Darkness and Light

di Marra Superwholocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Something's going on ***
Capitolo 2: *** Who's that girl? ***
Capitolo 3: *** Born to be King ***
Capitolo 4: *** The man in white ***
Capitolo 5: *** Here and there, somewhere in the air ***
Capitolo 6: *** Once upon a time ***
Capitolo 7: *** The Humiliated King ***
Capitolo 8: *** Plan B, for Back to the future ***
Capitolo 9: *** Remember me ***
Capitolo 10: *** Time to turn on the Light ***
Capitolo 11: *** This must be the place of my eternity ***



Capitolo 1
*** Something's going on ***


Capitolo 1

Something's going on

 

Crowley sedeva al suo trono. Teneva in mano un bicchiere col suo liquore preferito. Lo faceva oscillare, creando un vortice colorato che andava in senso antiorario.
«Notizie sui Winchester?»
Un piccolo demone, un ragazzino, ahimé, gli venne incontro a testa bassa. «No, Maestà. L'ultima volta che si sono vist-»
«Shh-shh-shh-shh» lo zittì il Re. «Lo so già.»
Il piccolo demone – nemmeno Crowley sapeva il suo nome, non ci teneva – se ne andò come era arrivato, in punta di piedi, troppo impaurito. Del resto, ultimamente il Re dava di matto con così tanta facilità che si irritava anche per una morte fuori piano. Per questo motivo, la sala del trono non era più così affollata. Anzi, vi risiedeva solo il Re stesso. Sempre meglio che prima, con la madre, Rowena, che nessuno poteva sopportare, ma Crowley stava cominciando a parlare da solo. È ovvio che poi i demoni pensino male. Ma a lui non gliene fregava un bel niente: era un demone e come tale si interessava prima di tutto della sua persona e poi forse venivano gli altri.
Il Re bevve finalmente l'ultimo goccio di liquore. Stette per un paio di secondi a cercare di assaporarne il gusto, invano, perché troppo pensieroso. Che fine aveva fatto sua madre? Castiel era sopravvissuto? E i Winchester? Forse non era rimasto più nessuno, ma aveva abbastanza indizi per poter certamente dire che l'Oscurità era tornata e con essa anche i suoi incubi.


Ricci. Capelli ricci. Senza balsamo sono ancora più ricci. Ricci pomposi. Ricci elastici. Ricci crespi. Ricci flosci. Ricci secchi.
I ricci non si spazzolano, Annabeth lo sapeva. Le bastava asciugarli alla rinfusa ed eccoli che saltavano di qua e di là come molle impazzite. Di lei, pensava, era il tratto più bello. Odiava poter fare ciò che poteva fare. Ogni santa volta, gli occhi le si illuminavano di un blu quasi nerastro. Ecco perché, molti secoli prima, aveva deciso di smettere. Ma non era di certo l'unico motivo.
Non avrebbe più aiutato nessuno e si sarebbe semplicemente nascosta agli occhi di tutti. La gente del posto l'avrebbe creduta morta. Nessuno l'avrebbe più cercata.
O questo era ciò che Annabeth pensava.


Finalmente la macchina riuscì a far emergere la ruota posteriore dalla trappola di fanghiglia in cui era rimasta intrappolata. Ai Winchester era sembrata un'eternità, ma ora potevano godersi l'aria fresca che entrava forte e rigenerativa dai finestrini davanti.
«La vedi ancora?»
Sam guardò dal suo specchietto di lato. «No, ormai è sparita da un bel po'» disse in un fil di voce.
Dean sospirò, tutt'altro che deluso o triste e, nonostante le parole del fratello, continuò a guidare, sempre più veloce.
«Dean?» Sam si aggrappò alla maniglia sulla sua portiera.
Il fratello grugnì.
«Rallenta.»
L'Impala si arrestò di botto.
Partì poi un silenzio imbarazzante che nessuno dei due sentiva di poter colmare. Fu così che Dean riprese la corsa, solo un po' più lentamente.


Annabeth si sedette di fronte allo specchio. Sulla mensola davanti a lei vi erano delle piccole scatolette intagliate in oro e in ognuna di esse potevate trovarvi ogni sorta di oggetto. Le più piccole conservavano anelli e forcine, le medie custodivano collane e bracciali, le più grandi contenevano spille e rossetti. Lo specchio rifletteva il sentiero, la visuale della finestra della camera da letto. La giovane donna stava per acconciarsi i lunghi capelli con una forcina a forma di fiore, quando vide riflessa una grossa nube nera. Stava correndo da lei.

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Capitolo 2
*** Who's that girl? ***


Capitolo 2

Who's that girl?

 

Sacchetti antimaledizioni in ogni angolo della casa.
Argento che ricopriva ogni pomello.
Sale su ogni davanzale, porta e sul terrazzo.
Acqua santa a portata di mano.
Annabeth si teneva pronta.
All'improvviso, il buio invase la casa.
L'esperienza le aveva insegnato tutto il necessario per difendersi dai demoni, ma non era del tutto sicura che quella cosa fosse un demone o più demoni. Era qualcosa di più, forse. Strinse meglio la boccetta d'acqua santa e aspettò in silenzio.


Crowley teneva un pugno sulla bocca, stretta ad una sottilissima fessura. Era arrabbiato? No, piuttosto si sentiva confuso.
Che Rowena avesse fatto tutto quello apposta? Possibile: chiunque sarebbe potuto venire a conoscenza dell'Oscurità. Di Annabeth. Dei suoi giorni – secoli – peggiori. Come poteva biasimare Dean, che lì sotto ci aveva passato ben quarant'anni? Si diventa matti, in quel luogo, in quella fabbrica di morte e violenza. L'Inferno. E ora Crowley stesso ne era il capo! Be', poteva certo godersi una certa soddisfazione, almeno.
«Sergei!» urlò all'improvviso il Re.
Una montagna di demone dall'aria rude e irritabile fece capolino nella sala del trono. «Mi avete chiamato, Sire?» domandò con un inchino.
Gli piaceva, Sergei. Si impossessava sempre di tizi palestrati, probabilmente perché lo era stato anche lui, al suo tempo. Per un demone può essere una sorta di attaccamento al passato e in quel caso era cosa buona: non faceva solo uso dei suoi poteri, come la maggior parte dei demoni, ma si divertiva ad usare anche i muscoli. «Sì, ti ho chiamato perché ho bisogno dei tuoi servizi» gli disse nel suo solito tono persuasivo.
Sergei non disse niente, rimase solo lì dov'era. Immobile.
Crowley notò dal suo silenzio consenziente che quel demone era forse tra i suoi più fedeli, che poteva contare sulle dita di una mano, e che lo avrebbe accontentato. «Trovami i Winchester» ordinò voltandogli le spalle.
Sergei rimase impietrito più di quanto già non fosse. «C-cosa?» domandò incauto.
«Ho detto... Trovami. I. Winchester» ripeté Crowley. «Devo parlare con loro.»
Il demone, dopo qualche istante di incertezza, rispose che si sarebbe messo subito al lavoro e se ne andò con un secondo inchino.
A quel punto, Crowley si voltò, ma non vi era più nessuno che potesse contemplare l'espressione impaurita sul suo viso.


1723; Scozia
La finestra della cucina andò in mille frantumi, sparsi ovunque sul pavimento in cotto, le candele ruzzolarono a terra spente ma rumorose. Le tende svolazzavano per il vento di ottobre e la mancanza di una stufa fece gelare immediatamente la casa. Chiunque stesse cercando Fergus, lo voleva morto ...o peggio. L'uomo tremava, ma poteva reggere tutto quel peso. Ce la poteva fare.
Fergus sentì un rauco ruggito provenire dalla cucina e all'improvviso, come se avesse saputo esattamente cosa fare, prese a spargere sale davanti a sé e continuò a farlo fino a disegnare un cerchio con lui stesso al suo interno, una linea compatta fatta di inutili speranze.
«Sono stati i dieci anni più belli della mia vita» sussurrò a se stesso, girandosi verso il pericolo. Lentamente, rilassò i muscoli e attese.
Qualche istante dopo, ecco che "comparve" il cane infernale con la sua padrona.


«Ho ucciso Morte...»
«Dean,» cominciò Sam per l'ennesima volta, «è impossibile, avanti! Morte che muore? A questo punto, se qualcuno mi sparasse, la ferita – che ne so – si rimarginerebbe all'istante e io continuerei a vivere normalmente!»
«Vogliamo provare?» gli chiese il fratello bevendo un sorso di birra. Guardava il tramonto. Amava farlo. Forse perché gli sembrava di terminare un incubo e sperava di svegliarsi e di ritrovarsi fra le braccia della madre, il tre novembre del 1983, chissà?
Sam puntò lo sguardo in basso e sospirò. «Mi dispiace» ammise.
Il maggiore dei Winchester bevve ancora un sorso dalla bottiglia, appoggiato alla sua Baby. «Hai permesso a Rowena di aiutarti. E quali sono stati i risultati? Ah, già! Charlie è morta, Castiel è sparito, Crowley sarà più incazzato del solito. Ed è tutta colpa tua.»
Le parole di Dean furono taglienti e Sam chiuse per un attimo gli occhi. Era un duro colpo, ma nel profondo sapeva che suo fratello aveva almeno un po' di ragione dalla sua parte. Come al solito, il piccolo Sammy voleva aiutare e ha combinato un casino. Prima Charlie, ora Castiel. Il prossimo? Non voleva neanche pensarci.
«Rimetti il culo in macchina» riprese Dean.
Sam si passò una mano sulla faccia. «Dove andiamo?» chiese già sapendo la risposta.
Dean, ovviamente, voleva una sola cosa, in quel momento: «Dobbiamo trovare Castiel.»


Vista da fuori, la casa di Annabeth sembrava imprigionata in una cupola di inchiostro nero. Metteva i brividi, anche senza sapere cosa fosse e cosa – chi – vi fosse racchiusa all'interno. Il sale sembrava reggere, i sacchetti erano ben nascosti, l'acqua santa in abbondanza, ma Annabeth non era del tutto sicura ormai che quella nube fosse un agglomerato di anime tormentate dell'Inferno.
Infatti, come lei stessa aveva pensato, il sale non si mosse di un solo granello, ma, ahimé, l'essere misterioso era comunque riuscito ad entrare nella sua modesta casa e procedeva lento verso di lei.
«Non può essere!» esclamò Annabeth, impietrita. Sentiva il sudore gelido che dalla testa le scendeva sul collo, le mani cominciavano a perdere le presa sulla boccetta e la vista annebbiata non le permetteva di vedere bene il suo nuovo ospite.
Annabeth cadde a terra insieme alla boccetta d'acqua santa, la testa tra le mani. «Ehilà, sai già chi sono?» le stava dicendo una voce. Era la sua, nella sua testa, ma a parlare era quella nube, non lei. La ragazza cercò di urlargli contro qualcosa, ma la sua voce si disperse nell'aria come un semplice respiro; l'unica forma di dialogo sembrava essere la telepatia: fu così che Annabeth pensò di avere un solo modo per scacciare almeno momentaneamente il nemico. Ad occhi chiusi e con le mani sulle orecchie in una posizione istintiva, cercò di tranquillizzarsi e recitò mentalmente l'incantesimo.
«Lux caelestis quae me formaris,
te invoco.
In nomen mihi equitem fumi bella,
Quies diffunde et malum aliena.
Lux caelestis quod fact sum,
me auxilium tuum ne eiuraveris,
nunc ille qui tibi dico fac:»
Ad incantesimo quasi finito, Annabeth non sentiva più il bisogno di allarmarsi, il peggio era andato: ricordarsi un incantesimo in latino imparato secoli prima era un'impresa. Allontanò le mani dalle orecchie e tutto quel silenzio la soprese: stava funzionando, quindi ora aveva la certezza che non si trattasse di un demone e dato che lo aveva solo congelato nello spazio, mancava solo il tocco finale: con gli occhi ancora serrati, si rialzò in piedi, più stabile di prima e spalancò gli occhi come quando ci si sveglia dopo un incubo: erano pieni di una luce blu così scura da farli sembrare neri, così forte da far paura. Inspirò e finì l'incantesimo: «volatum auge et gladium argenti destringe!» Dai suoi occhi, la luce si irradiò immediatamente intorno a lei e – fulminea – spazzò via la nube nera, spedendola lontana da lei ed il sole tornò raggiante a invadere le sale della casa di Annabeth.

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Capitolo 3
*** Born to be King ***


Capitolo 3

Born to be King

 

I Winchester buttarono il fiammifero nella ciotola ed ecco che apprve Crowley.
«Ragazzi» disse quieto il Re. «Siete vivi. E niente più Marchio, vedo.» Alzò poi gli occhi e li puntò su di una grossa trappola per demoni. Indicò l'inchiostro con una strana smorfia sul volto. «E questa? Capisco la sicurezza, ma...»
«Era l'unica che avevano» lo liquidò Sam, imbarazzato ma minaccioso. In mano, il coltello nemico dei demoni.
Crowley si sistemò la cravatta. «Tralasciando la vernice rosa che avete usato per intrappolarmi,» disse, «voglio che sappiate che non ho alcune informazioni sul vostro angelo.»
Dean sbatté un pungo sul tavolo. «E tu sappi che non hai fatto altro che farmi girare le scatole, comparendo in quella dannata trappola, quindi dicci subito cos'è successo.»
Crowley increspò le labbra e unì le mani sul ventre. «Speravate fossi morto?» disse fingendo frustrazione. Notando le facce inespressive dei due ragazzi, decise di non perdersi in battute che avrebbero pututo peggiorare la situazione. «Non lo so» rispose quindi, allargando le braccia.
I Winchester non potevano credergli. Mai fidarsi di un demone. Sam fece il giro del tavolo e si appoggiò sul lato opposto, a due passi da Crowley. Teneva la braccia incrociate, la faccia da duro con la speranza che fosse bastato il semplice sguardo, ma al Re degli Inferi sembrava non importare.
«Calmati, Alce» disse, infatti, Crowley. «Sei l'ultima persona al mondo che può tenere atteggiamenti di questo genere di fronte a me
Sam serrò la mascella per un solo istante; ricordava quel giorno: Crowley lo aveva ringraziato per avergli ricordato chi fosse veramente e lo aveva lasciato vivere perché glielo permetteva lui stesso. «Ora sei tu quello in trappola» disse ugualmente, ma la sua voce tremava di paura.
Crowley guardò Dean, il più interressato all'angelo. «E va bene: dirò la verità e la verità è che non lo so.»
«Crowley!» urlò Dean con gli occhi in fiamme. Vide il demone sussultare per una frazione di secondo e si sentì bene. Era riuscito a spaventarlo. Un punto a suo favore, anche se per poco. «Non abbiamo tempo da perdere, dicci dov'è!»
Il Re sbuffò, guardando in alto, sul soffito di quella casa abbandonata e fatiscente. L'aria entrava tagliente dalle persiane ammuffite e il tetto minacciava di voler crollare; Crowley provava pietà, per quella struttura. Decise, tuttavia, di volersi conquistare la fiducia dei due fratelli nel modo più semplice. «Potrei far crollare tutta la casa in meno di un secondo, rompere così la trappola, uccidervi e andarmene per la mia strada» disse in una parlantina come sempre sciolta e, solo quando intercettò lo sguardo di Dean, proseguì. «Ma non lo farò.»
Dean allragò le braccia come a voler pretendere di più; Sam guardò passivo il demone.
«Non lo farò perché anche io ho bisogno del vostro aiuto» continuò Crowley.
Dean scambiò un'occhiata col fratello. «Per cosa?» chiese tornando sul demone.
«Dean!» esclamò Sam, gli occhi spalancati.
«Che c'è, Sam? Tanto non abbiamo più nulla da perdere, giusto? E poi, una cazzata in più non cambia molto» lo punzecchiò.
Crowley ridacchiò tenendo lo sguardo basso e risultando ancor più da brividi. «Se mi liberate da questa trappola» disse il Re, mettendo in standby la tensione fra i due Winchester, «io vi dirò quello che è successo e poi voi aiuterete me, altrimenti farò crollare la casa e bla bla bla... La scelta è vostra, adesso.» Sorrise malignamente e si divertì a vederli fremere. Volevano entrambi accettare quel "patto", ma allo stesso tempo non volevano fidarsi. Ma lui, come i due umani, non aveva tempo da perdere in chiacchiere e aveva bisogno del loro aiuto. Inoltre, non gli costava nulla dire loro cos'era successo dopo la fuga di sua madre.
Dean, allontanandosi dal fratello, squadrò – camminando – il demone, per nulla fiducioso delle sue parole. Deciso però a ritrovare il suo migliore amico, il ragazzo salì sul tavolo e grattò con un coltellino la vernice della trappola.


«Ciao, Fergus.» La ragazza, il demone, sorrise. Sembrava felice di vederlo. «Sono passati ben dieci anni, ma credo tu ti possa ricordare di me.»
Fergus annuì in silenzio. Non aveva lo stesso volto, ma era sicuro fosse lo stesso demone. Prima aveva i capelli lisci, ora, invece, li aveva ricci quasi quanto quelli di una afroamericana.
«Sai, Fergus» riprese il demone, «solitamente, in queste occasioni mandano solo i cerberi, ma io sono stata incaricata di prelevarti lasciandoti prima un messaggio.»
«C-che tipo di messaggio?» chiese Fergus tremante.
Il demone ampliò il suo sorriso. Accarezzò un punto nell'aria, probabilmente il suo cerbero, e fece qualche passo verso il suo interlocutore. «Questi dieci anni non saranno gli ultimi che passerai sulla Terra, caro il mio Fergus. Sei destinato a qualcosa di più grande di tutto questo, ecco perché quella sera di dieci anni fa hai incontrato un certo matto di nome Phil.»
«Non capisco» disse Fergus.
«Phil era un demone ed era tutto pianificato: l'incontro, la conversazione, la mia evocazione... Faceva tutto parte del grande piano dell'Oscurità.»
«L'Oscurità?» Fergus ora provava seriamente paura.
«Sì, Fergus, l'Oscurità, ciò che vi era prima di tutto. È una storia lunga, ma in breve... Il vostro Dio non poteva distruggerla del tutto, così l'ha intrappolata, congelata, ingabbiata al fianco di Lucifero. Diciamo che si tengono compagnia.»
«E... E cosa vorrebbe da me, l'Oscurità?! Cosa c'entro io, col suo piano?!»
Il demone guardò a terra e vide che non poteva avvicinarsi più di quanto avesse già fatto. Quando alzò gli occhi neri, incontrò quelli umani di Fergus. «Oh, tu c'entri eccome, caro! Tu sei destinato a diventare un demone potentissimo, regnerai prima sui demoni degli incroci e poi su tutti noi! Il tuo nome sarà Crowley e avrai una lunghissima vita. Tutti ti temeranno, molti ti rispetteranno, in pochi oseranno voltarti le spalle!»
Fergus la guardò senza battere ciglio. In poco più di dieci anni era diventato padre, aveva lasciato la sua città, si era allontanato sperando di venir dimenticato dai demoni e si era ricostruito una vita. E ora gli spettava non solo l'Inferno, ma anche una lunga vita come Re. «Ma non ho ancora capito cosa l'Oscurità vuole che faccia!»
«Be', in realtà, tu non dovrai far nulla, almeno per il momento. Farà tutto l'Oscurità» disse il demone.
«Okay» disse infine Fergus. «Crowley... Mi piace!»
Detto questo, Fergus uscì dal cerchio di sale con un mezzo sorriso in volto. Il cerberò lo assalì tra le risate del demone. Tutto finì in pochi istanti e le lacerazioni sul corpo di Fergus non gli lasciarono scampo, portandolo dritto tra le grinfie dell'Oscurità.
Il demone guardò il corpo esanime di Fergus, che aveva appena smesso di zampillare sangue dalle ferite più profonde, quando finalmente uscì dal corpo che stava occupando e la ragazza riprese conoscenza qualche istante dopo che la coltre di fumo se ne fu andata insieme al suo fedele compagno infernale. Si prese la testa fra le mani, avvertendo picchi che avrebbero steso un cavallo – sempre che i cavalli abbiano i mal di testa – e poi i suoi occhi si illuminarono di blu.
Il blu di Annabeth.

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Capitolo 4
*** The man in white ***


Capitolo 4

The man in white

 

Alcuni piccioni stavano volando in circolo sopra la testa pensierosa di Annabeth. La ragazza aveva attraversato circa due città, indagando su di un certo Crowley, senza conquistare il benché minimo indizio su dove quel demone si trovasse. Erano passati ben duecentonovantadue anni ed era abbastanza inutile cercarlo col suo vero nome: Fergus era ormai un mucchio d'ossa. Inoltre, se avesse usato anche un solo piccolo incantesimo o una millesima parte dei suoi straordinari poteri, i demoni – o peggio – l'avrebbero trovata.
Annabeth entrò in una tavola calda dall'insegna vecchia e malridotta. Perfetta per passare inosservati. Si sedette ad un tavolo in fondo alla sala e attese il caffé dopo averlo ordinato. Era caldo, ma non abbasta; tuttavia, resistette dal porre le mani attorno alla tazza per riscaldarla e si accontentò.
La cameriera e i clienti non davano segni demoniaci di alcun tipo. La loro faccia era a posto, era umana, le loro auree idem. Ma vi era comunque qualcosa, nell'aria, che non la convinceva.
Annabeth buttò qualche moneta vicino alla tazza del caffè e uscì dalla tavola calda come qualcuno che si è appena ricordato di aver lasciato il gas di casa aperto. In un lampo era fuori da quella bettola e scorreva veloce tra le strade del paesino di cui non ricordava nemmeno il nome. Che strano, pensò la ragazza: come ci sono finita fin qui?
Annabeth ripensò alle ultime tappe: due cittadelle e mezza, l'ultima sosta in quella tavola calda da brividi... Ma prima? Erano passate settimane da quando era scappata dal suo rifugio, impossibile che avesse macinato così pochi chilometri, sebbene fosse a piedi. E all'improvviso, come un funghetto dopo una giornata di pioggia, spuntò fuori un ometto dall'aria timida e solitaria. Sostava a poche decine di metri da lei e la guardava quieto. Fu in quel momento che Annabeth si rese conto che nei dintorni vi erano solo lei e quell'uomo.
«Ehilà?» sospirò Annabeth col cuore in gola.
L'uomo le sorrise.
La ragazza pensò che fosse un tizio amichevole, ma perché diavolo non c'era nessun altro? Un incubo?
«Sta bene, signore?» Annabeth non si rese conto di essersi avvicinata a quell'uomo finché questi non le toccò una spalla.
«Ciao, Annabeth» salutò l'uomo.
Ora che la ragazza gli era vicina, poteva notare quanto fossero azzurri i suoi occhi. I capelli castani spazzolati all'indietro alla rinfusa gli davano un'aria sbarazzina, ma il volto era quello di una persona saggia ed estremamente vecchia. Indossava un meraviglioso completo bianco – anche la camicia e la cravatta erano bianchi, persino le scarpe! – così luminoso da dar fastidio alla vista di chiunque, ma Annabeth riusciva a fissarlo senza dover ripararsi gli occhi. L'uomo emanava una luce spaventosamente soprannaturale, tanto che la ragazza non poté fare altro se non fissarlo a bocca aperta.
«Sai dove siamo?» le chiese l'uomo infilandosi le mani nelle tasche dei suoi candidi pantaloni.
Annabeth lo guardò dubbiosa: probabilmente si era addormentata in qualche vicolo o davanti ad un panino ed era crollata nel mondo dei sogni. Oppure non si ricordava di essere morta e quello era il suo Paradiso personale. Ma non era del tutto sicura che la sua razza avesse diritto ad un luogo così puro. «Si tratta di un sogno?» disse, infine, la ragazza. In fondo, quell'uomo sapeva il suo nome.
«Sì. Ti sei addormentata in compagnia di alcuni vagabondi che ti hanno offerto del cibo e una coperta. Sei al sicuro, tranquilla» le disse cordialmente.
«Ma chi sei? Perché sei nel mio sogno? E come hai fatto ad entrarci?!» Annabeth era più furibonda che spaventata. Sentiva già ribollirle il sangue nelle vene, ma nei sogni le emozioni sono alterate e più vigorose e mantenere il controllo le risultava difficile.
«Oh, non importa chi io sia e come abbia fatto ad entrare nella tua mente» le disse l'uomo. «Importa solo il perché
«Allora perché sei nel mio sogno?» gli chiese nuovamente Annabeth.
L'uomo, spostando il peso su di una sola gamba magra come un grissino ma più forte di quanto sembrasse, cercò le parole giuste per risponderle. «Ho bisogno del tuo aiuto.»
«Un momento, credo di aver capito...» Annabeth indietreggiò. «L'unico essere che può entrare nei sogni della gente è un angelo, ecco cosa sei!» esclamò felice.
Ma l'uomo negò con un leggero cenno della testa. «Non sono un angelo. Né sono un demone. Non sono nemmeno un umano o uno stregone. Ma se vedessi il mio vero volto, la tua mente esploderebbe.»
Annabeth si accigliò. Non riusciva proprio a capire chi diamine avesse di fronte. Forse un profeta? O un arcangelo? Probabile. Poi la ragazza si ricordò della richiesta di quell'uomo e si ricompose, eliminando ogni traccia di insicurezza. «Hai detto che hai bisogno del mio aiuto, prima. Che cosa intendevi?» gli chiese.
«So che muori dalla voglia di parlare a Fergus, vale a dire Crowley. Ebbene, ci sono due ragazzi, due uomini, che possono aiutarti. Si chiamano Sam e Dean Winchester. Sono due fratelli e loro hanno Crowley, ma stanno cercando Castiel, un angelo, il quale è più facile da ritrovare, credimi. Ho bisogno che tu vada da Castiel, riportalo in carreggiata, poi lui ti condurrà dai Winchester ed allora avrai Crowley.»
Annabeth restò allibita. «Come fai a sapere tutto questo?» gli chiese quasi senza fiato.
L'uomo distese le labbra in un sorriso delicato. «So molte cose» le disse semplicemente.
Nemmeno Annabeth seppe spiegarsi come, ma gli credette. Diede fiducia allo sconosciuto piombato nel suo sogno, ascoltò le sue informazioni, le sue raccomandazioni e stette molto attenta a ricordarsi il luogo in cui era nascosto Castiel.
«Okay, bene» fece la ragazza incrociando le braccia. «Tutto ciò che devo fare, adesso, è svegliarmi e andare da Castiel?»
Lui fece cenno di sì.
«E una volta che avrò trovato l'angelo? Insomma... Per quale motivo devo ritrovare questo Castiel?»
«Una volta che avrai trovato l'angelo» le rispose l'uomo, «la strada ti si aprirà davanti da sola. Si è perso e non sa come tornare sui propri passi, quel poveretto.»
Annabeth, dunque, acconsentì. Trovare un angelo, per lei, era davvero una sciocchezza. L'unico modo per farlo era attraverso un incantesimo. La ragazza non ebbe nemmeno il tempo per chiedere all'uomo come avrebbe fatto a svegliarsi che eccola riaprire gli occhi in quel vicolo dimenticato – si fa per dire – anche da Dio.
Bene. Perfetto. E ora? si disse.
Annabeth sentì la brezza fresca delle prime ore dell'alba. Il sole stava cominciando a farsi strada tra le nuvole violacee e lei svegliò Bart, il vagabondo che dormiva accanto a lei. Lo ringraziò di cuore per l'ospitalità e lui la salutò a nome di tutti. Le diede un panino vecchio di due giorni da portar via, senza dirle che quel panino era anche l'ultima cosa che gli rimaneva da mangiare.
Passo dopo passo, Annabeth si allontanò dal vicolo e prese a camminare sempre più velocemente in una strada frequentata da gente con la puzza sotto il naso e bambini troppo impegnati a fare i bulli per accorgersi di quanto bello fosse passeggiare per mano alla propria madre prima di essere lasciati a scuola.
Fu lì, in quel preciso istante, che Annabeth vide un vecchio ristorante abbandonato. L'insegna sbiadita ed ingiallita dal tempo e dalla pioggia faceva pensare ad una tavola calda anni '50, mentre all'interno sembrava messo tutto sotto sopra, tavoli e sedie lasciate lì a marcire e a far da casa a tarme e ratti dalla coda grassoggia. Convenne che sarebbe sgattaiolata al suo interno, ma passando per il retro. Quindi, superò l'angolo dell'isolato e percorse la strada a ritroso fino ad una porta mangiata dalla muffa.
Vi entrò e scaricò sul bancone la sua sacca. Il rumore di vecchie armi e arnesi per gli incantesimi e la loro eco le misero i brividi.
All'interno del locale non vi era anima viva, a parte strani animaletti nati e cresciuti lì.
Uno alla volta, lentamente, sfilò fuori dalla sacca ingredienti, ciotole e fiammiferi.
Con un gessetto, disegnò poi a terra un simbolo enochiano – era la traduzione del nome Castiel – e vi si posizionò sopra, cominciando a recitare l'incantesimo.
E solo quando finì di pronunciare l'ultima parola dell'incantesimo stesso si ricordò del pericolo: da lontano, fuori dalla finestra logora e tappezzata di quotidiani datati, mentre una luce l'avvolgeva, Annabeth vide correre la coltre nera che la stava cercando e, veloce, raggiungendo.

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Capitolo 5
*** Here and there, somewhere in the air ***


Capitolo 5

Here and there, somewhere in the air

 

«Tutto qui? Non l'hai ucciso?» chiese Dean. «E io dovrei crederti?»
«Santa madre del peccato, no!» esclamo il Re degli Inferi. «Ma tutto ciò che vi ho detto è vero. Ripeto: stavo per ucciderlo per legittima difesa quando è semplicemente scomparso. Nessuno dei miei lo ha più avvistato. È volato via.» Crowley era libero di uscire dalla trappola rosa disegnata da Sam, ma rimase lì fermo dov'era: non aveva alcun pretesto per scappare, dato che i Winchester erano i migliori per fare quanto lui avesse in mente.
Dean, turbato, alzò il mento. Una parte di lui credeva alle parole di quel bastardo di un demone dagli occhi rossi; l'altra parte, tuttavia, combatteva ancora contro il Marchio e cercava a tutti i costi di ricordare a Dean stesso la sua vera natura, umana, per fargli dimenticare quanto lui, da demone, si fosse fidato del suo ex Re. «E non ha lasciato alcuna traccia? Tipo, non so, miracoli o roba del genere?» Din, din, din! Il Marchio vince il primo round da Dean di nuovo umano!
«No, nulla, zero, nada» rispose Crowley. Finalmente cominciò a camminare: era arrivato il suo turno. «Ora, se non sbaglio, avevamo un accordo» li sfidò con lo sguardo.
Dean annuì, silenzioso e meditabondo. Che fine aveva fatto il suo angelo?
«Bene» iniziò Crowley sorridendo. «Dovete uccidere una ragazza.»


Annabeth aveva appena fatto in tempo a prununciare l'incantesimo. La coltre nera non c'era più, al suo posto solo silenzio e una luce accecante di un sole tropicale. Era distesa sul bagnasciuga di una spiaggia la cui sabbia rifletteva la luce della Stella come se fosse l'unica cosa che sapesse fare. Le onde di un mare calmo e caldo le stavano bagnando le punte dei piedi sicché erano scalzi. Probabilmente aveva perso le scarpe durante la "fase di atterraggio".
«Ehi!» urlò all'improvviso un uomo alle sue spalle.
Annabeth si alzò a fatica e mise a fuoco l'immagine. Con tutto quel caldo che il luogo emanava, l'uomo aveva il coraggio di indossare un impermeabile sopra un pesante completo nero con cravatta blu incorporata. «C-Cast-Castiel?» balbettò rauca – l'incantesimo l'aveva prosciugata di ogni forza – crollando poi di nuovo sulla sabbia.
«Attenta!» Castiel corse da lei e l'aiutò a rialzarsi ed un suo semplice sorriso le riscaldò il cuore.
«Sei Castiel, non è vero?» gli chiese sottovoce.
«Sì» rispose lui gentilmente. «Chi ti manda?»
«Ah, magari lo sapessi!»
Castiel poi la fece sedere un po' più distante dal mare e le diede il suo impermeabile perché il vento, sulla pelle bagnata, era freddo e pericoloso.
«Come ti chiami?» le chiese Castiel, gli occhi corrucciati e arrossati.
«Annabeth.»
«Oh, è davvero un bel nome!» le disse radioso. «In enochiano significa dolce e amaro
«Sì, lo so. Grazie» rispose semplicemente lei, nascondendo un mezzo sorriso ironico. Non ne era per niente grata, maledizione!
Castiel, tuttavia, rimase sorpreso. Quella ragazza sapeva chi era e sapeva anche il significato del suo nome in enochiano, la lingua degli angeli. Chi era, dunque, Annabeth? «Sei una Nephilim?»


«Una ragazza?!» Dean, furibondo per svariati motivi – tra cui la sua intera vita – girò le spalle a Crowley e si passò le dita della mano sugli angoli della bocca. «Una ragazza? Dobbiamo uccidere una ragazza?» chiese nuovamente, ora più gentilmente.
«Crowley» disse Sam, «sei un demone» scherzò con un mezzo sorriso.
«Alce» replicò il Re, «ti facevo più brillante.»
Sam, divertito e al tempo stesso anche infastidito, scrollò le spalle e guardò altrove. Sapeva benissimo che Crowley ce l'aveva ancora con lui e che – prima o poi – gliel'avrebbe fatta pagare, quindi diede un calcio al di dietro del suo istinto e rimase zitto zitto nel suo angolino. Crowley, invece, assaporò quel briciolo di vittoria verbale che poté permettersi e rispose a Non Alce, tranquillo come sempre: «Sì, è esatto.»
«E perché?» chiese Dean, grattandosi una guancia. «Se un centinaio di persone ti danno fastidio, ti basta schioccare le dita ed ecco che le loro anime scendono nel tuo Regno e ora mi vieni a dire che hai paura di una ragazzina?»
«Non è una ragazzina, razza di imbecille» replicò Crowley. Si era fatto più cupo, più nervoso. «È una eflim...» biascicò il Re.
«È una cosa?!» stridì Dean. Sam, d'altro canto, preferiva starsene in disparte per un po', ad ascoltare.
Crowley camminò verso la finestra di quella catapecchia con il tetto. «È una Nephilim» disse, ora più limpido. «O qualcosa del genere. Nessuno sa cosa sia.»
Sam e Dean rimasero a bocca aperta. «Mi stai dicendo che una Nephilim-o-qualcosa-del-genere sarebbe più forte del Re dell'Inferno?» domandò sarcastico Dean. Gli veniva da ridere e così anche a suo fratello.
Crowley no, non rideva. Rimase a fissare la notte buia e silenziosa al di fuori di quella finestra fatiscente. Quando abbassò lo sguardo, il Re notò con dispiacere che parlare di quella cosa lo metteva a disagio. «È imbarazzante» confessò.
I Winchester gli si avvicinarono cauti alle spalle. Ai loro occhi, Crowley sembrava per la prima volta... senza forze, innocuo.
«Quella ragazza è una novità per tutti, in questo mondo. All'inizio sembrava che il Paradiso e l'Inferno avessero raggiunto una tregua, ma con l'andare degli anni, tutti noi capimmo che la ragazza stava diventando pericolosa, così Naomi la portò via con sé e da allora se ne sono perse le tracce.» Crowley parlava con malinconia, gli occhi fissi nel vuoto.
Dean ebbe un flashback: «Naomi?!»
«Sì, Naomi» rispose Crowley. «Naomi era la madre della ragazza.»
«E chi era il padre?» chiese Sam, finalmente uscito dal suo guscio. «Hai detto che è una novità, quindi non doveva essere umano, giusto?»
«Giusto» rispose ancora il Re. «Il padre è un demone.»
«Un demone?!» gli fece eco Dean. Sam, invece, si limitò a spalancare lo sguardo, ma entrambi erano rimasti parecchio shockati. «Bene!» riprese il maggiore. «Se la madre era un angelo e il padre è un demone... Come si uccide?»


Annabeth raccontò tutto – più o meno tutto – a Castiel. Non tralasciò quasi alcun particolare della sua vita, da quando le venne insegnato come gestire il potere a quando era scappata dal suo rifugio. Gli raccontò anche della possessione da parte del demone degli incoci, di Fergus e del dolore che provava ogni volta che tentava di ribellarsi al demone. «Mi trovo sempre in bilico e a volte sento di star per cadere» stava dicendo Annabeth. Le lacrime cominciarono a gonfiarle gli occhi e Castiel le prese il viso tra le mani.
«Calmati, okay?» le disse cercando il suo sguardo. «Non c'è nulla che non vada, non è colpa tua!»
«Non è vero!» gli urlò contro, singhiozzando. «Metà angelo, metà demone! Non so nemmeno cosa sono!»
Castiel si morse il labbro; gli si strinse il cuore, vederla così. Così potente e fragile al medesimo istante. L'abbracciò, fu l'unica cosa che gli riuscì di fare. Imitando il gesto umano, sentiva di poter togliere almeno una piccola parte del peso che opprimeva la piccola Annie, che tanto piccola non era, dopotutto.
La ragazza, poi, si liberò dell'abbraccio e si asciugò le lacrime. «Che stupida» disse fra sé e sé. «Son venuta fin qui per uno scopo ben preciso, invece ecco che mi metto a piagnucolare sulla mia vita!»
«Non sei stupida» disse Castiel serio. «Però c'è un problema: non posso localizzare Sam e Dean.»
Annabeth rimase di sasso. «Cosa?»
«Ho inciso sulle loro costole delle protezioni e...»
«Per la miseria, Castiel! E adesso?!» e boom una palma vicino a lei prese fuoco tra mille scintille.
Castiel, ovviamente, notò con quanta facilità quella specie di Nephilim poteva perdere la pazienza, caratteristica del padre. «Usa i tuoi poteri, no?»
«Ah-ehm... Non credo sia possibile» confessò. Forse si era dimenticata qualcosa...
Castiel, infatti, si accigliò.
«Un uomo è entrato in un mio sogno, recentemente, e mi ha detto che per arrivare al mio obiettivo, avrei dovuto per prima cosa trovare te. E poi, se usassi ancora i miei poteri, l'Oscurità potrebbe trovarmi e...» Annabeth buttò un occhio all'orizzonte; il mare era tranquillo, ma era molto preoccupata.
«Okay, allora possiamo fare una cosa» disse Castiel.
«Cosa?»
«Unire le forze.»
Così ecco Annabeth e Castiel in piedi, l'una di fronte all'altro. I loro occhi erano concentrati e sereni, ma dentro di loro avvenne qualcosa di unico: per la prima volta nella storia, un angelo legava se stesso all'anima di una Nephilim, anche se questo non è il termine giusto. I loro corpi si illuminarono e divennero sempre più impossibili da guardare, da fissare. L'aria intorno ad essi parve congelarsi, ma lontano da loro qualcosa di nero e vivo si avvicinava ad una velocità incredibile. Né Annabeth né Castiel riuscirono a prevedere l'arrivo di quella cosa, almeno fino a che l'angelo – tramite i poteri della ragazza – non riuscì a localizzare i Winchester.
«Li vedo! Tieniti forte!» le disse Castiel.
Lei sorrise e per un solo istante perse la concentrazione e intravide con la coda dell'occhio la nube nera, sempre più vicina. «Sbrigati, è qui! Mi prenderà!»
Ma a Castiel serviva più tempo, non era facile, non sapeva nemmeno lui cosa stava facendo con esattezza. Pensò, tuttavia, di non dire nulla ad Annabeth e di sforzarsi sempre di più, tanto che gli uscì una gocciolina di sangue da una narice. Strinse i denti e proseguì; avvertì dolore ovunque, testa, petto, muscoli, gambe, stava per crollare, ma non si arrese e finalmente riuscì a catapultarsi nel luogo che voleva, ma...
Annabeth e Castiel persero il contatto giusto mezzo secondo prima che egli fosse riuscito definitivamente nell'impresa e solo Castiel arrivò ansimante e quasi privo di conoscenza dai due fratelli.
Annabeth, come prima lo era Castiel, sparì nel nulla.
Crowley, avvolto come i due umani dalla luce che Castiel portò con sé, si voltò stringendo gli occhi a fessure sottilissime e, quando vide Castiel, poco prima che questi svenisse, esclamò: «Ehi, Culo Piumato è vivo!» [1]

 


Note:
[1] Citazione di Lucifer Wings (prima Sullivans Dream) Grazie, cara :3

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Capitolo 6
*** Once upon a time ***


Angolo dell'autrice:
Hola, gente! :3 scusate il ritardo, ho avuto qualche problema con la connessione ;;
Anyway, da questo capitolo in poi, le cose si fanno complicate, per me: innanzitutto, doveva essere una fanfic come un'altra, invece ora più che una Missing Moments è una What If xD o forse no... non lo so, ultimamente ho la testa nel pallone per colpa di un tizio, ma non siete qui per leggere i fatti miei, quindi vi chiedo ancora perdono per il ritardo e... vi auguro buona lettura ;) 

xoxo
Marra


Capitolo 6

Once upon a time


Castiel era appena crollato a terra per lo sforzo quasi letale, che Crowley si tolse di mezzo dicendo solo qualcosa su di un certo Sergei e sul doverlo avvertire. I Winchester, comunque, lasciarono perdere il Re degli Inferi in quanto Castiel era di nuovo con loro, un po' ammaccato, è vero, ma era vivo.
«Cas! Castiel! Mi senti?» lo scosse Dean, ma l'altro non rispose. Semplicemente lo guardò con occhi confusi e disorientati, come per dire Che ci faccio qui?, tenendo la bocca semi aperta tanto che un forte sapore di ferro invase il suo palato. Il sangue uscito dal naso era arrivato ormai alle labbra.
Dean, aiutato da suo fratello, prese l'angelo sotto un'ascella e lo adagiò piano contro un muro. Intendevano lasciarlo riposare lì finché non si fosse ristabilito, ma Castiel riaprì gli occhi solo pochi istanti dopo che i Winchester si erano rialzati.
«Rowena!» urlò Castiel, la schiena irrigidita come uno stoccafisso.
Dean si spaventò a morte, un po' per la reazione di Castiel e un po' per il nome che egli aveva gridato, ma mantenne la calma come suo solito e si adagiò per toccare la spalla del suo amico. «Va tutto bene, Cas!»
«No! Non capisci!» biascicò Castiel mentre cercava di rimettersi in piedi, ma Dean lo bloccava a terra e gli sembrava di avere dei pesi attaccati alla schiena. «Rowena mi ha lanciato adosso un incantesimo, è scappata, Dean, è scappata! Dovete trovarla, subito!» gridò ansimante.
«Cas! CASTIEL!» cercò di farlo tacere e funzionò. Dean guardò suo fratello; si stava passando le mani sulla faccia, era stanco, affamato, aveva sonno e non era l'unico. Tornò con gli occhi su Castiel e lo aiutò a rialzarsi, dato che era ormai evidente a tutti che aveva superato la fase "I will go down with my pain".
«Per poco non ho ucciso Crowley; pensa cosa sarebbe successo se...» Se avessi incontrato voi prima che l'incantesimo si fosse esaurito, pensò l'angelo ma non riuscì a dirlo. Troppo male, quell'ipotesi faceva troppo male.
«Ti capiamo, Castiel, ma Rowena non è una cosa da poco, dobbiamo organizzarci bene» spiegò Sam. Nel profondo, però, avrebbe tanto voluto mollare tutto e tutti e andare a cercare quella-
«Anna...» lo interruppe Castiel.
«Eh?» Chi? avrebbe voluto starnazzare Dean per un motivo difficile da spiegare.
«No, era Betty... No...» Casteil stava totalmente ignorando i Winchester e le loro espressioni confuse. «Anne... Bella... Anna...» continuò fra sé «Beth... Annab- ANNABETH!» urlò infine, guardando il vuoto con occhi sbarrati. «Annabeth è morta!»


«Salve, ragazzi.» Crowley si ripulì la manica della giacca da granelli di polvere invisibile e sorrise a Castiel. «Ambasciator non porta pena» gli disse.
«Crowley» cominciò subito Dean. «Come si chiama quella ragazza che dovremmo uccidere?»
Il demone si accigliò. «Perché, ha forse importanza?»
«Be', sì, direi dì, se si tratta della stessa persona che ha incontrato Castiel» disse Sam.
«Già» confermò il fratello, incrociando le braccia sul petto.
Crowley sentì l'aria fischiare tra le minuscole fessure tra una trave e l'altra che ricoprivano enormi buchi nei muri della casa. Era arrivata la luce del giorno, seppur debole e ancora fresca, e cominciava a far caldo. O forse era solo una sua sensazione... «Castiel con una ragazza? Be'... Non vi serve sapere che nome ha, per ucciderla, comunque» disse per sviare un po' l'argomento. «Vi tengo aggiornati sul vostro obiett-»
«Aspetta» lo interruppe Dean prima che il demone se ne andasse. «Niente nome, va bene. Ma Castiel ha incontrato una ragazza che si chiama Annabeth e pensa sia morta mentre cercava di tornare da noi.» Il ragazzo alzò il mento, come per sfidarlo. Poi fece finta di essersi dimenticato qualcosa e aggiunse: «Ah, e questa ragazza dice di essere metà demone e metà angelo. E ti cercava.»


E pensare che doveva filare tutto liscio come l'olio. Invece eccola guardare sua figlia rincorrere uno stupido gatto. Annabeth correva per vincere, come suo padre, solo che non ne era ancora a conoscenza. Non era a conoscenza di nulla, o quasi. Naomi le aveva detto che era una bambina speciale, più forte di tutti gli altri, ma le aveva omesso il fatto di avere un padre ed una madre altrettanto speciali, per così dire. Lo avrebbe saputo più avanti, quando sarebbe stata pronta.
Ma quel giorno era arrivato e anche così velocemente...
«Annabeth!» la chiamò Naomi.
Sua figlia le corse, sgambettando, in contro, portandole un fiore che aveva appena colto. Glielo mise tra i capelli e le accarezzò le guance. Aveva solo sei anni, ma già mostrava il portamento e le gesta di un'adolescente. «È già ora di andare, mamma?» le chiese ingenuamente.
«Purtroppo sì» le disse Naomi. «Ma solo per me.»
Annabeth si accigliò all'istante. «Cosa vuoi dire?»
A Noami le si strinse il cuore. Nemmeno lei seppe fino a quel momento se gli angeli potessero oppure no provare il sentimento del panico, eppure eccolo: lo sentiva forte e chiaro; la testa le girava come una trottola impazzita, gli occhi si stavano riempiendo di lacrime e si sentiva le gambe molli. Aveva paura di dirle la verità e sarebbe stato tutto più facile se solo l'avesse lasciata all'entrata di qualche casa accogliente quando ancora era una neonata; sua figlia sarebbe cresciuta con mille domande ma nessuna possibilità di risposta. Ma così... Così era più difficile! Avere a portata di mano la verità che però scivola via, lasciandoti da sola e indifesa, a lottare con la vita... Tuttavia, nonostante questi pensieri orribili, Naomi decise di prendere la via più facile. Si sentì egoista, ma l'abbandono improvviso era la cosa migliore, in un momento simile. Il Paradiso la stava richiamando, i suoi fratelli e le sue sorelle l'avrebbero perdonata sicuramente, perché il male l'aveva ingannata, e avrebbe dimenticato Annabeth.
Fu così che, senza dire assolutamente nulla, Naomi volò via, verso Casa, lasciando sua figlia totalmente da sola e tra le lacrime di una bambina di sei anni che cresceva in fretta.


«Annabeth. Si chiama Annabeth. Ed è impossibile che sia morta.» Crowley si sentiva all'angolo.
Dean chiuse gli occhi per un istante. Cosa mai gli aveva fatto di male questa Annabeth? In fondo, Castiel l'aveva descritta come una ragazza fragile ed impaurita. «Quindi sono la stessa persona... Okay, e cos'ha a che fare con te?» chiese il ragazzo.
«Probabilmente» cominciò Crowley, «dovrò partire dal principio... Quindi sedetevi e ascoltate, perché non è una cosa da poco.»
I Winchester e Castiel si scambiarono degli sguardi un po' insicuri, ma poi presero tutti una sedia e – senza abbassare la guardia – ascoltarono le parole del demone.

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Capitolo 7
*** The Humiliated King ***


Capitolo 7
The Humiliated King

 

Dean fissava fuori dalla finestra rotta ormai da parecchi minuti. Pensava alle parole di Crowley, alla storia di Annabeth. Una ragazzina cresciuta da sola, figlia di un angelo e di un demone, e che adesso lui e suo fratello dovevano uccidere senza sapere bene il perché. Era così assurdo che poteva anche essere tutto vero. «Avevamo un accordo!» s'infurio il demone quando Dean gli disse che, no, non avrebbero ucciso una ragazza innocente ed il fatto che essa avesse dei poteri non cambiava le cose: in tutti quei secoli di storia, Annabeth non aveva mai dato alcun tipo di problema, restando sempre nell'ombra, quindi perché preoccuparsi?
«Dean» lo chiamò Castiel. L'angelo decise di avvicinarglisi, vedendolo navigare nei suoi pensieri. Gli mise una mano sulla spalla e ripeté il nuo nome. Alla fine il ragazzo si voltò e lo guardò dall'alto con due occhioni persi. Castiel lo sentì sospirare, poi Dean si diresse da Crowley, ancora lì con loro, anch'egli pensieroso come tutti in quella catapecchia abbandonata.
«Come fai a sapere così tante cose su questa Annabeth?»
Crowley rivolse a Dean un ghigno amichevole, tremendamente inquietante. «Sono semplicemente il suo fan numero uno» egli rispose. Ancora una volta, ebbe la fastidiosa idea di omettere un dettaglio essenziale.
Dean cercò Sam con lo sguardo: non lo trovò e, quando il panico fu sulla soglia, si ricordò che suo fratello aveva detto che sarebbe andato a comprare qualcosa da mangiare. Si sentì in colpa per averlo trascurato così tanto, ma quella storia lo stava prendendo troppo. «Sì, fan numero uno, come no» sbottò serio, imitando la freddezza di Castiel, lì vicino a lui.
Crowley alzò entrambe le sopracciglia, meravigliato. «Cosa?! Non mi credi?! Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme?» esclamò. «Okay: giuro sul tenente Colombo qui presente che sto dicendo la verità!» aggiunse guardando Castiel.
«Sarà anche vero, ma tu ci stai nascondendo qualcosa, come sempre!»
«Dean ha ragione. Cosa c'è sotto, Crowley?»
Così Crowley, messo nuovamente alle strette, pensò di sgattaiolare via di lì e di andarsi a cercare la ragazza per conto suo, ma poi ci ripensò bene... e decise che era meglio restare, girare la frittata e sviare – rimandare, almeno – l'argomento: «E va bene» disse infine. Sentì il bisogno di sistemarsi la cravatta, di allentarla un pochino, e così fece. «Annabeth è un ibrido senza precedenti, è vero, ma come ogni Nephilim ha in sé un'energia quasi illimitata traducibile... diciamo... in luce.»
Castiel e Dean parevano saperne meno di prima; gli fecero segno di proseguire e Crowley dette segni di seccatura: possibile che doveva sempre spiegare tutto a quei due?!
«Ehi, pronto? Luce è contrario di Oscurità... Se si uccide un Nephilim posseduto da un demone, non solo il Nephilim muore, ma c'è una vera e propria esplosione di luce capace di distruggere il demone che possiede il Nephilim. E questo discorso vale sicuramente anche per l'Oscurità!»
«Un momento: sicuramente?» esclamò Dean, furibondo.
Crowley fece roteare gli occhi. «Sì» rispose facendo al ragazzo una smorfia infantile.
«Vuoi forse che la storia della Colt e di Lucifero si ripeta?» lo aggredì subito il ragazzo; Castiel lo bloccò sbarrandogli la strada con un braccio e lui si calmò gradualmente.
«Dean, non è che un ibrido di questo genere te lo ritrovi tra le mani con così tanta facilità» cercò di difendersi il demone.
«E che facciamo se l'Oscurità non dovesse morire? Qui tutti noi sappiamo che nemmeno Dio fu in grado di distruggerla!» urlò di conseguenza Castiel.
Crowley sbarrò gli occhi, puntò lo sguardo su Dean e bisbigliò: «Ma è mestruato?» Il ragazzo gli rispose passandosi una mano sulla faccia mentre Castiel... Be', Castiel era un po' disorientato. «Il tuo paparino» proseguì guardando l'angelo, «ha solo avuto pietà, Culo Piumato.» Poi aggiunse, rivolto a Dean: «Quindi, chi meglio di due cacciatori con parecchia esperienza e nel fiore degli anni è adatto a questa missione?»
Nel fiore degli anni? Dean avrebbe voluto spaccargli la faccia dopo aver riso per almeno mezz'ora sulle sue parole: cosa ne sapeva quel dannato demone di mal di schiena, gambe rammollite e fiatone? Per non parlare delle centinaia di volte in cui aveva visitato l'aldilà anche grazie a Gabriele! Vogliamo poi tralasciare il mezzo infarto che ha avuto durante un caso? E i problemi di digestione, cavolo... Ah, giusto: era anche appena tornato umano dopo una vacanza nella tenuta di Pazuzu!
«Se per uccidere Annabeth serve un'arma qualunque, allora perché non te ne occupi tu, Crowley?» domandò Castiel. «Così almeno, se il tuo piano dovesse fallire, il primo a morire saresti tu...»
«Innanzitutto vale la regola di voi esserini alati: i Nephilim muoiono solo con gli stuzzicadenti angelici. E poi lo so, offrirmi volontario onorerebbe la mia posizione di Re, ma rifiuto il privilegio e lo faccio per un buon motivo: se il mio piano dovesse andare a buon fine, l'ondata di luce distruggerebbe anche me e io non ho intenzione di morire in nessuno dei due casi.»
«Crowley...»
«Eh?» chiese il demone, ma né Castiel né Dean parevano aver parlato. A Crowley venne dunque l'istinto di voltarsi e controllare fuori dalla finestra e nel momento stesso in cui lo fece, lo investì una folata di vento che lo buttò a terra, sollevando una densa nuvola di polvere. Dean ed il suo angelo sembravano aver avuto timore di quanto stava accadendo ed erano spariti, poi Crowley avvertì di nuovo quella voce: sembrava ridere e, per la prima vera volta nella sua carriera da demone, si ricordò di poter ancora provare paura.


«Crowley!» Sam era tornato dalla sua commissione e stava dando qualche leggero calcio al fianco di Crowley, steso a terra, messo K.O. da quello che Dean diceva essere nulla.
«Ti giuro! Ha dato di matto per un qualcosa che sentiva solo lui, poi ha sbirciato fuori dalla finestra ed è caduto come un sacco di patate!» gli aveva detto suo fratello e Castiel era perfettamente d'accordo con Dean. A quel punto, Sam si era immaginato il tutto e non poté fare a meno di ridere sotto i baffi; quanto avrebbe voluto assistere alla scena!
«Crowley!» ripeté Sam, piantandogli la punta della scarpa dritta nelle costole ed ecco che il demone spalancò gli occhi, quasi frignando per il dolore e la confusione.
«Buongiorno, principessa, fatti bei sogni?»
«Dean, mi dispiace, ma non sei il mio tipo» rispose Crowley rimettendosi in piedi.
Sam gettò uno sguardo sul demone mentre porgeva al fratello il sacchetto col suo pranzo e, accigliato, formulò la domanda a cui tutti loro volevano una chiara e sincera risposta: «Cosa diavolo ti è successo?»
Crowley serrò allora le labbra, strette a tal punto da sembrare una ragazzina a cui i genitori avevano negato l'uscita con il ragazzo dei suoi sogni. «Ho sentito l'Oscurità» sbottò infine, senza scomporsi di un millimetro.
«Tu hai sentito cosa?!»
«Hai capito benissimo, Mr Aureola.» Crowley si ripulì l'abito e guardò torvo i Winchester. «Eravamo molto intimi, giù all'Inferno...»
«Cosa?!» esclamò Dean con la bocca piena.
Crowley gli voltò le spalle, non perché lo turbasse vedere un umano mangiare, ma perché i ricordi erano ancora ferite aperte e come demone non voleva mostrarsi debole di fronte al nemico. «Proprio così, Scoiattolo» disse sapendo che Dean avrebbe senz'altro alzato lo sguardo al cielo e per un istante Crowley sorrise, dimentico del dolore sofferto; poi, ahimé, qualcosa lo fece tornare coi piedi per terra e continuò: «Quando vendetti la mia anima, non sapevo esattamente a quale prezzo l'avrei fatto. Sapevo, ovviamente, che avrebbero spedito le mie chiappe giù in cantina, ma non avevo idea di chi si sarebbe preso cura della mia anima.»
«Bugiardo...» sibilò una voce un po' troppo alterata.
Crowley sembrò ricevere una scossa lungo la schiena. Era stato l'unico a sentire quella voce, ecco perché entrambi i Winchester e Castiel lo stavano guardando come se fosse appena impazzito e le cose erano due: o era davvero impazzito – come una crisi esistenziale che colpisce i Re dopo un lungo e difficile regno – oppure quella voce era reale e avrebbe dovuto dire tutto agli umani e all'angelo.
«Crowley?» domandò Sam.
Il demone tornò in sé in un sussulto quasi impercettibile. «Scusate, mi sono distratto... Sta di fatto che, quando sono sceso, mi hanno portato dritto davanti ad una cella, vicina alla gabbia di Lucifero. Nessuno può entrare in quella cella, uscirne è un miracolo, ma... Diciamo che io avevo un permesso speciale.»
«In che senso?» chiese Dean a nome di tutti.
Crowley distolse lo sguardo dal raggio di sole che stava scaldando una margherita selvatica – stava ancora controllando l'esterno della casa, nel caso l'Oscurità fosse realmente lì – e tornò con gli occhi su Dean. «Dentro quella dannatissima cella c'era l'Oscurità. E quando ho varcato la soglia, ho creduto che sarei rimasto lì per l'eternità, ma poi un giorno, dopo avermi torturato con ogni mezzo possibile e non, mi lasciò andare. Disse semplicemente che ero pronto, che avrei scaricato tutto il mio dolore e la mia rabbia direttamente sugli uomini e fu in quel momento che decisi di vendicarmi in un modo assolutamente rozzo ma di cui non mi pento, sia chiaro... Fu lì che nacque Crowley.»
Dopo qualche attimo di gelido silenzio, Dean applaudì lentamente. «Wow, che storia commovente!» mentì il cacciatore. «Ma perché proprio te? Prima di diventare lo stronzo che sei ora, la tua anima era uguale a tante altre!»
«L'unica cosa che posso certamente dire è che l'Oscurità sapeva tutto fin dall'inizio e, oltre ad avere istinti suicidi uscendo dal suo nascondiglio, vuole testare ciò che ha creato» rispose Crowley.
Castiel lo guardò curvando il collo da una parte. «Come sarebbe a dire testare ciò che ha creato?» chiese confuso.
A Crowley scappò uno sbuffo nascosto da un sorriso nervoso. «L'Oscurità sapeva che ero debole, da umano; una volta reso demone, avrei dovuto perdere ogni emozione, ogni punto debole, specialmente se a crearmi fosse stata lei in persona, ma mai e poi mai mi tirerei indietro!»
«Non capisco...» continuò Castiel, sempre più perso e come lui lo erano anche Sam e Dean.
«L'Oscurità, razza di imbecilli senza cervello, vuole vedere se sono capace di far ammazzare mia figlia!» ruggì Crowley e nell'esatto momento in cui pronunciò quelle aprole, si pentì di avrle lasciate trapelare; si sentì messo a nudo, indifeso, scoperto e decise così di darsela a gambe levate.

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Capitolo 8
*** Plan B, for Back to the future ***


Capitolo 8

Plan B, for Back to the future


Seguire le tracce di una persona scomparsa non è impresa da poco, ma fortunatamente si trattava dei Winchester e loro sapevano esattamente da dove iniziare: il luogo in cui l'obiettivo era stato avvistato per l'ultima volta. Ma quell'isola era irraggiungibile per Castiel: lui stesso non sapeva esattamente dove caspita fosse.
«Cas, non esiste un qualche legame tra voi due? Come la radio angelica, intendo...»
«No, Dean, non esiste nessuna radio nephilimiana, purtroppo» fu la risposta di Castiel, il quale vide l'amico fare una faccia mista tra perplessità e divertimento.
«Forse una cosa del genere può attirare strani agenti atmosferici, che ne dite?» suggerì allora Sam, e non era affatto una cattiva idea.
Dean assottigliò gli occhi, come per concentrarsi meglio, ma ciò che in realtà fece fu guardare meglio suo fratello: da quando il Marchio era schizzato via dalla sua pelle, non aveva fatto altro che rimproverare Sam per aver collaborato con quella ...strega, per non parlare della fiducia – seppur non totale – che egli aveva riposto in lei. Eppure Sammy non si era buttato giù di morale, gli era restato affianco, nonostante le occhiatacce e le battute poco gradevoli che gli aveva lanciato lui stesso ed era per tutto questo che Dean si sentiva in colpa: gli voleva di un bene che nessuno avrebbe mai potuto anche solo immaginare, ed esso era il loro punto di forza così come era anche il loro punto debole. Dean sorrise distratto e gli strinse amichevolmente la spalla. «Sammy ha ragione. Mettiamoci al lavoro!» esclamò e subito dopo eccolo diretto verso la sala principale del Bunker, sul cui tavolo vi era il computer di Sam. Sentì gli occhi del fratello pesare su di lui, sulla sua schiena. Erano silenziosi, forse dubitanti.
«Dean» chiamò Castiel con voce flebile ed il ragazzo si voltò aspettandosi la domanda che tanto avrebbe voluto non gli fosse posta: «Come stai?» Eccola.
Come stava? Neanche lui lo sapeva. O meglio, sentiva sollievo nell'essere tornato normale, almeno non era più un mostro, nè un demone, nè un assassino – be', sì, forse lo era ancora, ma era pur sempre un cacciatore – ma qualcosa in lui era cambiato. Aveva oltrepassato il limite così tante volte, eppure nulla sembrava essere più pericoloso del riporre il Marchio nel suo scrigno. Lo aveva segnato nell'anima, ma doveva proseguire a testa alta. «Sto bene, perché?»
«Sai, Dean, con tutto questo trambusto non abbiamo avuto occasione di parlare di cosa è successo...»
«Okay, intanto che voi organizzate il pigiama party, io faccio un po' di ricerche» scherzò Dean e si allontanò, sentendo il sonoro sospiro di Castiel riempire l'aria. Si sedette di fronte al computer e iniziò la ricerca evitando di pensare agli occupanti dell'altra stanza; scartò l'uragano filippino, l'ondata di calore ottobrina in Italia, la tempesta di sabbia in Egitto e la moria di pesci in Alaska. Era rimasta una sola cosa strana e altamente anomala. Lesse la notizia ben due volte, eppure era vero. C'era anche un video a testimoniare l'accaduto. L'intervista ai due testimoni, tradotta per un giornale americano, era molto convincente. «Credo di aver trovato qualcosa» disse ad alta voce e fece segno a Sam e a Castiel di raggiungerlo.
«Wow» si meravigliò Sam. «Sei diventato veloce!»
Dean apprezzò le parole del fratello: non era mai stato una cima con la tecnologia, non vi era molta intesa tra loro. «Leggi pure ad alta voce, Sammy» disse, poi si alzò e lasciò il posto al fratello mentre Castiel sostava di fronte a loro, dall'altra parte del tavolo.
«Maupiti, isola vulcanica nella Polinesia Francese, come testimone di un fatto alquanto bizzarro. Tranquilla, silenziosa e discreta, l'isola ha cominciato a far parlare di sé dopo la strana pioggia di... la strana pioggia di perle nero-blu?»
«Vai avanti, Sam, non te ne pentirai» lo stuzzicò Dean, lanciando uno sguardo a Castiel.
Sam si schiarì la voce e proseguì: «Esse, infatti, sono piovute giù dal cielo dopo un forte ed accecante bagliore, ma ecco cosa dice uno dei due testimoni... Stavo facendo un bagno quando all'improvviso mi sono accorto di due persone sulla spiaggia. Una ragazza con un uomo, mi sembra e poi sono stati avvolti da una luce fortissima. Volevo andare a chiamare mia moglie, ma non appena mi sono voltato per dar loro un ultimo sguardo, quei due erano semplicemente spariti e poi è arrivata la tempesta... Wow, Dean, è... piuttosto strano» concluse Sam.
«Già, e la notizia continua a parlare di come la tempesta si sia concentrata solo su quella spiaggia, di come fossero incandescenti le perle e di come si fossero dissolte nella sabbia una volta raffreddate.»
«Okay, vado a controllare, datemi un attimo» esclamò Castiel e ancora prima che Dean gli dicesse di aspattare, perché forse era pericoloso, egli sparì.


«Non c'è più.»
Dean per poco non mandò giù un intero boccone di panino dallo spavento. «Dannazione, Cas...» disse con voce strozzata.
Sam, sentendo il nome di Castiel, accorse subito dallo studio e trovò Dean piegato su se stesso con l'amico a pochi passi da lui. «Ehi» azzardò.
Castiel, dispiaciuto per aver traumatizzato Dean per l'ennesima volta, continuò il suo discorso. «Annabeth è sparita, non la trovo da nessuna parte.»
«Dell'isola?»
«No, Dean, del mondo.»


«Crowley? Cosa vuoi?»
«Buongiorno anche a te, Naomi.»
E rieccoli. Sorridevano l'uno all'altra, consapeli dei loro trascorsi. Per Naomi erano passati pochi mesi, per Crowley decenni, secoli. Ma mentre il sorriso di Naomi era dolce e speranzoso di una giusta tregua tra i loro Regni, quello di Crowley era freddo e calcolatore.
«Non mi sembri sorpreso» sospirò Naomi accarezzandosi il pancione. «Da dove vieni?»
«Futuro» rispose lui. «Uno molto lontano da qui.»
«Capisco...»
Crowley le si avvicinò di più. Era incredibile: l'aveva ritrovata esattamente dove l'aveva lasciata, solo a qualche mese di distanza. Chissà cosa aveva in mente di fare? «Sono venuto qui per affari, in realtà, non per una visita di cortesia.»
A quella frase, Naomi mutò espressione e capì che non avrebbe mai avuto la possibilità di stabilire quella pace tanto agognata.
«Lo so che nessuno dovrebbe conoscere il futuro, ma qui si tratta di nostra figlia: un giorno l'Oscurità verrà liberata e la bambina che porti in grembo sarà in pericolo, un pericolo che solo un incantesimo può salvare.»
Naomi si alzò di scatto dalla panca di legno su cui riposava. «Cosa?!» esclamò, parecchio impaurita e anche quando Crowley alzò le mani per tranquillizzarla lei non sembrò affatto calmarsi.
«Ascolta, possiamo tenerla lontana dal pericolo con un piano d'emergenza!» disse e Naomi si ricompose. Si accertò che fosse attenta e le spiegò meglio le sue intenzioni.
Intenzioni che vennero messe in atto circa 2600 anni dopo.


«So dove possiamo trovare Annabeth.»
«Per la miseria, oggi avete intenzione di farmi venire un infarto?!»
Dean lanciò in aria il sacchetto di salatini che aveva intenzione di acquistare e si lasciò Crowley alle spalle. Dopo qualche metro, ci ripensò: Castiel aveva fallito nella ricerca proprio come lui stesso e suo fratello, Crowley no. «Avanti, Crowley, Sam è qui fuori con Cas» disse quasi borbottando e il demone lo seguì fuori dal minimarket.
Raggiunti gli altri due membri del quartetto più strano del mondo, Crowley si mise a sorridere. «So dove trovare la ragazza.»
«Tua figlia» lo corresse Castiel.
«Sì, Annabeth.»
«Tua figlia» ripeté l'angelo.
«Sì. Lei» rispose Crowley irritato. Vide poi la faccia severa degli altri tre, sicuramente – pensò – per non averglielo detto subito. Oppure perché aveva avuto una relazione con un angelo. Oppure per aver combinato un casino. Oppure per tutte e tre le ragioni. «Sono tornato indietro nel tempo per dirle che ci sarebbe stato un piccolo problema qui nel futuro e che Annabeth avrebbe avuto bisogno di un incantesimo per essere protetta. Fortunatamente, conoscevo io stesso l'incantesimo così ora so esattamente dove possiamo trovarla.»
Dean lo fissò senza parlare, ingrandendo così tanto gli occhi da tornare ad essere il ragazzotto di ventisei anni alla ricerca del padre.
«È in mia compagnia» proseguì Crowley. «Ma in un altro mondo.»

 

 


Angolo dell'autrice:
Hi there! :D
E' da un po' che non mi faccio sentire nelle note e mi sembra di avervi trascurati! Vi chiedo umilmente perdono... Io vi voglio tanto bene :')
Anyway, non sono qui solo per scusarmi, ma per dirvi una cosa molto importante! Proprio lunedì scorso ho rivisto la 9x20 con mia madre (sì, segue anche lei la serie, ma solo in italiano xD): Gavin, il figlio di Fergus per chi non ricordasse, è stato "rapito" da Crowley e Abaddon nel 1723, in Scozia. Non vi ricorda nulla? Ebbene sì, ho fatto confusione con le date! Mi spiego: nel Capitolo 2 – Who's that girl?, ho inserito per la prima volta il personaggio di Fergus, il quale andrà in contro alla morte di lì a breve. L'errore sta nel fatto che ho ambientato la morte di Fergus nello stesso anno in cui Gavin è stato catapultato dalla sua epoca alla nostra, e tutto questo perché ho svolto una ricerca sbagliata, un po' frettolosa... Al momento mi sembrava tutto molto sensato, ma ora mi rendo conto che non è poi così tanto sicuro che sia così... Ditemi: secondo voi è giusto? Ho trovato l'informazione su un sito americano e mi sembrava di aver capito giusto... Se avete un'informazione diversa, simile o uguale, vi prego di togliermi il dubbio esistenziale :)
Aggiungo che, nella puntata, non ricordo esattamente la citazione, ma Crowley parla di "291 anni" (dopo la sua morte)... Ho fatto semplicemente 1723+291 e viene fuori 2014, l'anno in cui hanno girato la nona stagione... Quindi la domanda sorge spontanea: ho sbagliato io a trarre conclusioni affrettate o è stato un errore di Kripke?
*si immagina Kripke che la colpisce con un fulmine* non sia mai xD
Heeelp xD


xoxo
Marra <3

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Capitolo 9
*** Remember me ***


Capitolo 9

Remember me

 

Moose Jaw, Canada, tre mesi prima
Annabeth si guardava attorno come se fosse un mondo del tutto differente da quello da cui era saltata fuori e in effetti era proprio così. Un attimo prima aveva di fronte un angelo ed ora eccola in quella cittadina di cui non sapeva nemmeno il nome. La gente le correva di fianco senza accorgersi della sua presenza, senza notare il suo turbamento. Sentì inoltre qualcosa di strano in lei, come se fosse una persona diversa e notò, con sua grande meraviglia, che, qualunque cosa fosse successa, i suoi poteri erano letteralmente azzerati e non sarebbe riuscita a rintracciare Castiel da sola, ridotta in quello stato. Anche fare lo stesso incantesimo che l'aveva portata su quella spiaggia richiedeva un minimo di magia e lei sembrava esserne del tutto sprovvista. Non capiva perché; in fondo, pensava, le sarebbe sempre rimasta una piccola riserva su cui fare affidamento, ma si sentiva così... umana.
Pensò bene alle varie alternative che aveva: cercare un negozio dove potevano vendere ingredienti adatti all'incantesimo e tentare, girare e chiedere ai passanti se conoscevano un angelo di nome Castiel oppure pregare e aspettare. Non le sembravano molto allettanti e realistiche come possibilità. Ma all'improvviso, girata la testa verso una vetrina, vide un paio di ragazzini alle prese con dei macchinari che occupavano quasi tutto lo spazio delle scrivanie. Uno strano quadro animato ed una tavola con delle lettere sopra. Si mise ad osservarli per qualche istante, affascinata. Dallo specchio delle macchine, Annabeth vide apparire immagini e scritte, video accompagnati da notizie di giornale che essi leggevano o guardavano.
La ragazza non ci mise molto a capire che quello era un metodo di ricerca moderno e più veloce; si distrasse un secondo e i suoi occhi intercettarono una lavagnetta con una scritta in gessetto, posta proprio sopra il bancone, la quale recitava la promozione della giornata: Internet gratis per 30 minuti per chi entra e dà il buongiorno a tutti. Sii gentile!
Dopo aver ragionato sul nome di quella ricerca a lei nuovissima, pensò alla promozione. Le sembrava ridicolo, ma non le costava davvero nulla, letteralmente, quindi ne approfittò, nonostante non sapesse come affrontare quelle strane macchine colorate. In un lampo, eccola entrare nel negozio e, con un sorriso che non sfoggiava da più di duemila anni, salutò tutto il personale lì presente, girando poi il saluto ai pochi clienti, facendo attenzione a non esagerare: l'esagerazione avrebbe insospettito il personale e lei aveva assolutamente bisogno di fare una ricerca, il più velocemente possibile! E senza soldi con sé, sarebbe stato un po' difficile. Anche solo capire dov'era le sarebbe bastato, forse.
«Ciao! Ti sei appena meritata mezz'ora di internet assolutamente gratis» le disse il ragazzo dietro al bancone. «Nel frattempo, posso farti qualcosa?»
Annabeth ricordò il sapore dell'unico caffè che aveva mai assaggiato: non era affatto buono. Sarà che lo aveva assaggiato nel 1700 e le miscele all'epoca non è che fossero poi così deliziose come adesso, ma non voleva rischiare e questo la aiutò ad assumere un'espressione onesta: non aveva nemmeno i soldi per un misero caffè! «No, grazie» rispose un po' imbarazzata. «Mi serve solo...» Com'era quella parola? «Solo internet.»
Il ragazzo le sorrise un'ultima volta. «Se cambi idea, mi trovi qui» le disse allontanandosi per servire una coppia di anziani ad un tavolo poco oltre l'angolo del bancone. Quasi immediatamente dopo, il ragazzo più giovane dei due che erano alle macchine – che avrete certamente capito siano computer – si alzò e lasciò il posto ad Annabeth, la quale si sedette.
Come regola del negozio, quando uno finiva la sua ricerca, doveva lasciare al prossimo la pagina iniziale già aperta, fu così che Annabeth vi trovò pronta la pagina del motore di ricerca che usavano lì dentro. La ragazza non sapeva bene da dove cominciare: per prima cosa, però, pensò fosse stato almeno un po' utile osservare le mosse del ragazzo affianco a lei. Egli usava lo stesso motore, solo ad una ricerca già in atto, ma quel rettangolino in cui lampeggiava una strana righetta verticale era la stessa e lo vide pigiare velocemente sulla tastiera; raccolse dunque l'informazione e imitò il ragazzo.
«So che muori dalla voglia di parlare a Fergus, vale a dire Crowley. Ebbene, ci sono due ragazzi, due uomini, che possono aiutarti. Si chiamano Sam e Dean Winchester. Sono due fratelli e loro hanno Crowley, ma stanno cercando Castiel, un angelo, il quale è più facile da ritrovare, credimi. Ho bisogno che tu vada da Castiel, riportalo in carreggiata, poi lui ti condurrà dai Winchester ed allora avrai Crowley.»
Quelle erano state le parole dell'uomo vestito di bianco che era entrato nel suo sogno. Trovare un angelo le sembrava alquanto impossibile: loro cercano di rimanere nell'anonimato il più possibile, quindi scartò subito l'opzione di digitare il nome di Castiel, ma i due Winchester sembravano più facili da trovare: erano umani e come tali dovevano aver lasciato qualche traccia dietro di loro.
Annabeth cercò le lettere e le digitò lentamente: sam e dean winchester ed una cascata di informazioni riempirono la schermata del computer. Per prima cosa lesse Supernatural – Wikipedia e scartò a priori quella pagina dalla lista. Poi vide una lunga serie di link riguardo a dei certi Jensen Ackles e Jared Padalecki, un paio ad un certo Misha Collins, deceduto nel febbraio del 2011 e sostituito dal fratello quasi identico di nome Sasha, e parecchi ad un certo Mark Sheppard. Non sapeva da chi dei quattro iniziare: cosa c'entravano con i Winchester? Apparentemente nulla, ma una foto di quel Misha attirò la sua attenzione. Stessi occhi, stessa bocca, in alcune immagini indossava anche l'impermeabile, lo stesso impermeabile che indossava Castiel. Pensò ad una coincidenza, ma, scorrendo le prime frasi della notizia riportata dal link, lesse il nome dell'angelo. Incuriosita, cliccò – dopo aver capito come fare – sulla notizia e poté leggerla per intero. A quanto pareva, quel Misha era un attore ed interpretava il ruolo dell'angelo che lei aveva conosciuto solo poche ore prima. Ma com'era possibile? Annabeth si sentiva sempre più confusa e disorientata.
Scrollando la pagina, trovò poi altre immagini, alcune delle quali ritraenti Misha con un uomo dall'aria severa ma dolce. Paffuto, barba incolta e abito nero. E se fosse finita in un qualche universo parallelo? Un universo parallelo in cui un certo Mark Sheppard era l'attore che interpretava il ruolo di suo padre? Suo padre... Non era proprio così, ma forse, pensò la ragazza, aveva la possibilità di ricominciare da zero, una nuova vita, da umana, vicino all'uomo che vedeva come un padre, senza mai averlo conosciuto. Non le importava se quel Mark si fosse poi rivelato un antipatico e burbero attore capace solo di ammucchiare soldi senza regalare mai un sorriso: Annabeth lo avrebbe trovato e gli sarebbe stata accanto, cascasse il mondo.


Vancouver, Canada, tre mesi dopo
«Mark, ti aspettano sul set, tocca a te.» Aspettò qualche istante; non sentendo alcun rumore, Annabeth bussò sulla porta della roulotte di Mark Sheppard una seconda volta. «Svegliati, Mark!» urlò sorridendo.
Subito dopo, una ciotola o qualcosa del genere parve cadere sul pavimento del mezzo ed un uomo assonnato e col passo leggero quanto quello di un orso di montagna fece capolino dalla porta. Mark aveva i capelli spettinati e un occhio praticamente chiuso, mentre con l'altro cercava di inquadrare la ragazza della troupe. «Crowley» bofonchiò quasi per capire dove si trovasse.
Annabeth avvertì un leggero brivido lungo la schiena. Cercò di far finta di nulla. «Sì, Crowley. Dai, sbrigati ad uscire di lì.»
Mark sbatté la porta della roulotte con un grugnito e Annabeth lo sentì tossicchiare. In un baleno era pronto: aprì di nuovo la porta e Annabeth poté accompagnarlo esattamante dove lo volevano: sul set con la neonata, la "prima" Amara.
Annabeth, la prima volta che venne a sapere di Amara, si sentì un po' confusa: un universo parallelo avrebbe dovuto seguire più o meno la storia del suo universo, eppure non esisteva nessuna Annabeth se non lei. Il finto Crowley, come lo chiamava lei nella sua mente, non aveva nessuna figlia, nonostante anche qui i Winchester dovessero affrontare l'Oscurità, e non riusciva a capire perché i due universi avessero preso due strade così simili e diverse allo stesso tempo. Probabilmente non avrebbe mai avuto la risposta...
All'improvviso, Jensen, l'attore che interpretava Dean, le cinse le spalle facendola barcollare e le mise davanti un piattino con sopra un paio di tramezzini. «Non dirlo a nessuno» le sussurrò all'orecchio. «So che oggi non hai pranzato pur di star dietro a tutti noi.»
Annabeth prese il piatto di plastica e gli sorrise. Quel ragazzo era davvero incredibile: rubacchiava cibo per Jared – il quale interpretava Sam – e ora anche per lei. «G-grazie, Jensen» disse Annabeth un po' rossa in volto.
«Shh» le sussurrò di nuovo lui. «Non mi devi ringraziare, Ann: sei tu quella che corre per venirci a cercare ogni volta che ci allontaniamo dal set! Ora mangia» disse Jensen, poi si diresse verso Mark, vestito da prete.
Tutta la troupe si mise al lavoro, stando in silenzio per non compromettere la registrazione, mentre Annabeth sgattaiolò fuori, all'aperto, dove nessuno poteva disturbarla. Addentò un tramezzino e si sentì inebriata: la salsa era così gustosa che pensò di non averne mai assaggiata una così buona ed essa accompagnava uno squisito prosciutto cotto non troppo saporito; delle verdurine morbide e ben speziate lo rendevano semplicemente perfetto. Annabeth fece un secondo morso, senza aspettare di aver ingoiato il precedente, e subito le venne in mente il pic nic organizzato dagli Ackles pochi giorni prima. Quei tramezzini avevano lo stesso sapore di quelli che aveva preparato la moglie di Jensen, Danneel. Stupita, Annabeth fissò il tramezzino poi spostò lo sguardo nella direzione in cui in quel momento vi erano la troupe e Jensen stesso. Non ci credo, pensò: mi ha lasciato lo spuntino che gli ha preparato la moglie...


«È il quinto giro che facciamo; se non è qui, mollo tutto e chissenefrega!» esclamò un ragazzotto alto e massiccio. Non grasso, solo un po' imbottito di una massa muscolare da brividi. Portava i capelli lunghi fino alle spalle, senza mostrare agli altri dove portasse la riga poiché indossava un berretto malconcio e liso in vari punti. Due grossi baffi nascondevano le labbra giovani e piene mentre sul naso poggiava il paio di occhiali da sole più normali per un americano: degli splendidi Ray-Ban color cioccolato. Certo non era ben vista una coppia di motociclisti in un bar come quello, abbastanza serio e rispettabile, ma il suo compagno di viaggi era più sobrio e forse un po' più affidabile. Strano per un motociclista che vive la giornata, non trovate?
«Ehi, non è colpa nostra» gli rispose l'altro, sedendosi ad un tavolo. Anche lui portava un paio di occhiali, ma questi erano notevolmente meno appariscenti. I capelli, tenuti all'indietro con del gel che egli sembrava odiare, erano più lucidi della cera d'api e sembrava morire dentro quella giacca di pelle attillata. Anche per lui baffi fantastici, accompagnati però da una barba lasciata crescere ai limiti dell'impossibile che permetteva tuttavia di intravedere un nasino a punta.
«Ehm... Paul, giusto?»
«Sì» gli rispose il barbuto. «E tu sei Bill, giusto?»
L'altro sembrò distratto; guardava le gambe della cameriera con occhi incantati, come se gli si fossero incollati addosso.
«Bill» lo chiamò Paul. «Bill!»
Finalmente Bill si girò. «Sì?»
Paul roteò gli occhi e sospirò. Agli occhi di tutti, lì dentro, sembrava che quei due si conoscessero appena; in realtà, però, si prendevano cura l'un l'altro da una vita intera. Paul sorvolò e si guardò in giro. «Dalla descrizione, non dovrebbe essere difficile trovarla» disse Paul, cercando di sembrare positivo. Gli era molto difficile, tuttavia: lui e Bill avevano già girato altre quattro città, identiche a quella, senza trovare ciò che stavano cercando. Avevano sempre meno ore a disposizione e, poichè la loro fonte non sapeva dire loro in che coordinate precise andare, era come cercare un ago in un pagliaio grande come l'universo.
I due motociclisti, finite le loro birre, tornarono in strada a scrutare i volti delle persone che passavano vicine a loro. Amareggiati e ormai rassegnati, stavano per rimandare la ricerca e andarsi a cercare un posto in cui dormire, quando una ragazza attirò la loro attenzione. Stava comprando una ciambella ad uno di quei carretti che girano per la città. Sorrideva e Bill pensò che stavano facendo una cavolata enorme, ma non avevano altra scelta. Il ragazzone dagli occhiali fighi diede una manata sullo stomaco di Paul ed entrambi si fermarono all'istante.
«Riccia è riccia» disse piano Bill. «Tentar non nuoce... La chiamiamo e vediamo se si gira?» chiese e il compagno di viaggio fece una smorfia buttando in giù gli angoli della bocca e alzando le sopracciglia, il suo solito modo per dire che non era affatto una cattiva idea. Dunque Bill si schiarì la voce e, dopo assersi avvicinato abbastanza, cercò il suo sguardo. «Annabeth?»
La ragazza rimase a fissare i due sconosciuti con due occhi preoccupati e ammutoliti; era rimasta con un boccone mezzo masticato in bocca, ma quasi non se ne accorse. «Chi siete?» chiese con la bocca piena.
In risposta alla sua domanda, Bill si tolse gli occhiali da sole e la guardò con i suoi occhioni incredibilmente verdi, più scintillanti ora che la luce del tramonto li filtrava di lato.
Annabeth spostò lo sguardo sull'altro ragazzo e capì subito. «A-ha, ragazzi, molto divertente» disse sorridendo. «Ma perché non siete nelle vostre roulotte a parlottare tra di voi come due vecchie pettegole?»
Bill lanciò uno sguardo al suo compare; la sua espressione era tutto: era emotivamente a terra. Cosa caspita erano diventati in quella realtà?! «Senti» riprese Bill. «Chiariamoci subito: dimmi che non sono un attore e mi sentirò meglio.»
Annabeth lo guardò spaventata. Forse era uno scherzo... «Jensen, che ti prende?»
«Jensen? J-Jen-? Oh, porca miseria!»
«Ma state scherzando, vero?» chiese Annabeth ora sull'orlo di una crisi isterica.
Paul strinse le labbra e si accigliò. «No, Annabeth, non stiamo affatto scherzando» le disse dolcemente. «Ricordi cos'è successo?»
Panico. «Perché?»
Bill e Paul si chiesero se avessero sbagliato qualcosa e – sì – era proprio così: le erano piombati addosso senza dire prima la cosa più importante di tutte: «Annabeth, siamo Sam e Dean Winchester. Veniamo dal tuo stesso mondo... Tuo padre ha fatto un incantesimo centinaia di anni fa per metterti in salvo in caso di emergenza! Devi tornare con noi!»
«Cosa?» chiese Annabeth fingendo di non ricordare, ma la paura era più che visibile sul suo volto sincero. «Voi due siete pazzi!» esclamò e si lanciò in una marcia spedita appena diede loro le spalle. Sul marciapiede su cui quasi correva, aleggiava una strana nebbiolina fredda oltre che umida che le incollava i pantaloni ai polpacci e le rendevano difficile una vera e propria corsa. Cercava, tuttavia, di porre sempre più distanza tra lei e quei due il più veloce possibile, ma proprio quando pensò di averli finalmente seminati... Se li vide rispuntare davanti!
«Non verrò con voi! Non si discute!» esclamò Annabeth puntando verso di loro la ciambella quasi fosse un'arma. «Perché mai dovrei?»
«Per salvar-» stava per dire Sam, ma Annabeth lo interruppe.
«Salvare il mondo, sì, certo» tagliò corto la ragazza, senza assolutamente credere alle sue parole. «Vi pare roba da poco? E a quel prezzo, poi?» chiese un po' alterata. «Sapete? In questi tre mesi e mezzo ho avuto modo di studiarvi, ragazzi. Oltre che a capire di essermi persa un bel po' di storia in tutti questi secoli, ho guardato tutte le puntate della serie e ho capito molte cose, ma la più importante è che fareste di tutto per salvarvi le chiappe. Pensate che, facendo così, salverete il mondo, ma la verità è che non riuscite ad arrendervi, come tutti gli umani! L'Oscurità sta per annientare il mondo? Mettiamo una ragazza a scegliere tra la sua nuova vita e la morte! Be', io dico passo! Non ci sto! E poi, scusate, ma che accidenti avete fatto per tutto questo tempo?»
«Ti abbiamo cercata ovunque, Annabeth! Esistono circa un trilione di realtà alternative e parallele, senza contare le stesse viste come passato e futuro! Era impossibile trovarti al primo tentativo!» esclamò Sam.
«E quello che abbiamo visto ti sembrerà impossibile» continuò Dean spalancando gli occhi, parecchio agitato. «Prima siamo capitati di nuovo su Terra2, poi scopro che sono ancora all'Inferno e mio fratello è un cacciatore senza scrupoli, poi ancora vengo a sapere che Cas... no, Misha... Misha ha una famiglia fantastica come le nostre, esiste qualcosa chiamato Cockles e siamo finiti in una serie di fanfiction da far venire i brividi, subito dopo scopriamo che sono un modello, Jared fa volontariato in ospedale e Misha ha un programma di cucina per bambini e lo conduce insieme al figlio di nome West... West! Quindi non credo ci sia tempo per spiegare: seguici!» La prese poi per la manica del maglioncino e la trascinò, ma lei si divincolava, per nulla d'accordo con i due fratelli. Finalmente pensò a qualcosa di più utile del divincolarsi dalla stretta di un ragazzone forzuto e gli morse la mano.
Dean esclamò dal dolore e si massaggiò la mano. Sentiva il segno dei denti della ragazza sul dito, ma non la perse di vista. Be', a dire il vero non c'era nulla da perdere di vista: Annabeth era ad una distanza di sicurezza – la gente passava indisturbata tra lui e suo fratello e la ragazza – ma era rimasta di fronte a loro. «Posso capire che voi vogliate salvare il mondo un'altra volta, ma... Esiste solo una via d'uscita, da questo problema che, a dirla tutta, avete scatenato proprio voi e mio padre...»
I Winchester sapevano a cosa la ragazza si riferisse e si sentirono in colpa per averla trovata. Castiel aveva preannunciato loro che se quella volta non l'avessero trovata, sarebbe stato meglio mollare tutto e lasciare che accadesse l'inevitabile. L'Oscurità avrebbe vinto, portando più morte e devastazione dell'Apocalisse di Lucifero. Era una fine ingiusta, ma questa volta non avrebbero potuto fare altro che stare a guardare. Avrebbero potuto lasciare Annabeth esattamente lì dov'era, tornare indietro, raccontare una frottola... Stare al fianco di Castiel, come lui aveva sempre fatto con loro due. Annabeth avrebbe avuto una vita tranquilla, finalmente. Era una possibilità da prendere in considerazione.
«Perché prima hai parlato di una nuova vita?» chiese Dean all'improvviso.
Annabeth rimase in silenzio qualche istante, il vento frizzantino del tramonto le spettinava qualche riccio ribelle, ma a lei non importava. «Qui ho una seconda possibilità, Dean. Sono umana! Lavoro con le vostre versioni alternative e l'attore che interpreta il ruolo di mio padre è così simpatico e dolce, Dean... Non ce la faccio ad abbandonare questa vita in cambio del nulla! Dall'altra parte non mi attende che la morte, in qualsiasi caso.»
«Ma, Annab-»
Dean frenò il fratello ponendogli una mano sul petto. Guardava in basso, pensieroso. «Capiamo perfettamente, so cosa vuoi dire, Annabeth» disse ricordando il giorno in cui Zaccaria lo aveva praticamente illuso di avere una vita normale, senza caccia nè disperazione nè morti atroci. Il viso felice di sua madre era ancora un ricordo ben stampato nella sua mente e gli fu così semplice capire il tormento e il desiderio di Annabeth. «Ti auguro il meglio, Ann» le disse «Ma se per caso dovessi cambiare idea, credo tu sappia dove trovarci» proseguì, poi prese suo fratello per le spalle e lo portò via, lontano.
Annabeth sostò su quel marciapiede per dei minuti che le sembrarono infinti. Agli occhi della gente che passava di lì poteva sembrare che aspettasse qualcuno, in realtà cercava solo di ragionare bene su quello che doveva fare. Dean l'aveva chiamata Ann, proprio come la chiamava Jensen. Le si strinse il cuore, sentiva già il rimorso invadere le sue viscere, aveva paura di quello che sarebbe accaduto al suo modo, ma non voleva lasciare quella vita! Voleva così bene a tutti e tutti sembravano volerle bene! Mark poteva sembrare scorbutico e "britannicamente freddo", ma era tutt'altro. Almeno lì, era un uomo buono...
Fu in quel momento che Annabeth decise di dire addio ai Winchester.


«E... Azione!»
Le riprese notturne. Era da un po' che non si facevano, su quel set. Vancouver era sprofondata nel suo solito silenzioso sonno, ma la tropue lavorava sodo, non solo per loro stessi, ma anche per i fan.
Come tutti, anche Annabeth si dava da fare. Appena tornata al lavoro, Mark le disse che Jared si era preso una pausa, ma non rispondeva al cellulare e lui aveva assolutamente bisogno di provare con Jared alcune battute. Anche se stanca e assonnata, Annabeth andò alla ricerca dell'attore. Non le ci volle molto per trovarlo: era vicino alla mensa e ad un primo momento la ragazza pensò che Jared avesse fame.
«Ehi, Jared» esclamò radiosa. «Vaghi alla ricerca di cibo?»
Lui si voltò. Aveva un'espressione un po' triste, in viso, ma felice al tempo stesso e Annabeth capì che la fame non c'entrava proprio nulla.
«Ehi, cos'è successo?» chiese preoccupata.
«Ho sentito la mia famiglia» sospirò Jared.
«E?»
«Mi mancano» rispose con un sorriso forzato.
Annabeth non lo conosceva di certo bene quanto gli altri, ma vederlo così... Vedere un gigante di ragazzo ridotto in quello stato la fece sentire davvero inutile. «Devi pensare alla felicità che proverai quando tornerai a casa, Jared! È un buon motivo per continuare a lottare» le uscì. Nemmeno lei sapeva perché aveva detto quelle esatte parole, non le sentiva vicine e per un istante pensò di aver peggiorato le cose, eppure era riuscita a fare centro e lo poté constatare dal sorriso che Jared le regalò. Era un sorriso così semplice e grande che rimase a fissarlo incredula dell'effetto ottenuto. «Ah, un'altra cosa» riprese Annabeth. «Mio padre vorrebbe parlare con te di lavoro, ti aspetta sul set» disse con un sorriso.
Lui, tuttavia, la guardò confuso. Si era accorto di qualcosa che a lei era passata come normalità: «Tuo padre?»
Annabeth rimase di ghiaccio. Sentì il suo stesso sangue congelarsi nelle vene e le si rizzarono i capelli sulla nuca. «No, cioè, volevo dire...» balbettò mentre Jared sogghignava divertito.
«Mark, sì, lo so» le rispose. «Ti sei confusa per la somiglianza» rise.
«Eh, già... Scusa» gli disse, anch'essa sorridendo per non destar sospetto. Dov'eva stare più che attenta o la sua storia del padre sosia di Mark Sheppard sarebbe crollata da un momento all'altro. E se poi un giorno Jared o gli altri le avessero chiesto di vedere una loro foto? O peggio: e se le avessero chiesto di conoscerlo? Solo a pensarci, le veniva l'ansia. E proprio in quell'attimo Annabeth comprese che c'era solo una cosa da fare.


«E ora?»
Dean posò sul tavolino della loro camera il cappello e la parrucca. «Innanzitutto, diremo a Cas che non l'abbiamo trovata, semplice!»
Sam sospirò rumorosamente. «Non lo so, Dean. Non so nemmeno perché hai lasciato lì Annabeth e mi hai portato via quando sai benissimo che lei è la nostra unica speranza...»
«Ma hai sentito le sue parole?!» esclamò suo fratello abbandonando bruscamente gli occhiali da sole sul tavolino. «Castiel ha detto che ha vissuto nell'ombra per secoli, si è dovuta nascondere perché non accettava la sua natura, non sapeva gestire i suoi poteri e ha mantenuto lo stesso stile di vita anche dopo che ha capito cosa aveva ereditato da papino e mammina! E ora che finalmente ha una vita normale, da umana, in cui può stare accanto al finto Crowley senza rischiare la vita... Noi la reclutiamo come kamikaze? Credimi, Sam, quando ti dico che nemmeno tu lo vorresti.»
Sam ascoltò attentamente le parole di Dean. Aveva ragione. Come poco prima al fratello, anche a lui venne in mente il trucchetto bastardo di Zaccaria e capì che non potevano costringerla a compiere un atto del genere; era da matti anche solo pensarlo!
«Quanto tempo rimane?» chiese Dean all'improvviso.
Sam diede uno sguardo sbrigativo all'orologio con il conto alla rovescia. «Ventisette minuti scarsi» rispose e si buttò sul letto. «Abbiamo il tempo per riposarci un po', direi.»
E così entrambi si sdraiarono, aspettando che Castiel li riportasse indietro, ma Dean, che teneva l'orecchio sempre ben teso e la guardia mai abbassata, avvertì una presenza fuori dalla porta del motel. «Sam» sussurrò e gli indicò la porta della camera; prese la sua pistola e si alzò dal letto senza emettere alcun rumore. Sam, invece, rimase seduto ma sempre all'erta, anche lui armato. Il maggiore afferrò la maniglia della porta e, dopo aver contato fino a tre, l'aprì con sua grande sorpresa. «Annabeth!»
«Primo motel sull'elenco telefonico» disse lei.
«Ah!» esclamò Dean mettendo via la pistola mentre Sam faceva lo stesso. «La ragazza ha studiato!»
Annabeth sorrise, una smorfia triste e impaurita.
Senza molti complimenti, Sam andò dritto al punto: «Come mai sei qui? Hai cambiato idea?»
Lei si diresse verso la sedia sotto al tavolino. Si sedette, dando le spalle al tavolo stesso per guardare in faccia i due fratelli. Sentì Dean chiudere la porta; era sempre più lontana dalla sua nuova famiglia e questo la faceva sentire minuscola e indifesa. «Sì, ho cambiato idea» sussurrò. «Posso provare in mille modi a stare vicino a Mark, lavorando per e con lui, aiutarlo, facendomi assumere come babysitter... Ma non sarà mai lo stesso come avere il proprio padre affianco...» Annabeth tentò di scacciare una lacrima, ma quella non ne volle sapere di starsene nel suo occhio e fulminea attraversò la sua guancia, bagnandole la maglia. «Non potrò mai chiamarlo papà» confessò ora totalmente distrutta e, mentre l'orologio andava avanti inesorabile, Annabeth capì che ormai aveva deciso.


«Mark! Mark! Mark!» Sarah strillava ed incuteva terrore coi suoi capelli scompigliati, il viso che sembrava in fiamme e gli occhi quasi fuori dalle orbite per lo sforzo. Il figlio Max da una parte ed il marito dall'altra cercavano di calmarla, tenendole le mani.
«Un'ultima spinta, Sarah!» esclamò l'ostetrica. «La bimba sta per uscire!»
«Ti giuro, Mark, che questa è l'ultima Sheppard che mi darà filo da torcere!» gridò al marito e lui rise lasciando cadere una lacrima nervosa e felice allo stesso tempo. Sarah spinse ancora, ancora, ancora e quella piccola peste, finalmente, si decise ad uscire. Un colpetto leggero dall'ostetrica e Sarah la sentì, più che piangere, miagolare. Poi gliela misero in braccio subito dopo che Mark ebbe tagliato il cordone che le rendeva ancora una cosa sola.
Sette mesi prima stavano già pensando al nome. Sembrava che nessuno di questi le potesse stare bene. I loro due figli li aiutarono, ma nessuno era convinto dei nomi che ognuno di loro proponeva ogni giorno. Finché Mark, lì in sala parto, non ricordò una persona: era scomparsa all'improvviso, senza lasciare tracce... Solo una cosa aveva lasciato: un biglietto sulla porta della roulotte di Mark con scritto Remember me. Ma la polizia non era ancora riuscita a trovarla. Sembrava brancolare nel buio...
Mark tornò al fianco della moglie e guardò la bambina. Teneva i pugnetti serrati, forti. Gli occhietti sereni e chiusi la facevano sembrare una principessa. Era incredibile che quella fosse proprio sua figlia; a Mark sembrò di innamorarsi una seconda volta.
Accarezzando un braccino della bimba, Mark prese fiato. «Ehi, Sarah?»
«Sì?» chiese lei felice.
«Che ne dici di chiamarla Annabeth?»
A Sarah scese una lacrima. Sapeva quanto Mark tenesse a quella ragazza, quanto le volesse bene e la sua scomparsa aveva sconvolto tutti, suo marito in particolar modo, poiché lui la considerava come una figlia. Guardò di nuovo il fagottino che teneva in braccio e sorrise. «È perfetto, Mark. Benvenuta al mondo, Annabeth Sheppard!»

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Capitolo 10
*** Time to turn on the Light ***


Capitolo 10

Time to turn on the Light

 

«Annabeth!»
«Castiel?» chiese la ragazza, un po' confusa. Mise meglio a fuoco e vide l'angelo con l'impermeabile che le sorrideva triste. «Castiel!» esclamò lei felice e corse ad abbracciarlo. Stettero così per pochi secondi, ma abbastanza a lungo perché Annabeth si sentisse di nuovo la benvenuta. Il tessuto morbido del colletto dell'impermeabile di Castiel accolse il viso stanco della ragazza che avvertì di nuovo qualcosa di diverso in lei: dopo nemmeno quattro mesi passati in un mondo senza magia, Annabeth era tornata la creatura unica e senza nome che era stata per più di 2600 anni. Ed ecco che quel pensiero la fece rabbrividire; strinse Castiel ancora più forte, nella speranza che tutto quello fosse solo un brutto sogno; desiderò così tanto svegliarsi ad una riunione della troupe di Supernatural che, quando si rese conto che l'abbraccio ed il resto erano reali, si sentì sprofondare nella paura e pianse, lasciandosi andare senza preoccuparsi della presenza dei Winchester.
«Annabeth...» le bisbigliò all'orecchio. «Calmati, ti prego» le disse.
Era un momento critico, come quando si sa di avere pochi giorni di vita, e in quei pochi giorni senti il bisogno di riunire le persone che ami per dir loro addio. L'unica differenza, per Annabeth, era che lei non aveva giorni, ma ore.
Dopo pochi istanti che Annabeth ebbe lasciato andare Castiel, essa si accorse di una presenza in più nella stanza. Aveva ancora gli occhi colmi di lacrime che le offuscavano la vista, ma la figura nera le era molto famigliare. Una volta asciugati gli occhi, riconobbe l'uomo e, data la sua faccia, anche Sam e Dean si voltarono. I due ragazzi capirono all'istante e si misero da parte. Era Crowley.
«Papà?» disse Annabeth in un sussurrò.
Lui rispose con un mezzo sorriso, senza dire nulla. Quella era solo la seconda volta che si incontravano – durante la prima, vi era ancora Fergus e lei aveva fatto da contenitore al demone che spedì il suo futuro padre all'Inferno – e Crowley l'aveva riconosciuta. Quei capelli ricci erano inconfondibili, ma quel suo sorrisetto silenzioso voleva anche dire Peccato che quel demone sia morto per mano mia decenni fa, ora le spetterebbe una fine ben più dolorosa, per ciò che ha fatto a questo pasticcino...
E mentre Crowley pensava a come gliel'avrebbe fatta pagare per aver usato proprio sua figlia se quel demone fosse ancora vivo, Annabeth gli si gettò al collo. In quel momento, la ragazza dimenticò ogni cattiva azione del padre e si lasciò trascinare dalle emozioni. La prima volta che vedeva suo padre e non Fergus o Mark, ma suo padre. «Abbiamo una storia famigliare che fa schifo, eh?» chiese lei sempre avvolgendolo nell'abbraccio. Sentiva le braccia incerte di lui che la sfioravano appena, ma non le importava, non aveva tempo di aspettare; era così bello potergli finalmente parlare e stringerlo a sé.


«Quindi il piano è non avere nessun piano?!» strillò incredula Annabeth e vide Sam agitare vigorosamente la testa.
«Già» aggiunse il piccolo Winchester. «Al momento giusto, toglieremo le protezioni e l'affronteremo come potremo.»
Dean, nonostante la buona volontà di tutti, Crowley compreso, era molto restio a fare una cosa di quel genere ed era certo che non ce l'avrebbero mai fatta.
E come Castiel e Dean, anche Annabeth era parecchio agitata, ma, a confronto dei primi due, la ragazza voleva mettere le carte ben in chiaro: «Sarà solo uno spreco di tempo! Non ce la faremo mai!»
È vero, pensò Sam, ma meglio che tu non sappia il vero piano. «Dobbiamo almeno tentare.»
La ragazza lo guardò torva. Davvero non poteva credere che Sam potesse dire una cosa del genere. Suo padre, forse, avventato e spesso impulsivo, ma Sam... Intuì presto che c'era qualcosa che le nascondevano, tutti e quattro, e l'avrebbe scoperto da sola, nel giro di poco tempo, ma sentì in cuor suo che era meglio ingannare se stessa: «Okay, va bene» disse seria. «Quale sarebbe questo momento giusto di cui si parlava?»


Il vento cominciava a schiaffeggiare le guance di Annabeth senza sosta. Fischiava tra le foglie di quei poveri alberi che difficilmente sarebbero rimasti in piedi dopo il suo arrivo. Il suo arrivo... Stentava a crederci, ma Annabeth aveva appena aiutato i Winchester, Castiel e suo padre a togliere le protezioni – che comunque non avrebbero retto – ed era riuscita a malapena a salutare suo padre per la prima vera volta in più di due millenni e mezzo. E l'Oscurità stava cavalcando l'aria come un temibile destriero. L'avrebbe presa, tutti loro ne erano al corrente, ma Annabeth sapeva anche che per aiutare l'umanità... non doveva sapere nulla riguardo il loro effettivo piano.
E fu così che l'Oscurità si scorse all'orizzonte, tra mille vortici e sbuffi. Sembrava la fine di tutto. Annabeth che stringeva la mano di suo padre, più alto di lei di quasi una spanna, senza avere il coraggio di guardarlo, benché lui la spiasse con la coda dell'occhio. Castiel che stava al fianco dei Winchester con la lama angelica pronta nel palmo della mano. E quel pezzo di terra desolata e arida che si oscurava sempre di più ogni istante che passavano ad aspettare.
D'un tratto, i cinque vennero avvolti da una coltre di fumo che impediva loro di vedere oltre il proprio naso. Poi, così come tutto ebbe inizio, sembrò finire. Era tornato il sole, ma Crowley non sentiva più il contatto con la mano di sua figlia e si sentì a disagio. Era andata esattamente come volevano, quindi perché sentirsi così turbato, disorientato? Si stava forse affezionando?
Ed eccola, a pochi passi da loro, proprio sul sentiero che portava dalla casa abbandonata alla strada principale. I capelli scompigliati dal vento e non ancora sistemati significavano qualcosa di grosso.
«Annabeth non c'è più. Posso percepirlo» disse infatti Castiel e Crowley assunse un'aria divertita: cominciavano i giochi.
«Dean Winchester...» disse la ragazza mostrando un sorridetto beffardo. «Il tuo angelo custode ha ragione.» Scomparì e tutti si guardarono attorno un po' spaventati. Ma poi ricomparve alle spalle di Crowley, facendolo sobbalzare. «Vincerò io!» Rise. Un suono peggiore delle unghie che graffiano una lavagna.
«Lo pensi davvero?» la stuzzicò Castiel.
«Oh, Castiel... Pensi che mentirei?» disse apostrofando un'altra risata. «Dopo tutto questo tempo a contatto con Lucifero, non credo proprio. Ho subìto la sua influenza... Diglielo anche tu, Sam: lui è l'unico che non mente mai.»
Sam strinse la mandibola ancora più forte di quanto non stesse già facendo; quel nome lo faceva ancora star male, gli ricordava gli anni – quasi centoventi – passati ad essere torturato da Lucifero in ogni modo possibile, lo faceva delirare nel sonno, talvolta... E ora la sua vicina di casa era proprio di fronte a lui. «Che cosa vuoi?» le chiese per non pensare alla Gabbia. «Perché sei qui e perché volevi proprio Annabeth?»
Lei rise ancora. Si era ovviamente accorta dell'agitazione del piccolo Sam, ma non gli diede peso. «Lei è forte. Lei è luce» rispose. «Ed è per questo che è pericolosa: lei è il mio contrario. Quindi perché rischiare e lasciarla vagabondare quando un solo taglietto sulla mano potrebbe spedirmi lontana da tutto questo?» chiese allargando le braccia per mostrare tutto l'ambiente attorno a loro, la Terra. Approfittò, nel fratempo, di quella stupida conversazione per scorrere i ricordi di Annabeth. Abbandonata a sei anni, cresciuta lontana dall'evoluzione fino al suo stesso arrivo, un uomo vestito di bianco, Castiel, Winchester e Crowley... Nessun piano... Maledizione!, pensò mostrando comunque fierezza. «E sono qui perché mi avete liberato voi, questo mi sembra ovvio, no?»
«E quale sarebbe il tuo scopo?»
«Oh, angioletto...» disse lei. «Avevo solo bisogno di sgranchirmi le gambe... Prova tu a stare millenni e millenni rinchiuso in una cella troppo piccola anche solo per alzarti in piedi!»
«Chissà perché, ma qualcosa mi dice che non è così» disse Dean cautamente, al fianco di Castiel, e la vide sorridere di nuovo.
«In effetti volevo approfittare della gita fuori porta per fare visita al mio carissimo amico Fergus... Oh, pardon: Crowley...» disse per poi spuntargli affianco e prenderlo sotto braccio. «Ehi, Re dell'Inferno, che mi racconti?» fece la simpatica. «Che ne dici di ricordare i vecchi tempi?» gli chiese ammiccando malignamente.
Castiel si incupì e, sebbene quel demone fosse l'ultima persona da difendere, le urlò di lasciarlo andare. I Winchester si erano a poco a poco allontanati, così lentamente che l'Oscurità non se n'era nemmeno accorta poiché le interessava solo riprendersi Crowley e torturarlo come in passato, con l'unica differenza che lui avrebbe avuto lo sguardo di sua figlia sempre addosso. E anche se il Re dell'Inferno, per orgoglio o per altro, non voleva mostrare affetto per quella ragazza, l'Oscurità era certa di quella sua debolezza.
«Facciamo un patto» propose Crowley. «Potrai portarmi via e farmi ciò che vuoi solo se dirai ai miei amici quale sarà il tuo hobby una volta che avrai finito con me.»
Dean storse la bocca alla parola amici. Be', non aveva tutti i torti, nel corso degli anni Crowley aveva stretto patti con tutti i presenti meno che Annabeth, ma sapeva che il demone parlava solo per guadagnare tempo e lo lasciò quindi fare. Era davvero un ottimo attore, doveva ammetterlo.
Poi Castiel si fece avanti e parlò con voce ferma e sicura, come se fosse tornato l'angelo che salvò Dean dalla perdizione. «Che ne dici, invece, di dirci i tuoi piani e poi noi ti uccidiamo?»
L'Oscurità spalancò gli occhi, ne rimase totalmente sorpresa e perse di vista Crowley per urlare addosso a Castiel parole piene di rabbia e indignazione. «Come osi, tu, nullità assoluta, minacciare un essere superiore al tuo stesso Dio?!» Sembrò non vedere la falsa paura negli occhi dell'angelo poiché accecata dall'ira che in quel momento le impediva di ragionare; si materializzò così di fronte a Castiel, gli mise una mano intorno alla gola e avvicinò il viso di lui al suo. «Credo che farò a meno del padre di questo mostro» ringhiò, ma non fece in tempo ad andarsene che una fumata rossa come sangue sporco uscì dall'uomo posseduto da Crowley e si infilò nella bocca spalancata di Castiel.
Sam e Dean si ritrovarono, così, da soli con un cadavere a cui badare. Sam chiuse gli occhi per qualche istante; Dean diede un clamoroso calcio ad una pietra lanciandola a qualche metro di distanza. «Merda!» urlò il maggiore mentre Sam trasportava in quella casa fatiscente il cadavere. «E se quello schifo uccide Castiel?» esclamò come se fosse stato davvero l'unico a pensarci.
Sam, in risposta, aggrottò la fronte. Non sapeva cosa dire; era l'ultima cosa a cui aveva pensato poiché credeva che Castiel fosse un angelo molto forte e avere dentro di sè anche Crowley lo rendeva pressocché invulnerabile. Ma solo in quel momento pensò che con molta probabilità l'Oscurità avrebbe legato Castiel-Crowley da qualche parte per immobilizzarli.


Non avendo molto tempo e non conoscendo bene la Terra, l'Oscurità trascinò Crowley, che ora sembrava uno psicopatico dagli occhi blu, fino ad uno scantinato a pochi chilometri di distanza dai Winchester. «Non ti muovere, grande delusione che non sei altro» gli ordinò sbattendolo contro al muro buio come l'aria attorno a loro. Con un gesto, come se fosse stata anche lei un demone, gli tenne ferme braccia e gambe, tanto da sembrare letteralmente inchiodate al muro.
«Annabeth!» chiamò Crowley, ma l'Oscurità rise senza guardarlo in faccia mentre cercava qualche utensile appuntito.
«Annabeth non è più in casa già da un bel po'» gli disse con quel suo mezzo sorriso irritante. «Però è proprio di lei che vorrei parlare.»
Crowley strinse la mascella. Dentro di lui, Castiel era in uno stato pietoso, mezzo svenuto. Cercò di staccare un braccio e questi venne riattirato dal muro come una calamita. Sbuffò: questo non se l'aspettava.
«Oh, ti annoio?» chiese ironica. «Annabeth, dolce Annabeth...» disse poi brandendo una barra di ferro. «Mi chiedevo, quando eri ancora Fergus, cosa avresti combinato una volta diventato ciò che volevo diventassi. Sapevo che eri un sentimentale, anche se preferivi non ammetterlo, e me ne hai dato conferma quando ti ho visto tenere per mano tua figlia.» Sorrise e si avvicinò a Crowley lentamente. Gli sbottonò la candida camicia, spostandogli sulla spalla sinistra la cravatta blu. «Ma va bene, okay, i demoni sono liberi di fare figli, mi piace che mettano confusione nei piani di Dio, ma Crowley... La madre di Annabeth era un angelo!» esclamò indignata. «Gli angeli non dovrebbero essere i tuoi nemici? Sono peggio degli esseri umani! Sono buoni, anche se talvolta portano solo distruzione! E poi, come se questo non bastasse, secoli dopo che fai? Ti allei con questo angelo che hai cercato di difendere per avere le anime del Purgatorio! Devo forse ricordarti cos'ha fatto?» chiese sarcastica dopo lo sfogo. Crowley non rispose e lei gli stuzzicò il petto con quella barra di ferro. «Se ci sono delle creature di cui proprio non ci si può fidare, quelle sono gli angeli.» Gli affondò la sbarra tra due costole, ma Crowley strinse solo gli occhi, ringhiando a bassa voce. Ci voleva ben altro per farlo star male. E l'Oscurità lo capì all'istante. Lo guardò negli occhi e indietreggiò.
La barra di ferro ancora incastrata tra le due costole di Castiel-Crowley; questi si accigliò, ma solo per finta: aveva bisogno che gli stesse un po' lontana; cercò di svegliare Castiel, il quae si mise subito al lavoro, anche se un po' disorientato e indebolito dalla ferita.
Prima ancora che l'Oscurità facesse del male ad Annabeth usando il suo stesso corpo, Castiel era riuscito a bruciare il pavimento in legno senza che lei se ne accorgesse. La trappola, informazione che Crowley era riuscito a farsi dare da Lucifero in persona tra vari passaparola – aveva acconsentito solo perché lui stesso aveva paura – era quadrata, con vari simboli vicini ai bordi, agli angoli, al centro, simboli enochiani per lo più, che variavano per dimensione. Privava ogni creatura dall'animo nero dei suoi poteri, persino il suicidio era impossibile. E quando finalmente Castiel ebbe finito, Crowley rise; il petto di Castiel sanguinante, ma non in maniera grave. Rise sempre più forte, finché l'Oscurità non capì il motivo di tanta felicità: si accorse della trappola: era quello il piano, dunque.
«Mi reputi un debole» disse Crowley, ora libero di muoversi. Si sfilò dal petto la lunga barra di ferro e la gettò a terra. Camminando, fece attenzione a non avvicinarsi troppo al lavoro di Castiel, ne sarebbe rimasto intrappolato anche lui. «Ma ti sbagli» proseguì sempre sorridendo. «Credevi forse che non avrei fatto uccidere mia figlia pur di salvarmi la pelle?»
«A dire il vero, ci speravo» confessò lei. «Ma speravo che l'avresti fatto prima che io la prendessi. Avremmo potuto fare tante cose, insieme, sai?»
«Mi volevi Re degli incroci: lo sono diventato. Mi volevi Re degli Inferi: eccomi qui. Ora basta, però: mi hai torturato per secoli, e ti ringrazio, ma non sto più ai tuoi giochetti malsani. Sto bene così, grazie.»
«E Annabeth?» lo provocò lei, speranzosa.
Crowley rimase serio. E Annabeth? Se avesse saputo come sarebbe andata a finire, avrebbe fatto a meno di quello stupido patto. Meglio non essere mai nati che morire in quel modo, pensò. Ma ormai era fatta, non si poteva più tornare indietro: si sentì come un burattino ribelle al proprio padrone. «Annabeth avrà ciò che merita» disse. «La pace.» Un ultimo sorriso e lasciò il corpo di Jimmy Novak in una fumata rossa che risalì veloce in superficie, diretto dai Winchester: ora era il turno di Castiel.
Senza troppi preamboli, Castiel fece scivolare sulla mano la sua lama angelica. Non avendo l'anima nera calpestata dall'Inferno come Crowley, non ebbe alcun problema a varcare i bordi della trappola per l'Oscurità. E una volta dentro, Castiel capì che Annabeth non era del tutto spacciata, ma non sarebbe comunque sopravvisuta. La cercò nello sguardo di quegli occhi colmi di paura, che non sapeva se fosse di Annabeth o di quella creatura senza tempo, e le chiese perdono.
Poi, senza alcun preavviso, Castiel la colpì dritta al petto, sollevandola di qualche centimetro. All'inizio le partì solo un grido soffocato, guardò le mani di Castiel e gliele strinse: non voleva liberarsi, voleva che proseguisse. Annabeth voleva che Castiel proseguisse e lui lo capì.
L'angelo diede uno strattone alla lama e la tirò fuori dal petto di Annabeth velocemente. Lei gridò, ma era l'Oscurità a sentire dolore: Annabeth cominciava a liberare la sua luce che pian piano deteriorava tutte le tenebre dentro di lei. Prese fiato un solo secondo e poi il suo urlo liberatorio spazzò via ogni traccia di vita all'interno del suo corpo; una luce così accecante che sembrò annientare le pareti dello scantinato. Cadde poi a terra inerme ed il suo cuore cessò per sempre di battere.
Annabeth non c'era più.
L'Oscurità non c'era più.
Subito dopo arrivarono i Winchester accompagnati da Crowley. Castiel li guardò con le mani e l'impermeabile insanguinato, vide lo sguardo freddo di Crowley poco prima che sparisse chissà dove, poi rimase da solo con Sam e Dean.
«È finita» disse Castiel, ansimando. «Essere superiore al mio stesso Dio, un corno.»

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Capitolo 11
*** This must be the place of my eternity ***


Capitolo 11

This must be the place of my eternity

 

Chissà che fine fanno le anime delle creature come Annabeth?
Vanno in Paradiso perché un genitore è celeste?
Vanno all'Inferno perché un genitore è infernale?
Vanno in Purgatorio perché è "ambiguo" ed è un regno di purificazione?
Oppure svaniscono semplicemente nel nulla?
Nemmeno Annabeth poteva saperlo. Ne aveva certamente paura, temeva la morte, eppure, quando Castiel l'aveva pugnalata, era pronta a sacrificare ciò che per lei era più sacro per salvare la sua casa.
Aveva visto negli occhi di Castiel il dolore che gli provocava quel gesto svanire non appena gli aveva fatto capire che era decisa a porre fine a tutta quella storia. Colpa dei Winchester? Di suo padre? O di Rowena? Nessuno poteva prevedere la fuga dell'Oscurità dalla sua gabbia. Per questo motivo Annabeth non voleva incolpare proprio nessuno.
Ricordava le parole del padre poco prima che sparisse: Annabeth avrà ciò che merita: la pace, aveva detto. Sentì un peso alla bocca dello stomaco; le mancava. Ma come poteva ricordarle, se era morta? In quel momento, Annabeth spalancò gli occhi e la visuale di un cielo terso e limpido invase i suoi occhi. Si sentiva come schiacciata al suolo mentre ammirava stormi infiniti di rondini che viaggiavano sopra la sua testa. Sbatté le palpebre un paio di volte, ma faceva male, come se il Sole avesse voluto strapparle gli occhi per darli in pasto alla sua luce. Si accorse poi di avere la gola secca, asciutta, dolorante. In bocca, un forte sapore di ferro, di sangue, che sparì non appena se ne accorse.
«Ma dove sono?» sentì se stessa farfugliare. Si alzò piano sui gomiti e si guardò attorno. Quel posto se lo ricordava eccome. Ci aveva passato interi pomeriggi, in compagnia degli Sheppard, ed era il giardino più bello che avesse mai visto. Le scappò un sorriso, felice di essere tornata in un posto senza magia, in cui era solo Annabeth, quella nuova, quella un po' svampita e strana. Lasciò cadere all'indietro la testa e rise con le lacrime agli occhi, felicissima. Poi qualcuno la chiamò, ma non era Mark, e nemmeno Sarah o uno dei loro due figli. Era l'uomo vestito di bianco.
«Tu?! Cosa ci fai anche qui?» chiese lei stupita, alzandosi in piedi.
L'uomo le sorrise e le si avvicinò. Di fronte a lei, come sempre, ma questa volta sembrava più reale. «Io sono sempre stato qui, a dire il vero» le disse.
«Ah, capisco» rispose lei, senza in realtà capire. Lo vide sorridere ancora e la domanda le sembrò più che lecita: «Come fai ad essere sempre felice?»
Lui guardò a terra; mosse i piedi piegando qualche filo d'erba, morbido e ricco d'acqua. «Non lo so, forse perché tu sarai felice, dopotutto?»
Annabeth si accigliò. «Cosa vuoi dire?»
«Il Paradiso è solo per le anime degli umani, ma ho voluto rompere questa stupida regola perché te lo meriti.» Alzò lo sguardo e la fissò negli occhi. Lei lo guardava un po' terrorizzata. «Sì, Annabeth» le disse come se stesse rispondendo ad una domanda non pronunciata; «Castiel non è riuscito a riportarti in vita. I danni erano irreparabili, purtroppo» aggiunse, seriamente dispiaciuto. «Ma spero di essere riuscito a ricompensare le tue gesta.»
«I-io... S-sono ...morta?»
L'uomo si prese un profondo respiro prima di risponderle. «Sì.»
«Io credevo... Credevo di essere tornata... Con...» ansimò, gli occhi ed il cuore disperati.
«Mi dispiace, Annabeth, ma doveva andare così.»
«Cosa?!» urlò la ragazza. Non sapeva cos'altro dire. Gli girò le spalle, nervosa, e si asciugò le lacrime. Sentiva i polmoni in fiamme, ma sapeva, a quel punto, che non era reale; non ci pensò ed il dolore svanì come la sua tristezza, la rabbia ed il nervosismo. Che senso aveva, ormai? E poi aveva deciso lei stessa la sua sorte...
Quando Annabeth si voltò di nuovo, l'uomo vestito di bianco era ancora lì, a guardarla. «Scusa, non volevo» gli disse sottovoce. «È che sembrava tutto così reale...»
«Infatti» le rispose l'uomo. «Ma ti sembrava reale perché volevi che fosse reale.»
Annabeth guardò verso la casa degli Sheppard: Sarah camminava indaffarata lungo il vialetto, portava dei biscotti fatti da lei stessa, deliziosi; ad attenderla seduti sul prato, Mark e i loro due figli. La ragazza si accorse che Sarah aveva ancora il pancione, era ai primi mesi della gravidanza, eppure avrebbe già dovuto partorire. «È solo un ricordo» sussurrò lei.
«Il più bello che hai, per quanto ne so.»
Annabeth guardò ancora quell'uomo negli occhi. «Si può sapere chi sei?» gli chiese con un sorriso e le lacrime agli occhi.
Lui rispose al suo sorriso. Nascondeva la sua estrema saggezza e le frasi giuste dette al momento giusto dietro una maschera da uomo qualunque. «Vedi, Annabeth» cominciò. «La realtà è che le persone tendono a vedere solo ciò che vogliono ed è quando gli si dice esplicitamente che devono andare oltre che rimangono stupiti da ciò che hanno attorno. E non si tratta solo degli uomini o delle creature come te, Annabeth. Anche gli angeli hanno questa debolezza, questo difetto. Loro volevano il mio aiuto, a tutti i costi. Ma la migliore delle lezioni è che, se vuoi davvero che i tuoi figli ottengano qualcosa, devono imparare a tirarsi su le maniche e provarci da soli. Solo così si cresce. E i loro occhi, offuscati dalla rabbia di non avermi accanto, non gli ha permesso di vedermi. Eppure io sono sempre stato qui, sotto il loro naso...»
Ad Annabeth sembrò di avere un'illuminazione improvvisa poiché le fu tutto più chiaro, ora che aveva sentito quelle parole. Ora sapeva chi aveva di fronte, chi l'aveva salvata dal nulla, chi le aveva dato la possibilità di sognare ancora. Con le mani si coprì istintivamente la bocca e rise, rise così forte che le sembrò di non aver mai riso tanto in vita sua. Si sentiva felice, in quel magnifico ricordo. Finalmente era giunto il momento di starsene un po' tranquilli, in pace, senza preoccuparsi dei pregiudizi o dei pericoli imminenti. Aveva aiutato quattro individui a salvare il mondo; ora poteva godersi la vita a cui aveva rinunciato e tutto grazie a Lui. «Grazie» sussurrò all'uomo. «Grazie, davvero!»
L'uomo la guardò indietreggiare verso il suo ricordo migliore. Poco prima di voltarsi, Annabeth si fermò un istante. «Dimmi» la incoraggiò lui, vedendola titubante.
«Il tuo nome è davvero quello che tutti noi pronunciamo?»
Lui scoppiò a ridere. Una bella domanda, coraggiosa soprattutto, ma cosa c'era da temere? Dovrebbero imparare tutti da Annabeth, in fondo... «No, il mio nome non è realmente quello, ma... Non posso riverlarti tutta la verità» le disse.
«Ovvio, la magia del mistero» rise lei.
«No: della fede! Tuttavia... C'è un modo in cui potresti chiamarmi» replicò l'uomo. Dopo un attimo di silenzio, proseguì: «Chuck. Puoi chiamarmi Chuck.» Poi sorrise di nuovo, alzando un solo zigomo, il quale trascinò con sé una barba incolta e leggermente pungente. Guardò la ragazza ridere e correre verso la famiglia che avrebbe tanto voluto e, felice del suo stato d'animo, svanì.
Annabeth non lo vide più, ma si divertì come una matta a chiacchierare con gli Sheppard, in quel giardino immenso e magnifico, chiuso nel suo cuore di ragazza. Ogni tanto pensava al suo vero padre, Crowley. Lo immaginava seduto al suo trono a dirigere un regno difficile, ad aiutare i Winchester o a combinare guai. Ma poi si ricordava che non avrebbe mai avuto l'affetto e le attenzioni che tanto desiderava e gioiva mentre riviveva quello splendido ricordo con Mark.

 


Ringraziamenti
Ringraziamenti? Sì, ringraziamenti.
Scrivendo questa fanfic, mi sono accorta di poter contare su molte persone, alcune delle quali non mi conoscono nemmeno. Come, ad esempio, gli Sheppard. No, non sto parlando di Mark&Co, ma del gruppo musicale! Mi hanno fatto da accompagnamento musicale dall'inizio alla fine, così come le sorelle Hindi – specialmente la SPN Parody! –, i Pickin' On Series, i KISS, Amy Winehouse, i Queen, i Panic! At the disco, i Fall Out Boy, i Postmodern Jokebox, gli Walk off the Earth (geniali!!), i miei amatissimi Josh Turner e Trace Adkins, Gin Wigmore, i The Head and the Heart, Ed Sheeran, Joan Jett, Elvis Presley e tanti altri che se ora faccio un elenco, finisco tra un mese... In base alle tematiche trattate dal capitolo, mettevo su un album o giusto un paio di canzoni e il blocco dello scrittore svaniva magicamente!
Ma non ho solo cantanti da ringraziare...
Durante questo "viaggio", avevo sempre con me due persone: CassandraBlackZone, la mia "sorellina", che nonostante non sia ancora arrivata alla decima stagione di Supernatural, mi è stata sempre accanto e LuciferWings, che ha seguito la storia fin dall'inizio, incuriosita dalla pulce che le ho messo nell'orecchio appena mi è venuta l'idea...
E grazie a tutti voi, che avete seguito la mia storia, avete letto e passate sempre parola: siete molto importanti e niente, vi voglio bene :)
Detto questo, vi auguro un felice 2016! :)


xoxo
Marra

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