With you, I've got nothing to fear

di Kore Flavia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Riscoprirsi orfana ***
Capitolo 2: *** Di primi compleanni e torte alla fragola ***
Capitolo 3: *** Di palestre e personal trainer ***
Capitolo 4: *** Quando una ragazza ti fa dei ritratti di nascosto, ma a te non dispiace neanche tanto. ***
Capitolo 5: *** Quando sette anni separati pesano troppo ***
Capitolo 6: *** Di tacchi e leggende ***
Capitolo 7: *** Compagni che si perdono, compagni che si trovano ***
Capitolo 8: *** Pensieri sbagliati in tramonti scarlatti ***
Capitolo 9: *** Ragazzi ed altre gelosie ***
Capitolo 10: *** Una vacanza (para)normale ***
Capitolo 11: *** Neve sulle ferite fresche ***
Capitolo 12: *** imparare a conoscersi, un caffè bruciato alla volta ***
Capitolo 13: *** Ricordi mancanti e rimpianti ***



Capitolo 1
*** Riscoprirsi orfana ***


Note d'autore: So many Feels I can't even... 
No Beta perché sono stupida. 
Prima storia del fandom e ho tanta paura di esser andata OOC, più con Natsu che con Lucy, in realtà. 
Storia nata perché mi sono commossa quadno Lucy apprende la morte del padre e avevo bisogno di leggere/scrivere su questo. 
Un minimo di Fluff perché quello non manca mai. 
Forse potrebbe diventare una raccolta di roba Fluffosa su coppie come Grayza (sorrynotsorry), NaLu, GaLe e, perché no anche un po' di Gruvia (anche se più come amici che come coppia). 
Hope you enjoy this "schifezzuola" 
Bye bye
Black

 

 


Lucy aveva perso i propri genitori. Lucy era sola.
Lucy avrebbe voluto gridare al mondo che non era giusto, che non era giusto che, appena tornata al mondo, si fosse ritrovata sola.
Lucy avrebbe voluto piangere, ma non c’era riuscita. Il colpo era stato troppo duro, lo sentiva ancora incastrato in gola a bloccarle i singhiozzi che tanto desiderava liberare. Quei singhiozzi che, ad ogni passo, le bloccavano un poco più il respiro, che le facevano girare la testa.
Lucy aveva percorso il proprio passato con la mente, aveva sorriso al ricordo della madre vivente, si era imbronciata pensando a quando era piccola e la madre non le prestava attenzione, aveva tralasciato tutti i ricordi scuri, tutte quelle volte che era stata allontanata dal padre, quando l’aveva sgridata ingiustamente.
Lucy aveva bisogno di una mano da stringere, di saper di non essere sola, aveva bisogno che qualcuno le ricordasse della Gilda, di Natsu, Gray, Erza e gli altri suoi amici, ma era chiusa in casa ad osservare i regali poggiati sul tavolo. Li osservava come si osserva un ricordo lontano, che non ti appartiene più, li osservava come si osserva un muro pieno di ombre scure. Con paura, con rabbia, con delusione. Paura di ciò che contenevano, ciò che, una volta aperti, avrebbero lasciato indietro. Rabbia poiché quei sette anni mancati, l’avevano lasciata esausta, confusa e dannatamente sola, sola come lo era stata da piccola. E delusione, delusione verso sé stessa, poiché aveva perso anni della propria vita, non aveva potuto assistere il padre nel momento del bisogno.
Si sentiva in colpa, in colpa per averlo biasimato quando egli aveva provato come solo un genitore distrutto può fare, racimolando i pezzi, provando ad incollarli, ma non riuscendoci. Forse non era stato un bravo padre, ma non ciò toglieva il fatto che ci avesse provato e Lucy lo sapeva, lo sentiva da quei sette regali sparsi per la stanza. Lo sentiva dal proprio bisogno di conforto.
-Lucy! –
Riconobbe la voce proveniente da fuori, udì dei rumori confusi e, girandosi, vide una mano bussare alla finestra chiusa.
La ragazza si alzò per aprire, ma non parlò, lo lasciò entrare senza emettere un suono.
-Lucy, va tutto bene? – Domandò il Dragon Slayer inclinando la testa di lato, -Perché piangi? –
La maga degli spiriti stellari si portò automaticamente una mano agli occhi, sentì le guance umide e si rese conto di star piangendo. Non seppe dire da quanto tempo, se da ore o appena Natsu fosse entrato in casa, ma stava piangendo. Il groppo alla gola si allentò e, finalmente, la ragazza poté lasciarsi andare in singhiozzi liberatori che portavano tutto il dolore accumulato in quelle ore passate da sola.
-Mi sento sola. –
Mormorò lasciandosi cadere tra le braccia dell’amico e facendo scorrere le lacrime sulle guance pallide, giù fino alla gola. In un primo momento l’altro rimase immobile per la sorpresa, ma poi le circondò le spalle con le braccia forti.
-C’è la Gilda, non sei sola. –
La ragazza sentì il volto di Natsu inarcarsi in un sorriso tranquillo. Il pianto si fece sempre più prorompente.
Lucy non era mai stata sola, doveva solo ricordarsene.

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Capitolo 2
*** Di primi compleanni e torte alla fragola ***


Note d'autore: Salve! 
Questa è una Grayza e devo spiegarvi prima alcune cose. 
Childhood!Gray and Erza
Nel mio Headcanon Gray ha avuto una cotta per Erza e, seppur col tempo sia passata, penso che da bambino fosse molto forte. 
Perché Erza non sa cos'è un compleanno? Semplice, ho pensato che Erza, venendo strappata dalla vita normale da piccolissima, non possa ricordarsi di un possibile compleanno e non penso che al R-system i compleanni si festeggiassero. 
La reazione che ha nei confronti del compleanno di Gray è esagerata, sì, ma ho immaginato quanto potesse abbatterla vedere i suoi amici ricevere tante attenzioni. 
Ho deciso che l'unica data a cui Gray possa ispirarsi fosse l'entrata alla gilda di Erza e per questo in quel momento decide che "è sicuramente quello il giorno del suo compleanno". 
Ho anche pensato (penso troppo, lo so) che l'amore per le torte alla fragola doveva pur nascere da qualcosa di "speciale" e bo' volevo spiegarmelo in questo modo. 
Spero di non essere andata OOC come al solito perché sono i miei bambini e non voglio rovinarli (questo vale con tutte le storie che faranno parte della raccolta). Avvertitemi se vado OOC e prendetemi a sprangate sui denti <3
NO BETA perché sono stupida e volevo correggerlo da sola. (Non è vero, non avevo nessuno che la correggesse LOL)
Bye bye
Black


Di primi compleanni e torte alla fragola

 
Erza aveva sempre pensato che il compleanno, come i regali, fossero effimere abitudini umane. Lei che aveva vissuto prigioniera al R-System non poteva lasciarsi andare a certe frivolezze. Anche per questo, dopo un anno che si trovava alla gilda, ancora nessuno sapeva che giorno fosse nata, non che le lo avessero chiesto, avevano troppa paura di una reazione esagerata da parte della ragazza. Persino Makarov aveva preferito starsene zitto dinanzi a quella bambina tanto inconsueta.
L’unica cose che si sapeva della maga del Requip era che di cognome si fosse fatta chiamare Scarlett, anche se in molti, tra cui Mirajane e Cana, sospettavano che quello non fosse il suo vero cognome.
Erza aveva sempre trovato irritante il vuoto che le creava vedere Lisanna o Natsu ricevere regali ad una data precisa, all’inizio non aveva capito come mai ricevessero, per un giorno solo, così tante attenzioni, ma aveva deciso di non badarci troppo. Finché, un giorno, il giorno di Gray, Erza non ne ebbe abbastanza e gli fece lo sgambetto.
Da quell’episodio, e dal silenzio attonito che si sparpagliò per la gilda alla faccia rossa di Gray sul pavimento, seppe che, durante i compleanni –così l’avevano chiamati gli altri- non erano ammessi sgambetti.
Erza da quel giorno aveva deciso che il suo compleanno non l’avrebbe svelato a nessuno. Non voleva avere, solamente per quel giorno, le tante attenzioni che avevano avuto gli altri. Trovavano fossero ipocrite e non durature, perché sprecare tempo in ciò, allora?
Era ormai passato un anno da quando stava alla gilda e Erza stava seduta sulla sponda del canale. Un anno e le luci della primavera facevano capolino tra le fronde degli alberi, come quando aveva conosciuto Makarov, quando era entrata alla gilda. Se ne stava seduta sullo stesso punto, in cui, mesi prima era stata sorpresa da Gray a piangere.
-Oi Erza! –
La bambina si girò ad osservare con –non poi così tanta- velata irritazione. Si parla del diavolo e spuntano le corna pensò Erza alla vista del bambino sulla strada. Notò che l’amico aveva le braccia nascoste dietro la schiena e la cosa la innervosì ancora di più. Che avesse un’arma? Scacciò via il pensiero come le era arrivato Al massimo vorrà farmi uno scherzo.
-Che ci fai da sola? – Domandò Gray incespicando sulla discesa per raggiungerla. Poi, cambiando totalmente discorso, chiese:
–E’ da un anno che sei alla gilda, no? –
Il mago si ostinava a tenere le mani dietro la schiena e Erza, incuriosita, ignorò le sue domande.
-Cos’hai dietro la schiena? –
Si alzò e si sporse di lato per capire cosa nascondesse l’altro. L’amico s’irrigidì e divenne rosso in volto. Evitò con attenzione lo sguardo investigatore della maga e fece qualche passo indietro.
-T-tu non ci hai detto quand’è il tuo compleanno e- S’interruppe abbassando lo sguardo sui piedi alla ricerca delle parole giuste. –E ho deciso che d’ora in poi il tuo compleanno è quando sei arrivata alla gilda. – Rialzò lo sguardo e, togliendo una mano da dietro la schiena si grattò la guancia sinistra, incerto. La bambina l’osservò perplessa chiedendosi da dove fosse spuntata quell’idea bislacca.
-E ai compleanni si mangiano le torte! – Dichiarò solennemente il bambino davanti a lei portando la mano nascosta davanti a sé. Erza fece un passo indietro, per poi riavvicinarsi alla vista –a dir poco succulenta- di quella fetta di torta.
 Gray la sollecitò con uno sguardo che sembrava gridare “non mi uccidere e mangiala”.
La bambina raccolse la torta e si sedette sulla sponda del canale, seguita dall’amico.
-E’ buona. – Decretò lei dopo un primo boccone. Lanciò un occhiata all’altro e, vedendo la sua espressione insoddisfatta, rincarò: - E’ buonissima, grazie. E’ alle fragole? –
Gray annuì un paio di volte rosso in volto e tenendosi con le mani i piedi, si dondolò.
-Buon compleanno, allora. –
Erza sorrise. Ricordandosi come, al compleanno del bambino, il meglio che era riuscita a fare era stato fargli uno sgambetto.
Erza da quel giorno festeggiò sempre il compleanno, rendendolo una specie di dittatura nei confronti degli altri poiché “il sacro giorno del compleanno non può esser rovinato”. E aveva sempre richiesto torta alle fragole, per la quale -Gray certo non poteva immaginarlo- sviluppò una vera e propria ossessione. 

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Capitolo 3
*** Di palestre e personal trainer ***


 
Note d'autore: Salve.
Aggiorno di Giovedì questa settimana, ma d'ora in poi aggiornerò il sabato. Questo sabato non è compreso, ovviamente. In parte perché ho in programma di andare al Romics con delle amiche (Vale che stai leggendo, se non vieni ti meno) e probabilmente mi prenderà buona parte della giornata. 
Ora passiamo ai dettagli su questa Flash-fics in cui, come al solito, spiego un minimo i miei Headcanon, mi chiedo se i personaggi risultino OOC e mi dispero a questa prospettiva.
NO BETA just like always, perciò segnalatemi ogni svista/errore/strafalcione/quello che volete. 
Per l'idea di questa FLash devo ringraziare mia sorella (aka Darkrin, sembrerà strano, ma vi consiglio di farci una salto, è tanto brava) che è riuscita a darmi un prompt (e ce ne sono tantissimi di prompt che mi ha dato e che ho utilizzato per questa raccolta) senza conoscere più della metà dei personaggi.
Perciò passiamo alla presentazione del prompt:
- palestra!au, il personal trainer peggiore dell'universo è una ragazzina dai capelli biondi grande la metà di lui. 
La coppia in questioni, miei cari/poveri lettori è una Crack!Ship. Sono pronta a ricevere pomodori e a perdere buona parte dei seguiti (Vi ringrazio con affetto), poiché sto parlando di Laxus/Mavis. Mannaggia a me e alle Crack!Ship. 
Lo so che la maggior parte del fandom shippa Zervis e lo so che mi odierete a morte, ma loro due mi piacciono tanto e dovevo scriverci sopra.
Principalmente ho pensato che Laxus all'inizio fosse seccato al fatto che la sua personal trainer fosse Mavis, ma allo stesso tempo, ho pensato che alla fine non gli dispiacesse così tanto.
Se vi scompensa potete vederli come amici e basta.
Buona lettura!
Bye bye
Kore (Vi lascio il link al mio profilo facebook, se volete aggiungermi mandatemi un messaggio o c'è il rischio che io ignori la vostra richiesta facebook)
(ringrazio chi segue, chi preferisce e chi recensisce le storie)


 
Di palestre e personal trainer


Laxus aveva trovato, finalmente, una palestra adatta a lui. Correvano voci che fosse “una delle migliori palestre del quartiere” e di quanto “Il personal trainer Jura è uno dei migliori in circolazione!”. E, ovviamente, Laxus era andato a pagare il mese completo chiedendo, e affermando che era il minimo che potessero fare, d’assegnargli il miglior personal trainer in quella palestra.
Certo, forse il modo in cui l’aveva chiesto avrebbe dovuto essere -un pizzico- più educato e ammettere che, sbattere il pugno sulla scrivania dietro cui sedeva la giovane segretaria dai capelli viola, non fosse stata un ottima idea. E, forse, non avrebbe dovuto parlare con quel ghigno sulla faccia così da non farsi dare, “per un errore del sistema” affermò la ragazza successivamente, la peggior personal trainer di quella palestra.
Il primo giorno di palestra Laxus certo non si immaginava di avere quel personal trainer. S’imbatté in un esserino minuto, tanto da essere meno della metà di lui, dai lunghissimi capelli biondi e dai grandi occhi verdi. La bambina, pensava fosse una bambina curiosa e non la sua istruttrice, aveva scosso il palmo in alto e aveva cominciato a saltellare per farsi notare.
-Che vuoi bambina? Una caramella? –
L’esserino biondo s’immobilizzò arrossendo fino alle orecchie. Si poteva benissimo notare come persino il naso si fosse trasformato in una ciliegia matura.
-Sei laxus Dreyar? – Domandò con un immane tentativo, che parve a Laxus curioso, di non piangere. –Sono la tua personal trainer, mi chiamo Mavis Vermillion! – Sorrise e batté un paio di volte le mani raggiungendolo.
L’uomo poteva solo immaginare come potesse sembrare perplessa, se non terrificata, il proprio volto. E lo poteva immaginare dal volto ferito della ragazza che, con ammirevole calma gli prese la mano, lo trascinò alla piscina di quella palestra dicendogli frasi come: “Forza cominciamo, o faremo tardi” o: “Non ti pentirai d’aver scelto me!” Laxus si chiedeva se, davvero, che credesse d’esser stata scelta da lui. L’uomo rimase zitto per poi, in un sussurro ripetersi, come ad auto convincersi:
-P-personal trainer. –
 
(Laxus non poteva credere che quella gnometta dai capelli biondi, a fine lezione –se sguazzare in una piscina dopo un misero riscaldamento potesse essere definita tale- gli chiedesse pure un passaggio a casa. E non poteva credere che avevano finito per cenare insieme ad un giapponese perché, come aveva affermato lei, “il giapponese è squisito e dopo una faticosa lezione ci vuole”. E non poteva credere che, dopo un mese a fare lezione con quella ragazza, avrebbe rinnovato un altro mese con lei.)

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Capitolo 4
*** Quando una ragazza ti fa dei ritratti di nascosto, ma a te non dispiace neanche tanto. ***


 Note d'autore: I'm such a sad girl. Nessuno a recensito l'ulitmo capitolo e io ho paura che non sia piaciuto.
Coomuqnue, essendo malata ed avendo un sabato iper impegnato, posto oggi. Anche se questo comporterà una quantità di lettori minima.
Oggi la flashfics è su una coppia da mooolti amati: la Gruvia.
Passiamo alle dovute spiegazioni e ai ringraziamenti a mia sorella (che come sempre mi ha riempito di prompt): 
Il prompt in questione è questo:- trova disegni su disegni della sua faccia e sarebbe inquietante se non fosse così tanto da lei (in realtà rimane comunque un po' inquietante)
Bello, vero? Parto dal presupposto che Gray a mio parere, negli ultimi episodi visti, possa avere un debole per Juvia e che, possa non disprezzare troppo, tutte le sue attenzioni.  Poi io l'ho sempre visto che un ragazzo pieno di sé e bla bla bla. (Questa è un au! è vero, ma pensavo di mantenere questa realzione qua)
Juvia: Juvia io la amo, la amo con tutto il mio cuoricino e la trovo difficilissima da descrivere. Non volevo eccedere nella parte stalking/inquietante, ma non credo di esserci riuscita. La parte in cui lei si preoccupa per la "fantastica" faccia di Gray, be' non me ne vogliate, ma ho pensato che potrebbe reagire così. (oltre ad essere preoccupata per l'incolumità dell'amico)
Per oggi è tutto!
Ringrazio tutti quelli che seguono/preferiscono e, speriamo, quelli che recensiranno il capitolo. (ma anche i lettori silenziosi, su su!)
Spero di non essere andata OOC (è inutile ormai ripetervelo, ma ho davvero una gran paura su questo punto qui)
Bye bye
Kore



Quando una ragazza ti fa dei ritratti di nascosto, ma a te non dispiace neanche tanto.



Gray aveva cominciato a vivere da qualche mese con Juvia in quella cittadina universitaria e le cose – sembravano - trascorrere tranquillamente
Juvia era la coinquilina perfetta – forse un po’ troppo appiccicosa e con una strana, per non dire inquietante, ossessione nei suoi confronti, si ricorda ancora quando, dopo una rissa con Natsu era tornato al suo appartamento coperto di lividi e di come Juvia fosse corsa da lui urlando “Gray-sama la tua bellissima faccia, cosa hai fatto alla tua bellissima faccia?”- Forse un po’ invadente, - l’aveva più volte sorpresa la frugare in camera sua- ma almeno se lui decideva, malgrado avesse deciso di darci un taglio a quel vizio, di rimanere in boxer a lei non dava fastidio.
Che fosse innamorata di lui era cosa risaputa in tutta la cittadina: all’università correvano voci che stesse, addirittura, pianificando di rapirlo.
Forse, però, fu una sua mancanza quella a portarlo nella stanza della ragazza alla disperata ricerca di una penna, poiché l’idea di scendere dal cinese di sotto non lo allettava affatto. E, forse, fu una sua mancanza quella di decidere, anche se non era affatto da lui, di scassinare un cassetto in cui, sicuramente avrebbe trovato delle penne.
Di penne non ce n’erano. Questo lo notò appena gli riuscì d’aprire quella sottospecie di cassaforte, anzi, era pieno di fogli e fogli. E gli saltò all’occhio, che quel che era ritratto sui fogli, era la sua faccia. Su quei fogli c’era la sua immensa faccia che l’osservava una volta seccato, l’altra compiaciuto e l’altra sogghignando.
Sicuramente, l’avrebbe trovato incredibilmente inquietante se non fosse stato fatto da lei. E, sicuramente, se non fosse stato così tanto da lei avrebbe fatto le valigie per scappare da quella casa, ma era così da lei che non riusciva a trovarlo inquietante, forse solo un pochino, poiché quelle stranezze non lo disturbavano affatto. E poiché, diciamola tutta, non l’infastidiva vedere quella faccia, che lui reputava bellissima, ridisegnata più e più volte.
Solo, appena fosse tornata dall’università, le avrebbe chiesto di farlo a cielo scoperto e di regalargli qualche copia. 

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Capitolo 5
*** Quando sette anni separati pesano troppo ***


Note d'autore: anche se avevo promesso una Nalu, posto una Doranbolt/Wendy, ciccia se non vi va di leggerla.
(Ringrazio comunque chi si prodigasse a leggerla, poiché sono tra le mie coppire preferite e meritano attenzioni)
Prompt datomi da Darkrin:
Wendy/Doranbolt
- fiere di paese e dolci per bambini e il calore della sua mano tra le dita
Come al solito vi spiegherò un paio di cose prima di cominciare, così da rendervi più scorrevole la lettura.
Inanzitutto non è una au! poiché penso che nel mondo di Fairy tail possano esistere feste di paese e altre cose del genere.
(Sono un'amante dell'age gap) Non li ho mai visti come una pedo!ship, mettiamo questo in chiaro. Primo perché, se Wendy avesse vissuto quei 7 anni sarebbe stata maggiorenne e secondo perché lui non la toccherebbe nemmeno con un dito.
Loro due sono l'unica coppia di cui scrivo solo angst perché sono bellissimi, ma irrealizabili. (Un po' come i miei sogni. *ride per la sua battuta*)
Potete collocare la storia in qualunque punto dopo il torneo dei maghi, ma va'?
Questo credo sia tutto, se avete domande, chiarimenti, pomodori da tirarmi potete scrivere una bella recensioncina.



Quando sette anni separati pesano troppo


La festa del paese si stava spegnendo con le luci della notte. Un forte vento si levava a intervalli sollevando le tovaglie delle lunghe tavolate dove giacevano abbandonati i resti del cibo ormai freddo e indurito. Le bandierine colorate che formavano una fitta ragnatela sotto il cielo stellato frullavano come impazzite e a stento restavano attaccate ai fili invisibili.
     I vecchi già s'infilavano infreddoliti sotto le coltri umide e pesanti e si allontanavano rabbrividendo.
     Ma Doranbolt rimaneva lì, seduto su una panchina a pensare, a ricordare. A ricorda la piccola mano di Wendy cercare la sua e trascinarlo tra la folla perché “Aveva tanta voglia di mangiare qualche dolce”, ricordava il calore che l’aveva percorso al tocco di quelle dita fragili, a quel palmo morbido.
     Ricordava le labbra della ragazzina piegarsi in un dolce sorriso di scuse, quando aveva accidentalmente rovesciato il frappè alle fragole che gli stava portando. Ricordava la voce leggermente acuta, con cui l’aveva chiamato durante la festa, quando si erano persi di vista tra la folla. Da quel momento, la maga non l’aveva mai lasciato andare, aveva stretto forte le dita tra le sue. 
     Ricordava lo schiocco che aveva provocato il bacio sulla guancia destra. Ricordava, però, i sette anni in cui lei non aveva continuato a vivere, era rimasta bloccata e ora ripartire in quel mondo tanto diverso doveva sfinirla. Ricordava che, ormai, la differenza d’età era un problema insormontabile e che, anche prima, quel suo sentimento nei confronti di Wendy era sbagliato, che probabilmente aveva qualcosa che non andava nella propria testa. 
     Ricordava i sensi di colpa nel pensare d’averla lasciata morire, lo sconforto che aveva provato all’idea che fosse solo colpa sua, che avrebbe potuto fare qualcosa. Ricordava la gioia, il dolce tepore che gli aveva riscaldato il cuore quando l’aveva vista al torneo dei maghi. Quando aveva combattuto contro Chelia e quando si era reso conto che il solo avvicinarsi a lei sarebbe stato un errore. Un errore che non avrebbe dovuto permettersi, ma che aveva commesso. 
     Era così che, una sera, era andato da lei. L’aveva vista da vicina, così vicina da poterla toccare, così vicina, ma così lontana. Le aveva detto che, lì vicino, c’era una fiera e che, se voleva, poteva accompagnarla. La maga aveva accettato, lei non pensava neanche di dovergli perdonare qualcosa, qualcosa che gli era bloccato in gola da anni e a cui era bastato un sorriso della ragazzina per sciogliersi. 
     L’aveva riaccompagnata a casa e poi era tornato alla fiera per sedersi ad osservare il luogo deteriorarsi dopo quella folata di gioia, di speranza, di certezza. Un po’ come lui, ma lui ora aveva Wendy e si sentiva un po’ più sicuro, un po’ meno vuoto.

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Capitolo 6
*** Di tacchi e leggende ***


Note d'autore: Salve pasticcini rigonfi di crema, buonasera a voi.
Finalmente posto la tanto attesa e reclamata Nalu (si possono udire i canti angelici in lontanza).
Posto di mercoledì perché ho tanta febbre e la mia unica consolazione è pubblicare. (Sono persino uscite le analisi e ho alcuni valori sballati, piango).
Il prompt mi è stato dato da mia sorella, like usual ed è questo qui:
Lucy/Natsu
- "Cosa stai facendo?" "Volevo vedere se i tacchi fanno male come dice la leggenda!"
Tutto chiaro, no? Non credo d'aver molto da spiegarvi su questa storia anche perché non c'è un punto preciso dove collegarla o strane citazioni da esporre.
L'unica cosa che posso dirvi, anche se non è su questa storia, ma in generale su questa raccolta. Ho la tendenza a non scrivere di baci, o di scene sostanzialmente romantiche, perché amo i personaggi di Fairy tail e mi sono innamorata delle loro quotidianità. E poi, diciamocelo, non riesco a immaginarmi un Natsu tutto zuccheroso e romantico. (perdonate questo appunto, ma vorrei evitare recensioni del tipo "manco un bacio?")
Ditemi se è OOC.
Buona lettura. 
Kore



di tacchi e leggende
 


Lucy aveva sempre dato per scontato che Natsu non fosse così totalmente idiota, ma era ovvio che si fosse sbagliata, come al solito, sul suo conto.
Aveva come al solito lasciato la finestra aperta e, come al solito, era andata a farsi un bagno caldo dopo la missione estenuante di quel giorno. Si era lasciata scivolare nel tepore della sala da bagno fino ad addormentarsi, dovevano esser passate ore, poiché una volta sveglia l’acqua era ormai fredda. Uscì dalla vasca rabbrividendo e, indossando l’asciugamano, sentì provenire dei rumori dall’altra stanza. La prima cosa a cui pensò furono i ladri, o qualche malvivente.
Aprì lentamente la porta pronta ad assestare un pugno in pieno volto semmai si fosse manifestato davanti a lei un delinquente. E forse avrebbe preferito se davanti a lei avesse avuto un criminale, invece di un Natsu saltellante con qualcosa tra le mani nell’oscurità della sera.
Il ragazzo, notando l’entrata di Lucy nella camera, restò immobile sperando che, così, lei non l’avrebbe visto.
-Cosa stai facendo?- Chiese, poggiando le mani sui fianchi e tamburellando la punta del piede sul pavimento. L’amico non rispose, ma riprese a saltellare sul posto.
-Cosa diavolo stai combinando in casa mia?- ripeté con tono più tranquillo, seppure le parole contradicessero quell’ inflessione.
 
Quando finalmente il ragazzo si fermò di nuovo e, poggiando il piede a terra, sospirò come se avesse corso per un giorno intero.
-Volevo vedere se i tacchi fanno male come dice la leggenda.- rispose semplicemente, sorridendo per la sua “geniale” idea. L’espressione sorridente in volto non ci mise molto a lasciare il posto ad un manifestazione di puro dolore e disperazione per come quelle scarpe “fossero maledettamente scomode e strette”.
- Siediti sul letto, Natsu, ti aiuto a toglierle.- rise Lucy avvicinandosi a lui e, inginocchiandosi davanti a lui. Eppure le parti dovrebbero essere scambiate pensò lei sorridendo.
Dopo qualche minuto, in cui la ragazza cercava il metodo più indolore per sfilare quelle scarpe al ragazzo, il ragazzo si piegò in avanti sfiorando con la propria fronte quella dell’amica.
-Devi essere straordinariamente forte per combattere con certe trappole mortali, Lucy. – dichiarò il mago sorridendole. Lucy avrebbe voluto essere certa che tutte le supposizioni su di lui fossero vere, ma era questo che le piaceva dell’amica, che ogni idea sul suo conto non potesse essere più sbagliata.
 

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Capitolo 7
*** Compagni che si perdono, compagni che si trovano ***


Note d'autore ritardataria: scusate il ritardo, ma ieri sono stata da una mia amica per studaire e sono tornata tardi.
Fatto sta che oggi avevo il capitolo pronto pronto e ho il tempo per postarlo.
Questa volta è una Mavis/Laxus (o Laxis, come li chiama Grace) ed è un corss-over di Capitan America-Capitan Mavis lol.
Ho deciso di seguire la story-line di capitan america ed applicarlo a Mavis, spero di esserci riuscita semmai ditemelo senza problemi.
Il Prompt mi è stato dato da Darkrin ed è questo:
Mavis/Laxus
- Marvel!au Captain!Mavis, si sveglia in un mondo che ha solo le sembianze di quello che ha lasciato
Annotazioni sulla storia che andrete a leggere:
Va bene che Mavis è una ragazza(donna(?)) sempre spensierata, ma ho pensato che questo potesse essere un evento traumatico persino per lei. Non credo l'avrebbe presa bene e che, comunque, un minimo sconvolta dovesse essere.
Ci sono accenni Zervis poiché, ahime', è canon e mi sembrava doveroso scrivere un accennino.
Spero che la storia vi piaccia.
(fatemi notare sviste/errori/strafalcioni)
Kore




Compagni che si perdono, compagni che si trovano


Quando Mavis si era risvegliata in quel soffice letto aveva schiuso gli occhi infastiditi dalla luce che penetrava le tapparelle chiuse della finestra. Tapparelle? A casa sua, negli anni quaranta, non aveva le tapparelle. Si mise a sedere, ma i muscoli indolenziti dal tempo passato a dormire –Doveva essere rimasta incosciente per due o tre settimane, forse- urlarono la propria indignazione obbligandola a sdraiarsi nuovamente con uno sbuffo.
-Ti sei svegliata. – Una voce maschile, un tuffo al cuore. Come aveva fatto a non ricordarsi subito di Zeref, che fine aveva fatto durante quel tempo passato in convalescenza? Era stato preoccupato per lei? Doveva andare da lui e dirgli che ora lei stava bene, ma non ne aveva la forza, ma aveva le labbra secche e la lingua incollata al palato.
-Sono l’agente Dreyar. Puoi chiamarmi Laxus. –
Un uomo dalla corporatura robusta si avvicinò a lei. Mavis ebbe paura, paura di cosa stesse succedendo.
-Agente Vermillion ora mi deve ascoltare. L’abbiamo trovata congelata e, dopo una serie di trattamenti, siamo riusciti a rianimarla. Sono passati ormai settant’anni da quando era stata congelata.
 La ragazza rimase zitta, ma strinse convulsamente le lenzuola tra le dita intirizzite. - Cosa? – Sussurrò cominciando a ricordare. A ricordare di quando era precipitata in mare, senza riuscire a raggiungere la superficie.
-Cosa?! – ripeté, la voce stridula e raschiante nella gola secca, così roca a confronto con quella che aveva un tempo. Quel tempo in cui c’era Zeref, le balenò la malsana idea che fosse tutto uno scherzo, ma qualcosa, qualcosa nello sguardo dell’uomo le fece capire che no, non era affatto uno scherzo, ma che era la realtà. Una realtà schifosa, ma pur sempre realtà.
Seppur il suo unico desiderio fosse quello di urlargli contro che quello non era il suo tempo, che quello non era il suo mondo, rimase zitta mentre ascoltava il resoconto dell’agente.
Laxus non si immaginava, a seguito di quell’episodio, di divenir l’agente preferito della ragazza e di divenire il suo compagno nelle missioni più disparate. Ad essere lui ad insegnarle come “quel coso che ti fa pensare di essere in un altro mondo” fosse un videogioco e ad essere lui ad insegnarle a vivere in quel mondo.
Laxus non si immaginava di potersi affezionare a quella piccoletta e di essere lui a consolarla quando l’altra ripeteva “Non sto piangendo, non sto affatto piangendo” nel suo ridicolo tentativo di essere credibile.
Laxus non si immaginava che quella ragazza –ritenute tra le migliori agenti con l’agente Zeref, ormai deceduto da qualche anno- fosse così ingenua e infantile.
 Mavis, invece, non si immaginava certo ti poter continuare a vivere dopo settant’anni di assenza e, seppur talvolta si mettesse a piangere nel mezzo della notte, era contenta d’avere Laxus vicino e non qualche altro Agente da strapazzo. Che fosse lui ad entrare nella sua stanza, anche se spesso la trattava rudemente, a dirle che andava tutto bene, che era viva e che non era sola.

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Capitolo 8
*** Pensieri sbagliati in tramonti scarlatti ***


Note d'autore: Salve, oggi posto un giorno in anticipo a causa dello studio che incomberà su di me domani. 
Ringrazio tutti quelli che recensiscono/leggono/seguono/quello che volete.
Prompt datomi da Darkin
Erza/Gray
- "Stai cercando di sedurmi?"
 "No, di spaccarti il naso"
Spiegazioni varie: quando ho scritto questa storia la Gruvia ancora non mi piaceva, per questo Gray vede Juvia come una che lo perseguite. Contate anche che a me Juvia è sempre piaciuta, ma inizialementepensavo fosse quello il pensiero di Gray nei suoi confronti.
Spero di non essere andata OOC. Penso che loro due assieme possano essere estremamente awkward, ma che Gray (all'epoca in cui, forse, provava qualcosa per Erza) pssa comportarsi anche in modo malizioso. Appunto per questo il commento: "Stai cercando di sedurmi?" 
Erza, invece, è un altro paio di maniche.
Spero davvero che non la troviate OOC. Anche perché di questa non ne ero per niente convinta. *incrocia le dita*
Bye bye
Kore



 
Pensieri sbagliati in tramonti scarlatti

      Gray non si era mai sognato di ritrovarsi in una situazione del genere. Mentre un momento prima lui ed Erza stavano discutendo vivacemente, ora erano sdraiati l’uno sopra l’altro, il viso tremendamente vicino e respiro ansante si univa a quello dell’altro. Gli arti incastrati l’uno all’altro. Se una cosa era buona era che, non essendo alla gilda, non avrebbero rischiato un assassinio da parte di Juvia.
Non seppe perché avesse quelle parole sulle labbra e perché, d’un tratto, quelle si tramutarono in suono.
    -Stai cercando di sedurmi?–  chiese sogghignando e circondandola con le braccia. Gray dovette ammetterlo a sé stesso in seguito: avrebbe voluto che l’amica rispondesse di sì e che fossero rimasti ancora un po’ così.
     -No, di spaccarti il naso.- ringhiò l’altra districandosi da quel labirinto di arti e staccandosi da quel goffo abbraccio. Si spolverò le vesti e fece qualche passo indietro irritata e, Gray poté notarlo dietro a quell’armatura di freddezza, imbarazzata.
     Gray rimase sdraiato, puntellando i gomiti per tenere il busto leggermente sollevato, ad osservarla nel chiarore di quel tramonto così rosso da confondersi con i capelli dell’altra. E seguire con lo sguardo le sottili, e quasi invisibili, cicatrici bianche, ad ammirarle, a ricordare di come ci fosse anche lui con lei quando se le provocò.
     Poi si alzò e passandole accanto le diede una scompigliata ai capelli scarlatti sogghignando.
-Immagino che la discussione si possa dire conclusa.- infilò entrambe le mani nelle tasche e si allontanò lentamente, sapendo che da lì a poco Erza l’avrebbe raggiunto e l’avrebbe minacciato a morte per “averle rovinato la pettinatura”. E lui avrebbe riso pensando a quanto, anche con quei capelli disastrati, sarebbe sempre stata Erza e che a lui bastasse ciò.
-Gray, come hai potuto!– 

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Capitolo 9
*** Ragazzi ed altre gelosie ***


Note d'autore: Salve, puntuale come sempre (ma dove?) eccomi qui!
Questa volta non si tratta di una coppia, ma di Gildarts e Cana. E' uno dei rapporti che amo di più e ho DOVUTO scriverci qualcosa sopra, che vi piaccia o no. 
Ovviamente ho messo un riferimento ad una coppia che nemmeno shippo, ma ok, sono una persona normale in fin dei conti. 
Chiarimenti e rotture di scatole: Ho provato ad immaginare Gildarts alle prese di una figlia che, come è normale che sia, si frequenta con dei ragazzi. 
Gildarts l'ho immaginato geloso, ma anche comprensivo: del tipo che all'inizio è tutto un "Chi è questo bastardo" e dopo è un "Cana la vita è tua fai come meglio credi"
Penso anche che, essendo lui il primo ad essere stato con un mucchio di ragazze, dovrebbe anche essere il primo a capire i flirt della filgia. (che spiegazione di cacca).
Vi lascio alla storia e ringrazio tutti quelli che recensiscono/seguono/leggono silenziosamente. 
Vi linko il mio profilo facebook in cui potrete pormi domande, leggere anticipazione e altra roba così: https://www.facebook.com/profile.php?id=100008342498278
B
ye bye 
Kore



Ragazzi ed altre gelosie
 

 
     -Cana cosa? - esclamò tra una birra e l’altra con Macao. Quello sbiancò capendo che, probabilmente, aveva toccato una nota dolente e che, probabilmente, dire a Gildarts che corresse voce che Cana si stesse frequentando con un ragazzo potesse essere un grave errore. Soprattutto se lo si diceva ad un Gildarts brillo.
     -Gildarts, forse è meglio se smetti di bere. – intervenne Wakaba, dando un colpetto a Macao con il gomito che voleva mandare il chiaro messaggio di tacere.
     -Prima rispondimi. Cos’ha fatto Cana? – La voce gli uscì più acuta di un ottava, ma non gli interessava affatto. La sua bambina, la sua splendida bambina si stava frequentando con qualcuno e, questo, non era ammissibile!
     -Sono solo delle voci – mormorò Macao, sperando di placare una possibile furia da parte dell’uomo. –Potrebbe essere solo una sciocchezza. –
     Ma Gildarts aveva smesso di ascoltare vedendo la sua preziosa bambina varcare la soglia della gilda con le guance arrossate ed una bottiglia di alcol in mano. Si alzò e corse ad abbracciarla, da quant’era che non si vedevano? Settimane? Forse mesi e, in quel periodo, lui non era riuscito a far a meno che pensare a lei, a come stesse, a come andassero gli incarichi e quante volte si fosse ammalata. L’abbracciò tra le proteste e i “le cose dovevano restare come prima” della figlia.
     Poi una scintilla gli apparve nella mente, che aveva fatto? Era stata con il presunto ragazzo di cui circolavano le voci? Sperava almeno che fosse un mago potente, possibilmente di classe S.
     -Con chi eri?– indagò poggiando le mani sulle spalle della figlia, lo sguardo perplesso della maga lo avvilì un poco.
      -Io? Con un amico. Abbiamo fatto una gara di sbronza e sono riuscita a vincere.
        Ciò portò non poco scalpore nella gilda, sapendo che l’unico che fosse all’altezza di Cana fosse Bacchus e che, all’ultima sfida, ella aveva perso. Cosa che non l’aveva resa affatto felice.
       -E’ un mago? Ti piace? Gli piaci?- Fermò le proprie domande allo sguardo contrariato della ragazza, forse stava esagerando, ma era anche vero che stesse cercando di recuperare il tempo perso con, gli anni trascorsi separati.
      -E’ un mago. E anche se fosse?- ribatté scocciata scostando le mani dalle spalle e allontanandosi a prendere una birra –l’ennesima birra di quella serata-. Il mago si avvicino e prese a sedersi accanto a lei, era ancora confuso dai sentimenti contrastanti in lui. Da una parte avrebbe voluta circondarla con le braccia e allontanare il mondo da lei, dall’altra sapeva che ormai era cresciuta e che, malauguratamente, anche lei aveva da costruirsi una vita e forse, sarebbe stata una vita migliore della sua.
      -Allora mi vuoi parlare di questo tuo amico? Se l’hai sfidato ad una gara di bevute deve valere la pena. –
Cana alzò lo sguardo allibita e felice, felice, pensò Gildarts, di non sentirsi oppressa, felice di poter fare la propria vita senza doversi preoccupare del proprio vecchio. Con un occhiata la incitò a parlare e poi prese un sorso dal suo boccale di birra. Era pronto ad ascoltare qualunque cosa avesse da dirgli.
-Si chiama Bacchus ed è un mago di classe S…-
 

 

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Capitolo 10
*** Una vacanza (para)normale ***


Note d'autore:Salve, spero che il capitolo vi piaccia. Non scriverò nessuna descrivzione/chiarmento perché, sinceramente, non sono dell'umore di far nulla se non essere una brutta persona apatica.
Prompt datomi da Darkrin:
Mavis/Laxus
- Gravity Falls!au, ci sono un sacco di misteri a Gravity Falls, è la prima cosa che Laxus ha capito arrivando.

 


 


I genitori di Laxus avevano deciso che, per avere un minimo di intimità, avrebbero lasciato il figlio a casa del nonno Makarov a Gravity falls.
E Laxus aveva capito subito che quel luogo era pieno di misteri e lui si era deciso a svelare.
Certo non si aspettava che sarebbe stato così semplice e che, il mistero sarebbe entrato dalla finestra di camera, in una notte di luna piena, sedendosi in biblico su di essa, dondolando i piedi scalzi con disinvoltura davanti allo sguardo scioccato del bambino. Gli aveva sorriso infantilmente e Laxus per poco non aveva gridato –non aveva capito se per paura o per quanto fosse bella quella bambina- .
- T-tu sei un… - la indicò divenendo rosso in volto: - Un fantasma? –
Quella fece una risata cristallina e inclinò la testa di lato.
-Già, mi chiamo Mavis, piacere! – Sorrise candidamente in un risolino puerile.
La bambina sembrò voler balzare verso di lui, ma qualcosa andò storto e cadde giù per il tetto, rotolando fino a terra. La vide strofinarsi la testa con l’espressione dolorante con una smorfia di disappunto sulle labbra. Da quando i fantasmi provano dolore? Pensò lui dopo un primo shock. Poi, vedendo che la ragazzina non sembrava aver l’intenzione di risalire da lui, decise di scendere lui da lei. Tutto sommato era un mistero quello che stava cercando e non se lo sarebbe lasciato scappare per nulla al mondo.
La raggiunse trafelato e provò a prenderle la mano per invitarla a fare una passeggiata, ma passò attraverso a quelle dita candide. La sensazione che ne susseguì fu di un vuoto lacerante e quasi avrebbe voluto girare i tacchi e tornare a casa per non pensare all’impossibilità di toccarla, ma lui era Laxus e Laxus non avrebbe mai fatto nulla di così bambinesco.
-Come ti chiami, tu?- Domandò la ragazzina prima che lui potesse decidere se andarsene o restare lì. Aveva una buffa espressione in volto, un misto tra dolcezza materna e fanciullesco interesse. Le labbra a formare una piccola “v” rovesciata che tanto ricordava l’espressione di un gattino.
-Io mi chiamo Laxus. – Rispose, il volto serio e deciso a dispetto della voce tremola. Rendendosi conto del tono da sé preso si grattò la guancia destra impacciato e abbassò lo sguardo.
-Ti va di giocare con me? –
La domanda gli fece alzare il volto con un’espressione stupita, fece un sorriso a trenta due denti e, in quella notte di luna piena, andarono nel folto bosco a giocare.
Gli anni passarono inesorabili e Laxus tornò sempre a Gravity falls, fin quando, a causa degli impegni che pian paino si affollarono nella sua mente, ci mise piede sempre più di rado, fino a che, per un lasso di tempo che alla ragazzina sembrava eterno, non tornò più.
E anche se Mavis rimaneva sempre la stessa, continuava ad aspettarlo seduta sul cornicione della finestra, lo sguardo perso nel bosco con la speranza che quel bambino dai capelli biondi venisse da lei e le dicesse che fosse pronto a giocare tutta la notte. Come era sempre stato.
Ed era questa la maledizione di Mavis, vedere il tempo passare senza sentirne i segni, ma sentendone il peso.
-Ehi, Mavis.- Una voce adulta le raggiunse le orecchie in quella notte estiva, in quella notte di luna piena. Come la prima volta che si erano incontrati. Si girò a guardarlo e sorridendoli come aveva sempre fatto, perdonandoli la sua mancanza, corse ad abbracciarlo, ma gli passò attraverso. Un gelido vuoto la percorse come un fulmine e abbassando lo sguardo volle piangere per la frustrazione.
-Ti va di giocare con me?- Le chiese quello che ormai un uomo fatto e finito. Donandole uno dei suoi rari sorrisi, come la prima volta.
Ed era questa la maledizione di Mavis, ma finché aveva lui con cui giocare a lei stava bene. Al dopo ci avrebbe pensato a tempo debito.
 
 

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Capitolo 11
*** Neve sulle ferite fresche ***


Prompt datomi da Darkrin
Erza/Gray
- neve sulle ferite fresche
 
Neve sulle ferite fresche (Mazza che originalità)
 

Erza era stesa a terra, le ferite brucianti nel freddo di quella tormenta. Pensava di star bruciando, ogni membra sembrava rifiutarsi categoricamente di muoversi e lì distesa nella neve pensò che sarebbe stata la propria fine. Chiuse gli occhi, rilassando i muscoli e pensando a quanto, morire nella neve, facesse schifo. A quanto, morire da sola, facesse schifo. Perché, sicuramente, gli altri non l’avrebbero trovata in quella nebbia e, sicuramente, il suo corpo sarebbe presto ricoperto di neve.
-Erza!- Una voce la ridestò da quel senso di torpore. Ed ebbe freddo. Ed ebbe paura. Un freddo bruciante le percorreva le ferite lasciandola senza respiro e paura, paura di non sentire più quell’irritante voce nelle proprie orecchie. Paura di non poter più rimproverare quell’idiota per essersi spogliato.
-Erza!
L’ombra di qualcuno che si inginocchiava accanto a lei, le mani tremanti che andavano a cercare il calore di un corpo vivo. La maga socchiuse gli occhi e sorrise debolmente alla vista dell’amico. I capelli scarlatti che si confondevano con il rosso della neve.
-Immagino tu non abbia freddo.- Le parole le raschiarono la gola gelata. Davanti a lei Gray scoppiò a ridere sollevato dal fatto che stesse bene e che, allora, andasse tutto bene. Il ragazzo raccolse la giacca che giaceva sulla neve fresca –come c’era arrivata lì? - e con essa ricoprì l’amica, l’aiuto ad alzarsi e, lentamente, raggiunsero un’incanalatura nella roccia, la mise distesa a terra ed uscì. Erano soli, probabilmente Natsu e gli altri avevano trovato un riparo da qualche altra parte, qualche parte lontana da loro due.
Quando tornò Erza notò che nelle mani aveva una gran quantità di neve e si lasciò fare, docile come non l’era mai stata, mentre l’amico le passava della neve sulle ferite “così almeno non si gonfiano” le spiegò. “Era un trattamento che ci faceva Ul quando ci facevamo male” continuò per riempire il silenzio.
Ma Erza si era addormentata al tepore della loro vicinanza.
-La neve fresca sulle ferite.- Finì in un sorriso, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 

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Capitolo 12
*** imparare a conoscersi, un caffè bruciato alla volta ***


Ed eccomi dopo molto tempo con una storia nuova nuova. Questa volta su Cana e Gildarts il cui rapporto mi è sempre piaciuto un sacco.
Prompt datomi da Darkrin
Gildarts/Cana
- "Stai davvero uscendo con lei?! Ma ha la mia età!"
- imparare a conoscersi, un caffè bruciato alla volta.


 
Gildarts e Cana avevano fatto un patto, ogni volta che uno dei due bruciava un caffè avrebbero dovuto raccontarsi qualcosa. Era un modo di conoscersi e di avvicinarsi un poco di più.
La prima volta, bruciare il caffè, fu colpa di Cana. La ragazza si era appena svegliata e i suoi neuroni non si erano ancora alzati –forse era per colpa della sbronza del giorno prima-. Allora si erano seduti l’uno di fronte all’altro a sorseggiare, schifati, quel caffè dalla dubbia commestibilità.
-Allora, - Incominciò lei, -parliamo di cibo. Qual è il tuo piatto preferito? –
La ragazza poggiò la testa al pugno e l’osservò mezza addormentata. Non le dispiaceva affatto la allettante prospettiva di rimettersi a dormire dopo quella chiacchierata con il padre.
-Sashimi, vado matto per il sashimi!
La maga scoppiò in una fragorosa risata e, se avevano un gusto simile in fatto di cibo, non avevano lo stesso modo di affrontare la mattina. Mentre l’uno sarebbe stato pronto a correre una maratona, l’altra aveva la sola forza di bruciare un caffè.
 
La seconda volta Cana non fu sorpresa a vedere che a bruciare il caffè fosse stato lui e non fu sorpresa a sospettare che l’avesse fatto apposta. Era una sera e Cana era nel pieno delle forze.
Si sedettero come l’ultima volta e, osservandosi da sopra la tazza, Gildarts le chiese:
-Quanto bevi prima di sentirti ubriaca? –
Cana sogghignò a quella domanda, il padre aveva scelto proprio una bella domanda. Cana si stiracchiò e, sedendosi scompostamente, rispose:
-Dopo quaranta bicchieri di saké inizio ad essere brilla e tu? – Poggiò la testa sul ginocchio che aveva raccolto al petto decidendo che quel caffè –sempre se si potesse chiamare così quella sbobba- non l’avrebbe bevuto. Vide il padre arrossire fino alle orecchie e sorridere impacciato e seppe la risposta, lui non reggeva nemmeno la metà. E quel giorno Cana scoprì altre due differenze tra loro due: l’una su quanto reggevano l’alcol, l’altra su quanto fossero svegli la sera. Mentre la ragazza sarebbe stata pronta a sconfiggere cento nemici, lui avrebbe pagato oro per riuscir a star sveglio fino alle 11.
 
E, alla diciassettesima volta, fu di nuovo Cana a sbagliare, a bruciare il caffè. La giovane, andando a farsi la doccia, si dimenticò di spegnere il fuoco e, ovviamente, Gildarts non si prese la premura di spegnere il fuoco.
-Bene papà, con chi ti frequenti? –
E la bomba venne lanciata, la figlia aveva notato nel padre un cambiamento e l’unico motivo plausibile poteva essere quello.
L’espressione terrorizzata le confermò i suoi sospetti. Pensava davvero di poterla ingannare? Ora che poi vivevano insieme?
-Ecco… - si fermò un attimo e stropicciandosi le grosse mani sopra il tavolo. –Non lo vuoi sapere. – le sorrise dolcemente, ma vedendo che lo sguardo non portava a gli effetti sperati inghiottì un grumo di saliva prima di parlare.
-Con Laki. –
Cana sbiancò per un istante. Laki? Quella Laki? Va bene che lei aveva avuto sette anni per crescere, mentre loro no, ma teoricamente erano coetanee.
- Stai davvero uscendo con lei?! Ma ha la mia età!- Ribatté sorpresa, doveva ancora riprendersi dallo shock e, poteva immaginare di tutto, tranne che lui si stesse frequentando con Laki.
-Be’, in realtà non proprio, siamo rimasti bloccati in quell’isola per sette anni, perciò lei ha sette anni in più…- Provò a giustificarsi, mente supplicava la figlia di non criticarlo troppo per quella faccenda. Cana decise che non toccava a lei fargli la predica e che, finché Laki fosse consenziente, allora non stava a lei preoccuparsene.
-A volte invitala a casa, allora. Così le farò le mie condoglianze.- Rise alzandosi dalla sedia. Passò una mano su quella del padre e gli scoccò un bacio sulla guancia prima di uscire di casa per andare alla Gilda a svolgere un incarico.
 
 

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Capitolo 13
*** Ricordi mancanti e rimpianti ***


Wendy/Doranbolt
- a volte questo corpo sembra non appartenerle


Ricordi mancanti e rimpianti

 
Wendy a volte si ritrovava ad odiare quel corpo, quel corpo che per sette anni era rimasto lo stesso. E Wendy si ritrovava ad odiarlo la notte quando, accoccolata vicino a Carla, ripensava all’esame per divenire mago di classe S, quello in cui aveva aiutato Mest.
Chissà che fine avesse fatto Mest, chissà se si fosse salvato, le avrebbe fatto piacere rivederlo, anche solo per vedere come fosse cambiato. Lui era sicuramente cambiato, ora doveva esser diventato un adulto, chissà se avesse superata quell’insana ossessione nello scoprire cose nuove. Era sicuramente cambiato e quella certezza la distruggeva e la rendeva felice. Almeno lui, almeno lui non aveva perso quei sette anni, almeno lui aveva vissuto. Chissà che ora non si fosse sposato, chissà che ora non fosse diventato un uomo autorevole. Chissà se ora non si fosse dimenticato di lei.
Eppure lui l’aveva salvata, certo l’avevano fatto anche Natsu e gli altri, ma lui la conosceva appena e faceva parte del Concilio, non era nei suoi dover proteggerla eppure l’aveva fatto e se ne sentiva lusingata. E se ne sentiva triste, perché se quella volta non l’avesse salvata probabilmente ora lei non rimuginerebbe così tanto su di lui, probabilmente ora lei non ci sarebbe neanche più stata. E non avrebbe più pensato a quella cicatrice che tanto gli donava a quegli occhi chiari che sembravano così sinceri quando parlava con lei, che la guardavano con fare paterno. Peccato avessero parlato poco, troppo poco per i suoi gusti.
Si rannicchiò ancora più vicino a Carla, con lei non ne poteva parlare, le avrebbe detto che “quel tipo era strano, non c’era da fidarsi. Sei troppo ingenua, Wendy” e lei non voleva sentirsi dire questo, no. Lei aveva bisogno di sentirselo vicino e di rendersi conto come il tempo avesse distrutto tutto, a come quel corpo non le appartenesse.
A come avrebbe voluto vivere quei sette anni, a come fosse più simile ad una maledizione quel periodo della sua “non vita”. A quanto rivolesse indietro quel tempo, a quanto lo desiderasse con tutto il cuore. A quanto, pur di vivere quei sette anni, avrebbe abbandonato i suoi amici sull’isola Tenruojima e lo sapeva, sapeva quanto fosse egoistico e se ne doleva. Odiava quella parte di sé pentita, egoista, egocentrica, come odiava quella parte che talvolta riaffiorava ancora ora: di quando era solo una debole bambinetta, che non avrebbe mai combattuto.
Una lacrima solitaria le rigò il viso fino a raggiungere le labbra, inghiottì silenziosamente la goccia salata, assaporandone l’amaro.

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