L'Appuntamento

di Hoel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Da Giovedì 22 Gennaio a Venerdì 30 Gennaio 1998 ***
Capitolo 3: *** Da Sabato 31 Gennaio a Lunedì 2 Febbraio 1998 ***
Capitolo 4: *** Da Martedì 3 Febbraio a Mercoledì 4 Febbraio 1998 ***
Capitolo 5: *** Giovedì, 5 Febbraio 1998 ***
Capitolo 6: *** Venerdì, 6 Febbraio 1998 ***
Capitolo 7: *** Scioglimento ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


B'soir!

Sebbene in stra-mega-ritardo (oramai Halloween è bell'e passato da un pezzo) ecco una mia nuova fanfiction horror. Non è lunghissima, prometto: se tutto va bene, ce la caviamo con 5 capitoli!

Ringrazio la mia amica giapponofila che m'ha lanciato la sua ennesima sfida: dopo l'Mpreg, infatti, Hoel si cimenta nel Genderbender! So che avrei potuto usare dei personaggi femminili dell'universo di "Naruto", ma ...  ma la sfida consisteva appunto nel cambiare sesso ad una, o più, coppie yaoi e ricamarci attorno una storia.  

Spero che la presenza del "Genderbender" non vi faccia storcere il naso: date una possibilità a questa storia, please! T^T Inoltre, non essendo un'esperta di cultura e società giapponese - malgrado le dritte della mia amica - mi scuso in anticipo per eventuali errori, incongruenze o occidentalizzazioni presenti nella storia. Mi appello alla licenza poetica. U__U

Come sempre, quando necessario, ad inizio capitolo ci saranno gli avvertimenti e a fine capitolo le note.

Vi auguro una buona lettura e un ringraziamento in anticipo a chi deciderà di lasciare un piccolo commento a questa fic.

 

 

 

 

H.

P.S.  L'aggiornamento di "Stigma" avverrà a breve, Hoel si scusa per questo abominevole ritardo, ma recenti avvenimenti le avevano fatto perdere un poco l'ispirazione e non sapeva più come proseguire. Adesso la vostra fedelissima è gasata al massimo e può continuare ad aggiornare. Anche "Missing" verrà aggiornata, dopo un inteso processo di re-editing.

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The Appointment

or

The Water Child

 

 

“Baby Blue, Baby Blue / I know that thing she did to you ... ...”

(Urban Legend "Baby Blue")

 

 

 

 

 

 

Avvolta dalla soporifera semioscurità che precede l'alba, la casa giaceva nel silenzio assoluto, condizione ottimale per dedicarsi ad attività richiedenti una grande concertazione.

Quali, ad esempio, la scrittura.

Sebbene a malincuore -  ricordandosi dell'insistente sollecitudine del suo editore - Tobirama s'accommiatò dal suo futon, nello specifico dall'abbraccio d'un dormiente Izuna, che pur tuttavia prese a serrare con possessività i suoi fianchi, quasi avesse intuito nella sua fase rem quel tentativo di fuga lavorativa. Avendo la possibilità di scegliere, Tobirama di certo non avrebbe disertato così l'uomo: che ridessero pure delle sue convinzioni all'antica, ma che morte e dannazione potessero cadere sulla sua testa se mai avesse rinunciato al sacrosanto gioco del cucchiaio e cucchiaino, dopo le libidinose coccole notturne!

E invece, per colpa di quel disgraziato dell'editore ...

Borbottando qualcosa d'intellegibile nel sonno, alla fine Izuna abbandonò la sua salda presa, girandosi dalla parte opposta e scoprendo così interamente la schiena nuda. Levandosi la piccola soddisfazione di baciargli quantomeno la spalla, Tobirama gli scostò con la scaltra rattezza d'un ladro i capelli dal collo, evitando che lo accaldassero ulteriormente. Izuna bofonchiò ancora qualcosa, cacciò un profondo sospiro e riprese a russare lievemente, strappando un muto risolino in Tobirama, nel frattanto che infilava una leggera vestaglia, osservandolo con tenero divertimento.

Scivolando via dalla stanza e procedendo a passi felpati lungo il corridoio, l'insonne (suo malgrado) raggiunse il piccolo studio, sistemandosi sulla sedia e accendendo poi il computer.

Decisamente, da quando aveva incominciato a riscuotere successo come horror writer, il suo editore  non perdeva occasione di sollecitare il suo cervello acciocché partorisse quanto prima storie e sceneggiature, tutte rigorosamente horror, che comparivano pian piano anche sulle riviste di manga e in sceneggiati, un traguardo notevole per la sua età. Il suo ultimo racconto breve, "Il Maestro delle Bambole", aveva vinto perfino il prestigioso Premio Akutagawa e ora si puntava al Premio Naoki. L'unico problema era il marketing, su quel punto non si riusciva a trovare un accordo con la sua casa editrice e i media. Tobirama infatti si rifiutava di rilasciare interviste: dopo che i critici avevano eletto il suo albinismo a causa principale della sua vulcanica creatività, aveva rifiutato di prestare la sua persona all'attenzione morbosa dei media, dei recensori e dei fan, i quali poi avevano incominciato a tartassare la sua famiglia con atti quasi di stalking e pretendendo di sapere tutto sulla sua vita. Se all'inizio la sua reticenza a mostrarsi in pubblico aveva giovato la sua fama di "Horror Writer", conferendo un'aura misteriosa ed evanescente, alla lunga i media si stavano stancando, premendo ogni membro dello staff della casa editrice affinché convincessero Tobirama a farsi intervistare perlomeno alla radio. Di sapere almeno da dove trovasse l'ispirazione. Ma Tobirama era irremovibile: non avrebbe ceduto a quel braccio di ferro, tanto non scriveva per i soldi. "Né perché soffro di albinismo", furono le uniche parole che concesse ad un giornalista tramite lettera, ma soltanto perché questi si stava per buscare una broncopolmonite a furia di aspettare alla porta di casa, in barba al meteo.

Intimamente, nel frattanto che cliccava la cartella "storie horror- divers", maledì la sua decisione d'aver inviato il suo primo racconto horror all'editoria: s'era trattato di una scommessa con suo fratello Hashirama, non aveva mai avuto intenzione di scrivere per professione. Forse per quel motivo aveva deciso di battere giù finalmente, dopo anni d'indecisione, quella storia.

"Eh ...  Se non si può fare a meno di ballare, che si balli dunque!", disse e aprì un nuovo file word, che nominò ...

 

L'Appuntamento

dalla testimonianza di Naruko Namikaze

 

E schioccate le dita, incominciò a scrivere:

 

Tutto accadde sei anni fa, quando ancora frequentavo il penultimo anno di università.

Sebbene il mio atteggiamento dimostrasse il contrario, non stavo attraversando un periodo chissà quanto felice: gli ultimi risultati accademici mi avevano molto demoralizzata, alienandomi dalla stima dei miei professori e conseguentemente dal loro supporto. Non ne conoscevo bene la ragione, ma una strana spossatezza mi aveva pervasa negli ultimi tempi, immalinconendomi e spronandomi alla ricerca di una qualsivoglia forma di distrazione, sia fisica che mentale, la quale mi allontanava progressivamente dallo studio. Era come se avessi perso ogni interesse, facendomi apparire ogni cosa grigia e asfissiante, una gabbia da cui anelavo d'uscire quanto prima. Ma a nessuno importava, men che meno ai miei professori, i responsabili della mia formazione intellettuale. Dall'alto della loro saggezza, non riuscivano a figurarsi il motivo per il quale una  valida studentessa di ventuno anni fosse rimasta così, da un giorno all'altro, vittima dei “vapeurs anglais”. Tentai di parlarne coi miei genitori, ottenendo purtroppo scarsi risultati. Talvolta avevo l’impressione di non essere null’altro che una delusione, una figlia ingrata che ripagava con la pigrizia i loro sforzi e sacrifici per aver permesso anche a me di studiare esclusivamente nei migliori istituti onde intraprendere una brillante carriera come docente universitaria. Solo Menma, mio fratello maggiore e unico confidente, mi capiva senza giudicarmi.

E Sasuke, ovviamente, il mio fidanzato.

Era stato Menma-nii ad avermelo presentato, essendo egli infatti il migliore amico d'Itachi-san, il fratello di Sasuke. All'epoca mi trovavo all'ultimo anno di liceo e, in tutta onestà, mi era subito divenuto antipatico e la cosa fu reciproca, avendomi Sasuke sempre rifilato commenti sferzanti e affatto gentili, dandosi grandi arie d’aristocratico e statua di ghiaccio. Alas, chi disprezza compra, mi ricordava la buonanima di mio nonno Jiraiya-ojisan e, puntualmente, col trascorre del tempo il nostro mutuale sentimento di fastidio e avversione si era sostituito ad uno d'affetto e di reciproco interesse. Quando avvenne il fatto, stavamo già insieme da un anno e mezzo, sebbene con molte riserve da parte dei miei genitori (mia madre soprattutto) e dei miei amici, giacché non vedevano di buon'occhio né Sasuke né la sua famiglia.

Sinceramente, non me ne calava un'emerita cippa. Quando stavo in sua compagnia, sulla mia vita ritornava a cinguettare la primavera. La mia inspiegabile depressione svaniva improvvisamente e le cupe ombre con lei. Sapevo che, sotto quella facciata gelida e altera, Sasuke m'amava teneramente, anzi, talvolta gli leggevo una lieve ma persistente ansia negli occhi, come se temesse in un mio ripensamento. Si sbagliava, non lo avrei mai lasciato. 

Mai.

Eppure ci andai molto, troppo, vicina ...

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued?

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Capitolo 2
*** Da Giovedì 22 Gennaio a Venerdì 30 Gennaio 1998 ***


B'soir!

No, avevo affatto abbandonato questa fic! Diciamo che avevo postato il capitolo in un momento di frenesia creativa, ma non avevo un'idea ben precisa di come strutturare la storia. Inoltre, dovevo informarmi bene su alcuni aspetti presenti in questa fic e raccogliere del materiale. Adesso che tutto è pronto, potrò pubblicarla se non regolarmente, perlomeno senza secoli di distanza!

Infatti, alternerò gli aggiornamenti di questa con "Stigma", perché un po' per uno non fa male a nessuno (tranne all'autrice che deve scriverle ...)

Avvertimenti!

1) In questo capitolo verranno trattati temi ancora molto attuali per il Giappone, quali emancipazione femminile e parità dei sessi. Le opinioni dei personaggi non corrispondono a quelle dell'autrice, come sempre sono esseri a sé che si muovono in un dato contesto e reagiscono di conseguenza. Anche le idee religiose qui espresse non sono mie, bensì del personaggio.

2) Il cognome "Uchiha" è stato riportato come apposta "Uchiwa", la sua variante "originale" per così dire, nonché presente nella traduzione francese del manga di "Naruto." C'è un significato dietro, promesso!

3) Mi scuso in anticipo per eventuali occidentalismi e inesattezze! Ho provato ad essere quanto più possibile coerente con l'ambientazione, ma, da povera gaijin che sono, su qualcosa ho sicuramente toppato! T^T

Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori e recensori, in particolare a Imoto e Angel_Darl_Light. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, ricordate e preferite.

Vi auguro una buona lettura,

 

 

 

 

 

H.

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Non era stato facile convincere Tobirama ad abbandonare la reclusione nella quale si costringeva, ogniqualvolta incominciava la stesura di un suo romanzo, o novella o sceneggiatura. A onor del vero, causa il tipo d'educazione ricevuta durante l'infanzia, l'horror writer aveva sempre avuto una certa tendenza a rintanarsi in casa, uscendo lo stretto necessario e non perché appartenesse al genere "otaku", bensì per abitudine. Del resto, l'albinismo non aveva giovato le sue capacità d'inserirsi, né di stringere grandi amicizie. I suoi genitori avevano infatti preferito nascondere piuttosto che aiutare ad accettare la sua condizione.

Perciò Izuna non aveva più di tanto obiettato  l'unica condizione impostagli da Tobirama per uscire assieme e camminare fino al parco. In altre parole: indossare un largo cappello di paglia e degli spessi occhiali da sole, così da mimetizzarsi quanto possibile tra la folla. Il caldo umido dell'estate giocava poi a suo favore, poiché nessuno avrebbe trovato eccessivo quel suo impacciato tentativo di camuffamento. Inoltre, avevano scelto un'ora fortunata per la loro innocente scampagnata: un placido silenzio da tardo pomeriggio coccolava l'ambrato degli alberi, intanto che un vento tiepido ne scuoteva indolente le fronde, associandosi al ritmico scorrere della fontana a forma di scala, dalla cui cima zampillava più gagliarda per poi zittirsi man mano che raggiungeva il sottostante laghetto artificiale. Là i due "viandanti" s'erano appostati, sedendosi sulla metà esatta della pomposamente stilizzata fontana, lasciandosi distrarre dagli occasionali rumori di sandali sulla ghiaia, dai complici bisbigli, dall'eco degli schiamazzi dei bambini ingaggiati in una guerra all'ultimo spruzzo d'acqua. L'aria era pregna di un'insolita attesa per qualcosa d'indefinibile, eppure desiderato al punto di rimpiangerlo prima ancora d'averlo perduto.

"Ti recavi spesso al parco a quest'ora, sedendoti in compagnia di tuo fratello sul bordo della vasca della fontana. E ricordo che immergevi i piedi e le mani fino ai polsi, quando il caldo diveniva insopportabile."

"Ottima memoria. E tu, ritornando dal tirocinio, ti fermavi e ti appoggiavi alla ringhiera, osservandomi timidamente indiscreto, senza avere mai il coraggio di parlarmi."

"Non volevo apparirti insolente. D'altronde, tutti coloro che t'avvicinavano lo facevano allo scopo di dileggiarti."

"Probabile. Anche se mi piacevi già allora", sentenziò Tobirama con malcelata mestizia, alzandosi onde stiracchiarsi le gambe indolenzite. Dopodiché, levati i sandali, avanzò dentro le strette vasche della scala-fontana. E forse avrei dovuto avere anch'io più coraggio e sceglierti per primo, invece di lasciarmi abbindolare dalle false promesse di chi voleva solo giocare con la mia ingenuità.

Alle sue spalle, Izuna l'osservava pensoso. Percepiva, infatti, che Tobirama aveva intenzione di comunicargli qualcosa: di norma, iniziava sempre con un poco attinente preambolo, per arrivare in seguito ad un discorso totalmente diverso.

"Ho intenzione di concedere un'intervista", disse infine l'horror writer, continuando a fissare i bambini che giocavano qualche gradino più in basso.

Appunto.

"Ti hanno fatto ancora pressioni?"

Tobirama scosse il capo, liberando inconsapevolmente dal capello delle arruffate ciocche nivee, le quali si arricciarono vezzosamente sulle tempie inumidite da un lieve velo di sudore. "No, è una mia idea. Ma questo solo dopo che avrò pubblicato la storia su cui sto lavorando."

"Allora, smetti di scriverla", fu il consiglio d'Izuna, genuinamente preoccupato sugli effetti che quel racconto avrebbe potuto avere sull'horror writer. "Non ti lasceranno in pace finché non sapranno tutti i riferimenti!"

Tobirama si voltò, sorridendogli con affetto. "Sei premuroso e te ne ringrazio. Tuttavia, devo farlo. Questa storia ... Voglio dire, l'ho promesso a Naruko ... e a me."

"Naruko?", colmò la distanza Izuna, afferrando Tobirama per la vita e appoggiando la guancia sulla sua spalla destra. "Si chiama così?"

Le dita alabastrine dell'horror writer si confusero colla pece dei capelli d'Izuna.

"Come avresti preferito che si chiamasse?"

 

 

***

 

L'Appuntamento

dalla testimonianza di Naruko Namikaze

(segue)

 

 

Giovedì, 22 gennaio 1998

- mancano 15 giorni all'Appuntamento -

 

 

"Perché siete vestiti di nero? State andando ad un funerale?"

Mia madre Kushina, appena ritornata dal supermercato, ci aveva pizzicati proprio nel momento in cui ci stavamo infilando le scarpe per uscire.  

"Sì", rispose mio padre, Namikaze Minato. "Siamo stati invitati al funerale di Fugaku-san."

"Il commissario Uchiwa-san?"

"Esatto. Fugaku-san è venuto a mancare la settimana scorsa. Essendo Itachi-kun molto amico di Menma-kun e in qualità di sindaco di Konoha, ho pensato adeguata la nostra presenza al suo funerale", le spiegò brevemente Otōsan e in quel momento lodai la sua diplomazia (senza dubbio acquisita facendo politica) per aver abilmente glissato sul fatto che sussistevano altri legami con la famiglia di Sasuke, al di là della mera amicizia.

Che frequentassi un Uchiwa lo sapevamo soltanto Menma, lui ed io.

Perché, sebbene amorevole di natura, non ci fidavamo troppo dell'apertura mentale di mia madre. L'essere divenuta stranamente conservatrice dopo una gioventù piuttosto scapestrata pareva quasi un contrappasso dantesco e di fatti,  lei aveva subito preso a guardarci sospettosa, avidamente alla ricerca di una falla nel nostro alibi."Dovete proprio andare?", disse infine, sibilando quasi.

"Perché no? Fugaku-san era una brava persona, gran lavoratore ed esemplare padre di famiglia. E' stato lui a finanziarci la campagna elettorale, in caso avessi dimenticato."

"Tutto quello che vuoi. Tuttavia lui è - era -  un Kirisutokyouto [1] e sai quanto l'atteggiamento ... anticonformista suo e soprattutto della sua famiglia abbia spesso creato disagio tra gli altri abitanti di Konoha."

Ancora quella storia.

"Beh, se si sono abituati ad avere per sindaco il figlio di una Pan-Pan Girl, allora sopravvivranno all'idea di convivere con una piccola comunità cristiana!", replicò stranamente bellicoso mio padre, sistemandosi il cappotto e facendoci cenno di seguirlo.

"Era una Only, non denigrare tua madre più del necessario!" [2]

Che se ne scopasse uno o cento, sempre puttana degli yankee rimaneva, avrebbe voluto rispondere Otōsan, il quale aveva subìto più lui della genitrice (la quale s'era convenientemente suicidata nel '52, alla fine de facto dell'occupazione militare americana) l'umiliazione d'essere un ainoko, un bastardo sangue misto. Non esistono giapponesi di sangue puro con capelli biondi e occhi azzurri. Se non fosse stato per la buonanima di quel filantropo riccone di Namikaze Jiraiya-ojii, che lo aveva adottato ed educato allo scopo di riscattare le sue dubbie origini, di certo mio padre non avrebbe tardato a seguire sua madre in fondo al fiume Naka con le tasche piene di pietre. C'erano voluti molti anni, indubbiamente, ma infine aveva ripulito la sua reputazione agli occhi di Konoha, divenendo un brillante avvocato. Tutti adoravano Namikaze Minato-shi, dimenticando come in passato l'avessero additato coi peggiori dei nomignoli, ainoko! bastardo! parassita! vattene da tuo padre in America! Perfino quando li aveva scioccati sposandosi con quella teppista di mia madre Kushina continuarono ad osannarlo, eleggendolo a simbolo di un Giappone rinato. Non fiatarono sullo stile di vita poco consono ai valori tradizionali dei suoi figli. Non smisero di amarlo neppure quando permise ai Kirisutokyouto di costruirsi una chiesa su di un terreno destinato invece ad essere occupato dal solito centro commerciale. Konoha ignorava infatti come mio padre la stesse costantemente sfidando, sbeffeggiandola della sua ipocrisia e al contempo la adulasse con false promesse di un "progresso conservatore". Dietro i suoi sorrisi si nascondeva molto rancore e amarezza, che mi lasciò in eredità assieme ai suoi tratti somatici. Ridendo, Menma soleva appellarmi maschiaccio perché a quindici anni avevo deciso di recidere quelle infamanti trecce bionde, ma bionde naturali, che mi facevano passare per una diversa, una delinquente. In particolare, oltre che per il taglio corto e arruffato, si burlava dolcemente di me per la mia attitudine rissosa. Picchiavo forte, eggià, e mi rimproverava per questo! Come no, e lui elargiva caramelle agli omofobi che lo chiamavano "vecchio troione succhiacazzi"!

Ancora oggi non gli ho mai confidato che se menavo le mani, era soltanto per difendermi. Gli ho confessato molte cose, ma con questa ho sempre fallito. Come può d'altronde capirlo uno che ha avuto la fortuna di nascere fisicamente giapponese in tutto per tutto? Meglio gay che gaijin, come si suol dire.

Mah.

Forse per questi disparati motivi avevo deciso di mettermi con Sasuke.

Tra diversi non ci si sente fuoriposto.

 

~~~

 

 

La morte di Fugaku-san aveva colto tutti di sorpresa: ricoverato d'emergenza la notte di Capodanno, era rimasto in ospedale fino a metà gennaio, quando un secondo attacco di cuore lo divise per sempre dai suoi disperati congiunti.

Seppi della sua dipartita solo il giorno dopo, sabato 17 gennaio, tramite Itachi-san e al momento ammetto che m'ero sentita piuttosto delusa, se non offesa, nei confronti di Sasuke per questa "ambasciata" da parte di suo fratello. Solo al funerale compresi quanto il decesso del padre avesse sconvolto il mio povero fidanzato (segreto).

 Dopo esserci congedati da nostra madre, Menma,  Otōsan  ed io ci eravamo diretti verso il quartiere dove abitavano gli Uchiwa.

Facemmo appena in tempo a raggiungere l'entrata principale della loro casa addobbata a lutto, che la trovammo bloccata da una piccola folla di amici, parenti e curiosi, impedendo al corteo funebre di uscire. In mezzo, fissandosi vicendevolmente in cagnesco, la vedova Mikoto-san discuteva animatamente con l'altrettanto alterato sacerdote del Tempio Nakano. Dai frammenti della loro concitata discussione, apprendemmo che alla base di quel diverbio teologico si trovava la testarda insistenza del bonzo e dei vicini acciocché si celebrasse il rito funebre shinto-buddista, imposizione tenacemente contestata dalla madre di Sasuke e, pian piano, anche dai suoi correligionari. Malgrado la Restaurazione Meiji avesse introdotto e garantito la libertà di professione di qualsiasi fede, il sospetto verso coloro che non praticavano i riti tradizionali non era affatto svanito, anzi, i cristiani sotto sotto venivano ancora considerati persone "bizzarre", se non proprio egoiste e ottuse per loro intransigenza nel fregarsene altamente dell'altrui opinione se non quella di seguire i dettami del loro Iesu Kirisuto-sama, per il Quale erano capaci "di rinnegare se stessi e i loro genitori e parenti". Non solo: essi condannavano severamente il suicidio (anche per onore) e l'aborto, nonché si rifiutavano categoricamente di associare ai riti cristiani i precetti shinto-buddisti su cui si scandiva la vita del tipico giapponese. Gli appassionati delle teorie del complotto sostenevano che i Kirisutokyouto fossero addirittura spie degli Occidentali. (Anch'io confesso una mia gaffe dettata dalla mia iniziale ignoranza in materia, quando chiesi a Sasuke se allora i cristiani si considerassero una sorta di semidei, visto che si dicevano "figli di Dio". Ancora arrossisco al ricordo della sua faccia contorta nel tentativo di non sganasciarsi dalle risate). Se nelle grandi città si sorvolava tranquillamente su queste controversie religiose e morali, nella più pettegola provincia al contrario scuoteva molte lingue, le quali alludevano a sventure, a maledizioni e a persecuzioni di spiriti offesi che prima o poi si sarebbero scatenate sulle dure cervici di quei mariuoli semi-occidentalizzati. Non che i Kirisutokyouto fossero meno tenaci: piuttosto che venire ad un compromesso, preferivano rinunciare al loro quieto vivere, pronti a qualsiasi conseguenza.  Non erano sopravvissuti a quasi duecento anni di persecuzioni per lasciarsi influenzare da chicchessia. Come adesso con gli Uchiwa e il sacerdote del Tempio Nakano. Temendo quindi che l'affare terminasse con uno scontro fisico tra i due credo, Itachi-san decise allora d'intromettersi e, condotta delicatamente la madre verso Shisui-san, tentò con molta pazienza di far ragionare il bonzo, ringraziandolo per il disturbo ma sostenendo che loro stavano aspettando il loro prete cattolico per celebrare il funerale secondo la loro dottrina. Il bonzo e i vicini, insensibili a questo spirito conciliatorio, presero a tuonare che dovevano invece seguire le antiche usanze, al massimo fare due cerimonie, altrimenti lo spirito di Fugaku-san  non avrebbe mai trovato pace.  

"Inoltre", aggiunse l'uomo, sventolando un dito premonitore sotto lo scettico naso d'Itachi-san, "la vostra casa e la vostra famiglia saranno maledette dalla sua anima tormentata!"

Fu allora che comparve Sasuke.

"Vecchio rincitrullito infarcito di merda!", ululò, facendosi violentemente strada tra gli astanti. Con la forza di un toro inferocito si scagliò contro il bonzo, pigliandolo per le vesti e scaraventandolo in mezzo alla strada, urlando come un forsennato di non insultare l'anima del defunto padre con le bugie dei kami shintoisti e del Buddha.  "Da morto ti permetterò di dissacrare uno dei nostri sacramenti con simili fesserie da superstiziosi!" e soltanto il provvidenziale placcaggio di Itachi-san gli impedì di prendere a calci il bonzo fino al cimitero.

Inutile dire come rimanemmo tutti scioccati dalla sua furia.

Non riconobbi in lui l'uomo un po' scorbutico e tuttavia buono, del quale m'ero innamorata. Dinanzi a me s'era manifestata una persona completamente diversa, feroce e inflessibile.

E disperata.

Con una scusa, mi allontanai discretamente dal corteo funebre, dopo aver salutato velocemente Mikoto-san.  Non osai prender parte alla cerimonia: per la prima volta dall'inizio della nostra relazione, percepii come la diversità di Sasuke, anche solo teologica, avesse creato un divario tra noi due. Avevo infatti sperato di trovare in lui consiglio, di sottoporgli un problema che da tempo m'angustiava per decidere assieme il da farsi.

Dopo quella scenata, già mi potevo immaginare la sua risposta che io, stupida, non volevo per nulla al mondo condividere.

 

 

Domenica,  25 gennaio 1998

-  mancano 12 giorni all'Appuntamento-

 

 

 

 

Avevo appena cerchiato sulla mia agenda la data "venerdì, 6 febbraio" che il mio cellulare prese a squillare di nuovo. Dieci minuti più tardi, Sasuke m'aspettava sottocasa.

"Sono venuto per scusarmi", mi comunicò, prima ancora di salutarci. Era la prima volta che lo rivedevo dal funerale di suo padre e i segni del lutto ancora indugiavano sul volto del mio fidanzato,  pallore e occhi cerchiati di rosso esasperati dall'abito nero che avrebbe indossato, secondo le usanze dei Kirisutokyouto, fino alla prima Messa di suffragio per l'anima del padre. Strascicava inoltre le parole, neanche si fosse ubriacato di lacrime, il capo chino e concentrato sulla neve fangosa sotto i suoi stivali. Mi parve molto vecchio e spossato.

"E per quale motivo?", giocai alla nesci, malgrado sapessimo benissimo entrambi a cosa si riferisse.

"Giovedì, al funerale. Ti ho turbata col mio atteggiamento. Ti ho deluso. Per questo te ne sei andata così presto, senza neppure salutarmi."

D'un colpo trovai molto interessante la festa di compleanno di mio padre, che avevo momentaneamente abbandonato per conferire con Sasuke.

"Non fa niente. Succede."

"Non mentirmi." La voce del mio partner suonava angosciata. "Io ... io spero che la tua freddezza nei miei confronti sia dettata dalla figuraccia che ho fatto giovedì. Altrimenti, sul serio non riesco a comprendere perché m'hai evitato così a lungo!"

"Non ci sentiamo da tre giorni, paranoico d'un melodrammatico!"

"A me? Dico, ti fingevi la segreteria telefonica!"

"Adesso mi fai il terzo grado? Mi controlli?", protestai simulando indignazione, più che altro allo scopo di dirottarlo dal vero motivo del mio effettivo allontanamento. Non potevo rivelarglielo.

Non avrebbe compreso.

"Va bene, va bene, non ti scaldare! In ogni modo, stasera parto: m'assenterò da Konoha per un po' di tempo", mi comunicò Sasuke tutto d'un fiato e sussurrando, quasi mi stesse confessando un chissà quale segreto obbrobrioso. Di certo, non poteva competere col mio.

"Dove vai?"

"Ad Akita, al Santuario di Maria-sama [3]. Mia madre vorrebbe trascorrervi un periodo di ritiro spirituale per trovare conforto e forza, onde affrontare la vedovanza."

"E tu?"

"Io?", sorrise amaramente il mio compagno, sistemandosi nervosamente una ciocca dietro l'orecchio. "Io rimarrò lì qualche giorno. Per meditare sul mio gesto. Dopodiché mi recherò a Nagasaki per un congresso e starò lì fino al 6 febbraio, per la commemorazione del martirio di Pauro Miki-sama e degli onorevoli martiri [4]. Pensavo di cenare assieme quella sera, al mio ritorno ben inteso, ti andrebbe? Nel frattempo, dovessi aver bisogno di qualsiasi cosa, sai che la mia famiglia è la tua."

Mi massaggiai pensosa la radice del naso, incerta se sentirmi sollevata o meno per quell'improvviso allontanamento. "Te ne vai in un santuario ... Per fare penitenza?"

"Non proprio, direi piuttosto una riflessione sul fatto che non devo cedere alla violenza, neanche quando dettata dalla sofferenza", mi rivelò a malincuore e dal livore delle sue nocche, intuii quanto quella decisione fosse costata a Sasuke, di solito sempre così irruento e appassionato nelle sue convinzioni, anche sotto la facciata di granitico stoicismo. "Vedi ... non trovo le parole adatte per spiegarti cosa mi sia preso in quel momento. Non riesco ad elaborare neppure io un motivo esatto. Mio padre ... malgrado le nostre divergenze, gli volevo molto bene, era sempre stato il mio punto di riferimento. Alla sua morte mi sono sentito crollare il mondo addosso, Naruko, non ... Ho smesso di ragionare lucidamente. Non accettavo la sua morte. Neanche quando Itachi-nii mi confortava dicendomi che lui si trovava al cospetto di Kami-sama, dove ci avrebbe aspettati per ricongiungerci. Ma ... ma come poteva aspettarci, visto che era lì, rigido e freddo in una bara di legno? Ho ... ho vacillato ... ho dubitato ... Quando poi quel vecchio pazzo ha paventato che l'anima di mio padre, invece di trovare la beatitudine ultraterrena, sarebbe stata maledetta come quella d'un malfattore soltanto per non aver recitato degli incantesimi da superstiziosi ... Che Kami-sama mi perdoni per il mio gesto, perché l'idea di domandare scusa al bonzo mi riesce difficile ...", dichiarò in un sommesso borbottio, grato che il freddo gli stesse arrossando le pallide gote, così da non dover giustificare quel rossore generato invece da quella (secondo lui) imbarazzante confessione.

Contro ogni sua aspettativa, l'essersi sbottonato con me, nonché l'avermi chiarito il perché dietro quell'atto violento, mi suscitò un'onda di travolgente affetto nei suoi confronti, rendendomelo ancora più caro e spronandomi ad afferrargli il braccio, serrandomi a lui. 

Le nostre dita s'intrecciarono automaticamente tra di loro.

"Di certo hai dimostrato, di non essere il tipico Kirisutokyouto che porge l'altra guancia!", commentai giocosamente, affinché non si fustigasse troppo per quell'attimo di crisi spirituale. Considerati i miei numerosi scetticismi in materia religiosa, ero l'ultima persona cui Sasuke poteva chiedere conforto e ciononostante non desideravo spargere sale sulle sue ferite.  Lui non mi aveva mai criticato per le mie convinzioni né aveva tentato di convertirmi, rispondendo alle mie domande come se stesse soddisfacendo più una curiosità intellettuale che religiosa. Ed io lo rispettavo per questo, apprezzavo la sua delicatezza. Sarei passata per una vera bastarda se ne avessi approfittato per farlo dubitare della sua fede. Sasuke non si sarebbe mai permesso tale vigliaccata. Io neppure. Anche se, a sua insaputa, gliene stavo preparando una ... una che non riuscivo a ...

"E ti pare che ne debba andare fiero? Insomma, non vorrai mica un rissoso per marito, spero?", scherzò Sasuke, fingendosi dapprima accigliato per poi sciogliersi in uno di quei rari sorrisi pieni di fossette, che provocavano innumerevoli batticuori nelle altre ragazze. Il mio compreso e ne era a conoscenza, il delinquente.

Avrei dovuto ridere alla battuta.

Avrei dovuto rispondere all'abbraccio in cui mi avviluppò, riscaldandomi.

Invece, mi venne una gran voglia di piangere.

 

 

Lunedì, 26 gennaio 1998

- mancano 11 giorni all'Appuntamento-

 

 

Era strano prendere il treno per Tokyo senza vedere Sasuke salutarmi dal binario: mentre il veicolo acquistava man mano velocità fino a scomparire alla prima curva; mi sembrava d'aver abbandonato l'ultimo nostro rituale di coppia. In altre circostanze, avrei razionalmente contestualizzato quell'assenza dicendomi che il mio fidanzato aveva preso assieme a sua madre il superveloce per Akita. Invece, la mia parte più emotiva piangeva un lutto ch'io per prima trovavo illogico, eppure preponderante nella mia mente confusa. La mia decisione era presa e ciononostante non riuscivo a trovare alcun conforto in essa. Anzi, più ci rimuginavo sopra, più i dubbi m'assalivano.

Sospirai di sollievo quando finalmente raggiunsi accompagnata da Menma la quiete del mio bilocale. Hinata-chan, la mia coinquilina, m'aveva lasciato un post-it, spiegandomi come quella sera avrebbe pernottato  da Sakura-chan ed Ino-chan, due nostre compagne di facoltà. Prima ancora che avessi il tempo d'obiettare, mio fratello acchiappò immediatamente il telefono, invitando Gaara a pranzare da noi. Non che nutrissi alcuna contrarietà, tuttavia mi pareva scorretto organizzare pranzi senza aver prima consultato Hinata-chan. Nondimeno, alla vista della zazzera rossa (tinta) del meco di Menma, accantonai ogni remora per godermi invece i siparietti di quei due matti, sperando di distrarmi un poco. Mi piaceva talvolta immaginare come sarebbe stata la mia relazione con Sasuke in caso avessimo adottato la medesima complicità spensierata di Gaara e Menma, arrivando sempre alla conclusione che sarebbe stato impossibile. Del resto, malgrado il nostro burrascoso inizio, noi due non ci eravamo di certo innamorati scambiandoci simili complimenti (Ma quanto tamarro e rincoglionito sei da vestirti da  Mika-chan di "Angel Sanctuary"? "Ha parlato il provincialotto di merda!" ) col risultato d'amour extrêmement fou. In ogni senso.

Meno male che Menma s'era trasferito a Tokyo in via definitiva. Dubito che Gaara sarebbe sopravvissuto alla statica vita provinciale offerta da Konoha, né che quest'ultima lo avrebbe accolto a braccia aperte: il mio presunto cognato appariva troppo ... eccentrico per passare inosservato e perfino mio padre aveva lasciato intendere che, per una cittadina come la nostra, noi in primis le bastavamo già per fregiarsi dell'aggettivo "tollerante." Meglio non tendere oltre la corda dello shamisen.

Un vero peccato perché mi sarebbe piaciuto avere mio fratello più vicino. L'idea di rimanere a Tokyo non m'attirava più di tanto, avevo sempre preferito ambienti più semplici e circoscritti rispetto alle confusionarie metropoli. Ma del resto, che ci potevo fare? Non avevo alcun diritto d'immischiarmi nella vita di Menma, non quando s'atteggiava in maniera così rilassata e felice.

Spiandoli di sottecchi mentre indugiavano nei loro soliti battibecchi ("Stamattina al lavoro c'era la fiera della luna storta: chiedo ad un mio collega di passarmi alcun prospetti e quello mi dice: "Ti vesti come una puttana!" "E secondo me ha pure ragione: passi per i capelli tinti, ma dovevi pure metterti l'eyeliner ora?" "E' kajal, idiota! Perché non mi difendi? Stronzo!") non riuscii a trattenere un brivido d'invidia.

No, decisamente Sasuke ed io non saremmo stati così l'uno con l'altra. Ecco la nostra verità: non avremmo mai vissuto il nostro rapporto in maniera semplice, diretta. Non fintanto che non ci saremmo venuti incontro. Ma come?

"E così ti ha chiesto di sposarlo?", cambiò Gaara improvvisamente discorso, masticando vivacemente l'ennesimo gyoza e facendomi sobbalzare dalla sorpresa. "Non ti preoccupa che tua madre crepi d'infarto alla notizia?", aggiunse, sghignazzando assieme a Menma. Quanto a me, rivolsi ad entrambi una pepata occhiataccia, specie a mio fratello, sulla cui omertà avevo molto puntato.

"Io non la definirei proprio una proposta di matrimonio, Gaara", replicai acidamente, preferendo riempirmi la bocca di ravioli pur di non rispondere ad ulteriori domande indiscrete.

"Ah, no? La mia famiglia è la tua e Non vorrai mica un rissoso per marito, spero? Scusami tanto, Nacchan, ma a me suona moltissimo come una dichiarazione bella e buona! Posso farti da testimone? Alla fine della fiera, resto pur sempre il ragazzo di tuo fratello! Oh no, a quelli là non piacciono i gay. Uhm, vabbè, mi limiterò a presentarmi come il tuo migliore amico e basta!"

"Frena i cavalli, amichetto, e ficcati in quella zucca vuota che non sono cristiana. Eppoi questa tua diceria non corrisponde interamente al vero: guarda ad esempio Menma e Itachi-san, che sono così amici da far venire la carie!"

"E allora?", s'intromise Menma, stappando una seconda bottiglia di birra, che prontamente rifiutai. "Non sei cristiana? No problem, oggigiorno molti si sposano alla maniera dei Kirisutokyouto, eppure non lo sono. Fa, come dire, romantico e fashion! La chiesetta ... l'abito bianco e vaporoso ... il bouquet ..."

"Ti ci metti anche tu, brutto ramarro? Questo funziona solo se la coppia è shintoista, buddista, quel che vuoi! Ma Sasuke è un vero Kirisutokyouto e dubito che la prenda alla leggera, come fa la maggior parte delle coppie!", ribattei fumante, perché, gira che ti rigira, era quello il nodo gordiano di tutto quest'allegro bordello.

"Pfui, d'accordo ... che polemica ..."

"Esatto, così come dovete ammettere che Sasuke non può avermi chiesto di sposarlo!"

"No, su quel punto non ritratto!", ci tenne a precisare Gaara, fissandomi battagliero. "Che poi, non comprendo dove stia l'inghippo! Insomma, se lui ti sposasse, risolveresti tutti i tuoi problemi, non ti pare?"

Un incomodo silenzio s'impose tra di noi, perché sapevamo d'aver toccato un nervo scoperto. Molto scoperto. Sensibilissimo. Era però confortante apprendere come, malgrado tutto, entrambi si preoccupassero per me, sostenendomi e prodigandosi per trovare insieme una soluzione. Mi faceva sentire ancora degna di rispetto. Non mi giudicavano e di questo gliene ero grata. Difficilmente avrei ricevuto un simile trattamento dalle mie cosiddette "amiche". Chissà perché, ma talvolta le donne possono essere più crudeli e intransigenti degli uomini.

"Ma la sua famiglia ...", tentai d'argomentare, cercando di far comprendere il mio punto di vista a quei due testoni.

"... ti adora, inutile negarlo! E hai avuto un bel signor culo, sai? Visto che quelli si sposano esclusivamente tra di loro!"

Su quel punto non avevo nulla contro cui ribattere. Effettivamente, gli Uchiwa mi avevano accolta come una figlia, sebbene non mi fosse sfuggita l'implicita ansia concernente la mia professione religiosa. Anzi, stando ai racconti di famiglia, ero la prima "gentile" che un loro membro frequentava da quasi duecento anni. Conoscendo la vita piena di paranoia da Kakure Kirishitan durante il Periodo Edo [5], non ne ero rimasta tanto sorpresa. Mi sentii al contrario onorata. Anche se ... "Resto comunque una non-credente", dichiarai lapidaria, sorseggiando poco elegantemente il latte dalla bottiglia.

"Embé, convertiti!"

"Sarebbe ipocrita da parte mia. Non ... non nutro alcuna fede nei confronti del loro Iesu-sama ..."

"Secondo me, ci andresti invece a nozze!"

"E perché?"

"Perché i Kirisutokyouto sono gli unici che non ti abbiano dato della "freak" per il tuo aspetto da massaia del Kansas!", puntualizzò inclemente Menma, prontamente spalleggiato dal grave annuire di Gaara.

Razza d'impenitenti levantini, consiglieri fraudolenti.

Quanto li odiavo, quei due, quando avevano dannatamente ragione.

 

 

 

Mercoledì,  28 gennaio 1998

-  mancano 9 giorni all'Appuntamento-

 

 

"[...] Eppure quest'esperienza insegnò qualcosa a Yuan Hsaio. Aveva realizzato che fintanto che continuava a sussistere un desiderio conscio, esso avrebbe permesso ad ogni forma di distinzione di esistere. Ma qualora ne avesse soppressa una, tutte queste distinzioni si sarebbero dissolte e ci si potrebbe accontentare di bere da un teschio così come da una ciotola. Tuttavia è questo ciò che più mi preme: una volta che Yuan Hsaio è stato illuminato, potrebbe egli bere ancora dalla stessa acqua, sicuro del fatto che sia pura e deliziosa? E non pensate che lo stesso potrebbe essere vero anche per quel che concerne la castità? Se un ragazzo è ingenuo, certamente può adorare una prostituta con la sincerità dell'innocenza. Ma una volta realizzato che la sua donna è una sgualdrina e che ha vissuto in un'illusione finalizzata a servire soltanto l'immagine della sua stessa purezza, sarà egli capace di amare questa donna come prima, con la medesima passione? Se ci riuscisse, non pensate che sarebbe meraviglioso? Prendere i vostri ideali e su di essi modellarvi il mondo. Non corrisponderebbe a un incredibile potere? Sarebbe come tenere in mano la chiave segreta della vita stessa, non vi pare? [...]" [6]

Un indemoniato vagito di neonato interruppe la lettura del romanzo su cui dovevo preparare un essay, così come pose fine allo studio di Hinata-chan e delle nostre due amiche, le quali s'erano fermate da noi dopo le lezioni pomeridiane.

Mué! Mué! Mué!

"Oh, per la misericordia della divina Kannon-sama, quanta pazienza!", sbottò Sakura-chan, tappandosi le orecchie e continuando ostinatamente a leggere i suoi appunti. "Quand'è stata l'ultima volta che avete avuto un po' di silenzio in 'sta casa?"

"La vicina ...", provò Hinata-chan a difendere la madre di quel piccolo Oni, prontamente zittita dagli strilli di quest'ultimo. "Non dà molto fastidio ... Basta far finta di niente ... Vero, Nacchan?"

Mué! Mué! Mué!

"Suppongo di sì", bofonchiai, accarezzandomi lo stomaco gorgogliante. Mi servii spudoratamente dei biscotti portatici da Ino-chan. "Alla fine ti ci abitui ... credo."

Mué! Mué! Mué!

"Sì, sì, come no! Non c'è bisogno di far finta di niente! Si vede lontano un miglio che il mostriccio vi sta rubando il sonno!", affermò sardonica Sakura-chan, chiudendo con enfasi il libro, segno che, cause acustiche, il suo ripasso era stato definitivamente rimandato a più tardi.

"Tu cosa suggeriresti? Ne abbiamo parlato cogli altri condomini: sebbene tutti d'accordo, mica possiamo sbatterla fuori a calci! E' una madre single, poverina, s'arrangia come può ..."

Sakura-chan non si commosse molto per quella debole giustificazione. "Beh, lo stesso dovrebbe traslocare altrove! Questo condominio non è fatto per i bambini piccoli: i muri sono troppo sottili! Non è rispettoso infastidire così gli altri, quando ci sono tanti quartieri più idonei per crescere  marmocchi!"

Mué! Mué! Mué!

"Si è poi mai scusata, la tipa?", inquisì Ino-chan, ritornando dall'angolo cottura con una teiera ricolma di fumante tea verde. "Sarebbe il minimo da parte sua. Altrimenti, è davvero un'irriconoscente!"

"Mi sa che hai ragione, purtroppo ..."

Mué! Mué! Mué!

"Lei non ne ha colpa", m'intromisi, sentendo una leggera nausea serrarmi la gola. "Il bébé piange perché quello è il suo unico modo per comunicare. Anche noi, da piccini, strillavamo dimenandoci nella culla, svegliando i nostri genitori nel cuore della notte!", e sorrisi, stupita io stessa della mia appassionata arringa. Da quando in qua mi stavo trasformando in una sentimentalista? Colpa degli ormoni impazziti? O del senso di colpa? E quale poi? Non avevo mai fatto nulla di male, io!

Mué! Mué! Mué!

"Ah, è la futura signora Uchiwa che sta parlando? Tu e il baciapile avete già in mente il numero di pupetti da sfornare?"

Alzai la testa di scatto, decisamente piccata per quella frecciatina che io sapevo benissimo provenire da una tacita invidia, che Sakura-chan provava nei miei confronti: ancora vibravo di gelosia al solo ricordo delle occhiatine languide e piene di promesse, che lei aveva osato lanciare a Sasuke alla sua prima visita qui a Tokyo. Fortunatamente per me, avevo accalappiato un uomo cresciuto con l'orrore per l'adulterio e per le corna in generale. In ogni modo, non mi fidavo di lasciare quella disgraziata troppo tempo da sola col mio meco.

"Se davvero Sasuke fosse un baciapile", sibilai velenosa, "a quest'ora avrebbe già impalmato una sua correligionaria, invece di frequentare la sottoscritta!"

Mué! Mué! Mué!

"Oh, ti vanti dunque di averlo indotto in tentazione? Proprio te?", ridacchiò Sakura-chan, gli occhi che le brillavano di sarcasmo e malizia. "Senti un po', ma allora è vero che i Kirisutokyouto non usano mai il preservativo?"

Mué! Mué! Mué!

Meno male che ignorava le mie attuali condizioni e i miei principi morali, altrimenti l'avrei assassinata sul posto.

Mué! Mué! Mué!

"Ma certo che mette il preservativo quando lo facciamo! Le malattie veneree non sono un'opinione!", digrignai i denti, trattenendomi all'ultimo dall'aggiungere un bell'idiota alla fine.

"Addirittura? E io che credevo che dovessero arrivare vergini all'altare!"

"Sono cristiani, mica degli alieni! Eppoi, si tratta di una leggenda metropolitana: infatti, guarda i loro correligionari occidentali, ti pare che pratichino l'astinenza?"

"Uno a zero per Nacchan! Del resto, Sakura-chan, è risaputo come gli uomini, qualsiasi sia il loro credo o nazionalità, ragionino sempre e solo col loro amichetto ... ", si sentì Hinata-chan in dovere d'intervenire e porre fine a questo nostro accapigliarci verbalmente, pena le cervella di Sakura-chan sul tavolino appena comprato nuovo e sul tatami color crema, ovviamente. "Ino-chan, dimmi, ti piacerebbe avere in futuro dei figli?"

Grata per quell'interruzione, la ragazza scosse energicamente il capo. "E neanche ho in progetto di sposarmi! Voglio fare carriera, io! Mica spadellare dalla mattina alla sera per dei mocciosi e un ingrato che si crede mio marito e padrone! Col cavolo!"

"Hai intenzione di divenire quindi una di quelle, che il sociologo Yamada-san definisce single parassita?", la provocai sghignazzando.

Ino-chan rise di gusto a quel tipico caso d'anxiété masculine. "Esatto! Altro che andare in giro cogli elmetti rosa! La mia anima femminista troverà soddisfazione nel divenire senior manager di una grande impresa e far conseguentemente mangiar merda a quei bastardi maschilisti dei tuoi datori di lavoro! E magari mi candiderò pure per il Parlamento!"

"Dai, non esagerare!", sogghignammo complici.

"Un corno! Per trovare lavoro e vincere i concorsi bisogna essere doppiamente più brave e sveglie dei nostri coetanei maschi! E se abbiamo abbastanza culo che c'assumano in una posizione di prestigio dobbiamo sudare sette camicie per non finire spodestate: per un uomo, quando questi sgarra, potrebbero anche chiudere un occhio. Noi, al contrario, siamo del gatto! E se non ci va bene, ci ritroviamo sottopagate e costrette a mansioni davvero ridicole, manco fossimo intellettualmente inferiori rispetto agli uomini. Beh, a mio parere siamo stupide a non assassinarli in culla, ecco! Anzi, dovrebbero sottrarli da piccoli dalle famiglie e rieducarli al rispetto per noi donne! Invece, ci sfruttano e ci privano di una qualsiasi forma di parità sociale! Provate voi a rimanere incinte: fine della vostra carriera e Good night Vienna! Ho letto di una tipa che ha avuto due aborti naturali, causa lo stress per l'eccessiva mole di lavoro. Comunque, sapete come ha reagito il suo capo? Quando questa poveraccia era ancora convalescente, le ha telefonato dicendole se poteva evitare di tentare una terza gravidanza, perché la sua assenza stava mettendo a disagio i suoi colleghi. Capito? Doveva vergognarsi della sua natura e rinunciare ad avere figli per compiacere gli altri!"

"Mostruoso!"

"A questo punto", terminò Ino-chan la sua focosa orazione, "se devo proprio ingoiare rospi e farmi chiamare parassita, che io sia almeno libera di vivere la mia vita come mi garba, senza doverla sacrificare in nome di una famiglia-carcere. Si risparmiano un sacco di soldi restando a casa dei propri genitori e non si deve rendere conto di niente a nessuno Perché, poi, mi devo per forza sposare se un tipo mi piace? Dove sta scritto? Insomma, il matrimonio è soltanto un pezzo di carta, che valore ha? Nessuno, tranne quello d'assoggettarti ad un bischero rincitrullito pieno di sé!"

In seguito a queste valide argomentazioni, se prima nutrivo delle remore alla prospettiva di sposare Sasuke, adesso non solo l'avrei rifiutato, ma anche preso a ceffoni.

"Hé, Ino-chan, se vuoi sfogarti contro il matrimonio, chiedi consulenza alla qui presente Hinata-chan: lei sì che ne sa qualcosa in materia!", appoggiò solidale Sakura-chan una mano sulla spalla della mia coinquilina.

"Davvero? Come mai?", le domandò a bruciapelo Ino-chan, per nulla avvezza a rimanere fuori da una conversazione per più di due minuti.

Mué! Mué! Mué!

"Ecco ... stando ad una soffiata di mia sorella Hanabi ... Mio padre avrebbe  ... avrebbe trovato un candidato ..."

"No!"

"Bastardo!"

"E' orribile!"

D'accordo che la famiglia Hyuuga fosse all'antica, ma parlare ancora di matrimoni combinati alla fine del ventesimo secolo? Ridicolo! A cos'erano servite le proteste del movimento femminista, allora?

Hinata-chan sorrise timidamente, scuotendo rassegnata le spalle. "Immagino che ci fidanzeranno non appena terminerò l'università. Perlomeno mi risparmierò la seccatura di redigere curriculum vitae, no?", la buttò sul ridere, nonostante le costasse un notevole sforzo. Dal canto nostro, non accennammo a piegare neppure gli angoli della bocca. Se la mia coinquilina era al settimo cielo alla prospettiva di sposarsi con uno sconosciuto, hé, ebbene io avevo ogni chance di divenire il prossimo Primo Ministro.

Senza contare, che il breve riferimento alla famiglia d'Hinata-chan aveva rinfocolato un mio antico dubbio: gli Uchiwa acconsentivano alla mia relazione con Sasuke appunto in quanto non vincolante? Avrebbero tenuto lo stesso la bocca chiusa, qualora il mio meco si fosse ufficialmente dichiarato? Oppure ci avrebbero ostacolato? O preteso la mia conversione? Mia madre sarebbe esplosa di rabbia, mio padre se ne sarebbe fregato altamente, Menma si sarebbe fatto una bella risata, ma ... cosa avrebbero detto gli Uchiwa su di un matrimonio misto? Mi avrebbero accettata comunque? E Sasuke? Chi dei due avrebbe scelto? A chi avrebbe dato la precedenza? E io? Sarei davvero stata così meschina da costringerlo ad una scelta per lui assolutamente atroce? Così come gli stavo nascondendo ...?

Mi ritrovai incapace di trovare una soluzione. Il mio attuale stato non m'aiutava per niente a decidere saggiamente.

Mué! Mué! Mué!

"Oh, e finiscila, piattola!", sbuffò Sakura-chan al limite di una crisi di nervi, sbattendo ritmicamente il pugno contro il muro. "Fallo tacere una buona volta!"

Soltanto dopo una trentina di minuti, dall'altra parte della parete il neonato smise di piangere.

 

 

 

Giovedì,  29 gennaio 1998

-  mancano 8 giorni all'Appuntamento-

 

 

"Moshi moshi?"

A giudicare dal tono gracchiante - seguito da uno verso strano, forse un ibrido tra un Ouf! e un Itai! - dovevo aver buttato giù Sasuke dal letto. Testualmente.

"Stavi .. stavi dormendo?", cercai di rimanere seria, immaginandomelo mentre, seduto, si massaggiava la fronte dolorante, dove magari stava crescendo un bel bernoccolo.

"No, guardavo il soffitto e, guarda caso, mi trovavo in pigiama. Sai che sono quasi le tre del mattino, vero?"

Sasuke quando faceva del sarcasmo sbadigliando non lo si poteva proprio prendere sul serio. "Oh, scusa, allora riattacco!", dissimulai dispiacere, staccando l'orecchio dal cellulare.

"Lascia perdere: se mi devi svegliare, sentiamone dunque il motivo. Dimmi tutto."

"Ecco ... No, niente. Avevo semplicemente voglia di sentirti." Il che corrispondeva al vero: in seguito alla chiacchierata di ieri con le mie amiche, sebbene assolutamente d'accordo con le loro idee non riuscivo a togliermi dalla mente il desiderio di riascoltare la voce del mio meco, giusto che capire che genere di reazione m'avrebbe suscitato, se gioia o ribrezzo. Stranamente, né l'uno né l'altro, solo una grande malinconia.

"Lo vedo. Altro?"

"Perché stai sussurrando? Sei ancora al santuario?", aggrottai la fronte, incuriosita da quel tono da cospiratore. Beh, non che io stessi cantando a squarciagola: mi rendevo infatti conto d'aver scelto un'ora infelice - se non proprio tabù - per una telefonata, però Sasuke bisbigliava talmente piano che faticavo ad isolare le sue parole.

"No, sono in una cabina della carrozza letto. Ma lo stesso potrebbero aver sentito qualcosa e non chiedo lavate di capo  notturne!"

O beghe notturne, conoscendo il suo carattere polemico.

"Hai strillato peggio di una donnicciola cadendo?", curvai le labbra, sforzandomi di rimanere seria e fallendo miseramente, tant'era vero che Sasuke non c'impiegò molto ad accorgersene, replicando umiliato e offeso:

"Mi rifiuto di rispondere a questa domanda impertinente."

"Allora sei in treno?"

"Sì, fino a prova contraria."

"Non avevi detto che ti fermavi al santuario fino a stasera?"

Dall'altra parte, udii uno strofinio di lenzuola: evidentemente, il mio fidanzato doveva esseri rinfilato sotto le coperte, causa il freddo della cabina. A gennaio non nevicava per sport e la temperatura, anche se mitigata dal riscaldamento, non doveva offrire un gran livello di comfort. "Sono riuscito a soggiornarci soltanto una notte, per rincasare subito dopo: il povero Tenmaku-kun è stato ricoverato d'emergenza all'ospedale per via d'una appendicite acuta. Non vorrei essere stato lì quando Itachi-nii gli ha eseguito la manovra di Blumberg per la conferma, temo che i suoi ululati siano alla base dei capelli bianchi di Shisui-nee. In ogni modo, mentre erano entrambi in ospedale per assisterlo dopo l'operazione, qualcuno doveva pur badare alle pesti almeno per qualche notte. Meno male che il congresso non inizia prima di domani, sennò apriti cielo ..."

"Ma sul serio non potevano rivolgersi a nessun altro? Ai loro amici, o parrocchiani ... Ci tenevi molto a quel ritiro!", obiettai, non comprendendo quel gesto così altruista nella sua impulsività. Insomma, va bene che Sasuke fosse il parente più stretto, però arrivare ad interrompe un'attività per lui molto importante? Non consideravano che anche lui avesse la sua vita? Talvolta avevo l'impressione che dietro alla richiesta di generosità si nascondesse solo una giustificazione per piegare gli altri alle proprie esigenze.

"Nah, se non altro mi sono reso utile. Itachi-nii avrebbe agito allo stesso modo,  fossero stati i ruoli invertiti. Tra fratelli ci si sostiene, no? Anche quando ci si rompe le scatole! Se non si può contare neppure sulla tua famiglia, che ci resta? Però ammetto che i piccoli delinquenti mi hanno piuttosto tartassato! Specie Saeko-chan: ha rubato il sorriso di Mefistofele, giuro!"

Effettivamente,  l'unica nipote femmina di Sasuke metteva a dura prova la pazienza di chiunque incrociasse: dai parenti agli insegnanti, tutti convenivano che possedesse un cervello programmato all'unico scopo d'inventarsi burle e dispetti ai danni del malcapitato di turno. Se non fosse stato per la sua faccia d'agnellino e la battuta pronta, Saeko-chan non se la sarebbe cavata soltanto con qualche rimbrotto, come finiva ogni sua impresa di briccona in erba. Avere poi il suo fratellino Kiyoaki-kun in veste di suo fidatissimo complice non l'aiutava certo né a migliorare il suo caratterino, né gli altri a beccarla in fallo. Ciononostante, era impossibile non amare le due carognette.

"Poverino, chissà perché ma do ragione ai tuoi nipoti!"

 Infatti, io ero la terza complice, alla faccia delle esasperate accuse d'infantilismo da parte del mio moroso.

"Lo sapevo, traditrice!", si lagnò melodrammatico, unendosi tuttavia alla mia risata, forzatamente tenuta di molti hertz più bassa, affinché non svegliasse nessuno, Hinata-chan in primis.

"Davvero non ti ha scomodato quel favore?"

"Aspetta, non è che speravi che mi facessi prete lì al santuario?"

"Ovvio che no! Hai delle responsabilità nei miei confronti!", eruppi con eccessiva veemenza, decisamente troppa per passare inosservata. L'idea che Sasuke m'abbandonasse mi pareva ... malsana, impossibile, mostruosa! Non doveva minimamente osare una tale porcata nei miei confronti, non dopo quello ch'era successo, che stava ancora succedendo. Non glielo avrei permesso! Io forse stavo commettendo un errore, però ... però lo stesso non mi meritavo quell'ulteriore stilettata al cuore!  

Sobbalzai alla replica lenta, circospetta e mortalmente grave di Sasuke: "Ah, sì? E quali?", inquisì ambiguo, impedendomi di capire se mi stesse dileggiando o se avesse preso sul serio le mie parole. Cosa non avrei dato per avergli potuto parlare a quattr'occhi, uno di fronte all'altra, così da studiare le sue espressione e realizzare dove lui volesse andare a parare!

Resami conto d'aver gelato la previa atmosfera d'intima connivenza, mi risolsi immediatamente a rifilargli una rapida frottola, sperando che se la bevesse senza tante storie. "Ehm ... No, ecco ... ciò che intendevo dirti è  ... è che mi avevi promesso di uscire a cena il 6 febbraio ... Non immaginavo tu fossi il tipo da disdire un appuntamento!", dichiarai a voce un po' più alta,  neanche avessi voluto auto-convincermi delle mie medesime parole.

"Casomai l'incontrario."

"Cosa?! Teme, io non ti ho mai dato bu- ..."

Dling-dlong.

"...-ca! Argh, visto?! Per colpa tua ho urlato e adesso i vicini sono venuti per il mio scalpo!"

"Col nido d'uccello che ti ritrovi in testa, dovranno accontentarsi di poco!"

"Teme ... ! Teme ...!", digrignai i denti, appoggiando il cellulare da cui si sentivano le risate convulse di Sasuke e procedendo imbufalita verso la porta, nel frattanto che elaboravo mille e più insulti per quel disgraziato che si permetteva di burlarsi delle mie figuracce. Tzé, aspetta di vedermi all'appuntamento! Vedi come sentirai le tue, brutto macaco!, schiumai peggio d'un sifone di seltz, togliendo il catenaccio e girando la chiave dalla parte opposta. Dopodiché spalancai di malagrazia la porta, assumendo velocemente l'espressione più contrita del mio repertorio facciale.

"Mi scusi, Reiko-san, per averla disturbata, ma sa, il mio fidanzato ..."

M'interruppi, gelata e non per il freddo inverale di fine gennaio. M'occorsero alcuni secondi per realizzare che mi stavo scusando col vuoto: davanti a me non si trovava la figura tarchiata della mia vicina Reiko-san, né di qualsiasi altro condomino disturbato alle tre del mattino. Il corridoio esterno era deserto, ricoperto da un lieve strano di neve immacolata, senza alcuna traccia d'impronte rivelatrici del passaggio di chicchessia. 

Allungai il collo, mi guardai attentamente a destra e a sinistra. Niente. Non c'era nessuno.

Chi aveva dunque suonato? Che me lo fossi immaginato?

Ma sì, si trattava dell'unica soluzione logica: a causa della mia coscienza sporca per la mia impertinente violazione del regolamento del condominio, m'ero autosuggestionata, figurandomi l'ovvia reazione del vicinato, in caso m'avessero scoperta.

Beh, tutto bene quel che finisce bene, giudicai, rientrando e massaggiandomi le braccia onde riacquistare un po' di calore: nella mia fretta di rispondere, m'ero infatti dimenticata d'indossare almeno una coperta di lana e ne stavo conseguentemente pagando le gelide conseguenze.

"Ma tu guarda se devo avere anche le allucinazioni acust- ..."

Dling-dlong.

Adesso me l'ero davvero immaginato? Si trattava davvero di una colpevole proiezione della mia mente?

Strinsi i pugni, girandomi lentamente verso la porta.

Dling-dlong.

Sobbalzai all'indietro, impaurita e indecisa sul da farsi. Avrei dovuto aprire? Che stavolta fossero davvero i vicini?

Dling-dlong.

E se invece si trattasse di un malintenzionato? Se ne sentivano ogni giorno di attacchi nelle case dove vivevano delle ragazze sole!

Dling-dlong.

Col cuore in gola, corsi alla porta, la chiusi velocemente a chiave. No, dietro ad essa poteva aspettarmi l'imperatore stesso, ma non l'avrei aperta neppure sotto tortura!

E nell'esatto momento in cui, con mano tremanti, sistemavo il chiavistello, la maniglia si piegò all'ingiù in un sordo schiocco, presto seguito da un rumore altrettanto secco e profondo. 

Qualcuno dall'altra parte stava tirando, cercando d'entrare con la forza.

Gridai e presi d'istinto a trattenere la maniglia nel disperato tentativo d'impedire, che essa cedesse il passo a questo visitatore notturno.

Invano.

Malgrado i miei sforzi, gli gelidi spifferi mi rivelarono crudelmente come la serratura avesse già ceduto, lasciandomi a mo' d'ultimo difensore il catenaccio.

"Hinata-chan! Hinata-chan!", ululai disperata, pregando qualunque divinità a me nota, che la mia coinquilina non si trovasse in una fase rem troppo profonda da non sentirmi, seguitando a dormire.

La catena scricchiolava, tesa come una corda di shamisen per l'immane sforzo di rimanere attaccata ...

"Perché non mi fai entrare?", mi domandò una voce petulante ... di chi? di che cosa? da dietro la porta.

 Urlai di nuovo, fuori di me dalla paura, e senza accorgermene abbandonai la presa alla maniglia, indietreggiando disordinatamente fino ad inciampare sulle nostre scarpe.

E sarei molto probabilmente caduta di schiena, ferendomi, se Hinata-chan non m'avesse afferrata al volo, sostenendomi. 

"Nacchan! Che ci fai qui sola al buio? Cosa sta succedendo?", m'interrogò sconcertata la ragazza, guardando sconclusionatamente dal mio viso al minuscolo ingresso giacente nel caos più assoluto. "Stai bene? Sei pallida come lenzuolo ..."

Staccandomi energicamente da lei, barcollai fino alla porta, aprendola con la medesima fermezza di uno sull'orlo di una crisi di nervi.

Vuoto.

Non c'era alcun segno d'anima viva sul corridoio. Niente vicini, niente malvivente, niente, niente, nessuno! Neppure delle impronte!

Ma io avevo sentito suonare quel dannato campanello! Avevo visto la maniglia piegarsi e la serratura forzata, avevo udito benissimo quella frase appena appena coperta dal brusio del traffico: Perché non mi fai entrare?

Tutto questo non poteva appartenere alle chimere d'una mente agitata! Non poteva!

"Nacchan ...?"

"Scusami, m-mi ... mi sono sbagliata. Devo ... devo aver ... devo aver fatto un ... un incubo ... Scusa, ancora ...", scivolai via da lei a capo chino, afferrando il cellulare e filando nella mia cameretta.

Una volta dentro al sicuro, mi nascosi sotto le coperte.

"Naruko, cos'è successo? Perché gridavi?"

Merda m'ero dimenticata di chiudere la conversazione con Sasuke!

"Niente ... niente ... un cane randagio s'era intrufolato in casa ... che spavento! ..."

"Eh? Un randagio?"

"Lascia perdere! ... Mi sono sbagliata! ... Ti richiamo domani! ... Buonanotte! ...", ansimai in fretta, premendo ansiosamente il tasto rosso e appoggiando celere il telefonino sul tatami. Infine, mi raggomitolai in posizione fetale sotto il mio morbido e caldo rifugio.

Perché non mi fai entrare?

Quanto accadutomi era il frutto della mia immaginazione.

Perché non mi fai entrare?

E basta.

Perché mi rifiuti?

Non era successo niente.

Perché non mi fai entrare?

Assolutamente niente.

"Nacchan? Tutto a posto?"

Moué! Moué! Moué!

"Oh no, l'hai svegliato! E adesso come si fa? Un'altra notte in bianco, no!"

Moué! Moué! Moué!

I colpi al muro da parte dei vicini non tardarono ad accodarsi ai vagiti del piccino.

"Fallo tacere!"

Moué! Moué! Moué!

"Silenzio!"

Moué! Moué! Moué!

"Non se ne può più!"

Moué! Moué! Moué!

"Domani devo andare al lavoro, io!"

Moué! Moué! Moué!

Che m'importava, ormai?

Dopo un'esperienza simile, non avrei più potuto lo stesso addormentarmi.

Perché?

 

 

 

Venerdì,  30 gennaio 1998

-  mancano 7 giorni all'Appuntamento-

 

 

 

Causa un portentoso mal di testa, per poco non mi dimenticai di firmare l'attestato di presenza a fine lezione e solo grazie al tempestivo intervento d'Hinata-chan mi vennero risparmiati un sacco di disturbi burocratici, primo fra tutti la caccia al  professore.

"Sei molto pallida, Nacchan. Sii sincera, stai sul serio bene?", s'informò preoccupata la ragazza, reggendomi delicatamente per il braccio, onde contenere il mio barcollare. "Vuoi andare in infermeria?"

No, quella no.

"E' un po' di stanchezza, Hinata-chan, niente di che. Qualche ora in letto e torno come nuova ...", mormorai, chiudendo gli occhi feriti dalla fredda e tagliente luce invernale filtrata dalle ampie finestre del corridoio. Necessitavo di buio e quiete.

Avevo infatti dormito male quella notte, tormentata da una caotica e spaventevole sequenza di incubi nei quali tiranneggiava la presenza di un bambino avvolto in un mantello blu. Il cappuccio, ben calato sul viso ancora paffuto, glielo nascondeva, impedendomi di decretarne il sesso. Tuttavia, questo non l'ostacolava dal ripetere in un'ossessiva cantilena: Perché non mi fai entrare? E quando tentavo d'obbligare quell'onirica creatura a lasciarmi in pace o perlomeno di rivelarmi che accidenti volesse da me, essa si liquefava in una pozza d'acqua, la quale si trasformava in un'onda gigantesca che s'abbatteva con inaudita ferocia su di me, trascinandomi via con sé fino ad annegarmi.

Non riuscivo a togliermi quelle immagini dalla testa. Più forzavo il mio cervello a dimenticare, più questi mi riproponeva l'incubo con inquietante nitidezza, associandolo crudelmente agli avvenimenti di ieri. Secondo il mio strambo cervello, i due fatti erano legati da una loro misteriosa e perversa logica.

A me pareva assurdo. Anzi, non sussisteva proprio alcun collegamento. Perché doveva? Quello del 29 gennaio doveva essere stato uno scherzo di cattivo gusto da parte di qualche buontempone d'un condomino. Altrimenti, chi diamine poteva essere stato? I ladri non entrano di certo dalla porta ...

Non mi accorsi, tanto le mie speculazioni m'annebbiavano la mente, d'aver camminato in stato pressoché sonnambolico fino all'uscita dell'università. Mi sentivo infatti rallentata, come se mi avessero presa pesantemente a ceffoni. La testa mi girava e anche la mia visuale si riempiva di puntini neri e figure traballanti. Una vampata di calore m'accese le gote, mentre una gelida mi scuoteva i muscoli e le gambe, costringendomi a sedere sulla prima panchina disponibile.

Lentamente, estrassi dalla borsa una bottiglietta d'acqua, agognando a rinfrescarmi. Sennonché, vuoi la stanchezza vuoi un'oscura agitazione, essa mi scivolò dalle dita, rotolando via. Nella caduta il tappo, per metà aperto, cedette completamente, riversando il contenuto della bottiglia in una languida pozza sul pavimento immacolato.

Merda!, imprecai mentalmente, estraendo un fazzoletto e adoperandomi subitaneamente ad asciugare quel liquido macello. Sperando che nessuno s'avvicinasse nel frattempo ...

Tutt'ad un tratto m'irrigidii.

Non so spiegare cosa percepii in quel momento, ma il mio corpo si bloccò come fulminato. Uno strano ronzio mi pulsava nelle orecchie, accompagnato dal battito impazzito del mio cuore. La gola mi si seccò, i denti presero a cozzare tra di loro.

Venni pervasa dal terrore più assoluto, quando, osando levare perlomeno lo sguardo, notai poco distante dalla mia mano asciugatrice due piedi.

Ma non di studenti. O di professori. O comunque d'un individuo adulto.

No.

Dalle dimensioni ridotte e soprattutto dalle scarpette, realizzai d'avere un bambino davanti a me, il quale se ne stava lì, in mezzo alla pozza d'acqua, senza curarsi delle calzature bagnate né accennare di volersi spostare da essa. Per quanto avessi gli occhi inchiodati per terra, potevo percepire il suo sguardo indagatore sulla mia nuca.

Perché non mi fai entrare?

Reagisci.

Perché non mi fai entrare?

Reagisci!

Perché non mi fai entrare?

Alzati!

Alzati! Ora!

Balzai in piedi di scatto, mulinando scompostamente le braccia per mantenere l'equilibrio.

Un singhiozzo isterico mi scappò dalle labbra.

Il bambino era svanito. Sempre che ci fosse mai stato.

La pozza d'acqua giaceva ancora lì, grassa e intatta, priva delle scie e sbavature di chi può averla calpestata.

Raccolsi tutto in fretta e me ne andai senza voltarmi.

 

 

~~~

 

 

 

Tale era il mio stato d'agitazione, che rinunciai a servirmi dei mezzi pubblici per ritornare al mio appartamento, preferendo invece camminare. Una sorta d'istinto segreto mi sussurrava, infatti, d'evitare luoghi chiusi, là dove sarei stata "vulnerabile". Da cosa, da chi, ancora non lo avevo ben definito, sebbene nutrissi già qualche teoria a riguardo, scartandola subito dopo più per principio che per non crederci di per sé.

Dovevo riposarmi: l'unica spiegazione logica del mio comportamento assolutamente isterico e irrazionale risiedeva sulla mancanza di un adeguato riposo. I miei nervi a pezzi avevano poi aggiunto quel tocco di cubismo perfetto per lasciarmi suggestionare da eventi risibili. Da mere coincidenze.

L'incidente di ieri mattina? Uno scherzo.

I piedi del bambino misteriosamente scomparso? Un'illusione ottica.

E basta.

Molto probabilmente avrei fatto meglio a ritornare a casa per il weekend, conclusi mentre salivo per la scala esterna, così da meglio prepararmi per l'appuntamento e presentarmi di conseguenza più calma e padrona di me. Sarebbe stato increscioso da parte mia d'offrire un patetico spettacolino di me.

"Fallo tacere!", lessi casualmente, o piuttosto calpestai.

Levando il piede sul foglio di carta su cui poggiavo, mi chinai per raccoglierlo.

Scritte a caratteri grossi e snervati su fogli spiegazzati e inumiditi dalla neve, numerose repliche di quel Fallo tacere! giacevano come d'autunno le foglie sui marciapiedi lungo l'intero corridoio esterno del mio pianerottolo, creando una scia cartacea che terminava sulla porta della vicina.

"T'incoraggiano a sfornar figli e dopo si lamentano se si comportano come i neonati che sono ...", udii una voce roca alle mie spalle. Il piagnucolio di sottofondo dissolse ogni mio dubbio sulla sua proprietaria: si trattava di Tenten-san, l'elusiva vicina nubile. Una madre molto giovane e al contempo vecchia, come rimarcai dal viso estremamente infantile per quanto sciupato da un intimo sfinimento e affanno.  Venticinque anni dimostrati soltanto sul passaporto.

"Tenten-san ...", la salutai incerta.

I suoi occhi scuri e cerchiati da profonde occhiaie si posarono sul foglio che tenevo in mano.

"Ah! Non è mio! Non ... non sono stata io!", protestai immediatamente la mia innocenza. "I vicini ..."

Ma la giovane donna non diede cenno d'avermi ascoltata; al contrario, mi s'avvicinò trasognata, strappandomi di mano il pezzo di carta con la rigidità d'un automa. Similmente, lacerò i suoi doppioni appiccicati sulla porta.

"Senta ... Posso immaginare che non sia facile per lei, viste ... viste le sue attuali condizioni di madre e single, però ...  però dovrebbe far visitare il suo bambino da un pediatra; insomma, non è normale che pianga così ..."

Le labbra della vicina si piegarono in una smorfia mista di fierezza e disdegno. "E' solo un neonato! Cosa vuoi che faccia? Che lo ammazzi per compiacervi? Per qualche notte di riposo in più?", strillò nevrotica, abbracciando convulsamente il piccino, che gorgogliò qualcosa contro il suo petto. "Bisogna eliminare qualsiasi essere vi dia fastidio, allora?", aggiunse, sbattendo la porta.

Rimasi lì inebetita e sbigottita sul corridoio, le dita ancora piegate come se stessero stringendo quel dannato foglio. Quando finalmente mi decisi a muovermi, squillò il cellulare.

Sasuke.

Rifiutai di riflesso la chiamata, chiudendo a chiave la porta e appoggiandomi sfinita ad essa.

Era questo il mio destino donna  (per lo più giapponese)? Sposarmi, rinunciare ad una carriera e avere figli che si dovevano comportare peggio dei robot, giacché disturbavano? Sarei stata l'ennesima Hinata-chan o Tenten-san?

No, scossi il capo dinanzi allo specchio sull'ingresso. Non mi sarei ridotta così.

Fatti forza, Naruko.

All'appuntamento risolverai tutto.

Decisi dunque di estrarre dalla tasca il cellulare per telefonare a Menma, confermandogli di venirmi a prendere per rientrare assieme a Konoha.

"Perfetto! Ci vediamo alle quattro e mezza alla stazio- ... Naruko?"

La voce mi morì in gola.

Mi mancò il respiro.

Dallo specchio, inspiegabilmente, aveva iniziato a colare acqua, la quale simil fontana scivolava lenta ma inesorabile lungo la superficie liscia, raggiungendo i miei piedi in serpentini rivoletti.

Ricordo che la testa prese a girarmi vorticosamente.

Poi, il buio.

Perché non mi fai entrare?

"Naruko!!"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued ...

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 E finalmente, eccoci qua!

Dopo un inizio soft,  terminiamo col botto! XD

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se avete domande, perplessità e curiosità, fatemi sapere!

E magari un po' di feedback, ch'è sempre cosa buona e giusta e gradita dall'autrice!

Alla prossima, ciao!

 

Un po' di noticine:

 

[1] Kirisutokyouto = cristiano.

[2] Pan-Pan Girl; Only = Onde evitare stupri di massa - specie nei confronti delle donne di ceto medio-alto - il governo giapponese instituì, durante l'occupazione americana, la RAA ovvero Recreation Amusement Association. Sennonché, in seguito all'altissima diffusione di malattie veneree nei bordelli, questi vennero chiusi nel 1946. Molte donne rimasero così senza lavoro e finirono per prostituirsi per le strade assumendo il soprannome di Pan-Pan Girls, riconoscibili dallo smaccato rossetto scarlatto, l'eterna sigaretta, calze di nylon e tacchi altissimi. Le Only, invece, erano quelle prostitute più fortunate che riuscivano a farsi mantenere da un solo cliente, spesso militari di un rango più alto. Molti storici identificano le "Pan-Pan Girls" e le "Only" come simbolo dell'umiliante liberazione americana del secondo dopoguerra. 

[3] Santuario di Nostra Signora di Akita = Akita è il luogo della serie di apparizioni mariane e lacrimazioni della statua raffigurante la Vergine dal 1973 al 1981. La veggente era Suor Agnese Katsuko Sasagawa, dell'ordine delle "Serve dell'Eucarestia", destinataria inoltre di tre messaggi da parte della Madonna. Ad accertarsi della veridicità degli eventi ad Akita fu proprio Joseph Ratzinger, allora cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

[4] San Pauro Miki e i Martiri di Nagasaki = San Pauro (o Paolo) Miki fu il primo gesuita e predicatore giapponese. A causa della persecuzione anticristiana in Giappone indetta dallo shogun Hideyoshi, venne arrestato e crocifisso assieme a venticinque compagni sulla collina di Tateyama presso Nagasaki, il 5 febbraio 1597. Proclamati santi da Papa Pio IX nel 1862, la loro memoria liturgica si celebra il 6 febbraio.

[5] Kakure Kirishitan del Periodo Edo = per sfuggire alle feroci persecuzioni, i cristiani giapponesi adottarono metodi di camuffamento per praticare lo stesso la loro religione, come ad esempio incidere una croce dietro la statua del Buddha. Per questo motivo, vennero chiamati "Kakure Kirishitan" ovvero "Cristiani Nascosti".

[6] Brano tratto dal romanzo "Haru no Yuki" (La neve di primavera) di Yukio Mishima, 1968, il primo libro della tetralogia "Il mare della fertilità". 

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Capitolo 3
*** Da Sabato 31 Gennaio a Lunedì 2 Febbraio 1998 ***


 Hello!

Con uno stacco di una singola scena "L'Appuntamento" ha vinto la corsa contro "Stigma" per l'aggiornamento! XD Beh, dai, vuol dire che non manca molto alla pubblicazione del capitolo della seconda fic!

E parlando di capitolo!

Lo so, questo chappy si presenta piuttosto lunghetto, ma sul serio non me la sentivo di tagliarlo a metà. Perdeva il suo senso! Quindi, assicuratevi d'essere ben comodi quando lo leggete! ;-) Il prossimo capitolo sarà più breve, promesso! Il fatto è che sto cercando di condensare la storia in pochi capitoli - sette inclusi prologo ed epilogo - e non è facile! Il mio essere prolissa si ribella! T^T

Avvertimenti!

1) Menzioni di non-con. Siccome non è il tema principale della storia, non ho reputato opportuno aggiungerlo ai tags. Del resto, si tratta di un accenno, non ci saranno né scene né riferimenti espliciti ad esso.

2) Forse vi sarete già chiesti, il perché dell'abbondante uso dei suffissi di cortesia. Ecco, siccome la storia è narrata in prima persona, ho voluto riportare elementi della lingua parlata, come se avessimo appunto di fronte Naruko che ci racconta la sua testimonianza paranormale. Se vedete i suffissi cambiare, dipende sia dal tipo di relazione tra i personaggi sia il livello d'intimità tra di essi. Per esempio, se alterati, dei personaggi anche se parenti stretti manterranno un certo linguaggio formale per sottolineare il distacco "morale" dalla persona con cui interagiscono.

3) Similmente, ci sono molti modi di dire "papà" e "mamma" in giapponese. Le bambine, specie in famiglie meno tradizionaliste, generalmente si rivolgono al padre chiamandolo "papa", invece di "chichi" o "otōsan" o "tou-san". Questo affinché non mi segnaliate un accento mancante! ;-)

4) La traduzione della canzoncina Tōryanse, tōryanse non è letterale, l'ho leggermente modificata per creare la rima. Il significato, però, rimane quello!

Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.

Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, ricordate e preferite.

Vi auguro una buona lettura,

 

 

 

 

 

H.

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L'Appuntamento

dalla testimonianza di Naruko Namikaze

(segue)

 

 

 

Sabato, 31 gennaio 1998

- mancano 6  giorni all'Appuntamento -

 

 

 

 

Ricordo che quella mattina mi svegliai di soprassalto, certa della presenza di qualcuno nella mia stanza.

Di nuovo avevo trascorso la notte in bianco:  neppure l'essermi coricata relativamente presto (le dieci e un quarto) giovarono alla mia mente sovraeccitata dai recenti avvenimenti. Infatti, ogniqualvolta le mie palpebre, appesantendosi dal sonno, si chiudevano, ecco che da ogni ombra della mia cameretta credevo di scorgere la sagoma di quel bambino dall'impermeabile blu, che mi fissava da sotto il cappuccio gocciolante d'acqua. Rinunciando ormai a scacciare quella visione onirica, complice la stanchezza, mi ero limitata a nascondermi sotto le coperte, rifiutandomi però di cedere alle paranoie del mio subconscio. Sicché entrai in una sorta di dormiveglia, dove sogno e realtà si mescolavano confusamente come nella tavolozza d'un pittore, alterando le mie percezioni sensoriali e facendomi reagire da sveglia a ciò ch'io stavo in quel momento sperimentando da dormiente. Nella mia testa udivo frasi pronunciate con tanta verosimiglianza, che mi sentivo in dovere di rispondere. Vedevo persone conferire con me, toccarmi, osservarmi e con esse tentavo d'interagire a seconda dello stimolo da esse suscitatomi. Non capivo più nulla, ma volevo ribellarmi a tutto.

Di conseguenza, non afferrai subito la veridicità di quella presenza mattutina, liquidandola distrattamente come l'ennesima proiezione chimerica della spossatezza. Soltanto il tiepido calore di una mano che mi scostava delicatamente la frangia dagli occhi mi confermò, che non stavo più sognando. All'inizio giurai trattarsi di Sasuke: lui soleva destarmi così in quelle rare e preziose occasioni in cui riuscivamo, seppur clandestinamente, ad addormentarci insieme senza dover rincasare di nascosto, peggio dei ladri.

E, cullata da quei dolci ricordi, per poco non commisi l'errore di chiamarlo dinnanzi a mia madre, la vera responsabile del mio risveglio.

"Ti sei agitata molto stanotte", dichiarò sommessamente Okaasan, seguitando ad accarezzarmi il capo. Istintivamente piegai il collo, seguendo la carezza: per un istante mi parve di ritornare bambina, quando, spaventata dal temporale, potevo contare sulle coccole consolatrici di mia madre, prima che l'età adulta e le mie scelte ci avessero estraniate.

"Colpa dello stress", mi giustificai, appellandomi al suo istinto materno acciocché mi sostenesse, invece di giudicarmi e mantenere le distanze. Sapevo di essere una delusione di figlia, però necessitavo lo stesso di un minimo di comprensione.

"Non è che ci hai ripensato?"

"No, decisamente no."

Mia madre mi circondò improvvisamente il viso con ambedue le mani, fissandomi intensamente dritta negli occhi. "Nacchan, ti ricordi cosa t'ha detto il rettore dell'università? Che ti concede un'ultima chance - capito? - un'ultima chance per quell'Erasmus ad Oxford! O righi dritto, o il prossimo anno ti scordi quel viaggio! Quindi, non ti puoi concedere il lusso di finire fuori corso! Ne va della tua carriera! O hai abbandonato la tua ambizione di divenire professoressa universitaria?!"

A stento trattenni un moto di stizza. "Me lo ricordo benissimo! Non vedo perché tu debba preoccuparti tanto, visto che abbiamo oramai sistemato la faccenda!", berciai, massaggiandomi snervata la radice del naso, dopo essermi scostata bruscamente da lei.

Le gote di mia madre divennero anch'esse rosse dalla crescente irritazione. "Perché te la prendi con me? Sono forse stata io l'irresponsabile in tutto questo bailamme? Se tuo padre lo scoprisse, ne morirebbe di vergogna!"

"Dubito! Lui dimostra di possedere molto più fegato di te! Se ne strafrega di quel che pensano questi pettegoli di provincialotti!", obiettai veementemente, balzando in piedi e camminando imbufalita per la stanza. "Talvolta ti trovo più ipocrita di loro! Mi biasimi per una cosa che sarebbe potuta succedere a chiunque; mi tratti peggio di una merda, facendomi passare per una ... per una ... per la peggiore delle disgrazie! Ma se si tratta di Menma, oh!, allora chiudiamo ambedue gli occhi! Non l'hai mai rimproverato di nulla, l'hai sempre giustificato! Perfino quando ci ha rivelato d'essere gay, non hai aperto bocca per criticarlo! Perché, perché non puoi sforzarti di venirmi incontro per una volta e smetterla d'avvelenarmi l'esistenza?", sputai velenosa, pentendomene però immediatamente non appena notai come le ciglia di Okaasan si fossero abbassate vergognose. Giurai d'aver pure scorto un umido luccichio nei suoi occhi.  La sua stessa figura s'ingobbì, facendola apparire più vecchia e fragile della sua vera età. Mi venne voglia d'abbracciarla e d'implorarle perdono.

"Almeno ...", sussurrò lentamente la genitrice, strascicando le parole. "Almeno m'assicuri che ... che quell'Uchiwa non ha nulla a che fare ... che ... che si tratta veramente di un incidente ... come ... come mi hai raccontato?"

La collera mi rimontò in petto con la medesima rattezza della lava, che raggiungeva la bocca del vulcano, pronta all'espulsione. E di fatti, esplosi: "Perché questa tua avversione nei confronti di Sasuke, eh? Perché? Me lo spieghi?"

"E' palese il suo interesse nei tuoi confronti! Tutta Konoha sa che gli piaci, che ti sta facendo la corte, che tu frequenti la sua casa e la sua famiglia! Tu e quegli altri due cospiratori di tuo padre e fratello m'avete forse preso per scema? O per cieca? A quando il lieto annuncio?"

"Sasuke non ha intenzione di chiedermi di sposarlo! E' un Kirisutokyouto! Ed io una gentile! La sua famiglia glielo proibirà!"

"Balle! Lui ti sposerà e tu ti convertirai! Perché così finirà, vedrai!"

"Non è vero!", gridai, sentendomi le vene pulsare sulle tempie e le mani tremare da quanto l'ira m'infuocava le vene. "E mettendo caso che accadesse, dove starebbe il disonore in ciò? Dovresti piuttosto sentirti orgogliosa d'avere una figlia anticonformista e open-minded come lo eri stata tu in gioventù!"

"Oh ma taci, Naruko! Apri la bocca per niente!", ribatté acida mia madre, alzandosi e accennando ad andarsene.

Tzé, come se glielo avrei permesso!

"D'accordo: non approvi Sasuke in quanto cristiano. Va bene!", esclamai, chiudendo la porta scorrevole e impedendo ad Okaasan d'abbandonare la mia cameretta. "Se ci tieni tanto alle apparenze, come mai ti sei maritata con un ainoko? Con un reietto? Col figlio di una prostituta? Obasan sarà anche stata una Only, però sempre a letto per soldi ci andava, coll'ufficiale americano! Ammesso poi che Otōsan fosse stato per davvero figlio di quest'ultimo e non di un qualche marines a caso, uno dei tanti che s'era divertito con lei tra uno stupro e l'altro! L'unica ragione per la quale Jiraiya-ojisan adottò mio padre sta nel fatto, che l'unico suo figlio ed erede gli era saltato in aria ad Hiroshima e che, pur di non lasciare niente allo Stato, avrebbe accolto anche l'ultimo dei miserabili se fosse stato il caso!"

"Naruko, smettila ... Non sai quel che dici ... Sei fuori di te! ... Non ti fa bene!", tentò di calmarmi mia madre, notando apprensiva il mio crescente e incontrollabile stato d'agitazione.      

"Viste e considerate le premesse, cosa trovi tu ora di disprezzabile in Sasuke che, seguace a parte di un'altra religione, proviene comunque da una famiglia rispettabile? Suo nonno Hikaku-san è stato ufficiale della sanità in ambedue le guerre; suo padre Fugaku-san commissario di polizia e lui è un eccellente oculista! Suo fratello Itachi-san è il miglior chirurgo del distretto, se non proprio dell'intera prefettura! Lui e Sasuke hanno clienti che vengono perfino da fuori pur di farsi visitare da loro! E sua cognata Shisui-san, con tre figli e un quarto in arrivo, continua a lavorare tranquillamente come professoressa al mio liceo! Ti pare questa una famiglia di scalzacani, di inetti? Una famiglia di cui dovresti vergognarti, nella remotissima ipotesi in cui Sasuke volesse sul serio sposarmi?"

Abbracciandomi disperatamente, Okaasan esclamò piena d'angoscia: "Ma lo stesso verresti discriminata, tesoro mio!", asserì, stringendomi al petto ancora più forte. "E non voglio che sparlino ulteriormente di te, che ti facciano soffrire più del dovuto! Voglio che almeno tu sia felice!", singhiozzò e confesso che mi riusciva arduo trattenere le lacrime che mi pizzicavano gli occhi. Ma, per quanto mi costasse, desistetti comunque dal piangere. "Tutto quello che dici corrisponde al vero, però io contrariamente a te non ho mai avuto una scelta: quando conobbi tuo padre, la mia reputazione era già stata infangata da tempo, nessuno m'avrebbe sposata! Che aveva tuo padre da perdere nel prendersi della merce guasta, dal momento che lui per primo veniva trattato alla stregua d'un lebbroso? I miei genitori ringraziarono ogni kami in cielo, per essersi sbarazzati di me! Non hai idea delle umiliazioni che ho subìto! Adesso tutti mi trattano con rispetto, ma solo dopo anni e anni d'insulti! Se dovessi sposarti con Sasuke-san, anche tu finirai moralmente isolata e ancora più di prima! Non solo! La gente incomincerà ad insinuare che nessun altro t'ha voluta, perché, come tua madre, anche tu eri tarata, marcia! Non posso accettare questo! Non per te! Con Menma mi sono oramai messa il cuore in pace, ma con te no! Non riesco a sopportare l'idea di saperti infelice!"

Ripeto: se lo scopo ultimo di mia madre puntava sul farmi piangere peggio d'una fontana, hé, ammetto ci stava riuscendo. Tuttavia, le poche e patetiche gocce che mi colarono sulle guance non avevano il gusto del perdono né tantomeno del chiarimento: malgrado la mia gratitudine verso la premura della genitrice (che avevo riscoperto volermi bene nonostante le nostre divergenze) lo stesso non mi pareva d'aver trovato una soluzione al mio problema. Casomai l'affare s'era ulteriormente complicato e sul serio non sapevo più dove sbattere la testa.

"Ebbene ...?", borbottò Okaasan, soffiandosi il naso e fissandomi speranzosa.

"Sasuke non ha nulla a che vedere in questa ... storia. E' colpa mia. Ad una festa ... ho ... ho fatto la cretina ...", dissi, lasciandomi avviluppare dall'ennesimo abbraccio consolatore di mia madre.

"Andrà tutto bene, tesoro. Risolveremo assieme questa brutta disgrazia. Sarà come se non fosse successo nulla!"

Le rivolsi un sorriso tremulo. "Certo, Okaasan ..."

Mi accorsi solo in quell'istante, posando a caso lo sguardo verso la porta, che quest'ultima non solo era aperta, ma che all'uscio se ne stava ritto e immobile mio fratello Menma, dalla cui espressione assolutamente disgustata intuii aver udito se non proprio tutto, perlomeno una buona parte. E decisamente aveva ben ascoltato l'ultima affermazione, come mi confermò quel suo andarsene in silenzio, non senza avermi scoccato la peggiore delle occhiatacce e insultandomi tramite labiale.

E dietro di lui, a rafforzare quell'ingiuria, intravidi il bambino che mi sorrideva triste da sotto il suo cappuccio blu e grondante d'acqua.

 

 

 

 

Domenica, 1 febbraio 1998

- mancano 5  giorni all'Appuntamento -

 

 

 

"Potresti spegnere la sigaretta, per favore?"

Menma mi guardò di traverso, stringendo malevolo gli occhi e, ignorando bellamente la mia richiesta, aspirò profonde boccate di fumo, per poi liberarle nell'aria in dense scie.

"Grazie", replicai sarcastica alla sua palese scortesia, mentre mi coprivo il naso con la sciarpa e guadagnandomi una risatina altrettanto beffarda da parte di mio fratello, il quale m'aveva accuratamente evitata per tutta la giornata di ieri. Soltanto ora riuscivo a parlargli da sola e a quattr'occhi, approfittando della sua abitudine mattutina di vagabondare senza meta per Konoha.

"E di che? Tanto fra poco non farà più alcuna differenza, vero?", disse, spegnendo la cicca nell'apposito cestino. Dopodiché proseguì nella sua passeggiata solitaria, dandomi apposta le spalle.

Rapida lo raggiunsi, sbarrandogli la strada . "D'accordo! Le ho mentito! E allora? Non posso avere tutti contro!", esclamai frustrata, nella speranza che Menma la smettesse con quel suo atteggiamento da fustigatore. Non aveva alcun diritto di giudicarmi: era facile per lui sparare sentenze, quando non si trovava nella merda come la sottoscritta!

"Lo sai qual  è il tuo problema, Naruko?", incrociò battagliero Niisan le braccia al petto. "Che ti complichi la vita per niente. Non metto in dubbio la delicatezza della tua situazione; ciononostante non mi pare che sia poi così disperata da eliminare il "problema" alla radice, come tu stessa lo definisci!"

"Ah, no?", lo sfidai.

"Ah, sì! Diamine, se invece di rimbecillirti con seghe mentali sul tuo destino d'eroina tragica, ti mettessi a ragionare da persona matura, capiresti che c'è una soluzione alternativa! Una scappatoia che non ti toglierà colui che ami!"

Sbuffai scettica. "Chi me l'assicura?"

"Ma non ti entra in quel cervello bacato, che Sasuke non ti perdonerà mai questo tuo gesto? Anzi, ciò che Okaasan t'ha suggerito di fare? Perché ci scommetto tre anni di stipendio, che questa schifezza non è una tua iniziativa! Sei troppo codarda, imōto, anche solo per chiamare il ...!"

"Come ti permetti?!", lo interruppi indignata, stingendo i pugni e pronta ad usarli. Mai mi sarei aspettata un tale voltafaccia da parte di mio fratello, mai! "Parli proprio tu!"

"E allora, perché le hai mentito?"

"Perché avrebbe biasimato Sasuke! Eppoi, necessito del suo supporto!"

Menma cambiò peso da una gamba all'altra, passandosi esasperato una mano tra i capelli corvini. "Tu hai bisogno di una persona che t'apprezzi per quel che sei, non per quel che potresti essere! Per Okaasan equivali a una comoda via per riscattarsi dal suo passato! Tramite te spera d'assaporare quella vita, che per sua scelta o disgrazia non ha potuto vivere! E' questo che vuoi? Vivere la vita di un'altra?"

"Resta comunque mia madre!", m'impuntai testardamente, avvertendo un certo pizzicore agli occhi, l'ennesimo in meno di ventiquattro ore. "Mentre Sasuke ...", mormorai, sedendomi su di una panchina, essendomi divenuta la testa improvvisamente pesante. Mi girava perfino.

Sospirando profondamente, Niisan m'imitò ben presto, afferrandomi saldo e confortante per le spalle. "Imōto-chan, sii sincera: tu lo ami?"

Tirai su col naso, asciugandomi le prime lacrime col dorso della mano. Aprii la bocca per rispondere, ma non una parola ne fuoriuscì: tale era la grandezza della mia affezione nei confronti del mio fidanzato, che non riuscivo ad elaborarla a parole e un semplice "sì" mi sembrava troppo svilente, per pronunciarlo ad alta voce.

"Devi scegliere, Nacchan", fu la pacata sentenza di mio fratello, il quale aveva incominciato ad accarezzarmi la schiena. "O Sasuke o nostra madre. Come dicono i Kirisutokyouto, non puoi servire due padroni: o segui uno o lasci perdere l'altro! Ma accontentare entrambi, no, non ti è umanamente possibile!"

"Che debbo fare, Menma-nii?"

"La scelta sta interamente a te, imōto-chan. In questo frangente non posso decidere al posto tuo", dichiarò mesto Niisan, appoggiando la sua fronte contro la mia. "Tuttavia, l'unica cosa che mi auspico è che la soluzione venga da te e non da una terza persona!"

 Assentii impercettibilmente, reclinando poi il capo affinché riposasse sul petto di mio fratello. Poco distante dalla nostra panchina, il semaforo aveva preso a suonare la celebre warabe uta Tōryanse, tōryanse.[1] Ridacchiai nostalgica alla melodia, socchiudendo gli occhi e canticchiando tra me e me:


Passate pure, passate suvvia.

 

Dite, dove porta quest'oscura via?

Porta forse al tempio di Tenjin il saggio?

Per favore, concedici il passaggio!

 

Mi addormentai malgrado il mattutino freddo invernale, molto probabilmente cullata dal regolare battito del cuore di Menma e dal confortante calore da lui emanato. In quegli ultimi giorni, raramente avevo sentito un tale senso di protezione da concedermi il lusso d'abbassare le mie difese, rilassandomi.

Sognai.

Stranamente, non mi trovavo in un posto chissà quanto lontano o fantasmagoricamente esotico. Invece, ai miei occhi si snodava la medesima strada da cui m'ero congedata, mentre m'assopivo.  Al centro di essa riconobbi la me stessa bambina giocare a Tōryanse, tōryanse assieme alla versione infantile di Menma. A stento trattenni un dolce sorriso, scuotendo il capo: il numero minimo di giocatori corrispondeva a tre, altrimenti il gioco era infattibile. E ciononostante, i due kodomo s'intestardivano a proseguire, lasciando che sotto il loro ponte di braccia passassero amici invisibili. Nel sogno mi apprestai ad avanzare verso di loro, desiderando unirmi al loro svago e offrendoli così un compare in carne ed ossa.

La mia innocua iniziativa morì sul nascere, giacché ciò cui assistetti mi pietrificò sul posto.


Coloro senza una valida ragione di qui non passeranno.

 

Sbucando fuori dal nulla, il bambino dal mantello blu attraversò ridendo il ponte creato dai suoi compagni, saltando poi in piedi e trotterellando vittorioso verso di me, cantando:


Guardate, di questo piccino è il settimo compleanno,

siam qui per offrire il nostro o-fuda.

 

E come se si fossero d'un tratto accorti anche loro della mia presenza, i due kodomo imitarono ben presto quell'altro, prendendosi festosamente per mano. Il tempo di sbattere le ciglia e me li trovai tutti e tre a qualche spanna dal mio naso, in particolare il bambino dal mantello blu, le cui pingue gocce cascanti dal cappuccio mi bagnavano il viso, provocandomi tremiti a causa della loro estrema freddezza. Pareva, infatti, che il loro proprietario avesse nuotato in un lago ghiacciato.


L'andata è facile, il ritorno fa paura!


Mi sussurrò e il suo fiato anch'esso gelato m'intirizzì fino al centro dell'anima.

Ma fu nulla se comparato al terrore ch'io provai, quando allungò una manina pallida e umida per 

toccarmi.


Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia.

 

Gridai, destandomi di soprassalto e trascinando meco Menma in questo frenetico e spaventato risveglio. Non solo: non appena riuscii a focalizzare quanto mi circondava, a capire il come e perché di quella situazione, m'imbattei, oltre che al viso assolutamente sorpreso di Niisan, nei visetti incuriositi e al contempo confusi di Uchiwa Saeko-chan e Kiyoaki-kun, i nipoti di Sasuke. Presumibilmente spaventato dal mio inaspettato e acuto strillo, il maschietto si nascose prontamente dietro la schiena del padre, Itachi-san, il quale s'era portato alla mia altezza, riflettendo sul suo viso la stessa domanda che si stava ponendo in quel momento mio fratello.

"Nacchan, tutto a posto?", s'informò preoccupato Niisan, tenendomi ben salda per le spalle. "Hai cacciato un urlo ..."

Aprii la bocca per giustificarmi, arrossendo nel frattempo furiosamente per l'imbarazzo. Accidenti, e adesso come avrei potuto spiegarli la faccenda dell'incubo e del bambino dall'impermeabile blu, senza passare per una pazza?

Meno male che Itachi-san intervenne, liberandomi dall'impiccio. "Sei stata molto sgarbata, Saeko-chan", si rivolse severo alla figlia, rimproverandola. "Hai terrorizzato la povera Naruko-chan!"

Piegando all'ingiù la bocca e aggrottando la fronte, la bambina protestò la sua innocenza: "Ma stava cantando nel sonno! E' strano!"

"Non è comunque una buona ragione, per infastidire una persona che dorme. La spaventi e non è una bella esperienza. Ti piacerebbe se lo facessero a te?"

La piccina abbassò il capo, bofonchiando. "No, papa." Quand'ecco che, bellicosa, indicò il suo otōto. "Anche Kiyo-kun l'ha toccata!"

Dalla sua sicura postazione, il minore le presentò una regale linguaccia. "Non è vero!", piagnucolò indignato.

"Anche Kiyoaki-kun si scuserà con Naruko-chan!", ribatté Itachi-san, alzandosi e spingendomi delicatamente i bambini davanti, affinché mi porgessero le loro scuse. Il che avvenne di fretta e piuttosto di malavoglia: secondo la loro logica infantile, cantare nel sonno non conferiva uguali diritti rispetto ad un dormiente "muto".

Non avevano tutti i torti, poverini.

"Siete appena ritornati dalla Messa?", cambiò rapidamente discorso Menma, assumendo un tono vivace da controbilanciare il broncio dei marmocchi.

"No, stamane prima della funzione è venuto il prete a casa nostra per darci la comunione: Tenmaku-kun non può uscire finché non gli leveranno i punti e sia Shisui che Kaa-san non lo perdono di vista neanche per un secondo. Ed io nemmeno, se le due signore me lo permettessero", ci spiegò brevemente Itachi-san.

"Aspetta, aspetta: t'hanno sbattuto fuori coi pargoli?"

"No, sono scappato io! Quando incominciano a romperti le scatole, non la finiscono più ... Sembra che muoiano se non ti tarmano!", si lagnò scherzosamente l'Uchiwa e roteò drammatico gli occhi, provocando una feroce risata in mio fratello. "Adesso che Shisui è ufficialmente in maternità, possiede ancora più tempo libero per dare a Kaa-san del filo da torcere!"

"Ma sembravano andare così d'accordo!", m'intromisi.

"E tuttora ci vanno. Il problema, Naruko-chan, è che da quando Tou-san è morto (pace all'anima sua)", e qui il volto d'Itachi-san s'incupì, mentre rapido eseguiva quel curioso gesto d'inizio preghiera tipico dei cristiani "gli equilibri famigliari ne hanno molto risentito. A peggiorare le cose, Kaa-san insiste nel voler ad ogni costo badare alla casa, a Ojisan e a Tenmaku-kun per non affaticare Shisui; figurarsi, se la mia tsuma non aveva da ridire a riguardo, cogli sbalzi d'umore a causa degli ormoni diventa doppiamente polemica e aggressiva, dopodiché piange disperata asserendo che non la amo e che la tradirò con una donna più giovane e bella ...  Kaa-san le dà della melodrammatica ... Lei risponde per le rime ... Si accapigliano ... Donne testarde ... E si sfogano poi con me, giustamente!"

"Fatti coraggio, amico mio!", gli batté solidale Menma la schiena. "Speriamo che la situazione non peggiori, in caso tua madre dovesse acquistare una seconda nuora!"

Per quanto m'augurassi di sbagliarmi, non mi sfuggì affatto la furtiva occhiata lanciatami di soppiatto da Itachi-san, non appena mio fratello pronunciò la parola "nuora". Né mi rassicurò il modo decisamente analitico con cui l'uomo  mi aveva squadrata dalla testa ai piedi, quasi mi stesse valutando come uno dei suoi pazienti, e non nascondo che panicai parecchio alla prospettiva che Itachi-san avesse intuito il mio segreto. A meno che Menma non glielo avesse già spifferato, visto e considerato lo stretto legame d'amicizia che li legava. Distolsi quindi velocemente lo sguardo, concentrandomi su Saeko-chan e Kiyoaki-kun, i quali stavano giocando con le cards dei Pokémon. Stava vincendo ovviamente la maggiore poiché il più piccolo, non conoscendo le vere regole del gioco, sottostava docile a quelle fasulle della sorella, atte a favorirla costantemente.

"Sarà quel che Iesu-sama vorrà", sentenziò ambiguo Itachi-san, abbracciando il figlioletto quando questi, stizzito per l'ennesima sconfitta, si rifugiò piangendo tra le sue braccia. "Piuttosto, avete qualche progetto per questo pomeriggio?"

Prima che potessi tappare la bocca a quel pappagallo di mio fratello, questi m'anticipò, rispondendo entusiasta: "Certo che no! I nostri ryōshin si sono recati ad Uzushio in visita, non ritorneranno prima di stasera!"

"Perfetto! Vi piacerebbe allora venire a prendere il tea a casa nostra? Non ricordo l'ultima volta, che ci avete onorati di una vostra visita e Kaa-san ve ne sarebbe molto grata!"

"Chi siamo noi per rifiutare un favore alla cara Mikoto-san? Vero, Nacchan?"

Un giorno, mi ripromisi mentalmente, avrei tagliato la lingua a Menma.

Period.

 

 

~~~

 

 

Effettivamente, Mikoto-san si dimostrò davvero entusiasta della nostra visita. Se non fosse stato per il mofuku kimono che indossava [2] e per il viso tirato dell'insonne, non la si sarebbe detta in lutto per la morte del marito. Addirittura mi ringraziò con un raggiante sorrisone, quando, dopo i convenevoli, le porsi la torta al tea verde, l'unico dolce ch'ero in grado di preparare. Non sia mai che mi presentassi senza niente, anche se invitata all'ultimo momento [3]. Sciorinandosi in ulteriori ringraziamenti per il mio dono,  la vedova ci invitò a seguirla in casa.

Deglutii un acido conato di vomito, sentendomi più in colpa che mai.

L'abitazione dove Sasuke e la sua famiglia vivevano non presentava chissà quali varianti da una qualsiasi casa tradizionale giapponese: avevo sempre immaginato, infatti, che i Kirisutokyouto avessero adottato a prescindere uno stile occidentale o comunque diverso da quello nazionale. Invece, salvo alcuni particolari, nulla di strano saltava all'occhio. Al contrario, alcuni dettagli ornamentali tipici della religione shintoista e buddista erano sì stati mantenuti, però al contempo riadattati ai dettami cristiani, sfatando quelle leggende metropolitane che li associavano un bizzarro e decadente mélange tra Gothic e ottocento vittoriano, miti rinfocolati dalla recente fascinazione dei manga verso questa religione. Ad esempio, gli Uchiwa possedevano come noi un altare di famiglia, ma, al posto di esporvi i simboli dei kami shintoisti, sul loro kamidana troneggiava innanzitutto un Crocefisso, affiancato poi da un ritratto di Maria-sama col Bambino; di Miki Pauro-sama, di Mikaeru-sama e di un Gaijin dal buffo cappello che mi spiegarono essere il loro Kyōkō, Nidaime Yohane Pauro-sama.  Alla mia domanda se l'avessero mai incontrato di persona, Sasuke m'aveva risposto negativamente, asserendo tuttavia che suo nonno Hikaku-san aveva fatto letteralmente carte false pur di recarsi a Roma per partecipare al Giubileo del 1950. Non voleva morire, così s'era giustificato, senza aver visto la Città Eterna  e il Kyōkō-dono almeno una volta e magari, già che c'era, ringraziare d'essere scampato alla morte in ambedue le guerre mondiali. E a proposito dell'anziano patriarca, lo trovammo guarda caso in preghiera proprio davanti alla versione cristiana del butsudan, là dove ci osservavano annoiati tutti gli antenati e parenti del mio fidanzato, fotografati ora in bianco e nero, ora a colori. Circondata da fiori e dal nastro nero, la foto di Fugaku-san risaltava tra i volti antichi dei suoi predecessori e anche in quel frangente seguitava a mantenere un'espressione seria e affatto socievole.

"Incazzato fino all'ultimo", fui sicura d'aver sentito l'anziano genitore borbottare, mentre accendeva un incenso votivo per il defunto figliolo. "O il fotografo era un pezzente incapace ..."

Fin dal nostro primo incontro avevo nutrito molta stima per Uchiwa Hikaku-san, ultracentenario, sordo come una campana, quasi cieco, piccolo e rinsecchito ma dalla mente sorprendentemente ancora agile e arguta, forse più attiva di quella di molti suoi concittadini più giovani. Non potevo esimermi dal non rispettare quell'uomo adesso fragile e avvizzito, che tutto aveva perso durante il secondo conflitto mondiale ma che, superando la disperazione, s'era imposto di vivere e di ricostruire la famiglia distrutta. Quando Sasuke mi aveva raccontato che Fugaku-san rappresentava l'unico superstite di sette figli, non gli avevo dapprincipio creduto. Ma ora, osservando i volti sulla versione cristiana del butsudan, compresi quanto quel posto fosse pieno di ricordi per quell'anziano patriarca e quanto doloroso dovette essere stato per lui ricominciare da zero assieme all'allora adolescente figliolo.

"Chichi!", lo chiamò ad alta voce Mikoto-san, inginocchiandosi presso di lui. "Guarda chi è venuto a trovarci!"

"Eh?", fece l'anziano, tendendo lo scarno collo rugoso verso la nuora.

"Guarda. Chi. E'. Venuto. A. Trovarci!"

"Cosa?"

"NAMIKAZE MENMA-KUN E NARUKO-CHAN SONO VENUTI A TROVARCI!!", fu costretta a gridare Mikoto-san, arrendendosi di fronte alla palese sordità del vecchio suocero.

"Oh, i kodomo di Minato-shi?", esclamò deliziato Hikaku-san, ponendosi difficoltosamente in piedi, sorretto da Mikoto-san, arrivandole a malapena alle spalle, tanto era curvo.

Ben presto ci accorgemmo che il nostro nome non soltanto aveva rallegrato il bisnonno Uchiwa, ma che aveva richiamato da chissà quale angolo oscuro della casa o del giardino i suoi bisnipoti più giovani, i quali si presentarono a rapporto con Itachi-san che chiudeva quel rumoroso corteo.  Osservando di sottecchi come le due belvette avessero accerchiato mio fratello, giunsi alla conclusione che il fratello di Sasuke, benché cristiano, non aveva perduto il suo spirito pragmatico e calcolatore: invitandoci per il tea aveva trovato un espediente per dirottare altrove l'inesauribile energia dei suoi figlioli, permettendo così alla moglie di vegliare indisturbata sul giovane ammalato. Non che la cosa ci dispiacesse, tutt'altro! Sebbene estremamente vivaci, Saeko-chan e Kiyoaki-kun rimanevano due creaturine davvero amabili. Quando li raggiunsi, la bambina prese a raccontarmi euforica come la sua Obasan le stesse preparando l'abito per la sua Prima Comunione.

"Indosserò uno shirokakeshita!", mi rivelò orgogliosa. "Però non come una vera sposa, quindi non potrò mettermi lo shiromuku uchikake e neppure il watabashi ... [4] La mia mama ha detto che mi metterà piuttosto una bella spilla tra i capelli! E dei fiori! Non vedo l'ora che arrivi maggio!"

"Si preparasse a questo santo sacramento, impiegando il medesimo entusiasmo con cui parla del vestito ...", commentò il suo bisnonno, facendomi l'occhiolino e appoggiando la mano avvizzita sopra la mia. Di riflesso gliela strinsi, meravigliandomi quanto la sentissi leggera, come se stessi tenendo un pulcino.  

Ridacchiai sommessamente.

"Non è vero! Sto studiando, Hikaku-hiijiji! Non manco mai a nessuna lezione di catechismo! Chiedilo a papa!", protestò vivacemente la bambina, guardandomi poi speranzosa. "Verrà anche lei, Naruko-obaasan, alla mia Prima Comunione?"

"Se il tuo Otōsan vorrà invitarmi", sorrisi malinconica. Mi ripresi in fretta, impedendo alla piccina di cogliere quel mio attimo di cupezza. "E comunque, non chiamarmi "zia"! E dammi del tu!"

Gli occhioni scuri di Saeko-chan divennero ancora più grandi dalla sorpresa. "E come ti dovrei chiamare?"

"Naruko-nee oppure Oneesan. Non sono la tsuma del tuo Ojiisan!"

"Ah no?", s'inserì Kiyoaki-kun, sbucandomi da sotto il tavolino. "Ma voi due vi date tanti baci!"

Avvampai per l'imbarazzo. Grande osservatore, il poppante!

"Oh!", s'illuminò il volto di sua sorella. "Anche tu allora aspetti un bambino! La sensei ci ha detto, che quando papa e mama si vogliono tanto bene e si danno tanti baci, la pancia di mama cresce e cresce finché non viene fuori un bambino! Così!", mi spiegò, gesticolando le dimensioni di un pancione da vacca gestante, più che da essere umano. Il suo Otōto la imitò prontamente, giusto per rafforzare il concetto. "La mia mama aspetta pure lei un bébé, perché papa le ha dato tanti, tanti baci!"

"Tanti, tanti baci!", ripeté il suo fratellino peggio d'un pappagallo e con la medesima serietà.

"Mikoto-san!", mi rivolsi con voce leggermente acuta ed isterica alla padrona di casa, grata di vederla entrare col tea e la torta, così da fornirmi una chance per svignarmela con comodo. "Vado a chiamare i due fuggitivi!", mi offrii volontaria per recuperare Menma e Itachi-san, i quali se l'erano svignata alla prima distrazione del duo malefico per discorrere dei fatti loro.

Prima ancora che la donna potesse replicare, ero già uscita dalla stanza, respirando a grossi singulti.

Calmati, calmati ... Va tutto bene ... Sono soltanto dei bambini ... Parlano a vanvera ... Ignorano il significato delle proprie parole ..., ribadii queste verità come in un mantra allo scopo di rilassarmi e di ritornare in me. Non appena mi reputai pronta per affrontare di nuovo il mondo, partii genuinamente alla ricerca dei due uomini, che scovai in giardino.

Entrambi esibivano delle espressioni sospettosamente gravi, parlottando fitto e a bassa voce.

"... e in ogni modo, il dottore ha confermato essere una bambina", terminò Itachi-san il discorso, che supposi concernere sua moglie e il nascituro.

Menma fissò a lungo il suo amico, prima di chiedergli con sconcertante serietà, troppa per quel lieto evento: "E tu? Ne sei contento?"

"Sì, perché?", sbatté confuso le ciglia l'altro, malgrado la sua mimica facciale tradisse una notevole comprensione dei vari sottotesti ivi contenuti.

Mio fratello abbassò il capo, come se stesse cercando le parole più diplomatiche per un discorso altrettanto delicatissimo. "Itachi, so che la vostra religione v'impone di perdonare e d'amare anche il vostro nemico, tuttavia ... potrai mai tu sul serio amare un figlio che potrebbe non essere tuo?"

Smisi di respirare. Avevo inteso bene? Shisui-san ... Shisui-san stava aspettando la creatura di un altro uomo? Come ... com'era possibile? E ... e perché Itachi-san continuava a rimanerne talmente impassibile? E come faceva Niisan a sapere queste cose? Nessuno a Konoha ne aveva mai spettegolato a riguardo ... Figurarsi se non ne avessero approfittato per sparlare allegramente degli Uchiwa! Che diamine stava succedendo?

"Su questo punto ti sbagli, Menma, la bambina è mia. Potrebbe - chi lo sa - non esserlo biologicamente, ma lei è tanto mia quanto di Shisui. Le circostanze del suo concepimento sono irrilevanti. La piccina crescerà in questa casa con tutti gli onori di figlia, porterà il mio cognome e non tollererò che una colpa di cui non può giustificarsi le avveleni l'esistenza!", dichiarò bellicoso Itachi-san, raddolcendo subito dopo i lineamenti del suo viso. "D'altronde, anche tuo padre è stato adottato, quindi capirai cosa significhi l'amore al di là dei vincoli di sangue!",

"Touché", ammise Menma suo malgrado, studiando la neve cadere dai rami spogli degli alberi. "Avete avuto molto coraggio e soprattutto pietà nei confronti della creatura. Il vostro comportamento è davvero ammirevole", commentò ed io fui assolutamente d'accordo con lui.

Itachi-san scosse il capo, schermendosi. "Non adularci, abbiamo pure noi le nostre colpe  ... Vista la situazione ... ti confesso che ci avevamo pensato ..."

Cosa? Avevo compreso bene?

"E' comprensibile."

Avevano sul serio contemplato di ...?

"Shisui alla fine non ha voluto", proseguì imperterrito Itachi-san, lasciando vagare gli occhi ovunque per il giardino, impedendo che Menma vi leggesse il turbamento in essi. Non avrei mai immaginato che tale sciagura potesse abbattersi sulla loro famiglia e di nuovo Sasuke non m'aveva detto niente, forse per rispetto verso la cognata. Oppure per non fare paragoni, poiché io ... No, lui non sapeva nulla. Però io sì, sapevo ora tutto. E la vergogna mi stava mangiando viva. "Quando ... quando l'assicurai che non l'avrei mai rimproverata della sua decisione, che se non ce la faceva a sopportare questo fardello l'avrei capita, ecco ... Shisui mi rivelò che se fosse stata sicura al 100% della paternità della creatura, allora avrebbe anche considerato d'abortire; siccome però lei per prima non sapeva con chi l'avesse concepita, preferiva tenerla. Una tempistica perfetta! Povera Shisui: alla mattina fa l'amore col marito e alla sera violentata da ... uno sconosciuto."

"Hai dei sospetti, vedo."

"Nessun sospetto. Certezza. E lui lo sa."

"Cosa?!"

L'aria vibrava dalla collera a malapena tenuta a freno da Itachi-san. Decisamente, mai come in quel momento la sua parentela con Sasuke trovava la sua conferma: per quanto manifestassero i loro sentimenti in maniera diversa, lo stesso i due fratelli possedevano un carattere sulfureo al limite del distruttivo quando si trattava di proteggere i loro cari.

"Shisui non desidera denunciarlo. Dice che non vuole più averci a che fare, che il solo guardarlo la nausea. L'ha perdonato, ma affrontarlo in tribunale ...  Non se la sente. E io rispetto la sua decisione. Questo però non m'ha impedito di chiarire due o tre cosette con quel maledetto, ovvero che se si sarebbe riavvicinato a mia moglie o alla mia famiglia in generale, l'avrei sottoposto alle medesime torture subìte dai miei antenati!"

A differenza però di suo fratello minore, che possedeva la rabbia esplosiva, Itachi-san esibiva invece la sua controparte implosiva. Pareva che non se la prendesse per niente; al contrario, si segnava mentalmente tutti i torti subìti per fartela pagare più tardi e cogli interessi.

"Non molto cristiano da parte tua ...", notò giustamente Niisan.

"Talvolta la croce che portiamo diventa troppo pensante per noi e cadere sotto il suo peso può capitare. Non fingiamo ignoranza: le percentuali delle molestie e violenze sul lavoro che colpiscono le donne appaiono agghiaccianti da quanto sono alte, però ... però sempre le consideri a te aliene ... distanti ... finché non ti capitano ... E ti colpevolizzi per non averlo impedito."

"Da molto tempo la molestava?"

"Asseriva che lei stesse flirtando con lui."

"E gli hai creduto?"

"Affatto. Nutro una fiducia assoluta in Shisui. Se lei m'ha confessato di non averlo mai incoraggiato, io non ho motivo di dubitare della sua parola. E comunque, flirt o non flirt, un no rimane sempre un no  e non giustifica la schifezza da lui compiuta."

Appoggiai la fronte sulla porta scorrevole, la testa che mi girava a causa di sentimenti contrastanti: confusione, stizza, imbarazzo, tristezza e indignazione. Il petto mi stava scoppiando dalla voglia d'urlare, di scappare via lontano, d'invocare aiuto e consiglio, ma sinceri, non interessati.

"Naruko-chan?", avvertii la presenza di Mikoto-san alle mie spalle, imbattendomi poi nel suo viso preoccupato. "Maria-sama, sei pallida come un lenzuolo ... Ti senti bene? Vuoi qualcosa?", mi condusse verso la cucina tenendomi il braccio, là dove mi fece accomodare, porgendomi un bicchiere d'acqua fresca. "Che tu abbia la febbre?"

"E' solo stanchezza, Mikoto-san. Non è nulla", mentii debolmente, stringendo con esasperata forza il bicchiere, manco fosse mia intenzione di frantumarlo. "Non sarei dovuta venire qui, ecco."

La donna s'inginocchiò davanti a me, afferrandomi delicatamente le mani. "E' successo qualcosa di brutto, Naruko-chan?"

Mi tremò il labbro inferiore. "No, Mikoto-san."

"Sasuke s'è comportato male con te?"

Casomai il contrario. "No."

Mikoto-san sospirò, lasciandomi ad intendere che aveva compreso benissimo il significato inverso delle mie risposte. Ovvio che mi fosse successo qualcosa di brutto, ovvio che avesse a che fare con Sasuke, anche se lui non ne aveva colpa. "Se vuoi parlarne, t'ascolto."

Negai veementemente col capo. "Dubito che ... che lei potrebbe comprendere ..."

"Comprendere cosa?"

Sobbalzammo colpevoli alla vista di Menma e Itachi-san sull'uscio della cucina.

"Quanto sia difficile sopportare quei rompiscatole dei professori!", mi venne in soccorso Mikoto-san, balzando in piedi e rassettandosi il kimono. "Stanno veramente tartassando la povera Naruko-chan: che barbari!", esclamò gioviale e, raggiunto il figlio maggiore, gli suggerì: "Pensi che Ten-kun sia in grado di potersi unire a noi? Povero caro, sempre confinato nella sua stanzetta!"

"Basterà fare attenzione che non faccia movimenti strani", dichiarò professionale Itachi-san, guardando tuttavia oltre la madre. Puntava me coi suoi occhi, lanciandomi di nuovo lo sguardo.

"Perfetto! Vai tu  prenderlo? Così Shisui si potrà rilassare anche lei, poverina ...", disse, seguendo/spingendo il figlio fuori della cucina.

Rimanemmo soli Menma ed io.

"Glielo hai spifferato, vero?"

"Cosa?"

"Quello!", accusai velenosa mio fratello. "Come fa altrimenti a saperlo? Non dirmi che Itachi-san può leggere nella mente! Perché mi metto a ridere!"

Niisan abbozzò ad una smorfia incredula. "Stai diventando paranoica, adesso!", asserì impietoso.

"L'hai fatto apposta a portarmi qui!"

"E se anche fosse? Cos'è? Ti morde la coscienza?"

Strinsi il pugno. "Teme ...", digrignai i denti, pronta a sfigurarlo a suon di mazzate. "Come ti permetti ...?"

Mio fratello scrollò incurante le spalle. "Datti una calmata, femmina isterica!", mi sbeffeggiò, chiudendo la porta scorrevole della cucina, non senza avermi rifilato l'ennesimo sorrisetto di sufficienza, confermando i miei sospetti circa una sua natura bipolare. Non poteva dimostrarsi dolcissimo e stronzo nell'arco di nemmeno ventiquattro ore. Non poteva.

Sbuffando, m'alzai dalla sedia e mi riempii un secondo bicchiere d'acqua.

Sentii dietro di me la porta aprirsi nuovamente.

"Ancora? Le vuoi proprio prendere, eh, bastardo?", mi preparai alla pugna, certa d'imbattermi nel brutto muso di Menma.

Invece, mi ritrovai davanti quello perplesso di Shisui-san.

Indossava anche lei mofuku kimono, sebbene a cingerle la vita fosse una fascia bianca al posto dell'obi nero, acciocché non strizzasse troppo il pancione che, a sei mesi, già rotondeggiava orgogliosamente.

Abbassai lo sguardo, memore della conversazione origliata tra suo marito e mio fratello. Come avevano potuto farle una cosa del genere? Ad una madre di famiglia con già tre pargoli a casa? Che senso aveva quell'umiliazione? Non si poteva neanche dire che Shisui-san avesse provocato il suo aggressore, visto che teneva i capelli corti come i miei e si vestiva in maniera molto sobria. Flirtare? Si truccava a malapena! Non risaltava proprio in mezzo alle altre donne! Si vociferava perfino che si fosse fatta mettere incinta apposta da Itachi-san, in modo da costringerlo a sposarla visto che nessuno si capacitava che un bell'uomo come lui avesse scelto per sposa una donna dalla bellezza così modesta!

Inoltre, come poteva amare il bambino che le cresceva nel ventre? Come faceva a sopportare ogni giorno la vista del suo pancione senza sovvenirsi di quell'orribile esperienza e soprattutto a convivere con la possibilità che non fosse del marito?

Come?

"Naruko-chan, ti stanno aspettando per il tea", mi comunicò Shisui-san, la voce serena e fresca come lo zampillare di una fontana. Non le importava, conclusi tra me e me, non le importava della paternità della sua creatura. Se sotto i suoi occhi ombreggiavano delle occhiaie, era per l'ansia derivata dalle condizioni di salute di Tenmaku-kun. Dei suoi piccini e del marito. Era stata certamente oltraggiata ma non distrutta.

Mi sentii intimidita dalla forza spirituale di quella donna. E provai un immenso flusso d'odio scorrermi nelle vene, incerta se indirizzarlo a me stessa o a lei.

Chiusi il rubinetto e mi apprestai a seguirla, ma la sua espressione sconcertata m'impedì di proseguire nel mio intento.

La fissai stralunata.

Shisui-san era infatti impallidita improvvisamente, facendo degna concorrenza alla fascia stretta in vita. I suoi grandi occhi scuri ricambiavano il mio sguardo inquisitore con altrettanto stupore e paura, neanche mi fossi trasformata in Sadako [5].  Istintivamente, la sua mano corse a mo' di protezione sul suo ventre, indietreggiando cauta di qualche passo, le iridi ora dilatate e guardinghe.

Rimasi spiazzata da quel repentino cambio d'umore.

"Shisui-san?"

Per tutta risposta lei girò sui tacchi, disertandomi senza degnarmi di una spiegazione.

Avvertii d'un tratto qualcosa di freddo e di umido sotto i miei piedi.

Una pozza d'acqua cristallina.

Capii immediatamente.

 

 

 

 

Lunedì, 2 febbraio 1998

- mancano 4 giorni all'Appuntamento -

 

 

 

Menma ed io seppellimmo l'ascia di guerra a colazione. Succedeva il più delle volte così: litigavamo, ci tenevamo un signor broncio per tutta la sera e il mattino seguente, dopo aver mangiato, appianavamo le nostre divergenze.

Rimasi comunque turbata e al contempo commossa quando, accompagnandolo alla stazione dei treni, Niisan si scusò col cuore in mano, dandomi ragione riguardo alla visita agli Uchiwa: aveva accettato la proposta di Itachi-san per il mero gusto di farmi un dispetto. L'avermi però vista uscire dalla cucina d'un bianco cadaverico, gli aveva instillato un profondo senso di colpa, il quale lo aveva tarmato fino alle prime luci dell'alba. Però no, non aveva rivelato nulla ad Itachi-san circa le mie attuali condizioni e se questi sospettava qualcosa, lo doveva al suo allenato occhio medico.

"Spero che Shisui-san non sia stata troppo dura con te!"

Strabuzzai gli occhi, cascando dalle mie elucubrazioni. "Scusa?"

"Shisui-san", ripeté sbuffando Menma, "ieri pomeriggio vi siete parlate, no? Dopodiché siete entrambe uscite dalla cucina con certe facce ... Eravate, come dire, sconvolte. E non vi siete più rivolte la parola fino alla fine della nostra visita. Insomma, cos'è successo tra voi due? Vi siete accapigliate?"

"No!", scossi il capo vivacemente in diniego, più che altro per levarmi dalla mente il ricordo dell'acqua fredda lambirmi le caviglie. "Sono sicura che Shisui-san stesse ancora soffrendo per la paura presa a causa dell'appendicite di Tenmaku-kun!", asserii con tale convinzione, che il volto di mio fratello si rilassò, rassicurato dalla mia logica spiegazione.

"Ah, ecco! Meno male!", esclamò soddisfatto.  Accortici dell'arrivo del treno, sospirammo entrambi il tipico Beh, eccoci qua dunque a congedarci. "Sul serio non cambierai idea?"

"Menma-nii ... Ne abbiamo già parlato ...", borbottai petulante, cambiando peso da una gamba all'altra.

"D'accordo, d'accordo. Mi cucio la bocca. Purché tu non te ne penta in seguito."

"Non accadrà. Starò bene", gli sorrisi incoraggiante, sebbene tremassi interiormente all'avvicinarsi dell'appuntamento.

Menma m'abbracciò forte, scompigliandomi i capelli. "Ricordati di fare un'offerta a Jizō-sama, eh?", mi ricordò, circondandomi il viso con le mani e stampandomi un bacio sulla fronte.

Lo colpii giocosamente sul braccio. "Sparisci, pidocchio!", gli intimai, salutandolo quando salì sulla carrozza.

Osservando il treno partire in direzione di Tokyo, al posto di sentirmi sollevata per la partenza di mio fratello (uno in meno contro l'appuntamento) provai un senso d'abbandono molto forte. Come ... come se avessi perduto più un alleato che un nemico.

Con simili pensieri mi diressi verso casa, passando per l'incrocio principale che collegava tutte le vie di Konoha. Aspettai pazientemente il verde e con esso la melodia Tōryanse, tōryanse.

Controllai il cellulare: 8 chiamate perse. Numero: Sasuke.

Mi morsi colpevole il labbro inferiore, rinfilando celere il telefonino in tasca.

Finalmente scattò il verde e mi apprestai ad attraversare sulle strisce pedonali.


Passate pure, passate suvvia.

 

Dite, dove porta quest'oscura via?

Porta forse al tempio di Tenjin il saggio?

Per favore, concedici il passaggio!

 

Coloro senza una valida ragione di qui non passeranno.

 

Guardate, di questo piccino è il settimo compleanno,

siam qui per offrire il nostro o-fuda.

 

L'andata è facile, il ritorno fa paura!


Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia.

 

Ma ecco, che la mia visuale incominciò appannarsi, mentre la testa prese a girarmi come impazzita, stordendomi. Venni improvvisamente colta da inspiegabili vertigini, facendomi barcollare peggio di un'ubriaca. Le mie gambe si rifiutavano di collaborare, le mie ginocchia si piegavano in avanti, pronte alla caduta. L'intero mio corpo era percorso da questo sinistro torpore e rimanere lucida mi costava un immane sforzo.

Finché non crollai a terra.


Passate pure, passate suvvia.

 

Dite, dove porta quest'oscura via?

Porta forse al tempio di Tenjin il saggio?

Per favore, concedici il passaggio!

 

Coloro senza una valida ragione di qui non passeranno.

 

Guardate, di questo piccino è il settimo compleanno,

siam qui per offrire il nostro o-fuda.

 

L'andata è facile, il ritorno fa paura!

Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia

Ignoro se si fosse trattato di un malore o ... o di altro. Ricordo solo che mi sentivo come incollata al cemento, incapace di spostarmi di un solo centimetro in avanti.

Furono secondi atroci.

Passate pure, passate suvvia.

 

Dite, dove porta quest'oscura via?

Porta forse al tempio di Tenjin il saggio?

Per favore, concedici il passaggio!

 

Coloro senza una valida ragione di qui non passeranno.

 

Guardate, di questo piccino è il settimo compleanno,

siam qui per offrire il nostro o-fuda.

 

L'andata è facile, il ritorno fa paura!


Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia


Più mi sforzavo a muovermi, più un'invisibile presa ghiacciata mi costringeva per terra.


L'andata è facile, il ritorno fa paura!


Scalciai. Mi dimenai.

Niente.

Non avanzavo d'un millimetro.


Fa paura e sia,

però passate, passate suvvia


Il rosso sostituì il verde.

Udii in lontananza il motore di una macchina che s'avvicinava pericolosamente all'incrocio ...  A me ... bloccata in mezzo alle strisce pedonali ...

Sobbalzai alla vista dei fanali accesi. Al clacson suonatomi contro a mo' di monito.

Sarei dovuta scattare in piedi e correre via.

Se solo ... se solo mi fosse stato concesso ...

Invece, rimasi lì, cosciente e terrorizzata similmente ad una vittima sacrificale.

L'auto era sempre più vicina.

Urlai, preparandomi all'impatto.

Il terrore mi privò dei sensi.

Il buio inchiostro.

Stridore di freni.

Il volo e l'atterraggio.

Silenzio.

Quando riemersi dallo shock, non mi trovavo spalmata sotto la vettura. No, la prima cosa che avvertii furono delle braccia circondarmi forte, proteggendomi. Aprii lentamente gli occhi, incrociando lo sguardo certamente scosso eppure clinico d'Itachi-san, il mio soccorritore a giudicare dai palmi delle mani sbucciati e sanguinanti. Dietro di lui stava il guidatore, dalla cui espressione dedussi essere più sconvolto della sottoscritta.

Il fratello di Sasuke aprì la bocca per comunicarmi qualcosa; ciononostante, non riuscivo a sentire nulla. Tutto mi appariva surreale. Molto probabilmente stavo tremando, perché Itachi-san si levò il cappotto e, in barba al clima invernale, me lo pose addosso, issandomi in piedi e continuando a muovere le labbra nel suo muto monologo. Smarrita, mi guardavo attorno, cercando di capire cosa stesse accadendo. L'unica certezza stava nella salda presa del braccio dell'Uchiwa, a cui mi stavo aggrappando disperata.

Ero ... rintronata, ecco. Come se mi avessero sbatacchiato dentro una campana.

Pertanto, non m'accorsi subito dello squillo del cellulare. Fu Itachi-san ad estrarmi l'apparecchio dalla tasca del cappotto, mostrandomi insistente il numero apparso sullo schermo, quasi mi stesse domandando il permesso di rispondere al posto mio.

Sasuke mi stava telefonando. La nona chiamata.

Feci per replicare, ma, al posto d'un semplice , dalla mia bocca fuoriuscì un'agghiacciante sequela di grida e singhiozzi.

Presi a pugni il petto d'Itachi-san, letteralmente fuori di me.

Non m'accorsi di quel che mi diceva o di quel che gli ululai. Fino all'ultimo non seppi  neppure che mi stava nel frattempo conducendo a casa sua.

 

 

~~~

 

 

 

Il tragitto dall'incrocio all'abitazione degli Uchiwa avvenne similmente ad una trance: di fatti, serbo ricordi molto sfocati. Di sicuro mi sfogai contro la persona d'Itachi-san, sorreggendomi tuttavia ad essa, timorosa di cadere, non fidandomi appunto della saldezza delle mie gambe assai incerte. L'espressione del chirurgo doveva essere stata molto seria e determinata, giacché nessuno dei suoi familiari ci disturbò con domande. Venni accompagnata dolcemente fino alla camera degli ospiti, là dove Itachi-san mi squadrò per bene, assicurandosi che non riportassi lesioni gravi. Dopodiché, portatomi da bere qualcosa di caldo, mi consigliò di coricarmi un poco.

Piombai in un sonno da morto.

Al mio risveglio s'era già fatto buio. Avevo presumibilmente dormito fin quasi alle quattro e mezza del pomeriggio, se non di più: a quanto pareva, la mia cognizione del tempo era andata a farsi benedire. La mia fame no, come mi suggerì invece l'offeso grugnito del mio stomaco.

Lentamente mi puntellai sui gomiti, socchiudendo gli occhi onde evitare che le vertigini mi provocassero l'ennesima nausea. Non appena mi giudicai abbastanza lucida da non svenire di nuovo e di manovrare discretamente il mio corpo, mi posi seduta, sbadigliando alla stregua d'un ippopotamo. Avevo dormito infatti malissimo.

Un rumore di passi attirò la mia attenzione, specie quando questi si fermarono dietro alla mia porta. I loro proprietari bisbigliavano circospetti tra di loro, tuttavia intuii lo stesso trattarsi di Mikoto-san e di suo figlio, da poco rientrato dalla clinica e subito accorso ad informarsi sul mio stato di salute.

"E' stata la mano di Kami-sama ad averti portato a quell'incrocio!", sussurrò turbata la donna. "Davvero, se stamattina tu non ti fossi recato alle poste prima di timbrare il cartellino ... Oh, Maria-sama! Non oso immaginare come avrebbe reagito il povero Sacchan alla notizia! La sua morte l'avrebbe devastato!"

"Adesso non esagerare, Kaa-san. Non nego che sia stata una fortuna, però il guidatore aveva già scorto Naruko-chan da lontano e aveva frenato, quando l'ho portata in salvo sul marciapiede!"

"Ma cos'è successo realmente?"

"Naruko-chan era caduta in mezzo alla strada e non accennava a rialzarsi. Ho controllato eventuali distorsioni o fratture, ma non presentava alcuna lesione. Era semplicemente paralizzata, presumibilmente dalla paura. Quando è rivenuta era sotto shock, ha preso a piangere e a colpirmi."

"Perché non l'hai portata al pronto soccorso?"

"Non ha voluto, anzi, ha urlato che si sarebbe buttata giù dalla finestra, in caso avessi chiamato un'ambulanza!"

Corrugai fronte, sconcertata. Davvero avevo detto questo? Cielo, chissà come debbo averlo spaventato! E cosa avrà pensato di me?! Una pazza, figurarsi!

Da dietro la porta udii Mikoto-san sospirare affranta.

"Ita-kun, secondo te, dovremmo informare Sacchan di questo? Sono seriamente preoccupata per quella ragazza. Non ... il suo atteggiamento non è normale! Qualcosa non va in lei, è evidente!"

"Per il momento sarebbe consigliabile lasciare fuori Sas'ke-kun da questa storia. Sai come s'agita non appena si menziona Naruko-chan, sarebbe capace di correre fin qui a piedi da Nagasaki! Inoltre, potrei sbagliarmi, però lei ha avuto una crisi isterica proprio quando ha visto sullo schermo del suo cellulare il numero di mio fratello. Lì per lì ho pensato ad uno scoppio ritardato dello shock, ma poi ... non noti anche tu come Naruko-chan impallidisca o cambi velocemente discorso, ogniqualvolta si menziona il nome del  mio otōto?"

"Certamente, come poteva sfuggirmi? E vorrei che la piccina si sbottonasse con me, liberandosi di qualsiasi fardello essa stia portando. Sicuro, che è accaduto qualcosa tra loro due, mi ci gioco la testa!"

"Possibile. Tuttavia, è un affare privato, che riguarda soltanto mio fratello e Naruko-chan e noi non dobbiamo assolutamente immischiarci!"

"Ma avrai i tuoi sospetti, vero?"

"Sì, ma come detto prima, non ci concerne!"

"Umphf,  se la poverina versa in questo pietoso stato d'agitazione per colpa di Sacchan ... Guarda, giuro che gli cambio i connotati a furia di sberle!"

"Kaa-san ..."

"Embé, scusa! Per una volta che mi porta a casa una brava ragazza, poi me la strapazza così? Mica va bene! Che razza di barbaro ho allevato, sennò?"

"Kaa-san, dai, andiamo a preparare la merenda per i bambini ..."

"Se soltanto Sacchan si decidesse a sposarla ... Morirei felice ..."

"Kaa-san, per favore ..."

"Eh, ma che rompipalle che sei! Non mi permetti manco più di fantasticare un poco? Non diventarmi mica come la buonanima di tuo padre, sai? O mi chiudo in convento! Non scherzo!"

Itachi-san non replicò, limitandosi a ridacchiare indulgente, dirottando la borbottante genitrice verso la cucina finché non li persi definitivamente dal mio campo uditivo.

Mi massaggiai la radice del naso: e così il mio atteggiamento non era passato inosservato, istillando anzi il dubbio nella famiglia di Sasuke circa la nostra relazione. Stranamente, Mikoto-san pareva più propensa a colpevolizzare il figlio al posto della sottoscritta, provocandomi un feroce rossore per quell'ingiustizia poiché l'unica da biasimare ero io. Itachi-san, al contrario, doveva aver capito tutto e malgrado ciò s'ostinava a non interferire. Avrebbe potuto parlarmene, tentare di dissuadermi o informare il suo otōto. Invece taceva, preferendo lasciarci la libertà di discuterne assieme, Sasuke ed io.  Come una coppia. Discutere? No, io avevo già preso la mia decisione, non c'era nulla su cui discutere! Nulla!

Barcollai fuori dalla stanza, risoluta a non abusare oltre dell'ospitalità degli Uchiwa. Sennonché venni catturata dai due pestiferi marmocchi, che mi avevano fino a quel momento aspettata ben celati nel loro nascondiglio segreto.

"Ti sei svegliata! Ti sei svegliata!", esultarono in coro, saltando peggio di scimmie sotto caffeina. "Sei davvero qui! Allora Tenmaku-nii non ci stava raccontando balle!"

"Io, contrariamente a voi due, non racconto mai balle!", s'intromise il sopramenzionato fratello maggiore, uscendo inviperito dalla sua stanza e raggiungendoci, le braccia poste bellicosamente sui fianchi. Per uno cui avevano asportato l'appendice d'emergenza, pareva pieno d'energie.

Rispetto ai suoi fratelli minori, Tenmaku-kun assomigliava in maniera impressionante alla madre, coi suoi ricci ribelli e gli occhi scuri grandi ed espressivi, dalle ciglia lunghe quasi femminee. Aveva dodici anni però la sua aria matura e autorevole - senza dubbio ben coltivata dal suo ruolo di oniisan - lo invecchiava di almeno due o tre anni, per il sommo chagrin del padre che l'avrebbe preferito più bambino. Similmente allo zio Sasuke e al nonno Fugaku-san, anche lui tendeva a manifestare un carattere sostanzialmente saturnino, tranne quando gli giravano i famosi cinque minuti, in cui si prevedeva l'eruzione vulcanica-collerica tipica degli Uchiwa. Esattamente come in quel momento.

"Naruko-nee, non vieni a giocare con noi a Tōryanse, tōryanse?"

Rabbrividii al sentir menzionata quella canzoncina, associandola rapidamente all'incidente. E al bambino col mantello blu.

"Ovvio che no!", mi salvò Tenmaku-kun in extremis. "Naruko-san ha avuto un malore, ergo si deve riposare!"

Prima che i due pargoli avessero l'occasione di protestare, Mikoto-san ci chiamò per la merenda. Irrimediabilmente prigioniera dei mini-Uchiwa, rinunciai ad ogni tentativo di fuga e mi lasciai trascinare fino alla tavola.

"Che bello rivederti così presto, Naruko- ojōsan", mi salutò l'anziano Hikaku-san, raggomitolato come un gatto sotto la sua coperta. Arrossii fino alla punta delle orecchie al sentirmi dare della "figlia" (seppure di un altro: se avesse usato "musume", cioè figlia nostra, sarei schiattata sul colpo, altroché!). A complicare la mia già precaria situazione, s'aggiunse anche il divertito risolino d'Itachi-san. Se non era una carogna, quell'uomo! Si divertiva a torturarmi colle sue allusioni! Si capiva adesso perché si trovasse bene con Menma-nii: similis cum similibus, tzé!

"A proposito", dirottai altrove il discorso. "Mikoto-san, ancora non m'ha detto il motivo del suo rientro anticipato da Akita. Sasuke aveva parlato di un ritiro spirituale lungo due o tre settimane!"

"Lo so", ammise la donna, sospirando melodrammatica mentre appoggiava il vassoio sul tavolino. "Però dopo aver appreso del ricovero di Ten-kun, non potevo rimanermene lì senza far niente. Insomma, già Sacchan, ehm, Sasuke era stato così gentile da offrirsi volontario per badare qualche giorno ai bambini, poi doveva partecipare a quel congresso e non potevamo chiedergli di rinunciarvi. Sicché ne ho discusso col mio padre spirituale e lui m'ha confermato che sì, certamente pregare è giusto, ma altrettanto fondanti sono le opere pie. Dunque, eccomi qua!"

"Secondo me, avresti fatto meglio a startene ad Akita!", commentò spassionatamente il bisnonno, guadagnandosi un'occhiataccia velenosa da parte della nuora per il divertimento dei bisnipoti, che sghignazzarono impuniti. "Tu e Shishi-musume vi beccate come galline!"

"Chichi, hai per caso dimenticato di prendere le pastiglie?"

Traduzione: chiudi il becco o altro!

"Nah, oramai a che vuoi che mi servano! Fra meno d'un anno sarò al cospetto di Kami-sama!", disse e una densa aria carica di mestizia e rassegnazione calò sulla stanza. In particolare, i bambini parvero i più affetti dalla triste costatazione, che molto presto il loro bisnonno li avrebbe lasciati per sempre. Alla veneranda (e incredibile) età di centootto anni, ogni giorno, ogni ora corrispondeva ad un dono del loro Kami-sama.

"Non dica questo, Hikaku-san", esclamai, soffocando il groppo in gola formatomisi. "Lei vivrà ancora per anni!"

L'anziano patriarca mi sorrise indulgente, certo della smentita. I suoi occhi velati si posarono su di me, teneri e rassicuranti. E un pizzico malandrini. "Non ti preoccupare, figliola! Kami-sama mi concederà di non tirare le cuoia fintanto che non avrò visto nascere i miei due bisnipoti!"

Spalancai incredula gli occhi. Come accidenti ...?

"Sul serio Iesu-sama ti parla, hiijiji?", inquisì altrettanto stupefatto Kiyoaki-kun.

"Sicuro, da quando mi salvò da ambedue le guerre!", dichiarò serissimo l'ultracentenario. Se non lo conoscessi a fondo, l'avrei tacciato del peggior caso di demenza senile dell'intero Giappone.

"Avremo quindi due sorelline?", lo incalzò Saeko-chan.

Tenmaku-kun s'esibì in una smorfia esasperata. "Speriamo di no, altrimenti siamo fregati!", borbottò.

"Il dottore non ha accennato a dei gemelli ...", si rivolse invece Mikoto-san al figlio, il solo a non aver perduto la calma dinanzi a quell'affermazione piuttosto ... profetica.

"Talvolta un gemello si nasconde dietro l'altro e sfugge all'ecografia fino all'ultimo", suggerì egli la sua teoria, seguitando però a guardarmi intensamente. "Capita."

Deglutii penosamente.

"Ma ..."

Il pesante rumore della porta scorrevole interruppe l'obiezione di Mikoto-san.

"Sono a casa!", udimmo una chiara voce femminile provenire dall'entrata. Immediatamente, Saeko-chan e Kiyoaki-kun abbandonarono i loro posti, correndo incontro alla madre. Itachi-san li imitò ben presto.

Memore del nostro incontro il giorno precedente, mi apprestai a battere in ritirata, adducendo una qualunque scusa pur di svignarmela. Se dapprincipio mi sentivo un poco a disagio, adesso che Shisui-san era rientrata, l'ansia mi rodeva lo stomaco.

"Mikoto-san, temo di dover andare ... si è fatto tardi e ...", ma la donna non mi badò, voltando subito il capo non appena la nuora entrò nella stanza.

"Ah, eccoti qua finalmente! Il tea si stava raffreddando!"

Tra le braccia di suo marito, Shisui-san s'irrigidì al solo scorgermi e il sorriso le morì sulle labbra. Il petto ansante s'alzava e abbassava forsennatamente. Tremando impercettibilmente, s'esibì in un buffo movimento che tradiva la sua indecisione se indietreggiare o proseguire per il corridoio. Nondimeno, mai aveva smesso di fissarmi coi suoi occhi scuri, grandi e spalancati, come se ella vedesse ciò che sfuggiva agli altri.

Ciò cui anch'io potevo assistere.  

E questo segreto condiviso ci rendeva complici e al contempo sospettose l'una dell'altra. Ciononostante, non comprendevo in quale maniera Shisui-san avesse acquisito la facoltà di visualizzare quella presenza, quando io per prima non mi capacitavo del motivo di quella persecuzione. Desideravo moltissimo poterne discutere a riguardo, però dalla postura rigida e sulla difensiva della donna appurai, che mi sarebbe stato impossibile cavarle la benché minima informazione.

Che diamine!

"Shisui-musume, come sta tua madre?", ruppe il ghiaccio Hikaku-san, facendole segno di accomodarsi accanto a lui. A malincuore la donna esaudì la sua richiesta, poiché significava doversi sedere vicino a me.

"Molto bene, Hikaku-ojisan. Ti manda i suoi saluti!"

Hitomi-san, oltre ad essere la madre di Shisui-san, era la cugina seconda di Hikaku-san, figlia di un suo cugino primo emigrato in Perù in cerca di fortuna. Suo "zio" l'aveva accolta in casa alla fine della Seconda Guerra Mondiale, poiché l'unica sopravvissuta della sua famiglia, dopo che il governo peruviano aveva ceduto all'alleato americano tutti gli immigrati e oriundi giapponesi, deportandoli in massa negli infernali campi di detenzione sparsi  lungo la West Coast. Hitomi-san, una nisei o seconda generazione, venne separata dai genitori, entrambi issei, e ciò le risparmiò il dolore di vederli morire o di malattia o per i maltrattamenti subìti. Non lo seppe mai né si curò si conoscere la causa del loro decesso. In ogni modo, Hikaku-san l'aveva cercata e aveva ottenuto il suo affidamento. Non la voleva sapere in un orfanotrofio peruviano, men che meno yankee. Così la ragazzina ritornò nella sua patria d'origine, di cui nulla sapeva e che per colpa della quale era stata crudelmente perseguitata. Hitomi-san non superò mai il suo trauma, rendendo amara la vita sua e degli altri, dello "zio" specialmente, vai a sapere perché. Una volta maggiorenne scappò di casa, ricomparendo brevemente per scaricare la neonata Shisui-san ad Hikaku-san, sparendo di nuovo per anni. Così l'anziano patriarca dovette rassegnarsi a crescere la cugina terza assieme ai suoi nipoti, grato della posatezza e fortitudo morale dimostrate da quest'ultima. Soltanto di recente, Hitomi-san pareva aver trovato un certo equilibrio interiore, continuando però a vivere alla stregua d'una reclusa e rifiutandosi di frequentare chicchessia. La figlia, evidentemente, era l'eccezione che confermava la regola.

"Perché mi hai tenuto nascosto, che ti recavi in visita da tua madre?", la rimproverò velatamente Itachi-san. "Ti avrei accompagnato, non mi va che prendi da sola l'autobus! Non nelle tue condizioni!"

"Muovermi di tanto in tanto giova alla bambina! Eppoi, la gravidanza non fa di me un'invalida!", ribatté tenace eppure amabile sua moglie.

"In ogni modo, devi considerare che le strade sono ricoperte di neve e di ghiaccio! Pensa a cosa potrebbe accadere a te e alla piccina, in caso scivolassi!"

Avendo origliato inavvertitamente la conversazione tra lui e mio fratello, in realtà capivo molto bene il vero motivo dietro la paranoica protettività d'Itachi-san nei confronti della sua tsuma.

Shisui-san gli tappettò discretamente il polso con la punta delle dita, segno che la conversazione finiva lì. Il suo consorte storse la bocca imbronciato, ma non insistette oltre. Non poteva palesarsi meglio il grande ascendente, che la moglie esercitava sul marito. Ed io che avevo stoltamente creduto, che lei l'avesse sposato in segno di gratitudine per le cure ricevute dallo "zio" o per la pietà suscitata nel cugino di terzo grado. Itachi-san era seriamente innamorato perso della sua tsuma, lo si leggeva negli occhi, dal modo in cui seguiva ogni suo movimento, contemplandola perfino quando respirava.

Conoscevo bene quello sguardo. Quante volte Sasuke me l'aveva offerto, permettendo di specchiarmici? Ai nostri primi appuntamenti mi spiava sotto le ciglia con tale amorevolezza, da chiedermi cosa ci trovasse di prezioso in me. Mi aveva corteggiata con calma, senza fretta e al contempo persistente, impedendomi la ritirata. Non come quegli sciocchi arrapati dei miei coetanei, che mi consideravano alla stregua d'una vagina pensante. D'accordo, Niisan mi aveva sempre punzecchiata, sostenendo che considerata la mia mentalità "antiquata" mi sarei giocoforza presa un uomo più vecchio di me (mica un matusa, eh!, tra Sasuke e me ci separavano nove anni); tuttavia non avevo colpa se mi prudevano le mani, quando intravedevo la lussuria negli occhi di coloro con cui uscivo. Perché non vedevano me, bensì il mio corpo. Nudo, se possibile. Lo trovavo disgustoso. Similmente, mi veniva voglia di sputarli in faccia quando, udendo Scusa, ma non sono una di quelle che te la dà al primo appuntamento, vi leggevo la cocente delusione. Ancora ridevo al ricordo delle espressioni sconvolte/scandalizzate di Sakura-chan e Ino-chan, il giorno in cui le rivelai come fossi andata a letto con Sasuke sei mesi dopo esserci messi ufficialmente insieme.

Inutile negarlo: Sasuke m'adorava, mi rispettava, spesso lo sentivo fantasticare assieme al fratello su di un nostro futuro.

Mi accarezzai furtivamente il ventre, ripensando alle parole di Menma.

 Il mio meco m'avrebbe di nuovo guardata pieno d'amore, se avesse scoperto il mio progetto? O meglio, il risultato della mia decisione, presa senza consultarlo? In fin dei conti, una parte di responsabilità ce l'aveva anche lui ... Lo amavo, sì, lo amavo più di me stessa e ciononostante rabbrividivo all'idea di legarmi a Sasuke per sempre. Perché? Per motivi religiosi? Già di mio ero poco praticante, non mi avrebbe fatto né caldo né freddo cambiare religione, però ... Non potevo fingere. Questi cristiani di frontiera praticavano con fervore la loro fede, contrariamente alla tiepidezza e laissez-faire dei loro correligionari europei, che da secoli non sperimentavano più discriminazioni né persecuzioni. Per quanto gli Uchiwa non appartenessero alla categoria dei bigotti, anzi l'avermi accolta testimoniava la loro apertura mentale, comunque ad un certo punto avrebbero preteso una mia decisione. Sasuke poteva sposarmi col rito civile, ma ... i figli? A quale credo sarebbero stati allevati? Avrei interpretato la parte dell'egoista, in caso avessi screditato ulteriormente Sasuke davanti alla sua comunità. Sposato senza la benedizione della chiesa. I figli non battezzati. A me non importava niente, però sarei stata crudele a negargli i riti con cui lui era cresciuto, per cui i suoi antenati avevano affrontato coraggiosamente il martirio.

Egoista, stupida carogna!

"Itachi ha ragione, tesoro", puntualizzò Mikoto-san, porgendo alla nuora una tazza di tea. "Considera che non hai più la stessa età di quando hai avuto Ten-kun! Devi prestare attenzione, o potresti ...", e lì si trattenne, spiando furtivamente i nipoti con la coda dell'occhio "... farti male", terminò, evitando la parola tabù, che avrebbe turbato quelle giovanissime testoline, già di loro tristi per la dipartita del nonno Fugaku-san.

"Come Naruko-nee!", cinguettò Saeko-chan, servendosi dell'ennesimo biscotto.

Shisui-san per poco non si soffocò con la bevanda, tossendo rumorosamente e chiazzandosi il viso di macchie rossastre. Itachi-san, velocissimo, le batté vigorosamente dietro la schiena, porgendole un fazzoletto acciocché si asciugasse gli occhi umidi.

"Come, prego?", gracchiò.

"Essì mama, Naruko-nee è scivolata oggi sulle strisce pedonali!", spifferò la bambina tutto d'un fiato alla madre. "Se non fosse stato per papa, la macchina l'avrete schiacciata ... così: splat!" e batté perfino il palmo della mano sul tavolo, facendo tremare le tazze e i piatti.

"Saeko-chan!", la riprese severo il padre, riservandole l'occhiataccia.

"Ma è vero!", corse Kiyoaki-kun cavallerescamente in sua difesa. "Tenmaku-nii ha detto che piangeva ... piangeva ..." e guardò il fratello maggiore in cerca del vocabolo, che la sua lingua cinquenne non riusciva a pronunciare.

"Esagitata", gli suggerì il suo Oniisan sottovoce.

"Esagitata, sì! Piangeva esagitata quando papa l'ha portata qui!", concluse.

"Di sicuro Naruko-chan è caduta per via del ghiaccio", fu la spiegazione meno tragica di Itachi-san alla moglie, che seguitava ad ascoltare la vicenda al limite dello sconcerto. "E lo spavento l'ha stordita, impedendole di rialzarsi. L'ho soltanto aiutata a scansarsi, la vettura s'era già fermata. Vero, Naruko-chan?"

"Verissimo!", convenni energica, sperando di far ritornare un po' di colore nelle gote smunte di una sempre più inquieta Shisui-san. "Non è successo nulla di che."

"Allora, perché ti sei rifiutata di giocare a Tōryanse, tōryanse coi miei fratellini?", mi domandò Tenmaku-kun di bruciapelo, studiandomi con la medesima intensità di suo zio, quando voleva ad ogni costo cavarmi fuori di bocca la verità.

"Tenmaku, lasciala in pace!", lo avvertì perentorio il suo Otōsan.

Testardo, il ragazzino proseguì. "Se non erro, la canzoncina che si sente al semaforo è appunto Tōryanse, tōryanse. Ti sei irrigidita quando Sae-chan e Kiyo-kun l'hanno menzionata. Tipico caso di un nascente PTSD!"

Annaspai in cerca di una spiegazione, assolutamente impreparata dinanzi allo spirito d'osservazione, collegamento e deduzione di quel marmocchio. Non per niente quel piccolo sacripante era il primo della classe; non si comportava come un adulto, ragionava pure come tale! Diamine!

"Tōryanse, tōryanse, hai detto?", s'inserì inaspettatamente il bisnonno, uscendo dai suoi pseudo-torpori e catturando l'attenzione dei bisnipoti. Sospirai sollevata. Tenmaku-kun si beccò a mo' di punizione uno scappellotto da parte del padre. "Naturale che a Naruko- ojōsan non piaccia. Si tratta di una triste canzoncina, anzi, paurosa!"

I visetti ancora paffuti dei più piccoli s'illuminarono deliziati dall'aspettativa. Perfino Tenmaku-kun aveva abbandonato la sua espressione seria per una più infantilmente curiosa. Itachi-san e Mikoto-san, invece, ascoltavano benevoli ma non particolarmente interessati. Quanto alla sottoscritta e a Shisui-san, attendavamo apprensive il racconto dell'anziano patriarca.

"Perché, hiijiji?"

Raddrizzando un poco la sua curva e fragile figura, l'uomo s'inumidì le labbra avvizzite, incominciando il suo racconto: "Molto tempo fa, c'era della gente talmente povera che non poteva permettersi neppure una ciotola di riso. Non avendo quindi nulla con cui sfamare i propri figlioli, gli sfortunati genitori spesso decidevano di sopprimerli, piuttosto di vederli morire di fame! Tōryanse, tōryanse è la triste canzone di quelle madri sventurate che accompagnavano i loro figlioletti nella foresta per lì ucciderli!"

La nuora sobbalzò allarmata. "Chichi! Non credo che siano storie da narrare ai bambini!"

"Uhm?"

"Quindi, hiijiji, per questo motivo la filastrocca canta L'andata è facile, il ritorno fa paura?"

Il bisnonno annuì enigmatico. "Ma ahimè, non si riferisce ai poveri piccini assassinati!"

"No? E a chi?", lo spronarono i bisnipoti, avidi di conoscere la fine della storia.

"Alla madri", sentenziò solenne l'uomo. "A quelle sciagurate madri che tornavano dalla foresta. Da sole!", proseguì, guardandoci severo uno alla volta. "O così esse credevano", aggiunse malizioso, squadrando Shisui-san, la quale non osava neppure respirare. "In realtà, si erano sbarazzate solamente del resti mortali dei figlioletti, poiché il loro spirito sarebbe rimasto invece con loro ...", e guardò infine me con estrema serietà "... per sempre!"

Un sinistro silenzio calò sulla stanza, gelandoci tutti sul posto. Nessuno s'azzardò a fiatare alcunché, né ad accennare un qualsivoglia movimento.

Trasalimmo violentemente - Mikoto-san cacciò perfino un urletto - quando il telefono squillò all'improvviso.

"Non è che adesso moriamo fra sette giorni?", sussurrò preoccupata Saeko-chan all'orecchio del fratello maggiore, che sbuffò il suo evidente scetticismo.

Senza degnarsi di disciplinare la pargola, Itachi-san si diresse verso il telefono, rispondendo con voce leggermente instabile. "Moshi moshi?" Il suo viso si rilassò notevolmente non appena scoprì l'identità del mittente di quella chiamata. "Otōto! ... Che piacere sentirti! ... Come? Ah no, no, sto bene ... E' il nonno ... sì, ci stava raccontando una delle sue storie dell'orrore ... Non giocare al  figo, te la saresti fatta addosso anche tu, il vecchio ci sa fare ... un attore nato ... Come? Naruko-chan?" e, coprendo il ricevitore, mi domandò col labiale: Vuoi che te lo passi? Gli feci concitatamente segno di no col capo. "Sì, l'ho vista brevemente ieri pomeriggio ... Sì, sì sta bene per quello ... Non so perché non ti risponde, che sono, la vostra balia? ... No, tu te ne resti lì a Nagasaki! ... No, non ... Sasuke! Non fare il testardo! ... Naruko-chan ha ventun anni, se la sa cavare da sola, è una donna adulta! ... Uffa, che ... Sì, se la vedo le riferisco di telefonarti ... D'accordo ... Stammi bene ...", e riattaccò. "Che tipo ansioso!", commentò tra sé e sé, massaggiandosi le tempie.

"Cosa voleva Sasuke-ojiisan?", inquisì subito Saeko-chan.

"Niente d'importante. Vi saluta tutti e dice che tornerà questo venerdì come previsto!", riassunse conciso Itachi-san, glissando su molti particolari. Dopodiché, controllando l'orologio, mi domandò: "Sono le sei meno cinque, Naruko-chan, ho promesso a Minato-shi di riportarti a casa per le sei e venti. Te la senti di camminare o andiamo in macchina?"

Il suo tono d'un tratto allegro e pragmatico mi frastornò per qualche manciata di secondi. "Un po' d'aria fresca mi farà bene!", affermai in fretta, rimettendomi in piedi.

"Vado a prenderti il cappotto!", esclamò con forzata solerzia Shisui-san, uscendo dalla stanza con inaudita rapidità.

"Ma che le piglia?", arcuò il sopracciglio Mikoto-san, interdetta dal comportamento della nuora.

Il bisnonno fece spallucce. "Ormoni di donna gravida", disse, punzecchiando dispettoso il fianco di Kiyoaki-kun, che gli rispose con una regale linguaccia.

Una volta finalmente soli all'ingresso, mi sentii in dovere di ringraziare Itachi-san per la sua premura e generosa ospitalità.

"Figurati", liquidò egli la questione, come se agisse così con chiunque s'imbattesse a Konoha. "E' bello aggiungere una tacca alla lista dei favori, che Menma e Sasuke mi debbono contraccambiare!", scherzò poi perfido, facendomi l'occhiolino.

Sorridemmo complici e forse per quest'empatia tentai di confidarmi con lui, sperando di togliermi quell'atroce peso dal cuore.

"Itachi-san ...", esordii, sperando di non suonare troppo pateticamente disperata.

Ma il chirurgo mi zittì con un deciso gesto della mano. "No", mi prevenne dal parlare. "Puoi comunque fidarti di me, non lo rivelerò ad anima viva. Nondimeno, Sasuke ha il diritto di sapere. Ammesso che ..." e qui le sue iridi scure rifulsero di un bagliore scarlatto "... la responsabilità sia sul serio anche sua."

"Non mentirei a riguardo. Men che meno con te."

"Questo mi basta", addolcì Itachi-san lo sguardo, appoggiandomi una mano sulla spalla. "Andrà tutto bene, Naruko-chan."

"Non lo so più!", tirai su col naso, scansandomi la frangia dagli occhi. "Non so più che pesci pigliare ..."

"Confidati con Sasuke, non escluderlo! Che poi ... d'accordo, sotto certi aspetti si comporta da pirla, ma non tanto scemo da non accorgersi che stai soffrendo e lo fai stare peggio quando gli tieni nascoste le cose! Non è così rigido come pensi, sai?"

Annuii poco convinta.

"Su, via quelle lacrime!", mi porse Itachi-san un fazzoletto.  "Soffiati il naso, infilati le scarpe, andiamo a casa, ceni, ti fai un bel bagno rilassante e dormi. E domani ti parrà ogni cosa più chiara, sì?", m'incoraggiò, accarezzandomi il capo. "Ti aspetto fuori, va bene? Non metterci troppo, o tuo padre fa piangere me! E ne è capacissimo!"

Non potei trattenermi dal ridacchiare all'idea. Soddisfatto dell'esito ottenuto dalla sua battuta, Itachi-san uscì dall'abitazione.

Mi sedetti pesantemente sul gradino di legno dell'ingresso, rimuginando su quando di recente dettomi e accadutomi. Il seme del dubbio stava maturando in me: forse sì, forse stavo sbagliando tutto ... forse mi stavo lasciando guidare dalle mie paure e non dal mio amore verso il mio fidanzato ... forse ...

Il cappotto mi comparì improvvisamente davanti al naso.

"Scusami se ci ho impiegato tanto. L'ho cercato erroneamente nella stanza di Sasuke-kun", si coprì Shisui-san il capo di ceneri, rimanendo tuttavia a debita distanza dalla sottoscritta, neanche temesse che le attaccassi la varicella.

"Non importa, grazie ugualmente", dissi, afferrando l'indumento, che contemplai in silenzio per qualche minuto, prima di voltarmi verso di lei. "Shisui-san ... qualsiasi cosa tu ... tu abbia visto ... voglio che tu sappia che non è colpa mia!", ci tenni a precisare, incapace di sopportare oltre il suo sguardo.

La donna si fermò, dandomi le spalle, dalla cui tensione appurai quanto rimanere nella medesima stanza le stesse costando parecchio del suo autocontrollo.

O peggio.

Come se si stesse trattenendo dal dirmi qualcosa.

Ma cosa?

Infine, Shisui-san si voltò di scatto, sedendosi accanto a me, un'espressione determinata sul viso cinereo. "Tenmaku-kun affermava dunque il vero? Sei svenuta in mezzo alla strada? All'incrocio?"

Corrugai confusa la fronte, chiedendomi dove volesse condurmi col suo ragionamento. "Sì, non mentiva ... Però non sono svenuta: al contrario ero cosciente, malgrado le iniziali vertigini!", specificai, sperando di chiarire.

"E dimmi ... hai avuto la sensazione che qualcosa ti stesse afferrando per la caviglia?"

Sbiancai.

"Come fai a saperlo?", boccheggiai sbigottita, la gola subitaneamente secca.

Shisui-san non mi badò, allungando invece la mano sul bordo dei miei jeans. "Questa caviglia?"

"S-sì ..."

La donna sollevò lentamente l'indumento, denudando la pelle sottostante.

Sulla mia caviglia scoperta s'intravedevano dei lividi.

Congiungendoli, formavano cinque dita.

Una mano.

Una mano piccina ma forte, tanto da tenermi ferma con la forza e vanificare ogni mio disperato tentativo di liberarmi dalla sua presa ferrea.

Era la mano di un bambino.

 

 

 

***

 

 

 

"C'è qualcosa che non va, Gengetsu-san? Ho come l'impressione che la storia non le stia piacendo."

L'editore , preso di contropiede dall'impertinente schiettezza di quella domanda, si massaggiò incerto il collo. "Ecco ... non saprei come spiegarglielo senza che s'arrabbi, Tobirama-sensei, ma ... non so ... perfino io ho capito che Naruko ..."

"Se lei pensa che io abbia speso le scorse tre settimane a concepire una storia atta al banale intrattenimento dei lettori, beh, allora lei non ha capito un bel niente né dello scopo ultimo di quest'opera né della natura del mio mestiere: scrivo horror non gialli, è diverso!", l'interruppe Tobirama con spaventosa glacialità. "E se mi punzecchia ancora con ulteriori baggianate, può scordarsi l'intervista!"

Dinanzi a quel palese ricatto, il volto già palliduccio dell'editore Hōzuki divenne più grigiognolo della neve sporca. "Non mi faccia del bullismo, Tobirama-sensei! Si controlli!"

"Posso sottoporla a ben di peggio che a del bullismo, caro il mio editore!", strinse gli occhi l'horror writer, abbozzando ad un sorriso carnivoro. "Così diamo credito alle voci, che gli albini equivalgono al male personificato!", e rise appunto con perfido gusto per rafforzare il concetto.

Dal canto suo l'uomo ritenne assai più ragionevole non stuzzicare oltre gli umori maligni dell'horror writer; già quell'altro Yōkai (al secolo Izuna) lo aveva assassinato tre volte di fila con lo sguardo per aver ceduto alla lusinga della tanto agognata intervista, invece di allearsi con lui per far desistere Tobirama dalla sua idea. Figurarsi se ci si metteva pure detta e assodata peste bubbonica a rendergli impossibile la vita. No, meglio non aprire bocca e sopportare in silenzio.

"Piuttosto, sensei, ancora non m'ha indicato un nome per l'intervista! Ha delle preferenze in particolare o posso scegliere io il o la giornalista?"

"Se la sbrogli lei, mi fido del suo giudizio. Purché non mi porti un cretino!", fece spallucce Tobirama, servendosi una tazza di tea.

"Uhm ... una donna, magari? Viste e considerate le tematiche trattate ...", suggerì Hōzuki Gengetsu, studiando attentamente i lineamenti dell'horror writer, che di nuovo rispose con estrema noncuranza:

"Se proprio insiste."

L'editore annuì, seguitando a scorrere meditabondo i primi capitoli del manoscritto. In tutta onestà non riusciva a comprendere quel voler mettere -quasi - subito le carte in tavola da parte di Tobirama: sapeva, infatti, quanto amasse stupire il lettore con impensabili colpi di scena. Qual era il suo vero obiettivo?

"Non dico che non sia bello, perché lo è. Davvero", confessò infine l'uomo, infilando nella cartellina i fogli. "Semplicemente, si discosta molto dal suo marchio di fabbrica, ecco."

"Mi condanna per questo?"

"Per carità! Si trattava, la mia, di un'innocua osservazione. Lei conosce bene quanto poco positivamente i lettori reagiscano ai cambiamenti. Inoltre, noto che lei descrive amaramente salace alcuni aspetti della nostra società, forse un po' troppo per essere giapponese ..."

Tobirama sogghignò birbante. "Dice? Curioso!"

"Cosa, prego?"

"M'hanno bollato come scherzo della natura, m'hanno bollato come fuori di testa, ma nessuno m'ha mai bollato come giapponese. Devo considerarlo un buon segno?"

 Gengetsu sbuffò esasperato. "Io ci rinuncio! Mi domando come faccia il suo partner a sopportarla!"

"Mi sopporta, mi sopporta", lo rassicurò l'horror writer, fissando l'altro di traverso e sornionamente. "Abbiamo finito?"

"Ah, no! Questa volta non mi scappa, sensei!", s'impuntò l'editore. Poiché gli aveva concesso un'intervista, avrebbe fatto ballare quella testa matta alla sua musica, costasse quel che costasse! E quel favore glielo doveva proprio, dannazione! "Lei m'assicura che questa storia sia tratta da vicende realmente accadute?"

"Uffa, sì! Che noia! Quante volte glielo devo ripetere?!"

"Quindi mi conferma che Naruko Namikaze esiste davvero? D'accordo, Konoha è un luogo fittizio e questo lo reputo assolutamente giustificabile, ma la protagonista è sul serio una persona in carne ed ossa?"

"Certo!"

"Quindi", gli occhi neri di Gengetsu s'allargarono pieni di speranza e di visioni di yen sonanti, "la porterà all'intervista?"

Fu il turno di Tobirama d'allargare la bocca in un osceno e insano ghigno.

"Ovvio!", rispose.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued ...

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Il personaggio di Hikaku è ispirato alla mia tenace pro-prozia, deceduta alla veneranda età di centoquattro anni. Come lui, anche lei era un tipetto ostinato e allegro, piena di voglia di vivere e dispettosa peggio di una scimmia. Pace all'anima sua.

Molto probabilmente, leggendo, vi sarete detti quanto Naruko sia logorroica. Beh, per coloro che hanno letto i manga Shōjo (ma con la S maiuscola) di sicuro ad un certo punto ci siamo resi conto di quante pippe mentali si facessero i protagonisti. Tanto che alla fine non contestavamo più, lasciando trasportare passivamente dagli eventi! Della serie Vabbè, prima o poi si metteranno assieme!

Ora non so bene la storia del DNA, però mi pare che i test sulla paternità dei bambini non fossero così precisi come oggigiorno. Ecco perché non li ho menzionati ... Comunque, per coloro che conoscono i miei (bizzarri) gusti in fatto di coppie, di certo hanno indovinato l'identità dell'aggressore di Shisui.  Che in questa fic è una donna. Perché? Hé, dopo aver scritto una Mpreg con Itachi gravido mi pareva giusto restituirgli un po' di mascolinità ...

E così eccoci al terzo capitolo! Wow, siamo quasi a metà storia! Evvai!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere il vostro parere!

Alla prossima, ciao!

 

Un po' di noticine:

 

[1] Warabe uta "Tōryanse, tōryanse" = è una filastrocca per bambini, nonché un gioco molto simile a "London Bridge".

[2] Mofuku kimono = kimono da lutto, nero ovunque (obi compreso) tranne che per cinque kamon bianchi.

[3] Non sia mai che mi presentassi senza niente ... =  in Giappone è molto scortese non portare un dono ai tuoi anfitrioni, quando questi t'invitano a casa loro.

[4] Shirokakeshita, shiromuku uchikake,  watabashi = fanno parte del tradizionale abito nuziale giapponese. Shirokakeshita è un kimono bianco, lo Shiromuku uchikake una sorta di cappotto bianco senza cintura e il watabashi è l'ampio copricapo ovaloide.

[5] Sadako = si riferisce a Sadako Yamamura, la celebre ragazza demone del romanzo " Ringu" di Koji Suzuki (1991) da cui è stato tratto l'omonimo film di Hideo Nakata e remake statunitense "The Ring."

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Capitolo 4
*** Da Martedì 3 Febbraio a Mercoledì 4 Febbraio 1998 ***


Heilà!

Finalmente riusciamo ad aggiornare questa storia, accidenti, dopo una settimane d'aggiornamenti (Stigma, Kuchiyose e questa fic) c'è stata una calma piatta davvero sospetta!

In ogni modo, vi annuncio che abbiamo raggiunto lo zenit della storia. I prossimi due capitoli saranno gli ultimi, concludendo in bellezza (?) con un epilogo. Sette è il mio numero fortunato, ecco perché!

Avvertimenti!

Tematiche delicate e un pochino di lime, giusto perché non si dica in giro che Hoel sia una moralista in incognito. :-P

Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.

Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori e recensori, in particolare a Imoto. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, ricordate e preferite.

Vi auguro una buona lettura,

 

 

 

 

 

H.

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Martedì, 3 febbraio 1998

- mancano 3  giorni all'Appuntamento -

 

 

 

 

Non riuscivo a togliermi dalla mente le parole di Shisui-san.

Anche dopo che suo marito m'aveva riaccompagnato a casa; anche dopo la doccia; anche dopo aver cenato; anche nel mio stesso futon; anche al sospirato mattino dopo una notte costellata d'incubi, anche molti "dopo", la sua espressione e le sue parole seguitavano a tormentarmi.

Non cessavo di domandarmi, infatti, quanto lei sapesse riguardo al misterioso bambino dal mantello blu. E soprattutto, in che circostanze avesse appreso della sua esistenza. I suoi quesiti erano stati troppo diretti e sicuri, per una persona avente una conoscenza superficiale od occasionale. Shisui-san, per motivi a me oscuri, s'era già imbattuta in quella creatura persecutrice. Come nello specifico, però, lo ignoravo.

Guardai afflitta da fuori la finestra. Dal cielo plumbeo, coperto da rabbiosi cirri grigi, cadeva languida una fitta neve, volteggiando indiavolata nell'aria fino a depositarsi sui tetti, sui rami degli alberi spogli, per terra. La ormai consolidata spossatezza mi sconquassò le ossa, portandomi ad appoggiare la testa sul cuscino e a studiare con stanca indifferenza il soffitto. La casa era silenziosa e fredda. I miei genitori erano entrambi usciti presto, quel mattino. Mi raggomitolai, troppo sfinita per intraprendere qualsiasi azione. Desideravo dormire, ma il sonno tardava a sopraggiungere, tenendomi sadicamente sveglia e in uno stato di perenne allerta, come se il mio subconscio temesse un attacco non appena avessi abbassato le palpebre.

Feci bene a fidarmi.

Fu il suono del campanello a farmi balzare seduta, tesa come una corda di shamisen. Rapida, controllai l'orologio: le dieci e mezza. Se la mia memoria non si sbagliava, mia madre non sarebbe rientrata prima di mezzogiorno, mentre mio padre addirittura alla sera.

Chi ... chi poteva essere?

Ma sì, il postino!, scossi il capo, dandomi della sciocca. Decisamente, mi ero lasciata troppo influenzare dai vaneggiamenti di Shisui-san. C'erano mille modi per giustificare razionalmente la presenza di quei lividi. Sempre che ci fossero mai stati. Infatti, controllando la sera precedente, prima di coricarmi, la caviglia, avevo notato come fossero scomparsi. Molto probabilmente a causa della caduta s'era gonfiata, ecco, e alla scarna luce del corridoio parevano i segni di una mano. E Shisui-san, cui chissà come stavo un pelino antipatica, aveva voluto giocarmi quello scherzo di cattivo gusto.

Già, doveva essere andata esattamente così.

Mi sentii immediatamente meglio.

Il campanello suonò di nuovo, stavolta più impaziente.

"Sto arrivando!", esclamai colpevole, correndo trafelata al pian terreno dopo aver acchiappato la mia vestaglia. Aprii la porta. "Mi scusi, non volevo farla aspet- ..." (Déjà vu)

Nessuno. (Déjà vu)

Davanti a me non c'era nessuno. (Déjà vu)

Assolutamente nessuno. (Déjà vu)

Serrai la mascella, dominando la paura crescente che, dalle viscere profonde, mi stava risalendo acida e prepotente fino ad annodarsi alla gola, premendo per uscire. "Non è divertente!", strillai agli invisibili teppisti che la mia mente, disperata d'appigliarsi a qualsiasi logica spiegazione che non comprendesse quel dannato bambino, aveva evocato come fautori di quella beffa. Suonare al campanello e poi scappare. Tipico.

Sbuffando, chiusi in fretta e furia la porta col catenaccio e mi recai altrettanto celere in cucina per prepararmi del latte caldo. Quello m'avrebbe tranquillizzata.

Dling-dlong.

Il mio cuore smise di battere, cadde nel mio stomaco e rimbalzò al suo posto. Tanto mi tremavano le mani, da versare del latte sul tavolo. Rimasi lì imbambolata a contemplarlo, la mente in panne, incapace di coordinare un qualsiasi pensiero che non contemplasse l'urlare a squarciagola.

Dling-dlong.

No.

Dling-dlong.

Basta.

Dling-dlong.

Finiscila!

Dling-dlong.

Quand'ecco che un'idea m'attraversò il cervello. In punta dei piedi, lasciando che il campanello suonasse, mi diressi furtiva verso la finestra della cucina. Scostando appena la tenda, spiai l'identità del visitatore, mentre ancora s'attendeva una risposta - vana - da me.

Trattenni il fiato.

Sulla soglia di casa, ritto come un soldatino, il bambino dal mantello blu indugiava persistente. Benché il suo indumento fosse letteralmente zuppo d'acqua, la neve non lo scalfiva né si depositava su di esso. Le sue gote non si tingevano del rossore provocato dal gelido vento invernale. Non rabbrividiva in esso. Imperterrito, pazientava ch'io gli aprissi.

Col cavolo! Mai e poi mai!

Dling-dlong.

Neanche m'avesse ascoltata, la figura del diabolico piccino si scosse dalla sua innaturale immobilità, o meglio si voltò verso di me, fissandomi dritta negli occhi.

Mi sorrise.

Dling-dlong.

Indietreggiai spaventata, chiudendo con forza la tenda.

Dling-dlong.

La porta vibrò sotto i suoi colpi. La maniglia si mosse violentemente, strattonata.

Dling-dlong.

Caddi in ginocchio, tappandomi le orecchie, terrorizzata.

Dling-dlong.

"Nacchan? Nacchan, puoi per favore aprirmi? Ho dimenticato le chiavi di casa! Nacchan! Ci sei?"

Stupefatta, spalancai gli occhi, incapace di credere a quanto stessi udendo. Un sorriso isterico mi contorse il viso e, traballando, mi rialzai, aprendo la porta a mia madre, la quale m'aspettava intirizzita sotto la neve.

"Nacchan!", esclamò gioviale Okaasan, chiudendo l'ombrello. "Finalmente! Brrr, mi pareva di morire assiderata lì fuori! Hai dormito ancora male? Che occhiaie!", notò preoccupata, accarezzandomi la guancia.

"Come mai così presto?", m'informai, aiutandola a levarsi il cappotto, nel frattanto che lei si toglieva le scarpe inzaccherate di fango.

"Ho ricevuto una chiamata da parte dei tuoi nonni", mi spiegò concitata mia madre, sorpassandomi per salire velocemente in camera sua. La imitai prontamente, seguendola. "Starò da loro fino a giovedì", disse, incominciando a fare la valigia in un vertiginoso andirivieni.

"Otōsan ne è al corrente?"

"Ma certo!", sbuffò ella, scostandosi una ciocca ribelle dalla fronte umida. "L'ho subito informato, non appena tuo nonno m'ha raccontato del malore di tua nonna! Non ti preoccupare, però: non è nulla di grave!", mi consolò, elargendomi un giocoso buffetto.

Abbozzai ad un sorriso forzato, focalizzando la mia attenzione sul pavimento. Malignamente provai ad immaginare la faccia dell'altera avia, in caso l'avessi informata della mia condizione. Altro che malore, sarebbe schiattata!

"Bene!", chiuse soddisfatta Okaasan il borsone, caricandoselo su di una spalla. "Se mi sbrigo, forse faccio in tempo a prendere la corriera delle undici! Posso fidarmi d'affidarti la casa, senza trovarmi una discarica al mio ritorno?"

Un mese addietro avrei ribattuto scherzosamente indignata a quella battuta. Ma non quel giorno.

"Lo prometto."

Mia madre mi fissò a lungo, meditabonda. "D'accordo", convenne, infilandosi stavolta gli stivali. "Ah, Nacchan!", si ricordò all'ultimo momento, fermandosi e girandosi verso di me. "Che sia l'ultima volta, che ti vedo in compagnia d'Itachi-san, chiaro?"

Le mie labbra rimasero sigillate.

 

 

~~~

 

Dling-dlong.

"Moshi moshi?"

"Otōsan ... come va il lavoro? Ne avrai ancora per molto? Non ... non potresti tornare a casa?"

 Dling-dlong.

"Te l'ho già spiegato, fra dieci minuti devo presenziare ad un meeting, non posso filarmela all'inglese!"

"Però, Otōsan ..."

"Nacchan, non dirmi che adesso hai paura di rimanere da sola in casa! Sei grande, mica una bambina ... Ma stanno suonando al campanello?"

Dling-dlong.

"Otōsan! Per favore! Torna a casa alla prima occasione disponibile, d'accordo?! Se ... se non hai nulla d'importante, almeno! Ti supplico!"

Dling-dlong.

"E va bene, frignona, non iperventilarmi! Sarò da te fra un'ora, va bene?"

"Sì! Sì! Va benissimo! Grazie! Grazie di tutto cuore!" e riattaccai.

Dling-dlong.

Mi appiattii ulteriormente al muro, stringendo convulsamente al petto il telefono, neanche avesse potuto proteggermi.

Quel ... quel bambino dal mantello blu m'aveva cinto d'assedio, imprigionando a casa e mi guardava insistente dalla finestra, le mani appoggiate sul vetro, gli occhi così spalancati che le sue iridi si vedevano appena, rimpicciolite dal bagliore dei candidi bulbi oculari. Sempre sorridente.

In seguito alitò, scrivendo sulla condensa:

Vieni a giocare con me ...

Corsi in preda al panico in camera mia, sbattendo la porta e tirando le tende. Mi sedetti sul mio futon portandomi le ginocchia sotto il mento, dondolando impaurita e pregando qualsiasi esistenza divina di accelerare il ritorno di mio padre.

Dling-dlong.

Lacrime di stizza presero a colarmi sulle guance.

Dling-dlong.

 

 

 

~~~

 

 

A cena riuscii a persuadere Otōsan a farmi dormire in camera sua.

All'inizio egli n'era rimasto sinceramente sorpreso, levando interrogativamente gli occhi dal suo piatto: infatti, avevo smesso di avanzargli simili richieste da quando avevo incominciato le elementari, su mia stessa iniziativa, poi. Per le emergenze potevo sempre ricorrere a Menma-nii. Siccome però in quel momento non ero più una bambina e mio fratello si trovava a Tokyo col suo meco, non mi rimaneva altra soluzione che affidarmi alla bontà d'animo di mio padre, il quale accettò pur domandandone il motivo.

Inventare una panzana risultò difficile. In tutta onestà, non mi riusciva di spiegargli esaustivamente il mio intimo terrore, circa il dormire da sola in camera mia. Non mi sentivo sicura da nessuna parte, in quella casa, non fintanto che sarei rimasta da sola. Forse quel maledetto bambino si sarebbe fatto un baffo di mio padre, però non avrebbe osato avvicinarsi a me in sua presenza. Sperai nella validità del mio ragionamento. In caso contrario ... Ignoravo come avrei reagito. Non bene, comunque.

La serata trascorse in fretta, scandita dagli aggiornamenti di Otōsan circa i nuovi progetti per Konoha. Lo ascoltai distrattamente, rimanendo però avvinghiata al suo braccio e, dal luccichio nelle sue iridi celesti nonché le fuggevoli occhiate lanciatemi, percepii la sua contentezza per quella mia inaspettata regressione infantile. "Sei cresciuta talmente in fretta, Nacchan, che mi pare ieri di averti accompagnata al tuo primo giorno di scuola", mi confidò ad un certo punto, mentre si serviva della tisana. "Ancora m'è arduo rassegnarmi all'idea, che presto uno spasimante ti porterà via da me ..."

Affondai il viso nel maglione di mio padre, respirando a pieni polmoni  la sua rassicurante Eau de Cologne. "Non ti preoccupare, non avverrà in un futuro tanto immediato!", lo rassicurai.

Otōsan mi studiò dolcemente, accarezzandomi il capo.

"Nacchan", esordì, il tono divenuto d'un tratto serio. "In seguito alla nostra telefonata, ho provato più volte a richiamarti sul cellulare, ma risultavi costantemente irraggiungibile. Perché l'hai chiuso?"

"Forse m'erano finite le batterie ...", mi giustificai, grata che la penombra nel salotto celasse la mia menzogna.

"Ah!", sbadigliò egli, stiracchiandosi sul divano. "Pensavo che l'avessi fatto per evitare Sasuke-kun ..."

Mi si contorsero le budella.

Numero di chiamate perse: 20.

"N-no ... perché dovrei?"

Mio padre si pizzicò la radice del naso, sospirando profondamente. "Non star a badare a tua madre, Nacchan. A modo suo ti vuole molto bene e cerca d'aiutarti, ma questa è la tua vita e devi fare le tue scelte, non viceversa. Non puoi permettere che lei o chiunque altro scelga per te. Non sei più una bambina, anche se la cosa mi rattrista grandemente", disse, puntandomi contro quegli schietti occhi cerulei che avevo ereditato. "Mi rendo conto che a lei Sasuke-kun stia simpatico quanto un riccio di mare sotto il piede; ciononostante non la giudico una valida ragione per essere sgarbata con lui, specie se non se lo è meritato."

"Come fai a sapere che lo sto evitando?"

"Tesoro", sogghignò complice Otōsan, "è dai tempi d'Izanami-sama e Izanagi-sama che voi donne utilizzate la fuga, per maltrattare quei poveracci che vi corteggiano!"

A stento trattenni un risolino, rifugiandomi nell'abbraccio sicuro e forte di mio padre.

Quella notte non feci incubi; dormii al contrario talmente bene e di gusto da riacquistare il controllo su di me e sulle mie facoltà mentali. Il bambino dal mantello blu m'appariva distante, alieno, giustamente relegato nel dimenticatoio. Sembrava che una spugna l'avesse letteralmente spazzato via dal mio cervello e rimasi sorpresa della mia stupidità per essermi lasciata influenzare al punto da morirne di paura, o quasi.

Mi sentivo euforica, piena d'energia, come se niente e nessuno m'avrebbe mai più spaventata né costretta a riconsiderare le mie decisioni.

La giornata del 4 febbraio si presentava soleggiata, limpida, apportatrice di serenità.

Sicuro.

La calma prima della tempesta.

 

 

***

 

 

 

"Certo che la gente non sa proprio farsi gli affari propri!", protestò vivacemente Tobirama, lasciandosi cadere sulla sedia. "Se dico che voglio quattro ciambelle farcite al cioccolato, vuol dire che voglio quattro ciambelle farcite al cioccolato e magari senza le tue opinioni del cazzo! Pago e pretendo!" e prese a bere il suo latte caramellato, un'espressione decisamente imbronciata sul suo viso alabastrino.

Aveva giudicato - scioccamente purtroppo, visti i risultati -  che lasciarsi invitare da Hashirama a colazionare da Starbucks avrebbe distratto la sua mente dall'imminente intervista. Pia speranza. Adesso, nutriva più stizza e insofferenza di prima.

"Che ha combinato stavolta quel povero barista?", inquisì placido Hashirama, affatto scioccato dalla boccuccia di rosa dell'horror writer. La sua lingua lunga e il caratteraccio pungente erano una realtà alla quale s'era da molto tempo rassegnato, eppure non comprometteva il suo affetto nei suoi confronti.

"Quando ho fatto le ordinazioni, m'ha guardato come se avesse davanti un'orca assassina! Insomma, le pago quelle ciambelle, mica gliele ho chieste gratuitamente! Cosa mi va a commentare che potrebbero essere un po' troppe?", berciò.

Il castano annuì, comprensivo. "E' normale avere paura, Tobirama. E comunque non sei un'orca assassina. Sei una balena."

"Eh?", cascò dalle nuvole l'adesso decisamente irritato cetaceo antropomorfo. "Vuoi che ti meni?"

Ignorando l'ultimo commento, il maggiore espresse il suo modesto parere: "Domani il romanzo verrà ufficialmente distribuito nelle libreria e l'intervista avrà luogo dopodomani. E' logico sentirsi agitati e innervosirsi per un nonnulla!", afferrò poi Hashirama la mano dell'horror writer con estrema dolcezza. "E tu hai sempre mangiato alla stregua d'un maiale, quando l'ansia ti coglie!", aggiunse birbante.

Tobirama sbuffò, grattandosi la nuca. "Non è proprio quello il motivo ...", ammise a malincuore.

"Ah, no?"

"No."

Un vivace luccichio vagò negli occhi del più anziano dei due. "Ah ... Ma non mi dire ... "

"Eggià."

"Ti prego, non uccidermi Izuna! E' l'unico che riesce a sopportarti senza volersi suicidare, dopo aver interagito con te per cinque minuti!"

"Oh, farò di meglio ... Promesso!"

I due fratelli sorrisero furbescamente complici. 

"A proposito, ho saputo che sarà Terumi Mei-san ad intervistarti. Ti garba?", riprese il Senju il discorso, sorseggiando il suo caffè.

"Non mi dispiace. Per informarmi su di lei, ho leggiucchiato dei suoi articoli. Interessanti, lo ammetto. La donna dev'essere stata un elmetto rosa, ai tempi dell'attivismo per la legalizzazione della pillola anticoncezionale."

"Chi meglio, dunque, per recensire L'Appuntamento?"

L'horror writer annuì senza particolare entusiasmo. "Già", commentò seccamente. "Hōzuki Gengetsu-bastardo-san m'ha incastrato per bene ..."

 

 

***

 

 

Di norma, Tobirama non si faceva mai prendere dall'ansia alla vigilia della pubblicazione di un suo romanzo. Che si trattasse di eccessiva presunzione o confidenza nelle sue capacità, nutriva una cieca fiducia sull'esito positivo delle sue opere.

Ma non questa volta. Non per L'Appuntamento.

Era ... come dire,  una storia troppo intima.

I commenti, poi, dei suoi fan su Facebook, Twitter, blog e forum di certo non l'aiutavano. Alcuni giuravano all'horror writer eterna fedeltà, qualsiasi cosa avesse pubblicato. Altri giuravano un'orribile morte (la sua), in caso avesse deviato dal suo solito stile.

Ma vaffanculo!, grugniva mentalmente, mordicchiando irascibile prima l'unghia e in seguito la pellicina, facendo sanguinare quest'ultima.

Lo schermo scomparve all'improvviso dai suoi occhi, su cui era calata una tiepida oscurità.

"Adesso basta, non ti fa bene", avvertì l'alito caldo d'Izuna solleticare la sua nuca. Un vago ma persistente profumo di bagnoschiuma corteggiava il suo olfatto, avvolgendo la sua persona nella frescura di chi s'era appena congedato da una doccia serale.

"Sto benissimo, invece!", si tolse l'horror writer le mani del compagno dagli occhi, sennonché queste ripiegarono sulle sue spalle, impedendo la fuga.

Il moro arcuò scettico il sopracciglio.

"D'accordo, forse un po' bene."

Gli occhi d'Izuna si strinsero in due fessure.

"Uffa! Me la sto facendo sotto dalla fifa, contento?", sbuffò petulante l'horror writer, appoggiando la guancia sul palmo della mano. "Se dapprincipio avevo grandi certezze su questo romanzo, adesso non so proprio più cosa pensare. Insomma, non è ancora stato pubblicato, che già mi minacciano di morte! Mi domando chi abbia fatto la spia, spifferando che L'Appuntamento si scostava dalle mie solite storie ... Che palle ..." e mirò puerilmente infelice il suo compagno, che invece ricambiava intensamente il suo sguardo.

Izuna aveva più volte sperimentato le scene madri di Tobirama che, similmente a tutti gli artisti, soffriva di acute crisi di divismo, tartassando il prossimo con le sue infinite e assurde fisime. Stavolta, però, poteva leggere in quelle acute iridi scarlatte del genuino timore e incertezza, come se la determinatezza (o testardaggine) che v'abitava all'inizio vi avesse affogato. D'altronde se l'aspettava: l'aveva detto sin dal principio, che il rischio era grosso, ma figurarsi se Tobirama rinunciava ad una sua idea, quando questa l'appassionava. Diveniva uno tsunami. E poi dicevano che fosse una persona insensibile e apatica. Pah. Nondimeno, ciò non avrebbe dissuaso il moro dal continuare a sostenere quella testa matta (e geniale) fino alla fine. Non si sarebbero scelti, altrimenti, come compagni.

"Lascia che gracidino simili ai rospi che sono!", dichiarò bellicoso, inginocchiandosi alla sua altezza. "E che s'azzardino pure a sfiorarti! Non avranno più dita per scrivere le loro stronzate, né occhi per leggerglieli!", l'assicurò e si ripromise di mantenere ogni parola appena pronunciata.

Mica scherzava. In passato era già accaduto che qualche fan, anzi fanatico, avesse infastidito pesantemente l'horror writer o per un finale non gradito; o per lo sviluppo di certi personaggi o per le pause che di tanto in tanto si prendeva, tra una pubblicazione e l'altra. La parola "moderazione" proprio non sussisteva nel loro vocabolario. Peccato che la impararono a loro spese, quando uno di questi squilibrati osò pedinare Tobirama fino a casa sua, allungando perfino le zampe. Fu fortunato che quel giorno Izuna fosse stato di buon umore abbastanza da limitarsi di riempirlo di ceffoni e prenderlo a pedate fino alla strada, spaventandolo a tal punto da fargli definitivamente passare la voglia di cimentarsi in atti di stalking ai danni dell'horror writer.

Ci erano voluti anni per esorcizzare i fantasmi di Tobirama. E che Izuna fosse dannato per l'eternità se qualcuno osava rievocarli, provocando una ricaduta nel suo prezioso bijou. Si erano perfino trasferiti lontano, ricominciando da zero.

"Non temere di loro, non ti feriranno. Ci sono io tra di voi, dovranno prima passare su di me. E sai come sono delicato con chi t'infastidisce ...", mormorò, massaggiando le spalle, il collo e lo scalpo della sua "dolce" (= polemica, cervellotica, arrogante, intelligente) metà. "... tanto quasi un carro armato ..."

Tobirama fremette, respirando pesantemente dal naso, le nari dilatate.

Adorava quando Izuna entrava in mode macho-alfa-iperprotettivo. L'arrapava da morire. Assieme a lui ogni cosa era fattibile; si sentiva invincibile, intoccabile. Al sicuro. Al contempo però, per quanto lusinghiere fossero codeste considerazioni, non gli avrebbe mai confessato questo suo segreto: il moro si sarebbe troppo gasato, approfittandone vigliaccamente. Nondimeno vederlo così combattivo e devoto per amor suo, agitava pensieri poco casti nel suo petto. Tradotto: lo voleva. Sì, voleva per sé e soltanto per sé quel fiero, generoso, appassionato e possessivo masnadiere. Tobirama mai come in quel momento desiderò così follemente il suo uomo. Lo reclamava tra le sue cosce, ora, subito, senz'indugi. Imperativo categorico.

E ciò che Tobirama esigeva, Tobirama otteneva.

Ma questo giocando sporco, ovviamente.

"Ah! Prima che mi dimentichi", assunse infatti il tono di voce più casuale e innocentino del suo repertorio. "Devo dirti una cosa molto importante!"

"Sentiamo."

Con espressione furbetta, l'horror writer gli fece cenno col dito d'avvicinarsi. Una volta avuto il compagno più presso, gli sussurrò rapidamente qualcosa all'orecchio.

Gli occhi del moro si spalancarono, dilatandosi e scurendosi selvaggiamente. Impallidì, scostandosi bruscamente e guardando stralunato Tobirama, che annuì grave. Sicché l'uomo assunse una smorfia ferina, non dissimile a quella del pazzo cui viene dato credito. Esattamente quella che l'horror writer desiderava contemplare.

"Perciò", proseguì solenne "per punizione, dovrai farmi l'amore per tutta la notte. E ho grandi aspettative a riguardo. Che ne dici? Accetti la sfida?"

Punto sul suo intrinseco orgoglio virile, Izuna raccolse il guanto, passando all'azione. Non se lo fece proprio ripetere due volte: caricatosi sulle spalle quell'impertinente, si recarono spediti in camera da letto, pronto alla pugna amorosa. Anche se ambedue sapevano che non ci sarebbero stati alla fine né vinti né vincitori ma due innamorati esausti e appagati. "Ottima idea, la tua, di dare una vacanza anticipata alle belvette", dichiarò il moro, mentre appoggiava il suo fardello sul futon. "Meravigliosa, brillante e caparbia creatura ..."

"Mio ...", ansimò Tobirama, tirando a sé l'amato, affinché l'avvolgesse nel suo abbraccio. "Mio Izuna .. mio ... soltanto mio ..."

"Esatto. E non dubitarne mai!"

Per tutta la notte, i loro corpi non cessarono mai di cercarsi e di amarsi, gioiosamente, sfrenatamente.

Izuna venerò con dovizia Tobirama, baciando insaziabile la sua bocca fine, il suo collo niveo, il suo petto ansante, i suoi fianchi tentatori. E non si poté dire che Tobirama non avesse ricambiato con altrettanta avidità, accogliendo Izuna dentro di sé con tale passione da oltrepassare la divisione concreta tra il prendere e l'essere presi. Che importava? Stupidi sofismi della biologia.

Si amavano e questo era sufficiente.

Il resto? Irrilevante.

 Quando i due furono troppo stanchi per seguitare a fare l'amore, s'accontentarono di trascorrere abbracciati gli ultimi sgoccioli notturni prima dell'alba, dilettandosi nella loro posizione preferita, quella del cucchiaio e cucchiaino.

Izuna fu il primo ad addormentarsi, indugiando con la mano destra sul ventre di Tobirama, mentre con la sinistra intrecciava le sue dita con quelle dell'horror writer, offrendo lo stesso braccio come cuscino. Il suo respiro solleticava dolcemente la nuca bianchissima, scostando qualche riccio umido.

L'horror writer si lasciò cullare, ascoltando il forte battito del cuore del compagno.

Domani ci sarebbe stata la pubblicazione del romanzo.

Dopodomani l'intervista.

Poi, sarebbe finito tutto.

 

 

***

 

 

 

 

Mercoledì, 4 febbraio 1998

- mancano 2  giorni all'Appuntamento -

 

 

 

Dopodomani sarebbe finito tutto.

O così m'illudevo.

Trascorsi l'intera mattinata vagabondando pigramente per il centro di Konoha, guardando annoiata le vetrine, cogitando su cosa cucinare per mezzogiorno.

La mattina del 4 febbraio si presentava bella, frizzante, appena sfiorata dal gelido vento del nord. Un limpido e schietto sole brillava gioioso sul suo trono, un cielo incredibilmente privo di nuvole, azzurrissimo. Una di quelle rare e miracolose mattinate- conoscendo infatti la plumbea incostanza del clima invernale - la cui dolcezza e serenità propiziavano null’altro che la tanto sospirata pace interiore, dove il corpo e lo spirito riuscivano finalmente ad essere entrambi felici ed appagati. L’aria bellicosamente fresca, pulita, pregna del sentore cristallino della neve e degli abeti umidi, accarezzava l’odorato assieme all’acre profumo della legna bruciante nei camini e l’anima con la sua fragranza gelida eppure inebriante. Normale era, quindi, bere quell’aria a grandi sorsate (con la bocca bene aperta) la quale s’attaccava birichina sulla gote arrossate, s’infilava tra le vesti, pungente e delicata allo stesso tempo. Nulla a che vedere con le cupe giornate precedenti, le quali di sicuro avevano influenzato negativamente i miei nervi già di loro scossi, ingannandomi con sciocche apparizioni.

Andava tutto bene.  Ero calma e in pace con me stessa.

Allora, come mai mi rifiutavo di rispondere a Sasuke, il cui numero di chiamate perse era montato a trentacinque? Sebbene avessi riaperto il cellulare, premevo di riflesso il tasto rosso non appena lo sentivo vibrare, prima ancora di permettere alla suoneria di sconquassarmi il sistema nervoso subdolamente allerta. Non calcolai, invece, la musichetta riservata agli sms.

Strano, chi poteva essere? Forse Menma, giacché il mio meco si dimostrava relativamente allergico a messaggiare il suo prossimo, preferendo telefonare.

Contrariamente alle mie supposizioni, lessi col cuore in gola il messaggio.


Sas'ke → Me   (11:45 am)

Che cosa ti ho fatto?


Un brivido freddo mi percorse la schiena: dovevo averlo messo sul serio alle strette, per costringerlo ad inviarmi degli sms al posto d'inutili chiamate senza risposta. Mettendolo in silenziatore, decisi d'ignorare anche quel tentativo (disperato e infruttuoso) di conversazione.

Peccato, che non ci fosse nulla contro le vibrazioni.


Sas'ke → Me   (11:57 am)

Perché non rispondi?


Fissai indecisa lo schermo: replicare o meno? E che cosa avrei mai potuto scrivergli? Ogni parola mi suonava falsa, fuori luogo. Non ce la facevo. Le mie dita rimanevano immobili sull'apparecchio.


Sas'ke → Me   (12:05 am)

D'accordo, non mi vuoi parlare. Però almeno puoi riferirmi tramite Itachi-nii se stai bene o meno? Sono preoccupato, Naruko, non è da te quest'atteggiamento!


Ringhiando la mia snervata frustrazione, feci per chiudere il cellulare, facendo contemporaneamente dietrofront e talmente in fretta da non guardarmi attorno. Di conseguenza, non dovetti sorprendermi se collisi con chi stava camminando nella direzione opposta. "Oh, mi scusi, non l'ho fatto apposta ...", bofonchiai velocemente, piegandomi per raccogliere il telefonino, sennonché lunghe e delicate dita guantate mi anticiparono, conducendomi al viso del loro proprietario.

"Ora si spiega, perché Sasuke-kun ci sta perseguitando con le sue chiamate: e io che pensavo si trattasse di nostalgia di casa!", commentò freddamente Shisui-san, restituendomi il maltolto.

"Gli stavo per rispondere", mentii velocemente.

Gli occhi grandi e scuri della donna si strinsero in due linee scettiche, tipiche del docente che fiuta la bugia dell'alunno, circa il perché non abbia svolto i compiti per casa. "Allora sbrigati, non lasciarlo aspettare", mi suggerì, non accennando tuttavia a muoversi di un solo centimetro, neanche avesse voluto assicurarsi che lo facessi sul serio e non per finta.

"Adesso non ho tempo; ma quando sarò a casa ..."

"Se hai intenzione di troncare con Sasuke-kun, perché non glielo dici apertamente, invece di tormentarlo nel dubbio coi tuoi silenzi da codarda? Non lo troveresti più onesto?", m'interruppe bruscamente Shisui-san, inchiodandomi con lo sguardo.

Mi ribellai. "Non sono codarda!", proruppi violentemente, punta sul vivo. Perché aveva ragione. La verità bruciava peggio dell'acido.

"Non lo sei?", soffiò lei, implacabile. Portò il suo viso a qualche spanna dal mio naso, obbligandomi ad indietreggiare onde mantenere l'equilibrio. "Oramai è evidente che lui non t'interessa più; perché altrimenti lo eviteresti? A meno che, a spronarti non sia il senso di colpa per aver ..."

"Shisui-chan! Finalmente ti ho trovata! Non devi correre così, alla mia età non riesco a starti dietro!", boccheggiò Mikoto-san, raggiungendoci dall'altra parte della strada. Poi, notandomi, mi salutò allegra: "Ah, Naruko-chan! Che piacere vederti! Come stai? Hai visto oggi che bella giornata? Che ne diresti di prendere assieme un tea?"

Feci velocemente segno di no col capo. "Mi dispiace Mikoto-san, ma mio padre rientra presto oggi e devo ancora preparare il pranzo. Buona giornata!", mi congedai altrettanto in fretta, correndo quasi verso casa e tuttavia cosciente del peso dello sguardo di Shisui-san dietro di me. 

 

 

~~~

 

 

 

Respirai più liberamente non appena misi piede a casa.

Chiusa la porta a doppia mandata, mi abbandonai per terra, appoggiando la fronte sulle ginocchia e realizzando in quel momento, quanto la previa serenità non fosse altro che un'ingannevole apparenza, un subdolo meccanismo di difesa della mia mente contro lo stress generato dall'inesorabile avvicinarsi dell'appuntamento. Le parole di Shisui-san avevano completamente infranto questa mia fragile barriera d'ottimismo, lasciandomi crudelmente degli inutili frammenti cui appigliarmi.

La verità? Ero sfinita. Non ne potevo veramente più. Avevo scioccamente creduto che risolvere questo problema sarebbe stato semplice, lineare. Quante mi avevano preceduto, facendo ricorso a questa soluzione? Non ero la prima e non sarei stata l'ultima. Eppure, man mano che trascorreva il tempo, l'ansia e un infido senso di colpa mi opprimevano il petto, istillandomi l'atroce dubbio sulla mia scelta. (L'andata è facile, il ritorno fa paura.) Non che l'avessi mai fin dall'inizio presa sottogamba, tuttavia ... non m'immaginavo tutte queste complicazioni. (... il ritorno fa paura ...) Incominciando da quel dannato bambino che traeva un meschino diletto a tormentarmi con la sua sinistra presenza. ( ... fa paura ...) Se solo fossi riuscita almeno a domandargli, che accidenti volesse da me!

Con un grande sospiro, mi rimisi in piedi, avanzando in stato pressoché sonnambolico verso la cucina, auspicandomi di rimettermi in fretta dal mio sconforto: non volevo, infatti, che Otōsan mi beccasse in quello stato pietoso.

Sennonché, il mio piede destro scivolò su qualcosa di freddo e umido, facendomi per poco perdere l'equilibrio. Di riflesso m'aggrappai al corrimano della scala, rimanendo bloccata per una manciata di secondi, incapace di metabolizzare quanto accadutomi. Solo quando mi reputai abbastanza padrona di me, osai staccarmi dal mio appiglio di fortuna, valutando perplessa la situazione.

Una piccola pozza d'acqua.

Ecco cosa m'aveva per poco fatto ruzzolare.

Una stramaledetta pozzangheretta d'acqua.

Ma da dove veniva? Dal soffitto? Dalle tubature? Da qualcuno che aveva appoggiato l'ombrello bagnato in mezzo corridoio? Dal borsone dei surgelati?

Oppure, che Otōsan fosse rientrato in anticipo, bagnando il pavimento? Strano, le sue scarpe non si vedevano in entrata.

Scrollai le spalle. Poco importava, non era nulla che non si potesse rimediare con una bella passata di straccetto. Mentre mi piegavo ad asciugare, sogghignai amaramente sarcastica tra me e me a causa di quell'ironico (e scampato) incidente: perché mai m'ero così agitata per non cadere? Non si sarebbe risolto tutto, se avessi battuto per terra? Non mi sarei neanche dovuta incolpare, giacché si sarebbe trattato appunto di una disgrazia ...

Terminato la mia incombenza, m'apprestai a rialzarmi e riporre lo straccetto in cucina. Quand'ecco che, posando casualmente l'occhio là dove avevo asciugato, m'accorsi con mia somma confusione come il pavimento fosse ancora bagnato. La pozza d'acqua se ne stava lì, riflettendo malignamente sorniona la mia espressione disorientata. Circospetta, passai di nuovo il panno, studiando ogni singolo mio movimento.

Ecco fatto, asciugata.

La mia vittoria fu di breve durata.

Neanche sotto il parquet si trovasse una sorgente, dalle sue fessure riemerse l'acqua, spandendosi nella ormai nota forma della pozzangheretta, non un centimetro in più, non un centimetro in meno.

Esibendo un'esasperata smorfia, l'asciugai con maggior fervore rispetto a prima.

Niente. Ritornava.

Ancora, passai nervosamente lo straccetto.

Invano. Come se non l'avessi mai fatto.

Imponendomi di non cedere alla montante isteria, corsi in cucina ad afferrare il mocio e il secchiello.

"Lo vedremo", ringhiai bellicosa contro un'identità a me stessa sconosciuta, "lo vedremo chi si stancherà prima!" e nettai violentemente quella pozza, facendo pressione sul pavimento, manco fosse mia intenzione spaccarlo.

Ma, similmente all'Idra dei miti greci, più m'ostinavo a far scomparire quella pozzangheretta, più essa ricompariva, finché non prese ad espandersi per tutto il corridoio. Inutilmente cercavo di raccogliere quanta più possibile acqua: il tempo appena di scorrere il mocio e si ricominciava daccapo. Era ... incontrollabile.

Plick. Plick.

M'irrigidii peggio d'un rigor mortis. Da dove veniva quel gocciolare? Da dove?

Indietreggiai, mi guardai attorno, l'orecchio teso onde captare la fonte di quel rumore.

Plick. Plick.

Serrai la mascella.

Plick. Plick.

I gradini delle scale gocciolavano. No, sul serio. Non ero vittima d'allucinazioni. Gocciolavano. Neanche ... neanche si fossero trasformati in una grottesca fontana.

Snervata, li passai tutti col mocio, digrignando i denti alla vista dell'acqua riaffiorare tra le sue treccine. Vi applicai quindi dei fogli di giornali vecchi e altri strofinacci, sperando che assorbissero quel dannato liquido. Fu allora che, dopo un raro istante in cui sembrava che fossi riuscita nel mio intento, la scala conducente al piano superiore si trasformò in un mini-ruscello, costringendomi a scendere velocemente, prima che mi facesse rotolare dabbasso, tanto era divenuta sdrucciolevole e pericolosa. Inavvertitamente cozzai contro il mobiletto d'ingresso, balzando spaventata non appena constatai come dalle fessure dei cassetti colasse dell'acqua. Similmente, i vetri si presentavano rigati da scie di pingui gocce.

In nemmeno dieci minuti, l'intero corridoio si trasformava in un minuscolo laghetto, venato addirittura da minuscole increspature.

In trappola, questo fu il mio primo pensiero. Prigioniera.

E sapevo benissimo, ora, di chi.

"Lasciami in pace! Vattene via!", gridai al bambino dal mantello blu, che mi fissava da in cima alle scale e  il cui sorriso s'allargò oscenamente al mio tentativo d'intimidazione. "Questa non è casa tua! Sparisci!", gli indicai la porta, obbligandomi a suonare quanto più determinata e minacciosa possibile.

Ma la mia voce tremava. Il mio dito tremava. L'intero mio corpo tremava di una paura folle, assoluta, che si sperimenta soltanto in punto in morte.

"Perché?", mi domandò innocentino il pargolo, comparendo all'improvviso al mio fianco. Sussultai terrorizzata, allontanandomi di riflesso da lui (o lei?, il mantello m'impediva d'identificarne il sesso e la voce stessa suonava troppo neutra per determinarlo). Sennonché questi m'anticipò, afferrandomi per il braccio. Una presa d'acciaio. Gelida. Sentii il sangue ghiacciare nelle mie vene. "Perché non vuoi giocare con me? Sei cattiva. Io voglio solo un po' di compagnia!", cinguettò, indietreggiando d'un passo. Poi di un altro. E un altro ancora, costringendomi a seguirlo.

Mi stava trascinando via.

Senza neppure concedermi il tempo di riflettere, ghermii lo stipite della porta, obbligando i miei muscoli ad eguagliare la sovrannaturale forza del piccino, la quale stava mettendo a dura prova la mia resistenza fisica.

"Mi annoio! Mi annoio da morire! Giochiamo, Naru-tan! Giochiamo!", cambiò tono quella creatura, per assumerne uno più petulante. "Giochiamo! Ora!", mugghiò lagnoso, strattonandomi violentemente. Caddi sulle ginocchia e poi sul fianco, bagnandomi dalla testa ai piedi non appena il mio corpo toccò il pavimento. "Ho aspettato abbastanza!", disse, trainandomi ora facilmente verso ...

... il butsudan?

"Chi sei?", gli gridai, sperando di guadagnare tempo ma al contempo genuinamente incuriosita dal suo interesse verso l'altare di famiglia. "Cosa vuoi da me?"

Ma il bambino non rispose. Si bloccò invece all'improvviso, allerta, come quando le sue controparti "reali" vengono beccate con le mani nella marmellata. E, a giudicare dalla sua espressione colpevole e indispettita, mai paragone fu più azzeccato.

"Sei un bambino davvero maleducato ed insistente", lo rimproverò severa una voce a me conosciuta alle mie spalle. "Agli adulti si ubbidisce senza discutere! Fila in punizione, canaglia!"

Piegando la bocca in una smorfia piagnucolosa e facendo una regale linguaccia, il pargolo si voltò, prese la rincorsa e si ... (vi scongiuro: credetemi!) ... si buttò nel butsudan, il quale si chiuse inaspettatamente, benché lo avessimo lasciato sempre aperto, tranne per alcuni giorni di precetto.

Un malsano e pesante silenzio cadde nel salotto.

Non osavo muovermi, sussultando quando percepii delle dita stringersi incoraggianti alle mie spalle. Riconobbi subito la fede nuziale all'anulare sinistro.

"S-Shisui-san ...?"

La donna annuì gravemente, aiutandomi a ripormi in piedi quel tanto d'accompagnarmi al divano, dove mi sedetti intontita, quasi m'avessero pesantemente malmenata.

"Come ti senti?", s'informò incolore, congiungendo le mani all'altezza del pancione.

"Come ... come hai fatto ad entrare?", controbattei.

"La porta era aperta."

"No!", negai animosamente. "Non è possibile, io ... io l'ho chiusa a chiave ...", mormorai, passandomi una mano sulla fronte, guardandomi scoraggiata attorno alla disperata ricerca di una logica spiegazione, d'un brandello di lucidità in quella situazione tanto assurda quanto ... "Perché sei venuta?"

Shisui-san non mi degnò d'una risposta. Invece, levatasi il cappotto e lanciatolo sulla poltrona, raccolse il mocio e il secchiello, iniziando ad asciugare energicamente. Quel giorno non indossava il mofuko kimono, bensì un vestito di lana lungo fino alle ginocchia, che accentuava il suo stato di gravidanza. Malgrado ciò, non appariva sgraziata, anzi, puliva con la medesima professionalità di una donna delle pulizie.

"Shisui-san?", provai ad attirarla in un chiarimento, desiderando infatti apprendere come fosse riuscita ad entrare e soprattutto cosa l'avesse spinta a recarsi a casa mia. "Shisui-san, potrei sapere ...?"

La donna scaraventò con tale subitanea forza il mocio per terra, che feci un balzo all'indietro, spalancando gli occhi e bocca alla stregua d'un pesce morto sul bancone della pescheria. "Pensavi si trattasse di uno scherzo da parte mia, vero?", ringhiò, fulminandomi coi suoi grandi occhi scuri. "Pensavi che ti stessi pigliando per i fondelli?"

"Non capisco ..."

"Taci! Sai benissimo a cosa mi riferisco! Quei lividi ... Credi che non abbia già sentito storie simili alla tua? Non aiuta essere professoresse dell'ultimo anno di liceo ...", esclamò indignata e per un attimo venni colta dal dubbio se fosse stato per la mia decisione o per non aver dato il giusto peso alle sue parole. "Quante ragazze più giovani di te hanno cercato in me conforto, confessandomi  in lacrime come non avessero avuto altra scelta che quello, come il rimorso le stesse perseguitando ... L'andata è facile, il ritorno fa paura ..."

Impallidii, abbassando vergognosa il capo. Questo spiegava molte cose. Ma non completamente.

"Dunque, non m'ero sbagliata, Naruko-san", sentenziò e la sua formalità mi afflisse maggiormente. Tuttavia, raccolsi abbastanza coraggio da domandare la fatidica conferma a quanto da me assistito negli ultimi giorni:

"Shisui-san, anche tu lo puoi vedere?"

La donna congedò la mia curiosità con un nervoso svolazzo della mano. "Ovvio, sono incinta. Prima del parto la sorte del feto è sempre oscura e questo mi rende piuttosto sensibile a certe visioni ... O mi sbaglio?", aggiunse maligna, accennando col capo ricciuto al mio ventre, ancora così piatto rispetto al suo.   

Non trovai alcuna parola adatta per obiettare, limitandomi a riabbassare lo sguardo e reprimendo per l'ennesima volta di piangere. Soltanto ... non ci riuscii. Manco avessi aperto un rubinetto, piansi indecentemente, rumorosamente, senza curarmi della persona che avevo dinnanzi, tanta era la pena e l'imbarazzo che provavo per me stessa. Mi coprii la bocca con la mano, cercando inutilmente di soffocare i miei ingolati singhiozzi. La mia prostrazione dovette commuovere Shisui-san, o perlomeno ammansirla, giacché la sua espressione s'addolcì e, preso posto accanto a me, mi circondò con le sue braccia, cullandomi mentre mi accarezzava la schiena fino al capo, che tenevo appoggiato al petto. Mi sfogai finché non terminai le lacrime (che comunque scesero assai copiose), afferrando supplice un lembo del maglione-vestito di Shisui-san. Mi sentivo assolutamente smarrita, simile ad una bambina perdutasi nel bosco, di notte.

"Posso comprendere ciò che provi, Iesu-sama ne è testimone. Alla fine, siamo sempre noi donne che paghiamo per gli errori degli uomini ... Per questo motivo dobbiamo imparare ad essere moralmente più forti di loro", mi sussurrò, seguitando nelle sue carezze consolatrici. Qualcosa mi disse che non parlava a vanvera, che le sue parole provenivano da un'esperienza dieci volte più dolorosa della mia. Shisui-san si staccò un poco da me, costringendomi a guardarla dritta negli occhi. "Non ti giudico, Naruko-chan, ma questo non significa che io approvi ciò che hai fatto.  E ciò che stai tuttora facendo a Sasuke", dichiarò, frugando nella borsetta un fazzoletto, che fissai interdetta. Notando la mia muta esitazione, la donna mi domandò piano se ci fosse qualcosa che non andasse. 

"E' proprio questo il punto!", esclamai sconvolta, ma più di ogni altra cosa ansiosa di convincere Shisui-san della mia sincerità. L'afferrai esagitata per le spalle, scotendola leggermente. "Io non ..." e presi fiato, risolvendomi infine a pronunciare quel verbo tabù, che per settimane non avevo avuto addirittura il coraggio di pensarlo. "Io non ho abortito!  Non ancora almeno ... Devo ... è fissato per dopodomani! Devi credermi! Non sto mentendo!"

Le raccontai in fretta ogni cosa.

Ogni singolo avvenimento, senza edulcorare la pillola, senza alcun tipo di censura. Mi sbottonai completamente con lei, giacché la reputavo l'unica in grado di ascoltare e analizzare razionalmente quanto da me passato, tralasciando biasimi e moralismi. Del resto, stando alla conversazione tra Menma e Itachi-san, anche lei aveva per un folle istante contemplato l'aborto. Quindi, sapeva come ci si sentisse durante il processo in cui si decideva se concedere o meno al feto di vivere. Sperai di non sbagliarmi, di aver riposto saggiamente tutta la fiducia che in quell'istante provavo per quella donna. 

 Al termine del mio frenetico racconto, fu il turno di Shisui-san d'assumere un'espressione sbigottita. "Allora, se ancora non hai ancora abortito ... Come mai?", chiese più a se stessa che alla sottoscritta, la quale non capiva oramai più niente di quel grottesco vaudeville.

"Cosa?"

La cognata di Sasuke si appoggiò allo schienale della poltrona, la fronte corrugata e massaggiandosi meditabonda il pancione. "Se tu mi giuri che ancora non hai abortito ... Come mai sei perseguitata da un Mizuko?", si voltò verso di me, cercando d'estrapolare dalla mia faccia una risposta, che io per prima non ero in grado di fornirle.

Al contrario, ne uscii più stordita che mai. "Un ... che?", squittii la mia palese ignoranza in materia.

Shisui-san aprì la bocca per rispondere, sennonché venne bruscamente interrotta dallo scatto della serratura e il commento perplesso di Otōsan: "Ma chi ha lasciato la porta aperta?" E raggiuntomi in fretta in salotto, aggiunse: "Nacchan, ti sei dimenticata di chiu - ... Oh, buongiorno Shisui-sensei,  non ... ignoravo che Nacchan ti avesse invitata a pranzo!", s'inchinò frettolosamente, gesto ben presto imitato dalla donna.

"Minato-shi, il piacere è tutto mio di rivederla. No, temo che non mi tratterrò a pranzo. Naruko-chan ed io stavamo giusto cicalando, ma ora mi sa che termineremo una prossima volta."

 Levandosi il cappotto e la sciarpa, mio padre scosse vivacemente il capo. "Oh no, per favore, finite pure ciò che vi stavate raccontando!", ci concesse bonariamente, attaccando gli indumenti all'appendiabiti in entrata. "Se volete qualcosa, mi trovate in cucina e ... Nacchan? Hai chiuso tu il butsudan?", si rivolse sorpreso a me, squadrandomi con la medesima curiosità.

Per tutta risposta, mi lasciai cadere sul divano, coprendomi il viso con le mani e mettendo a dura prova le coronarie di Otōsan, che spostando angosciato gli occhi ceruli da Shisui-san a me e viceversa, si portò al mio fianco, cingendomi per le spalle. "Nacchan, che ti prende? Perché piangi? E' successo qualcosa a Sasuke-kun?"

Ululai frustrata, artigliandomi i capelli neanche avessi in progetto di strapparmeli e aumentando così il livello di preoccupazione di mio padre, che, non sapendo più che pesci pigliare, decise d'invocare una spiegazione dall'unica fonte disponibile e abbastanza calma lì presente. "Shisui-sensei ... che ... che accidenti sta succedendo? Che vi siete dette per ridurre Nacchan in questo stato?"

La donna si sedette di fronte a noi, incrociando le mani sulle ginocchia. "Naruko-chan, posso riferire io al tuo chichi quanto mi hai raccontato?", mi domandò il permesso.

Spiandola attraverso la fessura delle mie dita, annuii senza un attimo d'esitazione, intimamente sollevata per averle delegato quell'incombenza.

Shisui-san ripeté quindi con accuratezza quanto da me confessatole, glissando tuttavia sulla questione del Mizuko, evidentemente per non farci passare per due isteriche gestanti.

Un boato sconquassò la casa dalle fondamenta.

"Che cosa?! Quel figlio di ...!"

"Minato-shi, se vuole insultare Sasuke-kun faccia pure, ma la prego d'astenersi dal denigrare la povera Mikoto-san, la quale è assolutamente estranea alla faccenda!", lo ammansì prontamente la cognata del - secondo mio padre - gaglioffo, acciocché non peggiorasse ulteriormente la situazione con minacce di morte e melodrammi sull'onore perduto e figlie ingravidate alle spalle d'ignari genitori.

"Giusto", convenne Otōsan, bloccandosi prima di pronunciare cose di cui si sarebbe in seguito pentito. Nondimeno, balzò giù dal divano, avanzando in cerchio per il salotto più nervoso di una tigre in gabbia. "Quell'infame, seduttore, fedifrago, bugiardo, ipocrita, criminale è un uomo morto! Come si è permesso di mettere incinta mia figlia? Razza di porco pedofilo!"

"Tou-san, ho ventun anni, sono ormai maggiorenne!", m'ersi a difesa del mio meco. "Inoltre, l'età del consenso in Giappone è a tredici anni, quindi non vedo ..."

"Come?", si strangolò per poco mio padre con la sua medesima saliva, interrompendo il suo snervato andirivieni. "Vai a letto con lui da quando avevi tredici anni? Depravato d'un approfittatore!"

Shisui-san si pizzicò imbarazzata la radice del naso, mentre io arrossivo alla stregua d'un pomodoro. "Otōsan, cosa dici?"

"Ma ... ma come è stato possibile? Tu ... incinta?"

"Minato-shi, desidera proprio conoscere anche i dettagli più scabrosi?"

L'espressione infinitamente sconsolata di mio padre ci suggerì di non elargirgli quell'immeritato coup de grâce.

"Diventerò nonno ... Ad appena cinquantadue anni verrò chiamato Minato-ojisan ...", bofonchiò stralunato il pover'uomo, cadendo pesantemente sulla poltrona  e reggendosi la testa con le mani. Disertato il mio posto, lo raggiunsi, passandogli consolatrice una mano sulla schiena ricurva.

"Suvvia, Minato-shi! Non la prenda così male ...", lo rincuorò dolcemente Shisui-san. "Pensi che Mikoto-san hanno incominciato a chiamarla Obasan a quarantadue anni!"

Otōsan mugolò qualcosa di non ben definito.

Shisui-san ed io ci guardammo rassegnate, attendendo che mio padre si riprendesse dallo shock.

"Perché è così, vero Nacchan?", si rianimò il genitore, uscendo dal suo attimo di paterno sconforto. E dinanzi al mio sguardo confuso, egli mi spiegò serissimo: "Che cosa hai intenzione di fare? Non hai ancora finito l'università, progettavi inoltre di partecipare a quell'Erasmus ad Oxford ... ", pretese di sapere, afferrandomi il polso onde impedirmi una fuga strategica. "Insomma, terrai o meno il bambino?", inquisì inflessibile, studiando attentamente prima la sottoscritta poi Shisui-san, che sospirò, lanciandomi anch'ella una significativa occhiata:

"E quanto tutti noi vorremmo sapere ..."

Compreso il Mizuko.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To be continued ...

******************************************************************************************************

 

Ebbene sì, adesso possiamo confermarlo, Naruko è incinta.

Ma questo non significa che i misteri terminano qui, anzi, quello era solo il primo di una punta d'iceberg di rivelazioni! Diciamo il più facile! Quindi se pensate di terminare qui la vostra lettura, hé, non saprete mai come finirà per davvero! ;-)

Naruko non ha mai pronunciato le parole "gravidanza" o aborto perché lei per prima si rifiutava di accettare il suo stato e per scaramanzia (i giapponesi sono piuttosto superstiziosi, quanto gli italiani direi) non ha voluto neppure accennare alla questione dell'aborto.  Siccome il racconto è in prima persona, ci dobbiamo accontentare degli svarioni del narratore/protagonista! ^^

Inoltre, vorrei precisare che io non voglio fare moralismi con questa storia, ovvero se sia giusto o meno abortire. Questa è una storia basata su di una credenza giapponese. Quale? Hehehehee, si saprà nei prossimi aggiornamenti! Ormai non manca molto alla fine!

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima, ciao!

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Capitolo 5
*** Giovedì, 5 Febbraio 1998 ***


Heilà!

Arriva il weekend e arriva l'aggiornamento! Siccome mancano solo due capitoli per terminare la storia, ho deciso che per il momento mi focalizzerò più su questa che sulle altre. Se gli astri me lo concedono, gli ultimi aggiornamenti arriveranno sicuramente prima di maggio! Quindi, prima di allora la fic sarà conclusa, yeah!

Avvertimenti!

Capitolo molto movimentato, dove ci saranno gesti, parole e pensieri davvero poco politically correct. Il solito, insomma, per chi mi segue da tempo e sa cosa aspettarsi nelle mie fic ...

Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.

Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, ricordate e preferite.

Vi auguro una buona lettura,

 

 

 

 

 

H.

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La situazione si stava dimostrando meno drammatica, di quanto s'aspettava Tobirama.

Ovviamente, quella mattina le librerie erano state prese d'assalto non appena aprirono le porte, dopo che i commessi avevano giusto finito di sistemare in maniera inutilmente artistica lo scaffale d'onore, creando gradite code alla cassa. Essendo L'Appuntamento un romanzo relativamente breve - ma non abbastanza da essere definito una novella - già alla sera incominciavano a fioccare i primi commenti, i quali, malgrado le classiche divergenze bello / brutto; piaciuto / non piaciuto, concordavano all'unisono quanto l'argomento trattato fosse ... inaspettato, spiazzando i lettori.

ultronHR scrive:

Tobirama-sensei starà sicuramente passando un periodaccio! =_=' Ma che tema ha scelto?!

sungbook scrive:

Forse è a corto d'idee ...

xing-hotkat scrive:

Aborto?! E da quando in qua è un tema da storia horror?! O.o

bettybonkers scrive:

Ricorda un poco gli horror spagnoli, mi piace!! *_* E voi due - ultronHR & xing-hotkat -  siete proprio degli zotici che non capite niente!

mugen1209 scrive:

Sebbene sia un argomento che tocca molto la sfera femminile, mi ha molto emozionato!

bettybonkers scrive:

Sì, è vero: ha descritto molto bene ciò che si prova! ^^

intrareeds717 scrive:

Beh, adesso è ufficiale: ogni volta che passerò sulle strisce, mi verrà in mente il Mizuko! XD

foxbattTIA scriva:

Mai viste tutte 'ste donne in un suo romanzo! I personaggi maschili li ha tutti messi in secondo piano!

sweet-hollybush97 scrive:

Baka! Quando mai gli uomini rimangono incinti?

nagy-nana scrive:

Sì, ma Naruko-chan poteva parlarne con Sasuke invece di confidarsi con Shisui-san, no?

sweet-hollybush97 scrive:

Perché voi maschi ascoltate una donna che contempla l'aborto?

nagy-nana scrive:

Hey, guarda che io non sono un maschio!

E via discutendo.

In fin dei conti, Tobirama trovava questi battibecchi relativamente "dolci". Mostrava un attaccamento dei lettori alle sue opere, le quali avevano raggiunto il loro scopo, ovvero far parlare di sé, istigando il dibattito e conseguentemente animando delle coscienze intorpidite.

Molto intorpidite, a giudicare da certe scemenze postate.

In ogni modo,  L'Appuntamento necessitava di una terza voce, quella del pubblico, per confermare se l'horror writer avesse o meno optato per la scelta più idonea. Izuna e Hashirama avevano più volte espresso la loro contrarietà circa la sua pubblicazione, mentre Tobirama e Naruko erano invece d'accordo, quest'ultima in particolare, la quale aveva spesso insistito affinché le fosse concesso finalmente di sfogarsi per il torto subìto e trovare pace. Tobirama non poteva esimersi da quest'obbligo morale nei suoi confronti.

Massaggiandosi gli occhi stanchi, l'horror writer si ritrovò a girovagare in giro per il salotto, toccando distrattamente i mobili, i vasi, le foto ... Una in particolare la colpì, manco si ricordava di averla mai tirata fuori ... La studiò: che taglio orribile aveva quand'era più giovane! Tenere i capelli lunghi, bleah! Pareva davvero idiota! Meno male che se li era tagliati ... Guardò l'orologio: le sei e mezza. Uff, quando si decideva quel delinquente d'Izuna a rincasare?

"Moshi moshi?", rispose immediatamente Tobirama al telefono  sia in quanto felice per quell'interruzione alla sua noia cosmica, sia per impedire che le sue povere orecchie dovessero soffrire ulteriormente per quell'immeritato martirio: detesta invero quella stridula suoneria! Avrebbe riferito ad Izuna di cambiarla quanto prima, altroché! "Ah, sei tu anija!" (si divertiva troppo a chiamare suo fratello con quel termine arcaico, possedeva davvero un animo dispettoso)

"Heilà! Allora, i fans ancora non t'hanno preparato il rogo?"

"No, e non contarci tanto presto!"

"Beh, dai, sono contento che sia finita bene! Forse, abbiamo un po' esagerato, Izuna ed io, preoccupandoci per niente ... HEY, E' USCITO UN SEI DAL DADO, QUINDI AVANZI DI SEI CASELLE, CHIARO?!"

Tobirama spalancò gli occhi. "Che succede?"

A rispondere fu Madara: "Stiamo giocando a Malefix e, come puoi ben immaginare, ci stiamo accapigliando. Di nuovo. Per la quinta volta in un'ora e mezza. A quanto pare, Naori-chan sta imbrogliando sfacciatamente pur di bloccare Hashirama. Uff ... che stressanti che sono ... Adesso al complotto s'è aggiunto Akira-kun e Kagami-kun non aiuta, anzi, s'è perfino coalizzato con suo cugino pur di bloccare me, capito?, me! Screanzato ... Basta, io li accoppo tutti. Posso?"

"Certo che no!", rise l'horror writer. Ovvio che l'uomo scherzasse: sotto sotto adorava in realtà quelle piccole pesti. Inoltre,  più cagnara c'era e più Hashirama regrediva allo stadio infantile e quindi l'infame compito di babysitter spettava a Madara, suo valido supporto morale e spalla su cui piangere da quando la buonanima di Mito era deceduta quattro anni addietro di tumore al seno. "Piuttosto, posso parlare con mio fratello, quando avrà smesso di litigare con dei bambini?"

"Okay, gli do un pungo in testa per calmarlo e poi te lo mando..."

"Aspetta un attimo, Madara! Ho un'altra chiamata in linea! Non riattaccare, eh?, torno subito!", l'avvertì Tobirama, infastidendo l'avviso di una seconda telefonata il suo orecchio ipersensibile. "Moshi moshi?"

Beep-beep-beep.

Aggrottando la fronte, l'horror writer ripeté: "Moshi moshi?"

Beep-beep-beep.

"Vabbè ... si sarà trattato di uno sba- ..."

"Sarebbe stato meglio saperti orizzontale in una bara, che assistere a questa tua pubblica umiliazione!"

Tobirama sbiancò.

"Cosa?"

"Sei una disgrazia, un fallimento, uno scherzo della natura. Perché ci hai denigrati così? Dovresti vergognarti! Dopo tutto quello che abbiamo passato per causa tua, che abbiamo fatto per aiutarti, così ci ripaghi?!"

L'horror writer deglutì male la saliva. "Ch-chichi ...?"

"Vai all'inferno!"

Beep-beep-beep.

"Moshi moshi? Scusa se ti ho fatto attendere! Ma Naori-chan stavolta l'ha sul serio combinata grossa ... Tobirama? Stai bene?"

Tobirama sbatté violentemente la cornetta del telefono, interrompendo in maniera troppo brusca la conversazione. Si portò una mano alla bocca, pensando furiosamente sul da farsi.

Corse a chiudere le finestre in cucina, tirando le tende sia lì che in salotto. Dopodiché serrò a doppia mandata la porta di casa, appollaiandosi sul divano ad operazione terminata, le mani congiunte come in preghiera e appoggiando la punta delle dita sotto il mento.

Come ... come accidenti avevano fatto ad ottenere il suo numero telefonico? Anni a proteggere la sua privacy e adesso invece ...  Che avessero contattato l'editoria? Possibile ... Quel deficiente di Gengetsu-san, non sospettando nulla, li avrà di sicuro aiutati a rintracciare un suo recapito  ... Che nervi! Che rabbia!

Avrebbe mai trovato requie da loro?!

Abbracciandosi le ginocchia e tamburellando nervosamente le dita, Tobirama sperò solo che Izuna si sbrigasse a tornare quanto prima a casa, prima che si mettesse a gridare la sua  frustrazione, strappandosi i capelli e mordendosi i polsi.

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

L'Appuntamento

dalla testimonianza di Naruko Namikaze

(segue)

 

 

 

 

 

Giovedì, 5 febbraio 1998

- manca 1 giorno all'Appuntamento -

 

 

 

 

"Tutto questo è ridicolo, Tou-san", borbottai, massaggiandomi imbarazzata le tempie e affondando il viso nella sciarpa. "Non siamo più nel medioevo!"

"E con ciò? Cosa vorresti dimostrare?", replicò bellicoso mio padre, controllando il telefonino. "E' una questione di principio, mosume! Siccome hai voluto coinvolgermi, adesso ho il diritto di conoscere tutta la verità e di prendere i giusti e sacrosanti provvedimenti!"

"Ma perché coinvolgere il povero Itachi-san?! Che t'ha fatto, scusa?"

"Tzé, adesso è lui il capofamiglia, ora che Fugaku-san è morto. Ergo, risponderà lui delle stronzate di suo fratello!"

"Eh?"

"Inoltre, data la sua professione, se ci sono ulteriori informazioni circa il tuo stato  da rivelare al tuo povero, ignaro e ingannato babbo, ben venga vista l'omertà da Yakuza che vige in casa mia ..." e l'occhiataccia che mi rifilò non mi diede alcuna forma di conforto. Non era che Otōsan se la fosse presa solo per la questione della mia gravidanza, bensì per il fatto che gliel'avessi tenuta nascosto per quasi due mesi, similmente a Menma e a mia madre.

"Informazioni? Itachi-san non è un ginecologo, ti rendi conto delle cavolate che stai sparando?"

"Comunque è un dottore: avrà sicuramente riconosciuto i segni!", s'intestardì il genitore.

"Ma, Tou-san! Io per prima me ne sono accorta neanche tre settimane fa!  Lo sai che ho sempre avuto il ciclo molto irregolare!"

"Sì tesoro, ne sono al corrente! O hai già dimenticato il povero fesso, che si recava al convenience store alle due del mattino per comprarti gli assorbenti?! E l'ibuprofene, dato  che ti contorcervi dal dolore peggio di una posseduta?"

"Sh! Zitto! Non urlarlo in giro!", lo zittii prontamente, guardandomi attorno circospetta: non fosse mai che qualcuno stesse origliando i fatti nostri.

"Beh, non mi pento!" e mi mise su un signor broncio da premio Oscar.

Dopo lo shock iniziale, mio padre aveva trascorso l'intero pomeriggio di ieri a tarmare me e Shisui-san con una sfilza interminabile di domande sulla mia gravidanza, tormentandoci per apprendere nel dettaglio i come, dove e perché, chetandosi soltanto al provvidenziale arrivo di Itachi-san, certamente indirizzato da sua madre alla ricerca della moglie "scomparsa". Da lì l'idea assolutamente ... sciovinista di Otōsan di organizzare questo incontro tra le due "famiglie", onde fare il punto della situazione. Come se ce ne fosse stato il bisogno! E ad aggiungere al danno la beffa,  Itachi-san aveva accettato senza porre alcuna resistenza, addirittura aveva stabilito l'ora e il posto per discutere tranquillamente, senza compromettere nessuno.

Ecco spiegato come mai mio padre ed io ci trovassimo alle due del pomeriggio nel gazebo del parco pubblico di Konoha, discutendo animatamente alla stregua di due babbuini drogati di caffè.

"Ah, finalmente! Sono giunti!", balzò in piedi il genitore, neanche avesse fiutato a distanza gli Uchiwa, i quali si unirono a noi sfoderando un granitico aplomb, o meglio, Itachi-san si dimostrava il più flemmatico di tutti, mentre sua moglie mi sembrava leggermente preoccupata. Mikoto-san, invece, ci guardava con la medesima cristallina freschezza di chi non sa niente di niente. Mi fece una pena immensa.

"Spero che non sia nulla di grave", esordì la donna, sedendosi dalla parte opposta rispetto a noi due. "Ho dovuto chiedere alla mia vicina di casa di vegliare sui piccini e su Ojisan!"

Non mi sfuggii come mio padre venisse vigliaccamente pugnalato alle spalle da un minuscolo e traditore senso di colpa: la povera donna sfoderava invero un'espressione genuinamente apprensiva e, in seguito al recente lutto, non corrispondeva proprio ad una grande carineria vituperarle il figlio con ... beh, inutili accuse. Ma quell'istante di mea culpa venne ben presto relegato nel dimenticatoio del suo cervello. "Mikoto-san, non era necessario che si fosse disturbata a venire ... Se vuole, può rincasare ... Ho soltanto bisogno di conferire con suo figlio Itachi-kun."

"Mia madre ha tanto insistito ad accompagnarci, Minato-shi, e visto che è ormai qui, lasciamola restare ... Insomma, nulla che ci stiamo per raccontarci rimarrà a lungo segreto, o mi sbaglio?", gli confessò sornione Itachi-san. Tradotto: se s'ha da fare uno psicodramma, che sia portato avanti con tutti i crismi! Ciak, azione!

"Piuttosto, non dovevamo parlare di Sasuke e di Naruko-chan?", c'incalzò Mikoto-san, gli occhi scuri che le brillavano d'aspettativa. Oh, intuivamo dove la matriarca volesse andare a parare! In fin dei conti, quello era ciò cui mirava anche mio padre. E, sotto sotto, anche Itachi-san.

"Non potremmo al contrario discuterne, dopo che uno dei diretti interessati è rientrato da Nagasaki?", tentò di negoziare Shisui-san, il cui sesto senso percepiva più aria di tempesta, che di lieti imenei.

"Per me va bene", le diedi manforte, annuendo convinta.

"Tu stai zitta!", replicò perentorio Otōsan.

"Effettivamente, la questione riguarda anche noi. In parte, però ci riguarda."

"Ma ... ma ..."

"Itachi-anata", insistette testarda sua moglie, richiamando con un breve cenno della mano l'attenzione del marito. "Non credi che stiamo esagerando? E' una questione che devono regolare da soli! Tu stesso fino a ieri concordavi con me!"

"Ti pare? Se siamo arrivati a questo punto, significa che hanno proprio bisogno di un sano calcio nel ..." e Itachi-san s'interruppe, non appena si accorse di come lo stessimo fissando interdetti, non aspettandoci un tale raffinato sermo da parte sua. "... volevo dire, un sano stimolo per svegliarsi e prendere in mano la situazione! Nevvero, Minato-shi?"

Quel masnadiere che avevo per genitore assentì solenne. "Assolutamente sì, Itachi-kun! E ora di mettere le carte in tavola!"

"Giustissimo!", esclamò Mikoto-san, elettrizzata.

"In aggiunta, non dobbiamo preoccuparci per Sas'ke-kun", ci annunciò Itachi-san, sorridendo d'un tratto perfidamente. "Visto che ci sta raggiungendo dalla stazione!"

Shisui-san ed io spalancammo poco elegantemente la bocca, fulminate dalla notizia. Credo che in quel momento mi fosse cascato il cuore nello stomaco, paralizzandomi nel peggior vivente rigor mortis della storia medica. La moglie di Itachi-san, al contrario, sembrava sul punto d'esplodere. 

"Lo hai fatto venire apposta da Nagasaki?!", sbraitò puntualmente la donna, illividendo fino al nero inchiostro e solo il cielo sapeva come Itachi-san facesse a perseverare nel suo stoicismo, poiché Shisui-san, da arrabbiata, rasentava l'orrore più assoluto. Aggiungeteci gli ormoni e diveniva una belva assetata di sangue. "Ti sei rincitrullito, per caso?! E il congresso?! Insomma, arrivare a ...!"

"Calmati, moglie, non fa bene né a te né alla bambina!", la fece ragionare il marito, provocando invece un ulteriore arrossamento nelle gote di Shisui-san, per essere apostrofata in maniera così paternalista. Dal nervoso tic alle dita, si stava trattenendo dal prenderlo a ceffoni qui davanti a noi. "E' stato mio fratello ad avermi riferito del suo ritorno anticipato. Infatti, l'ultimo speaker ha avuto un malore e quindi il congresso è terminato giusto stamattina. L'Otōto mi ha soltanto chiesto un consiglio: se rimanere lo stesso a Nagasaki (visto che la camera è già pagata) oppure se rincasare."

"E tu gli hai subdolamente suggerito di rientrare!", terminò sarcastica Shisui-san, promettendo al consorte le pene dell'inferno, una volta a casa. "Perché non ti conosco, sai! Consigliere fraudolento!"

"Beh, domani è il vostro anniversario, vero Naruko-chan? Speravo di fare una buon'azione, consigliando a Sas'ke-kun di ritornare prima, così da festeggiarlo appropriatamente!", si difese impunito quella faccia tosta d'un Uchiwa, osando perfino sorridermi angelicamente, mentre boccheggiavo nella vana ricerca di una replica.

Avevo completamente scordato di quella data. Sasuke ed io ci eravamo messi assieme esattamente il 6 febbraio: adesso comprendevo perché mi volesse portare a cena dopo il suo ritorno da Nagasaki. E io avevo preso appuntamento dal medico proprio quel giorno!

Mi venne da ridere istericamente e di fatti mi coprii la bocca col dorso della mano, soffocando quegli inappropriati risolini. Soltanto Shisui-san se ne accorse, appoggiando brevemente la sua mano sul mio ginocchio, un duplice invito a calmarmi e consolarmi.

"E se prendessimo qualcosa di caldo nel frattempo?", ci suggerì la donna, seguitando a fissarmi complice. "Così nel frattempo voi cicalate di quel che volete e Naruko-chan ed io ci sgranchiamo un po' le gambe ..."

Mikoto-san fece per alzarsi, ma la nuora bloccò questa sua iniziativa sul nascere. "Sicure che non avete bisogno che v'accompagni?"

"No, Mikoto-haha", la rassicurò Shisui-san con un deciso gesto della mano. "Naruko-chan mi basta, vero?"

"Sì, come cameriera sono un vero fenomeno!", mi vantai, balzando dalla panca e raggiungendo in fretta la mia "cognata".

Percorremmo in silenzio in bel tratto del sentiero innevato, senza voltarci né indagare su cosa gli altri stessero facendo nel gazebo. Solo quando raggiungemmo il chiosco di ristorazione, osammo finalmente rivolgerci la parola.

"Dopo che ci siamo congedate, ieri pomeriggio, hai ancora avvistato il Mizuko?", s'informò dolcemente Shisui-san, studiando distrattamente l'elenco delle bevande.

 

"No, per fortuna", sospirai di sollievo. "Credo ... credo che avendo accettato la mia condizione e soprattutto capito la natura di quel bambino, forse questi non mi perseguita più ..."

"Dunque, hai deciso di proseguire con la tua gravidanza?"

"Non ho detto questo. Ancora non lo so."

Shisui-san annuì, sebbene indovinai dal modo in cui serrava le labbra, quanto non fosse soddisfatta della mia risposta.

"Senti ... Posso farti una domanda?"

"Avanti."

"Tu puoi vedere il Mizuko soltanto perché sei incinta?"

La donna abbassò la testa, socchiudendo afflitta gli occhi. Nel momento in cui rialzò lo sguardo, vidi come essi fossero umidi. "Anni addietro, tra Tenmaku-kun e Saeko-chan, ho perduto un figlio."

Mi si serrò il cuore in petto all'udire quella sofferta confessione, in particolare al vedere quanto dolore la donna stesse ancora provando al ricordo. "Shisui-san, mi dispiace ..."

L'interpellata scosse il capo ricciuto. "All'epoca ancora ignoravo d'essere incinta. Si trattò di una disgrazia: correndo per prendere la corriera, scivolai sul ghiaccio e, ruzzolando, mi ferii. Di conseguenza ...", il suo tono di voce era ritornato flemmatico, quasi stesse leggendo un copione. Tuttavia, i suoi occhi seguitavano a mantenere quel luccichio liquido, che tradiva l'emozione ivi contenuta. "Da allora, posso vedere il Mizuko. Non il mio personale, no, perché gli dedico ogni sera le mie preghiere, affinché ritorni nelle mani di Kami-sama. I Mizuko, o i bambini-acqua, che vedo sono i feti abortiti dalle mie alunne o da altre donne di Konoha, figli non desiderati non in quanto frutto di "distrazioni", ma ..." e lì lasciò cadere il discorso, non preferendo addentrarci in un dominio molto più oscuro e tremendo dell'aver concepito per mancanza di protezione. "Ritornano comunque, se tu non li rendi giustizia. Per questo temo d'essere stata eccessivamente aggressiva con te e me ne rincresce. D'altronde, non potevo credere che anche tu, tra tutte, arrivassi a tanto. Stando alle descrizioni di Sasuke-kun, parresti la più giudiziosa e sensibile ragazza di tutto il Giappone. Quindi, rifiutavo di saperti caduta nel medesimo errore, specie avendo un compagno che sarebbe più che contento d'assumersi le sue responsabilità." 

Sì, ogni parola di Shisui-san corrispondeva al vero. Sasuke sarebbe letteralmente schiattato di gioia alla notizia. "Se però non ho abortito, perché il Mizuko mi perseguita? Cosa vuole da me?"

"Forse vuole un Mizuko kuyō e un'offerta a Jizō-sama, visto che sei shinto-buddista ... Oppure convincerti a tenere tuo figlio o ..." e qui il colore sparì per un istante dalle guance della donna. "Oppure avvertirti che perderai comunque il piccino ..."

Di riflesso mi portai una mano al mio ventre, deglutendo di traverso la saliva. "Non ... vuoi dire che ...?"

"Fanno 1.250 yen per favore ."

Fissai sbigottita l'inserviente al bancone del chiosco, che mi stava porgendo un vassoietto di carta contente le bevande calde. Sbattei confusa le palpebre: quando Shisui-san aveva avuto il tempo di fare le ordinazioni?

Non volendo fare ulteriori brutte figure (anche per scusarmi in parte per il teatrino imbastito da Otōsan), frugai concitatamente nella mia borsetta, assicurando la mia accompagnatrice della mia solvibilità.

Sennonché un braccio si estese oltre la mia spalla, cedendo all'uomo una banconota da duemila yen e ricevendo il resto. "Grazie mille, buona giornata." Lentamente, seguii la mano fino alla sua meta finale, la tasca del cappotto dove lasciò cadere le monete.

Né Shisui-san né io fiatammo, limitandoci a sgranare incredule gli occhi, la sottoscritta in particolare, la quale perse qualche battito cardiaco e anno di vita.

"Beh, cosa sono quelle facce? Dico, sembra che abbiate visto un fantasma!", scherzò Sasuke, spiandoci tuttavia attentamente di sottecchi.  Dovetti mordermi il labbro inferiore per non gridare la mia sorpresa o in generale blaterare assurdità. Cosa non avrei dato, in quel momento, per sprofondare comodamente sottoterra.

Shisui-san fu la prima a riprendersi dal nostro torpore cerebrale. "Toh, parlando del diavolo ...  Com'è andato il viaggio?"

"Bene, bene, sono appena sceso dal treno ...", le riferì in fretta Sasuke, sebbene continuasse a tenere lo sguardo inchiodato su di me, analizzandomi dalla testa ai piedi, neanche stesse vagliando ogni possibile "danno" alla mia persona, da giustificare il mio lungo e ostinato silenzio. Aveva domande, oh se le aveva!, e il modo in cui picchiettava l'indice al pollice mi rivelò la sua impazienza. "Come mai vi siete incontrate al parco? Ignoravo che foste divenute amiche!"

"Ignoravo che tu fossi così ficcanaso!"

"Ciò che riguarda Naruko, concerne anche me!", ribadì bellicoso Sasuke, arrossendo un poco e provocandomi una dolorosa capriola allo stomaco. In un altro contesto ne  sarei rimasta lusingata, ma ora ...

"Perfetto!", esclamò imperturbabile sua cognata, battendo le mani. "Allora, porta tu il vassoio, visto ch'era il compito di Naruko-chan!", gli intimò, offrendogli decisa il portavivande, che il mio fidanzato accettò con un divertito broncio.

"Schiavista!", protestò petulante, sorridendo però e tutta la sua figura parve rilassarsi, mentre ci incamminavamo verso il gazebo. La sua espressione assunse ciononostante una fuggevole tinta d'intima delusione, quando Shisui-san si pose strategicamente tra lui ed io, gesto di cui gliene fui grata, visto che non riuscivo a guardare Sasuke negli occhi senza voler scoppiare a piangere.

"Non ci racconti niente di Nagasaki? Novità sul fronte della medicina?"

"Euh?", cascò l'uomo dalle nuvole, avendo infatti cercando un contatto visivo con la sottoscritta, invece di ascoltare le parole della cognata. "Ah sì, ecco ... durante le pause tra un congresso e l'altro, il direttore dell'ospedale di Kyōto ha detto che stanno cercando degli oculisti per il suo reparto e date le mie capacità, accennava perfino ad una mia futura promozione a primario del reparto. Mi lisciava, ovviamente."

Shisui-san fischiò impressionata. "Non è vero! Sei il migliore del tuo campo, in dieci anni potresti sul serio divenire primario! Hai accettato?"

"Si trattava di una proposta, Shisui-nee, nulla di che", fece spallucce Sasuke, sennonché il modo in cui arricciava la bocca tradiva quanto invece fosse tentato dall'offerta.

La donna rise. "Suvvia, devi accettare! Contrariamente a tuo fratello, non hai mai sopportato la provincia, ammettilo!"

"E' che mi mancherà la mia famiglia: Kyōto non è molto vicina ..."

"Pah, vorrà dire che te ne farai una tua!", gli suggerì candidamente Shisui-san e sia Sasuke che io assumemmo una bella tinta scarlatta. "Eppoi, coi superveloci di oggigiorno, potrai venirci a trovare quando vorrai!"

"D'accordo, però lo stesso non spifferare niente ad Itachi-nii, fintanto  che non avrò preso una decisione, non desidero che ci ricami su quali progetti! Kaa-san in particolare: lei è famosa per i suoi voli con la fantasia!"

"Non fiaterò!", gli promise la cognata. "Questo lo prendo io: ormai siamo arrivati", aggiunse, togliendogli il vassoio di mano.

"Ma sei sicura? Non rischi di ...?"

"Se te lo lascio per altri cinque minuti, ci ritroveremo un bel niente da bere: stai versando tutto!", gli fece notare maligna Shisui-san, staccandosi da noi tramite quattro belle falcate: malgrado la gravidanza, non aveva perduto la sua camminata veloce né tantomeno peccava di mancanza d'agilità.

Ignoro se Shisui-san avesse agito così di proposito o perché stufa di contemplare la faccia da cane bastonato di Sasuke: fatto stava che adesso eravamo rimasti soli, lui ed io.

"Non m'aspettavo che ritornassi tanto in fretta!", asserii senza rifletterci sopra, giusto per colmare quell'incomodo silenzio insinuatosi tra noi.

"Ti dà fastidio?", domandò invece lui, mordicchiandosi ansioso il labbro inferiore.

"Non blaterare cacche di piccione!", esclamai indignata. "Tu non mi dai mai fastidio!"

"Dunque perché hai ignorato le mie chiamate?"

Eccolo là il nocciolo della questione, schiaffatomi in faccia senza tanti giri di parole: invero diplomazia e Uchiwa Sasuke non facevano rima.

"Avevo dei problemi, va bene? Non ... non stavo attraversando un bel periodo!"

"Questo mi pare evidente. Però potevi parlamene!"

"E disturbarti? Neanche per sogno!"

"C'era sempre mio fratello! Potevi lasciarmi un messaggio tramite lui!"

Sbuffai esasperata. "Itachi-san non è la nostra balia, ha la sua famiglia cui pensare! Diamine, talvolta sei più asfissiante di un boa constrictor!", berciai, pentendomi subito di quanto pronunciato non appena vidi l'espressione dell'Uchiwa, non dissimile da quella di uno che ha appena ricevuto un crudele manrovescio. "Mi dispiace ... non volevo ..."

Il viso di Sasuke s'indurì. "Mi biasimi perché mi preoccupo per te? Non dovevi mica telefonarmi tutti i giorni, sai? Bastava che tu m'avessi risposto per una sola volta e mi sarebbe bastato! Invece, mi hai tenuto col fiato sospeso per una fottuta settimana! Avrò il diritto di informarmi di tanto in tanto come sta la mia fidanzata, no? Oppure la nostra relazione si basa soltanto sul sesso? Una scopata ogni tanto e grazie mille per la partecipazione, alla prossima puntata?"

 Rimasi sopraffatta dal veleno e disgusto contenuti nelle ultime frasi: ovvio che per lui il nostro rapporto significasse tanto, sempre lo aveva coltivato colla massima delicatezza e dedizione, neanche si trattasse di un fragile fiore da proteggere. Ma a mia discolpa neanche io l'avevo mai preso alla leggera e mi feriva sentirmi rivolgere parole sì crudeli. Che mi meritavo, s'era per quello. Però comunque mi piagavano l'animo.

Avvertii un improvviso abbraccio riscaldarmi e le mani guantate di Sasuke accarezzarmi i capelli. "Sei preziosa per me, koibito, più di qualsiasi cosa al mondo. Ho il terrore di perderti, che ti succeda qualcosa di brutto. Tu, la prima con cui sia riuscito a legare, l'unica che mi abbia amato senza mai pretendere nulla in cambio", mi confessò, staccandosi lentamente da me. Il suo sguardo s'era immalinconito. Sospirò a fondo, tremante, prima di proseguire col cuore in mano: "Se tu però non vuoi più continuare a ... a vederci, sai che sei libera di troncare e non te ne farei mai una colpa ..."

Gli posi delicatamente una mano sulla bocca, interrompendolo. "Baka", mormorai piano, "non mettermi in bocca concetti, che non penso assolutamente!", gli ordinai perentoria, sorridendogli tuttavia.

Sasuke m'afferrò la mano, baciandone velocemente le dita. "Cos'è successo in questi giorni?" Figurarsi se desisteva dal suo proposito! Testardo d'un Uchiwa!

"Magari te lo racconto, quando mio padre non sta cercando di staccare la testa a tuo fratello, d'accordo?", sviai il discorso, contemplando divertita il modo in cui il mio fidanzato si voltò di scatto, quasi a controllare (seppur a distanza) il livello d'incolumità d'Itachi-san, il quale ero sicura se la sarebbe cavata comunque egregiamente, anche contro un Otōsan bramoso di soddisfazione.

"Promesso?", mi scrutò sospettoso Sasuke, riconcentrando la sua attenzione su di me.

Annuii. Mi rincresceva enormemente dovermi atteggiare così con lui (da omertosa gatta morta, puah!), però sul serio non sapevo come dirottare altrove la sua giustificata curiosità. Nella speranza che se ne scordasse, accantonando tutto nel dimenticatoio.

"Ah! Ho qualcosa per te!", si ricordò all'improvviso Sasuke, frugando nella tasca del cappotto e porgendomi un pacchettino piuttosto sgualcito se non proprio semi-mangiucchiato da ... "Mi si è aperta la boccetta dell'acqua benedetta in valigia ...", mi spiegò imbarazzato.

"Tu viaggi con la boccetta dell'acqua santa?"

"Embé? Una volta in valigia t'ho vista piazzare dei talismani tra le mutande e non mi pare d'avertelo mai fatto notare!", replicò giocosamente perfido il mio fidanzato.

Ridacchiai a mo' di scusa (avevo completamente rimosso quell'episodio), estraendo dal pacchettino uno di quei braccialetti-magneti che ultimamente andavano tanto di moda. Arrossii di piacere misto a sorpresa: ignoravo che Sasuke mi avesse sul serio ascoltata quando m'ero lagnata con lui, accusandolo  d'essere l'unico fidanzato in Giappone a non avermelo regalato.

"Spero che non si sia rovinato ... L'acqua l'ha investito in pieno, visto ch'erano vicini ...", borbottò Sasuke, sistemandomi il braccialetto al polso, dopo essersi levato i guanti, e approfittandone così vigliaccamente per accarezzarmi la pelle esposta.

"In quel caso, te ne ritorni di filato a Nagasaki per ricomprarmene un altro!", sentenziai falsamente solenne, sciogliendoci subito entrambi in una risata complice.

In quel momento, realizzai quanto bene stessi con lui, quanto ogni mia parola, azione ed espressione mi venisse naturale, senza che dovessi sforzarmi ad adattarla alle altrui aspettative. Mi stupii della mia previa reticenza ad incontrarmi con Sasuke: perché? Che avevo temuto fino ad adesso?

Ci abbracciammo forte, unendo altrettanto gioiosamente le nostre labbra, il cuore che ci balzava felice nel petto. Un'ondata d'euforia e fiducia mi pervase l'animo, tanto da  persuadermi a rivelare a Sasuke ciò che lui aveva il diritto di conoscere.

M'anticipò lui, invece. "Naruko ... forse sarebbe più consono chiedertelo domani, visto che è il nostro anniversario, ma ... ma vorresti ...?"

Un  improvviso e violento spintone gli impedì di continuare, facendolo indietreggiare malamente, non abbastanza da cadere però gli fu comunque difficile mantenere l'equilibrio. Scattò in avanti per fronteggiare il suo assalitore, bloccandosi tuttavia sul posto quando riuscì ad inquadrare il suo volto. Lo stesso equivalse per la sottoscritta: istintivamente m'ero lanciata per soccorrere il mio fidanzato, sennonché venni tirata in disparte e lontana da lui. Solo allora vidi chi ci aveva separati così bruscamente.

"Tu ...", sibilò mia madre, puntando feroce il dito contro un impassibile Sasuke e frenandolo dal ricongiungersi a me. "Ti avevo ben avvertito, quanto poco gradissi la tua presenza vicino a mia figlia!"

Non immaginavo che Okaasan sarebbe rientrata così presto dai nonni. Se soltanto Otōsan si fosse deciso una buona volta a raggiungerci ... magari l'avrebbe calmata ...  Era furiosa. Impazzita, quasi. Sperai che Sasuke non la provocasse o non sapevo come sarebbe finita. Il cielo ce ne scampasse che s'arrivasse agli insulti e alle mani. E a giudicare dall'espressione terribile di mia madre, era esattamente quello cui aspirava.

Il mio fidanzato strinse i pugni, trattenendosi però da gesti convulsi solo perché davanti ad una donna e soprattutto davanti a mia madre. "Sua figlia", ribatté glaciale "è abbastanza grande da frequentare chi vuole! Non ha il benché minimo diritto di ordinarle alcunché!"

"Okaasan", m'intromisi, tirandola per un braccio. "Okaasan, sei stanca, torniamo a casa! Ne riparliamo più tardi ..."

"Taci tu, screanzata! Mi avevi giurato che non l'avresti mai più frequentato!"

"Non è vero! Non l'ho mai fatto!", protestai energicamente, prima che Sasuke elaborasse quanto farneticato da mia madre. "Okaasan, per favore, andiamo a casa ... Onegai ... te lo supplico, non complichiamo ...!"

Venni spintonata via. Per fortuna che una panchina si trovava dietro di me, altrimenti sarei finita per terra a gambe all'aria. "Bugiarda e pure sgualdrina! Bella figlia che mi ritrovo!"

"Da che pulpito viene la predica!", le gridò dietro Sasuke, imporporandosi per lo sdegno suscitatogli da quella malagrazia e apprestandosi a raggiungermi. "Tutta Konoha sa che l'unica baldracca qui presente è lei!"

 Fu un attimo. Un battito di ciglia. Quando focalizzai bene la mia vista incredula, notai con orrore del sangue cadere dal naso e dal labbro di Sasuke. Sarà anche stato un uomo, ma beccarsi un cazzotto da impreparati doveva  lo stesso aver sortito il suo effetto. Mi augurai che non gli si fosse rotto niente.

"Okaasan ...!"

Sasuke si nettò la mano insanguinata sui pantaloni, gli occhi scuri che rifulgevano di una a stento repressa smania assassina.

Ma mai equiparabile a quella di mia madre. "Non permetterò che mia figlia si rovini la vita per della feccia come te! Hai capito?!"

"Senta lei ..."

"Hai capito?!", strillò isterica Okaasan, levando la mano pronta al bis. "O te la faccio passare io la voglia, di molestare la mia Nacchan!"

"GIU' LE ZAMPE DA MIO FIGLIO, STRONZA!!!", ci assordò il ruggito di Mikoto-san, corsa come un'indemoniata fino a noi. Non concesse a mia madre neanche il tempo d'accorgersi del suo arrivo, che la matriarca Uchiwa la prese a borsettate, spingendola lontano dal suo secondogenito.

La reazione di Okaasan non tardò a giungere. "Ma va' via, sporca!", le intimò, gettandole in faccia una pingue palla di neve.

"Udite, udite: la casta fanciulla!"

"Meglio d'una ipocrita baciatonache!"

"Sapessi cosa baci tu!"

"Parla lei, parla!"

"Vedrai come parlerai tu, dopo che t'avrò strappato la lingua!", ululò Mikoto-san un agghiacciante grido di battaglia, avventandosi su mia madre e buttandola in un tonfo per terra e prendendola a sberle. "Nessuno tocca i miei figli! Men che meno una cagna come te!"

In un battibaleno le due contendenti s'afferrarono per i capelli, rotolandosi nella neve, graffiando, mordendo e soffiando alla stregua di gatte inferocite, urlandosi ogni genere d'ingiuria a loro, alla famiglia, agli antenati. Okaasan era sempre stata molto forte nella lotta, però dovetti concedere che Mikoto-san le stesse dando non poco filo da torcere, anzi! Le piazzò una gomitata sui reni che le diede il vantaggio di sedersi a cavalcioni su di lei, menandola con gusto.

Sennonché, Sasuke le impedì di prenderci troppo la mano, afferrando la madre per la vita e la issò via con la forza, trascinandola indietro, distante dalla sua rivale. La quale invece approfittò della situazione per correre dall'altra, rifilando sia a lei che al figlio dei confusi manrovesci. Mikoto-san, livida per quell'affronto, prese a calciarla, sgusciando via da Sasuke in quel turbinio di braccia, mani e gambe e riprendendo la pugna con maggior vigore.

"Che diavolo state facendo voialtre?"

Grazie al cielo, sopraggiunse Itachi-san a dare a manforte al fratello, ognuno gettatosi sulle due lottatrici e afferrandole e strattonandole dalla parte opposta, nel difficile tentativo di separarle: Okaasan teneva infatti i denti ben piantati nell'avambraccio di Mikoto-san e questa aveva ghermito la sua capigliatura col fermo intento di renderla calva anzitempo.

"Basta, voi due! Basta! Ci stanno guardando tutti, non vi vergognate?!", le rimproverò un furibondo Otōsan, i quale s'era messo a suo rischio e pericolo in mezzo a quel nodo di carne, districandolo tra un graffio e una sberla, affinché gli altri due uomini riuscissero nel loro intento di porre fine a quell'ignominioso spettacolino.

Mi coprii la faccia, incapace d'assistere oltre.

"Tu parli di rovinare la vita altrui, eh?", ansimò feroce Mikoto-san oltre la schiena di Itachi-san, trattenuta a viva forza nel frattempo da Sasuke.

"Kaa-san, basta!"

"Tu rovinasti la vita di mio fratello! Scrofa! Impestata! Vacca bastarda! Puttana d'una puttana!", si lanciò in avanti, mulinando le braccia onde colpire Okaasan, ma Itachi-san glielo impedì, ergendosi a scudo umano. "Non osare fare a noi la morale, troia!"

"Haha, silenzio!", ringhiò Itachi-san con un tono talmente minaccioso e severo, che sua madre non solo tacque, ma abbassò perfino lo sguardo, seguitando però a tenere la sua smorfia aggressiva. "Non è né il luogo né il momento per rinvangare certi episodi del passato! E adesso, se hai mantenuto ancora un po' di giudizio, permetterai a mia moglie di riaccompagnarti a casa, dove ti pulirai il viso e reciterai qualche Confiteor per il tuo atteggiamento poco consono alla nostra fede!"

E voltandosi a noi: "Quanto a lei, Kushina-san, se vengo a sapere che ha messo ancora le mani addosso a mio fratello, mi vedrò costretto a denunciarla, anche se questo mi addolora enormemente, considerata la grande stima e amicizia che mi lega a suo marito, a Menma-kun e Naruko-chan!"

"Che m'importa! Purché lui stia lontano da mia figlia!"

"Naruko ed io siamo entrambi maggiorenni e liberissimi di frequentare chi ci pare e piace! Non vedo nulla di criminale in questo!", protestò Sasuke veementemente. "La smetta di trattare la mia famiglia e il sottoscritto alla stregua d'una masnada di malviventi!"

" Non voglio un emarginato nella mia di famiglia! Né tantomeno un miscredente che adora un vagabondo giustiziato come i fuorilegge!"

Gli Uchiwa illividirono, affatto contenti di quella vituperazione del loro credo.

Mio padre, intuendo la piega disastrosa che stava prendendo la situazione, decise di impedire il peggio e afferrò Okaasan per le spalle, traendola in disparte. "Ne riparliamo un'altra volta, Kushina", dichiarò, forzandola a guardarlo dritto negli occhi. "Itachi-kun ha ragione: stavolta hai davvero oltrepassato ogni limite!"

"Anche tu mi tradisci? Sei dunque dalla loro parte?"

"Kushina, per favore ...", l'avvertì perentorio mio padre.

"Tanto a te che t'importa? Non ti sei mai curato dell'avvenire dei tuoi figli! Ma io sì !", esclamò, sciogliendosi rabbiosamente dalla presa del marito. "E tu, tu non l'avrai mai! Nacchan non ti sposerà mai! Capito? Mai! Lei non è tua, non è e non sarà mai tua! Domani abortirà quel parassita che tiene in corpo, che per la cronaca non è manco figlio tuo!"

Lo strappo. Il punto di non ritorno era stato oltrepassato.

Mi sentii mancare e magari smisi anche di respirare, costringendomi un violento capogiro a barcollare all'indietro, cercando a testoni la panchina onde sedermi prima di cascare per terra, morta. Fu Otōsan ad afferrarmi in tempo, intercettandomi. D'istinto nascosi il viso sul suo petto.

Sasuke non aveva accolto la novità meglio di me: pareva l'avessero pugnalato in pieno petto.  Impallidì fino al cadaverico, sgranando gli occhi e le sue mani si staccarono di riflesso da sua madre. Gli tremava il labbro inferiore, mentre con lo sguardo mi supplicava di giustificarmi in qualsiasi modo, di dirgli qualsiasi cosa tranne l'orrore che aveva appena udito.

Shisui-san mi lanciò un'occhiata compassionevole, scuotendo il capo. Giurai d'aver sentito imprecare Itachi-san tra i denti. La matriarca, invece, ridacchiò ostile.

"Tale madre, tale figlia!", sentenziò piena di sarcasmo. "E il bello che la stavamo per accogliere in casa! Che nuora di merda, mi sarei trovata!"

Shisui-san le cinse le spalle, interrompendo la sua sequela d'insulti. "Mikoto-haha, non giungere a conclusioni affrettate. Si tratta di un malinteso, te l'assicuro", le sussurrò calma, conducendo discretamente la suocera verso la loro casa.

Un pesante silenzio s'impose tra di noi. Non sapevamo più che dirci, né tantomeno osavamo guardarci in faccia. Trovammo la neve ai nostri piedi più degna d'attenzione. L'unica che si stava godendo il momento era Okaasan. Mai come in quell'istante avrei desiderato ammazzarla, in barba alle sue giustificazioni che stava agendo per il mio bene. Mi aveva annientata. E inveii contro me stessa per averle rifilato quella bugia, invece di raccontarle sin dal principio la verità.

Tutto mi si stava ritorcendo contro.

E ora avevo perduto Sasuke.

Sciogliendo le braccia tenute fino a poco fa conserte al petto, Itachi-san si schiarì la voce. "Temo che non abbiamo null'altro da dirci, Namikaze-shi", annunciò, inchinandosi profondamente e obbligando suo fratello ad imitarlo tramite un colpetto al braccio. "Auguro a lei e alla sua famiglia un buon proseguimento di giornata."

"Sono desolato per quanto avvenuto, Uchiwa-san", rispose a tono mio padre, ricambiando l'inchino. "Lo stesso vale per voi: buona giornata."

Ci incamminammo ognuno nella direzione opposta, senza lanciarci un'ultima occhiata alle nostre spalle.

 

 

 

~ ~ ~

 

 

 

Una volta giunti a casa, si scatenò l'inferno.

 Benché mi fossi ritirata in camera mia, rifiutandomi di pranzare, potevo benissimo sentire i miei genitori discutere  animatamente in salotto, Otōsan in particolare che, nonostante il tono di voce calmo, vibrava di collera.

"Si può sapere che cosa credevi di fare in quel momento? Che ti è passato per quella testa? Umiliare così tua figlia dinanzi ad una delle poche famiglie rispettabili in questo puttanaio di città! Gli Uchiwa sono stati gli unici a non avermi sbattuto la porta in faccia, quando ancora non contavo niente! Mi pareva ovvio, se non proprio garbato, ricambiare la loro amicizia e disponibilità favorendo l'unione tra Nacchan e Sasuke-kun! Ti rendi conto, che adesso non la vorranno manco più vedere dipinta, figurarsi frequentarla?! Anche se il loro Iesu-sama predica il perdono, mica lo applicano sempre, sai, i suoi seguaci! E di certo non lo faranno con noi!"

Un improvviso tonfo mi suggerì come avesse sbattuto il pugno sul tavolo, la sua usuale valvola di sfogo. "Io davvero non ti riconosco più, Kushina. Una volta, non ti saresti abbassata a queste obbrobriose scenate, certo, avresti messo su un epico broncio, m'avresti tarmato per un mese o due, ma tant'era! Non mi pare che tu abbia preso a pugni Gaara-kun, il giorno in cui Menma-kun ce l'ha presentato come suo partner! E poi, cos'hai contro gli Uchiwa? Se non erro, a scuola tu e Mikoto-san eravate migliori amiche, che accidenti insomma ti sta prendendo?"

Lentamente scivolai dal mio letto, posizionandomi in punta di piedi in cima alle scale.

"E' inutile che tenti di spiegartelo, Minato: sei prevenuto. Non ragioni obiettivamente. Innanzitutto, io ho soltanto riferito ciò che Nacchan stessa m'ha detto, né una parola di più né una parola di meno. In secondo luogo,  gli Uchiwa sono una famiglia d'attira-disgrazie, tutti a Konoha li guardano storto per le loro eccentricità. Inoltre, Sasuke è troppo vecchio per lei, mi fa ribrezzo il suo interesse per Nacchan, la quale deve ancora finire l'università e farsi una carriera e ..."

"Sii sincera: chi vuoi veramente evitare? Sasuke-kun o sua madre?"

"Come prego?"

"Quale torto facesti al fratello di Mikoto-san?"

Silenzio.

Allungai il collo per origliare meglio la conversazione.

"Non sono affari che ti riguardano", dichiarò infine Okaasan in un borbottio aggressivo. "Tu stesso affermasti, come non t'importasse nulla di quanto avvenuto prima del nostro matrimonio!"

"Dici il vero. Non me ne frega niente. Ma incomincerò ad interessarmene, in caso dovesse questa essere la  ragione per la quale tu t'ostini ad immischiarti nella vita sentimentale di nostra figlia!"

"Cosa?", esclamò sconvolta mia madre.

"Kushina, te lo dirò un'ultima volta: basta così. Nacchan e Sasuke-kun si amano. E' un dato di fatto. Non puoi renderli infelici per un tuo egoistico capriccio né per un tuo errore del passato: è inumano e insensato da parte tua! Che ti piaccia o meno, nostra figlia si sposerà con quell'Uchiwa e avrà quel bambino! Scommetto poi che è stata una tua idea, quella dell'aborto!"

"Che altro avrei dovuto fare? Lasciare che partorisse il bastardo di chissà quale sconosciuto?"

"Pah! Tu hai voluto credere a questa bugia, perché ti conveniva! Ma entrambi sappiamo che solo Sasuke-kun può essere il padre della creatura! Ma tu hai spaventato a tal punto Nacchan, da costringerla a mentirti!"

"Non è vero!"

"Invece è così. E la questione finisce qui. Anzi, ti conviene abbassare il capo e chiedere scusa ad un bel po' di gente, tua figlia in primis, se non vuoi perderla per sempre!" e dal rumore delle sedie intuii come la discussione fosse giunta al suo termine.

Rientrai di filato in camera mia, non appena avvertii i passi di mio padre farsi più vicini, segno che stava salendo anch'egli al piano superiore.

Mi distesi sul letto a pancia ingiù, raggomitolandomi, colta da un'improvvisa sensazione di freddo interiore, il quale mi gelava perfino le ossa.

Incominciai a battere i denti.

Strinsi le lenzuola.

E, mordendo il cuscino, cacciai uno sconquassante urlo ingolato.

In nessuna delle mie più arzigogolate congetture ero mai riuscita a figurarmi, quanto dolore m'avrebbe provocato la separazione da Sasuke. Anche se non era nulla di ufficiale, sarebbe stato da idioti sperare che ancora volesse avere a che fare con me, in seguito ad una rivelazione del genere. Nella mia indecisione e stoltezza, avevo rovinato tutto, allontanando una persona che m'amava sinceramente. Avevo rifiutato la soluzione più logica e naturale e per cosa in cambio? Per cosa? Per la carriera universitaria? Per un futuro lavoro? Sarebbero comunque arrivati in seguito!

Cretina, cretina, cretina che non ero altro!

Avevo avuto tra le mani un'occasione d'oro per essere felice e l'avevo gettata sui rovi!

Mi meritavo quanto accadutomi, buon pro mi facesse! Così imparavo!

Chissà cosa stava  pensando Sasuke di me. Se m'andava bene, mi commiserava come suo fratello. Altrimenti, mi avrebbe insultata tra sé e sé, complimentandosi poi della sua fortuna per non essere stato inguaiato da una donnaccia come la sottoscritta. Magari si sarebbe pure dato dello stolto per avermi amato, lasciandosi abbindolare da una stupida illusione. L'avrei poi mai più rivisto? Oppure si sarebbe trasferito a Kyōto per dimenticarmi? E una volta lì? Avrebbe trovato un'altra compagna, certo che doveva essere così, non sarebbe rimasto celibe per sempre, si sarebbe sicuramente maritato con un'altra, probabilmente una Kirisutokyouto come lui, una brava donna, insomma, non una che l'aveva fatto soffrire come un cane, abortendo suo figlio. Sempre che lui lo considerasse come tale: se aveva creduto alla bugia di mia madre, alla mia bugia ... Già me lo immaginavo nella sua nuova casa, assieme a sua moglie e forse pure con un pargolo appresso ... lui rideva, completamente dimentico di me ...

E se avessi tenuto il bambino? Sarebbe stato l'ultimo legame con Sasuke ... Sarebbe stato costretto anche solo a vedermi per amore della creatura ...  A meno che ... non me lo portasse via. Ma no, non poteva, non avrei permesso che venisse allevato da quella stronza di sua moglie! Ancora (perché si trattava di una questione di tempo) ancora non conoscevo il volto di quella smorfiosa, ma già sentivo di detestarla fino all'ultima fibra della mia persona. Lei non poteva avere Sasuke! Nessuno l'avrebbe avuto! Neanche per sogno!

Mi passò per la mente un malsano pensiero ... Se non per il bambino, se non per me ... Piuttosto che perderlo, l'avrei ammazzato, sì, l'avrei ammazzato e poi avrei ucciso me stessa. Così saremmo rimasti assieme! Per sempre!

Scattai seduta, tremando dalla testa ai piedi. Fissai sbigottita il mio sconvolto riflesso allo specchio.

Ma che accidenti stavo pensando? A quale follia mi stavo abbandonando?

Come avevo potuto anche per un secondo contemplare qualcosa di sì orribile, egoista? Un omicidio! Battei un pugno sulla fronte, intimandola a tacere, a non suggerirmi simili vigliacche atrocità.

Invece, afferrai il cellulare, componendo rapidamente il numero di Menma. Avevo bisogno di sfogarmi, anche di sentirmi dare della deficiente, ma sulla spalla di qualcuno dovevo pur piangere.

"Moshi moshi?"

"Menma-nii!", singhiozzai senza ritegno, non concedendogli neppure il tempo di pronunciare il tipico Come stai? di cortesia.

"Nacchan? Maledizione, Imōto! Ma ... ma stai piangendo? Cos'è successo?"

"Lo sa! Lo sa! Sasuke lo sa!"

"Aspetta ... Sasuke sa della tua gravidanza? Gliel'hai detto? Finalmente, era ora!"

"Non proprio ...", pigolai, tirando su il naso e, benché ambigua, mio fratello fu subito in grado di cogliere il significato recondito della mia frase.

"Un momento! Non è che il bastardo si rifiuta di riconoscere il bambino, eh? Perché lo ammazzo come un cane!"

Beh, non proprio.

"No, Niisan! Non è così! Okaasan gli ha spifferato della gravidanza ... Ha ... ha detto che domani avrei abortito e ... e che ... e che non è figlio suo ... E questo ... davanti a ... a S-Sasuke e ... e a tutta la sua famiglia ..."

Sentii mio fratello sospirare profondamente, snervato.

"Merda", fu di fatti il suo esauriente commento, sebbene ebbi il sospetto che avesse bofonchiato altre intellegibili carinerie tra sé e sé.

"Non mi vorrà più vedere!"

"Ascolta Imōto, adesso fai un bel respiro e calmati! Non ti fa bene agitarti così! Rilassati e cerchiamo di ragionare assieme. Per prima cosa, devi contattare subito Sasuke, devi raccontargli subito tutta la verità, la tua verità! Non potete troncare per una bugia!"

Scossi il capo energicamente."Non servirà a niente!", mormorai sconfitta.

"Ma almeno tenta, maledizione! Io intanto chiamo suo fratello per sentire la sua opinione: se lui non ha creduto alla balla di Okaasan, vedi che riuscirà a mettere un po' di sale in zucca a Sasuke!"

"E se Itachi-san la pensasse invece come il suo otōto?"

"Allora mi rivolgo a sua moglie. O a chiunque possa ascoltarmi. Non gettiamo la spugna, capito? Non quando questo malinteso si basa su di una crudele menzogna! Il piccino è suo, punto! Altrimenti è un coglione per cui non vale la pena perderci la salute!"

Convenni tra incerti singulti, ansimando qualche sì con voce tremula.

"Si risolverà tutto, Imōto. Non ti preoccupare: su di me puoi sempre contare, sì? Me ne sbatto se m'insultano, per te questo e altro!"

Mi asciugai gli occhi col dorso della mano. "G-grazie, Menma-nii ..."

"Vai a sciacquarti il viso e mangia qualcosa. Poi, quando ti senti più calma, telefona pure a Sasuke. Per allora, avrò parlato con qualcuno. Mi raccomando, eh? Stai tranquilla! Al resto ci penso io!"

"D'accordo ..."

"Ti richiamo più tardi, ma tienimi comunque aggiornato!"

"Sì ...", lo rassicurai, chiudendo la chiamata. Intrecciai le mani sul grembo, prendendo tre o quattro respiri profondi nel tentativo di rilassare i miei nervi sovraeccitati e domandandomi come me la sarei cavata senza il supporto di mio fratello. Mio padre, per quanto amorevole, era una presenza che andava e veniva nella mia vita; con mia madre s'altalenava un rapporto d'amore/odio ... No, l'unica costante s'era sempre rivelato Menma ... Mi ripromisi in futuro di comportarmi meno scorbuticamente con lui.

Con questa risoluzione m'alzai, dirigendomi verso il bagno.

Aprii il rubinetto dell'acqua fredda, accingendomi a pulire via dal viso i rimasugli delle lacrime e di quel poco di mascara che avevo applicato sulle ciglia, avendomi trasformato il previo pianto in una brutta copia di Pierrot. Sennonché la mia attenzione si concentrò su di una macchia rossa stagliatasi sul bianco del lavandino. Ne seguì presto un'altra. E un'altra ancora. Interdetta, le sfiorai coll'indice, percependo subitaneamente una vischiosa umidità bagnarmi il labbro superiore. Vi passai titubante la lingua, le cui papille gustative vennero punte da un famigliare sapore ferroso.

Sangue.

Levai bruscamente il capo, studiandomi affannosamente allo specchio: un pingue rivoletto di sangue mi stava colando dal naso, sorpassando e aggirando il gibboso ostacolo della bocca, per scivolare in lente gocce dal mio mento.

Come galvanizzata, unii le mani a coppa e mi nettai la parte inferiore del volto, sfregando alacremente onde rimuovere la benché minima traccia di quella copiosa epistassi. Ben presto il lavabo da bianco divenne scarlatto, aumentando la mia frustrazione e vanificando i miei tentativi di contenere quello sfogo nervoso, che fin da piccola mi aveva tormentato ogniqualvolta mi trovassi particolarmente sottopressione. Viso, polsi, lavandino, il sangue macchiava dappertutto e non voleva scomparire.

"Vai via ... Che diamine, vai via ...", ringhiai, passando piccata la mano sulla ceramica imbrattata. "Vai via ..."

"Ti piacerebbe, vero?"

I capelli sulla mia nuca si rizzarono.

Dietro alle mie spalle, il Mizuko mi sorrideva malevolo allo specchio. "Avanti, rispondi: ti piacerebbe, vero?"

Mi voltai di scatto, pronta ad affrontare quel maledetto bambino una volta per tutte. Tanta era la mia afflizione e rabbia per quanto accadutomi quella mattina, che non m'importava oramai di niente.

Rimasi basita: quel dannato era sparito!

Ma dove ...?

Quand'ecco, che mi ritrovai improvvisamente scaraventata verso il muro e, nella fretta di porre avanti le mani onde mitigare l'impatto, persi l'equilibrio, cadendo bocconi per terra.

"Che triste, quando vieni rifiutato da chi ti ama. Dico il vero, Naru-tan?", mi provocò il Mizuko, i cui piedi si confondevano con l'acqua raccolta dal lavabo, mentre quella dal rubinetto s'aggiungeva, aumentandone pericolosamente il livello fino a farlo lentamente strabordare.

"Non ti ho abortito! Quindi lasciami in pace!", gli intimai, stufa marcia di sorbirmi quelle sue sentenze sibilline. Mi posi traballando in piedi; purtroppo, il bambino dal mantello blu m'anticipò, dandomi un calcio proprio all'addome.

Ansimai di dolore, stramazzando per terra di schiena.

Subito, quelle piccole mani gelide s'avvinghiarono al mio collo, premendo con forza assassina. Le gocce colanti dal suo cappuccio blu mi bagnavano il viso in un lento stillicidio.

"Tu mi ordini di lasciarti in pace? Io non lascerò mai questa casa, Naru-tan, mai, finché non mi accetterete!", sibilò, applicando maggiore pressione sulla mia povera gola.

Mi uccide! , cogitò la mia mente presa dal panico, mentre la vista mi si offuscava per la mancanza di ossigeno. Vuole ammazzare me e il piccino!

"Che ci fai tu qui?"

No!

"Mi lasci passare!"

Non voglio!

"Come ti permetti?! Questa è una violazione di domicilio!"

Mio figlio deve vivere!

"Kushina, che accidenti sta succedendo?"

Mio figlio deve vivere!

"Minato-shi, per cortesia, mi faccia parlare con Naruko!"

DEVE VIVERE!!

Appellandomi alle mie ultime energie rimaste, coordinai un pugno trasverso in faccia al Mizuko, colpendolo proprio col polso ornato dal braccialetto di Sasuke, sperando che gli spigoli dell'accessorio provocassero maggior dolore a quel disgraziato d'un bambino.

Inaspettatamente, funzionò: neanche l'avessero ustionato col ferro incandescente, il Mizuko strillò alla stregua d'un porco sgozzato, indietreggiando e tenendosi la fronte ferita. Senza concedergli il tempo di riprendersi scattai in piedi e corsi fuori dal bagno, ma sfortunatamente quel maledetto m'afferrò per il maglione, strattonando violentemente onde trattenermi. M'aggrappai allo stipite della porta, tirando con la forza della disperazione, fino a strapparmi un pezzo dell'indumento, il cui sinistro rumore segnò la definitiva separazione tra me e il Mizuko, il quale scomparve con un grido rabbioso nel pavimento, mimetizzandosi con la pozza d'acqua sorta per colpa del rubinetto aperto.

Quanto a me, finii sbilanciata in avanti e con tale velocità da non avere neanche il tempo di puntare i piedi e fermarmi. Riuscii soltanto a girarmi, giusto per vedere mio padre correre angosciato verso di me, stendendo il braccio per afferrarmi. Mancò di qualche centimetro la mia mano.

Capii all'ultimo momento che mi trovavo sul bordo delle scale, pronta a scendervi ruzzolando fino al pianterreno.

Era finita.

Per il mio bambino era finita. Non sarebbe sopravvissuto a questa caduta.

Il Mizuko aveva vinto.

Chiusi gli occhi, preparandomi alla dolorosa collisione.

Nel buio della paura più nera, udii grida, un tonfo, un sofferente gemito,  passi concitati e soprattutto due forti braccia che, serrandomi fino a soffocarmi, avevano attenuato l'urto per me.

Dopodiché, tra quel marasma di suoni, distinsi con chiarezza la prepotente sirena dell'ambulanza.

Infine, non seppi più nulla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Next chapter, the end ...

 

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In un momento d'estrema pigrizia mentale e creativa, Hoel era quasi tentata di porre la parola fine durante l'incontro con Naruko e Sasuke al parco. "Massì, facciamo che si chiariscono e poi baci, baci, un po' di fluff e caliamo il sipario." Dopodiché, la vostra fedelissima si mise a ridere sadicamente: "Seeee, col cavolo! Devono soffrire! Muhahhahah!!" E così vi toccherà sorbirvi un altro capitolo per sapere come finirà tra Isso, Essa e il Pupo più un secondo per la conclusione di tutta la storia! La quale, devo ammettere, dopo lo confusione iniziale è davvero scivolata via! Manco ci credo che stia per finire! XD

Se in questo capitolo avete avuto l'impressione che Naruko abbia avuto atteggiamenti da schizzoide drama queen, beh, sappiate che così un po' lo sono i giapponesi. Guardando certi film, sono rimasta davvero spiazzata da alcuni loro gesti che manco nelle tragedie shakespeariane s'era arrivati a simili livelli di melodrammaticità. Come ad esempio di donne che ricattano gli ex col suicidio. Eppoi, ammettiamolo: la povera Naruko è capitata in una situazione più grande di lei e non sa come uscirne, senza commettere un errore dietro l'altro. Direte che è un'immatura e lo è, che colpa ne ha? Avessimo tutte le risposte della vita a ventun anni! XD La sua situazione famigliare, poi, non l'aiuta di certo, anzi, la rende doppiamente insicura e bisognosa di sostegno, che tuttavia teme di chiedere per non essere rifiutata e soprattutto giudicata. La mia non è una giustificazione del personaggio, anzi!, a me piace descrivere apposta di personaggi sbagliati, grigi, umani e se riesco a scatenare reazioni e dibattiti su di loro, meglio! ^^

Comunque, ho finalmente realizzato il mio sogno segreto di descrivere una scazzottata tra donne ... Solo perché Fugaku è un nato incazzato, non significa che Mikoto sia sempre la cara moglie angelica e comprensiva, dolce, cara, buona e farina farosti ...

 Detto questo, non ci resta che attendere gli ultimi due aggiornamenti, no?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Alla prossima, ciao!





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Capitolo 6
*** Venerdì, 6 Febbraio 1998 ***


 Heilà!

Mi scuso per il ritardo con cui giunge questo capitolo, di solito tento di mantenere un ritmo di almeno "ogni due settimane" nel weekend. Ma alas, la pigrizia primaverile m'ha ghermita, aggiunta al fatto che sono sempre stanca! A momenti m'addormento alla fermata dell'autobus alla mattina! XD

Comunque, eccoci qua, dai, ad un capitolo dalla fine!

Sinceramente, essendo io allergica ai finali, non so come sia venuto questo capitolo, speriamo bene! In realtà questo non è un finale, -ale, -ale, l'epilogo spiegherà ciò che qui manca.

Perché? Perché sono dispettosa! ;-P

Avvertimenti!

Capitolo fiume. Sul serio, il Nilo ha straripato! Mettetevi comodi, con una bella tazza di tea/cioccolata calda / latte / caffè, un cuscino dietro la schiena e ... enjoy!  Questo per lavarmi le mani, in caso d'errori di battitura! Ihihihi .... XD Un pochino poi di lemonade, perché siamo in vacanza.

Ulteriori note e commenti si troveranno a fine capitolo.

Il prossimo aggiornamento arriverà dopo Pasqua. Hoel va in letargo primaverile, eggià!

Infine, un sentito ringraziamento a tutti i miei lettori e recensori, in particolare a Imoto, Lucrezia_Uchiha e Jo95. Grazie anche a coloro che hanno messo questa storia tra le seguite, ricordate e preferite.

Vi auguro una buona lettura e ...

 

 

 

BUONA PASQUA 2015!!!

 

 

 

 

 

H.

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L'Appuntamento

dalla testimonianza di Naruko Namikaze

(segue)

 

 

 

 

Un breve intermezzo

 

 

Difficilmente ci si dimentica del giorno in cui si diventa una coppia a tutti gli effetti. La gioia sperimentata in quel momento appare tanto intensa, da cicatrizzarsi nella pelle, nella memoria, in ogni molecola del proprio essere. Anche nel caso di una rottura, non si può non ricordare con un certo malinconico affetto il sorriso del rispetto partner quando, alla domanda: "Allora, stiamo sul serio assieme?", si risponde dementi: "Certo che sì!"

Sasuke ed io non avevamo programmato fin dall'inizio di metterci insieme, non ufficialmente almeno. Avevamo preso a frequentarci in maniera discreta, quasi sospettosa, ognuno valutando le reali intenzioni dell'altro in un subdolo quanto intrigante gioco di strategia. Il primo passo consistette nell'accantonare definitivamente quel ridicolo disprezzo ostentato in maniera, a detta di terzi, invero "pacchiana". Una volta quindi smesso di comportarci alla stregua di macchiette decerebrate, instaurammo una sorta di amichevole patto di non aggressione, ben presto seguito da un innocuo cameratismo che divenne sempre meno neutrale fino a cambiare in un sentimento più profondo, ambiguo.

Intanto, trascorsero sei mesi. Per alcuni forse pazzesco, ma per noi necessario affinché i poli estremi dei nostri mondi s'incontrassero e si congiungessero dopo aver trovato una solida base comune. Avevamo infatti tacitamente compreso e accordato, che tra noi due non ci sarebbe mai stato il famoso refrain "è solo sesso". Da parte mia, giudicavo rapporti simili un chiaro segno d'aridità di spirito. Ridurre un atto così intimo a della mera ginnastica? Vai piuttosto in palestra e sfogati con le flessioni! Quanto a Sasuke, appariva sinceramente disgustato all'idea. Dalle informazioni estrapolate su di lui dalle infermiere del suo reparto, scoprii come avesse vissuto le sue previe relazioni con  grande dedizione. "Tuttavia", m'aveva fatto l'occhiolino Yuugao-san, la capo-infermiera del dipartimento di oftalmologia "non l'ho mai visto così sbarellato come con te! L'hai colpito ed affondato!"

Pertanto, recandomi nel suo ambulatorio quella sera del 6 febbraio 1997,  non mi stupii di vederla salutarmi maliziosamente raggiante, neanche si fosse trasformata in chissà quale mezzana. Ciononostante, dovevo a lei la mia presenza nella clinica, giacché se non fosse stata per quella sua soffiata, non mi sarei decisa a riportare a casa Sasuke se non tirandolo per le orecchie, perlomeno con l'allettante promessa di camminare assieme fino alla sua abitazione.

"Dottore Uchiwa-san, dico alla paziente d'accomodarsi?", s'informò la donna, bussando leggermente alla porta semichiusa, non appena raggiungemmo il suo studio.

Sasuke, impegnato a leggere degli aggiornamenti medici, alzò confuso la testa, controllando l'orologio. "Alle otto e mezza di sera? Non ho preso appuntamenti ..." e il suo sguardo assunse una tinta d'indignazione mista a timida felicità quando mi scorse dietro alle spalle della capo-infermiera.

"Allora? La faccio entrare o si decide a rincasare?", lo incalzò Yuugao-san, avanzando verso il suo superiore. "Questi può finirli tranquillamente domani. Insomma, che razza di fidanzato orribile è lei, da abbandonare la sua povera gonzesse in sala d'aspetto?"

Udendo quell'ultima dichiarazione, Sasuke ed io ci affrettammo a chiarire: "Non siamo una coppia!", esclamammo in coro un poco imbarazzati, l'Uchiwa in particolare, dal modo in cui riponeva disordinatamente i fogli nel cassetto della scrivania, ficcando a casaccio della roba nella sua ventiquattrore e spegnendo malamente il computer. Yuugao-san, ineffabile, s'accertò che si fosse ben deciso a seguirmi, controllandolo con amorevole severità mentre s'infilava il cappotto. Pareva quasi una sorta di sorella maggiore. Avevo saputo da fonti molto indiscrete (l'ospedale, in fin dei conti, è un alveare di pettegolezzi) come la donna avesse preso il giovane oculista sotto la sua "protezione", quando questi era entrato nel dipartimento in veste di kohai di dottori molto più avanti negli anni e nell'esperienza. L'aveva aiutato ad inserirsi in un ambiente molto rigido e severo e a non scoraggiarsi per l'iniziale mancanza di fiducia dei pazienti verso il nuovo arrivato. Similmente, Sasuke a sua volta le era stato di molto conforto, se non proprio l'unica spalla su cui Yuugao-san avesse potuto piangere, quando  le morì il marito Hayate-san di cancro polmonare. Il mio personale processo di rivalutazione dell'Uchiwa era incominciato esattamente il giorno in cui lo intravidi al funerale del fu Hayate-san, il solo partecipante al di fuori della vedova e del suocero di lei. Eppure, malgrado l'intesa tra i due, non riuscivo a provare alcuna gelosia nei confronti di Yuugao-san né la consideravo una minaccia. Del resto, lei stessa si burlava di me, affermando quanto Sasuke "puzzasse troppo di latte" per avanzargli proposte indecenti. Nondimeno, ero contenta che qualcuno al di fuori della famiglia vedesse in lui al di là della sua immeritata facciata di "bello, gelido e stronzo".

Consegnatomi dunque il mio uomo dalla sua inflessibile capo-infermiera, lo ricondussi a casa, brontolando giocosamente sulla sua brutta abitudine di rincasare tardi, in quelle occasioni in cui sia Itachi-san che i suoi genitori si trovavano altrove. "Che poi", gli chiesi, "dove esattamente sono andati tutti quanti?"

"A Nagasaki", rispose lui, aggrottando la fronte dinanzi alla nota lasciatagli dalla povera donna, che doveva badare al suo pestifero e ultracentenario nonno quando nessuno era disponibile. "Si sono presi tre giorni di vacanza. Ieri e oggi per noi corrispondono all'anniversario liturgico del martirio di Miki Pauro-sama e dei suoi ventisei compagni. Molti dei miei correligionari si riuniscono lì, sulla collina, a pregare dinanzi al monumento commemorativo."

Annuii attenta e, senza rendermene conto, lo seguii dentro casa invece di fare dietrofront e ritornare dalle mie bande, come da me programmato prima di dirigermi all'ospedale. "Come mai non ti sei unito a loro? Mi pare di capire che per voi sia un rito molto importante ..."

Sasuke fece spallucce. "Qualcuno doveva pure badare ad Hikaku-ojiisan ... Eppoi, ho preso la Messa delle sette del mattino. Infatti ..."

"Sacchan? Sacchan sei tu?", lo interruppe una stridula voce assai irritata. "Oh, finalmente sei arrivato! E' tutto il giorno che cerco di capire come funziona questo cacchio d'aggeggio, ma nessuno me lo spiega! Quella pazza d'una pescivendola isterica m'ha detto che telefonare col cellulare m'affatica! Ma dico, se voglio chiamare quel disgraziato di mio figlio, avrò no il diritto di scassargli le scatole quando e come mi aggrada, o mi sbaglio?"

L'Uchiwa più giovane mi sorrise a mo' di scusa e in quel momento realizzai, quanto poco lo facesse e soltanto in mia presenza. "Piuttosto, Ojiisan, hai cenato? Non credi che sia ora di coricarsi?"

"Eh? Ma va' a cagare, poppante! Io a letto non ci vado ...!"

Molti minuti e moine dopo, in totale disprezzo verso le sue volontà, il nonno fu rifocillato e  spedito senza tanti complimenti a dormire. Ad operazione terminata, Sasuke ed io ci ritirammo sfiniti e sbuffanti in cucina, là dove consumammo in silenzio una cena leggera, la quale terminò tuttavia con una vivace sequela di lamentele da parte mia, ciascuna indirizzata contro quella vecchiaccia odiosa della mia affittacamere. All'epoca, infatti, ancora non m'ero trasferita assieme ad Hinata-chan e vivevo da una signora anziana la quale, nonostante l'aspetto innocuo e affabile, era in realtà una vipera bell'e finita e tirchia fino all'ossesso. "Un giorno mi verrà un esaurimento nervoso!", mi sfogai ad un certo punto, nel frattanto che pulivamo assieme la cucina. "Non posso fare niente, ma proprio niente! Sto sempre fuori o all'università o con le mie amiche, ma ancora ha di che lagnarsi, la vacca! Per esempio, sai come ogni tanto mi vengono i crampi, specie se studio per ore nella stessa posizione. Ecco, per qualche salto che faccio per aiutare la mia circolazione a ripartire, mi bussa alla porta e mi abbaia dietro non so che stronzate, aggiungendo poi "E comunque, hai lasciato i fornelli sporchi", quando invece li pulisco sempre una volta terminato di cucinare e in ogni modo mai più lerci di come li lascia lei! Anzi, con la scusa che ceno sempre tardi per via delle lezioni, lascia la cucina apposta sporca, la bastarda, così da costringermi a pulire al posto suo! Ma non mi permette di usare i suoi detersivi, devo per forza provvedere da me! Insomma, m'ha preso per Paris Hilton, che ha anche fin troppi quattrini da spendere? No, perché se fosse stato il caso, mica andavo a vivere da lei, mi affittavo un monolocale tutto per me! Oh, ti ho raccontato come mi scotenna, se le sposto qualcosa? No? Beh, non sai che lavate di capo, se mi porto in stanza una tazza di tea, per bermela mentre studio! Tutto deve essere esattamente come lo trovato, nella medesima posizione! Argh!"

Sasuke m'aveva ascoltata in partecipe silenzio, senza mai interrompermi. "Non ci pensare, Naruko. Non prendertela. I vecchi sono fatti così: hanno le loro manie e non c'è nulla, che tu possa fare per persuaderli a cambiare atteggiamento.  Fidati, parlo per esperienza diretta. Se la tua padrona di casa fa la tirchia, stai attenta che non si allarghi troppo, togliendoti alcune cose che invece sono comprese nel contratto: non sia mai che ti metta, ad esempio, in conto il riscaldamento come extra, quando invece è già compreso nel prezzo d'affitto. Ah, e che non te lo alzi prima dello scadere del contratto. E se la tua locatrice fa la bulla con te, dicendo che non troveresti altrove un posto migliore e che dovresti essere grata di avere una stanza così, etc. etc., tu replicale calma che certo, può avere tutti i locatari che vuole, ma che non tutti sono gente tranquilla e degna di fiducia ..."

"Da come me la racconti, anche il tuo locatore doveva essere stato uno stronzo ..."

"Non era una persona molto piacevole con cui trattare", ammise Sasuke. "Piuttosto, non hai considerato di trasferirti da tuo fratello? O di dividere un appartamento magari con qualche amica? Se hai bisogno d'un anticipo, te lo posso dare io, non mi crea alcun fastidio ..."

"Nah, e sorbirmi lui e Gaara che fanno i piccioncini? Meglio sotto i ponti a questo punto!", risi imbarazzata dalla sua offerta, sistemando i piatti nella credenza così da celare il mio rossore. "E a te com'è andata invece la giornata?", cambiai velocemente discorso, prima d'addentrarci in un campo minato.

"Bene", fu la concisa replica di Sasuke, mentre si sistemava in una posizione più composta, sfogliando distrattamente una rivista abbandonata lì dal nonno.

Mi morsi frustrata il labbro inferiore, sbuffando intimamente irritata. Ogni cosa a Sasuke andava "bene", anche quando in realtà si trattava del contrario. La sua ferrea introversione talvolta m'inquietava. Contrariamente al giudizio superficiale di chi non lo conosceva bene, Sasuke non era uno stronzo orgoglioso: possedeva invece un carattere sostanzialmente buono e affettuoso, talvolta sorprendentemente generosissimo e disponibile verso amici e parenti stretti. Purtroppo, però, simili qualità venivano distorte dal suo apparire così selvatico, inavvicinabile. Sebbene ancora non me lo avesse confidato apertamente, sospettavo che gli fosse accaduto qualcosa di assai grave, da renderlo poco fiducioso nel suo prossimo. La mia personale teoria era che il suo aspetto attraente e  un notevole talento sia nello studio che nel suo lavoro, gli avessero creato non poche antipatie da parte di colleghi e conoscenti. La cosa mi mandava in bestia, reputandola ingiusta: sicuro, Sasuke eccelleva spesso in qualsiasi cosa si cimentasse, ma in quanto sgobbone. Durante i suoi anni di studente di medicina, al posto di gironzolare cogli amici, dedicava al pronto soccorso o in ambulatorio il suo tempo libero, facendo pratica di quanto appreso durante le lezioni. Ammetto che all'inizio anch'io lo avevo un pochino invidiato (corso di studi brillante, famiglia presente e amorevole, ...), per poi cessare quando realizzai a che punto Sasuke ci soffrisse silenziosamente. Gli dava fastidio essere invidiato, specie per risultati che anche gli altri, impegnandosi, avrebbero potuto ottenere. Risultati che poi non gli erano cascati dal cielo, bensì frutto di duri sacrifici. Sasuke però si teneva caparbiamente dentro questo suo malessere, celandolo dietro una gelida indifferenza e alterigia. E col tempo compresi le sue ragioni, giacché anch'io sotto sotto mi nascondevo dietro una maschera di bugie, sebbene essa apparisse più allegra ed estroversa rispetto alla sua.

"Bene per davvero o per finta?", lo provocai, porgendogli una tazza di tisana e sedendomi accanto a lui.

"Bene per davvero", rispose con nonchalance, sorseggiando placidamente la bevanda. "Perché sei venuta a prendermi all'ospedale. M'ha fatto piacere", mi confessò.

Come tutti i medici, Sasuke sapeva essere molto pignolo su queste piccolezze (o carinerie). 

"Non prenderci troppo gusto: lunedì ritorno a Tokyo, lo sai."

L'uomo annuì col capo, gli occhi offuscati da una lieve malinconia. "Potrei venire a trovarti qualche finesettimana ...", mi suggerì speranzoso, provocandomi un piccolo sobbalzo nello stomaco: pur di sottrarlo dalle avances di Sakura-chan, gli avevo suggerito di non visitarmi a Tokyo a meno che non fosse strettamente necessario. Mi vergognavo a confessargli questa mia intima insicurezza, in quanto sospettavo quanto lo avrebbe offeso, indirettamente accusandolo di essere un potenziale adultero. Nondimeno, non me la sentivo di rischiare, gettandolo in pasto a quella famelica leonessa.

"E dove pernotteresti esattamente?", ribattei scettica. "A casa mia con la vecchia?"

Un lampo birbante rischiarò le iridi carbone dell'Uchiwa. "Beh, visto che è tanto dolce e accogliente ... Diamole una vera ragione per lamentarsi, stavolta ..."

"Saltiamo in due sul futon?", sogghignai perfida, per poi schiaffeggiarmi imbarazzata la fronte. Mi ero infatti accorta soltanto cinque secondi più tardi del mio involontario doppio senso.

Arrossii di nuovo violentemente.

"Non solo: ci prendiamo pure a cuscinate! E sporchiamo i fornelli di salsa chili coll'ananas, che s'appiccica peggio della colla e non la levi manco con un esorcismo! Ovviamente, non puliremo alcunché, adducendo a mo' di scusa che non avevamo i soldi per comprare né la spugna né il detersivo per piatti e fornelli!", contenne Sasuke la mia "gaffe", intuendo il motivo dietro il mio impappinamento. Il quale peggiorò, quando egli m'afferrò la mano, cullandola tra le sue e baciandone furtivamente le dita, il tutto senza malizia, anzi, con un giocoso e disarmante candore.

"Allora, ti dovrò invitare più spesso!", sentenziai in apparenza stando il gioco, in realtà nervosa da una non ben definita ansia. Mi sciolsi incomoda dalla sua presa e balzando in piedi. Prontamente, a mo' di specchio, Sasuke m'imitò. Confusa, sbattei le palpebre: "Perché ti alzi?"

"Non ti stavi preparando per tornare a casa?", reclinò il capo un altrettanto disorientato Uchiwa, aggrottando perplesso la fronte. "I tuoi genitori non ti staranno aspettando? A meno che ..." e lasciò sospesa la frase, socchiudendo gli occhi e arcuando perentorio il sopracciglio. "Li hai rifilato la famosa balla dell'amica?"

"Beh, non è proprio una balla, avevo sul serio intenzione di andare a trovare Ayako-chan ...", presi a rigirare colpevole il bordo del mio maglione. Non desideravo che misinterpretasse la mia giustificazione: non era perché mi vergognassi di lui, casomai non volevo complicazioni con mia madre, la quale si sarebbe agitata peggio d'un tacchino, tampinandomi di domande sui miei spostamenti.

Sasuke sospirò, massaggiandosi la tempia. "Ti riaccompagno a casa. A quest'ora non mi garba, che te ne vai a zonzo da sola", dichiarò stancamente, apprestandosi ad uscire dalla cucina così da pigliare il  suo cappotto.

"Mi cacci via?", gli chiesi senza riflettere, suonando inspiegabilmente agitata. Sin da quando avevo varcato la soglia di casa Uchiwa, un bizzarro e al contempo famigliare languore mi aveva gradualmente liquefatto le vene, ammollendomi le gambe e rendendo leggera la testa, come quando si beve troppo. Sasuke ed io avevamo trascorso appena due orette assieme; ciononostante, mi sembravano una vita, quasi avessi sperimentato sprazzi di quotidianità di una me stessa proveniente da un futuro neanche troppo lontano né chimerico ...

Ero affascinata e al contempo intimorita dalla naturale complicità con cui mi relazionavo con Sasuke. E viceversa, sicuro. Quasi c'avessero stampati uno per compensare l'altro. "Vuoi che me ne vada?"

In un battibaleno avvertii le mani dell'Uchiwa afferrare le mie, stringendomi in modo tale da impedirmi la fuga, ma senza tuttavia imporsi su di me. Mani piccole ma forti. Mani da medico. "Se dipendesse da me ...", sussurrò leggermente roco, scivolando le agili dita dai miei polsi fino al mio viso, incorniciandolo. "Non ti permetterei mai di lasciare questa casa ... Però non sarebbe giusto nei tuoi confronti", aggiunse, scuotendo il capo. Affondai le mani nei suoi capelli corvini, stavolta io che trattenevo lui , appoggiando la mia fronte contro la sua. "Se c'è qualcosa che mi auguro (dire "voglio" è azzardato), sarebbe di poter un giorno riuscire a buttarci alle spalle quanto avvenuto in passato tra di noi e prima di noi e ricominciare daccapo, assieme", mi rivelò Sasuke con sincerità disarmante, solleticandomi l'orecchio col suo respiro. Abbassai languidamente le palpebre, poggiando la testa sull'incavo della sua spalla, intrecciando ora le nostre dita, mentre la pelle della mia schiena rabbrividiva ipersensibile alla lieve pressione della mano dell'Uchiwa. I nostri petti, premuti ora uno contro l'altro, sincronizzavano il battito sempre più accelerati dei loro cuori.

Timidamente, m'azzardai a levare lo sguardo, imbattendomi in un paio d'iridi nere, nerissime, liquide e dilatate, che m'avvolgevano amorevoli, trascinandomi però al contempo in un abisso da cui non sarei mai più riuscita emergere né loro me l'avrebbero d'altronde permesso.

Li concessi di catturarmi, firmando la mia volontaria prigionia in un bacio cauto, discreto, un lieve contatto più di prova che d'appassionato trasporto. Vedendo che non rifuggivo al suo tocco e che anzi il mio corpo si rilassava, abbandonandosi, al tenero abbraccio, Sasuke m'accarezzò dolcemente la guancia col pollice, congiungendo nuovamente le nostre labbra, stavolta con maggior decisione ma comunque senza bruciare le tappe. Ci viziammo con una lenta scoperta delle rispettive bocche, gote, palpebre, fino a scendere giù lungo il collo, scoprendo, annusando, accarezzando, mordicchiando. Ci riempiemmo l'un l'altro del rispetto sapore, odore e calore, rubandoceli e mischiandoceli.  

Entrambi perdemmo il giudizio, annegando in un'arcana euforia, permettendo che essa azzerasse ogni pensiero razionale, accantonandolo, per concederci l'ardente temerarietà di infrangere le ultime barriere rimaste. Mi lasciai condurre nella stanza di Sasuke e fu in quel momento che l'entusiasmo iniziale si raffreddò, sostituendosi ad una paura folle d'apparire ridicola o brutta o goffa, di sbagliare, di deludere. Arrossii di vereconda anticipazione mentre, baciandoci, ci spogliavamo a vicenda, imparando a conoscere i nostri corpi nella loro forma più semplice, intima.

E nonostante i miei timori, non credo d'aver mai provato tanto amore verso il mio partner come in quegli istanti. Il mio sentimento per lui mi squarciava il petto e gli avrei offerto il mondo intero, se solo me l'avesse chiesto. Risi di cuore, stringendolo al petto, quando lessi negli occhi di Sasuke la mia stessa appassionata emozione.

O forse piansi di gioia, chissà, poiché Sasuke - sopra di me, dentro di me - a sua volta sorridendomi dolcemente mi asciugava piano gli occhi, baciandomi le palpebre, la fronte, la punta del naso.

Sei il mio tutto.

Dopodiché ... fu solo il delirio di fare l'amore.

Sfrenato. Sconvolgente. Tirannico.

Prendemmo e ricevemmo.

Conquistammo e capitolammo.

Legandoci indissolubilmente, come tralci di vite.

"Allora, adesso siamo sul serio una coppia?"

"Certo che sì!"

 

 

 

***

 

 

 

Come convenuto via e-mail, Terumi Mei incontrò Tobirama nel cortile del tempio dedicato a Jizō, il bodhisattva [1] protettore dei bambini. L'horror writer se ne stava lì, in piena solitudine mattutina, a contemplare le statuette rappresentanti i feti commemorati durante il Mizuko kuyō, accarezzando con lo sguardo quelle sciarpine e cappellini rossi, assieme ai biberon e ad altri oggetti legati ad un neonato, i quali conferivano un che di malinconico a quella pingue fila di sorridenti e immobili soldatini.  

La giornalista, che fino a quel momento aveva nutrito qualche scetticismo circa la scelta del luogo per l'intervista, dovette ricredersi, giudicando ora più che mai sensata l'insistenza dell'horror writer. Non avrebbe potuto indicarle un posto migliore, specie considerando il tema trattato ne L'Appuntamento. Forse l'artista peccava un po' d'eccessiva teatralità, ma era anche possibile che si fosse trattata di una specifica richiesta della protagonista del romanzo, la quale aveva specificatamente optato per il tempio come rendezvous. In tutta onestà, Mei fremeva dall'aspettativa sia d'intervistare Tobirama (la cui riluttanza a certe pratiche pubblicitarie era oramai divenuta leggendaria) sia di vedere Namikaze Naruko in carne ed ossa. Sebbene convinta elmetto rosa [2] e attivista, alla donna quella ragazza non era risultata totalmente antipatica, anzi, in alcuni punti aveva provato una forte empatia nei suoi confronti, giacché costretta a subire pesanti conflitti interiori frutto di una società ancora fortemente maschilista. Sotto alcuni aspetti, benché non avesse del tutto approvato la sua scelta finale, la rispettava. Togliendo poi l'elemento "horror", andava sottolineato come ciò che Naruko aveva passato, altre giovani e meno giovani donne lo avevano in antecedenza sperimentato (e ancora lo stavano sperimentando) rendendo di conseguenza la giovane ancora più umana e vicina ai lettori, senza però idealizzarla nella sua trasposizione da persona reale a "personaggio".

"Buongiorno, Senju-sensei", fu il cortese saluto della giornalista, mentre s'inchinava dinanzi all'horror writer, che si rialzò in piedi, cessando la contemplazione di una particolare statuetta.

"Buongiorno a lei, Terumi-san", ricambiò, inchinandosi a sua volta. "Ci ha impiegato molto a venire qui? L'autobus era puntuale?"

"Non si preoccupi, si è trattato di una mezzoretta assai piacevole!", sorrise incoraggiante la donna, la quale, effettivamente, ad un certo punto aveva temuto d'essersi sul serio persa tra quelle stradine strette, sterrate e male indicate della provincia profonda. Non era stata una saggia decisione quella di affidarsi ai mezzi pubblici ... "Piuttosto, la volevo ringraziare per la sua disponibilità e per avermi accettata come sua intervistatrice!"

"Si figuri", si schermì Tobirama. "Leggendo i suoi articoli, m'è subito risultata simpatica."

Mei arrossì di circostanza. "Lei m'adula, Senju-sensei ..."

"No, affermavo semplicemente il vero", venne corretta dall'horror writer, nel frattempo che si dirigeva verso l'uscita del tempio. La giornalista partì immediatamente e d'istinto al suo inseguimento, guardandosi però indietro disorientata.

"Mi scusi, ma non dovevano aspettare Namikaze-san per ...?"

"Non ancora", tagliò corto Tobirama, sedendosi alla prima panchina e invitando Mei a fare lo stesso. "Quando entreremo in discorso, ritorneremo al tempio e lì saprà tutto ciò che vuole su Naruko."

La donna convenne lentamente, reclinando il capo e socchiudendo gli occhi in una linea sottile.

E' dubbiosa, notò l'artista con una nota di malevola malizia, e anche molto sospettosa circa una bidonata concepita a sue spese. Meglio, contraddire gli scettici risultava tra i suoi passatempi preferiti. Non a caso, come professione, aveva eletto un genere che molti consideravano per default "assurdo", "impossibile", "fantastico". E non sbagliavano, il più delle volte. Ma in quelle rare eccezioni, tuttavia, in cui s'affermava il vero ...

"Dunque", si schiarì la voce la giornalista, tirando fuori un mini-registratore e un block-notes. Vecchia scuola. Tobirama sospirò di sollievo. I giornalisti super-tecnologici avevano sempre suscitato nel suo cervello un'ansia da cataclisma. "Innanzitutto, vorrei scusarmi in anticipo se non rispetterò una struttura nelle domande. E' il mio metodo: non ..."

"... non vuole che io mi costruisca delle risposte in anticipo, una volta compreso il "pattern". D'accordo."

La signorina Terumi non si fece di certo intimidire da quella prontezza nel ribatterle a tono. "Perfetto! Incominciamo, allora, che ne dice?", proseguì con studiato entusiasmo. E, dinanzi al grave cenno affermativo dell'horror writer, si schiarì la voce, formulando la prima domanda: "Non ho potuto evitare di notare un'incongruenza temporale nel romanzo: Namikaze-san parla infatti di vicende avvenute "sei anni fa", pertanto lei starebbe in teoria narrando in un ipotetico 2004. Invece, il romanzo è stato pubblicato solo quest'anno, nel 2008, ergo dieci anni più tardi considerando il 1998 come data di riferimento. La mia domanda è: Namikaze-san le ha in pratica raccontato la sua testimonianza nel 2004 e non quest'anno, come dichiarato nel prologo? Se è così, per quale motivo,  l'ha trascritta adesso e non prima?"

Tobirama incrociò le braccia al petto, roteando gli occhi in alto quasi cercasse nelle fronde degli alberi le risposte più esaustive. "Ha ragione, Terumi-san, le date non coincidono. Il fatto è che già nel 2004 avevo gettato giù una prima bozza de L'Appuntamento. Ma poi l'ho accantonata, in quanto ignoravo se fosse o meno il caso di pubblicare qualcosa di sì privato e sofferto, offrendolo ad un pubblico magari non particolarmente ricettivo. Tuttavia, di recente sono successe alcune cose che mi hanno instillato una lunga e accurata riflessione, circa le potenzialità di questa storia. Naruko stessa ha insistito a riguardo. Per questo motivo, ho voluto mantenere la data originale."

"Namikaze-san e lei sembrate possedere un rapporto molto stretto, quasi esclusivo. Il modo in cui ha descritto i suoi pensieri ... Talvolta vanno al di là di un semplice resoconto: l'immedesimazione è straordinaria!", rimarcò Mei. "Il suo partner non ne sarà per caso geloso?", scherzò, indicando con la testa Izuna, il quale li stava osservando da lontano, appoggiato col dorso della schiena sulla macchina. L'horror writer gli aveva chiesto il favore di venire seco all'intervista, a mo' di sostegno morale. Izuna s'era dimostrato un poco riluttante, non gradendo infatti frequentare simili luoghi, in particolare dove si posavano le statuette per i Mizuko. Ma aveva ceduto con la promessa d'aspettare distante e in disparte. Da lì quel compromesso.

"No, non nutre alcuna gelosia, si fida ciecamente di me. E comunque, non è soltanto un compagno, lui ed io siamo sposati."

"Davvero? Ma il suo cognome ..."

"Lo esclusivamente per firmare i miei romanzi, anche se ammetto che, alas, pochi mi chiamano col cognome di mio marito. Abbiamo condotto ogni cosa discretamente, non ci piace fare pubblicità sulla nostra vita!"

"Lo trovo assai comprensibile. Essendo voi due coniugi, come dire,  fuori dal comune, avrete sicuramente rotto molti usi e costumi, no?"

"Dipende dal punto di vista", scrollò le spalle Tobirama. "Noi ci consideriamo una semplice coppia, né più né meno."

"Quindi lei ha conosciuto quando Namikaze-san? Prima o dopo il suo matrimonio?"

"A dire il vero, la conosco da una vita ...", e qui l'horror writer s'interruppe, ridacchiando. "Mi perdoni il tono melodrammatico. Non ho saputo resistere. No, seriamente, Naruko ed io ci conosciamo da quando avevo quattordici / quindici anni ..."

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

 

Venerdì, 6 febbraio 1998

- il giorno dell'Appuntamento -

 

 

 

 

 

Che strano rammentare le dinamiche che ci portarono a divenire una coppia, proprio ora che Sasuke ed io sembravamo destinati a lasciarci, guarda caso il giorno del nostro anniversario.

Ma ancora più bizzarro era stato il modo assolutamente particolareggiato, con cui avevo rivissuto quell'evento, neanche fossi stata lì presente in veste di protagonista attiva, invece di limitarmi all'umile ruolo di mera spettatrice. Evidentemente, il mio cervello stava tentando d'elargirmi gli ultimi istanti di felicità condivisa con il mio fidanzato, prima della rottura definitiva. Oppure, il disgraziato mi stava vilmente tormentando, presentandomi perfido ciò a cui avevo rinunciato a causa della mia stupidità.

Intontita dai farmaci e dallo spavento preso il giorno precedente (sì, a giudicare dalle pareti d'un bianco clinico e dalle lunghe e scure ombre del mobilio spartano dovevo aver trascorso almeno una notte in ospedale), abbandonai forzatamente ogni riflessione su quanto stesse per accadermi. Oramai, poco o niente m'importava sul serio, se non la salute del mio bambino. Il terrore provato durante il mio scontro col Mizuko e la tremenda consapevolezza, che quella creatura volesse la morte di mio figlio, furono il brusco risveglio di cui necessitavo. Basta coi consigli, cogli altrui pareri. Il piccino doveva vivere, il resto non mi toccava più.

Ma - e qui la dolorosa questione - in seguito a quella caduta giù per le scale, a quale sorte era andato incontro? Era sopravvissuto? Pregai che fosse così. D'altronde, avevo percepito come l'impatto fosse stato attutito da qualcosa (o qualcuno, chi però?), ciononostante rimanevo scettica dell'efficacia di quel gesto. Occorreva un nonnulla per provocare un indesiderato ed accidentale aborto,  bastava considerare quanto successo a Shisui-san.

Un doloroso groppo in gola mi si formò al pensiero di come quel davvero banale incidente - uno scivolone! - avesse invece sottratto alla donna il suo effettivo secondogenito.

Tirai su col naso.

Curioso come io ora desiderassi ardentemente la vita di un essere, del quale avevo in precedenza progettato la morte.

Era colpa mia. Soltanto mia.

Avevo voluto mio figlio morto e forse ero stata accontentata. Il Mizuko aveva provveduto prima del medico.

Mi strinsi le braccia al ventre, scorrendovi affranta le mani all'inutile ricerca della presenza della minuscola creatura che se n'era rimasta lì indisturbata per quasi due mesi. Guardando il soffitto, permisi a copiose lacrime d'offuscarmi la mia già poco affidabile vista.

Venni travolta violentemente dalla disperazione più nera, ancora più tremenda rispetto a quella sperimentata il giorno prima, e digrignai i denti, mordendomi la lingua pur di non gridare.

Mi sentii talmente persa e devastata, da invocare un soccorso a me totalmente estraneo, se non proprio incomprensibile. Un mese addietro mi sarei data della folle, nel vedermi così fiduciosa in un qualcosa in cui nemmeno credevo né ero mai stata educata a farlo. Ma in quel terribile momento, non riuscivo a trovare alcuna fonte di consolazione se non quella, l'ultima e più inaspettata spiaggia.

Maria-sama ...  mi rivolgo a Te perché mi ricordo d'averti sempre vista raffigurata con un Bambino, che se non erro dovrebbe essere Iesu-sama da piccolo ... In ogni modo, in quanto madre, di sicuro capirai la mia situazione. Non mi sto giustificando, anzi, ammetto le mie colpe  ... Quel che voglio dire è che certamente Tu potresti intercedere presso Tuo Figlio per far vivere il mio. Non oso chiederlo direttamene a Lui, manco m'ascolterebbe. Cosa gliene dovrebbe importare di una miscredente come la sottoscritta? Si metterebbe a ridere, dicendomi di andare a rompere le scatole colle mie richieste al Buddha o chi altro ...  Ma forse Tu potresti metterci una buona parolina, sei Sua madre in fin dei conti, i figli ascoltano sempre i genitori, no? Ecco ... se il piccino dovesse sopravvivere, prometto d'amarlo con tutta me stessa, più ancora di quanto già non lo ami adesso, e di crescerlo da bravo Kirisutokyouto! Sposerò suo padre! E ... e mi convertirò pure! Lo faccio! Però, per favore Maria-sama, Te lo chiedo da madre a madre (se lo sono ancora), fai che il mio bambino possa nascere! E se non per me, fallo per Sasuke! Non merita questa cattiveria, anche se io per prima gliela stavo per fare, alle sue spalle per giunta! Salva mio figlio! Te lo supplico! Salva mio figlio!

Farfugliai mentalmente questa preghiera, tappandomi la bocca singhiozzante e, piangendo forte la mia infinita afflizione, mi raggomitolai ironicamente proprio in posizione fetale, sperando in una qualsiasi forma di conforto e soprattutto di conferma, che la mia richiesta aveva trovato ascolto.

In corridoio, nel frattanto, s'alternavano sussurri e discussioni soffocate, le quali sortirono il benvenuto effetto di cullarmi poco a poco in un torpore profondo, senza sogni.

Fu verso la tarda mattinata che, entrando in una sorta di dormiveglia, riuscii a captarne dei frammenti.

"Ti vedo un po' rattoppato, Sas'ke, però mi consola che tu stia bene. Ma dimmi un po', Itachi, non è eticamente scorretto operare uno di famiglia? Non violate il giuramento d'Ippolito?"

"Casomai sarà d'Ippocrate e comunque no, si è soltanto trattato di un banale scivolone ...  Niente di che ... La colpa è tutta di questo bischero che come al solito ha voluto fare la primadonna, insistendo di medicarmi di persona! Tzé, se non fossi stato mezzo in deliquio l'avrei fermato ..."

"Primadonna un corno: intanto, hai battuto la testa, quindi in stato decisamente confusionario; dopodiché, ti sei beccato tre punti vicino all'occhio destro, roba da dialisi a momenti! Dulcis in fundo, ti sei slogato il polso con  annessi lividi ovunque! Mi devi dieci anni di vita, stronzetto!"


 

Era stato lui? Era stato dunque Sasuke ad avermi impedito di ruzzolare giù per le scale?

Perché avrebbe dovuto farlo dopo quanto udito da mia madre?

Perché?

Non mi odiava? Non mi disprezzava per la mia decisione d'abortire?

 

 


"Grazie, Itachi-nii, per questa tua lista esaustiva ed inutile."

"Dovere, stupido fratello. Insomma, anche se professionalmente non molto appropriato, t'ho pur sempre ricucito io! E, modestie a parte, con ottimi risultati: adesso sei più figo di prima, assomigli alla versione maschile di Sally di "The Nightmare Before Christmas"! O mi sbaglio, Sacchan bello-bello di Niisan? Chi t'ha ricucito, eh? Chi t'ha ricucito? Pucci- pucci!"

"Ma tu chi sei? Non ti conosco, razza di pagliaccio rincoglionito! Pussa via!"

"Eh? Mi vai in mode Pīta-sama ora? Mi rinneghi?"

"Chi ti credi di essere, balengo blasfemo? Iesu Kirisuto-sama?"

"Ehm, cambiando discorso ... Sas'ke, insomma, come mai ti trovavi a casa mia?"

Silenzio.

"Menma, sai tu perché Naruko non mi ha chiamato in questi  ultimi giorni?"

"Uhm ... no!"

 


Bugiardo.

 


"Perché oggi doveva abortire. Voleva disfarsi di un bambino avuto da un altro ... Hé, ti ho già detto che oggi è anche il nostro anniversario?"


 

No.

Non spargere sale sulle ferite.

Anche se ne avresti ogni diritto.

 


"Senti, Otōto, guarda che non è vero niente e chi sostiene il contrario è una gran carogna!"

"E se fosse invece così, Itachi-nii? Chi m'assicura?"

"Ma no, scemo! Quella è una balla di mia madre! E mi sorprende che tu ci creda! Quella paperotta della mia imōto che ti fa le corna? Ma quando? Ma dove?  Nei film di fantascienza, forse! Se non ha occhi che per te! Ieri m'ha telefonato piangendo, mezza matta, alla sola idea che tu la potessi scaricare!"

"E allora, perché tutto questo teatro?! Perché tacermi del bambino?!"

 


Perché avevo stupidamente paura, che tu mi volessi solo a causa sua.

Che tu mi legassi a te.

Non sapevo, che ci appartenevamo l'un l'altro prima ancora del suo concepimento.

 

 


"Hé ... la paura ... l'incertezza ... nostra madre ... La povera Nacchan si è trovata a gestire una situazione più grande di lei! ...  Senti, Sas'ke, levati un po' d'immondizia dalla testa e ragioniamo da persone adulte: lei ti ama, ti è sempre stata fedelissima, il piccino è tuo, punto!"

"Concordo con Menma-kun: Otōto, assumiti le tue responsabilità e basta con l'onanismo mentale!"

"Ma se davvero Naruko m'ama così tanto, se davvero il bambino è mio, perché farmi questo?! Perché non ha voluto confidarsi con me?!"

"Donne, mio caro, donne! Ragionano col mestruo e ... Ahia! Moglie! Quello faceva male! Ohiohi ..."

"Suvvia, Sasuke-kun! Posso immaginare quanto la mancanza di fiducia da parte di Naruko-chan ti abbia ferito, perciò sii tu più maturo e concedile la tua!"

"Ad una che mi evita come la peste? Eh, Shisui-nee? A lei dovrei concedere fiducia, quando ..."

"Uffa, che testone! Se non c'arrivi, te lo spiego io: allora, mia sorella ...!"

"No, Menma! No! Che sia Naruko a raccontarmi la verità! Lei sola! Sono stufo di questa sfilza di balle, mica-balle, mezze-balle rifilatemi da voialtri! Specialmente tu, Itachi-nii! Sei un infame sporcaccione!"

"Io? E cosa t'avrei fatto io, adesso?! Ciò, ti pigli tre sberle, sai?"

"Mi tieni nascoste le cose! Omertoso! E io che ti telefonavo sperando in un tuo aiuto!"

"E te ne accorgi soltanto ora che ti rifilo panzane?"

"Piuttosto, se Naruko-chan ti confessasse ogni cosa, le crederesti? E, se fosse il caso, la perdoneresti per aver progettato d'abortire?"

 


Come mai quell'attimo d'esitazione, Sasuke?

Bruciava troppo la ferita con cui ti avevo straziato il cuore?

Non ti avrei biasimato, in caso m'avresti serbato rancore ...

 

 


"Può anche darsi di sì, Shisui-nee, potrei  ... No, non potrei ... la perdonerò, come posso non perdonare quella delinquente? Basta che mi guardi mesta e contrita con quegli occhioni azzurri e le casco ai piedi peggio d'una pera cotta ..."

 


Eppure ...

Tu ...

 

 


"ARGH!!! Maledizione, lo sapevate tutti ch'era incinta! Proprio tutti! E mi avete fatto passare per il gonzo di turno! Dannati cospiratori! Vi odio!"

"Tecnicamente, caro il mio Baka-chan, non lo sapevano neppure Kaa-san, Ojiisan, i tuoi nipoti, Minato-shi, la coinquilina e le amiche di Naruko-chan, mezza Konoha, la facoltà di lettere, l'intera Tokyo ..."

"Itachi-anata?"

"Sì, tesoro?"

"Non stai aiutando il tuo otōto."

"Non è neanche mia intenzione farlo. Anzi, ci tengo pure ad aggiungere che Sas'ke-kun, oltre ad essere un grullo, è pure cieco. O guercio, viste le sue attuali condizioni. Insomma, pirla! Come hai fatto a non accorgerti della gravidanza della tua fidanzata? Mi fallisci nella ostetricia di base? Vergogna!"

"Naruko ha sempre avuto il ciclo irregolare! Eppoi, mica compare una scritta col neon, sai?"

"Secondo me, non te ne saresti ugualmente reso conto! Cosa mi posso aspettare, d'altronde, da uno che ha preso un'insufficienza nella verifica sull'apparato riproduttore e sulla gravidanza?"

Risolini.

"Ancora con quella storia?! Frequentavo le elementari, dannazione! E tu non mi aiutavi, ridacchiando come un babbuino mentre ripassavo a voce alta!"

Divertiti grugniti a malapena soffocati.

"Mi biasimi? Avevo tredici anni, gli ormoni a palla, a Shisui incominciava ad ingrandirsi il seno e tu giravi saltellando per casa ed elencavi tutti i componenti degli organi genitali con una tale espressione concentrata, ch'era impossibile non ridere! Chiudevi perfino gli occhi!"

Ruggito di risate.

"Ma tu non puoi andare a cagare, Itachi?!"

"Quando mi verrà lo stimolo, terrò a mente il tuo consiglio."

"Sempre parole dolci vi riservate voi due, eh?"

"Tutti i giorni della settimana e due volte alla domenica!"

"Se non avessi il polso destro fasciato, vedi con che dolcezza ti rifaccio il naso!"

"Suvvia, Sacchan, così si tratta il tuo fratellone che ti cambiava il pannolino?"

" Certo che la conversazione qui sta raggiungendo tali livelli di maturità ..."

"Tu hai dei seri problemi mentali ... Se non fosse per Shisui-nee, t'avrei fatto levare secoli addietro la patria potestà sui tuoi figli ..."

"Tsk, ne riparleremo quando nascerà il tuo di figlio, Otōto , anzi, Otōsan ! Ihihihi!!"

"Itachi, mi fai paura ..."

"Fai bene ad averne!"

"Invece, Sasuke-kun, dai retta a tua cognata e chiarisciti con Naruko-chan. E' imperativo per entrambi, sarebbe stupido da parte vostra  troncare senza neppure una spiegazione! Altrimenti, al prossimo incontro di Taizé ti costringo a cantare tutta la sera! E in swahili! Hai capito?"

"Avrei preferito di no ..."

"Pardon?"

Non mi pervenne la replica di Sasuke. Molto probabilmente, mi ero di nuovo riaddormentata, troppo spossata per dare una qualsivoglia considerazione a quanto mio malgrado origliato. Sperai soltanto che Sasuke seguisse il consiglio del fratello, della cognata e di Menma-nii, concedendomi almeno un'ultima confessione.

Le mie labbra tuttavia s'incurvarono in un tremulo sorriso e una tiepida sensazione di sicurezza sui prossimi eventi mi riscaldò nel profondo il cuore, confortandomi che forse non tutto era perduto, che forse invero la speranza era sempre l'ultima a morire.

 

 

 

~~~

 

 

 

Confesso che, al mio risveglio definitivo, rimasi leggermente delusa nell'imbattermi in Shisui-san, invece del mio fidanzato. Avevo in effetti romanticamente sperato di vederlo lì, magari mezzo-addormentato, in attesa che mi destassi, pronto al confronto. Sua cognata, che se ne stava placidamente seduta al posto suo accanto al mio letto, ricambiò imperturbabile il mio poco entusiasta saluto con uno dei suoi usuali sorrisi sibillini.

"Sasuke-kun ti ha vegliato fino adesso", mi rivelò serafica, neanche m'avesse letto nei pensieri. "S'è soltanto assentato per andare al gabinetto e ovviamente tuo fratello e mio marito l'hanno seguito con la scusa d'assisterlo, in realtà per sfotterlo ulteriormente."

Dietro al bicchiere gentilmente offertomi, ridacchiai impunita.

"Non immaginavo che Itachi-san potesse dimostrarsi così ... infantile e dispettoso nei confronti di Sasuke ..."

"Oh, non lo è di solito", mi rassicurò Shisui-san, arrotolandosi leziosamente un ricciolo al dito. "Mio marito si comporta da totale idiota soltanto quando deve scaricare un grave stress emotivo. Una valvola di sfogo, ecco, e sempre ai danni di suo fratello, ovviamente. In ogni modo, non so quanto tu ti rammenti di ieri, ma sia tu che Sasuke-kun siete venuti all'ospedale in ambulanza. Le tue condizioni non apparivano molto gravi, invece mio cognato aveva battuto malamente la testa e, siccome Itachi aveva appena rimesso piede in ospedale, ha insistito per assisterlo di persona dopo averlo scorto in barella. Non avrebbe dovuto e spero che il primario non gli scassi le scatole a riguardo, ma tu conosci gli Uchiwa ... hanno il legno al posto del cervello, non li schiodi da un loro proposito manco a morire!"

Annuii stancamente, appoggiando la schiena sui cuscini.

"Che motivo c'era di ferirsi così per una poco di buono come me?", commentai infelice. "Sciocco d'un Sasuke-teme ..."

Sua cognata appoggiò la sua mano sulla mia spalla, scuotendo il capo in diniego. "Ci tiene a te. Può imbastirti un broncio epico ed interpretare il ruolo dell'acido bastardo, ma sotto-sotto egli ti ha posto su di un piedistallo d'oro e non avrebbe mai permesso che ti ferissi o che perdessi il bambino."

"Anche se di un altro?"

"Suvvia, Naruko-chan, non prendiamoci in giro", mi chetò seccamente Shisui-san.

Mi passai sospirando una mano sulla fronte, massaggiando in seguito la radice del naso.

"D'altronde", riprese la donna, sistemandosi meglio sulla sedia, dolendole infatti un poco la schiena per via del pancione, "adesso che Sasuke-kun sa della tua gravidanza, lo farebbe doppiamente soffrire la consapevolezza che tu abbia deciso in via definitiva d'abortire."

"Doppiamente?", inquisii confusa.

Il volto di Shisui-san assunse un'espressione malinconica, che neanche quel suo mezzo sorriso poté mitigarla. "Quando persi il mio bambino scivolando, stavo correndo verso la fermata della corriera. Ricordi?"

Le feci cenno di sì.

"Stavo accompagnando Sasuke-kun a prendere il pullman. All'epoca era ancora uno studente di medicina. Lui si lanciò immediatamente in avanti per affermi, mancandomi però di qualche centimetro. Quando seppe dell'aborto, si biasimò per molto tempo, sostenendo che fosse colpa sua se avevo perduto il bambino, visto che aveva insistito affinché ci recassimo assieme a prendere la corriera. Ovviamente, nessuno era da incolpare se non il ghiaccio e la neve, ma in quel momento eravamo tutti molto scossi e  arrabbiati. Ci dicemmo cose poco piacevoli e occorse del tempo, prima di perdonarcele. Oramai è acqua passata, ma sospetto che Sasuke-kun ancora  se ne voglia grandemente ..."

Questo spiegava molte cose, in primis il pallore cadaverico sul suo viso quando aveva udito da mia madre la mia decisione d'abortire. Lì per lì avevo creduto trattarsi dello shock dovuto ad una altrui paternità, ma ora comprendevo che il suo turbamento era riconducibile alla spiacevole esperienza capitatagli.

E malgrado la sua intrinseca tristezza, non riuscii a trattenere un sogghigno amaro, ben presto imitato dalla mia interlocutrice. "Sei davvero una manipolatrice nata, Shisui-san. Stai usando ogni tua risorsa pur di non farmi abortire?"

"Esatto e aggiungerei pure in maniera spudorata. Voglio inculcarti quanti più possibili sensi di colpa", dichiarò ella giocosamente bellicosa. "Ciò che ti ho raccontato corrisponde tuttavia alla realtà. Non mentirei mai su questo genere di cose", ritornò subito seria, inchiodandomi coi suoi grandi occhi scuri.

"Non m'azzarderei mai, anzi, penso d'aver finalmente capito molte cose su di Sasuke", ribadii altrettanto onesta. "Comunque ti devo ringraziare."

Shisui-san sbatté le ciglia perplessa.

"All'inizio credevo che tu non mi sopportassi ... Poi però ho compreso la tua apprensione circa la mia scelta, specie se ho involontariamente rievocato in te dei tristi ricordi ... Mi ha aiutato molto a riflettere."

In particolare riguardo al Mizuko: giunsi infatti alla conclusione, che doveva essere appunto quel figlio mai nato d'Itachi-san e Shisui-san, il quale, per vendetta, aveva deciso di perseguitare lo zio, l'indiretto responsabile della sua prematura morte. Non potevo spiegarmelo altrimenti: perché sia io che sua madre riuscivamo a vederlo e non gli altri? Perché tormentarmi così, arrivando quasi ad uccidermi? A provocare il decesso del suo "cugino"? Sebbene Shisui-san fosse convinta della pace eterna ottenuta dall'anima del piccino, questi al contrario era ben lungi dall'aver perdonato Sasuke, arrivando a colpirlo là dove più gli faceva male, ovvero suo figlio e me, la cui morte l'avrebbe devastato e al contempo avrebbe pareggiato i conti tra lui e il nipote.

Questa consapevolezza non mi diede alcuna consolazione, sebbene non mi provocò lo stesso alcuna forma d'agitazione. Piuttosto, avendo scoperto infine l'identità del Mizuko, mi sentii doppiamente determinata nel mio proposito di far nascere il mio bambino.

"Vi disturbo?", bussò Sasuke alla porta, rimanendo rispettoso mezzo fuori e mezzo dentro alla stanza.

Sua cognata ed io ci voltammo; dopodiché la prima si pose goffamente in piedi, dirigendosi caracollante verso di lui. "No, figurati. Sai a proposito dove posso trovare tuo fratello?"

Il mio fidanzato divenne scarlatto. "Lo trovi assieme a Menma in sala d'aspetto. Minato-shi ci ha appena raggiunti e quei tre non la smettono di pigliarmi per i fondelli ..."

"Rassegnati, Sasuke-kun: questo è solo l'inizio. Vedrai a che livelli arriveranno i loro sfottò quando ...", ma qui la donna s'interruppe, scoccandomi una significativa occhiata. "Vi lascio da soli. Avvertitemi tramite l'infermiera se necessitate di qualsiasi cosa", si congedò da noi, uscendo dalla camera e chiudendo saggiamente la porta.

Un incomodo silenzio scese tra Sasuke e me, nel frattanto che guardavamo ovunque, tranne i nostri visi. Sennonché il mio fidanzato, sbuffando a mo' di incoraggiamento, si sedette alquanto sgraziatamente sulla sedia disertata dalla cognata, congiungendo nervoso le mani prima sul grembo, poi sul letto, a qualche spanna dal mio fianco.

Dal canto mio, lo spiavo avidamente di sottecchi, sanguinandomi infatti il cuore dinanzi allo stato pietoso in cui versava. Ciocche disordinate di capelli corvini gli fuoriuscivano dalle strette bende alla testa e Sasuke teneva l'occhio destro semichiuso, illividito dal colpo e raggrinzito a causa dei tre cerotti sterili atti a coprire i punti. Si massaggiava con evidente disagio il polso destro, anch'esso fasciato, umettandosi il labbro spaccato dal pugno di mia madre; lo sguardo solitamente fiero era abbassato, colpevole e infelice, come quello d'uno scolaretto pizzicato mentre marinava la scuola. Pareva assai evidente come avesse preso in pieno l'impatto della caduta, attenuando la mia fin quasi a non farmi sentire praticamente nulla. Le macchioline rossicce di sangue sul colletto della camicia ne fungevano da chiari testimoni.

Allungai di riflesso la mia mano per afferrare e stringere la sua (quella sana), sussultando di perversa gioia nel sentire ricambiato quel mio timido gesto.

"Il dottore", si decise a parlare Sasuke, "mi ha riferito che ... che il bambino ... insomma, che non hai perduto la creatura."

La sua mano prese a tremare leggermente, inumidendosi appena appena di un sottile strato di sudore.

Il mio cervello, invece, cantava a squarciagola ringraziamenti al cielo e sotto le coperte, di nascosto, mi accarezzai rincuorata il ventre, salutando così quel piccino che già dall'utero dimostrava di possedere la rinomata testardaggine degli Uchiwa. Mi era stata concessa una seconda chance per amarlo, per rimediare alla mia avventata e sciocca decisione.

Sorrisi segretamente tra me e me, confondendo di conseguenza Sasuke, il quale dimostrava al contrario un'aria afflitta da cane bastonato.  Povero caro, temeva che, col suo gesto, m'avesse fatto un grosso dispetto. e dovetti reprimere a viva forza il desiderio d'abbracciarlo forte e di baciarlo, rassicurandolo dell'opposto. Tuttavia, non ebbi il tempo di replicare, che subito egli m'imbastì uno dei discorsi più sconclusionati che avessi mai ascoltato (almeno provenienti da lui) sbrodolando agitato dall'inizio alla fine:

"Naruko ...  so che non ne avrei il diritto, sei tu la madre ma ... ecco, io ... quando ti ho afferrata per le scale, non avevo pensato solo alla salute del bambino, cioè ... sì, forse un poco, ma .... volevo che entrambi non vi feriste e non ... sia tu che lui (o lei) siete importanti   e ... A che ora hai l'appuntamento? ... E' oggi? Ascolta, io vorrei tanto che tu decidessi di tenere il bambino, per me avere un figlio da te sarebbe come realizzare un sogno tabù però ... se proprio vuoi andare fino in fondo, permettimi almeno di restarti accanto!"

Se non avessi avuto la certezza della sua identità, di certo non avrei mai collegato quel giovane balbettante coll'altero Uchiwa Sasuke, colui che tutti additavano come una gelida carogna, uno stronzo patentato. Dinanzi a me si trovava una persona confusa, ferita e ciononostante disposta ad un pur sofferto compromesso, tutto pur non di perdermi.

Che avevo combinato di tanto onorevole, per meritarmi siffatto riguardo?

"Sasuke ... io ..."

"Non m'importa, Naruko!", berciò Sasuke a voce forse eccessivamente alta, più che altro per convincere se stesso e non la sottoscritta della veridicità di parole decisamente aliene ai precetti della sua religione. E di fatti, rendendosene conto, tentò goffamente di  rimediare alla sua gaffe: "Cioè sì, m'importerebbe in realtà: se la cosa dipendesse da me, non ti permetterei d'abortire il piccino. Anche qualora non fosse stato figlio mio. Nondimeno, per amor tuo, mi sforzerò sia di capire sia d'accettare le tue ragioni. Ti amo, Naruko, sono disposto ad ingoiare questo rospo pur di non perderti. Al costo di farmi trattare alla stregua del tuo zerbino!", e vedendo come me ne rimanessi zitta e muta, s'accalorò ulteriormente, agitandosi sulla sedia. "Non ti basta?! Che altra prova vuoi da me per convincerti della sincerità dei miei sentimenti?! Che non t'imporrei niente, che ti rispetto in tutto per e tutto?!", sbottò esasperato, mulinando con foga la mano destra e ottenendo di conseguenza la giusta retribuzione da parte del suo polso ferito tramite un'infida fitta di dolore.

"Sasuke, potresti ...?"

"Ti avevo avvertito che non t'avrei mai abbandonata, né che avrei rinunciato a te, passasse quel che passasse. Chiamami masochista, se l'affare ti diverte, ma getterò la spugna soltanto quando tu mi dirai che non ne puoi più di me! A te la scelta, Naruko!"

Storcendo il viso sofferente per aver sforzato imprudentemente il polso, il mio fidanzato si vide costretto a calmarsi, attenendo bellicoso la mia replica e stizzito sì, per quella confessione. S'era totalmente umiliato per me, accantonando ogni forma d'orgoglio e concedendomi una libertà assoluta, fino al punto d'annullarsi come seconda metà in un rapporto a due.

Non l'avrei costretto a tanto. Per quanto allettante, non desideravo avere una passiva ameba per consorte, bensì il mio compagno di vita, il mio Sasuke-teme, così com'era sempre stato, con ciascuna delle sue paturnie e dolcezze.

"Tutto questo è molto carino da parte tua, koibito, però se mi lasciassi finire il discorso ...", gli ricordai soave, riuscendo una buona volta a terminare la frase.

Il mio fidanzato si grattò colpevole la testa fasciata. "Scusa", bofonchiò, giocherellando imbronciato col bordo delle lenzuola.

Puntellandomi sui gomiti, mi sporsi fino a raggiungerlo, sfiorandogli leggermente la tempia con le mie labbra. "Ho disdetto l'appuntamento", gli sussurrai all'orecchio, sogghignando amorevolmente perfida alla reazione dell'uomo, il quale balzò all'indietro, totalmente sconvolto.

"Cosa?", ansimò, spalancando la bocca  neanche avesse avuto intenzione di mostrarmi le sue tonsille. Perfino l'occhio sano era divenuto più grande del solito e in quel momento mi rammaricai di non aver portato con me una macchina fotografica, onde immortalare la più pura ed esauriente rappresentazione dello stupore, se non proprio la sua stessa incarnazione.

"Nostro figlio, Sasuke. Lo tengo. Quando ... ", e tacqui per un istante, sopraffatta da quei ricordi orribili.  Il gelo dell'acqua. Di quelle manine d'acciaio. L'impatto contro il muro. La frizione della carne e il bruciore ai polmoni, per l'aria che tardava a venire ..."quando stavo per cadere, ho desiderato ardentemente che sopravvivesse. Tanto da  ... Non mi rimangio tale desiderio, ecco!", dichiarai solenne, sciogliendomi immediatamente in un sorriso più conciliante. "Diventerai un chichi, Sasuke! Non sei contento?"

Per tutta risposta, il mio fidanzato si gettò su di me, abbracciandomi talmente forte da levarmi per qualche istante il respiro. "Mi rendi felice, Naruko! Non sai quanto ...!", gli tremò la voce, baciandomi ardentemente la bocca e le guance, ridendo assieme a me alla stregua di due beoti.

"Anche tu mi rendi felice, Sasuke", mormorai, afferrandogli le spalle. "Ti amo tanto ..."

Rimanemmo così abbracciati per un lasso indefinito di tempo, dondolandoci in sincronia perfetta, permettendo che i nostri cuori si sincronizzassero e che i nostri respiri si mischiassero, divenendo un tutt'uno. Ventiquatt'ore addietro non avrei mai potuto immaginare tale gioioso scenario, dove Sasuke ed io incominciavamo a camminare sul serio uniti come una coppia e non a venire di tanto in tanto in contatto,  similmente a quanto accaduto per un anno e mezzo. Finalmente avremmo vissuto assieme, lui ed io ... e il piccino.

"Mi dispiace di averti fatto perdere la Messa commemorativa", gli rivelai, scorrendo le mani sulla testa fasciata. "Ma soprattutto, per averti costretto a questo vaudeville. Sono stata una sciocca."

"Non finirò all'inferno per questo. Sono sicuro che Miki Pauro-sama comprenderà il motivo dietro la mia assenza. Insomma, una dobe come te mica è facile da gestire: l'ho capito fin dal giorno in cui t'ho conosciuta, che m'avresti fatto vedere i sorci verdi!", mi confessò Sasuke, indugiando con la sguardo sul mio grembo semi-coperto dalle lenzuola. "Ti rendi conto che d'ora in avanti la strada sarà tutta in salita?", domandò, studiando attentamente ogni mia espressione, trovandovi però solo determinatezza e fiducia.

Sicuro che fuori dall'ospedale, nella vita reale, non c'attendeva un finale roseo, con uccellini canterini, bolle luccicanti e l'approvazione universale di amici e parenti. Ci sarebbe al contrario toccato d'affrontare parecchie magagne famigliari, lavorative e religiose, incominciando innanzitutto con un giro di scuse, mea culpa, proschinesi e ojigi con la fronte per terra onde fare ammenda degli insulti lanciatici e vecchi rancori malamente seppelliti. Tuttavia, per quanto i problemi da sormontare si presentassero molteplici e insidiosi, essi non mi parevano così minacciosi e impossibili come prima. Non con Sasuke dalla mia parte, non con la certezza che ci saremmo sostenuti l'un l'altro.

"Finché potrò averti accanto, va bene così", gli confermai quanto da me previamente asserito. Non avrei mai più dubitato di lui, né avrei mai più permesso a chicchessia d'influenzarmi o ancora peggio, di separarmi dal mio compagno. "A proposito, koibito ..."

"Uhm?"

"Il bambino è tuo. E' sempre stato tuo. Non ti cornificherei manco a morire! Solo con la forza mi possono costringere ad andare a letto con un altro!", dichiarai con orgogliosa veemenza, afferrandogli il viso con ambedue le mani. Non potevo sopportare che Sasuke accettasse il piccino per partito presto, poiché figlio mio. Questi era anche sangue suo e doveva considerarlo come tale, fino all'ultima cellula. "Credo che quella notte, ehm, ti fossi ... ti fossi messo male il ... insomma, hai capito! O forse si è bucato!", balbettai, affatto a mio agio di parlare a voce alta delle nostre attività più intime. Specie se sussisteva la possibilità che quei beceri dei nostri parenti si fossero accampati dietro la porta ad origliare. In ogni modo, non riuscivo lo stesso a definire con precisione le dinamiche del mio concepimento. Sasuke ed io non avevamo fatto nulla di strano in quell'occasione, nel senso, nulla fuori dalla ben conosciuta routine amorosa ... Avevamo gusti semplici, in fin dei conti ...

"Lasciami indovinare, adesso dovrei dire: "Oh, mannaggia, tesoro, quanto mi dispiace!" ? No, perché neanche sotto tortura lo faccio!", reiterò Sasuke, ora più che mai interessato alla mia pancia, "Non mi pento d'averti messa incinta! Sicuro, è stato un caso, però ..."

"Teme! Ringrazia Iesu-sama che sei più rattoppato d'un paio di pantaloni vecchi, sennò ti prenderei a sberle fino ad indurti al coma profondo! Come sarebbe a dire che non ti penti d'avermi ingravidata? Maiale sfacciato!"

"... però grazie per avermi confermato la mia paternità. In ogni modo, ne ero già al corrente."

"Eh?"

"Mentre ti riposavi, Shisui-nee ed io abbiamo avuto una lunga conversazione a riguardo, in cui m'ha a grandi linee spiegato il motivo dietro la tua reticenza a confidarti con me; dopodiché Itachi-nii s'è sentito in dovere d'aggiungere che, in caso non t'avessi creduto, m'avrebbe incoronato re dei coglioni e sbattuto fuori casa a calci nel deretano. Concludendo poi con tuo fratello Menma, che m'ha afferrato per il bavero, minacciandomi di una morte lenta e dolorosa e di darmi in pasto ai maiali, in caso mi fossi rifiutato di riconoscere il piccino. Ah, e tuo padre ha aggiunto che gli dà manforte, sebbene ancora non mi sia chiaro se nella prima o seconda fase del mio omicidio. E mi sarei pure messo a ridere, se quei tre non me avessero avuto certe facce serie ..."

"Citandoti: Lasciami indovinare, adesso dovrei dire: "Oh, mannaggia, tesoro, quanto mi dispiace!"?"

"Dire proprio di sì! Ho davvero temuto per la mia vita!"

"Teme!", protestai petulante, allontanandomi da lui ed incrociando offesa le braccia al petto. "Non fare adesso la vittima! Non è colpa mia se alla tua età non sai metterti bene il ...!"

Avanzando a gattoni su per il letto e riacchiappandomi altrettanto felino, Sasuke ridacchiò perfido e  mi baciò a lungo, euforicamente impetuoso. Assaporammo ambedue le rispettive intimità boccali, con frenesia, fino a provocarci un leggero capogiro per la mancanza d'ossigeno. Le nostre fronti s'incontrarono, similmente alla punta dei nostri nasi. "Allora, mi sposi?", mi domandò Sasuke a bruciapelo, guardandomi col medesimo entusiasmo del pazzo furioso e di fatti le sue iridi carbone rilucevano di una fiamma antica, la medesima che scorgevo quando lui si gettava animo e corpo in una qualsivoglia impresa, sia fisica che intellettuale. "Ebbene? Il gatto t'ha mangiato la lingua?"

Sì, un grosso micione nero di nome Uchiwa Sasuke.

"Vuoi divenire la mia tsuma sì o no?"

Sbiancai peggio d'un canovaccio.

"Così? Su due piedi? Senza anello e lunga e romantica dichiarazione?", farfugliai, tentando una poco onorevole fuga, sennonché il mio compagno mi teneva saldamente ancorata al letto.

"Al diavolo queste scemenze, donna! Mi hai letteralmente umiliato oggi, per te ho rinunciato alla mia dignità virile, riducendomi ad una barzelletta vivente, all'uomo-zerbino! Inoltre,  m'hai fatto sadicamente patire due settimane d'inferno! Questa è la mia giusta vendetta! E comunque, col cazzo che chiameranno mio figlio bastardo e non per via d'un eventuale caratteraccio!"

"Ma ... ma ...", m'afflosciai sul materasso, affondando nel frattempo sotto le coperte. La paternità sul serio sortiva un brutto effetto sulla psiche degli Uchiwa. Il mio meco si stava dimostrando troppo ... contento a riguardo, insomma, m'aspettavo che sarebbe sì impazzito ma dal dolore di "perdere" la libertà, non di acquisire una moglie e un pupetto in un sol colpo!

Decisamente mi sarei affiliata ad una famiglia di matti. Ciononostante, chissà come mai, non mi lagnavo dinanzi a quella prospettiva.

"La risposta, Nacchan! Ora!"

Sorridendo timidamente, annuii infine tra il contento e l'apprensivo, augurandomi ferventemente che il bambino prendesse tutto da me e niente da suo padre, almeno per quel che concerneva il carattere.

Ma poi, avvolta nuovamente nelle sue braccia, baciata e coccolata dal mio tenero e innamorato delinquente, conclusi che forse non sarebbe esattamente nato un piccolo mostro, in caso nostro figlio avesse deciso di assomigliare un pochino al suo Tou-san.

Appostati dietro la porta, i nostri famigliari avevano già incominciato a far scommesse sul suo sesso.

                                      

 

 

~~~

 

 

 

Mentirei se ora affermassi, che vivemmo tutti "felici e contenti."

Innanzitutto, mio padre e Mikoto-san dovettero esibirsi in un'infinita serie d'inchini e richieste di scusare il loro previo comportamento da vandali, prostrandosi con tale fervore nel loro ojigi, da ripulire il tatami e provocarsi perfino un bernoccolo sulla fronte. Otōsan invocava il perdono di Mikoto-san per la violenta reazione di Okaasan ai danni di Sasuke, sottolineando la mia estraneità a vizi quali l'adulterio pre-matrimoniale (vizio che s'inventò al momento) e la mia inattaccabile reputazione di giovane donna virtuosa. La matriarca Uchiwa si dispiaceva per gli insulti rivolti a me e a mia madre, nonché per le ciocche strappate a quest'ultima. Entrambi decisero per il bene dei due futuri sposi di accantonare le divergenze del passato, focalizzandosi invece nel, per loro, imminente imeneo.

Contrariamente alle loro aspettative, Sasuke ed io dovemmo attendere marzo prima di sposarci perlomeno col rito civile, cioè quando finii l'anno universitario.

Durante il colloquio coi miei professori, mentre li mettevo al corrente del mio proposito di rimandare di un anno il proseguimento dei miei studi, potei leggerli negli occhi la loro intima disapprovazione, nonché commiserazione, dandomi in cuor loro della fallita. Similmente, anche altri miei conoscenti mi additarono come una scema e una perdente, in particolare Sakura-chan e Ino-chan, ciascuna per ragioni diverse. Come se non bastasse, la mia decisione finale di tenere il bambino e di sposarmi con Sasuke m'aveva gravemente allontanato da mia madre e se non in via definitiva almeno per un lungo periodo, in cui lei si rifiutò di vedermi e di rivolgermi la parola, usando Otōsan come intermediario. Da qui la mia scelta di trasferirmi da mio fratello fino al termine degli esami. Inutile aggiungere come Gaara mi viziò spudoratamente per l'intera durata del mio "squatting", avvolgendomi in seta e piume ed esaudendo instancabile ogni mio capriccio. Al weekend Sasuke ci veniva a trovare, o meglio, a controllare che i suoi cognati si comportassero bene con me, visto che il look anticonformista di Gaara non gli ispirava molta fiducia circa le sue capacità di can da guardia.  Una volta marito e moglie, Sasuke ed io vivemmo per un breve periodo da mia suocera.

Anche lì non fu facile abbattere l'iniziale muro d'imbarazzo, che ancora sussisteva tra Mikoto-san e me. Primo, perché levarle il suffisso di cortesia suonava alieno alla mia lingua; secondo, in quanto lei tuttora mi rimproverava velatamente di averle tenuta nascosta la mia gravidanza, optando inoltre per l'aborto.

Malgrado ciò, quel periodo d'affollata convivenza a casa Uchiwa si rivelò molto utile per me.

Grazie a mia suocera affinai le mie doti di padrona di casa, mentre imparavo il concetto di pazienza facendo da babysitter ai Tenmaku-kun, Saeko-chan e Kiyoaki-kun, essendo infatti la loro madre sempre più stanca e indisposta a causa dell'appropinquarsi della nascita del  bebè. Inoltre, la Prima Comunione di Saeko-chan equivalse per me ad un'eccellente occasione per mettersi a studiare seriamente il Cristianesimo, visto che avevo promesso a Maria-sama di convertirmi. Non avevo però considerato quanto potesse essere dura la strada fino al battesimo, con nozioni assai complicate d'assimilare, se non proprio astruse. Come le virtù teologiche e cardinali. O i doni del Seirei-sama. O semplicemente segnarsi correttamente, nel verso giusto, con la mano giusta e recitando nell'ordine giusto il " Chichi to Ko to Seirei no mina ni yotte" [3].  E mica la scampavo facilmente: zelante e implacabile, il prete m'interrogava ogni tot di giorni, valutando i miei progressi e la mia determinazione di catecumena. Mi vergognai parecchio quando gli confessai, che non avevo recitato la "Megumi afureru sei Maria-sama",[4] quando m'ero rivolta per la prima volta alla Kami no Haha. Gli chiesi preoccupata se si fosse offesa. "Non sapevo che ci fossero preghiere fisse!", mi ero infatti tirata i capelli allarmata. Ridacchiando benevolo, Padre Mori mi consolò asserendo che no, di sicuro Lei non se l'era presa per così poco. In ogni modo, riuscii ad ottenere il battesimo, comunione e cresima alla Vigilia di Pasqua dell'anno successivo, nel 1999. Ancora oggi faccio però confusione su alcuni concetti, specie quelli in cui sono previste parole latine, lingua a me assolutamente simpatica quanto un'orticaria.

Nel frattanto, prima d'allora e tra una lezione e l'altra di teologia, legai ulteriormente con Shisui ( fu più facile con lei rivolgermi senza onorifici), divenendo pressoché inseparabili e coese nel tenere a bada  i nostri uomini, ma soprattutto assistendola negli ultimi mesi della gravidanza e dopo il parto: mi sentii estremamente onorata di poter tenere per prima in braccio la piccola Sakuya-chan, una copia in miniatura di Itachi, il quale si beccò una caterva di manate sulle spalle a mo' di congratulazioni da ciascuno dei suoi colleghi, assieme alla raccomandazione di sperimentare altri svaghi con sua moglie, pena l'arrivo di un quinto pupetto. Tanta era la loro contentezza per il lieto evento, che sia lui che Shisui parvero aver dimenticato momentaneamente l'aggressione subita da quest'ultima, aggressione che aveva parzialmente oscurato con atroci dubbi quasi tutto il periodo di gestazione. Sakuya-chan era del resto un vero piccolo tenshi, una tranquilla dormigliona che dove l'appoggiavi, se ne stava serafica, suggendo indisturbata il pollice. Inutile elencare le premure con cui la coprivano Tenmaku-kun e Saeko-chan, contenendosela però ferocemente tra di loro e riempiendo di conseguenza la casa coi loro strilli imbufaliti. L'unico che ne se doleva un poco, rimanendosene in disparte, era Kiyoaki-kun, il quale si vedeva "rubata" l'attenzione dei suoi genitori e della sua obaasan. Più volte l'avevo scorto correre a piangere da suo zio, chiedendogli disperato se anche lui avrebbe smesso di giocare assieme, una volta natogli il figlio. Accarezzandogli la schiena, Sasuke lo rassicurava, consigliandogli di pazientare.

E così giunse infine il nostro turno di aggiungere numeri al clan: non programmato, dapprincipio non desiderato, perseguitato da uno spirito vendicativo e da esso quasi ucciso ma salvato per il rotto della cuffia grazie al coraggio di suo padre, il 16 agosto 1998 nasceva il nostro primogenito, Akito-kun, o Acchan come venne immediatamente ribattezzato dai suoi cugini, ai quali non pareva vero di trafficare con ben due neonati. Mentre noi adulti rischiavamo un cortocircuito per via delle esigenze dei due poppanti (al contrario di sua cugina Sakuya-chan, Acchan strillava petulante voglio-e-pretendo peggio d'un ossesso, tutto suo padre) quelle tre pesti sembravano trarre energia dal gioioso bordello, che divenne ben presto casa Uchiwa.

Per fortuna, dissipando i timori del medico che mi seguiva e dei miei familiari, non soffrii di maternity blues. Certo, mi venne vietata ogni attività apportatrice di stress, poiché, per coloro che non sapevano del Mizuko, doveva essere stato proprio un grave crollo nervoso ad avermi portata a gettarmi a momenti giù dalle scale. Non avvenne però niente di tutto questo, anzi, l'unico forse ad aver sofferto di depressione post-parto fu il mio povero marito, completamente schiavizzato alle mie voglie di donna gravida, e le cui gote ancora diventano scarlatte al ricordo di come mi si ruppero le acque durante la Messa dell'Assunzione, fatto che mi aveva portato ad urlare sconvolta fino a trapanargli le orecchie un isterico: "Oh, Maria-sama! Sta uscendo?!", interrompendo la funzione e concentrando l'attenzione dell'intera assemblea su di noi. E dire che quella era la prima Messa cui partecipavo in assoluto, passando dalla fase 1 di solitario studio teologico alla fase 2, della partecipazione alla vita collettiva. Beh, collettivamente parlando, dodici ore più tardi la piccola comunità s'era ritrovata un futuro Kirisutokyouto in più, il mio adorato piccino dagli occhi ostinatamente blu, altrimenti pure lui uguale in tutto e per tutto al suo Tou-san, perfino quando mi teneva un regale e stizzito broncio perché aveva fame. Lo fissavo ipnotizzata e in adorazione mentre, allattandolo, il mio figlioletto mi ricambiava altrettanto intensamente, aprendo e schiudendo le manine tra una poppata e l'altra. Manine che si divertivano a stringere qualsiasi cosa, dalle mie dita ai capelli di suo zio materno, per la somma goduria di Sasuke, al quale non era affatto garbato come Menma-nii e Gaara se la fossero quasi fatta addosso dalle risate non appena li avevo raccontato l'aneddoto riguardante la nascita d'Acchan. Rimasi inoltre sorpresa nello scoprire quanto quella simpatica carogna del mio niisan sapesse dimostrarsi tenero coi bambini, che aveva sempre dichiarato di non amare particolarmente. Molto probabilmente Acchan, sangue del suo sangue, corrispondeva alla famosa eccezione che confermava la regola.

Ricordo però che il momento più commuovente in assoluto, più ancora del tardivo battesimo, fu quando presentammo Acchan per la prima volta al suo bisnonno Hikaku. L'anziano patriarca, ormai ridotto ad un fragile foglia avvizzita, era relegato da tempo in sedia a rotelle, uscendo purtroppo raramente di casa. Tuttavia, i suoi occhi velati s'illuminarono di una gioia indescrivibile alla vista dei suoi bisnipoti appoggiatigli accanto sul tatami. Il suo dito ossuto e distorto dall'artrosi sfiorò appena in segno di benedizione la fronte prima di Sakuya-chan e in seguito di Acchan, ringraziando tra sé e sé Kami-sama per aver vissuto abbastanza a lungo da assistere alla rinascita della sua famiglia, dopo lo sfacelo della Seconda Guerra Mondiale. Sapeva che oramai gli rimaneva poco tempo, ciononostante aveva sempre avuto fiducia in quella "promessa", che tanto m'aveva turbata a febbraio. Hikaku-ojiisan ringraziò sia Shisui che me per l'impegno presoci come madri, ritirandosi poi a pregare dinanzi all'altare di famiglia, là dove oramai trascorreva la maggior parte delle sue giornate. Il nonno non visse a lungo, purtroppo: se ne andò sereno, addormentandosi, assistito dalla nuora. A onor del vero, un pronto ricovero avrebbe ipoteticamente posticipato la sua dipartita, ma l'anziano patriarca stesso s'era opposto, intimando ad Itachi e a Sasuke d'assisterlo in veste di nipoti e non di medici. Hikaku-ojiisan ci lasciò l'ultima raccomandazione di vivere senza rancori né invidie, di perdonare noi stessi e gli altri e al contempo d'imparare dai nostri errori, senza aver timore d'ammetterli. "Siamo umani, perciò destinati all'errore. Ma questo non significa che siamo indegni di perdono", ci disse, guardando in particolare Sasuke e la sottoscritta, neanche avesse indovinato quanto avvenuto tra noi due.

La morte del nonno segnò la fine della nostra permanenza nella casa natale di Sasuke. Infatti, benché a priori il benvenuto, mio marito considerava inappropriato condividere la medesima abitazione del fratello, la cui famiglia necessitava dei suoi spazi ma soprattutto, era giunto il momento di stabilirci in via definitiva e di vivere indipendentemente. Sicché, quando Acchan compì un anno, m'impegnai a riprendere con vigore gli studi interrotti, laureandomi con buoni risultati. Dopodiché, Sasuke poté contattare il direttore dell'ospedale di Kyōto, accettando la sua offerta di trasferirsi nel suo dipartimento.

A Kyōto nessuno ci conosceva, offrendoci una concreta occasione per ricominciare da zero. Niente gossip, niente ripicche, disinteresse totale per la nostra vita privata, l'ideale per lasciarci il passato alle spalle. Comprammo dunque la nostra casa, stringemmo nuove amicizie e scoprii di possedere un certo talento per il giornalismo, in particolare per le rubriche letterarie, nuovo interesse che mi spinse ad approfondire all'università di Kyōto le mie - lo ammetto - confuse e raffazzonate idee sul quinto potere. Credo che sconvolsi parecchia gente, i miei professori in primis, alla prima lezione, quando portai con me Acchan in aula.  Li mandai allegramente a quel paese, non appena m'intimarono di assumere una babysitter, se in casa non c'era nessuno a vegliarlo. O di aspettare che Acchan andasse all'asilo, prima di ritornare all'università. Meno male che il direttore della rivista per la quale tuttora lavoro era di vedute meno rigide, permettendomi spesso di scrivere in santa pace a casa.  Il mio obiettivo, oltre che a dare un senso di relativa realizzazione alla mia vita, consisteva nel sollevare dalle spalle di Sasuke l'intero peso finanziario della casa; conoscevo la sua ambizione di divenire il futuro primario del dipartimento di oftalmologia, ciononostante non desideravo che mi schiattasse sul lavoro, onde realizzare quanto prima questo suo progetto. In quel caso, altro che compiangerlo, avrei sputato sulla sua tomba!

Eh ...

Certo, riguardando indietro, talvolta rimpiango  di non aver conseguito il mio sogno di divenire professoressa universitaria. Ma non per questo mi do - né permetto ad altri di farlo - della fallita. Rimpiangere progetti mai implementati è normale, chi non se ne lamenta almeno tre volte al giorno? Affermare però che mi sia rovinata la vita? Esagerato e di poco gusto.

Ho dirottato altrove il mio destino, acquisendo e smarrendo durante questa inaspettata sterzata familiari, amici, conoscenti, cose e occasioni. Il bilancio finale rimane comunque identico, ovvero che alla fine sono genuinamente contenta e soddisfatta di ciò che possiedo: mio figlio, mio marito, la mia casa e il mio lavoro, tutti componenti di un unico grande mosaico, di cui difficilmente di stancherò d'apprezzare.

E forse potrei terminare qui il mio racconto.

Potrei terminare asserendo che solo rischiando di perdere le persone che m'amavano sul serio ho scoperto, quanto esse fossero importanti per me, aiutandomi ad uscire dal mio guscio d'ottusa cecità e imparando a confrontarmi con chiunque volesse offrirmi la sua opinione, serbando però l'ultima parola. Divenendo sul serio una persona adulta, padrona del mio destino e pronta ad accoglierne serenamente, con responsabilità, il brutto e il bello.

Potrei sì, potrei davvero concludere così.

Ma non lo farò.

Infatti, c'è ancora qualcosa che debbo spiegarvi, prima di congedarci definitivamente.

Il Mizuko.

Se quest'anno il mio Akito-kun festeggia il suo sesto compleanno, è anche merito suo. Mi pare quindi giusto lasciargli l'ultima parola e poi ...

E poi basta, finalmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Next chapter, the epilogue ...

 

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E meno uno alla conclusione di questa storia!

L'intermezzo iniziale è stata un'aggiunta un po' last-minute, diciamo per creare una circolarità nella relazione tra Naruko e Sasuke, ma soprattutto per descrivere meglio il loro rapporto. Ma in sostanza, l'intero capitolo è stato impostato con un tono sereno, giacché Naruko ha ormai preso la sua decisione e tutti in coro ci aggiungiamo al "Era dannatamente ora!"

Ma il Mizuko ritornerà, promesso ... ehehheheheh ...

Il brutto dei finali, è che vorresti scrivere ancora di più, dire tutto dei personaggi. Ormai, ci stiamo staccando da loro e mi dispiace, questa allegra famiglia m'era tanto simpatica!

E parlando di famiglia!

Se avete notato l'assenza di Minato e Kushina, è cosa voluta: ho deciso di lasciare loro posto all'epilogo, così come più spazio verrà dato a Tobirama & Co.

Inoltre, mi sono rifiutata per amore della musicalità di chiamare il figlio di Sasuke e Naruko come uno dei loro canonici. Sorry, non accettiamo lamentele.

Piuttosto, il mio è un piccolo omaggio al personaggio d'Akito Hayama, il protagonista maschile de "Il giocattolo dei bambini", o "Rossana"; il mio primo manga. Diciamo che i due sono accomunati da una storia gestazionale piuttosto movimentata, ecco!

Bien, spero di non aver dimenticato niente!
Per eventuali dubbi e curiosità, contattatemi pure via pm! ^^

Ci si vede all'epilogo, ciao!

 

 

 

 

 

 

 

Un po' di noticine:

[1] Bodhisattva = "Creatura illuminata"

[2] Elmetto rosa = parola gergale per "femminista". In Giappone, infatti, le femministe, durante le loro manifestazioni, erano solite indossare un elmetto rosa.

[3] Chichi to Ko to Seirei no mina ni yotte = Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo

[4] Megumi afureru sei Maria-sama / Kami no Haha= Ave Maria / Madre di Dio.

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Capitolo 7
*** Scioglimento ***


Heilà!

Chiedo venia per questo mio ennesimo e obbrobrioso ritardo: purtroppo, ho avuto un incidente che m'ha messo fuori uso la mano per un bel po' di tempo e ancora oggi dopo un po' di ore a battere al computer mi dà fastidio. Non contiamo poi che, lavorando nel settore degli eventi, l’estate non è un bel periodo per scrivere in tutta tranquillità.

 Ciliegina sulla torta, quando questo tanto agognato epilogo era lì lì per essere pubblicato, cos'è successo? La mia chiavetta è andata in gloria. Impossibile aprirla. Kaputt ohne Hoffnung. Risultato? Ho perso il capitolo e l'ho dovuto riscrivere. Duh. Un’impresa titanica e spero che questa versione sia buona lo stesso.

Ma in fin dei conti meglio tardi che mai e voilà la conclusione di questa fic: evvai! Ce n'è voluto di tempo, ma scrivere gli ultimi capitoli è sempre triste, perché ci si accomiata da personaggi divenuti "cari", di cui vorremmo sapere sempre di più, rimanendone però delusi per motivi di trama.

Adesso vediamo di proseguire con le altre storie, “Stigma” in primis ...

Nel frattempo, prima di lasciarvi al capitolo e alle note finali, un sentito ringraziamento ai miei lettori e recensori, in particolare ad Imoto e Jo95. Grazie davvero, miei cari recensori sia degli ultimi aggiornamenti che dell'intera fic, per il vostro supporto e per il tempo dedicato a leggere e condividere i vostri pensieri su questo mio sghiribizzo. Merci!

Ringrazio poi: Glaucopide Atena26; Monaco e Paola DP per aver messo questa storia tra le preferite.

Ed infine, ringrazio: Aulica; Babynaru90; Braveheart_99; Camelia _Calliope; ChibiRoby; Clarisse44; Giulia_Cullen;Isangel; Krikka86; Luffy_chan; Lululove2; Mekbul; Reika701; Thera e Trouble00 per averla messa tra le seguite.

Se qualcuno avesse voglia di lasciare una piccola recensione di commiato, faccia pure, siamo aperti 24/7! XD

Ci vediamo brevemente dopo il "the end" per l'ultima comunicazione di servizio ...

Buona lettura,

 

 

 

 

 

 

H.

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Scioglimento

 

 

 

Sfogliando le ultime pagine del libro, Terumi Mei prese a leggere ad alta voce, nel frattempo che lei e l'horror writer deambulavano nel cortile del tempio.

 

 

Avevo già menzionato come né mia madre né io ci fossimo più rivolte la parola in seguito alla mia decisione di continuare la gravidanza e di sposare Sasuke e vi confesso che all’inizio non diedi il giusto peso a questo nostro bellicoso accordo: forse perché avevo mio padre che ci faceva da mediatore; forse perché giostrandomi tra casa, lavoro e famiglia non avevo materialmente il tempo di meditarci troppo sopra. Qualunque fosse il motivo non mi diedi alcuna pena di riallacciare il nostro rapporto guastatosi così scioccamente.

Fu soltanto nel 2004, poco prima di decidere di raccontarvi questa mia esperienza, che volli ricostruire i ponti bruciati con Okaasan.

Sasuke, ovviamente, aveva storto il naso a riguardo, ma non ebbe più di tanto da obiettare dinanzi alla mia iniziativa: se essa avesse potuto in qualche modo giovarmi ad affrontare con maggior serenità il futuro, allora che quell’ultimo confronto avesse pure inizio. Diciamo che la notizia del prossimo arrivo del nostro secondogenito l'aveva assai ammorbidito. Con mia madre la questione si rivelò più ostica: a lungo ella ignorò le mie telefonate e le conseguenti ambasciate tramite Otōsan e Menma-nii, ma alla fine cedette. Sapevo che dietro alla sua maschera d’orgoglio ferito, anche Okaasan desiderava poter interagire sul serio col suo unico nipote, al di là dei bigliettini di circostanza che ci si scambiava durante le feste di precetto. Mio padre si riferiva a lui con tale entusiasmo di Ojiisan da suscitarle un persistente e dispettoso interesse, che le s’ingrossava perfido in petto col trascorrere degli anni alla stregua  del ventre di un rospo gracidante.

Sicché, dopo mesi di trattative, riuscii finalmente a fare breccia nel suo animo che portò Acchan e la sottoscritta a ritrovarsi a scampanellare alla porta di casa dei miei genitori in un umido tardo pomeriggio di pien'estate […]

 

 

"Devo ammettere che, rispetto alle sue altre storie, L'Appuntamento è la meno ... sorprendente, ecco."

L'horror writer arcuò il sopracciglio, più per curiosità che per irritazione. "In che senso, prego?"

"Non fraintenda, Tobirama-sensei. Le vicende sono appassionanti come sempre e anche le atmosfere suscitano inquietudine e terrore, come si confà al genere horror. Tuttavia, non so, l'effetto sorpresa è mancato: molti lettori hanno dichiarato d'aver subito capito come Naruko-san fosse incinta. Di conseguenza, l'opinione generale fattasi da parte del pubblico è che la trama appare piuttosto banale e talvolta prevedibile!"

Tobirama annuì senza scomporsi. "E secondo lei, è banale e prevedibile per una futura madre la scelta d'abortire il suo bambino?", domandò tranquillamente, rivolgendo alla giornalista un sorrisetto grondante di compatimento, provocando per sua intima delizia una mezza sincope nella donna, la quale si affrettò a spiegarsi meglio onde evitare uno spiacevole malinteso:

"No, no, certamente no, ma dal punto di vista tecnico ..."

 

 

[…] “E’ come la ricordavi?”

Col naso all’aria, gironzolai distrattamente per la mia cameretta, bevendo tuttavia ogni dettaglio, permettendo che i ricordi della mia infanzia m’avvolgessero.

“Sì, non è cambiato nulla”, commentai con un mezzo sorriso, fermandomi al centro della stanza. “Grazie, Okaasan”, mormorai sincera, colmando di un poco la distanza tra noi due. M’irrigidii però al notare come mia madre avesse indietreggiato di qualche passo. “Sai quanto significhi per me. E per Acchan”, aggiunsi.

Okaasan annuì in silenzio.

“E’ un bravo bambino”, borbottò poi, allontanandosi verso il corridoio. “Ho aggiunto degli asciugamani in bagno. Le lenzuola sono pulite, ovviamente. Dimmi se ti serve qualcos’altro.”

Mi servirebbe che tu mi guardassi dritto negli occhi, volevo dirle, ma tacqui. “Va bene così, Okaasan.”

“D’accordo.”

Una volta uscita mia madre mi sedetti sul futon, passandomi una mano sulla fronte madida di sudore. Forse la mia era stata una pessima idea. Non sarei dovuta venire a trovarla. Forse avrei fatto meglio a telefonare a Sasuke, comunicandogli la mia decisione di prendere il primo treno per Kyōto e di rincasare al più presto.

In ogni caso, ero grata che Acchan se ne fosse stato in salotto col nonno, evitando d’assistere a simili scene. Sperai inoltre che il sonno mi portasse consiglio sul da farsi.

In un certo senso, andò esattamente così.

 

 

"L'Appuntamento non è stato concepito allo scopo d'intrattenere i lettori, bensì di farli riflettere. Lo si potrebbe definire un "horror filosofico", uno snap-shot della nostra società, che invece di promuovere la prevenzione favorisce l'eliminazione d'un problema, sia questi un feto o il traffico. Non a caso la storia è stata ambientata nel 1998, l'anno precedente alla legalizzazione in Giappone della pillola anticoncezionale."

"Quindi lei è pro-vita?"

 

 

Fu il caldo a destarmi quella notte. Tale era l’umido, da non trovare neppure nelle ore notturne un poco di refrigerio dalla canicola estiva. Dopo molti anni lontana da casa m'ero scordata della terribile afa estiva di Konoha. In aggiunta, Acchan, come tutti i bambini, emanava un calore da piccolo termosifone, incrementando conseguentemente la mia agonia.

Giunta quindi allo zenit della mia sopportazione, dopo molto inquieto e incessante rigirarsi nei limiti concessimi dal crescente pancione, decisi di scendere giù in cucina e di servirmi d’un bel bicchierone d’acqua ghiacciata.

La mia mano fece appena in tempo ad appoggiarsi sulla porta che un famigliare gelo m’invase le viscere.

 

Tap-tap-tap.

 

Avevo udito quei passi troppe volte per sbagliarmi sull’identità del loro creatore.

 

 

"Non prendo posizioni pro o contro l’aborto. Semplicemente, in questo romanzo volevo far capire il peso delle nostre azioni, su come esse coinvolgano non soltanto noi stessi ma anche chi ci circonda, nel bene e soprattutto nel male."

"Rappresentate appunto dal Mizuko."

"Esatto. Il rancore di una vita che non è potuta esistere  e magari più meritevole di vivere di quella che l’ha terminata anzitempo", Tobirama sospirò, il viso contorto in un’espressione talmente affranta, che Mei avvertì un insistente impulso di appoggiare a mo’ di conforto la mano sul suo braccio. “E talvolta … non sempre è colpa della madre …”

 

 

Malgrado il terrore che gradualmente mi stava paralizzando, per amore d’Acchan e del bambino che portavo in grembo mi sforzai a non  urlare né di svenire o comunque dar segni di cedimento dinanzi a quell’entità persecutrice, qual era il Mizuko.

Invece, appoggiai l’orecchio alla porta, cercando di capire quanto distante fosse da noi quell’essere. Perché mi perseguitava ancora? Dopo sei anni! Non volevo mica abortire il mio piccino! Che ce l’avesse ancora con Sasuke, dopo tutto questo tempo ancora voleva vendicarsi per quell’incidente?

 

Tap-tap-tap.

 

Con mio sommo orrore, scoprii come il Mizuko si stesse facendo sempre più vicino alla mia stanza. Avrebbe mai avuto una fine quest’assurdo carosello di vendetta?

 

Tap-tap-tap.

 

Strinsi le labbra, pronta ad affrontarlo. Se voleva nuocere ai miei due tesori, sarebbe prima dovuto passare sul mio cadavere.

 

Tap-tap-tap.

 

Lanciai un’ultima occhiata ad Acchan, il quale seguitava a sognare ignaro di tutto, cullato nel suo dolce mondo onirico.

 

Tap-tap-tap.

 

Potevo quasi percepire il gelo dell’acqua del Mizuko scivolare da sotto la porta e lambirmi i piedi …

 

Tap-tap-tap.

 

Eccolo …

 

Tap-tap- ta … “Kawa-chan!”

 

Eh?! Come?! Si era fermato?!

 

“Kawa-chan! Lascia Naru-tan in pace! Vieni qui, Kawa-chan!

 

Tap-tap-tap ma nella direzione opposta, distante dalla mia stanza. Il Mizuko si stava allontanando.

 

 “Vieni, Kawa-chan! Vieni da Kaa-san!”

 

Tap-tap-tap.

 

Smisi di respirare.

 

Tap-tap-tap.

 

Caddi in ginocchio, priva di forze, proteggendo il mio crescente pancione con ambedue le braccia e tremando dalla testa ai piedi.

 

Tap-tap-tap.

 

 

Sussultai violentemente al timido contatto di una manina sulla mia spalla. “Kaa-san?”, farfugliò Acchan con voce impastata, strofinandosi assonnato l’occhio destro. “Perché stai piangendo? E’ successo qualcosa ai nonni? A Tou-san?”

 

L’abbracciai d’impeto. “Ti voglio tanto bene, anima mia”, singhiozzai. “Tanto bene …”

 

 

“Stando al finale, il Mizuko, nei confronti di Naruko-san, può dunque essere definito un’entità positiva a negativa?”

"Entrambe. Premetto, che l'idea che desideravo che il lettore si facesse di Naruko è quella di una giovane donna certamente intelligente, ma molto insicura se affermare la sua individualità o se adeguarsi alla comunità per il quieto vivere. Il Mizuko quindi è una sorta di grillo parlante, rappresenta la sua coscienza, ecco, la quale la sprona a prendere una decisione non per compiacere gli altri, bensì per essere in pace con se stessa.  E’ difficile infatti convivere da soli.  Seppure, come avrà sicuramente letto nell'epilogo, il Mizuko non è pacifico né è spinto da nobili motivazioni, al contrario, esiste per riversare tutto il suo odio e la sua tristezza nella persona che sta per commettere, a suo giudizio, la medesima azione che gli ha impedito di vivere. I conflitti interiori non sono mai teneri e piacevoli, non a caso li chiamiamo appunto “conflitti” e spesso alla fine ci si porta appresso molte cicatrici. L’importante è uscirne sulle proprie gambe, vincitori. Altre domande?"

 

 

Presi in disparte mia madre soltanto dopo la colazione, quando Otōsan e Acchan uscirono di casa per recarsi a trovare la sua nonna paterna e gli zii. Non fu difficile, la trovai in salotto intenta a passare l’aspirapolvere e dovetti schiarirmi più volte la gola per attirare la sua attenzione, cosa che non avvenne nell’immediato e quando chiuse quell’infernale aggeggio ella si voltò verso di me con deliberata lentezza.

“Sì, cara?”

Raddrizzai il collo, abbozzando ad un tirato sorrisino, giusto per non lasciarle ad intendere la mia intima agitazione.

“Kaa-san ... ieri notte …”, iniziai impacciata, cercando le parole più adatte onde affrontare quel discorso che, ad orecchie profane, poteva suonare ridicolo se non folle.

“Uhm…?”, m’incoraggiò distrattamente mia madre, riprendendo il lavoro interrotto.

“Ecco … ho sentito dei rumori ...”

Okaasan  non parve particolarmente impressionata.“Oh, davvero?”

“All'inizio ho pensato trattarsi di Tou-san, ma poi ...”

“Poi? Nacchan, ti sbrighi o continui a parlarmi a puntante? Devo sbrigarmi con le pulizie, ho il pranzo da preparare, sai!”

Annuii velocemente e m’umettai le labbra secche, torcendomi le dita sul mio ventre sempre più rotondo.“Kaa-san ... chi è Kawa-chan?”

Okaasan cessò d’aspirare per terra, pietrificata.

 

 

"Ne avrei molte, Tobirama –sensei, ma una in particolare sta tormentando i lettori da molto tempo! Il romanzo incomincia con: Dalla testimonianza di Namikaze Naruko e lei ha confermato che le vicende narrate sono assolutamente vere."

"Sì, sebbene un poco romanzate e ingentilite, poiché avrebbero potuto offendere la sensibilità delle persone coinvolte."

"Indubbio. La domanda che ne consegue è questa: dov'è Naruko-san? Lei aveva promesso di portarcela per l'intervista, ma ... ma non abbiamo ancora avuto modo d'incontrarla. Per caso ha avuto dei ripensamenti? Oppure il suo è un alias per proteggere la sua privacy?"

 

 

Meccanicamente, mia madre si erse dritta, continuando tuttavia a fissare il pavimento, incapace ( o non desiderosa) d’incrociare i nostri sguardi. I suoi occhi, dal poco che riuscii a scorgere, mi parvero più opachi e vuoti d’un cadavere.

Nascosi a stento un brivido.

“A che mese sei, Nacchan?”

Mi rifiutai di risponderle. Qualcosa dentro di me urlava di allontanarmi quanto prima da lei, dal salotto, dalla casa, dalla stessa Konoha. Percepii un vuoto allo stomaco e chissà se  anche il mio piccino stava sperimentando quel malessere. “Cosa c'entra?”, mi risolsi a ribattere, suonando falsamente annoiata da quella domanda.

Ancora, mia madre non diede cenno di volermi guardare dritto in faccia e fu meglio così, considerato il tono gelido, da automa, che impregnò la sua spiegazione.“E' meglio che tu non ritorni in questa casa fino al parto.”

Indietreggiai, colta da un'improvvisa realizzazione.

 

 

"No, nessun ripensamento. Vede, Mei-san, lei ha già conosciuto Naruko."

"Sì nel romanzo, però io intendevo di persona ..."

"Appunto."

"Prego?"

 

 

Plick-plick-plick.

 

In lontananza, nel silenzio mortifero sceso in salotto, udii il famigliare gocciolio dell'acqua  scendere pingue e lenta giù dalle scale ...

 

Plick-plick-plick.

 

M’appoggiai sullo stipite della porta a mo’ di sostegno, mancandomi per un istante l’aria, di nuovo in neanche ventiquattrore. Al diavolo i doveri figliali. Appena rincasati dalla loro visita agli Uchiwa, avrei pigliato Acchan per recarci immediatamente alla stazione.

 

Plick-plick-plick.

 

"Kaa-san ...”, ansimai, avvertendo gocce di sudore freddo scendermi lungo le tempie. “Kawa-chan … è il mio ...?"

Seguii con lo sguardo la pozza d’acqua che univa mia madre e la sottoscritta, arrivando alla fonte di tale scia, come una lumaca che lascia la bava ovunque si sposti. E di fatti, aggrappato alla sua gonna, il Mizuko mi sorrideva ambiguo, trionfo, un ghigno che, ammorbidito da una più genuina benevolenza, avevo già visto su di un altro volto.

Quello di Mikoto. O meglio, del suo defunto fratello.

 

Plick-plick-plick …

 

 

L’horror writer indicò una delle molte statuette di bambini accostate l’un l’altre nel cortile del tempio.

"Mei-san, lei ha qui davanti Naruko."

 

 

Se Izuna o Hashirama lo avessero saputo, si sarebbero arrabbiati moltissimo, Tobirama ne era al corrente. Ciononostante, non poteva rimanere passivamente a casa, sorbendosi per l’ennesima volta la visione del Mizuko senza capire perché accidenti la perseguitasse ancora, dopo anni trascorsi dalla prima manifestazione. La prima volta poteva anche comprendere, sì, aveva considerato l’opzione dell’aborto ma ora, che senso aveva? Era sposata con Izuna, avevano avuto un secondo figlio, come mai quello stronzetto d’un fantasma perseverava nella sua persecuzione? Credeva che scrivendo il libro il Mizuko si sarebbe placato, invece …

Perciò, complice anche la telefonata quasi provvidenziale, la scrittrice s’era recata alla casa paterna, dove aveva giurato anni addietro di non metterci mai più piede.

Le venne ad aprire la donna delle pulizie, ignara della tacita faida tra lei e suo padre, Senju Butsuma. In seguito alla morte della madre in un incidente stradale, il rapporto tra lui e i figli s’era bruttamente incrinato, solo che Tobirama, contrariamente a suo fratello Hashirama, era sempre stata più abile nelle sottigliezze, nel dare la carne al padre non ribellandosi apertamente bensì tramite della subdola manipolazione. Finché non era arrivato anche per lei il punto d’ebollizione.

Butsuma s’era immediatamente accorto della sua presenza in salotto, ma non diede cenno d’averla riconosciuta né di rivolgerle lui per primo la parola. Tobirama non cedette a quella senile provocazione, limitandosi a schiarirsi più volte la gola onde attirare l’attenzione del padre, cosa che non avvenne nell’immediato e quando chiuse il giornale, sbuffando, egli s’arrese a quella silente ostinazione della figlia e si voltò verso di lei con deliberata lentezza.

“Ebbene? Che c’è? Hai già finito di firmare autografi?”

La scrittrice raddrizzò il collo, abbozzando ad un tirato sorrisino, giusto per non lasciargli ad intendere la sua intima agitazione, specie in seguito a quelle spiacevoli telefonate.

“Mi hai contattato spesso ultimamente e quindi pensavo di venirti a visitare, visto che sembravi così impaziente di risentirmi, soprattutto dopo la pubblicazione del mio ultimo romanzo”, iniziò l’albina freddamente, cercando le parole più adatte onde affrontare quel discorso che, ad orecchie profane, poteva suonare ridicolo se non folle.

“Uhm…?”, l’incoraggiò distrattamente suo padre, riprendendo la lettura interrotta. “E che me ne dovrebbe importare? Credevo che tu possedessi un po’ d’amor proprio per evitare tale sputtanamento pubblico tuo e della tua famiglia.”

“Certo, se chi lo legge ha la coscienza sporca ...”

Butsuma  non parve particolarmente impressionato.“Oh, davvero? Sentiamo: perché dovrei sentirmi preso in causa?”

“All'inizio non avevo collegato la tua rabbia iniziale riguardo il mio desiderio di sposarmi con Izuna, ma poi, diciamo che alcune tue affermazioni mi hanno fatta riflettere ... Così come la tua particolare devozione a Jizō-sama.” E il nome su quella statuetta con la sciarpina rossa nel cortile al tempio a lui dedicato.

“E allora? Tobirama, ti sbrighi o continui a parlarmi a sciarade e indovinelli? Non ho tutto il giorno da perdere dietro le tue idiozie, sai!”

L’interpellata annuì  velocemente e s’umettò le labbra secche, torcendosi le dita sul ventre ancora piatto.“ Otōsan... al tempio di Jizō-sama … accanto a te in questo stesso momento … chi è Kawa-chan?”

Butsuma cessò di leggere definitivamente il giornale, guardando fisso davanti a sé, pietrificato.

 

 

Terumi Mei sembrò quasi sul punto di schiattare lì, in mezzo al cortile, strabuzzando un paio d’occhi tondi quasi come delle palline da golf. "Quindi ... quindi L'Appuntamento è la sua autobiografia?", boccheggiò stordita e guardando al limite dello sconcerto la statuetta, Tobirama e la copia del libro e non esattamente nell’ordine sopracitato.

L’albina accompagnò dolcemente la giornalista alla prima panchina disponibile, lasciandole abbastanza tempo e spazio per riprendersi da quella rivelazione decisamente inaspettata. D’altronde, non si poteva dire che Tobirama avesse dischiuso molte informazioni circa il suo passato e solo dopo essersi più volte consultata col fratello e con il marito (omettendo però il Mizuko) s’era decisa a rivelare almeno parzialmente quell’episodio fondante della sua vita.

 "Un'autobiografia camuffata, sì. Namikaze Naruko è il nom de plume che usavo sia da ragazzina, quando scrivevo da dilettante, sia da giornalista d’inchiesta, prima di dedicarmi esclusivamente ai romanzi. Infatti, ricevendo spesso minacce da parte delle “vittime” dei miei articoli, ho sempre giudicato opportuno difendere la mia identità e la mia privacy. Non può figurarsi la soddisfazione di smettere di indossare parrucche e lenti a contatto onde passare inosservata. Malgrado ciò, al momento di scegliere il nome della protagonista, non ho resistito all’impulso, anzi al dovere, di usare Naruko: glielo dovevo, dopo intensi anni di collaborazione lavorativa”, le spiegò semplicemente la scrittrice, intrecciando le dita sul grembo. “Ma non per questo quanto narrato nel libro deve essere preso alla lettera: le dinamiche ne L’Appuntamento non si snodano esattamente come vengono lì descritte. Mori, dove sono nata, è divenuta Konoha e Kagami-kun nacque d’inverno, non d’estate. Non condividevo la casa con le mie compagne di corso all’università, mi consideravano troppo stramba per i loro gusti. Il funerale iniziale era di mia suocera, non di mio suocero. I dialoghi col bisnonno e coi bambini non hanno mai avuto luogo, sono una mia invenzione. Mia madre è morta, giusto per citare il rapporto Naruko-Kushina, ma come quest’ultima anche lei s’era divertita parecchio prima e dopo il matrimonio con mio padre, che di sicuro non era comprensivo come Minato né tantomeno sindaco. Hashirama ed io siamo stati cresciuti  dalla nostra matrigna, da cui è nato Itama, il nostro fratellastro.

Né tutti i personaggi corrispondono per filo e per segno ai miei parenti e conoscenti, del resto.  Ad esempio, mio fratello non è omosessuale anzi ha  pure un figlio appresso; mia cognata Mito – poverina e pace all’anima sua – ha cambiato sesso ed è divenuta Gaara. Quanto a mio cognato Madara non sì è mai sposato, figurarsi se ha cinque figli! Ma come Itachi e Menma, lui e Hashirama sono legati da una profonda amicizia, sebbene Madara possegga un carattere ben più … problematico rispetto ad Itachi. Shisui è una mia cara amica per la cui privacy non rivelerò il nome.

Insomma,  ho preso le loro personalità e le ho scisse, rimescolate, creando nuove identità, ho addolcito alcuni aspetti, ma alla fine il succo della storia non cambia ... Sì, lo ammetto: rimasi incinta del mio primo figlio, Kagami-kun, appena ventenne e all’epoca, non sicura di come mio marito Izuna avesse potuto reagito alla notizia, avevo considerato d’abortire. Ma poi desistetti dal mio proposito e, chiaritici, decidemmo di sposarci.”

“Quindi il Mizuko non esiste? Espediente narrativo?”

“Uhm … sì, diciamo di sì …”

“E … sua madre …?”

Il volto di Tobirama s’oscurò all’improvviso.

 

 

Meccanicamente, suo padre s’alzò dal divano, continuando tuttavia a studiare rigido il pavimento, incapace ( o non desideroso) d’incrociare i loro sguardi. I suoi occhi, dal poco che la donna riuscì a scorgere, le parvero più opachi e vuoti d’un cadavere.

Tobirama nascose a stento un brivido.

“A che mese sei, musume?”

L’albina si rifiutò di rispondergli. Qualcosa dentro di lei urlava di allontanarsi quanto prima dall’uomo, dal salotto, dalla casa, dalla stessa Mori. Percepì un vuoto allo stomaco e chissà se  anche il suo piccino stava sperimentando quel malessere. “Cosa c'entra?”, si risolse a ribattere, suonando falsamente annoiata da quella domanda.

Ancora, suo padre non diede cenno di volerla guardare dritto in faccia e fu meglio così, considerato il tono gelido, da automa, che impregnò la sua spiegazione.“E' meglio che tu non ritorni in questa casa fino al parto.”

Tobirama indietreggiò, colta da un'improvvisa realizzazione. S’appoggiò sullo stipite della porta a mo’ di sostegno, mancandole per un istante l’aria, di nuovo in neanche ventiquattrore. Al diavolo i doveri figliali. Appena ottenuta la dolorosa conferma, sarebbe corsa immediatamente alla stazione e avrebbe pigliato il primo treno per rincasare.

 

Plick-plick-plick.

 

In lontananza, nel silenzio mortifero sceso in salotto, udì il famigliare gocciolio dell'acqua  scendere pingue e lenta giù dalle scale ...

 

Plick-plick-plick.

 

" Otōsan...”, ansimò, avvertendo gocce di sudore freddo scenderle lungo le tempie. “Kawa-chan … è il mio ...? Quando Kaa-san è morta ...? Eravamo in due?"

 

Plick-plick-plick …

 

 

“La mia vera madre perì in un incidente in macchina e assieme a lei il mio fratello gemello, Kawarama, all'inizio del settimo mese di gravidanza. Mi salvai per puro miracolo." O almeno questa era la versione ufficiale inculcatale volente o nolente da suo padre. Ma il dubbio – il dubbio! – le sorgeva ogniqualvolta si guardava allo specchio, ogniqualvolta parlava con Hashirama, non riflettendosi nei suoi tratti somatici … “Se ci fosse stato un Mizuko sarebbe sicuramente stato Kawarama, il quale mi avrebbe punito e al contempo conceduto una seconda opportunità per meglio riflettere riguardo la mia volontà d’abortire Kagami-kun.”  Peccato che non sussistesse alcun “se”, ma Tobirama non gradiva condividere certe esperienze con chiunque, soprattutto se c’era la possibilità d’accusarla di pazzia. Figurarsi se la gente credeva sul serio all’esistenza dei fantasmi.

Un lungo silenziò s’insinuava intanto tra le due donne, rendendole stranamente unite in quel segreto tuttavia ben compreso dalla giornalista, che, sospirando profondamente, commentò sincera:

"Lei è stata molto coraggiosa, Tobirama-sensei. Non molti scrittori avrebbero avuto il fegato d’esporsi così, raccontando vicende così dolorose anche se … edulcorate e camuffate in un romanzo."

"O sventata, Mei-san. Ho tagliato i ponti con la mia famiglia, tranne ovviamente con mio fratello maggiore. Solo di recente, dopo aver concluso il romanzo, ho tentato di ... No, lasci perdere questo punto." Meglio glissare sull’ultima conversazione avuta con Butsuma.

Mei fece cenno di sì col capo, comprensiva. "Quindi Uchiwa Sasuke è suo marito? Uchiha Izuna?"

La tensione scomparve in parte dal viso della scrittrice, rilassandolo. "Sì, quand'era giovane e sciocco come me."

"Kirisutokyouto anche lui? Medico?"

"Esatto. Veda un po' lei com'erano contenti i miei genitori, mio padre in particolare, quando appresero come la loro reclusa-albina-freak d'una figlia se l’intendesse con una di quelle strane creature, rimanendone perfino incinta e questo praticamente sotto il loro naso! Fu grazie alla complicità di Hashirama se potei scappare di casa e sposarmi con Izuna: mi avevano praticamente messa sottochiave fino all’appuntamento col medico …”, Tobirama s’interruppe, ridacchiando un poco imbarazza. Se non fosse stata tanto terrorizzata dal Mizuko,  avrebbe all’epoca giudicato tutto quel gioioso bordello alla stregua d’una pessima trama da romanzetto rosa.

La giornalista si coprì con la mano la bocca, stringendo caparbia le labbra onde reprimere un sorrisetto divertito. "Beh, in questo caso non mi resta che porgerle i miei più vivi complimenti per la sua terza gravidanza e per la felice pubblicazione del suo romanzo!”

“Grazie, è molto gentile da parte sua.”

“Immagino suo marito sia molto contento?”

“Moltissimo e così anche Kagami-kun e Naori-chan sono entusiasti all’idea di avere un fratellino o una sorellina.”

“Un'ultima domanda: è stato per caso celebrato un Mizuko kuyō e fatta un'offerta a Jizō-sama per il suo fratellino?"

"No, questo romanzo è la sua cerimonia funebre”, parziale, avrebbe voluto aggiungere Tobirama, ma tacque. Dopo aver finalmente regolato i conti e appresa la verità, forse il Mizuko non l’avrebbe mai più infastidita. Forse. “Mi sono convertita, tali riti non hanno più senso per me. Non è un caso che il Mizuko abbia lo stesso nome del mio fratellino."

"Anche lui ... figlio dell’adulterio?"

"Così m’è stato suggerito dagli avvenimenti."

"Un momento! Non vorrà mica insinuare ...?", sgranò gli occhi Mei, abbandonando scioccata la penna sul block-notes. “Che lei e … e suo fratello siete figli di …?”

"Chi può dirlo?"

 

 

Tobirama seguì  con lo sguardo la pozza d’acqua che univa lei e suo padre, arrivando alla fonte di tale scia, come una lumaca che lascia la bava ovunque si sposti. E di fatti, aggrappato ai pantaloni, il Mizuko, o Kawarama, le sorrideva ambiguo, trionfo, un ghigno che, ammorbidito da una più genuina benevolenza, lei aveva già visto su di un altro volto.

Nel suo, fosse stata maschio, ma non certo in quello di Butsuma. Né d’Hashirama.

O della sua defunta madre.

 

Plick-plick-plick.

 

"Perché me l’hai tenuto nascosto? Perché farmi abortire quando già abbiamo un Mizuko in casa? Eravate tanto ansiosi di averne un secondo?!", prese a tremare Tobirama e stavolta di rabbia, stringendo i pugni fino a ferirsi i palmi con le unghie. Dinanzi al cocciuto silenzio del padre, ella digrignò i denti, resistendo a malapena all’impulso d’afferrare l’abat-jour e di fracassargliela in testa. “O magari, ti dispiace proprio che io per prima sia sopravvissuta all’incidente?!”

"Bisognava mantenere il segreto."

"Quale?"

Silenzio.

"Non chiedermi questo."

 

Plick-plick-plick …

 

“… ovvio che no, Mei-san. Ovvio che no. Ma è così bello vendicarmi tramite il romanzo, facendoglielo credere.”

E Tobirama rise perfida.

 

 

 

 

 

 

 

***

 

“Baby Blue, Baby Blue ,

I know that thing t’was done to you ...

... You killed your baby!”

 

 

 

 

 

 

- The End -

 

 

 

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Scioccati? Incavolati? Mi dispiace, non si accettano minacce di morte! ^^

Ebbene sì: se non lo avevate già capito, il tag “Genderbender” non si riferiva solo a Naruto, bensì anche a Tobirama! Infatti, rileggendo, noterete come abbia insistito sui capelli corti di Naruko, quando invece nel manga ha le codine alla Sailor Moon. Inoltre, occhi a parte, un poco si assomigliano. Ma soprattutto, complice anche l’affermazione del nostro Shodai preferito, Sasuke e Izuna sono pressoché identici e quindi il “parallelo” ci stava.

Infine, avete notato come non avessi mai usato né aggettivi declinabili né tantomeno pronomi personali riferiti al sesso di Tobirama? E' stata un'agonia grammaticale, davvero! Ma ne è valsa la pena, buahahahhaha!!!

Dunque siamo arrivati veramente alla fine: è stato divertente scrivere questa storia, nonostante i temi trattati, e ne sono relativamente soddisfatta.

Se volete lasciare qualche commento o se avete alcune curiosità sulla storia, non esitate a lasciarmi o una recensione o un pm! Rispondiamo – quasi – subito! ;-P

Grazie ancora a tutti voi che mi avete seguito fino al The End!

 

 

Alla prossima storia!

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