You are all my life, now. di NeverThink (/viewuser.php?uid=61554)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Alla mia
migliore amica, che mi appoggia qualsiasi cosa io decida di fare.
Alla mia Dod, grandioso mito che più di una volta mi ha
ispirata.
Ma se ascoltate con attenzione, li
sentirete
sussurrare il loro monito.
Avanti, avvicinatevi.
Ascoltate, lo sentite?
– Carpe –
Lo sentite?
-Carpe, carpe diem. -
Cogliete l'attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita!
L'attimo
fuggente, film 1989, John Keating.
PROLOGO
Da bambina
mi sono sempre chiesta se il paese delle meraviglie, l’isola che non
c’è,
il bosco
incantato
della bella addormentata esistessero.
Era una continua lotta
la mia, una continua lotta con la quotidianità, di una
ragazza che aveva sempre dovuto conquistarsi ciò che aveva
con unghie e denti.
Non c’era
tempo per le favole.
Le mie scelte,
dolorose e felici, mi avevano portata ad essere ciò che ero.
Scelte che mi avevano allontanata da casa, dagli affetti. Eppure, in
quel
momento, ero priva di qualsiasi risentimento. Il suo viso rilassato e
tranquillo sul quale si era fatta largo l’ombra di un
sorriso. Il dolce profumo
della sua pelle, le labbra dischiuse, il respiro regolare, il suo cuore
che
scandiva il tempo che passava velocemente. Guardando i suoi occhi,
tutto mi era
chiaro. Tutte le mie scelte, i miei errori, le decisioni ragionevoli,
avevano
un fine: mi avevano portata a… lui, il mio angolo di paradiso.
A
voi, cari
lettori. Spero vi piaccia! ^.^
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Note
dell’autrice: salve gente! Eccomi
qui con una nuova fic che spero
davvero vi piaccia.
L’idea di questo sclero mi è venuta
un’ora prima di un compleanno, non so
perché, soprattutto, probabilmente grazie al mio genietto! XD
Quindi, ora, la smetto di scrivere stupidaggini e a voi il capitolo.
CAPITOLO 1
Tu credi che sia
giusto in questo mondo pensare e comportarti come te,
ma solo se difenderai la vita
scoprirai le tante cose le cose che non sai.
Pochaontas,
the colors of the wind, oscar 1995.
Guardavo la
pioggia infrangersi contro la grande vetrata della hall.
Picchiettava leggera e costante, senza cessare un solo attimo. Poggia
la fronte
sul freddo vetro chiudendo un momento gli occhi.
Le gambe mi dolevano, i piedi mi facevano male e nella mia testa
sembrava ci
fosse uno sciame di api, che rumoroso si aggirava in essa senza sosta.
Mi
portai le dita alle tempie massaggiandomele delicatamente, per non
aumentare il
dolore. Sospirai rilassando le spalle.
L’intero pomeriggio era stato duro, fin troppo. Non avevo un
lavoro fisso,
erano più che altro lavori saltuari, che mi tenevano
occupata tutta la
giornata. Durante il pomeriggio avevo portato a spasso dei cani, la
mattina
avevo lavorato in uno starbacks. Quella sera, cameriera per una cena
post
premiere.
-Laira?- mi voltai sentendo chiamare il mio nome. –Pronta?-
annuì con la testa
a quello che era il mio migliore amico, Andrew. Gli ero infinitamente
grata
perché senza di lui non avrei mai ottenuto quel lavoro,
senza di lui
probabilmente, la mia vita non sarebbe mai cambiata.
-Ehi piccola, tutto okay?- si avvicinò a me accarezzandomi
una guancia.
-Sono solo molto stanca. – dissi prima di rivolgerli un
sorriso di
rassicurazione.
-Sicuro?-
-Ti ricordo che lavoro da tutto il giorno e che sono stata alla prese
con un
terranova pigro e un chiwawa psicotico. – si mise le mani sui
fianchi ridendo.
-Dai, andiamo o ci licenziano entrambi. – ci incamminammo
verso la cucina
fianco a fianco, mentre tutti organizzavano la serata. Entro poco
più di un’ora
quel posto si sarebbe gremito di gente, attori e fotografi, registi e
produttori. Tutta gente piena di sé, altezzosa, e io avrei
dovuto servirli.
Ci diedero delle divise che subito indossammo. Mi guardai e rimasi,
lì,
sbalordita e scioccata, a fissarmi. Andrew mi fu accanto dopo pochi
secondi.
Mi voltai a guardarlo con occhi sgranati.
-Sembro un pinguino. – sussurrai scioccata. Alzò
le sopracciglia squadrandomi,
poi scosse il capo.
-Cosa c’è?- chiesi irritata. –Sembro un
orrendo pinguino. -
-Fattelo dire, cara. Non sei un pinguino. Piuttosto sei…
wow. E sono un uomo,
c’è da precisarlo. – sbuffai irritata
prima di tornare a guardare la mia
immagine allo specchio.
-Anche t sembri un pinguino. – sussurrai.
-Dettagli. Però devi… -
-Cosa?- chiesi vedendo che non aveva intenzione di continuare la frase.
Si avvicinò
a me, posizionandosi alle mie spalle. Accarezzò i miei
lunghi capelli neri
portandomeli all’indietro, raccogliendoli in un piccolo
chignon.
-Ora sei perfetta. – sussurrò.
-Tu sei di parte. – dissi ridendo.
-E tu col viso scoperto sei un incanto. – roteai gli occhi,
dandoli un buffetto
sulla spalla. Andrew era il mio migliore amico, Andrew era cresciuto
con me.
Andrew era dannatamente carino. Andrew era rigorosamente omosessuale.
-Voi due siete in ritardo. Tu – disse un uomo tarchiato,
indicandomi con un
dito – Ci sono dei tovaglioli da sistemare ai tavoli. E tu
– disse indicando
Andrew – In cucina per gli alcolici. – ci guardammo
un momento negli occhi
esterrefatti.
-Cosa ci fate ancora qui? Su su, muoversi!- gridò battendo
le mani. Non aveva
detto gran che, ma già lo odiavo. Sistemandomi la giacca
corsi nella sala dove
erano sistemati i tavoli.
Bene, pensai. Mai e poi mai avrei potuto mangiare in
un luogo come
quello. Mi imposi di annotarlo nel mio taccuino, quello in cui segnavo
pensieri, cosa da ricordare e da fare, dato che dimenticavo spesso e
con molta
facilità… un giorno, forse lo avrei
annotato… avevo detto forse.
La stanza dai muri crema era piena di fiori e tutto, dico, tutto, era
giallo.
Le api all’interno delle mia testa si misero in moto facendo
ancor più baccano,
aumentando il lancinante dolore. Tutto era estremamente elegante
e… caldo. In
tutti i sensi. Non solo per i colori, ma anche per la temperatura.
Sicuramente
le varie prime donne si sarebbero presentato con micro vestiti, che
coprivano
ben poco.
Mi misi al lavoro fino a quando non iniziarono ad arrivare gli attori.
Corsi
verso le cucine in cerca di Andrew e l’uomo tarchiato.
-Bene, ragazzi. – sentì parlare dietro le mie
spalle. Mi voltai e il signor
Paolini, alias signore tarchiato. –E’ una serata
impartante voglio da voi
estrema serietà. Precisi, puliti. Non voglio lamentele,
tutto deve essere
perfetto. Il vostro lavoro è la vostra vita, il vostro
destino, la vostra
missione. Siete qui per combattere camerieri! Difendente il prestigio
di questo
hotel! Sono stato chiaro? Ora a lavoro! – ordinò
alzando le braccia al cielo.
Mi lasciai sfuggire un risolino ascoltandolo. Sembrava un incitamento
ad una
partita di baseball.
-Buona fortuna. – Sussurrò Andrew al mio orecchio.
-Anche a te!- Risposi allegra. Già, ce ne sarebbe voluta
davvero tanta.
La sera
passava, lenta. Il mio mal di testa aumentava sempre di più.
-Aiutami tu, ti prego. – dissi con disperazione ad Andrew
quando mi riparai
dietro le tende della grande sala.
-A chi lo dici! Dovresti vedere come mi guardano quelle oche! Sembra
che
vogliano uccidermi. – bisbigliò lui sbirciando,
con sguardo terrorizzato.
-Ti mangiano con gli occhi. Certo che sei un po’ lento a
capire caro. – dissi
portandomi una mano su un fianco e guardando i vari tavoli, poggiando
il viso
sulla sua spalla. Dire che Andrew era altro era poco. E in fondo non ci
voleva
molto ad essere più alti del mio mentre e sessantacinque.
-Ma di quale film sono?- sentì l’appoggio della
testa mancarmi, così mi voltai
a vedere cosa fosse successo. Andrew era, lì, di fronte a
me, un sopracciglio
alzato e le mani sui fianchi.
-In che mondo vivi, Laira?-
-Nello stesso di milioni e milioni di persone, forse?-
-No, tu vivi un mondo tutto tuo, dove il cielo è rosa e gli
alberi blu. Dove
non esistono cinema, riviste e lustrini. Tu vivi in un tuo mondo fatato
fatto
di libri, politica, inquinamento eccetera eccetera. Tutte quelle cose
così
noiose…-
-Taglia corto. – Sbuffai.
-Te l’ho già detto che film è.
E’ possibile che vieni a lavorare qui e non sai
nemmeno chi sono quelle persone lì? Bisogna poi ammettere
che se hai dato una
sguardo alle persone ai tavoli, ti sarai resa conto che i ragazzi... -
-Non ho dato sguardi perché non mi interessa. Allora, mi
vuoi dire chi è quella
gente viziata che non fa altro che mangiarti con gli occhi e guardarmi
male?-
sbottai. Sbuffò dandomi uno scappellotto.
-Twilight Laira, twilight!- Roteai gli occhi massaggiandomi la testa.
-Idiota. – Sussurrai tornando a guardare la sala. Tutti
ridevano, tutti erano
felici. Senza preoccupazioni, senza paure. Loro non avrebbero dovuto
preoccuparsi di mantenere il proprio posto di lavoro.
Sbuffai irritata da tali pensieri.
Cosa mi importava?
Non avrei mai scambiato la mia vita con le loro. Non avrei mai voluto
essere
come loro. Se se stavano lì, seduti, pieni di amore per se
stessi, egoisti e
narcisisti. Quando vivi a New York, quando ha lavori saltuari come i
miei, un
amico che ti permette di lavorare con lui come cameriera, vieni a
contatto con
gente famosa, gente nota del cinema o dello spettacolo e ti rendi conto
che
molti loro sono…vuoti. Non hanno interessi, non sono
gentili, si sentono dei.
Gli odiavo per questo, quando mi guardavano vedevano tutto tranne
che… Laira.
-Magari se li conosci non sono così male. Non siamo tutti
uguali a questo
mondo. – la voce di Andrew era pari ad un sussurro.
–Non tutti sono come lui. –
scossi il capo.
-Quella gente è tutta uguale. – abbassai un
momento lo sguardo, prima di
tornare a posarlo sui tavoli. I miei occhi si posarono su un gruppo di
ragazzi
che ridevano e sembravano felici e spensierati. Guardi il modo con sui
due di
loro si guardavano. Gli sguardi, i sorrisi. Le guance che si coloravano
di
rosso. Guardai i loro occhi cercarsi dopo aver vagato sui volti
circostanti. Lo
feci anch’io. Guardi i tavoli, guardi le persone che tanto mi
ricordavano ciò
che mi aveva fatto soffrire, ciò che avevo perso.
Ciò a cui, con infinità
stupidità, avevo donato il mio fragile cuore. Ed incontrai
due pezzi di cielo.
Il suo sguardo brillava sotto la luce calda dei grandi lampadari. Sul
suo viso
era dipinta un’espressione indecifrabile. Le labbra serrate
in una linea retta,
le fronte corrugata. I capelli arruffati gli ricadevano sulla fronte e
con un
semplice gesto, si passò una mano fra essi, lasciando il
viso scoperto. Poi,
tornò a guardare una ragazza seduta di fronte a lui, che
probabilmente aveva
richiesto la sua attenzione.
Tipico… prima donna.
-Lei è Nikki Reed, personaggio secondario. Lui Robert
Pattinson, protagonista
insieme alla ragazza seduta alla sua destra. – mi
informò Andrew.
-Grazie ma non mi interessa. – lo sentì sospirare,
poi mi voltai e gli bacia
una guancia.
-A lavoro signorino, se non vogliamo perdere il posto. –
dissi in un risolino.
Mi voltai un’ultima volta guardando ancora… quel
tavolo.
*
ElfoMikey: mostriciattolo! Ti
ho mai detto che a volte mi fai paura? Sono comunque
contenta che ti sia piaciuto il prologo e spero di non averti delusa
con questo
capitolo! No… grazie a te. <3
KeLsey: ciao! Spero che con questo primo capitolo (a
parer mio un po’
noioso) non ti sia passata la curiosità XD Grazie per la
recensione!
AlessandraMalfoy: ciao! Sono contenta tu
l’abbia letto! Mi fa piacere
sapere cosa pensi delle mie fiction! Ecco a te il primo capitolo, spero
ti
piaccia!
Doddola93: ciao! Che bello trovarti anche qui! Sono
io che ti adoro!
Okay, ci adoriamo a vicenda! Emozionare? E’ solo un prologo!
Che farei senza il
tuo supporto? Mettitelo in testa Genio… io amo
ciò che scrivo quanti tu ami ciò
che scrivo! A presto bella! Ti voglio bene! <3
isteria: ciao! Ecco a te il capitolo, spero ti sia
piaciuto come il
prologo. Grazie per la recensione… grazie davvero!
A
voi, Panda.
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
Note
dell’autrice: salve
gente! Eccomi qui! Allora, che dire?
Robert entra in campo! (per sua sfortuna, mmm… sono punti di
vista).
Non vi anticipo nulla altrimenti rovinerei tutto, e dato che ho al
lingua lunga
fatico a non parlare spiegando ciò che succede. Questa
è la storia che mi causa
problemi, forse perché la trama e le scene non sono ben
definite nella mia
mente.
Ma bando alle ciance!
Enjoy!
CAPITOLO 2
Mi ha lasciata
dicendo
che domani sarebbe
ritornato.
A casa sul pavimento
ho scritto tante volte: domani.
E all’alba i vicini
mi hanno chiesto: “Amica,
quando verrà il tu domani?”
Domani, domani: ho perso
ogni speranza,
il mio amore,
non tornerà.
Vidyapati, poeta indiano, vissuto fra l’XI e il XV
sec. d. C.
Come
poche ore prima, guardavo la pioggia leggera e delicata cadere. Cadeva
con delicatezza sulla veranda di legno, causando un dolce rumore
rilassante.
Sospirai, aspirando del fumo dalla sigaretta che avevo fra le dita. Non
ero mai
stata una fumatrice accanita, e non lo ero nemmeno in quel periodo, ma
la
nicotina, mi rilassava, mi aiutava a tenere i nervi saldi quando
sembrava
stessero per cedere, ed aiutava, in un certo senso, a placare le api
che senza
sosta mi ronzavano in testa.
Delle ciocche di capelli mi ricadevano scomposte sul viso, me le portai
dietro
le orecchie, prima di aspirare ancora del fumo. Buttai
all’indietro la testa
chiudendo gli occhi, gustandomi l’aria fredda e umida sul
viso, pungente su di
essa come aghi. Il fumo si alzava in spirali nell’aria mentre
un brivido di
freddo mi percosse.
Non sentì la porta scorrevole aprirsi alle mie spalle, non
sentì leggeri passi
avvicinarsi a me. Ero concentrata, pensando al mio mondo personale, al
mio
angolo di paradiso, dove il cielo era rosa e gli alberi blu.
-Hai da accendere?- sussultai nell’udire quella voce calda e
roca. Mi voltai a
guardare il suo viso.
-Perdonami, non volevo spaventarti. – sussurrò
senza distogliere lo sguardo dal
mio.
-Oh, no no. – mi affrettai a dire scuotendo con capo.
Affondai la mano nella
mia giacca da pinguino e gli porsi il mio accendino rosso.
-Grazie. – l’espressione pensierosa, la fronte
aggrottata, le labbra serrate
inizialmente in una linea retta, la stessa espressione che mi aveva
scrutata
ore precedenti. Avrei dovuto sentirmi in soggezione forse, lui in fondo
era un
personaggio noto, qualsiasi ragazzina sarebbe perso la testa, ma non
io. Io che
sapevo di che pasta erano fatti. Per me era solo un ragazzo normale.
Lo scrutai mentre si portava la sigaretta alle labbra, mentre il fumo
fuoriuscito da esse si liberava in spirali nell’aria umida.
Tutti uguali, pensai guardandolo ancora. Eppure
quando si voltò, conscio
del fatto che lo stessi scrutando il mio cuore perse dei battiti. Mi
specchia
nell’azzurro dei suoi occhi, impenetrabili e tristi. Non
riuscii a staccare gli
occhi da essi, non riuscii a distogliere il mio sguardo, cosa che la
mia mente
mi urlava di fare.
I miei occhi neri come la notte si persero in quell’azzurro
cielo, che sotto le
luci fioche della veranda brillavano come stelle.
-Vuoi chiamarmi anche tu Edward? Cedric? – i suoi occhi
ardevano e rimasi
spiazzata dalla sua domanda. Scossi il capo abbassando lo sguardo prima
di
riposarlo sul suo viso.
-Fino a poche ore fa non sapevo nemmeno chi fossi. – dissi in
un risolino.
Aggrottò la fronte, prima di tornare a guardare la pioggia
cadere sul verde prato.
Lo imitai portandomi ancora la sigaretta alle labbra.
-Come ti chiami?- sussurrò dopo pochi attimi. Senza
distogliere lo sguardo da
un punto fisso.
-Laira. – dissi porgendoli una mano.
-Robert. – la sua mani calda strinse la mia. Sorrisi, prima
di spegnere la
sigaretta oramai finita.
-Ti ho vista prima. – incrocia le braccia al petto e lo
guardai incuriosita.
–Nella sala. – Mi guardai un momento intorno.
-Non guardavo te. – come mi aspettavo. Tutti troppo pieni di
se stessi, per
guardare realmente il mondo e le persone che gli circondavano. Le mie
tesi ero
fondate.
-Lo so. –posai ancora lo sguardo su di lui e fu come se il
suo sguardo mi
penetrasse, come se arrivasse a me, come se
vedesse Laira, non
una cameriera. Uno sguardo troppo intenso da poter essere retto. Rimasi
sorpresa da tele risposta. Qualcosa che non aspettavo. Fece un passo in
avanti,
mi ritrassi e in quell’esatto istante la porta si
aprì, e una ragazza dalle
forme provocanti e grandi occhi marroni, come i capelli che le
incorniciavano il
viso, comparve sorridente, un sorriso che si spense
nell’esatto istante in sui
vide me, facendo largo ad un’espressione a metà
fra la sorpresa e la
confusione.
-Rob, vieni? Ci sono i fotografi. – si strinse nelle spalle a
causa dell’aria
fresca.
-Arrivo. – sussurrò lui, prima di guardare il mio
viso.
-E’ stato un piacere Laira. Addio. – non risposi,
mi limitai ad annuire con
capo. Quante volte avevo sentito dirmi quella parola? Quante volte
l’avevo
sentita pronunciare da lui?
Ogni addio non era mai per sempre.
Scossi il capo. Mi ero ripromessa di non pensarci… mai
più.
Robert si avvicinò a lei che gli cinse la vita con un
braccio, automaticamente
lui le circondò le spalle con un braccio. Fu allora che
compresi la natura di
quelle occhiate sorprese e stupide: pura e semplice gelosia. Ma di
certo io non
le avrei mai provato via il ragazzo, non ne avevo la minima intenzione.
E poi…
ero solo una cameriera.
-Sono esausto. – Disse in un sospiro Andrew, sedendosi sulla
sedia accanto
alla mia.
-Bhe, allora siamo in due. Stupido mal di testa. Non vuole cessare.
– chiusi
gli occhi e mi presi la testa fra le mani, poggiando i gomiti sulle
ginocchia.
Eravamo nella sala. Tutti oramai erano andati via, lasciando un gran
casino e
noi, lì, alle quattro del mattino dovevamo mettere in
ordine… tutto.
-Chissà che si prova a fare la bella vita. -
-Nulla Andrew, nulla. – sbottai acida poggiandomi allo
schienale.
-Non eri così cinica una volta. -
-Le persone cambiano. Lo sai bene anche tu. – dissi
guardandolo. Poi buttai la
testa all’indietro, chiudendo gli occhi e sospirando.
–Chi può saperlo meglio
di me?- sussurrai in fine, certa del fatto che Andrew non potesse
sentirmi.
Udii i suoi passi e seguì l’atletica figura di
Andrew dirigersi verso un
tavolo.
-Mi sono sempre chiesta come fai ad essere gay. Tutto sprecato lo sai,
vero?-
dissi mentre tornava da me con una bottiglia di champagne, ancora
chiusa.
-Il signor Paolini è impegnato. Sono sicuro che non se ne
accorgerà. – disse
cercando di aprire la bottiglia. –E poi non è
tutto sprecato lo sai, vero?-
feci un risolino prendendogli poi la bottiglia dalle mani.
L’aprì senza
difficoltà. Me la tolse dalle mani e se la portò
alle labbra.
-Niente bicchieri?- mi fissò come se venissi da un altro
pianeta.
-Da quando io e te usiamo bicchieri. – risi e aspettai che mi
passasse la
bottiglia scura.
-Ehi, queste sedie si che sono comode. Dici che qualcuno se ne accorge
se me
porto una a casa?-
-Bhè, Andrew, se non provi non saprai mai. – dissi
scompigliandoli i ricci
capelli chiari.
-Scusate, avete trovato un orologio?- una voce alle nostre spalle
attirò la
nostra attenzione. Difficile dimenticarla. Aprii la bocca per parlare
ma le
parole mi morirono in gola. Da essa non uscì che un respiro.
Fissò per un
istante i miei occhi per poi posare il suo sguardo su Andrew. Lui
scostò il suo
sguardo da me, guardandolo.
-No, mi spiace. Non abbiamo ancora iniziato. -
-Vedo. -
-Se troveremo qualcosa glielo faremo sapere. – dissi imitando
Andrew che si era
alzato dalla sedia, fronteggiando Robert, che pareva poco
più passo di Andrew.
I suoi occhi azzurri si posarono ancora su di me, e con la coda
dell’occhi vidi
Andrew spostare il suo sguardo da me a Robert, da Robert a me.
-Grazie Laira. – sul suo viso comparve l’ombra di
un sorriso e i suoi occhi si illuminarono
di una strana luce. –Questo è il mio recapito. Ti
sarei grato se fossi tu ad
avvisarmi, o il tuo… -
-Andrew. – disse lui porgendogli la mano, che strinse.
-Robert. -
-Si lo so. –
-Giusto. – rispose in un risolino, caldo e roco. Sorrisi
guardando in basso,
prima di guardarlo ancora negli occhi.
-Allora… a presto, spero… per…
l’orologio. – con un sorriso a trecentoventidue
denti, mi porse la mano che subito strinsi.
-Laira, Andrew. -
-Robert. – Rispondemmo noi contemporaneamente. Lo guardai
allontanarsi con la
tesa china. Il passo strisciato.
-Sembra una persona piuttosto triste. – non mi voltai a
guardare Andrew, fissai
quel ragazzo allontanarsi, oltrepassare la porta. Mi voltai verso
Andrew
prendendo la bottiglia che avevo poggiato su un tavolino e sorridendo.
-Ne vuoi un po’? – dissi mettendogliela sotto il
naso nel momento in cui aprì
la bocca per dirmi ciò che più temevo.
-Signorina, mi devi un bel po’ di spiegazioni. -
-Ah si?- Annuì col capo. Sbuffai sedendomi sulla sedia e
bevendo un sorso di
champagne.
-Cosa dovrei spiegarti?- prese il biglietto che avevo ancora in mano e
lo
analizzò prima di mostrarmelo, anzi, prima di mettermelo a
cinque centimetri
dagli occhi.
-Ah. Prima ero fuori per una sigaretta… -
-Laira! Diamine mi avevi promesso che non avresti più fatto
uso di nicotina!
Sai quanto faccia male quella roba. -
-Oh andiamo, Andrew! Ne avevo bisogno!- lui scosse il capo sospirando.
-Va avanti. – fece segno con la mano di continuare.
Così, dovetti raccontargli
ciò che era successo sulla veranda. Cercai di omettere
stupidi particolari, ma
lui volle pure quelli, quando eri in suo pugno era difficile sfuggirli.
Lui mi guardò con aria maliziosa.
-E dacci un taglio Andrew. Sono probabilmente l’unica che non
gli è cascata ai
piedi supplicando in una foto o in autografo. L’unica che
nemmeno si è
strappata i capelli nel vederlo. Non sapevo nemmeno che film avessero
fatto
tutte quelle persone. Se mai troverò l’orologio
glielo restituirò e basta. Mi è
bastato una volta. – l’ultima frase fu pari ad un
sussurro. Scossi il capo e mi
diressi verso i tavoli.
-Ti odio da quando…-
-Facci l’abitudine. – sbottai. –Muoviti o
Paolini ci uccide. – cominciammo a
sistemare, ma non passarono nemmeno dieci minuti che afferrai Andrew
per il
braccio e lo abbraccia, più forte che potevo.
-Mi dispiace. – sussurrai. –Sono stata
imperdonabile. Non volevo, Andrew. – Mi
accarezzo la schiena in segno d’affetto.
-Tranquilla, piccola. Tranquilla. -
-Non odiarmi. – Dissi con voce incrinata.
-Non ti odio. – Disse in un risolino. –Come
potrei?- alzai il capo per
guardarlo in viso.
-Grazie. – Dissi prima di baciarli una guancia, lasciandomi
ancora alle sue
braccia, sentendomi… a casa.
*
Grazie
a tutti coloro che hanno inserito questa storia fra i preferiti, chi
legge senza recensire ^.^
AlessandraMalfoy: ciao bella! Sono contenta di
sapere che il capitolo è
stato di tuo gradimento! Ecco a te il capitolo e, soprattutto,
l’incontro.
Spero ti sia piaciuto, grazie mille per la recensione, grazie davvero!
*_* A
presto!
A
voi, Panda.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Note
dell’autrice: salve gente!
Perdonati, vi prego, l’enorme ritardo, ma la scuola mi ha
tenuto un tantino
occupata.
Non so sinceramente da dove mi sia uscito questa storia, ma non importa.
Basta ciarlare inutilmente…
… enjoy!
CAPITOLO
3
Talvolta le
piccole cose
non sono poi
così piccole per tutti.
Mi svegliai di buon
ora il mattino successivo perché, per l’intera
settimana,
avrei dovuto lavorare in un cafè, e facendo qualche calcolo
mi mancavano ancora
due giorni. Davanti alla specchio, con lo spazzolino in bocca, guardavo
la mia
immagine riflessa sorpresa e rassegnata allo stesso tempo. Coprire le
occhiaie
violacee sarebbe stata un’impresa, alla quale rinunciai molto
in fretta. Il mio
senso estetico era del tutto inesistente. Rinunciare per me a dei jeans
e
t-shirt era impossibile e, ovviamente, per Andrew era una
sciagura… non sempre,
sol quando si trattava di usare cose consone all’occasione
diventava peggio di
una mamma isterica che aiutata la figlia a trovare l’abito
giusto per il
matrimonio.
Qualcuno
suonò il campanello e automaticamente sbuffai, schizzando
dentifricio
sullo specchio. Imprecai maledicendomi, come al solito. Cercai di
pulirlo con
dell’acqua mentre il fastidioso trillo del campanello mi
perforava ancora le
orecchie.
-Arrivo!- gridai dopo
aver sputato il dentifricio… ne lavandino.
Correndo mi diressi
verso la porta e l’aprii.
-Buon giorno!- ridussi
gli occhi a due fessura.
-Ti perdono solo
perché mi hai portato caffè e ciambelle.
– sibilai,
scostandomi per farlo entrare.
-So che arriverai
tardi per colpa della mia visita e non potrai fare
decentemente colazione lì. Così ci ho pensato io.
– disse sprofondando sul
divano.
-Ma se tu non verresti
la mattina questo problema non si presenterebbe e io
arriverei in orario al cafè, e inoltre, pensa un
po’, potrei fare
tranquillamente colazione lì. Strano, eh? – dissi
afferrando la mia colazione.
-Il tuo pigiama
è delizioso? Te l’ho mai detto?- scossi il capo
ridendo.
-Solo
perché me lo hai regalato tu, altrimenti odieresti quelli
con cui dormo
di solito. – mi guardai un secondo. Rosa con alberi blu. Feci
un risolino. Per
lui, il mio mondo, era quello. Ed io e il rosa non andavamo gran che
d’accordo.
Ma, in fondo, me lo aveva regalato lui.
-Certo, sono tute.
– bofonchiò. Risposi con un risolino addentando la
mia
ciambella. Lui si alzò per prendere la sua.
-Perché tu
niente cappuccino?- chiesi aggrottando la fronte.
-L’ho bevuto
venendo qui. – rispose con l’aria di chi la sapeva
lunga.
-Non ci credo. -
-E’ la
verità. – Alzai un sopracciglio.
-Eh
d’accordo. L’ho bevuto al cafè
perché ho intrapreso una conversazione con
il barista. – un sorriso si fece strada sul mio viso, mentre
prendevo il mio
caffè.
-Davvero? Che tipo di
conversazione? Com’è?- chiesi sedendomi accanto a
lui ed
incrociando le gambe.
-Abbiamo parlato del
problema ciambelle. – sgranai gli occhi.
-Problema ciambelle?-
lui annuì energicamente.
-Fammi capire. Trovi
un ragazzo che ti piace e parlate… di ciambelle?-
annuì
ancora.
-Vedi ci sono un sacco
di ciambelle rivestite di zucchero e glassa al
cioccolato, ma nessuna rivestita di glassa alla fragola o al kiwi.
– disse lui
guardando la ciambella che aveva in mano con sguardo concentrato. La
sua
espressione si tramutò in sorpresa quando si
voltò verso il mio viso. Solo
quando poggio un dito sotto il mio mento mi resi conto di aver la bocca
aperta.
-Al... kiwi?-
sussurrai. Lui annuì.
-E poi ero io quella
strana. -
-Forse è
per questo che andiamo d’accordo. – disse lui
scompigliandomi ancor di
più i capelli annodati.
-Probabile.
– dissi sorridendo. –Hai sentito i tuoi?- chiesi
bevendo un po’ di
caffè. Annuì.
-Stamattina. -
-Come se la passano?-
sospirò.
-Bhè, gli
manchiamo. Ovviamente vorrebbero che fossimo ancora lì.
– la sua voce
aveva assunto una nota di tristezza. Gli accarezzai i capelli chiari.
-Andrew, non sei
costretto a star qui, lo sai. – si voltò a
guardarmi con occhi
sbarrati e bocca serrata.
-Lo so, ma
è ciò che voglio. Io non ti abbandono.
– sorrisi dolcemente
guardando il bicchiere fra le mie mani. Erano passati tre anni da
quando ci
eravamo trasferiti lì da Londra. Dopo che i tuoi genitori
sono morti in un
incidente quando tu hai solo cinque anni ed sei stata allevata dai tuoi
vicini,
perché non avevi più nessun parente
lì, tranne che tua nonna a New York, non
hai motivo per restare. Così all’età di
diciotto anni mi sono trasferita a New
York, ed Andrew mi ha seguito senza nemmeno pensarci un secondo. Lui un
ragazzo
di venticinque anni che mi ha sempre considerato come usa sorella, un
qualcuno
da proteggere. Persuaderlo a restare a Londra, fu una causa persa sin
dall’inzio.
-Se credi
chissà che un giorno non giunga la felicità, non
disperare nel
presente ma credi infermamene e il sogno realtà
diverrà. – mi sussurrò
all’orecchio come ogni mattina. Risposi come al solito con un
risolino,
dandogli uno spintone e facendo rotolare sul pavimento. La sua risata
allegra e
dolce riempì la stanza.
-Cenerentola ti ha
dato alla testa. – dissi alzandomi e dirigendomi verso la
camera.
-Forse si…
forse no… chi lo sa. Muoviti signorina o non ti do nessun
passaggio.
– disse mentre aprivo l’armadio.
-Ricevuto capo!- urlai
per farmi sentire. Un’altra difficile giornata era
cominciata.
-Ah, quasi
dimenticavo. – mi voltai verso Andrew che guidava nel
traffico.
-Cosa?- dissi abbassando il volume dell’autoradio. Si sporse
verso di me, verso
il cruscotto, aprendolo e tirando fuori un sacchetto. Me lo porse.
-Aprilo. – corrugai la fronte confusa. All’interno
vi era un orologio.
-Cos’è?- lui sorrise e scosse il capo.
-Pattinson. – mi portai una ciocca di capelli, che mi era
finita davanti al
viso, dietro un orecchio.
-Oh, l’orologio. L’hai chiamato?- chiesi voltandomi
a guardarlo. Andrew si
passò una mano sul viso, scuotendo il capo.
-Ho la conferma che vivi fuori dal mondo. L’hai tu in numero,
ricordi?- mi
sentì una stupida, come sempre.
-Giusto. – dire che ero sbadata era davvero poco. -Allora lo
chiamerai?-
-No, lo farai tu. – mi rispose fermandosi davanti al
cafè.
-Oh no, Andrew, non puoi farmi questo. – dissi petulante.
-Oh cara, fino a prova contraria ha affidato in numero a te, e non ho
intenzione di tradire la sua fiducia. – rispose solenne.
-Tradire la sua fiducia. Ma cosa dici? Nemmeno vi conoscete?-
-Appunto! Lui ha affidato a te questo recapito perché
probabilmente sei l’unica
che non sei cascata ai suoi piedi strappandoti i capelli in cerca di
una foto o
un autografo. Ci hai pensato?-
-Ma chi gli dice che io non abbia dato il recapito a qualcuno?- chiesi
con tono
di sfida.
- Bhè tesoro, questo devi chiederlo a lui. –
rispose alzando le sopracciglia.
Sbuffi mettendomi l’orologio nella borsa.
-Non puoi sempre vincere tu. Arriverà il giorno della mia
vendetta. – ringhiai
scendendo dall’auto, dirigendomi vero il cafè. Lui
abbassò il finestrino
uscendo fuori la testa.
-Si chiama buon senso, Laira!- urlò prima che mi girassi a
fargli la
linguaccia, come una bambina. Lui scosse il capo e ripartì.
Sospirai. Avrei dovuto chiamarlo io.
-Maledizione!-
-Laira, il tuo
turno è finito. – guardai il grande orologio
appeso al
muro. Segnava le due del pomeriggio.
-Di già?- mugugnai. Amanda, la proprietà del
locale, una ragazza sui trenta con
folti capelli ricci e rossi, sgranò gli occhi sorpresa.
-Solitamente non vedi l’ora che arrivino le due. –.
Guardai il pavimento,
imbarazzata. La fine di quel turno significava solo una cosa: chiamare
quel
maledetto numero.
-No è solo che… il tempo oggi è
passato davvero in fretta. – lei mi guardò di
sottecchi.
-Che hai combinato?- alzai lo sguardo.
-Oh no, no no. Nulla, davvero. – mi affrettai a dire, per
evitare altre domande
a cui non avrei saputo mentire. Purtroppo dire bugie non era mai stato
il
forte, mi si leggeva in faccia se mentivo.
-Sembrerebbe che…-
-Oh, è arrivato Andrew. A domani Amanda!- dissi togliendomi
la “divisa”,
afferrando al borsa e correndo verso l’auto. Quando entrai
l’abitacolo era
caldo in netto contrasto con l’aria fresca che aleggiava
fuori.
-Oddio, sembra di essere ai tropici. – dissi sfilandomi la
giacca e rimanendo
solo con una maglietta indosso.
-Ciao anche a te, Laira. – disse Andrew ripartendo.
-Ciao Andrew. – dissi guardando fuori il finestrino mentre
alzavo il volume
dell’autoradio.
Lui l’abbasso.
-Laira?- mi voltai verso di lui.
-Com’è andato il lavoro?- chiesi interessata, ma
il mio era solo un vano
tentativo di sviare la conversazione.
-Laira?-
-E’ andato male? Bene?- chiesi imperterrita.
-Laira?-
-Cosa c’è? Ho qualcosa sul viso?-
-Laira!- mi ammonì infine e automaticamente incrocia le
braccia al petto e
scivolai sul sedile, cercando di evitare il suo sguardo.
-Dimmi. – mugugnai, facendo ricadere i lunghi capelli lisci
davanti al viso,
usandole quasi come sipari, per nascondermi dal suo sguardo inquisitore.
-Hai chiamato?- non risposi. Mi rifece la domanda un paio di volte,
prima di
gridare ancore una volta il mio nome.
-Okay, okay! Ora chiamo!- dissi cercando il cellulare e il numero nella
borsa.
Con grande difficoltà, sbuffando, composi il numero. Per
qualche strano motivo
le dita tremarono sulla tastiera, e fui costretta a fare il numero tre
volte.
-Non c’è bisogno di agitarsi. No?- chiese ridendo.
Masochista, pensai.
-Non sono agitata. – mentii.
-Certo, certo. -
-Guarda?- dissi mostrando il cellulare dopo essere riuscita a digitare
il
numero.
-Se non lo posti all’orecchio come potrei parlare?-
immediatamente seguii il
suo consiglio facendoli una pernacchia e, ciliegina sulla torta, in
quello
stesso momento, la chiamata fu aperta. Andrew represse una risate
mentre io li
diedi uno scappellotto.
-Se questo è uno scherzo, non è assolutamente
divertente. –riconobbi la voce
dall’altro lato del telefono e per un attimo la parole mi
morirono in gola.
-Ehm, no, scusami, davvero. Sono Laira. Laira Jones. -
-Oh si, ciao Laira. Avete trovato per caso l’orologio.
– chiese con allegria.
Deglutì rumorosamente.
-Si. Se mi da un recapito…-
-Dammi il tuo indirizzo. – sgranai gli occhi e balbettai una
risposta appena comprensibile.
Andrew si voltò a guardarmi, scioccato.
-Okay, se non è un problema sarò lì,
fra circa… un’ora. -
-Ehm… credo di si. Cioè, voglio dire…
non è un problema. –
-Okay. A dopo, Laira. – riappese. Rimasi col cellulare
sull’orecchio per circa
un minuto, metabolizzando tutte quelle strambe informazioni.
-Laira? Tutto okay?- scossi il capo.
-Più o meno. – risposi riponendo il telefono in
borsa.
-Bhe, uno degli attori più gettonati del momento, di fama
internazionale sta
venendo a casa tua. - riflettè lui portandosi un dito sul
mento.
-Una persona esattamente come te e me. Ti ricordo che col cinema non
vado gran
che d’accordo. – risposi irritata.
-Prima si. – sussurrò lui.
-Basta Andrew, non ne voglio parlare. – sbottai io
rimettendomi la giacca, dato
che, oramai, eravamo nel quartiere in cui abitavo.
-Allora perché non è tutto okay. – ci
riflettei bene per un secondo. E mi
voltai verso di lui con la fronte corrugata.
-Potrebbe comprarsene un’infinità di orologi.
– lui rise e scosse il capo,
passandosi, divertito, una mano sul viso.
-Ingenua e lenta a capire. -
-Cosa?- chiesi mentre svoltava l’angolo che portava a casa.
-No posso saperlo io questo. Dovresti chiederlo a lui. Ti rendi conto
che molte
ragazze al tuo posto sarebbero agitate, col cuore a mille?- lo guardai
pensando
alla cosa come la più impossibile delle realtà.
-Io sono Laira. -
-Ed io ti voglio bene per questo. – scendemmo
dall’aut diretti in casa.
Già, la cosa non mi toccava per niente, ma non sapevo che
presto tutta la mia
vita avrebbe preso una svolta diversa.
*
AlessandraMalfoy: ciao! Che
piacere immenso sapere che il capitolo ti sia andato a genio! Spero che
questo,
anche se non succede nulla di che, ti sia piaciuto!
Alice102: ciao! Grazie per la
recensione! XD spero di non aver deluso le tue aspettative.
doddola93: socia! Tesoro!
Grazieeeeeeeee! Cavolo, (sarò ripetitiva) quanto mi fanno
piacere le tue
recensione e le tue parole sono sempre così…
carine! Se io sono una mente
geniale, allora lo sei anche tu! Mettitelo in testa! Grazie per la
recensione,
grazie davvero!
bella95: ciao! Qui Rob non
è
particolarmente presente, ma nel prossimo capitolo… okay,
non parlo altrimenti
ti svelo tutto e non è un bene! Grazie, per la recensione
cara, grazie davvero!
Fairwriter: ciao! Sul serio ti
prendono? *.* Anche in “Trovami semplice per uscirne lei non
è caduta ai suoi
piedi, non lo so perché, ma non riesco scrivere di loro che
impazziscono, è più
forte di me. Sono contenta di sapere che ti piacciano le mie storie e
come
scrivo ci tengo davvero tanto! Il suo astio nei confronti dei
“VIP” sarà
chiarito in seguito, senza ombra di dubbio. Grazie per la recensione,
grazie
infinite!
A voi, Panda.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
CAPITOLO
4
L'amore e' come la pioggerella
d'autunno:
cade piano ma fa
straripare i fiumi.
Proverbio Africano.
Bevevo
il mio terzo caffè della giornata sul davanzale delle
finestra. Il sole,
coperto di tanto in tanto dalle nuvole, illumina la facciata
dell’edificio in
cui vi era il mio apertamente. Le dolci note di Debussy si diffondevano
nella
stanza dallo stereo accanto al televisore.
Il citofono squillò facendomi sobbalzare dallo spavento.
Alzandomi mi diressi
prima allo stereo per spegnerlo, poi per vedere chi era.
-Laira Jones. Lei chi è? Nome, cognome e città di
provenienza. Non mi
interessano aspirapolvere e giornali.- , sentii il risolino.
-Robert Pattinson. Londra.- rispose ridendo. Scossi il capo.
-Terzo piano. - Aprii la porta e lo aspettai sulla soglia, posando il
caffè sul
tavolino all’entrata. Sentii i suoi passi, lo sentii salire
le scale
velocemente e comparire dopo pochi attimi davanti a me.
-Potevi prendere l’ascensore. - dissi spostandomi per farlo
entrare.
-Ho il terrore degli ascensori. - rispose rabbrividendo e voltandosi
verso di
me, dopo che ebbi chiuso la porta.
-Sul serio? - chiesi prendendo la mia tazza.
-Si. Una volta sono rimasto chiuso in un ascensore. Esperienza
traumatica. -
sorrisi chinando il capo.
-Ti va un caffè?- chiesi dirigendomi verso al cucina.
-Con molto piacere. - rispose soffermandosi davanti alla grande
libreria nel
soggiorno.
-Devi leggere molto. - dissi mentre verso del caffè in una
tazza verde.
-Abbastanza. - alzai di un’ottava il tono della voce
affinché mi sentisse.
-E questi li hai letti tutti?- uscii dalla cucina con due tazze fumanti
di
caffè in mano. Quarta tazza di caffè delle
giornata.
-Si. - dissi porgendogliela.
-Notevole. -, prese al tazza e mi sorrise. Poi, tornò ad
esamine i libri.
-Cime tempestose?-
-Si,
l’ho letto qualche anno fa. -
-Mi sono sempre chiesto come fosse. Leggendo il libro… per
il film… mi sono
sempre chiesto cosa racchiudesse in verità. - rispose
sfiorandone il bordo con
i polpastrelli.
-Bhe… se vuoi… posso prestarlo?- si
voltò a guardami con sguardo sorpreso.
-Sul serio?- annuii con il capo sorridendo. Così mi
avvicinai a lui e estrassi
il libro prima di porgerglielo.
-Grazie,
Laria. - restammo qualche attimo guardando l’uno gli occhi
dell’altro. Si dice
che gli occhi sono lo specchio dell’anima, se così
fosse, Robert Pattinson,
doveva essere una persona… incompleta, o almeno
così a me sembrava.
-L’orologio. - dissi voltandomi e dirigendomi verso il
divano, dove avevo
poggiatoli sacchetto. Gli porsi l’orologio.
-Grazie, grazie davvero. - poggiò la tazza sul tavolino
davanti a lui e se lo
legò al polso.
-Posso chiederti una cosa? - chiesi guardandolo.
-Solo se posso anche io. -
-Affare fatto. - dissi incrociando le braccia, in un gesto che oramai,
da
tempo, mi era automatico.
-Spara. -
-Insomma, direi che puoi avere tanti orologi perché proprio
quello?- sorrise.
-E’ un regalo. Più che altro ha valore affettivo.
Perderlo per me, sarebbe
orribile. – sorrise sfiorandolo con i polpastrelli. Rimasi
spiazzata da tali
parole. Andrew ci aveva preso. Forse non era come… lui. Avrebbe potuto avere mille orologi
quanti ne voleva, e invece…
voleva quello.
-Cosa c’è?- chiese.
-Nulla. -
-Ora tocca e me però. – disse imitando la mia
posizione. -Non sei newyorkese. -
-Questa non è una domanda. – alzai lo sguardo su
di lui, sui suoi occhi azzurro
cielo.
-Lo so. -
-No, non sono newyorkese. – risposi bevendo un sorso si
caffè.
-Inglese?- annuii col capo.
-E’ tanto evidente?- . Sorrise annuendo col capo. Il silenzio
calò fra di noi e
con occhi curiosi, si guardò intorno, soffermandosi sulla
parete di fronte alla
libreria.
-Cos’è?-
chiese guardando il muro.
-Il mio mondo. – sussurrai. Sorrisi ripensando a quando
dipinsi. Avevo
intenzioni di dipingere un paesaggio, dei fiori, cose che mi
rappresentassero
ed invece fu Andrew a farlo, a dipingere quello che per lui era mio
mondo.
-Alberi blu?- chiese divertito.
-E cielo rosa… anche se io e Lui non andiamo
d’accordo. – si voltò a guardarmi.
-Chi?-
-Il rosa, ovvio. – fece un rosolino che riecheggiò
per tutta la stanza.
-L’hai fatto tu?- scossi il capo.
-Andrew. Il ragazzo che era con me l’altra sera. – . Corrugò la
fronte rabbuiandosi per un
momento.
-Capisco. –Bhe, credo sia ora di andare, per me. –
sussurrò fidando ancora la
parete. –Grazie per l’orologio e per il
caffè. – disse porgendomi la tazza,
ormai vuota.
-Figurati. – sorrise flebilmente e io feci lo stesso in
risposta.
-Poi quando finisco con te lo riporto. – disse lui alzando e
mostrandomi il
libro che stringeva in una mano.
-Tranquillo, fa con calma. – . Face cenno di si col capo. Lo
accompagnai alla
porta.
-Grazie. – sussurrò.
-Per cosa?- chiesi poggiandomi allo stipite della porta.
-Per avermi trattato come… Robert. – fu allora che
capii, finalmente, che gli
occhi erano lo specchio dell’anima. Fu allora che e sue
sensazioni e le sue
emozioni si rivelarono attraverso essi, mostrandosi per quello che era
realmente, confermando le mie tesi. Loro
erano persone come noi. Ovviamente
vi
era sempre l’eccezione, quell’eccezione che mi
lasciava ancora fra dubbio e
realtà.
Rimasi scossa dall’intensità dello sguardo che mi
rivolse. Felice di essere ciò
che era, senza ruoli, senza maschere. Felice di come io lo considerassi.
Lui era diverso… forse.
-Arrivederci, Laira. – sussurrò prima di scendere
le scale.
-Arrivederci, Robert. –
-Ragazzi,
portate le insalate di pollo hai tavoli. Veloci, veloci. Non statevene
qui
impalati!- afferrammo i piatti che il capo chef ci stava porgendo e ci
dirigemmo
verso la grande sale.
-In che senso gli hai presto un libro?- cercai di ignorare la voce di
Andrew,
pentendomi amaramente di avergli raccontato della visita di Robert
avvenuta
quel pomeriggio stesso.
-Gli ho prestato un libro Andrew, semplice. – dissi
dirigendomi verso i tavoli
con i vassoi in mano.
-Vuol dire che lo rivedrai?-
-Certo, ma per riavere il libro. Non ci sono secondi fini, Andew. Puoi
starne
certo. – posai i vassoi sul tavolo e lui subito mi fu vicino,
facendo finta di
sistemare.
-Si certo ed io ho i capelli blu. – rispose sarcastico.
-Carini. – . Alzò gli occhi al cielo sbuffando.
-Ci sono ragazze che venderebbero l’anima al diavolo per
poter avere anche un
solo capelli di quel ragazzo. –
-Infatti
io sono Laira. Credevo lo sapessi, Andrew. – risposi
dirigendomi verso la
cucina. Levarsi di torno Andrew era impossibile. Determinato e testardo
non mi
lasciava ai andare. Curioso e ficcanaso aveva sempre voluto sapere
tutto di
tutto, ma, certo, alla fine non mi dispiaceva era pure sempre il mio
migliore
amico, un fratello per certi versi ed ero grata a qualsiasi forza
divina mi
aveva condotta a lui.
-Non sei almeno un po’ eccitata?- chiese seguendomi.
-Per le insalate?- , mi tirò uno scappellotto ed emettendo
un grugnito di
dissenso mi massaggiai la parte colpita. –Okay, la smetto. No
Andrew, non sono
eccitata per aver prestato un libro. – dissi poggiandomi con
le mani al piano
della cucina e guardandolo in volto.
-Sei
senza speranza, Laira. I conigli verdi ti danno alla testa. –
feci un risolino,
ricordando la teoria dei conigli verdi. Secondo Andrew, assieme al
cielo rosa e
gli alberi blu, di tanto in tanto si potevano vedere dei conigli verdi
volanti
diretti all’isola che non c’è.
Più che altro, secondo lui, scappavano da me.
-Forse
si, forse no. – risposi scuotendo la testa e sorridendo.
-Funghi!- ci voltammo verso il capo chef che ci porse dei piatti.
-Su Andrew, non vorrai far impazzire le ragazze lì dentro.
– dissi ridendo e
dirigendomi verso i tavoli.
-Cosa ci posso fare se sono bello?- rispose in tono scherzoso.
-Che ci puoi fare se se sei impossibile?-
-Impossibile per loro. –
Camminavo per Central Park con al
guinzaglio quattro cani: il ciwawa psicotico
di sempre, il terranova pigro, un bassotto idiota e un alano
irrequieto, fin
troppo. Tenerli a bada sarebbe stato impossibile, se non fosse per il
fatto che
quasi cani sembravano adorarmi, fatta eccezione per il topo formato
gigante
affetto da disturbi psichici. Bevendo un caffè mi aggiravo
per le stradine di
ghiaia, che sotto i miei piedi scricchiola, causando un rumore
familiare e
tranquillizzante. Cercavo di non farmi strattonare troppo da quei cani
che
sembravano volessero buttarmi a terra, tirarmi e farmi strisciare il
viso sulla
ghiaia. Con i piede cercai di allontanare il chiwawa che continuava a
mordermi
fastidiosamente un lembo dei jeans.
Feci un respiro profondo, assaporando il profumo di verde, che
all’interno
della città, era impossibile poter sentire. Potevo sentire
le urla dei bambini
giocare, delle mamma richiamarli, i cani abbaiare e, chiudendo gli
occhi, potei
per un attimo fingere di essere nella Londra che mia aveva vista
crescere, nel
parco che mi aveva vista giocare, quando l’unico mio pensiero
era quello di non
farmi trovare da Andrew.
Feci un risolino ricordando ciò che mi faceva star bene da
bambina. Biscotti e
latte al cioccolato, il mio compagni di giochi e i pastelli.
-Lily, molla i pantaloni. – dissi scuotendo la gamba e
riaprendo gli occhi. Ma,
come al solito, quel cane sembrava non volesse sentirmi e prese ad
abbaiare con
quella sua voce odiosa e trapanante. Mi chinai per prenderla in
braccio, in
modo tale che non avrebbe più potuto disturbare il mio
cammino, ma prese a
correre in tondo, ed io a seguirla.
Così
i cani presero tutto ciò per un gioco e imitarono il loro
amico psicotico. I
guinzagli si attorcigliarono intorno alle mie gambe. Lily mi guardo per
qualche
istante, allungai le mani per prenderla, con sguardo omicida, ma lei
cominciò a
correre ed io, ovviamente, persi l’equilibrio.
Simile
ad un sacco di patate caddi sul prato che costeggiava il sentiero.
Poi qualcosa cambiò. Quel piccolo mostro cominciò
a scodinzolare dirigendosi
alle mie spalle.
-Maledetto topo. – imprecai cercando di rialzarmi, mentre il
terranova mi
annusava il viso.
-Serve un mano?- mi voltai guardando con gratitudine il sorriso sghembo
che
illuminava due occhi azzurri come l’oceano al sole.
*
Enorme
ritardo, lo so, ma è colpa di quel computer sciocco che mi
ritrovo, e grazie
alla stupenda Dod (che mi ha rinviato i file) sono riuscita a postare!
Allora, incontro con Rob, spero sia stato di vostro gradimento!
Vado un po’ di fretta, oggi viene un mio cugino che non vedo
da più di un anno
e ho mille cosa da fare, per cui i ringraziamenti (come si deve) li
farò nel
prossimo capitoli… perdonatemi! Ci tengo molto a farli!
doddola93, ti voglio bene!
Fiarwriter, <3
AlessandraMalfoy, grazieeeee!
narcissa82, che piacere risentirti!
A
voi,
Panda.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
CAPITOLO 5
Farò della mia
anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una
dimora
per la tua
bellezza,
del mio petto un
sepolcro
per le tue
pene.
Ti
amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò
in te la vita di un fiore
sotto i raggi del
sole.
Canterò
il tuo nome come la valle
canta l'eco delle
campane;
ascolterò
il linguaggio della tua anima
come la spiaggia
ascolta
la storia delle
onde.
Kahlil
Gibran, poeta
libanese, 1883-1931.
Mi porse una
mano e l’afferrai. Mi aiutò ad alzarmi in piedi e
a
liberarmi dal groviglio di guinzagli nel quale mi trovavo. Mi passai
una mano
sui jeans scuri togliendomi piccoli fili d’erba.
-Grazie. – dissi prima di richiamare a me tutti i cane.
-Di nulla. – mi guardai in torno non vedendo Lily.
-Cosa cerchi?- chiese alle mie spalle. Mi voltai e spalancai gli occhi.
Fra le
braccia aveva il topo psicotico.
-Quello. – dissi riducendo gli occhi a due fessure ed
indicando con l’indice il
cane, che prese ovviamente ad abbaiarmi contro.
-Credo ti ami. – dissi guardandolo negli occhi, sorridendo.
-Lo credo anche io. – rispose accarezzandogli la piccola
testa. – Anche se ha
orecchie esageratamente grosse e sembra un topo gigante. Ahi!- ritrasse
la mano
che Lily aveva cercato di mordere. Feci un risolino passandomi una mano
fra i
capelli.
-Credo sia proprio per quello che mi odia. – dissi annuendo
col capo e
sorridendo.
-Ha un bel caratterino. – disse facendola scendere.
-Si, direi di si. Non andiamo molto d’accordo. –
dissi mettendole in
guinzaglio. –E’ colpa sua se sono finita per terra.
– aggiunsi tornando a
guardare i suoi occhi.
-Sono tutti tuoi?- chiese indicano i cani scodinzolanti ai miei piedi.
-Oh, no, no. Non avrei dove tenerli, io… li porto a spasso.
E’ un lavoro come
altri, no?- chiesi con fermezza, non sapendo che risposta aspettarmi.
Chi era in fondo Robert Pattinson? Un attore come tanti? Un attore
pieno di se?
Una persona vuota? Una persona impassibile e sensibile? Eppure non
avevo avuto
modo di pensare tutto ciò nei pochi minuti passati con lui.
Ma cosa mi spingeva a pensarlo? Le mie esperienze passate? …Lui?
-Non lo metto in dubbio. Non permetterei mai. –
mormorò abbassando lo
sguardo.
-Oh. – una risposta che apparentemente mi lasciò
scossa e sorpresa, ma che in
fondo sapevo di ricevere già nel momento in cui i suoi occhi
incontrarono i
miei.
-Non ti sono molto simpatico, eh?- alzai sopracciglia guardandolo non
sapendo
di preciso cosa rispondere. Aprii la bocca per rispondere ma da essa
uscì solo
un coro respiro. Scossi il capo facendo finire delle ciocche nere
davanti al
viso.
-Non intendevo quello. –. Alzò lo sguardo sul mio
viso e fui travolta
dall’intensità di tale sguardo, travolta dalle
mille emozioni che essi
emanavano, emozioni dipinte in un’espressione indecifrabile.
-Allora cos’hai? Sei così… ostile.
– sussurrò senza distogliere il suo sguardo
dal mio.
-E’ solo che… - boccheggiai non sapendo di preciso
cosa dire. –Mi spiace. Non
volevo essere scortese. Mi spiace davvero. – conclusi.
-Non voglio che ti senta costretta a parlarmi o ascoltarmi per cortesia
ed
educazione. – corrugai la fronte, pensierosa.
-Anche se sei… un personaggio noto?- chiesi incrociando le
braccia al petto. -So
che non lo consideri affatto quel fattore. -
-Come fai a dirlo?-
-E’ evidente, Laira. Sei l’unica che non
è quasi svenuto vedendomi, che non si
è inginocchiata pregandomi di posare con lei per una foto,
che non mi ha
chiesto di firmarle il ventre, un braccio o un pazzo di carta.
– mormorò.
-Non mi sento costretta. – risposi in un soffio, sorpresa
dalle tue parole. –
Sei qui perché sono l’unica che ti tratta
come… Robert?- chiesi facendogli
segno di seguirmi, prendendo a camminare sulla ghiaia.
-Sono qui perché sei diversa. -
-Che intendi per diversa?- mi portai una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
-Parlare con qualcuno che ti reputa una persona come tante, una persona
che non
sia un tuo amico dal tempo dei tempi, è bello. Conoscere
qualcuno e capire che
parla con te perché non si sente obbligata o
perché sa che sei un personaggio
noto è bello. Mi mancava questa sensazione. –
sciolsi il mio sguardo,
intrecciato al suo per guardare i cani.
-E’ piuttosto… triste. -
-Grazie. – disse in un risolino.
-Perdonami non volevo. – mi affrettai a dire, volendomi
mordere la lingua
perché incapace di tenerla a freno. Sentii uno strattone e,
il terranova,
cominciò a tirare, sbilanciandomi in avanti.
-Aspetta, lascia che ti aiuti. – disse togliendomi il
groviglio di guinzagli
dalle mani.
Sorrisi osservando come le sua mani si intrecciarono ad essi, come con
fermezza
cercavano di tenere a bada quei demoni.
-Cosa fai nella vita, Laira?- feci un sorriso.
-Vuoi davvero sapere cosa faccio nella vita?-
-Se così non fosse non te lo avrei chiesto, non credi?- feci
un risolino.
-Giusto. Bhe, non ho un lavoro fisso. Per ora ho un lavoro part-time in
un
cafè, porto a spasso questi adorabili ed antipatici cani a
volte, e al momento
ho un provvisorio posto in un catering, con… Andrew.
– dissi affondando le mani
nelle tasche dei jeans. –Sarebbe scontato se ti ponessi la
stessa domanda?-
chiesi incrociando nuovamente il suo sguardo.
-Prova. – rispose con un sorriso sghembo stampato sul viso.
-E tu, Robert, cosa fai nella vita?-
-Recito, suono e… - si porto una mani dietro la testa,
grattandosi la nuca.
-E?- lo incita a continuare.
-E… scrivo. Ma direi che questo è più
che altro un sogno. -
-Scrivi?- chiesi alzando le sopracciglia.
-Ci provo. – sorrisi.
-E… suoni? Cosa?- chiesi curiosa.
-Piano, chitarra, conta la diatonica? Mi diletto in qualche pub a
Londra. – mi
portai una mano sul mento.
-Interessante. E hai scritto qualcosa?-
-Si, ma sono solo centinai di fogli senza un senso logico e una storia
senza un
inizio e una fine. – corrugai la fronte, guardandolo con
espressione confusa.
–Si, non ha molto senso. -
-Trovacelo. – dissi ovvia, annuendo alle mie stesse parole.
-Non è così facile. -
-Lo so. – tra di noi, cadde per alcuni istanti il silenzio.
-Però… se vuoi, ecco… possiamo
trovarci un senso insieme. -
Cosa? Mi
chiesi mentalmente. Avevo davvero dato voce
ai miei pensieri?
Mi fisso negli occhi, puntò il suo sguardo nel mio e non so,
per quale oscuro
motivo, il mio cervello si azzerò. Non mi accorsi che ci
eravamo fermati,
restando l’uno di fronte all’altra.
-Tu lo faresti, davvero?-. Annuii col capo, prima di sorridere e
guardarmi la
punta delle scarpe. Sorrise e rimanemmo a guardarci negli occhi fino a
quando,
dopo alcuni istanti, il suo cellulare squillo.
-Ti prendo alla lettera sai. -
-Devi. –
-Scusami. – disse afferrando il cellulare dalla tasca e
rispondendo.
-Pronto? … ciao Nikki, dimmi… oh,
capisco… di già?... d’accordo,
arrivo… si
anche io. – restai a guardarlo fino a che non chiuse la
chiamata. Si voltò
verso di me.
-Devo andare. – mormorò passandosi una mano fra i
capelli.
-Oh. Okay. – sussurrai afferrando i groviglio di guinzagli.
-Mi spiace. –
-Ma no, tranquillo. – dissi in un risolino.
–E’… stato un piacere parlare con
te, Laira. -
-E’ stato un piacere anche per me, Robert. –
sorrisi e entrambi facemmo per
andarcene, l’uno in direzione opposte dell’altra.
-Ah, Laira?- mi voltai a guardarlo.
-Ecco, mi chiedevo se… ti andrebbe un caffè? Sai
per… trovare un senso
al…casino. – sorrisi per l’espressione
imbarazzata dipinta sul suo viso.
-Con infinito piacere. – risposi mentre le mie labbra si
distendevano in un
largo sorriso.
-Ti chiamo allora. – annuii col capo.
-A presto, Laira. -
-A presto, Robert. – sussurrai per poi guardarlo andare via.
Rimasi ferma
alcuni minuti, lì, in piedi, al centro della stradina. Mille
domande
volteggiavano nella mia testa, domande a cui non riuscivo a rispondere.
Lui, tutto ciò che da tempo odiavo, tutto ciò che
il mio cuore e la mia mente
rifiutavano, eppure era riuscito a demolire le mura costruite con cura
attorno
a me.
Che stessi sbagliando? Che stessi errando?
Lui, così simile alla figura nei miei ricordi, eppure
così diverso da tutto ciò
che avevo conosciuto e conoscevo. Diverso dai canoni del
bell’attore, bravo,
bello e vuoto. Lui che imbarazzato si guardava la punta delle scarpe,
che si
passava una mano fra i capelli, che si grattava la nuca quando non
sapeva cosa
dire di preciso. Rimasi sorpresa di pesare così tanto di
lui. Scossi il capo,
dandomi della stupida.
Che stessi sbagliando?
Solo il tempo avrebbe potuto rispondere. Ma come dare
possibilità al tempo se
la paura silenziosa e lenta di impadroniva della tua anima?
Per i due giorni
successivi non ricevetti nessuna telefonata e sapevo
che non sarebbe arrivata nemmeno nei gironi successivi. Sospirai
tirando fuori
la torta al cioccolato dal forno, poggiandola sul tavolo.
Ma in fondo che mi importava?
Per lui non provavo nulla. Era una persona come tante, forse.
E se fosse stato come tutti gli altri? Se quella fosse tutta apparenza?
In
fondo, era pur sempre un attore.
Le apparenze ingannano e le persone ti mentono, anche se dicono di
essere
sincere. L’avevo imparato col tempo e mi ero ripromessa di
stare attenta e di
non mostrare agli altri chi era realmente Laira.
Il profumo di cioccolato e vaniglia riempì ancor di
più la stanza, dandomi alla
testa. Dire che avevo un debole per i dolci era poco. La mia, era
un’ossessione. Guardai famelica la grande ciambella,
inebriandomi del suo
profumo, dimenticandomi per lunghi istanti ciò che si
aggirava nella mia testa.
Lo stomaco brontolò e gli unici pensieri che mi
attanagliavano erano: aspettare
che si freddasse? Lasciare un pezzo a Andrew?
La risposta era semplice e piano due lettere comparvero sulla grande
ciambella.
Un semplice monosillabo che avrebbe mandato in collera Andrew.
Già potevo
vedere il suo viso arrossato dalla furia e gli occhi uscire fuori dalle
orbite.
Piano quel semplice sadico monosillabo si fece più chiaro:
no.
Corsi al banco della cucina afferrando il coltello che avevo utilizzato
per
tagliare a scaglie il cioccolato, presi la panna dal frigo e mi
avventai, in
senso stretto della parola, sulla ciambella. Tagliai una grande fetta
spalmandoci sopra della panna, ma nell’esatto momento in cui
mi portai il dolce
alle labbra, il campanello suonò. Maledii l’odioso
trillo insistente e mi
diressi imprecando verso la porta. Pronta ad assalire Andrew con parole
che
poco si avvicinava alle fiabe per bambini, l’aprii, ma
ciò che vidi mi mozzo
per un istante il fiato.
Non era Andrew, quel viso, quegli occhi, non si avvicinavamo
minimamente ai
suoi. Sul suo viso comparve un sorriso sghembo. Aprii la bocca e non
riuscii a
spiegarmi perché da essa non uscì nessun suono.
Alla fine mi dissi soltanto che tutto ciò, era stato un
brutto scherzo
giocatomi dalla sorpresa.
-Ciao. – sussurrò con voce bassa e calda.
-Ciao. – risposi deglutendo.
-Hai intenzione di farmi entrare o lasciarmi qui sulla porta?- chiesi
con
l’ombra di un sorriso sulle labbra.
-Si, scusa. – mi scostai leggermente, per permettendogli
così di entrare. Mi
passò accanto, lasciando dietro di se una fresca fragranza.
-Disturbo?- chiese voltandosi e guardandomi negli occhi.
-No, no. – dissi scuotendo il capo. –Qual buon
vento ti porta da queste parti,
signor Pattinson?- continuai dirigendomi verso la cucina, per finire il
lavoro
cominciato.
-Ti ho riportato il libro. –
-Già finito?- chiesi inclinando la testa di lato.
Annuì col capo, grattandosi
la nuca. –Molte persone ci mettono una vita per leggerlo.
– aggiunsi.
-Bhe, mi piace leggere. – ammise sorridendo. Restammo qualche
secondo in
silenzio, guardandoci negli occhi, specchiandomi in
quell’azzurro cielo. –Stavi
cucinando?- chiese annusando.
-Ehm… si. – risposi guardando la ciambella.
–Ne vuoi un pezzo?- chiesi
avvicinandomi alla cucina per prendere un piatto.
-Cioccolato, vaniglia e scaglie di cioccolato?- chiese senza staccarle
gli
occhi di dosso.
-Certo!-
-Hai appena commesso l’errore più grande della tua
vita. – sussurrò con occhi
“luccicanti”.
Feci un risolino e lui si voltò a guardarmi.
-Carina la risata. – disse inclinando la testa di lato.
Sentii il viso
avvamparmi leggermente di rossore e sorridendo imbarazzata tagliai un
secondo
pezzo di ciambella.
Per la mezz’ora successiva parlammo e scherzammo, senza note
di imbarazzo o
quant’altro.
-Allora, ti è piaciuto il libro?- chiesi dopo alcuni attimi
di silenzio.
-Molto. Ora capisco perché ha riscossi tanto successo.
– mormorò giocherellando
con la forchetta. –Si è un romanzo
d’amore, ma anche un romanzo d’odio. Ogni
emozione, ogni sentimento è descritto con immensa
intensità. Una tale intensità
da lasciarti scosso. E in certi momenti ho odiato Heatcliff, come credo
giusto
sia, ma in alcuni momenti ho potuto sentire le sua sofferenze.
L’amore che egli
provava per Catherine era qualcosa di unico, che ti scuote
l’animo. Come quando
egli la incontra e le parla un’ultima volta. –
scosse il capo e sembrava non
riuscisse a trovare la parole più appropriate.
-Credo di aver capito il concetto. – dissi sorridendo. Ancora
il silenzio calò
fra noi.
-Non hai più chiamato. – fu travolta dalle mia
parole, sorpresa da tale
affermazione. Mi morsi la lingua, dandomi della stupida, chiedendomi
quale dei
miei pochi neuroni rimanenti l’avesse elaborata. Mi maledii,
come troppo volte
a quella parte e non capii nemmeno il motivo di tale reazione.
Chiusi gli occhi e volli sprofondare, non per nascondermi a i suoi
occhi, ma
per nascondermi anche da me stessa, cosa del tutto impossibile.
-Sono qui, ora. – mormorò abbassando lo sguardo.
-Vedo. – risposi facendo poi un risolino. Alzò lo
sguardo e i suoi occhi
ardevano, ardevano a si impossessarono dei miei e non potei fare nulla
per
impedire che li facessero suoi.
Che mi prendeva? Cosa mi stava accadendo? Dov’era Laira?
-I tuoi occhi sono così… - sussurrò in
evidente difficoltà.
-Così… come?- incalzai poggiando i miei gomiti
sulle ginocchia, proprio come
fece lui.
-Strani. Sono l’antitesi dei miei, direi. Sono…
quasi neri. Non ho mai visti
così scuri. – la sua voce era pari ad un sussurro
e il suo sguardo era come
perso, come ammaliato. Cosa del tutto impossibile, visto che stavamo
parlando
dei miei occhi. Ma si sa, ingerire troppi zuccheri da alla testa e
forse, anzi,
quasi sicuramente era il nostro caso.
-E’ un bene o un male?-
-Assolutamente un bene. – sussurrò accarezzando
una ciocca di capelli che mi
era ricaduta davanti al viso. Piano, le sua dita li abbandonarono
però, e potei
sentire i suoi polpastrelli carezzarmi delicatamente, con estrema
leggerezza,
una guancia che, per qualche oscuro motivo, sembrò prendere
fuoco a quel
contatto.
-Io… - cominciai in un soffio, ma dimenticai
all’istante ciò che volessi dire,
sgombrando la mente da qualsiasi pensiero.
-Tu…?- lo fissai con occhi spalancati ed il fiato corto,
mentre le sue dita si
muovevano piano sul mio viso.
-Devo scappare a lavoro. – dissi scuotendo il capo, come per
riprendermi da
quella sottospecie di amnesia momentanea nella quale ero caduta.
-Oh, capisco. – disse alzandosi e prendendo al sua giacca.
Guardai l’orologio e
mi resi conto che era davvero tardi per andare a piedi.
-Ehm… Robert?- chiesi dondolando da un piede
all’altro.
-Si?- disse voltandosi e guardandomi negli occhi.
-Mi daresti un passaggio?- abbassai lo sguardo imbarazzata.
Mi guardò negli occhi, per attimi che sembrarono infiniti.
-Senza ombra di dubbio, Laira. – distolsi a malincuore lo
sguardo dal suo viso.
Ma che mi stava succedendo?
*
Salve gente,
eccomi qui con il quinto capitolo che spero sia di vostro
gradimento!
Ho davvero poco tempo quindi passo direttamente ai ringraziamenti!
Doddola93: Dà, tesoro!
Allora non sono l’unica ad odiarli! Hai davvero trattenuto il
fiato? *_* Oddio,
non ho parole. Non merito tutti questi complimenti! Ti adoro tesoro, e
ti
voglio un mondo ti bene! <3
A
presto!
Fairwriter: Juls, ciao! Che piacere
leggere una tua recensione! Sul serio ti è piaciuto tanto?
*_* Le tue parole
sono troppo per una fic così, ma… cavolo grazie!
Grazie a te, tesoro, grazie
davvero! Spero questo capitolo sia stato di tuo gradimento! Ti voglio
bene!
<3
Sognatrice85: ciao! Sul serio ti
piace? Insomma… non so di preciso da dove tutto
ciò mi sia uscito, ma ci tenevo
a far si che lei non andasse matta per Robert. Grazie mille per i
complimenti,
grazie davvero. Spero di non averi fatta attendere troppo. A presto! XD
Fede_sganch: ciao Fè! *_*
troppo
complimenti, così mi fai piangere, cavolo! Spero di non
averti delusa con
questo capitolo! A presto cara. Grazie ancora!
ElfoMikey: ciao! Non muorirmi, ecco a te il capitolo! Spero
ti sia piaciuto! Fammi sapere eh! XD Ti voglio tanto bene! <3
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
CAPITOLO
6
Niente
è più dolce dell’amore; ogni altra
felicità viene dopo
al suo confronto
perfino il miele sputo di bocca.
Così
dice Nosside: ma chi da Afrodite non viene amato
non può
sapere quali rose siano i suoi fiori.
Nosside Di Locri,
poetessa greca, IV -
III secolo, a.C.
Mi portai la
sigaretta alle labbra, mentre cercavo le mie tempere.
Girai per casa, con i capelli raccolti grazie a un
sottile pennello, con ciocche scomposte che mi ricadevano sul viso. Me
le
portai dietro le orecchie, perché finite davanti al viso, e
sospirai
maledicendo il mio maledetto disordine. Avevo cercato, sotto consiglio
di
Andrew, di acquistare un certo ordine, una certa organizzazione ma mi
era del
tutto impossibile e, per quanto mi sforzassi, non ci riuscivo.
Vagai per casa alle otto di sera in cerca delle tempere, dovetti
però
rinunciare alla prospettiva di dipingere un paesaggio inglese, anche
perché
trovai dei carboncini, così una nuova idea mi
balenò per la testa. Presi il mio
album, quello che mai abbandonavo, quello che con cura riponevo ogni
sera nel
cassetto del comodino accanto al letto. Sedendomi sul divano a gambe
incrociate
presi a disegnare, sporcandomi di nero le dita. La mano lenta si
muoveva sul
foglio mentre la mente vagava senza controllo, senza ritegno. Far
cessare i
miei pensieri senza senso era del tutto impossibile, anche se avrei
voluto non
ci sarei mai riuscita, un po’ come per l’ordine.
Così, oramai arresa lasciai
che i miei pensieri vagassero verso spazi ignoti e infiniti, posandosi
di tanto
in tanto, come leggere farfalle, su due pezzi di oceano.
Sospirai e mi accorsi che la sigaretta era finita, così mi
diressi verso la
cucina, per poi ritornare sul divano. Ad un certo punto sentii la porta
aprirsi
e richiudersi. Mi sporsi corrugando la fronte e facendo per alzarmi.
-Tranquilla, sono io. – alzai un sopracciglio sentendo la
voce di Andrew,
avvicinarsi.
-Come hai fatto ad entrare?- chiesi riprendendo l’album.
-Mi hai dato tu le chiavi. Ricordi Laira?- disse mostrandomele e
facendole
dondolare fra le dita. Sorrisi, imbarazzata.
-Hai fumato. – disse avvicinandosi con una mano su un fianco.
-Andiamo Andrew, non ho mica dieci anni. – dissi roteando gli
occhi e
sbuffando. Scosse il capo si
sedette
accanto a me.
-Hai per caso lottato con il carboncino?- alzi
lo sguardo confusa. Portò una mano sul
mio viso, sfregando leggermente su una guancia. Feci un risolino e mi
alzai,
diretta in bagno.
-Non è colpa mia se il carboncino mi ama!- gridai dal bagno
aprendo l’acqua e
bagnandomi il viso, in modo tale da pulirlo da qualsiasi eventuale
traccia di
nero. Il rumore dell’acqua che scorreva dal rubinetto non mi
permise di
ascoltare i passi di Andrew farsi sempre più vicini.
-Laira?- mi voltai verso di lui con l’asciugamano sul viso.
-Andrew?- risposi guardandolo esaminare il mio album con espressione
confusa e
la fronte aggrottata.
-Perché disegni Pattinson?- sgranai gli occhi.
-Io cosa, scusa?- chiesi lasciando l’asciugamano vicino al
lavandino e
dirigendomi verso lui. Gli presi l’album dalle mani
esaminando il disegno.
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca, sorpresa da me stessa.
-Io…- mormorai fissando scioccata quel pezzo di carta.
– Io volevo disegnare
te. – la mia voce si fece piano pari ad un sussurro. Avevo
dato libero sfogo
alla mia mente, le avevo permesso di vagare, slegandola dalla parte
razionale
del mio subconscio e lei, prepotentemente, si era posata su quel viso,
costringendo le mie mani a disegnare linee ben diverse da quelle che mi
avevano
spinto a sedermi su quel divano e a brandire quel pezzo di carboncino.
Guardai
fisso quel disegno mentre la consapevolezza che qualcosa nella mia vita
stava
cambiando, prendendo delle svolte che non avevo previsto e che mi ero
ripromessa, strade che avrebbero dovuto essere per sempre rimanere
oscure.
Piano il terrore si impadronì di me ed avrei voluto gridare,
scappare via,
convincermi che il viso da me disegnato non fosse il suo, ma qualcosa
mi
trattenne lì, con i piedi inchiodati al pavimento. Una
consapevolezza dal quale
quella volta non riuscii a scappare, anche se avrei voluto. Con il
cuore a
mille ed il fiato corto alzai gli occhi si Andrew. Allarmato si
avvicinò a me,
afferrandomi per le braccia mentre le gambe tremanti cedevano,
facendomi cadere
sul pavimento.
Ed un nome risuonava nella mia testa, un nome che per mesi, era stato
tutto il
mio mondo, ma nel suo di mondo, io non c’ero.
Andrew mi passo una mano sul viso paonazzo, per poi stringermi forte a
se.
-Derek. - e la mia
voce si perse fa
forti singhiozzi.
Guardavo il
soffitto bianco sopra la mia testa, mentre si diffondeva
dallo stereo il suono di chitarre energetiche. Feci un respiro profondo
poggiando la testa sul bracciolo del divano, facendo così
ricadere i capelli
neri davanti al viso. Sentii i passi di Andrw farsi più
vicini e il divano
deformarsi sotto il suo peso. Portò una mano al mio viso,
scostandomi i capelli
da esso, costringendomi a guardarlo.
Con la coda dell’occhio lo scrutai mentre il profumo del
caffè caldo mi
inondava i polmoni.
-Tieni, bevi questo. – disse porgendomi la tazza. Mi misi a
sedere, con un po’
di fatica. Presi a bere il caffè guardando il liquido nero
all’interno della
tazza.
Il silenzio rotto soltanto dalla musica che proveniva dallo stereo
calò fra di
noi e sentii Andrw sospirare più volte, aprire la bocca per
parlare, senza però
dire mai nulla.
-Forse ti farebbe bene staccare un po’. -
-Come?- chiesi alzando su di lui lo sguardo. Si alzò e si
diresse verso lo
stereo per poi spegnerlo e ritornare a sedersi accanto a me.
-Secondo me, ti farebbe bene staccare un po’. –
inclinai la testa di lato e lo
guardai
-Che intendi?-
-Bhe, andare via di qui. Allontanarti da questa città.
– rispose incrociando
una gamba sul divano e voltandosi con tutto il busto verso me.
-Non credo sia il caso. Ho il lavoro e… -
-E cosa, Laira?- il suo sguardo inchiodò il mio, senza
possibilità di fuga.
-E poi non saprei nemmeno dove andare. Devo lavorare, non posso
permettermi una
vacanza. – dissi bevendo un altro sorso di caffè.
Lui si portò una mano al
mento, accarezzandoselo con l’indice e il pillole, pensieroso.
-Hai finito al cafè, no?- annuii col capo.
-Non è solo quello. – mi affrettai a dire.
-Aspetta. Allora, io ti propongo… un compromesso.
– lo guardai confusa e
spaesata. –La mia datrice di lavoro a una sottospecie di bad
and breakfast e mi
ha chiesto di occuparmene nel weekend perché la sorella
della tizia che lavora
lì si è sposata. Vieni con me. Lavori e ti
allontani da questo posto,
prendendoti una sottospecie di vacanza. E poi lì non ci va
mai nessuno. E’ sul
mare Laira, dai. Ti farà bene. – disse prendendo
una mia mano fra le sue,
accarezzandola.
-Non lo so, Andrew. – voltai il capo guardando il piccolo
salotto di casa.
-Laira… ti prego. – la sua voce pari ad un
sussurro si perse nell’aria e
davanti a quegli occhi cristallini e imploranti non potei dire di no.
Subito le
sua braccia circondarono il mio collo, stringendomi forte a se, come
fossi un
aquilone che il vento era intenzionato a potare verso spazi infiniti e
lontani.
L’aquilone tanto amato da quel bambino che non desiderava
altro che una
giornata di sole per veder volare il suo aquilone.
-Ti farà bene. – mormorò baciandomi la
fronte.
-Lo spero per te. – dissi sforzandomi di sorridere e di non
mostrare quella
nota di amarezza che si era impadronita della mia voce.
Quella settima,
lì a New York vi era una mostra di pittura moderna, di
giovani artisti, così decisi di andarci. Certo, non ne
andavo matta ma poteva
dare ad ogni quadro la mia personale interprestazione, ed proprio
quello il
bello secondo me.
Vagavo per i corridoi solitari e silenziosi della mostra, perdendomi in
colori
sgargianti e spenti. Mi rilassava guardare quel’esplosione di
colori, mi
rilassava e mi permetteva di sgombrare la mante o se necessario
concentrarmi su
pensieri tranquilli, allontanando tutto ciò che
c’era di marcio nella mia
singolare vita.
Mi soffermai su un quadro, e pensai automaticamente a Andrew, quando
vidi che
il giallo lo predominava. Il giallo era il suo colore preferito.
Poi qualcuno mi sussurrò all’orecchio: -Ti piace?-
. Sussultai prima di riconoscere
quella voce. Mi voltai incontrando il su viso.
-Non volevo spaventarti. – mormorò.
-Oh tranquillo. E comunque si, mi piace. – risposi e tornai a
guardare il
quadro, l’esplosione di gioia
e
vitalità. Sentii Robert fiancheggiarmi.
–E’ davvero un bel quadro. É…
vivo. -
Fece un risolino. –Grazie. - .
Mi voltai a lo guardai con occhi sgranati. -L’hai fatto tu?-
chiesi sorpresa.
Annuì col capo.
-Notevole. – risposi, ricordando la risposta ad una mia
domanda, fatta un
pomeriggio a casa mia. -Ho come la sensazione che Robert Pattinson
abbia mille
segreti, segreti che vorrebbe condividere col resto del mondo, un mondo
troppo
ceco per vedere. -
-Come fai a dirlo? - incontrai
per pochi
istanti il suo viso, poi tornai al quadro.
-Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Non ci
credevo, non prima
di incontrare te. – mormorai. Non rispose, fisso in silenzio
davanti a se.
-Perché è anonimo?- chiesi notando
l’assenza di firma.
-Non credi che qualcuno potrebbe notarlo solo perché
è di un personaggio noto?-
-Giusto. – ancora, mi sentii una sciocca.
-Voglio che sia giudicato per quello che è, non
perché è stato creato da
qualcuno che lavora nel cinema. - . Nella sua voce potevo avvertire
tormento.
Qualcosa lo attanagliava, lo leggevo nel suoi occhi limpidi che ora
fissavano i
miei.
-E’ plausibile. Chiunque lo vorrebbe. – mormorai.
– Come essere giudicati per
il proprio lavoro, non per il proprio faccino. -
-Si, gli occhi sono lo specchio dell’anima. –
mormorò, ma sembrava stesse
parlando a se stesso.
-Ehi Rob. Nikki vuole sapere per quel weekend. – un ragazzo
dai corti capelli
biondi e magnetici occhi chiari fece irruzione nella nostra
conversazione.
-Oh, salve. – disse poi rendendosi conto che stavamo
parlando. -Mi scusi per il
disturbo, signorina. – con la coda dell’occhio,
vidi Robert sospirare
passandosi un mano sulla nuca.
-Kellan lei è Laira, Laira lui è Kellan. -
-Bhe Rob, penso lei sappia chi sono. – disse il ragazzo
mostrandomi un sorriso.
Imbarazzata mi grattai la nuca.
-Veramente no. – . Robert soffocò una risata.
-Ah no?-
-No. – poi ricordai quel viso. Lo ricordai seduto,
sorridente, ad un tavolo in
un stanza color della crema.
-Oh, capisco. – rispose sorpreso. Sorpreso che fossi fuori dal mondo?
Quel pensiero mi fece sorridere.
-Allora?- chiese Kellan.
-Non lo so. Non ho trovato nessun posto appartato, gli alberghi sono
tutti
pieni questo weekend. La tranquillità sembra un pregio
oramai. -
-Cavolo, mi sarebbe piaciuto staccare un po’ . –
rispose l’altro.
-Bhe, io avrei una soluzione. - , mi maledii quando mi resi conto di
ciò che
avevo detto.
Ma perché non riuscivo mai a tenere il becco chiuso quando
dovevo?
Ormai, il danno era fatto.
I due ragazzi mi guardarono con aria confusa, dopo essersi voltati di
scatto.
-Come?- chiese Robert.
-Si, come?- fece eco Kellan.
-Un mio amico mi ha chiesto una mano per occuparsi di una sottospecie
di
albergo in riva al mare. E’ piuttosto carino e inoltre
è sempre deserto, perchè
fuori città e sconosciuto.
-Questa ragazza mi piace. – disse Kellan annuendo col capo, e
guardandomi con
un sorriso sghembo. Sorrisi in risposta, imbarazzata e con la coda
dell’occhio
vidi Robert voltarsi di scatto ed incenerire Kellan con lo sguardo.
-Quindi ci sarai anche tu, suppongo. -
-Ha appena detto che se ne deve occupare anche lei col suo amico, ovvio
che ci
sarà Kellan. - . Il ragazzo roteo gli occhi.
-Okay, okay. Vado ad avvisare gli altri. – e dopo avermi
fatto l’occhiolino si
voltò per andare via. Rimasi interdetta e confusa a
guardarlo.
-Quanti siete?- chiesi posando lo sguardo sul viso di Robert che si era
tinto
di rossore.
-Nove.-
-Perfetto. – dissi, conscia che la mia vita durante quei
giorni sarebbe stata
particolarmente ardua. Tre lunghi e terribili giorni.
-Hai fame?- mi voltai verso Rob.
-Un po’. – ammisi abbassando lo sguardo.
-Ti va di mangiare? E’ quasi ora di pranzo. –
chiese senza distogliere lo
sguardo dal mio viso.
-Bhe, direi che è una proposta ragionevole. –
risposi portandomi una ciocca di
capelli dietro l’orecchio.
-Perfetto. –
Sedevamo ad una
tavola calda, quando addentai il cheesburger che avevo
dinanzi a me.
Ingoiai il boccone prima di parlare a Robert, lui che in quel momento
mi
guardava con un sopracciglio alzato e le labbra arricciate.
-Cosa c’è?- chiese spaesata, guardandomi intorno
solo con gli occhi.
-Solitamente una ragazza prende un insalata o un panino con una
cotoletta, ma
tu… cavolo, quel panino è una bomba calorica.
– spiegò, leggermente sorpreso.
Con le guance piene di rossore risposi: -Bhe, non sono una che segue
particolari diete, mangio ciò che mi va di mangiare. Se
ricordi, quando mi sei
venuta a travone, mi ero appena fatta una ciambella al cioccolato.
– . Addentai
ancora il mio panino.
-Eppure il tuo fisico sembra non risentirne. –
mormorò.
-Metabolismo veloce. Ho avuto grande fortuna in questo. –
ironizzai. Fece un
risolino che riempì il mio cuore di strana gioia.
Stavo cominciando a conoscere Robert Pattinson, cercando di capire che
in
realtà egli fosse senza affidarmi a giudizi affrettati, ad
una quasi amicizia
che avrebbe potuto fermi, che avrebbe potuto lasciare come quel maggio
di due
anni precedenti.
cercai di sgombrare la mia mente da quei pensieri, di concentrarmi sul
ragazzo
che mi sedeva davanti, ma la malinconia e il vuoto incolmato sembravano
non
volermi abbandonare.
Sospirai.
-Cos’hai?- la sua voce, ora, era pari ad un sussurro
mormorato al vento.
Sovrapposto dal forte chiacchiericcio della stanza era quasi
impossibile
udirlo.
-Io…- .
Cosa vuoi dirgli Laira? Che hai paura di
lui? Che hai paura di… te? Menti, come sei solita fare. Non
affrontare la vita.
Nasconditi dietro le delusioni. Nasconditi, Laira… come sei
solita fare.
-Pensavo. – mormorai, fissando le venature del
tavolo di legno.
-A cosa?- i suoi occhi trapelavano curiosità, interessati a
ciò che mi passava
per la testa. La verità sarebbe stata l’ideale, ma
avrebbe significato esporre
me stessa, ciò che ero e, soprattutto, ciò che
ero stata.
-A nulla. –
*
Ebbene si, dopo molte disavventure eccomi qui con il sesto capitolo.
Avrei
postato prima ma sono successi una serie di casini, più la
settimana di gita, e
non ho davvero potuto. Poi sta scuola che sembra non finire mai non
aiuta di
certo. Comunque, ciarle a parte, eccomi qui, finalmente dopo tanto!
Spero vivamente questo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Vorrei davvero ringraziare come si deve tutte voi che avevate
recensito, coi
miei angeli! Ma il tempo a mia disposizione oggi è davvero
poco, poiché domani
ho due probabili interrogazioni, una diciamo pure che è
sicura… maledetta
fisica!
Prometto però che mi rifarò con i ringraziamenti
nel prossimo capitolo! Lo
giuro, lo giuro! (schizzò nel mondo delle fiabe! XD)
Grazie a voi che
avete recensito:
Fairwriter,
Sognatrice85,
fede_sganch,
Giuliasmoke,
AlessandraMalfoy,
LondoCalling,
Doddola93;
grazie infinite ragazza, grazie davvero!
Un bacio a tutti, qui è tutto,
Panda.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
CAPITOLO 7
Senza parlare sei
arrivata come una
vera regina, di
nascosto
hai posato i piedi
dentro l'anima.
Rabindranath
Tagore, poeta indiano, 1861-1941
-Cosa hai
fatto?- , la voce di Andrew risultava un
odioso suono strozzato.
Sopirai passandomi una mano sul viso, -Gli ho detto che potevano
alloggiare in
albergo. -. Lo vidi guardare con occhi spalancati la sua pizza, ancora
intera
all’interno del cartone.
-Non stai scherzando, vero?- , disse poi alzandolo sul mio viso. Scossi
il
capo. –Waw. – , aggiunse poi alzando le
sopracciglia. –Insomma, dovrò ospitare
l’intero cast di un film di successo. Ho mai detto di
adorarti, Laira?-
-Mah… forse un paio di volte. – , dissi alzando
gli occhi al cielo, o meglio,
al soffitto. Fece un risolino e si sporse verso il tavolino davanti al
divano
sul quale era posata la sua piazza e ne prese un pezzo. Ne
addentò un pezzetto
prima di tormentarsi un lembo della t-shirt, nervosamente.
Lo conoscevo troppo bene, sapevo che c’era qualcosa che non
andava, qualcosa di
cui non voleva parlarmi. Sentii il cuore balzarmi in gola. Lui mi
parlava
sempre di tutto.
-Andrew… cosa c’è?- . La mia voce
tramava appena. Lui si voltò a guardarmi con
quei suoi occhi cristallini, quegli occhi che non sapevano mentirmi.
-Laira…-
-Parlami, Andrew. – , mormorai.
-Ho incontrato… Derek. - . Sgranai gli occhi,
nell’udire quelle cinque semplici
lettere, che combinate tra loro avevano la potenza di un uragano.
-Cosa? C-come? Dove l’hai inco…incontrato?- ,
balbettai mentre cominciavo a
sudare freddo.
-Mentre tornavo venivo qui con le pizze. Mi ha guardato…
senza salutarmi. - , fissai
i suoi occhi chiari e sentii il terrore e i ricordi farsi avanti,
piano, come
la pioggia leggera che ti bagno il viso prima che arrivi una tempesta.
Sentii la testa girarmi appena, lo stomaco contorcersi in una dolorosa
morsa,
al ricordo del suo viso perfetto, dei capelli rossicci e ondulati che
gli
incorniciavano il viso, degli occhi scuri, neri come i miei, il cielo
notturno
dove ogni sera amavo perdermi, dove ogni istante amavo perdermi, delle
labbra
piene che per tanto tempo erano state mie, o almeno così
credevo.
-Laira… - , sentii la braccia di Andrew avvolgere le mie
gracili spalle,
stringermi al suo petto caldo, cullandomi con il dolce suono del suo
cuore.
Sospirai, lottando contro le lacrime. Ma le mie lacrime non erano
lacrime di
tristezza, dolore, nostalgia. Le mie erano lacrime d’odio, di
delusione, di
rammarico.
Stinsi con le mani la sua maglia, aggrappandomi con le unghie
all’idea di un
futuro migliore, mi aggrappai, anche se non avrei voluto, a quella
immagine che
all’istante si creò nella mi mente. Due occhi
così diversi dai suoi, così
sinceri.. così limpidi.
Mi aggrappai ad essa di malavoglia, benché fosse
l’unica cosa da poter fare.
Posai, con un forte tonfo, la valigia sul pavimento e,
portandomi le mani sui fianchi, mi guardai un attimo intorno.
-Pronta?-
-Non lo so, Andrew. Ho come l’impressione di aver lasciato
qualcosa. – , dissi
arrotolandomi distrattamente una ciocca di capelli intorno ad un dito.
-E’ sempre così. Credi di aver lasciato qualcosa,
ma non hai lasciato nulla.
Dai, Laira, andiamo! Se non arrivo in tempo e quella chiama sono
fritto!- , mi
pregò lui prendendomi la valigia.
-La mia sciarpa!- , esclamai alzando le braccia al cielo e correndo
verso la
mia camera, stando attenta a non inciampare.
-Laira, non ti serve una sciarpa!-
Ritornai all’ingresso con la mia sciarpa verde e rossa al
collo.
-Mio caro Andrew, credevo mi conoscessi. Non posso andare via senza
Bessy. E
poi è leggera, con lei non avrò caldo. E la
spiaggia è ventilata, per chi non
lo sapesse. -
Lui roteò gli occhi, sbuffando. Non era mica colpa mia se
non riusciva a
staccarmi dalle mia sciarpa porta fortuna, regalatomi ad un Natale
dalla cara
nonna.
-Anche se sei così ostile nei suoi confronti Bessy ti vuole
bene. – , dissi
indossando grandi occhiali da sole ed uscendo dal mio appartamento con
la testa
alta ed un fluido movimento di bacino. Sentii dietro di me Andrew
borbottare
qualcosa, ma non mi voltai poiché non avevo capito una sola
parola. Così mi
preparai a scendere le scale.
-Laira!- , mi bloccai e mi voltai verso Andrew, sobbalzando.
-Cosa c’è?- , chiesi confusa alzandomi gli
occhiali per permettergli di vedermi
negli occhi.
-Le chiavi. -
-Oh, giusto. – , mormorai sentendo le guance tingersi di
rosse. Affondai,
letteralmente, la mano nella grande borsa marrone e presi il mazzo di
chiavi,
per poi lanciarglielo.
Cominciai a scendere le scale saltellando e sentii
l’ascensore chiudersi.
Andrew trovava insensata ed infondata la mia paura per gli ascensori. A
volte
anche… ridicola. Ma io di certo non mia azzardavo a prendere
quel mezzo
infernale, di appena due metri quadri, con le pareti color del sangue.
E poi,
una delle mie tante giustificazioni, muoversi non faceva di certo male
alla
salute… al che era d’obbligo, da parte di Andrew,
un doloroso scappellotto.
-Vedi, sono arrivata prima io!- , dissi col fiatone, poggiandomi con
una mano
al muro e incrociando i piedi. Andrew mi guardò
torvo, prima di passarmi accanto e urtarmi con la valigia.
Persi l’equilibrio e riuscii per un pelo a tersemi in piedi,
-Andrew!- , lo
ripresi.
-Oh scusami, Laira. Ma non ti avevo vista e, poi, questa valigia
è così grande
e pesante!- , disse uscendo in strada. Sbuffai puntando i piedi al
pavimento e
con passo pesante uscii anch’io.
-Sei pesante. – , dissi, guardandolo mentre apriva il
bagagliaio.
-Bhe, in effetti sono un metro e novanta. -
-Sai che intendo. – , dissi voltandomi e aprendo la portiera
dell’auto.
-Dai, Laira, non essere così… capricciosa.
– , e mise in moto. Mi votai a
guardarlo prima di scoppiare a ridere.
La prima mezz’ora di viaggio era passata,
silenziosa.
Nella mia mente vorticavano mille immagini, immagini che ritraevano
mille
forme, mille colori, mille visi, ma un viso in particolare: quello di
Robert
Pattinson.
Com’era possibile?
Lui si era insinuato prepotentemente nella mia testa, lui non voleva
abbandonarla, o meglio, era la sua immagine a non volerlo fare.
So
she said what's the problem baby
What's the problem I don't know
Well maybe I'm in love
Think about it every time
I think about it
Can't stop thinking 'bout it…
Il
sole mi illuminava il
viso, mentre le note di una canzone a me ignota si diffondevano
nell’abitacolo.
”Non lo so quel’è il problema, bhe forse
sono innamorato.” . Sbuffai
silenziosamente.
Fantastico, mettici anche tu,
pensai.
Ma, alla fine non vi era alcuno problema, eppure quelle parole non
facevano
altro che rimbombarmi nelle testa.
So I
said I'm a snowball running
Running down into the spring that's coming all this love
Melting under blue skies
Belting out sunlight
Shimmering love
Sorrisi,
scuotendo il capo.
No, non era possibile.
-La pazzia ha fatto il suo corso?- . Mi voltai verso Andrew, scuotendo
il capo.
-Nah, non credo… almeno non ancora. – , mormorai
ritornando a guardare davanti
a me.
I'm
In Love, I'm in Love,
I'm in Love, I'm in Love,
I'm in Love, I'm in Love,
Accidentally
-Andrew,
per favore spegni
questa radio!- , dissi io istericamente voltandomi di scatto.
Per caso… parole
marchiate a fuoco.
-Perché?- , chiese confuso.
Come
on, come on
Spin a little tighter
Come on, come on
And the world's a little brighter
Come on, come on
Just get yourself inside her
Love ...I'm in love
-Andrew,
spegni questa
radio!- , dissi cercando di far da me, ma senza riuscirci,
poiché le mani si
muovevano freneticamente.
”Buttatici dentro, buttatici dentro, buttatici dentro,
buttatici dentro.”
Andrew, spense la radio.
-Grazie. – , dissi sospirando.
-Ora spiegami. –
-Come?- , chiesi voltandomi per guardarlo in viso.
-Cos’hai contro quella canzone?- , chiese con
l’aria di chi la sapeva lunga.
Spostai poi lo sguardo al finestrino, evitando accuratamente il suo.
-Laira? C’entra Pattinson?-
-No, ma cosa ti salta in mente!- , dissi con le guance stranamente in
fiamme.
-Laira, guardami in faccia. Dimmi guardandomi che non è
vero. -
-Non ne vedo l’utilità. – , risposi
concentrando lo sguardo su una vecchia casa
in lontananza.
-Laira!- , mi ammonì. Mi voltai guardandolo negli occhi
mentre la macchina
rallentava.
-No, lui non fa parte della mia vita, Andrew. Pattinson è
solo un… amico. – , dissi
con serietà e convinzione.
-Okay. – , mormorò prima di ritornare a guardare
la strada.
Si… Robert… non c’entrava…
nulla.
Scendemmo
dall’auto e rimasi senza fiato.
Il piccolo albergo sembrava uscito da una di quelle riviste
d’arredamento. Una
verde aiuola tinta da fiori viola, faceva di ingresso alla grande
strutta di
legno bianco, ai fiori sulle finestre, alle tede ad ai balconi azzurri.
-Waw. – , soffiai mentre Andrew si dirigeva
all’ingresso.
-Bel posto eh?- . Il venticello fresco mi accarezza il viso,
spostandomi i
capelli neri e lisci, facendomeli ricadere sul viso. La ghiaia
scricchiolava
sotto i miei piedi, ed io mi guardavo intorno fissando gli arbusti che
circondavano al struttura e gli alberi visibili all’orizzonte.
-Attenta ai gradini Laira. – , disse Andrew, così
automaticamente chinai lo
sguardo notando la piccola scalinata.
-Grazie. – , risposi portandomi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Aprì la porta e ci dirigemmo al suo interno, -Sei arrivato
finalmente, Andrew.
Devo andare, alla prossima. Ciao. Le chiavi sono sul bancone. -, a
parlare fu
una figura femminile che mi sfrecciò davanti alla
velocità della luce. Non
riuscii a distinguere bene il suo volto. Aveva i capelli castani,
indossava una
gonna al ginocchio ed una camicia nera, o blu.
-Buona sera anche lei, io mi chiamo Laira. – , dissi quando
ebbe chiuso la
porta.
-Oh tranquilla, è sempre così. – ,
aggiunse con tranquillità dirigendosi al
bancone.
-E’ più piccolo di quanto pensassi questo posto.
– , dissi guardandomi intorno
e cominciando ad esplorare il luogo. Dall’ingresso entrai in
una stanza che
avvenne dovuto essere un salotto, un camino si ergeva in fondo ad essa,
vi era
poi una sala da pranzo e con una decina di tavolo o già di
lì.
Tutto era in legno scuro.
-Oh, guarda, la nostra miss ci ha lasciato un po’ di cose da
fare, ed a quanto
pare lo staff si è dmezzato questo weekend, a dirigerlo sono
tutti parenti via
per lo stesso motivo. Ma che fortuna!- , esclamò sarcastico.
-Cosa dobbiamo fare?- , chiesi dirigendomi verso di lui a quella che in
un
grande albergo avrebbe dovuto essere la hall.
-Pulire il legno. -
-Quale?- , chiesi appoggiandomi al bancone.
-Tutto quello che vedi. - . Sgranai gli occhi, guardandolo terrorizzata.
-Cosa? – , la mia voce era un suono strozzato.
-Hai capito, Laira. -
-Ti odio. Se non fosse stato per te io sari a casa sul mio divano. -
-Ti pagano. -
-Ho mai detto di amarti?- , dissi mettendomi all’istante
diritta.
-Scherzo, sciocca. Tu starai seduta lì. - , disse
indicandomi il bancone della
reception. Sospirai di sollievo.
Ad un tratto sentimmo delle macchina calpestare la ghiaia, ci voltammo
entrambi
verso la finestra più vicina. Dall’auto nera vi
uscii Robert, un ragazzo dai
capelli castani e due ragazze more. Una di loro era la ragazzo che
cercò Robert
quella famosa sera sul quella famosa veranda… famose, almeno
per me.
-Sciogliete i cani. – , cantilenò Andrew, roteando
gli occhi e posizionandosi
oltre il bancone.
Distolsi lo sguardo prima di imitarlo
Accidentally.
*
Eccomi qui
gente, con il settimo capitolo.
Finalmente posto, dopo la fine della scuola, tanto odiata scuola.
La fiction ha preso una svolta un po’ diversa dal previsto,
ma ho già in mente
gran parte della trama. Spero di poter postare ancora una volta questa
settimana, dato che sarò via per quindici giorni (arrivo,
Honey!).
La canzone è Accidentally in love
di Countig Crows.
Un grazie a tutti coloro che leggono senza recensire, a chi ha inserito
al
storia fra i preferiti, a chi fra le seguite.
Ma un grazie particolare va a :
Fairwriter: Juls, mia adorata! Sul
serio ti è piaciuta quella scena? Non mi convinceva del
tutto, però ho detto:
“Ma si, dai, proviamo”. Sono contenta che ti sia
piaciuta (inutile dire che amo
il tuo modo di scrivere)! Tu sei fantastica, Juls, davvero, non
scherzo. Spero
di non averti delusa con questo capitolo. E sappi che ogni volta spero
sempre
in una tua recensione! A presto, ti voglio bene, Cip. Tua Ciop.
<3
Nessie93: ciao! Allora, di Derek si
parlerà nei prossimi due capitoli, lui è la
chiave di tutto… e capirai il
perché di molte cose… almeno si spera. Sono
felicissima della tua recensione!
Grazie davvero, cara! E spero che questo capitolo ti sia piaciuto. A
presto! =*
fede_sganch: Fè, ciao!
Come ho già
detto, di Derek si parlerà nei prossimi capitoli e molte
cose verranno a galla
XD Si spiegheranno tante tante cose. Kellan è sconosciuto,
almeno per Laira. E,
sì, quella ragazza ha una gran fortuna, ma senza quella
fortuna non ci sarebbe
storia, no? Spero ti sia piaciuto questo capitolo! A presto, bella! =*
Sognatrice85: ciao! Derek
è il
personaggio ignoto che verrà presentato nei prossimi
capitoli… ma ora non
anticipo nulla ^.^ Robert avrà ruolo fondamentale nella
storia… come se non si
fosse capito. Sono contenta che tu abbia recensito, sul serio *.*
Grazie
infinite! A presto,
cara! =*
AlessandraMalfoy: ciao! *.* Kellan
diventerà un personaggio molto attivo nei prossimi capitoli
(per tua grande
gioia XD). Ecco a te il capitolo! Spero ti sia piaciuto questo
capitolo! A
presto!
ilachan89yamapi:
ciao! Ti piace davvero? *saltella impazzita per la stanza*
Grazie mille delle recensione *.* Scusa se ti ho fatto attendere molto
(stupida
scuola). A presto!
A voi è tutto, con
affetto,
Panda.
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
CAPITOLO
8
Quando il
battito del cuore supera le ombre del passato
l'amore potrà trionfare sul destino.
Nicholas
Sparks, scrittore statunitense, Omaha,
1965.
Sentii delle
risate oltre la porta, e delle voci
esclamare qualcosa, ma non riuscii a capire cosa stessero dicendo.
Presi a giocare con un’agenda sul bancone, e avvertii lo
sguardo di Andrew su
di me.
Sospirai, prima di rivolgergli un’occhiata, fare spallucce e
sorridere.
La porta si aprì e entrambi ci voltammo verso le figura che
comparvero sulla
soglia, sorridenti, con grandi occhiali da sole. I tipici visi
mozzafiato che
si vedono quando si sfogliano riviste, quei visi che infliggono sempre
un duro
colpo alla proprio precaria autostima.
La ragazza, che cercò Robert la sera in cui lo conobbi,
Nikki, mi guardò
confusa, l’altra ragazza alta quanto lei che non avevo mai
visto, sorridente si
guardava intorno, il ragazzo dai capelli scuri afferrò il
cellulare dalla tasca
portandoselo all’orecchio. Poi spostai il mio sguardo su
Robert, i suoi occhi
si scontrarono con i miei e, involontariamente, sussultai. Accanto a
me,
Andrew, se ne rese conto.
-Benvenuti. – , disse Andrew mostrando il suo solito sorriso
contagioso.
-Ciao. – , risposero loro, avvicinandosi.
-Andrew Bilson, Laira Jones. Qui per servirvi. – , disse il
mio migliore amico
raggiante. Sorrisi, guardando l’agenda sul bancone.
-Ciao. – , dissi alzando la mano e guardando tutti e tre
distrattamente, prima
di guardare fuori dalla finestra.
-Allora… volete le stanze? Come preferite distribuirvi? Sono
dieci camere, come
probabilmente già sapete grazie alla mia Laira. –
, disse Andrew poggiandomi
una mano sulla spalla. Alzai lo sguardo e notai gli occhi di Robert
puntati su
quel semplice gesto.
-Si, gli ho informati. – , disse poi mostrando un sorriso.
-Io comunque sono Ashley. – , trillò una voce
acuta, ma estremamente dolce.
-Si, lo so. – , ammise Andrew.
-Oh, giusto, la sapete. – , mormorò lei
imbarazzata.
-Bhe, io no. – , ammisi portandomi una ciocca di capelli neri
che mi era finita
avanti al viso.
Il viso di Asley si illuminò di una strana luce
all’istante, -Lei è Nikki e
quello accanto alla finestra è Jackson. -
-Ciao. – , disse Nikki, incrociando le braccia la petto.
-Allora… volete una stanza ciascuno? O alcuni di voi
preferiscono stare in
coppia. -
-Oh no, no. Stanza singole. – si affrettò a
rispondere Robert.
-Per me una doppia, dividerò la stanza con una ragazza che
arriverà nella
prossima mezz’ora… credo. -
-Okay. Ecco queste sono le chiavi. – , disse Andrew
porgendogliele, -Spero
siano di vostro gradimento, signori. – , continuò
con suo meraviglioso sorriso.
-D’accordo. Allora, noi saliamo. A più tardi.
– , mormorò Robert, spostando lo
sguardo su di me. Annuii col capo, prima di sorridere flebilmente.
Nikki fece
segno al ragazzo accanto alla finestra, di seguirla, lui annuii col
capo, ma
prima di salire le scale ci fece un cenno con la mano.
Le loro figure, sparirono dietro l’angolo.
-Io quella non la sopporto. Ma l’hai vista? Con quel nasi
all’insù, l’aria di
superiorità. – , sbottai quando furono fuori dalla
nostra vista, del tutto.
-Credo qualcuno sia gelosa. – , mi voltai di scatto verso
Andrew, rossa in viso
per l’irritazione.
-Cosa? Gelosa? Io? Scherzi?-
-Bhe, invade il tuo territorio. – , disse dirigendosi verso
la sala da pranzo.
-Il mio territorio? Ma cosa dici?- , chiesi con leggera isteria nella
voce. –Ma
cosa cerchi?- , continuai seguendolo nella stanza.
-Piuttosto, chi cerco. Sally?-
chiamò, -Bhe, ho visto che è molto legata a
Pattinson… occhiate fugaci…-
, continuò poi rivolto a me.
-Andrew! Basta, non tollero più discorsi del genere!- ,
sbottai inchiodandomi
con i piedi al pavimento.
-Okay, okay. Ah, ciao Sally!- disse poi parlando alla capo chef, dai
corti
capelli rossi.
Quella… non era giornata.
Scarabocchiavo distrattamente un foglio bianco, quelli per lettere,
quando la
porta si aprì.
Un ragazzo dai ribelli capelli neri si diresse verso il bancone, dopo
essersi
guardato intorno. A seguito vi erano un ragazzo dai capelli biondi ed
una
ragazza dai capelli castani.
Sorrisi, -Scommetto che voi siete attori. -
Il ragazzo dai corti capelli neri rispose al mio sorriso ed
annuì, -Da cosa lo
hai capito?-
-Sesto senso. - , risposi strofinandomi le unghie sulla spalla prima di
guardarmi le unghie, con aria di indifferenza. Il ragazzo
corrugò la fronte e
inclinò il capo di lato.
-Bhe, forse ha contribuito il fatto che siete gli unici a pernottare
qui nel
weekend. - , ammisi sorridendo.
Il ragazzo biondo fece un risolino, seguito dalla ragazza alle sue
spalle.
-Io mi chiamo Laira Jones, a vostra completa disposizione. -
-Io sono Taylor, loro Cameron e Anne. - , rispose il ragazzo dai color
della
pece, mentre gli altri due alzavano la mano in segno di saluto quando
fece i
loro nomi.
-Gli altri sono già arrivati?- , chiese Cameron.
Annuii col capo, -Sono già nelle loro camere. Preferite
singole o doppie? -
-Noi una doppia. - , disse Taylor indicando Cameron.
Corrugai la fronte, confusa e perplessa. Sentii Anne soffocare una
risata.
-Oh no, non è come pensi!- , si affrettò a dire
Cameron.
Feci un risolino, -Per te una singola?- , chiesi rivolta alla ragazza.
-Oh no, io divido la stanza con la signorina Green. - . Annuii col capo.
Porsi la chiave della stanza a due ragazzi.
-La stanza è la numero 132. – , dissi poi rivolta
alla ragazza. Annuii e
insieme salirono la grande scalinata in legno.
Chinai un attimo il capo sulle scartoffie poggiate sul bancone e sentii
un
forte vociare, seguito da dei sonori ‘Ahi!’ e
‘Smettila!’. Scossi il capo,
facendo un risolino. Alzai lo sguardo quando avvertii qualcuno scendere
velocemente le scale, quasi saltellando.
-Ciao, Laira. – , la figura statuaria di Kellan fece la sua
comparsa. Sul viso
vi era stampato un allegro e smagliante sorriso, mostrando
così una bellissima
schiera di denti perfetti e bianchissimi. Fu inevitabile per me
chiedermi
quanto visite dal dentista gli fossero toccate per ottenere quel
risultato.
-Ciao. - , dissi poggiando le man sul bancone.
Si passò una mano imbarazzato dietro la nuca ed io inclinai
la testa
leggermente di lato. Corrugai la forte non capendo cosa ci fosse dietro
tale
comportamento.
-Ti sembrerà sfacciato da parte mia, ma dietro alla mia
richiesta vi è una
giusta causa. - , dissi alzando un sopracciglio e grattandosi la testa.
La confusione sul mio viso aumentò e istintivamente mi
portai una ciocca di
capelli dietro un orecchio. Sospirò, rilassando le spalle.
-Ti andrebbe di fare un giro?- , chiese tutto d’un fiato.
All’istante mi immobilizzai.
Cosa?, pensai. Sgranai gli occhi,
congelandomi.
-Come?- , chiesi in un sussurro.
-Vedi… ho perso una scommessa e devo pagarne le conseguenze.
- , fece
spallucce.
-Pagarne le conseguenze. - , riflettei.
Sgranò gli occhi, prima di agitare le mani in aria, -No no,
non intendevo
quello!- , si affrettò a spiegare, -Ovviamente la cosa non
mi dispiace. - ,
continuò sorridendo malizioso.
Scossi il capo, facendo un risolino.
-Allora? Dai, Laira. - , mi prego fondendo l’azzurro dei suoi
occhi col nero
dei miei. Solo allora mi resi conto di quanto il suo viso
fosse… perfetto.
-Se dico di si mi lascerai in pace?- , ridacchiai.
-Si!- , esclamò facendo un giro su se stesso dopo aver
battuto il pugno sul
tavolo. Roteai gli occhi, sospirando.
-Okay, perdonami. Allora… perfetto. - , cominciò
ad arretrare verso la grande
scalinata, -Ehm… ci… ci vediamo dopo. - , col
piede sbatté al primo gradino
perdendo appena l’equilibrio.
Soffocai una risata.
-Si, ciao. - , concluse poi scuotendo il capo e salendo a due a due gli
scalini. Quando la sua figura sparì, mi lasciai andare alle
risate.
-Perché ridi?- . Mi voltai verso Andrew, appena uscito
dall’ampia sala da
pranzo.
-E chi ride. - , risposi sedendomi sulla sedia girevole.
-Di certo non tu. -
Mi passai una mano fra i capelli, cercando di darmi un contegno.
-Kellan mi ha invitata ad uscire. - . Feci spallucce.
Lui sgranò gli occhi, incredulo, -Cosa? E Pattinson? Da
quando ti piace?-
Alzi le mani per fermalo, - Non è come credi tu. Ha perso
una scommessa e
doveva invitarmi ad uscire. -
Alzò un sopracciglio, - Si, certo. -
-E’ vero! – , mi difesi. Andrew si portò
una mano sul fianco snello.
-Ah. - , mormorò incredulo.
-Qualcuno sarà geloso. - , disse fra sé.
-Chi? - , chiesi.
Alzò un sopracciglio, arricciando le labbra, - I conigli.
Chi sennò?- , disse
poi allontanandosi.
Corrugai la fronte, potandomi l’indice sulle labbra.
- Ehi! Ma cosa c’entrano i conigli ora?! - , gridai quando
oltrepassò la
cucina, troppo tardi perché mi sentisse.
I conigli?, ripetei a me stessa,
confusa. O solo, troppo cieca.
Seduta
sul primo gradino della veranda mi portai una sigaretta alle labbra,
per poi
cercare l’accendino nei meandri delle tasche dei miei jeans.
Imprecai quando non riuscii a trovarlo.
-E’ forse tradizione?- , chiese una voce familiare, nascosta
nel buio.
Sobbalzai e mi voltai verso gli alberi.
-Tieni. - , disse lanciandomi l’accendino. Lo presi al volo.
Piano la sua
figura longilinea si fece più visibile. –Non
volevo spaventarti. - , chiese con
voce dolce e delicata, calda e roca.
Sorrisi flebilmente, aspirando del fumo dalla sigaretta.
Fu strana la sensazione che provai quando i suoi occhi incontrarono i
miei. Un
susseguirsi di sentimenti ed emozioni, simile ad una
tempesta… un tifone, un
uragano. Mi travolse la sua intensità, lasciandomi per
attimi infiniti scossa,
col fiato corto ed il battito cardiaco accelerato.
Con passo lento e pesante si avvicinò, fondendo i suoi occhi
con i miei,
legandoli ai suoi con un filo invisibile, difficile da spezzare.
Si sedette accanto a me, mentre piano cercavo di regolarizzare il
frenetico
battito del mio cuore. Il fumo, che fino espirò, si
alzò sopra la sua testa in
spirali.
-Stai… bene?- , chiese corrugando la fronte, una volta
accortosi della strana
espressione dipinta sul mio viso. Un’espressione del tutto
indecifrabile.
-Si, si. - , risposi annuendo col capo, portandomi poi la sigaretta
alle labbra
e guardando dinanzi a me.
Il silenzio calò, inesorabile, fra di noi, e non potei fare
nulla per evitarlo.
Gli unici suono che potevo udire erano quello delle foglie, spostate
dal vento
che dolce le accarezzava, la sigaretta che bruciava fra le mie labbra,
il mio
cuore che batteva veloce come battiti d’ali di
farfalla… il suo respiro calmo e
costante… così diverso dal mio.
-Ho saputo che uscirai con Kellan. - , mormorò.
-Si… mi ha parlato della scommessa. - , aggiunsi voltandomi
verso lui. I suoi
occhi ardenti mi imprigionarono… ancora.
-Non farlo. -, soffiò.
Fui travolta dalle sue parole. Semplici combinazioni di lettere che
ebbero la
potenza di una valanga. Mio malgrado, sentii il viso avvampare di
rossore e lo
stomaco contorcersi in una morsa. Sapevo che era sbagliato, sapevo che
quella
reazione era l’inizio di tutto e la fine di tutto, ma non
potei fermarla.
Varie immagini si susseguirono nella mia mente. Ancora un dolce viso,
incorniciato dai capelli ramati, si fece chiaro nella mia mente.
L’inizio di tutto e la fine di
tutto. Ed
io lo sapevo bene.
Sentii l’aria mancarmi, le mani tramarmi, mentre cercavo di
cacciare quei
pensieri dalla mente. L’idea di una vita che mie era stata
tolta, di cui ero
stata privata.
Cominciai a respirare con fatica, mentre la paura si impossessava di
me. La
consapevolezza di essere sull’orlo di un precipizio, di
cadere, di provare
quelle stesse emozioni che mi avevano portata ed essere la Laira di
allora.
La sigaretta, piano, mi scivolò, finendo sulla ghiaia.
-Laira?- , sul viso di Robert comparve un’espressione di
paura. Si porse verso
me, poggiandomi una mano su un braccio e accarezzandomi il viso con
l’altra.
Quel tocco, così delicato e leggero, mi ricordo cosa avevo
perso, cosa avrei
potuto avere, ciò che il futuro mi stava porgendo.
Sentii la mia pelle prendere fuoco a contatto con la sua, bruciare
sotto la sua
mano.
-Io… - , mormorai fissando i suoi occhi. Poi piano i
contorni delle figure
intorno a me divennero indefiniti, la testa mi doleva, l’aria
mi bruciava il
petto, i colori si schiarirono, fino a che tutto divenne…
nero.
*
Ed
eccomi ancora qui per voi gente! Tornata dalle
“vacanze” fanesi, qui per postare un altro capitolo
di questa storia (che non
so nemmeno a quale parte del cervello mi sia uscita!).
Ciarle a parte, la storia si svolge e ne prossimo capitolo saranno
rivelate
delle cose… magari il quadro sentimentale di Laira vi
sarà anche più chiaro.
Non ho molto tempo e ci tengo a ringraziare gli angeli che hanno
recensito il
capitolo precedente:
fede_sganch: Fè, ciao!
*.* ma che
piacere leggere una tua recensione! Cosa succederà tra
quelle mura?.. bhe, credo
saranno tre giorni particolarmente intensi… almeno lo spero!
^.^” Derek
sarà un personaggio che nei capitoli
futuri verrà ripreso, tranquilla! Spero che questo capitolo
ti sia piaciuto! Lo
spero davvero! A presto, cara! Bacioni!
Sognatrice85: ciao! Esattamente,
l’amore torna
sempre… che lo si
voglia o no, e soprattutto in questo caso. Spero la
curiosità non sia cessata.
A presto, cara! *.*
Nessie93: ciao! *.*
Derek… non
parlo, parleranno i prossimi capitoli. Mi sa che ci hai
preso… lì ci sarà tutto
il cast… ci sarà Kellan, ci sarà
Nilkki… ci sarà Andrew. E forse Laira
capirà
qualcosa circa la sua situazione. Okay, mi stoppo o parlo troppo e
rivelo
troppo. Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente e spero
che ti sia
piaciuto anche questo! A presto, cara!
Fairwriter: mia dolce Juls, ciao!
Le
mie idee, cara, non sono grandiose come le tue! La canzone
l’ho messa per caso.
L’ascoltava una mia amica e me la feci inviare
perché ancora non ce l’avevo ( e
l’adoravo), perciò leggendo poi il
testo… lampadina! Ed eccolo inserito nella
fiction! Non sia quanto sia contenta di sapere che l’idea
(del hotel) ti
piaccia! Il tuo parre per me conta davvero, credimi! A presto, Cip, ti
voglio
bene! Ciop. <3
Miki_888: ciao! Bhe, sono contenta
che la mia fiction sia una delle poche che leggi con nuovi personaggi
^.^ ,
davvero. Gli errori di battitura capitano, purtroppo, e sfuggono delle
volte
nella rilettura. Il weekend nell’albergo non era nemmeno
programmato all’inizio,
ma non ricorda per quale motivo, mi è venuto questa idea.
Grazie mille per al
recensione, mi ha fatto davvero piacere.(Domanda: e tu quando posti? :D)
KeLsey: ciao, Eri! Sul Robert
“amico”,
non mi esprimo, no no. Non per il momento. Tranquilla, non importa se
le segui
o no tutte XE no, non scrivo da Dio, accetto solo il complimento se lo
accetti
anche tu (scrivi da Dio!) A presto, dolcezza! Ti voglio bene (L)
A
voi,
con
immenso affetto,
Panda.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 9 ***
CAPITOLO 9
Non nascondere
il segreto del tuo
cuore,
amico mio!
Dillo a me, solo a
me,
in confidenza.
Tu che sorridi
così gentilmente,
dimmelo piano,
il mio cuore lo
ascolterà,
non le mie
orecchie.
La notte
è profonda,
la casa silenziosa,
i nidi degli
uccelli
tacciono nel sonno.
Rivelami tra le
lacrime esitanti,
tra sorrisi
tremanti,
tra dolore e dolce
vergogna,
il segreto del tuo
cuore.
Rabindranath
Tagore, scrittore e poeta indiano, 1861-1942.
Vinta dal
dolore, dal lancinante pulsare della mia
testa, udivo distrattamente le voci che ciarlavano nella stanza.
Era come se il cervello fosse scollegato dal resto del corpo. Qualsiasi
impulso
esso inviasse agli arti, questi non si muovevano. Non riuscii nemmeno a
riaprire gli occhi, nonostante fossi cosciente. Ero stanca, spossata.
Non
ricordavo cosa fosse accaduto. Cercai di rimettere insieme i pezzi, con
grande
insuccesso.
Gemetti, quando sentii qualcuno accarezzarmi i capelli.
-Laira?- , una voce chiara come il canto di usignoli. La voce di chi ti
ama e
non ti abbandona, la voce di chi vuole solo il tuo bene. La voce del
tuo
migliore amico.
Sorrisi flebilmente, aprendo finalmente le palpebre. Le sbattei un paio
di
volte mettendo a fuoco il viso di Andrew.
-Che mi sono persa?- , chiesi alzandomi sui gomiti. La stanza prese a
girare,
ma solo per alcuni istanti. Sbattei ancora le palpebre.
Andrew scosse il capo, facendo poi un risolino, -Sei svenuta, piccola.
- ,
disse con voce dolce, accarezzandomi il viso. Fu allora che con la coda
dell’occhio lo vidi. Un suo movimento, il suo spostare il
peso su una gamba,
incrociando le braccia la petto, aveva attirato la mia attenzione.
Contrasse la
mascella, mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione
dura, che non si
addiceva a quegli occhi chiari e cristallini come il mare sotto il
sole. Così
voltai il capo focalizzando le altre figure presenti nella stanza.
Robert era accanto alla poltrona dell’angolo, quasi a stare
in disparte. Kellan
era vicino la porta semichiusa, poggiato allo stipite. Taylor accanto a
quest’ultimo parlava con qualcuno fuori la stanza.
-Come stai?- , chiese Kellan facendo un passo in avanti.
Mi misi a sedere, passandomi una mano fra i capelli, cercando di
ricordare.
-Sono solo svenuta ragazzi. - , dissi in un risolino, -Non è
nulla di grave. -
-A Robert è venuto un colpo. - , il ragazzo dagli occhi del
color del mare
fulminò con lo sguardo Kellan. Poi, ricordai.
Robert… Derek. Due nomi,
due persone
così diverse far loro, eppure così simili.
Accomunate da un passione, accomunate da un lavoro.
Un brivido mi attraversò la schiena quando mi resi conto
quanto Robert in quel
momento mi ricordasse Derek.
E fu inevitabile ricordare il giorno in cui uscì per sempre
dalla mia vita.
Le valige
accanto alla porta.
La giacca a vento sulla sedia all’ingresso.
Il suo viso indurito dall’idea dell’addio.
Un’idea che da settimane si aggirava
insistentemente senza sosta. Un’idea alla quale diede vice
solo quella mattina.
Fuori la finestra la pioggia si scagliava con violenza sui vetri, sulle
auto.
E dentro morivo. Un lento dolore che dal centro del petto si diffondeva
ad ogni
parte del mio corpo. Impadronendosi di ogni fibra del mio essere.
Trascinandomi, risucchiandomi poi in uno squarcio che mi tagliava il
petto,
causato dall’immagine di lui che piano scendeva le valigie
dalle scale.
Le sentivo, le lacrime, rigarmi calde il viso, bagnandolo lungo la loro
scia.
Calde e taglienti incidevano crudelmente la mia pelle.
Senza preavviso. Tutto era perfetto. O meglio, mi aveva fatto credere
che tutto
fosse perfetto.
-Sai fare davvero bene il tuo lavoro. - , mormorai con voce tremante.
-Laira… non posso restare. Lo sai. - , disse.
-No, non lo so. -
-Non è la mia vita questa. Non mi appartiene.
Non… posso restare. - . Guardavo
i suoi occhi, quegli occhi che tanto avevo amato e che ancora amavo.
Quegli
occhi che avevano guardato dentro il mio cuore. Occhi che in quel
momento mi
stavano lacerando l’anima.
-Io ti amo. - , continuò facendo un passo in avanti.
–Ma non ce la faccio.
Apparteniamo a mondi troppo differenti fra loro. - , disse
accarezzandomi una
guancia. Quel contatto fece aumentare le lacrime sul mio viso,
facendole
scivolare velocemente, amare e dolorose, sul mio viso.
-Non dirlo, ti prego. - . L’aria che inalavo dal naso era
come se mi bruciasse
i polmoni, come sale su ferite sanguinanti. Mi schiacciava il petto. Un
pesante
macigno che mi impediva di respirare.
Mi persi nei suoi occhi scuri, così dannatamente belli.
Quante volte le sua mani, delicate e gentili, avevano sfiorato il mio
viso?
Ogni centimetro del mio corpo, facendolo suo?
-Ma è la verità, Laira. Mia dolce, Laira. - .
Inerme, gli permisi di stringermi
fra le sue braccia… un’ultima volta.
Gli permisi di infliggermi un’altra pugnalata, di aumentare
lo squarcio che mi
logorava il petto che mi trascinava verso il buio, verso al fine di
tutto.
Un presente privatami, una vita che desideravo, che sognavo. Un
presente ed un
futuro accanto a lui. L’idea di una vita costruita con lui,
colui che si era
impadronito come non mai del mio cuore.
-Non lasciarmi. - , mormorai con voce spezzata dal pianto, che mi fece
singhiozzare e gemere.
-Addio. - . Le sue labbra baciarono ancora le mie. Un’ultima
e cruenta volta.
Un tocco che non sarebbe più stato mio, di cui non avrei mai
più potuto godere.
Dolore.
Poi oltre la pioggia sparì.
Le gambe mi cedettero, e finii a carponi sul freddo pavimento. Non mi
importava
del dolore alle ginocchia, dovevo sopportare un dolore più
grande, più grosso,
più forte, più potente… più
lacerante.
L’abbandono.
Abbandonata.
Privata di ogni sicurezza.
Privata di un presente.
-Derek!-, urlai il più forte possibile, violenta
come un colpo frusta…
disperata. Urlai fino a che la gola non mi fece male.
La vista piano si annebbiò, quando mi lasciai andare al
dolore, alla delusione,
alla solitudine.
Tutto divenne confuso fino a scomparire.
Quella notte
piansi tutte le mie lacrime. Quella notte
gridai tutto il mio dolore.
Ripensai con sofferenza a quelle ore, a quei giorni, a quelle
settimane. Un
smorfia si dipinse sul mio viso e Robert scattò.
-Laira!- , sussurrò col terrore negli occhi. Alzai il capo
verso di lui, col
respiro corto.
Tutti si voltarono verso lui, spaesati.
Rimanemmo per interminabili secondi a guardarci negli occhi, mentre i
nostri
petti velocemente si muovevano.
Avvertii lo sguardo si Andrew su di me, come se mi bruciasse la pelle.
Non me
ne curai.
-Forse è meglio uscire, Kellan. - , disse poi rivolto al
ragazzo, dopo un lungo
sospiro.
Per interminabili minuti i nostri sguardi rimasero legati tra loro. Il
mio
torace piano si muoveva ad ogni mio respiro. Respiri pesanti e faticosi.
-Come stai?- , chiese avanzando lentamente.
-Sto bene. Ho solo perso conoscenza. Nulla di che. - , dissi mettendomi
seduta.
-Ci sono delle volte in cui i tuoi occhi sono impenetrabili. Per quanto
ci si
sforzi di leggervi dentro è inutile, perché essi
sono inaccessibili. Altre
volte i tuoi occhi sono cristallini, limpidi come acqua al sole. Vi
puoi
guardare dentro e scorgere quel mondo che con attenzione cerchi di
nascondere.
- , mormorò con voce calda e bassa, corrugando appena la
fronte.
-Ed ora come sono?- , soffiai sconvolta dalle sue parole.
-Limpidi. - , mormorò prima di mordersi il labbro inferiore,
in un gesto
casuale. Ebbi un fremito, lui se ne rese conto.
-Stai bene?- , fece per avvicinarsi in apprensione. Alzai le mani per
fermalo.
-Tutto bene. - , risposi, sforzandomi di sorridere. Annuì
flebilmente col capo,
passandosi una mano fra i capelli, distrattamente.
-E cosa vedi?- , chiesi con voce pari ad un sussurro perso nella
tormenta. Lui
alzò lo sguardo, mostrandomi i suoi occhi chiari.
-Vedo che non stai bene. -
Feci un risolino, scuotendo il capo, -Ti ho detto che non è
nulla. -
-Non intendevo fisicamente. -
-Non puoi saperlo. -
-Non posso saperlo con sicurezza. Ma lo sento… lo vedo. -
-Tu non mi conosci. - , mormorai sentendomi alle strette. Incatenata
dai suoi
occhi color del mare, un mare in tempesta.
-Vorrei poterlo fare. - . Il mio cuore perse un battito, colpito
dall’intensità
di un solo sguardo. Ogni volta la stessa reazioni, ogni volta le stesse
emozioni.
Aprii la bocca per parlare, ma le parole mi morirono in gola, forse
perché, in
realtà, non avevo nulla da dire. Rimasi, lì,
inerme a fissare il suo viso
rilassato, sulla quale era dipinta un’espressione
indecifrabile.
-Il letto direi che è abbastanza grande e sedie e
poltrone qui non mancano.
Potresti anche sederti, sai?- , dissi battendo la mano sul materasso
per farlo
sedere.
-Forse è meglio la poltrona. - , rispose pensieroso.
-Così sembra che io stia male. E non sto male. - , lo
rimproverai con sguardo
severo. Fece un risolino, per poi avvicinarsi al letto e sedersi.
-Di chi è questa stanza?- , chiesi guardandomi intorno.
-Mia. - . Corrugai la fronte, confusa.
-Quando sei svenuta ti ho portata dentro e ho chiamato Andrew, o
meglio, ho
gridato il suo nome e… la mia stanza è la prima
porta del corridoio, quindi… -
-Quindi sono qui. - , continuai portandomi una ciocca di capelli dietro
un
orecchio.
-Esatto. -
-Che ora è?- , chiesi guardandomi intorno. Robert
alzò il braccio guardando il
piccolo orologio da polso.
-Le dieci. -
-E’ successo tutto nel giro di mezz’ora?- , chiesi
stupida. Annuì col capo.
-Vedi? Non sto male. - , dissi raggiante e scattai in piedi, ma il
movimento
avvenne troppo velocemente causandomi, inevitabilmente, vertigini.
Cercando un appiglio da usare per reggermi in piedi e non cascare con
le
natiche sul pavimento, portai le mani indietro, sperando di sfruttare
il
comodino, ma sentii qualcosa afferrarmi per i fianchi. Le sue mani,
calde e
delicate, mi cinsero attirandomi a sé. Sentii il mio torace
scontrarsi contro
il suo, togliendomi quasi il respiro. Il mio ventre aderiva
perfettamente al
suo e le sue mani sfioravano la mia schiena. Sentii le gambe farsi
molli e lo
stomaco annodarsi, quasi crudelmente. Il suo respiro, di sigaretta, mi
colpì in
pieno viso. Osservai per un momento infinto le sue labbra appena
dischiuse, i
suoi occhi dalle sfumature verdi e azzurre, ardenti come brace.
Ebbi un fremito, quando la sue dita mi sfiorarono la pelle del viso,
scostandomi una ciocca di capelli che mi era finita sugli occhi.
Automaticamente ed involontariamente, premetti il palmo della mia mano
sulla
sua guancia. Chiuse gli occhi, per un attimo e quando gli
riaprì ardevano di
desiderio.
-Avevo detto che stavi male. - , soffiò, delicato, a poche
spanne dal mio viso.
-Forse hai ragione. Forse dovrei stendermi. - , riposi mentre la stanza
girava.
–Mi gira la testa. - , continuai. Inconsciamente sapevo che a
darmi alla testa
era la sua vicinanza. Improvvisamente sentii le palpebre
pesarmi… e sbadigliai.
Annuì col capo, e mi aiutò a stendermi.
-Riposa, Laira. - , disse baciandomi pianola mia fronte corrugata.
Sorrise flebilmente, passando la mano sulla ruga che mi si era formata
fra le
lunghe sopracciglia, -Buona notte. - , poi sparì oltre la
porta, come il vento
fa con un aquilone.
*
Eccomi qui,
gente, con un altro capitolo di questa stramba
fiction che, ovviamente, spero
sia di vostro gradimento.
Scrivere in questi giorni è quasi impossibile, stare al
computer con 35 °C non
è il massimo. Poi oltre a sudare per la stesura, sudo anche
per il caldo.
Mi dispiace per il leggere ritardo ma ho avuto dei problemi nello
scrivere il
capitolo.
Ora, senza perdermi in altre stupide chiacchiere, passo a ringraziare
gli
angeli che hanno recensito lo scorso capitolo:
Nessie93:
ciao! Che piacere leggere una tua recensione! Se Laira ha bisogno di
uno
psicologo allora serve anche a me… lei è una mia
creazione. La scommessa di
Kellan… mmm… non saprei…
cioè, non te lo dico, ecco qui! Qui, ho spiegato chi
è
Derek e spero sia chiaro… cioè che è
stato per Laira. Robert geloso? Ma
nooooooo XD A presto bella! Mille bacioni e mille grazie!
Sognatrice85: ciao *.* Sono contenta ti sia
piaciuto il capitolo
precedente e spero di non averti delusa con questo, lo spero davvero
tanto! Che
dire… Kellan e le sua scommesse… non sono finite.
Probabilmente diventerà una
costante quel ragazzo, ma ancora non è certo nulla. Grazie
davvero per la
recensione, mi fa davvero piacere sapere cosa ne pensi. A presto, cara!
Fairwriter:ciao, dolce Juls! O.o
scrivo come, scusa? Juls… fa male fumare semi di girasole,
lo sai vero? XD
(scherzo, sia chiaro). Anche io mi sono sciolta quando ho pensato
all’arrivo di
Taylor *.* io e te mi sa che siamo sulla stessa lunghezza
d’onda. Grazie, Juls,
grazie per l’appoggio, per le chiacchierate e le risate!
Spero di non averti
delusa con questo capitolo! A presto tesoro! Divertiti a Londra! Ti
voglio
bene, Cip. Tua Ciop.
fede_sganch: ciao, Fè!
Ancora
curiosa di Derek? XD In questo capitolo ho cercato di spiegare il tutto
e spero
di esserci riuscita… comunque non è finiti del
tutto.. e con questo mi stoppo
altrimenti parlo troppo! XD Grazie per le recensione *.* A presto, bella! Sono io
che ti adoro!
A voi è tutto,
con immenso affetto,
la vostra Panda.
|
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Capitolo 11 *** Capitolo10 ***
CAPITOLO 10
L'amore è un
bellissimo fiore,
ma bisogna avere
il coraggio di coglierlo sull'orlo di un precipizio.
Stendhal,
scrittore francese, 1783-1874.
La mattina seguente
ripresi piano coscienza, dopo una dormita che sembrava
essere durata anni. Non aprii subito gli occhi, rimasi rannicchiata nel
tepore
delle coperte, con le ginocchia strette al petto. Cercai di rievocare i
ricordi
delle sera precedente, ma… nulla. Sembrava di andare a
sbattere contro un muro,
nel buio pesto delle notte.
Sentii il raggi del
sole riscaldare la trapunta bianca. Non avevo idea di che
ora fosse, avrei voluto controllare sull’orologio che avevo
sul comodino, ma
non mi andava. Dopo alcuni secondi sentii il mio stomaco brontolare e
convenni
che la cosa migliore da fare era, probabilmente, filare dritta in
cucina. Così,
distendendo le gambe e stiracchiando la braccia, uscii la testa dalle
coperte.
Aprii piano le
palpebre, sbattendole più volte per abituarmi alla luce del
giorno, ai raggi del sole che filtravano attraverso la tenda leggera,
bianca
come neve. Sporsi la mano sul comodino, ma non trovai ciò
che desideravo.
-Laira!-, sentii
esclamare. Sobbalzai al suono di quella voce, e dato che ero protesa
verso il comodino, persi
l’equilibrio cadendo sulla moquette chiara.
Che stessi sognando?
Forse avrei dovuto ridurre le dosi di caffè…
-Ahi!-, esclamai
massaggiandomi un gomito.
-Laira? Tutto okay?
Dio, non volevo spaventarti!-, sentii le sue mani toccarsi
il braccio.
Lasciai che mi
aiutasse ad alzarmi, dolorante, e mi fece sedere sul letto.
Poi mi
accorsi di cosa non
andava.
Era nudo, avvolto solo in vita da un asciugamano bianco, con i capelli
bagnati
e gocciolanti.
Sgranai gli occhi, quasi totalmente nel panico.
-Perché sei in camera mia? Perché sei…
nudo?!-, esclamai con voce strozzata e
acuta.
Lui sbatté le palpebre un
paio di volte e poi sgranò gli occhi.
-Oh no, no… no, no, no! Non è come credi!-, si
affrettò a dire agitando la mani
in avanti, arretrando piano.
Corrugai la fronte e poi tutto si fece chiaro. Il muro contro il quale
avevo
sbattuto prima di scoprimi il viso dalle leggere coperte, si sgretolo
come
castelli di sabbia aggrediti dalla violenta tramontana.
Il buio… il viso di Andrew… il viso di Derek nei
miei più nascosti ricordi… le
sua labbra che sfioravano la mia fronte… il mio perdere
stupidamente i sensi…
-Oh. Oh. Ora ricordo. -, dissi
annuendo piano, con lo sguardo pensieroso, fisso su un punto indefinito
della
moquette.
Il suo corpo, irrigiditosi dalle mie stupide conclusioni, si
rilassò. Distese
le labbra in un sorriso e i suoi occhi ne furono contagiati. Le sue
spalle presero
a muoversi ancora con scioltezza, conseguenza del suo respiro
tranquillizzato.
Gli sorrisi, imbarazzata dai miei stessi pensieri.
-Ieri sera… ecco… io… -,
esordì grattandosi la nuca.
-Tu?-, lo incitai a continuare.
-Ecco… mi sono steso un attimo sul letto, ma giuro che non
c’erano doppi fini.
- .Risi sommessamente. –Avevo anche intenzione di dormire
sulla poltrona, poi…-
-Sulla poltrona? Ma… cosa? È il tuo letto!-,
dissi prima che concludesse la
frase, -Sei strano, Pattinson. -
Chinò il capo appena, sorridendo imbarazzato.
-Ma estremamente cortese. -, aggiunsi con tono pacato e…
dolce. Puntò i suoi
occhi color del mare in tempesta nei miei. Ebbi un leggero
sussultò. Non se ne
accorse… per mia grande fortuna.
-Quando mi sono svegliato stamattina (dopo essere crollato) credevo
stessi
dormendo… cioè, sembrava fossi nel pieno del
sonno e, dato che era presto e
tutt’ora lo è… -
-Che ora è?-
-Le sette. -
-Ah. Presto, davvero. Scusa, continua. -
-Nulla… ho approfittato per una doccia. -,
spiegò. Fu allora che distolsi il
suo mio sguardo dal suo viso, guardando distrattamente i sui petto
nudo…
l’asciugamano… ebbi un fremito e sentii le guance
intingersi malignamente di
rosso.
-Forse è meglio se mi rivesta. -, continuò e
nella sua voce vi era una nota di
imbarazzo misto ad… ansia?
Annuii piano col capo, -Forse è meglio se vada. -, aggiunsi.
Mi chinai per
recuperare le scarpe di tela al lato del letto, con il viso in fiamme.
Qualcuno, però, busso alla porta.
-E’ aperto. -, disse Robert. La porta velocemente si
aprì.
-Non credevo di trovarti sveglio, dol… cezza. -, Nikki si
materializzo sulla
soglia della porta. Rimase interdetta e incredula, accanto alla
poltrona.
Sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Poi il suo
sguardo si indurì.
-Oh. Scusate l’interruzione. -, disse. Scattai in piedi,
inciampando nella mia
scarpa, appoggiandomi al letto per non cadere. Robert,
sospirò, passandosi una
mano sul viso.
-Non è come sembra!-, esclamammo in coro. Mi voltai a
guardarlo e lui fece lo
stesso. Sorridemmo imbarazzati l’uno all’altra.
-Non ho detto nulla. -, disse lei incrociando le braccia al petto,
guardandoci
come se la sapesse lunga. Sentii risucchiarmi da un profondo buco nero,
all’interno del mio stesso corpo.
-Davvero, io… non è come sembra.
Robert… diglielo!-, esclama nel panico.
-Nikki, credimi… non è come… sembra.
-, la voce di Robert vacillò sull’ultima
parola. Mi voltai confusa.
Perché?
Chinò il capo, poi sospirò.
-Vorrei rivestirmi. -, mormorò, fissando la moquette, dopo
alcuni istanti di
silenzio. Annuii prendendo le scarpe dal pavimento. Mi portai una
ciocca di
capelli dietro l’orecchio, mentre i avvicinavo alla porta.
Nikki, mi fissò,
come se desiderasse incenerirmi con la sola forza dello sguardo.
Sussultai.
Mi chiesi quale fosse il suo problema, perché sembrava
volesse staccarmi la
testa a morsi… cosa le avevo fatto.
Poi capii. Vidi lo l’occhiata che si scambiarono lei e
Robert. Lei fece un
cenno con le testa, lui annuii impercettibilmente.
Un brivido mi attraversò la schiena e ricordai il loro
abbraccio alla prima,
quando conobbi quel viso per la prima volta.
-Oh. -, soffiai. Robert posò il suo sguardo ardente su di me
ed ebbi,
inevitabilmente, un fremito. Mi guardo intensamente, come se
desiderasse
comunicarmi qualcosa, una dolce, o amara, verità.
Sbatté le palpebre qualche volta e un’espressione
confusa si dipinse sul suo
viso. Aprì la bocca e aspettai che dalle sue labbra vi
uscissero dei suoni… ma
così non fu. Sorridendo flebilmente, mi congedai con un
movimento del capo,
lasciandomi alle spalle i loro visi.
Scesi
le scale, dritta al
bancone che funzionava da reception, desiderando con tutta me stessa di
vedere
Andrew, di farmi stringere a se, in un caloroso e dolce abbraccio.
Quegli
abbracci che solo il tuo migliore amico sa darti, che solo Andrew
sapeva darmi.
Scesi velocemente le scale. Dopo aver lasciato la camera di Robert mi
ero
diretta silenziosamente nella mia. Il getto d’acqua calda era
l’unico che
riuscisse a calmarmi i nervi e distendermi i muscoli, così
optai con piacere
per una doccia. Dopo essermi asciugata e vestita, e cercato con cura di
tenere
alla larga l’ultima immagine che avevo conservato di Robert,
uscii dalla mia
camera. Era stato comunque inutile, quelle immagini inondavano sempre
la mia
mente.
Tra loro, c’era qualcosa.
Me lo
sentivo, lo vedevo. Ripensai con dolore,
quasi, alla strana scenetta di quella mattina, ed era come se mi
avessero
tirato un pugno nello stomaco, dopo che la nausea lo avevo attaccato.
Sospirai, e quasi l’aria nei polmoni mi fece male.
Cercai di cacciare dalla mente l’immagine di Nikki chi
sfiorava il viso di…
Robert.
Ma c’erano cose che
non
quadravano, tanto piccoli particolari che non tornavano fra loro.
Sguardi che
mi aveva… riservato?
Confusa e meditabonda
arrivai vicino al bancone.
-Buon giorno, mon
tresòr. -, disse raggiante Andrew.
-Buon giorno anche a
te. -, risposi baciandogli una guancia.
-Come stai oggi?-, mi
chiese facendomi segno di sedermi sulle sua gambe. Seguii
il suo suggerimento.
-Ti riferisci
all’episodio di ieri sera?-, chiesi avvampando appena di
rossore.
-No. Quello della
scorsa settimana. -
Lo guardai torva, -Ah,
ah. Davvero divertente. -
Mi rivolse un leggero
sorriso e rimase in silenzio aspettando una mia risposta.
Sospirai, rassegnata,
-Sono crollata in camera di Pattinson. -, mormorai
guardandomi le mani.
-Questo lo so, Laira,
ma… cos’è successo dopo?-, chiese con
dolcezza
sollevandomi il capo con un dito.
-Come fai a dire che
c’è un dopo?-, mormorai guardando i suoi grandi
occhi.
Rise, -Bhe,
c’è sempre un dopo. -, disse premendomi il palmo
della mano sulla
guancia.
Scossi il capo,
-Giusta osservazione. -, dissi sorridendo appena.
-Allora? Me lo vuoi
dire o devo chiamare i conigli torturatori?- . Corrugai la
fronte, confusa. Alzò gli occhi al cielo, -I conigli del tuo
mondo. -
-Oh.
Giusto… quei conigli. -, ponderai con un dito sul mento.
-Laira. -, mi
canzonò.
-Oh si scusa. Ma credo
tu voglia sapere…-
-Laira!-,
esclamò.
Alzai le mani, -Okay,
okay. Te lo dico. Stamattina non ricordavo molto e me lo
sono ritrovata mezzo nudo davanti e…-
-Cosa?-, chiese con
voce strozzata.
-Aveva appena fatto
una doccia e io bhe… ecco… credevo di aver fatto
cose che
non avrei dovuto fare. Poi ho ricordato tutto ed ecc ecc. E’
entrata Nikki, -,
sperai non si accorgesse delle nota sprezzante con cui pronunciai quel
nome, -
e sono andata via. Tutto qui. -, conclusi facendo spallucce.
Andrew
sgranò gli occhi, -Wow. Qualcosa mi dice che Pattinson non
ti è del
tutto indifferente e la cosa potrebbe essere corrisposta. -
-No. Ti sbagli. La
cosa non potrebbe essere corrisposta perché non
c’è nessun tipo
interesse, Andrew. -
-Certo, certo. -,
rispose lui, come se ciò che avessi detto fosse superfluo.
Sbuffai
d’irritazione, -E poi mi sa che fra lui e quella Nikki ci sia qualcosa. Si guardano
in modo strano. -, lo informai
fingendo disinteressata, come se la cosse non mi toccasse.
Bugiarda.
Rise ancora,
-Come guarda te?-
-Piantala, Andrew. -,
sbottai.
-Okay, okay. -
-Sono seria. Riguardo
Robert e Nikki. -
Corrugò la
fronte, massaggiandosi il mento con due dita, -Ne sei sicura? Non
hanno mai dato segno di… bhe, hai capito. So però
che sono molto amici… ho
parlato con quel ragazzino a colazione… Taylor. -
-Ma per favore,
Andrew!-, dissi alzando le braccia, -E tu ti fidi. - . Cercai
di rievocare alla mente l’immagine del viso corrispondente
alla parole Taylor e
un ragazzino dai capelli corti e neri, dalla pelle scura, si
materializzò nella
mia mente. Non sembrava un bugiardo,
ma a volte le apparenze ingannano ed, io, lo sapevo bene.
-Non lo so,
Laira… -, sussurrò arricciando le labbra.
–Secondo me i conigli ti
stanno dando alla testa. Tu non puoi volare come loro, tu cadi se ci
provi. -
Sbattei le palpebre,
confusa, incrociando le braccia al petto, -Eh?-
Qualcuno
tossì. Sobbalzando mi alzai di scatto dalle ginocchia di
Andrew. Lui
piano si alzò. Davanti al bancone c’erano una
ragazza ed un ragazzo.
-Ehm… buon
giorno. Michael Angrano. Siamo qui per… -
-Oh si, -,
esordì annuendo Andrew, -siete quelli che hanno perso un
bagaglio,
no?-, chinò un attimo il capo guardando un foglio,
-Michal… Kristen. -
I due risero.
Mi chiesi come facesse
a sapere tutte quelle cose, poi ripensai a ciò che mi
aveva appena detto: aveva avuto una conversazione con
Taylor… pettegolo.
-Io sono Andrew e lei
è Laira, -, alzi la mano in segno di saluto, -qui a
vostra disposizione. -, disse sorridente.
Soffocai una risata.
La ragazza mora si voltò, incuriosita. Feci spallucce in
risposta, sorridendo appena.
Andrew diede ai due la
camera. Capii che la ragazza dagli occhi verdi e capelli
scuri era la fidanzata di… Michael. Si diressero tutti verso
le scale, ma
successe qualcosa che non mi aspettavo.
-Tu sei Laira? Robert
mi ha parlato di te. Piacere di conoscerti. -, disse Kristen
porgendomi una mano. Piano gliela strinsi, confusa da tale
atteggiamento. Da
quando le star erano così
cordiali?
Pensai a
Nikki… ma pensai anche al gentile Taylor… al
simpatico Kellan… a
Robert.
-Piacere di
conoscerti… -
-Kristen. -
Sorrisi, -Kristen. -,
ripetei quando la mia mano scivolò dalla sua.
Sorrise anche lei e
fece per andar via, ma la fermai. –Ehi, aspetta. Ti ha
parlato di me?-, chiesi corrugando la fronte incredula.
Annuii.
-Oh. -, mormorai.
-Kris?-, la chiamo il
ragazzo.
-Si, arrivo. -, disse
lei voltandosi prima do tornare a guardarmi negli occhi,
-Allora, ci si vede in giro, Laira. –
*
Salve gente.
Prima di tutto…
predona temi il ritardo! Sono stata imperdonabile, ma, davvero, ad
Agosto ne
sono successe di tutti i colori!
Allora… dato che ho poco tempo volevo ringraziare due
persone speciali: la mia
dolce principessa Patt e la strana Chià. Grazie, grazie per
tutto.
Ed un grazie particolare va a voi che avete recensito lo scorso
capitolo.
Nessie93: ciao! *.* Non sono
testarda, sono solo realista U.U spero di non averti delusa con questo
capitolo
e di averti incuriosita almeno un po’. Che dire? Grazie per
le meravigliose
recensioni che mi lasci, davvero! E prometto che posterò
presto, si si. Grazie
mille bella! Un bacio.
Satyricon: ciao! Davvero ti piace
come scrivo? *.* ne
sono onorata! La
parentesi di Derek mi è costata un po’, ci ho
sudato nella riletture, cercando
di renderla al meglio… e spero di esserci almeno riuscita un
po’. Spero ti sia
piaciuto questo capitolo. Grazie mille per la recensione, davvero,
grazie!
Luxi: ciao! Garzie! Sono contenta ti
piaccia la storia! Ad ognuna di essa ci tengo tantissimo, forse
perché in fondo…
sono un po’ io. Non so se mi spiego… okay, ora sto
divagando. Sono contenta di
sapere che ti piace come scrivo, sul serio! Grazie infinite per la
recensione
cara! A presto! E
ancora grazie…
Minato Namikaze: ciao! Okay
*saltella con un sorriso ebete per la stanza* davvero ti piace? Oooooh,
grazie!
Ne sono felicissima, davvero! Mi spiace di aver postato con questo
ritardo, ma
Agosto è infernale un po’ per tutti. Grazie mille
per la recensione! A presto!
fede_sganch: ciao! Eh si, mistero
Derek svelato… e Robert salva donzelle… e le
mette in imbarazzo XD Sono
contenta di sapere che il capitolo scorso ti è piaciuto,
avevo paura di combinare
un macello. Riguardo Derek non mi esprimo ovviamente. Grazie per la
recensione,
grazie davvero cara!
doddola93: Dà, mia
adorata! Sono
contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto! Le tue recensioni
sono
sempre così belle! Grazie davvero, grazie di cuore. Ed io
non scrivo
capolavori, capperetti lessi, mettitelo in testa. I tuoi lo sono e non
si
discute! Mi manchi… ti voglio bene <3
Sognatrice85: ciao! *.* oooooh,
grazie
per la recensione! Eheh, Laira… si forse è troppo
tardi. Beh, sono contentissima
di sia piaciuto il capitolo, davvero, e che ti piaccia il mio assurdo
modo di
scrivere! Ci tengo tanto a sapere cosa ne pensi! A presto, cara! E
grazie
ancora!
A l y s s a: Patt, ciao! Bhe, di
Derek si parlerà ancora… e ne ho in mente di
cose! Patty… Patty è perfetto
nella sua imperfezione! Sempre e comunque… specialmente con
Laira XD Le tue
recensione, che tu ci creda o no, sono quelle che attendo di
più con ansia! Ciò
che pensi per me conta tanto, davvero! E sapere che la storia ti
piace…
*.* grazie
principessa Patt, grazie
davvero! Ti voglio bene <3
Fairwriter: Juls, amata Cip! Ma che
fine hai fatto? Mi manchi! Sei tu che mi fai sciogliere, ogni volta che
leggo
una tua recensione! Grazie tesoro, grazie di cuore! Sono contenta di
sapere che
ti sia piaciuto il capitolo e, soprattutto, il pezzo di Derek! A
presto, bella!
La tua Rose ti attende! Ti voglio bene <3
A
voi e tutto,
Panda.
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Capitolo 12 *** Capitolo 11 ***
CAPITOLO
11
Il mare spesso parla con
parole lontane,
dice cose che
nessuno sa.
Soltanto quelli
che conoscono l'amore possono apprendere la lezione dalle onde,
che hanno il
movimento del cuore.
Romano
Battaglia, 1933, scrittore e giornalista italiano.
-Pattinson
ha parlato di te alla sua… amica?-, chiese Andrew quando
furono spariti dal
nostro raggio visivo.
Ponderai per qualche attimo sulle parole di Kristen e poi facendo
spallucce
dissi: -Bhe, in fondo, se ci pensi, ma dubito che tu ne sia capace, lui
avrà
spiegato chi sono, insomma come mi ha conosciuta e cose
così. -
-Oh, si certo. Ma fammi il favore, Laira Jones!-
-Piantala Andrew. -, risposi secca, -Mi dai a nervi. -
-Perché bisbigli?-, chiese sorridendo maliziosamente e
inarcando un sopracciglio.
-Io non bisbiglio. -, ribattei.
-Si invece. -
Quando però pronunciai un no
secco,
capì che stavo bisbigliando.
-Oh. Oh. -, dissi corrugando la
fronte. Forse Andrew aveva ragione, la pazzia stava facendo il suo
corso.
Sospirai passandomi una mano fra i capelli e mi sedetti sul bancone.
-Non è consono sedersi sul bancone della reception, Laira.
-, disse con tono
grave Andrew.
-Ma… non c‘è nessuno! E
quei… e gli ospiti sono su, perciò… -,
facendo
spallucce presi a dondolarmi sul bancone, prima in avanti, poi
indietro. Di
scatto la porta si aprii e spaventata persi l’equilibrio. Mi
cercai di tenermi
al bancone mentre il mio corpo si sbilanciava del tutto
all’indietro. Vidi
Andrew scattare in piedi e cercare di afferrarmi la mani, inutilmente
salde al
legno scuro. Mi preparai al tonfo, al dolore lancinante alla schiena,
ma questi
non arrivarono, con mia grande sorpresa.
Delle braccia mi cinsero ad un patto largo e marmoreo, un braccio a
sorreggere
le spalle, un altro le gambe. Con fiato corto ed il viso terrorizzato,
alzai lo
sguardo sul mio salvatore rivelando immediatamente un sorriso.
-Mi devi molto. -, disse.
-Va bene se ti offro una birra?-
Arricciò le labbra e scioccò la lingua.
-Due?-
-Ora si che ragioniamo. -, disse mostrandomi una schiera di denti
perfetti e
bianchi, prima di aiutarmi ad alzarmi.
-Signor Lautz, lei è una benedizione. -, disse Andrew, -Ci
ha risparmiato un
viaggio in ospedale. -, continuò aggirando il bancone per
venirmi vicino.
-Direi di si. -, rispose lui sorridendo.
Sentii qualcuno scendere velocemente gli scalini e tutti e tre ci
voltammo
verso la scalinata. Il mio cuore perse un battito prima di accelerare
la sua
corsa. Il ragazzo rallentò piano la sua andatura quando
incontrò i nostri visi
e sul suo viso si dipinse un’espressione indecifrabile.
Deglutii rumorosamente e avvampai di rossore quando il suo sguardo sul
braccio
di Kellan che cingeva i miei fianchi. Mi scostai automaticamente,
Kellan fece
lo stesso e di certo ciò non allentò la tensione
di cui l’aria era satura.
-Ciao. -, dissi con un filo di voce.
-Laira. -, fu la sua risposta, appena sussurrata.
-Buon giorno, signor Pattinson. Dormito bene?-, chiese raggiante
Andrew, sbucando
da dietro il bancone.
-Splendidamente. -, rispose sorridente evitando di spostarlo sguardo su
me e
Kellan.
A quel punto la porta di ingresso si aprii e un Taylor sorridente fece
la sua
comparsa sulla soglia, -Kellan, -, disse, -andiamo? Oh buon buongiorno,
gente.
-, disse poi incontrando i nostri sguardi. Kellan annuì col
capo, per poi
salutarci e sparire oltre la spessa porta di legno.
-Robert, io… -, esordii, ma le parole mi morirono in gola,
consapevole che non
sapevo cosa dire, di preciso. “Scusa”,
“non
è come pensi”, “mi dispiace”?
A che scopo? Non significava nulla in fin dei
conti. Lui non era nulla per me, io non ero nulla per lui. Ma
ammetterlo era
come mentire a me stessa, come ammettere che il sole fosse freddo o che
la neve
fosse calda.
Lo seguii, senza nemmeno rendermene contro, trasportata dalla parte
irrazionale
di me stessa, oltre la porta di legno, quando la sentii sbattere a
causa del
vento, assorta nelle mie stupide congetture. Lo seguii sotto lo sguardo
indagatore e soddisfatto di Andrew, fregandomene per una volta di
quello che
lui avrebbe potuto pensare.
Confusa, spaesata, senza sapere cosa dirgli di preciso, chiamai il suo
nome e
quella voce non sembrava la mia, fu come se non mi appartenesse, una
voce
lontana, distante, sconosciuta.
Si girò, sorpreso, guardandomi negli occhi, ed, in quel
preciso momento il
fiato mi si mozzò, dandomi le vertigini. Incatenò
i suoi occhi ai miei, o
semplicemente fui io ad incatenarli ai suoi, incapace di distogliere
l’attenzione da essi.
-Mi dispiace. -, dissi senza riuscire a tenere a freno la mia lingua,
dando per
pochi attimi libero sfogo alla mia lingua.
-Di cosa?-, chiese confuso.
-Non… io… -, e le parole mi morirono ancora in
bocca.
-Non devi dispiacerti per nulla. - , disse con voce delicata, quasi
fosse una
carezza.
Fu per me inevitabile rammentare quelle due semplici parole che la sera
prima
mi avevano privata d’aria: non
farlo. Ed
in quel momento nei suoi occhi… l’eco di quelle
parole.
Costernata, meravigliata dall’intensità delle
emozioni e sensazioni che
pervasero il mio corpo, mi avvicinai a lui, senza sapere bene avessi
intenzione
di fare. Il vento leggero scompigliata i suoi capelli già
arruffati,
carezzandoli come mille goccioline d’acqua fanno su un petalo
di rosa, passai
una mano fra essi, morbidi e incredibilmente setosi al tatto.
Istintivamente,
un angolo della mia bocca si sollevò verso l’alto,
eco delle sua.
-E’ una bella mattinata. -, mormorò quando lasciai
scivolare la mia mano dai
suoi capelli rendendomi conto di quanto il mio gesto fosse stato
sconsiderato,
-Ti farebbe bene un po’ d’aria. Vieni con noi. - .
Inclinai il capo di lato,
corrugando appena la fronte.
-Dove?-, chiesi.
-Pic-nick. -
Arricciai il naso. Avrei voluto dire “si,
vengo!”, ma costrinsi la mia lingua a seguire il
mio volere.
-Andrew ha bisogno di me. Ci lavoro qui. -, risposi con rammarico.
Lui si morse il labbro inferiore, alzando le sopracciglia e sorridendo
appena,
-Giusto. -, disse poi passandomi una mano fra i capelli, -Dimenticavo. -
Feci un risolino, seguita subito da lui.
-Allora… allora ci vediamo, Laira. -, disse guardandomi
negli occhi, tornando
per pochi istanti serio.
-Non scappo. -, dissi sorridendo. Fece lo stesso
e, mentre si avvicinava, sentii il cuore
perdere un battito e il suo profumo invadermi i polmoni. Le sue labbra
sfiorarono con delicatezza la mia guancia, che all’istante
sembrò prendere
fuoco sotto esse. Pura roccia lavica.
E così, sotto il sole mattutino, accarezzato dal vento, si
allontanò.
Era tardo pomeriggio. Le gambe
e le braccia mi
dolevano, conseguenza di un pomeriggio di pulizie. Le testa sembrava
dovesse
scoppiarmi da un momento all’altro e sulla battigia, in
spiaggia, mi godevo il
vento che fresco mi carezzava la pelle del viso.
Era il tramonto ed il
cielo aveva assunto mille sfumature, dal celeste, al
rosa, al giallo, all’arancione, al rosso appena sopra la
linea dell’orizzonte.
Ed gli ultimi raggio del sole giocavano sull’acqua,
riflettendosi su essa,
accecandomi. Chiusi istintivamente gli occhi quando il mio sguardo si
posò
sulla stella rossa quasi del tutto nascosta dietro
l’orizzonte, infastidita
dalla troppa luce.
Sospirai. Un gesto
istintivo, di quelli che non riesci a controllare, un gesto
che alcune volte attira l’attenzione.
-Qualcosa non va?- ,
sobbalzai ed immediatamente aprii gli occhi voltandomi.
-Non volevo
spaventarti. -, disse Kristen in un sorriso.
Scossi il capo,
spostandomi i capelli dal viso, spostati fastidiosamente dal
vento. Si sedette accanto a me e rivolse lo sguardo
all’oceano.
-Bello. - ,
sussurrò. Scostai il mio sguardo dal suo viso rivolgendolo
ancora
al panorama che mi si prostrava davanti ed annuii col capo.
-Davanti a tanta
bellezza, come si fa a non amare la vita? Ogni respiro, ogni
attimo, ogni alito di essa è intorno a noi. In ogni nostro
gesto, in ogni
nostra parola, in ogni essere vivente… nel mare, in un
montagna, in un filo
d’erba, in una margherita, in una quercia… lei
c’è… ed è bellissima, non
credi?-, continuò poi rivolgendomi incrociando il mio
sguardo.
Il vento le spostava i
capelli castani, frustando di tanto in tanto sulle sue
spalle.
-Io… si. -,
dissi scioccata dalle sue parole, quasi colta di sorpresa. Parole
che per attimi infiniti mi permisero di guardare il mondo,
ciò che mi
circondava con occhi diversi. Ed udivo il fluttuare delle onde con
orecchie
nuove, udivo i gridi dei gabbiani. L’aria fresca sul viso, il
calore degli ultimi
raggi solari sulla pelle, l’odore salmastro del mare, ne
assaporavo sulla
lingua tutte le sfumature.
Un angolo delle mie
labbra si sollevò verso l’alto ed accennai un
risolino.
-Perché
ridi?-, chiese lei corrugando appena la fronte, curiosa.
-Hai ragione. -
Sorrise, prima di
passarsi una mano fra i capelli, -Anche Amore è vita, Laira.
-
la guardai negli
occhi, per poi fissare un punto indefinito sulla sappia,
riflettendo sulle sue parole. Arricciai le labbra in un gesto
istintivo. Aprii
la bocca per dire qualcosa, ma da essa non vi uscì nulla.
Lei sorrise, quasi
soddisfatta, e non ne capii il perché. Mi limitai a
guardarla con aria confusa, consapevole nel mio inconscio che aveva
ragione da
vendere, ma troppo cinica per ammetterlo a me stessa.
-Il mare spesso parla
con parole lontane, dice cose che nessuno sa. Soltanto
quelli che conoscono l'amore possono apprendere la lezione dalle onde,
che
hanno il movimento del cuore. -, sussurrò guardando la linea
dell’orizzonte, il
cielo rosso, privo di quel sole che fino a pochi istanti si rifletteva
sull’acqua. Rimasi imprigionata in quell’attimo,
come in una bolla di sapone. E
lo udii, più forte e chiaro che mai, il battito del mio
cuore. Irregolare,
imperterrito, violento ma allo stesso tempo delicato, come ali di
farfalla. Ad
un onda corrispondeva un battito. Rabbrividii.
-Hai programmi per
questa sera?-, chiese d’un tratto, spostando al
conversazioni su toni più leggeri, o quasi. Quel cambio
repentino di argomenti
mi lasciò ancor di più spaesata. Fu come se
avesse innescato una bomba a mano,
come se avesse preparato il territorio per un qualcosa che non riuscivo
a
cogliere.
-Devo una birra a
Kellan. -, dissi avvampando appena di rossore.
-Giusto… la
scommessa. -, disse annuendo appena.
Corrugai la fronte,
-Sai del...?-
-Certo. Ne parlano
tutti. -
Sgranai gli occhi,
sorpresa, -Scommessa?-, chiesi confusa.
-Credo sia giunta, per
me, l’ora di andare. -, disse mettendosi in piedi,
-E’
stato un piacere parlare con te, Laira. -, continuò in
fretta, prima di allontanarsi
a passo svelto.
-Kristen, aspetta!-,
dissi voltandomi ed allungando una mano, come a volerla
fermare, ma era già troppo tardi. Non
udii la mia voce, oramai per lei solo un sussurro al vento.
*
Ed eccomi qui
gente, sono riuscita a postare!
Ho sul serio poco tempo, per domani ho un bel po’ di cose da
studiare e voglio
postare assolutamente!
Perciò ringrazio di cuore:
Nessie93,
Satyricon,
carlottina,
Sognatrice85,
SweetCherry,
A l y s s a,
Fairwriter,
con al promessa di rifarmi nel
prossimo capitolo!
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 12 ***
CAPITOLO
12
È tutta
colpa della luna,
quando si avvicina
troppo alla terra fa impazzire tutti.
Wiliam
Shekespeare, 1564-1616, commediografo, drammaturgo e attore inglese.
-Andrew, guarda
cos’hai combinato!-, dissi cercando ti
togliermi residui di marmellata ai mirtilli dalla maglia.
-Laira, perdonami! Non volevo!-, esclamò avvicinandosi a me
con le mani
protese. Guardai la mia maglia celeste macchiata di marmellata di cui
la
crostata era ricoperta.
Mi stavo lentamente portando una fetta di dolce in bocca, attendendo il
momento
in cui sarebbe entrata nella mia cavità orale, godendo ogni
attimo d’attesa,
quando, Andrew, con delicatezza degna di un elefante in un negozio di
cristalli, mi tirò una gomitata. La torta cadde dalla mie
mani, scivolando
lungo la mia maglia.
-Era pulita, Andrew. -, mi lamentai abbassando le spalle, consapevole
che mi
sarebbe toccata rilavarla all’istante, -E fra
mezz’ora devo uscire. -
-Ah, giusto… Kellan. -, disse annuendo col capo.
Sospirai, -Mi sa che devo stare lontano da
questa cucina, specialmente se ci sei tu. -, dissi
pulendomi con un
fazzoletto di stoffa, -Vado a cambiarmi. -, continuai.
-Non sono un disastro in cucina. -, disse. Mi voltai, ormai sulla
soglia della
porta, e mi poggiai con la mano allo stipite, alzando un sopracciglio.
-Non ho detto che sei un disastro nel cucinare, Andrew. Sei un disastro
nel
muoverti. -
-Ah, ora si spiega tutto. Ehi! Io mi so muovere. -, disse lui
portandosi le
mani sui fianchi e spostando tutto il peso sulla gamba desta.
Roteai gli occhi, -Certo, certo. Ci vediamo fra un po’, prima
che esca. Vado a
darmi una ripulita. -
Lo sentii borbottare qualcosa, ma non prestai attenzione alle sua
parole.
Alla mente mi tornò la conversazione avuta al tramonto con
Kristen: Il mare spesso parla con parole
lontane,
dice cose che nessuno sa. Soltanto quelli che conoscono l'amore possono
apprendere la lezione dalle onde, che hanno il movimento del cuore.
Parole come marchiata a fuoco nella mia giovane mente. Insidiate in essa come un marchio di
fabbricazione.
Che avesse colto? Che avesse capito cosa il mio cuore silenziosamente
cantava?
Canti che io stessa soffocavo, non ammettendo a me stessa
ciò che paino stava
diventando ovvio?
Ma perché? Per paura?
Si, la paura ci rende ciechi e non ci permette di vivere al meglio
ciò che la
vita ci offre. Paura di soffrire, paura di vivere, paura di…
amare.
Sospirai e le mani mi tremarono quando mi persi nei ricordi.
Le sua mani carezzavano la pelle della mai schiena con estrema
delicatezza e
dolcezza.
Nel buio della stanza mi lasciai cullare dal suo respiro, dal vento
fresco che
spostava le tende azzurre, sfiorandomi i capelli corti e neri.
-Sei bellissima. -, mormorò al mio orecchio. Mi strinsi
ancor di più a lui,
poggiando la guancia sul suo petto.
-Ti amo. -, mormorai alzando poi lo sguardo, fissando quegli occhi
scuri, neri
nel buio della notte, illuminato solo dalla fioca luce della
radiosveglia.
Non rispose. Mi baciò delicatamente la fronte. Un attimo che
sembrò durare
anni.
Accarezzai i capelli color del rame, passando fra essi le dita.
-Cosa c’è?-, chiesi corrugando la fronte.
-Nulla. -, rispose con l’ombra di un sorriso sul volto.
-Non mentirmi. -, dissi seria.
-Non lo farei
mai, Laira. -, mormorò sfiorando il mio
naso col suo.
-Okay. -, soffiai baciandolo sulle labbra. Quelle labbra che avevo
visto su
cartelloni e locandine. Quelle labbra che avevo sempre agognato. Calde,
perfette.
Il mio cuore accelerò i suoi battiti
e
non riuscii a controllarlo.
-Ti amo. -, sussurrò prima di baciarmi ancora.
Scossi il capo cercando di scacciare via i ricordi ed entrai in camera.
Lavai la maglia, togliendo quel che rimaneva della marmellata, prima di
infilarla in lavatrice. Mi infilai una maglia rossa, che Andrew mi
aveva
regalato l’anno precedente. “Si intona
perfettamente col colore della tua
pelle.”, disse. Sorrisi a quel ricordo.
Mi spazzolai velocemente i capelli, dopo aver sciolto la coda in cui
erano
raccolti, lasciandoli cadere sulle spalle.
Uscii dalla camera ed il cuore mi si fermò, saltando in gola.
Incontrai due occhi verdazzurro, luminosi come stelle nel cielo nero
della
notte, limpidi e cristallini come acqua.
Il respirò mi si mozzò, quando sorrise,
imbarazzato.
-Ciao. -, disse avvicinandosi a me, allontanandosi dal muro sulla quale
era
appoggiato.
-Ciao. -, soffiai.
-Tutto okay?-, chiese corrugando appena la fronte.
Annui col capo, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio,
-Cosa ci
fai qui?-, chiesi.
-Ehm… -, si passò una mano fra i capelli,
imbarazzato, chinando appena il capo
e boccheggiando, senza sapere cosa dire di preciso. Poi le parole che
vennero
uscirono tutte d’un fiato, -Kellan sta male. Non voleva che
tu pensassi che non
vuole uscire-, l’ultima parola conteneva una nota
d’acidità, -con te, perciò
eccomi qui. Mi ha chiesto di dirti se è
possibile… rimandare. -, ancora acidità
nell’ultima parola.
Che ne fosse infastidito?
-Oh. Capisco. -, dissi abbassando lo sguardo. Calò in
silenzio fra noi e notai,
con la coda dell’occhio, che Robert prese a dondolare da un
piede all’altro.
-Laira… -, sussurrò il mio nome in una dolce
melodia.
Alzai lo sguardo sul suo viso. Si morse il labbro inferiore prima di
aprire la
bocca per parlare, ma da essa non vi uscii alcun suono. Alzai un
sopracciglio e
poi sospirò.
-Magari ti sembrerà stupido e sfacciato, ma visto che
sei… già vestita, ecco,
mi chiedevo se ti andava di fare un giro. -, esitò.
Non so perché il cuore all’istante mi si
riscaldò, come fosse stato tenuto in
ibernazione per chissà quanto tempo.
Fui
scossa dal suo veloce battito e quasi la voce mi mancò.
Respirai a fondo e tremai, - Mi piacerebbe, Robert. -, dissi.
Sul suo viso comparve un sorriso, che piano contagiò i suoi
occhi, accendendoli
di una luce strana.
-Davvero?-, chiese con entusiasmo, -Cioè, non ti scoccia?-,
continuò cercando
di assumere un tono più consono. Quei suoi toni e quelle sue
espressioni per un
momento mi lasciarono confusa e spaesata.
-Si. -, dissi in un risolino. Poi perdendomi nei suoi occhi limpidi, ci
dirigemmo verso le scale.
E, forse non avrei dovuto, in fondo lui non aveva fatto nulla di male,
fui
contenta che Kellan di fosse ammalato.
Il cielo era nero e la
luna argentea si rifletteva sull’oceano calmo. Le
stelle, miliardi di micro puntini bianchi, rendevano il cielo qualcosa
di unico
e quasi perfetto. La leggere brezza mi sfiorava il viso, come una dolce
carezza, e le onde del mare fluttuavano leggere a riva, creando uno
straordinario rumore rilassante. I miei piedi affondavano nella sabbia
fresca e
morbida.
Tutto era tranquillo,
intorno a me, una quiete sorprendente, ma dentro, ero in
balia di una terrificante tempesta, fatta di emozioni contrastanti fra
loro.
Felicità, tristezza. Gioia, paura. Spensieratezza, ansia.
Leggerezza, angoscia.
Potevo sentire il
calore del suo corpo, a pochi centimetri dal mio… o era solo
semplice e pura illusione. Il desiderio di sentirlo, di sentire il
calore che
emanava, di cui il mio cuore aveva un disperato bisogno.
Sì, bisogno
di… calore. Ma calore di chi?
La consapevolezza che
fossi lui a desiderare, cresceva di giorno in giorno, e
mi faceva paura. Tremendamente paura.
Rimettere insieme i
cocci, dopo una rottura, è sempre difficile, è
difficile. E
il pensiero che quei cocchi sarebbero potuti essere ancora…
trasalii scossa dai
miei pensieri.
Voltai lo sguardo al
mare.
-Cosa
c’è?-, lo sentii mormorare di fianco a me.
-E’
bellissimo. -, sospirai.
-Oh, grazie. -,
ridacchiò.
Mi voltai, corrugando
la fronte, -Intendevo il mare. -
Lui roteò
gli occhi e sbuffò, per poi tirarmi una leggera spinta,
tanto che i
miei piedi toccarono l’acqua fredda, facendomi appena
rabbrividire, -Ti
prendevo in giro. -
-Oh. –, mormorai aggrottando le
sopracciglia.
-Mi chiedo dove tu
abbia la testa. -, disse voltandosi a guardarmi.
Sospirai, rilassato le
spalle irrigidite dai pensieri che pochi istanti
precedenti mi vorticavano nella testa, -Vorrei saperlo
anch’io. -
-A che pensi, ora?-,
chiese mentre camminavano avvolti dal buio.
-Ora non
so… ma posso dirti a cosa pensavo prima che tu parlassi. -,
dissi
sorridendo appena.
-Spara. -
-Guardati intorno.
Viviamo in un mondo magnifico. Certo, c’è
tristezza,
solitudine, dolore… ma c’è anche gioia,
felicità, bellezza… e amore, come mi
hanno detto. -, sorrisi pensando alla spiaggia al tramonto.
-Il centro di tutto
l’universo. -, mormorò.
-Esatto. La stessa
vita… è mossa dall’amore. -, sussurrai
rivolgendo
un’occhiata alla luna riflessa nell’acqua, -Come si
può non amare questo?-
-Vorrei saperlo, mi
è difficile. -, mi voltai verso il suo viso, incuriosita
dal tono indecifrabile della sua voce. I suoi occhi ardevano come
fiamme
grigie, nell’oscurità della sera. Mi mozzarono il
fiato.
Abbassai lo sguardo,
guardando la sabbia.
-E’ come
l’aria, l’ossigeno, il sole…
l’amore. -, continuò con voce calda e
roca.
-Già. Che
discorsi. -, dissi scuotendo il capo.
-Sembriamo due anziani
sull’orlo della depressione. -
-Nah…
magari anziani no. -, e ridemmo entrambi, sommessamente.
-Non so chi fra noi
due sia il più strano, Jones. -
-Indubbiamente tu. -,
dissi ovvia, facendo spallucce.
-Ma davvero?-, chiese
divertito.
-Certo. Nutri dei
dubbi? Possiamo parlarne da non vecchietti sull’orlo
della depressione. -, annuii alle mie
stesse parole.
-Ma smettila. -,
ridacchio facendomi del solletico su un fianco.
-No!-, urlai
muovendomi come un’anguilla. Ridendo come da tempo oramai non
facevo. Risate sincere, semplice eco del mio cuore.
Fu lì, che
inciampai, presa dal troppo ridere. Poggiai le mie mani sul suo
petto, il suo viso a poche spanne dal mio, il suo respiro caldo sul mio
viso.
Sotto il palmo della mia mano il suo cuore batteva
frenetico… come il mio.
Perché?
Respirai e tremai
appena. I suoi occhi puntati nei miei mi fecero perdere ogni
tipo di filo logico, ogni cosa che mi tratteneva nella
realtà, con i piedi per
terra. Ardevano, come poco prima.
-Stai tremando. -,
disse.
-Si. -, soffia,
incapace di emettere suoni più forti per la vicinanza del
suo
viso al mio.
Sorrise e mi strinse a
sé in un abbraccio. Poggiai il viso sul suo petto e
respirai a fondo.
-I tuoi capelli sanno
di vaniglia. -, mormorò al mio orecchio.
-E’ il
profumo più buono al mondo. Dopo quello di casa. -
-Concordo. -
Sciolsi, mio malgrado,
l’abbraccio ed già mi mancava il calore delle sua
braccia attorno alle mi spalle, il calore del suo petto sul mio viso,
il
battito del suo cuore sul mio orecchio. Lo guardai in volto.
-Ti manca Londra?-,
chiesi.
Lui
arricciò le lebbra e poi schiocco la lingua, -Nah, non mi
manca Londra. Mi
manca chi è a Londra. -
-Non dove, ma chi. -,
mormorai ed istintivamente premetti con dolcezza il palmo
della mia mano sulla sua guancia. Annuii.
-A te?-, chiese mentre
la sua mano si posava sulla mia, fino a chiuderla in una
stretta ferrea, eppure dannatamente delicata.
Scossi il capo,
bruscamente. -New York è casa mia. -
Con la coda
dell’occhio, notai qualcosa che pochi attimi prima non
c’era. Una
piccola macchiolina arancione, in lontananza, sulla sabbia. Piccole
figure
scure si muovevano attorno ad esse. Voltai il capo e corrugai la
fronte,
confusa. Robert seguii il mio sguardo, affinando il suo.
-Cos’è?-,
chiese.
-Sembrerebbe un
falò. -, mormorai.
-Bene…
andiamo. -, disse guardandomi.
-Cosa?-
-Hai capito bene,
andiamo. -, e sul suo viso comparve il sorriso più bello che
potesse riservarmi… vitale.
Aggrottai la fronte,
-Scherzi, vero? Nemmeno li conosciamo. -
Lui sbuffò,
e roteo gli occhi, poi cominciò a camminare trascinandomi
con sé.
-Vivi, Laira. -
La mia mano ancora
nella sua.
*
Non ho molto
tempo, gente.
Vorrei ringraziare a modo coloro che hanno recensito lo scorso
capitolo, ma la
mente non me lo permette. Sommersa fra i libri e lì
imminente verifica di
matematica… non capisco più nulla.
Perdonatemi.
Perciò grazie a Sognatrice85,
Nessie93,
Satyricon, SweetCherry, A l y s s a.
A presto, baci,
Panda.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo13 ***
CAPITOLO 13
Hakuna Matata...
ma che dolce poesia!
Hakuna Matata...
Tutta frenesia!
Senza pensieri
La tua vita sarà
Chi vorrà vivrà
In libertà...
Hakuna Matata!
Hakuna
Matata, il re leone, classico disney, 1994.
Il fuoco
scoppiettava davanti a noi, e ci teneva al
caldo nella fredda notte. Le lunghe fiamme dalle mille sfumature, che
andavano
dal giallo all’arancione, dall’arancione al rosso,
si elevavano alti e quasi
selvagge. Eppure controllate.
Un ragazzo strimpellava distrattamente una chitarra, le cui note si
diffondevano nell’aria, a volte intonate, a volte distorte.
Un leggero brusio,
risate sincere, l’accompagnavano.
C’erano dieci ragazzi, intorno al grande fuoco. Alcuni
cuocevano salsicce, altri
marshmallow, come me e Robert, alla mia sinistra.
Robert. Voltai il capo e guardai in volto, nella sua totale perfezioni
illuminato dalla luce delle fiamme.
Osservai il profilo del suo viso, soffermandomi sulle sue
labbra.
Il mio cuore cominciò a galoppare.
Scossi il capo, cercando di cacciare i languidi pensieri, portandomi un
pezzo
di marshmallow in bocca.
-L’invenzione migliore dell’uomo. -, disse Robert
avvicinando a me il suo
marshmallow, indicandolo con un dito e guardandolo con espressione
concentrata.
Poi sposto il suo sguardo su di me, e sorrise.
-Concordo. -, dissi prima di portarmi un altro pezzo alle labbra. Per
alcuni
attimi i suoi occhi indugiarono sui miei, poi, chinando lo sguardo,
tornò a
guardare le fiamme.
Mi voltai incuriosita da alcune risate. Un ragazzo ed una ragazza,
accanto a
me, ridevano a scherzavano. Si scambiarono un bacio a fior di labbra.
Di scatto
spostai lo sguardo, serrando la mascella e fissando il fuoco.
-Non so come tu abbia fatto a portarmi qui. -, dissi scuotendo appena
il capo.
-Ti ho presa per mano. Semplice. -, rispose facendo spallucce.
-Scemo. Non intendevo quello. -, ridacchiai dandogli una leggera spinta
con la
spalla.
-Allora, in tal caso, non lo so nemmeno io. Magari
perché… anche tu hai voglia
di divertiti, di vivere un po’ senza pensieri la vita
così come viene, senza
troppi ma o perché.
-
-Io mi diverto. -, dissi corrugando la fronte.
-Divertirti in maniera diversa, Laira. Hai conosciuto gente nuova, sei
uscita
dal tuo guscio, hai parlato con dieci persone diverse nelle ultime tre
ore,
come se le conoscessi da anni. Ti sei lasciata andare. L’ho
visto sai?-. Le sue
parole mi lasciarono interdetta, confusa, mentre mi perdevo nel mare
dei suoi
occhi, nel quale si riflettevano la lunghe fiamme arancioni.
-Io… non vivo in un guscio. -, soffiai consapevole che aveva
ragione. Eppure,
non volevo ammetterlo, troppo cieca e
testarda, piena di… paura?
Alzò un sopracciglio, guardandomi negli occhi per attimi che
parvero infiniti.
Poi, sospirò e scosse il capo, guardandosi i piedi affondati
nella sabbia.
-E’ così difficile… capirti, Laira. Ci
sto provando. -, mormorò, fra lo
scoppiettio del fuoco. Le sue parole furono, per qualche inspiegabile
motivo,
pugnalate al cuore.
Perché mi importava così tanto? Perché
in quel momento desideravo premere il
palmo della mia mano sulla sua guancia? Stringerlo a me? Perché?
L’aspettai lenta, piano, la risposta che
tardò ad arrivare. Un angolo del
mio cuore già la conosceva, e la gridava al mio animo, che
si rifiutava di
credergli o prestargli attenzione.
Lo stomaco mi si strinse in una morsa ed il mio respiro
accelerò, eco del
battito del mio cuore.
-Sono allergica alle fragole. Da piccola ho preso il morbillo e da
allora una
cicatrice, che assomiglia più a una piccola macchia sotto
l’orecchio. Sono
caduta dalle scale, l’anno scorso e mi sono procurata una
cicatrice sul fianco
destro, all’altezza della vita. Quando era piccola avevo un
cane, Lola. Passavo
iteri pomeriggio al parco con Andrew, sulla mia bicicletta azzurra, che
tanto
mi ricordava il mare. Era dello stesso colore dei tuoi occhi. Ho avuto
il mio
ragazzo a sedici anni, colui che mi accompagnò al ballo di
fine anno. Ho avuto
una storia importante nella mia. I miei sono morti anni fa. Mi piace
dipingere,
mi piace leggere. Ho un problema con gli zuccheri, ne mangio troppi. E
secondo
Andrew vivo in un mondo tutto mio.-, dissi tutto d’un fiato
fissando il fuoco,
come ipnotizzata.
Robert aveva gli occhi dilati dalla sorpresa e mi guardava, lo notai
con la
coda dell’occhio.
Sorrisi flebilmente voltandomi verso di lui.
-Più o meno questa sono. -, dissi imbarazzata.
-Vorrei farti così tante domande… -,
sussurrò con voce calda.
-Provaci. -
-Che tu ci creda o no, -, disse carezzandomi il mento con la punta
della dita,
-ora, non me ne viene in mente nemmeno una. -
Il fiato mi si mozzò, ed il cuore perse un battito, quando
le sua dita scesero
piano lungo il mio collo, lasciando su di esso una scia incandescente.
Aprì la
bocca per dire qualcosa, ma fu interrotto da un’altra voce.
-Allora, ragazzi? Voi venite?-, Robert allontanò le mani dal
mio viso, quando
la voce di una ragazza, Sharon, che ci aveva presentato a tutto il
gruppo, fece
irruzione.
-Dove?-, chiese lui corrugando la fronte.
-A fare il bagno!-, esultò saltellando.
Sgranai gli occhi, incredula, -Ma fa freddo!-, esclamai con voce acuta.
-Bhe, effettivamente… -, ponderò Robert
arricciando le labbra e fissando
concentrato la sabbia, -Io ci sto. -, disse poi alzando di scatto il
capo.
-Si!-, gridò Sharon, una ragazza dai tatti orientali,
capelli scuri e neri,
della stessa tonalità dei miei, occhi dello stesso colore
della notte.
-Cosa?-, domandai. La mia voce risultò un suono acuto e
strozzato.
-Andiamo a fare il bagno. -, disse ovvio Robert.
-Si, a fare il bagno. -, disse Sharon porgendo la mano a Robert, che
batté il
cinque.
-Voi siete pazzi. Io non ci vengo. -, conclusi scuotendo il capo.
-Carpe diem, Laira! Quando ti
ricapiterà una cosa del genere?-, esclamò Sharon
piegandosi sulla ginocchia,
per guardarmi negli occhi.
-Hakuna matata. -, sorrise Robert.
-Vivi, ragazza. Senza rimpianti, senza rammarichi. Vivi. Divertiti.
Rischia.
Che importa se l’acqua è fredda?-, disse Sharon e
negli occhi le brillava una
luce strana. Era… vita.
Guardai Robert per attimi infiniti. Mi guardava, gli occhi ardenti.
Felici.
Elettrizzati.
Sospirai e sentii l’adrenalina circolarmi in tutto il corpo.
Scattai in piedi,
sorridente. Mi sfilai la maglia, gettandola sul tronco sulla quale ero
seduta.
-Senza pensieri. -, dissi dirigendomi a passo di marcia verso la
battigia.
-La tua ragazza mi piace. -, disse sentii la voce di Sharon, quasi pari
ad un
sussurro.
-Lo so. -, e nell’udire la voce di Robert il mio cuore
sembrò fermarmi, per poi
intraprendere una folle corsa. Tramai. E non era per il freddo.
*
Salve gente, ed
eccomi, dopo un leggero ritardo, con un
altro capitolo.
Bene, ovviamente riferimenti al mondo dei cartoni ad al magnifico carpe
diem,
una costante oramai, non poteva mancare.
La scena non si conclude, qui, come spero abbiate capito, ma continua
nel
capitolo successivo,ma al riguardo, non parlo, che è meglio
XD
Ora, ringrazio i tre angeli che hanno recensito la scorso capitolo,
ringraziandoli in anticipo dal profondo del cuore.
Sognatrice85: ciao, Marghe!
Ovviamente, come sai già, mi fa molto piacere sapere cosa
pensi, davvero! Devo
dire io grazie a te! A te che leggi e che mi fai venir ancora
più voglia di
scrivere! Spero questa capitolo non ti abbia delusa. A presto, cara! E
grazie
davvero!
mathi: ciao! Sono felicissima di
sapere che l’atmosfera della spiaggia ti sia
piaciuta… per me è davvero
importante. Spero anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento.
Grazie
mille per la recensione! *_*
Nessie93: Kellan…
Kellan… potrebbe
essere davvero malato. Metti in dubbio la mia buona fede? ;)
Coooooomunque… i
tuoi viaggi mentali, ti giuro, mi fanno troppo ridere…e tanto piacere,
perché così vuol dire che
almeno un po’ ti ho preso con questa fiction! Eheh, il
flashback… scommettiamo
che nei capitoli successivi ti piacerà molto vedere Derek in
un certo modo? Io
dico di si, oramai un po’ ti conosco. Similitudini? O.O a me
fanno un po’ pena,
sinceramente… ma è meglio evitare questa
parentesi. Tesoro, grazie per la
recensione. Ciò che scrivi mi fa sempre sciogliere! Ti
voglio bene, e ancora
mille molte grazie.
A l y s s a: Paaaatt! Perdonami!
ç_ç
A voi, con immenso affetto,
Panda.
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 14 ***
CAPITOLO
14
E l'amore
avvolgerà i sogni e la realtà,
fra tutti c'è perfetta armonia e ognuno
incanterà.
Per
dirle che io l'amo dovrei
spiegar perché
fantasmi
e luci del passato
ritornano da me.
Qualcosa
mi nasconde, ma io non
so cos'è;
perché non vuole rivelare che in
lui c'è un vero re?
Il re leone,
L’amore è nell’aria
stasera.
Mi
sfilai i jeans ed avvampai di rossore. Con la coda
dell’occhio vidi Robert sfilarsi la maglia. Mi passai una
mano fra i capelli,
incrociando poi le braccia al petto, guardando i ragazzi e le ragazze
che si
tuffavano in acqua fra grida e risate. Sharon, mi passo accanto,
diretta
nell’acqua e mi strizzò un occhio, sorridendomi.
Mi voltai verso Robert, mi guardava, una parte del viso
nell’ombra, una
illuminata dalla distante luce del fuoco. Persi la cognizione della
realtà. Non
ricordavo dove mi trovassi, perché avessi freddo,
perché i miei piedi erano
immersi nella sabbia. C’erano i suoi occhi chiari, ardenti e
profondi.
-Se entri piano avrai più freddo. -, disse serio, con voce
calda.
-Non è vero. -, dissi riducendo gli occhi a due fessure.
Sorrise. Poi il suo sguardo scese sul mio corpo le guance sembrarono
prendermi
fuoco.
Inclinò il capo verso destra e corrugò la fronte.
Alzò piano la mano, ma si
bloccò a mezz’aria, fra il mio corpo ed il suo.
Sapevo cosa fissava. Mi
guardò negli occhi e sollevai un angolo
della bocca verso l’alto, tenendo sempre le braccia strette
al petto. La sua
mano ancora indugiò, poi sfiorò la pelle del mio
fianco, ripercorrendo con le
dita la cicatrice che avevo all’altezza delle vita.
-Non credevo fosse così lunga. -, mormorò. Chiusi
per un istante gli occhi, poi
con la mano l’andai a coprire, costringendo a ritirare la sua.
-Non fraintendermi. Non ne sono disgustato. -, sorrise sfiorandomi la
mano che
copriva la cicatrice. Annuii col capo e sorrisi flebilmente.
-Perdonami. -, disse con tono dispiaciuto ed io suoi occhi erano
sinceri.
-Nah. -, dissi scuotendo il capo e sorridendo, -Potrei rimangiarmi
quanto detto
e rivestirmi. -, dissi prendendo a camminare verso l’acqua.
Sentii il suo
sguardo sulla schiena. Mi voltai per guardarlo e lo vidi, a due metri
da me,
alto, longilineo, di spalle alla luce. Ne distinguevo i contorni ma non
le
espressioni del viso.
-Non eri quello che voleva far il bagno?-, chiesi corrugando la fronte.
Lo
sentii ridere sommessamente. Poi si diresse verso di me.
Entrai con i piedi dell’acqua.
-Mmm… la credevo più fredda. Non che sia calda,
ma… -
Robert rise, -Oh, Laira. Quante storie. -, disse mentre avanzavamo
nell’acqua.
-Io?-, dissi ad occhi sgranati.
-Oh si. -, rispose lui annuendo.
-Ah. Bene. -, ponderai, -Te la sei cercata. -, feci spallucce, prima di
poggiare una mano sulla sua spalla e l’altra sul fianco e
spingerlo. Perse
l’equilibrio e cadde in acqua.
Risi, fra me, trionfante. E avanzai nell’acqua fino a che non
mi arrivò ai
fianchi.
-Sei.morta. -, sentii sussurrarmi all’orecchio. Spalancai gli
occhi e sobbalzai
appena sentendolo così vicino a me. Silenzioso, non mi ero
accorta che fosse
avanzato. Poi braccia fredde e bagnate circondarono le mie spalle e
sentii la
mia schiena aderire al suo petto. Brividi mi attraversandolo da capo a
piedi,
non solo dovuti al suo corpo bagnato, ma anche alla vicinanza del suo
corpo…
soprattutto a quella. Il suo petto vibrò, eco da una sadica
risata. Mi dimenai,
pregandolo di risparmiarmi, ma il suo corpo scivolò
all’indietro e con esso,
anche il mio.
Caddi nell’acqua. La sentii filtrare fra i capelli, fredda,
procurandomi
brividi, mentre le sua braccia mollavano la presa attorno alle mie
spalle. Risalii in
fretta ed il contatto con l’aria
mi provocò un certo senso di sollievo, poiché la
temperatura era più alta di
quella dell’acqua.
Robert rise, e tremante, mi voltai verso di lui.
-Non ridere!-, esclamai.
Immerso nell’acqua fino alle spalle, mi guardava cercando di
trattenere le
risate, -Si chiama vendetta. -, disse, -Certo che se entri
nell’acqua magari ti
abitui alla temperatura e non avrai freddo. -, continuò.
Sbuffai e seguii il suo consiglio, stringendomi la braccia al petto.
Gemetti, percossa da brividi ed involontariamente presi a sbattere i
denti.
Robert sorrise e sospirò, -Vieni qui. -, disse poi
avvicinandosi a me, e
afferrandomi per un polso. Mi attirò a se, e, circondandomi
le spalle con le
barraccia, mi strinse al suo petto.
Il mio respirò accelerò, eco del battito del mio
cuore, e lo stomaco mi si
strinse in una morsa.
-Meglio?-
-Si. -, soffiai mentre i brividi cessavano e serravo i denti. Sentivo
il suo
respiro solleticarmi la pelle sotto l’orecchio e la sua mano
premere sul mio
fianco, stringendomi forte a sé… come se avesse
paura che potessi sparire con
la marea.
Che idea stupida, pensai ignara.
Io suo petto, il suo addome piatto, aderivano al mio. Nonostante fossi
nell’acqua fredda, il mio corpo sembrò prendere
fuoco.
-Avresti preferito che ci fosse stato Kellan, qui?-, mormorò
al mio orecchio.
Nel suo tono di voce una punta di tristezza. Poggiai il viso sulla sua
spalla e
con le mani circondai il suo addome, prendendo il palmo sulla sua
schiena.
-No. -, mormorai.
-Laira…-, soffiò. Mi allontanai appena, per
guardarlo in volto, senza
sciogliere l’abbraccio. I suoi occhi erano a pochi centimetri
dai miei, e
potevo sentire il suo respiro caldo sul mio viso. Sentivo le gambe
molli ed un
leggero formicolio le pervase.
-Si?-, soffiai. Il cuore che batteva troppo forte per essere
controllato.
Sperai che non se ne accorgesse, così stretta a lui, ma
probabilmente erano
preghiere vane.
Era il momento perfetto, per la giovane ragazza dal cuore ridotto a
brandelli.
Era il momento per rivendicare quella parte di se stessa crudelmente
demolita.
Era il momento di dire “Basta,
facciamola
finita”. Era il momento di lasciarsi andare al
ritmo irregolare del suo
cuore, al desiderio irrefrenabile di assaporare le sue labbra.
Una sua mano sfiorò il mio viso, premendo poi il palmo sulla
mia guancia umida.
Chiusi gli occhi, imprimendo nella mente quel semplice contatto. La
punta del
suo naso sfiorò con delicatezza la mia.
Sarebbe stato il momento perfetto, lo sapevamo entrambi, in fondo. Ma
qualcosa
dentro di me, urlò che non era la cosa giusta da fare. No,
non lo era.
Semplicemente perché in fondo, era io a non volerlo. Scossi
il capo e sospirai,
voltando lo sguardo e guardando l’acqua.
Perché rovinare tutto?
Magari poteva apparire la scelta errata, quella di
allontanarmi da lui,
senza una spiegazione, ma solo dopo mesi, capii di quanto fosse stata
ragionevole quella scelta.
-Robert Pattinson?-, una voce stridula mi riportò alla
realtà, mi voltai di
scatto verso la riva.
Robert chinò appena il capo e sospirò.
Istintivamente mi allontanai,
imbarazzata, come colta sul fatto, colpevole di qualcosa. Imbarazzata
per
l’intimità appena avuta con lui.
-Cosa c’è, ora?-, borbottò voltandosi
verso la spiaggia e affinando lo sguardo.
Due ragazze lo salutavano con la mano.
Cominciò a camminare, verso la spiaggia, ed osservai la sua
figura longilinea,
i muscoli della schiena muoversi ad ogni passo. Sospirai, forse troppo
forte,
tanto che si voltò.
-Tu non vieni?-, chiese, e nell’oscurità della
sera lo immaginai aggrottare le
sopracciglia.
-… okay. -, annuii col capo. Avanzai verso la riva a due
metri di distanza da
lui, stringendomi le braccia al petto per il freddo.
-Hai visto? Avevo ragione!-, disse una delle due, dai corti capelli
chiari e
statura minuta.
-Si, okay, avevi ragione. -, disse l’altra, che invece aveva
capelli lunghi e
scuri, forse castano, molto più alta della prima.
-Ehm… potreste spiegarmi che succede?-, chiese lui confuso.
La ragazza dai capelli biondi fece spallucce, -Io sostenevo che tu
fossi Robert
Pattinson, lei invece no. Era da quando eravamo sul falò che
non riuscivo a
capire. -
Le due ragazze guardarono Robert, il suo corpo seminudo e bagnato
dall’acqua
del mare. Entrambe arrossirono, grattandosi a nuca imbarazzate.
-Waw. -, mormorò la bionda. Per qualche inspiegabile motivo
sentii il desiderio
irrefrenabile di gettarla nel fuoco.
-Per verificare ti ho chiamato io. -, disse l’altra, per
allentare la tensione.
-Ah, quindi sei stata tu. -, disse leggermente irritato. Una delle
ragazze
spalancò gli occhi, l’altra corrugò la
fronte, -Abbiamo interrotto qualcosa?-,
chiese titubante, guardandomi.
Scossi energicamente il capo, -No, no!-, ci affrettammo a dire,
sventolando una
mano in aria. Robert si voltò a guardarmi, sul viso
un’espressione
indecifrabile.
-Allora… si, io sono Robert Pattinson. -, disse in un
risolino, -Voi, invece… -
-Oh, io sono Ellen. -, disse la ragazza dai capelli chiari porgendogli
una
mano.
-Io Candies. -, disse l’altra, imitandola. Poi guardarono me,
con espressione
curiosa. Mi sentii in soggezione, sotto i loro sguardi, seguiti da
quello di
Robert, che era come bruciasse sulla mia pelle.
-Laira. -, disse dopo alcuni attimi. Le ragazze non parlarono.
–Ehm… io vado
vicino al fuoco, o divento un ghiacciolo di donna. -, balbettai. Feci
due
passi, ma sentii qualcuno bloccarmi per il polso.
-Aspetta, vengo anche io. -, disse. Con la coda dell’occhio,
vidi le ragazze
scambiarsi un’occhiata. Poi Robert mollò la presa
e rivolgendosi cordiale alle
ragazze disse: -Venite anche voi?-
-Certo!-, dissero loro in coro. Raccolsi i miei vestiti e mi diressi
verso il
fuoco.
-Come ho fatto a non riconoscerti prima? Sarà stato il buio?
Forse… oddio, non
lo so. Comunque è un piacere conoscerti. -, disse
d’un fiato Ellen. Chiacchieravano
alle mie spalle, lontano dai miei occhi, che invece erano fissati sul
fuoco e
sulle mie mani che, davanti ad esso, cercavano calore.
-Ho amato Harry Potter. E devo dire
anche il tuo ultimo film non è niente male. -, disse Candies.
-Grazie. E’ sempre un piacere sapere… certe cose.
Senza di voi noi non saremmo
nulla. -
Corrugai la fronte e prestai maggiore attenzione alla conversazione.
-Cosa intendi dire?-, chiese Ellen, con tono confuso, dando voce ai
miei
pensieri.
-Bhe si, se non fosse per i fan io non sarei… Robert
Pattinson. O meglio, non
sarei quel Robert Pattinson. -,
disse
con tono delicato, -Alla fine, io non faccio nulla di eclatante. Sono
solo un
ventitreenne che si cimenta nella arti recitative. Sono Robert, come tu
sei
Ellen e tu Candies. -
-Ma la tua faccia è ovunque. -, disse una delle due, che non
riconobbi.
-Ecco quello che, permettimi il termine, distingue da te. E’
il mio lavoro. Un
lavoro pubblico… per così dire. -, il tono della
sua voce era posato e
cordiale.
-Ma… ma tu sei Robert Pattinson!-, esclamò Ellen,
-Sei famoso. -
Voltai appena il capo e fissai i loro volti illuminati dalla luce delle
fiamme.
Robert fece un risolino e passandosi una mano sul capelli bagnati,
scosse il
capo, chinando appena lo sguardo, prima di ritornare a guardare la
ragazza.
-Io sono Robert Pattinson, il ragazzo che girovagava per Londra senza
un soldo.
Il ragazzo schernito alle medie, il ragazzo che per fortuna ha avuto la
parte
in un film per interpretare il personaggio di un libro che le ragazze
amano. Io
sono ciò che siete voi. -, disse sorridendo e nei suoi occhi
non vi era altro
che… sincerità Quelle parole mi diedero alla
testa e mi lasciarono confusa e
interdetta. Io Laira, non la ragazza dai lavori saltuari. Lui
Robert… non una star.
Lui che parlava con fare dolce e
tranquillo alle fan. Ma con tutte di comportava così? Che
fosse un caso
isolato? Mi diedi della stupida per aver pensato ciò. La
bocca mente, ma gli
occhi mai, riflesso incondizionato del cuore.
Ed i ricordi si fecero avanti, crudeli…
-Non credi possa bastare?- , mi voltai verso Derek, corrugando la
fronte,
confusa.
-Scusa?-, chiesi. Lui mi fissava, impassibile, sul marciapiede che
costeggiava
il parco. L’aria fresca gli accarezzava piano i capelli color
del rame.
-Siamo appena usciti dal ristorante. Non credi sia meglio evitare di
mangiare
anche un gelato. -
Era uno scherzo. Si, era uno scherzo. Feci un risolino e scossi il capo.
-Carina, davvero. -, disse dirigendomi verso un la gelateria alle
nostre
spalle.
-Non stavo scherzando. -, disse, irritato, -Ero serio. -
Mi voltai e sgrani gli occhi, -Davvero?-
Lui annuì col capo ed incrociò le braccia al
petto. Lo fissai sconcertata, -Ma…
perché?-. Non capivo, cercai di rifletterci su,
ma… nulla, nulla tornava.
-Fai come ti pare, Laira. Non dare a colpa a me se perdi la linea. -,
disse
alzando un sopracciglio.
Risi, appena, istericamente. Non era possibile. Lui, il mio
Derek, non poteva averlo detto. Non poteva avermi detto una
cosa del genere. Non lui, non il ragazzo che per qualche strana
ragione, amava
me e solo me.
-Derek!-, esclamai sconcertata avvicinandomi a lui.
-Ho fatto solo un’osservazione, amore. -, disse con tono
dolce e pacato. Quel
caro tono che solo mesi dopo mi resi conto fosse ingannatore. Quel caro
tono
ingannatore, precursore di una vita fatta di bugie.
Lo guardai con espressione dura, e quasi ferita.
-Non ci credo… -, dissi più a me stessa che a
lui, scuotendo il capo e
chinandolo appena. Derek si mosse sul posto nervoso, passandosi una
mano sul
viso.
-Mi ritieni un bugiardo, Laira?-, chiese avvicinandosi per prendermi il
mento
fra l’indice ed il pollice e costringermi a guardarlo negli
occhi. Anche se non
volevo, mi persi in quel mare nero.
-No. -
-Dai va a prendere il gelato. -
Scossi il capo, -Non mi va più. Mi hai fatto passare la
voglia. -, dissi a
pochi centimetri dalle sue labbra.
-Okay. -, poi a spezzare quel momento fu una voce di ragazza.
-Derek Smith!-, disse. Ci voltammo e tre ragazze si diressero verso di
noi. Lui
sbuffò e io mi allontanai.
-Non ci credo!-, disse un’altra ragazza.
-Maledette. -, sibilò accanto a me.
Gli tirai una gomitata, -Derek!-, lo ripresi sotto voce. Lui si
voltò verso le
ragazze, fece un sorriso sgargiante, ed io che lo conoscevo bene,
terribilmente
finto.
-Amiamo lo sponsor per quella linea di jeans!-, disse una.
-E la serie televisiva… è… waw. -
-Si, è… waw. -, ripeté una terza.
Derek si passò una mano fra i capelli e prese a parlare con
le tre ragazze. Per
quindici minuti parlarono di come i jeans gli stavano magnificamente
indosso, mentre
io, a due metri di distanza attendevo. Era sempre così. Lui
parlava con le fan,
prima le malediva, poi le amava, poi le malediva quando irritata non
gli
parlavo. Potevo fingere che fossi felice di rimanere in disparte mentre
lui
parlava con le “fan”? No, direi di no.
“Ma, amore, cerca di capire.”, diceva tutte la
volte.
“Sono la tua ragazza, potresti rendermi
partecipe.”, rispondevo. Poi lui sviava
il discorso e nemmeno me ne rendevo conto.
Passarono altre dieci minuti. Sentendomi esclusa, mi allontanai
sedendomi su
una panchina.
Derek non se ne accorse.
-Laira, tutto okay?-,
liberandomi dalla fitta di rete
di pensieri nella quale era caduta, guardai Robert, accanto a me. Gli
occhi
ardenti e preoccupati. Spostai lo sguardo e vidi le due ragazze accanto
a me.
Si, lui non era
come… Derek.
*
Salve gente, ho
davvero poco tempo. Vorrei ringraziarvi
a modo, ma ho mezzo libro di storia da ripetere per domani
ç_ç
Perciò ringrazio Sognatrice_85,
doddola93, mathi,
Nessie93, lazzari,
A l y s s a, con la promessa di
rifarmi la prossima volta. Grazie
ragazza, grazi di cuore.
A voi, Panda.
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Capitolo 16 *** Capitolo15 ***
CAPITOLO
15
L’amore
è un fumo che nasce dalla
nebbia dei sospiri;
se purificato, è un fuoco, che guizza negli occhi degli
amanti
se agitato, è un mare che si nutre delle loro
lacrime…
ma che altro può essere?
pazzia discreta, soffocante amarezza e dolcezza che alla fine ti salva.
William Shakespeare,
1564-1616, drammaturgo e poeta
inglese.
Tremavo.
Tremavo, scossa da violenti brividi. Faceva freddo. Avevo tanto freddo.
Mi rannicchiai, ancor di più in posizione fetale, e mi
strinsi le ginocchia al
petto.
Sentivo la sabbia sotto di me, morbida e fresca. Mi avvolsi ancor di
più nella
coperta.
Era in uno stato di dormiveglia, nonostante il freddo non avevo voglia
di
aprire gli occhi.
Il fuoco che poche ore prima mi dava calore si era spento. Accanto a
me, però,
d’un tratto sentii un’altra e diversa fonte di
calore. Un corpo. Un corpo
caldo.
Sentii della braccia circondarmi l’addome, rannicchiarsi
contro la mia schiena
ed affondare il viso fra i miei capelli.
Conoscevo quella stretta, leggera e delicata, di colui che si era
addormentato
accanto a me.
Aprii gli occhi di scatto ed osservai quelle mani. Le riconobbi.
Erano le sue.
Sentii il calore all’improvviso invadermi, riscaldarmi le
membra per giungere
piano al cuore. Quel piccolo muscolo che prese a battere troppo
velocemente per
essere controllato, rimbombava nel mio petto, con il rumore di mille
uragani.
Aprii di scatto gli occhi. Avevo utilizzato le mia braccia come
cuscino.
Sospirai, cercando di regolarizzare il battito del mio cuore. Non ci
riuscii.
Alzai il capo. Il braccio mi si era addormentato.
-Ahia!-, esclamai in silenzio quando lo sollevai in aria e mi cadde sul
viso,
colpendomi sul naso. Avevo totalmente perso la sensibilità e
mi formicolava,
causandomi quasi dolore.
Le mani che mi circondavano l’addome si allontanarono e
Robert, accanto a me
sobbalzò. Mi voltai e lo vidi poggiato sul gomiti, una mano
a ripararsi gli
occhi dalla luce diurna. Lo sguardo confuso e stralunato. Il suo corpo
era
dannatamente vicino a mio, tanto che potevo sentire l’odore
della sua pelle.
-Cosa..?-, chiese confuso, poi, un istante dopo, capì.
–Oh, perdonami. -, si
scusò allontanandosi.
-Non ti scusare, non devi. -, dissi prima di mordermi la lingua.
Stupida!, mi ammonii.
Lui mi guardo, quasi con affetto, e sorrise. Un angolo della sua bocca
si
sollevò timido verso l’alto.
-Buon giorno. -, dissi.
-Buon giorno. -, rispose lui, poi con lo sguardo osservo quel che
rimaneva del
fuoco e le persone, stretta fra loro, dormivano, beati e sfiniti.
Sbadigliò e nel vederlo, sbadiglia anche io, di rimando.
Si stiracchio le braccia, portandosele sopra la testa, -Che ora
sarà?-, chiese
con voce ancora impastata dal sonno.
Alzai gli occhi al cielo, -Credo le cinque. Non
c’è ancora il sole. -
-Waw, la dormita più lunga di tutta la mia vita.
Un’ora. -, disse corrugando la
fronte e annuendo pensieroso.
Mi lasciai andare ad un risolino, prima di scuotere il capo, -Che scemo. -
Volsi lo sguardo all’oceano grigio. Le onde lente si
infrangevano, sulla
battigia, ed il loro rumore era come una dolce ninnananna in quel luogo
dove
spirava vento freddo.
Mi strinsi le ginocchia al petto, mentre il vento si infiltrava fra i
capelli
pieni di salsedine, aridi e secchi. Al tatto sembravano paglia.
-Direi che è meglio tornare. Sati tremando. -, disse
accarezzando una ciocca di
fieno.
Annuii col capo. Ci alzammo e ci allontanammo da
ciò che rimaneva del legno
bruciato, estraendo dalla sabbia le nostre scarpe. Scorgemmo la figura
di
Sharon in riva al mare, perciò ci avvicinammo per salutarla.
-E’ stato un piacere conoscervi, ragazzi. -, disse
abbracciandoci entrambi.
Sorrisi, intenerita.
-Il piacere è stato nostro, Sharon. -, sussurrò
Robert al mio fianco.
-Statemi bene. -, disse portandosi una ciocca di capelli lisci dietro
un
orecchio.
-Anche tu. -, rispondemmo in coro.
Salutammo con la mano quella stramba ragazza dalle pelle ambrata e ci
allontanammo.
-E ricorda, Laira… senza
pensieri!-, urlò.
Alzai il pollice in aria.
-Sarà fatto!-, risposi alzando la voce di alcune ottave per
farmi sentire. Poi
mi voltai e vidi Robert sorridermi. I nostri piedi affondavano nella
sabbia
fredda e morbida, sottile e chiara, rabbrividii appena quando una
folata di
vento filtrò nella felpa, carezzandomi la schiena.
-Cosa c’è?-, chiesi dandogli una leggera spallata,
-Sto vivendo. –
Con la sabbia nelle
scarpe, nella maglia, nei jeans, fra i capelli, salimmo la scale della
veranda,
in unta di piedi, soffocando risate. Risate senza senso, venute
così, dal
cuore, senza un reale motivo. Forse dettate solamente dalla
felicità.
Lì, accerchiarti dagli alberi, non facevo freddo come sulla
spiaggia.
Cercai la chiave nella tasca dei jeans e la inserii nella toppa, mentre
Robert
si sfregava le mani, cercando di riscaldarsele.
Entrammo nella locanda e sentii il torpore avvolgermi.
-Waw. -, sospirai chiudendo gli e rilassando i muscoli, per poi
poggiarmi alla
porta.
-Cosa c’è?-, chiese. Aprii gli occhi e lo vidi,
sorridere. Un ammaliatore
sorriso sghembo.
-Calore. -, dissi portandomi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio, ed avevo
la sensazione che gli occhi mi brillassero. Che fosse vero, non potevo
saperlo.
-Ci vorrebbe qualcosa di caldo. -, ponderò, prendendosi un
mento fra indice e
pollice.
-Cioccolata calda!-, dissi istintivamente, parole che non riuscii a
frenare,
che sgorgarono dalla mia bocca. Il tono con cui lo dissi sembrava
quello di un
bambino che copre dove la mamma ha nascosto i biscotti con le gocce di
cioccolato.
Ma che ti prende? Perché non riesci
a
tenere la bocca chiusa?, mi chiesi.
Ma… i suoi occhi si accesero di una strana luce.
-Perfetto!-, esultò.
Sorrisi e scossi il capo,
-Dai, andiamo. -, dissi afferrandolo per mano e dirigendomi a passo
felpato
verso la cucina. Con sole tre parole che mi ronzavano in testa: cioccolata calda e… Robert.
-Guarda
come pian paino
diventa densa. -, sentii la sua voce alle mie spalle, il suo viso che
sbirciava
dietro essa, ed il suo respiro mi spostava delicatamente i capelli.
Sorrisi, flebilmente col cuore che galoppava frenetico,
-Già… cos’è il richiamo
del cioccolato?-
Rise, una risata roca e bassa, si allontanò da ma
poggiandosi al piano della
cucina mentre giravo la cioccolata nel piccolo pentolino.
-Fra un’oretta dovrebbe alzarsi Andrew. -, dissi senza
guardarlo in volto.
-Di già?-, chiese, sorpreso.
Annuii col capo, -Ed io con lui. -
-Sul serio?-, chiese allarmato. Mi voltai a guardarlo incuriosita dal
suo tono
di voce.
Annuii ancora col capo, poi lui abbassò lo sguardo, -Mi
dispiace. -, mormorò.
Inclinai il capo verso destra e lo scrutai, -Perché?-
-Avresti dovuto riposare. -, disse mettendosi dritto e passandosi una
mano sul
viso.
Sbattei le palpebre qualche volta, prima di perdermi in una calma e
lenta
risata.
-Perché ridi?-, chiese corrugando la fronte.
Scossi il capo,-Se non avessi voluto venire, avrei detto di no sin
dall’inizio,
Robert. -, dissi con fare dolce. Fui
sorpresa dal mio tono di voce, quasi… spiazzata da me stessa.
Cosa ti succede Laira?
I suoi occhi fissarono i miei, disarmandomi e come una sera
di settimane
prima, quando i suoi occhi si rivelarono ai miei per la prima volta, mi
sentii…
nuda, come se ancora una volta
vedesse cosa ero realmente, la vera Laira, come se cercasse di capire i
miei
intimi segreti, pensieri… la mia anima nuda davanti a
sé.
Risi con leggera isteria e scossi ancora il capo. Le poche ore di sonno
iniziavano a farsi sentire, e quando non dormivo la lingua mi si
scioglieva
come burro, e dalle mie labbra uscivano parole che mai e poi mai avrei
pensato
di dire. Rabbrividii. Questo cambio repentino di emozioni e sensazioni
mi diede
alla testa. Ed ebbi paura che Robert potesse leggere tutto
ciò nella scatola
dei miei occhi.
-Non ti penti di… nulla?-, chiese, e sembrò un
bambino, incredulo, intimorito
dal giudizio della mamma.
Scossi il capo, -Ed ora, Pattinson, perdonami, ma la mano mi sta
andando a
fuoco. Potresti continuare a girare mentre prendo delle tazze?-, chiesi
tornando a guardare la cioccolata.
-Oh, si, perdonami. -, disse sorridendo, tanto che gli occhi gli si
illuminarono.
Prese il mio posto, mentre mi avvicinavo al pensile contenente delle
tazze, ne
afferrai due, color del mare e mi avvicinai al piano della cucina.
Versai quel
liquido denso e marrone nelle tazze.
Del fumo caldo si alzava in spirali nell’aria, profumando
l’ambiente.
-Mi sa che qualcuno, qui, ha un serio problema con il cioccolato. -,
ridacchiò
lui, quando mi avvicinai, ad occhi chiusi, ad inebriarmi del dolce
profumo
della crema nel bicchiere.
Aprii gli occhi e gli feci la linguaccia, prima di affondare il
cucchiaino
nella tazza, -E mi sa che non sono la sola. -, dissi indicandolo con un
gesto
del capo. Aveva portato la tazza alla labbra affondandoci il naso.
Sorrise e fece spallucce, -E’ lui il tentatore. -
Scossi il capo facendo un risolino, -Si, certo, certo. -
Bevemmo la nostra cioccolata calda fra sorrisi e sguardi, di quelli che
ti
entrano nel cuore, per non uscirvi più.
Indugiai sulla porta della mia camera, dondolando sui piedi, fissandomi
le
scarpe impolverate.
-Allora… allora buona notte.
-,
mormorai alzando gli occhi sui suoi.
Anche lui, indugiava, dondolando sui piedi. Rise.
-Buona notte, Laira.
O meglio, ci si vede fra qualche ora.
-
Ridacchiai ed annuii col capo, -Sono stata bene. -, risposi sincera.
-Anche io. -, mormorò.
-Suppongo tu debba preparare la valigia. -, disse giocherellando con la
chiave.
Arricciò le labbra ed annuii, -Si torna. -
-Alla fine… è servito, non credi? È
stato, piuttosto rilassante… staccare dalla
città, intendo. -, e non mi riferivo solo a quello. In quei
pochi giorni avevo
scoperto un mondo affascinante, un modo lontano dal mio, ma allo stesso
così
maledettamente vicino. Il suo
mondo,
la sua anima. Avevo semplicemente
scoperto… Robert.
-Si, è stato… interessante, molto. -,
disse incatenando i miei occhi ai
suoi, l’intensità del suo sguardo mi scosse, come
se volesse comunicarmi
qualcosa senza usare le parole.
Fremetti e sperai non se ne accorgesse.
-Forse è meglio andare. -, disse quando il desiderio di
sfiorare la sua pelle divenne
sempre più irrefrenabile. Incrocia le braccia al petto,
involontariamente.
Annuì col capo, -A più tardi, Laira. -, poi con
estrema lentezza si avvicinò al
mio viso e le sue labbra baciarono con delicatezza la mia guancia, che
prese
fuoco sotto quel tocco.
-Ri-buona notte. -,
ridacchiò.
-Ri-buona notte. -, risposi con un
sorriso.
Entrai in camera col cuore che batteva troppo velocemente per essere
controllato.
*
Ed eccomi qui, gente!
Sono un po’ euforica oggi… i Muse mi aspettano ed
io
sono… oooooh *_*
Okay, la smetto,
scusate. Ma sono così eccitata che non faccio altro che
ripeterlo!
Con
mio grande ed immenso dispiacere, nemmeno questa volta posso ringraziare
a modo
chi ha recensito lo scorso capitolo. Oggi ho una festa e domani il
compito di
matematica ç_ç e devo ancora
organizzare
delle cosa per la partenza di domani. Un'ultima cosa... grazie di cuore, Ely.
Perciò
ringrazio di cuore delle persone speciali: Xx_scrittrice_xX, mathi,
Nessie93, lazzari, Sognatrice85, A l y s s a.
Con
immenso affetto,
la vostra
Panda.
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 16 ***
CAPITOLO 16
Se
vuoi qualcosa nella vita,
allunga la mano e prendila.
Christopher
McCandless, Into the wild.
Ero in uno stato
di dormiveglia. Persa nel mio mondo
personale, volavo con i conigli.
Non avevo idea di dove fossi, perché la spalla ed il collo
mi facessero male.
Sapevo solo che non volevo riprendere conoscenza. Cercai di
riaddormentarmi,
ma, nella semi-incoscienza, sentii qualcuno mormorare il nome. Era una
voce
familiare e mi concentrai su essa, riaffiorando piano dal mondo sei
sogni.
«Laira?», invocò ancora. Andrew.
Contro la mia volontà, costretta, aprii gli occhi. Sbattei
le palpebre quando i
miei deboli occhi furono colpiti dalla forte luce del sole, fastidiosa
ed
irritante.
Gemetti, coprendomi il viso con le mani.
«Cosa c’è?», chiesi con voce
impastata dal sonno.
«Perdonami la domanda, ma… a che ora sei
rientrata?», chiese con ironia nella
foce. Lo sentii soffocare una risata.
Fu lì che capii dove mi ero addormentata e, quindi,
perché la spalla ed il
collo mi dolevano. Mi trovavo, rannicchiata, sulla poltrona
nell’angolo della
stanza, illuminata direttamente da un raggio di sole.
Mi guardai intorno, confusa, massaggiandomi la parte di collo dolente
con una
smorfia.
«Ero le sei quando mi sono addormentata…
credo», risposi poggiando i gomiti
sulle ginocchia a reggendomi la testa con le mani.
«Wow».
Alzai lo sguardo su Andrew che, ad occhi sgranati, mi guardava.
«Ti prego Andrew dimmi che sono le tre del pomeriggio e che
dalla finestra posso
vedere il sole».
Rise. «Purtroppo, cara Laira, dalla tua finestra puoi vedere
il sole splendere
sulla campagna… poiché sono le sette del
mattino».
Dilatai gli occhi sorpresa, alzando di scatto la testa. «Vuoi
dire che ho
dormito solo un’ora?». La mia voce
risultò un suono acuto e strozzato.
Lui sorrise con fare dolce e si sedette sul bordo del letto.
«Laira, Laira… non si fanno le ore piccole.
Soprattutto se lui è Robert
Pattinson».
Alzai un sopracciglio e, dolorante, mi diressi verso il bagno.
«Ehi, voglio i dettagli!», disse seguendomi.
Sbadigliai e mi voltai, poggiandomi
allo stipite della porta.
«Non ci sono dettagli, Andrew. Non è successo
nulla… non è come pensi tu», mormorai
guardandomi negli occhi.
«Non ci credo», disse con voce bassa e grave.
Sospirai, passandomi una mano fra i capelli arruffati e ancora pieni di
salsedine. Il mio cuore sorrise al ricordo della sera prima.
«Dopo una doccia», mormorai alzando gli occhi al
cielo.
«Ci conto», disse, ma la sua voce fu attutita dalla
porta che sbattei con
delicatezza. «Maleducata!», aggiunse sbattendo il
pugno sul legno bianco.
Sogghignai prima di aprire l’acqua della doccia e perdermi
nei ricordi.
Scesi la scale
trascinandomi per i gradini, assonnata. Sbadigliai e quasi inciampai
nei miei stessi
piedi. Per miracolo, rimasi in piedi. Quella repentina ed improvvisa
perdita di
equilibrio mi aveva risvegliata dal sogno ad occhi aperti in cui ero
momentaneamente caduta.
Mi strofinai gli occhi e mentre mi dirigevo verso la cugina sbattei
contro lo
spigolo del muro nella sala da pranzo, persi ancora
l’equilibrio prima di
andare a sbattere contro soffice muro caldo.
Alzai lo sguardo, perplessa e mi resi conto che quello non era un muro.
«Ehi», rise afferrandomi per le spalle mentre
scivolavo all’indietro.
«Scusami!», mi affrettai a dire rossa in volto.
«Non ti ho visto», mormorai
chinando appena il capo.
«E’ inutile, Laira, io sono il tuo salvatore per
eccellenza», disse Kellan
sfoderando un sorrido a trentadue denti.
«Direi di si». Ridacchiai.
«Non hai dormito, eh?», chiese una voce chiara alle
mi spalle. Mi voltai e vidi
Kristen, sorridermi, con lo sguardo di chi la sapeva lunga. Mi
strizzò un
occhio, mentre la mani di Kellan scivolavano dalla mie spalle.
Avvampai ancor di più di rossore.
«Non hai una bella cera», disse poi in un sorriso
Kellan.
«Ehm, si… ecco… ».
«Robert», sospirò Kristen. Mi voltai di
scatto verso di lei, non sapendo cosa
dire, colta con la mani nel sacco, presa in fallo.
«Dove?», chiese Kellan guardandosi in giro,
corrugando la fronte, prima di
perdersi in un risolino.
«Sull’albero», rispose Kristen scuotendo
il capo, ridacchiando.
Kellan scioccò la lingua. «Ciao!», fece
lui aiutandosi con la mano.
Lo guardai, sconcertata.
«Vi state prendendo gioco di me? Non è divertente
e giusto, sapete? Collego
poco o niente, la mia mente è rimasta sulla poltrona della
mia camera», dissi
cercando di assumere un tono grave.
«Kellan, non prenderti gioco di Laira!».
«Kristen non prenderti gioco di Laira!». Entrambi
si fulminarono con lo
sguardo, prima di ridacchiare. Si entrambi mi prendevano in giro, era
chiaro.
Ma la cosa che mi lasciò interdetta era la
complicità, fra i due. Era
chiaramente un’allusione alla sera prima. Sicuramente
sapevano che ero stata
con Robert.
Ma Kellan… mi ero persa un tassello del puzzle?
«Okay», dissi rossa in volto. «Ricevuto.
Approfittate del mio status mentale
per divertirvi».
La bocca di Kellan si aprì in un sorriso e mi cinse la
spalle con un braccio,
attirandomi a sé. «Vedi, Laira… questo
sia chiama semplicemente insano
divertimento».
Scossi il capo, sorridendo. «Sadico».
Lui soffocò una risata, lasciandomi poi andare.
Per un attimo, che mi parve interminabile, calò il silenzio
rotto soltanto dai respiri.
Poi, Kristen sospirò.
«Beh, credo metterò qualcosa sotto i denti. Hai
già fatto colazione, Laira»,
chiese Kristen inclinando leggermente il capo.
Scossi il capo.
«Ti spiace se mi unisco a te per la colazione?»,
chiese con un sorriso sul
volto sottile.
La guardai, perplessa e confusa. «No… ehm, nessuno
problema», balbettai. Poi mi
voltai Kellan. «Vieni anche tu?».
Il ragazzo guardò prima me, rivolse una fugace occhiata a
Kristen, che lo
guardava con espressione indecifrabile, prima di ritornare a fissare il
mio
viso. «Credo andrò a svegliare gli altri. Cam mi
uccide se non lo sveglio per
la colazione», ridacchiò.
«Okay», fece spallucce Kristen.
«Okay», ripetei, perplessa.
«A dopo!», disse lui prima di allontanarsi quasi a
passo di corsa. I suoi passi
risuonarono nella stanza.
Cominciammo a dirigerci verso la cucina, «Ehm…
vuoi che ti porti il tutto in
sala da pranzo?», chiesi massaggiandomi distrattamente la
nuca.
Kristen, alzò un sopracciglio. «Fare colazione da
soli è orrendo», disse come
se avessi appena commesso un’eresia.
«Oh», soffiai confusa.
«Allora… ».
«Tu fai colazione in cucina?», chiese lei
passandosi una mano fra i capelli.
Annuii col capo. «Bene, », disse,
«verrò con te. Se non è un
disturbo».
Scossi il capo. «No, no», farfugliai dirigendomi in
cucina, dove Andrew tostava
delle sottili fette di pane.
«Dio, signorina Jones, è più lenta di
un bradipo!», esclamò senza voltarsi
quando sentii la porta aprirsi, impegnato a maneggiare
l’occorrente per
l’imminente colazione degli ospiti.
«Buon giorno anche a te, Andrew», dissi
sbadigliando.
«‘Giorno!», esclamò Kristen,
sorridendo. Andrew si voltò di scatto, sorpreso dalla
voce della ragazza.
«Signorina Stewart. Qual buon vento la porta qui?»,
chiese pulendosi la mani
son una salvietta.
«La brezza mattutina che ha inebriato il mio senso olfattivo
del buon profumo
di caffè».
«Vuole che apparecchi in sala da pranzo, dolce
pulzella?».
«Oh, no, si figuri prode cavaliere, credo mangerò
con voi, qui, se non è un
problema. Sono rimasta confinata dalla stanza più remota
della torre più alta
di questo castello per ben otto ore, mi farebbe tanto piacere della
compagnia».
Annuì sedendosi ad una sedia colo del mare, del piccolo
tavolo in cucina.
Andrew sorrise. «Ed il cavaliere venuto dal paese di molto
molto lontano?».
Lei sospiro, affranta. «Si è addormentato sul suo
nobile destriero. Pare che
anche i suoi amici, quel branco di fannulloni cavalieri dal petto
largo, si
siano addormentati. Credo siano tutti vittime di un incantesimo della
strega
Birra».
«Non si disperi, ci siamo qui noi», disse
sorridendo, uno dei mille sorrisi di
Andrew, quelli sinceri, quelli che ti rasserenano come non mai, quelli
che gli
illuminavano i grandi occhi chiari.
Kristen rise, rise di gusto, mentre si portava una ciocca di capelli
dietro un
orecchio.
«Ehi, nobile destriero, prendi una tazza per la nostra
giovane ospite!»,
esclamò afferrando dalla dispensa della marmellata.
Lo fissai, alzando un sopracciglio. «Nobile
destriero?»
Andrew sospirò. «Raggio di sole, per favore,
potresti essere così gentile da
prendere una tazza per la nostra giovane ospite?», chiese con
un sorriso
innocente sul viso. Sentii Kristen soffocare delle risate.
Feci spallucce. «Okay».
Sistemammo, con l’aiuto di Kristen, che cercava il
più possibile di rendersi
utile, la colazione
sul piccolo tavolo
in cucina.
Mi versai nella tazza rossa del latte, mescolandolo poi a del
caffè e addentai
una fetta di pane imburrata.
«Non so come tu faccia a farle venire così buone,
Andrew», dissi masticando e
ingoiando un grosso boccone.
«Non si parla a bocca piena, Laira», mi
canzonò Andrew con tono grave, facendo
ridere Kristen.
Mi portai una mano alla bocca, ingoiando. «Scusa»,
dissi sorridendo
imbarazzata.
«Na», fece Kristen scrollando le spalle, bevendo un
sorso di caffè, «Siete
forti», aggiunse poi guardandoci.
Corrugai la fronte, voltandomi verso Andrew che guardava Kristen
perplesso.
«C’è… alchimia fra di voi.
Insomma, suppongo vi conosciate da tempo, perciò…
».
«Oh beh,», esordì Andrew sorridente,
«la conosco da quando ero un piccolo
scricciolo con i brufoli… ».
«Ehi!», lo interruppi, «Non ho mai avuto
brufoli!».
Lui fece segno con la mano per zittirmi. «Dicevo…
conosco quest’esserino da
quando era una bambina… ».
«Lo eri anche tu, Andrew», lo interruppi ancora.
«La smetti?», sbottò Andrew incrociando
le braccia a le petto e fulminandomi
con lo sguardo.
Roteai gli occhi, sbuffando e, poggiandomi allo schienale della sedia,
gli feci
segno di continuare. Kristen rise sommessamente.
«Dicevo,», Andrew mi guardò e se uno
sguardo avrebbe potuto incenerire, il suo
lo avrebbe fatto, «ho conosciuto Laira quando eravamo
piccol», continuò
guardando Kristen, «e siamo praticamente cresciuti insieme.
Lei è… il mio
nobile destriero», disse teatralmente commosso.
Roteai gli occhi, sorridendo. «Si, si, prode
cavaliere».
Kristen rise, scuotendo il capo e portandosi una ciocca di capelli
dietro
l’orecchio. Aprì bocca per parlare ma qualcuno
busso piano alla porta.
Alzammo tutti e tre lo sguardo mentre la porta si apriva. Quando fu
svelato il
viso dell’intruso il mio cuore prese irrazionalmente a
galoppare. Era una
reazione stupida, purtroppo, o forse no, non dettata dalla ragione. Mi
sentivo
un’adolescente, eppure non potevo far rallentare i battiti
del mio cuore, o
eliminare il senso di nausea che all’improvviso mi strinse lo
stomaco in una
morsa.
«Si può?», chiese a voce bassa,
guardando il viso di Andrew, di Kristen…
indugiando alla fine sul mio. Deglutii rumorosamente, e Andrew se
n’è accorse.
Si voltò a guardarmi con espressione indecifrabile. Annuii
col capo e Robert
entrò.
Avevo gli occhi lucidi e lo sguardo assonnato. Mi sorpresi di vederlo
lì. Non
avrebbe dovuto essere a letto?
Robert si sedette ad una sedia libera del tavolo, poggiando un gomito
sul piano
e tenendosi la fronte. Sbadigliò.
«Mi spieghi perché sei qui se hai visibilmente
sonno?», chiese Kristen
corrugando la fronte, guardandolo.
Lui alzò il capo, guardandola e sorrise, fissando le
venature del legno del
tavolo. «Qualcuno mi ha buttato giù da letto
dicendomi che si vive una volta
sola nella vita». Sorrise, più a se stesso che a
noi, poi il suo sguardo
incrociò fugacemente il mio.
Si vive una volta sola… lo so,
Robert… lo
so.
Il mio cuore incespicò, prima di riprendere a
galoppare, furiosamente.
*
Ed eccomi qui,
dopo quasi un mese… fortunatamente la mia
mente sembra essere dal periodo di carestia… comunque,
chiedo umilmente scusa
per l’enorme ritardo, ma, come ho detto, non è un
periodo semplice questo.
Perciò, ora, dovendo studiare cinque o sei pagine di
letteratura inglese e
ripetere tutto Foscolo e Leopardi, con tanto di versi, per un compito
in
classe, non ho modo di ringraziare a modo e a dovere chi ha recensito
lo scorso
capitolo.
Un grazie speciale va a:Sognatrice85,
Xx_scrittrice_xX, mathi,
doddola93, Nessie93,
lazzari.
Grazie di cuore ragazze… grazie,
grazie
davvero.
A voi, Panda.
|
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Capitolo 18 *** Capitolo 17 ***
La canzone utilizzata
è Big
Girl (You are
beautiful) . Non era voluta, non era previsto nemmeno quel
pezzo. Ma nella playlist
è partita quella canzone e ho avuto un lampo di ispirazione
mentre scrivevo. Se
via, potete leggerlo ascoltandola.
CAPITOLO
17
In ogni istante
della nostra vita
abbiamo un piede
nella favola
e
l’altro nell’abisso.
Paulo
Coelho, poeta e scrittore brasiliano.
«Ma certo, Laira che
puoi lavare tu i piatti!» disse
Andrew circondandomi le spalle con un braccio, mentre riponevo nel
lavabo le
tazze sporche. Accigliata, mi voltai a guardarlo.
«Cosa?»
chiesi con voce stridula. «Oggi tocca a te, Andrew! A me
tocca il
pavimento!» esclamai lasciando le tazze per dargli un leggero
spintone.
Andrew
roteò gli occhi. «Okay, okay. Li farò
io.»
«Bene.»
dissi lavandomi le mani e prendendo una scopa. Dopo la colazione
Kristen e Robert uscirono dalla stanza, indugiando sulla soglia per
salutarci.
Con mio grande dispiacere dovetti salutare Robert, che non avrei visto
per la
maggior parte del giorno, non solo perché ero sommersa dal
lavoro, ma anche
perché avevano in programma una specie di gita.
Cosa sarebbe accaduto
andati via? Non lo avrei più rivisto? Tramavo al solo
pensiero e odiavo me stessa per quell’odiosa reazione.
Qualcosa stava
cambiando, lentamente senza che potessi accorgermene, come lava
vulcanica
distruggeva tutto ciò che incontrava ed io non potevo far
nulla per evitare che
il mio animo ed il mio cuore venissero scossi. Potevo solo lasciarmi
trasportare dai respiri accelerati del mio torace, o dal battito
incessante del
mio cuore.
Cominciai a spazzare
il pavimento, sovrappensiero, mentre Andrew ripuliva le
tazze. Non mi accorsi del suo sguardo ed ignara continuavo a
pulire… passando
la scopa sempre sullo stesso punto.
«Mi spieghi
cosa stai facendo, per favore?» chiese Andrew, facendomi
sobbalzare. Mi voltai a guardarlo. Aveva un sopracciglio inarcato e mi
scrutava
come venissi da un altro pianeta… fatto magari da un cielo
rosa e alberi blu.
«Sto
pulendo.» risposi confusa guardandomi intorno.
Andrew
sbatté più volte le palpebre. «Spero tu
sia consapevole del fatto che
stai spazzando sempre lo stesso punto. Qualcosa mi dice che hai la
testa
altrove, oggi. Più degli altri giorni.»
Mi portai una mano su
un fianco. «Mio caro Andrew.» esordii senza saper
bene
cosa dire, «Sono conscia che sto pulendo ripetutamente lo
stesso punto. Ma ciò
non vuol dire che io abbia la testa altrove. E’ solo che
voglio che tutto sia
pulito.» annuii alle mie stesse parole.
Andrew mi
guardò scettico. «Cercando di consumare il
pavimento?» chiese.
«Nah…
no, certo che no.» risposi enfatizzando una mano.
«Certo,
certo. Tanto so che pensi a Robert.»
«Sssh!»
lo ammonii, «vuoi che ti sentano?» chiesi dandogli
una botta su una
coscia con il manico della scopa
«Ahi! Mi hai
fatto male!» disse massaggiandosi la parte colpita. Poi la
sua
fronte, contratta per il dolore, si distese. «Ah! Quindi lo
ammetti che stavi
pensando a lui!» disse puntandomi un dito contro.
Ridussi gli occhi a
due fessure e lo colpi ancora con il legno. Andrew
sobbalzò. «Laira!» esclamò
con decisione, mentre mi fulminava con lo sguardo e
si massaggiava la coscia.
Mi strinsi nelle
spalle mi portai una mano davanti la bocca. «Ops. Scusami,
non
ti avevo visto.»
«Tu sei
pazza.» sospirò lui scuotendo il capo.
Feci spallucce.
«Anche tu.» dissi prima di avvicinarmi e baciarli
una guancia,
mentre gli carezzavo un braccio affettuosamente.
«Comunque
pensavi a lui.»
Sospirai e chiusi gli
occhi, poggiandomi al piano della cucina. «Okay,
okay.»
«Ti piace,
eh?»
«Andrew…»
mugugnai in una smorfia.
«D’accordo,
non parliamone» disse baciandomi la testa e facendomi mettere
diritta. «Però devi finire il lavoro».
Rise.
«Certo…
cavaliere.»
«Bene,
lavora mio nobile destriero». E risi, inevitabilmente, con
lui.
Dopo aver spazzato il
pavimento e ripulito il piano del tavolo, mi sedetti su
una sedia, esausta.
«Abbiamo
finito?» chiesi reggendomi la testa con la mano.
Andrew si
voltò di scatto, corrugando la fronte. «Scherzi,
vero? Non abbiamo
nemmeno cominciato. Sono passati poco più di dieci
minuti!»
Mi accigliai.
«Solo? Cavolo sembrava molto di più! Sai, se
avessi dormito più
magari…»
«Ehi, paghi
le conseguenze delle tue notti brave. E comunque fra
un’oretta
dovrebbero arrivare i rinforzi, tranquilla.»
Roteai gli occhi.
«Certo, certo.» sospirai. Mi guardi distrattamente
intorno e
notai una radio poggiata su un ripiano di una
credenza. «E quella?» chiesi indicandola con un
cenno del capo.
«E’
una radio.» rispose ovvio Andrew.
«Ma non mi
dire.» dissi scuotendo il capo.
«Funziona?» continuai alzandomi per
dirigervi verso il mobile.
«Certo!»
rispose Andrew. Mi alzai in punta di piedi e maneggiai la radio
metallizzata.
L’accessi sintonizzandola su una stazione che riceveva con
maggior chiarezza.
Energiche note inondarono la stanza.
Walks in to the room
Feels like a big
balloon
I said, ‘Hey
girls you are beautiful’
Presi a muovere la testa
ritmicamente, ancheggiando e facendo volare in aria l’enorme
massa di capelli
che mi ricopriva la testa. Saltellando mi diressi verso Andrew che mi
guardava
accigliato.
«Cosa stai
facendo, Laira?» chiese con voce strozzata.
«Mi diverto,
non vedi?» risposi volteggiando su me stessa.
«A cosa
è dovuta tutta questa ilarità?»
Sapevo bene la
risposta. C’è chi dice
che “le persone fanno sempre cose pazze quando sono
innamorate”. Ero
consapevole che a legarmi a lui non
era amore, ma era inutile ignorare il battito accelerato del mio cuore
quando
mi era vicino e l’elettricità che sprizzavo da
ogni poro. Ma, davanti a Andrew,
mi limitai fare spallucce.
Mi diressi verso la
porta afferrando un paio di grembiuli da cucina che erano
appesi dietro essa.
Get yourself to
the Butterfly Lounge
Find yourself a big lady
Big boy come on around
And they’ll be calling you baby
Saltellando mi diressi verso
Andrew che mi
guardava confuso. «Ma cosa… oddio, no! Quelli no!
Ci sono delle mucche!»
esclamò Andrew scuotendo il capo.
Feci un risolino egli
lanciai un grembiule. «Dobbiamo preparare la colazione,
Andrew. Un po’ di sano divertimento e sana fantasia non ti
uccidono.» dissi
legandomi i laccetti dietro la schiena.
Andrew continuava a
fissarmi, come arrivassi da un altro pianeta.
Sospirai e mi
avvicinai a lui, poggiando le mani sul suo petto, alzando la
gamba sinistra all’indietro, e battendo ripetutamente la
palpebre con fare
civettuolo. «Dai, Andrew…»
Titubante Andrew non
sapeva cosa fare. Rimase a guardarmi combattuto con se
stesso, indeciso sul da farsi, poi sospirò. Con una mano gli
solleticai il
fianco e lui scattò ridendo, prima che io riprendessi a
saltellare tenendogli
una mano.
«Oh, al
diavolo!» esclamò prendendo a muovere il bacino
insieme a me. Gli
allacciai il grembiule e mi diressi verso il frigo per prendere il
latte. Al
centro della stanza Andrew ballava con la scopa, quando mi voltai e lo
vidi, lì
al centro, sgambettare ed ancheggiare, scoppiai a ridere.
«Sono bravo,
eh?» chiese strizzandomi un occhio.
«Il
più bravo ballerino esistente sulla faccia della
terra.»
«Dimentichi
Marte.»
«E
Venere.» aggiunsi in un risolino, mentre ancheggiando Andrew
si avvicinava.
Mi prese per mano e cominciammo ad ancheggiare e saltellando insieme al
centro
della cucina. E nella mia mente si materializzò
l’immagine di due panda con
tutù rosa che danzano su un lago di ghiaccio.
Walks
in to the room
Feels like a big
balloon
I said, ‘Hey
girls you are beautiful’
Diet coke and a pizza
please
Diet coke
I’m on my knees
Andrew afferrò una
ciotola e mi porse delle
uova che ruppi versandole al suo interno. Le prese a mescolare,
ancheggiando
avanti ed indietro, mentre io aprivo il pacco del bacon che avevo
precedentemente poggiato sul banco della cucina.
«Vai
così, ragazza!» esclamò Andrew quando
salii su una sedia.
Risi di gusto, mentre
lui mescolava la uova ed io lanciavo le fette di bacon
nel tegame sui fornelli.
Fu lì che,
mentre ancheggiavamo come donne di mezza età durante la
festa del
ringraziamento, la porta si apri.
«Oh mio
Dio!» esclamò una voce dietro di noi. Mi bloccai
all’istante, sgranando
gli occhi, rimanendo con braccio a mezz’aria mentre lanciavo
una fetta di
pancetta nel tegame. Con la coda dell’occhio vidi Andrew
pietrificato, rigido
sul porto, con il peso tutto poggiato su una gamba ed il sedere in
fuori.
Mi volta lentamente e
quasi persi l’equilibrio, rischiando di cacare dalla
sedia. Per mia grande fortuna riuscii a rimanere in piedi.
«Ciao,
Kellan.» dissi, e la mia voce risultò un suono
acuto e strozzato.
«Ciao.»
mormorò lui scioccato. Rimansi qualche istante immobile,
esattamente
come Andrew, prima di schiarirmi la voce e scendere dalla sedia,
poggiando la
pancetta sul tavolo e sistemando la maglia.
«Stavamo…
facendo ginnastica mattutina.» dissi con tono grave, cercando
di
trattenere le risate. Mi voltai verso Andrew ancora nella stessa
posizione.
Tossii.
Lui scosse il capo,
come riprendendosi dal momento catatonico in cui sembrava
essere caduto. «Oh. Scusa. Ehm…
si… ginnastica.» annuì.
Poi Kellan
guardò i nostri grembiuli. «Oh, si senza dubbio.
Tenuta sportiva?»
chiese indicandoli.
«Certo. Sono
molto… comodi.» dissi. Per qualche istante
rimanemmo a guardarci
negli occhi, reprimendo le risate. Alla fine cedetti per prima,
scoppiando a
ridere seguita dallo stesso Kellan e da Andrew.
«Comunque,»
esordì Kellan cercando di prendere fiato, devastato dalle
risate,
«pranzeremo fuori.»
A quelle parole, mio
malgrado, mi irrigidii. Non l’avrei visto. Tale
consapevolezza mi colpii in pieno petto, come se mi fosse stata tirata
una
palla da basket.
Annuii piano col capo.
«Okay.»
«Fiù…
meno cose da pulire.» ironizzò Andrew forse
accortosi della mia reazione.
«Già…»
mormorai più a me stessa che ad Andrew.
Magnifico.
Per il resto del
pomeriggio mi limitai a svolgere il mio dovere, in religioso
silenzio, la mente persa in spazi infiniti. Parlavo, quando ne avevo
l’occasione, con Andrew. I miei pensieri, insistenti come un
bambino desideroso
di biscotti, si muovevano caotici nella scatola della mia mente ed io
non
potevo fare nulla per fermarli, per dare loro un ordine. Se chiudevo
gli occhi
vedevo il suo viso, i suoi occhi color del mare, limpidi e cristallini
come
l’acqua.
Quanto di errato
c’era in tutto questo? Quanto di giusto? A cosa mi avrebbe
portare il mio… cuore?
Avevo paura, non
potevo negarlo. Ma non potevo neanche più negare a me stessa
il canto del mio animo, del mio cuore. Non potevo negare ciò
che mi legava a
lui, oramai, ciò che mi attirava a quella figura snella e
alta, il fortissimo
senso si appagamento e di serenità che sapeva donarmi anche
solo con la sua
presenza… col suono della sua voce, con un semp0lice
sguardo.
Come potevo non aver
paura di tutto questo dopo… Derek…
Ero seduta ai piedi di
un albero, quando un paio di
auto parcheggiarono sul vialetto di ghiaia. Il gruppo di ragazzi che
alloggiavano
nella locanda scese scherzando e ridendo. Si tiravano spintoni e
facevano
battute. Il tipico comportamento di ragazzi giovani, un comportamento
che avevo
al liceo… e che mi mancava. Non avevo avuto molto tempo per
dedicarmi a nuove
amicizie nell’ultimo anno. I vari lavori mi tenevano occupata
e, dopo che Derek
mi ebbe abbandonata, il mondo mi appariva vuoto e grigio. In quel
momento,
finalmente, tenui colori mi circondavano e mille profumi inondarono i
miei
polmoni. Solo allora, mentre scorgevo il viso di Robert alla luce del
lampione,
assaporai fino in fondo l’odore d’erba, la
salsedine provenire dal mare, di
terriccio. Ma, quando affinai lo sguardo, il mio cuore
sembrò fermarsi. Il suo
braccio circondava le spalle di una ragazza bruna, che ben conoscevo.
Ed ebbi
paura, ancora. Paura che lei… potesse essere qualcosa di
più per lui. Paura di
aver perso un’occasione. Paura di essere stata presa in giro.
Paura che i miei
più intimi timori, quelli negati e nascosti a me stessa,
potessero essere veri.
Mi sentii ferita,
anche se forse non ne avevo motivo, o diritto.
Sospirai, coprendomi
il viso con le mani.
Stupida!
Rimasi
immobile, nascosta nell’oscurità per attimi che
parvero infiniti,
prima che la sua voce chiamasse
timidamente il mio nome.
«Laira?»
chiese titubante. Alzai di scatto il capo, con occhi sgranati, e lo
vidi in piedi, sulla veranda, una sigaretta fra le dita affusolate.
Deglutii
rumorosamente. «Si, sono io.» risposi con voce
tremante. L’osservai
farsi avanti, con passo lento, mentre si portava la sigaretta fra le
labbra
piene. Illuminato dalla fioca luce della casa, appariva ancora
più bello.
Mi parve di notare un
sorriso colorargli il viso quando mi fu davanti, sotto
gli alberi del grande albero. «Ciao.»
mormorò con voce bassa e roca.
«Ciao.»
soffiai a corto di voce.
«Stai
bene?» chiese. Annuii col capo.
«Uhm…
ti spiace se mi siedo con te?» continuò.
Scossi il capo,
incapace di emettere alcun suono, ricordando l’immagine di
pochi minuti prima. In fondo, potevano essere grandi amici, no?
Perché allarmarmi
tanto? Paura.
«Mi aspettavo di trovare tutto vuoto. O, almeno, mi aspettavo
di non
trovare te.» ridacchiò.
Mi voltai corrugando
la fronte. «Perché?» chiesi inclinando
il capo, con
espressione curiosa.
«Beh,
qualcosa mi dice che non hai dormito molto la notte scorsa. Sarai
stanca.» rispose facendo spallucce.
«Oh…
beh, si, ora che mi ci fai pensare, ho un po’
sonno.» dissi sbadigliando.
«Un
po’?»
Feci un risolino,
poggiando la testa all’albero. «Mi piace stare qui.
Non
voglio andare in camera.»
«Sei
strana.» disse, e sentii la sua mano giocare con una ciocca
dei miei
capelli. «Ti da fastidio?» chiese.
Scossi il capo.
«E’… piacevole.» dissi senza
nemmeno accorgermene, persa nel
mio mondo personale. Dimenticando chi fossi io, chi fosse
lui… Nikki.
Robert rise
sommessamente.
«E poi anche
tu sei strano.» biascicai.
«Direi di
si.» sussurrò e sentii le sue dita sfiorarmi la
pelle del collo.
Fremetti e lui non sembrò accorgersene.
«Domani,
partirete.» mormorai più a me stessa che a lui. Mi
morsi la lingua
quando mi resi conto delle parole che mi ero fatta sfuggire di bocca.
«Lo
so.», la sua voce era bassa e appena udibile. Le sue mani mi
sfiorarono
ancora il collo e sentii la pelle prendere fuoco.
«E’
stato bello.» dissi con voce tremante.
«Non deve
per forza finire, Laira.» sussurrò al mio orecchio
con estrema
dolcezza, tanto che la sua voce mi parve una carezza.
Aprii gli occhi e mi
voltai a guardarlo negli occhi, incatenando i suoi… che
sembravano sinceri.
«Nemmeno
io.» dissi, mentre un angolo della mia bocca si sollevava
verso
l’alto.
Lui chinò
appena il capo guardando la sigaretta oramai finita. «Ho un
paio di
biglietti per l’opera. Ti… ti andrebbe di
accompagnarmi?» farfugliò.
Feci una smorfia.
«Devo indossare un abito da sera?»
Robert si
grattò la nuca. «Beh… se
non…»
Sorrisi. «Ne
sarei felice, Robert.»
Mi sorrise, bello come
il sole e mi baciò piano una guancia.
«Bene.»
«Dai,
andiamo, giovane.» dissi alzandomi e porgendogli una mano.
Lui l’afferrò
e di mise in piedi. Circondai la sua vita con un braccio e lui
posò il suo
sulle mie spalle. Insieme ci dirigemmo verso la locanda.
Eppure il mio
cuore… tremava per la paura.
*
Ringraziamenti.
Mathi:
ciao! Chiedo
umilmente
perdono per il ritardo, ma ho avuto una specie di blocco e non riuscivo
ad
andare avanti ç_ç comunque, ora sono qui e sto
recuperando il tempo perso.
Grazie davvero per la recensione! Mi ha fatto tantissimo piacere! Mi
piace
rappresentare certi… personaggi in momenti normali, comuni a
tutti. Sono
esattamente come noi. E molte… azioni, per così
dire, rappresentano la mia vita
di tutti giorni, come in ogni storia c’è sempre un
pezzo di autore dentro. Ne
sono convinta. Spero ti sia piaciuto questo capitolo. Grazie ancora per
la
recensione. A presto!
Nessie93: Chiarì! La tua
recensione,
sappilo, mi ha fatta sciogliere… come sempre, del resto.
Bleah, io odio Heidi
>.< Coooooomunque, beh, alcune cose devo rimanere oscure
al lettore per
il momento, si si. L’inciampare è una cosa
frequente, per la povera Laira
assonnata, a tutti capita quando non dorme abbastanza, no? Mi spiace,
ma in
questo capitolo niente colazione. Spero comunque che le ultime vicenda
siano
state di tuo gradimento. Grazie, cara. Grazia davvero. Ti voglio bene.
Sognatrice85: ciao, Marghe! Sono
contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo e spero, soprattutto, ti
sia
piaciuto anche questo! Grazie mille per la recensione, tesoro. Non sai
quanto
mi renda contenta sapere che ciò che scrivo è di
tuo gradimento! A presto!
KeLsey: ciao, Eri! Ma che onore!
L’hai
letta! Non hai idea di quanto leggere la tua recensione mi abbia reso
felice!
Il tuo parere… è il tuo parere e sai bene cosa
penso! Grazie, Eri. Grazia
davvero di tutto… dal cuore. Ti voglio bene (L)
lazzari: ciao, Lory! Perdonami
l’osceno
ritardo ma avevo un blocco e non riuscivo a continuare questa fiction!
ç_ç
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto come l’altro. E
sono contentissima ti
piaccia la mia fiction e ciò che scrivo. Per me è
importante. A presto, cara!
Xx_scritttrice_xX: Ely! Se sono qui,
ora, è anche merito tuo, lo sai. Non saprò mai
come ringraziarti. Eh, si, il
tuo Kellan… che è anche qui XD Sono contenta ti
sia piaciuto il capitolo, e
spero non ti sia dispiaciuto anche questo. TI voglio davvero bene,
sciocca. <3
A voi, con immenso affetto,
Panda.
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Capitolo 19 *** Capitolo 18 ***
CAPITOLO 18
I can't
hide
I won't go
I won't sleep
I can't breathe
Until you're resting here with me
I won't leave.
Dido,
Here With Me.
Guardai
la mia immagine riflessa, i capelli scuri, lisci, lunghi che mi
incorniciavano
il viso. Gli occhi del color della notte non lasciavano trasparire
nulla, né
verità, né menzogne. Nascondevano, quasi
gelosamente, ciò che la mia anima
provava. Eppure, per me, lì, era fin troppo e chiaro e
pensai che forse lo era
anche per il resto del mondo, o per Robert. Pensai che i miei occhi, se
visti lasciavano trasparire tutto.
Oltre
il nero, oltre il buio vi ci scorgeva la verità e, da quella
stessa verità fui
colpita in pieno viso, rimanendo senza fiato.
Paura. Paura di ciò che
il futuro mi
riservava, di ciò di cui il mio cuore, silenzioso veniva
piano a conoscenza.Sobbalzai
quando qualcuno bussò con violenza sulla porta di legno
scuro della camera.
Infilai lo spazzolino nel beauty. «E’
aperto!» esclamai uscendo la piccolo
bagno.
Andrew entrò, richiudendosi la porta alle spalle. Sorrise
per poi sedersi sul
letto.
«Pronta?» chiese.
Sospirai e mi avvicinai alla finestra. Il sole stava si avvicinava alla
linea
d’orizzonte, gettando sugli alberi raggi arancioni, caldi e
spenti, tingendo il
sole di rosa. Poggiai involontariamente le dita sul vetro freddo.
Annuii debolmente col capo.
«Laira…», la voce di Andrew era un lieve
sussurro, un mormorio perso nella
tempesta. Sentii le sue mani carezzarmi i capelli e baciarmi la testa.
Poggiai la testa sul suo petto marmoreo, sospirando.
«Cosa ti frulla per la testa?» chiese con dolcezza.
«Non lo so, Andrew, è difficile
capirlo… anche per me.»
«C’entra Pattinson?» chiese dopo una
breve pausa.
«C’entra Robert, c’entra il futuro,
c’entra… Derek.» mormorai quasi con voce
rotta.
«Il futuro fa paura a tutti, Laira, ma non
c’è cosa più bella. Non sapere cosa
può accaderti l’indomani. Saper vivere ogni giorno
come fosse l’ultimo, godersi
ogni minimo istante, arrivare alla fine della giornata, al calar del
sole e
dire “Ehi, ho vissuto”. Prendere le cose per come
ti vengono offerte.
Innamorarsi della vita per quella che è. Ti conosco
Laira… non aver paura di
ciò che sei, perché sei qualcosa di unico, mia
rosa di Jericho.», e le sue
labbra sfiorarono la mia fronte.
«Mi stai dicendo che sono… secca?»
Lui scosse il capo e rise sommessamente. «Possibile che tu
debba trovare del
marcio in tutto?»
Misi il muso. «Forse.»
«Ricordi la rosa che ti ho regalato? Chiusa in se stessa,
marrone, secca,
triste. Senza vita. Ma basta solo bagnarla ed essa si apre rivelando
vivido
verde. Ed io non sono cieco.»
Corrugai la fronte, confusa. «Non ti seguo.»
mormorai.
«Ho visto la luce nei tuoi occhi. Quello spiraglio di
speranza mista a vita. Il
bagliore verde di quella rosa. Qualcuno ha permesso che tu ti aprissi
come
quella rosa, Laira. E di certo non sono stato io, di certo non
è stato Derek…»
mormorò.
Fui travolta dalle sue parole, dall’intensità del
suo sguardo, ardente come
fiamme.
Aprii la bocca per replicare, ma da essa non vi uscii alcuno suono. La
richiusi. E l’aprii, ma , ancora, non vi uscii alcun suono.
Andrew fece un
risolino e mi baciò nuovamente la fronte.
«Un motivo ci sarà se non ha da proferire
parola.» ridacchiò.
Scossi il capo e mi allontanai incrociando le braccia al petto.
«Dai, andiamo a salutarli. Fra poco partiranno.»
disse scompigliandomi i
capelli
Annuii a malincuore. «Lo rivedrò.»
mormorai mentre ci dirigevamo verso la
porta.
Andrew si voltò di scatto. All’inizio la sua
espressione era indecifrabile, poi
un sorriso, quello di chi la sua lunga, colorò il suo viso.
«Lo sapevo!»
esclamò in un gridolino mentre faceva un giro su stesso.
Alzai un sopracciglio. «Ora credo davvero tu abbia bisogno di
un aiuto.» dissi
aprendo la porta ed uscendo in corridoio.«Andiamo,
Laira. C’era da aspettarselo. Si vede che gli-»
«Sssh!» lo ammonii posandogli una mano sulle labbra.
Lui mosse annoiato le mani in aria e roteò gli occhi, poi
prendendomi il polso
si liberò dalla mia presa.
«Sei assurda.» sbuffò. «Tanto
è risaputo. Oramai l’hanno capito tutti
qui.»
«Capito cosa?» chiese una terza voce.
Sgranai gli occhi, accigliandomi. Mi voltai con estrema lentezza verso
il
ragazzo dai corti capelli nero corvino
e
spalle larghe.
«Cosa?» chiesi con voce strozzata.
«Beh, avete detto che “qui”. Presumo io
sia compreso.» chiese Taylor
sorridendo.
Guardai un attimo Andrew. Negli occhi, il panico.
«Sai che non si origliano le conversazioni altrui,
Taylor?» chiese in un risolino
Kristen.
«Si… ma… okay, chiedo
perdono.» sospirò lui alzando le mani in segno di
difesa.
Andrew rise ed io gli tirai una gomitata.
Kristen e Taylor indossavano giacche di pelle nera, borse a tracolla e
valigie ero
accasciate ai loro piedi, poggiate sul pavimento.
Deglutii rumorosamente, portandomi una ciocca di capelli dietro un
orecchio, a
disagio. «Siete tutti pronti?» chiesi.
Kristen si passo una mano fra i capelli, facendo spallucce.
«Non saprei… so per
certo che Nikki e Robert sono ancora nelle loro camere.»
Udendo quei nomi fremetti. Nessuno sembrò accorgersene.
«Sono sempre i soliti. Quando cominciano a parlare non li
ferma più nessuno.»
osservò Taylor ridacchiando.
Oh.
«Oh.» riuscii solo a dire. Sentivo lo sguardo
attento di Kristen sul mio viso
ed Andrew scrutarmi, mentre Taylor mi guardava con un sorriso sulle
labbra
piene. Così mi mossi sul posto, in soggezione. La tortura
che mi stavano
infliggendo però cesso quando la testa di Ashley fece
capitolo oltre l’angolo
delle scale.
«Allora? Pronti? Dov’è Nikki? Non ditemi
è ancora a parlare con Rob.» disse.
«Oh ciao, Andrew. Ciao, Laira.» disse in un sorriso
guardandoci.
Perché Robert e Nikki erano insieme? Di cosa parlavano?
Fu una strana sensazione, la gelosia. Avevo dimenticato il folle
desiderio di
voler irrompere fra
i due e scotennare
la ragazza. Un sentimento che mi scosse e mi lasciò
perplessa e confusa. Non
potevo provare gelosia, non per lui. Invece, era così. E la
ragione era una, ed
era custodita gelosamente nel mio cuore… che in quel momento
desiderava solo il
suo viso, ed i suoi occhi limpidi e cristallini.
«Si, noi siamo pronti.» rispose Kristen, prima di
voltarsi verso Taylor. «Ehi,
ti spiacerebbe portarmi la valigia di sotto? Vado a chiare Nikki e
Robert.»
Il ragazzo rispose annuendo e Kristen, voltandosi, si diresse a passo
svelto
verso le altre camere.
Dopo aver rivolto un’occhiata inceneritrice
ad Andrew, seguimmo Ashley e Taylor al pian terreno.
«Ciao, ragazzi.» disse Andrew alzando una mano in
segno di saluto.
«’giorno.» aggiunsi io accennando un
sorriso, desolata dalla giornata che mi si
prospettava.
«E’ stato bello, ragazzi.» disse Kellan
in un largo sorriso.
«Si, è stato bello.» mormorai,
poggiandomi con la testa al braccio di Andrew.
«Tranne l’incidente della ginnastica
mattutina.» ironizzò Andrew ridendo
sommessamente.
Kellan rise e Kristen, accanto a lui, corrugò la fronte.
«Questa non l’ho
capita. E’ normale?»
Annuii col capo. «Assolutamente si.»
Per un momento il silenzio calò fra noi, e tutti ci voltammo
quando sentimmo
delle risate provenire dalle scale. Nikki e Robert scesero le scale,
scherzando. La prima portava solo la borsa, il secondo due valigie. Mio
malgrado, provai un impeto di gelosia. Con la coda
dell’occhio notai Kristen
rivolgermi una fugace occhiata, prima di tornare a guardare i due. Il
mio cuore
incespicò quando gli occhi di Robert incontrarono i miei.
«Ciao.» disse senza scostare lo sguardo dal mio
viso.
«Ciao.» soffiai, ignorando lo sguardo di Nikki su
di me.
«Io sono pronta.» disse allegramente Nikki porgendo
la sua valigia a Killan.
«La caricheresti in auto?»
Kellan sbuffò. «Okay.», ma prima di
uscire dal locale, porse una mano ad
Andrew, che la strinse con decisione. Poi si voltò verso me,
sorridendo.
«Se mai ti andasse… passa a farmi un saluto,
Laira.»
Sorrisi ed annuii col capo e mi sporsi per abbracciarlo. Oltre la sua
spalla i
miei occhi incontrarono quelli di Robert. Perplessa, notai la sua
mascella
contratta.
Che provasse anche lui, ciò che provavo io? No, impossibile.
Mi allontanai da Kellan che sparì oltre la porta. Nikki fece
un cenno col capo
e poi uscii anche lei. Vidi Andrew roteare gli occhi.
«Lasciala stare.» mormorò al mio
orecchio, Kristen quando mi strinse a sé.
«Grazie di tutto, Laira.»
«Non ho fatto nulla.» risposi.
«Non ha me.» disse allontanandosi e strizzandomi un
occhio. Non capii cosa
volesse vedere. Il suo sguardo era come se cercasse di suggerirmi
qualcosa, di
leggere fra le righe. Ma non riuscii a leggere le invisibili parole del
suoi
occhi. Mi sfiorò il braccio, prima di allontanarsi.
«Mi aiuteresti con questa, Andrew?» chiese lei
indicando la valigia. Sbattei
più volte le palpebre, confusa. Era riuscita a trascinarla
per le scale ed ora
non riusciva a portarla fuori?
Kristen strizzò un occhio ad Andrew che sorrise, in modo
malizioso, prima di
annuire. Mi sentii avvampare di rossore sotto lo sguardo di Robert.
Quando i due furono usciti rimanemmo a guardarci negli occhi,
l’uno di fronte
all’altra, a qualche metro di distanza.
«Ed eccoci qui.» mormorai annuendo piano e
guardando il pavimento di legno.
«Già.» mormorò lui.
«E’ stato divertente.» dissi guardandolo
in volto. Lui avanzò di qualche passo,
fino ad essermi vicino.
«Si, molto.», ed un sorriso colorò il
suo viso. Il silenzio calò nella stanza e
nemmeno erano udibili le voci esterne. L’unico rumore udibile
era l’incessante
martellare del mio cuore e l’affannoso mio respiro. I suoi
occhi scrutavano
attenti i miei ed io non potevo non ammirare il loro colore
verdazzurro. Piano,
con estrema lentezza, Robert sollevò un braccio e premette
il palmo della sua
mano sulla mia guancia, la mia pelle del mio viso all’istante
sembrò prendere
fuoco, e sperai non se ne accorgesse. Chiusi gli occhi, come per
imprimere quella
sensazione nella mente, tenerla prigioniera in essa, non farla mai
fuggire via.
Il suo respiro mi accarezzò la pelle della fronte, prima che
vi ci posasse le
labbra sopra, poi le sue labbra piano si spostarono lungo il profilo
della mia
guancia. Fremetti.
«Non dovresti sfiorarmi in questo modo.» soffia
priva di voce.
Robert strofinò la tempia sulla mia guancia.
«Perché?» mormorò al mio
orecchio.
«Per lo stesso motivo…». Fu difficile
per me continuare la frase col suo corpo
così vicino a me, la pelle del suo viso a contatto con la
mia, il suo respiro
caldo sul collo. Deglutii rumorosamente, e riaprii gli occhi.
«Per lo stesso
motivo per cui non capisco perché mi hai invitato me
all’opera.»
Fu a quelle parole che Robert si allontanò di scatto da me,
per poi fissarmi
con sguardo sconcertato.
«Prego?» chiese, e potei cogliere tracce di leggera
isteria nella sua voce.
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio,
imbarazzata, mentre le gote
sembravano andarmi in fiamme. «Si…
insomma… perché hai invitato me
se…» dissi
rendendomi conto che avrei dovuto tacere, ma oramai ero in un punto di
non
ritorno, avevo aperto la mia boccaccia e dovevo andare fino in fondo al
discorso. E poi, vivere nel dubbio non era la cosa più
giusta da fare. Non
volevo essere presa in giro e, finalmente, ammisi a me stessa, che
avrei dovuto
affrontare quel discorso sin dall’inizio. Io, dovevo sapere.
«Fra te è… Nikki,
c’è qualcosa?» chiesi d’un
fiato.
Robert andò appena indietro col capo, sbattendo
più volte le palpebre, confuso.
«Cosa?», e la sua voce risulto un suono acuto
è strozzato.
«Io… ecco…»
Robert scosse violentemente il capo prima di ridere con una traccia di
isteria.
«Fra me e lei non c’è assolutamente
niente! Dio no, no, no… no! Laira, davvero,
siamo solo amici. Ma come ti salta in mente una cosa del genere. Non
sono quel
genere di ragazzo! Se fossi stato… attratto da lei, non ti
avrei nemmeno
sfiorata.» disse tutto d’un fiato.
«Oh.» mormorai grattandomi la nuca e cominciando a
dondolare da un piede
all’altro, pervasa dall’imbarazzo.
«Mi… mi dispiace. E’ solo che mi
sembrava
che fra voi ci fosse qualcosa.»
Robert per alcuni attimi, che mi parvero interminabili, rimase in
silenzio.
L’espressione seria, i suoi occhi incatenati ad i miei. Poi
accennò un sorriso.
«Devo dire che è piuttosto folle.»
«Ehi, io non ho nulla di normale, stando a ciò che
dice la gente.»
«Credo di doverti dare ragione.» ridacchio.
Spalancai la bocca e gli diedi un
leggero spintone. Ridemmo insieme.
A disturbare quel momento fu il clacson di un’auto.
«Credo cerchino me.» disse Robert voltandosi verso
la finestra, osservando le
vetture.
«Si, lo credo anch’io.» sospirai.
Lo accompagnai alla porta e, una volta usciti fuori,
l’osservai caricare la
valigia in auto, bello come il sole.
Si voltò un’ultima volta a guardarmi e mi
salutò con la mano. Non potei fermare
l’ondata di nostalgia che mi colpì come le onde
del mare.
I miei occhi indugiavano nei suoi, mentre tutti mi salutavano con le
mani ed
Andrew tornava sulla veranda, accanto a me.
Mio malgrado, lo guardai salire in auto e non potei ignorare il canto
del mio
cuore che invocava ripetutamente il suo nome.
*
Ringraziamenti.
lazzari:
ciao, Lory!
Cavolo, sono felice ti sia piaciuto il capitolo! Spero che
ora avrai cambiato idea su… tutta la faccenda di Nikki.
Spero di non averti
delusa con questo capitolo. Grazie mille per la recensione!
E’ sempre un
piacere, per me, sapere cosa ne pensi. A presto!
Nessie93: ciao, Chiarì!
Che piacere
leggere la tua recensione *-* Sono
contenta ti sia piaciuta la parte della cucina, avevo paura che
risultasse
ridicola e scritta male. Eh si, usciranno insieme… un
appuntamento… il secondo,
più o meno. Sono felice ti sia piaciuta la parte finale e
spero non ti sia
dispiaciuto questo capitolo! A presto, cara. Grazie di cuore, davvero.
<3
Sognatrice85: ciao, Merghe! Dio, non
hai idea di quanto mi faccia piacere leggere la tua recensione. Ci
tengo
davvero molto a sapere cosa ne pensi! Spero ti sia piaciuto anche
questo
capitolo! A presto, cara! Grazie davvero, grazie mille!
KeLsey: ciao, Eri! Si *-* Mika! Sono
contenta ti sia piaciuto il pezzo della cucina, sul serio! Il tuo
parere per me
conta molto, piccola prodigio (i motivi te li ho già
esposti). Spero ti sia
piaciuto questo capitolo! (L)
Xx_scrittrice_xX: mia adorata, ciao!
Davvero hai provato ciò che ha provato lei? Non sai quanto
sia importanti le
tue parole per me! *-* Spero di non averti delusa con questo, e se
l’ho fatto,
ti prego dimmelo. A presto, tesoro. <3
A voi, un bacio,
Panda.
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Capitolo 20 *** Capitolo 19 ***
CAPITOLO
19
Se
avessi il cielo e le stelle,
e il mondo con le
sue ricchezze infinite,
chiederei di
più;
ma contento sarei
del più infimo cantuccio
di questa terra se
avessi lei.
Rabindranath
Tagore, scrittore indiano, 1861-1941.
Il sole del
tramonto gettava luce arancione sulla
strada deserta. Era giunto il momento di ritornare a New York, nel mio appartamento al
quarto piano. Nella
mia mente si susseguivano le dolci e divertenti immagini del weekend,
del viso
di Robert, delle sue labbra così vicine alla mie,
lì, nell’acqua fredda della
notte, del suo dolce e rassicurante sorriso, dei suoi occhi limpidi.
Nella mia
testa ancora vi tuonava il suono della sua voce, a tratti calda e
bassa, a
tratti squillante e dannatamente simpatica. Ed intanto il mio cuore
batteva,
palpitava veloce senza poter essere controllato. Oramai era impossibile
negare
l’evidenza.
Mi ero innamorata di Robert Pattinson. E mio malgrado, al ricordo della
mia
vita prima di lui, dovetti ammetterlo. Lui non sembrava
come… Derek. Ma potevo
sbagliarmi, accecata dall’infatuazione, come nei primi giorni
d’amore con
Derek. Avevo paura. Avevo paura di soffrire ancora, paura di aprire la
porte
del mio cuore, farci entrare dentro qualcuno di sconosciuto. Ma non
potevo ignorare
la vampata di vita, di gioia, di allegria, di spensieratezza che Robert
aveva
introdotto nella mia vita. E di certo non potevo ignorare
ciò che il mio cuore
cantava. La vita mi aveva offerto Robert e,
con estrema razionalità – lo so,
forse è sciocco da dire – dovevo stare
attenta ad assaporarne ogni suo lato, ogni sfaccettatura del suo animo,
che
sentivo, in quel
momento, così
dannatamente vicino al mio. Lasciarsi andare totalmente al mio cuore,
era
sbagliato. Ogni volta ne rimani ferito, segnato. Ed io non volevo
ripassarci.
«A cosa pensi?» mi domandò Andrew.
Non risposi subito. Rimassi a fissare per un attimo gli alberi
susseguirsi
velocemente fuori dal finestrino.
«Robert.» continuò Andrew.
«Non è una domanda.» mormorai, fissando
ancora fuori dal finestrino.
«Lo so.»
Sospirai. «Ho paura, Andrew.»
«Laira, sai che Derek non mi è mai piaciuto.
Sapevi cosa pensavo di lui sin
dall’inizio, ma non hai mai voluto ascoltarmi.
Perciò ora stammi bene a
sentire. Robert – per quanto posso contare – sembra
diverso. Insomma, quando ti
guarda… c’è qualcosa in più
nel suo sguardo, nei suoi occhi vi è qualcosa di
genuino. E non ti è saltato addosso –a quanto ne
so – come aveva fatto Derek.
Ti ha baciata al secondo appuntamento, ricordi?»
«Si, ricordo. Ma è pur sempre del suo stesso
mondo.. così diverso dal mio…»
«E’ esattamente come te e me. Tu hai mille lavori
saltuari, lui uno fisso che
implica l’essere conosciuto da molti. E allora? Non tutti
sono come Derek,
Laira.»
«Il tempo saprà dircelo.» mormorai.
«Si, direi di si. Mi piace.»
«Perché?»
«Perché vorrà dire che lo rivedrai
ancora. Per molto, spero.»
Scossi il capo e sospirai. «Sai qual’é
la cosa più strana, Andrew?» chiesi
voltandomi a guardarlo.
«Quale?» rispose rivolgendomi una fugace occhiata.
«E’ un concetto che piace anche a me.»
«Immaginavo.»
«Mi ha detto che non c’è nulla fra loro,
che se fosse stato così, non mi
avrebbe mai sfiorata.» dissi fissando la strada, oltre il
parabrezza.
«Che ti avevo detto io? E poi non è bravo a
nascondere il ragazzo. E’ palesemente
attratto da te. Secondo me lo è stato sin
dall’inizio, alla premiere.»
«Ma sta zitto, Andrew.» sbottai.
«Secondo me ha lasciato l’orologio di proposito.
Dai Laira, ti ha cercata!
Vorrà pur dire qualcosa, ammettilo!»
«Ammettilo!»
«Mai!» . Sapevo che in fondo qualcosa significava,
se mi aveva anche invitata
ad uscire, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo ad Andrew.
«Okay. Ciò comunque vuol dire che ne sei
consapevole. Mi basta… per il
momento.» rispose rivolgendomi una fugace ed inceneritrice
occhiata.
Sospirai e roteai gli occhi. «Okay, okay, genio.»
mormorai prima di ritornare
ad guardare fuori dal finestrino ed accendere la radio.
La serratura
scattò e trascinai la mia valigia oltre la
porta del mio appartamento. La lasciai all’entrata e mi
diressi in soggiorno.
Accesa la luce mi guardai un momento intorno e sospirai. Sembravano
essere
passate settimane dall’ultima volte che ero stata
lì, invece che un pugno di
giorni. Posai le chiavi sul tavolino davanti al divano e mi diressi in
cucina
per un bicchiere d’acqua.
Avevo urgentemente bisogno di una doccia, così svutata la
valigia sul letto
lascia che l’acqua calda della doccia mi rilassasse i
muscoli. Poi il telefono
squillò.
Sbuffai e chiusi l’acqua, per voi avvolgermi il corpo con un
asciugamano. «Dannazione.»
sibilai mentre uscivo dal box lasciando schizzi d’acqua
ovunque.
Il telefono intanto continuava imperterrito a suonare. Imprecai quando,
arrivata al mobile sul quale era poggiato il
telefono, scivolai. Riuscii per grazia divina a tenermi in
piedi, mentre
cercavo di afferrare il telefono. I capelli mi gocciolavano e il
pavimento era
freddo a contatto con i miei piedi nudi. Ebbi un brivido.
«Pronto?» chiesi col fiatone, mentre ancora mi
reggevo al mobile.
«Ehm… ciao.»
Non riconoscere quella voce, oramai era impossibile. Risuonava nella mi
testa
da ore e non v’era modo di debellarla.
«Ciao.» dissi, ed il mio cuore accelerò
i suoi battiti, mentre lo stomaco
cominciava ad annodarsi.
«Disturbo?»chiese incerto.
Cercai di darmi un
contegno, di
rallentare il battito accelerato del mio cuore, mentre mi dirigevo in
bagno,
per avvolgere i capelli in una salvietta. «No, no.»
risposi portandomi i
capelli su una spalla.
«Bene.»
«Hai chiamato per dirmi qualcosa?» chiesi
afferrando una salvietta.
Robert non rispose subito. Per alcuni secondi udii solo silenzio, tanto
che
pensai fosse caduta la linea. Aprii la bocca per chiamare il suo nome,
ma
sentii un sospiro.
«No, in realtà no.» rispose. Sbattei
più volte le palpebre confusa.
«Per quanto ora possa risultarti folle, sentivo il bisogno di
chiamarti.»
ammise.
«Oh. Oh.»
sussurrai fissando un punto
indefinito del pavimento bianco.
«Okay. Dio che imbarazzo. Allora, senti io… ci
sentiamo.» farfugliò.
«No!» esclamai nel terrore di poter più
sentire la sua voce.
«No?» ripeté lui confuso.
«Sono contenta tu l’abbia fatto, Rob.»
dissi con l’ombra di un sorriso sul
viso.
«Beh, questo cambia tutto.»
«Sì, direi di sì.» risposi in
un risolini avvolgendomi i capelli in una
salvietta. «Bene. Quindi cosa fa la star più
gettonata del momento?»
«A parte parlare con la ragazza più singolare
della città?»
Sorrisi. «Esatto.»
Parlammo per più di un’ora al telefono. Seduta sul
divano ridevo e scherzavo
con Robert. Fu meravigliosa la sensazione di tranquillità
che provavo nel
parlare con lui, anche di sciocchezze, come il tipo di caramelle che
preferivo
da bambina. Venni a conoscenze di un sacco di aneddoti della sua
infanzia
londinese, e lui dei miei. Poi, mentre ero stesa sul divano, le gambe
sullo
schienale e la testa che penzolava dal cuscino, facendomi vedere tutto
sottosopra dissi: «Sai di cosa avrei voglia ora?»
«Cosa?»
«Una birra fresca. Dovrei averne in frigo. Tu ne hai
una?» chiesi cercando di
alzarmi dal divano, con grande insuccesso. Con un tono, poco sordo,
caddi sul
tappeto.
«Cosa succede?» chiese allarmato.
Grugnendomi mi massaggia il bacino dolorante. «Nulla. Sono
caduta dal divano.
Le acrobazie non fanno per me.» risposi mettendomi in piedi e
dirigendomi
zoppicante verso la cucina.
«Allora? Ce l’hai una birra?» chiesi
aprendo il frigo.
«Si.»
«Bene. Ti offro la tua birra.»
Robert rise. «Sul serio?»
«Certo!» risposi prendendo la bottiglia di vetro e
cercando il cavatappi.
«Ma che pensiero gentile.»
«Sì, lo so. Sono una di buon cuore, cosa
credi.» dissi in un risolino.
«Okay, penso si possa fare.»
Aprii la birra, reggendo il telefono con la spalla.
«Pronto?»
«Un secondo.» rispose e sentii rumori di
sottofondo. «Fatto.»
«A te.» mormorai abbozzando un sorriso.
«A te.»
Sospirai, sorridendo. «A noi.», e bevvi un sorso di
birra portandomi la
bottiglia alle labbra.
«Colore preferito?» chiese dopo un breve attimo di
silenzio.
«Dici davvero?» risposi corrugando la fronte. Con
l’aiuto di un braccio e
saltando agilmente, mi sedetti sul piano della cucina, facendo
dondolare le
gambe.
«Certo.»
«Il blu. Il tuo?»
«Se fosse il blu, cosa diresti?» chiese in un
risolino.
«Risponderei semplicemente: fico!»
Rise, prima di sospirare. In sottofondo sentii il suono del citofono.
«Un
attimo.»
Corrugai la fronte, cercando interpretare i suoni che giungevano
lontani al
telefono… insomma, cercavo di ascoltare ciò che
diceva al citofono.
Si? Oh sei tu… cosa
c’è?... vuoi salire?
Diamine, tempismo perfetto!... passa più tardi…
no…, okay!
Sapevo cosa mi avrebbe detto una volta portato il telefono
all’orecchio. Il
mio stomaco si strinse in un attacco di nostalgia al pensiero di non
poter
udire ancora la sua voce, parlare con lui di cose futili o importanti.
«Devo andare.» sbuffò. «Mi
dispiace, enormemente.»
«Oh, tranquillo. Ci vediamo.»
«Domani.»
«Domani?» chiesi strabuzzando gli occhi.
«A meno che tu non abbia intenzione di declinare il mio
invito.»
«Oh, è vero! Perdonami!» mi affrettai a
dire.
Robert rise. «Passo a prenderti alle otto.»
«Perfetto.»
«Buona notte, Laira.»
«Buona notte, Robert». Chiusi la conversazione con
il cuore che batteva troppo
velocemente per essere controllato ed una strana sensazione…
eccitazione,
allegria… no… felicità.
La mattina del giorno
seguente portai a spasso dei cani e, dopo averli riaccompagnati dai
rispettivi
padroni, mi diressi a casa di Andrew. Era da tutta la mattina che i
miei
pensieri ruotavano intorno ad un’unica parola: vestito.
Mentre camminavo per
Central Park, mi resi conto che non avevo un abito da sera adatto
all’occasione. Okay, non era del tutto vero, ma in quel
momento la mia mente
era annebbiata dalla paura di non essere adeguata al posto o di non
essere
all’altezza. Avevo bisogno di un amico, il mio unico amico.
Avevi bisogno di
Andrew.
Pervasa dal panico e
consapevole che sette ore dopo Robert sarebbe passato a
prendermi a casa ed io sarei dovuta andare all’Opera, pigiai
il pulsante del
citofono dell’appartamento di Andrew. Pigiai insistentemente.
«Chi
è?» esclamò scortese Andrew.
«Ehi, tu,
abbassa i toni.» ribattei corrugando la fronte e puntando un
dito
contro il citofono. Ritrassi la mano immediatamente quando mi accorsi
che un
passante mi fissava con espressione impaurita.
«La prossima
volta con meno insistenza.»
«Aprimi.»
ordinai agitandomi sul posto.
«Chiederlo
con gentilezza?»
«Maledizione,
Andrew, aprimi! Sono in piena crisi emotiva!» gridai
sbattendo i
piedi.
«Okay.»
rispose serio Andrew, prima di aprirmi il grande portone di ferro e
vetro. Salii li scalini due a due e quando arrivai al secondo piano
trovai
Andrew ad aspettarmi sulla soglia della porta, con aria stralunata e
confusa.
«Quale
momento di follia mi sono perso?» chiese spostandosi per
farmi entrare.
Avanzai dentro casa, dirigendomi prima in cucina, poi in soggiorno, poi
di
nuovo in cucina, con Andrew che sembrava essere la mia ombra.
«Hai
finito?» sbottò con un tono di acidità.
Sospirai e allargando
la braccia mi lasciai cadere sul materasso, una volta
entrata in camera da letto. Andrew si sedette accanto a me, inclinando
appena
il capo. Stesa sul letto lo guardai desiderosa di aiuto.
«Non ho
niente di adatto per stasera.» mi lamentai portandomi le mani
sulla
fronte.
Andrew
sbatté ripetutamente la palpebre. «Devi andare a
teatro.»
«No!
All’Opera! E’ diverso!» mugugnai
passandomi poi le mani sul viso.
«Forse un
po’.»
Gemetti.
«Non ci vado.» dissi scattando a sedere.
«Coma non ci
vai?» chiese Andrew poggiandomi una mano sulla spalla.
«Non ho
nulla da mettere. Non ci vado. Chiamo Robert.» dissi mentre
cercavo di
alzarmi, ma Andrew mi tenne ferma per le spalle e mi costrinse a
guardarlo
negli occhi.
«Non dire
scemenze. Tu ci andrai. Hai quel magnifico abito rosso, o quello
dorato, Laira. E’ perfetto! O quello arancione.»
Sbattei le palpebre
più volte, fissando un punto indefinito del pavimento.
«Oh. È
vero». Effettivamente aveva
ragione. Come avevo fatto a non ricordarmene?
La risposta era una e
molto semplice, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo a
me stessa.
«Hai
paura». Persino ad Andrew era chiaro.
Sospirai. Che senso
aveva continuare a fingere?
«Sì.»
«Perché
ti piace.»
Attesi qualche istante
prima di rispondere. «Sì.»
«Perché
te ne stai innamorando.» aggiunse Andrew con fare dolce. La
sua voce
risultò una debole carezza.
Mio malgrado, ammisi
la verità. Unica, semplice, terrificante.
«Sì.»
*
Ringraziamenti.
Sognatrice85:
ciao, Marghe! Che piacere leggere una tua
recensione! *-* Anche a me non costa tanto scrivere i
saluti… so cosa succederà
nei prossimi capitoli :P Sono contenta ti sia piaciuto lo scorso
capitolo, sul
serio! E spero sia stato di tu gradimento anche questo. A presto!
mathi: ciao! *-*
Grazie mille per la recensione! Beh, le cose presto o tardi arrivano. Spero ti sia piaciuto
questo capitolo, anche se quasi di…
“transizione”. Grazie, davvero. A presto!
lazzari: ciao, Lory! Allora,
riguardo Nikki non posso esprimermi, no, no.
Però… sono felice ti sia piaciuto
il capitolo! E spero di non averti delusa con questo. Ti posso solo
dire di non
preoccuparti XD A presto, cara. E grazie davvero di cuore per la
recensione.
Nessie93: ciao, Chiarì!
(oramai ti
chiamerò sempre così) Allora, ovviamente la tua
recensione mi ha fatto un
piacere immenso, come sempre del resto. Beh, Andrew è
Andrew, è il suo migliore
amico di sempre e vuole solo il suo bene. Sono contenta il capitolo, le
emozioni descritte e il modo in cui sono state descritte, ti
è piaciuto… sai
cosa penso al riguardo. Ti ringrazio di cuore, sul serio. Ora, spero ti
sia
piaciuto questo capitolo. A presto, cara!
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Ti
ringrazio particolarmente per la pazienza e la bellissima immagine! Che
farei
senza te? E grazie per la recensione, riceverle è sempre un
vero piacere! E chi
non vorrebbe essere salutata così dal caro Robert? XD Sono
contenta ti sia
piaciuto il capitolo, davvero! E spero sia stato di tuo gradimento
anche
questo! A presto!
Ello: ciao! *-* okay, inutile dire
che, quando ho letto al tua recensione, ho preso a dondolare con un
sorriso ebete
stampato in faccia. Ad ogni modo, sono contentissima che ti piaccia!
Sono
felice di aver riportato, involontariamente, il Robert che immagini, e
sono
felice che ti piaccia il mio modo di scrivere. Ci tengo ad ogni storia,
ad ogni
personaggio. Per me è davvero importa. Ricevere la tua
recensioni mi ha fatto davvero
un immenso piacere! Grazie, grazie di cuore.
A
voi, un bacio,
Panda.
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Capitolo 21 *** Capitolo 20 ***
CAPITOLO
20
L’unica
cosa che conta è che tu sei qui…
… e
questa notte sarà dannatamente bella
mentre mi stringi
a te fragile come argilla.
Emma
Marrone, Meravigliosa.
Osservai la immagine
riflessa nello specchio, sopra il lavandino. Osservai le spalle nude,
il busto
fasciato dall’abito rosso i capelli raccolti in una coda, le
palpebre velate
dal trucco.
Sospirai, tremante.
Entro pochi minuti
sarebbe arrivato, ed io non ero ancora pronta, nonostante
avessi passato un intero pomeriggio che stavo per uscire con Robert. Da
quando
non uscivo con un ragazzo? Forse troppo. Dopo Derek declinai qualsiasi
tipo di
invito.
Ed invece, ora, mi
trovavo non solo ad uscire con un ragazzo, ma con un ragazzo
che aveva in comune con lui un lavoro che per tanto avevo odiato e
detestato.
Ne ero spaventata, ma se non fossi uscita con lui, se non avessi dato
retta al
mio cuore sapevo che me ne sarei pentita. Perciò mi
rassegnai all’idea e
sospirando mi diressi in camera da letto.
Indossai un paio di
orecchini e mi infilai le alte scarpe nere, mi sedetti poi
sul letto. Poggiai il mento sul palmo della mano.
Sì, dovevo
vivere con tranquillità la mia giovinezza, non
v’era dubbio, così
scattando in piedi e sistemandomi il vestito, mi diressi in cucina per
un
bicchiere d’acqua.
Non sapevo dove tutto
ciò mi avrebbe portato, ma volevo scoprirlo. Mio
malgrado, era ansiosa di scoprirlo.
Quando mi portai il
bicchiere alla labbra, il citofono suonò. Mi voltai di
scatto. Come pietrificata, osservai l’apparecchio accanto
alla porta. Sospirai
e, dopo aver posato il bicchiere nel lavabo, mi diressi verso la porta.
«Si?»
«Laira, sono
Robert.» esclamò lui.
«Oh…
sì, scendo.»
«No,
aspetta, posso salire un momento? Dovrei mostrarti una cosa.»
Corrugai la fronte.
«Certo.» risposi. Aprii la porta ed attesi che
salisse… a
piedi. Mentre lo sentivo salire le scale di corsa avverti un odioso
senso di
nausea attanagliarmi lo stomaco e il cuore galoppare. Quando comparve,
esso
perse un battito. Bello da mozzare il fiato egli si rivelò a
me come vedessi il
sole per la prima volta. Il suo viso sembrò riscaldarmi il
cuore e il suo
sorriso sorpreso abbracciarmi il cuore. In abito da cerimonia era forse
la cosa
più bella che avessi mai visto, accecata forse da un
sentimento che avrebbe
potuto tramutarsi in qual cosa che andava al di là del
semplice affetto.
Strabuzzò
gli occhi, senza proferire parola.
«Ciao.»
dissi con voce tremante. «Tutto okay?» chiesi
inclinando il capo verso
destra.
«Sei…
bellissima.» mormorò accigliato.
«Oh.
Ehm… grazie.» dissi poggiando la mano sinistra
sulla spalla destra. Il
viso di Robert si colorò di un tenero sorriso.
«Vieni
entra.» dissi entrando in casa e dirigendomi in soggiorno.
Sentii la
porta chiudersi e Robert avanzare.
«Cosa volevi
mostrarmi?» chiesi voltandomi e incrociando le braccia al
petto.
«Sì.
Ecco.» mormorò Robert frugando nella tasca interna
della giacca. Estrasse
una foglio spiegazzato e me lo porse sorridendo.
«Cos’è?»
chiesi corrugando la fronte, mentre aprivo il foglio.
«Da tempo
avevo intenzione di… rivoluzionare i muri di casa. Volevo
dipingerlo
in camera.» disse passandosi una mano fra i capelli. Osservai
l’albero disegnato
con accuratezza sul foglio.
«L’hai
fatto tu?» chiesi.
«Sì,
ma… mi piacerebbe se mi aiutassi, Laira. Non devi sentirti
costretta. Ho
visto l’albero qui dipinto,» disse indicando il
muro, «ho provato a lavorarci
da solo, ma è venuto… era
inguardabile.» concluse.
Ridacchiai.
«Okay. Direi che… sì, si può
fare.»
«Allora
confido nelle tue doti.» disse raggiante. «A te il
quando.»
«Questo fine
settimana?» chiesi.
«Sarebbe
perfetto.», ed un sorriso comparve sul suo viso. Per alcuni
istanti
rimanemmo a guardarci negli occhi e avrei voluto tanto che il mio cuore
non
battesse così velocemente.
«Allora…
andiamo?» chiese dondolando sui talloni.
Annuii col capo.
«Prendo il cappotto.» risposi dirigendomi in
camera.
«Se intanto
vuoi curiosare in giro, fallo pure.» ridacchiai.
«Sì,
credo lo farò!» esclamò. «Sai
credo di non aver mai visto l’altra parte
del tuo appartamento. Posso?» chiese, e sentii
l’eco della sua voce in
corridoio.
Aprii
l’armadio per prendere il cappotto. «Certo! Sulla
destra c’è il bagno.»
continuai dirigendomi verso la porta. Mi soffermai sulla soglia,
poggiandomi
allo stipite, in cappotto sotto braccio. Robert al centro del corridoio
osservava i quadri ed i disegni appesi al muro.
«Li hai
fatti tu?» chiese indicandoli. Annuii col capo.
«Mi
piacciono.» continuò.
«Poi?»
chiese alzando le sopracciglia e portandosi le mani dietro la schiena.
«Oh,
sì. Lì,» dissi indicando la porta di
fronte a me, «c’è il mio
“laboratorio”. Qui la mia camera.»
conclusi indicando la stanza con il pollice.
«Laboratorio?»
chiese Robert avanzando e sporgendosi verso la porta, curioso.
«Sì,
dove tengo tutti i miei lavori. Il materiale.»
Mi avvicinai e i miei
polmoni si riempirono del profumo di Robert, così
dannatamente vicino a me. Deglutii rumorosamente.
«Spalancala.» mormorai. Lui
si voltò appena e il suo viso a poche spanne dal mio
brillò.
Sorrise.
«D’accordo». Così
spalancò la porta, entrando nella stanza.
«C’è
un po’ di caos.» mormorai mentre avanzavamo nella
stanza. Robert si guardo
intorno, osservano i quadri appesi, i disegni, le fotografie, gli
schizzi, le
bozze. La tavola delle tempere, i mille pezzi di carboncino sparsi, il
cavalletto… tutto ciò che mi apparteneva e tutto
ciò che faceva parte di me, di
Laira Jones.
«Waw.»
sussurrò.
Un angolo della mia
bocca si sollevò verso l’altro.
«E’ il mio mondo. Ogni muro
ha un colore diverso, i miei colori preferiti. Giallo, turchese, verde,
rosso.
Sono un pugno nell’occhio, ma non importa. Nessuno
può accedervi. Nemmeno
Andrew.» dissi più a me stessa che a lui, con un
mezzo sorriso sul viso.
Robert si
voltò accigliato. «Sono il primo che entra
qui?»
«In teoria.
Sei il primo che ha varcato la soglia per più di trenta
secondi.
Andrew e... il mio ex fidanzato, l’anno solo osservata dalla
porta.»
Il suo viso, sui cui
vi era dipinta un’espressione imperscrutabile, mi
fissò
per attimi che mi parvero eterni. Poi avanzò verso di me,
con lentezza
calcolata, come avesse paura di una mia possibile reazione. Premette
con
estrema delicatezza il palmo della sua mano sul mio viso e la mia pelle
sembrò
prendere fuoco.
«Grazie.»
mormorò poi al mio orecchio, prima di baciarmi la pelle
sotto
l’orecchio. Un brivido mi attraverso da capo a piedi e mi
venne la pelle d’oca
sulla nuca.
«Per
cosa?» soffiai a corto di voce.
«Per avermi
mostrato questo.» mormorò ancora al mio orecchio.
«Per permettermi
di guardare chi sei.»
Chiusi gli occhi,
quasi ad imprimere nelle mente quel momento. «Ti prego,
abbracciami.» mormorai.
Le sue mani piano si
posarono sulla mia schiena e mi attirarono a sé, mentre io
circondavo il suo addome con le braccia. Mi strinse e cullò
a se, senza pensare
al tempo che inesorabile passava.
«So che
potrebbe sembrarti strano, ma… ti voglio bene,
Laira.»
«Oh,
Robert… te ne voglio anch’io.»
Mi annodai una grande
stola di lana a mo’ di sciarpa e chiusi la serratura di
casa, riponendo poi le chiavi in borsa.
«Fatto.»
dissi voltandomi verso un Robert sorridente.
«Non hai
intenzione di prendere la scatola infernale, vero?» chiese
Robert
dirigendosi verso le scale.
«Ti
riferisci all’ascensore?»
«Si.»
annuì.
«No, neanche
per sogno. Pensa che l’ha preso solo la mia valigia, quando
sono
tornata.» ridacchiai.
«Ah
sì?» chiese porgendomi il braccio.
L’afferrai.
«Sì.
Io e la scatola
infernale
non
andiamo molto d’accordo, come ti accennai.»
«Sì,
ricordo.»
«Quali sono
i programmi per stasera?» chiesi dopo alcuni istanti, mentre
scendevamo l’ultima rampa di scale.
«Per prima
cosa si va all’opera e poi ti porto a cena.»
«Mi piace
come programma, sai? Specialmente la seconda.»
Robert
ridacchiò.
«Carina.»
dissi voltandomi a guardarlo, mentre mi apriva il grande portone in
legno.
«Cosa?»
chiese corrugando la fronte.
«La tua
risata. Non credo di avertelo mai detto.» risposi in un
risolino.
«Grazie. Il
tutto è reciproco.», mi sorrise e mi aprii la
portiera dall’auto.
«Che
galanteria.» dissi prima che richiudesse la portiera.
«Un perfetto
ragazzo inglese, non credi?» chiese una volta sedutosi al
posto di
guida.
«Sì,
direi di sì.»
«Cosa
andiamo a vedere? Mi sono dimenticata di chiedertelo. Che
sciocca.»
Robert fece un
risolino e scosse il capo. «Medea.»
Sgranai gli occhi.
«Sul serio?» chiesi con voce stridula.
Lui annuii col capo.
«Oh…
grazie! Ho sempre voluto vederla! Non sai quanto mi rendi
felice!»
«Davvero?»
chiese lui ridendo.
«Sì!»
esclamai battendo le mani, come una bambina diretta al luna-park.
«Ne sono
lieto. E’ quella che preferisco.» ammise e
l’angolo destra della sua
bocca si sollevò verso l’alto. Inclinai il cappo e
mi voltai appena sul sedile.
«Sei un
attore, un pittore, un poeta, amante della lirica. Simpatico,
divertente, misterioso, intelligente. C’è altro
che dovrei sapere?» chiesi poi
appoggiando la tempia al sedile.
Sospirò.
«Per quanto mi sforzi di fare al meglio ciò che
faccio, Laira, non è
mai abbastanza. Mi diletto nel dipingere, nello scrivere, nel comporre,
ma non
è mai abbastanza. Recitare è il mio lavoro, il
resto è solo fatto per piacere
personale. Non fraintendermi, amo recitare, ma credo… siano
cose differenti dal
provare a dipingere o suonare.» disse, e la sua voce era
bassa e melodiosa.
Schioccai la lingua.
«Ed è un musicista.» sospirai roteando
gli occhi.
Rise, per poi tornare
subito serio. «Sono serio.» mormorò
infine.
Arricciai le labbra,
portandomi un dito sulle labbra. «Non lo dubito,
ma… mi sa
che vediamo cose diverse.»
«Che intendi
dire?»
«Ricordo la
mostra. E credo di aver spulciato un paio di volte qualche tuo
film… so che scrivi, ora so che suono. E ti piace la lirica.
Dai, Robert… tutti
i ragazzi che mi hanno invitata ad uscire mi hanno portata in
discoteca!»
ridacchiai. «Ciò che cerco di dirti…
è che… insomma… sì, sei un
ragazzo fuori
dal comune, diverso dal resto, diverso da quelli che ho conosciuto.
Può
sembrare strano, o folle, ma… mi piace molto.»
Schioccò la
lingua. «Uhm.»
«Nonostante
tutto… la tua fama… sei un tipo parecchio
insicuro.»
«Questa non
è una domanda, Laira.» disse.
«Sì,
lo so.»
Attesi che
rispondesse, ma non lo fece. Tacque, le fusa del motore in
sottofondo.
«E tu
invece? Credi di passare inosservata come credi?» chiese
voltandosi per
guardarmi in volto.
Corrugai la fronte.
«Sei un
artista, Laira». Aprii la bocca per replicare ma mi zitti
subito. «E
non provare a contraddirmi. «Dipingi cose meravigliose,
imprimi nella carta ciò
che conservi nel tuo cuore, ciò che custodisci gelosamente
nella tua anima, ne
sono certo. Anche con una semplice matita sono sicuro saresti capace di
ricreare paesaggi suggestivi e le sette meraviglie del mondo.»
Si fermò ad
un semaforo. «E poi,» continuò
voltandosi a guardarmi. «Sei
bellissima.» mormorò, i suoi occhi fusi ai miei. A
quelle parole sentii lo
stomaco attorcigliarsi e il cuore fermarsi per un attimo.
«Le mie
osservazioni ti hanno dato alla testa… non dirlo
perché ti senti in
dovere.» soffiai con voce tremante.
Sorrise flebilmente,
gli angolo delle labbra perfette rivolti verso l’alto. Mi
sfiorò con i polpastrelli una guancia, scorrendo sulla mia
pelle, fino alle
labbra. «Non lo farei mai.», la sua voce, un
sussurrò perso nella tempesta.
Il petto prese a
muoversi velocemente, mentre i miei polmoni agognavano ossigeno.
Sì, ne abbi
la conferma. Il mio cuore, la mia anima, ora, non desideravano
altro che amarlo.
Persi l’uno
negli occhi dell’altra, non ci accorgemmo che il semaforo
divenne
verde.
*
Ecco
qui. Scusate il
tremendo ritardo ma la scuola mi sta veramente assorbendo. Che cosa
tragica ed
orribile. Vorrei ringraziarvi a modo, ma ho un sacco i
cose da fare oggi e non ho tempo materiale.
Colpa del test di matematica! ç_ç
Ad ogni modo, grazia a voi che avete recensito lo scorso capitolo:
Sognatrice85,
lazzari,
Piccola Ketty,
Nessie93,
KeLsey,
mathi,
Xx_scrittrice_xX,
Ello.
Grazie,
davvero, grazie
di cuore. Nel prossimo capitolo mi impegnerò a rispondere al
meglio.
A voi, un bacio,
Panda.
|
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Capitolo 22 *** Capitolo 21 ***
CAPITOLO 21
Tutto il resto
è un rumore lontano
una stella che
esplode ai confini del cielo…
… la
tua vera natura, la giustizia del mondo
che punisce chi ha
le ali e non vola…
…
voglio stare con te
invecchiare con te
stare soli io e te
sulla luna…
…
coincidenze, destino…
…
l’amore che detta ogni legge…
Jovanotti,
Baciami Ancora.
Liberatici dei
cappotti, ci dirigemmo all’interno del grande teatro
tappezzato
di stoffe rosse e lunghi pannelli in
legno scuro. Con la grande stola a coprirmi le spalle nude, mi chiesi
se non
avessi esagerato, ma guardandomi intorno e vedendo l’eleganza
delle signore di
mezza’età, mi resi conto che forse avrei potuto
fare di meglio.
Fremetti quando Robert
poggiò la mano sulla parte lombare della mia schiena.
«Da questa parte.» mormorò al mio
orecchio, conducendomi verso sinistra, una
volta entrati nel grande teatro.
«Dove
siamo?» chiesi.
«Parte
centrale. Ottimi posti.» disse facendo scivolare la mano,
fino a che non
fu più in contatto con la mia schiena.
«Fico!»
sussurrai eccitata. Robert rise. Rossa in volto, mi passai una mano sul
collo. «Magnifico.» aggiunsi. «Credo mi
faccia risultare più… elegante.»
ridacchiai.
«Lo sei
comunque.» rispose senza guardarmi, prima di farmi un cenno
con la
testa ed avanzare fra le poltrone di velluto rosso.
Sentivo la pelle del
viso accaldata, come se stesse per prendere fuco. Posai
una mano su una guancia… e scottava. Se ci avessi posato
sopra della cera, si
sarebbe potuta sciogliere. Feci un respiro profondo e Robert si
voltò a
guardarmi.
«Qui.»
disse sedendosi e indicandomi la
poltrona rossa alla sua sinistra. Sorrisi e mi sedette. Guardandomi
intorno mi
accorsi che eravamo quasi al centro della grande struttura e non potei
fare a
meno di sentirmi dannatamente piccola.
«Bello,
vero?» disse.
«Bello
è riduttivo.» sussurrai osservando
l’alto soffitto in legno, prima di
tornare a guardarlo.
«Forse.»
rispose e i suoi occhi lampeggiarono di una strana luce. Disarmata
dall’incredibile sua bellezza, faticai a trovare la
concentrazione adatta per
parlare e deglutii rumorosamente sentendomi la bocca dello stomaco
stringersi.
«Ehm…
devi farmi sentire…» farfuglia, poi scossi il
capo, come per riprendermi.
«Vorrei sentirti suonare.» balbettai con un minimo
di concentrazione in più.
Un sorriso sghembo
comparve sul suo viso. «Sarei felicissimo di farlo per te.
Soprattutto dopo la tua grande disponibilità per…
il muro.» disse raggiante.
Scossi il capo
sorridente. «Lo faccio con enorme piacere, non devi sentirti
in
debito con me.» dissi prima di tornare a guardarlo.
Annuì col
capo. «Lo so.» mormorò.
Ridacchiai.
«Sei strano, Pattinson.», e mi persi nuovamente nel
verdazzurro dei
suoi occhi.
Rise. «Sei
strana, Jones.» mormorò lui prima che la stanza
fosse gettata nel
buio.
Le meravigliose
voci dei
cantanti si diffondevano nella grande stanza. Le luci illuminavano il
palco, i
drappeggi rossi e dorati.
Era esattamente come l’avevo immaginato, sin da bambina. Un
teatro di quelle
dimensioni, quel prestigio non era mai stato alla mia portata e
ringraziai in
cuor mio Robert, lui che silenzioso era giunto nella mia vita,
scombussolandola,
agitando mari e venti nell’ormai troppo tranquillo paesaggio
del mio animo. Era
arrivato ed, ora, tutto il mondo non appariva grigio, ogni singolo
colore era
vivido, inteso, forte o chiaro, ai miei occhi . Come se i raggi del
sole
avessero ripreso a riscaldare il mio cuore congelato e per quanto mi
terrorizzasse, non potevo che sorridere, felice che lui fosse
lì, accanto a me.
Era strano ciò che provavo, diverso dal fuoco vivo che mi
bruciava quando Derek
mi era accanto. I miei sentimenti, le mie emozioni, erano simile a
lava, che
lenta colava lungo il mio corpo, devastandomi sin
all’interno, sconvolgendomi e
bruciandomi l’animo.
Non riuscii a trattenere un sorriso, semplicemente perché
non volevo
trattenerlo, e sospirai, passandomi una mano sul collo.
«Perché ridi?» mi domandò
Robert, avvicinando le labbra al mio orecchio. Il suo
respirò mi solleticò la pelle, causandomi brividi.
«Nulla… meditavo.» sussurrai voltandomi
appena, per poterlo guardare negli
occhi. Il suo viso, così vicino al mio, mi mozzò
il fiato.
«Su cosa?» mi chiese con occhi ardenti.
Deglutii. «Ecco… al… teatro.
E’ bellissimo.»
Mi parve di cogliere una punta di delusione sul suo viso
d’angelo.
«Sì, è vero.»
mormorò senza staccare gli occhi dai miei. Il suo
respirò mi
colpii in pieno viso e fremetti, mentre le guance mi avvampavano di
rossore.
Se avesse continuato a starmi così vicino, probabilmente
avrei dato di matto.
Un angolo della mia bocca si sollevò verso l’alto,
prima che imbarazzata
tornassi a guardare il palco.
I minuti passavano lenti ed inesorabili. Rivolgevo di tanto in tanto
un’occhiata al libretto, per capire ciò che gli
artisti cantavano. Quando
finalmente riuscii ad assumere il controllo di me stessa e a
concentrarmi
sull’opera, Robert, silenzioso e nascosto dalla semi
oscurità, mi sfiorò il
dorso della mano con le dita, prima di intrecciarle alle mie. I miei
tentativi
di assumere un comportamento conoscono, decoroso, ma soprattutto da
intellettuale concentrata su un’opera d’arte,
furono vanificati.
«Ti ci sei messo d’impegno, eh?»
sussurrai voltandomi verso lui.
Lui scosse il capo, quasi con aria afflitta, prima di sciogliere le
nostre
dita.
«Ehi, che fai?» soffiai sentendo le mani bruciarmi.
Lui si voltò verso me e corrugò la fronte.
Accennai un sorriso e presi la sua
mano. Questa volta fui io ad intrecciare le mie dita alle sue.
Robert rise sommessamente ed io sentii le guance prendere fuoco.
«Dicevi?» chiese mostrandomi un sorriso sghembo.
«Che… che… ti ci stai mettendo
d’impegno.» farfugliai in un sussurro.
«Posso sapere a far cosa?»
«Deconcentrarmi.» ammisi, dopo un attimo di
esitazione. Ecco, mi stavo
esponendo. Me ne sarei pentita, ne ero conscia, eppure non riuscii a
fermare la
valanga di parole.
«Ti deconcentro?» chiese, e una strana luce gli
lampeggiò negli occhi chiari.
Annuii col capo, incapace di proferire parola, ignara
dell’imminente futuro.
«Interessante.» mormorò al mio orecchio.
Con la punta del naso mi carezzò la
mascella, disegnando linee immaginarie, lasciando sulla mia pelle puro
magma.
Poi scese lungo il collo e le sue labbra lo sfiorarono, prima di posare
un
delicato bacio sul suo incavo.
Deglutii e sentii la bocca odiosamente secca.
«Io…» soffiai con respirò
corto.
«Tu?» chiese baciandomi il mento.
«Io…»
«Tu?», e mi baciò la punta del naso.
«Tu…»
«Non era io?» chiese baciandomi una guancia.
«No...», chiusi gli occhi imprimendo nella mente la
sensazione delle sue labbra
sulla mia pelle.
«No?»
«Cioè…
sì…» farfugliai mentre mi baciava
l’angolo della bocca.
Sghignazzò sommessamente e strofinò piano la sua
guancia sulla mia. Deglutii e
non potei fermare le parole, che uscirono dalla mia bocca
nell’esatto momento
in cui le pensai.
«Capisco che è buio qui… ma non mi
sembra tanto difficile centrare le mie
labbra.» soffiai con il torace che si muoveva troppo
velocemente per essere
controllato, eco del mio cuore.
«Non aspettavo altro, Laira.» mormorò al
mio orecchio. Poi, in attimo che mi
parvero infiniti, le sue labbra premettero dolci sulle mie. A quel
punto,
dimenticai non solo dove mi trovassi, e perché fossi
lì, ma anche il mio nome,
cosa molto preoccupante.
Una sua mano mi carezzò l’incavo del collo, con
estrema lentezza e delicatezza,
mentre il suo pollice carezzava il dorso della mia mano, ancora stretta
alla
mia. Irradiata dalle fiamme, trascinata dalle onde di lava, dischiusi
le labbra
baciando avidamente le sue, incrociando le dita dell’altra
mano ai suoi capelli
setosi.
Era quello, in momento che tanto avevo atteso, e lo capii solo allora.
Le cose
nella vita avvengono sempre per una ragione, e quella ragione, ora, la
stringevo
a me. Non era un bacio, dato per attrazione fisica, se così
fosse stato sarebbe
accaduto tutto molto tempo prima. No, era una bacio dettato dal cuore,
il
culmine di una conoscenza dettata dalla voglia di comprendere per
davvero e
a fondo l’altro. Dettato da congetture, dalla consapevolezza
che il passato era
passato e che ciò che contava era il presente, e cogliere
ogni attimo,
assaporarne la dolcezza e l’amaro, sulla lingua, bella o
brutta che sia
l’esperienza che ti si prostra davanti.
Le sue labbra, molto più morbide di quanto immaginassi, si
mossero assieme alle
mie.
C’ero io, e c’era lui. Soltanto noi. Almeno
così credevo.
Mentre mi sporgevo verso la sua poltroncina, desiderosa della sue
labbra e di
accarezzare con la mano quel viso che aveva prepotentemente occupato la
mia
mente nei giorni precedenti, qualcuno tossì.
Mi voltai di scatto e dietro di noi un uomo di mezza età,
assieme ad una donna
dai capelli biondo platino, ci osservavano torvi.
«Scusateci.» mormorai, tornando a sedere. Il cuore
martellava contro il mio
petto e il respiro era dannatamente corto.
Robert rise. Mi voltai a guardarlo. «Non ridere.»
«Okay.» rispose con espressione maliziosa.
Scossi il capo. «Ti ho già detto che sei
strana?»
Annuii energicamente. «Sì. E io? Non ricordo
più dopo…» con una mano indicai
prima me e lui, e il sangue fluii ancora sul mio viso.
Scosse il capo e si avvicinò ancora a me.
«Sì.» mormorò sulla mie
labbra che vi
posasse ancora un tenero bacio.
L’uomo e la donna dietro di noi tossirono. Io e Robert
ridemmo, sommessamente,
poi si allontanò.
Cercai di tornare a guardare il palco, cercando di concentrarmi
sull’opera, con
grande insuccesso… e le sue dita ancora intrecciate alle mie.
«E’
stato bello.» dissi
alzandomi dalla poltrona di velluto rosso.
«Per quel che ti è stato possibile
vedere.» osservò Robert mentre mi camminavo
lunga la fila di poltrone.
«Ah-ah. Divertente.»
«Sincero.»
Scossi il capo, ridacchiando.
«Illuso.»
«Presuntuosa.»
«Sciocca.»
Mi voltai a guardarlo, usciti dalle file di poltroncine.
«Idiota.»
«Uhm...». si accarezzò il mento.
«Lodevole.»
«Ma questo è un complimento.» dissi
alzando un sopracciglio.
«Sì, lo so.» ridacchiò.
Scossi il capo. «Mi sa che non solo io la sciocca.»
«Forse sì, forse no.»
Uscimmo dal grande teatro per andare a riprendere i nostri cappotti.
Il ricordo delle labbra di Robert sulle mie era ancora vivido e sentivo
le
guance avvampare di rossore ogni volta che il suo sguardo incrociava il mio. Fremevo
e tremavo dalla
felicità, dall’allegria di quel contatto. Era
accaduto, ed io mi ero lasciata
governare dai sensi, ma soprattutto dal cuore, che pieno
d’affetto palpitava
con la velocità d’un colibrì. Ma
ciò che più mi lasciò scosse e confusa
fu che,
in quel momento, non provavo rimorsi. No. L’avrei fatto altre
cento, mille
volte. Ignorare, oramai ciò che cantava il mio cuore, era
impossibile.
Sospirai, dopo che indossammo i cappotti e ci dirigemmo
all’esterno del teatro,
dritti all’auto.
Il mio cuore incespicò quando Robert strinse la mia mano.
Potei sentire il
calore che la sua mano irradiava avvolgermi il cuore. Sorrisi, felice.
«A cosa stai pensando?» chiese accorgendosene.
«Nulla.»
«Pessima bugiarda. A meno che tu non sia afflitta da qualche
problema psichico.
E non credo sia così.»
Roteai gli occhi e sospirai. «Ecco.. ripensavo a…
prima.. sì, insomma, in
teatro…»
Si fermò davanti l’auto e, posizionandosi di
fronte a me, inclinò il capo,
corrugando la fronte.
«Mi spiace, Laira, ma non ricordo.» disse facendo
spallucce. Mi irrigidii, ma utomaticamente
mi rilassai quando notai una traccia di malizia guizzargli negli occhi.
«Aiutami a ricordare.» fece avvicinandosi piano. Il
suo viso fu a poche spanne
dal mio.
«E se io non volessi?» chiesi abbozzando un sorriso.
«Non ti forzerei.» mormorò sfiorandomi
una guancia con i polpastrelli.
Sorrisi e catturai le sue labbra fra le mie.
«Ora ricordo.» mormorò su di esse e la
sua voce era una lieve carezza. Poggiò
la sua fronte sulla mia.
«Reputami folle, mia bella… ma ho atteso questo
momento da non sai quanto.»
disse ingabbiandomi il viso fra le mani.
Cercai di fare un respiro fremendo. «Perché non
l’hai fatto prima?» chiesi, e
le nostre labbra appena si sfioravano.
«Non volevo metterti fretta. Non volevo essere avventato, o
precipitoso. Volevo
avere la conferma che provassi per me qualcosa che andava al di
là della
semplice amicizia. Volevo che fossi… pronta, che non
tremassi più.» mormorò e,
davanti a quella confessione, sentii le gambe molli, tanto che dovetti
gettare
la bracci al suo collo, per non crollare.
Aprii gli occhi ed incontrai il suo sguardo limpido. «Grazie
di aver
aspettato.» dissi con voce gonfia d’emozione.
«Grazie a te, per avermi mostrato chi sei.»
«E per essere qui.» soffiai accennando un timido
sorriso. Poi, mi baciò.
*
Ringraziamenti.
Sognatirce85: ciao, Marghe! Oh, che
piacere! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, davvero! Spero di
non
averti delusa con questo… è decisamente
importante. A presto, cara, davvero
grazie. Di cuore.
lazzari: ciao, Lory! Ce l’ho
fatta,
sono riuscita a postare! Fiù, avevo il terrore che il pezzo
del laboratorio
fosse sciocco e… idiota. Sono contenta non risulti,
così, davvero! Spero ti sia
piaciuto anche questo capitolo… in fondo, non lo attendevi
da tempo? Grazie,
grazie davvero.
mathi: ciao! *-* esatto, il mio
intento era quello di ricreare un primo e
“comunissimo” primo appuntamento.
Sono contenta ti sia piaciuto, sul serio! Era un introduzione a questo,
e spero
di non essere stata troppo sdolcinata o cose del genere. Grazie mille
per al recensione!
Nessie93: ciao, Chià! Beh,
il
capitolo è arrivato e spero non sia come te lo immaginavi XD
Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo
scorso, davvero, ci tengo a sapere cosa ne pensi. Sempre. Riesco a
stupirti
ogni volta? *-* okay, ora gongolo. Sei sempre così gentile,
cara, leggere le
tue recensioni è sempre un piacere. Grazie, di cuore. Ti
voglio bene.
Piccola Ketty: mio amor, ciao! *-*
okay, ora sto gongolando. Non puoi scrivermi certe cose! Non so che
farei sena
il tuo aiuto, davvero. Sapere che sono riuscita ad…
“emozionarti”, non sai
quanto mi renda felice, davvero! Sono contenta di averti conosciuta e
sono
contenta di leggere tue creazioni, cosa che, a quanto pare, vale anche
per te.
Grazie Ketty, davvero, di cuore. Ti voglio bene.
cris91: ciao! *-* ooooh, davvero ti
piace? Sono contenta che i personaggi ti piacciano! Grazia per la
recensioni,
mi ha reso felicissima, davvero! Sapere che ciò che scrivo
viene gradito… per
me è davvero importante. A presto!
ginevrapotter: ciao! *-* okay, troppe
recensioni carine… mi sto gongolando troppo. Sono felice ti
sia piaciuta,
davvero! Spero di non averti delusa con questo capitolo! Grazie, grazie
mille!
cloddy_94: ciao! Oddio, da quanto
tempo! Mi ha fatto molto piacere leggere la tua recensione, davvero!
Grazie!
Sono contenta di sapere che i capitoli precedenti sono stati di tuo
gradimento.
Spero di non averti delusa con questo, magari… magari ti ho
anche sorpresa un po’
(lasciami illudere XD). Grazie mille per la recensione!
Ello: ciao! *-* Sul serio ti
è
piaciuta la frase finale? Avevo paura lasciasse un
po’… non so, come se il
tutto fosse incompleto. Sono contenta ti piaccia la mia storia,
davvero! Spero
che questo capitolo non sia stato da meno. Riuscita ad emozionarti?
Okay, il
mio fragile cuore non può contenere tanta gioia. Grazie! Di
cuore, davvero!
A voi, con immenso
affetto,
Panda.
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Capitolo 23 *** Capitolo 22 ***
Per
te, donna di malafede.
Ti voglio bene.
CAPITOLO 22
Wake up
Look me in the
eyes again
I need to feel
your hand upon my face
Stateless,
Bloodstrem.
«Questo
posto è… magnifico.» mormorai
guardandomi intorno.
«Amo venire qui. Oramai questo tavolo
è… come se fosse mio.» rise
sommessamente.
Corrugai la fronte, posando le posate sul patto e posando il tovagliolo
si
stoffa color avorio sulle labbra. «Quindi suppongo tu abbia
portato qui molte
ragazze.» dissi chinando appena lo sguardo, prima di posarlo
ancora, titubante,
sul suo viso.
I suoi occhi ardevano come fiamme blu. «No. Sei la prima.
Vengo qui da solo.»
«Devo crederti?» chiesi seria senza scostare il mio
sguardo dal suo.
«Sì.»
Non v’era traccia di menzogna nei suoi occhi limpidi,
così sorrisi prima di
sfiorarmi collo e riafferrare la forchetta. Mentre mi portavo alle
labbra un
gamberetto, abbozzai un sorriso. A Robert, non sfuggì.
«Perché sorridi?» chiese curioso
inclinando appena il capo.
Masticai lentamente, guardandolo negli occhi. Poi voltai lo sguardo,
guardandomi intorno. «E’ un posto da mozzare il
fiato.» esordii. E così era. Ci
trovavamo in un lussuoso ristorante nel centro della città.
Una terrazza ornata
di rose, gigli ed orchidee. Illuminati dalla fioca luce di lanterne.
Oltre la
ringhiera di ferro nero, la città si stagliava possente.
«Perché io?» chiesi desiderosa di
risposte.
«Uhm... bella domanda. Non lo so. Forse lo stesso motivo che
mi spinge a fare
questo.» disse carezzandomi la mandibola con i polpastrelli.
«O questo.»
continuò baciandomi il dorso della mano, senza staccare i
suoi occhi dai miei.
«O ciò che mi ha spinto a
baciarti…» indugiò un attimo, come a
corto di parole.
Fece un sospiro. «Ciò che mi ha spinto a cercare i
tuoi occhi ogni giorno. Ciò
che mi ha spinto a passare il weekend alla locanda. Non lo so, Laira.
So solo
che se non avessi fatto tutto ciò, l’avrei
rimpianto. Dolorosamente.»
Le sue inaspettate parole mi colsero di sorpresa, lasciandomi
interdetta, col
respiro corto. Mi colpirono in pieno viso, come una secchiata
d’acqua fredda.
Per qualche inspiegabile motivo, il mio cuore accelerò i
suoi battiti, dandomi
alla testa.
«Oh.» mormorai.
Robert scosse il capo e sospirò, frustrato. «Solo
“oh”?» chiese prima di posare
il suo sguardo sul mio.
Cercai di reprimere, inutilmente, un sorriso. «Se non ci
fosse il tavolo ad
impedirmi i movimenti ti bacerei.», sorrisi.
Robert rise, inclinando poi il capo di lato, perdendosi in un sospiro.
Poi si
alzò leggermente dalla sedia, sporgendosi sul tavolo e
posando le sue labbra
morbide sulle mie. Una miriade di farfalle spiccarono il volo
all’interno del
mio stomaco e tutto, intorno a me, parve sparire. C’erano le
sue labbra,
plasmate delicatamente sulle mie, il suo respiro caldo sul mio viso
purpureo.
Sorrisi nel bacio e lui si allontanò appena, quanto bastava
per parlare. Le sue
labbra, sfioravano ancora le mie.
«Perché sorridi?» chiese con voce calda
e roca.
«Non c’è sempre un perché
nella vita, Rob. Certe cose accadono e basta.» sussurrai sfiorandogli la
mandibola con i
polpastrelli.
Lo sentii sorridere e, dopo aver baciatomi a fior di labbra, torno a
sedersi,
guardandomi con aria maliziosa. Le mie gote parvero prendere fuoco
sotto il suo
sguardo. Mi sfiorai il collo con una mano, imbarazzata.
«Sai… le orchidee sono i miei fiori
preferiti.» dissi dopo aver masticato un
altro boccone.
Robert si voltò, allungando la mano verso un vaso per
prendere un fiore. Poi mi
porse la bellissima orchidea.
«Si dice che quando si regala un’orchidea ad una
donna è come se fluttuasse su una
nuvola di infinite possibilità.»
mormorai
osservando le sfumature rose del fiore, sfiorandolo delicatamente con i
polpastrelli.
«Ed è vero?» chiese.
Alzai lo sguardo sul suo viso ed i suoi ardevano come fiamme
verdazzurro. «Sì.»
«Sono stata bene, questa sera.» mormorai voltandomi
a guardarlo.
Aveva appena spento l’auto e teneva le mani stretta al
volante.
Lui sorrise flebilmente senza guardarmi. Fissava le sue dita. Inclinai
il capo
e corrugai la fronte.
Forse la scelta più saggia sarebbe stata annuire col capo,
augurargli buona
notte e scendere dall’auto per poi varcare la porta di casa. Ma tutto ero, io,
fuorché saggia.
«Ehi, cosa succede?» mormorai sporgendomi appena
per guardarlo in volto. Il suo
viso era imperscrutabile. Non sapevo cosa pensare, confusa continuavo a
guardare i suoi occhi fissi sulle proprie mani. Poi, colpita dalla
verità,
sussultai. Mi si rivelò come un fulmine solitario che
illumina la buia campagna
durante un temporale. Fugace, violenta, crudele, improvvisa.
«Oh.» soffiai
indietreggiando appena,
senza poggiarmi allo schienale del sedile e, con la cena che si
rivoltava nello
stomaco, annuii piano col capo, più a me stessa, che a lui.
Come potevo esser stata così cieca? Come potevo esserci
cascata ancora?
Immagini di una vita passata presero a susseguirsi nella mia mente,
dandomi
alla testa, mozzandomi il respiro. Con la coda dell’occhio
vidi Robert
voltarsi, ma non presati attenzione all’espressione dipinta
sul suo viso. Mi
portai una mano sulla fronte, prima di sbattere più volte le
palpebre, scacciando
via lacrime di rabbia. Deglutii e posai la mano sulla maniglia. Fissai
un punto
indefinito del cruscotto, raccogliendo la poca voce rimastami.
«Non scomodarti.
Non ce n’è bisogno.» sibilai con voce
glaciale. Feci per aprire la portiera, ma
la sua mano strinse con forza il mio braccio, trattenendomi.
«Di cosa non dovrei scomodarmi.» chiese quasi
sorpreso. Non risposi subito. Mi
voltai a guardare la sua mano stretta al mio braccio. Accortosi dello
mio
sguardo omicida, come volessi all’istante mozzargli
l’arto, la fece scivolare
via.
Poi alzai gli occhi sul suo viso. «Non scomodarti a dirmi che
è stato un
errore.» mormorai con voce tremante, ferita dal suo sguardo
vacuo, posato sul
voltante.
«Cosa?» chiese con voce strozzata.
Non risposi, mi limitai a guardarlo negli occhi con sguardo duro.
Stupida, stupida, mi ripetei
cercando
di lottare contro lacrime di rabbia e delusione.
Respinta.
Poi Robert spalancò gli occhi. «Credi
sia stato un errore? Credi abbia
mentito?»
Ancora non risposi. La voce mi era bloccata in gola.
«Dio, Laira, sei assurda. Ti ho inseguita per così
tanto tempo. Ho atteso il
momento in cui ti sentissi pronta, perché lo sai, non
è sfuggito nulla. Ho
aspettato che il tuo passato non premesse più sulla tua
vita.»
Abbassai lo sguardo, poggiandomi con la schiena al sedile, meditando
sulle sue
parole.
«Laira…» gemette e sentii i suoi
polpastrelli sfiorarmi la mandibola.
Non mi voltai. Chiusi gli occhi, assaporando quel semplice e delicato
contatto.
«Non mi pento di niente. Ringrazio Dio, se davvero esiste, di
avermi condotto
da te.» mormorò. «Non potrei mai
ferirti.»
«Non dirlo, ti prego.» gemetti, mentre le lacrime
premevano per uscire, mentre
il ricordo di lui si faceva avanti
nelle mia mente. «Non anche tu.»
«Guardami, ti prego.» sussurrò al mio
orecchio, premendo il palmo della mano
sulla mia guancia destra e costringendomi a voltarmi.
I suoi occhi ardevano come fiamme blu e verdi, dandomi alla testa.
Erano
dannatamente vicini ai miei, tanto che potei perdermi in essi per dolci
istanti
infiniti. Il suo respiro caldo mi carezzava la pelle, quasi fosse una
mesta
carezza.
«Vorrei potessi leggermi dentro. Capire cosa sto provando
ora.» mormorò.
Afferrò con delicatezza la mia mano e se la portò
sul petto. Il suo cuore
martellava con violenza contro di essa, eco del mio.
Avevo il fiato corto ed abbozzai un sorriso. Poi presi
l’altra sua mano e me la
porti sul cuore.
«Grazie.» mormorai prima che, sorridente, posasse
le sue labbra calde sulle
mie.
«Ti chiamo domani.» mormorò carezzandomi
con la mani il collo e poggiando la
fronte sulla mia.
«Ne sarei felice.»
«Non ti libererai tanto facilmente di me, Laira.»
disse con voce suadente,
calda.
«Me la caverò.» risposi. Poi, sorridendo
e baciandogli la punta del naso, uscii
dall’auto.
Aprii la grande porta di ferro e legno e mi voltai a guardarlo.
Sorrisi. Mi baciai le dita della mano e alzai la mano a mo’
di saluto. Lui mi
strizzò un occhio, prima di ripartire.
Salii nel mio appartamento mentre milioni di farfalle si libravano
libere.
Mi sedetti sul letto
sfilandosi le scarpe e lasciandole ai piedi del letto. Mi
passai una mano sul collo nudo e mi portai la mani ai capelli
liberandomi delle
forcine. In pochi secondi una cascata di capelli, neri ed ondulati, mi
ricadde
sulle spalle. Sopirai e mi lascia cedere sul materasso.
Fra la mia palpebra
chiusa e l’occhio era intrappolata l’immagine del
viso di
Robert, del suo dolce e sincero sorriso.
Sorrisi flebilmente,
fra me, portandomi le mani sul viso.
Abbracciavo con
dolcezza il ricordo delle sue labbra calde sulle mie, morbide
come mousse.
Risi, agitando le
gambe in aria, godendomi il mio cuore palpitante d’affetto,
emozione, gioia. E intanto ridevo, ridevo con la bocca del cuore.
Ridevo felice
e spensierata come non succedeva da tempo. Voltai la sguardo alla
radiosveglia.
Segnava le due del mattino.
«Oh, al
diavolo!» esclamai gattonando sul letto e sporgendomi verso
il comodino
per afferrare il telefono. Pigiai il tasto per le chiamate rapide e
attesi
sorridendo.
«Pronto?»
borbottò la voce assonna di Andrew. «Non le hanno
insegnato che non
si chiama quest’ora?» biascicò poi.
«Neanche per
la dolce Laira?» chiesi in un risolino.
Per alcuni istanti non
udii altro che il suo respiro regola a pesante, tanto
che pensai si fosse riaddormentato. Alzai un sopracciglio ed aprii la
bocca per
parlare, ma Andrew mi precedette.
«Hai bevuto,
vero? Sai che non reggi l’alcool.»
sospirò.
M’accigliai.
«No, certo che no!» esclamai ridendo e reggendomi
la testa con una
mano, stesa sul letto.
«Allora devi
aver fatto uso di droghe.»
«Nah.»
dissi con una smorfia.
«Bevuto una
pozione ringiovanente?»
«Nah.»
«Hai visto i
conigli!»
Risi.
«Andrew!»
«Allora
dammi un motivo plausibile per non sgozzarti domani. Per quale motivo
tu mi hai… aspetta, non sei uscita con Pattinson
oggi?» chiese.
Sorrisi.
«Già.»
Mi alzai sul letto e
prendendomi un lembo del vestito con le mani, scoprendomi
le gambe fino al ginocchio, presi a saltare sul materasso.
«Cosa stai
facendo?» chiese confuso.
«Nulla.»
dissi sempre sorridente.
Andrew tacque per un
momento. «Stai saltando sul letto?» chiese e la sua
voce
era un suono acuto.
«Forse.»
dissi ridendo.
«Allora
è più grave di quanto pensassi.»
«Dai,
indovina.» dissi col fiatone.
«Ha fatto
ciò che penso?»
«Cosa
pensi?»
«Ti ha
baciata.»
«Sì!»
«Bene, ora
posso dire che sei una contraddizione vivente. Prima tremi ed ora
salti su un letto.»
«Sì,
lo so. Sarà l’ora.»
«Dimenticavo
che dai di matto quando non dormi. E credo tu abbia anche delle
ore arretrate. La pianti di saltare che sento malissimo!» mi
sgridò.
Mi bloccai
all’istante, sedendomi a gambe incrociate.
«Scusa.»
Ci fu un attimo di
silenzio in cui riflettei sul mio repentino cambiamento di
umore. Mi succedeva, dovevo ammetterlo, di sentirmi leggermente
euforica quando
non disponevo di ore sufficienti di sonno. Certo, se poi alle poche ore
di
sonno era associato un evento inaspettato, qualcosa che andasse oltre
le
aspettative della mia monotona vita, beh, le cose si complicavano. E
quello era
il caso.
Sfiorandomi le labbra,
ripensando con dolcezza al viso di Robert, sorrisi.
«Dai,
racconta.»
«Andrew…
credo andrò a dormire. Ne parliamo domani?»
Andrew
sbuffò. «Tu mi hai svegliato a quest’ora
del mattino per dirmi che ne
parliamo domani?»
«Sì,
in teoria sì.» mormorai.
Sospirò.
«Okay. Passo da te con la colazione. Laira?»
«Sì?»
«Era ora ti
baciasse.»
«Cosa?»
chiesi corrugando la fronte, confusa.
«Ne parliamo
domani?» chiese imitando la mia voce.
Risi.
«D’accordo. Ti voglio bene, Andrew.»
mormorai sorridendo con dolcezza,
come fosse davvero di fronte a me.
«Ti voglio
bene, Laira. Sempre.», e riappese.
Mi feci cadere sul
materasso, poggiando le testa sul cuscino. Chiusi gli occhi
e senza nemmeno accorgermene nel giro di pochi secondi mi addormentai.
L’immagine
del viso di Robert proiettata sulla palpebra chiusa del mio occhio.
*
Salve
gente. Eccomi qui, finalmente.
Purtroppo non ho molto tempo… i temi d’esame mi
chiamano a gran voce.
Perciò ringrazio di cuore gli angeli che hanno recensito lo
scorso capitolo.
Perdonatemi se non lo faccio a modo, ma prometto che nel prossimo
capitolo sarà
fatto. Avrò finito gli esami! *-*
Grazie: ginevrapotter, Sognatrice85, Piccola
Ketty, lazzari, mathi, Nessie93,
Ello, cris91,
Fairwriter e KeLsey.
Grazie.
Grazie di cuore.
Vostra,
con immenso affetto, Panda.
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