Segreti della corte di Namsteria

di Portman98
(/viewuser.php?uid=470881)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il torneo ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


15 ANNI PRIMA
L’avvolgente velo della notte aveva da poco infittito la sua trama di oscurità su Namsteria, quando dei passi affrettati riecheggiarono nel corridoio del palazzo reale. Qualche ora prima la pioggia era giunta a rinfrescare la calura estiva, mai stanca di infiammare quella terra riarsa, ma ora tutto era calmo e silenzioso.
I passi si arrestarono di colpo, come se un dubbio avesse attraversato quei movimenti sicuri, ma poi ripresero immediatamente. L’aria vibrava di attesa, un sentimento a lungo trattenuto, che spesso era stato sul punto di divorare quella figura ammantata, che ormai era giunta alla sua destinazione.
Una porta, solo una porta la separava dall’appagamento delle sue sofferenze, un misero pegno per le afflizioni che ne sarebbero derivate, ma ugualmente una soddisfazione che cercava da lungo tempo. Per un momento si lasciò inebriare da quel desiderio che aveva tormentato infinitamente i suoi giorni e le sue notti e che ora sarebbe stato sostituito dal vuoto.
Fece per aprire, la sensazione fredda della maniglia contro il palmo della sua mano servì a restituirle il sangue freddo. Entrò nella stanza come in un sogno, i suoi sensi parevano acuiti, percepiva distintamente il lento respiro del dormiente. Eccolo lì, quell’uomo che le aveva causato tanto dolore, inerme e indifeso nella nebbia del sonno. Rimase per un momento a fissare affascinata quel petto che si alzava e si riabbassava tranquillo, quello spesso petto contro cui si erano infrante tutte le sue illusioni. Sognava, chissà che cosa? Per un momento la figura fu turbata da questo semplice interrogativo, che cosa avrebbe interrotto in quella mente ignara.
Decise che non le importava, lui doveva pagare, era necessario. Estrasse il pugnale, la lama baluginò nel buio della stanza, riflettendo la pallida luce lunare che filtrava dalla vetrata colorata. Era una notte perfetta per uccidere qualcuno.
Sollevò l’arma su quell’uomo tanto odiato, con calma, concedendosi il tempo per godere di ogni singolo istante, ma sul punto di abbassarlo, un moto scosse il re dormiente, un turbamento nel sogno… ma subito si riassopì quieto tra quelle coltri che sarebbero divenute la sua prima tomba.
La figura ammantata si preparò di nuovo, stavolta con più decisione e, calò implacabile il pugnale. Un rivolo di sangue colò dal petto trafitto, un ultimo respiro, dagli occhi semiaperti giunse un fievole bagliore di sorpresa, poi il re si congedò definitivamente dalla vita.
- Io – mormorò la figura estraendo il pugnale con un sorriso – Proprio io, amore – un brivido di piacere la percorse a quell’ammissione. Sì, era stata lei, finalmente il passato era alle sue spalle, vendetta era compiuta.
Arretrò di qualche passo per ammirare la sua opera, perfetta nel suo fascino grottesco, era un peccato doverlo cancellare. Dopo qualche secondo i passi della guardia la riportarono alla realtà, si riavvicinò al letto, sollevando la testa priva di vita del cadavere, le sue labbra erano ancora morbide e vellutate quando  il liquido contenuto nella boccetta  tra le sue mani scivolò gli nella gola.
Mentre la ferita iniziava a rimarginarsi e il sangue rappreso sulla casacca ritornava alla sua fonte, la figura se ne andò avvolta nel suo manto nero, paziente e implacabile come la morte.
Non si era accorta però la figura di quei due piccoli occhi sbarrati che avevano osservato ogni suo movimento, celati dai pesanti arazzi della camera da letto. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il torneo ***


Capitolo I
Il torneo

Il sole batteva cocente sul reame di Namsteria, infiammando gli animi che, senza il suo aiuto, sarebbero rimasti braci, e annientando invece coloro che, a causa della sua azione, si ritrovavano privi di protezioni. Gli ultimi respiri dell’estate aspiravano ad essere rimembrati per secoli: il calore aveva prosciugato i piccoli torrenti di montagna e  impedito una copiosa irrigazione delle coltivazioni, limitando il raccolto. Ormai ognuno nel regno guardava all’autunno non più con la solita paura della carestia portata dall’inverno, ma con un’inusuale speranza di climi migliori e giornate più clementi.

Nonostante il caldo della mattinata però, Jacey de Fastarel avvertiva la potenza amica, che le aveva permesso di raggiungere un livello così elevato nell’attività che più preferiva praticare, pulsare nelle vene. E, in effetti, era considerata dai più il cavaliere di punta della corte. Si sistemò l’elmo sul capo, mentre il suo scudiero controllava i lacci della sella. Le dita callose avrebbero potuto rimandare a una persona rozza, ma Maggie Biggle era un individuo completamente differente: i capelli rossicci, sempre sciolti, le incorniciavano il volto lentigginoso donandole un’aria gentile e onesta, mentre nei suoi occhi, di un caldo marrone castagna, era possibile vedere la lealtà che ella avrebbe sempre mantenuto nei confronti del suo padrone, e nei suoi movimenti era sempre contenuta una speciale grazia che non lasciava spazio ad indecisioni. Nonostante fosse la figlia dello stalliere, era lo scudiero migliore che qualcuno potesse mai desiderare, pensava Jacey non senza un certo orgoglio.

Sentì le trombe squillare. Era giunto il momento di entrare in campo. Si lasciò alle spalle le preoccupazioni per concentrarsi su ciò che l’aspettava.

Gli occhi accecati dal sole e le orecchie aggredite dalle urla del pubblico all’uscita dalla tenda non erano una novità, così come non erano una sorpresa coloro che lanciavano sguardi ostili verso il più probabile vincitore. Primo tra tutti, Lord Quardo Quark, il vassallo che sosteneva ser Ferdinand Bay, il cavaliere rivale di Jacey. Era impresa ardua sorprendere ferma la bocca del lord, poiché sempre in movimento per lamentarsi di questa o di quell’altra decisione del consiglio reale di cui faceva parte.

Nella sezione delle tribune riservata alle personalità importanti, erano accomodate la regina e le sue figlie. Proprio nel medesimo momento in cui Jacey rivolse lo sguardo a quella direzione, la regina si volse e la fissò con i suoi severi, autorevoli occhi verde pallido.

 

Seduta sugli scomodi spalti, Saryssa sospirò. Odiava i tornei. Così come odiava i balli, i banchetti e tutte le occasioni nelle quali doveva “comportarsi da principessa”, come diceva la maestra Visteria. Alla sua sinistra, le trombe suonarono, e Ser Ferdinand Bay fece il suo ingresso in campo. Il più grande pallone gonfiato che il reame avesse mai visto. Saryssa si augurava che perdesse e venisse umiliato, e non vi era traccia di compunzione in questa sua speranza. Alla sua destra, le trombe avevano già squillato precedentemente, e Dame Fastarel aveva fatto il suo ingresso. Non era solamente un pensiero di Saryssa, ma era opinione comune che de Fastarel fosse un vero cavaliere, di quelli che ormai non c’erano quasi più nel regno. I cavalieri giuravano di proteggere gli indifesi e si proclamavano ambasciatori della giustizia, ma la maggiorparte, come Ferdinand, erano convinti che il cavalierato fosse invece un titolo indicante la loro superiorità rispetto agli altri ed una ufficializzazione del diritto di vessarli.

La regina madre sedeva alla sua destra, e non sembrava passarsela molto meglio. Ormai l’età stava avanzando e i giorni caldi come quello erano i peggiori. Una servetta dall’età massima di 8 anni le stava accanto sventolando un enorme ventaglio verde. I colori della casata dei Robèris erano il blu e il bianco, ma era evidente che alla regina Ilenia non interessava, ed essendo il verde scuro la sua sfumatura preferita, era l’unico che ella indossasse. Veste di seta color foresta ed orecchini e collana di giada, nonostante la sua consigliera Elenoir d’Amprès le avesse esplicitamente riferito che il popolo la chiamava la ‘vedova di giada’, anche perché, contrariamente a Elenoir, che riteneva il titolo fosse negativo per la sua reputazione, lei apprezzava quella denominazione, grazie probabilmente all’ idea di forza che sembrava emanare da quelle parole, senza curarsi del fatto che l’immagine che invece si voleva spargere e diffondere era quella di una presunta assassina. Lei conosceva le azioni che aveva compiuto, così come quelle che non aveva compiuto, e nefande propagande non avrebbero potuto mutare la sua innocenza.

Alla sua destra, Catharina, la sua figlia maggiore, osservava con occhi pieni di meraviglia l’entrata in scena di Ser Bay. Ilenia notò con piacere che i fini capelli biondi erano stati raccolti in cima alla testa, mostrando il viso dolce e aggraziato della fanciulla, ormai in età da matrimonio. Ella, disgraziatamente per la regina, già possedeva un disegno per il suo giorno speciale: fantasticando su di esso, Catharina poteva immaginare un unico uomo insieme a lei davanti all’altare: Ser Bay, il cavaliere più bello e valoroso di tutti i reami, il solo capace di salvarla da qualsiasi bruto, o difenderla da qualsiasi bestia.

Il cavaliere si tolse un attimo l’elmo dal capo per sorridere al pubblico, quel sorriso che Catharina trovava allegro e aperto, Saryssa falso e meschino, Ilenia infantile e irriverente, e il riflesso provocato sul copricapo dal sole cominciò a giocare con i suoi capelli color bronzo antico.

A quel punto un araldo vestito completamente di rosso si fece avanti con passi incerti e prese un enorme respiro, gonfiando i polmoni fino all’apparente stremo, prima di annunciare: “Eccoci giunti allo scontro finale di lancia in resta! Alla mia sinistra, Ser Ferdinand Bay, cavaliere del fiume di Blassant, erede di Cherinstower, stemma di verde caricato da un gallo nero dalla cresta purpurea; alla mia destra, Dame Jacey de Fastarel, stella delle terre del sud, il puma solitario, attuale cavaliere di punta della corte reale, stemma di giallo alla banda spinata blu, caricato da un puma posto al di sotto di due spade incrociate! Che i cavalieri che lo desiderano donino un pegno ai loro amanti!”

Ser Bay trottò con fare sicuro fino agli spalti dove sedevano i reali, e, pervenutovi, gettò una splendida rosa rossa in grembo a Catharina, le cui guancie si colorarono di un delicato color fragola, enfatizzando i suoi dolci occhi turchesi.

Jacey rimase al suo posto, in attesa che Ferdinand tornasse al suo, ed allora l’araldo prese un altro ingente respiro prima di proclamare secondo le tradizioni: “Combattete pro solo exercito, atque ostentatione virium! Nullo interveniente odio!” A discapito delle speranze dell’araldo, sarebbe stato molto improbabile che Bay combattesse privo di odio nei confronti di chi gli aveva sottratto il ruolo di cavaliere di punta del reame.

Fu così che lo scontro ebbe inizio.

 

Durante la prima carica, entrambi i cavalieri colpirono l’altro con le lance di frassino, entrambe le lance si spezzarono, e nessuno dei due cadde di sella, nonostante la rumorosa reazione generale della platea spaventata. Durante la seconda carica, però, il cavallo di Bay ebbe un’indecisione, che non passò inosservata alla giovane. Per essere un bravo cavaliere bisogna avere i riflessi pronti e un allenamento solido alle spalle, ma nemmeno il giudizio deve mancare, ed è importante saper sfruttare le occasioni, una pratica in cui Dame Fastarel dimostrava una particolare destrezza. Quando l’impatto era ormai vicino, accelerò improvvisamente, prendendo Ferdinand e il suo destriero alla sprovvista, e lo stupore provocato da questa mossa imprevista bastò per vincere lo scontro, provocando la caduta dell’avversario e dei frammenti della lancia della vincitrice.

Il pubblico si levò in piedi, osannandola, ma a Jacey non sfuggì quella piccola porzione di spettatori rimasta seduta a braccia minacciosamente incrociate. Quegli sguardi ostili le fecero salire il cuore in gola, rovinandole la sensazione di gloria tipica del trionfo, e alimentando quel timore singolare di un avvenimento venturo ignoto che negli ultimi tempi albergava nel cuore della ragazza.

 

Nella sua tenda, la vincitrice ringraziò Maggie per il trionfo, attribuendole il merito, ma subito lei rinnegò la sua influenza sul successo, arrossendo dalla punta dei piedi alla radice dei capelli.

“Ho vinto grazie alla forza del mio cavallo. E sei tu che ti prendi cura del mio cavallo.” – insistette Jacey. Alcune volte, soprattutto in casi come questo, parlare con il suo scudiero era come parlare con uno di quei muli di cui ella si occupava.

“Padrona, lei è troppo gentile e modesta! La prego, non tenti di sminuire il suo valore.”

La ragazza decise di lasciar perdere: la figlia dello stalliere era troppo umile per ricevere complimenti, una caratteristica che ammirava, ma che al contempo sperava di attenuare.

“Dame, ora mi segua, dobbiamo prepararci alla guerra.”

La guerra era il gran finale del torneo: una squadra di cavalieri contro l’altra, in un duello all’ultimo cavaliere rimasto in sella. Le squadre venivano scelte da un membro del consiglio reale a turno, e quell’ anno era toccato a Quark. Quando andò ad incontrare i suoi compagni di squadra, la sua influenza le risultò piuttosto palese.

Ser Jeremy Podd, il figlio del famoso ser Jared Podd, era seduto su una panca a lato della tenda, e l’armatura che indossava sembrava stare per scoppiare. La sua stazza non gli impediva di essere una bravissima persona, ma in quanto a combattimento Jeremy non aveva preso dal padre. In piedi ad aspettarla, o così almeno pareva, Ser Carter Wickett, altro membro della sua squadra, più asciutto di Jeremy Podd e sicuramente più portato per l’arte della guerra, ma decisamente meno sveglio: se qualcuno avesse provato a chiamarlo durante uno di quei ‘sogni a occhi aperti’, era probabile che Wickett non muovesse un muscolo. Quasi a dare una dimostrazione dei pensieri di Jacey, Ser Florin Quart fece la sua entrata nella tenda, passando di fronte ai suoi occhi, senza apportare alcuna modifica al suo sguardo inebetito. Il quinto e ultimo membro della squadra era già in armatura, appoggiato ad un palo di legno incaricato di reggere la tenda in una posa che sembrava voler annunciare la sua incuranza nei confronti del torneo e dei suoi compagni di squadra.

De Fastarel esaminò tutte le possibilità di strategia che aveva, pur sapendo che, anche nel caso fosse esistita una strategia adatta ad una squadra del genere, per spiegarla ai propri compagni avrebbe impiegato un giorno intero di tempo in ogni caso perso.

Jeremy e Carter erano lì non per passione, come lei o Florin, ma solamente perché il caso li aveva portati a nascere per secondi, e i genitori avevano indiscutibilmente scelto il loro futuro. In quanto al cavaliere mascherato, non ne sapeva niente, ma doveva sperare che non fosse completamente inetto, nonostante la statura minuta.

Richiamò la squadra attorno a sè ed iniziò ad esporre le sue idee: “Evitiamo di perdere tempo. La nostra unica possibilità è avanzare a punta di freccia: io sarò la punta, Wickett e Podd agli estremi, Quart alla mia destra e…” Rivolse uno sguardo interrogativo al cavaliere mascherato. Dall’elmo d’acciaio giunse una giovane voce femminile: “Caroline. Sono Dame Caroline Rebussy.” Jacey le strinse la mano. “Tu starai alla mia sinistra.”

 

Le grida entusiaste del pubblico erano enunciazione della sua brama per l’entrata in campo dei guerrieri, tanto che, quando l’araldo fu in procinto di proclamare i nomi dei partecipanti, la regina fu costretta a richiamare la folla all’ordine e ad un complessivo silenzio. Le due squadre fecero il loro ingresso sul terreno di gioco, e spiccò come una particolare anomalia il fatto che del cavaliere mascherato, a differenza degli altri partecipanti, per i quali alle denoniminazioni erano seguiti titoli e blasonatura, fu dichiarato unicamente il nome. Ilenia trovava noiosi e ripetitivi questi cavalieri mascherati che ad ogni torneo facevano la loro comparsa: se la prima volta poteva risultare un evento interessante, l’iterazione lo rendeva tedioso. L’azione di Quark sulle squadre era evidente in una maniera quasi ridicola: Ser Bay era collocato in mezzo ai quattro cavalieri che, dopo lui e Jacey, avevano ottenuto i risultati migliori nel torneo. Alla destra di Dame Fastarel si trovava l’unico componente della sua squadra degno di essere chiamato cavaliere, mentre agli estremi della formazione vi erano due individui pressoché inutili, presenti al torneo solo perché i soliti figli di personaggi importanti. Il cavaliere mascherato era il consueto mistero.

Allo squillo delle trombe, la battaglia cominciò. Le due squadre intrapresero la carica e si protesero verso lo scontro, come due tori che si apprestano a incornarsi per amore. Ma un corno del toro svolazzò e si allontanò dallo schieramento, cavalcando fino a giungere di fronte agli spalti reali. A quel punto, il cavaliere mascherato fece un balzo, e con una piroetta fu in piedi di fronte alla regina. L’araldo rosso, titolo che il popolo gli aveva ormai affibbiato, si guardò intorno, alla ricerca di qualcun altro che, come lui, avesse notato l’equivoco comportamento del cavaliere, ma gli occhi di quasi tutti erano puntati verso lo scontro. Le formazioni di entrambe le squadre si erano già sfaldate e un cavaliere in meno non si notava, considerando anche che gli estremi dell’iniziale freccia di Dame Fastarel erano già caduti di sella; ed inoltre anche la squadra avversaria aveva subito una perdita, pertanto i membri della squadra di Jacey erano la metà di quelli della squadra di Ferdinand, altro motivo per il quale nessuno degli spettatori sembrava molto interessato alla regina o al cavaliere mascherato. L’araldo rosso lo vide chinarsi verso la regina e sussurrarle qualcosa all’orecchio. Ilenia ridacchiò arrossendo e il cavaliere le porse una rosa rossa, per poi voltarsi e correre verso l’uscita dell’arena.

Nel frattempo, Florin era riuscito a disarcionare un nemico con un bel fendente prima di cadere per mano di Ser Bay, e Jacey si ritrovava incastrata fra tre diversi avversari. L’eleganza e la prontezza della ragazza si manifestavano nella loro pienezza, mentre ella, con rovesci, fendenti e lo sfoggio di una padronanza della tecnica del combattimento con spada e scudo esemplare, teneva testa a tre nemici contemporaneamente. Dei due cavalieri rimasti in piedi oltre a Ser Bay, uno era un ragazzino giovane e inesperto, ma parecchio veloce, e l’altro un esemplare enorme, soprannominato per questa sua caratteristica il ‘colosso’, uscito vincitore da parecchi scontri durante il torneo non grazie ad abilità speciali o ad una tecnica particolarmente precisa, ma semplicemente per la bruta forza fisica che riversava addosso ai nemici attraverso una mazza ferrata i cui chiodi avevano il medesimo diametro delle cicciotte dita di Jeremy Podd. Con un potente ma preciso rovescio, Jacey riuscì ad atterrare l’enorme mostro, ma l’altra spalla di Ferdinand approfittò della momentanea debolezza conseguente al colpo per offendere Dame Fastarel con un montante. Ancora una volta, ella dimostrò la sua perizia e i suoi agili riflessi, indietreggiando con il busto quel tanto che bastava perché il colpo non andasse a segno. Quell’abile mossa non impedì però all’arma del giovane di trovare un varco sopra la gorgiera dell’armatura, scaraventando l’elmo lontano dalla ragazza. Il duello si arrestò un attimo per osservare in volto la ragazza. Le punte degli scuri capelli castani le bagnavano la mascella, sgocciolando di sudore, dovuto sia allo sforzo fisico che al clima della giornata, ma negli occhi color nocciola, venati dalle profondità della terra, non c’era traccia nè di stanchezza nè di indeterminazione, solo profonda e densa concentrazione.

Proprio mentre tutti gli occhi degli spettatori erano puntati sullo scontro, giunse un alto grido da parte degli spalti reali: “Hanno derubato la regina! Il cavaliere mascherato ha sottratto la splendida collana di giada della regina!”. Con il fiatone per l’affanno, la consigliera d’Amprès sembrava quasi sul punto di esplodere, e Ilenia reputava abbastanza assurdo l’attributo che aveva riferito al gioiello, visto che giusto quella mattina le aveva apertamente dichiarato la sua ferma ostilità verso quel monile, anche se probabilmente riteneva che un furto del genere avrebbe potuto metterla sotto una cattiva luce. Una delle caratteristiche che rendevano Ilenia una buona regina, era la sua capacità di mantenere la calma in ogni situazione, così, anche quando, in seguito all’annuncio della consigliera, la folla sugli spalti si innalzò in preda al panico come un’onda spaventosa pronta a ricadere sugli ignari granelli di sabbia sottostanti, la vedova di giada rimase impassibile ad osservare il finale del torneo, attendendo con regale grazia che le venisse riportato dai suoi sudditi ciò che le era stato sottratto.

Ormai erano pochissimi gli sguardi rivolti alla sfida, intrappolati in mezzo a chi cercava una via di fuga e chi una di inseguimento per il furfante, così fu esiguo il numero di coloro che poterono rendersi conto dell’azione meschina che stava per essere commessa.

I cavalieri caduti durante la guerra si erano riuniti nella parte inferiore degli spalti per osservare l’evoluzione della battaglia, a parte Ser Winckett che cadendo da cavallo aveva preso una brutta storta ed era stato portato nella tenda dei curatori, ma il colosso atterrato da un rovescio di de Fastarel, dopo essersi rialzato, invece di raggiungerli, si apprestò a colpire il cavaliere di punta del reame alle spalle, con la sua enorme mazza chiodata. Intanto Dame Fastarel dava nuovamente prova del suo valore: con una celere rotazione del polso Jacey disarmò il ragazzino, e con un successivo fendente, sferrato mentre la spada nuova di Ferdinand si schiantava sul suo scudo, lo disarcionò, lasciando soltanto Ser Bay tra lei e la sua vittoria. La minaccia del colosso incombeva però sulla vita di Jacey. La guerriera si fermò per riprendere fiato e fu in quel momento che l’avversario commise l’errore di esibire un ghigno malcelato, inducendo Jacey a voltarsi, appena in tempo per scorgere la mazza chiodata precipitare verso il suo capo. Troppo tardi per contrattaccare, e troppo vicina la morte per innalzare le ultime preghiere, Jacey chiuse gli occhi, in attesa dell’impatto. Ma il colpo non fu freddo, violento e doloroso; fu caldo, leggero e umido, come gocce di pioggia scagliate dopo essere state intiepidite dal sole. Jacey riaprì gli occhi e le sembrò di essere in un sogno: la luce pareva offuscata, tutti i suoni attenuati e distanti, i movimenti lenti e surreali. Il braccio del colosso cadeva sull’erba, macchiando il prato verde di grosse chiazze purpuree; grandi fiotti di sangue zampillavano dal moncone tagliato di netto; il cavaliere mascherato ancora attendeva che la forza del colpo si estinguesse per rialzare la spada grondante di sangue.

Poi fu come se il tempo volesse recuperare i momenti persi in quel sogno inspiegabilmente apatico.

Prima che Dame Fastarel potesse ringraziare la donna in armatura, o inveire contro chi le aveva preparato quell’agguato, dei curatori la stavano già accompagnando verso il castello.

 

La regina madre era ormai l’unica persona rimasta seduta sugli spalti. Gran parte di essi erano vuoti, poiché alla notizia della presenza di un ladro talmente abile da aver derubato la regina di fronte a gran parte della corte, la maggiorparte dei timorosi si era dileguata, lasciando soltanto coloro che ora si trovavano in piedi ad inveire contro il furfante catturato. Anche le sue figlie si erano alzate, e attendevano ora ansiose il permesso di andarsene. Per quanto riguardava le emozioni di Ilenia, dopo tanti anni da regina, il suo viso era un arazzo candido, dal quale era impossibile carpire informazioni. Il bandito che era stato annunciato, molto probabilmente in modo errato, chiamarsi Rebussy, era stato privato dell’elmo, e le guardie lo stavano conducendo verso le segrete del castello, attraverso le mura di urla ed insulti costruiti dal pubblico rimasto. Quando la giovane fu fuori dalla sua vista, la regina si sentì sollevata e al contempo dispiaciuta. L’arte con la quale l’aveva derubata della collana era stata straordinaria: Ilenia, in parte forse anche perché occupata ad ascoltare la gentile frase di apprezzamento alla sua bellezza sussurrata all’orecchio, non si era accorta nè del furto che stava accadendo, nè della successiva mancanza del monile, finché non l’aveva evidenziata sua figlia Catharina, chiedendole perché avesse tolto la giada. L’ammirazione che provava verso la criminale era accompagnata tuttavia da un forte timore, che pulsava ancora più intensamente al ricordo della ferocia con la quale aveva mutilato il cavaliere disonesto.

Il fato sembrava aver giocato un brutto scherzo all’araldo rosso, dal momento che era stato raggiunto da alcuni schizzi del sangue del colosso, che si erano diffusi sulle gambe dell’uomo in grandi macchie scarlatte.

Quando egli, con voce tremante, annunciò la fine del torneo, solamente allora la regina si alzò.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II

Quando Dame Jacey trascinò i suoi passi stanchi per il corridoio delle segrete, non pochi pensieri affollavano la sua mente. Solitamente la fatica fisica dei tornei aveva un effetto catartico sulla sua mente, era capace di svuotarla completamente, ma in quel momento il pensiero di quello che aveva rischiato e del modo in cui l'aveva evitato, o almeno chi glielo aveva evitato, non dava cenno di abbandonarla.

Vestiva ancora l'armatura, non aveva avuto il tempo di toglierla. In normali occasioni in quell'istante sarebbe stata affidata alla perizia del suo scudiero, nonché fedele amica Maggie, mentre lei si agghindava per essere inneggiata al ballo della vittoria, quella sera però gli eventi si erano evoluti in modo diverso. Aveva insistito affinché Maggie facesse le sue veci ai festeggiamenti, portando personalmente i suoi omaggi alla regina e ai principi, le avrebbe fatto bene divertirsi un po' dopo l'impegno del torneo. Forse sarebbe giovato anche a Jacey, tuttavia la ragazza era desiderosa di ritirarsi in solitudine con i suoi pensieri, dopo aver risolto l'enigma della sconosciuta, naturalmente.

Una ladra, come poteva essere? La vita era un debito non indifferente e i cavalieri sono obbligati per onore a ripagare i loro debiti e poi, la vita era pur sempre la vita. Se chiudeva gli occhi scorgeva ancora vivida l'immagine della mazza chiodata profilarsi nel suo orizzonte per abbattersi sulla sua intera esistenza. Aveva affrontato la morte con apparente serenità, ma ancora un brivido la attraversava al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere.

Jacey si fermò, era arrivata davanti alla porta 23. I peggiori malfattori, assassini, banditi e tutte quelle giovani che talvolta avevano osato gettare un'occhiata di troppo ai gioielli reali avevano scagliato urla e lacrime contro quella porta, nessuno di loro però aveva tentato tanto come Caroline Rebussy. Un atto senza alcun dubbio coraggioso, il tentativo di furto ai danni della regina, peccato che illegale, constatò il cavaliere con un sorriso amaro.

Aprendo lentamente la porta si ritrovò a incrociare una figura piuttosto singolare: il fisico minuto non le impediva una certa forza, accompagnata da un'innegabile astuzia che le si leggeva nei tratti del viso, probabilmente il frutto di lunghi anni di vagabondaggio. Gli occhi, appena coperti da un ciuffo rosso ribelle, le brillavano di una strana sfumatura di verde. Jacey, non sapendo bene per quale motivo, si ritrovò a pensare a sua madre, ricordava il medesimo lucore nel suo sguardo così diverso.

Un sorriso increspò le sue labbra, provava un'insolita simpatia per quella straniera, ma non solo perché le aveva salvato la vita. Quella era un'eroina da racconti, le sarebbe calzata a pennello una di quelle storie popolari che sua madre tanto amava, probabilmente era per quello che aveva pensato a Jaqueline Calabeso.

- Buona sera Caroline – esordì senza tradire alcuna emozione.

- Non dovresti essere a celebrare i tuoi trionfi – si limitò a ribattere Caroline, con un sorriso di sfida.

- I miei trionfi possono attendere, sono venuta qui per conferire con te, se me lo permetti – rispose a sua volta Jacey, tentando di mantenere il distacco.

- Dame Jacey, cavaliere di punta della corte, non festeggia il suo ennesimo trionfo. Ti ho sentito dire al sommo sacerdote che questo sarebbe stato il ventesimo – continuò Caroline, cambiando posizione, sempre da seduta – naturalmente con eccesso di modestia – aggiunse poi, con una punta di malcelata ironia.

- Perché? – domandò secca Jacey.

- Cosa ti da più fastidio: che non avresti vinto senza una ladra o che una ladra detenga il tuo debito di vita? -

- Non ti rimprovero alcun che e saresti una vigliacca a ritorcere il debito contro di me – la rintuzzò con veemenza Jacey, le questioni d'onore per lei toccavano sempre un piano personale.

- Calma, dama dai mille trionfi! Non ti sto chiedendo niente, a meno che non sia la tua coscienza a suggerirti qualcosa – disse Caroline alzando un sopracciglio divertita.

Jacey era sul punto di dar sfogo a tutta il suo ardore battagliero (e ne aveva, in quanto cavaliere di punta della corte reale!), ma il fato, o meglio Maggie intervenne ad interrompere la conversazione.

- Cattive nuove dall'"altra parte" mia signora, la regina ti fa chiamare? – annunciò lo scudiero trafelato.

- Ma Maggie queste notizie non avranno turbato il ballo, dove tra l'altro dovevi trovarti – ribatté Jacey con un particolare accento sull'ultimo brano della frase.

- No mia signora, a sapere la notizia siamo in pochi... la regina non ha voluto che si spargesse la voce – disse Maggie in un sussurro agitato.

- Dunque cosa? Cosa ti rende così inquieta mio fedele scudiero? – chiese Jacey aggrottando la fronte, ciò che sconvolgeva a quel modo la sua impassibile alleata doveva essere di enorme gravità.

- Lord Edmund, barone di Elendack e fratello della regina – incominciò con voce tremante Maggie.

- Lieta novella! L'hanno finalmente trovato? – domandò nuovamente il cavaliere con impazienza.

- Rapito. Nella terra dall'"Altra parte" – quelle parole affondarono come macigni nell'ombra della cella. Come fare? Come arrivare al di là di quell'oceano colmo di insidie e affollato di pirati, in luoghi infidi e pericolosi, protetti da inganni e trappole?

- Le vostre speranze non sono vane – pronunciò una voce di cui Jacey si era completamente dimenticata.

Intanto nelle sale reali le principesse Catharina e Saryssa si preparavano al ballo. La prima si spazzolava i morbidi capelli biondi con fare sognante, la testa leggermente inclinata di lato immaginava le romantiche danze che si prospettavano per la serata, dal canto suo Saryssa non ne era per niente entusiasta, considerava i balli reali nient'altro che una perdita di tempo e poi, di certo, nel mezzo della folla, sempre presente con il suo liuto dagli sdolcinati orrori, nascosto dietro un vassoio o tra i tendaggi della sala ci sarebbe stato lui! Solitamente la maggior parte dei poeti si limitava a eseguire il suo canto per poi defilarsi rassegnato all'irrimediabile distanza che lo separava dalla propria amata, ma Myn no, Myn non era tipo da demordere facilmente e ogni occasione per lui era buona per perseguitare, anzi manifestare il suo immenso amore per la principessa Saryssa.

Gli innumerevoli tentativi da parte della diretta interessata da farlo desistere non avevano sortito alcun effetto, tuttavia il poeta non era il solo caparbio: difatti più lui si ostinava a cantare le sue lodi, più Saryssa maturava un innaturale sadismo nel negargli ogni segno di apprezzamento. Quella sera però, nemmeno quel diletto era di suo gradimento e Saryssa guardava con dispetto il viso trasognato di Catharina, di fianco a lei.

- Dunque cosa c'è da essere tanto felici, è solo uno stupido ballo! – sbuffò a gettando l'ennesima occhiata storta alla sorella.

- Come? – domandò quest'ultima, risvegliata bruscamente dalle sue fantasie.

- Perché sei tanto felice? – ripeté Saryssa sempre più irritata.

Catharina ci pensò per qualche secondo prima di asserire con convinzione – Il ballo ovviamente –

- Certo avrai un sacco di spasimarti ad attenderti nella sala... anche quell'idiota sir Bay – la provocò Saryssa con gusto.

- Oh, sir Bay non è un idiota, è un grande cavaliere! – obbiettò C senza perdere la sua mitezza.

Saryssa in tutta risposta iniziò a intonare un canto in ore di Jacey, agitando in aria la spazzola in segno di vittoria.

- Certo sir Bay è un buon pretendente – continuò Catharina ignorandola – ma, se posso confidarti un segreto, non ho ancora deciso chi mi piace di più –

Saryssa s'interruppe di colpo e i suoi occhi, ridotti a due fessure, si girarono lenti verso Catharina recando la luce della sfida – Stai forse cercando di farmi pesare il fatto che io non ho nessun pretendente! – l'accusò – Ora ti faccio vedere! – gridò e brandendo la spazzola come un'alabarda si lanciò battagliera verso la sorella.

- Cosa? – chiese sorpresa Catharina – Oh no! Non lo farei mai sorella, come puoi pensarlo! – disse arretrando spaventata.

- Lo so quali sono le tue intenzioni, cara la mia santarellina – sussurrò Saryssa tra i denti, continuando ad avanzare sempre più minacciosa.

- No ti prego, ti prego! – piagnucolò l'altra cadendo in ginocchio – Perdonami – la pregò ancora evitando un colpo di spazzola con un'abilità insospettata – Guarda! – Catharina indicò un qualcosa alle spalle della sorella e la principessa si girò per controllare cosa avesse adocchiato, così che Catharina, sveltissima, ne approfittò per scivolare fuori dalla sua portata – Madre, o Madre, aiuto! – gemette in preda al panico.

- Ora vedrai! – ribatté Saryssa inseguendola con accresciuta convinzione.

- Perché tanti schiamazzi? – la porta si spalancò di colpo con violenza e il silenzio scese nella sala – Oh, bene principesse, siete pronte per il ballo? – domandò dolcemente Sally, la balia di corte, fingendo di ignorare il caos diffuso nella stanza.

- Ma certo! Stavamo giusto venendo a chiamarti – rispose Catharina con voce mielosa, sistemandosi la gonna del vestito, rigorosamente rosa, che si era leggermente sgualcito nella lotta.

- Già – confermò Saryssa scostandosi con rabbia un ciuffo scuro ricadutole sul volto imbronciato.

- Bene allora è ora di andare – le invitò Sally facendole strada verso la scala che conduceva al piano inferiore dove la festa era già iniziata.

La sala rispendeva delle pittoresche decorazioni e degli abiti estroversi delle grandi dame di corte, l'immenso lampadario risplendeva sulle folle danzanti a ritmo di musica, l'ingresso delle principesse fu trionfale, o almeno quella di Catharina, che lanciava saluti entusiasti, accompagnati dai tonfi dei piatti e dei bicchieri dei cavalieri che si sbracciavano per attirare la sua attenzione. Al contrario Saryssa trascinò il suo broncio sino al banco dei dolci, posizionandosi lì in pianta stabile.

Tutti i convitati intimoriti decisero che era meglio evitare quel tavolo e si diedero alle danze per ingannare l'opprimente dieta forzata.

Saryssa gettò uno sguardo risentito al tavolo dei dolciumi, come poteva il palazzo godere di tanta abbondanza se fuori il popolo soffriva di una tanto terribile carestia? Si ficcò una caramella in bocca e decise di non pensarci per quella sera, magari al termine della festa avrebbe convinto Catharina a distribuire i dolci ai servitori, lei non avrebbe potuto farlo senza contraddire la sua fama d'insensibile.

- Buona sera, signorina Saryssa! – la salutò Elenoir d'Ampres, braccio destro, nonché più amica di sua madre, giungendo da destra – Questa torta di mele è davvero strepitosa! –

- Sì, e tu sembri aver troppo abusato di questa e simili tentazioni, mia cara – la rimproverò Sally, prendendo a sua volta un pasticcino.

- Ehi! – proruppe Elenoir indignata – se sapessi non ti preoccuperesti della mia linea! –

Saryssa sorrise imbarazzata e fece qualche passo più in là lasciando le due amiche ai loro litigi.

In quel mentre il poeta Myn aveva accordato il suo liuto e si apprestava a intonare un canto chiamato "So che c'è del bene nel tuo cuore". Saryssa sgranò gli occhi, era stata colta impreparata da quell'assalto così diretto, scrutò la sala in cerca di un rifugio. Sul volto di tutti i presenti passarono espressioni di panico, e mentre il poeta si schiariva la voce, la principessa si affrettò a guadagnare la finestra per nascondersi dietro la tenda.

Nel mezzo di un acuto strabiliante la regina dal suo trono diede una lieve gomitata a Elenoir, la consigliera fece un cenno alle guardie che sollevarono placidamente per le braccio Myn, che ancora cantava le sue lodi d'amore, e lo condussero fuori dalla porta – Saryssaaa – ebbe tempo di urlare lo sfortunato poeta prima di finire nella fontana del giardino, Saryssa si strinse nel suo nascondiglio dietro le tende.

La musica riprese come niente fosse e i nobili tirarono un sospiro di sollievo, concedendo nuovamente le loro orecchie ai canti, più intonati, di Ladyel , l'ufficiale cantastorie della corte.

Saryssa udì un tonfo alle sue spalle e si girò disperata pronta a difendersi da un nuovo assedio di Myn – Catharina! – esclamò sollevata.

- Scusa Sir Koan e sir Lheman non mi davano tregua – si giustificò lei passandosi il fazzoletto sulle guance arrossate – Bel canto quello di Myn – constatò con dubbia ammirazione.

- Già – assentì controvoglia Saryssa – Non hai visto sir Bay? – domandò per cambiare discorso.

- Non so, ha ballato sempre con nostra cugina Abigail, si è giustificato dicendo di aver perso una scommessa – rispose Catharina abbattuta, gli occhi celesti velati di tristezza. Saryssa quasi ne fu commossa, ma preferì mantenere il suo contegno indifferente per non destare troppa stranezza.

- Non sopporto Abigail e tantomeno sua madre – sbuffò.

- Ma come? Non dovresti dire queste cose di nostra zia – la rimproverò dolcemente Catharina.

- Ah, parlano a me di obblighi, ma tu l'hai vista oggi la cara zietta al torneo - bisogna sapere che un altro dei pochi piaceri che Saryssa amava concedersi era quello di lamentarsi e ora si presentava un'ottima occasione per farlo, d'altronde Luthien era un ottimo spunto. In quanto sorella della regina avrebbe potuto essere uno dei membri di spicco della corte reale, ma preferiva trascorrere il suo tempo arroccata nella sua solitaria torre sulla scogliera a compiere chissà quali diavolerie; solo la sua illustre parentela l'aveva salvata dalle molteplici accuse di stregoneria, mossale più e più volte dal sacerdote supremo lord Ludwig. Conservava solo parte di quell'antica bellezza che le era appartenuta in gioventù: era una donna alta e smilza, le labbra sempre increspate da un sorriso ambiguo e gli occhi, che occhi! Saryssa e, tantomeno Catharina, non riusciva a fissare quegli ardenti pozzi d'oscurità, era più piacevole la vista di quelli velati di Zeus, il gufo cieco che amava svolazzarle intorno come un animale da compagnia. Paludata nel suo mantello nero, la donna amava palesarsi all'improvviso e ogni sua apparizione era motivo di sgomento e d'inquietudine per i presenti, l'unica a restare impassibile era la regina, come sempre. Persino la figlia Abigail la frequentava solo in caso di estrema necessità, prediligendo di gran lunga i fasti della corte alla sua torre spartana. L'unico conforto nella solitaria vita di quella misteriosa signora delle tenebre era Priscilla, unica nipote da cui si lasciasse avvicinare. Senza alcun motivo aveva deciso di permettere di scostare pian piano le sue protezioni e con lei aveva stretto un singolare legame, l'aveva introdotta agli studi dell'alchimia e ne aveva fatto la sua apprendista. Le due principesse disapprovavano quell'amicizia per la cugina, osservandone gli effetti disastrosi che stava avendo sulla sua reputazione, che si manteneva integra solamente per via della prematura scomparsa di suo padre, lord Edmund, fatto che era unanimemente accolta a corte come scusante di ogni stramberia della ragazza.

- Beh, la zia sarà di certo stata impegnata nella raccolta dei funghi, come tutte le mattine – ipotizzò Catharina.

- Funghi? – chiese ironicamente Saryssa – Credi davvero che siano i funghi che cerca nella foresta oscura? – domandò ancora e stava per continuare quando la sorella la fermò poggiandole delicatamente una mano sul braccio.

- Guarda – sussurrò, dinnanzi a loro, in compagnia della loro madre, la regina, proprio Luthien si stava dileguando verso il giardino.

- Seguiamole! – proruppe Saryssa con determinazione, suo malgrado Catharina si unì a lei, seguitando però a frapporre mille obiezioni. Le due donne si erano fermate poco più in là, nei pressi di un fontanile celato da una siepe, luogo abbastanza isolato da poter parlare senza essere disturbate, ma non troppo nascosto da dare nell'occhio. Le principesse si sedettero dietro un cespuglio in silenzio, anche se a Catharina sfuggì un gemito a causa di una macchia sul prezioso vestito, che le fece meritare una sonora gomitata da parte di Saryssa.

- Come è stato scoperto? – stava dicendo Ilenia con l'usuale flemma.

- La mia torre si trova al confine col mare, è lì che giungono stremati tutti i messaggeri prima di scomparire di nuovo nel mare – rispose Luthien con voce imperiosa.

- Credi sia affidabile? – la interrogò ancora Ilenia – I tuoi responsi hanno dato qualche risultato? –

- No, nulla è visibile in questi tempi oscuri – ribatté ancora Luthien.

- Ho avvisato i miei più valenti cavalieri – spiegò Ilenia.

Luthien si lasciò sfuggire una breve e sarcastica risata – Credi che servirà a qualcosa? Il riscatto viene dalle terre al di là del mare – la schernì – "L'altra parte" – aggiunse poi in tono più basso.

- Sorella, ognuno è libero di credere nei propri mezzi, a te lascio i tuoi, ma tu lasciami i miei – la rintuzzò Ilenia senza far trasparire la punta di stizza che forse poteva averla attraversata per pochi secondi – Ho mandato l'avviso a Dame Jacey, era a fare un'ispezione in prigione –

Luthien alzò un sopracciglio interdetta – Non è lei la regina della festa? – chiese.

- Gli eventi al torneo si sono svolti in maniera improbabile, ti saresti divertita se avessi presenziato, ma non te ne faccio una colpa – la pungolò Ilenia in tono pacato.

Luthien era sul punto di rispondere velenosa, al sorriso soddisfatto sulla bocca della sorella, ma fu interrotta dall'arrivo di corsa di una guardia.

- È ancora quel poeta che tenta di fare irruzione nella mia corte con quel suo maldetto liuto degli orrori? - domandò Ilenia con un inaspettato misto di fastidio e inquietudine.

La guardia restò per qualche secondo senza sapere cosa rispondere poi esitante azzardò un – Noo, si tratta di Dame Jacey che sta facendo evadere un prigioniero – annunciò finendo con preoccupazione.

Luthien scoppiò in una fragorosa risata – Questa si che è una vera sorpresa! – esclamò – Credevo che l'eroina di palazzo si sarebbe fatta tagliare le dita pur di non fare qualcosa contro la legge –

- Ha detto di portare i suoi saluti a vostra altezza, che spera potrete perdonarla e che non vi opporrete a lei, perché sta andando a salvare lord Edmund oltre mare, con l'unico mezzo che crede possibile – spiegò la guardia affannata.

- Stanno passando da qui! – urlò qualcuno più in là e Ilenia e Luthien si avvicinarono con calma all'origine della voce, giusto in tempo per vedere passare Dame Jacey a spada sguainata insieme al fuorilegge del torneo che scagliava frecce tutt'intorno senza un bersaglio preciso, forse diretti verso le stalle o magari al povero Myn che solo ora si stava riprendendo dal precedente tuffo, ma di certo in modo incredibilmente epico; e poi, l'arrivo del valente scudiero Maggie, che li seguiva a ruota dimenando le gambette e tentando, nel frattempo, di non essere schiacciata dal non indifferente peso delle molteplici armi che teneva tra le braccia.

- Sono passati anche dall'armeria – constatò una guardia allarmata.

- A occhio e croce – ribatté Luthien sarcastica – Ma non c'è una formidabile sentinella là? – domandò poi con disappunto.

La guardia sospirò immaginando la pasciuta guardia che aveva scovato a ronfare bellamente durante il turno – Già, formidabile –

- Sono arrivati alle stalle, mia regina! – annunciò un'altra guardia – Dobbiamo fermarli? –

Ilenia parve considerare l'idea per qualche secondo prima di rispondere – No, vediamo come va a finire la cosa? –

- Stai forse suggerendo di lasciar andare un fuorilegge, un cavaliere traditore e il suo scudiero a salvare nostro fratello? – chiese Luthien sorpresa. Ilenia annuì. – Già non è un cattivo piano – acconsentì l'alchimista.

- Oh, Sir Bay non l'avrebbe mai fatto! – sospirò Catharina indignata dietro il solito cespuglio.

- Io trovo molto più eroico il gesto di Dame Jacey – obbiettò Saryssa.

- Ecco dove vi eravate cacciate voi due! – proruppe una voce alle loro spalle, era Sally, la balia, con un aria non del tutto rassicurante – Forza dovete tornare al ballo tutti vi stanno cercando – le ragazze si alzarono di malavoglia gettando ogni tanto delle occhiate indietro per controllare la situazione. Il trambusto pareva essersi calmato, Ilenia e Luthien sembravano scomparse.

Intanto sulla strada verso il mare tre cavalli correvano veloci nella notte, a rischiarare il loro destino solo la fredda luce della luna.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Jacey si destò all'alba. La sera prima si erano accampati in quella stalla abbandonata nella periferia della città, poco prima delle mura, sapendo che eventuali inseguitori si sarebbero concentrati nella ricerca di notte, convinti che le tre ragazze avrebbero approfittato del buio per attraversarle. Il fuoco era ormai da tempo spento, ma era stranamente piacevole soffrire il freddo in quei giorni bollenti.

Alla sua destra, Maggie dormiva con la solita espressione mite dipinta sul volto. Alla sua sinistra... la paglia era vuota! Un'ondata di rabbia partì dal fegato di Dame Fastarel per diffondersi fino alle estremità delle sue membra. Come aveva potuto fidarsi di una fuorilegge? Dopo l'ira giunse la vergogna: aveva aiutato a fuggire una criminale; aveva messo in pericolo se stessa, il suo scudiero, e soprattutto la regina! Non sarebbe mai più riuscita a scorgere il proprio riflesso senza rammentare i suoi errori e i rischi che essi avevano causato.

Poi un sussurro squarciò il silenzio calato dal senso di colpa.

"Finalmente ti sei alzata! Ho preso del cibo."

La figura della delinquente si stagliava fuori dalla porta della stanza.

Subito tutto il furore che prima aveva assalito Jacey fece ritorno e si riversò sulla ragazza sottoforma di una raffica di quesiti: "Dove sei stata? Perché non mi hai svegliata? Dove hai preso quegli spiedini? Li hai rubati?" Il tono elevato risvegliò Maggie, che, stropicciandosi gli occhi, domandò: "Che succede?" Le risposte furono due, secche e simultanee: la prima gridò "Niente!" mantendendo il cipiglio severo; "Cibo!" annunciò l'altra con un sorriso a 32 denti.

La fuorilegge aprì il mantello e subito un profumo invitante, proveniente da tre spiedini di carne appesi alla sua cintura, raggiunse le narici delle affamate fuggitive. Dame Fastarel, pur contro la sua volontà, avvertì il suo stomaco inviargli segnali di brama famelica.

Maggie sorrise e una sola sua frase bastò a riappacificare gli animi nel gruppo: "Adesso necessitiamo di nutrirci. Dialogheremo quando avremo riacquistato le energie."

Così le tre fanciulle si abbandonarono ai piaceri della gola, trascurando temporaneamente la minaccia incombente dei predatori.

 

Nel frattempo nel castello reale, i membri del consiglio regio si accingevano a riunirsi.

La regina si trovava già al suo seggio a capotavola, pronta a ricevere le future lamentele, probabilmente scaturite in particolare da Quark, riguardo al suo comportamento della sera prima. La consigliera era appena giunta, affannata, comportamento che Ilenia trovò singolare da parte sua, in quanto ella era sempre in anticipo per le occasioni importanti come quella. Era da qualche tempo che aveva notato nell'amica un particolare turbamento, e approffittò dell'assenza dei futuri interlocutori per avvisarla delle sue intenzioni. "Questa sera pervieni nei miei alloggi: è trascorso un lasso di tempo ingente dall'ultima occasione nella quale abbiamo conferito amichevolmente."

Elenoir le scoccò uno sguardo complice, replicando: "D'accordo, Ile! Seratona tra ragazze?"

Il contrasto creatosi tra l'atteggiamento altezzoso e freddo con cui erano costrette a rivestirsi in pubblico, e quello rilassato e caldo che invece potevano assumere quando erano in intimità le fece scoppiare a ridere entrambe.

Ilenia socchiuse la bocca per ribattere, ma fu interrotta dall'entrata nel locale di Lady Magda Racértas. Subito al solo rumore dei passi della donna calò un' atmosfera pesante, pregna di tensione, atta ad esprimere il profondo suo turbamento interiore, e se il ritmo di cammino della dama non avesse accontentato lo studioso, gli sarebbe stato sufficiente osservarla in viso, per notare il suo tormento. I neri capelli corvini ricadevano in boccoli accanto alla bocca inflessibile e al naso rigido, ma a combattere con la severità generata da questi elementi, stavano i gentili ma afflitti occhi curvati all'insù. Una veste nera, indicante il dolore per la prematura scomparsa del marito, l'avvolgeva dolcemente risaltandone la carnagione pallida.

Ella avanzò fino alla sua postazione alla sinistra della regina, di fronte alla consigliera. Quando anche Quardo Quark si fu accomodato alla destra di Elenoir, il consiglio potè cominciare. Il seggio a capotavola era vuoto dalla morte del re, e lo sarebbe rimasto fino a nuova incoronazione.

La regina dispiegò la pergamena composta dalla sua Mano Destra, e lesse gli argomenti che avrebbero dovuto essere trattati durante quel consiglio. In genere i punti erano vari, da imminenti visite di nobili dalle varie parti del regno a rapporti inacerbiti con i mercanti. Quel giorno la lista era singolare: costituita da soli due elementi, il primo era da qualche mese una presenza perenne, e portava alla mente dei membri noia e una leggera angoscia, il secondo era il meno comune che avessero avuto da almeno 15 anni, e portò alla mente dei membri esaltazione, ma una forte inquietitudine. Nonostante il dialogo dovesse svolgersi secondo l'ordine presentato dalla consigliera, l'organo scartò frettolosamente il tema della carestia, per traslocare celermente su quello riguardo il vuoto creatosi accanto alla dama di corte triste: il sito dedicato a Lord Edmund Roberis, fratello della regina, padre di Priscilla.

"Notizie sono giunte da al di là del mare: le nostre spie ci hanno informato della presenza di un prigioniero che credevamo defunto: mio fratello Edmund." Se l'argomento portava commozione ad Ilenia Roberis, ella lo celava completamente.

"I giorni di vessazioni da parte dei Panurghi devono finire! Maestà, sono dolente di annunciarle che la tattica da me ritenuta idonea da adottare è quella militare: dovremmo stabilire una leva e radunare un esercito. Da troppo tempo i nostri rivali..." Il discorso che Quardo Quark aveva intenzione di proseguire per molto altro tempo, fu interrotto da un commento inacidito e sarcastico della consigliera: "Certo: attaccare un reame che abbiamo appena scoperto possedere un prigioniero importante con il quale potrebbero ricattarci sembra assolutamente la scelta migliore. Quardo, alcune volte mi domando sinceramente come mai tu non sia stato nominato capo del consiglio." Lady Magda si lasciò scappare un sorrisino, mentre Ilenia rimase impassibile. Nacque un battibecco tra il vassallo e la consigliera, come comunque accadeva ad ogni singola riunione, e quando la regina lo ritenne opportuno, si alzò e si schiarì la voce, provocando un immediato e profondo silenzio.

"Se da una parte concordo con Elenoir, nel ritenere un'azione imprudente ed esagerata un'invasione militare, dall'altra devo dar ragione a Quardo: non possiamo lasciare un prigionero di tale importanza tra le mani dei nostri rivali. La mossa preferibile in queste circostanze è una spedizione occultata."

Quark la interruppe: "Maestà, se posso suggerire un nome per il comando di questa perigliosa impresa, azzarderei "Sir Ferdinand Bay": ha dimostrato più di una volta il suo grande valore..."

Ilenia fermò con un gesto deciso le lodi che sarebbero altrimenti state tessute per tempo eccessivo: "Basta, Quardo. Ho già scelto chi avrà il comando di questa missione, e quella persona è Dame Jacey De Fastarel."

Il colore che andava espandendosi velocemente sul viso del vassallo annunciava il suo disaccordo con la decisione presa dalla regina. "E' una traditrice!" sbraitò "E lei ha compiuto un grave errore nel lasciarla scappare, meriterebbe di..." Quardo si fermò di colpo, consapevole di essersi spinto troppo oltre.

Le successive parole di Ilenia sibilarono nel silenzio pesante: "Meriterei cosa?"

La regina si era alzata in piedi, le mani appoggiate sul tavolo, e i suoi modi calmi erano l'elemento più spaventoso della situazione, poiché, nonostante la sua voce suonasse sottile e innocua, la rigidità della sua mascella e l'ardore sinistro nei suoi occhi davano avvertenza del suo reale stato d'animo.

"Pensi che io non ci abbia pensato? Pensi che io non abbia già calcolato? Pensi che io sia un'incapace? E' questo che pensi?" Era in questi momenti scuri che più si notava la somiglianza della donna con sua sorella Luthien. "Panurgea si trova al di là del mare Epifalos, nominami tu, visto che ti ritieni all'altezza del trono, l'ultima occasione in cui un'imbarcazione diretta verso est ha fatto ritorno, ed evita di menzionare cadaveri gonfi e rovine." Quardo non riuscì più a guardare negli occhi la regina, ed iniziò a fissarsi i piedi. "L'unico modo per attraversare quel mare senza un esercito è avere agganci con i pirati, coloro che veramente lo dominano. Jacey questo l'aveva già compreso, e per questo ha liberato la fuorilegge ed è fuggita. Se la lasciassimo andare, probabilmente sarebbe qui tra un anno con Lord Edmund."

L'ultima dichiarazione di Ilenia sembrò restituire ardore al vassallo. "Quindi la lascerà andare? Ha già deciso? Perché ne stiamo discutendo allora?"

"Nota bene le mie parole, Quardo. Ho detto 'probabilmente'. Beh, io non compio operazioni incerte. Io trasformerò quel 'probabilmente' in un 'indubbiamente'." Ilenia si concesse un mezzo sorriso prima di lanciare l'ultima frecciatina velenosa al subordinato dissidente. "Hai perfettamente ragione sull'adeguatezza di Ser Bay per alcune missioni. Ecco un'impresa per lui: mandalo a chiamare Dame Fastarel. La seduta è chiusa."

 

Dall'altra parte della città, Jacey, Maggie e la criminale, si apprestavano a superare le mura della città.

Maggie, la fronte imperlata di sudore a causa del sole battente e del grande peso delle armi sulla schiena, era preoccupata per il destino del suo maestro.

"Dame, io l'ho seguita nella liberazione di questa ladra, e sa infatti che la seguirei ovunque, se trovassi le sue azioni giustificate. Ma non la seguirò nell'uccisione di guardie innocenti della nostra stessa città. Non c'è una maniera più sicura per attraversare le mura?"

Le altre due ragazze risposero all'unisono: "Il sentiero del re Lupiro!"

"Come conosci tu quel passaggio?" domandò con tono indignato Jacey.

"Ho degli amici che ne fanno uso." sorrise maliziosa la delinquente.

"Dirò alla regina di aumentare le guardie in quella zona!"

"Per farti imprigionare?" - il divertimento della fuorilegge era evidente - "Sei una di noi ora, bella."

"Cos'è il sentiero del re Lupiro?"

Jacey spiegò prontamente: "Si racconta che il re Lupiro, avesse un amante. Quando ella rimase incinta, egli volle starle più vicino, ma questa attività lo portò ad essere imprudente. La moglie scoprì la loro relazione adulterina, e la condannò a morte. Il re riuscì a convincerla a non ucciderla, ma ad esiliarla solamente dalla città. Così la donna, bandita e disperata, chiese consiglio ad un mago che viveva in mezzo al bosco Also. Egli creò un passaggio nelle mura, utilizzabile solamente dai due amanti. Chiese però un pegno: la vita del bambino che la donna portava in grembo. La donna raggiunse il re a palazzo, ed essi poterono amarsi nuovamente. Quando però egli comprese ciò che ella aveva fatto, la uccise, in un impeto di furore. Ora l'incantesimo è spezzato e il passaggio può essere utilizzato da chiunque ne sia a conoscenza."

"Che romantico." commentò sarcastica la criminale. "In pratica c'è un passaggino comodo comodo e sempre libero che passa sotto le mura."

"Un giorno pagherai per i tuoi crimini e dovrai spiegarmi l'origine delle tue conoscenze!" la minacciò Jacey.

"Lo vedremo, cavaliere, magari saremo compagne di cappio." la provocò l'altra.

"E quando saremo una accanto all'altro, il mio animo sarà sereno, perché saprò di non aver compiuto scelleratezze. Tu, invece, sarai tormentata dal rimorso."

"Qualche minuto di rimorso per una bella vita mi sembra un buon affare."

Il battibecco proseguì lungo le mura, sotto le mura, e anche oltre. Mentre la mora aveva dalla sua parte l'onore e la dialettica imparata a palazzo, la rossa aveva dalla sua il cinismo e la dialettica imparata per strada, ma proprio mentre Maggie cominciava a trovare eccessivamente tediosa la conversazione, un inusuale breve momento di silenzio aveva rotto il ritmo continuo della discussione.

Mentre gli zoccoli dei cavalli colpivano il terriccio tra le prime diramazioni dei boschi a sud della città reale, e la luna sorgeva alle spalle delle viaggiatrici, la criminale aveva infatti taciuto in seguito ad una schietta domanda di Jacey: "Almeno ce l'hai un nome vero?"

All'improvviso, il sorriso scaltro era scomparso dalle labbra della ragazza, eppure Jacey non era contenta, nè si sentiva vittoriosa.

"Che cos'è un nome?" chiese allora la fuorilegge - "Ciò che ti donano i genitori o come ti chiamano gli altri? O ancora ciò che sceglie il fato, o il popolo?"

Il cavaliere si sentiva a disagio e non sapeva cosa rispondere.

Fu allora che intervenne Maggie, che era rimasta davanti alla fila in silenzio da quando le due avevano iniziato a beccarsi prima delle mura. "Io mi chiamo Margaret Biggle, il nome che mi ha donato il mio caro padre e la mia povera madre defunta, ma tutti mi chiamano Maggie."

La genuinità della fanciulla fu come una medicina per gli animi delle ragazze, inacidite dal passato scontro.

"Chi non mi conosce mi chiama fuorilegge, chi mi conosce mi chiama Chloe."

"E' il nome che ti hanno dato i tuoi genitori o te lo sei inventato come il nome al torneo?" Nonostante Jacey non volesse suonare così ostile, la domanda aveva comunque colpito Chloe nell'orgoglio, che gonfiò il petto per ribattere.

Prima che ella però potesse pronunziare parola, Maggie fermò il cavallo, costringendo anche quelli delle altre due ragazze a fermarsi e si girò con fare severo. "Basta, voi due! E' tutto il giorno che vi punzecchiate! Se non ve ne siete ancora accorte, dobbiamo attraversare l'intero mare insieme! Siamo tutte stanche, quindi ora ci fermiamo e dormiamo! Domattina ragioneremo sul da farsi!"

L'improvviso impeto della dolce figlia dello stalliere lasciò entrambe le dibattenti ammutolite, ed esse non osarono controbattere.

Nonostante avessero evitato di accendere un fuoco per rimanere nascoste, le tre ragazze furono accompagnate da un dolce tepore fino al mondo dei sogni.

 

Nel frattempo, negli alloggi reali, tre limpide risate risuonavano amplificate dalle grosse pareti di marmo.

"E poi lei gli ha detto: <>, ma suonava più come: <>, e lui ha fatto questa faccia!" Il viso della consigliera Elenoir si contrasse in una forzata smorfia spaventata, provocando fragorose risate da parte della governante SallyAnn, dalle guancie ancora più rosse del solito, e dalla stessa regina Ilenia, che si teneva la pancia per lo sforzo.

Quando calò di nuovo il silenzio, Elenoir si alzò, ringraziò le amiche per la splendida serata passata insieme, tra risate e intreccio di capelli, e si diresse verso la porta.

"Ferma lì, furbetta!" la richiamò Ilenia. "Non ci hai ancora spiegato il perché del tuo strano comportamento nell'ultimo periodo..."

La consigliera arrossì, farfugliò qualcosa di incomprensibile e si voltò nuovamente verso la porta.

"Ordini della regina!" le gridò dietro SallyAnn, ridendo - "Sappiamo che ci nascondi qualcosa e non abbiamo intenzione di aspettare oltre per scoprire cosa!"

"Va bene, va bene!" si arrese Elenoir, lasciandosi ricadere sulla comoda poltrona di velluto.

Nonostante la sua natura allegra e giovale, la mancanza di un sorriso sul viso accrebbe la preoccupazione delle sue amiche. Elenoir si torceva le mani in modo nervoso.

"C'è questo ragazzo..."

In circostanze normali, Sally avrebbe emesso un alto gemito da ciarlona, mentre Ilenia avrebbe commentato l'uso di un termine così giovanile per una persona della loro età, ma in quel momento nessuno aveva voglia di scherzare.

"Beh, ve la faccio breve!" - la donna sembrava aver riacquistato la sua usuale schiettezza - "Aspetto un pargolo!".

Queste ultime tre parole caddero sul pavimento della stanza in un vuoto spettrale. A rompere questa immobilità giunsero i quesiti delle due curiose, che si chiedevano come era accaduto il misfatto, quando, ma soprattutto chi era il misterioso amante della consigliera, e le loro voci suonavano spaventate ed insieme eccitate dai rischi e dai pericoli che questa condizione anticonformista comportava.

La confessione di Elenoir l'aveva però già resa esausta, ed ella ebbe il permesso dalle amiche di ritirarsi solo successivamente alla promessa che avrebbe poi rivelato di più.

Dopo essere giunta nella propria camera da letto e nonostante si fosse già disposta al riposo, Elenoir rivolse un pensiero di auspicio al suo amato, sperando che esso volasse attraverso la finestra e potesse proteggerlo nei pericoli che egli correva.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


La notte aveva ormai lasciato le trepidanti lande di Namsteria e i nostri eroi avevano ripreso il loro avventuroso viaggio alla ricerca del lord perduto, tuttavia quelli non erano gli unici fatti che animavano la corte, anzi l’intera notte della regina era stata occupata da pedanti e angoscianti riflessioni che facevano tutti capo ad un'unica persona: Elenoir. Pargolo, sì era proprio ciò che aveva pronunciato! Non che quella parola, come ogni altra, avesse particolare effetto sulla regina, dopotutto ne aveva sfornati tre, ma quel particolare insieme di parole! Sulle labbra di Elenoir! Come aveva potuto non sospettarlo! Ilenia si drizzò improvvisamente folgorata da un’idea, i suoi occhi di giada scrutarono insistenti l’oscurità, da qualche meandro sconosciuto della camera si fece avanti un ombra.
- Cosa desiderate mia sovrana? – pronunciò una vocina dall’oscurità.
- Ho una missione per te, Lents un incarico che non posso affidare altri– esordì la regina in tono misterioso.
- Ordinate e sarà fatto! – rispose la voce, con una risatina stridula.
- Prima di tutto, esci da lì! Mi inquieti  – disse la regina con tono imperioso.
Con l’ennesima risatina, totalmente inadatta all’atmosfera di segretezza della stanza, da dietro la tenda uscì con un salto Lents, il giullare di corte, dimenando forsennatamente la testa, di modo che i sonaglini del suo cappello risuonarono lugubri nel silenzio – Ai vostri comandi! Quale pericoloso lavoro è qui per Lents – ripeteva dimenando la spada di legno di cui tanto andava fiero.
- Piantala di suonare o la cameriera crederà di dover portare la colazione! – lo zittì la donna – Ho bisogno che segui Elenoir, scopri dove va, cosa mangia, che cosmetici usa per mantenere una pelle così giovane, ma soprattutto chi vede! – concluse la donna socchiudendo gli occhi con decisione – Hai capito? Chi vede… -
Lents annuì serio, prima di scoppiare nell’ennesima risata senza senso.
- E ora ritirati! – ordinò la regina – Mi è venuta voglia di dormire! – disse appoggiandosi soddisfatta sul cuscino e  Lents si allontanò nel buio, lasciando Ilenia a felicitarsi con se stessa della sua genialità.
C’era un attacco da condurre, dei ribelli da inseguire, ma in quel momento alla regina sembrava più interessante smarrirsi in quel sonno tanto a lungo cercato e solo ora trovato. “Sally sarà fiera di me” fu il suo ultimo pensiero prima di assopirsi con uno sbadiglio.
Tuttavia non tutti potevano concedersi al riposo, anzi questo era un lusso che i nostri fuggitivi preferiti non avrebbero potuto assolutamente permettersi e probabilmente era proprio per quel motivo che Sir Bay era giunto così vicino alla realizzazione del suo intento  malefico: catturarli e farsi affidare il loro incarico! Secondo le acute interpretazioni del savio lord Quark era proprio quella la missione celata negli ordini della regina di raggiungerli e metterli a capo di una spedizione per suo conto; naturalmente, il coraggioso cavaliere e il suo valente scudiero non avevano esitato un secondo a partire ed ora eccoli là, intenti a tergiversare con delle uova fritte: lei, l’odiata Dame Jacey e quella deprecabile fuorilegge, quella… sir Bay si bloccò di colpo nelle sue riflessioni malvagie accorgendosi con disappunto di non sapere il nome della criminale. Non importava, sapere quello di una delle odiate nemiche era sufficiente, quanto a quello dello scudiero, era troppo per la mente dell’audace guerriero.
- Reginald – esordì sir Bay rivolto al suo scudiero – Sta pronto, o per la gloria, o per la morte! – urlò spronando il cavallo in direzione delle tre che stavano facendo amabilmente colazione. Reginald Westumund, braccio destro e forse anche sinistro del grande combattente, lo seguì a grandi passi, dal momento che a causa della misura delle sue gambe non necessitava di un destriero.
Clohe e Jacey si voltarono di colpo sorprese, interrotte proprio nel bel mezzo di una contesa per l’ultimo uovo. Malgrado nessuna delle due volesse abbandonare il prezioso bottino furono costrette a separarsi per evitare la carica del destriero a briglie sciolte, infatti il cavaliere era valorosamente caduto sotto gli sleali colpi di una quercia poco distante. Jacey tese il braccio con aria solenne – Meggie, la spada! – e lo scudiero recuperò subitamente l’arma lanciandola nella sua direzione, così che il cavaliere di corte con una giravolta più scenica che di utilità la afferrò al volo pronta al combattimento. Clohe la fissò per qualche secondo scuotendo la testa, ma fu immediatamente distratta dalle abili mosse di Reginald che nella confusione aveva arraffato l’uovo e stava correndo a soccorrere il suo padrone.
Con incredibile precisione Clohe scoccò una freccia sul ramo su cui si dibatteva sir Bay, con uno schiocco quello si spezzo e il valente cavaliere cadde con eleganza addosso al suo scudiero.
- Sir Bay, se hai il coraggio affrontami ad armi pari! – urlò Jacey giungendo con la spada in pugno.
Sir Bay era sul punto di rispondere ma qualcosa lo fermò: arrivando in pompa magna, con tanto di trombettieri e fedeli inservienti, la lettiga della regina non solo fece calare il silenzio, ma fermò ogni azione in quello scorcio di mondo, comprese quelle di animali, piante, fiumi ecc.
Dame Jacey s’inginocchio con umiltà puntando nel terreno la propria spada, lo stesso fece Maggie e persino la tracotanza di Sir Bay dovette piegarsi all’autorità che quel simbolo rappresentava. Clohe fissò per qualche secondo la lettiga ammirata poi, accorgendosi che nessuno era più in piedi, piegò le ginocchia esitante, ma alla fine il suo onore ebbe la meglio.
Con enorme disappunto di tutti i presenti quella che scese dalla lettiga non fu l’eminente sovrana, bensì Elenoir, la sua prima consigliera.
- Lady Elenoir, cosa fate qui? – domandò sorpresa Jacey, senza tuttavia alzarsi.
- È venuta qui per intromettersi nella mia missione, Quardo me l’aveva detto – si lamentò Bay.
- Se ti avesse detto anche qual era questa fantomatica missione ci saremmo risparmiati questo pasticcio – sbuffò Elenoir, colpendo per ripicca sulla testa lo scudiero Reginald che si trovava disgraziatamente a pochi centimetri da lei - E tu, Dame Jacey, alzati, la regina non ti metterà a morte proprio oggi – aggiunse poi facendo un cenno alla guerriera.
L’espressione costernata sul volto di Jacey si sostituì immediatamente ad un ampio sorriso, scambiato allegramente con Maggie.
Poi rivolgendosi alla criminale di fianco a loro - E tu… - Elenoir lasciò la frase in sospeso per qualche secondo, lei forse avrebbe potuto sapere… - Tu tu, come loro – concluse frettolosamente, tentando di allontanare i pensieri che ormai avevano invaso la sua mente.
- Vi è stata affidata una missione! – spiegò poi – a te no, Sir Bay – aggiunse subito vedendo lo sguardo di speranza che si era acceso sul viso del cavaliere – Dovete andare a salvare lord…., che è quello che già stavate facendo, solo che ora avete l’autorizzazione della regina! – finì felicemente Elenoir.
Esclamazioni di gioia proruppero da Maggie e Jacey, Clohe si limitò a storcere le labbra. Legge, cos’era la legge? Ecco che ora lei, libera criminale e anima del delitto, si ritrovava invischiata in una cosa autorizzata dalla regina, che ribrezzo! Ma ormai aveva iniziato e buona regola di sua nonna era non lasciare mai incompiuto ciò che aveva iniziato.
- Ok – assentì – non sottovalutando la nostra audacia, il nostro valore e bla bla bla, ma dovremmo farlo in tre? – chiese piuttosto scettica.
Elenoir sembrò pensarci per qualche secondo poi ebbe un’illuminazione – No! La regina ha pensato anche a questo, eseguirete una selezione per scegliere i più degni della missione – annunciò solennemente – non sir Bay – disse poi in tono di supplica.
- E tra chi verrà fatta la selezione? – domandò Jacey alzandosi finalmente in piedi.
- Tra i cavalieri di corte e i lord – iniziò Elenoir ma fu interrotta da Clohe: –perché precludere la possibilità ai membri del popolo, potrebbero essercene alcuni molto… coraggiosi – disse strizzandole l’occhio.
- Perché partano per pericolose missione, dove rischiano la vita! – si disperò Elenoir senza apparente motivo.
- Sì – rispose la criminale con semplicità.
- Clohe ha ragione, Elenoir – assentì Jacey. Persino Sir Bay annuiva per cui, suo malgrado Elenoir dovette arrendersi.
- Bene – sospirò – a domani la selezione – disse gettando un fulmineo sguardo d’oro alla fuorilegge.
 
E mentre il bando per la missione viaggiava segretamente per tutto il reame tra obiezioni e consensi, Namsteria si preparava per un altro grande evento: la fiera di Ktesifon. Era l’avvenimento più atteso dell’anno, le donne ne parlavano, gli uomini lo aspettavano, i mercanti vi guardavano come ad un occasione di fortuna e i romantici come il momento ideale per ritrovare o cercare l’amore, infatti vi affluiva gente da ogni dove e il nascere del sentimento era favorito da quell’atmosfera vivace e pittoresca. 
Ora Alice, non era al corrente di tutte questo, camminava per la via allegra e spensierata nella sua purezza insieme a sua sorella, la popolana Welda, la cui mente era occupata da tutt’altre macchinazioni, alla madre Martha, cuoca di palazzo e al padre, George, di cui non vale la pena aggiungere molto, data la sua marginalità sia nella famiglia che in questa storia. I leggiadri passi di Alice si arrestarono di colpo e sembrarono ritornare soggetti alla forza di gravità, dietro di lei, arrancando affaticati, giunsero gli altri membri della famiglia.
- Guardate! – sussurrò ammirata – la fiera di Ktesifon! – era il primo anno per Alice,  ragazza umile di una povera famiglia del circondario; tra tutti coloro che avevano atteso trepidanti l’arrivo della festività, lei era stata la più trepidante di tutti! Era, per dirla tutta, la solita ingenua, timida, generosa, sorridente fanciulla a cui erano toccati in sorta una madre pettegola e tremendamente antipatica, una sorella meschina e interessata solamente al guadagno e un padre presso che inesistente, tuttavia ella riusciva ancora a stupirsi anche dinnanzi alle più piccole cose. Come è prevedibile, in virtù della sua bontà, Alice era sfruttata da tutto e da tutti per ogni genere di lavoro,  ma quel giorno le era stato promesso dal padre (che per l’occasione aveva pronunciato le sue uniche parole prima di essere come al solito interrotto dalla moglie) che alla fiera avrebbe ricevuto la ricompensa di tutte le sue fatiche!
E così sarebbe stato, infatti a sua insaputa, dal lato opposto della fiera si stava facendo largo sulla strada il veloce destriero del principe Karin, al seguito le sue sorelle, Saryssa e Chatarina, l’una sempre in lotta col mondo, l’altra sempre immersa nelle sue fantasticherie. Karina, a forza di abitudine, aveva imparato a sopport… a voler bene ad entrambe in egual misura e nutriva un grande senso di protezione nei loro confronti. Tuttavia quel giorno aveva deciso di lasciare quell’oneroso compito a Sally, la loro governante che cavalcava tra le due, tentando di frenare le loro continue dispute e di salvare Chatarina, qualora rischiasse di cadere, di modo che mentre le tre si trovavano ancora a metà strada, il principe aveva lasciato il suo cavallo alle cure dello stalliere e stava varcando l’ingresso meridionale. 
Aveva una sensazione positiva per quella giornata, per questo aveva perorato con insistenza davanti alla regina madre la causa delle sue sorelle, desiderose di visitare la fiera ed ora, ora che era immerso in quel tripudio di suoni, odori, colori, genti tra le più improbabili, intendeva godersi tutto. Era raro per un esponente della casata reale lasciare il palazzo. Il suo sguardo vagava ammirato dalle pregiate bancarelle di arazzi e tappeti, alle mani rugose degli artigiani, si stupiva di fronte alle forme ancora imperfette di terracotta, ai gusti dolci e amari delle vesti del sud, fino a perdersi man mano nel formicolio della folla per inseguire ogni profumo.
- Principe Karin – chiamò Sally, che intanto era riuscita a raggiungere la fiera insieme alle due principesse – Vostra altezza! - ripeté, ma la sua voce si perse tra la moltitudine di persone – Cavolo, devo averlo perso! – imprecò, ma la sua attenzione fu subito rapita da un nuovo litigio tra le principesse e per non smarrire anche loro, dimenticò il fratello.
Karin, dal canto suo, sempre più incantato da quell’inaspettata libertà aveva raggiunto una singolare banco di cappelli. In piedi su una sedia un ometto basso dalla barba bianca proclamava la sua merce, impilata di fianco a lui in montagne da cui spuntava ogni tipo di copricapo: di seta, di lana, di paglia, di para, con piume, merletti veli, ognuno in una varietà di colori impossibile da descrivere. Il tutto sovrastava di gran lunga il mercante che tuttavia sembrava a proprio agio sbracciandosi in quel marasma. Karin gli gettò uno sguardo divertito e stava per proseguire al prossimo banco, ma qualcosa intervenne a fermare i suoi passi.
Il respiro quasi gli morì nel petto, come impietrito resto immobile nella folla, non curandosi degli spintoni e delle imprecazioni che gli venivano rivolte dalle persone a cui bloccava la via, per lui il tempo si era azzerato, solo una figura era reale, come aveva fatto a non notarla prima? Quella ragazza minuta ma incredibilmente graziosa, i cui spiccati tratti da contadina non facevano che accrescerne la bellezza. Finalmente si convinse a fare un passo avanti, con grandissimo sollievo dei visitatori dietro di lui. Avanzò piano e solennemente, lei teneva in mano un cappello di paglia, probabilmente stava contrattando il prezzo con il mercante. Le parole abbandonarono le labbra di Karin senza che nemmeno lui se ne accorgesse: - Comprerò io per te tutti i cappelli che vorrai – infatti si sa, i giovani principi sono sempre dispendiosi, a maggior ragione se sono innamorati.
- Non ce ne bisogno – sorrise dolcemente lei, la sua voce era soave e vellutata.
- Io lo farei per te! – rispose lui con convinzione. 
- Nessuno ha mai fatto questo per me – esclamò ammirata e sorpresa. I due rimasero a fissarsi per qualche secondo, l’uno leggeva nello sguardo dell’altra quello che nemmeno le parole più profonde erano in grado di esprimere, quello che forse nemmeno le loro menti avevano appena compreso…
- Non posso chiedertelo – aggiunse lei schernendosi – non per una sconosciuta –
- Eppure mi sembra di conoscerti da una vita – sussurrò Karin. Quanto aveva camminato, quanto aveva fatto, vissuto qualsiasi cosa sembrava averlo condotto a quel semplice momento, ora finalmente capiva la sensazione che aveva attraversato tutta la giornata, tutta la sua vita.
- Lascia almeno che te ne compri uno – disse, interrompendo l’imbarazzo che le sue ultime parole avevano calato.
- Bhe – incominciò lei timidamente.
- Non aver paura! – la incoraggiò Karin, riscuotendo entusiasmo anche da parte del commerciante – quello verde, quello rosso, con la piuma quello che vuoi! –
- Non posso – obbiettò lei arrossendo.
- Sì, invece si che puoi – affermò il principe preso dal momento e subito il commerciante a fargli eco – da ora puoi – ripeté a voce più bassa in modo da essere udito solamente da lei – Puoi – disse ancora prendendole le mani. Lei alzò lo sguardo verso di lui, quel contatto l’aveva lasciata senza fiato - F- forse – balbettò – potresti incominciare col dirmi il tuo nome? –
- Nome? – domandò Karin come se si fosse ricordato solo in quel momento di avere un nome – Beh, beh, io sono Ka – prima di pronunciare completamente il suo nome però il principe fu attraversato da un dubbio: forse scoprire la sua discendenza reale poteva allontanarla da lui… perché no? Il ricco rampollo della casata dei Roberis che si prendeva gioco di una povera popolana per ingraziarsela e utilizzarla per qualche sporco divertimento, quello avrebbe pensato. No, non poteva rivelarle la sua identità, non per il momento almeno – ro – concluse – Io sono Karo –
- Oh, che nome strano – commentò lei sorridendo – Io sono Alice – si presentò porgendogli la mano.
“Alice” il principe sillabò quel nome nella mente come fosse la melodia più celestiale del mondo.
- Ascolta Karo questi cappelli sono alquanto costosi perché non andiamo invece a gustare qualche Murli a quella bancarella – propose poi la ragazza, con grande rammarico e molte maledizioni da parte del venditore a cui i due giovani, sull’onda dell’amore, non prestarono molta attenzione.
- Cosa sono i Murli?- domandò Karin incuriosito.
- Come? Non li hai mai assaggiati? – chiese Alice stupefatta – Sono i dolci più popolari tra i contadini di qui –
- Sono straniero – si affrettò a giustificarsi lui sperando che la sua carnagione scura avvalorasse quella tesi.
- Oh capisco – rispose lei comprensiva – allora devi proprio assaggiarli… Vieni! – lo incitò prendendolo per mano.
Karin/Karo trascorse alcuni dei momenti più divertenti della sua vita, senza il peso della sua stirpe reale poteva assaporare finalmente la vera vita e a rendere quell’esperienza speciale c’era lei, Alice. Per la prima volta odiava il trascorrere del tempo, amandolo contemporaneamente perché portatore di novità e scoperte; tentava di trattenere ogni istante e ogni particolare di lei, il suo profumo, il modo in cui si voltava ogni volta a controllare che lui la seguisse, in cui camminava, in cui si stupiva di ogni cosa. Insieme girarono tutta la fiera, ridendo a crepapelle ad ogni singola sciocchezza, solo per il gusto di trovarsi l’uno con l’altra.
Era giunta la tarda sera e ormai i due giovani camminavano senza scopo ascoltando il canto soffuso delle cicale.
- Io devo andare – esordì Alice – ho promesso ai miei di essere a casa per cena  -
Karin annuì, senza lasciar trapelare tutto il suo dispiacere.
- Mi ha fatto piacere – continuò lei – tanto piacere – aggiunse abbassando lo sguardo con timidezza, prima di voltarsi e andare.
- Ti rivedrò – la fermò lui, sfiorandole la mano mentre ormai si trovava già di spalle.
- Sì straniero – sorrise lei soavemente, poi fece per voltarsi di nuovo ma qualcosa la fermò, con una decisione inaspettata tornò rapidamente verso il principe. Fu un tocco fugace, inaspettato, le loro labbra si accarezzarono per un dolce, veloce, idilliaco istante.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Mentre il sole si avvicinava all'apice del suo tragitto, Maceyron osservava frustrato la ragazza che gli si trovava davanti. La principessa Catharina era molto più amichevole e accomodante di sua sorella Saryssa, eppure, quando si trattava di calcoli, le mancava quella predisposizione naturale di cui era dotata invece l'altra. Seppur la fanciulla mantenesse un sorriso sulle labbra, lo sguardo di Catharina non riusciva proprio a risultare consapevole.

Maceyron si appellò all'orologio, sperando potesse dargli sollievo dalle sue pene.

"La lezione è conclusa." - annunciò a Catharina nella sua solita maniera pacata e priva di ostilità, provocandole un malcelato sospiro di stanchezza.

Uscito dalla fortezza, si diresse verso un alunno molto più desiderato: da qualche tempo, infatti, lo stalliere di corte si era messo in testa di voler imparare a leggere e scrivere, vedendo come la figlia si perdeva nei piccoli volumi impolverati che le portava la sua amica cavaliere. Il maestro era diviso tra la gioia più sfrenata e la più dolorosa tristezza, chiedendosi se veramente per quel bell'uomo le sue lezioni fossero un fatto puramente didattico o se anche lui si perdesse nei suoi occhi come egli si perdeva nei suoi... quegli occhi color del mare che gli rendevano così difficile concentrarsi.

Perso nel ricordo del suo sguardo si accorse di dove i suoi passi l'avevano portato solo quando si ritrovò di fronte alla porta. Bussò timidamente, augurandosi che lo stalliere si fosse ricordato del loro appuntamento.

"Avanti, avanti!"

Maceyron rabbrividì al suono basso e virile della voce del suo alunno, si era quasi scordato di quanto essa potesse vibrare profonda.

Aprì la porta e gli mancò il respiro a causa dello spettacolo che i suoi occhi si trovarono davanti. Le mani di Simon stavano scuotendo i suoi scuri capelli bagnati, che l'età aveva striato di grigio, e la canottiera che aveva probabilmente indossato subito dopo essersi lavato, si stava lentamente appiccicando al torace dell'uomo, mettendo in mostra i suoi pettorali e le sue spalle muscolose e toniche nonostante gli anni.

Simon non potè fare a meno di notare che il maestro lo stava osservando. La sua tenera espressione attonita risaltava i suoi occhi dalle mille sfumature: azzurro, verde, oro... potevi trovare qualunque cosa negli occhi di quell'uomo.

"Sono in anticipo?" - chiese Maceyron intimorito.

"No, sono io che mi sono svegliato tardi." - rispose Simon rassicurante.

Si sedettero alla pesante scrivania di legno d'olmo di fronte alla finestra dello stalliere, ed iniziarono a leggere il passo da "Le croniche di Namsteria" assegnato a quel giorno.

Il signor Biggs leggeva lentamente, scandendo le lettere così da rendere ogni parola buffa, e ad ognuna il cuore di Maceyron faceva una piccola capriola.

Maceyron contemplava la piccola tenera ruga che si formava tra le sopracciglia di Biggs quando egli si sforzava per legare tutti quei segni dipinti sulla carta.

"Quando Norandor vide la bellezza della regina Evelynn, il suo cuore si gonfiò di passione, ed un impeto lo spinse ad inginocchiarsi di fronte a lei..."

Simon si girò verso Maceyron.

"Ti piace questa storia?"

La voce di Maceyron sembrava essere stata incatenata in fondo alla sua gola, e gli fu necessario un notevole sforzo per rispondere un semplice sì.

Nonostante parlassero della storia, i loro occhi disloquevano riguardo temi ben diversi.

Maceyron non ce la fece più: oramai aveva una certa età, ed un cuore che batteva così forte e veloce gli faceva temere un infarto, così chiese di usare il bagno, alzandosi in fretta.

Anche Simon si alzò, e, sorridendogli, avendo egli compreso qual era la vera ragione per la quale Maceyron voleva usare i servizi, gli chiese: "Hai bisogno del mio aiuto?".

Lentamente i due avanzarono l'uno verso l'altro, e non ci fu più bisogno di parole.

 

Dall'altra parte della città, la popolana Welda bruciava d'invidia per la sorella. Quella stupida non si era nemmeno resa conto dell'identità del suo corteggiatore! Nella modesta casa di Martha e George, si sentiva il tipicamente domestico rumore del lavaggio del pentolame, ed un ignaro spirito viaggiatore, capitato in quell'edificio per caso, si sarebbe sentito attorniato da un'atmosfera sicura e abituale; eppure, qualunque conoscente di quella famiglia avrebbe riconosciuto sul viso della popolana Welda il presagio della tempesta prossima alla quiete.

Il sole aveva già oltrepassato l'apogeo da qualche ora, quando l'acida ragazza riuscì finalmente ad incontrare la sorella.

"Finalmente sei tornata!" squillò arricciando il naso "Ti ci voleva così tanto a prendere pane e latte? Ho fatto in tempo a tornare dalla bottega e mangiare e mi sono anche annoiata ad aspettarti!"

L'accento posto sul suo stato d'animo dava prova del suo egocentrismo.

L'unico individuo con cui Alice non fosse gentile ad ogni tempo, era sua sorella, in quanto ella avrebbe potuto trasformar qualsiasi agnello in lupo.

La dolce ragazza era uscita poco prima di pranzo per andare a far compere, ed ora si trovava sull'uscio; una piccola ciocca le era sfuggita dalla treccia posata sulla spalla e le ricadeva accanto allo sguardo affaticato.

"Nessuno ti ha chiesto di aspettarmi."

"Eri a sbaciucchiarti con il principe?"

I quattro conviventi si trovavano in due sale comunicanti: il salottino, con una poltroncina rossa, unico lusso che quella famiglia potesse permettersi, occupata da George, ignorato, accoglieva la popolana Welda, i pugni sui fianchi, ai piedi delle scale che portavano alle camere, il padre, come accennato prima, ed Alice, che ancora non aveva chiuso la porta, mentre in cucina Martha stava lavando i piatti, seppur origliando la conversazione, un poco sadicamente divertita.

"Se così fosse, non avrebbe in mano il pane e il latte." - disse George, ignorato.

"Quale principe?" - chiese Alice con fare indignato, sebbene fosse stata effettivamente confusa dall'uscita della sorella.

"Quale principe?" - ripetè la popolana Welda con fare irrisorio - "Davvero non hai riconosciuto il nostro bel nobile Karim?"

La sorella dischiuse un attimo la bocca, associando il "principe" di cui blaterava la sorella al ragazzo con cui aveva passato il pomeriggio, ed un pudico rossore le si diffuse sul viso.

"Ma... lui ha detto di chiamarsi Karo." - ormai Alice non celava più il suo smarrimento.

"Ma non l'hai mai visto quando andiamo ad aiutare la mamma a cucinare a corte?"

"Io... solo da lontano..." ormai nella mente di Alice cominciavano a sovrapporsi le due immagini: quel ragazzo semplice e impacciato con cui aveva passato il pomeriggio più bello della sua vita e quel principe dalla schiena sempre dritta e gli abiti dalle stoffe pregiate. Come aveva fatto a non notare i tessuti raffinati addosso a quel fasullo "ragazzo di paese"?

"Che idiota!" - questo il passo falso maggiormente evidente della popolana Welda, così carico d'astio e fuori contesto da mostrare nella sua interezza l'aspra bile che muoveva le sue offese.

"Non credo che sia idiota una semplice ragazza del popolo che riesce a passare tanto tempo con un principe." - disse George, ignorato.

Il rumore del pentolame si interruppe e la roca voce di Martha giunse dalla cucina: "A me non interessa chi di voi due apre le gambe, l'importante è che mi fate diventare ricca."

Questo commento decisamente rozzo e inappropriato fu troppo per Alice, ed ella corse in lacrime su per le scale, per poi rifugiarsi in camera sua.

"Non capisco perché sia tanto triste, visto che pare che il principe si sia innamorato di lei." - disse George, ignorato.

Al piano superiore, Alice bagnava di lacrime il suo cuscino, e la fame che prima le attanagliava lo stomaco, ora era completamente scomparsa.

Come aveva fatto ad essere così stupida? A pensare che veramente un ragazzo provasse qualcosa per lei? Uno scherzo! Ecco cos'era stato! La solita maniera dei nobili di prendersi gioco dei popolani!

Dopo un lasso di tempo ignoto, i singhiozzi si acquietarono, e la popolana Welda giunse sul ciglio della stanza.

"Vattene." inveì prorompente Alice, resa aggressiva dal dolore.

Stranamente, la sorella l'ascoltò, dando un, benché minimo, sollievo al cuore ferito della fanciulla, sorprendendola. Ciò che non sapeva era che la mente della popolana Welda, nonostante all'apparenza tardo, stava elaborando un piano per appropriarsi della sua fortuna.

"Io le donne non le capisco proprio." - disse George, ignorato.

 

Quando il sole già iniziava ad avviarsi, svigorito, verso il suo riposo, Maggie si avviava verso casa compiacendosi dei bei colori autunnali che stavano assumendo le chiome degli alberi. Le foglie erano però una debole consolazione per la sofferenza che avrebbe presto provato: doveva avvisare suo padre dell'imminente partenza. Quando vi era necessità di compiere un'azione decisa, Maggie poteva essene la fautrice, ma odiava dover ferire le persone a lei care.

Vedendo la bandiera raffigurante lo stemma della casata reale svolazzare, ripensò a quanto l'aveva sorpresa il comportamento della regina che, nonostante l'apparenza fredda e rigida, aveva dimostrato di saper essere comprensiva e ragionevole: prima aveva perdonato ufficialmente Jacelyne dimostrando la nobiltà delle ragioni del suo comportamento, poi aveva condannato a morte la fuorilegge, ma, sapendo la missione impossibile senza il suo aiuto per attraversare il mare (in mano ai pirati), le aveva dato la possibilità di riscattarsi, partecipando alla spedizione per riportare Lord Edmund Roberis a casa. Probabilmente non si fidava della ragazza, ma circondandola di persone forti e fidate, ella non avrebbe potuto causare granchè danno.

Così, avendo già tre membri della squadra prestabiliti, la regina aveva scelto insieme a loro gli altri. Prima di tutto era necessario trovare qualcuno che avesse grandi conoscenze in campo medico, così la regina aveva convocato il più bravo curatore di corte. Quando egli giunse nella sala di corte dove si trovava la compagnia e si presentò, stranamente Chloe non fece commenti pungenti e sarcastici, probabilmente per il suo aspetto esteriore spaventoso, anche se Maggie non credeva si potesse davvero aver paura di una persona del genere. Era egli infatti un omone alto e parecchio muscoloso con capelli scuri e una fitta barba accompagnata da un'espressione inizialmente cupa. Nonappena alla consigliera Elenoir cadde un fazzoletto di tasca, però, l'estrema delicatezza con cui egli lo raccolse e la gentilezza nel suo sorriso al momento della restituzione, rivelarono a tutti la sua grande bontà d'animo.

Gli altri due componenti che si erano aggiunti alla compagnia erano Priscilla, l'apprendista alchimista nipote della regina, e Frack, uno strano "fratello" di Chloe. Ciò che Maggie non sapeva erano le modalità con cui erano avvenute queste annessioni.

Priscilla era stata chiamata da Luthien in cima alla sua torre, dove stava sempre arrocata. La giovane apprendista era una delle poche persone a non trovare l'alchimista inusuale e inquietante, poiché, avendola conosciuta accuratamente, riusciva a sentire le emozioni nascoste dietro le sue parole. Quel giorno, nonostante tutto l'impegno che impiegava nell'occultarlo, Luthien provava lo stesso dolore che provano i genitori nel momento in cui devono accettare che il figlio è cresciuto e lasciare che intraprenda la sua strada. Il maestro riferì infatti all'alunno, con poche, contrite parole, che era giunto il momento che concludesse la sua formazione, e che la missione per il ritrovamento di suo padre Edmund ne era l'occasione perfetta. Sebbene Priscilla avesse trovato lo studio faticoso e avesse spesso desiderato di arrivare finalmente a quel momento, la passione per la materia e l'affetto per la sua insegnante l'avevano spronata e aiutata a continuare. Ora però non voleva dire addio a quegli ardui ma soddisfacenti momenti di lezione e alla figura che Luthien aveva rappresentato per lei, tanto che protestò, sostenendo di essere ancora molto lontana dalla grandezza della sua maestra, e che ella aveva ancora molto da insegnarle. Al che Luthien distolse lo sguardo sofferente, dirigendolo verso la finestra della torre che dava sulle onde che si abbattevano sulla scogliera, e disse: "Tutto ciò che potrei ancora insegnarti sono cose che non vorrei mai aver imparato." Priscilla capì dal tono cupo dell'insegnante che si era persa nuovamente nella spessa foresta dei rami contorti dei suoi ricordi, e si congedò, mesta, per apprestarsi a partire.

L'altro neopartecipante alla spedizione era l'unico superstite della severa scrematura che la regina aveva operato sulle proposte di Chloe. Pur sapendo che ogni persona da lei presentata era un componente della sua banda di fuorilegge, non ne aveva alcuna prova, così, quando ella gli domandava quale fosse la loro professione, essi rispondevano: "Cucio vesti per gli alberi." o "Faccio il solletico a pagamento.".

La colpì un ragazzo, che sembrava giunto fin lì solo per lanciare occhiate stranite al ventre leggermente prominente della consigliera. Con un cespuglio di capelli ricci ramati e dei tondi occhi azzurri, egli osservava gli spettacolini dei pretendenti ad un ruolo nella missione ridendo alle battute che Chloe gli sussurrava all'orecchio. Purtroppo, sebbene fosse l'unico che alla regina sembrasse abbastanza affidabile, fu il solo a non presentarsi.

Frack era invece un giovane chiaramente nel bel mezzo della pubertà, come dimostrava la sua pelle puntellata di brufoli, sporco di fuliggine e chissà che altro dalla testa ai piedi, lanciante occhiate furbe che non si esplicavano mai nelle poche parole che pronunziava. Ogni passo che compieva era accompagnato da un'inquietante tintinnio, la cui causa si palesò quando egli aprì la sua casacca: all'interno vi erano piccoli attrezzi di ferro di qualsiasi sorta.

"A che cosa servirebbero quelli?" aveva chiesto la regina, allibita.

"Il padre di Frack era un fabbro specializzato in chiavi e serrature, quindi ora lui sa aprire qualsiasi cosa." - rispose Chloe iniziando ad elencare le possibili sfide - "Porte, bauli, cassetti..."

"Basta così." - la interruppe Ilenia con un cenno della mano - "Non mi pare affatto consono ad una spedizione reale."

"Ma ci serve! E' l'unica cosa che ci manca!" - protestò Chloe, di nuovo trascurando l'autorità cui si trovava davanti.

La regina sospirò. Osservò di nuovo quel ragazzo: si stava rigirando un mignolo nell'orecchio. Nonostante il senso di disgusto che quella creatura le provocava e l'esigua moralità che egli avrebbe addotto alla missione, doveva pensare al bene del suo paese, così accettò quell'esemplare all'interno della compagnia.

Oramai Maggie poteva scorgere la sua modesta abitazione affacciata al sentiero che si ramificava tra i prati adibiti all'equitazione.

Riflettè su come si era sviluppata quella faccenda. Erano davvero un gruppo curioso: lei e Jacey con il loro codice cavalleresco, Chloe e l'amico pseudofabbro Frack con la loro scaltrezza ed insubordinazione, l'apprendista alchimista Priscilla con le sue formule e la sua stravaganza ed il timido curatore con la sua istintiva gentilezza.

Bussò alla porta sperando che suo padre avesse cucinato qualcosa di caldo, così, dopo essersi ben rifocillati, avrebbe potuto affrontare l'argomento della partenza. Dopo aver atteso qualche secondo invano, subito si preoccupò e decise di entrare da sola. Socchiuse la porta, ed ebbe una fugace visione del capo del maestro Maceyron Vadresses appoggiato con aria serena al grembo di suo padre.

Appena ebbe superato l'ingresso, Maceyron e Simon erano già seduti composti, le mani di quest'ultimo si spazzavano nervosamente le ginocchia, mentre il maestro cercava di sistemarsi i capelli.

Suo padre, la cui gestualità dava, mano a mano che passava il tempo, sempre più segno del suo profondo imbarazzo, le disse semplicemente: "Benvenuta" e l'avvisò che c'era della focaccia in cucina.

Il signor Vadresses raccolse in fretta le sue cose e salutò, ancora più sbrigativamente, Maggie, alla quale non sfuggì però un impacciato sguardo d'intesa che egli rivolse invece a suo padre.

Dopo mangiato, Maggie andò a dare una carota a Liutprando di Gemova, il suo cavallo preferito, un esemplare grigio, muscoloso e compatto, dal carattere nevrile e orgoglioso, ripassando con sè stessa il discorso che si era preparata lungo il tragitto per riferire a Simon della partenza.

Tornata a casa, vide il sorriso sul viso di suo padre e decise che la notizia per quella sera avrebbe potuto aspettare.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Come sempre, quando eventi straordinari intervengono a variare la monotonia degli ambienti nobiliari, la corte di Namsteria, se mai fosse stata afflitta da questo tragico male, ora era completamente in fermento. Pacchi, provviste, spade appena forgiate, questo correva nelle mani dei paggi che si affrettavano per i corridoi del palazzo reale, sotto il cipiglio altero, ma bonario, della regina Ilenia e della sua fidata assistente Elenoir, che non mancava mai di sbuffare e apostrofare gli inservienti con qualche ulteriore richiesta. Forse che qualche ombra oscurasse la serenità della bella consigliera? Dal canto suo, la regina si limitava a sollevare la mano imperiosamente e tutte le proteste si placavano, poi con un suo lieve sorriso e un cenno del capo tutte le operazioni riprendevano come non fossero mai state interrotte.

Se questo continuo viavai e gli allenamenti che si svolgevano costantemente in cortile, uniti al perenne sproloquiare del vassallo Quardo Quark, non avessero destato abbastanza sospetti negli abitanti della corte, a ciò si aggiungevano i colloqui, sempre più frequenti e a orari a dir poco improbabili, tra la regina e il valoroso cavaliere Jacey de Fastarel. Se l’eroina di corte non fosse stata una donna, di certo si sarebbe urlato alla tresca, tuttavia la realtà si dimostrava ben diversa e questo contribuiva ad aumentare la curiosità attorno alla vicenda. C’era un altro particolare, inoltre, ad attirare l’attenzione di nobili e servi, ossia la presenza di strani e loschi individui nelle sale del palazzo, tipi rozzi e sfrontati, che facevano capo a una ragazza minuta, la quale rassomigliava eccessivamente Chloe, la criminale da poco evasa dopo il furto dei gioielli regali.

In effetti risultava piuttosto bizzarro anche il ritorno improvviso di Dame Jacey, accusata di aver aiutato l’evasa. Non era chiaro come il coraggioso cavaliere avesse evitato la ferrea giustizia della regina Ilenia, o quantomeno i suoi rimbrotti, dal momento che quelli che gravavano su di lei non erano solamente sospetti: tutti infatti avevano assistito alla sua fuga strampalata dopo il ballo.

Dunque cosa era accaduto? E la pericolosa criminale? Impossibile che la regina avesse osato tanto, permettendo a quella volgare ladra di entrare a palazzo!

Questi interrogativi occupavano le menti della maggior parte dei cortigiani, ma in particolare quello della donna più pettegola e chiacchierona di Namsteria: Beatrice, la sarta.

Nessun’informazione poteva sfuggirle e nessuna informazione era capace di trattenersi sulle sue labbra per più di due secondi, prima di essere divulgata al mondo intero e oltre!

Così, la spedizione segreta per salvare sir Edmund, perdette ben presto la sua principale prerogativa, di modo che ne risultò solo una spedizione, o meglio “La spedizione”.

Tuttavia non erano solamente questi i pensieri che turbavano la sempre serena mente della regina: a necessità straordinarie, si accompagnavano infatti i suoi doveri di madre, in particolare ora che le due figlie stavano pian piano attraversando quella fase della vita in cui governa il cuore.

Se per tutto il resto poteva affidarsi alla buona Sally, quello era un affare che solo lei poteva assumersi. Così, quel giorno, quando come sempre, accompagnata da Elenoir, varcò il portone che dava adito alla sala del trono, lo fece con passo sicuro, decisa ad ottemperare immediatamente al suo intento.

Le due principesse assistevano, ognuna assisa sul suo trono, ai lati del maggiore della madre, all’esecuzione del cantore Myn, riammesso a corte più per la benevolenza della regina e la buona parola della sua collega Ladyel, che per il suo effettivo talento.

- Non capisco perché Karim sia sempre libero da questi strazi – sbuffò Saryssa risentita, abbandonandosi scompostamente su un gomito, senza che la sorella avesse alcuna reazione.

Quando la regina si fece avanti, lo sfortunato artista era sul punto di cominciare un nuovo canto, davanti allo sguardo insofferente di Saryssa, la quale non sembrava molto soddisfatta del ritorno del suo spasimante.

La musica, se musica si potevano chiamare quei pochi accordi che erano fino ad allora usciti dal liuto scordato di Myn, si interruppe bruscamente.

Immediatamente Dame Jacey, in armatura, come sempre usava vestirsi in quei tempi di guerra, si fece avanti per conferire i propri omaggi a Ilenia, subito Maggie, lo scudiero, la seguì, mentre Chloe, alle loro spalle, fece un malcelato cenno agli uomini dietro di lei affinché si inchinassero. La regina sorrise soddisfatta e Chloe manifestò il suo contento con un ampio gesto del capo e si sarebbe abbandonata a esplosioni di gioia più evidenti, se solo il luogo l’avesse permesso, ma in quell’occasione decise di trattenersi.

L’unica assente dei delegati alla spedizione era Priscilla, che aveva preferito trattenersi ancora qualche ora a dire addio ai luoghi a lei familiari, ma l’allegra compagnia non sembrava risentirne particolarmente.

- Prego cantore, riprendi la tua musica – ordinò suo malgrado Ilenia, dopotutto era naturale che un animo magnanimo come il suo, in una qualche misura, sentisse il senso di colpa per la malcapitata sorte di Myn la sera del ballo: il giovane infatti si era appena ripreso da un potentissimo raffreddore che aveva compromesse per qualche tempo le sue, già discutibili, abilità canore, di modo che ora era un piacere udirlo cantare.

Myn riprese, immensamente felice di non aver perduto il favore della regina e subito l’aria fu pervasa da qualche accordo folkloristico, più o meno ascoltabile.

- Oh, adoro questi ritmi – si entusiasmò Jacey – mia madre era del sud! – sussurrò a coloro che erano intorno, senza curarsi se qualcuno avesse udito o no le sue parole. Immediatamente dopo però il viso del cavaliere, insieme a quello di tutti i presenti, si contrasse in un’espressione di sofferenza imprescindibile.

“Saryssa, quando io vedo teee – aveva attaccato il cantore – tu mi fai sentire un reee – Chloe alzò un sopracciglio interdetta ai vocalizzi, prima di decidere di unirsi all’acuto, come già stavano facendo Frack il Curatore, che rivelò inaspettatamente una voce da usignolo.

- Saryssa – intonarono tutti, lanciando incoraggiamenti in risposta allo sguardo perplesso di Myn – sei il mio amoreeee, dai non mi lasciareee -

- Cos’ha Ladyel pronto? – si ritrovò a bisbigliare la regina disperata a Elenoir, contravvenendo, suo malgrado, alla clemenza che si era imposta per il cantore.

- La solita canzone sulla spedizione - sussurrò di rimando la consigliera, sospirando alla prospettiva di riascoltare per l’ennesima volta l’annuncio di quelle eroiche e scontatissime imprese.

- Va qualsiasi cosa, purché smetta – disse Ilenia imperiosa, troncando, di fatto, ogni obiezione possibile, così proprio quando tutti, compresa Catharina, erano sul punto di fuggire dalla sala, arrivò la perentoria richiesta di Elenoir – Dolce Myn, perché non lasci udire la tua melodiosa voce in un altro uditorio per il momento e lasci spazio a Ladyel, con il suo ehm inedito “La spedizione” –

Myn non poté far altro che lasciare la scena alla collega, ma non senza lanciarle uno sguardo di sfida a cui l’altra rispose con un’occhiata di scusa.

- Forza, sei migliorato nell’uso del diaframma – tentò di consolarlo lei, ma tutto era inutile, Myn alzò una mano come a farsi schermo e poi la lasciò cadere atterrito – È inutile, per quanto io mi impegni, tu mi ruberai sempre il posto – disse amareggiato.

Gli spettatori della scena, esclusa Saryssa, proruppero in – Nooo – collettivo, sinceramente dispiaciuti più per le male risposte del poeta che per la sua forzata defezione. Solo a Elenoir balenò per qualche secondo che quella fosse una conversazione privata, ma la scena era troppo bella per far notare ai due interpreti che si stava svolgendo in pubblico.

- Ti prego, non dire così - provò ancora Ladyel avvicinandosi e poggiandogli – Io credo che tu abbia del talento –

- Ma perché lei continua ad assecondarlo? – si domandò Chloe, a parte, in un sussussurro – Idiota, non lo vedi che è perdutamente innamorata? – la rimbeccò Jacey con una gomitata.

- Lasciami e piantala di illudermi, come fanno tutti – l‘allontanò Myn decisamente abbattuto.

Una nuova ondata di sonori “no” esplose ancora per la sala e i cuori piu’ teneri, per esempio il Curatore, si abbandonarono persino alle lacrime.

- Su la vita è dura – disse Frack passando al grosso amico un fazzoletto - ma bisogna accettarla – aggiunse poi, alzandosi sulle punte per dargli una pacca amichevole sulla schiena.

- Se ti riferisci – quasi urlò Ladyel – se ti riferisci – ripeté abbassando la voce, di modo che tutti si sporsero per udire meglio – se ti riferisci a lei – concluse finalmente la poetessa – Secondo me è tempo sprecato – terminò abbassando lo sguardo sconsolata.

- No, io la amo! Saryssa! – proruppe Myn, come se la principessa non fosse a soli pochi metri da lui, e la sala risuonò della sua voce disperata. Gli sguardi di dissenso di tutti i presenti, compresa la regina, si rivolsero a Saryssa, che scosse la testa e spalancò le braccia a mo di scusa.

Poi, accorgendosi finalmente di essere in pubblico, arrossì violentemente, ma ciò non servì a placare la sua ira verso Ladyel – Lo vedi, mi hai fatto fare come sempre la figura del deficiente – ululò addolorato, avvolgendosi nel mantello per poi lasciare la sala di corsa.

- Ehi, Myn il liuto – tentò di richiamarlo Jacey, sventolando lo strumento tristemente abbandonato sul pavimento della sala del trono.

Asciugandosi una lacrima la poetessa rimasta domandò umilmente- Maestà, se per poi va bene, io preferirei non esibirmi oggi –

- Permesso accordato – rispose la regina comprensiva, così che anche Ladyel scomparì dalla sala, non meno mestamente del suo collega.

- Oh, l’amore è così bello, anche se reca davvero dolore! – esclamò Catharina sull’onda del momento.

- È proprio di questo che volevo parlare… - colse l’occasione Ilenia. Saryssa le lanciò uno sguardo indispettito e si affrettò ad alzarsi. - Figlia! – la richiamò la regina - Questo discorso è anche per te – La principessa sbuffò, come se non fossero già bastati gli strazi amorosi di Myn, ora era costretta a sorbirsi anche un noioso discorso sull’amore, tema che, in quanto a odio, precedeva persino lo sfortunato cantastorie.

- Dunque ragazze – incominciò la regina.

- Maestà – la interruppe Dame Jacey, e Ilenia tentò di sopprimere lo sguardo impaziente che le abitava i lineamenti e sostituirlo con un sorriso accondiscente - Sì? –

- Io mi ritirerei – suggerì il cavaliere arretrando di qualche passo – e anche loro – aggiunse indicando col pollice gli uomini dietro di loro.

La regina annuì e così la sala si svuotò precipitosamente, come se tutti si fossero ricordati di un improvviso impegno e, persino la fida Elenoir, se ne andò, avendo faccende molto più urgenti da sbrigare, con un giovanotto di nostra conoscenza.

- Non ricordo bene come mi ero preparata a questo discorso, ma credo sia meglio parlare col cuore – incominciò Ilenia, scendendo dal trono e poggiando le mani sulle spalle di entrambe le figlie – Ora siete principesse, ma spesso sarete splendide regine e nobildonne e non potrete affrontare i sinistri della sorte, senza un compagno amorevole –

- Io so cavarmela da sola! – proruppe Saryssa con ardore, trattenendosi però dall’alzarsi di nuovo dal suo trono.

Ilenia lanciò uno sguardo dolce alla figlia – Lo so, mia cara, lo so! Voi siete donne forti, come tutte quelle di questa famiglia – disse fieramente e in quel momento anche Catharina sembrò avere uno sguardo più presente del solito – ma vi assicuro – continuò con un velo di tristezza nello sguardo – è decisamente meglio essere accompagnati da qualcuno, piuttosto che combattere da soli, chiedetelo alla nostra Dame Jacey, che è stata disposta a fidarsi persino di una fuorilegge! –

- Chi è una fuorilegge? – chiese Catharina aggrottando le sopracciglia perplessa, ma Ilenia la ignorò – Per questo, voglio che quando avrete da scegliere il vostro compagno, seguiate il cuore e non il rango, o meglio che lo consideriate un aspetto solo secondario –

- Davvero madre? - intervenne Karim, sbucando improvvisamente da dietro un tendaggio, le principesse sobbalzarono, ma la regina si limitò a rispondere dolcemente – Sì, figlio mio, proprio così. Vi esorto soltanto a non lasciarvi usare da coloro che bramano raggiungere col vostro amore i vertici della società – e di nuovo qualcosa oscurò gli occhi di giada della regina.

- Ma il mio cuore è solo di sir Bay! – esclamò Catharina, ripresasi dalla sorpresa.

- E il tuo cuore è di un idiota – la rimbeccò immediatamente Saryssa, guadagnandosi anche l’assenso del fratello. Catharina era sul punto di rispondere per le rime, come solo lei sapeva fare, ma Ilenia intervenne ancora a placare gli animi – Figlia mia, sono d’accordo a che tu assecondi i tuoi sentimenti per il “valoroso” sir Bay, ma credo tu debba seguire il consiglio di tua sorella e considerare altri pretendenti –

Catharina annuì un po’ dispiaciuta, ma era pronta ad obbedire alla madre.

- E ora venite qui, luci dei miei occhi - lì invitò spalancando le braccia e i tre figli si strinsero commossi alla madre.

Senza dubbio toccati dall’intimità del momento, abbiamo lasciato i nostri eroi della spedizione ad allontanarsi dalla sala reale, ma che questo fosse l’unico motivo che li aveva spinti ad abbandonare la regina e i suoi figli, non è del tutto vero: la partenza era fissata da lì a pochi giorni e salutare i propri cari era diventata una necessità.

Maggie tornò nella sua capanna nel bosco ad annunciare il viaggio al premuroso padre, Frack salutò allegramente i compagni del bosco e l’allegra locandiera Marie Lauriettes, che tante volte l’aveva rifornito nella sua tavola calda.

Chloe, dopo l’addio ai suoi uomini, accompagnò Jacey a cavallo sino ad un piccolo maniero, di poco lontano alle mure cittadine. I campi e la campagna facevano da contorno alla residenza ufficiale dei Fastarel e tutti contadini lanciavano il cappello e si sbracciavano al passaggio del cavaliere.

Subito Nigel Milus venne loro incontro, egli era il maggiordomo che aveva amava e rimproverava da generazioni i giovani Fastarel, sempre con lo stesso vigore e Jacey lo considerava alla stregua di un padre. Dopo la morte in giovane età della madre, Jaqueline, lui era uno degli unici affetti a lei rimasti, insieme alla nonna Janet e al fratellino James. Era a loro, che Jacey era venuta ad annunciare l’imminente partenza.

- Non hai paura a volte – domandò il cavaliere a Chloe, mentre camminavano per il viale che conduceva all’ingresso, intanto che Nigel portava i cavalli alle scuderie e correva a imbandire la tavola per la sua signora.

- Come? – domandò la fuorilegge piuttosto sorpresa.

- Chiedevo se a volte non ci sia qualcosa che ti spaventa? Sembri sempre così sicura – ripetè Jacey e un ombra attraverso per un momento la sua fronte.

- Anche tu sembri piuttosto sicura. La coraggiosa Dame Jacey De Fastarel, sempre spada alla mano, risolve tutte le situazioni – proruppe Chloe in un imitazione comica, sventolando furiosamente le braccia come se fossero temibili lame.

Jacey sorrise, ma non rispose subito: – Non ho paura per me – solo per loro – disse, dopo qualche secondo di silenzio – Per loro – aggiunse indicando l’ingresso che si faceva sempre piu’ vicino man mano che percorrevano il vialetto.

Chloe abbassò lo sguardo. Non aveva mai avuto nessuno di cui preoccuparsi, nemmeno nella piu’ tenera età, era sempre stata abituata a badare solo a sé stessa. È vero, l’affetto che la univa ai suoi uomini era quanto di piu’ simile conoscesse a quello di una famiglia, ma era comunque differente, lontano e ora, piu’ che ogni altra volta, avvertiva questa distanza.

Le uniche realtà che aveva mai conosciuto erano la foresta e l’orfanotrofio, prima che venisse distrutto dall’odiato Sommo Sacerdote; il concetto di casa, perciò, era estraneo a una come lei, sempre abituata a spostarsi, senza avere una fissa dimora. Si interrogò per la prima volta davvero su come dovesse essere per Jacey, che non sapeva se sarebbe potuta tornare a salutare di nuovo i cari e questo, inevitabilmente recò con sé un altro pensiero: la sua famiglia, mai conosciuta e mai davvero cercata. Le era sempre bastato così, si era sempre accontentata di se stessa ma ora…

- Chloe – tagliò d’improvviso Jacey il filo delle sue riflessioni, la fuorilegge si accorse che erano giunte dinnanzi al portone d’ingresso della casa – Chloe – ripeté Jacey, incerta se avesse attirato l’attenzione della compagna, Chloe la fissò con sguardo interrogativo – Se non dovessi tornare, ma tu dovessi farlo, assicurati che la mia famiglia abbia ciò che le spetta –

La fuorilegge rimase sbalordita – Perché chiedi a me? –

- Ho domandato al principe Karim, ma mi sembrava un po’ con la testa fra le nuvole e poco affidabile perciò – spiegò Jacey, ricordando i balli forsennati in cui l’aveva coinvolta l’amico nel loro incontro a palazzo – deve avere molti pensieri importanti – lo scusò bonariamente, lasciando comunque la compagna interdetta – Tu mi sembri una persona decisa, conosci bene i mari e hai piu’ possibilità di ritorno. Fa valere i loro diritti – proseguì poi solennemente il cavaliere – Sarai ricompensata ovviamente, ma dammi la tua parola, te ne prego – negli occhi di Jacey una tacita supplica, ma non priva di dignità.

- E per questo che mi hai condotto con te? – domandò la ragazza con un sorriso. L’altra assentì, in attesa.

- E sia – concesse Chloe di buon grado, portami a conoscere la tua famiglia.

Così cavaliere e fuorilegge varcarono la soglia del maniero per avventurarsi in casa, come presto si sarebbero avventurati in un nuovo e pericoloso viaggio.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Il sole stava ormai tramontando su Namsteria, quando finalmente i nostri eroi decisero di fermarsi.

La spedizione era cominciata appena da qualche giorno, e già tutti soffrivano di forti dolori a piedi e gambe. Non si trattava certo di persone non atletiche, ma se da una parte Jacey e Maggie erano abituate ad andare a cavallo, mezzo che la regina aveva proibito dato che la somma degli animali necessari per trasportare sia le persone che le vettovaglie avrebbe dato nell'occhio, dall'altra i muscoli di Chloe e Frack non erano soliti camminare giornate intere e la maldestria di Priscilla l'affliggeva attraverso ripetute storte. L'unico che in questo versante sarebbe stato avvantaggiato era il curatore, ma egli, dovendo rimanere sveglio per occuparsi delle pene dei compagni, era colpito così da un altro male: la mancanza di sonno.

Eppure, nonostante il dolore fisico, la parte della giornata più tediosa per tutti era sicuramente il falò. Il gruppo infatti si alzava ogni mattina all'alba per intraprendere il cammino, durante il quale Chloe chiaccherava a bassavoce con Frack, Priscilla canticchiava osservando la natura attorno a lei, Jacey e Maggie parlavano del più e del meno, cercando di ignorare le frequenti risatine dei due fuorilegge, mentre il curatore se ne stava per le sue, ascoltando per lo più, intervenendo solo quando gli era esplicitamente richiesto, senza evitare di arrossire ogni volta; quando il sole raggiungeva l'apice, si tirava fuori del cibo dalle bisaccie e ci si rifocillava, senza però mai fermarsi, fino a quando il sole non cominciava a tramontare; a quel punto ecco il momento tanto temuto: Maggie e Priscilla trovavano in fretta legna da ardere, facile da raccogliere in quei boschi dopo la siccità estiva, e si accendeva il fuoco attorno al quale i sei viandanti cenavano e poi, la bisaccia come cuscino, cercavano di riposare dopo che il curatore ne aveva controllato la salute. Nonostante verrebbe istintivo pensare che questa fosse la fase più attesa della giornata, dopo la fatica e la fame subite sotto il sole, il motivo per cui così non era, si era originato quando per la prima volta si erano riuniti attorno a quel fuoco: un litigio che, benchè sembrasse superficiale e  inizialmente di poco conto, si era sviluppato focosamente fino a recare gravi ferite emotive alle partecipanti. Altro aspetto inusuale della situazione: le due non erano Jacey e Chloe, ma Priscilla e Maggie. Il fatto che le contendenti non fossero persone che si è avvezzi vedere discutere aveva atterrito tutti gli sventurati spettatori, così la cena veniva consumata in religioso silenzio, da parte delle due avversarie, poiché offese e restie al rivolgere l'una la parola all'altra, da parte degli altri poiché timorosi che una lettera di troppo avrebbe fatto scoppiare un'altra lite. Più non si parlava, più l'ambiente si innervosiva; più l'ambiente si innervosiva, più diveniva periglioso proferire parola; più diveniva periglioso proferire parola, più non si parlava. Questa era dunque la causa del disagio: l'atmosfera opprimente e imbarazzante andatasi a creare.

Fortunatamente quella sera qualcosa cambiò. Una delle abilità di Priscilla era quella di mangiare così veloce da essere diventata oggetto di speculazione di Chloe e Frack durante il viaggio, in quanto essi riflettevano per dare vita a diverse ipotesi riguardo a questo comportamento. Le più importanti e più sostenute dai due erano, da parte di Frack, una possibile arte marziale imparata tra i ghiacci del nord, attraverso la quale ella era capace di muovere gli arti per sparare il cibo in aria tanto velocemente da non essere visibile a umano occhio nudo, da parte di Chloe, un'ipotetica gravidanza di una creatura magica e demoniaca invisibile che, nel momento in cui ella apriva la bocca per portare il cibo allo stomaco, allungava il braccio attraverso la gola e afferrava anch'egli manciate del nutrimento, insaziabile dall'azione singola della ragazza; vi erano poi molte altre teorie, ma nessuna che non c'entrasse con pozioni che facevano crescere peli sulla schiena. L'importanza di questo dato (il fatto che Priscilla mangiasse tanto celermente, non i peli sulla schiena), è chiara ai fini della purga della situazione poichè, mentre in genere ella finiva di mangiare immediatamente e si sedeva composta ad attendere che anche gli altri avessero finito prima di coricarsi, quella sera si era invece allontanata per rispondere a dei bisogni corporali impellenti e, una volta tornata, tutti avevano già concluso di sfamarsi, a parte Maggie, che si dedicava al ristoro tanto minuziosamente come ad ogni altra sua azione, ed alla quale rimaneva dunque ancora mezzo panino. Priscilla prese in mano il pane e il formaggio che costituivano il suo banchetto, ma, proprio quando ella già l'aveva avvicinato alla bocca ed essa cominciava a socchiudersi (per far uscire un braccio invisibile, avrebbe detto qualcuno), uno scoiattolo decisamente fuori forma cadde da un ramo e spiaccicò il formaggio a terra, rendendolo immangiabile. L'animale, accortosi del pericolo (Frack stava già per tirare fuori qualche rete), si voltò per scappare, ma, visto il panino, si arrestò e ripartì solo dopo averlo afferrato in bocca. Sebbene Priscilla osservasse la sua cena andarsene sconsolata, non accennò a muovere neppure un dito per recuperarla, in quanto sia eccessivamente spossata dal viaggio di quel giorno sia eccessivamente lontano lo scoiattolo, che aveva mostrato un'incredibile rapidità per la sua stazza. Mentre Priscilla spostava triste lo sguardo dal pane scomparso al formaggio deceduto accanto ai suoi piedi, Maggie le allungò il suo mezzo panino.

"Prendilo tu, io non ho più fame." - la incitò, con quel suo solito sorriso dolce che ormai da troppo non si vedeva sul suo viso.

Un lampo di ostilità accese gli occhi di Priscilla, ma la fame vinse l'orgoglio ed ella accettò, ringraziando la compagna pudicamente.

"Se vuoi, Frack sembra avere parecchio cerume..." - offrì Chloe, visivamente molto più rilassata rispetto a prima, indicando con un cenno del capo l'amico che stava scavando a fondo con il mignolo nel suo orecchio sinistro.

Jacey fece un verso disgustato e scosse la testa, mentre il curatore pareva sul punto di avvertirli che non sarebbe stato vantaggioso per la sua salute.

Frack intervenne, fingendosi vistosamente indignato dalla reazione del cavaliere: "Non avete mai assaggiato del cerume?"

Jacey scattò in piedi e minacciò in modo esageratamente drammatico: "Non costringetemi a sfoderare la spada!"

A quel punto la voce di Priscilla risuonò triste e malinconica, come se fosse lontana quanto gli eventi che descriveva: "Una volta stavo studiando, e mi grattava moltissimo dentro l'orecchio, così mi sono grattata. Poi però, essendo nervosa per un imminente esame, mi sono morsa le unghie..." - rivolse lo sguardo dove la sua cena era prima scomparsa - "E' stato orribile."

Frack scoppiò in una risata sonora che mise a disagio tutte le persone attorno a lui, tranne Chloe, che, sinceramente interessata, chiese a Priscilla se avesse mai usato il cerume per qualcuno dei suoi intrugli, probabilmente sperando di poterci guadagnare qualche soldo sfruttando l'infinita risorsa seduta accanto a lei.

"L'arte dell'alchimia non richiede quasi mai elementi animali, principalmente piante, o funghi, e soprattutto elementi geologici." - spiegò l'apprendista.

"Approfondisci il quasi mai." - la incalzò Chloe con sguardo complice, interrotta da Maggie, che la rimproverò.

"E' chiaro che non si sente a suo agio a parlarne!" - esclamò, corrugando la fronte con fare severo.

"Va bene, allora racconta un po' te! Per colpa vostra non abbiamo parlato per una settimana, adesso dovremo recuperare!" - la sfacciataggine di Chloe provocò un brivido a tutti e cinque i compagni, nonostante ella non se ne fosse nemmeno accorta, alzando semplicemente gli occhi al cielo per accompagnare le sue parole - "Com'è che la figlia di uno stalliere finisce a fare la scudiera?"

Maggie si sistemò i capelli ramati dietro le orecchie, prima di cominciare: "Mia madre e la madre di Jacey erano molto amiche, così siamo cresciute insieme, e quando lei ha seguito le orme di suo padre sulla via dei cavalieri, io non ho voluto abbandonarla. Certo, io non credo di poter diventare cavaliere: sono di rango inferiore e sono troppo tozza per essere agile, ma posso accontentarmi."

"Non sei tozza!" - protestò Priscilla.

"E inoltre sai bene che qualunque scudiero può diventare cavaliere con l'impegno, e io ho fiducia in te e so che sei sulla buona strada." - le ricordò Jacey, appoggiandole una mano sulla spalla.

"E quindi tu sei cavaliere, figlia di cavaliere?" - Chloe aveva chiaramente fame di storie - "Interessante." - commentò sarcasticamente.

"Mio padre è un cavaliere, mia madre era una maestra d'armi. Sono stata cresciuta con le regole del codice cavalleresco e le arti delle armi. Mi è stato insegnato come fare del male, ma anche come si deve usare questo potere per proteggere i più deboli, per difendere la patria e..."

Fu interrotta da uno sbuffo di Chloe: "Proteggere i più deboli? Ma se erano per le strade a morire di fame? Io proteggevo i più deboli, portandogli il cibo per sopravvivere!"

"Rubandolo, vorrai dire, e alla regina!"

"Penso proprio che sopravviverà senza un bagno dei cinque che fa ogni giorno!"

Prima che la diatriba potesse espandersi ancora, Maggie richiamò all'ordine le ragazze.

"Per favore, non litighiamo ancora." - chiese, abbassando la testa, vergognosa della futile discussione in cui si era impigliata con Priscilla.

"Maggie ha ragione." - soggiunse l'alchimista - "Spiegaci piuttosto come sei finita a fare la delinquente, o... la paladina, come ti definisci tu... sempre se ti va di farlo."

Chloe incrociò le braccia e alzò la testa, quasi offesa dalla richiesta di Priscilla anche se, come sempre con quella ragazza, non si capiva bene se stesse scherzando o no.

"Sono cresciuta in un orfanotrofio, con Frack, Emjay e gli altri." - tutti sapevano che si riferiva agli altri componenti della sua banda di fuorilegge - "La signora che ci curava era molto anziana, era più una nonna che una mamma, o... beh, non lo so molto bene come funzionano queste cose." - sembrava non sapere più dove mettere le mani, come imbarazzata.

"Betsy." - sospirò Frack.

"Non si chiamava Betsy, la mucca si chiamava Betsy!" - lo riprese Chloe.

"Io stavo ripensando alla mucca infatti!" - si difese Frack.

Chloe lo fissò per qualche istante, poi sembrò rinunciare a comprendere quella persona e distolse lo sguardo, continuando: "Beh, fatto sta che quando avevo circa 9 anni, e il mio Frack qui ne aveva 2 o 3 di meno" - disse dando leggeri colpetti con il palmo sul capo dello strano soggetto - "Mary a un certo punto non si è più alzata dal letto. Ho provato a farle annusare la boccetta per quando faceva caldo d'estate e aveva i suoi mancamenti, ma non si svegliava. Allora abbiamo aspettato, ma la sera non si era ancora mossa e la mattina dopo puzzava."

"Mamma mia che puzza..." - commentò Frack, scuotendo la testa.

"Era comunque più profumata di te adesso!" - lo schernì la ragazza.

"Era morta?" - chiese Maggie, vistosamente catturata dalla storia.

"Beh, certo che era morta, ma mica lo sapevamo allora!" - esclamò Chloe - "Non avevamo mai visto un morto!" - si giustificò.

"Quello che c'era andato più vicino ero io, quando mi è venuta la febbre così alta che avrebbero potuto farmi una frittata sul petto!" - i tentativi di ironia di Frack mettevano tutti a disagio.

"Scemo, i morti diventano freddi, mica caldi!" - lo rimproverò Chloe, in ciò che a loro due appariva come uno scherzo, agli altri quattro come un commento inquietante riguardo a eventi passati che non si dovrebbe essere così sciolti nel raccontare.

"Nessuno di esterno all'edificio si è accorto che era morta? Non usciva mai?" - domandò Jacey, anche lei presa dalla narrazione.

"No, quasi mai, ma ogni 3 giorni veniva un carro di un tipo che ci portava gli avanzi del mercato e le sovvenzioni del Sommo Sacerdote. E' entrato in casa e ha capito subito cos'era successo. Ha avvolto Mary in un lenzuolo e poi se n'è andato. Quando è tornato c'erano due guardie del Sommo Sacerdote con lui, e hanno portato via Mary. Ci ha detto di aspettare e che in giornata qualcuno sarebbe arrivato a occuparsi di noi. Avevamo così fame che abbiamo mangiato tutto ciò che aveva portato sul carro, e poi abbiamo aspettato."

"Chi è venuto?" - il tremolio nella voce di Priscilla lasciava intendere che ella aveva già capito che qualcosa di orribile era giunto.

"Il fuoco."  rispose semplicemente Chloe.

Seguitò qualche attimo di silenzio in cui tutti erano concentrati o sui propri personali pensieri o sull'attesa del prosieguo della storia.

"Ti sei..." - straordinariamente prese parola il curatore, pur non sembrando molto in grado di prenderla - "Insomma, ti sei fatta male?"

"All'inizio no, perché mi ha svegliato Emjay, che era il più grande e aveva sentito lo scoppiettio delle assi di legno, e mi ha fatta uscire fuori."

"Anch'io avrei voluto essere grande come Emjay, così dopo un anno me ne andavo." - si intromise un mesto Frack.

"Scemo, anche se avessi avuto la sua età l'incendio ci sarebbe stato lo stesso, e non te ne saresti andato proprio da nessuna parte, costretto con noi!" - era strano come parole che erano effettivamente insulti risultassero come consolazioni tra i due.

"Allora siamo fuggiti tutti fino al bosco vicino, che per fortuna era abbastanza lontano da non prendere fuoco, ed Emjay ci ha contati, ma mancavano i due più piccoli, Lucas, che aveva un anno meno di Frack e Riley, che non sapeva ancora camminare. Io e Emjay siamo corsi dentro per cercarli e abbiamo trovato subito Riley che stava in camera di Mary e l'abbiamo portata fuori. Poi però siamo entrati dentro a prendere Lucas, che era rimasto su nel camerone."

"Stupido Lucas dormiglione!" - sbottò Frack, arrabbiato, senza sapere però bene dove e come rivolgere la sua ira, così si limitò a lamentarsi, la voce alta e graffiata - "Dormiva sempre!"

"Sì, ma non dormiva quando siamo arrivati. Io ho sentito le sue urla. Ho provato ad aprire la porta ma la maniglia era troppo calda."  così dicendo alzo la mano, mostrando al curatore la cicatrice causata dalla scottatura - "Le fiamme erano alte quanto me e le grida di Lucas mi facevano paura. Emjay ha detto e io l'ho seguito. Se fosse stato ora..." - Chloe alzò piano una mano in aria e poi la strinse velocemente in un pugno, come a voler afferrare il bambino che se ne andava.

"Se fosse stato ora non avresti le conoscenze che hai adesso, quindi sarebbe morto lo stesso, scema."

Forse il motivo per cui gli insulti sembravano consolarli era che li riportavano alla realtà e palesavano cos'era futile illusione, rendevani vani i loro tentativi di rimorso.

"Non lo abbiamo nemmeno cercato, tra le ceneri."

Chloe sospirò.

"I più piccoli hanno dormito tra gli alberi, ma io non ce la facevo a chiudere gli occhi, così, mentre aspettavo il sole, Emjay si è avvicinato a me e mi ha sussurrato: . Io avrò pur avuto nove anni, ma purtroppo ero intelligente, e ho capito subito com'era andata: il Sommo Sacerdote aveva visto nella morte di Mary una bella occasione per togliersi dal" - e disse una parola che costrinse Priscilla a portarsi le mani alle orecchie - "una spesa in più. Era più conveniente eliminarci che sfamarci."

Ora si spiegava il perché della luce astiosa che compariva negli occhi di Chloe ogni qualvolta si nominasse il Sommo Sacerdote.

"Ma io per fortuna ero intelligente, e ho capito subito come dovevamo comportarci: loro non volevano darci il cibo per comprarsi i gioielli? E noi ci prendevamo i loro gioielli per comprarci il cibo..." - sorrise scaltramente - "Ora, non mi aspetto che voi apprendiate in pochi giorni tecniche affinate in anni e anni di carriera, ma potrei insegnarvi un paio di trucchetti che vi risulterebbero utili nel caso vi trovaste in difficoltà e doveste, come dire... occuparvene da soli...."

Era evidente che stesse cercando di cambiare argomento.

Priscilla lo comprese, e intervenì: "Sembra molto carino da parte tua preoccuparti per noi, ma credo cercheremo di cavarcela in maniera diversa, le mie "pozioni" " - e a questa parola accompagnò un gesto delle dita per indicare l'approssimazione di quel termine - "mi bastano."

"O gli insegnamenti dei tuoi amici di Settentrione..." insinuò Frack a bassa voce.

"Amici settentrionali?" - chiese Jacey, confusa, ma invano, visto che Frack rimase taciturno per il resto della serata, squadrando di tanto in tanto Priscilla con fare sospettoso.

Quest'ultima raccontò dei suoi viaggi a Nord in compagnia di Luthien per raccogliere ingredienti importanti per l'alchimia, di creature bianche come la neve e di cieli che si coloravano del colore di primaverili prati fioriti.

Quando il curatore sbadigliò, tutti decisero che era giunta l'ora di coricarsi.

 

Mentre la luna sorvegliava nel bosco con i suoi raggi i sei viandanti, un'angosciante figura si aggirava tra le sale del castello reale.

Il giullare Lents avanzava con quell'andamento sobbalzante che ormai lo contraddistingueva nelle menti delle persone.

L'ordine della regina aveva trasformato la sua immagine di sè in quella di una spia di livello internazionale, così egli si appiattiva contro i muri appena sentiva un fruscio, camminava cercando di essere silenzioso quando invece canticchiava canzoni popolari riguardo al mistero, aumentando l'intensità dell'emissione nei momenti di maggiore tensione, come prima di controllare se vi era qualcuno dietro un angolo.

Finalmente, qualcosa catturò la sua attenzione. Si trovava nel primo piano dei sotterranei, vicino agli alloggi della servitù, nell'ala dedicata agli addetti alla cucina, che in questo momento erano occupati nella pulizia e nel riordinamento successivi alla cena. Era sicuro avrebbe trovato lì ciò che ormai da troppo andava cercando.

Il suo senso del dovere verso la regina Ilenia lo costrinse a comprimersi contro la porta dietro la quale sentiva alcune voci che certo l'avrebbero aiutato nella sua autorevole impresa: una era infatti quella della consigliera Elenoir, la diretta interessata dell'indagine; l'altra era quella tremante del maestro Maceyron, spaventato.

"Devi dichiararlo!" - ordinò decisa Elenoir.

"Ma io... tu sai come ci rimarebbe..." - rispose Maceyron, sul punto di scoppiare in lacrime.

"E tu sai cosa succederebbe se non dichiari che il figlio che porto in grembo è tuo. Così almeno la vostra relazione rimarrà occulta... ma se non dichiari..." - nonostante Elenoir sembrasse minacciosa e Maceyron la vittima, era lei il cui cuore era il più colmo di timore.

Lents sorrise e si preparò a dare l'inaspettata notizia alla sua signora.

 

La sera dopo, Maggie e Jacey ripresero il discorso del giorno prima, raccontando della loro infanzia e delle visite a corte, di come Jacey aveva paura di salire sui cavalli fino a quando Maggie non l'aveva aiutata e le aveva fatto capire che non erano creature infernali, o di come Maggie non riuscisse a colpire il manichino con la lancia, poiché temeva di fargli male. Tutti risero quando raccontarono delle loro spedizioni per derubare biscotti dalla cuoca reale, Martha, e Chloe gli fece anche dei complimenti. Sembravano in generale avere vissuto un'infanzia felice, tutta contorniata dall'amicizia e la somiglianza delle due madri, fino a quando essa non si era spinta ad una comune malattia. Così come esse avevano gioito insieme e riso insieme, erano morte insieme, e le figlie, specchio delle madri, insieme avevano pianto. Maggie rivelò che suo padre ora riusciva a guardarsi indietro con tristezza, ma la serenità tipica di chi ha compreso inutili i rimorsi e l'ira, e che lei sospettava addirittura che il suo cuore fosse riuscito ad accendersi d'amore per qualcun altro; Jacey, dal canto suo, non parlò di suo padre, ma di come lei aveva vissuto l'evento diversamente da suo fratello, che aveva a malapena conosciuto sua madre. Così tutti, seppur nessun verbo ne avesse fatto riferimento, capirono che il di lei padre non era ancora riuscito a superare la morte di sua moglie, ma ebbero il tatto di non indagare oltre.

Quando tutti ormai si erano sdraiati a terra, Priscilla raccontava delle sue peregrinazioni e degli elementi esotici che le avevano caratterizzate, e le sue parole accompagnavano gli eroi in sogni sereni e fantastici.

Il giorno dopo allora, sempre accarezzati dal calore del fuoco, le chiesero di narrare una storia diversa, di narrare la sua storia personale. Così ella parlò della sua infanzia, caratterizzata dalla mancanza del padre, di cui aveva solo qualche memoria indefinita precedente alla scomparsa, e dalla rigidità della madre, severamente protesa verso la condotta idonea al rango nobiliare. In questa cornice opprimente risultava evidente l'importanza della figura di sua zia Luthien, che fin da subito aveva notato il talento della ragazza e aveva impedito che ella perdesse l'infantile connessione con la natura. Fortunatamente la stravaganza e l'inquietante reputazione della signora avevano mantenuto la madre di Priscilla lontana dal protestare verso l'ingente quantità di tempo che ella passava nella torre della zia, e la sua contrarietà all'influenza che ella esercitava sulla bambina si manifestava unicamente in commenti acidi riguardo la sua inidoneità agli eventi reali importanti, finché la bambina, ormai fattasi ragazza, non aveva deciso di assumere il ruolo di alunna a tempo pieno, ed aveva trasferito le sue vesti nel domicilio della maestra.

La maniera in cui esponeva e i suoi modi confondevano il pubblico opponendosi al contenuto del suo racconto: ella infatti emanava, sia fisicamente dai suoi tratti fisiognomici, sia attraverso la sua gestualità un'aura di eleganza, che le accostava a sua zia la regina Ilenia; sembrava improbabile dunque il rimprovero della madre verso i suoi costumi.

La mattina dopo, i paladini giunsero al fiume Seles, affluente del grande Danque e iniziarono a costeggiarlo, per arrivare al porto di Havas, nel quale avrebbero cercato una nave ed un equipaggio abbastanza folle da imbarcarsi in una traversata dell'oceano, speranzosamente una possibile conoscenza di Chloe.

Chloe e Jacey consultarono la cartina e, notando che si era appena superata la metà del percorso, e che a breve sarebbero giunti a una locanda di conoscenza della prima, decisero che si poteva prendere una mezza giornata di pausa. Frack ricordò a sua "sorella" che lì vicino c'era un laghetto limpido che usavano per fare il bagno d'estate qualche anno prima, quando operavano in quella zona, così i sei viaggiatori mangiarono di fronte a quelle acque meravigliose e fresche e, dopo qualche ora di riposo al sole, ormai non più l'astro estivo invadente e tedioso, ma l'autunnale carezzevole eppure caldo con il tempo, Chloe spinse Jacey nell'acqua dalla roccia ove erano sedute che dava sul laghetto, per poi tuffarsi a sua volta, e tutti si convinsero a giocare insieme nell'acqua.

Quando il curatore, che non sembrava essere così entusiasta dell'acqua, ne ebbe abbastanza, andò a sdraiarsi dove prima avevano mangiato Jacey e Chloe. Quest'ultima, curiosa di scoprire di più sull'unica persona che non era ancora riuscita a inquadrare del gruppo, andò a sedersi vicino a lui, per chiedergli di raccontare anch'egli qualcosa sulla sua vita e su come era finito a fare il curatore.

Egli inizialmente cercò di rifiutare, sostendendo che la sua storia non era interessante, che la sua vita era stata semplice, non degna di essere narrata, e soprattutto ascoltata. Ma Chloe insistette, così egli raccontò della sua infanzia bucolica tra i monti a Ovest di Namsteria con i suoi genitori e le loro pecore. Non era un gran narratore come Priscilla, ma la sua semplicità era garante della sua sincerità. Raccontò del giorno in cui aveva capito che voleva curare.

"Avevo 9 anni, e stavo portando il gregge verso il pascolo più alto. Avevano bruciato in una sola settimana tutto il prato di sotto, che golose!" - ogni tanto si perdeva in digressioni animate sulla sua attività da pastore in aiuto dei suoi genitori - "Ho sentito dei piccoli cip, cip, alle radici di un albero: c'era un uccellino. Era caduto dal nido, ma era più grande di quelli che iniziano a volare. Probabilmente già sapeva farlo, ma aveva sbagliato e si era rotto un' ala. Allora ho usato spago e rametto, e dopo due settimane, già volava di nuovo! Mia madre il venerdì va giù in paese al mercato e sai com'è in quei luoghi: ci si racconta tutto ciò che avviene durante la settimana. Allora la settimana dopo è arrivato mio zio Paul con il suo cane, Argo, che si era rotto una zampa. Da una zampa a un'ala non cambia molto: gli ho fasciato le ferite e gli ho chiesto di stare fermo per un po'. Ma non serviva nemmeno, è talmente pigro!" - e qui scoppiò in una risata fortissima che fece girare tutti coloro che erano ancora in acqua.

"Ed è un cane... quindi comunque non comprende il linguaggio umano." - commentò Chloe, scettica.

A quest'affermazione l'omone spalancò occhi e bocca e alzò le sopracciglia, in un' espressione stupita e in parte anche indignata: "Nooo! Tutti gli animali capiscono quello che dici! Non devi diffidare delle loro abilità, o non potranno mai mostrarle."

"In questo caso, crederò in loro." - dichiarò solennemente Chloe, poggiandosi una mano sul cuore.

"Dunque... stavo dicendo?" - egli si grattò la testa nel tentativo di riprendere il discorso - "Ah, già! Un anno dopo poi, quando era tornata l'estate, la mia sorellina è caduta da un albero e si è rotta un braccio. Da una zampa a un braccio non cambia molto, così gliel'ho curato.  Da allora chiunque stava male veniva da me. Qualche anno dopo la regina era in visita nei dintorni ed ha avuto un mancamento. Subito l'hanno portata da me. Lei si è chiesta il perché e mia madre le ha spiegato tutto. Allora ha voluto che venissi a corte e ho studiato tutte le arti della medicina. E ora faccio il curatore per lavoro e sono qui."

"Non ti manca la tua famiglia?" - chiese Maggie, che, insieme agli altri, era venuta ad osservare stupita lo spettacolo del curatore che pronunciava tante parole.

"Moltissimo. Ogni estate però la regina mi permette di passare due settimane sulle mie montagne natie." - accortosi solo all'intervento di Maggie che era circondato da tutta la compagnia, era arrossito violentemente.

"C'è solo una cosa che ancora mi domando..." - soggiunse Frack - "Qual è il tuo nome?"

Il curatore abbassò il capo sorridendo timido: "Mi chiamo Mekos."

 

Quella sera, mentre tutti gli altri si coricavano, Chloe si allontanò dal gruppo per andare a fare una delle sue solite passeggiate notturne. Jacey la seguì, al fine di parlarle di un argomento che le premeva da tempo. Sotto la vigile sorveglianza delle stelle, Jacey raccontò a Chloe che sua madre era scomparsa per un anno, quando lei era talmente piccola che ormai l'evento le aveva lasciato solo un vago ricordo sfumato, e le fece sapere che comprendeva a pieno la sua ostilità verso il Sommo Sacerdote, poiché era egli che aveva tenuto prigioniera Jaqueline per tanto tempo, in qualità di sospettata per complotti contro l'Ordine. Jacey a quel punto azzardò una proposta, un progetto futuro, caratterizzato da un eventualità così fragile che quasi se ne vergognava, ma si buttò, e Chloe amava tuffarsi in qualsiasi piano, così, prima di andare a dormire insieme agli altri, esse avevano deciso che, nel caso fossero sopravvissute alla spedizione, tornate a Namsteria, avrebbero intrapreso un'indagine riguardo il Sommo Sacerdote e le sue attività.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3267386