamente.

Severus Piton alzò gli occhi scuri su di me; gli angoli tendevano verso il basso e le sopracciglia avevano perso la forza.

« Quando avrai ricordato, potrò dirti tutto. »

Sgranai gli occhi e presi un lungo respiro. « Ricordare? » dissi infine, con un filo di voce.


***


« Ricordi quando ti dissi che Malfoy non meritava di essere salvato? »

Era il compleanno di Harry, quella sera. Mezzanotte era passata da un pezzo e io e Ron gli avevamo fatto gli auguri sotto una tenda, in mezzo alla Foresta di Dean, contea di Gloucestershire, senza nemmeno una fetta di torta.

« Lo ricordo. »

Harry distese le braccia al cielo, stiracchiandosi, poi tornò a poggiare la testa sul cuscino.

« Forse, se fosse morto quel giorno, avremmo perso di più di quanto abbiamo guadagnato. »

Chiusi il libro che avevo sulle gambe e sollevai il mento verso il mio migliore amico. Con gli occhi, lo esortai a continuare.

« Quello che voglio dire è che, nonostante tutto quello che gli sta capitando, riesce comunque a... tornare. Tenta di fare la cosa giusta. E credo che sia merito tuo. »

Abbassai la testa, fissandomi le ginocchia. « Non credo che sia merito mio. »

« Io dico di sì. E lo pensa anche Ron. »

Guardai Ronald che, con gli occhi fissi sul soffitto della tenda, fingeva di non prestarci attenzione.

« Secondo me Malfoy doveva trovare qualcuno che vedesse in lui altro. Forse gli sei stata più indispensabile di quanto credi e si sta aggrappando al tuo ricordo per uscire fuori dal baratro in cui è ripiombato. »

« Harry, credo che tu stia esagerando... »

Per quanto le sue parole solleticassero in me una felicità indescrivibile, non riuscivo ad abbandonarmi a quella speranza.

« No, ci ho pensato. Credo che tu sia stata l'unica a dargli un'occasione e questo, al suo posto, non lo dimenticherei. »

Lo guardai per qualche istante, poi annuii con un mezzo sorriso e tornai a guardare la copertina del libro. Forse era davvero così: forse per lui ero stata la giusta medicina al momento opportuno. E quindi, probabilmente, solo quello e nulla di più.

Guardai l'apertura della tenda e mi alzai, seguendo la piacevole brezza che arrivava da lì.

« Non ho sonno, faccio il turno di guardia » dissi senza voltarmi, uscendo fuori.

Mi sedetti all'esterno, portandomi dietro il libro; invece di aprirlo, feci scorrere gli occhi sulla foresta buia.

Qualche giorno prima avevamo deciso di allontanarci da Grimmauld place per trovare un posto anonimo e desolato dove agire.

Avevamo discusso a lungo – soprattutto dopo che Draco ci aveva confidato che Voldemort sapeva. Il nostro obiettivo principale era liberarci del medaglione il più in fretta possibile; distruggerlo, comunque, pareva essere l'opzione più accreditata.

Dopo aver provato ogni incantesimo che conoscevamo per infrangerlo, ci eravamo fermati, ansanti, a riflettere: probabilmente nemmeno l'incantesimo più oscuro che conoscevamo poteva davvero liberarci da quell'oggetto maledetto. D'altronde era un Horcrux, un pezzo d'anima di Voldemort che garantiva la sua immortalità: un oggetto perciò quasi impossibile da distruggere.

Ci eravamo allontanati dal Quartier Generale assolutamente convinti di poterci riuscire, convinti anche che fosse rischioso spaccarlo a Grimmauld place – ricordavamo tutti cosa potesse scaturire da quegli maledetti oggetti una volta in frantumi. Temevamo, inoltre, che Tom avrebbe potuto vedere, anche solo per un istante, l'ubicazione del nostro Quartier Generale, prima di sentire un pezzo della sua anima brutalmente infranta da parte nostra.

« Quindi... che si fa? » aveva detto Ron, dopo l'ennesimo Incendio.

« Il diario lo distruggemmo con il dente di basilisco » avevo fatto notare, rigirandomi la bacchetta tra le dita. « Ma, pur volendo, dovremmo tornare ad Hogwarts. »

Harry aveva scosso la testa. « Ovviamente è fuori discussione. Prima di settembre, per lo meno. »

« Non possiamo aspettare tanto, lui lo sta cercando » ci aveva ricordato Ron.

« Esatto. »

Eravamo rimasti qualche altro minuto a guardare la superficie di vetro sotto cui riluceva inciso un serpente; più lo osservavo, più mi metteva i brividi. Poi, Harry aveva avuto un'idea geniale.

« La spada di Grifondoro » aveva esclamato.

Ron si era accigliato, confuso. « Che? »

Io avevo subito collegato. E mentre Ron chiedeva spiegazioni, Harry era già pronto a chiarire tutto. « Ron, la spada può distruggere il medaglione! La spada di Godric può assorbire qualsiasi potere per diventare più forte... io la usai per uccidere il Basilisco, quindi ha il potere del suo veleno, come lo hanno i suoi denti. »

Ron, però, aveva genuinamente espresso un lecito dubbio, che noi avevamo preferito mettere da parte. Ovvero, dove trovare la spada?

La consapevolezza ci era piombata addosso come una cascata ghiacciata; eravamo rimasti in silenzio, nervosi e incompleti, a pensare. Ma, d'altronde, era la spada che doveva trovare noi. La spada va in aiuto di qualsiasi Grifondoro che ne abbia bisogno.

Quindi ci eravamo accampati, ancora una volta con l'idea di aspettare. Aspettare cosa? Era una vita che aspettavo il momento giusto.


Un globo di luce celeste apparve, debole, dietro gli alberi. Si gonfiò e si dispiegò, come un foglio di carta: ne apparve una cerva, elegante e bellissima.

Arretrai sull'erba e, senza voltarmi, chiamai Harry. Un rumore alle mie spalle mi avvertì che aveva sentito e stava arrivando, ma continuai ad osservare quello splendido patronus, incantata e spaventata al tempo stesso.

« Che diamine... » fece la voce di Harry. Lo vidi muoversi lento verso la luce. La cerva fece un passo indietro e si allontanò, non prima di averlo guardato una seconda volta.

« Vuole che la segui » dissi sovrappensiero.

Harry deglutì e annuì, ma Ron lo trattenne. « Ma di chi è quel patronus? »

Harry scosse la testa. Poi riprese a camminare. Trattenni Ronald dal fare altre domande, poi lo seguimmo in silenzio.

La cerva ci portò ai bordi di uno stagno ricoperto di ninfee e altre piante; l'acqua ne era così ricoperta da riuscire solo ad immaginare che ci fosse. Poi, la cerva si ritrasformò nel globo di luce e lenta scomparve sotto la superficie.

Harry fece un passo avanti, poi un altro, infilando i piedi nell'acqua.

« Harry! » lo richiamò Ronald con la voce strozzata dalla paura. Io rimasi con gli occhi sgranati ad osservarlo avanzare: lui sentiva di doverla seguire ed io ero con lui.

La testa del nostro amico più caro scomparve, infine, sotto un fiore e l'acqua restò calma. Ron prese a camminare avanti e dietro, annunciando più volte che se non fosse uscito in quel momento si sarebbe buttato a sua volta.

Poi, Harry uscì. Prese un'enorme boccata d'aria e ci guardò, sorridendo; alzò un braccio e ci mostrò la spada di Godric.

Avrei potuto piangere per la felicità.

« Chi l'ha messa lì? Chi ci sta aiutando? Di chi era il patronus? » domandai a raffica, mentre aiutavo Harry ad uscire dallo stagno.

Lui scosse la testa. « Non ne ho idea! Ma adesso possiamo distruggerlo! » esclamò, respirando a fatica con la bocca aperta.

Lasciammo che si sedesse su una pietra, poi Ronald poggiò poco più in là il medaglione e tutti lo guardammo.

« Qualunque cosa ci sia dentro, lotterà... il pezzo di Riddle del diario ha cercato di uccidermi. »

Deglutii, osservando l'Horcrux e poi la spada. Ron diede voce ai miei pensieri.

« A chi tocca farlo? » disse in un sussurro, aprendo e chiudendo le mani nervosamente.

« Io parlerò, per farlo aprire. Poi uno di voi due lo colpirà. Ronald, fallo tu » aggiunse infine.

Ron scosse la testa, stringendo le labbra fino a sbiancarle. « No-non c-credo di farcela » balbettò, fissando l'oggetto.

Harry si tirò su e gli poggiò le mani sulle spalle, per avere la sua attenzione. « Ron, puoi farlo. »

Ron scosse la testa. « Quel coso fa più effetto a me che a voi due. Mi mette i brividi, mi tremano le mani quando lo sfioro » si lamentò.

« Ron, per questo devi farlo! Puoi sconfiggere questa paura, tu-»

« Lo farò io. »

Entrambi si voltarono verso di me. Ron aveva ancora gli occhi colmi di paura ma avevano la punta di incredulità che invece riempiva quelli di Harry.

« Cosa? » domandò quest'ultimo.

« Voglio farlo io » ripetei, categorica.

Harry tolse le mani dalle spalle di Ron e si voltò completamente verso di me. Mi guardò a lungo. « Ne sei sicura? »

Annuii. « Ne sono sicura. »

Harry annuì a sua volta, poi prese la spada di Grifondoro e me la porse. « Allora, appena si apre. »

Afferrai il manico dell'arma e strinsi le dita, facendole aderire perfettamente. Lo avvolsi anche con la sinistra, allargando appena le gambe per mettermi in posizione. « Sono pronta. »

Harry lasciò il mio sguardo e si diresse al medaglione. Pronunciò alcune parole in serpentese e questo si aprì; un click e poi si spalancò di colpo, facendo fuoriuscire un'onda di fumo nero, denso e vivo. Questo si gonfiò e ci spinse tutti all'indietro, facendoci cadere per terra. Poi si attorcigliò e gridò, come se fosse una creatura degli abissi.

« Hermione, vai! » gridò Harry, ma non riuscii a vederlo.

Cercai a tentoni la spada, tenendo gli occhi su quell'essere incorporeo, finché non toccai con i polpastrelli qualcosa di metallico. In quel momento dal fumo emerse un volto e poi una figura completa.

Draco Malfoy avanzava verso di me, avvolto nei suoi soliti abiti neri, accarezzato dal mantello; il suo volto era una maschera di spietata soddisfazione.

« Stupida, piccola Mezzosangue... »

La voce che ne uscì sembrò risuonarmi direttamente nelle orecchie, come se provenisse da dentro il mio corpo. Mi riempì la cassa toracica e si bloccò in gola, come un singhiozzo interrotto.

« E così hai veramente pensato che per me potessi contare qualcosa? Poverina, mi fai quasi pena. »

Sorrideva ed avanzava sinuoso verso di me, seduta nell'erba. Cercai di arretrare, strisciando all'indietro, ma con gli occhi continuavo a guardare solo Draco.

« Mi sei servita nel momento opportuno e adesso mi sono ripreso ciò che era mio. Non mi è mai importato niente di te, però è stato divertente fartelo credere. »

« Tu non sei lui... » biascicai.

Accanto a Draco apparve una giovane donna che si aggrappò al suo braccio e mi sorrise maligna. Assomigliava ad Astoria.

« Pensavi davvero che mi sarei innamorato di te? »

Rise, continuando ad avanzare.

« Io sono un Malfoy, un nobile e potente purosangue. Tu solo una lurida sanguesporco. Sei anche bruttina, goffa e ridicola, non te l'ho sempre detto? Solo una ragazzina con i denti da castoro. »

« Basta... smettila... »

« Pensi davvero che il tuo ricordo possa scatenare qualcosa in me? Credi a questa bella favola? »

« Zitto... »

« Quel nastro che custodisci tanto gelosamente è solo uno stupido pezzo di stoffa senza alcun significato » continuò, « d'altronde non ti ha mai protetto, no? E non ti sta proteggendo nemmeno adesso. Ti sei bevuta ogni mia singola parola... »

Fece una pausa e la sua figura si chinò su di me; potei sentire quel fumo avvolgermi le caviglie e le gambe, bruciava come acido.

« Povera mezzosangue... Per me non sei niente. Niente. »

« BASTA! »

Una luce dorata mi passò accanto alle tempie e scese avvolgendo il mio braccio, fino alle dita; mi riempì di forza il palmo e mi comandò le falangi, che si strinsero attorno all'elsa. La stessa energia mi fece scattare, come una molla, verso il medaglione. Trascinai la spada e la sollevai verso l'alto, gridando e colpendo con tutta la mia forza l'Horcrux.

Un urlo inumano contrasse la figura di Draco; venne tutto risucchiato all'indietro e poi ci fu un'esplosione di energia che s'infranse sul mio corpo.

Caddi nuovamente sulle ginocchia e mi accorsi che intorno a me c'era solo silenzio; solo il mio respiro affannato riempiva l'aria. Mi lasciai andare ad un pianto a lungo trattenuto e solo dopo pochi istanti sentii le mani di Harry e Ron sulle mie spalle.

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Capitolo 13
*** E contrattempi dolorosi ***


Intro: buonasera lettori! Ecco a voi il 13esimo capitolo. Grazie mille per le recensioni, come sempre bellissime e molto motivanti. Spero che anche questo cap vi piaccia, fatemi sapere <3

ps. ricordo che il cambiamento caratteriale di Draco è dovuto al resettaggio di memoria e manipolazione della suddetta da parte di Voldemort. Alcune azioni che compie sono perciò da leggere tenendo presente questo.




POLISUCCO

e contrattempi dolorosi



« Quella luce. È uscita da » borbottò confuso Ronald, indicando la mia testa.

Mi passai le dita tra i capelli, sciogliendo la treccia laterale; sfiorai con i polpastrelli una consistenza estranea. Seta nera. Esitai.

Sfilai quindi rapidamente il nastro e me lo portai davanti al viso, sgranando le palpebre. Le parole fittamente incise, appena in rilievo, mi restituirono uno sguardo muto. Le sfiorai ancora.

« Che razza di magia è? »

Non risposi subito, continuai a toccare quell'oggetto; sbattei le ciglia e sorrisi appena.

« Pensavo fosse quel medaglione, invece è uscita da quel coso » continuò Ron, accovacciandosi accanto a me nell'erba.

« È una magia araba » mormorai, rigirandomelo delicatamente tra le dita.

Ronald guardò Harry che fece spallucce. Quindi tornò alle domande. « E dove l'hai preso? »

« Me l'ha regalato Draco » sussurrai, poi li guardai « per proteggermi in sua assenza. »

Davanti al mio sorriso privo di forze ma vivo di speranza, Harry sorrise a sua volta e venne a sedersi accanto a me; la sua espressione cambiò lievemente verso l'incertezza.

« Quello che hai visto... nel fumo... » provò, ma io scossi la testa, tornando cupa.

« Non voglio parlarne » distolsi lo sguardo, poi mi alzai, spazzolandomi i vestiti. « Va bene così. »

Mi allontanai in direzione della tenda a passo svelto; improvvisamente volevo mettere un enorme distanza tra me e tutto ciò che avevo intorno. Sentivo un calderone di emozioni miscelate, provavo contemporaneamente gioia e dolore.

Sentii dei passi affrettarsi dietro di me, poi una mano mi afferrò la spalla e mi voltò. Ron mi fissava con aria ferita.

« Ci tieni molto a... Malfoy? »

Strinsi il nastro nella mano destra; il bosco taceva e c'erano solo alberi a perdita d'occhio. Harry ci raggiunse e passò una manciata di secondi, durante i quali Ronald non accennò a rinunciare a quella risposta.

Alzai quindi lo sguardo nel suo; aveva la stessa espressione timorosa eppure coraggiosa di quando l'avevo conosciuto, ma la prima stava lasciando sempre più spazio alla seconda. In quel momento mi passarono tantissime cose per la testa. Ciò che provavo per Draco, ciò che lui (non?) provava per me, ciò che Ron voleva, ciò che ci aspettava, ciò che doveva affrontare Harry, la tenacia severa di Tonks, l'incertezza della Resistenza, la guerra che ci stava lacerando, Voldemort che avanzava sempre di più... e tutto sembrava comunque correlato a quella domanda. Ci tieni molto a Malfoy? Sollevai appena il mento, pronunciandomi con assoluta convinzione.

« Sì. »

Lui annuì, annuì più di una volta, come se si stesse autoconvincendo. Poi scosse la testa, si passò una mano sul viso e mi superò diretto alla tenda.

In quel momento vidi Harry girarsi di scatto alle sue spalle. Fu un gesto così rapido che mi fece sgranare gli occhi e fare un passo avanti.

Lo vidi estrarre la bacchetta e guardarsi nervosamente intorno.

« Harry, co-»

Uno sciame di maghi a cavallo di vecchie scope ci passò sulla testa, sopra le fronde degli alberi; mi appiattii contro un tronco e trattenni il respiro.

« Cosa diavolo...? »

« Shh. » Harry zittì Ron e lui deglutì. « Pattuglie » aggiunse poi in un sussurro.

Ma era troppo sperare che non ci avessero notato. Tre scesero in picchiata in mezzo a noi e, prima ancora che potessimo rifletterci, stavamo già scappando.

Scattammo tutti in direzione diverse; io a destra e cominciai a correre con tutta l'energia che avevo, evitando la fitta boscaglia e gli ostacoli nel terreno, saltando qualche sasso, girandomi a lanciare incantesimi alle mie spalle.

Un incarceramus mi passò lungo la tempia sinistra e due catene atterrarono nell'erba davanti a me; dovetti saltare per non caderci sopra.

Avevo perso sia Harry che Ron; l'unica cosa a cui il mio corpo stava rispondendo era un basilare istinto di sopravvivenza. L'unica cosa che le gambe percepivano era la paura che dal mio cervello andava a far palpitare il cuore e mi ordinava di non fermarmi, nonostante il dolore, nonostante i crampi, nonostante sapessi benissimo che non avevo alcuna speranza di farcela.

Il terzo incarceramus mi colpì con tutta forza, infrangendosi dietro le mie ginocchia: all'istante le mie gambe si unirono, avvolte dalle catene, così caddi in avanti. Complice la velocità a cui stavo andando strisciai nell'erba per parecchi metri, con il viso sui rami e le pietre del terreno. Mi fermai con la bocca piena di terra e il sapore ferroso del sangue sotto il naso.

Sentii una lunga risata mentre il mio aggressore si avvicinava. « Mi hai fatto correre come un pazzo, ringraziami che non ti uccido all'istante. »

Si piazzò davanti a me, abbassandosi sulle gambe; notai in quell'istante il nastro di Draco nella terra venire calpestato dalle sue scarpe. Mi dimenai, strattonando le catene e gridando di lasciarmi andare.

Mi colpì con violenza e persi i sensi all'istante.


Svegliarmi a causa di uno schiaffo fu una sensazione nauseante. Il dolore arrivò subito dopo, bruciante, sulla guancia sinistra. Sbattei le palpebre, cercando di prendere fiato e guardai l'uomo che incombeva sopra di me. La sua voce mi arrivò un istante dopo.

« Hai dormito bene, sanguesporco? »

Non lo ascoltai. Il primo pensiero fu dove mi trovassi e se anche Harry e Ron erano stati presi. Potevo vedere solo una stanza dal soffitto basso, sporca e con le pareti cementate alla peggio; sembrava uno scantinato abbandonato.

« Ti trovi a Malfoy Manor, se te lo stai chiedendo » continuò quello.

Alzai gli occhi su di lui; era un uomo nerboruto e dall'espressione ignobile. Mi tirai le gambe al petto, rannicchiandomi.

« E sarai ospite in questo posto... per un po' » sorrise aprendo le braccia come in un macabro gesto di benvenuto.

Restai in silenzio ad osservarlo con disgusto. Nella mia testa, invece, l'informazione che mi aveva dato continuava a vorticare come impazzita. Mi trovo a Malfoy Manor. Mi trovo a Malfoy Manor. Mi trovo a Malfoy Manor.

« Dove sono i tuoi amichetti? »

Sgranai gli occhi ma cercai di riportare immediatamente lo sguardo ad un'espressione più neutra possibile. Non li hanno presi, hanno preso solo me.

« Devi ritrovare al più presto la lingua oppure te la tiro fuori io con la forza » mi disse con quel sorrisetto insistente, prima di accovacciarsi davanti a me.

Mi passò due dita sullo zigomo e appena mi toccò provai una fitta di dolore; mi accorsi solo allora che mi pulsava tutta la guancia e mi bruciavano diversi punti sia lì che nel resto del corpo. Quante ferite avevo? Erano gravi?

« Ti faccio male, piccola? » Aprii tutta la mano sul lato del mio viso e strinse, conficcandomi le unghie nelle carne lacerata. « Io ho appena cominciato. »

« Anson. »

Il mio carceriere si voltò di scatto e vidi, nonostante mi desse appena il profilo, la sua espressione mutare in sorpresa.

« Signor Malfoy... »

Si alzò e così facendo si spostò leggermente a destra, liberandomi di uno spiraglio la visuale.

Draco stava in piedi poco più in là, completamente vestito di nero con la pelle pallida e i capelli color burro a risaltare come una stella nel cielo notturno. Non potei fare a meno di notare anche delle evidenti occhiaie violacee.

« Che stai facendo? »

« Signore, stavo solo... sto interrogando la mezzosangue » tentò di dire Anson con un tono completamente diverso da quello che aveva usato con me. Era riverente, quasi intimorito.

« Vattene. Continuo io qui. »

« Ma certo, signore. »

Anson abbassò appena la testa in un mezzo inchino e si affrettò a lasciare lo scantinato, sparendo oltre una porta di ferro pesante.

Pochi secondi e calò il silenzio. Io non potevo fare altro che restare dov'ero; seduta su quel pavimento di calce, legata per i polsi ad un gancio sopra la mia testa. Ma non avevo smesso un attimo di guardarlo. E non avrei parlato per prima.

« Mezzosangue. » Detto da lui aveva un suono completamente diverso.

La sua mascella si contrasse quando le sue iridi grigie seguirono la linea di quelle che immaginai essere le mie ferite. Lo vidi stringere lo sguardo, perfino deglutire.

Fece un passo avanti, poi un altro, lentamente, finché le punte delle sue scarpe non toccarono le mie.

« Ti sei fatta catturare come una sciocca. »

La sua voce si riempì di una nota triste e incerta. Lo vidi contrarre nuovamente la mascella, quindi parlò con più forza.

« Che cazzo di modo è di agire? »

Sbattei la palpebre e parlai per la prima volta da quando mi ero risvegliata. « Come? »

« Come cazzo vi muovete, voi? È così facile prendervi? » sbottò, guardandomi dalla sua posizione eretta.

Per guardare in alto, il collo cominciava a dolermi; appoggiai la testa contro la parete, priva di forza. Feci scorrere i miei occhi nei suoi e dischiusi appena le labbra. « Mi ucciderai? »

Draco aprì di più lo sguardo, come se l'avessi trafitto con un pugnale. I suoi occhi parvero sfere di acquamarina grezza.

« Non voglio ucciderti » disse piano.

« E allora cosa? Mi farai del male? Cercherai di tirarmi fuori informazioni utili a quel pazzo sanguinario del tuo Signore? » sbottai, ritrovando un po' di forza. « Oppure manderai qualcuno a farlo al posto tuo? » Improvvisamente l'idea che qualcuno come Anson mi toccasse solamente mi fece venire una paura paralizzante; la voce mi si spezzò e smisi di parlare.

Draco dovette notarlo perché si chinò sulle gambe e il suo viso fu all'altezza del mio. Esitò, poi mi sfiorò appena la fronte; quando tolse le dita, gli vidi i polpastrelli sporchi di sangue. Se li portò alle labbra e lo leccò via, poi si tolse dalla tasca un fazzoletto di seta verde e mi tamponò leggermente qualche parte del viso. I suoi occhi seguivano la sua mano e ciò che c'era intorno, i miei occhi non si muovevano dai suoi.

Poi estrasse la bacchetta e d'istinto mi ritrassi, per quel che potei. Lui ne parve amareggiato; poi spostò l'attenzione alle mie ferite e una luce giallastra lasciò la punta del legno, infilandosi in numerosi punti della mia pelle. Avvertii la magia penetrare nel dolore e darmi sollievo.

« Non posso curarle completamente » disse, nascondendo nuovamente la bacchetta sotto gli abiti. « Qualcuno s'insospettirebbe. »

Sbattei le palpebre e cercai il suo sguardo; Draco stava osservando le sbucciature sulle mie ginocchia e i muscoli del suo viso si irrigidirono.

« Draco... »

« Shh » mi zittì.

Avrei voluto dire tante cose. Di nuovo, sentimenti contrastanti si affollavano dentro il mio stomaco, pulsavano dentro la cassa toracica e minacciavano di uscire violentemente. Avrei voluto toccarlo, sentirlo vicino. Avrei voluto scappare, lontanissimo da lì. Avrei voluto che mi dicesse di più, che mi rassicurasse di più. Da che parte stava? Potevo fidarmi?

Infine il suo nastro balenò nei miei pensieri e le lacrime mi pizzicarono gli occhi.

« Ho perso il tuo nastro » mormorai. « L'avevo in mano, stavo correndo, sono caduta... deve essere stato allora che... Ho cercato di prenderlo ma... scusami, ti avevo promesso che-»

« Non m'interessa niente di quel dannato nastro » mi interruppe, severo.

Senza guardarmi si alzò di scatto e se ne andò verso la porta; sentii una forte sensazione di paura al pensiero che mi lasciasse lì da sola. Inspiegabilmente, nonostante tutto ciò che era successo, stare in sua presenza mi trasmetteva sicurezza.


***


Mi appoggiai lungo il corridoio, portandomi una mano alla bocca. Frenai con difficoltà le lacrime che salirono a bruciarmi gli occhi; deglutii, come per digerirle.

Raddrizzai la schiena e ripresi a camminare, svoltando a destra, poi a sinistra, imboccando delle scale buie fino a comparire in un'anticamera, prima della biblioteca.

Delle voci concitate mi arrivarono ancor prima che giungessi nel salone principale; quando misi piede sulla soglia, vidi Anson gesticolare animatamente, raccontando di come aveva catturato e tramortito Hermione. Severus era accanto a Amycus Carrow ed Antonin Dolohov, con malcelata aria disgustata.

Quasi tutti i Mangiamorte della schiera più vicina a Voldemort erano accorsi immediatamente alla notizia che era stata presa una dei tre, in particolar modo la Mezzosangue. Mancava solo l'Oscuro Signore ma sarebbe arrivato a momenti; ero stato io stesso ad avvisarlo, perché era solo questione di tempo prima che qualcuno lo facesse al posto mio. E Voldemort si aspettava che io gli fossi fedele. Sempre.

Avanzai, tirando fuori la bacchetta, procedendo in direzione di Anson. Le sue parole continuavano a susseguirsi con tono divertito e rozzo, visibilmente orgoglioso. Aveva almeno dieci anni più di me e aveva sempre avuto addosso un'insopportabile puzza di latte inacidito. Lo vidi girarsi e notarmi quando fui a qualche metro da lui.

« Malfoy, signore. »

« Dove l'avete trovata? »

« E-erano nella foresta di Dean » rispose con aria stranita.

« Erano solo loro tre? »

« Sì, signore. »

« E gli altri due? » dissi rapido, stringendo la bacchetta tra le dita.

« Li-li abbiamo persi » fece, guardandosi intorno, come cercando supporto dei suoi compagni.

Sollevai la bacchetta e con un gesto secco del polso gli lanciai un'Avada Kedavra. La luce verde s'infranse sul suo petto e il corpo di Anson precipitò a terra con un tonfo sordo.

Cadde il silenzio.

Sollevai il mento sul resto della pattuglia ministeriale, passando in rassegna i loro volti spaventati.

« Eravate – quanti? Dieci? Di più? Vi siete fatti sfuggire dei ragazzi colti alla sprovvista! » urlai, contraendo la mascella. « Cosa ce ne facciamo della Mezzosangue? Cosa c'è da festeggiare? » continuai, spostando furiosamente gli occhi in tutti i loro.

Nessuno fiatò. Le posizioni dei loro corpi si erano fatte chiuse, come a volersi schermire dal mio impeto.

« Dovrei uccidervi tutti » sibilai, facendo un passo verso di loro. La maggior parte di quelli superava abbondantemente i vent'anni e provenivano da famiglie più o meno fedeli alla causa; ma i più volevano solo distinguersi in un mondo in pieno cambiamento. Li vedevo davanti a me, tremanti, ignobili, superficiali e faticavo a tenere a freno la rabbia che provavo in quel momento. Da quando erano morti i miei - da quando avevo perso i ricordi - uccidere era l'unica cosa con cui trovavo pace.

« Tornate a fare il vostro lavoro, luride fecce » dissi infine e li vidi letteralmente correre via dal salone.

« Toglietemi questo coso dal tappeto » feci rivolto a due Mangiamorte che obbedirono rapidamente. Da quando ero diventato il braccio destro del Signore Oscuro nessuno osava contraddirmi, né contrastarmi. E mai come in quel momento quel fattore mi aiutò tantissimo a non esplodere; il loro silenzio e riverenza mi calmò. Avrei voluto strappare gli occhi dalle orbite di tutta la pattuglia ministeriale al completo, solo immaginando che avessero potuto guardarla. Figurarsi toccarla.

« Draco. »

La voce di Severus mi giunse inattesa. Mi voltai a guardarlo con la mascella ancora contratta. Mi bastò un suo sguardo paterno per calmarmi. Deglutii, respirai. Andai a sedermi al lungo tavolo e dopo poco un soffuso chiacchiericcio riprese tra i presenti.

Incrociai le mani sul legno levigato e me le osservai; sui polpastrelli potevo vedere ancora il suo sangue. Non riuscivo a togliermi dalla mente i suoi occhi lucidi, la sua pelle tumefatta, i suoi polsi legati, la sua paura. Era a casa mia e io non potevo fare niente per farla andare via.

Una mano sulla spalla mi fece voltare di scatto. Gli occhi di Piton erano stretti e concentrati quando si chinò verso il mio viso.

« Tre cose deve ricordare l'uomo ogni giorno: il bene che non ha fatto, il male che ha fatto, e il tempo che ha perduto. »

Sbattei le palpebre al suono di quello strano proverbio. Oramai la parola ricordo mi veniva evocata da lui continuamente ma continuamente mi lasciava in sospeso. Una parte di me era sicura che lui sapesse di me più di quanto io sapessi di me stesso. Era un pensiero irrazionale eppur così giusto.

In quel momento comparve Lord Voldemort al centro del salone, accompagnato da volute di fumo nero. Nagini si dispiegò al suo fianco e soffiò rivolta a due Mangiamorte.

« Quale splendida, splendida sorpresa » sibilò il Signore Oscuro, congiungendo i palmi come in una sinistra preghiera. Aprì quindi le braccia e fece un mezzo giro, con un sorriso a tirargli le labbra. « Mi è giunta voce che l'amichetta di Harry Potter è attualmente nostra ospite! »

Mi alzai in piedi e gli feci un inchino col capo. Lui mi guardò e venne a poggiarmi le mani sulle spalle.

« Le pattuglie si sono fatti sfuggire Potter » gli dissi.

Voldemort sgranò gli occhi, così mi affrettai a continuare. « Hanno avuto la giusta punizione. Inoltre mi occuperò personalmente di estrarre dalla Mezzosangue tutte le informazioni sulla Resistenza. »

Lo vidi sorridere con quella deformazione alla labbra che lo faceva apparire così spaventoso; le fessure al posto del suo naso tremarono appena, come branchie.

« Che bravo il mio ragazzo. Lascio tutto nelle tue mani » si avvicinò al mio orecchio, sibilando. « Tira fuori dalla Mezzosangue ogni cosa che sa. Sarà la nostra esca per attirare Harry Potter. »


***


Avevo perso la cognizione del tempo. Non riuscivo a capire se fossero passati minuti oppure ore quando vidi tornare Draco; eppure mi sembravano passati giorni.

Cercai di raddrizzarmi meglio e lui si abbassò alla mia altezza, porgendomi un bicchiere d'acqua; mi poggiò il bordo alle labbra e inclinò gradualmente perché bevessi. Quel liquido fresco nella gola fu una sensazione bellissima.

« Ti farò delle domande. Non dirmi la verità, mai. Dimmi solo bugie. »

Aggrottai la fronte e lo guardai confusa.

« Il Signore Oscuro potrebbe frugare nella mia mente; per quanto io sia un bravo Occlumante non voglio rischiare. »

« Va... bene » dissi incerta. Cercai i suoi occhi ma non mi guardava; non riuscivo a capire se e quanto potevo fidarmi di lui.

« E dovrai gridare. Come se ti stessi torturando. »

Sull'ultima parola ebbi un brivido ma mi feci coraggio e annuii. La sua voce era spaventosamente monocorde e il suo sguardo come perso nel vuoto. Non mi guardava direttamente negli occhi eppure notai il tremore appena accennato alla sua mano destra quando sfiorò per caso le ferite alle mie ginocchia.

« Ti ricordi... di me? » gli domandai.

Finalmente Draco mi guardò; aveva gli occhi stanchi. Il suo profumo d'ambra mi arrivava meno forte e mischiato all'odore di sangue e muffa che impregnava l'aria.

« Hai bisogno di sentirtelo dire? »

Sì. Era chiaro che Draco stesse riacquistando la memoria sottratta ma avevo bisogno di sapere come e in che misura stesse riemergendo; avevo bisogno che lui me lo dicesse chiaramente, volevo sentirlo dalla sua voce.

« Ti prego » sussurrai.

Esitanti, le sue dita mi portarono dietro l'orecchio una ciocca di capelli. Rimase poi con la mano lì e il suo pollice mi carezzò lentamente la tempia. Era il primo vero contatto che avevamo da troppo tempo. E, a ben pensarci, i contatti tra noi erano stati rari anche prima della sua amnesia.

« Sì. A volte no. Non lo so nemmeno io » sussurrò infine. Avrei voluto toccarlo, ma avevo le mani sollevate e legate.

« Però sei qui. »

Spostò lo sguardo nel mio, tagliente sotto le sopracciglia arcuate. « Sono qui. »

Mi osservò per qualche attimo, poi contrasse i muscoli del viso e si staccò bruscamente dal mio corpo. Si alzò in piedi e fece qualche passo all'indietro.

« Ora grida, supplicami di non farti del male. Non chiamarmi per nome. » Le occhiaie come mezzelune d'ombra gli rendevano lo sguardo ancora più penetrante. « E io ti prometto sulla mia vita che ti farò uscire di qui. »

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Capitolo 14
*** E finzioni reali ***


Intro: spero possiate perdonarmi per l'immensa attesa a cui vi ho sottoposte. I vostri messaggi e le vostre recensioni sono sempre meravigliose, anche se non rispondo sempre le leggo con entusiasmo e tanta felicità! Spero che questo capitolo vi piaccia e che sia valsa la pena attendere. Un abbraccio.




POLISUCCO

e finzioni reali



« Non so urlare per finta. Non so farlo » disse dopo aver a lungo fissato il vuoto.

« Cosa? »

« Sì, non so... insomma, si capirebbe che sto fingendo. »

Contrassi la fronte e feci un mezzo passo indietro; istintivamente guardai la base delle scale di cemento per vedere se qualcuno stesse arrivando.

« Pensa a qualcosa di orribile che ti hanno fatto. Prova a riviverlo » le suggerii.

La Mezzosangue prese un bel respiro. Mi guardò con i suoi occhi teneri, gli stessi occhi che galleggiavano da tempo nei miei sogni. « Dai, alza la bacchetta. »

« Tu stai delirando. »

« Cruciami, così griderò abbastanza per non far insospettire nessuno. »

« Non lo farò. »

« Il dolore svanisce, la copertura invece potrebbe saltare. Fallo. »

« Non lo farò, cazzo! » mi esasperai.

Mi portai le mani ai capelli e ci passai dentro le dita con rabbia. Mi appoggiai ad una colonna poco distante, abbandonando la testa verso il basso. Le punte delle mie scarpe erano sporche di terra.

« Hai detto tu stesso che Voldemort potrebbe frugarti nella mente! »

« Non ti farò del male. »

« Te lo sto chiedendo io stessa! »

« Non puoi nemmeno chiedermelo! » mi voltai, avvicinandomi rapido di qualche passo. La costrinsi a tenere la testa sollevata per guardarmi. « Essere cruciati è un'esperienza troppo dolorosa. »

La vidi esitare. Probabilmente – e sperai che fosse così – stava ripensando alle idiozie che mi chiedeva di fare.

« Sei stato... l'hai provato sulla tua pelle? »

Non la guardai. La sua voce era cambiata: addolcita e priva di forza.

« Sì » dissi solamente.

« Quante volte? »

Mi scappò un'impercettibile risata. Quante? Avevo perso il conto. « Non è questo il punto. Anche una sola volta resta un'esperienza terribile e non voglio che tu debba mai provarla. »

« Chi è stato – chi ti ha cruciato? » domandò svelta.

Mi massaggiai la nuca, roteandola appena.

« Perché ti interessa? »

« Perché se mi dovesse capitare tra le mani quel bastardo lo ucciderei. »

Mi voltai con un sopracciglio alzato. « I Grifodioti non erano forse privi di sentimento vendicativo? Generosi e puri di cuore? »

« Per la maggior parte del tempo » disse, distogliendo l'attenzione da me.

Nonostante la situazione assurda in cui mi trovavo, ebbi la forza di sorridere. Sorridere sinceramente. Ma fu un istante: tornai cupo un attimo prima di parlare nuovamente.

« E comunque non potresti incontrarlo. E' morto – sono entrambi morti. Lui e mia zia.»

« Era tuo padre a... ? »

« E mia zia » conclusi per lei.

« Le cicatrici sulla schiena... »

« Quelle senza bacchetta. Dipendeva dalle occasioni. »

Risposi istintivamente ma poi ripensai alla sua frase. Come poteva sapere delle cicatrici sulla mia schiena? Avevo paura di chiederglielo e sentirmi dire di nuovo che avevo rimosso dei ricordi che ci riguardavano.

Tutto tacque per qualche istante. Aprii e chiusi i pugni; improvvisamente mi tremavano le mani. Ero consapevole del fatto che la Mezzosangue avrebbe riaperto il discorso; che mi avrebbe nuovamente chiesto di farlo. Certo, era la cosa più ovvia in quel frangente: l'avrei chiesto anch'io al suo posto. E poi, chiaramente, ci avrei messo un'intensità nemmeno paragonabile a quella che ci mise mio padre quando, a undici anni, non fui ammesso subito alla squadra di Quidditch.

Ma la sola idea di vederla soffrire davanti ai miei occhi – e per di più a causa mia – mi era intollerabile. Inutile dire che ero sicuro, almeno prima di quel momento, che vederla soffrire, o addirittura saperla morta, mi avrebbe dato un perverso e viscerale piacere. A scuola ero praticamente ossessionato dall'idea di metterla in difficoltà più o meno serie. E adesso avevo la possibilità di... vendicarmi? O forse solo divertimi. Ma non riuscivo a pensarla ancora così.

« Prima lo fai, prima finisce. »

Chiusi gli occhi, scuotendo appena la testa, ma in un gesto rapido afferrai la bacchetta e la strinsi forte tra le dita.

« Non ci metterò tutta la mia forza » ci tenni a precisare, evitando di guardarla.

« Va tutto bene » mi sorrise lei. Lo sentii nella sua voce e perciò la guardai. La sua faccia voleva che io mi sentissi meno in colpa.

« Stai zitta che non va bene per niente » dissi tra i denti, poi sollevai la bacchetta e, senza darle il tempo di replicare, pronunciai quell'incantesimo oscuro e maledetto.

I suoi occhi dolci si spalancarono e la pelle sbiancò; la bocca si dilatò e il corpo si contrasse su se stesso, come preso da un violento e improvviso spasmo. Infine, urlò.

Le urla di Hermione Granger riempirono la stanza del sotterraneo e si arrampicarono fino ai piani superiori. Ero dannatamente sicuro che delle urla così avrebbero convinto chiunque - che quasi stavano per convincere anche me.

Quando parlò – dicendomi di smettere, pregandomi di lasciarla stare – il polso mi tremò e la bacchetta mi scivolò dalle mani, cadendo al suolo.

Lei sollevò di scatto la testa e mi disse di continuare, che faceva parte della farsa. Poteva resistere, poteva farlo. Mi feci coraggio, per essere quanto meno all'altezza della sua forza.

Afferrai nuovamente la bacchetta e ripetei Crucio, puntandola su di lei; il suo corpo riprese a muoversi sotto quegli spasmi terribili a vedersi e sentirsi, come se si stesse rompendo.

Alla fine cedetti sulle ginocchia e buttai malamente la bacchetta ai miei piedi, distrutto da quel dolore come se l'avessi provato sulla mia pelle.

« Va bene così, può bastare, va bene così » dissi quasi tra me, così fitto che non fui sicuro che lei mi avesse sentito.

« Sto bene... » La sua voce mi arrivò debole e sottile, rotta dal pianto.

« Non devi rassicurarmi. So che stai male. »

Sollevai lo guardo, ancora accovacciato, per vederla. Aveva gli occhi rossi e le guance bagnate di lacrime; ogni tanto qualche singhiozzo le balzava in gola.

« Sei... sei un'idiota » biascicai. « Una stupida Mezzosangue. »

« E t-tu una lurida Serpe vi-viziata. »

Nei nostri insulti non c'era l'energia velenosa di un tempo; a dire il vero, non c'era alcuna energia e le parole si trascinavano tra loro. Ma insultarci sembrava sospendere il tempo e riportare un po' tutto alla normalità. Come se non fossimo quasi diciassettenni, ormai adulti, dentro un umido sotterraneo ad essere avversari sul serio.

« Ora vado via » dissi ad un certo punto, alzandomi. « Verrà un elfo a portarti da mangiare. Fatti imboccare. » Recuperai la bacchetta e la ficcai in tasca. « Non parlare troppo con lui. Non sa tenere alcun segreto per sé » Mi passai le mani tra i capelli, sistemandoli all'indietro. « Non abbassare mai la guardia e fidati soltanto di me qui dentro. » Erano abbastanza lunghi da poterli perfino legare. Forse avrei dovuto tagliarli. « Anzi, non fidarti nemmeno di me. »

Avrei pensato a qualsiasi stupida cosa pur di non pensare a ciò che le avevo fatto.


***


Erano le nove di sera e Malfoy Manor era finalmente vuota. Al lungo tavolo della sala da pranzo sedevamo io e Severus, impegnati a mangiare della carne con prugne dolci. In realtà, ogni boccone mi sembrava ruvido come carta vetrata.

« Hai intenzione di metterci un'altra mezz'ora per mangiare quel pezzo? »

Spostai lo sguardo dalla punta della forchetta al mio padrino. « Non ho molta fame. »

« Ho notato. »

Si passò il fazzoletto di stoffa sulla bocca, poi poggiò i gomiti sul tavolo e si sporse verso di me.

« Ti turba che la ragazza sia qui? »

Dilatai un po' di più gli occhi ma cercai di non tradirmi.

« Era a scuola con me. C'è una bella differenza tra battibeccare tra i corridoi e vederla morire a casa mia » dissi limpido.

« Certo, certo che c'è » annuì, bevendo un sorso di vino. « Adesso è tutto più serio. Sei un uomo, ormai. E hai nuove responsabilità. »

« Già. »

« Era una strega davvero brillante, a scuola. Nonostante fosse una Mezzosangue era molto più talentuosa di molti Purosangue » commentò quasi fra sé.

« Ma in Pozioni non mi ha mai battuto » dissi senza pensarci. « Una volta le misi perfino un ingrediente di troppo nel calderone » sorrisi. « Dopo la lezione mi fermò, dicendomi che mi aveva visto farlo, che sapeva che dirlo a te non l'avrebbe aiutata, perciò se n'era stata zitta. Mi disse che dovevo starmene lontano da lei e dalle sue cose. Mi minacciò » il riso mi scemò sulla labbra e queste persero forza, candendo verso il basso. « Ma io non sono mai riuscito a starle lontano. »

« L'ammiravi. »

« L'ho sempre ammirata. E prenderla in giro... mi piaceva. »

« Non volevi che t'ignorasse. Volevi la sua attenzione. »

Lo guardai; lo trovai compiaciuto eppure serio. « Cosa? »

« Era esattamente così. Perfino il suo odio era meglio dell'indifferenza. »

« Non capisco a cosa tu voglia alludere. »

« Io invece penso che tu lo capisca benissimo. »

Ci guardammo per qualche istante. La sensazione che Severus Piton sapesse di me più di quanto io sapessi di me stesso, tornò prepotentemente. I suoi occhi scuri sembravano praticarmi la legilimanzia pur senza bacchetta; la sua calma pareva suggerire che davvero non avesse alcun dubbio su ciò che aveva appena affermato.

« Ti è sempre piaciuta. Eri attratto da lei, ma non potevi averla. »

« Io, io non so cosa... »

« Accettare è il primo passo per ricordare. »

Mi alzai di scatto e lasciai il tavolo, con una gran voglia di coprirmi le orecchie con le mani e non sentire più niente.


***


Non sapevo se fosse mattina o sera; lì nel sotterraneo non filtrava alcuna luce. Mi ero appena svegliata dopo essere crollata, non sapevo nemmeno quando. Avevo la bocca impastata e un sapore orribile sotto la lingua, come se avessi mangiato la muffa che c'era in quelle pareti umide. Tossii.

Erano comunque parecchie ore, forse un giorno, che Draco non si faceva vedere; avevo consumato almeno tre pasti e di lui nemmeno l'ombra. Un elfo, prima che mi addormentassi, aveva allungato la corda che mi teneva legati i polsi sulla testa; ora avevo più mobilità e potevo perfino portarmele in grembo e muovermi appena. Non sapevo se l'ordine fosse partito da Draco – ma probabilmente sì, perché gli elfi sono, purtroppo, al servizio esclusivo dei maghi e non agiscono di loro intenzione. Inoltre ero abbastanza sicura che quell'elfo non mi avesse in alcuna simpatia. Fatto era che ero perfino riuscita a chiudere occhio e nelle braccia era tornato a scorrere il sangue.

Ma io volevo vedere Draco.

Vederlo mi tranquillizzava – e mai avrei pensato di dirlo. Vederlo comparire da quelle scale sulla destra, vestito di scuro con il suo cipiglio severo, mi faceva stare bene. Chissà perché non veniva. Era almeno in casa? Cosa stava facendo? Stavano discutendo? Di me? Qual era il mio destino? Era davvero capace di farmi uscire da lì dentro?

« Oh, insomma » dissi a me stessa, cambiando posizione delle gambe. Inutile farsi troppe domande e rischiare di andare nel panico: dovevo restare concentrata. Sarei uscita da lì, ad ogni costo.


Dei passi sordi si fecero sempre più vicini; mi raddrizzai, convinta che stesse per apparire Draco. Invece ad uscire dalla bocca delle scale fu Piton.

Ci guardammo per un istante sospeso; sapevo fosse dalla nostra parte ma dopo la scuola non avevo più avuto modo di vederlo e un naturale sospetto mi frenava. Era come se Verde Smeraldo e Severus Piton fossero state due persone diverse nelle mia mente, almeno fino a quel momento.

« Granger. Come stai? »

Per fortuna fu lui il primo a parlare. Deglutii. « Credo bene. »

« Non sono riuscito ad arrivare prima di adesso, ma so che sei in buone mani. »

Aggrottai la fronte. Come poteva essere sicuro che Draco non mi facesse del male? Non almeno dopo ciò che Voldemort gli aveva fatto.

« Mi sto occupando personalmente dei ricordi di Draco » rispose ai miei pensieri, rapido, quasi guardingo. Mi accorsi solo allora che non era flemmatico e monocorde come ai tempi di Hogwarts.

« Dei ricordi... di Draco? »

Lui annuì. « Gli sto somministrando una pozione molto potente. »

« E' per questo che... » lasciai in sospeso. Se non fosse stato per Piton, probabilmente Draco in quello stesso sotterraneo mi avrebbe ucciso.

« Professore. » Feci una pausa, decidendo di abbassare la voce. « Gli torneranno davvero tutti i ricordi? »

« Devono. E al più presto. Dobbiamo farti uscire di qui » parlò rapido, conciso. « Anche tu devi assolutamente trovare qualsiasi modo per stimolare la sua memoria. Abbiamo bisogno che Draco torni dalla nostra parte. Intesi? »

Annuii. Anche lui annuì. Poi si voltò, senza aggiungere altro, e sparì oltre le scale. Alzai gli occhi al soffitto e appoggiai la testa contro la parete. Draco.



Granger. Mezzosangue. « Mezzosangue. »

Sbattei le palpebre e mi sollevai appena, specchiandomi negli occhi grigi di Draco Malfoy. La sua voce mi aveva portato via da un brutto sogno.

« Draco, finalmente sei qui » biascicai, sorridendo appena. Mi passai il dorso della mano sull'occhio destro, prendendo un bel respiro. « Pensavo mi avessi abbandonato qui sotto. »

Lui mi sorrise a sua volta. Le occhiaie violacee erano sempre ben presenti sulla sua pelle chiara e da quella distanza potevo perfino vedere le vene verdastre che sottili si irradiavano sotto la sua pelle. « Avevo pensato di farlo » disse alla fine.

« E cosa ti ha fatto tornare? »

Il suo respiro era caldo ma le sue mani fredde; i suoi polpastrelli erano stati dimenticati sul mio avambraccio nell'atto di svegliarmi.

« Un sogno. »

Sgranai appena gli occhi. « Voglio sentirlo. Raccontamelo. »

Draco esitò; poi si sedette per terra di fronte a me, facendo scorrere via, lentamente, le dita dalla mia pelle. Perdere il suo contatto mi faceva più male del crucio.

« Eravamo in un posto che non conoscevo. Una specie di soffitta. Mi sentivo debole, avevo perso molto sangue. Stavo morendo, credo. Poi compari tu. La luce della finestra ti riveste di una luce angelica... e parli, cominci a scuotermi e ad armeggiare con il mio corpo. Fermi il sangue e ti strappi la maglia per fasciarmi le ferite. Credo stessi tentando il suicidio. Mi hai salvato da me stesso. » Fece una pausa, guardandosi i palmi aperti verso l'alto. « Era solo un stupido sogn-»

« Era un ricordo » lo interruppi. « La cosa è successa davvero! Al quartier generale dell'Ordine della Fenice » precisai.

Mi osservò come se fossi pazza. « Non tentare di-»

« Ormai lo sai di aver perso la memoria. Lo so che lo sai » aggiunsi prima che potesse controbattere. « Non dico che le tue idee non siano ancora confuse – lo so che è dura, anzi, posso solo immaginarlo. Avere due ricordi che camminano paralleli, uno falso e uno vero, deve essere... assurdo da sopportare. »

« Mezzosangue-»

« Ma devi concentrarti su ciò che è reale! » lo interruppi ancora. « Io sono reale. Proprio ora, qui davanti a te. »

Tentai di allungare le mani per toccare le sue ma la corda mi permise solo di sfiorarle con la punta delle dita.

« Perché vorresti farmi uscire di qui, altrimenti? Perché avresti problemi a farmi del male? »

Draco evitò il mio sguardo. Strinse le sopracciglia chiare verso il centro del naso e contrasse la mascella, scuotendo impercettibilmente la testa.

« Ho bisogno che tu ricordi tutto... » non seppi gestire la mia voce, che uscì rotta dal pianto. Non avrei voluto, ma il mio tono si sporcò di debolezza. « Ho bisogno che ti ricordi davvero di me. »

Mi guardò, seppur con la stessa espressione contratta.

« Ho bisogno che ti ricordi dei miei rossori, della mia voce tremante, della paura che mi soffocava quando rischiavi la vita. Ho necessità vitale che tu ricordi quei brevi e intensi istanti che abbiamo condiviso... Non riesco ad accettare di aver perso il posto che mi ero guadagnata tanto a fatica nella tua vita. »

Provai di nuovo ad allungare le mani ma la corda mi ricordò che ero giunta al limite. Mi morsi il labbro inferiore.

Lo vidi guardare la mia bocca, infine sporgersi appena verso di me e intercettare la mia mano, a cui intrecciò la sua.

Mi sfuggì un singhiozzo e un sorriso. Strinsi quella mano con tutta la forza che avevo.

« Parlami. Dimmi cosa stai pensando » lo esortai.

Draco strinse le labbra. « E' complicato. Le tue parole sono reali, ciò che provo è reale, ma sembra anche un sogno vivido, di quelli dove sai che stai sognando. »

« E' questa la realtà, non quello che ti ha messo in testa Voldemort. »

Lui inclinò appena la testa a sinistra e mi accorsi troppo tardi che forse avevo detto qualcosa di troppo.

« Voldemort? »

La mano che stava nella mia perse forza; cercai di tenermela stretta ma lui si ritrasse.

« Io... me l'hanno detto all'Ordine... »

« E da chi hanno avuto certe informazioni? Cose che non sono chiare nemmeno a me? »

La sua voce si era pericolosamente alterata.

« Non so da chi hanno avuto l'informazione Draco... ti prego... »

« Tu mi stai nascondendo qualcosa! » sbottò, alzandosi in piedi e facendo qualche passo indietro.

« No Draco, ti prego... Aspetta! » gridai, quando lo vidi imboccare le scale. Avrei voluto gridargli dell'altro, avrei voluto spiegarmi, ma non sapevo chi potesse essere in ascolto. Mi lasciai cadere contro il muro e mi maledissi, rabbiosa dalla sensazione di impotenza che mi aveva appena assalito.


***


Feci cadere una sedia ma il tonfo fu attutito dal tappeto persiano. Continuavano a ronzarmi nella testa le parole della Mezzosangue e non sapevo se erano quelle stesse parole a proiettare nella mia testa certe immagini oppure se fossero ricordi reali.

Potevo vedere Voldemort in piedi davanti a me; potevo vederlo alzare la bacchetta su di me, pronunciare un oblivion. Poi, come lampi di luce, vidi i miei genitori cadere sotto un incantesimo dell'Oscuro Signore; e la parola veritaserum mi rimbombò nel cervello.

« Dannazione! » esclamai, picchiando il pugno sul legno massello del tavolo. Lentamente la mia forza si affievolì e le lacrime mi opacizzarono la vista. Qualche goccia calda cadde sulle mie nocche. « Dannazione... »

« Draco. »

Mi voltai con gli occhi lucidi, di scatto, trovando Severus in fondo alla sala.

« Vai via. »

« Cosa succede? »

« Va' via! » gridai, spingendo l'aria con la mano, come se potessi allontanare anche lui.

« Sei sotto uno di quegli attacchi, prendi il ricostituente. »

« Non voglio saperne più niente di quel maledetto intruglio! » sbottai, allontanandomi in direzione del camino.

Lo sentii raggiungermi ma non si avvicinò di molto. Appoggiai i palmi sul davanzale e mi piegai in avanti.

« Quel maledetto intruglio ti è necessario. »

« Voldemort ha ucciso i miei genitori? »

Non udii risposta. Risi tra me, scuotendo appena la testa. « Vuoi almeno che io-»

« Sì. »

Mi voltai a guardarlo. Due lettere così chiare e lampanti avevano d'un tratto messo un punto nel ronzio dei miei pensieri.

« Sì, è stato lui. »

Mi raddrizzai, stringendo i denti.

« E perché... io credo che sia stato Potter? Perché nella mia testa c'è l'immagine di Potter che colpisce mio padre? » domandai sfacciato, in una sorta di provocazione.

« Perché qualcuno ha messo quei ricordi lì. »

Sgranai gli occhi. Contrassi la mascella, con lo sguardo perso nel vuoto. Le sue parole erano il collante del puzzle sconnesso della mia memoria.

« Il Signore Oscuro » dissi.

Annuì solamente.

« Cos'altro? »

« Il ricostituente serve ad aiutarti a recuperare i ricordi » vomitò d'un fiato, come se aspettasse da tempo di darmi quell'informazione. « Perciò non mancare mai di berlo. »

« Mi dovrei fidare? » feci. « E se fosse tutta una farsa? Ma tu da che parte stai? Sei una spia dell'Ordine? Stai cercando di drogarmi? »

Severus sorrise appena. « Sai che non è così. »

Mi passai le mani tra i capelli, facendo un giro su me stesso, fino a dargli le spalle. « Come faccio a distinguere la verità dalla menzogna? »

« Fidati di Hermione. »

Sbattei le palpebre, come allucinato. Non mi voltai, ma mi portai le mani incrociate sotto il petto. Poi inclinai appena la testa. « Cosa? »

« Pare che ci tenga davvero a te. »

Mi voltai rabbioso. « E tu che cazzo ne sai? »

« So cosa si prova. Sono stato giovane anch'io. Innamorato e stupido » precisò con un leggero sorriso. « L'amore resiste bene agli oblivion. Resta lì, radicato, un filo d'Arianna che riesce a riportarti fuori dal labirinto in cui rischi di perderti. »

« Da come ne parli sembri ancora innamorato. »

Lui alzò appena il mento. « Certo. Lo sarò sempre. »

« E perché non sei con lei? »

Per la prima volta lo vidi vacillare; lo vidi esitare, cercare di posare gli occhi altrove, tremare appena con le labbra. « Non ho saputo proteggerla. Non fare il mio stesso errore » disse infine.

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Capitolo 15
*** E sentimenti difficili ***


Intro: sorpresa! Capitolo un po' cupo ma compenso con l'aggiornamento rapido, vero? Un abbraccio affettuoso per chi legge e soprattutto per chi trova il tempo di lasciarmi una recensione.




POLISUCCO

e sentimenti difficili



Accarezzai le punte dei fili d'erba appena curvi, facendo scorrere piano i palmi. L'erba era umida e verde brillante. L'odore dell'aria era accogliente, quasi invitante: me ne riempii i polmoni.

Mi sentivo bene. Mi sentivo piena d'energia, piena di idee, piena di sogni in procinto di avverarsi. Ero felice; distesa sull'erba con la mia gonna ampia, con i piedi nudi che venivano rinfrescati dalla brezza; felice, come quei bambini che giocavano poco lontano da me.

Una figura mi fece ombra, coprendo il sole; ci misi un attimo a metterlo a fuoco anche se sapevo che era lui. Gli sorrisi. I suoi capelli biondo burro erano perfino più luminosi della luce. Si chinò su di me e mi baciò, finendo per sedersi sulle ginocchia e farsi più vicino. Mi circondò il torace con le braccia e fece poi sprofondare il viso tra i miei capelli.

Mi sembrava d'essere in paradiso.

Quando si allontanò lentamente strinsi di più le mani sulla sua camicia, per trattenerlo. Lui continuò a spostarsi, voleva solo guardarmi negli occhi. Restammo così, con le fronti premute, per qualche secondo.

Sbattei le palpebre.

L'erba era sparita. I fiori e la luce erano spariti. Le mie mani stringevano il vuoto e intorno a me c'era solo grigio e sporco. Mi accorsi anche di tutti i dolori disseminati sul mio corpo appena tentai di risollevarmi. Dovevo essermi addormentata, non sapevo quando; ma l'avevo fatto crollando malamente sul fianco sinistro che ora non sentivo quasi più. Provai ad aprire e chiudere le mani ma le dita mi dolevano. Feci roteare appena il collo ma provai solo dolore. Tentai di chiudere gli occhi per ritornare a quel piacevole e luminoso sogno ma lo cercai invano; era sparito, sostituito dalla realtà.

Il solito piccolo elfo, che veniva a trovarmi due volte al giorno, si presentò poco dopo con in mano un vassoio.

« Penso che tu ora ce la fa a mangiare sola » disse atono, lasciandomi il vassoio a pochi centimetri dai piedi e scomparendo con una tale velocità da non permettermi di replicare.

Mi allungai ad afferrare il pane e diedi qualche morso. Presi un bel respiro e ne diedi un secondo, masticando bene, mentre mi guardavo intorno cercando di capire da quanto tempo ero lì. Chissà se Harry e gli altri si erano mobilitati per cercami. Chissà se parlavano con Piton e stavano organizzando qualcosa per tirarmi fuori. E Draco... chissà cosa pensava di me, dopo l'ultima volta che avevamo parlato. Avevo perso la sua fiducia?


***


« Sei riuscito ad ottenere preziose informazioni, Draco. »

Accennai un inchino del capo in un ringraziamento solenne. Poi, tornai a guardare il Signore Oscuro negli occhi in attesa di ulteriori istruzioni.

« Ora, ucciderla non servirebbe a niente. Tenerla qui prigioniera ci tornerà utile in molte occasioni » commentò, accarezzando Nagini, assorto in chissà quali pensieri.

« Per il resto, puoi fare di lei ciò che vuoi » aggiunse poi, « sempre che non ti disgusti toccare una mezzosangue! » scoppiò a ridere, un riso che gli dilatò occhi e bocca fino a deformarlo ancora di più.

« Preferirei tagliarmelo, Signore » sorrisi per stare al gioco e lui mi batté due volte la mano sulla spalla, come un padre amorevole.

« Manderò Severus a tenere la presidenza di Hogwarts » disse, stringendo le dita sulla mia camicia, avvicinando il viso al mio. « Tu, invece, resterai al mio fianco. »

« Mi onorate » mi inchinai appena nuovamente.

« Tu non deludermi mai e alla fine di questa guerra sarai ricoperto di ricchezze » pronunciò solenne. I suoi occhi erano venati di rosso, la pelle come cera e l'odore che usciva dalla sua bocca ricordava quello di un cadavere.



Mi svegliai di soprassalto, madido di sudore. Mi guardai intorno, come se il mio incubo fosse ancora lì. Mi massaggiai il collo e mi resi conto di essere nel mio letto comodo, le tende appena tirate, un profumo di pulito a riempire l'aria; e pensai a lei. Il primo pensiero dopo il risveglio fu per Hermione Granger e l'idea che fosse da una settimana sotto il mio stesso tetto, anche se in un sotterraneo umido e sporco. Scostai il lenzuolo dalle gambe e scesi dal letto.

Mi infilai sotto la doccia e il mal di testa sembrò attenuarsi quando l'acqua bollente mi ricoprì completamente e a lungo; mi asciugai rapido, lasciando i capelli ancora umidi, infilai dei pantaloni neri e una camicia di lino verde scuro, così scesi in sala da pranzo.

Feci colazione completamente solo. La tentazione di andare da lei era davvero forte ma, dopo l'ultima volta, non riuscivo a farlo.

Controllavo minuziosamente i vassoi che ogni volta le portava Hunni e mi facevo riferire ogni volta in che stato l'avesse trovata. Quando i vassoi tornavano indietro ancora pieni facevo cucinare qualcos'altro, magari di più buono, sperando che potesse farle venire appetito. Ma io non volevo vederla; almeno non fin quando non fossi stato sicuro di poterle dire, veramente, che stavo per farla uscire da lì.

Accettare di essere stato manipolato da un altro individuo era un passo difficile da compiere; soprattutto, accettare che l'unico modo di cominciare a riemergere consisteva nel fidarmi completamente di Severus. E della Granger. Fidarmi di loro, nonostante la diffidenza e l'orgoglio graffiassero il mio cervello, avendo inoltre solo stralci dei vecchi ricordi e avendone altri più forti che mi ricordavano il mio posto – accettare di camminare in una semioscurità, guidato solo dalle loro lanterne, era la cosa più ardua. Ma c'era qualcos'altro di tangibile che mi spingeva a seguire quelle luci: sentivo in maniera limpida e chiara che mancava una parte nella mia testa e volevo sapere, volevo riavere tutto ciò che avevo perso.

Inoltre, sentivo anche di dover portare a termine un compito; una cosa che, in qualche modo a me sconosciuto, sentivo venir prima del mio benessere fisico e mentale: far scappare la Mezzosangue. Ecco perché stavo aspettando il mio padrino nella biblioteca di Malfoy Manor, un posto abbastanza decentrato e lontano da orecchie e occhi indiscreti.

Quando varcò la soglia della sala polverosa, Piton aveva uno sguardo appena contratto. Dopo le sue ultime parole, qualche giorno prima, se n'era andato senza aggiungere niente. Le sue parole mi erano ronzate in testa a lungo, così gli avevo mandato un gufo. Avevo intenzione di parlarne ancora e in maniera più approfondita e calma; prima di culminare nella più importante tra le richieste.

« Manca poco all'inizio di settembre » gli dissi appena si chiuse la porta alle spalle. « Verremmo separati. »

« Sì. Probabilmente per un lungo periodo non potremo vederci » convenne lui, avanzando fino al tavolo. « E a tal proposito... no, parlerò in conseguenza di ciò che mi dirai » si interruppe enigmatico.

Alzai appena un sopracciglio; mi misi a sedere meglio, indicandogli con il palmo della mano la sedia libera. Severus accettò di buon grado di accomodarsi.

« Voglio parlare dei miei ricordi. Sono pronto a sentire tutto... nei dettagli » precisai.

Lui distolse lo sguardo, si portò una mano alla fronte come stanco.

« …e voglio sapere perché dei miei sentimenti per la Granger sembri saperne più di me » lo incalzai, senza mezzi termini.

« Ricordi di aver avuto il compito di uccidere Silente? » Annuii, così continuò. « Ricordi anche di non averlo fatto? Bene. Quella notte, non so come e con quali pregressi, ma ti sei unito all'Ordine della Fenice. »

Fece una pausa sul mio sguardo allarmato. Il mio silenzio autoimposto dovette indurlo a continuare.

« Ti sei offerto di fare la spia: hai fatto credere al Signore Oscuro di esserti infiltrato nell'Ordine ma in realtà eri dalla loro parte ed era a loro che passavi le informazioni sui Mangiamorte. »

Si accarezzò la base del mento, prese un bel respiro.

« Ma non è durata. Voldemort ha scoperto tutto e ti ha... torturato, incaricando me – per fortuna – di estrarti ogni informazione sull'Ordine tramite il veritaserum. Poi, ti ha tolto ogni memoria legata a loro. Inoltre, ha ucciso i tuoi genitori » aggiunse con voce appena più bassa. « Poi ti ha collocato nuovi ricordi e nuovi obiettivi nella testa. »

« Mi ha fatto diventare la sua arma personale » dissi come sovrappensiero.

Lui annuì. « I ricordi possiamo recuperarli, anche se la maggior parte dello sforzo dovrai farlo di tua coscienza. Però la manipolazione sarà difficile da eliminare... voglio dire, ci vorrà più tempo. »

« Da quanto tempo sei nell'Ordine? »

La mia domanda così diretta sembrò spiazzarlo. Era ovvio – e forse anche superfluo chiederglielo – eppure forse non si era aspettato la mia domanda.

« Da molto tempo » disse lentamente, senza guardarmi. Mi sembrò d'intuire una nota di malinconia nella sua voce. Poi, cominciò a tamburellare indice e medio sulla scrivania di legno prima di riprendere a parlare. « Quanto alla Granger... so quello che mi ha detto Remus Lupin. »

Stavolta mi guardò, quasi incuriosito dalle sue stesse parole. « Pare che sia stata lei a stabilire fino dall'inizio un contatto con te. Ci deve essere stata una sorta di strana fiducia reciproca o – suppongo – la voglia da parte sua di aiutarti e credere nelle tue buone intenzioni. Remus parla di una sincera amicizia e di un rapporto affezionato; in una lettera mi ha scritto che, quando hanno saputo della perdita della tua memoria, lei è caduta in uno stato quasi depressivo. Ho capito che doveva tenerci molto a te, » fece una pausa, sorridendo appena « ma i sentimenti veri non si alimentano da soli, quindi ho pensato che anche tu dovessi provarli. Perciò ti ho spesso stimolato con il suo nome, il suo ricordo. » Mi guardò, assottigliando appena le palpebre. « Vedi, ti ho già detto che l'amore resiste bene agli oblivion. L'amore ha un suo potere innato ma Voldemort ne è completamente all'oscuro. »

Abbassai lo sguardo sulle mie mani giunte. « Non so cosa provo per lei » mormorai. « Ma è stata la prima cosa che ho cominciato a ricordare. » Alzai la testa e lo guardai dritto negli occhi per qualche secondo. « Deve andarsene di qui. »

L'espressione di Severus non mutò ma quando parlò notai l'increspatura della sua voce.

« Vuoi farla scappare? »

Esitai, stupito dall'effetto che quella domanda a voce alta ebbe sui miei ricordi. La vidi di fronte a me in una biblioteca simile a quella dove mi trovavo. Eravamo soli. Il suo profumo. Le sue mani intorno al mio torace. Un abbraccio. Quanto avevo desiderato un contatto del genere... Eppure, mi ero irrigidito. D'un tratto avevo pensato che non era così che doveva andare, che non potevo arrogarmi il diritto di influenzare anche quell'aspetto della sua vita, non avevo alcun diritto di farla innamorare di me quando non potevo darle niente. Niente. Sarebbe stata più felice con Lenticchia, avrebbe avuto una vita tranquilla. Io potevo solo farla soffrire.

Contrassi la fronte e deglutii. « Non voglio solo. Io devo. Glielo devo. Anche se questo non ripagherà completamente l'immenso debito che ho nei suoi confronti. »

« Debito? » mi fece eco Severus.

Annuii. « Mi ha restituito la vita e nuove opportunità in più occasioni. È ora che anch'io faccia la mia parte. »

Non ero sicuro a quali ricordi attingessero quelle parole ma più le sentivo a voce alta – e non solo nella mia testa – più ero sicuro della loro veridicità. C'era sempre un dubbio strisciante e un laccio terribile che mi tirava indietro, verso ciò che tutti si aspettavano che io fossi. Ma adesso ne ero, almeno, consapevole. E quel laccio, pian piano, l'avrei reciso.


***


« È il terzo vassoio che torna quasi intatto nelle cucine. »

Alzai la testa e mi ritrovai davanti Draco Malfoy. La camicia verde scuro, arrotolata fino ai gomiti, lasciava in bella mostra il marchio nero che gli sporcava la pelle lattea.

Mi misi meglio a sedere, priva di forza. Vederlo dopo così tante ore – giorni? - scatenava in me sentimenti contrastanti: ero arrabbiata eppure contenta. Mi limitai, però, a distogliere lo sguardo, risentita. « Non consumo alcuna energia perciò non ho fame. »

« Non mi interessa, devi mangiare. »

Il suo tono di voce non ammetteva repliche. Era stato brusco, severo. La cosa mi infastidì, perché la freddezza e la distanza che imponeva ai nostri dialoghi mi stavano lentamente consumando.

« Non. Ho. Fame. » scandii, fissandolo.

Draco si chinò sulle gambe e poggiò gli avambracci sulle ginocchia. I nostri occhi erano alla stessa altezza e appena un metro ci distanziava. « Vuoi lasciarti morire? Non vuoi lasciarlo questo posto? »

« Certo che voglio » mormorai nervosamente.

« Per una fuga c'è bisogno di forza » sussurrò a voce ancora più bassa della mia.

Sbattei le palpebre e sgranai gli occhi. Non era la prima volta che mi diceva che mi avrebbe fatto uscire da lì; ma la parola fuga assumeva tutta un altro spessore.

« Quando? » chiesi solamente.

« Domani. Se tutto va come deve » aggiunse, continuando a fissare i suoi occhi di tempesta nei miei. Questi si spostarono sulle mie manette e poi sulla corda che mi teneva legata alla parete. « Tra poco tutto questo finirà. Tornerai dai tuoi amici, dormirai in un letto comodo. Avrai di nuovo Potter e Lenticchia incollati addosso e tante nobili missioni da portare a termine. »

Le sue parole si trascinavano l'un l'altra impastate di amarezza. Non pensai nemmeno a chiedere i dettagli di quella fuga, quali erano stati gli accordi, quando e come erano riusciti a mettersi in contatto fra loro. Cercai solo i suoi occhi ma non mi guardavano più.

« Mi stai dicendo che non ci rivedremo. »

La mia non era una domanda, era quasi una certezza. Lui sarebbe dovuto restare al suo posto, al fianco di Voldemort, seppur avesse recuperato tutti i ricordi – a maggior ragione – per aiutarci. Ed io al completo servizio e protezione dell'Ordine della Fenice. Forse, ci sarebbe capitata in sorte la sfortuna di incontrarci sul campo di battaglia.

« Ne sembri quasi dispiaciuta » fece lui, sorridendo appena.

« Dovrei esserne contenta? » domandai con evidente risentimento.

Non mi aspettavo una risposta in particolare; avrebbe potuto offendere la mia ingenuità, ridere di me o ignorarmi e andare via. Invece mi porse un'altra domanda e la sua voce era estremamente seria.

« Cosa provi per me? »

La gola mi si seccò. Voltai la testa verso un punto imprecisato sperando di camuffare il mio rossore; lo stomaco mi si attorcigliò e sentii le mani tremare appena. Deglutii a vuoto.

« Perché vuoi saperlo? »

« Non rispondere con un'altra domanda » disse con voce profonda. « Avanti. »

« Non lo so » esordii, guardando una macchia di muffa nell'angolo tra le pareti. « E' difficile. »

« Provaci » mi esortò.

Deglutii nuovamente. Mi accorsi solo in un secondo momento che avevo cominciato a stropicciarmi il bordo della maglia.

« Ci tengo molto a te » dissi. « Sento che tra noi c'è un legame. »

« Guardami. »

Arrossii ancora di più; avvertii chiaramente la mia pelle in fiamme.

« Hermione. »

Non mi aveva mai chiamato per nome. Mai. Mi voltai come scottata, puntando nuovamente i miei occhi nei suoi. Quegli occhi grigio-azzurri, smerigliati come vetro infranto; la mascella definita e appena contratta, le sopracciglia basse ed espressive, lo guardo intenso.

« Sei attratta da me? »

« C-cosa? » balbettai.

« Quello che provi è attrazione? »

Capii. Seppur infiammata dal potere erotico che quel ragazzo riusciva inconsciamente ad esercitare su di me – che ad essere sinceri, aveva da sempre esercitato su di me negli anni – capii a cosa volesse alludere. Sorrisi appena, seppur con lo stomaco ancora in subbuglio.

« Non è solo una questione di attrazione fisica, Draco » dissi lentamente. Lo fissai a lungo, sperando che le mie parole lo convincessero e penetrassero a fondo nei suoi ricordi.

« Mh » fece, scuotendo appena la testa. « L'attrazione sessuale è facile da gestire, i sentimenti molto meno. »

« Non c'è niente da gestire » risposi rapida.

« Certo che c'è. I sentimenti sono complicati. Vanno tenuti a bada, spesso sotto controllo. E spesso non ne viene fuori niente di buono. »

« Cosa può venire di male dall'amore? » Un attimo dopo aver pronunciato l'ultima parola, sgranai gli occhi e dischiusi la bocca per correggermi. Ma le parole non riuscivo più a trovarle. Perché avevo parlato d'amore? Perché lo avevo detto?

« Amore? » alzò un sopracciglio.

« No io... intendevo dire, cioè... come sentimento generale tra due persone che... insomma... » farfugliai, abbassando gradualmente gli occhi e concentrandomi sulla punta delle sue scarpe di pelle nera.

Draco Malfoy sorrise. Rise quasi, per qualche secondo. Mi parve l'espressione più bella e naturale che gli avessi visto fare, persino più bella di quella che aveva nel suo dormitorio, molti mesi prima, quando lo avevo incontrato sotto forma di Astoria.

« Sei buffa » disse infine, scuotendo appena la testa. « E molto dolce. » Si alzò in piedi e fece un mezzo passo indietro, incrociando le braccia sotto il petto. « Ma io non posso darti quello che vuoi. »

La sua voce aveva gradualmente perso leggerezza fino a diventare più cupa. Mi guardava, adesso, con le sopracciglia basse sugli occhi e il viso contratto.

Quanto a me, era come se una morsa sconosciuta mi avesse artigliato lo stomaco e mi avesse strappato via le viscere; le sue parole erano state così semplici eppure così terribili. Poche, semplici parole, mi avevano fatto ben capire che lui mi considerava una ragazzina buffa e dolce ma nulla di più; che non provava nemmeno lontanamente quello che io provavo per lui. Da sporca mezzosangue l'unica cosa che avevo ottenuto da lui era una vaga amicizia.

Sorrisi amaramente, distogliendo gli occhi da lui. « Ora lasciami sola, voglio cercare di dormire. »

Non rialzai lo sguardo ma lo sentii lentamente andare via senza aggiungere altro e in breve ero da nuovo da sola con i miei pensieri.


***


Cazzo.

Mi appoggiai con le spalle al muro delle scale, appena dopo qualche scalino, quando lei non poté più vedere la mia figura.

Mi portai le mani sul viso e le passai sopra con nervosismo, finendo nei capelli. Restai a fissare il vuoto e sentire i suoi respiri lontani. Nel buio di quelle scale di cemento l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era all'enorme cazzata che avevo detto. L'avevo ferita e per di più costringendomi a dire cose prive di senso. Quando aveva confermato il mio sospetto – che non fosse solo attrazione fisica – ero andato completamente nel panico. I sentimenti mi spaventavano più di qualsiasi altra cosa; soprattutto perché, a provarli, ero anch'io.

Una parte di me avrebbe solo voluto correre di nuovo in quel sotterraneo, dirle che non era come sembrava, che di lei m'importava e non poco... che l'amavo. Che l'amavo? Non sapevo quale fosse la parola più opportuna da usare, ma sapevo bene cosa provavo: lei era l'unica persona, insieme a Severus, di cui m'importava. L'unica per cui avrei sacrificato tutto me stesso e di più; l'unica che riusciva a farmi male e bene con uno sguardo.

L'unica da cui non avrei mai voluto separarmi eppure dovevo farlo. Per lei.


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Capitolo 16
*** E contatti strappati ***


Intro: buongiorno a tutti! Ecco a voi il nuovo capitolo. Sarà un po' pesante ma ho già pronto il prossimo (avevo scritto una cosa lunghissima ma ho pensato fosse meglio dividerla in due parti). Perciò al massimo entro domenica avrete anche il capitolo diciassette (e forse un po' di gioia xD forse, però u.u)

Vi ringrazio davvero molto per le recensioni, aspetto i vostri pareri per questo cap! Un abbraccio.




POLISUCCO

e contatti strappati



Vuoi aiutarmi? Temevo la sua risposta, temevo un rifiuto. Temevo che dopo tutto ciò che le avevo detto, tutto ciò che le avevo fatto, ogni barlume di pietà nei miei confronti fosse svanito. Ero in piedi a sanguinare e l'unica cosa che non mi faceva cadere sulle ginocchia era il suo sguardo. Poi, il suo lieve cenno d'assenso e le labbra tremanti color del tramonto. Allora portami con te. Le sue mani tese verso di me: l'invito più dolce della mia breve vita. Finalmente il suo calore, il suo profumo, il suo abbraccio a sanare il mio corpo stanco. Avevo chiuso gli occhi. Avrei voluto perdermi con il naso tra i suoi capelli; da lei mi sarei fatto portare ovunque e ovunque sarei stato a casa.


Deglutii.


Mi portai le dita davanti agli occhi quando l'alba arrivò a bruciare il mio sguardo vuoto. Le pupille si ridussero fin quasi a scomparire e, mentre lentamente abbassavo la mano, nei miei occhi restò solo freddo cielo.

Non avevo dormito neanche un minuto quella notte e la cosa non mi sorprendeva affatto. Ero rimasto seduto sulla poltrona di velluto a guardare fuori, prima la notte, poi il giorno. Se mi fossi osservato allo specchio avrei trovato - ne ero sicuro - le occhiaie quasi nere e l'espressione vacua, di chi sa che sta per perdere tutto.

Stavo per perderla. Nella mia perversa arroganza ero stato quasi felice di averla avuta con me, nonostante lo sfondo in cui si era mosso il tutto. Avevo avuto la possibilità di averla vicino, in un modo malato, ne ero consapevole; in un modo che faceva schifo perfino a me stesso. Ma lei era stata lì con me a ricordarmi chi ero e chi potevo essere; senza di lei avevo paura di diventare ciò che temevo di più. Ma dovevo, dovevo lasciarla andare...

« Draco. »

Voltai appena il capo con ancora la mano sotto il mento. Severus era lì.

« Sì » annuii, guardando nuovamente oltre la finestra.

Sentii i suoi passi farsi lontani e sapevo che avrei dovuto seguirlo; mi concessi ancora un attimo e poi mi alzai.

Il piano che stavamo per mettere in pratica era fin troppo semplice e sicuro per avere rischi di fallimento; ma per organizzarlo avevo rischiato più volte di perdere la mia innata pazienza e di uccidere qualcuno.

Severus era da tempo in contatto con Lupin per decidere il da farsi ma l'idea risolutiva era stata concepita da San Potter. La chiave di tutto il nostro piano era quell'elfo domestico traditore che aveva lasciato i Malfoy anni prima, liberandosi dallo stato di servitù. Mio padre non aveva mai dimenticato quell'episodio e l'onta che il suo orgoglio aveva subito; tornato a casa aveva minacciato di ridurre a brandelli ogni briciolo di vita di Harry Potter e perfino io ne avevo avuto paura. Avevamo dodici anni all'epoca e mio padre mi sembrava l'essere più terribile e pericoloso del mondo.

Ad ogni modo, Dobby si sarebbe smaterializzato nel sotterraneo e avrebbe portato via Hermione, perché lui poteva eludere tutte le magie anti-smaterializzazione che esistevano a Malfoy Manor. Se fossero venuti dei maghi avremmo dovuto inscenare una battaglia in cui perdere avrebbe significato cadere sotto la rabbia di Lord Voldemort; un gesto furtivo e di fatto inosservato come quello di Dobby era legittimo che potesse sfuggirci.

Non era comunque la rabbia o la vendetta del Signore Oscuro a spaventarmi; anche se fosse andato tutto nel peggiore dei modi, l'importante era che Hermione fosse riuscita a tornare a casa. Del resto, della mia vita non mi era mai importato così poco come negli ultimi tempi.


Imboccai gli scalini diretti al sotterraneo con una lentezza esasperante. Quella era, probabilmente, l'ultima volta che la vedevo. Avevo pensato tante volte a cosa dirle ma la mia mente era un groviglio di idee da cui non usciva niente di sensato. Di una cosa ero però certo: non avrei mostrato alcuna debolezza, perché era meglio per lei credere che della nostra separazione mi importasse poco o niente. Strinsi i denti e contrassi le mascelle, fermandomi un attimo prima dell'ultimo scalino. Presi un lento respiro e avanzai.


***


« Sei riuscita a dormire un po'?»

Alzai lo sguardo nella sua direzione, sollevandomi da terra. Scossi appena la testa. « Non molto. E tu? »

« Sì, abbastanza bene. Ho il sonno pesante » aggiunse affrettato.

Sorrisi appena. « Beato te, allora. » Mi sedetti del tutto e mossi appena i polsi indolenziti, facendo una smorfia di dolore.

« Tra mezz'ora al massimo Dobby sarà qui, quelle possiamo anche toglierle » fece Draco, avanzando verso di me.

« Dobby? » gli feci eco.

« Già » annuì, abbassandosi sulle gambe davanti a me. In un attimo era davvero vicino, così vicino che avrei potuto allungarmi e... « Verrà lui. Può smaterializzarsi senza problemi qui dentro e portarti via, perciò è la soluzione più sicura. »

Le sue dita fredde passarono intorno agli anelli delle manette e infilò nella serratura una piccola chiave affusolata. Il suo profumo d'ambra era penetrante e inebriante come quella volta nella biblioteca di Casa Black; i suoi occhi non ricambiavano il mio sguardo così mi sentii quasi autorizzata a sporgermi per sfiorargli la fronte con le labbra. Desideravo da tempo baciarlo e in quel momento mi sarebbe bastato anche un bacio lieve e innocente; l'idea di poterlo toccare mosse il mio corpo e rallentò la mia ragione. Perché era lì, ad un soffio da me. Ad arrivare prima fu il mio naso e Draco alzò di scatto la testa, sfiorandolo con il suo; il suo respiro s'infranse sulla mia bocca e i suoi occhi scorsero furiosi nei miei. Quanto mancava? Un centimetro? Forse meno, per un bacio? Lo stomaco mi si svuotò e un brivido attraversò il mio corpo.

Draco si allontanò, alzandosi completamente. « Fatto, ora sei libera. » Lo disse senza guardarmi, passandosi appena una mano sul viso.

« Grazie » sussurrai, aprendo e chiudendo i pugni e provando a mettermi in piedi. Lo feci sorreggendomi al muro alle mie spalle e per un attimo ebbi un giramento di testa.

Quando lo guardai, aveva le braccia lungo il corpo e stava proteso verso di me; mi parve la posizione di uno pronto ad aiutare qualora fosse stato necessario.

« È una settimana che non cammino » dissi flebilmente ma sorridendo, così feci qualche passo incerto e lentamente provai a raggiungerlo.

Draco allungò le braccia verso di me. « Sei stai per cadere, afferrami. »

« Non ce n'è bisogno » sorrisi, superandolo e andando verso il fondo del sotterraneo. Poi mi appoggiai ad una colonna e rifeci il tragitto al contrario.

« Va già meglio » dissi, abbandonando la schiena contro il muro. Mi sembrava di aver corso una maratona.

« Sei forte. Ti riprenderai in un attimo » mi disse.

« Che farai adesso? » domandai senza ascoltarlo. « Da adesso in poi, quali sono i tuoi compiti? Mi devo aspettare d'incontrarti sul campo di battaglia? » dissi infine con un tono più fievole.

Draco sorrise appena, abbassando lo sguardo. « Troppe domande, come tuo solito. »

« Scegline una e rispondi. »

« No, non mi incontrerai con la bacchetta sguainata. Forse non mi vedrai più. »

Sorrisi. Un sorriso quasi isterico, tirato dal nervosismo. « Più è un tempo così lungo. »

« Magari significa solo che morirò abbastanza presto e- »

« Non dirlo » lo interruppi, « non così facilmente, non con questa leggerezza. » Mi staccai appena dal muro. « Tu non morirai. »

« Tutti moriamo, prima o poi. »

« Non morirai adesso. Non morirai giovane. »

« Ho scelto una strada che non può portarmi a niente di buono. »

« No, tu avevi scelto la strada giusta! Vieni con me... »

Draco strinse le sopracciglia e assunse un'espressione contratta. « Non posso.»

« Perché? Non c'è niente qui per te! »

« Se posso davvero fare qualcosa della mia inutile vita è cercare di dedicarla alla giusta causa. »

Inclinai appena la testa, cercando di capire dove volesse arrivare. « Cosa-»

« Dall'interno posso aiutarvi, posso essere un'ottima spia dal fianco di Voldemort. »

Sgranai gli occhi. Era arrivato a quel punto dei suoi ricordi? Aveva deciso di fidarsi di me, di combattere la sua ragione e la sua falsa memoria?

« Tu, quindi... »

« Ho ricordato tutto. O quasi. Il problema non sono nemmeno i ricordi, è combattere contro ciò che dovrei fare e ciò che voglio fare veramente. È come se... » fece una pausa, si passò una mano tra i capelli e sollevò gli occhi al soffitto, scoprendo il collo latteo e il pomo d'Adamo. « È come se avessi due anime in un solo corpo che lottano continuamente. »

« Però adesso ne sei consapevole. Puoi farcela, Draco. Io sono qui-»

« No. » Mi freddò. La sua voce uscì in maniera completamente diversa da prima, gelida come i suoi occhi. « No, tu devi prendere la tua strada e dimenticarti della mia esistenza. Mi hai aiutato abbastanza, non sono un tuo problema né devo diventarlo. »

« No-non si tratta di essere un problema » biascicai, ferita.

« Sì, tu hai sempre voluto aggiustarmi. Si tratta solo di questo. »

« Non si tratta di questo » ripetei, seria.

« Hai provato pietà per me e mi hai offerto il tuo aiuto. Lo so e ti ringrazio di averlo fatto. Ne ho avuto bisogno, ma ora basta. Va bene così » sorrise infine. Un sorriso privo di alcuna emozione.

« Forse è anche cominciata così ma poi-»

« Poi cosa? » ruggì quasi.

« Poi è cambiato tutto! » esclamai, sporgendomi in avanti.

« Non è cambiato niente. Siamo sempre Draco Malfoy, la serpe viziata e presuntuosa ed Hermione Granger, l'impertinente so-tutto-io! » si sporse anche lui.

« No, ti sbagli! Ora siamo io e te. Io e te » ripetei, abbassando la voce. Lo sguardo di Draco si liquefece e lo vidi prendere un respiro, senza riuscire a continuare.

Un'apparizione improvvisa ci fece girare. Dobby era a pochi passi da noi e alle sue spalle c'erano anche Harry e Ron. Sgranai gli occhi quando il mio migliore amico mi corse incontro e mi catturò in un abbraccio spezzafiato. Ron abbracciò poi entrambi e in un attimo fui sommersa dalle loro attenzioni.

« Siamo qui! È tutto ok, siamo qui! Adesso andiamo via! » continuava a ripetere Harry, commosso.

« Ragazzi... mi soffocate » biascicai sorridendo ma non mi lasciarono. Dopo una manciata di secondi fu la voce di Draco a tirarmi fuori da lì.

« Dovete andare, i convenevoli lasciateveli per dopo. » La sua voce era bassa e roca, lontana eppure così vicina.

Harry e Ron si scostarono da me e così mi si riaprì la vista; Draco era qualche passo più avanti, il volto indurito dalla severità delle sue parole.

Mi feci largo tra i due per raggiungerlo; camminai sicura eppure lenta. Draco non distolse gli occhi da me nemmeno un istante, nemmeno quando gli poggiai le mani sui gomiti.

« Non voglio lasciarti » mormorai. Nel mio lento incedere verso di lui avevo pensato contemporaneamente ad un milione di frasi ma nessuna era riuscita a lasciare le mie labbra se non quella stupida sentimentale ammissione di debolezza.

« Devi farlo. » Era dolce come non mi sarei aspettata. Mi sorrise appena e fece salire le sue mani sulle mie braccia. « Devi andare. » Le sue falangi sembravano trattenermi e spingermi via al tempo stesso.

« Vieni con me » sussurrai, anche se sapevo perfettamente che la mia frase non aveva alcun senso. Non poteva lasciare la sua posizione, per tutti noi era molto più utile averlo all'interno. Era una guerra e non erano certo in conto i miei desideri o le mie emozioni.

« Non posso. »

« Ci rivedremo? »

« Non lo so. »

« Mi mancherai. Mi manchi già. » Ormai il mio cuore aveva sopraffatto il cervello e non avevo alcun controllo sulle parole; l'unica cosa che mi riempiva i pensieri era che l'avrei perso per sempre. Di nuovo.

« Tornerai alla tua vita, starai bene. » La sua voce mi parve incrinata ma non ero abbastanza lucida per capirlo davvero.

« Senza di te non starò mai bene. »

« Dici così adesso. Il tempo passa e guarisce tutte le ferite. »

« Tu non sei una ferita. »

Mi sollevai sulle punte diretta alle sue labbra; i nostri nasi si sfiorarono ma Draco poggiò due dita sulla mia bocca. I suoi polpastrelli sapevano di sapone ed erano freddi come il ghiaccio. Eravamo così vicini che potevo guardare dentro il suo corpo attraverso quelle iridi così trasparenti, che facevano brillare come ematite le pupille dilatate.

« No, non farlo » sussurrò. La sua mascella era contratta e le sopracciglia basse sulle palpebre. Sollevò di scatto la testa e guardò oltre la mia spalla. « Potter, portala via. Mettila in salvo. Rapido. »

Si allontanò da me e io allungai le braccia per non lasciarlo. Sentii un movimento alle mie spalle e qualcuno mi tirò indietro; le mie dita scivolarono via dal corpo di Draco ma io non volevo staccare gli occhi da lui.

« No, Harry! » mi dimenai. Draco era a qualche passo di me, sempre più lontano, sempre più irraggiungibile.

Intorno a me apparve Ron, poi Dobby ma io non riuscii a seguire i movimenti di nessuno se non i suoi.

L'ultima immagine che ebbi fu l'espressione contratta sul viso di Draco. Poi, un turbine mi offuscò la vista e un attimo dopo guardavo il camino spento di Casa Black.

Mi voltai con risentimento a guardare Harry e Ron e nello spostamento d'aria avvertii tagliente l'umido dei miei occhi.

« Perché? » mi voltai rabbiosa, trovando Harry. « Perché mi avete trascinato via? »

« Hermione... » fece lui dolcemente.

« Non ne avevate diritto, non stava a voi decidere quando! » esclamai, stringendo i pugni.

« Era evidente che lui voleva che te ne andavi » parlò Ron, lapidario. Spostai l'attenzione su di lui, fermo impalato nella sua postura goffa. « Il bacio che hai provato a dargli... non l'ha voluto. »

Sbattei le palpebre e aprii lentamente i pugni. Le dita ricaddero, deboli.

« Dovrebbe essere abbastanza da capire, Hermione » continuò con un'espressione quasi di sufficienza. E nelle sue parole c'era veleno. Puro risentimento, pura vendetta. Pareva quasi soddisfatto di quella situazione, quasi contento che io me ne stessi in silenzio a venir ferita dalle sue parole.

Misi un piede dopo l'altro e con la poca forza che mi rimaneva gli tirai uno schiaffo sulla guancia.

Non fece in tempo ad evitarlo quindi si portò una mano sul punto in cui l'avevo colpito, con espressione incredula. Lo guardai per qualche secondo, poi me ne andai, diretta al piano superiore. Puntai al bagno, dove mi chiusi, per poter stare da sola. Mi accovacciai per terra, cullandomi appena, tenendo gli occhi fissi nel vuoto.

Le parole di Ron non mi erano mai sembrate così veritiere. In tanti anni che lo conoscevo era stato capace di dire tante cose insensate e usando così tante lettere, eppure quella volta aveva detto qualcosa di molto conciso e molto realistico. Aveva ragione, lui che vedeva la cosa dall'esterno; aveva ragione lui che non era coinvolto, annebbiato dai sentimenti unilaterali che mi stavano divorando. Ero sempre stata così posata, razionale, intuitiva, consapevole; ora, l'idea che avessi una percezione alterata e che facessi la figura della stupida mi fece rabbia. Ma ammettere che Draco non provasse niente per me, anzi, che fossi per lui solo un fastidio di cui liberarsi in fretta, mi feriva come poche cose avevano fatto nella vita. Possibile che per lui non fossi niente e che mai lo ero stata? Possibile che quelle volte che eravamo stati insieme, quel coinvolgimento emotivo c'era stato solo da parte mia?

Era chiaro, non era tutto falso. Ma lui non mi voleva nello stesso modo in cui lo volevo io. Io ne ero innamorata, Draco per me provava riconoscenza. Esattamente, la riconoscenza aveva mosso le azioni di Draco Malfoy; il nastro, il suo preoccuparsi per me, il volermi mettere in salvo... tutto era coerente con il suo desiderio di sdebitarsi. Da parte sua non c'era alcun desiderio, nemmeno sessuale, nei miei confronti; non c'era mai stato.

E io dovevo accettarlo. Dovevo. Assolutamente.


***


Caddi sulle ginocchia, privo di forza. Reclinai la testa all'indietro, come in una muta preghiera rivolta al cielo. Ti prego, fa che stia bene. Ben presto la vista mi si appannò dalle lacrime e digrignai i denti. Non riuscivo a dirlo. Non riuscivo a pregare affinché si dimenticasse di me. Non riuscivo a pensarlo, figurarsi a dirlo; doveva, doveva assolutamente innamorarsi di Lenticchia e farsi la sua vita ma la sola idea mi faceva attorcigliare lo stomaco. Mi veniva la nausea e provavo una rabbia indicibile.

Ma d'altronde non potevo darle niente. Non potevo darle nessuna vita degna di lei: se avesse vinto Voldemort, lei sarebbe stata perseguitata anche qualora io avessi deciso di sposarla. Se avesse vinto l'Ordine, io sarei stato un reietto con cui nessuno avrebbe voluto avere niente a che fare, sempre se non fossi finito ad Azkaban. In effetti la mia vita era durata anche troppo. Sarebbe dovuta finire in quella torre, dopo il rifiuto di uccidere Silente; o magari prima ancora. Hermione mi aveva dato un nuova possibilità di vita e aveva visto in me cose che nemmeno io avevo mai visto in me stesso; potevo compiere ora le scelte giuste e morire, forse in battaglia, con il sorriso sulle labbra, sapendo di aver difeso le cose a cui lei teneva di più.

Mi passai il dorso delle mani sugli occhi e mi sollevai, osservando il punto in cui era rimasta legata per una settimana. La corda, le manette aperte e niente più. Niente era rimasto di lei.

Dovevo andare avanti. Dovevo riprendermi in fretta e non mostrare segni di debolezza che potessero insospettire l'Oscuro Signore. Dovevo farlo, anche per lei.


Pochi istanti dopo, io e Severus Piton eravamo seduti nel salone principale di Malfoy Manor ad attendere l'arrivo di Voldemort. Avevo comunicato io stesso che la Mezzosangue era stata portata via da un elfo domestico libero.

Tra noi c'era solo silenzio e contemplazione; attesa, bruciante, di cosa sarebbe accaduto. Da parte mia continuavo a pensare solo a lei; a quanto l'avevo ferita e se fosse davvero giusto farle provare un dolore adesso per evitarle un dolore futuro. Razionalmente, sì. Egoisticamente, no. La volevo. La volevo con tutto me stesso. Volevo toccarla, abbracciarla, baciarla, addormentarmi con lei. Volevo poter vivere con lei tutti i giorni della mia vita. Volevo che mi guardasse sempre con gli stessi occhi dolci e innamorati, fieri di me nonostante fossi solo un vigliacco.

Riconobbi lo strusciare della veste di Lord Voldemort, poi il sibilo del serpente. Lui fece il suo ingresso dalla porta a sinistra ed entrambi ci alzammo in piedi. Accennai un inchino del capo e rimasi con gli occhi bassi anche quando mi parlò.

« Com'è potuto succedere, Draco? » il mio nome pronunciato da lui aveva sempre una sfumatura orribile.

« Mio Signore, io ho sentito dei rumori dal sotterraneo e, nemmeno il tempo di scendere, ho visto sparire davanti ai miei occhi la Mezzosangue con l'elfo Dobby, quel traditore che si liberò dalla nostra famiglia anni fa, per colpa di Harry Potter. »

Parlai senza esitazione e con la punta di disgusto che aveva caratterizzato i miei discorsi negli anni scolastici. Le dita del mio Signore mi toccarono il mento; erano gelide quanto quelle di un cadavere. Fecero una leggera pressione per portare i miei occhi nei suoi. Restai impassibile, nonostante la sua vicinanza mi desse da sempre i brividi.

« Quindi, l'elfo sapeva dove trovarla. »

« Crediamo che ci sia una spia tra i Mangiamorte » intervenne Severus.

« Ed io penso di sapere chi sia » dissi.

Voldemort mi fissò, assottigliando lo sguardo. « Continua. »

Sapevo – e speravo – di avere la sua più completa fiducia. D'altronde lui era così: quando credeva di avere il pieno controllo su una cosa – su una persona – non accettava, nemmeno come dubbio, che questa potesse raggirarlo. Era stato così con Severus e lo era tutt'ora; e lo era con me, di fatto una sua creazione.

« Credo sia una vendetta nei miei confronti, più che nei vostri. Quando ho ucciso Anson Brown ho terrorizzato alcuni e fatto arrabbiare altri. »

« Hai un nome? »

« Due. Alecto Carrow e Walden Macnair. » Non m'importava di nessuno di loro. Erano tutti sacrificabili per quanto mi riguardava.

Il Signore Oscuro annuì, con un sorriso distorto sul volto da teschio.

« Pagheranno con tutte le gocce di sangue del loro inutile corpo » sibilò.




« Quindi le pergamene che prendi a Casa Riddle sono contraffatte? »

Severus annuì. Eravamo rimasti in quello stesso salone, quando il Signore Oscuro se n'era andato. Mi ero lasciato ricadere sulla poltrona, stanco e provato come se avessi affrontato una battaglia. Era stato un giorno lunghissimo.

« Faccio credere che esista una spia nell'Ordine, con cui comunico. In realtà le scriviamo io e Lupin per far avere informazioni al Signore Oscuro, più o meno veritiere. »

« Passate anche delle informazioni corrette? » mi sorpresi.

« Certo. Non possiamo passare solo informazioni false, altrimenti si insospettirebbe troppo. Però, gestendo noi la cosa, limitiamo al minimo i danni. Quando sarò ad Hogwarts ti metterai in contatto tu con Lupin e farai questa cosa. »

Annuii, guardando un punto imprecisato del lume di cristallo del tavolino basso. Erano passate alcune ore da quando Hermione se n'era andata ma mi sembravano mille di più. Eppure, sentivo ancora il suo calore sotto le mie dita, il suo profumo nelle narici.

« Quello sguardo. »

Corrucciai la fronte e mi voltai a guardare il mio padrino. « Cosa? »

« So che pensi a lei » disse. « Hai il mio stesso sguardo. »

Sorrisi, scuotendo la testa. « Non è come credi. So bene qual è il mio posto... e qual è il suo. E che questi non devono essere confusi. »

« La pensavo anch'io come te. »

Alzai le sopracciglia. « Parli al passato? »

Severus annuì. « Sono rimasto lontano da lei, speravo riuscisse ad avere la vita che sperava, che meritava, senza di me. Ma alla fine è stata uccisa comunque... tornassi indietro, lotterei per lei. Rimarrei al suo fianco. Sarei più egoista » sorrise infine amaramente.

Lo guardai a lungo. Poi strinsi le labbra. « Non lo so » mormorai, mentre le sue parole scivolavano serpentine tra i miei pensieri.

« Draco, siamo in guerra. E non c'è un posto sicuro dove nessuno la ferirà. Dato ciò, non privarti dell'unica fortuna... l'unica cosa bella che ti è capitato di trovare nella vita. »

Sapevo che stava parlando di sé stesso. Nonostante ciò, le sue parole si cucivano perfettamente su di me e avevano la profondità e la verità della saggezza. Come ignorarle? Metterle in pratica restava, però, enormemente difficile.

« Sarà difficile, a volte impossibile mantenere vivo il legame. Vederla. Ma non rinunciare in partenza » mi incalzò.

Fissavo l'angolo del tappeto persiano, i disegni fittamente intrecciati che lo decoravano e che si perdevano per tutta la sua estensione. La stessa fitta trama aggrovigliava, in quel momento, i miei pensieri.

« Ho paura di farla soffrire. »

« Se ti ama, sta già soffrendo. »

« Ho paura di coinvolgerla in situazioni pericolose. »

« È già coinvolta, fino alla punta dei capelli » sentì la sua voce sorridere.

« E poi i suoi sentimenti sono così... belli. Non so se riuscirei a gestirli. »

« Draco. » Mi voltai a guardarlo. « Non c'è bisogno di prevedere tutto quello che succederà. Di pianificare, a tavolino, per evitare ogni minimo errore. Gli errori, i passi falsi e le cadute ci saranno. Ma sarete insieme ad affrontarle. Non farti carico della scelta che spetta anche a lei. »

Mi voltai a guardare il fondo buio della stanza, cercando di lottare contro il mio istinto di alzarmi e andare da lei.



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Capitolo 17
*** E istinti incontrollabili ***


Intro: Eccomi di nuovo! Sono stata brava, vero? u.u Vi regalo anche un piccola piccola gif che ho realizzato (sto imparando e la qualità del film faceva schifo xD) immaginando che, nel film, Hermione avesse detto cose che rimandavano a Draco mentre respirava l'amortentia... e che lui se ne accorgeva xD

Vi abbraccio e ringrazio tanto tanto chi trova il tempo di recensire! A presto.

ps. il capitolo finisce in sospeso: lo so di essere sadica ma m'impegno ad aggiornare quanto prima u.u This will display an animated GIF





POLISUCCO

e istinti incontrollabili



Erano le quattro di notte e fissavo il soffitto della mia camera da letto. La luce della luna filtrava tra gli spiragli delle tende e io me ne stavo nudo a cercare di zittire il cervello.

Tra qualche ora avrei dovuto essere dall'altra parte dell'Inghilterra: dovevo incontrare un vampiro che stava a capo di una cospicua cerchia di suoi simili. L'obiettivo era quello di convertirlo alla causa del Signore Oscuro, anche se il punto era solo trovare qualcosa che desiderasse in cambio del suo supporto.

Da lì a poche ore mi aspettava un duro e diplomatico incontro, in cui avrei avuto bisogno di tutta la mia lucidità. Ma da cosa dipendeva la mia lucidità, la mia calma e il mio raziocinio? Era inutile che continuavo a mentire a me stesso.

Volerla proteggere era sempre la mia priorità ma la vocina egoista che lampeggiava nel mio cervello continuava a suggerirmi che senza di lei non sarei stato in grado di affrontare niente. Che se l'ultima immagine di Hermione era quella di lei che mi veniva strappata dalle dita, con gli occhi rossi e spalancati, io non ero in grado di andare avanti. Non ero così forte, non lo ero mai stato. Ero egoista, bastardo e vigliacco; avevo sempre pensato solo a me stesso e probabilmente avrei continuato a farlo. E pensare a me stesso significava vederla, vedere il suo sorriso, sentire i suoi incoraggiamenti, prendere un po' della sua forza.

Da solo non valevo niente. Era sempre stato così.


La finestra della camera di Hermione, che condivideva con quei due, era buia. Come del resto tutta la palazzina e l'intera strada, immersa nel silenzio e nell'umidità degli ultimi momenti della notte.

Mi passai i palmi delle mani sui pantaloni neri e le nascosi nuovamente sotto i lembi del mantello. Tenni il viso sollevato verso quel vetro, chiarendo a me stesso che se non l'avessi vista apparire nel giro di dieci secondi avrei fatto marcia indietro. Era un gioco perverso; a poche ore dalla sua liberazione, alle quattro e mezza di notte, non avrebbe mai potuto essere sveglia. Era sicuramente crollata – e sperai davvero che stesse dormendo, cercando di recuperare tutte le forze che aveva perso anche per colpa mia.

Uno, due.

Strinsi e aprii i pugni, un paio di volte. Avrei potuto chiamarla, lanciare un sassolino alla finestra cercando di attirare la sua attenzione. Ero venuto per vederla, cosa diavolo stavo facendo lì impalato?

Tre, quattro. Cinque.

La verità era che una parte di me sperava che non mi vedesse. Così sarei tornato a casa, avrei recuperato i lumi della ragione e avrei continuato il mio percorso di scelte sensate – per così dire.

Sei.

Ma lei doveva vedermi. Io avevo bisogno che lei sentisse che ero lì.

Sette, otto.

L'idea di saperla ferita dalle mie ultime parole non mi pareva più una buona idea. L'idea di sapere che magari stava piangendo, mettendo in dubbio tutto ciò che pensava di aver visto tra noi, mi indeboliva. Ma cos'era meglio? Un dolore adesso o un dolore futuro, quello che sentivo le avrei dato?

Nove.

Ma sì, era la cosa giusta. Lei doveva dimenticarsi di me, doveva mettere in dubbio fino ad accantonare i sentimenti che provava.

Dieci.

Tirai il labbro destro in quello che aveva solo l'ombra di un sorriso. Chinai la testa fino a guardarmi le punte dei piedi. Ora, un passo dopo l'altro, me ne sarei andato via.

Mi voltai di scatto, cercando di forzarmi con una risolutezza che in quel momento non avevo. Mi portai il mantello sulla spalla sinistra e infilai le mani in tasca; affrettai il passo, verso la fine del marciapiede.

« Draco! »

Mi fermai. Sollevai lo sguardo davanti a me e restai irrigidito al suono di quella voce.

« Draco. »

Dei tonfi ovattati si fecero sempre più vicini e io lentamente mi girai, vedendola.

Era in piedi davanti a me, scalza, con una vestaglia lilla a bretelline, i capelli arruffati e le guance arrossate.

« Torna dentro » sussurrai, senza sapere nemmeno io cosa stessi dicendo.

« Perché sei qui? » La sua voce era appena udibile. Gli occhi rossi e lucidi mi fecero vacillare.

« Non lo so » dissi. « Ero nel mio letto a pensare... oggi devo vedere quel tipo e non riesco, non so come farcela » blaterai, poi scossi la testa. La guardai. « Non so cosa mi sia preso. Torna dentro » ripetei, facendo un passo indietro.

Hermione si mosse verso di me.

« No, aspetta » fece con voce incrinata.

Le sorrisi. Fu inevitabile sorriderle. « Ero così sicuro qualche ora fa. Scusami se ho ceduto. »

« Sicuro di cosa? » la sua espressione era chiaramente confusa.

« Mi ero ripromesso di starti lontano. Io... non posso darti quello che meriti » dissi, facendo scorrere i miei occhi in quelli di lei. Erano come due pietre rare, lucide e preziose. « L'unica cosa che posso davvero fare è proteggerti... anche da me. »

« Mi stai dicendo che mi hai respinto perché volevi il mio bene? Ma che razza di decisione insensata è mai questa? »

Il tono che mi aveva rivolto era sporco di frustrazione; ma come darle torto? Fino a qualche ora prima l'avevo trattata con sufficienza e freddezza.

« Prima mi mandi via, poi ti presenti sotto la mia finestra. Io non ci sto capendo più niente » mormorò.

Mossi un passo verso di lei ma il suo sguardo ferito mi bloccò.

« No, non avvicinarti. Non farlo se pensi di andartene di nuovo » disse, raccogliendo visibilmente tutte le forze che aveva.

« Io non vorrei mai separarmi da te. »

I suoi occhi erano lucidi e sgranati.

« E allora... perché? » sussurrò quasi.

« Perché è così che deve andare. »

« Siamo solo noi a decidere come deve andare! » esplose Hermione, stringendo i pugni.

« Non è così semplice, non lo è mai stato tra me e te » dissi con voce pacata.

« Facciamo in modo che lo diventi! Cosa serve se non il volerlo entrambi? Il resto verrà da sé » mosse un passo verso di me, gli occhi si addolcirono.

Mi spostai appena indietro; avevo il terrore che, avvicinandosi troppo, il suo profumo mi avrebbe tolto ogni briciolo di controllo che mi restava.

« Sarebbe una scelta del tutto egoista. Ti succhierei via tutto ciò che hai di bello, ti userei per stare bene e tirare avanti. Tu verresti consumata dalla mia vita e ti ferirei in modi che nemmeno immagini. »

« So che la tua vita è al limite tra il bene e il male. So cosa ti aspetta, so cosa mi aspetta. Lo so da tempo, eppure la cosa che continuo a vedere davanti a me sei sempre tu. Draco. » Fece un altro passo, poi un altro ancora. Ero pietrificato dal suo sguardo, non riuscivo a muovere i miei piedi per andare via da lì. « Vedo il ragazzo che sei e che cerchi di essere, combattendo contro ciò che ti è sempre stato imposto. Non m'importa di altro perché so chi ho davanti. »

Contrassi i muscoli del viso per frenare le parole che in quel momento avrei voluto dire. Ero stanco, provato, debole psicologicamente; volevo solo abbracciarla e riprendere a respirare. Abbandonare tutti i pensieri e le preoccupazioni tra le sue gambe.

« Ti prego, basta così. »

Non erano le parole che avrei voluto dire. Non era quello che pensavo avrei detto quando avevo deciso di lasciare il mio letto e smaterializzarmi a Grimmauld place.

« Draco... »

« Non ce la faccio. » Mi portai le mani dietro la nuca e abbassai appena la testa, guardandola da sotto le sopracciglia. « Tu non immagini nemmeno lontanamente l'effetto che mi fai. »

Hermione sbatté le palpebre e le mie parole restarono nell'aria che ci separava.

« No, non lo immagino » disse infine fievole.

« Quando hai provato a baciarmi ho avuto un paura terribile. »

I suoi occhi si strinsero e cercarono una risposta tra i miei.

« Ho paura che, se ti baciassi, finirei per divorarti. »

Le labbra di Hermione si dischiusero e presero ossigeno.

« Per te provo un amore folle e malsano, una cosa che non ho mai provato prima. »

« Draco... »

« Ho paura di perdere completamente il controllo quando sono con te. » La guardai a lungo, cercando di restare fermo immobile al mio posto. « E se tu non mi aiuti a starti lontano... io non credo di farcela ancora a lungo. »

La vidi tremare. Un visibile brivido le scese dalla gola fino alla punta dei piedi; ma non era per il fresco della sera, lo sapevo bene. Era la stessa sensazione che provavo anch'io. Non lo avevo mai ammesso nemmeno tra i miei pensieri, ma c'era sempre stata tra noi una tensione sessuale fortissima.

Quando fece un passo verso di me, allungando appena una mano, la fermai. « No. »

Puntai i miei occhi nei suoi e senza darmi tempo di ribellarmi a me stesso, mi smaterializzai via da lei.


***


Mi chiusi la porta alle spalle cercando di fare meno rumore possibile. Camminai sulla punta dei piedi, puntando l'inizio delle scale. Passai davanti alla porta della cucina e stavo per salire sul primo gradino quando Harry mi vide.

Uscì dalla stanza con un bicchiere d'acqua in mano e mi rivolse un'espressione confusa.

« Da dove stai venendo? » domandò con voce impastata dal sonno.

« Ero andata in bagno » dissi senza aver tempo di pensarci.

« Il bagno è affianco alla camera da letto » alzò un sopracciglio.

« Sì, beh, volevo fare due passi. »

« Hermione, ho sentito chiudersi la porta d'ingresso. »

Mi morsi il labbro inferiore e scesi dal gradino, appoggiandomi con la schiena al muro dietro di me.

« Volevo prendere un po' d'aria. »

« Quindi non c'entra niente Malfoy? »

Spalancai gli occhi e sporsi la testa in avanti. « Ma allora mi spii? »

Harry abbozzò un sorriso. « Sono state una serie di coincidenze. »

« Bene, ora che sai con chi ero penso possa finire l'interrogatorio » tagliai corto, facendo per andarmene.

« No no, » mi richiamò, « parliamo un po'. Tanto il sonno è sparito per entrambi, vero? »

Lo guardai qualche secondo, poi annuii. Lo seguii nel salone e presi posto sulla poltrona di stoffa rossa, su cui mi appallottolai.

« Ron ha davvero sbagliato, prima » esordì, facendo oscillare l'acqua nel bicchiere come se fosse firewhisky. « Crede che Malfoy ti stia usando e che non abbia nemmeno vagamente delle intenzioni serie con te. »

Aprii la bocca per parlare ma Harry mi fece cenno con la mano di aspettare che finisse.

« Ma, e dico ma, io ho avuto un'impressione diversa della faccenda. Tu sai... » fece una pausa, evitando di guardarmi direttamente. « Sai quanto io tenga a Ginny. »

« Sì, lo so bene » gli dissi. L'espressione di Harry era deformata dalla preoccupazione.

« Ed è proprio per questo che vorrei starle lontano. Cioè, faccio di tutto, ma non sempre ci riesco. »

« Perché vuoi starle lontano? » gli domandai, come se la cosa riguardasse me in prima persona. E, in effetti, così era.

« Perché voglio proteggerla. Voglio che Voldemort non sappia che colpendo lei colpisce me. Voglio che possa avere una vita felice, tranquilla, lontana da tutto questo... schifo. »

I suoi occhi verdi tornarono a guardarmi; erano addolciti come poche volte lo erano stati.

« Per me è una cosa preziosissima. Ho paura ogni giorno per lei eppure desidero ogni giorno di poter stare con lei. »

Mi portai la mano sulla gola per mascherare il barlume di un singhiozzo. Avevo capito benissimo dove voleva arrivare.

« Perciò, se il mio istinto funziona ancora bene, credo che Malfoy provi ciò che provo io. Lo vedo bene, mi riconosco in lui. Ecco perché non riesco più a parlare male di lui. »

Annuii, rapidamente, arginando una violenta commozione. « M-mi ha detto » deglutii e presi fiato. « Mi ha detto che non potremmo mai stare insieme anche se lui non vorrebbe mai separarsi da me. » Lo dissi rapidamente, senza esitazione, per poi tacere di colpo. Le parole che mi aveva rivolto e le emozioni che mi aveva fatto provare vibravano ancora cocenti dentro la mia cassa toracica. Ed ora, parlarne, si stava rivelando fin troppo difficile.

« Lo capisco bene » disse Harry.

Annuii, passandomi il dorso della mano sugli occhi. « Ma io lo amo » sussurrai, così piano che riuscii appena a sentirlo io stessa. Guardavo i libri immobili sulla mensola sopra il camino per fissare i miei occhi su un punto fuori di me.

« Se non fosse stato amore, non avreste sofferto così tanto. »

Annuii ancora, nascondendo la bocca tra le mani e singhiozzando silenziosamente. Sentii Harry alzarsi e venirmi incontro. Mi abbracciò e lo lasciai fare, quasi inerte, chiudendo gli occhi e rilassandomi dentro la sua tshirt. Non volevo pensare. Le parole di Draco erano state bellissime eppure terribili. Come poter andare avanti rinunciando a lui? Era una domanda davvero retorica, perché la risposta era ovvia: non potevo. Ormai era fatta, eravamo andati troppo oltre, pur non avendo mai condiviso altro che emozioni e parole. Un amore folle e malsano. Non era troppo diverso da ciò che io provavo per lui.


***


Misi piede nella contea di Durham appena dopo le nove. Non ero mai stato in quella zona dell'Inghilterra, perciò seguii alla lettera le indicazioni di Severus su come trovare Marcus Flewter.

L'insediamento dei suoi si trovava a nord, fuori dalle città principali, in un villaggio dove Marcus era temuto e rispettato da tutta la comunità. Il posto era, però, come tutti gli insediamenti magici che avevo visitato nel mondo: appartato, modesto e nascosto. Fatta eccezione per la villa imponente e lugubre di Marcus; era impossibile non notarla.

Il vampiro mi attendeva e non sapevo se era una cosa di cui essere contento. Avevo indossato il mio solito nero, cercando di essere formale senza esagerare: pantaloni classici, camicia di cotone, scarpe oxford, mantello chiuso dalla spilla di famiglia sulla clavicola sinistra. Quando bussai al batacchio d'ottone, cercai di tenere il mento alto e lo sguardo rilassato; avrei mentito a me stesso se avessi detto che non ero nervoso. Potevo giustificarmi, ricordandomi di avere solo diciassette anni. Ma poi riflettevo sul fatto che l'età era solo un numero e che io ero dovuto crescere in fretta.

La porta mi fu aperta da una donna dall'espressione vuota. Mi guardava, eppure non mi vedeva. I suoi occhi marroni erano velati di bianco, la sua pelle era bianca come un lenzuolo e sembrava che nel suo corpo non ci fosse traccia di sangue.

« Signor Malfoy, benvenuto. »

Spostò il braccio con un gesto circolare così entrai, mentre mi veniva chiusa la porta alle spalle. Mi ritrovai in un ingresso avvolto dalla semioscurità; le tende erano tutte tirate e l'arredamento non aveva alcun colore vivace. Non era molto diversa da casa mia.

Slacciai il mantello e la seguii, attraversando un corridoio stretto pieno di vecchi quadri. Poi mi fece cenno di accomodarmi in un piccolo soggiorno, dove entrai. Le pareti erano completamente ricoperte da carta da parati barocca, di una tonalità scurissima di viola. C'erano due poltrone, un tappeto nero di lana e nient'altro.

Presi posto e attesi. Non mi era mai capitato di stare tanto a lungo in una stanza così vuota e così silenziosa; non mi sarebbe dispiaciuto se non fosse stato per il fatto che odiavo non sapere cosa dovermi aspettare.

« Signor Malfoy » esordì una voce profonda, così mi voltai. Non avevo sentito arrivare nessuno e la cosa mi sorprese non poco.

Quello che intuii doveva essere Marcus Flewter era un uomo alto quasi due metri e magrissimo. Aveva dei lunghi capelli neri che portava intrecciati e degli occhi del medesimo colore da cui non si distingueva la pupilla. La pelle era bianca come quella della donna che mi aveva accolto e le sue labbra avevano una sfumatura verdognola. Vestiva in abiti molto eleganti, come se fosse in procinto di uscire ed andare ad una cerimonia.

« Ah, ma sei solo un ragazzo » aggiunse, muovendo qualche passo nella mia direzione.

Mi alzai in piedi e gli porsi la mano. « Avrebbe preferito un uomo anziano e dalle vedute chiuse, signor Flewter? »

Il vampiro mi osservò per qualche secondo, poi ricambiò il gesto e mi strinse la mano.

« Siediti pure. »

Accennai un inchino del capo e mi risedetti, poi lo fece anche lui. Mi ero preparato una decina di discorsi molto diversi tra loro ma era difficile essere sicuro di dire la cosa giusta.

« Immagino sappia perché sono qui. »

« Sì, ma voglio che tu me lo dica lo stesso » disse mellifluo, incrociando le dita sul ventre.

« Vengo per conto di Lord Voldemort. »

« Sì, il fallito » mi interruppe.

Non mi scomposi. Sapevo bene che il mondo magico era diviso in tre linee di pensiero: una credeva che Voldemort fosse il male assoluto; una lo venerava come un dio; l'altra, seppur ridotta all'osso e presente solo in alcuni gruppi che vivevano lontano dalla giurisdizione del Ministero della Magia, credeva che Voldemort fosse solo un pallone gonfiato che si era fatto sconfiggere da un bambino in fasce. Marcus era, quindi, di quell'idea. E sarebbe stato molto difficile convincerlo a prendere parte alla causa, perché non vedeva Voldemort come un leader. E, cosa non meno importante, chi doveva convincerlo era disgustato dalle sue stesse parole.

« Lord Voldemort è un mago molto potente, il più potente attualmente in circolazione. Ed è molto, molto più forte dell'ultima volta. »

« Sì, qualcosa è cambiato nella sua anima » disse Marcus, ma non colsi esattamente la sua allusione.

« Sta riunendo molte forze diverse sotto la sua guida. I suoi progetti sono maestosi; affiliarsi a lui significherebbe stare dalla parte giusta della battaglia. E avere un posto d'onore alla fine di tutto. »

Lo guardai, sperando di aver fatto almeno breccia nella sua cupidigia. Mi era stato detto che Marcus era un personaggio avido e senza troppi scrupoli, carismatico quanto bastava per farsi seguire da un cospicuo gruppo di suoi simili nella mia proposta.

Ma lui rise. Emise un suono roco e cavernoso e i suoi occhi brillarono divertiti. « Perché hanno mandato proprio te, ragazzo? »

« Come? » mi sorpresi, dilatando le pupille.

« Avrebbero dovuto mandare qualcuno di più convinto. »

« Non riesco a seguirla, signor Flewter. »

Lui m'indicò, sporgendosi appena nella mia direzione. « Ho accettato questo incontro pensando già che non avrei accettato. Non provo alcuna stima per quel mago, non potrei mai seguirlo. Poi mi è stato detto che mi avrebbe mandato il suo braccio destro... e mi si presenta qui un ragazzino appena uscito da scuola. »

Corrucciai la fronte e presi dei respiri serrati. « Vorrei davvero potermi definire in maniera così spensierata come mi vede lei. »

Marcus si zittì. Non avevo detto niente di così particolare per meritare quella specie di piccola vittoria. Ma il vampiro mi guardò con occhi diversi.

« Tu non otterrai niente da Tom Riddle. »

« Mi limito a servirlo » dissi rapido.

Marcus scosse lentamente la testa. « Tu non devi servire nessuno, ragazzino. Perché, invece, non segui me? »

Alzai le sopracciglia, completamente stupito da quella proposta. « Cosa? »

« Voldemort non vincerà. E non lo so solo perché ho vissuto troppo a lungo per capirle, certe cose. Ma perché chi lo segue non lo rispetta. Ne ha solo paura. Un fottuto timore da farsela sotto la notte. E la paura è un sentimento fugace che prima o poi passa. Al che, i tuoi seguaci ti si rivolteranno contro, perché vorranno di più. O ti abbandoneranno, per isole felici lontano da tutta la schifezza che crei. »

Poggiò i gomiti sulle ginocchia e si avvicinò con la faccia ancora di più a me. La sua pelle era uno strato unico privo di difetti, come se fosse porcellana. Non potevo dire quanti anni avesse: tutto di lui mi dava l'idea di un uomo molto giovane; i suoi occhi sembravano, però, vecchi di almeno cent'anni.

« A questo mondo si sta davvero insieme solo per amore o per ideologie. Non fare scelte nella vita che non vadano in una delle due direzioni. E se sei fortunato, potrai unirle. »

Poi, il suo sguardo cambiò. Forse in seguito ad una mia espressione o ad una sua idea. Ma lo vidi sorridere. Un sorriso molto diverso da quelli distorti e sadici che aveva fatto fino a quel momento. Era quasi paterno. « Ma ti sto dando consigli che in cuor tuo sai già. Maledetto, sei venuto per mentirmi? Tu hai già capito tutto. »


Lasciai Villa Flewter con più confusione che risposte. L'ultima cosa che mi aveva detto, poggiandomi una mano sulla spalla, era stata: « Non sono uno sciocco. Fa' sapere al tuo capo che sono dei suoi. Ma tu sei l'unico che, quando non mi vedrà sul campo di battaglia, potrà fare un sorriso. Non sono un uomo di parola, mi perdonerai per questo. » Poi mi aveva accompagnato alla porta e mi aveva detto Addio.

Seppur fossi uscito fisicamente integro da quella mattina, il mio cervello era ferito e provato da troppe cose. Forse l'universo stava cercando spingermi nella direzione giusta, cercando di dirmelo attraverso tutte le persone che incontravo; forse, era solo la verità che mi veniva espressa dalle parole dei personaggi più impensabili. Le notizie circa la folle malvagità di Marcus Flewter e le parole che questo mi aveva rivolto solo poco prima cozzavano terribilmente; come poteva un uomo essere così cattivo eppure così saggio? Forse solo i vampiri potevano. Forse solo loro potevano avere, nonostante tutto, una così chiara visione della vita.

Mi spostai in un vicolo ombroso e mi smaterializzai a Malfoy Manor verso le tredici. Passai dal disimpegno, togliendomi il mantello, così avanzai verso sala da pranzo. Mi arrotolai le maniche della camicia fino ai gomiti non smettendo di camminare, finché non vidi da lontano il lungo tavolo in legno massello e mi fermai interdetto.

Era apparecchiato per due. Niente di nuovo per quella stanza, da quando erano morti i miei. Spesso mangiavo da solo ma molto spesso a farmi compagnia c'era anche Severus. L'unico problema era che sapevo che il mio padrino era in Scozia in quel momento e non sarebbe tornato prima di tre giorni.

Hunni mi passò accanto, aggirandomi, facendomi quindi un inchino del capo.

« Signor Malfoy, l'ha portata Dobby e ha detto che era ospite su vostra richiesta. Se ho sbagliato a mettere due posti... »

« No, no Hunni » mi affrettai a dire, « dov'è?»

L'elfo domestico non alzò la testa. « In sala libri, signore. Ho detto che non sapevo quando tornavate voi... »

Non aspettai che finisse di parlare. Non mi serviva sapere altro. Affrettai il passo e imboccai il corridoio per le stanze est, superandone tre a ritmo spedito prima di rallentare a pochi passi dall'unica porta da cui usciva un forte spiraglio di luce.

Misi la mano destra sullo stipite e rimasi sulla soglia. Hermione era di profilo vicino agli scaffali sulla sinistra della stanza, con lo sguardo incatenato alla pagina di un libro. Mi concessi di osservarla senza dire nulla per qualche istante; poi la vidi sollevare gli occhi davanti a sé con una consapevolezza diversa, quindi voltarsi e incrociare i miei.

Chiuse il libro con il dito indice in mezzo, voltandosi completamente verso di me.

« Scusami. Ho praticamente costretto Dobby a darmi un passaggio. E ho usato tutto il mio fascino per convincere Hunni a non allarmarsi. »

« Non dovevi venire qui. È pericoloso » sussurrai senza troppa convinzione.

Lei annuì. « Lo so. Ma dovevo vederti. »

« Sto bene. »

« Ora che lo vedo sono più tranquilla. » Aveva un sorriso calmo eppure potevo intravedere una punta di nervosismo.

« Io per niente. Voldemort piomba qui quando vuole e senza alcun preavviso, perciò è-»

« Draco » mi interruppe. « Non devi preoccuparti sempre per me. »

« Le mie uniche preoccupazioni riguardano te. »

Hermione sorrise ma scosse appena la testa. « No, non devi. Sono al fianco di Harry Potter da sei anni, ho imparato a cavarmela. »

Le sorrisi di rimando. « Questo te lo concedo. »

Lasciò il libro su un tavolino e mi venne in contro. Non mi mossi, non volevo. Finì il suo lento incedere a così poco da me, tanto che sollevando una mano mi toccò la guancia.

« Sei sicuro di stare bene? »

« Ora non lo so più » le sussurrai.

« Smettila » abbassò gli occhi. Le portai due dita sotto il mento e la riportai a me.

« Smettila tu di provocarmi. »

« Non voglio provocarti... »

« Lo fai costantemente » scandii, spostando lo sguardo dai suoi occhi alle labbra.

« Non volontariamente » disse. Il tono di voce che avevamo assunto era basso, intimo, solo nostro.

« Non dire sciocchezze. »

Hermione rise piano, passando i suoi indici sulle mie sopracciglia e seguendo la linea dei miei zigomi. « Faccio del mio meglio per provocarti. »

« Ecco la verità. »

« Ma non me ne accorgo, mi viene naturale » aggiunse, scendendo con i polpastrelli sulle mascelle e continuando in avanti, fino agli angoli della mia bocca. Poi mi guardò fisso negli occhi. « Perché mi piaci. »

« Tu sei... » provai, ma non riuscii a dire niente di sensato. Mi persi nel suo sguardo di rame liquido e nella sua carnagione rosata e soffice come i petali dei fiori.

Le afferrai la vita esile e strinsi tra le mani la sua pelle, così Hermione dischiuse appena la bocca per respirare.

« Dovevi tornare a casa quando eri ancora in tempo per farlo » le sussurrai sulle labbra, appena i nostri nasi si sfiorarono. « Adesso è troppo tardi. »

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Capitolo 18
*** E necessità vitali ***


Intro: come promesso sono tornata prestissimo! Vi avevo lasciati in sospeso e non si fa u.u In più a breve sarò molto impegnata con il Lucca Comics (aiuto da standista degli amici che hanno una fumetteria) perciò non potrò postare altri cap per qualche settimana. Mi raccomando, fatemi sentire il vostro parere anche con una brevissima recensione: mi ispirate e scrivo più velocemente poi u.u

Un abbraccio!




POLISUCCO

e necessità vitali



« Dovevi tornare a casa quando eri ancora in tempo per farlo » mi sussurrò sulle labbra, appena i nostri nasi si sfiorarono. « Adesso è troppo tardi. »

La sua bocca si dischiuse e carezzò appena la mia, respirando il mio respiro. Le sue sopracciglia erano contratte e ma gli occhi erano spalancati, limpidi, liquidi; le sue mani mi tenevano stretta eppure si ancoravano a me, come se volessero mantenere un punto fisso per non crollare.

I miei indici erano ancora appoggiai agli angoli della sua bocca, tremanti. Volevo azzerare quella maledetta distanza che ci divideva da quasi un anno, volevo baciarlo con le mie labbra e non con quelle d'un altra. Volevo che mi divorasse, così come aveva detto, perché anch'io temevo che un solo bacio non mi sarebbe bastato.

Mi alzai appena sulle punte, quei pochi centimetri che mi permisero di premere completamente la mia bocca sulla sua. Lo baciai in un profondo respiro, prima di ritrarmi appena.

« Hermione » disse roco, contraendo la mascella.

« Non... trattenerti » sussurrai.

Mi afferrò il viso con le mani e ci fu un ultimo istante in cui si concesse di guardarmi provando a starmi lontano. Poi, mi tirò a sé. Mi baciò con l'impeto che mi ero aspettata, come se fosse qualcosa di necessario. Di vitale, come respirare. Come se fossimo stati chiusi sott'acqua troppo a lungo e ora avessimo bisogno d'ossigeno per sopravvivere.

I miei polpastrelli furono catturati dalla sua bocca insieme alle mie labbra; la sua lingua incontrò la mia, rovente. Strinse i miei capelli tra le dita, facendo sì che reclinassi la testa all'indietro; mi sovrastò con il suo corpo, così inarcai la schiena, mentre mi baciava ancora. Scese sul mento, poi sul collo, mentre le sue mani scivolavano di nuovo sui miei fianchi e lungo le gambe, infilandosi poi sotto l'abito.

Le mia dita si intrecciarono dietro la sua nuca, mentre Draco mi baciava la parte alta del seno, lasciata appena scoperta. Gemetti, guardai il soffitto senza vederlo; era tutto avvolto della nebbia per quanto mi riguardava.

Mi spinse all'indietro, facendomi camminare, finché non toccai qualcosa con le gambe; mi passò le mani sotto il sedere e mi sollevò, poggiandomi su quella che immaginai fosse la scrivania. Qualcosa cadde, facendo rumore, ma a nessuno dei due importava vedere cosa. Restai un attimo a guardarlo negli occhi, per la prima volta alla stessa altezza del suo sguardo: ascoltai i miei e i suoi respiri infranti, i desideri impellenti, il bruciore ardente che agitava la nostra pelle.

Mi osservava da sotto le sopracciglia arcuate, come un predatore; erano così chiare, eppure così espressive. Mossi esitanti le mani e le portai al primo bottone della sua camicia scura; senza distogliere gli occhi dai suoi, slacciai un bottone. Poi un altro, e un altro ancora, finché la camicia si aprì del tutto. La pelle scolpita e muscolosa del suo torace mi fece mancare un inspiro: mi era capitato di vedere Harry o Ron a torso nudo ma la vista non era nemmeno lontanamente paragonabile.

Infilai i polpastrelli sotto i lembi di stoffa e percorsi lentamente le linee muscolari, dai pettorali agli addominali in rilievo. Sentii poi le sue mani sulle mie gambe. Delicate ma sicure, entrambe, partirono dalle ginocchia ed arrivarono fino al bordo del mio abito di cotone; quindi, varcarono il confine. Si spostò sui lati e arrivò fino ai glutei, senza mai spostare gli occhi da me. Lì mi strinse la pelle e mi tirò in avanti, facendo sussultare, affinché aderissi a lui. Si abbassò su di me con una calma esasperante, tanto che mi sembrò di scoppiare.

« Il vestito » soffiò, poco prima che le sue labbra toccassero nuovamente le mie. Mi baciò, dischiudendo la mia bocca, cercando la mia lingua, stringendo tra le dita la mia pelle bollente. « Tu già sapevi » aggiunse, baciandomi ancora, mentre le sue dita s'infilavano sotto il bordo dei miei slip. « Sapevo... cosa? » dissi in un respiro rubato, quando mi baciò il collo, risalendo lungo l'orecchio. « Che avrei voluto metterci le mani sotto » mi sussurrò, baciandomi la spalla e facendo cadere con il naso la brellina dell'abito. « Che avrei voluto strappartelo via. »

« Continuo a provocarti » giocai, socchiudendo gli occhi.

« La tua sola presenza mi provoca » mi confessò, baciandomi le clavicole.

Le mie mani si mossero prima che potessi deciderlo razionalmente; le ritrovai sul bordo dei suoi pantaloni, in procinto di slacciare quell'unico bottone. Lo feci, senza rifletterci ulteriormente, avvertendo la sua erezione. Dischiusi le labbra per prendere fiato, ma non riuscii del tutto. Avevo il corpo di Draco tra le gambe, le sue spalle ampie a sovrastare il mio corpo esile e temevo, temevo realmente che le sensazioni che stavo provando potessero uccidermi.

Draco chiuse le dita sui lati dei miei slip e li tirò verso di sé, togliendomeli completamente. Abbassai appena i suoi pantaloni, poi l'intimo. Lo toccai e gemette sulla mia bocca, mordendomi appena il labbro.

Mi passò nuovamente le mani dietro il sedere e mi tirò verso di sé, finché le nostre intimità si toccarono.

Mi guardò negli occhi e lentamente spinse dentro di me. Aspettò che i miei muscoli si rilassassero, poi andò fino in fondo.

Mi parve di aver disimparato a respirare. Aprii la bocca ma non riuscii ad incamerare ossigeno. Mi strinsi a lui, aggrappandomi alla sua schiena, nascondendo il naso nel suo collo.

« Ti sto-»

« No, » lo bloccai con voce instabile, prima che potesse aggiungere altro. « Non voglio che ti fermi » aggiunsi contro la sua mascella.

Lentamente riprese a muoversi e il dolore scemò, ma il mio corpo continuava ad essere sconvolto dalla sua impetuosità. Appena mi rilassai lui se ne accorse, intensificando le spinte. Ogni spinta mi toglieva un respiro, ogni spinta mi faceva tremare, aumentando il piacere. Non avrei mai potuto immaginare una sensazione simile; era una cosa che, senza provarla, non si poteva capire né descrivere.

Ed io ne ero già assuefatta.


***


Il sole colorava la pelle di Hermione, rendeva i suoi occhi più chiari e s'intrufolava tra i suoi boccoli. Il suo seno si alzava e abbassava al ritmo dei suoi respiri affannati, il suo corpo tremava appena; ero disteso accanto a lei ad osservarla, abbandonati ancora ansanti su quella scrivania di legno duro che solo ora mi accorgevo di quanto fosse scomoda.

« Devo portarti via da qui » sussurrai dopo un tempo che mi parve interminabile.

Hermione voltò la testa e mi sorrise. « Lo so. »

Mi sollevai a sedere, passandomi la mano tra i capelli. La guardai sollevarsi, sistemarsi le bretelline dell'abito e riportare l'orlo alle ginocchia. Fece pressione sulle mani e scese giù con un piccolo saltello, rimettendo i piedi sul pavimento. La imitai. Poi le afferrai le mani, che frettolose si spazzolavano la gonna, e lei mi guardò stranita.

Me le portai alla bocca e le baciai, poi le depositai alla mia nuca e l'avvicinai a me, stringendola. Le lasciai alcuni baci sulla tempia destra, sugli zigomi, sul lato del naso. Restai per qualche istante a sentire il suo profumo.

« Vorrei restare così per sempre » mi disse e per un attimo credetti che a dirlo fosse stata la mia voce. Le sorrisi contro la pelle e la baciai un'ultima volta.

Mi allontanai, senza separarmi dalla sua mano sinistra, così la condussi oltre quella stanza, per il corridoio, infine passai per la sala da pranzo. Richiamai Hunni, dicendogli di togliere quei due piatti rimasti ancora sulla tavola – temevo che Voldemort potesse piombare lì in mia assenza e farsi qualche domanda.

Camminando, appellai il mantello con la bacchetta e uscii nei giardini, attraversandoli, fino a giungere al cancello.

Mi voltai a guardarla e senza lasciarla mi smaterializzai a Grimmauld place n°12. Le ore pigre del dopo pranzo avevano svuotato la strada. Tutto era immerso nel caldo e ovattato silenzio di quel momento sospeso.

« Vai dentro. Ti guardo entrare e vado via » le dissi.

Annuì debolmente, ripetutamente, ma restò ferma al suo posto. Mi abbassai appena e le sfiorai il naso con il mio, facendola sorridere.

« Non è un addio » le dissi.

Un rumore alla mia sinistra mi fece voltare e istintivamente le strinsi la mano, mettendomi appena davanti a lei.

Ronald Lenticchia Weasley mi guardava come se volesse uccidermi; non gli avevo mai visto uno sguardo simile, escludendo le volte in cui aveva cercato goffamente di offendermi.

Aggrottai le sopracciglia, più per confusione che per altro, quando lo vidi avanzare con la bacchetta sguainata. Presi di riflesso la mia e mi voltai completamente verso di lui.

« Vattene Malfoy, lasciala stare! »

« Weasley » cominciai, mentre continuava ad avanzare.

« Allontanati da lei! » urlò. « Non le farai più del male! »

« Ron, non capisci! » esclamò Hermione.

Io contrassi i muscoli del viso, senza perderlo d'occhio. « Io non... non le farei mai del male. » Bugia. Le avevo fatto del male, seppur l'intenzione fosse quella di proteggerla. E le avevo fatto del male, quando ancora non ricordavo tutto di lei. E le avrei fatto male, ancora, forse sempre.

« Tu sarai sempre uno schifoso Mangiamorte, ecco quello che sei! E questa cosa non cambierà mai! » continuò, fermandosi a qualche metro da me.

Aveva il volto contratto e rosso, deformato dalla rabbia; il braccio disteso tremava mentre teneva la bacchetta e la stringeva così forte da far sbiancare le nocche.

In quel momento vidi uscire anche Potter, che si affrettò a raggiungerlo, ma Lenticchia non sembrò accorgersi di quella nuova presenza.

« Tu non la meriti, potrai fare mille buone azioni ma niente cambierà lo schifo che sei! » mi urlò ancora contro.

Sorrisi, perdendo forza nella mano che stringevo ad Hermione.

« È vero. Hai detto cose sensate, Weasley. Un record per te. » Lo vidi irrigidirsi ancora di più, muovere un altro mezzo passo verso di me. « Io non la merito perché ho fatto solo scelte sbagliate nella mia vita. »

« Draco, non-»

« Ma la amo » le strinsi la mano, guardando ancora Weasley. « E non sto alzando la bacchetta contro di te solo ed esclusivamente per questo. »

« Non dire cazzate, Malfoy! Tu non sei capace di amare » ringhiò.

Strinsi tra le mani il legno sottile della mia bacchetta. Tutto ciò che diceva quel pezzente sembrava l'eco dei miei tormenti, resa vivida davanti ai miei occhi. La Verità era lì, come personificata da quell'essere, a parlami schiettamente e a voce alta, non più solo nei miei pensieri. Avrei potuto annientarlo, annientando così il mio dolore?

La mano di Hermione mi toccò la guancia e i miei occhi si aprirono; i muscoli si rilassarono, il respiro rallentò. Mi voltai a guardarla mentre lei avanzava e si parava davanti a me.

« Ronald, io ti giuro, ti giuro che se non chiudi quella bocca schifosa e non butti a terra quella maledetta bacchetta io ti faccio rimpiangere di essere nato! » esclamò stringendo i pugni lungo il corpo.

Potter, intanto, aveva afferrato il braccio di Weasley e l'aveva tirato a sé; quello aveva provato a divincolarsi ma teneva ancora gli occhi fissi su noi due.

« Tu non hai alcun diritto di continuare a tormentarmi perché ho scelto lui e non te! »

Il pezzente spalancò gli occhi e la bacchetta gli cadde da mano, emettendo due suoni sordi; Potter gliela raccolse e se la mise in tasca, lontana dalle sue mani tremanti.

Eravamo rimasti a fissarci ancora a lungo prima che l'amico decidesse di portarlo dentro - non prima di aver sorriso nella direzione di Hermione e annuito appena nella mia.

Rimanemmo soli e cercai lo sguardo di lei; era appena velato dalla tristezza e arrossato dall'impeto delle parole.

« Lui ha ragione, ma io non voglio lasciarti andare. Non più » dissi infine.

« Tu non sei così » scosse la testa, sussurrandomelo quasi, a pochi palmi dal viso. « Tu sei quello che ho conosciuto in questo ultimo anno, tu sei molto più di quello che pensi. »

La guardai, facendo scorrere le pupille nelle sue. « Nei tuoi occhi mi vedo come mi vedi tu. »

Era lei. Era sempre stata lei.


***


Una nuvola di fumo mi portò via Draco e il tramonto di quel pomeriggio mi portò via il sole.

Mi ero rintanata nella camera da letto, cercando di tenere insieme due sentimenti molto contrastanti: la gioia, per ciò che c'era stato tra me e Draco; la tristezza, per quello che c'era stato con Ronald.

Non era giusto. Non era giusto che io non potessi essere felice, che io mi dovessi sentire in colpa nei confronti di uno dei miei più cari amici, di una delle due persone a cui tenevo di più al mondo – ora che nemmeno i miei si ricordavano più della mia esistenza.

Era ingiusto che lui non volesse vedermi felice, che lui non capisse che io ero andata avanti anni luce rispetto al punto in cui ci eravamo lasciati; che tra noi non era cominciato niente e niente poteva accadere. Che le sue parole mi ferivano e ferivano la persona che amavo, che era ancora peggio.

« Hermione. »

Mi voltai verso la porta, trovando Ron. Non dissi nulla, mi limitai a guardarlo.

« Posso... cioè, possiamo parlare? »

« Dipende » deglutii, tenendo a bada il pianto. « Cosa vuoi dirmi? »

« Voglio scusarmi » esordì, con il volto abbandonato. « Non avevo capito niente. »

« Mi pare un buon inizio » concessi, indicando il materasso del letto a castello di fronte. « Siediti e continua. »

Ron si mosse lentamente e prese posto, intrecciando le mani e oscillando appena avanti e dietro con la schiena.

« Ho parlato con Harry, mi ha fatto capire la situazione. Io pensavo che lui ti manipolasse » disse d'un fiato.

Alzai un sopracciglio. « Che bella considerazione che hai di me! »

« No, aspetta, fammi finire » disse prontamente, sporgendosi un po' in avanti. « Non avevo capito che aveva recuperato i ricordi, non avevo capito che vi eravate... ritrovati. »

« E ti sei comunque sentito in diritto di fare quella sparata? Dire quelle cose orribili » scandii.

« Quello che ho detto... lo penso. Cioè, non so che opinione farmi di Malfoy al momento » continuò rapidamente.

« Ha tradito i suoi per aiutarci. Nonostante gli abbiano rimosso la memoria, è riuscito a tornare. Continua a collaborare con noi, facendo il doppio gioco. Cosa ti serve per capire che non è il Draco Malfoy che hai conosciuto ad Hogwarts? » sbottai, stringendo gli occhi.

Ronald scosse la testa. « Detto così... »

« È così » puntualizzai.

« Tu lo ami? »

Sbattei le palpebre e mi accorsi di stare completamente protesa in avanti, così tornai dritta. Lo dissi seriamente, eppure – mi accorsi – in maniera così naturale. « Sì, lo amo. »

Lui annuì, guardandosi i piedi. « Sì, era ovvio a questo punto. Non so se la supererò mai, ma ti prometto che non farò più certe sparate. »

« Mi andrebbe bene. Se riuscissi a rispettarmi » aggiunsi.

Ronald alzò gli occhi. « Certo! Io ti rispetto » disse concitato. « È lui che-»

« Ferendo lui, ferisci me » sottolineai e finalmente vidi la consapevolezza nei suoi occhi chiari.


***


Lord Voldemort sedeva sulla poltrona verde scuro del mio salone; Nagini stava dritta sollevata al suo fianco e mi fissava con i suoi occhi lunghi.

Il tramonto era terminato da un pezzo ma nessuno aveva ancora acceso i lampadari e la figura del Signore Oscuro mi pareva ancora più sinistra dato il biancore della sua pelle.

Le squame del suo animale riflettevano le uniche flebili luci che provenivano dai giardini, rendendolo ancora più inquietante. Prima di Nagini, avrei detto che mi piacevano i serpenti.

Mi sembrava così lontano il momento in cui avevo fatto l'amore con Hermione. Erano passate una manciata di ore eppure la felicità, l'eccitazione, la leggerezza, la passione, la tranquillità che lei era stata in grado di trasmettermi erano stati sostituiti da pura tensione.

Mi ero ritrovato Voldemort in casa, seduto su quella stessa poltrona, l'aria cupa e lo sguardo distante – molto diverso da quello esaltato e malvagio che esibiva con gli altri. Sembrava stanco. Sembrava spaventato. Non potevo chiedergli cosa avesse, non era quello il tipo di rapporto che lui creava con i suoi seguaci. E, in effetti, non era 'preoccupazione' quella che mi spingeva a chiedermi a cosa stesse pensando. Era curiosità. Poteva un uomo tanto potente avere dei dubbi?

« Draco. Ci sono delle cose a cui tengo, ad Hogwarts » disse lentamente, cominciando ad accarezzare il dorso rugoso del muso del serpente. « Cose che nessuno dovrà mai toccare » aggiunse, dopo un lungo silenzio.

Non era difficile capire a cosa stesse alludendo. Ma perché ora? Perché lo stava dicendo a me? A pensarci, era stato sempre molto diretto nei miei confronti. Forse, si fidava di me perché non ammetteva di poter fallire. Lo avevo capito da un po' a quella parte, ormai. Mi aveva manipolato personalmente affinché fossi completamente in sua malia, perciò parlare con me era come parlare con se stesso. Lo sentivo, senza bisogno che nessuno me lo spiegasse. Il potere che pensava di avere gli aveva ottenebrato il giudizio in più di un'occasione e lo stava facendo ancora, perché non si accorgeva di quanto fossi – di nuovo – cambiato. Severus era stato al suo fianco per tanti anni, continuava a farlo e Voldemort gli stava dando la guida di Hogwarts, laddove c'erano le cose che voleva proteggere.

« Voglio che anche tu vada ad Hogwarts. Non subito. E come studente. Anche lì ci saranno da reclutare seguaci... dall'interno » disse, quasi tra sé, così restai in silenzio, come ad ascoltare le farneticazioni di un pazzo. Ma andare ad Hogwarts significava perdere la mia indipendenza, la possibilità di spostarmi e smaterializzarmi dove e quando volevo, di restare in contatto con l'Ordine... di vederla.

« Non sono più utile qui, al vostro fianco? » domandai quindi.

Voldemort scosse la testa. « Ora è un momento delicato. Qui non c'è più niente da fare, il centro di tutto sarà Hogwarts. Deve cadere, deve crollare e schiacciarli sotto, vivi, prima che possano fiatare ancora. » Mi guardò profondamente negli occhi: il suo corpo era così immobile che sembrava non avesse bisogno di respirare. Come una statua di ceramica, fredda e scolpita in quell'istante. « Dopo il Ministero, anche Hogwarts si arrenderà a me. » Si portò le mani sotto il mento, guardando un punto imprecisato oltre la mia spalla. « E, allora, sarà fatta. »



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Capitolo 19
*** E ritorni grevi ***


Intro: Scusate l'immenso ritardo. Ho avuto un mare di problemi personali, compresi due lutti in famiglia. Spero capiate. Vi ringrazio per tutti i messaggi privati e pubblici dove mi fate capire quanto amate la mia storia.

ps. Nel cap do per scontato il recupero della Coppa di Tassorosso anche se non ne ho narrato gli eventi – considerate perciò che si è svolto tutto nello stesso modo dei libri/film e che la coppa è in loro possesso.




POLISUCCO

e ritorni grevi



Non avrei mai pensato che potesse sembrarmi fuori contesto indossare la divisa di Hogwarts. Mi sentivo strano a ricambiare lo sguardo che il mio riflesso mi mostrava; stentavo a riconoscermi, sebbene fossero passati appena una manciata di mesi dalla morte di Silente e dalla mia fuga da Hogwarts. Da quando avevo messo piede al Quartier Generale dell'Ordine, da quando avevo conosciuto davvero Hermione.

Da quando lei aveva conosciuto davvero ciò che ero.

Mesi? Assurdo. Per la mia mente erano trascorsi anni. Io stesso ero cambiato in modi che faticavo a comprendere.

Passai i polpastrelli sotto il colletto bianco della camicia.

Erano stati mesi grevi e densi, dolorosi e pesanti, che quasi mi parve ridicolo abbandonare i miei abiti neri per indossare quel completo così spensierato.

Un anno prima, con quello stesso abbigliamento, ero lontanissimo dal pensare cosa sarebbe accaduto; ero concentrato sugli attimi presenti con la paura, un giorno, di ritrovarmi costretto a seguire le orme di mio padre – e infine, mesi dopo, ero proprio al posto che lui aveva lasciato. Era sempre stato quello il mio destino, in un modo o nell'altro? Che io avessi avuto o meno consapevolezza, scelta? Dovevo necessariamente passare per quella selva oscura per compiere ciò che, infine, mi avrebbe redento? Era indispensabile andare fino in fondo per proteggere me stesso e chi amavo?

Sembravano così distanti i momenti in cui mi lamentavo dei compiti in classe, di Potter e la sua fastidiosa presenza, degli allenamenti troppo duri di Quidditch – Hermione. Lì, nella mia Sala Comune. Il nostro primo bacio, il nostro primo contatto. Inevitabile fu avere la mente piena della sua presenza. Mi sembrava di amarla da sempre, anche nei momenti in cui credevo di odiarla. Avrei voluto dirle chiaramente ''Ti amo'', guardandola negli occhi; provavo una stretta allo stomaco al pensiero che non sapevo quando l'avrei rivista ed ero terrorizzato dall'idea che avrei potuto non avere più occasione di dirle quelle parole che non avevo mai detto a nessuno.

Nonostante avessi vestito il nero e mi fossi ritrovato al fianco di Voldemort, nonostante avessi tentato con tutto me stesso di riavere pieno controllo sul mio corpo e sulla mia mente, tutto ciò che fino a quel momento avevo costruito si apprestava a cadere come un castello di carte. Lo sentivo.

Dapprima come spia, poi con la mente manovrata da quel mostro, di nuovo per mia scelta e costringendomi a mettere da parte tutte le debolezze, avevo fatto in modo di restare al fianco di Voldemort non solo per salvare la mia pelle – unica cosa di cui, un tempo, mi sarebbe importato.

Ero adesso consapevole di far parte di un disegno più grande, dove tante persone, ogni giorno, rischiavano in prima persona, compresa lei. Per lei avevo mantenuto la lucidità, la calma, la pazienza, i ricordi. Avevo dei piani da portare avanti; contraffare le pergamene, collaborare con Lupin e la resistenza, vedere Hermione più spesso che potevo ma, adesso... tutto ciò che avevo pensato mi si rivoltava contro. Bastava una parola del Signore Oscuro e io dovevo abbassare la testa, mettermi la divisa e partire. Lontano, ad Hogwarts. Isolato da tutto, da tutti. Lontano da lei. Basta. Tutto ciò che avevo pianificato non contava più niente.

Posso farcela, devo tenere duro, fino in fondo. La mia strada era già tracciata, fin dalla mia nascita. Ma adesso sto decidendo io come percorrerla.


Mi accorsi che le dita mi tremavano mentre mi annodavo la cravatta.



***


« Domani è primo settembre. »

Alzai gli occhi su Harry, aspettando che proseguisse con ciò che sia io che Ron sapevamo ci attendeva. Ne avevamo discusso a lungo in quelle ultime settimane e mi sembrava che il tempo avesse giocato a scorrere lento eppure troppo rapido.

« E noi ci infiltreremo ad Hogwarts. Ora che abbiamo anche la coppa di Tosca, non ci resta che trovare gli ultimi Horcrux. Lo sento che sono al Castello. »

« Solita Polisucco, eh? » intervenne Ron, sporgendosi in mezzo a noi. « Solite cose? »

« Solite cose, Ron » gli sorrise Harry. « Le cose di sempre. »

Aleggiò uno strano silenzio tra noi, improvvisamente come se l'ultima frase di Harry ci avesse portato a ripercorrere gli eventi che ci avevano condotto fino a lì, un attimo prima della fine.

Dopo aver utilizzato la Polisucco per infiltrarci nella camera blindata di Bellatrix, dopo aver rischiato innumerevoli volte di fallire, eravamo riusciti a tornare ancora una volta al Quartier Generale, sani e salvi.

Era come se fossimo, ogni volta, d'accapo; le stesse scelte, le stesse dinamiche, gli stessi errori e gli stessi necessari interventi. Sapevo che la domanda che graffiava la testa di tutti noi era: quando finirà? Harry sperava davvero che gli ultimi Horcrux si trovassero al Castello, perciò lo speravo anch'io. Probabilmente sarebbe finita ad Hogwarts per noi, proprio com'era iniziata.

Presi la mano di Harry e lui ebbe un sussulto. « Siamo sempre noi tre, insieme. » Guardai anche Ron, incerto nella sua espressione palese di colpa. Lo sguardo che ci scambiammo fu eloquente; in quel frangente non importava più nulla, i risentimenti e i rancori passavano in secondo piano. Eravamo, ancora una volta, ad affrontare qualcosa di infinitamente più grande di noi. D'accapo, insieme. Sempre.

Allungai la mano verso di lui e aspettai che me la stringesse; lo fece, esitante, poi strinse nel dita tra le mie. « Andrà bene. Siamo quasi alla fine, lo sento. »


***


« Tutto pronto, Draco? »

Mi voltai verso Severus e annuii, chiudendo il fermaglio del baule. Recuperai alcuni libri e il mantello scolastico.

« Non c'è bisogno che mi aspetti sulla porta » dissi, sentendo ancora la sua presenza alle mie spalle.

« Vorrei parlarti. »

Lasciai la sciarpa sul baule e mi girai, incrociando la sua figura austera e scura.

« So che venire ad Hogwarts non ti piace per niente. Ma stare vicini, in questo momento, è la cosa migliore. »

« Questo lo so » dissi rapidamente, poi esitai. « Però non ho la libertà di movimento che mi serve. »

« Per vedere lei? »

Lo fissai a lungo, poi annuii.

« Sarà ad Hogwarts. »

Sgranai gli occhi e lo fissai immobile, stupito.

« Si infiltrano con la Polisucco, credono che altri Horcrux siano nel Castello. »

Mi portai le mani dietro la nuca, stringendo la pelle delicata del collo, abbassando lo sguardo e contraendo la fronte, le mascelle. Gli eventi si prendevano gioco di me nella maniera più ridicola che potessero trovare. « Terremo Voldemort lontano da Hogwarts » dissi infine, sollevando lo sguardo in quello del mio padrino. « Li lasceremo agire il più possibile indisturbati. Deve... devono rischiare il meno possibile. » Sciolsi le dita intrecciate e raddrizzai il busto. « Comincia e finisce tutto lì, eh? » feci con un mezzo sorriso teso.


***


Avevo scelto personalmente le identità in cui trasformarci, stavolta. Nessuno di noto, nessuno di riconoscibile. Tre ragazzi anonimi che prendevano l'Espresso per Hogwarts, casa Tassorosso, bauli e cianfrusaglie annesse.

C'era qualcosa di estremamente diverso in quella partenza, però. Sebbene tutto sembrasse apparentemente lo stesso - il binario affollato, il treno che sbuffava, i saluti, gli abbracci, le raccomandazioni - non era solo la mia consapevolezza a rendere greve il momento: le espressioni dei genitori e degli studenti erano cupe e rassegnate, spesso impaurite. La verità era che stavamo andando in un posto che, sapevamo bene, non era più lo stesso che ci aveva cresciuto.

Dopo la morte di Silente, il Castello era stato preso dai Mangiamorte che ora ne gestivano le attività; avevo saputo che avevano perfino intenzione di insegnare Arti Oscure. L'unica rassicurazione – per quanto ci riguardava – era sapere di trovare Piton come preside. Avrebbe recitato bene la sua parte, come sempre, e ci avrebbe permesso di agire pressoché indisturbati.

Camminammo nello stretto corridoio, trovando molti scompartimenti occupati anche solo da una persona. Il treno era decisamente meno affollato di come lo ricordavo ma noi continuammo per trovare un posto completamente vuoto.

Trascinai il pesante baule che avevo deciso di portare con me; per lo più c'erano abiti e libri del tutto innocenti, mentre quello che d'importante mi serviva era conservato nella mia borsa magica.

Superammo un ulteriore scompartimento ed ebbi un tuffo al cuore.

Draco era lì, seduto al fianco di Blaise Zabini, Pansy Parkinson e Astoria Greengrass. Teneva la cravatta appena allentata, l'avambraccio destro disteso sul tavolo e l'altro appoggiato distrattamente sulla gamba. Mentre gli altri parlavano, lui guardava fuori dal finestrino lo scorrere del paesaggio.

Poi, spostò gli occhi in un punto imprecisato del vetro e ricambiò il mio sguardo attraverso il riflesso, sgranando appena le palpebre. Quindi, si voltò di scatto.


***


Era lei. Avrei riconosciuto lo sguardo con cui mi fissava tra mille.

Fin da quando avevo saputo che l'avrei trovata ad Hogwarts, fin da quando avevo messo piede sul binario nove e trequarti, fin dall'inizio avevo sperato di poterla vedere, soprattutto di poterla riconoscere. Che fattezze avrebbe avuto? Di una donna o di un uomo? Undici o diciassette anni? Mi sarebbe passata accanto, senza che potessi accorgermene? Ero spaventato. Disperato all'idea che fosse lì, da qualche parte su quel treno, senza che io potessi riconoscerla. Mentre ero sul binario avevo passato in rassegna tutti i volti per trovare qualcosa che mi facesse pensare a lei. Ogni trio che vedevo lo fissavo insistentemente, sperando che fossero loro, che lei fosse lì. Invano. O magari non ero stato in grado di capire che ce l'avevo proprio davanti. Quella cosa mi stava logorando.

E poi, eccola. Quell'espressione, il suo esitare davanti al mio scompartimento. Aveva una treccia nera e gli occhi azzurri, eppure il suo sguardo l'avrei riconosciuto sempre. Sciocco. Come avevo potuto pensare che sarebbe potuta sfuggirmi? Come avevo potuto pensare che sarei riuscito a sfuggirle?

Sorrisi, distendendo i muscoli del viso, senza muovermi, combattendo contro la voglia che avevo di alzarmi e stringerla a me, dopo settimane che non la vedevo.


***


« Kate, andiamo » mi richiamò Ron, gli occhi spalancati e imploranti, facendomi ridestare.

Ero sicura che fossero passati poco più di dieci secondi ma mi pareva d'aver scambiato con Draco uno sguardo infinito, denso e colmo di tante parole. Gli sorrisi appena a mia volta, sicura che mi avrebbe potuto vedere solo lui, felice che mi avesse riconosciuto così rapidamente, da un riflesso nel vetro, dalla mia esitazione nel trovarmelo di fronte.

Combattei contro la voglia di entrare in quel cunicolo e abbracciarlo, stringermi a lui, dirgli che sarebbe andato tutto bene. Non mi interessava sapere nemmeno perché fosse lì, quali erano i suoi piani o, probabilmente, quelli di Voldemort. Non ora. L'unica cosa che riempiva il mio cervello al momento era il fatto che stesse bene, che fosse lì, davanti a me.

Ripresi a camminare, sforzandomi di mettere i piedi uno dopo l'altro. Non potevo sbilanciarmi, non potevo fare o dire nulla; ma mi cullai nella certezza che avrei potuto cercarlo in un secondo momento.

Trovammo posto qualche scompartimento più in là, chiudendo la porta per non essere disturbati.

« So che non c'è bisogno di dirlo ma... » esordì Harry, guardandomi da sotto uno scompigliato ciuffo biondo. « Non farti scoprire a guardare Malfoy. »

Mi morsi appena il labbro inferiore, rendendomi conto che la mia esitazione non era passata inosservata. Ma come avrebbe potuto, per i miei migliori amici? Forse quel sorriso, ma non quei dieci secondi di immobilità.

« Lo so. Non lo vedevo da quel giorno, starò più attenta » dissi tra me e me, guardandomi le mani intrecciate sulle gambe. « Mi chiedo perché sia qui »

« Sicuramente è stato Voldemort a mandarlo. Non penso possa agire di sua volontà, oramai » ragionò Harry, poggiando la fronte sui pugni chiusi. « Però la sua presenza può esserci molto utile. Contando che ai piani alti abbiamo Piton. »

« Sì ma... perché mandarlo qui se c'è già Piton? Qual è il suo scopo? » intervenne Ron.

Strinsi le labbra, prendendo un respiro; provai a ragionare come avrebbe fatto Voldemort.

« Probabilmente, Draco gli serve per convincere gli studenti a stare dalla sua, per far cadere Hogwarts dall'interno senza dover muovere un muscolo. È un modo per reclutare sempre più seguaci, anziché ucciderli. D'altronde gli serve gente viva che voglia combattere e le menti giovani sono plasmabili. »

« Sì, » annuì Harry, « anch'io penso che sia così. Il problema è che Tom è troppo sicuro di sé per notare che le due persone centrali del suo piano sono proprio quelle che l'hanno tradito. »


***


Camminai lentamente nel corridoio assolato del terzo piano. Avevo arrotolato la camicia fino ad un palmo dal polso, non potevo di più. Sapevo bene che nessuno avrebbe detto niente sul mio marchio, non in quel frangente, non con Piton come preside. Anzi, per i miei compagni di Casa era perfino un vanto; io, invece, me ne vergognavo ogni giorno. Pur sapendo che era lì, sotto la stoffa, evitavo il più possibile di guardarlo.

La routine del Castello, seppur cominciata da nemmeno un giorno, mi dava già la nausea; l'idea di seguire le lezioni, studiare, starmene seduto in quel banco minuscolo. Mi allentai la cravatta ed entrai in biblioteca. Nel dormitorio non avevo alcuna voglia di stare, tanto meno in Sala Grande; troppa gente che voleva parlare con me. Lì – notai con piacere esserci ancora Madama Pince – vigeva la regola del silenzio, invece. Chissà quanto avesse lavorato il mio inconscio per portarmi lì dentro facendo credere al mio io di aver bisogno solo di un po' di pace.

***


Aprii un libro di storia spesso quanto il mio pugno, facendo cadere pesantemente il lato sinistro sul tavolo.

« Qualcosa appartenuto a Corvonero, eh? » mormorai, sfogliando i capitoli. « Sei sicuro? »

« Sicuro. Dopo la coppa di Tassorosso, ci serve qualcosa di Corvonero » sussurrò Harry, fissando il soffitto.

« Mi sembra un po' poco come punto di partenza » si lamentò Ron, rigirandosi una piuma tra le mani.

Lo ignorai, leggendo per l'ennesima volta la storia della fondazione di Hogwarts. Prestai più attenzione alla parte riguardante Corvonero, leggendo lentamente ogni parola.

« Potrei chiedere a Luna. »

« Lunatica? » alzai un sopracciglio, guardandolo di sbieco.

« Dai. Lei è Corvonero. »

« Sì ma pure pazza. »

« Lasciala in pace, Ron » lo spintonò Harry. « Ci serve tutto l'aiuto possibile. »

« Sì, Harry ha ragione » annuii, alzando completamente lo sguardo del libro. « Dovresti cercarla mentre io continuo le ricerche qui dentro. Dobbiamo ridurre i tempi il più possibile. E tu, Ron, ho sentito che Neville e gli altri si vedono di nascosto, scopri dove. »


***


Imboccai il corridoio di storia della magia, famoso per essere sempre vuoto: l'unica a cercare spesso qualcosa tra quegli scaffali era lei. Mi pareva di vederla, in divisa, i riccioli morbidi sospesi a metà schiena, sollevata sulle punte mentre cercava di rimettere a posto un libro troppo pesante. Quante volte l'avevo vista negli anni, quante volte avevo finto di ignorarla?

Mi raddrizzai quando una Tassorosso svoltò l'angolo, imboccando il corridoio dove mi trovavo. Sapevo di avere un'espressione ammorbidita e recuperai, contraendo lo sguardo. Ma fu un attimo e la mia espressione tornò dolce. Quella ragazza si sollevò sulle punte, sforzandosi di sistemare al suo posto un libro più grande della sua testa, mordendosi il labbro inferiore.

La raggiunsi in qualche passo e mi accostai alle sue spalle, prendendole il libro che teneva in alto, pericolante tra le mani, e mettendolo sullo scaffale. Lei reclinò il capo e spostò gli occhi verso l'alto per guardarmi a rovescio, stupita.

Si voltò completamente nello spazio tra la libreria e il mio corpo, sollevando il suo sguardo per ricambiare il mio.

« Ehi » mormorai, così stranito dal suo aspetto eppure così felice di averla lì con me.

« Draco » mormorò la sua voce, facendomi prendere un sussulto.

Sollevai lentamente una mano, poggiandole i polpastrelli sulla guancia, socchiudendo gli occhi per qualche istante. « Avevo bisogno di vedere il tuo viso, ma credo che mi andrà bene anche così. Per ora » aggiunsi.

« Non dovremmo... io e te-»

« In realtà ora che sei sotto Polisucco, è molto più facile passare inosservati. Meglio che mi sappiano con una Tassorosso che con Hermione Granger » le sussurrai.

« Shhh! » mi zittì, guardandosi intorno.

Mi venne da sorridere, mi era mancata davvero troppo. « Stasera voglio vederti. Torre di Astronomia. Alle dieci. »

« Draco, per quanto vorrei, io... non mi sembra il caso. »

Poggiai la mia fronte sulla sua, chiudendo gli occhi. « So bene che il momento è delicato, che il tempo è poco. So che dovrei fare ciò che serve, ciò che è necessario. So che dovrei... starti lontano. » Feci una pausa, spingendo il mento in avanti per poggiare appena le mie labbra sulle sue. « Non riesco a starti lontano » dissi in un sussurro.

« Draco » mormorò Hermione, stringendo tra i pugni la stoffa della mia camicia. Mi baciò appena e io la strinsi per qualche istante, accovacciandomi sulla sua figura, nascondendo il viso tra i suoi capelli.

Avrei voluto dirle tante cose oppure, semplicemente, portarla via, scappare con lei, lontano da tutto quello schifo, in un posto dove nessuno ci avrebbe mai trovati. Ma lei non avrebbe mai mollato. Non avrebbe mai abbandonato i suoi amici e non avrebbe mai rinunciato a lottare per qualcosa in cui credeva, per qualcosa che avrebbe salvato tutti. Ed era giusto così. Adesso lo capivo, attraverso lei e tutto ciò per cui rischiava ogni giorno. Non l'avrei delusa, non sarei stato vigliacco ancora una volta.

Mi limitai a stringerla più forte, quasi fino a farle male. « Stai attenta. Quando tutto finirà, staremo finalmente insieme. »

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