Sober di Sux Fans (/viewuser.php?uid=54828)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 09 ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** 1. ***
1.
L'odore di caffè cominciò ad impregnare l'aria della cucina dolcemente, lasciando che i pensieri di Jillian si rilassassero e che venissero interrotti a malapena dallo sbuffo della macchinetta, in quella che era la prima mattinata primaverile del 2011. Erano passati ben otto anni da quando era andava via da casa dei suoi per seguire una strada ancora indefinita, e adesso, come grande ritorno, aveva tenuto conto di un monolocale che distava appena un paio di miglia dal centro.
Che strano, era tornata una donna anziché una ragazzina e adesso sentiva solo un forte timore. I suoi non sapevano di questa sua decisione, non si era impegnata di avvisare parenti o di ritrovare amici, e l'unica cosa di cui era certa era che non sarebbe stata la prima cosa a cui avrebbe pensato. Probabilmente era ancora tutto uguale, o forse avrebbe trovato qualche screzio fra quelli che erano i suoi ricordi e quella che sarebbe stata la realtà di adesso.
Dovette sbrigarsi a spegnere la fiamma del fornetto e a rinsavire dai suoi pensieri quando si accorse che stava combinando uno dei suoi soliti disastri e che oramai andava ripulito tutto.
Sbuffò. Una prima complicazione era sempre ben attesa. Mangiucchiò qualche biscotto poi si riempì la tazza di caffè, allontanandosi solo dopo nell'altra stanza a piedi nudi, facendo ben attenzione ai cocci di vetro che dalla sera precedente risiedevano ancora al pavimento del salottino antecedente la stanza da letto.
I suoi effetti personali erano ancora alla rinfusa, i vestiti disordinati e qualche piccolo accessorio distribuito in giro. Non era il momento giusto per una buona pulizia, ma cercò di rimuovere più cose possibili per permettersi un po' di spazio in più, procurandosi qualche ricambio per l'inizio giornata.
Quando l'acqua della doccia cominciò a gettarlesi contro, i capelli ramati le si incollarono alle spalle, costringendola a chiudere gli occhi e a passarsi le dita nel mezzo per districarli appena. Probabilmente per cancellare via tutto lo sporco che si sentiva addosso quello era l'unico modo alla quale aveva pensato, ma forse non era neanche abbastanza.
Cosa le avrebbe offerto nuovamente Huntigton Beach era difficile da dire; niente, oppure tutto. Ricominciare si equilibrava perfettamente alla sua voglia di uscire dal caldo tepore del vapore che si appiattiva alle porte della doccia, quindi pari a zero, perché questa sarebbe stata un'altra esasperante volta in cui avrebbe tentato di farlo. Forse il suo ideale di quotidianità non esisteva, e probabilmente stava cercando troppe volte di modificare quello che invece era destinato a lei. Oppure ancora, aveva fatto fin troppi sbagli alla quale adesso era impossibile porre un rimedio duraturo.
Lasciò scivolare via tutto il sapone dal proprio corpo e si coprì con un asciugamano quando ne uscì, sbrinando lo specchio del bagno con il palmo della mano per spiare l'immagine riflessa: aveva uno zigomo un po' gonfio e qualche lividura sul braccio destro, ma tanto non era ancora periodo afoso; avrebbe avuto il tempo di rimarginare tutto.
La musica alla radio attirò la sua attenzione e di diresse nell'altra stanza distrattamente, tamponando la lunga chioma e spettinandola con le mani.
-Il nuovo singolo degli Avenged Sevenfold portato in studio oggi per la prima volta in quest'anno. Si prevede la fine dell'album per questa nostra estate e magari avremo la possibilità di un primo ascolto a breve. Che ne dici, Steve? Dopo la disgrazia avvenuta ed un primo discorso di resa da parte del gruppo, gli Avenged Sevenfold sembrano aver....-.
Già, una vera disgrazia. Era venuta a sapere della morte di Jimmy tramite i giornali e le pagine web due anni prima, eppure non aveva avuto il coraggio di tornare in quell'occasione. Quindi era rimasta così, a rivivere il dolore miglia distante.
Lo squillo del cellulare partì all'improvviso e Jillian sussultò. Lo schermo del display si illuminava ininterrottamente per svariati secondi, finché non lo afferrò per rispondere.
-Hei Jill, sono Brian. Buon compleanno! -
[...]
Ho ripreso Sober in modo completamente diverso e ripartendo dall'inizio. Ho intenzione di lavorarci di più e vedere la perseveranza per questo lavoro a cosa mi porterà. Conto di migliorare e di tornare a scrivere quotidianamente come anni fa, questo è l'obiettivo principale, e qualcosa che mi solleciti più del dovuto sarà sicuramente questo.
Il prologo è molto breve, descrittivo, è una sorta di “preparazione” per il lettore per capire bene i punti del rapporto introspettivo della protagonista. Altri punti si sveleranno comunque da soli, e dato che mi sto prolungando troppo anche qui, saluto!
Ringrazio gli A Day to Remember per il supporto musicale.
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Capitolo 2 *** 2. ***
2.
Aveva
scostato la sedia per accomodarsi e cosparso il tavolo di pile di
fogli, probabilmente senza concentrarvisi più di tanto fino
a che
non smise di distrarsi con il cellulare slittando con il dito fra i
messaggi. Nonostante fosse solo mezzogiorno, la sala era soffusa di
una luce tenue e chiuse le finestre non dava idea precisa del tempo
passato lì. Brian sbadigliò, probabilmente la
notizia delle ultime
ventiquattro ore lo avevano resto troppo agitato per dedicarsi un po'
di riposo ed eccolo che ancora doveva leggere il nuovo contratto per
usufruire della sala di registrazione. Scartoffie. Era certamente
meglio pagarsi un avvocato.
A
pensarci bene ne aveva uno già molto bravo alla quale
rivolgersi. Lo
aveva tirato fuori dall'arresto quando lo avevano beccato in stato di
ebrezza e coinvolto in una rissa a fare a botte con dei scalmanati.
Ma che razza di lavoro è fare l'avvocato? Una vera noia.
Probabilmente anche un avvocato ne chiama un altro se finisce nei
guai bevendo un po' di troppo, altrimenti saprebbe anche come
difendersi da solo.
Sperava
davvero di non doversi mai confrontare con uno di quelli allora.
-Qui
ho finito, chiudi tu? - Matt aveva la voce impastata dal boccone di
pizza che masticava, voltandosi poco dopo verso l'amico che ancora
non gli degnava risposta.
-Oi,
Bri. - Brian si voltò con sorpresa, come se avesse perso
tutto il
tempo con la testa fra le nuvole.
-Eh?
Ah, sì, sì, tranquillo. Mi dileguo anche io. -
Disse
stiracchiandosi e tremando la voce per un nuovo sbadiglio. L'altro di
tutta risposta prese il berretto dal tavolo posandoselo in testa,
leccò via l'unto dalle dita e gli poggiò l'altra
mano sulla spalla
per salutarlo.
-Non
studiare troppo quelle carte che poi mi diventi scemo. - Brian
accennò un sorriso e si allungò appena a dargli
uno scossone ancora
da seduto.
-Ma
ancora devi andartene a cagare? - Posò documenti e spartiti
dirigendosi insieme all'amico verso l'atrio della sala di
registrazione, con le luci soffuse e pronti alla chiusura, mentre
ancora ridacchiava prendendolo in giro.
-Dove
sono qui altri? - Matt alzò le spalle alle sua domanda, in
un gesto
ovvio.
-A
dormire. Come avresti dovuto fare tu. Ieri abbiamo festeggiato per il
singolo e tu non c'eri. Stasera andiamo a bere qualcosa?- Chiese
l'amico. Tirò su la zip della giacca e infilò le
mani in tasca.
-Non
saprei, ho ancora del lavoro da fare con quella roba.- Si
sentì Matt
chiudere la porta e Brian lo attese, poco dopo gli si
affiancò e
riprese.
-Io
lo so che problema hai e di certo non per il contratto. Lo abbiamo
fatto altre decine di volte! - Matt rise e le fossette gli
illuminarono lo sguardo da volpone. Brian roteò gli occhi
stralunato; voleva rompere con qualche nuova trovata.
-Se
mi ripeti che è ancora quel vecchio problema della macchina
io..-
-Sentire
Jillian ieri ti ha fatto venire un colpo. - Matt lo interruppe e
continuò a camminare mentre l'amico si zittì.
-Stai
scherzando? Sono stato io a chiamarla, ero solo molto contento. -
-E'
stato un colpo per tutti sapere che è di nuovo ad
Huntington, non
devi mica giustificarti. - Il moro gli lanciò
un'occhiataccia e
svoltò l'angolo di Downtown Street insieme
all'amico.
-Saranno
passato dieci, undici anni? Magari è anche più
brutta di prima. -
Scoppiarono a ridere.
-Con
quei capelli rossi e sempre arruffati e gli occhiali enormi sopra
tutte quelle lentiggini. - Matt sospirò.
-Io
la trovavo carina nonostante fosse buffa. - Brian non rispose e si
guardò intorno.
-Ma
dove cavolo hai la macchina? -
-Perché,
vuoi un passaggio? - Brian annuì.
-Allora
è un altro isolato, l'ho lasciata nel distretto. - Brian
sbuffò e
riprese a camminare.
-Se
fossi stato avvocato ti avrei trascinato in causa. -
Forse
no, dieci anni erano troppi, magari otto o nove; fatto sta, che
l'anno scorso non era qui a salutare per l'ultima volta Jimmy. Gli
era mancata, come era mancata a tutti, e solo ora faceva ritorno al
paese d'origine.
Certo
la California non era per i problematici, e dato che Jillian non
aveva mai voluto vivere da artista questo posto magnifico non era
adatto a lei. Era troppo grande, era troppo vivo, mentre lei era
sempre stata chiusa, ristretta. Più ci andava piccola nelle
cose e
meglio era, più le si curvava la schiena e più
era contenta. Brian
non capiva perché l'avesse lasciato e perché non
si fosse
abbandonata a lui quando le aveva dedicato tutto il suo aiuto.
L'auto
si fermò nell'ingorgo di Ocean Street e sorseggiando
caffé Matt
bussò pesantemente al clacson.
-Maledetti
ciclisti, lo fanno apposta. - Brian di tutta risposta non se ne
accorse, rimase a guardare fuori con i gomiti poggiati allo sportello
intravedendo la strada. I semafori dell'incrocio lampeggiarono di
rosso ed una lunga linea di puntini gialli si accostò
meticolosamente mentre il via vai di persone traghettava la lunga
trafila con foga per il lavoro. Ma Brian non si accorse neanche di
quello. Guardò l'orologio da polso e si drizzò
d'un tratto.
-Lasciami
qua, ho un appuntamento! - Matt quasi sputacchiò il
caffé quando lo
vide aprire la portiera.
-Ma
dove vai? Sono imbottigliato in mezzo alla strada! - Si
rigirò sul
sedile e lo vide circondare la macchina e slittare fra quelle in fila
nelle corsie.
-Lo
so, fratello, grazie. Ti devo un favore! - sveltolò un
braccio a
salutarlo, ma la corsa frenetica lo coinvolse e s'incamminò
spedito
dall'altra parte della strada. Il parco cominciava ad appena due
isolati, ma avrebbe finito per essere in ritardo se avesse aspettato
ancora lì per molto.
***
Otto
anni non hanno cambiato Huntington. Era tutto esattamente come una
volta, le persone di una volta, le stesse usanze. Jillian era partita
una ragazza e tornata una donna, aveva un nome ed era tornata con un
altro, se sarebbe riuscita a prendere la vita diversamente da una
volta non poteva saperlo però. Era troppo agitata quella
mattina,
non sapeva se aveva fatto la cosa giusta e non sapeva cosa aspettarsi
da questa rimpatriata.
Quando
aveva sentito la voce di Brian per telefono gli era venuto un
sussulto, quasi non sapeva come rispondere e come ringraziare, e
quasi era come trovarseli di fronte dopo tanto tempo. Dio, che cosa
avrebbe raccontato? Che cosa era stata la sua vita finora? A cosa
aveva aspirato di meglio in quegli anni? Era solo un involucro vuoto
di donna, si sentiva un sottilissimo strato di pelle in un'aura
funerea.
Non
aveva neanche rivisto ancora i suoi genitori, probabilmente adesso
avevano anche raggiunto la sessantina e vivevano tranquilli a Santa
Barbara mentre quel vecchio burbero tornava tardi dal giocare a golf.
Li aveva sentiti certamente qualche mese prima e Jillian sorrise,
nessuna conversazione in particolare, soltanto un lievissimo
imbarazzo e disagio con quella madre timida.
Sfilò
gli occhiali rettangolari e si strofinò gli occhi stanca per
la
lettura, richiudendo il libro solo poco dopo e risistemandolo in
borsa alzò lo sguardo verso la strada. Da quando era andata
a
sistemarsi al parco la zona si era popolata di più, con il
solito
via vai frenetico ed il rumore degli schiamazzi nell'aria.
Ma
non c'era problema, le tenevano compagnia e nel frattempo avrebbe
smesso di pensare al resto della sua adolescenza. Anzi, pensava di
visitare la spiaggia, magari si sarebbe ricreduta e le sarebbe
piaciuto più tardi distrarsi un po' con..
-Jillian?
- La donna chiuse gli occhi forzatamente e bloccò il
respiro, forse
credendo che così facendo sarebbe potuta scomparire in un
soffio. Ma
così non sarebbe stato. Era già arrivato quel
momento? Era già lì?
Eppure non era pronta. Nessuno l'aveva avvisata! Quando
riaprì gli
occhi prese un breve respiro e si alzò dalla panchina,
acconciandosi
il jeans con le mani in modo nervoso per prendersi qualche attimo.
Quando si voltò la fissava immobile a pochi passi alle sue
spalle,
con le braccia penzoloni contro i fianchi ed il fiato corto, con la
fronte sudata ed i capelli un po' lunghi attaccati al collo. Lei
alzò
un angolo della bocca e una mano in segno di saluto, abbassando
lievemente lo sguardo ed i suoi occhi verdi.
La
cenere della sigaretta che gli si stringeva intorno alle labbra si
consumò fino a cadere a terra, mentre la prendeva fra le
dita
smaltate di nero con ancora un espressione sorpreso.
-Wow..
dovrei chiederti un autografo adesso. - Brian non l'ascoltò
e la
raggiunse dopo quegli attimi imbarazzanti di silenzio con qualche
passo lento.
-Hei..
- disse ed il fumo gli uscì dalla bocca condensandosi fra i
visi
senza contare le parole di prima.
-Sei
qui da molto? - Jillian sentì l'odore di Marlboro.
-Sì
ma.. avevo altre cose da fare, quindi... non è stato un
problema. -
troppe pause, troppe attese, troppe paranoie aveva avuto in quegli
attimi.
-Certo.
Sei qui dopo tanto tempo, chissà quante cose hai da fare ..
-
Jillian non ribattè e dovette alzare il viso per riuscire a
guardarlo. Aveva grandi occhi color nocciola e una linea di matita
nera e sbiadita. Ancora non aveva imparato a metterla come di deve
eppure gli dava una bell'aria da cattivo ragazzo. Peccato che lei lo
conoscesse anche fin troppo bene e sperava non fosse cambiato. Non
quanto lei.
Seguirono
altri minuti, la stessa conversazione che sembrava aver tenuto
all'ultimo colloquio di lavoro.
-Come
stai? - esclamarono forte all'unisono per l'imbarazzo, poi una
risata di disagio. Jillian tirò giù le maniche
della felpa e Brian
rivide in lei gli stessi gesti di anni prima. Non era una
sconosciuta, non era una donna diversa da quella che abitava i suoi
ricordi.
-Che
stupido! - Gli sentì dire e attirò
improvvisamenre la sua
attenzione.
-Abbracciami.
- mormorò con la voce rotta, stringendola con un
abbracciò che la
sovrastò e la lasciò vibrare di
vitalità.
-Abbracciami
per tutti questi anni. -
[..]
So
per certa che è stato il momento più difficile
per riuscire a
scrivere, anche per essere stato un capitolo piuttosto complesso.
Complesso perché volevo forti emozioni per questo incontro
che mi
teneva sveglia la notte pur di immaginarlo, e spero proprio proprio
proprio di esserci riuscita. Il nucleo speciale verrà col
tempo e mi
renderà molto spietata continuare a scriverlo e a
condividerlo. Le
attese non saranno lunghe come queste, perché altrimenti
sarà
difficile per tutti tenere il passo. Soprattutto per me.
Ringrazio
moltissimo SynysterIsTheWay e WDWEmble3 per le recensioni positive al
prologo e chi ha aggiunto la storia fra le seguite, ricordate e
preferite.
See
you- Sux
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Capitolo 3 *** 3. ***
3.
Valary
Sanders, capelli platino, nasetto all'insù, sgomberava
velocemente
il cortile dai vestiti lasciati ad asciugare, mentre l'auto del
marito sembrava imboccare lì per lì il viale per
rincasare. Era
molto rincuorante per lei in quel momento visto la piega che sembrava
aver preso il tempo, ma forse, sotto sotto, era quell'aria di
tensione che si avvertiva anche in casa, spessa come la lama di un
rasoio, che in quei giorni le avevano lasciato non pochi grattacapi
per la testa. Non poteva negare a se stessa la convinzione che i
ragazzi del gruppo stessero cercando di rimettersi in gioco con un
entusiasmo che in realtà non esisteva. Ma quello che Matthew
riusciva a fare meglio, aihmè, era sempre negare l'evidenza
con un
gran bel sorriso. Ma infondo lei lo sapeva che incidere questo nuovo
disco era un errore. Era rientrata nell'argomento molte volte, eppure
mai era riucita a concludere con un suo pensiero. In casa Sanders il
discorso veniva abolito ed era vietato riprenderlo, per il semplice
fatto che lui odiasse non avere ragione. Tipo come ammettere che nel
vortice di questa sua redenzione stava trascinando i suoi grandi
amici.
-Mio
Dio! - sentì urlare in modo grottesco, incitandolo con una
mano a
sbrigarsi a raggiungerla sotto la tettoia di casa quando gli
sentì
sbattere la portiera del fuoristrada. Valary lo vide arrivare
correndo verso di lei a grandi passi, slittando fra le pozzanghere
del giardino e tenendo su il cappotto semiaperto fino alla testa per
ripararsi dalla pioggia.
-Hai
visto che acquazzone improvviso? Per strada non si vedeva
più nulla!
- la donna lo aiutò a togliersi la giacca fradicia e sorrise
per la
sua faccia impallidita, interrompendo il rumore della pioggia che
scrosciava alle spalle chiudendo la porta.
-Come
è andata oggi in sala? - raggruppò di nuovo gli
abiti fra le
braccia e si diressero in cucina mentre smetteva di guardarlo.
-Stiamo
sistemando gli strumenti, ma proprio stamattina si sono presi tutti
una pausa. C'è dell'altro caffè? ... - Gliene
versò in tazza
vedendolo aprire il frigorifero per cercare qualcosa da mettere sotto
i denti, riposando poi il termos al suo posto.
-
... A parte Brian. E' rimasto con me fino a poco fa. -
Sorseggiò del
caffé e si passò una mano fra i capelli un po'
umidi poggiandosi
alla cucina. Valary alzò lo sguardo verso Matt e si
accomodò alla
penisola della tavola.
-Davvero?
E perché lui era lì allora? - Il giovane fece
spallucce.
-E
dov'è adesso? -
-Ha
detto che aveva un appuntamento. -
***
-CORRI!!
- Jillian corse più veloce che potè, stringendo i
pugni e
mozzandosi il fiato. Ansimando, tossendo e slanciandosi quanto
più
fosse possibile per lei ed il suo corpo esile. Si strinse il
più
possibile alle mura del palazzo, si appiattì,
sentì il freddo del
granito entrarle nelle osse, rabbrividì vergogniosamente
evitando di
scoprire la testa dal cappuccio della giacca poi vide Brian imboccare
in tutta fretta una stradina e lo seguì a ruota, tenendo la
testa
bassa per impedire ancora i freddi schizzi d'acqua sulla faccia
freddi come schegge di ferro. Da quanto stessero correndo era
difficile da stabilire, ma sicuramente sembrava da molto, molto
tempo. Brian era stato premuroso e quando il cielo aveva incominciato
a scatenarsi su di loro l'aveva guidata per dirigersi in tutta fretta
altrove. Almeno per raggiungere il centro abitato. Dall'altra parte
della strada il fruscio degli alberi era assai meno chiaro e con
velocità sentiva anche affievolirsi il forte odore di
terriccio ed
erba bagnata, che si era comunque invece infangata sulla punta degli
stivaletti prepotentemente. I fanali delle macchine si piantarono su
di loro e Jillian sussultò per i suoni assordanti dei
clacson, con
la forza obliqua di una pioggia battente sul loro capo e del rumore
scrosciante sull'asfalto. Qualche luce cominciò a farsi
nitida ed i
suoi occhi si strizzarono per lo sforzo, quando dalla punta del suo
piccolo naso una goccia cominciò a scivolarle
giù, distratta dallo
spavento.
-Togliti
di lì! - Jillian zittì alle imprecazioni di un
uomo della quale non
scorse i lineamenti dall'altra parte del parabrezza e rinvenne
sentendo le dita di Brian che si intrecciavano alle sue senza
essersene accorta.
-Vieni
via dalla strada. - la trascinò con sè e si
spostarono in gran
fretta appena il cappuccio le ricadde sulle spalle, lasciandola in
balia di forti brividi, brividi che avvertì solo dopo, lungo
la
schiena e fra le labbra. Quando lo vide fermarsi in un punto al
riparo si rilassò appena, rantolò semipiegata
sulle ginocchia per
riprendere fiato e si strinse nelle spalle per il freddo, tossendo.
-Wow,
tutto questo non ci voleva proprio. E' stato imprevedibile. - Lo
sentì e rise.
-I-io
non sopporto la pioggia. - Tremò per il freddo, poi
sospirò
guardando il fiato addensarsi davanti al viso.
-Sì,
lo so. Spero solo non ne avrà per molto, altrimenti
sarà un
problema tornare a casa. - Tirò fuori dalla giacca di pelle
un
pacchetto di Marlboro e ne sfilò una sigaretta per
portarsela alla
bocca.
-Ne
vuoi una? Ti scalderà. - Jillian diniegò e
sentì solo il rumore
dello zippo accendersi e poi chiudersi. Il moro aspirò una
boccata
di fumo e la gettò via dischiudendo le labbra che Jill
continuò a
tenere d'occhio.
-Che
ti è preso prima? Sei rimasta impalata per strada. - Jillian
dall'imbarazzo negò, non sapendo neanche cosa rispondere ad
una cosa
così stupida che era accaduta.
-Sì,
io, cercavo di riprendere del fiato! Che cosa stupida! - Si
passò
una mano sulla faccia e passò qualche tempo.
-Se
non sbaglio eravamo rimasti al fatto che abitavi poco lontano da qui,
o sbaglio..? - La giovane dai capelli ramati annuì e lo vide
poggiarsi al muro con un piede issato. Brian la notò: con
quei
capelli arruffati dalla pioggia e le lentiggini sopra al naso le
ricordava benissimo la ragazza che riviveva la sua adolescenza,
nessuna nuova donna tornata dal passato.
-Sì.
Un paio di isolati. E' un quartiere ben abitato, molto traquillo e
per la prima volta ho un vialetto abbastanza largo per la macchina. -
Rise e abbassò gli occhi. Il giovane annuì e fece
lo stesso.
-Hai
trovato lavoro? -
-Sono
andata a qualche colloquio, spero che richiameranno. -
-Stai
ancora pensando di fare la giornalista? - La vide alzare le spalle
con riluttanza.
-Davvero
ricordi che volevo fare la giornalista? - rimase sopresa e per un
attimo scoppiò a ridere per la meraviglia. -Penso che ora
come ora
non valga poi tanto. - Zittì qualche minuto poi riprese.
Magari non
era idea migliore insistere.
-Non
vale la pena rinunciare, magari l'occasione la trovi. - Quando si
voltò a guardarlo lo vide aspirare un'altra boccata di
sigaretta.
-Sei
rimasto il solito sognatore. - Gli vide fare una faccia buffa e
sorridere.
-Non
si cambia mai. - Quando lei ricambiò il sorriso
tornò serio e con
qualche minuto ad ammortizzare la sua tensione risprese a parlare.
-Come
sta Mark? - Jillian batté le ciglia più volte e
si guardò intorno
sospirando. Quanto poteva essere premuntuoso in quel momento? Cosa
voleva fare? Vide fra le sue sopracciglia una ruga di disappunto,
nonostante volesse comportarsi tranquillamente lei sapeva che aveva
qualche cosa da nascondere e che stava covando.
-Bene.
Credo che il Connecticut
gli andasse stretto per il suo carattere aperto, adesso sta meglio. -
Brian inserì la sigaretta a rovescio nel palmo e
tirò un paio di
volte poi annuì.
-E
Michelle? Come sta? - Lo sentì deglutire poi
asserì di nuovo. Era
diventato automatico adesso sventolare quella testa.
-Stanno
tutti bene. Hanno tutti voglia di vederti. - La vide a disagio e si
diede una regolata dal fissarla troppo intensamente.
-Sono
contenta, credo di aver già dato troppo scalpore. - Non puoi
tornare
indietro e sconvolgere la vita di tutti appena ti fa comodo. Non puoi
lasciare che otto anni si possano colmare da soli. Con due dita
gettò
lontano il mozzicone e un'ultima nuvola di fumo soffiò via
dalle
labbra del ragazzo. Solo adesso Jillian si era accorta dei capelli
neri che gli si erano attaccati ai lati del viso e vide mentre se li
spostava distrattamente con le lunghe dita callose. Dita da
musicista.
-Non
pensavi mica di passare inosservata dopo tanto tempo? -
Riecheggiò
una risata un po' amara, facile da interpretare per Jillian. Il moro
si sporse verso il vialotto per osservare l'andare del tempo, che
sembrava scatenarsi alquanto, poi alzò le spalle
distrattamente.
-Almeno
sembra che avremo altro tempo per parlare. Spero che ti faccia
piacere. - Sorrise e si sedette sul bordo dei vasi di terracotta che
dividevano due stradine al coperto da tendoni; molto probabilmente
era lo spazietto esterno di un bar. E dall'altro lato due divisorie
in legno con dei rampicanti ornamentali, molto orientale. Jillian gli
fece compagnia e scostò la chioma di capelli impiastricciata
ed
irrecuperabile.
-Non
penso che mi avresti lasciata andare finché non ti avessi
raccontato
tutto comunque, no? - Qualche auto faceva il suo ingresso in strada
puntando i fanali contro di loro, poi slittava lungo il viale
incurante.
-Già,
non hai tutti i torti, ma penso ci siano cose alla quale non sapresti
rispondere neanche tu. - La vide umettarsi le labbra, bastonata dalle
sue parole probabilmente, quindi con un lungo respiro
continuò.
-Tipo,
come fai ad avere comunque capelli così indecenti? -
esclamò
ridendo, afferrando una ciocca fra le dita con delicatezza vedendo
come cominciò a fissarlo con sorpresa.
-Cosa?
- Il suo sguardo era meravigliato ma non poteva rinunciare a
sorridere.
-No,
davvero, non ho mai visto capigliature più strane! Ogni
volta sembra
che abbiano vita propria, dovresti perdere più tempo ad
occupartene
la mattina. - Jillian scosse il capo e rise.
-Non
posso credere, da che pulpito una predica del genere! - Brian si
drizzò sulla schiena puntandosi il pollice con convinzione.
-Magari
prima potevo darti ragione, ma quei tempi sono finiti, dolcezza. -
Quei tempi. Quei tempi erano il culmine della spensieratezza. Erano
grida, brindisi ed incontri. I ragazzini di adesso probabilmente non
sapevano neanche divertirsi come facevano loro prima. Oramai, volente
o meno, tutto era passato e molto lontano. Trentuno anni erano il
traguardo dell'essere adulti e responsabili. Jillian notò
solo la
differenza fra le loro vite; fra un uomo realizzato in tutto e per
tutto e fra una donna, scrittrice fallita, che ha cambiato mondo per
inseguire false speranze e false aspettative.
-Bei
tempi. - Dalla sua bocca uscì un soffio, e Brian, senza
esitazione,
come se neanche un giorno li avesse mai divisi, le passò un
braccio
intorno alle spalle per confortarla.
-Hei,
adesso sei qui, ti farò vedere come noi continuiamo a
divertirci
anche ora. -
-Non
so se avrò la faccia di vedere tutti, non subito almeno.-
-Cosa?
Dai Jillian, vuoi aspettare altri otto anni per prepararci a stare di
nuovo insieme? - Jillian avvertì un tono spazientito ma non
poté
biasimarlo. Non poté. Quando si alzò per fare
qualche passo Brian
la seguì con gli occhi aspettando che prendesse una
decisione,
vedendola stralunare gli occhi in giro.
-Perché
hai voluto vedere me allora? - La ragazza deglutì e
scontrò il suo
sguardo, vedendolo cercare delle risposte, sentendo coinvolgenti le
sue parole. Jillian poté giurare di sentire il cuore battere
troppo
forte, se per la tensione o se per qualcos'altro non seppe
ammetterlo. Fatto stava che si trovava faccia a faccia con un muro di
cemento che cercava con cupidigia molte risposte. Ammortizzò
l'aria
sorridendogli, ma Brian non cedette, allora lei deglutì.
-Non
fare il finto tonto, Brian. - Brian afferrò tutte le
sfumature del
suo tono delicato e ne fece oro. Si lasciò coccolare e
fremere da
lei e dal suo sguardo. Ebbe un sussulto e non poté negarlo,
non poté
fermarlo, non poté disubbidirgli.
-Sono
tornata proprio per te.. -
Allora,
direi che la fortuna non è proprio a mio favore se proprio
nel
periodo di ispirazione e feste Pasquali mi abbandona in modo
inevitabile la linea di internet, lasciandomi solo possibilitata a
navigare sul sito dal cell come una spiona inopportuna. Adesso,
passato il peggio sembra che il 3 capitolo sia alla nostra
mercé,
ringraziando qualcuno da lassù!
Ringrazio
chi ha recensito la fanfiction, chi l'ha aggiunta fra i preferiti,
seguiti, ricordate e chi legge e sta dietro le lunghe date degli
aggiornamenti.
Non diamoci
appuntamento a presto altrimenti potrà succedere anche di
peggio!!
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Capitolo 4 *** 4. ***
4.
-Per
chiederti scusa. -
Brian
smise di respirare, perse di qualche battito poi rinvenne
balbettando.
-I-io
non capisco. P-per cosa? - I capelli arruffati le incorniavano il
viso. Jillian era la ragazza più bella che avesse mai visto,
nonostante cercasse di non tenerlo a mente se ne accorgeva ogni volta
la guardava e lei guardava lui.
-Ti
prego, Haner, smettila! - Jillian rise cercando di smorzare lo
sguardo perso del ragazzo, poi continuò. Ogni volta che si
arrabbiava o infastidiva lo chiamava sempre per il cognome, e Brian
sorrise. Non credeva di risentirselo dire dopo tanto tempo.
-Per
tutto quello che hai fatto per me quando eravano appena due mocciosi.
Sei stato un fratello che non ho mai avuto. - Jillian era figlia
unica di genitori Canadesi, persone splendide, ma sempre troppo
indietro per quella che era la mentalità americana. Un
disastro
insomma. Lei veniva cresciuta con degli ideali che poi scomparivano
sotto un cumulo di polvere e solitudine, in un adolescenza disturbata
dalla triste realtà di controversie e gerarchie
spudoratamente
stupide, con la passione per la scrittura, i vestiti comodi e la
libertà. Insomma, una persona che non sarebbe mai
interessata a
nessuno sotto questo punto di vista. Eppure, nonostante i tanti
problemi contrastanti che avevano portato le scuole, i ragazzi erano
l'unica cosa migliore che sia potuta capitare. Insieme a Brian, dove
nacque subito un'intesa speciale, un unione, una grande stima.
Sarebbe stato bello ricordare insieme a lui tutto quello che avevano
passato insieme, e sperava che proprio adesso che era tornata avrebbe
avuto la possibillità di farlo. Piano piano, poco a poco.
-Non
era necessario.. - Brian si incupì, con grande sorpresa
della
giovane che invece dischiuse le labbra sperando in un risvolto.
-..Dimentichiamoci
di tutto, adesso sei qui per un motivo per diverso: restare. -
-Ma
io non voglio dimenticarmene.-
-Io
invece sì. -Brian insistette, con la sua voce bassa e
profonda
Jillian cedette e si accigliò cercando di capire cosa lo
spingesse a
contraddirla.
-Sono
più felice di sapere che le cose cambiaranno, adesso siamo
adulti,
non mi farò bastare un "devo cambiare aria" oppure un "non
c'è posto per me". Il posto ce lo troveremo e semmai vorrai
andare via di nuovo devi guardarmi negli occhi e dirmelo. Dirmelo! -
Era così alto adesso, impalato avanti a lei a fronteggiarla
con le
spalle larghe e la giacca fradicia e lucida. Il mascara dalle ciglia
di Jillian colava sulle occhiaia cerchiate di stanchezza e si
impiastricciò in un modo disastroso, tanto che Brian, notato
il
silenzio, le passò un dito cercando di toccarla e ripulirla
appena.
Anche lui aveva gli occhi impiastricciati di nero e Jillian
alzò
appena gli occhi ad accorgersene quando la sfiorò con
delicatezza.
Le sue mani erano ruvide, raspose, eppure lei poté solo
avvertire
una delicatezza tale da calmarla.
-Ha
smesso di piovere.. - pronunciò solo, e Brian si
allontanò appena
per accorgersi che era rimasto solo un vento freddo e leggero.
-Stasera
resta con me. -
-Non
lo so, i-io.. -
-Me
lo devi. -
-Sì
ma.. -
-Cosa?
- Cosa? Non lo sapeva neanche lei cosa inventarsi.
-Che
hai in mente? - Chiese a disagio con una voce sottile.
-Qualcosa
di improvvisato, non voglio complicarti niente, ma resta con me. -
Jillian si umettò le labbra ormai disidratate, stesso per il
fatto
che lui non le staccasse gli occhi di dosso. Si sentiva così
a
disagio che voleva disintegrarsi da sola.
-Va
bene, ma.. cioè, avrei bisogno prima di assestarmi un po'
e..-
-Da
me! Potrai fare tutto da me, sempre se delle t-shirt XL non ti diano
fastidio. - Continuò a tenerla d'occhio con un'aria davvero
speranzosa, e Jillian adescò. Maledizione!
-Sì.
Sì, va bene. -
-Cavolo
sì! - Brian divenne euforico e come se il broncio di prima
non fosse
mai esistito la strinse forte, le tenne i capelli, la cinse con
delicatezza. Quando si staccarono su entrambi cadde un alone di
imbarazzo e a parte qualche risatina trattenuta non dissero
più
nulla per un po'.
-Beh,
ci conviene andare prima che torni a piovere. - Jillian di cuor suo
stava ancora giocherellando da sola con i propri pollici, poi
però
asserì e cercando di darsi un contegno annuì.
Mio
Dio, che figura della stupida che stava facendo!
Quando
tornarono in strada, si tennero silenziosi per tutto il tragitto
verso casa toccandosi appena le punte delle dita.
***
-Gates,
maledetto, ti odio. - Vengance gracchiò dal cellulare quando
finalmente rispose, schiacciando ancora la testa contro il cuscino
con le palpebre incollate.
-Ma
non ti arrendi mai? Voglio ricordarti che per due giorni ho dovuto
portarti a casa in spalla tanto facevi schifo a camminare sbronzo. -
Si strofinò gli occhi con poco garbo poi sbuffò
assonnato.
-Mh..?
- Mugugnò.
-Ma
dai, mi prendi in giro? -
-Mh,
mmh.. - Si girò supino e ancora ad occhi chiusi
mugugnò con la voce
impastata dal sonno, sistemandosi le coperte con distrazione e
rigirandosi le dita fra i capelli. Le persiane chiuse non lasciavano
trasparire neanche un filo di luce, solo la sveglia analogica
poggiata al comodino rendeva per quella che era l'orario di
mattinata. Poi ad un tratto scoppio a ridere.
-Sì
amico, tranquillo. Bastava dirlo subito, se il piacere era per te
allora non dovevi contarci. Soprattutto in un momento come questo.-
Sbadigliò ed incassò incurante qualche violento
insulto, portandosi
pian piano, come un vecchio centenario, a sedere in mezzo al letto.
-Stasera
passaci a prendere almeno. -
-Che
cavolo, manco uno strappo posso chiedere?-
-Come
puoi farti ancora ritirare la patente alla tua età come un
collegiale?-
-Sì,
grazie tante. Non sfondarmi il cancello di casa quando arrivi, Gates!
- Zacky scoppiò a ridere ed interruppe la telefonata
stiracchiò le
braccia, e passandosi solo dopo un'ennesima manata fra i capelli
stendendosi di nuovo con poca grazia.
-Ok,
ancora cinque minuti almeno.-
***
-Ma
che brutto stronzo.- mormorò a voce bassa una volta chiusa
la
comunicazione.
Brian
prese un respiro profondo e tornò all'entrata dove Jillian
l'aspettava con un asciugamano a tamponare i capelli lunghi.
-Eccomi
scusa, possiamo tranquillamenta andare di là.- Jillian lo
seguì e
con Pinkly che si intersecava fra i suoi passi aggirarono il
corridoio fino la camera da letto, dove diede un'occhiata attenta.
Era tutto molto ordinato, il che lasciava sicuramente intendere che
ci fosse lo zampino di una donna; Michelle e Brian si conoscevano
addirittura da più tempo di lei, che si fossero messi
insieme, come
appurava nei messaggi Matt quando le scriveva i primi anni, di sicuro
non c'era da sorprendersi. 'chelle è sempre stata una donna
molto
gioiosa, ammirevole, una dolcezza coinvolgente, e oltretutto una vera
bellezza. Una bellezza per metà italiana.
Eppure,
quello di cui Jillian non era sicura e se stessero ancora insieme.
Brian non aveva parlato una sola volta di lei e non aveva lasciato
intendere niente; forse c'erano particolari che non conosceva. Non
volle indagare.
-Da
quanto hai cambiato casa? - Brian tossì, forse colto alla
sprovvista, poi riprese.
-Non
meno di un anno. - Sugli armadietti c'era qualche foto simpatica, che
Jillian andò a spiare in silenzio, spostandosi da un angolo
all'altro distrattamente. Brian che gioca a Baseball; Brian con Bella
e Pinkly; Brian alla festa di Halloween con i ragazzi e i suoi
fratelli.
-Tieni,
questi potrebbero farti comodo. - Jillian rinvenne dalla sua
distrazione e lo guardò stranita mentre le veniva incontro
con
qualche vestito, poi prima che potesse dire qualcosa lo vide sfilarsi
la shirt con velocità e deglutì. Le braccia erano
completamente
tatuate e le spalle larghe, non era mai stato un tipo particolarmente
palestrato ma nonostante il filo di pancetta il suo torso era teso e
sulle clavicole leggeva grande una scritta a carattere cubitali.
Quando si voltò la schiena era intricata dai muscoli
leggermente
tesi ed una leggera curvatura gli slittava lungo la spina vertebrale.
-P-perché
hai pantaloni da donna? - Jillian cercò di darsi un contegno
e con
molta fatica cercò un'qualcosa da dire, il ragazzo fece
spallucce e
sorrise rivestendosi in fretta.
-McKenna
sta crescendo, qualche volta viene a dormire da me che ho il college
dall'altra parte della strada. Penso ti vadano e che non le
dispiacerà prestarteli. -
-Grazie.
- Si era sentita imbarazzata quando sfiorò i dorsi delle sue
mani
per prendere il ricambio.
-Il
bagno e dall'altra parte. - disse dopo qualche secondo di silenzio.
Il corridoio distava giusto per la camera da letto, la cucina ed il
bagno; le altre camere si potevano raggiungere anche dal retro, come
la camera degli ospiti, un piccolo atrio e lo stanzino. Nel mezzo
c'erano le scale per la soffitta ed il passaggio per il garage in un
angolo del cucinino. Quando l'accompagnò sino al bagno
entrò per
togliere un po' di disordine, poi la lasciò accomodare per
darle
largo dominio, si scambiarono un sorriso e Brian si poggiò
all'uscio
passandosi una mano fra i capelli ancora umidi.
-Allora,
ehm.. fa quello che devi, io magari ti aspetto di là con
qualcosa da
mangiare. -
-Sicuro
che non hai bisogno del bagno anche tu prima? -
-No,
no.. solo non far caso al disordine. Ho cose sparse un po' ovunque. -
Rise imbarazzato.
-Perché
ti preoccupi tanto? - Il ragazzo annuì, fece un cenno con la
testa e
si chiuse la porta alle spalle lasciandola tranquilla. Dopo qualche
minuto Jillian si mosse, ripose gli abiti sul marmo dei lavandini e
si avvicinò alla doccia per lasciar scorrere dell'acqua
calda. Gettò
gli anfibi completamente infangati in un angolo e si tolse la giacca,
sentendo ghiacciata la pelle che era rimasta umida fino ad allora.
Probabilmente nei prossimi giorni si sarebbe beccata qualche grado di
febbre nonostante le giornate un po' più calde.
Quando
i vetri della cabina della doccia furono abbastanza appannati dal
calore comincio a denudarsi e a fare qualche passo sul freddo
pavimento di granito, attendendo famelica il dolcissimo abbraccio
dell'acqua bollente sul suo corpo. Jillian tremò, chiuse gli
occhi e
sentì il peso della sua chioma completamente appesantita che
le
cadeva sulla schiena fino a solleticarla. Che tepore, sembrava un
sogno. Sputò via dalle labbra dell'acqua che aveva lasciato
scivolare in bocca poi portò i capelli all'indietro fino a
sentire
l'acqua in viso, poi sul busto, sulla pancia piatta. Non c'era
più
peso sulle sue spalle, tutto aveva preso una piega già
leggermente
diversa, fino a ricordarsi che si trovava nel bagno di casa Haner e
che non aveva la minima idea di quello che l'avrebbe attesa quella
sera, la sera del suo compleanno. Quasi se ne era dimenticata eppure
era quello lo scatto che aveva trattenuto gli anelli di tutta la
catena.
Quando
dovette allontarsi dalla doccia quasi si lamentò, eppure si
era
trattenuta troppo per continuare. Con un asciugamano ripulì
lo
specchio principale e si specchiò fino a portarsene un altro
intorno
al corpo. Il freddo aveva cancellato molti lividi e attenuato degli
altri. Nel cercare una spazzola scavò per i cassetti
dell'arredamento: rasoi, dopobarba, boxer; dall'imbarazzo richiuse
tutto e provo altrove. C'era anche qualche borsetta, con del trucco,
delle cremine, qualche smalto, cosa che magari non interessava a
Brian; almeno non di certe tinte. Jillian rimase stranita, un po'
accigliata continuò a guardare al suo interno, passando da
qualche
interno all'altro sempre con qualche nuova scoperta fino a sobbalzare
al bussare della porta.
-S-sì?
-
-Sono
io. E' tutto ok? - si grattò la testa, poi tornò
dritta parlando
con tono apparentemente normale.
-Sì,
certo, m-mi serve qualche minuto. - Sentì Brian ridere
divertito poi
si allontanò.
-Fai
con comodo. - emanò un sospiro di sollievo e
lasciò perdere tutto,
sistemandosi i capelli come meglio poteva e asciugandoli per qualche
altro minuto minimo.
Quando
finì di sistemarsi uscì dirigendosi verso i
rumori che sembravano
provenire dalla cucina trovando Brian con i capelli asciutti e con
abiti cambiati ad affettare qualcosa.
-Ok,
uova, asparagi, del formaggio. Troveremmo di meglio mangiando per
strada però, magari vorrai riposare. - Jillian
annuì e ringraziò.
-Più
che altro per il tempaccio che ci siamo beccati.-
-Sì,
tanto stasera potrai sbafare quanto ti pare. Almeno metteremo
qualcosa di buono sotto i denti. - Si guardò un po' intorno:
alla
tavola di legno, la cucina chiara, le stoviglie penzoloni sul ripiano
lucido di acciaio.
-Wow..
- Jillian si alzò e si avvicinò ai ripiani.
-Non
credevo avessi gusti così "decisi". - Era inutile negare
che stesse ridendo di gusto, tenendo fra le mani la bilancina
più
floreale che avesse mai visto. Brian scattò verso di lei e
gliela
sfilò dalle mani balbettando.
-Sei
un'impicciona, ed io.. sono una persona molto creativa. - la fece
scomparire in qualche mobile e continuò, sfidando le risate
della
ragazza.
-Non
ne dubito, ma non pensavo fino a questo punto! -
-Ah
– ah, si come no! - Brian la scimmiottò, poi al
campanello del
termos si avvicinò indicandole la tavola.
-Siediti,
e pronto anche del caffé. - Jillian fece come chiesto e si
accomodò
tranquillamente, cominciando a mordicchiare qualche pezzetto di pane
continuando a guardarlo divertita.
-Ma
dai, non credevo che oramai ti fossi dato anche alla cucina. -
-A
volte bisogna sorprendere anche se stessi, ed io lo faccio spesso.
Mia madre quasi mi cacciava di casa se non mi fossi.. - Notò
che si
interruppe e attese immobile che continuasse. Ma non lo fece.
-Ehm,
non ho neanche molto appetito ma è meglio mangiare qualcosa.
- disse
invece.
-Come
stanno i tuoi? - Brian schioccò le dita e
giocherellò con i dorsi
sedendosi dirimpetto a lei.
-Bene.
Devo ammettere che non si lamenta nessuno. Ognuno ha di nuovo la sua
vita adesso, però sono grande per certe cose, non mi
interessano
più. -
-McKenna
deve essere cresciuta molto.. - Brian annuì ricordando la
sorella.
-Sì,
ehm.. non ho mai a mente quanti anni ha a dire il vero però
è
davvero cresciuta. - Alla separazione dei suoi genitori lei e Brian
avevano cominciato a frequentarsi anche di più. A vedersi la
sera,
dormire insieme arrangiando con qualche piumone del garage dei suoi e
a leggere fumetti per tutta la notte; aveva avuto davvero molto
bisogno di lei, ed anche a distanza di anni era stata molto
orgogliosa di averlo fatto. Adesso lo vedeva molto meno sofferente a
parlare di certe cose.
-Ma
dove ho la testa?! Vuoi vedere la camera insonorizzata? E' il mio
ultimo gioiello! - Lo vide alzarsi e Jillian lo seguì
masticando
ancora il suo boccone.
-Camera
insonorizzata? -
-Sì,
hai presente? Quella dove sei completamente estraneato dal resto del
mondo, non c'è individuo che può sentirti al di
fuori. -
-So
cos'è una camera insonorizzata. -
-Ah.
- Brian rise imbarazzato poi continuò.
-L'anno
scorso mi è servita per incidere alcuni brani dell'album. Un
vero
spasso. Credo di averci passato mesi, avevo una cera inguardabile. -
La scala della cantina scivolò giù e Brian la
prededette.
-Stai
attenta però. - Quando scomparve nel soppalco Jillian lo
seguì, e
comparso il capo dalla botola diede una veloce occhiata in giro. Il
pavimento era lucidato e dei strumenti erano sia appesi alle pareti
che allineati intorno alla stanza; chiusa la botola in casa non si
sarebbe sentito più nessun rumore.
-Un
vero spettacolo. - Jillian fu sincera e giacque meravigliata per un
po'.
-Già,
non ci passeresti mesi anche tu ? -
-Più
che altro verrei a farci visita spesso.- Risero e Brian prendendosi
un momento continuò a guardarla negli occhi con un sorriso
accennato.
-Quando
stai bene in un posto non le senti certe differente, qui sembra
esserci il fuso orario. Ne giorno e ne notte, solo tu e tutto questo.
- aprì le braccia a due ali e indicò il tutto.
Non c'era neanche
una finestrella, non passava un filo d'aria se non fosse stato per il
piccolo ventilatore da parete.
-Perché
non suoni qualcosa? - Brian l'aveva osservata tutto il tempo ed in
tutto quello che faceva.
-Cosa
vuoi che suoni? - le chiese, e lei fece spallucce voltandosi di
nuovo.
-Quello
che suonavate un tempo..-
-Facevamo
davvero schifo, davvero vuoi che suoni qualche reliquia del genere? -
Brian rise di gusto e la donna fece altrettando lasciandogli qualche
colpo sulla spalla annuendo.
-Guarda
però che sono facilmente impressionabile. -
-Tranquilla,
ci andrò piano con te! - si fece scivolare la cinta di cuoio
sulle
spalle ed imbracciò la chitarra prendendo tempo. Jillian
invece si
accomodò ancora un po' contro la parete, ridendo della sua
faccia
impegnata a collaudare le vibrazioni di qualche corda fra le dita.
Quando
Brian cominciò a suonare però rimase impalata
lì, ad ascoltarlo ed
osservarlo in tutto quello che faceva senza rendersene conto. Le vene
delle braccia e i nervi si ingrossarono così tanto che quasi
tremava
e i muscoli della schiena si erano irrigiditi quanto il collo e la
mascella. Era diventato teso come la corda di un arco, poi pian piano
cominciò a sciogliersi, a slittare con le ginocchia e a fare
qualche
smorfia. Appena il suono divenne più lieve e meno veloce, e
quando
cominciò ad espandersi forte in tutta la stanza.
-Hei,
ti sei impalata? - Non l'aveva mai visto suonare dopo tutto quel
tempo e anche se breve era stato davvero un bello spettacolo. Quando
si accorse di essere rimasta impalata a fissarlo arrossì
distogliendo lo sguardo e con enorme sopresa nello spacco del
colletto vide fuoriuscire il tatuaggio che aveva sul torace. Di
nuovo, ma stavolta ci fece più attenzione, alle lettere e
alla
disposizione, alle linee sottili e spesse che si alternavano. Ad un
significato grande che aveva colto solo ora. I giornali e i tabloid
ne erano stati infestati, avrebbe potuto pensarci pure prima se ci
avesse messo un briciolo di attenzione in più. Vedendo Brian,
solo in quel momento aveva preso coscienza di quello che stava
succedendo, di dove era adesso e di tutto il tempo perso via in
quegli anni. Della sua attuale vita. Si portò una mano alla
faccia
instintivamente, come se avesse avvertito uno schiaffo in
realtà
invisibile. Appurata questa sensazione gli occhi le si bagnarono di
lacrime, il che Brian la osservò e silenzioso giacque tutto
a terra,
avvicinandosi con cautela come se temesse di romperla in qualsiasi
momento. La vide rannicchiare le spalle e carezzarsi con le braccia;
con forte impulso strinse i palmi sul tessuto della t-shirt e
cercò
di farsi guardare da quegli occhi infossati.
-Ho
fatto qualcosa di sbagliato? - Lei disdì col capo
frettolosamente,
si divincolò piano dalla presa e cercò di darsi
un contegno.
-Voglio
vedere i ragazzi.. tutti. - un sorriso le colorò la bocca e
Brian
tornò a respirare dopo quella tensione.
-Non
posso aspettare ancora troppo tempo per vederci. Ne ho già
perso
abbastanza. - Brian annuì e l'abbracciò piano,
per non farle male,
sentendo come i suoi pugni si chiudessero contro la stoffa della
propria maglia per stringerlo a sè. Forse tremava, o forse
era lui,
il semplice fatto che sentisse il suo fiato debole sul collo lo
tranquillizzava e carezzandole i capelli sospirò con un filo
di
voce.
-Tranquilla,
è tutto ok. Saranno tutti felici di vederti. - Tutti e anche
Jimmy,
se solo potesse abbracciarla ancora.
***
Forse
era già da qualche minuto che squillava. La suoneria del
cordless
continuò con il più assoluto silenzio in casa,
rimbalzando fra le
pareti, ripetitivo e solitario. Pinkly si accucciò ai piedi
del
tavolino posizionato in corridoio e alzò il muso fino
all'apparecchio, uggiolando silenziosamente con la lingua penzoloni.
Bastò qualche altro squillo e scattò la
segreteria, registrando
l'ennesimo messaggio della mattinata:
Michelle
e Brian Haner sono assenti in questo momento, lasciateci un messaggio
dopo il Bip, ci faremo risentire. Promesso! - BIP.
-Brian,
sono io, ma dove sei? ti sto cercando anche al cellulare, possibile
che tu sia così sbadato? Chiamami appena senti il messaggio,
idiota.
Ti amo. -
Mentirei
se vi dicessi che non amo i casini, quindi nonostante vorrei tenere
ancora un po' di mistero sulle vicende lancio già la prima
pietra. E
ritiro la mano ovviamente.
Come
di consueto ringrazio chi ha recensito la fan fiction, chi la segue,
la legge, l'ha inserita fra le ricordate e preferite. Ne sono felice!
:)
|
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Capitolo 5 *** 5. ***
5.
-Siamo
nella merda. - Nella voce di Matt si avvertì un certo
rammarico e il
tappetto della bic fra le labbra perse la
stabilità cadendo a
terra in un ticchettio sordo, senza alcuna importanza. La scadenza
del contratto di Portnoy era giunto al termine e a nulla erano valse
l'anticipo delle prove o la stesura dei testi. Era tutto fermo, e
Matt non riusciva a scrivere. Non buttava giù neanche un
rigo.
Rileggendo il foglio di consegna si portò il palmo alla
testa rasata
e gettò un sospiro, respirando così pesantemente
che era ben chiaro
il movimento del petto da sotto il motivo lugubre di una dama in nero
sulla t-shirt. In quale casino si erano cacciati a solo un anno di
uscita di Nightmare era ben
chiaro solo a lui. Si era preso le responsabilità di tutto e
anche
Jacob, il loro manager, non era riuscito a mettere il naso in queste
cose. Pensò bene cosa fare e sedendosi al tavolo
udì qualche passo
farsi sempre più vicino.
-Michelle
ha detto che non è riuscita a trovarlo neanche a casa e al
Johnny's.
Sta veramente cominciando a preoccuparmi. - Osservò il
marito col
capo chino verso il legno della tavola con chissà quale
pensiero in
testa, e dopo qualche secondo di indecisione lo chiamò
stranita.
-Ma
mi stai ascoltando? - Lui alzò la testa di sorpresa, come se
non si
fosse ancora reso conto della sua presenza in stanza.
-Eh,
come? Scusami, ero distratto. -
-A
cosa stai pensando?-
-Sciocchezze.
Cosa stavi dicendo piuttosto? - Non ci credette granché
osservando
il suo sguardo sornione, però annuì e con una
pausa riprese a
parlare.
-Michelle
sta contattando Brian al cellulare e ha chiamato anche a casa ma
sembra che non sia ancora tornato. -
-E
quindi? - Lei alzò le spalle alla sua risposta e quasi
temette di
insistere.
-Non
riesce a trovarlo, tu non sai dove potrebbe essere? - Matt si
alzò e
si versò del caffé in una tazza, riponendo il
termos al suo posto.
-No,
ma è un uomo adulto, questa cosa non mi da preoccupazioni. -
-Non
sei sposato con lui. -
-Dì
a Michelle che dovrebbe stare tranquilla, probabilmente ha avuto un
imprevisto.- Tornò a soffiare piano dopo essersi scottato la
lingua
per il liquido troppo caldo.
-Matt..-
-Sapete
com'è fatto, non gli piace che gli si stia troppo addosso.
Appena
può si farà vivo da solo.- Attraversò
la cucina fino all'atrio e
prese le chiavi di casa e del fuoristrada posandole nella tasca della
giacca, poi diede uno sguardo a Valary che l'aveva seguito
silenziosa, palesemente accigliata. Le lanciò un sorriso ma
lei
sapeva bene che non c'era molto da dire proprio in quel momento.
-Dove
vai anche tu? - Matt rise e aprì l'uscio.
-Devo
andare a prendere Johnny, non mi perdonerà mai se arrivo in
ritardo.
-
***
Johnny
non avrebbe mai voluto ammetterlo davanti a nessuno, ma lui odiava
fare tardi. Magari era una cosa da paranoici e pignoli ma
più forte
di lui e del suo spirito c'era il forte cataclisma di pensieri che lo
inondavano di continuo, fino al tremoliccio delle narici che si
alavano senza sosta per minuti finché non veniva distratto
da
qualcosa di altrettando importante. Non c'era niente di bello
nell'ansia di farsi aspettare, e di doversi scusare per l'attesa
causata. Oh, aspetta. Lui era anche dall'altra parte della California
in quel momento!
-Sono
in ritardo.-
-Maledetto
Jonathan Seward, rallenta! - Lacey si strinse nelle spalle e
Jonathan, concentrato, non le diede agio. Quella povera donna si
morse la bocca, afferrò salda la maniglia sulla sua testa e
si
trattenne sussurrando una preghiera a fior di labbra. Quando lo
chiamava con il suo nome al completo non era mai un buon segno.
-Cioè,
ti rendi conto? Due ore di anticipo e adesso quasi perdiamo l'aereo.-
le nocche sbiancarono per la salda presa al volante e con sguardo
fulmineo studiò bene la strada slittando fra le corsie
libere.
-Non
importa, prenderemo il prossimo. -
-No,
voglio tornare a casa adesso. -
-Johnny,
se continui a correre così a casa non ci arriveremo mai! -
la paura
la stava spazientendo ed una pausa fra una parola e l'altra era
d'obbligo.
-Ho
fatto questa strada miglioni di volte, e come se ce l'avessi stampata
in testa.-
-L'unica
cosa che ti troverai stampato in testa sarà il mio tacco se
non mi
dai ascolto! - A distrarla per un attimo fu solo il cellulare di
Johnny, che prese a suonare ammutolendoli, facendo così
perdere lo
sguardo dalla strada anche a quest'ultimo.
-Dove
hai il cellulare?- Esclamò la donna guardandosi intorno e
spostandosi ai lati del sedile. Notò Jonathan muoversi,
guardarsi in
giro e alternare lo sguardo dalla strada alla macchina con
velocità.
-Forse
è qui? -
-Per
Dio, Johnny, tieni gli occhi incollati alla strada! -
-Sì,
sì, ci sono! Sono alla strada, vedi? - Esclamò
gesticolando in modo
agitato anche lui, mentre cominciavano ad alzare la voce per
sovrastare il suono assordante del cellulare.
-Prova
a vedere, è qui nella tasca.-
-Sì,
lo prendo io, sta fermo. - Lacey gli palpò i jeans,
scivolò sui
lati delle tasche con i palmi, si sporse con fatica trattenuta dalla
cintura di sicurezza ancora per provare entrambi i lati, ma nulla.
-Ma
che diavolo? - Pronunciò spazientita per l'impresa non
riuscita.
Johnny scalò di una marcia e la guardò per un
secondo.
-Sei
davvero bellissima, amore mio.- La donna roteò gli occhi
osservando
quella sua faccia da schiaffi e quella sua voce falsamente suadente.
-Smettila
di fare il cretino proprio adesso. - cercò di non far vedere
il
risolino divertito e tirò un sospiro di sollievo quando la
chiamata
si interruppe.
-Va
bene, non c'è problema, vedremo meglio più tardi.
Hai idea di chi
dovrebbe cercarti proprio adesso? - Mormorò con voce pacata,
mentre
la linea continua della strada slittava con una velocità
intensa. La
loro.
-Sicuramente
qualcuno che si starà chiedendo perché di questo
ritardo! - Johnny
era su di giri, così su di giri che risultava estremamente
buffo
lasciando Lacey divertita nel guardalo. Almeno per qualche minuto.
-Johnny
non siamo ancora neanche in ritardo. -
-Presto
lo saremo se non prenderemo quell'areo. Le valigie? -
-Sono
pronte tutte dietro, sistemate e tutto il resto. Non c'è
niente di
cui preoccuparsi.-
-Almeno
una buona notizia. E i biglietti? - La donna dai capelli bruni e
raccolti si fermò un attimo a voce bassa.
-Ops..
- Forse il giovane ebbe un singulto perché palesemente non
parlò.
-Lacey!-
-Sto
scherzando, datti una calmata. E' tutto perfettamente a posto. -
-Non
è per niente il momento, per diamine.- Nell'auto
cominciò ad
avvertirsi una certa calura, mentre il colore metallizzato dell'auto
fioriva luccicante al sole delle prime ore del pomeriggio.
-Sto
quasi per vomitare.. - Lacey si voltò verso il finetrino e
con
appena uno spiraglio aperto il vento le soffiava forte sul viso.
-Che
cosa? Assolutamente non qui! -esclamò l'uomo autoritario,
zittendo a
quella occhiataccia malvagia. -Non
ho
intenzione di ripagare la tappezzeria dell'auto perché tua
madre ci
rifila pranzi impossibili da digerire. Hai voluto anche noleggiare
questa con i sedili in pelle!-
-Non
provare ad incolpare mia madre con il fatto che questo tuo modo di
fare mi sta.. - Lacey zittì e Jonathan sembrò
ringraziare qualcuno
smuovendo la bocca.
-Eccolo
che ricomincia! - Lacey stavolta aprì bene le orecchie e si
guardò
intorno.
-Oh
cavolo.. - esclamò il ragazzo. -Credo di avercelo nella
tasca di
dietro. - Vide l'amata portarsi un palmo sulla guancia a mo' di
rassegnazione, poi continuò.
-Ce
la faccio, mi tiro un po' su e tu lo sfili. - Cominciò
già a
tentare, sforzando i quadricipidi.
-Dio,
non scherzare!-
-Coraggio,
intendo velocemente!-
-Ci
farai ammazzare!-
-Come
la fai tragica.-
-Tu
sei un pazzo suicida! Lascialo squillare! Per me la discussione
finisce qui. - L'autostrada finì in curva poi riprese oltre
il ponte
che si accavallava alla strada. Fortunatamente il tempo sembrava
mantenere ancora, nonostante Sacramento era stata invasa da pioggia
per due giorni di fila. Bel modo di inoltrare questa primavera.
-Ma
davvero? E sentiamo se è qualche chiamata importante? -
-Tipo
cosa? - Il giovane sembrò pensarci senza staccare gli occhi
dalla
strada, ma dedicando appena qualche attimo alla donna seduta accanto
a lui.
-Non
so, tipo tua madre che ti avvisa che hai lasciato qualcosa di
importante.- Il che ci sarebbe sempre potuta essere la
possibilità,
data la fretta e le disattenzioni di quella mattina. Lacey dovette
ammettere che le aveva dato da pensare.
-Ah.
- disse meravigliata. -Nel caso mi accompagneresti a riprenderla?-
-No.
Ma poteva essere un'idea per la prossima volta. - La sentì
sbuffare,
e rassegnata acconsentì. Perché si lasciava
sempre convincere in
certe cose così facilemente? Si arrese anche dal pensarci e
dopo
qualche secondo di pensieri truculenti che vedevano come protagonista
il ragazzo annuì alla cocciutagine sistemandosi meglio sul
sediolino
per vedere come prepararsi al meglio. Quando Johnny si tirò
su
appena dal sediolino inserì la mano nella tasca con quasi un
tremoliccio di insicurezza, ad una velocità rilevante,
incastrata
scomodamente per qualche secondo.
-Tirati
un po' più su.. - gracchiò, ed afferrò
l'oggetto sfilandolo via.
-Finalmente!
Pronto? - Un grossissimo sospiro di sollievo lasciò
interdetto
l'interlocutore dall'altra parte del telefono, che sembrò
chiedere.
-Oh,
cavolo Matt sei tu! Questo vuol dire che non ho dimenticato nulla a
casa di mia madre! - Esclamò ad alta voce osseravando
meschinamente
il guidatore, facendo caso solo dopo alla telefonata ancora in corso.
-Scusami,
non ce l'avevo con te. Stiamo per raggiungere l'aereoporto, meno di
un'ora e arriviamo. Certo ti aspettiamo al Johnny's, è
successo
qualcosa? - Il ragazzo dedicava qualche occhiata alla donna sempre
più spesso, percorrendo l'ultimo tratto di strada che li
divideva
dalla transenna dell'aereoporto di Sacramento.
-Va
bene, tranquillo, è davvero una bella notizia! Ne
parlerò con
Johnny, a dopo. - La chiamata si interruppe con il tonfo dello
sportello, appena qualche metro prima che Johnny tirasse un sospiro
di sollievo fra lo spazio adiacente del parcheggio super affollato.
-Non
ci speravo più. Cosa ha detto Matt? No, aspetta! Prima che
tu dica
niente, gli hai ricordato di non fare tardi vero? - Lacey lo
guardò,
così male che se avrebbe potuto sarebbe rimasto fulminato.
***
-Non
ci posso credere!-
-Eh
già... lo vedi migliorato o peggiorato? - Jillian si
lasciò
scappare un risolino davanti l'entrata del Johnny's.
-Un
po' tutti e due. - Sentì le dita di Brian posarsi con
delicatezza
sulla schiena, invitandola ad anticiparlo ad entrare.
-Vieni,
in compagnia di una bella ragazza magari mi trattano anche meglio del
solito. - Gli scappò un risolino che lei ricambiò
imbarazzata e con
gli occhi bassi, accondiscendendo alla sua proposta.
-Ho
i brividi a tornare qui.. - Brian l'accompagnò ad un posto
riservato
e si accomodarono tranquilli, con le gote così arrossate che
lui
stesso rise a guardarla.
-Non
è cambiato di una virgola, è vero?-
-Sì,
è assolutamente vero! Mi sembra di non essere mancata mai. -
lo
guardò meravigliata, guardandosi intorno come una bambina in
un
negozio di caramelle.
-Ti
va una birra? Siamo abbastanza grandi da poterne ordinare adesso. -
Entrambi scoppiarono a ridere e Jillian non si fermò per
qualche
secondo.
-Dai,
non eravamo mica così piccoli quando sono andata via. -
-No,
è vero, hai ragione, ma abbiamo passato molto più
tempo insieme da
bambini. - Jillian giocherellò con il sottobicchiere
lasciato sui
tavoli e zittì qualche tempo, poi rispose con una voce
malleabile
che Brian avvertì famelico.
-Beh,
abbiamo fatto molte cose da.. grandi però, successivamente.
- Si
morse la bocca e Brian la osservò deglutendo, insistendo a
guardarla
senza smettere e senza riuscirci. Lo sapeva che lei non aveva
dimenticato niente, ma solo accantonato tutta la storia che avevano
vissuto da ragazzi, e questo glielo aveva dimostrato. Erano stati
insieme così poco eppure lui ne era stato così
innamorato che il
mondo aveva appofittato per cadergli addosso a vederla andare via,
così pesantemente che rialzarsi furono come bastonate dritto
sulle
vertebre. Ma era tutto passato. Dio, quanto era passato.
-Sì,
già.. ehm, molte. - Le sue mani l'avevano abbracciata,
toccata, e
adesso non aveva neanche più presente il sapore del suo
corpo, ma
sentiva che se avesse potuto l'avrebbe anche potuto desiderare. E
questa cose lo spaventò.
-Ordiamo
una birra? - Lei annuì e lui si apprestò,
rimandendo in silenzio
qualche altro minuto una volta che si erano sistemati. Il bar non era
ancora molto pieno per l'orario che ancora si aggirava, quindi
potevano stare tranquilli per il casino scampato almeno.
-Avrei
anche un certo languorino. -
-Sì,
anche io. Puoi dirlo che è stato un pranzo orribile tanto. -
Jillian
rise, smorzando così quel briciolo di tensione accumulata,
che rese
le spalle di Brian più leggere.
-No,
non direi, però davvero sono ancora affamata. -
-Detto,
fatto. Possiamo cominciare ad ordinare qualcosa, tanto non ci corre
dietro nessuno. -
***
Matthew
svoltò l'angolo in tutta fretta che le gomme quasi
sgommarono,
stringendo forte nel grande palmo il manico ovale del cambio per
scalare di marcia una volta intravisto l'ultimo distretto antecedente
la via principale. Era meglio precipitarsi ad andare a prendere
Johnny, sicuramente dopo il viaggio sarebbe stato tutto tranne che
accondiscendente e questo fece scoppiare un risolino sulla bocca del
giovane. Il berretto nero in testa gli copriva gli occhi dal sole
ancora alto e con un rimbombo del pedale accostò verso la
sedicesima
con fare risoluto.
-Amico,
salta in macchina! - La cresta scura di Johnny fu non troppo
difficile da individuare, nonostante la sua nota stazza.
-Sono
troppo felice di vederti dopo una settimana passata fra le montagne.
- Scontrarono le nocche delle mani in un saluto e Matthew
tornò ad
immergersi in strada fra le auto con velocità.
-Non
ti vedo per niente meglio di quando sei partito. - Scoppiò a
ridere
con gli occhi incollati alla strada, mentre l'amico si rilassava al
comodo sediolino in pelle del fuoristrada, vacillando con gli occhi
quasi assonnato e rispondendo appena con qualche mugolio.
-Non
sono per niente sorpreso.-
-Dov'è
Lacey? - Sentì chiedere, e solo allora scattò
come una molla.
-Mi
ha piantato in asso. Tu non mi hai lasciato neanche il tempo di
prendere la macchina altrimenti sarei venuto di certo con una faccia
migliore. - Sull'ultimo tratto di strada Matt continuò a
ridere,
continuamente divertito dalla faccia del suo piccolo amico.
-Non
mi hai neanche informato di niente, stavo giusto venendo al Johnny's
come mi hai detto. Ho proprio bisogno di un panino e doppia porzione
di patatine. -
-Ti
prego, cerca di contenerti. Se ti rimpinzi come un porco e provi ad
addormentarti come un bambino, ti lascio un cartello al collo con
scritto "adottatemi". Lacey mi ringrazierà. - Johnny lo
scimmiottò, con la paura che potesse farlo per davvero
però. Al
liceo ne avevano fatte certamente di peggio, non era l'età
adulta
che adesso li avrebbe frenati.
-Siamo
arrivati. - Johnny fece per scendere e Matt lo afferrò per
un
braccio costringendolo a voltarsi.
-Tieniti
forte. -
***
-E
questo non è niente! Abbiamo passato sedici ore in sala
registrazione con due pacchetti di sigarette e qualche lattina di
Monster. Uscimmo da lì come suonati, te
lo assicuro. Infatti
dopo quel secondo album tornare in sala ci sembrava un incubo,
continuare era come un inferno anziché una così
grande opportunità.
- Jillian l'ascoltò con premura, bevendo dal beccuccio della
sua
birra e immaginando nella sua mente tutti i racconti che erano
riusciti a raccogliere in quell'ultima ora. Non credeva a tutto
quello che avevano dovuto passare i ragazzi per raggiungere un
livello tanto alto. Nonostante tutto solo il talento non basta
dopotutto. Era strabiliata, sbalordita, e non si sarebbe stancata di
lasciarlo parlare e continuare ad ascoltarlo. Era esattamente lui,
era esattamente come le era capitato altre centinaia di volte di
ascoltarlo e di rimanere lì immobile ad osservarlo
gesticolare,
sovreccitato come al solito.
-E
adesso siamo qui.. - Molti tratti erano stati tagliati, troncati
apposta. Troppo dolorosi, altri troppo lunghi, altri così
intimi.
Non si potevano raccontare così otto anni, tanto valeva
lasciarsi
tutto alle spalle e tornare a vivere da adesso in poi. Ma Brian non
sapeva se sarebbe più riuscito a fidarsi di nuovo senza
quella paura
che prima o poi sarebbe potuta mancare di nuovo per poi non tornare.
Erano stati fortunati. Sì, Brian si era sentito solo
fortunato di
essere riuscito a riaverla. Mentre lei lo fissava Brian
lanciò
un'occhiata alle sue spalle, verso l'entrata del Johnny's, che da
quel punto era di sicuro il più comodo. Sentì il
viso colorarsi di
un sorriso e di un briciolo fortissimo di emozioni che lo portarono
così indietro nel tempo che tornò a sentirsi un
maledetto
ragazzetto.
-Cosa
stai guardando? - quando lei se ne accorse Matt e Johnny facevano
già
il loro ingresso verso il suo tavolo e se se ne fosse accorta in quel
momento probabilmente avrebbe incominciato a sentire una tensione
così forte da farle scoppiare il petto. Un emozione tale che
magari
le avrebbe tremato la voce. Ed era quello che Brian voleva.
-Tieniti
forte. - Jillian si voltò. Aveva posato distrattamente il
gomito
sullo schienale per appoggiarsi e con le labbra che si schiusero
lentamente per lo stupore rimase in silenzio per un tempo che non
seppe definire, guardandoli avvicinarsi. Li vide fare lo stesso,
però
il loro passo non frenava né rallentava, era svelto, ed era
verso di
lei. Precisamente, vederli divincolarsi fra un piccolo gruppetto di
folla non le diede dubbi, quasi si sentì bruciare forte gli
occhi
dalla contentezza e quello che sapeva era che anche se non era certa
che le gambe l'avrebbe retta, si alzò velocemente per
dimenarsi
anch'essa contro.
Per
queste stesure devo ringraziare l'album Transit of Venus
dei
Three Days Grace e City of Evil, senza
la quale
probabilmente sarei collassata. Devo ammettere che mi sto divertento
alquanto a scrivere prima di qualsiasi altra cosa e farlo
continuamente seguita
dalla musica mi da qualche speranza in più di non perdere
questo
periodo così fertile di ispirazione. Non so se sono ancora
soddisfatta di come sto portando avanti la fan fiction, fatto sta che
sto lavorando per esserlo sicuramente in seguito.
Come
di consueto ringrazio anticipatamente chi recensisce e aggiunge la
storia fra preferite, seguite, ricordate. :)
A
presto, Sux Fans.
|
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Capitolo 6 *** 6. ***
6.
Dentro
era come una voragine fredda e profonda, così profonda che
non aveva
mai toccato una fine con i piedi nonostante tutto. Era come
un'infinita legione di braccia che lo tenevano stretto in un
apocalisse introspettiva, una mente così soggiocata che non
respirava, non pulsava e non comandava più il suo corpo ed i
suoi
pensieri. Gli schiaffi erano così pesanti, gli insulti
così forti;
nelle sue vene il sangue scorreva così veloce che si
spezzavano,
formicolavano, lividivano e tutti gli arti erano sensibili, tanto da
non reggere il peso neanche del suo corpo che a vista d'occhio
diventava più esile e sembrava sbandare. La bocca carnosa si
sgretolava per i morsi, le unghia alle dita affulosate erano quasi
assenti, rendendo autonomo il gesto di nasconderle dentro le tasche
dei jeans. Eppure tutto, tutto quello che bastonava il suo corpo non
bastava a svegliare la sua mente, non bastava a riappacificare la sua
dignità; potè arrivare a credere che ormai era
inutile salvarsi e
sfuggire, liberarsi dalla sete, tornare a perdersi in un turbine di
maledetti pensieri. La sua pelle era ruvida e sgradevole da toccare,
invece quella di lei era così soffice, era bianca e perlata,
profumava di buono, sapeva di dolce. I capelli si interspicavano
così
bene fra le dita, la sua bocca gli faceva godere ogni suono ed il
colore era così acceso, così morbido da invitarlo
a nozze. Perché
non era con lui? Voleva stringerla e tenerla per sè,
ricordarle che
era sua e che mai avrebbe lasciato che qualcuno le facesse del male.
Perché l'amava, e amare è trattenere con tutte le
proprie forze.
***
-Non
stringere, mi fai male. - Jill rise gioiosa, e fra le possenti
braccia di Matt ancora una volta tornò a crogiolarsi
meravigliata.
Il rumore di brindisi e chiacchiericci nella sera si era aizzato
alquanto, ma a nulla serviva distrarli dalla bella compagnia che li
aveva sorpresi e che li aveva portati a ridere e divertirsi per tutto
il tempo, meravigliandoli per la velocità con la quale era
trascorso. Matt si stiracchiò dopo aver lasciato la presa
alla
ragazza e tornò a scoppiare a ridere fra i gesti confusi di
Johnny e
Brian che si spintonavano, fra un rimembrare a strani ricordi e
qualcuno anche e ancora un po' offuscato. Sembravano affiorare a poco
a poco, specchiarsi negli occhi della donna che avevano avanti,
nascere dalla zona più assopita ed intorpidita dei loro
ricordi;
nonostante le ore non sarebbero bastate a colmare tutto il tempo che
ancora avevano da raccontarsi, per questo, scemando appena le risate
dovettero prendersi qualche minuto e riporre tutte le domanda ancora
un po' in quel "cassetto" segreto nella loro mente. Ma ci
sarebbe stato il tempo d'ora in poi, Jill lo aveva certamente
garantito, nonostante la cosa migliore da fare sarebbe stata
sicuramente lasciarle tutte senza nessuna risposta.
-Avevi
mai mangiato così bene nel Connecticut, eh? - Jill ancora
con la
bocca piena masticò velocemente portandosi una mano in viso
per non
ridere delle loro facce e bevendo qualche sorso di birra ad
accompagnare.
-No..
mh, nonostante ci siano molti ristoranti anche italiani, sono tornata
certamente per questo. - parlò costringendosi con qualche
pausa, ma
era certamente più bella esitante e con quel flebile sorriso
di
sollievo a curvarle la bocca. Brian ci fece caso tutta la sera, era
sicuro che riunire tutti bastava a farle quell'effetto, nonostante la
paura stava fottendola da anni. Lui li conosceva bene, ma lei non
sapeva che reazioni aspettarsi e lo aveva preveduto; sapeva
perfettamente come i suoi amici pensavano e agivano, perché
non per
nulla la loro amicizia era tale da renderli quasi tutti una sola
mente pensante. Infatti sarebbe bastato ancora poco per informare
Brian che Matt gli aveva salvato ancora una volta il culo da
Michelle.
-Cerca
di darti una regolata fratello, non puoi comportarti come un
adolescente con ancora i bollori nel culo, apri le orecchie e guarda
bene quello che fai. - Matt lo aveva trascinato da parte con la scusa
di qualche ultima birra e affiancati al bancone piazzò bene
il viso
poco lontano dal suo, serio e con una smorfia accigliata sul viso. La
sua voce era carica ma bassa, tanto a fargli capire che non
scherzava. Lo aveva visto sbandato in queste poche ore, ma era molto
meglio tornare a ricordargli che era una cosa che non poteva
più
permettersi. Brian dal canto suo non riuscì a reggere il
confronto
dei loro sguardi, e senza dire nulla lanciò un'occhiata
verso il
tavolo che ospitava Jill insieme all'amico, che continuava a ridere e
smuoversi come una volta abitava le sue giornate.
-Brian
ti prego, non farmene pentire. - Gli diede una spintonata amichevole
alla testa e prese i primi due boccali pieni per riportarli al
bancone. Eppure Brian attese, guardarlo avvicinarsi a lei la fece
voltare e spiare quel suo sorriso acceso, rumoroso, ed il profilo
sottile e femminile. Quel suo corpo parlava più di mille
parole,
sussurrava qualcosa al suo stesso corpo, lo sentiva quando l'aveva
vicina e dal forte impulso che avvertiva per volerle carezzare
almeno una guancia, eppure anche lei era così recittiva.
Aveva detto
quelle cose per provocarlo? Per fargli capire che anche lei
infondo...
-Ma
che diavolo? - Briann ringhiò a denti stretti passandosi un
palmo
per tutta la faccia come a scacciare via tutte quelle domande
stupide. Seduto ancora al bancone diede un gran sorso alla sua birra,
e armandosi di tutta l'indifferenza del mondo si alzò anche
lui
tornando a dirigersi verso i suoi amici. Tutti e tre i suoi vecchi
amici.
-Non
so come ringraziarvi in ogni caso.. - Sulle gote avvertì un
certo
calore e sperava con tutta se stessa di non essere arrossita come una
stupida, anche se non ne era del tutto sicura dato le colorate risate
che avvertì da parte dei tre.
-A
dire il vero è stato un compleanno davvero insolito, insomma
la
sorpresa l'hai preparata tu per noi oltretutto. - Sentì dire
e
scoppiarono a ridere ancora una volta con gli occhi lucidi per
l'alcool e sazi di cibo. Jillian ammise a se stessa di sentirsi
particolarmente bene, come non lo era davvero da molto tempo ormai.
Aveva fatto una buona scelta in questo nuovo arco maturo di vita che
era inoltrato, come tornare sui suoi passi e lasciarsi trasportare.
Magari doveva andarci ancora salda con i piedi per terra, ma era
sicuramente un buon inizio.
-Adesso
dovrei proprio andare, ho lasciato così tanti casini nel mio
nuovo
"rifugio". - Si alzarono tutti con una certa regolarità e
si diressero verso l'uscita, spiando ormai le strade illuminate dai
fanali delle auto e da i mille lampioni immensi che slittavano lungo
l'asse della strada, dove da lì non sembrava avere mai una
fine. Era
tutto magico, tutto enorme ed illuminava la notte come se non lo
fosse per davvero.
-Ti
diamo un passaggio noi? - Brian irruppe e affiancandosi alla ragazza
rispose all'amico.
-No,
siamo con la mia auto, così non dovrai fare due volte la
strada.-
Jill annuì e gli altri fecero lo stesso.
-Va
bene allora, attento ai cattivoni quando torni da solo. - Brian gli
mollò un pugno molto contenuto verso lo sterno e l'amico
ridendo
fece lo stesso, avendo la meglio con un ultimo schiaffo anticipatogli
alla nuca.
-Andetevene
a cagare, coraggio. - Tutti si concentrarono nel salutare Jill con un
forte abbraccio e con un in bocca al lupo si diressero tutti verso le
rispettive auto riparandosi dal freddo che stava scendendo giusto
nella sera.
-Vuoi
che accenda dell'aria calda? - La voce di Brian era così
soffice che
ella sorrise ma disdì col capo.
-Non
ce ne è bisogno, basterà filare direttamente a
letto e mi passerà
questo tremoliccio. - Annuì e mettendo in moto l'auto
rombò appena
qualche secondo prima di immergersi in strada, desolata un po' per
l'orario tardo. Non parlarono molto durante il tragitto, eppure una
decina di minuti sembravano davvero tantissimi in quel momento,
risultavano davvero pesanti, tanto che Jill deglutì per
contenere la
tensione.
-C'è
qualcosa che non va? -
-Eh?
No, niente che non vada. - Tornò con gli occhi a spiare dal
finestrino, mentre i viali delle strade inalberate dettavano sinistre
immagini lungo le mura dei palazzi, al rumore di fogliame che si
sfiorava al vento e le infondeva nella mente qualche timore a
lasciare il calore dell'auto.
Brian
faceva balzare lo sguardo verso gli specchietti con la coda
dell'occhio con una certa velocità, cercando di non farsi
accorgere
dalla donna. Certo non c'era da temere, era troppo catturata da
qualcosa o da qualche pensiero che la distraeva con altro a quanto
pareva, quindi non sapeva se indagare o continuare ad approfittare
per farsi un'idea propria di quelli che magari erano i suoi pensieri.
-Ti
avevo promesso che non sarebbe stato niente di troppo.. esagerato. -
La giovane annuì e dopo tutto quel tragitto si
voltò finalmente a
guardarlo.
-E'
vero, ti ringrazio. Hai mantenuto la tua promessa. - La vocina era
sottile e impastata, stanca probabilmente per le forti emozioni, le
corse sotto la pioggia, qualche ora passata a suonare e tutto quel
cibo buonissimo del Johnny's. Brian ne fu sorpreso: vivedere le gote
rosee e spruzzate di lentiggini gli infondeva una gran spensieratezza
e calma, una bellezza così innocente che gli mozzava il
fiato.
Vedeva come gli occhietti verdi fossero serrati quasi per
metà, come
assonnati e pesanti, e quasi l'avrebbe pregata di riposare
lì per un
po', per farsi ammirare dolcemente e cullare da qualche carezza.
-Sono
incorreggibile.. Non riesco mai a scacciare il sonno in momenti
simili.- le sentì dire, e sorrisero.
-Puoi
riposare se vuoi. - Brian aveva gli occhi puntati verso la strada
però li sentì. Sentì quelli di lei su
di lui e quasi finì per non
respirare per tutte le domande che gli vorticavano in testa in quel
momento. Domande che non doveva neanche porsi nella situazione in cui
era e che di certo non poteva svincolare come aveva sempre fatto con
il resto dei problemi di quella che era stata tutta la sua vita. Jill
non disse niente, era palesemente chiaro però che anche lei
aveva
qualche parola difficile da pronunciare in presenza di lui. Che
bizzarra situazione. Probabilmente sperare in una fatta apposta non
sarebbe mai risultata più da imbranati di questa.
-Ecco,
abito lì, dopo il vicolo ad angolo.- L'ultimo distretto del
parco
era più vicino del previsto, e appena passata l'aiuola del
cortile
accostò con l'auto silenziosamente rimandendo al buio ed al
silenzio
del vialotto abitato. C'erano molte villette piccole allineate lungo
la stradina, con un piccolo giardinetto o posto auto che si
somigliavano alquanto fra di loro ma davano sicuramente la loro
figura accogliente.
-Allora...
- Cominciò lei, spiando fra i vialotti illuminati da una
luce
fievole esterna, dove si vedeva il volo disconnesso di qualche
insetto fastidioso.
-Allora..
- Ripetè lui, tamburellando con le dita sul volante della
sua auto.
Perché non ammetterlo solo alla propria testa? Entrambi si
sentivano
morire.
-Beh,
eccoci qua. - Mosse appena la testa per scacciare il ciuffo dalla
fronte e lo fronteggiò con un sorrisino imbarazzato
allungandogli
una mano come a salutare un vecchio amico, poi continuò.
-Grazie,
Bri. - le prese la mano fra la sua, grande e ruvida, e la strinse con
delicatezza. Forse non c'erano troppe cose da dire, avrebbero di
sicuro rovinato la forte collisione dei loro occhi, spezzato quella
lieve e concessa vergogna. Parlare troppo alla fine era sbagliato,
era invasivo, e tutto quello che serviva loro era qualche altro breve
silenzio. Era certamente più completo di altri commenti
messi lì
per caso. Brian infatti non rispose, calò il capo appena e
fra i
capelli scomposti e arruffati soffiò un filo di vento
penetrato dal
finestrino semi schiuso. C'era un gran bagliore da avvertire in quei
due grandi occhi marroni, tanto che Jill rimase qualche secondo
impalata a guardarlo, prima di aprire la portiera e cominciare ad
uscire con una gamba al di fuori.
-Aspetta.
- Brian la interruppe e allungandosi verso il cruscotto ne estrasse
un piccolo oggetto di plastica, malandato e abbellito malamente con
un nastrino blu avvolto.
-So
che magari non è un granché presentabile. Lo
avevo detto a Matt di
farsi gli affari suoi ma..-
-E'
perfetto. Davvero magnifico. - Jill lo prese fra le mani e sorrise
fortissimo, scoprendo la perfetta dentatura bianca fra la bocca
sottile.
-Ecco,
lo abbiamo portato per fartelo ascoltare. E'qualche brano che abbiamo
inciso, non ancora ufficializzato certo però..-
-Brian,
smettila di preoccuparti. E' un regalo fantastico, davvero. - Quel
sorriso lo rassicurò, tanto che smise subito di dissuaderla
con
qualche stupida trovata non molto convincente, preferendo di nuovo
che fosse stata lei a zittirlo con quell'espressione rasserenata.
-Meglio,
così potrai anche darci qualche tua opinione. - Jill
annuì ancora
all'uscio della portiera, ritornando a guardare la strana custodia
del cd. Non aveva immagine, solo qualche scritta di una calligrafia
in penna blu indecifrabile.
-Non
so quanto il mio commento da imbranata conti ma, ci proverò.
Oggi mi
hai spiazzato, Haner, devo ammetterlo. - Gli vide fare una smorfia
orgogliosa e gli mollò un buffetto leggero.
-Non
montarti la testa, ci vediamo domani.-
-Sì,
a domani. - la portiera si chiuse in un tonfo e quando
indietreggiò
di qualche passo sentì il finestrino calarsi lentamente e
vederlo
sporsi appena.
-E'
tutta la serata che ho come l'impressione di dimenticare qualcosa,
non riguarda te, vero? - Jill accigliata ci pensò qualche
secondo,
poi disdì col capo come a rassicurarlo che non riguardasse
lei.
Brian portò la bocca ad una smorfia strana ed
alzò le spalle.
-Non
importa, mi verrà in mente spero. Stammi bene. - Entrambi
alzarono
il palmo a mo' di saluto e con il rumore lieve di ciottoli fra gli
pneumatici Brian imboccò il viale, scomparendo solo dopo un
po'
insieme alle luci rosse dei fanali.
Quando
si ritrovò da sola al freddo e con le luci offuscate dei
lampioni
svoltò verso l'ingresso, abbracciandosi le braccia come a
scaldarsi
appena appena. Le luci del cucinino che si affacciavano all'esterno
principale della villa erano ancora tutte accese, il che le dava a
pensare che probabilmente le aveva lasciate dalla mattina. Che palle,
pensò, non riusciva a combinarne una buona. Si
calò ai piedi dello
zerbino cercando le chiavi di casa, quelle con il suo portachiavi
preferito, per potersi finalmente concedere qualche minuto di
tranquillità sul divanetto davanti la tv regalatole dai suoi
qualche
anno prima. Certo era sicura di averle lasciate lì, lo
avrebbe reso
il posto abituale anche nella sua nuova casa. Troppo abituale.
Vide
la porta d'ingresso aprirsi davanti ai suoi occhi lentamente, con
qualche cigolio fastidioso per una porta così pesante,
lasciandola
meravigliata ancora china verso i piedi dell'uscio. Arricciò
le
sopracciglia e cinse le labbra a due fessure in silenzio, scovando la
figura di Mark che si era poggiata a torso nudo contro l'arco e la
fissava silenzioso con gli occhi accerchiati di nero, per la
stanchezza e l'insonnia. Voleva deriderla, questo era certo, ma il
suo viso non era neanche più avvezzo ad espressioni troppo
marcate,
quindi con un debole sorriso di sghembo sembrò salutarla
appena
incrociò i suoi occhi, finalmente. Sentì il
respiro accellerare
quando si alzò in piedi con moderazione e si fece spazio
prepotentemente per entrare, non sentendolo opporsi troppo a quella
spinta marcata che lo scostò dallo stipite. Lo
sentì chiudere la
porta alle loro spalle ed i suoi occhi seguirla fedelmente per ogni
passo nell'atrio che collegava la cucina ad un piccolo angolo con la
tv ed il divano, e mentre si liberava degli occhiali, il cellulare,
il cd. I ripiani non sembravano in disordine a parte per qualche
lattina di birra e le luci dalle altre stanze sembravano ancora tutte
spente.
-Credevo
mi stessi aspettando.- Jill sobbalzò quando lo
sentì pronunciare
qualcosa, poi sembrò ricomporsi appena accorgendosi di
averlo fatto
per nulla. Rimosse nervosamente un paio di braccialetti dai polsi poi
si prese una pausa per rispondergli.
-Non
avevo voglia di rimanere a casa, avevo molte cose da fare. - Sopra le
guance gli notò due scie quasi infuocate, il che significava
che la
notte fuori gli aveva fatto davvero male. Nonché quella
precedente.
Dandosi un'occhiata in giro notò come i cocci in frantumi
del giorno
prima fossero ancora sul pavimento in cotto al centro della stanza,
quindi armata di pazienza cercò di tenersi occupata tornando
a
raccoglierli.
Quando
sentì qualche passo avvicinarsi si voltò appena
prima di sentrirlo
pendere contro di lei e attirarla a sè con una presa stretta
all'arco dei fianchi.
-Mark,
che stai facendo? - mormorò vincolandosi dapprima piano, poi
con un
briciolo di tenacia in più.
-Tipo
cosa? Andare a spassartela con Haner appena il secondo giorno che
porti il culo in questa casa? - Sembrava essersi impegnato solo
sull'affermazione precedente, il che lasciò la donna ancora
interrogativa sulle sue intenzioni.
-Va
a farti una doccia fredda, per favore.- Impartì autoritaria.
-Sei
di nuovo ubriaco, ed il tuo puzzo mi fa schifo.. smettila di
toccarmi. - Si divincolò audacemente e con qualche scossone
lasciò
la presa, lasciandola di nuovo libera verso il centro della cucina.
Era fuggita letteralmente quella stessa mattina, da dimenticarsi
ancora tutto quel disastro in giro.
-Che
cosa ha fatto? Dimmelo. - sibilò, e Jillian ancora dandogli
le
spalle è come se fosse stato solo un bambino un po'
fastidioso,
domandò a sua volta con un po' di rassegnazione.
-Cosa
ha fatto, chi? - una mano si agganciò al suo esile braccio e
a
trascinarla di nuovo in piedi la costrinse a lasciare andare i cocci
per terra, che tintinnarono forte, più forte che mai.
-HANER!
- Le ringhiò in faccia, mostrando gli incisivi e le narici
che
vibravano per la rabbia. Jill serrò la mascella e
dischiudendo la
bocca leggermente flebile per rispondere sentì un
tremoliccio in
gola che non riuscirò a nascondere.
-I..io.
-
-Haner.
- Ripeté lui interrompendola, come se non fosse stato a
sentire e
stesse cercando invece di rimediare alla rabbia di prima. Jillian
chiuse gli occhi forzatamente e la voce atona le uscì come
ad un
soffio dalla bocca.
-Mark,
mi stai facendo male.. - portò la mano su quella che lui
stesso le
stringeva al braccio, incoraggiandolo a lasciarla appena per non
farle più male, ma non riuscì a capire se stava
ascoltando cosa lei
aveva da dirgli.
-Perché
non mi hai aspettato? Stai cominciando ad evitarmi. - La mano si
Jillian era graffiata in qualche parte del palmo e con nervosismo
sembrò portarsela fino al volto per strofinarselo con tutti
quei
movimenti disconnessi, disdendo velocemente col capo.
-No,
ma che dici? Mark, ero venuta a cercarti.. - mentì, tanto
che a
tradirla furono gli occhi bassi e bagnati di lacrime.
-Perché
non sei più sincera con me? Perché hai smesso di
aiutarmi? - Cercò
di pronunciare qualcosa che le uscì invano dalla bocca, a
parte
qualche mugugno inudibile succubbe dei tremolicci delle sue labbra.
La voce di Mark era così tagliente e calma che si insidiava
nella
sua testa e la disarmava della sua forza d'animo, facendola sentire
una bambola incolume fra le sue mani. Intanto lui fece un passo
avanti verso di lei, tanto che la costrinse ad indietreggiare, prima
poco, poi in modo sempre più evidente.
-Fermati,
Mark! -
-C'è
qualcosa che devi dirmi? Tipo che le nostre vite stanno prendendo
strade diverse?-
-Smettila
di stringere! -
-Che
sono di nuovo perso? Irrecuperabile?-
-Ti
prego, ti prego, mi stai facendo male.. - qualche lacrima le
tagliò
in due la faccia, appena avvertì il muro comprimersi contro
le sue
scapole ed il corpo di lui contro le costole.
-Vuoi
dire che hai smesso di interessarti a me? Che preferisci fare altro,
vedere altri? - L'unica cosa che riuscì a fare era negare
forte col
capo, spaventata dalle insidie che gli occhi blu di lui riuscivano a
trasmetterle, facendola annegare in un buio infinito di due pupille
dilatate al massimo.
-Non
stai facendo abbastanza per me. -
-N-non
è vero.. - mormorò fra le lacrime.
-Sì,
Jillian, il tuo corpo è freddo ed io ho.. ho bisogno di
scaldarmi. -
quella presa piano sembrò salire lungo la sua spalla fino
alla
testa, che prese a costringerla a tirare indietro tenendola per i
capelli, in modo leggero ma intimidatorio.
-Mark..
-
-Ssh..
- la zittì lievemente, con quella voce roca e rotta. La
vista di lei
si spostava prepotentemente verso tutti i lineamenti del viso: dalle
guance scavate appena e pallide, punteggiate di lieve barba, agli
occhi lividi, capaci di provocarle qualche brivido non piacevole.
Forse
davvero non stava facendo abbastanza per lui, lo lasciava
abbandonarsi, lo evitava, cercava di viverlo il meno possibile, tanto
che in quegli ultimi anni aveva anche cercato di eliminarlo dalla sua
vita. Eppure lui era sempre tornato e lei non era mai riuscita a
fuggire troppo lontano. Era un tira e molla continuo, un incontro che
li univa sempre con infiniti timori che le accapponavano la pelle, le
formicolavano le braccia. Ma perché, lei lo amava vero? Lui
lasciava
che lei glielo ripetesse sempre e lei ne era innamorata. Ne era
stata, lo era tutt'ora. I capelli corti e bruni accerchiavano il viso
diafano, le iridi chiare erano così evidenti da mozzarle il
fiato.
-M-mi
dispiace.-
-Ti
dispiace? - tornò a chiederle. Lei annuì e
gracchiò appena qualche
sussurrò.
-Sì..
sì.. - sentì la presa allentarsi sempre di
più e liberarle la
testa, mentre con uno sguardo la incitava a continuare. Le dita
affusolate salirono fino la guancia e l'accolsero piano,
carezzandolo, parlando in modo scandito per lasciargli seguire
facilmente le sue parole.
-Io
sono qui per te amore, lo giuro. - il suo labbro fremette e le mani
si allentarono della loro presa, finché non
deglutì rumorosamente e
si poggiò alla parete stendendo il braccio. La sua fronte
aderì a
quella di lei e il fiato le scaldò le labbra, fino a
catturarle dopo
brevi attimi di esitazione. Si strinse morbidamente alle sue prima
che mutasse in un bacio più violento e voglioso, mentre le
sue mani
scavavano sotto la maglietta e salivano lungo la schiena a slacciare
il reggiseno trascinandola in un impetuoso, ardente desiderio.
Jillian mugugnò.
-Sei
mia, non dimenticarlo mai.-
Questo
è il sesto capitolo e non l'avrei mai detto! A questo punto
della
vicenda molte cose sono in procinto di mischiarsi, mi piace dover
pensare a molti dettagli che pian piano si insidieranno nella vostra
mente e ci rifileranno insieme verso la pazzia! Mark è un
personaggio che in realtà mi piace molto, per il semplice
fatto che
ha dei modi davvero da gentiluomo nonostante quello che il lettore
deve arrivare a percepire fra le righe. Caratterizzare un tipo del
genere con un carattere opposto alla sua situazione lo rende
controverso, (l'ho già usato questo termine?) appunto per il
fatto
che odia proporsi in modo violento, piuttosto gioca di psiche e
collabora con la sottiglietta del suo porsi, ai malomodi
intimidatori, per una sua debolezza fisica e mentale. Ma queste sono
cose che non devo dire io: maledetto il mio vizio di commentare! A
proposito dello sproposito, ora che ci penso non l'ho specificato
nelle note d'autore finora ma se vogliamo essere puntigliosi ci tengo
a far presente che il titolo Sober, che
dall'inglese si
traduce rispettivamente "Sobrio" deriva da una traccia
dell'album "Funhouse" (2008) della cantante
statunitense P!nk. Invito tutti ad ascoltarla nel caso manchi al
vostro itinerario musicale. Cosicché pensiate a noi (me +
protagonisti della storia stessa) magari ogni volta che vi capita di
ascoltarla! C:
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Capitolo 7 *** 7. ***
7.
C'era
una strana vibrazione e il bianco asettico di una stanza ovattata. Il
corpo assopito si smuoveva fra le lenzuola silenziosamente,
disturbato dal ronzio spesso e frequente che piano si alternava
sempre più forte e più insistente. Era come
metallo su un pezzo di
legno, o come un martello pneumatico che batteva a discreta distanza,
solo che era persistente, progrediva senza mai riuscire a farsi
individuare. Un leggero scatto delle ciglia ravvivò il viso
fino ad
attendere qualche altro lungo minuto prima di avvertirlo di nuovo;
Brian mugugnò gravemente e alzò appena di qualche
millimetro la
testa pesante dal cuscino, infastidito da almeno un quarto d'ora
dalla vibrazione dello smartphone che si illuminava poco lontano
dalla sua postazione. Sotto le dita avvertiva una certa calura mentre
quelle dell'altro braccio sembrava non avvertirle per niente
nonostante cercasse di smuoverle e questo valeva anche per la gamba
destra. Aveva un certo formicolio al piede e c'era fresco fino a
farlo rabbrividire appena, con il ronzio spietato che fra le pareti
cresceva suo malgrado. Dando una veloce occhiata si accorse che era
ancora vestito, aveva a malapena lasciato gli anfibi sull'uscio e
spostando il ciuffo dagli occhi sbuffò frastornato.
Smuovendosi
appena rimosse dolorosamente il braccio da sotto il peso del busto e
la gamba destra malamente piegata, digrignando la dentatura perfetta
fino al sospiro di sollievo che lo accompagnò.
Schioccò le dita
assopite e si diede qualche altro minuto di assestamento prima di
ripiegarsi di nuovo sul fianco; l'angolo opposto del suo letto era
scoperto ma vuoto; che Michelle avesse dormito con lui era certo, per
il semplice fatto che la sera prima l'aveva raggiunta poco dopo
essersi dileguata senza fiatare quando l'aveva visto rincasare. Non
c'erano stati commenti fra di loro da ieri sera, da quando era
rientrato e l'aveva trovata ad aspettarlo seduta al tavolo della
cucina, in silenzio, con un palmo nell'altro a guardare pensierosa un
punto indefinito; e appena passato l'uscio di casa se ne era andata,
aveva abbandonato la stanza senza fiatare e guardandolo appena,
almeno sollevata dal fatto che fosse tornato. Sperava solo non avesse
fumato o bevuto, e il fatto che lo avesse sentito smuoversi nel letto
quasi tutta la notte le lasciava intendere che ciò non era
accaduto,
non a livelli inaccettabili almeno. Infatti Brian non era riuscito a
dormire, aveva sempre nella testa qualcosa che lo disturbasse e
l'unico modo che aveva usato per esorcizzarle era comprimere la testa
contro il cuscino per ore. Il silenzio della casa era opprimente, gli
dava troppo spazio per pensare e non seppe bene quale sensazione lo
aveva costretto a dileguarsi la sera prima con tanta fretta. Aveva
lasciato Jillian sul pianerottolo di casa e dallo specchietto
retrovisore aveva visto la sua figura allontanarsi e farsi sempre
più
piccina, fino a scomparire. Fu quasi un sospiro di sollievo il suo,
quello che lo accompagnò subito dopo, costretto a trattenere
il
respiro addirittura quando i loro occhi si scontravano. Era quasi un
comportamento da collegiale, uno stupido, insensato atteggiamento da
ragazzino. Guardando la schiena di Michelle che era perfetta nelle
sue curve davanti i suoi occhi, aveva solo sperato di riposare un
po', era quasi l'alba, non voleva soccombere all'insonnia.
Sobbalzò
all'ennesimo richiamo del cellulare, e con un grugnito di sforzo si
alzò dal letto per raggiungerlo.
-Merda..
- Zachary Baker chiamava da ben venti minuti, e la cosa peggiore era
che lo stava facendo insistentemente dalla sera precedente. Brian si
sentì un perfetto idiota, chissà quante altre
cose in mattinata si
sarebbero presentate a ricordargli che ieri era stato completamente
con la testa fra le nuvole tanto da dimenticarsi gli amici. Presto lo
avrebbe chiamato e gli avrebbe spiegato certamente come erano andate
le cose. Ecco quella sensazione di dimenticanza dalla sera
precedente, erano certamente le imprecazioni verso di lui.
Dimenticare il telefono a casa gli aveva causato davvero un sacco di
problemi da qualche ora a questa parte, però sapeva
che almeno lui l'avrebbe perdonato. L'avrebbe fatto per forza. Della
sera precedente aveva organizzato tutto per Jillian, era quello che
voleva rivedere i ragazzi e troppe cose li avevano distratti fino
alla sera. Non poteva prendersela per troppo tempo. Dopotutto lo
conosceva, era fin troppo burlone per portare il muso a lungo,
avrebbe di sicuro lasciato scorrere la cosa appena avrebbe anche lui
rivisto Jillian dopo tanti anni.
Riposò
l'oggetto e si stiracchiò velocemente abbottonandosi i jeans
che
scivolavano appena sui fianchi. Se faceva un po' più di
attenzione
si sarebbe accorto del sole troppo alto e cocente per un orario
così
mattutino, infatti qualcosa andava storto.
La
sveglia si era fermata di nuovo.
Fortunatamente
non c'erano le prove. La sera prima Matt aveva rimandato ad un
fatidico "riprendiamo presto ma non subito" tutto il lavoro
che c'era da completare, ma quale fosse stata la causa del ritardo
non era stata neanche posta per non compromettere l'andamento della
splendida serata. Brian ne era rimasto contento e con un sorrisino a
fior di labbra spense il mozzicone di sigaretta con le dita
schiacciandolo contro la ringhiera del balcone prima di spingerla
verso il vuoto. Non del rimando, che sicuramente avrebbe potuto dare
loro dei problemi, piuttosto per quella giornata che ieri gli aveva
colmato un gran vuoto con la quale conviveva, senza ammetterlo, da
anni. Non c'era niente di bello nel parlarne, infatti tanti anni
assopiti furono possibili grazie al fatto che non ne aveva mai fatta
parola con nessuno, anzi, aveva mandato avanti la sua vita e solo
grazie a questo adesso era riuscito a raggiungere uno scopo
più che
appagante. Di incidenti di percorso ce ne erano stati tanti e quella
più grande vigeva adesso nel suo cuore da appena un paio di
anni, ma
era viva e vivida fino a ricordargli comunque ogni giorno che era
lì.
Questo non aveva interrotto lo scorrere dei progressi: Brian aveva
scritto testi, comprato casa e aveva sposato Michelle. Michelle...
Brian
alzò il capo e la vide. I capelli biondi le arrivavano alle
spalle
appena un po' spettinati ed il viso semplice e senza un velo di
trucco non le impediva di essere bella. Solo quel cipiglio, sottile,
che non voleva dare a vedere ma che era palpabile con lo sguardo lo
stesso, lasciava intendere quanto fosse delusa da lui in quel
momento. Brian non disse niente, rientrò in casa piano e
sempre
piano richiuse la vetrata alle sue spalle come a non voler fare
rumore, come per paura di infastidirla ancora. Si sistemò la
shirt
sgualcita con il palmo della mano per cercare di rimediare a
quell'aspetto trasandato, ma qualcosa gli dava da credere che non
sarebbe stato troppo facile. Infatti smise quasi subito, cercando di
rendersi meno ridicolo possibile se c'era ancora questa
possibilità.
Ora erano lì e Brian si sentì in colpa,
così in colpa che quel suo
sguardo arrogante e da ragazzaccio stralunato si ammorbidì
di fronte
a lei.
-Non
sapevo la sveglia si fosse guastata di nuovo, altrimenti mi sarei
alzato prima.. - Michelle lo guardava sbattendo le lunghe ciglia solo
per impedire che cominciassero a bruciarle gli occhi, mentre il
maglione le sformava il corpo e le copriva per metà anche i
dorsi
delle mani. Sembrava più una ragazzina che una donna
completa in
corpo e spirito.
La
vide annuire e come se non bastasse si allontanò dalla sua
visuale
incamminandosi verso la cucina, probabilmente intenta a trovarsi
qualcosa da fare pur di non restare un minuto di più in sua
presenza. Aveva molte cose da dirgli, questo perché quando
serrava
la bocca era solo per imporsi di darsi un contegno e se non fosse
stata una donna, in quegli anni fra convivenza e fidanzamento avrebbe
anche potuto uscirci qualche rissa per tutte le stronzate che per
anni Brian le aveva ripiegato, e questo non poteva negarlo. Michelle
era la sua donna, da anni, non aveva nulla da invidiare a nessuna:
era bella, intelligente, di buona famiglia. Una donna dolce, sempre
pronta a passare su tutte le volte che le aveva dato da soffrire.
Sì,
cavolo, era così. Brian, sei un vero stronzo.
-C'è
già del caffé? - glielo porse a polso fermo dopo
qualche secondo e
leggermente irrigido dal gesto svelto ringraziò con un
movimento del
capo, accorgendosi che non aveva neanche alzato gli occhi verso di
lui.
-Sei
sveglia da molto? -
-Non
mi hai fatto chiudere occhio. - Brian sorseggiò dalla tazza
poi
sembrò attendere un secondo prima di sbottare.
-Ho
russato forte? - Si voltò a guardarlo ed egli
raggelò, tirò
indietro le spalle per la sorpresa poi si vide sfilare la tazza dalle
mani.
-Hai
continuato a muoverti per tutta la notte. - Tornò a dargli
le spalle
e si rilassò appena, sbilanciandosi per appoggiarsi al bordo
in
marmo della cucina.
-Oh..
- mormorò. -Allora hai dormito vicino a me, lo sapevo.-
-Non
avrei dovuto? - Stava tastando il terreno con molto vantaggio.
-Ecco..
- peccato lo avesse già zittito.
-Ti
prego, è meglio non aprire l'argomento. -
-Che
argomento? - Potè scorgere nelle sue piccole iridi quasi la
minaccia
che volesse incenerirlo, si morse la bocca a contenere la rabbia e si
scostò da lui con fretta, cosa che lui non
assecondò.
-Ti
comporti come un ragazzino di tredici anni! Hai marinato il lavoro
per giocare ai videogame per caso? - Brian si lasciò
sfuggire una
risata, cosa che la irritò anche di più.
-Ma
dai, ho bisogno di una punizione? - Non gli diede peso e si
scompigliò i capelli per la brutta piega che intravedeva dai
vetri
della terrazza.
-Quando
crescerai forse potremmo iniziare a pensare insieme a qualche buon
proposito. - La vide dileguarsi verso il corridoio e la
seguì a
ruota mentre la sua vocina borbottante alimentava una certa tensione.
-Quali
sarebbero per cominciare? -
-Sarebbe
anzitutto smetterla di fare quello che diavolo ti pare, informarmi
dove porti il culo, rispondermi al telefono senza doverti cercare per
mezza California! - Brian avvertì il suono della sua voce
vibrare e
aizzarsi alquanto, mentre incominciava a divaricare le braccia per
fronteggiarlo sfacciatamente. Eppure Matt gli aveva detto di essere
riuscito ad allentare questa situazione. Bel lavoro, davvero.
-E'
stata una stupida dimenticanza. -
-Che
avresti potuto risolvere in un attimo se solo avessi voluto! Che cosa
credi, che stia ad aspettarti perché te lo meriti? O
perché ti sia
dovuto? -
-Vuoi
che ti chieda scusa? - Michelle prese un lungo respiro e si
interruppe per un attimo, portando le braccia basse e all'altezza dei
fianchi.
-Vuoi
chiedermi scusa? - Brian era un povero omino succube dell'orgoglio.
Un trentenne ancora egocentrico come un adolescente, caparbio come un
rugbista, testardo, alle volte fin troppo immaturo.
-Brian,
non posso sopportare una cosa del genere. Mi stai mancando di
rispetto! -
-Ma
ti senti? Sembra di sentir parlare tua sorella, ti sta facendo
completamente il lavaggio del cervello! - Sulla bocca di lei comparve
una smorfia.
-Cosa?
Valary cerca di aiutarmi! -
-Aiutarti?
Ti ha messo per caso in testa che non rispondo al telefono
perché
vado a puttane? -
-Brian,
non parlare così di lei! -
-Rispondimi.-
L'esitazione di lei gli fece scoppiare i nervi, tanto che
diniegò
più volte senza accorgersene.
-Mi
è solo molto vicina. -
-Ti
è vicina a riempirti di stronzate, va bene? Spero che tu
riesca a
capirmi dato che sono anni che si intromette senza rientrare di
persona, ogni volta mi sembra di avere lei di fronte. Non riesce a
tenersi fuori da cose che non la riguardano. - Di nuovo le bianche
pareti asettiche della sua mente gli si ripresentarono davanti quando
chiuse gli occhi esasperato, portandosi i capelli all'indietro
sospirando. Le nocche sbiancarono così tanto per i pugni
stretti fra
le ciocche che digrignò appena.
-Cosa
vuoi farmi credere, coraggio? - Brian gli diede le spalle e
tornò a
percorrere il corridoio cercando di rifuggiarsi in bagno, dove
avrebbe potuto rinvigorirsi con una doccia fredda.
-Hai
intenzione di interrogarmi per informare la gemella cattiva? - quando
l'acqua cominciò a scrosciare si sentì solo quel
suono per un po',
mentre il giovane si teneva occupato a spogliarsi per permettersi di
immergersi il prima possibile.
-No..
ma io voglio sapere perché. - Brian s'interruppe per un
attimo,
giusto il tempo di guardarla e gettare via svogliatamente la t-shirt.
-Vuoi
saperlo? - lei annuì all'uscio e Brian calò gli
occhi corrugando la
fronte per il disappunto che lo colpì. Non ci sarebbe stato
nulla
che avrebbe riparato i cocci che gli sarebbero crollati addosso e per
la sabbia che lo avrebbe inghiottito.
-Jillian
è tornata ad Huntington. - Era difficile esprimere tanto
stupore in
così poco tempo, ma Michelle ci riuscì. La sua
bocca si schiuse ed
istintivamente, in modo grave, deglutì a forza per la gola
secca di
botto.
-Ah..
- esordì. Per quanto avrebbe giurato il contrario Brian lo
sapeva,
di lì a poco sarebbe scoppiata a piangere.
***
-Grazie,
riproverò ancora. - Jillian calò il cordless e
compose il prossimo
numero sulla lista; lista che si susseguiva ormai da ore, e alla
quale sembrava non riuscire mai ad arrivare ad una fine e ad una
conclusione. Entro la settimana avrebbe dovuto trovare almeno un
impiego, di quelli che le permettono di tenersi tranquilla i soldi
per l'abitazione e le spese della sua vecchia renault. Si
massaggiò
le tempie esasperata per la tarda mattinata e per il suo stomaco che
richiamava almeno qualcosa con la quale saziarsi. Si grattò
la testa
e vi rinunciò, inutile cercare di insistere nell'aggiustare
una
gionata già cominciata ostile di suo. Meglio lasciarsi
andare a
qualche coccola calda del caffé bollente riscaldato dal
termos e
qualche biscotto di quelli grandi, con le scaglie di cioccolato
fondente. Jillian fece raschiare i piedi della sedia contro il
pavimento e raggelò per il verso stridulo, mentre la tirava
verso di
sè con poca forza e molta disapprovazione. Aveva dormito
così bene,
doversi alzare era stata una vera tortura. Mark l'aveva stretta
così
forte e abbracciata che il suo cuore aveva smesso di fare rumore e
aveva chiuso gli occhi quasi subito; lo aveva avvertito senza tremori
e senza strane vibrazioni, aveva dormito serenamente. Sobrio.
Avrebbe
preparato qualcosa di buono quella mattina, magari cialde calde con
lo sciroppo d'acero, poi una cheesecake per il pomeriggio, avrebbe
comprato anche qualche toffoletta, cupcake e mousse di cioccolata.
Non si era mai sentita così bene, non così da
molto tempo almeno.
Dovette sedersi quando la sua mente la costrinse a viaggiare, quando
cominciava a spingersi troppo oltre da farle arricciare la bocca per
il disagio. Jillian doveva ammetterlo, a se stessa e a Dio se
necessario, avrebbe molte volte preferito gettare la spugna,
costringersi a mollare, invece l'orgoglio o l'amore come preferiva,
l'avevano incitata a restare. A restare dopo che invece era partita.
Mark era un ragazzo così giovane ed insicuro, facilmente
malleabile,
condizionabile. Non si sorprendeva neanche a distanza di anni che
qualche cattiva compagnia lo avesse plasmato così
facilmente.
Sicuramente erano passati anni dai primi segnali di cambiamento; dai
primi spintoni, le parolacce e le imprecazioni, poi le percussioni, i
graffi e poi i lividi. Piccoli, impecettibili, eppure presenti. Non
troppo difficilmente ne seguirono altri. Probabilmente una o due
volte si era rotta anche il naso, era stata una testata, una testata
così forte che gocciolava a fiotti e lì la paura
fotté così forte
entrambi che anziché andare alla polizia si trascinarono
entrambi in
ambulatorio come in seguito ad un incidente in moto. Dio, che
stronzata. Non l'avevano neanche una moto. Mark le aveva chiesto il
perdono, così ingiallito di fifa che l'odore di ammoniaca
che gli
trapelava dal corpo era insopportabile. E lei sputando sangue aveva
scelto via via la strada per il degrado. Quando cominciò
l'entrata
alle droghe pesanti che Dio ce la scampi, perché se non
fossero
intervenute pattuglie tutte le notti sarebbe rimasta sotto tutte le
botte. La polizia passava per la loro vecchia abitazione del
Cunnecticut quasi una sera sì e l'altra no, sotto richiamo
dei
vicini, che quasi li costrinsero a fuggire come banditi dopo che in
seguito ad un arresto Mark era costretto a firmare in distretto per
la vigilanza tutti i giorni. La prima volta che le videro un livido
sulla faccia le chiesero cosa avesse combinato, e quasi come se fosse
divertente aveva spiegato di essere finita dritta contro la porta; la
seconda volta non aveva visto uno scalino; la terza volta... la terza
volta col ferro da stiro, forse. Quando finì in ospedale per
una
costola rotta invece firmò denuncia contro ignoti, quando
invece
complice era stata la mazza da baseball firmata da Alexander R.
poggiata al muro della loro stanza. Ma perché no? Quasi nove
mesi
dopo Mark venne trascinato per disintossicarsi in un centro
specializzato, lo trattavano quasi come una bestia tanto fosse
aggressivo, il che Jillian sapeva che sotto sotto non le dispiaceva.
Si era sempre creduta una donna troppo forte per aver bisogno di
fuggire da uno come lui, quando solo infine si era accorta che invece
era stata la sua debolezza ad incatenarla per tutta sua giovinezza.
Gli anni che ne passarono furono di miglioria e di vigore; Mark aveva
recuperato anche un po' il lavoro, strimpellava una chitarra, a volte
la guardava negli occhi e le sorrideva. Da allora non più
molto
spesso è successo che la toccasse, aveva sempre contenuto un
po' di
quella rabbia, eppure Jillian provava sempre quel timore che le
impediva di andare fin troppo oltre con lui, che le impediva di
dimostrarsi anche solo in qualche discussione. Troppo difficile
tornare indietro o smettere di vederlo con gli stessi occhi con la
quale lo aveva guardato per anni precedentemente.
I
cocci della sera precedente li aveva alzati la mattina stessa.
Jillian guardò il piatto con il biscotto mordicchiato di
lato che
sbriciolava lo sfondo, lo appiattì contro, ricreò
qualche crepa
insolita schiacciando con le dita e sovrappensiero. Non vi era nulla
quella mattina che non le avrebbe dato sorriso dopo la serata
precedente, a parte per il riavvicinamento al quanto angusto con il
suo uomo, ma per aver rivisto i ragazzi, complici, incredibilmente
diversi eppure così simili ai giovani che albergavano per
tutta la
vita la sua mente. Jillian rise, un sorriso che in una casa
silenziosa rischiarì vistosamente e che sibilò
dolcemente. Le
fossette alle guance si evidenziarono e la dentatura si
allineò
perfettamente, mentre le mani accerchiavano il tepore di una tazza
piena di caffé dolcissimo e latte caldo.
Un
tonfo dall'altra stanza la fece sussultare tanto che
sbiancò, fino a
quando la figura di Mark volteggiò alla porta della stanza e
si
presentò trasandata ma già vestita di tutto punto.
-Hei...
buongiorno.- Mark mugugnò, si passò una mano alla
faccia e con il
filo di barba raspò sul palmo che il rumore quasi si
avvertiva. Si
avvicinò ondeggiante alla penisola della tavola e senza dire
nulla e
senza alcuna remora si appiattì contro spento in viso.
Jillian
rimase immobile e dopo qualche minuto passato a fissarlo si riprese,
liberando lo spazio di fronte a quello che li divideva.
-Ti
preparo delle uova? - prese già ad affaccentarsi, con la
fretta per
accendere i fornelli, strapazzare qualche uovo.
-No,
mangerò fuori e ci starò fuori tutta la giornata.
-
-Perché?
- La donna si interruppe e con le sopracciglia ricurve in una smorfia
di discordia attese. Il giovane però poté solo
ricambiare con le
ciglia ancora attaccate dal sonno e con un'alzata di spalle che tutto
fece tranne che aggradarle.
-Ho
molte cose da fare. - La voce bassa ricacciò un sospiro
quando prese
ad alzarsi e ad allontanarsi per indossare il cappotto.
-Vai
a cercare un lavoro? - Ci sperò congiungendo le mani. Mark
rinvigorì
il ciuffo di capelli passandogli le dita con fretta, poi lo
sentì
infilarsi in tasca le chiavi dell'auto e aprire la porta.
-Posso
prendere la tua auto? - Jillian non rispose, lasciò passare
solo
qualche minuto per convincersi che così sarebbe stato. La
ringraziò
con un cenno quando lei annuì e chiudendo la porta tutto
ciò che
rimase fu silenzio inaudito spezzato dal rumore dell'olio che
schizzava già bollente in padella.
Lo
squillo del cordless ovattato dal ricevitore rivolto verso il basso
la distolse per un attimo dai suoi pensieri, ancora troppo impegnata
a spiare la porta di ingresso piuttosto che ad avvicinarsi per
ricevere la chiamata. La mosse una qualche forza invisibile, la sola
unica speranza che potesse essere qualche offerta di un lavoro.
-Sì?-
-Jillian,
sono io. - Alla voce di Brian prese un respiro poi continuò.
-Come
stai? - Lui annuì ma non c'era molto da indagare sul fatto
che fosse
piuttosto vago.
-Se
non hai nulla da fare vorrei che ci vedessimo. - Un'occhiata
all'orologio indicava un perfetto metà mattinata che Jillian
accolse
con rinnovata spigliatezza.
-Sì,
per me va bene. Dove vuoi che venga? -
-Ho
pensato alla spiaggia. -
Angolo
autore piuttosto povero questa sera, giusto perché il
capitolo non è
stato molto vasto ma più concentrato su due di quelle coppie
più
importanti. Quello che mi interessa lasciare intendere di
più è
sicuramente la struttura dei rapporti: sono una persona troppo
romantica! : ) Non mi piace granché la stesura ma i tempi
ritretti
non mi hanno spremuto al meglio; ce ne rifaremo alla prossima!
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Capitolo 8 *** 8. ***
8.
Nell'amplesso
non c'era niente di stonato, forse il vento un po' forte, ma tenendo
conto dell'estate appena inoltrata non era davvero nessun disturbo.
Forse allora un po' la sabbia che si insediava fra le pieghe del
jeans e della t-shirt, questo sì, sicuramente. Odiava la
sabbia che
si insediava fra le pieghe dei jeans e della t-shirt. Come odiava lo
scabroso andamento di piccoli insettini piroettanti davanti alla
vista. Lo costringevano ad arricciare il naso e girare la testa di
scatto forsennatamente, tanto che ampliare le braccia per scacciarli
via dava da lontano l'impressione che avesse bevuto qualche bicchiere
di troppo. Erano i suoi troppi pensieri a tenerlo impegnato con gli
occhi puntati verso il golfo, sul molo di legno che lungo il
calpestio umido era illumiato dai lampioni già accesi ad
entrambi i
laterali. Si rifletteva un bagliore sviato che piano si appiattiva
lungo il sole, proiettava qualche luccichio che ad osservare meglio
quasi incantava lo sguardo. Poggiando i palmi sul parapetto
increspato di vernice corrosa si destò appena qualche
secondo dopo
che una mano gli si era appiattita alla schiena. Era soffice e
affusolata, si era posata con cautela e con la stessa cautela Brian
si voltò a vederla sorridere. Un sorriso bianco e guance
rosee da
farlo impallidire. L'aveva anticipata di una ventina di minuti,
giusto il tempo per riempirsi i polmoni di salsedine marina e di
aiutarsi in qualche discorso con la quale cominciare; e più
la
guardava sistemarsi sul parapetto più le parole non
assumevano un
giusto potenziale. Con uno sguardo attento notò che i
capelli
rossicci si spargevano anche attorno all'elastico che li teneva
distrattamente, facendone scappare qualcuno che ciondolava sul
profilo come ad incorniciarlo, e nella sua impresa riusciva piuttosto
bene, donandole un'aria inconsapevolmente trasandata. Ma Brian
l'amava. Amava il suo aspetto, il neo piccolo sulla giancia, il naso
all'insù.
-E'
da molto che aspetti? -
-Nah...
e comunque l'attesa sarebbe stata ben ricompensata. - Jillian
arrossì.
-Insomma,
guarda che oceano! - Le lunghe ciglia nere sfiorarono le palpebre per
la sorpresa, si sentì così stupida che rise
lasciandolo interdetto.
-Ho
detto qualcosa di strano? - La giovane disdì con lo sguardo
e
continuò a sorridere.
-Ma
no, nulla. Di cosa volevi parlarmi? - Il moro arricciò la
bocca ed
umettò le labbra lentamente, indicando successivamente con
la punta
dell'indice le scalinate adiacenti al soppalco prima di rispondere.
-Dritta
al dunque eh? Perché non ci sediamo prima? - La precedette e
lungo
il calpestio affollato il tipico rumore che incuriosiva erano i
cigolii sistematici al loro passaggio; le transenne dividevano
semplicemente un altro sbocco, che si collegava alla spiaggia fino
alla riva.
-Cosa
hai lì? -
-Ah,
sono solo due birrette fresche. - scrollò un po' le spalle
poi
sorrise. -Beh, fresche è un azzardo. -
-E'
un bel pensiero. Ti piace pensare sempre a tutto, eh? - Brian si
accomodò sulla sabbia e stavolta, indifferente, lo fece
anche
comodamente.
-Diciamo
che sono una persona pratica. Mi piace avete tutto sotto controllo, e
con questo metodo molte cose vengono da sè. - Jillian non
sapeva
bene a cosa potesse riferirsi, ma quando le sporse la bottiglia
l'afferrò senza indagare.
-Immagino
avrete molto da lavorare in questo periodo. - Il giovane colse la
palla al balzo e annuì inaspettatamente ed in modo
scoordinato,
preso alla sprovvista.
-Sì,
sì cavolo.. non immagini neanche. - il suo corportamente
strano si
prolungò.
-O
almeno speriamo di combinare qualcosa di positivo nei prossimi mesi.-
-Deve
essere impegnativo essere una star. - Quando si staccò dal
beccuccio
della sua birra rise.
-La
parte più difficile è tornare alla vita normale.-
Jillian annuì
giocherellando con l'etichetta.
-Il
tuo nome sui giornali di gossip delle teenagers? -
-Non
credo di essere così interessante! -
-Secondo
me non lo sai neanche. - Brian gracchiò un risolino e
spiò quello
di lei a fior di labbra.
-Eddai,
tipo cosa? Sentiamo.. - Jillian arrossì e con un forsennato
gesticolare sembrava non contenta della richiesta.
-Ma
dai, ci conosciamo da così tanti anni. Chissà che
penserai più di
me. - L'arco delle sopracciglia si curvò verso l'alto in una
smorfia
pensierosa.
-Forse
è meglio che rimanga un segreto allora. -
Accompagnò tutto con una
risata cristallina che riaccheggiò nel loro angolino di
intimità.
-Potrei
ricambiare se vuoi, così scoprirai quanto ti trovi simpatica
in
questo momento. - La nota sarcastica fu marcata da un lieve accenno
di angolo che fece la bocca, costringendo la ragazza a disdire col
capo e allungarsi verso di lui per calare inaspettatamente la visiera
del berretto sul suo viso.
-Sta
zitto Haner, meglio che anche tu mantieni i tuoi segreti! Come se non
fosse già così, vero? - Si morse la bocca poi la
guardò muovendo
le labbra per dire qualcosa. Qualche minuto ma la gola gli si era
seccata in un attimo.
-Sto
scherzando, Brian. - Jillian intervenì interdetta. L'aspetto
improvvisamente diafano l'aveva lasciata interrogativa, ma
quest'ultimo si riprese con uno scossone entusiasta.
-Anche
se volessi mi sfuggirebbe comunque qualcosa. Ne sono certo! Non lo
faccio mica apposta. -
-Non
basterebbero anni per conoscere tutto di una persona, neanche a
viverla tutti i giorni. -
-Io
credevo di conoscerti. - Jillian alzò gli occhi verso di lui
e lo
vide intenzionato a ricambiare languidamente. Quando disdì
lo
sguardo si voltò nuovamente solo al rumore metallico dello
zippo che
si chiudeva davanti al fumo di una Marlboro.
-Anche
io credevo di conoscermi. Non lo sai che ogni lasciata è
persa? Cosa
credi che saresti adesso se non avessi scelto di seguire i ragazzi
fino in fondo? Secondo me anche solo immaginarlo potrebbe
spaventarti. - Brian alzò le spalle.
-Forse
adesso venderei hot dog sulla spiaggia. E avrei tanti figli. - Rise.
-E tu? Cosa pensi che saresti adesso se non fossi mai partita? -
Jillian sorrise calando lo sguardo ad un pugno di sabbia che
scivolava fra le dita, ad una duna perlata e smossa dal vento che
profumava di buono.
-Probabilmente
venderei hot dog. E avrei tanti figli.. - Il fumo non fece in tempo a
scivolare via dalle labbra, finì per condensarsi fra i denti
ed
amplificare il gusto di tabacco sulla lingua. Ma Brian non
l'avvertì,
districò solo la presa al mozzicone e si sporse, si
avvicinò
avvertendo una pesantezza che quasi lo schiacciava al suolo.
-Ci
vuole molta fortuna per fare una scelta ad occhi chiusi Brian, e tu
sei stato più fortunato di me. Hai saputo scegliere meglio.
Eravamo
così giovani.. e forse doveva andare così e
basta, senza troppe
spiegazioni. Non ce ne sono, semplicemente. Come non ce ne sono nello
spiegarci perché non stiamo insieme adesso, subito, come
potremmo, e
perché Jimmy non ci sia più.-
Brian
rimase immobile qualche istante deglutendo a fatica il groppo che gli
si era bloccato in gola, prima di accorgersi che la donna si era
ormai alzata in piedi davanti i suoi occhi, con la figura snella che
si delineava saggiamente ad ogni angolo perfetto del corpo minuto,
ancora come quello di una ragazzina.
La
sua voce era bassa e roca, si confondeva fra i rumori che si
alternavano in una giornata così schiarita, il rombo delle
auto a
ciglio della strada che si ergeva ad una trentina di metri.
Brian
umettò le labbra al lieve accenno di vento che gli
scompigliava i
ciuffi corvini che incorniciavano il collo. A quell'altezza avrebbe
voluto carezzare quelle gambe e posarle un bacio lieve preso dalla
foga, ma si trattenne. Tutto quello che usciva dalla sua bocca erano
stilettate avvelenate in pieno petto; probabilmente ancora non
aspettava in piena faccia quello che era stato il riassunto di una
vita passata a sperare in silenzio.
Quando
si alzò anche lui le gambe gli tremarono un po', ma si
assestò allo
scontrarsi con il suo viso, faccia a faccia, con la fessura della
bocca sottile da respirare appena.
-Pensavo
che non avreste continuato a dire il vero. - Se non fosse stato per
tutto quello che li circondava sarebbero rimasti nel silenzio
più
assoluto per almeno qualche minuto. Brian non sapeva bene come
intervenire, spiando il suo viso come meglio poteva.
-Jimmy
non avrebbe mai voluto.-
-Come
potresti saperne tu di cosa avrebbe voluto?- Quando le iridi
tornarono a collisionare si massaggiò la barba, con
l'intenzione di
smorzare l'argomento scrollando di dosso qualche granello di sabbia
insidiato. Ma sembrò precederlo.
-Scusami.
Di certo sentenziare su questo argomento non fa per me. Di sicuro
nessuno lo conosceva meglio di te. - Cercò di
tranquillizzarla con
qualche balbettio. Jillian era agitata e lo si capiva da come
martirizzava la cartaccia fra le mani con insistenza, l'attorcigliava
fra le dita, la strappa e allo stesso tempo cercò di
dispendere lo
sguardo altrove.
-Ti
sembrerà strano ma mi ci sono voluti questi due anni per
smettere di
darmi la colpa per tutto quello che è successo, non mi
sorprende che
tu la pensi così. - La voce si appiattì e
afferrò quella mano
irrequieta confortandola con la sua, tanto che Jillian si
fermò e
annuendo diede un colpo di tosse per rifocillarsi. Quando
cominciarono a muoversi lungo la riva mancarono almeno una decina di
metri per il calpestio in granito che li indirizzò lungo il
parapetto sul molo, per poter di nuovo spostarsi sulla tettoia alta
sul mare. Questi avrebbe calmato loro un po' i pensieri e li avrebbe
riportati al motivo per la quale Brian aveva avuto bisogno di vederla
proprio quella stessa mattina.
Quasi
stette per sospirare pesantemente per la riuscita; affrontare un tale
argomento avrebbe messo in agitazione anche lui se solo avessero
continuato. Lo sapeva troppo bene che la distanza di anni non aveva
ammorbidito ancora qualche piaga sanguinante dei suoi ricordi, ed
è
per questo che specchiati gli occhi nocciola in quelli di lei le
sorrise ed intascando le mani ne estrasse il suo solito pacchetto di
Marlboro. Ne estrasse una, la infilò fra le labbra e
parandosi col
palmo dal vento l'accese col suo cerino.
-Credo
che per un po' non potremmo vederci, il lavoro è molto e non
so che
disponibilità potrei avere nei prossimi giorni.-
-Certo,
lo capisco. -
-Ma
appena ci sarà anche solo un po' di tempo libero non me lo
lascerò
sfuggire. - Jillian rise guardando la sua espressione ansiosa e
continuamente in cerca di conferme. Lei annuì per
tranquillizzarlo.
-Tranquillo
Brian, posso immaginare quanto tu abbia da fare. Ci vedremo quando
sarai libero dai tuoi impegni. - Una nube di fumo si addensò
davanti
al suo viso, mentre si portava una mano a slittare fra i capelli.
-No,
tu non capisci. - La sua voce era bassa e roca, passò
qualche
secondo prima di riprendersi.
-Non
cercarmi, mi farò vivo appena potrò. - Si
ammutolì e continuò ad
ascoltare cosa lui avesse da dire. Era tutto molto strano, Jillian
poté palpare il suo disagio nell'aria, ma a cosa avrebbe
valso
fargli domande? Forse aveva paura di Mark? Possibile che l'avesse
minacciato di non vederla più? Non trovò
l'opzione troppo
insensata. Sospirò e Brian alzò gli occhi verso
di lei.
-Spero
che qualsiasi cosa un giorno potrai parlarmene. - Annuì
ritmicamente
e dopo un ultimo sorso lasciò tintinnare le bottiglie vuote
nell'apposita busta.
-Anche
io sarò occupata, mi serve trovare un lavoro il prima
possibile e mi
converrebbe non farmi prendere da troppe distrazioni, almeno in
questo periodo. - Rise cercando di confortarlo, ma Brian era provato,
e il disappunto arcato delle sopracciglia ci mise ancora un po' per
scomparire.
-Sì,
hai ragione, e appena sarà tutto risolto penseremo a
qualcosa da
fare insieme. - Quando la donna calò il capo
scrollò di dosso un
po' di granelli e gli tese aiuto per aiutarlo a fare lo stesso,
sorridendo.
-Non
devo aspettarmi che fuggirai, vero? - Il giovane gracchiò
una risata
e le scortò una ciocca di capelli fin dietro un orecchio. Ma
a
quella domanda rispose con il capo, negando.
-Non
aspettartelo mai. - Probabilmente quando fece pressione sugli
avambracci anche questi ultimi assunsero la consistenza come di
gelatina, così che quando lei si avvicinò a
toccare la sua bocca
ebbe un fremito per tutto il corpo. Tanto forte che
l'avvertì anche
lei, prima che un pugno si stringesse dietro la nuca e fra i suoi
capelli a rendere più decisa la sua voglia di baciarla. Fra
le
palpebre ci fu una vibrazione involontaria, le iridi verdi
affondarono al buio qualche secondo dopo che l'amaro del suo sapore
l'avvalesse, le giovasse ai battiti del cuore. Ma Jillian si
avvelenava della sua stessa mente; si appiativa al suo viso e lo
cercava con tutta la forza che aveva contro il suo corpo, ma nulla,
nulla, le avrebbe concesso di stare con lui. Si era destinata a
cercarlo fra dei ricordi che l'alcool le aveva sbiadito ma c'erano
ben altre braccia a tenerla lontana. A tenerla stretta altrove. La
punta della sua lingua umettò per l'ultima volta quelle di
lui, poi
si allontanò piano guardandolo in volto. Brian rimase rigido
a
cercare quella linfa, con la sua mano ancora aggrappata al collo
sottile intersecato tra i fili bronzei dei capelli.
-N-non..
-
-Cosa?
- Jillian prese un respiro e si morse la bocca.
-Non
posso. - Brian cercò il suo sguardo ma non ci
riuscì, annuì e
consapevole le carezzò la testa e la tirò a se
sul petto, poggiando
il mento sul suo capo costretto a guardare il cielo.
-Lo
so.. Lo so.-
Quando
si allontanarono si diedero le spalle all'ultimo incrocio. Brian la
osservò percorrere il tratto opposto al suo camminando di
spalle,
per non perdere subito di vista la piccola figura che si confordeva
fra le persone del corso. C'era un sole alto, folla fitta, il chiasso
di città. Huntington Beach era viva e calorosa, guizzava
estate da
ogni angolo delle strade, l'odore di cialde e hot dog, le rotelle dei
rolley fra i ciottoli. Eppure quello che di più vuoto poteva
provare
adesso lo stava sentendo e doveva fare tutto per una giusta causa.
Michelle senza saperlo gli aveva aperto gli occhi; le aveva pianto
fra le braccia senza orgoglio e gli aveva pregato di giurarle che si
sbagliava e che mai avrebbe compromesso così il loro
matrimonio.
Brian l'aveva giurato. Lui stesso era convinto che nulla stesse
corrompendo la sua mente, lui era semplicemente sorpreso, emozionato,
si era lasciato travolgere dalla voglia di rivedere tutte le persone
che per anni hanno segnato la sua giovinezza finalmente insieme come
una volta. Cosa alla quale non aveva più sperato. Anche i
ragazzi
della band erano stati vivi ed entusiasti, erano semplicemente tutti
ancora una volta felici di ritrovarsi.
Però
lo aveva giurato e dì lì in poi avrebbe ben
dovuto evitare
spiacevoli situazioni. Michelle doveva essere felice. Jillian doveva
tornare alla sua vita. E lui... lui avrebbe voluto tanto prendere a
testate il muro.
***
Era
stata troppo dura tirarsi indietro. Combattere un potere di connubio
così perfetto che sembrava però arrivare a
bruciare poco prima di
redersi conto di quello che realmente era successo. Jillian lo aveva
baciato. Stava ancora concludendo la frase eppure si era sporta
così
gravemente che la bocca era inevitabile ed il contatto irreversibile.
Aveva ancora le labbra schiuse, le parole in gola eppure aveva
ceduto; rischiare un soffocamento dovuto alla paura pur di non
rinunciare. E la sua testa sostenuta dalla potente stretta del palmo
era stata la dichiarazione più profonda che avesse mai
avvertito; le
aveva sconquassato le viscere, alterato i valori, tanto che le guance
e la bocca erano quasi combustibile.
***
-Sei
sicuro di farcela per tornare a casa? - Zack si sporse allo sportello
e lo guardò dritto negli occhi lucidi; di tutta risposta
l'amico
accennò un sorriso e gli diede uno spintone mentre era
accomodato
nel suo fuoristrada.
-Stai
scherzando? Meglio di così.. -
-C'è
solo il manicomio. Vedi di non correre, non dovrei dirtelo a
trent'anni suonanti ma non si sa mai che beccare cancelli non ce
l'abbia per vizio. - Quando il moro fece per dargli le spalle e
allontanarsi Brian lo chiamò.
-Hei
amico, grazie. - Zachary storse la bocca alzando gli occhi e un palmo
della mano.
-Sapevo
saresti venuto a farti perdonare. Martedì organizziamo
qualcosa,
così mi sarà più facile tornare a
fidarmi della tua testa vuota. -
Sfuggì ad entrambi un risolino e rimasero un attimo a
contemplare la
strada buia e silenziosa.
-Sarà
meglio che vada, Michelle, cazzo, mi ucciderà. - L'amico
alzò le
spalle e lo salutò con un cenno del capo.
-Gena
l'ha sentita piuttosto esuberante, però dato che queste
donne sono
del tutto incomprensibili ti consiglio di rientrare quatto. E
soprattutto, non contraddire mai un suo richiamo. -
-Mi
sembra di essere ritornato bambino. - Mostrò la dentatura
perfetta
in un sorriso.
-Nessuno
ci aveva mai avvisato. Il mio vecchio aveva proprio ragione. -
Quando
cominciò a percorrere la strada principale di Long Beach
tornò a
vorticare in fasci di luci e fanali, larghi e stretti, bianchi e
opachi come nebbia. Lungo la via c'era solo il suono pacato della
radio accesa, e della sigaretta fra le dita che annebbiava
sofficemente l'abitacolo fino a scomparire alla soglia del finestrino
completamente aperto. Eppure i suoi pensieri erano ben più
confusi e
scuri. Quasi gli ricreavano un blocco in gola impossibile da
ignorare. Deglutiva così, a fatica, fantasticava con la
mente, con
il tocco della mani che avrebbero voluto stringersi a quel corpo, e
che in quel momento stringevano solo sempre più forte la
presa al
volante dell'auto. Tutto era tranquillo; il flusso delle auto lungo
la via scemava man mano il viale privato di casa sua si avvicinava.
L'andamento era lento e tardivo, Brian non era nella pelle di
ricevere un'altra umiliazione o un'altra delle strigliate che stavano
perseguitando quei giorni, e neppure la birretta fresca insieme al
suo amico l'aveva distratto per un attimo dal suo rietro.
Il
cancello automatico del garage si ribaltava lentamente fino al
completo scorrimento, emettendo un tonfo metallico ed uno stridio
acuto abbastanza solito. Lungo i lampioni impiantati fra il prato
vigilava la sua figura alta e ombrosa, vestita di scuro dai piedi
alla punta dei capelli, col semplice rumore di scarpe che calpestava
il prato umido fino al granito del primo gradino all'abitazione. Si
strofinò un attimo gli occhi poi inserì la chiave
alla serratura
girando con qualche mandata di troppo.
-Sono
a casa. - Lanciò via le chiavi con non-curanza all'entrata
principale, scrollò le spalle, si grattò la nuca
poi entrò
nell'atrio della cucina con le scarpe ancora sporche di terriccio
umido sul pavimento imperlato. La cappa della cucina rimaneva accesa
per una flebile illuminazione ed il pacato silenzio gli diede quasi
l'impressione di essere solo, tanto che cominciò a dare
lunghe
occhiate da una parte all'altra della casa, solo che alla fine la
sentì piuttosto vicina.
-Hei..
- la bionda testa scompigliata sbucò all'altezza dello
schienale del
divano nel primo angolo della cucina di fronte la tv, con la voce
ancora un po' impastata di sonno ed una t shirt leggera decisamente
più larga per quelle forme quasi spigolose.
-C-cosa
ci fai lì? - Brian fece un passo in avanti e si
sfilò il berretto,
scompigliando un po' i capelli con un gesto.
-Credo
di essermi addormentata. Ti stavo aspettando.. - Brian alzò
i palmi
cominciando a trovare qualche buon modo di scusarsi.
-Sì,
hai ragione, ho fatto tardi anche stavolta, io..-
-Hei,
hei, basta... va bene. Non c'è bisogno che mi dica niente. -
Brian
deglutì e quando la vide alzarsi fulminea fece d'istinto un
passo
indietro.
-Davvero?
N-on.. - Michelle sorrise stancamente e si avvicinò con
passo
felpato a piedi nudi contro di lui.
-Che
c'è signor Haner, il gatto ti ha mangiato la lingua? -
posò le mani
sul suo petto e Brian avvertì un brivido. Il respiro si
scontrò
contro il collo e l'avvertì alzarsi sulle punte per
stampargli un
bacio.
-Cosa
stai facendo? - La sua bocca fremette al contatto con quella rosea e
Michelle ridacchiò.
-Sto
solo baciando mio marito al suo ritorno a casa.. - gli aveva appena
leccato le labbra e Brian cominciò a roteare gli occhi un
po'
spaesato, senza sapere come muoversi o cosa fare. Si sentiva un
fottutissimo verginello che non aveva mai avuto una donna
così
vicino. Ma lei era lì, la SUA donna.
-Rilassati..
- Brian annuì, si lasciò carezzare il profilo poi
l'avvertì
scivolare la punta delle dita sotto l'angolo sfatto della sua
t-shirt, con una calma incredibile e continuando a baciarlo con
delicatezza.
-Sai
una cosa Brian? Ho sbagliato. Come potrei non fidarmi di te? Tu non
metteresti mai in pericolo il nostro matrimonio.. è
così? - La
mente annebbiata da un bicchiere di troppo di birra gli fece
vorticare gli occhi; Brian annuì piano poi pregò
che quelle mani
continuassero a toccarlo.
-Non
faresti mai nulla di tutte le stronzate che mi hanno detto finora,
non comprometteresti mai il nostro rapporto. Io lo so, amore. - Brian
avvertì quel profumo fresco di muschio del bagnoschiuma
sulla sua
pelle bianca. Ebbe l'impulso di baciarla e lo fece, scoprendole una
spalla con foga.
-Ti
prometto che avrò più fiducia, mi
concetrerò solo su quelle che
sono le tue parole. Sono quelle che contano. -Brian la
zittì, un
bacio che le rubò il fiato e le scaldò il sangue
nelle vene, tanto
da rendere la forza nelle gambe quasi nulla. Aveva quasi la testa
rinchiusa in un pallone, sopravvaleva solo quel po' di
sobrietà
sufficiente a renderlo cosciente e l'eccitazione che piano lo
divorava. Il sapore delle loro lingue si mischiò fra tabacco
ed il
freddo di una granita a menta, con i loro corpi che si spintonavano
per cercarsi sempre di più ed allontanarsi insieme verso
l'angolo
più buio della stanza, dove la lieve luce della cappa della
cucina
stentava ad arrivare. Gli sfilò la maglia con
velocità per evitare
di stare separati ancora per troppo tempo. I palmi vorticavano lungo
le spalle larghe e si aggrappavano tenacemente alla nuca, fremevano,
spingevano e graffiavano i lembi di pelle tatuati quasi per ogni
centimetro delle braccia. La chioma di capelli lunghi ondeggiava
lungo le spalle poi, con un colpo di reni, scivolò sui
soffici
cuscini del divano dettando un gridolino. Le guance rosee dalla foga
erano calde e bambinesche, Brian si calò su di lei con tutto
il
corpo fino a gravarle completamente, con i loro respiri sincronizzati
che quasi faticavano ad uscire dalle rispettive bocche, gracchiando e
annaspando qualche singulto involontario.
-Toglila..
- Michelle arcò la schiena e tenne su le braccia mentre le
sfilava
la maglia, tornando a stamparle un bacio che a poco a poco sarebbe
diventato di nuovo fuoco ardente.
-Sei
bellissima... bellissima... - Una parola nacque tra un respiro e
l'altro, si prolungò nei loro abbracci, giacque in lievi
sussurri
sconnessi dopo che ebbe affondato i denti pacatemente sulla pelle
delle sue spalle morbide e profumate. Niente avrebbe voluto
interrompere la sera, con una luna invidiosa e un dolce silenzio
notturno che accoglieva nell'aria estiva solo i loro gemiti, la lieve
atmosfera, l'unione dei loro corpi, un'incredibile e angusto ritrovo
delle loro anime. Brian le accarezzò una guancia, era quasi
impercettile con la paura di farle male, fino a che guaì,
con un
lamento misto a sorpresa.
-Mi
sei mancato. - Unì la fronte alla sua e chiuse gli occhi,
tanto che
Brian al contatto riuscì a scrutare le palpebre chiuse con
un velo
di rammarico e quelle sue dita che si chiudevano a riccio fra i suoi
capelli neri.
Via
esami, sessioni estive, lavoro asfissiante, shopping sfrenato inizio
saldi e chi più ne ha più ne metta! Il capitolo
arriva con molte
settimane di ritardo, quasi si è perso il filo, ma ammetto
che la
mia capacità di scrivere si era ridotta alla grandezza di
una noce;
questo significa che compilare una frase che non finisse nel banale
è
stato piuttosto difficile! Ci è voluta calma e coraggio,
molto
tempo, ventilatore al massimo, capelli raccolti e compilation di
musica sempre in moto. Vabe, smetto di annoiarvi con fandonierie
varie! x) Ringrazio chi legge la fan fiction, inserita fra ricordate,
seguite, preferite, avrà voglia di recensirla, di maledirla,
qualsiasi cosa il lettore supremo voglia. Una buonanotte a tutti! :)
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Capitolo 9 *** 09 ***
09.
Il
fresco del locale aveva impedito almeno la misera figura di grondare
come un tappetto lavato e steso al sole, tesa come un fuscello appena
piegata sul dondolio di una seduta instabile. Il ticchettio di un
orologio da muro risuonava nella sala di attesa quasi con la stessa
velocità con la quale sbattevano le sue palpebre, incredule
del
lungo tempo trascorso quella mattina fuori casa. Aveva distribuito
curriculum completi e perfettamente ricontrollati a più di
una
compagnia di giornali, studi televisivi, reporter, fotografi e per
ultimo ad alcuni vecchi conoscenti che avrebbero potuto aiutarla a
reinserirsi nella società di un'affollatissima Huntigton
Beach. Le
strade brulicavano di turisti da mesi, il suo splendore era rinsavito
di nuova energia e la litorale era la zona più trafficata
che avesse
mai visto negli ultimi dieci anni. Le mancava addirittura il fiato,
nelle sue strade ci avrebbe lasciato le penne un giorno di questi
oppure sarebbe rimasta inghiottita dalla folla inferocita che
ingombrava le strade facendola scomparire nel nulla fra uno spintone
e l'altro. Ad un ultimo sospiro catturò in sè
tutta la buona
volontà, e all'ennesimo ticchettio si accorse che il rumore
frequente non erano altro che i tacchetti bassi delle scarpe della
segretaria dello studio di registrazione che le porse una nuova busta
di congedo con un flebile sorriso ed una stilettata in petto.
-Grazie
per l'appuntamento, le faremo sapere. - Sperò di scomprarire
fra il
grande vetro specchiato delle lenti che mascheravano maestosamente le
occhiaia, e meno di un minuto dopo era già in strada,
esausta e con
una buona dose di groppi in gola che le bloccavano il respiro. Lo
stivaletto basso in cuoio balenò lungo le strade con passo
spedito;
rifugiarsi in casa era l'unica prospettiva che vedeva possibile in
quelle ultime ore di forsennate corse. Forse Jillian non lo sapeva o
non voleva immaginarlo minimamente come avrebbe compromesso un altro
mese senza lavoro, senza soldi e senza neanche viveri indispensabili.
Al diavolo la tv via cavo, la birra e i piccoli lussi, qui si
trattava di non poter acquistare neanche il pranzo completo per la
giornata. E cosa avrebbe fatto? Chiesto un altro prestito ai suoi
come il mese scorso? Neanche morta. Non se ne era andata di casa per
campare anche da lontano sulle spalle dei suoi vecchi.
Aveva
probabilmente messo a soqquadro la casa in poche ore; Jillian
inorridì e si sporse lungo il disordine, scavò
fra le montagne di
abiti e di oggetti incrastrati a più angoli della casa
trattenendo
il fiato fino a scoppiare. La lampadina da muro ancora nuda di
qualsiasi lampadario da abbellimento ebbe un sussulto e per un
secondo rimase al buio con le iridi sbarrate lungo l'altro lato della
stanza ancora in cerca. Erano spariti. Erano spariti tutti! I
risparmi del mese che aveva trattenuto in previsione dell'affitto
erano stati sottratti e per di più tutta la stanza era un
disastro,
sicuramente più del resto della casa che mostrava solo
qualche
spostamento volontario. Le sue mani scivolarono fra la chioma con
disperata forza, portandoli indietro come una richiesta di aria e di
oppressione che le stava scavando il petto tenacemente, tanto che
crollò al pavimento come senza forze e senza voce per
gridare.
L'aveva
derubata, ancora una volta. Era stata così accecata dalle
faccende e
dalla richiesta di Brian di vedersi che non si era ancora resa conto
che anche LUI mancava da tutta la mattina. Aveva usato quei soldi per
fare cosa? Jillian alzò lo sguardo all'orologio da parete
che stava
lì ad indicare le 10 pm in un ticchettio monotono che
riempiva il
vuoto drastico della stanza e delle pareti della sua testa. Avrebbe
voluto stendersi a terra e piangere, piangere, piangere
finché non
si sarebbe dissolta nel nulla. Ma neanche una lacrima le
uscì.
Jillian
sentì la spigolosità del tappeto premerle la
faccia, con le labbra
schiuse in una curva acida e gli angoli lucidi degli occhi che si
impiantarono in un punto qualsiasi del pavimento senza distinsioni.
Il telefono della casa stava probabilmente suonando da qualche
minuto, era continuo l'eco che partiva dalla bocca del corridoio e
solo quando udì alzò gli occhi, ad ascoltare la
segreteria.
-Altri
tre messaggi registrati in segreteria.-
Aveva
atteso lì fino a sera inoltrata, in quella posizione le si
erano
addirittura indolenzite le gambe, quasi non le sentiva, aveva come
l'impressione che non avrebbero retto il peso del suo corpo. Ora di
certo no, più che per il suo corpo spento, per la sua
mancata
voglia di non voler muovere neanche un muscolo, preferendo ancora un
attimo di quel silenzio al rumore che avrebbe seguito. Le tendine
basse richiamavano solo spettrali fasci di luce argentea, i fanali
delle auto sfrecciavano da una parete all'altra fulminei, ruzzolavano
lungo le curve del corpo, morivano dalla parte opposta alla finestra
poi di nuovo nulla. Un sospiro si fece spazio fra la bocca, un
battito di ciglia ravvivò l'occhio verde smeraldo poi si
avvertì un
leggero tremolio. Tese una mano contro la parete e con il palmo ben
impiantato al muro si alzò aiutandosi fino ad abbandonarsi
contro
sfinita. Aveva una leggera esitazione ad allontanarsi, giusto il
tempo che ci volle per riuscire a tornare al completo arbitrio del
proprio corpo.
L'attenzione
venne catturata dalla radio che si avvicinava a gran voce balzando
nel silenzio della notte, fino all'entrata del vialetto, poi il
rumore degli pneumatici che viaggiavano in un angolo di lato alla
casa colmo di ciottoli. Jillian avvertì i passi sul granito,
la
suola delle scarpe che crepitava sugli scalini, una breve pausa, una
sbandatina, poi il tintinnio delle chiavi fuori la porta d'ingresso.
Jillian sembrava aver aspettato fior fior di minuti in quei pochi
gesti, eppure era solo un secondo e la porta si aprì, la
luce del
faretto esterno balenò nella stanza buia e si
accerchiò proprio
davanti la sua figura dritta nel bel mezzo della stanza.
Avvertì un
breve sussultare sul viso di Mark, preso alla sprovvista,
suggestionato dal suo sguardo immobile e profondo. Lanciò
via il
mazzo di chiavi ascoltando il cozzare con il portagioie sul tavolo,
poi si sfilò la giacca, si aiutò grazie al denti
e gettando via
anche quella alzò di nuovo lo sguardo ad assicurarsi che
stesse
smettendo di fissarlo.
-Che
te ne stai a fare lì a fissarmi? - La cerchia limpida degli
occhi lo
seguiva con calma feroce, tanto che dalla bocca sembrava tremare in
modo inconfondibile. Era come se la mente stesse proiettando quella
immagine, non era del tutto sicura di non stare sognando. Mark si
avvicinò all'angolo del frigo e si sentì lo
stappo della lattina di
birra. La stanza era così silenziosa che il deglutire si
sentiva
ampiamente, così come il colpo di tosse che lo
colpì con violenza.
Si asciugò la bocca poi con il suo aspetto malandato
cominciava ad
avvicinarsi vorticosamente verso di lei, cercando di ignorala per
quanto potesse, per quanto fosse possibile ignorare tanto veleno
presente in quelle iridi.
-Smetti
di fare la bella statuina. - Quando le fu così vicino da
parargli la
strada sentì il suo tocco sulla spalla mentre con uno
spintone cercò
di passare; era adesso certa della sua presenza, non era frutto della
sua immaginazione, era lì nella sua rivoltante presenza a
prendersi
gioco di lei dopo una notte passata fuori chissà dove,
sempre in
condizione più pietose e ributtanti. La donna venne smossa
con
noncuranza e deglutendo avvertì vorticare nella sua testa la
grande
e incontrollabile voglia di gridare, ma tutto quello che
riuscì a
fare era continuare a puntare i suoi occhi su di lui, mentre entrava
in stanza e cominciava a spogliarsi. Sul suo collo longilieo si
gonfiò una vena di rabbia, i suoi pugni si strinsero
così tanto che
le nocche sbiancarono. Non seppe bene quanto tempo stette
lì, a
ringhiare, a cercare di rendere nitida la vista.
-D-dove
.. - Mark tese le orecchie al suono della sua voce roca, si
voltò
con un espressione quasi derisoria corrucciando le sopracciglia.
-Dove,
cosa? - chiese con la sicurezza di un ubriacone.
-..d-dove
s-ei stato? - la dentatura si sporse mentre il braccio si
drizzò ad
indicare la porta, allontanandosi appena dal muro con una banale
spinta. Mark si guardò intorno, mollò lo sguardo
sul disordine,
osservò meglio quel viso spaesato e rosso in viso, la voce
tremante
di rabbia, il passo che si avvicinava con una imprecisa frequenza.
-Vai
a farti una dormita e..-
-Una
dormita? UNA DORMITA? - il passo si spedì verso di lui e si
avvinghiò con tutta la forza del suo corpo al colletto della
camicia.
-DOVE
CAZZO SEI STATO, FIGLIO DI PUTTANA? Io voglio sapere dove cazzo sono
i miei fottuti soldi! - lo strattonò così forte
che perse un attimo
di stabilità, Jillian lo trattenne a sè, i corpi
cozzarono e si
avvinghiarono in un gesto tutt'altro che armonioso. La sponda del
letto ostacolò la coscia e pur di tenersi in piedi Mark
indietreggiò
di lato, scontrando le scapole al muro agguantando successimante le
mani di lei strette al collo.
-Ma
che cazzo fai? - esclamò con voce rotta, mentre cercava di
liberarsi
della presa.
-Ti
sei bevuta in cervello, cazzo! - Le ci volle un grande sforzo per
tenerlo fermo ancora qualche secondo prima di soccombere.
-IO
TI AMMAZZO STRON..- Con un gesto secco la costrinse a cedere la presa
e l'afferrò per il bacino spintonandola.
-Sta
ferma, maledetta! - Il ringhio della sua voce fu così
sottile mentre
le sfiorava le orecchie, tanto che gemette dal dolore stretta nella
presa delle sue braccia contro il corpo.
-Lasciami!
- Fu accontentata spingendola contro la parete opposta,
inciampò sul
disordine poi si voltò di scatto.
-Ne
vuoi ancora? - La derise. Fu così svelta che gli fu contro
in un
attimo. Mark perse il controllo: l'alcool ancora gli vorticava nello
stomaco e la testa perse di lucidità. La donna gli fu
addosso, gli
diede una serie di pugni in faccia più forte che
potè, così forte
che le nocche cominciarono a dolorarle col forte impatto degli zigomi
spigolosi. Un rivolo di sangue scivolò da una fessura
sottilissima
della bocca, prima di accorgersi che le forti braccia l'avevano
afferrata e adesso stavano tornando a spingerla per liberarsi.
Jillian cercò di fare contropressione ma la forza era troppa
ed il
suo corpo ancora debole. Mark l'afferrò per i capelli,
l'istinto di
farlo smettere fu forte che si portò le mani alla testa
dandogli la
possibilità di soprastarla e capovolgere le posizioni.
-Vuoi
provare anche tu, eh? - Urla forte. Un pugno enorme si chiuse davanti
i suoi occhi sbarrati prendendo la carica.
-Cazzo,
io ti frantumo il cranio con questo. Hai idea di quello che potrei
fare alla tua splendida faccia? - quando le sorrise i denti assunsero
un colore cinabro, Jillian strinse la mascella e si
divincolò più
che poté calciando contro la sua schiena.
-Hai
voglia di giocare alla lotta? - Le rifilò uno schiaffo in
viso che
la voce le tremò.
-VAFFANCULO!
- batté contro il petto quasi scoperto dai bottoni saltati
della
camicia, che strinse per spingerlo via più che
poté.
-Ti
do un vantaggio allora.. - si tirò via e lei poté
svincolare, si
portò una mano alla faccia poi si voltò per
tenerlo d'occhio con
quei suoi occhi pazzi.
-Vuoi
venire qui? -
-Dammi
i miei soldi! -
-Non
li ho i tuoi soldi. -
-Sì,
che li hai cazzo! Voglio quei fottuti soldi! - Mark si posò
il palmo
della mano alla fronte come a cercare di far passare un gran mal di
testa.
-Smettila
di gridare, principessa. - Jillian sentì una forte stretta
in petto
e le lacrime scenderle lungo le curve delle guance.
-Va
all'inferno! - Fece degli altri passi e gli corse contro, i pugni
chiusi lo colpirono lungo tutto il petto, lo costrinsero ad
indietreggiare, gli fecero perdere l'equilibro e la presa contro il
muro. Gli era salito in groppa e aveva preso quasi a strangolarlo;
aveva la testa così annebbiata di rabbia che non sentiva
dolore e
non sentiva pentimento. In quel momento al solo pensare al fatto che
non aveva di che vivere le bastava e le avanzava. Quasi rideva mentre
si dimenava contro di lui, eppure lei stava scaricando contro tutta
la sua rabbia. Come faceva a non essere abbastanza? Non sarebbe
arrivata da nessuna parte così. Eppure lui si
chinò appena per il
dolore, un colpo forte al costato, adesso ringhiava per l'impatto
contro il viso. La spintonò con forza gettandosi contro il
muro
facendola cozzare violentemente e pur di non rovinarsi a terra
afferrò institivamente la lampada da comodino, che si
sradicò.
Stavolta aveva subito un forte colpo alla testa, si stava
massaggiando prima di rimettersi in piedi, ma Jillian non
riuscì
subito.
-Vieni
qua..-
-TIENITI
LONTANO. - Prese a minacciarlo armeggiando l'oggetto, ma
l'afferrò e
con determinazione la tenne in piedi rispetto al suo sguardo.
-Stai
facendo un gioco troppo pericoloso.-
-Lasciami
andare Mark, vattene da quella porta e non tornare più. - le
aveva
stretto forte gli angoli della bocca, tanto che parlare le risultava
difficile. Lui la guardava affascinato, con quei suoi grandi occhi di
ghiacchio. La stavano squadrando, e la sua voce era così
sottile e
profonda da farla rabbrividire, prima che scaraventasse un pugno al
muro con violenza. Jillian si ritirò terrorizzata, colta
alla
sprovvista.
-PER
PERMETTERE A QUEL SUDICIO DI HANER DI APPROFITTARE DI TE? Ma pensi
davvero che io abbia gli occhi al posto del culo? Quel gran pezzo di
merda si sta riprendendo gioco di te come ha fatto anni fa. -
-Questo
non è un problema tuo. - l'afferrò per il bavero
e con una spinta
la ribattè alla parete.
-Devi
stargli lontano! - Jillian gemette e si accasciò fra le
braccia. -Se
ti ci vedo insieme vi investo con l'auto, giuro che vi ammazzo
entrambi se avete tutta questa voglia di fottervi. Ma non
finché ci
sarò io! Mi hai sentito bene, eh? Hai sentito piccola Jill?
-
Jillian annuì, le palpebre molli succubi di vibrazioni a
causa delle
ripercussioni, la bocca aveva perso qualche rivolo di sangue che
adesso aveva coaugulato in un nero profondo; non c'era più
nulla da
fare, non avrebbe recuperato i soldi sufficienti per ripagare i suoi
debiti e senza un lavoro non avrebbe potuto sperare di farlo in
futuro.
Chiuse
gli occhi mentre vedeva la figura di Mark continuare a dimenarsi
contro di lei, ma non sentiva più nulla, solo una gran
sensazione di
gelo, una vista annebbiata che si sforzava di non perdere.
Cercò di
fargli mollare la presa con qualche lamento, ma quella al suo collo
era così forte che le fece mancare in respiro.
A
distanza di mesi ho riproposto un nuovo capitolo, ma nonostante abbia
bene in mente l'andazzo della storia ho avuto diverso filo da torcere
nella stesura .. spero di ripartire con regolarità e che sia
stata
una buona lettura! :)
Oggi
vi invito all'ascolto di "Buried Alive".
|
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Capitolo 10 *** 10. ***
10.
-Va
bene, la ringrazio comunque.- si portò nuovamente il
ghiaccio alla
faccia e posò la cornetta; altra striscia nera sugli annunci
editoriali, poi con un sol sorso mandò giù
l'aspirina. Erano almeno
tre giorni che non le passava l'emicrania e per quanto non volesse,
non aveva altra scelta che andare da un medico. L'altra notte era
rimasta svenuta per ore, era rinvenuta appoggiata per metà
sul letto
con un gran mal di testa e un forte bisogno di respirare a pieni
polmoni. Si era portata una mano alla gola istintivamente,
probabilmente ora non si sarebbe trovata lì se Mark non si
fosse
accorto da solo che stava per ammazzarla. Sentì un lungo
brivido
percorrerle la schiena: per poco non arrivava a lasciarci le penne.
Il suo aspetto, sta di fatto, che era orribile: quando l'altra
mattina si era affacciata per recuperare oggetti dalla cantinola e
trascinarli fuori, la sua vicina l'aveva squadrata per un tempo
indefinito fino a rientrare di tutta fretta pur di evitare il suo
sguardo. Certo, vedere una donna con grandi ematomi in giro per il
corpo può significare solo accollarsi dei guai, come poterle
dare
torto? La polizia per casa era l'ultimo problema alla quale avrebbe
potuto pensare in quel momento. Al suo risveglio tutti gli abiti e
gli effetti personali di Mark li aveva sigillati fuori casa sua: al
minimo passo fuori dal pianerottolo lo avrebbe fatto arrestare seduta
stante e.. Sobbalzò all'improvviso allo squillo del
cellulare, che
accorse a rispondere al seguito di carta e penna per appuntare.
-Pronto,
sono Jillian A. Gordon.-
-Jillian..
- La voce di Brian era stata così roca e sottile che le
impedirono
di parlare, si portò una mano alla bocca come ad accorgersi
che non
riusciva a pronunciare parole. -Sono giorni che cerco di contattarti,
che diavolo ti è successo? - la donna rabbrividì
colta alla
sprovvista. Nella sua mente probabilmente era come se passassero
minuti inesorabilmente lenti, che le portavano un gran vuoto e la
facevano vorticare in quel buio incerto; eppure appena aveva sentito
la sua voce prese a staccare la chiamata, rimanendo fredda al centro
della stanza cercando di capire cosa stesse succedendo.
Battè le
palpebre freneticamente per riprendere lucidità, e prima che
potesse
ripetersi di nuovo la possibilità di ascoltare la sua voce,
estrasse
la scheda dal telefonino precipitandosi verso il lavandino. Quando lo
gettò nel tritarifiuti sentì un breve crepitio
che cercò di
prolungare pur di assicurarsi che nulla di quel collegamento fra lei
e lui esistesse ancora.
-Esci
fuori. ESCI FUORI DALLA MIA VITA ANCHE TU! - Seguirono lacrime che le
bagnarono il bel viso, cosparso di lentiggini che a lui piacevano
tanto, di quei grandi occhi verdi e violacei gonfi di una tristezza
che faceva più male degli schiaffi e degli spintoni. I
lunghi
capelli rossi e lui che aveva sempre desiderato poter odorare e
tenere stretti fra le dita mentre la baciava. Jillian lo sapeva, lo
aveva sempre saputo. Lui glielo aveva sempre detto che l'aveva amata,
che mai avrebbe voluto separarsi da lei. Eppure era successo, volere
suo, sapeva che era stata la causa di tutto il male che si era fatta.
Adesso era tornata forse per accertarsi che lui non l'avesse
aspettata? Probabilmente tutti la odiavano, ecco perché in
quelle
settimane ancora nessuna consorte dei suoi amici aveva fatto in modo
di incontrarla. I ragazzi erano felici, questo lo sapeva.. ma cosa
aveva portato loro? Minacce e ripercussioni da parte di Mark se non
fosse stata attenta. Dovevano scomparire tutti, di nuovo, andare via,
cambiare aria, cambiare modo di vivere e dimenticare tutto.
Dimenticare. Si asciugò la faccia e dovette correre verso le
finestre che affacciavano alla strada, buttò giù
le persiane e
spense le luci frettolosamente, socchiuse le ante di vetro e si
accucciò contro il muro che ascoltava i suoni dell'esterno,
così da
fare in modo che nessuno sapesse che lei fosse lì.
***
-Maledizione!
- Brian attirò l'attenzione di tutti con il suo malumore,
cosa che
Matt cercò di spegnere per non innerscare una reazione a
catena fra
i ragazzi che stavano ancora accordando gli strumenti per la
registrazione del nuovo pezzo.
-Problemi
di linea? - chiese come se nulla fosse, poi con un movimento del capo
indicò l'uscita interna della sala. -Vieni, andiamo a fumare
una
sigaretta. - afferrò l'amico per un braccio e sotto l'occhio
distratto dei ragazzi che provavano i loro pezzi si dileguarono oltre
la sala.
-Che
succede? - Comincio a chiedere Matt; Brian disdì col capo e
si
accese una Marlboro divincolandosi dalla presa.
-Nulla,
perché? - mentre il cognato vagava oltre con lo sguardo, lui
cercò
di poggiarsi alla parete per investigare più comodamente.
-Sai
com'è, c'è una certa tensione in sala, come se
avessi un problema.
Davvero non vuoi parlarne? - Brian continuò a tacere come un
ragazzino colto in flagrante e rimproverato, qualcosa gli diceva che
aveva a che vedere con Michelle e che questo lo metteva in qualche
modo a disagio a parlarne con lui. Il suo migliore amico.
-Hei..
- una presa stretta alla spalla lo costrinse e guardarlo negli occhi.
-E' un problema anche mio finché non me ne parli. - Brian si
lasciò
sfuggire una nube di fumo dalle labbra sottili e ricambiò il
gesto.
-Non
credo funzioni così, amico mio. -
-Puoi
sempre scegliere di non tenertelo tutto per te comunque. -
-Il
fatto che il ritmo dei pezzi provati centinaia di volte continui ad
essere fuori tempo ti sembra abbastanza? - sbuffò irritato,
guardando altrove, ovunque potesse arrivare lo sguardo.
-Dobbiamo
solo esercitarci ancora. - L'amico disdì.
-Non
basta esercitarsi, non abbiamo più quindici anni, senza
seguire una
batteria non arriveremo da nessuna parte.-
-Brian,
cazzo, non farmi credere che sia questo il tuo problema. -
-Oh,
merda, ti sembra davvero poco? Ci stai perdendo la testa dietro
questo album. Sapevo che non era una buona idea. - mormorò
fra sé e
sé, ma l'amico l'udì scontento.
-Che
cazzo vuoi insinuare? -
-Che
Portnoy deve portare qui il culo. Non avresti dovuto pubblicizzare
l'anteprima senza un batterista che stia inchiodato qui. - Brian
scrutò bene l'espressione del leader, che divenne nervosa e
scostante.
-Vedrai
che ci aiuterà, è. impegnato con la sua di band
al momento. E non
ho ancora nessuna intenzione di sostituire Jimbo definitivamente. -
si prese un secondo di tempo. -Non ci riesco...-
-Non
è una cosa che devi fare da solo. - calò del
silenzio sottratto
solo dal rumore delle labbra che soffiavano via il fumo.
-Tutti
si chiedono cosa sta succedendo al buon, vecchio Gates. - Brian
rimase colpito e continuò dopo qualche secondo di pausa, con
un
sorrisino di sghembo che non passò inosservato.
-Il
buon, vecchio Gates non esiste senza Brian. Questa giornata
è
cominciata male: mi serve una mattina libera per risolvere alcune
cose. -
-Brian,
abbiamo altre prove da fare, non possiamo interromperci tutti. Vedrai
che riusciremo a farcela.. - Brian diede un altro paio di boccate
alla sua sigaretta.
-Solo
stavolta. - fece per rientrare per andarsene ma Matthew lo trattenne
con un'espressione che voleva essere tutto fuorché
concessiva.
-Brian
ti prego, dimmi in che guaio ti stai cacciando? Se vuoi comincio io:
Michelle è completamente distrutta a casa mia. Dice che non
ci sei
quasi mai, che sei assente quelle volte che ti incrocia, e
addirittura tuo padre venne a darti del rincoglionito per colpa della
negligenza su gli interessi familiari. Non possiamo coprirti in
eterno, ci metteresti solo nei casini. Hai voglia di metterci nei
casini? -
-Dai,
seriamente? Sono un uomo di trent'anni che non ha bisogno della
balia. Dì a tutti di stare più che tranquilli, so
cavarmela da
solo. -
-Non
ti preoccupi delle persone che ti amano? Sono tutti su di giri per
te. Dicci piuttosto a cosa dobbiamo prepararci. -
-Prepararvi?
-Brian rise e spalancò le iridi adirato. -A cosa devi
preparare tua
moglie quando verrà a farti il terzo grado, forse! Come
potrà
ancora riempire la testa della sua povera sorella che non sa come
guardare da sola al proprio matrimonio, non è
così? Lo sapevo che
era questo quello alla quale volevi arrivare! Ci sei riuscito,
complimenti! - Matt stette per ribattere ma si prese un secondo di
pausa per calmare i nervi, scuotendo comunque un dito davanti la
faccia dell'amico in tono fuorché amichevole.
-Non
parlare così di Valary, non è l'unica a capire
che il ritorno di
Jillian ti abbia dato alla testa. E' da lei che devi andare non
è
vero? Se non ci fosse nulla da nascondere lo diresti anziché
giocare
al fuggiasco.- la voce dell'amico si fece così alta che
Vengeance
chiamò dall'altra stanza, ma entrambi lo tranquillizzarono
finché
poterono. Ad un certo punto lo sguardo di Brian si oscurò e
calando
gli occhi si mostrò sprezzante, con una voce grave soffiata
fra i
denti stretti.
-Sta
tranquillo. Jillian non ne vuole sapere nulla di me, poteva
continuare a vivere tranquillamente la sua vita altrove invece
è
tornata per ricordarmi che tra noi non ci sarà mai
più quello
che... - si interruppe. -Davvero Matt, stai creando un problema che
non esiste.-
-E
cosa sarebbe successo se invece fosse stato il contrario? -Brian
dovette ascoltarlo ed interrompersi, con la grande colpa di
costringersi a dargli ragione senza poterselo permettere. Matt lo
guardò rammaricato, con la stupida colpa di aver imputato al
banco
dei colpevoli il suo vecchio amico. Vide il petto di Brian
infervorarsi contro di lui, mentre con un dito puntato gli
picchiettava sulla felpa. Il suo viso era rabbuiato, con gli occhi
alti che si muovevano tempestivamente da un lato all'altro del viso
per vederlo ben impresso: aveva colto nel segno ed entrambi si erano
scrutati meticolosamente.
-Devi
essere sincero con me! Se non vuoi farlo neanche con te stesso allora
sbotta! Dimmi che cazzo vuoi fare? - Brian si prese qualche secondo,
con la sigaretta che pendeva bruciando fra le labbra, mentre le mani
attraversavano disperatamente la chioma corvina fino a trascinarli
indietro per liberarsi un attimo e permettersi respiro.
-Sincero.
Come lo sei stato tu con la band vero? - Quel suo sguardo da bravo
ragazzo era tornato a vigilare sul suo viso cancellando l'angheria di
prima, eppure ora sembrava incoraggiato a comportarsi in modo
completamente opposto da come era partito.
-Che
vuoi dire? -
-Che
Portnoy è decollato, no? Siamo senza un fottuto batterista e
ci stai
facendo provare solo con la scusa che tornerà a soccorrerci
come se
fossimo solo un gruppetto da cabaret! Cosa facciamo nel frattempo?
Stiamo provando nella speranza che qualcuno ci bussi alla porta come
mandato dal cielo! Ti prego Jimbo, qualcuno di tua preferenza! -
esclamò esasperato, portando gli occhi al cielo e
divaricando le
braccia come a sfidarlo.
-Brian
che cazzo stai dicendo? - Matt sbottò e gli diede uno
spintone che
lo costrinse a ritornare dritto, con la sigaretta che
scivolò via
morendo sull'asfalto. Si portò appena indietro e con la
spinta delle
spalle pressò per rimanere in equilibrio una volta ver
urtato
violentemente contro la parete.
-Sapevamo
che prima o poi questo giorno sarebbe arrivato: o troviamo qualcuno o
chiudiamo la serranda! Vuoi credere a qualche segnale mistico adesso?
Lo sai che gli Avenged Sevenfold stanno naufragando, forse è
arrivato il momento di mollare Matthew. Fattene una fottuta ragione
prima di portarci ad affondare insieme ai tuoi sogni!- Matt chiuse
gli occhi e si portò una mano al viso stringendo un pugno
che voleva
dirigere verso quella faccia, mentre una presa si trascinò
al
braccio di Brian e lo costrinse a voltarsi.
-Che
diavolo sta succedendo qui fuori, maledizione? - Brian
scrutò gli
occhi azzurri di Zack che cercavano seri una risposta, e si
voltò
subito dopo contro il vocalist, che cominciò a disdire col
capo non
credendo alla piega che stava assumendo la discussione.
-Coraggio,
spiegaglielo cosa sta succedendo. Avanti, Matt! Spiega che cazzo sta
succedendo! -
-Gli
Avenged Sevenfold non sono solo il mio sogno. Hai qualche problema
con la band? Se vuoi gettare la spugna sei un trentenne libero di
prendersi le sue responsabilità, lo hai detto tu no? Lascia
la band
se non riesci a controllare la tensione!- la linea del collo si
articolò di vene pulsando per la tensione; calò
un profondo
silenzio che costrinse tutti a fissarsi finché Brian
tornò a
sbottare. Quasi volevano dimenarsi l'uno contro l'altro, e la
collisione non sarebbe stata una buona piega per nessuno di loro.
-Ho
bisogno di prendere aria. - Nonostante il tono freddo Matthew rimase
impietrito dal suo comportamento, e con un cenno del capo
acconsentì
al fatto che il loro chitarrista si sarebbe preso qualche altra pausa
da chissà quale commissione. Brian non disse nulla e si
dileguò; di
lui seguirono solo le ruote dell'auto sgommare gravemente per uscire
dal vialetto principale.
***
Slittando
con gli occhi dalla strada al telefonino in modo veloce prese a
ricomporre il numero per poi portarselo all'orecchio. Il fatto che
poco dopo lo scaraventò sul sediolino posteriore non
prometteva
nulla di buono. Brian si sentì in colpa di averla
allontanata per
colpa delle stupite paranoie di cui si era presa carico Michelle. Li
aveva allontanati, forse non voleva farglielo sapere ma lei non aveva
apprezzato la cosa. Eppure l'unica cosa a cui Brian poteva pensare in
quel momento fu quel bacio che si scambiarono in spiaggia, ed era
quello a cui aveva continuato a pensare a lungo. Era quello che aveva
fermato lo scorrere quotidiano della sua vita e lo stava facendo
scorrere di nuovo al contrario, all'intreccio perfetto delle loro
vite che si ricongiungevano. Adesso, del perché, seppur
d'amico,
dovesse rinunciare a lei, non riusciva a capirlo. Acconsentiva al
fatto di potrela semplicemente rivedere nelle serate fuori casa con
gli amici, al chioschetto, al bar, allo stage dei loro concerti.
Fuori il parco per una sigaretta, a ridere con i ragazzi, che cosa
metteva tutti contro di lui? E contro di lei?
Lanciò
un'occhiata sospetta allo specchietto retrovisore e
incanalarò la
dose di velocità, slittando lungo la via principale per
vedere forte
la pioggia cominciare ad infrangersi al parabrezza, prima piano poi
più forte, più forte fino a confordergli la
mente, fino a svuotarla
del tutto.
Le
ruote dell'auto s'impiantarono all'asfalto con violenza, sotto un
aglomerato di fango e ciottoli che infestò gli anfibi appena
scese
dall'abitacolo. Il cielo s'era fatto scuro nonostante l'orario e un
violento squarcio mosse quel tetro nero che vigilava sulle loro
teste, mentre Brian si allungava verso il vialetto della casa
bussando al citofono fuori impostato. Le finestre sembravano serrate,
non vi erano luci, eppure l'auto sostava nel lato di fianco il
sempreverde. Spostò il viso giusto per osservare gli angoli
del
giardino, afferrò tenacemente nei pugni il ferro del
cancello
d'entrata e lo scosse con forza.
-Jillian!
- chiamò, con la pioggia che gli scivolava sulla faccia e
gli
penetrava fra le labbra. Si strinse nella giacca di pelle, zuppa
d'acqua e prese a premere facendo pressione.
-Lo
so che ci sei, Jillian! Cazzo, parliamone! - si guardò
intorno come
a vedere quanto spazio ci fosse tra lui e la strada del viale.
-Non
ho paura di nessuno, si faccia avanti chiunque! Chiunque voglia
mettersi contro di noi! Avanti, Jillian! Lo so che pensi lo stesso!
Dimmelo, cazzo! - sfilò la giacca abbandonandola ai lati del
marciapiede e saltò contro la ringhiera. Con la forza delle
braccia
si tirò su, fino ad attraversarla atterrando molleggiando
sulle
ginocchia con un'espressione di puro sforzo. Si portò fuori
la porta
d'ingresso con fretta, recuperò un attimo di respiro, con la
t-shirt
che aderiva come una seconda pelle contro il petto carico di respiri
e sussulti.
-Jillian?
- battè contro la porta con un filo di voce, sapendo e
sperando lo
sentisse.
-Ti
prego, sono qui.. ho solo... solo bisogno di parlarti. -
aderì la
fronte contro il freddo dell'ostacolo che si parava fra di loro. I
capelli si incollarono contro il viso contratto da una nota di
rassegnazione, con la bocca che si curvò per l'insofferenza
dei suoi
sforzi andati in fumo, della forza che ci aveva messo per sopportare
fino a quel punto e tutte le volte che aveva lottato contro se
stesso. Per lungo, lungo tempo. Tutto era lì, a dividerli da
una
porta che non voleva saperne di aprirsi, che non voleva saperne di
dargli la possibilità di poterla odorare e toccare e
stringere per
almeno un attimo, e scaldare il suo corpo sormontato dai brividi e
dalla rabbia di aver fallito. Si allungò verso gli angoli
della casa
e si affiancò alle finestre, entrava appena la luce dei
lampi e il
frastuono scoordinato dei tuoni, mentre il silenzio regnava e il buio
si faceva spazio in ogni angolo della casa. Brian potè
notare la
cucina deserta, un lato del divano, forse scorse quella che sembrava
una televisione su un tavolino basso, di quelli da salotto.
La
pioggia cominciò a battergli sempre più forte
sulle spalle,
penetrava lungo la linea della schiena: era così fredda e
spietata
che gli ricordava quanto il suo corpo fosse invece carico di fervore
e pervaso da grande foga.
Tornò
sotto la tettoia dell'ingresso per ripararsi e si lasciò
scivolare a
terra con la schiena che attraversava gli spessi intagli del portone.
Estrasse il cellulare per riprovare a chiamarla, era l'ultima
possibilità che gli era rimasta.
Il
rumore del telefono risuonava in un silenzio che non lasciava spazio
ai pensieri, che racchiudeva al suo interno un mondo ovattato che
lasciava tutto fuori da quella porta. Poteva quasi sentire i suoi
respiri, erano affaticati e violenti, seguiva qualche colpo di tosse,
poi un sospiro. Jillian si accostò con la schiena contro il
freddo
metallo, poi rabbrividendo poggiò anche il proprio orecchio
contro
la superficie, per darsi la possibilità di sentirlo
apparentemente
più vicino. Non poteva, solo Dio sapeva quanto desiderasse
porre
fine alla stupida piega che avevano preso i loro incontri. Avrebbe
voluto lasciare tutti fuori da quella porta e restare con lui, al
caldo, per un'eternità terrena alla quale di suo non
credeva, ma che
avrebbe voluto conoscere insieme a lui. Giunse le mani come in
preghiera, sperando che andasse via, che smettesse di insistere nel
cercarla, nel poterla incontrare, nel sapere dove fosse. Che perdesse
le speranze in lei, che la odiasse se possibile, che la ritenesse la
causa della sua tristezza se necessario. Avrebbe preferito che lui le
dicesse di andarsene, di smetterla di giocare con gli altri, di
lasciarlo in pace. Eppure, eppure... era lì. L'attendeva,
sapeva che
lo stava ascoltando dietro lo spessore di quindici centrimenti di
metallo spesso, che solo lei avrebbe potuto interrompere il freddo
gelo che lo stava investendo in quel momento, e sperava che lo
facesse.
-Un
nuovo messaggio di segreteria. Bip.-
-Che
cosa stai aspettando? Che mi stanchi di rincorrere i fantasmi del
passato? Che impari a crescere? Credi veramente che non ci abbia
neanche provato? Cazzo, Jillian! Pensi che voglia farmi del male
apposta? Che voglia continuare a battere la testa al muro
finché non
me la apro, solo per il gusto di farlo? Sto per perdere tutto, e dopo
aver perso Jim, ho provato le stesse sensazioni che mi avevi lasciato
tu. Mi hanno riaperto una ferita che non so se vorrò tornare
a
cucire. -
Una
lacrima le percosse i lineamenti perfetti delle gote, fino a morire
sulla lingua attraverso le labbra socchiuse.
-Non
posso riuscirci. Forse avevi ragione, non potevamo sapere cosa Jimmy
avrebbe voluto, forse è proprio lui a dirmi di mollare.
Vuole
farmelo capire, ed io invece sto facendo di testa mia, come al
solito. Se fosse qui, mi prenderebbe per pazzo. Mi trascinerebbe
via... ma lui non c'è. Sei tu a decidere.. sta a te. Cosa
devo fare,
Jillian?-
Dovette
lasciar morire un singulto in gola, per non emettere neanche un suono
che avrebbe potuto tradirla. Doveva rimanere un tutt'uno con il
freddo silenzio che vigilava, essere il nulla, sopprimere la grande
forza di urlare e battere i pugni a terra.
-Già.
Forse anche tu ti chiedi perché dovresti scegliere per me..
del
perché io abbia paura di farlo di mio. Scegliere
è sempre stato uno
dei miei più grandi grattacapi, eppure le
possibilità sono solo
due: sì o no, giusto o sbagliato, bianco o nero, con o
senza. Quel
"no" mi spaventa a morte, Jillian. E anche quello
"sbagliato" e il "nero"... Dio, quanto mi
spaventa quel "nero".-
La
voce metallica dal telefono della segreteria si interruppe per un
attimo, tanto che Jillian spalancò gli occhi per scovare nel
buio un
segnale da parte dell'apparecchio. Un segnale che le dimostrasse che
lui fosse ancora lì, a farle compagnia e parlare per lei,
suscitarle
un'emozione, farle tremare il corpo.
-I-io..
- Jillian
avvertì qualche
tentennamento, una nota roca che morì poco dopo. Poi un
sospiro
lungo.
-Ti
ho amato troppo per dimenticare tutto. Ho provato mille brividi nella
mia vita, un'adrenalina tanto forte da bloccarmi il sangue nelle
vene, cazzo, ho sentito il freddo del nord paralizzarmi il corpo, un
concerto infuocarmi la mente. Eppure, puoi anche solo immaginare
quanto tutto quello che avrei dovuto provare davvero avrei potuto
averlo solo da te? Ti odio, maledettamente! Sei solo una maledetta
stronza! Sei stata la rovina della mia vita, amore mio.. -
Jillian
cominciò a sentire il respiro pesante infuocarle il petto,
che stava
per scoppiare per il battito fornessato che avvertiva all'altezza del
cuore.
-Anche
tu lo sei stato.. - mormorò a fior di labbra, sottratta per
un
attimo al corpo astratto del silenzio che l'aveva incorporata. Eppure
quel silenzio tornò, e prima che potesse accorgersene il
rumore di
ruote sull'asfalto le fecero tremare le palpebre e drizzare in piedi
di corsa, con un respiro impiantato in gola. Le mandate della porta
batterono con tale velocità, finché non fu fuori
in un lampo
correndo contro il muro di pioggia che le si parò davanti
come un
torrente in piena. Corse contro le ferriate e si scontrò con
il
freddo che soffiava sul viso bagnato, misto alle lacrime. Quando
riuscì a liberarsi, la strada era ormai deserta, con i
fanali rossi
dei freni che scomparivano oltre il confine della strada che andava a
cambiare colore, al battere frenetico dell'acqua illuminata dalla
luce giallastra dei lampioni. Non avvertiva neanche più il
tremolio
forsennato dei denti, le dita paralizzate, le gambe tremanti sotto il
peso di un corpo gracile.
-Brian..
- soffiò via. Era la soluzione giusta, alle sue risposte.
***
Il
pianerottolo era deserto, l'eco delle scale percorsq con la gomma
pesante degli anfibi risuonava contro le pareti in marmo, con al
seguito la scia di orme di fango che lasciava in giro
indifferentemente. Attese l'ascensore in un silenzio tombale, ancora
troppo scosso e infestato dai suoi dubbi e dalle sue controversie.
Mille, evanescenti gocce d'acqua si sparpagliavano sul suo corpo,
scivolavano via, morivano in silenzio all'altezza del pavimento, e
gli graffiavano la pelle del viso come schegge infuocate. Brian non
aveva la forza neanche di lavare via il fango dal corpo, la fuliggine
dalle unghia, la linea di matita nera dalla faccia, le sue uniche
forze le aveva spese nel continuare a convincersi che quella sarebbe
stata ormai l'ultima volta in cui avrebbe potuto sperare di vederla.
Probabilmente era andata via, mille, diecimila, centomila miglia
distante da lui. Grazie a Dio, il dolore sarebbe passato, dopo
l'ennesima volta in cui aveva sperato di poterla amare. Quando si
fermò innanzi la porta d'ingresso, dopo il campanellio
sconnesso
dell'ascensore, notò un'aria strana che gli contrasse la
faccia.
Haner
Di
Benedetto
La
targhetta di casa luccicava alla luce fioca della palizzata, ai neon
ingrigiti delle scale che quasi rischiarono di spegnersi per un
sussulto. C'era uno strano silenzio, glaciale quasi,
corrucciò
ancora di più la faccia e senza nessuna voglia di indagare
oltre
infilò le chiavi di casa sbloccando il chiavistello. Nessun
guaito,
neanche un rantolo si presentò ad accoglierlo: la casa
sembrava
vuota, e questo era chiaro dal fatto che Pinkly non fosse lì
alla
porta ad attenderlo.
-Pinkly?
- fischiò, sentendo il proprio suono risuanare fra le
pareti. Si
avviò all'entrata del corridoio buio, incurante del suo
aspetto da
vagabondo che rischia quasi una polmonite. Si sfilò la
giacca con un
gesto metallico, la fece scivolare a terra, si sporse con il capo
verso la sua stanza, quasi temette di penetrarvi, poi con grande
sforzo accese la luce illuminando la camera coniugale. Gli
sfuggì un
sospiro che lo costrinse a coprirsi gli occhi: a terra vi era qualche
cornice, e le porte degli armadi completamente spalancati, vuoti e
spogli al loro interno come se qualcuno avesse portato via
più roba
possibile.
-Michelle..-
chiamò alla fine, con un filo di voce, trascinandosi per
sedersi
pesantemente sul materasso comodo che lei amava tanto.
-Complimenti
Brian "Faccia di Merda", due in una sola serata. - esclamò
con un sorriso amaro a se stesso, riflettendo sul fatto che provare a
cercare Michelle sarebbe stato solo tempo sprecato. Ormai lo odiava e
ne aveva tutte le ragioni, Matt lo stava mettendo in guardia per il
semplice fatto che sapeva... sapeva quello che probabilmente aveva
avuto intesione di fare. Adesso che se ne era andata cosa voleva
significare? Se Brian avesse potuto si sarebbe preso a schiaffi, e
dato che poteva, lo fece per davvero.
***
Chi
sono? Dove sono? Perché? D:
Mi
ha beccato un così grande e forte casino mentale e privato
che mi
sono ritirata dalla scena per un altro po' e oggi ricapito qui quasi
per caso. Il capitolo era semipronto da un po', aveva qualche rigo da
correggere e qualche situazione da dettagliare al meglio ma la base
era più che presente. Posso dire di aver letto e riletto
fino allo
svenimento eppure spero vivamente che sia bastato a correggere
nonostante la stanchezza.
Fatemi
sapere il vostro stato di gradimento, mi sento arrugginita, ho
bisogno di voi! XD Forse sono troppo autocritica sulla scrittura, o
forse troppo poco: da soli è sempre difficile munirsi di
consigli e
miglioramenti. Se qualcosa non risulta chiaro sarò lieta di
rispiegarmi, non so perché ho questa strana impressione.
A
rivederci presto, più presto, prestissimo!!!
Baci
:*
Sux
Fans
|
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Capitolo 11 *** 11. ***
11
Camminava
da solo finché le gambe non tremavano; c'era un freddo forte
che
scuoteva funesto le cime degli alberi e gli tagliava il viso, e Brian
lo avvertiva ma poco se ne curava. Tutto il vorticare irrequieto dei
pensieri gli riempiva la testa, fosse bastato a farlo stare meglio
avrebbe quasi cercato di vomitarle: ma nulla era così
semplice. Era
andato via di casa lasciandola vuota, passeggiando per le strade
deserte di una Huntigton dormiente; non sopportava quel silenzio
padrone che gli facesse finalmente capire quanto fosse rimasto solo.
Voleva solo ricongiungere i tasselli persi della sua adolescenza e
invece aveva sparso quelli attuali, del suo presente, mettendo in
discussione la sua band, la sua casa, la sua personalità.
Tutto era
adesso coperto da una coltre nera, come fumo denso di una sigaretta
che si stava accendendo aiutandosi con il palmo di una mano.
Aspirò
una boccata e al freddo si condensò appannandogli la vista
per
qualche secondo. Fasci di luce dei fanali delle auto che di rado
slittavano sul manto stradale gli accecavano gli occhi, per poi
morire qualche miglio lontani; le strade asfaltate luccicavano dei
grandi lampioni invece, in toni caldi, circolari, che allungavano la
sua ombra solitaria in entrambi i lati del suo corpo. Ma poco se ne
curò. Non avrebbe dormito a casa quella notte, avrebbe fatto
meglio
a trovare un posto dove stare. Dato il modo in cui se ne era andato
dalla sala prove però, non voleva far capo ai suoi vecchi
amici, per
non metterli nella condizione di scegliere fra lui e Matt,
nè per
far arrivare nessuna voce a Michelle che potesse metterlo ancor
più
in cattiva luce. Quella donna doveva odiarlo in quel momento,
probabilmente avrebbe fatto in modo di non vederlo per molto tempo e
non poteva darle torto. Avrebbe preferito scomparire per quella notte
per sapere quanto sollievo avrebbe giovato a tutti la sua mancanza.
***
-Bri?
- Brian sventolo una mano in modo imbarazzato, mentre il padre gli
aprì la porta d'ingresso a quell'ora della notte.
-Che
fai quì? -
-Posso
dormire nel garage stanotte? - Brian Senior si sporse sull'uscio
della porta per guardarsi intorno, come se non l'avesse udito, ben
oltre le spalle del figlio, per accertarsi che non ci fosse nulla di
strano.
-Ma
che dici? Hai bevuto?-
-No,
papà.-
-Hai
assunto droghe? -
-Oh,
ti prego! - le iridi del giovane si portarono al cielo in un gesto
esasperato mentre lo sguardo dell'uomo si corrucciò per
cercare
vagamente tracce di instabilità nei suoi occhi marroni.
-Dov'è
la tua auto? -
-Posso
entrare o vuoi farmi l'interrogatorio quì alla soglia? -
l'uomo
sembrò pensarci un pò, poi si scostò
facendo cenno col capo di
entrare piano.
-Dormono
tutti, vieni. - Brian si mosse con cautela, attendendo il genitore
prima di procedere nel corridoio buio dell'appartamento.
Sembrò
imbarazzarsi, camminare nervosamente finché non
tornò a rivolgergli
la parola.
-Puoi
spiegarmi che succede? Hai perso di nuovo le chiavi di casa o hai
fatto arrabbiare tua moglie? - accompagnò il tutto con una
risatina
sommessa, versando del caffè in una tazza, peccato che
voltandosi
finalmente ad osservarlo Brian Jr non avesse ricambiato la stessa
espressione divertita.
-Qualcosa
del genere. - si limitò a dire, accettando la bevanda calda.
-Non
volevo darti fastidio, prendo le chiavi del retro e vado.- Fece per
allontanarsi con l'oggetto ma il padre lo seguì cautamente.
-Hei,
hei, campione, guardati..- lo fece voltare osservandolo in viso. -..
è vero che sei una rockstar ma non dovresti avere uno guardo
così
serio anche con il tuo vecchio. E' alquanto inusuale averti a casa
dopo tutto questo tempo. Tua madre lo sa che sei quì? -
disdì col
capo.
-Non
lo sa nessuno e gradirei che la cosa rimasse fra di noi. - nonostante
l'espressione seria, Brian Senior non smetteva di risultare simpatico
nel suo caratteristico modo di fare. Cominciò ad assumere
una
smorfia pensosa e a gesticolare.
-Brian
in che guaio ti stai cacciando? Mi farai morire di crepacuore. - Il
giovane sorrise mestamente, con uno sguardo malinconico che cercava
con poca convinzione di tranquillizzare il suo vecchio; gli
portò
una mano sulla spalla e la strinse come ai vecchi tempi, nonostante
le loro altezze e i tratti somatici del viso mutati nel tempo.
-Nessuno
papà, te lo assicuro, ho bisogno solo di un posto tranquillo
dove
pensare. Domattina non ti accorgerai neanche che sono stato
quì. -
-Spero
sia davvero così.. cioè, nel senso che.. Oh,
diavolo! Hai capito! -
Stavolta anche a lui sfuggì un risolino.
-Posso
usare il telefono? -
***
-'chelle,
stai riposando? - La testolina platinata della donna si sporse
all'uscio dopo qualche ticchettio alla porta.
-No,
entra. -
-Volevo
augurarti la buonanotte, come stai tesoro? - le posò un
bacio sulla
fronte e le si sedette accanto. Michelle ricambiò un sorriso
debole,
e nascose sotto le coperte qualche fazzoletto strimizzito che aveva
raggomitolato selvaggiamente fra le mani ore prima.
-Adesso
sicuramente molto meglio. Mi dispiace del disturbo che sto recando a
te e Matt, io.. -
-Non
dirlo neanche, per me e Matt non è nessun problema. Resta
anche
quanto vuoi. - l'assicurò, cadendo dopo qualche attimo in un
silenzio ristoratore. -Ne vuoi parlare?-
-Non
c'è nulla da dire. - l'ammonì la mora, cercando
di non incrociare i
suoi occhi. Non ci sarebbe stato nulla di peggio se non piangere
davanti a lei. -Davvero, sto bene. Avevo bisogno di stare da sola,
tutto quì. - Valary si commosse, un rantolo alla bocca dello
stomaco
le fece salire quasi le lacrime agli occhi. Che le due sorelle di
Benedetto vivessero della stessa aria era risaputo, e che entrambe
soffrissero della situazione andatasi a creare non volgeva in
positivo per loro.
-Su
tesoro, vedrai che tutto si risolverà.-
-Avevi
ragione! - l'interruppe con un singhiozzo. -Come ho fatto a non
accorgermene prima? A non capire i segnali che mi stava lanciando?
Vivevamo nella stessa casa, per Dio! - la voce si affievolì
ad un
flebile sibilo; non ci si abituava mai a vedere il viso dolce della
donna contrarsi dal rancore.
Valary
si allungò a carezzarle i capelli, interrompendo una lacrima
che
scivolava sulla guancia della giovane, ormai in preda ad un triste
epilogo.
-Ho
aspettato paziente che la dimenticasse, ho tollerato le notti che ha
passato fuori da solo pochi mesi dopo che se ne era andata. Non
dimenticherò mai la volta che mi strinse chiamandomi col suo
nome..
- fu un'inspiegabile sensazione di vuoto che le colpi lo stomaco,
fino a riprendere a singhiozzare con più frequenza. -Lo
odio, con
tutte le mie forze. Non credevo che.. -
-Non
c'è mai stato da fidarsi di Brian, lo sai! Non mi sorprende
che sia
tornato a pensare come un ragazzino e fare chissà quali
porcate! -
inveì Valary; la tristezza aveva fatto spazio ad una collega
incontentabile.
-Non
lo conosci! Ci aveva messo tempo ma stava cambiando, lui ci stava
provando.-
-'chelle,
smettila di credere che lo avrebbe fatto, questa cosa
continuerà
solo a farti male. Brian non cambierà mai, lui è
propenso solo a
far del male a se stesso e agli altri, ed è per questo che
ama
quella donna: sono esattamente identici! Non saranno contenti
finché
dopo essersi rincorsi per anni non torneranno ad allontanarsi.-
***
-Lieve
trauma cranico: dovrebbe stare più attenta quando scende le
scale di
casa, è stata davvero fortunata a non essersi fratturata. -
Jillian
annuì e si rialzò adagio dal lettino del medico
come le era stato
ordinato; l'uomo incamiciato sedette alla sua scrivania e
annotò
velocemente sistemandosi meglio le lenti sul naso.
-Adesso
le prescriverò qualche antidolorifico, così da
rendere più
semplice i tempi di guarigione, ma non ne faccia abuso. Nel
frattempo, c'è qualche altra cosa che vuole chiarire della
caduta,
signorina Gordon? - la donna disdì col capo e accigliata
cercò di
interpretare la strana espressione del professionista, poi
respirò
piano.
-Non
è stato nulla di ecclatante, solo sbadataggine. Per quello
che
ricordi credo di essere inciampata per colpa della fibia dello
stivale. - l'uomo sembrava annuire come ad accondiscendere ad una
versione poco convincente, poi le porse il foglio ritornando di
fronte a lei.
-L'unica
cosa che non riesco a spiegarmi sono i diversi lividi circolari sulle
sommità dei bicipiti, ecco guardi.- la convinse a scoprire
le
braccia indicando leggermente con la punta di un indice gli aloni
violacei sulla pelle diafana. -Sembrano più che altro prese
di un
palmo, come se l'avessero agguantata. Riesce a notare la forma? Sono
molto diversi da questi sulle coscia, dovute forse alla caduta e..-
-No,
non noto nulla di strano, ma sarà stato sicuramente quando
ho
cercato di afferrare un appiglio. In momenti del genere non
è facile
capire cosa si ha intorno, almeno abbastanza affidabile alla quale
aggrapparti. -
-Ha
animali in casa per caso? - Jillian negò col capo
audacemente,
trovando fastidiose le continue domande volte ad indagine e
apprestandosi ad infilare finalmente la giacca per lasciare intendere
che la conversazione fosse finita.
-Le
auguro buona giornata. - Jillian infilò gli occhiali da sole
coprendo il viso tumefatto e fece per uscire con passo spedito.
-Anche
a lei, spero di non rivederla tanto presto. E' un augurio
ovviamente.- Si interruppe per voltarsi ad osservare lo sguardo serio
che le porgeva, prima di tornare a confondersi fra la clientela della
sala.
***
La
tastiera del cordless si accese al buio in luminescenze aranciate e
nel digitare gli ultimi numeri rimuginò selvaggiamente prima
di
tornare a cancellarli di nuovo nel giro di qualche minuto. Brian si
rannicchiò scomodamente nel sacco a pelo che aveva sistemato
in un
angolo del garage, borbottando nervosamente su quanto lo ricordasse
più grande rispetto alla realtà. Ormai era fatta,
avrebbe passato
lì la notte poi l'indomani avrebbe pensato al da farsi,
inutile
continuare a pensarci con una mente così affollata di
pensieri. Non
sapeva bene cosa fare. Chiamarla? Non chiamarla? Avrebbe voluto
sentirlo? Forse il messaggio lasciato il segreteria era stato
abbastanza da non convincerla a richiamarlo. Sbuffò per la
rabbia e
lanciò via con forza lo stupido cuscino in piuma che non
voleva
saperne di farlo sistemare comodo. Si sentiva come un adolscente
idiota e sperava che quel posto, come anni prima, gli avrebbe giovato
alla mente, invece ovunque guardava gli veniva a galla solo il viso
sorridente di Jimmy che picchiettava con le sue bacchette sui
tamburi, facendogli esplodere la testa. Aveva scelto il luogo
più
tormentato di ricordi: si vedeva quasi abbracciare gli amici, con
diversi centimetri in meno di altezza e di capelli, con quei stupidi
pantaloni attillati e la maglia della sua band preferita madida di
sudore. Il sentirsi a casa, mentre a casa non era. Il sentirsi
grande, quando grande non lo era neanche adesso, anzi si sentiva
piccolo, più piccolo di un moscerino, più inutile
e insignificante.
Gli
servì molto coraggio per riscrivere il numero sul display e
chiamare
finalmente, porgendoselo all'orecchio con un attimo di esitazione.
L'attesa
fu assillante, gli solleticava sulle dita la voglia di chiudere il
telefono e tornare a rimanere il stallo, ma non cedette e attese
ancora.
-Sì..?
- la voce debole gli fece venire un sussulto. Era notte fonda, diede
un'occhiata all'orologio da polso ed indicava le 3:02 AM poi fece un
respiro profondo sapendo che l'avrebbe riconosciuto subito e
sperò
che non riattaccasse.
-Hei..
- ci fu qualche secondo di silenzio dove entrambi presero tempo per
ristabilirsi e dall'altro capo ritornarono a parlare.
-Da
dove stai chiamando? -
-Non
sono a casa.. -
-Perché?
Dove sei? Sei con quella? - avvertì un tono agitato che gli
raggelò
il sangue.
-No,
'chelle.. sono da solo. - ci fu dell'altro silenzio poi un sospiro
instabile.
-Che
cosa vuoi? -
-Sono
un coglione, mi dispiace.-
-Anche
a me dispiace, adesso ti conviene cavartela da solo. - Fece per
riagganciare ma cercò di persuaderla a rimanere.
-Aspetta,
aspetta! Ti prego.. io non so neanche come giustificarmi, non posso
dire nulla per spiegare il mio stupido comportamento.-
-Hai
lasciato la band? È vero? - Brian disdì
nonostante lei non potesse
vederla e si portò una mano ad asciugarsi la fronte.
-No..
no, è stato un momento di rabbia. -
-Non
riesci a vedere cosa sei diventato? - avvertì un singhiozzo.
-Hai
distrutto le vite di tutti in poco più di un mese e il tuo
duro
lavoro se non quello dei tuoi amici! Maledetto stronzo che non sei
altro! Come pensi che tornerà tutto come prima? -
-Non
lo so..-
-Non
contare su di me Brian. Io non... non ci sarò più
per te. - strinse
gli occhi e cercò di controllare la forte emozione che gli
stava
attanagliandogli il petto.
-Ho
bisogno di vederti. -
-No...
n-no, Brian. -
-Pensa
con la tua testa, cazzo! Non farti convincere da altri su quello che
vuoi! Credi che non sappia che mi hai lasciato per tutte le puttanate
che ti hanno ficcato in testa?-
-Smettila..
- mormorò la donna cercando di calmarlo.
-No!
Porca puttana! .. - prese un respiro che avrebbe dovuto aiutarlo a
calmarlo. -Michelle sei tu a conoscermi e non gli altri. È
vero,
faccio molte stronzate, ti ho trascurata, sono stato.. stupido,
insignificante, posso rimediare e farti capire che ormai ho capito..
ho capito.. - Capito che se non poteva averla non poteva perdere
anche lei. Le amava, in modi diversi, in mondi diversi, in menti
diverse, ma le amava.
-Ti
prego, vediamoci a casa fra qualche giorno, sarò
lì. È troppo
vuota senza di te, aspetterò che sarai pronta.-
-Domani..
- Brian si sorprese credendo di aver capito male.
-C-cosa?
-
-Domani,
ci vediamo a casa..- non seppe bene cosa dire, rimase senza parlare,
rantolò qualcosa poi annuì.
-Grazie.
-
-Non
è per te Brian, ho bisogno di essere felice, non deludermi.
-
|
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Capitolo 12 *** 12. ***
12
L'indomani
fu colto da un risveglio brusco, con la serranda del garage aperto di
botto e con i forti raggi del sole che lo andarono a colpire in
faccia proprio come un pugno in un occhio. Mai nulla fu più
traumatico; Brian mugugnò poi rotolò di lato per
cercare di
proteggere gli occhi quel poco che gli restava da sperare. Pochi
secondi dopo una figura snella lo adombrò e solo al momento
in cui
si sentì pronto aprì un occhio ad osservarla:
McKenna stava in
piedi a fissarlo, con le mani poggiate ai fianchi ed un espressione
stranita sul viso, tanto che il sopracciglio sottile assunse una
strana impennata.
-Che.
Diavolo. Fai. Lì? - sillabò lentamente, quasi
fosse un rimprovero.
L'uomo si prese qualche secondo per stiracchiarsi per sentire ancora
se le ossa intorpidite fossero tutte intere, poi si alzò,
ringraziando per quella benedizione.
-E
cosa facevi nel mio sacco a pelo? È irriconoscibile! Non
è questo
quello che intendevo quando ti ho detto di venirci a fare visita ogni
tanto! -
-Frena
la lingua ragazza, ho un'emicranea pazzesco. - La giovane dalla fulva
capigliatura di sfumature violacee ormai sparse quà e
là
boccheggiò, sbuffò, cercò di calarsi
per acconciare il disordine
lasciato dall'ospite. Poi, quando dopo qualche borbottio
tornò in
piedi, lo fissò interrogativa mentre egli si era appoggiato
alla
parete ancora assonnato.
-Che
facevi lì disteso? -
-Non
dovresti essere a scuola? - cercò di tagliare corto, ma la
ragazza
prontamente lo ammonì.
-Hai
visto che ore sono? - Brian aprì un occhio per sbirciare
l'orologio.
-Cazzo..
- recuperò la giacca poggiata agli scatoloni poco lontani e
la
infilò velocemente.
-Dove
vai adesso? - l'uomo fermò la sua corsa verso l'entrata del
garage
ancora spalancato e sospirò, voltandosi a guardarla di nuovo
mentre
attendeva risposta.
-Ho
fatto un sacco di casini, Ken.. - confidò, gettandosi
fiaccamente
contro la parete, maledicendosi sottovoce continuamente. A cosa
sarebbe servito correre? Correre dove poi? Non ne aveva più
idea. La
ragazzina gli si avvicinò, tamburellando con i piedi per
darsi del
tempo di pensare a qualcosa per consolarlo.
-Qualsiasi
cosa sia non sarà mica così grave, vero? Cerca di
non peggiorare le
cose con comportamenti impulsivi e concentrati su quelle importanti.
- Brian si sentì stupido, affidare i suoi problemi ad una
ragazzina,
ma cosa gli era venuto in mente? Sua sorella era sicuramente
più
matura di quanto lui lo fosse mai stato in vita sua.
-Hai
proprio ragione, sei sicura che siamo davvero fratelli? - risero per
la stupida battuta e si abbracciarono, fino a che ella non si
allontanò arricciando il naso.
-Fatti
una doccia maledizione, e...! - gli mollò un forte pugno
sulla
spalla. -Non chiamarmi Ken! Lo sai che lo odio! -
-Dio,
come sei diventata suscettibile.. - mormorò massaggiandosi
il
braccio come fosse un bambino. -Sarà meglio che vada, ho da
fare
visita ad una persona prima. Sono davvero molte miglia.. ma
è da
molto che manco, non me lo perdonerà mai. - McKenna lo
osservò
mentre si allontanava, prima di vederlo posare uno sguardo furbo
verso la bici con la quale era appena tornata da scuola.
-Senti,
non è che..-
-Neanche
per sogno. -
***
Matt
bevve un altro sorso di caffè prima di tornare ad alzare lo
sguardo
verso la moglie, con voce bassa per evitare di farsi udire.
-Come
sta Michelle? - Valary si voltò, interrompendo per un attimo
le sue
faccende con la cucina per dirigersi alla tavola penisola che si
trovava ad un metro da lei.
-Distrutta.
Come darle torto? - Matt aveva già notato il piglio
arrabbiato, la
conosceva bene e quel suo lato la caratterizzava alquanto.
Allungò
una mano per posarla sulla sua e la carezzò per
tranquillizzarla.
-Come
stai tu, piuttosto.. - non riuscì a nascondere un certo
disagio e
tornò a sorseggiare il suo caffè. -Matt.. - lo
rimpoverò e l'uomo
alzò le mani in segno di resa.
-Non
so come uscirne. Dovrò dire tutto ai ragazzi.. -
-Tutto
cosa? - Lo vide tacere ancora e allora incalzò.
-Sulla
band. Ho avuto una discussione con Portnoy e non ne siamo usciti
proprio bene, credo che la collaborazione sia finita quì. Ed
infondo
è meglio così, oscurava il nostro potenziale e
soprattutto ha la
sua band della quale occuparsi, io.. -
-Matt!
- l'interruppe la donna, vedendo come il tono di lui si facesse
sempre più remissivo. -Calmati, ti prego. Vedrai che puoi
contare
sui tuoi amici più di quello che credi. Dopotutto lo hai
detto tu,
c'erano altre cose della quale doveva occuparsi. - l'uomo
annuì e
calò il capo verso il marmo nero della tavola,
giocherellando con i
pollici.
-E'
che questo non avrebbe ancora comportato un vero e proprio
cambiamento alla band, rimaneva un tournista e noi saremmo rimasti
ancora stretti alla figura di Rev. Questo significa che..
dovrò
indire delle selezioni, un nuovo membro, un qualcosa di estraneo,
cazzo. - strinse i pugni e li battè con rabbia.
-Dovrò chiamare
Jacob, non sa nulla neanche lui e non ne sarà per nulla
felice,
finirà tutto sui tabloid in meno di qualche giorno; credevo
di
risolvere la cosa in meno tempo invece quella testa calda di Brian
aveva già capito tutto. - la donna circondò il
tavolo per andare ad
abbracciare le spalle dell'uomo.
-Sei
un grande leader, una brava persona e un ottimo amico, Rev non
vorrebbe mai vi fermaste ora. Devi farlo per la band, so che hai
paura che Jimmy venga dimenticato, che la gente possa vedere gli
Avenged Sevenfold con occhi diversi, ma non succederà..
né tu né
tutti quelli là fuori lo dimenticheranno. -
***
-E
spostati! -
-Ti
sembra il caso di metterti così per strada? -
-Cammina
a piedi che è meglio! - Brian si corrucciò
stringendo sempre più
forte il manubrio della bici. Gran bella idea, non c'era che dire. I
rumori di clacson erano stati un vero toccasana per tutta la
mattinata, aveva la testa così piena che quasi credeva di
volare
via. Con sua grande fortuna notò Gran Park Avenue e a soli
pochi
metri gli si formò un groppo in gola difficile da mandare
giù.
Imboccò la prima stradina scoscesa che l'avrebbe portato
all'altro
lato della strada e cominciò a rallentare la corsa alla
vista del
cancello recintato del cimitero di St.Vincent. Diverse persone in
silenzio si diressero verso le cancellate, e alla vista mesta di quel
traghettare di figure accostò ad un muretto la bici,
unendosi
successivamente al via vai e al dolore dei parenti di defunti senza
neanche conoscere i loro nomi e i loro vissuti. Che tristezza,
rimuginò, nessuno di quei uomini sarà mai stato
ricordato in
eterno, e poco importava, se non il bene di coloro che si sarebbero
sporti al loro angolo di terreno. Brian notò la targhetta
nera e
argento sbucare dai fili di erba verde e rigogliosa, pulita ogni
giorno con cura dove neanche un fiore risultava mai fuori posto. Si
calò a toccare con la punta delle dita il nome che sporgeva
luccicante e lo portò alla labbra per baciarlo.
-So
che non ti va che ti tratti così ma salutarti con un pugno
chiuso
contro l'epitaffio risulterebbe un pò... da pazzi. E la cosa
non
sarebbe divertente se qualcuno mi vedesse, se non per te amico mio. -
Brian si sedette poco lontano a gambe incrociate, quasi rilassato,
facendosi carezzare da un sole brillante che sembrava nascondersi
dietro il fogliame increspato di un albero. Era passato del tempo che
non aveva mai tenuto a mente, e che non gli sembrava mai trascorso.
Era fermo a qualche giorno prima di quel maledetto epilogo e mai
più
da lì si sarebbe mosso. Ormai fargli visita non lo faceva
più
soffrire o almeno cercava di non farlo più vedere,
nonostante non
credesse a nulla di particolare, non avrebbe mai voluto ferirlo
ancora facendosi vedere in uno stato così pietoso. Brian
parlava e
parlava come se a controbattere ci fosse stato lui, a stringergli le
spalle, pizzicarlo, sgridarlo se necessario. Non era più la
stessa
cosa, non era più la stessa vita. Tutto era influenzato dai
suoi
amici e dopo quella notte aveva una fottura paura di perderli tutti.
Cosa avrebbe fatto senza loro? Era un guscio vuoto ed inutile,
futile, infertile, come quando aveva perso lei,
e tornare a riaverla era stato anche peggio di prima. Si
toccò il
mento puntellato di barba e sopperì con un sospiro.
-Hai
capito che guaio.. se si sta meglio dove sei tu spero di non metterci
troppo ad arrivare. - un fruscio di siepe lo interruppe e si
concentrò su un animaletto peloso sbucato di lì.
-Cosa stai
cercando di dirmi? Lo sai che sono un pò locco.-
d'improvviso sentì
la vibrazione al suo cellulare, non credeva di averlo ancora addosso.
Si agitò forsennatamente per cercarlo in tutte le numerose
tasche
dei jeans e della giacca in pelle, e quando lo trovò rispose
senza
attendere oltre.
-Bri,
riunione in sala, ci sarai vero? - Brian guardò alla
targhetta
brillante di James, lesse il nome per intero, ebbe alla mente ricordo
di qualche momento passato insieme finché il suo sguardo non
fu
catturato dallo stesso animaletto di prima raggruppatosi alla sua
famiglia poco lontana per salire solo infine fra i rami delle
piantagioni che ombreggiavano la sua postazione.
-S-sì...
- esclamò ancora sovrappensiero. -Arrivo subito. - non seppe
bene se
allegare quello che era accaduto al fatto che Jim avesse ascoltato i
suoi problemi o meno, fatto sta che gli lasciò un fiore di
campo
bianco; avrebbe tanto desiderato un forte abbraccio, ma si
limitò a
lasciarsi andare ad una lacrima prima di andare.
***
-Non
può darmi venticinque dollari per una chitarra del genere!
Varrà
almeno qualcosa in più! - Jillian cercò di
mantenere la calma
ancora per qualche istante, ma sapeva bene che il suo interlocutore
cercava di farla traboccare nel peggior modo possibile.
-Mh,
nenche più di tanto, se ne vedono tantissime in giro e
oltretutto è
scordata. - La donna roteò gli occhi in modo esausto,
trattenendo
convulsivamente lo strumento fra le mani. Stava cercando di vendere
tutti gli oggetti di Mark che aveva in casa per cercare di racimolare
il più possibile e per liberarsi finalmente di tutte quelle
cianfrusaglie che davano alla casa ancora un aspetto di lui.
-D'accordo
la tenga, maledizione. - gliela porse nel modo più sgarbato
possibile e afferrò fra le mani i suoi venticinque dollari.
-Che
ne dici di questi vinili? Sono degli anni '80. Questo invece
è un
vaso che acquistò mia nonna trent'anni fa in Vietnam,
è fatto
completamente a man..-
-Guarda
che il mio è un negozio non una discarica. - Jillian
sbuffò e lo
guardò mentre era distratto a darsi un'occhiata in giro per
casa.
Doveva avere almeno una quarantina di anni, lo conosceva bene
perché
già prima che andasse via da Huntington Beach gli vedeva
acquistare
cose strane e fuori dal comune. Si era fatto crescere i capelli e li
teneva in un codino spettinato, gli abiti erano laschi e ancor di
più
facevano intravedere il corpo troppo snello, mentre da dietro le
lenti tonde una luce gli illuminò gli occhi vispi.
-E
questo? - Jillian gli si avvicinò per vedere meglio
l'oggetto che
aveva tra le mani.
-No,
questo è mio.- non le diede attenzione e continuò
a rigirarsi la
confezione rigida fra le mani.
-Un
inedito del nuovo album degli Avenged Sevenfold.. -
-Sì,
ma.. -
-Di
una cosa del genere non si vede ombra neanche in internet, come hai
avuto una cosa simile? -
-È
un regalo di amici.-
-Devo
averlo! Quanto vuoi? - Jillian si catapultò verso di lui e
lo
strappò via dalle dita.
-Hei
hei, questa è roba mia è il resto che deve
interessarti! - l'uomo
disdì col capo divaricando le braccia.
-Dai,
questa è tutta robaccia, non ci guadagnerai mai nulla!
Quello è una
bomba invece, capisci che se non è un falso allora
è davvero il
primo inedito? Si credeva che la band fosse ferma invece quella
è la
prova che Matt e i ragazzi pubblicheranno un nuovo disco e ce l'hai
fra le tue mani. - Jillian lo ripose sul ripiano e si poggiò
anche
ella ormai stanca della giornata.
-Senti
per favore, ti faccio spazio in macchina così potrai
caricare la
chitarra e il resto della roba che hai pr..-
-Ti
do trecento dollari!-
-Cosa?
C-cosa hai detto? - Jillian si voltò spalancando gli occhi
credendo
di aver capito male. L'uomo dal canto suo la osservò
ridacchiando.
-Credevi
stessi scherzando? Voglio quell'inedito e trecento dollari mi sembra
più che ragionevole.- davvero stavolta dovette tenersi al
ripiano
per evitare di crollare a terra, si portò una mani fra i
capelli
arruffati che gli cadevano davanti gli occhi per concedersi
più
aria. Sembrava che d'un colpo la stanza fosse rimasta senza.
-Mio
Dio, Sten..-
-Sven.-
-S-sven..
stai scherzando? T-trecento dollari? Oh Mio Dio...-
-Sono
un tipo da sorprese io, e posso dartele in contanti solo per quel
piccolo oggetto alle tue spalle. - Jillian si morse il labbro a
guardare il regalo di benvenuto dei suoi amici, un regalo che gli
stava dando forse la possibilità di respirare economicamente
di più
quel mese?
-Non
mi hai ancora detto che diavolo hai fatto a quell'occhio, comunque. -
Nella testa di Jillian vorticava furiosamente la possibilità
di
accettare, ma cosa diavolo stava diventando? Non riusciva a capire
più nulla di quello che le stava succedendo intorno
né della figura
snella e scomposta che continuava a spostarsi fra le cianfusaglie in
attesa di risposta. Questo era davvero il fondo che stava raschiando
con le unghia.
***
Quando
entrò in sala i ragazzi si guardarono con un'occhiata
interrogativa,
mentre si dirigeva verso di loro al centro della stanza in assoluto
silenzio. Matthew al suo arrivo stava già parlando di
qualcosa e gli
altri si erano trattenuti in un sacro torpore, quasi come se non
avessero nessuna voglia che smettesse. Probabilmente era qualcosa di
davvero importante perché nonostante Brian fosse in pessimo
stato
nessuno aprì bocca per metterlo in ridicolo.
-Vieni
amico..- l'invitò Matt, avvicinandosi per stringerlo in un
abbraccio, che Brian ricambiò con fin troppo ardore.
-Sembra
che quel confronto, seppur violento, abbia portato ad una svolta
almeno.- Esclamò Zack, che in tutta risposta
stappò una birra con
un espressione non troppo sollevata.
-Va
bene, ma adesso cosa si fa? - continuò Johnny. -Non abbiamo
neanche
il tempo materiale per indire una selezione e siamo cibo per milioni
di giornalisti. Aspettano di metterci spalle al muro.- Matt
annuì e
storse la bocca amareggiato.
-Jacob
cercherà di essere più discreto possibile,
dopotutto i brani che
abbiamo composto finora erano solo un prototipo e nessuno
avrà modo
di basarsi su quelli.-
-E
sarà meglio che così continui ad essere: la
differenza talentuosa
di Portnoy con un qualsiasi altro batterista raccattato dalle
selezioni non ci darebbe neanche la possibilità di iniziare.
Falliremmo a prescindere, non ci sarebbe confronto. - gli amici
subirono drasticamente le parole forti di Zack, facendo calare in
sala un duro silenzio.
-Io
direi invece di far girare la voce della selezione il più
possibile.. -
-Brian
che diavolo dici? -
-Che
se ne parli. L'importante è che bene o male si parli di noi,
e
avremo più possibilità di ascoltare qualcuno di
veramente bravo
anzichè un buffone da cabaret che vuole mettersi in mostra.
I
tabloid ci catapulteranno in prima pagina? Beh è
lì che vogliamo
finire, no? Dobbiamo aprire subito le direttive per il cast. - gli
amici stettero qualche secondo a riflettere, effettivamente forse non
tutto era perduto. Magari sarebbero riusciti a ritornare in pista
annunciando le selezioni al nuovo batterista e sarebbe stata la nuova
riuscita per l'album.
-Non
lo so, sono completamente fuso.- I ragazzi si avvicinarono al leader
e presero a scuoterlo come facevano di solito per infastidirlo.
-Eddai
Matt, rilassa il cervello! Abbiamo trovato il modo di uscirne! -
***
-Non
correre troppo con la tua pericolosissima bicicletta! - si
lagnò
Johnny, infastidendo l'amico che alzò il medio nella sua
direzione.
-Davvero
non vuoi un passaggio a casa? - Chiese Matthew avvicinandosi a lui
una volta che smise di ridere, quando oramai ognuno se ne stava
tornando a casa proprio dopo la serata passata insieme. Avevano
raggiunto un accordo finalmente, e per domani avrebbe avviato le
procedure indirizzate al manager della band.
-No,
grazie, quest'aria fresca mi farà bene. E poi domani ho un
appuntamento a casa e non posso perdermi in chiacchiere.- Matt non
cercò minimamente di nascondere la sua espressione sorpresa.
-Tu
e..-
-Michelle.
- Lo vide risollevarsi e sospirare cautamente. Matt era in quei mesi
gravemente preoccupato per la sua relazione con Michelle, e non
poteva dargli torto. Gli diede qualche pacca amichevole sulla spalla
che gli fece capire che la conversazione finiva lì.
-Attento
con questo bolide, non farmi avere scrupoli di coscienza. -
-Dormirai
come un ghiro stanotte.-
Ed
effettivamente la notte era fresca, così come era stata la
sera
precedente. Il suo aspetto non era dei migliori, gli serviva una
doccia assolutamente e un cambio pulito o la prima impressione di
Michelle sarebbe stata quella di metterlo in lavatrice insieme al
resto. Magari le avrebbe preparato qualcosa di buono, nonostante lui
non sapesse cucinare poi tanto bene, o le avrebbe fatto trovare la
casa sistemata o... No, stava esagerando, niente di tutto questo,
avrebbe solo cercato di essere sincero con lei e farle capire che
tutto quello di cui aveva bisogno ormai lo aveva capito. Che non
avrebbe preso altre sbandate, che aveva ancora bisogno che lei gli
tirasse le orecchie ogni tanto quando perdeva la giusta strada. Forse
McKenna aveva ragione: doveva smettere di reagire impulsivamente e
avrebbe dovuto piuttosto concentrarsi sulle cose davvero importanti
prima che se le facesse sfuggire tutte di mano una ad una.
Aveva
già percorso diverse miglia, la strada era ancora poco
affollata
della sera e fra tanti fanali quasi sembrava che la notte dovesse
ancora calare. Il manubrio cominciò a farsi scivoloso quando
iniziò
a sudargli il palmo.
-Jillian...
- mormorò a fior di labbra, quando sfregò le
ruote all'asfaldo
chiamando la figura che nella sera passeggiava distrattamente poco
lontano da lui. La donna l'udì, ancora col capo chinato, e
sorpresa,
sbalordita quanto lui del loro incontro fortuito.
Rabbrividì, le si
raggelò il sangue nel guardare lo sguardo di lui sul suo
viso e
seppe quanto la cosa fosse diventata pericolosa e quanto avrebbe
potuto impressionarlo. Aveva cercato di farsi da parte
finchè i
segni non fossero scomparsi e invece il destino li aveva fatti
incontrare nel momento meno opportuno.
-Brian..-
l'uomo non parlò più. Lo vide concentrato
cupamente su di lei,
sulle gote violacee, sui capelli arruffati, sul labbro spaccato che
aveva preso solo in parte a sanarsi.
-..ti
posso spiegare.. è una storia molto lunga, i-io.. - gli si
avvicinò
per sperare che la stesse ascoltando ma quel suo sguardo raggelante
la fece esitare e rimase di qualche passo distante.
-Dov'è?
- Jillian capì che si stesse riferendo a Mark e
cercò bene di
tranquillizzarlo.
-Via.
L'ho allontanato, non lo vedo più da un pò. Che
si vada ad
ammazzare in quei luridi bar che conosce.. io non ne voglio sapere
nulla di lui. Adesso sto bene.. - prese qualche secondo di respiro
pesante. -Avevi ragione, avrei dovuto capirlo anni fa. Cazzo, non
posso prendermela con nessuno, mi sono sotterrata con le miei mani..-
-Luridi
bar.. - gli sentì rimuginare a bassa voce, con ancora la
voce
impastata di rabbia che cercava di nascondere stritolando il manubrio
fra le mani, quasi facendo sbiancare del tutto le nocche. Lo vedeva
vagare con lo sguardo, concentrandosi altrove come se stesse facendo
viaggiare la memoria.
-Brian..
- disdì la donna col capo, cercando di allontanare dalla
proprio
testa l'idea che potesse fare qualcosa di stupido.
-Brian,
ti prego guardami.. - lo vide posizionarsi meglio sui pedali e
porgersi in avanti per darsi la spinta.
-No!
NO! Dove vai? Che diavolo vuoi fare? - cercò di trattenerlo
ma la
strattonò e fu costretta ad allontanarsi iniziando a correre
per
tenergli testa in strada.
-BRIAN
FERMATI! TI PREGO, TORNA QUI! - gridò, fregandosene degli
occhi dei
passanti che continuavano a guardarla come una pazza. Si
dimenò per
cercare il suo cellulare dalla borsa, cercando con mani tremanti di
scorrere la rubrica il più velocemente possibile. Quando se
lo portò
all'orecchio ci volle qualche secondo infinito prima che dall'altro
capo, l'interlocutore, rispondesse.
-Matthew
ti supplico, devi aiutarmi! -
Note
dell'autrice:
Stiamo
giungendo alla fine, non c'è ancora nessun capitolo pronto
ma è
ormai palpabile! Spero vivamente che, nonostante il processo lento,
questa mia esperienza di raccontare questa storia vecchia di anni
(per chi l'avesse seguita già diverso tempo fa) sia piaciuta
a voi
quanto a me. Negli anni comunque ha mutato, è cambiata e
diversi
dettagli si sono intrecciati in modo inaspettato!
Ringraziocomunque
di cuore chi ha recensito la fanfiction dedicando un pò del
suo
tempo, chi l'ha aggiunta fra preferiti, seguite, ricordate!
P.s.
Nomi di strade e del cimitero sono puramente casuali, inventati e non
hanno affinità con la realtà.
|
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Capitolo 13 *** 13. ***
13
Non
seppe bene se fu più forte l'impatto di vederla, o di
vederla in
quello stato. Sicuro non si aspettava nessuna delle due cose ed ora
l'unica immagine che si trovava davanti era quella della sua bocca
che amava tanto fatta a pezzi. Brian pedalò il
più veloce
possibile, tanto che molti giri andarono a vuoto perdendo per qualche
secondo il controllo del manubrio. Non seppe bene come ne dove si
stesse dirigendo, ne se fosse stato meglio trovarlo o meno. Trovare
quel verme, viscido, che già da anni prima aveva odiato con
tutto se
stesso e che ormai adesso non aveva più scuse per impedirsi
di
scovarlo. Lo avrebbe cercato nei buchi più nascosti della
città,
negli angoli più bui e fetidi, avrebbe ficcato la testa
nelle fogne
se necessario pur di averlo fra le mani quella notte stessa. Gli
avrebbe parlato e gli avrebbe detto di stare lontano da lei, di
lasciarla in pace, di lasciare che si facesse una nuova vita lontana
da lui e semmai la cosa non gli fosse risultata chiara ci avrebbe
pensato in altro modo a rendergli nitide le idee. Sentì come
il
sangue gli pulsasse invasivo e veloce nelle vene, scorreva a fiumi,
gli colorì il viso incredibilmente e cominciarono ad
ingrossarsi
spesse vene, come cordoni, sui dorsi delle mani. Diede un'occhiata
nelle strade deserte di Broadway Street,
non c'era un povero diavolo in giro, fino all'incrocio del quadrivia
in fondo alla strada, dove iniziava ad accalcarsi qualche gruppo di
ragazzini caotico e indiscreto. Si passò una mano fra i
capelli
umidi di sudore e attraversò la strada pedalando a ritmo
serrato,
col vento che gli tagliava la faccia ma era come se neanche lo
sfiorasse. Le sue iridi si muovevano freneticamente, frastagliavano
da un lato all'altro della strada, squadravano i visi con
velocità
impressionante; Brian si drizzò sulla schiena lungo la
strada
deserta fino al Johnny's, dove il chiacchiericcio si fece accesso e
diverse risate si drizzavano nell'aria. Erano risate brille, a gola
sbarrata, sguaiate, frizzanti. Frenò la sua corsa e si
accostò ad
ascoltare, conosceva il Johnny's come le sue tasche e anche coloro
che lo frequentavano di solito o chi invece era solo di passaggio.
Non c'erano facce che conosceva né potevano interessargli
fino a che
non udì il cellulare vibrare nella tasca: del
perché Matt lo stesse
contattando a quell'ora non riusciva a capirlo, forse voleva sapere
se era riuscito a ritornare a casa? Quando finì di dare
un'occhiata
alla schermata luminescente drizzò il capo in direzione del
bar.
Non
aveva pensato alla sua reazione nel rivederlo: così vispo,
frenetico, chiaramente brillo come uno stupido scolaretto al ballo
della scuola, appena uscito dalla soglia del locale. Dio, gli stava
nascendo qualche enorme mostro nel petto che cercava disperatamente
di scavargli lo sterno con le unghia arcuate. Dovette asciugarsi il
sudore in viso, stringere un pugno per stiracchiare le ossa,
permettendosi un pienissimo inspiro prima di dirigersi a piedi verso
di loro lasciando cadere il mezzo come se non avesse minimamente
importanza, guardando dirimpetto a lui come stregato e
impossibilitato a distogliere lo sguardo. Continuava a divertirsi
aggirandosi fra i suoi amici, bazzicavano sorseggiando la birra dal
becco che tenevano stretto fra le mani e stringendo con l'altra un
mozzicone di sigaretta. Brian sembrò non riuscire mai ad
avvicinarsi, sembrava come se ci volessero interminabili minuti per
raggiungerlo, invece era lì, ad un passo, lo stava guardando
quando
era finalmente arrivato verso di lui, squadrandolo per bene,
chiedendosi forse.. perché? Mark rimase sorpreso,
probabilmente con
quel poco di lucidità che gli era rimasta si era reso conto
che era
lì per lui, e ricambiò lo sguardo, ma non
riuscì a raggiungere lo
stesso grado di freddezza. Barcollava un pò, si muoveva a
stento al
lato opposto per guardarlo meglio, poi aprì le braccia, le
spalancò
come a pavoneggiarsi, o per abbracciarlo, non si capì bene
come.
-Ce
ne hai messo di tempo per arrivare. - Brian rimase qualche altro
secondo a guardarlo per non dimenticare mai più
quell'espressione,
prima che venisse completamente oscurata da quella di Jillian qualche
minuto prima. Non seppe bene cosa o come il suo pugno riuscì
a
raggiungere quella faccia di scherno così velocemente, ma si
dimenò
contro di lui senza riuscire a controllarsi e tutto quello che
riuscì
a godere poco dopo fu quella stessa espressione contro i suoi pugni
serrati.
***
-Cazzo...
rispondi.. - mormorò a bassa voce e denti stretti, con il
cellulare
attaccato al viso come se volesse quasi attraversarlo per vedere
esattamente con gli stessi occhi dell'amico. -Sei proprio sicura che
sia andato a cercarlo? - disse infine, una volta aver riposto via il
cellulare per poterle parlare. Jillian mestamente annuì, poi
sbuffò
muovendosi a cerchio per la stanza nervosamente.
-Non
ha detto più nulla ed è fuggito via, di certo la
sua non mi
sembrava una faccia da passeggiatina. -
-Neanche
la tua se è per questo. -Jillian si interruppe
all'intervento serio
dell'uomo, zittendo e mordendosi le labbra come per vergogna con
quello sguardo fisso nel suo.
-Sta
di fatto che ora dobbiamo trovarlo prima che faccia qualcosa di
veramente stupido.- Zack smorzò i toni e prese di corsa le
chiavi
della macchina. -Ci dividiamo?- Matt annuì.
-Chi
lo trova prima avverte gli altri, lo stesso vale per Mark. E faremmo
meglio a scovarlo prima di lui. - Jillian fece per seguirli ma il
giovane dalle spalle ampie si voltò interrompendola mentre
gli altri
sparivano già oltre l'uscio della porta, lasciandoli soli.
-Voglio
venire con voi. -
-Non
mi sembra una buona idea sinceramente, soprattutto vedendoti in
queste condizioni. Faresti bene a tornare a casa e a rifoccillarti un
pò, penseremo noi a riportare Brian a casa. È
chiaro del perché
fosse preoccupato per te. - esclamò alludendo al viso
tumefatto.
-Avresti dovuto denunciarlo.-
-Credi
che in tutti questi anni non lo abbia fatto?- Matt negò col
capo
come ad allontanare qualsiasi tipo di pensiero.
-Non
lo so, ma di tutte le scelte che potevi prendere questa è
stata la
più sbagliata. Brian si sente responsabile, ha completamente
perso
il senno! Avresti potuto chiedere aiuto a noi da diverso tempo! Se
non troviamo quel figlio di puttana, Brian potrebbe fare qualche
stronzata e spero non irreparabile.- il suono del clacson da parte di
Zacky gli fece capire che lo stava attendendo con impazienza. -So che
non dovrei dirti queste cose e credimi, neanche io mi trovo nella
posizione di farlo, ma Brian è la mia famiglia e se proprio
dovete
amarvi smettetela di rincorrervi in capo al mondo. Scoprirete che
stare fermi insieme non è poi così male.-
Notò come gli occhi
smeraldo di lei calarono a guardarsi le punte delle scarpe,
digrignando la dentatura come a non sapere cosa dire. Il giovane
intuì quanto disagio aleggiasse fra loro e
scomparì, raggiunse il
suo migliore amico e insieme sfrecciarono lungo le strade deserte;
Johnny li aveva già preceduti da un pò, ma ancora
non aveva avuto
notizie.
***
Cadde
scagliandosi contro un tavolo che barcollò al peso cadendo
in terra,
mentre Brian lo raggiunse con sole due falciate recuperando il corpo
inerme per la sbronza e le botte.
-Erano
dieci anni che sognavo questo momento, gran figlio di puttana! -
soffiò fra i denti ad un palmo dal naso, intento a farsi
ascoltare
solo da lui; una cerchia cominciò a distanziarsi fra di
loro, mentre
il vociare si alzava forte senza però intervenire a causa
dello
stato brillo degli altri clienti del bar.
-Dio,
Haner.. se ci hai messo dieci anni per fotterla è solo colpa
tua.. -
la voce era esitante, smorta dal sangue che scivolava dalle gengive,
percorreva il mento e moriva nel bavero che Brian stava cagnescamente
stritolando nei palmi. L'occhio era già livido e
probabilmente da lì
non vedeva più, mentre le guancie cominciavano a colorarsi
di rosa,
poi rosso, poi blu. Gli scagliò un altro pungo, seguito da
altri due
mentre era sopra di lui ormai a terra, infervorendosi sempre di
più
e sentendo la pressione del braccio smorzarsi ulteriormente.
-Quanto
ti senti uomo a picchiare una donna? Ti piace allo stesso modo
così?
Eh? TI PIACE? RISPONDI, CAZZO! - Mark tossì incassando sugli
zigomi
ossuti, nella sua figura già magra che aveva perso qualsiasi
affinità con colui che aveva conosciuto anni fa, uno dei
suoi grandi
amici.
-Vaf..fanculo..
- Brian lo tirò su sentendolo ormai debolissimo fra le
braccia,
senza che riuscisse più a tenersi in piedi se non contro la
parete
sulla quale l'aveva scagliato tendendoglisi contro. -C-credi che Jill
ti amerà grazie a questo? Jill.. non ama niente e nessuno.
È ..
solo una che.. puoi tenere buona in questo modo.. sei.. s-ei solo il
suo animaletto preferito.-
-Sta
zitto! -
-Tu
non la conosci.. ma se ci tieni tanto t-te ne accorgerai, a meno che
da stanotte.. non è già andata via. - Brian gli
tappò la bocca
fortemente come ad impedirgli di continuare.
-Ti
ho detto di stare zitto! Non ti permetterò di trattarla
così mai
più, semmai succedesse ti ammazzerei con le mie stesse mani.
Mark,
ti giuro, cazzo, che ti ammazzo..- sibilò così
lievemente che
dovette avvicinarsi al suo viso affinché l'udisse. Con un
lieve
cenno lo vide sorridere debolmente e Brian dovette contenersi
nell'evitare di strozzarlo in quel momento esatto. La folla
cominciò
ad accerchiarli infierendo contro Brian affinché lo
lasciasse
andare, ma l'unica cosa che sentivano entrambi furono le enormi
scariche di adrenalina che gli elettrizzava i corpi.
-Merda!
Accosta!! - Matt scese dalla macchina che ancora doveva inchiodarsi
al terreno e si precipitò verso la folla, mentre Zachary,
allarmato,
contattava gli altri dal posto di guida per avvisare di averlo
trovato. Si preoccupò dell'incredibile folla che si era
scatenata
intorno, sperando vivamente che non fosse successo più di
una futile
rissa. Sapeva che con Brian arrabbiato a quel modo le conseguenze
sarebbero potute essere pericolose.
-BRIAN!
- Matt si fece spazio fra la folla scalciando e dimenandosi per
raggiungerlo, afferrandolo per il gomito che stava caricando per
colpirlo ancora una volta al viso. Mark era completamente inerme e
mentre Matt lo squadrava cominciò a tirare via l'amico
trattenendolo
per le braccia.
-LASCIALO,
CAZZO! LASCIALO! - Cercò di farsi udire più del
rumore che si stava
scatenendo intorno, mentre Brian infervorato continuava a dimenarsi
contro di lui. -Brian ti prego, fermati! Vieni via! Dobbiamo
andarcene subito! - fortunatamente fece come detto, lasciò
che il
corpo si accasciasse contro la parete e si fece trascinare via senza
perdere gli occhi verso di lui. Sapeva che Mark lo stava guardando,
debolmente, dagli occhi ormai gonfi e lacrimanti, ma così
gli
sarebbe rimasta impressa maggiormente la sua faccia alla mente. Non
se ne sarebbe dimenticato facilmente, così come credeva che
neanche
Jillian lo avrebbe mai più fatto.
-Si
sono invertiti i ruoli, bastardo! Ti scoverò ovunque andrai
a
nasconderti! -
-Sali
in macchina! - ordinò Matt ormai vicino all'abitacolo e
respirando
affannosamente.
-Brian
che cazzo hai fatto? - chiese Zack vedendolo arrivare macchiato di
sangue alle nocche e alla t-shirt, ma non ebbe risposta se non dal
leader che richiuse la portiera porgendosi dall'esterno conto il
finestrino.
-Portalo
a casa, aspetterò Johhny. - Zack si dimenò
completamente
preoccupato e fuori di senno.
-Ma
dico, sei impazzito? Vieni, ti porto a casa!-
-Non
posso lasciare quel verme in quello stato! Sta arrivando un'ambulanza
per lui! Per non parlare che ci sono centinaia di testimoni e presto
sarà assediato dalla stampa! Devo calmare almeno le acque,
l'ultima
cosa di cui abbiamo bisogno sono denunce di omissione!-
-È
solo sbronzo, per questo non si tiene in piedi! Gli avrò
dato al
massimo un paio di pugni, neanche la metà di quelli che si
sarebbe
meritato! - Matt strinse i pugni serrati davanti al viso per
trattenere l'isteria.
-Cazzo!
Vallo a dire al suo avvocato questo! Dio, ti aprirei quel cranio
pieno di merda che ti ritrovi! Filate a casa! - Zack annuì e
partirono veloci sfrecciando lungo la strada, mentre Matt li guardava
scomparire con un espressione preoccupata.
-Cazzo!
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo! Brian tu sei completamente impazzito!
Che.. cazzo hai nella testa!? Hai idea dei problemi che ti
creerà
quello lì? C'erano testimoni ovunque e la tua bella faccia
di sicuro
non è una di quelle che passa inosservata! - gli occhi
cerulei
dell'amico si spalancarono al bianco dei fanali osservando la strada
con fosse un mostro tentacolato, colpendo più volte il palmo
contro
lo sterzo per sfogare la paura appena subìta.
-Chi
vuoi che crederà a quelli lì? Non si manteneva in
piedi per lo
stato in cui era! Gli troveranno qualsiasi schifezza possibile nel
sangue. - Zack sbuffò come fintamente risollevato.
-Oh,
e tu invece passerai per quello che voleva soccorrerlo a pugni in
faccia! - Brian tacque per quasi tutto il tragitto ai rimproveri
dell'amico che ormai quasi rischiava di perdere la voce. Una vena gli
pulsava in gola e su per la fronte a testimone del fatto che non
sapeva più come contenere la sua preoccupazione.
-Hai
visto la faccia di Jillian? Era completamente tumefatta per colpa di
quel figlio di puttana! -
-E
tu quindi hai pensato bene di tumefare anche la sua anziché
andare
alla polizia! Mossa astutissima. - Brian disdì col capo
amareggiato,
guardando fuori dal finestrino le luminescenze che nascevano e
morivano simultaneamente sulla strada.
-Jillian
non avrebbe mai deposto contro di lui. -
-Lui
invece stai pur certo che deporrà benissimo contro di te, e
si
alzerà minimo qualche verdone infangando la tua faccia !
Cazzo,
Brian! Spera che Matt ti faccia salvare solo con qualche denuncia di
stronzagine oppure sei nella merda fino al collo.-
***
Non
sapeva bene quale era la cosa migliore da fare, se telefonare al suo
amico o meno per vedere come erano mutate le cose, e di sicuro delle
scelte fatte nell'ultimo periodo nessuna era stata veramente
positiva. Si distese sfiancato nel letto troppo grande per una sola
persona pensando al giorno dopo: doveva attendere Michelle sperando
che si sarebbe fatta viva, come aveva promesso. La sua ultima azione
non era stata delle più intelligenti e forse sarebbe stata
la rovina
definitiva del rapporto con sua moglie, la notizia ci avrebbe messo
poco per uscire su giornali e tabloid e di sicuro non sarebbe stata
per nulla contenta. Non riusciva a smettere di deludere quella donna
ne la sua famiglia, era tutto un devastante casino. Si portò
una
mano fra i capelli bruni stringendosi il cranio per rannicchiarsi su
se stesso come un bambino, aveva un gran bisogno di aiuto e aveva
allontanato tutti nell'ultimo periodo per sapere a chi chiederne.
Forse non avrebbe mai più rivisto Jillian e da domani un
nuovo
capitolo della sua vita si sarebbe aperto, ma se in bene o male era
tutto ancora da scoprire. Forse Mark aveva ragione, aveva letto nei
suoi occhi la verità su di lei: non amava niente e nessuno,
la
conosceva meglio di quello che lui credeva di sapere, di quello che
avevano provato da ragazzi. Doveva essere tutto diverso e smetterla
di pensare come allora, nulla più sarebbe stato come prima.
Si
rigirò cercando di dormire, ma non era servita una doccia
fredda con
una birra per aiutarlo a rilassarsi; avrebbe passato la notte in
bianco a ripensare a tutto ciò che di bello c'era a parte
lei, che
però non riusciva a ricordare.
Note
dell'autrice:
Il
cerchio si stringe, forte! Sono elettrizzata e dispiaciuta al tempo
stesso. La pausa estiva è stata un ottima alleata per
riprendere a
scrivere con successione e finalmente riusciremo a scoprire la fine
di queste vicende tumultuose! Ho ricevuto almeno due messaggi privati
di voi lettrici/tori, della difficoltà di affrontare un
argomento
così articolato e intimo, e mi rendo conto della
particolarità che
richiede la lettura di situazioni che accadono anche nelle vite
reali. Sperando di non aver mai toccato nessun nervo scoperto e
magari di sensibilizzare di più i lettori/trici alla
vicenda, vi
auguro un buon ferragosto, una buona vacanza e attesa al prossimo
capitolo! :)
Sempre
lieta di leggere le vostre opinioni,
Angela.
|
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Capitolo 14 *** 14. ***
14.
Brian
provò a rigirarsi nel letto, a stringere un cuscino come a
reclamare
conforto, a resistere all'impulso di accendere la tv per non
imboccare in spiacevoli scoperte. Ormai ci aveva riflettuto tutta la
notte e solo ora aveva rivisto tutto il suo operato con mente
più
lucida: Mark sarebbe passato per la parte della vittima e a quel
punto avrebbe potuto infangare la sua faccia e gettare nel baratro
insieme a lui tutta la band. Non era questo di cui avevano bisogno
per risollevarsi dopo la morte di Jim, e non era questo che
quest'ultimo aveva sperato per loro. Brian aprì gli occhi,
il sole
non arrivava minimamente a sfiorarlo dato che aveva tenuto
giù le
persiane per evitare anche i flash di eventuali scocciatori. Avrebbe
aspettato con ansia notizie da parte di Matt e prima di allora si
sarebbe rigirato nel suo stesso brodo nell'attesa di sapere se mai
Michelle si sarebbe fatta viva: era il giorno della verità e
questo
lo faceva rabbrividire. Diede un'occhiata all'orologio sul comodino e
notò che era ancora presto, si sarebbe fatto prima una
doccia e
fumato una sigaretta per rifocillare tutti i pensieri. La casa era
vuota, silenziosa, il freddo marmo del pavimento non gli arrecava
nessun danno, troppo occupato ad osservare il desolante spazio
infinito della casa. L'aveva scelta per Michelle e anche per Pinkly,
affinché ognuno di loro avesse lo spazio che desiderava; lui
si era
solo accontentato di insonorizzare la soffitta così da avere
il suo
angolo privato di musica. Uscì dalla doccia ancora
gocciolante,
scivolando una mano fra i capelli umidi per dargli un garbo
più
voluminoso; si asciugò con malavoglia, si avvitò
un asciugamano
alla vita e poi si diresse alla penisola della cucina per versarsi
del caffè. Sorseggiò a malapena e si
affiancò all'enorme vetrata
della stanza per accendersi una sigaretta, tenendola pendente fra le
labbra sottili che assunsero una smorfia di disapprovazione.
Cercò
di essere poco visibile dalla strada ma lui godè della vista
dello
spiazzale che l'avvicinava ad una lunga scia luminosa di mare, che si
estendeva fino all'oceano, era un punto strategico che gli
catapultava in casa le bellezze della litorale californiana. Ma non
la osservò per davvero. Il suo sguardo color nocciola si
mosse da
una parte all'altra della strada, spiava il via vai frenetico, il
caramello brillante di una duna di spiaggia. Qualcosa però
nella sua
mente si ricollegava ai ricordi recenti che gli frastagliavano fra le
pareti della testa, lasciandolo completamente estraneo.
Aspirò una
boccata di fumo e attese qualche secondo prima di soffiarla via, il
suo gesto lento si amplificò ancor più, come se
il mondo corresse
veloce e lo lasciasse indietro, senza rumori, senza espressione. Non
oggi, non domani. Strinse fra le dita la punta della sigaretta fino a
portarla alle labbra con rabbia, il fumo uscì dalle narici
poi
risalì fra i denti come se fosse un palmo aperto ad
agguantargli la
faccia, prima di gettarla via con uno slancio del dito. Brian
sospirò, la città era viva e lì fuori
stava solo aspettando di
poterlo sbranare. Quando udì il cellulare vibrare dall'altra
stanza
accorse veloce, portandoselo all'orecchio trattenendolo fra la testa
e la spalla per darsi la possibilità nel frattempo di
indossare un
jeans.
-Brian,
come stai?-
-Un
pò.. stordito. - Matt dall'altro capo sospirò
lasciandosi andare a
qualche secondo di pausa. -Matt.. - l'intimò, l'amico doveva
dargli
notizia della sua situazione.
-Non
si sa ancora nulla. Mark è in ospedale, gli faranno una tac
per
accertarsi che non abbia subito danni alla testa. Lo hai gonfiato
come un pallone, lo sai vero?-
-Ho
ricordi confusi. Mi sembra passata un'eternità. - si
portò una mano
alla fronte cercando di riaffiorare alla mente qualche sprazzo di
ricordo che non salì a galla. -Jillian.. come sta? So che
l'hai
vista, ne sono certo. - Matt ammutolì, poi tornò
a sospirare.
-Se
la caverà. Ce la caveremo tutti. Pensa a cose più
importante
adesso. -
-Cosa
c'è di più importante? - Brian non seppe bene per
quanto tempo
rimasero in silenzio, dovette convincersi a pensare ad altro solo che
la sua mente era albergata dalla continua, innefrenabile voglia di
sapere di lei. -Non so cosa mi sta succedendo.. Non ho mai provato
tutto questo. Cazzo, io, sentivo nelle braccia la voglia di
ammazzarlo. Di ammazzare un uomo, capisci? Per quello che le aveva
fatto! La mia testa era solo piena di questo! -
-Ma
non lo hai fatto. Non farti uscire una dichiamazione del genere
davanti un giudice, cazzo, o ti farai la tua schifosa vecchiaia in
una topaia. -
-Fratello,
non mi pento di averlo pestato se questo basta a far passare la
voglia a quel figlio di puttana. Spero che nessuno provi mai una tale
rabbia da sentirsi esplodere il sangue nelle vene. Pensa se una cosa
del genere accadesse a Val o tua sorella..-
-Ho
capito, ho capito.. sei stato chiarissimo. Non ti biasimo ma non
possiamo comportarci come bestie. Non come Mark. Questo è
solo colpa
di quella di merda che.. Dio, come è finito
così?! - Brian si
lasciò cadere pesantemente sul letto, ancora a petto nudo,
con le
schiere di tatuaggi che gli ornavano il corpo per ogni centimetro di
pelle delle braccia e del petto.
-Non
è più la persona che conoscevamo, l'ho capito
quando l'ho guardato
negli occhi e quando.. quando mi parlava in.. quel modo. - Brian
strinse i denti, tornando a ricordare la loro conversazione con la
stessa intensità di quando ce lo aveva avuto vicino.
-Perché?
Che cosa ti ha detto? - Brian sapeva di non poterne parlare con
nessuno, che non avrebbero capito, che le parole di Mark non
avrebbero toccato nessuno nel profondo come invece avevano fatto con
lui. -Brian?-.
-Veramente..
lui.. - il bussare alla porta lo aveva completamente colto di
sorpresa, costringendolo a spalancare le iridi e a rizzarsi in piedi
in un secondo. -Ti devo lasciare, scusami. - quando interruppe la
comunicazione si diresse nell'altra stanza con un passo veloce, ma
allo stesso tempo rallentò per prendersi il tempo necessario
per
prepararsi a trovarsela davanti. Si portò una mano alla
bocca
scompigliando la barbetta incolta, prima di calare giù la
maniglia.
Mad
World – Gary Jules
Quando
i loro occhi si incontrarono Brian credette di affogare, gli si
mozzò
il respiro in gola per così tanto tempo che un lungo ispiro
non
colmò la mancanza nei polmoni.
-Sei
l'ultima persona che mi aspettavo di vedere.- Jillian calò
il
cappuccio nero lasciando libera la chioma ramata, prima di sorridere
mestamente alle sue parole. Amava lasciarlo di sorpresa, oppure
sapeva nel profondo che quella era una delle più forti
emozioni che
gli procurava in ogni caso, come fosse la prima volta. Sempre.
-Anche
io non credevo che sarei venuta. - L'uomo distolse lo sguardo, era
troppo per lui sperare di evitarla almeno in quel momento di pura
fragilità. Sperò che non se ne accorgesse, ma
cosa non potevano
scorgere i suoi occhi? Erano verdi, come specchi, vitrei, brillanti e
quasi lo mettevano a nudo contro il suo volere.
-Cosa
ci fai quì? Il viale è pieno di scocciatori. -
non sapeva come
comportarsi, dal suo petto infervorava la voglia di stringerla e
dirle che tutto sarebbe finito, che sarebbe passato, che adesso
avevano la possibilità di riprovarci. Ma non sarebbe stato
così.
-Ho
preso una scorciatoia. Posso entrare? Per favore.. - Notò il
suo
modo di comportarsi un pò strano, di rannicchiarsi le mani
al petto
come una bambina spaventata che però aveva uno strano ghigno
stampato in viso. Brian si guardò intorno poi si fece da
parte. -Non
ho parole per descrivere tutto quello che sta succedendo. -
-Io
sì. - l'interruppe l'uomo, che si porse poco lontano da lei
per non
calare le sue difese. Ella cercò di non badargli troppo, di
non
cedere al tono provocatorio e di darsi la possibilità di
spiegarsi
ancora.
-Non
potevo non ringraziarti. -
-Di
cosa in particolare? - Brian storse il viso in una smorfia. -Di fare
tutto quello che vuoi? Che ti basta battere le ciglia ed io sarei
disposto a gettarmi da un ponte? - adesso stava urlando, eppure non
se ne era neppure accorto. -Sapevo che liberarti di lui era quello
che volevi e l'ho fatto. E se tu me l'avessi detto, io l'avrei fatto
ugualmente. Avrei fatto tutto per te. - si allontanò da lei
come se
lo stesse scottando, poi si voltò trattenendosi i capelli
all'indietro per prendere fiato lontano da quello che lei avrebbe
potuto fare. La donna non si mosse, non parlò, si
limitò ad
ascoltare con un nodo alla gola che le strozzava le parole ad un
soffio dall'essere pronunciate.
-Mi
dispiace.. - Brian si voltò a guardarla mentre sulle guance
lentigginose scivolava una lacrima sottile e orgogliosa che
morì
asciugata dal suo piccolo palmo.
-Ti
dispiace? - Tornò a pronunciarsi con un tono più
pacato ma comunque
gutturale che la fece tremare.
-Sì.
Non ho scelto io quello che doveva accadere. -
-Sì
invece. Sei stata tu a scegliere per entrambi! È tutta una
vita che
lo fai! - Brian si diresse contro di lei arrabbiato, ringhiando a
denti stretti, indicandosi con un indice accusatorio come se la colpa
fosse solo sua di averglielo lasciato fare: andare e distruggere le
loro vite.
-Non
ti è mai successo di fare la scelta sbagliata? - Brian
annuì alla
sua risposta.
-Ho
solo fatto scelte sbagliate, e questa è stata un'altra di
quelle. -
Jillian l'osservò ed egli si sentì morire.
-Quale
in particolare? - sapeva la risposta e anche lei, gliela si leggeva
in faccia, passava trascritta nei suoi occhi come una richiesta
disperata di stare finalmente con lei.
-Non
provarci Jill, non giocare con me. Non farlo. Non sarò il
tuo
giocattolo preferito. -
-Sai
con cosa mi piace giocare? - la donna gli si avvicinò, un
passo dopo
l'altro gli era sempre più vicino. Portò lo
sguardo a squadrargli
il petto, a respirare contro la pelle del collo che era l'ultimo
punto alla quale riusciva ad arrivare a causa della sua altezza; a
guardare il viso di lui dal basso, mentre lui con un respiro pesante
come se avesse scalato montagne la osservava, a quella distanza
così
misera, così debole che un solo centimentro l'avrebbe fatta
sua.
-A
biliardino, come hai vecchi tempi, ricordi?- mormorò ad un
soffio da
lui che riuscì finalmente a sentire il suo odore. -Ad
inseguire le
oche, oppure a spruzzarci con l'acqua gelida dell'oceano.. ma non
con le persone. Non arrivo a questo punto, Bri. - Brian
deglutì,
credette di non udire bene le sue parole, troppo accecato dalla bocca
di lei che si muoveva ad un passo dal suo petto.
-Hai
bevuto.. - la donna annuì, i suoi occhi vitrei e lucidi ne
erano la
conferma. Avrebbe dovuto accorgersene subito.
-Sì.
Sì ho bevuto, altrimenti non avrei avuto il coraggio di
venire quì
stamane e fare questo.. - si porse il avanti e toccò con la
bocca il
centro del suo petto, vi posò appena le labbra ma Brian
sussultò,
come fosse il tocco più violento e agognato che avesse mai
avvertito. Dopo quell'interminabile secondo le vide alzare il viso
contro di lui, sporto a chiederle di stringerla fra i palmi e
trascinarla a sè, di toccare la bocca con la sua, di
infrangere lo
stesso respiro, di avvertire la stessa eccitazione che convogliava in
lei. Lui la guardava, bella come una dea, con i capelli che le
incorniciavano il viso e che sarebbero stati così morbidi al
centro
della sua mano, affinchè aderisse bene al suo viso.
-Ti
prego.. Jillian.. - Brian alzò le mani ai lati delle spalle,
come ad
arrendersi ed impedirsi di sfiorarla con un solo dito. La donna dopo
qualche secondo di mutismo tornò a stare dritta avanti a
lui,
roteando solo un pò la testa in modo rilassato.
-Suonami
qualcosa.. - L'uomò disdì col capo, cercando di
trattenere il
respiro, ancora scosso violentemente dal corpo di lei che ancheggiava
aggrazziatamente.
-No..
n-non credo sia una buona idea. Forse è meglio che ti
riaccompagni..
- Jillian si allontanò senza curarsene e lo precedette lungo
la
stanza adiacente che aveva entrata per la soffitta. Salì le
scalinate con qualche problema di equilibrio e lui le venne dietro
per accertarsi che non cadesse. Qualcosa, una forza che non capiva,
lo convinse a seguirla e non dissuaderla, nonostante questa non fosse
la cosa giusta da fare. Quando entrambi riuscirono a salire lui la
guardò a lungo, nei suoi momenti sconnessi che volevano
sembrare più
naturali possibili. Richiuse la porta del pavimento e rimasero in
quel silenzio docile qualche secondo, sopprimendo la voglia di
chiederle cosa avesse in mente.
-Allora..
- gli sorrise. - Suonami qualcosa. - Brian sorrise di rimando. Stava
scherzando, vero?
-Perché
ti sei ridotta così?- alludeva al suo stato brillo e lei non
se lo
lasciò sfuggire.
-Sai
quanta difficoltà ho nel parlare. -
-No,
non lo so.. hai sempre parlato chiaro. Nulla di tutto quello che ti
passava per la testa te lo tenevi per te. -
-Non
tutto quello che dicevo era importante. Adesso invece ho imparato a
stare zitta.- Brian si prese qualche secondo per pensare, seduto per
terra con una mano penzoloni sul ginocchio mentre lei rigirava per la
stanza ammaliata come l'ultima volta.
-Credevo
avessi smesso. -
-Di
bere? Ho smesso di fare molte cose. - Sapeva che Brian attendeva che
continuasse. -Ho smesso di bere, di fumare quella robaccia, di
fidarmi di chi mi prometteva il mondo a parole. Starai sicuramente
pensando che se una persona fa del male a se stessa come non potrebbe
ferire gli altri? .. ed io non so darti una risposta. Io ci ho
creduto e basta. - l'uomo si guardò le mani laccate di nero,
con le
scie nere di inchiostro che gli imbrattavano i dorsi delle dita,
senza interessarvisi davvero.
-Se
fossi rimasta, un motivo per regalartelo lo avrei avuto.- Jillian si
voltò a guardarlo finalmente, ed egli ricordava fedelmente
il Brian
Haner di venti anni o poco più, che si era lasciata alle
spalle un
decennio prima. Sorrise, così mestamente che Brian ebbe un
tuffo al
cuore, spaventato per la sua risposta.
-Lo
so Brian. È per questo che sono andata via.. io, non avevo
nulla da
offrirti. - quando lo vide alzarsi, con il viso infervorato dalla
collera, la donna non si scompose, continuò a guardarlo
mentre
batteva le ciglia lunghe, in parte annebbiate dalle lacrime che
affioravano come gemme.
-Tu
sei completamente pazza! Pazza, maledizione! Preferirei schiattare
senza una risposta anziché credere ad una falsità
simile! - le fu
ad un centimetro di distanza ed ella indietreggio per incollarsi al
muro per chiedere protezione.
-E
quale credi sia la verità? -
-Che
eri innamorata di Mark. Che hai preferito stare con lui.. che credevi
fosse più adatto a te. -
-Mark
è sempre stato uno stronzo alcolizzato, pezzo di merda! -
urlò
Jillian, tanto che Brian zittì portandosi una mano fra i
capelli pur
di sperare che quella conversazione non stesse davvero avvenendo.
-Per colpa sua ho iniziato a bere e drogarmi, mi ci sono voluti sette
anni per uscirne pulita! Ho perso un figlio a causa delle botte ed
ogni volta che cercavo di allontanarlo compariva come un fantasma!
Quel maledetto viveva per tormentarmi! -
-E
allora perché non sei tornata da me? - Brian si
spazientì e
scaraventò le braccia contro il muro ai lati della testa di
Jillian,
tanto che ella tremò e chiuse gli occhi fremendo le labbra.
Si prese
qualche secondo per tornare a normalizzare il respiro, e quando
tornò
a guardarlo lo vide ringhiare a denti stretti a pochi centimetri da
lei. Deglutì, prese qualche respiro ampio dalla bocca ma non
riuscì
a parlare. Brian rimase qualche altro secondo immobile, a guardare
ogni particolare del suo viso, ogni angolo, ogni discromia della
pelle che la rendevano così bambinesca e prese a calmarsi.
-Perdonami. Ho odiato Mark con tutto me stesso per quello che ti
aveva fatto e ho finito per spaventarti anche io.- si prese una pausa
facendo per allontanarsi. -Fai uscire davvero il peggio dalle
persone, lo sai?- Jillian rimase incollata alla parete per
permettersi un appoggio, guardandolo allontanarsi in quel suo piccolo
angolo di paradiso con un passo leggero e calmo, diverso da poco
prima.
-Nel
profondo speravo non ti fossi dimenticato di me.-
-Perché
sei egoista e dovevi colmare il tuo ego. Ed io ti ho dato la
possibilità di farlo.- la punzecchiò amaro.
-Perché
dopo anni ho capito che non avevo più una casa dove tornare,
se non
quella che avevo abbandonato quì.. - tornò a
tenersi sulle proprie
gambe dirigendosi al centro della stanza per raggiungerlo con passo
felpato. Brian era di spalle ma la sentiva avvicinarsi, forse per
questo non ebbe il coraggio di voltarsi. -Brian.. ero così
spaventata. Mi rendeva così vulnerabile stare con te che
avevo
scambiato quel sentimento per una minaccia, invece non era altro che
l'inizio di quello che ho cercato in tutti questi anni lontana.
Eppure ce lo avevo già quì, a casa mia. - quando
mancavano pochi
passi da lui si fermò un attimo ad osservare i muscoli
turgidi della
schiena: era agitato, teso, tanto che quando lo toccò appena
lo
sentì fremere. Prese coraggio e gli circondò la
vita con una mano
arrivando a posargliela sul petto, mentre poggiava il viso stanco
contro la sua schiena. Brian non si mosse, si godè appieno
il tocco
della sua mano, perfino contando i respiri di lei che gli si
infrangevano sulla pelle.
-Cosa
vuoi adesso da me? - Jillian non lo sapeva, tanto che questa domanda
la lasciò ammutolita. Cosa voleva da lui? Perdono? Conforto?
Amore?
Probabilmente voleva tutto, e niente. Perché sapeva di non
meritarlo
una seconda volta.
-Voglio
baciarti. Lo vuole ogni fibra del mio corpo. - alzò il viso
e con la
pressione del braccio lo spinse a voltarsi verso di lei. Brian era
quasi pallido, scosso nell'ascoltarla. Non immaginava Brian Haner, la
stessa persona che surfava sui palchi di tutto il mondo, ad
affrontare migliaia di fans incalliti, potesse spaventarsi
così.
-Non
posso. Non di nuovo.- Jillian squadrò i dettagli del viso di
lui,
garbatamente, come se stesse parlando ad un bambino.
-Perché?
Perché non vuoi baciarmi?- Brian si morse le labbra, le
sopracciglia
assunsero una espressione dolorosa e una mano le carezzò la
guancia
come fosse l'oggetto più delicato al mondo.
-Perché
non riuscirei più a fermarmi.- disse in un soffio quasi
inudibile,
tanto che quando quel suono le sfiorò le orecchie un lungo
brivido
le percorse la schiena. Era un'alchimia perfetta, tanto che Jillian
non seppe come continuare a sopprimerla.
-Nessuno
ti ha chiesto di farlo.- si alzò sulle punte delle scarpe
sperando
di riuscire a sfiorare almeno la punta delle sue labbra, nonostante
lui rimanesse immobile come una statua di bronzo. La bocca di lui non
si mosse, anzi diventò d'improvviso pastosa e la gola si
prosciugò
in un attimo, lasciandolo senza fiato. La donna gli afferrò
il viso,
battè le ciglia per lubrificare gli occhi stanchi e si
sporse ancora
fino a toccarlo, fino a socchiudere le labbra per sperare che
l'accogliesse allo stesso modo. Gli baciò la bocca per un
pò, per
dargli il tempo di convincersi a fare lo stesso, di prenderla, di
volerla. Continuò finchè lui non chiuse gli occhi
e cercando tutta
la forza che aveva in corpo le afferrò i polsi che aveva ai
lati
della testa per allontanarla appena.
-Jillian..
c'è una cosa che devo dirti.- la vide sorridere, curvare le
meravigliose labbra che fino a poco fa sentiva soffici su di
sè.
-Lo
so che vivi con Michelle. So che quel pantalone che mi hai prestato
la prima sera non era di McKenna e che quell'oggetto floreale in
cucina non era parte dei tuoi gusti personali. - continuò a
sorridere come se la cosa fosse divertente. -E so leggere il suo
cognome insieme al tuo fuori dalla porta di casa.- osservò
Brian che
rimaneva impassibile a guardarla, con un'espressione che non
trapelava nulla che lei potesse leggere.
-Non
è solo questo..- Jillian annuì, forse era stato
troppo presuntuoso
il suo gesto, troppo credere che dopo tanti anni di vuoto Michelle
non l'avesse finalmente colmato.
-Ci
tieni a lei.. lo capisco, è normale. Cioè,
è l'unica donna che ha
davvero capito di cosa avevi bisogno e lei c'è sempre stata
per t..-
-Siamo
sposati. - l'interruppe lui, trovando le parole per impedirle di
continuare a porsi domande. -Da un anno.- Le vide spalancare le
iridi, dilatare tanto la pupilla che quasi sembrava una palla da
bowling. Aveva trattenuto il respiro che espirò via quando
si
accorse di esserselo dimenticata in gola, zittendo e voltandosi
appena per programmare le informazioni arrivatele al cervello. Un
decennio ad aspettarla e solo un anno di ritardo per riuscire forse a
riparare le cose. Jillian si portò una mano alla bocca
inchiodando
gli occhi al pavimento, mentre Brian la osservava in ogni gesto
risollevato dalla sua dichiarazione.
-Adesso
lei se ne è andata. Ha creduto che tra me e te potesse
esserci di
nuovo qualcosa, ha pensato che farsi da parte era la cosa migliore
per renderci le cose più facili ed evitare di soffrire.
È una donna
speciale, lei.. non lo merita. Ho trovato la persona che mette la mia
felicità al di sopra della sua, e l'ho distrutta dal
dolore.- si
prese un secondo di pausa come per accertarsi che lo stesse
ascoltando. -Anche io sono una pessima persona Jillian, anche io
ferisco gratuitamente me stesso e gli altri. Sono uno stronzo, un
povero stronzo che non capisce dov'è la sua casa e gira a
zonzo
sperando che qualcuno venga a prenderlo per mano.- le si
avvicinò
trovandosi davanti la sua nuca nuda e le spalle morbide, e dovette
calarsi per poterle posare un bacio.
-Noi
insieme, tenendoci la mano, vagheremmo all'infinito, perché
siamo
uguali. Siamo maledettamente uguali. - Jillian socchiuse la bocca ad
ascoltarlo, le lacrime che cominciavano a scendere a fiotti fra le
onde del viso. Le afferrò la sommità del braccio
e la costrinse a
voltarsi; Jillian deglutì rumorosamente, gli occhi persi in
una
pozza di lacrime. Brian le afferrò la nuca e la
baciò con forza,
rudemente, tanto che lei gemette per la forza improvvisa con cui la
strinse. L'impatto fu forte che lei indietreggiò, si
trovò spalle a
muro, petto contro il suo, il fiato infranto dall'eccitazione che le
infiammava le gote. La mano di lui le scivolò lungo il
fianco,
voleva avvertire ogni centimetro perso in quegli anni fino a
sollevarla di qualche centimetro verso di lui tenendola per il retro
della coscia. Le dita sottili e affusolate di lei andarono ad
affondare nei suoi capelli corvini, a scoprirli ed agguantarli per
impedirgli di allontanarsi di nuovo. Le loro bocche si muovevano
all'unisono, erano alla ricerca continua dell'altra metà,
alla
disperata ricerca del fiato dell'altro nel proprio. Jillian non lo
credette possibile ma il suo cuore tremava, un battere forsennato che
quasi le facevano credere che stava per sfuggirle dal petto.
-Mi
dici come.. come potrei.. fermarmi adesso? - la voce di lui era
spezzata dall'eccitazione, tanto che Jillian fremette e
carezzò le
labbra sottili di lui con un dito.
-Anche
se lo sapessi.. non te lo direi mai.. - gli carezzò il petto
nudo
dolcemente, tanto che lui sperò di poter fare presto lo
stesso.
***
Michelle
prese qualche lungo respiro, osservando da lontano la coltre di
giornalisti e fotografi che si era piantata fuori la casa di Synyster
Gates, per documentare chissà quale scoop da mettere in
mostra al
mondo. Dovette convincersi ad entrare dal retro, l'ultima cosa che
avrebbe voluto quella mattina era rispondere alle domande sulla loro
relazione sentimentale quasi completamente in frantumi. Sapeva che
qualsiasi cosa le si sarebbe ritorta contro e prefererì
optare per
una strada spianata. Non era brava nè abituata alle
interviste.
Pinkly si avviò al fianco della padrona, camuffata con
cappello e
occhiali da sole, crogiolandosi dolcemente in quel sole californiano
che cominciava a mostrarsi sempre più spesso le mattine di
aprile.
Avrebbe parlato con Brian e cercato una soluzione al problema, non
avrebbe potuto ancora rimandare la cosa dopo che fra qualche mese
sarebbe di nuovo iniziato il tour e altri impegni legati alla band,
che lo avrebbero visto fuori casa per chissà quanto.
La
parte opposta alla strada era lontana da occhi indiscreti, o almeno
così le era parso. Dovette sfoderare le chiavi di casa e
penetrare
con attenzione nelle scale di emergenza, per poi percorrere l'interno
di casa fino al pianerottolo.
B.
E. Haner – M. Di Benedetto
Michelle
si guardò la punta delle scarpe per allontanare la tensione
e darsi
la possibilità di inspirare ancora un pò. Gli
faceva sempre un gran
effetto vederlo, non avrebbe mai potuto negare di amarlo
all'inverosimile. Diede un'occhiata al muso languido del suo
batuffolo bianco, che alla soglia di casa iniziò a grattare
il legno
dell'abitazione per incitarla a sbrigarsi. Pensò bene di
suonare e
attendere che venisse lui ad aprirle, così avrebbe dato la
possibilità ad entrambi di prepararsi, di trovarsi sullo
stesso
piano. Non sapeva se abbracciarlo o rimanere ferma; magari avrebbe
aspettato che lo facesse lui e gli si sarebbe abbandonata fra le
braccia come desiderava. Non doveva lasciarsi abbindolare da belle
parole, lei era lì per cambiare la situazione che li stava
allontanando. Attese qualche altro minuto poi tornò a
bussare, pensò
stesse ancora dormendo e quasi roteò gli occhi per
l'esasperazione:
strano come un uomo cresciuto e pasciuto di trentadue anni
continuasse a comportarsi come un adolescente del collage. Il
tintinnio metallico delle chiavi di casa si espanse nel silenzio del
pianerottolo, completamente confezionato in granito con qualche
pianta a foglia larga che risiedeva agli angoli dell'atrio.
-Coraggio
Pinkly. - esclamò la donna, come se di coraggio ne avesse
bisogno il
cagnolino ansimante. Quando entrò in casa si accorse del
silenzio
impressionante, stroncato solo dal rumore di auto dalla strada che si
udiva a causa delle finestra spalancata della cucina. Notò
una tazza
di caffè ormai freddo e odore di una sigaretta; il letto era
disfatto e gli abiti disseminati in giro, ma di lui non c'era
traccia. Il bagno era in disordine, ci andò sperando di
trovarlo lì
ma sentì solo l'odore del bagnoschiuma al muschio bianco che
adorava
lui. Michelle non seppe cosa pensare, possibile che non fosse in
casa? Credeva l'attendesse quella mattina e invece non riusciva a
capire dove fosse e perché avesse lasciato la casa in quelle
condizioni. Il guaire sinistro di Pinkly la smorzò dai suoi
pensieri: era adagiato a terra teso e puntava il muso contro la
soffitta, Michelle alzò la testa anche lei a dare
un'occhiata. Non
seppe bene cosa pensare, sapeva solo che Brian non poteva permettersi
scherzi con lei, non glielo avrebbe permesso. Non un'altra volta.
Note
dell'autrice:
Vi
ho consigliato una canzone da ascoltare a metà del racconto
che mi
ha ispirato a scrivere il paragrafo; per ogni scena ho bisogno della
musicalità giusta per non perdere il ritmo e questa canzone,
"Mad
World" di Gary Jules mi ha accompagnato per tutto il tempo!
Non mi ero neanche accorta di aver scritto tanto in questo capitolo,
tutto e solo concentrato su di loro per spiegare un pò il
personaggio strano e contorto di Jillian e di Brian, che si
completano e distruggono allo stesso momento. Brian dopo tanti anni
non è più sofferente, ma arrabbiato,
perché ha superato
l'allontanamento della donna riuscendo a trovare ciò che
cercava in
sua moglie senza però riuscire mai a trovare allo stesso
modo una
motivazione dell'allontanamento di Jillian. Spero che il capitolo vi
sia piaciuto come è piaciuto a me scriverlo.
Un
grazie speciale per i complimenti, a chi ha recensito, a chi
recensirà, chi ha aggiunto la storia fra le preferite,
ricordate,
seguite.
Comments
are love
Un
abbraccio :)
|
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Capitolo 15 *** 15. ***
15.
Brian
sentì una forte pressione invadergli il basso ventre,
soffocandolo,
risucchiando tutto il fiato che aveva ancora a rantoli nei polmoni
finché con un solo gesto delle dita non sbottonò
il jeans. Dovette
cingerle il corpo con il braccio per sorreggerla, nella sua vita
esile e longilinea come quelle di una venere maledetta dalla quale
invece di fuggire si stava lasciando risucchiare via l'anima. Si
cibò
del suo collo, lo baciò lungo tutto l'incavo nascosto,
intimandosi
di non smettere neanche alla richiesta silenziosa di lei che gli
graffiava le braccia. Le mani gli artigliarono così le
scapole
muscolose fino a farlo mugugnare sulle sue labbara, sfilandole la
maglietta con una velocità tale che gli sembrava non essersi
mai
staccato da lei proprio come desiderava. Il fiato s'era fatto
così
corto e affannoso che faticavano a parlare, al massimo qualche
mugolio gli sfiorava le orecchie e non era altro che il suono
più
melodioso che avesse mai ascoltato. Quando le scoprì i seni
erano
turgidi e acerbi, così come li ricordava, così
come l'aveva amata
anni prima, nella loro ingenuità di ragazzini maldestri e
goffi,
ritrovatisi invece adesso come due amanti in attesa e in scoperta
l'uno dell'altro. La mano ruvida e callosa di lui si posò
con tale
delicatezza che quasi non l'avvertì, aiutandolo piuttosto a
stringerla con più fervore grazie anche allo sguardo
malizioso con
la quale si era persa a fissarlo. Brian non vedeva più
ubriachezza
nei suoi occhi ma solo passione, languidi e brillanti come enormi
smeraldi incastonati nell'incavo dell'iride. Grandi, dominanti, poi
dolci, socchiusi per lo sforzo di resistere alle sue carezze. Brian
la baciò di nuovo, cercò di mozzarle i gemiti da
bocca e rubarli
nella sua gola carezzando la lingua con la sua sempre nella stessa
danza; si trascinarono entrambi verso il pavimento senza scollarsi
mai; la donna allungò un braccio alla parete e
colpì forte una
Gibson ES-150 sistemata lì al muro, poco lontana, che
lanciò un
suono stridulo e tremolante tanto che li fece sorridere, guardarsi
appena mentre entrambi si scambiavano un'ilare e sonora risata che li
aveva interrotti in un momento così intimo e confusionario.
-Attenta
o ci cade tutto addosso..- tornò a posarle un bacio casto
che poi lo
tramortì e lo indirizzò sempre più
verso il pulsare irrequieto
della sua intimità; dovette costrinsersi ad abbassare i
jeans per
non sentirsi ancora stretto nei limiti del vestiario e
agguantò la
coscia di lei pur di trascinarla meglio sotto di lui e sovrastarla
trattenendosi appena a pochi cenimetri di distanza tenendosi solido
sugli avambracci.
-Davvero
tu.. t-tu vuoi.. - la donna annuì interrompendo il suo
biascicare
irrequieto, lo guardava a bocca socchiusa, con la fronte imperlata di
sudore ed il petto scoperto che si muoveva su e giù su di
lei
affannosamente. Aderivano perfettamente, si sentiva parte del suo
stesso busto, tanto che la linea che li divideva quasi
scomparì
schiacciata dal suo corpo. L'uomo gracchiò qualcosa, forse
stava
pensando ad alta voce e si fece trasportare dallo stesso tremolio che
avvolgeva il corpo di lei, perfettamente fremente sotto di lui, sotto
la presa delle sue mani, del caldo del suo fiato sul collo.
Sentì
sfilarsi il pantalone lentamente, mentre lui si limitava a palmare
ogni zona scoperta della sua pelle; era calda per la foga con la
quale lo cercava, pallida, diafana, morbida da far invidia. Sembrava
di carezzare pura seta e godè di quel manto setoso
finché non fu
impossibile resisterle: si posizionò fra le sue gambe
sentendosi
accolto con un bacio che finì col mordergli il labbro, ma il
dolore
era troppo al di sotto della sua eccitazione. Troppo al di sotto
della sensazione di pienezza che avrebbe colmato quegli anni di
vuoto.
Michelle
roteò su se stessa in cerca di qualcosa: non sapeva bene
cosa ma se
ci fosse stato lo avrebbe trovato. Si lanciò sul letto e lo
scoprì
completamente in cerca di indumenti femminili, intimo, borse, oggetti
nascosti. Tutto ciò che fosse stato estraneo a quella casa
lo
avrebbe scovato e avrebbe temperato la fedeltà di Brian. La
spaventava l'idea che avesse potuto fare l'amore con qualche altra
donna nel suo letto, nella sua casa mentre lei continuava a soffrire
della situazione nella quale erano caduti. La risollevò il
fatto di
non trovare nulla ma non si arrese alla ricerca per il resto
dell'abitazione. Pinkly continuara a puntare un angolo indefinito
della soffitta guaendo come nella speranza di farsi accarezzare
dall'odore del suo padrone, ma Michelle si ritrovò troppo
occupata
dal suo rimuginare irrequieto per prestarvi ascolto. Si diresse verso
l'enorme cucina pensile, la squadrò completamente,
contò gli
utensili sporchi nel lavello d'acciaio, scarpe o tracce di impronte
in giro: quando se ne rese conto cominciò a pensare di
essere
diventata pazza e si portò una mano alla fronte come per
frenare
questo suo comportamento insolito. Pensò bene di prendere il
suo
smartphone e telefonargli, chiedergli dove fosse e di tornare subito
perché la situazione fuori dall'abitazione era irrefrenabile
e
l'avrebbero atteso come lupi famelici. Magari si era rifugiato a casa
di qualcuno dei ragazzi ma sarebbe stato meglio non fare giri di
telefonate per allarmare gli altri, gli avvenimenti degli ultimi
tempi avevano reso Brian più responsabile e sarebbe riuscita
a
trovarla a breve. Mentre si dirigeva nell'altra stanza per recuperare
la sua borsa notò Pinkly e solo allora pensò alla
possibilità di
trovarlo nella sala musica. Che sciocca, pensò, semmai fosse
stato
lì tutto il tempo nessuno dei due se ne sarebbe mai accorto
a causa
della parete insonorizzata.
Brian
le baciò il corpo sudato, annaspando e stringendo i pugni ai
lati
della testa di lei per scaricare l'eccitazione che gli stava
scuotendo violentemente il corpo. Pelle contro pelle emanavano un
calore sovrumano, li avvolgeva e li spingeva a cercarsi sempre di
più
con la stessa foga e la stessa energia. Jillian cinse il bacino di
lui con le gambe e accompagnò il ritmo delle sue spinte con
i gemiti
della sua voce serafica, mite, che gli fece accapponare la pelle
costringendolo a stringere i denti pur di non deturpare il momento
idilliaco. La voce di lui era graffiante, cercava di trattenere in
gola i mugugni, troppo occupato a non perdersi neanche un solo
istante sulla pelle di lei. Non poteva descriverla, non voleva
descriverla, non gli bastavano parole adatte a ciò che stava
provando in quel momento. Il pavimento in parquet laminato
sembrò
farsi irrimediabilmente rovente, invece era solo frutto della sua
immaginazione e di quel giaciglio così arrangiato che aveva
ancor
più il profumo della passione.
Michelle
salì la scaletta di legno con malcelata preoccupazione,
sempre
troppo precaria per i suoi gusti: come prima cosa avrebbe cercato di
convincere Brian a cambiarla con una più sicura e meno
traballante.
Portò le mani piatte contro il soffitto proprio dove si
parava
l'angolatura per l'apertura interna e spinse guardandosi bene dal
rimanere in equilibrio. Non ci saliva quasi mai, alle volte Brian le
raccomandava di voler restare solo per non perdere la concentrazione
e lei aveva sempre soddisfatto questo suo angolo di privacy.
Cercò
di dargli una spinta assestata ma qualcosa non andava, c'era come un
peso a bloccare l'apertura e dovette murirsi di fiato e forza per
riuscire a riprovare. Rifilò un'altra spinta all'entrata
alla
soffitta, ma non riuscì a sollevarla in alcun modo neanche
stavolta.
-È
come bloccata. - biascicò lamentandosi, come se il cagnolino
vispo
stesse lì ad ascoltarla. Dovette arrendersi dopo qualche
tentativo e
sperare che rintracciarlo al cellulare sarebbe risultato più
semplice.
Brian
si lasciò andare su di lei senza fiato, neanche le braccia
con le
quali si era trattenuto fino a quel momento avevano continuato a
sostenerlo. Era esausto, il corpo completamente in balia degli ultimi
sussulti che l'avevano visto vittima di una fortissima eccitazione.
Jillian amorevolmente lo strinse, il viso di lui posato al seno, come
a dare il tempo ad entrambi di formulare nella loro mente quello che
era appena successo e cioè che erano finiti per fare
l'amore,
insieme, come a spolverare un vecchio ricordo sepolto in un angolo
della loro mente. Non potè credere a ciò che
aveva provato, si
sentì ancora il calore che le pervadeva le budella
così le mani
scesero a carezzare i capelli corvini: le era mancato, le era mancato
tutto. Le parve come se in tutti quegli anni di rapporti con un altro
uomo non avesse mai più provato una sensazione
così pura di
felicità e di completezza. Brian l'aveva trattata con una
premura
che non credeva possibile, nonostante la forza del suo ritmo e dei
suoi baci le davano quasi l'impressione che volesse divorarla. Sapeva
essere l'uomo più imprevedibile che avesse mai incontrato, e
per
questo che quando le ribadiva che erano perfettamente uguali lei non
poteva fare a meno di dargli ragione.
-Wow..
Tutto questo non lo avevo previsto.. - Brian era ancora stretto alla
presa delle sue braccia, morbidamente posato fra le rosee curve del
suo petto. Quando la sentì parlare non potè fare
a meno di
sorridere.
-Avevo
ragione allora: programmi davvero come distruggermi la vita.- Le
sfuggì un sorriso, ma non era tutto così
divertente nelle sue
parole. Brian si umettò le labbra poi tornò a
puntare i gomiti al
pavimento per permettersi di guardarla. Riuscì a trattenere
il suo
sguardo diversamente da poche ore prima, adesso vi si perdeva dentro,
ammaliato, felice, non potè evitare di baciarglieli
dolcemente,
prima uno poi l'altro. -Sei stata comunque la rovina più
bella della
mia vita.-
Quando
si staccò le portò con una mano delicatamente una
ciocca di ciuffi
ramati dietro l'orecchio argentato da orecchini e schioccò
la lingua
sotto al palato per darsi il tempo di parlare di nuovo.
-Se
mi avessero chiesto come mi sarei visto fra dieci anni dopo quel
maledetto giorno, di sicuro non avrei mai pensato a questo. -
entrambi tornarono a ridere, una risata che rieccheggiò
sublime e li
costrinse a guardarsi ancora negli occhi con una luce diversa.
-Neanche
io.. Ma non nego che adesso è come se la mia vita fosse
cambiata una
seconda volta. Probabilmente potrò finalmente tornare a
vivere e
sperare di riuscire a ricominciare. - Jillian alludeva al fatto di
essersi liberata finalmente della presa possente di Mark e Brian
annuì poco convinto, dimenticando quel piccolo particolare e
ritornando con i piedi per terra. Uno strano ronzio sommesso
interruppe entrambi dai loro pensieri e dal loro abbraccio ancora
indissolubile. Brian si portò seduto e recuperò i
jeans, cogliendo
l'occasione per infilare nuovamente i boxer abbandonati poco lontani
e ci mise qualche secondo per riuscire a capire che l'attrazione
della sua curiosità era contenuta nella tasca posteriore.
Jillian si
infilò la t-shirt lentamente cercando di rivestirsi anche
lei, fino
a che non si fermò nel guardarlo immobile a fissare lo
schermo dello
smartphone che continuava a lampeggiare invano.
-Merda.-
gli sentì sussurrare agguantanto i jeans per indossarli.
Michelle
interruppe la chiamata con una smorfia che voleva essere tutto tranne
che benevola: davvero non riusciva ad immagiarsi una persona
più
difficile da rintracciare di quell'uomo. Manco fosse presidente dei
cinquanta stati d'America. Dovette permettersi un lungo
inspirò per
non mettersi ad urlare prima di lanciare lo smartphone con forza
nella borsa per portarla in spalla e voltarsi nell'altra stanza per
dirigersi verso la porta d'ingresso.
-Andiamo
Pink.. Brian! Cristo, mi hai spaventata! - le comparve alle spalle
poco prima che svoltasse verso la porta, lasciandola impalata ad
occhi spalancati come se avesse visto un fantasma. L'uomo, a petto
nudo e leggermente affaticato le si porse con un'espressione basita,
pallido, sorpreso anche di lui di trovarla già lì.
-'chelle,
cosa ci fai quì? - la donna lo guardò come per
far finta di non
aver sentito, dandogli la possibilità di recuperare al
torto.
-Cioè.. cazzo, lo so, dovevamo vederci.-
-Dove
diavolo eri? Ti ho cercato per tutta la casa. - L'uomo
biascicò
qualcosa, si grattò la nuca in modo incomprensibile poi si
avvicinò
per abbracciarla.
-Perdonami,
non ti ho sentita entrare.-
-Brian..-
esclamò sorpresa dal suo comportamento, cercando spiegazioni.
-Lo
so, lo so, vieni c'è del caffé di là,
parleremo più con calma.
Sono sicuro di averlo preparato, almeno. Non ho dormito tutta la
notte mi sento un pò tramortito, perdonami. Mi serve solo un
secondo.- prese ad avvantaggiarsi lungo la cucina mentre finalmente
Pinkly gli andava incontro, contento di vederlo perfettamente
scodinzolante.
-Hei,
hei! Campione! - cercava di acciuffarlo ma il cagnolino continuava a
sgusciargli via dalle mani completamente fuori di senno dalla
contentezza. -Come stai? La mamma ti ha portato a fare una corsetta
in questi giorni? - scherzò beffeggiando l'animaletto ancora
su di
giri e regalandogli qualche carezza.
-Sono
contento di avervi quì, solo che.. è stata una
nottata strana.-
cercò di mantenersi sul vago sperando che non le fosse
giunta ancora
nessuna voce e nel frattempo prese ad armeggiare ancora con le mani
che gli fremevano per la situazione improponibile che si era andata a
creare. Non credeva che Michelle fosse già lì,
chissà da quanto
ormai, le aveva detto di averlo cercato ovunque e ringraziò
il cielo
che la sua avanscoperta non l'avesse portata dove realmente risiedeva
fino a pochi minuti fa insieme a Jillian. Dio, Jillian,
sperò
rimanesse buona per un pò: avesse potuto si sarebbe preso a
schiaffi
in quel momento. Michelle a quel punto si arrese, preferì
aspettare
che Brian scaldasse del caffé e attese sedendo alla
pensilina della
cucina con le mani congiunte come a non saper come iniziare la
conversazione.
-Wow,
è una situazione strana.-
-Puoi
dirlo forte..- biascicò l'uomo a bassa voce fra
sè e sè,
voltandosi solo dopo per porgerle la tazza e avvicinandosi per
sedersi di fronte. -Che intendi?-
-Hai
la lampo aperta.- L'uomo calò lo sguardo verso la zip dei
jeans e la
tirò su imbarazzato, mettendosi a ridere pur di smorzare lo
stupido
comportamento teso che stava assumendo.
-Odio
le zip, sono... così scomode.- alzò le mani in
segno di resa quando
osservando la donna cominciò a trovare in lei un'espressione
fermamente stranita. Stava cercando di essere più naturale
possibile
invece gli sembrava di stare rovinando tutto.
-Beh
comunque, sono stata felice della tua telefonata e ci tenevo comunque
a ribadirlo..- Brian sorrise e annuì, sollevato anche lui.
-Sì,
e sono felice che tu abbia accettato di vederci.-
-Non
significa che la cosa si sia risolta, credo tu lo sappia questo.-
annuì e lei proseguì. -Brian io.. ci ho pensato
tanto e nonostante
la mia famiglia non sia molto d'accordo con la mia decisione
frettolosa, vorrei darti la possibilità di rimediare.
Salvare il
nostro matrimonio è troppo importante per me. - fece per
commuovere
la voce e Brian sentì una morsa allo stomaco, sentendosi il
pezzo di
merda peggiore sulla faccia della terra. Una feccia umana.
Allungò
una mano a carezzare quella di lei posata sul ripiano e la
tranquillizzò annuendo dolcemente senza riuscire a dire
nulla.
-Val
non ne è per nulla felice, credo tu lo sappia, e ..neanche
mio padre
ha preso bene la cosa.- Avesse avuto un colletto, Brian si sarebbe
preoccupato di allentarlo all'estremità del collo, eppure
era a
petto nudo e sentiva comunque una morsa invisibile come fossero le
mani del suocero.
-Certo,
posso solo immaginare.-
-Naturalmente,
dall'ultima discussione che abbiamo avuto ho fatto in modo di non
lasciarmi influenzare troppo, quindi..- prese un lungo respiro.
-adesso sono quì. Non farmene pentire, Brian.- il suo
sguardo non
ammetteva repliche. -Mi serve che tu mi faccia delle promesse.. -
-'chelle
ti prego..-
-Brian..-
chiamò supplichevole e l'uomo capitolò.
-I-io
posso provarci ma promettere è un qualcosa che.. lo sai,
è fatto
per chi ha una vita normale e tranquilla. Quì è
tutto sregolato,
non posso rispettare orari, ho impegni internazionali e..-
-Se
ci trovassimo in una situazione inversa avresti spostato mari e monti
pur di riuscire a tranquillizzare il tuo cervello. Io non riesco
più
a vivere con questo peso sullo stomaco, mi sento come trattata da
stupida! Io so di poter gestire la mia vita ed il mio matrimonio!-
-Certo
che puoi..-
-Giurami
allora che non c'è stato niente.- Brian si interruppe e
deglutì
rumorosamente sperando di aver frainteso le sue parole.
-Cosa?-
-Giurami..
che non c'è stato niente.- battè le palpebre
velocemente come per
ossigenare il cervello da quella improvvisa supplica, si
portò una
mano alla bocca mestamente scompigliando i ciuffetti di barba che
sbucavano dal mento.
-Michelle
io non so cosa intendi, cioè cosa vuoi che..-
-Che
non sei stato con lei! Che non l'hai baciata, che non hai passato
attimi sperando in lei. Brian noi siamo una famiglia, dobb.. - il
campanello interruppe la donna indirizzando il viso di entrambi verso
la direzione della porta d'ingresso, cosa che Brian
ringraziò felice
di averlo salvato. Certo che se non fosse stato certo che Jillian
fosse nascosta nella sala musica non avrebbe avuto tutta questa
sicurezza nel dirigersi ad aprire.
-Aspettavi
qualcuno?- mormorò la donna, mentre l'uomo si
allontanò per
chiedersi anche lui effettivamente chi fosse a cercarlo.
-Agente..-
Disse Brian aprendo la porta con sorpresa e mentre corrugava le
sopracciglia gli venne sporta una carta compilata che si
apprestò a
leggere con malcelata preoccupazione.
-Brian
E. Haner? - egli annuì e continuò a scivolare gli
occhi sulle righe
rigide e formali di un arresto riferito ad un certo Haner come stato
di fermo per l'aggressione al sopracitato Sig. Johnson, vittima di
una rissa, con annessi acciacchi annotati sul referto medico
allegato.
-Deve
esserci un errore, dovrò sicuramente parlare con il mio
avvocato
prima.- Michelle si alzò dalla sua postazione assistendo
alla scena
con un'espressione disorientata, che quasi sentì le gambe
gelatinose
cederle sotto il peso del proprio corpo.
-Mi
sa che lo farà direttamente alla nostra stazione di
polizia.- cercò
di ribattere ma non se la sentì, trovò solo la
forza di voltarsi a
guardare sua moglie, spaesata, confusa; tutto lo stupore e il rancore
racchiuso nei suoi occhi che solo sfiorarli con lo sguardo lo
punivano di tutte le sue colpe. Quanto male le stava facendo, quanto
male stava facendo a lui.
-'chelle..
perdonami..- mormorò. Gli fu appena concesso di indossare
una
t-shirt insieme alla giacchetta di pelle prima di trovarsi
inghiottito dalla folla dei giornalisti fuori al vialetto di casa,
con i flash contro che lo immortalavano spento in viso, colpito nel
profondo mentre si infilava in auto insieme agli agenti locali.
Alzò
il viso alla palazzina e scontrò il viso di Michelle
completamente
insabbiato dal pianto e avrebbe voluto allungarsi per abbracciarla,
ma chissà se mai le sarebbero arrivate le sue richieste di
perdono
se solo l'avesse guardato negli occhi in quel momento.
Angolo
dell'autrice:
Quando
prendo di mira i personaggi so essere davvero spietata ma tutto
questo serve all'andamento della storia, coraggio Bri!
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto e che le descrizioni siano state
abbastanza chiare da riuscire a ricreare le scene così come
sono
nate nella mia mente. Il compito più difficile è
sempre trasferirle
su carta -se così si può chiamare-.
Sono
felice ed entusiasta del tempo che ho a disposizione per questa
causa.
Ringrazio
animatamente chi ha recensito la fanfiction, per i complimenti ed il
tempo dedicatomi che mi da una spinta sempre maggiore a completare la
fanfiction; a chi ha aggiunto la storia tra le preferite, seguite,
ricordate.
A
presto! :)
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Capitolo 16 *** 16. ***
16.
-Brian
è stato arrestato? State scherzando spero! Q-questo non
è
possibile! - Valary si contorse dall'angoscia, portandosi seduta e
con una mano a cingersi i fianchi osservando un punto impreciso della
sala di registrazione. Tutti i restanti del gruppo si erano radunati
alla telefonata tempestiva di Matthew, che stava ormai da
più di
dieci minuti in silenzio a guardare il notiziario trasmesso alla tv
riguardando il loro primo chitarrista. Zachary e Johnny rimasero a
tranquillizzarla, con le mani incrociare al busto senza riuscire a
nascondere le loro sensazioni di sfiducia: possibile che la
situazione si fosse ridotta a questo? Avevano sperato in un
pò di
discrezione da parte degli avvocati ed invece sembrava che il virus
mediatico avesse già preso ampio campo sulla faccenda.
-Non
è stato arrestato, è solo in stato di fermo. -
Iniziò Zacky, alla
quale si allacciò subito dopo il bassista.
-Già.
Serve ad evitare che uno se la squagli dopo il fattaccio. È
capitato
già centinaia di volte: Jimbo era dentro quasi ogni anno. -
-Stai
parlando dei tempi del collage. Non abbiamo l'età e non
passiamo
neanche più tanto inosservati.. Brian ha fatto una tremenda
puttanata.- La donna si asciugò le lacrime che le coprivano
gli
occhi per poi sbottare su di giri, ringhiando contro Zachary a pugni
stretti.
-Di
che puttanata stai parlando? Dite tutto quello che sapete sulla
faccenda! Tanto lo so che state cercando di coprirlo!- un tremendo
frastuono improvviso scosse i tre, tanto che sull'attenti si
voltarono verso il leader che aveva scaraventato via gli oggetti dal
ripiano di fianco lo schermo da parete. Matt era furibondo, non aveva
pronunciato una parola e il suo fiato si era fatto improvvisamente
affannoso. L'aria in sala si fece torbida, arida e i ragazzi
dovettero deglutire a fatica per ritornare a parlare. Attesero
qualche secondo di comune accordo poi si spostarono verso l'amico
portandogli una mano sulla spalla e stringendola con convinzione.
-Vedrai
che sarà fuori in un batter d'occhio. -
-Siamo
invasi dalla stampa.- dalle vetrate ampie del secondo piano una massa
informe e brulicante di giornalisti aveva invaso le strade parallele
alla sala.
-Quando
avrà chiarito la sua posizione se ne andranno.-
-Rimane
il fatto che lo ha pestato a sangue! Questo ci vorrà tempo
prima che
qualcuno se ne dimentichi!-
-Di
cosa diavolo state parlando? - Valary intervenne su di giri, ma i
ragazzi accerchiati erano troppo presi dalla situazione sfuggita di
mano.
-Dovrò
andare a depositare per lui.- Matt si voltò dileguandosi
verso
l'ingresso dopo aver afferrato la giacca al volo, ma i ragazzi lo
raggiunsero in un batter d'occhio.
-Sei
impazzito? Centinaia di testimoni sanno che sei intervenuto dopo,
finiresti nei guai anche tu!-
-E
allora cosa diavolo possiamo fare? Non posso lasciarlo così!
-
Zachary affondò lo sguardo negli occhi del leader, le sue
pupille
continuavano a cerchiarsi e dilatarsi come sotto l'effetto di una
droga, non lo aveva mai visto così. Sicuro fosse lo stesso
Matt di
sempre? Quei due giorni avevano mandato tutti ad impazzire, si era
perso lo scorrere del tempo ed i loro neuroni stavano andando
completamente a farsi fottere.
-Tu
non puoi. - intervenne Johnny richiamando l'attenzione vagante di
tutti. -Ma abbiamo chi può farlo.-
***
Jillian
riaprì gli occhi attendendo qualche secondo per riuscire a
rendere
nitida la veduta di ciò che la circondava: la sala era
immersa nel
silenzio, poteva udire il suo respiro come mai prima d'ora, come se
si trovasse in un sogno distorto. Si tirò seduta aiutandosi
con le
braccia, mugugnando per la scomoda posizione in cui aveva giaciuto
per chissà quanto tempo in attesa che Brian tornasse, ma
così non
era stato a quanto pareva. Non seppe bene che ora fosse, in quello
spazio di legno e corde di rame sembrava che il tempo non potesse
penetrare o imporre limiti, era tutto innaturale. Diede un'occhiata
al display del suo smartphone sorprendendosi di quanto tempo fosse
passato, chiedendosi quale fosse davvero la cosa migliore da fare.
Aveva accantonato per un attimo ciò che era successo quella
mattina
stessa, con Brian, abbracciati a fare l'amore sul pavimento della sua
stanza dello spirito e del tempo. Jillian rise al pensiero, poi
però
smise riflettendo sul motivo del perché ora lui non fosse
più lì.
Pensò bene di raccattare le sue cose e fare in modo di
dileguarsi il
prima possibile: sentiva la testa pesante per lo stato brillo delle
ore precedenti e ora si sentiva anche stupida di aver causato alla
vita coniugale di Brian una falla grande quanto il suo ego. Brian era
sposato e ora che ci rifletteva a mente lucida tutto stava
riprendendo pian piano forma. Una forma mostruosa e diabolica ma pur
sempre una risposta alle sue domande. Affondata di nuovo dalle sue
iniziative che prima o poi l'avrebbero lasciata sola, in qualche
angolo dell'America, senza più speranza. Prese un gran
respiro prima
di alzare la botola impiantata al pavimento, incapace di evitare di
far cigolare il legno e costretta ad una smorfia di sforzo e
terrore. Si sentiva una ladra e la cosa le immobilizzò il
cuore in
gola per qualche tempo, finché non riuscì a
rendersi conto che la
casa era completamente deserta e che vi fosse solo lei ormai. Dovette
sbrigarsi ad allontanarsi verso l'altra parte della strada, dove
ormai vigilavano insieme ad un brusio sconnesso un'orda di
giornalisti e affini, cercando di confordersi tra loro una volta
alzati al viso i grandi occhiali specchiati. Come se la sua esistenza
venisse cancellata solo grazie a quello.
***
-Davvero
sei della tv?- Brian continuò ad accerchiare con la punta
dell'indice il legno del tavolo della sala d'attesa, stralunato,
stanco delle continue domande della guardia ingorda che continuava a
sputacchiargli addosso pezzetti di donut alla nutella.
-Non
sono della tv.-
-Ma
sei uscito nel notiziario, non posso crederci! Finalmente qualcosa di
interessante anche da queste parti. Che cosa fai allora?- Non
alzò
lo sguardo, si limitò ad aspettare il suo avvocato
sbirciando la
porta d'entrata con la coda dell'occhio, grugnendo infastidito quando
si accorgeva che rimaneva ancora ottusamente serrata.
-Eddai,
puoi parlarne con me! Quì la vita non è semplice:
scartoffie, ronde
di routine, altre scartoffie. Secondo me tu sei un ragazzo a posto,
ne ho viste di facce da galera e a parte quella matita sotto l'occhio
non hanno nulla a che fare con te. Nel minore dei casi spacciano
qualche merda ai ragazzi di quartiere fino a sparare alle vecchiette
per le loro pensioncine da quattro soldi. Che sudicio mondo. -
mormorò, tornando a cibarsi quasi come per allontanare la
collera
fremente. Brian si voltò a guardarlo sorpreso dalle sue
parole,
quasi annuiva per la rabbia che aveva sentito dalla sua voce e non
potè evitare un'espressione amareggiata. L'attenzione dei
due si
spostò però fugacemente al rumore della porta che
si apriva,
mostrando una guardia che irruppe col capo quasi come evasivo.
-Hai
una visita: dice di essere tua moglie. - Brian si alzò in
piedi
fulmineo e annuì, notando la figura snella di Michelle
nascosta
dietro due grandi occhiali a specchio.
-'chelle.-
pronunciò quando gli si sedette di fronte, sempre sotto
l'occhio
attento dei due agenti in divisa. La donna non parlò,
armeggiò con
la borsa finché non riuscì a trovare la posizione
adatta per
contenere leggermente la sua impazienza.
-Dimmi
che c'è stato un errore e che non è possibile che
tu sia quì,
adesso.-
-Come
hai fatto a..-
-Brian!
Maledizione, dillo! Che accuse hanno contro di te per tenerti
quì? -
La donna si spazientì, strinse i pugni contro il bancone ed
i suoi
occhi specchiati non ammettevano nessun contatto con quello
dell'uomo. Brian attese qualche secondo poi umettò le labbra
con un
gesto veloce cercando le parole giuste da usare, semmai ce ne fossero
state.
-È
una situazione passeggera..-
-Sono
otto mesi di reclusione, questo ti sembra passeggero?- la voce della
donna si fece disarmante ma nessuno trovò il modo giusto di
aiutarla
a calmarsi.
-I
miei avvocati devono ancora deporre, non è nulla di
effettivo!
Stiamo aspettando che riescono ad ottenere tutto l'occorrente per
ribattere. Lo sai che non so come funzionano queste cose..-
-Perché?-
-Perché
pago loro per farlo.-
-Intendevo,
perché ti hanno arrestato. Voglio la verità
Brian, non credi di
aver già mentito abbastanza? Quanto credi che io possa
reggere
queste umiliazioni da parte tua?- I due agenti restarono impalati ad
assistere, costretti per motivi interni agli ordini, ma Brian non se
ne curò, era come se nella sua testa fosse tutto vuoto ed il
solo
motivo per uscirne era scomparire. Peccato fosse impossibile.
-C'è
stata solo una stupida rissa.. - mormorò con un filo di
voce, che
gli uscì appena mentre stringeva forte i pugni fino a far
sbiancare
le nocche.
-Una
rissa? Cristo, ma sei impazzito? Con chi? - Strinse le labbra mentre
gli moriva il nome sulla punta della lingua: solo ricordare quel
momento gli faceva scorrere la rabbia fin dentro le vene delle
braccia.
-Mark..-
-Mark?-
-Johnson.
Mark Johnson.- Michelle spalancò gli occhi ma il gesto si
materializzò solo nella testa dell'uomo che immaginava
ognuna delle
sua reazioni alla scoperta di quel nome. Mark, Mark Johnson, terza
classe del college; numero otto nella squadra di football della
scuola; chitarrista a tempo perso, grande amico ai tempi della loro
vita da adolescenti; fidanzato di Jillian con la quale si
trasferì
fuori la California pochi anni dopo il diploma. Il tutto tornava a
ricollegarsi a lei, a Jillian, e Michelle non potè che
stringere i
denti alla notizia.
-Mark
Johnson.- iniziò con una smorfia annichilita. -Il fidanzato
di
Jillian.-
-Non
è come pensi. L'aveva picchiata, il suo viso era
completamente
gonfio e tumefatto. Quel figlio di puttana era ubriaco e sballato di
merda, mi rilasceranno per forza, è solo questione di ore.-
-Perché
non me lo hai detto? Perché mi tratti come una stupida,
come.. come
una cosa inutile, un ripiego? - Brian disdì col capo per
rinnegare
le parole di lei, scaricate fuori con rabbia, come tante lingue di
fuoco che lo schiaffeggiavano.
-Non
è così! Avevo solo paura che non saresti
venuta..-
-E
avevi ragione. Almeno qualcosa di me lo conosci. - la donna si
alzò
in uno scatto veloce che lo immobilizzò per qualche istante,
finché
con un gesto immediato non le vide trascinarsi la borsa in spalla e
voltarsi verso la porta.
-Michelle!
Michelle, aspetta..- cercò di afferrarla ma il braccio esile
le
sfuggì dalla presa, mentre un agente lo fermava all'uscio
per
impedirgli di seguirla.
-Aspetta
cazzo, devo parlare con mia moglie! - intimidò con uno
strattone a
lasciarlo ma non gli fu dato ascolto, guardandola mentre si
allontanava lungo i corridoi del distretto locale accompagnata dai
suoi richiami rauchi. -Michelle! Michelle, cazzo!-
***
Tirò
su col naso ancora dolorante, gli tiravano tutti i punti di sutura
che aveva sul collo della narice e con una smorfia contratta
cercò
di sopportarli con appena qualche rantolo. Erano due ore che
aspettava in auto al buio, con accesa la radio, crogiolandosi della
notizia che girava ormai da ore sull'arresto di Synyster Gates,
chitarrista degli Avenged Sevenfold. Incredibile, non si sarebbe mai
aspettato che finisse dentro con tanta velocità e la cosa
non potè
che farlo sorridere. Mark fece un altro tiro veloce di sigaretta:
Jillian mancava dall'intera mattinata da casa e cercare di capire
dove fosse stata non era difficile. Sicuramente quei maledetti dei
suoi amici l'avevano tenuta dentro una campana di vetro
finché uno
dei loro componenti principali non è finito al fresco.
Già se li
immaginava piangenti e smarriti in mancanza dell'anello che
concatenava tutti gli altri della band. Synyster Gates non era quello
che conosceva di lui, ma Brian Haner sì. Ricordava ancora
come fosse
stato appena il giorno prima la sua faccia a vederlo andare via
stretto a Jillian: come aveva fatto ad innamorarsi di lei? Era bella,
sì. Ed era buffa, lentigginosa, scuoteva la testa come una
bambina
quando qualcosa non la convinceva. Forse per questo Brian Haner
l'aveva amata? Non era una donna a quei tempi, non era neanche
formosa, non era provocante, vestiva come una suora e leggeva tanti
noiosi libri. Eppure anche lui l'amava, l'amava tanto. Lei era
premurosa con lui, gli prestava attenzioni di cui aveva bisogno per
colmare il vuoto costante intorno a sè. Non aveva famiglia,
non
aveva una casa, era un ragazzo strano e attivo che l'aveva stretta
fra le braccia e le aveva fatto credere che fosse l'unica. Ma chi
può
davvero credere di essere unica in una popolazione così
vasta come
quella? Solo una sciocca. I fanali dell'auto restarono oscuri a
mimetizzarsi nella sera, mentre passi svelti si erano apprestati a
rincasare. La fiaccola aranciata della sigaretta si accese in quel
buio assoluto, prima di morire lanciato via sull'asfalto. Jillian
aveva varcato la soglia di casa e probabilmente avrebbe passato
qualche secondo a rinsavire prima di mettersi a letto.
Chissà se le
era giunta la notizia: il suo Brian non sarebbe stato lì a
prendersi
cura di lei. Che peccato. Scese dall'auto con un tremolio alla gamba,
gli faceva così male che la trascinò fino al
pianerottolo dove
sbirciò con la coda dell'occhio verso ogni angolo. Il
cancello alto
era ancora socchiuso, sapeva che la sua abitudine si prolungava
finché non si sarebbe coricata, allora ne
approfittò per sgusciare
all'interno. Non era molto agile, gli ci volle un pò per
salire i
gradini ma poi si affiancò al portone poggiandovisi contro
per
ascoltare. Non c'era nulla, solo silenzio. Mark si accostò
spingendo
e cercando di girare la maniglia, ma era chiusa, avrebbe dovuto
bussare? Oppure prendere il suo mazzo personale per farle una bella
sorpresa?
-Principessa?
Finalmente a casa.- bofonchiò. Sapeva che il suo tono era
troppo
basso e ovattato per sperare in una risposta ma sogghignò,
come se
la cosa lo divertisse al quanto: essere un'ombra, un sospiro di
vento. Il tintinnio metallico dell'anello di chiavi
riecheggiò nel
vialetto disabitato, era come il suono di catene che cozzavano, di
spade, di una gabbia d'oro che stava per sigillare il suo portoncino
ovale. Oro ma pur sempre una gabbia. Quando il chiavistello
combaciò
perfettamente ci fu un momento di pausa, qualche secondo per darsi il
tempo di respirare a pieni polmoni l'aria della notte. Sapeva di
bruciato, ma forse era solo un pensiero che gli affiorava la mente o
la causa dei forti pugni al viso. Non ci pensò troppo, aveva
solo
pochi minuti. Il pomello iniziò a rigirare su se stesso e
questo fu
il chiaro segno che quella porta non li avrebbe divisi, non
l'avrebbe tenuta lontana da lui come le volte precedenti. Solo allora
Jillian sobbalzò; si chiedette più e
più volte se fosse stato il
vento a scuotere i cancelli o a graffiare fuori dalla porta, ma quel
particolare le diede la conferma che forse non era sola. Quasi le
gambe diventarono molli sotto il suo peso, dovette farsi forza in un
ultimo estenuante tentativo prima di dileguarsi verso la stanza da
letto e chiudere la porta alle spalle con un giro di mandata, come se
bastasse a renderla immune. Jillian annaspò, il suo fiato si
assottigliava sempre di più, divenne un alito che sembrava
spirare
da un momento all'altro minacciando di lasciarla senza ossigeno.
Indietreggiò senza perdere d'occhio il legno inciso,
inciampando
contro il caos, gli angoli del letto, oggetti sparsi in giro. Ci fu
un tonfo, il rumore di passi sconnessi e scoordinati, che il suo
cuore, quasi come se volesse tuffarsi fuori dal petto,
monitorò a
suon di battiti forsennati.
-Ti
prego... ti prego... - piagnucolò a voce bassa, stesa a
terra come
se riuscisse ad unirsi al pavimento per scomparire. -N-non.. no..
no.. - si asciugò le lacrime con la manica della maglia e
camminò
carponi verso l'angolo del letto per pararsi dall'aura pesante che la
stava schiacciando come un macigno.
-Possibile
che hai ancora voglia di giocare? - Jillian sobbalzò, la
voce di
Mark era atona, quasi cordiale, dovette prendere un lungo respiro per
impedirsi di urlare. -Apri questa porta Jillian, sono stanco di
perdere tempo. - sentì spingere da fuori e battere contro la
maniglia serrata. -Coraggio, apri questa porta. Siamo persone adulte,
perché non chiarire una volta e per tutte?- La donna
batté
velocemente le palpebre per liberare gli occhi dalle lacrime, che le
rendevano la vista offuscata fino a rigarle le guance. -Apri questa
cazzo di porta! - non riuscì a trattenere un urlo debole,
spaventata
dai rantoli e dai suoni dei palmi che si scagliavano sulla
superficie. -Va bene.. va bene.. Troverò un modo
altrenativo.- Il
suono dei passi zoppi e innatuali si allontanò di poco per
poi
tornare iniziando a colpire forte con qualcosa di pesante,
finché
non avrebbe fatto cedere la sua unica protezione fra mille schegge
appuntite. -Hai sentito la notizia? Oh, sì che l'hai
sentita. Chi è
che ormai in tutto il mondo non sa che Brian Haner è al
fresco a
pagare per i suoi crimini? Dio, quanto si è esposto per te!
Un vero
martire! - Il cuore della donna accellerò fino a scoppiare,
mentre
si portava una mano alla bocca per evitare di gemere ancora. Brian
arrestato? Voleva vendicarsi di lui continuando a perseguitarla,
ormai stretti in una morsa che mai l'avrebbe allontanata da Mark.
Cosa poteva fare? Cosa avrebbe potuto evitare che entrasse in quella
stanza? Cosa voleva da lei?
-Incredibile
quanto quell'uomo non sia cambiato di una virgola! In tutti questi
anni non ha ancora capito quanto sforzo gli sia costato stare con una
come te, ma quanto si è fatto male adesso? Avrà
imparato la lezione
spero! Sei davvero un pericolo, principessa. Ci manderai tutti
all'inferno! - il crepitio violento cominciava ad inarcare la soglia
della porta fino a farle emettere un suono stridulo, come un urlo
soffocato di sofferenza. Jillian si asciugò gli occhi e i
lati della
bocca, raggiungendo l'angoliera ai lati del letto per afferrare il
suo smartphone: le dita le tremavano così tanto che quasi
non
riusciva ad usarlo, continuava a sbagliare e riprovare
finché non si
appiattì con le spalle al muro attendendo che qualcuno
rispondesse
alla sua chiamata di aiuto.
-Cristo,
sono due ore che cerco di mettermi in cont..-
-È
quì... è quì..- Jillian emesse un
lungo lamento che scoppiò in
pianto. Era stanca, sfinita, non avrebbe affrontato Mark con la forza
debole che le appesantiva le braccia.
-Chi?-
-Aiutami
Matt, ti prego.. ti supplico.. è quì.. non so
cosa voglia! Sta
buttando giù la porta! - i colpi alla porta furono udibili
dal
microfono tanto che Matt sussultò e si rizzò in
piedi di scatto
afferrando la giacca.
-Sto
arrivando! Dove sei? -
-A
casa.. a casa..- emesse in un soffio quando riuscì a
smettere di
piangere, raggelata dalla porta della stanza che si spalancava e
dalla figura affannata e imperlata di sudore dell'uomo. Il buio della
stanza dove risiedeva lasciò spazio alla luce soffusa che
proveniva
dalla cucina; era un alone ombrato, caldo, che aveva circondato il
corpo snello e mal messo di lui, voltatosi a sogghignare contro di
lei rannicchiata al buio in un angolo.
Il
labbro di Jillian aveva preso a tremare forsennatamente fino ad
impedirsi di fermarsi, mentre lo guardava avvicinarsi a lei con un
passo lento imbracciando la mazza da baseball della squadra del
paese.
-Resisti,
sto arrivando! - lo smartphone cadde al pavimento in un tonfo sordo,
mentre la voce di lei si affievoliva, le moriva in gola, stretta fra
le sue dita.
-Jill..
Jillian! -
Angolo
dell'Autrice:
A
qualche settimana di distanza eccovi quello che sembrerebbe essere il
penultimo capitolo. Ringrazio chi con tanto affetto mi ha seguito,
recensito, chi silenziosamente ha apprezzato la mia storia.
L'argomento che ho trattato mi è stato tanto a cuore e
tutt'ora lo
trovo decisivo per sensibilizzare sempre più persone a
combattere
contro la violenza sulle donne; in questo caso in particolare la fan
fiction è raccontata in modo molto soft, soprattutto con i
nostri
idoli quindi è stata resa più leggera possibile.
Comunque,
dato che i ringraziamenti e le risposte a possibile vostre domande
saranno poste solo alla fine, vi ringrazio ancora per essere
arrivate/i fin quì.
Un
abbraccio e a presto!
|
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Capitolo 17 *** Epilogo ***
17.
C'erano
stati solo due aspetti positivi in questa macabra e malata storia,
che avevano fatto in modo che il suo intero mondo non cadesse nel
baratro più totale. O meglio, che cadesse con qualche giorno
di
ritardo dalla reale data di scadenza. E di tutto questo se ne stava
rendendo finalmente conto mentre perdeva il fiato a causa della
stretta al collo. Le dita di Mark si strinsero sempre più
forte
mentre lei si inginocchiava con malsana lentezza, come se il tempo
avesse iniziato a girarle intorno più affannosamente. A
causa della
mancanza d'ossigeno iniziarono a seccarlesi gli occhi, inchiodati a
quelli di lui che stava mormorando qualcosa a bassa voce mentre la
guardava morire; ma lei non poteva udirlo perché aveva
iniziato a
perdere qualsiasi speranza di liberarsi, come se avesse accettato il
momento con infinito coraggio, maledicendolo fra le labbra sottili
come una dannazione che lo avrebbe accompagnato per sempre. Ma Mark
era già dannato, era già un uomo finito, con o
senza di lei. Sapeva
sin dall'inizio che avrebbe raggiunto la fine e che il suo correre
lontana ed il suo affannarsi l'avrebbe sempre e comunque ricondotto a
lei. Rivedere e rivivere Brian era stato come una boccata di aria
fresca, acqua gelida in viso, la scarica elettrica dell'adrenalina
che la risvegliava dal torpore, e le era bastato così. Era
stato il
pericolo più grande e allo stesso tempo la
necessità più fervida
che l'avesse mai motivata a vincere la paura. Forse ne era valsa la
pena, o forse no, certi ricordi stavano pian piano sfollando la
mente, faticava a ricordare e quella sensazione di abbandono
cominciò
ad appesantirle le braccia.
-Tu
andrai via dalla città, non è vero?- ebbe una
boccata di aria che
attirò a sè con un inspiro fortissimo, come
uscita da una corrente
di acqua.
-S-s...
- l'uomo la derise avvicinando l'orecchio alla bocca di lei, fingendo
di non capire cosa dicesse. Jillian allungò una mano
debolmente e
gliela portò al viso cercando di spingerlo via, ma non
riuscì, come
paralizzata da una forza misteriosa.
-Se
resti quì potrebbero approfittare per farti parlare,
potrebbero
indurti a dire cose cattive su di me. Voglio allontanarci Jillian, lo
capisci questo? Perché tutte queste persone vogliono che io
mi
separi da te. - Continuò a nutrirla di aria pian piano,
allentando
la presa con voce sempre più docile e carezze al viso che
non
avrebbe mai preferito agli schiaffi. -Tu devi andartene, stanotte!
Sparire dalla cazzo di circolazione, lasciare la città,
chiuderti in
una cazzo di topaia finché il processo non sarà
finito! Vedrai che
ci vorrà poco e quando tutto sarà risolto ti
raggiungerò e potremo
stare di nuovo insieme, amore mio. - Jillian riaprì gli
occhi di
scatto per impedirsi di perdere i sensi. -Eh Jillian, hai capito? Non
permetterò mai che manderai tutto a puttane per fare la
troia con
Haner! -
C'erano
stati solo due aspetti positivi in questa macabra e malata storia. Ma
ora ne ricordava solo uno.
-Và
al..dia..volo. - non era un sorriso, forse un ghigno, fatto sta che
il colpo fu così forte che seppe di morire.
***
Non
c'era stato modo di non cedere all'impulsività,
nè di sopprimere le
voci presenti nella sua testa nonostante la maturità dei
suoi
trent'anni. Il materializzarsi di questi ultimi anni in così
pochi
mesi aveva avuto un impatto così forte da demolire quasi la
sua
ragione, non gli aveva dato neanche il tempo di capire o di provare a
capacitarsi di ciò che stava per colpirlo con tanta foga.
Forse gli
era stata data finalmente la possibilità di liberarsi dei
fantasmi
del passato che continuavano segretamente a tormentarlo e a
chiedergli quale fosse la sua colpa, e forse, seppur nel peggior modo
possibile, gli era stata ceduta la risposta che avrebbe chiuso il
capitolo di venti anni della sua vita. Non sarebbe stato facile e
questo lo sapeva, non gli avrebbe dato scampo conoscere o immaginare
di sapere, ma almeno avrebbe alleviato un pò il peso al
cuore. Era
così disabilitato che al cospetto della stampa tenne gli
occhiali
sul naso calando il viso sotto il bordo del cappello come fosse un
ladro, un fedifrago e traditore di stati. Il vociare perpetuo e i
flash lo costrinsero a vaneggiare con lo sguardo aprendosi una strada
fra la complicità dei suoi amici, che erano arrivati a
tirarlo fuori
dalla sua "cella" fatta di mura di vetro e notiziari alla
tv.
-Dove
stiamo andando? - riuscì solo a dire una volta entrato di
soppiatto
nel fuoristrada della band, dove Johnny inserì la marcia con
una
forza maggiore del solito.
-A
mettere la parola fine a questa storia.- Brian guardò le
sagome dei
giornalisti iniziare a rimpicciolirsi al lato opposto della strada,
nonostante i flash continuassero a raggiungerlo imperterriti,
costringendolo ancora per qualche secondo ad una fuga di sguardi.
-Johnny
che cazzo sta succedendo? Come avete fatto a farmi uscire? - una
fugace occhiata fu scambiata fra chitarrista e bassista, che
iniziò
a mordicchiarsi il labbro nervosamente.
-Chiedilo
a Matt appena lo raggiungeremo. -
-Che
vuoi dire? Cosa c'entra Matt? -
***
Lo
sfregare delle ruote sull'asfaldo emesse un suono stridulo che si
udì
a distanza di metri, mentre Matthew scivolava via dall'abitacolo
incurante del resto delle auto che venivano in senso contrario,
precipitandosi all'interno della casa che vide aperta. Entrò
con
cautela penetrando nel più assoluto silenzio ed incapace di
capire
cosa aspettarsi iniziò a chiamare il nome di Jillian.
-Jill?
.. Dove sei Jillian? - chiamava, attento ai cocci di vetro sparsi per
il pavimento e il disordine trascurato. Cercò di stare
attento a
qualsiasi movimento e si sporse verso gli angoli nascosti del
soggiorno e della cucina, prima di precipitarsi nella camera da
letto.
-Cazzo...
Jillian! - disse a bassa voce, mentre si abbassava sul corpo inerme
di lei riverso a terra completamente incosciente. O almeno
così
sperava Matthew. -Non posso crederci, sono arrivato in ritardo..
rispondi Jillian, maledizione! - rantolò con la voce ridotta
ad un
soffio, mentre spostava i capelli dal viso tumefatto di lei notando
una fuoriuscita di sangue. Cercò di tamponare la ferita con
le
lenzuola del letto prima di udire un fruscio alle sue spalle: gli
sarebbe bastato mezzo millimetro in più e Mark avrebbe
potuto
aprirgli il cranio come aveva ben pensato di fare.
-La
solita fortuna, Sanders. - Matt ancora spaventato iniziò ad
annaspare mentre si era gettato completamente al lato opposto della
stanza per evitare l'aggressione. Mark invece se ne stava in piedi
mentre maneggiava la sua mazza da baseball, nonostante la postura
fosse piuttosto sofferente e imprecisa.
-Che
diavolo ti passa per quella testa di cazzo, Mark! Quanta merda ti sei
tirato al cervello per finire così? Avrei dovuto credere a
Brian
quando diceva che avevi completamente perso il senno.-
-Sì,
bravo, avresti dovuto farlo. - esclamò con una voce pacata e
flebile, mentre la vena al collo di Matt si gonfiava a testimoniare
la sua incontenibile rabbia.
-Che
cosa diavolo le hai fatto? - Mark guardò Jillian inerme
capendo si
riferisse a lei.
-Sta
solo dormendo..- Matt fece uno scattò violento contro di lui
con un
pugno chiuso all'altezza del viso, tanto che colto alla sprovvista
Mark cercò di parare con la sua arma.
-Giuro
che se non si risveglia io ti ammazzo con le mie mani, e non
basteranno uomini a togliermi dal tuo sudicio corpo! -
-Sempre
pronti alla difesa del più debole..- li schernì
l'uomo, liberandosi
con un colpo di anca prima di caricare l'arma verso il suo avversario
e colpirlo violentemente alla spalla. Matt gridò per il
dolore prima
di caricare nuovamente contro di lui schiantandosi entrambi contro la
parete alle loro spalle, digrignando per il dolore con in sottofondo
il suono di oggetti che frastagliavano a terra frantumandosi in mille
pezzi. Cercò di bloccarlo nella presa ma nonostante la
disabilità
riuscì a sfuggirgli come un fuscello fra le mani.
-Non
so come hai fatto ad arrivare quì nel momento giusto, ma
avresti
dovuto preferire startene a casa con la tua famiglia. O anche tu
avevi una tresca con questa maledetta ed eri venuto per rotolarti a
letto con lei? - Matt digrignò i denti e lo colpì
in pieno volto
facendogli sputare sangue.
-Di
che cazzo stai parlando? - iniziò ad avere il fiato corto.
Mark
sorrise con la bocca tumefatta e denti completamente cinabri.
-Non
dirmi che non lo sapevi... che non sapevi che lei e Brian stavano
insieme. Facevano tutto sotto i nostri occhi, ci hanno preso per il
culo. - Restò completamente paralizzato dalla notizia, non
poteva
credere che Valary avesse ragione sul suo conto. -Oh, non dirmi che
il tuo amico non ti ha detto niente? Ah già, forse
perché anche lui
è sposato. - Matt deglutì forzatamente, senza
sapere cosa dire, se
credere ad una calunnia del genere o se fosse solo una stupida
trovata di quel bastardo.
-Rimangiati
quello che hai detto. -
-E
se non lo facessi? - Matt si trattenne la spalla slogata mentre
l'altro continuava a bavare sangue fra i denti.
-Tanto
è finita Mark, le pattuglie degli sbirri stanno arrivando
per te e
stavolta non ti basterà stordire Jillian perché
ci sarò io a
sputarti tutto il veleno addosso in tribunale. Cazzo, avrai molti
anni per pensare a quanto tu sia stato un perdente nella tua
esistenza. Potrei farti un riassunto di quella che sarà la
tua vita
in carcere se ci tieni. Mi fai davvero.. pena.- Un gruppo di sirene
si udirono in lontananza mentre Matt prese finalmente a sorridere
sollevato, avevano vinto. Finalmente le prove che Mark non era
più
mentalmente stabile avevano dato i suoi frutti, perché ora
lui e
Jillian erano testimoni oculari della sua pazzia. Notò
mancargli il
fiato e iniziare a guardarsi intorno spaesato, prima di scattare
contro di lui per uscire dalla porta della camera e fuggire fuori
dalla casa cercando di mettere in moto l'auto. Matthew non se ne
curò, anzi si parò per difendersi da una
possibile aggressione
mentre cercava di fuggire nel suo pessimo stato. Si prese coraggio e
si calò contro la donna sperando di sentire i suoi battini.
-Un'ambulanza
per favore, 124, Avenue Street. Fate in fretta.- le
pulì il
viso con premura mentre riponeva il cellulare nuovamente.
-Non
sono riuscito ad evitarlo. Perdonami..-
***
-Ma
che diavolo succede quì? - mormorò Johnny con la
voce spezzata
dalla sorpresa, mentre l'entrata al viale della casa di Jillian
brulicava di auto della polizia e di un'ambulanza proprio davanti il
suo porticato. -Deve essere successo qualcosa..- Johnny fece per
rivolgersi all'amico ma questi scattò fuori dall'auto
correndo a
perdifiato verso l'entrata della strada, respirando a gran polmoni
l'aria fredda del mattino. -Brian! Dove diavolo pensi di andare?-
chiamò battendo contro il metallo dell'auto, ma era ormai
lontano,
la voce parve a Brian solo un lamento che andava sfumando. Slittava
fra le auto con gran velocità, inciampando fra i piedi,
urtando gli
agenti che ostruivano il suo passaggio. Cercava con lo sguardo un
viso amico, qualcuno che potesse spiegargli cosa fosse successo e
perché, se stavano tutti bene, dove si trovasse Jillian.
-Fermo,
non può stare qua. - Un uomo in divisa gli si
parò davanti,
portandogli un palmo al petto per cercare di contenerlo.
-Agente,
cos'è successo? -
-C'è
stato un arresto. -
-Dov'è
Jillian?-
-Chi
è Jillian?-
-L'..
l'inquilina dell'abitazione.- continuava a lanciare occhiate in giro
come un forsennato, perdendo fiato nonostante fosse immobile
dirimpetto la casa costernata di fermi degli agenti.
-Non
conosco i nomi delle persone fermate, sono almeno tre. Non posso
darle altre informazioni se lei non è un parente stretto,
quindi la
prego di farsi indietro.- Dall'altro capo della linea che li
divideva, gli operatori dell'ambulanza uscirono in barrella e
tirò
un sospiro di sollievo quando la possente figura di Matt
uscì
insieme a loro accompagnandoli verso la discesa delle brevi scalinate
dell'entrata.
-Matt!
- l'agente si ritrovò travolto dalla sua impazienza e fece
in modo
di bloccarlo ulteriormente. -Matt! Sono quì! -
iniziò a sbracciare
e riuscì finalmente ad attirare l'attenzione del ragazzo che
gli si
precipitò contro trattenendosi la spalla fasciata fedelmente.
-Che
cosa ti è successo?-
-È
una lunga storia..- Matt lo abbracciò come se non lo avesse
mai
fatto in tutti questi anni. -Avevi ragione Brian. Jillian è
sull'ambulanza, ma stà tranquillo hanno detto che si
riprenderà. Io
dovrò andare a firmare delle deposizioni sull'accaduto.-
l'altro
asserì ma in realtà la sua testa vorticava come
se ci fosse un
terremoto sotto i piedi e ritrovarsi all'oscuro della situazione
iniziava a tormentarlo. Si diresse a passo spedito verso l'entrata
dell'ambulanza e nonostante gli agenti cercassero di trattenerlo il
suo unico pensiero si preoccupava di sapere di lei.
-Lasciatemi
andare! Sono l'unico che può restare con lei!-
-Ci
serve il permesso di un parente.-
-Non
vado da nessuna parte! Sono io la persona più vicina, ha
bisogno di
me!-
***
Le
pareti atone e bianche ricreavano un ambiente sterile e freddo,
così
surreale che sembrava quasi di essere atterrati su una nuvola.
L'orologio da parete era l'unico rumore nella stanza d'attesa, un
ticchettare monotono e continuo che sembrava quasi colmare qualsiasi
pensiero nella testa nonostante ce ne fossero stati fin troppi.
-Signori.-
Tutti si drizzarono in piedi come schegge all'arrivo del medico,
mentre il fiato rimaneva bloccato nelle gole esterrefatte di tutti,
consorti comprese. -Sembra che la paziente sia sveglia e fuori
pericolo, credo quindi che non le faccia male vedere qualche faccia
amica dopo quello che è successo. Vi chiedo solo di essere
molto
cauti, ha comunque subito una frattura. Scegliete magari con cura chi
può farle visita in questo momento delicato.- fece per
salutare
calando il capo, mentre ognuno di loro ringraziava con una calorosa
stretta di mano una volta passata la preoccupazione di quelle ore.
Quando il gruppo si ritrovò da solo cercarono di consolarsi
fra
loro, contenti di aver superato la situazione critica di pericolo.
Matt si lasciò aiutare da Valary ad indossare la sua giacca,
essendo
stato costretto ad ingessare la zona della scapola per qualche
settimana per non correre pericoli, mentre il resto parlottava fra
sé
cercando di capire cosa fosse meglio fare.
-Brian.
Secondo me è lui che dovrebbe andare. - Il borbottare di
fondo
tacque alle parole di Michelle, che calò gli occhi come
sopraffatta
dalla sua stessa rivelazione, nonostante gli altri si trovassero
d'accordo. Anche Brian tacque, la guardò con occhi languidi
come
catturato dalla sua bontà nonostante la conoscesse; la
conosceva
bene infatti, conosceva la sua dolcezza d'animo eppure non se ne
sarebbe mai abituato. Non sarebbe mai riuscito a stare a passo con la
generosità di lei, di quella donna così nobile
che aveva avuto
l'onore di sposare. La ringraziò con uno sguardo taciturno
pieno di
gratitudine, prima di sfiorarle appena le spalle per non metterla a
disagio a causa delle ultime cose che erano capitate fra di loro:
presto sarebbe riuscito a farsi perdonare, o almeno sarebbe arrivato
il momento di migliorarsi per lei.
Il
passaggio dalla sala d'attesa in quella in cui giaceva Jillian
coricata era come fare un salto in un passaggio magico, che gli
scombussolava i muscoli e la forza delle gambe, che gli imperlava la
mente di ricordi, di riguardi e di paure. Quando lanciò un
occhio
alla stanza la vide lì, raggomitolata fra le coperte,
stretta in un
casco di bende dal capo al collo, con i capelli ramati che cascavano
alla rinfusa e gli occhi gonfi e lividi da renderla irriconoscibile.
Ma non ai suoi occhi. Quando lo notò entrare vide come quel
semplice
sforzo le costasse dolore e come la mano di lui, sulle sue raccolte
in grembo, le dessero la forza di muoversi appena per guardarlo
dritto negli occhi. Non dissero nulla, non ci vollero parole, come
non ci vollero gesti degni di nota che loro stessi non apprezzassero.
-Ciao..-
Jillian sorrise e mosse il capo ricambiando il saluto, nonostante le
costasse ancor più che parlare, ma a quel punto le parole
non
uscivano, solo le lacrime e la gratitudine.
Brian
si accomodò su una sedia lì di fianco e ancora
una volta strinse
una mano nella sua per darle conforto. Che pena vederla
così,
fortuna voleva che non sarebbe durata. -Come stai? Solo qualche
giorno e sarai dimessa, potrai continuare le cure da casa.-
-Già..-
biascicò lei. -Mi sento solo la testa gonfia come un
pallone.- Brian
fece una smorfia guardandola attentamente in viso.
-Beh..
in effetti.. - scoppiarono entrambi in una risata, prima che la donna
si fermasse per il fastidio alla bocca.
-Smettila,
non posso...- disse a bassa voce continuando a ridacchiare.
-Sì,
scusa.- Si dedicarono qualche secondo, poi ripresero.
-Sono
davvero una fortunella, non c'è che dire.- Brian
ridacchiò
amaramente insieme a lei; quanto le era costata questa cocciutaggine?
Forse tutto quello che aveva perso finora e che mai più
sarebbe
riuscita a riavere. -Grazie.-
L'uomo
si portò le dita affusolare di lei alla bocca per baciarle
appena,
per ricambiare la gratitudine che anche lui provava nei suoi
confronti, in un piccolo sigillo racchiuso sulle labbra che sarebbe
rimasto per sempre fra loro.
-Avrei
dovuto fare di più.-
-No,
sai che non te lo avrei permesso.-
-Lo
so. Hai fatto in modo che non potessi accorgermene in nessun modo ed
è stato un grave errore.- Il silenzio che albergava fra loro
non
pesava ai loro cuori, piuttosto li rendeva leggeri, liberi
dall'opprimente bisogno di spiegare e di parlare.
-Mi
dispiace Bri. Sono tornata a sconvolgere la tua vita e tutto questo
perché non ho saputo tenere le redini della mia.-
-Non
è stata colpa tua.-
-Non
so neanche io come è possibile spiegare una cosa simile,
è così
difficile esprimere quello che mi passa per la testa. Adesso
ascoltandomi sembrano anche a me vaneggiamenti di una pazza e non
posso darti torto.- Brian la zittì negando col capo: poteva
ben
capire cosa voleva dire dipendere totalmente da una persona ed era
per questo che il suo allontanamento lo aveva completamente reso
impotente di reagire alla situazione. Gli ci erano voluti anni eppure
nel suo cuore sentiva forte il battito di lei ogni volta la pensava.
-Non avrei potuto fare scelta peggiore. Ho rovinato le nostre vite.-
Brian
si strinse attorno al palmo di lei mormorandole di fare silenzio, di
smetterla, che non c'era bisogno di continuare.
-Ti
ho già perdonata da tempo. È tutto finito. Tutto.
Anche Mark. Mai
più ti farà del male.-
-Mark
è stata la mia redenzione. Avevo continuato a convincermi
che era
quello che mi meritavo.-
-Nessuna
donna merita questo Jillian, neanche tu.- l'uomo si portò
una mano
alla faccia come a scaricare la tensione di quelle ultime ore.
Finalmente Mark era stato arrestato a pochi isolati dalla casa di
Jillian, ed in più era stato accusato di furto d'auto,
aggressione e
tentato omicidio, nonché possesso di qualche stupefacente di
poco
conto. La deposizione di Matt insieme a quella di Jillian gli
sarebbero costati così tanti anni che gli sarebbe servito
solo un
miracolo uscirne in meno di dieci, anche perché fuori
avrebbe sempre
trovato loro ad attenderlo al minimo passo falso.
-Questo..
è un addio?- Brian affondò nei suoi occhi
finché poté, poi il
peso fu troppo grande da abbandonarlo.
-Non
lo so cosa sarà. So solo che ho qualcuno che mi aspetta
oltre quella
porta e ha bisogno di me.. ed io di lei.- Jillian annuì,
come di
coscienza, mentre il forte pizzicore andava a torturarle gli occhi
fino a sprofondare sulle guancie violacee. Sentì il sapore
tipico di
una lacrima scivolarle nelle labbra e così
l'assaporò, prima però
chiuse gli occhi per evitare di guardarlo.
-Wow...
- iniziò con un risolino. -Non ti facevo davvero
così maturo,
Haner.- rise, eppure stavolta le lacrime divennero scie salate
impossibili da fermare e le parole singhiozzi che le impedirono di
continuare. Brian strinse le labbra e si alzò a posarle la
bocca
alla fronte in un bacio casto, abbracciandole il capo con un braccio
per fermare il suo sfogo, mentre lei si portava le mani a coprire il
viso per la vergogna. Le parole non avrebbero fatto altro che
graffiare la loro gola, uscendo con difficoltà, ferendo
entrambi
come fendenti. Preferirono quindi restare immobili ad ascoltarsi in
silenzio: le mani calde, il battito del cuore, i respiri infranti
dalla commozione. Non lo sapevano con certezza ma non ci sarebbe mai
stato un addio fra di loro, o forse preferivano non dirselo per non
sfidare il destino. Cosa importante, che riuscì a colmare i
loro
cuori dopo anni, fu la sincera disponibilità ad amarsi
sempre: ma
non ad amarsi come amanti, ma nel senso mutaforme della parola;
nell'ascoltarsi, nel difendersi, nel conoscersi e capirsi senza
essere costretti a parlarsi. Erano l'uno l'ombra dell'altra,
nonostante fosse stata quella la loro paura più grande.
Erano come
quei legami che anche lontani e senza meta, avrebbero avuto un filo
conduttore ad unirli, un sottile filo di cotone, rosso magari,
stretto all'anulare nella mano. Non c'era ma si sentiva, si percepiva
come un dito intrecciato all'altro e questo rubò loro un
sorriso che
fu l'epilogo del loro incontro. Non il primo, ma sicuramente
più
forte di quello fù.
EPILOGO
L'odore
di caffè cominciò ad impregnare l'aria della
cucina dolcemente,
lasciando che i pensieri di Jillian si rilassassero e che venissero
interrotti a malapena dallo sbuffo della macchinetta, in quell'ultimo
periodo che caratterizzava ormai la fine dell'inverno e si avvicinava
all'inizio del nuovo anno. Erano passati ben otto mesi dalla sua
completa ripresa: era di nuovo tornata ad uscire con la voglia di
riprendere fra le mani la propria vita e risistemare le cose
sfuggitele per troppo tempo fra le dita. Da quando tutto era finito
non c'era più timore né pensiero che svalutasse
la sua autostima;
era tornata una ragazza dai complicati gusti letterali, appassionata
di giornalismo e thriller in seconda serata. Ogni giorno era quasi
come riscoprirsi di nuovo, e il dolce sapore della vita tornava a
rinvigorire il suo corpo gioviale e dalle curve ammalianti, e adesso,
come grande ritorno, aveva tenuto conto di un monolocale che distava
appena un paio di miglia dal precedente, completamente abbandonato
anche di tutti i mobili ed effetti personali che l'avevano riguardata
da dodici anni a quella parte.
Probabilmente
era ancora tutto uguale, nessuno da fuori avrebbe notato
l'incredibile cambiamento o forse era anche fin troppo evidente da
non rendersene neanche pienamente conto.
Dovette
sbrigarsi a spegnere la fiamma del fornetto e a rinsavire dai suoi
pensieri quando si accorse che stava combinando uno dei suoi soliti
disastri e che oramai andava ripulito tutto.
Non
sbuffò, piuttosto mangiucchiò qualche biscotto
poi si riempì la
tazza di caffè rimasto, allontanandosi solo dopo nell'altra
stanza a
piedi nudi e scivolando sul pavimento con passi felpati come se
stesse danzando, fino al salottino antecedente la stanza da letto.
Aveva
pochi effetti personali ricomprati nell'ultimo periodo ma
perfettamente riposti, vestiti nuovi e qualche piccolo accessorio
distribuito in giro. Tutto quello che ci voleva era una buona
scrollata di spalle e la possibilità di cedesi del meritato
relax.
Quando
l'acqua della doccia cominciò a gettarlesi contro, i capelli
ramati
le si incollarono alle spalle, costringendola a chiudere gli occhi e
a passarsi le dita nel mezzo per districarli appena.
Era
il momento perfetto che si dedicava per smettere di pensare, per
lasciarsi coccolare da un momento intimo e per tornare a potersi
toccare senza la paura di sentire dolore. Era tutto risanato, il suo
corpo lo aveva fatto altre centinaia di volte ma il suo animo, quello
stava iniziando a ricucirsi da solo, pian piano, con grandi
risultati.
Lasciò
scivolare via tutto il sapone dal proprio corpo e si coprì
con un
asciugamano quando ne uscì, sbrinando lo specchio del bagno
con il
palmo della mano per spiare l'immagine riflessa: era lei, sempre lei.
Quella di un tempo e quella di adesso. Quasi si immaginava
lì
davanti con uno zigomo un po' gonfio e qualche lividura sul braccio e
avrebbe voluto carezzarsi, ma poi guardando bene vedeva un'altra
sé:
la pelle candida, le linee perfette.
Sorrise
e osservò la curva delle labbra cincerle il viso prima di
dirigersi
distrattamente nell'altra stanza, come ogni mattino a ripetere sempre
i soliti gesti quotidiani senza accorgersene, tamponando la lunga
chioma e spettinandola con le mani.
La
sua attenzione si lasciò cogliere dalla rivista Kerrang!
con
in copertina una composizione piuttosto selvaggia degli Avenged
Sevenfold, che erano finalmente tornati in campo musicale con
altri scritti da portare in sala di registrazione insieme al nuovo
batterista. I ragazzi si erano dati subito da fare con le audizioni
ed un certo Arin aveva bussato alla loro porta come bravura e
incredibili capacità di improvvisazione nonostante la
giovane età.
Era ancora una decisione poco condivisa dalla band, ma presto si
sarebbero abituati ad una nuova e stabile figura al posto di Jimbo.
Serviva andare avanti in questi casi, come aveva fatto lei.
All'articolo sulla band della prima pagina come quella di copertina
c'era anche il suo nome, come intervistatrice gli avevano concesso
una giornata di domande più che contenti e la cosa aveva
giovato a
tutti nel miglior modo possibile. Finalmente aveva il lavoro che
amava e che mai avrebbe sperato di ottenere; fu finalmente un buon
inizio che avrebbe accompagnato il resto di ciò che sarebbe
stato di
lei.
Lo
squillo del cellulare partì all'improvviso e Jillian
sussultò. Lo
schermo del display si illuminava ininterrottamente per svariati
secondi, finché non lo afferrò per rispondere
ancora un pò
assopita dalla dolcezza della doccia.
-Hei
Jill, sono Brian. Sei dei nostri anche stasera? Johnny ha perso una
scommessa e gli tocca pagare da bere!- Sorrise nell'udire la sua
voce, poi tornando a posare lo sguardo sulla rivista sfogliò
qualche
pagina svogliatamente ascoltando gli altri ridere di sottofondo.
-Ma
sì dai, anche perché per stasera ho solo da
festeggiare. L'articolo
è stato una bomba, ha venduto milioni di copie.-
-Grande!
Allora stasera è d'obbligo un brindisi, anche se non avevo
dubbi.-
Si udì un mormorio compiaciuto e poi lo scoccare di una
lingua sotto
al palato.
-Già,
anche se non ho voglia di ubriacarmi almeno per una volta voglio
sentirmi.. sobria.-
Fine
E
quindi la parola "Fine", "Epilogo", "Conclusione"
hanno fatto capolino e come ogni storia ha smesso di esistere almeno
per il momento. Non so, sempre ieri ho continuato a pensare che forse
potrei scrivere altri sprazzi della loro vita che vanno ad
incatenarsi un pò nel futuro, ma è solo un'idea
che al momento non
ha avuto accoglienza. Se sono riuscita ad arrivare alla fine devo
ringraziare chi mi ha seguita e invogliata sempre di più
nonostante
il tempo scarseggi e anche l'ispirazione si lasci desiderare, ma non
diniego che in cantiere ho qualche altra situazione sicuramente meno
tragica di quella che è stata "Sober"; e tornando appunto
alla fanfiction, spero che non abbia turbato nessun animo ma mi sono
attenuta ad una scelta che di gran lunga avrebbe fatto qualsiasi
persona normale, senza ritenere i miei personaggi solo frutto di una
storia. Se questo ultimo epilogo invece vi dà l'impressione
di
averlo già letto da qualche parte non state sbagliando,
è in
effetti tutto il prologo della storia revisionato per la sua
conclusione: così com'è iniziata la storia
è finita, o almeno ha
fatto un paragone tra il prima e il dopo. Mi auguro di leggere
qualche commento da parte di chi è rimasto contento della
storia o
di chi abbia avuto qualche perplessità, qualcosa da chiarire
o da
farmi sapere. Grazie a tutti voi per la compagnia e per la passione
che ci accomuna a questi cinque ragazzi!
P.S.
Nella storia è inteso il nome di Arin per rispettare lo
spazio-tempo
della realtà.
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