Guardian Angel

di demrees
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undici ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Capitolo uno

SETTEMBRE 2011
Faceva già troppo freddo per essere una notte di metà settembre. La zona era tranquilla, regnava un silenzio assoluto, gli unici suoni che si sentivano erano il canto dei grilli e il rumore del vento tra gli alberi.
Qualcosa non andava, era tutto troppo tranquillo, eravamo troppo isolati, a chilometri da Londra, in aperta campagna e nessuno sapeva dove eravamo. Sarebbe finita male e avevo solo due scelte: fare la brava, ignorando le mie sensazione e seguire gli ordini, oppure andare dal comandante e dirgli cosa pensavo.
«Signore è una pessima idea … è troppo pericoloso» l’uomo si voltò con un sorriso di scherno sul volto
«Non ci posso credere l’agente speciale Carter ha paura» i capelli brizzolati gli cadevano ribelli sulla frante
«Ho un brutto presentimento. Non sappiamo neanche quante persone ci siano all’interno» si stava alterando
«Ma che ti prende?! Sembri una femminuccia piagnucolosa»
«Signore so che questa potrebbe essere una buona occasione per chiudere la faccenda ma … mi dia retta, nessuno sa dove siamo. È meglio segnalare la nostra posizione e aspettare …» l’uomo mi afferrò per un braccio strattonandomi, mi guardo dritto negli occhio. Era furioso, mi avrebbe sicuramente fatto rapporto per aver messo in discussioni i suoi ordini
«Senti ragazzina faccio questo lavoro da più di trent’anni, so come muovermi e per tua informazione l’agente Ruiz ha già segnalato la nostra posizione» la presa sul braccio si allentò e i suoi occhi tornarono normali, probabilmente si era accorto che aveva esagerato «Hai del potenziale bambolina, nonostante la tua età e il tuo sesso sei uno dei migliori agenti con cui ho lavorato, ma se mi creai altri problemi te la farò pagare» l’uomo mi lasciò andare, portando le braccia lungo i fianchi
«Non mi fido dell’agente Ruiz è …»
«Lavoro con lui da più di dieci anni. Mi fido molto più di lui che di te» l’agente Ruiz si avvicino proprio in quel momento richiamando l’attenzione del comandante Tartt; mentre l’agente Gier e Harris si avvicinarono a me
«Sav che hai?» il ragazzo aveva quattro anni più di me, aveva concluso il corso due anni prima di me, mi era stato assegnato come istruttore negli esercizi di autodifesa. Era venuto verso di me con aria sicura e un sorriso affabile, mi aveva detto che si sarebbe andato piano visto che ero una donna. Meno di due minuti dopo aveva lo avevo immobilizzato contro il materassino   
«Ho un brutto presentimento, è come se fosse tutto preparato» Gier si sistemò il giubbino antiproiettile
«Dipende dal fatto che siamo troppo isolati, vedrai che andrà tutto bene»
«Savannah ha ragione, Tartt non ha valutato bene la situazione» Harris, aveva le braccia conserte e lo sguardo preoccupato. Aveva cinquant’anni, la stessa età del comandante, solitamente era un uomo pacato, si troppo razionale, poco impulsivo, queste qualità lo avevano aiutato a diventare uno dei migliori agenti infiltrati, era stato lui a guidarmi durante i corsi di addestramento e se anche lui era convinto che qualcosa non quadrava eravamo veramente nelle merda.  
Tartt e Ruiz si avvicinarono 
«Arriveremo al casolare in quindici minuti. Una volta sul posto ci metteremo in posizione. Non sappiamo quante persone ci siano all’interno, il nostro unico vantaggio è che non ci aspettano ... Muoviamoci»
Ci incamminammo cercando di fare meno rumore possibile. A ogni passo il mio disagio cresceva, stava per succedere qualcosa. 

La testa mi stava per esplodere, sentivo delle voci in lontananza. Aprii gli occhi lentamente, avevo la vista sfuocata e un sapore metallico in bocca. Ero seduta su una sedia e avevo le caviglie  legate insieme. Sollevai lo sguardo, avevo i polsi legati separatamente da una corda al di sopra della mia testa a qualcosa una sbarra. Ero stata disarmata, non avevo più ne il giubbino antiproiettile ne il maglione. Cautamente iniziai a guardami intorno, finché non li vidi. Il comandante Tartt e l’agente Gir buttati in un angolo … morti.
Un ragazzo entrò nella stanza, aveva un felpone rosso e un berretto con la visiera, sta trascinano l’agente Harris, lo fece sedere su una sedia proprio davanti a me, e iniziò a legargli le braccia dietro la schiena. Poi sentii la sua voce 
«Shane … seppellisci quei due e togliti dai coglioni»
L’agente Ruiz si accucciò davanti a me. Mentre il ragazzo legò Harris e si avvicino ai due cadaveri
«Buongiorno bella addormentata. È una bella serata non trovi?» mi passò un dito sulle gambe. Le sollevai velocemente, dandogli un colpo sul ginocchio; l’uomo perse l’equilibrio e cascò con il sedere a terra.
Il ragazzo rimase immobile, guardandomi in modo strano, sembrava sorpreso. Poi si chino verso uno dei due cadaveri, lo sollevò e lo mise dentro una specie di carriola
Ruiz, si rialzò e si rimise in piedi, iniziando a girare introno alla mia sedia «Savannah sei una ragazza molto particolare sai? Sei legata, impossibilitata a difenderti e nonostante questo continui a non arrendenti, non riesco a capirne il motivo»
«Il peggio che puoi farmi e uccidermi» non era il peggio e lo sapevo bene, ma più tempo restavo in vita, più possibilità avevo di capire come liberarmi.
L’uomo si fermò dietro di me e si avvicinò all’orecchio    
«Non ti ucciderò subito,  sarà una cosa lenta e dolorosa. Voglio che prima tu ti sottometta a me » mi accarezzò un braccio «Ci sono tante cose che si possono fare con una donna» due omoni uomini entrarono nella stanza, uno si diresse verso un tavolo mentre l’altro tirò una tenda che mi avrebbe impedito di vedere cosa sarebbe accaduto al mio collega.
«Non preoccuparti piccola, i miei uomini si occuperanno del tuo amico … mentre tu sarai solo mia»
Sentii qualcosa muoversi sopra di me; la sbarra a cui ero legata iniziò a sollevarsi, trascinandomi con se e facendomi assumere la posizione eretta; la sedia venne spostata, lo senti afferrarmi la maglietta, poi inizio a tagliarla 
«Hai una bella schiena … quasi quasi mi spiace rovinarla »

Non sapevo quanto tempo era passato. Avevo perso la cognizione del tempo, mi avevano dato sei pasti, Ruiz aveva giocato con me quattro volte; dopo che aveva finito entrava una donna a medicarmi la schiena. La tenda che avevo davanti era sempre tirata, non potevo vedere Harris ma lo sentivo: le urla di dolore, mentre li supplicava di ucciderlo, sentivo il pianto rassegnato di un uomo che sa che non tornerà più a casa.  Ed io non avevo ancora idea di come liberarmi.
«Non resisterai ancora per molto Savannah»
Continuai a guardare Ruiz dritto negli occhi, cercando di rimanere con la schiena il più possibile staccata dalla spalliera della sedia. Avevo perso ogni sensibilità alle braccia, ma vedevo come il sangue mi colava lungo gli avambracci. Aveva ragione non avrei resistito per molto.
«Shane prendi quelle borse e raggiungimi in macchina» Ruiz uscì dalla porta. Seguii il ragazzo con lo sguardo, aveva la stessa felpa nera e lo stesso berretto con la visiera, solo che questa volta anche il cappuccio era calato sulla sua testa. Mi passo davanti e si diresse verso il fondo della stanza, si chinò e afferrò due borsoni. Mi passò nuovamente davanti, ma invece di tirare dritto mi si avvicinò, lasciò cadere a terra una borsa e mi fece una carezza, poi si chinò verso il mio orecchio
«La sbarra a cui sei legata è agganciata alla catena da un anello semi aperto, se Sali sulla sedia riuscirai a liberarti. Le auto con cui siete arrivati sono parcheggiate sul retro. Rimarrai qui da solo per un paio d’ore, appena ci senti andar via liberati e vattene» riafferrò  la borsa che aveva
«Non perdere tempo con il tuo collega, è praticamente morto» il ragazzo uscì dalla stanza.
Restai in attesa di sentire il rumore dell’auto che prativa. Aspettai qualche minuto e appena tornò il silenzio mi tirai sù facendo pressione con le braccia e le gambe. Mi attaccai alla sbarra con le mani e sollevai le gambe per salire sulla sedia. Una fitta atroce mi fece quasi perdere l’equilibrio. Una volta sù sganciai la sbarra dalla catena; ero troppo debole e persi l’equilibrio, cadendo in avanti, feci appena in tempo ad evitare di sbattere la faccia sul pavimento. Rotolai di fianco, poggiando le mani a terra per rimettermi in piedi. Un dolore lancinante alla schiena, mi tolse il respiro per qualche secondo. Attesi che passasse, poi mi avvicinai alla tenda saltellando e la tirai via. Harris era lì, ancora seduto con le mani legate dietro la schiena. Era coperto di sangue e aveva la testa riversa sul petto. Mi voltai in cerca di qualcosa per liberarmi, vidi un tavolo e saltellai verso di lui cercando di non cadere.
Appena gli fui davanti notai una serie di coltelli coperti di sangue; li avevano usati su Harris. Presi un pugnale, e con molta attenzione iniziai a tagliare le corde che mi tenevano i polsi legati alla sbarra, poi liberai i piedi. Avevo i polsi scavanti dalla corda e la schiena mi stava uccidendo.
Mi avvicinai di nuovo ad Harris, gli liberai le mani e i piedi. Poi gli alzai leggermente il viso, gli misi due dita sulla vena del collo cercando di trovare il battito.      
«Basta …» l’uomo iniziò a singhiozzare
«Sono io. Ora ti porto via, riesci a camminare?»
«Vattene … vai via … perderai solo tempo»
Mi guardai intorno, in cerca di qualcosa per portarlo fuori da quella stanza. Uscii dalla stanza e mi trovai in un cortile vuoto, a circa 8 o 10 metri da me c’era un cancello in ferro aperto.
Aveva detto le auto erano state lasciate sul retro, quindi inizia a camminare accostandomi il muro, un po’ a causa del dolore, un po’ per paura che ci fosse qualcuno in attesa.
Arrivai sul retro. Le due auto con cui eravamo arrivati erano parcheggiate l’una accanto all’altra. Mi avvicinai cautamente, aprii lo sportello posteriore dell’auto n 1 e tastai al di sotto il cuscino. Chiusi lo sportello, mi avvicinai alla seconda auto e feci lo stesso. Afferrai il manico di uno piccolo Sai, lo presi e me lo infilai negli stivali. Richiusi lo sportello e aprii quello dalla parte del guidatore, notai che ne quadrante c’erano ancora le chiavi, così salii in macchina, tenendo la schiena ben staccata dal sedile e dopo averla fatta partire, feci il giro del casolare e la portai davanti alla porta da cui ero uscita poco prima.
Scesi e aprii lo sportello posteriore, poi entrai nuovamente nella stanza. Harris mi guardò spaesato
«Dobbiamo muoverci Harris»
«Ti avevo detto di …»
«Dobbiamo sbrigarci. Ti aiuto ad alzarti»
 
Luglio 2014
Entrai in ufficio con due caffè fumanti in mano. Mi diressi verso la mia scrivania e accesi la segreteria
«Signorina Carter sono Glenn Hamilton, della “Hamilton e Harper”   vorrei confermare l’appuntamento per domani a pranzo. Le invierò un messaggio con la via del ristorante.»
«Buongiorno Sav»
«Buongiorno Harris» l’uomo era appena entrato in ufficio e si stava togliendo il cappotto, mi avvicinai a lui porgendogli uno dei caffè
«Come va oggi?»
«Mi fa molto male la gamba. Tu invece come ti senti? Sei riuscita a dormire?» l’uomo si avvicino alla sua scrivania, zoppicando e aiutandosi con un bastone
Erano passati tre anni, ma le nostre vite erano state distrutte. Ruiz e i suoi complici furono arrestati, Harris era entrato in pensione, mentre io a causa di alcuni spiacevoli avvenimenti avevo mollato riconsegnato il distintivo.   
«Non molto …»
«Vedrai che passeranno. Allora hai parlato con mio cognato»
«Il signor Hamilton ha confermato un appuntamento per domani»

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due

Ottobre 2014
David
Ogni volta che entravo nell’ufficio di mio padre mi tornava alla mente il primo giorno in cui vi misi piede, avrò avuto si e no sei anni e la prima cosa che avevo visto era quella cornice d’argento posata sulla sua scrivania. M alzai dal divanetto e mi avvicinai alla libreria, presi la cornice tra le mani e la guardai attentamente. Era una delle mie foto preferite, mio padre che stringeva forte mia madre nel giorno delle nozze. Il modo in cui si guardavano non era cambiato in quarant’anni di matrimonio.
«Figliolo come stai?» riposi la cornice al suo posto e mi voltai verso mio padre. Un uomo alto, con i capelli completamente bianchi e gli occhi verdi; a un estraneo mio padre sarebbe sembrato molto rude, autoritario e freddo, ma in realtà non era così, sì era un uomo forte ma anche molto sensibile e di facile lacrima.
«Bene papà, tu come stai?» mio padre mi raggiunse e mi strinse forte tra le braccia, poco dopo si scostò e mi fece un sorriso     
«L’età si fa sentire, questa mattina ho scoperto con rammarico che non mi rimane più neanche un capello colorato, sono completamente banchi» vedendo la sua faccia sconsolata mi venne da ridere
«Sorvoliamo … ragazzo ti ho chiesto di venire perché devo darti una notizia importante, ti prego siediti e cerca di ascoltare» aggirai la scrivania e mi andai a sedere nuovamente sul divano. Mio padre iniziò a camminare avanti e indietro finché non si sedette sul tavolino proprio davanti a me
«La figlia di un mio caro amico si è trasferita da qualche anno qui a Londra e non riesce a trovare un lavoro che la soddisfi, il mio amico mi ha gentilmente chiesto di assumerla. Così sarà la  tua segretaria»
« Non dici sul serio?» il mio vecchio si alzo e andò davanti alla sua scrivania. Non sono un maschilista, ma sapevo bene a quale categoria appartenevano le figlie degli amici di mio padre   
«David non posso rifiutare a lui questo favore» Vuole sul serio che mi porti dietro Barbie
«Papà non ho nessun bisogno di una segretaria, tanto meno di una bomboletta viziata e snob che mi perseguiti o che scoppi a piangere se si rompe un unghia. Falla diventare la segretaria di Caleb, di Nicholas o di Michael, sono sicuro che non ci saranno problemi»
«I tuoi fratelli hanno già degli assistenti, tu sei l’unico scoperto figliolo. L’ho già assunta e di la nel tuo ufficio che ci aspetta» mi strofinai il viso con le mani e mi alzai, era inutile continuare aveva già deciso.
Uscimmo dal suo studio e ci avviammo verso il mio.
«David cerca di essere cordiale con lei, lavorare in un atmosfera amichevole è sempre meglio per tutti. Poi devo dire che è veramente un ragazza deliziosa»
«Immagino» mio padre fu il primo ad entrare nell’ufficio. Appena varcò la soglia la ragazza si alzò dalla sedia. Mi fermai alla destra di mio padre e aspettai che ci presentasse
«David lei è Isabel Meyer, probabilmente ti ricorderai di lei, le nostre famiglie erano solite passare le vacanza estiva insieme» la ragazza mi porse la mano con un lieve sorrisino
«Signor Hamilton è un piacere rivederla» “La ragazza deliziosa”, come l’aveva definita mio padre non era solo una delle più grandi viziate che esistessero sulla faccia della terra, era anche una grandissima manipolatrice, priva di ogni sentimento, un viscido serpente da cui era meglio stare alla larga 
«Mi creda il piacere è tutto suo» la ragazza alzò un sopracciglio e accentuò ancor di più il sorrisino iniziale. Mio padre al contrario sbiancò e mi guardò con uno sguardo omicida
«Mio figlio scherza ovviamente. È un gran burlone» … «David gentilmente presenta la signorina Meyer ai tuoi fratelli, mettila al corrente delle tue abitudini e del lavoro che dovrà svolgere» l’uomo rivolse un sorriso caloroso alla ragazza e si congedò. Mi avvicinai alla scrivania e mi sedetti. La ragazza si accomodò davanti a me sulla stessa sedia che aveva occupato poco prima. La ragazza continuò a fissarmi negli occhi con aria divertita.
Aveva un aspetto severo: non troppo alta, con una corporatura non troppo magra. I capelli neri erano raccolti in uno chignon basso, un viso pulito con un velo di trucco sugli occhi chiari. Aveva un abbigliamento sin troppo elegante e serio: una camicetta bianca, con una gonna nera e delle scarpe con tacco. Tutto in lei gridava zitella acida e frigida. Le uniche cosa che la salvavano erano quello strano luccichio divertito negli occhi e quel sorrisino che prometteva guerra.          
«Signorina Mayer non so cosa mio padre le abbia detto, ma io non ho assolutamente bisogno di un assistente, e la sua presenza qui mi urta, sia perché è stata assunta a mia insaputa sia perché in tutta sincerità il ricordo che ho di lei è tutt’altro che lusinghiero»
«Visto che sarà la sua assistente non c’è bisogni che mi chiami “signorina Mayer”, va benissimo Isy»
«Le consiglio di lasciar perdere questo lavoro, sono una persona particolarmente burbera, al contrario di ciò che le ha detto mio padre»
«Non ho nessuna intenzione di lasciare il lavoro, signor Hamilton»
«Le renderò la vita un inferno»
«È padrone di fare quello che vuole» che stronza
«Ogni mattina arriverò qui in ufficio prima delle 9:00, mi aspetto di trovarla qui con la colazione. Intorno alle 9:30 ci sarà la riunione quotidiana con mio padre, lo zio Harper e i miei fratelli, non durerà più una mezz’ora, dopo di che andremo ai vigneti. Lì le spiegherò cosa ci sarà da fare. Lei non svolgerà solo lavoro d’ufficio, ma si dovrà occupare di altre incombenze. Lavori in cui si potrebbe sgualcire il vestito o spezzare un unghia»
«Cosa vuole per colazione?» te ne farò pentire, ti farò scappare in poche ore
«Le invierò una mail con ciò che voglio» … «Se vuole seguirmi le farò conoscere i miei fratelli»
 
 
 
 
Isy
Varcai la soglia di casa e mi spoglia appendendo il cappotto direttamente sull’attaccapanni nell’ingresso. Poi presi le buste dal mobiletto li vicino e inizia a scorrerle trovando oltre alle solite bollette una cartoline  da New York indirizzate a me.
«Ehi com’è andata?» mi voltai verso la mia amica notando che era già vestita per uscire
«Abbastanza bene, credo di non essergli molto simpatica»
«Che novità! Vieni in cucina così mentre mi racconti ti faccio una bella tisana rilassante»
Abbandonai le buste sul mobile e seguii la ragazza.
«Allora cos’hai combinato per farti odiare già dal primo giorno» la ragazza inizio a trafficare tra i fornelli
«Assolutamente niente, ha detto che il ricordo che aveva di me era poco lusinghiero. Inoltre non voleva un’assistente e mi ha promesso che mi renderà la vita un inferno. Credo che mi divertirò parecchio … »
«Com’è lui?»
«Alto, muscoloso, capelli castano chiaro, occhi azzurri, caratterino da stronzo. In pratica bellissimo» la ragazza mi porse la tazza con la tisana
«In pratica il tuo tipo … » la bionda ammiccò e mi fece un sorriso a trentadue denti
«È il mio capo»
«Lo sarà per poco tempo e tecnicamente non è neanche il tuo vero capo»
«Credo che farà di tutto per licenziarmi»
«Cosa te lo fa pensare»
«Mi ha dato l’orario in qui dovrò arrivare a lavoro volontariamente sbagliato»
«Magari si è confuso» il cellulare vibrò, lo presi in mano e lessi la mail che mi aveva mandato, mettendomi a ridere all’istante
«Che c’è?»
«Ha detto che ogni mattina gli dovrò portare la colazione, mi ha mandato una mail con ciò che vuole domani. Tre croissant con confettura di fragole e un cappuccino forte bollente »
«Non capisco cosa ci trovi da ridere»
«Detesta le fragole »

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Capitolo Tre
David
Varcai la porta dell’ufficio di Caleb e mi sedetti sul suo divano
«Perfetto è il primo giorno di lavoro ed è già in ritardo» il senso di vittoria iniziò a diffondersi in me 
«Sono appena le nove del mattino, starà arrivando»
«È il suo primo giorno ed è in ritardo, il che dimostra che non ha affatto bisogno di questo lavoro»
Michael, il maggiore dei miei fratelli, si affacciò alla porta dell’ufficio
«Signori tra quaranta minuti inizia la riunione e noi dobbiamo ancora fare colazione, sapete che non riesco a ingranare a stomaco vuoto, Nicholas è di là che ci aspetta» mi alzai riluttante dal divano e uscii dall’ufficio pregustando il momento in cui avrei sgridato quella piccola strega
«Come mai quell’aria così compiaciuta»
«Quella rompiscatole è in ritardo già dal primo giorno, altri due errori del genere e potrò licenziarla»
Caleb scosse la testa divertito  «Mio figlio si comporta meglio di te ed ha appena quattro anni»
«Non ho bisogno di un assistente, tanto meno di una sciocca ragazzina viziata» Michael e Caleb si lanciarono uno sguardo allusivo.
«David ci sono buone possibilità che non sia più la creatura irritante che abbiamo conosciuto»
«Mick ti rendi conto che il mio lavoro è diverso da quello che fate voi vero? Non ho bisogno di una donna che ha paura di sporcarsi» Caleb sospirò esasperato, un’azione che faceva sempre sin da quando eravamo piccoli.
«Cambiamo argomento, qualcuno di voi ha capito come aiutare a Nick ad aprire gli occhi, stiamo rischiando di trovarci quella strega come cognata» Io e Mick rispondemmo all’unisono con un “no” secco.
«Assurdo che lei e Grace siano sorelle» mi accorsi dell’errore all’istante, mi voltai verso Michael che come al solito aveva cambiato espressione; nessuno di noi sapeva cosa era veramente successo tra lui e Grace, ma tutti ci eravamo accorti di come era cambiato da quando si erano lasciati.
     Isy
Il più piccolo degli Hamilton continuava a fissarmi con uno sguardo indagatore
«Sono sicuro di averti già vista prima» nell’aspetto somigliava molto a Michael, come lui aveva i capelli scuri e la stessa struttura marcata del viso, gli occhi al contrario erano marrone scuro, intensi e allegri; ma nell’atteggiamento era sin troppo simile a David, pochi anni li distanziavano l’uno dall’altro e probabilmente era cresciuto cercando di copiarne i modi. Nonostante questo si era adattato alle regole dell’azienda e come i due Hamilton maggiori vestiva in giacca e cravatta all’interno dell’ufficio. 
«Probabilmente è perché in passato le nostre famiglie erano solite passare le vacanze insieme»
«Non mi convince. In ogni caso ti faccio le mie condoglianze David ti massacrerà»
«Non mi sembra così cattivo»
«Papà avrebbe dovuto assegnarti a me, sono io quello che ha bisogno di una brava assistente» sistemai la gonna di quell’odioso completo
«Lei ha già un’assistente» il ragazzo accennò un sorriso
«Intendi Charlotte, cristo non credo ci sia peggiore assistente di quella, è un disastro ambulante, è goffa, imbranata, timida, e non ha il minimo senso estetico, appena la conoscerai ti renderai conto di quanto sia insignificante» … «Senti non c’è bisogno che mi dai del lei, puoi chiamarmi Nicholas o Nick»
«Io credo che tu ti sbagli di grosso Nick. Ho conosciuta la tua assistente e credo sia una delle persone migliori che lavorino in quest’ufficio» il ragazzo fece una risatina
«Vedrai che dopo l’ennesimo caffè che ti rovescerà addosso  cambierai idea»
La porta dell’area relax si aprì e i tre Hamilton fecero il loro ingresso. Michael, il maggiore dei fratelli, era alto e aveva la solita aria afflitta, gli occhi di un colore chiaro erano tristi e disperati, pareva un cucciolo che aveva appena ricevuto una sgridata. Caleb, più piccolo di Mick di un solo anno, era leggermente più basso di Michael e David, aveva i capelli biondo scuro e gli occhi azzurri molto allegri, inoltre portava degli occhiali da vista con una montatura nera, tra i suoi fratelli è l’unico ad essere felicemente sposato con una donna, di nome Rachel, con cui ha avuto due figli una bambina Rose e un maschietto Lucas.
«Ti ha fregato» i due fratelli maggiori dopo avermi vista si voltarono all’unisono verso il mio “nemico” che aveva subito cambiato espressione, passando da quello che probabilmente era uno stato felicità a uno di nervosismo.
«Sei in orario … » L’uomo serrò le labbra e incrociò le braccia davanti al petto, assumendo un atteggiamento ostile. Mi ricordava mio nipote quando si arrabbiava.   
«Buongiorno signori Hamilton» i due fratelli maggiori si fecero avanti sorridendo
«Per carità Isy poi chiamarmi Caleb»
«E me Mick qui a nessuno piace dare del lei»
«Si è ricordata di portare la mia colazione» mi alzai e gli porsi la busta con i cornetti.  
«Si signor Hamilton, tre croissant con confettura di fragole e un cappuccino forte bollente» Nicholas, Michael e Caleb scossero la testa, probabilmente avevano capito cosa aveva fatto il fratello. David si passo la lingua sulle labbra compiaciuto, sicuro di essere riuscito ad imbrogliarmi
«Detesto le fragole, a causa sua dovrò accontentarmi del cappuccino» allungò una mano e gli passai il bicchiere a portar via
«Non si preoccupi, invece di prendere i croissant che Lei aveva scelto, né ho presi tre al cioccolato fondente, il suo preferito giusto!?» … il sorriso beffardo che gli si era stampato in faccia sparì all’istante. Come se niente fosse allungai il sacchetto verso di lui.  
«Ha cambiato l’ordine!»
«Signor Hamilton, non avrà mica creduto che mi fidassi ciecamente di lei dopo quello che ci siamo detti nel suo ufficio ieri mattina»
 
Savannah 
Mi richiusi la porta alle spalle. Mi diressi in salotto, mi sedetti a peso morto sul divano, senza neanche slacciarmi il capotto.
«Che succede signore» le mie amiche erano sedute sulle poltrone in una posa un strana
«Sam non vuole venire a Glastonbury per le vacanze di natale» la bionda esasperata si lasciò andare contro lo schienale della poltroncina
«Elli non posso venire»
 «Si che puoi Samantha, sono anni che non ti prendi una vacanza» la mora si alzò dalla poltroncina
«Elli ho detto No»
«Sono mesi che non vedi Cris e so che non vedi l’ora di riabbracciarlo, non riesco a capire perché cavolo ti rifiuti di venire con noi a Glastonbury»
«Lo rivedrò quando tornerete dalle vacanze, non è un problema qualche settimana in più non fa differenza» la bionda si rivolse a me con fare deciso
«Sav puoi farla ragionare» Elli era incapace di capire il motivo per cui Sam non voleva passare le vacanze di natale nel paese in cui eravamo crescite, insieme a Cris, il fidanzato di Elli nonché adorato fratello di Samantha, che era a causa del lavoro aveva passato l’ultimo anno e mezzo a New York
«Elizabeth basta ti prego» guardai Samantha, era visibilmente agitata. Ci misi un secondo a capire il motivo della sua angoscia  
«È per Alex?» seppi di aver fatto centro non appena Sam iniziò a giocare con la catenina che portava sempre al collo. Sin da quando era molto piccola il migliore amico di suo fratello l’aveva sempre umiliata e derisa in svariati modi, sino a quando lei aveva iniziato a evitarlo. La bionda si portò una mano davanti alla bocca
«Cazzo Alex … è vero, scusami tesoro, non ciò pensato»  
«Non mi ha mai sopportata e mi dispiacerebbe creare un disagio a Cris. Sentite per piacere possiamo lasciar perdere per questa sera, mi è scoppiato un enorme mal di testa» … «Tu piuttosto sembri distrutta» Sam mi guardò con aria preoccupata
«Due ore di allenamento in palestra per smaltire lo stress della giornata, non sono sicura di avere ancora tutti gli arti attaccati al corpo» la bionda mi guardò con aria comprensiva
«Allora com’è che si chiama la tua infiltrata?»
«Isabel»

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Capitolo Quattro
David
A breve avrebbe iniziato a piovere. Ho sempre amato la pioggia, l’odore di terra bagnata che si diffonde nell’aria e il rumore delle gocce che battono sul vetro. Da ragazzo passavo delle ore davanti alla finestra ad ascoltare il suono della pioggia e l’ululato del vento, era una musica così dolce e rassicurante.
Amo i colori di cui si tinge il cielo, tutto diventa buio e freddo, a volte immaginavo come sarebbe stato bello incontrare una donna, innamorarmi di lei e passare giornate come questa i casa, abbracciati  in silenzio ad ascoltare il suono dei respiri che si confonde con il battere delle gocce. Vorrei poter vivere quel momento un giorno … lo sogno da così tanto
«Zio» mi voltai verso la porta e abbassai lo sguardo verso Lucas.
«Cucciolo» mi chinai in basso e lo presi in braccio «Che succede piccolo, perché piangi?».
«Ho paura» poggiò la testa nell’incavo del mio collo e mi strinse forte le braccia intorno al collo. Gli accarezzai la schiena e girai la testa verso la sua lasciandoli un bacio tra i capelli.
«Scusi …» rialzai lo sguardo e la vidi entrare nella stanza. Portava un maglione blu con le maniche rialzate fino hai gomiti, un paio di jeans sporchi di terra e degli stivali infangati; non portava ornamenti, aveva solo dei polsini molto alti. I capelli spettinati e bagnaticci, le ricadevano intorno al viso, la pelle chiara era arrossata.
«Che vuoi»
«Di là ho finito, volevo sapere se devo fare altro» non poteva aver già finito, per un lavoro del genere io ci mettevo il doppio del tempo.
«Hai pulito tutto il capanno?»
«Si! ho anche controllato i recinti, quello vicino al pozzo va riparato, ma non avete le viti, le prendo domani prima di venire in ufficio»  
«Beh … io, per oggi è tutto» il bambino si scostò leggermente da me e guardò la ragazza
 «Ciao» Isy fece un sorriso e chinò la testa un po’ di lato «Perché piangi?»
«Ho paura» il piccolo tirò su col naso
«Paura!? Di cosa?»
«Quando piove ci sono dei brutti rumori »
«Non ti piace la pioggia?» Il bambino scosse la testina bionda, mentre la ragazza prese i capelli di lato e iniziò a intrecciarli.
«A me piace tanto invece. Quando piove si possono fare tante cose sai? Si può bere una bella cioccolata e giocare con le proprie sorelle a nascondino, o guardare un bel cartone» Lucas la guardò rapito e si stropicciò gli occhi azzurri
«E poi sai cosa si può vedere quando smette di piovere?! L’arcobaleno»
«L’ACCOBALENOoo?»
«Si tesoro, con un po’ di fortuna solo quando smette di piove si può vedere l’arcobaleno. Sapevi che a volte è usato dai leprecauni per nascondere il loro tesoro»
«UN TESOROOO?» sempre più curioso il bambino iniziò a stringere nel suo pugnetto la mia maglietta. Isy si avvicinò fino ad avere il viso del bambino a poca distanza dal suo.
«OHH si … è un pentolone tutto nero pieno di monete di …. cioccolato» tutto contento Lucas lanciò un urletto e si sporse verso Isy per farsi prendere in braccio  
«Se è così, mi piace la pioggia» mise le manine paffute sulle sue guance
«Tu sei bella» la ragazza rimase per un secondo in silenzio, poi passo un braccio sopra la schiena del bambino e lo mise in posizione orizzontale
«Tu sei bellissimo e io ho una gran fame di bambini bellissimi» e iniziò a fare delle pernacchie contro il pancino del bambino che rise. 
«Che state facendo?» Rachel entrò nella stanza, ridendo della scena. Aveva un grembiule da cucina blu coperto di pittura e uno sguardo sereno
«Mammina … lo sai che se piove c’è l’accobaleno con le monete di cioccolato» esattamente quello che gli ha detto quella rompiscatole
«Davvero?»
«Sì la mia amica ha detto che nell’accobaleno ci sono le monete di cioccolato, tu le vuoi?»
 «Certo che le voglio, e tu?»
«SIII»
«Senti amore, siccome non c’è ancora l’arcobaleno, ti va di venire di a bere una cioccolato calda e poi se ti va ci mettiamo a fare i biscotti con Rose e la nonna»
«Anche tu … » il bambino si rimise a guardare la ragazza che lo teneva ancora in braccio. Isy si chinò verso il suo orecchio e gli disse qualcosa 
«Va bene» lo fece scendere, e il bambino si diresse verso Rachel e le porse la manina, che subito lei strinse;
«A proposito, domenica Grace ha un impegno, per te va bene se spostiamo la riunione a sabato o a lunedì?»
«Per me si, le altre che dicono?»
«Ho mandato a tutte una mail. Sam e Charlotte hanno detto che per loro è meglio sabato, Elli non ha ancora risposto»
«Oggi è il compleanno della madre di Elli, quindi probabilmente non ha avuto il tempo di guardare le mail, se vuoi posso dirglielo questa sera »
 «Perfetto, vuoi che te la porti qui la cioccolata?»
«No grazie non ti preoccupare»
«Ok … e tu scansafatiche» Rachel mi puntò un dito contro «smettila di fare lo str… lo sciocco» poi con molta calma usci dalla porta insieme a Lucas.
Accidenti sono settimane che tutti mi dicono di smetterla con quest’atteggiamento da bambino e in più non riesco a liberarmi di questa palla al piede. Mi voltai verso di lei e notai che mi stava guardando. No … non mi stava guardando, mi stava studiando.
«Ha qualcosa da farmi fare?» ah già
«In realtà no, i camion arrivano domani. Che ore sono?»
«Le cinque e un quarto» mi passai un mano tra i capelli e mi afferrai il collo. Era dall’ora di pranzo che non mangiavo nulla e stavo iniziando ad avere i crampi.
«Sinceramente non ho niente» Magari era avanzata un po’ di cioccolata; insieme ci starebbero bene una fetta di torta o dei biscotti di marzapane.  
«Se per lei va bene potrei scannerizzare i documenti dello schedario, partendo da quelli della data di fondazione della società e creare un archivio digitale» Sono anni che mi riprometto di fare questa cosa
«Non ne vedo l’utilità»
«Prima o poi quei documenti diventeranno illeggibili o saranno distrutti, se invece li scannerizziamo potrebbe avere tutto l’archivio al sicuro e non dovrebbe preoccuparsi di perdere qualcosa»
«Ti conviene iniziare allora hai circa ottantacinque anni da recuperare. Isy si voltò verso lo schedario con su scritto l’anno di fondazione dell’azienda e l’aprì, afferrò alcune cartelle e le poggiò sulla scrivania, poi accese il Computer e la stampante.
Mi avvicinai alla poltroncina, la girai verso la finestra e mi ci sedetti. Chiusi gli occhi e stetti ad ascoltare, fino a quando non ne sentii il profumo.
Aprii gli occhi e mi ritrovai davanti una tazza gialla con un due giraffe che si baciavano. Caleb mi guardava con un largo sorriso sulle labbra
«Tu e la tua fissa per la pioggia, perché invece di stare lì a poltrire non aiuti Isy» presi la tazza tra le mani
«È libera di licenziarsi quando vuole. Non aspetto altro. Comunque grazie per aver pensato a me fratellone, stavo giusto per venire a prenderne una tazza»
«David è Lucas a chiedermi di portartela» si queste sono le gioie di noi zii
«Che dolce il mio cucciolotto»
«Glielo ha chiesto Isy» Caleb uscì dalla stanza, lasciandomi lì con la tazza sospesa a mezz’aria. Non era possibile, che sapesse di cosa avevo voglia ancora prima che lo dicessi. Beh in questo caso che lo pensassi. Poi vidi una busta bianca penzolarmi davanti alla faccia
«Cos’è?»
«Li ho presi questa mattina. Sono biscotti di marzapane»    
   
 Isy
Misi apposto l’ultimo foglio. Chiusi la cartella e la rimisi nello schedario. In due ore e mezzo avevo scannerizzato solo il primi anni di documenti. Accidenti, com’era possibile che nessuno avesse mai pensato di creare una copia digitale di tutti quei documenti.
Mi stirai la schiena e mi feci scappare uno sbadiglio. Non vedo l’ora di essere a casa, ho una fame ...  
«Sono le otto e un quarto» David si tirò su dalla poltrona.
«Già … se non ha nient’altro da farmi fare io andrei a casa»
«Sta diluviando» David si alzò e si mise davanti alla finestra con le braccia incrociate.
Mi girai verso l’attaccapanni, presi la sciarpa e me la misi, poi presi il piumino e la borsa.
«Cos’è questa storia della riunione?»
«Lavoro qui da sei settimane, ho fatto amicizia con Rachel e parlando abbiamo scoperto che entrambe facevamo parte di un club del libro, il suo comprendeva Grace ed Charlotte, mentre il mio comprende altre due amiche; così ci siamo incontrate tutte insieme e abbiamo deciso di fonderli insieme»
«Non ti sei ancora stancata di lavorare qui?»
«A domani signor Hamilton» lo vidi stringere i denti e corrugare la fronte
«Non puoi andare via .. sta diluviando»
«Pensi positivo se succede qualcosa si libererà di me» uscii dallo studio ed attraversai il corridoio, lo sentii camminare dietro di me. Allungai il passo e scesi le scale. Arrivai davanti alla porta e misi la mano sulla maniglia, ma quando l’abbassai non si aprì. Aveva poggiato una mano sopra la porta. Sentivo il calore del suo corpo e il suo odore che mi avvolgevano
«È pericoloso … questa notte dormi qui»
«Signor Hamilton il mio orario di lavoro è finito quasi due ore fa. Ora vorrei tornare a casa mia»
«Non esiste, questa notte resti qui»
Il campanello suonò due volte consecutive. Lasciai andare la maniglia e mi scansai di lato. David aprì la porta
«Ciao caro come stai?» una donna bassa e paffuta, con un lungo capotto nero entro e si protese verso David
«Ciao zia Penny» il ragazzo si chinò verso al zia e l’abbracciò
«Mamma mia che tempaccio, oh?! » appena mi vide gli occhi della donna si illuminarono
«Zia Penny lei è la mia assistente Isy». La signora si avvicinò a me e mi dette due baci sulle guance in segno di saluto
«Ciao cara come stai?»
«Bene e lei?»
«Molto bene … No caro non chiudere lo zio sta arrivando»
«Cristo che tempo! David come stai ragazzo mio»
«Bene Bene zio John» non appena lo zio entrò David richiuse la porta «Zio lei è Isy, la mia assistente» l’uomo mi porse la mano e la strinse delicatamente
«È un vero piacere mia cara»
In un secondo tutta la famiglia Hamilton si riunì nell’ingresso dell’abitazione, creando una gran confusione.
Approfittando della distrazione di David, mi recai in cucina e uscii dalla porta di servizio. 

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Capitolo Cinque
Isy 
La prima chiamata era arrivata appena cinque minuti dopo essere uscita dalla tenuta degli Hamilton. In meno di trenta minuti, cioè il tempo che impiegavo quotidianamente per tornare a casa, ne avevo ricevute dieci a intervalli regolari. Entrai nel parcheggio sotterraneo e fermai l’auto nel mio “rettangolo”, poi mi avviai verso l’ascensore e premetti il pulsante di chiamata; nel momento in cui le porte si aprirono sentii nuovamente il cellulare vibrare.
Infilai le mani nella borsa e presi sia le chiavi di casa che il telefonino, poi gli risposi.
«Dove sei? Stai bene?» la voce del mio capo, era dura e ferma.
«Sono a casa signor Hamilton»
«Perché te ne sei andata?!»
«Come le aveva già spiegato signor Hamilton, il mio orario lavorativo era già finito da due ore. Provi a indovinare perché volevo tornare a casa» le porte dell’ascensore si aprirono e uscii sul pianerottolo dell’ultimo piano.
«Ti avevo detto che dovevi dormito qui. QUANDO TI DO UN ORIDNE MI ASPETTO CHE TU LO ESEGUA ALLA LETTERA!» infilai la chiave nella toppa, ed entrai in casa.
 «Signor Hamilton le ricordo che lei non è il mio padrone. Il mio compito è ESEGUIRE solo e soltanto gli ordine che lei mi da riguardanti il LAVORO che svolgo per lei. Non si azzardi mai più a impormi di fare qualunque altra cosa. Sono stata chiara!» appesi il piumino e la sciarpa all’attaccapanni. Poi entrai in salotto e mi lasciai cadere sul divano.
Passarono alcuni secondi. Aveva il respiro affannato, chiaro segno che stava cercando di controllarsi; lo vedevo mentre stringeva i pugni e assumeva un espressione minacciosa. Era l’unica espressione che mi rivolgeva direttamente. Doveva odiarmi veramente tanto.
«Sei arrivata a casa tutta intera?» la domanda mi lasciò perplessa. Se fosse stato un’altra persona avrei pensato che fosse seriamente preoccupato per me, anzi non mi sarei fatta problemi a dormire lì. Ma sapendo di chi si trattava, non capivo come interpretare il suo comportamento.
«Si, signor Hamilton» una delle miei migliori amiche mi porse una tazza arancione, ne posò un’altra su tavolino e si sedette su una delle due poltrone, e iniziò a bere la bevanda calda.
«Hai già mangiato Isy ?» rimasi a bocca aperta. Che senso aveva farmi quella domanda?
«No, signor Hamilton» emise un lungo sospiro. Lanciai un’occhiata alla moretta seduta sulla poltrona e vidi che mi fissava con un sorrisino.
«Perché non mi rispondevi al telefono?»
 «Stavo guidando, signor Hamilton, ho preferito restare concentrata visto il diluvio che stava vendo giù. Inoltre e vietato parlare al telefono mentre si guida»
«Già è vero! Non so neanche quante volte ti ho chiamata …»
 «Questa è l’undicesima, signor Hamilton» Chissà quante volte al giorno dicevo “Signor Hamilton”?
Lo sentii schiarirsi la voce e per un secondo pensai che fosse pronto a chiudere la chiamata.
«Lucas a cena ci ha ammorbato con quella favoletta che gli hai raccontato. Gli hai detto la verità o erano solo cazzate di circostanza?»
«Riguardo a cosa?»
«Alla pioggia. Ti piace sul serio o …» Ok la situazione stava diventando strana
«Si, mi piace Signor »
«Smettila di chiamarmi in quel modo. Non puoi renderti conto di quanto mi dia fastidio»
«Lo so perfettamente» fece una breve risata. La prima.
«Potresti chiamarmi con il mio nome »
«Come vuole» David
«Magari potresti darmi del tu»
«Ok»
«Senti domani potresti venire direttamente a casa dei miei?»
«Come vuol … vuoi» sogghignò divertito
«Buna notte Isabel»
«Buona notte David»
«Buona notte».
 
Spensi il telefono e lo poggia sul divano accanto a me. Poi lancia un’occhiata verso la poltrona. La mia amica stava ridendo silenziosamente. Sobbalzando per lo sforzo di farlo in silenzio
«Lo trovi divertente?»
«Ti giuro che non ho mai sentito una conversazione più strana in vita mia. Non so neanche quante volte tu abbia detto “Signor Hamilton”» la ragazza si asciugò una piccola lacrima.
«Si, in realtà oggi è stata una giornata assurda»
«Senti per cena ho preparato il polpettone con insalata di patate e fagiolini verdi. Tra un quarto d’ora è pronto»
«Non vedo l’ora di mangiare e andare a letto»

David  
Quando mi ero accorto che se ne era andata mi si era gelato il sangue nelle vene. Mi ero alzato dalla tavola non so quante volte per chiamarla e negli intervalli ascoltavo distrattamente il mio nipotino che raccontava la storiella che lo aveva distratto dal temporale. Poi finalmente dopo quasi una quarantina di minuti aveva risposto.
Aveva assunto un tono pacato ma deciso. Nonostante tutti i miei tentativi, non ero riuscito nè a far andare via, nè a trovare un modo per licenziare quella piccola strega.
Quella bellissima piccola strega.
In più, quella sera avevo avuto paura che le fosse successo qualcosa; il mio stomaco era rimasto aggrovigliato fino a quando non aveva risposto al telefono.
La conversazione che ne era seguita era stata strana ma divertente e per la prima volta da che la conoscevo non vedevo l’ora che arrivasse la mattina per poterla vedere.
***
Entrai in ufficio e inizia a cercare sotto la scrivania, poi entrai in bagno. Erano quasi le dieci e mezza del mattino e Rose non si trovava da nessuna parte; aveva detto che sarebbe stata nel giardino davanti alla porta d’ingresso a giocare a palla, ma quando Caleb era uscito per farle compagnia non l’aveva trovata.
La tenuta è troppo grande e i bambini sapevano che non devono allontanarsi da soli. Ci eravamo divisi in tre gruppi Nick e Michael erano andati a controllare nel vigneto, mio padre e Caleb erano andati dalla parte opposta verso i limiti della proprietà, io e i domestici (Mr e Mrs Tatterson e Mr Smith) la stavamo cercando in casa. Mia madre invece cercava di tranquillizzare Rachel.
Sentii il rumore di un auto che parcheggiava. Guardai dalla finestra e vidi la macchina di Isy. Era in ritardo di un’ora e mezzo.
Scesi di corsa le scale ed aprii la porta, porto a informarla di cosa fosse successo. Poi la vidi.
Isy stava venendo verso di me con la mia nipotina in braccio. Aveva i capelli scompigliati e il viso coperto in parte dai capelli e in parte dalla bambina. Mi scostai dalla porta per farle entrare.
«Dov’è Rachel?»
«In cucina» Isy, mi superò.
Io presi il telefono e chiamai subito Caleb e poi Michael, poi raggiunsi le donne. Incrocia mia madre che usciva dalla stanza per avvertire i domestici che la piccola era tornata a casa.
«HAI CAPITO!! QUANTE VOLTE TI HO DETTO CHE NON DEVI ALLONTANARTI DA QUI» mia cognata stava abbracciando e sgridava la bambina contemporaneamente. Mi avvicinai a loro
«Stai bene tesoro?» la bambina si strinse di più contro la madre, troppo spaventata per rispondere.
«Credo di si»
«Ma che è successo?» Rachel scosse la testa, con le lacrime che continuavano a scorrergli lungo il viso. Mi guardai introno nella stanza in cerca dell’unica persona che avrebbe potuto rispondere a quella domanda.
«Dov’è Isy?»
«È …. È andata in bagno. Vai da lei e guarda se ha bisogno di aiuto»
Uscii dalla cucina vidi mio padre e mio fratello venirmi incontro.
«Dov’è? Sta bene? Cosa è successo?»
«È la dentro con Rachel»
Appena entrarono in cucina, io corsi i bagno.
***
La porta era accostata. Senza pensare, la spalancai ed entrai nella stanza. Isy si voltò verso di me. Aveva le maniche del maglione tirate fin sopra i gomiti, i Jeans sporchi e strappati. Una guancia aveva un colore molto accesso e teneva un fazzoletto premuto contro il labbro inferiore, con una mano sporca di sangue.
«Cazzo» la ragazzo si voltò verso il lavandino e aprì il rubinetto. Poi bagnò nuovamente il fazzoletto.
«Isabel»
«Hai del disinfettante e qualche garza per favore» mi avvicinai al mobiletto bianco, dietro la porta e presi ciò che mi aveva chiesto. Mi avvicinai a lei e glieli porsi. Si lavò le mani e iniziò a disinfettarsi le nocche.
«Cos’è successo?» la ragazza non alzò neanche lo sguardo
«Stavo venendo qui, quando ho visto la bambina entrare nel cortile del tuo vicino. Tuo fratello mi aveva detto che non siete in buoni rapporti e che quello ha un brutto carattere; così lo seguita per riportarla a casa» … «Le ha dato uno schiaffo e l’ha fatta cadere a terra. Quel pezzo di merda se la rideva di gusto» si sedette sul bordo della vasca e piegò il ginocchio, poi iniziò a tamponare con un pezzo di cotone e disinfettante.
«Era spaventata a morte, poverina» mi inginocchiai davanti a lei, impaurito della risposta che avrebbe potuto darmi.
«Vi ha toccate?» la ragazza smise di tamponare e mi guardò in faccia con un espressione confusa. Poi si rese conto di quale significato avesse la domanda che le avevo posto.
«No, non credo che con Rose ne avesse intenzione»
«E tu?» la ragazza corrucciò la fronte
«Non né ha avuto il tempo» il livello di rabbia iniziò a salire molto velocemente
«Lui è»
«È in ospedale. Ho dovuto chiamare un ambulanza, è per quello che c’ho messo tanto a riportare Rose a casa. Scusate se non vi ho chiamato» la ragazza riprese a tamponare il taglio sul ginocchio.
«Non capisco …» Isabel mi guardò divertita
«Diciamo che so come difendermi David»

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Capitolo Sei
Savannah
Settebre 2011
La sbarra metallica a cui ero legata iniziò a sollevarsi lentamente. Era già la terza volta che succedeva da quando eravamo arrivati.
Appena assunsi la posizione verticale la barra si fermò. I miei piedi erano ben saldi a terra, ma ciò non impedì ai tagli sui polsi di riaprirsi.
Ruiz entrò nel mio campo visivo e si sedette davanti a me. Si slacciò la frusta dalla cinta dei pantaloni e se la sistemò sulle ginocchia. Iniziò ad accarezzarla perso nei suoi pensieri; poi rialzò lo sguardo
«Sei una puttana cocciuta … stupida, se tu ti piegassi a me finirebbe tutto. Ucciderei prima Harris e poi te. Implorami di ucciderti Savannah ed entrambi smetterete di soffrire. Devi solo implorarmi di uccidervi»
Continuai a guardarlo in silenzio e iniziai a pensare a Penny Harris, la moglie di John, l'avevo vista di sfuggita alla festa di natale. Era una bella donna, burrosa e dal sorriso spontaneo, John non l'aveva lasciata neanche per un minuto, le teneva la mano o l'abbracciava, avevano ballato insieme ed ad un certo punto lei lo aveva imboccato per fargli assaggiare una tartina, lui molto più alto di lei si era dovuto chinare leggermente e dopo avergli dato un morso, si era stretto ancora di più la moglie addosso e l'aveva baciata.
Se mi fossi piegata nessuno dei due avrebbe più sofferto, ma avrei condannato John a morire  senza dare la possibilità a sua moglie di sapere come era successo e soprattutto di seppellirlo.
Il ragazzo biondo che aveva portato via i cadaveri di Gir e del comandante entrò nella stanza. E si mise a trafficare vicino al muro dietro la sedia di Ruiz.
Il mio ex collega continuò a guardarmi sogghigando. Raccolsi tutto ciò che avevo in bocca e gli sputai contro.
Ruiz si alzò dalla sedia, mi si avvicinò velocemente e mi schiaffeggiò. 
Gli risi in faccia.
«Sul serio?! Tra tutte le cose che avresti potuto fare mi schiaffeggi. Scommetto che era quello che faceva tuo padre con tua madre»
Ruiz cambio espressione e seppi di aver fatto centro. Spostai lo sguardo e vidi il ragazzo vicino al muro che mi guardava con un sorrisino ammirato sul viso.
«Sin dalla prima volta che ti ho vista ho sempre avuto una gran voglia di scoparti. È arrivato il momento di soddisfare questa voglia»
 
 Savannah

Novembre 2014
Aprii gli occhi, rimasi immobile cercando di rilassare i muscoli della schiena e iniziai a contare. Il crampo passò dopo 82 secondi. Allungai la mano e accesi la luce sul comodino. La sveglia segnava le 3 e 40 di notte.
Mi sollevai a fatica e mi accucciai contro la testata del letto abbracciandomi le ginocchia.
Secondo i medici il mio corpo ricordava il dolore provato durante quei giorni e durante le cure. Ogni volta iniziavo a sudare e rimanevo senza fiato. Durante il primo anno quei dolori mi avevano perseguitata ogni notte, ma più passava il tempo più il fenomeno si verificava raramente.
Rimasi ferma per alcuni minuti, ascoltando il silenzio della casa. Ormai ero sveglia e sapevo che non sarei più riuscita ad addormentarmi, così mi sdraiai sul letto e presi dal pavimento le cartelle che rileggevo e aggiornavo da mesi.
Nei mesi precedenti all'ingresso di Isy all'interno dell'azienda avevo raccolto informazioni su tutti i membri della famiglia Hamilton e sui collaboratori della “Hamilton e Harper”. Sapevo tutto sulla vita di ognuno di loro, ne avevo studiato le abitudini, gli interessi, le relazioni, sapevo ogni allergia o infortunio che avevano avuto.
Grazie agli appostamenti conoscevo ogni loro spostamento e sopratutto i legami che avevano instaurato. Gli Hamilton e Mr Harper erano molto uniti, ed erano riusciti a creare un legame non solo professionale ma anche amichevole con tutti i colleghi dell'azienda.
Charlotte era l'unica che riceveva disprezzo. Nicholas la trattava malissimo, si divertiva a metterla in imbarazzo, le rivolgeva insulti velati e la metteva continuamente in difficoltà. Lei si era presentata due anni prima al colloqui senza alcun titolo di studio, ne alcuna conoscenza pratica utile per quel determinato posto di lavoro; aveva però dimostrato una forza di volontà e un carattere così dolce che aveva incantato Mr Hamilton, che le aveva dato due mesi di prova sotto la guida della sua segretaria Molly e di Albert, il segretario di Mr Hamilton; successivamente  l'aveva assunta come segretaria di Nicholas.
Il giovane Hamilton inizialmente si era dimostrato disponibile nei confronti della ragazza, ma dopo sei mesi, non appena Polly era entrata nella sua vita, aveva iniziato a maltrattarla. Polly aveva avuto una brutta influenza su di lui, non solo per quanto riguardava Charlotte; infatti era riuscita ad allontanarlo da quasi tutti i suoi vecchi amici, gli aveva fatto cambiare abitudini e gusti: Nick aveva smesso di andare in moto, di vestirsi casual e sopratutto di occuparsi dei cavalli, non aveva più usato neanche la laurea in veterinaria; era così preso da Polly da non rendersi conto di come lei lo manipolasse.
Inutile dire che tutti gli altri non la sopportavano i tre fratelli Hamilton ne parlavano male, mentre i loro genitori evitavano accuratamente di rimanere troppo in sua compagnia. Però nessuno si decideva a dire in faccia al ragazzo che non solo si era trasformato in uno snob spocchiso, ma che la sua ragazza era una vipera   e che sarebbe stato molto meglio se l'avesse lasciata.          
Nonostante questo Charlotte continua a lavorare diligentemente per lui, non rispondeva mai ne agli insulti né alle frecciatine. Più di una volta Isy l'avevo vista trattenere il respiro e irrigidirsi non appena lui entrava in ufficio; rimaneva tesa tutto il giorno e spesso aveva sentito dei singhiozzi quando entrava in bagno. Ma Charlotte era risoluta non aveva mai pianto davanti al suoi aguzzino.  Dal canto loro Michael, Caleb e David l'adoravano e sopratutto riprendevano Nick per ciò che le faceva o le diceva.
Isy le aveva anche chiesto il perchè non lasciasse il lavoro; la risposa era stata che non avrebbe mai trovato un lavoro con uno stipendio anche solo simile a quello. 
Dal canto mio, avevo scoperto parecchie cose su Polly, come ad esempio i suoi tradimenti, mi sarebbe piaciuto poter aprire gli occhi a Nicholas, purtroppo non sarebbe stato possibile fino a quanto non avessi scoperto chi stava cercando di minare l'azienda.
Stanca di guardare quelle cartelle, mi alzai dal letto e andai alla scrivania, accesi il Pc e inizia ad analizzare i filmati del giorno. Ero riuscita a mettere delle telecamere negli uffici privati dell'azienda, in modo da poter osservare cosa succedeva durante il giorno. Io analizzavo le registrazioni dell'ufficio di Michael, Nick e di David, mentre Harris si occupa delle registrazioni nell'ufficio di Caleb, Mr Hamilton e Mr Harper.
Calma piatta, tutti i giorni stesso via vai.
Isy era la chiava che mi avrebbe portato a chiudere il caso.   
 
David
Salii in ascensore e mi slacciai la giacca di pelle. Faceva un freddo bestiale ma stavo sudando. Ero ancora un po' scosso da quello che era successo. Insomma sapevo che il vicino era un idiota senza palle, ma prendersela con una bambina e una ragazza era veramente da vili. Non appena avevo visto Isy mi era salita una gran voglia di prendere la testa di quell'idiota e sbatterla ripetutamente contro la parete. La ragazza si era difesa ed erano riuscite a scappare con la mia nipotina, ma intendiamoci quanto poteva fare una ragazza contro un uomo di quarant’anni, che la superava in altezza e che pesava almeno il doppio di lei?!
Iniziai a scostarmi il maglione dalla pelle velocemente per farmi un po' di aria e sorrisi a Molly
«Oggi ho veramente caldo» la donna si strinse il cappotto ancora più addosso e mi lanciò un'occhiata divertita
«Sul serio?! Io  non mi sento più i piedi … Sai tuo padre inizia a sudare ogni volta che è nervoso»
«Si. Da questo punto di vista sono molto simile a lui»
«Tu sei come tua madre, hai il suo stesso carattere romantico» inarcai un sopracciglio
«Molly, guardami bene … ti sembro uno romantico?»
«Si bambino mio, hai un animo romantico» la donna si avvicinò a me e mi strizzò scherzosamente la guancia, come faceva quando ero bambino
«Devi solo innamorarti» le sorrisi e pensai a quanto sarebbe stato bello. Le porte dell'ascensore si aprirono, la salutai con un bacio sulla guancia e mi avvicinai alla stanza relax.
I miei fratelli erano già li a parlare. Nick e Michael avevo uno sguardo sconvolto. Albert al contrario ascoltava passivamente continuando a mangiucchiare i suoi biscotti
«Che succede?» Nick si voltò verso di me
 «La tua assistente non una persona da far incazzare»
«Cosa le hai fatto?» mi avvicinai al tavolo e mi sedetti comodamente
«Sono andato  alla centrale per sporgere denuncia. Ho parlato con un amico dello zio mi ha detto che quello stronzo le ha prese di brutto. La ragazza si difende bene» Caleb si alzò e si versò una tazza di caffè
«L'agente mi ha raccontato che quando sono andati a interrogarlo ha confessato tutto, si è assunto ogni colpa. Dal controllo effettuato sono risultate tre denunce per maltrattamenti, più una denuncia sempre per maltrattamenti da parte dell’ex moglie; era stato indagato per la sua scomparsa, solo che non sono mai state trovate prove quindi non lo hanno mai arrestato» il gelo mi calò addosso. Erano state fortunate.
«Isy deve averlo spaventato a morte» iniziai a farmi aria con il maglione
«Ha fatto il necessario per scappare» i ragazzi mi guardarono stranamente
«Oltre a lividi ed escoriazioni vari, aveva la spalla sinistra lussata, la mano destra, gamba sinistra e il seto nasale rotti. Quando l'ambulanza è arrivato era a terra, non ha opposto nessuna resistenza. Durante l’interrogatorio non ha fatto altro che piangere»
La porta della saletta si aprii ed entrò Isy .
La ragazza aveva un livido che gli copriva una guancia, e il labbo inferiore molto gonfio. Camminava dritta con le braccia distese lungo i fianchi e le mani coperte dalle maniche del maglione. Teneva stretta una bustina di carta marrone scuro nella mano sinistra e un bicchiere a portar via nella mano destra .Ci guardò attentamente e poi si rivolse direttamente a me
«Si sente bene?» la guardai confuso «Sembra accaldato … » lasciai andare il maglione e incrociai le braccia
«Sto soffocando dal caldo … » la ragazza si avvicino al tavola e vi poggiò sopra ciò che aveva in mano
«Ha dimenticato di mandarmi la mail con l'ordine per la colazione, così ho fatto da sola. Se non va bene lo vado a cambiare» osservai attentamente ogni suo movimento, intravedendo le escoriazioni sulle mani.
«Non l’ho dimenticato, ti avevo detto che se volevi potevi prenderti qualche giorno libero»
«Non ne ho bisogno, se per lei va bene  vorrei continuare a venire a lavoro» improvvisamente quella sensazione di soffocamento e di caldo pressante svanì.
«Nessun problema» “se per lei va bene …” «dammi del tu» la ragazza si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio
«Scusa l'avevo dimenticato» Mio fratello si avvicinò alla ragazza e l’abbracciò
«Grazie per ieri, io … se tu non ci fossi stata Rose» la ragazza ricambiò la stretta
«Non preoccuparti Caleb, lei sta bene? Spero di non averla spaventata ...» Caleb la lasciò andare e le fece un piccolo sorriso
«No tranquilla, al contrario mi ha chiesto se eri un super eroe dei fumetti» Isy sorrise
«Hai fatto arti marziali?» Nick la fissava ammirato
«Sin da quando ero bambina»
«È possibile che ti abbia visto gareggiare» la ragazza alzò un sopracciglio
«Ancora! No non ho mai gareggiato, i ricordi che hai di me sono legati a quelle estati di tanti anni fa»
«No sono sicuro che non è così»
Charlotte entrò nella stanza, inciampando sulla porta. Come al solito portava abiti di alcune taglie più gradi e i capelli raccolti alla base della nuca, gli occhiali le scivolavano verso la punta del naso. Si rimise subito dritta e con voce flebile chiese scusa.
Era timida e troppo buona, ma sottovalutata da chi non la conosceva bene e sopratutto da Nick.
«Sei veramente un disastro cosmico»  Nick la guardò disgustato. Lei come al solito non rispose all'insulto, chinò la testa e si spinse indietro gli occhiali.
«C'è Polly al telefono» Nick si alzò dalla sedia e gli urtò una spalla mentre usciva dalla stanza. Albert si avvicinò a Charlotte, le mise un braccio introno alle spalle e uscirono insieme dalla stanza
***
Entrammo nell'ascensore e spinsi i pulsanti del sotterraneo dove era parcheggiata la mia auto. Isy aveva lo sguardo fisso sul pannello dei pulsanti e si strinse ancora più addosso il piumino. Eravamo fianco a fianco
«Hai freddo?» la ragazza rialzò lo sguardo e si concentrò su di me
«No sto bene»
«Ti va se oggi rimaniamo nello studio? Magari potremmo scannerizzare un po' di quei documenti e parlare» la ragazza corruccio la fronte.
«Nessun problema» alzai una mano e le sfiorai la guancia. Rimase immobile, soppesando il mio gesto
«Isabel ...»
«Eccoci» le porte si aprirono e la ragazza schizzò fuori dall'ascensore  

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Capitolo Sette
Isy
Erano già passate dua settimana dalla rissa in cui ero stata coinvolta. I lividi sul viso avevano assunto un colore disgustoso ma non facevano più così male, in compenso il labbro si era quasi tornato a posto.
Il mio rapporto con David era migliorato, lavoravamo insieme tutto il giorno, fianco a fianco, aveva smesso di cercare di mandarmi via. Spesso durante i pomeriggi piovosi rimanevamo chiusi in ufficio per ore a scannerizzare vecchi documenti e a parlare del più e del meno.
Mi sentivo in colpa a mentirgli sul vero motivo per cui ero stata assunta.
Uscii dall'ascensore e mi incamminai verso la mia scrivania. Poi di colpo lo notai: la scrivani di Charlotte era sgombra. Mi tolsi il piumino e infilai la borsa dentro il secondo cassetto della scrivani. Albert usci dalla sala relax, aveva un’aria indifferente come al solito. Era come se nulla potesse toccarlo, non rideva e non si arrabbiava mai, era sempre cortese con tutti e soprattutto con Charlotte
«Buongiorno Al, come mai la scrivania di Charlotte è vuota?» lanciò uno sguardo alla scrivania e si stropicciò gli occhi
«Non hai saputo cos’è successo ieri?» scossi la testa. Era un atteggiamento che mi irritava, cristo se avessi saputo qualcosa non lo avrei chiesto  
«Nick l’ha combinata grossa. Sono tutti là dentro, vado un attimo di là, ho provato a chiamarla anche ieri sera ma non mi ha risposto. Sono un po’ preoccupato»
Presi la colazione del capo ed entrai nella sala relax. I quattro fratelli erano all'interno seduti intorno al tavolo in silenzio. Mick, Caleb e David erano incazzati.
«Ehi» i tre fratelli maggiori si voltarono verso di me
«Hai sentito Charlotte?»
«No» mi avvicinai al tavolo e misi la colazione davanti a David «Cos’è successo?».
«Nick l'ha licenziata»
«Cosa … perché?»
«Ha rubato» mi voltai verso Nicholas pensando che stesse scherzano, ma appena lo guardai mi resi conto che non era così
«Charlotte!?»
«L'ha vista Polly» i tre fratelli maggiori si scambiarono uno sguardo allusivo.
«Polly?! A bhè allora andiamo sul sicuro» Nick mi guardò confuso
«Non capisco cosa intendi»
Mi sedetti sulla sedia libera accanto a David e mi concentrai sul ragazzo
«Io sono convinta che tu sia un ragazzo intelligente. Il problema è che ti fai manipolare dalla tua ragazza. Puoi cercare di ragionare per due secondi Nick?! Charlotte non lo avrebbe mai fatto»
«Non sai neanche di cosa stai parlando ….» Nick fece per alzarsi, ma lo fermai prima che lo facesse
«Tu la guardi e vedi una ragazza goffa, timida e troppo silenziosa, un agnellino. Non hai nessuna considerazione di lei, nessun rispetto ne per il suo lavoro né per i suoi sentimenti. Cristo l'hai presa in giro più volte per la mancanza di un titolo di studio, senza neanche renderti conto di quanto la ferissi» il ragazzo alzò una mano davanti al mio viso, imitando un gesto che avevo visto fare molto spesso alla Vipera
«La paternale me l'hanno già fatta questi tre, inoltre tutto questo non ha nessuna attinenza con il fatto che lei ha rubato»
«Sei lo zerbino della tua ragazza» Nick si accigliò ancora di più «Vediamo: ami gli animali motivo per cui hai una laurea in veterinaria, ti sarebbe piaciuto occuparti dei cavalli alla villa e magari un giorno aprire uno studio tuo. Questo non corrispondeva all'idea di Polly, voleva un uomo che lavorasse in ufficio e che avesse sempre le mani pulite, quindi ti ha detto che o tu lasciavi perdere il tuo progetto e ti facevi assumere qui oppure la vostra relazione era chiusa»
Nick abbasso lo sguardo senza aprire bocca. Così decisi di continuare
«Prima di conoscere lei amavi andare in moto, per questo avevi un auto di seconda mano che non usavi mai. Il problema è che alla tua ragazza piacciono le comodità, così ti ha detto di vendere la moto di cui eri innamorato e quella vecchia auto, per comprare un auto lussuosa che odio» Nessuna obiezione
«Detesti profondamente vestirti in giacca e cravatta e dover lavorare sempre al chiuso, ma lo fai perché lei vuole così. Ti piace leggere, ma stai molto attento a non farlo davanti a Polly, perché è il tipo che prende in giro quelli che lo fanno. Detesti dover andare in pub troppo affollati e le persone che bevono troppo, ma lo fai perché secondo Polly è da persone di alto liniaggio. Non frequenti più i tuoi vecchi amici perché la tua ragazza non li reputa alla sua altezza, ma ti abbassi a frequentare persone che non ti piacciono e anzi reputi privi di qualunque attrattiva» Feci una breve pausa
«E per quanto riguarda Charlotte secondo me prima di conoscere Polly ti piaceva. Anzi so per certo che hai molte più cose in comune con lei che con la tua ragazza. Polly ha sempre cercato di metterla in cattiva luce. Sono convinta che tutto quello che tu dici di Charlotte non ha niente a che fare con quello che pensi, ma è frutto di ciò che dice la tua ragazza»
«La mia Polly non è così, lei mi ama e se io volessi lavorare con ...»
«Non ci credi neanche tu» mi alzai dalla sedia, e subito David si alzò con me
«Sai qual'è la cosa più triste Nick. Che solo ora che lei non lavorerà più per te, solo ora che dovrai lavorare con altri assistenti, ti renderai veramente conto di quando Charlotte sia valida».
Uscii dalla stanza e mi avvicinai alla mia scrivania. David era dietro di me
 «Oggi non parteciperemo a nessuna riunione, prendi le tue cose Isy» presi la mia roba e ci dirigemmo nuovamente all'ascensore. Arrivata davanti alle porte avverai il telefono e cercai il numero di Charlotte
 
David
Entrammo nel parcheggio sotterraneo. Le nostre auto erano l'una davanti all'altra
«Oggi andiamo con una sola auto» Isy si bloccò e si girò a guardare la sua auto
«Perchè?» perché ti voglio accanto a me, perché ultimamente non riesco a pensare più a niente se non al momento in cui ti rivedrò, perché sto perdendo la testa per te ogni giorno di più
«Perchè così puoi chiamare Charlotte mentre siamo in macchina» la ragazza infilò le mani nella tasca del piumino
«Se lascio la macchina qui non saprò come tornare a casa David» mi vene in mente l'enorme letto su cui avevo dormito durante la mia adolescenza
«Ti porto a casa io» Vuoi venire a cena con me questa sera?
Mi piacerebbe uscire con te una sera, se per te va bene
«Sarebbe più facile se prendessi la mia auto»
«Per favore Isy» sorrise e scosse la testa
«Va bene David» mi avvicinai all'auto e le aprii lo sportello, Isy si avvicinò e salì in auto. Richiusi lo sportello e mi avviai dalla parte del guidatore. Feci un respiro profondo e salii a mia volta in auto. 
Era strano stare li. Era molto più intimo. Isy aveva il telefono in mano, ci giocò un po' e poi se lo portò all'orecchio. Mi legai la cintura e accesi la macchina. Poco dopo essere usciti dal parcheggio rinfilò il telefono in borsa
«Non risponde?»
«È occupato … »
«Nick è un idiota» mi fermai allo stop
«Posso farti una domanda?» mi voltai verso di lei e le sorrisi rilassato
«Certo»
«La odiate tutti quanti e sapete che gli farà solo del male. Eppure nessuno di voi cerca di aprirgli gli occhi. Puoi spiegarmi il motivo? Si insomma, se una persona a cui tengo stesse per fare un errore che rischia di rovinargli la vita, io cercherei di avvertirlo. Voi invece rimanete a guardare» aveva le gambe accavallate e le braccia incrociate sul petto. La treccia le ricadeva sulla spalla destra.
Mi voltai verso il semaforo pronto a ripartire
«Nick e Michael hanno lo stesso carattere. Se gli dici che stanno facendo un errore ci si buttano a capofitto ancora più in fretta».
«Non capisco»
«Al liceo Nick era una sorta di nerd. Stava sulle sue, aveva sempre la testa immersa tra i libri ed era piuttosto timido, però se gli dicevi che non poteva fare qualcosa, lui avrebbe fatto qualunque cosa per dimostrarti che si sbagliano. Al terzo anno il professore di Atletica gli disse che lui non era in grado di correre la maratona scolastica, Nick ha iniziato ad allenarsi, si è iscritto nonostante il parere contrario del prof e ha vinto la maratona ... Non gli abbiamo mai detto nulla su Polly perché temevamo che avrebbe accelerato le cose e l'avrebbe sposata, credevamo avesse bisogno di tempo per rendersi conto di chi veramente lei fosse»
«Quindi ho fatto un casino ...»
«No. Credo che quello che tu gli hai detto lo abbia sconvolto. Non credo che fino a oggi si sia mai reso conto di quanto Polly lo abbia cambiato»
«Speriamo» le auto continuavano a sfrecciare davanti a noi; mi fermai al semaforo e mi girai nuovamente verso di lei. Guardava lo schermo del telefono
«Ti sei fatta un opinione su tutti noi?» la ragazza si voltò verso di me, soppesò un secondo la mia domanda e poi annuì
«E quella che hai di me è positiva o negativa. Si insomma mi consideri come  … un amico?»
«Sicuro di voler essere considerato come un amico?» il telefono che aveva in mano squillò la ragazza se lo portò all’orecchio.
«Charlie, ho saputo cos’è successo, dove sei?»
No. Non volevo solo amicizia
***
Le passai l'ennesimo foglio e la vidi infilarlo nello scanner. Avevamo digitalizzato i primi sessant’anni di documenti; insieme ai vari documenti avevamo trovato anche vecchi articoli di giornali e vecchie foto.
Erano le ore che preferivo, potevo guardarla quanto volevo. Man mano che passavano i giorni notavo sempre più dettagli: i due piccoli nei che aveva sulla parte sinistra del collo, tre buchi lungo il suo orecchio ma nessun orecchino, il modo in cui corrucciava la fronte quando era troppo concentrata e come si tormentava i polsini quando era distratta. Ero così vicino a lei che potevo sentire il suo calore corporeo, i suoi respiri
«David» non mi ero neanche accorto che aveva sporto la mano per prendere il foglio successivo
«Scusa, per un secondo mi sono inceppato» la ragazza sorrise divertita, scostò indietro la sedia e andò verso la poltrona nell'angolo della stanza, e prese una busta di carta grande
«Hai fame? È già passata l'ora di pranzo » si sedette nuovamente al suo posto, spostando la sedia di lato in modo da potermi guardare in viso. Si posò la busta sulle cosce, poi iniziò a tirarne fuori il contenuto, due bottigliette d'acqua da un litro, due sacchetti di carta color rosso e due vaschette di plastica con l'insalata.
Spostai le cartelle che avevo davanti di lato, mi rialzai le maniche del maglione fino ai gomiti e afferrai una vaschetta di insalata
«I sandwich sono uguali» afferrai un sacchetto a caso e presi un paio di fazzolettini
«Allora che ha detto Charlotte»
«Appena uscita da qui ha iniziato a cercare un nuovo lavoro»
« Conosco parecchie persone che ne cercano una segretaria valida, le organizzo dei colloqui così può scegliere» posai il sandwich, sopra l'insalata e feci per alzarmi, ma lei mi posò una mano sull'avambraccio
«Ha detto che Grace l’ha chiamata questa mattina, è da circa due mesi che cerca una cameriera, le ha chiesto di andare a lavorare lì da lei. Ha accettato ma ha detto che cercherà anche un secondo lavoro» tolse la mano e afferrò la bottiglietta dell'acqua e ne bevve un sorso. Mi sedetti nuovamente e ripresi a mangiare
«Tra Grace e Michael cos'è successo?» afferrò il panino e gli dette un morso, poi riprese a guardarmi
«Michael ha sempre vissuto per il lavoro. Per lui era l’unica cosa che contasse veramente, un pensiero fisso. Non si prendeva mai un momento di pausa, figurati che pranzava alla scrivania e sei giorni su sette cenava in ufficio. Lei parlava e lui non l'ascoltava, si dimenticava degli appuntamenti, degli anniversari e dei compleanni. Grace invece non riusciva a passare più di una giornata senza vederlo. Ogni giovedì veniva qui in ufficio e gli portava il pranzo; per circa un'ora stavano insieme senza parlare, mio fratello neanche la guardava. A Grace bastava stare nella sua stessa stanza per essere felice. Lo amava così tanto che gli dava tutto senza ricevere niente in cambio» detti un morso al mo sandwich e masticai attentamente
«Un giovedì, quattro mesi prima della data fissata per il loro matrimonio, io e Caleb incrociammo Grace mentre usciva dall'ufficio di Michael. Era sconvolta, cercammo di fermarla per sapere cosa era successo, lei  disse semplicemente che aveva avuto una brutta mattinata. Ci disse di non preoccuparci e se ne andò. Entrammo nell'ufficio di Mick, lui era seduto alla sua scrivania a leggere un documento, come al solito, gli chiedemmo cosa era successo e lui ha risposto che non sapeva di cosa stessimo parlando»
«Prima di andarsene, Grace aveva lasciato l'anello di fidanzamento sulla sua scrivania», la ragazza prese un altro sorso d’acqua
«E dopo?»
«Una sera, erano passati più di due mesi credo, ho ricevuto una chiamata dal cellulare di Michael, era il proprietario di un bar, mi disse che Michael era completamente sbronzo e che era necessario che qualcuno andasse a prenderlo. Così andai da lui e lo riportai a casa sua. Il suo appartamento era un disastro: c'era puzza di chiuso, il soggiorno era cosparso di fotografie, l'ho accompagnato a letto, si è rannicchiato al centro e ha abbracciato il cuscino, gli ho rimboccato le coperte e … » … «Ha iniziato a piangere, era disperato perché aveva capito che aveva perso Grace. Stavano insieme da anni, si sarebbero dovuti sposare e lui non le aveva mai dato importanza. Dopo quella sera Michael ha capito cosa era veramente importante per lui e come voleva vivere la sua vita. Ha spesso di pensare solo al lavoro e sta cercando di migliorare: va via dall'ufficio intorno alle diciotto, mangia con noi, si prende dei giorni di ferie e vuole riconquistare Grace»
«Va tutti i giorni al suo locale».
«Lo so. La ama e anche se Grace gli rivolge a malapena la parola a lui basta guardarla da lontano e sentire la sua voce per ora. In pratica ha invertito i loro ruoli» la ragazza fece un sorrisino
«Se Charlotte continuerà a sottolineare le doti di tuo fratello si ritroverà una fila di possibili mogli lunga tre chilometri» il sorso si acqua che ero intento a bere mi andò di traverso e dopo alcuni secondi inizia a ridere
«Sul serio?!» mi guardò con un aria divertita dipinta in volto e annui 
«Charlotte è convinta che Michael è il perfetto principe azzurro di Grace. E lei ogni volta ascolta interessata tutto quello che lei gli dice, solo che dopo ha un'aria triste. Fa tenerezza, è come se anche solo sentirne parlare le facesse riaffiorare alla mente dei ricordo troppo dolorosi. Diventa malinconica ogni volta».
«Ha mai detto qualcosa su di lui» la vidi scuotere la testa e aprire il suo contenitore di insalata
«No. Non fa mai nessun commento ascolta in silenzio. Però credo che a Grace basterebbe poco per convincersi che lui ci tiene» 

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Capitolo Otto 
Isy
Era stata una bella giornata, ma nel tardo pomeriggio aveva iniziato a piovere e negli ultimi dieci minuti la situazione era peggiorata. Avevamo parlato e avevo avuto svariate informazioni sul rapporto tra Grace e Michael, ma doveva essere successo qualcosa di cui la famiglia Hamilton non era a conoscenza. Mi tirai la gonna un po' più giù. Le detestavo profondamente, ma avevo dimenticato il borsone con i pantaloni nella mia auto, quindi avevo dovuto tenere la mise da ufficio per tutto il giorno.
«Gira a destra e prosegui dritto per altri cento metri. È un palazzo in mattoni rossi» lo guardai mentre stringeva il volante. Aveva delle belle mani, forti e ruvide, dei piccoli graffi gli solcavano il dorso, il pomeriggio prima aveva giocato a palla con Rose ed ad un certo punto era finita in un cespuglio di rovi, lui ci aveva infilato le mani e l'aveva recuperata. La giacca di pelle gli copriva le braccia, ma non avevo bisogno di vederle per sapere com'erano: quando quel pomeriggio gli avevo afferrato l'avambraccio, ne avevo constatato la forza, sentivo i suoi peli sotto le dita, i muscoli che si contraevano nel momento in cui aveva posato il panino. Vi avevo tenuto la mano sopra per più tempo del necessario.
«Il palazzo è quello» gli indicai il palazzo, a pochi metri di distanza «Ti va di salire a bere qualcosa di caldo?» il ragazzo fece un sorriso e annuì «Supera il palazzo e infilati in quella discesa» il ragazzo fece ciò che gli avevo detto e si infilò nel piccolo parcheggio sotteraneo.  Gli indicai il mio piccolo “rettangolo” che per quella sera sarebbe restato libero, in modo che nessuno degli altri coinquilini avrebbe  potuto lamentarsi con Sam. In silenzio uscimmo dall'auto e andammo verso l'ascensore.
«Vivi da sola?» spinsi il pulsante di chiamata dell'ascensore
«No, vivo con due amiche» il ragazzo accanto a me fissava le porte lucide davanti a noi
«Le conosci da tanto?»
«Da una vita. Vivevamo nello stesso quartiere, siamo cresciute insieme come sorelle» le porte si aprirono ed entrambi entrammo nell'ascensore. Mi avvicinai ai pulsanti e spinsi l'ultimo piano. Iniziò a muoversi, continuai a fissare il display che segnava i piani.
Avevamo appena superato il terzo piano, quando di colpo le luci si spensero e l'ascensore si fermò bruscamente. Afferrai il corrimano che avevo al mio fianco per tenermi salda. L'ascensore rimase immobile. Il pannello dei pulsanti era buio, così infilai la mano nella borsa e iniziai a rovistare.
«Stai bene? Ti sei fatta male» lo sentii muoversi verso di me. In pochi secondi fu al mio fianco. Presi il telefono e cercai nelle applicazioni la torcia, la attivai e individuai lo sportello del telefono
«No. Tu tutto a posto?» afferrai il telefono e spinsi il pulsante di allarme, aspettai che il portiere rispondesse e gli spiegai cosa era successo; le luci di emergenza di accesero in ritardo come al solito. Mentre lo ascoltavo osservai attentamente il mio capo.
Il ragazzo davanti a me mi si avvicinò ancora di più e mi porse la mano. Gli detti il cellulare e spense la torcia.
«Va bene, grazie» Attaccai il telefono e richiusi lo sportello «È saltata la corrente, ha detto che appena possibile ci tireranno fuori» mi posò la mano sulla spalla e la spostò fino a trovare il mio mento. Mi passò il pollice sul labbro inferiore.
Sentii il calore del suo viso mentre si chinava verso di me. Scostò la mano e la piazzò dietro la mia nuca. Nonostante avessi gli occhi aperti non vedevo nulla, sentii solo le sue labbra che si posavano sulle mie, dischiusi le labbra e sentii la sua lingua. La presa sulla mia nuca si strinse di più.
Incapace di restare ferma allungai le mani, le posai sui suoi fianchi e me lo strinsi di più addosso. Sentii una sua mano spostarsi dal fianco alla coscia, mi lasciò andare la testa e fece la stessa cosa con l'altra mano, mi scostò la gonna verso l'alto, poi mi sollevò e mi fece appoggiare sul corrimano dell'ascensore. Si posizionò tra le mie gambe e gliele strinsi sui fianchi. Sotto le mani sentivo i muscoli delle sue spalle, e le sue mani che mi accarezzavano le cosce.
Mi scostai dalla sua bocca per prendere fiato.
«Pessima idea» le sue mani si arpionarono sulle mie natiche e posò la sua testa sulla mia spalla. Avevamo entrambi il fiato corto
«Per …. perché lavoriamo insieme?» il suo respiro mi fece venire la pelle d'oca e mi presi un secondo per godermi quella sensazione.
«Sei troppo vestito e … non sappiamo quando tornerà la luce. Il che è un problema» si mise a ridere
«Non sai da quanto volevo farlo» iniziò a mordicchiarmi il lato del collo
«Nè ho un'idea» si mise nuovamente a ridere
«Tu da quanto?»
«Dal giorno in cui ti ho visto consolare Lucas. Eri così protettivo» bofonchiò qualcosa contro il mio collo
«Quella sera, quando mi sono accorto che eri andata via, mi hai fatto preoccupare. È stata la prima volta che avrei voluto …» mi posò una mano alla base del collo e poggiò la fronte sulla mia, ricominciammo a baciarci e a toccarci. Ricominciarono i sospiri e i mugolii.
L'ascensore ripartì. David mi fece scendere dal corrimano, mi sistemò la gonna mentre io gli sistema i capelli. Le porte si aprirono e uscimmo dall'ascensore, mi sfilai il fermaglio di ferro che usavo per legare i capelli e vi infilai la mano in mezzo scuotendoli un po'. Arrivammo davanti alla porta dell'appartamento e infilai le mani nella tasca del piumino per prendere le chiavi.
Ellie aprì la porta, aveva un cucchiaio in bocca, se lo sfilò e si leccò le labbra       
«Credo che mi stia venendo il ciclo, ho una gran voglia di caramello» la ragazza fece un sorrisino angelico e si scostò dalla porta, per farci entrare. Mi slacciai il piumino, poi lo appesi all'appendiabiti, allungai la mano verso David gli presi la giacca e feci lo stesso, aveva un'aria divertita. Elli aveva l'abitudine di dire sempre ciò che pensava senza farsi alcun problema
«David lei è Ellie» la ragazza gli porse la mano, con aria affabile e lui gliela stinse
«Preferisci una tazza di cioccolata calda bella densa o una tazza di caffè?»
«Cioccolata, grazie» Ellie lo prese per mano e lo portò in cucina tutta contenta
«Sam lui è David» Samantha gli porse la mano e gli sorrise. Poi scostò lo sguardo da lui a me, e il suo sorriso si allargò ancora di più
«Siediti» feci segno a Sam di sedersi, presi le tazze dalla credenza e inizia a versarci dentro la bevanda.
«Allora … Vi siete rotolati in macchina o nell'ascensore» 
David
Suonai il campanello e poggiai la mano sullo stipite in attesa. Ero emozionato avevo passato tutta la notte a pensare.
La porta si aprì e davanti a me comparve la moretta che mi sorrise dolcemente.
«Buongiorno. Entra» la ragazza mi fece entrare in casa e chiuse la porta «Hai già fatto colazione?» scossi la testa «Vieni» la ragazza mi fece strada fino alla cucina. L'appartamento era carino, molto ordinato e profumava di caffè.
«Siediti» mi accomodai al tavolo e subito lei mi mise davanti una tazza pulita
«Serviti da solo: abbiamo, the e latte caldo, caffè e un vasto assortimento di dolci. Fai con calma lei ci metterà un pò» afferrai la caraffa con il caffè e me ne versai mezza tazza, poi ci aggiunsi lo zucchero
«Isy non è ancora pronta» lei abbassò la tazza e afferrò una fetta biscottata
«Isy. Lei è pronta, ma è al telefono con suo fratello»
«E l'altra ragazza … Ellie» si spinse gli occhiali indietro sul naso e sorrise
«Circa due ore fa una delle sue pazienti ha avuto le doglie. Quindi è dovuta andare in ospedale presto» Sam fece un sorrisino e bevve un sorso dalla sua tazza senza scostare lo sguardo da me «Hai avuto una buona reazione ieri»
«Una buona reazione?» la ragazza posò la tazza sulla tovaglia e iniziò a giocare con il manico
«Ellie ha cercato di metterti in imbarazzo per quasi un ora e tu non ci sei cascato. Vedi se si nominano argomenti prettamente femminili davanti a determinati uomini di solito scappano o fanno una faccia schifata. Lei ti ha descritto come divertito e rilassato, il che ha catturato la sua attenzione» la ragazza prese un coltellino e iniziò a spalmare della marmellata sul resto della sua fetta biscottata
«E tu? Ho attirato la tua attenzione?»
«Hai fatto una buona impressione, ma tutto dipenderà da come ti comporterai in futuro»
«Ci tengo a lei» la ragazza intreccio le mani sulla tazza, e vidi il vapore passare tra le sue dita
«Ha una personalità forte, ma è molto fragile. Prima o poi cercherà di allontanarti»
«Stai dicendo che...»
«È solo un piccolo aiutino. Ricordati quello che ti ho detto al momento opportuno e valuta bene la situazione»
«Non capisco cosa intendi»
«Lo capirai al momento giusto» sentimmo dei passi e poco dopo Isy entrò nella stanza.
«Ehi. Scusate mio fratello non la smetteva più di parlare» scostò la sedia accanto alla mia e si versò del caffè; «Di che parlavate?» mi voltai verso di lei. Aveva i capelli sciolti e le maniche del maglione arrotolate fin sopra i gomiti e i polsi come al solito coperte dai dei polsini. Erano di pelle nera con dei piccoli intagli, ogni giorno ne aveva un paio diverso
«Del tempo … anche oggi pioverà»
«Bene, a che ora ci vediamo questa sera?» Isy afferrò un biscotto al cioccolato, lo inzuppo nella sua tazza e se lo portò alle labbra.
«Grace chiude alle 19:00»
«A che ora ti passo a prendere?»
«Facciamo alle 18 e 30. Se il tuo capo è d'accordo?» sentendomi chiamato in causa mi voltai verso la ragazza che mi sedeva davanti 
«Cosa? Certo … si, tutto quello che vuoi» mi schiarì la gola «Dove andate di bello?»
«Serata del Club del libro, parleremo de “La biblioteca dei morti” di Glann Cooper e passeremo il resto della serata a distrarre la piccola Charlotte»
«Ho provato a chiamarla un paio di volte, ma ho trovato la segreteria e quando gli ho mandato un messaggio mi ha risposto che sta bene» Sam fece una smorfia ed Isy afferrò un altro biscotto
«Bene io devo andare altrimenti arriverò in ritardo. Buona giornata ragazzi» Sam si alzò dalla sedia e con un sorriso allegro uscì dalla stanza.
Posai il braccio sullo schienale della sua sedia e infilai la mano tra i suoi capelli. Erano morbidi e umidi. Voltò il viso verso di me
«Mi piacciono così» mi avvicinai di più, cercando di capire fin dove potevo spingermi, dopo pochi secondi fu lei a baciarmi, mi sfiorò solamente, si staccò, si alzò e mi sedette sulle ginocchia, aveva le gambe fasciate nei jeans scuri. La preferivo vestita in questo modo, con gli abiti da ufficio sembrava sempre a disagio. 
Le rinfilai la mano tra i capelli stropicciandoli e me la portai più vicina alle labbra. Le accarezzai le gambe, morbide e calde, risalendo lungo i fianchi, fino ad arrivare al seno, la sentii gemere contro le labbra.
Iniziò a giocare con la mia lingua, mentre con le mani mi accarezza le spalle. La afferrai per i fianchi con più forza e me la trascinai ancora più addosso spingendola contro di me sempre di più. I nostri ansimi si confondevano. Ci staccammo in cerca di aria, con le fronti poggiate l'una sull'altra. Si mosse su di me e i pantaloni diventarono sempre più stretti
«Fortuna che noi hai una gonna. Non saremmo usciti da qui» mi baciò una guancia e si avvicinò al mio orecchio
«Cosa avresti fatto» le posai una mano sul seno e ne sentii le punte turgide contro i palmi
«Ti avrei toccata. Fino a farti godere» si mosse irrequieta e inghiottì a vuoto
«Sei bagnata?» mi strinse e si mosse ancora, provocandomi nuove ondate di piacere. 
«Si» mi sussurrò all'orecchio. Mi chinai sul suo petto, iniziando a baciarlo, immaginando come sarebbe stato sfilarle il maglione e toccarla veramente, sentire la sua pelle sotto le mani, seguirne i contorni con le dita, stuzzicarla con la lingua e prenderla in bocca.
«Dobbiamo andare. Siamo già in ritardo» risi contro con il viso immerso tra i suoi seni
«Non credo che il tuo capo si arrabbierà» rise a sua volta
«No, lui no. Ma sua madre si»
«Oddio mia madre. L'avevo dimenticato»
«Non preoccuparti. Vai direttamente alla villa, io torno in azienda, prendo la mia auto e vengo da voi» mi rialzai da lei e la scrutai in viso
«Lascia l'auto lì. Vieni con me» Isy mi portò una mano al viso, accarezzandomi le guance non rasate 
«A entrambi serve del tempo per calmarci»
«Credo di essere abbastanza calmo» con il pollice seguì il bordo delle mie labbra
«Davvero?» annuii. E la sentii poggiare la mano libera sulla mia erezione coperta dai pantaloni. Iniziò a massaggiarmi lentamente, seguendolo per tutta la lunghezza. Per tutto il tempo tenne gli occhi fissi nei miei e continuò ad accarezzarmi il viso; le palpebre iniziarono a farsi pesanti, mi sfuggì un gemito. Le fermai la mano, trattenendola su di me.
«Hai ragione»
Savannah
Appena aprii la porta venni avvolta da una zaffata di caffè. Mi guardai intorno fino a quando non li individuai, mi slacciai il piumino e mi avvicinai a loro
«Buongiorno» scostai la sedia e mi sedetti davanti a loro, posai il piumino sullo schienale
«Fai colazione con noi» il signor Harper si rivolse a me con un luccichio bonario nello sguardo
«No grazie, ho già mangiato. Avete guardato il video che vi ho mandato?» il signor Hamilton posò la tazza sul tavolo e si schiarì la gola
«Si, l’abbiamo visto, ma non si vede chi è stato. Quel furto potrebbe essere stato commesso da chiunque»
«Non si vede il viso ma dalla corporatura sembrerebbe un uomo. Di certo non è Charlotte»
«Scusate ma io ancora non ho ben capito cosa è successo e ho il timore di chiedere ai ragazzi, c’è una brutta aria tra di loro» guardai il signor Harper e mi soffermai sui lineamenti del suo viso, non doveva essere stato esattamente un bel uomo da giovane ma il suo carattere aveva sicuramente compensato il resto. Non si era mai sposato, non era mai stato invischiato in nessuno scandalo e dalle schede non risultava nessun vizio particolare. L’uomo che avevo davanti aveva sempre condotto la sua vita seguendo delle rigide norme di comportamento. Lo stesso non poteva dirsi di suo padre, era un uomo meschino, crudele e falso, che aveva usato l’azienda come copertura per i suoi scambi illeciti; aveva rovinato la vita di molte persone comprese quelle del suo socio, di sua moglie e di suo figlio.
«In pratica Nicholas aveva lasciato nel cassetto della sua scrivania, un anello di fidanzamento, molto costoso. Dopo pranzo è tornato in ufficio e l’anello era sparito. Ha iniziato a cercarlo, fino a quando Polly gli ha detto di aver visto Charlotte prendere qualcosa dalla sua scrivania. Così Nick ha accusato Charlotte, che non avendo fatto nulla si è giustamente difesa. Alla fine l’ha licenziata minacciando una denuncia per furto» il signor Hamilton impassibile continuò a fare colazione, mentre Harper si voltò preoccupato verso il suo amico
«Buon dio … non avrà veramente intenzione di sposare quella serpe velenosa» Hamilton iniziò a tossicchiare, segno che ciò che stava bevendo gli era andato di traverso.  
«Spero che prima o poi si renda conto di chi ha scelto come compagna di vita» guardai i due uomini davanti a me con un senso di sconforto, pensando che se qualcuno in quella dannata famiglia si fosse preso la briga di parlare chiaramente con Nick, lui si sarebbe reso conto già da tempo dell’errore che stava per commettere
«Signori vorrei ricordavi che Charlotte è stata licenziata ingiustamente e rischia una denuncia»
«No assolutamente non permetterò a Nick di farlo ha già  combinato abbastanza guai. Piuttosto lei come fa a sapere che Charlotte è innocente» il senso di sconforto iniziò a trasformarsi in irritazione
«Perché Charlotte durante quel lasso di tempo non era neanche in ufficio; ha pranzato insieme a Grace, Rachel e altre due ragazze. Inoltre dalla registrazione posso assicurarla che il ladro non era lei»
«C’è qualche sviluppo signorina Carter?»
«È una persona che lavora per voi da molto tempo. Vi conosce, sa come vi muovete, quali sono le vostre abitudini e i vostri punti deboli. Ha accesso a tutti i vostri computer, con cui ha una buona dimestichezza e molte transazioni finanziare sono state fatte proprio da quelli durante l’orario di ufficio. Tra le persone a stretto contatto con voi sono solo due i soggetti di cui non ho informazioni precedenti agli ultimi dieci anni» 
«Continui su questa strada»   Hamilton fece un cenno al cameriere, subito mi alzai e mi infilai il piumino
«Potrebbe portarci il conto per favore» il cameriere che teneva una caraffa di caffè in mano, fece un sorriso gentile
«È stato pagato dall’uomo che è appena uscito, quello con il cappuccio blu che sedeva al bancone»

Isy
Vidi il fumo appena varcai il cancello. Passai davanti all’ingresso della villa, sorpassando Caleb e David che correvano in quella direzione. Rallentai  un paio di chilometri più avanti, poco distante da lei. Scesi dalla macchina e le corsi incontro.
«Rose stai bene?! Ti sei fatta male?!» la bambina puzzava di fumo e continuava a singhiozzare  
«Stavamo giocando. L… Lucas è nascosto » merda
«Lucas è ancora lì dentro?» la bambina annui solamente e ricominciò a piangere «Rose ascoltami bene, vado a prendere tuo fratello, tu devi correre verso casa, tuo padre e tuo zio stavano venendo qui avvertili» la bambina iniziò a correre verso quella direzione.
Mi tolsi il giacchetto me lo legai in vita, poi mi tolsi il maglione legandomelo davanti alla bocca ed entrai nel capanno. Le fiamme stavano divorando la parete, l’incendio doveva essere partito dal centro della stanza, continuai ad avanzare, fin quando non mi trovai dalla parte opposta della porta, mi guardai in torno cercandolo e chiamandolo.
Dovevo trovare il bambino alla svelta. Mi spostai verso le scale e iniziai a salire. Il secondo piano era uno stanzone enorme, mi misi al centro per cercare di capire dove fosse, poi sentii qualcuno tossire, mi girai cercando di capire la direzione e lo vidi rannicchiato sotto la scrivania, mi avvicinai e lo chiamai. Il bambino si volse verso di me, aveva la guance rigate, mi inginocchiai davanti a lui
 «Tesoro ora ti porto via ok? Però prima devo metterti questo» era terrorizzato, dovevo cercare di tranquillizzarlo, così feci ciò che avevo fatto due anni prima «Ti va se ti racconto una favola?» continuando a parlargli mi sciolsi il maglione e glielo legai sul viso in modo da coprirgli bocca e naso, mi rialzai tendendogli la mano e lo feci uscire da sotto la scrivania; mi sfilai la canottiera nera e me la avvolsi intorno alle vie respiratorie, poi mi slacciai il giacchetto dalla vita e lo feci indossare al bambino. Sempre continuando a raccontare, mi avvicinai alle scale per cercare di capire se potevo tentare una fuga da una delle finestre al piano inferiore, ma mi resi conto che tornare al piano di sotto sarebbe stato un suicidio. Gli occhi iniziarono a lacrimarmi a causa del fumo. Il bambino continuava a tossire 
«Il signor Darling si arrabbiò tantissimo e allora decise che per punizione Nana avrebbe dormito in giardino…» nella camera c’erano quattro finestre, una destra, una a sinistra e due davanti a me. Andai verso quella che si trovava alla mia destra, la aprii e controllai se potevo calarmi da li, ma ovviamente non c’erano appigli. Mi diressi verso la seconda finestra sotto cui si trovava la scrivania, ci salii sopra e la aprii, mi sporsi e vidi che la distanza con il tetto del primo piano non era molta; non sapevo se il tetto avrebbe ceduto ma era l’unica via d’uscita. Saltai giù dalla scrivania, presi Lucas e ce lo feci sedere sopra 
«Tesoro ora devi fare tutto quello che ti dico. Dobbiamo uscire dalla finestra, vado per prima appena sono sicura che sia tutto a posto ti dirò di sederti sul cornicione e tu dovrai lasciarti andare verso di me»
«Va bene, però tu mi finisci la favola»
«Certo» feci avvicinare Lucas il più possibile alla finestra e continuando il racconto, mi sedetti sul bordo, lasciandomi scivolare finché non toccai con la punta degli stivali il tetto, una volta in piedi aspettai qualche secondo, e vedendo che il tetto non cedeva, mi girai perso la finestra con le braccia in alto
«Lucas vieni» il bambino fece esattamente ciò che gli dissi; si sedette sul cornicione con le mani penzoloni verso di me, gli afferrai delicatamente le braccia e inizia a tirarlo giù, fin quando non fu di nuovo con me     
«Tesoro devi abbracciarmi forte forte ok?» il bambino si attacco con le mani dietro il mio collo e con le gambine mi cinse il busto. Mi sedetti sul tetto, accorgendomi subito che era sin troppo caldo, iniziai ad avvicinarmi al bordo; eravamo troppo in alto e con il bambino stretto addosso non potevo né calarmi né saltare, si sarebbe potuto fare male.
«Lucas ora devi urlare forte»
«Ma la nonna non vuole che si urli»
«Solo per questa volta» insieme iniziammo ad urlare. Subito Caleb e David furono sotto di noi; Caleb era sconvolto. Sentii un rumore alle mie spalle, il tetto stava iniziando a cedere.        
«David ti calo il bambino» mi staccai Lucas di dosso «Ora ti faccio scendere, qui sotto c’è lo zio pronto a prenderti, non succederò niente» gli detti un bacio sulla fonte «Lucas devi chiudere gli occhi e non aprirli finché non te lo dico io. Ok?» il bambino fece di si con la testa. Mi alzai mettendomi poco distante dal bordo, misi a terra Lucas, lo feci girare di schiena, alzare le braccia e lo afferrai per gli avambracci cercando di non stringere troppo. Lo sollevai dal tetto e lo sospinsi nel vuoto. David si posizionò sotto il bambino
«OH MIO DIO, MA CHE CAZZO STA FACENDO»
Con calma, devo calmarmi, andrà tutto bene
«CALEB ZITTO» David agitato gli urlò contro
Posso farcela devo solo stare molto attenta a come mi muovo e a non lasciare la presa
Iniziai ad abbassarmi lentamente, una volta in ginocchio, mi feci cadere di lato in modo da sedermi. Lentamente distesi le gambe portandole indietro. Finalmente quando fui completamente sdraiata iniziai a scivolare verso il vuoto.
Sentivo il bordo del tetto che mi sfregava sotto le ascelle «Isy fallo scendere un altro pò» stando molto attenta mi sporsi ancora, fin sotto il seno.
«L’ho preso puoi lasciarlo» David, afferrò il nipote e lo strinse forte
Se non volevo morire bruciata dovevo sbrigarmi. Mi riportai al sicuro sul tetto, mi alzai in piedi e mi accucciai sul bordo, poi saltai giù.
Non resisterai ancora per molto
Quel ricordo mi distrasse. Una volta che i miei piedi toccarono il terreno sentii la caviglia cedere, mi sbilanciai leggermente all’indietro e finii con il sedere a terra. In lontananza si sentivano le sirene. Mi girai di fianco e feci forza sulle braccia per tirami su, stando attenta a non caricare il peso sulla caviglia dolorante.
Mi tolsi la canottiera dal viso e cercai di respirare. 
David
Porsi il bambino al padre e mi voltai verso di lei giusto in tempo per vederla saltare giù dal tetto. Mi avvicinai a lei con l’intenzione di aiutarla, ma mi fermai non  appena li vidi.
Si alzò lentamente e si infilò la canottiera che teneva tra le mani. Si voltò verso di me, guardandomi disorientata. Il rumore delle sirene inizio a diventare sempre più forte, segno che stavano arrivando i soccorsi. Caleb mi affiancò, tendo Lucas stretto tra le braccia
«Dobbiamo allontanarci» la ragazza fece qualche passo all’indietro ondeggiando. Aspettò che Caleb la superasse per voltarsi e zoppicare verso la casa.
Mi tolsi la giacca e camminai velocemente verso di lei. La posai sulle sue spalle. Isy continuò a camminare a testa china, con le braccia rigide lungo i fianchi e zoppicante.
«Grazie» disse a bassa voce. Le afferrai il polso, lei alzò gli occhi verso di me. abbassai lo sguardo verso il suo polso e aprii le dita; aveva perso il polsino di pelle. Capii il motivo per cui non li toglieva mai, le coprivano le cicatrici. Non dissi nulla, mi chinai, passandole un braccio sotto le ginocchia, mentre con l'altro le cingevo la schiena. Si irrigidì ancora di più
«No» non la ascoltai. La sollevai da terra. Puzzava di fumo ed era ferma, troppo ferma. Era così piccola, così diversa dalla ragazza battagliera a cui ero abituato.
«David mettimi giù»
«Mettermi un braccio intorno al collo»
«David» la strinsi un po' di più
«Sto ancora elaborando quello che hai appena fatto. Fai come ti ho detto» finalmente mi guardò e mi passò un braccio intono al collo
«Grazie per la giacca» la guardai di sfuggita, ricordando la sua schiena
«David qualunque cosa tu stia pensando, non è così»
«Non penso niente» riabbassò lo sguardo e rimase in silenzio fin quando non arrivammo davanti al vialetto della villa. C'erano un sacco di persone che non facevano altro che urlare e correre da una parte all'altra. Io invece, avevo tra le braccia la ragazza che aveva salvato mia nipote dal vicino, che aveva tirato fuori da un capanno incendiato il mio nipotino, che si era buttata dal tetto. Avevo tra le braccia la ragazza che quella mattina mi aveva tolto il fiato con un bacio, mentre adesso non mi guardava più.  

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Capitolo Nove  

Dicembre 2014
Savannah
Entrai nel locale e mi sedetti nel tavolino all’angolo in attesa, slacciai la giacca di pelle e mi sistemai meglio la maglietta. Il locale era praticamente vuoto, c’erano solo quattro ragazze sedute al centro del locale, che chiacchieravano tra loro e si mangiavano con gli occhi l’unico cameriere presente in quella bettola. L’uomo doveva aver più di trent’anni e a giudicare dal corpo doveva essere un assiduo frequentatore della palestra. Mi si avvicino con uno sguardo diretto e un andatura da fighetto. Era quel tipo di atteggiamento che mi aveva sempre irritata, sin dal liceo.
«Ciao baby, che ti porto» posò le mani sul tavolino e contrasse i muscoli delle braccia, in quella che avrebbe dovuto essere una posa per mettersi in mostra.
Ridicolo
«Una tazza di te e una fetta di torta di carote, grazie» il ragazzo mi fece l’occhiolino e se ne andò. Avevo meno di tre ore per parlare con Mr Hamilton e Mr Harper, poi sarei dovuta andare in ufficio da Harris per incontrare la signora Quick e infine sarei dovuta andare in palestra per la seconda lezione di autodifesa. Era passata una settimana dall’incendio, Rachel e Caleb erano ancora un po’ scossi e avevano paura di portare i bambini alla villa; Nick e Michael si stavano occupando della parte tecnica relativa allo smantellamento dei resti del capanno in modo da poterlo ricostruire al più presto.
Il ragazzo posò la mia ordinazione sul tavolo, scostò la sedia che si trovava alla mia sinistra e si sedette  proprio accanto a me. Poi mi posò una mano sul ginocchio
«Sembri il tipo a cui piace divertirsi baby» iniziò a risalire con la mano lungo la gamba.
Feci un respiro profondo per cercare di calmarmi
«Sto per perdere la pazienza. Togli quella mano » con un sorrisino divertito l’uomo si incurvò verso di me. La sua mano era già troppo vicina alla zona X
«Sarà divertente. La stanza sul retro è libera». Posai la mano destra sul suo polso sinistro e mi porsi verso di lui. Fiducioso si avvicinò. Gli posai la mano sinistra sul bracciò destro e localizzai il nervo. Aveva i muscoli contratti, gli avrebbe fatto male e mi avvicinai al suo orecchio
«La prossima volta … ti romperò la mano» senza dargli il tempo di fare qualcosa, gli tenni il polso bloccato contro il tavolo e smossi con forza il nervo. Il ragazzo sorpreso si contorse all’indietro per il dolore. Lo lasciai andare e cadette all’indietro.
Mi poggiai allo schienale della sedia e presi la mia tazza di te tra le mani cose se non fosse accaduto nulla. Le ragazze aveva smesso di chiacchierare e avevano guardato la scena allarmate, il cameriere si rialzò dopo alcuni secondi e scomparve nella stanza dietro il bancone.   
Una decina di minuti dopo li vidi entrare nel locale si sedettero davanti a me. Harper aveva uno sguardo desolato mentre il signor Hamilton sembrava arrabbiato.
«Buona sera»
«Scusi il ritardo signorina Carter» qualcosa non andava
«Qual è il problema?»
«Mio cognato mi aveva detto che era molto intuitiva. Al contrario non mi aveva detto che era stata accusata di essere la responsabile di quello che vi è successo due anni fa»
«È di dominio pubblico signor Hamilton; inoltre vorrei ricordarle che è stato dimostrato che io ero solo una vittima, come Harper»
«Io ho avuto altre informazioni signorina Carter. Le mie fonti mi hanno raccontato che è riuscita a incastrato un altro agente»
«Signor Hamilton …»
«Non mi interessa la sua versione. Le persone con cui ho parlato sono vecchi amici di famiglia, li conoscono da anni e mi fido di loro»
“Lavoro con lui da più di dieci anni. Mi fido molto più di lui che di te”.
«… Il suo lavoro è concluso. Domani Isabel andrà a prendere le sue cose, saluterà i suoi colleghi e se ne andrà via senza dire a nessuno il reale morivo per cui lavorava lì»
Guardai l’uomo che avevo davanti. Cocciuto e arrogante. Mi aveva giudicata sulla base di false informazioni. Era esattamente ciò che aveva fatto Nick con Charlotte; era esattamente ciò che era successo due anni prima
«Farò come volete» lascia i soldi sul tavolo, strinsi la mano a Harper e a Hamilton
«Buona fortuna signori»
 Isy 
Ero seduta vicino alla parete insieme agli altri assistenti, accanto ad Albert e Molly. La riunione era durata più del solito, dopo gli argomenti di routine, i due soci si erano lamentati dell’atteggiamento di Nick: in meno di dieci giorni aveva mandato via due assistenti e la terza ragazza si era licenziata poco prima dell’inizio della riunione.  
David di tanto in tanto si voltava dalla mia parte, si passavo l’indice sulle labbra e mi fissava per alcuni minuti, distoglieva lo sguardo e dopo pochi minuti si voltava nuovamente verso di me. I preliminari duravano da giorni.
Nella sala calò il silenzio. Guardai i due soci e capii che era arrivato il momento.
«Prima di concludere la riunione vorrei ringraziare la signorina Meyer non solo per il lavoro svolto all’interno dell’azienda ma anche per aver salvato la vita di Rose e Lucas. Due atti di coraggio che senza di lei avrebbero potuto avere un tragico epilogo» Molly mi pose una delle sue mani sulla mia e mi sorrise dolcemente
«È un peccato dover perdere una persona di questo calibro. Ci sarebbe piaciuto che lei fosse rimasta con noi più a lungo e magari »
«PERDERE! CHE CAZZO VUOL DIRE PERDERE?» la frase di David esplose nella stanza. Harper si immobilizzò e Hamilton sgranò gli occhi. Nessuno ebbe il coraggio di aprire bocca. David perse la pazienza, si alzò e sbatté con forza le mani sul tavolo davanti a lui.    
«STO PARLANDO CON VOI DUE …» vedendo che i due soci non riuscivano ad articolare una risposta. Rimasi in attesa a crogiolarmi nella loro evidente ansia. Assurdo come sembrassero tutti spaventati.     
«Signor Hamilton le vorrei ricordare che il mio impiego qui era temporaneo » lui si voltò verso di me con sguardo glaciale. Mi ricordò i primi tempi.
Mi alzai e salutai, come se nulla fosse, Albert e Molly con un abbraccio. Quando mi voltai nuovamente i fratelli alternavano lo sguardo tra me e David. Lui al centro tra i suoi fratelli mi fissava arrabbiato. Se quello fosse stato un cartone dal naso e dalle orecchie sarebbe iniziate ad uscire della nuvolette di fumo.  
Un chiacchiericcio iniziò a diffondersi nella sala. Se fossi rimasta ancora là dentro la situazione sarebbe degenerata. Gli voltai le spalle e mi avviai alla porta.
«SIEDI!» gli risposi senza neanche voltarmi
«Come le ho già detto, lei non è il mio padrone» aprii la porta e uscii dalla stanza. Sentii un grande trambusto dietro di me
«FERMATI» arrivai quasi alla fine del corridoio.
«ISY» mi afferrò un braccio e mi si piazzò davanti. La calma che ero riuscita a mantenere fino a quel momento si dissolse magicamente e il cuore iniziò a battere all’impazzata. Distolse lo sguardo dal mio viso e guardò al di sopra della mia testa. Probabilmente ci stavano osservando tutti  
«Ora prendo le chiavi dell’auto e che ne andiamo nel mio appartamento, a quanto pare ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare» aveva abbassato il tono di voce. Mi soffermai un secondo sulle sue labbra. Le adoravo
«Non c’è niente di cui parlare Signor Hamilton» guardai quegli occhi chiari così grandi e passionali.
«Si invece. Dobbiamo parlare sia di quel contratto, che della nostra storia. Voglio che noi» dovevo farlo, altrimenti non mi avrebbe lasciata andare via
«Noi? Non c’è nessuno noi David. Abbiamo giocato un po’, ci siamo divertiti. Punto. Non c’è nient’altro» l’espressione sul suo viso cambiò
«Isabel» mi lasciò andare il bracciò e fece un passo indietro.
«Sei un uomo fantastico. Intelligente, divertente, affettuoso ed ispiri sesso. Con te mi sono divertita, ma adesso basta. Ti auguro di trovare la donna che cerchi. Buona fortuna». Lo aggirai e me ne andai senza voltarmi indietro  

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Capitolo 10
*** Capitolo Nove ***


Capitolo Nove  

Dicembre 2014
Savannah
Entrai nel locale e mi sedetti nel tavolino all’angolo in attesa, slacciai la giacca di pelle e mi sistemai meglio la maglietta. Il locale era praticamente vuoto, c’erano solo quattro ragazze sedute al centro del locale, che chiacchieravano tra loro e si mangiavano con gli occhi l’unico cameriere presente in quella bettola. L’uomo doveva aver più di trent’anni e a giudicare dal corpo doveva essere un assiduo frequentatore della palestra. Mi si avvicino con uno sguardo diretto e un andatura da fighetto. Era quel tipo di atteggiamento che mi aveva sempre irritata, sin dal liceo.
«Ciao baby, che ti porto» posò le mani sul tavolino e contrasse i muscoli delle braccia, in quella che avrebbe dovuto essere una posa per mettersi in mostra.
Ridicolo
«Una tazza di te e una fetta di torta di carote, grazie» il ragazzo mi fece l’occhiolino e se ne andò. Avevo meno di tre ore per parlare con Mr Hamilton e Mr Harper, poi sarei dovuta andare in ufficio da Harris per incontrare la signora Quick e infine sarei dovuta andare in palestra per la seconda lezione di autodifesa. Era passata una settimana dall’incendio, Rachel e Caleb erano ancora un po’ scossi e avevano paura di portare i bambini alla villa; Nick e Michael si stavano occupando della parte tecnica relativa allo smantellamento dei resti del capanno in modo da poterlo ricostruire al più presto.
Il ragazzo posò la mia ordinazione sul tavolo, scostò la sedia che si trovava alla mia sinistra e si sedette  proprio accanto a me. Poi mi posò una mano sul ginocchio
«Sembri il tipo a cui piace divertirsi baby» iniziò a risalire con la mano lungo la gamba.
Feci un respiro profondo per cercare di calmarmi
«Sto per perdere la pazienza. Togli quella mano » con un sorrisino divertito l’uomo si incurvò verso di me. La sua mano era già troppo vicina alla zona X
«Sarà divertente. La stanza sul retro è libera». Posai la mano destra sul suo polso sinistro e mi porsi verso di lui. Fiducioso si avvicinò. Gli posai la mano sinistra sul bracciò destro e localizzai il nervo. Aveva i muscoli contratti, gli avrebbe fatto male e mi avvicinai al suo orecchio
«La prossima volta … ti romperò la mano» senza dargli il tempo di fare qualcosa, gli tenni il polso bloccato contro il tavolo e smossi con forza il nervo. Il ragazzo sorpreso si contorse all’indietro per il dolore. Lo lasciai andare e cadette all’indietro.
Mi poggiai allo schienale della sedia e presi la mia tazza di te tra le mani cose se non fosse accaduto nulla. Le ragazze aveva smesso di chiacchierare e avevano guardato la scena allarmate, il cameriere si rialzò dopo alcuni secondi e scomparve nella stanza dietro il bancone.   
Una decina di minuti dopo li vidi entrare nel locale si sedettero davanti a me. Harper aveva uno sguardo desolato mentre il signor Hamilton sembrava arrabbiato.
«Buona sera»
«Scusi il ritardo signorina Carter» qualcosa non andava
«Qual è il problema?»
«Mio cognato mi aveva detto che era molto intuitiva. Al contrario non mi aveva detto che era stata accusata di essere la responsabile di quello che vi è successo due anni fa»
«È di dominio pubblico signor Hamilton; inoltre vorrei ricordarle che è stato dimostrato che io ero solo una vittima, come Harper»
«Io ho avuto altre informazioni signorina Carter. Le mie fonti mi hanno raccontato che è riuscita a incastrato un altro agente»
«Signor Hamilton …»
«Non mi interessa la sua versione. Le persone con cui ho parlato sono vecchi amici di famiglia, li conoscono da anni e mi fido di loro»
“Lavoro con lui da più di dieci anni. Mi fido molto più di lui che di te”.
«… Il suo lavoro è concluso. Domani Isabel andrà a prendere le sue cose, saluterà i suoi colleghi e se ne andrà via senza dire a nessuno il reale morivo per cui lavorava lì»
Guardai l’uomo che avevo davanti. Cocciuto e arrogante. Mi aveva giudicata sulla base di false informazioni. Era esattamente ciò che aveva fatto Nick con Charlotte; era esattamente ciò che era successo due anni prima
«Farò come volete» lascia i soldi sul tavolo, strinsi la mano a Harper e a Hamilton
«Buona fortuna signori»
 Isy 
Ero seduta vicino alla parete insieme agli altri assistenti, accanto ad Albert e Molly. La riunione era durata più del solito, dopo gli argomenti di routine, i due soci si erano lamentati dell’atteggiamento di Nick: in meno di dieci giorni aveva mandato via due assistenti e la terza ragazza si era licenziata poco prima dell’inizio della riunione.  
David di tanto in tanto si voltava dalla mia parte, si passavo l’indice sulle labbra e mi fissava per alcuni minuti, distoglieva lo sguardo e dopo pochi minuti si voltava nuovamente verso di me. I preliminari duravano da giorni.
Nella sala calò il silenzio. Guardai i due soci e capii che era arrivato il momento.
«Prima di concludere la riunione vorrei ringraziare la signorina Meyer non solo per il lavoro svolto all’interno dell’azienda ma anche per aver salvato la vita di Rose e Lucas. Due atti di coraggio che senza di lei avrebbero potuto avere un tragico epilogo» Molly mi pose una delle sue mani sulla mia e mi sorrise dolcemente
«È un peccato dover perdere una persona di questo calibro. Ci sarebbe piaciuto che lei fosse rimasta con noi più a lungo e magari »
«PERDERE! CHE CAZZO VUOL DIRE PERDERE?» la frase di David esplose nella stanza. Harper si immobilizzò e Hamilton sgranò gli occhi. Nessuno ebbe il coraggio di aprire bocca. David perse la pazienza, si alzò e sbatté con forza le mani sul tavolo davanti a lui.    
«STO PARLANDO CON VOI DUE …» vedendo che i due soci non riuscivano ad articolare una risposta. Rimasi in attesa a crogiolarmi nella loro evidente ansia. Assurdo come sembrassero tutti spaventati.     
«Signor Hamilton le vorrei ricordare che il mio impiego qui era temporaneo » lui si voltò verso di me con sguardo glaciale. Mi ricordò i primi tempi.
Mi alzai e salutai, come se nulla fosse, Albert e Molly con un abbraccio. Quando mi voltai nuovamente i fratelli alternavano lo sguardo tra me e David. Lui al centro tra i suoi fratelli mi fissava arrabbiato. Se quello fosse stato un cartone dal naso e dalle orecchie sarebbe iniziate ad uscire della nuvolette di fumo.  
Un chiacchiericcio iniziò a diffondersi nella sala. Se fossi rimasta ancora là dentro la situazione sarebbe degenerata. Gli voltai le spalle e mi avviai alla porta.
«SIEDI!» gli risposi senza neanche voltarmi
«Come le ho già detto, lei non è il mio padrone» aprii la porta e uscii dalla stanza. Sentii un grande trambusto dietro di me
«FERMATI» arrivai quasi alla fine del corridoio.
«ISY» mi afferrò un braccio e mi si piazzò davanti. La calma che ero riuscita a mantenere fino a quel momento si dissolse magicamente e il cuore iniziò a battere all’impazzata. Distolse lo sguardo dal mio viso e guardò al di sopra della mia testa. Probabilmente ci stavano osservando tutti  
«Ora prendo le chiavi dell’auto e che ne andiamo nel mio appartamento, a quanto pare ci sono molte cose di cui dobbiamo parlare» aveva abbassato il tono di voce. Mi soffermai un secondo sulle sue labbra. Le adoravo
«Non c’è niente di cui parlare Signor Hamilton» guardai quegli occhi chiari così grandi e passionali.
«Si invece. Dobbiamo parlare sia di quel contratto, che della nostra storia. Voglio che noi» dovevo farlo, altrimenti non mi avrebbe lasciata andare via
«Noi? Non c’è nessuno noi David. Abbiamo giocato un po’, ci siamo divertiti. Punto. Non c’è nient’altro» l’espressione sul suo viso cambiò
«Isabel» mi lasciò andare il bracciò e fece un passo indietro.
«Sei un uomo fantastico. Intelligente, divertente, affettuoso ed ispiri sesso. Con te mi sono divertita, ma adesso basta. Ti auguro di trovare la donna che cerchi. Buona fortuna». Lo aggirai e me ne andai senza voltarmi indietro  

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Capitolo 11
*** Capitolo Dieci ***


Capitolo Dieci  
Dicembre 2014
Savannah 
Mi versai una tazza di caffè e mi sedetti al tavolo. L’ultima settimana era stata stressante ed il fatto che fossi così nervosa non aiutava. 
«Vieni questa sera?» posai la tazza sul tavolo e ci immersi dentro due zollette di zucchero
«Ricordati che per loro ho accettato un lavoro fuori città» la ragazza annuì
«Possiamo dire che non ti piaceva e che hai deciso di tornare » Elisabeth sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori
«Non sono in vena» bevvi un sorso di caffè cercando di placare quel vago senso di disagio che mi assaliva ogni volta che mi trovavo in situazioni come quella
«Savannah » alzai lo sguardo e guardai le due ragazza che mi sedevano davanti. Per un momento le rividi quel giorno in ospedale, sedute accanto al mio letto pronte a fare qualunque cosa per me.
«Gli ho mentito. E fino a quando tutta questa storia non sarà finita, non posso avere nessun contatto con quelle persone»

Varcai la porta dell’ufficio e notai subito i due soprabiti appesi all’attaccapanni.  Due uomini si voltarono all’unisono verso di me. Nonostante li vedessi spesso insieme ancora mi stupivo di quanto fossero diversi. Shane a prima vista sembrava un tipo poco raccomandabile: era il ritratto della forza, alto, con un viso duro e una voce roca, vagamente minacciosa; in realtà era una persona mite, poco incline alla violenza e sin troppo intelligente, timido e riservato, non pronunciava parolacce e si trovava a disagio con le ragazze. Eppure nonostante avesse da poco compiuto ventiquattro anni, aveva negli occhi una luce che lo facevano sembrare un vecchio signore, che aveva visto troppa sofferenza.
Harris, dall’aspetto magro e leggermente più basso del giovane collega, fisicamente mostrava esattamente la sua età, era allegro e chiacchierone, un fantastico consigliere, un uomo che dopo decenti ancora si emozionava quando vedeva la moglie; i suoi occhi brillavano di allegria e vitalità, era come se dentro di sé non avesse più di vent’anni.
«Buongiorno, c’è un caffè bello fumante anche per te» li guardai ancora per un paio di secondo, poi mi avvicinai e presi la tazza che mi porgeva Harris. Lo assaporai riconoscendo subito il suo sapore intenso
«Siete andai alla “Vie en Rose” a prendere i caffè»
«E non solo …» Shane aprì davanti a me una piccola scatola di cartone di color rosa pallido, guardai all’interno ed afferrai subito un biscotto allo zenzero. Feci un sorriso a Shane che senza aspettare neanche un secondo ne afferrò uno a sua volta   
 «Credo siano i biscotti più buoni che abbia mai mangiato in vita mia» sorrisi guardando il modo in cui il ragazzo gustava quel piccolo dolce
«E Charlotte fa un caffè veramente ottimo. Ora capisco il motivo per cui Nicholas detesti tutti gli altri caffè. Una volta assaggiato il suo, tutti gli altri sembrano disgustosi» Harris annusò avidamente la zaffata  profumata che saliva dal suo bicchiere.
Detti un morso al mio biscotto e mi concentrai e osservai Shane guardare fuori dalla finestra.  
«Perché non vai a portagliene qualcuno …» Harris guardò me, poi Shane e infine anche lui guardo fuori dalla finestra.
«Preferisce i biscotti alle mandorle. Specie quelli semplice» il vecchio signore sorrise e scosse leggermente la testa.
«Vorrei tanto sapere cosa aspetti a farti avanti figliolo. Va da lei e offrigliene qualcuno, parlate un po’ e poi chiedile di uscire» il vecchio poggiò la sua mano sulla spalla del ragazzo cercando di infondergli sicurezza. Shane ci pensò su per un po’, poi all’improvviso diventò tutto rosso, lentamente alzò una mano e saluto goffamente. Io ed Harris ci voltammo verso la finestra. Dall’altro lato della strada, la fioraia ci salutava. Sia io che Harris ricambiammo il saluto e lei rientrò nel suo negozio. Shane, si spostò dalla scrivania e si andò a sedere distrattamente su piccolo divano, poggiò la testa all’indietro e chiuse gli occhi.   
«Quasi dimenticavo. Questa è arrivata poco prima di te. L’ha portata un ragazzo con i capelli viola, ha detto che era urgente» Harris mi porse una busta e si andò a sedere accanto a Shane che mangiava sconsolato il suo biscotto.  Posai il caffè sulla scrivania e aprii la busta, scorsi le pagine, finche non trovai ciò che cercavo.
Avevo finalmente trovato il punto di accesso e se la mia teoria era giusta tutto si sarebbe risolto in poco tempo.
«Harris ho bisogno di un grosso favore»
«Di cosa si tratta?»
La porta d’ingresso si aprì e Mary entrò nella stanza con un sorriso timido
«Ciao» Shane si alzò con così tanta foga dal divano che per poco non fece rovesciare al collega il suo caffè. Rimase lì in piedi a fissarla come se non fosse reale.   
«Savannah volevo ringraziarti ancora per l’altra sera, se non fosse stato per te sarei tornata a casa completamente bagnata» mi porse l’ombrello. Lo presi e ricambia il sorriso
«È stato un piacere. Ti va un biscotto allo zenzero?» la ragazza si torse le mani e abbassò la testa 
«No grazie … ecco io …» la ragazza fece un respiro profondo e rivolse lo sguardo verso Shane
«Se vuoi … mi piacerebbe uscire con te» la ragazza rimase ferma con il viso sempre più rosso, lui al contrario aveva smesso di respirare.
«Sei libera questa sera» la ragazza fece un sorriso allegro e annuì «Va bene alle otto», lei annui nuovamente e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio
«Si, alle otto va bene » la ragazza uscì di corsa dall’ufficio. E si richiuse la porta alle spalle.
Harris sorridente continuò a sorseggiare il suo caffè, io invece mi voltai verso la finestra aspettandomi di vederla attraversare la strada. Mary riaprì la porta e attraversò la stanza diretta verso il ragazzo, gli afferrò la maglia e lo trascinò in basso. Poi lo baciò.  
 
 
David 
Suonai il campanello e aspettai qualche secondo. La porta si aprì e zia Penny mi fece subito entrare in casa
«Conosco quella famiglia da anni non sono disposto a credere alle fandonie di un’assassina»
« LE DEVO LA VITA» La voce alterata dello zio rimbombò nella stanza
«Ciao tesoro» le baciai le guance calde.
«Che succede» la donna mi prese il giaccone dalle mani.   
«Non preoccuparti. Vuoi un bel the caro?» annuii
«Bene, accomodati di là» la guardai entrare in cucina, poi mi diressi verso il soggiorno. Nella stanza c’era i miei genitori, i miei fratelli, lo zio Charles e lo zio John.   
«Ora che ci siamo tutti possiamo iniziare. David siedi» mi sedetti sul divano accanto a Michael
«Cos’è successo»
«Non so e da dieci minuti che si danno addosso ma ancora non hanno aperto bocca» lo zio John si schiarì la voce e distese la gamba malandata, massaggiando i muscoli della coscia.
«Arriviamo subito al punto : da circa un anno e mezzo qualcuno cerca di sabotare l’azienda  e siete stati accusati di fronde fiscale. Grazie alle loro conoscenze, i due soci sono riusciti a mantenere la questione sotto controllo»
«Frode fiscale!»
«Caleb ti prego lasciami finire, dopo avrete tutto il tempo per le domande. Allora … come sapete due anni fa ho preso la licenza di investigatore privato e insieme a una cara amica, Savannah Carter, abbia fondato un’agenzia investigativa. Lo scorso luglio i due signori qui presenti sono venuti da me a chiedermi aiuto. Ho discusso la questione Sav che si è offerta di occuparsene personalmente. Sono state svolte indagato fino a metà agosto, poi Savannah ha pensato che sarebbe stato meglio indagare dall’interno, così Charles ha proposto di assumere una nuova segretaria, Isabel Mayer»
Guardai attentamente lo zio e riflettei sulle sue parole, cercando di capire ciò che aveva appena detto
«Stai dicendo che la mia Isy, la rompiscatole delle vacanze di tanti anni fa, non è una segretaria, ma una persona assunta da te, per indagare su questa frode»
«No, non ho detto questo. Vedi serviva una persona che lavorasse all’interno dell’azienda, una persona di fiducia, addestrata nel caso in cui ce ne fosse bisogno. La Isabel Meyer delle vostre vacanze non è la stessa con cui avete lavorato in questi mesi» mi passai una mano tra i capelli esasperato dalla situazione  
«Voglio sapere il suo nome» lo zio mi fissò dritto negli occhi
«Savannah Carter. David c’era bisogno di qualcuno di fiducia, qualcuno che nessuno di voi conosceva. Tu eri l’unico senza un’assistente, l’unico che lavorava sia in ufficio che a casa, in modo che lei avesse facile accesso non solo agli uffici e ai nuovi archivi, ma anche a quelli vecchi». Lo zio si tirò su e inizio a fare qualche passo aiutandosi col bastone «So che è un’informazione difficile da metabolizzare. Però adesso non possiamo continuare a discutere di questo. Vi ho chiesto di venire qui perché la scorsa settimana Will e Charles hanno deciso di licenziare Sav, accusandola ingiustamente, sulla base di false informazioni».
«John, ti ho già detto che …» lo zio si volto verso mio padre e lo fulminò con lo sguardo
«Concluderò in fretta, poi vi farò vedere un filmato. Non voglio più interruzioni sono stato chiaro» mio padre annuì  
«Sav è un ex agente. Venne rapita insieme a me e fu lei a farmi tornare a casa. Entrambi venimmo torturati e Ruiz s occupò personalmente di lei. Non la vedevo ma la sentivo urlare. Il pomeriggio del secondo giorno, venimmo lasciati soli in quel casolare, un ragazzo però aveva detto a Sav come liberarsi. Lei aspetto che se ne fossero tutti andati, si liberò e venne da me. Io ero messo male, non potevo camminare, massimo un giorno e sarei morto, ero un peso, così le disse di lasciarmi lì. Savannah uscì da quella stanza. Dopo poco tempo sentii il rumore di una macchina, pensai che fossero tornati, sperai che li fosse riuscita a scappare. Poi la vidi entrare dalla porta, un po’ ricurva, la sgridai  per essere tornata indietro. Mi aiutò ad alzarmi e piano piano uscimmo dalla stanza, sobbalzava ad ogni passo. Aveva parcheggia una delle auto con cui eravamo arrivati vicino alla porta, mi fece salire sui sedili dietro e si mise al volante e guidò fino all’ospedale»
«Savannah venne incolpata di sequestro, dell’omicidio di due nostri colleghi, e del mio tentato omicidio. Nessuno credeva a me ne a lei, Ruiz riuscì a farla franca per alcuni mesi. Poi un giorno vennero consegnate in forma anonima, alcune prove schiaccianti contro Ruiz. È stato processato e condannato. Inoltre all’interno del dipartimento è stata fatta una pulizia generale» lo zio prese una cartellina dal tavolino in legno davanti a lui e si rivolse a mio padre
«Hai detto che è stato Frank Gilbert a darti quell’imbeccata su Sav giusto. Sapevi che suo fratello è uno degli agenti su cui il dipartimento ha indagato. Qui dentro c’è tutto ciò di cui è stato accusato» poi porse la cartellina a mio padre, lui sbuffò.
«Questa è la tua versione John, secondo alcuni quella ragazza ha incastrato un onesto agente di polizia. non credo a niente, ne alla tortura ne al suo rapimento, ha imbrogliato tutti»
«Immaginavo che avresti detto una cazzata di questo tipo. Nick fammi un favore passami il telecomando del televisore e quello del lettore DVD. Cara porta mia sorella in cucina per favore, e chiudi la porta quando uscite»
«Che vuoi fare?» mio padre alzò un sopraciglio, in una chiara espressione di scetticismo
«Tra le prove ci sono anche dei filmati, Ruiz si divertiva a rivedere ciò che faceva. Ve ne farò vedere solo un pezzo tanto per darvi un idea di cosa è successo realmente. Non sarà facile e se qualcuno di voi pensa di non riuscire a vederlo esca ora» nessuno di mosse. Nick consegnò i telecomandi allo zio.
Avevamo lo schermo proprio davanti, quindi ci sistemammo bene sul divano. La tv si accese, sullo schermo comparvero una stanza, al centro una ragazza in piedi con le braccia legate in alto e aveva solo il reggiseno, un uomo le stava seduto davanti         
«Sei una puttana cocciuta … stupida, se tu ti piegassi a me finirebbe tutto. Ucciderei prima Harris e poi te. Implorami di ucciderti Savannah ed entrambi smetterete di soffrire. Devi solo chiedere di uccidervi»
Si sentì il rumore di uno sputo. L’uomo si pulì il viso con la mano, poi si alzò dalla sedia, si avvicino a lei e la schiaffeggiò. Lei si mise a ridere
«Sul serio?! Tra tutte le cose che avresti potuto fare mi schiaffeggi. Scommetto che era quello che faceva tuo padre con tua madre»
«Sin dalla prima volta che ti ho vista ho sempre avuto una gran voglia di scoparti. È arrivato il momento di soddisfare questa voglia»
L’uomo si mise dietro di lei, spostò la sedia, alzò il braccio e iniziò a colpirla con una piccola frusta.
Lei iniziò a urlare. Cerano momenti in cui tendeva le braccia verso l’alto come per aggrapparsi ancora di più. La colpì quattro volte, poi si fermò, le si avvicino e la afferrò per i capelli, portandole la testa all’indietro
«Uccidici … DILLO»
Lei non rispose. Si allontanò nuovamente e la colpi ancora. Un uomo entro nella stanza e fece un segno a Ruiz. Smise di colpirla, rimise la sedia dietro di lei
«Falla scendere e manda qualcuno a ripulirla»
Sullo schermo comparve il simbolo di arresto. Il cuore mi batteva forte e l’unica cosa che avrei voluto in quel momento era vederla.

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Capitolo 12
*** Capitolo Undici ***


Capitolo Undici  
Dicembre 2014
Savannah 
Mi affacciai alla sua stanza e rimasi ad osservarla. Nell’ultimo mese Sam era diventata più chiusa e taciturna del solito. Man mano che si avvicinava la data di ritorno di Cris, lei aveva iniziato ad essere sempre più ansiosa e solitaria, a volte spariva per ore e quando ricompariva aveva sempre un’aria triste.
Le feste erano un periodo troppo doloroso per lei; nonostante questo cercava di mostrarsi sempre serena e pacata, si faceva coinvolgere allegramente nei preparativi e nelle varie compere, scherzava e rideva allegramente. Chi non la conosceva non si sarebbe minimante accorto dello sforzo che impiegava per far finta di stare bene, ma noi sapevamo come stava realmente.
«Sei pronta?» fermò la mano sopra al ciondolo  e mi guardò attraverso lo specchio
«La valigia è già pronta, devo solo prendere il beautycase dal bagno» si voltò verso di me  mi fece un sorriso falsamente allegro
«Intendevo dire se TU sei pronta» il suo sguardo mutò improvvisamente, come se fosse troppo stanca per far finta che andava tutto bene
«Non ci voglio andare … » mi avvicinai a lei e la strinsi forte, sperando di riuscire a incutergli un po’ di coraggio. Lei si lasciò andare e ricambiò l’abbraccio
«Sam non sei più quella ragazzina che si faceva mettere i piedi in testa da tutti e poi è il migliore amico di tuo fratello e di Elli quindi prima o poi sarai costretta a rincontrarlo. Non puoi continuare a evitarlo»
«Sarà il primo natale che non passiamo tutte e tre insieme. Non riesco a credere che Elli non sia riuscita a convincerti» sorrisi ripensando alla disperazione di Elli quando avevo chiarito di non poter assolutamente partire con loro
«Sarebbe troppo complicato allontanarmi da Londra per così tanto tempo»
Il telefono di Samantha emise un leggero rumore. Ci staccammo e afferrò il telefono e iniziò a leggere qualcosa. La vidi sorridere dolcemente, poi mi porse il cellulare  
 
«Ehi, leggi cos’ha scritto Cris» presi il suo telefono e lessi il breve messaggio.   
 
«Che carino. Appena lo rivedrò lo abbraccerò così forte da toglierli il respiro» Lo avrei strangolato per essere stato cos’ tanto tempo lontano da Londra. Restituii il telefono a Sam e le posai un braccio sulle spalle «Non vedo l’ora che torniate»
Sam sorrise, prese il telefono e infilò in borsa. Mi andai a sedere sul suo letto e mi lascia cadere distesa. Poco dopo Sam fece lo stesso.
Entrambe ci ritrovammo a guardare il soffitto. Nella stanza aleggiava un profumo delicato che riconobbi dubito. Chiusi gli occhi e respirai profondamente, cercando di incanalarne il più possibile.
Poi mi voltai verso Sam. Aveva il viso rivolto verso il soffitto e una lacrima le scendeva lungo la tempia. Mi girai di fianco    
«Andrò da Sophie tutti i giorni Sam, non ti devi preoccupare» le asciugai le tempie con la mano. si coprì gli occhi con una mano e iniziò a singhiozzare.
Dicono che col tempo il dolore passa, ma non è vero, è solo una delle tante bugie che le persone dicono per cercare i confortarti.  

Parcheggia la moto non molto distante dalla casa, in modo che se ce ne fosse stato bisogno sarei potuta scappare senza problemi, ma se fosse arrivato qualcuno non sarebbe stata notata. Mi avvicinai silenziosamente osservando la struttura.
Avevo visto Mr Flagg andar via poco più di quindici minuti prima, avevo atteso per essere sicura di avere via libera. Mi avvicinai alla porta sul retro afferrai la maniglia e l’abbassai. Chiusa. Presi i ferri dalla tasca del giacchetto di pelle e forzai la serratura.
Una volta dentro rimasi in attesa pochi secondi per essere sicura di essere sola. La cucina era un disastro, c’erano piatti sporchi dappertutto, il pavimento non veniva spazzato da un bel po’ e nell’aria si sentiva un odore di marcio.
Attraversai la cucina ed entrai nel soggiorno. Il gatto che sonnecchiava sul divano, mi lanciò uno sguardo e si girò dall’altra parte. Vidi delle foto incorniciate sulla parete, così mi avvicinai e inizia a guardarle. Erano tutto foto in bianco e nero che ritraevano un bambino di 7-8 anni e una bambina di 11-12 anni. mi guardai un po’ intorno stando attenta a non spostare niente.
Dopo una ventina di minuti salii al secondo piano. Evitai di entrare in bagno e mi diressi perso la prima stanza da letto. Il letto era sfatto e c’erano dei vestiti ammucchiati sul pavimento, aprii i cassetti del comò e trovai solo vestiti e lenzuola pulite; poi passai a controllare quelli del comodino e trovai alcune lettere gialle e sgualcite provenienti da Madrid. Ne presi una e la lessi: una certa Amy, raccontava a Mr Flagg com’era vivere in una nuova città, delle sue paure per un futuro incerto e della speranza per il futuro.
La rimisi a posto e passai alla seconda stanza, sporca ma più in ordine della prima. Almeno il letto era rifatto. Feci ciò che avevo fatto nella precedente, solo che questa volta trovai i cassetti del comò completamente vuoti. Sul comodino invece c’era una foto incorniciata di un adolescente e una ragazza di circa vent’anni. Presi la foto in mano e osservai attentamente i volti e finalmente la riconobbi. Aprii la cornice e presi la foto, poi presi il cellulare e scattai una foto alla fotografia. Rimisi tutto a posto e uscii dalla casa.         
 
David   
Guardai l’ora per l’ennesima volta. Ero lì da circa un’ora, avevo suonato più volte ma nessuno aveva aperto. Ci avevo messo un po’, ma alla fine avevo capito. Avevo ripensato a tutto a ciò che mi avevo detto prima di andarsene, al modo in cui si comportava con me e poi mi ero ricordato quello che mi aveva detto Samantha.
L’ascensore fece un bip e le porte si aprirono. Vidi una ragazza uscirne. Camminava sicura con il telefono in mano, aveva un paio di stivali bassi, pantaloni e giacchetto di pelle, i capelli raccolti in una coda. Non appena rialzo lo sguardo si bloccò e mi studiò attentamente
«Questo abbigliamento ti si addice di più» mise via il telefono e ricominciò ad avvicinarsi
«È un po’ tardi per una visita» si fermò davanti a me ed estrasse le chiavi dalla tasca del giacchetto.
«Dovevo farti un paio di domande» incrociò le braccia sul petto
«Potevi chiamarmi»
«Preferisco chiedertelo di persona» feci un passo avanti, eravamo faccia a faccia a pochi centimetri l’uno dall’altra. Inclinò la testa un pò all’indietro per mantenere il contatto visivo
«Dove sono le tue coinquiline»
«Sono andate in vacanza. Perché?»    
«Lavori con lo Zio John?» aggrottò le sopraciglia e rimase in silenzio  
«Hai indagato sottocopertura per scoprire chi sta cercando di annientare l’azienda della mia famiglia?»
«David …»
«Lascia perdere non mi interessano queste risposta. L’unica cosa che voglio sapere è se pensavi davvero quello che hai detto l’ultima volta o se …» lei fece un passo indietro
«Mi sono spinta troppo oltre con te. Mi dispiace di essermi lasciata andare» feci un altro passo verso di lei
«Non era questa la domanda Savannah»
«No. Non le pensavo»
Le presi il viso tra le mani e la bacia. Non oppose resistenza. Ci strusciammo l’uno contro l’altra, incapaci di fermarci. Quella notte esistevamo solo noi.        

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