The return of the Doctor

di dilpa93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte I ***
Capitolo 2: *** Parte II ***
Capitolo 3: *** Parte III ***



Capitolo 1
*** Parte I ***





"Tutte le azioni compiute nel mondo cominciano con l'immaginazione"
-Barbara Harrison-

 



 

Quella notte il caldo era soffocante, pur con il condizionatore acceso Rick non faceva altro che rigirarsi cercando di trovare un punto del letto leggermente più fresco. Si mise sul fianco guardando la moglie dormire chiedendosi come riuscisse a farlo, quando la risposta gli arrivò dal baby controller in un leggero mugolio.
 
Sorrise.
 
Matt era la gioia di quella casa, specie da quando Alexis aveva preso la coraggiosa decisione di trasferirsi definitivamente. Nessun ragazzo con cui convivere, nessun fruttariano in vista. Solo lei, la sua amica d’infanzia, Carol e una collega dell’internato allo studio legale dove lavorava, Trish. Tre ragazze che condividevano un appartamento ad un paio di isolati di distanza da lui, nulla sarebbe potuto andar storto. Ma per quanto lui e Kate avessero a lungo bramato un po’ di calma e tranquillità, così da avere almeno una serata o due in cui rilassarsi dal rientro dal lavoro o dopo la conclusione di un caso particolarmente duro, il silenzio in casa stava diventando soffocante. Fortunatamente era arrivato Matt, paffutello, grandi occhioni vispi e azzurri, sorriso ancora sdentato. Dieci mesi di pura vivacità, ma tutta quell’energia vitale sembrava risucchiarla dai loro corpi. Kate, tra i due, era quella che faceva più sacrifici. Cercava di fare il possibile per tornare a casa entro l’ora della nanna, o per fargli il bagnetto ma non sempre era possibile e si attaccava ad ogni momento libero che aveva per poter stare con i suoi due uomini. Ed ora niente, nemmeno la terribile afa estiva poteva impedirle di riposare.
Per fortuna il piccolo sembrava non essersi svegliato, così Rick abbassò la guardia stendendosi nuovamente sulla schiena. Diede un’ultima occhiata al soffitto bianco prima di chiudere gli occhi deciso ad addormentarsi ad ogni costo, ma ancora una volta un gracchiare richiamò la sua attenzione. Per essere così piccolo, suo figlio aveva già un tempismo davvero pessimo. Prese in mano il baby controller, lo osservò con circospezione portandoselo poi all’orecchio, decisamente il rumore non proveniva da lì. Si mise a sedere allarmato, sentendo Kate cercarlo con la mano nel sonno-veglia.
“Tesoro…  è Matt. Vai tu?”, domandò sbiascicando e aggiustando la sua posizione. Rick non ebbe il tempo di replicare, perché il rumore si fece più forte e stridente e all’improvviso entrambi lo riconobbero.
 
Non lo avevano mai dimenticato, non avrebbero potuto.
 
Anche Kate si mise seduta e, trepidante, attese che l’oggetto che entrambi tanto avevano sperato di rivedere, insieme ovviamente al suo proprietario, si materializzasse definitivamente davanti ai loro occhi.
La cabina blu finalmente comparve, proprio al centro della loro camera da letto. Castle corse verso l’entrata del Tardis e non appena le porte si aprirono fu travolto da quel ragazzotto dall’accento fortemente inglese.
“Richard Castle, il mio scrittore preferito!”, lo strinse a sé dondolando a destra e sinistra. “Beh, dopo Conrad e Agatha Christie, una donna adorabile. E ovviamente J. K. Rowling. Ah… il settimo libro, c’è di che piangere!”. Gli lasciò un’ultima pacca sulla spalla fiondandosi poi da Kate, che nel frattempo si era alzata ed era rimasta ad attenderlo con le braccia incrociate e quello sguardo da finita indispettita per essere stata messa al secondo posto. “E Kate Beckett, la miglior detective di New York.”
“È Capitano adesso”, suggerì Rick poggiato ancora allo stipite della cabina.
Il Dottore si staccò da lei guardandola negli occhi, con sguardo serio, poi le sorrise congratulandosi. “Forza, tutti dentro al Tardis!”.
I due coniugi si guardarono, negli occhi avevano entrambi lo stesso interrogativo. Potevano davvero andarsene così, come se nulla fosse? C’era Matt a cui pensare adesso ed erano tutti e due convinti che il tempo di stelle, di luoghi come Akhaten, Siluria e le Foreste Gamma, di guerre Sontaran e Dalek, e dei Siluriani fossero finiti, almeno per loro. Invece, ancora una volta, ecco comparire quel folle uomo con la sua cabina della polizia.
“Che fate? Coraggio, entrate.”
“Dottore…”, lo richiamò Kate con aria rattristata. “Non possiamo andarcene”. Il Dottore si stirò le bretelle voltandosi poi verso Rick, sperando di trovare sostegno. “Abbiamo un bambino ora. Non possiamo lasciarlo, neanche per un paio di giorni. Ci piacerebbe venire con te, davvero, noi…”, lasciò la frase in sospeso puntando lo sguardo a terra.
Il Dottore ci pensò su qualche secondo passandosi le dita lungo la mascella pronunciata, poi si sistemò il cravattino. Kate scosse la testa, gli era mancato quel semplice gesto. Lo aveva visto fare a Rick un sacco di volte, ma non era la stessa cosa.
“Vi riporterò qui e nessuno si accorgerà neanche che siete stati via.”
I coniugi Castle arricciarono le labbra. “L’ultima volta che lo hai detto siamo stati via tre settimane!”
“Davvero? Oh beh, è stato un errore. Lo prometto, vi riporterò qui in tempo.”
“Regola numero uno, il Dottore mente. Lo dicevi sempre, ricordi?”, gli fece notare Richard.
“Lo dico ancora, ma questa è un’altra storia… andiamo ragazzi, manterrò la promessa!”.
Un altro lungo e profondo sguardo, un dialogo silenzioso di quelli che erano soliti condividere insieme. E poi un solo sorriso a dimostrazione, ancora una volta, di essere arrivati alla stessa conclusione.
Kate afferrò i vestiti sulla poltrona e si avvicinò alle porte del Tardis, mise un piede all’interno per poi fare un passo indietro e puntare l’indice sul petto del Dottore. “Se saremo in ritardo anche solo di un giorno, giuro che ti sparerò”, sorrise compiaciuta e poi sparì dalla vista dei due uomini. Il Dottore si sistemò di nuovo il papillon con aria soddisfatta. “Rick?”
“Dammi solo un minuto! Non partite senza di me”, disse in un urlo strozzato. Corse in cucina e scrisse in fretta su un post-it. Era una di quelle rare occasioni in cui benedì il fatto che sua madre alla fine avesse scelto di non trasferirsi e restare da loro per aiutarli con il bambino.
 
Io e Kate siamo dovuti uscire, torneremo entro sera.
 
Meglio abbondare con il tempo, pensò. Le promesse del Dottore erano sempre da prendere con le pinze.
Lasciò il post-it sul bollitore, sarebbe stata la prima cosa che sua madre avrebbe visto appena sveglia, ne era certo, poi tornò in camera, prese una maglietta dal cassetto e un paio di jeans e raggiunse sua moglie. Entrando la trovò già vestita, pronta per qualsiasi avventura avrebbero vissuto. Si affrettò anche lui a cambiarsi in una delle innumerevoli stanze del Tardis. Uscì aggiustandosi una manica della t-shirt che si era arrotolata su se stessa. Si diede un’occhiata intorno, al solito la consolle troneggiava al centro della cabina nella sua forma esagonale, ricca di pulsanti e leve che il Dottore impediva a chiunque di toccare. Sviluppandosi in verticale, terminava all’interno di metallici cerchi concentrici. Le cose tonde dovevano piacere particolarmente al Dottore, tanto da esserne piene anche le pareti. Nell’intero Tardis si diffondeva un bagliore sui toni dell’arancio e del giallo, facendolo apparire come perennemente avvolto dalla luce del Sole al tramonto. Due rampe di scale portavano al piano superiore che ovviamente Rick non vedeva l’ora di esplorare. Gli sembravano secoli da quando vi era stato la prima volta, ed era curioso di vedere se la libreria avesse ampliato la sua collezione e soprattutto se la piscina fosse ancora lì. Per il resto non avrebbe osato addentrarsi più di tanto. Il Tardis era più grande all’interno, e lui lo aveva imparato la prima volta a sue spese perdendosi. “Questo posto non cambia mai”, commentò trasognato. Il Dottore cominciò a correre in lungo e in largo attorno alla consolle. “Credo che Lei avrebbe da ribattere”, accarezzò i comandi facendo una piccola pausa. “Allora, allora, allora, che ne dite di andare a vedere i due anelli di Posadise? Oh, sono spettacolari in estate! Gli asteroidi che li compongono brillano alla luce dei Soli gemelli.”
“Direi che può andare. Kate…?”
Beckett saltellò fino alla consolle, aggrappandosi forte alla sbarra metallica, “Cosa stiamo aspettando?”.
Il Dottore le sorrise sghembo abbassando la leva e lo scossone del Tardis in partenza li fece sobbalzare.
“Dunque…”, esordì allungando le u come a voler creare la giusta enfasi. “Per l’esattezza, quanto tempo è passato da quando… Si beh, noi…”
“Cinque anni. Ormai iniziavamo a credere di averti inventato.”
 
 
Era da poco passato il Natale. Le strade erano ancora affollate dalla consueta orda di turisti accorsi a New York per godersi lo spirito natalizio, che infestava la città dall’inizio del mese di dicembre fin dopo Capodanno per poi tornare alla sua -quasi totale- normalità. Ovviamente l’avvento delle festività non teneva lontani i criminali che, al contrario, parevano rinvigoriti dal freddo e dello scintillio dei led che coloravano le strade. Il sole non era ancora sorto e il vicolo in cui era stato rinvenuto il cadavere era freddo e avvolto dal chiarore della notte, oltre che dalla leggera coltre di nebbia che si alzava dalla brina di cui era ricoperto l’asfalto, scatenando quel brivido che dalla punta dei piedi arrivava fino alla base del collo. Non sembrava esserci nulla di strano, solo un altro noiosissimo caso che aveva costretto la squadra di Beckett a rientrare qualche giorno prima del previsto. Eppure, prima di lasciare la scena del crimine, l’attenzione di Rick si era rivolta a quella cabina blu che appena arrivato non aveva notato. Vi si stava avvicinando quando i richiami di Beckett, che non voleva essere il prossimo cadavere in quella strada per causa assideramento, gli avevano fatto fare un passo indietro. Aveva alzato le spalle e, con andatura sostenuta, l’aveva raggiunta in auto.
Il caso non aveva richiesto particolari sforzi ed energie per essere risolto -l’assassino si era lasciato dietro numerose tracce rivelando la sua inesperienza ed ingenuità- e, come Kate aveva tenuto a ricordare a Castle, non tutti i casi potevano essere intellettualmente stimolanti per la sua vena creativa.
Nonostante tutto, il ragazzo continuava a proclamare la sua innocenza, sottolineando come le tracce di dna trovate e le fibre della sua sciarpa incastrate nella lampo del giubbotto della vittima fossero presenti solo perché, quando lo aveva trovato, aveva cercato in ogni modo di aiutarlo, anche se era già troppo tardi. Poi qualcosa era apparso nel buio e, spaventato, era corso via.
Benché sembrasse la classica storia inventata su due piedi, ben si accordava con alcune prove che non erano riusciti a collegare a lui o alla vittima stessa. Rick l’aveva pregata di aspettare almeno un altro giorno -e del resto Gates non avrebbe concesso alla squadra più di quello- per dichiarare ufficialmente chiuso il caso ed incriminare formalmente il ragazzo.
Aveva sospirato e scosso la testa, ma fu costretta ad ammettere che anche lei voleva vederci chiaro fino in fondo. Si erano trattenuti al distretto fino a serata inoltrata, non avevano intenzione di sprecare neanche un minuto della proroga che la Gates gli aveva accordato. Quella stessa sera, uscendo, Rick -in quel gesto abituale quando ci si guarda intorno senza realmente vedere ciò che ci circonda- aveva notato nuovamente quella cabina blu. Fu solo per un frazione di secondo poi Kate, poggiandosi con la schiena alla portiera della macchina, lo aveva tirato a sé per i lembi del cappotto. C’era voluto qualche secondo prima che riuscisse a concentrarsi su quello che Kate gli stava dicendo. Le aveva sorriso afferrando le chiavi dell’auto dalla sua mano e lasciandole un bacio sulla guancia. Per il tragitto non parlarono. Kate ogni tanto gli aveva sfiorato le dita, che lui teneva strette attorno al cambio, rilassandosi guardando al di là del finestrino, mentre Rick, pur concentrato sulla strada, non era riuscito a non pensare a quella cabina blu. Non poteva essersela immaginata e, riflettendoci, ricordò di averla già notata quella mattina presto, mentre beveva la sua tazza di caffè poco prima che il telefono di Beckett squillasse obbligandoli a raggiungere la scena del crimine. Ma era stato un istante, nulla di più. Quando aveva riportato gli occhi sul punto esatto in cui era convinto di averla vista, questa sembrava essere svanita, lasciandogli credere di aver preso un abbaglio.
Raggiunto il loft, aveva aspettato di trovarsi solo con Kate, nella loro camera da letto, per domandarle se anche lei avesse notato qualcosa ma, prima che lei potesse rispondergli negando col capo e guardarlo con la sua usuale aria scettica, lo stridore dei freni del Tardis, che il Dottore lasciava sempre inseriti, aveva riempito la stanza e in pochi secondi anche la cabina era comparsa. Rick era rimasto immobile, mentre Kate con movimenti quasi impercettibili aveva cercato di raggiungere la Glock chiusa nel cassettino del comodino. Con le dita ne sfiorò il calcio e, quando ebbe l’impugnatura ben salda nella mano, la tirò fuori puntandola verso la porta della cabina nel momento esatto in cui il Dottore comparve sulla sua soglia. Lui, riluttante alle armi -e non aspettandosi minimamente un’accoglienza simile- si mise sulla difensiva puntando in risposta, contro Castle e Beckett, il suo cacciavite sonico appena estratto dalla tasca interna della giacca in tweed. Il ronzio della luce verde del cacciavite, indice del suo funzionamento, venne accompagnato da un woah di totale stupore da parte del Dottore.
Castle aveva semplicemente sentito, quello che aveva tutta l’aria di essere solo un ragazzino, dire con forte accento inglese, “Tardis”, indicando la cabina, “Dottore” puntandosi invece l’indice contro il petto, “Non amante delle armi”, in conclusione. Alla sua domanda esplicita, quando aveva ripetuto a mo’ di pappagallo Dottore con tono interrogativo, seguito da “Dottore… chi?”, l’ultra centenario Signore del Tempo aveva spiegato in somme parole cosa la sua cabina -beh, sua… la cabina che aveva preso in prestito. O forse era lo stesso Tardis ad aver preso in prestito lui? Ancora la cosa era da stabilirsi- fosse in grado di fare. Gli occhi di Castle avevano brillato come quelli di un bambino con il naso premuto contro il vetro di un negozio di dolci e, prima che Kate avesse potuto in alcun modo fermarlo, pregandolo di riflettere con maggior razionalità, Castle era sceso dal letto, aveva superato il giovanotto inglese ed era entrato nel Tardis. Il Dottore, dopo averlo sentito esclamare con stupore, “È più grande all’interno!”, ripose il cacciavite sonico aggiustandosi il papillon e raggiungendolo lasciando Kate da sola, con bocca spalancata e sguardo perso.
Non aveva avuto molta scelta se non quella di seguire i due uomini, anche se tutto andava contro il suo carattere estremamente razionale, ma da quando stava con Rick le era capitato più di una volta di dover combattere il suo raziocinio. Quella sarebbe semplicemente stata un’altra occasione da aggiungere alla lista.
Nell’ultimo periodo, il Dottore era stato trascinato in lungo e in largo dal Tardis. Sembrava quasi che non avesse più il controllo della sua Sexy cabina.
Cinque minuti”, aveva detto alla giovane Amelia Pond, la prima ad aver visto il suo nuovo viso, la ragazzina scozzese che viveva a Leadworth, in Inghilterra, senza padre né madre, solo con una zia e una crepa nella parete della sua camera e, come il Dottore ben sapeva, una crepa non era mai solo una crepa. Era risalito sul Tardis, convinto che sarebbe davvero tornato in un attimo, i motori erano partiti e lui aveva fatto fare alla sua cabina un ultimo viaggio, giusto per scongiurare l’ipotesi di una sua esplosione. Era tornato a ben dodici anni di distanza e, dopo aver aiutato gli Atraxi a catturare il paziente zero, averli convinti a lasciare in pace la terra, e senza nemmeno salutare Amy, si era fiondato sul suo Tardis. Una delle chiavi era diventata incandescente e questo significava che finalmente era pronto. Nuovo volto per lui, nuovo aspetto per la sua macchina del tempo. Anche questa volta doveva essere solo un viaggio di rodaggio fino alla Luna e poi ritorno, invece si era trovato prima su Rokhandi, dove aveva rischiato di cadere nei canyon cantanti, poi su Metrolos. Qualche tempo dopo era tornato sulla Terra catapultato a Glasgow ed infine a New York. In ogni posto in cui andava c’era qualcosa da sistemare e, una cosa che avrebbe compreso solo tra molti anni -anche se per lui probabilmente sarebbero potuti sembrare solo pochi minuti- era che il Tardis lo portava sempre dove aveva bisogno di essere. Non era mai un posto e un tempo casuale.
Arrivato a New York, la prima tappa era stata l’Old Hunt. Aveva visto Castle e Beckett uscire abbracciati, il sorriso sulle labbra poi deformate in uno sbadiglio con il quale avevano deciso di decretare la fine della serata per tornare a casa e riposarsi. Quando aveva provato a ripartire, il Tardis lo aveva portato solo a qualche isolato di distanza, con un  distacco temporale di uno o due giorni. Ancora la stessa coppia, ancora la stessa aria stanca e, quando aveva attivato il cacciavite sonico per una rapida scansione, questo aveva rivelato la presenza di qualcosa che sembrava seguire la coppia. Il Dottore non aveva tuttavia notato nulla, anche se forse gli sarebbe bastato prestare maggiore attenzione alle vetrine dei negozi alle spalle dei due.
Al terzo spostamento, ritrovandosi di nuovo ad assistere ad un momento della vita di Rick e Kate, aveva capito che qualsiasi cosa la sua cabina voleva che lui facesse doveva aver a che fare con loro due. Così aveva tentato di avvicinarsi a loro in più di un’occasione, ma tutte le volte che Rick sembrava accorgersi di lui, Kate lo distraeva dalla sua innata curiosità, allontanandolo.
A mali estremi, estremi rimedi, e così quella sera si era trovato nella loro camera da letto.
Il Dottore aveva provato a convincerli a seguirlo. Viaggi nel tempo, razze aliene, poter assistere in anteprima alla fine del modo, ma prima di tutto risolvere quel caso per cui non sembrava esserci una spiegazione logica.
L’osso duro della coppia era senza dubbio Kate.
Aveva ancora lo sguardo perplesso, un sopracciglio alzato e le labbra arricciate. Si era portata le mani sui fianchi, in una tacita richiesta di attenzione che venne immediatamente accolta dal Dottore.
Chi ci dice che tu non sia solo un pazzo con un cabina?”.
Mentre Rick girava ancora su se stesso col naso per aria, lui le si era avvicinato reggendosi poi alla balaustra metallica che circondava la consolle. “Ti svelerò un segreto”, aveva sussurrato sporgendosi in avanti arrivando a pochi millimetri dal suo viso. “Io sono totalmente e decisamente un pazzo con una cabina”. Kate sembrò pensarci su, ma fu solo questione di secondi prima che i lineamenti del suo viso si rilassassero in un sorriso. Forse per il modo che aveva avuto il Dottore di tenere testa a lei e a quel suo sguardo inquisitore, ma alla fine si era lasciata persuadere.
Il Dottore era il solo che avrebbe potuto aiutarli a risolvere quello che all’apparenza era sembrato un caso di omicidio come tanti altri, dando così anche nuovi spunti a Rick per il suo romanzo. Il difficile sarebbe stato spiegare come l’omicidio fosse stato perpetrato per mano, essenzialmente, di un manichino in plastica.
Autons, li aveva chiamati il Dottore, che si era poi dato dello stupido per non averlo capito prima.
Al solito Kate era sembrata scettica a riguardo, ma quando si era trovata a fronteggiarli faccia a faccia si era dovuta ricredere. Il Dottore aveva constatato il loro miglioramento dall’ultima volta che li aveva visti -doveva essere alla sua ottava, no, alla sua nona rigenerazione-, erano decisamente più sofisticati di un tempo. Se prima sembravano dei comunissimi manichini, ora erano riusciti a somigliare in tutto e per tutto a degli esseri umani, se solo non fosse stato per quel luccichio plastico della pelle e per il piccolo, quanto importante, dettaglio che le loro mani potevano trasformarsi all’occorrenza in armi in grado di uccidere, se non addirittura vaporizzare, le vittime designate.
Tra inseguimenti e combattimenti, erano riusciti a fermarli e, con un po’ di inventiva da parte del Dottore, erano riusciti a ricostruire una storia plausibile per rilasciare il loro unico sospettato senza che la cosa risultasse dubbia alla Gates. Il caso sarebbe rimasto irrisolto ma non importava più di tanto. Castle e Beckett sapevano esattamente di averlo portato a termine, per il resto del team, invece, sarebbe stato solo un altro omicidio che, tra qualche mese, si sarebbe aggiunto alla lista dei cold case.
Da quel giorno qualcosa era cambiato e così era iniziata la loro seconda vita.
La stanchezza sembrava svanita, le avventure erano appena cominciate. Erano stati via giorni che in realtà non erano stati che minuti e minuti che invece erano state settimane. Delle volte, quando erano a casa, aspettavano che lui arrivasse a rapirli per un nuovo viaggio, o anche solo a fargli visita, e spesso lui atterrava nel loro soggiorno, come se li avesse sentiti chiamarlo solo con la forza del pensiero.
Fino a che, d’improvviso, scomparve.
Aspettarono e aspettarono, non appena sentivano un rumore simile al caratteristico suono del Tardis scattavano sull’attenti. E poi, un giorno, avevano semplicemente smesso di aspettare.
 
 
“Lei cominciava a crederlo!”, si giustificò subito Castle, “Ho sempre saputo che saresti tornato, un giorno.”
In risposta ricevette un pugno ben assestato sulla spalla da Kate. “Ahio, cos- ho detto la verità.”
Lei scosse la testa alzando gli occhi al cielo.
Il Dottore fu lieto di notare che certe cose non cambiavano mai. D’istinto li abbracciò e i coniugi Castle sorrisero ma lo sguardo del Dottore, nonostante la felicità, era pieno di malinconia e rammarico. “Sono contento di riavervi qui”, sussurrò appena, e prima che uno dei due potesse chiedergli cosa lo turbasse, si staccò da loro sfregando divertito le mani. “Cinque anni, sarebbe potuto andare peggio”.
“La prossima volta non farci aspettare tanto però!”, lo ammonì Richard stringendo in vita Kate.
D’un tratto sentirono una voce femminile provenire alle loro spalle. “Il Dottore e le tempistiche… non sono mai andati d’accordo.” La donna avanzò verso il Dottore ignorando gli sguardi straniti dei due ospiti. Una volta davanti a lui gli diede un buffetto sul naso con l’indice. “Ciao, dolcezza.”
“Dottoressa River Song”, disse con un sorriso provocatorio sulle labbra.
“Professoressa per te”, lo corresse con fare saccente prima di sorridergli. Il silenzio cominciò a farsi imbarazzante e questo costrinse Kate a schiarirsi la voce.
“Oh, che maleducata, scusatemi… Professoressa River Song”, allungò la mano verso di loro rimediando alla sua impulsività. “Archeologa”, il Dottore fece un verso di disapprovazione.
“Cosa? Perché ce l’hai tanto con gli archeologi?”
“Sono un viaggiatore del tempo, River. Io rido degli archeologi.”
“Non mi è sembrato che l’ultima volta ridessi”, ammiccò maliziosa nella sua direzione, guardandolo arrossire in un batter di ciglia. Dallo zaino estrasse un libricino blu alquanto voluminoso, le pagine erano state quasi totalmente scritte, ingiallite probabilmente dal tempo. “Allora, a che punto siamo?”, domandò tornando seria, anche se quando alzava lo sguardo, puntandolo sul Dottore, nei suoi occhi si poteva vedere ancora un provocante scintillio.
“È una mia impressione o la copertina di quel libro è tale e quale alle porte del Tardis?”, chiese in un sussurro Rick a sua moglie.
“Secondo te chi è lei? Per il Dottore, intendo…”, ribatté all’istante Kate, e Rick non poté fare a meno di chiedersi perché non potesse mai rispondere ad una domanda prima di formularne una nuova. Gli anni passavano, ma l’attitudine che aveva sempre mostrato nella sala interrogatori non era mai svanita. “Un’amica magari?”
“Noi siamo suoi amici, eppure non abbiamo mai avuto un diario!”.
Rick distolse per un istante l’attenzione dalla scenetta che aveva dinnanzi per concentrarsi esclusivamente sullo sguardo di fuoco di Kate. “Non sarai… gelosa?”, sembrava scettico all’idea ma, dalla strana espressione che vide sul suo viso, capì di non essersi affatto sbagliato. “Cosa? Gelosa della donna che si è materializzata dal nulla, che sembra conoscere profondamente il Dottore, con capelli fantastici, ricci perfetti e bionda naturale? Non lo sono affatto.”
“Certo, come non detto”, si ricompose tornando a guardare la coppia.
River ancora sfogliava le pagine del diario, ricordando eventi già accaduti che tuttavia il Dottore  -quel Dottore- ancora non aveva vissuto. “Le cascate di Argolis le abbiamo già fatte?”
“No…”, scosse la testa con aria dispiaciuta scavando nella sua memoria, ma ogni istante trascorso con River era come marchiato a fuoco nella sua testa. Adorava i loro incontri e gli scontri, gli attimi rubati e passati insieme, odiava però che lei conoscesse il loro futuro, ciò che sarebbe venuto dopo. Ma non c’era nulla che più odiasse del sapere la sola cosa che River ignorava, ovvero quale sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero passato del tempo insieme prima che lei si sacrificasse nella Biblioteca, distante anni da lui.
“Mmm… strano, c’è qualcosa che non va”. Guardò il manipolatore vortex che aveva al polso sbarrando gli occhi. “Oh, non è possibile”, sbuffò, notando la data sbagliata. “Tesoro, temo di aver commesso un errore”, poi si girò in direzione di Rick e Kate. “Mi spiace aver interrotto la vostra rimpatriata. Ci vediamo su Karfel, dolcezza!”. Digitò velocemente sul manipolatore e, prima di scomparire, strizzò l’occhio al Dottore che, spazientito, disse a denti stretti, “Spoiler!”.
“Spoiler?”, ripeté Kate avvicinandosi a lui guardandosi intorno di tanto intanto, come intimorita dal fatto che la Professoressa Song potesse d’improvviso riapparire.
“Generalmente viene usato per riferirsi ad anticipazioni di cui non si vorrebbe essere resi partecipi e…”, si fermò di colpo quando vide Kate digrignare i denti e poi lanciargli un’occhiata truce. “So cosa significa, Castle, mi chiedevo come mai lo avesse detto. Dottore…?”. Incrociò le braccia al petto assumendo uno sguardo inquisitore.
“Perché fa questa cosa con la faccia?”, domandò a Richard muovendo l’indice in cerchio davanti al volto di Kate. “Ha quella sua solita aria seria, e so bene cosa succede quando questo accade. Richard, credo che stia provando un qualche genere di emozione!”.
Rick le si avvicino posandole un braccio attorno alle spalle. “Credo che sia solo…”
“Non dire gelosa.”
“Non stavo dicendo gelosa, stavo per dire…”, ci pensò su qualche istante, non aveva molto tempo se voleva davvero far credere a Kate di star effettivamente pensando ad un’altra parola. “Curiosa! Curiosa era ciò che avevo in mente fin dall’inizio.”
Kate scosse la testa, riprendendo a guardare il Dottore con aria torva.
“Okay, okay”, balbettò agitando davanti a sé le mani. “Ma non fare quella cosa con le sopracciglia. È inquietante”, bisbigliò. Si torturò le mani girovagando per il Tardis fino a che, imboccato un corridoio, non scomparve alla loro vista.
“Dov’è andato?”, Kate prese a guardarsi intorno e ormai, soggetta all’abitudine dell’inseguire possibili sospettati, portò una mano sul fianco, accorgendosi immediatamente di non avere con se la sua glock. Il Dottore apparve all’improvviso, poggiato alla balaustra del secondo piano. Castle sobbalzò quando si accorse della sua presenza, si portò una mano sul petto quasi a voler tranquillizzare il cuore che aveva cominciato a battere rapidamente.
“Sul serio ragazzi, come fate con un solo cuore?”, non si stancava mai di domandarlo, specie dal momento che ancora non aveva ottenuto una risposta soddisfacente.
“Va bene, Dottore”, alzò le mani Kate, in segno di resa. Sapeva riconoscere quando qualcuno faceva di tutto per svicolare da un argomento scottante. Del resto aveva sposato il re degli svicolatori. “Se non vuoi dirci chi è non dovremmo insistere. Dovremmo goderci il viaggio. Giusto Rick?”. Lui la guardò con perplessità, non capendo perché mai, proprio lei, si fosse arresa così facilmente. “Certo, sono pur sempre uno scrittore di gialli, credo che un alone di mistero dopotutto vada mantenuto.”
Il Dottore si aggiustò rasserenato il cravattino, andando poi a giocherellare con le bretelle. “E voi due, cosa mi sono perso in questi anni? Sempre ehm… ecco, voi due”, con le labbra mimò lo schioccare di un bacio facendoli sorridere. “Stai chiedendo se siamo ancora fidanzati?”, tentò Kate.
“Si, era esattamente quella la parola che cercavo! Fidanzati… non trovate abbia un non so che di strano?”
“No, a dire il vero”, risposero in coro. Aspettarono che il Dottore la smettesse con le sue elucubrazioni mentali per dargli la notizia. “Ecco noi... ci siamo sposati!”, esclamò entusiasta Richard mostrando l’anulare sinistro e lasciando un bacio sulla guancia di Kate.
“Oh, questa si che è una notizia! il Signore e la Signora Beckett, congratulazioni”, tornò alla consolle aggiustando la direzione del Tardis.
Kate rise compiaciuta.
“No! Dottore, non è così che funziona. Lei è la Signora Castle, non io il Signor Beckett”, si lamentò Rick.
Per un istante, in un pensiero fugace a cui non poteva permettere di prendere piede, il Dottore rivide il volto di Rory mentre opponeva la stessa lamentela.
Sorrise ripensandoci. Un sorriso triste, amaro, mentre il ricordo rimpiccioliva sempre di più nei suoi occhi fino a dissolversi.
“Tutto bene Dottore?”
“Uhm? Certo, benone. Avrei voluto esserci al ricevimento, io adoro i matrimoni! Beh, adoro ballare ai matrimoni”, fece un paio di mosse e da quello che i coniugi Castle poterono vedere non era certo un gran ballerino, anzi, si poteva dire che fosse semplicemente terribile. Ma era pur sempre un Signore del tempo, ultimo della sua specie una volta che Gallifrey venne spazzato via -dopo che il Dottore della Guerra aveva preso una decisione che le rigenerazioni future avrebbe rimpianto per sempre-, gli si poteva perdonare la sua goffaggine nel ballo.
Prese le maniglie laterali del piccolo schermo sospeso a mezz’aria avvicinandolo a sé e, dopo un’occhiata, si decise ad abbassare la leva arrestando il volo del Tardis. “Forza, venite”, si avvicinò alle porte aprendole, lasciandosi poi cadere contro lo stipite così che i suoi compagni di viaggio avessero sufficiente spazio per poter sbirciare fuori. Rick si sedette a terra, con le gambe a penzoloni sospese nel cielo stellato profondo ed apparentemente infinito. Kate si inginocchiò dietro di lui posandogli le mani sulle spalle, facendole poi scivolare in avanti e intrecciandole sul suo petto. Nella vastità dell’Universo, avevano davanti ai loro occhi il pianeta di Posadise, e ciò che aveva detto loro il Dottore non rendeva minimamente l’idea dello spettacolo che ora stavano osservando. I due anelli si incrociavano tra loro girando in sensi opposti, in lontananza si potevano vedere due piccole sfere bruciare, fiamme vive che proiettavano la loro luce direttamente su Posadise e che riflettendosi sugli asteroidi li facevano brillare come diamanti sospesi nel vuoto.
“Wow…”, sospirò Rick. “Quindi è cosi, mh? Quando sei giù di morale vieni qui, Dottore?”
Il Dottore tirò su col naso, “Aiuta a schiarirsi le idee, non trovate?”, dopo aver visto Castle annuire, si girò verso l‘interno del Tardis rientrando senza accorgersi dello sguardo di Kate su di lui. Lei scosse la testa riappoggiandola alla spalla del marito, godendosi così quell’attimo di assoluta tranquillità che era certa non sarebbe durata a lungo.
Come per la maggior parte delle sue previsioni, anche quella si rivelò esatta. Il telefono del Tardis prese a squillare ed entrambi, anche se un po’ controvoglia, si alzarono avvicinandosi al Dottore.
“Pronto? Temo che la linea sia disturbata… non può essere che sia scappata, l’ultima volta che l’ho vista era stata rinchiusa nelle catacombe di Jubilos. Oh…”, spostò lo sguardo sui Castle che, con gli occhi spalancati e le sopracciglia alzate, sembravano invitarlo a continuare quella conversazione così da saperne di più. “Quindi c’è una mummia a piede libero… sul Titanic… nello spazio. Molto bene”, riagganciò rivolgendosi poi a Rick e Kate. “Scusate, sta succedendo una cosa e credo che… si, che dovrò riportarvi a casa.”
“Cosa? Niente affatto! Noi veniamo con te. Giusto, Kate?”
“Castle ha ragione. Sei sparito per cinque anni”, cominciò elencando sulle dita. “Non ci hai mai fatto avere tue notizie, e sei apparso all’improvviso in casa nostra, infrangendo la regola del niente improvvisate in camera da letto.”
Il Dottore, sentendosi minacciato da quel’indice che ora puntellava il suo petto, si mise sulla difensiva. “Ma siete sempre chiusi lì dentro!”, si giusitificò.
“Certo che lo siamo se piombi nel cuore della notte!”
“Quello che Beckett sta cercando di dire, è che sei appena tornato. Non puoi scaricarci di nuovo così. Quindi, dove siamo diretti?”.
L’angolo destro della bocca del Dottore si piegò all’insù avendo ottenuto esattamente quello che voleva. Stuzzicando la loro curiosità li aveva convinti a restare con lui, almeno per quell’avventura, e sapeva bene che con le giuste argomentazioni sarebbe riuscito a trattenerli sul Tardis almeno per un po’. Non doveva sentirsi in colpa per il suo giocare sporco, del resto stava semplicemente facendo ciò che gli aveva consigliato River qualche tempo prima.
Non viaggiare da solo”, aveva detto e lui stava facendo del suo meglio per non farlo dal momento che quando aveva proposto a lei il posto vacante di Companion, aveva a modo suo declinato l’offerta. “Uno psicopatico per Tardis, non pensi?”, sorrise ripensando a quelle parole.
La psicopatica era lei, senza dubbio. D’altronde non era certo stato lui che aveva cercato di ucciderla al loro primo incontro, subito dopo aver ottenuto una proposta di matrimonio.
Quello, tuttavia, non era il momento adatto ai ricordi. C’era pur sempre una mummia a piede libero su di una nave, e se non fosse intervenuto probabilmente il Titanic avrebbe rischiato di precipitare sulla Terra… di nuovo.








Diletta's coroner:

Buonasera!
Allora, allora, allora... arrivo con una minilong, piccolo crossover con Doctor Who. Ho cercato di spiegare ogni cosa relativa al Dottore al meglio, così che chi dcidesse di seguire la fanfic ma non avesse mai visto questo telefilm possa capire alcune cose un po' strane ma fondamentali. Spero di esserci riuscita!
Grazie di aver letto e ci si legge al prossimo se decierete di seguirmi
Baci baci

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Capitolo 2
*** Parte II ***






"Ci sono uomini che usano le parole all'unico scopo di nascondere i loro pensieri".
-Voltaire-




 
Il Dottore rientrò nel Tardis con un balzo, corse alla consolle girando un paio di manopole simili a quelle dei rubinetti vecchio stile. Rick e Kate lo seguirono con qualche secondo di distanza e, chiuse le porte, Kate vi si poggiò contro lasciandosi cadere sfinita. Si prese la testa fra le mani e cominciò a ridere in maniera convulsa. “Oddio”, sospirò, “Mi era mancato tutto questo”, portò la mano sulla bocca soffocando un’ultima risata.
“Era una mummia!”, esclamò dal nulla Castle. “Una vera e propria mummia! Avete visto come l’ho affrontata? Altro che Brendan Fraser! E Dottore, tu sei stato assolutamente fantastico”.
Lusingato dal complimento, il Dottore si passò una mano fra i capelli, non più corti come la prima volta in cui lo avevano incontrato, e poi riposizionò accuratamente il fez -trovato in una delle cabine del Titanic- sul capo. “Sono il Dottore, cosa ti aspettavi?”, nella sua voce c’era quella sua solita vena scherzosa, una presunzione bambinesca e totalmente adorabile.
“Ho decisamente bisogno di una dormita, ma prima una doccia!”, si aiutò ad alzarsi premendo i palmi delle mani a terra. Vicina al Dottore gli schioccò un bacio sulla guancia augurandogli una buona notte e si incamminò verso il piano superiore. Poco prima di imboccare le scale, si voltò silenziosa verso Rick facendogli l’occhiolino. Lui le annuì in modo impercettibile, mordendosi appena l’interno della guancia. “Vado anche io. Sono ancora ricoperto di quella… cos’era di preciso?”
“Vecchiume e muco di mummia”, si mosse convulsamente come a volerselo scrollare anche lui di dosso, poggiandosi poi con schiena e gomiti allo schienale della poltrona che stava davanti alla consolle. Castle fece una smorfia di disgusto, guardando la camicia che aveva indosso e rendendosi conto che non avrebbe potuto fare nulla per salvarla. “Doccia… decisamente mi serve una doccia! Non sparire mentre non ci siamo!”. La voce era già un’eco, persa tra i corridoi del Tardis.
“Dove dovrei andare? Il Tardis è mio”, aggiunse dopo qualche secondo sottovoce. Si sedette sui gradini, restando a guardare oltre il pavimento di vetro i cavi che si incrociavano tra loro creando una specie di giungla elettrica. In effetti avrebbe potuto azionare il Tardis, atterrare in un qualsiasi posto, schermarlo e sgattaiolare fuori giusto per staccare la spina per un po’, mentre Rick e Kate si riposavano e riacquistavano le forze. Non sarebbe stata la prima volta, ma l’anno precedente ogni cosa era diversa. C’era un party sulla Luna perduta di Push e, cosa più importante, River era a quel party. Amelia lo aveva sorpreso al suo rientro, ci aveva messo meno di dieci secondi per smascherarlo e fargli ammettere di essere uscito solo per poter vedere lei.
E mentre per il Dottore, pensando a River, il tempo parve fermarsi, nella realtà questo -anche all’interno della magica scatola blu- aveva continuato a scorrere. Nella loro stanza, Castle fissava il soffitto ma questa volta non era il caldo a impedirgli di dormire. Era ancora eccitato come un bambino per gli avvenimenti appena successi.
Aveva dimenticato quella sensazione.
Paura, euforia, eccitazione, stupore, tutte insieme in un mix folle. Una volta che inizi è quasi impossibile smettere, eppure il Dottore aveva avuto così tanti compagni di viaggio e, quella sera, il chi fossero e come mai se ne fossero andati erano domande che stavano tormentando Rick.
Si passò una mano tra i capelli scompigliandoli, al volo infilò una maglietta e scese al piano di sotto lasciando Kate ai suoi sogni, non prima di aver coperto il suo corpo ancora nudo con il lenzuolo.
“Non sono il solo che non riesce a dormire.”
Il Dottore ruotò il capo quel tanto che bastava per vedere con la coda dell’occhio lo scrittore avanzare verso di lui. “Oh beh, noi Signori del Tempo dormiamo molto poco.”
“Voi?”, chiese perplesso. “Credevo fossi… si, il solo rimasto.”
“Lo sono”, si tolse il fez rigirandoselo tra le mani. Pensò al Maestro e a come era morto, e così anche a sua figlia. Non era certo sangue del suo sangue, ma generata tramite il suo dna, con due cuori proprio come lui, eppure non era stata in grado di rigenerarsi -o almeno così lui credeva-. “Ma parlo ancora come se loro ci fossero”.
Rick gli sedette accanto, intrecciò le dita e accomodò i polsi sulle ginocchia. “Dottore, so che io e Kate non siamo certo quelli che ti conoscono meglio nell’Universo, ma sei diverso da com’eri cinque anni fa. Hai quello sguardo negli occhi, riconosco quello sguardo. Lo stesso che avevo io un tempo”. Il Dottore restò immobile, continuando a fissare il fez rosso quasi avesse potere ipnotico, così Rick alzò le mani in segno di difesa. “Okay, non dirò che sei innamorato, non voglio entrare nella questione ‘due cuori’, ma da quello che vedo devi tenere molto a lei”. Sospirò, pensando ad un buon punto di partenza. “Hai passato mesi con me e Kate, ma non ci hai mai domandato più del necessario.”
“Perché non hai incontrato la mia rigenerazione precedente. Oh, un tipo piuttosto vanitoso e a cui piaceva parlare”, non dovette girarsi al suo fianco per capire che Rick aveva quello sguardo corrucciato. “Va bene, anche io parlo, ma a lui piaceva particolarmente fare conversazione e impicciarsi dei fatti degli altri.”
“Beh, io e Kate non siamo sempre andati d’accordo ed è stato difficile a volte. Per entrambi voglio dire. Non era pronta e io non ho voluto forzarle la mano. Ho avuto pazienza e speranza, ma non mi è pesato. Per lei ne valeva la pena. Per lei ne varrà sempre la pena”.
“Richard Castle… lo scrittore che non abbandona mai la speranza”, sospirò con quel suo tono calmo e il sorriso rassicurante e un pizzico malinconico.
“Non è una cosa che mi hai insegnato tu, ma ce lo ricordi sempre. In ogni momento brutto, difficile, ci dai speranza, è questo che fai.”
“Oh Rick, Rick, Rick… io la speranza la perdo. Tante, tante volte”, il tono era basso e regolare, calmo ma deciso. “Sono solo bravo a mascherarlo. Tutto quel agitarsi e parlare aiuta molto”. Rise alzandosi di scatto e posizionando, ancora una volta, il fez sulla testa. Con il costante borbottio, e quel leggero fumare, i comandi del Tardis sembravano richiamare la sua attenzione chiedendo impazienti un’aggiustatina. Tirò verso di sé quella che aveva tutta l’aria di essere la tipica leva di un flipper, premette un paio di bottoni luminosi e alzò una grande leva rossa.
Castle aspettò un attimo, restando seduto sui gradini, osservandolo di sottecchi. Con un piccolo mugugno indice di sforzo si alzò anche lui, “Comunque, la Professoressa Song deve essere davvero tosta per riuscire a starti dietro.”
Il Dottore poggiò i gomiti sulla consolle e accolse tra le mani il viso, guardando poi verso l'alto con aria sognante. “Oh, si… lo è davvero”.
“Lei è tua moglie, non è così? Sono stato sposato già due volte, riconosco una coppia di sposi quando la vedo”.
“Due volte? Per tutti i Sontaran, ti dai da fare!”
“Ero innamorato. Capita di fare cose affrettate quando si è innamorati. Prima volta con un’aspirate attrice”, il Dottore sbucò da dietro la consolle con un grande sorriso in volto. “Io amo il teatro. Shakspeare, 1599, il Giulio Cesare. Il teatro era pieno alla prima e come sempre William era ubriaco fradicio. Per poco non fu un fiasco, fortuna che avevo penna e calamaio con me quella sera!”
“Tu hai conosciuto Shakspeare?”
Il Dottore si grattò la guancia con movimenti rapidi, “Si”, sibilò. “Ma è successo un sacco di tempo fa”, riprese con la solita parlantina spedita.
“Meredith non era certo ai livelli per interpretare un’opera Shakspeariana, e non lo è neanche adesso”, rise ricordando quella volta che sua madre era riuscita ad organizzarle un provino così da allontanarla da New York.
“E la seconda?”
“Uh, la mia editrice. Mai e dico mai avere una relazione con il proprio capo. Negli affari era perfetta, ma nella quotidianità…”, spalancò gli occhi quasi a volerli far uscire dalle orbite, alzando lo sguardo al cielo e scuotendo il capo. “E tu Dottore?”
“Uh, beh, io… c’è stato un piccolo incidente di percorso con la Regina Elisabetta”, sussurrò, tornando a nascondere il viso tra manopole e pulsanti.
Rick deglutì rumorosamente, “L’attuale Regina Elisabetta? Quella Elisabetta?”, rimarcò una seconda volta.
“No, no, no”.
Castle tirò un sospiro di sollievo ad udire quelle parole.
“La prima, era Elisabetta prima! Ma è stato tutto un errore. All’epoca ero convinto fosse uno Zygon”, alzò le braccia verso l'alto protendendo poi le mani in avanti. “Enormi cosi rossicci e mollicci che assumono sembianze umane e non… quella volta era un cavallo. Mi sono confuso. Colpa mia”, si sfregò la tempia con l’indice ripensando all’errore commesso. “E poi c’è stata Marylin, donna alquanto complicata e un tantino appiccicosa, ma giuro che anche in quel caso si è trattato di un errore e che il matrimonio non era legalemente valido.”
“Non starai parlando di Marylin Monroe?”, vide il Dottore inarcare le sopracciglia in segno di assenso. Castle si portò la mano chiusa a pugno davanti alla bocca aperta per poi morderla. “Adesso mi dirai anche che… no lo so, hai incontrato la regina Nefertiti e che lei ci ha provato con te! Oh no… davvero?”, sussurrò sporgendosi verso di lui, gli sembrava di assistere in diretta ad un reality show, mancavano solo dei popcorn a completare il tutto.
“Cosa vuoi che ti dica? Sono io, sono cool, i papillon sono cool! Stavo salvando il pianeta, sono cose che affascinano le donne, ma io non ho fatto assolutamente nulla!”, ci tenne a precisare.
“E River Song invece?”.
“Storia complicata”, si limitò a dire serio.
“D’accordo… ma l’hai sposata, giusto?”
“Meh…”, il Dottore girò i tacchi avanzando speditamente verso le porte del Tardis. Al seguito, come un anatroccolo che segue la mamma, Rick.
“Come sarebbe a dire meh?”
Il Dottore aprì una delle porte, mise la testa fuori per un secondo e la ritirò immediatamente dentro. “Non ci siamo”, borbottò fra sé. “Vuol dire, vuol dire che… okay”, disse con esasperazione. “Era stato alterato un punto fisso nel tempo, questo aveva causato il collasso del tempo stesso. Orologi fermi sempre alla stessa ora, ere mescolate, l’Impero Romano che aveva a capo Churchill e discuteva strategie di guerra con Napoleone. Dinosauri a piede libero a Central Park… le cose andavano ripristinate.”
“Una sorta di matrimonio riparatore?”
“Esatto! Cioè no!”, si tolse il fez lanciandolo lontano in uno dei corridoi interni al Tardis e massaggiò con forza le tempie. “Quello che voglio dire è che è successo in un mondo che non esiste più, in un tempo che non è mai esistito.”
“Ma tecnicamente è tua moglie?”
“Ma certo, certo che lo è!”
Non lo aveva mai detto così a voce alta. River invece… oh, lei si. Si divertiva della cosa, del modo in cui tutto era successo, si divertiva a rimarcarlo quando sua madre era presente, vedendola così fare le più svariate smorfie nel rendersi conto di essere quindi la suocera del Dottore.
“Visto? Non era poi così difficile ammetterlo”.
Il Dottore scosse la testa, “Vedi è più complicato di così. Ah”, sospirò sedendosi a terra, le ginocchia piegate e le gambe strette al petto. “Io e lei viaggiamo in direzioni opposte. Ci incontriamo, frequentemente, ma sempre in ordine inverso”.
Castle fu come colto da un’illuminazione, “Per questo il diario! Ho notato subito la copertina, come un Tardis in miniatura. Cosa fate esattamente?”
“Quello di River è sempre più aggiornato del mio, ogni pagina scritta è un potenziale spoiler per me. Non posso leggerlo. Così cerchiamo di capire dove siamo arrivati con la nostra...”, inspirò, le guance imporporate.
“Relazione”, terminò Richard per lui sorridendo per la facilità con cui si imbarazzava il Dottore. “Come vi siete conosciuti? Insomma, Nefertiti, Merylin… potrei perfino capire come tu abbia fatto ad incontrarle, ma la Professoressa Song non c’è nei libri di storia o nei manuali di psicologia.”
Il Dottore si guardò le mani, come potesse trovare una risposta semplice a quella domanda sulle linee che ne segnavano i palmi. “Non ci siamo propriamente conosciuti. Insomma, la prima volta che l’ho incontrata lei già mi conosceva, e la prima volta che lei ha incontrato me… era appena nata e tecnicamente era un Ganger di carne, come era successo poco tempo prima a sua madre.”
“Credo sia inutile dirti che non ho idea di cosa tu stia dicendo.”
“Vedi, la carne è un fluido autoreplicante. Tipo il latte, ma più viscoso e assolutamente non commestibile. Può prendere le tue sembianze, parlare, camminare, sostituirti e ci sarebbe davvero poco che ci permetterebbe di distinguerlo dal vero te.”
“Questa è buona, davvero buona, posso usarla?”
Negli ultimi tempi aveva cominciato a spaziare nella scrittura. La saga su Nikki Heat si era ormai conclusa ma grazie alla sua fervida immaginazione, e al suo lavoro di investigatore privato, le idee non erano mai mancate e avevano avuto grande successo con il pubblico. Avrebbe potuto tranquillamente inserire nella trama una qualche leggenda metropolitana che riguardasse pianeti lontani e forme di vita aliene o, perché no, i retroscena di un’azienda -magari di cosmetici- che in uno dei suoi laboratori dà vita a quello che il Dottore aveva appena definito fluido autoreplicante. “Vedo già una possibile trama”. Ricevuto un assenso dal Dottore, si scusò per averlo interrotto, invitandolo ad andare avanti. “La seconda volta, invece?”
“Si era appena rigenerata… storia lunga”, commentò in risposta alla perplessità nello sguardo di Castle. “Era confusa, non sapeva ancora di essere River Song. Per quanto ne sapeva, lei era Melody, la donna destinata ad uccidere il Dottore.”
“Beh, direi che alla fine ha cambiato idea”, lo sentì ridere di gusto, portandolo a pensare di non essere il primo a fargli quell’osservazione. “Hai detto che l’hai incontrata appena nata, che anche sua madre era stata sostituita da un copia fatta di carne. Conoscevi i suoi genitori?”.
Certo che li conosceva. Erano stati il suo appoggio, i suoi aiutanti, i suoi migliori amici, la sua famiglia. Ma come per tutti coloro che lo circondavano, era destinato a perderli e in un modo molto più definitivo di quello causato dalla semplice morte.
Sfiorò il cravattino nel suo punto centrale, tic di nervosismo, un significato diametralmente opposto a quello di quando invece lo sistema prendendolo per le estremità. “Viaggiavano con me. Lo hanno fatto per molto, molto tempo.”
“Amy e Rory, dico bene?”.
Quell’affermazione fece impallidire il Dottore. Non era possibile che Rick li conoscesse, ammesso -a quel punto- che la persona seduta accanto a lui fosse davvero Richard Castle.
Notando il cambiamento repentino del Dottore, Rick si affrettò a spiegare. “Li hai nominati oggi mentre correvamo sul ponte della nave. Hai chiamato così me e Kate, deve essersi trattato di un lapsus.”
Ripercorse mentalmente l’accaduto. Correvano, come di consueto, mentre cercavano di raggiungere la mummia a poppa prima che arrivasse al computer centrale. Contemporaneamente scappavano dagli Host -evidentemente la compagnia di crociera non aveva imparato nulla dalla prima volta che il Dottore era stato sul Titanic- che ancora una volta  erano stati manipolati e si erano rivoltati contro i passeggeri e gli ufficiali stessi.
Ricordava che il ponte era scivoloso e andavano controvento, teneva il cacciavite sonico in mano, puntato davanti a sé pronto a qualsiasi evenienza. Kate immediatamente dietro di lui e Rick qualche passo più in là. Quando si era voltato per assicurarsi che stessero bene, vide un gruppo di Host che rapidamente stavano riducendo la distanza che li separava, pronti ad afferrare l’aureola metallica che avevano sopra il capo e scagliarla addosso a loro. Fu in quel momento che li aveva esortati a correre più velocemente.
 
“Amy, Rory, correte!”.
 
Non si era reso conto di averlo fatto, non gli era mai accaduto prima.
“Dottore, non è un problema. Sai, il fatto di non essere i soli ad aver viaggiato con te… hai più di novecento anni. Insomma, in tutto questo tempo non potevi certo essere sempre stato solo.
Loro dovevano essere molto importanti per te.”
Il Dottore guardò Castle fisso negli occhi, sguardo serio e penetrante. “Siete tutti importanti per me. Non ho mai conosciuto qualcuno che non lo fosse.”
Rick annuì stranito, non perché non fosse convinto di ciò che gli era appena stato detto, ma perché non riusciva a capire come mai il Dottore finisse sempre per rimanere senza nessuno. Se fossero stati solo lui e Kate -niente Martha, Jim, Alexis e, adesso, niente Matt- era certo che non avrebbero mai lasciato lui, i viaggi, le avventure, il Tardis.
Cercò di seguire il consiglio che più di una volta gli aveva dato Kate, quando lo rimproverava per aver dato fiato alla bocca inutilmente davanti ad un sospettato o nel corso delle indagini. Mentalmente cominciò a contare, tenendo la mascella ben serrata, ma alla fine non riuscì a trattenersi ed espresse a voce alta quella domanda che lo tormentava. “Dottore, che cosa ti è successo? Cos’è successo a chi ha viaggiato con te?”.
Quella domanda gli era già stata posta, non molto tempo prima, proprio dal padre di Rory -preoccupato per le sorti di suo figlio e della nuora- e come quella volta i visi dei suoi precedenti compagni di viaggio gli passarono davanti agli occhi.
C’era chi era stato costretto, per la sua sicurezza, a vivere in un mondo parallelo, bloccato senza la possibilità di tornare. Chi aveva dovuto dimenticarlo per sempre perché tutto il sapere acquisito, i ricordi, l’avrebbero ucciso. Qualcuno invece aveva continuato ad incontrarlo, occasionalmente, e non sempre quando il mondo stava per finire. Altri, invece, lo avevano lasciato per il bisogno di trovare il proprio posto nel mondo dopo aver rischiato la vita per salvarlo, come nel caso di Martha Jones. Poi c’era River… con lei nulla era semplice. Avrebbe voluto averla con sé, sempre al suo fianco ad aiutarlo a pilotare il Tardis, ma lei non poteva restare, non a lungo almeno. Se si fosse fermata con lui avrebbero visto il loro passato dissolversi, il loro futuro sarebbe stato sconvolto. Era un rischio troppo grosso, un prezzo troppo elevato da pagare. Separarsi era difficile, benché cercassero entrambi di non darlo mai a vedere. Si salutavano senza dirsi mai veramente addio e River, ogni volta che era costretta a lasciare il Tardis, sostava a lungo davanti alle porte, i passi per arrivarci erano lenti, quasi trascinati, carezzava lo stipite e rivolgeva un ultimo sguardo al Dottore, il suo Dottore. Non era necessario dirgli nulla, lui sapeva. Sul volto di entrambi un sorriso triste e negli occhi la promessa che si sarebbero rivisti, nonostante sapessero che presto sarebbe giunto il giorno in cui quella promessa sarebbe stata infranta.
Sorrise tirato e la risposta che diede a Rick fu la stessa data a Brian tempo addietro.
“Alcuni mi hanno lasciato, altri sono stati lasciati indietro, e altri, non molti, ma… sono morti.”
I tratti del viso da ragazzino immaturo improvvisamente s’indurirono, gli occhi coperti da un velo lucido. “Voi… voi no, vi terrò al sicuro.”
“Non ho dubbi su questo, come non ho dubbi sul fatto che non se ne siano tutti andati per colpa tua. Ovunque siano, qualsiasi cosa gli sia accaduta, era destino. Doveva succedere, come doveva succedere a me e Kate di incontrarti anni fa e rivederti in questo esatto momento della nostra vita.”
Il Dottore fece scivolare la suola della scarpa sul pavimento in vetro, lasciando così che la gamba si stendesse e assumendo una posizione molto meno composta. “Sono un Signore del Tempo, ho visto abbastanza cose da rendermi conto che il destino non esiste.”
Forse stava solo mentendo a se stesso. Ricordava indistintamente quando anni prima era stato sufficiente modificare una scelta, all’apparenza insignificante, della sua compagna di viaggio -Donna Noble, la donna che aveva dimenticato ma che non era mai stata dimenticata- per mandare a rotoli l’intero Universo e rischiare così che i Dalek lo conquistassero. Quella decisione aveva decretato l’incontro fra lui e Donna, incontro che con quella piccola modifica non era mai avvenuto. Si era domandato lui stesso se fosse destinato ad incontrarla, ma alla fine la risposta che si era dato era stata negativa. Se non avesse dovuto bloccare Rose in quel mondo parallelo, lei sarebbe stata ancora con lui, e allora poteva darsi che l’aiuto di Donna non si sarebbe rivelato necessario.
“Non si tratta di destino, ma di eventi. Una somma di eventi a cui voi umani cercate disperatamente di dare un senso.”
Castle sospirò pensieroso, incrociò le braccia al petto puntando lo sguardo su quei cerchi alle pareti. Aveva sempre creduto nel destino, fin da bambino. Il fato, insieme ovviamente ad un pizzico di fantasia, erano stati la sua coperta di Linus da quando i primi compagni d’asilo avevano cominciato a chiedergli dove fosse il suo papà. Era destino che crescesse solo con sua madre, o non avrebbe mai bazzicato per i teatri e i loro retroscena che avevano fomentato la sua immaginazione. Era destino che non conoscesse nulla sul conto di suo padre, altrimenti non avrebbe mai inventato tutte quelle storie sul suo conto che avevano affascinato insegnanti e compagni di scuola. Era stato il destino a farlo assistere ad un omicidio quando era solo un bambino, così era nata la sua passione per il macabro. Da quell’equazione era risultato l’incontro con Kate. Certo, non era ingenuo o sprovveduto, non tutto era a opera del destino e avvenimenti casuali erano sempre possibili e dietro l’angolo, ma c’era un non sapeva che di magico nel fato e nell’essere destinati a qualcosa o qualcuno. Come lui stesso aveva detto if you don't believe in even the possibility of magic you’ll never ever find it.
Si concentrò sui suoni del Tardis in quel breve momento di silenzio.
Tutto ciò che lo circondava era pura magia, perfino l’uomo seduto accanto a lui era un po’ magico. Non lo avrebbe mai definito un alieno, perché nel suo immaginario gli alieni erano piccoli omini blu o creature a due teste, o ancora esseri con il viso coperto di spine o che potevano cambiare aspetto, non certo qualcuno dalle sembianze umane. Aveva più di novecento anni e sembrava un ragazzino appena uscito dal college, veniva da un pianeta lontano, scomparso nel nulla, eppure aveva il tipico accento degli inglesi del nord. Non un solo cuore ma due, non moriva ma cambiava rigenerandosi. Rick capiva anche che quello era qualcosa di ordinario per il Dottore e che per lui aveva probabilmente perso tutta la magia che possedeva all’inizio, ma se non si era arreso con Kate, non lo avrebbe certo fatto con lui, sarebbe riuscito a fargli cambiare idea o, per lo meno, ad insinuare in lui il senso del dubbio.
“Prima hai parlato di punti fissi nel tempo. Cosa… cosa sono esattamente?”
Non capiva dove Castle volesse arrivare con quella domanda. Sapeva di avere la soluzione proprio davanti agli occhi, ma non riusciva a vederla. Giocherellò con il cacciavite sonico passandolo da una mano all’altra. Lo accese e immediatamente lo spense, come se il suo suono fosse rassicurante. “Eventi che non si possono cambiare”, sospirò. “Che non devono essere cambiati. Una minima modifica può avere conseguenze catastrofiche. Devono restare così, immutati. Devono accadere.”
Rick sorrise soddisfatto, annuendo. “Non credi allora che ciò che è accaduto a tutti coloro che hai incontrato fosse una sorta di punto fisso? E se questi eventi devono accadere, non sono forse destinati ad essere?”
Il Dottore aprì la bocca per ribattere ma non un suono ne uscì, se non un lieve schiocco causato dallo scontro della lingua col palato.
Aveva sentito spesso gli umani dire che il destino è scritto nelle stelle, ma lui le aveva viste tutte, o quasi, e non c’era nulla, assolutamente nulla.
“Il destino esiste, Dottore, devi solo riuscire a vederlo. Cosa credi che penserebbero i tuoi vecchi compagni se ti vedessero incolparti per ciò che è successo loro?”, stava parlando al Dottore nello stesso modo in cui avrebbe parlato ai suoi figli per aiutarli a risollevarsi e a riacquistare il sorriso.
Il Dottore fissò il suo debole riflesso nella lastra di vetro sopra cui erano seduti, poi alzò il capo rivolgendo un sorriso a Rick. “Una riflessione interessante, ma per essere uno scrittore fai un sacco di domande”.
Non gli avrebbe mai dato ragione, Castle lo sapeva e gli andava bene così. “Sono sposato con una detective, le domande fanno parte del suo mestiere. Si può dire che io abbia imparato dalla migliore!”, dopo quell’affermazione, Rick si fece serio in un attimo. “Ma… ecco, non dirle che te l’ho detto, d’accordo?”.
“Non preoccuparti, credo che lei lo sappia già”.
Kate, in cima alle scale, nascosta alla vista degli altri grazie ad una delle pareti del Tardis, sbiancò spalancando gli occhi. Non era possibile che il Dottore l’avesse vista, era stata molto attenta. Si fece, tuttavia, un appunto mentale per ringraziarlo appena possibile di non averla smascherata, permettendole così di assistere a quel momento e confermare ancora una volta quanto fosse grande il cuore di suo marito.
Il Dottore scosse la testa divertito, “Ah, voi due…”, rise reclinando la testa all’indietro e immediatamente il borbottio del Tardis si fece più forte, dalla consolle cominciò ad uscire fumo, i pulsanti presero ad illuminarsi come impazziti. Scattò subito in piedi “Oh no! No, no, no, no!”, ritrasse la mano che aveva avvicinato ai comandi quando una scintilla la colpì. “Accidenti!”
“Che sta succedendo?”, chiese allarmata Kate cercando di reggersi al corrimano delle scale.
Castle si voltò a guardarla, cercando invano di mantenere l’equilibrio imitando le mosse di un surfista inesperto. “Da quanto tempo sei lì?”.
“Ne parliamo più tardi”, lo zittì. “Dottore, cosa succede?”
Lui si guardò intorno, le braccia allargate, nel tentativo di capire cosa fosse accaduto. “Ecco, io… oh, ma perché le cose non possono succedere e basta per voi? Perché tutto deve sempre avere una motivazione?”. Corse dall’altro lato della consolle, girò la manopola del rubinetto e contemporaneamente alzò ed abbassò la leva rossa. Lo schermo sospeso sulla sua testa citava la scritta danger all’interno di un cerchio rosso. “Dovremmo… ci sono!”, esclamò all’improvviso per poi ritrarre l’indice che aveva puntato verso l’alto. “No, no… forse dovremmo… neanche quello va bene”. E nel suo costante blaterare sembrava avere dei tentacoli al posto delle mani.
“Che ne dici di quella levetta nera?”
“Ma certo, la Webbly lever! Richard Castle sei un genio!”, abbassò la leva con forza e fu allora che si ricordò a cosa questa servisse. Le porte del Tardis si spalancarono generando una forte corrente d’aria. La rialzò all’istante tirando un sospiro di sollievo.
“Okay, ritiro quello che ti ho detto. Serve qualcos’altro, ma cosa?”
“Prova tutto, Dottore!”, sembrò minacciarlo Kate.
“Non posso provare ogni cosa! Il Tardis potrebbe implodere!”.
Tra uno scossone e l’altro, cercando sempre di non cadere a terra, i coniugi Castle si guardarono intorno alla ricerca di una soluzione.
“Quei cosi blu forse?”, suggerì Rick sbilanciandosi in avanti.
“Nah, quelli sono solo blu… stabilizzatori blu!”, aveva sempre creduto che volare con gli stabilizzatori inseriti fosse noioso, ed era vero, ma in quel momento attivarli avrebbe potuto salvarli. La cabina sembrò rallentare l’andatura e il vorticare frenetico cessò all’improvviso.
Tutti e tre tirarono un sospiro di sollievo sentendo il volo tornare alla normalità. “Che nessuno dica a River quello che è successo”, avvisò lasciandosi cadere sulla poltrona. “Non la finirebbe più con quel suo Visto? Sono blu e sono gli stabilizzatori e non lasciare i freni inseriti… Crede di essere più brava di me.”
“Da quello che dici sembra esserlo”, sentenziò Kate.
“Oh lo è, è brava… molto brava. Ma non c’è bisogno che lo sappia.”
“Uomini…”, si limitò a sussurrare scuotendo il capo.
Il Dottore si mise a smanettare cercando di capire dove fossero capitati, Castle si avvicinò alla moglie affiancandola. “Adesso me lo vuoi dire da quanto tempo ci stavi spiando?”
“Ah! Io non vi stavo spiando… cercavo il bagno, mi sono persa.”
“Certo, comodo così “, sibilò tra i denti.
“Paura che abbia sentito cose che non avrei dovuto?”, gli domandò sempre in un bisbiglio inarcando il sopracciglio e portandosi le mani sui fianchi.
“Ragazzi…”
“Paura di esserti persa la parte interessante della storia?”, le tenne testa.
“Ragazzi…”
“Che c’è?!”, chiesero in coro voltandosi, spazientiti per quell’interruzione.
“Beh, visto che siamo atterrati credevo voleste sapere dove siamo finiti.”
“Okay…”, Kate rivolse uno sguardo a Rick arricciando le labbra ed alzando le spalle. “Dove siamo?”
“Perché non guardate voi stessi?”
Titubanti si avvicinarono all’uscita del Tardis. Entrambi allungarono la mano verso le maniglie e, come se si fossero messi d’accordo in precedenza, spalancarono le porte contemporaneamente. Davanti a loro una distesa d’erba, piante altissime ed una parete rocciosa che si stagliava sull’orizzonte. Sentirono dei tonfi in sequenza e, voltando il capo alla loro destra, videro solo un enorme artiglio. Alzarono lentamente lo sguardo, seguendone pian piano l’origine, ed ecco apparirne il proprietario.
I Castle sbarrarono immediatamente l’uscita e si poggiarono con la schiena contro le porte, come se i loro corpi fossero stati sufficienti a tenere quella cosa lontana.
“Un dinosauro?!”, esordì in un urlo strozzato Castle, “Siamo nella preistoria?!”.







Diletta's coroner:

Secondo capitoletto... mi piaceva l'idea di vedere interagire il Dottore con Castle, spero solo che tutta la conversazione in "notturna", entrambi colti dall'insonnia, non sia stata troppo pesante.
Vi auguro una buona serata!
Baci

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Capitolo 3
*** Parte III ***







"Ho sempre sentito dire che ogni fine è anche un inizio solo che non lo sappiamo in quel momento.
Vorrei credere che sia vero."
-cit.-





 
Corsero a perdi fiato per raggiungere il Tardis. Avevano vagato per quello che Castle aveva definito la copia esatta dello scenario di Jurassic Park, dovendo poi spiegare al Dottore di cosa stesse parlando. Fino a che, addentrandosi troppo tra i fitti grovigli di piante, si erano trovati nuovamente faccia a faccia con quel gigantesco T-Rex che, al loro arrivo, gli aveva dato l’indizio decisivo per capire dove fossero. Avevano raggiunto la radura ed erano riusciti a ripartire poco prima che gli arti anteriori del grosso dinosauro graffiassero il legno blu del Tardis.
Il Dottore digitò frettolosamente le nuove coordinate. Diede un paio di colpetti al vetrino del tachimetro e una martellata al campanellino, lo stesso campanellino che Rick aveva cercato più di una volta di suonare, vedendo sempre comparire al suo fianco il Dottore che puntualmente gli impediva di farlo.
“Ah, Asgard, anno 3040”, esclamò dopo essere uscito dalla cabina ed aver ispirato a fondo l’aria frizzantina.
Davanti a loro, sviluppato in verticale, il più antico palazzo Asgardiano e, tutt’intorno, uno splendido giardino gremito di gente che non sembrava più di tanto interessata o colpita dall’atterraggio del Tardis. Kate si strinse al braccio di Rick passeggiando per il parco, il Dottore restò alle loro spalle, camminando lentamente con le mani in tasca. Guardò Kate poggiare la testa sulla spalla di Richard. Non era mai stato un tipo sentimentale, o almeno gli piaceva credere di non esserlo, ma in quel momento qualcosa turbò i suoi due cuori. Gli sembrò di vederli, Amy e Rory, lei letteralmente aggrappata al braccio del marito trascinandolo per farlo affrettare, curiosa ed eccitata da tutto ciò che aveva intorno come sempre. Lui, l’ultimo centurione, che allungava il passo solo perché costretto, richiamandola con quella dolce lamentela, “Amy, rallenta”.
Erano passati mesi da quando si era separato da loro, da quando un angelo piangente, un sopravvissuto -come lo aveva definito-, li aveva strappati da lui. Aveva provato a convincere Amelia ad arretrare e rientrare nel Tardis, ma anche mentre la suppllicava di non staccare gli occhi da quell’angelo sapeva bene che non lo avrebbe mai ascoltato, che non avrebbe mai lasciato Rory -che era stato spedito chissà dove indietro nel tempo con il semplice tocco del dito di pietra- da solo. Poi c’era stata River, non aveva resistito a dire la sua, ad incoraggiare Amy a farsi toccare sperando così di raggiungere il marito. Come biasimarla, erano i suoi genitori, forse era colei che, più di tutti, aveva il diritto di dire qualcosa.
Fu in quell’istante, pensando a lei e alla sua imperturbabilità, che la vide.
Ci vediamo su Karfel, dolcezza!”, così gli aveva detto e questo significava che non avrebbero dovuto incontrarsi lì, ad Asgard.
Si fermò a guardarla.
Stava sorridendo e, volgendo lo sguardo nella sua stessa direzione, notò con chi stava parlando.
Era lui.
Non lui, lui. Un lui più giovane, il lui di prima. Decima rigenerazione cosiderando il cappotto e i capelli.
Non era possibile che si fosse dimenticato di quell’appuntamento, di essere stato con lei, ma con le loro linee temporali intrecciate e dirette in direzioni opposte tutto poteva accadere.
Il tempo ha sempre un pizzico di wibbly-wobbly timey-wimey, in un parola, è sempre un po’ traballante, specie per quanto riguarda la loro storia.
Ringraziò di essere atterrato piuttosto distante, non poteva certo permettersi che l’altro sé o River si accorgessero della sua presenza, sarebbe stato un disastro su tutta la linea. Correndo si posizionò davanti a Rick e Kate, allargando le braccia cercando di impedirgli di avanzare e di vedere oltre le sue spalle.
“Ah, ehm… ragazzi, credo sia meglio tornare al Tardis. Mi è venuto in mente un posto fantastico dove portarvi”. Kate sollevò la testa, indossando lo sguardo da detective. “Tutto bene, Dottore? Qui è bellissimo, niente autons, nessun dinosauro, non ci sono cybermen…”.
Per un istante fermò quella lista di nomi, arricciando involontarimente il naso. Se avesse sentito chiunque altro parlare con tale naturalezza di quelle cose gli avrebbe dato senza dubbio del folle, ed ora invece era lei, la scettica per eccellenza, a nominare alieni, uomini di latta ed altri mondi. Se anni addietro le avessero detto che sarebbe successo, non ci avrebbe mai creduto. “La giornata è splendida, abbiamo tempo”. Provò a fare un passo in avanti, vedendosi nuovamente bloccata.
“Ecco… fidatevi di me, abbiamo già visto il meglio che Asgard ha da offrire. Ci sono altri posti in cui andare. Vi ho mai parlato di Barcellona? Il pianeta, non la città. Vi ci porto, saremo lì in un baleno”.
Poggiò le mani sulle loro spalle costringendoli a voltarsi e spingendoli lungo la via da dove erano arrivati, proprio appena prima che River si voltasse nella loro direzione e potesse riconoscerlo.

Viaggiarono fino al pianeta di Barcellona e, come turisti in visita, si aggirarono in lungo e in largo, ridendo alla vista dei cani senza naso di cui tanto gli aveva parlato il Dottore mentre pilotava il Tardis.
Qualche giorno dopo si erano ritrovati al centro della Terra in compagnia della spedizione Ridcord, nel 2105. Rick non aveva potuto credere ai suoi occhi, si era agitato come un bambino toccando ogni cosa, ogni parete rocciosa, ogni luccichio che vedeva sebbene Kate avesse tentato in tutti i modi di fermarlo. Aveva lasciato Matt a casa, eppure si trovava a girovagare per lo spazio e il tempo in compagnia di due bambini, ma quando il viso del Dottore si era rabbuiato -dopo aver domandato al gruppo di spedizionisti i loro nomi- era stata la prima a capire, seguita dal capo della spedizione, Johnatan Radbur.
Il Dottore aveva letto di loro, i primi umani a mettere letteralmente piede nell’entroterra ma anche i primi a non uscirne vivi.
Il senso di giustizia di Kate aveva cominciato a divorarla dall’interno, aveva cercato di trovare una soluzione a quello che avrebbe scoperto essere inevitabile. “Non permetterò che accada”, aveva detto con fermezza al Dottore. Lui, spazientito, aveva preso a girare su se stesso stringendo i pugni. Quando si impuntava sapeva essere terribilmente testardo ed irremovibile, quello che sfortunatamente per lui non ricordava era che Kate riusciva ad esserlo ancora di più. Aveva serrato la mascella e fatto scorrere le mani tra i capelli, mormorando poi un va bene a denti stretti.
Passarono tre giorni con l’equipaggio della spedizione, ma quando si lasciarono il nucleo esterno alle spalle, dopo essere riusciti a recuperare il Tardis -precipitato appena arrivati a qualche centinaia di metri di dislivello sotto di loro-, si erano ritrovati soli sulla cabina. La morte dei cinque membri della Ridcord era un punto fisso, ma nonostante questo Kate non riusciva ad accettare la cosa. “Avevi detto che li avremmo salvati”, aveva continuato a ripetere come un disco rotto e la frase che seguì non avevano avuto occasione di sentirla nelle due settimane passate. “Regola uno, il Dottore mente”.
Fu Richard quella sera a consolarla, a spiegarle che le scelte del Dottore, per quanto sbagliate potessero sembrare, erano sempre volte ad aiutarli.
Non solo loro, ma tutta la razza umana.
Kate non poté fare a meno di sentirsi turbata, nonostante tutto non riusciva a vedere delle morti come necessarie e, ancora una volta, si era data della sciocca perché non voleva dubitare del Dottore, specie dal momento che, prima di allora, non gliene aveva mai dato modo, e sebbene non li avessero uccisi loro, si sentiva come la persona che li aveva condannati a quel destino infausto. Come in altre occasioni prima di quella, Rick riuscì ad alleviarle quel peso, mostrandole quanto anche il Dottore -alieno, con due cuori, che non muore ma cambia- fosse più umano di quanto sembrasse. Si sentiva anche lui in colpa per averli dovuti lasciare indietro. Lo aveva letto nei suoi occhi stanchi e vecchi nonostante il viso giovane, occhi che avevano visto tante guerre e tante morti, e ne aveva avuto la conferma quando lo aveva sentito parlare un paio di sere prima con Radbur.
Quella sera faticò ad addormentarsi e la mattina seguente fu più fredda del solito con il Dottore, ma lui comprese e non le forzò la mano per farle accettare ciò che era successo. Bastarono un paio di giorni, certo, il ricordo e quel sapore amaro ripensando all’accaduto non erano svaniti ma i sorrisi tornarono, così come le battute e il punzecchiarsi quando lei ancora si mostrava leggermente scettica verso i suoi racconti, e poi via, di nuovo diretti verso l’avventura.

Avevano esplorato le meraviglie dell’Antica Grecia, mentre Castle si pavoneggiava aggirandosi per la città, avvolto nella sua tunica bianca e con i sandali ai piedi che gli evidenziavano i polpacci muscolosi.
Erano stati nella Baltimora del 1843 e lì, nell’ombra della notte, avevano incontrato Edgar Allan Poe. Non si erano fermati, non lo avevano interrotto mentre passeggiava guardandosi attorno stranito e parlando da solo. Rick aveva riconosciuto immediatamente, nella sua follia, l’estro del genio e l’ispirazione fulminea. Aveva balbettato qualcosa e coinvolto il Dottore nel suo infantile balletto per aver appena visto uno dei suoi idoli, l’uomo a cui doveva il suo secondo nome, il nome che lui stesso si era scelto. Dopo essere stata costretta ad assistere a gridolini di entusiasmo e saltelli degni di un gruppo di adolescenti, Kate si era riservata il diritto di scegliere la tappa successiva, sperando che il Tardis non avrebbe deciso, ancora una volta, di fare di testa sua conducendoli chissà dove.
Con il su e giù di qualche leva e qualche bottone premuto, la cabina aveva vorticato nello spazio e nel tempo fino alla Firenze rinascimentale. Il Dottore si era lasciato rapire dalla bellezza dei palazzi e dei monumenti, sempre attento e pronto a reagire nel caso qualche alieno, oltre a lui, avesse improvvisamente intrecciato il suo cammino con il loro.
Gli venne alla mente Venezia, l’altra città italiana che aveva avuto occasione di visitare, uno dei primi viaggi di Rory ed Amy con lui, e poi Pompei. Le fiamme avevano invaso la città e Donna… oh Donna, lei lo aveva implorato di salvarli, di salvare uomini, donne e bambini, centinaia e centinaia di persone, ma non poteva farlo, proprio come non aveva potuto salvare i cinque della spedizione Ridcord. Eppure non aveva resistito agli occhi della sua amica ricolmi di lacrime, di paura e amarezza e una famiglia era scampata al disastro.

Gli unici superstiti dell’immenso eruttare del Vesuvio.

Mentre il Dottore, perso nel bagliore del tramonto, rimembrava i tempi andati, anche Richard e Kate si lasciavano andare ai ricordi, a quel viaggio in Italia che avevano fatto cogliendo l’attimo non appena avevano scoperto di aspettare Matt. Firenze era stata una delle mete prescelte, ma vederla nel suo fiorente periodo, ammirarla nello splendore del Rinascimento, era tutta un’altra cosa.
Il rientro sul Tardis, quella volta, fu diverso dai precedenti. Il Dottore si accorse subito di quel velo cupo sul viso dei suoi compagni, la loro spensieratezza sembrava essere sparita non appena varcate le porte della cabina blu. Fece finta di nulla, infrangendo il silenzio con un fiume di parole.
“Francia, 1804, andiamo ad incontrare Napoleone Bonaparte! Un personaggio curioso ma, mi raccomando, non fissategli la mano o fate commenti sull’altezza, è alquanto suscettibile a riguardo!”
“Dottore…”
“Okay, niente Francia, si potrebbe andare su Guzan, divertimento assicurato!”
“Dottore…”, tentò un’altra volta Kate.
“Ci sono enormi foreste e bizzarre creature, tipo conigli o scoiattoli, non saprei dire…”, si grattò la tempia senza smettere di smanettare alla consolle.
“Dottore, sembra tutto bellissimo”, il tono di Kate era calmo e dolce, quasi materno, ed era proprio quello il punto. “Siamo stati benissimo con te, ti adoriamo, non è vero Rick?”
“Senza dubbio”, la sostenne Castle.
“Ma noi dobbiamo tornare a casa.”
“Oh…”, fu l’unica risposta del Dottore. Non che non se l’aspettasse, ma non credeva che lo avrebbero lasciato così presto.
“Abbiamo amato queste settimane con te”, proseguì Rick al posto della moglie. “Ci sei mancato davvero tanto, ma non possiamo assentarci ulteriormente. Il Tardis è fantastico, e sappiamo che potrà riportarci a casa in ogni momento, come se neanche un giorno fosse passato ma ci manca la nostra famiglia, anche tu ne fai parte, lo sai, e sarai sempre il benvenuto, ma gli altri non capirebbero”.
Il Dottore si sforzò di mostrare un sorriso, ma non gli andava di essere ottimista, non in quel momento.
“E Poi c’è Matt, lui è piccolo e… ci manca, immensamente. Mi manca in un modo che quasi non credevo possibile”, sussurrò Kate con gli occhi lucidi e i denti che mordevano il labbro inferiore nel tentativo di non piangere. Non era da lei, ma la maternità le aveva alleggerito il cuore, amplificando il suo lato dolce e protettivo.
Le avventure avevano come fatto fermare il tempo, con quello che era accaduto sul Titanic e poi alla spedizione Ridcord, c'era stato davvero poco tempo per pensare. Ogni viaggio era come una droga. "Ancora uno", e si finiva per non smettere mai, ma quel viaggio in Italia aveva fatto sentire a Kate un vuoto nel petto e la mancanza di Matt si era fatta insostenibile. Lui probabilmente non si sarebbe neanche accorto dell'assenza dei suoi genitori, sarebbero state al massimo poche ore. Al loro rientro l'avrebbero trovato ancora addormentato, totalmente nel mondo dei sogni.
Il Dottore aveva sospirato silenziosamente, digitando numeri sulla tastiera della consolle. Senza dire una parola girò le manopole e tirò verso sé la leva del flipper. Del fumo prese ad uscire da ogni dove, ma bastarono un paio di colpi ben assestati per farlo smettere.
Quando il volo del Tardis si stabilizzò, il Dottore fece un solo cenno del capo indicando le porte, con un sorriso rassicurante, sebbene appena accennato sulle labbra rosee. Richard e Kate si avviarono verso le porte, appena le aprirono posarono i piedi sull’asfalto newyorkese, davanti ai loro occhi la facciata esterna del loft e sull’angolo il cartello con i caratteri puliti e precisi che indicavano la via, 595 Broome Street.
Rick si girò verso il Dottore alle sue spalle, poggiato alla sua amata cabina, con le braccia incrociate davanti al petto. “Siamo a casa…”, mormorò stupito.
“Non avevo in mente di tenervi in ostaggio”, rise, estraendo poi il cacciavite sonico dalla tasca della giacca in tweed e puntandolo verso il cielo. La luce verde si accese e il leggero ronzio si diffuse attorno a loro. Con un gesto da esperto lo spense, roteandolo in seguito tra le dita come farebbe un cowboy con la pistola. “Siamo esattamente nel momento in cui vi ho portato via da casa… beh, solo ad un paio d’ore di distanza.”
Kate gli andò in contro abbracciandolo. Girarono su loro stessi e staccandosi notarono un pizzico di gelosia, per quell’abbraccio durato evidentemente più del previsto, negli occhi di Rick.
“Giù le mani soldato”, il Dottore alzò le mani allontanandosi di un paio di passi, poi sia lui che Rick si sciolsero in una risata salutandosi con un abbraccio un po’ più virile.
Le luci tenue dell’alba iniziavano ad avvolgere la città, riflettendosi sui vetri delle grandi finestre facendo sembrare, per qualche istante, che i palazzi fossero in fiamme. New York era immersa in uno di quei rari momenti di silenzio, il sottile momento di transizione tra notte e mattino in cui i nottambuli sono appena andati a dormire, mentre le prima sveglie cominciano a suonare nelle camere da letto di lavoratori in attesa di iniziare la giornata.
“Ti aspettiamo presto, allora. Qualche volta potresti venire per cena, o a passare il Natale con noi, ci farebbe piacere.”
“Oh, beh, io…”, ma era difficile rifiutare davanti allo sguardo pieno di speranza di Kate, così si limitò ad annuire. Oltre novecento anni sulle spalle, undici rigenerazioni, e ancora riusciva a stupirsi della capacità del genere umano di provare e suscitare negli altri così tante emozioni diverse.
I coniugi Castle si avviarono verso l’ingresso. Rick lasciò un bacio sul capo di Katherine, mormorandole un “dammi un minuto”, vicino all’orecchio.
“Dottore”, lo richiamò Castle.
Uscì immediatamente dal Tardis, vedendo Rick avvicinarsi e Kate salutarlo un’ultima volta con la mano dall’androne del palazzo. “Non ti rivedremo più, giusto?”.
Sorrise, sistemandosi il papillon. “Certo che mi rivedrete!”, esclamò convinto. Un giro su sé stesso, un mezzo inchino, la mano fatta passare tra i folti capelli castani.
“Saremmo stati con te… sai, in circostanze diverse, avremmo viaggiato con te, per sempre.” Rick non si era fatto ingannare, quella sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbero visto. Non sapeva perché, non aveva intenzione di chiederglielo, né tanto meno di dirlo a Kate, non sapendo che anche lei aveva intuito ogni cosa.
“A presto, Richard Castle”, sebbene sapesse che lui aveva capito, non gli avrebbe mai detto addio. Odiava quella parola, più semplicemente odiava i finali, altrimenti per quale motivo strapperebbe sempre l’ultima pagina di ogni libro?
Con loro era stato bene, avrebbe voluto continuare a viaggiare. Avrebbe potuto lasciarli a casa e tornare tra qualche tempo, adorava fare le improvvisate, ma quando era atterrato e li aveva visti dirigersi vero la loro casa, così vivi e felici, aveva capito che era arrivato il momento di lasciarli. Aveva sconvolto a sufficienza le loro vite, aveva trascorso attimi stupendi con loro. Divertenti, tranquilli e rilassanti e alcuni pericolosi, così tanto che più di una volta aveva rischiato di perderli. Loro ancora respiravano, questo era l’importante. Li avrebbe ricordati così, vivi e felici e avrebbe sempre saputo, nel bisogno, dove trovarli. Doveva lasciarli andare.
“Arrivederci, Dottore”.
Come arrivato, il Tardis sparì e con lui il Dottore. Lo stridore dei freni si dissolse nell’aria di quella giornata estiva leggermente più fresca del solito.
Non volle aspettare l’ascensore, così corse per le scale, impaziente anche lui di tornare e vedere Matt, starlo a guardare mentre dormiva, controllarne il respiro attraverso i lenti e ritmati movimenti del pancino, aspettare che si svegliasse e coccolarlo per tutto il giorno.
Senza fiato arrivò davanti alla porta del loft nel momento in cui Kate aveva infilato le chiavi nella toppa e stava per abbassare la maniglia.
“Oh, Richard, Katherine, cari, come mai già a casa? Ho appena letto il biglietto. Avete dimenticato qualcosa?”, chiese Martha stupita, ancora in veste da camera, con il bollitore in mano e la tazza proprio di fronte a sé sul bancone in marmo della cucina ad isola.
“No madre, nulla”, si chiuse la porta alle spalle ispirando l’aria di casa.
“Vado da Matt”, disse semplicmente Kate prima di correre verso la camera del bambino al secondo piano, sentendo la voce di Rick pronunciare un "Ti raggiungo subito!".
“Caro, tutto bene, sta succedendo qualcosa? È il primo figlio ed è normale sentirne la mancanza, ma sembra quasi che Katherine non veda Matt da mesi!”, sentenziò prima di portarsi la tazza alle labbra, riempiendo la bocca del sapore dolce amaro del tè aromatizzato al limone.
Richard scoppiò a ridere di gusto. Sua madre non immaginava minimamente quanto si fosse avvicinata alla realtà. Settimane di viaggi in epoche e mondi lontani ridotti a due ore di assenza da casa.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?”, lui scosse la testa avvicinandosi a lei, le prese la tazza dalle mani poggiandola sul banco. “Assolutamente no, madre”, la strinse a sé, lasciandole sul viso un’espressione di pura sorpresa, eppure anche lei alla fine si sciolse apprezzando quel momento senza dire una parola.
Rick alzò appena lo sguardo puntandolo al di là della finestra, il sole si stava alzando e fu certo di vedere una piccola macchia scura coprirne per un istante la superficie. Una macchia che aveva la forma di una cabina. Un ultimo saluto al Dottore con un tacito grazie, scritto invece nella prima pagina di quel libro che gli aveva lasciato in ricordo.

Uno dei primi che aveva scritto, una primissima copia.

Quando il Dottore lo trovò, si commosse per un attimo leggendovi le parole di gratitudine scritte a penna nell’antiporta. Lo sfogliò raggiungendo l’ultima pagina per poi strapparla. Stabilizzò il volo del Tardis lasciandolo sospeso nell’infinito spazio, aprì le porte e la lasciò cadere tra le stelle guardandola bruciare in una supernova.
Un saluto in grande stile. Le parole d’inchiostro su quella pagina avrebbero bruciato e bruciato per anni, quasi come immortali. Non ci sarebbe mai stata una fine, decretando così un legame che avrebbe unito lui a Richard e Kate per sempre.
Non era un addio e questo gli bastava.







Diletta's coroner:

Anche questa è finita! il Dottore è ripartito e i Caskett sono di nuovo a casa, come se non fossero mai stati via... rivedranno mai il Dottore?
Rick e Kate pensano di no, e anche lo stesso Dottore ne è convinto, ma non si sa mai u.u
Grazie di avermi seguito in questa piccola follia oltre il temp e lo spazio, spero ne sia valsa laeno un po' la pena ;)
Buon fine settimana!
Baci

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