Ikuto sono... indovina? * in aggiornamento*

di kissenlove
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ikuto sono... indovina? ***
Capitolo 2: *** Part II: Ikuto sono... indovina? ***
Capitolo 3: *** Part III: Ikuto sono... indovina? ***
Capitolo 4: *** Part IV Ikuto.... sono indovina? ***



Capitolo 1
*** Ikuto sono... indovina? ***


                 Ikuto sono... indovina?




Bene Amu, è così, sei di fronte a una sola possibilità. 
Fare quel benedetto test
Credo che non ci sia nessuno in casa, mio padre a quanto pare è uscito, Ami è andata a una lezione e non tornerà prima delle sette e mia madre è andata a fare qualche acquisto al centro commerciale. 
Sono sola. Ma non deve essere difficile compiere questo passo. 
Le istruzioni parlano chiaro, le giro e le rigiro tra le mie mani tremanti, dice in modo esplicito “aprire il tappo” a quanto pare si riferisce al tappo del tester, dopodiché “fare una quantità sufficiente di urina..” che... no vabbene aprire il tappo ma addirittura unirarci dentro, come si fa poi a capire se si è in attesa oppure no? 
Amu fa attenzione alle istruzioni.
Apro il tappo, e facendoci una quantità di pipì, richiusi appoggiandololo sul bordo del lavandino. 
Mi sedetti con la schiena appoggiata alle mattonelle, sul water, mentre chiudevo gli occhi forzatamente con paura. 
Non può essere capitato proprio a me.. non può essere, quando era successo? Circa due mesi prima. 
Sì, due mesi prima. Due mesi prima, con Ikuto, però adesso lui era andato via, era partito per Parigi. 
Forza e coraggio Amu! - mi dissi con fare nervoso, prendendomi la testa tra le mani, e scuotendola paurosamente, con il rischio di farmi riprendere nuovamente a vomitare.
Mi alzai di scatto, recuperai il tester, e lo presi molto delicatamente in modo da non farlo cadere. 
Il cuore iniziò a battermi improvvisamente più forte, mentre nella mia testa avanzava il pensiero di quando io e Ikuto, dopo il nostro ennesimo litigio ci eravamo lasciati alla passione, lasciandoci travolgere dai nostri sentimenti. 
Improvvisamente lo squillo improvviso del cellulare mi fece trasalire, e la mia mano perse il contatto con il tester, che finì a terra, nella parte bassa del lavandino, mentre uscita dal bagno in fretta e furia, scappavo a rispondere.
Presi il cellulare, e vidi sul display comparire “numero sconosciuto”; chissà chi aveva la briga di disturbarmi in un momento tanto importante come quello di sapere se sono o non sono incinta di Ikuto.. o forse lo ero di Tadase. 
Non riuscivo a ricordare molto bene la dinamica della faccenda, ma a quanto pare la paternità di Ikuto era piuttosto chiara e tangibile, sopratutto per il fatto che Tadase non era mai andato più avanti di semplici baci a fior di labbra. 
Sospirai. E accettai la chiamata, se fosse stato Tadase? 
No, fortunatamente la voce dall’altro capo della cornetta era.. Yaya? 
-Amu! - 
-Ciao, Yaya - la salutai, nascondendo il nervosismo. 
-Amu, ti stiamo aspettando! Perché non stai venendo? - mi chiese. - Tadase ha chiesto di te - sottolineò. 
Io abbassai lo sguardo al pavimento. 
-Vengo tra poco. Ho bisogno di un po’ di tempo, devo fare una cosa. - 
Yaya si zittì, anche se durò poco, perché subito dopo mi chiese cosa dovessi fare di così importante. 
Io mi limitai a dirle che non era niente di preoccupante, con tono di voce calmo e pacato, anche se ignorai completamente il fatto che se fossi stata incinta la mia vita sarebbe cambiata totalmente, se il padre fosse stato Ikuto oppure Tadase. Yaya non credette molto alla mia versione, anche perché non ero solita mentire in questo modo, e si sapeva che le bugie prima o poi venivano inevitabilmente scoperte. 
-Yaya, ci vediamo tra poco! - conclusi. 
-Ok, Amu! Non ci mettere troppo che il nostro reuccio è cotto di te - reclamò, mentre Tadase le sussurrava di stare zitta. Yaya riagganciò sorridendo, mentre io posai il telefono sul comodino accanto al letto. 
Se il padre del mio bambino era Ikuto, i guardiani mi avrebbero odiato
Con ancora lo sguardo perso nel vuoto tornai nel bagno, richiudendomi la porta alle spalle, e appoggiandomi ad essa. 
-Se fossi incinta.. - mi interruppi, mentre portavo una mano sulla pancia ancora piatta. -Il mio ruolo cambierà.. - 
Sospirai pesantemente. Mossi dei passi verso il lavandino, e mi inginocchiai a terra, sicura che presto avrei scoperto se ero incinta, oppure era solo un falso allarme, in realtà volevo che fosse la seconda opzione quella più accreditata. 
Alzai il piccolo tester, che era rimasto girato di schiena, e guardai con un nodo allo stomaco. 
Una, anzi due linee. Ero incinta, ed ero dannatamente nei guai. 
-No! - esclamai, iniziando ad agitare il piccolo oggettino in modo che quella seconda linea si cancellasse. -E adesso come faccio!? - mi chiesi titubante; ero incinta, stavo aspettando un bambino, e cosa che più mi spaventava, era che il padre con molta probabilità fosse Ikuto, e non Tadase, visto la nostra notte di tormentata passione. Ma non ne ero molto sicura, Ikuto e io avevamo fatto l’amore due mesi prima, mentre Tadase e io nemmeno una volta. 
Quindi con molta probabilità, era Ikuto. 
Sospirai, e cestinai il primo tester; magari ne avrei fatto un altro, più in là. Uscii dalla stanza, e sgusciai nella mia stanza, gettandomi a peso morto sul letto, mentre le onde ondeggiarono malamente sotto al mio peso. 
-Che faccio? - domandai a me stessa; presto la gravidanza si sarebbe fatta notare anche a tutti gli altri. 
Mi girai di lato, con le mani posate verso il mio volto, serrai le palpebre nel vano tentativo di riuscire a dimenticare... dimenticare il tester... dimenticare il mio stato... dimenticare il mio amore per Ikuto. 
Riaprii le palpabre mobili, e detti un veloce sguardo al telefonino, rimasto in bilico sul bordo del comodino. 
-Devo assolutamente chiamarlo! - feci, con molto coraggio. Mi issai, appoggiandomi alla testiera del letto; presi il mio telefonino, ed ebbi accesso alla tastiera. - No, dimenticavo che non ho il numero di Ikuto - mi sporsi, e aprii il secondo cassetto per trovare un foglietto su cui vi avevo scritto il numero che cercavo. Non appena il foglio fu nelle mie mani, lo presi tremante e iniziai a digitarlo. Dopo aver concluso misi in chiamata. Bastò che il telefono bussasse, due, tre volte, ma Ikuto non rispose. Volevo dirglielo, volevo gridarglielo, volevo urlargli che aspettavo un bambino, e che ero la donna più felice del mondo se lui non era con me. Ma, purtroppo il telefono squillò a vuoto, e io tolsi il telefono dall’orecchio e mi sistemai meglio sul letto, dove mi addormentai. 









**Angolo della Love!** 

Salve amici, se volete il continuo recensite! 
Amu dirà veramente a Ikuto che aspetta un figlio da lui? 
Se volete avere il sequel.. commentate! 
#Love

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Capitolo 2
*** Part II: Ikuto sono... indovina? ***


                       Ikuto sono... indovina?
                              Part II




Era da molto tempo che la voce della mia dolce Amu non mi giungesse all’orecchio, mi era mancata da morire, come mi era mancata lei, i suoi capelli tenuti perfetti color confetto, che le ricadevano sulle spalle, l’aroma che sprigionavano quando dopo l’ennesima volta mi ero stabilito a casa sua per questioni burocratiche, quella fragranza di vaniglia che mi inebriava il cervello fino a farmi perdere la lucidità di tenere le mani a posto; fu impossibile una sera di quasi tre mesi prima, io e lei ormai eravamo una coppia a tutti gli effetti, nessun re impertinente tra i piedi, e nemmeno la Easter che infastidiva più la nostra vita. Non che fosse qualcosa di necessario, non che io avessi preteso da lei molto più di quanto lei avrebbe potuto concedermi, ma è successo, lo abbiamo fatto e non c’è ombra di dubbio.
Non avevamo pensato a niente se a noi. Mi ero avvicinato a lei con prudenza in modo che non scappasse via da me, e con una mano sulla schiena l’avevo bloccata; un bagliore di confusione aveva attraversato il suo sguardo, quando spegnendo la luce, attaccai le nostre fronti e combaciai le nostre labbra, tanto che ebbi l’impressione tangibile di salire in paradiso. Amu seppur rossa come un peperone, aveva continuato a solleticarmi le labbra, aggiustando le braccia e incrociandole verso il mio collo, piegandomi verso di lei, che teneva la punta delle pantofole piegate. 
Man mano che andava scemando l’imbarazzo iniziale, lei prese a sbottonarmi, con una certa calma, senza mai perdere di vista le mie labbra, e introdusse una mano ad accarezzarmi il petto. Io mi beavo dei suoi occhioni ambra che venivano attraversati da righe parallele proveniente dal piccolo balcone, e facendo dietrofront, mi lasciavo cadere sul divano, lei sopra di me, io sotto, una cosa che mi mandava in estasi. I suoi movimenti non erano goffi e disarticolati come mi sarei aspettato da una ragazzina più giovane di me, erano sicuri, vivaci, sapeva giocare con il mio corpo, sapeva come farmi sussultare quando passava il suo indice da sopra al petto fino a sotto, sapeva lasciarsi travolgere senza timore con il sorriso sulle labbra, facendomi capire che per lei andava bene, che anzi quel momento pareva perfetto. In realtà mi sentivo tremendamente in colpa, ero a Parigi, suonavo con il mio violino in un orchestra che non seguiva mai la stessa prassi, e avevo quasi timore che Amu avesse preso quel viaggio quasi come un’abbandono, e il fatto che la sua voce nell’ultima telefonata apparisse a tratti strana, mi faceva pensare ancora di più che la colpa fosse mia. 
Amu quando ci telefonavamo era sempre piena di vitalità, non mi piaceva avere corrispondenza con lei, non sapevo mai che scriverle, così preferivamo sentirci, e la sua voce ogni volta mi faceva balzare il cuore, osservare di continuo quel calendario, guardare con sguardo critico la data di ritorno, però dovevo resistere, se non lo avessi sarebbe stato certamente più doloroso star separato da lei, dopo quello che era successo tra di noi. Alla fine era il mio lavoro, non potevi far altro che perseguirlo in negativo e in positivo, e Amu aveva imparato ad attendermi anche se ci sarebbero voluti mesi; appariva ai miei occhi sempre felice, libera da ogni problema, con quel suo dolce sorriso a cui dedicavo ogni nota di una nuova sinfonia, e che mi faceva immaginare quelle deliziose fossette che le si formavano. 
Il lavoro non mi dava tregua, ero molto stressato, fra interviste e performance non avevo mai il tempo per me; quel giorno avevo dovuto sottopormi a un’intervista, e poco prima, avevamo fatto le prove, essendo decisamente impegnato avevo abbandonato il telefono nel camerino, e cosa peggiore, avevo dimenticato di togliere la vibrazione. 
Appena ebbi un po’ di respiro, mi rifugiai per una furtiva visita, sul pizzo della Tour Effeil, da cui potevo osservare la vista dei caffè della capitale francese; era emozionata vederla così, era ancora più desiderato il momento in cui i miei pensieri vagavano indisturbati fra i meandri della solitudine, e me ne restavo sospeso lì, con il vento che ti scompigliava leggermente i capelli. Yoru, il mio Shugo Chara, mi venne incontro svolazzandomi vicino. 
Sapeva che lavoravo troppo e che quella era una pausa, oserei dire, fortuita. 
-Ikuto! - 
-Ciao, Yoru. - 
Solo un breve saluto, poi mi chinai verso la tasca del pantalone in cui ci avevo infilato il telefonino; Yoru a quel punto colse l’occasione di farmi un breve riepilogo di ciò che era accaduto mentre ero impegnato. 
-Ha chiamato Amu. - 
A queste concitate parole, guardai il display, che segnava una chiamata persa; e adesso cosa avrebbe pensato di lui? 
Lui che non rispondeva nemmeno in quei rari momenti in cui parlavano, mi sarei voluto odiare, perché non avevo rimosso quello stupido silenzioso, perché non avevo udito vibrare qualcosa, perché non avevo tempo per lei! 
Mi dissi frenetico, scorrendo nella rubrica per chiamarla. 
-Ikuto, sicuro che vuoi chiamarla? - mi chiese Yoru, asserendo al fatto che probabilmente non fosse in casa. 
-Certo, Yoru. - gli risposi. Volevo sentire la sua voce, improvvisamente la mia astinenza da lei era diventata insopportabile rincarata poi dalla dose di lavoro a cui ero forzatamente sottoposto in quel periodo. Ciò che più riusciva a rilassarmi era pensare a lei, ai momenti insieme a lei, e tutto sarebbe andato meglio. 
Misi in chiamata, e attesi che qualcuno rispondesse. 
Uno... due.. poi il tonfo della cornetta che si alza, la voce impastata dal sonno che mi era tanto mancata. 
Amu, reduce da un lungo sonno, mi rispose, e il mio cuore si alleggerì. 
-Ciao Amu. - iniziai. 
Sentii un forte tonfo dopo queste due parole, e la voce di Amu che si faceva più forte. 
-Ikuto! - urlò, forandomi un timpano. 
-Yoru mi ha detto che ha trovato una tua chiamata... scusa se non ho sentito.. lavoravo per questo. - 
-Non fa niente, Ikuto! - si affrettò, la voce le divenne improvvisamente sdrammatizzata, cominciando a blaterare frasi senza senso, al che io continuai. - Amu, come stai? - 
Sentii Amu tacere. Un vuoto nella cornetta, un buco nel mezzo del mio petto. 
-Bene.. - si limitò a dire, anche se la sua voce era ridiventata flebile. -Scusami non sapevo lavorassi.. - 
-La vita di un violinista è fatta di alti e bassi. -
Lei sorrise. Come era bella quando rideva.
La amavo non solo perché era la mia ragazza, ma anche perché era unica nel suo genere. 
-.. Piuttosto tornando a prima, cosa volevi Amu che mi hai chiamato? - 
Amu si zittì di nuovo. Era snervante anche ipotizzare che mi nascondesse qualcosa che fosse importante. 
-Amu. - la chiamai, e lei sussultò, sentii la connessione tremare un po’ e poi stabilizzarsi. -Amu, mi senti? - 
-S-sì.. - bofonchiò. Non sapeva come articolare il discorso?
-Amu, hai qualche problema? - 
-No! Solo che... mi mancavi. - mi si strinse il cuore, stava per piangere, odiavo vederla piangere, vederla soffrire mi stritolava il cuore in una mossa ferrea e non mi lasciava finché non mi uccideva. -E anche che... quando torni? - 
-Amu.. perché mi fai questa domanda? - domandai, ammiccante, assottigliando gli occhi. 
-Così... - fu la sua risposta. 
-In che senso? - richiesi, ancora più ammiccante. 
-Vuoi forse dire che ti manca il mio lato pervertito da non poterne fare a meno? - 
Secondo me, e se tutto ciò che pensavo era esatto, stava morendo di vergogna. 
-M-ma sei sempre il solito maleducato, Ikuto! - mi gridò. 
-Non è colpa mia se ti piacciono i ragazzi leggermente pervertiti.. - 
-Leggermente? - ripeté. - Sarebbe più corretto dire che sei l’emblema della perversione! - 
Io mi misi a ridere, mentre lei evidentemente stava cercando di uccidermi col pensiero. 
-Nonostante questo però... ti amo Amu. - le confessai. 
Io la amavo
-Anche io Ikuto. - mi disse in risposta. - Spero che tu torni presto. Lo sai.... - cercò di dirmi, anche se poi si interruppe, era ormai troppo tempo che non la vedevo, mi mancava, mi mancava da morire, volevo esserle vicino col pensiero, anche se non sapevo esattamente cosa avrei potuto fare per proteggerla nonostante i chilometri che ci dividevano. 
-Cosa Amu? - 
-Ehm... ti stiamo aspettando. - sottolineò. 
Io cercai di rimuginare su quelle tre parole, chi mi stava aspettando? Chi, oltre a lei, attendeva il mio ritorno. 
Avevo impressione di non riuscire a respirare, e se lei mi avesse rimpiazzato con un altro? 
Tutto ciò mi mandava in paranoia.
-Chi.. - non mi lasciò continuare, e tornò a parlare a vanvera, rifilandomi concetti che nemmeno lei capiva. 
-Be’ torna presto! - esclamò, e riagganciò. 
Rimasi con la cornetta ancora vicino all’orecchio. 
Un fuoco di gelosia iniziò a corrodermi dentro, era come qualcuno per sbaglio avesse acceso un fiammifero e avesse attizzato un falò, appena Amu mi aveva detto quelle cose ‘ti stiamo aspettando..’ ero entrato in modalità fidanzato, pervertito, leggermente ma neanche poco, geloso della sua ragazza. Non volevo che Amu frequentasse nessuno. 
Quella ragazzina nonostante fosse più piccola di me... era soltanto mia, mio il suo corpo, mio i suoi pensieri leggermente pervertiti su noi, mia nel senso fisico, mentale, morale, mia.. soltanto mia. 
Amu era mia
Mi tolsi il telefonino dall’orecchio, e me lo infilai nella tasca. Guardai la vista che mi si propinava dalla Tour Effeil.
Un pensiero mi attraversò fulmineamente la mente; non avevo mai fatto nulla del genere, ero perfezionista, amavo le cose fatte bene, amavo suonare col violino nell’orchestra, ma Amu era più importante, era mille volte più importante.
Se io restavo a Parigi quel tipo se la sarebbe presa, e non mi andava di lasciarla, ero io il suo proprietario. 
-Ikuto... cosa ti succede? - mi domandò Yoru, osservando il mio volto corrugato. 
-Niente. - feci. Diedi una veloce occhiata al display, in bella mostra la foto mia e di Amu, sorridenti e abbracciati. 
Il mio unico pensiero era quello. 
-Ma... Yoru. - 
-Sì? - 
-Puoi sostituirmi? - 
Il mio Shugo Chara non afferrò bene il concetto. 
-Intendo dire nel mio ruolo di violinista. - 
Yoru spalancò la bocca. 
-Eh? Cosa, sei pazzo! - 
Io lo guardai. -No... sono innamorato. La cosa è diversa, ti sembrerà da pazzi ma io devo tornare. - 
Yoru sospirò. 
-Chi ti capisce è bravo! -
Io sorrisi. Amu sto vedendo da te, aspettami










**Angolo della Love**

Amici, benvenuti a questo nuovo aggiornamento! 
Allora Ikuto ha trovato la chiamata di Amu, e finalmente i due si sono chiamati. 
Amu non ha detto niente al nostro ragazzo, ha solamente accennato al noi che ti stiamo aspettando.. ma Ikuto a quanto pare ha frainteso, adesso cosa accadrà ai nostri due protagonisti, e al piccolo pargoletto in arrivo. 
Buone notizie fan di Amuto, vedrete anche la sua nascita, chissà.. sarà maschietto o femminuccia? 
Vi prego, recensite questo schifo, e mi raccomando seguitemi nei prossimi scritti. 
Cattiva notizia per quanto riguarda il tempo, visto che dovrò frequentare le lezioni di scuola guida, ovviamente serali, cercherò di aggiornare quando mi sarà possibile. Ovviamente godetevi, questa seconda parte. 
In tutto ne saranno sei o otto, poi vedrò.
Baci :) 
Non scannatemi viva! 
#Love



 

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Capitolo 3
*** Part III: Ikuto sono... indovina? ***


                         Ikuto sono... indovina?


Dopo la chiamata del mio gattastro pervertito avevo abbandonato del tutto il mondo reale, assopendomi con piacere nel tepore delle coperte infossata fino al midollo. 
In realtà non ero mai stata così sedentaria e la mia filosofia si esprimeva fra le varie trasformazioni in merito alla mia posizione di Jolly, per purificare le uova del cuore a destra e manca insieme ai Guardiani e impedire alle Easter di impossessarsi dell’Embrione; anche Ikuto né faceva parte, adesso non più, e sono molto contenta. 
Mi sono ricordata la mia nuova condizione: sono incinta di un bambino.. e non poteva essere altrimenti del mio ragazzo pervertito con la passione smisurata per i violini e le esibizioni. E questa era una delle ragioni per cui il mio corpo non voleva abbandonare il letto. Ammontiamo già a tre, perché poi c’è anche il disgustoso senso di nausea che non mi lascia un attimo in pace, giusto il brontolio dello stomaco e la sonnolenza. Speriamo che il resto della gravidanza non proceda così, altrimenti non avrei resistito a questo status diamine. Mi sento completamente avvolta dalle delicate braccia di Morfeo, la materia si svuota di tutti i pensieri negativi e positivi, la mia anima vola negli sconfinati spazi del sogno. Riapro i miei occhi cremisi, avvolta nella più assoluta oscurità, vedo che la stanza non è gigantesca, che è talmente ristretta che sento che i miei polmoni non riescono ad usufruire di tutto quell’ossigeno in esaurimento. Volto lo sguardo ad ogni minimo dettaglio, ma vedo che l’unico particolare è l’ombra proiettata da una lampada che rischiara flebilmente. Mi alzo, appiattita al muro come unica sicurezza, e sbatto le palpebre, un pensiero che circola nella mia testa è di star sognando, ma quello era tutto così reale come il mio corpo. Abbassai il volto e guardai le mani, c’erano, ma quello che più mi fu strano era trovarmi ad osservare incredula il pancino che riuscivo ad intravedere dalla maglietta che rispecchiava il mio perfetto stile di cool e spicy. 
-Perché non me l’hai detto! - tuonò una voce, una voce calda che mi era fin troppo familiare. Con timore alzai lo sguardo e incontrai due meravigliosi occhi blu che brillavano dall’altra parte della stanza, che mi lanciavano saettate di fuoco. 
-Scusa? - dissi, abbracciandomi la pancia. -Chi sei? - continuai, senza poter indietreggiare visto che avevo già il muro contro le mie spalle. 
Il tipo che avevo intravisto a malapena uscì allo scoperto camminando nella mia direzione, e non appena il volto fu illuminato, assunsi un atteggiamento stravolto. 
Era Ikuto ed era arrabbiato dal modo in cui stringeva i suoi pugni fino a renderli bianchi. 
-Amu, chi è il padre! - strillò, facendomi segno verso un facsimile di pancione. 
Sbarrai gli occhi. Questo è un sogno, adesso mi sveglierò, devo svegliarmi. 
Era arrabbiato, ma ciò non significava che questa ira non fosse anche mia. Mi aveva abbandonato per un tempo indeterminato promettendomi che sarebbe tornato, quando si sarebbe sistemato col lavoro, poi dopo la sua ultima visita mi aveva letteralmente costretto a fare l’amore, poi era evaporato, e io ero rimasta incinta di lui. 
Chi dei due sarebbe potuto essere più furioso dell’altro se non la sottoscritta? 
Gli rivolsi lo stesso identico sguardo intimidatorio, staccandomi dalla sicurezza del muro.
-E tu Ikuto! Mi hai abbandonato, non ti sei curato affatto di me e adesso vieni anche a rimproverarmi! Non sai quello che dici e non sai quello che ho passato. Tu non sai nulla.- 
Lui tacque. Lasciò che la rabbia svanisse, la mia invece non si spense. 
Ero incinta, sì lo avevo fatto e non ero stata costretta o violentata, lo amavo, lo desideravo ogni più piccolo centimetro del suo corpo, e persino quello che doveva essere negato, ma lui se ne era andato a Parigi, a suonare nel suo concertino, senza nemmeno chiedersi se mi avesse o meno causato dei problemi, e ora veniva a sconvolgermi. 
Poteva andare benissimo al diavolo, se non voleva il nostro bambino lo avrei cresciuto io, ma l’errore non era stato solo mio, ma anche suo. E il bambino ora c’era, non si tornava più indietro e di abortire non se ne parlava, non lo avrei ucciso manca con una pistola alla tempia. -Non parli più? - lo accusai. Se ne stava in disparte, chiuso nel suo odio nei miei confronti e io nel mio anche se non lo davo a vedere. Pareva quasi un gattino a cui avevano sequestrato il gomitolo, un gattino che però non miagolava e non osava reagire per riaverlo indietro. Aveva sbagliato e ora lo riconosceva. 
-Amu, scus.. - si interruppe. 
Pregavo che non fosse la fine, che Morfeo non avesse deciso di strapparmi da quella dimensione, ma senza nemmeno pensarlo, mi ritrovai al di fuori, con il volto che guardava un po’ allibito della mia stanza. Mi voltai nella direzione della porta, non c’era nessuno lì eppure fino a poco prima buio e la sagoma di Ikuto che mi sovrastava. 
Poi la mia testa riuscì a formulare una spiegazione plausibile: Ikuto era stato un sogno. 
Ma i sogni si materializzano pure, e non è detto che non venga qui, lui è incredibile
Mi accorsi di star fantasticando, la voglia di vederlo mi stava travolgendo, avrei voluto prendere un aereo e correre lì con uno striscione su cui stavo scritto “Ikuto.. sono incinta, ovvero stai per diventare papà gattastro.” ma abbandonai l’ipotesi. 
Mi sollevai e notai che tutto ciò era come l’avevo lasciato prima di assopirmi definitivamente, anche la pancia piatta come una tavola che ospitava il futuro piccolo o piccola Tsukiyomi, che morivo già dalla voglia di conoscere. 
Mi piazzai con la schiena vicino alla testiera, e dedicai un momento al piccolo pargoletto che cresceva in me, ora dopo ora e giorno dopo giorno, e mi venne da chiedermi “ma come fa a stare lì dentro? di sicuro starà soffocando o altro. Non sono abbastanza grande da riuscire a ospitarlo” anche mamma aveva pensato lo stesso con la mia sorellina e io quando ci aspettava, ma alla fine siamo nate ed entrambe siamo ben formate e ben testarde con niente da togliere alla natura che ci ha fornito di un bel po’ di problemi. 
Accarezzai con dolcezza la pancia e iniziai a confabulare come se potesse davvero ascoltarmi, con vocina debole in modo che nessuno mi ascoltasse al di fuori del bimbo. 
-Allora piccolo, spero starai bene lì dentro perché sarà la tua casa nei prossimi mesi. - intanto mi soffermavo su un punto, ma era troppo presto per sentirlo scalciare. 
Cominciava verso il quarto, quinto mese e non prima. 
-Ti consiglio di goderti questo periodo piccolo. La vita non è affatto semplice. - 
Lo stavo già condannando, meno male che era ancora sprovvisto di orecchie così non avrebbe sentito gli obbrobri dei miei terribili pensieri. 
-Adesso parliamo di qualcosa che non sia terribile, ovvero di tuo padre. - 
Già il papà del mio bambino, Ikuto il pervertito. Speriamo che insegni a suo figlio a suonare o ad abbindolare le donne come ha fatto con la sua mamma, e che non si metta a sparlare di cose pervertite, come lo è lui infondo. E se è una bimba, spero, sarò io a farle da maestra, così almeno imparerà meno cose ma che sono vitali per tenersi alla larga dai tipi come il padre, pervertiti e drammaticamente incomprensibili. 
-Lui è fantastico, credo che sarà un buon padre per te, a patto che non ti insegni niente di sconvolgente tesoro. Sai adesso non è qui, è in Francia (guarda caso..) però è lì per costruire il futuro e rendercelo migliore. Non siamo ancora sposati, ma lo faremo non temere. Nonostante il tuo futuro papà sia molto pervertito, è dolce e mi protegge in ogni situazione, ha i capelli blu e gli occhi dello stesso colore che spero erediterai. Se poi sarai una bimba, ancora meglio, adoro i suoi occhi. Io invece li ho cremisi, ho i capelli rosa, spero che non li avrai anche tu, e non so fare la mamma, non so cucinare e sono un disastro. Bene, contento della tua famiglia? - lui non rispose, o per meglio dire non poteva ancora. Detti per sì quel silenzio tombale, poi fu il telefono a spazzarlo via. 
Era sul comodino e si illuminò simultaneamente. Lo presi e guardai il display. 
-Scusa tesoro, se non rispondo zia Yaya si arrabbia. - lasciai per un momento la pancia e risposi al telefono; la voce squillante di Yaya frantumò il mio timpano al lato sinistro. 
-Amu! Sei sparita dalla circolazione? - 
-Ciao, Yaya. Scusa non mi sento molto bene. - 
-Cosa? - Yaya alzò il timbro di voce, come se volesse sottolineare che stesse al telefono con me. -E cosa ti senti Amu? - chiese ancora con timbro alto. 
-Niente di che Yaya, solo un leggero mal di testa. - le risposi omettendo il vomito, la sonnolenza, il voler ammazzare Ikuto e altri piccoli malesseri dovuti al mio essere in dolcissima attesa, che tanto dolce non si rivelava. 
-Se vuoi posso venire con Tadase. Muore dalla voglia di farti visita. - 
Sgranai gli occhi, allora era in compagnia del principe. No, non potevo farli venire a casa, la mia stanza era una via di mezzo fra la caverna di un orco e mister sporcizia, in bagno due tester fatti, entrambi positivi, visto che volevo accertarmene, disposti uno sulla vasca e un altro sul bordo del lavabo che avrei dovuto cestinare. No, non potevano venire, non finché non avrei eliminato tutte le tracce del delitto della mia reputazione. 
-No, Yaya. Ci vediamo dopo al Royal Garden. - le dissi, prima che con estrema fatica le riattaccassi il telefono in faccia. Sospirando dissi al bambino che la zia Yaya era una persona deliziosa, ma che delle volte stressava e parecchio, poi recuperate le deliziose pantofole a coniglietto, sotto al letto, mi fiondai in bagno. Presi il tester sul lavabo e lo gettai nel cestino, l’altro non lo trovai da nessuna parte. Mi misi alla sua disperata ricerca, guardando dappertutto, ma improvvisamente la voce di mia madre risuonò fino al secondo piano e la mia coscienza parlò per me: -Oh no! - mi rialzai da terra e uscii di lì, indossando una felpa, anche se dalla pancia nessuno avrebbe capito cosa nascondevo, il mio volto agitato parlava da sé. Scesi le scale, aggrappata al corrimano per non cadere e fui al cospetto di mia madre, che armeggiava il tester a destra e a sinistra, cercando da me spiegazioni. -Ehm.. - boccheggiai, riabbassando lo sguardo. 
-Amu, cosa è questo? - 
Mi rilasciai a peso morto sul divano, con gli occhi lucidi per lo stato interessante. 
-U-un tester. - singhiozzai all’orlo di un pianto isterico. 
-E perché era nel bagno della tua stanza? - 
Sospirai. Non potevo nascondere a mamma la mia futura maternità, anche perché si sarebbe notato presto, a conti fatti potevo già essere al secondo mese. Tutti lo avrebbero scoperto, così mi decisi a non mentirle e a parlare chiaro e conciso. 
-Questo è mio. Il tester è mio, sono io ad aspettare un bambino. - 
Mamma alzò un cipiglio, appoggiando sul tavolo della cucina il tester. 
-E chi è il padre del bambino? - 
-Ikuto. - 
-Ah bene! - esclamò sarcastica. - Quando lo saprà tuo padre lo sparerà. - 
-Ma non è colpa sua e nemmeno mia. - puntualizzai ferma e immobile. 
-E di chi scusa? Voi mi farete uscire completamente di testa, Amu. - 
Si scompigliò i capelli castani per l’ansia iniziando a pensare a quando anche papà lo avrebbe saputo, e che la cosa non gli sarebbe andata a genio, come adesso non le andava a genio manco a lei. Ero troppo piccola, irresponsabile, dovevo pensare alla scuola, alla vita, alle mie nuove amiche, a uscire, non ad occuparmi di un bambino e per giunta senza un padre. Ma Ikuto era presente, solo che adesso era a Parigi, diamine! 
-Abortirai? - sputò fuori mia madre, ottenendo una mia occhiataccia. 
-No - dichiarai. -Non ucciderò questo bambino. Lo crescerò perché è il frutto del mio amore per Ikuto e lui sarà della mia stessa opinione, ne sono sicura. - 
-Bene. Lui lo sa? - 
-No, ma quando tornerà da Parigi glielo dirò. - 
-Sai che Ikuto non è affatto affidabile vero? - 
Io feci di sì con la testa. Aveva ragione, ma Ikuto non voleva ripercorrere le orme del padre che aveva abbandonato lui e sua sorella in tenera età, si sarebbe preso tutte le responsabilità, di questo nè ero più che certa, perché lui mi amava e io amavo lui e questo bambino che sarebbe nato. -Sì, ma lui sarà un buon padre. - 
-Sì, lo so che non ti abbandonerà ma tu sei davvero sicura di voler vivere questa trafila di emozioni alla tua età? Sarai in grado di metterlo al mondo? - 
Le paure non mi fermavano, perché avevo una personcina dentro di me che chiedeva di nascere e di vedere il mondo, la cui voce non poteva rimanere isolata. 
-Certo. - risposi con una strana luce di determinazione negli occhi. 
Mamma sospirò, portandosi una ciocca dietro l’orecchio, allontanandosi un attimo. 
Rimasi sola nella stanza, anzi quasi sola, perché il bambino seppur ancora piccolo, era pur sempre presente e mi ricolmava di amore perché era stato Ikuto a donarmelo, come si era donato a me quando lo abbiamo creato. Adesso ero certa che il mio cuore aveva superato il limite, ero innamorata, lo amavo alla follia, volevo una famiglia, un matrimonio, volevo che fosse mio per sempre, volevo che Ikuto amasse il bambino come lo amavo io, e che il nostro amore vincesse tutto anche i pettegolezzi della gente. 
Quando mamma tornò aveva un piccolo foglietto spiegazzato nelle mani e un telefonino. 
Io mi alzai dal divano e le andai accanto. -Mamma, cosa stai facendo? - 
Lei mi guardò e i nostri occhi si specchiarono. 
-Dobbiamo controllare se va tutto bene, e oggi quindi andremo a fare un piccolo controllo Amu. Conosco un ginecologo molto bravo, che è stato il mio quando ero incinta di te e che ti ha fatto nascere benissimo. Lui ti farà un controllo, così ci rassicureremo. - detto questo segnò il numero e mise in chiamata. La osservai rispondere poco dopo. 
-Buongiorno, vorrei un appuntamento. - poi annuì. - Verso le quattro? - 
Mi rivolse una veloce occhiata di rimando come a dire ti va bene, io feci sì. 
-Perfetto, abbiamo proprio bisogno di una consulenza di uno specialista. Mia figlia è primipara e vuole tenere il bambino. Grazie mille. - e riagganciò. 
Fortunatamente non continuò la storia dell’aborto. 

Verso le quattro circa mamma mi obbligò ad andare dal dottore, ma guidò lei, avevo la patente ma non ero molto brava e per prevenzione le lasciai la macchina anche se come era nervosa non avrebbe dovuto mettersi alla guida. Arrivammo davanti allo studio e parcheggiamo, avevamo le gambe anchilosate, e mamma cercava di farmi coraggio quando poi serviva più a lei, che pareva lei quella che doveva farsi visitare. 
Entrammo nella piccola sala di attesa vuota e ci sedemmo. 
Io rotei la sguardo per ispezionare l’ambiente e mamma si perse nelle righe di una rivista per ingannare l’ansia che le attorcigliava lo stomaco in una morsa. Quando una gentile signorina di venti anni, che doveva essere quella che aveva risposto al telefono uscì fuori, i nostri due volti si scontrarono nel suo. -Signorina Hinamori. - mamma scattò in piedi come una molla abbandonando il giornale sulla sedia, e prendendomi il braccio mi trascinò di peso in un ambiente completamente diverso. Una stanza illuminata dalla luce ancora diurna, alla cui scrivania un signore maturo, con spesse lenti dalla montatura nera riordinava le ricette che dovevano essere utilizzate. La segretaria si fermò, e mamma le finì addosso non riuscendo a frenarsi, poi blaterò uno scusa e arrossì. 
Io mi battei una mano sul volto. 
-Dottore, avete una visita. - 
Il tipo alzò gli occhi grigiastri e ci squadrò. 
-Oh, grazie Grace. - rivolto alla sua segretaria, che si congedò, lasciandoci sole. 
Il ginecologo si alzò e strinse la mano a mia madre, poi osservò me critico. 
-Questa è vostra figlia? - 
-Sì, ti ricordi? L’hai fatta nascere tu diciotto anni fa.. - 
Lui annuì, contemplandomi come un’opera d’arte. -Bene, allora vediamo come sta il bimbo. Non preoccuparti, uso questo espediente solo per le prime settimane. - 
Io deglutii un groppo in gola. 
-Amu, devi toglierti i pantaloni. - mi disse preparando una lunga sonda che mi spaventò a tal punto che dovetti tenere a freno le mie gambe affinché non schizzassero via. 
Feci come mi aveva chiesto, ma richiesi una certa privacy quindi il dottore mi parò dinanzi un grosso telo verde, e iniziai a sfilarmi i jeans esponendo le gambe al freddo. 
Rimasi in mutande e me ne vergognai. Uscii allo scoperto sentendomi Eva quando si vide per la prima volta nuda e ebbe necessità di coprirsi dinanzi al suo uomo. 
Il dottore mi indicò un lettino, e montò due affari in modo che mi tenessero le gambe divaricate per tutta la visita. Mamma si sedette accanto a me baciandomi la fronte, e il dottore prese quella grossa sonda. -No, Dio cosa mi volete fare? - mi feci scappare, terrorizzata vedendolo armeggiare quella cosa che non mi avrebbe per niente portato piacere. -Amu tu stai calma, fai fare a me il lavoro. - 
Pregai di non sentire nulla e mi persi ad osservare il soffitto bianco latte, che mi dava la nausea, quando riabbassai il capo il dottore non aveva più quel coso nelle mani e trassi un sospiro di sollievo. -Visto? Non è poi doloroso. - 
-Eh? - 
-Adesso, vediamo il bambino. All’inizio ti sembrerà un alieno. - mi puntò lo schermo di un computer e delle distorte immagini in bianco e nero apparirono. Quella era la mia pancia, quella sonda stava visionando la mia pancia, e lì dentro un piccolo fagiolino, navigava impassibile in un luogo chiuso e sicuro. Non appena lo vidi il cuore iniziò a sobbalzare, credevo quasi che mi sarebbe venuta una sincope, quello era il bambino mio e di Ikuto, ed era più un seme incastrato da un alieno, che un essere umano o almeno non ancora. -Se avessi utilizzato la sonda sulla pancia non avremmo visto nulla, il bimbo è piccolo ma è sano e forte come la mamma. - 
-Sì sa già se è maschio o femmina? - domandai incredula, con mamma che aveva le lacrime agli occhi e una crisi di astinenza a neonati in corso. 
-No, Amu non correre, è piccolo e non è formato. Devi aspettare il quarto mese. - 
-Capisco. - feci un po’ delusa. 
La sonda era ancora dentro di me, e il dottore ispezionava ogni singolo tessuto di un piccolo schizzo di essere umano, poi dopo aver appurato che aveva tutto nella norma, cacciò via quella sonda e mi chiese di rivestirmi. 
Non appena infilai i pantaloni e le scarpe uscii e mi sedetti con mia madre alla scrivania su due belle sedie, mentre il dottore mi consegnava la sua prima foto, accanto ad altre, che gli avrei scattato in ogni singolo momento, e chissà con quali occhi, quali capelli e quale espressione avrebbe assunto. Già lo immaginavo corrermi incontro con aria infantile, con quei suoi capelli scuri lisci, perché sia io che il padre li avevamo così, quegli occhi azzurri o cremisi luccicanti, quel fisico snello e muscoloso come un uomo o delicato e morbido di una donna. Vederlo nascere sarebbe stato la sfida più ardua, sopratutto partorirlo. 
Il dottore congiunse le mani sulla scrivania. 
-Amu, il bambino sta bene, ma faremo ulteriori indagini man mano che la gravidanza andrà avanti. Mi raccomando stai comunque attenta, i primi mesi sono essenziali per la sua corretta crescita: non fare sforzi di nessun tipo, se li devi fare fatti aiutare come per esempio portare pesi è sconsigliato, mangia leggero, goditi ogni male perché poi verrà il bene e sii tranquilla così anche il bimbo lo sarà. Per il resto, ci vediamo alla prossima. - 
Io annuii. Lo avrei seguito alla lettera per il bene del bambino e il mio. 

Tornammo a casa verso le sei, perché a me mi era venuta voglia di gelato e patatine con maionese e non avevo potuto mettere a tacere la voglia. Non appena varcammo la porta di casa dissi a mamma che sarei andata un attimo al piano di sopra, e lei mi rispose che la cena sarebbe stata pronta. Dandole un bacio mi ritirai nel mio piccolo angolino. 
Aprii la porta e notai una cosa insolita: la finestra era semiaperta, e io prima di uscire l’avevo chiusa. Raggiunsi il piccolo balconcino e stando attenta a non inciampare la richiusi, girandomi mi trovai a spalancare la bocca, una figura alta, affascinante, appiccicata alla porta mi osservava con uno strano sorrisetto stampato in faccia. 
E non era non riconoscibile chi fosse quella persona che non aveva la briga di entrare dalla porta e lo faceva invece dalle finestre. -Confettino, da quanto tempo.. - mi sussurrò con fare seducente, come quando mi aveva costretto col suo corpo a farne ciò che volevo. La lingua si paralizzò e io riuscii a spiccicare solo una singola parola. 
-Ikuto.. - 


*****


spazio #me

Bam! Bam! A quanto pare la nostra Kissenlove non si smentisce mai, e come no, mai! 
Amu ha fatto la sua prima ecografia di una serie, e il piccolino Tsukiyomi è già ben riconoscibile e vivace, ma cosa accadrà adesso che Ikuto è tornato nella sua vita? 
Amu avrà il coraggio di dirgli la verità? O tacerà la gravidanza al bel gattastro? 
Per scoprirlo seguitemi! :) 
Bye _Love
 
 

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Capitolo 4
*** Part IV Ikuto.... sono indovina? ***


                       Ikuto sono... indovina?
                                                                                  Parte IV Ikuto... sono incinta?

 - Ikuto - la voce diventò flebile, quasi un sussurro, rimasi intrappolata nella gola al vederlo, come un miraggio, davanti a me. Credevo fosse l’ennesimo sogno, il mio desiderio di rivederlo, di parlargli, di abbracciarlo, di dirgli che lo amavo, che aspettavo un bambino che ci avrebbe uniti per sempre, nella gioia come nel dolore, per il resto delle nostre vite, ma quando ero talmente vicina ad assaporare quel momento il sogno svaniva, ritornava tutto come prima, e Ikuto non era più lì. Era un pugno nello stomaco pensare che era stato soltanto un sogno, la rappresentazione del mio desiderio; forse era sogno anche quello, e presto avrei dovuto fare i conti con la mia solitudine e l’amaro risveglio nel letto, perché lui non poteva essere lì, lui era a Parigi, a fare gli spettacoli nei teatri, ad incantare tutti con il suo violino, con le sue malinconiche note e i suoi romantici accordi di un’anima votata prima al male. Ikuto... Ikuto.. — sussurravo il suo nome, lo sentivo dentro di me il dolore per la sua lontananza, il rispetto per i suoi obiettivi che mi costringeva a stare da sola, che mi faceva stare male, che mi faceva impazzire.. — presto il suo corpo sarebbe diventato inconsistente, come la neve che si scioglie al sole, e il rimorso di essermi svegliata non mi avrebbe più fatto chiudere occhio. 
Quella tortura però sembrava non avere più termine, realizzai che non poteva durare così a lungo quella visione. Avvicinai una mano al braccio e mi diedi un pizzicotto, il dolore era tangibile, non era più un sogno dei miei, lui era reale, non ci potevo credere... Ikuto era tornato da me, volando? Era impazzito, aveva abbandonato i suoi progetti solo per accertassi se stessi davvero bene? Era stato un vero e proprio sconsiderato, ma ammetto che la sua presenza mi faceva sentire rianimata, ero tornata a vivere, prima mi ero sentita morire, con questa responsabilità, con la storia della gravidanza, con il bambino. Adesso Ikuto era lì, e potevo dirgli tutto, dirgli del bambino, delle nostre condizioni, perché lui sarebbe stato felice di sapere che presto sarebbe diventato padre, o almeno era quello che continuavo a sperare, specchiandomi nei suoi occhi blu notte, in cui affogavo ogni qualvolta di notte ci eravamo trovati a coccolarci profondamente. 
– Ikuto... ma.. - provai a parlare, avevo tante domande in mente che non sapevo davvero da dove cominciare. 
- Amu.- lui si scrollò dalla sua posizione, e diminuì le nostre distanze. Osservavo incredula il suo corpo trascinarsi verso il mio, avrei voluto lanciarmi nelle sue braccia, farmi stringere, ma avevo paura.. paura di guardarlo, paura che la notizia non avrebbe sortito lo stesso effetto che avevo avuto io e nonostante provassi ad ignorarla, essa si ripresentava ancora più crudele a mandarmi in paranoia il cervello. 
- Adesso non saluti più il tuo fidanzato come una volta? - chiese mettendo il broncio. 
- Ikuto.. scusa, non ti aspettavo.. – confessai, sentendomi poi mille volte stupida. 
- Non fa niente, è stata colpa mia, volevo farti una sorpresa e renderti felice. - 
- Ho apprezzato la visita davvero, mi sono accorta che eri tu perché nessuno entrerebbe dalla finestra.. cioè nessuno che non sia il mio Ikuto. - increspai un sorriso, cercavo di calmarmi, ma le mie mani continuavano ad intrecciarsi dietro la schiena. Sperai tanto che Ikuto ignorasse la mia ansia, ma ero così prevedibile.. mi conosceva troppo bene, per questo alle volte finivamo per discutere, perché ai suoi occhi tutti i miei difetti risaltavano e non perdeva tempo a farmeli notare con strafottenza. 
- La finestra è il luogo perfetto. Non voglio che i tuoi mi scoprano.. - 
- Non hai motivo per preoccuparti, sanno che siamo fidanzati... e poi credo che non servirà tutta questa sicurezza, Ikuto. - 
- Amu, amo tener fede al mio carattere. Mi piace entrare dalla finestra e stupirti.- mi disse sorridendo. 
Quanto mi era mancato quel sorriso radioso che riserbava solo a me. Era nei miei pensieri, nella mia pelle, nel mio sguardo e ora si era appropriato anche della mia pancia, del mio spirito, della mia anima con nostro figlio. Anche se ero giovane, non avrei mai rinunciato a mio figlio, lui era parte di me e parte di Ikuto. Era il prodotto finale del nostro amore, era la catena di congiunzione, e se eravamo due adesso saremmo diventati tre. 
- Però... devo confessarti che ero preoccupato per te. - 
- Per me? Ho fatto o detto qualcosa.. - sussultai, rendendo palese il mio nervosismo. Tutta colpa della gravidanza e degli ormoni. Ikuto era bravo a fare leva sui miei sentimenti, e presto o tardi avrei dovuto parlargli della questione, non volevo aspettare si notasse, non era corretto che il padre del bambino non partecipasse all’attesa. Ero certa che Ikuto era responsabile, e visto la sua esperienza con il padre, avrebbe accettato questa condizione. 
- No, ma mi sei sembrata nervosa, triste, preoccupata. Non hai risposto alle mie telefonate. - 
- Sei tu il mister occupato non certo io. - alzai il tono. Gli ormoni iniziarono a schizzare, era uno degli effetti collaterali del corpo di una donna in stato interessante e Ikuto si mostrò alquanto infastidito dal mio atteggiamento. - Scusa Amu se mi sono preoccupato. - 
Abbassai il volto colpevole. - Scusami tu.. - iniziai improvvisamente a sentire il bisogno di piangere, e mi lanciai fra le sue confortevoli braccia, quelle braccia che più di ogni cosa avevo amato e aspettato per troppo tempo. Ikuto rimase pietrificato dal continuo cambio di atteggiamento, ma non appena mi strinse fra le sue braccia sembrò dimenticare la sfuriata di prima e mi accarezzò piano i capelli. 
- Stai bene? - mi sussurrò piano nell’orecchio, mentre eravamo coinvolti ancora in quell’abbraccio. 
– Uhm.. - mugugnai premuta contro il suo petto per ascoltare i battiti del suo cuore, che erano come una ninna nanna. - Sì, ora sì che ci sei tu. - continuai gettandogli le braccia al collo, mentre lui mi sollevò. 
Il mio cuore smise di calpestare la mia cassa toracica e l’atmosfera molto lentamente sfumò da ansia e preoccupazione, in dolcezza e teneri baci. Ci sedemmo sul letto, avevo finalmente incitato me stessa a parlargli del bambino prima di ogni cosa e poi del resto, ma con Ikuto non servivano parole, lui sapeva leggermi nel pensiero e alleggerire ogni mia paura. Lui sapeva farmi stare bene, sapeva farmi ridere e arrabbiare, ma sempre con smisurata dolcezza, anche se nei primi tempi era il re della perversione, dopotutto questa era la parte di lui che più mi aveva attirato. I suoi colpi bassi, i suoi scherzi, i suoi atteggiamenti, ma anche le continue volte in cui ero stata in pericolo per colpa della Easter e lui mi aveva protetto, indirettamente e direttamente. A lui dovevo la mia felicità, una felicità che avevo sempre temuto di perdere. 
– Ma al datore di lavoro non ti ha detto nulla? - gli chiesi quando ci sdraiammo sul letto, senza voglia di fare niente di sensuale, stando così con i nasi su al soffitto, lui sotto di me, io invece comodamente premuta contro il suo petto ancora coperto dalla camicia. 
Ikuto sghignazzò. - Non sono di certo un bambino, Amu. Non gli ho detto nemmeno che lasciavo Parigi. - 
- Quindi dovrai ritornarci. - ipotizzai incrinando la voce. Ikuto lo notò e con una mano mi spinse ancora di più verso il suo corpo. 
- Non finché non saprò che stai bene, ma preferirei che mi licenziasse. Stare lontano da te è una tortura. - 
- Sì, lo so.. ma è il tuo lavoro, la tua vita. Non pensare a me, pensa alla fama che potrai ottenere. - 
- Quello che volevo è già qui, Amu. - inclinai il capo verso il suo, e portando una mano ad accarezzargli il petto gli lasciai un tenero bacio a stampo. - Tutto qui? - mormorò, e mi riportò nuovamente su di sé, accarezzandomi una guancia, per poi finire nella chioma sciolta rosa pastello. Ci baciammo con passione come non facevamo da tempo immemore, ma purtroppo anche i tempi più felici sono destinati a terminare perché a quanto pareva il bambino non era felice di questa dimostrazione di spinto affetto, e il bisogno di vomitare mi agguantò lo stomaco, fino a stritolarmelo mentre il sapore acido mi saliva in bocca come sulle montagne russe. Non potevo ignorarlo purtroppo, altrimenti avrei vomitato lì. 
- I-ikuto... ti dispiace se.. - non riuscii a proferire altro, e tappandomi la bocca con una mano per evitarne la fuoriuscita saltai giù dal letto e corsi direttamente in bagno. 
- Amu! - esclamò Ikuto, rimanendo fuori dalla porta. Bussò. – Posso entrare? Che ti prende, stai bene?
- No, Ikuto. Non entrare, faccio subito. - cercai di rassicurarlo, ma mi piegai convulsamente sul water. 
- Amu adesso rompo la porta, perché ti sei chiusa in bagno? A chiave, per giunta? - 
Non riuscivo ad aprire bocca, continuavo a vomitare senza fermarmi, come se la bocca del mio stomaco si fosse d’un tratto spalancata, senza mettersi un freno. Quando arrivava un nuovo attacco non potevo far altro che prepararmi, spingere le braccia, incastrare la testa dentro, e tossire, tossire per espellere tutto. Rinvenivo in un bagno di sudore, inginocchiata davanti al water e la sua tazza bianca, come se stessi pregando. La gravidanza portava queste nausee, mi aveva spiegato il ginecologo, solo per i primi mesi, ma era insopportabile dover correre sempre nel bagno per soddisfare i riflessi repentini del corpo, ma dovevo resistere... tenere duro, perché presto sarei stata ricompensata dalla nascita del bambino. 
- Amu, rispondimi! - continuava Ikuto.
Esaurito il succo gastrico, tirai lo sciacquone, che con un enorme risucchio si trascinava con sé pezzettini invisibili della mia anima squartata da quella gravidanza. Mi rialzai, e andai verso il lavabo per sciacquarmi la bocca, e darmi una rinfrescata visto che vomitare significava anche sudare. Quando ebbi finito di rendermi presentabile, girai la chiave e comparii alla porta dove c’era Ikuto, che non si era staccato un minuto dalla porta, con una faccia che ricordava quella di un fantasma. 
- Amu, stai bene? - mi chiese vedendomi cerea in volto, risultato del malessere passeggero che mi molestava ogni ora del giorno e persino della notte. 
Scusami.. sicuramente con il freddo di questi giorni avrò preso un bel malanno, non faccio altro che vomitare... - mi spostai velocemente da lui tenendo una mano sulla pancia, nel tentativo di calmare il bambino che non faceva altro che causarmi danni. 
- Dovresti farti vedere da un medico se stai male. Ti ci porto io, domani, di prima mattina. - 
-Ikuto non è da te. - lo rimbeccai. 
- Per cosa? - 
- Preoccuparti degli altri... e di me, sto bene e poi questo malanno mi passerà in fretta. Domani starò molto meglio, non preoccuparti. - 
- Hai vomitato, Amu! - urlò Ikuto in versione “papà” vederlo in questa modalità era davvero molto carino, si preoccupava molto per me, ero felice che fosse tornato solo per questo motivo. - Fammi controllare.. - continuò, allungando una mano verso la mia fronte. - Uhm.. no, è fredda. - gliela spostai con forza. 
- Non sono una bambina, Ikuto. - 
- Lo so... ma io ti amo. - mi sussurrò all’orecchio con dolcezza mentre il rossore si impadroniva delle mie guance e il cuore continuava a battere all’impazzata, strimpellando con feroci battiti nella mia testa. 
- Ikuto... davvero? - sorrisi come una bambina piccola, in realtà lui era più grande di me, e io ero un po’ la sua piccolina. Mi piaceva sentirmi coccolata da lui, ma adesso non potevo essere più bambina, dovevo maturare.. per Ikuto e per il bambino che cresceva dentro di me con tanto impeto e sostenuto da un forte amore. 
- Ti prego, non faccio spesso il romantico. Non farmelo ripetere.. - 
- Io invece non ho sentito bene! Puoi ripeterlo, ti prego? - gli chiesi con gli occhi splendenti. 
- Amu, hai sentito benissimo. - 
- Ikuto.. sei molto cattivo con la tua fidanzata. - 
- Non sono cattivo, tu sai benissimo che ci tengo a te.. e che.. non ti ho mai odiato, non sono mai stato un tuo amico quando ero nella Easter, e che ero gelosissimo di te e Tadase. - 
- Mi piaceva farti sentire geloso. - gli confessai, mentre lui mi venne dietro e mi alzò. Protestai, ma invano, e facendomi il solletico mi adagiò piano sul letto, massaggiandomi molto lentamente la pancia.
- Sei diventata donna, Amu. Ora non sei più una bambina. - mi baciò delicatamente la pancia, alzandomi la maglietta, mentre piano risaliva verso il petto, le scapole. Una mano massaggiava la clavicola destra, e la sua bocca torturava il collo di baci e carezze. Non lo fermai, avevo bisogno di quel contatto intimo. Il suo corpo attaccato al mio, i suoi gesti innocenti ma che diventano sempre più passionali, mentre dal collo finiva nuovamente sulla pancia, massaggiandola con giri circolari. Gli presi la testa fra le mani e lo tirai velocemente sul mio volto, in modo che mi guardasse, in modo che i nostri occhi potessero specchiarsi. Si avvicinò, e le nostre bocche si sfioravano, si toccavano sempre più ardentemente, si schiudevano e si chiudevano con uno schiocco; le nostre fronti collidevano, i nostri cuori erano sull’onda più alta. Ikuto smise di baciarmi le labbra, e si concentrò a togliersi e togliermi i vestiti, per rimuovere quello strato che gli impediva di avere accesso al mio corpo. Prima mi privò della maglietta, continuando a sfiorare ogni singolo strato di pelle, poi proseguì con il pantalone, ma proprio mentre stavamo per intensificare quel contatto in qualcosa di più profondo, lo fermai prendendogli le mani. - Ikuto... aspetta. - lui mi fissò interrogativo. Era la prima volta che gli impedivo di arrivare all’apice, ma pur volendo la gravidanza non mi permetteva di avere un rapporto fisico importante. Non volevo arrecare danni al bambino, ma Ikuto non riusciva a capire il mio tentennamento, e disgustato dal mio rifiuto si tirò a sedere con il petto discinto. - Scusa, non sapevo di farti così... ribrezzo col mio corpo. - 
Ero ancora sdraiata sul letto con i capelli scompigliati, privata della maglietta.
- No! Ikuto.. - mi rialzai con impeto e gli presi le spalle appoggiandomi su di esse. - Ti prego.. non pensare che non voglia.. - 
- Voglio sapere perché non posso toccarti, perché non posso farti mia ora e subito. Sei innamorata di un altro? Lo hai conosciuto quando io ero a Parigi e per questo eri così fredda? Se è così, non voglio essere la tua seconda scelta, quindi me ne andrò e non mi vedrai più. - si alzò dal letto e si infilò la maglia, che prima aveva abbandonato sul pavimento. Lo vidi seccato per il mio comportamento, ma come potevo fare l’amore con lui se ero già incinta? Dovevo dirglielo prima che fosse troppo tardi, prima che lui se ne andasse, prima che lui sparisse dalla mia vita senza sapere la verità che gli stavo nascondendo. Ikuto, bastavano solo tre parole. Ikuto sono incinta e sei tu il padre del bambino. Dovevo assolutamente costringere la mia bocca a dirlo. 
- Amu, mi dispiace che... ti sia innamorato di un altro. Non voglio essere la tua seconda scelta, quindi così come sono arrivato, così mi vedrai scomparire. Non sopporterei di nuovo questa rivalità con un altro uomo. - 
- Ikuto! Ti prego.. - 
- Amu... - lui mi guardò. Il mio cuore stava per andare in mille pezzi, si stava sgretolando nelle mie mani. 
- Ikuto! Ascoltami, dannazione! Non essere stupido! - 
- Sono stanco. Prima vomiti, mi dici che hai preso un malanno, non volevi che ti toccassi e ora.. basta, non voglio stare con una persona insicura come te. Ho bisogno di certezze, quindi.. parla, parla ora! O taci, per sempre Amu. - 
- Ikuto.. io.. - cercai di dirglielo, strinsi gli occhi per ritrovare il coraggio. - Ikuto io.. - non riuscivo a dirlo, non ci riuscivo per quale dannato motivo? Ero incinta, avevo vomitato, non avevo voluto farlo.. Ikuto, sono così felice, che quasi non riesco a respirare. Ikuto sembra sempre più inquieto. Vuole andare via, lo leggo dai suoi occhi, dal modo sdegnato con cui continua ad osservare ogni piccola parte del mio corpo e del mio viso. 
- Ikuto... io non amo nessuno. Io amo solo te, sento così tanto amore che credo di poter morire da un momento a un altro, e ho bisogno di te, ti prego non te ne andare, non voglio che mi lasci! - gli strillai. 
Lui rimase immobile, poi sembrò reagire, e mi prese le spalle. - Amu, dimmi perché mi rifiuti. - 
- Mi fa male farlo, non capisci! - 
- Perché ti fa male, dannazione! - continuò con voce dura, mentre io stavo per mettermi a piangere. 
- Perché... perché... perché... - mi avvicinai, e prendendogli una mano la avvicinai al mio addome ancora piatto, ma non per molto, mentre Ikuto osservava la mia pancia. - Ikuto, non hai capito? 
- Cosa? Tu sei... - 
Ciondolai il capo. - Sì, sono incinta. Aspettiamo un bambino, Ikuto. - 



Angolo della Love*

Finalmente, Amu ha detto ad Ikuto di essere incinta, dopo molti problemi... e un quasi voler fare l’amore! la verità è finalmente sgusciata fuori dalle labbra della povera Amu, che aveva paura di perdere Ikuto, ha dovuto per forza dire la verità... e ora come reagirà il papà alla notizia della futura nascita Tsukiyomi
Dovete scoprirlo nel prossimo capitolo, che verrà partorito a breve.. questo è stato invece partorito dalla notte, che porta consiglio. Io adoro scrivere di notte, mi porta molto consiglio, sopratutto guardando Amuto in Shugo Chara, ah se ci fosse stata questa scena, avrei guardato la serie molto... ma molto... attentamente. 
Fortunatamente ci sono le fic, e possiamo immaginare quello che vogliamo. Come finirà la storia della gravidanza? Problemi o filerà tutto liscio come l’olio? Bene.. ci vediamo nel prossimo con la AMUTO. 

#Love-chan. 

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