You are all my life, now.

di NeverThink
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Alla mia migliore amica, che mi appoggia qualsiasi cosa io decida di fare.
Alla mia Dod, grandioso mito che più di una volta mi ha ispirata.

 

 

Ma se ascoltate con attenzione, li sentirete sussurrare il loro monito. 
Avanti, avvicinatevi.
Ascoltate, lo sentite? 
– Carpe – 
Lo sentite?  
-Carpe, carpe diem. -
Cogliete l'attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita!

L'attimo fuggente, film 1989, John Keating.

 

 

 

PROLOGO

 

 

Da bambina mi sono sempre chiesta se il paese delle meraviglie, l’isola che non c’è, il bosco incantato della bella addormentata esistessero.
Era una continua lotta la mia, una continua lotta con la quotidianità, di una ragazza che aveva sempre dovuto conquistarsi ciò che aveva con unghie e denti.
Non c’era tempo per le favole.
Le mie scelte, dolorose e felici, mi avevano portata ad essere ciò che ero. Scelte che mi avevano allontanata da casa, dagli affetti. Eppure, in quel momento, ero priva di qualsiasi risentimento. Il suo viso rilassato e tranquillo sul quale si era fatta largo l’ombra di un sorriso. Il dolce profumo della sua pelle, le labbra dischiuse, il respiro regolare, il suo cuore che scandiva il tempo che passava velocemente. Guardando i suoi occhi, tutto mi era chiaro. Tutte le mie scelte, i miei errori, le decisioni ragionevoli, avevano un fine: mi avevano portata a… lui, il mio angolo di paradiso.

 

A voi, cari lettori. Spero vi piaccia! ^.^


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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Note dell’autrice: salve gente! Eccomi qui con una nuova fic che spero davvero vi piaccia.
L’idea di questo sclero mi è venuta un’ora prima di un compleanno, non so perché, soprattutto, probabilmente grazie al mio genietto! XD
Quindi, ora, la smetto di scrivere stupidaggini e a voi il capitolo.

 

 


CAPITOLO 1

 

 


Tu credi che sia giusto in questo mondo pensare e comportarti come te,
ma solo se difenderai la vita
scoprirai le tante cose le cose che non sai.

Pochaontas, the colors of the wind, oscar 1995.

 

 

 Guardavo la pioggia infrangersi contro la grande vetrata della hall. Picchiettava leggera e costante, senza cessare un solo attimo. Poggia la fronte sul freddo vetro chiudendo un momento gli occhi.
Le gambe mi dolevano, i piedi mi facevano male e nella mia testa sembrava ci fosse uno sciame di api, che rumoroso si aggirava in essa senza sosta. Mi portai le dita alle tempie massaggiandomele delicatamente, per non aumentare il dolore. Sospirai rilassando le spalle.
L’intero pomeriggio era stato duro, fin troppo. Non avevo un lavoro fisso, erano più che altro lavori saltuari, che mi tenevano occupata tutta la giornata. Durante il pomeriggio avevo portato a spasso dei cani, la mattina avevo lavorato in uno starbacks. Quella sera, cameriera per una cena post premiere.
-Laira?- mi voltai sentendo chiamare il mio nome. –Pronta?- annuì con la testa a quello che era il mio migliore amico, Andrew. Gli ero infinitamente grata perché senza di lui non avrei mai ottenuto quel lavoro, senza di lui probabilmente, la mia vita non sarebbe mai cambiata.
-Ehi piccola, tutto okay?- si avvicinò a me accarezzandomi una guancia.
-Sono solo molto stanca. – dissi prima di rivolgerli un sorriso di rassicurazione.
-Sicuro?-
-Ti ricordo che lavoro da tutto il giorno e che sono stata alla prese con un terranova pigro e un chiwawa psicotico. – si mise le mani sui fianchi ridendo.
-Dai, andiamo o ci licenziano entrambi. – ci incamminammo verso la cucina fianco a fianco, mentre tutti organizzavano la serata. Entro poco più di un’ora quel posto si sarebbe gremito di gente, attori e fotografi, registi e produttori. Tutta gente piena di sé, altezzosa, e io avrei dovuto servirli.
Ci diedero delle divise che subito indossammo. Mi guardai e rimasi, lì, sbalordita e scioccata, a fissarmi. Andrew mi fu accanto dopo pochi secondi.
Mi voltai a guardarlo con occhi sgranati.
-Sembro un pinguino. – sussurrai scioccata. Alzò le sopracciglia squadrandomi, poi scosse il capo.
-Cosa c’è?- chiesi irritata. –Sembro un orrendo pinguino. -
-Fattelo dire, cara. Non sei un pinguino. Piuttosto sei… wow. E sono un uomo, c’è da precisarlo. – sbuffai irritata prima di tornare a guardare la mia immagine allo specchio.
-Anche t sembri un pinguino. – sussurrai.
-Dettagli. Però devi… -
-Cosa?- chiesi vedendo che non aveva intenzione di continuare la frase. Si avvicinò a me, posizionandosi alle mie spalle. Accarezzò i miei lunghi capelli neri portandomeli all’indietro, raccogliendoli in un piccolo chignon.
-Ora sei perfetta. – sussurrò.
-Tu sei di parte. – dissi ridendo.
-E tu col viso scoperto sei un incanto. – roteai gli occhi, dandoli un buffetto sulla spalla. Andrew era il mio migliore amico, Andrew era cresciuto con me. Andrew era dannatamente carino. Andrew era rigorosamente omosessuale.
-Voi due siete in ritardo. Tu – disse un uomo tarchiato, indicandomi con un dito – Ci sono dei tovaglioli da sistemare ai tavoli. E tu – disse indicando Andrew – In cucina per gli alcolici. – ci guardammo un momento negli occhi esterrefatti.
-Cosa ci fate ancora qui? Su su, muoversi!- gridò battendo le mani. Non aveva detto gran che, ma già lo odiavo. Sistemandomi la giacca corsi nella sala dove erano sistemati i tavoli.
Bene, pensai. Mai e poi mai avrei potuto mangiare in un luogo come quello. Mi imposi di annotarlo nel mio taccuino, quello in cui segnavo pensieri, cosa da ricordare e da fare, dato che dimenticavo spesso e con molta facilità… un giorno, forse lo avrei annotato… avevo detto forse.
La stanza dai muri crema era piena di fiori e tutto, dico, tutto, era giallo. Le api all’interno delle mia testa si misero in moto facendo ancor più baccano, aumentando il lancinante dolore. Tutto era estremamente elegante e… caldo. In tutti i sensi. Non solo per i colori, ma anche per la temperatura. Sicuramente le varie prime donne si sarebbero presentato con micro vestiti, che coprivano ben poco.
Mi misi al lavoro fino a quando non iniziarono ad arrivare gli attori. Corsi verso le cucine in cerca di Andrew e l’uomo tarchiato.
-Bene, ragazzi. – sentì parlare dietro le mie spalle. Mi voltai e il signor Paolini, alias signore tarchiato. –E’ una serata impartante voglio da voi estrema serietà. Precisi, puliti. Non voglio lamentele, tutto deve essere perfetto. Il vostro lavoro è la vostra vita, il vostro destino, la vostra missione. Siete qui per combattere camerieri! Difendente il prestigio di questo hotel! Sono stato chiaro? Ora a lavoro! – ordinò alzando le braccia al cielo. Mi lasciai sfuggire un risolino ascoltandolo. Sembrava un incitamento ad una partita di baseball.
-Buona fortuna. – Sussurrò Andrew al mio orecchio.
-Anche a te!- Risposi allegra. Già, ce ne sarebbe voluta davvero tanta.

 

 La sera passava, lenta. Il mio mal di testa aumentava sempre di più.
-Aiutami tu, ti prego. – dissi con disperazione ad Andrew quando mi riparai dietro le tende della grande sala.
-A chi lo dici! Dovresti vedere come mi guardano quelle oche! Sembra che vogliano uccidermi. – bisbigliò lui sbirciando, con sguardo terrorizzato.
-Ti mangiano con gli occhi. Certo che sei un po’ lento a capire caro. – dissi portandomi una mano su un fianco e guardando i vari tavoli, poggiando il viso sulla sua spalla. Dire che Andrew era altro era poco. E in fondo non ci voleva molto ad essere più alti del mio mentre e sessantacinque.
-Ma di quale film sono?- sentì l’appoggio della testa mancarmi, così mi voltai a vedere cosa fosse successo. Andrew era, lì, di fronte a me, un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi.
-In che mondo vivi, Laira?-
-Nello stesso di milioni e milioni di persone, forse?-
-No, tu vivi un mondo tutto tuo, dove il cielo è rosa e gli alberi blu. Dove non esistono cinema, riviste e lustrini. Tu vivi in un tuo mondo fatato fatto di libri, politica, inquinamento eccetera eccetera. Tutte quelle cose così noiose…-
-Taglia corto. – Sbuffai.
-Te l’ho già detto che film è. E’ possibile che vieni a lavorare qui e non sai nemmeno chi sono quelle persone lì? Bisogna poi ammettere che se hai dato una sguardo alle persone ai tavoli, ti sarai resa conto che i ragazzi... -
-Non ho dato sguardi perché non mi interessa. Allora, mi vuoi dire chi è quella gente viziata che non fa altro che mangiarti con gli occhi e guardarmi male?- sbottai. Sbuffò dandomi uno scappellotto.
-Twilight Laira, twilight!- Roteai gli occhi massaggiandomi la testa.
-Idiota. – Sussurrai tornando a guardare la sala. Tutti ridevano, tutti erano felici. Senza preoccupazioni, senza paure. Loro non avrebbero dovuto preoccuparsi di mantenere il proprio posto di lavoro.
Sbuffai irritata da tali pensieri.
Cosa mi importava?
Non avrei mai scambiato la mia vita con le loro. Non avrei mai voluto essere come loro. Se se stavano lì, seduti, pieni di amore per se stessi, egoisti e narcisisti. Quando vivi a New York, quando ha lavori saltuari come i miei, un amico che ti permette di lavorare con lui come cameriera, vieni a contatto con gente famosa, gente nota del cinema o dello spettacolo e ti rendi conto che molti loro sono…vuoti. Non hanno interessi, non sono gentili, si sentono dei. Gli odiavo per questo, quando mi guardavano vedevano tutto tranne che… Laira.
-Magari se li conosci non sono così male. Non siamo tutti uguali a questo mondo. – la voce di Andrew era pari ad un sussurro. –Non tutti sono come lui. – scossi il capo.
-Quella gente è tutta uguale. – abbassai un momento lo sguardo, prima di tornare a posarlo sui tavoli. I miei occhi si posarono su un gruppo di ragazzi che ridevano e sembravano felici e spensierati. Guardi il modo con sui due di loro si guardavano. Gli sguardi, i sorrisi. Le guance che si coloravano di rosso. Guardai i loro occhi cercarsi dopo aver vagato sui volti circostanti. Lo feci anch’io. Guardi i tavoli, guardi le persone che tanto mi ricordavano ciò che mi aveva fatto soffrire, ciò che avevo perso. Ciò a cui, con infinità stupidità, avevo donato il mio fragile cuore. Ed incontrai due pezzi di cielo. Il suo sguardo brillava sotto la luce calda dei grandi lampadari. Sul suo viso era dipinta un’espressione indecifrabile. Le labbra serrate in una linea retta, le fronte corrugata. I capelli arruffati gli ricadevano sulla fronte e con un semplice gesto, si passò una mano fra essi, lasciando il viso scoperto. Poi, tornò a guardare una ragazza seduta di fronte a lui, che probabilmente aveva richiesto la sua attenzione.
Tipico… prima donna.
-Lei è Nikki Reed, personaggio secondario. Lui Robert Pattinson, protagonista insieme alla ragazza seduta alla sua destra. – mi informò Andrew.
-Grazie ma non mi interessa. – lo sentì sospirare, poi mi voltai e gli bacia una guancia.
-A lavoro signorino, se non vogliamo perdere il posto. – dissi in un risolino.
Mi voltai un’ultima volta guardando ancora… quel tavolo.

 

 

 *

 
ElfoMikey: mostriciattolo! Ti ho mai detto che a volte mi fai paura? Sono comunque contenta che ti sia piaciuto il prologo e spero di non averti delusa con questo capitolo! No… grazie a te. <3
KeLsey: ciao! Spero che con questo primo capitolo (a parer mio un po’ noioso) non ti sia passata la curiosità XD Grazie per la recensione!
AlessandraMalfoy: ciao! Sono contenta tu l’abbia letto! Mi fa piacere sapere cosa pensi delle mie fiction! Ecco a te il primo capitolo, spero ti piaccia!
Doddola93: ciao! Che bello trovarti anche qui! Sono io che ti adoro! Okay, ci adoriamo a vicenda! Emozionare? E’ solo un prologo! Che farei senza il tuo supporto? Mettitelo in testa Genio… io amo ciò che scrivo quanti tu ami ciò che scrivo! A presto bella! Ti voglio bene! <3
isteria: ciao! Ecco a te il capitolo, spero ti sia piaciuto come il prologo. Grazie per la recensione… grazie davvero!

 

A voi, Panda.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Note dell’autrice: salve gente! Eccomi qui! Allora, che dire?
Robert entra in campo! (per sua sfortuna, mmm… sono punti di vista).
Non vi anticipo nulla altrimenti rovinerei tutto, e dato che ho al lingua lunga fatico a non parlare spiegando ciò che succede. Questa è la storia che mi causa problemi, forse perché la trama e le scene non sono ben definite nella mia mente.
Ma bando alle ciance!

Enjoy!




CAPITOLO 2

 

Mi ha lasciata
dicendo
che domani sarebbe
ritornato.
A casa sul pavimento
ho scritto tante volte: domani.
E all’alba i vicini
mi hanno chiesto: “Amica,
quando verrà il tu domani?”
Domani, domani: ho perso
ogni speranza,
il mio amore,
non tornerà.
Vidyapati, poeta indiano, vissuto fra l’XI e il XV sec. d. C.

 


Come poche ore prima, guardavo la pioggia leggera e delicata cadere. Cadeva con delicatezza sulla veranda di legno, causando un dolce rumore rilassante. Sospirai, aspirando del fumo dalla sigaretta che avevo fra le dita. Non ero mai stata una fumatrice accanita, e non lo ero nemmeno in quel periodo, ma la nicotina, mi rilassava, mi aiutava a tenere i nervi saldi quando sembrava stessero per cedere, ed aiutava, in un certo senso, a placare le api che senza sosta mi ronzavano in testa.
Delle ciocche di capelli mi ricadevano scomposte sul viso, me le portai dietro le orecchie, prima di aspirare ancora del fumo. Buttai all’indietro la testa chiudendo gli occhi, gustandomi l’aria fredda e umida sul viso, pungente su di essa come aghi. Il fumo si alzava in spirali nell’aria mentre un brivido di freddo mi percosse.
Non sentì la porta scorrevole aprirsi alle mie spalle, non sentì leggeri passi avvicinarsi a me. Ero concentrata, pensando al mio mondo personale, al mio angolo di paradiso, dove il cielo era rosa e gli alberi blu.
-Hai da accendere?- sussultai nell’udire quella voce calda e roca. Mi voltai a guardare il suo viso.
-Perdonami, non volevo spaventarti. – sussurrò senza distogliere lo sguardo dal mio.
-Oh, no no. – mi affrettai a dire scuotendo con capo. Affondai la mano nella mia giacca da pinguino e gli porsi il mio accendino rosso.
-Grazie. – l’espressione pensierosa, la fronte aggrottata, le labbra serrate inizialmente in una linea retta, la stessa espressione che mi aveva scrutata ore precedenti. Avrei dovuto sentirmi in soggezione forse, lui in fondo era un personaggio noto, qualsiasi ragazzina sarebbe perso la testa, ma non io. Io che sapevo di che pasta erano fatti. Per me era solo un ragazzo normale.
Lo scrutai mentre si portava la sigaretta alle labbra, mentre il fumo fuoriuscito da esse si liberava in spirali nell’aria umida.
Tutti uguali, pensai guardandolo ancora. Eppure quando si voltò, conscio del fatto che lo stessi scrutando il mio cuore perse dei battiti. Mi specchia nell’azzurro dei suoi occhi, impenetrabili e tristi. Non riuscii a staccare gli occhi da essi, non riuscii a distogliere il mio sguardo, cosa che la mia mente mi urlava di fare.
I miei occhi neri come la notte si persero in quell’azzurro cielo, che sotto le luci fioche della veranda brillavano come stelle.
-Vuoi chiamarmi anche tu Edward? Cedric? – i suoi occhi ardevano e rimasi spiazzata dalla sua domanda. Scossi il capo abbassando lo sguardo prima di riposarlo sul suo viso.
-Fino a poche ore fa non sapevo nemmeno chi fossi. – dissi in un risolino. Aggrottò la fronte, prima di tornare a guardare la pioggia cadere sul verde prato. Lo imitai portandomi ancora la sigaretta alle labbra.
-Come ti chiami?- sussurrò dopo pochi attimi. Senza distogliere lo sguardo da un punto fisso.
-Laira. – dissi porgendoli una mano.
-Robert. – la sua mani calda strinse la mia. Sorrisi, prima di spegnere la sigaretta oramai finita.
-Ti ho vista prima. – incrocia le braccia al petto e lo guardai incuriosita. –Nella sala. – Mi guardai un momento intorno.
-Non guardavo te. – come mi aspettavo. Tutti troppo pieni di se stessi, per guardare realmente il mondo e le persone che gli circondavano. Le mie tesi ero fondate.
-Lo so. –posai ancora lo sguardo su di lui e fu come se il suo sguardo mi penetrasse, come se arrivasse a me, come se vedesse Laira, non una cameriera. Uno sguardo troppo intenso da poter essere retto. Rimasi sorpresa da tele risposta. Qualcosa che non aspettavo. Fece un passo in avanti, mi ritrassi e in quell’esatto istante la porta si aprì, e una ragazza dalle forme provocanti e grandi occhi marroni, come i capelli che le incorniciavano il viso, comparve sorridente, un sorriso che si spense nell’esatto istante in sui vide me, facendo largo ad un’espressione a metà fra la sorpresa e la confusione.
-Rob, vieni? Ci sono i fotografi. – si strinse nelle spalle a causa dell’aria fresca.
-Arrivo. – sussurrò lui, prima di guardare il mio viso.
-E’ stato un piacere Laira. Addio. – non risposi, mi limitai ad annuire con capo. Quante volte avevo sentito dirmi quella parola? Quante volte l’avevo sentita pronunciare da lui?
Ogni addio non era mai per sempre.
Scossi il capo. Mi ero ripromessa di non pensarci… mai più.
Robert si avvicinò a lei che gli cinse la vita con un braccio, automaticamente lui le circondò le spalle con un braccio. Fu allora che compresi la natura di quelle occhiate sorprese e stupide: pura e semplice gelosia. Ma di certo io non le avrei mai provato via il ragazzo, non ne avevo la minima intenzione. E poi… ero solo una cameriera.



-Sono esausto. – Disse in un sospiro Andrew, sedendosi sulla sedia accanto alla mia.
-Bhe, allora siamo in due. Stupido mal di testa. Non vuole cessare. – chiusi gli occhi e mi presi la testa fra le mani, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Eravamo nella sala. Tutti oramai erano andati via, lasciando un gran casino e noi, lì, alle quattro del mattino dovevamo mettere in ordine… tutto.
-Chissà che si prova a fare la bella vita. -
-Nulla Andrew, nulla. – sbottai acida poggiandomi allo schienale.
-Non eri così cinica una volta. -
-Le persone cambiano. Lo sai bene anche tu. – dissi guardandolo. Poi buttai la testa all’indietro, chiudendo gli occhi e sospirando. –Chi può saperlo meglio di me?- sussurrai in fine, certa del fatto che Andrew non potesse sentirmi.
Udii i suoi passi e seguì l’atletica figura di Andrew dirigersi verso un tavolo.
-Mi sono sempre chiesta come fai ad essere gay. Tutto sprecato lo sai, vero?- dissi mentre tornava da me con una bottiglia di champagne, ancora chiusa.
-Il signor Paolini è impegnato. Sono sicuro che non se ne accorgerà. – disse cercando di aprire la bottiglia. –E poi non è tutto sprecato lo sai, vero?- feci un risolino prendendogli poi la bottiglia dalle mani. L’aprì senza difficoltà. Me la tolse dalle mani e se la portò alle labbra.
-Niente bicchieri?- mi fissò come se venissi da un altro pianeta.
-Da quando io e te usiamo bicchieri. – risi e aspettai che mi passasse la bottiglia scura.
-Ehi, queste sedie si che sono comode. Dici che qualcuno se ne accorge se me porto una a casa?-
-Bhè, Andrew, se non provi non saprai mai. – dissi scompigliandoli i ricci capelli chiari.
-Scusate, avete trovato un orologio?- una voce alle nostre spalle attirò la nostra attenzione. Difficile dimenticarla. Aprii la bocca per parlare ma le parole mi morirono in gola. Da essa non uscì che un respiro. Fissò per un istante i miei occhi per poi posare il suo sguardo su Andrew. Lui scostò il suo sguardo da me, guardandolo.
-No, mi spiace. Non abbiamo ancora iniziato. -
-Vedo. -
-Se troveremo qualcosa glielo faremo sapere. – dissi imitando Andrew che si era alzato dalla sedia, fronteggiando Robert, che pareva poco più passo di Andrew. I suoi occhi azzurri si posarono ancora su di me, e con la coda dell’occhi vidi Andrew spostare il suo sguardo da me a Robert, da Robert a me.
-Grazie Laira. – sul suo viso comparve l’ombra di un sorriso e i suoi occhi si illuminarono di una strana luce. –Questo è il mio recapito. Ti sarei grato se fossi tu ad avvisarmi, o il tuo… -
-Andrew. – disse lui porgendogli la mano, che strinse.
-Robert. -
-Si lo so. –
-Giusto. – rispose in un risolino, caldo e roco. Sorrisi guardando in basso, prima di guardarlo ancora negli occhi.
-Allora… a presto, spero… per… l’orologio. – con un sorriso a trecentoventidue denti, mi porse la mano che subito strinsi.
-Laira, Andrew. -
-Robert. – Rispondemmo noi contemporaneamente. Lo guardai allontanarsi con la tesa china. Il passo strisciato.
-Sembra una persona piuttosto triste. – non mi voltai a guardare Andrew, fissai quel ragazzo allontanarsi, oltrepassare la porta. Mi voltai verso Andrew prendendo la bottiglia che avevo poggiato su un tavolino e sorridendo.
-Ne vuoi un po’? – dissi mettendogliela sotto il naso nel momento in cui aprì la bocca per dirmi ciò che più temevo.
-Signorina, mi devi un bel po’ di spiegazioni. -
-Ah si?- Annuì col capo. Sbuffai sedendomi sulla sedia e bevendo un sorso di champagne.
-Cosa dovrei spiegarti?- prese il biglietto che avevo ancora in mano e lo analizzò prima di mostrarmelo, anzi, prima di mettermelo a cinque centimetri dagli occhi.
-Ah. Prima ero fuori per una sigaretta… -
-Laira! Diamine mi avevi promesso che non avresti più fatto uso di nicotina! Sai quanto faccia male quella roba. -
-Oh andiamo, Andrew! Ne avevo bisogno!- lui scosse il capo sospirando.
-Va avanti. – fece segno con la mano di continuare. Così, dovetti raccontargli ciò che era successo sulla veranda. Cercai di omettere stupidi particolari, ma lui volle pure quelli, quando eri in suo pugno era difficile sfuggirli.
Lui mi guardò con aria maliziosa.
-E dacci un taglio Andrew. Sono probabilmente l’unica che non gli è cascata ai piedi supplicando in una foto o in autografo. L’unica che nemmeno si è strappata i capelli nel vederlo. Non sapevo nemmeno che film avessero fatto tutte quelle persone. Se mai troverò l’orologio glielo restituirò e basta. Mi è bastato una volta. – l’ultima frase fu pari ad un sussurro. Scossi il capo e mi diressi verso i tavoli.
-Ti odio da quando…-
-Facci l’abitudine. – sbottai. –Muoviti o Paolini ci uccide. – cominciammo a sistemare, ma non passarono nemmeno dieci minuti che afferrai Andrew per il braccio e lo abbraccia, più forte che potevo.
-Mi dispiace. – sussurrai. –Sono stata imperdonabile. Non volevo, Andrew. – Mi accarezzo la schiena in segno d’affetto.
-Tranquilla, piccola. Tranquilla. -
-Non odiarmi. – Dissi con voce incrinata.
-Non ti odio. – Disse in un risolino. –Come potrei?- alzai il capo per guardarlo in viso.
-Grazie. – Dissi prima di baciarli una guancia, lasciandomi ancora alle sue braccia, sentendomi… a casa.

 


*

Grazie a tutti coloro che hanno inserito questa storia fra i preferiti, chi legge senza recensire ^.^
AlessandraMalfoy: ciao bella! Sono contenta di sapere che il capitolo è stato di tuo gradimento! Ecco a te il capitolo e, soprattutto, l’incontro. Spero ti sia piaciuto, grazie mille per la recensione, grazie davvero! *_* A presto!

A voi, Panda.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Note dell’autrice: salve gente!
Perdonati, vi prego, l’enorme ritardo, ma la scuola mi ha tenuto un tantino occupata.
Non so sinceramente da dove mi sia uscito questa storia, ma non importa.
Basta ciarlare inutilmente…

enjoy!

 

 

CAPITOLO 3

 


Talvolta le piccole cose
non sono poi così piccole per tutti.

 


Mi svegliai di buon ora il mattino successivo perché, per l’intera settimana, avrei dovuto lavorare in un cafè, e facendo qualche calcolo mi mancavano ancora due giorni. Davanti alla specchio, con lo spazzolino in bocca, guardavo la mia immagine riflessa sorpresa e rassegnata allo stesso tempo. Coprire le occhiaie violacee sarebbe stata un’impresa, alla quale rinunciai molto in fretta. Il mio senso estetico era del tutto inesistente. Rinunciare per me a dei jeans e t-shirt era impossibile e, ovviamente, per Andrew era una sciagura… non sempre, sol quando si trattava di usare cose consone all’occasione diventava peggio di una mamma isterica che aiutata la figlia a trovare l’abito giusto per il matrimonio.
Qualcuno suonò il campanello e automaticamente sbuffai, schizzando dentifricio sullo specchio. Imprecai maledicendomi, come al solito. Cercai di pulirlo con dell’acqua mentre il fastidioso trillo del campanello mi perforava ancora le orecchie.
-Arrivo!- gridai dopo aver sputato il dentifricio… ne lavandino.
Correndo mi diressi verso la porta e l’aprii.
-Buon giorno!- ridussi gli occhi a due fessura.
-Ti perdono solo perché mi hai portato caffè e ciambelle. – sibilai, scostandomi per farlo entrare.
-So che arriverai tardi per colpa della mia visita e non potrai fare decentemente colazione lì. Così ci ho pensato io. – disse sprofondando sul divano.
-Ma se tu non verresti la mattina questo problema non si presenterebbe e io arriverei in orario al cafè, e inoltre, pensa un po’, potrei fare tranquillamente colazione lì. Strano, eh? – dissi afferrando la mia colazione.
-Il tuo pigiama è delizioso? Te l’ho mai detto?- scossi il capo ridendo.
-Solo perché me lo hai regalato tu, altrimenti odieresti quelli con cui dormo di solito. – mi guardai un secondo. Rosa con alberi blu. Feci un risolino. Per lui, il mio mondo, era quello. Ed io e il rosa non andavamo gran che d’accordo. Ma, in fondo, me lo aveva regalato lui.
-Certo, sono tute. – bofonchiò. Risposi con un risolino addentando la mia ciambella. Lui si alzò per prendere la sua.
-Perché tu niente cappuccino?- chiesi aggrottando la fronte.
-L’ho bevuto venendo qui. – rispose con l’aria di chi la sapeva lunga.
-Non ci credo. -
-E’ la verità. – Alzai un sopracciglio.
-Eh d’accordo. L’ho bevuto al cafè perché ho intrapreso una conversazione con il barista. – un sorriso si fece strada sul mio viso, mentre prendevo il mio caffè.
-Davvero? Che tipo di conversazione? Com’è?- chiesi sedendomi accanto a lui ed incrociando le gambe.
-Abbiamo parlato del problema ciambelle. – sgranai gli occhi.
-Problema ciambelle?- lui annuì energicamente.
-Fammi capire. Trovi un ragazzo che ti piace e parlate… di ciambelle?- annuì ancora.
-Vedi ci sono un sacco di ciambelle rivestite di zucchero e glassa al cioccolato, ma nessuna rivestita di glassa alla fragola o al kiwi. – disse lui guardando la ciambella che aveva in mano con sguardo concentrato. La sua espressione si tramutò in sorpresa quando si voltò verso il mio viso. Solo quando poggio un dito sotto il mio mento mi resi conto di aver la bocca aperta.
-Al... kiwi?- sussurrai. Lui annuì.
-E poi ero io quella strana. -
-Forse è per questo che andiamo d’accordo. – disse lui scompigliandomi ancor di più i capelli annodati.
-Probabile. – dissi sorridendo. –Hai sentito i tuoi?- chiesi bevendo un po’ di caffè. Annuì.
-Stamattina. -
-Come se la passano?- sospirò.
-Bhè, gli manchiamo. Ovviamente vorrebbero che fossimo ancora lì. – la sua voce aveva assunto una nota di tristezza. Gli accarezzai i capelli chiari.
-Andrew, non sei costretto a star qui, lo sai. – si voltò a guardarmi con occhi sbarrati e bocca serrata.
-Lo so, ma è ciò che voglio. Io non ti abbandono. – sorrisi dolcemente guardando il bicchiere fra le mie mani. Erano passati tre anni da quando ci eravamo trasferiti lì da Londra. Dopo che i tuoi genitori sono morti in un incidente quando tu hai solo cinque anni ed sei stata allevata dai tuoi vicini, perché non avevi più nessun parente lì, tranne che tua nonna a New York, non hai motivo per restare. Così all’età di diciotto anni mi sono trasferita a New York, ed Andrew mi ha seguito senza nemmeno pensarci un secondo. Lui un ragazzo di venticinque anni che mi ha sempre considerato come usa sorella, un qualcuno da proteggere. Persuaderlo a restare a Londra, fu una causa persa sin dall’inzio.
-Se credi chissà che un giorno non giunga la felicità, non disperare nel presente ma credi infermamene e il sogno realtà diverrà. – mi sussurrò all’orecchio come ogni mattina. Risposi come al solito con un risolino, dandogli uno spintone e facendo rotolare sul pavimento. La sua risata allegra e dolce riempì la stanza.
-Cenerentola ti ha dato alla testa. – dissi alzandomi e dirigendomi verso la camera.
-Forse si… forse no… chi lo sa. Muoviti signorina o non ti do nessun passaggio. – disse mentre aprivo l’armadio.
-Ricevuto capo!- urlai per farmi sentire. Un’altra difficile giornata era cominciata.

 

-Ah, quasi dimenticavo. – mi voltai verso Andrew che guidava nel traffico.
-Cosa?- dissi abbassando il volume dell’autoradio. Si sporse verso di me, verso il cruscotto, aprendolo e tirando fuori un sacchetto. Me lo porse.
-Aprilo. – corrugai la fronte confusa. All’interno vi era un orologio.
-Cos’è?- lui sorrise e scosse il capo.
-Pattinson. – mi portai una ciocca di capelli, che mi era finita davanti al viso, dietro un orecchio.
-Oh, l’orologio. L’hai chiamato?- chiesi voltandomi a guardarlo. Andrew si passò una mano sul viso, scuotendo il capo.
-Ho la conferma che vivi fuori dal mondo. L’hai tu in numero, ricordi?- mi sentì una stupida, come sempre.
-Giusto. – dire che ero sbadata era davvero poco. -Allora lo chiamerai?-
-No, lo farai tu. – mi rispose fermandosi davanti al cafè.
-Oh no, Andrew, non puoi farmi questo. – dissi petulante.
-Oh cara, fino a prova contraria ha affidato in numero a te, e non ho intenzione di tradire la sua fiducia. – rispose solenne.
-Tradire la sua fiducia. Ma cosa dici? Nemmeno vi conoscete?-
-Appunto! Lui ha affidato a te questo recapito perché probabilmente sei l’unica che non sei cascata ai suoi piedi strappandoti i capelli in cerca di una foto o un autografo. Ci hai pensato?-
-Ma chi gli dice che io non abbia dato il recapito a qualcuno?- chiesi con tono di sfida.
- Bhè tesoro, questo devi chiederlo a lui. – rispose alzando le sopracciglia. Sbuffi mettendomi l’orologio nella borsa.
-Non puoi sempre vincere tu. Arriverà il giorno della mia vendetta. – ringhiai scendendo dall’auto, dirigendomi vero il cafè. Lui abbassò il finestrino uscendo fuori la testa.
-Si chiama buon senso, Laira!- urlò prima che mi girassi a fargli la linguaccia, come una bambina. Lui scosse il capo e ripartì.
Sospirai. Avrei dovuto chiamarlo io.
-Maledizione!-

 

-Laira, il tuo turno è finito. – guardai il grande orologio appeso al muro. Segnava le due del pomeriggio.
-Di già?- mugugnai. Amanda, la proprietà del locale, una ragazza sui trenta con folti capelli ricci e rossi, sgranò gli occhi sorpresa.
-Solitamente non vedi l’ora che arrivino le due. –. Guardai il pavimento, imbarazzata. La fine di quel turno significava solo una cosa: chiamare quel maledetto numero.
-No è solo che… il tempo oggi è passato davvero in fretta. – lei mi guardò di sottecchi.
-Che hai combinato?- alzai lo sguardo.
-Oh no, no no. Nulla, davvero. – mi affrettai a dire, per evitare altre domande a cui non avrei saputo mentire. Purtroppo dire bugie non era mai stato il forte, mi si leggeva in faccia se mentivo.
-Sembrerebbe che…-
-Oh, è arrivato Andrew. A domani Amanda!- dissi togliendomi la “divisa”, afferrando al borsa e correndo verso l’auto. Quando entrai l’abitacolo era caldo in netto contrasto con l’aria fresca che aleggiava fuori.
-Oddio, sembra di essere ai tropici. – dissi sfilandomi la giacca e rimanendo solo con una maglietta indosso.
-Ciao anche a te, Laira. – disse Andrew ripartendo.
-Ciao Andrew. – dissi guardando fuori il finestrino mentre alzavo il volume dell’autoradio.
Lui l’abbasso.
-Laira?- mi voltai verso di lui.
-Com’è andato il lavoro?- chiesi interessata, ma il mio era solo un vano tentativo di sviare la conversazione.
-Laira?-
-E’ andato male? Bene?- chiesi imperterrita.
-Laira?-
-Cosa c’è? Ho qualcosa sul viso?-
-Laira!- mi ammonì infine e automaticamente incrocia le braccia al petto e scivolai sul sedile, cercando di evitare il suo sguardo.
-Dimmi. – mugugnai, facendo ricadere i lunghi capelli lisci davanti al viso, usandole quasi come sipari, per nascondermi dal suo sguardo inquisitore.
-Hai chiamato?- non risposi. Mi rifece la domanda un paio di volte, prima di gridare ancore una volta il mio nome.
-Okay, okay! Ora chiamo!- dissi cercando il cellulare e il numero nella borsa. Con grande difficoltà, sbuffando, composi il numero. Per qualche strano motivo le dita tremarono sulla tastiera, e fui costretta a fare il numero tre volte.
-Non c’è bisogno di agitarsi. No?- chiese ridendo.
Masochista, pensai.
-Non sono agitata. – mentii.
-Certo, certo. -
-Guarda?- dissi mostrando il cellulare dopo essere riuscita a digitare il numero.
-Se non lo posti all’orecchio come potrei parlare?- immediatamente seguii il suo consiglio facendoli una pernacchia e, ciliegina sulla torta, in quello stesso momento, la chiamata fu aperta. Andrew represse una risate mentre io li diedi uno scappellotto.
-Se questo è uno scherzo, non è assolutamente divertente. –riconobbi la voce dall’altro lato del telefono e per un attimo la parole mi morirono in gola.
-Ehm, no, scusami, davvero. Sono Laira. Laira Jones. -
-Oh si, ciao Laira. Avete trovato per caso l’orologio. – chiese con allegria. Deglutì rumorosamente.
-Si. Se mi da un recapito…-
-Dammi il tuo indirizzo. – sgranai gli occhi e balbettai una risposta appena comprensibile. Andrew si voltò a guardarmi, scioccato.
-Okay, se non è un problema sarò lì, fra circa… un’ora. -
-Ehm… credo di si. Cioè, voglio dire… non è un problema. –
-Okay. A dopo, Laira. – riappese. Rimasi col cellulare sull’orecchio per circa un minuto, metabolizzando tutte quelle strambe informazioni.
-Laira? Tutto okay?- scossi il capo.
-Più o meno. – risposi riponendo il telefono in borsa.
-Bhe, uno degli attori più gettonati del momento, di fama internazionale sta venendo a casa tua. - riflettè lui portandosi un dito sul mento.
-Una persona esattamente come te e me. Ti ricordo che col cinema non vado gran che d’accordo. – risposi irritata.
-Prima si. – sussurrò lui.
-Basta Andrew, non ne voglio parlare. – sbottai io rimettendomi la giacca, dato che, oramai, eravamo nel quartiere in cui abitavo.
-Allora perché non è tutto okay. – ci riflettei bene per un secondo. E mi voltai verso di lui con la fronte corrugata.
-Potrebbe comprarsene un’infinità di orologi. – lui rise e scosse il capo, passandosi, divertito, una mano sul viso.
-Ingenua e lenta a capire. -
-Cosa?- chiesi mentre svoltava l’angolo che portava a casa.
-No posso saperlo io questo. Dovresti chiederlo a lui. Ti rendi conto che molte ragazze al tuo posto sarebbero agitate, col cuore a mille?- lo guardai pensando alla cosa come la più impossibile delle realtà.
-Io sono Laira. -
-Ed io ti voglio bene per questo. – scendemmo dall’aut diretti in casa.
Già, la cosa non mi toccava per niente, ma non sapevo che presto tutta la mia vita avrebbe preso una svolta diversa.

 

*

AlessandraMalfoy: ciao! Che piacere immenso sapere che il capitolo ti sia andato a genio! Spero che questo, anche se non succede nulla di che, ti sia piaciuto!
Alice102: ciao! Grazie per la recensione! XD spero di non aver deluso le tue aspettative.
doddola93: socia! Tesoro! Grazieeeeeeeee! Cavolo, (sarò ripetitiva) quanto mi fanno piacere le tue recensione e le tue parole sono sempre così… carine! Se io sono una mente geniale, allora lo sei anche tu! Mettitelo in testa! Grazie per la recensione, grazie davvero!
bella95: ciao! Qui Rob non è particolarmente presente, ma nel prossimo capitolo… okay, non parlo altrimenti ti svelo tutto e non è un bene! Grazie, per la recensione cara, grazie davvero!
Fairwriter: ciao! Sul serio ti prendono? *.* Anche in “Trovami semplice per uscirne lei non è caduta ai suoi piedi, non lo so perché, ma non riesco scrivere di loro che impazziscono, è più forte di me. Sono contenta di sapere che ti piacciano le mie storie e come scrivo ci tengo davvero tanto! Il suo astio nei confronti dei “VIP” sarà chiarito in seguito, senza ombra di dubbio. Grazie per la recensione, grazie infinite!


A voi, Panda.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


 

 

 

 

 

CAPITOLO 4

 

 

 
L'amore e' come la pioggerella d'autunno: 
cade piano ma fa straripare i fiumi.
Proverbio Africano.

 

 

 

 Bevevo il mio terzo caffè della giornata sul davanzale delle finestra. Il sole, coperto di tanto in tanto dalle nuvole, illumina la facciata dell’edificio in cui vi era il mio apertamente. Le dolci note di Debussy si diffondevano nella stanza dallo stereo accanto al televisore.
Il citofono squillò facendomi sobbalzare dallo spavento. Alzandomi mi diressi prima allo stereo per spegnerlo, poi per vedere chi era.
-Laira Jones. Lei chi è? Nome, cognome e città di provenienza. Non mi interessano aspirapolvere e giornali.- , sentii il risolino.
-Robert Pattinson. Londra.- rispose ridendo. Scossi il capo.
-Terzo piano. - Aprii la porta e lo aspettai sulla soglia, posando il caffè sul tavolino all’entrata. Sentii i suoi passi, lo sentii salire le scale velocemente e comparire dopo pochi attimi davanti a me.
-Potevi prendere l’ascensore. - dissi spostandomi per farlo entrare.
-Ho il terrore degli ascensori. - rispose rabbrividendo e voltandosi verso di me, dopo che ebbi chiuso la porta.
-Sul serio? - chiesi prendendo la mia tazza.
-Si. Una volta sono rimasto chiuso in un ascensore. Esperienza traumatica. - sorrisi chinando il capo.
-Ti va un caffè?- chiesi dirigendomi verso al cucina.
-Con molto piacere. - rispose soffermandosi davanti alla grande libreria nel soggiorno.
-Devi leggere molto. - dissi mentre verso del caffè in una tazza verde.
-Abbastanza. - alzai di un’ottava il tono della voce affinché mi sentisse.
-E questi li hai letti tutti?- uscii dalla cucina con due tazze fumanti di caffè in mano. Quarta tazza di caffè delle giornata.
-Si. - dissi porgendogliela.
-Notevole. -, prese al tazza e mi sorrise. Poi, tornò ad esamine i libri.
-Cime tempestose?-
-Si, l’ho letto qualche anno fa. -
-Mi sono sempre chiesto come fosse. Leggendo il libro… per il film… mi sono sempre chiesto cosa racchiudesse in verità. - rispose sfiorandone il bordo con i polpastrelli.
-Bhe… se vuoi… posso prestarlo?- si voltò a guardami con sguardo sorpreso.
-Sul serio?- annuii con il capo sorridendo. Così mi avvicinai a lui e estrassi il libro prima di porgerglielo.
-Grazie, Laria. - restammo qualche attimo guardando l’uno gli occhi dell’altro. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, se così fosse, Robert Pattinson, doveva essere una persona… incompleta, o almeno così a me sembrava.
-L’orologio. - dissi voltandomi e dirigendomi verso il divano, dove avevo poggiatoli sacchetto. Gli porsi l’orologio.
-Grazie, grazie davvero. - poggiò la tazza sul tavolino davanti a lui e se lo legò al polso.
-Posso chiederti una cosa? - chiesi guardandolo.
-Solo se posso anche io. -
-Affare fatto. - dissi incrociando le braccia, in un gesto che oramai, da tempo, mi era automatico.
-Spara. -
-Insomma, direi che puoi avere tanti orologi perché proprio quello?- sorrise.
-E’ un regalo. Più che altro ha valore affettivo. Perderlo per me, sarebbe orribile. – sorrise sfiorandolo con i polpastrelli. Rimasi spiazzata da tali parole. Andrew ci aveva preso. Forse non era come… lui. Avrebbe potuto avere mille orologi quanti ne voleva, e invece… voleva quello.
-Cosa c’è?- chiese.
-Nulla. -
-Ora tocca e me però. – disse imitando la mia posizione. -Non sei newyorkese. -
-Questa non è una domanda. – alzai lo sguardo su di lui, sui suoi occhi azzurro cielo.
-Lo so. -
-No, non sono newyorkese. – risposi bevendo un sorso si caffè.
-Inglese?- annuii col capo.
-E’ tanto evidente?- . Sorrise annuendo col capo. Il silenzio calò fra di noi e con occhi curiosi, si guardò intorno, soffermandosi sulla parete di fronte alla libreria.
-Cos’è?- chiese guardando il muro.
-Il mio mondo. – sussurrai. Sorrisi ripensando a quando dipinsi. Avevo intenzioni di dipingere un paesaggio, dei fiori, cose che mi rappresentassero ed invece fu Andrew a farlo, a dipingere quello che per lui era mio mondo.
-Alberi blu?- chiese divertito.
-E cielo rosa… anche se io e Lui non andiamo d’accordo. – si voltò a guardarmi.
-Chi?-
-Il rosa, ovvio. – fece un rosolino che riecheggiò per tutta la stanza.
-L’hai fatto tu?- scossi il capo.
-Andrew. Il ragazzo che era con me l’altra sera. – .  Corrugò la fronte rabbuiandosi per un momento.
-Capisco. –Bhe, credo sia ora di andare, per me. – sussurrò fidando ancora la parete. –Grazie per l’orologio e per il caffè. – disse porgendomi la tazza, ormai vuota.
-Figurati. – sorrise flebilmente e io feci lo stesso in risposta.
-Poi quando finisco con te lo riporto. – disse lui alzando e mostrandomi il libro che stringeva in una mano.
-Tranquillo, fa con calma. – . Face cenno di si col capo. Lo accompagnai alla porta.
-Grazie. – sussurrò.
-Per cosa?- chiesi poggiandomi allo stipite della porta.
-Per avermi trattato come… Robert. – fu allora che capii, finalmente, che gli occhi erano lo specchio dell’anima. Fu allora che e sue sensazioni e le sue emozioni si rivelarono attraverso essi, mostrandosi per quello che era realmente, confermando le mie tesi. Loro erano persone come noi. Ovviamente vi era sempre l’eccezione, quell’eccezione che mi lasciava ancora fra dubbio e realtà.
Rimasi scossa dall’intensità dello sguardo che mi rivolse. Felice di essere ciò che era, senza ruoli, senza maschere. Felice di come io lo considerassi.
Lui era diverso… forse.
-Arrivederci, Laira. – sussurrò prima di scendere le scale.
-Arrivederci, Robert. –

 

 -Ragazzi, portate le insalate di pollo hai tavoli. Veloci, veloci. Non statevene qui impalati!- afferrammo i piatti che il capo chef ci stava porgendo e ci dirigemmo verso la grande sale.
-In che senso gli hai presto un libro?- cercai di ignorare la voce di Andrew, pentendomi amaramente di avergli raccontato della visita di Robert avvenuta quel pomeriggio stesso.
-Gli ho prestato un libro Andrew, semplice. – dissi dirigendomi verso i tavoli con i vassoi in mano.
-Vuol dire che lo rivedrai?-
-Certo, ma per riavere il libro. Non ci sono secondi fini, Andew. Puoi starne certo. – posai i vassoi sul tavolo e lui subito mi fu vicino, facendo finta di sistemare.
-Si certo ed io ho i capelli blu. – rispose sarcastico.
-Carini. – . Alzò gli occhi al cielo sbuffando.
-Ci sono ragazze che venderebbero l’anima al diavolo per poter avere anche un solo capelli di quel ragazzo. –
-Infatti io sono Laira. Credevo lo sapessi, Andrew. – risposi dirigendomi verso la cucina. Levarsi di torno Andrew era impossibile. Determinato e testardo non mi lasciava ai andare. Curioso e ficcanaso aveva sempre voluto sapere tutto di tutto, ma, certo, alla fine non mi dispiaceva era pure sempre il mio migliore amico, un fratello per certi versi ed ero grata a qualsiasi forza divina mi aveva condotta a lui.
-Non sei almeno un po’ eccitata?- chiese seguendomi.
-Per le insalate?- , mi tirò uno scappellotto ed emettendo un grugnito di dissenso mi massaggiai la parte colpita. –Okay, la smetto. No Andrew, non sono eccitata per aver prestato un libro. – dissi poggiandomi con le mani al piano della cucina e guardandolo in volto.
-Sei senza speranza, Laira. I conigli verdi ti danno alla testa. – feci un risolino, ricordando la teoria dei conigli verdi. Secondo Andrew, assieme al cielo rosa e gli alberi blu, di tanto in tanto si potevano vedere dei conigli verdi volanti diretti all’isola che non c’è. Più che altro, secondo lui, scappavano da me.
-Forse si, forse no. – risposi scuotendo la testa e sorridendo.
-Funghi!- ci voltammo verso il capo chef che ci porse dei piatti.
-Su Andrew, non vorrai far impazzire le ragazze lì dentro. – dissi ridendo e dirigendomi verso i tavoli.
-Cosa ci posso fare se sono bello?- rispose in tono scherzoso.
-Che ci puoi fare se se sei impossibile?-
-Impossibile per loro. –

 

Camminavo per Central Park con al guinzaglio quattro cani: il ciwawa psicotico di sempre, il terranova pigro, un bassotto idiota e un alano irrequieto, fin troppo. Tenerli a bada sarebbe stato impossibile, se non fosse per il fatto che quasi cani sembravano adorarmi, fatta eccezione per il topo formato gigante affetto da disturbi psichici. Bevendo un caffè mi aggiravo per le stradine di ghiaia, che sotto i miei piedi scricchiola, causando un rumore familiare e tranquillizzante. Cercavo di non farmi strattonare troppo da quei cani che sembravano volessero buttarmi a terra, tirarmi e farmi strisciare il viso sulla ghiaia. Con i piede cercai di allontanare il chiwawa che continuava a mordermi fastidiosamente un lembo dei jeans.
Feci un respiro profondo, assaporando il profumo di verde, che all’interno della città, era impossibile poter sentire. Potevo sentire le urla dei bambini giocare, delle mamma richiamarli, i cani abbaiare e, chiudendo gli occhi, potei per un attimo fingere di essere nella Londra che mia aveva vista crescere, nel parco che mi aveva vista giocare, quando l’unico mio pensiero era quello di non farmi trovare da Andrew.
Feci un risolino ricordando ciò che mi faceva star bene da bambina. Biscotti e latte al cioccolato, il mio compagni di giochi e i pastelli.
-Lily, molla i pantaloni. – dissi scuotendo la gamba e riaprendo gli occhi. Ma, come al solito, quel cane sembrava non volesse sentirmi e prese ad abbaiare con quella sua voce odiosa e trapanante. Mi chinai per prenderla in braccio, in modo tale che non avrebbe più potuto disturbare il mio cammino, ma prese a correre in tondo, ed io a seguirla.  Così i cani presero tutto ciò per un gioco e imitarono il loro amico psicotico. I guinzagli si attorcigliarono intorno alle mie gambe. Lily mi guardo per qualche istante, allungai le mani per prenderla, con sguardo omicida, ma lei cominciò a correre ed io, ovviamente, persi l’equilibrio.
Simile ad un sacco di patate caddi sul prato che costeggiava il sentiero.
Poi qualcosa cambiò. Quel piccolo mostro cominciò a scodinzolare dirigendosi alle mie spalle.
-Maledetto topo. – imprecai cercando di rialzarmi, mentre il terranova mi annusava il viso.
-Serve un mano?- mi voltai guardando con gratitudine il sorriso sghembo che illuminava due occhi azzurri come l’oceano al sole.

 

 

 

*

Enorme ritardo, lo so, ma è colpa di quel computer sciocco che mi ritrovo, e grazie alla stupenda Dod (che mi ha rinviato i file) sono riuscita a postare!
Allora, incontro con Rob, spero sia stato di vostro gradimento!
Vado un po’ di fretta, oggi viene un mio cugino che non vedo da più di un anno e ho mille cosa da fare, per cui i ringraziamenti (come si deve) li farò nel prossimo capitoli… perdonatemi! Ci tengo molto a farli!


doddola93, ti voglio bene!
Fiarwriter, <3
AlessandraMalfoy, grazieeeee!
narcissa82, che piacere risentirti!

 

 

A voi,

   

           Panda.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5




Farò della mia anima uno scrigno
per la tua anima,
del mio cuore una dimora
per la tua bellezza,
del mio petto un sepolcro
per le tue pene. 
Ti amerò come le praterie amano la primavera,
e vivrò in te la vita di un fiore
sotto i raggi del sole.
Canterò il tuo nome come la valle
canta l'eco delle campane;
ascolterò il linguaggio della tua anima
come la spiaggia ascolta
la storia delle onde.
 Kahlil Gibran, poeta libanese, 1883-1931.

 

 

Mi porse una mano e l’afferrai. Mi aiutò ad alzarmi in piedi e a liberarmi dal groviglio di guinzagli nel quale mi trovavo. Mi passai una mano sui jeans scuri togliendomi piccoli fili d’erba.
-Grazie. – dissi prima di richiamare a me tutti i cane.
-Di nulla. – mi guardai in torno non vedendo Lily.
-Cosa cerchi?- chiese alle mie spalle. Mi voltai e spalancai gli occhi. Fra le braccia aveva il topo psicotico.
-Quello. – dissi riducendo gli occhi a due fessure ed indicando con l’indice il cane, che prese ovviamente ad abbaiarmi contro.
-Credo ti ami. – dissi guardandolo negli occhi, sorridendo.
-Lo credo anche io. – rispose accarezzandogli la piccola testa. – Anche se ha orecchie esageratamente grosse e sembra un topo gigante. Ahi!- ritrasse la mano che Lily aveva cercato di mordere. Feci un risolino passandomi una mano fra i capelli.
-Credo sia proprio per quello che mi odia. – dissi annuendo col capo e sorridendo.
-Ha un bel caratterino. – disse facendola scendere.
-Si, direi di si. Non andiamo molto d’accordo. – dissi mettendole in guinzaglio. –E’ colpa sua se sono finita per terra. – aggiunsi tornando a guardare i suoi occhi.
-Sono tutti tuoi?- chiese indicano i cani scodinzolanti ai miei piedi.
-Oh, no, no. Non avrei dove tenerli, io… li porto a spasso. E’ un lavoro come altri, no?- chiesi con fermezza, non sapendo che risposta aspettarmi.
Chi era in fondo Robert Pattinson? Un attore come tanti? Un attore pieno di se? Una persona vuota? Una persona impassibile e sensibile? Eppure non avevo avuto modo di pensare tutto ciò nei pochi minuti passati con lui.
Ma cosa mi spingeva a pensarlo? Le mie esperienze passate? …Lui?
-Non lo metto in dubbio. Non permetterei mai. – mormorò abbassando lo sguardo.
-Oh. – una risposta che apparentemente mi lasciò scossa e sorpresa, ma che in fondo sapevo di ricevere già nel momento in cui i suoi occhi incontrarono i miei.
-Non ti sono molto simpatico, eh?- alzai sopracciglia guardandolo non sapendo di preciso cosa rispondere. Aprii la bocca per rispondere ma da essa uscì solo un coro respiro. Scossi il capo facendo finire delle ciocche nere davanti al viso.
-Non intendevo quello. –. Alzò lo sguardo sul mio viso e fui travolta dall’intensità di tale sguardo, travolta dalle mille emozioni che essi emanavano, emozioni dipinte in un’espressione indecifrabile.
-Allora cos’hai? Sei così… ostile. – sussurrò senza distogliere il suo sguardo dal mio.
-E’ solo che… - boccheggiai non sapendo di preciso cosa dire. –Mi spiace. Non volevo essere scortese. Mi spiace davvero. – conclusi.
-Non voglio che ti senta costretta a parlarmi o ascoltarmi per cortesia ed educazione. – corrugai la fronte, pensierosa.
-Anche se sei… un personaggio noto?- chiesi incrociando le braccia al petto. -So che non lo consideri affatto quel fattore. -
-Come fai a dirlo?-
-E’ evidente, Laira. Sei l’unica che non è quasi svenuto vedendomi, che non si è inginocchiata pregandomi di posare con lei per una foto, che non mi ha chiesto di firmarle il ventre, un braccio o un pazzo di carta. – mormorò.
-Non mi sento costretta. – risposi in un soffio, sorpresa dalle tue parole. – Sei qui perché sono l’unica che ti tratta come… Robert?- chiesi facendogli segno di seguirmi, prendendo a camminare sulla ghiaia.
-Sono qui perché sei diversa. -
-Che intendi per diversa?- mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-Parlare con qualcuno che ti reputa una persona come tante, una persona che non sia un tuo amico dal tempo dei tempi, è bello. Conoscere qualcuno e capire che parla con te perché non si sente obbligata o perché sa che sei un personaggio noto è bello. Mi mancava questa sensazione. – sciolsi il mio sguardo, intrecciato al suo per guardare i cani.
-E’ piuttosto… triste. -
-Grazie. – disse in un risolino.
-Perdonami non volevo. – mi affrettai a dire, volendomi mordere la lingua perché incapace di tenerla a freno. Sentii uno strattone e, il terranova, cominciò a tirare, sbilanciandomi in avanti.
-Aspetta, lascia che ti aiuti. – disse togliendomi il groviglio di guinzagli dalle mani.
Sorrisi osservando come le sua mani si intrecciarono ad essi, come con fermezza cercavano di tenere a bada quei demoni.
-Cosa fai nella vita, Laira?- feci un sorriso.
-Vuoi davvero sapere cosa faccio nella vita?-
-Se così non fosse non te lo avrei chiesto, non credi?- feci un risolino.
-Giusto. Bhe, non ho un lavoro fisso. Per ora ho un lavoro part-time in un cafè, porto a spasso questi adorabili ed antipatici cani a volte, e al momento ho un provvisorio posto in un catering, con… Andrew. – dissi affondando le mani nelle tasche dei jeans. –Sarebbe scontato se ti ponessi la stessa domanda?- chiesi incrociando nuovamente il suo sguardo.
-Prova. – rispose con un sorriso sghembo stampato sul viso.
-E tu, Robert, cosa fai nella vita?-
-Recito, suono e… - si porto una mani dietro la testa, grattandosi la nuca.
-E?- lo incita a continuare.
-E… scrivo. Ma direi che questo è più che altro un sogno. -
-Scrivi?- chiesi alzando le sopracciglia.
-Ci provo. – sorrisi.
-E… suoni? Cosa?- chiesi curiosa.
-Piano, chitarra, conta la diatonica? Mi diletto in qualche pub a Londra. – mi portai una mano sul mento.
-Interessante. E hai scritto qualcosa?-
-Si, ma sono solo centinai di fogli senza un senso logico e una storia senza un inizio e una fine. – corrugai la fronte, guardandolo con espressione confusa. –Si, non ha molto senso. -
-Trovacelo. – dissi ovvia, annuendo alle mie stesse parole.
-Non è così facile. -
-Lo so. – tra di noi, cadde per alcuni istanti il silenzio.
-Però… se vuoi, ecco… possiamo trovarci un senso insieme. -
Cosa?  Mi chiesi mentalmente. Avevo davvero dato voce ai miei pensieri?
Mi fisso negli occhi, puntò il suo sguardo nel mio e non so, per quale oscuro motivo, il mio cervello si azzerò. Non mi accorsi che ci eravamo fermati, restando l’uno di fronte all’altra.
-Tu lo faresti, davvero?-. Annuii col capo, prima di sorridere e guardarmi la punta delle scarpe. Sorrise e rimanemmo a guardarci negli occhi fino a quando, dopo alcuni istanti, il suo cellulare squillo.
-Ti prendo alla lettera sai. -
-Devi. –
-Scusami. – disse afferrando il cellulare dalla tasca e rispondendo.
-Pronto? … ciao Nikki, dimmi… oh, capisco… di già?... d’accordo, arrivo… si anche io. – restai a guardarlo fino a che non chiuse la chiamata. Si voltò verso di me.
-Devo andare. – mormorò passandosi una mano fra i capelli.
-Oh. Okay. – sussurrai afferrando i groviglio di guinzagli.
-Mi spiace. –
-Ma no, tranquillo. – dissi in un risolino. –E’… stato un piacere parlare con te, Laira. -
-E’ stato un piacere anche per me, Robert. – sorrisi e entrambi facemmo per andarcene, l’uno in direzione opposte dell’altra.
-Ah, Laira?- mi voltai a guardarlo.
-Ecco, mi chiedevo se… ti andrebbe un caffè? Sai per… trovare un senso al…casino. – sorrisi per l’espressione imbarazzata dipinta sul suo viso.
-Con infinito piacere. – risposi mentre le mie labbra si distendevano in un largo sorriso.
-Ti chiamo allora. – annuii col capo.
-A presto, Laira. -
-A presto, Robert. – sussurrai per poi guardarlo andare via. Rimasi ferma alcuni minuti, lì, in piedi, al centro della stradina. Mille domande volteggiavano nella mia testa, domande a cui non riuscivo a rispondere.
Lui, tutto ciò che da tempo odiavo, tutto ciò che il mio cuore e la mia mente rifiutavano, eppure era riuscito a demolire le mura costruite con cura attorno a me.
Che stessi sbagliando? Che stessi errando?
Lui, così simile alla figura nei miei ricordi, eppure così diverso da tutto ciò che avevo conosciuto e conoscevo. Diverso dai canoni del bell’attore, bravo, bello e vuoto. Lui che imbarazzato si guardava la punta delle scarpe, che si passava una mano fra i capelli, che si grattava la nuca quando non sapeva cosa dire di preciso. Rimasi sorpresa di pesare così tanto di lui. Scossi il capo, dandomi della stupida.
Che stessi sbagliando?
Solo il tempo avrebbe potuto rispondere. Ma come dare possibilità al tempo se la paura silenziosa e lenta di impadroniva della tua anima?

 

Per i due giorni successivi non ricevetti nessuna telefonata e sapevo che non sarebbe arrivata nemmeno nei gironi successivi. Sospirai tirando fuori la torta al cioccolato dal forno, poggiandola sul tavolo.
Ma in fondo che mi importava?
Per lui non provavo nulla. Era una persona come tante, forse.
E se fosse stato come tutti gli altri? Se quella fosse tutta apparenza? In fondo, era pur sempre un attore.
Le apparenze ingannano e le persone ti mentono, anche se dicono di essere sincere. L’avevo imparato col tempo e mi ero ripromessa di stare attenta e di non mostrare agli altri chi era realmente Laira.
Il profumo di cioccolato e vaniglia riempì ancor di più la stanza, dandomi alla testa. Dire che avevo un debole per i dolci era poco. La mia, era un’ossessione. Guardai famelica la grande ciambella, inebriandomi del suo profumo, dimenticandomi per lunghi istanti ciò che si aggirava nella mia testa.
Lo stomaco brontolò e gli unici pensieri che mi attanagliavano erano: aspettare che si freddasse? Lasciare un pezzo a Andrew?
La risposta era semplice e piano due lettere comparvero sulla grande ciambella. Un semplice monosillabo che avrebbe mandato in collera Andrew. Già potevo vedere il suo viso arrossato dalla furia e gli occhi uscire fuori dalle orbite. Piano quel semplice sadico monosillabo si fece più chiaro: no.
Corsi al banco della cucina afferrando il coltello che avevo utilizzato per tagliare a scaglie il cioccolato, presi la panna dal frigo e mi avventai, in senso stretto della parola, sulla ciambella. Tagliai una grande fetta spalmandoci sopra della panna, ma nell’esatto momento in cui mi portai il dolce alle labbra, il campanello suonò. Maledii l’odioso trillo insistente e mi diressi imprecando verso la porta. Pronta ad assalire Andrew con parole che poco si avvicinava alle fiabe per bambini, l’aprii, ma ciò che vidi mi mozzo per un istante il fiato.
Non era Andrew, quel viso, quegli occhi, non si avvicinavamo minimamente ai suoi. Sul suo viso comparve un sorriso sghembo. Aprii la bocca e non riuscii a spiegarmi perché da essa non uscì nessun suono.
Alla fine mi dissi soltanto che tutto ciò, era stato un brutto scherzo giocatomi dalla sorpresa.
-Ciao. – sussurrò con voce bassa e calda.
-Ciao. – risposi deglutendo.
-Hai intenzione di farmi entrare o lasciarmi qui sulla porta?- chiesi con l’ombra di un sorriso sulle labbra.
-Si, scusa. – mi scostai leggermente, per permettendogli così di entrare. Mi passò accanto, lasciando dietro di se una fresca fragranza.
-Disturbo?- chiese voltandosi e guardandomi negli occhi.
-No, no. – dissi scuotendo il capo. –Qual buon vento ti porta da queste parti, signor Pattinson?- continuai dirigendomi verso la cucina, per finire il lavoro cominciato.
-Ti ho riportato il libro. –
-Già finito?- chiesi inclinando la testa di lato. Annuì col capo, grattandosi la nuca. –Molte persone ci mettono una vita per leggerlo. – aggiunsi.
-Bhe, mi piace leggere. – ammise sorridendo. Restammo qualche secondo in silenzio, guardandoci negli occhi, specchiandomi in quell’azzurro cielo. –Stavi cucinando?- chiese annusando.
-Ehm… si. – risposi guardando la ciambella. –Ne vuoi un pezzo?- chiesi avvicinandomi alla cucina per prendere un piatto.
-Cioccolato, vaniglia e scaglie di cioccolato?- chiese senza staccarle gli occhi di dosso.
-Certo!-
-Hai appena commesso l’errore più grande della tua vita. – sussurrò con occhi “luccicanti”.
Feci un risolino e lui si voltò a guardarmi.
-Carina la risata. – disse inclinando la testa di lato. Sentii il viso avvamparmi leggermente di rossore e sorridendo imbarazzata tagliai un secondo pezzo di ciambella.
Per la mezz’ora successiva parlammo e scherzammo, senza note di imbarazzo o quant’altro.
-Allora, ti è piaciuto il libro?- chiesi dopo alcuni attimi di silenzio.
-Molto. Ora capisco perché ha riscossi tanto successo. – mormorò giocherellando con la forchetta. –Si è un romanzo d’amore, ma anche un romanzo d’odio. Ogni emozione, ogni sentimento è descritto con immensa intensità. Una tale intensità da lasciarti scosso. E in certi momenti ho odiato Heatcliff, come credo giusto sia, ma in alcuni momenti ho potuto sentire le sua sofferenze. L’amore che egli provava per Catherine era qualcosa di unico, che ti scuote l’animo. Come quando egli la incontra e le parla un’ultima volta. – scosse il capo e sembrava non riuscisse a trovare la parole più appropriate.
-Credo di aver capito il concetto. – dissi sorridendo. Ancora il silenzio calò fra noi.
-Non hai più chiamato. – fu travolta dalle mia parole, sorpresa da tale affermazione. Mi morsi la lingua, dandomi della stupida, chiedendomi quale dei miei pochi neuroni rimanenti l’avesse elaborata. Mi maledii, come troppo volte a quella parte e non capii nemmeno il motivo di tale reazione.
Chiusi gli occhi e volli sprofondare, non per nascondermi a i suoi occhi, ma per nascondermi anche da me stessa, cosa del tutto impossibile.
-Sono qui, ora. – mormorò abbassando lo sguardo.
-Vedo. – risposi facendo poi un risolino. Alzò lo sguardo e i suoi occhi ardevano, ardevano a si impossessarono dei miei e non potei fare nulla per impedire che li facessero suoi.
Che mi prendeva? Cosa mi stava accadendo? Dov’era Laira?
-I tuoi occhi sono così… - sussurrò in evidente difficoltà.
-Così… come?- incalzai poggiando i miei gomiti sulle ginocchia, proprio come fece lui.
-Strani. Sono l’antitesi dei miei, direi. Sono… quasi neri. Non ho mai visti così scuri. – la sua voce era pari ad un sussurro e il suo sguardo era come perso, come ammaliato. Cosa del tutto impossibile, visto che stavamo parlando dei miei occhi. Ma si sa, ingerire troppi zuccheri da alla testa e forse, anzi, quasi sicuramente era il nostro caso.
-E’ un bene o un male?-
-Assolutamente un bene. – sussurrò accarezzando una ciocca di capelli che mi era ricaduta davanti al viso. Piano, le sua dita li abbandonarono però, e potei sentire i suoi polpastrelli carezzarmi delicatamente, con estrema leggerezza, una guancia che, per qualche oscuro motivo, sembrò prendere fuoco a quel contatto.
-Io… - cominciai in un soffio, ma dimenticai all’istante ciò che volessi dire, sgombrando la mente da qualsiasi pensiero.
-Tu…?- lo fissai con occhi spalancati ed il fiato corto, mentre le sue dita si muovevano piano sul mio viso.
-Devo scappare a lavoro. – dissi scuotendo il capo, come per riprendermi da quella sottospecie di amnesia momentanea nella quale ero caduta.
-Oh, capisco. – disse alzandosi e prendendo al sua giacca. Guardai l’orologio e mi resi conto che era davvero tardi per andare a piedi.
-Ehm… Robert?- chiesi dondolando da un piede all’altro.
-Si?- disse voltandosi e guardandomi negli occhi.
-Mi daresti un passaggio?- abbassai lo sguardo imbarazzata.
Mi guardò negli occhi, per attimi che sembrarono infiniti.
-Senza ombra di dubbio, Laira. – distolsi a malincuore lo sguardo dal suo viso.
Ma che mi stava succedendo?

 

*

Salve gente, eccomi qui con il quinto capitolo che spero sia di vostro gradimento!
Ho davvero poco tempo quindi passo direttamente ai ringraziamenti!

Doddola93: Dà, tesoro! Allora non sono l’unica ad odiarli! Hai davvero trattenuto il fiato? *_* Oddio, non ho parole. Non merito tutti questi complimenti! Ti adoro tesoro, e ti voglio un mondo ti bene! <3 A presto!
Fairwriter: Juls, ciao! Che piacere leggere una tua recensione! Sul serio ti è piaciuto tanto? *_* Le tue parole sono troppo per una fic così, ma… cavolo grazie! Grazie a te, tesoro, grazie davvero! Spero questo capitolo sia stato di tuo gradimento! Ti voglio bene! <3
Sognatrice85: ciao! Sul serio ti piace? Insomma… non so di preciso da dove tutto ciò mi sia uscito, ma ci tenevo a far si che lei non andasse matta per Robert. Grazie mille per i complimenti, grazie davvero. Spero di non averi fatta attendere troppo. A presto! XD
Fede_sganch: ciao Fè! *_* troppo complimenti, così mi fai piangere, cavolo! Spero di non averti delusa con questo capitolo! A presto cara. Grazie ancora!
ElfoMikey: ciao! Non muorirmi, ecco a te il capitolo! Spero ti sia piaciuto! Fammi sapere eh! XD Ti voglio tanto bene! <3

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6



Niente è più dolce dell’amore; ogni altra felicità viene dopo
al suo confronto perfino il miele sputo di bocca.
Così dice Nosside: ma chi da Afrodite non viene amato
non può sapere quali rose siano i suoi fiori.
Nosside Di Locri, poetessa greca, IV - III secolo, a.C.

 

Mi portai la sigaretta alle labbra, mentre cercavo le mie tempere. Girai per casa, con i capelli raccolti grazie a un sottile pennello, con ciocche scomposte che mi ricadevano sul viso. Me le portai dietro le orecchie, perché finite davanti al viso, e sospirai maledicendo il mio maledetto disordine. Avevo cercato, sotto consiglio di Andrew, di acquistare un certo ordine, una certa organizzazione ma mi era del tutto impossibile e, per quanto mi sforzassi, non ci riuscivo.
Vagai per casa alle otto di sera in cerca delle tempere, dovetti però rinunciare alla prospettiva di dipingere un paesaggio inglese, anche perché trovai dei carboncini, così una nuova idea mi balenò per la testa. Presi il mio album, quello che mai abbandonavo, quello che con cura riponevo ogni sera nel cassetto del comodino accanto al letto. Sedendomi sul divano a gambe incrociate presi a disegnare, sporcandomi di nero le dita. La mano lenta si muoveva sul foglio mentre la mente vagava senza controllo, senza ritegno. Far cessare i miei pensieri senza senso era del tutto impossibile, anche se avrei voluto non ci sarei mai riuscita, un po’ come per l’ordine. Così, oramai arresa lasciai che i miei pensieri vagassero verso spazi ignoti e infiniti, posandosi di tanto in tanto, come leggere farfalle, su due pezzi di oceano.
Sospirai e mi accorsi che la sigaretta era finita, così mi diressi verso la cucina, per poi ritornare sul divano. Ad un certo punto sentii la porta aprirsi e richiudersi. Mi sporsi corrugando la fronte e facendo per alzarmi.
-Tranquilla, sono io. – alzai un sopracciglio sentendo la voce di Andrew, avvicinarsi.
-Come hai fatto ad entrare?- chiesi riprendendo l’album.
-Mi hai dato tu le chiavi. Ricordi Laira?- disse mostrandomele e facendole dondolare fra le dita. Sorrisi, imbarazzata.
-Hai fumato. – disse avvicinandosi con una mano su un fianco.
-Andiamo Andrew, non ho mica dieci anni. – dissi roteando gli occhi e sbuffando. Scosse il capo  si sedette accanto a me.
-Hai per caso lottato con il carboncino?-  alzi lo sguardo confusa. Portò una mano sul mio viso, sfregando leggermente su una guancia. Feci un risolino e mi alzai, diretta in bagno.
-Non è colpa mia se il carboncino mi ama!- gridai dal bagno aprendo l’acqua e bagnandomi il viso, in modo tale da pulirlo da qualsiasi eventuale traccia di nero. Il rumore dell’acqua che scorreva dal rubinetto non mi permise di ascoltare i passi di Andrew farsi sempre più vicini.
-Laira?- mi voltai verso di lui con l’asciugamano sul viso.
-Andrew?- risposi guardandolo esaminare il mio album con espressione confusa e la fronte aggrottata.
-Perché disegni Pattinson?- sgranai gli occhi.
-Io cosa, scusa?- chiesi lasciando l’asciugamano vicino al lavandino e dirigendomi verso lui. Gli presi l’album dalle mani esaminando il disegno. Sgranai gli occhi e spalancai la bocca, sorpresa da me stessa.
-Io…- mormorai fissando scioccata quel pezzo di carta. – Io volevo disegnare te. – la mia voce si fece piano pari ad un sussurro. Avevo dato libero sfogo alla mia mente, le avevo permesso di vagare, slegandola dalla parte razionale del mio subconscio e lei, prepotentemente, si era posata su quel viso, costringendo le mie mani a disegnare linee ben diverse da quelle che mi avevano spinto a sedermi su quel divano e a brandire quel pezzo di carboncino. Guardai fisso quel disegno mentre la consapevolezza che qualcosa nella mia vita stava cambiando, prendendo delle svolte che non avevo previsto e che mi ero ripromessa, strade che avrebbero dovuto essere per sempre rimanere oscure. Piano il terrore si impadronì di me ed avrei voluto gridare, scappare via, convincermi che il viso da me disegnato non fosse il suo, ma qualcosa mi trattenne lì, con i piedi inchiodati al pavimento. Una consapevolezza dal quale quella volta non riuscii a scappare, anche se avrei voluto. Con il cuore a mille ed il fiato corto alzai gli occhi si Andrew. Allarmato si avvicinò a me, afferrandomi per le braccia mentre le gambe tremanti cedevano, facendomi cadere sul pavimento.
Ed un nome risuonava nella mia testa, un nome che per mesi, era stato tutto il mio mondo, ma nel suo di mondo, io non c’ero.
Andrew mi passo una mano sul viso paonazzo, per poi stringermi forte a se.
-Derek. -  e la mia voce si perse fa forti singhiozzi.

 

Guardavo il soffitto bianco sopra la mia testa, mentre si diffondeva dallo stereo il suono di chitarre energetiche. Feci un respiro profondo poggiando la testa sul bracciolo del divano, facendo così ricadere i capelli neri davanti al viso. Sentii i passi di Andrw farsi più vicini e il divano deformarsi sotto il suo peso. Portò una mano al mio viso, scostandomi i capelli da esso, costringendomi a guardarlo.
Con la coda dell’occhio lo scrutai mentre il profumo del caffè caldo mi inondava i polmoni.
-Tieni, bevi questo. – disse porgendomi la tazza. Mi misi a sedere, con un po’ di fatica. Presi a bere il caffè guardando il liquido nero all’interno della tazza.
Il silenzio rotto soltanto dalla musica che proveniva dallo stereo calò fra di noi e sentii Andrw sospirare più volte, aprire la bocca per parlare, senza però dire mai nulla.
-Forse ti farebbe bene staccare un po’. -
-Come?- chiesi alzando su di lui lo sguardo. Si alzò e si diresse verso lo stereo per poi spegnerlo e ritornare a sedersi accanto a me.
-Secondo me, ti farebbe bene staccare un po’. – inclinai la testa di lato e lo guardai
-Che intendi?-
-Bhe, andare via di qui. Allontanarti da questa città. – rispose incrociando una gamba sul divano e voltandosi con tutto il busto verso me.
-Non credo sia il caso. Ho il lavoro e… -
-E cosa, Laira?- il suo sguardo inchiodò il mio, senza possibilità di fuga.
-E poi non saprei nemmeno dove andare. Devo lavorare, non posso permettermi una vacanza. – dissi bevendo un altro sorso di caffè. Lui si portò una mano al mento, accarezzandoselo con l’indice e il pillole, pensieroso.
-Hai finito al cafè, no?- annuii col capo.
-Non è solo quello. – mi affrettai a dire.
-Aspetta. Allora, io ti propongo… un compromesso. – lo guardai confusa e spaesata. –La mia datrice di lavoro a una sottospecie di bad and breakfast e mi ha chiesto di occuparmene nel weekend perché la sorella della tizia che lavora lì si è sposata. Vieni con me. Lavori e ti allontani da questo posto, prendendoti una sottospecie di vacanza. E poi lì non ci va mai nessuno. E’ sul mare Laira, dai. Ti farà bene. – disse prendendo una mia mano fra le sue, accarezzandola.
-Non lo so, Andrew. – voltai il capo guardando il piccolo salotto di casa.
-Laira… ti prego. – la sua voce pari ad un sussurro si perse nell’aria e davanti a quegli occhi cristallini e imploranti non potei dire di no. Subito le sua braccia circondarono il mio collo, stringendomi forte a se, come fossi un aquilone che il vento era intenzionato a potare verso spazi infiniti e lontani. L’aquilone tanto amato da quel bambino che non desiderava altro che una giornata di sole per veder volare il suo aquilone.
-Ti farà bene. – mormorò baciandomi la fronte.
-Lo spero per te. – dissi sforzandomi di sorridere e di non mostrare quella nota di amarezza che si era impadronita della mia voce.

 

Quella settima, lì a New York vi era una mostra di pittura moderna, di giovani artisti, così decisi di andarci. Certo, non ne andavo matta ma poteva dare ad ogni quadro la mia personale interprestazione, ed proprio quello il bello secondo me.
Vagavo per i corridoi solitari e silenziosi della mostra, perdendomi in colori sgargianti e spenti. Mi rilassava guardare quel’esplosione di colori, mi rilassava e mi permetteva di sgombrare la mante o se necessario concentrarmi su pensieri tranquilli, allontanando tutto ciò che c’era di marcio nella mia singolare vita.
Mi soffermai su un quadro, e pensai automaticamente a Andrew, quando vidi che il giallo lo predominava. Il giallo era il suo colore preferito.
Poi qualcuno mi sussurrò all’orecchio: -Ti piace?- . Sussultai prima di riconoscere quella voce. Mi voltai incontrando il su viso.
-Non volevo spaventarti. – mormorò.
-Oh tranquillo. E comunque si, mi piace. – risposi e tornai a guardare il quadro, l’esplosione di gioia  e vitalità. Sentii Robert fiancheggiarmi. –E’ davvero un bel quadro. É… vivo. -
Fece un risolino. –Grazie. - .
Mi voltai a lo guardai con occhi sgranati. -L’hai fatto tu?- chiesi sorpresa. Annuì col capo.
-Notevole. – risposi, ricordando la risposta ad una mia domanda, fatta un pomeriggio a casa mia. -Ho come la sensazione che Robert Pattinson abbia mille segreti, segreti che vorrebbe condividere col resto del mondo, un mondo troppo ceco per vedere. -
-Come fai a dirlo? -  incontrai per pochi istanti il suo viso, poi tornai al quadro.
-Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima. Non ci credevo, non prima di incontrare te. – mormorai. Non rispose, fisso in silenzio davanti a se.
-Perché è anonimo?- chiesi notando l’assenza di firma.
-Non credi che qualcuno potrebbe notarlo solo perché è di un personaggio noto?-
-Giusto. – ancora, mi sentii una sciocca.
-Voglio che sia giudicato per quello che è, non perché è stato creato da qualcuno che lavora nel cinema. - . Nella sua voce potevo avvertire tormento. Qualcosa lo attanagliava, lo leggevo nel suoi occhi limpidi che ora fissavano i miei.
-E’ plausibile. Chiunque lo vorrebbe. – mormorai. – Come essere giudicati per il proprio lavoro, non per il proprio faccino. -
-Si, gli occhi sono lo specchio dell’anima. – mormorò, ma sembrava stesse parlando a se stesso.
-Ehi Rob. Nikki vuole sapere per quel weekend. – un ragazzo dai corti capelli biondi e magnetici occhi chiari fece irruzione nella nostra conversazione.
-Oh, salve. – disse poi rendendosi conto che stavamo parlando. -Mi scusi per il disturbo, signorina. – con la coda dell’occhio, vidi Robert sospirare passandosi un mano sulla nuca.
-Kellan lei è Laira, Laira lui è Kellan. -
-Bhe Rob, penso lei sappia chi sono. – disse il ragazzo mostrandomi un sorriso. Imbarazzata mi grattai la nuca.
-Veramente no. – . Robert soffocò una risata.
-Ah no?-
-No. – poi ricordai quel viso. Lo ricordai seduto, sorridente, ad un tavolo in un stanza color della crema.
-Oh, capisco. – rispose sorpreso. Sorpreso che fossi  fuori dal mondo?
Quel pensiero mi fece sorridere.
-Allora?- chiese Kellan.
-Non lo so. Non ho trovato nessun posto appartato, gli alberghi sono tutti pieni questo weekend. La tranquillità sembra un pregio oramai. -
-Cavolo, mi sarebbe piaciuto staccare un po’ . – rispose l’altro.
-Bhe, io avrei una soluzione. - , mi maledii quando mi resi conto di ciò che avevo detto.
Ma perché non riuscivo mai a tenere il becco chiuso quando dovevo?
Ormai, il danno era fatto.
I due ragazzi mi guardarono con aria confusa, dopo essersi voltati di scatto.
-Come?- chiese Robert.
-Si, come?- fece eco Kellan.
-Un mio amico mi ha chiesto una mano per occuparsi di una sottospecie di albergo in riva al mare. E’ piuttosto carino e inoltre è sempre deserto, perchè fuori città e sconosciuto.
-Questa ragazza mi piace. – disse Kellan annuendo col capo, e guardandomi con un sorriso sghembo. Sorrisi in risposta, imbarazzata e con la coda dell’occhio vidi Robert voltarsi di scatto ed incenerire Kellan con lo sguardo.
-Quindi ci sarai anche tu, suppongo. -
-Ha appena detto che se ne deve occupare anche lei col suo amico, ovvio che ci sarà Kellan. - . Il ragazzo roteo gli occhi.
-Okay, okay. Vado ad avvisare gli altri. – e dopo avermi fatto l’occhiolino si voltò per andare via. Rimasi interdetta e confusa a guardarlo.
-Quanti siete?- chiesi posando lo sguardo sul viso di Robert che si era tinto di rossore.
-Nove.-
-Perfetto. – dissi, conscia che la mia vita durante quei giorni sarebbe stata particolarmente ardua. Tre lunghi e terribili giorni.
-Hai fame?- mi voltai verso Rob.
-Un po’. – ammisi abbassando lo sguardo.
-Ti va di mangiare? E’ quasi ora di pranzo. – chiese senza distogliere lo sguardo dal mio viso.
-Bhe, direi che è una proposta ragionevole. – risposi portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
-Perfetto. –

 

Sedevamo ad una tavola calda, quando addentai il cheesburger che avevo dinanzi a me.
Ingoiai il boccone prima di parlare a Robert, lui che in quel momento mi guardava con un sopracciglio alzato e le labbra arricciate.
-Cosa c’è?- chiese spaesata, guardandomi intorno solo con gli occhi.
-Solitamente una ragazza prende un insalata o un panino con una cotoletta, ma tu… cavolo, quel panino è una bomba calorica. – spiegò, leggermente sorpreso.
Con le guance piene di rossore risposi: -Bhe, non sono una che segue particolari diete, mangio ciò che mi va di mangiare. Se ricordi, quando mi sei venuta a travone, mi ero appena fatta una ciambella al cioccolato. – . Addentai ancora il mio panino.
-Eppure il tuo fisico sembra non risentirne. – mormorò.
-Metabolismo veloce. Ho avuto grande fortuna in questo. – ironizzai. Fece un risolino che riempì il mio cuore di strana gioia.
Stavo cominciando a conoscere Robert Pattinson, cercando di capire che in realtà egli fosse senza affidarmi a giudizi affrettati, ad una quasi amicizia che avrebbe potuto fermi, che avrebbe potuto lasciare come quel maggio di due anni precedenti.
cercai di sgombrare la mia mente da quei pensieri, di concentrarmi sul ragazzo che mi sedeva davanti, ma la malinconia e il vuoto incolmato sembravano non volermi abbandonare.
Sospirai.
-Cos’hai?- la sua voce, ora, era pari ad un sussurro mormorato al vento. Sovrapposto dal forte chiacchiericcio della stanza era quasi impossibile udirlo.
-Io…- .
Cosa vuoi dirgli Laira? Che hai paura di lui? Che hai paura di… te? Menti, come sei solita fare. Non affrontare la vita. Nasconditi dietro le delusioni. Nasconditi, Laira… come sei solita fare.
-Pensavo. – mormorai, fissando le venature del tavolo di legno.
-A cosa?- i suoi occhi trapelavano curiosità, interessati a ciò che mi passava per la testa. La verità sarebbe stata l’ideale, ma avrebbe significato esporre me stessa, ciò che ero e, soprattutto, ciò che ero stata.
-A nulla. –

 


*
Ebbene si, dopo molte disavventure eccomi qui con il sesto capitolo. Avrei postato prima ma sono successi una serie di casini, più la settimana di gita, e non ho davvero potuto. Poi sta scuola che sembra non finire mai non aiuta di certo. Comunque, ciarle a parte, eccomi qui, finalmente dopo tanto!
Spero vivamente questo capitolo sia stato di vostro gradimento!
Vorrei davvero ringraziare come si deve tutte voi che avevate recensito, coi miei angeli! Ma il tempo a mia disposizione oggi è davvero poco, poiché domani ho due probabili interrogazioni, una diciamo pure che è sicura… maledetta fisica!
Prometto però che mi rifarò con i ringraziamenti nel prossimo capitolo! Lo giuro, lo giuro! (schizzò nel mondo delle fiabe! XD)
 Grazie a voi che avete recensito:
Fairwriter,
Sognatrice85,
fede_sganch,
Giuliasmoke,
AlessandraMalfoy,
LondoCalling,
Doddola93;

grazie infinite ragazza, grazie davvero!


Un bacio a tutti, qui è tutto,

                         Panda.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 


Senza parlare sei arrivata come una
vera regina, di nascosto
hai posato i piedi dentro l'anima.
Rabindranath Tagore, poeta indiano, 1861-1941

 

 

-Cosa hai fatto?- , la voce di Andrew risultava un odioso suono strozzato.
Sopirai passandomi una mano sul viso, -Gli ho detto che potevano alloggiare in albergo. -. Lo vidi guardare con occhi spalancati la sua pizza, ancora intera all’interno del cartone.
-Non stai scherzando, vero?- , disse poi alzandolo sul mio viso. Scossi il capo. –Waw. – , aggiunse poi alzando le sopracciglia. –Insomma, dovrò ospitare l’intero cast di un film di successo. Ho mai detto di adorarti, Laira?-
-Mah… forse un paio di volte. – , dissi alzando gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto. Fece un risolino e si sporse verso il tavolino davanti al divano sul quale era posata la sua piazza e ne prese un pezzo. Ne addentò un pezzetto prima di tormentarsi un lembo della t-shirt, nervosamente.
Lo conoscevo troppo bene, sapevo che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di cui non voleva parlarmi. Sentii il cuore balzarmi in gola. Lui mi parlava sempre di tutto.
-Andrew… cosa c’è?- . La mia voce tramava appena. Lui si voltò a guardarmi con quei suoi occhi cristallini, quegli occhi che non sapevano mentirmi.
-Laira…-
-Parlami, Andrew. – , mormorai.
-Ho incontrato… Derek. - . Sgranai gli occhi, nell’udire quelle cinque semplici lettere, che combinate tra loro avevano la potenza di un uragano.
-Cosa? C-come? Dove l’hai inco…incontrato?- , balbettai mentre cominciavo a sudare freddo.
-Mentre tornavo venivo qui con le pizze. Mi ha guardato… senza salutarmi. - , fissai i suoi occhi chiari e sentii il terrore e i ricordi farsi avanti, piano, come la pioggia leggera che ti bagno il viso prima che arrivi una tempesta.
Sentii la testa girarmi appena, lo stomaco contorcersi in una dolorosa morsa, al ricordo del suo viso perfetto, dei capelli rossicci e ondulati che gli incorniciavano il viso, degli occhi scuri, neri come i miei, il cielo notturno dove ogni sera amavo perdermi, dove ogni istante amavo perdermi, delle labbra piene che per tanto tempo erano state mie, o almeno così credevo.
-Laira… - , sentii la braccia di Andrew avvolgere le mie gracili spalle, stringermi al suo petto caldo, cullandomi con il dolce suono del suo cuore.
Sospirai, lottando contro le lacrime. Ma le mie lacrime non erano lacrime di tristezza, dolore, nostalgia. Le mie erano lacrime d’odio, di delusione, di rammarico.
Stinsi con le mani la sua maglia, aggrappandomi con le unghie all’idea di un futuro migliore, mi aggrappai, anche se non avrei voluto, a quella immagine che all’istante si creò nella mi mente. Due occhi così diversi dai suoi, così sinceri.. così limpidi.
Mi aggrappai ad essa di malavoglia, benché fosse l’unica cosa da poter fare.

 
Posai, con un forte tonfo, la valigia sul pavimento e, portandomi le mani sui fianchi, mi guardai un attimo intorno.
-Pronta?-
-Non lo so, Andrew. Ho come l’impressione di aver lasciato qualcosa. – , dissi arrotolandomi distrattamente una ciocca di capelli intorno ad un dito.
-E’ sempre così. Credi di aver lasciato qualcosa, ma non hai lasciato nulla. Dai, Laira, andiamo! Se non arrivo in tempo e quella chiama sono fritto!- , mi pregò lui prendendomi la valigia.
-La mia sciarpa!- , esclamai alzando le braccia al cielo e correndo verso la mia camera, stando attenta a non inciampare.
-Laira, non ti serve una sciarpa!-
Ritornai all’ingresso con la mia sciarpa verde e rossa al collo.
-Mio caro Andrew, credevo mi conoscessi. Non posso andare via senza Bessy. E poi è leggera, con lei non avrò caldo. E la spiaggia è ventilata, per chi non lo sapesse. -
Lui roteò gli occhi, sbuffando. Non era mica colpa mia se non riusciva a staccarmi dalle mia sciarpa porta fortuna, regalatomi ad un Natale dalla cara nonna.
-Anche se sei così ostile nei suoi confronti Bessy ti vuole bene. – , dissi indossando grandi occhiali da sole ed uscendo dal mio appartamento con la testa alta ed un fluido movimento di bacino. Sentii dietro di me Andrew borbottare qualcosa, ma non mi voltai poiché non avevo capito una sola parola. Così mi preparai a scendere le scale.
-Laira!- , mi bloccai e mi voltai verso Andrew, sobbalzando.
-Cosa c’è?- , chiesi confusa alzandomi gli occhiali per permettergli di vedermi negli occhi.
-Le chiavi. -
-Oh, giusto. – , mormorai sentendo le guance tingersi di rosse. Affondai, letteralmente, la mano nella grande borsa marrone e presi il mazzo di chiavi, per poi lanciarglielo.
Cominciai a scendere le scale saltellando e sentii l’ascensore chiudersi.
Andrew trovava insensata ed infondata la mia paura per gli ascensori. A volte anche… ridicola. Ma io di certo non mia azzardavo a prendere quel mezzo infernale, di appena due metri quadri, con le pareti color del sangue. E poi, una delle mie tante giustificazioni, muoversi non faceva di certo male alla salute… al che era d’obbligo, da parte di Andrew, un doloroso scappellotto.
-Vedi, sono arrivata prima io!- , dissi col fiatone, poggiandomi con una mano al muro e incrociando i piedi. Andrew mi guardò  torvo, prima di passarmi accanto e urtarmi con la valigia.
Persi l’equilibrio e riuscii per un pelo a tersemi in piedi, -Andrew!- , lo ripresi.
-Oh scusami, Laira. Ma non ti avevo vista e, poi, questa valigia è così grande e pesante!- , disse uscendo in strada. Sbuffai puntando i piedi al pavimento e con passo pesante uscii anch’io.
-Sei pesante. – , dissi, guardandolo mentre apriva il bagagliaio.
-Bhe, in effetti sono un metro e novanta. -
-Sai che intendo. – , dissi voltandomi e aprendo la portiera dell’auto.
-Dai, Laira, non essere così… capricciosa. – , e mise in moto. Mi votai a guardarlo prima di scoppiare a ridere.

 
La prima mezz’ora di viaggio era passata, silenziosa.
Nella mia mente vorticavano mille immagini, immagini che ritraevano mille forme, mille colori, mille visi, ma un viso in particolare: quello di Robert Pattinson.
Com’era possibile?
Lui si era insinuato prepotentemente nella mia testa, lui non voleva abbandonarla, o meglio, era la sua immagine a non volerlo fare.

So she said what's the problem baby
What's the problem I don't know
Well maybe I'm in love
Think about it every time
I think about it
Can't stop thinking 'bout it…

Il sole mi illuminava il viso, mentre le note di una canzone a me ignota si diffondevano nell’abitacolo.
”Non lo so quel’è il problema, bhe forse sono innamorato.” . Sbuffai silenziosamente.
Fantastico, mettici anche tu, pensai.
Ma, alla fine non vi era alcuno problema, eppure quelle parole non facevano altro che rimbombarmi nelle testa.

So I said I'm a snowball running
Running down into the spring that's coming all this love
Melting under blue skies
Belting out sunlight
Shimmering love

Sorrisi, scuotendo il capo. No, non era possibile.
-La pazzia ha fatto il suo corso?- . Mi voltai verso Andrew, scuotendo il capo.
-Nah, non credo… almeno non ancora. – , mormorai ritornando a guardare davanti a me.

I'm In Love, I'm in Love,
I'm in Love, I'm in Love,
I'm in Love, I'm in Love,
Accidentally

-Andrew, per favore spegni questa radio!- , dissi io istericamente voltandomi di scatto.
Per caso… parole marchiate a fuoco.
-Perché?- , chiese confuso.

Come on, come on
Spin a little tighter
Come on, come on
And the world's a little brighter
Come on, come on
Just get yourself inside her
Love ...I'm in love

-Andrew, spegni questa radio!- , dissi cercando di far da me, ma senza riuscirci, poiché le mani si muovevano freneticamente.
”Buttatici dentro, buttatici dentro, buttatici dentro, buttatici dentro.”
Andrew, spense la radio.
-Grazie. – , dissi sospirando.
-Ora spiegami. –
-Come?- , chiesi voltandomi per guardarlo in viso.
-Cos’hai contro quella canzone?- , chiese con l’aria di chi la sapeva lunga. Spostai poi lo sguardo al finestrino, evitando accuratamente il suo.
-Laira? C’entra Pattinson?-
-No, ma cosa ti salta in mente!- , dissi con le guance stranamente in fiamme.
-Laira, guardami in faccia. Dimmi guardandomi che non è vero. -
-Non ne vedo l’utilità. – , risposi concentrando lo sguardo su una vecchia casa in lontananza.
-Laira!- , mi ammonì. Mi voltai guardandolo negli occhi mentre la macchina rallentava.
-No, lui non fa parte della mia vita, Andrew. Pattinson è solo un… amico. – , dissi con serietà e convinzione.
-Okay. – , mormorò prima di ritornare a guardare la strada.
Si… Robert… non c’entrava… nulla.

Scendemmo dall’auto e rimasi senza fiato.
Il piccolo albergo sembrava uscito da una di quelle riviste d’arredamento. Una verde aiuola tinta da fiori viola, faceva di ingresso alla grande strutta di legno bianco, ai fiori sulle finestre, alle tede ad ai balconi azzurri.
-Waw. – , soffiai mentre Andrew si dirigeva all’ingresso.
-Bel posto eh?- . Il venticello fresco mi accarezza il viso, spostandomi i capelli neri e lisci, facendomeli ricadere sul viso. La ghiaia scricchiolava sotto i miei piedi, ed io mi guardavo intorno fissando gli arbusti che circondavano al struttura e gli alberi visibili all’orizzonte.
-Attenta ai gradini Laira. – , disse Andrew, così automaticamente chinai lo sguardo notando la piccola scalinata.
-Grazie. – , risposi portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Aprì la porta e ci dirigemmo al suo interno, -Sei arrivato finalmente, Andrew. Devo andare, alla prossima. Ciao. Le chiavi sono sul bancone. -, a parlare fu una figura femminile che mi sfrecciò davanti alla velocità della luce. Non riuscii a distinguere bene il suo volto. Aveva i capelli castani, indossava una gonna al ginocchio ed una camicia nera, o blu.
-Buona sera anche lei, io mi chiamo Laira. – , dissi quando ebbe chiuso la porta.
-Oh tranquilla, è sempre così. – , aggiunse con tranquillità dirigendosi al bancone.
-E’ più piccolo di quanto pensassi questo posto. – , dissi guardandomi intorno e cominciando ad esplorare il luogo. Dall’ingresso entrai in una stanza che avvenne dovuto essere un salotto, un camino si ergeva in fondo ad essa, vi era poi una sala da pranzo e con una decina di tavolo o già di lì.
Tutto era in legno scuro.
-Oh, guarda, la nostra miss ci ha lasciato un po’ di cose da fare, ed a quanto pare lo staff si è dmezzato questo weekend, a dirigerlo sono tutti parenti via per lo stesso motivo. Ma che fortuna!- , esclamò sarcastico.
-Cosa dobbiamo fare?- , chiesi dirigendomi verso di lui a quella che in un grande albergo avrebbe dovuto essere la hall.
-Pulire il legno. -
-Quale?- , chiesi appoggiandomi al bancone.
-Tutto quello che vedi. - . Sgranai gli occhi, guardandolo terrorizzata.
-Cosa? – , la mia voce era un suono strozzato.
-Hai capito, Laira. -
-Ti odio. Se non fosse stato per te io sari a casa sul mio divano. -
-Ti pagano. -
-Ho mai detto di amarti?- , dissi mettendomi all’istante diritta.
-Scherzo, sciocca. Tu starai seduta lì. - , disse indicandomi il bancone della reception. Sospirai di sollievo.
Ad un tratto sentimmo delle macchina calpestare la ghiaia, ci voltammo entrambi verso la finestra più vicina. Dall’auto nera vi uscii Robert, un ragazzo dai capelli castani e due ragazze more. Una di loro era la ragazzo che cercò Robert quella famosa sera sul quella famosa veranda… famose, almeno per me.
-Sciogliete i cani. – , cantilenò Andrew, roteando gli occhi e posizionandosi oltre il bancone.
Distolsi lo sguardo prima di imitarlo
Accidentally.

 

*

Eccomi qui gente, con il settimo capitolo.
Finalmente posto, dopo la fine della scuola, tanto odiata scuola.
La fiction ha preso una svolta un po’ diversa dal previsto, ma ho già in mente gran parte della trama. Spero di poter postare ancora una volta questa settimana, dato che sarò via per quindici giorni (arrivo, Honey!).
La canzone è Accidentally in love di Countig Crows.
Un grazie a tutti coloro che leggono senza recensire, a chi ha inserito al storia fra i preferiti, a chi fra le seguite.
Ma un grazie particolare va a :
Fairwriter: Juls, mia adorata! Sul serio ti è piaciuta quella scena? Non mi convinceva del tutto, però ho detto: “Ma si, dai, proviamo”. Sono contenta che ti sia piaciuta (inutile dire che amo il tuo modo di scrivere)! Tu sei fantastica, Juls, davvero, non scherzo. Spero di non averti delusa con questo capitolo. E sappi che ogni volta spero sempre in una tua recensione! A presto, ti voglio bene, Cip. Tua Ciop. <3
Nessie93: ciao! Allora, di Derek si parlerà nei prossimi due capitoli, lui è la chiave di tutto… e capirai il perché di molte cose… almeno si spera. Sono felicissima della tua recensione! Grazie davvero, cara! E spero che questo capitolo ti sia piaciuto. A presto! =*
fede_sganch: Fè, ciao! Come ho già detto, di Derek si parlerà nei prossimi capitoli e molte cose verranno a galla XD Si spiegheranno tante tante cose. Kellan è sconosciuto, almeno per Laira. E, sì, quella ragazza ha una gran fortuna, ma senza quella fortuna non ci sarebbe storia, no? Spero ti sia piaciuto questo capitolo! A presto, bella! =*
Sognatrice85: ciao! Derek è il personaggio ignoto che verrà presentato nei prossimi capitoli… ma ora non anticipo nulla ^.^ Robert avrà ruolo fondamentale nella storia… come se non si fosse capito. Sono contenta che tu abbia recensito, sul serio *.* Grazie infinite!  A presto, cara! =*
AlessandraMalfoy: ciao! *.* Kellan diventerà un personaggio molto attivo nei prossimi capitoli (per tua grande gioia XD). Ecco a te il capitolo! Spero ti sia piaciuto questo capitolo! A presto!
ilachan89yamapi: ciao! Ti piace davvero? *saltella impazzita per la stanza* Grazie mille delle recensione *.* Scusa se ti ho fatto attendere molto (stupida scuola). A presto!

 

A voi è tutto, con affetto,
                                 Panda.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


 

CAPITOLO 8

 


Quando il battito del cuore supera le ombre del passato
l'amore potrà trionfare sul destino.
Nicholas Sparks, scrittore statunitense, Omaha, 1965.

 

 

Sentii delle risate oltre la porta, e delle voci esclamare qualcosa, ma non riuscii a capire cosa stessero dicendo.
Presi a giocare con un’agenda sul bancone, e avvertii lo sguardo di Andrew su di me.
Sospirai, prima di rivolgergli un’occhiata, fare spallucce e sorridere.
La porta si aprì e entrambi ci voltammo verso le figura che comparvero sulla soglia, sorridenti, con grandi occhiali da sole. I tipici visi mozzafiato che si vedono quando si sfogliano riviste, quei visi che infliggono sempre un duro colpo alla proprio precaria autostima.
La ragazza, che cercò Robert la sera in cui lo conobbi, Nikki, mi guardò confusa, l’altra ragazza alta quanto lei che non avevo mai visto, sorridente si guardava intorno, il ragazzo dai capelli scuri afferrò il cellulare dalla tasca portandoselo all’orecchio. Poi spostai il mio sguardo su Robert, i suoi occhi si scontrarono con i miei e, involontariamente, sussultai. Accanto a me, Andrew, se ne rese conto.
-Benvenuti. – , disse Andrew mostrando il suo solito sorriso contagioso.
-Ciao. – , risposero loro, avvicinandosi.
-Andrew Bilson, Laira Jones. Qui per servirvi. – , disse il mio migliore amico raggiante. Sorrisi, guardando l’agenda sul bancone.
-Ciao. – , dissi alzando la mano e guardando tutti e tre distrattamente, prima di guardare fuori dalla finestra.
-Allora… volete le stanze? Come preferite distribuirvi? Sono dieci camere, come probabilmente già sapete grazie alla mia Laira. – , disse Andrew poggiandomi una mano sulla spalla. Alzai lo sguardo e notai gli occhi di Robert puntati su quel semplice gesto.
-Si, gli ho informati. – , disse poi mostrando un sorriso.
-Io comunque sono Ashley. – , trillò una voce acuta, ma estremamente dolce.
-Si, lo so. – , ammise Andrew.
-Oh, giusto, la sapete. – , mormorò lei imbarazzata.
-Bhe, io no. – , ammisi portandomi una ciocca di capelli neri che mi era finita avanti al viso.
Il viso di Asley si illuminò di una strana luce all’istante, -Lei è Nikki e quello accanto alla finestra è Jackson. -
-Ciao. – , disse Nikki, incrociando le braccia la petto.
-Allora… volete una stanza ciascuno? O alcuni di voi preferiscono stare in coppia. -
-Oh no, no. Stanza singole. – si affrettò a rispondere Robert.
-Per me una doppia, dividerò la stanza con una ragazza che arriverà nella prossima mezz’ora… credo. -
-Okay. Ecco queste sono le chiavi. – , disse Andrew porgendogliele, -Spero siano di vostro gradimento, signori. – , continuò con suo meraviglioso sorriso.
-D’accordo. Allora, noi saliamo. A più tardi. – , mormorò Robert, spostando lo sguardo su di me. Annuii col capo, prima di sorridere flebilmente. Nikki fece segno al ragazzo accanto alla finestra, di seguirla, lui annuii col capo, ma prima di salire le scale ci fece un cenno con la mano.
Le loro figure, sparirono dietro l’angolo.
-Io quella non la sopporto. Ma l’hai vista? Con quel nasi all’insù, l’aria di superiorità. – , sbottai quando furono fuori dalla nostra vista, del tutto.
-Credo qualcuno sia gelosa. – , mi voltai di scatto verso Andrew, rossa in viso per l’irritazione.
-Cosa? Gelosa? Io? Scherzi?-
-Bhe, invade il tuo territorio. – , disse dirigendosi verso la sala da pranzo.
-Il mio territorio? Ma cosa dici?- , chiesi con leggera isteria nella voce. –Ma cosa cerchi?- , continuai seguendolo nella stanza.
-Piuttosto, chi cerco. Sally?- chiamò, -Bhe, ho visto che è molto legata a Pattinson… occhiate fugaci…-  , continuò poi rivolto a me. 
-Andrew! Basta, non tollero più discorsi del genere!- , sbottai inchiodandomi con i piedi al pavimento.
-Okay, okay. Ah, ciao Sally!- disse poi parlando alla capo chef, dai corti capelli rossi.
Quella… non era giornata.


Scarabocchiavo distrattamente un foglio bianco, quelli per lettere, quando la porta si aprì.
Un ragazzo dai ribelli capelli neri si diresse verso il bancone, dopo essersi guardato intorno. A seguito vi erano un ragazzo dai capelli biondi ed una ragazza dai capelli castani.
Sorrisi, -Scommetto che voi siete attori. -
Il ragazzo dai corti capelli neri rispose al mio sorriso ed annuì, -Da cosa lo hai capito?-
-Sesto senso. - , risposi strofinandomi le unghie sulla spalla prima di guardarmi le unghie, con aria di indifferenza. Il ragazzo corrugò la fronte e inclinò il capo di lato.
-Bhe, forse ha contribuito il fatto che siete gli unici a pernottare qui nel weekend. - , ammisi sorridendo.
Il ragazzo biondo fece un risolino, seguito dalla ragazza alle sue spalle.
-Io mi chiamo Laira Jones, a vostra completa disposizione. -
-Io sono Taylor, loro Cameron e Anne. - , rispose il ragazzo dai color della pece, mentre gli altri due alzavano la mano in segno di saluto quando fece i loro nomi.
-Gli altri sono già arrivati?- , chiese Cameron.
Annuii col capo, -Sono già nelle loro camere. Preferite singole o doppie? -
-Noi una doppia. - , disse Taylor indicando Cameron.
Corrugai la fronte, confusa e perplessa. Sentii Anne soffocare una risata.
-Oh no, non è come pensi!- , si affrettò a dire Cameron.
Feci un risolino, -Per te una singola?- , chiesi rivolta alla ragazza.
-Oh no, io divido la stanza con la signorina Green. - . Annuii col capo.
Porsi la chiave della stanza a due ragazzi.
-La stanza è la numero 132. – , dissi poi rivolta alla ragazza. Annuii e insieme salirono la grande scalinata in legno.
Chinai un attimo il capo sulle scartoffie poggiate sul bancone e sentii un forte vociare, seguito da dei sonori ‘Ahi!’ e ‘Smettila!’. Scossi il capo, facendo un risolino. Alzai lo sguardo quando avvertii qualcuno scendere velocemente le scale, quasi saltellando.
-Ciao, Laira. – , la figura statuaria di Kellan fece la sua comparsa. Sul viso vi era stampato un allegro e smagliante sorriso, mostrando così una bellissima schiera di denti perfetti e bianchissimi. Fu inevitabile per me chiedermi quanto visite dal dentista gli fossero toccate per ottenere quel risultato.
-Ciao. - , dissi poggiando le man sul bancone.
Si passò una mano imbarazzato dietro la nuca ed io inclinai la testa leggermente di lato. Corrugai la forte non capendo cosa ci fosse dietro tale comportamento.
-Ti sembrerà sfacciato da parte mia, ma dietro alla mia richiesta vi è una giusta causa. - , dissi alzando un sopracciglio e grattandosi la testa.
La confusione sul mio viso aumentò e istintivamente mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio. Sospirò, rilassando le spalle.
-Ti andrebbe di fare un giro?- , chiese tutto d’un fiato.
All’istante mi immobilizzai.
Cosa?, pensai. Sgranai gli occhi, congelandomi.
-Come?- , chiesi in un sussurro.
-Vedi… ho perso una scommessa e devo pagarne le conseguenze. - , fece spallucce.
-Pagarne le conseguenze. - , riflettei.
Sgranò gli occhi, prima di agitare le mani in aria, -No no, non intendevo quello!- , si affrettò a spiegare, -Ovviamente la cosa non mi dispiace. - , continuò sorridendo malizioso.
Scossi il capo, facendo un risolino.
-Allora? Dai, Laira. - , mi prego fondendo l’azzurro dei suoi occhi col nero dei miei. Solo allora mi resi conto di quanto il suo viso fosse… perfetto.
-Se dico di si mi lascerai in pace?- , ridacchiai.
-Si!- , esclamò facendo un giro su se stesso dopo aver battuto il pugno sul tavolo. Roteai gli occhi, sospirando.
-Okay, perdonami. Allora… perfetto. - , cominciò ad arretrare verso la grande scalinata, -Ehm… ci… ci vediamo dopo. - , col piede sbatté al primo gradino perdendo appena l’equilibrio.
Soffocai una risata.
-Si, ciao. - , concluse poi scuotendo il capo e salendo a due a due gli scalini. Quando la sua figura sparì, mi lasciai andare alle risate.
-Perché ridi?- . Mi voltai verso Andrew, appena uscito dall’ampia sala da pranzo.
-E chi ride. - , risposi sedendomi sulla sedia girevole.
-Di certo non tu. -
Mi passai una mano fra i capelli, cercando di darmi un contegno.
-Kellan mi ha invitata ad uscire. - . Feci spallucce.
Lui sgranò gli occhi, incredulo, -Cosa? E Pattinson? Da quando ti piace?-
Alzi le mani per fermalo, - Non è come credi tu. Ha perso una scommessa e doveva invitarmi ad uscire. -
Alzò un sopracciglio, - Si, certo. -
-E’ vero! – , mi difesi. Andrew si portò una mano sul fianco snello.
-Ah. - , mormorò incredulo.
-Qualcuno sarà geloso. - , disse fra sé.
-Chi? - , chiesi.
Alzò un sopracciglio, arricciando le labbra, - I conigli. Chi sennò?- , disse poi allontanandosi.
Corrugai la fronte, potandomi l’indice sulle labbra.
- Ehi! Ma cosa c’entrano i conigli ora?! - , gridai quando oltrepassò la cucina, troppo tardi perché mi sentisse.
I conigli?, ripetei a me stessa, confusa. O solo, troppo cieca.


Seduta sul primo gradino della veranda mi portai una sigaretta alle labbra, per poi cercare l’accendino nei meandri delle tasche dei miei jeans.
Imprecai quando non riuscii a trovarlo.
-E’ forse tradizione?- , chiese una voce familiare, nascosta nel buio. Sobbalzai e mi voltai verso gli alberi.
-Tieni. - , disse lanciandomi l’accendino. Lo presi al volo. Piano la sua figura longilinea si fece più visibile. –Non volevo spaventarti. - , chiese con voce dolce e delicata, calda e roca.
Sorrisi flebilmente, aspirando del fumo dalla sigaretta.
Fu strana la sensazione che provai quando i suoi occhi incontrarono i miei. Un susseguirsi di sentimenti ed emozioni, simile ad una tempesta… un tifone, un uragano. Mi travolse la sua intensità, lasciandomi per attimi infiniti scossa, col fiato corto ed il battito cardiaco accelerato.
Con passo lento e pesante si avvicinò, fondendo i suoi occhi con i miei, legandoli ai suoi con un filo invisibile, difficile da spezzare.
Si sedette accanto a me, mentre piano cercavo di regolarizzare il frenetico battito del mio cuore. Il fumo, che fino espirò, si alzò sopra la sua testa in spirali.
-Stai… bene?- , chiese corrugando la fronte, una volta accortosi della strana espressione dipinta sul mio viso. Un’espressione del tutto indecifrabile.
-Si, si. - , risposi annuendo col capo, portandomi poi la sigaretta alle labbra e guardando dinanzi a me.
Il silenzio calò, inesorabile, fra di noi, e non potei fare nulla per evitarlo. Gli unici suono che potevo udire erano quello delle foglie, spostate dal vento che dolce le accarezzava, la sigaretta che bruciava fra le mie labbra, il mio cuore che batteva veloce come battiti d’ali di farfalla… il suo respiro calmo e costante… così diverso dal mio.
-Ho saputo che uscirai con Kellan. - , mormorò.
-Si… mi ha parlato della scommessa. - , aggiunsi voltandomi verso lui. I suoi occhi ardenti mi imprigionarono… ancora.
-Non farlo. -, soffiò.
Fui travolta dalle sue parole. Semplici combinazioni di lettere che ebbero la potenza di una valanga. Mio malgrado, sentii il viso avvampare di rossore e lo stomaco contorcersi in una morsa. Sapevo che era sbagliato, sapevo che quella reazione era l’inizio di tutto e la fine di tutto, ma non potei fermarla.
Varie immagini si susseguirono nella mia mente. Ancora un dolce viso, incorniciato dai capelli ramati, si fece chiaro nella mia mente.
L’inizio di tutto e la fine di tutto. Ed io lo sapevo bene.
Sentii l’aria mancarmi, le mani tramarmi, mentre cercavo di cacciare quei pensieri dalla mente. L’idea di una vita che mie era stata tolta, di cui ero stata privata.
Cominciai a respirare con fatica, mentre la paura si impossessava di me. La consapevolezza di essere sull’orlo di un precipizio, di cadere, di provare quelle stesse emozioni che mi avevano portata ed essere la Laira di allora.
La sigaretta, piano, mi scivolò, finendo sulla ghiaia.
-Laira?- , sul viso di Robert comparve un’espressione di paura. Si porse verso me, poggiandomi una mano su un braccio e accarezzandomi il viso con l’altra.
Quel tocco, così delicato e leggero, mi ricordo cosa avevo perso, cosa avrei potuto avere, ciò che il futuro mi stava porgendo.
Sentii la mia pelle prendere fuoco a contatto con la sua, bruciare sotto la sua mano.
-Io… - , mormorai fissando i suoi occhi. Poi piano i contorni delle figure intorno a me divennero indefiniti, la testa mi doleva, l’aria mi bruciava il petto, i colori si schiarirono, fino a che tutto divenne… nero.


*

Ed eccomi ancora qui per voi gente! Tornata dalle “vacanze” fanesi, qui per postare un altro capitolo di questa storia (che non so nemmeno a quale parte del cervello mi sia uscita!).
Ciarle a parte, la storia si svolge e ne prossimo capitolo saranno rivelate delle cose… magari il quadro sentimentale di Laira vi sarà anche più chiaro.
Non ho molto tempo e ci tengo a ringraziare gli angeli che hanno recensito il capitolo precedente:
fede_sganch: Fè, ciao! *.* ma che piacere leggere una tua recensione! Cosa succederà tra quelle mura?.. bhe, credo saranno tre giorni particolarmente intensi… almeno lo spero! ^.^”  Derek sarà un personaggio che nei capitoli futuri verrà ripreso, tranquilla! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto! Lo spero davvero! A presto, cara! Bacioni!
Sognatrice85: ciao! Esattamente, l’amore torna sempre… che lo si voglia o no, e soprattutto in questo caso. Spero la curiosità non sia cessata. A presto, cara! *.*
Nessie93: ciao! *.* Derek… non parlo, parleranno i prossimi capitoli. Mi sa che ci hai preso… lì ci sarà tutto il cast… ci sarà Kellan, ci sarà Nilkki… ci sarà Andrew. E forse Laira capirà qualcosa circa la sua situazione. Okay, mi stoppo o parlo troppo e rivelo troppo. Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente e spero che ti sia piaciuto anche questo! A presto, cara!
Fairwriter: mia dolce Juls, ciao! Le mie idee, cara, non sono grandiose come le tue! La canzone l’ho messa per caso. L’ascoltava una mia amica e me la feci inviare perché ancora non ce l’avevo ( e l’adoravo), perciò leggendo poi il testo… lampadina! Ed eccolo inserito nella fiction! Non sia quanto sia contenta di sapere che l’idea (del hotel) ti piaccia! Il tuo parre per me conta davvero, credimi! A presto, Cip, ti voglio bene! Ciop. <3
Miki_888: ciao! Bhe, sono contenta che la mia fiction sia una delle poche che leggi con nuovi personaggi ^.^ , davvero. Gli errori di battitura capitano, purtroppo, e sfuggono delle volte nella rilettura. Il weekend nell’albergo non era nemmeno programmato all’inizio, ma non ricorda per quale motivo, mi è venuto questa idea. Grazie mille per al recensione, mi ha fatto davvero piacere.(Domanda: e tu quando posti? :D)
KeLsey: ciao, Eri! Sul Robert “amico”, non mi esprimo, no no. Non per il momento. Tranquilla, non importa se le segui o no tutte XE no, non scrivo da Dio, accetto solo il complimento se lo accetti anche tu (scrivi da Dio!) A presto, dolcezza! Ti voglio bene (L)

 

A voi,
     con immenso affetto,
                              Panda.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

 

Non nascondere
il segreto del tuo cuore,
amico mio!
Dillo a me, solo a me,
in confidenza.
Tu che sorridi così gentilmente,
dimmelo piano,
il mio cuore lo ascolterà,
non le mie orecchie.
La notte è profonda,
la casa silenziosa,
i nidi degli uccelli
tacciono nel sonno.
Rivelami tra le lacrime esitanti,
tra sorrisi tremanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore.
Rabindranath Tagore, scrittore e poeta indiano, 1861-1942.

 

 

 Vinta dal dolore, dal lancinante pulsare della mia testa, udivo distrattamente le voci che ciarlavano nella stanza.
Era come se il cervello fosse scollegato dal resto del corpo. Qualsiasi impulso esso inviasse agli arti, questi non si muovevano. Non riuscii nemmeno a riaprire gli occhi, nonostante fossi cosciente. Ero stanca, spossata. Non ricordavo cosa fosse accaduto. Cercai di rimettere insieme i pezzi, con grande insuccesso.
Gemetti, quando sentii qualcuno accarezzarmi i capelli.
-Laira?- , una voce chiara come il canto di usignoli. La voce di chi ti ama e non ti abbandona, la voce di chi vuole solo il tuo bene. La voce del tuo migliore amico.
Sorrisi flebilmente, aprendo finalmente le palpebre. Le sbattei un paio di volte mettendo a fuoco il viso di Andrew.
-Che mi sono persa?- , chiesi alzandomi sui gomiti. La stanza prese a girare, ma solo per alcuni istanti. Sbattei ancora le palpebre.
Andrew scosse il capo, facendo poi un risolino, -Sei svenuta, piccola. - , disse con voce dolce, accarezzandomi il viso. Fu allora che con la coda dell’occhio lo vidi. Un suo movimento, il suo spostare il peso su una gamba, incrociando le braccia la petto, aveva attirato la mia attenzione. Contrasse la mascella, mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione dura, che non si addiceva a quegli occhi chiari e cristallini come il mare sotto il sole. Così voltai il capo focalizzando le altre figure presenti nella stanza.
Robert era accanto alla poltrona dell’angolo, quasi a stare in disparte. Kellan era vicino la porta semichiusa, poggiato allo stipite. Taylor accanto a quest’ultimo parlava con qualcuno fuori la stanza.
-Come stai?- , chiese Kellan facendo un passo in avanti.
Mi misi a sedere, passandomi una mano fra i capelli, cercando di ricordare.
-Sono solo svenuta ragazzi. - , dissi in un risolino, -Non è nulla di grave. -
-A Robert è venuto un colpo. - , il ragazzo dagli occhi del color del mare fulminò con lo sguardo Kellan. Poi, ricordai.
Robert… Derek. Due nomi, due persone così diverse far loro, eppure così simili.
Accomunate da un passione, accomunate da un lavoro.
Un brivido mi attraversò la schiena quando mi resi conto quanto Robert in quel momento mi ricordasse Derek.
E fu inevitabile ricordare il giorno in cui uscì per sempre dalla mia vita.

 

Le valige accanto alla porta.
La giacca a vento sulla sedia all’ingresso.
Il suo viso indurito dall’idea dell’addio. Un’idea che da settimane si aggirava insistentemente senza sosta. Un’idea alla quale diede vice solo quella mattina.
Fuori la finestra la pioggia si scagliava con violenza sui vetri, sulle auto.
E dentro morivo. Un lento dolore che dal centro del petto si diffondeva ad ogni parte del mio corpo. Impadronendosi di ogni fibra del mio essere. Trascinandomi, risucchiandomi poi in uno squarcio che mi tagliava il petto, causato dall’immagine di lui che piano scendeva le valigie dalle scale.
Le sentivo, le lacrime, rigarmi calde il viso, bagnandolo lungo la loro scia. Calde e taglienti incidevano crudelmente la mia pelle.
Senza preavviso. Tutto era perfetto. O meglio, mi aveva fatto credere che tutto fosse perfetto.
-Sai fare davvero bene il tuo lavoro. - , mormorai con voce tremante.
-Laira… non posso restare. Lo sai. - , disse.
-No, non lo so. -
-Non è la mia vita questa. Non mi appartiene. Non… posso restare. - . Guardavo i suoi occhi, quegli occhi che tanto avevo amato e che ancora amavo. Quegli occhi che avevano guardato dentro il mio cuore. Occhi che in quel momento mi stavano lacerando l’anima.
-Io ti amo. - , continuò facendo un passo in avanti. –Ma non ce la faccio. Apparteniamo a mondi troppo differenti fra loro. - , disse accarezzandomi una guancia. Quel contatto fece aumentare le lacrime sul mio viso, facendole scivolare velocemente, amare e dolorose, sul mio viso.
-Non dirlo, ti prego. - . L’aria che inalavo dal naso era come se mi bruciasse i polmoni, come sale su ferite sanguinanti. Mi schiacciava il petto. Un pesante macigno che mi impediva di respirare.
Mi persi nei suoi occhi scuri, così dannatamente belli.
Quante volte le sua mani, delicate e gentili, avevano sfiorato il mio viso? Ogni centimetro del mio corpo, facendolo suo?
-Ma è la verità, Laira. Mia dolce, Laira. - . Inerme, gli permisi di stringermi fra le sue braccia… un’ultima volta.
Gli permisi di infliggermi un’altra pugnalata, di aumentare lo squarcio che mi logorava il petto che mi trascinava verso il buio, verso al fine di tutto.
Un presente privatami, una vita che desideravo, che sognavo. Un presente ed un futuro accanto a lui. L’idea di una vita costruita con lui, colui che si era impadronito come non mai del mio cuore.
-Non lasciarmi. - , mormorai con voce spezzata dal pianto, che mi fece singhiozzare e gemere.
-Addio. - . Le sue labbra baciarono ancora le mie. Un’ultima e cruenta volta. Un tocco che non sarebbe più stato mio, di cui non avrei mai più potuto godere.
Dolore.
Poi oltre la pioggia sparì.
Le gambe mi cedettero, e finii a carponi sul freddo pavimento. Non mi importava del dolore alle ginocchia, dovevo sopportare un dolore più grande, più grosso, più forte, più potente… più lacerante.
L’abbandono.
Abbandonata.
Privata di ogni sicurezza.
Privata di un presente.
-Derek!-, urlai il più forte possibile, violenta come un colpo frusta… disperata. Urlai fino a che la gola non mi fece male.
La vista piano si annebbiò, quando mi lasciai andare al dolore, alla delusione, alla solitudine.
Tutto divenne confuso fino a scomparire.

 

Quella notte piansi tutte le mie lacrime. Quella notte gridai tutto il mio dolore.
Ripensai con sofferenza a quelle ore, a quei giorni, a quelle settimane. Un smorfia si dipinse sul mio viso e Robert scattò.
-Laira!- , sussurrò col terrore negli occhi. Alzai il capo verso di lui, col respiro corto.
Tutti si voltarono verso lui, spaesati.
Rimanemmo per interminabili secondi a guardarci negli occhi, mentre i nostri petti velocemente si muovevano.
Avvertii lo sguardo si Andrew su di me, come se mi bruciasse la pelle. Non me ne curai.
-Forse è meglio uscire, Kellan. - , disse poi rivolto al ragazzo, dopo un lungo sospiro.
Per interminabili minuti i nostri sguardi rimasero legati tra loro. Il mio torace piano si muoveva ad ogni mio respiro. Respiri pesanti e faticosi.
-Come stai?- , chiese avanzando lentamente.
-Sto bene. Ho solo perso conoscenza. Nulla di che. - , dissi mettendomi seduta.
-Ci sono delle volte in cui i tuoi occhi sono impenetrabili. Per quanto ci si sforzi di leggervi dentro è inutile, perché essi sono inaccessibili. Altre volte i tuoi occhi sono cristallini, limpidi come acqua al sole. Vi puoi guardare dentro e scorgere quel mondo che con attenzione cerchi di nascondere. - , mormorò con voce calda e bassa, corrugando appena la fronte.
-Ed ora come sono?- , soffiai sconvolta dalle sue parole.
-Limpidi. - , mormorò prima di mordersi il labbro inferiore, in un gesto casuale. Ebbi un fremito, lui se ne rese conto.
-Stai bene?- , fece per avvicinarsi in apprensione. Alzai le mani per fermalo.
-Tutto bene. - , risposi, sforzandomi di sorridere. Annuì flebilmente col capo, passandosi una mano fra i capelli, distrattamente.
-E cosa vedi?- , chiesi con voce pari ad un sussurro perso nella tormenta. Lui alzò lo sguardo, mostrandomi i suoi occhi chiari.
-Vedo che non stai bene. - 
Feci un risolino, scuotendo il capo, -Ti ho detto che non è nulla. -
-Non intendevo fisicamente. -
-Non puoi saperlo. -
-Non posso saperlo con sicurezza. Ma lo sento… lo vedo. -
-Tu non mi conosci. - , mormorai sentendomi alle strette. Incatenata dai suoi occhi color del mare, un mare in tempesta.
-Vorrei poterlo fare. - . Il mio cuore perse un battito, colpito dall’intensità di un solo sguardo. Ogni volta la stessa reazioni, ogni volta le stesse emozioni.
Aprii la bocca per parlare, ma le parole mi morirono in gola, forse perché, in realtà, non avevo nulla da dire. Rimasi, lì, inerme a fissare il suo viso rilassato, sulla quale era dipinta un’espressione indecifrabile.
-Il letto direi che è abbastanza grande e sedie e poltrone qui non mancano. Potresti anche sederti, sai?- , dissi battendo la mano sul materasso per farlo sedere.
-Forse è meglio la poltrona. - , rispose pensieroso.
-Così sembra che io stia male. E non sto male. - , lo rimproverai con sguardo severo. Fece un risolino, per poi avvicinarsi al letto e sedersi.
-Di chi è questa stanza?- , chiesi guardandomi intorno.
-Mia. - . Corrugai la fronte, confusa.
-Quando sei svenuta ti ho portata dentro e ho chiamato Andrew, o meglio, ho gridato il suo nome e… la mia stanza è la prima porta del corridoio, quindi… -
-Quindi sono qui. - , continuai portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
-Esatto. -
-Che ora è?- , chiesi guardandomi intorno. Robert alzò il braccio guardando il piccolo orologio da polso.
-Le dieci. -
-E’ successo tutto nel giro di mezz’ora?- , chiesi stupida. Annuì col capo.
-Vedi? Non sto male. - , dissi raggiante e scattai in piedi, ma il movimento avvenne troppo velocemente causandomi, inevitabilmente, vertigini.
Cercando un appiglio da usare per reggermi in piedi e non cascare con le natiche sul pavimento, portai le mani indietro, sperando di sfruttare il comodino, ma sentii qualcosa afferrarmi per i fianchi. Le sue mani, calde e delicate, mi cinsero attirandomi a sé. Sentii il mio torace scontrarsi contro il suo, togliendomi quasi il respiro. Il mio ventre aderiva perfettamente al suo e le sue mani sfioravano la mia schiena. Sentii le gambe farsi molli e lo stomaco annodarsi, quasi crudelmente. Il suo respiro, di sigaretta, mi colpì in pieno viso. Osservai per un momento infinto le sue labbra appena dischiuse, i suoi occhi dalle sfumature verdi e azzurre, ardenti come brace.
Ebbi un fremito, quando la sue dita mi sfiorarono la pelle del viso, scostandomi una ciocca di capelli che mi era finita sugli occhi.
Automaticamente ed involontariamente, premetti il palmo della mia mano sulla sua guancia. Chiuse gli occhi, per un attimo e quando gli riaprì ardevano di desiderio.
-Avevo detto che stavi male. - , soffiò, delicato, a poche spanne dal mio viso.
-Forse hai ragione. Forse dovrei stendermi. - , riposi mentre la stanza girava. –Mi gira la testa. - , continuai. Inconsciamente sapevo che a darmi alla testa era la sua vicinanza. Improvvisamente sentii le palpebre pesarmi… e sbadigliai.
Annuì col capo, e mi aiutò a stendermi.
-Riposa, Laira. - , disse baciandomi pianola mia fronte corrugata.
Sorrise flebilmente, passando la mano sulla ruga che mi si era formata fra le lunghe sopracciglia, -Buona notte. - , poi sparì oltre la porta, come il vento fa con un aquilone.

 

*

Eccomi qui, gente, con un altro capitolo di questa stramba fiction che, ovviamente, spero sia di vostro gradimento.
Scrivere in questi giorni è quasi impossibile, stare al computer con 35 °C non è il massimo. Poi oltre a sudare per la stesura, sudo anche per il caldo.
Mi dispiace per il leggere ritardo ma ho avuto dei problemi nello scrivere il capitolo.
Ora, senza perdermi in altre stupide chiacchiere, passo a ringraziare gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo:

Nessie93: ciao! Che piacere leggere una tua recensione! Se Laira ha bisogno di uno psicologo allora serve anche a me… lei è una mia creazione. La scommessa di Kellan… mmm… non saprei… cioè, non te lo dico, ecco qui! Qui, ho spiegato chi è Derek e spero sia chiaro… cioè che è stato per Laira. Robert geloso? Ma nooooooo XD A presto bella! Mille bacioni e mille grazie!
Sognatrice85: ciao *.*  Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente e spero di non averti delusa con questo, lo spero davvero tanto! Che dire… Kellan e le sua scommesse… non sono finite. Probabilmente diventerà una costante quel ragazzo, ma ancora non è certo nulla. Grazie davvero per la recensione, mi fa davvero piacere sapere cosa ne pensi. A presto, cara!
Fairwriter:ciao, dolce Juls! O.o scrivo come, scusa? Juls… fa male fumare semi di girasole, lo sai vero? XD (scherzo, sia chiaro). Anche io mi sono sciolta quando ho pensato all’arrivo di Taylor *.* io e te mi sa che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Grazie, Juls, grazie per l’appoggio, per le chiacchierate e le risate! Spero di non averti delusa con questo capitolo! A presto tesoro! Divertiti a Londra! Ti voglio bene, Cip. Tua Ciop.
fede_sganch: ciao, Fè! Ancora curiosa di Derek? XD In questo capitolo ho cercato di spiegare il tutto e spero di esserci riuscita… comunque non è finiti del tutto.. e con questo mi stoppo altrimenti parlo troppo! XD Grazie per le recensione *.*  A presto, bella! Sono io che ti adoro!

 

A voi è tutto,
       con immenso affetto,
                              la vostra Panda.

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Capitolo 11
*** Capitolo10 ***


CAPITOLO 10

 

 

 L'amore è un bellissimo fiore,
ma bisogna avere il coraggio di coglierlo sull'orlo di un precipizio.
Stendhal, scrittore francese, 1783-1874.

 

 

 
La mattina seguente ripresi piano coscienza, dopo una dormita che sembrava essere durata anni. Non aprii subito gli occhi, rimasi rannicchiata nel tepore delle coperte, con le ginocchia strette al petto. Cercai di rievocare i ricordi delle sera precedente, ma… nulla. Sembrava di andare a sbattere contro un muro, nel buio pesto delle notte.
Sentii il raggi del sole riscaldare la trapunta bianca. Non avevo idea di che ora fosse, avrei voluto controllare sull’orologio che avevo sul comodino, ma non mi andava. Dopo alcuni secondi sentii il mio stomaco brontolare e convenni che la cosa migliore da fare era, probabilmente, filare dritta in cucina. Così, distendendo le gambe e stiracchiando la braccia, uscii la testa dalle coperte.
Aprii piano le palpebre, sbattendole più volte per abituarmi alla luce del giorno, ai raggi del sole che filtravano attraverso la tenda leggera, bianca come neve. Sporsi la mano sul comodino, ma non trovai ciò che desideravo.
-Laira!-, sentii esclamare. Sobbalzai al suono di quella voce, e dato che ero protesa verso il comodino, persi l’equilibrio cadendo sulla moquette chiara.
Che stessi sognando? Forse avrei dovuto ridurre le dosi di caffè…
-Ahi!-, esclamai massaggiandomi un gomito.
-Laira? Tutto okay? Dio, non volevo spaventarti!-, sentii le sue mani toccarsi il braccio.
Lasciai che mi aiutasse ad alzarmi, dolorante, e mi fece sedere sul letto.

Poi mi accorsi di cosa non andava.
Era nudo, avvolto solo in vita da un asciugamano bianco, con i capelli bagnati e gocciolanti.
Sgranai gli occhi, quasi totalmente nel panico.
-Perché sei in camera mia? Perché sei… nudo?!-, esclamai con voce strozzata e acuta.
Lui sbatté le palpebre un paio di volte e poi sgranò gli occhi.
-Oh no, no… no, no, no! Non è come credi!-, si affrettò a dire agitando la mani in avanti, arretrando piano.
Corrugai la fronte e poi tutto si fece chiaro. Il muro contro il quale avevo sbattuto prima di scoprimi il viso dalle leggere coperte, si sgretolo come castelli di sabbia aggrediti dalla violenta tramontana.
Il buio… il viso di Andrew… il viso di Derek nei miei più nascosti ricordi… le sua labbra che sfioravano la mia fronte… il mio perdere stupidamente i sensi…
-Oh. Oh. Ora ricordo. -, dissi annuendo piano, con lo sguardo pensieroso, fisso su un punto indefinito della moquette.
Il suo corpo, irrigiditosi dalle mie stupide conclusioni, si rilassò. Distese le labbra in un sorriso e i suoi occhi ne furono contagiati. Le sue spalle presero a muoversi ancora con scioltezza, conseguenza del suo respiro tranquillizzato.
Gli sorrisi, imbarazzata dai miei stessi pensieri.
-Ieri sera… ecco… io… -, esordì grattandosi la nuca.
-Tu?-, lo incitai a continuare.
-Ecco… mi sono steso un attimo sul letto, ma giuro che non c’erano doppi fini. - .Risi sommessamente. –Avevo anche intenzione di dormire sulla poltrona, poi…-
-Sulla poltrona? Ma… cosa? È il tuo letto!-, dissi prima che concludesse la frase, -Sei strano, Pattinson. -
Chinò il capo appena, sorridendo imbarazzato.
-Ma estremamente cortese. -, aggiunsi con tono pacato e… dolce. Puntò i suoi occhi color del mare in tempesta nei miei. Ebbi un leggero sussultò. Non se ne accorse… per mia grande fortuna.
-Quando mi sono svegliato stamattina (dopo essere crollato) credevo stessi dormendo… cioè, sembrava fossi nel pieno del sonno e, dato che era presto e tutt’ora lo è… -
-Che ora è?-
-Le sette. -
-Ah. Presto, davvero. Scusa, continua. -
-Nulla… ho approfittato per una doccia. -, spiegò. Fu allora che distolsi il suo mio sguardo dal suo viso, guardando distrattamente i sui petto nudo… l’asciugamano… ebbi un fremito e sentii le guance intingersi malignamente di rosso.
-Forse è meglio se mi rivesta. -, continuò e nella sua voce vi era una nota di imbarazzo misto ad… ansia?
Annuii piano col capo, -Forse è meglio se vada. -, aggiunsi. Mi chinai per recuperare le scarpe di tela al lato del letto, con il viso in fiamme. Qualcuno, però, busso alla porta.
-E’ aperto. -, disse Robert. La porta velocemente si aprì.
-Non credevo di trovarti sveglio, dol… cezza. -, Nikki si materializzo sulla soglia della porta. Rimase interdetta e incredula, accanto alla poltrona. Sgranò gli occhi e spalancò la bocca. Poi il suo sguardo si indurì.
-Oh. Scusate l’interruzione. -, disse. Scattai in piedi, inciampando nella mia scarpa, appoggiandomi al letto per non cadere. Robert, sospirò, passandosi una mano sul viso.
-Non è come sembra!-, esclamammo in coro. Mi voltai a guardarlo e lui fece lo stesso. Sorridemmo imbarazzati l’uno all’altra.
-Non ho detto nulla. -, disse lei incrociando le braccia al petto, guardandoci come se la sapesse lunga. Sentii risucchiarmi da un profondo buco nero, all’interno del mio stesso corpo.
-Davvero, io… non è come sembra. Robert… diglielo!-, esclama nel panico.
-Nikki, credimi… non è come… sembra. -, la voce di Robert vacillò sull’ultima parola. Mi voltai confusa.
Perché?
Chinò il capo, poi sospirò.
-Vorrei rivestirmi. -, mormorò, fissando la moquette, dopo alcuni istanti di silenzio. Annuii prendendo le scarpe dal pavimento. Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre i avvicinavo alla porta. Nikki, mi fissò, come se desiderasse incenerirmi con la sola forza dello sguardo. Sussultai.
Mi chiesi quale fosse il suo problema, perché sembrava volesse staccarmi la testa a morsi… cosa le avevo fatto.
Poi capii. Vidi lo l’occhiata che si scambiarono lei e Robert. Lei fece un cenno con le testa, lui annuii impercettibilmente.
Un brivido mi attraversò la schiena e ricordai il loro abbraccio alla prima, quando conobbi quel viso per la prima volta.
-Oh. -, soffiai. Robert posò il suo sguardo ardente su di me ed ebbi, inevitabilmente, un fremito. Mi guardo intensamente, come se desiderasse comunicarmi qualcosa, una dolce, o amara, verità.
Sbatté le palpebre qualche volta e un’espressione confusa si dipinse sul suo viso. Aprì la bocca e aspettai che dalle sue labbra vi uscissero dei suoni… ma così non fu. Sorridendo flebilmente, mi congedai con un movimento del capo, lasciandomi alle spalle i loro visi.

 

 Scesi le scale, dritta al bancone che funzionava da reception, desiderando con tutta me stessa di vedere Andrew, di farmi stringere a se, in un caloroso e dolce abbraccio. Quegli abbracci che solo il tuo migliore amico sa darti, che solo Andrew sapeva darmi.
Scesi velocemente le scale. Dopo aver lasciato la camera di Robert mi ero diretta silenziosamente nella mia. Il getto d’acqua calda era l’unico che riuscisse a calmarmi i nervi e distendermi i muscoli, così optai con piacere per una doccia. Dopo essermi asciugata e vestita, e cercato con cura di tenere alla larga l’ultima immagine che avevo conservato di Robert, uscii dalla mia camera. Era stato comunque inutile, quelle immagini inondavano sempre la mia mente.
Tra loro, c’era qualcosa. Me lo sentivo, lo vedevo. Ripensai con dolore, quasi, alla strana scenetta di quella mattina, ed era come se mi avessero tirato un pugno nello stomaco, dopo che la nausea lo avevo attaccato.
Sospirai, e quasi l’aria nei polmoni mi fece male.
Cercai di cacciare dalla mente l’immagine di Nikki chi sfiorava il viso di… Robert.

Ma c’erano cose che non quadravano, tanto piccoli particolari che non tornavano fra  loro.
Sguardi che mi aveva… riservato?
Confusa e meditabonda arrivai vicino al bancone.
-Buon giorno, mon tresòr. -, disse raggiante Andrew.
-Buon giorno anche a te. -, risposi baciandogli una guancia.
-Come stai oggi?-, mi chiese facendomi segno di sedermi sulle sua gambe. Seguii il suo suggerimento.
-Ti riferisci all’episodio di ieri sera?-, chiesi avvampando appena di rossore.
-No. Quello della scorsa settimana. - 
Lo guardai torva, -Ah, ah. Davvero divertente. -
Mi rivolse un leggero sorriso e rimase in silenzio aspettando una mia risposta.
Sospirai, rassegnata, -Sono crollata in camera di Pattinson. -, mormorai guardandomi le mani.
-Questo lo so, Laira, ma… cos’è successo dopo?-, chiese con dolcezza sollevandomi il capo con un dito.
-Come fai a dire che c’è un dopo?-, mormorai guardando i suoi grandi occhi.
Rise, -Bhe, c’è sempre un dopo. -, disse premendomi il palmo della mano sulla guancia.
Scossi il capo, -Giusta osservazione. -, dissi sorridendo appena.
-Allora? Me lo vuoi dire o devo chiamare i conigli torturatori?- . Corrugai la fronte, confusa. Alzò gli occhi al cielo, -I conigli del tuo mondo. -
-Oh. Giusto… quei conigli. -, ponderai con un dito sul mento.
-Laira. -, mi canzonò.
-Oh si scusa. Ma credo tu voglia sapere…-
-Laira!-, esclamò.
Alzai le mani, -Okay, okay. Te lo dico. Stamattina non ricordavo molto e me lo sono ritrovata mezzo nudo davanti e…-
-Cosa?-, chiese con voce strozzata.
-Aveva appena fatto una doccia e io bhe… ecco… credevo di aver fatto cose che non avrei dovuto fare. Poi ho ricordato tutto ed ecc ecc. E’ entrata Nikki, -, sperai non si accorgesse delle nota sprezzante con cui pronunciai quel nome, - e sono andata via. Tutto qui. -, conclusi facendo spallucce.
Andrew sgranò gli occhi, -Wow. Qualcosa mi dice che Pattinson non ti è del tutto indifferente e la cosa potrebbe essere corrisposta. -
-No. Ti sbagli. La cosa non potrebbe essere corrisposta perché non c’è nessun tipo interesse, Andrew. -
-Certo, certo. -, rispose lui, come se ciò che avessi detto fosse superfluo.
Sbuffai d’irritazione, -E poi mi sa che fra lui e quella Nikki ci sia qualcosa. Si guardano in modo strano. -, lo informai fingendo disinteressata, come se la cosse non mi toccasse.
Bugiarda.
Rise ancora,  -Come guarda te?-
-Piantala, Andrew. -, sbottai.
-Okay, okay. -
-Sono seria. Riguardo Robert e Nikki. -
Corrugò la fronte, massaggiandosi il mento con due dita, -Ne sei sicura? Non hanno mai dato segno di… bhe, hai capito. So però che sono molto amici… ho parlato con quel ragazzino a colazione… Taylor. -
-Ma per favore, Andrew!-, dissi alzando le braccia, -E tu ti fidi. - . Cercai di rievocare alla mente l’immagine del viso corrispondente alla parole Taylor e un ragazzino dai capelli corti e neri, dalla pelle scura, si materializzò nella mia mente. Non sembrava un bugiardo, ma a volte le apparenze ingannano ed, io, lo sapevo bene.
-Non lo so, Laira… -, sussurrò arricciando le labbra. –Secondo me i conigli ti stanno dando alla testa. Tu non puoi volare come loro, tu cadi se ci provi. -
Sbattei le palpebre, confusa, incrociando le braccia al petto, -Eh?-
Qualcuno tossì. Sobbalzando mi alzai di scatto dalle ginocchia di Andrew. Lui piano si alzò. Davanti al bancone c’erano una ragazza ed un ragazzo.
-Ehm… buon giorno. Michael Angrano. Siamo qui per… -
-Oh si, -, esordì annuendo Andrew, -siete quelli che hanno perso un bagaglio, no?-, chinò un attimo il capo guardando un foglio, -Michal… Kristen. -
I due risero.
Mi chiesi come facesse a sapere tutte quelle cose, poi ripensai a ciò che mi aveva appena detto: aveva avuto una conversazione con Taylor… pettegolo.
-Io sono Andrew e lei è Laira, -, alzi la mano in segno di saluto, -qui a vostra disposizione. -, disse sorridente.
Soffocai una risata. La ragazza mora si voltò, incuriosita. Feci spallucce in risposta, sorridendo appena.
Andrew diede ai due la camera. Capii che la ragazza dagli occhi verdi e capelli scuri era la fidanzata di… Michael. Si diressero tutti verso le scale, ma successe qualcosa che non mi aspettavo.
-Tu sei Laira? Robert mi ha parlato di te. Piacere di conoscerti. -, disse Kristen porgendomi una mano. Piano gliela strinsi, confusa da tale atteggiamento. Da quando le star erano così cordiali?
Pensai a Nikki… ma pensai anche al gentile Taylor… al simpatico Kellan… a Robert.
-Piacere di conoscerti… -
-Kristen. -
Sorrisi, -Kristen. -, ripetei quando la mia mano scivolò dalla sua.
Sorrise anche lei e fece per andar via, ma la fermai. –Ehi, aspetta. Ti ha parlato di me?-, chiesi corrugando la fronte incredula.
Annuii.
-Oh. -, mormorai.
-Kris?-, la chiamo il ragazzo.
-Si, arrivo. -, disse lei voltandosi prima do tornare a guardarmi negli occhi, -Allora, ci si vede in giro, Laira. –

 

 

 

*

Salve gente. Prima di tutto… predona temi il ritardo! Sono stata imperdonabile, ma, davvero, ad Agosto ne sono successe di tutti i colori!
Allora… dato che ho poco tempo volevo ringraziare due persone speciali: la mia dolce principessa Patt e la strana Chià. Grazie, grazie per tutto.


Ed un grazie particolare va a voi che avete recensito lo scorso capitolo.

Nessie93: ciao! *.* Non sono testarda, sono solo realista U.U spero di non averti delusa con questo capitolo e di averti incuriosita almeno un po’. Che dire? Grazie per le meravigliose recensioni che mi lasci, davvero! E prometto che posterò presto, si si. Grazie mille bella! Un bacio.
Satyricon: ciao! Davvero ti piace come scrivo? *.*   ne sono onorata! La parentesi di Derek mi è costata un po’, ci ho sudato nella riletture, cercando di renderla al meglio… e spero di esserci almeno riuscita un po’. Spero ti sia piaciuto questo capitolo. Grazie mille per la recensione, davvero, grazie!
Luxi: ciao! Garzie! Sono contenta ti piaccia la storia! Ad ognuna di essa ci tengo tantissimo, forse perché in fondo… sono un po’ io. Non so se mi spiego… okay, ora sto divagando. Sono contenta di sapere che ti piace come scrivo, sul serio! Grazie infinite per la recensione cara!  A presto! E ancora grazie…
Minato Namikaze: ciao! Okay *saltella con un sorriso ebete per la stanza* davvero ti piace? Oooooh, grazie! Ne sono felicissima, davvero! Mi spiace di aver postato con questo ritardo, ma Agosto è infernale un po’ per tutti. Grazie mille per la recensione! A presto!
fede_sganch: ciao! Eh si, mistero Derek svelato… e Robert salva donzelle… e le mette in imbarazzo XD Sono contenta di sapere che il capitolo scorso ti è piaciuto, avevo paura di combinare un macello. Riguardo Derek non mi esprimo ovviamente. Grazie per la recensione, grazie davvero cara!
doddola93: Dà, mia adorata! Sono contenta che il capitolo precedente ti sia piaciuto! Le tue recensioni sono sempre così belle! Grazie davvero, grazie di cuore. Ed io non scrivo capolavori, capperetti lessi, mettitelo in testa. I tuoi lo sono e non si discute! Mi manchi… ti voglio bene <3
Sognatrice85: ciao! *.* oooooh, grazie per la recensione! Eheh, Laira… si forse è troppo tardi. Beh, sono contentissima di sia piaciuto il capitolo, davvero, e che ti piaccia il mio assurdo modo di scrivere! Ci tengo tanto a sapere cosa ne pensi! A presto, cara! E grazie ancora!
A l y s s a: Patt, ciao! Bhe, di Derek si parlerà ancora… e ne ho in mente di cose! Patty… Patty è perfetto nella sua imperfezione! Sempre e comunque… specialmente con Laira XD Le tue recensione, che tu ci creda o no, sono quelle che attendo di più con ansia! Ciò che pensi per me conta tanto, davvero! E sapere che la storia ti piace… *.*  grazie principessa Patt, grazie davvero! Ti voglio bene <3
Fairwriter: Juls, amata Cip! Ma che fine hai fatto? Mi manchi! Sei tu che mi fai sciogliere, ogni volta che leggo una tua recensione! Grazie tesoro, grazie di cuore! Sono contenta di sapere che ti sia piaciuto il capitolo e, soprattutto, il pezzo di Derek! A presto, bella! La tua Rose ti attende! Ti voglio bene <3

A voi e tutto,
           Panda.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


CAPITOLO 11

 

 

                                                                                                                                        Il mare spesso parla con parole lontane,
dice cose che nessuno sa.
Soltanto quelli che conoscono l'amore possono apprendere la lezione dalle onde,
che hanno il movimento del cuore.
Romano Battaglia, 1933, scrittore e giornalista italiano.

 

 

-Pattinson ha parlato di te alla sua… amica?-, chiese Andrew quando furono spariti dal nostro raggio visivo.
Ponderai per qualche attimo sulle parole di Kristen e poi facendo spallucce dissi: -Bhe, in fondo, se ci pensi, ma dubito che tu ne sia capace, lui avrà spiegato chi sono, insomma come mi ha conosciuta e cose così. -
-Oh, si certo. Ma fammi il favore, Laira Jones!-
-Piantala Andrew. -, risposi secca, -Mi dai a nervi. -
-Perché bisbigli?-, chiese sorridendo maliziosamente e inarcando un sopracciglio.
-Io non bisbiglio. -, ribattei.
-Si invece. -
Quando però pronunciai un no secco, capì che stavo bisbigliando.
-Oh. Oh. -, dissi corrugando la fronte. Forse Andrew aveva ragione, la pazzia stava facendo il suo corso. Sospirai passandomi una mano fra i capelli e mi sedetti sul bancone.
-Non è consono sedersi sul bancone della reception, Laira. -, disse con tono grave Andrew.
-Ma… non c‘è nessuno! E quei… e gli ospiti sono su, perciò… -, facendo spallucce presi a dondolarmi sul bancone, prima in avanti, poi indietro. Di scatto la porta si aprii e spaventata persi l’equilibrio. Mi cercai di tenermi al bancone mentre il mio corpo si sbilanciava del tutto all’indietro. Vidi Andrew scattare in piedi e cercare di afferrarmi la mani, inutilmente salde al legno scuro. Mi preparai al tonfo, al dolore lancinante alla schiena, ma questi non arrivarono, con mia grande sorpresa.
Delle braccia mi cinsero ad un patto largo e marmoreo, un braccio a sorreggere le spalle, un altro le gambe. Con fiato corto ed il viso terrorizzato, alzai lo sguardo sul mio salvatore rivelando immediatamente un sorriso.
-Mi devi molto. -, disse.
-Va bene se ti offro una birra?-
Arricciò le labbra e scioccò la lingua.
-Due?-
-Ora si che ragioniamo. -, disse mostrandomi una schiera di denti perfetti e bianchi, prima di aiutarmi ad alzarmi.
-Signor Lautz, lei è una benedizione. -, disse Andrew, -Ci ha risparmiato un viaggio in ospedale. -, continuò aggirando il bancone per venirmi vicino.
-Direi di si. -, rispose lui sorridendo.
Sentii qualcuno scendere velocemente gli scalini e tutti e tre ci voltammo verso la scalinata. Il mio cuore perse un battito prima di accelerare la sua corsa. Il ragazzo rallentò piano la sua andatura quando incontrò i nostri visi e sul suo viso si dipinse un’espressione indecifrabile.
Deglutii rumorosamente e avvampai di rossore quando il suo sguardo sul braccio di Kellan che cingeva i miei fianchi. Mi scostai automaticamente, Kellan fece lo stesso e di certo ciò non allentò la tensione di cui l’aria era satura.
-Ciao. -, dissi con un filo di voce.
-Laira. -, fu la sua risposta, appena sussurrata.
-Buon giorno, signor Pattinson. Dormito bene?-, chiese raggiante Andrew, sbucando da dietro il bancone.
-Splendidamente. -, rispose sorridente evitando di spostarlo sguardo su me e Kellan.
A quel punto la porta di ingresso si aprii e un Taylor sorridente fece la sua comparsa sulla soglia, -Kellan, -, disse, -andiamo? Oh buon buongiorno, gente. -, disse poi incontrando i nostri sguardi. Kellan annuì col capo, per poi salutarci e sparire oltre la spessa porta di legno.
-Robert, io… -, esordii, ma le parole mi morirono in gola, consapevole che non sapevo cosa dire, di preciso. “Scusa”, “non è come pensi”, “mi dispiace”? A che scopo? Non significava nulla in fin dei conti. Lui non era nulla per me, io non ero nulla per lui. Ma ammetterlo era come mentire a me stessa, come ammettere che il sole fosse freddo o che la neve fosse calda.
Lo seguii, senza nemmeno rendermene contro, trasportata dalla parte irrazionale di me stessa, oltre la porta di legno, quando la sentii sbattere a causa del vento, assorta nelle mie stupide congetture. Lo seguii sotto lo sguardo indagatore e soddisfatto di Andrew, fregandomene per una volta di quello che lui avrebbe potuto pensare.
Confusa, spaesata, senza sapere cosa dirgli di preciso, chiamai il suo nome e quella voce non sembrava la mia, fu come se non mi appartenesse, una voce lontana, distante, sconosciuta.
Si girò, sorpreso, guardandomi negli occhi, ed, in quel preciso momento il fiato mi si mozzò, dandomi le vertigini. Incatenò i suoi occhi ai miei, o semplicemente fui io ad incatenarli ai suoi, incapace di distogliere l’attenzione da essi.
-Mi dispiace. -, dissi senza riuscire a tenere a freno la mia lingua, dando per pochi attimi libero sfogo alla mia lingua.
-Di cosa?-, chiese confuso.
-Non… io… -, e le parole mi morirono ancora in bocca.
-Non devi dispiacerti per nulla. - , disse con voce delicata, quasi fosse una carezza.
Fu per me inevitabile rammentare quelle due semplici parole che la sera prima mi avevano privata d’aria: non farlo. Ed in quel momento nei suoi occhi… l’eco di quelle parole.
Costernata, meravigliata dall’intensità delle emozioni e sensazioni che pervasero il mio corpo, mi avvicinai a lui, senza sapere bene avessi intenzione di fare. Il vento leggero scompigliata i suoi capelli già arruffati, carezzandoli come mille goccioline d’acqua fanno su un petalo di rosa, passai una mano fra essi, morbidi e incredibilmente setosi al tatto. Istintivamente, un angolo della mia bocca si sollevò verso l’alto, eco delle sua.
-E’ una bella mattinata. -, mormorò quando lasciai scivolare la mia mano dai suoi capelli rendendomi conto di quanto il mio gesto fosse stato sconsiderato, -Ti farebbe bene un po’ d’aria. Vieni con noi. - . Inclinai il capo di lato, corrugando appena la fronte.
-Dove?-, chiesi.
-Pic-nick. -
Arricciai il naso. Avrei voluto dire “si, vengo!”, ma costrinsi la mia lingua a seguire il mio volere.
-Andrew ha bisogno di me. Ci lavoro qui. -, risposi con rammarico.
Lui si morse il labbro inferiore, alzando le sopracciglia e sorridendo appena, -Giusto. -, disse poi passandomi una mano fra i capelli, -Dimenticavo. -
Feci un risolino, seguita subito da lui.
-Allora… allora ci vediamo, Laira. -, disse guardandomi negli occhi, tornando per pochi istanti serio.
-Non scappo. -, dissi sorridendo. Fece lo stesso  e, mentre si avvicinava, sentii il cuore perdere un battito e il suo profumo invadermi i polmoni. Le sue labbra sfiorarono con delicatezza la mia guancia, che all’istante sembrò prendere fuoco sotto esse. Pura roccia lavica.
E così, sotto il sole mattutino, accarezzato dal vento, si allontanò.

 

Era tardo pomeriggio. Le gambe e le braccia mi dolevano, conseguenza di un pomeriggio di pulizie. Le testa sembrava dovesse scoppiarmi da un momento all’altro e sulla battigia, in spiaggia, mi godevo il vento che fresco mi carezzava la pelle del viso.
Era il tramonto ed il cielo aveva assunto mille sfumature, dal celeste, al rosa, al giallo, all’arancione, al rosso appena sopra la linea dell’orizzonte. Ed gli ultimi raggio del sole giocavano sull’acqua, riflettendosi su essa, accecandomi. Chiusi istintivamente gli occhi quando il mio sguardo si posò sulla stella rossa quasi del tutto nascosta dietro l’orizzonte, infastidita dalla troppa luce.
Sospirai. Un gesto istintivo, di quelli che non riesci a controllare, un gesto che alcune volte attira l’attenzione.
-Qualcosa non va?- , sobbalzai ed immediatamente aprii gli occhi voltandomi.
-Non volevo spaventarti. -, disse Kristen in un sorriso.
Scossi il capo, spostandomi i capelli dal viso, spostati fastidiosamente dal vento. Si sedette accanto a me e rivolse lo sguardo all’oceano.
-Bello. - , sussurrò. Scostai il mio sguardo dal suo viso rivolgendolo ancora al panorama che mi si prostrava davanti ed annuii col capo.
-Davanti a tanta bellezza, come si fa a non amare la vita? Ogni respiro, ogni attimo, ogni alito di essa è intorno a noi. In ogni nostro gesto, in ogni nostra parola, in ogni essere vivente… nel mare, in un montagna, in un filo d’erba, in una margherita, in una quercia… lei c’è… ed è bellissima, non credi?-, continuò poi rivolgendomi incrociando il mio sguardo.
Il vento le spostava i capelli castani, frustando di tanto in tanto sulle sue spalle.
-Io… si. -, dissi scioccata dalle sue parole, quasi colta di sorpresa. Parole che per attimi infiniti mi permisero di guardare il mondo, ciò che mi circondava con occhi diversi. Ed udivo il fluttuare delle onde con orecchie nuove, udivo i gridi dei gabbiani. L’aria fresca sul viso, il calore degli ultimi raggi solari sulla pelle, l’odore salmastro del mare, ne assaporavo sulla lingua tutte le sfumature.
Un angolo delle mie labbra si sollevò verso l’alto ed accennai un risolino.
-Perché ridi?-, chiese lei corrugando appena la fronte, curiosa.
-Hai ragione. -
Sorrise, prima di passarsi una mano fra i capelli, -Anche Amore è vita, Laira. -
la guardai negli occhi, per poi fissare un punto indefinito sulla sappia, riflettendo sulle sue parole. Arricciai le labbra in un gesto istintivo. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma da essa non vi uscì nulla.
Lei sorrise, quasi soddisfatta, e non ne capii il perché. Mi limitai a guardarla con aria confusa, consapevole nel mio inconscio che aveva ragione da vendere, ma troppo cinica per ammetterlo a me stessa.
-Il mare spesso parla con parole lontane, dice cose che nessuno sa. Soltanto quelli che conoscono l'amore possono apprendere la lezione dalle onde, che hanno il movimento del cuore. -, sussurrò guardando la linea dell’orizzonte, il cielo rosso, privo di quel sole che fino a pochi istanti si rifletteva sull’acqua. Rimasi imprigionata in quell’attimo, come in una bolla di sapone. E lo udii, più forte e chiaro che mai, il battito del mio cuore. Irregolare, imperterrito, violento ma allo stesso tempo delicato, come ali di farfalla. Ad un onda corrispondeva un battito. Rabbrividii.
-Hai programmi per questa sera?-, chiese d’un tratto, spostando al conversazioni su toni più leggeri, o quasi. Quel cambio repentino di argomenti mi lasciò ancor di più spaesata. Fu come se avesse innescato una bomba a mano, come se avesse preparato il territorio per un qualcosa che non riuscivo a cogliere.
-Devo una birra a Kellan. -, dissi avvampando appena di rossore.
-Giusto… la scommessa. -, disse annuendo appena.
Corrugai la fronte, -Sai del...?-
-Certo. Ne parlano tutti. -
Sgranai gli occhi, sorpresa, -Scommessa?-, chiesi confusa.
-Credo sia giunta, per me, l’ora di andare. -, disse mettendosi in piedi, -E’ stato un piacere parlare con te, Laira. -, continuò in fretta, prima di allontanarsi a passo svelto.
-Kristen, aspetta!-, dissi voltandomi ed allungando una mano, come a volerla fermare, ma era già troppo tardi. Non  udii la mia voce, oramai per lei solo un sussurro al vento.

 

*

Ed eccomi qui gente, sono riuscita a postare!
Ho sul serio poco tempo, per domani ho un bel po’ di cose da studiare e voglio postare assolutamente!
Perciò ringrazio di cuore:

Nessie93,
Satyricon,
carlottina,
Sognatrice85,
SweetCherry,
A l y s s a,
Fairwriter,

con al promessa di rifarmi nel prossimo capitolo!

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


CAPITOLO 12




È tutta colpa della luna,
quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti.
Wiliam Shekespeare, 1564-1616, commediografo, drammaturgo e attore inglese.

 

 

-Andrew, guarda cos’hai combinato!-, dissi cercando ti togliermi residui di marmellata ai mirtilli dalla maglia.
-Laira, perdonami! Non volevo!-, esclamò avvicinandosi a me con le mani protese. Guardai la mia maglia celeste macchiata di marmellata di cui la crostata era ricoperta.
Mi stavo lentamente portando una fetta di dolce in bocca, attendendo il momento in cui sarebbe entrata nella mia cavità orale, godendo ogni attimo d’attesa, quando, Andrew, con delicatezza degna di un elefante in un negozio di cristalli, mi tirò una gomitata. La torta cadde dalla mie mani, scivolando lungo la mia maglia.
-Era pulita, Andrew. -, mi lamentai abbassando le spalle, consapevole che mi sarebbe toccata rilavarla all’istante, -E fra mezz’ora devo uscire. -
-Ah, giusto… Kellan. -, disse annuendo col capo.
Sospirai, -Mi sa che devo stare lontano da  questa cucina, specialmente se ci sei tu. -, dissi pulendomi con un fazzoletto di stoffa, -Vado a cambiarmi. -, continuai.
-Non sono un disastro in cucina. -, disse. Mi voltai, ormai sulla soglia della porta, e mi poggiai con la mano allo stipite, alzando un sopracciglio.
-Non ho detto che sei un disastro nel cucinare, Andrew. Sei un disastro nel muoverti. -
-Ah, ora si spiega tutto. Ehi! Io mi so muovere. -, disse lui portandosi le mani sui fianchi e spostando tutto il peso sulla gamba desta.
Roteai gli occhi, -Certo, certo. Ci vediamo fra un po’, prima che esca. Vado a darmi una ripulita. -
Lo sentii borbottare qualcosa, ma non prestai attenzione alle sua parole.
Alla mente mi tornò la conversazione avuta al tramonto con Kristen: Il mare spesso parla con parole lontane, dice cose che nessuno sa. Soltanto quelli che conoscono l'amore possono apprendere la lezione dalle onde, che hanno il movimento del cuore.
Parole come marchiata a fuoco nella mia giovane mente. Insidiate in essa come un marchio di fabbricazione.
Che avesse colto? Che avesse capito cosa il mio cuore silenziosamente cantava? Canti che io stessa soffocavo, non ammettendo a me stessa ciò che paino stava diventando ovvio?
Ma perché? Per paura?
Si, la paura ci rende ciechi e non ci permette di vivere al meglio ciò che la vita ci offre. Paura di soffrire, paura di vivere, paura di… amare.
Sospirai e le mani mi tremarono quando mi persi nei ricordi.


Le sua mani carezzavano la pelle della mai schiena con estrema delicatezza e dolcezza.
Nel buio della stanza mi lasciai cullare dal suo respiro, dal vento fresco che spostava le tende azzurre, sfiorandomi i capelli corti e neri.
-Sei bellissima. -, mormorò al mio orecchio. Mi strinsi ancor di più a lui, poggiando la guancia sul suo petto.
-Ti amo. -, mormorai alzando poi lo sguardo, fissando quegli occhi scuri, neri nel buio della notte, illuminato solo dalla fioca luce della radiosveglia.
Non rispose. Mi baciò delicatamente la fronte. Un attimo che sembrò durare anni.
Accarezzai i capelli color del rame, passando fra essi le dita.
-Cosa c’è?-, chiesi corrugando la fronte.
-Nulla. -, rispose con l’ombra di un sorriso sul volto.
-Non mentirmi. -, dissi seria.

-Non lo farei mai, Laira. -, mormorò sfiorando il mio naso col suo.
-Okay. -, soffiai baciandolo sulle labbra. Quelle labbra che avevo visto su cartelloni e locandine. Quelle labbra che avevo sempre agognato. Calde, perfette.
Il mio cuore accelerò i suoi battiti  e non riuscii a controllarlo.
-Ti amo. -, sussurrò prima di baciarmi ancora.


Scossi il capo cercando di scacciare via i ricordi ed entrai in camera.
Lavai la maglia, togliendo quel che rimaneva della marmellata, prima di infilarla in lavatrice. Mi infilai una maglia rossa, che Andrew mi aveva regalato l’anno precedente. “Si intona perfettamente col colore della tua pelle.”, disse. Sorrisi a quel ricordo.
Mi spazzolai velocemente i capelli, dopo aver sciolto la coda in cui erano raccolti, lasciandoli cadere sulle spalle.
Uscii dalla camera ed il cuore mi si fermò, saltando in gola.
Incontrai due occhi verdazzurro, luminosi come stelle nel cielo nero della notte, limpidi e cristallini come acqua.
Il respirò mi si mozzò, quando sorrise, imbarazzato.
-Ciao. -, disse avvicinandosi a me, allontanandosi dal muro sulla quale era appoggiato.
-Ciao. -, soffiai.
-Tutto okay?-, chiese corrugando appena la fronte.
Annui col capo, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio, -Cosa ci fai qui?-, chiesi.
-Ehm… -, si passò una mano fra i capelli, imbarazzato, chinando appena il capo e boccheggiando, senza sapere cosa dire di preciso. Poi le parole che vennero uscirono tutte d’un fiato, -Kellan sta male. Non voleva che tu pensassi che non vuole uscire-, l’ultima parola conteneva una nota d’acidità, -con te, perciò eccomi qui. Mi ha chiesto di dirti se è possibile… rimandare. -, ancora acidità nell’ultima parola.
Che ne fosse infastidito?
-Oh. Capisco. -, dissi abbassando lo sguardo. Calò in silenzio fra noi e notai, con la coda dell’occhio, che Robert prese a dondolare da un piede all’altro.
-Laira… -, sussurrò il mio nome in una dolce melodia.
Alzai lo sguardo sul suo viso. Si morse il labbro inferiore prima di aprire la bocca per parlare, ma da essa non vi uscii alcun suono. Alzai un sopracciglio e poi sospirò.
-Magari ti sembrerà stupido e sfacciato, ma visto che sei… già vestita, ecco, mi chiedevo se ti andava di fare un giro. -, esitò.
Non so perché il cuore all’istante mi si riscaldò, come fosse stato tenuto in ibernazione per chissà quanto tempo.  Fui scossa dal suo veloce battito e quasi la voce mi mancò.
Respirai a fondo e tremai, - Mi piacerebbe, Robert. -, dissi.
Sul suo viso comparve un sorriso, che piano contagiò i suoi occhi, accendendoli di una luce strana.
-Davvero?-, chiese con entusiasmo, -Cioè, non ti scoccia?-, continuò cercando di assumere un tono più consono. Quei suoi toni e quelle sue espressioni per un momento mi lasciarono confusa e spaesata.
-Si. -, dissi in un risolino. Poi perdendomi nei suoi occhi limpidi, ci dirigemmo verso le scale.
E, forse non avrei dovuto, in fondo lui non aveva fatto nulla di male, fui contenta che Kellan di fosse ammalato.

 


Il cielo era nero e la luna argentea si rifletteva sull’oceano calmo. Le stelle, miliardi di micro puntini bianchi, rendevano il cielo qualcosa di unico e quasi perfetto. La leggere brezza mi sfiorava il viso, come una dolce carezza, e le onde del mare fluttuavano leggere a riva, creando uno straordinario rumore rilassante. I miei piedi affondavano nella sabbia fresca e morbida.
Tutto era tranquillo, intorno a me, una quiete sorprendente, ma dentro, ero in balia di una terrificante tempesta, fatta di emozioni contrastanti fra loro. Felicità, tristezza. Gioia, paura. Spensieratezza, ansia. Leggerezza, angoscia.
Potevo sentire il calore del suo corpo, a pochi centimetri dal mio… o era solo semplice e pura illusione. Il desiderio di sentirlo, di sentire il calore che emanava, di cui il mio cuore aveva un disperato bisogno.
Sì, bisogno di… calore. Ma calore di chi?
La consapevolezza che fossi lui a desiderare, cresceva di giorno in giorno, e mi faceva paura. Tremendamente paura.
Rimettere insieme i cocci, dopo una rottura, è sempre difficile, è difficile. E il pensiero che quei cocchi sarebbero potuti essere ancora… trasalii scossa dai miei pensieri.
Voltai lo sguardo al mare.
-Cosa c’è?-, lo sentii mormorare di fianco a me.
-E’ bellissimo. -, sospirai.
-Oh, grazie. -, ridacchiò.
Mi voltai, corrugando la fronte, -Intendevo il mare. -
Lui roteò gli occhi e sbuffò, per poi tirarmi una leggera spinta, tanto che i miei piedi toccarono l’acqua fredda, facendomi appena rabbrividire, -Ti prendevo in giro. -
-Oh. –, mormorai aggrottando le sopracciglia.
-Mi chiedo dove tu abbia la testa. -, disse voltandosi a guardarmi.
Sospirai, rilassato le spalle irrigidite dai pensieri che pochi istanti precedenti mi vorticavano nella testa, -Vorrei saperlo anch’io. -
-A che pensi, ora?-, chiese mentre camminavano avvolti dal buio.
-Ora non so… ma posso dirti a cosa pensavo prima che tu parlassi. -, dissi sorridendo appena.
-Spara. -
-Guardati intorno. Viviamo in un mondo magnifico. Certo, c’è tristezza, solitudine, dolore… ma c’è anche gioia, felicità, bellezza… e amore, come mi hanno detto. -, sorrisi pensando alla spiaggia al tramonto.
-Il centro di tutto l’universo. -, mormorò.
-Esatto. La stessa vita… è mossa dall’amore. -, sussurrai rivolgendo un’occhiata alla luna riflessa nell’acqua, -Come si può non amare questo?-
-Vorrei saperlo, mi è difficile. -, mi voltai verso il suo viso, incuriosita dal tono indecifrabile della sua voce. I suoi occhi ardevano come fiamme grigie, nell’oscurità della sera. Mi mozzarono il fiato.
Abbassai lo sguardo, guardando la sabbia.
-E’ come l’aria, l’ossigeno, il sole… l’amore. -, continuò con voce calda e roca.
-Già. Che discorsi. -, dissi scuotendo il capo.
-Sembriamo due anziani sull’orlo della depressione. -
-Nah… magari anziani no. -, e ridemmo entrambi, sommessamente.
-Non so chi fra noi due sia il più strano, Jones. -
-Indubbiamente tu. -, dissi ovvia, facendo spallucce.
-Ma davvero?-, chiese divertito.
-Certo. Nutri dei dubbi? Possiamo parlarne da non vecchietti sull’orlo della depressione. -, annuii alle mie stesse parole.
-Ma smettila. -, ridacchio facendomi del solletico su un fianco.
-No!-, urlai muovendomi come un’anguilla. Ridendo come da tempo oramai non facevo. Risate sincere, semplice eco del mio cuore.
Fu lì, che inciampai, presa dal troppo ridere. Poggiai le mie mani sul suo petto, il suo viso a poche spanne dal mio, il suo respiro caldo sul mio viso. Sotto il palmo della mia mano il suo cuore batteva frenetico… come il mio.
Perché?
Respirai e tremai appena. I suoi occhi puntati nei miei mi fecero perdere ogni tipo di filo logico, ogni cosa che mi tratteneva nella realtà, con i piedi per terra. Ardevano, come poco prima.
-Stai tremando. -, disse.
-Si. -, soffia, incapace di emettere suoni più forti per la vicinanza del suo viso al mio.
Sorrise e mi strinse a sé in un abbraccio. Poggiai il viso sul suo petto e respirai a fondo.
-I tuoi capelli sanno di vaniglia. -, mormorò al mio orecchio.
-E’ il profumo più buono al mondo. Dopo quello di casa. -
-Concordo. -
Sciolsi, mio malgrado, l’abbraccio ed già mi mancava il calore delle sua braccia attorno alle mi spalle, il calore del suo petto sul mio viso, il battito del suo cuore sul mio orecchio. Lo guardai in volto.
-Ti manca Londra?-, chiesi.
Lui arricciò le lebbra e poi schiocco la lingua, -Nah, non mi manca Londra. Mi manca chi è a Londra. -
-Non dove, ma chi. -, mormorai ed istintivamente premetti con dolcezza il palmo della mia mano sulla sua guancia. Annuii.
-A te?-, chiese mentre la sua mano si posava sulla mia, fino a chiuderla in una stretta ferrea, eppure dannatamente delicata.
Scossi il capo, bruscamente. -New York è casa mia. -
Con la coda dell’occhio, notai qualcosa che pochi attimi prima non c’era. Una piccola macchiolina arancione, in lontananza, sulla sabbia. Piccole figure scure si muovevano attorno ad esse. Voltai il capo e corrugai la fronte, confusa. Robert seguii il mio sguardo, affinando il suo.
-Cos’è?-, chiese.
-Sembrerebbe un falò. -, mormorai.
-Bene… andiamo. -, disse guardandomi.
-Cosa?-
-Hai capito bene, andiamo. -, e sul suo viso comparve il sorriso più bello che potesse riservarmi… vitale.
Aggrottai la fronte, -Scherzi, vero? Nemmeno li conosciamo. -
Lui sbuffò, e roteo gli occhi, poi cominciò a camminare trascinandomi con sé.
-Vivi, Laira. -
La mia mano ancora nella sua.

 

 

*

Non ho molto tempo, gente.
Vorrei ringraziare a modo coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, ma la mente non me lo permette. Sommersa fra i libri e lì imminente verifica di matematica… non capisco più nulla.
Perdonatemi.
Perciò grazie a Sognatrice85, Nessie93, Satyricon, SweetCherry, A l y s s a.

A presto, baci,
                       Panda.

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Capitolo 14
*** Capitolo13 ***


fuoco






 

CAPITOLO 13



Hakuna Matata...
ma che dolce poesia!
Hakuna Matata...
Tutta frenesia!
Senza pensieri
La tua vita sarà
Chi vorrà vivrà
In libertà...
Hakuna Matata!
Hakuna Matata, il re leone, classico disney, 1994.

 

 
Il fuoco scoppiettava davanti a noi, e ci teneva al caldo nella fredda notte. Le lunghe fiamme dalle mille sfumature, che andavano dal giallo all’arancione, dall’arancione al rosso, si elevavano alti e quasi selvagge. Eppure controllate.
Un ragazzo strimpellava distrattamente una chitarra, le cui note si diffondevano nell’aria, a volte intonate, a volte distorte. Un leggero brusio, risate sincere, l’accompagnavano.
C’erano dieci ragazzi, intorno al grande fuoco. Alcuni cuocevano salsicce, altri marshmallow, come me e Robert, alla mia sinistra.
Robert. Voltai il capo e guardai in volto, nella sua totale perfezioni illuminato dalla luce delle fiamme.  Osservai il profilo del suo viso, soffermandomi sulle sue labbra.
Il mio cuore cominciò a galoppare.
Scossi il capo, cercando di cacciare i languidi pensieri, portandomi un pezzo di marshmallow in bocca.
-L’invenzione migliore dell’uomo. -, disse Robert avvicinando a me il suo marshmallow, indicandolo con un dito e guardandolo con espressione concentrata. Poi sposto il suo sguardo su di me, e sorrise.
-Concordo. -, dissi prima di portarmi un altro pezzo alle labbra. Per alcuni attimi i suoi occhi indugiarono sui miei, poi, chinando lo sguardo, tornò a guardare le fiamme. 
Mi voltai incuriosita da alcune risate. Un ragazzo ed una ragazza, accanto a me, ridevano a scherzavano. Si scambiarono un bacio a fior di labbra. Di scatto spostai lo sguardo, serrando la mascella e fissando il fuoco.
-Non so come tu abbia fatto a portarmi qui. -, dissi scuotendo appena il capo.
-Ti ho presa per mano. Semplice. -, rispose facendo spallucce.
-Scemo. Non intendevo quello. -, ridacchiai dandogli una leggera spinta con la spalla.
-Allora, in tal caso, non lo so nemmeno io. Magari perché… anche tu hai voglia di divertiti, di vivere un po’ senza pensieri la vita così come viene, senza troppi ma o perché. -
-Io mi diverto. -, dissi corrugando la fronte.
-Divertirti in maniera diversa, Laira. Hai conosciuto gente nuova, sei uscita dal tuo guscio, hai parlato con dieci persone diverse nelle ultime tre ore, come se le conoscessi da anni. Ti sei lasciata andare. L’ho visto sai?-. Le sue parole mi lasciarono interdetta, confusa, mentre mi perdevo nel mare dei suoi occhi, nel quale si riflettevano la lunghe fiamme arancioni.
-Io… non vivo in un guscio. -, soffiai consapevole che aveva ragione.  Eppure, non volevo ammetterlo, troppo cieca e testarda, piena di… paura?
Alzò un sopracciglio, guardandomi negli occhi per attimi che parvero infiniti. Poi, sospirò e scosse il capo, guardandosi i piedi affondati nella sabbia.
-E’ così difficile… capirti, Laira. Ci sto provando. -, mormorò, fra lo scoppiettio del fuoco. Le sue parole furono, per qualche inspiegabile motivo, pugnalate al cuore.
Perché mi importava così tanto? Perché in quel momento desideravo premere il palmo della mia mano sulla sua guancia? Stringerlo a me? Perché?
L’aspettai lenta, piano, la risposta che tardò ad arrivare. Un angolo del mio cuore già la conosceva, e la gridava al mio animo, che si rifiutava di credergli o prestargli attenzione.
Lo stomaco mi si strinse in una morsa ed il mio respiro accelerò, eco del battito del mio cuore.
-Sono allergica alle fragole. Da piccola ho preso il morbillo e da allora una cicatrice, che assomiglia più a una piccola macchia sotto l’orecchio. Sono caduta dalle scale, l’anno scorso e mi sono procurata una cicatrice sul fianco destro, all’altezza della vita. Quando era piccola avevo un cane, Lola. Passavo iteri pomeriggio al parco con Andrew, sulla mia bicicletta azzurra, che tanto mi ricordava il mare. Era dello stesso colore dei tuoi occhi. Ho avuto il mio ragazzo a sedici anni, colui che mi accompagnò al ballo di fine anno. Ho avuto una storia importante nella mia. I miei sono morti anni fa. Mi piace dipingere, mi piace leggere. Ho un problema con gli zuccheri, ne mangio troppi. E secondo Andrew vivo in un mondo tutto mio.-, dissi tutto d’un fiato fissando il fuoco, come ipnotizzata.
Robert aveva gli occhi dilati dalla sorpresa e mi guardava, lo notai con la coda dell’occhio.
Sorrisi flebilmente voltandomi verso di lui.
-Più o meno questa sono. -, dissi imbarazzata.
-Vorrei farti così tante domande… -, sussurrò con voce calda.
-Provaci. -
-Che tu ci creda o no, -, disse carezzandomi il mento con la punta della dita, -ora, non me ne viene in mente nemmeno una. -
Il fiato mi si mozzò, ed il cuore perse un battito, quando le sua dita scesero piano lungo il mio collo, lasciando su di esso una scia incandescente. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotto da un’altra voce.
-Allora, ragazzi? Voi venite?-, Robert allontanò le mani dal mio viso, quando la voce di una ragazza, Sharon, che ci aveva presentato a tutto il gruppo, fece irruzione.
-Dove?-, chiese lui corrugando la fronte.
-A fare il bagno!-, esultò saltellando.
Sgranai gli occhi, incredula, -Ma fa freddo!-, esclamai con voce acuta.
-Bhe, effettivamente… -, ponderò Robert arricciando le labbra e fissando concentrato la sabbia, -Io ci sto. -, disse poi alzando di scatto il capo.
-Si!-, gridò Sharon, una ragazza dai tatti orientali, capelli scuri e neri, della stessa tonalità dei miei, occhi dello stesso colore della notte.
-Cosa?-, domandai. La mia voce risultò un suono acuto e strozzato.
-Andiamo a fare il bagno. -, disse ovvio Robert.
-Si, a fare il bagno. -, disse Sharon porgendo la mano a Robert, che batté il cinque.
-Voi siete pazzi. Io non ci vengo. -, conclusi scuotendo il capo.
-Carpe diem, Laira! Quando ti ricapiterà una cosa del genere?-, esclamò Sharon piegandosi sulla ginocchia, per guardarmi negli occhi.
-Hakuna matata. -, sorrise Robert.
-Vivi, ragazza. Senza rimpianti, senza rammarichi. Vivi. Divertiti. Rischia. Che importa se l’acqua è fredda?-, disse Sharon e negli occhi le brillava una luce strana. Era… vita.
Guardai Robert per attimi infiniti. Mi guardava, gli occhi ardenti. Felici. Elettrizzati.
Sospirai e sentii l’adrenalina circolarmi in tutto il corpo. Scattai in piedi, sorridente. Mi sfilai la maglia, gettandola sul tronco sulla quale ero seduta.
-Senza pensieri. -, dissi dirigendomi a passo di marcia verso la battigia.
-La tua ragazza mi piace. -, disse sentii la voce di Sharon, quasi pari ad un sussurro.
-Lo so. -, e nell’udire la voce di Robert il mio cuore sembrò fermarmi, per poi intraprendere una folle corsa. Tramai. E non era per il freddo.

 

 
*

 Salve gente, ed eccomi, dopo un leggero ritardo, con un altro capitolo.
Bene, ovviamente riferimenti al mondo dei cartoni ad al magnifico carpe diem, una costante oramai, non poteva mancare.
La scena non si conclude, qui, come spero abbiate capito, ma continua nel capitolo successivo,ma al riguardo, non parlo, che è meglio XD
Ora, ringrazio i tre angeli che hanno recensito la scorso capitolo, ringraziandoli in anticipo dal profondo del cuore.

Sognatrice85: ciao, Marghe! Ovviamente, come sai già, mi fa molto piacere sapere cosa pensi, davvero! Devo dire io grazie a te! A te che leggi e che mi fai venir ancora più voglia di scrivere! Spero questa capitolo non ti abbia delusa. A presto, cara! E grazie davvero!
mathi: ciao! Sono felicissima di sapere che l’atmosfera della spiaggia ti sia piaciuta… per me è davvero importante. Spero anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento. Grazie mille per la recensione! *_*
Nessie93: Kellan… Kellan… potrebbe essere davvero malato. Metti in dubbio la mia buona fede? ;) Coooooomunque… i tuoi viaggi mentali, ti giuro, mi fanno troppo ridere…e  tanto piacere, perché così vuol dire che almeno un po’ ti ho preso con questa fiction! Eheh, il flashback… scommettiamo che nei capitoli successivi ti piacerà molto vedere Derek in un certo modo? Io dico di si, oramai un po’ ti conosco. Similitudini? O.O a me fanno un po’ pena, sinceramente… ma è meglio evitare questa parentesi. Tesoro, grazie per la recensione. Ciò che scrivi mi fa sempre sciogliere! Ti voglio bene, e ancora mille molte grazie.
A l y s s a: Paaaatt! Perdonami! ç_ç


A voi, con immenso affetto,

                                  Panda.



 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 

 

 
 

 

CAPITOLO 14

 

E l'amore avvolgerà i sogni e la realtà,
fra tutti c'è perfetta armonia e ognuno incanterà.

Per dirle che io l'amo dovrei spiegar perché

fantasmi e luci del passato ritornano da me.

Qualcosa mi nasconde, ma io non so cos'è;

perché non vuole rivelare che in lui c'è un vero re?
Il re leone, L’amore è nell’aria stasera.

 

 
Mi sfilai i jeans ed avvampai di rossore. Con la coda dell’occhio vidi Robert sfilarsi la maglia. Mi passai una mano fra i capelli, incrociando poi le braccia al petto, guardando i ragazzi e le ragazze che si tuffavano in acqua fra grida e risate. Sharon, mi passo accanto, diretta nell’acqua e mi strizzò un occhio, sorridendomi. 
Mi voltai verso Robert, mi guardava, una parte del viso nell’ombra, una illuminata dalla distante luce del fuoco. Persi la cognizione della realtà. Non ricordavo dove mi trovassi, perché avessi freddo, perché i miei piedi erano immersi nella sabbia. C’erano i suoi occhi chiari, ardenti e profondi.
-Se entri piano avrai più freddo. -, disse serio, con voce calda.
-Non è vero. -, dissi riducendo gli occhi a due fessure.
Sorrise. Poi il suo sguardo scese sul mio corpo le guance sembrarono prendermi fuoco.
Inclinò il capo verso destra e corrugò la fronte. Alzò piano la mano, ma si bloccò a mezz’aria, fra il mio corpo ed il suo. Sapevo cosa fissava.  Mi guardò negli occhi e sollevai un angolo della bocca verso l’alto, tenendo sempre le braccia strette al petto. La sua mano ancora indugiò, poi sfiorò la pelle del mio fianco, ripercorrendo con le dita la cicatrice che avevo all’altezza delle vita.
-Non credevo fosse così lunga. -, mormorò. Chiusi per un istante gli occhi, poi con la mano l’andai a coprire, costringendo a ritirare la sua.
-Non fraintendermi. Non ne sono disgustato. -, sorrise sfiorandomi la mano che copriva la cicatrice. Annuii col capo e sorrisi flebilmente.
-Perdonami. -, disse con tono dispiaciuto ed io suoi occhi erano sinceri.
-Nah. -, dissi scuotendo il capo e sorridendo, -Potrei rimangiarmi quanto detto e rivestirmi. -, dissi prendendo a camminare verso l’acqua. Sentii il suo sguardo sulla schiena. Mi voltai per guardarlo e lo vidi, a due metri da me, alto, longilineo, di spalle alla luce. Ne distinguevo i contorni ma non le espressioni del viso.
-Non eri quello che voleva far il bagno?-, chiesi corrugando la fronte. Lo sentii ridere sommessamente. Poi si diresse verso di me.
Entrai con i piedi dell’acqua.
-Mmm… la credevo più fredda. Non che sia calda, ma… -
Robert rise, -Oh, Laira. Quante storie. -, disse mentre avanzavamo nell’acqua.
-Io?-, dissi ad occhi sgranati.
-Oh si. -, rispose lui annuendo.
-Ah. Bene. -, ponderai, -Te la sei cercata. -, feci spallucce, prima di poggiare una mano sulla sua spalla e l’altra sul fianco e spingerlo. Perse l’equilibrio e cadde in acqua.
Risi, fra me, trionfante. E avanzai nell’acqua fino a che non mi arrivò ai fianchi.
-Sei.morta. -, sentii sussurrarmi all’orecchio. Spalancai gli occhi e sobbalzai appena sentendolo così vicino a me. Silenzioso, non mi ero accorta che fosse avanzato. Poi braccia fredde e bagnate circondarono le mie spalle e sentii la mia schiena aderire al suo petto. Brividi mi attraversandolo da capo a piedi, non solo dovuti al suo corpo bagnato, ma anche alla vicinanza del suo corpo… soprattutto a quella. Il suo petto vibrò, eco da una sadica risata. Mi dimenai, pregandolo di risparmiarmi, ma il suo corpo scivolò all’indietro e con esso, anche il mio.
Caddi nell’acqua. La sentii filtrare fra i capelli, fredda, procurandomi brividi, mentre le sua braccia mollavano la presa attorno alle mie spalle.  Risalii in fretta ed il contatto con l’aria mi provocò un certo senso di sollievo, poiché la temperatura era più alta di quella dell’acqua.
Robert rise, e tremante, mi voltai verso di lui.
-Non ridere!-, esclamai.
Immerso nell’acqua fino alle spalle, mi guardava cercando di trattenere le risate, -Si chiama vendetta. -, disse, -Certo che se entri nell’acqua magari ti abitui alla temperatura e non avrai freddo. -, continuò.
Sbuffai e seguii il suo consiglio, stringendomi la braccia al petto.
Gemetti, percossa da brividi ed involontariamente presi a sbattere i denti.
Robert sorrise e sospirò, -Vieni qui. -, disse poi avvicinandosi a me, e afferrandomi per un polso. Mi attirò a se, e, circondandomi le spalle con le barraccia, mi strinse al suo petto.
Il mio respirò accelerò, eco del battito del mio cuore, e lo stomaco mi si strinse in una morsa.
-Meglio?-
-Si. -, soffiai mentre i brividi cessavano e serravo i denti. Sentivo il suo respiro solleticarmi la pelle sotto l’orecchio e la sua mano premere sul mio fianco, stringendomi forte a sé… come se avesse paura che potessi sparire con la marea.
Che idea stupida, pensai ignara.
Io suo petto, il suo addome piatto, aderivano al mio. Nonostante fossi nell’acqua fredda, il mio corpo sembrò prendere fuoco.
-Avresti preferito che ci fosse stato Kellan, qui?-, mormorò al mio orecchio. Nel suo tono di voce una punta di tristezza. Poggiai il viso sulla sua spalla e con le mani circondai il suo addome, prendendo il palmo sulla sua schiena.
-No. -, mormorai.
-Laira…-, soffiò. Mi allontanai appena, per guardarlo in volto, senza sciogliere l’abbraccio. I suoi occhi erano a pochi centimetri dai miei, e potevo sentire il suo respiro caldo sul mio viso. Sentivo le gambe molli ed un leggero formicolio le pervase.
-Si?-, soffiai. Il cuore che batteva troppo forte per essere controllato. Sperai che non se ne accorgesse, così stretta a lui, ma probabilmente erano preghiere vane.
Era il momento perfetto, per la giovane ragazza dal cuore ridotto a brandelli. Era il momento per rivendicare quella parte di se stessa crudelmente demolita. Era il momento di dire “Basta, facciamola finita”. Era il momento di lasciarsi andare al ritmo irregolare del suo cuore, al desiderio irrefrenabile di assaporare le sue labbra.
Una sua mano sfiorò il mio viso, premendo poi il palmo sulla mia guancia umida. Chiusi gli occhi, imprimendo nella mente quel semplice contatto. La punta del suo naso sfiorò con delicatezza la mia.
Sarebbe stato il momento perfetto, lo sapevamo entrambi, in fondo. Ma qualcosa dentro di me, urlò che non era la cosa giusta da fare. No, non lo era. Semplicemente perché in fondo, era io a non volerlo. Scossi il capo e sospirai, voltando lo sguardo e guardando l’acqua.
Perché rovinare tutto?
Magari poteva apparire la scelta errata, quella di allontanarmi da lui, senza una spiegazione, ma solo dopo mesi, capii di quanto fosse stata ragionevole quella scelta.
-Robert Pattinson?-, una voce stridula mi riportò alla realtà, mi voltai di scatto verso la riva.
Robert chinò appena il capo e sospirò. Istintivamente mi allontanai, imbarazzata, come colta sul fatto, colpevole di qualcosa. Imbarazzata per l’intimità appena avuta con lui.
-Cosa c’è, ora?-, borbottò voltandosi verso la spiaggia e affinando lo sguardo. Due ragazze lo salutavano con la mano.
Cominciò a camminare, verso la spiaggia, ed osservai la sua figura longilinea, i muscoli della schiena muoversi ad ogni passo. Sospirai, forse troppo forte, tanto che si voltò.
-Tu non vieni?-, chiese, e nell’oscurità della sera lo immaginai aggrottare le sopracciglia.
-… okay. -, annuii col capo. Avanzai verso la riva a due metri di distanza da lui, stringendomi le braccia al petto per il freddo.
-Hai visto? Avevo ragione!-, disse una delle due, dai corti capelli chiari e statura minuta.
-Si, okay, avevi ragione. -, disse l’altra, che invece aveva capelli lunghi e scuri, forse castano, molto più alta della prima.
-Ehm… potreste spiegarmi che succede?-, chiese lui confuso.
La ragazza dai capelli biondi fece spallucce, -Io sostenevo che tu fossi Robert Pattinson, lei invece no. Era da quando eravamo sul falò che non riuscivo a capire. -
Le due ragazze guardarono Robert, il suo corpo seminudo e bagnato dall’acqua del mare. Entrambe arrossirono, grattandosi a nuca imbarazzate.
-Waw. -, mormorò la bionda. Per qualche inspiegabile motivo sentii il desiderio irrefrenabile di gettarla nel fuoco.
-Per verificare ti ho chiamato io. -, disse l’altra, per allentare la tensione.
-Ah, quindi sei stata tu. -, disse leggermente irritato. Una delle ragazze spalancò gli occhi, l’altra corrugò la fronte, -Abbiamo interrotto qualcosa?-, chiese titubante, guardandomi.
Scossi energicamente il capo, -No, no!-, ci affrettammo a dire, sventolando una mano in aria. Robert si voltò a guardarmi, sul viso un’espressione indecifrabile.
-Allora… si, io sono Robert Pattinson. -, disse in un risolino, -Voi, invece… -
-Oh, io sono Ellen. -, disse la ragazza dai capelli chiari porgendogli una mano.
-Io Candies. -, disse l’altra, imitandola. Poi guardarono me, con espressione curiosa. Mi sentii in soggezione, sotto i loro sguardi, seguiti da quello di Robert, che era come bruciasse sulla mia pelle.
-Laira. -, disse dopo alcuni attimi. Le ragazze non parlarono. –Ehm… io vado vicino al fuoco, o divento un ghiacciolo di donna. -, balbettai. Feci due passi, ma sentii qualcuno bloccarmi per il polso.
-Aspetta, vengo anche io. -, disse. Con la coda dell’occhio, vidi le ragazze scambiarsi un’occhiata. Poi Robert mollò la presa e rivolgendosi cordiale alle ragazze disse: -Venite anche voi?-
-Certo!-, dissero loro in coro. Raccolsi i miei vestiti e mi diressi verso il fuoco.
-Come ho fatto a non riconoscerti prima? Sarà stato il buio? Forse… oddio, non lo so. Comunque è un piacere conoscerti. -, disse d’un fiato Ellen. Chiacchieravano alle mie spalle, lontano dai miei occhi, che invece erano fissati sul fuoco e sulle mie mani che, davanti ad esso, cercavano calore.
-Ho amato Harry Potter. E devo dire anche il tuo ultimo film non è niente male. -, disse Candies.
-Grazie. E’ sempre un piacere sapere… certe cose. Senza di voi noi non saremmo nulla. -
Corrugai la fronte e prestai maggiore attenzione alla conversazione.
-Cosa intendi dire?-, chiese Ellen, con tono confuso, dando voce ai miei pensieri.
-Bhe si, se non fosse per i fan io non sarei… Robert Pattinson. O meglio, non sarei quel Robert Pattinson. -, disse con tono delicato, -Alla fine, io non faccio nulla di eclatante. Sono solo un ventitreenne che si cimenta nella arti recitative. Sono Robert, come tu sei Ellen e tu Candies. -
-Ma la tua faccia è ovunque. -, disse una delle due, che non riconobbi.
-Ecco quello che, permettimi il termine, distingue da te. E’ il mio lavoro. Un lavoro pubblico… per così dire. -, il tono della sua voce era posato e cordiale.
-Ma… ma tu sei Robert Pattinson!-, esclamò Ellen, -Sei famoso. -
Voltai appena il capo e fissai i loro volti illuminati dalla luce delle fiamme. Robert fece un risolino e passandosi una mano sul capelli bagnati, scosse il capo, chinando appena lo sguardo, prima di ritornare a guardare la ragazza.
-Io sono Robert Pattinson, il ragazzo che girovagava per Londra senza un soldo. Il ragazzo schernito alle medie, il ragazzo che per fortuna ha avuto la parte in un film per interpretare il personaggio di un libro che le ragazze amano. Io sono ciò che siete voi. -, disse sorridendo e nei suoi occhi non vi era altro che… sincerità Quelle parole mi diedero alla testa e mi lasciarono confusa e interdetta. Io Laira, non la ragazza dai lavori saltuari. Lui Robert… non una star. Lui che parlava con fare dolce e tranquillo alle fan. Ma con tutte di comportava così? Che fosse un caso isolato? Mi diedi della stupida per aver pensato ciò. La bocca mente, ma gli occhi mai, riflesso incondizionato del cuore.
Ed i ricordi si fecero avanti, crudeli…

 
-Non credi possa bastare?- , mi voltai verso Derek, corrugando la fronte, confusa.
-Scusa?-, chiesi. Lui mi fissava, impassibile, sul marciapiede che costeggiava il parco. L’aria fresca gli accarezzava piano i capelli color del rame.
-Siamo appena usciti dal ristorante. Non credi sia meglio evitare di mangiare anche un gelato. -
Era uno scherzo. Si, era uno scherzo. Feci un risolino e scossi il capo.
-Carina, davvero. -, disse dirigendomi verso un la gelateria alle nostre spalle.
-Non stavo scherzando. -, disse, irritato, -Ero serio. -
Mi voltai e sgrani gli occhi, -Davvero?-
Lui annuì col capo ed incrociò le braccia al petto. Lo fissai sconcertata, -Ma… perché?-. Non capivo, cercai di rifletterci su, ma… nulla, nulla tornava.
-Fai come ti pare, Laira. Non dare a colpa a me se perdi la linea. -, disse alzando un sopracciglio.
Risi, appena, istericamente. Non era possibile. Lui, il mio Derek, non poteva averlo detto. Non poteva avermi detto una cosa del genere. Non lui, non il ragazzo che per qualche strana ragione, amava me e solo me.
-Derek!-, esclamai sconcertata avvicinandomi a lui.
-Ho fatto solo un’osservazione, amore. -, disse con tono dolce e pacato. Quel caro tono che solo mesi dopo mi resi conto fosse ingannatore. Quel caro tono ingannatore, precursore di una vita fatta di bugie.
Lo guardai con espressione dura, e quasi ferita.
-Non ci credo… -, dissi più a me stessa che a lui, scuotendo il capo e chinandolo appena. Derek si mosse sul posto nervoso, passandosi una mano sul viso.
-Mi ritieni un bugiardo, Laira?-, chiese avvicinandosi per prendermi il mento fra l’indice ed il pollice e costringermi a guardarlo negli occhi. Anche se non volevo, mi persi in quel mare nero.
-No. -
-Dai va a prendere il gelato. -
Scossi il capo, -Non mi va più. Mi hai fatto passare la voglia. -, dissi a pochi centimetri dalle sue labbra.
-Okay. -, poi a spezzare quel momento fu una voce di ragazza.
-Derek Smith!-, disse. Ci voltammo e tre ragazze si diressero verso di noi. Lui sbuffò e io mi allontanai.
-Non ci credo!-, disse un’altra ragazza.
-Maledette. -, sibilò accanto a me.
Gli tirai una gomitata, -Derek!-, lo ripresi sotto voce. Lui si voltò verso le ragazze, fece un sorriso sgargiante, ed io che lo conoscevo bene, terribilmente finto.
-Amiamo lo sponsor per quella linea di jeans!-, disse una.
-E la serie televisiva… è… waw. -
-Si, è… waw. -, ripeté una terza.
Derek si passò una mano fra i capelli e prese a parlare con le tre ragazze. Per quindici minuti parlarono di come i jeans gli stavano magnificamente indosso, mentre io, a due metri di distanza attendevo. Era sempre così. Lui parlava con le fan, prima le malediva, poi le amava, poi le malediva quando irritata non gli parlavo. Potevo fingere che fossi felice di rimanere in disparte mentre lui parlava con le “fan”? No, direi di no.
“Ma, amore, cerca di capire.”, diceva tutte la volte.
“Sono la tua ragazza, potresti rendermi partecipe.”, rispondevo. Poi lui sviava il discorso e nemmeno me ne rendevo conto.
Passarono altre dieci minuti. Sentendomi esclusa, mi allontanai sedendomi su una panchina.
Derek non se ne accorse.

 
-Laira, tutto okay?-, liberandomi dalla fitta di rete di pensieri nella quale era caduta, guardai Robert, accanto a me. Gli occhi ardenti e preoccupati. Spostai lo sguardo e vidi le due ragazze accanto a me.
Si, lui non era come… Derek.

 

*

Salve gente, ho davvero poco tempo. Vorrei ringraziarvi a modo, ma ho mezzo libro di storia da ripetere per domani ç_ç
Perciò ringrazio Sognatrice_85, doddola93, mathi, Nessie93, lazzari, A l y s s a, con la promessa di rifarmi la prossima volta. Grazie ragazza, grazi di cuore.


A voi, Panda.


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Capitolo 16
*** Capitolo15 ***


 

 

 






 

CAPITOLO 15

 

L’amore è un fumo che nasce dalla nebbia dei sospiri;
se purificato, è un fuoco, che guizza negli occhi degli amanti
se agitato, è un mare che si nutre delle loro lacrime…
ma che altro può essere?
pazzia discreta, soffocante amarezza e dolcezza che alla fine ti salva.
William Shakespeare, 1564-1616, drammaturgo e poeta inglese.

 

 
Tremavo. Tremavo, scossa da violenti brividi. Faceva freddo. Avevo tanto freddo.
Mi rannicchiai, ancor di più in posizione fetale, e mi strinsi le ginocchia al petto.
Sentivo la sabbia sotto di me, morbida e fresca. Mi avvolsi ancor di più nella coperta.
Era in uno stato di dormiveglia, nonostante il freddo non avevo voglia di aprire gli occhi.
Il fuoco che poche ore prima mi dava calore si era spento. Accanto a me, però, d’un tratto sentii un’altra e diversa fonte di calore. Un corpo. Un corpo caldo.
Sentii della braccia circondarmi l’addome, rannicchiarsi contro la mia schiena ed affondare il viso fra i miei capelli.
Conoscevo quella stretta, leggera e delicata, di colui che si era addormentato accanto a me.
Aprii gli occhi di scatto ed osservai quelle mani. Le riconobbi.
Erano le sue.
Sentii il calore all’improvviso invadermi, riscaldarmi le membra per giungere piano al cuore. Quel piccolo muscolo che prese a battere troppo velocemente per essere controllato, rimbombava nel mio petto, con il rumore di mille uragani.
Aprii di scatto gli occhi. Avevo utilizzato le mia braccia come cuscino. Sospirai, cercando di regolarizzare il battito del mio cuore. Non ci riuscii.
Alzai il capo. Il braccio mi si era addormentato.
-Ahia!-, esclamai in silenzio quando lo sollevai in aria e mi cadde sul viso, colpendomi sul naso. Avevo totalmente perso la sensibilità e mi formicolava, causandomi quasi dolore.
Le mani che mi circondavano l’addome si allontanarono e Robert, accanto a me sobbalzò. Mi voltai e lo vidi poggiato sul gomiti, una mano a ripararsi gli occhi dalla luce diurna. Lo sguardo confuso e stralunato. Il suo corpo era dannatamente vicino a mio, tanto che potevo sentire l’odore della sua pelle.
-Cosa..?-, chiese confuso, poi, un istante dopo, capì. –Oh, perdonami. -, si scusò allontanandosi.
-Non ti scusare, non devi. -, dissi prima di mordermi la lingua.
Stupida!, mi ammonii.
Lui mi guardo, quasi con affetto, e sorrise. Un angolo della sua bocca si sollevò timido verso l’alto.
-Buon giorno. -, dissi.
-Buon giorno. -, rispose lui, poi con lo sguardo osservo quel che rimaneva del fuoco e le persone, stretta fra loro, dormivano, beati e sfiniti.
Sbadigliò e nel vederlo, sbadiglia anche io, di rimando.
Si stiracchio le braccia, portandosele sopra la testa, -Che ora sarà?-, chiese con voce ancora impastata dal sonno.
Alzai gli occhi al cielo, -Credo le cinque. Non c’è ancora il sole. -
-Waw, la dormita più lunga di tutta la mia vita. Un’ora. -, disse corrugando la fronte e annuendo pensieroso.
Mi lasciai andare ad un risolino, prima di scuotere il capo,  -Che scemo. -
Volsi lo sguardo all’oceano grigio. Le onde lente si infrangevano, sulla battigia, ed il loro rumore era come una dolce ninnananna in quel luogo dove spirava vento freddo.
Mi strinsi le ginocchia al petto, mentre il vento si infiltrava fra i capelli pieni di salsedine, aridi e secchi. Al tatto sembravano paglia.
-Direi che è meglio tornare. Sati tremando. -, disse accarezzando una ciocca di fieno.
Annuii col capo. Ci alzammo e ci allontanammo da ciò che rimaneva del legno bruciato, estraendo dalla sabbia le nostre scarpe. Scorgemmo la figura di Sharon in riva al mare, perciò ci avvicinammo per salutarla.
-E’ stato un piacere conoscervi, ragazzi. -, disse abbracciandoci entrambi. Sorrisi, intenerita.
-Il piacere è stato nostro, Sharon. -, sussurrò Robert al mio fianco.
-Statemi bene. -, disse portandosi una ciocca di capelli lisci dietro un orecchio.
-Anche tu. -, rispondemmo in coro.
Salutammo con la mano quella stramba ragazza dalle pelle ambrata e ci allontanammo.
-E ricorda, Laira… senza pensieri!-, urlò.
Alzai il pollice in aria.
-Sarà fatto!-, risposi alzando la voce di alcune ottave per farmi sentire. Poi mi voltai e vidi Robert sorridermi. I nostri piedi affondavano nella sabbia fredda e morbida, sottile e chiara, rabbrividii appena quando una folata di vento filtrò nella felpa, carezzandomi la schiena.
-Cosa c’è?-, chiesi dandogli una leggera spallata, -Sto vivendo. –

 
Con la sabbia nelle scarpe, nella maglia, nei jeans, fra i capelli, salimmo la scale della veranda, in unta di piedi, soffocando risate. Risate senza senso, venute così, dal cuore, senza un reale motivo. Forse dettate solamente dalla felicità.
Lì, accerchiarti dagli alberi, non facevo freddo come sulla spiaggia.
Cercai la chiave nella tasca dei jeans e la inserii nella toppa, mentre Robert si sfregava le mani, cercando di riscaldarsele.
Entrammo nella locanda e sentii il torpore avvolgermi.
-Waw. -, sospirai chiudendo gli e rilassando i muscoli, per poi poggiarmi alla porta.
-Cosa c’è?-, chiese. Aprii gli occhi e lo vidi, sorridere. Un ammaliatore sorriso sghembo.
-Calore. -, dissi portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ed avevo la sensazione che gli occhi mi brillassero. Che fosse vero, non potevo saperlo.
-Ci vorrebbe qualcosa di caldo. -, ponderò, prendendosi un mento fra indice e pollice.
-Cioccolata calda!-, dissi istintivamente, parole che non riuscii a frenare, che sgorgarono dalla mia bocca. Il tono con cui lo dissi sembrava quello di un bambino che copre dove la mamma ha nascosto i biscotti con le gocce di cioccolato.
Ma che ti prende? Perché non riesci a tenere la bocca chiusa?, mi chiesi.
Ma… i suoi occhi si accesero di una strana luce.
-Perfetto!-, esultò.
Sorrisi e scossi il capo, -Dai, andiamo. -, dissi afferrandolo per mano e dirigendomi a passo felpato verso la cucina. Con sole tre parole che mi ronzavano in testa: cioccolata calda e… Robert.

 
-Guarda come pian paino diventa densa. -, sentii la sua voce alle mie spalle, il suo viso che sbirciava dietro essa, ed il suo respiro mi spostava delicatamente i capelli.
Sorrisi, flebilmente col cuore che galoppava frenetico, -Già… cos’è il richiamo del cioccolato?-
Rise, una risata roca e bassa, si allontanò da ma poggiandosi al piano della cucina mentre giravo la cioccolata nel piccolo pentolino.
-Fra un’oretta dovrebbe alzarsi Andrew. -, dissi senza guardarlo in volto.
-Di già?-, chiese, sorpreso.
Annuii col capo, -Ed io con lui. -
-Sul serio?-, chiese allarmato. Mi voltai a guardarlo incuriosita dal suo tono di voce.
Annuii ancora col capo, poi lui abbassò lo sguardo, -Mi dispiace. -, mormorò.
Inclinai il capo verso destra e lo scrutai, -Perché?-
-Avresti dovuto riposare. -, disse mettendosi dritto e passandosi una mano sul viso.
Sbattei le palpebre qualche volta, prima di perdermi in una calma e lenta risata.
-Perché ridi?-, chiese corrugando la fronte.
Scossi il capo,-Se non avessi voluto venire, avrei detto di no sin dall’inizio, Robert. -, dissi con fare dolce.  Fui sorpresa dal mio tono di voce, quasi… spiazzata da me stessa.
Cosa ti succede Laira?
I suoi occhi fissarono i miei, disarmandomi e come una sera di settimane prima, quando i suoi occhi si rivelarono ai miei per la prima volta, mi sentii… nuda, come se ancora una volta vedesse cosa ero realmente, la vera Laira, come se cercasse di capire i miei intimi segreti, pensieri… la mia anima nuda davanti a sé.
Risi con leggera isteria e scossi ancora il capo. Le poche ore di sonno iniziavano a farsi sentire, e quando non dormivo la lingua mi si scioglieva come burro, e dalle mie labbra uscivano parole che mai e poi mai avrei pensato di dire. Rabbrividii. Questo cambio repentino di emozioni e sensazioni mi diede alla testa. Ed ebbi paura che Robert potesse leggere tutto ciò nella scatola dei miei occhi.
-Non ti penti di… nulla?-, chiese, e sembrò un bambino, incredulo, intimorito dal giudizio della mamma.
Scossi il capo, -Ed ora, Pattinson, perdonami, ma la mano mi sta andando a fuoco. Potresti continuare a girare mentre prendo delle tazze?-, chiesi tornando a guardare la cioccolata.
-Oh, si, perdonami. -, disse sorridendo, tanto che gli occhi gli si illuminarono.
Prese il mio posto, mentre mi avvicinavo al pensile contenente delle tazze, ne afferrai due, color del mare e mi avvicinai al piano della cucina. Versai quel liquido denso e marrone nelle tazze.
Del fumo caldo si alzava in spirali nell’aria, profumando l’ambiente.
-Mi sa che qualcuno, qui, ha un serio problema con il cioccolato. -, ridacchiò lui, quando mi avvicinai, ad occhi chiusi, ad inebriarmi del dolce profumo della crema nel bicchiere.
Aprii gli occhi e gli feci la linguaccia, prima di affondare il cucchiaino nella tazza, -E mi sa che non sono la sola. -, dissi indicandolo con un gesto del capo. Aveva portato la tazza alla labbra affondandoci il naso.
Sorrise e fece spallucce, -E’ lui il tentatore. -
Scossi il capo facendo un risolino, -Si, certo, certo. -
Bevemmo la nostra cioccolata calda fra sorrisi e sguardi, di quelli che ti entrano nel cuore, per non uscirvi più.


Indugiai sulla porta della mia camera, dondolando sui piedi, fissandomi le scarpe impolverate.
-Allora… allora buona notte. -, mormorai alzando gli occhi sui suoi.
Anche lui, indugiava, dondolando sui piedi. Rise.
-Buona notte, Laira. O meglio, ci si vede fra qualche ora. -
Ridacchiai ed annuii col capo, -Sono stata bene. -, risposi sincera.
-Anche io. -, mormorò.
-Suppongo tu debba preparare la valigia. -, disse giocherellando con la chiave.
Arricciò le labbra ed annuii, -Si torna. -
-Alla fine… è servito, non credi? È stato, piuttosto rilassante… staccare dalla città, intendo. -, e non mi riferivo solo a quello. In quei pochi giorni avevo scoperto un mondo affascinante, un modo lontano dal mio, ma allo stesso così maledettamente vicino. Il suo mondo, la sua anima. Avevo semplicemente scoperto… Robert.
-Si, è stato… interessante, molto. -, disse incatenando i miei occhi ai suoi, l’intensità del suo sguardo mi scosse, come se volesse comunicarmi qualcosa senza usare le parole.
Fremetti e sperai non se ne accorgesse.
-Forse è meglio andare. -, disse quando il desiderio di sfiorare la sua pelle divenne sempre più irrefrenabile. Incrocia le braccia al petto, involontariamente.
Annuì col capo, -A più tardi, Laira. -, poi con estrema lentezza si avvicinò al mio viso e le sue labbra baciarono con delicatezza la mia guancia, che prese fuoco sotto quel tocco.
-Ri-buona notte. -, ridacchiò.
-Ri-buona notte. -, risposi con un sorriso.
Entrai in camera col cuore che batteva troppo velocemente per essere controllato.

 


*
Ed eccomi qui, gente! Sono un po’ euforica oggi… i Muse mi aspettano ed io sono… oooooh *_*
Okay, la smetto, scusate. Ma sono così eccitata che non faccio altro che ripeterlo!
Con mio grande ed immenso dispiacere, nemmeno questa volta posso ringraziare a modo chi ha recensito lo scorso capitolo. Oggi ho una festa e domani il compito di matematica ç_ç  e devo ancora organizzare delle cosa per la partenza di domani. Un'ultima cosa... grazie di cuore, Ely.
Perciò ringrazio di cuore delle persone speciali: Xx_scrittrice_xX, mathi, Nessie93, lazzari, Sognatrice85, A l y s s a.

 Con immenso affetto,
la vostra
     Panda.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


 

 

 

CAPITOLO 16

 

Se vuoi qualcosa nella vita,
allunga la mano e prendila.
Christopher McCandless, Into the wild.

 

 

Ero in uno stato di dormiveglia. Persa nel mio mondo personale, volavo con i conigli.
Non avevo idea di dove fossi, perché la spalla ed il collo mi facessero male. Sapevo solo che non volevo riprendere conoscenza. Cercai di riaddormentarmi, ma, nella semi-incoscienza, sentii qualcuno mormorare il nome. Era una voce familiare e mi concentrai su essa, riaffiorando piano dal mondo sei sogni.
«Laira?», invocò ancora. Andrew.
Contro la mia volontà, costretta, aprii gli occhi. Sbattei le palpebre quando i miei deboli occhi furono colpiti dalla forte luce del sole, fastidiosa ed irritante.
Gemetti, coprendomi il viso con le mani.
«Cosa c’è?», chiesi con voce impastata dal sonno.
«Perdonami la domanda, ma… a che ora sei rientrata?», chiese con ironia nella foce. Lo sentii soffocare una risata.
Fu lì che capii dove mi ero addormentata e, quindi, perché la spalla ed il collo mi dolevano. Mi trovavo, rannicchiata, sulla poltrona nell’angolo della stanza, illuminata direttamente da un raggio di sole.
Mi guardai intorno, confusa, massaggiandomi la parte di collo dolente con una smorfia.
«Ero le sei quando mi sono addormentata… credo», risposi poggiando i gomiti sulle ginocchia a reggendomi la testa con le mani.
«Wow».
Alzai lo sguardo su Andrew che, ad occhi sgranati, mi guardava.
«Ti prego Andrew dimmi che sono le tre del pomeriggio e che dalla finestra posso vedere il sole».
Rise. «Purtroppo, cara Laira, dalla tua finestra puoi vedere il sole splendere sulla campagna… poiché sono le sette del mattino».
Dilatai gli occhi sorpresa, alzando di scatto la testa. «Vuoi dire che ho dormito solo un’ora?». La mia voce risultò un suono acuto e strozzato.
Lui sorrise con fare dolce e si sedette sul bordo del letto.
«Laira, Laira… non si fanno le ore piccole. Soprattutto se lui è Robert Pattinson».
Alzai un sopracciglio e, dolorante, mi diressi verso il bagno.
«Ehi, voglio i dettagli!», disse seguendomi. Sbadigliai e mi voltai, poggiandomi allo stipite della porta.
«Non ci sono dettagli, Andrew. Non è successo nulla… non è come pensi tu», mormorai guardandomi negli occhi.
«Non ci credo», disse con voce bassa e grave.
Sospirai, passandomi una mano fra i capelli arruffati e ancora pieni di salsedine. Il mio cuore sorrise al ricordo della sera prima.
«Dopo una doccia», mormorai alzando gli occhi al cielo.
«Ci conto», disse, ma la sua voce fu attutita dalla porta che sbattei con delicatezza. «Maleducata!», aggiunse sbattendo il pugno sul legno bianco.
Sogghignai prima di aprire l’acqua della doccia e perdermi nei ricordi.

 

Scesi la scale trascinandomi per i gradini, assonnata. Sbadigliai e quasi inciampai nei miei stessi piedi. Per miracolo, rimasi in piedi. Quella repentina ed improvvisa perdita di equilibrio mi aveva risvegliata dal sogno ad occhi aperti in cui ero momentaneamente caduta.
Mi strofinai gli occhi e mentre mi dirigevo verso la cugina sbattei contro lo spigolo del muro nella sala da pranzo, persi ancora l’equilibrio prima di andare a sbattere contro soffice muro caldo.
Alzai lo sguardo, perplessa e mi resi conto che quello non era un muro.
«Ehi», rise afferrandomi per le spalle mentre scivolavo all’indietro.
«Scusami!», mi affrettai a dire rossa in volto. «Non ti ho visto», mormorai chinando appena il capo.
«E’ inutile, Laira, io sono il tuo salvatore per eccellenza», disse Kellan sfoderando un sorrido a trentadue denti.
«Direi di si». Ridacchiai.
«Non hai dormito, eh?», chiese una voce chiara alle mi spalle. Mi voltai e vidi Kristen, sorridermi, con lo sguardo di chi la sapeva lunga. Mi strizzò un occhio, mentre la mani di Kellan scivolavano dalla mie spalle.
Avvampai ancor di più di rossore.
«Non hai una bella cera», disse poi in un sorriso Kellan.
«Ehm, si… ecco… ».
«Robert», sospirò Kristen. Mi voltai di scatto verso di lei, non sapendo cosa dire, colta con la mani nel sacco, presa in fallo.
«Dove?», chiese Kellan guardandosi in giro, corrugando la fronte, prima di perdersi in un risolino.
«Sull’albero», rispose Kristen scuotendo il capo, ridacchiando.
Kellan scioccò la lingua. «Ciao!», fece lui aiutandosi con la mano.
Lo guardai, sconcertata.
«Vi state prendendo gioco di me? Non è divertente e giusto, sapete? Collego poco o niente, la mia mente è rimasta sulla poltrona della mia camera», dissi cercando di assumere un tono grave.
«Kellan, non prenderti gioco di Laira!».
«Kristen non prenderti gioco di Laira!». Entrambi si fulminarono con lo sguardo, prima di ridacchiare. Si entrambi mi prendevano in giro, era chiaro. Ma la cosa che mi lasciò interdetta era la complicità, fra i due. Era chiaramente un’allusione alla sera prima. Sicuramente sapevano che ero stata con Robert.
Ma Kellan… mi ero persa un tassello del puzzle?
«Okay», dissi rossa in volto. «Ricevuto. Approfittate del mio status mentale per divertirvi».
La bocca di Kellan si aprì in un sorriso e mi cinse la spalle con un braccio, attirandomi a sé. «Vedi, Laira… questo sia chiama semplicemente insano divertimento».
Scossi il capo, sorridendo. «Sadico».
Lui soffocò una risata, lasciandomi poi andare.
Per un attimo, che mi parve interminabile, calò il silenzio rotto soltanto dai respiri. Poi, Kristen sospirò.
«Beh, credo metterò qualcosa sotto i denti. Hai già fatto colazione, Laira», chiese Kristen inclinando leggermente il capo.
Scossi il capo.
«Ti spiace se mi unisco a te per la colazione?», chiese con un sorriso sul volto sottile.
La guardai, perplessa e confusa. «No… ehm, nessuno problema», balbettai. Poi mi voltai Kellan. «Vieni anche tu?».
Il ragazzo guardò prima me, rivolse una fugace occhiata a Kristen, che lo guardava con espressione indecifrabile, prima di ritornare a fissare il mio viso. «Credo andrò a svegliare gli altri. Cam mi uccide se non lo sveglio per la colazione», ridacchiò.
«Okay», fece spallucce Kristen.
«Okay», ripetei, perplessa.
«A dopo!», disse lui prima di allontanarsi quasi a passo di corsa. I suoi passi risuonarono nella stanza.
Cominciammo a dirigerci verso la cucina, «Ehm… vuoi che ti porti il tutto in sala da pranzo?», chiesi massaggiandomi distrattamente la nuca.
Kristen, alzò un sopracciglio. «Fare colazione da soli è orrendo», disse come se avessi appena commesso un’eresia.
«Oh», soffiai confusa. «Allora… ».
«Tu fai colazione in cucina?», chiese lei passandosi una mano fra i capelli. Annuii col capo. «Bene, », disse, «verrò con te. Se non è un disturbo».
Scossi il capo. «No, no», farfugliai dirigendomi in cucina, dove Andrew tostava delle sottili fette di pane.
«Dio, signorina Jones, è più lenta di un bradipo!», esclamò senza voltarsi quando sentii la porta aprirsi, impegnato a maneggiare l’occorrente per l’imminente colazione degli ospiti.
«Buon giorno anche a te, Andrew», dissi sbadigliando.
«‘Giorno!», esclamò Kristen, sorridendo. Andrew si voltò di scatto, sorpreso dalla voce della ragazza.
«Signorina Stewart. Qual buon vento la porta qui?», chiese pulendosi la mani son una salvietta.
«La brezza mattutina che ha inebriato il mio senso olfattivo del buon profumo di caffè».
«Vuole che apparecchi in sala da pranzo, dolce pulzella?».
«Oh, no, si figuri prode cavaliere, credo mangerò con voi, qui, se non è un problema. Sono rimasta confinata dalla stanza più remota della torre più alta di questo castello per ben otto ore, mi farebbe tanto piacere della compagnia». Annuì sedendosi ad una sedia colo del mare, del piccolo tavolo in cucina.
Andrew sorrise. «Ed il cavaliere venuto dal paese di molto molto lontano?».
Lei sospiro, affranta. «Si è addormentato sul suo nobile destriero. Pare che anche i suoi amici, quel branco di fannulloni cavalieri dal petto largo, si siano addormentati. Credo siano tutti vittime di un incantesimo della strega Birra».
«Non si disperi, ci siamo qui noi», disse sorridendo, uno dei mille sorrisi di Andrew, quelli sinceri, quelli che ti rasserenano come non mai, quelli che gli illuminavano i grandi occhi chiari.
Kristen rise, rise di gusto, mentre si portava una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Ehi, nobile destriero, prendi una tazza per la nostra giovane ospite!», esclamò afferrando dalla dispensa della marmellata.
Lo fissai, alzando un sopracciglio. «Nobile destriero?»
Andrew sospirò. «Raggio di sole, per favore, potresti essere così gentile da prendere una tazza per la nostra giovane ospite?», chiese con un sorriso innocente sul viso. Sentii Kristen soffocare delle risate.
Feci spallucce. «Okay».


Sistemammo, con l’aiuto di Kristen, che cercava il più possibile di rendersi utile,  la colazione sul piccolo tavolo in cucina.
Mi versai nella tazza rossa del latte, mescolandolo poi a del caffè e addentai una fetta di pane imburrata.
«Non so come tu faccia a farle venire così buone, Andrew», dissi masticando e ingoiando un grosso boccone.
«Non si parla a bocca piena, Laira», mi canzonò Andrew con tono grave, facendo ridere Kristen.
Mi portai una mano alla bocca, ingoiando. «Scusa», dissi sorridendo imbarazzata.
«Na», fece Kristen scrollando le spalle, bevendo un sorso di caffè, «Siete forti», aggiunse poi guardandoci.
Corrugai la fronte, voltandomi verso Andrew che guardava Kristen perplesso.
«C’è… alchimia fra di voi. Insomma, suppongo vi conosciate da tempo, perciò… ».
«Oh beh,», esordì Andrew sorridente, «la conosco da quando ero un piccolo scricciolo con i brufoli… ».
«Ehi!», lo interruppi, «Non ho mai avuto brufoli!».
Lui fece segno con la mano per zittirmi. «Dicevo… conosco quest’esserino da quando era una bambina… ».
«Lo eri anche tu, Andrew», lo interruppi ancora.
«La smetti?», sbottò Andrew incrociando le braccia a le petto e fulminandomi con lo sguardo.
Roteai gli occhi, sbuffando e, poggiandomi allo schienale della sedia, gli feci segno di continuare. Kristen rise sommessamente.
«Dicevo,», Andrew mi guardò e se uno sguardo avrebbe potuto incenerire, il suo lo avrebbe fatto, «ho conosciuto Laira quando eravamo piccol», continuò guardando Kristen, «e siamo praticamente cresciuti insieme. Lei è… il mio nobile destriero», disse teatralmente commosso.
Roteai gli occhi, sorridendo. «Si, si, prode cavaliere».
Kristen rise, scuotendo il capo e portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Aprì bocca per parlare ma qualcuno busso piano alla porta.
Alzammo tutti e tre lo sguardo mentre la porta si apriva. Quando fu svelato il viso dell’intruso il mio cuore prese irrazionalmente a galoppare. Era una reazione stupida, purtroppo, o forse no, non dettata dalla ragione. Mi sentivo un’adolescente, eppure non potevo far rallentare i battiti del mio cuore, o eliminare il senso di nausea che all’improvviso mi strinse lo stomaco in una morsa.
«Si può?», chiese a voce bassa, guardando il viso di Andrew, di Kristen… indugiando alla fine sul mio. Deglutii rumorosamente, e Andrew se n’è accorse. Si voltò a guardarmi con espressione indecifrabile. Annuii col capo e Robert entrò.
Avevo gli occhi lucidi e lo sguardo assonnato. Mi sorpresi di vederlo lì. Non avrebbe dovuto essere a letto?
Robert si sedette ad una sedia libera del tavolo, poggiando un gomito sul piano e tenendosi la fronte. Sbadigliò.
«Mi spieghi perché sei qui se hai visibilmente sonno?», chiese Kristen corrugando la fronte, guardandolo.
Lui alzò il capo, guardandola e sorrise, fissando le venature del legno del tavolo. «Qualcuno mi ha buttato giù da letto dicendomi che si vive una volta sola nella vita». Sorrise, più a se stesso che a noi, poi il suo sguardo incrociò fugacemente il mio.
Si vive una volta sola… lo so, Robert… lo so.
Il mio cuore incespicò, prima di riprendere a galoppare, furiosamente.

 

*

Ed eccomi qui, dopo quasi un mese… fortunatamente la mia mente sembra essere dal periodo di carestia… comunque, chiedo umilmente scusa per l’enorme ritardo, ma, come ho detto, non è un periodo semplice questo.
Perciò, ora, dovendo studiare cinque o sei pagine di letteratura inglese e ripetere tutto Foscolo e Leopardi, con tanto di versi, per un compito in classe, non ho modo di ringraziare a modo e a dovere chi ha recensito lo scorso capitolo.
Un grazie speciale va a:Sognatrice85, Xx_scrittrice_xX, mathi, doddola93, Nessie93, lazzari.
Grazie di cuore ragazze… grazie, grazie davvero.

A voi, Panda.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


La canzone utilizzata è Big Girl (You are beautiful) . Non era voluta, non era previsto nemmeno quel pezzo. Ma nella playlist è partita quella canzone e ho avuto un lampo di ispirazione mentre scrivevo. Se via, potete leggerlo ascoltandola.

 

 


 

 

 

CAPITOLO 17


In ogni istante della nostra vita
abbiamo un piede nella favola
e l’altro nell’abisso.
Paulo Coelho, poeta e scrittore brasiliano.

 

«Ma certo, Laira che puoi lavare tu i piatti!» disse Andrew circondandomi le spalle con un braccio, mentre riponevo nel lavabo le tazze sporche. Accigliata, mi voltai a guardarlo.
«Cosa?» chiesi con voce stridula. «Oggi tocca a te, Andrew! A me tocca il pavimento!» esclamai lasciando le tazze per dargli un leggero spintone.
Andrew roteò gli occhi. «Okay, okay. Li farò io.»
«Bene.» dissi lavandomi le mani e prendendo una scopa. Dopo la colazione Kristen e Robert uscirono dalla stanza, indugiando sulla soglia per salutarci. Con mio grande dispiacere dovetti salutare Robert, che non avrei visto per la maggior parte del giorno, non solo perché ero sommersa dal lavoro, ma anche perché avevano in programma una specie di gita.
Cosa sarebbe accaduto andati via? Non lo avrei più rivisto? Tramavo al solo pensiero e odiavo me stessa per quell’odiosa reazione. Qualcosa stava cambiando, lentamente senza che potessi accorgermene, come lava vulcanica distruggeva tutto ciò che incontrava ed io non potevo far nulla per evitare che il mio animo ed il mio cuore venissero scossi. Potevo solo lasciarmi trasportare dai respiri accelerati del mio torace, o dal battito incessante del mio cuore.
Cominciai a spazzare il pavimento, sovrappensiero, mentre Andrew ripuliva le tazze. Non mi accorsi del suo sguardo ed ignara continuavo a pulire… passando la scopa sempre sullo stesso punto.
«Mi spieghi cosa stai facendo, per favore?» chiese Andrew, facendomi sobbalzare. Mi voltai a guardarlo. Aveva un sopracciglio inarcato e mi scrutava come venissi da un altro pianeta… fatto magari da un cielo rosa e alberi blu.
«Sto pulendo.» risposi confusa guardandomi intorno.
Andrew sbatté più volte le palpebre. «Spero tu sia consapevole del fatto che stai spazzando sempre lo stesso punto. Qualcosa mi dice che hai la testa altrove, oggi. Più degli altri giorni.»
Mi portai una mano su un fianco. «Mio caro Andrew.» esordii senza saper bene cosa dire, «Sono conscia che sto pulendo ripetutamente lo stesso punto. Ma ciò non vuol dire che io abbia la testa altrove. E’ solo che voglio che tutto sia pulito.» annuii alle mie stesse parole.
Andrew mi guardò scettico. «Cercando di consumare il pavimento?» chiese.
«Nah… no, certo che no.» risposi enfatizzando una mano.
«Certo, certo. Tanto so che pensi a Robert.»
«Sssh!» lo ammonii, «vuoi che ti sentano?» chiesi dandogli una botta su una coscia con il manico della scopa
«Ahi! Mi hai fatto male!» disse massaggiandosi la parte colpita. Poi la sua fronte, contratta per il dolore, si distese. «Ah! Quindi lo ammetti che stavi pensando a lui!» disse puntandomi un dito contro.
Ridussi gli occhi a due fessure e lo colpi ancora con il legno. Andrew sobbalzò. «Laira!» esclamò con decisione, mentre mi fulminava con lo sguardo e si massaggiava la coscia.
Mi strinsi nelle spalle mi portai una mano davanti la bocca. «Ops. Scusami, non ti avevo visto.»
«Tu sei pazza.» sospirò lui scuotendo il capo.
Feci spallucce. «Anche tu.» dissi prima di avvicinarmi e baciarli una guancia, mentre gli carezzavo un braccio affettuosamente.
«Comunque pensavi a lui.»
Sospirai e chiusi gli occhi, poggiandomi al piano della cucina. «Okay, okay.»
«Ti piace, eh?»
«Andrew…» mugugnai in una smorfia.
«D’accordo, non parliamone» disse baciandomi la testa e facendomi mettere diritta. «Però devi finire il lavoro». Rise.
«Certo… cavaliere.»
«Bene, lavora mio nobile destriero». E risi, inevitabilmente, con lui.


Dopo aver spazzato il pavimento e ripulito il piano del tavolo, mi sedetti su una sedia, esausta.
«Abbiamo finito?» chiesi reggendomi la testa con la mano.
Andrew si voltò di scatto, corrugando la fronte. «Scherzi, vero? Non abbiamo nemmeno cominciato. Sono passati poco più di dieci minuti!»
Mi accigliai. «Solo? Cavolo sembrava molto di più! Sai, se avessi dormito più magari…»
«Ehi, paghi le conseguenze delle tue notti brave. E comunque fra un’oretta dovrebbero arrivare i rinforzi, tranquilla.»
Roteai gli occhi. «Certo, certo.» sospirai. Mi guardi distrattamente intorno e notai una radio poggiata su un ripiano di una  credenza. «E quella?» chiesi indicandola con un cenno del capo.
«E’ una radio.» rispose ovvio Andrew.
«Ma non mi dire.» dissi scuotendo il capo. «Funziona?» continuai alzandomi per dirigervi verso il mobile.
«Certo!» rispose Andrew. Mi alzai in punta di piedi e maneggiai la radio metallizzata. L’accessi sintonizzandola su una stazione che riceveva con maggior chiarezza. Energiche note inondarono la stanza.

Walks in to the room
Feels like a big balloon
I said, ‘Hey girls you are beautiful’

Presi a muovere la testa ritmicamente, ancheggiando e facendo volare in aria l’enorme massa di capelli che mi ricopriva la testa. Saltellando mi diressi verso Andrew che mi guardava accigliato.
«Cosa stai facendo, Laira?» chiese con voce strozzata.
«Mi diverto, non vedi?» risposi volteggiando su me stessa.
«A cosa è dovuta tutta questa ilarità?»
Sapevo bene la risposta. C’è chi dice  che “le persone fanno sempre cose pazze quando sono innamorate”. Ero consapevole che a legarmi a lui non era amore, ma era inutile ignorare il battito accelerato del mio cuore quando mi era vicino e l’elettricità che sprizzavo da ogni poro. Ma, davanti a Andrew, mi limitai fare spallucce.
Mi diressi verso la porta afferrando un paio di grembiuli da cucina che erano appesi dietro essa.

Get yourself to the Butterfly Lounge
Find yourself a big lady
Big boy come on around
And they’ll be calling you baby

Saltellando mi diressi verso Andrew che mi guardava confuso. «Ma cosa… oddio, no! Quelli no! Ci sono delle mucche!» esclamò Andrew scuotendo il capo.
Feci un risolino egli lanciai un grembiule. «Dobbiamo preparare la colazione, Andrew. Un po’ di sano divertimento e sana fantasia non ti uccidono.» dissi legandomi i laccetti dietro la schiena.
Andrew continuava a fissarmi, come arrivassi da un altro pianeta.
Sospirai e mi avvicinai a lui, poggiando le mani sul suo petto, alzando la gamba sinistra all’indietro, e battendo ripetutamente la palpebre con fare civettuolo. «Dai, Andrew…»
Titubante Andrew non sapeva cosa fare. Rimase a guardarmi combattuto con se stesso, indeciso sul da farsi, poi sospirò. Con una mano gli solleticai il fianco e lui scattò ridendo, prima che io riprendessi a saltellare tenendogli una mano.
«Oh, al diavolo!» esclamò prendendo a muovere il bacino insieme a me. Gli allacciai il grembiule e mi diressi verso il frigo per prendere il latte. Al centro della stanza Andrew ballava con la scopa, quando mi voltai e lo vidi, lì al centro, sgambettare ed ancheggiare, scoppiai a ridere.
«Sono bravo, eh?» chiese strizzandomi un occhio.
«Il più bravo ballerino esistente sulla faccia della terra.»
«Dimentichi Marte.»
«E Venere.» aggiunsi in un risolino, mentre ancheggiando Andrew si avvicinava. Mi prese per mano e cominciammo ad ancheggiare e saltellando insieme al centro della cucina. E nella mia mente si materializzò l’immagine di due panda con tutù rosa che danzano su un lago di ghiaccio.

Walks in to the room
Feels like a big balloon
I said, ‘Hey girls you are beautiful’
Diet coke and a pizza please
Diet coke I’m on my knees

Andrew afferrò una ciotola e mi porse delle uova che ruppi versandole al suo interno. Le prese a mescolare, ancheggiando avanti ed indietro, mentre io aprivo il pacco del bacon che avevo precedentemente poggiato sul banco della cucina.
«Vai così, ragazza!» esclamò Andrew quando salii su una sedia.
Risi di gusto, mentre lui mescolava la uova ed io lanciavo le fette di bacon nel tegame sui fornelli.
Fu lì che, mentre ancheggiavamo come donne di mezza età durante la festa del ringraziamento, la porta si apri.
«Oh mio Dio!» esclamò una voce dietro di noi. Mi bloccai all’istante, sgranando gli occhi, rimanendo con braccio a mezz’aria mentre lanciavo una fetta di pancetta nel tegame. Con la coda dell’occhio vidi Andrew pietrificato, rigido sul porto, con il peso tutto poggiato su una gamba ed il sedere in fuori.
Mi volta lentamente e quasi persi l’equilibrio, rischiando di cacare dalla sedia. Per mia grande fortuna riuscii a rimanere in piedi.
«Ciao, Kellan.» dissi, e la mia voce risultò un suono acuto e strozzato.
«Ciao.» mormorò lui scioccato. Rimansi qualche istante immobile, esattamente come Andrew, prima di schiarirmi la voce e scendere dalla sedia, poggiando la pancetta sul tavolo e sistemando la maglia.
«Stavamo… facendo ginnastica mattutina.» dissi con tono grave, cercando di trattenere le risate. Mi voltai verso Andrew ancora nella stessa posizione. Tossii.
Lui scosse il capo, come riprendendosi dal momento catatonico in cui sembrava essere caduto. «Oh. Scusa. Ehm… si… ginnastica.» annuì.
Poi Kellan guardò i nostri grembiuli. «Oh, si senza dubbio. Tenuta sportiva?» chiese indicandoli.
«Certo. Sono molto… comodi.» dissi. Per qualche istante rimanemmo a guardarci negli occhi, reprimendo le risate. Alla fine cedetti per prima, scoppiando a ridere seguita dallo stesso Kellan e da Andrew.
«Comunque,» esordì Kellan cercando di prendere fiato, devastato dalle risate, «pranzeremo fuori.»
A quelle parole, mio malgrado, mi irrigidii. Non l’avrei visto. Tale consapevolezza mi colpii in pieno petto, come se mi fosse stata tirata una palla da basket.
Annuii piano col capo. «Okay.»
«Fiù… meno cose da pulire.» ironizzò Andrew forse accortosi della mia reazione.
«Già…» mormorai più a me stessa che ad Andrew.
Magnifico.


Per il resto del pomeriggio mi limitai a svolgere il mio dovere, in religioso silenzio, la mente persa in spazi infiniti. Parlavo, quando ne avevo l’occasione, con Andrew. I miei pensieri, insistenti come un bambino desideroso di biscotti, si muovevano caotici nella scatola della mia mente ed io non potevo fare nulla per fermarli, per dare loro un ordine. Se chiudevo gli occhi vedevo il suo viso, i suoi occhi color del mare, limpidi e cristallini come l’acqua.
Quanto di errato c’era in tutto questo? Quanto di giusto? A cosa mi avrebbe portare il mio… cuore?
Avevo paura, non potevo negarlo. Ma non potevo neanche più negare a me stessa il canto del mio animo, del mio cuore. Non potevo negare ciò che mi legava a lui, oramai, ciò che mi attirava a quella figura snella e alta, il fortissimo senso si appagamento e di serenità che sapeva donarmi anche solo con la sua presenza… col suono della sua voce, con un semp0lice sguardo.
Come potevo non aver paura di tutto questo dopo… Derek…

 
Ero seduta ai piedi di un albero, quando un paio di auto parcheggiarono sul vialetto di ghiaia. Il gruppo di ragazzi che alloggiavano nella locanda scese scherzando e ridendo. Si tiravano spintoni e facevano battute. Il tipico comportamento di ragazzi giovani, un comportamento che avevo al liceo… e che mi mancava. Non avevo avuto molto tempo per dedicarmi a nuove amicizie nell’ultimo anno. I vari lavori mi tenevano occupata e, dopo che Derek mi ebbe abbandonata, il mondo mi appariva vuoto e grigio. In quel momento, finalmente, tenui colori mi circondavano e mille profumi inondarono i miei polmoni. Solo allora, mentre scorgevo il viso di Robert alla luce del lampione, assaporai fino in fondo l’odore d’erba, la salsedine provenire dal mare, di terriccio. Ma, quando affinai lo sguardo, il mio cuore sembrò fermarsi. Il suo braccio circondava le spalle di una ragazza bruna, che ben conoscevo. Ed ebbi paura, ancora. Paura che lei… potesse essere qualcosa di più per lui. Paura di aver perso un’occasione. Paura di essere stata presa in giro. Paura che i miei più intimi timori, quelli negati e nascosti a me stessa, potessero essere veri.
Mi sentii ferita, anche se forse non ne avevo motivo, o diritto.
Sospirai, coprendomi il viso con le mani.
Stupida!
Rimasi immobile, nascosta nell’oscurità per attimi che parvero infiniti, prima che la sua voce chiamasse timidamente il mio nome.
«Laira?» chiese titubante. Alzai di scatto il capo, con occhi sgranati, e lo vidi in piedi, sulla veranda, una sigaretta fra le dita affusolate.
Deglutii rumorosamente. «Si, sono io.» risposi con voce tremante. L’osservai farsi avanti, con passo lento, mentre si portava la sigaretta fra le labbra piene. Illuminato dalla fioca luce della casa, appariva ancora più bello.
Mi parve di notare un sorriso colorargli il viso quando mi fu davanti, sotto gli alberi del grande albero. «Ciao.» mormorò con voce bassa e roca.
«Ciao.» soffiai a corto di voce.
«Stai bene?» chiese. Annuii col capo.
«Uhm… ti spiace se mi siedo con te?» continuò.
Scossi il capo, incapace di emettere alcun suono, ricordando l’immagine di pochi minuti prima. In fondo, potevano essere grandi amici, no? Perché allarmarmi tanto? Paura.
«Mi aspettavo di trovare tutto vuoto. O, almeno, mi aspettavo di non trovare te.» ridacchiò.

Mi voltai corrugando la fronte. «Perché?» chiesi inclinando il capo, con espressione curiosa.
«Beh, qualcosa mi dice che non hai dormito molto la notte scorsa. Sarai stanca.» rispose facendo spallucce.
«Oh… beh, si, ora che mi ci fai pensare, ho un po’ sonno.» dissi sbadigliando.
«Un po’?»
Feci un risolino, poggiando la testa all’albero. «Mi piace stare qui. Non voglio andare in camera.»
«Sei strana.» disse, e sentii la sua mano giocare con una ciocca dei miei capelli. «Ti da fastidio?» chiese.
Scossi il capo. «E’… piacevole.» dissi senza nemmeno accorgermene, persa nel mio mondo personale. Dimenticando chi fossi io, chi fosse lui… Nikki.
Robert rise sommessamente.
«E poi anche tu sei strano.» biascicai.
«Direi di si.» sussurrò e sentii le sue dita sfiorarmi la pelle del collo. Fremetti e lui non sembrò accorgersene.
«Domani, partirete.» mormorai più a me stessa che a lui. Mi morsi la lingua quando mi resi conto delle parole che mi ero fatta sfuggire di bocca.
«Lo so.», la sua voce era bassa e appena udibile. Le sue mani mi sfiorarono ancora il collo e sentii la pelle prendere fuoco.
«E’ stato bello.» dissi con voce tremante.
«Non deve per forza finire, Laira.» sussurrò al mio orecchio con estrema dolcezza, tanto che la sua voce mi parve una carezza.
Aprii gli occhi e mi voltai a guardarlo negli occhi, incatenando i suoi… che sembravano sinceri.
«Nemmeno io.» dissi, mentre un angolo della mia bocca si sollevava verso l’alto.
Lui chinò appena il capo guardando la sigaretta oramai finita. «Ho un paio di biglietti per l’opera. Ti… ti andrebbe di accompagnarmi?» farfugliò.
Feci una smorfia. «Devo indossare un abito da sera?»
Robert si grattò la nuca. «Beh… se non…»
Sorrisi. «Ne sarei felice, Robert.»
Mi sorrise, bello come il sole e mi baciò piano una guancia. «Bene.»
«Dai, andiamo, giovane.» dissi alzandomi e porgendogli una mano. Lui l’afferrò e di mise in piedi. Circondai la sua vita con un braccio e lui posò il suo sulle mie spalle. Insieme ci dirigemmo verso la locanda.
Eppure il mio cuore… tremava per la paura.

 

*

Ringraziamenti.

Mathi: ciao! Chiedo umilmente perdono per il ritardo, ma ho avuto una specie di blocco e non riuscivo ad andare avanti ç_ç comunque, ora sono qui e sto recuperando il tempo perso. Grazie davvero per la recensione! Mi ha fatto tantissimo piacere! Mi piace rappresentare certi… personaggi in momenti normali, comuni a tutti. Sono esattamente come noi. E molte… azioni, per così dire, rappresentano la mia vita di tutti giorni, come in ogni storia c’è sempre un pezzo di autore dentro. Ne sono convinta. Spero ti sia piaciuto questo capitolo. Grazie ancora per la recensione. A presto!
Nessie93: Chiarì! La tua recensione, sappilo, mi ha fatta sciogliere… come sempre, del resto. Bleah, io odio Heidi >.< Coooooomunque, beh, alcune cose devo rimanere oscure al lettore per il momento, si si. L’inciampare è una cosa frequente, per la povera Laira assonnata, a tutti capita quando non dorme abbastanza, no? Mi spiace, ma in questo capitolo niente colazione. Spero comunque che le ultime vicenda siano state di tuo gradimento. Grazie, cara. Grazia davvero. Ti voglio bene.
Sognatrice85: ciao, Marghe! Sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo e spero, soprattutto, ti sia piaciuto anche questo! Grazie mille per la recensione, tesoro. Non sai quanto mi renda contenta sapere che ciò che scrivo è di tuo gradimento! A presto!
KeLsey: ciao, Eri! Ma che onore! L’hai letta! Non hai idea di quanto leggere la tua recensione mi abbia reso felice! Il tuo parere… è il tuo parere e sai bene cosa penso! Grazie, Eri. Grazia davvero di tutto… dal cuore. Ti voglio bene (L)
lazzari: ciao, Lory! Perdonami l’osceno ritardo ma avevo un blocco e non riuscivo a continuare questa fiction! ç_ç Spero che questo capitolo ti sia piaciuto come l’altro. E sono contentissima ti piaccia la mia fiction e ciò che scrivo. Per me è importante. A presto, cara!
Xx_scritttrice_xX: Ely! Se sono qui, ora, è anche merito tuo, lo sai. Non saprò mai come ringraziarti. Eh, si, il tuo Kellan… che è anche qui XD Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, e spero non ti sia dispiaciuto anche questo. TI voglio davvero bene, sciocca. <3


A voi, con immenso affetto,
                                 Panda.


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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


 
 

 

 

CAPITOLO 18

 

I can't hide
I won't go
I won't sleep
I can't breathe
Until you're resting here with me
I won't leave.
Dido, Here With Me.

 

Guardai la mia immagine riflessa, i capelli scuri, lisci, lunghi che mi incorniciavano il viso. Gli occhi del color della notte non lasciavano trasparire nulla, né verità, né menzogne. Nascondevano, quasi gelosamente, ciò che la mia anima provava. Eppure, per me, lì, era fin troppo e chiaro e pensai che forse lo era anche per il resto del mondo, o per Robert. Pensai che i miei occhi, se visti lasciavano trasparire tutto. Oltre il nero, oltre il buio vi ci scorgeva la verità e, da quella stessa verità fui colpita in pieno viso, rimanendo senza fiato.
Paura. Paura di ciò che il futuro mi riservava, di ciò di cui il mio cuore, silenzioso veniva piano a conoscenza.Sobbalzai quando qualcuno bussò con violenza sulla porta di legno scuro della camera.
Infilai lo spazzolino nel beauty. «E’ aperto!» esclamai uscendo la piccolo bagno.
Andrew entrò, richiudendosi la porta alle spalle. Sorrise per poi sedersi sul letto.
«Pronta?» chiese.
Sospirai e mi avvicinai alla finestra. Il sole stava si avvicinava alla linea d’orizzonte, gettando sugli alberi raggi arancioni, caldi e spenti, tingendo il sole di rosa. Poggiai involontariamente le dita sul vetro freddo.
Annuii debolmente col capo.
«Laira…», la voce di Andrew era un lieve sussurro, un mormorio perso nella tempesta. Sentii le sue mani carezzarmi i capelli e baciarmi la testa.
Poggiai la testa sul suo petto marmoreo, sospirando.
«Cosa ti frulla per la testa?» chiese con dolcezza.
«Non lo so, Andrew, è difficile capirlo… anche per me.»
«C’entra Pattinson?» chiese dopo una breve pausa.
«C’entra Robert, c’entra il futuro, c’entra… Derek.» mormorai quasi con voce rotta.
«Il futuro fa paura a tutti, Laira, ma non c’è cosa più bella. Non sapere cosa può accaderti l’indomani. Saper vivere ogni giorno come fosse l’ultimo, godersi ogni minimo istante, arrivare alla fine della giornata, al calar del sole e dire “Ehi, ho vissuto”. Prendere le cose per come ti vengono offerte. Innamorarsi della vita per quella che è. Ti conosco Laira… non aver paura di ciò che sei, perché sei qualcosa di unico, mia rosa di Jericho.», e le sue labbra sfiorarono la mia fronte.
«Mi stai dicendo che sono… secca?»
Lui scosse il capo e rise sommessamente. «Possibile che tu debba trovare del marcio in tutto?»
Misi il muso. «Forse.»
«Ricordi la rosa che ti ho regalato? Chiusa in se stessa, marrone, secca, triste. Senza vita. Ma basta solo bagnarla ed essa si apre rivelando vivido verde. Ed io non sono cieco.»
Corrugai la fronte, confusa. «Non ti seguo.» mormorai.
«Ho visto la luce nei tuoi occhi. Quello spiraglio di speranza mista a vita. Il bagliore verde di quella rosa. Qualcuno ha permesso che tu ti aprissi come quella rosa, Laira. E di certo non sono stato io, di certo non è stato Derek…» mormorò.
Fui travolta dalle sue parole, dall’intensità del suo sguardo, ardente come fiamme.
Aprii la bocca per replicare, ma da essa non vi uscii alcuno suono. La richiusi. E l’aprii, ma , ancora, non vi uscii alcun suono. Andrew fece un risolino e mi baciò nuovamente la fronte.
«Un motivo ci sarà se non ha da proferire parola.» ridacchiò.
Scossi il capo e mi allontanai incrociando le braccia al petto.
«Dai, andiamo a salutarli. Fra poco partiranno.» disse scompigliandomi i capelli
Annuii a malincuore. «Lo rivedrò.» mormorai mentre ci dirigevamo verso la porta.
Andrew si voltò di scatto. All’inizio la sua espressione era indecifrabile, poi un sorriso, quello di chi la sua lunga, colorò il suo viso. «Lo sapevo!» esclamò in un gridolino mentre faceva un giro su stesso.
Alzai un sopracciglio. «Ora credo davvero tu abbia bisogno di un aiuto.» dissi aprendo la porta ed uscendo in corridoio.«Andiamo, Laira. C’era da aspettarselo. Si vede che gli-»
«Sssh!» lo ammonii posandogli una mano sulle labbra.
Lui mosse annoiato le mani in aria e roteò gli occhi, poi prendendomi il polso si liberò dalla mia presa.
«Sei assurda.» sbuffò. «Tanto è risaputo. Oramai l’hanno capito tutti qui.»
«Capito cosa?» chiese una terza voce.
Sgranai gli occhi, accigliandomi. Mi voltai con estrema lentezza verso il ragazzo dai corti capelli nero corvino  e spalle larghe.
«Cosa?» chiesi con voce strozzata.
«Beh, avete detto che “qui”. Presumo io sia compreso.» chiese Taylor sorridendo.
Guardai un attimo Andrew. Negli occhi, il panico.
«Sai che non si origliano le conversazioni altrui, Taylor?» chiese in un risolino Kristen.
«Si… ma… okay, chiedo perdono.» sospirò lui alzando le mani in segno di difesa. Andrew rise ed io gli tirai una gomitata.
Kristen e Taylor indossavano giacche di pelle nera, borse a tracolla e valigie ero accasciate ai loro piedi, poggiate sul pavimento.
Deglutii rumorosamente, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio, a disagio. «Siete tutti pronti?» chiesi.
Kristen si passo una mano fra i capelli, facendo spallucce. «Non saprei… so per certo che Nikki e Robert sono ancora nelle loro camere.»
Udendo quei nomi fremetti. Nessuno sembrò accorgersene.
«Sono sempre i soliti. Quando cominciano a parlare non li ferma più nessuno.» osservò Taylor ridacchiando.
Oh.
«Oh.» riuscii solo a dire. Sentivo lo sguardo attento di Kristen sul mio viso ed Andrew scrutarmi, mentre Taylor mi guardava con un sorriso sulle labbra piene. Così mi mossi sul posto, in soggezione. La tortura che mi stavano infliggendo però cesso quando la testa di Ashley fece capitolo oltre l’angolo delle scale.
«Allora? Pronti? Dov’è Nikki? Non ditemi è ancora a parlare con Rob.» disse. «Oh ciao, Andrew. Ciao, Laira.» disse in un sorriso guardandoci.
Perché Robert e Nikki erano insieme? Di cosa parlavano?
Fu una strana sensazione, la gelosia. Avevo dimenticato il folle desiderio di voler  irrompere fra i due e scotennare la ragazza. Un sentimento che mi scosse e mi lasciò perplessa e confusa. Non potevo provare gelosia, non per lui. Invece, era così. E la ragione era una, ed era custodita gelosamente nel mio cuore… che in quel momento desiderava solo il suo viso, ed i suoi occhi limpidi e cristallini.
«Si, noi siamo pronti.» rispose Kristen, prima di voltarsi verso Taylor. «Ehi, ti spiacerebbe portarmi la valigia di sotto? Vado a chiare Nikki e Robert.»
Il ragazzo rispose annuendo e Kristen, voltandosi, si diresse a passo svelto verso le altre camere.
Dopo aver rivolto un’occhiata inceneritrice ad Andrew, seguimmo Ashley e Taylor al pian terreno.
«Ciao, ragazzi.» disse Andrew alzando una mano in segno di saluto.
«’giorno.» aggiunsi io accennando un sorriso, desolata dalla giornata che mi si prospettava.


«E’ stato bello, ragazzi.» disse Kellan in un largo sorriso.
«Si, è stato bello.» mormorai, poggiandomi con la testa al braccio di Andrew.
«Tranne l’incidente della ginnastica mattutina.» ironizzò Andrew ridendo sommessamente.
Kellan rise e Kristen, accanto a lui, corrugò la fronte. «Questa non l’ho capita. E’ normale?»
Annuii col capo. «Assolutamente si.»
Per un momento il silenzio calò fra noi, e tutti ci voltammo quando sentimmo delle risate provenire dalle scale. Nikki e Robert scesero le scale, scherzando. La prima portava solo la borsa, il secondo due valigie. Mio malgrado, provai un impeto di gelosia. Con la coda dell’occhio notai Kristen rivolgermi una fugace occhiata, prima di tornare a guardare i due. Il mio cuore incespicò quando gli occhi di Robert incontrarono i miei.
«Ciao.» disse senza scostare lo sguardo dal mio viso.
«Ciao.» soffiai, ignorando lo sguardo di Nikki su di me.
«Io sono pronta.» disse allegramente Nikki porgendo la sua valigia a Killan. «La caricheresti in auto?»
Kellan sbuffò. «Okay.», ma prima di uscire dal locale, porse una mano ad Andrew, che la strinse con decisione. Poi si voltò verso me, sorridendo.
«Se mai ti andasse… passa a farmi un saluto, Laira.»
Sorrisi ed annuii col capo e mi sporsi per abbracciarlo. Oltre la sua spalla i miei occhi incontrarono quelli di Robert. Perplessa, notai la sua mascella contratta.
Che provasse anche lui, ciò che provavo io? No, impossibile.
Mi allontanai da Kellan che sparì oltre la porta. Nikki fece un cenno col capo e poi uscii anche lei. Vidi Andrew roteare gli occhi.
«Lasciala stare.» mormorò al mio orecchio, Kristen quando mi strinse a sé. «Grazie di tutto, Laira.»
«Non ho fatto nulla.» risposi.
«Non ha me.» disse allontanandosi e strizzandomi un occhio. Non capii cosa volesse vedere. Il suo sguardo era come se cercasse di suggerirmi qualcosa, di leggere fra le righe. Ma non riuscii a leggere le invisibili parole del suoi occhi. Mi sfiorò il braccio, prima di allontanarsi.
«Mi aiuteresti con questa, Andrew?» chiese lei indicando la valigia. Sbattei più volte le palpebre, confusa. Era riuscita a trascinarla per le scale ed ora non riusciva a portarla fuori?
Kristen strizzò un occhio ad Andrew che sorrise, in modo malizioso, prima di annuire. Mi sentii avvampare di rossore sotto lo sguardo di Robert.
Quando i due furono usciti rimanemmo a guardarci negli occhi, l’uno di fronte all’altra, a qualche metro di distanza.
«Ed eccoci qui.» mormorai annuendo piano e guardando il pavimento di legno.
«Già.» mormorò lui.
«E’ stato divertente.» dissi guardandolo in volto. Lui avanzò di qualche passo, fino ad essermi vicino.
«Si, molto.», ed un sorriso colorò il suo viso. Il silenzio calò nella stanza e nemmeno erano udibili le voci esterne. L’unico rumore udibile era l’incessante martellare del mio cuore e l’affannoso mio respiro. I suoi occhi scrutavano attenti i miei ed io non potevo non ammirare il loro colore verdazzurro. Piano, con estrema lentezza, Robert sollevò un braccio e premette il palmo della sua mano sulla mia guancia, la mia pelle del mio viso all’istante sembrò prendere fuoco, e sperai non se ne accorgesse. Chiusi gli occhi, come per imprimere quella sensazione nella mente, tenerla prigioniera in essa, non farla mai fuggire via. Il suo respiro mi accarezzò la pelle della fronte, prima che vi ci posasse le labbra sopra, poi le sue labbra piano si spostarono lungo il profilo della mia guancia. Fremetti.
«Non dovresti sfiorarmi in questo modo.» soffia priva di voce.
Robert strofinò la tempia sulla mia guancia. «Perché?» mormorò al mio orecchio.
«Per lo stesso motivo…». Fu difficile per me continuare la frase col suo corpo così vicino a me, la pelle del suo viso a contatto con la mia, il suo respiro caldo sul collo. Deglutii rumorosamente, e riaprii gli occhi. «Per lo stesso motivo per cui non capisco perché mi hai invitato me all’opera.»
Fu a quelle parole che Robert si allontanò di scatto da me, per poi fissarmi con sguardo sconcertato.
«Prego?» chiese, e potei cogliere tracce di leggera isteria nella sua voce.
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio, imbarazzata, mentre le gote sembravano andarmi in fiamme. «Si… insomma… perché hai invitato me se…» dissi rendendomi conto che avrei dovuto tacere, ma oramai ero in un punto di non ritorno, avevo aperto la mia boccaccia e dovevo andare fino in fondo al discorso. E poi, vivere nel dubbio non era la cosa più giusta da fare. Non volevo essere presa in giro e, finalmente, ammisi a me stessa, che avrei dovuto affrontare quel discorso sin dall’inizio. Io, dovevo sapere.
«Fra te è… Nikki, c’è qualcosa?» chiesi d’un fiato.
Robert andò appena indietro col capo, sbattendo più volte le palpebre, confuso. «Cosa?», e la sua voce risulto un suono acuto è strozzato.
«Io… ecco…»
Robert scosse violentemente il capo prima di ridere con una traccia di isteria. «Fra me e lei non c’è assolutamente niente! Dio no, no, no… no! Laira, davvero, siamo solo amici. Ma come ti salta in mente una cosa del genere. Non sono quel genere di ragazzo! Se fossi stato… attratto da lei, non ti avrei nemmeno sfiorata.» disse tutto d’un fiato.
«Oh.» mormorai grattandomi la nuca e cominciando a dondolare da un piede all’altro, pervasa dall’imbarazzo. «Mi… mi dispiace. E’ solo che mi sembrava che fra voi ci fosse qualcosa.»
Robert per alcuni attimi, che mi parvero interminabili, rimase in silenzio. L’espressione seria, i suoi occhi incatenati ad i miei. Poi accennò un sorriso. «Devo dire che è piuttosto folle.»
«Ehi, io non ho nulla di normale, stando a ciò che dice la gente.»
«Credo di doverti dare ragione.» ridacchio. Spalancai la bocca e gli diedi un leggero spintone. Ridemmo insieme.
A disturbare quel momento fu il clacson di un’auto.
«Credo cerchino me.» disse Robert voltandosi verso la finestra, osservando le vetture.
«Si, lo credo anch’io.» sospirai.
Lo accompagnai alla porta e, una volta usciti fuori, l’osservai caricare la valigia in auto, bello come il sole.
Si voltò un’ultima volta a guardarmi e mi salutò con la mano. Non potei fermare l’ondata di nostalgia che mi colpì come le onde del mare.
I miei occhi indugiavano nei suoi, mentre tutti mi salutavano con le mani ed Andrew tornava sulla veranda, accanto a me.
Mio malgrado, lo guardai salire in auto e non potei ignorare il canto del mio cuore che invocava ripetutamente il suo nome.

 

*


Ringraziamenti.

lazzari: ciao, Lory! Cavolo, sono felice ti sia piaciuto il capitolo! Spero che ora avrai cambiato idea su… tutta la faccenda di Nikki. Spero di non averti delusa con questo capitolo. Grazie mille per la recensione! E’ sempre un piacere, per me, sapere cosa ne pensi. A presto!
Nessie93: ciao, Chiarì! Che piacere leggere la tua recensione *-*  Sono contenta ti sia piaciuta la parte della cucina, avevo paura che risultasse ridicola e scritta male. Eh si, usciranno insieme… un appuntamento… il secondo, più o meno. Sono felice ti sia piaciuta la parte finale e spero non ti sia dispiaciuto questo capitolo! A presto, cara. Grazie di cuore, davvero. <3
Sognatrice85: ciao, Merghe! Dio, non hai idea di quanto mi faccia piacere leggere la tua recensione. Ci tengo davvero molto a sapere cosa ne pensi! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo! A presto, cara! Grazie davvero, grazie mille!
KeLsey: ciao, Eri! Si *-* Mika! Sono contenta ti sia piaciuto il pezzo della cucina, sul serio! Il tuo parere per me conta molto, piccola prodigio (i motivi te li ho già esposti). Spero ti sia piaciuto questo capitolo! (L)
Xx_scrittrice_xX: mia adorata, ciao! Davvero hai provato ciò che ha provato lei? Non sai quanto sia importanti le tue parole per me! *-* Spero di non averti delusa con questo, e se l’ho fatto, ti prego dimmelo. A presto, tesoro. <3

A voi, un bacio,
                   
Panda.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


 

 

CAPITOLO 19

 

Se avessi il cielo e le stelle,
e il mondo con le sue ricchezze infinite,
chiederei di più;
ma contento sarei del più infimo cantuccio
di questa terra se avessi lei.
Rabindranath Tagore, scrittore indiano, 1861-1941.

 

Il sole del tramonto gettava luce arancione sulla strada deserta. Era giunto il momento di ritornare a New York,  nel mio appartamento al quarto piano. Nella mia mente si susseguivano le dolci e divertenti immagini del weekend, del viso di Robert, delle sue labbra così vicine alla mie, lì, nell’acqua fredda della notte, del suo dolce e rassicurante sorriso, dei suoi occhi limpidi. Nella mia testa ancora vi tuonava il suono della sua voce, a tratti calda e bassa, a tratti squillante e dannatamente simpatica. Ed intanto il mio cuore batteva, palpitava veloce senza poter essere controllato. Oramai era impossibile negare l’evidenza.
Mi ero innamorata di Robert Pattinson. E mio malgrado, al ricordo della mia vita prima di lui, dovetti ammetterlo. Lui non sembrava come… Derek. Ma potevo sbagliarmi, accecata dall’infatuazione, come nei primi giorni d’amore con Derek. Avevo paura. Avevo paura di soffrire ancora, paura di aprire la porte del mio cuore, farci entrare dentro qualcuno di sconosciuto. Ma non potevo ignorare la vampata di vita, di gioia, di allegria, di spensieratezza che Robert aveva introdotto nella mia vita. E di certo non potevo ignorare ciò che il mio cuore cantava. La vita mi aveva offerto Robert e,  con estrema razionalità – lo so, forse è sciocco da dire – dovevo stare attenta ad assaporarne ogni suo lato, ogni sfaccettatura del suo animo, che sentivo,  in quel momento, così dannatamente vicino al mio. Lasciarsi andare totalmente al mio cuore, era sbagliato. Ogni volta ne rimani ferito, segnato. Ed io non volevo ripassarci.
«A cosa pensi?» mi domandò Andrew.
Non risposi subito. Rimassi a fissare per un attimo gli alberi susseguirsi velocemente fuori dal finestrino.
«Robert.» continuò Andrew.
«Non è una domanda.» mormorai, fissando ancora fuori dal finestrino.
«Lo so.»
Sospirai. «Ho paura, Andrew.»
«Laira, sai che Derek non mi è mai piaciuto. Sapevi cosa pensavo di lui sin dall’inizio, ma non hai mai voluto ascoltarmi. Perciò ora stammi bene a sentire. Robert – per quanto posso contare – sembra diverso. Insomma, quando ti guarda… c’è qualcosa in più nel suo sguardo, nei suoi occhi vi è qualcosa di genuino. E non ti è saltato addosso –a quanto ne so – come aveva fatto Derek. Ti ha baciata al secondo appuntamento, ricordi?»
«Si, ricordo. Ma è pur sempre del suo stesso mondo.. così diverso dal mio…»
«E’ esattamente come te e me. Tu hai mille lavori saltuari, lui uno fisso che implica l’essere conosciuto da molti. E allora? Non tutti sono come Derek, Laira.»
«Il tempo saprà dircelo.» mormorai.
«Si, direi di si. Mi piace.»
«Perché?»
«Perché vorrà dire che lo rivedrai ancora. Per molto, spero.»
Scossi il capo e sospirai. «Sai qual’é la cosa più strana, Andrew?» chiesi voltandomi a guardarlo.
«Quale?» rispose rivolgendomi una fugace occhiata.
«E’ un concetto che piace anche a me.»
«Immaginavo.»
«Mi ha detto che non c’è nulla fra loro, che se fosse stato così, non mi avrebbe mai sfiorata.» dissi fissando la strada, oltre il parabrezza.
«Che ti avevo detto io? E poi non è bravo a nascondere il ragazzo. E’ palesemente attratto da te. Secondo me lo è stato sin dall’inizio, alla premiere.»
«Ma sta zitto, Andrew.» sbottai.
«Secondo me ha lasciato l’orologio di proposito. Dai Laira, ti ha cercata! Vorrà pur dire qualcosa, ammettilo!»
«Ammettilo!»
«Mai!» . Sapevo che in fondo qualcosa significava, se mi aveva anche invitata ad uscire, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo ad Andrew.
«Okay. Ciò comunque vuol dire che ne sei consapevole. Mi basta… per il momento.» rispose rivolgendomi una fugace ed inceneritrice occhiata.
Sospirai e roteai gli occhi. «Okay, okay, genio.» mormorai prima di ritornare ad guardare fuori dal finestrino ed accendere la radio.

 

La serratura scattò e trascinai la mia valigia oltre la porta del mio appartamento. La lasciai all’entrata e mi diressi in soggiorno. Accesa la luce mi guardai un momento intorno e sospirai. Sembravano essere passate settimane dall’ultima volte che ero stata lì, invece che un pugno di giorni. Posai le chiavi sul tavolino davanti al divano e mi diressi in cucina per un bicchiere d’acqua.
Avevo urgentemente bisogno di una doccia, così svutata la valigia sul letto lascia che l’acqua calda della doccia mi rilassasse i muscoli. Poi il telefono squillò.
Sbuffai e chiusi l’acqua, per voi avvolgermi il corpo con un asciugamano. «Dannazione.» sibilai mentre uscivo dal box lasciando schizzi d’acqua ovunque.
Il telefono intanto continuava imperterrito a suonare. Imprecai quando, arrivata al mobile sul quale era poggiato il  telefono, scivolai. Riuscii per grazia divina a tenermi in piedi, mentre cercavo di afferrare il telefono. I capelli mi gocciolavano e il pavimento era freddo a contatto con i miei piedi nudi. Ebbi un brivido.
«Pronto?» chiesi col fiatone, mentre ancora mi reggevo al mobile.
«Ehm… ciao.»
Non riconoscere quella voce, oramai era impossibile. Risuonava nella mi testa da ore e non v’era modo di debellarla.
«Ciao.» dissi, ed il mio cuore accelerò i suoi battiti, mentre lo stomaco cominciava ad annodarsi.
«Disturbo?»chiese incerto.
Cercai  di darmi un contegno, di rallentare il battito accelerato del mio cuore, mentre mi dirigevo in bagno, per avvolgere i capelli in una salvietta. «No, no.» risposi portandomi i capelli su una spalla.
«Bene.»
«Hai chiamato per dirmi qualcosa?» chiesi afferrando una salvietta.
Robert non rispose subito. Per alcuni secondi udii solo silenzio, tanto che pensai fosse caduta la linea. Aprii la bocca per chiamare il suo nome, ma sentii un sospiro.
«No, in realtà no.» rispose. Sbattei più volte le palpebre confusa.
«Per quanto ora possa risultarti folle, sentivo il bisogno di chiamarti.» ammise.
«Oh. Oh.» sussurrai fissando un punto indefinito del pavimento bianco.
«Okay. Dio che imbarazzo. Allora, senti io… ci sentiamo.» farfugliò.
«No!» esclamai nel terrore di poter più sentire la sua voce.
«No?» ripeté lui confuso.
«Sono contenta tu l’abbia fatto, Rob.» dissi con l’ombra di un sorriso sul viso.
«Beh, questo cambia tutto.»
«Sì, direi di sì.» risposi in un risolini avvolgendomi i capelli in una salvietta. «Bene. Quindi cosa fa la star più gettonata del momento?»
«A parte parlare con la ragazza più singolare della città?»
Sorrisi. «Esatto.»
Parlammo per più di un’ora al telefono. Seduta sul divano ridevo e scherzavo con Robert. Fu meravigliosa la sensazione di tranquillità che provavo nel parlare con lui, anche di sciocchezze, come il tipo di caramelle che preferivo da bambina. Venni a conoscenze di un sacco di aneddoti della sua infanzia londinese, e lui dei miei. Poi, mentre ero stesa sul divano, le gambe sullo schienale e la testa che penzolava dal cuscino, facendomi vedere tutto sottosopra dissi: «Sai di cosa avrei voglia ora?»
«Cosa?»
«Una birra fresca. Dovrei averne in frigo. Tu ne hai una?» chiesi cercando di alzarmi dal divano, con grande insuccesso. Con un tono, poco sordo, caddi sul tappeto.
«Cosa succede?» chiese allarmato.
Grugnendomi mi massaggia il bacino dolorante. «Nulla. Sono caduta dal divano. Le acrobazie non fanno per me.» risposi mettendomi in piedi e dirigendomi zoppicante verso la cucina.
«Allora? Ce l’hai una birra?» chiesi aprendo il frigo.
«Si.»
«Bene. Ti offro la tua birra.»
Robert rise. «Sul serio?»
«Certo!» risposi prendendo la bottiglia di vetro e cercando il cavatappi.
«Ma che pensiero gentile.»
«Sì, lo so. Sono una di buon cuore, cosa credi.» dissi in un risolino.
«Okay, penso si possa fare.»
Aprii la birra, reggendo il telefono con la spalla. «Pronto?»
«Un secondo.» rispose e sentii rumori di sottofondo. «Fatto.»
«A te.» mormorai abbozzando un sorriso.
«A te.»
Sospirai, sorridendo. «A noi.», e bevvi un sorso di birra portandomi la bottiglia alle labbra.
«Colore preferito?» chiese dopo un breve attimo di silenzio.
«Dici davvero?» risposi corrugando la fronte. Con l’aiuto di un braccio e saltando agilmente, mi sedetti sul piano della cucina, facendo dondolare le gambe.
«Certo.»
«Il blu. Il tuo?»
«Se fosse il blu, cosa diresti?» chiese in un risolino.
«Risponderei semplicemente: fico!»
Rise, prima di sospirare. In sottofondo sentii il suono del citofono. «Un attimo.»
Corrugai la fronte, cercando interpretare i suoni che giungevano lontani al telefono… insomma, cercavo di ascoltare ciò che diceva al citofono.
Si? Oh sei tu… cosa c’è?... vuoi salire? Diamine, tempismo perfetto!... passa più tardi… no…, okay!
Sapevo cosa mi avrebbe detto una volta portato il telefono all’orecchio. Il mio stomaco si strinse in un attacco di nostalgia al pensiero di non poter udire ancora la sua voce, parlare con lui di cose futili o importanti.
«Devo andare.» sbuffò. «Mi dispiace, enormemente.»
«Oh, tranquillo. Ci vediamo.»
«Domani.»
«Domani?» chiesi strabuzzando gli occhi.
«A meno che tu non abbia intenzione di declinare il mio invito.»
«Oh, è vero! Perdonami!» mi affrettai a dire.
Robert rise. «Passo a prenderti alle otto.»
«Perfetto.»
«Buona notte, Laira.»
«Buona notte, Robert». Chiusi la conversazione con il cuore che batteva troppo velocemente per essere controllato ed una strana sensazione… eccitazione, allegria… no… felicità.

 

La mattina del giorno seguente portai a spasso dei cani e, dopo averli riaccompagnati dai rispettivi padroni, mi diressi a casa di Andrew. Era da tutta la mattina che i miei pensieri ruotavano intorno ad un’unica parola: vestito. Mentre camminavo per Central Park, mi resi conto che non avevo un abito da sera adatto all’occasione. Okay, non era del tutto vero, ma in quel momento la mia mente era annebbiata dalla paura di non essere adeguata al posto o di non essere all’altezza. Avevo bisogno di un amico, il mio unico amico. Avevi bisogno di Andrew.
Pervasa dal panico e consapevole che sette ore dopo Robert sarebbe passato a prendermi a casa ed io sarei dovuta andare all’Opera, pigiai il pulsante del citofono dell’appartamento di Andrew. Pigiai insistentemente.
«Chi è?» esclamò scortese Andrew.
«Ehi, tu, abbassa i toni.» ribattei corrugando la fronte e puntando un dito contro il citofono. Ritrassi la mano immediatamente quando mi accorsi che un passante mi fissava con espressione impaurita.
«La prossima volta con meno insistenza.»
«Aprimi.» ordinai agitandomi sul posto.
«Chiederlo con gentilezza?»
«Maledizione, Andrew, aprimi! Sono in piena crisi emotiva!» gridai sbattendo i piedi.
«Okay.» rispose serio Andrew, prima di aprirmi il grande portone di ferro e vetro. Salii li scalini due a due e quando arrivai al secondo piano trovai Andrew ad aspettarmi sulla soglia della porta, con aria stralunata e confusa.
«Quale momento di follia mi sono perso?» chiese spostandosi per farmi entrare. Avanzai dentro casa, dirigendomi prima in cucina, poi in soggiorno, poi di nuovo in cucina, con Andrew che sembrava essere la mia ombra.
«Hai finito?» sbottò con un tono di acidità.
Sospirai e allargando la braccia mi lasciai cadere sul materasso, una volta entrata in camera da letto. Andrew si sedette accanto a me, inclinando appena il capo. Stesa sul letto lo guardai desiderosa di aiuto.
«Non ho niente di adatto per stasera.» mi lamentai portandomi le mani sulla fronte.
Andrew sbatté ripetutamente la palpebre. «Devi andare a teatro.»
«No! All’Opera! E’ diverso!» mugugnai passandomi poi le mani sul viso.
«Forse un po’.»
Gemetti. «Non ci vado.» dissi scattando a sedere.
«Coma non ci vai?» chiese Andrew poggiandomi una mano sulla spalla.
«Non ho nulla da mettere. Non ci vado. Chiamo Robert.» dissi mentre cercavo di alzarmi, ma Andrew mi tenne ferma per le spalle e mi costrinse a guardarlo negli occhi.
«Non dire scemenze. Tu ci andrai. Hai quel magnifico abito rosso, o quello dorato, Laira. E’ perfetto! O quello arancione.»
Sbattei le palpebre più volte, fissando un punto indefinito del pavimento. «Oh. È vero». Effettivamente aveva ragione. Come avevo fatto a non ricordarmene?
La risposta era una e molto semplice, ma ero troppo orgogliosa per ammetterlo a me stessa.
«Hai paura». Persino ad Andrew era chiaro.
Sospirai. Che senso aveva continuare a fingere?
«Sì.»
«Perché ti piace.»
Attesi qualche istante prima di rispondere. «Sì.»
«Perché te ne stai innamorando.» aggiunse Andrew con fare dolce. La sua voce risultò una debole carezza.
Mio malgrado, ammisi la verità. Unica, semplice, terrificante. «Sì.»

 

*

Ringraziamenti.

Sognatrice85: ciao, Marghe! Che piacere leggere una tua recensione! *-* Anche a me non costa tanto scrivere i saluti… so cosa succederà nei prossimi capitoli :P Sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo, sul serio! E spero sia stato di tu gradimento anche questo. A presto!
mathi: ciao! *-*  Grazie mille per la recensione! Beh, le cose
presto o tardi arrivano. Spero ti sia piaciuto questo capitolo, anche se quasi di… “transizione”. Grazie, davvero. A presto!
lazzari: ciao, Lory! Allora, riguardo Nikki non posso esprimermi, no, no. Però… sono felice ti sia piaciuto il capitolo! E spero di non averti delusa con questo. Ti posso solo dire di non preoccuparti XD A presto, cara. E grazie davvero di cuore per la recensione.
Nessie93: ciao, Chiarì! (oramai ti chiamerò sempre così) Allora, ovviamente la tua recensione mi ha fatto un piacere immenso, come sempre del resto. Beh, Andrew è Andrew, è il suo migliore amico di sempre e vuole solo il suo bene. Sono contenta il capitolo, le emozioni descritte e il modo in cui sono state descritte, ti è piaciuto… sai cosa penso al riguardo. Ti ringrazio di cuore, sul serio. Ora, spero ti sia piaciuto questo capitolo. A presto, cara!
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Ti ringrazio particolarmente per la pazienza e la bellissima immagine! Che farei senza te? E grazie per la recensione, riceverle è sempre un vero piacere! E chi non vorrebbe essere salutata così dal caro Robert? XD Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, davvero! E spero sia stato di tuo gradimento anche questo! A presto!
Ello: ciao! *-* okay, inutile dire che, quando ho letto al tua recensione, ho preso a dondolare con un sorriso ebete stampato in faccia. Ad ogni modo, sono contentissima che ti piaccia! Sono felice di aver riportato, involontariamente, il Robert che immagini, e sono felice che ti piaccia il mio modo di scrivere. Ci tengo ad ogni storia, ad ogni personaggio. Per me è davvero importa. Ricevere la tua recensioni mi ha fatto davvero un immenso piacere! Grazie, grazie di cuore.

A voi, un bacio,
                    
Panda.

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


 

 

 

 

CAPITOLO 20



L’unica cosa che conta è che tu sei qui…
… e questa notte sarà dannatamente bella
mentre mi stringi a te fragile come argilla.
Emma Marrone, Meravigliosa.

 

Osservai la immagine riflessa nello specchio, sopra il lavandino. Osservai le spalle nude, il busto fasciato dall’abito rosso i capelli raccolti in una coda, le palpebre velate dal trucco.
Sospirai, tremante.
Entro pochi minuti sarebbe arrivato, ed io non ero ancora pronta, nonostante avessi passato un intero pomeriggio che stavo per uscire con Robert. Da quando non uscivo con un ragazzo? Forse troppo. Dopo Derek declinai qualsiasi tipo di invito.
Ed invece, ora, mi trovavo non solo ad uscire con un ragazzo, ma con un ragazzo che aveva in comune con lui un lavoro che per tanto avevo odiato e detestato. Ne ero spaventata, ma se non fossi uscita con lui, se non avessi dato retta al mio cuore sapevo che me ne sarei pentita. Perciò mi rassegnai all’idea e sospirando mi diressi in camera da letto.
Indossai un paio di orecchini e mi infilai le alte scarpe nere, mi sedetti poi sul letto. Poggiai il mento sul palmo della mano.
Sì, dovevo vivere con tranquillità la mia giovinezza, non v’era dubbio, così scattando in piedi e sistemandomi il vestito, mi diressi in cucina per un bicchiere d’acqua.
Non sapevo dove tutto ciò mi avrebbe portato, ma volevo scoprirlo. Mio malgrado, era ansiosa di scoprirlo.
Quando mi portai il bicchiere alla labbra, il citofono suonò. Mi voltai di scatto. Come pietrificata, osservai l’apparecchio accanto alla porta. Sospirai e, dopo aver posato il bicchiere nel lavabo, mi diressi verso la porta.
«Si?»
«Laira, sono Robert.» esclamò lui.
«Oh… sì, scendo.»
«No, aspetta, posso salire un momento? Dovrei mostrarti una cosa.»
Corrugai la fronte. «Certo.» risposi. Aprii la porta ed attesi che salisse… a piedi. Mentre lo sentivo salire le scale di corsa avverti un odioso senso di nausea attanagliarmi lo stomaco e il cuore galoppare. Quando comparve, esso perse un battito. Bello da mozzare il fiato egli si rivelò a me come vedessi il sole per la prima volta. Il suo viso sembrò riscaldarmi il cuore e il suo sorriso sorpreso abbracciarmi il cuore. In abito da cerimonia era forse la cosa più bella che avessi mai visto, accecata forse da un sentimento che avrebbe potuto tramutarsi in qual cosa che andava al di là del semplice affetto.
Strabuzzò gli occhi, senza proferire parola.
«Ciao.» dissi con voce tremante. «Tutto okay?» chiesi inclinando il capo verso destra.
«Sei… bellissima.» mormorò accigliato.
«Oh. Ehm… grazie.» dissi poggiando la mano sinistra sulla spalla destra. Il viso di Robert si colorò di un tenero sorriso.
«Vieni entra.» dissi entrando in casa e dirigendomi in soggiorno. Sentii la porta chiudersi e Robert avanzare.
«Cosa volevi mostrarmi?» chiesi voltandomi e incrociando le braccia al petto.
«Sì. Ecco.» mormorò Robert frugando nella tasca interna della giacca. Estrasse una foglio spiegazzato e me lo porse sorridendo.
«Cos’è?» chiesi corrugando la fronte, mentre aprivo il foglio.
«Da tempo avevo intenzione di… rivoluzionare i muri di casa. Volevo dipingerlo in camera.» disse passandosi una mano fra i capelli. Osservai l’albero disegnato con accuratezza sul foglio.
«L’hai fatto tu?» chiesi.
«Sì, ma… mi piacerebbe se mi aiutassi, Laira. Non devi sentirti costretta. Ho visto l’albero qui dipinto,» disse indicando il muro, «ho provato a lavorarci da solo, ma è venuto… era inguardabile.» concluse.
Ridacchiai. «Okay. Direi che… sì, si può fare.»
«Allora confido nelle tue doti.» disse raggiante. «A te il quando.»
«Questo fine settimana?» chiesi.
«Sarebbe perfetto.», ed un sorriso comparve sul suo viso. Per alcuni istanti rimanemmo a guardarci negli occhi e avrei voluto tanto che il mio cuore non battesse così velocemente.
«Allora… andiamo?» chiese dondolando sui talloni.
Annuii col capo. «Prendo il cappotto.» risposi dirigendomi in camera.
«Se intanto vuoi curiosare in giro, fallo pure.» ridacchiai.
«Sì, credo lo farò!» esclamò. «Sai credo di non aver mai visto l’altra parte del tuo appartamento. Posso?» chiese, e sentii l’eco della sua voce in corridoio.
Aprii l’armadio per prendere il cappotto. «Certo! Sulla destra c’è il bagno.» continuai dirigendomi verso la porta. Mi soffermai sulla soglia, poggiandomi allo stipite, in cappotto sotto braccio. Robert al centro del corridoio osservava i quadri ed i disegni appesi al muro.
«Li hai fatti tu?» chiese indicandoli. Annuii col capo.
«Mi piacciono.» continuò.
«Poi?» chiese alzando le sopracciglia e portandosi le mani dietro la schiena.
«Oh, sì. Lì,» dissi indicando la porta di fronte a me, «c’è il mio “laboratorio”. Qui la mia camera.»  conclusi indicando la stanza con il pollice.
«Laboratorio?» chiese Robert avanzando e sporgendosi verso la porta, curioso.
«Sì, dove tengo tutti i miei lavori. Il materiale.»
Mi avvicinai e i miei polmoni si riempirono del profumo di Robert, così dannatamente vicino a me. Deglutii rumorosamente. «Spalancala.» mormorai. Lui si voltò appena e il suo viso a poche spanne dal mio brillò.
Sorrise. «D’accordo». Così spalancò la porta, entrando nella stanza.
«C’è un po’ di caos.» mormorai mentre avanzavamo nella stanza. Robert si guardo intorno, osservano i quadri appesi, i disegni, le fotografie, gli schizzi, le bozze. La tavola delle tempere, i mille pezzi di carboncino sparsi, il cavalletto… tutto ciò che mi apparteneva e tutto ciò che faceva parte di me, di Laira Jones.
«Waw.» sussurrò.
Un angolo della mia bocca si sollevò verso l’altro. «E’ il mio mondo. Ogni muro ha un colore diverso, i miei colori preferiti. Giallo, turchese, verde, rosso. Sono un pugno nell’occhio, ma non importa. Nessuno può accedervi. Nemmeno Andrew.» dissi più a me stessa che a lui, con un mezzo sorriso sul viso.
Robert si voltò accigliato. «Sono il primo che entra qui?»
«In teoria. Sei il primo che ha varcato la soglia per più di trenta secondi. Andrew e... il mio ex fidanzato, l’anno solo osservata dalla porta.»
Il suo viso, sui cui vi era dipinta un’espressione imperscrutabile, mi fissò per attimi che mi parvero eterni. Poi avanzò verso di me, con lentezza calcolata, come avesse paura di una mia possibile reazione. Premette con estrema delicatezza il palmo della sua mano sul mio viso e la mia pelle sembrò prendere fuoco.
«Grazie.» mormorò poi al mio orecchio, prima di baciarmi la pelle sotto l’orecchio. Un brivido mi attraverso da capo a piedi e mi venne la pelle d’oca sulla nuca.
«Per cosa?» soffiai a corto di voce.
«Per avermi mostrato questo.» mormorò ancora al mio orecchio. «Per permettermi di guardare chi sei.»
Chiusi gli occhi, quasi ad imprimere nelle mente quel momento. «Ti prego, abbracciami.» mormorai.
Le sue mani piano si posarono sulla mia schiena e mi attirarono a sé, mentre io circondavo il suo addome con le braccia. Mi strinse e cullò a se, senza pensare al tempo che inesorabile passava.
«So che potrebbe sembrarti strano, ma… ti voglio bene, Laira.»
«Oh, Robert… te ne voglio anch’io.»


Mi annodai una grande stola di lana a mo’ di sciarpa e chiusi la serratura di casa, riponendo poi le chiavi in borsa.
«Fatto.» dissi voltandomi verso un Robert sorridente.
«Non hai intenzione di prendere la scatola infernale, vero?» chiese Robert dirigendosi verso le scale.
«Ti riferisci all’ascensore?»
«Si.» annuì.
«No, neanche per sogno. Pensa che l’ha preso solo la mia valigia, quando sono tornata.» ridacchiai.
«Ah sì?» chiese porgendomi il braccio. L’afferrai.
«Sì. Io e la scatola infernale non andiamo molto d’accordo, come ti accennai.»
«Sì, ricordo.»
«Quali sono i programmi per stasera?» chiesi dopo alcuni istanti, mentre scendevamo l’ultima rampa di scale.
«Per prima cosa si va all’opera e poi ti porto a cena.»
«Mi piace come programma, sai? Specialmente la seconda.»
Robert ridacchiò.
«Carina.» dissi voltandomi a guardarlo, mentre mi apriva il grande portone in legno.
«Cosa?» chiese corrugando la fronte.
«La tua risata. Non credo di avertelo mai detto.» risposi in un risolino.
«Grazie. Il tutto è reciproco.», mi sorrise e mi aprii la portiera dall’auto.
«Che galanteria.» dissi prima che richiudesse la portiera.
«Un perfetto ragazzo inglese, non credi?» chiese una volta sedutosi al posto di guida.
«Sì, direi di sì.»
«Cosa andiamo a vedere? Mi sono dimenticata di chiedertelo. Che sciocca.»
Robert fece un risolino e scosse il capo. «Medea
Sgranai gli occhi. «Sul serio?» chiesi con voce stridula.
Lui annuii col capo.
«Oh… grazie! Ho sempre voluto vederla! Non sai quanto mi rendi felice!»
«Davvero?» chiese lui ridendo.
«Sì!» esclamai battendo le mani, come una bambina diretta al luna-park.
«Ne sono lieto. E’ quella che preferisco.» ammise e l’angolo destra della sua bocca si sollevò verso l’alto. Inclinai il cappo e mi voltai appena sul sedile.
«Sei un attore, un pittore, un poeta, amante della lirica. Simpatico, divertente, misterioso, intelligente. C’è altro che dovrei sapere?» chiesi poi appoggiando la tempia al sedile.
Sospirò. «Per quanto mi sforzi di fare al meglio ciò che faccio, Laira, non è mai abbastanza. Mi diletto nel dipingere, nello scrivere, nel comporre, ma non è mai abbastanza. Recitare è il mio lavoro, il resto è solo fatto per piacere personale. Non fraintendermi, amo recitare, ma credo… siano cose differenti dal provare a dipingere o suonare.» disse, e la sua voce era bassa e melodiosa.
Schioccai la lingua. «Ed è un musicista.» sospirai roteando gli occhi.
Rise, per poi tornare subito serio. «Sono serio.» mormorò infine.
Arricciai le labbra, portandomi un dito sulle labbra. «Non lo dubito, ma… mi sa che vediamo cose diverse.»
«Che intendi dire?»
«Ricordo la mostra. E credo di aver spulciato un paio di volte qualche tuo film… so che scrivi, ora so che suono. E ti piace la lirica. Dai, Robert… tutti i ragazzi che mi hanno invitata ad uscire mi hanno portata in discoteca!» ridacchiai. «Ciò che cerco di dirti… è che… insomma… sì, sei un ragazzo fuori dal comune, diverso dal resto, diverso da quelli che ho conosciuto. Può sembrare strano, o folle, ma… mi piace molto.»
Schioccò la lingua. «Uhm.»
«Nonostante tutto… la tua fama… sei un tipo parecchio insicuro.»
«Questa non è una domanda, Laira.» disse.
«Sì, lo so.»
Attesi che rispondesse, ma non lo fece. Tacque, le fusa del motore in sottofondo.
«E tu invece? Credi di passare inosservata come credi?» chiese voltandosi per guardarmi in volto.
Corrugai la fronte.
«Sei un artista, Laira». Aprii la bocca per replicare ma mi zitti subito. «E non provare a contraddirmi. «Dipingi cose meravigliose, imprimi nella carta ciò che conservi nel tuo cuore, ciò che custodisci gelosamente nella tua anima, ne sono certo. Anche con una semplice matita sono sicuro saresti capace di ricreare paesaggi suggestivi e le sette meraviglie del mondo.»
Si fermò ad un semaforo. «E poi,» continuò voltandosi a guardarmi. «Sei bellissima.» mormorò, i suoi occhi fusi ai miei. A quelle parole sentii lo stomaco attorcigliarsi e il cuore fermarsi per un attimo.
«Le mie osservazioni ti hanno dato alla testa… non dirlo perché ti senti in dovere.» soffiai con voce tremante.
Sorrise flebilmente, gli angolo delle labbra perfette rivolti verso l’alto. Mi sfiorò con i polpastrelli una guancia, scorrendo sulla mia pelle, fino alle labbra. «Non lo farei mai.», la sua voce, un sussurrò perso nella tempesta.
Il petto prese a muoversi velocemente, mentre i miei polmoni agognavano ossigeno.
Sì, ne abbi la conferma. Il mio cuore, la mia anima, ora, non desideravano altro che amarlo.
Persi l’uno negli occhi dell’altra, non ci accorgemmo che il semaforo divenne verde.

 

*

Ecco qui. Scusate il tremendo ritardo ma la scuola mi sta veramente assorbendo. Che cosa tragica ed orribile. Vorrei ringraziarvi a modo, ma ho un sacco  i cose da fare oggi e non ho tempo materiale. Colpa del test di matematica! ç_ç
Ad ogni modo, grazia a voi che avete recensito lo scorso capitolo:
Sognatrice85,
lazzari,
Piccola Ketty,
Nessie93,
KeLsey,
mathi,
Xx_scrittrice_xX,
Ello.

Grazie, davvero, grazie di cuore. Nel prossimo capitolo mi impegnerò a rispondere al meglio.


A voi, un bacio,
                     
Panda.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


 

 

 

 

CAPITOLO 21


Tutto il resto è un rumore lontano
una stella che esplode ai confini del cielo…
… la tua vera natura, la giustizia del mondo
che punisce chi ha le ali e non vola…
… voglio stare con te
invecchiare con te
stare soli io e te sulla luna…
… coincidenze, destino…
… l’amore che detta ogni legge…
Jovanotti, Baciami Ancora.



Liberatici dei cappotti, ci dirigemmo all’interno del grande teatro tappezzato di stoffe rosse   e lunghi pannelli in legno scuro. Con la grande stola a coprirmi le spalle nude, mi chiesi se non avessi esagerato, ma guardandomi intorno e vedendo l’eleganza delle signore di mezza’età, mi resi conto che forse avrei potuto fare di meglio.
Fremetti quando Robert poggiò la mano sulla parte lombare della mia schiena. «Da questa parte.» mormorò al mio orecchio, conducendomi verso sinistra, una volta entrati nel grande teatro.
«Dove siamo?» chiesi.
«Parte centrale. Ottimi posti.» disse facendo scivolare la mano, fino a che non fu più in contatto con la mia schiena.
«Fico!» sussurrai eccitata. Robert rise. Rossa in volto, mi passai una mano sul collo. «Magnifico.» aggiunsi. «Credo mi faccia risultare più… elegante.» ridacchiai.
«Lo sei comunque.» rispose senza guardarmi, prima di farmi un cenno con la testa ed avanzare fra le poltrone di velluto rosso.
Sentivo la pelle del viso accaldata, come se stesse per prendere fuco. Posai una mano su una guancia… e scottava. Se ci avessi posato sopra della cera, si sarebbe potuta sciogliere. Feci un respiro profondo e Robert si voltò a guardarmi.
«Qui.» disse sedendosi  e indicandomi la poltrona rossa alla sua sinistra. Sorrisi e mi sedette. Guardandomi intorno mi accorsi che eravamo quasi al centro della grande struttura e non potei fare a meno di sentirmi dannatamente piccola.
«Bello, vero?» disse.
«Bello è riduttivo.» sussurrai osservando l’alto soffitto in legno, prima di tornare a guardarlo.
«Forse.» rispose e i suoi occhi lampeggiarono di una strana luce. Disarmata dall’incredibile sua bellezza, faticai a trovare la concentrazione adatta per parlare e deglutii rumorosamente sentendomi la bocca dello stomaco stringersi.
«Ehm… devi farmi sentire…» farfuglia, poi scossi il capo, come per riprendermi. «Vorrei sentirti suonare.» balbettai con un minimo di concentrazione in più.
Un sorriso sghembo comparve sul suo viso. «Sarei felicissimo di farlo per te. Soprattutto dopo la tua grande disponibilità per… il muro.» disse raggiante.
Scossi il capo sorridente. «Lo faccio con enorme piacere, non devi sentirti in debito con me.» dissi prima di tornare a guardarlo.
Annuì col capo. «Lo so.» mormorò.
Ridacchiai. «Sei strano, Pattinson.», e mi persi nuovamente nel verdazzurro dei suoi occhi.
Rise. «Sei strana, Jones.» mormorò lui prima che la stanza fosse gettata nel buio.

Le meravigliose voci dei cantanti si diffondevano nella grande stanza. Le luci illuminavano il palco, i drappeggi rossi e dorati.
Era esattamente come l’avevo immaginato, sin da bambina. Un teatro di quelle dimensioni, quel prestigio non era mai stato alla mia portata e ringraziai in cuor mio Robert, lui che silenzioso era giunto nella mia vita, scombussolandola, agitando mari e venti nell’ormai troppo tranquillo paesaggio del mio animo. Era arrivato ed, ora, tutto il mondo non appariva grigio, ogni singolo colore era vivido, inteso, forte o chiaro, ai miei occhi . Come se i raggi del sole avessero ripreso a riscaldare il mio cuore congelato e per quanto mi terrorizzasse, non potevo che sorridere, felice che lui fosse lì, accanto a me. Era strano ciò che provavo, diverso dal fuoco vivo che mi bruciava quando Derek mi era accanto. I miei sentimenti, le mie emozioni, erano simile a lava, che lenta colava lungo il mio corpo, devastandomi sin all’interno, sconvolgendomi e bruciandomi l’animo.
Non riuscii a trattenere un sorriso, semplicemente perché non volevo trattenerlo, e sospirai, passandomi una mano sul collo.
«Perché ridi?» mi domandò Robert, avvicinando le labbra al mio orecchio. Il suo respirò mi solleticò la pelle, causandomi brividi.
«Nulla… meditavo.» sussurrai voltandomi appena, per poterlo guardare negli occhi. Il suo viso, così vicino al mio, mi mozzò il fiato.
«Su cosa?» mi chiese con occhi ardenti.
Deglutii. «Ecco… al… teatro. E’ bellissimo.»
Mi parve di cogliere una punta di delusione sul suo viso d’angelo.
«Sì, è vero.» mormorò senza staccare gli occhi dai miei. Il suo respirò mi colpii in pieno viso e fremetti, mentre le guance mi avvampavano di rossore.
Se avesse continuato a starmi così vicino, probabilmente avrei dato di matto.
Un angolo della mia bocca si sollevò verso l’alto, prima che imbarazzata tornassi a guardare il palco.
I minuti passavano lenti ed inesorabili. Rivolgevo di tanto in tanto un’occhiata al libretto, per capire ciò che gli artisti cantavano. Quando finalmente riuscii ad assumere il controllo di me stessa e a concentrarmi sull’opera, Robert, silenzioso e nascosto dalla semi oscurità, mi sfiorò il dorso della mano con le dita, prima di intrecciarle alle mie. I miei tentativi di assumere un comportamento conoscono, decoroso, ma soprattutto da intellettuale concentrata su un’opera d’arte, furono vanificati.
«Ti ci sei messo d’impegno, eh?» sussurrai voltandomi verso lui.
Lui scosse il capo, quasi con aria afflitta, prima di sciogliere le nostre dita.
«Ehi, che fai?» soffiai sentendo le mani bruciarmi.
Lui si voltò verso me e corrugò la fronte. Accennai un sorriso e presi la sua mano. Questa volta fui io ad intrecciare le mie dita alle sue.
Robert rise sommessamente ed io sentii le guance prendere fuoco.
«Dicevi?» chiese mostrandomi un sorriso sghembo.
«Che… che… ti ci stai mettendo d’impegno.» farfugliai in un sussurro.
«Posso sapere a far cosa?»
«Deconcentrarmi.» ammisi, dopo un attimo di esitazione. Ecco, mi stavo esponendo. Me ne sarei pentita, ne ero conscia, eppure non riuscii a fermare la valanga di parole.
«Ti deconcentro?» chiese, e una strana luce gli lampeggiò negli occhi chiari.
Annuii col capo, incapace di proferire parola, ignara dell’imminente futuro.
«Interessante.» mormorò al mio orecchio. Con la punta del naso mi carezzò la mascella, disegnando linee immaginarie, lasciando sulla mia pelle puro magma. Poi scese lungo il collo e le sue labbra lo sfiorarono, prima di posare un delicato bacio sul suo incavo.
Deglutii e sentii la bocca odiosamente secca.
«Io…» soffiai con respirò corto.
«Tu?» chiese baciandomi il mento.
«Io…»
«Tu?», e mi baciò la punta del naso.
«Tu…»
«Non era io?» chiese baciandomi una guancia.
«No...», chiusi gli occhi imprimendo nella mente la sensazione delle sue labbra sulla mia pelle.
«No?»
«Cioè… sì…» farfugliai mentre mi baciava l’angolo della bocca.
Sghignazzò sommessamente e strofinò piano la sua guancia sulla mia. Deglutii e non potei fermare le parole, che uscirono dalla mia bocca nell’esatto momento in cui le pensai.
«Capisco che è buio qui… ma non mi sembra tanto difficile centrare le mie labbra.» soffiai con il torace che si muoveva troppo velocemente per essere controllato, eco del mio cuore.
«Non aspettavo altro, Laira.» mormorò al mio orecchio. Poi, in attimo che mi parvero infiniti, le sue labbra premettero dolci sulle mie. A quel punto, dimenticai non solo dove mi trovassi, e perché fossi lì, ma anche il mio nome, cosa molto preoccupante.
Una sua mano mi carezzò l’incavo del collo, con estrema lentezza e delicatezza, mentre il suo pollice carezzava il dorso della mia mano, ancora stretta alla mia. Irradiata dalle fiamme, trascinata dalle onde di lava, dischiusi le labbra baciando avidamente le sue, incrociando le dita dell’altra mano ai suoi capelli setosi.
Era quello, in momento che tanto avevo atteso, e lo capii solo allora. Le cose nella vita avvengono sempre per una ragione, e quella ragione, ora, la stringevo a me. Non era un bacio, dato per attrazione fisica, se così fosse stato sarebbe accaduto tutto molto tempo prima. No, era una bacio dettato dal cuore, il culmine di una conoscenza dettata dalla voglia di comprendere per davvero e a fondo l’altro. Dettato da congetture, dalla consapevolezza che il passato era passato e che ciò che contava era il presente, e cogliere ogni attimo, assaporarne la dolcezza e l’amaro, sulla lingua, bella o brutta che sia l’esperienza che ti si prostra davanti.
Le sue labbra, molto più morbide di quanto immaginassi, si mossero assieme alle mie.
C’ero io, e c’era lui. Soltanto noi. Almeno così credevo.
Mentre mi sporgevo verso la sua poltroncina, desiderosa della sue labbra e di accarezzare con la mano quel viso che aveva prepotentemente occupato la mia mente nei giorni precedenti, qualcuno tossì.
Mi voltai di scatto e dietro di noi un uomo di mezza età, assieme ad una donna dai capelli biondo platino, ci osservavano torvi.
«Scusateci.» mormorai, tornando a sedere. Il cuore martellava contro il mio petto e il respiro era dannatamente corto.
Robert rise. Mi voltai a guardarlo. «Non ridere.»
«Okay.» rispose con espressione maliziosa.
Scossi il capo. «Ti ho già detto che sei strana?»
Annuii energicamente. «Sì. E io? Non ricordo più dopo…» con una mano indicai prima me e lui, e il sangue fluii ancora sul mio viso.
Scosse il capo e si avvicinò ancora a me. «Sì.» mormorò sulla mie labbra che vi posasse ancora un tenero bacio.
L’uomo e la donna dietro di noi tossirono. Io e Robert ridemmo, sommessamente, poi si allontanò.
Cercai di tornare a guardare il palco, cercando di concentrarmi sull’opera, con grande insuccesso… e le sue dita ancora intrecciate alle mie.


«E’ stato bello.» dissi alzandomi dalla poltrona di velluto rosso.
«Per quel che ti è stato possibile vedere.» osservò Robert mentre mi camminavo lunga la fila di poltrone.
«Ah-ah. Divertente.»
«Sincero.»
Scossi il capo, ridacchiando.
«Illuso.»
«Presuntuosa.»
«Sciocca.»
Mi voltai a guardarlo, usciti dalle file di poltroncine. «Idiota.»
«Uhm...». si accarezzò il mento. «Lodevole.»
«Ma questo è un complimento.» dissi alzando un sopracciglio.
«Sì, lo so.» ridacchiò.
Scossi il capo. «Mi sa che non solo io la sciocca.»
«Forse sì, forse no.»
Uscimmo dal grande teatro per andare a riprendere i nostri cappotti.
Il ricordo delle labbra di Robert sulle mie era ancora vivido e sentivo le guance avvampare di rossore ogni volta che il suo sguardo  incrociava il mio. Fremevo e tremavo dalla felicità, dall’allegria di quel contatto. Era accaduto, ed io mi ero lasciata governare dai sensi, ma soprattutto dal cuore, che pieno d’affetto palpitava con la velocità d’un colibrì. Ma ciò che più mi lasciò scosse e confusa fu che, in quel momento, non provavo rimorsi. No. L’avrei fatto altre cento, mille volte. Ignorare, oramai ciò che cantava il mio cuore, era impossibile.
Sospirai, dopo che indossammo i cappotti e ci dirigemmo all’esterno del teatro, dritti all’auto.
Il mio cuore incespicò quando Robert strinse la mia mano. Potei sentire il calore che la sua mano irradiava avvolgermi il cuore. Sorrisi, felice.
«A cosa stai pensando?» chiese accorgendosene.
«Nulla.»
«Pessima bugiarda. A meno che tu non sia afflitta da qualche problema psichico. E non credo sia così.»
Roteai gli occhi e sospirai. «Ecco.. ripensavo a… prima.. sì, insomma, in teatro…»
Si fermò davanti l’auto e, posizionandosi di fronte a me, inclinò il capo, corrugando la fronte.
«Mi spiace, Laira, ma non ricordo.» disse facendo spallucce. Mi irrigidii, ma utomaticamente mi rilassai quando notai una traccia di malizia guizzargli negli occhi. «Aiutami a ricordare.» fece avvicinandosi piano. Il suo viso fu a poche spanne dal mio.
«E se io non volessi?» chiesi abbozzando un sorriso.
«Non ti forzerei.» mormorò sfiorandomi una guancia con i polpastrelli.
Sorrisi e catturai le sue labbra fra le mie.
«Ora ricordo.» mormorò su di esse e la sua voce era una lieve carezza. Poggiò la sua fronte sulla mia.
«Reputami folle, mia bella… ma ho atteso questo momento da non sai quanto.» disse ingabbiandomi il viso fra le mani.
Cercai di fare un respiro fremendo. «Perché non l’hai fatto prima?» chiesi, e le nostre labbra appena si sfioravano.
«Non volevo metterti fretta. Non volevo essere avventato, o precipitoso. Volevo avere la conferma che provassi per me qualcosa che andava al di là della semplice amicizia. Volevo che fossi… pronta, che non tremassi più.» mormorò e, davanti a quella confessione, sentii le gambe molli, tanto che dovetti gettare la bracci al suo collo, per non crollare.
Aprii gli occhi ed incontrai il suo sguardo limpido. «Grazie di aver aspettato.» dissi con voce gonfia d’emozione.
«Grazie a te, per avermi mostrato chi sei.»
«E per essere qui.» soffiai accennando un timido sorriso. Poi, mi baciò.

 

*                                                                                          

Ringraziamenti.

Sognatirce85: ciao, Marghe! Oh, che piacere! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, davvero! Spero di non averti delusa con questo… è decisamente importante. A presto, cara, davvero grazie. Di cuore.
lazzari: ciao, Lory! Ce l’ho fatta, sono riuscita a postare! Fiù, avevo il terrore che il pezzo del laboratorio fosse sciocco e… idiota. Sono contenta non risulti, così, davvero! Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo… in fondo, non lo attendevi da tempo? Grazie, grazie davvero.
mathi: ciao! *-* esatto, il mio intento era quello di ricreare un primo e “comunissimo” primo appuntamento. Sono contenta ti sia piaciuto, sul serio! Era un introduzione a questo, e spero di non essere stata troppo sdolcinata o cose del genere. Grazie mille per al recensione!
Nessie93: ciao, Chià! Beh, il capitolo è arrivato e spero non sia come te lo immaginavi XD  Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo scorso, davvero, ci tengo a sapere cosa ne pensi. Sempre. Riesco a stupirti ogni volta? *-* okay, ora gongolo. Sei sempre così gentile, cara, leggere le tue recensioni è sempre un piacere. Grazie, di cuore. Ti voglio bene.
Piccola Ketty: mio amor, ciao! *-* okay, ora sto gongolando. Non puoi scrivermi certe cose! Non so che farei sena il tuo aiuto, davvero. Sapere che sono riuscita ad… “emozionarti”, non sai quanto mi renda felice, davvero! Sono contenta di averti conosciuta e sono contenta di leggere tue creazioni, cosa che, a quanto pare, vale anche per te. Grazie Ketty, davvero, di cuore. Ti voglio bene.
cris91: ciao! *-* ooooh, davvero ti piace? Sono contenta che i personaggi ti piacciano! Grazia per la recensioni, mi ha reso felicissima, davvero! Sapere che ciò che scrivo viene gradito… per me è davvero importante. A presto!
ginevrapotter: ciao! *-* okay, troppe recensioni carine… mi sto gongolando troppo. Sono felice ti sia piaciuta, davvero! Spero di non averti delusa con questo capitolo! Grazie, grazie mille!
cloddy_94: ciao! Oddio, da quanto tempo! Mi ha fatto molto piacere leggere la tua recensione, davvero! Grazie! Sono contenta di sapere che i capitoli precedenti sono stati di tuo gradimento. Spero di non averti delusa con questo, magari… magari ti ho anche sorpresa un po’ (lasciami illudere XD). Grazie mille per la recensione!
Ello: ciao! *-* Sul serio ti è piaciuta la frase finale? Avevo paura lasciasse un po’… non so, come se il tutto fosse incompleto. Sono contenta ti piaccia la mia storia, davvero! Spero che questo capitolo non sia stato da meno. Riuscita ad emozionarti? Okay, il mio fragile cuore non può contenere tanta gioia. Grazie! Di cuore, davvero!


A voi, con immenso affetto,
                                      Panda.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Per te, donna di malafede.
Ti voglio bene.

 

CAPITOLO 22



Wake up
Look me in the eyes again
I need to feel your hand upon my face
Stateless, Bloodstrem.

 


«Questo posto è… magnifico.» mormorai guardandomi intorno.
«Amo venire qui. Oramai questo tavolo è… come se fosse mio.» rise sommessamente.
Corrugai la fronte, posando le posate sul patto e posando il tovagliolo si stoffa color avorio sulle labbra. «Quindi suppongo tu abbia portato qui molte ragazze.» dissi chinando appena lo sguardo, prima di posarlo ancora, titubante, sul suo viso.
I suoi occhi ardevano come fiamme blu. «No. Sei la prima. Vengo qui da solo.»
«Devo crederti?» chiesi seria senza scostare il mio sguardo dal suo.
«Sì.»
Non v’era traccia di menzogna nei suoi occhi limpidi, così sorrisi prima di sfiorarmi collo e riafferrare la forchetta. Mentre mi portavo alle labbra un gamberetto, abbozzai un sorriso. A Robert, non sfuggì.
«Perché sorridi?» chiese curioso inclinando appena il capo.
Masticai lentamente, guardandolo negli occhi. Poi voltai lo sguardo, guardandomi intorno. «E’ un posto da mozzare il fiato.» esordii. E così era. Ci trovavamo in un lussuoso ristorante nel centro della città. Una terrazza ornata di rose, gigli ed orchidee. Illuminati dalla fioca luce di lanterne. Oltre la ringhiera di ferro nero, la città si stagliava possente.
«Perché io?» chiesi desiderosa di risposte.
«Uhm... bella domanda. Non lo so. Forse lo stesso motivo che mi spinge a fare questo.» disse carezzandomi la mandibola con i polpastrelli. «O questo.» continuò baciandomi il dorso della mano, senza staccare i suoi occhi dai miei. «O ciò che mi ha spinto a baciarti…» indugiò un attimo, come a corto di parole. Fece un sospiro. «Ciò che mi ha spinto a cercare i tuoi occhi ogni giorno. Ciò che mi ha spinto a passare il weekend alla locanda. Non lo so, Laira. So solo che se non avessi fatto tutto ciò, l’avrei rimpianto. Dolorosamente.»
Le sue inaspettate parole mi colsero di sorpresa, lasciandomi interdetta, col respiro corto. Mi colpirono in pieno viso, come una secchiata d’acqua fredda. Per qualche inspiegabile motivo, il mio cuore accelerò i suoi battiti, dandomi alla testa.
«Oh.» mormorai.
Robert scosse il capo e sospirò, frustrato. «Solo “oh”?» chiese prima di posare il suo sguardo sul mio.
Cercai di reprimere, inutilmente, un sorriso. «Se non ci fosse il tavolo ad impedirmi i movimenti ti bacerei.», sorrisi.
Robert rise, inclinando poi il capo di lato, perdendosi in un sospiro. Poi si alzò leggermente dalla sedia, sporgendosi sul tavolo e posando le sue labbra morbide sulle mie. Una miriade di farfalle spiccarono il volo all’interno del mio stomaco e tutto, intorno a me, parve sparire. C’erano le sue labbra, plasmate delicatamente sulle mie, il suo respiro caldo sul mio viso purpureo. Sorrisi nel bacio e lui si allontanò appena, quanto bastava per parlare. Le sue labbra, sfioravano ancora le mie.
«Perché sorridi?» chiese con voce calda e roca.
«Non c’è sempre un perché nella vita, Rob. Certe cose accadono e basta.»  sussurrai sfiorandogli la mandibola con i polpastrelli.
Lo sentii sorridere e, dopo aver baciatomi a fior di labbra, torno a sedersi, guardandomi con aria maliziosa. Le mie gote parvero prendere fuoco sotto il suo sguardo. Mi sfiorai il collo con una mano, imbarazzata.
«Sai… le orchidee sono i miei fiori preferiti.» dissi dopo aver masticato un altro boccone.
Robert si voltò, allungando la mano verso un vaso per prendere un fiore. Poi mi porse la bellissima orchidea.
«Si dice che quando si regala un’orchidea ad una donna è come se fluttuasse su una nuvola di infinite possibilità.» mormorai osservando le sfumature rose del fiore, sfiorandolo delicatamente con i polpastrelli.
«Ed è vero?» chiese.
Alzai lo sguardo sul suo viso ed i suoi ardevano come fiamme verdazzurro. «Sì.»


«Sono stata bene, questa sera.» mormorai voltandomi a guardarlo.
Aveva appena spento l’auto e teneva le mani stretta al volante.
Lui sorrise flebilmente senza guardarmi. Fissava le sue dita. Inclinai il capo e corrugai la fronte.
Forse la scelta più saggia sarebbe stata annuire col capo, augurargli buona notte e scendere dall’auto per poi varcare la porta di casa.  Ma tutto ero, io, fuorché saggia.
«Ehi, cosa succede?» mormorai sporgendomi appena per guardarlo in volto. Il suo viso era imperscrutabile. Non sapevo cosa pensare, confusa continuavo a guardare i suoi occhi fissi sulle proprie mani. Poi, colpita dalla verità, sussultai. Mi si rivelò come un fulmine solitario che illumina la buia campagna durante un temporale. Fugace, violenta, crudele, improvvisa.
«Oh.» soffiai indietreggiando appena, senza poggiarmi allo schienale del sedile e, con la cena che si rivoltava nello stomaco, annuii piano col capo, più a me stessa, che a lui. 
Come potevo esser stata così cieca? Come potevo esserci cascata ancora?
Immagini di una vita passata presero a susseguirsi nella mia mente, dandomi alla testa, mozzandomi il respiro. Con la coda dell’occhio vidi Robert voltarsi, ma non presati attenzione all’espressione dipinta sul suo viso. Mi portai una mano sulla fronte, prima di sbattere più volte le palpebre, scacciando via lacrime di rabbia. Deglutii e posai la mano sulla maniglia. Fissai un punto indefinito del cruscotto, raccogliendo la poca voce rimastami. «Non scomodarti. Non ce n’è bisogno.» sibilai con voce glaciale. Feci per aprire la portiera, ma la sua mano strinse con forza il mio braccio, trattenendomi.
«Di cosa non dovrei scomodarmi.» chiese quasi sorpreso. Non risposi subito. Mi voltai a guardare la sua mano stretta al mio braccio. Accortosi dello mio sguardo omicida, come volessi all’istante mozzargli l’arto, la fece scivolare via.
Poi alzai gli occhi sul suo viso. «Non scomodarti a dirmi che è stato un errore.» mormorai con voce tremante, ferita dal suo sguardo vacuo, posato sul voltante.
«Cosa?» chiese con voce strozzata.
Non risposi, mi limitai a guardarlo negli occhi con sguardo duro.
Stupida, stupida, mi ripetei cercando di lottare contro lacrime di rabbia e delusione.
Respinta.
Poi Robert spalancò gli occhi. «Credi sia stato un errore? Credi abbia mentito?»
Ancora non risposi. La voce mi era bloccata in gola.
«Dio, Laira, sei assurda. Ti ho inseguita per così tanto tempo. Ho atteso il momento in cui ti sentissi pronta, perché lo sai, non è sfuggito nulla. Ho aspettato che il tuo passato non premesse più sulla tua vita.»
Abbassai lo sguardo, poggiandomi con la schiena al sedile, meditando sulle sue parole.
«Laira…» gemette e sentii i suoi polpastrelli sfiorarmi la mandibola.
Non mi voltai. Chiusi gli occhi, assaporando quel semplice e delicato contatto.
«Non mi pento di niente. Ringrazio Dio, se davvero esiste, di avermi condotto da te.» mormorò. «Non potrei mai ferirti.»
«Non dirlo, ti prego.» gemetti, mentre le lacrime premevano per uscire, mentre il ricordo di lui si faceva avanti nelle mia mente. «Non anche tu.»
«Guardami, ti prego.» sussurrò al mio orecchio, premendo il palmo della mano sulla mia guancia destra e costringendomi a voltarmi.
I suoi occhi ardevano come fiamme blu e verdi, dandomi alla testa. Erano dannatamente vicini ai miei, tanto che potei perdermi in essi per dolci istanti infiniti. Il suo respiro caldo mi carezzava la pelle, quasi fosse una mesta carezza.
«Vorrei potessi leggermi dentro. Capire cosa sto provando ora.» mormorò. Afferrò con delicatezza la mia mano e se la portò sul petto. Il suo cuore martellava con violenza contro di essa, eco del mio.
Avevo il fiato corto ed abbozzai un sorriso. Poi presi l’altra sua mano e me la porti sul cuore.
«Grazie.» mormorai prima che, sorridente, posasse le sue labbra calde sulle mie.
«Ti chiamo domani.» mormorò carezzandomi con la mani il collo e poggiando la fronte sulla mia.
«Ne sarei felice.»
«Non ti libererai tanto facilmente di me, Laira.» disse con voce suadente, calda.
«Me la caverò.» risposi. Poi, sorridendo e baciandogli la punta del naso, uscii dall’auto.
Aprii la grande porta di ferro e legno e mi voltai a guardarlo.
Sorrisi. Mi baciai le dita della mano e alzai la mano a mo’ di saluto. Lui mi strizzò un occhio, prima di ripartire.
Salii nel mio appartamento mentre milioni di farfalle si libravano libere.


Mi sedetti sul letto sfilandosi le scarpe e lasciandole ai piedi del letto. Mi passai una mano sul collo nudo e mi portai la mani ai capelli liberandomi delle forcine. In pochi secondi una cascata di capelli, neri ed ondulati, mi ricadde sulle spalle. Sopirai e mi lascia cedere sul materasso.
Fra la mia palpebra chiusa e l’occhio era intrappolata l’immagine del viso di Robert, del suo dolce e sincero sorriso.
Sorrisi flebilmente, fra me, portandomi le mani sul viso.
Abbracciavo con dolcezza il ricordo delle sue labbra calde sulle mie, morbide come mousse.
Risi, agitando le gambe in aria, godendomi il mio cuore palpitante d’affetto, emozione, gioia. E intanto ridevo, ridevo con la bocca del cuore. Ridevo felice e spensierata come non succedeva da tempo. Voltai la sguardo alla radiosveglia. Segnava le due del mattino.
«Oh, al diavolo!» esclamai gattonando sul letto e sporgendomi verso il comodino per afferrare il telefono. Pigiai il tasto per le chiamate rapide e attesi sorridendo.
«Pronto?» borbottò la voce assonna di Andrew. «Non le hanno insegnato che non si chiama quest’ora?» biascicò poi.
«Neanche per la dolce Laira?» chiesi in un risolino.
Per alcuni istanti non udii altro che il suo respiro regola a pesante, tanto che pensai si fosse riaddormentato. Alzai un sopracciglio ed aprii la bocca per parlare, ma Andrew mi precedette.
«Hai bevuto, vero? Sai che non reggi l’alcool.» sospirò.
M’accigliai. «No, certo che no!» esclamai ridendo e reggendomi la testa con una mano, stesa sul letto.
«Allora devi aver fatto uso di droghe.»
«Nah.» dissi con una smorfia.
«Bevuto una pozione ringiovanente?»
«Nah.»
«Hai visto i conigli!»
Risi. «Andrew!»
«Allora dammi un motivo plausibile per non sgozzarti domani. Per quale motivo tu mi hai… aspetta, non sei uscita con Pattinson oggi?» chiese.
Sorrisi. «Già.»
Mi alzai sul letto e prendendomi un lembo del vestito con le mani, scoprendomi le gambe fino al ginocchio, presi a saltare sul materasso.
«Cosa stai facendo?» chiese confuso.
«Nulla.» dissi sempre sorridente.
Andrew tacque per un momento. «Stai saltando sul letto?» chiese e la sua voce era un suono acuto.
«Forse.» dissi ridendo.
«Allora è più grave di quanto pensassi.»
«Dai, indovina.» dissi col fiatone.
«Ha fatto ciò che penso?»
«Cosa pensi?»
«Ti ha baciata.»
«Sì!»
«Bene, ora posso dire che sei una contraddizione vivente. Prima tremi ed ora salti su un letto.»
«Sì, lo so. Sarà l’ora.»
«Dimenticavo che dai di matto quando non dormi. E credo tu abbia anche delle ore arretrate. La pianti di saltare che sento malissimo!» mi sgridò.
Mi bloccai all’istante, sedendomi a gambe incrociate. «Scusa.»
Ci fu un attimo di silenzio in cui riflettei sul mio repentino cambiamento di umore. Mi succedeva, dovevo ammetterlo, di sentirmi leggermente euforica quando non disponevo di ore sufficienti di sonno. Certo, se poi alle poche ore di sonno era associato un evento inaspettato, qualcosa che andasse oltre le aspettative della mia monotona vita, beh, le cose si complicavano. E quello era il caso.
Sfiorandomi le labbra, ripensando con dolcezza al viso di Robert, sorrisi.
«Dai, racconta.»
«Andrew… credo andrò a dormire. Ne parliamo domani?»
Andrew sbuffò. «Tu mi hai svegliato a quest’ora del mattino per dirmi che ne parliamo domani?»
«Sì, in teoria sì.» mormorai.
Sospirò. «Okay. Passo da te con la colazione. Laira?»
«Sì?»
«Era ora ti baciasse.»
«Cosa?» chiesi corrugando la fronte, confusa.
«Ne parliamo domani?» chiese imitando la mia voce.
Risi. «D’accordo. Ti voglio bene, Andrew.» mormorai sorridendo con dolcezza, come fosse davvero di fronte a me.
«Ti voglio bene, Laira. Sempre.», e riappese.
Mi feci cadere sul materasso, poggiando le testa sul cuscino. Chiusi gli occhi e senza nemmeno accorgermene nel giro di pochi secondi mi addormentai.
L’immagine del viso di Robert proiettata sulla palpebra chiusa del mio occhio.

 

*

Salve gente. Eccomi qui, finalmente.
Purtroppo non ho molto tempo… i temi d’esame mi chiamano a gran voce.
Perciò ringrazio di cuore gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo.
Perdonatemi se non lo faccio a modo, ma prometto che nel prossimo capitolo sarà fatto. Avrò finito gli esami! *-*

Grazie: ginevrapotter, Sognatrice85, Piccola Ketty, lazzari, mathi, Nessie93, Ello, cris91, Fairwriter e KeLsey.

Grazie. Grazie di cuore.

 

Vostra, con immenso affetto, Panda.

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