La neve se ne frega.

di piccolo_uragano_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Potresti essere mio amico. ***
Capitolo 2: *** C'è già tutto scritto nel titolo. ***
Capitolo 3: *** dovrò lasciarti andare ***
Capitolo 4: *** Domani ***



Capitolo 1
*** Potresti essere mio amico. ***


Una volta, quando aveva sette anni, stava frugando negli scatoloni che sua madre teneva ben nascosti in soffitta. Kayla lo aveva convinto a cercare delle foto di Sirius che non avessero mai visto, e anche lui, sotto sotto, aveva voglia di sapere di più su quell’uomo dai capelli scuri che ricordava poco. Aveva trovato anche una pallina gialla e bianca, che lo aveva divertito per via della consistenza. Doveva essere stata più colorata e più dura, un tempo, ma ora era scolorita e sembrava essere stata mordicchiata da un cane. Non lo aveva detto, a sua madre, di quella pallina, perché sapeva che avrebbe capito dove l’aveva trovata. L’aveva mostrata a Remus, chiedendogli cose fosse. Lui aveva sorriso e aveva risposto che era un giocattolo babbano per cani vivaci.
Ora, Robert aveva quattordici anni, se ne stava sdraiato sul suo letto nel dormitorio maschile Grifondoro, e lanciava quella pallina gialla verso l’alto, per poi riprenderla e lanciarla di nuovo.
Pensava  a quell’uomo con i suoi stessi occhi, che era tornato a casa, aveva ricominciato ad occupare il posto che gli spettava, nel lettone e accanto a Martha, aveva imparato a volergli di nuovo bene e gli scriveva tre volte a settimana per sapere come stava.
Robert aveva creduto che lui e Sirius non avrebbero mai recuperato il tempo che avevano perso, e lo aveva creduto davvero. Se ne era convinto quando aveva scritto a sua madre che era stato Smistato a Grifondoro, esattamente come lei, e la sua lettera di risposta finiva con ‘Sono fiera di te, pulce. E anche tuo padre sarebbe davvero orgoglioso’. Ora suo padre era tornato, e loro avevano passato l’intera estate a parlare. Eppure ora, dopo tre settimane di scuola, gli mancava tremendamente. Aveva passato dieci anni senza di lui, eppure ora gli mancava.
Come se non bastasse, Tonks, sua cugina e sua migliore amica, aveva terminato la scuola. Cercava di fare del suo meglio per non farlo sentire solo, scrivendogli ogni giorno lettere chilometriche, ma nessuno meglio di Dora poteva sapere che Robert Sirius Black non si era mai sentito così solo.
“A che pensi?” domandò una voce conosciuta.
“A Tonks.” Rispose, sentendo i gemelli accomodarsi nei loro rispettivi letti, lanciando in aria la pallina gialla.
“A Tonks? Ti piace Tonks?”
“Ma smettila, George. Non può piacergli Tonks.”
“Infatti non mi piace Tonks, razza di idioti.” Replicò, mettendosi a sedere e sforzandosi di sorridere ai suoi amici. “Non può piacermi mia cugina nonché mia migliore amica.”
“Ehi! E noi a che posto stiamo?” ironizzò Fred.
“Tu sei per caso una femmina, Fred?”
“No!” replicò seccato il primo.
“Allora perché sei geloso dell’etichetta di ‘migliore amica’?”
“Non sono geloso, idiota.”
“Certo che non lo sei.” Si intromette Robert, inclinando la testa e sporgendo il labbro inferiore. “Hai solo bisogno d’affetto, vero, Freddie caro?”
Fred gli tirò un cuscino, con dipinto in viso un sorriso divertito. “Non sono io la checca, qui.”
“Io non sono una checca, idiota.”  Si difese il giovane Black. “Mio padre mi ha insegnato un sacco di trucchetti.”
“Ho notato lo sguardo di Grace, Rachel e Jasmine, oggi.” Contestò George. “Pensavo che da un momento all’altro ti sarebbero saltate addosso.”
“In tre?!” domandò Fred. “Merlino, Black, insegnali anche a noi certi trucchetti!”
Robert rise e tirò indietro la testa. “Guarda.” Ridusse il sorriso ilare ad un sorriso seducente, fissò Fred intensamente negli occhi e poi gli fece l’occhiolino. Inclinò leggermente la testa e poi tornò a guardarlo con quello stesso sguardo. Dopo pochi secondi, scoppiò a ridere.
“Porco Salazar, Robert!” esclamò George. “Se decido di convertirmi all’omosessualità, ti faccio un fischio.”
“No, grazie.” Rispose Robert.
“Ma illuminami. È con uno sguardo del genere che tuo padre ha conquistato tua madre?”
“No, no. Loro erano grandi amici e poi si sono innamorati.”
“Ecco! Quindi pure tu potresti innamorarti di Tonks!”
“No, George.” Replicarono all’unisono Fred e Robert.
George si buttò sul letto con aria scoraggiata. “Andate al diavolo, tutti e due. Maledetti.”
Robert rise e scosse la testa. Alla fine, non era poi così solo.

Robert se ne stava seduto su una panchina in riva al lago, con gli auricolari attaccati ad un lettore CD portatile che sua zia Rose gli aveva regalato per il Natale precedente. Lasciava che le Sorelle Stravagarie strimpellassero le loro canzoni senza senso a tutto volume, perché, per quanto assurdo fosse, ascoltare quel gruppo lo faceva sentire più vicino a Tonks.
Si stava godendo l’ultimo sole, il sole di metà ottobre, sapendo che, l’indomani, suo padre sarebbe stato processato.
“Ciao.” Disse una voce flebile. “Posso sedermi?” Lui aprì gli occhi.
Si trovò davanti ad una ragazza con dei folti riccioli scuri e la divisa Corvonero. L’aveva già vista – l’aveva già notata – ma non aveva mai notato la pancia tonda che indicava una gravidanza di almeno cinque mesi.
“Certo.” Replicò lui con tono gentile, facendosi più in là. Quando lei si fu seduta, lui le porse la mano destra. “Robert Black, al suo servizio.”
Lei rise. Aveva una risata dolce ma matura. “So chi sei. Tutti sappiamo chi sei.”
“Ma io non so chi sei tu.” Replicò lui con un sorrisetto Malandrino.
Lei lo scrutò. “Mi chiamo Alexandra, Alex per gli amici.”
“E io sono tuo amico? O ti devo chiamare Alexandra?”
“Credo che potresti essere mio amico, si.” Rispose lei, dopo averlo scrutato.
Lui osservò con tenerezza la pancia della sua nuova amica. “Di quanto sei?”
“Ventitré settimane.” Rispose lei con semplicità.
“E lui dov’è?”
“A Durmastrang, ma non ne vuole sapere nulla.”
Robert annuì silenzioso. “Mi dispiace. I tuoi che dicono?”
“Che mi devo arrangiare. C’era da aspettarselo, scusa, eh, ma i tuoi che ti direbbero?”
Lui incarnò un sopracciglio. Era facile giudicare una persona per il cognome che portava, era troppo facile. Era facile giudicare un Black un purista, senza sapere che era un Mezzosangue nato da due diciassettenni che stavano facendo la guerra.
“Niente.” Quella ragazza gli piaceva, in qualche modo. Non come apprezzava le sue coetanee, ma sembrava che dietro di sé avesse qualcosa di molto più serio che un  ragazzo tedesco e una gravidanza scomoda. “Mia madre è rimasta incinta di me a diciassette anni, quindi se tornassi a casa dicendo che la mia ragazza è incinta, lei scuoterebbe la testa e direbbe ‘sei proprio uguale a tuo padre’.”
“Non ci avevo pensato.” Rispose lei, scuotendo la testa. “Cioè, tutti parlando dei tuoi, si sa che sono abbastanza giovani, ma non lo aveva collegato.”
Fu lui a scuotere la testa. “Meglio così.”
“E che hanno fatto?”
“Secondo te?”
“No, no. Intendevo, si sono sposati perché saresti arrivato tu, o si sarebbero sposati comunque?”
“Mio padre chiese a mia madre di sposarla a novembre, e lei rimase incinta a dicembre.”
Alex rise. “Beh, devono amarsi molto.”
Lui abbassò lo sguardo. “Sì, a modo loro.”
“Vorrei averli anche io, due genitori così.”
“Te li regalo, se vuoi.” Scherzò lui. “Anche una sorella di dieci anni e Harry Potter come fratello acquisito.”
“Scherza, scherza. Io sono cresciuta con mio padre perfetto e la sua compagna perfetta, i loro due figli perfetti nella loro casa perfetta. Ti immagini che noia?”
“Immagino come farei saltare in aria una casa perfetta, questo si.”
Lei rise. “Nel senso?”
“Nel senso, la compagna perfetta usa qualche shampoo costoso?”
“Si, tutti prodotti babbani. Ah, loro sono babbani, tutti quanti, solo io non lo sono.”
Lui fece segno che non importava. “Prendi una crema per le verruche e cambi l’etichetta, dicendo che è uno shampoo costosissimo che usano le streghe più belle del mondo magico. Regali ai bambini perfetti alcune Caccabombe dicendo che sono giochi per cani, e a tuo padre perfetto delle foto magiche, incantandole perché stiano immobili quando le guarda e cambino completamente quando non le guarda. È semplice, basta avere un po’ di fantasia.”
Lei scoppiò a ridere di nuovo. “Merlino, Robert Black. Era una vita che non mi divertivo così!”
Passò un ragazzo, sesto anno, Serpeverde, e scrutò Alex come fosse un mostro. Lei si lasciò scivolare quello sguardo addosso, come se nulla fosse.
Robert, improvvisamente furioso, con un leggerissimo colpo di bacchetta fece spuntare un codino da maiale al Serpeverde.
Lei scoppiò a ridere di nuovo, e lui si sentì al posto giusto.

“Black?”
“Mh?”
“Black, stai ascoltando?”
Robert aprì gli occhi, strizzandoli per la luce. La professoressa McGranitt, con il suo solito sguardo in grado di uccidere, lo osservava dalla cattedra dell’aula di Trasfigurazione. “Certo che sto ascoltando.” Rispose, cercando di avere un tono fermo e deciso.
“Oh, davvero? Allora non sarà un problema consegnarmi tre rotoli di pergamena sugli Incasimi di Scambio, per domani, se stavi ascoltando.”
Ecco, quello era un vero tono deciso e fermo! Maledetto lui. E maledetto Baston, con i suoi allenamenti.
“Certo che no.” replicò di nuovo.
“Benissimo. E saresti così gentile da svegliare Fred e George Weasley, dietro di te?” Robert cercò di nascondere un sorriso, girandosi e scoprendo, dietro di lui, i gemelli più addormentati che mai. Battè con decisione la mano sul tavolo, e i due scattarono seduti composti.
“Buongiorno, signori Weasley.” Disse la professoressa. “Anche voi, come il signor Black, dovrete consegnata tre rotoli di pergamena sulla lezione di oggi, domani all’ora di pranzo.”
“Tre rotoli ciascuno?” domandò allibito Fred.
“Esattamente, signor Weasley. Ora, potete andare.” L’intera classe si alzò e si diresse verso l’uscita, mentre i tre si stiracchiavano e sbadigliavano.
La McGranitt si avvicinò al banco di Robert. “Signor Black, possiamo scambiare due parole?”
Robert raccolse la pergamena su cui avrebbe dovuto prendere appunti e la mise nella borsa a tracolla che era appartenuta a Martha. “Certamente.”
La strega aspettò che Fred e George uscissero per aprire di nuovo bocca. “Come saprai, tuo padre è stato assolto da tutte le accuse.”
“Si, me lo ha scritto.” Rispose, cercando di capire dove volesse arrivare.
“Ora, immagino saprai anche che ha intenzione di riavere il suo posto di lavoro.”
Robert annuì di nuovo.
“E immagino saprai anche che in questo momento il professor Silente sta avendo un colloquio con lui nel suo ufficio, in quanto Stregone Capo del Wizengamot.”
Robert sorrise e si passò entrambe le mani nei capelli. Sirius era lì! Prima che si mettesse a correre, la donna lo fermò di nuovo.
“Black! Sono tutte cose che tu sapevi già. Io non ho detto nulla, intesi?”
Robert sorrise e allargò le braccia. “Come sempre, professoressa.”

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Capitolo 2
*** C'è già tutto scritto nel titolo. ***


Era l’alba, e Hogwarts veniva illuminata dal sole di inizio novembre. Ogni cosa sembrava essere al suo posto, eppure, una ragazza dai riccioli scuri se ne stava seduta appena fuori dal castello, con una perfetta visuale del caminetto di Hagrid già in funzione. Teneva in mano un libro azzurro con un riquadro giallo, mentre, con aria tranquilla, fumava una sigaretta. Si appoggiava con la spalla ad una grossa roccia, e parve non accorgersi del ragazzino che si sedette poco lontano da lei.
“Che ci fai sveglia?”
Alex alzò gli occhi solo quando riconobbe la voce di Robert. “Dipende. Tu che ci fai sveglio, Black?”
Lui aveva un’ aria stanca. Quella ragazza aveva solo tre anni più di lui, eppure sembrava capirlo meglio di chiunque altro, anche solo con uno sguardo. “Dieci anni fa oggi mio padre fu arrestato.”
Alex posò il libro a terra, per porre davanti a Robert i due palmi bianchi. Alzò una mano ed abbassò l’altra, e poi il contrario. “Tre giorni fa tuo padre è stato assolto da tutte le accuse. Fatti un calcolo. Quale vale di più?” poi, aspirò con la sigaretta.
“Non dovresti fumare.” Contestò Robert, lasciando cadere l’argomento.
“Senti mostriciattolo, fumo da quando avevo la tua età. Non smetterò certo ora.”
“Perché sei sveglia? È a malapena l’alba.”
Lei lo scrutò attentamente. “Per il libro.” Scherzò poi.
Robert spiò il titolo, con l’impressione di conoscerlo già. “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare.” Lesse, ad alta voce. “Sei una nata Babbana e non avevi mai letto quel libro prima?”
Lei sembrò sentirsi smascherata, ma solo per qualche secondo. “E allora?”
“Tutti i Babbani lo leggono ai propri figli.”
“E tu che ne sai? Credevo fossi un Black.”
Robert scosse la testa. “Non l’ho mai capita, quella storia. Comunque, sia da il caso che mia madre sia stata cresciuta da una Babbana, e che quindi io a casa abbia una copia di quel libro.”
“E lo hai mai letto?”
“No.”
“Ecco. Questo libro è anche troppo bello per te.” Scherzò.
“Ti ringrazio! Questo è davvero di grande aiuto.”
“Non c’è di che.” Poi lo guardò con aria più seria. “Perché non lo hai mai letto?”
Lui alzò le spalle. “C’è già tutto scritto nel titolo.” Buttò lì.
“Anche tu hai già tutto scritto in faccia, eppure la gente ti parla ugualmente.”
Robert rise, e la sua risata ad Alex ricordò un cane che ulula. Rimase a guardarlo ridere del suo sarcasmo, chiedendosi come potesse essere possibile che loro due fossero davvero amici.

“Robert! Robert! Rooooobeeeeert!” non era un urlo, era un sussurro stridulo ed entusiasta.
Robert alzò la testa dal libro di Pozioni. Harry Potter, con i suoi capelli ribelli, si era appena seduto davanti a lui. “Ciao, piccolo Potter.” Salutò Robert.
“Robert, Sono diventato Cercatore di Grifondoro!”
Robert alzò un sopracciglio. “Ma sei al primo anno!” Rispose.
“Beh, Baston ha detto che sono il più giovane Cercatore dopo più di un secolo!”
Robert fu contagiato dal sorriso del ragazzino. “Tuo padre sta saltando di gioia, da qualche parte, sai?”
Harry sembrò allargare il suo sorriso più di quanto fosse umanamente possibile. “Devo dirlo a Sirius e Martha.” Si passò una mano nei capelli, nell’illuso tentativo di sistemarli. “Cercatore! Ti rendi conto?!”
Robert scosse la testa, chiudendo il libro di Pozioni. “C’era da aspettarselo, no?”
Per la prima volta, Harry sembrò non capire. “In che senso?”
Robert lo scrutò,  poi si guardò attorno.“Vieni.” Disse. “Ti mostro una cosa. Ma devi fare veloce.”
“Non vuoi che la gente mi veda con te?” replicò seccato.
“Non voglio che la gente veda questa cosa.” Robert si alzò, rendendosi conto che Harry a malapena gli arrivava al petto. All’improvviso, gli parve piccolo ed indifeso, sebbene all’interno del castello praticamente tutti lo amassero già. Robert camminava accanto a lui con noncuranza, mentre una dozzina di ragazze gli facevano gli occhi dolci, e lui fingeva di guardarle. Lo divertiva, il fatto che lo guardassero. A dire la verità, lo divertiva il fatto che loro pensassero che lui avessi chissà che cosa da offrire.
Davanti alla sala dei trofei, Robert aprì la porta per fare entrare Harry, notando che lui sembrava agitato.
“Perché non vuoi che la gente veda questa cosa?”
Robert lo guardò e sorrise. “Perché ne sono piuttosto geloso. È una cosa che riguarda te, più che altro, ma anche me, in qualche modo.” Chiuse la porta e sorrise, procedendo a grandi passi verso ciò che conosceva bene. La targa d’oro dedicata a James Potter.  Guardò Harry stupirsi e illuminarsi, e poi si allontanò, senza fare rumore, passando davanti alla targa, più piccola e meno vistosa, dedicata a Regulus Black. Non aveva ancora trovato il coraggio per chiedere a Sirius di lui.
Si concesse un ultimo sguardo a Harry, prima di uscire, trovandolo ad osservare il nome di suo padre con aria sognante, e sentì lo stomaco stringersi.
La verità era che Robert ricordava James troppo bene per non sentirne la mancanza.

La mattina dopo, all’alba, Robert spalancò gli occhi come se qualcuno lo stesse osservando. Più che spaventato, puntò la bacchetta davanti a lui, senza trovare nessuno. Si guardò attorno, e, sotto al letto di Fred, notò che Crosta, il topo di Ron, lo fissava con sguardo quasi umano. Il topo non sembrò essere intimidito dallo sguardo di Robert,  tant’è che quando il ragazzo inclinò leggermente la testa, il topo lo imitò come uno specchio. Mentre si rigettava sul letto, pensando che aveva ancora almeno un’ora di sonno,ebbe l’impressione di essersi già sentito addosso quegli occhi, probabilmente in una vita precedente, ma si riaddormentò prima di trovare una risposta.
“Robert! Fred!George!” i tre ragazzi non si mossero. “Oh, dai!” implorò la voce. “Ho una notizia importante!” di nuovo, nessuno segno di vita. “Robert Black! Fred e George Weasley!” il ragazzo sbuffò, e fece un ultimo tentativo. “Serpeverde vince la Coppa delle Case!” immediatamente, i tre Grifondoro fieri scattarono in piedi.
“Cosa? Come?! Brutte serpi!” esclamò George.
“Oh, questa la pagate, eccome se la pagate, quant’è vero che mi chiamo Robert Sirius Black!”
Fred, che si accorse subito dell’inganno, guardò il suo amico e suo fratello parlare ancora prima di aver aperto gli occhi. Quando i due si resero conto che Oliver Baston, Capitano Grifondoro del quinto anno, si rigettarono tra le coperte con aria offesa.
“Non è divertente, idiota.” Lo rimproverò George.
“Non ti preoccupare, me la pagherai.” Aggiunse Robert più cauto.
“No, perché non accadrà!” rispose Baston entusiasta.
“Ma che ore sono?” domandò Fred.
“Le nove e trentadue.” Rispose Robert. “Baston, perché cazzo mi hai svegliato alle nove e trentadue della domenica?”
“Perché abbiamo un Cercatore!”
I gemelli si illuminarono, mentre Robert si rigettò nel cuscino.
Come fai ad avere un Cercatore?!” esclamò Fred.
Ma Oliver parve piuttosto offeso dalla reazione di Robert. “Ci tieni molto alla squadra, vero, Black?”
Robert fissò Baston con indifferenza. “Harry Potter è mio fratello, Baston. Pensavi davvero che non me lo avesse detto?”
Harry Potter?!” domandò George. “Ma è al primo anno! Non ha nemmeno il permesso di avere una scopa!”
“Non vi preoccupate di questo, ci stanno già pensando i suoi tutori-”
“Che sarebbero anche i miei genitori, se non ti dispiace.” Interruppe Robert.
“... Preoccupatevi degli allenamenti di domani sera.”
I gemelli grugnirono in segno di disapprovazione.
“Ah, Black, Alexandra Dixon di Corvonero chiedeva di te.”
Fu in quel momento che Robert saltò in piedi. “Seriamente?”
Oliver annuì. “E poi” estrasse due buste dalla divisa. “queste sono arrivate stamattina per te.” Si avvicinò a Fred. “E queste sono per voi due.” Porse a loro altre tre buste.
Robert osservò incuriosito la prima busta. Il suo nome era scritto con un grafia disordinata e goffa almeno quanto la persona a cui apparteneva. L’idea che Tonks fosse riuscita a rispondergli lo rese tremendamente felice.

Ciao, cugino!
Tuo padre sta sclerando, dopo la lettera in cui annunci di Harry. Sta dicendo cose senza senso. Mi ha fatto piacere che tu abbia scritto a me in separata sede, soprattutto visto che Remus ultimamente è piuttosto sospettoso. Merlino, ma lo sapevi quanti libri Babbani ci sono in casa tua?
Ne sto leggendo uno che parla di un giardino segreto, insieme a tua sorella. Scommetto dieci sette galeoni che quella finisce tra i corvi. È troppo intelligente per essere uno stupido grifone, ma troppo orgogliosa e leale per essere un tasso. Quindi, i miei galeoni sono a rischio.
A proposito, tua madre e tuo padre stanno andando a comprare delle scope da corsa. Ma io non ti ho detto niente. È domenica e io non ho l’Accademia, quindi rimarrò qui con Remus e Kayla. Non che la cosa mi dispiaccia, ovvio, adoro la tua famiglia.
Non ricominciare a dire che secondo te sono cotta di Remus, perché io sono io, ricordati, e io non mi posso innamorare, non di lui, è contro il mio DNA.
A proposito, un uccellaccio mi ha detto che stai facendo amicizia con una Corvonero. Una Corvonero incinta. Merlino,ma tutte quelle ragazzine che sbavano come ossesse per te, non ti piacciono proprio?
Goditi la fama, piccolo Black.
Fatto il misfatto,
N. Tonks


Robert sorrise e scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli. Tonks sarebbe sempre stata Tonks, una delle poche certezze. Aprì la seconda busta, trovando la calligrafia elegante di sua madre.

Ciao, pulce.
Ci fa davvero piacere sapere di Harry. Tuo padre è più su di giri del solito, e Remus è commosso. Ricordi quanto fosse bravo James, vero? Non so se riesci a ricordarlo, ma fu proprio James a metterti su una scopa la prima volta, tant’era contento che la tua prima parola fosse stata ‘Prongs’ il suo nome.
Io e papà andiamo a Diagon Alley. È davvero contento di poter uscire di nuovo, anche se capita ancora che qualche ficcanaso ci indichi o ci chieda come abbiamo fatto. Per fortuna, però, io non gioco più la parte dell’adultera.
Ti voglio bene, Robert, e mi manchi tanto. Anche a papà manchi, anche se sono quasi sicura che vi siate visti.
Abbraccia forte Harry da parte nostra. Ora scriverò anche a lui, comunque.
Vi amo tanto.
Martha


Nemmeno sua madre si sarebbe mai davvero smentita. Da quando era di nuovo felice – da quando Sirius era di nuovo a casa – era tornata ad essere la donna solare che lui ricordava. Si alzò e controllò che nessuno lo stesse guardando, estraendo la Mappa da sotto al cuscino.
“Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.”
La Mappa si rivelò a lui con la solita tranquillità, e lui si ritrovò a fissare i quattro nomi. Dalla lettera di Martha, nell’unica parola cancellata, si poteva leggere una P e una G. E nessuna della due lettere era contenuta nel nome James. Se lui e Tonks avevano intuito giusto, anche James e Remus erano dei Malandrini, oltre a Sirius, come Martha aveva dichiarato.
James, era, presumibilmente, Prongs. E quante volte Martha aveva chiamato Sirius ‘Padfoot’, o Sirius aveva chiamato Remus ‘Moony’?
Eccoli svelati.
Allora, perché non riusciva a collegare a nessun nome quel ‘Wormtail’?
Ogni foto in casa sua ritraeva tra Malandrini. Ogni racconto ne conteneva solo tre. Nessuno aveva mai parlato di un quarto Malandrino, eppure lui continuava a fissare quel nome, convinto che gli stesse sfuggendo qualcosa. Non riusciva a ricordare molto di quei quattro anni e mezzo di guerra che aveva vissuto. Ricordava il legame di Sirius e James, ricordava i capelli di James, i suoi occhiali sempre storti, e ricordava quanto fosse felice quando giocavano insieme. Ricordava la chioma rossa fuoco di Lily, il pancione che le faceva male alla schiena, le sue sfuriate a James e Sirius ma gli sguardi colmi d’amore quando suo marito le domandava scusa. Ricordava quanto fossero stati affiatati Rose e Remus, ricordava Tonks che si rifiutava di farsi mettere i vestitini che Andromeda le comprava, ricordava Frank e Alice Paciock, vagamente, seduti su un divano a cercare di rassicurare un uomo minuti e impaurito.
Sentì nuovamente gli occhi di qualcuno puntati contro, e si trovò nuovamente faccia a faccia con il topo di Ron.
“Smettila, Crosta, non avrai nulla da me.”
Individuò Alex sulla Mappa, la chiuse e fece per uscire. Prima di chiudere la porta dietro di sé, si girò, trovando il topo ai piedi del suo letto.
“Sta’ lontano da me, topastro.” Scherzò.

“E quindi?”
“E quindi niente, vorrei che lo leggessi.”
“Ma perché?”
Alex lo fissò intensamente. “Per dimostrarti che non è tutto scritto nel titolo.”
Robert scosse la testa. “Accetto la sfida, Dixon.”
“Non mi hai ancora detto come mi hai trovata.” Replicò lei, porgendogli il libro, notando che non era ancora riuscito a guardare lo Specchio delle Brame.
“Non ti ho trovata, non sei il centro del mondo. Stavo venendo qui e ti sei appropriata del mio rifugio.” Rispose, afferrando il libro.
“Ma se non lo hai ancora guardato, quel dannato Specchio!”
“No, infatti. Volevo sedermi qui a fissare il resto della stanza.”
Erano seduti per terra, e Alex si posò una mano sul ventre per spostarsi in avanti. “Non avrai paura di ciò che vedi in quello Specchio, Black?”
“Io non ho paura di nulla, Dixon.”
“Allora guarda quello Specchio.”
“Non ne ho bisogno.”
“Smettila, tutti ne hanno bisogno.”
Lui la guardò con aria curiosa. “Tu cosa ci vedi?”
“Ah, ti aspetti che te lo dica così?”
“Forse.” Ammise lui.
“Quante persone conoscono questo posto?”
“Io, te, mio padre, mia madre, Harry e Silente, immagino.”
Lei annuì pensierosa. “Allora, alzati e guarda quello Specchio.”
Robert sorrise e scosse la testa. “Io non prendo ordini da nessuno, Alexandra Dixon.”
“Io non rientro nella categoria ‘nessuno’, Robert Black.” Replicò lei. 




E così, procediamo a piccoli passi nella vita di Robert. 
Apro le scommesse su cosa vede il giovane Black nello Specchio!
[il prossimo capitolo della long originale è ancora in fase di stesura, perdonatemi.]

 

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Capitolo 3
*** dovrò lasciarti andare ***


Alex non aveva mai amato Capodanno, perché i suoi lo avevano sempre sminuito. Ma seduta sul divano del piccolo salotto di casa Black, guardando le sorelle Redfort scattare per una canzone vecchia di secoli come due ragazzine, tra i crampi per le risate, era stata costretta a ricredersi.
“Perché hanno reagito così?” aveva domandato a Tonks e Robert.
“Perché è la loro canzone!” aveva risposto Robert, mentre guardava suo padre posare con garbo le labbra su quelle di sua moglie. Rose prese in braccio Kayla, per ballare, e Remus si avvicinò al divano, e con la sua solita delicatezza, prese la mano di Tonks. Fred e George si rifiutarono di ballare in modo categorico, così Robert si era alzato, aveva preso le mani di Alex, e l’aveva trascinata al centro del salotto, mentre i quattro adulti strillavano il testo, Robert si unì a loro.
“How much longer will it take to cure this? Just to cure it cause I can't ignore it if it's love!”
Alex rise e riconobbe la canzone. “Oh, la conosco!” disse, per poi unirsi al coro. “Come on, come on, turn a little faster! Come on, come on, the world will follow after! Come on, come on, ‘cause everybody's after love!
“Ehi, giovani!” strillò Martha. “Questa è la nostra canzone!”
“Già!” aggiunse Sirius. “Trovatevene una vostra!”
These lines of lightning mean we're never alone! Never alone, no, no!” rispose prontamente Tonks.
Martha rise e si appoggiò alla spalla di suo marito. “Forse potremmo prestarglierla.”
Lui sorrise e scosse la testa. “Settle down inside my love.”

I capelli ricci e folti di Alex erano pieni di piccoli, innocenti fiocchi di neve. Il giardino di Hogwarts, immenso, si preparava a veder attecchire quella magica poltiglia bianca. La camicia della divisa, ormai, non le si chiudeva più; aveva chiesto a Robert di dargliene un paio delle sue, e lei, la prima volta che ne aveva messa una, si era sorpresa di quanto il suo odore fosse buono. Si era accorta che l’odore di quel Black fuori dagli schemi la tranquillizzava, così aveva preso ad abbracciarlo molto spesso. Si accarezzava la pancia: ormai mancava solo un mese e mezzo, e lei avrebbe dovuto smetterla di fare le scale, di correre e di pensare, anche. Pensare troppo a volte fa male, e questo lo aveva imparato sulla sua pelle.
Aveva seriamente pensato di dare in adozione questo bambino. Stava per dirlo a suo padre, quando, una sera a casa Black, aveva visto Robert abbracciare Martha, e lei perdersi nel suo abbraccio, per poi alzarsi in punta di piedi e baciargli la fronte. Ecco, si era detta, è così che dovremo finire io e questo bambino.
“Ciao.”
Non ebbe bisogno di girarsi per riconoscere la voce di Robert. “Tra poco la neve attecchirà.” Comunicò lei.
Lui fissava il paesaggio con aria dubbiosa. “Probabilmente la partita sarà rimandata. E anche le lezioni di Cura delle Creature Magiche.”
Alex abbassò la testa e si fissò la pancia. “Devo dirti una cosa.”
Lui la scrutò con occhi attenti. “Ti ascolto.”
La ragazza prese un respiro profondo. Non era facile deludere le aspettative delle persone a cui si vuole bene, e fa male rimangiarsi la parola. “Credo che terrò il bambino.”
L’espressione di Robert mutò velocemente. Rabbia, stupore, paura. Poi tornò ad essere fredda, come sempre. “Pare che tu lo abbia già deciso.” Constatò.
Lei non poté fare a meno di annuire. “Beh, si. Voglio dire, ho parlato con Silente, e Madama Chips, e abbiamo pensato che tornerò a casa, dopo le vacanze di Pasqua, per partorire e curarmi di lui, ma tornerò qui per prendere i M.A.G.O., e ...”
“Pasqua?” domandò lui. “Pasqua, Alex?! Manca un mese!”
“Si.” Ammise lei. “Si, lo so.”
“Pensavo l’avresti dato via.”
“Beh, non lo farò.”
“Perché hai cambiato idea.”
“Perché è mio figlio.”
“Non ce la farai, a crescerlo da sola.”
“Ci saranno mio padre e sua moglie.”
“Non reggerete a lungo.”
Alex guardò Robert, riscoprendosi improvvisamente arrabbiata. “Ah, e che avrei dovuto fare? Sbarazzarmi di mio figlio come se fosse un vecchio vestito?”
“Non ho detto questo, Alexandra.” Replicò lui. “Ho detto che crescere un figlio da sola a diciassette anni è davvero difficile. E lasciare il castello, poi …”
Alex incrociò le braccia sul petto. “Lasciare il castello o lasciare te?”
“Non stiamo parlando di me, ma di te e di quel bambino.”
“Bene!” strillò. “Io e ‘quel bambino’ lasceremo in castello dopo le vacanze di Pasqua, e vorrei averti dalla mia parte. Se non ci vorrai essere, peggio per te.”
“Non ho detto che io non ci voglia essere!”
Alex si avvicinò a Robert. “E allora?”
“Allora non so cosa mi prenda quando sono con te, ma l’idea che tu te ne vada mi terrorizza, Alexandra.”
Alex allargò le braccia. “Oh, siamo arrivati ad un dunque. Bravo, Robert, bravo! Sei così ingenuo da pensare che tu mi piaccia di meno perché ho scelto di tenere il bambino con me?! Cazzo, Black, se non fosse stato per te, io non lo avrei tenuto questo bambino, perché non sarei stata in grado di credere in me stessa al punto da decidere di poter essere una buona madre, lo capisci?”
“Oh, quindi è colpa mia?”
“No, dannazione, è merito tuo!”
Merito?! È merito mio se te ne andrai da me?” si passò una mano nei capelli con aria nervosa. “Vaffanculo, Dixon.”

Nonostante avessero ascoltato tutto ciò che era successo, Fred e George decisero che lo scherzo alle serpi avrebbe avuto luogo comunque quella sera, mentre tutti sarebbero stati impegnati al banchetto di Carnevale. Robert, pallido, furioso e con una mano fasciata in qualche modo (non aveva raccontato a nessuno cosa fosse davvero successo) lanciò le Caccabombe con una tale forza che Fred pensò più volte che gli si sarebbe staccato il braccio.
Quando, come era prevedibile, vennero scoperti, Robert non mutò minimamente espressione: rimase furioso, anche davanti a Piton, Silente e alla McGranitt, e, cosa che sorpresa ancora di più i gemelli, rimase impassibile anche dopo aver assistito al litigio tra Piton e i suoi genitori.
Aveva chiesto a suo padre di fermarsi un attimo, per parlare, e Sirius aveva accettato con piacere, e dopo aver salutato Harry, aveva condotto Robert sulla Torre di Astronomia. Non era stata una scelta casuale, quella di Sirius: da lì si poteva vedere tutto il castello, ormai ricoperto da un manto di neve fresca.
“Che hai fatto alla mano?” domandò, dopo essersi appoggiato alla ringhiera.
“Oh, nulla di grave.” Rispose il ragazzo.
“Le hai anche prese?”
“Non ho fatto a pugni con nessuno.”
“Allora, che hai fatto?”
“Sicuro di volerlo sapere?”
Sirius sorrise. “Credo di poterlo sopportare.”
“Ho tirato un pugno allo specchio del bagno.”
“E perché mai lo avresti fatto?” domandò il padre cercando di non ridere.
“Non immagineresti mai. C’era un ragazzo dentro, che mi fissava con insistenza.” Ironizzò Robert.
“Oh, che mascalzone!” scherzò il padre. “Che aspetto aveva?”
“Assomigliava tremendamente a te, ma aveva l’espressione della mamma quando si arrabbia.”
“Chissà chi è!” sorrise Sirius. “Se dovessi vederlo in giro, gliela farò pagare.”
“Te ne sono grato.” Rispose il ragazzo. Poi sospirò. “Ho litigato con Alex.”
“Non l’avrei mai detto. Quale sarebbe il motivo? Si tiene il bambino?”
Robert annuì. “Come fai a saperlo?”
“Era prevedibile.”
“E perché non me lo hai detto quando ti ho parlato di lei per la prima volta?”
“Perché avrei dovuto impedirti di affezionarti a lei? Il fatto che se ne vada non implica che tu debba smettere di volerle bene.”
“Io … io credo che sia qualcosa di più, del volersi bene.”
“Meglio ancora.”
“Meglio? Avrà un bambino tra meno di due mesi.”
“Non può essere tutto perfetto, Robert.”
Robert si morse il labbro. “Perché allora, tu e la mamma vi siete trovati?”
Sirius accennò un sorriso, perdendosi a guardare la neve. “Tra me e la mamma è stata una cosa diversa.” Si guardò le mani, si guardò la fede d’argento, e si perse nei ricordi. “La prima sera del sesto anno sono sceso in Sala Comune, perché … avevo bisogno di un po’ di silenzio. L’ho vista lì, davanti al fuoco, ed era come se mi stesse aspettando da sempre.”
“E non hai mai commesso nessun errore?”
“Tutti commettiamo degli errori. Io e tua madre ne abbiamo commessi a decine. Ma sai qual è era la cosa più importante?” Sirius fissò suo figlio, il quale si rifletté in lui. “Che non abbiamo mai smesso di amarci e di perdonarci.”
“E … la prima volta che avete litigato, come …?”
“Le ho detto che la amavo. Davanti a tutti, alla festa di Grifondoro. Oh, ma tu non farlo, Alex andrebbe nel pallone. La secondo volta che abbiamo litigato, invece, era stato a causa di una cosa che io e zia Rose avevamo fatto un anno prima. È stata la prima volta che ho visto Martha delusa da me, e mi sono ripromesso che non avrebbe più avuto quell’espressione sul volto a causa mia.”
“Tu e zia Rose?” rise Robert, intuendo di cosa si trattasse l’errore. “Seriamente?”
Sirius rispose al sorriso. “Al primo colpo, presi la Redfort sbagliata. Probabilmente lei nemmeno se lo ricorda.”
“Oh, beh, glielo chiederò!” rispose Robert. Poi riprese ad essere serio. “Quindi, che devo fare?”
“Con che cosa?”
“Con la neve.” Scherzò lui. Sirius capì. Aveva pensato anche lui che il pallore di Alex ricordasse la neve.
Il ragazzo sorrise, e a Felpato sembrò di guardarsi attraverso ad uno specchio che lo ringiovaniva di vent’anni.
Sirius guardò suo figlio, e gli sembrò già troppo grande. “Ma non lo vedi, Robert? La neve se ne frega.” Guardò ancora la fede che portava al dito. “Non importa quanto litigherete, ma quanto sarete in grado di chiedervi scusa. Non importa quanti mesi passerete lontani, ma cosa ne farete di questo mese che vi rimane.” Passò a guardare suo figlio. “Parlale, parlale davvero. Sciogli il gelo della neve, che il cielo non cascherà addosso a voi due.”
Robert guardò suo padre, certo che non fosse mai stato così sincero. “Papà?”
Sirius mosse le mani, come per dire che lo avrebbe ascoltato.
“Ti voglio bene.”

Alex era raggomitolata su una poltrona, nella Sala Comune di Corvonero. Aveva girato la poltrona in modo da poter guardare fuori dalla gigantesca finestra, mentre nevicava ancora sul castello. Non era difficile scorgere due uomini, con i capelli scuri e della medesima altezza, appoggiati alla balaustra a parlare. Ogni tanto, uno dei due sorrideva all’altro. Loro non potevano vedere lei, ma lei vedeva benissimo loro. E quasi si commosse quando vide che si abbracciarono.
“Tutto bene, cara?” chiese una voce leggera.
Alex si voltò, trovandosi davanti al fantasma della Dama Grigia. “Lei crede nell’amore, Helena?” domandò, con tono gentile.
“Esiste un solo tipo di amore, ma in mille specie diverse. Indubbiamente, ognuna di loro ha una diversa importanza nel cuore di ciascuno di noi.”
Alex sorrise. “Grazie.” Sospirò, sincera.

Robert sapeva che, come ogni mattina, avrebbe trovato Alex seduta a guardare l’alba, pochi metri lontana dall’uscita del castello. Lei sapeva che lui sarebbe arrivato, e forse voleva farsi trovare. Guardava il sole illuminare lentamente tutto, quando sentì l’odore di Robert dietro di lei, tra i suoi capelli.
“Ricordi a Capodanno, quando mia madre ci urlò di trovare la nostra canzone, che quella su cui stavamo ballando era la loro?”
Alex annuì.
“Credo di averla trovata, la nostra canzone.”
“Ah si?” domandò, senza girarsi.
“Sì. Conosci i Green Day?”
“Certo.”
Stray heart.” Disse lui, con orgoglio. “Me la fece ascoltare Tonks una volta, Remus le aveva consigliato quel gruppo. Io ho collegato solo qualche ora fa che probabilmente è stata scritta per noi, quella canzone.”
Alex sospirò. “You’re not alone, oh oh and now I’m where I belong. We’re not alone, oh oh I’ll hold your heart and never let go.” Canticchiò lei.
“Si, esatto. Sai a che ho pensato?”
“Oh, tu pensi?” scherzò lei. “Pensavo mandassi solo a fanculo le persone.”
Robert fece finta di non averla sentita. “Pensavo che non m’importa quanto tempo passeremo lontani, l’importante è come useremo queste ultime settimane messe a nostra disposizione.”
“Messe a disposizione da chi?”
Lui alzò le spalle. “Dal destino, se ti pare.”
“Tu non credi nel destino, Robert.”
Lui si permise di guardarla. Era semplicemente bellissima.
“Io no, ma tu si.”
“E allora?”
“E allora, per te, potrei anche crederci.”
Alex sorrise. “Quindi, che dovremmo fare in queste cinque settimane?”
Robert si portò le mani in tasca e si strinse nelle spalle. “Essere noi. E una volta scesi dall’Espresso, salutarci come se andasse tutto bene.”
“Ti scriverò ogni giorno.” Provò a consolarlo lei.
“No.” rispose subito lui. “Non voglio che tu mi scriva.”
“Perché no?”
“Perché poi io tornerò qui, e dovrò lasciarti andare.”
Lei annuì, mentre il sole era ormai alto nel cielo. 
 
Come era stato per il capitolo 21 della long 'di base', la canzone di Capodanno è 'accidentally in love'
Credo che quella, in qualche modo, sia davvero la loro canzone.
A parte questo, spero che il capitolo sia piaciuto e prometto che cercherò presto di scrivere di queste loro cinque settimane (e di quello che verrà dopo), ma ho deciso di aggiornare oggi perchè non volevo che passasse troppo tempo tra l'aggiornamento di questo e quello di 'ti amo più di ieri e meno di domani'.
(Come sempre, un ringraziamento particolare a Distretto_9_e_34 per il sostegno!)

 

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Capitolo 4
*** Domani ***


Ed era tipo 'che ci importa di domani', 
stringimi le mani.
Ma i baci non risolvono i problemi,
ora non ci sei, domani è già arrivato.
E brucia dentro, sai? 
(Domani - articolo 31)

 
Alex, improvvisamente, sentì come se un terribile mostro stesse giocando a strizzare il suo utero – ed il suo bambino.
Si contorse, cadendo dalla poltrona blu su cui stava,in Sala Comune, senza riuscire a respirare.
No.  Riuscì solo a pensare. Non adesso.
Era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Pasqua: come d’accordo, lei e Robert stavano vivendo il legame che li univa come se avessero avuto a disposizione tutto il tempo del mondo, ma senza fare progetti. Vivevano ogni momento, ogni sguardo, ogni sorriso. Svariate volte, lei era anche rimasta a dormire abbracciata a lui, alla Torre Grifondoro. Ma mai un bacio, mai una carezza, mai niente che implicasse un futuro. Mai niente che mostrasse per loro un ‘domani’, perché appartenevano a due mondi opposti, e lo sapevano bene. Erano come due pianeti che erano rimasti a guardarsi per qualche secondo, ma, in poco tempo, ciascuno avrebbe ripreso a roteare attorno alla sua orbita, ciao ciao e grazie tante.
Mentre cercava di rimettersi in piedi, un paio di ragazze del quinto anno corsero verso di lei.
“Tutto bene?” domandò la prima.
Alex, istintivamente, le afferrò il braccio, stringendolo fino a farle male, perché si sentiva soffocare e non riusciva a parlare.
Senza volerlo, pensò a sua madre. Sua madre era morta. Era morta  quando lei era piccola, sua madre era solo un ricordo, sua madre non sarebbe mai tornata: allora, perché pensò a lei?
Sua madre era bionda, pensò di un biondo puro, genuino, come lo era lei. Sua madre rideva un po’ come ridono i bambini, per ogni piccola cosa, sua madre rideva con lei, sua madre un giorno era uscita e non era più tornata.
Cosa più importante, sua madre le aveva sempre detto che l’amore è ciò che fa girare il mondo. Le aveva augurato di innamorarsi, di svegliarsi accanto alla persona giusta per il resto della vita, di non pentirsi mai delle scelte fatte per amore.
Però, sua madre era morta.
La ragazza a cui aveva stretto il braccio, lentamente, la aiutò a rimettersi seduta.
Sua madre era innamorata di suo padre.
Ma suo padre si era risposato, aveva avuto altri bambini, aveva una nuova persona che si svegliava accanto a lui, la mattina.
La verità, era che a suo padre era stata portata via sua moglie, il suo grande amore. Non si erano lasciati, non avevano cessato di amarsi: semplicemente, anche, loro, erano due pianeti ben diversi, destinati a rimanere l’uno accanto all’altro solo per un breve periodo.
Esattamente come lei e Robert.
Immediatamente, sentì una fitta e si contorse, urlando, trattenendo la pancia tra le mani.
“Ehi, ehi, va tutto bene, tutto bene!” le sussurrò la ragazzina, facendola stendere.
“Ora ti portiamo in Infermeria, okay?” domandò l’altra.
Alex scosse la testa, come se avesse appena detto una cosa gravissima. “Due … ‘mane … ancora!” ansimò.
“Okay, ma non possiamo lasciarti qui.” Le rispose la prima ragazzina.
“Black.” Sussurrò Alex. “Chiama Robert Black.”
E le sembrò di vedere una luce, davanti a sé. Serrò gli occhi, e smise di sentire dolore.

“Robert Black!” strillò la giovane Corvonero, catapultandosi nella Sala Comune di Grifondoro, una volta ingannata la Signora Grassa.
Trovò Robert seduto sul divano rosso, con Harry Potter e Hermione Granger, a ridere di gusto.
Il giovane Black mosse leggermente la testa, sorridendo alla nuova arrivata. “Ciao.” Le disse, con tono gentile. “Sembri sconvolta. C’è qualcosa che possiamo fare per te?” 
“Alex Dixon sta male, ha perso i sensi, e …”
Robert scattò in piedi, catapultandosi davanti alla ragazzina. “Dov’è?” domandò, a pochi centimetri da lei.
“In Sala Comune, credo, dobbiamo …”
“Andiamo.” Disse subito. Afferrò il polso della ragazzina con la cravatta blu e gli occhi spaventati, e, rivolgendo a suo fratello Harry uno sguardo terrorizzato, uscì dalla Sala Comune.
Un passo di Robert, erano due passi della povera Corvonero: per questo, in pochi secondi lei si ritrovò a correre, mentre lui camminava velocemente senza il minimo sforzo.
Sua madre aveva passato dieci anni a ripetergli che lei e suo padre si amavano davvero. E lui aveva fatto del suo meglio per crederle: lui era lontano, e dire di amare qualcuno che non c’è da anni, sarebbe come aspettarsi che Piton si mettesse a ballare la macarena sul tavolo degli insegnanti.
Ma quando lui era tornato, quando Martha Black era riuscita a liberare suo marito, Robert aveva capito che sua madre aveva sempre detto il vero: quei due erano amore puro. Non c’era niente di più vero di loro due: si prendevano in giro, si dicevano le cose in faccia, ridevano, litigavano, urlavano, ma erano sempre pronti a mettere da parte l’orgoglio per potersi riappacificare con l’altro, erano sempre disposti a domandare ‘scusa’, a modo loro, per non dover fingere di tenere il broncio. Avevano affrontato una guerra, una gravidanza inaspettata, tanti cari morti e Martha si era ritrovata con un figlio da crescere e incinta di poche settimane. Nonostante questo, mai, mai aveva dubitato dell’amore che legava lei e Sirius.
Ed era così che Robert, in quel momento, si rese conto di amare Alex.
Certo, era diverso. Era tutto diverso, in ogni modo. Prima di tutto lui era più giovane, era inesperto in fatto di amore, era anche più giovane di lei e lei avrebbe presto dato alla luce il figlio di un altro: ma mai, mai Robert avrebbe dubitato del legame che univa lui e Alex.
Era perfettamente consapevole, però, che come Sirius e Martha si erano costruiti una vita, lui e Alex avrebbero dovuto dirsi presto addio.
Lei avrebbe cresciuto suo figlio, e lui avrebbe terminato gli studi, tirando avanti con la sua vita, cercando di dimenticarla e cercando di non pensare a come sarebbe stato se lei non avesse mai aspettato quel bambino, che ora, probabilmente, stava per nascere.
Anche lei, a modo suo, lo amava: ne era sicuro. Il sentimento che lo tormentava, era troppo forte per essere univoco. Lei non lo avrebbe mai ammesso, non lo avrebbe mai detto a nessuno, nemmeno a sé stessa, ma lei, in qualche modo, lo amava.
Neanche lei, però, lo amava come si amavano Sirius e Martha: lei lo amava senza saperlo, perché lei soffocava quel sentimento, in vista del momento in cui si sarebbero dovuti salutare per sempre, e riprendere le proprie strade per sempre.
Fu per questo che, quando Robert mise piede nella Sala Comune Corvonero, si inginocchiò ai piedi del divano sul quale lei era sdraiata, priva di sensi.
“Alex?” la chiamò.
Lei nemmeno si mosse.
Ma lui era un Black, e lasciarsi prendere dal panico era assolutamente fuori discussione. Lentamente, lasciò passare un braccio dietro alle sue ginocchia e uno dietro la sua schiena, e, memore di notti passate abbracciati, la sollevò. Aveva le lacrime agli occhi, ma fu bravissimo a nasconderlo.

Robert posò Alex su un letto dell’Infermeria, mentre Madama Chips iniziava a blaterale delle formule, chiedendo contemporaneamente alle due Corvonero cosa fosse successo. Loro le raccontarono la stessa storia che avevano raccontato a Robert mentre scendevano le scale: semplicemente, aveva iniziato a stare male ed era scivolata dal divano, poi aveva perso i sensi.
Madama Chips scosse la testa. “Oh, se solo mi avesse dato ascolto!” esclamò.
Robert si irrigidì. “Madama Chips, c’è … qualcosa che non va?”
“Oh, si, signor Black: la tua amica è davvero testarda!” rispose la donna, infilandosi dei guanti di gomma.
“C’è qualcosa che io non so, Poppy.”
La chiamò per nome, in memoria di tutti i pomeriggi che da bambino aveva passato in attesa che lei gli sistemasse lividi, ossa rotte e slogature.
“Immagino di si, Robert.” Replicò la donna. “Immagino che la tua amica non ti abbia detto di avere la placenta previa, o no?”
“Io non so nemmeno che vuol dire.” Ammise il ragazzo.
“Beh, significa che Alex e la bambina rischiano grosso.”
Badando solo all’istinto, Robert si chinò sul capo di Alex.
Era un pensiero orribile, e se ne vergognò come un ladro, ma … se la bambina non ce l’avesse fatta, loro avrebbero avuto una possibilità. Certo, Alex difficilmente si sarebbe ripresa, difficilmente avrebbe superato la cosa, ma a loro sarebbe stata data la possibilità di coltivare quel qualcosa, di parlare di un domani.
Immediatamente, però Robert si rese conto che se Alex avesse perso la bambina ora, non sarebbe stata più lei. Si sarebbe spenta, perché si sarebbe sentita in colpa, per non essere riuscita a proteggere la sua creatura.
“Amore mio, ti prego … ti prego, sii forte. Siate forti.” Le sussurrò.
Alex, improvvisamente, mosse un poco la testa. “Robert?” domandò, ad occhi chiusi.
Lui le baciò una tempia. “Sono qui.” Sussurrò.
“Robert, non voglio che mi lasci andare.”
Poi, perse i sensi di nuovo.
Madama Chips la risvegliò rapidamente con una pozione, mentre borbottava che al San Mungo avrebbero potuto fare di meglio. “Alexandra, mi servi sveglia.” Le ordinò.
Lei aprì leggermente gli occhi. “Che cosa è successo?”
“Sei peggiorata.” Le comunicò Madama Chips con freddezza. “Come avevo previsto.”
“E quindi?”
“Quindi, mi avresti dovuto dare ascolto!”
Alex ignorò anche quella provocazione. “Adesso, cosa facciamo?”
“Un cesareo di fortuna.” Comunicò l’infermiera. “E ti proibisco di lamentarti.”
“Non mi sono mai lamentata in vita mia, Madama Chips, non inizierò ora.” Poi si voltò leggermente verso Robert. “Tu che cosa fai?”
“Io resto.” Rispose lui, in tutta sincerità. “Resto qui con te.”
“Non devi.” Gli disse lei, con voce flebile. “Non devi, non …”
Ma Robert, senza nemmeno pensarci, aveva approfittato della sua debolezza per sollevarle leggermente la schiena e sedersi alla base del suo letto, lasciando che lei appoggiasse le spalle e la schiena al suo petto. Si erano seduti moltissime volte così, ma mai lui le aveva afferrato le mani e baciato le tempie in quel modo. “Io resto, Alex.” Le sussurrò, mentre Madama Chips le addormentava le gambe.
“Perché lo fai?”
“Non è evidente, razza di sbadata?” scherzò lui.
“No. Non è mai evidente.” Rispose lei. “E forse ora ho bisogno che tu me lo dica.”
Perché? Aveva senso dirle che l’amava? Ad ogni modo, lei l’indomani se ne sarebbe andata. Avrebbe avuto quel futuro che si meritava, con la bambina che stava per nascere, dandole tutto l’amore di cui era capace. L’amore di Alex era anche un po’ l’amore di Robert: lui le aveva insegnato a credere di nuovo nel mondo e a stupirsi della vita come lei aveva smesso di fare da anni.
Ad ogni modo, loro non avevano il domani che lui sperava.
“No.” rispose lui. “Non è questo il momento.”
“Non lo dici per la storia del futuro, vero?”
“Non è il momento, Alexandra.” La riprese lui.
“Okay.” Disse  lei, mentre gli stringeva la mano. “Okay, allora lo dico io, cosa ne pensi?”
“No. Ora devi pensare alla bambina.”
Lei sembrò perplessa. “Come sai che è femmina?”
“Lo ha detto Poppy mentre eri svenuta.”
“Oh, dannatissimo Merlino! Doveva essere una sorpresa!”
Madama Chips la fulminò con lo sguardo, dopo la bestemmia. “Bene, iniziamo.” Annunciò, posizionandosi davanti a lei.
“No, no, aspetti!” la bloccò Alex. “Non … non gli ho detto che non importa del domani che non abbiamo, non importa. Sono i ricordi che abbiamo costruito in questo mese che contano, perché me li porterò dietro sempre e perché … perché ti amo, Robert, e …”
Lui le posò l’indice sulle labbra. “Sssh.” Le disse. “Non sforzarti.”
“No, no, lasciami finire.” Disse lei ansimando. “Non importa di ciò che non potremo mai avere, Robert, non importa, perché mi hai insegnato a vivere di nuovo e non ti ringrazierò mai abbastanza.” Poi esitò. “Okay. Ho finito, tocca … tocca a te.”
“Tocca a me?” Lei annuì. “Ti amo anche io, Alexandra.”
I loro sorrisi furono qualcosa di indescrivibile.
“Ma rimango dell’idea che questo non fosse il momento giusto.” Aggiunse lui.
Alex si rivolse a Madama Chips, facendole segno di procedere, mentre Robert si rendeva conto che quello, per loro, non era altro che l’inizio della fine.
E, nonostante tutto, sorrise. Strinse le mani di Alex, assaporando il momento come meglio poté, come gli aveva insegnato Remus, perché lui non faceva altro che ripetere a lui e a Kayla che gli unici momenti importanti nella vita di una persona, sono i momenti che ti tolgono il respiro.
Così, pensando a Remus e alle sue lezioni di vita, afferrò le mani di Alex e la strinse più forte che riuscì, mentre le baciava la tempia, e sentì chiaramente che lei stava tremando. “Va tutto bene.” Le sussurrò.
Lei, senza dire niente, gli afferrò anche l’altra mano, mentre Madama Chips sistemava quanto necessario per il cesareo urgente, la McGranitt faceva il suo ingresso e Alex iniziava a sudare freddo.
“Ho paura, Robert.” Sussurrò lei.
“E di cosa?”
“Di non essere all’altezza.”
Robert sorrise, con il volto posato sui capelli di lei. “Tu sei fortissima, Alex. Ti prego, non dubitarne mai.”
Madama Chips la anestetizzò con un veloce incantesimo non-verbale.
Alex strinse le mani di Robert, accovacciato sotto la sua schiena. Senza volerlo, pensò a tutto ciò che non sarebbero mai stati. All’amore che non sarebbe mai stati in grado di darsi reciprocamente, perché lei se ne sarebbe andata, con quella bambina, e lui era giovane, ingenuo, aveva una vita lì e non meritava di rovinarsela per lei.
Che ci importa di domani?” sussurrò lei.
Stringimi le mani.” Rispose lui, mentre lei, improvvisamente, si rese conto di averle lasciate.
Le riafferrò velocemente, mentre Madama Chips le tagliava la pancia con la punta della bacchetta a pochi centimetri dalla pelle, ma lei non poteva vedere, perché la pancia era troppo grande e il sangue la disgustava.
Robert sarebbe tornato a casa per le vacanze di Pasqua, mentre lei sarebbe andata a cercare il padre di quella bambina, in Germania, perché era così che doveva essere e loro due erano solo un errore. Un meraviglioso errore. Era la vita, la terribile e meravigliosa vita, ecco, avrebbe voluto dire a Robert che era colpa della vita, che avrebbe voluto davvero cercare di dargli ciò che meritava.
Quasi immediatamente, dal piccolo taglio inciso sulla pancia di Alex Madama Chips estrasse una testa piena di riccioli neri, e a seguire un corpicino, esile, tremante, nuovo.
Alex sentiva il suo cuore battere all’impazzata e rimbombare nella testa, e sotto di lei sentiva il cuore di Robert battere allo stesso modo.
La nuova arrivata spalancò la bocca e iniziò a piangere, riempiendosi i polmoni di quella vita nuova, di quell’aria di novità, e quando Madama Chips la avvolse in una salvietta e la mise in braccio a Alex, la neo mamma scoppiò a piangere, senza smettere di ridere.
“Oh, ma sei … sei bellissima, vita mia.”
In quel momento, Alex si rese conto che in quella bambina era racchiusa l’essenza stessa dell’essere, e mentre Robert le guardava, si rese conto che era appena nato un legame indissolubile, che la ragazza che amava era ormai diventata una donna, una mamma, ed era bella almeno quanto la bambina.
“Robert, guarda … guarda com’è bella.” Gli sussurrò.
Lui le accarezzò una manina. “Sei bellissima, piccola.”
“Conosci … conosci un nome che significhi vita?”
Lui aveva guardato mille volt il libro dei nomi di sua madre. “Zoe.” Rispose, sicuro. “Zoe significa vita.”
“Ciao, Zoe Dixon.”sussurrò lei. “Benvenuta al mondo.” Sorrise, accarezzandole la guancia. “Sai, fa un po’ paura il mondo qui. Ci sono mille perché, ma quasi sempre la risposta è dentro di te. Avrai voglia di crescere in fretta, per provare che tutte quelle belle teorie non sono vere, che non sempre va tutto come vorremmo, e spesso il mondo gira al contrario. Crederai di esserti innamorata di un ragazzo che ha il cervello grande quanto una nocciolina, ma poi … poi arriverà l’amore, quello vero, con un paio di occhi grigi belli da fare spavento, l’anima limpida e valori da vero Grifondoro. Ti innamorerai di lui senza accorgertene, e ti auguro che la vita sia giusta con voi, piccola, perché con me e il mio amore non lo è stata.”
Robert la ascoltava, guardando la bambina e figurandosi la sua vita accanto ad Alex.
Lei si voltò verso di lui, spostando leggermente la schiena. “Vorrei che tu la prendessi in braccio.”
“Alex, è la tua bambina.”
“E tu fai parte di me.” Replicò lei secca.
Allora lui si alzò, e si rimise a sedere sulla sedia che stava accanto al letto. Alex, delicatamente, gli porse la bambina. Lui sentì la paura chiara di farle del male, di spezzarla. Era così piccola, così fragile, e lui si sentiva anche troppo debole ed in balia delle emozioni, in quel momento.
Prese la bambina tra le braccia, e Alex gli posò una mano sul viso. Lui alzò lo sguardo e lei, delicatamente, gli posò un bacio sulle labbra, al sapore di lacrime e vita nuova.
“Non dimenticarti mai di noi, okay? Tienici dentro.”
Lui annuì, tornando a guardare il piccolo miracolo che teneva tra le braccia. “E tu non ti dimenticare che ti ho amata, ti prego.”
“Oh, Robert.” Disse lei. “Non potrei mai, mai farlo.”
Mentre rimanevano a guardarsi, un’infermiera bionda del San Mungo entrò in Infermeria, annunciando a Madama Chips che avrebbero dovuto portare ‘la ragazza e la bambina’ al reparto maternità dell’ospedale, perché il parto andava registrato e le due sarebbero rimaste li qualche giorno.
Alex guardò Robert, passandogli una mano nei capelli, consapevole che quello era il momento dell’addio.
Madama Chips prese la bambina, e Robert si sedette sul letto di Alex, baciandola di nuovo, lasciando che una lacrima salata gli rigasse il volto.
Le prese il viso tra le mani e le premette sulle labbra un ultimo bacio. “Abbi cura di te, tesoro, okay?”
Lei annuì. “Non smettere mai di ridere, di scherzare, e di gioire. Non dimenticarti che qualsiasi cosa succeda, tu sei forte, e ti prego, ti prego, non lasciarti cadere. Fai strage di cuori ma ogni tanto, guarda le stelle e pensami, okay?”
Lui annuì. “Addio, Alex.”
Ma lei era già sparita, assieme al letto, alla bambina e all’infermiera.

Robert cercò con lo sguardo sua madre e suo padre, nella folla della stazione, assieme a Fred e George, che, senza dire niente a nessuno tranne i genitori di Robert, avevano promesso ad Alex che avrebbero cercato di farlo ridere il più possibile. Immediatamente, Martha Black aveva proposto ai gemelli di passare le vacanze di Pasqua da loro, e i due Weasley avevano accettato: non solo volevano molto bene a Robert, ma gradivano la compagnia della sua famiglia.
Il giovane Black era stato invitato a lasciare l’Infermeria, dopo la partenza di Alex, e mentre si allontanava, aveva notato per terra un braccialetto di stoffa di ogni colore: era il braccialetto della fortuna di Alex. Senza pensarci, se lo era rilegato al polso con un incantesimo di Adesione Permanente. Hermione gli aveva fatto notare, poche ore dopo, che certi incantesimi non andavano applicati agli esseri umani, ma lui non l’aveva ascoltata. Quel braccialetto era tutto ciò che gli rimaneva di Alex, insieme al libro della gabbianella e il gatto.
Ma, in quel momento, nella folla della stazione, notò una scritta rossa fuoco sul muro, che brillava sopra le teste delle persone.
Che ci importa di domani? Stringimi le mani.
 
A chi ha seguito questa storia, a chi segue solo la principale della serie, a chi legge e non lo dice, a chi ama e non può dirlo.
Grazie di tutto.

 

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