The Door Through the World

di UnGattoNelCappello
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Nota di traduttrice: Salve a tutti, come avrete capito questa non è una mia storia originale ma una traduzione (ho ovviamente avuto il permesso dall'autrice). L'originale era precedentemente pubblicata su Ao3, ma grazie all'enorme successo che ha avuto, l'autrice ha deciso di pubblicarla come un vero e proprio libro, e se siete interessati a leggerlo potete trovare la versione ebook su GoodReads. Negli altri capitoli trovate ancora il link per Ao3 non più funzionante, e questo semplicemente perchè non mi va di modificarli tutti lol. Ed ora, procedete pure alla lettura!


 

Prologo


 

Esiste un posto fuori dal mondo. Un posto che di solito è chiuso, di solito è segreto. Ma una volta ogni tanto, quando il bisogno è grande, si apre.

Questo posto si rivela solo a due persone in uno specifico momento. È un posto fatto per portare vicini gli amanti: non importa la distanza o gli ostacoli tra di loro.

Si può accedere a questo posto solo dalla Porta Attraverso il Mondo. È questa Porta che il giovane Sirius Black trovò in una cupa, solitaria sera.


 

 

**


 

Capitolo 1


 

 

La casa in cui Sirius Black era cresciuto era grande, e fredda, e buia. Era affollata e piena di segreti sussurrati e voci arroganti e sguardi disinteressati che scivolavano sopra Sirius diretti all'ospite di turno o al libro di contabilità. Le uniche volte che l'interesse si concentrava su Sirius era quando faceva qualcosa di sbagliato: parlare non interpellato, rompere qualche importante cimelio di famiglia, o sporcare qualche parte della casa dopo essere rientrato. Quelle volte non erano piacevoli.

Sirius faceva del suo meglio per non essere mai al centro dell'attenzione nella sua casa, ma qualche volta non poteva evitarlo. Qualche volta gridava semplicemente troppo forte o correva dietro un angolo troppo velocemente o si scordava di pulire le scarpe prima di entrare in casa. Quelli non erano bei momenti.

Oggi, Walburga Black stava urlando. Sirius sapeva esattamente perché: stava correndo dentro casa ed era finito dritto addosso a Mr. Malfoy. Quella era una brutta cosa da fare. Mr. Malfoy era un Amico Molto Importante, e Sirius sapeva di dover sempre essere “rispettoso” verso di lui. “Rispettoso” voleva dire che Sirius non doveva mai, mai rivolgergli la parola eccetto per accoglierlo con un “Signore”, e un “Grazie,” quando Mr. Malfoy gli diceva le cose più crudeli. Oggi, Sirius non aveva fatto nessuna di quelle cose. Invece, aveva rubato un giocattolo nuovo al suo fratello piccolo, Regulus (un giocattolo a motore davvero fico che Sirius stesso stava pregando di avere da secoli ), e aveva corso per la casa mentre Regulus lo inseguiva. Era stato in quel momento che aveva virato intorno a un angolo senza guardare, lo sguardo rivolto dietro di sé mentre rideva dell'inabilità di Regulus di raggiungerlo. E all'improvviso, stava sbattendo contro qualcosa di appuntito, solido, e indignato.

Adesso Sirius stavo correndo attraverso la casa per una ragione completamente diversa. Walburga lo stava cercando, per tirargli l'orecchio e trascinarlo per una punizione dal loro domestico, Kreacher; o ancora peggio: da Walburga stessa, con la sua paletta o il suo bastone. Le punizioni di Walburga erano le peggiori – una volta avevano anche mandato Sirius all'ospedale con un braccio fratturato – ma certamente neanche quelle di Kreacher erano una passeggiata in un negozio di giocattoli. Quindi Sirius stava cercando un posto dove nascondersi, un posto dove non sarebbe stato notato per ore e ore, forse anche giorni. Se tutto andava bene, abbastanza a lungo perché la collera di Walburga diminuisse.

Lanciando un braccio in fuori, Sirius si slanciò intorno a un angolo e si incamminò su per le scale dei domestici fino al quarto piano. Era uno stretto, angusto passaggio: uno che sua madre non aveva mai considerato degno di utilizzo da parte sua. Sirius sperava solo di riuscire ad evitare Kreacher mentre saliva. Forse allora sarebbe stato al sicuro.

La tromba delle scale conduceva in fondo al quarto piano, vicino a dei ripostigli raramente usati. Sirius si infilò nel terzo – andare nel primo era un errore da principianti, uno che Sirius aveva imparato anni fa a non fare – e serrò la porta nel modo più silenzioso e veloce possibile. Si affrettò ad andare più in fondo nella stanza, cercando di non disturbare la polvere che ricopriva ogni cosa. Non sarebbe stata una buona cosa se Walburga avesse visto le sue tracce nel caso le fosse capitato di aprire la porta (o, più probabilmente, se avesse mandato Kreacher su ad aprirla per lei).

Precipitandosi verso il fondo della stanza, Sirius strizzò la sua magra figura di sette anni (quasi otto, in meno di un mese) per farla passare in mezzo a scatoloni e quadri lasciati a metà, pile di giornali e mobili. Si infilò sotto una gigantesca poltrona, nascosto dal polveroso lenzuolo bianco che la copriva. Sirius starnutì, solo una volta, mentre il suo naso passava in mezzo a tutti i gomitoli di polvere sotto la sedia, facendoli svolazzare dappertutto. Spostando il lenzuolo, Sirius fece spuntare la testa da sotto le sedia e si guardò attorno.

Per sua sorpresa, si ritrovò in una piccola nicchia della stanza in cui non era mai stato prima – e lui passavo una sproporzionata quantità di tempo nascondendosi in vecchie stanze polverose. Ma questo posto era... nuovo. Probabilmente non l'aveva mai notato per il fatto che era così in fondo, e per come ben nascosta era quella piccola nicchia. Strisciando fuori da sotto la sedia e alzandosi in piedi, Sirius lanciò un'occhiata dietro di lui. Non riusciva neanche a vedere l'altro lato della stanza: le scatole erano impilate troppo alte, e i mobili erano in pericolose torri incastrate tra di loro che arrivavano ben sopra la sua testa. Era un buon nascondiglio. Sirius fece un gran sorriso mentre si asciugava il naso sulla manica.

Voltandosi, Sirius ispezionò ancora una volta lo spazio che aveva individuato da sotto la sedia. Era una piccola nicchia nell'angolo della stanza, grande appena abbastanza perché lui potesse farci due o tre piccoli passi dentro. Appoggiata contro una delle due pareti che si univano per formare lo spazio triangolare, c'era una porta. Una grande, imponente, porta ornata: una che che occupava quasi l'intera parete su cui poggiava. Sirius inclinò la testa, curioso. Non ci sarebbe dovuta essere una porta là. A cosa avrebbe potuto portare? Il salone? Ma quello era due interi piani sotto di lui.

Sirius fremette con trepidazione, il sorriso che si allargava. Questa era una porta segreta. Potrebbe anche essere qualcosa di cui sua madre o suo padre non sapevano nulla. Forse era riempita di vecchi tesori, dalle passate generazioni di Black. O forse – e fu quel pensiero che fece balzare Sirius in avanti per provare la maniglia – forse era un posto dove altri bambini, proprio come lui, si erano nascosti nel corso degli anni. Forse avrebbe trovato vecchi giornali o foto o oggetti preziosi, provenienti da generazioni di piccoli Black che si erano trovati davanti a questa porta, nascondendosi dai loro genitori proprio come Sirius in quel momento.

La maniglia era di metallo decorato, coperta di filigrana sbiadita che ovviamente una volta doveva essere stata brillante. Mordendosi il labbro, Sirius provò a girarla. La maniglia si mosse facilmente verso il basso, i cilindri scivolarono uno sull'altro senza opporre resistenza. Sirius prese un respiro, e aprì la porta. Non si guardò indietro mentre entrava.





N/T:
Heilà! Finalmente posto il primo capitolo, dopo aver iniziato la traduzione da più di un mese. Per questo motivo ho già diversi capitoli pronti, e dovrei aggiornare regolarmente ogni lunedì e giovedì. Sempre che la scuola non si metta in mezzo. Ahem. Ma prometto che farò del mio meglio!
Nel frattempo, godetevi la storia! (Spero che vi piaccia; io so che l'ho adorata).


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 2


 

Il sole brillava forte su Sirius, e il ragazzo alzò una mano per coprirsi gli occhi. Socchiuse le palpebre, sbattendo rapidamente gli occhi mentre le pupille si abituavano alla luce. Mentre aspettava con un braccio sopra gli occhi di vedere cosa c'era intorno a lui, Sirius prese un profondo respiro. La prima cosa che notò fu qualcosa di strano nell'aria. Gli ci volle un momento per capire cos'era. Era... strana. Fresca, e più leggera, ma non solo quello. Salata?

Un torrente di memorie travolse Sirius mentre gli tornava alla mente una vacanza sul lungomare con la sua famiglia più di due anni prima. Orion doveva andare a visitare un qualche cliente o collega di lavoro o qualcosa del genere, e Walburga aveva insistito che venissero anche lui e Regulus per farli giocare con la figlia dell'uomo. La bambina si era messa a piangere quando Sirius le aveva chiesto se poteva usare le sue tempere. Sirius non le aveva più parlato per l'intero viaggio. Come risultato, aveva speso la maggior parte della “vacanza” seduto sulla veranda della casa sul mare, a guardare gli altri bambini correre nella sabbia, strillando quando le onde accarezzavano i loro piedi nudi, la loro pelle bianca che diventava rossa con il passare delle ore. A Sirius non era stato permesso di uscire al sole. O sulla sabbia, figurarsi l'oceano. Ma ne ricordava l'odore. Ed era quello che sentiva adesso. L'oceano.

Abbassando il braccio dal volto, Sirius sbatté le palpebre qualche volta mentre si guardava attorno. Dovunque fosse quel posto, era vecchio. Molto vecchio. C'erano pile di detriti di fronte a lui, apparentemente caduti da quegli edifici e muri intorno a lui, in vari stati di decadenza. Ma Sirius non era interessato in qualche vecchio edificio deserto. Lui era interessato al mare. E adesso che sapeva cosa c'era lì fuori, poteva sentirlo : onde che si infrangevano dolcemente sulla sabbia. Da qualche parte... alla sua destra.

Sirius si incamminò, facendosi strada con cautela attraverso le pile di detriti nello stesso modo in cui era passato tra gli scatoloni e i mobili abbandonati del ripostiglio. Dopo solo un paio di minuti si accorse che riusciva a intravedere dei barlumi di mare tra alcuni pilastri e alberi che erano di fronte a lui. Correndo attraverso uno spiazzo vagamente circolare nel terreno, Sirius si fece strada tra alcuni cipressi che sorgevano in mezzo a un paio di colonne e finalmente: era lì. Lui era lì. Il mare.

Era decisamente il mare. L'aria era salata, e l'acqua si estendeva lontano lontano, all'infinito, finché non saliva a raggiungere il cielo piegato all'ingiù al limite estremo della visione di Sirius. Sirius rimase a bocca aperta di fronte a quell'enorme distesa d'acqua, guardando i piccoli fiocchi di schiuma bianca apparire sulla cresta delle onde prima di schiantarsi sulla riva, come un nuotatore esausto che si lancia disteso sulla sabbia.

Senza pensarci un secondo, Sirius scalciò via le sue scarpe e i calzini, infilando quest'ultimi nelle scarpe con attenzione. Non aveva voglia di ricevere una punizione da sua madre solo perché aveva portato qualche traccia di sabbia dentro casa. Poi si arrotolò i pantaloni con altrettanta attenzione, sistemandoli su fino sopra il ginocchio così che non ci fosse il minimo rischio di bagnarli. Entro un minuto da quando aveva scoperto quel mare segreto, Sirius ci stava sguazzando dentro immerso fino alle caviglie, agitando le dita dei piedi nella sabbia, pieno di meraviglia per tutte le nuove sensazioni.

L'acqua era calda – più calda di quanto Sirius immaginava che la Manica o qualsiasi altro mare inglese potessero mai essere. Non se ne preoccupò più di tanto, però, proprio come non si era chiesto come facesse ad esserci un mare dall'altra parte di una porta di casa sua, o qualsiasi altra cosa riguardo questo posto. Sirius non era uno da interrogarsi sulle fortune che gli capitavano, perché sapeva quanto facilmente potessero scivolare via. Era meglio godersela finché durava.

Sperimentando, Sirius infilò le dita dei piedi nella sabbia bagnata, guardandole attraverso la schiuma e l'acqua che si ritiravano. Era morbida, ma solida. Non sprofondava molto quando stava fermo, ma il più piccolo movimento dei suoi piedi sembrava far diventare liquida la sabbia intorno ad essi, formando piccole buche di sabbia mobile intorno all sue dita. Appena si fermava, però, e restava immobile, la sabbia bagnata si solidificava di nuovo. Accovacciandosi molto, molto attentamente, per non rovinare i suoi vestiti, Sirius infilò un dito nella sabbia. Cedeva facilmente quando l'acqua la ricopriva, ma ridiventava solida non appena si asciugava. Sirius restò a bocca aperta. Nessuno gli aveva mai detto niente sulla sabbia, a parte che era fastidiosa. Non si era mai immaginato niente del genere.

Sirius sorrise eccitato. Chissà che succedeva se... Sirius si abbassò e cominciò velocemente a impilare sabbia su sabbia, creando un piccolo cumulo prima che le onde scivolassero di nuovo sulla spiaggia. Fece un passo indietro, per osservare l'acqua che si faceva strada sulla sabbia fino al suo piccolo ostacolo. Quando le onde si ritirarono, la sua piccola creazione era sparita quasi completamente. Sirius inclinò la testa, poi si girò a guardare la spiaggia. Se voleva costruire qualcosa avrebbe dovuto farlo più indietro, allora. Su, dove le onde non avrebbero potuto portarselo via.

Mentre Sirius guardava la spiaggia e contemplava le sue prospettive di costruzioni di castelli di sabbia, i suoi occhi vagarono in giro per osservare il resto del paesaggio. Prima era stato così concentrato ad arrivare al mare che non si era fermato per guardarsi davvero attorno. Ma adesso che lo faceva...

C'erano rovine tutto intorno a lui, grandi edifici in marmo, che una volta dovevano sorgere in una silenziosa, ostentata grandezza su tutta la spiaggia e l'entroterra. Alla sua destra c'era un edificio quasi completamente intatto: le sue pareti si stavano sbriciolando solo un po', gli spazi dove una volta erano state scolpite le porte e le finestre erano ancora quasi perfettamente dritti e squadrati. Avrebbe potuto essere una villa – una villa sul mare, e a quello Sirius rise. Non ci aveva mai pensato, ma immaginò che quegli antichi costruttori di imperi avevano amato una vacanza al mare tanto quanto quelli moderni. Una proprietà in riva al mare. Molto ricchi, decisamente.

Proprio di fronte a Sirius c'era uno spiazzo piano che lui aveva pensato fosse vuoto, ma dopo un'ispezione più accurata si accorse che una volta c'era stato qualcosa, lì. Una... una pira per il fuoco, forse? Era un grande cerchio vuoto, con pietre di marmo piastrellate tutto intorno. E colonne: colonne a metà, colonne intere, o solo spazi vuoti dove erano una volta le pietre, intorno al cerchio. Forse un tempo era una fontana, o una piccola piscina decorativa? Oppure una pista da ghiaccio molto, molto piccola.

Curioso, Sirius recuperò le scarpe e i calzini dal bordo della spiaggia e trovò una grossa pietra dove sedersi per rimetterseli. Fatto ciò, si voltò e si fece strada fino allo spazio vuoto di fronte a lui, osservandolo. Il terreno all'interno era duro e compatto, ma sopra c'era della sabbia. E... qualcosa nella sabbia catturò lo sguardo di Sirius. Si abbassò e strofinò via la sabbia. Era solo un'altro piccolo detrito. Più per istinto che per altro, Sirius lo raccolse dall'altrimenti vuoto cerchio e lo lanciò più volte in aria con una mano. Quello chiaramente non era il suo posto, così Sirius l'avrebbe portato con lui.

Guardandosi ancora intorno in quel curioso luogo, Sirius vide un muro cadente di fronte a lui. Era di traverso ad una specie di sentiero. Avvicinandosi, Sirius corresse la sua ipotesi. Non era un sentiero: doveva essere stata una specie di strada. Anche se l'erba spuntava tra le pietre e la natura stava gradualmente reclamando indietro quella terra, c'erano ancora abbastanza tracce del segno umano da capire con certezza che quella una volta era stata una strada principale. C'erano ciottoli tutto intorno, e proprio di fronte a Sirius, due grandi pietre, che attraversavano la strada. Automaticamente Sirius balzò sulla prima, poi sull'altra, poi sull'altro lato della strada. Si accorse solo quando fu arrivato dall'altra parte che aveva probabilmente fatto esattamente la cosa giusta: erano delle strisce pedonali. Delle strisce pedonali molto vecchie! Sirius sorrise raggiante alle grosse pietre, mentre le sue dita accarezzavano la pietra che aveva in mano. Impulsivamente, si girò di scatto e lanciò la pietra più forte che poté al di sopra del muro davanti a lui. Stava per girarsi ed andare a vedere dove la vecchia strada lo avrebbe portato quando il suono della roccia che colpiva il pavimento lo raggiunse, seguito quasi all'istante da un sonoro “Ahia!”

Scioccato, Sirius girò su se stesso, gli occhi che cercavano furiosamente la fonte del rumore. Non era Kreacher, o suo padre, e certamente non sua madre. Suonava un po' come Regulus, ma più grande. Più l'età di Sirius.

Ma non c'era nessuno. Le rovine intorno a Sirius rimasero ferme e silenziose. Mentre Sirius era lì in piedi, a pensare, il suono di ciottoli che rotolavano attirò la sua attenzione. Si girò. Veniva dall'altro lato del muro. Ma certo! Era lì che aveva tirato la roccia!

Guardando in alto, Sirius vide un'apertura nel muro a circa un metro sopra di lui. C'erano dei detriti lungo tutto la base della parete, ai suoi piedi, che venivano presumibilmente dal muro stesso e fungevano facilmente da scalini. Sirius non perse tempo e iniziò a scalarli, arrampicandosi precariamente sui frammenti in equilibrio di roccia e malta.

Le dita di Sirius si graffiarono e bruciarono mentre si aggrappava prima ai detriti ai suoi piedi, poi al muro sgretolato. Non era abituato a stare molto fuori casa. Walburga non lo faceva mai giocare fuori. Diceva che non voleva che gli venissero delle “mani da pescatore”. Sirius non era certo di cosa scalare un albero avesse a che fare con la pesca, e come avrebbe potuto portare a quelle “mani da pescatore”, ma non gli era comunque permesso giocare all'aperto.

Ma adesso, Sirius era in questo posto speciale. E in qualche modo sapeva che Walburga non lo avrebbe scoperto, e non avrebbe scoperto niente di quello che faceva nel posto speciale. Lo sguardo preoccupantemente acuto di Walburga lo avrebbe raggiunto in ogni altra cosa della sua vita, ma non in questo posto.

Raggiunta finalmente l'apertura nel muro, Sirius ci si aggrappò e si tirò su quel che bastava per sbirciare attraverso. Era in punta di piedi, le dita strette sui pezzi sgretolati di muro intorno all'apertura. “Hei-”

Sirius si interruppe. C'era un altro ragazzo lì! I suoi ricci color sabbia apparvero per primi, poi il resto della testa, mentre sembrava che si stesse tirando su allo stesso modo di Sirius. Se non fosse stato così diverso da lui, Sirius avrebbe pensato per un momento che ci fosse uno specchio dall'altra parte del buco. Perlomeno, sapeva che l'espressione sul suo volto era la stessa di quella dell'altro ragazzo: scioccata, sorpresa, e molto, molto curiosa.

L'altro ragazzo parlò per primo, dopo l'interrotto tentativo di saluto di Sirius. “Ciao.” Si tirò un po' più in alto, osservando Sirius con curiosità. “Chi sei?”

Sirius si accigliò. Chi era quello? “Chi sei tu?” gli disse in risposta Sirius. “E che ci fai nel mio posto?”

“Non sapevo che era tuo,” osservò l'altro ragazzo. “L'ho trovato solo oggi. Nel negozio di mio papà.”

Sirius inclinò la testa mentre esaminava l'espressione onesta del ragazzo. “Anch'io. Non nel negozio di tuo papà. A casa mia. Sei passato anche tu per una grossa porta decorata?”

L'altro ragazzo si spostò un pochino, le sue dita che si aggrappavano alla pietra. Dei piccoli pezzi caddero a terra dove li aveva disturbati. Anche le dita di Sirius si stavano stancando, e le sue gambe erano doloranti per essere state forzate in punta di piedi per così tanto. “Non una grossa porta decorata. Solo una porta normale nel retro. Non l'avevo mai vista prima.”

Sirius annuì. “Neanche io. La mia porta.” Accigliandosi guardò giù alla pila di detriti su cui era in piedi, e prese una decisione. “Aspetta. Vengo dalla tua parte.”

Con quello, Sirius si lanciò giù dai detriti e sulla strada di marmo sotto di lui. Atterrò in modo un po' goffo, inciampando ma riprendendosi in tempo per non cadere in terra a faccia in giù. Poteva sentire dei piccoli rumori di pietre contro pietre dall'altro lato del muro. Doveva star scendendo giù anche l'altro ragazzo.

Il muro non era molto lungo. Lo era stato in qualche tempo antico: Sirius lo capiva dal modo in cui le pietre nel terreno continuavano per un bel po'. Ma si era sgretolato tanto da poter essere scavalcato a una dozzina di piedi da dove si trovava lui. Sirius inciampò un po' mentre si arrampicava dall'altro lato, ma una volta lì si spolverò i vestiti e alzò lo sguardo.

L'altro ragazzo era in piedi a pochi metri da lui, sotto l'apertura nel muro. Avrebbe potuto della stessa altezza di Sirius – forse un po' più basso. Il primo pensiero di Sirius fu che avrebbero dovuto mettersi schiena contro schiena e misurarsi. O forse, se non fossero stati in grado di decidere visto che non c'era nessun altro in giro, si sarebbero dovuti misurare a vicenda contro uno dei muri con un pezzo di pietra o una conchiglia o qualcosa e paragonare le linee.

La seconda cosa che Sirius notò del ragazzo furono i suoi vestiti. Assomigliavano ai vestiti delle persone che facevano le consegne, ma non era un'uniforme. Sirius si accigliò e pensò, cercando di capire quello che intendeva il suo cervello. Non erano tipo... costosi, come i suoi. Non erano neanche a strati. L'altro ragazzo stava indossando solo un paio di pantaloni e una maglietta. E delle scarpe da ginnastica. Sirius guardò con desiderio le scarpe. Walburga non gli aveva mai lasciato averne un paio.

Improvvisamente a disagio, Sirius strattonò il suo gilè e la camicia abbottonata. Probabilmente sembrava buffo a questo altro ragazzo.

Nel suo nervosismo, anni di allenamento nell'etichetta di comportamento presero il sopravvento e fecero porgere in avanti la mano di Sirius. “Il mio nome è Sirius Black. È un piacere fare la tua conoscenza.”

L'altro ragazzo fissò la mano, valutandola attentamente. Poi fece un passo in avanti e allungò il braccio per stringere la mano di Sirius. “Io sono Remus. Remus Lupin.”

Sirius si illuminò alla vista del sorriso timido dell'altro. Aveva lentiggini su tutto il naso. A Sirius piacevano. “Sai dove siamo?”

L'altro ragazzo – Remus, ricordò Sirius a se stesso, giocando con il nome nella sua mente – scosse la testa. “No. Stavo cercando di nascondermi, e ho trovato la porta. E poi ero qui.”

Sirius fece un eccitato passo in avanti. “Anch'io! Mi stavo nascondendo, voglio dire. Da mia mamma. E Kreacher.” Una nauseante sensazione di terrore crebbe dentro Sirius mentre pensava alla rappresaglia che avrebbe ricevuto non appena fosse tornato indietro. Lanciò un'occhiata alle spalle di Remus. C'erano una panchina e un'altra porzione del muro in rovina là, ma Sirius sapeva che al di là di quello c'era il posto da dove era venuto. E dove sarebbe dovuto tornare, presto.

Remus osservò Sirius, voltandosi per seguire il suo sguardo, e poi di nuovo verso Sirius. “La tua porta è laggiù?”

Sirius scrollò le spalle. “Sì. Penso. Ma-” si interruppe, riflettendo. Aveva ancora qualche minuto prima che avrebbero davvero iniziato a cercarlo. Poteva restare. Solo per un altro po'. Spinse con decisione la sensazione di nausea giù, giù in fondo, fino alle scarpe. Non aveva bisogno di pensarci, a quello, non ancora. “Da chi ti stai nascondendo?”

L'espressione di Remus diventò assente per un momento, immobile. Poi scrollò le spalle, inclinandosi di lato un pochino. “Il rumore del negozio. I cugini. Mamma. Papà. I clienti.”

Gli occhi di Remus scivolarono a lato di Sirius, solo per un secondo. Come se stesse cercando la sua porta, proprio come Sirius aveva appena fatto.

Sirius restò a bocca aperta. Tutti?! “Volevano tutti farti male?” mormorò.

“No! Non... non mamma. Non papà.” Remus scosse la testa, e la frangetta biondo cenere gli cadde tra gli occhi. Con uno sbuffo la spinse via. A Sirius piacque anche quello. Questo Remus era buffo. “Sono solo tutti rumorosi. E ci sono sempre clienti in giro, nel negozio di mamma e papà. Volevo solo pace e silenzio.”

Quello era strano. Sirius non riusciva a immaginarsi di vivere così. A casa sua, c'erano sempre pace e silenzio. Anche troppo. E lui era sempre quello che finiva nei guai per averlo “disturbato”. Era come se Remus venisse dalla terra-del-contrario. Per quello che ne sapeva Sirius, poteva anche essere così. Remus sicuramente aveva un aspetto opposto a quello di Sirius: capelli chiari e leggermente abbronzato, tranquillo e timido, con i suoi vestiti semplici e scarpe da ginnastica.

La sensazione di paura assalì di nuovo lo stomaco di Sirius, stringendolo come la presa delle unghie affilate di Walburga. Era in qualche modo riuscita a scappare dalle sue scarpe. “Mi sa che devo andare...” mormorò, gli occhi rivolti ai ciottoli sotto i suoi piedi. Poi un'idea si impadronì di lui, come i raggi del sole che all'alba si infilavano tra le case di città fino alla finestra della sua camera: piena di colori chiari e calore. “Hey!” Afferrò il polso di Remus, tenendolo stretto. Solo per un momento Remus trasalì, e il suo intero corpo diventò teso. Ma poi i suoi occhi si spalancarono – non spaventati, solo sorpresi – e Remus lasciò stare la mano di Sirius sul suo polso, guardandolo. “Ti va di vederci qui ancora? Domani?”

Gli occhi di Remus restarono spalancati, ma annuì velocemente il suo assenso. “Sicuro. Posso venire dopo pranzo, probabilmente.”

La presa di Sirius si strinse attorno il polso di Remus. “Okay. Dopo pranzo. Magari possiamo giocare a nascondino?”

Il sorriso di Remus era più grande questa volta, ma ancora riservato, trattenuto. Sirius lo trovò molto curioso da guardare: un sorriso che tremolava ai margini, non perché Remus stesse fingendo, ma perché lo stava trattenendo dal diventare più grande. Sirius si accorgeva della differenza; aveva passato la sua intera vita a guardare Walburga e Orion e tutti i suoi parenti fare quel falso sorriso tremolante. Remus era esattemene l'opposto. “Okay,” acconsentì Remus, piano. “Ma io mi nascondo per primo.”

“Fantastico.” Sirius sorrise raggiante. “A me piace acchiappare.”

Una strana sensazione filtrò su dalla mano di Sirius fino al suo cervello. Guardò giù. Remus stava chiudendo piano le sue dita intorno alla mano di Sirius, dove riusciva a girarle e raggiungerla, catturato com'era il suo polso nella presa di Sirius. Toccò leggermente la mano di Sirius prima che entrambi i ragazzi lasciassero andare. Sirius guardò la sua mano, poi su verso Remus. “Domani,” ripeté Remus. “Dopo pranzo. Giusto?”

“Sì,” rispose Sirius, quasi troppo intensamente. “Sì. Domani. Dopo pranzo. Giocheremo a nascondino.”

Riluttante, Sirius si girò e si arrampicò di nuovo sulla sezione bassa del muro. Appollaiato in cima, con una gamba dall'altra parte e l'altra che penzolava dietro di lui, Sirius lanciò un'occhiata a quel ragazzo, Remus, un'ultima volta. Stava guardando Sirius con gli occhi socchiusi, le lentiggini che coprivano il suo naso arricciato e capelli che ondeggiavano nella leggera brezza. “Domani,” disse ancora Sirius. “Prometti!”

“Prometto!” gli gridò dietro Remus.

Con quella rassicurazione, Sirius si lanciò dall'altra parte del muro e corse indietro verso la sua porta, e la sua casa. E Walburga.


 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 


 


 

Capitolo 3


 

I piedi di Sirius dondolavano alcuni centimetri sopra il terreno mentre aspettava sulla panchina. La pietra era fredda e ruvida contro il suo palmo, e la ghiaia veniva calciata via dalle suole dei suoi mocassini ad ogni passaggio. Il suo stomaco si stava contorcendo, nervoso e dubbioso e forse anche un po' spaventato mentre aspettava.

Non avevano fissato un orario o niente del genere, lui e Remus. Era solo “dopo pranzo”. A casa di Sirius quello significava l'una e trenta spaccate. Adesso erano appena passate le due e nessun segno di Remus. Sirius cercò di essere razionale, di pensare a qualsiasi ragione per cui Remus non sarebbe dovuto venire; qualsiasi ragione che non fosse quella che Remus aveva infranto la sua promessa. Forse “dopo pranzo” non voleva dire lo stesso orario per Remus. Magari la sua famiglia pranzava molto presto, tipo alle undici e trenta, e lui era già arrivato, aveva aspettato, e se ne era andato. O forse stava pranzando proprio in questo momento, e non sarebbe venuto per un'altra ora o due (o forse, solo forse, non gli andava di tornare. Forse Sirius non gli piaceva e non voleva avere niente a che fare con lui, perché Sirius era troppo rumoroso o troppo caotico o rompeva qualsiasi cosa intorno a lui anche quando provava davvero, davvero tanto a non farlo).

“Sirius?”

Sirius alzò la testa di scatto dalla posizione che aveva preso: piegata verso il basso, rivolta al terreno. Remus era in piedi davanti a lui, giocando nervosamente con le pietre di marmo sotto i suoi piedi, i quali erano dentro un paio di stivali consumati che sembravano essere di una taglia troppo grandi. Indossava dei vecchi pantaloni di velluto stropicciati che erano rattoppati sulle ginocchia e ricuciti malamente agli orli – così sarebbero durati per quando cresceva, ipotizzò Sirius. Aveva anche lui dei pantaloni così. Ma le cuciture sui suoi erano fatte dal sarto di famiglia, e avevano lo stesso aspetto dei costosi pantaloni di Orion. Ad una delle gambe dei pantaloni di Remus si erano anche staccate le cuciture sul dietro, e il tessuto penzolava in fuori.

Saltando in piedi, Sirius si mosse in avanti sul pavimento di marmo scheggiato e macchiato. Poi si fermò, esitò, e si mosse di nuovo in avanti. Si fermò di nuovo. La testa di Remus si era spostata di lato mentre guardava Sirius fare la sua piccola danza incerta. Senza nessuna aria da impersonare o decoro aspettato da lui, Sirius non sapeva come interagire con l'altro ragazzo. Era sembrato più facile il giorno prima, una volta che avevano iniziato a parlare. Forse sarebbe stato di nuovo facile se solo Sirius avesse capito come andare oltre tutte le imbarazzanti presentazioni.

“È un piacere incontrarti. Di nuovo.” Sirius tese impacciato la mano verso Remus, facendo qualche passo in avanti così da essere abbastanza vicini per toccarsi.

Quando Remus sorrise, il suo naso si arricciò di nuovo, strizzando le lentiggini sul suo viso. Sirius notò per la prima volta che a Remus mancavano dei denti, nella sua bocca c'erano buchi qua e là. I suoi denti davanti stavano spuntando: erano larghi, e ricordarono a Sirius di quel coniglio di cui aveva letto quando era più piccolo. Si sentì all'istante più a suo agio. Lui e Remus non erano così diversi. Sirius fece passare la lingua sopra gli spazi vuoti nella sua, di bocca. Cadevano i denti a tutti e due, proprio come a ogni altro bambino là fuori.

“Cià, Sirius.” rispose Remus, stendendo la sua mano e scuotendo quella di Sirius. Entrambi i ragazzi ritirano indietro le loro mani velocemente: Sirius portò la sua a sistemare il suo gilè, e Remus tirando le sue logore maniche arancioni sopra le dita le infilò nelle tasche dei pantaloni.

Sirius lanciò un'occhiata dietro le spalle di Remus, poi si guardò intorno, poi su al cielo. Era una bella giornata. Soleggiata e luminosa. Non come a casa, dove era grigio e freddo (come sempre, sembrava). Sirius ci rifletté, proprio come aveva fatto la notte prima quando era andato a letto, ripetendo gli eventi della giornata nella sua testa. Ci rifletté, ma non si fece troppe domande. Il tempo era come era, proprio come il resto di questo posto. Esisteva, non aveva senso, e Sirius faceva del suo meglio per non pensarci troppo. Questo posto, il tempo, Remus... Sirius trattava tutto come quelle macchioline chiare che si vedono ogni tanto con la coda dell'occhio: non pensarci troppo, non guardarle direttamente. Se l'avesse fatto, questo posto, Remus, avrebbero potuto scomparire. Proprio come le macchioline.

“Nascondino?” propose Sirius. Remus annuì, e i suoi occhi ambrati scintillarono. “Io conto per primo,” disse Sirius ricordando a Remus del loro accordo del giorno prima. Poi sussultò. A casa veniva sempre sgridato quando insisteva per fare le cose a modo suo.

Ma Remus stava ancora sorridendo. Lo faceva un sacco. A Sirius piaceva. “Okay. Fino a quanto conti?”

Sirius non sapeva ci fosse un'opzione. Non sapeva neanche se ci fosse un numero massimo standard. “Trenta?” offrì.

Gli occhi di Remus si allargarono attentamente, calcolando, mentre si girava attorno senza muovere i piedi. Guardò e riguardò intorno a lui, dando un'occhiata al grande mondo a loro disposizione. “Cinquanta?” fu la controproposta di Remus dopo un minuto.

Sirius scrollò le spalle e annuì. “Okay.” si girò, vide la panchina su cui era seduto prima, e la indicò. “La panchina è la tana.”

“'kay,” concordò Remus. Poi guardò Sirius, in attesa. All'improvviso Sirius capì che cosa stesse aspettando.

Con un ultimo sguardo a Remus e alle sue lentiggini buffe e vestiti polverosi, Sirius si voltò verso il muro accanto alla panchina. La pietra era fredda e ruvida sotto le sue mani mentre le premeva contro il muro, le sue palpebre strette una contro l'altra. Avrebbe potuto barare – lo faceva sempre quando lui e Regulus giocavano – e guardare o ascoltare con attenzione dove andava Remus, ma non voleva farlo. Quindi Sirius tenne gli occhi ben chiusi e iniziò a contare ad alta voce, abbastanza forte da sovrastare qualsiasi piccolo rumore Remus stesse facendo che avrebbe svelato la sua posizione. “Cinquanta! Quarantanove! Quarantotto! Quarantasette!”


 

**


 

Sirius si fermò con una scivolata, mentre le pietre che aveva disturbato con la sua corsa rotolarono per diversi secondi dopo che lui si fu fermato. Il suo cuore batteva forte nel petto, i suoi polmoni si svuotarono e si riempirono mentre lui cercava di far zittire il suo corpo e ascoltare. Era tutto silenzioso intorno a lui. Il suono dell'oceano era debole, calmo e attenuato essendo bloccato da diverse file di edifici in rovina e natura selvaggia. Ma Remus era lì fuori. Da qualche parte. Sirius lo aveva quasi catturato, solo un minuto prima.

Il ragazzo dai capelli chiari all'inizio si era nascosto in uno degli edifici quasi del tutto intatti sulla costa. Sirius aveva visto uno stivale spuntare fuori da uno degli angoli di una sorta di buca poco profonda nel mezzo della casa (o piuttosto, l'edificio che Sirius aveva pensato essere una casa, visto che aveva stanze che gli ricordavano camere da letto e cucine e saloni per la loro grandezza e struttura). Sirius aveva saltato dentro, incauto della sua stessa sicurezza, e aveva provato ad acchiappare il ragazzo. Ma Remus era stato troppo veloce per lui, era saltato in piedi e si era tirato fuori dal piccolo buco rettangolare (era una vasca da bagno? Sirius ridacchiò al pensiero) ed era corso via, fuori dalla casa. Quando Sirius lo aveva seguito fuori sotto la luce del sole, non c'era più segno di Remus.

Il primo posto dove Sirius era corso a controllare era la panchina. Ma era vuota. Allora Remus era probabilmente corso via nella direzione opposta: verso il lato del mondo da dove veniva lui, e i boschi.

Sirius ora era in piedi di fronte ai boschi. Erano bui. E profondi. Non riusciva a vedere più in là della prima fila di alberi: la vegetazione bassa era troppo fitta, e gli alberi troppo vicini. Le parole di una poesia svolazzarono nella sua mente mentre cercava di sbirciare all'interno, cercando di decidere se Remus si fosse nascosto lì o no. ...silenzioso, oscuro, e profondo... miglia da fare prima che io possa dormire. Il bosco era oscuro e profondo. Miglia da fare prima che tu possa dormire. Remus ci sarebbe andato, là dentro? Non avevano detto che i boschi erano fuori dai confini, e neanche l'oceano, per la cronaca. Ma Sirius aveva in qualche modo pensato che lo fossero.

All'improvviso ci fu un rumore dietro di lui di suole di gomma contro il marmo. Sirius si girò di scatto, sapendo già che era troppo tardi. Infatti, Remus si stava lanciando sulla panchina, sorridendo a Sirius trionfante.

Sirius corse da lui, accigliato. “Ti stavi nascondendo nel bosco?”

Remus scosse la testa.

Gli occhi di Sirius si assottigliarono. Forse invece l'aveva fatto. Sirius non poteva sapere se questo ragazzo era uno che barava o no. Regulus barava, ogni volta che giocavano. Si nascondeva sempre nella camera di Walburga o nello studio di Orion: posti in cui Sirius rifiutava di andare per qualsiasi ragione, ma con cui Regulus era più a suo agio. Più benvenuto. Era quello il motivo per cui Sirius barava con Regulus tenendo gli occhi aperti e ascoltando attentamente.

Eri nel bosco?”

Remus scosse la testa, poi si fermò. Osservando Sirius dalla panchina, sembrò considerare qualcosa per un lungo momento, i suoi occhi che guizzavano da una parte all'altra del viso di Sirius mentre lo guardava e riguardava. Finalmente, porse la sua mano a Sirius. “Prometto.”

Automaticamente Sirius strinse la mano di Remus, e annuì. D'accordo. Allora Remus non aveva barato. Dopo tutto, Remus aveva fatto una promessa come quella il giorno prima, che sarebbe tornato oggi dopo pranzo, e l'aveva fatto. Quindi Remus non era uno che barava, o un bugiardo. Manteneva le sue promesse.

“Okay. È il mio turno!”

Mentre Remus si girava sulla panchina e chiudeva gli occhi, Sirius si mosse in avanti e strattonò la sua manica sottile. Remus si voltò verso di lui e lo guardò, sbattendo i suoi grandi occhi in attesa. “I boschi e il mare sono fuori dai confini, okay?” disse Sirius. Remus annuì. “E le nostre case! Non si esce!” Di nuovo, Remus annuì.

Sirius sorrise, un sorriso più grande di quelli che aveva mai fatto a casa. Remus gli sorrise in risposta. Poi Sirius lasciò la manica di Remus ed iniziò ad andare, camminando all'indietro mentre continuava a gridare istruzioni: “Okay! Cinquanta! E conta forte, così posso sentire! E non si sbircia! Okay! Via!”

La voce di Remus era chiara, ma non così alta, mentre cominciava a contare. “Cinquanta. Quarantanove. Quarantotto.”

Correndo sulla strada principale, Sirius si guardò intorno. Direttamente dietro di lui c'era casa sua: no. Alla sua destra c'era il cerchio vuoto che aveva visto il primo giorno. Non andava bene: non c'era niente dietro cui nascondersi. Poi l'oceano, che non andava. Quindi doveva andare verso la parte del mondo di Remus, se voleva nascondersi da qualche parte.

Il primo edificio alla sua destra era la casa in cui Remus si era nascosto all'inizio. Sirius considerò brevemente di nascondersi nello stesso esatto posto per una specie di doppio-inganno-super-intelligente, ma decise di no. Più che altro per il fatto che voleva guardarsi un po' di più in giro, per trovare nuovi posti.

C'era un edificio con grandi ingressi ad arco proprio dall'altra parte della panchina e del muro dove Remus stava ancora contando - “Trentanove. Trentotto. Trentasette.” - ma era troppo vicino. Quindi Sirius corse giù lungo la strada, facendo attenzione a poggiare i piedi il più possibile sulle chiazze d'erba che avevano riconquistato il terreno, o su solide rocce intere. Non voleva che qualche lastricato sbriciolato o instabile rivelasse la sua posizione.

Trentadue. Trentuno. Trenta.”

Sirius corse lungo la striscia di terra che una volta era una strada, guardandosi freneticamente attorno. Una fila di colonne a metà e spazi rettangolari con fiori incolti alla sua sinistra: no. Alla sua destra, un'area pavimentata con grandi lastre di marmo, completamente vuota ed aperta: no. Poi, alla sua sinistra, appena dopo il... forse un giardino, in un'era passata?... c'era un'altra casa! “Venti. Diciannove. Diciotto.” Dando un'occhiata veloce di fronte a sé, Sirius ebbe solo un momento per registrare che davanti a lui c'era un'altra parete con una porta – diversa dalla sua ma oh così simile. Subito dopo si stava lanciando dentro la casa e cercando di corsa un nascondiglio.

Guardandosi attorno, Sirius capì perché Remus aveva scelto quella buca al centro della casa. Tutte le piccole stanze in giro per la casa erano trappole: un'entrata, un'uscita. Se Remus l'avesse trovato, Sirius non sarebbe stato in grado di sfrecciargli accanto senza essere preso. Ma Sirius non voleva copiare Remus, anche se era una casa diversa. Forse allora... Sirius corrugò la fronte mentre si guardava intorno. Forse. Allora.

Ah! un'apertura catturò lo sguardo di Sirius, verso il retro della casa. Alcuni dei muri lì erano sbriciolati, ma c'era un grande spazio aperto, quasi come un giardino, forse. C'erano delle colonne tutto intorno, un po' come quelle nello spazio che Sirius aveva visto fuori che sembrava un giardino. Scalando uno dei muri, Sirius ci si posizionò dietro, dalla parte opposta dell'ingresso della casa. Di fronte a lui c'era un sacco di spazio per poter scappare da Remus: sia dal muro esterno sbriciolato della casa e sia dal fatto che il giardino stesso sembrava essere stato originalmente disegnato per collegare il retro della casa all'esterno.

Sirius si sistemò, accovacciandosi, per ascoltare Remus. I suoi pantaloni su misura non erano esattamente i miglior vestiti per piegarsi, ma andava bene. C'era una fresca brezza che filtrava attraverso le mura spaccate e cadenti del vecchio edificio, e il sole che scendeva dal soffitto aperto era luminoso e caldo. Il suono delle onde dell'oceano che si infrangevano sulla riva era tenue, ma ancora udibile nella tranquillità di quel mondo. Sirius non sentiva più Remus, ma non sapeva se era perché Remus avesse finito di contare, o solo perché era abbastanza lontano da Sirius da non poterlo più sentire.

Non era molto più tardi quando un nuovo suono giunse alle orecchie di Sirius, debole all'inizio ma decisamente lì. Era il muoversi di pietre e il sussurro molto, molto attenuato di piedi sul marmo. Girandosi ma rimanendo accucciato, Sirius sbirciò da una crepa nella parete dietro cui stava. Aveva una vista chiara dell'entrata della casa dalla sua posizione. Di fatto, un secondo dopo Remus entrò all'interno, guardandosi attorno attentamente. Sirius notò che ad un certo punto si era tolto le scarpe. Furbo. Questo Remus era molto, molto intelligente. Ovviamente.

Remus si stava avvicinando sempre di più. Stava osservando meticolosamente ogni stanza – entrava, si guardava intorno, poi usciva di nuovo – facendosi quindi strada verso dove Sirius era nascosto. Avrebbe dovuto iniziare a correre presto, o Remus sarebbe stato troppo vicino.

La volta seguente che Remus entrò in una stanza, Sirius si lanciò fuori dal suo nascondiglio e si precipitò nello spazio tra i muri premendosi contro l'esterno della casa. Aspettò un secondo, il cuore martellante nel petto, ascoltando. Non riusciva a sentire Remus, il che era probabilmente un bene: voleva dire che l'altro ragazzo non aveva ancora iniziato a correre verso di lui. Il più velocemente possibile e senza fare nessun rumore allo stesso tempo, Sirius corse intorno all'edificio, indietro verso la direzione della panchina. Gli anni passati a nascondersi da Walburga e Kreacher, o a rimanere in silenzio e fuori dai piedi durante tutte le “cene importanti” a cui i suoi genitori insistevano che attendesse, avevano reso Sirius molto bravo in questo.

Mentre raggiungeva la strada principale, Sirius si preparò a correre. Era praticamente una linea dritta da lì alla panchina, con solo qualche pila di rocce e detriti lungo la strada. Ma quelli erano facilmente evitabili. Doveva solo superare la casa dove si era nascosto, e poi avrebbe potuto-

“Preso.”

Sirius sbatté le palpebre, si fermò. Sbatté le palpebre. Voltandosi alla sua destra, guardò incredulo l'altro ragazzo, che era lì in piedi con un piccolo, orgoglioso sorriso sulle sue labbra. “Preso,” ripeté Remus.

Sirius sbatté i piedi a terra, scioccato. “Come hai fatto?!”

Remus scrollò le spalle, lasciando cadere la mano dal braccio di Sirius, dove l'aveva acchiappato, per giocherellare con le sue maniche troppo lunghe. “Non lo so. Ti ho sentito.”

Sirius lanciò un'occhiataccia ai piedi di Remus. “Avrei dovuto farlo anch'io,” osservò. “Togliermi le scarpe. È una cosa furba.”

Il sorriso di Remus si allargò di più sentendo il complimento. “Lo faccio sempre, quando acchiappo. Tu no?”

Sirius visualizzò una dozzina di occasioni in cui aveva provato a giocare a nascondino con Regulus, e a come Walburga o Kreacher erano sempre arrivati con crudeli unghie o ghigni cattivi a fermare il gioco non appena iniziavano. Scosse la testa. “Lo farò da adesso, però. Ti copio.”

Remus sembrò accettarlo come il complimento che Sirius aveva inteso, perché annuì e cominciò a tornare verso la tana con Sirius.

Mentre camminavano, Sirius sbirciò verso Remus da sotto la sua massa di setosi capelli neri. Sorrise a l'espressione seria ragazzo, poi lo colpì sul fianco con una spalla. L'altro ragazzo lo guardò sorpreso, ma poi sorrise quando sembrò capire che Sirius lo intendeva come un gesto affettuoso. “Ti acchiapperò, stavolta,” minacciò Sirius.

E poi Remus disse qualcosa di assolutamente geniale. “Ancora non ci sei riuscito.”

L'eco della risata di Sirius risuonò tra le vecchie, cadenti pareti e rimbalzò intorno ai ragazzi mentre ritornavano alla panchina.


 

**


 

L'acqua della piscina era fresca mentre scivolava gentilmente sui piedi doloranti di Sirius. I piedi di Remus erano visibili attraverso la leggera distorsione dell'acqua, proprio accanto ai suoi. Le loro spalle si urtarono, e le loro mani si sfioravano mentre si spostavano agitandosi lungo il bordo della piscina, i piedi che calciavano pigramente nell'acqua.

“Vinco sempre quando gioco con Regulus.”

Remus si girò verso Sirius senza togliere i piedi dall'acqua. I loro piedi si sfiorarono nel movimento, sotto il fresco liquido azzurro pallido. “Un tuo amico? Da-” si interruppe, e Sirius non gli offrì subito il nome del posto da dove veniva. Remus era simpatico, e divertente. Ma Sirius sapeva che non sarebbe mai stato accettato dove viveva, nella sua casa piena di vestiti appropriati e facce serie. I vestiti di Remus erano perfino di più bassa qualità di quelli di Kreacher.

“Il mio fratellino,” spiegò invece Sirius. “Lo trovo sempre, e lui non trova mai me.”

Remus scivolò più lontano da Sirius, che ne sentì acutamente e all'improvviso la mancanza. “Scusa.”

“No!” Sirius sbatté la spalla contro quella di Remus, illuminandosi quando vide un timido sorriso apparire sotto una frangetta di capelli biondi. “Va bene. È solo strano.”

Con cautela, come se fosse incerto su come procedere con il gesto, Remus diede un colpetto con la spalla a Sirius. “È perché ti stavi nascondendo da qualcuno più piccolo.”

Con una smorfia, Sirius ripensò a tutte le volte che era scappato per nascondersi da Walburga o Kreacher, e come qualche volta, una volta fortunata ogni tanto, ci era riuscito con successo. “Mi sono anche nascosto da Kreacher.”

“Kreacher?” Le lentiggini di Remus si arricciarono sul suo viso, stupito dal nome. “Chi è?”

“Il nostro domestico.”

“Oh.”

Di colpo Sirius ricordò che non tutti avevano dei domestici, giusto? Esitò, chiedendosi che cosa poteva dire per spiegarsi, per fare in modo che Remus non lo odiasse. Perché era ovvio dal modo in cui Remus si vestiva e parlava che non veniva da una famiglia come la sua. E Walburga diceva sempre delle cose, su come le persone povere volevano i loro soldi, ed erano tutti avidi e ingordi e gelosi di loro, ed era quello il motivo per cui a casa loro non c'era mai nessun altro in giro a parte le altre Famiglie benestanti, perché tutti gli altri volevano solo i loro soldi.

Ma quello non era Remus. A Sirius piaceva Remus; sapeva che Remus non lo voleva per i suoi soldi. Ma sarebbe potuto essere imbarazzato dal fatto che la famiglia di Sirius ne aveva un sacco, davvero un sacco.

“Perché ti nascondi da un domestico?”

Sirius sbatté le palpebre. Remus aveva parlato prima che potesse pensare a qualcosa da dire per allentare la tensione.

Quando Sirius lanciò un'occhiata alla sua destra, vide che Remus lo stava osservando, genuinamente curioso e confuso. “I domestici non dovrebbero, tipo, fare quello che gli dici?”

Sirius si imbronciò. “Kreacher fa quello che gli dice mia mamma.” E cioè di solito di punirmi. Ma Sirius non voleva parlare di quello. Non voleva parlare di nessuna di quelle stupide cose di casa con Remus. L'altro ragazzo era ovviamente qui per giocare con Sirius, per far dimenticare a Sirius la sua stupida casa e tutte le stupide, cattive persone al suo interno. Qui fuori, era sempre estate e mai inverno senza Natale. Questo posto era per far giocare lui e Remus, Sirius lo sapeva. Quindi avrebbero dovuto fare quello.

“Sai nuotare?”

Immediatamente Remus scivolò fuori dalla portata di Sirius sul freddo bordo piscina, scuotendo vigorosamente la testa mentre i suoi occhi si allargavano spaventati. “No! Non farlo!”

E con quello Sirius stava ridendo di nuovo, spingendo tutti i pensieri sulla tetra, spaventosa, vecchia Grimmauld Place in fondo alla mente. “No! Non volevo... guarda!” Sirius si alzò in piedi, con i piedi bagnati che gocciolavano sulla fredda pietra intorno alla piscina. “Volevo dire, vedi quella cosa? Sul fondo?”

Sirius indicò il fondo della piscina, dove nella pietra c'era un disegno tremolante. Era un qualche tipo di... Sirius non sapeva il nome per quel tipo di arte. Erano tanti piccoli piccoli pezzi di pietre di diversi colori attaccate vicine, o qualcosa del genere, formando una grande, enorme figura che prendeva tutto lo spazio al centro della parte più profonda della piscina. Sirius riusciva a vedere una sorta di motivo di quadrati e triangoli e stelle, arrotolato su se stesso che si ripeteva all'infinito in motivi sempre più grandi di forme e colori. Ma lui voleva andare laggiù, per tracciarlo, per sentire i piccoli frammenti di pietra sotto la punta delle dita, lisci per l'acqua che scorreva gentilmente sopra di loro, nascondendoli (ed era come una specie di tesoro sotterrato in piena vista, con bagliori forse d'oro e rubini e smeraldi che luccicavano da sotto l'acqua).

Remus si stava sporgendo più vicino, guardando lui stesso il disegno. “Mh-mh.”

“Lo toccherò. Prima o poi,” annunciò Sirius. “Dovremo imparare a nuotare. Perché neanch'io so farlo.”

Remus annuì. “Okay. Impareremo.”

Sirius si girò per guardare Remus, per sorridergli, e trovò che lui gli stava già sorridendo. Restarono così per un lungo momento, due ragazzi che si sorridevano a vicenda sotto il sole brillante accanto all'antica piscina. Poi un pensiero iniziò ad affacciarsi in fondo alla mente di Sirius, crescendo sempre di più finché non poté più ignorarlo. Si voltò da Remus, guardando dietro di lui. Lì c'era l'architrave sotto cui erano passati per trovare la piscina. Oltre quello c'era la strada, ed oltre quella la parete di Sirius, con la porta di Sirius. E oltre quella... casa.

Sirius rabbrividì, avvolgendosi le braccia intorno al corpo. “Devo andare.”

Remus lo accettò come faceva con tutto, e annuì. “Okay. Ti va di giocare domani?”

Sirius annuì immediatamente. Sì. Sì, certo che voleva. “Dopo pranzo?”

“Okay.”

Sirius dovette andarsene per primo, correndo alla panchina dove aveva lasciato le sue scarpe e i calzini. Remus stette lì con lui, salutandolo con la mano mentre Sirius apriva la pesante porta per tornare a casa. 



 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 


 

 

Capitolo 4


 

Sirius sentiva le lacrime polverose sulle sue guance, dove avevano iniziato ad asciugarsi. Tirò su con il naso, strofinandosi la faccia per la millesima volta mentre faceva del suo meglio per smettere di piangere. Era tutto okay. Lui era okay. Sirius si strinse le braccia intorno al corpo e si dondolò avanti e indietro sul freddo pavimento di legno, concentrando il suo sguardo annebbiato sulla grossa porta di fronte a lui il meglio che poteva attraverso le lacrime. Era okay. Il suo fondoschiena non faceva così male, davvero. Avrebbe smesso di piangere presto. E poi avrebbe potuto vedere Remus, e avrebbero giocato, e tutto sarebbe andato bene. Sarebbe stato okay. Non appena i suoi occhi avessero smesso di bruciare.

Erano solo pochi minuti più tardi quando Sirius decise che si era raccolto abbastanza per avventurarsi fuori la porta. Non poteva lasciare Remus ad aspettare, dopotutto: aveva promesso. Si sarebbero incontrati di nuovo oggi dopo pranzo, e Sirius era già in ritardo. Prima aveva avuto l'incidente con i piatti che lo aveva messo nei pasticci in primo luogo. Poi c'era stato lo scappare, e il nascondersi. E Walburga. E tutto questo tempo che aveva sprecato cercando di smettere di piangere. Non si sarebbe sorpreso se Remus se ne fosse già andato, stufo di aspettare.

Un altro singhiozzo scappò dalla gola di Sirius mentre alzava la mano e la stringeva sulla maniglia della porta. Sperava che non fosse vero. Sperava con tutto se stesso che Remus fosse ancora lì, dall'altra parte della porta. Con un grande, profondo respiro per spingere indietro le ultime lacrime, Sirius aprì la porta e si sbrigò ad entrare.

Nel momento in cui Sirius girò intorno al muro davanti la loro panchina, lanciò un grido di gioia. Remus era seduto a gambe incrociate, la testa piegata sopra un libro aperto sul suo grembo. O almeno lo era, finché non sentì il grido di Sirius. Allora la sua testa si alzò di scatto, e la sua espressione si addolcì in un sorriso il secondo che vide Sirius.

“Ciao!” chiamò Sirius, correndo attraverso la piccola area di pietre sparse per sedersi sulla panchina alla destra di Remus. Prima che Remus potesse dire più di un felice “Ciao,” in risposta, Sirius tese la mano ed afferrò il libro che Remus stava leggendo. Tenne il pollice tra le pagine, perché Sirius non era cattivo. Non voleva che Remus perdesse il segno, dopotutto. “Che stai leggendo?”

“Sono favole,” spiegò Remus. “Ora sono a 'Hansel e Gretel'.”

“Chi sono?” domandò Sirius. Non li aveva mai sentiti prima.

Apparentemente aveva appena detto qualcosa di inimmaginabile, perché Remus si riprese il libro e lo strinse forte al petto, i suoi occhi ambrati spalancati. “Non hai mai sentito 'Hansel e Gretel'?”

Sirius scosse la testa. Le favole non erano esattamente letture standard a casa sua. I suoi tutori gli facevano tradurre spesso l'Eneide o il Timeo. Non c'era tempo per le favole.

“Oh, loro sono...” Remus si spostò nervosamente, abbassando i suoi piedi a terra, poi di nuovo sulla panchina, come se fosse così eccitato da non sapere se alzarsi in piedi o sedersi. Con un suono di frustrazione, Remus finalmente aprì il libro e sfogliò qualche pagina indietro. “Potrei leggertela. Se vuoi. È corta.”

A Sirius si strozzò il fiato in gola. Improvvisamente sentì le lacrime premere di nuovo contro i suoi occhi, anche se non sapeva bene il perché. “Okay,” mormorò. “Leggi.”

Si sistemarono sulla panchina di pietra, finché Sirius non fu appoggiato contro il fianco di Remus per sbirciare giù verso libro sul suo grembo. Remus cominciò a leggere, la sua voce chiara e sicura. “Vicino a una grande foresta viveva un povero taglialegna che era giunto a tempi così brutti da riuscire a malapena a provvedere al pane giornaliero per sua moglie e i suoi due bambini, Hansel e Gretel. Alla fine non fu più in grado di fare neanche quello, e non sapeva a chi rivolgersi per chiedere aiuto...”


 

**


 

Il sole era basso all'orizzonte quando Remus finì. Sirius si stiracchiò, stendendo al massimo tutti i suoi muscoli, prima di rilassarsi di nuovo sul fianco di Remus. Tracciò una delle pagine consumate con un attento dito. “E poi che succede?”

Remus scrollò le spalle, chiudendo il libro. “Non lo so. Non lo dice.”

Dopo che Remus ebbe chiuso il libro, Sirius lasciò scivolare la testa sul grembo di Remus, così da poter guardare su verso il suo profilo illuminato dalla luce del tardo pomeriggio mentre parlava. Sirius considerò questa informazione, poi annuì. Anche se ci fosse stato di più, non sarebbe stato in grado di sentirlo quel giorno. Si stava facendo tardi, e Walburga lo avrebbe cercato per andare a cena, fare un bagno, e andare a letto. Forse, se Sirius fosse stato abbastanza veloce, sarebbe stato in grado di vedere Regulus da solo per qualche minuto quella sera. Avrebbe adorato la storia di Hansel e Gretel. Dopotutto, girava tutto intorno a un fratello e una sorella che scappavano dalla loro malvagia, malvagia madre. Regulus non era una femmina, ma andava bene lo stesso: era abbastanza vicino.

“Devo tornare.”

Remus annuì, ma non fece nessuna mossa per far spostare Sirius. Alla fine Sirius sospirò e si tirò su, riabbottonando i polsini che aveva disfatto ascoltando Remus che leggeva. Strascicò i piedi a terra mentre si alzava, spostando il peso del corpo da un piede all'altro ed esitando di fronte a Remus. “Ci vediamo ancora?” borbottò.

“Sì.” La risposta di Remus fu immediata, il che fece fare al cuore di Sirius un salto di gioia. “Assolutamente.”

Con quella promessa, Sirius tornò di corsa verso casa. Ripeté la storia di Hansel e Gretel ancora e ancora nella sua testa mentre andava. L'avrebbe raccontata a Regulus meglio che poteva, il più possibile simile a come aveva fatto Remus. Non sarebbe stato perfetta, o lontanamente bella come quella di Remus. Lui leggeva le storie come... come... il petto di Sirius si strinse mentre spalancava la porta della sua casa. Remus aveva letto la storia nel modo in cui Sirius immaginava le madri degli altri bambini leggevano loro le storie prima di andare a dormire. Non lo sapeva per certo, ma sentiva che era così.

Con cautela Sirius si fece strada fuori dalla stanza vuota dove si trovava la sua porta segreta, facendo attenzione a non sporcarsi più di quanto non potesse evitare, o strappare i suoi vestiti nello stretto angolo in cui si strizzò per passare. Gli orologi del nonno in giro per la casa aveva appena iniziato a battere i colpi quando la testa di Sirius sbucò fuori la porta della stanza, controllando che i corridoi fossero liberi da Kreacher o Walburga. Le sette in punto. C'era tempo per lavarsi prima di cena, allora. Avrebbe dovuto raccontare la storia a Regulus più tardi. Andava bene. C'era abbastanza tempo dopo cena per quello.


 

**


 

“Sirius?”

Soffocando i singhiozzi, Sirius si asciugò velocemente il viso e cercò di rendere la sua espressione presentabile. Se Walburga o Kreacher lo avessero sorpreso a piangere, avrebbero solo finito per fargli più male. “Ti do io qualcosa per cui piangere”. E lui non aveva proprio bisogno di altre punizioni. Non stanotte.

“Sirius, posso entrare?”

Sirius annuì in silenzio. Era solo Regulus, che sbirciava da uno spiraglio nella porta di Sirius. Regulus entrò altrettanto in silenzio, spostandosi dagli occhi i lungi capelli neri uguali a quelli di Sirius. Rimase sulla porta, mordendosi le unghie prima di strappare via il dito dalla bocca con una smorfia. Sirius conosceva quell'espressione. Walburga metteva qualcosa sulle loro unghie, qualcosa di piccante, così da non fargli mordere le unghie o succhiare il pollice. Regulus stava facendo più fatica di Sirius a smettere il tick nervoso, e doveva ancora essere sottoposto allo spray ogni mattina, mezzogiorno, e sera.

Prendendo una decisione, Regulus chiuse la porta con un lieve click prima di affrettarsi a piedi nudi vicino al letto di Sirius e salirci sopra. Automaticamente Sirius aprì le braccia per il suo fratellino, stringendolo al petto anche mentre cercava di smettere di singhiozzare e fermare le lacrime che scendevano dai suoi occhi. Premette una guancia contro i capelli di Regulus, accarezzandogli la schiena con una mano. Era come se tutto il conforto che Sirius dava a Regulus rimbalzasse indietro per tornare a lui. Aveva scoperto anni prima che questo era il modo migliore di calmarsi dopo le serate come questa, quando non c'era nessuno a confortarlo eccetto per il suo fratellino dagli occhi spalancati, che non riusciva neanche a farlo come si deve.

Mentre Sirius si calmava, facendo scivolare la mano su e giù sulla schiena di Regulus, si ricordò di non avere ancora condiviso con lui la storia di Hansel e Gretel. In effetti... il cuore di Sirius accelerò. Forse avrebbe dovuto raccontare a suo fratello della Porta, e del Mondo. Regulus sarebbe potuto scappare lì con Sirius. Per qualche ragione a Sirius non piaceva molto quell'idea – il Mondo sembrava essere solo suo e di Remus, un posto speciale per loro due, di cui nessun altro doveva sapere. Ma Sirius aveva fatto cose più spiacevoli di condividere un segreto speciale per tenere al sicuro il suo fratellino, quindi ce l'avrebbe fatta.

Regulus parlò quando Sirius era ancora perso nei pensieri di Remus e il sole e il loro perfetto mondo autosufficiente. “Non avresti dovuto farlo.”

Scioccato, Sirius spinse via Regulus dal suo petto e strinse forte le sue spalle. Il bambino lo stava guardando con grandi occhi spaventati. Erano proprio uguali a quelli di Sirius – nel colore e nella forma, almeno. Ma Sirius aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di diverso tra loro due, qualcosa di profondo e impossibile da cambiare. Quando Sirius guardava i suoi occhi allo specchio, vedeva qualcosa che si agitava senza sosta, qualcosa che aspettava di uscire fuori e correre, correre, correre. Quel qualcosa era sempre assente negli occhi di Regulus quando Sirius li guardava, e al suo posto c'era una specie di apatia, di timidezza. Sirius non l'aveva mai notato più di adesso, anche se non aveva un nome per definirlo. “Che cosa?”

Una delle mani di Regulus si era fatta strada fino alla sua bocca prima che lui la strattonò indietro. “Rispondere a Mamma. Non avresti dovuto farlo.”

L'indignazione di Sirius era tale che i suoi singhiozzi si fermarono e le sue lacrime si asciugarono quasi all'istante. “Mi ha chiamato stupido! Di fronte a Bellatrix e Lucius e tutti quanti!”

Regulus alzò le spalle, guardando il lenzuolo di Sirius. “Avevi bevuto dal bicchiere sbagliato.”

“Oh, ma chi se ne frega! A chi importa ?!” Sirius sapeva quali erano i bicchieri giusti. Aveva fatto corsi di etichetta fin da quando ricordava. Voleva solo un sorso d'acqua liscia invece che frizzante, e non gli andava di chiedere a Kreacher di portargli un nuovo bicchiere. Era solo un sorso. “E Ma- Walburga non dovrebbe chiamarmi stupido! Non è giusto!”

Regulus scrollò di nuovo le spalle, i suoi grandi occhi grigi nervosi e tristi. “Ma. Sirius. Mamma-”

Dolore e senso di colpa e una completa, assoluta sensazione di solitudine soffocarono Sirius mentre guardava il suo fratellino che lo tradiva. Regulus stava dicendo che se l'era meritato! Che Walburga aveva fatto bene a picchiarlo finché non era tornato zoppicante in camera sua a piangere e piangere. “Va via!” disse Sirius con una spinta alle spalle di Regulus, anche se non forte abbastanza da fargli male.

“Ma, Sirius. Se ci provassi di più, forse Mamma-”

“Fuori, fuori, fuori!” scattò Sirius, facendo volare le sue mani verso Regulus, colpendolo e graffiandolo. Regulus gridò e cadde dal letto, prima di tirarsi su e precipitarsi fuori la porta. Sirius si allungò e lanciò un cuscino alla schiena di Regulus mentre usciva, poi si lascio cadere e sotterrò la faccia nei cuscini rimanenti.

Non era giusto. Non era giusto. Walburga era cattiva, e aveva torto, e Regulus si era messo dalla sua parte! Dicendo che Sirius avrebbe dovuto provarci di più, come se non ci provasse abbastanza. Lui ci provava! Solo che rovinava sempre tutto. Rompeva un piatto, o beveva dal bicchiere sbagliato, o rispondeva, perché la sua bocca si muoveva più veloce del suo cervello la maggior parte del tempo.

Non importava. Non importava il perché Sirius rovinava sempre le cose, o deludeva sempre Walburga. Quello che importava era che Regulus non era stato dalla sua parte, non gli era importato. Dopotutto, Sirius prendeva sempre le difese di Regulus, lo proteggeva sempre. Si era preso più di una punizione per il suo fratellino prima, anche se c'erano state altre volte in cui aveva cercato di dare la colpa a Regulus per il vaso rotto o l'orologio da taschino perso o il ginocchio dei pantaloni strappato. Ma Regulus che diceva a Sirius di comportarsi bene, quando non c'erano né Walburga né Kreacher lì per dover fingere di essere un bravo figlio... Sirius colpì il materasso con i pugni serrati, dimenandosi e sfogandosi finché lo sfinimento lo raggiunse, e si addormentò sul posto.


 

**


 

Sirius aspettò Remus per più di un'ora il giorno seguente. Era solo perché era in anticipo, Sirius lo sapeva. Il secondo che aveva potuto scappare “educatamente” dal tavolo da pranzo lo aveva fatto, correndo dritto verso la porta, lanciandosi a malapena un'occhiata alle spalle per controllare Regulus e stare attento a Kreacher.

La pietra della panchina era fredda attraverso la leggera camicia di Sirius. Aveva già abbandonato le sue scarpe, i calzini, e il gilè appena fuori la sua porta il momento in cui era arrivato. Non voleva finire nei guai con Walburga per aver rovinato i suoi vestiti costosi, dopotutto. In più era sempre più facile giocare con Remus con meno vestiti addosso, come faceva lui. Forse Sirius si sarebbe fatto dare dei vestiti poveri da Remus un giorno, così si sarebbe potuto mettere quelli invece di doversi sempre preoccupare per i suoi stupidi completi con le loro cuciture e tagli e tutta quella roba di cui Walburga parlava sempre.

“Sirius?”

Sirius scattò in una posizione seduta il più velocemente possibile, un sorriso che si allargava incontrollabilmente sul suo viso alla vista di Remus, che camminava sulle pietre di marmo che marcavano quella piccola area intatta dietro il muro pericolante. “Remus! Ho un gioco da fare!” Saltando su dalla panchina, Sirius corse da Remus e afferrò il suo polso ossuto nella mano. “Con Hansel e Gretel,” continuò. “Ho pensato che potevamo far finta di essere loro. Mentre cacciano la strega. Perché scommetto che hanno avuto un sacco di avventure combattendo contro le creature magiche malvagie nella foresta intorno la loro casa, e abbiamo tutto questo spazio, e potremmo essere loro e combattere contro i mostri, dopo la strega.”

L'espressione di Remus era un po' sopraffatta, ma per lo più attenta alle parole di Sirius. Quando lui si fermò per prendere fiato, Remus arricciò il naso e lo interruppe. “Ma Gretel è una femmina. Noi siamo tutti e due maschi.”

Sirius scartò l'obiezione con un gesto della mano. Quando si era svegliato quella mattina, aveva dovuto rivedere i suoi piani per farci entrare Remus invece di Regulus. Se fossero stati lui e suo fratello a giocare, avrebbe semplicemente fatto fare la ragazza a Regulus – dopo tutto era lui il fratello minore; doveva fare tutto quello che gli diceva Sirius. Ma visto che Remus aveva la sua stessa età, non avrebbe potuto farlo. Fortunatamente, Sirius aveva escogitato un'ingegnosa soluzione durante una colazione di porridge freddo e toast bruciati (Sirius sospettava che Kreacher rovinasse i suoi pasti solo perché lo odiava).

“Facciamo a cambio! Guarda.” Sirius corse verso i suoi vestiti, che erano piegati con cura accanto alla sua porta. Remus lo seguì, guardando curioso mentre Sirius si metteva al lavoro. Prima si sfilò la cintura, e la usò per legarsi il gilè intorno ai fianchi. Poi, Sirius prese i suoi calzini e li usò per legare i suoi lunghi capelli neri, facendoli assomigliare a dei codini. Si voltò verso Remus con un gesto plateale, facendo in modo che il gilè svolazzasse intorno alle sue gambe come una gonna. Una volta che Remus ebbe digerito l'effetto iniziale, iniziò a ridere: dei piccoli, bassi suoni che cercò di nascondere dietro la mano, ma comunque una risata.

Sirius si piegò verso di lui, mettendosi in posa e facendo giravolte. “Visto? Io farò Gretel per primo, poi facciamo a cambio. Non è geniale?”

Remus annuì, molto seriamente (ma non per davvero, perché Sirius vedeva che i suoi occhi stavano sorridendo). “Sei molto carina, Gretel.”

Sirius traballò mentre cercava di fare un inchino, nel modo in cui aveva visto fare le sue cugine. “Anche tu, Hansel. Quali mostri malvagi combatteremo oggi?”

Remus aggrottò le sopracciglia, riflettendo. Poi i suoi occhi si illuminarono. “Hai mai sentito parlare dei lupi mannari?”

Sirius scosse la testa, e i finti codini gli colpirono piano le guance. “No. È come un lupo?”

Remus annuì, i suoi occhi spalancati e seri. “Solo che di solito è un umano. Ma una notte al mese, quando c'è la luna piena, si trasforma in lupo mostro assetato di sangue!”

Aggrappandosi al braccio di Remus, Sirius lo tirò più vicino. Con una voce acuta, come una ragazza, chiese: “Non è stasera la luna piena, Hansel?”

Prendendosi il tempo di guardare il cielo, e poi giù a un orologio che non aveva davvero, Remus annuì. “Lo sarà. Tra solo un'ora.”

“Allora abbiamo il tempo di prendere delle armi!”

Con quello, i due ragazzi si separarono e cominciarono ad esaminare le rovine in cerca di armi. Sirius doveva fermarsi quasi ad ogni passo per stringere la sua gonna improvvisata e tirarla su di nuovo. Avrebbe decisamente fatto a cambio per fare la ragazza con Remus il prima possibile. Era troppo difficile camminare con la gonna.

Sirius si recò per prima cosa alla piscina che avevano trovato in uno degli edifici, perché si ricordava di alcuni tubi di metallo lì a terra da qualche parte. Camminando vicino all'acqua, colse un barlume del suo riflesso. Sirius si fermò, allungando il collo per guardare. I suoi codini fatti con i calzini sembravano quasi veri, anche distorti com'erano dall'acqua che scorreva gentilmente. Sirius arricciò il naso e rise, il suono che diventava un eco tra gli alti muri che lo circondavano. Era carino, con i codini. Era divertente.

I tubi erano dove Sirius ricordava fossero qualche giorno fa. Provandoli tutti, ne scelse uno che era lungo fino alla sua spalla, ma non troppo spesso. Alcuni erano così grossi e pesanti che non era neanche riuscito a sollevarli. E non sarebbero stati molto utili nello sconfiggere quel lupo-mostro che Remus aveva deciso che avrebbero combattuto. Sperimentando, Sirius sollevò il tubo, ruotandolo in aria qualche volta e colpendo il vuoto. Il metallo era di un grigio opaco, ma non tutto arrugginito come alcuni dei vecchi tubi che aveva scoperto nelle parti più remote della sua casa di famiglia, anche se era quasi sicuramente più antico di qualsiasi altra cosa i Black avessero mai posseduto.

“Sirius?”

La testa di Remus apparve da uno degli architravi all'entrata della casa della piscina. Aveva in mano un rametto e... delle rocce? Sirius gli lanciò un'occhiata, curioso. “Che cos'è?” Indicò il bastoncino con il suo tubo di metallo. Perché si sentiva un vero duro, facendolo.

Remus lo alzò per farlo ispezionare a Sirius, tirando piano l'elastico che aveva arrotolato intorno a un estremo. “Una fionda,” spiegò Remus. “Come Davide contro Golia. Devi solo...” Con la lingua in mezzo ai denti, Remus infilò tutte le piccole pietre a parte una nelle tasche dei suoi pantaloni. Poi posizionò quella pietra sull'elastico, e lo tirò indietro con una mano, mentre l'altra teneva fermo il bastoncino. Sirius fece un passo indietro mentre Remus mirava ad un punto dall'altra parte della piscina. Lasciò andare l'elastico con uno schiocco, seguito un momento dopo dal rumore della pietra che rimbalzava sulla parete lontana.

Fantastico,” sussurrò Sirius. “Fammi provare!”

Remus obbedì e gli passò la sua fionda, pescando una singola pietra dalla tasca e porgendogliela. Senza esitazioni Sirius lasciò cadere il suo tubo a terra, prendendo la fionda e la pietra. Mirò con attenzione alla parete in fondo alla stanza, come aveva fatto Remus. Purtroppo, quando lasciò andare la roccia le sue dita si aggrovigliarono intorno all'elastico o qualcosa del genere, perché la pietra cadde a terra solo a una trentina di centimetri di fronte a lui. Sirius la guardò imbronciato.

A suo onore, Remus non rise. Si abbassò semplicemente e raccolse la pietra, per poi passarla a Sirius. “Vuoi riprovare?” piegò leggermente la testa di lato, come se volesse chiedere qualcos'altro, ma non fosse sicuro.

Sirius afferrò la pietra e annuì con determinazione. “Sì. Spostati.”

Ma di nuovo, successe la stessa cosa. La piccola roccia rimbalzò sulle mattonelle ai piedi di Sirius, come se lo stesse prendendo in giro. Remus non disse nulla, e si mosse solo per ridare la pietra a Sirius. Lui ringhiò piano dal fondo dal gola, ignorando l'amaro sapore di delusione che lo soffocava. Doveva solo mettere la piccola roccia sull'elastico, e tirarlo indietro mentre teneva fermo il bastoncino. Poi tutto ciò che doveva fare era solo... lasciare... andare...

La pietra cadde sul pavimento di fronte a lui. Senza dire una parola, Remus la raccolse e la riportò a Sirius. Altrettanto in silenzio, Sirius provò di nuovo, ignorando le lacrime che stavano iniziando a premere contro i suoi occhi. Poteva farcela. Poteva.

Quattro, cinque, sei tiri dopo, e la pietra cadeva ancora ai piedi di Sirius. Al quindicesimo tiro, la pietra si spezzò. Prima che Sirius potesse lanciare la fionda a terra e correre via, Remus era lì con una pietra nuova stretta tra le sue dita. Così Sirius la mise nella fionda e provò di nuovo. E di nuovo. E di nuovo.

A un certo punto intorno al tiro numero quarantotto, con la visione accecata dalle lacrime e le dita tremanti di stanchezza e vergogna, successe qualcosa. Le dita di Sirius scivolarono, o si mossero in modo di diverso, o fecero qualcosa. La pietra volò attraverso la stanza, colpendo la parete in fondo. Sirius lasciò cadere la fionda scioccato.

“Ce l'hai fatta!” la voce di Remus era proprio nell'orecchio di Sirius. Si era avvicinato a lui mentre stava ancora fissando la pietra a bocca aperta. Si girò per vedere Remus sorridergli calorosamente. “Vuoi venire a combattere il lupo mannaro, adesso?”

Sirius si sentì... non sapeva come si sentiva. Felice. Anche con le lacrime agli occhi e le dita tremanti e doloranti, era così felice.Remus lo aveva lasciato continuare, anche quando avrebbe semplicemente potuto intervenire e fare vedere a Sirius come si faceva. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per lui prima. Nessuno aveva mai avuto la pazienza di aspettare e guardare mentre Sirius provava a fare qualcosa e falliva, finché non ci riusciva da solo. C'era sempre Walburga che gli portava via qualsiasi cosa stesse facendo per farla lei al posto di Sirius, nel modo giusto, gli diceva in tono di scherno. Anche Orion, che non parlava mai davvero con Sirius in un modo o nell'altro, semplicemente faceva le cose per lui invece di lasciargliele capire da solo. Ma Remus non l'aveva fatto. Remus aveva lasciato che Sirius ce la facesse da solo.

“Sì,” disse Sirius. Poi si riscosse e raccolse il suo tubo, sollevandolo come un vero guerriero. Sorrise, con il petto tirato in fuori e sentendosi grande e coraggioso... a dispetto della gonna e i codini.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 


 


 

Capitolo 5


 

“Tipo?”

Remus chiuse il libro, strizzando gli occhi contro il sole mentre sembrava rimuginare sulla semplice domanda di Sirius. “Tipo... il mare è ad est.”

Sirius sbatté le palpebre, poi guardò il muro alla sua destra. Sapeva che oltre quello si trovava il mare – stava cominciando a conoscere il loro piccolo mondo bene tanto quanto la sua stessa casa. “Come lo sai?”

“Perché lì è dove sorge il sole,” spiegò semplicemente Remus. “Il sole sorge ad est, e tramonta ad ovest. Quindi la foresta è ad ovest. E, visto che è Nord, Sud, Est, e Ovest, e quello è l'est e quello l'ovest, allora il mio muro è a nord, il tuo a sud.”

Sirius guardò mentre Remus disegnava una piccola bussola su uno spiazzo di terriccio che spuntava tra le lastre di marmo ai loro piedi. Aveva senso, si accorse Sirius. “Sai tutto questo solo perché hai visto da dove sorge il sole,” si stupì. “È geniale.

Remus alzò le spalle. “Questo è facile. C'è roba più difficile.”

“Tipo cosa?”

Le spalle di Remus sfiorarono quelle di Sirius quando si appoggiò indietro, perso nei suoi pensieri. “Tipo, ci sono cose che puoi capire grazie alle correnti marine, o come navigare il mondo usando le stelle e il vento.”

“Fammi vedere.”

Senza pensarci due volte, Sirius era in piedi e stava tirando Remus, cercando di farlo correre con lui fino alla spiaggia. Remus si lasciò trascinare, dopo aver chiuso il suo libro facendo attenzione a segnare la pagina. Quando raggiunsero la riva, Sirius si fermò prima del bagnasciuga, indicando lo sconfinato orizzonte. “Che cosa vedi?”

Si girò per guardare Remus, che stava strizzando gli occhi all'orizzonte. Il modo in cui guardava, come... come se ci fosse di piùdietro i suoi occhi che dietro quelli di Sirius. Come se quando guardava il mondo, c'erano etichette e annotazioni e numeri, sparsi per la sua visione, che gli dicevano cose che Sirius non conosceva. Era come se quando Remus guardava le cose, il mondo tirava convenientemente fuori un catalogo per lui, e Remus doveva solo sfogliarlo. Forse era per quello che era più silenzioso di Sirius, e ci metteva di più a rispondere alle domande: perché stava sfogliando quel catalogo che il mondo gli aveva dato.

“C'è la bassa marea,” disse alla fine.

“Come fai a saperlo? Che vuol dire?”

Remus indicò la linea del bagnasciuga. “Vedi come la sabbia bagnata arriva fino qui? Ma le onde arrivano solo fino a laggiù? Vuol dire che c'è la bassa marea. Verrebbero su fino in cima se ci fosse l'alta marea. E vuol dire che non si dovrebbe salpare adesso. Bisogna prendere l'alta marea mentre si ritira.”

“Dovremmo imparare a nuotare,” rifletté Sirius, guardando l'orizzonte. La brezza di mare frustava i suoi capelli, e il ragazzo spostò distrattamente le ciocche nere dal viso, mentre cercava di vedere il più lontano possibile, sforzandosi di catturare con lo sguardo un segno qualsiasi di terra dall'altro lato. Non ce n'era nessuno visibile. Quello servì solo a incoraggiare Sirius. “O costruire una barca. E navigare là fuori finché non arriviamo dall'altra parte.”

“Potremmo trovare il posto dove il cielo incontra il mare. O scoprire Nuovi Mondi.”

“Che cosa pensi ci sarebbe in Nuovi Mondi?”

Gli angoli della bocca di Remus si inclinarono all'insù mentre i suoi occhi esaminavano l'orizzonte. “Persone con un piede solo. Non hanno teste, solo torsi con occhi e bocche. E hanno una gamba sola, quindi devono saltare per andare da qualsiasi parte.”

Gli occhi di Sirius si spalancarono. “Che cosa? Chi te l'ha detto?”

Remus scrollò le spalle. “L'ho letto da qualche parte. Libri d'avventura, credo.”

Sirius strinse gli occhi mentre esaminava il lungomare, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare con quell'informazione. Grosse persone con una gamba sola, senza testa... ci sarebbe potuta essere un'invasione. O si sarebbero potuti ritrovare spiaggiati sull'isola di queste persone, due avventurieri alla deriva... Lo sguardo di Sirius si interruppe quando raggiunse il lato dov'era la sua parete. Non aveva passato molto tempo a guardare il posto dove il suo muro incontrava il mare, ma ora che lo faceva, si accorse che era altrettanto impossibile da superare quanto il resto del muro, o lo stesso sconfinato mare. Sirius si accigliò. “Hey, guarda.”

Camminarono fino al punto di giunzione, le onde che solleticavano i loro piedi ogni volta che si avvicinavano troppo al bagnasciuga. Sirius fu il primo ad esaminare la barriera naturale e artificiale. C'era un muro, troppo alto per sperare di superarlo. Poi c'era il mare, grande e vasto e possibilmente infinito. Ma dove si incontravano, Sirius aveva pensato che sarebbe stato in grado di... girargli attorno. Dopotutto, il muro doveva finire da qualche parte, non continuava all'infinito nel mare.

Ma proprio dove il muro finiva e toccava il mare, delle grandi, enormi pile di macigni frastagliati e dall'aspetto spaventoso si estendevano dal muro fino a molto, molto lontano nel mare. Con cautela Sirius arrivò fino alla fine del muro, i pantaloni arrotolati così da non farli bagnare con l'acqua di mare. Con una mano sul muro, Sirius provò a toccare uno dei macigni. Era così viscido d'acqua che la sua mano scivolò via non appena lo toccò, e Sirius quasi perse l'equilibrio cadendo a faccia in giù nel mare. Una mano si aggrappò al retro della sua camicia e lo prese appena in tempo. Sirius si guardò indietro, lanciando un sorriso riconoscente alle sue spalle.

“Pensi che potremmo girarci intorno?” ponderò Sirius tirandosi indietro per osservare i macigni.

Remus scosse la testa. “No. E non credo che dovremmo.”

Sirius sbuffò. “E allora? Non importa se dovremmo o no. È anche meglio, la maggior parte delle volte, no?” Anche mentre diceva quelle parole, Sirius sapeva che erano sbagliate. Non che volesse essere un bravo bambino e seguire le regole – lo faceva abbastanza a casa con Walburga. Questo posto serviva a infrangere tutte quelle stupide regole, a lasciarsele dietro nel momento in cui passava attraverso quella porta. Ma allo stesso tempo, era come se questo posto avesse le sue, di regole – regole che anche Sirius era riluttante a infrangere.

“Dai,” Sirius annuì, senza aspettare che Remus rispondesse alle sue parole. “Andiamo a dare un'occhiata alla foresta. Scommetto che puoi raccontarmi un sacco di fantastica roba avventurosa sulle foreste.”


 

**


 

Sirius si scrollò la sabbia di dosso, sbattendo gli occhi appannati per osservare la riva di fronte a lui. Dov'era? Come era arrivato qui? Oh no! La nave! La tempesta! Gli tornò tutto alla mente di colpo.

“Primo ufficiale Remus! Remus! Stai bene?”

Mettendosi seduto, Sirius cercò per la spiaggia con lo sguardo. Ah! Ecco Remus, stava appena riprendendo i sensi vicino a lui. Mettendosi in ginocchio a fatica, Sirius afferrò le spalle di Remus e lo scrollò. Oh. Un po' troppo energicamente, visto che finì per piantare la sua testa nella sabbia. “Oops. Scusa. Tutto a posto?”

Con una smorfia, Remus allungò una mano toccandosi la nuca. “Sì. Sto bene. Continua.”

Con quella rassicurazione, Sirius si lanciò di nuovo nel personaggio. “Remus! Svegliati! Siamo sopravvissuti alla tempesta, ma la nostra nave è andata!”

“Oh no,” mormorò Remus, facendo finta di essere intontito. “Che cosa facciamo, Capitano?”

Con uno sguardo coraggioso, duro come l'acciaio, Sirius esaminò la terra di fronte a loro. “Dobbiamo trovare un rifugio. E scoprire se qui ci sono animali o persone. Sai dove siamo?”

Remus si alzò lentamente in piedi, aiutato da Sirius. Dalla tasca tirò fuori un piccolo orologio da taschino che fungeva da bussola, tenendolo nel suo palmo aperto. Lo studiò molto attentamente, portando la mano avanti e indietro mentre Sirius guardava. “Sembra che la tempesta ci abbia portato in un posto che non è sulle mappe!” esclamò Remus.

“Che cos'è quello?!”

Aggrappandosi forte alla spalla di Remus, Sirius indicò le rovine. Stavano arrivando da lì delle grosse, imponenti persone. No: nonpersone. Erano... mostri! Avevano l'aspetto di enormi gambe, tagliate all'altezza della coscia. La loro intera faccia era compressa nella liscia, morbida parte interna della coscia, ed avevano tutti un'espressione di rabbia e determinazione. Invece di camminare saltavano, e i loro piedi giganti rimbombavano sul terreno ad ogni passo. Con coraggio, Sirius spostò Remus dietro di lui e tirò fuori la sua spada (che decisamente non era il tubo con cui aveva sconfitto il lupo mannaro qualche giorno prima), brandendola verso i mostri. “Indietro!” gridò. “O vi infilzerò tutti! Nella gamba!”

Alle sue spalle, Remus venne in avanti, spostando Sirius di lato. “Veniamo in pace!” Tirò in avanti le mani, prive di armi. Ma Sirius sapeva che il suo primo ufficiale aveva ovviamente la sua fidata pistola infilata nel dietro dei pantaloni, giusto in caso. Ed era pronto a tirarla fuori in un secondo. “C'è stata una tempesta, e la nostra nave si è distrutta! Ci serve solo del cibo.”

“Estranei! Intrusi!”

La tribù ad una gamba saltò minacciosamente verso di loro, stringendo i denti e sembrando pronti a dare a battaglia. Sirius brandì di nuovo la spada verso di loro, e i mostri esitarono. “Lo farò! Vi infilzerò tutti finché non sarete morti!”

Il capo dei mostri ad una gamba ringhiò, poi gridò così forte che la sua voce echeggiò tra le rovine dietro di lui: “A morte!”

Con un grido degno del capo delle gambe mostro, Sirius corse in avanti e iniziò a colpire i mostri. Dietro di lui, il Primo Ufficiale Remus tirò fuori la sua pistola e iniziò a sparare, e ogni colpo atterrava in mezzo agli occhi dei mostri senza braccia e testa. Sirius rise, brandendo la spada avanti e indietro e abbattendo le mostruose gambe con la facilità con cui apriva le tende delle sua camera da letto la mattina.

Ma poi, oh no! Sirius si stava girando per gridare qualcosa di intelligente a Remus, quando vide uno dei mostri che si avvicinava furtivo dietro di lui. Il cuore di Sirius accelerò, e il fiato gli si bloccò in gola. Con ogni grammo di forza che riuscì a raccogliere, Sirius brandì vigorosamente la sua spada, creando un passaggio attraverso i mostri fino al suo fedele primo ufficiale. Trovando di nuovo il fiato nei polmoni, Sirius riuscì a gridare un avvertimento. “Remus! Giù!”

Remus si accovacciò immediatamente a terra, girando su se stesso allo stesso tempo. E, oh, quello era stato fantastico. Remus era il migliore a giocare. Quasi contemporaneamente, Sirius alzò la sua spada per un potente colpo e Remus mirò con attenzione alla gamba mostro che lo stava attaccando. Colpirono come una sola persona, Sirius con la sua spada e Remus con la pistola. Il mostro cadde a terra in un attimo.

Sirius e Remus si scambiarono uno sguardo vittorioso, pieno di adrenalina, prima di ricordarsi della battaglia che si stava svolgendo intorno a loro. Ma le gambe mostro si stavano ritirando, saltando indietro verso le rovine con la metaforica coda in mezzo alle metaforiche gambe. Il capo era l'unica gamba rimasta sulla spiaggia, e stava fissando con un'espressione solenne tutti i corpi che Capitano Sirius e Primo Ufficiale Remus avevano lasciato sparsi nella loro scia.

“Noi Gambariani ci arrendiamo a voi, oh superiori Sirius e Remus dalle due gambe!”

Il capo si inchinò – oh, aspetta, no, le ginocchia non si piegano in quel verso. Il capo si inclinò indietro... in una specie di inchino? E poi Sirius scoppiò in una attacco di risatine, chiamando il time-out. “Come si inchina?” chiese a Remus. “Tipo...” e poi Sirius provò a piegare all'indietro il busto, imitando l'immagine nella sua testa. Finì solo per perdere l'equilibrio e cadere giù nella sabbia, ridendo di più.

Remus si unì a lui, il suo sorriso solo leggermente più smorzato. Sirius sapeva che non era perché Remus fosse meno felice – era solo che sorrideva meno di Sirius, per qualche ragione. Anche se non si conoscevano da molto, Sirius l'aveva già notato.

Canticchiando felicemente a bocca chiusa, Sirius gettò il suo palo di metallo sulla sabbia accanto a lui, poi lanciò le mani dietro la testa e si mise a guardare il cielo che si stava scurendo. “Sai cosa dovremmo fare dopo,” pensò ad alta voce. “Dovremmo fare una mappa. Come una mappa dei pirati. O come se fossimo degli esploratori che vanno in giro per il mondo e lo disegnano.”

Remus girò la testa nella sabbia per guardare Sirius, strizzando gli occhi nella luce rossa del tramonto. “Io potrei portare delle matite. E la carta. Tu...” Remus si interruppe all'improvviso, e i suoi occhi quasi... si spensero. Come se fossero chiusi, ma le palpebre erano ancora aperte.

“Remus? Remus?” Sirius rotolò su un fianco, osservando il suo amico. Allungò con esitazione la mano per toccare la sua spalla. “Remus? Che succede? C'è qualcosa che non va?”

“Hai detto che non potevi venire domani.”

Il cuore di Sirius si strinse al pensiero, e un filamento di paura riapparve in fondo al suo stomaco. “Giusto,” borbottò Sirius. “Giusto. Ho... una cosa.”

Quello che aveva era la festa d'anniversario dei suoi genitori. Normalmente avrebbero lasciato Sirius in pace per un evento così da adulti, ma Walburga aveva detto che stava diventando abbastanza grande da poter attendere ed essere un giusto, perfetto esempio di quello che lei e Orion avevano creato: il prossimo erede della fortuna della famiglia Black. Quindi ora Sirius doveva andare e soffrire un'intera serata in vestiti anche più rigidi del normale, che prudevano e pizzicavano, e avrebbe probabilmente fatto qualche tipo di terribile errore nel bel mezzo della serata, e Walburga lo avrebbe trascinato via dalla sala da pranzo, con le sue unghie simili ad artigli che gli scavavano il braccio così profondamente da lasciare lividi per diversi giorni.

“Una cosa,” ripeté Sirius, i suoi occhi persi nel vuoto anche mentre guardava verso Remus.

La sua autocommiserazione fu interrotta da una mano che toccava gentilmente la sua guancia. Sirius sbatté le palpebre e vide che Remus gli stava sorridendo, in quel suo modo cauto. “Ma puoi venire il giorno dopo, vero?”

Sirius si ritrovò a sorridere di nuovo. “Sì. Dopodomani, verrò. E potremo fare la mappa.”


 

**


 

Il braccio e la spalla destra di Sirius erano così doloranti dalla notte precedente – a causa del muro contro cui erano stati sbattuti – che dovette usare il sinistro per aprire la pesante porta decorata che portava al mondo suo e di Remus. Voleva ancora piangere mentre spingeva la maniglia della porta, ma l'aveva fatto così tanto la notte prima che sembrava non ci fossero più lacrime rimaste in lui. Sirius riuscì a spingere un po' più avanti la porta, e la luce del sole colpì i suoi occhi e lo spazio di fronte a lui. Il ragazzo prese un profondo respiro. I suoi dolori e sofferenze sembrarono affievolirsi mentre faceva un passo in avanti e chiudeva la porta dietro di lui.

Remus lo stava aspettando alla loro panchina, mentre già disegnava qualcosa su un pezzo di carta steso su un portablocco in legno. Sirius fece un gran sorriso e accorse verso Remus, lasciando Grimmauld Place dietro una porta chiusa. “Hey.”

Remus alzò lo sguardo, sorridendo a Sirius prima di piegare di nuovo la testa verso il suo lavoro. Impaziente, Sirius diede un colpetto alla tavoletta di legno. “Dove l'hai presa?”

“L'ho sgraffignata,” rispose Remus con noncuranza. Il rispetto di Sirius per lui raggiunse livelli altissimi.

“Davvero? Fico. Da dove?!”

Di nuovo, Remus scrollò la domanda con eccessiva casualità. Non alzò nemmeno lo sguardo da quello che stava disegnando. “Il retro del negozio. Sto sempre lì comunque, quando mi stanco di tutti gli altri... del rumore.” Prima che Sirius potesse chiedergli qualcosa – e voleva davvero farlo, visto che la vita casalinga di Remus sembrava così totalmente aliena rispetto alla sua – Remus lo guardò e sorrise di nuovo: un sorriso breve come il flash di una fotografia. “Sei pronto?”

Sirius annuì, facendo un balzo indietro mentre Remus iniziava a raccogliere le sue cose. “Sì! Tu sai come fare delle mappe? Perché hai detto quelle cose sull'est e l'ovest con il mare e la foresta, e quelle sono cose da mappe. Ne ho viste un po' nello studio di Orion.” spiegò Sirius tutto d'un fiato. Non aveva mai davvero studiato delle mappe, ma gli piaceva osservare quelle che rivestivano lo studio di suo padre, costose e stampate su spessa pergamena, estremamente dettagliate.

“Ho letto dei libri,” spiegò Remus. “Ieri, e anche prima. Ho ricercato alcune cose. Del tipo, bisogna mettere la rosa dei venti su ogni mappa.” In fondo alla pagina, Sirius vide che Remus aveva disegnato una piccola bussola che indicava il nord, sud, est, e ovest, in un rosso chiaro. Annuì. Aveva senso.

Remus continuò, indicando qualcos'altro. “E qui c'è la legenda. Le mappe devono avere delle legende. Così che quando disegno queste due piccole linee, vuol dire che c'è una strada. E quando disegno queste cose a forma di zucchero filato, sono gli alberi. E le piccole ondine sono l'acqua.”

Sirius socchiuse gli occhi guardando la legenda. Sembrava richiedere un sacco di lavoro e cervello.

Prendendo una decisione, Sirius prese dei fogli di scorta e delle matite da Remus, lasciandolo solo con la sua tavoletta e la singola matita. “Ecco. Visto che tu ne sai di più sulle mappe, sei il capo. E io sarò il tuo assistente.”

Il sorriso di Remus era quasi imbarazzato, ma decisamente più compiaciuto, agli ordini di Sirius. Sirius gli sorrise in risposta, perché aveva fatto sorridere Remus. “Okay,” annuì Remus. “Assistente Sirius, cominciamo dalla tua porta.”

Così Sirius iniziò a seguire Remus, tenendo in mano i fogli di scorta e il resto, pronto a passare al suo amico una matita nuova o un altro foglio. E Remus iniziò a fare un lavoro da mappe molto serio, come contare i passi della lunghezza del muro di Sirius, da lato a lato. E poi aggiunse una piccola linea in fondo alla mappa, vicino la legenda. “Questa è la scala,” spiegò. “Dice quanto sono lontane le cose. Quindi, tipo, questa pagina sarà ampia quanto il muro, che è lungo cinquecento passi.”

Sirius annuì. Era molto logico. Dopotutto, le mappe erano usate per le esplorazioni, e i pirati o i conquistatori o tutti gli altri avevano bisogno di sapere quanto erano lontane le cose quando guardavano le mappe.

Circa a metà della creazione della mappa, sia Sirius che Remus lanciarono un'occhiata al sole, poi si guardarono. Faceva caldo, erano sudati, e si stava facendo tardi. Sirius sbirciò sopra la spalla di Remus per vedere la mappa perfettamente disegnata (anche se forse le linee non erano proprio dritte ed era come se tendessero verso destra in un modo strano, indefinibile), e poi guardò Remus. “Fammi fare il resto,” suggerì Sirius.

Asciugandosi la fronte con una mano, Remus annuì. “Okay. È un sacco di lavoro.”

E così Sirius si mise praticamente a correre per il resto del mondo, con Remus che lo seguiva ridendo e inciampando mentre lui disegnava come un fulmine sulla mappa. Il vecchio giardino, la casa abbandonata, le pietre disposte come quadrati e delle linee dove una volta c'erano delle case. E poi finalmente il muro di Remus e la sua porta, che Sirius non aveva mai davvero guardato con attenzione prima.

In piedi lì di fronte, Sirius allungò una mano e accarezzò con esitazione il legno ruvido. Era... diversa, dalla sua. Riusciva a vedere ogni tavola di legno separata dalle altre, e tutte quelle linee ondeggianti nel mezzo. E il legno stesso non era liscio: c'erano dei frammenti che fuoriuscivano, come i suoi capelli quando si svegliava la mattina. Anche la maniglia era diversa: un pomello rotondo, invece di quella curva e raffinata nella porta di Sirius.

“Hai fatto?” domandò Remus, interrompendo la sua contemplazione. Inclinò il collo per guardare sopra la spalla di Sirius verso la ora completa mappa.

La differenza tra le due parti della mappa era evidente: quella di Remus era misurata al centimetro, ma un po' strana nonostante tutti gli attenti dettagli. Sirius, d'altra parte, si era dato il lusso di fare le linee dritte, ignorando le misure dell'insieme. Quindi anche se la sua parte era meno dettagliata e netta, i suoi edifici erano allineati in file precise e non avevano quella strana inclinazione degli edifici di Remus. Ovviamente, non avevano neanche i dettagli. E le misure e le distanze erano probabilmente tutte sbagliate.

“Forza.” Sirius colpì la spalla di Remus con la sua. “Dovremmo nasconderla da qualche parte. Magari alla panchina?”

Remus annuì, riflettendo mentre ritornavano lentamente alla loro panchina nella luce morente del tramonto. “Potremmo metterla sotto la panchina per ora. Ma dovremmo avere una... una scatola. Per tenerci al sicuro le cose dentro.”

Sirius fece un sorriso smagliante. “Come un cesto del tesoro! Uno tutto nostro. E ci potremmo mettere dentro delle cose, delle cose geniali e segrete, come la nostra mappa del tesoro, e... e della roba. Che troviamo.”

“Dei costumi,” suggerì Remus. Gli occhi di Sirius si illuminarono, mentre il suo cervello partiva in tutte le direzioni e fantasticava su tutto quello che avrebbe potuto raccogliere in giro per la casa per nasconderlo nella loro cassa del tesoro.

“Sì,” disse con un filo di voce. “Costumi. E armi! E tesori.

Raggiunta la panchina, Remus prese da Sirius la mappa completata e l'arrotolò con cura, poi tirò fuori da qualche parte un elastico e lo fece scivolare fino al centro della mappa. La mise sotto la panchina, infilata in un angolo sul dietro così non si sarebbe bagnata o volata via prima che avessero trovato un cesto del tesoro in cui tenerla.

Si scambiarono i loro saluti, ed entrambi i ragazzi si voltarono per tornare alle loro porte. Ma poi a Sirius venne in mente qualcosa e si fermò, ruotando su se stesso sulle scarpe lucidate. “Hey! Remus!” Quando Remus si fu girato per prestargli attenzione, Sirius agitò la sua mano. “Dovremmo inventarci una stretta di mano segreta. Prima o poi.”

Sirius non era sicuro se fosse per la luce del tardo pomeriggio o per l'eccitazione per la sua idea, ma senza dubbio gli occhi di Remus scintillarono. “Sì!” accettò il ragazzo. “Va bene. Lo faremo. La prossima volta.”

Quella sera, dopo cena, Sirius usò il tempo prima del suo bagno per cercare in giro costumi e scatole di cui non si sarebbe notata la mancanza. Le braccia cariche di rimasugli di vecchi vestiti, tende, lenzuola, e anche un paio di vecchi stivali venuti fuori da chissà dove, Sirius li andò a sistemare in una piccola scatola proprio fuori la Porta. La nascose sotto un'antica scrivania coperta da un lenzuolo, e poi, per stare sicuro, coprì la scatola stessa con un altro lenzuolo. Una volta finito, sorrise gioioso all'ora invisibile scatola sotto la scrivania. Adesso non avrebbe più dovuto fare attenzione a non rovinare i suoi pantaloni o il gilè o le scarpe quando giocava con Remus. Si sarebbe semplicemente cambiato in quei vestiti, e non si sarebbe dovuto preoccupare che gli occhi allenati di Walburga trovassero un granello di sabbia nell'orlo dei suoi pantaloni, risparmiandogli domande impossibili da rispondere.

Quando Sirius andò a dormire quella notte, il braccio e la spalla gli facevano già molto meno male.


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 6


 

Con un gemito di frustrazione, Sirius lanciò i suoi libri, fogli, e matite dall'altra parte della radura della panchina. Ovviamente, Remus scelse quel momento per arrivare, facendo un sobbalzo all'indietro per il gesto improvviso mentre i suoi occhi seguivano la matita di Sirius rotolare lentamente verso di lui. Sirius si gettò indietro sulla panchina e incrociò lo braccia, senza dire niente mentre guardava il suo amico abbassarsi per raccogliere la matita da una crepa nel pavimento di marmo. Poi Remus andò a raccogliere tutto il resto, - i suoi appunti, il libro – e lo portò alla panchina. Si sedette alla sinistra di Sirius senza una parola, solo rigirandosi per un po' la matita tra le dita prima di mettersi a guardare i fogli.

Sirius lo osservò con la coda dell'occhio, poi con più attenzione quando Remus poggiò la matita sulla carta. In pochi minuti, Remus aveva riempito un foglio di riserva con quelle che sembravano essere tutte le risposte dei compiti di Sirius, e poi continuò a scrivere... qualcos'altro. Una specie di tabella con dei numeri. Raggomitolando i piedi nudi sotto la panchina, Sirius si chinò per guardare.

Quando ebbe finito, Remus gli porse il foglio di carta con le tabelle. “La tua maestra non ti ha insegnato questo metodo?”

Fissando la pagina, Sirius scosse lentamente la testa. Sembrava che Remus avesse scritto delle tabelline. Ma erano... diverse. Erano organizzate tutte in un modo strano, ma che in qualche modo aveva perfettamente senso, un modo che nessuno aveva mai spiegato a Sirius e che lui non aveva mai scoperto da sé. Corresse distrattamente Remus: “Ho una tutrice.”

Lui rimase in silenzio per un momento mentre Sirius continuava ad osservare le tabelle. Poi, esitante, chiese: “Tipo... per aiutarti? Dopo scuola?”

Sirius si spostò i capelli dagli occhi e lo guardò. Quando vide l'espressione sul viso di Remus, realizzò di colpo di cosa stesse parlando. Oh. Giusto. La maggior parte dei bambini andavano alle elementari, con un solo adulto che insegnava a un mucchio di loro in una volta. Sirius lo sapeva, in qualche angolo astratto della sua mente. Solo che non aveva mai incontrato qualcuno che andasse a scuola, prima.

Socchiuse gli occhi, mordendosi il labbro mentre pensava a come spiegare la differenza. “No. Io... io non vado alle elementari. Ho dei tutori che vengono a casa mia e insegnano solo a me e Regulus. E neanche insieme. Cioè, non è che ho dei tutori perché sono stupido...” Sirius guardò le tabelle che gli aveva passato Remus e si accigliò. “Ma forse lo sono. Non avevo mai pensato a queste.”

Remus scrollò le spalle. “Non sei stupido. È solo che... mi piacciono, gli indovinelli e i problemi. Quando gli altri bambini giocano a calcio, a me piace fare questo. Tipo. Giocare con i numeri.”

Quando Sirius vide che quello aveva rattristato Remus per qualche ragione, lo colpì con la spalla. Remus alzò lo sguardo, e il sole lo colpì negli occhi. Sirius sorrise. “Sì, ma giochi con me. E il nostro mondo è molto meglio di qualsiasi campetto.”

Il naso di Remus si arricciò, solo un po', mentre sorrideva. A Sirius bastò.

“Come sono le elementari?”

E il sorriso era di nuovo sparito, rimpiazzato da qualcosa di... nervoso. Sirius pensò che forse aveva già visto prima quell'espressione, o aveva provato la sensazione che la provocava, ma non riusciva del tutto ad identificarla. Remus rifletté per un lungo momento, come se ci fosse un modo corretto per spiegarlo a Sirius e dovesse solo trovarlo. Forse c'erano dei segreti che Remus non voleva dirgli. “È... rumoroso.”

Sirius rise, ma Remus scosse la testa e lo guardò seriamente. “No, davvero! Ci sono tutti questi bambini, più grandi e più piccoli di me, e tutti quanti fanno rumore tutto il tempo e gridano e parlano. È come al negozio di mamma e papà, ma moltiplicato per mille. E ci sono un sacco di bambini in giro tutto il tempo.” Di nuovo, un barlume di quel qualcosa gli attraversò la faccia, quell'espressione che Sirius riconosceva ma non proprio, in qualche angolo del suo cervello. Remus alzò le spalle. “Ma la mia maestra è simpatica. La signorina Franklin. Ci insegna dei trucchi divertenti per matematica e grammatica. E ogni giorno fa stare tutti in silenzio per le letture, il che è molto piacevole.” Un sorriso si allargò sul suo viso, e Sirius lo osservò, affascinato. “Mi fa anche restare dentro, qualche volta. Quando dovremmo uscire fuori a giocare.”

“Hai degli amici?” Sirius si strofinò il petto, stringendo forte la mano sulla panchina di pietra mentre guardava Remus. Provò a immaginarselo: il suo amico andava a scuola con una marea di altri bambini, e neanche voleva giocare con loro. Era... impossibile, nella testa di Sirius. Avrebbe dato qualsiasi cosa per giocare con dei bambini che non fossero i suoi crudeli cugini più grandi o il suo noioso fratellino. Era per quello che gli piaceva così tanto giocare con Remus – beh, in parte per quello.

“Non proprio.” Remus alzò una spalla. “Ma non fa niente. Non mi piacciono molto gli altri bambini. Loro non...” I suoi occhi si rattristarono. Ma poi un momento dopo il suo viso si aprì in un sorriso, e Sirius gli sorrise in risposta perché era così inaspettato. “Loro non sono come te,” spiegò. Il petto di Sirius si scaldò a quello. “Cioè, anche tu sei rumoroso. Ma non come loro,” continuò Remus. “E giochi seguendo le regole.”

Sirius rise e colpì piano Remus sul braccio. “Certo che lo faccio! Chi è che non gioca così?”

Remus fece una smorfia. “Un sacco di bambini.” Poi guardò Sirius in modo curioso, quasi... affamato. O qualcosa del genere. Quello che chiese dopo non era di certo qualcosa che Sirius avrebbe associato a l'espressione, qualunque essa fosse, sul volto di Remus. “Com'è avere un tutore?”

Sirius ci pensò per un momento. Pensò alla signorina Antonia, e ai suoi acuti occhi cattivi. Il modo in cui stringeva le nocche intorno al tavolo e lo fissava da sopra gli occhiali ogni volta che faceva un errore, o ci metteva troppo a rispondere. “Orribile,” brontolò. “Lei è sempre...” Rifletté per un momento, cercando di confrontare la sua vita e come immaginava essere quella di Remus. “Mi guarda sempre. Cioè, non c'è nessun altro bambino che può rispondere, o su cui lei possa concentrarsi. Quindi sono io che devo rispondere ad ogni domanda. E lei capisce subito ogni volta che non so qualcosa.”

Remus sembrò considerare le sue parole, ma Sirius intuì che il suo amico non pensava fosse così male. In effetti, Remus sembrava volere un proprio tutore. Sirius fremette. Non riusciva a immaginare come qualcuno potesse volerlo.

“Ma se hai una domanda, gliela puoi chiedere e basta, no? Senza tutti gli altri bambini intorno.”

Sirius scrollò le spalle. “Non proprio. Quando ero più piccolo e ancora le chiedevo delle cose, lei mi urlava addosso.” Sirius adesso non faceva più tante domande.

Scese il silenzio tra i due ragazzi, e Sirius rifletté su quello che gli aveva raccontato Remus sulla scuola. Poi abbassò lo sguardo verso il foglio nella sua mano, allo schema di numeri esposto così chiaramente, ed ebbe un'idea. “Se tu fossi il mio tutore, mi piaceresti. Sarebbe fantastico.”

Remus guardò per un momento il suo amico a bocca aperta, poi la chiuse di scatto e arricciò il naso. “Davvero?”

Vedendo come si era rallegrato Remus grazie a quell'improvviso pensiero, Sirius continuò con entusiasmo. “Beh, tu capisci subito tutti i trucchi. E sono... quando li ho visti, il mio cervello si è tipo, illuminato. Come se tu sapessi esattamente cosa gli servisse per dare un senso a tutte quelle cose. Dovresti fare l'insegnante quando diventi grande.”

Remus scrollò le spalle timidamente, fissando lo sguardo sui piedi che strofinava imbarazzato sul marmo del pavimento. “Voglio andare all'università. Mamma e papà pensano che potrei andarci. Sarei il primo della famiglia in assoluto.”

Sirius gemette. “Tutti ci vanno nella mia famiglia. Io devo andarci, anche se non volessi.”

“E non vuoi?”

Sirius ci pensò, inclinando la testa indietro per guardare il cielo. Delle nuvole scivolavano davanti il sole luminoso del pomeriggio, il movimento più evidente quando le osservava vicino a un punto di riferimento, come il muro che circondava Sirius e Remus da due lati. Nella sua testa, si immaginò i prossimi dieci anni della sua vita scivolare nella sua mente proprio come quelle nuvole. Sarebbe stato con la signorina Antonia per altri due anni, poi sarebbe andato in collegio a undici anni: la Scuola Preparatoria di Hogwarts per ragazzi, proprio come suo padre e i suoi zii e tutti i suoi cugini maschi. Sarebbe stato per sette anni intrappolato dentro rigide uniformi con un gruppo di ragazzi come suo cugino Lucius, tutti con lineamenti affilanti e occhi cattivi, calcolatori. Poi l'università con gli stessi tipi di ragazzi... ma sarebbe stato lontano da casa. In soli due anni, non avrebbe più vissuto con Walburga e Kreacher. E quando sarebbe andato all'università, avrebbe potuto vederli poco anche durante le vacanze. Sarebbe anche potuto essere più alto di entrambi per allora, se l'altezza di Orion era un indicatore corretto.

“Forse,” concesse infine Sirius. “Voglio andarmene di casa, e fare quello che voglio io. E potrei farlo, all'università.” In un attimo, l'umore di Sirius si ribaltò e il ragazzo fece un grande, luminoso sorriso rivolto a Remus. “Magari potremmo essere coinquilini! All'università! Potremmo inscriverci alla stesso posto e prendere un appartamento insieme. Sarebbe geniale.

Remus fece un gran sorriso, e le lentiggini si arricciarono sul suo naso. A Sirius piaceva quando succedeva: voleva dire che Remus stava sorridendo per davvero; voleva dire che Sirius aveva fatto qualcosa di super buono, detto qualcosa di super carino, per farlo accadere. “Io ti aiuterei con la matematica. Se tu fai le mie faccende.”

Sirius annuì in modo solenne. La matematica era abbastanza difficile da rendere Sirius disposto a fare tutte le faccende di casa se Remus lo avesse aiutato. Allungò la mano, e Remus fece lo stesso. Premettero uno contro l'altro il dorso delle loro mani prima di dividerle, farle girare intorno, e premerle di nuovo insieme. Poi le fecero scivolare una sull'altra e le loro dita si incrociarono, solo per un momento, prima di dividersi. Remus gli sorrise raggiante.

“Pronto a combattere la strega?” chiese Remus, cambiando argomento.

Sirius annuì. Assolutamente. E questa volta, Remus sarebbe stata la ragazza, e Sirius poteva fare l'eroe che salvava la situazione. Con un giravolta, Sirius si abbassò e tirò fuori il suo tubo da sotto la panchina, impugnandolo con orgoglio. “Certo! Sali nella tua torre, principessa.”

Remus rise e abbassò la testa, ma accettò il lenzuolo che Sirius gli stava porgendo per avvolgerselo intorno, come un vestito. Avevano anche alcuni gioielli anneriti che Sirius aveva trovato in una scatola in soffitta. Remus si mise degli anelli - di parecchie misure più grandi, per cui doveva chiudere le dita per impedirgli di scivolare. Sirius gli poggiò una tiara sulla testa. Più che altro, una costosa fascia per capelli che sembrava una tiara. Fece girare Remus su sé stesso una volta, ridendo quando il suo amico quasi inciampò sul suo vestito e dovette afferrare al volo la tiara per impedirle di cadere. Un momento dopo Remus stava correndo via, verso la casa sul retro dove si sarebbe arrampicato su un muro mezzo crollato per aspettare che Sirius venisse a salvarlo.

Sirius iniziò ad armarsi, preparandosi per una sanguinosa battaglia. Dopotutto, stava per affrontare la Strega Cattiva: sarebbe stato molto difficile sconfiggerla. Quindi Sirius si infilò la fionda di Remus dietro la schiena e si arrotolò intorno alla vita un marsupio che avevano creato da un vecchio pezzo di corda e un sacco di tela. Era riempito con piccole pietre scelte appositamente per la fionda. Poi si infilò due bastoni nella cintura, da usare come lance, e alzò il suo grosso tubo, o spada. Era pronto. Avrebbe sconfitto la Strega Cattiva e salvato la Principessa Remusa dalla sua torre.

Si mise in marcia, balzando muro dietro muro per nascondersi, gli occhi aperti per la Strega Cattiva. Era lì intorno da qualche parte, aspettando solo di prendere Sirius di sorpresa e colpirlo, buttarlo a terra e schiacciarlo sotto i suoi tacchi alti e il naso affilato e gli occhi taglienti e...

Sirius scosse la testa. Poteva sconfiggerla. Doveva sconfiggerla. Doveva salvare la Principessa Remusa.

Proprio quando Sirius stava iniziando a pensare che forse sarebbe riuscito a salvare la principessa senza neanche dover vedere la Strega Cattiva, lei apparve. Aveva appena iniziato ad arrampicarsi sul muro crollato, o meglio, la montagna scoscesa, quando la vide. Lo stava aspettando nel giardino: il giardino di rose e spine velenose. Stava tagliando la parte del fiore dalle rose, lasciando solo le spine tutto intorno, come una sorta di vigneto maligno. E Sirius sapeva che le spine erano fatte di veleno, perché era in quel modo che la Strega Cattiva aveva catturato la Principessa Remusa: dandole una rosa avvelenata.

“Per la Principessa!” gridò Sirius, poi si lanciò giù dal muro e iniziò a squarciare il labirinto di spine con la sua spada.

Fu un'accanita battaglia. La Strega Cattiva era molto più alta e pericolosa di Sirius, con i suoi malvagi artigli al posto delle unghie e i grossi denti giallognoli: come una specie di mostruoso ratto delle fogne di Londra, di quel tip odi cui parlavano i domestici, affermando che era impossibile che esistessero davvero. La strega si precipitò su Sirius, frustandolo con i suoi artigli e digrignando i denti in quel suo modo folle. Ma Sirius bloccò i suoi colpi, agitando la spada a destra e a sinistra mentre danzavano nel suo giardino velenoso. Poi la strega aprì la bocca, e le parole iniziarono a fuoriuscirne.

Erano parole magiche, ovviamente. Terribili, terribili parole magiche che si avvolsero intorno a Sirius e lo legarono stretto. La sua spada-palo cadde a terra, e i viticci di spine gli strisciarono attorno e la portarono via, divorandola nello loro spire mortali. Sirius lottò contro le parole, allungando disperatamente le dita verso la tasca dei suoi pantaloni. Se solo... l'avesse... raggiunta...

Aha! Le dita di Sirius afferrarono finalmente la fionda dal retro dei pantaloni. Con unico violento movimento riuscì a togliersi le parole della Strega Cattiva di dosso, solo per un momento. Ma fu abbastanza per afferrare una pietra e caricarla sulla fionda. Prese la mira e lanciò.

Un colpo diretto! La Strega Cattiva cadde a terra, urlando e dimenandosi mentre le speciali pietre di Sirius, dategli dalla Principessa Remusa, bruciavano la sua pelle malvagia. Ma non era ancora morta. No, per quello Sirius avrebbe dovuto raccogliere il suo coraggio e avvicinarsi. Lasciando cadere la fionda a terra, Sirius tirò fuori una delle lance dalla cintura e avanzò verso la strega che si stava ancora agitando a terra. Con un singolo, potente colpo, pugnalò la Strega Cattiva attraverso il cuore con la sua lancia.

Le sue grida echeggiarono tra i muri cadenti attorno a loro. Mentre la luce suoi occhi si affievoliva, così faceva la magia dietro i suoi incantesimi. Le rose spinose tutto intorno a loro si contorsero in agonia prima di un ultimo, patetico movimento, e collassarono a terra come un solo corpo. Il loro verde sbiadì, e si raggrinzirono: delle cose morte, inanimate, senza la magia della Strega Cattiva a sostenerle. I legami invisibile che stavano pungendo Sirius, cercando di afferrarlo da quando si era liberato, si allontanarono dissipandosi. Con un ultimo gorgoglìo la Strega Cattiva cadde all'indietro, e il suo corpo si dissolse in una pozzanghera di acido ribollente sul sentiero del guardino.

Asciugandosi il sudore dal sopracciglio, Sirius si rinfilò la lancia nella cintura e si girò per guardare il castello. Ora il sentiero davanti a lui era sgombro: tutte le spine erano sparite, e le rose stavano sbocciando di nuovo. Abbassandosi, Sirius recuperò la sua fionda e la spada, infilandosi la prima nei pantaloni ed impugnando la seconda, in caso lo aspettasse un'ultima trappola dalla Strega Cattiva.

“Principessa Remusa! Principessa Remusa!”

Sirius agitò la spada sopra la testa, gridando con tutto il fiato che aveva nei polmoni verso la torre dove la Principessa Remusa era tenuta prigioniera. “Sei lì dentro? Principessa Remusa!”

“Sono qui. Chi c'è?”

Sirius soffocò una risatina alla voce acuta di Remus. Si fece rapidamente strada dentro l'edificio, salendo le lunghe scale tortuose fino alla torre della Principessa Remusa (il che consisteva nel saltellare in circolo per qualche minuto, immaginando nella sua mente una scala a chiocciola). Quando decise che aveva probabilmente salito abbastanza scale per essere arrivato in cima, Sirius smise di saltellare e si fermò di fronte al muro dov'era appollaiato Remus, che guardava giù verso di lui.

Sirius aprì la bocca per annunciare la sua presenza, poi la richiuse, poi l'aprì di nuovo. “Oh, aspetta: time out!” Remus inclinò la testa e guardò Sirius curioso. “Sei Raperonzolo o la Bella Addormentata?”

Remus ci rifletté un momento. “Beh, non sto dormendo,” pensò ad alta voce. “Ma non ho capelli molto lunghi. Puoi semplicemente venire e portarmi giù.”

“Okay. Ricominciamo.” Sirius fece finta di impalare la sua spada nel terreno, poi la fece cadere al suo fianco. “Principessa Remusa! Io sono il Principe Sirius, e sono venuto a salvarti! Ho ucciso la Strega Cattiva!”

“Mio eroe!” Remusa si strinse le mani al petto come se fosse in estasi. Sirius sorrise. “Aiutami a scendere e potremo tornare insieme al mio regno!”

Sirius avanzò velocemente e alzò le sue braccia verso Remusa. Dopo aver contato in silenzio fino a tre tra di loro, Remusa saltò, interrompendo la sua caduta nelle braccia di Sirius. Entrambi i ragazzi passarono un momento a ridere della loro mancanza di grazia, poi tornarono nei personaggi. La Principessa Remusa spostò la sua tiara dagli occhi e sbatté le ciglia verso Sirius.

“Grazie infinite per avermi salvato, mio Principe!” Poi la Principessa Remusa si sporse in avanti e baciò l'aria intorno alle guance di Sirius.

Anche se Remus non l'aveva baciato veramente, le guance di Sirius diventarono bollenti per il gesto. Abbassò gli occhi verso i suoi piedi, dove poteva ancora vedere il vestito improvvisato di Remus, che ondeggiava agli angoli della sua visione. “Figurati,” borbottò Sirius.

“Andiamo.” La voce di Remus era tranquilla, e non più davvero quella di Remusa. Sirius tentò di alzare lo sguardo ed incontrò gli occhi del suo amico. Lo stava guardando con gentilezza. “Mi hai salvato.” Solo per un secondo, gli occhi ambrati di Remus diventarono molto, molto tristi. Sirius alzò lentamente la mano, accarezzando leggermente il gomito di Remus per qualche sorta di innato gesto di conforto. “Mi salvi sempre, qui,” sussurrò Remus. Sirius non sapeva il perché, ma quelle parole gli parvero molto importanti, tutto d'un tratto. Poi, in un battito di ciglia, l'incantesimo si ruppe, e gli occhi di Remus gli sorrisero di nuovo dolcemente. “Ritorniamo al mio regno insieme.”

Sirius gli sorrise in risposta e annuì. Giusto. Aveva sconfitto la Strega Cattiva, e salvato la Principessa. Adesso avrebbero cavalcato insieme verso il suo palazzo, e celebrato con grandi cortei e feste e principi e tutto il resto. Perché Sirius era un cavaliere coraggioso, e un eroe.


 

**


 

Sirius si stava ancora immaginando il ritorno al castello di Remus, con i bardi che cantavano canzoni su di lui adorandolo, e il Re che lo ringraziava per aver salvato sua figlia, quando si sedette al tavolo della cena quella sera. Era così distratto che non sentì la domanda di Walburga.

Sirius Orion Black. Quando tua madre ti parla tu gli rispondi !”

Sirius alzò la testa di scatto, mentre il suo corpo balzava indietro al tono della voce di Walburga. Tremò nella sua sedia, aprendo e chiudendo la bocca mentre cercava una risposta. “Può ripetere?” decise infine.

“Ho detto,” disse Walburga con un ghigno, mentre le lunghe unghie delle sue dita si chiudevano intorno al fondo del suo bicchiere di vino, “Ms. Antonia pensa che i suoi insegnamenti stiano finalmente penetrando in quella tua testa ottusa. Farai meglio a ringraziarla la prossima volta che la vedi.”

Senza pensare, Sirius alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia al petto. Non era stata Ms. Antonia a spiegargli gli schemi nei numeri, era stato Remus. E non era colpa sua se non l'aveva capito prima: era colpa di Ms. Antonia. “L'ho capito da solo,” borbottò. “Non capisco perché dovrei ringraziare Ms. Antonia.”

Che cosa hai detto?”

Quando Walburga si alzò dal suo posto, le labbra così strette da essere bianche per la mancanza di sangue, gli occhi che mandavano lampi mentre sovrastava l'intero tavolo, Sirius si fece piccolo piccolo nella sua sedia. Oh. Quello non avrebbe dovuto dirlo. Era stato un errore. Un grosso, grosso errore.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 7


 

Gli stupidi vestiti da cerimonia atterrarono in un cumulo sui mobili coperti, spiegazzandosi tutti. Un momento dopo Sirius tornò, mettendosi a piegarli brontolando. Non aveva voglia di piegare quegli stupidi vestiti costosi, di metterli puliti e in ordine, ma doveva. Se non l'avesse fatto, Walburga l'avrebbe picchiato. Di nuovo.

Finalmente, finalmente Sirius aveva addosso i suoi laceri vestiti da gioco, e i suoi vestiti buoni erano tutti piegati, ed era pronto ad andare. Aprì violentemente la porta e l'attraversò di corsa, deciso a non spendere un momento di più nella fredda, buia Grimmauld Place.

All'ultimo secondo Sirius decise di entrare nel Mondo silenziosamente, chiudendo gentilmente la porta dietro di lui prima di sgattaiolare verso la strada in rovina, camminando sul morbido terreno e sull'erba quando poteva, e facendo del suo meglio per non calciare nessuna roccia il resto delle volte. Sirius era quasi sicuro di essere riuscito a raggiungere la loro parete di pietra senza essere notato.

La sua abilità fu confermata quando Sirius sbirciò da dietro il muro, e individuò Remus con la testa china su uno dei suoi libri. Non poteva esserne certo, ma pensò che forse Remus sembrava un po' triste. Probabilmente era perché Sirius non era potuto venire il giorno prima, anche se aveva detto che l'avrebbe fatto. Si era solo dimenticato, tutto qui. Della festa e tutto il resto. “Remus!”

La testa di Remus si alzò di scatto al suono della voce di Sirius. Sul suo volto passarono sorpresa e poi comprensione, ma poi la stessa tristezza di prima prese di nuovo il sopravvento. Sirius aggrottò le sopracciglia e si affrettò ad andare verso di lui.

“Hey.” Colpì la spalla di Remus con la sua, abbassando la testa per provare ad incontrare il suo sguardo. “Tutto a posto?”

Remus scrollò le spalle, mentre le sua dita scorrevano le pagine incessantemente, come in uno di quei libri animati. Sirius sapeva che Remus faceva così quando era turbato. Senza pensare Sirius allungò una mano e la posò sopra quella di Remus, fermando il movimento distratto.

“Scusa,” provò di nuovo Sirius. “Mi ero scordato di dovere andare alla mia festa, ieri.”

Remus non disse niente per un po', e Sirius si preoccupò pensando che forse Remus era davvero arrabbiato con lui, che avrebbero litigato e Sirius non sarebbe più potuto tornare. Il suo amico liberò la mano da quella di Sirius per strofinarsi la spalla, con un'espressione sul volto che Sirius trovò disgustosamente familiare. Ma prima che potesse chiedere qualsiasi cosa – Chi ti ha fatto male? Come potrebbe qualcuno fare del male a te? Dove posso trovarli così posso fargli ancora più male? - la sua testa si girò, solo un pochino, verso di Sirius. “Festa?”

Sirius emise un gemito, lanciandosi giù dalla panchina. Guardò su verso il cielo, braccia e gambe divaricate sulle fredde, irregolari pietre di marmo sotto di lui. “Ugh, già. Orribile. La mia festa dei nove anni.”

Remus fece un suono strano, che fece girare il collo a Sirius per guardarlo. L'espressione sul viso di Remus era stupefatta.

“Come hai fatto a scordarti del tuo compleanno?”

Sirius alzò le spalle. “Non mi piace pensarci. Non sono molto divertenti.”

“Cosa? Perché?”

Sirius appoggiò di nuovo la testa sul marmo, chiudendo gli occhi contro la luce del sole. Dei punti rossi danzarono dietro le sue palpebre chiuse. Lo rallegrarono un po'. Poteva far finta che fossero palloncini, o qualcosa del genere. “Sono sempre uguali. Vengono tutti i cugini e gli zii e le zie, e io devo stare seduto e accettare tutti i loro regali e essere ben educato, e Walburga...” Sirius si interruppe, e la sua voce si affievolì. Non voleva raccontare a Remus di come Walburga stesse sempre in piedi alla sua sinistra, con la mano stretta sulla sua spalla destra pronta ad affondarci dentro le unghie non appena fosse sembrato troppo annoiato o stanco o diceva qualcosa fuori dalle righe.

“È terribile e basta.”

Remus rimase in silenzio per così tanto che Sirius aprì gli occhi e inclinò di nuovo il collo per guardarlo. “Che c'è?” Remus lo stava fissando con un espressione che Sirius aveva già visto prima, ma non era mai riuscito del tutto a decifrare. “Che c'è?”

“Non c'è la torta? E i regali?”

Sirius scrollò le spalle. “C'è il cibo, ma non è mai granché. E ci sono tutti dessert eleganti che piacciono agli adulti, non quelli buoni. C'è la frutta anche nel gelato.”

Remus sorrise e arricciò il naso. “Bleah.”

Sirius annuì. Bleah, decisamente. “E i regali non sono cose fiche, tipo macchinine o spade o cose così. Sono sempre vestiti costosi, o orologi da taschino, o anelli, o...” si sdraiò di nuovo a terra quando ricordò l'ultimo orribile regalo dello Zio Malfoy. Era sicuro che l'aveva fatto apposta. “O servizi da tè di porcellana.

Quello fece davvero ridere Remus, solo un pochino. Finalmente scivolò giù dalla panchina e si unì a Sirius sul pavimento, allungandosi accanto a lui sulla pancia. “Davvero?” chiese.

“Davvero,” gemette Sirius.

Rimasero in silenzio per un po', Sirius crogiolandosi nel sole come il vecchio gatto della signora Callidora. Poteva sentire Remus accanto a lui, steso immobile come sapeva fare lui. Remus riusciva a stare più fermo di chiunque altro Sirius avesse mai visto. Qualche volta gli invidiava quella sua qualità. Se solo Sirius fosse riuscito a stare fermo come faceva Remus, forse non si sarebbe messo nei guai così spesso a casa. Forse non avrebbe rotto cose o rovesciato succo di frutta sulla sua camicia da cerimonia e ricevuto una frustata dalla cintura di Orion.

“Pensavi che non sarei venuto.” Sirius parlò prima ancora di averlo pensato, ma quando lo fece realizzò che probabilmente aveva ragione. Remus se ne era stato lì tutto triste, come se avesse pensato che Sirius se n'era andato e non sarebbe più tornato. A meno che non avesse altre ragioni per essere triste. Ragioni che avevano a che fare con la sua spalla dolorante.

In sua difesa, Remus gli lanciò un pugno sulla spalla e brontolò: “Chiudi la bocca. Idiota.” Sirius sorrise e non si diede la pena di aprire gli occhi.

Aveva ragione. Remus aveva avuto paura che fosse successo qualcosa. Per il modo in cui erano organizzati i loro orari, Sirius era quasi sempre lì per primo, e aveva sempre più giorni di Remus da spendere nel Mondo. Tra le elementari e aiutare nel negozio dei suoi genitori, Remus poteva solo sgattaiolare via qualche giorno alla settimana quando c'era scuola. Ma Sirius aveva tutto il tempo del mondo. La suo scuola era una tutrice che perdeva tempo con lui solo per qualche ora al giorno, e Dio se ne scampi se avesse mai menzionato la parola “lavoro” a Walburga. Gli avrebbe lavato la bocca con il sapone. O peggio.

Così come stavano le cose, quindi, Sirius era quasi sempre quello che aspettava Remus, giocando in giro per il Mondo prima del suo arrivo. Una volta Sirius era anche riuscito a spaventare Remus saltandogli addosso da dietro la porta mentre l'apriva. Remus aveva riso e provato a placcare Sirius a terra, ma Sirius era stato troppo veloce e aveva corso intorno all'intero mondo due volte prima che Remus si arrendesse e chiedesse una tregua ansimando. Quindi, quando il giorno prima Sirius non si era presentato, anche se era uno di quei giorni in cui Remus poteva venire, il suo amico doveva essersi innervosito. Era mancato a Remus. Sirius si aggrappò a quel pensiero con la tenacia di uno scienziato che raggiunge il suo grande momento Eureka.

Ovviamente, quello comunque non spiegava la spalla. Ma forse Remus aveva solo giocato in modo scalmanato con qualche bambino delle elementari ed era finito contro un albero o qualcosa. In fondo Remus non era il più grosso dei ragazzi – Sirius l'avrebbe certamente potuto sollevare facilmente.

“Vuoi ancora fare la principessa, oggi?”

A quello, Sirius socchiuse finalmente un occhio, facendo scivolare la testa di lato per guardare Remus. “È il mio turno, no?”

Remus alzò una spalla. “Ma è il tuo compleanno. Ieri, almeno. Dovresti scegliere tu.”

Sirius fece un sorriso a trentadue denti. Oh. Quindi era quello il genere di cose che succedeva alla gente normale durante i compleanni? Era fantastico! Non c'era da sorprendersi se la gente li adorava.

“Okay! No, aspetta: ho un'idea migliore.” Gli occhi di Sirius luccicarono. Aveva trovato un modo per essere la ragazza e l'eroe. “Giochiamo a Cupido! Io faccio Psiche.”

Remus sorrise, e Sirius si crogiolò più nel suo calore che in quello del sole. Sapeva di essere stato furbo, e a Remus piaceva sempre l'intelligenza più di qualsiasi altra cosa. Con Psiche, poteva essere Sirius quello che aveva un'avventura mentre Remus aspettava, e usare lo stesso il suo turno di ragazza. Era un piano perfetto. E Remus doveva essere d'accordo per forza, visto che era il suo compleanno.

I compleanni potevano davvero essere fantastici. Sirius non l'aveva mai saputo prima di Remus.

“Okay,” accettò Remus. “Ma stiamo insieme, prima, ti ricordi? E io sono invisibile.” Remus rovistò nella loro scatola dei costumi, tirandone infine fuori un mantello. “Ecco. Quando ho questo addosso sono invisibile.”

Sirius annuì, accovacciandosi per dare anche lui un'occhiata alla scatola. Avrebbe dovuto indossare i vestiti da ragazza di nuovo, ma andava bene. Quando giocavano agli antichi greci o romani, finivano comunque entrambi vestiti come ragazze, con le toghe e tutto il resto. Remus iniziò ad esaminare gli oggetti di scena che gli servivano, come una vecchia cesta per la borsa di grano e qualche frammento di tessuto per la lana dorata. Ora Sirius doveva solo capire come sistemarsi i capelli. Doveva essere abbastanza bello per fare innamorare Cupido, dopotutto.


 

**


 

Sirius si stava ancora sistemando la manica della sua maglietta da gioco quando arrivò al loro punto d'incontro qualche giorno dopo. C'erano degli enormi buchi nella sua camicia, al punto che un grosso strappo andava dal suo gomito al polso, e la sua mano continuava a scivolarci dentro. Avrebbe potuto strapparla e basta, o arrotolarla, ma Sirius si sentiva un po' un pirata con quella maglietta, e i pirati avevano grandi maniche a sbuffo, non canottiere.

Era così intento ad aggiustarsi la maglietta, che quando girò dietro il muro non alzò neanche lo sguardo per salutare Remus. Fu solo quando Remus disse “Sorpresa,” nella sua voce più timida che Sirius si guardò intorno. E rimase all'istante straordinariamente, incredibilmente, fantasticamente sorpreso.

Intorno a tutto il loro piccolo spazio, Remus aveva decorato. Come una vera festa di compleanno. Aveva attaccato lunghi festoni colorati in cima a tutte le pareti, ovunque era riuscito a raggiungere. E la loro panchina era coperta da un lenzuolo, con sopra un larga tovaglia. Lì si trovavano due muffin, uno di loro con una candelina che spuntava dalla cima, ed entrambi ricoperti con strati e strati di glassa. C'era anche un bigliettino appoggiato contro il muffin con la candelina, con il nome di Sirius scritto sopra in una grafia precisa.

Remus era in piedi proprio di fronte alla panchina, torcendosi le mani mentre aspettava e ondeggiando avanti e indietro sulla punta dei piedi. “Non so come si scrive,” cominciò. “Ho pensato che fosse come la stella, ma non te l'avevo mai chiesto. Spero che sia giusto.”

Sirius si fermò. Semplicemente... si fermò. Il suo intero corpo smise di funzionare proprio lì nel loro piccolo posto ombreggiato dalle due grandi pareti, perché il suo cervello si era fermato, e il suo cuore si era fermato. Solo che, in realtà, il suo cuore non si era tanto fermato quanto stava andando a un milione di volte più veloce di quanto avrebbe dovuto, di quanto avrebbe potuto, perché semplicemente non riusciva a provare tutto quello che stava provando. C'era tutta questa pressione in mezzo al suo petto, tutti questi pensieri e parole e sensazioni che non riusciva... non poteva... E volevano tutti uscire fuori, tutti in quel momento. Quindi stava andando così veloce che non si muoveva affatto, e si era fermato, perché non riusciva a trovare in se stesso neanche lo spazio sufficiente per iniziare a considerare di pensare a come rispondere.

Fu Remus – certo, era lui l'unico che ci sarebbe riuscito – che riuscì a far rallentare Sirius e a farlo ripartire. “Sirius? Ti piace?”

Allora Sirius si mosse, e fu per afferrare Remus e stringerlo forte contro il suo petto, abbracciandolo come se non volesse mai, mai lasciarlo andare. “Sei il mio migliore amico,” sussurrò Sirius. “Sei il mio migliore amico per sempre. Andremo all'università e ci prenderemo un appartamento insieme e saremo migliori amici per sempre perché tu sei il mio migliore amico.”

Quando Sirius lasciò andare Remus per prendere aria, la sua faccia era arrossita sotto le chiare lentiggini sparse per il suo volto. Guardò in basso, poi in alto, poi si nuovo in basso quando finalmente rispose: “Sei anche tu il mio migliore amico, Sirius. Sei il mio unico amico.”

Prima che qualche altro sentimento potesse crescere nel suo petto, Sirius tese una mano verso Remus, e i due ragazzi eseguirono la loro stretta di mano segreta. Sirius si girò verso la tovaglia stesa sulla panchina e la esaminò più attentamente, ora che era più vicino. “Walburga mi fa sempre aprire il biglietto, prima.” pensò ad alta voce.

“Mangiamo, prima. Oh, no! Prima-” Remus recuperò una vecchia scatola di fiammiferi da qualche tasca dei suoi pantaloni. Sirius lo guardò affascinato mentre tirava fuori un fiammifero e lo strusciava sul dietro della scatola, accendendolo al quarto o quinto tentativo. Poi accese con cautela la candela di Sirius, e iniziò a cantare velocemente “Tanti Auguri.”

Quindi finì Sirius non aveva idea di quel che doveva fare. Lanciò un'occhiata alla candela e poi a Remus per un suggerimento. Questo era qualcosa di completamente fuori dai suoi canoni, per una volta. “Soffia sulla candela,” spiegò Remus. “Ed esprimi un desiderio. Ma non ad alta voce, e non puoi dirmelo dopo. Non puoi dirlo a nessuno. Altrimenti non si avvera.”

La fronte aggrottata, Sirius iniziò a pensare. Che cosa avrebbe potuto desiderare, durante il miglior compleanno che avesse mai avuto? Poi lo sguardo gli cadde su Remus che stava aspettando che spegnesse la sua candelina, e all'improvviso seppe cosa chiedere. Voglio che io e Remus restiamo miglior amici per sempre e sempre e sempre. E che un giorno andiamo a vivere insieme e io non dovrò mai, mai più tornare a Grimmauld Place.

Sirius spense la candela al primo colpo, e Remus esultò. Sentiva un formicolio sulla pelle, come se della magia si fosse messa al lavoro. Sirius sperava solo di aver espresso il desiderio nel modo giusto.

I muffin erano deliziosi. Il miglior tipo di dessert: così dolce che Sirius pensò che i suoi denti sarebbero caduti e il suo sangue sarebbe scappato via dalla sua pelle. E la parte di pan di spagna era così zuccherata e densa che Sirius si trovò quasi incapace di finire il ricco dessert. Ma ci riuscì con successo, anche se alla fine sentiva il suo stomaco pieno e gonfio. Era il miglior dolce di compleanno che avesse mai avuto; era probabilmente il miglior dolce che avesse mai mangiato nella sua vita.

Quando Sirius lo disse a Remus, l'altro ragazzo sorrise e si leccò gli ultimi pezzetti di torta appiccicosa dalle dita. “Li ha fatti mamma, per i clienti. Ne ho rubati due questa mattina e li ho conservati tutto il giorno.”

Sirius leccò la carta del cupcake. “Tua mamma è fantastica.”

Una volta che il cupcake fu nel suo stomaco e la carta quasi divorata, Sirius rivolse la sua attenzione al biglietto. Si prese un momento per osservare il nome, scritto senza errori nella precisa grafia di Remus. Non era così elaborata come quella di Sirius – nata da anni di odiose lezioni di calligrafia – ma bella, pulita, anche se semplice. Come Remus.

“L'ho scritto nel modo giusto?”

Remus era seduto vicino a Sirius, sbirciando il cartoncino mentre faceva la domanda.

“Sì,” lo rassicurò Sirius. “Sì. È proprio così. Come la stella.”

Sirius non era mai stato impaziente di aprire un biglietto prima, ma oggi era una di quelle giornate. Remus aveva regalato a Sirius una festa di compleanno completamente diversa da tutte le altre che aveva avuto prima: qualcosa di bello e divertente e per lui invece che per i Black. E poi Remus gli aveva dato un dolce che era davvero buono, non come quei pudding disgustosi o il gelato con la frutta. Quindi anche se Sirius non era mai stato eccitato per un biglietto, ora le sue dita scivolarono sulla carta e la strapparono con nervosa anticipazione.

Quando tirò fuori la carta dalla busta, Sirius fece un gran sorriso. C'era un disegno sul davanti, con dei brillantini. Alcuni si trasferirono sulle mani di Sirius anche mentre stava solo tenendo in mano il biglietto. Li guardò con meraviglia, girando la mano sotto il sole per vedere il modo in cui la luce si rifletteva in mille angoli diversi. “È quella volta che abbiamo giocato al Principe Alì e il tappeto magico. Vedi? Ci siamo io e te sul tappeto, che combattiamo le sacerdotesse sopra Baghdad.”

Sirius sorrise, sfiorando delicatamente il disegno. I brillantini erano la scia lasciata dal tappeto volante – Sirius intuì che voleva indicare la magia. Dentro la carta c'erano le parole “Buon Compleanno, Sirius! Con affetto, Remus.” scritte nell'attenta grafia del suo amico. Sirius chiuse il biglietto e lo poggiò sulla panchina, lisciandone i bordi con le dita.

“Grazie,” mormorò. In quel momento, Sirius comprese perché le persone dicevano grazie, che cosa intendevano quando lo dicevano. Per tutta la sua vita aveva memorizzato decine, centinaia di diverse occasioni in cui ci si aspettava di dover rispondere con un “grazie”: quando qualcuno passava il sale, quando Mr. Malfoy gli diceva qualcosa di cattivo, quando Walburga lo lasciava andare a letto dopo essersi occupata di lui. Ma adesso, brutalmente, d'un colpo, Sirius capì come ci si sentiva ad essere riconoscenti.

“Grazie,” ripeté, guardando Remus negli occhi. “Questo è il miglior compleanno che abbia mai avuto.”

Remus scrollò le spalle, giocherellando con la carta del cupcake. “Non è molto. Il prossimo anno lo saprò in anticipo, e faremo qualcosa di davvero fico. Avremo un'intera settimana di avventure solo per il tuo compleanno. Grandi banchetti con tutta la corte, e stregoni e giocolieri e acrobati da tutto il mondo e da tutte le epoche.”

A Sirius venne in mente qualcosa. “E il tuo compleanno? Dobbiamo fare qualcosa anche per te.”

Remus scosse la testa. “Ho già nove anni. E ne faccio dieci tra un sacco di mesi, in ottobre.”

“Devi dirmi quando sta per arrivare. Perché voglio fare qualcosa di fantastico anche per te. Prometti!”

Remus sorrise, inclinando la testa. “Okay. Promesso.” Sigillarono la promessa con la loro speciale stretta di mano. Alzandosi in piedi, Remus indicò con il mento la loro cesta dei costumi. “Ti va di giocare? Ho letto un nuovo libro sui miti delle costellazioni: Orione e Castore e Polluce... pensavo che potremmo fare Castore e Polluce.”

Sirius fece una smorfia. Aveva un prozio di nome Polluce. Non era molto simpatico. “Io faccio Castore,” annunciò. Remus non obbiettò, ed iniziarono a scegliere i loro costumi.


 

**


 

Sirius attraversò la porta per tornare a Grimmauld Place nel tardo pomeriggio, tenendosi la carta di Remus stretta al petto. Mentre si cambiava nei suoi vestiti normali, Sirius diede un'ultima, lunga occhiata al biglietto. Poi lo mise in fondo alla sua scatola dei vestiti, coprendolo con gli indumenti sporchi. Quindi abbassò il coperchio della scatola, la coprì con un lenzuolo, e infilò tutto sotto la scrivania con un altro lenzuolo sopra. Soddisfatto del fatto che il regalo di Remus fosse nascosto per bene, Sirius lanciò un'ultimo sguardo alla Porta prima di farsi strada fuori dalla stanza polverosa.


 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World

Capitolo 8


 

L'aria notturna era abbastanza fresca da far decidere ai due ragazzi di portare con loro una grossa coperta, presa dalla scatola dei costumi, prima di dirigersi alla spiaggia. Visto che era Remus ad aver portato il telescopio, a Sirius toccò trasportare la coperta. La trascinò sull'erba in mezzo alle rovine, incastrandola qua e là su frammenti di colonne o pareti sgretolate. A un certo punto Sirius rischiò anche di cadere all'indietro, e si salvò solo perché lo scadente tessuto della coperta si strappò all'ultimo secondo. A quel rumore, Remus si voltò, muovendo i piedi nudi nel cerchio di terra battuta su cui si era fermato. “Tutto a posto?”

Sirius annuì, raccogliendo il più possibile la coperta nelle sue braccia. Poi i capelli gli caddero sugli occhi, e il ragazzo lanciò indietro la testa per cercare di spostarli. Quando ci riuscì vide che Remus lo stava guardando sorridendo.

“Oi!” brontolò Sirius. “Ho tutta questa-”

Sirius chiuse la bocca quando Remus si infilò il telescopio nella cintura dei pantaloni e corse verso di lui, stendendo le braccia. Tra tutti e due, riuscirono a sollevare la coperta e a trasportarla con successo per gli ultimi pochi metri che mancavano alla spiaggia.

Una volta lì, Sirius e Remus lanciarono la coperta in aria, più in alto che poterono, e la lasciarono cadere sulla sabbia. Era abbastanza grande da permettere a entrambi di sdraiarcisi sopra e di arrotolarla intorno al corpo, quindi i due ragazzi procedettero nel fare esattamente quello. Si contorsero e dimenarono mentre cercavano di avvolgersi come degli involtini – Sirius si prese un momento per cercare il modo di tenere coperto il suo corpo il più possibile, senza però rinunciare all'uso delle mani, mentre Remus cercava di raggiungere il telescopio infilato nel retro dei suoi pantaloni. Finalmente, finalmente si sistemarono, e Remus smise di muoversi, sdraiato lì vicino a Sirius.

Sopra di loro, le stelle erano più brillanti e nitide di quanto Sirius le avesse mai viste. Non che Walburga gli avesse mai concesso molto tempo per osservare le stelle, ma quelle volte che Sirius era sgattaiolato fuori dal letto e aperto le sue tende per guardare il cielo notturno, era stato quasi del tutto buio. Tra le luci della città di Londra e gli alberi e gli edifici che circondavano Grimmauld Place, Sirius era riuscito solo a vedere le stelle più luminose, e solo quando erano esattamente nel posto giusto.

Certo, aveva passato una buona parte delle sue lezioni a studiare le mappe dei cieli, a causa della predilezione della sua famiglia nel dare a tutti nomi di stelle. Sirius riusciva a distinguere le costellazioni maggiori ad occhio nudo. Ovviamente ce n'era solo una che importava veramente quando si trattava della sua famiglia. “Quella è Orione.” Indicò la nitida costellazione, un po' sopra l'orizzonte. Aspettò mentre Remus puntava il telescopio verso quelle stelle facili da individuare. Mentre le osservava, Sirius ebbe un fremito, e si arrotolò più stretto nella coperta.

Suo padre, Orion, non era un grande cacciatore. Almeno, non in un modo che Sirius aveva potuto appurare. Walburga era molto più da temere e evitare di Orion, ma c'era qualcosa che suo padre e il suo omonimo stellare avevano in comune, secondo Sirius: erano entrambi freddi, distanti, e irraggiungibili. Orion non si rivolgeva quasi mai a Sirius: né a cena, né quando tornava a casa dal lavoro, né alle riunioni di famiglia. Sirius era stato convocato nell'ufficio di Orion solo due volte, e non gli piaceva molto pensare a nessuna delle due. Le uniche due volte in cui Walburga e Kreacher si erano rifiutati di occuparsi personalmente di Sirius.

“Tu sei lassù?”

Sirius scosse la testa, poi realizzò che Remus non sarebbe stato in grado di vederlo con l'occhio incollato al telescopio. “No. Più giù... no, di più...” Sirius osservò Remus puntare lentamente il telescopio più in basso, e i suoi occhi si alternarono dalla lente del telescopio al cielo notturno, mentre cercava di tracciare mentalmente il campo visivo dell'amico. “Solo un pochino più a sinistra... la vedi?”

Remus assunse un'espressione accigliata mentre esplorava quel quadrato di cielo con il telescopio. “No, non- oh! È luminosa?”

Sirius sorrise. “Cavoli se è luminosa. La stella più brillante del cielo. Anche nell'Iliade: παμφαίνονθ᾽ ὥς τ᾽ ἀστέρ᾽ ἐπεσσύμενον πεδίοιο / ὅς ῥά τ᾽ ὀπώρης εἶσιν, ἀρίζηλοι δέ οἱ αὐγαὶ / φαίνονται πολλοῖσι μετ᾽ ἀστράσι νυκτὸς ἀμολγῷ, / ὅν τε κύν᾽ Ὠρίωνος ἐπίκλησιν καλέουσι. / 30λαμπρότατος μὲν ὅ γ᾽ ἐστί, κακὸν δέ τε σῆμα τέτυκται...”

La voce di Sirius si affievolì quando raggiunse la parte del “Cane d'Orione”. Non gli era mai piaciuto molto quel verso. La stella più luminosa del cielo, ed era lo stesso solo una proprietà del grande, freddo Orione.

Quando si girò per guardare Remus, trovò che il telescopio era abbandonato sul suo petto, e l'altro ragazzo lo stava osservando con occhi sgranati. “Che cos'era quello?”

Sirius arrossì. Giusto. Remus non aveva avuto i suoi stessi tutori – non aveva avuto nessun tutore in generale, in effetti. E a quanto pare le scuole private non insegnavano il greco antico. “Niente,” mormorò Sirius, inspiegabilmente imbarazzato.

“No, davvero. È stato...” Rischiando un'occhiata al volto di Remus, Sirius scoprì che lo stava guardando come... come se fosse un supereroe, o qualcosa. “Che lingua era? E come fai a ricordartelo tutto?”

Sirius scrollò le spalle, sentendosi un po' meglio una volta capito che Remus non pensava si stesse vantando. “Era una parte dell'Iliade che parla della mia stella, in greco. L'ho imparato secoli fa. Greco e latino sono tutto quello che mi fanno fare,” si lamentò Sirius. “Beh, quelli e la matematica.”

“Com'è in inglese?”

Quasi senza doverci pensare, le parole scivolarono sulla lingua di Sirius: “Il vecchio Prìamo lo vide per primo precipitoso correre pel campo / e da lungi folgorar / l'astro che precorre l'Autunno: scintillante fra numerose stelle / in densa notte manda i suoi raggi / quello che Cane d'Orione s'appella.¹” Quando Remus continuò a fissarlo in silenzio, Sirius iniziò a sentirsi a disagio e fece inutilmente notare: “Sono io. Sirio: il Cane di Orione.” Arricciò il naso. Anche con Remus che lo guardava come se fosse davvero la stella più luminosa di tutto il cielo, Sirius continuava a non trovare gradevole essere chiamato “Cane d'Orione”.

“Lo è anche il tuo, sai,” fece notare Sirius, cercando di cambiare discorso. Quando Remus aggrottò le sopracciglia, Sirius spiegò. “Il tuo nome. È antico.”

L'espressione di Remus si illuminò di colpo e si ruppe in un sorriso. Sirius notò che aveva perso un altro dente – quasi abbastanza in fondo da essere invisibile. A Sirius mancavano solo gli ultimi molari. “Sì! Lo è! L'avevi mai sentito? Romolo e Remo²? È in Tito Livio, sai. La mamma me lo leggeva quando ero piccolo.”

Sirius annuì. Aveva letto un sacco di Tito Livio. Nel latino originale, anche: Iam primum omnium satis constat Troia capta in ceteros saevitum esse Troianos, duobus, Aeneae Antenorique... Sirius poteva recitare l'intero passaggio a memoria – e la cosa certo non lo entusiasmava.³ Poi lanciò un'occhiata a Remus e realizzò che era rimasto in silenzio da quando aveva confermato di sapere chi fossero Romolo e Remo. “Voglio che me lo racconti,” annunciò tutto d'un fiato Sirius.

Remus scrollò le spalle, alzando di nuovo il telescopio e tornando a scandagliare i cieli. “L'hai già letto.”

Sirius rotolò di lato in modo da sovrastare Remus, gli strappò il telescopio di mano e abbassò lo sguardo verso il suo volto esterrefatto. “Ma tu racconti tutto meglio. Anche le cose che ho già sentito.”

Il viso di Sirius era talmente vicino al suo che i suoi capelli sfioravano le guance di Remus. Non riusciva a vederlo perfettamente nella sola luce della luna e le stelle, ma Sirius pensò che la faccia di Remus si fosse oscurata. Sapeva per certo che le sue labbra erano socchiuse, perché sentiva l'aria umida del respiro di Remus sul suo mento. “Raccontamela,” ripeté Sirius.

“Okay.”

Sorridendo, Sirius posò il telescopio sullo stomaco di Remus e si spostò da sopra di lui, in modo da raggomitolarsi al suo fianco, appoggiandosi al gomito mentre aspettava. Gli occhi di Remus cercarono il cielo per un lungo momento, poi si inumidì le labbra e iniziò a raccontare a Sirius la storia del suo omonimo e il suo gemello, cresciuti dalla lupa e fondatori di Roma. Quando la sua voce di affievolì, Sirius gli strattonò la manica per attirare la sua attenzione. “Ma tu non hai un gemello. Vero?”

Remus scosse la testa. “Quando ero molto piccolo, mamma diceva sempre che avrei avuto un fratellino. Poi si è ammalata, e papà ha detto che non poteva più avere bambini.”

“Oh.” La mente di Sirius guizzò verso Regulus. Pensò a lui per un po'. Considerò brevemente di paragonare Regulus con quello che aveva con Remus, ma si fermò subito. Lui e Remus, loro erano... era diverso. Era del tutto differente da avere un fratello. Sirius non sapeva se il motivo fosse che non era cresciuto con Remus, e che quindi sarebbe potuto essere così, quando tra molti anni lui e Remus sarebbero ancora stati amici. Ma lo stomaco di Sirius si contrasse spiacevolmente all'idea. Stare con Remus era diverso da stare con Regulus, e Sirius sospettava che sarebbe sempre stato diverso.

“Avere un fratello minore...” rifletté Sirius. “È fastidioso,” ammise infine. “È come... come se dovesse essere tuo amico, e dovreste sempre essere dalla stessa parte, ma non lo siete. Anche quando si tratta dei vostri genitori o di finire nei guai, di solito litigate tra di voi invece che con loro. Il che non ha senso. Dovremmo essere... i fratelli dovrebbero stare insieme. Ma non lo siamo.”

Nel freddo buio della notte, una mano calda si allungò e raggiunse quella di Sirius. La strinse, e Sirius la strizzò a sua volta.

Quello era solo uno dei motivi per cui stare con Remus era così diverso da stare con Regulus. Remus capiva quando Sirius aveva bisogno che lui parlasse e giocasse, e quando gli serviva la sua quiete per calmarsi. Regulus lo seccava sempre, tutto il tempo a punzecchiarlo e incitarlo, e diceva sempre la cosa sbagliata. Remus magari non sapeva tutte le cose che succedevano a Sirius nel modo in cui lo sapeva Regulus, ma in qualche modo, nonostante non lo conoscesse meglio, Remus lo capiva meglio.

Sirius strinse la mano di Remus, e tornarono a guardare le stelle.


 

**


 

Qualche giorno dopo, dopo cena, Sirius notò Regulus tornare di corsa alla sua stanza, con una sorta di espressione preoccupata che spingeva gli angoli della sua bocca in giù. Decidendo di mettere in atto il suo piano di “Essere un Buon Fratello Maggiore”, Sirius lo seguì.

Quando arrivò davanti la stanza di Regulus, non perse tempo a bussare prima di entrare. La porta era socchiusa, e comunque, non era che Sirius non lo avesse mai visto nudo o cose del genere. Facevano il bagno insieme solo qualche anno prima.

Regulus sobbalzò all'intrusione, girando la sua sedia verso la porta. Quando realizzò che si trattava di Sirius, però, mise semplicemente il broncio e tornò a girarsi verso la scrivania. “Va via, Sirius. Sto facendo i compiti.”

Okay, Sirius poteva farcela. Poteva aiutare. L'operazione “Essere un Buon Fratello Maggiore” sarebbe andata alla meraviglia. “Fammi vedere,” Sirius entrò nella stanza. “Non capisci qualcosa? Ti posso aiutare.”

Gli occhi di Regulus erano diffidenti, ma spostò la mano dal foglio su cui stava lavorando abbastanza a lungo da permettere a Sirius di sbirciare sopra la sua spalla e capire cosa stesse facendo. “Oh, matematica. Facciamo... questo lo so fare. Oh, so un trucco per questo!” disse Sirius sorridendo. Era una cosa che gli aveva insegnato Remus con i fattori. Remus lo chiamava il metodo a “torta di compleanno”; Sirius le chiamava “divisioni al rovescio”. In ogni caso, lo aveva aiutato immensamente – non solo quando doveva frazionare i numeri, ma anche quando doveva trovare il minimo comun denominatore.

“Ecco, guarda.” Senza chiedere il permesso, Sirius strappò la matita dalla mano di Regulus e iniziò a disegnare le divisioni al rovescio. “Okay, quindi, prendi un numero, tipo ventotto. E devi cercare i numeri primi, okay? Solo i numeri primi. Allora, qual'è un numero primo in ventotto?”

Regulus sembrava scettico, ma ci pensò per un momento e infine disse: “Due.”

“Giusto!” Sirius scrisse il due accanto al ventotto, fuori dalla tabella della divisione al rovescio. “Poi levi il due da ventotto – lo dividi, voglio dire, non devi sottrarre – e cosa ottieni? E pensa a delle metà, è più facile con i due.”

L'espressione di Regulus si stava rabbuiando lentamente mentre guardava cosa stava facendo Sirius, ma dopo un lungo momento di silenzio borbottò. “Quattordici.”

“Giusto! E qual'è un altro numero primo in quattordici?”

“Due. Ma-”

“Shh! Abbiamo quasi finito.” Sirius respinse le proteste di Regulus sventolando una mano e continuò a scrivere. “Okay, quindi dividi per due, e viene sette, giusto? E sette è un numero primo, quindi hai fatto! Tutti i numeri fuori sono i fattori. Hai due due, che sarebbe due al quadrato, e poi il sette, quindi...” Sirius scrisse in modo elegante 2²x7 in fondo alla tabella. “Vedi com'è geniale? Puoi anche farlo con le frazioni. Guarda-”

“Ma Ms. Antonia non fa così!”

Sirius si fermò, guardando il suo fratellino a bocca aperta. Regulus era sull'orlo delle lacrime, con un'espressione di intensa rabbia sul volto mentre lanciava un'occhiataccia a Sirius. Si riprese la matita dalle molli dita di Sirius e se la strinse al petto, come un'arma. “Ms. Antonia non fa così,” ripeté.

Sirius gli mise una mano sulla spalla, confuso su cosa fosse andato storto nei due minuti in cui aveva iniziato ad aiutare Regulus con i suoi compiti. “Ma così è meglio. Ed è la stessa risposta.”

Regulus scosse la testa. “Devo farlo nel modo che mi ha fatto vedere la signorina Antonia.”

Sirius rise. “No che non devi.” Regulus stava facendo lo stupido. Era ovvio che non doveva farlo per forza con il metodo della signorina Antonia. Quella era matematica. Fintantoché giungeva alla risposta esatta, non importava come ci fosse arrivato!

No! ” Sconvolgendo enormemente Sirius, Regulus mise una mano sul suo petto e gli diede una spinta, facendolo inciampare indietro di qualche passo. L'altra mano era ancora stretta intorno alla matita in modo protettivo. “Tu non fai mai le cose nel modo giusto,” gridò Regulus. “È per questo che la mamma è sempre così arrabbiata con te, e Ms. Antonia ti chiama stupido.”

Il petto di Sirius bruciava dove Regulus lo aveva spinto, anche se il suo fratellino non era riuscito a metterci molta forza. Gli occhi di Sirius si gonfiarono di lacrime, sfocandogli la vista. Cercando di ignorarle, lasciò che la rabbia feroce prendesse il sopravvento su di lui, controllando le sue azioni. “Tu sei stupido!” gli gridò in risposta.

“Non-argh! Io faccio le cose per bene!” Regulus sbatté un pugno contro i suoi compiti. “Lo dice la signorina Antonia! Sei sempre tu quello che sbaglia.”

“Stavo cercando di aiutarti, stupido idiota!” gli gridò in risposta Sirius. “Va... Vai a quel paese!”

Regulus sussultò, spalancando gli occhi. Sirius realizzò all'improvviso che cosa aveva detto, e tutta la rabbia scivolò fuori da lui. Regulus avrebbe detto a Walburga che aveva detto una parolaccia. Walburga non voleva che loro dicessero parolacce – era “volgare”. La bocca di Sirius divenne asciutta al solo pensiero di quali punizioni gli avrebbe potuto infliggere sua madre per questo.

“Scusa! Mi dispiace. Non dirlo a Walburga. Ti prego.”

Regulus indicò la porta con il suo piccolo indice. “Lasciami in pace!”

Pregando che quello volesse dire che avrebbe evitato la punizione, Sirius eseguì immediatamente l'ordine di Regulus e scappò via. E tanti saluti alle gioie di avere un fratellino. Remus stava molto meglio da solo.

 



 

N/T:

¹ Non ho mai studiato il greco, e ho preso questa traduzione da internet, quindi potrebbe essere completamente sbagliata. Ma l'importante è il senso generale quindi... non ce l'abbiate con me, studenti del classico ;)

² Remo è Remus in inglese.

³ Ho invece studiato il latino, e condivido appieno i sentimenti di Sirius.


 

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 


 

 

Capitolo 9


 

Sirius fece spuntare la testa da dietro la sua fortezza per dare un'occhiata a quello che stava facendo Remus. Quando vide che le fortificazioni di Remus arrivavano fino alla casa accanto alla spiaggia, Sirius emise un verso indignato. “Come hai fatto a farlo così velocemente?!” gridò sopra il rumore delle onde dell'oceano che si infrangevano alla sua destra.

La testa di Remus apparve da dietro la parete del suo castello di sabbia, i suoi capelli che si mimetizzavano quasi perfettamente con la sabbia intorno a lui. “Che cosa?”

Sirius fece un gesto verso il muro del castello di sabbia, che si estendeva dalla vecchia casa vicino la spiaggia giù fino al bagnasciuga. Stava anche iniziando a costruire una torre sul muro! Mentre nel frattempo, la sabbia di Sirius si stava sciogliendo o sbriciolando sotto le sue attente dita. Il suo muro era a malapena alto abbastanza per coprirlo solo in una sezione, figuriamoci per tutta la lunghezza.

“Tregua?”

La risposta di Sirius fu immediata. “Tregua! Vieni ad aiutarmi!”

Remus dovette incespicare fino al bagnasciuga per aggirare il suo muro, per poi arrancare di nuovo quasi fino all'inizio della spiaggia fino ad arrivare alla piccola parte della costruzione di Sirius che stava a malapena in piedi. Mentre camminava, Sirius paragonò la sua sabbia a quella di Remus. Eradiversa, in qualche modo? Sembrava di un colore diverso. Forse Remus aveva della sabbia migliore dalla sua parte della spiaggia.

Quando raggiunse il muro di Sirius, Remus ci infilò subito una mano dentro e ne tirò fuori un pugno di sabbia.

“Hey!” gridò Sirius. “Quello è il mio castello!”

Remus scosse la testa, mentre la sabbia si liquefaceva tra le sue dita. “È troppo bagnata. Si sta sciogliendo. E questa,” Remus si avvicinò a un altra sezione della costruzione di Sirius e le diede un colpetto. Iniziò immediatamente a sbriciolarsi. Sirius brontolò. “Questa parte è troppo asciutta. È una cosa molto specifica,” spiegò Remus, “Ti faccio vedere.”

E fu così che Sirius scoprì che esisteva uno specifico rapporto acqua-sabbia che doveva usare se voleva che il suo castello di sabbia avesse una buona, solida struttura. Doveva anche scavare delle fondamenta per il muro, da riempire con acqua. Mentre Sirius lo aiutava a dare una forma alla costruzione, si meravigliò di quanto migliore fosse il metodo di Remus.

Un'ora – forse anche di più – dopo, Sirius e Remus si fermarono, sudati e sabbiosi, per ammirare il loro lavoro. Il muro di Sirius stava iniziando effettivamente a sembrare come un muro, ora. Sirius fece un gran sorriso e lanciò un braccio intorno alle spalle di Remus. “Fantastico!” Poi arricciò il naso e ritirò la mano verso di lui, accorgendosi di come la sua pelle fosse completamente coperta di sabbia. “Ew. Vado a farmi un bagno.”

“Stai attento!” gli gridò Remus, ma lo stava già seguendo verso il mare. Era un giorno terribilmente caldo, considerando che a casa si stava avvicinando novembre. Ma Sirius aveva già capito che le stagioni nel loro Mondo non funzionavano proprio come a casa. In effetti, l'unica regola che il meteo del loro Mondo sembrava seguire era qualsiasi cosa gli servisse quel giorno. Quando avevano parlato di fare delle torte di fango o di avere delle epiche battaglie sotto la pioggia scrosciante, il tempo li aveva accontentati. Quando avevano voluto fare un falò e sedersi lì davanti insieme sotto una coperta, l'aria si era raffreddata. E quando a casa si gelava e tutto ciò che volevano era una torrida giornata d'estate, avevano dei giorni come quello.

L'acqua del mare era fredda, ma non come quella della Manica. Remus sembrò quasi leggere la mente di Sirius mentre sguazzava nell'acqua ridendo. “Una volta sono andato nel Mare del Nord con i miei cugini. Era così freddo che le mie labbra sono diventate blu in un paio di minuti. Ed era estate!

Sirius rise. Remus aveva parenti nei posto più strani, come su al Nord. La famiglia di Sirius neanche si associava con quelle del Nord, figurarsi avere qualcuno della famiglia che veniva da lì.

“Pensi di poter fare il resto da solo?”

Sirius annuì, sciacquandosi via gli ultimi grumi di sabbia dal petto. Remus lo stava guardando, aveva finito di pulirsi e l'acqua gli gocciolava dal petto e sui pantaloni, lasciandoli pieni di macchie bagnate. Sirius fece un sorrisetto dispettoso, mentre si abbassava ancora per pulirsi. Ma poi si tirò su di scatto e schizzò una grande quantità d'acqua verso Remus, ridendo istericamente dello shock che aveva paralizzato il suo amico. Remus rimase lì fermo, fradicio dalla testa ai piedi, mentre Sirius correva indietro verso la spiaggia, diretto al suo muro.

“Sirius!”

Sirius rise e si abbassò dietro la parete. Il suo secchiello dell'acqua era ancora lì, quasi pieno. E meno male, perché avrebbe presto avuto bisogno di un mucchio di palle di sabbia, se stava interpretando bene le grida di indignazione di Remus.

“Sirius! Sirius! Io... io ti dichiaro guerra!”

“Okay!” Sirius ridacchiò e iniziò a mettere con attenzione la giusta quantità d'acqua nella sua sabbia e dargli la forma di palle di neve. Lisciò con precisione una sezione di sabbia vicino a sé da usare come una specie di... dispensa... di proiettili? Come si chiamava quella cosa che avevano le famiglie reali? Una sorta di spazio solo per le armi. C'era probabilmente una parolona per indicarlo, o qualcosa. Qualunque cosa fosse, adesso Sirius ne aveva una, riempita con una pila di palle di sabbia in rapida crescita.

Quando Sirius decise che doveva avere almeno un milione di palle di sabbia nella sua armeria (o almeno un centinaio), fece spuntare la testa da dietro il muro. Il lato di Remus era relativamente tranquillo... eccetto... Sirius rimase senza fiato. Remus aveva costruito altre due torri! E avevano anche piccole finestre, proprio come i veri castelli.

Brontolando, Sirius si rimise al lavoro. Poteva fare meglio di quello. Avrebbe costruito cinque torri sul suo castello. E sarebbero state due volte più alte! Avrebbe anche costruito delle scale per salirci, per quanto sarebbero state alte. E avrebbe potuto sparare palle di sabbia sulla testa di Remus facilmente. Mettendosi al lavoro, Sirius iniziò a costruire una torre nel modo che gli aveva insegnato Remus. Quando finì, ne costruì un'altra. E un'altra. Non riuscì a lanciare più di una rapida occhiata a Remus per tutto il tempo, per lo più quando correva fino alla fine della sua parete per raccogliere altra acqua nel suo secchiello.

Quando il primo proiettile fu lanciato, Sirius si era quasi dimenticato di essere nel bel mezzo di una guerra. Infatti, la palla di sabbia che lo colpì sulla testa fu così inaspettata che si guardò intorno per almeno quindici secondi, chiedendosi quale parte del suo scrupolosamente costruito muro gli stesse collassando addosso. Poi un'altra palla si schiantò sul terreno a meno di mezzo metro da lui, e Sirius spalancò gli occhi ricordandosi all'improvviso della battaglia in corso.

“Vile marrano¹!” gridò Sirius. Non sapeva neanche che cosa quella parola volesse dire, ma una volta la aveva sentita dire da un pirata. Suonava davvero fica. “Pagherai per questo!”

La voce di Remus era soffocata e venata di ironia quando rispose. “Provalo!”

Sirius brontolò e iniziò a raccogliere le sue armi. Aveva aggiunto qualche proiettile di sabbia della grandezza di palle di cannone da quando aveva iniziato, anche se non era molto sicuro della loro efficacia. Non aveva nessun modo di lanciarle veloci, e si sarebbero probabilmente sgretolate non appena le avrebbe prese in mano. Sebbene quello rimanesse un problema, Sirius sollevò due palle di sabbia di grandezza normale, una in ogni mano, e gridò: “Vedremo chi vincerà, Re Remus!” Con quello, Sirius saltò fuori da dietro il suo muro e scagliò le due palle, una dopo l'altra, verso la sezione dove pensava si nascondesse Remus.

Ovviamente, Remus era esattamente dalla parte opposta del castello, e riuscì a colpire Sirius sulla guancia prima ancora che lui riuscisse a realizzare il proprio errore. Sirius gemette e si lasciò cadere dietro le sue fortificazioni mentre Remus gli rideva dietro. “Assumerei nuovi arcieri se fossi in te, Re Sirius!” gridò. Sirius gemette di nuovo. Remus era meglio di lui anche a gridare insulti-da-castello!

Quando la sabbia smise di volare avanti e indietro, il castello di Sirius era terribilmente, terribilmente straziato. Una torre era quasi completamente distrutta, un'altra avevo perso la sommità. C'erano due grossi buchi nel muro, e l'intera costruzione si era abbassata di almeno venti centimetri rispetto all'inizio. Le sue munizioni si erano esaurite, incluse le palle di cannone (che, come previsto, si erano provate essere completamente inutili.). Il ragazzo si accucciò dietro il suo muro pericolante e brontolò mentre si legava al dito un pezzo di stoffa strappato dai suoi pantaloni.

“Re Sirius! Re Sirius! Ti arrendi?”

Sospirando, Sirius fece spuntare la sua mano oltre il muro, con il pezzo di pantalone legato stretto intorno al suo indice. Una palla di sabbia volò sopra la sua testa, come previsto. Dopo che fu atterrata il ragazzo gridò: “Mi arrendo! Hai vinto tu!”

Dal lato della spiaggia di Remus non provenne neanche un suono, cosa che Sirius trovò strana. Con cautela, – perché, come aveva imparato oggi, pur di vincere Remus non era al di sopra di trucchetti sporchi – Sirius fece spuntare la testa da dietro il muro. Nessun movimento dal lato di Remus. Che strano.

All'improvviso qualcosa attaccò Sirius da dietro, facendolo collassare sul suo precario muro. Sirius gridò, ma la sua risata sorpresa all'attacco di Remus rovinò il suo tentativo di sembrare arrabbiato. “Ho vinto io!”

Gli occhi di Remus scintillavano quando si sedette sopra di Sirius, rivolgendogli un gran sorriso. Aveva sabbia sui capelli e sul petto, visto che, dopo il loro veloce bagno nell'oceano, Sirius era riuscito a mettere a segno qualche colpo nella loro infuocata battaglia. Sirius sorrise, restando disteso sulla sabbia visto che Remus sembrava essere contento di rimanere seduto sopra di lui. A Sirius non dispiaceva. Remus era abbastanza leggero da non dare fastidio. E aveva vinto, dopotutto.


 

**


 

Fu quasi una settimana dopo che Remus fu in grado di venire di nuovo. Qualcosa a proposito di una recita di Natale e di come le prove fosseroobbligatorie, per quanto Remus le detestasse. Il giorno in cui avevano deciso di incontrarsi di nuovo era durante il weekend, così che Sirius fosse stato libero dalla sua tutrice e Remus dalla scuola. Tuttavia, Sirius doveva comunque svegliarsi alla stessa ora per unirsi a colazione insieme alla sua famiglia, proprio come ogni altro giorno. Per quel motivo, riuscì ad arrivare al loro Mondo molto prima che Remus si fosse anche solo svegliato, probabilmente.

Sirius sorrideva con gioia mentre si cambiava nei sui vestiti da gioco. Avrebbe speso la mattinata a costruire ancora più fortificazioni. Remus era riuscito a sconfiggerlo l'ultima volta, ma Sirius aveva studiato da allora. A quanto pareva, c'erano un sacco di libri nella sua biblioteca di famiglia su cose come tattiche militari e battaglie in castelli e cose del genere. Non aveva trovato niente sulla costruzione di strutture di sabbia, e per quello era arrivato così presto. Avrebbe ricostruito tutto, e poi avrebbe fatto tutto più alto e migliore : armi torri, qualsiasi cosa. Forse stavolta sarebbe anche riuscito a costruire quelle torri con le scale.

Correndo dalla porta giù verso la spiaggia, Sirius costruì mentalmente i suoi piani. Prima avrebbe dovuto riparare i danni della volta precedente. Ma non ci avrebbe impiegato molto: non più di un'ora, proprio al massimo.

Quando raggiunse il cerchio di terra davanti la spiaggia, Sirius si fermò di colpo. Stava guardando verso la parte della spiaggia dove erano stati i castelli suoi e di Remus, ma... niente. Lì non c'era più niente. Ma... com'era possibile? Avevano costruito in alto, molto più su del bagnasciuga. Giusto? E avevano costruito così tanto, era impossibile che l'oceano si fosse ripreso tutto così velocemente.

Ma no: non c'era niente. Nessun bozzo ad indicare i muri, neanche una piccola buca dove era stato il fossato di Remus. Sirius si lanciò sulla spiaggia, correndo e inciampando. Guardò verso il piccolo sentiero che si interrompeva alla spiaggia, dove avano disegnato le loro linee di divisione. Niente. Non c'era più niente. Non era rimasto nulla. Cadendo in ginocchio sulla sabbia, Sirius colpì il terreno con le mani, e iniziò a piangere.

Quando Remus lo trovò lì un'ora dopo, le sue lacrime si erano asciugate. Perché i ragazzi grandi non piangevano, e decisamente non piangevano per cose così stupide come i castelli di sabbia. Ma quando sentì i passi di Remus sul sentiero dietro di lui, e i piccoli suoni di sconcerto che scapparono dalla sua gola, gli occhi di Sirius si riempirono di nuovo di lacrime bollenti. Le soffocò, asciugandosi il volto sconvolto sulla manica. Non poteva piangere per questo. Cosa più importante: non poteva lasciare che Remus lo vedesse piangere per questo.

“Sirius?”

Sirius brontolò qualcosa.

Remus rimase in silenzio, ma Sirius sentiva la sua presenza dietro di lui: lo guardava, pensando a cosa fare. Dopo un momento o due, mentre Sirius faceva del suo meglio per fermare i suoi singhiozzi, Remus si lasciò cadere accanto a lui sulla sabbia. Le loro spalle si toccarono. Remus non si mosse per mettere distanza tra di loro, quindi rimasero a contatto.

“Va tutto bene,” disse Remus dopo un po'. “Possiamo costruirne un altro. O giocare a qualcos'altro.”

In qualche modo quella rassicurazione tranquilla servì solo a far arrabbiare Sirius. “Io non voglio fare qualcos'altro!” gridò. “Volevo continuare a fare i castelli di sabbia! Ci avevamo lavorato così tanto, e ora... è tutto andato.”

CI fu una lunga pausa, come se Remus stesse lasciando volare via le parole di Sirius prima di riempire l'aria con parole nuove. Il suo braccio scivolò intorno alla schiena di Sirius, e lui si ritrovò a raggomitolarsi al suo fianco, lasciandosi confortare dal suo amico. “Forse è una cosa buona,” rifletté Remus. La testa di Sirius era infilata proprio sotto il mento dell'altro, e le sue labbra solleticavano i capelli di Sirius mentre parlava. “Se la pensi in un certo modo, è come se il mare avesse portato via i castelli perché non dovevamo più spenderci tempo. Perché dobbiamo fare qualcosa di meglio. Perché le cose di sabbia non dureranno mai per sempre. E il mare ci stava dicendo che avremmo dovuto fare qualcosa di meglio, come tutti gli edifici qui intorno.”

“Io non voglio fare qualcosa di diverso,” borbottò Sirius. Ma i suoi occhi erano già più asciutti, e la stretta dolorosa nel suo petto si era un po' allentata.

“Forse la sabbia è come quando stai facendo in dipinto, e primi lo disegni a matita. Così puoi cancellare e fare errori e correggerli. Ma quando fai qualcosa di davvero importante, la dipingi. Perché la pittura è permanente. Forse è questo che stava facendo il mare: ci stava portando via le nostre matite.”

Sirius ascoltò il respiro di Remus quando ebbe finito, la testa che si alzava e abbassava lentamente con il suo petto. Gli era così vicino che riusciva anche a sentire il battito di Remus sotto il suo orecchio: un ritmo regolare, rassicurante. Qualcosa di permanente. Come la pittura.

Sirius dovette essersi addormentato per un po', perché quando aprì gli occhi il sole si era visibilmente mosso verso l'orizzonte. Si spostò dal grembo di Remus, districandosi dalle sue braccia. L'altro ragazzo lo guardò in silenzio, con occhi pazienti, sicuri.

“Devo andare tra poco,” disse Sirius. Era via da troppo tempo, e Walburga l'avrebbe notato alla fine.

“Okay.”

Impulsivamente, Sirius portò Remus in un abbraccio, stringendolo stretto a sé. Remus ricambiò la stretta, affondando il viso tra il collo e la spalla di Sirius. “Ciao,” mormorò Sirius quando si separarono.

“Domani,” promise Remus. “Posso venire domani. E giocheremo a qualcosa di nuovo.”

Sirius annuì e si tirò in piedi, strofinandosi via la sabbia dai vestiti. Domani avrebbero iniziato qualcosa di nuovo, e sarebbe andato tutto bene. Se lo diceva Remus, era vero.


 


 

N/T:

¹Ammetto di non essere un'esperta di insulti pirateschi, e la gentilissima Tils mi ha aiutato a trovare questa traduzione! Grazie ancora :* 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 10


 

Il mondo era molto più silenzioso qui sotto. I rumori non erano del tutto soffocati, ma molto deboli. Sirius si chiese se dentro la testa di Remus fosse così. Non meno attivo, perché Sirius poteva ancora vedere tutto e sentire qualcosa. Ma più tranquillo. Più calmo.

Sirius riemerse dalla superficie dell'acqua, prendendo un gran respiro e scuotendo i capelli. Accanto a lui, Remus era accovacciato, sommerso nella parte basse della piscina. Sirius gli diede un colpetto sulla testa per attirare la sua attenzione.

“Che c'è?” Remus si strofinò gli occhi con mani bagnate, sbattendo le palpebre per cercare di farne uscire l'acqua. Sirius notò che le sue ciglia erano ancora bagnate e sembravano essersi unite tra di loro in graziosi piccoli triangolini marroni.

“Vuoi giocare a qualcosa?”

Mentre Remus ci rifletteva, si lasciò galleggiare all'indietro leggermente, tenendo le dita dei piedi ben salde sul fondo della piscina.

Con il sole afoso che picchiava sulle loro teste, oggi avevano deciso di andarsi a fare una nuotata in piscina. Ovviamente, visto che nessuno dei due sapeva effettivamente nuotare, avevano finito per sguazzare semplicemente nella parte bassa della piscina, infilando la testa sott'acqua e riemergendo solo quando i loro polmoni gli ricordavano che non erano pesci.

Quando Remus aveva suggerito di provare ad andare a nuotare, Sirius si era accigliato e aveva sentito una piccola punta di imbarazzo nel suo petto. Non aveva quello che si considerava un “normale” costume da bagno: piuttosto, erano dei vestiti disegnati per coprire più pelle possibile continuando in qualche modo ad essere adatti per la spiaggia. Aveva deciso con il protestare mentendo a Remus solo un pochino, dicendogli di non avere un costume da bagno. Remus aveva solo riso e iniziato a spogliarsi, rimanendo in mutande. Dopo un breve momento di confusione che fece fare una giravolta al suo stomaco, Sirius aveva realizzato che Remus intendeva indossare le mutande come costume da bagno. Sirius aveva abbassato la testa imbarazzato della sua ingenuità, e aveva iniziato anche lui a spogliarsi velocemente. I loro vestiti li stavano aspettando sul davanzale di quella che doveva essere stata una finestra, a distanza sufficiente dai loro schizzi e giochi.

“Potremmo giocare a Marco Polo.”

Sirius agitò pigramente una mano in acqua, guardando affascinato i torrenti e mini-mulinelli che riusciva a fare. La piscina aveva qualche sorta di corrente minima che gli scorreva attraverso (il che era probabilmente il motivo per cui non era ancora diventata tutta vischiosa e disgustosa come la vecchia fontana rotta che occupava un angolo lontano del cortile di Grimmauld Place). La corrente faceva in modo che l'acqua fluisse in un modo molto diverso da come Sirius avesse mai visto: non era completamente ferma, come la sua vasca da bagno, ma non aveva neanche le forti e rapide correnti dell'oceano. Sirius pensò che avrebbe potuto provare tutti i diversi flussi prodotti dai suoi schizzi per un lungo tempo prima di esserne soddisfatto.

Finalmente alzò lo sguardo verso Remus e inclinò la testa. “Che cos'è Marco Polo?”

L'espressione di Remus cambiò in un lampo da pensierosa ad eccitata. “Oh, è fantastico. Io chiudo gli occhi, e dico 'Marco!' e tu devi rispondere 'Polo', eccetto quando sei sott'acqua, e poi io devo provare ad acchiapparti. Oh, e se esci dall'acqua e io lo capisco, posso dire 'pesce fuori dall'acqua!' e tocca a te.”

Sirius annuì. Era come acchiapparella nell'acqua, con solo qualche regola in più. Sarebbe stato divertente. “Tu acchiappi per primo,” decise. “Perché conosci le regole.”

Remus annuì, imperturbato. “Okay. Chiudo gli occhi e conto fino a venti.”

Anche mentre Sirius annuiva, si stava già guardando intorno e pensando alla sua strategia. Nessuno dei due poteva andare nella parte profonda, quindi quella era da escludere. Sirius pensò che avrebbe potuto aggrapparsi al bordo della piscina e trascinarsi fino all'acqua alta, ma sarebbe stato come barare. Inoltre Remus non sarebbe stato in grado di salvarlo se fosse scivolato, e il pavimento di marmo intorno alla piscina era piuttosto scivoloso quando erano bagnati. Quindi la cosa più intelligente da fare era probabilmente quella di nascondersi nell'angolo opposto da dove si trovava Remus, ovvero l'ultimo punto prima che la piscina diventasse troppo profonda. Poi, quando Remus si fosse avvicinato, Sirius avrebbe solo dovuto continuare a muoversi davanti a lui, il più rapidamente possibile in quella strana camminata saltellante che entrambi usavano per muoversi in acqua.

“Diciotto, diciannove, venti. Marco!”

Sirius sorrise. Chiamare la persona che stava acchiappando verso il posto in cui ti nascondevi sembrava essere l'esatto opposto di tutto quello che sapeva sul nascondino. Era bizzarro, ma anche divertente ed eccitante. “Polo!” gridò in risposta.

Quando Remus si girò esattamente verso di lui, Sirius si sentì un po' nervoso. Aveva la sensazione che non si sarebbe sentito così sicuro sulla posizione di Remus quando sarebbe stato il suo turno di acchiappare con gli occhi chiusi. Forse Remus era molto, molto bravo a questo gioco.

Infatti, con grade delusione di Sirius, Remus gli si avvicinò molto rapidamente. Sirius si trovò circondato con le spalle contro un angolo della piscina, riuscendo solo ad arrivare al punto di partenza di Remus prima di non riuscire più a muoversi oltre. Remus era così vicino a lui, con le mani tese in avanti e gli occhi chiusi, il viso piegato leggermente all'insù quasi come se lo stesse fiutando. Sirius si scosse con risate silenziose contro l'angolo della piscina. Avrebbe potuto provare ad allontanarsi, ma era certo che Remus l'avrebbe sentito. E non voleva farsi acchiappare, non ancora. Quindi Sirius si fece più piccolo possibile premendosi contro il muro, facendo del suo meglio per non scoppiare in risatine isteriche mentre Remus continuava ad avvicinarsi.

“Marco?” chiamò Remus un'ultima volta. La sua mano destra ondeggiò a un centimetro dalla punta del naso di Sirius.

“Polo,” sussurrò Sirius. Remus fece l'ultimo passo, e Sirius si trovò intrappolato tra il morbido, caldo corpo di Remus e il duro e freddo bordo di marmo dietro di lui.

Remus rise, aprendo gli occhi e guardando Sirius. Si sorrisero, mentre Sirius faceva del suo meglio per interrompere il fremito che aveva travolto il suo corpo come una sorta di strana eccitazione. Questo era senza dubbio un bel gioco. Avrebbero dovuto giocarci sempre.

“Ti ho preso.”

Sirius rise davvero stavolta, solo perché poteva. Diede una spinta giocosa al petto di Remus. “Sei troppo bravo! Non ti prenderò mai, vero?”

Il sorriso di Remus fu veloce ma luminoso. “Devi provarci.”

Sirius sbuffò. Era ovvio che ci avrebbe provato. Non sarebbe stato divertente, altrimenti. Ma era del tutto sicuro che non sarebbe stato in grado di acchiappare Remus.

Si separarono e Sirius si girò verso l'angolo, chiudendo gli occhi. “Uno, due, tre...” Sentì chiaramente il rumore degli schizzi di Remus per un momento, mentre si allontanava da lui, e poi... silenzio. Sirius brontolò tra sé e sé. Se Remus era già così silenzioso, Sirius non sarebbe mai riuscito a trovarlo. Però, doveva comunque dire Polo. Sirius l'avrebbe trovato in quel modo.

A quanto pareva, Sirius avrebbe davvero dovuto fare più attenzione alla piccolo regola di Remus di dover sempre rispondere “Polo!” “a parte quando sei sott'acqua”. Quell'aggiunta era apparentemente il segreto di Remus per vincere il gioco. Sirius gridò Marco durante tutto il gioco, ma ricevette in risposta un “Polo” solo due volte in tutto. Dopo un'ora (o almeno sembrò come un'ora) di braccia tese in avanti e gola dolorante per aver gridato “Marco!” così tante volte, Sirius ammise finalmente la sconfitta, aprendo gli occhi e guardandosi intorno per cercare Remus. Era sott'acqua, ovviamente.

Quando salì in superficie per prendere fiato fu così veloce che Sirius dovette schizzare nella sua direzione un paio di volte prima che Remus realizzasse che non stavano più giocando. Il ragazzo sorrise vittorioso, strofinandosi gli occhi per cercare invano di asciugarli. Sirius gli lanciò un'occhiataccia e si assicurò di affogarlo almeno una volta quando ripresero a nuotare insieme. Remus rise e si pettinò i capelli all'indietro con le dita, ancora sorridente. Sirius brontolò e uscì dalla piscina. Era facile sorridere quando avevi vinto.

“Sirius!” Remus lo seguì fuori dall'acqua, con un'espressione un po' preoccupata. Sirius trattenne un sorriso e aspettò sul bordo della piscina che il suo amico lo raggiungesse sulla terra ferma. “Sirius, non essere arrabbiato. Mi dispiace. È solo che ci gioco un sacco con i miei cugini, e-”

Nel momento in cui Remus si fu tirato in piedi, Sirius gli diede di colpo una spinta e lo ributtò nella piscina. L'espressione sul volto di Remus!Completamente scandalizzata. Sirius rise e saltellò qua e là sul marmo, facendo delle boccacce a Remus quando riemerse, ansimando e tossendo acqua dal naso.

“Ah! Ecco. Adesso siamo pari!”

Mentre Remus tornava verso il bordo della piscina, Sirius realizzò che stava studiando con interesse le sue caviglie. Il più velocemente possibile, Sirius fece un salto all'indietro allontanandosi dal bordo, verso gli archi all'entrata dell'edificio. Remus rise e si allungò per un fiacco tentativo di acchiappare la gamba di Sirius, ma lui era già ben fuori dalla sua portata. Schizzando nell'acqua deluso del suo tentativo di vendetta fallito, Remus iniziò di nuovo a tirarsi fuori dall'acqua.

Sirius si mosse verso i suoi vestiti, ma Remus lo fermò e indicò l'esterno della casa della piscina. “Aspetta. Andiamoci ad asciugare un po'.”

Sirius sbatté gli occhi, riflettendoci per un momento. Le sue dita bagnate sfiorarono il tessuto dei suoi pantaloni mentre osservava Remus, gocciolante d'acqua e con addosso niente a parte la piccola striscia di tessuto delle sue mutande. Sirius annuì. “Okay.”

Dalla parte opposta della strada rispetto alla casa della piscina c'erano le fondamenta di un edificio completamente distrutto; distrutto da cosa, Sirius non riusciva a immaginarlo. Essendo le fondamenta tutto ciò che era rimasto, l'intero piano terra dell'edificio era esposto al sole. Le antiche pietre che una volta supportavano l'edificio fungevano perfettamente da superfici dove i due ragazzini potevano sdraiarsi come gechi e asciugarsi al sole.

Sirius si sfiorò lo stomaco con la punta delle dita mentre socchiudeva gli occhi verso il cielo, fissando dritto il sole prima di chiuderli forte, riempiti di lacrime, per poi ripetere il processo. Qualcuno gli aveva detto – non era sicuro quando – di non guardare direttamente il sole. Adesso Sirius usava ogni opportunità che trovava per fissare la grande palla di fuoco. Che, come aveva imparato, era in realtà una stella proprio come tutte le altre nel cielo.

“Pensi che esistono gli alieni?” chiese a Remus, continuando a fissare il sole.

Da qualche parte alla sua sinistra e un po' più giù, vicino la sua coscia, Remus rispose. “Assolutamente. Con tutti i pianeti e le stelle e il resto, devonoesistere. Magari non sulla Luna o su Marte, ma da qualche parte sì.”

“Stavo pensando...” Sirius guardò il sole un altro po'. Quando i suoi occhi non ce la fecero più li serrò di colpo. Dei soli rossi in miniatura danzarono dietro le sue palpebre. “Stavo pensando al nostro sole. E a come, tipo, se ci sono gli alieni, loro vedono il nostro sole come una delle loro stelle. E poi ho pensato alle costellazioni, e a come la nostra stella potrebbe essere in una costellazione per qualche alieno. E la mia stella potrebbe avere dei pianeti intorno con degli alieni.”

Remus ridacchiò. “Pensi che se ti incontrassero ti farebbero il loro Re?”

Sirius rise. Non aveva pensato a quello. Sarebbe stato fantastico. Un giorno sarebbero venuti con le loro navicelle spaziali e avrebbero portato via Sirius dalla sua casa, da Walburga e Kreacher, via dalla Terra, e l'avrebbero portato al loro pianeta d'origine.

Ma, affilata come un coltello, Sirius sentì qualcosa che non aveva mai sentito prima quando fantasticava sullo scappare da Grimmauld. Sentì riluttanza. Quella sensazione aveva tutto a che fare con il ragazzo steso a terra solo a qualche centimetro da lui, abbastanza vicino da dover solo allungare una mano per toccarlo. A Sirius sarebbe mancato Remus terribilmente se fosse mai stato salvato da Grimmauld, se fosse mai riuscito ad andare via. Beh. Se gli alieni fossero mai venuti a portarlo via per farne il loro Re, Sirius avrebbe solo dovuto fargli sapere che Remus era il suo co-Re.

“Tu saresti il mio co-Re,” annunciò Sirius.

Remus stette al gioco, come Sirius sapeva che avrebbe fatto. “Okay. E se veniamo risucchiati indietro nel tempo dai Romani, tu puoi essere il mio co-imperatore. Non litigheremmo come hanno fatto i veri Romolo e Remo.”

Sirius annuì. Certo che non avrebbero litigato. Insieme sarebbero stati dei mitici co-imperatori.

“Stavo pensando a una cosa.”

Quelle semplici parole provenienti da Remus facevano sempre formicolare Sirius su tutto il corpo per l'eccitazione, come se una grande avventura fosse all'orizzonte. Dopo tutto, le idee di Remus erano quasi sempre mitiche. Anche se ogni tanto gli venivano idee come Marco Polo, in cui lui era il migliore e Sirius era semplicemente terribile.

Sirius quasi trattenne il respiro mentre Remus continuava. “Quando stavo galleggiando sott'acqua, ho pensato che sicuramente è così che si sentono gli astronauti. Tipo, nello spazio. E pensa a come rimbalzavamo quando ci muovevamo: sembrava esattamente come camminavano quegli astronauti americani nel video in cui atterrano sulla luna. Pensi che-” La voce di Remus si bloccò di colpo, ed emise una sorta di suono triste. Sirius si accigliò all'istante, chiedendosi il motivo dell'improvviso nervosismo del suo amico. “Voglio dire... lo so... non lo è. Non è fico. Gli astronauti. Piacciono solo a me.”

Sirius rise. “E chi l'ha detto?! Gli astronauti sono così fichi!” Con gli occhi ancora chiusi, Sirius sentì i capelli di Remus sfiorare la sua coscia mentre girava la testa, e un respiro sollevato scaldò la sua pelle. Sirius non aveva idea di chi avesse detto a Remus che gli astronauti erano da sfigati, ma erano ovviamente degli stupidi. Gli astronauti erano fantastici. Certo che aveva visto l'allunaggio! E soprattutto quello era stato fantastico. Sirius sperava che l'Inghilterra iniziasse presto il proprio programma spaziale, o magari iniziasse a lavorare con gli americani. Forse sarebbe potuto diventarlo, un astronauta. Se avesse trovato il modo di riuscirci senza che Walburga lo venisse a sapere. Magari avrebbe potuto studiare e allenarsi in segreto, e Walburga non ne avrebbe neanche saputo niente fino a che non fosse volato via. Dopotutto, non è che poteva inseguirlo fino allo spazio.

“Ho visto come camminavano,” confermò Sirius. “Hai ragione: rimbalzavano come noi.” Si tirò su di colpo, realizzando dove Remus volesse andare a parare. “Pensi come potremmo far finta di essere astronauti?! Tipo come... come si chiamavano, te li ricordi? Walburga non mi-” Sirius si interruppe. Non gli piaceva troppo dire a Remus quello che Walburga gli lasciava o non gli lasciava fare, o davvero qualsiasi cosa su di lei. Remus era molto meglio di qualsiasi cosa di Grimmauld Place, e Sirius voleva tenere le due cose separate, come se non potessero mai, mai mischiarsi neanche in un milione di anni. “Non me li ricordo,” concluse fiaccamente.

Se Remus aveva notato che Sirius aveva cambiato la sua spiegazione nel bel mezzo della frase, non lo diede a vedere. Si sedette accanto a Sirius, con piccole gocce d'acqua non ancora evaporate che gli scivolavano giù dal petto. “Neil Armstrong, Buzz Aldrin, e Michael Collins. Stavo pensando, che potremmo fare tipo delle favole. Solo che sono nello spazio. Tipo, c'è un alieno cattivo, okay? E rapisce la principessa astronauta...”


 

**


 

“Vieni, Principessa Astronauta Remusa! L'alieno è a terra, e dobbiamo scappare!”

La mano di Sirius si chiuse intorno al polso di Remus, pelle bagnata che scivolava contro la sua. Remusa stava guardando Sirius molto attentamente, lanciandosi ogni tanto un occhiata alle spalle verso l'area dello Spazio Profondo, dove Sirius aveva appena lanciato l'enorme mostro alieno.

Saltarono in giro per la loro navicella spaziale, con l'assenza di gravità che rendeva l'azione molto lenta. Quando raggiunsero le porte scorrevoli Sirius spinse Remusa in avanti, poi ci si lanciò attraverso proprio prima che si chiudessero. Ci fu un'enorme esplosione dietro di loro solo un momento dopo, e Sirius e Remusa furono scagliati contro il pavimento della stazione spaziale. Quando si rimisero in piedi, Sirius si voltò e guardò attraverso la finestra della porta scorrevole. La bomba che aveva lanciato dietro l'alieno malvagio erano scoppiata, distruggendo con sé anche l'alieno! C'erano sangue, budella e disgustosi pezzi di verde pelle aliena che fluttuavano in grossi grumi attraverso lo spazio profondo.

Gli occhi di Sirius scintillarono di eccitazione mentre si voltava verso Remusa. “Sei salva, Principessa! L'alieno cattivo non ti potrà mai più fare del male!”

Remusa sbatté le ciglia verso Sirius, le mani strette sul petto. “Grazie, Sirius! Mi hai salvato la vita!” Poi fluttuò in avanti e lo baciò sulla guancia.

Sirius si immobilizzò. Remusa- Remus. Remus l'aveva baciato sulla guancia. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma quello avrebbe significato muovere la bocca, e quello avrebbe significato muovere la guancia, e Sirius non voleva muoverla. Non ancora. Perché le labbra di Remus erano state lì, bagnate e lisce e se Sirius fosse riuscito a rimanere completamente immobile per il resto dell'eternità avrebbe potuto sentire per sempre il perfetto contorno delle labbra di Remus sulla sua guancia, in qualche modo. Poteva ancora sentirle, come se fossero ancora lì.

“Sirius?”

Sbattendo gli occhi, Sirius vide che Remus – decisamente Remus, non Remusa – era nervoso e aveva le guance arrossate, e si stava mordendo il labbro mentre lanciava un'occhiata a Sirius. “Io... um...”

Diverse cose accaddero nella testa di Sirius nello stesso momento. La prima fu l'immediata realizzazione che Remusa avrebbe dovuto farlo più spesso. E anche Siria avrebbe dovuto farlo. Avrebbero dovuto finire ogni singola storia così. Ogni volta. La seconda cosa fu che il cervello di Sirius lo informò gentilmente che Remus stava per dire qualcosa che avrebbe avuto come risultato il fatto che non lo avrebbero fatto mai più. Infine, Sirius venne alla quasi immediata conclusione che avrebbe dovuto fare qualcosa, proprio in quel momento, per fare in modo che Remus non si scusasse.

“Non c'è di che, Principessa.” disse Sirius nella sua migliore voce da astronauta. Poi si sporse in avanti e baciò Remusa sulla guancia, proprio come lei aveva baciato lui. Era bagnato. E morbido. E liscio. Sirius si chiese se sulla guancia di Remus ci fossero le stesse scintille che aveva sentito lui. Sperava di sì. Altrimenti lo stava facendo nel modo sbagliato.

Quando si tirò indietro, Sirius realizzò che doveva essere stato lo stesso per Remus, perché aveva quell'enorme, ridicolo sorriso che appariva solo qualche volta, e solo quando Sirius faceva qualcosa di assolutamente brillante. Sirius gli lanciò un sorriso luminoso in risposta, mentre il suo sguardo si alternava tra le labbra di Remus e i suoi scintillanti occhi ambrati.


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 11


 

Gli ultimi raggi di sole stavano scendendo dietro la linea degli alberi mentre Sirius cercava di evitare di dover salutare Remus. Strofinò i piedi sulle pietre di marmo sotto di lui, serrando le dita intorno al bordo della panchina, ed evitando in generale gli sguardi che gli mandava Remus con la coda dell'occhio. Il suo amico sapeva che doveva sempre andare via prima di lui per avere il tempo di pulirsi prima di cena, e quell'ora era decisamente già arrivata, se non già passata. Ma Sirius non voleva andarsene. Non ancora – mai, in realtà.

“Possiamo giocare alla casa mentre vado?” sussurrò Sirius. Accanto a lui, Remus smise di scarabocchiare degli abbozzi di storie su un foglietto di carta e lo guardò.

“Vuoi fare finta che stai andando al lavoro?”

Sirius annuì, sentendosi triste e patetico. L'unico modo in cui poteva convincersi di tornare a Grimmauld Place in quel momento era di giocare alla casa. Remus sarebbe stata sua moglie Remusa, e Sirius avrebbe raccolto le sue cose come se stesse uscendo per andare al lavoro. Remusa gli avrebbe dato un bacio sulla guancia e gli avrebbe detto di fare un buon lavoro e che l'avrebbe aspettato quando sarebbe tornato a “casa”.

Sirius non tirò su con il naso. I suoi occhi non si riempirono di lacrime. Non lo fece. Ma qualche volta, era meglio far finta che questo Mondo che aveva con Remus era casa, e Grimmauld Place solo qualche posto da dover sopportare. Era meglio pensare a Remusa come la sua famiglia, piuttosto che le persone che lo aspettavano dall'altra parte della porta. E i baci di Remusa aiutavano sempre. Rendevano sempre tutto più sopportabile.

Qualche volta Remus chiedeva la stessa cosa in cambio, e Siria lo mandava al lavoro con un bacio sulla guancia. Ma non lo chiedeva così tanto come Sirius, e solo in quei giorni in cui sembrava molto, molto triste. Quei giorni non erano frequenti, per il sollievo di Sirius. Non sopportava il pensiero di mandare Remus a casa da qualcosa di altrettanto brutto quanto quello da cui lui tornava ogni giorno. La casa di Remus doveva per forza essere meglio di quella di Sirius. Non ci potevano essere due Walburga nel mondo: non c'era niente di così crudele.

“Forza, tesoro.” In un attimo, Remusa stava strattonando il braccio di Sirius, incoraggiandolo ad alzarsi dal loro tavolo della cucina. “Farai tardi al lavoro se non ti sbrighi. Non vorrai che il tuo capo si arrabbi.”

La risata di Sirius finì più per suonare come un miscuglio tra un singhiozzo e un sospiro, ma si alzò. Remus non sapeva davvero quello che succedeva a Grimmauld, perché a Sirius non piaceva parlare della sua casa o Walburga o Kreacher. Non voleva che Remus fosse infettato da Grimmauld Place o dai sentimenti di Sirius nei suoi confronti. Ma Remus era intelligente: sapeva che Sirius non voleva mai tornare a casa. E qualche volta Sirius si lasciava scappare delle cose, per sbaglio.

“D'accordo, amore,” replicò Sirius. Era stato Remus il primo a raccontargli dei buffi soprannomi che si dicevano qualche volta moglie e marito. Lui non aveva mai sentito Walburga o Orion rivolgersi tra di loro nient'altro che per il loro nome. Qualche volta anche per cognome.

Remusa aiutò Sirius a raccogliere la sua valigetta e il cappello e lo accompagnò alla porta d'ingresso. Una volta lì, Sirius si voltò verso di lei, con occhi imploranti.

Proprio come sempre, Remusa si sporse in avanti e premette le sue labbra sulla guancia di suo marito. Sirius chiuse gli occhi, concentrandosi sul leggero, caldo tocco delle labbra di Remusa sulla sua pelle. Ma quando lei iniziò a tirarsi indietro, una grande, profonda solitudine gli crebbe nel petto, artigliandolo dall'interno e pregandolo di fare qualcosa per fermarlo. D'impulso, Sirius afferrò il polso di sua moglie e la fermò, gli occhi dritti nei suoi. Poi le si avvicinò e premette le labbra sulle sue.

Remus sussultò nella presa di Sirius, ma prima che Sirius potesse tirarsi indietro e scusarsi, lui – lei, Remusa – stava rispondendo al bacio. Erano solo labbra premute forte una contro l'altra, muovendosi leggermente, e teste inclinate di lato, come Sirius aveva visto fare in televisione. Quando si separarono, il viso di Remus era tutto rosso, le sue labbra socchiuse e il fiato grosso.

“Io-”

Sirius interruppe sua moglie con un piccolo sorriso sghembo che nascondeva le giravolte che stava facendo in quel momento il suo stomaco. “Ci vediamo dopo il lavoro,” promise.

Sirius notò che Remus stava cercando di diventare Remusa di nuovo, ma era ancora rosso in volto e aveva un'espressione un po' disorientata. “Okay. Caro. Buona... buona giornata. Buon lavoro.”

Sirius attraversò la porta e la chiuse dietro di lui, ritornando a Grimmauld Place con il cuore più leggero di quanto avesse fatto in molto tempo. Remus era semplicemente fantastico quando si trattava di far sentire meglio Sirius, riguardo a qualsiasi cosa. Finché avrebbe avuto Remus, tutto sarebbe andato bene.


 

**


 

Sirius tirò su con il naso e si tirò la coperta su fino al mento, raggomitolandosi nel centro del suo grosso letto vuoto. Le luci erano spente. Tutte le luci erano spente. Sirius aveva finito per fare tardi a lavarsi, e di conseguenza era arrivato tardi a cena. Dopo aver finito di punirlo, Walburga si era messa in testa che se Sirius era abbastanza grande da sfidare lei e i suoi orari, allora era anche abbastanza grande da andare a letto senza il lumino da notte.

E così Sirius sedeva sul suo letto, tremando e stringendosi la coperta intorno ancora di più, se possibile. Nella sua stanza era così buio. Buio pesto. Notte nera per Sirius Black¹. Se solo fosse riuscito ad arrivare fino alle tende per aprirle, forse sarebbe entrata un po' di luce dalla strada. Ma per farlo, avrebbe dovuto muoversi dal centro del letto e camminare fino alla finestra. E quello non poteva proprio farlo. Prima avrebbe dovuto avvicinarsi al bordo del letto, dove qualsiasi cosa avrebbe potuto afferrarlo da sotto. Poi avrebbe dovuto effettivamente appoggiare i piedi sul pavimento. E chi sapeva cosa sarebbe potuto succedere allora?

Sirius ebbe un fremito. Voleva chiudere stretti gli occhi e andare a dormire, ma non voleva che una volta chiuse le palpebre avrebbe mancato il movimento di qualcosa nel buio. Se solo si fosse concentrato un po' di più, avesse spalancato di più i suoi occhi...

Che cos'era quello? La testa di Sirius scattò verso destra, dove aveva pensato di vedere qualcosa. Niente di niente? Appena poté confermare che non riusciva ancora a vedere più in là del suo naso, Sirius tornò a guardare di fronte a sé. Se teneva la testa rivolta davanti a lui poteva osservare la stanza al meglio, e niente sarebbe riuscito a strisciare fino a lui. Probabilmente.

Era così spaventato. E non c'era niente che potesse fare al riguardo. Mancavano ancora ore e ore e ore alla mattina. Non poteva aprire le tende per fare entrare un po' di luce o qualcosa gli avrebbe afferrato le caviglie. E ovviamente accendere qualsiasi luce nella stanza era fuori questione: anche se avesse potuto raggiungere un interruttore dal centro del suo letto (cosa che non poteva fare), Sirius era sicuro che qualcuno l'avrebbe notato. Kreacher o Walburga sarebbero entrati di corsa a spegnere la luce. Dopo averlo punito in qualche modo.

Sirius era scosso da tremiti e i suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime. Scandagliò la sua mente alla ricerca di qualche maniera per stare meglio, per non essere così terribilmente spaventato. Si fermò nell'unico punto luminoso di sempre, l'unico punto luminoso nell'intera, stupida esistenza di Sirius: Remus.

Forse... Sirius soffocò le lacrime, asciugandosi gli occhi. Forse poteva far finta di essere con Remus. Potevano far finta di essere in una nave spaziale dove le luci si erano spente, e dovevano andare alla stanza del reattore per riaccenderle. Remus poteva fare il Capitano questa volta, perché Sirius era troppo spaventato per essere il capo. Remus avrebbe saputo cosa fare. Remus l'avrebbe protetto, e si sarebbe preso cura di lui, e avrebbe combattuto contro tutto quello che si trovava nel buio e spaventava Sirius. Perché Remus rendeva tutto quanto migliore, anche – specialmente – le cose che Sirius non riusciva a fare da solo.

Tutto quello che Sirius dovette fare fu sbattere gli occhi, e Remus fu lì. Per un momento Sirius sentì il suo stomaco contrarsi spiacevolmente. Ogni volta che giocavano insieme, facevano sempre finta di essere con persone che non erano reali: Capitan Uncino o la Strega Cattiva o gli uomini del Controllo Missione (che Sirius immaginò esistessero davvero, ma non li conosceva personalmente). Giocare con un Remus-finto sembrava... sbagliato. Come se stesse barando. O facendo una cosa inquietante. Ma poi Sirius pensò di aver visto qualcosa baluginare alla sua destra, e si ritrovò a stringere Remus-finto con tutta la sua forza.

“Va tutto bene,” bisbigliò Remus. “Non ci sono mostri là fuori.”

“Come lo sai?” gli bisbigliò in risposta Sirius. Desiderò che il suo amico fosse davvero lì, così da poter sentire veramente le mani di Remus su di lui, a stringerlo forte. Qualche volta quando erano seduti sulla panchina Remus gli accarezzava i capelli, o lo abbracciava quando giocavano. Sirius desiderò che Remus lo stesse facendo in quel momento, per davvero. Ma avrebbe solo dovuto far finta che fosse così.

Sirius immaginò il fiato di Remus muovere i suoi capelli mentre parlava. “Perché ho degli occhiali a visione notturna. Posso vedere nel buio, e non c'è nessun mostro.”

“Potremmo giocare a fare i ladri, e ci stiamo nascondendo dallo Sceriffo nella foresta.”

Remus annuì contro la nuca di Sirius. Conoscevano entrambi quel gioco. Era uno dei preferiti di Sirius, perché poteva essere un affascinante bandito. “Posso fare io il primo turno di guardia.”

Sirius annuì. “Sì. Tu fai la guardia per lo Sceriffo e i lupi, e io dormo. Poi mi svegli e faccio il secondo turno.”

Improvvisamente, fu molto più facile addormentarsi. Con Remus lì, a stringere forte Sirius e scrutare nella notte con i suoi occhiali a visione notturna, nessun mostro poteva attaccarlo. Non era più così spaventato, finché teneva il Remus immaginario nella sua mente, proprio lì nel letto accanto a lui, a fare la guardia e proteggerlo per tutta la notte.


 

**


 

La mattina seguente dopo le lezioni con la tutrice, Sirius si trovò, per la prima volta, riluttante ad attraversare la sua porta e raggiungere l'altro Mondo. Era riuscito ad addormentarsi con l'aiuto di Remus-finto, ma adesso provava dei sentimenti strani al riguardo. Non era solo il fatto di aver fatto finta di essere con qualcuno che conosceva davvero, anche se quello era il motivo principale. Ma ciò gli aveva anche fatto venire dei dubbi sul fatto che Remus fosse davvero reale. Forse l'intero Mondo non era reale. Forse Sirius se l'era solo inventato, perché era spaventato e solo e voleva qualcuno con cui giocare. Ma non si sentiva così: Remus sembrava molto più reale quando Sirius giocava con lui nel Mondo di quanto lo era stato la scorsa notte, ma forse... forse.

Sirius gironzolò per le grandi stanze della sua casa, evitando il piano di Walburga, e pensò. Si tenne al centro dei corridoi, facendo attenzione a non avvicinarsi troppo alle pareti perfettamente pulite o ai vasi costosi e cimeli di famiglia che ingombravano i lati. Normalmente se Sirius era insicuro riguardo qualcosa lo chiedeva a Remus, ma ovviamente non era possibile farlo per quel particolare problema. Forse... Sirius si fermò, inclinando la testa verso la porta davanti la quale era andato a finire. Era la stanza di Regulus. C'era un cartello sulla porta scritto nella precisa – se non particolarmente elegante – calligrafia di Regulus che diceva:

Non Entrare

Senza il Permesso

di Regulus Arcturus Black

Sirius alzò gli occhi al cielo. Sì, certo.

Sirius bussò alla porta, poi l'aprì senza aspettare una risposta. Non che Regulus facesse mai niente di interessante quando stava da solo: Sirius aveva sempre e solo visto il figlio preferito fare i compiti o esercitare la sua calligrafia o altre stupide cose del genere per far piacere a Walburga.

Infatti, Regulus era piegato sulla scrivania, scrivendo quello che sembrava un biglietto di ringraziamento. A Sirius venne in mente che Walburga aveva portato Regulus con lei a visitare un qualche parente, ed aveva deciso che Sirius sarebbe stato troppo imbarazzante da portarsi dietro. Regulus stava probabilmente scrivendo una nota per ringraziarli della loro “ospitalità” o qualche altra stupidaggine. Proprio come un bravo bambino.

“Oi! Regulus.”

“Vattene via, Sirius,” borbottò Regulus, senza neanche alzare gli occhi dal foglio. “Sto lavorando.”

Sirius lo ignorò, saltando invece sul suo letto e rimbalzandoci sopra. Regulus posò la penna e gli lanciò un'occhiata frustrata, con un'espressione come se volesse rimproverare Sirius ma non sapesse come. Sirius non gliene diede l'opportunità. “Ho una domanda, una domanda seria,” spiegò Sirius. “Me ne vado se rispondi.”

Regulus gli lanciò un'occhiataccia. “Stai rovinando le mie lenzuola. Kreacher le ha fatte proprio questa mattina.”

Con un respiro profondo Sirius si buttò sul letto, stropicciando le lenzuola ancora di più. Sentì Regulus emettere un gemito acuto in protesta. Come Regulus riuscisse ad andare d'accordo con quell'orribile, cattivo, disgustoso Kreacher, Sirius non l'avrebbe mai capito. Ma a Kreacher sembrava piacere Regulus, proprio come a Walburga. Quando era più piccolo Sirius pensava che fosse ingiusto, ma adesso non gli importava. Dopotutto, lui piaceva a Remus, e Remus valeva cento Walburga, e mille Kreacher.

“Certo che Kreacher le ha fatte stamattina: è quando ti sei svegliato,” brontolò Sirius. Ma continuò, perché aveva davvero bisogno di qualcuno con cui parlare di tutte le cose che si aggrovigliavano nella sua mente, e Remus non era un'opzione. “Giochi mai a fare finta?”

Quando Regulus rimase in silenzio per un momento, Sirius alzò la testa dalle lenzuola attorcigliate e gli lanciò un'occhiata. Regulus lo stava fissando, con un piccolo cipiglio che contorceva la sua bocca e sopracciglia. “Vuoi dire immaginarti delle cose con cui giocare?”

Sirius annuì.

“Non più. Lo facevo. Prima. Mai poi Kreacher mi ha visto e mi ha detto che i giovani signorini non lo fanno, perché è da bambini e persone povere.”

Kreacher. Sirius voleva... voleva... non sapeva neanche che cosa volesse fare a Kreacher. Voleva che se ne andasse per non tornare mai più, e poi sparisse per sempre così non da non dare mai più fastidio a un'altra famiglia. Voleva fare in modo che nessuno dovesse mai più guardare la sua stupida, cattiva, orribile faccia. Da “bambini”. E “persone povere”. Kreacher era terribile.

Ma Sirius non disse niente di tutto ciò, perché voleva ancora parlare con Regulus e insultare Kreacher avrebbe solo fatto in modo che il suo fratellino lo buttasse fuori. Succedeva sempre. Invece lanciò solo un'occhiataccia a Regulus abbastanza intensa da essere sicuro che sapesse che Sirius odiava Kreacher con tutto se stesso. Poi continuò a parlare. “Beh, pensi mai che qualcosa non sia reale? Tipo che forse hai solo fatto finta? Tipo, se Kreacher non fosse reale e tu l'avessi solo immaginato nella tua testa tutto questo tempo?” Dentro di sé, Sirius si crogiolò in quel pensiero. Se solo si fosse immaginato Kreacher per tutto questo tempo. Però, se l'avesse fatto, avrebbe dovuto avere un cervello molto spaventoso.

Regulus adesso sembrava solo confuso. “Ma lui è reale. Tu lo vedi. Mamma lo vede. Lo vedono tutti. So che è reale.”

Sirius si morse il labbro inferiore. E lì sorgeva il problema. Nessun altro aveva mai visto Remus – beh, a parte la sua famiglia, ma Sirius sapeva di loro solo perché gliene aveva parlato Remus. E aveva dei biglietti e delle cose che gli aveva dato Remus, ma forse se le era solo fatte da solo e aveva fatto finta che qualche bambino inventato di nome Remus gliele avesse regalate.

“Come altro fai a sapere se qualcosa è reale?” chiese Sirius, più a se stesso che a Regulus. Poteva toccare Remus, ma di nuovo, poteva anche far finta di toccare Remus. C'erano cose che Remus sapeva e lui no, ma forse Sirius le aveva solo lette e poi dimenticate? Per quel che ne sapeva, ogni momento con Remus poteva anche essere stato un brillante, vividissimo sogno. Forse ogni volta che andava nel Mondo andava a sbattere contro un muro di mattoni e sveniva.

Okay, quello era stupido. Sirius rise, facendo saltare Regulus, che aveva dimenticato essere lì. Sirius si riconcentrò su di lui. “Come fai a saperlo?” chiese di nuovo.

Regulus ci pensò per un momento, i suoi lineamenti così simili a quelli di Sirius ma con un'espressione così differente, in qualche modo. Qualche volta Sirius pensava che se si fossero scambiati di corpo avrebbero finito per avere lo stesso aspetto di adesso. Il loro esterno era identico, ma l'interno... qualcosa nel modo in cui muovevano i loro corpi e le loro facce rendeva Sirius e Regulus del tutto differenti.

Dopo un po', Regulus scrollò le spalle e rispose semplicemente: “Lo è se lo sai.”

Sirius ci rifletté. Forse. Forse era così semplice. Sapeva che Remus era reale. Sapeva che il Remus della scorsa notte non lo era. Quindi forse Regulus aveva ragione. “Grazie,” mormorò Sirius. Quando un'espressione sorpresa baluginò sul volto di Regulus, Sirius sentì una minuscola punta di senso di colpa. Anche se Regulus era un grosso idiota a cui importava troppo di far contenti Walburga e Kreacher, erano comunque fratelli. Avrebbe dovuto aiutarlo di più, spendere più tempo con lui. Domani.

“Grazie.” Sirius saltò giù dal letto e uscì velocemente, diretto alla Porta. Adesso che era almeno stato rassicurato che Remus esisteva davvero, si sentiva a suo agio con l'idea di giocare con lui di nuovo. Si sentiva ancora un po' strano per aver usato un Remus-finto la notte scorsa, ma riusciva ad ignorarlo. Sirius pensò che forse Remus faceva la stessa cosa: giocava con un Sirius-finto quando si sentiva solo.

Per qualche ragione Sirius sentì il suo intero corpo diventare caldo al pensiero. Qualcosa sul fatto che Remus giocasse con un lui-finto quando era a casa... Sirius strizzò gli occhi e si strofinò il viso, fermo nel mezzo del corridoio. Si sentiva strano. E imbarazzato. Un po' come la notte prima quando gli era venuto in mente di giocare con un Remus-finto.

Il ragazzo scosse la testa e riprese a camminare facendo attenzione quando girava gli angoli e scendeva rampe di scale a non muoversi troppo velocemente o rumorosamente e non toccare nessuna nelle preziose, costose cose che riempivano la sua casa. Decise che non avrebbe chiesto a Remus se pensava a lui o facesse finta di giocare con Sirius-finto quando era a casa. Si sarebbe tenuto la cosa per sé e basta. E avrebbe usato un Remus-finto solo quando ne avesse avuto davvero, davvero bisogno, come la notte precedente.



 


 

N/T:

¹ In inglese c'era un gioco di parole decisamente migliore, Pitch black for Sirius Black (Pitch black vuol dire “buio pesto”), ma credo che in italiano dovremo accontentarci di questo... almeno che ovviamente a qualcuno di voi non ne venga in mente uno migliore, in qual caso sono tutta orecchie :D

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 12


 

La luce della torcia illuminava tutto intorno a Sirius, ma il ragazzo sapeva che il riverbero non arrivava fuori la sua stanza. L'aveva infilata e accesa sotto le coperte non appena l'aveva trovata, per provare se Walburga o Kreacher potevano vederne il riflesso. Fortunatamente, gli strati di lenzuola e lo spesso piumone soffocavano abbastanza la luce, che sembrava non esserci neanche. Ma illuminava perfettamente lo spazio sotto le coperte.

Sirius stava lavorando duramente, ed ora ormai notte fonda. Teneva la torcia stretta tra i denti, diretta in basso verso il foglio che aveva in grembo. Il giorno dopo sarebbe stato il decimo compleanno di Remus – o meglio, il compleanno di Remus era stato tre giorni prima, di giovedì. Ma Remus aveva avuto delle cose da fare a scuola il giovedì e venerdì, e poi aveva avuto una cena di famiglia venerdì sera, e poi sua mamma aveva organizzato una festa di compleanno per lui di sabato con tutti i suoi compagni di scuola. Sirius si era intristito quando Remus glielo aveva detto, ma l'amico gli aveva assicurato che non erano davvero suoi amici, solo i suoi compagni di classe. Gli era anche sembrato turbato dicendolo, e ciò non avrebbe dovuto rendere Sirius felice, ma l'aveva fatto. Quindi il giorno seguente, domenica, Sirius e Remus avrebbero celebrato il suo compleanno ufficialmente. E Sirius aveva dei piani geniali.

Aveva frugato in lungo e in largo per la sua casa nelle ultime due settimane, in cerca di qualche decorazione e carta e penne colorate per fare un bigliettino a Remus. Aveva ancora il biglietto che gli aveva regalato lui al suo nono compleanno, nascosto nella sua piccola scatola di scarpe. Era bellissimo, con disegni ad acquerelli colorati e brillantini dappertutto. Ma Sirius non aveva quelle cose in casa sua. C'erano delle tempere ad olio che lui e Regulus dovevano usare nelle loro lezioni di disegno, ma erano costose e potevano usarle solo in presenza di Ms. Antonia. E di certo non avevano nulla come brillantini o cartoncini colorati.

Invece, Sirius aveva dovuto arrangiarsi con la sua penna stilografica e alcuni dei fogli color crema che non mancavano mai nelle stanze sue e di Regulus. Avrebbero dovuto scriverci sopra ringraziamenti e “corrispondenze” per persone importanti. Beh: Remus era una persona importante. La più importante. Quindi in realtà Sirius stava usando i materiali nel modo giusto.

Aveva pensato di fare qualche sorta di disegno, ma non aveva neanche lontanamente il talento artistico di Remus. Quello che Sirius era bravo a fare era scrivere in una grafia così elegante da meritare di essere letta dalla Regina in persona. Quindi decise di decorare la lettera di Remus come se il suo amico fosse la persona più importante del mondo, e si meritasse tutte le cose più costose e belle. Aveva già decorato il davanti del foglio: piccoli riccioli e spirali tutto intorno agli angoli, come se fossero stampati. Poi squadrò in modo elegante i bordi, facendo anche delle doppie linee. Sulla busta aveva disegnato le iniziali di Remus nella sua migliore grafia possibile, sistemando le lettere in quello strano modo confuso che aveva imparato: RLJ, Remus John Lupin.

L'unico problema adesso era capire che cosa scrivere. Sirius si tolse la torcia dalla bocca e la posò sulla sua coscia mentre iniziava a pensare. Aveva decorato in modo carino anche la carta all'interno. Ma lo spazio in cui avrebbe dovuto scrivere qualcosa era bianco. Sapeva di dover scrivere “Buon Compleanno”. Fin lì era facile. Ma voleva fare qualcosa di... speciale. Qualcosa che avrebbe fatto sentire Remus tanto felice quanto lui aveva fatto sentire Sirius. Qualcosa che gli avrebbe fatto capire quanto Remus era importante per lui. Ma le parole per come Remus lo faceva sentire, o quanto fosse importante per Sirius, semplicemente non erano nella sua testa. Era come se risiedessero tutte nel suo petto, dentro quella fluttuante, formicolante sensazione che sentiva ogni volta che attraversava la Porta, e tutto si illuminava e diventava migliore. Sirius non era neanche sicuro che esistessero delle parole per quella cosa. Lui certamente non le aveva mai sentite.

Forse... Sirius si guardò intorno, anche se era separato dal resto della sua stanza, sotto le coperte. Forse i libri l'avrebbero fatto meglio, gli avrebbero detto che cosa dire. Un particolare passaggio gli venne in mente.

Soffocando con attenzione la luce della torcia sotto le coperte, Sirius scivolò fuori dal letto e si diresse alla sua libreria. Afferrò la sua copia delle Metamorfosi e tornò velocemente a letto, tirando le coperte sopra di sé. Di nuovo al sicuro nel suo recluso mondo illuminato, Sirius si mise a sfogliare le pagine del poema, cercando le due strofe in particolare che gli fluttuavano in mente. Quando le trovò, copiò le parole in latino sul lato sinistro del biglietto, poi le tradusse sull'altro alto.

Te quoque, Amyclide, posuisset in aethere Phoebus,

tristia si spatium ponendi fata dedissent.

qua licet, aeternus tamen es, quotiensque repellit

ver hiemem, Piscique Aries succedit aquoso,

tu totiens oreris viridique in caespite flores.
 

Anche per te, Giacinto, figlio di Amicla, Febo avrebbe trovato

un posto nel cielo, se il Fato gliel'avesse concesso.

Ma eterno sei, questo sì: ogni volta che la primavera

allontana l'inverno e l'Ariete succede alla pioggia dei Pesci,

ogni volta tu in fiore rinasci tra il verde delle zolle.


 

Mordendosi il labbro, Sirius fissò il bigliettino, chiedendosi se avrebbe dovuto scrivere qualcos'altro. Qualcosa a parte “Buon Compleanno” - qualcosa per spiegare perché gli era venuto in mente quel passaggio mentre pensava a Remus. Ma non riuscì a trovare nulla, proprio come non era riuscito a mettere in parole quella sensazione nel suo petto. Quindi si accontentò solo di scrivere:

Buon Compleanno, Remus.

Con affetto,

Sirius Orion Black.

Riguardò l'insieme per un momento, controllando tutto un'altra volta. Non era perfetto, e non rendeva nel modo che voleva Sirius quanto fosse importante Remus per lui. Ma sarebbe dovuto andare bene, perché era il meglio che poteva fare.

Sirius mise il biglietto nella busta, poi si precipitò alla sua scrivania. Il più velocemente possibile e con la torcia sotto il suo pigiama per smorzarne la luce, Sirius fece sciogliere un po' di cera sopra l'apertura della busta. Con attenzione, come gli era stato insegnato per anni e anni, Sirius premette il suo sigillo nel centro della cera e lo tenette lì premuto mentre aspettava che si freddasse. Fu pronto in qualche secondo. Sirius corse di nuovo a letto e spense la torcia. Nascose la busta sotto il cuscino che non usava mai, poi si girò dall'altra parte e si raggomitolò sotto la coperta. Domani sarebbe stata una giornata fantastica. Sperava solo che a Remus sarebbe piaciuto il suo regalo, e il suo biglietto.


 

**


 

Per la sorpresa di Sirius, Remus lo stava già aspettando alla loro panchina quando passò dietro il muro la mattina dopo. Sirius lanciò in aria le sua braccia per la frustrazione, regalo e biglietto stretti in una mano. “Perché sei già qui?!”

Remus stava già correndo verso Sirius, con un gran sorriso e occhi scintillanti. “Ho saltato la colazione. Non volevo aspettare.”

“Non finirai nei guai?”

Remus rise. “No. È tutto a posto. Ho solo detto a mamma che andavo a trovare un amico.”

Sirius non indagò oltre sull'indulgenza dei genitori di Remus. Aveva capito molto tempo fa che quello che succedeva a casa dei Lupin e a Grimmauld Place erano due cose molto differenti. Anche se qualche volte Remus assumeva la triste, spaventata espressione che Sirius sapeva anche il suo stesso viso aveva ogni volta che pensava a Grimmauld Place, non aveva niente a che fare con i suoi genitori. I genitori di Remus sembravano amarlo molto.

Gli occhi di Remus scivolarono sul regalo nella mano di Sirius, anche se era abbastanza educato da non chiederlo ad alta voce. Sorridendo, Sirius alzò i regali sopra la testa e allungò un braccio verso Remus. “Buon Compleanno!”

Senza un momento di esitazione, Remus si lanciò tra le braccia di Sirius, abbracciandolo stretto. Sirius lo strinse forte con un braccio solo. Aveva quasi voglia di dargli anche un bacio, ma non stavano giocando a niente. Sarebbe stato strano se uno di loro non fosse stato una ragazza, dopotutto, e se non avesse fatto parte della storia.

Quando si separarono Sirius abbassò il braccio e tese i regali verso Remus. L'altro ragazzo sorrise e li prese, osservando curioso il regalo di forma squadrata incartato in una delle sue magliette da gioco (aveva avuto troppa paura ad andare nelle stanze di Walburga, dove pensava tenesse tutte le cose che usava per incartare i regali). Poi guardò il biglietto, e i suoi occhi si spalancarono mentre lo ammirava.

“L'hai comprato?”

Sirius scosse la testa, sorridendo mentre Remus sfiorava leggermente con le sue dita la calligrafia sul davanti, girando poi la busta ed esaminando il sigillo di cera sul dietro. Almeno tutte quelle stupide lezioni avevano finalmente avuto uno scopo. “No. L'ho fatta io.”

Gli occhi di Remus si spalancarono ancora di più, poi si alzarono verso di lui. Sirius immaginò che il suo sguardo fosse di ammirazione. “Wow. Sirius, è bellissima!”

Sirius scrollò le spalle, con molta nonchalance. “Non è niente. Ho imparato a fare tutte quelle lettere strane secoli fa, quindi...”

Remus infilò con esitazione un dito sotto il sigillo sul dietro, aprendo la busta senza distruggerla. Sirius sperò che quello volesse dire che a Remus piaceva abbastanza da tenerla. Non voleva essere l'unico a tenere ricordi dell'altro ragazzo. E ovviamente, gli piaceva immaginare che Remus pensasse a lui anche quando non erano insieme, quando tornava a casa in qualunque posto vivesse.

Senza dire una parola e con un'espressione che non rivelava nulla, Remus lesse il biglietto. Esaminò il davanti, l'interno, a destra e a sinistra. Poi guardò a sinistra di nuovo, e a destra. Dopo un momento Sirius realizzò che stava cercando di collegare le parole alla sua traduzione in latino.

“Ti...” Sirius sapeva che Remus non poteva leggere il latino, ma aveva pensato che sarebbe andato bene lo stesso. Doveva essere un vera lettera ufficiale, dopotutto. E per tutta la sua vita a Sirius era stato insegnato che nell'alta società si studiava il greco e il latino. “Non ti pia-”

“Grazie.” Gli occhi di Remus erano luminosi, il suo sorriso morbido ma totalmente, completamente felice quando alzò finalmente lo sguardo dal biglietto. “Grazie, Sirius. È fantastico. E non ho mai sentito prima di Gia... Giacinti?”

“Giacinto,” disse Sirius. “Ed Apollo. È una storia molto triste, in effetti: Giacinto finisce per essere ucciso per sbaglio, ma poi Apollo è molto triste quindi lo trasforma in un fiore. Non voglio dire... non è che tu muori, o niente del genere. E neanch'io. Ho solo... non lo so.” Sirius arrossì, imbarazzato. Non aveva davvero pensato al resto del mito fino a quel momento. Erano state solo quelle strofe ad apparire nella sua mente mentre cercare le parole per esprimere quello che provava verso di Remus. “Ho solo pensato che fosse bello. E.”

Il sorriso di Remus non era sbiadito sentendo la spiegazione di Sirius. “Anch'io penso che sia bello,” replicò. Il cuore di Sirius fece un salto, e un gran sorriso si aprì sul suo volto dalla gioia.

“Oh. Bene.”

Rivolgendo la sua attenzione al regalo incartato, Remus ne tirò via la stoffa. Sirius la prese da lui – era una delle sue magliette da gioco, dopotutto. Quando Remus vide quello che c'era all'interno emise un suono sorpreso, e la sua bocca si spalancò. “Sirius! Questo è...”

Sirius scrollò le spalle. Non era niente. Era solo un taccuino che aveva ricevuto in regalo per il suo decimo compleanno qualche mese prima. Walburga gli aveva detto di esprimere calorosamente la sua gratitudine nella sua lettera di ringraziamento, visto che apparentemente era molto costoso. Qualcosa a proposito di intarsi d'avorio e una vera foglia d'oro sulla copertina. Qualunque cosa fosse, a Sirius non serviva. C'erano un milione di cose costose in giro per casa sua – non si sarebbe notata la mancanza di un quaderno come quello.

Lo disse a Remus, che scosse la testa. “È... è bellissimo, Sirius. Ma, non posso-” Il viso di Remus sembrò crollare quando alzò lo sguardo su Sirius. “Il regalo che ti ho fatto io...”

Oh. Sirius realizzò quello che intendeva Remus. Scosse vigorosamente la testa. “No, Remus! Il regalo che mi hai fatto tu era fantastico! Non avevo mai avuto un paio di jeans prima!” Erano davvero fantastici. Sirius li avrebbe indossati sempre se avesse potuto – lo facevano sentire come una qualche sorta di star del cinema Hollywoodiana o un tipo duro o una cosa del genere.

Remus era ancora turbato. “Ma erano solo un mio vecchio paio. Non erano-”

Sirius scrollò le spalle. “E questo è solo un mio vecchio quaderno. Non è che l'avrei usato. E comunque: sei sempre tu quello con le idee geniali. Adesso hai qualcosa dove puoi scriverle tutte in un posto solo, invece di usare fogli sparsi come facciamo adesso e perderli sempre. E se puoi rileggere tutto lì dentro, allora le nostre avventure saranno ancora meglio. Quindi è come se fosse un regalo anche per me.”

Remus sembrava ancora scettico, ma alla fine sorrise un pochino. “Grazie.”

Sirius scrollò le spalle, di nuovo con noncuranza. “Okay. Non c'è di che.”

Remus allora lo abbracciò, e Sirius desiderò che stessero giocando così Remus l'avrebbe baciato. Avrebbe dovuto suggerire un gioco del genere, dopo. Magari qualcosa che avesse a che fare con i compleanni...

Ma quando si separarono, gli occhi di Remus stavano già scintillando con quello sguardo che Sirius sapeva voleva dire che aveva appena avuto un'idea totalmente geniale. Sirius sorrise, aspettando. Quando Remus aveva quello sguardo voleva dire che aveva qualcosa di nuovo da dire a Sirius, qualcosa di eccitante e geniale. “Potremmo giocare ai detective.”

Remus si stava già dirigendo verso la panchina per scegliere tra i loro materiali, quindi Sirius si affrettò a seguirlo. Accettò il vestito che erano riusciti a procurarsi un po' di tempo fa e se lo infilò sopra i vestiti. Era una regola generale che chiunque stesse festeggiando il compleanno poteva essere il ragazzo, non importava di chi fosse il turno.

“Ho visto questi vecchi film, film americani, con dei detective privati. Tipo come Sherlock Holmes, solo non così intelligenti. E c'era sempre qualche ragazza che rovinava le cose e diventava cattiva o qualcosa.”

Sirius si accigliò. Prima che potesse dire qualcosa, però, Remus aggiunse in fretta: “Ma tu non sarai cattivo! Verrai solo nel mio ufficio con un crimine, e poi ti allei con me. Non sarai cattivo. Alla fine catturiamo il criminale.”

Mentre Remus parlava, si era infilato una giacca e una cappello. Sirius sorrise alle maniche troppo lunghe del cappotto che gli coprivano le mani. Non arrivavano così in basso quando lo indossava Sirius – era ben sette centimetri più alto di Remus ora. Aveva pensato di insistere di fare sempre il ragazzo per quel motivo, ma poi aveva capito che non era giusto. Aveva anche considerato il fatto che un giorno Remus sarebbe potuto diventare più alto di lui, e Sirius non voleva fare sempre la ragazza.

“La casa può essere il mio quartier generale, e tutto il Mondo è la città. L'altra casa può essere tipo un pub dove andiamo a parlare con le persone per degli indizi. E la piscina può essere il posto dove hai visto l'omicidio.”

Sirius indicò il quaderno stretto nella mano di Remus. “Che cosa farai con quello?”

Sorridendo, Remus tirò fuori una penna e diede un colpetto alla copertina. “È il mio taccuino. Gli investigatori privati ne hanno sempre uno, per scriverci gli indizi eccetera.”

Sì, aveva senso. Proprio mentre Sirius stava per dirigersi verso la casa con Remus, vide il suo amico abbassarsi e tirare fuori di nuovo la scatola da sotto la panchina. Aggrottando le sopracciglia, aprì la bocca per chiedere a Remus che cosa avesse dimenticato. Ma poi vide Remus metterci dentro con attenzione il suo bigliettino di compleanno, lisciandolo bene sul fondo della scatola. Le parole gli si soffocarono in gola mentre lo guardava.

Remus stava decisamente tenendo tutte le cosa che gli regalava Sirius, proprio come faceva lui. Il che voleva dire che Remus pensava a lui anche quando non era lì. Il cervello di Sirius smise quasi di funzionare a quel pensiero, mentre guardava e riguardava la scatola dove il suo biglietto era nascosto, al sicuro.

“Andiamo.” Sirius sbatté le palpebre, concentrandosi di nuovo su Remus, di fronte a lui. “Devo andare nel mio ufficio e sedermi e sembrare occupato. Poi entri tu e mi racconti del crimine. E devi essere tipo tutto spaventato.”

Sirius deglutì, annuendo. “Okay. Va bene. Vai. Io vado alla piscina a vedere l'omicidio, mentre tu sei occupato, e poi entro di corsa per chiederti aiuto.”

Si scambiarono un sorriso veloce, e poi si diressero verso direzioni opposte, Sirius attraversando la strada davanti a lui per raggiungere la casa della piscina, e Remus correndo verso l'edificio alla loro destra. Mentre camminava, Sirius svanì e Siria prese il suo posto. Stava solo andando alla piscina per una nuotata veloce quel giorno, prima di tornare a casa da sola. Perché non aveva un marito o niente del genere. E ovviamente non conosceva il meraviglioso Investigatore Privato Remus, non ancora.


 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 




Capitolo 13


 

La pietra rotolava in avanti ad ogni calcio di Sirius, rimbalzando su sampietrini scheggiati e chiazze d'erba prima di fermarsi qualche decina di centimetri di fronte a lui. Sirius la calciò di nuovo, seguendo il suo percorso a occhi bassi. La pietra si fermò in uno dei due solchi paralleli della strada scavati nella pietra da milioni di ruote di carri centinaia, migliaia di anni fa. Sirius la lasciò lì, scegliendone distrattamente un'altra e calciandola mentre continuava a camminare.

Tre, quattro calci e la nuova pietra finì in un mucchio di calcinacci, scomparendo tra i frammenti di muri e colonne. Sirius la lasciò perdere, cercando subito con gli occhi qualcos'altro da calciare.

Le grosse pietre attraverso la strada che fungevano da strisce pedonali erano proprio di fronte a lui. Senza interrompere il ritmo dei suoi passi Sirius saltò sopra una di esse, allungando una gamba più che poté per raggiungere l'altra. Non era molto tempo fa che doveva saltare da una pietra all'altra per superare gli attraversamenti sparsi per le strade del loro Mondo. Adesso ci riusciva senza saltare se solo allungava la sua gamba nel modo giusto. Un altro anno ancora e sarebbe stato in grado di camminare normalmente, immaginò Sirius.

Sirius saltò giù dalla pietra e continuò a camminare sul marciapiede, a testa bassa. Non voleva alzare lo guardo perché sapeva che cosa avrebbe visto di fronte a sé: la porta di Remus. Chiusa. Proprio come era stata per gli ultimi due giorni.

C'era una pietra piuttosto grande di fronte a Sirius. La sollevò, sentendo il suo peso tendergli all'indietro il polso e il marmo liscio sotto le dita. C'era un minuscolo frammento di decorazione dorica su un lato. In un unico morbido movimento Sirius piegò il braccio e lasciò andare la roccia, tirandola verso la porta.

Rimbalzò e cadde sul terreno in modo piuttosto deludente. Sirius continuò a camminare, sguardo basso per evitare di guardare la porta di Remus.

Erano passati due giorni. Due giorni dalla data in cui Remus gli aveva promesso che si sarebbero visti di nuovo. Avevano fatto la loro stretta di mano segreta e tutto quanto. In realtà, era da più di una settimana che non vedeva il suo amico, ma sapeva che Remus sarebbe stato occupato con la scuola e tutto il resto. Quindi Sirius gli aveva chiesto, come faceva sempre, quando si sarebbero potuti vedere di nuovo. E Remus aveva risposto “venerdì dopo scuola”. Ma adesso era domenica, e Remus ancora non si era ancora fatto vedere.

Sirius avrebbe dovuto sapere che sarebbe successo qualcosa del genere. Era perché a Remus non piaceva Sirius tanto quanto a Sirius piaceva lui. Era perché Remus non aveva bisogno di Sirius tanto quanto ne aveva lui di Remus. Dopotutto, era stato Sirius all'inizio a chiedere di incontrarsi di nuovo, dopo la prima volta che si erano conosciuti, anni prima. Forse Remus non avrebbe neanche voluto incontrarsi con lui di nuovo dopo quella volta: forse aveva già capito come Sirius fosse spregevole, e un perdente, e non voleva avere niente a che fare con lui.

Ed ogni volta dopo quel primo incontro, era sempre stato Sirius a fare dei piani per incontrarsi la volta seguente. All'inizio era solo perché era felice, perché era eccitato di vedere Remus di nuovo e di giocare con lui. Quindi parlava per primo, ogni volta che stavano per tornare alle loro porte. “Domani?” “Quando la prossima volta?” “Non posso venire domani, mercoledì va bene?” e così via. Remus non faceva mai quelle domande; era sempre Sirius a programmare la prossima volta che avrebbero giocato insieme.

Adesso Sirius si sbrigava a fare piani per primo perché aveva paura: paura che Remus non volesse più davvero giocare con lui, paura che forse Remus continuava a tornare solo per un senso d'obbligo, per gentilezza, o – anche peggio – per pena. Se Sirius non avesse fatto i piani, chiesto a Remus quando si sarebbero incontrati di nuovo... aveva paura che Remus non l'avrebbe fatto. Che non fosse così interessato ad essere amico con lui, e sarebbe stato felice di... lasciar perdere tutto.

Sirius smise di camminare, guardandosi intorno. Era davanti il muro di Remus ora, non troppo lontano dalla sua porta. Una sensazione di rabbia cominciò a crescere nel petto di Sirius, come il mare durante la più crudele, più violenta delle tempeste. Il suo piede scattò in avanti, colpendo il muro. Il solido, intransigente impatto che passò come una scarica elettrica per la sua gamba fu come ossigeno su fuoco. Diede calci, pugni, graffiò la fredda pietra per quelle che parvero ore. Non era giusto! Sirius aveva una sola cosa buona in tutto l'intero mondo, una singola persona a cui pensava importasse di lui e che voleva giocare con lui e rendeva tutto migliore quando stava male, e neanche quello era reale. Non piaceva veramente a Remus. Remus non voleva davvero giocare con lui. Se Sirius avesse smesso di venire, a Remus non sarebbe importato niente. Probabilmente sarebbe stato felice per la pace e il silenzio.

Le mani di Sirius iniziarono a pizzicare, e poi a bruciare. Smise di colpire il muro, esaminando i tagli e i graffi che gli ricoprivano le nocche. Ancora arrabbiato, Sirius cercò qualcos'altro da colpire, da ferire. C'erano molti detriti di pezzi di strada e muro lì intorno, che venivano probabilmente dal vecchio edificio ridotto alle fondamenta. Con un ringhio, Sirius iniziò ad afferrare piccole pietre rotonde e a scagliarle contro il muro. Colpivano l'intonaco con un appagante rumore sordo, anche scheggiando delle parti di muro qualche volta. Forse... forse se Sirius avesse colpito con abbastanza forza, e abbastanza a lungo, il muro sarebbe crollato. Ogni cosa in questo posto si stava sgretolando intorno a lui. Perché non anche il muro di Remus?

Le sue spalle erano doloranti per il continuo movimento, e le sua dita bruciavano ogni volta che le pietre strofinavano contro i suoi tagli. Nonostante tutto, continuò a lanciare roccia dopo roccia sul muro di Remus, finché non cadde a terra, troppo sconvolto per piangere e con il corpo dolorante per una terribile, fino ad allora sconosciuta, delusione.

Il sole attraversò il cielo sopra di lui, lentamente ma con decisione. Sapeva che alla fine sarebbe dovuto tornare a casa da Walburga e Kreacher. Ma solo per qualche altro minuto, si permise di rimanere lì a terra. Solo qualche altro minuto per compiangersi.

“Sirius?”

Il suono della voce di Remus, così vicino a lui, lo fece saltare e girare su se stesso. La testa gli girò per l'improvviso movimento, e Sirius si ritrovò a cadere goffamente all'indietro sui detriti rocciosi.

In piedi di fronte a lui c'era Remus, che si stava tormentando le mani con un'espressione nervosa. Forse anche contrita. Ma quello era probabilmente troppo in cui sperare.

Il primo istinto di Sirius – il primo in assoluto, prima che la sua rabbia e l'orgoglio e tutto il resto prendessero il sopravvento – fu di correre da Remus e lanciargli le braccia intorno al collo, per scusarsi di aver mai dubitato di lui e tornare a fare tutti i loro giochi come se non fosse successo nulla. Ma Sirius represse quell'istinto prima di poter anche solo muovere un mignolo, e rimase invece lì a terra, a disagio e guardando Remus con accusa.

“Devo andare a casa,” brontolò infine Sirius. Tirandosi in piedi, si spolverò la polvere e lo sporco della strada dai vestiti e iniziò ad allontanarsi da Remus. Non avrebbe mai preferito Walburga a qualsiasi altra cosa, ma si sarebbe semplicemente potuto nascondere in qualche ripostiglio o nella sua stanza fino all'ora di cena. Non sarebbe stato molto più difficile evitarla a Grimmauld Place di quanto lo era qui.

“Sirius...”

Sirius non voleva esitare. Provò con tutto se stesso a non farlo. Ma il semplice suono della voce di Remus fu abbastanza per attirare il suo corpo verso di lui, come se fosse una marionetta attaccata ai fili. Remus ovviamente vide il piccolo movimento, perché lo prese come un invito per correre in avanti e afferrare l'avambraccio di Sirius. Sirius tenne la sua testa girata dall'altra parte mentre Remus parlava.

“Mi dispiace. Non volevo andarmene. Giovedì papà ha detto che saremmo andati a trovare Zia Carole, e non sono potuto venire al negozio per dirtelo. Siamo tornati solo dieci minuti fa.”

A Sirius non importava della spiegazione di Remus. Non gli importava. Perché davvero, il problema non era il perché Remus se ne fosse andato, o che non era stata colpa sua e non aveva potuto farci niente. Il problema era che Remus non chiedeva mai quando si sarebbero visti di nuovo, e che ovviamente non aveva bisogno di Sirius. Quindi Sirius strattonò il suo braccio fuori dalla presa di Remus e iniziò ad allontanarsi, diretto alla sua porta.

“Sirius!”

“Devo andare!” gridò Sirius dietro la spalla. Adesso era il momento in cui avrebbe dovuto chiedere a Remus quando si sarebbero incontrati di nuovo, e avrebbe fatto dei piani per non perdere l'unico amico che avesse mai avuto. Guardando risolutamente di fronte a sé, Sirius premette forte le sue labbra una contro l'altra e continuò a camminare. Sarebbe tornato, ovviamente. Questo Mondo era un nascondiglio troppo perfetto da Walburga e la sua malvagità per non farlo. Ma non avrebbe forzato anche Remus a farlo, solo perché si sentiva obbligato o provava pena per lui o qualsiasi altro fosse il motivo.


 

**


 

Sirius non poteva dirsi particolarmente sorpreso quando vide Remus venire verso la loro panchina il giorno dopo. Dopotutto, questo era anche il suo posto. E Sirius aveva fatto in modo di venire quando sapeva che Remus sarebbe tornato a casa da scuola – non c'era motivo di evitarlo di proposito. Quello che lo sorprese fu invece il fatto che Remus puntò dritto verso di lui e gli spinse qualcosa in mano. Sirius sbatté gli occhi e abbassò la sguardo. Era un libro.

“Le Mille e Una Notte,” spiegò Remus. “È araba. Parla di una donna che sposa un uomo che la dovrà uccidere il mattino dopo. Così lei inizia a raccontargli una storia, ma non la finisce. Visto che vuole sentire la fine, il Re quel giorno la tiene in vita. La notte dopo, lei finisce la prima storia e ne inizia un'altra, ma non la finisce. Questo va avanti per mille e una notte, con mille e una storie. Alla fine il Re non la uccide perché si sono innamorati l'uno dell'altra.”

Le dita di Sirius accarezzarono la copertina del libro. Il dorso aveva delle crepe e la colla si stava sciogliendo, qualche pagina aveva iniziato a scivolare fuori. Era ovviamente un libro molto amato nella casa di Remus. Tentò un'occhiata verso Remus, che lo stava guardando con occhi imploranti.

“Io... io non lo farei mai. Perché le nostre storie... le nostre storie non finiscono mai. Come il Re e la sua sposa.”

“Oh.” Prima che Remus potesse dire qualcos'altro, o che Sirius permettesse a quelle emozioni che palpitavano nel suo petto di solidificarsi in qualcosa di orribile e da femminuccia, spinse di nuovo il libro nelle mani di Remus. “Scegline una, allora. O dovremmo cominciare dall'inizio?”

Remus scosse la testa. “Possiamo farle nell'ordine che vogliamo. Stavo pensando Il Giovane Re delle Isole Nere. Tu potresti fare il Re.”

Alzandosi lentamente in piedi, Sirius girò intorno a Remus mentre il suo amico sfogliava le pagine per trovare la storia. Appoggiò il suo mento sulla spalla di Remus, dando un'occhiata al testo una volta che l'altro ragazzo l'ebbe trovato. “C'è una ragazza?”

“Sì.”

Sirius non girò la sua testa per guardarlo, ma poteva sentire il proprio respiro solleticare la guancia di Remus prima di tornare indietro e sfiorare le sua labbra. Sirius deglutì. “Puoi farla tu?”

“Sì.”

Remus si mosse sotto di lui, e Sirius si spostò per permettergli di girarsi. Gli occhi di Remus si abbassarono per un momento verso il libro prima di guizzare verso quelli di Sirius. “Potremmo...” Remus si interruppe, inumidendosi le labbra. Sirius si ritrovò a fissare quel movimento a bocca aperta. “Potremmo iniziare con Scheherezade e Shahryār, la sposa e il Re. Io faccio Scheherezade.”

“Okay.”

E poi Scheherezade si chinò verso di lui e baciò dolcemente il suo Re sulle labbra, quasi come per scusarsi. Shahryār non si immaginava certo che la sua nuova sposa si stesse scusando per come l'avrebbe ingannato per le prossime mille e una notte, per cercare di salvarsi la vita. E mentre Shahryār sollevò il braccio e lo strinse intorno al fianco della sua sposa, si stava anche lui scusando in anticipo, per aver mai dubitato della sua lealtà verso di lui.


 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 


 


Capitolo 14


 

Sirius voleva sbattere la porta dietro di sé, entrando nel loro Mondo luminoso. Voleva, ma il suo corpo tremò al solo pensiero che Walburga lo trovasse, e le sue mani erano troppo sudate dalla paura per aver una buona presa. Invece la chiuse piano, ci appoggiò la schiena contro e scivolò giù, sottomesso ed esausto e spaventato.

Fu lì che lo trovò Remus chissà quanto tempo dopo, mentre si avvicinava alla loro panchina. “Sirius?”

Girando la testa verso la porta, Sirius ci appoggiò la guancia contro, cercando di rinfrescarla sulla fredda vernice del legno. Faceva ancora tutto male, anche se non realmente. Faceva solo male sapere che era successo, che era stato così stupido da fare di nuovo un disastro, ed aver fatto arrabbiare Walburga. E alla festa di fidanzamento di Bellatrix, per di più. Era stato fortunato che Walburga avesse aspettato fino alla mattina seguente per occuparsi di lui. Era fortunato ad essere ancora vivo.

Vide Remus correre verso di lui, lasciando cadere a terra i suoi i libri o qualsiasi cosa avesse in mano. Sirius gemette e cercò di nascondere il viso, nascondere le sue lacrime. Qualche volta, ripetersi “solo un altro anno” fino al collegio non era abbastanza. Qualche volta, Sirius non pensava che sarebbe riuscito a sopravvivere a Grimmauld un altro giorno, figuriamoci un anno.

“Sirius? Sirius, stai bene?”

Al primo tocco della mano di Remus sulla sua spalla, Sirius trasalì e si spostò. Remus aveva toccato senza volerlo una delle frustate della cintura. Remus si tirò indietro, guardando Sirius con la mano ancora sollevata in aria. “Per favore, parlami. Per favore, Sirius.”

Sirius scosse la testa. Non poteva parlare. Non ancora. Avrebbe solo finito per piangere e sembrare una femminuccia. Sarebbe stato bene. Aveva solo bisogno di un po' di tempo, solo qualche altro minuto per respirare e raccogliersi e aspettare che tutto finisse di fare male.

“Sirius, per favore. Tu... ho paura. Sei ferito? Vuoi che ti lasci da solo?”

Sirius iniziò ad annuire, a dire a Remus di lasciarlo solo. Sarebbe stato molto meglio se solo avesse avuto un po' di tempo con se stesso. Ma poi pensò a come Remus voleva prendersi cura di lui, voleva fare qualsiasi cosa Sirius volesse che facesse. E all'improvviso Sirius non voleva nient'altro che stringersi a qualcuno e piangere.

Si girò verso Remus, sotterrando il volto nella sua spalla. Remus non si scompose neanche: strinse semplicemente le sue braccia intorno a Sirius e lo tenne stretto mentre lui si aggrappava alla sua maglietta e piangeva. Pianse e pianse e pensò a come avrebbe sempre rovinato tutto, a come non sarebbe mai stato abbastanza per sua mamma, mai abbastanza grande e coraggioso e sicuro per seguire le orme di suo padre come capo della casata dei Black. Pianse perché quella beffarda espressione delusa era l'unica che avesse mai visto sul volto di sua madre all'infuori di una terrificante, agghiacciante rabbia folle. Pianse perché Regulus aveva solo distolto lo sguardo e si era levato di torno quando aveva realizzato quello che stava succedendo, e perché il suo fratellino non veniva mai, mai in sua difesa, anche se Sirius l'aveva fatto per lui tante volte.

Poi Remus iniziò a mormorare nel suo orecchio, e quello che disse fece solo piangere Sirius più forte. Disse tutto su come fosse geniale, come fosse il migliore a giocare a fare finta e come nessun altro bambino che Remus avesse mai incontrato riusciva ad inventarsi delle storie e recitare le parti come faceva Sirius. Disse a Sirius di quanto fosse gentile, e di come i suoi regali erano sempre meravigliosi. Remus ammise che qualche volta era geloso per tutto quello che Sirius sapeva, tutto il latino e il greco e i miti antichi che Remus stava scoprendo solo ora e con cui faticava a mettersi in pari. E Sirius pianse ancora più forte, e si aggrappò alla maglietta di Remus, e non sobbalzò neanche quando Remus sfiorò accidentalmente una delle frustate.

Quando Sirius fu troppo stanco per continuare a piangere – perché non avrebbe mai finito di piangere, non con... tutto quanto – si separò da Remus, scuotendo la testa. “'to bene.”

Remus scosse la testa ma non disse niente. Invece tirò una manica della sua maglietta e la usò per strofinare il volto di Sirius, asciugando le sue lacrime. Sirius aspettò, facendo del suo meglio per non piangere di nuovo di fronte a tanta tenerezza. Quando perse quella battaglia, Remus premette semplicemente la manica su uno dei suoi occhi, assorbendo le lacrime mentre scendevano. Fece lo stesso con l'altro occhio, e nessuno dei due parlò mentre Sirius riprendeva gradualmente controllo di se stesso.

Quando Remus parlò, fu lentamente e con calma, come se stesse scegliendo con cura ogni parola. “Non devi parlarmene,” disse, “Se non vuoi. Qualche volta... qualche volta non ti va di farlo, e va bene. Ma io ascolterei, se tu lo facessi. E non ti prenderei in giro. Promesso.”

Metà ridendo e metà tirando su con il naso, Sirius tese la sua mano verso Remus per la loro stretta di mano segreta. Il sorriso di Remus era tremolante mentre eseguiva i movimenti. Le sue dita indugiarono per un momento alla fine, stringendosi intorno a quelle di Sirius, prima di lasciare andare. “Possiamo anche solo stare qui. Posso leggere per te. Se vuoi.”

Sirius scosse la testa, prendendo dei respiri profondi per quanto poté con il suo naso chiuso e gola dolorante. Fantastico. Adesso ancora più parti di lui facevano male, e tutto grazie a quello stupido pianto. Ovviamente, molte parti di lui si sentivano anche meglio. Grazie a Remus.

“È Walburga,” spiegò Sirius. Si rifiutò di guardare Remus. “Mia mamma. Lei... ho fatto qualcosa di stupido alla festa di fidanzamento di mia cugina Bella la scorsa notte, e-”

“Che cosa hai fatto?”

Sirius scosse le spalle. Non era davvero importante, ma quello Remus non lo sapeva. Quindi glielo disse: “Ho litigato con Lucius. Un altro cugino. Stava dando fastidio a Regulus, gli stava facendo mangiare... della roba. Spazzatura.” Sirius arricciò il naso al ricordo. “L'ho spinto, Lucius ha detto delle cose. Così l'ho colpito. E poi l'ho colpito di nuovo. E poi...” Sirius fece una smorfia. “L'ho spinto nella piscina. E gli ho lanciato dietro una sedia.”

Lanciando un'occhiata a Remus, Sirius vide che lo stava guardando a bocca aperta. Il suo stomaco si contrasse. Anche Remus pensava che era stato cattivo. Remus non avrebbe più voluto essere suo amico, e-

E poi Remus rise, e le sue lentiggini si arricciarono sul suo naso in quel modo in cui facevano quando qualcosa era davvero, davvero divertente. Sirius sbatté le palpebre, poi rischiò un piccolo sorriso in risposta.

“È pazzesco!” disse Remus. “E geniale ! Gli hai davvero lanciato addosso una sedia ?”

Sirius scrollò le spalle. “Beh... tipo. L'ho spinta. Sul pavimento. E dentro la piscina.”

Remus sorrise, poi annuì con decisione. “Beh, stava facendo l'idiota, no? Stava dando fastidio al tuo fratellino. Dovevi proteggerlo!”

Quello era ciò che aveva pensato anche lui al momento. Ma ovviamente non era stata la cosa giusta. Tutta la festa era stata rovinata. Se Bella fosse stato il tipo da piangere l'avrebbe fatto, probabilmente. Ma invece si era girata verso Walburga e le aveva detto qualcosa. E a quello, Walburga era diventata bianca. Sirius non aveva mai visto nessuno farla diventare come lei lo faceva sentire tutto il tempo, ma in qualche modo sua cugina Bella ci era riuscita. Poi il contegno distaccato e calcolatore di Walburga era tornato. Si era educatamente scusata a tutti e aveva promesso di pagare per i danni. Poi aveva afferrato entrambi i ragazzi in una stretta di ferro e li aveva praticamente trascinati fuori dalla casa dei Lestrange. La punizione aveva aspettato fino al mattino dopo, perché Walburga aveva lettere di scuse da scrivere e chiamate da fare.

“Tua mamma si è arrabbiata, non è vero?”

Sirius abbassò la testa, distogliendo lo sguardo da Remus. Annuì, mordendosi il labbro per impedirsi di scoppiare di nuovo in lacrime.

“Non è giusto.” La presa di Remus sul suo braccio era gentile ma ferma. “Non lo è. Le mamme non dovrebbero essere così. Sirius-”

“È solo che...” Sirius ansimò tra i nuovi singhiozzi, scuotendo la testa. “Non ce la faccio. Mancano sette interi mesi prima del collegio, e ci sono centinaia di feste prima di quello. Non posso... continuerò a fare disastri, e sarà sempre peggio e peggio...”

“Vieni con me.”

Il cuore di Sirius si fermò. Quelle tre parole... sembrava così facile. Ma non poteva esserlo. Doveva pensare a Regulus, e tutta la sua roba, e se l'avessero fatto davvero ma poi Walburga l'avesse preso, sarebbe stato tutto centomila volte peggio.

Contrasse la mandibola, cercando di spiegare tutto questo a Remus. Ma il suo amico gli preso la mano e la strinse forte, guardando Sirius dritto negli occhi. “Sirius. Devi essere coraggioso. Come Oliver Twist. O Jack Dawkins, o...” sorrise, prendendolo in giro con gli occhi, solo un pochino. “O Wendy.”

Sirius sbuffò. “E perché tu puoi fare Peter Pan?”

Il sorriso di Remus era gentile – qualcosa che Sirius non sapeva i sorrisi potessero essere prima di incontrarlo. “Perché ti porto via.” Poi Remus tornò di nuovo serio, tirando insistentemente la mano di Sirius. “Potresti scappare, e miei genitori ti accoglierebbero. Prenderemmo anche tuo fratello. Te lo prometto.”

La mano di Sirius tremò nella presa di Remus. Ma poi Remus la strinse più forte, tenendola contro il suo petto, e i brividi passarono. “Promesso?” sussurrò Sirius¹.

Remus rilasciò la mano di Sirius solo abbastanza a lungo per fare la loro stretta di mano, poi la riprese di nuovo nella sua senza lasciarlo andare. “Possiamo andare anche adesso,” disse Remus. “Basta che passi per la mia porta. Diremo ai miei genitori che sei il mio amico di penna. Che hai preso un treno. E gli diremo di tua mamma e tutto il resto, e salveremo anche Regulus.”

Sirius scosse la testa. “Non oggi.” Se l'avessero fatto davvero... e la testa di Sirius non stava diventando leggera al solo pensiero? L'avrebbero davvero potuto fare. Tutto quello che Sirius doveva fare era prendere alcune cose: qualche vestito, la scatola di scarpe che teneva nel ripostiglio dall'altra parte della porta in cui erano contenuti tutti i biglietti di compleanno di Remus e i suoi regali nel corso degli anni. Visto che avrebbe lasciato Regulus, solo per un po', avrebbe anche dovuto dirgli addio. Non davvero addio, perché poi Regulus avrebbe capito cosa stava succedendo e avrebbe probabilmente fatto la spia, ma poteva fare qualcosa di carino per lui. Dargli qualcosa.

“Domani,” disse Sirius. “Devo fare alcune cose, ma... domani.” e poi fissò Remus dritto negli occhi. Scintillavano di speranza, e solo per quel momento, solo per quel giorno, Sirius si permise di credere. Forse, forse. Forse sarebbe riuscito a scappare, e vivere con Remus, e salvare Regulus, e mai, mai più sarebbe stato picchiato da Walburga. Forse non avrebbe dovuto aspettare sette mesi per scappare dalle sue malefiche unghie e la cintura bruciante. Forse se ne sarebbe andato domani.


 

**


 

“Regulus?”

Il freddo metallo del medaglione premeva contro la mano di Sirius, che lo stringeva forte. Era nervoso. Non poteva dire a Regulus quello che stava succedendo, ma non voleva lasciare il suo fratellino senza neanche una parola. Quindi si era accontentato di questo, sperando solo che Regulus ne avrebbe capito il significato una volta che se ne fosse andato.

Regulus era piegato sulla sua scrivania, con i capelli neri che gli cadevano tra gli occhi mentre scriveva attentamente qualcosa. Sirius allungò il collo mentre entrava nella stanza, ma Regulus ci mise sopra un altro foglio prima che suo fratello fosse abbastanza vicino.

“Che vuoi?”

Sirius deglutì, il medaglione era caldo nel suo palmo, ora. Era praticamente bollente, considerato quanto fosse sudata e febbricitante la sua pelle. “Volevo...”

Regulus lo stava osservando, occhi socchiusi mentre scrutava suo fratello maggiore. Sirius si sentì improvvisamente molto, molto dispiaciuto per Regulus. Sembrava che stesse cercando di fare un'imitazione dello sguardo condiscendente di Walburga, ma non ci riusciva neanche lontanamente. Era troppo piccolo, e dolce, e – se Sirius doveva essere un po' cattivo – neanche tanto acuto, intenso e intelligente. Sirius avrebbe dovuto provarci di più, fare in modo che Regulus non vedesse mai quello sguardo come qualcosa da imitare.

La sua mano si strinse intorno al medaglione. Beh, adesso stava facendo qualcosa. Tra non molto, avrebbe tirato Regulus fuori da qui e lo avrebbe portato a vivere con Remus e la sua famiglia. E sarebbe andato tutto bene, dopo. Regulus avrebbe iniziato ad essere un bravo fratello minore, e Sirius poteva essere un fantastico fratello maggiore. E Remus avrebbe avuto un fratello come aveva sempre voluto, e – cosa più importante – sarebbero tutti stati al sicuro, lontani dall'inclemente, onnipresente mano di Walburga.

“Ti ho portato questo,” disse Sirius, tenendo il medaglione dalla catenella per mostrarlo al fratello. Il ciondolo con le due porticine chiuse d'argento dondolò in aria.

Regulus lo guardò, aggrottando le sopracciglia. “Quello è tuo.”

“Sì,” confermò Sirius. Si avvicinò, porgendo il medaglione a Regulus. Quando lui non lo prese, Sirius lo poggiò sulla scrivania. “Dentro ci sono delle piccole foto di me e di te. Walburga me lo ha dato quando sei nato.”

Osservando ancora Sirius come se si aspettasse di essere nel mirino di uno brutto scherzo, Regulus prese con esitazione il medaglione. Il fermaglio si aprì con uno scatto, rivelando le sue foto all'interno: una di Regulus quando era un piccolo, rugoso neonato; l'altra di Sirius, appena più grande di un infante anche lui. Regulus lanciò un'occhiata a Sirius, occhi più morbidi ma ancora sospettosi. “Perché me lo stai dando?”

Sirius scosse le spalle con più indifferenza possibile. Non poteva fargli capire nulla. “L'ho appena ritrovato. Ho pensato che ti poteva piacere. Visto che siamo fratelli, e tutto il resto.”

Regulus sembrò permettersi lentamente di credere a Sirius, perché abbassò lo sguardo dalla sua faccia al medaglione. Lo sollevò in una mano, rigirandolo nel suo palmo prima di chiuderlo.

“Grazie. Sirius.” Regulus esitò, dando un'occhiata alla sua scrivania. La catenella del medaglione penzolava tra le sua dita, facendo piccoli cerchi in aria. “Devo...” annuì verso la scrivania.

“Certo.” Prendendo un respiro profondo, Sirius lanciò un altro sguardo al fratello. Capelli neri, setosi, naso appuntito, occhi grigi e zigomi alti. Si assomigliavano così tanto. E adesso forse, quando Sirius l'avrebbe portato via con sé, avrebbero potuto davvero essere simili, senza che Regulus venisse sempre ingannato e costretto ad essere un personificazione in miniatura di tutto quello che Walburga pensava fosse appropriato e giusto e buono. Gli occhi di Sirius scivolarono su Regulus un'ultima volta, poi annuì. “Okay. Ciao.”

Uscendo dalla camera di Regulus per tornare nella sua Sirius realizzò che le sue mani stavano tremando. Con determinazione, serrò le sue mani in pugni e poi le forzò a rilassarsi, ripetendo il movimento ancora e ancora. Ce la poteva fare. Lui e Remus ce la potevano fare, insieme.


 

**


 

Lo zaino era pesante nelle mani di Sirius, e il cuoio rigido e raramente usato affondava nel suo palmo. Camminò con fatica fino alla panchina con lo zaino in una mano e la sua scatola di scarpe infilata sotto l'altro braccio. Le sue braccia erano ancora ferite e doloranti per la punizione di due giorni prima, ma in quel momento riusciva a sopportare quel po' di fastidio. Dopotutto, nel giro di un'ora – o forse anche meno – Sirius non si sarebbe mai più dovuto lamentare di qualcosa per tutta la vita.

Contrariamente alla loro normale routine, Remus lo stava già aspettando. Il suo aspetto non era tanto nervoso quanto si sentiva Sirius, ma il suo sorriso aveva una curva forzata che smentiva la sua apparente calma. Si alzò dalla panchina non appena vide Sirius, tendendo un braccio per prendere il suo pesante bagaglio. Sirius aprì la mano, flettendo le dita con sollievo.

I ragazzi rimasero in piedi sul posto, facendo vagare lo sguardo ovunque tranne che su di loro. Sirius pensò di rompere il silenzio, ma poi realizzò che forse Remus stava avendo dei dubbi. Forse Remus non voleva più prenderlo come suo fratello; forse aveva deciso che sarebbe stato meglio se avesse fatto marcire Sirius in quella casa con Walburga per il resto dell'anno – per il resto della vita.

Quindi fu Remus a rompere il silenzio, solo che ovviamente non fu per dire a Sirius di riprendersi il suo zaino e andarsene. “Pronto?”

Con un respiro profondo, Sirius annuì. Sì. Era pronto. Poteva farcela.

La camminata fino alla porta di Remus non era molto lunga, ma sembrò interminabile a Sirius. Ogni passo che faceva accanto a Remus era accompagnato da migliaia di dubbi e preoccupazioni e speranze. E se i genitori di Remus lo avessero cacciato via? E se avessero telefonato a Walburga e le avessero detto tutto quello che il suo terribile, patetico figlio aveva fatto? E se Remus si stancava di Sirius, e lo cacciava via dopo solo un paio di mesi?

E se invece avesse funzionato? E se Sirius non avesse più dovuto vedere quell'orribile, pazza donna mai più, e fosse anche riuscito a salvare Regulus dalla sua violenta follia? E se lui e Remus fossero riusciti vivere insieme, a crescere insieme?

Erano arrivati alla porta di Remus. La scatola di scarpe quasi scivolò da sotto il braccio di Sirius prima che lui l'afferrasse, stringendo forte il cartone. Ce l'avrebbero fatta. Sarebbe passato da quella porta e scappato da Walburga per sempre. Sirius pensò che si sarebbe sentito male, o che la sua testa sarebbe fluttuata via per quella felicità vertiginosa.

“Forza.” La mano di Remus era leggera sul suo braccio.

Sirius lo lasciò passare per primo, prendendosi un momento per raddrizzare la schiena e sollevare il mento. Lo faceva sentire più coraggioso di quanto non fosse, più pronto a seguire Remus attraverso quella porta. Di fronte a lui, Remus abbassò la maniglia della porta, la spalancò e la oltrepassò.

Sirius rimase a bocca aperta. Remus era appena passato attraverso un muro di pietra. Ma...

Incespicando in avanti, Sirius premette una mano contro il muro. Il muro non cedette, non scomparve. Era ancora pietra.

Paura e dubbio si contorsero nel suo stomaco, ma Sirius rifiutò di arrendersi. Non ancora, non quando era così vicino. “Remus! Remus!” Colpì la pietra con la mano libera, mentre il suo cuore premeva impaurito contro le sue costole. “Remus! Torna indietro!”

Un momento dopo Remus apparve dal muro di pietra, praticamente cadendo addosso a Sirius. I due ragazzi si separarono, Remus alternando lo sguardo da Sirius al muro, in confusione. Il suo sguardo sembrava ferito. “Non... non devi farlo per forza. Ho solo pensato-”

“No!” Sirius indicò il muro, mentre l'orrore della rivelazione si faceva lentamente strada nel suo cuore. “No, non posso! È pietra. Non posso passare.”

Remus sbatté le palpebre, alternandosi di nuovo tra Sirius e la porta. “Non è pietra. C'è il magazzino del negozio di mio papà, proprio lì.”

Oh no. Sirius si sentì come se il suo intero futuro si stesse sgretolando su di lui. Era bloccato, era bloccato, era bloccato con Walburga per i prossimi sette mesi, fino alla fine dei tempi. E non poteva sopravvivere, non poteva e basta, non poteva aspettare per tutto quel tempo e fare tutto nel modo giusto. Avrebbe sbagliato qualcosa, avrebbe rovinato tutto di nuovo e Walburga lo avrebbe finito, l'avrebbe ucciso la prossima volta...

“Sirius! Sirius!” Remus aveva lasciato cadere il bagaglio ai piedi di Sirius e lo stava scuotendo disperatamente per le spalle, cercando di fare contatto visivo. “Sirius, per favore. Che cosa vedi?”

Sirius si focalizzò di nuovo su Remus, lentamente, soffocando l'agghiacciante mantra che si ripeteva nella sua testa. Realizzò che il suo respiro stava andando veloce. Troppo veloce. Cercò di fermarlo, di rallentarlo, ma era come se non riuscisse a prendere abbastanza aria. Se avesse rallentato sarebbe morto. “È,” ansimò, “pietra. Pietra. È pietra. Niente...”

Non riusciva a respirare. Sirius cadde in ginocchio, poi sulla schiena, mentre cercava di riprendere controllo. “Aspetta, Sirius! Per favore. Possiamo provare. Puoi tenere la mia mano. Forza. Prendi la mia mano.”

Sirius afferrò la mano di Remus ciecamente e si lasciò tirare su dal ragazzo minuto. Inciampò su rocce e ciottoli mentre Remus lo trascinava in avanti, verso la sua porta. Una piccola parte della mente di Sirius registrò Remus che la attraversava, e poi... niente. La mano di Remus scivolò via da quella di Sirius per un momento, e l'altro ragazzo sparì. Sirius incespicò all'indietro, sarebbe caduto di nuovo sul terreno ricoperto di pietre se Remus non fosse corso fuori dalla sua porta e lo avesse avvolto in un feroce abbraccio.

“No, forza. Possiamo farcela. Aspetta, possiamo-” e poi Remus stava di nuovo trascinando Sirius, questa volta restando praticamente avvolto intorno a lui, ogni centimetro dei loro corpi che si toccava. Sirius si lasciò trasportare, e la sua mentre era ancora ferma o girava troppo veloce o qualcos'altro, perché non riusciva più a pensare – non riusciva più a fare niente. Tutto quello che poteva fare era lasciare che Remus provasse a trascinarlo di nuovo attraverso la porta.

Non funzionò. Remus finì per cadere all'indietro attraverso il muro e Sirius rimase a fissare la fredda, implacabile pietra. Un istante dopo Remus fu di nuovo accanto a lui, negli occhi una sorta di orribile, distrutta emozione che Sirius non gli aveva mai visto prima.

Sirius si sedette sul terreno davanti la porta di Remus e pianse.

Remus fu da lui in un momento, le braccia intorno a lui, stringendolo stretto. Sirius si permise di piangere, ignorando tutto quello che Remus stava dicendo e facendo a parte la sensazione delle sua braccia intorno a lui, e il rassicurante, anche se spezzato, tono della sua voce. Sirius pianse e pianse per ogni cosa, per tutto quello che c'era di sbagliato nella sua vita. Pianse perché Walburga non gli voleva bene, e neanche Orion. Pianse per tutte le punizioni che aveva ricevuto e alle molte che sarebbero sicuramente seguite. Pianse per Regulus, che stava già marcendo, e che adesso Sirius non sarebbe riuscito a salvare. E pianse perché avrebbe dovuto sopportare tutto quello e molto di più per altri sette interi mesi. Non pensava di potercela fare.

Quando si fece tardi e il sole era basso all'orizzonte, Remus alzò il mento di Sirius con una mano e gli asciugò le lacrime con l'altra. Lo prese per mano e lo guidò fino alla piscina, pulendogli il viso immergendo la sua manica nell'acqua e premendola contro i suoi brucianti occhi rossi. Poi si allontanò, e Sirius si ritrovò a fissare il mosaico sul fondo della piscina. Sembrava tutto così bello e calmo lì sotto. Se solo avesse potuto vivere lì per sempre. O in questo Mondo. Ma a quanto pareva non voleva che lui scappasse via da Walburga. Era stato molto chiaro al riguardo quel pomeriggio.

Remus tornò qualche minuto dopo e fece alzare Sirius, tenendogli la mano mentre tornavano alla sua porta. Sirius era ancora abbastanza presente con se stesso da accorgersi che Remus aveva raccolto la sua borsa e la scatola di scarpe e li aveva messi davanti alla sua porta per lui. La loro vista – il pensiero di quello che Remus aveva fatto, raccogliendo le sue cose così sarebbe potuto tornare da Walburga - fece venire voglia a Sirius di scoppiare in un nuovo torrente di lacrime.

Poi Remus seppellì il suo volto nel collo di Sirius mentre lo abbracciava stretto, strettissimo: più stretto che poteva. Sirius si rilassò e ricambiò l'abbraccio, le lacrime che minacciavano ancora di cadere ma non così violentemente.

“Devi tornare indietro,” mormorò Remus,

Sirius lo sapeva. Quindi si allontanò da Remus, raccolse le sue cose, e tornò indietro.





 




 

N/T:

¹“Sussurrò Sirius...”

...a qualcun altro piacciono le allitterazioni?

P.s. Non siate tristi, il prossimo capitolo arriva James!


 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 




Capitolo 15


 

Sirius sbirciò Kreacher da dietro l'angolo mettere il suo ultimo bagaglio di fronte la porta. Era tutto pronto, quindi. Tra solo qualche ora sarebbero venuti a portarlo via da questo miserabile posto. Una scintilla di nervosa eccitazione attraversò Sirius da capo a piedi. C'era solo una cosa a trattenerlo – l'unica ragione per cui non poteva sentirsi completamente entusiasta, senza riserve, per tutto questo.

Allontanandosi velocemente dal trambusto della porta d'ingresso, Sirius si fece strada fino al ripostiglio del quarto piano. Aveva alcune cose da dare a Remus prima di andarsene e, ovviamente, dovevano salutarsi e programmare quando si sarebbero visti di nuovo. Sirius non sarebbe stato sempre a scuola, dopotutto. Doveva tornare a casa per Natale e le vacanze estive. E voleva fare in modo che lui e Remus si sarebbero visti ad ogni occasione che gli sarebbe capitata.

Quando oltrepassò la porta fu sorpreso di trovare il cielo di un nuvoloso grigio e della leggerissima pioggerella venire giù. Infilando i suoi regali per Remus sotto la camicia, Sirius corse alla loro panchina. Remus lo stava già aspettando, raggomitolato miseramente con uno dei loro costumi sopra la testa e una grande borsa da donna marrone infilata accanto ai suoi piedi sotto la panchina.

“Remus!” Sirius agitò la mano, facendogli segno di venire verso di lui. Remus fu in piedi in un momento, togliendosi il vestito di dosso e raccogliendo la sua borsa. Sirius aspettò che lo raggiungesse, poi allungò la mano e prese quella di Remus. Era fredda e bagnata dalla pioggia, ma Sirius sentì comunque un'ondata di calore non appena si toccarono. “Forza,” disse. “Andiamo alla casa.”

Corsero attraverso la strada, facendosi strada tra detriti di muro e ciottoli sparsi. Nessuna delle case aveva un tetto, ma quella a cui erano diretti aveva qualcosa che ci si avvicinava abbastanza. Quando entrarono i due ragazzi si diressero subito verso il retro, in una stanza che Remus aveva deciso sembrava come una cucina. Lì c'era una piccola nicchia coperta – un vecchio forno o bancone o qualcosa del genere. Spuntava dalla parete e offriva appena abbastanza spazio perché entrambi i ragazzi ci si potessero rannicchiare sotto, con le gambe piegate al petto per non farle bagnare dalla pioggia.

Quando si furono sistemati con cura sotto la sporgenza del forno, Sirius si voltò per dare un'occhiata per bene a Remus per la prima volta – per l'ultima volta, anche. L'ultima volta per un po', almeno. I suoi capelli erano fradici ed attaccati alla fronte – il costume non aveva avuto molto effetto, quindi. Portando una mano al suo viso, Sirius sentì che era freddo e bagnato. Si mosse istintivamente più vicino a Remus – per quei cinque centimetri che c'erano tra di loro – e avvolse un braccio intorno a lui, strofinando su e giù in un tentativo di condividere il suo calore. Remus si appoggiò contro di lui, premendo il viso sul suo petto mentre Sirius avvolgeva l'altro braccio intorno alle sue spalle.

“Per quanto hai aspettato?”

“Per un po' ”, fu la soffocata risposta di Remus. Un violento brivido che gli scosse tutto il corpo disse a Sirius che forse era stato di più di solo “un po' ”. “Non volevo mancarti,” spiegò.

Anche se Sirius sapeva che non avevano molto tempo, si permise qualche altro minuto per strofinare Remus, cercando di portarlo ad una temperatura più umana. Quando Remus smise di essere completamente ghiacciato al tocco e di rabbrividire così violentemente, Sirius lo rilasciò dalla sua stretta. Non si mosse per mettere dello spazio tra di loro, però.

“Ho delle cose per te,” disse Sirius. “Per quando sono via.”

Remus scosse la testa, mani ancora un po' tremanti mentre scavava nella grossa borsa che era riuscito a infilare alla sua sinistra tra il suo corpo e il muro. “Prima dimmi quando torni. Ci vediamo appena arrivi, così siamo sicuri di non mancarci.”

Imitando Remus, Sirius rovistò tra tutte le cose che aveva sfilato da sotto la camicia in cerca del suo calendario. Aveva fatto in modo di averlo da Walburga in anticipo. Così lui e Remus sarebbero stati in grado di coordinarsi. Walburga aveva pensato che forse stava mostrando interesse nel coordinare le sue vacanze con il “calendario sociale” dei Black. Sirius non aveva osato correggerla.

Il foglietto spiegazzato era un po' umido nella mano di Sirius, ma le parole erano ancora leggibili. “La pausa di metà semestre è la prima – questa qui. È dal ventuno ottobre al ventitré.”

Accanto a lui, Remus prese nota con attenzione sul suo quaderno di tutto quello che stava dicendo Sirius. Era quello che Sirius gli aveva regalato per il suo decimo compleanno. Sirius continuò: “Poi il semestre finisce il diciannove dicembre e iniziano le vacanze di Natale. Poi il secondo semestre-”

“Aspetta, aspetta.” La lingua di Remus spuntava fuori dalle sue labbra solo un pochino quando scriveva. Sirius aspettò che scrivesse tutto. Quando ebbe finito, Remus si girò verso di lui e diede un colpetto alla pagina del quaderno con la sua matita. “Quando ci incontriamo, allora? Perché ci metterai dei secoli a tornare indietro, anche se parti di mattina, vero? Quindi ci incontriamo il ventuno o il ventidue?”

Sirius ci pensò per un momento. Remus aveva ragione: ci avrebbe messo dei secoli ad arrivare alla scuola oggi, quindi ci avrebbe messo altrettanto a lungo per tornare indietro. Poi ovviamente avrebbe dovuto vedere la sua famiglia, probabilmente fare un resoconto a Orion o qualcosa su come stavano andando le sue classi. Ma comunque.

“Vediamoci il ventuno. Di notte. Puoi?”

Remus annuì, con gli occhi tristi. A Sirius quello non piaceva – non voleva che Remus fosse triste oggi. Non stava partendo per sempre: sarebbero ancora stati migliori amici, e si sarebbero visti. E tutto il tempo che Sirius passava lontano da Remus, anche se quella era la parte terribile, sarebbe anche stato lontano dagli sguardi malvagi di Walburga e Kreacker.

“Ci vedremo di notte,” promise Remus. “Posso sgattaiolare fino al negozio. Il ventuno ottobre. Di notte. E poi il diciannove dicembre, alla stessa ora.”

Sirius annuì, continuando a guardare Remus. Stava cercando di fargli una fotografia mentale. Remus, con i suoi capelli dorati di una sfumatura più scura a causa dell'acqua. I suoi occhi ambrati erano grandi e tristi, ma guardavano Sirius con... qualcosa, al loro interno. Qualcosa di buono, Sirius ne era sicuro. Stava tremando, ed era più piccolo di Sirius, ma non di molto. Sarebbe stato più alto la prossima volta che si sarebbero incontrati? O lo sarebbe stato Sirius? Forse Remus sarebbe stato perfino più alto di lui la prossima volta – e non sarebbe stato buffo? Forse Remus avrebbe avuto una nuova cicatrice sul ginocchio, o avrebbe finalmente perso quell'ultimo dente da latte ancora bloccato nella sua bocca. Forse avrebbe avuto un nuovo taglio di capelli, o forse no e i suoi capelli sarebbero stati più lunghi quando si sarebbero rivisti. Così tante cose sarebbero potute cambiare da adesso fino alla fine di ottobre: mancavano mesi a quel momento. Ma c'era una cosa che Sirius sapeva non sarebbe cambiata: gli occhi di Remus. Quegli occhi erano rimasti gli stessi fin dal primo giorno in cui si erano incontrati, e Sirius sapeva che sarebbero rimasti uguali anche con il passare dei mesi, degli anni. Se non si fossero visti di nuovo fino a che non sarebbero stati degli uomini anziani, Sirius sarebbe stato in grado di riconoscere Remus dai suoi occhi.

Lessero insieme il resto del calendario, facendo piani per incontrarsi durante la pausa di metà semestre, le vacanze di Pasqua e quelle estive. Remus aveva insistito per programmare tutti gli incontri in anticipo, nel caso che Sirius non fosse riuscito a farcela per il primo o qualcosa così. Fatto ciò, Remus chiuse il suo quaderno lentamente e Sirius infilò il pezzo di carta nella tasca dei suoi pantaloni. Si agitarono goffamente in quell'angusto spazio, sapendo che avrebbero dovuto separarsi presto. Tutto quello che gli era rimasto da scambiare erano i regali e i loro addii. Sirius non voleva andarsene. Ma non voleva neanche dare a Walburga un'altro motivo per punirlo. Specialmente visto che sembrava particolarmente impaziente di dare qualche ultimo colpo a Sirius per ricordargli il tipo di comportamento che si aspettava da lui e quali sarebbero state le conseguenze se non si fosse attenuto a quell'atteggiamento mentre era via.

“È arrivata la mia nuova uniforme,” disse Sirius, rompendo il silenzio. “Mi fa sembrare un idiota. Anche più del solito.”

Remus rise. Aveva visto Sirius nei suoi vestiti normali, qualche volta. Aveva pensato che fossero terribilmente scomodi e nell'insieme veramente brutti. “Ne ho una anch'io, sai,” affermò. “Rossa ed oro.”

Sirius brontolò, incrociando le braccia sul petto. “Quelli sono colori fantastici. La mia è verde. E argento.” Arricciò il naso. Lo stesso colore di ogni cosa nella sua casa. Sirius stava iniziando a realizzare che questa sua nuova scuola non sarebbe stata così diversa da casa sua. Sperava solo di incontrare qualcuno con cui non fosse imparentato. Magari loro sarebbero stati a posto.

Un istante dopo, Remus si voltò alla sua sinistra, facendo sparire la mano dentro la sua borsa. Sirius sentì una fitta al cuore a quella vista, ma sapeva che se ne sarebbero dovuti andare, prima o poi. Allungò una mano sotto la sua maglietta e tirò fuori il regalo di Remus.

“Ecco,” disse Remus. “Non puoi aprirla finché non arrivi a scuola, però. Prometti.”

Sirius prese la spessa, pesante busta che gli stava porgendo Remus, tastandola curioso. Non era abbastanza rigida da contenere un libro – almeno, non uno con la copertina. La piegò, meravigliandosi di come fosse spessa. Apparve la mano di Remus, che coprì le sue. Sirius alzò lo sguardo per vedere Remus sorridere e scuotere la testa. “No. Prometti. Non finché non arrivi a scuola.”

Sirius alzò gli occhi al cielo ma sorrise. “Okay. Promesso.” Fecero la loro stretta di mano, Sirius sentendosi un po' tremante mentre eseguiva i movimenti e realizzava che quella era l'ultima volta che l'avrebbero fatta fino alla pausa di metà semestre.

“Questo è il tuo,” disse Sirius, abbassando la testa così che Remus non avrebbe visto quanto si sentisse triste all'improvviso. “Solo che... non puoi aprirlo neanche tu prima di scuola. Non se io non posso aprire il mio.”

Remus sorrise e annuì. In realtà, Sirius era solo nervoso che a Remus non sarebbe piaciuto. Gli aveva dato un altro di quei regali che avevano dato a lui secoli fa e che non gli era piaciuto molto: un costoso set di scrittura. In effetti, non era che a Sirius non piacesse, ma ne aveva dozzine come quello e non pensava che li avrebbe mai finiti tutti, neanche se fosse diventato il prossimo Arthur Conan Doyle. In effetti, Remus ne avrebbe sicuramente fatto un uso migliore di lui: aveva sempre le idee migliori quando si inventavano le storie e il resto. E adesso avrebbe potuto usarlo insieme al suo quaderno invece di tutte quelle vecchie, masticate penne a sfera che aveva sempre.

“Devo andare.” sussurrò Sirius. Non voleva andarsene. Ma, solo un pochino, lo voleva. Voleva andarsene perché quello voleva dire partire per il collegio, e scappare da Walburga per molti mesi. Ma non era decisamente emozionato all'idea di una scuola piena di Lucius o Bella, e decisamente non lo emozionava la prospettiva di non vedere Remus per mesi e mesi.

“Potremmo giocare alla casa.” gli mormorò in risposta Remus. La pioggia si stava fermando. Tutto il Mondo ora era orribilmente umido e coperto, anche se non stava più cercando attivamente di bagnare i ragazzi.

Sirius premette la sua mano sulla caviglia di Remus, stringendo la striscia di pelle scoperta in quel punto. Non alzò lo sguardo mentre parlava. “Che cosa facciamo?”

Remus aveva la risposta perfetta – come sempre. “Tu stai per partire per un viaggio d'affari. Un lungo viaggio. E ti mancherò, ma devi andare. E poi torni.”

“La carrozza è arrivata,” disse Sirius a sua moglie. Remusa annuì, e i due scivolarono fuori dal loro angusto rifugio. Raccolsero i loro regali e i calendari, infilandoli nella borsa e le tasche mentre si preparavano a dire addio. Si tennero per mano mentre camminavano verso la porta d'ingresso – la porta di Sirius.

Sirius si girò verso Remus – Remusa – indeciso su cosa fare. Sapeva cosa facevano normalmente, ma questo era così di più... così più lungo. Il suo cuore gli batteva forte nel petto, e sembrava che il suo stomaco volesse mangiarsi da solo, o mangiare lui, o forse non voleva mangiare niente e in realtà voleva solo vomitare. Ogni cosa faceva male e lo confondeva.

“Non trovarti un nuovo migliore amico,” avvertì Sirius. Poi si ricordò che stavano giocando, e si corresse. “Non trovarti un altro marito. Tornerò.”

Remusa fece un gran sorriso - ma triste, e storto e non raggiunse i suoi occhi. Quegli occhi che Sirius avrebbe ricordato per sempre, e sempre. “Non trovarti un'altra moglie,” ribatté lei.

Sirius scosse la testa. “Mai. Mai mai.”

Non avendo altri modi per esprimere i sentimenti in conflitto che gli torcevano le budella e il cuore e il cervello e tutto, Sirius si abbassò e baciò sua moglie. Remusa ricambiò il bacio, intensamente. Sirius incespicò un po' all'indietro dalla sua forza, sollevando le braccia per aggrapparsi alle spalle di Remusa. Le sue mani erano strette al petto di Sirius mentre continuavano a muovere insieme le loro bocche, premendo forte le loro labbra una contro l'altra mentre si baciavano e si baciavano e desideravano non doversi mai, mai lasciare andare.

Ma si separarono, troppo presto, e Sirius seguì le labbra di Remusa per un istante prima di realizzare che doveva fermarsi, che doveva andarsene.

“Ci rivedremo il ventuno,” gli ricordò Remusa.

“Il ventuno,” ripeté Sirius. “Il ventuno. Ti rivedrò allora.”

Con il cuore che gli martellava nel petto, Sirius aprì la sua porta. Fissò Remus, avendo l'impressione che ci fosse qualcosa di più da fare, qualcosa di più da dire. Ma non riuscì a trovare le giusti azioni o parole, così dopo un'ultima occhiata a Remus si strinse la busta al petto e tornò a Grimmauld Place.


 

**


 

Fu solo mezz'ora prima del coprifuoco quando Sirius trovò un attimo per tirare fuori la busta di Remus dal suo baule. La guancia gli faceva ancora male nel punto in cui Walburga era riuscita a trovare una scusa per un ultimo schiaffo con il dorso della mano, completo di anello, ma quello non impedì il sorriso che si aprì sul volto di Sirius quando tirò fuori uno spesso fascio di fogli dalla busta gialla.

La pagina iniziale era scritta nella grafia di Remus e iniziava con “Caro Sirius,” quindi immaginò che avrebbe dovuto leggere quella per prima. Facendo dondolare le gambe oltre il bordo del letto, Sirius si mise comodo e iniziò a leggere.

Caro Sirius,

Sarà meglio per te che tu non stia barando e leggendo questo in macchina. Metti tutto via se lo stai facendo. Aspetterò.

Sirius sbuffò, e suoi occhi si inumidirono. Ovvio che Remus l'avrebbe per prima cosa punzecchiato, e messo in dubbio la sua integrità. Sirius rilesse con attenzione quelle parole, come avrebbe fatto se Remus gliele avesse dette di persona.

Okay. Meglio per te che tu sia nel tuo dormitorio.

Sicuro?

Va bene.

Sicuro?

Sto solo scherzando. Comunque, questo è il tuo regalo. Sono le copie di tutte le storie che ho trovato quest'estate e a cui potremmo giocare. Ci sono cose dei Grimm, Sherlock Holmes, Jules Verne (se non l'hai mai letto, penso che ti piacerà un sacco), Isaac Asimov, Ray Bradbury, Arthur C. Clarke, qualche fumetto di Capitan Britain, copioni di film di Hollywood, e un sacco di altre cose. Ho anche scritto un indice e tutto il resto. Ho stampato le copie con la fotocopiatrice del negozio di papà. Non penso che gli dispiacerà. Dovrebbero essercene abbastanza per avere da leggere per tutto l'anno, penso. Ma solo se ne leggi una a notte. Non di più! Quindi non puoi barare neanche su questo. Ti farei fare la nostra stretta di mano segreta, ma non posso attraverso la carta.

Sotto era scarabocchiata una piccola replica di due mani unite. Sirius sorrise, colpendo la carta con il dorso della mano. “Promesso,” sussurrò. “Una al giorno.”

Okay, adesso che ti ho fatto promettere, so che ne leggerai solo una a notte. Torna con un sacco di idee per le nostre storie!

Con affetto,

Remus

P.S: Non pensare neanche di leggere quei fumetti americani. Non farò Robin.

Sirius stava sorridendo con tanta intensità alla lettera e rileggendola dozzine volte che non si accorse quando qualcuno si diresse verso di lui. Poi il foglio gli fu strappato dalle mani e tutte le copie sul suo grembo finirono sul pavimento, sparpagliandosi dappertutto come latte versato. Sirius restò a bocca aperta prima di saltare in piedi, con occhi fumanti.

Di fronte a lui c'era un gruppo di ragazzi, uno di loro che sembrava avere la sua stessa età. Aveva in mano la lettera di Sirius, lanciando occhiate ai ragazzi intorno a lui un po' confuso. “Forza, Piton. Leggila.”

L'unto ragazzino dall'aspetto malevolo si schiarì la gola e iniziò a leggere: “Caro Sirius, sarà meglio per te che-”

“Hey! Basta!” Sirius si precipitò in avanti, cercando di strappare la lettera dalle mani del brutto ragazzino. Ma qualcuno lo afferrò, tirandolo indietro. Era uno di quei ragazzi più grandi dall'aspetto cattivo, che lo guardò con derisione. Sirius lo considerò velocemente. Non sembrava essere nessuno con cui fosse imparentato. Decidendo che quello era abbastanza per lui, Sirius gli diede una forte una gomitata allo stomaco, poi gli saltò più forte che poté sul piede. L'altro ragazzo ringhiò e allentò la presa, abbastanza a lungo perché Sirius si liberasse e incespicasse di nuovo in avanti.

Quel Piton stava ancora leggendo. “Okay, meglio per te che tu sia nel tuo dormitorio...”

“Ridammela!” ringhiò Sirius, avventandosi sul ragazzo. Non provò neanche a rallentare, e lanciò invece il suo intero peso sul ragazzino facendoli cadere entrambi sulle gambe dei ragazzi più grandi. Senza pensare Sirius lasciò volare il suo pugno, colpendolo forte sullo zigomo. Se c'era una cosa che aveva imparato dopo anni con la sua cara mamma e il suo servitore, era come infliggere dolore.

Il foglio si accartocciò tra di loro e Sirius lo agguantò, ancora colpendo e graffiando con l'altra mano l'idiota dai capelli unti sotto di lui. Quel ragazzo, Piton, stava piangendo e gridando, cercando di scappare. Per un momento Sirius volle continuare a colpirlo, e fargli ancora più male, ma poi si ricordò di tutte le copie sparpagliate sul pavimento intorno a lui, e pensò a come gli occhi di Remus dovevano aver scintillato con eccitazione quando le aveva stampate, una per una con la fotocopiatrice di suo papà.

Con un ultimo pugno Sirius rotolò via dal ragazzo, con la lettera di Remus stretta al petto, accartocciata ma per lo più intatta. Non degnò gli altri ragazzi più grandi neanche di un'occhiata mentre raccoglieva disperatamente i fogli, cercando di metterli di nuovo in un'unica pila. Li avrebbe messi in ordine più tardi, quando non ci sarebbero stati così tanti ragazzi in giro.

Mentre Sirius allungava il braccio per raggiungere un altro foglio, un piede pestò la sua mano, forte. Sirius gridò, cercando di tirarla via. Il piede premette solo più forte, la ruvida suola che gli scavava il dorso della mano, e il suo peso schiacciava lentamente le ossa e i tendini contro il duro pavimento di legno. Sirius scalciò e gridò, cercando di raggiungere il suo tormentatore. Ma tutti gli altri ragazzi stavano ridendo, fuori dalla sua portata. Il piede premette più forte.

“Hey! Lasciatelo stare!”

La pressione sulla sua mano finì all'improvviso e Sirius strattonò indietro la sua mano, stringendola al petto. Ahi ahi ahi ahi. Faceva male. Faceva molto male. Era tutta gonfia e violacea. Non riusciva a muoverla.

Sirius alzò lo sguardo per vedere che cosa fosse successo. C'era un altro ragazzo, che sembrava avere la sua stessa età. Aveva capelli neri scompigliati e portava gli occhiali, da dietro i quali stava lanciando delle occhiatacce ai ragazzi più grandi. “Che cavolo fai, te la prendi con lui?! Peserai cento chili più di lui, grassone! Quel peso sarà andato bene per Churchill, ma tu non hai il sigaro della stessa misura, se capisci che voglio dire!”

L'altro ragazzo sogghignò, tirandosi su i pantaloni in una sorta di movimento altezzoso. La mano di Sirius pulsava ancora, stretta al suo petto, ma il dolore era diminuito un po'. Forse non era rotta, allora. Non riusciva a immaginare cosa gli avrebbe fatto Walburga se si fosse rotto una mano il suo primo giorno di scuola. Gli avrebbe probabilmente rotto anche l'altra, giusto per fargliela pagare.

Proprio quando Sirius iniziò a pensare che il ragazzo occhialuto si sarebbe unito a lui in infermeria quella notte, le luci sopra le loro teste sfarfallarono tre volte. Quello era a quanto pare qualche sorta di segnale, perché i ragazzi più grandi indietreggiarono con un brontolio e si diressero ai loro letti. Uno di loro sputò verso Sirius. Lo sputo finì su una delle pagine fotocopiate di Remus.

“Hey, tutto a posto?”

Sirius sobbalzò, individuando il ragazzo dai capelli scarmigliati di poco prima. Era in piedi davanti a Sirius, e gli tendeva una mano.

“Riesci ad alzarti?”

Sirius scosse la testa. Non stava pensando alle sue ferite – stava pensando che doveva raccogliere tutti i fogli di Remus prima che le luci si spegnessero. Altrimenti i ragazzi più grandi avrebbero probabilmente finito per rubarli durante la notte, e poi Sirius non avrebbe avuto niente di Remus con sé per un intero metà semestre. Ma l'altro ragazzo doveva aver capito che Sirius era ferito seriamente, perché si lanciò in ginocchio con un'espressione vicina all'orrore sul suo viso.

“Oh, no, devi andare dall'infermiera? Non so bene la strada ancora – sono al primo anno anch'io. Potrei chiederglielo quando vengono a controllare per il coprifuoco.”

Asciugandosi gli occhi con la mano buona, Sirius scosse di nuovo la testa. “No. No. Sto bene. Devo solo raccogliere queste.”

“Ti aiuto.”

“No!”

Sirius allungò possessivamente la mano buona, afferrando ogni foglio alla suo portata. L'altro ragazzo alzò le mano, spalancando gli occhi dietro gli occhiali. “Hey! Stavo solo cercando di aiutare. Ci metterai dei secoli con quella mano.”

Dando un'occhiata alla mano ancora stretta al petto, Sirius vide che si stava già gonfiando, ed era tutta rossa e graffiata dalla scarpa dell'altro ragazzo. Sirius osservò con cautela l'altro ragazzo, con occhi socchiusi. Sembrava un tipo decente. Non come Remus, ovviamente: era più rumoroso e autoritario. Ma aveva affrontato gli altri per Sirius, anche se era solo un primo anno.

“Okay,” borbottò infine Sirius. “Va bene.”

Si misero al lavoro in silenzio, sistemando tutti i fogli in due pile. Quando Sirius raggiunse la copia sulla quale il ragazzo più grande aveva sputato, l'asciugò sui suoi pantaloni finché non fu abbastanza asciutta, poi la mise in cima agli altri fogli. Era ancora leggibile, che era quello che importava, alla fine.

Finirono in poco tempo – molto più velocemente di quanto avrebbe fatto Sirius da solo. L'altro ragazzo unì la sua pila a quella di Sirius, poi gliele porse. “Vuoi che te la metto da qualche parte?”

Sirius indicò il suo baule. Quando il ragazzo le sistemò lì, Sirius gli porse anche la lettera di Remus. Il ragazzo la prese senza commentare, la lisciò, e la mise in cima agli altri fogli.

“Tua mamma?” chiese. Quando Sirius lo guardò terribilmente confuso, l'altro ragazzo indicò il baule chiuso. “La busta. È di tua mamma?”

Sirius rise. Walburga? Mandargli qualcosa? Rise di nuovo, scuotendo la testa.

L'altro ragazzo provò di nuovo. “Un amico, allora? Da casa?”

Sirius annuì lentamente. Sicuro. Remus era un amico. Da casa... più o meno.

“Beh, io sono James.” L'altro ragazzo gli offrì la mano. Poi, dopo aver considerato un secondo, allungò l'altra mano. Sirius la strinse con cautela con la sua mano buona. James la scosse su e giù. Non dava la stessa sensazione rassicurante della stretta di mano segreta sua e di Remus, ma lo faceva comunque sentire bene. A suo agio. Forse questo James non era malaccio.

“Sirius Black,” si presentò.

James gli rivolse un sorriso storto. “D'accordo, Sirius Black. Ci guardiamo le spalle, eh?” Si avvicinò, abbassando la voce. “E domani la faremo pagare a quell'idiota di Piton, okay? Pensa a qualcosa di divertente che potremmo fargli.” Gli fece l'occhiolino, e Sirius si ritrovò a sorridergli in risposta. Solo un pochino.

“Va bene allora! Buona notte!” Con una pacca sulla spalla James se ne andò, diretto al suo letto proprio quando le porte si aprirono ed entrarono gli adulti. Sirius indossò con fatica il suo pigiama con una mano sola, e in qualche modo ci riuscì prima che venissero a controllarlo. Riuscì anche a forzare la sua mano pulsante lungo il fianco e ad aprirla.

Mentre Sirius si tirava su le coperte fino al mento e ascoltava i ragazzi dormire e rigirarsi intorno a lui, gli venne da piangere. Solo un pochino. Poi immaginò il gracile corpo di Remus, caldo, sdraiato nel letto accanto a lui, che faceva la guardia per i ragazzi più grandi durante tutta la notte. Dopo di quello, riuscì ad addormentarsi.


 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 




Capitolo 16


 

Era tardi – molto più tardi di quanto Sirius avesse programmato. Ma aveva dovuto aspettare che tutti fossero andati a dormire prima di poter sgattaiolare fino al ripostiglio del quarto piano, e visto che Walburga aveva insistito per organizzare una festa il giorno in cui Sirius tornava a casa da scuola, erano andati a dormire tutti molto più tardi del solito. Così tardi, in effetti, che Sirius aveva dovuto far finta di dormire per due ore mentre gli adulti continuavano a bere e chiacchierare e mangiare quei minuscoli panini dai loro piccoli vassoi.

Ma adesso l'ultimo degli invitati se ne era andato e Walburga si era chiusa in camera sua, a fare i suoi rituali notturni che Sirius non provava neanche a comprendere. Kreacher era probabilmente ancora appostato da qualche parte, a pulire i piatti e lucidare i tavoli. Ma Sirius aveva passato undici anni ad evitare Kreacher, quindi sapeva che sarebbe riuscito a farlo per le due rampe di scale e i sei corridoi che lo separavano dalla porta.

Sirius non era neanche sicuro che Remus sarebbe stato lì. Si era detto che sarebbe andato bene lo stesso se Remus se ne fosse già andato – era terribilmente tardi, e Remus era già dovuto scappare molto tardi per incontrare Sirius quando avevano programmato, e quello era presto in confronto ad adesso. Ma, anche quando Sirius si preparò alla possibilità che Remus non sarebbe stato lì, sentì comunque l'eccitazione bruciargli nel petto, pregando di essere liberata. Remus sarebbe stato lì. Remus sarebbe stato lì, non importava quanto fosse tardi, quanto Sirius lo aveva fatto aspettare. Remus sarebbe stato lì.

Sirius corse attraverso le strade buie del loro Mondo, illuminate solo dalla luce della luna. Non era mai stato lì così tardi – anche la notte in cui avevano guardato le stelle insieme se ne erano andati molte ore prima. Avrebbe potuto essere spaventoso, in un qualsiasi altro posto. Ma non lo era. La luce delle stelle e della luna inondava le strade di un bagliore bianco che sembrava quasi liquido. Se Sirius si concentrava abbastanza, pensava di poter vedere delle fate che svolazzavano dentro e fuori i boschi, o l'Oscurità che aspettava di insegnargli come accendere la notte.

Girando il muro per arrivare alla loro panchina, Sirius pensò per un momento che Remus non lo avesse aspettato. La panchina era vuota a parte per un rigonfiamento scuro: non c'era nessun profilo di un giovane ragazzo seduto sotto la luce della luna, ad aspettare Sirius. Il suo cuore precipitò ai suoi piedi, e i suoi passi si interruppero. Una vecchia pietra fu lanciata attraverso il pavimento di marmo dal suo movimento brusco, il suono rumoroso nel silenzio della notte. Poi Sirius realizzò che il rigonfiamento sulla panchina era Remus, raggomitolato, e che si stava svegliando solo adesso al suono del suo avvicinarsi.

“Si'us?” mormorò.

Un'energia nervosa lo attraversò come elettricità, e Sirius corse da Remus e lo tirò su a sedere sulla panchina. Remus si era coperto con uno dei loro vestiti, tirandoselo fino al mento come un lenzuolo. Senza neanche aspettare di guardarlo bene per vedere se qualcosa fosse cambiato – i suoi capelli erano un po' più lunghi dell'ultima volta? Le sue spalle un po' più ampie? - Sirius afferrò le spalle di Remus e piombò su di lui per un bacio.

Remus era così rilassato e assonnato sotto di lui che la sua bocca si aprì, e ne uscì un piccolo gemito. Sirius si stupì del gesto, di quella sensazione umida e piacevole e... che cosa...

Sirius si tirò indietro sussultando, la sua testa ronzante di mille pensieri diversi finché non smise di funzionare, e la sua mente si chiuse per essere così sovraccaricata. Remus stava guardando verso di lui, con la testa inclinata indietro, la bocca ancora aperta, gli occhi socchiusi. Sirius deglutì. Si strozzò. Deglutì di nuovo.

“Tesoro. Sono a casa,” sputò infine fuori. Perché stava finendo il loro gioco. Perché stava dando a sua moglie Remusa un bacio dopo essere tornato a casa dal suo viaggio di lavoro.

“Time out,” sussurrò Remus.

Sirius sbatté le palpebre, e annuì. Certo, Remus non voleva giocare. Non ancora. Dovevano aggiornarsi su tutto, prima. Avrebbero potuto giocare domani, e il giorno dopo. Adesso dovevano solo essere se stessi e parlare. Sirius non sapeva perché aveva pensato che continuare la storia in quel modo sarebbe stata una buona idea.

“Ho qualcosa per te,” disse Sirius immediatamente. Scavando nelle sue tasche dei pantaloni, Sirius tirò fuori il pezzo di carta laminato che stava cercando. Era una foto di lui e James seduti insieme sul letto di James. James aveva una Polaroid che sua mamma gli aveva regalato per il suo ultimo compleanno, e insisteva per fare foto di tutto e tutti, e farsi fare foto da tutti. Questa era una delle dozzine che Sirius aveva sparse nel suo baule. Aveva pensato che sarebbe potuta piacere a Remus – non perché ci fosse lui, o niente del genere. Solo perché era una foto della scuola. E così quando Sirius gli avrebbe raccontato di James, Remus avrebbe potuto sapere che aspetto aveva.

Remus prese la foto da Sirius, guardandola nella fievole luce della luna. “Lui chi è?” chiese, indicando James.

“Quello è James. È un mio amico.”

Remus rimase in silenzio per un istante, fissando la foto. Poi annuì. “Oh.”

Lasciandosi cadere sulla panchina accanto a Remus, Sirius lo colpì forte sulla spalla con la sua. “Hey. Non come te. Solo un amico.” Remus gli rivolse un veloce sorrise a quello, e Sirius si illuminò. Sapeva che Remus si sarebbe preoccupato di quello. Ma aveva detto la verità: James era un amico, un grande amico. Ma non era come Remus. Essere amico con James ed essere amico con Remus era altrettanto differente da essere amico di Remus e fratello di Regulus. Mondi diversi.

Ma lo stesso, Sirius sentì una punta di soddisfazione sapendo che Remus si era preoccupato. Sirius aveva pensato la stessa cosa ogni volta che lui e James facevano uno scherzo o si aiutavano a vicenda con i compiti: anche Remus stava incontrando altri ragazzi? Stava bene senza Sirius? Stava rimpiazzando Sirius?

Sirius toccò il James nella fotografia con un dito. “Mi aiuta a fare scherzi a Mocciosus – è uno schifoso che sta a scuola con noi. James è divertentissimo: ti piacerebbe. Prende sempre in giro i professori e fa aeroplanini di carta. Sai che una volta lui e suo padre hanno costruito un modellino di un razzo? Ha detto che la prima volta che ci hanno provato, è esploso dappertutto! Ma poi hanno capito come fare, e ora lui e suo padre costruiscono razzi ogni volta che torna a casa. Beh, è al primo anno, come me, quindi non so se l'hanno già fatto, ma avevano detto di sì.”

Sirius lasciò la fotografia permettendo a Remus di infilarla nella tasca. “Tu hai fatto qualche amico a scuola? Quella scuola di grammatica?”

Remus scrollò una spalla, senza guardarlo davvero. Sirius si accigliò. Quello era sospettoso.

“Hey, Remus? Che succede? Non fa niente se non ce l'hai. Io sono tuo amico. Il tuo migliore amico in tutto il mondo. Giusto?” Poi Sirius si immobilizzò. Oh. E se Remus si fosse fatto non solo un amico, ma un buon amico? Uno che gli piaceva più di Sirius? Uno che non era così rumoroso e non rovinava sempre tutto, che riusciva a mangiare un pasto senza rovesciare qualcosa o giocare a fare finta senza cercare di decidere e fare le cose come voleva lui?

“Più o meno,” iniziò Remus. La gola di Sirius si strinse. Oh no. Poi Remus disse: “Ma è una ragazza.”

Quello interruppe di colpo le preoccupazioni di Sirius. Poi esse si riavvolsero, riaccesero, e si diressero in una direzione completamente diversa. Aspetta, cosa? Remus aveva una ragazza come amica? Ma... come? “Ci sono ragazze nella tua scuola?”

Remus scrollò le spalle. “Sì. Sia ragazzi che ragazze. Si chiama Lily. È simpatica. Legge molto, e tutto il resto.” Inclinandosi verso di lui, Remus guardò finalmente Sirius. “Se ti dico qualcosa prometti di non dirlo a nessuno?”

Lo stomaco di Sirius si contrasse. Remus aveva una ragazza? Lily era la sua ragazza? Aveva baciato Lily? Ew, no. Se Remus aveva baciato Lily, e Sirius lo aveva appena baciato, allora Sirius aveva baciato una tipa che non aveva mai neanche incontrato!

In qualche modo Sirius doveva aver annuito ed eseguito la loro stretta di mano anche nel suo stato di shock, perché Remus aveva avvicinato le sue labbra all'orecchio di Sirius e stava sussurrando: “Mi protegge dai bulli.”

Oh. Oh. Sirius rise, forte, echeggiando tra le mura e gli edifici decadenti. Remus gli lanciò uno sguardo strano, un po' ferito, ma Sirius era troppo sollevato per dargli peso. Lily era solo come James, allora! Lei e Remus si erano incontrati perché lei aveva affrontato qualche bullo, e ora erano amici proprio come lui e James. Remus non ci stava uscendo insieme. E adesso che Sirius ci ripensava, realizzò quanto suonava sciocco. No, Remus non poteva avere una ragazza. Non ancora! E certamente non qualche tipa che aveva appena incontrato.

Visto che Remus sembrava ancora un po' offeso, Sirius si calmò finalmente abbastanza per rassicurarlo. “No, no, non quello. Pensavo che era la tua ragazza!”

Il naso di Remus si arricciò immediatamente a quello, e poi scoppiò a ridere anche lui. Sirius non riusciva a vedere le sue lentiggini nella luce della luna, ma immaginò che fossero tutte arricciate sul suo viso proprio come quell'estate. “Ew, no! No!”

“I bulli fanno schifo, eh?” disse Sirius dispiaciuto.

Remus annuì. “Già. Ma Lily: lei è una dura. E fa paura! Una volta, questo ragazzo stava cercando di farmi mangiare del fango-”

Il petto di Sirius si infuocò. Spalancò gli occhi e strinse la coscia di Remus. Nessuno poteva fare una cosa del genere al suo amico!

Ma Remus stava già scuotendo la testa, coprendo la mano di Sirius con la sua. “No, non è niente, ascolta. Stava cercando di farmi mangiare del fango, e poi Lily l'ha visto ed è arrivata di corsa e l'ha colpito. Poi ha iniziato a urlargli contro: gli ha urlato di tutto! Sirius, non hai mai sentito delle parolacce così, te lo assicuro. Ed ha urlato così tanto che il ragazzo ha iniziato a piangere! È stato fantastico.”

Sirius sorrise, e alcune di quelle preoccupazioni su Lily e il fidanzarsi si svegliarono di nuovo dentro di lui. Ma Remus non sembrava parlare di Lily in modo tutto sognante e imbambolato. In effetti, se Sirius ci pensava bene, il modo in cui parlava di Lily era quasi come il modo in cui Sirius parlava di James. Allora andava bene. Perché Sirius sapeva che James era fantastico, ma non era Remus. Quello voleva dire che Remus pensava che Lily fosse fantastica, ma non era come Sirius, per lui. Allora andava tutto bene.

“Dovresti portarmi una foto di questa Lily,” suggerì Sirius, stringendo piano la coscia di Remus. “Insieme a te. Così potrei avere una foto di te con il tuo cane da guardia, visto che tu ne hai già una di me con il mio.”

Remus rise. Poi i suoi occhi si illuminarono e sfiorò la mano di Sirius con le sue dita – solo un tocco leggerissimo, ma Sirius capì che era emozionato solo da quello. “Hai aperto il mio regalo? Ti è piaciuto?”

Immediatamente Sirius si girò verso Remus e lo avvolse in una abbraccio strettissimo. “Era bellissimo! ” disse con un filo di voce.

La mattina dopo che i ragazzi più grandi avevano buttato a terra tutte le pagine meticolosamente organizzate da Remus, James era venuto sul letto di Sirius e gli aveva chiesto se poteva aiutarlo. Sirius era stato riluttante, ma poi aveva pensato che finché James non chiedeva di essere incluso – perché le storie erano qualcosa che Sirius e Remus facevano insieme, e con nessun altro – gli avrebbe fatto comodo un po' d'aiuto. Dopotutto, se avesse provato a farlo da solo, avrebbe speso l'intero semestre a rimetterle in ordine. Quindi quel pomeriggio lui e James si erano messi al lavoro, e avevano iniziato a riordinare i fogli. Fortunatamente la maggior parte delle storie venivano da posti diversi: giornalini, fumetti, vecchi romanzi, libri illustrati e altro. Questo rendeva l'aspetto di ogni storia piuttosto diverso dalle altre, così che fu facile separarle, e i numeri delle pagine in fondo alla maggior parte di loro resero facile metterle in ordine. Ce ne furono solo poche che Sirius dovette sistemare da solo leggendone velocemente il contenuto, ma per la maggior parte lui e James erano riusciti a svolgere il noioso compito in un pomeriggio.

“Ne sto leggendo solo una al giorno,” promise tirandosi indietro. “Qualche volta neanche una, con tutti i compiti che abbiamo da fare e gli scherzi che faccio con James. Ma ne ho lette un sacco. Specialmente Asimov e Bradbury. Li adoro.”

Gli occhi di Remus scintillarono. “Hai letto quelle sui robot?”

Sirius annuì. “Alcune. Mi piace un sacco Robbie. Ti va di giocare ai robot? Non so se mi va che uno di noi fa il robot però, perché non è divertente. Forse potremmo essere una squadra che investiga sui robot? Come Susan e Robert, hai presente?”

Remus annuì. Poi si voltò, dando la schiena a Sirius per un secondo. Sirius allungò il collo per vedere che cosa stesse facendo. Quando realizzò che Remus stava afferrando qualcosa appoggiato sulla panchina alla sua sinistra, Remus si stava già girando di nuovo verso di lui, con un gran sorriso sul volto. “Ho alcune storie proprio come quella già programmate,” disse. Girò una pagina, sfiorando con un dito i segni d'inchiostro, quasi invisibili nella fievole luce della luna. Sirius notò qualche macchia d'inchiostro qua e là sulla pagina – o almeno, pensò di vederne qualcuna.

“Hai usato il mio? Il-” Le parole di Sirius gli morirono un gola, mentre l'eccitazione di vedere la reazione di Remus al suo regalo lo travolgeva. Forse era anche lui un pochino nervoso. E se a Remus non fosse piaciuto? E se aveva semplicemente continuato a usare le sue penne a sfera perché gli piacevano di più di quel costoso set di calligrafia che gli aveva dato Sirius? E se avesse pensato che Sirius stava solo facendo il ricco di nuovo, sbattendogli la sua ricchezza in faccia?

Ma poi la gamba di Remus si mosse nervosamente, e il suo ginocchio scivolò contro quello di Sirius, e lui seppe che il suo amico era emozionato. “L'ho adorato,” disse tutto d'un fiato. Alle parole di Remus Sirius prese un brusco respiro, come se potesse inalare la gratitudine e... e quelle parole: “L'ho adorato”. Sirius voleva tenere quelle parole, provenienti da Remus, nei suoi polmoni, dentro di lui, per sempre.

“Mi sento come un aristocratico,” continuò Remus, mentre le sue dita volavano con eccitazione sopra le pagine. “Come un vero scrittore, con tutte le penne e quel suono graffiato che fanno. E tutte le storie che ho scritto, era come se stessi scrivendo dei veri misteri per te, come se fossi nei tempi antichi e...” Remus rimase a corto di fiato, e prese un profondo respiro mentre dei piccoli suoni sgorgarono dalla sua gola come se non riuscisse a contenerli. Sirius premette più forte il suo ginocchio contro quello di Remus, mentre le pelle e la testa gli formicolavano con l'eccitazione condivisa di Remus.

“Misteri?” chiese finalmente Sirius, quando sembrò che l'eccitazione di Remus avesse danneggiato la sua abilità di esprimersi.

Misteri.

Gli occhi di Sirius si spalancarono. Whoa. Quelli erano interessanti. “Dei misteri veri?” chiese. Perché se erano dei misteri come quelli che scriveva Asimov, allora... wow. Remus era molto più intelligente di chiunque altro Sirius avesse mai incontrato.

Remus scrollò le spalle, abbassando un po' la testa. Sirius guardò la frangetta di Remus cadergli negli occhi, sapendo che se avesse potuto vedere i colori nella debole luce lunare avrebbe visto delle macchie rosse rivelatrici sulle guance e il naso di Remus. “Non come Asimov,” borbottò. “Solo... solo misteri. Lo sai.”

Senza pensare, Sirius allungò la mano e scostò la frangetta dagli occhi del suo amico. Sorrise quando Remus inclinò in su gli angoli della bocca e lo osservò con cautela. “Scommetto che sono belli come i suoi. Scommetto che non riuscirò a risolverli, e tu dovrai intervenire e fare l'eroe, anche se sono io a fare il protagonista.”

Remus scrollò le spalle, ancora curvo timidamente su se stesso. “Ti darò un sacco di tempo per risolverli,” promise. “E degli indizi. E verrò solo alla fine se davvero, davvero non ci riesci.”

“Affare fatto,” promise Sirius. Si strinsero le mani, e il suono della loro stretta segreta risuonò tra le antiche pietre intorno a loro.

Le mascelle di Sirius si aprirono in uno sbadiglio, e d'improvviso realizzò quanto terribilmente esausto fosse. Gemette, sotterrando la fronte nella spalla di Remus.

“Dovresti andare a dormire,” gli consigliò Remus. Poi sbadigliò anche lui, e rise. “Dovrei andare a dormire anch'io.”

“Verrai domani?” chiese Sirius. “Prometti.”

“Promesso.” Si strinsero di nuovo le mani, solo che questa volta Sirius non lasciò andare quella di Remus e la strinse al suo petto. Premette la sua fronte contro quella di Remus, e rimasero seduti così per un momento, uno accanto all'altro. Quando Sirius si sentì scivolare nel sonno si tirò finalmente indietro, trascinando Remus con lui mentre si alzava. “Domani,” disse di nuovo.

Remus annuì. E poi si avviarono verso le rispettive case. Ma avevano l'intera settimana per giocare insieme, e Remus aveva un mucchio di storie pronte per loro. E dopo di quello, c'era solo un altro metà semestre e poi Sirius sarebbe tornato a casa per le vacanze di Natale. Sembrava che tutto nella vita di Sirius stesse finalmente, miracolosamente, diventando sopportabile. Forse anche più che sopportabile.


 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World


 

Capitolo 17


 

Sirius rideva mentre correva nella neve, i suoi piedi che affondavano nel terreno almeno di quindici centimetri ad ogni passo. Perciò, la sua corsa non era tanto una corsa quanto un inciampare e incespicare e rotolare in avanti agitando violentemente le braccia per tenersi dritto e lasciare che la gravità lo spingesse in avanti.

Remus era lì, dall'altra parte della strada, e rideva mentre Sirius correva verso di lui. Sirius fece un gran sorriso, sapendo che Remus non si immaginava neanche che cosa lo aspettasse. Con una finale spinta di energia, Sirius si lanciò in avanti e placcò Remus nel grosso cumulo di neve dietro di lui. I due cadettero in una pioggia di neve sollevata e ghiaccio scricchiolante. Remus strillò, dimenandosi e rotolando via da Sirius, ma Sirius fu più veloce. Afferrò un pugno di neve in una mano e il cappotto e la camicia di Remus nell'altra. In un unico armonioso movimento spinse l'ammasso di neve della grandezza della sua mano giù per la maglietta di Remus, facendolo strillare come una ragazza.

Con una risata fragorosa Sirius scappò via di nuovo, correndo tra le rovine scivolose e facendo scricchiolare la neve ad ogni passo. Non nevicava mai così tanto a Londra! Poteva saltarci dentro quasi come fosse un cane. Sirius si chiese se nevicasse così tanto dove viveva Remus. Immaginò che doveva nevicare così da qualche parte nel mondo: aveva visto film e altro in cui c'era anche più neve a terra di quanta ce ne fosse qui. Ma mai a Londra. Era fantastico.

Lo scricchiolio della neve dietro di lui raggiunse le orecchie di Sirius una frazione di secondo troppo tardi. Proprio mentre iniziò a girarsi per guardare dietro di sé, Remus era lì, e gli lanciava due palle di neve dritte in faccia. Sirius sputacchiò e incespicò all'indietro, scivolando su delle pietre e cadendo dritto di sedere.

“Sirius! Scusa! Stai bene?”

Fingendo di stare male, Sirius si premette una mano sul didietro, facendo una smorfia di finto dolore. “Ahi, Remus,” si lamentò. “Mi hai fatto davvero male.

Remus fu in ginocchio in un momento, e le sue mani si posarono sui fianchi di Sirius mentre il suo viso assumeva un'espressione contrita. “Oh, no, Sirius, mi dispiace, non volevo-”

Sirius aspettò un secondo. Poi un altro. Poi, proprio quando le mani di Remus scesero sulle sue anche e il suo viso si abbassava costernato, Sirius lo afferrò e lo capovolse, spingendolo a terra. Lanciò le sue gambe sopra Remus, mettendosi a cavalcioni, e afferrò due pugni di neve. Remus stava ridendo e dimenandosi sotto di lui, gridando: “No! No, Sirius! Non farlo!” Ma Sirius lo ignorò, e procedette con l'infilare un cumulo di neve nella bocca di Remus.

Corse via di nuovo mentre Remus sputacchiava e gli urlava contro, la neve scricchiolante sotto i suoi stivali mentre faceva del suo meglio per navigare sull'infido terreno scivoloso. Lui e Remus aveva speso anni a segnare la posizione dei detriti con i loro piedi e occhi, ma una volta ogni tanto il piede di Sirius si incastrava su una pietra nascosta sotto la neve di cui si era scordato, e lo faceva inciampare, mentre le sua braccia si agitavano su e giù cercando di riprendere l'equilibrio prima di ricominciare a correre.

Lanciandosi dietro un angolo, Sirius vide con la coda dell'occhio la casa più vicina al muro di Remus. Era mezza crollata, con una parete sul retro che sorgeva alta ma instabile, come una rampa di scale storte. Era coperta di neve, ora, ma quello servì solo a incoraggiare Sirius. Con un sorrisetto si aggrappò alle fredde pietre ghiacciate e cominciò a tirarsi su.

Quando Remus comparve da dietro l'angolo, Sirius era già a metà del muro. Remus si fermò proprio sotto di lui, ansimando. “Sirius!” gridò. Il suo collo era inclinato indietro, una mano sopra i suoi occhi per coprirli dal sole. “Sirius, scendi! Finirai per cadere.”

Sirius rise. Lui? Cadere? Sì, certo. Remus ovviamente non l'aveva ascoltato quando Sirius gli aveva raccontato dei corsi accelerati di arrampicata che James gli aveva dato a scuola. C'erano un sacco di alberi intorno al campus, e James si era messo in testa che avrebbero dovuto scalarli tutti, uno per uno. Inoltre, avevano letto delle abitudini di incubazione degli uccelli nella classe di scienze, e sia James che Sirius avevano deciso che sarebbero stati i migliori papà uccelli di sempre. Ovviamente, avrebbero avuto bisogno di un uovo d'uccello per farlo, e le uova d'uccello si trovavano solitamente nei nidi sugli alberi. In conclusione: Sirius aveva imparato un sacco sull'arrampicata nell'ultimo semestre. E non si era fatto (seriamente) male neanche una volta.

La sua mano si strinse intorno a un'altra sporgenza, e Sirius si tirò goffamente un po' più in alto. Era quasi in cima. Una volta lì, le mura giravano tutto intorno gli altri tre quarti dell'edificio. Probabilmente avrebbe potuto camminarci sopra in equilibrio come su una trave e fare il giro. E quello avrebbe sicuramente impressionato Remus! Avrebbe scommesso che la nuova amica di Remus Lily non aveva mai fatto niente di così fico!

“Sirius, per favore! ” Il tono di Remus era così tremante e spaventato che Sirius girò la testa di scatto, cercandolo con lo sguardo. Era in piedi proprio sotto Sirius fuori dalla casa, braccia alzate in aria come se fosse pronto ad afferrarlo in ogni momento. Se Sirius si concentrava abbastanza, poteva giurare di vedere la faccia di Remus diventare tutta rossa, come se stesse per piangere. Sirius alzò gli occhi al cielo, e si sdraiò in cima alla parete. La sua camicia e il cappotto si alzarono, e la neve gelata toccò la sua pelle.

Remus,” gemette Sirius. “Sto bene.”

“Mi stai spaventando!”

Sirius gemette, premendo il viso contro la neve sul muro. Non era giusto. Voleva far vedere a Remus quello che sapeva fare, ma Remus sapeva che se usava quel tono Sirius si sarebbe arreso e fatto qualsiasi cosa volesse. Ma se Sirius fosse sceso, Remus non avrebbe potuto vedere quanto era bravo.

Rimuginando sulle sue opzioni, Sirius si dondolò avanti e indietro sul muro. Immaginò che avrebbe potuto calarsi di nuovo giù, visto che Remus sembrava così turbato. Però, avrebbe anche potuto-

Improvvisamente a Sirius mancò il respiro. La sua mano scivolò dopo essersi sporto troppo a destra, e la sua gamba finì fuori dal bordo. I suoi palmi si riempirono subito di sudore freddo, e Sirius cercò a fatica di rimettersi in equilibrio. Le sue mani scivolarono e le sue unghie si piegarono indietro mentre cercava di afferrare la pietra, ma era troppo tardi. Un momento prima c'era della solida pietra sotto di lui, e un momento dopo il suo stomaco si capovolse e lui stava cadendo, lontano da Remus, con niente tra lui e il terreno a parte un tappeto di neve. Per un istante Sirius sperò irrazionalmente che la neve fosse morbida quando ci si cadeva sopra.

Un secondo dopo Sirius scoprì che no, non lo era. Un dolore acuto colpì la sua spalla, e sentì una sorta di nauseante, violento, sbagliato grattare di ossa contro ossa e tendini quasi strappati. Sirius gridò, cercando di girarsi, e fu fermato da un'ondata di nausea. Il suo stomaco si ribellò e lui rigettò sulla neve fresca, e il vomito caldo aprì un buco nella neve come una bruciatura di sigaretta. Il suo corpo si contorse nel movimento e peggiorò solamente il dolore nella sua spalla.

Sirius gridò, agitando il suo braccio buono mentre cercava di fare qualcosa, di muoversi o alzarsi. Faceva male, male, doveva fargli smettere di fare male...

“Sirius!” Ecco Remus. Stava correndo attraverso la porta della casa, guardandolo con occhi spalancati e terrorizzati. Sirius sperò solo che quello non volesse dire che c'era qualcosa di davvero grave. Non pensava di star sanguinando da nessuna parte. Era solo la spalla, il lancinante, pulsante, travolgente dolore che straziava la sua spalla e bloccava ogni altra cosa. Ogni cosa a parte Remus, che si stava precipitando verso di lui e agganciava il suo braccio sotto quello non dolorante di Sirius.

Una nuova ondata di dolore si sparse per la spalla di Sirius e lui gridò di nuovo, aggrappandosi a Remus e cercando di controllare i suoi singhiozzi. Ogni volta che gridava o singhiozzava o anche solo riempiva i suoi polmoni per respirare, faceva ancora più male. Se solo avesse potuto smettere di respirare, si sarebbero fermate anche le ondate di dolore che gli trafiggevano la spalla. Dovevano fermarsi, faceva così male, non poteva... non poteva...

“Oh, oh mio Dio, Sirius. Sirius, penso che... la tua spalla. È.. penso che si sia slogata. L'ho letto. In un libro. Sirius, Sirius devo- non posso portarti a casa oh mio Dio devo mandarti a casa tua ma io non posso passare Sirius, Sirius, no. Posso farlo io. So come farlo. Tieni duro...”

Qualche angolo lontano della mente di Sirius lo informò che Remus lo stava trasportando fino al muro. Sirius sentì una paura irrazionale: era il muro da cui era appena caduto. Remus non poteva portarlo lì di nuovo, no, faceva troppo male, non voleva andare.

“Okay. Okay. Io. L'ho letto. Tieni duro, okay? Per favore. Aggrappati-” In qualche modo le dita della mano buona di Sirius obbedirono a Remus, e si aggrapparono forte al muro. Un momento dopo Remus lo lasciò, e Sirius entrò in panico.

“No, no, Remus, per favore,” gridò.

“Sono qui! Okay. Stai fermo. Io non. Non so come-”

E poi Remus afferrò il suo braccio dolorante e faceva male. Faceva così male. Le gambe di Sirius si dimenarono sotto di lui ma in qualche modo continuò a tenersi aggrappato a quel muro, quello stupido muro e perché Remus gli stava facendo così male?

Remus tirò il suo braccio, lo strattonò, e il dolore si riaccese. Sirius sentì le sue ossa scivolare una sull'altra in un modo che gli fece di nuovo rivoltare lo stomaco, e la bocca gli si riempì di bile. Poteva sentire Remus cantilenare “Scusa scusa scusa lo so fa male scusa mi dispiace ci sto provando,” e poi le ossa della spalla di Sirius tornarono al loro posto con un pop.

Il dolore era... non se n'era esattamente andato. Faceva ancora male, un sacco, ma le budella di Sirius smisero di contorcersi e l'infuocato, insopportabile dolore nella sua spalla si affievolì in un più sostenibile dolore pulsante. Sirius prese un respiro. Poi un altro. Riusciva a farlo, di nuovo. Sbattendo le palpebre per scacciare le lacrime realizzò che le aveva tenute serrate – come la sua mascella.

La mano di Remus stringeva il busto di Sirius così forte da fargli quasi male. Il suo respiro era pesante nell'orecchio di Sirius, agitato e ansimante. “Sirius? Sirius, è a posto? Ha funzionato? Sirius? Sirius!”

“Va meglio,” riuscì finalmente a sputare fuori Sirius. Mosse lentamente il suo sguardo di lato finché non individuò Remus. Il suo viso era pallido sotto il rossore di lacrime e panico. “Va meglio,” ripeté. “Penso che l'hai sistemata.”

Invece di essere rassicurato come aveva pensato Sirius, Remus scoppiò di nuovo a piangere, afferrando il davanti del cappotto di Sirius e stringendolo forte. Le sue lacrime erano calde mentre scivolavano lungo il collo di Sirius, ma lui trovò che non gli importava. Invece sollevò un braccio – il suo braccio buono, perché anche se Remus aveva fatto qualunque cosa avesse fatto alla sua altra spalla, faceva ancora male – e gli diede dei colpetti sulla schiena, senza la più pallida idea su cosa fare.

“È tutto okay, Remus,” disse Sirius. “Va tutto bene. Il mio braccio mi fa molto meno male, ora. Qualunque cosa tu abbia fatto era perfetta.”

“Non va tutto bene!” gridò Remus, le parole soffocate dal cappotto di Sirius. La sua presa si strinse, i piccoli pugni si mossero come se volesse colpire il petto di Sirius, ma poi si fermò per paura di fare dei danni ulteriori. “Quando sei caduto, ho pensato... sei caduto e poi ti ho sentito gridare e... e...” Remus alzò la testa dal cappotto di Sirius, guardandolo con lacrime che gli rigavano le guance. In un unico, morbido movimento, si alzò in punta di piedi e iniziò a baciare Sirius: prima sulle sua labbra, poi, quando Sirius fu troppo scioccato per rispondere, su ogni altro punto che riuscì a raggiungere. Lo baciò sulle guance, e sul naso, e sul mento, e finalmente premette le sua labbra sul collo di Sirius e continuò a premere delicati, disperati baci sulla sua pelle esposta.

Sirius rimase molto, molto fermo. Non avevano mai fatto una cosa così prima. Non si erano mai baciati mentre uno di loro non era una ragazza. E Sirius sapeva che probabilmente quello era sbagliato, ma... ma davvero, non erano baci. Non erano baci come quelli tra ragazzo e ragazza. Erano più come i baci di una madre – non che Sirius ne avesse fatto esperienza personalmente, ma aveva sentito Remus parlare di come sua madre gli baciasse le ferite per farlo stare meglio. Quelli erano il tipo di baci che Remus stava dando a Sirius, solo che erano più per far sentire meglio se stesso che Sirius, in realtà.

A Sirius non dava fastidio. Neanche un pochino. Pensò che avrebbe dovuto farsi male più spesso, se voleva dire che Remus lo avrebbe riempito di baci dappertutto. Sirius si mosse, cercando di stringere di più Remus, di rassicurarlo, e il dolore nella sua spalla si riaccese di colpo. Okay. Forse non così male. Ma forse avrebbero potuto giocarci, tra un paio di giorno quando la spalla di Sirius non avrebbe più fatto così male e se lo sarebbe potuto godere di più.

Troppo presto Remus si tirò via, asciugandosi il viso sulla manica e tirando su con il naso rumorosamente. “L'hai sistemata,” gli ricordò Sirius. “È molto meglio, adesso.”

Remus scrollò le spalle, giocherellando con i bordi delle sue maniche che aveva tirato sopra le mani in un inconscio gesto di insicurezza. “L'ho letto, una volta,” spiegò. “In un libro fantasy. Uno dei guerrieri si era slogato la spalla, e un altro gli aveva tirato il braccio in quel modo e si era rimessa a posto.”

Sirius si toccò con esitazione la spalla con un dito. Faceva ancora molto male, ma andava bene. Sarebbe riuscito a nasconderlo a Walburga e Kreacher per i pochi giorni che ci avrebbe messo a guarire, sicuramente. Avrebbe anche potuto tenerlo fuori dai guai: se si concentrava sullo stare fermo e non farsi male a tutti gli stupidi “eventi sociali” a cui doveva presenziare, non avrebbe litigato con i suoi cugini e corso in giro per dare fastidio a Regulus.

“Non mi va più di giocare oggi,” mormorò Remus. Tirò di nuovo su con il naso, rumorosamente, e d'improvviso Sirius si sentì orribile. Era stata tutta colpa sua, comunque, per aver scalato quel muro in un tentativo di impressionare Remus.

“Va bene,” disse Sirius. Porgendogli la sua mano buona, la avvolse intorno a quella di Remus e lo avvicinò a sé. “Puoi mostrarmi quel libro che volevi farmi vedere prima: quello con tutti quegli alberi noiosi e il resto.”

Una piccola risata a singhiozzo scappò da Remus mentre si asciugava gli occhi un'ultima volta con la mano che Sirius non stava tenendo. “Si chiama orticultura,” disse, pronunciando la parola chiara e lentamente.

Sirius alzò gli occhi al cielo e guidò gentilmente Remus fuori dalla casa e all'aperto nell'aria di dicembre. “Non capisco perché leggi libri di piante,” lo prese in giro. “Sai, io ho letto alcune cose che non mi hai fatto vedere tu.”

Gli occhi di Remus si illuminarono a quelle parole. “Davvero? Che cosa?”

“Un tipo che si chiama Poe,” spiegò Sirius. “James mi ha detto che è il preferito di suo padre. Hai mai letto qualcosa di suo?”

Remus annuì. “Ho letto il 'Barile di Amontillado'. Non mi è piaciuto.” Sorrise timidamente a Sirius. “Troppo spaventoso.”

Sirius spalancò gli occhi e colpì la spalla di Remus con la sua. Ahi. Okay, no. Anche se era la sua spalla buona, il lieve impatto aveva lo stesso attraversato il suo corpo fino alla sua altra spalla. Sirius trasalì e fece del suo meglio per minimizzare il movimento mentre camminava. “Beh, Poe è fantastico,” continuò. “Ho letto questa sua storia, 'La caduta della casa degli Usher'? Era assolutamente folle! Parlava di questa vecchia famiglia ricca, e di come tutti dentro la casa erano pazzi, e poi la figlia moriva, ma poi invece no, non davvero!”

Remus ebbe un brivido, stringendosi più vicino a Sirius mentre camminavano. Sirius gli avvolse un braccio intorno e lo strinse. “Visto, è per questo che non mi è piaciuto 'Amontillado'. Parlava di un tizio che veniva sotterrato vivo in una cantina di vini.”

Fico,” sussurrò Sirius. Avrebbe dovuto leggere di più di questo Poe. James gli aveva prestato un paio di vecchie copie cadenti dalla collezione di suo padre. Per ora aveva solo letto “Il Pozzo e il Pendolo” e “La caduta della casa Usher”. Ma se Poe aveva scritto più roba su tipi morti e altri non-così-morti e altre cose inquietanti come quelle, Sirius si sarebbe assicurato di leggerle tutte. Anche se a Remus non piacevano così tanto.


 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World

 


Capitolo 18


 

“Non riesco a credere che non sai chi sia Jo!” gridò James.

Sirius scrollò le spalle sdraiato sul caldo prato, inclinando la rivista spiegazzata da una parte all'altra sopra la sua testa, cercando di capire che cosa ci vedesse James in quella donna.

“Oh, è geniale. È la Compagna del Dottore, ed è carina e combatte il male e viaggia nello spazio-”

“Spazio?” quello catturò l'attenzione di Sirius. “Il Dottore viaggia per lo spazio?”

James alzò gli occhi al cielo, sconcertato dalla mancanza di conoscenza di Sirius nella cultura popolare. Sirius non poteva farci niente: anche se a Grimmauld avevano una televisione, Walburga non avrebbe mai approvato che lui guardasse questo Doctor Who. Però, se era una serie tv sullo spazio, forse sarebbe riuscito a guardarla di nascosto. O forse Remus la guardava!

Strappando la foto dalle mani di Sirius, James la lisciò, poi se la premette al petto. “Non è carina, Sirius? È proprio fica, te lo dico io.”

Di nuovo, Sirius scrollò le spalle. Non capiva tutto quell'interesse. Ma dopotutto, neanche tutte quelle tipe con cui i ragazzi di scuola erano ossessionati gli sembravano così carine.

“Oi! Testa di rapa!”

Qualcosa sfiorò la testa di Sirius, facendolo sussultare. James gli stava sorridendo, con un fiore tra le dita. Guardandosi intorno, Sirius trovò il gemello del fiore accanto alla sua testa, sull'erba. Alzò gli occhi al cielo e si appoggiò sui gomiti. “Che c'è?”

Lanciando a Sirius il fiore ancora nella sua mano, James ripeté lentamente. “Ho detto: hai mai baciato una ragazza?”

Oh. il cervello di Sirius entrò in panico, cercando di capire quale fosse la risposta giusta. Non aveva mai baciato nessuno a parte Remus – non per davvero, non nel modo in cui intendeva James. E Remus non era proprio una ragazza. Però, Sirius aveva baciato Remus come Remusa, il che era più o meno come baciare una ragazza. Forse. Almeno che le ragazze non avessero un tipo di labbra diverso da quello dei ragazzi o qualcosa del genere, cosa di cui Sirius dubitava altamente. Solo perché le loro erano spalmate di lucidalabbra, questo non le rendeva diverse da quelle dei ragazzi.

Però, se avesse detto a James che aveva baciato qualcuno, lui gli avrebbe sicuramente chiesto i dettagli, Sirius ne era certo. E poi gli avrebbe dovuto dire di aver baciato Remus...

L'inizio di alcune sgradevoli verità cominciarono a fare capolino nella mente di Sirius. Per il momento scelse di ignorarle, e scosse semplicemente la testa. “No,” rispose. “Mai. Non ho molte ragazze da baciare.”

James sospirò, lasciandosi cadere sull'erba con la sua foto di Jo Grant stretta al petto. “Un giorno, bacerò Jo,” giurò. Sirius annuì, tirando i fili d'erba con le dita.

Tra due giorni, sarebbe stato di nuovo a casa con Remus per le vacanze estive. E adesso che James ne aveva parlato, Sirius non era sicuro se ci sarebbero stati altri baci nel suo prossimo futuro con Remus.


 

**


 

Sirius cercò di lanciare il vestito a Remus, per poi abbassarsi e correre via quando Remus cercò di rilanciarglielo addosso. “Sono stata io la ragazza l'ultima volta!” gli gridò dietro Remus. “A metà semestre! Sirius!”

Sirius rise, correndo sopra le pietre e detriti caduti diretto alla loro panchina. “Ma io lo sono stato tre volte e tu solo due!” ricordò a Remus. Sirius si fermò di colpo dentro il cerchio di terra battuta che segnava il limite della città e l'inizio della spiaggia. Remus lo stava osservando da dietro il loro muro, lanciandogli un'occhiataccia con il vestito stretto in pugno. Sirius gli fece la linguaccia e rise, correndo sul posto intorno al vuoto cerchio di terra come se si stesse preparando a scappare di nuovo.

“Sarò un adolescente quest'anno!” osservò Sirius. “Non posso più vestirmi come una ragazza!”

Anche da lontano Sirius poteva vedere Remus alzare gli occhi al cielo. Il vestito sparì quando Remus lo lanciò a terra dietro di lui, dall'altra parte del muro rispetto a Sirius. “Non è vero! Hai appena fatto dodici anni solo un mese fa!”

“Quest'anno scolastico! “ ribatté Sirius.

“Io faccio tredici anni prima di te!”

Stettero lì in piedi, in parti opposte della strada in stallo, per quello che sembrò come un minuto intero. Alla fine Remus incurvò le spalle e sparì dall'altro lato del muro. Uno strano sguardo gli aveva attraversato il viso proprio prima di andarsene, facendo preoccupare Sirius. Non era... non era spaventato, non proprio, ma di certo non era felice. Sembrò familiare a Sirius, in qualche modo. Come se avesse avuto lui stesso quell'espressione, in precedenza. Forse come quando qualcosa gli ricordava delle punizioni di Walburga. Il che non era certamente una cosa buona.

Sirius aspettò un momento, pensando che forse Remus sarebbe apparso sulla strada dopo aver fatto il giro del muro. Quando questo non successe, Sirius sospirò e iniziò a correre verso di lui. Quando raggiunse il muro Sirius si accigliò, pensando. Il buco era ancora lì – quello attraverso il quale aveva visto Remus per la prima volta. Sembrava molto più vicino al terreno, ora: poteva quasi guardarci attraverso solo mettendosi in punta di piedi. Sirius si arrampicò con attenzione sulla pila di detriti ancora lì, guadagnando quegli ultimi centimetri che gli mancavano per sbirciare attraverso. Poteva vedere Remus attraverso l'apertura: era seduto sulla loro panchina, strattonando fiaccamente il vestito, con quella turbata, non-spaventata-ma-non-proprio-preoccupata espressione sul viso. Appoggiando il mento sulle pietre che delimitavano il perimetro dell'apertura, Sirius considerò la situazione per un momento.

Remus era diventato più alto dall'ultima volta che lo aveva visto. Ma non di molto, e non aveva ancora iniziato ad irrobustirsi come Sirius e James. Entrambi i ragazzi avevano iniziato a notare i muscoli nelle loro braccia e gambe, e li misuravano a vicenda praticamente ogni giorno. Ma Remus era ancora gracile e magro, anche se non era terribilmente più basso di Sirius. I suoi capelli si erano scuriti, notò Sirius. Non molto, ma non erano più del colore della sabbia come una volta. Invece erano diventati di un caldo castano chiaro. Come le foglie quando erano esattamente a metà tra il giallo e il marrone. Le sue lentiggini non si notavano più così tanto, cosa che rendeva Sirius triste. Gli piaceva vederle arricciarsi quando il suo amico rideva.

Ma più di tutto, Sirius si rese conto quanto Remus fosse decisamente non femminile. Certo, era un po' più basso e magro di Sirius o James, ma non era una ragazza. Non aveva capelli lunghi o un viso carino, femminile – anche se Sirius pensava che il viso di Remus fosse molto carino anche senza sembrare come quello di una ragazza. Il suo petto era piatto e i suoi fianchi stretti; non aveva tutta quella morbidezza sul sedere e sul davanti come tutte quelle ragazze che a James piaceva guardare. Sirius non avrebbe mai potuto scambiare Remus per una ragazza, anche quando era mascherato e faceva finta di esserlo. Eppure, lo stesso...

Sirius inclinò il mento in alto per parlare, ma lasciandolo comunque appoggiato sulle ruvide pietre del muro. “Psst. Remus.”

Remus alzò lentamente lo sguardo, come se già sapesse che Sirius lo stava guardando. Senza dover chiedere, Remus si tirò su dalla panchina e si trascinò verso l'apertura. Sirius lo osservò mentre saliva sulla pila di detriti dal suo lato, incrociando le braccia e appoggiandole sul buco sotto il suo mento.

“Cosa c'è, Sirius?” chiese Remus una volta che fu al suo stesso livello.

Sirius rifletté per un momento su cosa avrebbe detto. Non ne era sicuro neanche lui, a questo punto. Non era come se volesse smettere di fare giochi con Remus nei quali si travestivano e partivano per avventure insieme e qualche volta, occasionalmente, si baciavano... ogni volta che la storia lo richiedeva. Ma c'era qualcosa, qualcosa che metteva Sirius a disagio quando pensava ai loro giochi ogni volta che James parlava di qualche ragazza.

Perché era quello il punto cruciale, no? I ragazzi come James e gli altri compagni di scuola non facevano giochi in cui baciavano altri ragazzi. Beh, in realtà, nessuno di loro giocava come Remus e Sirius in generale: anche mettendo da parte i baci. Remus e Sirius... beh, i loro giochi erano geniali. C'erano delle storie e delle trame e loro sapevano sempre le regole di qualsiasi universo in cui stessero giocando, quindi le cose non si confondevano mai. E i loro universi erano molto meglio di qualsiasi cosa Sirius avesse mai sentito gli altri ragazzi parlare: c'erano battaglie spaziali e mondi di fumetti e terre che funzionavano con la logica dei cartoni ed erano completamente stupide e geniali nello stesso tempo.

Ma Sirius aveva anche sentito parlare di altre cose. Cose come “finocchio” e “frocio”; cose che i ragazzi più grandi si gridavano a vicenda per essere crudeli. Una volta che Sirius aveva capito che cosa significassero quelle parole, le conversazioni con James sulle ragazze lo avevano messo ancora più a disagio. Remus era sempre stato Remusa ogni volta che si erano baciati (eccetto per quella volta, quella fantastica volta, anche con tutto quel dolore), ma Sirius dubitava che gli altri ragazzi l'avrebbero vista così. Remus era Remus, travestito o no, che stessero giocando oppure no. E Sirius era sempre Sirius, anche quando era lui ad indossare il vestito e ad essere Siria.

“Hai una cotta per Lily?”

Quello non era assolutamente ciò che avrebbe voluto chiedere Sirius. Ma una volta che l'ebbe detto, gli sembrò all'improvviso la domanda più importante del mondo. Quindi Sirius fissò Remus con occhi spalancati mentre aspettava una risposta.

Remus sbatté le palpebre, chiaramente preso alla sprovvista dalla domanda. Poi rise, corrugando le sopracciglia allo stesso tempo. “No! È un'amica. Tu hai una cotta per James?”

Sirius arrossì. “No! Certo che no!” Voleva urlare “Non sono un finocchio!” ma sentì che sarebbe stato cattivo, in qualche modo. Non gli piaceva quando i ragazzi più grandi lo dicevano o il modo in cui lo dicevano: come se fosse la parola più offensiva del mondo. Sirius non avrebbe provato la parola sulla sua lingua per poi farla uscire dalla sua bocca. Invece si accontentò di, “Ma quello è diverso.”

Remus scrollò le spalle, che sembravano ancora più ossute nella canottiera che stava indossando a causa del calore estivo. In quel momento Sirius si accorse che poteva vedere delle lentiggini sulla sua pelle scoperta in quel punto. Era come se fossero migrate dal suo naso alle sue spalle. “Non proprio. Solo perché Lily è una ragazza non vuol dire che ho una cotta per lei. Possiamo anche essere solo amici.”

Quello non rassicurò molto Sirius, ma scrollò le spalle come se l'avesse accettato. “Immagino di sì,” borbottò.

“Pensi che siamo troppo grandi perché uno di noi faccia la ragazza?” Di nuovo, non era esattamente la domanda che Sirius voleva fare, ma era abbastanza vicina. Remus non rise questa volta, ma sembrò riflettere più attentamente, con un'espressione assente. Se Sirius non avesse conosciuto Remus bene come faceva, avrebbe potuto mancare lo sguardo ferito che aveva attraversato i suoi occhi, o il piccolo sobbalzo che gli aveva scosso il corpo. “È tutto okay!” disse, cercando di rimediare a qualsiasi cosa avesse fatto. “Solo che... lo sai. Nessun altro... Gli altri ragazzi a scuola...”

La voce di Sirius si affievolì. Non voleva spiegare tutto quello a Remus. Lo rendeva nervoso, dare voce alla sua confusione. Era come se sentisse che se avesse detto quello che pensava ad alta voce, se avesse sciolto le parole per metterle nell'ordine giusto con punti e virgole e lettere maiuscole e minuscole, allora avrebbe realizzato di colpo cos'era quello a cui non voleva pensare; e poi quella strana sensazione nel suo stomaco si sarebbe rivelata essere qualcosa di negativo, e non sarebbe più potuto essere amico di Remus. E ovviamente quella era l'ultima cosa che Sirius voleva succedesse.

Fortunatamente, Remus si limitò ad annuire molto lentamente dopo solo un momento. “Sì,” mormorò. I suoi occhi guizzarono via dal viso di Sirius dopo che ebbe parlato, focalizzandosi su un pezzetto di ghiaia che era finito nel buco del muro, tra loro due. “Immagino di sì.”

“Erano solo cose da bambini piccoli,” continuò Sirius. Perché ovviamente andava bene quando erano piccoli. Semplicemente non sapevano che non andava bene. Entrambi non avevano mai avuto altri amici a parte loro due, e lasciati da soli avevano finito per inventarsi delle regole per giocare e permettersi delle cose che nessun altro faceva. Non potevano sapere che non andava bene. Tutto qui.

“Giusto.” Remus ancora non sembrava felice. Sirius forse riusciva a capirlo. O perlomeno, Sirius non si sentiva felice del fatto che avrebbero smesso con i loro giochi ragazzo e ragazza. Ma era la cosa migliore. Quelle erano cose da bambini, e andava bene quando erano bambini. Ma se avessero continuato a farlo, allora... non potevano continuare e basta. E sarebbe stato tutto a posto. Anche se nessuno di loro sembrava molto entusiasta all'idea.

“Mi dispiace,” disse all'improvviso Remus.

Sirius sbatté le palpebre. “Ti dispiace? Per cosa?”

Le dita di Remus giocherellarono con i pezzi sbriciolati del muro, le unghie che grattavano contro la malta. “Mi dispiace che te l'ho fatto fare. Il. Noi. I giochi ragazzo e ragazza. Mi dispiace.” Gli occhi di Remus sembravano vicini alle lacrime, e stava tremando un pochino. “So che non è... so di essere strano. E sbagliato. Per averlo fatto.”

Sirius si allungò attraverso il buco, prendendo la mano di Remus nella sua e stringendola forte. “Remus,” disse bruscamente. Aspettò che Remus alzasse lo sguardo, incontrasse i suoi occhi, prima di continuare. “Non è strano. Tu non sei strano. L'ho fatto anch'io. E... i giochi, erano giochi tra ragazzo e ragazza, no? Quindi uno di noi doveva essere la ragazza. E abbiamo fatto a turno. Io sono stato la ragazza tante volte quante te! Non è...” Sirius non riusciva a capire: la paura, la... che cosa c'era negli occhi di Remus? Era come se si fosse appena rotolato dentro qualcosa di puzzolente, e si vergognava di dover sottoporre Sirius all'odore. Ma quello non aveva alcun senso. “Abbiamo giocato tutti e due,” provò di nuovo Sirius. “Ed è stato fantastico. È solo che adesso siamo più grandi, no?”

Remus girò la sua mano sotto quella di Sirius, così da poter incrociare le dita con le sue e ricambiare la stretta. Il gesto accese un getto di calore che viaggiò dal petto di Sirius fino al suo stomaco. Un sorriso tremante apparve finalmente sul volto di Remus, e Sirius gli sorrise di rimando. Anche se qualcosa di quel... qualsiasi cosa fosse... oscurava ancora le profondità degli occhi di Remus.

Cercando di cambiare argomento, la mente di Sirius si fermò sull'ultima cosa che gli era successa prima di entrare nel Mondo quella mattina. “Walburga è arrabbiatissima perché sono amico di James,” informò Remus. “Mi ha colpito con una stampella finché non ho promesso di non essere più suo amico.”

Gli occhi di Remus si spalancarono, e Sirius realizzò troppo tardi che la sua scelta di argomento di conversazione non era probabilmente la più tranquilla. “Sirius!”

Alzando gli occhi al cielo, Sirius indicò dietro di sé con il mento. “Aspetta un attimo.” Con un'ultima stretta lasciò andare la mano di Remus prima di scivolare giù dalla sua pila di detriti e aggirare il muro dietro il quale Remus stava aspettando. Si sedettero insieme sulla panchina – Sirius a destra, Remus alla sua sinistra – e Sirius raccontò la storia dall'inizio.

“La sua famiglia è imparentata con la mia, tipo. Molto alla lontana, sai? Ma abbiamo qualche parente in comune qua e là.”

Remus annuì, anche se Sirius sapeva che il suo amico non poteva davvero capire. Non di prima esperienza, comunque. La famiglia di Remus era di quel tipo in cui contavi tutti i parenti principali, e lasciavi perdere quelli più lontani. Sirius ne era terribilmente geloso, ma non era certamente l'unica cosa per cui era geloso di Remus.

Sirius continuò con la sua storia. “Beh, a quanto pare la famiglia di James è, non lo so, comune o qualcosa del genere. O quasi. Hanno sposato gente normale, si sono mischiati, quel genere di cose. Nessuno nella mia famiglia li calcola, per questo motivo. Comunque, quando sono tornato a casa Walburga mi ha chiesto delle mie 'compagnie' e il resto. E io ho detto James, perché non sapevo neanche che eravamo imparentati: perché, ricorda, la sua famiglia non è invitata a tutte le stupide feste della mia famiglia. Poi Walburga ha controllato, ed era tutta 'Non il sangue del mio sangue!' e 'Taglia ogni contatto in questo istante!' e così via.”

Gli occhi di Remus si spalancarono mentre ascoltava la storia di Sirius. Alla fine la sua mano si era spostata in avanti, e il suo mignolo toccava leggermente la coscia di Sirius. Sirius fissò il mignolo per un momento, chiedendosi se avesse dovuto dire a Remus che i ragazzi della loro età non facevano neanche quello. Ma lo lasciò stare lì. Era bello sapere che Remus era scioccato dal comportamento di Walburga, invece di esserne compiaciuto come quel buono a nulla di suo fratello Regulus. “Quindi smetterai di essere suo amico?”

Sirius sbuffò. “Sì, come no.”

Ora sulla coscia di Sirius apparve l'intera mano di Remus, che lo strinse. Sirius alzò gli occhi al cielo e inclinò la testa verso Remus, che lo stava osservando senza nascondere la sua preoccupazione. Non aveva neanche bisogno di parlare; Sirius sapeva esattamente che cosa avrebbe detto.

Non smetterò di essere amico di James,” borbottò Sirius. “Pensa se mi avesse detto di smettere di essere amico tuo! Non lo farei mai, non importa con quante stampelle mi sculaccia!”

Le labbra di Remus tremolarono in qualcosa che rassomigliava un sorrisetto. “Non so se esserne felice o no.”

Inclinandosi di lato, Sirius colpì la spalla di Remus con la sua e la lasciò lì. Si girò per fronteggiare l'altro ragazzo, e il suo naso sfiorò la mascella di Remus nel movimento. “Sai che l'unica ragione per cui torno a casa durante le vacanze è perché tu mi stai aspettando. Non tornerei mai se non fosse per te, Remus.”

Accanto a lui, Remus si irrigidì. Dove prima la sua mano stava accarezzando la coscia di Sirius in piccoli gesti rassicuranti, si fermò all'improvviso. Sirius si tirò indietro, confuso.

“Che c'è? Qualcosa non va?”

Remus corrugò le sopracciglia, i suoi occhi tristi e spalancati. “Non voglio che tu ti faccia picchiare per me. O che torni a casa solo per me. Non devi farlo se non vuoi.”

La reazione immediata di Sirius fu quella di scoppiare e a ridere. “Non essere stupido, Remus. Tornerò sempre a casa da te. Altrimenti come faremo a rimanere amici fino all'università e a prenderci un appartamento insieme?”

Remus sembrò rassicurarsi abbastanza dopo quello. Prima che gli venissero altre preoccupazioni in quel suo cervello che pensava troppo, Sirius lo afferrò per le spalle e lo scosse violentemente. Remus rise mentre rimbalzava avanti e indietro sotto la violenza amichevole di Sirius. “Forza!” disse Sirius. “Sono sicuro che ci sono un sacco di storie con cui possiamo giocare dove siamo tutti e due ragazzi. Che ne dici di Powell e Donovan? O potremmo giocare agli astronauti? Loro sono tutti maschi.”

Sirius fece un gran sorriso quando vide Remus tirare fuori il suo diario color avorio e cominciare a chiacchierare eccitato su quali storie potessero essere facilmente modificate per aggiustarsi al loro nuovo, più adulto modo di giocare. Il sole gli illuminava i capelli, e i suoi occhi brillavano anche se erano socchiusi per la luce. Sirius fu quasi sopraffatto dal desiderio di dire a Remus di aspettare, di smettere, che forse potevano giocare ancora come Siria e Remusa. Sirius sarebbe anche andato per primo; la sua voglia di fare ancora giochi ragazzo ragazza con Remus era tanto grande da farglielo desiderare.

Ma era giusto così. Era stata la cosa migliore. Erano troppo grandi per quello, ormai. Se si fossero fermati adesso, sarebbe andato bene, perché avrebbero potuto farli passare come dei semplici giochi di strani bambini piccoli. Ma adesso che Sirius sapeva che gli altri ragazzi non lo facevano, aveva dovuto dire a Remus che non potevano in nessun modo continuare a farlo. Erano solo problemi suoi se fare la cosa giusta gli faceva in qualche modo stringere dolorosamente il petto, e faceva in modo che la sua pelle volesse cascare dalle ossa per la tristezza.



 



 

N/T:

Lo so, lo so, mi odiate, ma non perdete ancora la speranza!

Comunque, volevo farvi sapere che con questo capitolo siamo arrivati a metà strada, per darvi un'idea di quanto sarà lunga questa fanfiction. Quindi, c'è molto tempo per rimediare alle cose!


 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World

 

 

Capitolo 19


 

Sirius quella sera collassò sul letto, felice ed esausto dopo una giornata passata a giocare con Remus. Valeva decisamente la pena di soffrire il disprezzo e lo sdegno di Walburga ogni volta che tornava a casa per le vacanze, purché riuscisse a vedere Remus. Specialmente dal momento che la primavera era appena iniziata, e i fiori e i fili d'erba stavano iniziando a farsi di nuovo strada nel terreno non più congelato, cercando di catturare i caldi raggi di sole che filtravano dalle tempestose nuvole primaverili.

Mentre gli occhi di Sirius lentamente si chiudevano, pensò a tutti i fantastici giochi che avrebbero fatto lui e Remus l'indomani, e ai loro piani per la stazione spaziale che stavano costruendo.


 

**


 

Dovunque fosse Sirius, era piacevole. Tutto era... caldo. Caldo e... in movimento.

Una sorta di pressione stava crescendo dentro di lui, ma Sirius non sapeva che cosa fosse. Tutto quello che sapeva era che non voleva che smettesse. Aveva bisogno di continuare a muoversi, di far continuare quella sensazione, ne voleva di più. C'era anche qualcun altro lì. Era lì con lui, e si muoveva ed era caldo e... La cosa dentro di lui stava crescendo. Qualsiasi cosa fosse, era fantastica. Bagnata. Bagnata e...

Sirius si svegliò con un sussulto, ansimando e tremando e sentendosi bagnato dappertutto. Si rigirò tra le lenzuola, trovandole avvolte intorno al suo corpo, assurdamente strette. Era coperto di sudore, e la sua pelle formicolava a causa di una strana sensazione, come se fosse andato a correre e fosse poi stato immerso in acqua ghiacciata e poi infilato in un forno. Quel formicolio era più intenso di-

I suoi pantaloni del pigiama erano bagnati, così come le sue lenzuola. Sirius mugolò sconcertato. Oh no. Pensava di aver smesso di bagnare il letto secoli fa!

Sirius scese goffamente dal letto, ignorando il bisogno di strusciarsi e gemere ogni volta che le lenzuola sfioravano la sua pelle, e il modo in cui il suo inguine gli fece quasi male quando lo strofinò contro i pantaloni del pigiama. Doveva pulire prima che Kreacher vedesse le lenzuola, e lo dicesse a Walburga. L'ultima volta che aveva bagnato il letto era stato quasi dieci anni prima, e ancora ricordava con un smorfia le conseguenze di quello che aveva subito. Questa volta sarebbe stato cento volte peggio, soprattutto visto che era molto più grande. I ragazzi grandi non bagnavano il letto; specialmente i ragazzi che sarebbero diventati adolescenti tra solo un paio di mesi.

Sirius si infilò velocemente un pigiama pulito prima di precipitarsi di sotto, nello scantinato, dov'era la lavatrice. Sperava solo che il rumore della macchina non avrebbe svegliato Kreacher, il cui letto si trovava solo al piano di sopra.

Mentre lanciava il suo pigiama e le lenzuola nella lavatrice, Sirius si fermò, avendo notato qualcosa con la coda dell'occhio. Ritirò fuori le lenzuola e le osservò, concentrandosi sulla macchia di bagnato. Non era molto grande. Certamente non sembrava grande abbastanza da essere il contenuto di una vescica piena da scoppiare. Curioso, Sirius odorò velocemente la macchia. Non odorava come urina, non proprio. Un pochino, ma non davvero. C'era qualcosa di strano.

In ogni caso, le lenzuola erano sporche e avevano bisogno di un giro in lavatrice. Sirius ce le infilò dentro e versò il detersivo prima di accendere la macchina. Poi si sedette su uno sgabello ad aspettare, sapendo che sarebbe stato più sicuro spegnere la macchina prima che suonasse il timer, ed era meglio stare seduto lì che provare a sgattaiolare su e giù per le scale nella casa addormentata.

Fissando la lavatrice, Sirius rifletté su quello che aveva appena battezzato “il mistero della non-pipì a letto”. Perché decisamente non era stato solo un normale incidente a letto. Doveva per forza essere qualcos'altro.

Sirius ripensò alle sue azioni di quella sera. Era andato in bagno proprio prima di andare a dormire, come sempre. Non aveva bevuto più acqua del normale a cena o dopo, ed era andato a letto con una vescica decisamente vuota. Poi aveva sognato... che cos'era, quello che aveva sognato?

Un lampo di calore, pelle e quella sensazione di pressione attraversò la mente di Sirius. Arrossì, anche se non era sicuro del perché. Per quanto ci provasse, non riusciva a ricordare nessun dettaglio del sogno. Ricordava solo che era stato piacevole, molto piacevole. Ma in qualche modo, imbarazzante. Gli era sembrato sbagliato, come se forse non avrebbe dovuto pensarci. Come se ci fosse un cattivo odore che persisteva per tutta la durata di quella notte.

Ripensandoci, Sirius riusciva a ricordare alcuni dei ragazzi più grandi prendersi in giro a vicenda per delle lenzuola bagnate. Solo che non avevano fatto pipì a letto, era stata quell'altra cosa. Quella cosa di cui aveva riso James facendo un gesto con la mano, muovendola su e giù con le dita chiuse a cerchio...

Oh. Oh.

Sirius arrossì, mentre il suo stomaco si contorceva. Oh. Oh no. Era stato... Aveva... Oh, quello era molto peggio di bagnare il letto! Se Walburga l'avesse mai scoperto... Oh no.

Una grande vergogna iniziò a crescere nella pancia di Sirius, strappando via le ultime sensazioni di piacere del sogno. Sirius strinse forte i pugni, affondando le corte unghie nel palmo della mano. Oh no. Sapeva che non avrebbe mai dovuto fare quello; quello era sbagliato e disgustoso e per la gente comune. Ma non aveva neanche provato a farlo – era solo successo! Non che una scusa del genere avrebbe fatto qualche differenza con Waburga. Avrebbe solamente peggiorato le cose, in qualche modo.

Sirius pregò in silenzio la lavatrice di andare più veloce, di lavare via ogni residuo di sporco e vergogna in quel momento. Se fosse stato preso, Sirius avrebbe sicuramente usato la scusa di aver bagnato il letto. Qualunque punizione gli avrebbe inflitto Walburga per quello era mille volte migliore dell'inimmaginabile orrore che avrebbe preparato per Sirius se l'avesse sottoposta ad una tale vergogna.

Una volta che le lenzuola furono fuori dalla macchina e stavano girando nell'asciugatrice, Sirius si era calmato abbastanza per pensare più razionalmente a quello che era successo. Sapeva che doveva essere piacevole – era per quello che quei ragazzi più grandi ridevano e ne parlavano sempre, come se fosse la cosa più geniale del mondo. Quindi Sirius non era così strano, per aveva pensato che quel sogno l'aveva fatto stare bene. Apparentemente quello era normale. Lui non avrebbe dovuto farlo succedere mai più, a causa di Walburga, ma non era strano o pazzo per averne goduto.

Il che, pensò Sirius guardando le lenzuola e il pigiama girare in infinti cerchi, era in effetti abbastanza rassicurante. Con le continue ossessioni di James per una nuova ragazza ogni settimana e le discussioni dei ragazzi più grandi su quale tipa affermavano di essersi portati a letto durante le ultime vacanze, Sirius stava cominciando a pensare di essere un po'... strano, in qualche modo. Aveva interrotto tutti i giochi di baci con Remus in un tentativo di tenere a freno qualsiasi strana abitudine avesse preso nella sua infanzia non proprio tradizionale, ma quello non era sembrato fare molta differenza. Voleva ancora ricominciare a giocare con Remusa, ma non cedeva mai alla tentazione. E Remus sembrava perfettamente felice di continuare con i loro giochi normali, in cui entrambi erano ragazzi.

Sirius raddrizzò la schiena. Oh. Adesso che ci pensava... anche Remus faceva quello? Come James e gli altri ragazzi? Sirius sentì la sua faccia andare a fuoco al solo pensiero.

Aprì lo sportello dell'asciugatrice prima che suonasse, sentendo le lenzuola e il pigiama per essere sicuro che fossero asciutti. Poi li raccolse nella sue braccia e tornò in punta di piedi ma il più velocemente possibile in camera sua. Riuscì a rifarsi il letto e a rimettersi il pigiama – rimettendo quello pulito nel cassetto – proprio quando la prima nota di grigio iniziò a colorare il cielo. Sirius si addormentò quasi immediatamente, esausto dalle sue avventure notturne. Ma rimase sveglio abbastanza a lungo per pensare a Remus un'ultima volta, decidendo di chiedergli dei suoi... incidenti... notturni la giornata seguente.


 

**


 

Gli ultimi frammenti di ghiaccio scricchiolavano e si spezzavano sotto gli stivali di Sirius mentre il ragazzo camminava a fatica fino alla spiaggia, sbadigliando e ancora mezzo addormentato, a causa del poco riposo che aveva avuto la notte precedente. I suoi occhi pizzicavano e sentiva la gola ruvida dalla stanchezza, ma non avrebbe saltato uno dei pochi giorni che aveva per vedere Remus durante le vacanze di Pasqua solo perché aveva perso un po' di sonno. Inoltre, dopo aver giocato quella mattina, forse sarebbe riuscito a convincere Remus a leggere per lui mentre si faceva un sonnellino. Gli sembrava un piano più che geniale.

Remus era già alla spiaggia, seduto su un grosso blocco di marmo coperto da un lenzuolo. Ce n'era un altro accanto, che Sirius sapeva era stato preparato per lui. C'erano anche due canne da pesca, accanto a Remus: una appoggiata sul blocco di marmo di Sirius, l'altra nelle mani di Remus, che aveva la testa abbassata e stava lavorando con qualcosa – il filo della canna, vide Sirius quando si avvicinò.

Il mare era grigio e un po' mosso, e Sirius non pensava che sarebbero riusciti a prendere nulla. Nessuno di loro due era neanche sicuro che ci fossero dei pesci nell'acqua: non ne aveva mai visti nuotare in giro. Ma lì c'erano dei grilli, e cicale, e uccelli. Anche se i ragazzi non avevano mai visto quegli animali, li avevano certamente sentiti fare il loro concerto nelle calde giornate estive o di notte o quando annunciavano il ritorno della primavera. Quindi forse c'era una possibilità di trovare dei pesci nell'oceano.

“Heilà!” salutò Sirius avvicinandosi a Remus, sorridendo stanco quando l'altro ragazzo alzò lo sguardo dalla sua canna pesca, il filo irrimediabilmente attorcigliato intorno alle sue dita.

“La tua è pronta,” annunciò Remus, indicando con il mento la canna appoggiata contro il sedile di marmo di Sirius.

Lasciandosi cadere sulla pietra, Sirius osservò curioso il disastro attorcigliato di filo da pesca che avvolgeva le mani di Remus. “Posso aiutarti?” chiese. Non aveva iniziato a sciogliere il filo immediatamente solo perché aveva paura di rovinare ancora di più quello che stava facendo Remus.

Ma lui annuì, sorridendo e porgendo le sue mani a Sirius. “C'era un nodo in mezzo a tutto questo. Non so dove sia finito o se l'ho sciolto, ma...”

Sirius si sporse verso di lui e fece scivolare le dita lungo il filo, tracciando il contorno delle mani di Remus mentre cercare di seguire gli intrecci di quel nodo gordiano. I suoi occhi tracciarono il filo insieme alle sue dita. Ci doveva essere un nodo da qualche parte, forse dove i cerchi si sovrapponevano. L'indice di Remus si mosse quando la mano di Sirius lo sfiorò.

I loro occhi si incontrarono per un momento. Poi Sirius tornò a guardare in basso, tirando dei fili a caso. A quanto pare funzionò, perché una grossa sezione del filo si allargò. Remus estrasse con attenzione le sue dita dal resto del filo e lo allungò. Non c'erano più nodi.

Un tremore nel suo stomaco fece allontanare Sirius da Remus e lo fece sistemare sul suo blocco. Afferrò la canna da pesca in un tentativo di fermare il tremore delle sue mani; accanto a lui, Remus stava facendo la stessa cosa. In silenzio infilarono sull'amo le esche che Remus aveva portato con sé in una piccola scatola degli attrezzi, poi lo lanciarono verso il mare. Sirius ci riuscì al secondo tentativo, dopo aver osservato Remus farlo. Non arrivò lontano come lui, ma andava bene lo stesso. Adesso era più tranquillo con il permettere a se stesso di migliorare con la pratica, piuttosto che aspettarsi di riuscire a fare qualsiasi cosa al primo tentativo. Remus lo aveva aiutato in questo – a disfare tutto quel blocco di vergogna e delusione che Walburga gli aveva messo in testa. Fortunatamente, avrebbe fatto un sacco di pratica quel giorno.

Sedettero in silenzio per altri due lanci. Sirius non era del tutto sicuro di cosa stesse passando per la testa di Remus, anche se i suoi occhi sembravano offuscati come il sole dietro le nuvole primaverili. Per quanto riguardava lui, invece, Sirius non si era scordato di dover chiedere a Remus di alcuni tipi di incidenti... e altre situazioni non così accidentali che portavano allo stesso risultato.

Dopo il terzo tiro Sirius si preparò. Doveva solo raccogliere il coraggio e chiedere. Remus non ne avrebbe mai parlato da solo – Remus non era tipo da divulgare cose personali se non sotto le preghiere e lamentele di Sirius. Avrebbe solo dovuto dirlo in maniera tale da non far capire che lo stava chiedendo per lui. Ma dire una cosa tipo “allora, c'è questo mio amico...” era decisamente troppo ovvia. Anche Sirius era grande abbastanza da capirlo.

“Ti sei fatto qualche ragazzo con cui stare?” iniziò finalmente Sirius. Remus sussultò a quelle parole, occhi grandi e spaventati. Sirius fu un po' confuso da quella reazione, ma continuò, sperando di chiarire quello che intendeva. “A parte Lily, sai. Qualche ragazzo con cui sei amico.”

Remus si rilassò all'istante, facendo uscire l'aria dai polmoni come un palloncino scoppiato. Sirius non sapeva per cosa fosse quella reazione, ma poi Remus scrollò le spalle, tirando lentamente la sua canna in un tentativo di attrarre qualcuno di quei pesci invisibili nel mare agitato. “Ci sono dei ragazzi nella mia classe. Uno che mi chiede sempre aiuto con i compiti – Peter. Ma non sono miei amici in realtà. Ci siete solo tu e Lily.”

Sirius si morse il labbro mentre considerava la sua prossima domanda. Il vento gli fece cadere i capelli negli occhi, e lui li spostò distrattamente. Se Remus non aveva nessun amico maschio, forse allora non aveva fatto niente di quel tipo. Forse neanche ne sapeva niente. Ma comunque, se era così, l'avrebbe saputo un giorno, quando quello che era successo a Sirius la scorsa notte sarebbe successo anche a lui. Era probabilmente per il meglio se Sirius lo avesse almeno avvertito. Quindi, di nuovo: doveva fare in modo che non sembrasse come se fosse successo a lui.

“Perché? Sei preoccupato per... qualcosa?”

Sirius sbatté le palpebre, interrotto dai proprio pensieri dalla domanda di Remus. Si girò a guardarlo, curioso dalla stranamente speranzosa espressione sul volto di Remus. Sirius non riuscì a comprenderla, così la ignorò e basta e continuò. “No. Solo che... beh, vedi, i ragazzi della mia scuola. Gli piace parlare. Di. Cose.” Sirius fece una smorfia, non sapendo come altro avrebbe potuto dirlo. Non avrebbe detto nessuna di quelle parole ad alta voce, poco ma sicuro. Provò di nuovo. “E, beh. Se tu non hai nessun amico maschio, ho pensato che forse non lo sapevi. Di quelle cose.”

Le sopracciglia di Remus erano corrugate, l'espressione del tutto confusa. Il suo sguardo scivolò via da Sirius mentre ci pensava, il che gli fece iniziare a riarrotolare il filo della canna da pesca quando si accorse che l'amo era tornato a riva. Dopo averlo lanciato di nuovo, Remus poggiò i gomiti sulle cosce e pensò. “Cose da ragazzi?” provò a indovinare. “Cose che Lily non sa?”

. Finalmente ci stava arrivando. Sirius annuì. “Sì. Cose da ragazzi. Cose che... succedono ai ragazzi? Di notte? E poi quell'altra cosa. Che possono... fare. A se stessi? Lo stesso tipo di... cosa.”

Gli occhi di Remus si spalancarono, e il respiro gli si bloccò. Non guardò giù verso il suo inguine, non proprio, ma il suo sguardo si rifiutò così decisamente di scendere più in basso dell'orizzonte che era del tutto ovvio, e avrebbe anche potuto guardare verso il suo grembo, a quel punto. La sua faccia diventò lentamente di un rosso acceso, finché il rossore non colorò anche la punta delle sue orecchie. Sirius guardò il processo, affascinato. Poi si scosse e si riconcentrò, spostando il piede così che potesse toccare l'alluce di Remus con il suo.

“Hey. Hai... Mi stavo solo chiedendo. Se lo sapevi.”

Ci fu una pausa mentre Sirius tratteneva il respiro, aspettando che Remus si muovesse, che facesse qualsiasi cosa a parte fissare dritto davanti a sé, con il viso rosso e lo sguardo fisso sul mare e il cielo. Poi i suoi occhi si mossero su Sirius, solo per un secondo, prima di tornare a guardare il mare. Poi annuì.

Sirius si sentì come se gli avessero appena dato un pugno nello stomaco. Annuito. Aveva annuito. Quindi... che cosa voleva dire? Sì, aveva sentito di quelle cose? Sì, gli era successa una di quelle cose? L'aveva fatto... l'aveva fatto a se stesso? Sirius si sentiva stordito. E si sentiva la testa leggera – quella leggerezza quando sembra davvero che la tua testa debba saltare via dalle tue spalle da un momento all'altro e fluttuare via perché dentro non c'è più niente, eccetto in quella parte proprio in cima che sta cercando di scappare via.

“Cosa... Quale. Delle. Quale.” La gola di Sirius era secca. Completamente asciutta. Più asciutta di quanto fosse mai stata in assoluto. Provò a deglutire e riuscì solo a produrre uno sgradevole suono strozzato.

Remus scosse la testa, e i capelli gli cascarono sulle tempie e sugli occhi. Sirius aveva voglia di saltare in piedi e scuoterlo. No! Non gli era permesso di smettere di parlarne! Non quando erano così vicini. Sirius aveva bisogno sapere, aveva bisogno di aiuto! Perché non poteva parlarne a James, proprio no. James era un grande amico, ma era... più maschio di Sirius. Con James, Sirius doveva essere rumoroso e sfacciato e un po' uno sbruffone – non c'era posto per insicurezze o crisi di nervi, specialmente per una cosa dl genere, una cosa così da maschi. Remus d'altra parte, lo capiva in tutta la sua non-mascolinità. Era per quello che Sirius aveva bisogno di parlare con Remus di questo, non James. Ma non poteva farlo se Remus decideva di non dire più niente!

Riflettendo velocemente, Sirius ritirò violentemente indietro il suo filo e lo rilanciò. Remus era imbarazzato, okay. Ma aveva detto che gli era capitato prima - qualcosa, almeno. E a Sirius era certamente capitata la cosa più imbarazzante possibile la scorsa notte. Quindi se Sirius riusciva ad essere coraggioso, a dirlo a Remus per primo... Sirius deglutì. Non voleva farlo. Ma doveva sapere.

“Se ti dico qualcosa, prometti di non ridere?”

A quello Remus finalmente guardò Sirius, invece di lanciargli un veloce sguardo prima di tornare a fissare l'orizzonte. Annuì, il rossore che iniziava a recedere solo un pochino. Sirius si leccò le labbra, cercando di capire in che modo procedere.

“Puoi promettermi anche un'altra cosa? Me lo dici, se hai avuto lo stesso... La stessa cosa?”

Remus fu un po' più lento a rispondere a quello, ma dopo un lungo momento in cui fissò gli occhi di Sirius, annuì. Un movimento piccolo, veloce, ma fu abbastanza per sollevare un peso dal petto di Sirius e calmare i nervi che gli contorcevano le viscere.

“Okay. Prometto.”

Infilarono le loro canne nella sabbia e fecero la loro stretta di mano, lasciando che le loro dita si toccassero per qualche istante nell'ultimo movimento prima di separarsi. Sirius si leccò di nuovo le labbra, preparandosi. Voleva asciugare i suoi palmi sui pantaloni, ma aveva appena stretto la mano di Remus e non voleva rimpiazzare la sensazione delle morbide dita di Remus che scivolavano sulle sue con il ruvido tessuto dei suoi pantaloni, così si limitò ad appoggiare le mani sulle ginocchia. Sedette molto fermo, con parole che gli riempivano il cervello, ma nessuna che volesse usare. Finalmente si forzò a far uscire qualcosa dalla sua bocca: qualunque cosa.

“Ieri notte ho fatto un sogno. E quando mi sono svegliato... ho pensato di aver avuto un incidente, come se avessi dovuto usare il bagno. Ma non era quello. Era qualcos'altro. Capito?”

“Sì,” sussurrò Remus.

Sirius annuì, aspettando che Remus gli dicesse se-

Il cervello di Sirius andò in cortocircuito. Aspetta. Quello era stato... Remus voleva dire...?

Il suo sguardo si alzò di scatto, scrutando il viso di Remus. L'altro ragazzo era tanto rosso come era stato qualche minuto prima, ma almeno adesso era rivolto verso Sirius, anche se i suoi occhi erano rivolti alla sabbia piuttosto che a lui.

“Hai-”

“Sì.”

Sedendosi indietro sul suo blocco di marmo, Sirius ci rifletté. Poi ci rifletté ancora. E forse anche una terza volta. Quindi, Remus... era successo anche a lui.

Un'ondata di capogiro passò di nuovo attraverso Sirius quando il suo cervello gli fece notare l'ovvia domanda successiva. “Quindi, hai mai... fatto a te stesso...?”

“No.”

Sirius prese un respiro. Poi ne prese un altro. Quindi a Remus era successa la stessa cosa che era successa a lui! Era una cosa buona. Era decisamente, totalmente, buona. Quello voleva dire che Sirius non era sbagliato, che non stava cercando di fare il ribelle, o niente del genere. Walburga lo avrebbe ucciso lo stesso, ma almeno adesso Sirius sapeva che non era colpa sua, che non lo stava facendo di proposito. Un po' più sconcertante era il fatto che probabilmente non c'era un modo per fermarlo. Forse avrebbe potuto mettersi un calzino addosso quando dormiva a casa?

E ovviamente, sapere che era successo anche a Remus... era una cosa buona, in qualche modo. Meglio di sapere che James e gli altri ragazzi lo facevano. Perché Remus, anche se era silenzioso e calmo e molto più pensieroso di Sirius, era in qualche modo più simile a lui di tutti quegli altri ragazzi. Con James e gli altri Sirius aveva in comune l'amore per gli scherzi e la ribellione, ma non c'era altro. Tutti gli altri andavano pazzi per le ragazze, per dirne una. Quella non era certamente una delle priorità di Sirius, e neanche di Remus, sembrava. Sirius aveva sempre avuto qualcosa di strano, lui lo sapeva: qualcosa che lo differenziava dai ragazzi normali. Ma non era così con Remus. In qualche modo, qualunque cosa avesse di diverso, la aveva anche Remus.

“Grazie,” disse alla fine Sirius tirando via la sua canna dal terreno e lanciandola di nuovo nell'oceano. “Per avermelo detto.”

Remus scrollò le spalle e lo imitò, e ora c'erano di nuovo due fili e rimbalzare avanti e indietro nelle onde agitate. “Avevo promesso,” rispose semplicemente.

Una calda, calma sensazione riempì il petto di Sirius. Giusto. Aveva promesso. E quella era un'altra cosa fantastica di Remus: capiva sempre che le cose andavano fatte correttamente, nel modo in cui Sirius sapeva andavano fatte. Per gli altri ragazzi invece, sembrava essere sempre una sorpresa quando qualcuno faceva qualcosa di giusto, e sembravano essere sempre in competizione. C'erano sempre litigi e la voglia di sorpassare gli altri in qualche sorta di gioco del re della collina a cui Sirius non si era mai accorto di essersi segnato, ma che a quanto pare aveva fatto. Ma con Remus non era così. Era più una sorta di fantastica collaborazione, dove erano sempre in sincrono tra di loro e quindi facevano sempre la cosa giusta per ogni situazione, si comportavano e rispondevano esattamente come l'altro si aspettava.

Non era lo stesso quando Sirius stava con gli altri ragazzi. Ma a lui andava perfettamente bene. Remus era il suo Remus, e Sirius poteva essere il Sirius di Remus quando era con lui. Era fantastico anche quando stava con James, visto che James era matto in un modo che Sirius decisamente amava essere, e che non era mai veramente con Remus. Ma era diverso, e Sirius sapeva che non sarebbe mai riuscito a parlare con James in questo modo. Doveva sempre... doveva sempre essere rumoroso, con James. Con Remus poteva essere tranquillo – Remus lo rendeva tranquillo. E Sirius sapeva, anche a solo quasi tredici anni, che qualche volta aveva bisogno di essere tranquillo.


 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 20


 

Remus stava solo facendo il guastafeste, tutto qui. Almeno, quello era ciò che si diceva Sirius mentre sbuffava e ansimava cercando di trascinare la loro dannata panchina anche solo qualche centimetro più avanti. Il sole era bollente, l'estate era ormai già bella che cominciata, anche se era solo maggio. Non era ancora lontanamente così caldo in Inghilterra, ma Sirius aveva sempre sospettato che il loro Mondo fosse da qualche parte più a sud, in Italia, forse. Avrebbe avuto senso: tutte quelle colonne e gli edifici e i mosaici avevano certamente l'aspetto di qualcosa uscito dai suoi libri di storia romana. Anche quel piccolo cerchio di terra ricordava a Sirius un'arena di lotta di cui aveva letto una volta durante le sue traduzioni. Il loro oceano avrebbe anche potuto essere in realtà lo Ionico o l'Adriatico... Sirius ridacchiò e si sedette a terra di fronte alla panchina. Adesso gli era venuto in mente Catullo, e quelle nuove, volgari poesie che lui e James avevano trovato un giorno nella biblioteca.

“Perché ridi?”

Sirius lanciò un'occhiata a Remus da dietro la spalla, e vide che lo stava guardando con disapprovazione. Gli fece la linguaccia. L'altro ragazzo si limitò ad alzare gli occhi al cielo e si impegnò a sembrare più irritato. Sirius doveva concederglielo: ci stava riuscendo con successo.

“Per delle poesie di Catullo. Pedicabo ego uos et irrumabo / Aureli pathice et cinaede Furi. / Qui me ex uersiculis meis putastis / quod sunt molliculi parum pudicum.Remus inclinò la testa, e Sirius riuscì a contenere le risatine solo per il tempo necessario per tradurre: “Io ve lo ficcherò nella bocca e nell'ano, a te, Aurelio bocchinaro, e a te, Furio culattone, piccolo pervertito-”

“Sirius!”

Sirius latrò una risata e si lanciò indietro sul marmo, guardando sotto sopra l'espressione totalmente scandalizzata sul volto di Remus. Ma era stato geniale, no? Ed era stata proprio lì, nella sezione di poesia latina! E Sirius aveva visto delle parole che non aveva riconosciuto mentre sfogliava le pagine in cerca di qualcosa da fare. E aveva trovato un vocabolario completo di latino nella sezione proibita della biblioteca, e aveva iniziato a tradurre, e... wow. Chi l'avrebbe mai detto? I romani erano proprio dei folli! E assolutamente geniali.

“È storia!” Protestò Sirius. “È educativo. Ho dovuto cercare un sacco di parole per tradurlo, sai! Ho imparato cose mentre lo facevo.”

Remus si avvicinò a Sirius, lanciandogli un'occhiataccia dall'alto. La sua ombra coprì gli occhi di Sirius, rendendogli molto più facile guardarlo mentre gli rivolgeva un gran sorriso sfacciato.

“Non dovresti dire cose così. Finirai nei guai.”

Sirius si limitò ad alzare gli occhi al cielo e tamburellò con le dita sul suo petto nudo. Aveva voglia di andare a nuotare – non di ricevere una lezioncina da Remus su come restare fuori dai guai.

Ma sì, era vero: Remus era probabilmente un esperto nel restare fuori dai guai. E onestamente, Sirius era probabilmente il peggiore al mondo. Ma la maggior parte delle volte erano cose per cui i suoi professori non si mettevano a chiamare Walburga, o nemmeno la preside McGranitt. E quel paio di volte che aveva combinato guai così grandi da dover chiamare Walburga, le sue punizioni non erano state più severe del solito. In realtà non erano state peggio delle soliti punizioni che si aspettava per il suo “benvenuto a casa”: quelle punizioni per cui Walburga faceva sempre in modo di trovare una scusa ogni volta che tornava a casa per le vacanze o le pause di metà semestre.

Remus sapeva che Sirius veniva punito ogni volta che si metteva nei guai con sua madre – era per questo che aveva iniziato a dirgli sempre di più spesso di restarne fuori (non sapeva delle abituali punizioni di benvenuto a casa, altrimenti Sirius era certo che Remus gli avrebbe fatto promettere di non tornare a casa se non quando non poteva assolutamente fare altrimenti. E non tornare a casa voleva dire niente Remus: una situazione che Sirius avrebbe fatto in modo di evitare, ad ogni costo).

“E dai,” si lamentò Sirius, allungando le mani per cercare inutilmente di colpire Remus. “Aiutami a muovere la panchina!”

Remus scosse la testa, mettendo le mani sui fianchi. “No. Se te la lascio lanciare nella piscina, o si romperà sul fondo o non riuscirai mai più a tirarla fuori.”

Sirius alzò gli occhi al cielo. “Si che ci riuscirei. Da quando non sono in grado di fare qualcosa?” Era vero. Praticamente qualsiasi cosa che Sirius si mettesse in testa di fare, riusciva a farla – i bicchieri e le posate rovesciate della sua infanzia da tempo dimenticati.

Lo stesso, Remus scosse la testa. “Io non ti aiuto.” Poi si girò e iniziò muoversi dalla parte opposta, camminando sul marmo con i piedi nudi. “Vado a nuotare!”

Sbuffando, Sirius si tirò in piedi e lanciò un'occhiataccia alla panchina. Se solo fosse riuscito a... Sirius strinse forte la panchina, cercando di tirarla versa di sé. Niente. Piantando entrambi i piedi sul marmo dietro di lui, Sirius provò di nuovo. Forse... solo un minimo centimetro più avanti...

I piedi di Sirius persero la presa all'improvviso, facendolo scivolare in avanti. Si lanciò a terra appena in tempo per evitare di sbattere la testa contro la panchina, ma ciò lo fece solo scivolare ancora più avanti. Quando finalmente allungò in fuori le braccia ed afferrò i lati della panchina per fermarsi, era in qualche modo riuscito a scivolare completamente sotto quella dannata cosa, e tutto ciò che riusciva a vedere era il sotto della secolare lastra di pietra.

“Sirius!”

Alzando gli occhi al cielo, Sirius pensò che forse avrebbe dovuto restare lì sotto e far finta di essersi fatto male, solo per farla pagare a Remus. Una punta di senso di colpa mise immediatamente a tacere quel desiderio, e Sirius fece uscire una mano da fuori la panchina, agitandola. “Sto bene!” gridò. “Tirami fuori, sì?”

Proprio mentre Sirius sentì la mano di Remus stringersi intorno alla sua, vide qualcosa con la cosa dell'occhio. I suoi occhi ci avevano messo un po' ad abituarsi dalla forte luce del sole all'oscurità sotto la panchina, e per questo non era riuscito a vederlo prima. Ma eccolo lì, solo qualche centimetro dalla punta del suo naso, di fronte alla sua faccia. Remus iniziò a tirarlo, ma Sirius strinse velocemente la sua mano e disse: “Aspetta!”

Sirius inclinò la testa, osservando con attenzione. Poi, riprendendo la sua mano da quella di Remus, si appoggiò sui gomiti per tirarsi su di qualche centimetro e guardare più da vicino. Sembravano decisamente delle... parole. Scolpite sotto il sedile della panchina. Ma era un linguaggio che Sirius non aveva mai visto – era anche un alfabeto che Sirius non aveva mai visto. E li conosceva praticamente tutti.

Senza neanche chiedere, Remus si infilò sotto la panchina accanto a Sirius e alzò lo sguardo, seguendo i suoi occhi. “Che cos'è?” chiese prima ancora di riuscire a vederlo.

In silenzio Sirius prese la mano di Remus e la premette contro le parole incise sopra le loro teste. Remus le tastò ciecamente, le sue lunghe dita che tracciavano i contorni degli intagli uno ad uno, passando un po' di tempo su ogni parola prima di passare alla seguente. Mentre suoi occhi si abituavano al buio, Remus lasciò cadere la mano e si sollevò leggermente, guardando le parole da vicino. “Che lingua è?”

“Non lo so,” disse Sirius. Remus trattenne il respiro, e Sirius annuì. “Sì, lo so. Ma non l'ho mai vista prima. Non ho mai neanche visto quelle lettereprima.” Si accigliò mentre le guardava, cercando di vederne il contorno più chiaramente. Era decisamente troppo buio sotto la panchina, non riusciva a distinguerle per bene. Se solo le avesse potuto vedere sotto il sole...

“Aiutami a rovesciarla!” disse all'improvviso Sirius. “Voglio vederle alla luce. Dai.” Diede un colpetto alla gamba di Remus e iniziò a scivolare fuori da sotto la panchina.

Ma Remus stava scuotendo la testa, ancora sotto la panchina a pensare. “No, noi... no. Se la rovesciamo – che comunque, è così pesante che neanche penso che ci riusciremmo – si potrebbe rompere o spaccare proprio nei punti dove sono le parole. Se...” Remus smise di parlare, e Sirius aspettò: mezzo dentro, mezzo fuori alla luce del sole, interrotto nel suo tentativo di strisciare fuori dalla panchina.

Dopo aver considerato la situazione per un lungo momento, Remus afferrò il polso di Sirius e lo scosse leggermente. “Le ricalchiamo! Prendi il mio quaderno e strappane una pagina. E una delle mie matite.”

Fu piuttosto difficile far scivolare il suo corpo sopra le pietre senza girarsi di pancia, ma Sirius ci riuscì dopo essersi dimenato per qualche momento avanti e indietro, premendo prima il suo corpo contro Remus, poi contro la gamba della panchina, e ripetendo il processo finché non fu finalmente abbastanza fuori per sedersi e tirare fuori le gambe insieme al resto del suo corpo. Le cose di Remus erano nella malconcia borsa a tracolla di pelle che aveva preso l'abitudine di portarsi in giro recentemente – Sirius sospettava che potesse essere un regalo di qualcuno, ma non aveva chiesto di chi. Perché sospettava quale fosse la risposta, e davvero non gli piaceva sentire di quella ragazza più di quanto fosse necessario.

Recuperò il foglio e la matita e li porse a Remus, che premette senza indugio la carta sugli intagli e iniziò a strofinarci contro la matita. Sirius aspettò, seduto sulla panchina con le mani strette intorno ai bordi, dondolandosi avanti e indietro mentre aspettava che Remus finisse. Dopo un po', Remus passò il foglio e la matita a Sirius, che le posò sulla panchina con solo uno sguardo rapido. Poi porse la mano a Remus, aiutandolo a scivolare fuori con molto meno sforzo di Sirius.

“Beh?” chiese Remus, sedendosi alla sinistra di Sirius. “L'hai mai visto prima?”

Sirius scosse la testa. Guardò il foglio corrugando le sopracciglia, pensando intensamente. La scrittura aveva molte curve, un po' come quelle lingue orientali che studiavano alcuni a ragazzi a scuola. Non aveva molti segni slanciati, come il cinese o il giapponese – più come dei cerchi, come il coreano, o quella lingua antica, il sanscrito. Ma non proprio...

“Non penso che sia... com'è che si dice? Quegli alfabeti in cui ogni lettera è un suono. Penso che sia un alfabeto simbolico. Come i geroglifici, o il cinese.”

Remus si avvicinò a Sirius, premendo la gamba contro la sua mentre cercava di vedere meglio i simboli sul foglio. “Come fai a dirlo?”

Sirius scrollò le spalle. Non era sicuro del perché lo avesse pensato. Ma i simboli sembravano troppo complessi per essere solo delle lettere – le lettere dovevano avere un aspetto semplice, perché ne dovevi mettere molte insieme per formare le parole. Scrivere delle parole come simboli, invece: quello doveva essere molto più complesso. Dopotutto, c'erano molte più parole che lettere.

Sirius provò a spiegarlo a Remus, che annuì pensieroso. “Ha senso,” borbottò. Sirius sorrise, lanciando un'occhiata a Remus che era inclinato verso di lui, con gli occhi incollati al foglio. Quella era una delle cose di Remus che a Sirius piacevano particolarmente: non gli chiedeva mai come sapeva quello che sapeva, o dove l'aveva imparato. Gli insegnanti glielo chiedevano sempre, e anche James, qualche volta. Sirius non si ricordava mai se erano cose che aveva letto in un libro o che Remus o Ms Antonia gli avevano detto. Il punto era che le sapeva, le sapeva e basta, e voleva che la persona con cui stava avendo una conversazione si concentrasse su di quello, non da dove aveva preso le sue informazioni.

Remus si portò una mano alla fronte per spostare i capelli. Sirius lo guardò. “Chi pensi che l'abbia scritto?”

Trascinando via i suoi occhi da Remus, Sirius tornò a guardare la scritta. Non ne era sicuro. Aveva sempre pensato che le rovine fossero romane, ma adesso sembrava che alcune parti – la panchina, almeno – venissero da tempi ancora più antichi. Perché quella scrittura non era di certo qualcosa che era venuto dopo il latino. Almeno, non nel mondo occidentale. Pensò che avrebbe potuto essere azteco o qualcosa di bizzarro come quello, ma non aveva mai visto la loro scrittura, quindi non sapeva che cosa cercare per identificare la lingua. E visto che sembrava come uno di quei linguaggi parola-simbolo (Sirius era sicuro che ci fosse un nome per un alfabeto così, ma al momento proprio non riusciva a ricordarselo...), e quelli generalmente erano più antichi dei fenici, lo era probabilmente anche questo. Almeno che non fosse orientale, immaginò.

Sirius si grattò la testa. No riusciva a capire cosa fosse. E le lingue erano di solito quell'unica cosa che conosceva meglio di Remus!

“Che cos'è questo?”

Remus premette con il dito sul fondo della pagina, dove sembravano essere scritte due parole. Perlomeno, i simboli che le formavano non erano dei simboli singoli, ma una fila di simboli dall'aspetto più semplice degli altri. Il dito di Remus premeva ancora sulla coscia di Sirius. Il ragazzo scosse la testa. Quello non era importante adesso.

“Dei nomi!” Sirius sbatté le palpebre, senza la minima idea sul perché lo avesse pensato. Ma era assolutamente, al cento per cento sicuro che quelli erano due nomi in fondo alla pagina. “Sono due nomi. Non pensi?”

Gli occhi di Remus is illuminarono, e si girò verso Sirius, il viso solo a pochi centimetri dal suo. Sirius dovette sbattere gli occhi e incrociarli un po' per focalizzarsi di nuovo Remus. “Sì! Sì, due nomi. Chi pensi che fossero?”

Di nuovo, quella strana sensazione ronzò nella mente di Sirius, e un momento dopo aveva l'informazione nella sua testa. Arrossì, gli occhi ancora sul viso di Remus così vicino al suo.

Erano stati insieme. Quelle due persone che lo avevano scritto, chissà quanti secoli e millenni prima, erano stati... il cervello di Sirius in quel momento non riusciva davvero a fornirgli la parola giusta. Ragazzo e ragazza. Ma più di quello. Come se fossero una persona sola a cui capitava di vivere in due corpi - due persone fatte esattamente l'una per l'altra, per equilibrarsi perfettamente e creare un solido, perfetto, indivisibile intero.

Sirius si allungò indietro sulla panchina, mettendo della distanza tra lui e Remus. Non potevano più fare quei giochi – quelli in cui erano come le persone che avevano scritto questo. Non potevano. Era per bambini. O per ragazzo e ragazza, insieme. Non per ragazzo e ragazzo.

Ma Remus non l'aveva capito. Sirius ebbe un brivido sotto il sole caldo, tremando mentre Remus alzava lo sguardo su di lui, avvicinandosi. “Pensi che erano come noi?”

Sirius scosse immediatamente la testa. No. Non potevano essere stati come lui e Remus perché loro erano stati... qualcosa. Qualcosa di più l'uno per l'altra.

A quanto pareva quel giorno Remus aveva deciso di ignorare Sirius, perché continuò, con un sorriso che inclinava gli angoli della sua bocca mentre fissava sognante il pezzo di carta. “Pensi che avevano bisogno di scappare dal loro mondo, e sono venuti qui? Proprio come noi! Tu dovevi scappare da tua mamma e hai trovato la porta, e io volevo un posto tranquillo, lontano dai ragazzi del quartiere. E forse si sono trovati, proprio come noi! Forse...” Gli occhi di Remus scintillavano quando alzò lo sguardo su Sirius, la sua gamba calda, la sua mano che si alzava lentamente per lasciare un tocco speranzoso sul petto di Sirius. Era terribile. “Forse sono diventati migliore amici, e poi quando si sono incontrati nel mondo reale, come faremo noi quando prenderemo un appartamento insieme, hanno scritto questo. Perché sapevano che noi l'avremmo trovato un giorno.”

Remus aveva ragione. Remus aveva ragione al novantotto per cento, Sirius lo sapeva. Lo sapeva, sapeva che tutto quello che Remus aveva appena detto, che quella tragica, dolce storia era vera. Eccetto per una parte.

L'altro paio di persone, l'altra coppia: loro non erano stati come Sirius e Remus. Erano stati più i quello. E Sirius e Remus non potevano essere più di quello.

Sirius annuì lo stesso lentamente, rivolgendo un minuscolo sorriso a Remus. “Sì,” concordò. “Forse. Sembra bello.” E poiché non poteva trattenersi, strinse una braccio intorno alla schiena di Remus e lo tenne lì. A Remus non sembrò dare fastidio.

Più tardi quel giorno, con la magica, illeggibile lettera infilata al sicuro nel quaderno di Remus, i due ragazzi si sedettero davanti alla porta di Remus. Dopo quella volta anni prima in cui Sirius non era riuscito a scapparci attraverso, avevano iniziato a giocare con la fisica di quel luogo, a testarne i limiti. Le porte erano decisamente off-limits, se non erano le proprie. Arrivava anche al punto che se non era la loro porta, non potevano neanche lanciarci niente attraverso. Il che era il motivo per cui Sirius si ritrovò a lanciare delle pietre contro la porta aperta di Remus guardandole rimbalzare sul muro di pietra che lui vedeva lì.

Accanto a lui, Remus stava lanciando le rocce più in alto, sopra lo stipite della porta. Una volta ogni tanto ne tirava una dentro la porta, tanto così per fare. Sirius guardava invidioso la pietra passare attraverso l'apparente solida roccia, dentro la stanza che lui non poteva vedere. “Non parli mai di Regulus e di come va a scuola,” iniziò Remus, rompendo il silenzio.

Sirius grugnì. “Perché non c'è niente da dire.”

“C'è qualcosa da dire,” osservò Remus. “Come sta?”

Sirius scrollò le spalle. “Non lo so. Non ci parlo mai.” La roccia seguente colpì il muro così forte che rimbalzò indietro quasi fino a dove erano seduti. Remus non si girò per lanciargli uno sguardo d'intesa, ma era sul punto di farlo, Sirius ne era sicuro.

“Non sta nel tuo dormitorio?”

“L'hanno messo in uno diverso. Hey, vuoi vedere qualcosa che mi ha insegnato James?” Sirius si tirò rapidamente in piedi, pulendosi lo sporco della strada dai pantaloni prima di cercare tre rocce della grandezza giusta. Non mancò l'espressione aggrottata sul viso di Remus, che Sirius contò come una vittoria. Voleva che Remus sentisse la stessa fitta di gelosia quando parlava di James che provava lui quando Remus parlava di Lily. In tutta onestà, Remus era probabilmente corrucciato dal cambio di argomento, non l'accenno a James, ma a Sirius piaceva pensare che il motivo fosse quest'ultimo.

Trovando tre pietre che sembravano del peso e della misura giusti, Sirius iniziò a lanciarle in aria, due alla volta. Lentamente, con attenzione, riuscì a farle salire sempre più in alto, e un momento dopo le stava facendo girare in aria. Non poteva staccare gli occhi dalle pietre per vedere se Remus fosse rimasto colpito, ma lo era certamente. Dopotutto, quanti ragazzi riuscivano a fare dei trucchi da giocoliere così? “Non è geniale?” chiese, continuando a guardare le pietre.

“Devo andare.”

Sirius lasciò cadere a terra le pietre senza pensarci due volte. Remus era in piedi, con l'aria... delusa? Sirius corse verso di lui, afferrando il suo braccio. “Hey, hey! Che succede?”

Girandosi nella presa di Sirius, Remus gli lanciò quell'occhiata. Quella che diceva “sono triste e tu non stai ascoltando”. Il petto di Sirius si strinse dolorosamente. Non gli piaceva, quando faceva fare a Remus quell'espressione.

La sua risolutezza crollò, e Sirius tolse la mano da Remus e le infilò entrambe nelle tasche dei pantaloni. Strofinò il piede a terra, sospirando, cercando di capire cosa fare. Ma, no: Remus non avrebbe mollato questa conversazione. Per qualche ragione, Remus si aspettava che Sirius fosse una brava persona. Era il suo tratto più tenero – e un po' terrificante, visto che Sirius credeva fermamente che non sarebbe mai stato di più di tutto il sangue cattivo che gli scorreva nelle vene.

“Parlerò con Regulus,” borbottò Sirius. “Okay? Promesso.”

Remus annuì. “Okay. E la prossima volta, puoi essere il mio giullare di corte.”

Sirius rise e riprese le pietre, facendole roteare in aria per poi farle ricadere. “Immaginò che sarai tu il mio re, quindi?”

Remus sbuffò. “Andiamo, Sirius: io sono sempre il tuo re.”

Sirius fu così scioccato che fece cadere tutte e tre le palle. Poi lui e Remus irruppero in un attacca di risate nel bel mezzo della strada.


 

**


 

Margot era in piedi, da sola. Era una ragazza molto fragile, e sembrava che si fosse persa sotto la pioggia per anni e anni e la pioggia avesse lavato via il blu dai suoi occhi e il rosso dalla sua bocca e il giallo dai suoi capelli. Era come una vecchia fotografia impolverata dentro un album, sbiadita, e se avesse parlato la sua voce sarebbe stata quella di un fantasma. E adesso era in piedi, separata-

“Sirius?”

Sirius mise con riluttanza il dito tra le pagine che stava leggendo e alzò lo sguardo. Regulus era lì in piedi davanti a lui, non del tutto dissimile dalla piccola Margot nella storia che Sirius stava leggendo. Era ancora più basso di Sirius di quasi una testa – Sirius si chiese se l'avrebbe mai raggiunto. Ne dubitava, in un certo senso: sembrava giusto, che Regulus finisse per essere più basso di lui. Sirius era il fratello maggiore, Regulus il minore, e le cose stavano così. Era anche più pallido di Sirius. Erano entrambi di carnagione chiara – sangue Black, pelle chiara – ma Sirius almeno spendeva del tempo fuori con Remus e James e quello gli dava una qualche sorta di colorito. Regulus, invece, era proprio come Margot: sciacquato via.

Per quanto Sirius volesse cacciare via Regulus e tornare a leggere, la promessa che aveva fatto a Remus sul cercare di essere più vicino al suo fratellino gli risuonò nelle orecchie. E di certo non poteva rompere una promessa fatta a Remus mentre stava leggendo una storia dategli da Remus. Non che avrebbe mai rotto una promessa da stretta di mano, ovviamente.

“Cosa c'è, Regulus?” disse Sirius, facendo del suo meglio per non suonare troppo scontroso e sgradevole. Stava facendo uno sforzo, davvero.

Gli occhi di Regulus scivolavano attraverso la stanza, osservando gli altri ragazzi gironzolare. Non ce n'erano molti al momento: era un'ora libera, quindi la maggior parte era fuori, a giocare sul prato o a usare i telefoni per chiamare a casa o combinare dei guai in generale. James stava facendo i compiti quando Sirius aveva deciso di voler leggere una delle storie di Remus, e se ne era andato senza tante proteste. James non sapeva molto di Remus, solo che era uno dei migliori amici di Sirius a casa, e che il pacchetto di storie era da parte sua. Ma ne sapeva abbastanza da levarsi di torno quando c'era qualcosa che riguardava Remus. Sirius era intrattabile riguardo quel particolare argomento.

“Forza, Regulus. Sputa il rospo. Ti serve aiuto? Compiti di scuola?” Sirius si accigliò, osservando il modo in cui Regulus era ripiegato su se stesso, e sembrava nervoso. Gli occhi di Sirius si assottigliarono. Riconosceva quello sguardo. Quello sguardo era stato sul suo viso per i primi dieci anni della sua vita, ogni volta che si ritrovava bloccato a Grimmauld Place con Walburga.

Spostando la storia di lato, Sirius si sedette e si sporse in avanti, tendendo una mano a Regulus. “Hey, c'è qualcosa che non va? Qualcuno ti sta dando fastidio? Non è Mocciosus vero, perché giuro che lo faccio a pezzi-”

“No!” squittì Regulus. “No! Non è nessuno. Solo... non so che cosa fare.”

Quello non suonava molto meglio, alle orecchie di Sirius. Diede un colpetto amichevole sul letto accanto a lui, aspettando pazientemente che Regulus si sedette, agitandosi solo un po', a disagio.

“Okay,” sollecitò Sirius, “dimmi tutto. Chi ti sta dando fastidio?”

“Nessuno,” insistette di nuovo Regulus. “Solo che... alcuni di loro. Vogliono essere miei amici. Ma prima devo fare una cosa.”

Lo stomaco di Sirius si contrasse. Non era proprio sicuro di cosa combinassero alcuni di quei ragazzi a scuola, visto che teneva la testa bassa e andava in giro solo con James, ma aveva i suoi sospetti.

“Regulus,” iniziò. Poi si interruppe, cercando di capire come dire quello che stava pensando senza terrificare Regulus o segnarlo a vita o suonare troppo autoritario. “Sei sicuro che sono tuoi amici?” si accontentò di dire. Perché Regulus aveva dodici anni, adesso: era grande abbastanza per capire da solo se quegli altri ragazzi erano suoi amici oppure no.

Regulus annuì, ma lentamente e con insicurezza. “È il ramo dei Malfoy, lo sai.”

Sirius sbuffò, dando dei colpetti a Regulus sulla schiena. “Sì, certo. Non sono tuoi amici, fratellino. Andiamo. Fanno solo quello che i loro genitori gli dicono-” Sirius si interruppe, fermando la sua mano sulla schiena di Regulus. Una realizzazione si stava facendo strada dentro di lui come acqua ghiacciata, bruciandolo dall'interno con la sua freddezza. “Ti ha detto Walburga di essere loro amico, non è vero?”

Regulus annuì quasi immediatamente, come se non stesse neanche registrando il motivo per cui quello fosse così stupido, così terribile, e come... come tutto quello fosse sbagliato! “Sì,” disse, scrollando le spalle. “Durante l'ultimo metà semestre Mamma ha detto che qui in giro ci sono un sacco di Malfoy e che sarebbero dei buoni amici. Così io-”

“Buoni per lei! ” gridò Sirius, allontanando la mano da Regulus. Il suo fratellino si limitò a guardarlo, occhi spalancati di stupore e bocca leggermente socchiusa. Sirius ringhiò, furioso. Come poteva suo fratello essere così stupido? Come poteva non vedere tutto quello che c'era di marcio e miserabile e pericoloso, pericolosamente folle in Walburga, come faceva Sirius? “A lei non importa di te, Regulus! A lei importa solo del nostro stupido cognome e di quello che può fare per migliorare i nostri contatti sociali e organizzarci un matrimonio migliore. Perché dovresti ascoltarla per anche solo due secondi su chi dice che devi farti amico?”

Regulus si allontanò da Sirius, saltando giù dal letto e stringendosi le braccia intorno al corpo in un'ovvia manifestazione di insicurezza. Sirius si sarebbe potuto sentire dispiaciuto per lui se non fosse stato così arrabbiato. “Non mi stavo facendo nessun amico!” si lamentò. “Tu hai James, ma nessuno vuole parlare con me. Continuano a parlare di te, come se fossimo uguali. E a Mamma importa, Sirius! Ti sbagli su questo. Mamma mi vuole bene!”

Sirius alzò gli occhi al cielo, mordendosi il labbro inferiore così forte da lasciare il segno. “Sì, certo, Regulus. Sì, hai ragione: vuole bene a te, forse.”

Tra i due fratelli scese il silenzio, dopo quello, entrambi affannati e fissandosi a solo qualche metro di distanza. C'era un oceano, tra di loro. C'era un sistema solare, una galassia, metà universo. Sirius poteva vederlo. Remus aveva fatto male a chiedergli di sistemare le cose con suo fratello. Erano più diversi di quanto due persone potessero mai essere, e la loro coincidenza genetica non era neanche lontanamente abbastanza per colmare quel vuoto.

“Fa pure,” disse Sirius. “Qualsiasi cosa Malfoy e gli altri vogliono che tu faccia: probabilmente non è niente.” Qualcosa di nervoso e spaventato lo artigliò dall'interno, ma Sirius lo ignorò. “Dopotutto: Mamma ha detto che sono loro a dover essere i tuoi amici.”

Per qualche ragione che Sirius non riusciva neanche a concepire, quelle ultime parole sembrarono rassicurare Regulus. La sua espressione si rilassò, e annuì. “Giusto. Grazie, Sirius.”

Grazie a te per essere passato!” gli gridò dietro Sirius. Mentre la porta del dormitorio si chiudeva dietro Regulus, Sirius si lanciò indietro sul letto, i fogli di carta che svolazzavano piano accanto a lui. Per un momento considerò di non raccoglierli di nuovo e chiudere gli occhi e basta e andare a dormire, cercando di tenere il suo stupido fratellino fuori dalla testa. Ma poi Sirius pensò a come Ray Bradbury lo faceva sentire, e come le cose sembravano migliorare quando lo leggeva. Così raccolse i fogli e li mise in ordine, raggomitolandosi su un lato e ricominciando a leggere.

E adesso era in piedi, separata, fissando la pioggia e il rumoroso mondo bagnato da dietro l'enorme vetro.


 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World

 


 

 

Capitolo 21


 

L'erba era fresca, e gli uccellini invisibili cinguettavano come sempre durante quel periodo dell'anno. Sirius prese un respiro profondo, riempendosi i polmoni di quell'aria che era così diversa dall'odore muffoso di Grimmauld Place, o anche dall'aria della suo scuola d'entroterra. Questa era aria di mare, un qualche tipo di aria del sud. Aria romana, a Sirius piaceva pensare. Dopotutto, ogni cosa sembrava indicare che fossero delle rovine romane. Il mare, gli edifici, la vegetazione. Sembrava qualcosa uscito dai suoi libri di latino, come quando Plinio il Giovane descriveva Pompei prima che il Vesuvio la facesse scomparire sotto cenere e rocce per più di due millenni.

Sirius si stiracchiò mentre camminava, a piedi nudi, verso la loro panchina. Non aveva nessuna preoccupazione al mondo per l'intera pausa di metà semestre. Poteva stare con Remus e basta, giocare insieme, chiacchierare di libri e film e tutti gli scherzi che Sirius era riuscito a fare quel semestre. E poi Remus avrebbe assunto la sua faccia da disapprovazione, ma Sirius sarebbe riuscito a farlo ridere con almeno una delle sue storie. Ne aveva già una in mente che si sarebbe conservato per quando Remus gli avrebbe lanciato quell'occhiata, perché l'avrebbe fatto ridere sicuramente. Personalmente, pensava che tutto quel rosa brillante aveva rallegrato il dormitorio.

Quando passò dietro il muro, Sirius si accorse subito che Remus non era ancora arrivato. Non era un problema: sarebbe venuto. E ciò dava tempo a Sirius di sedersi all'aperto e godersi il sole. Si tolse la maglietta e la poggiò sul marmo, sorridendo con gli occhi chiusi al sole primaverile e non rabbrividendo poi così tanto alla sensazione più fredda di una brezza che non era ancora del tutto sparita.

Qualche tempo dopo Sirius si ritrovò a svegliarsi di colpo – non si era neanche accorto di essersi addormentato. Si stiracchiò e alzò lo sguardo, socchiudendo gli occhi. Non era molto tardi, se interpretava bene la posizione del sole. Sopra di lui, la figura di Remus lo proteggeva dai raggi. Quando gli occhi di Sirius si abituarono alla luce poté vedere Remus sorridere eccitato, tenendo stretto in mano un libro.

“Heilà, Remus.”

Sirius alzò pigramente un braccio. Un istante dopo fu tirato su di peso, e si aggrappò a Remus con l'altra mano per mantenere l'equilibrio. Nel secondo in cui fu in piedi il libro che Remus stava tenendo gli fu spinto nelle mani, aperto ad una pagina in particolare.

“Guarda!” disse Remus. “È celtico!”

Sirius sbatté le palpebre, osservando la pagina. Gli ci volle un momento perché i suoi occhi assonnati si abituassero, ma dopo qualche secondo fu in grado di distinguere alcune antiche rovine, coperte di muschio e piene di archi e strutture inclinate. Le pietre erano piccole, ed impilate l'una sull'altra senza uno schema apparente che Sirius riuscisse a distinguere. Non erano neanche lisce, né regolari. Sembrava tutto.... piuttosto disordinato, secondo Sirius.

“Okay,” mormorò, strofinandosi via il sonno dal viso con una mano. Con l'altra, si allungò verso la sua maglietta per rinfilarsela. “È celtico.”

Remus alzò gli occhi al cielo e riprese il libro dalle mani di Sirius, indicando intorno a sé. “No, voglio dire: il nostro Mondo! È celtico! La lingua ancora non sembra quella giusta – tu hai detto che era qualche tipo di scrittura logografica, e quella celtica è fonica, quindi non è molto utile per tradurre la lettera. Ma forse c'è un linguaggio più antico o qualcosa del genere... ma il punto è, il Mondo! È dei celti!”

Più Remus continuava a parlare più Sirius diventava confuso. Remus stava dicendo... che cosa? Che il loro Mondo era celtico? E non pensava ciò basato sul linguaggio che ancora non riuscivano a tradurre (anche se Sirius aveva speso mesi in biblioteca cercando di individuare un'antica lingua che avesse quell'aspetto – la bibliotecaria doveva pensare che fosse qualche sorta di genio di lingue antiche), ma per l'architettura, per qualche motivo.

Sirius si guardò intorno, osservando i muri cadenti e le strutture in piedi per metà. Non erano celtiche. Remus doveva essere matto per pensarlo. Era ovviamente un'architettura romana: c'era un bagno, e la fossa da combattimento, e le ville, e colonne doriche ovunque. E tutto era fatto di marmo! Non somigliava per niente a quella strana, antica architettura inglese che si teneva in piedi a malapena e che Remus gli stava sventolando sotto il naso.

Quando Sirius glielo disse, l'altro ragazzo sembrò confuso tanto quanto si sentiva Sirius. “Che vuoi dire?” chiese. “Ha lo stesso identico aspetto del libro. Anche le piante sono le stesse.”

Lanciando un'occhiata alla sua sinistra, Sirius poteva vedere chiaramente un cipresso vicino la spiaggia. Si girò verso Remus corrugando le sopracciglia. “No, non è vero. Sono romane. Ci sono alberi di cipressi e dei piccoli spazi organizzati dove erano i giardini.”

I due ragazzi rimasero lì fermi per un lungo momento, con le fronti corrucciate mentre riflettevano sulla situazione. Sirius si girò lentamente e indicò il muro. “Cosa vedi quando guardi quello?”

Remus capì subito cosa gli stava chiedendo Sirius. Non rispose immediatamente con qualcosa come “un muro” o “una pila di pietre”. Guardò attentamente il muro, poi di nuovo Sirius. Il suo dito scivolò sulla pagina del libro, che girò per mostrare a Sirius. Stava indicando uno di quei muri disordinati, che non si capiva come stavano in piedi. Quelli formati da tutte piccole pietre di grandezze differenti e senza malta tra di esse. “Questo,” disse. “Vedo proprio questo.”

A Sirius faceva male la testa. Quello non aveva alcun senso. Lui vedeva un muro di marmo, sgretolato in alcuni punti, ma decisamente marmo. Sotto i suoi piedi c'era del marmo. Sbattendo gli occhi, Sirius diede un colpetto al terreno con un piede. “E qui invece?”

Remus sfogliò di nuovo le pagine del libro, finché non ne scelse una. La mostrò a Sirius. Le pietre nel terreno erano scure, dall'aspetto più simile a quei sampietrini che aveva visto sulle strade di Londra che a quei pavimenti di calcare o marmo delle costruzioni romane. Erano anche arrotondate, e disordinate. Tutte di diverse grandezze e forme, e impilate tra loro neanche lontanamente con la stessa cura delle pietre sotto i piedi di Sirius.

Lo sguardo negli occhi di Remus era d'attesa, e forse un po' spaventato. Non sentendosi particolarmente coraggioso neanche lui, Sirius scosse la testa. “No,” sussurrò. “Io non vedo quello. Io vedo... è romano, sai. Come quei libri di Plinio che ti ho fatto vedere. Sono dei rettangoli di marmo lisci e perfetti. Non come questi.”

Guardando Remus, Sirius vide improvvisamente un abisso tra loro due che non aveva mai sentito prima. Vedevano il loro intero Mondo in modi diversi. In qualche modo, per qualche motivo, non era lo stesso per entrambi. Per Remus, sembrava celtico. Della Gran Bretagna pre-inglese. Per Sirius, aveva l'aspetto della grandiosità di un'antica Roma decaduta da diverse centinaia d'anni. Non erano uguali come lo erano loro – lui e Remus. Per tutti questi anni, aveva sempre pensato a lui e Remus come... SiriuseRemus. Erano la stessa cosa. Avevano delle cose in comune che non aveva nessun altro, lì nel loro Mondo. Ma, adesso. Quello. Non era più. Il cuore di Sirius ebbe una fitta dolorosa. Quella non era una buona cosa. Non era giusto.

Afferrando la mano di Remus, Sirius lo trascinò fino alla casa con il bagno romano, dove avevano nuotato nella piscina così tante volte. “E quella invece?” chiese Sirius. Indicò verso quell'architrave che era senza ombra di dubbio romano. “Cosa vedi lì?”

Remus sfogliò il libro, cercando di trovare una foto adeguata. Sirius aspettò, sentendo come se ci fossero dei vermi che si agitavano nel suo intestino, come se dei ragni lo stessero mordendo dall'interno. Quando Remus non riuscì a trovare un riferimento, indicò impotente verso la casa con il bagno. “Pietre impilate,” disse. “Piccole, come il muro. Con delle entrate, squadrate e irregolari. E fondamenta rotonde.”

Sirius deglutì, ma trascinò Remus all'interno con determinazione. Indicò la piscina. “Quella.”

“Rotonda. Non proprio un cerchio regolare. Pietre tutto intorno a noi, e sotto i nostri piedi. Un disegno sul fondo, cerchi, no, spirali, che coprono tutto quanto. Come delle onde.”

Un piccolo sprazzo di speranza si accese nel petto di Sirius. “Il disegno è un mosaico, giusto? Un sacco di piccoli quadrati e pezzi di pietre luccicanti messe insieme per formare delle onde.”

Tristemente, Remus scosse la testa. Non lo stava guardando, anche se non fece nessuna mossa per rimuovere il suo polso dalla stretta di Sirius. “È inciso.”

Sentendosi come se il suo intero mondo si stesse scuotendo a partire dalle stesse fondamenta, Sirius strattonò il polso di Remus finché l'altro ragazzo non lo guardò. I suoi occhi erano confusi, e un po' spaventati. Sirius si sentiva allo stesso modo. Anzi, forse anche peggio.

“Cosa pensi che significhi?” chiese Remus.

Sirius scosse la testa. Aveva un'idea. Ma non voleva dirla ad alta voce. Non finché non ne fosse stato sicuro – e forse neanche allora.


 

**


 

Molte ore più tardi, Sirius sedeva con la testa sul grembo di Remus, guardando le nuvole sopra di lui. Remus stava leggendo, tenendo il libro aperto sulle gambe proprio vicino la testa di Sirius. Le sue dita accarezzavano gentilmente i capelli Sirius, e nel frattempo leggeva, come se neanche realizzasse che lo stesse facendo. Sirius pensò che probabilmente era così.

“Cosa c'è sotto di noi?” chiese Sirius, di punto in bianco.

Avevano esaminato tutto quanto, nel loro Mondo. I muri dove erano le loro porte avevano le stesso aspetto per entrambi, a quanto pareva. Anche le porte erano uguali, ma Sirius pensò che se lo sarebbe dovuto aspettare: la sua porta non rifletteva l'architettura romana, aveva l'aspetto di ogni altra porta della sua casa. La stessa cosa con la porta nel negozio del papà di Remus. Ma ogni altra cosa, assolutamente ogni altra cosa, aveva un aspetto diverso. Apparentemente le uniche cose che non cambiavano erano il cielo, il mare, e le barriere che li tenevano l'uno fuori dalla vita dell'altro. Sirius si sentiva in modo orribile, disperatamente rancoroso riguardo l'intera cosa.

Ma non si erano chiesti della panchina, realizzò Sirius. Forse. Forse almeno quella era rimasta la stessa.

Remus, proprio come sempre, sapeva che cosa stava chiedendo Sirius. Si appoggiò il libro al petto e gli lanciò un'occhiata, con una ruga tra gli occhi nello stesso posto in cui era stata da quando avevano fatto la loro reciproca, confusa scoperta. Una mano si mosse tra i capelli di Sirius, accarezzandogli tristemente le nere ciocche setose. Non guardò la panchina; i suoi occhi restarono fissi su Sirius.

“Pietra,” disse. “Solida pietra grigia. Di cemento, credo. A base rettangolare. C'è come un'ammaccatura lungo il bordo – so che ha un nome, ma non so come si chiama.” Sirius aspettò, cercando di non farsi troppe speranze. Remus continuò, facendo guizzare gli occhi verso Sirius come se stesse cercando un suggerimento su quale fosse la risposta giusta. “Due gambe, una su ogni lato, solide da davanti a dietro. Incurvate. Come il davanti di una slitta.”

Lentamente, molto lentamente, Sirius riprese a respirare. Allungando una mano, prese quella libera di Remus nella sua e la strinse al petto. “È la stessa,” confermò. Lo sguardo negli occhi di Remus fu così sollevato che gli spezzò il cuore. Impulsivamente, Sirius diede un bacio alla mano di Remus prima di poggiarla di nuovo al suo petto, senza lasciarla andare neanche per un secondo. Sorrise, il più piccolo dei sorrisi che si era mai posato sulle labbra di Sirius. “È la stessa,” disse di nuovo. “Almeno questa.”

Remus rispose al sorrise. Iniziò a inclinarsi verso di lui, poi si fermò, tirandosi indietro. Sorrise di nuovo. Sirius non era proprio sicuro di cosa Remus era stato sul punto di fare, ma era soddisfatto anche solo di tenergli la mano e lasciare che gli accarezzasse i capelli con l'altra. Per il momento.

Tutto ciò non preannunciava comunque niente di buono, rifletté Sirius mentre Remus tornava al suo libro. Lasciò la mano sul petto di Sirius, anche se reclamò la seconda per girare le pagine del libro. Il fatto che vedessero il Mondo in modo diverso... voleva dire che non erano fatti l'uno per l'altro? Fin da quando avevano trovato il messaggio inciso sulla panchina dai due amanti – amanti, ripeté di nuovo Sirius nella mente. Aveva imparato quella parola da una delle riviste che James si portava sempre dietro e di cui sembrava avere una riserva infinta. Aveva detto che gliele aveva date duo padre, ma Sirius non riusciva a immaginare nessun padre sano di mente che desse a James quel tipo di riviste. Le due persone che avevano inciso il messaggio, però, Sirius era sicuro che erano stati amanti. Non aveva riconosciuto quella parola quando l'aveva letta per la prima volta, quasi un anno prima, ma la sua mente ne aveva cercato il significato. Questo posto, era per gli amanti. Era fatto per portarli insieme, o per nasconderli dal resto del mondo. Sirius ne era certo.

E forse, solo forse, la sua mente aveva iniziato a divagare sul perché a lui e Remus era stato permesso di entrare insieme. Erano entrambi ragazzi, quindi la teoria degli amanti non aveva senso. Ma poi Sirius aveva pensato che, beh. Forse.

Però, adesso, no. Niente forse. Non erano in questo Mondo insieme perché dovevano esserci – era stato un incidente. Altrimenti perché lo vedevano in modo così diverso? La magia di questo posto doveva essersi sbagliata. Alcuni fili dovevano essersi intrecciati. Sirius avrebbe dovuto trovare qualcun altro qui, qualche ragazza che vedeva delle rovine romane proprio come lui. E Remus avrebbe dovuto trovarci una qualche ragazza celtica.

Lo stomaco di Sirius si contrasse. Una ragazza celtica. Le sue lezioni di storia erano molto mancanti su qualsiasi cosa che non fosse greca o latina, ma Sirius sapeva abbastanza dei celti grazie alla loro vicinanza con i romani. Erano risaputi per i loro accesi capelli rossi, per il loro spirito guerriero. Come Boudicca, la grande regina celtica che aveva sfidato i romani e guidato centinaia di migliaia di contadini in una rivolta contro gli invasori. I romani l'avevano sconfitta, ovviamente, ma lei era così terrificante e incuteva così tanta paura quando arrivava in battaglia in piedi sulla sua carrozza che anche i generali romani non avevano voluto scontrarsi in duello contro di lei. Era una guerriera da temere, con intensi capelli rossi e un temperamento e una determinazione di cui nessun uomo potesse dichiararsi superiore.

Gli ricordava molto la Lily di Remus.

Le dita di Remus strofinarono leggermente la cute di Sirius, massaggiandogli con i polpastrelli la pelle nascosta sotto i capelli. Sirius chiuse gli occhi contro la luce del sole, per non dover guardare quelle parti di Remus che riusciva a vedere, o la brillante allegria del calore del sole primaverile. Gli sembrava ovvio, adesso. Il Mondo aveva cercato di dirgli per anni che si erano sbagliati a venire qui allo stesso momento. C'era il modo diverso in cui vedevano tutto quanto, cosa che avrebbero davvero dovuto realizzare anni e anni fa. E... Sirius si mosse, agitandosi sul grembo di Remus come se stesse avendo un incubo. La mano di Remus premette un po' più forte contro la sua testa, accarezzandolo come se stesse cercando di calmare una febbre. Il corpo di Sirius si immobilizzò, ma la sua mente continuò ad agitarsi.

Le porte. Avrebbe dovuto capirlo quando non era riuscito a passare per la porta di Remus. Qualsiasi ragazza con cui sarebbe dovuto finire, sarebbe ovviamente stata in grado di passare per la sua porta, o portarlo nella sua,. Altrimenti come avrebbero potuto stare insieme nel mondo reale? Se Remus avrebbe provato a far passare Lily attraverso la sua porta, Sirius era sicuro che avrebbe funzionato. Il suo destino non era quello di stare con Remus. Era per quello che non era riuscito a passare dalla sua porta per entrare nella sua vita.

Aveva tutto così senso, pensandoci con il senno di poi. Sirius e Remus non erano quelli che il Mondo avrebbe dovuto portare insieme. Avrebbe dovuto essere Remus e qualche altra ragazza – probabilmente Lily. E anche Sirius con qualcuna, anche se non aveva idea su chi potesse essere.

Sirius avrebbe dovuto capirlo la prima volta che aveva provato a scappare dalla porta di Remus tutti quegli anni prima. O, proprio all'ultimo, l'avrebbe dovuto capire l'anno scorso quando la sua mente gli aveva fornito le parole “fidanzato” e “fidanzata” per le due persone che avevano inciso il messaggio sulla panchina. Due maschi non potevano essere fidanzato e fidanzata. Due maschi non potevano essere amanti. Il Mondo aveva sbagliato il suo meccanismo, e aveva portato Sirius e Remus insieme invece del ragazzo e la ragazza che dovevano stare qui.

Mentre Sirius continuava a ripercorrere ancora e ancora gli stessi corridoi della sua mente, cercando una porta che non sarebbe mai stata lì (proprio come non ci sarebbe mai stata la porta di Remus, gli sussurrò crudelmente la sua mente), qualcosa spezzò l'oscurità. La mano di Remus che gli strofinava i capelli, e la fredda panchina sotto di lui. Remus, che era lo stesso di sempre, che era sempre il più vecchio amico di Sirius e il migliore al mondo. E la panchina. La panchina che era la stessa per entrambi, la panchina dove gli amanti avevano inciso il loro messaggio.

La panchina era la stessa. E la panchina era il posto dove gli amanti avevano scelto di immortalare il loro amore. Forse, solo forse... Forse era solo quello che doveva essere uguale. Forse tutto ciò che era necessario in quel Mondo era la panchina sotto il corpo il Sirius, e che due persone si erano incontrate in questo posto. Anche se erano entrambi ragazzi. Solo forse.

Sirius si aggrappò a quel pensiero, a quell'unica speranza finché essa non sbocciò dentro di lui come una supernova, e la polvere si stelle gli riempì ogni centimetro del suo corpo finché non ci credette. Tutto ciò di cui avevano bisogno era la panchina, e loro stessi, e uno spazio dove stare insieme. Poteva essere quella la chiave di tutto quanto.

Sirius rimase in silenzio sul grembo di Remus finché lui non lo scosse gentilmente e gli annunciò che avrebbero dovuto tutti e due tornare a casa. Aprì lentamente gli occhi e sorrise a Remus. Per la sua gioia, Remus gli sorrise in risposta, anche se aveva ancora un aspetto preoccupato.

Quando si sedette Sirius prese di nuovo la mano di Remus nelle sue, poi la premette contro la panchina. Guardando Remus negli occhi, gli disse: “La panchina è la stessa.”

In qualche modo, Remus sembrò capire. Sirius non poteva spiegare di più, non poteva mettere in parole tutti gli altri pensieri e le speranze che sprizzavano dentro di lui, cercando di filtrare dai suoi pori e scappare fuori per avvicinare Remus a lui. Ma pensò che forse lui aveva capito. Mentre guardava nei suoi occhi ambrati, pensò che Remus aveva decisamente capito abbastanza.



 



 

N/T:

Alla fine di questo capitolo, l'autrice voleva ricordare ai vecchi lettori e far sapere a quelli nuovi che lei è sempre e comunque l'autrice del “lieto fine”, cosa da tenere a mente soprattutto nei prossimi capitoli...

In ogni caso, siete liberissimi di sfogare su di me ogni frustrazione e lacrime involontarie che la storia potrebbe causarvi ;)

 

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 22


 

Quella stupida donna! Pensava di poter dire a Sirius di fare qualsiasi cosa lei volesse e lui le avrebbe obbedito, come una qualche sorta di cane addestrato. O un Kreacher addestrato, per meglio dire. Sirius sbuffò sbattendo i piedi sui gradini della scala che portava al quarto piano, senza far caso al fatto che stava facendo un rumore degno di una squadra di rugby. Come se avesse potuto continuare ad annuire e sorridere a quella pazza di sua cugina Bella mentre lei continuava ad insultare ogni aspetto di lui. Come se Walburga avesse pensato che lui non le avrebbe risposto.

Per la cronaca, perché non poteva dirle niente in risposta? Si aspettavano che lui fosse meglio di sua cugina, della sua famiglia estesa al completo? Tutto quello che facevano era insultarsi a vicenda: facevano commenti maligni sul fatto che Bella non avesse ancora procreato un erede con suo marito; discutevano della torrida relazione tra Malfoy e Narcissa che tutti sapeva aveva raggiunto molto tempo fa un livello sociale inaccettabile di “intimità” prima ancora che combinassero il matrimonio; si lamentavano di come Andromeda una volta era stata vista scambiare delle semplici amenità con un qualche uomo normale, non connesso a nessuno di quegli stupidi circoli incestuosi da cui ci si aspettava che tutti loro scegliessero i futuri mariti e mogli. Tutti gli altri si dicevano cose terribili a vicenda, ma quando quelle cose venivano dette in faccia a Sirius, all'improvviso non gli era permesso di rispondere con i suoi, di insulti.

Ovviamente, Sirius conosceva la vera ragione per cui gli era stato chiesto non proprio gentilmente da Walburga di lasciare la festa della sera precedente. Era perché non la aveva insultata nella maniera giusta, la maniera dei Black. Lui invece aveva detto parolacce e urlato alcuni degli insulti più coloriti che aveva imparato da James, sperando di farsi una bella risata all'espressione scioccata di sua cugina. Davvero, Sirius avrebbe dovuto immaginare che Bella non era nuova agli insulti, non importava quanto osceni. Si era limitata a ridere e lo aveva chiamato un... Sirius diede uno schiaffo al muro girando un angolo, godendosi la sensazioni della vecchia casa tremare sotto la sua furia. Sirius non riusciva neanche a capire perché era stato un insulto, o come avrebbe dovuto provare che non era vero. Andava ad una scuola maschile! Era ovvio che tutti i suoi amici fossero maschi. Non era colpa sua se non faceva il minimo sforzo per mostrare interesse verso nessuna di quelle orride ragazze che Walburga gli presentava a quelle stupide feste.

Aprì la porta del ripostiglio sbattendola, iniziando a strapparsi la giacca formale di dosso prima ancora che la porta si chiudesse. Buttò i vestiti a terra, senza far caso a come o dove cadessero in quella landa polverosa in cui neanche Kreacher osava addentrarsi. Si mise i suoi vestiti da gioco in un minuto, aprendo la Porta con violenza mentre si stava ancora chiudendo i bottoni.

Aveva ormai passato la soglia prima che potesse notare la porta del ripostiglio chiudersi dietro di lui senza quasi fare rumore.


 

**


 

Sirius sbadigliò, con gli occhi appannati ma di un umore decisamente migliore rispetto al giorno precedente. Walburga non si era neanche data la pena di presentarsi a colazione quella mattina, e neanche Kreacher. Era come se tutti i suoi Natali fossero arrivati insieme, quando in realtà mancavano ancora tre giorni al vero Natale. Adesso avrebbe potuto passare la giornata con Remus, dargli i regali che aveva conservato negli ultimi mesi fin dal suo ultimo compleanno. Sirius aveva un gran mucchio di soldi, grazie al fatto che Orion pensava che lui per qualche ragione avesse bisogno di un conto bancario personale, e che doveva essere sempre pieno zeppo. Sirius certo non si lamentava. Voleva solo dire che aveva più soldi per Remus, e in minor parte per James, per tutto l'anno.

Regulus gli rivolse a malapena un gesto con il mento quando Sirius si alzò dal tavolo della colazione. Sirius non si dava più tanta pena per quel poveraccio. Aveva parlato di economia con Malfoy a quell'ultima festa. Economia! Come se Regulus, a tredici anni, sapesse qualcosa di economia. Sirius sospettava che Malfoy si stesse solo tenendo buono quello che ormai tutti pensavano sarebbe stato il prossimo erede della famiglia Black. Quando Sirius avrebbe fatto in modo di farsi diseredare prima del suo diciottesimo compleanno. Il ragazzo sbuffò. Come se sarebbe potuto succedere. Come se gli sarebbe importato, se fosse successo.

Si fece direttamente strada verso il ripostiglio, non volendo sprecare neanche un momento delle sue vacanze invernali lontano da Remus, se poteva farne a meno. Avevano dei piani. A quanto pareva Remus aveva passato le sue vacanze ad escogitare qualcosa di geniale, qualcosa che avrebbe messo Tolkien in ridicolo. Se fosse venuto da qualsiasi altro, Sirius sarebbe stato scettico. Ma da Remus, sapeva che sarebbe stato fantastico. Era Remus, dopotutto.

Quando Sirius aprì la porta del ripostiglio entrò subito, come sempre. Poi si interruppe di colpo. Il suo primo istinto fu di scappare, di andare via, di guidarli il più lontano possibile da questo posto. Soppresse quell'istinto, realizzando neanche mezzo secondo più tardi che non avrebbe portato a niente di buono. Loro sapevano. Walburga e Kreacher in qualche modo sapevano. Non ci poteva essere nessun altra ragione per cui fossero lì davanti, ad aspettarlo nel suo posto segreto.

“Wa- Mamma.” Sirius non si rivolse a Kreacher. Se l'avesse fatto, Walburga avrebbe semplicemente ordinato a Kreacher di colpirlo per la sua mancata attenzione alle regole sociali. Aveva fatto quell'errore molte volte quando era più piccolo prima di imparare.

“Sirius.”

La voce di Walburga era abbastanza gelida da mandare un brivido lungo per la schiena di Sirius, far diventare le sue gambe di gelatina e fare in modo che il suo stomaco volesse scappare dal suo corpo. Le sue mani con lunghe unghie erano incrociate sugli avambracci, e una mano tamburellava pericolosamente contro una delle maniche lunghe del suo vestito. Mai più di adesso Sirius aveva desiderato scappare. Neanche quando aveva rotto quel vaso a sei anni.

“Mamma.” disse Sirius di nuovo. “Hai bisogno di me per qualcosa?” Sirius digrignò i denti faticando a mantenere il suo tono educato. Giudicando dall'impassibile espressione di Walburga e quella sempre più gioiosa di Kreacher, non stava avendo successo.

La parola che disse poi Walburga era semplice. Così semplice. Sirius se la sarebbe dovuto aspettare. Ma non aveva la più minima idea di cosa fare quando lei la pronunciò. “Spiegati.”

Il primo pensiero che attraversò la mente di Sirius fu che lei aveva trovato la porta ed era entrata nel Mondo. Rimanendo lì in piedi di fronte a Walburga, la sua mente accantonò quell'ipotesi. Non avrebbe avuto senso. Lui non poteva passare attraverso la porta di Remus, quindi era impossibile che Walburga potesse passare per la sua. Almeno che, ovviamente, non fosse programmata per le persone dello stesso sangue o famiglia. O che fosse chiusa per gli altri solo dall'interno, e non dall'esterno. O se la porta di Remus si chiudesse solo per Sirius, e viceversa.

La mente di Sirius poteva essere un'orribile belva minacciosa, quando ci si metteva.

“È un nascondiglio,” scelse di dire. Aveva imparato da piccolo come mentire: resta il più possibile vicino alla verità, tenendo le cose più importanti nascoste nel buio e in profondità, anche da se stesso, se poteva. Sirius iniziò a costruirsi una vita nella sua mente: una vita dove non c'era nessuna porta, ma in cui aveva passato delle ore a giocare in questa piccola stanza, al buio e nell'umidità. Una vita dove non c'era nessun Remus, solo James e gli altri ragazzi del collegio, e un mucchio di amici immaginari con cui parlare mentre gironzolava nella vecchia stanza polverosa. Quella era la sua vita. Quella era la vita che Walburga doveva realizzare era stata nascosta sotto il suo naso per tutti questi anni. Avrebbe richiesto una punizione, ovviamente. Ma andava bene.

“Un nascondiglio.” La parola si spezzò sotto la voce di Walburga come un ghiacciolo nelle sue grinfie. “Da me?”

“Sì, signora,” rispose Sirius. Rivolse il suo sguardo a terra, chiudendosi su se stesso. Doveva assumere un aspetto di scuse, devoto. Walburga era sua madre, ed esigeva rispetto.

“Kreacher ha detto che c'è una porta in fondo. Un altro nascondiglio?”

L'intestino di Sirius si ribellò contro di lui, rendendolo nauseante. Non avrebbe vomitato. Non l'avrebbe fatto. Avrebbe solo reso la sua punizione più dura, e – anche peggio – fatto intuire a Walburga le sue bugie. E se c'era una cosa che i Black sapevano fare meglio di chiunque altro, era scavare tra bugie e verità e rigirare i risultati a loro favore.

“Solo una porta. Dà su un muro,” spiegò Sirius, occhi ancora fissi al terreno.

“Mostrami.”

Con il respiro veloce e lo stomaco che si contorceva come il loro mare nelle giornate più tempestose, Sirius si fece lentamente strada verso il fondo della stanza. Kreahcer si muoveva di fronte a lui, spostando alcuni dei mobili coperti e le vecchie scatole per facilitare il passaggio. Walburga era Mosè che camminava verso la terra promessa, e Kreacher il servitore che divideva il Mar Rosso. Solo che questa era la Bibbia degli incubi, quella dove tutto era sottosopra e intrecciato e nel posto sbagliato.

Sirius mise la mano sulla maniglia della porta e prese un respiro. Non ci sarebbe stato niente. Walburga e Kreacher non avrebbero visto niente, solo un muro di pietra. Allora Sirius sarebbe stato picchiato, e confinato nella sua stanza per il resto delle vacanze. Sarebbe andato bene. Sarebbe andato tutto bene.

Sirius abbassò lentamente la maniglia e tirò verso di sé. La porta si aprì senza problemi, come sempre. La luce colpì gli occhi di Sirius, e poté sentire l'odore dell'aria di mare e vedere il Mondo di fronte a sé, che aspettava solo che lui passasse attraverso la porta. Immaginò, anche se era impossibile, di poter sentire Remus seduto alla loro panchina, a sfogliare le pagine del suo quaderno d'avorio mentre programmava la prossima storia che lui e Sirius avrebbero vissuto quel giorno nelle loro avventure.

Sirius tenne gli occhi su un punto fisso all'orizzonte, immaginando con tutto se stesso che davanti a lui ci fosse solo un muro di pietra. Solo un muro di pietra, come quello che aveva visto quando aveva cercato di passare attraverso la porta di Remus. Solo un muro di pietra.

“Inutile,” borbottò Walburga. “Che cosa ci dovrebbe fare qui?”

“Forse un'entrata ad un salone che è stata murata e cancellata dal progetto originale,” offrì Kreacher,

“Mhm. Forse.”

Sirius non sentiva sua madre e il servitore che parlavano. Sentiva solo il mare, che ruggiva nelle sue orecchie più forte che poteva. Sentiva la ristata di Remus, sicura e reale come se fosse in piedi di fronte a lui. Doveva solo attraversare la porta.

Si girò e lanciò un'occhiata a sua madre, lasciando che la porta si chiudesse dietro di lui con un morbido rumore di metallo contro metallo. “Signora?”

E poi il dolore attraversò il suo orecchio nel punto in cui Walburga lo aveva preso tra due lunghe unghie, stringendo e stringendo finché Sirius non sentì un caldo rivolo di sangue riempire il suo orecchio e scivolare giù lungo il suo collo. “Vai in camera tua,” sibilò. “Kreacher si occuperà di te. Ho affari più importanti di cui occuparmi di un idiota, patetico ragazzino.”

Sirius gridò e inciampò in avanti quando Walburga lo lasciò andare. Non si toccò l'orecchio, ma fu sul punto di farlo. Se avesse fatto qualsiasi tentativo di pulirsi prima che fosse stato solo, la punizione sarebbe solo stata peggiore. Sirius lo aveva imparato velocemente sotto la particolare tutela di Walburga.

Mentre era steso a letto, quella notte, curando le sue ferite, Sirius riusciva solo a fissare il soffitto con un'emozione simile alla felicità che sgorgava fuori insieme alle sue lacrime. Il loro Mondo non era stato scoperto. Sirius sarebbe riuscito a tornarci, alle prossime vacanze. Ma, cosa più importante, Remus era stato tenuto segreto; era stato tenuto al sicuro.


 

**


 

Fu solo quando la carrozza arrivò per portarlo a casa per le vacanze di Pasqua che Sirius finì finalmente di escogitare il suo piano con James. Diede all'altro ragazzo un abbraccio veloce, sorridendo sul suo collo quando sentì James mettere una piccola sacca di pelle nella tasca interna del suo cappotto. “Ci vediamo tra una settimana,” disse James quando si separarono.

Sirius annuì, tenendo con attenzione lo sguardo a terra mentre l'autista caricava le sue valigie nel portabagagli. I grimaldelli che ora erano nella sua giacca erano la parte vitale del suo piano per rivedere Remus. E grazie alle sorprendentemente decenti abilità di insegnante di James, Sirius adesso sapeva come usarli.

Quando era tornato al ripostiglio alla pausa di metà semestre, Sirius aveva fatto la sgradevole scoperta che Walburga aveva installato delle nuove serrature sulla porta. Visto che Sirius non aveva osato cercare la chiave nella stanza della madre o nel piccolo covo di Kreacher, sapeva che avrebbe dovuto ripiegare su soluzioni più alternative. Sfondare la porta era assolutamente fuori questione. Doveva riuscire ad entrare in un modo che non avrebbe lasciato traccia, e avrebbe dovuto richiudere la porta esattamente com'era prima. Scassinare la serratura era sembrata un'opzione fattibile. L'unico problema era che non aveva idea su come scassinare le serrature.

Per una fantastica coincidenza però, James sapeva farlo. Sirius si era chiesto perché, visto che la famiglia di James era tanto benestante quanto quella di Sirius. Ma apparentemente la mamma di James era un po' fuori di testa e adorava ogni tipo di strano passatempo, tra cui forzare le serrature. Lo aveva insegnato a James anni prima (il che, conoscendo James come faceva Sirius, era stata un'idea terribile, ma decisamente geniale), che di conseguenza si era offerto di insegnarlo a Sirius quando lui aveva cominciato a lamentarsi.

Non aveva spiegato esattamente che cosa era successo, ovviamente. Come Remus, James si era fatto una vaga idea degli orrori della vita casalinga di Sirius, anche se lui evitava di parlarne il più possibile. E James sapeva che Remus era un qualche ragazzo con cui Sirius era amico, anche se attraverso attente bugie di omissione Sirius aveva portato James a credere che Remus vivesse nel suo stesso quartiere o qualcosa del genere. Sirius gli aveva detto che c'era una porta chiusa che gli impediva di andare a trovare Remus, e aveva lasciato che James traesse le sue conclusioni. James, essendo il ragazzo sempre pronto ad aiutare che era, aveva aiutato Sirius ad escogitare un piano.

Era in effetti un piano pateticamente semplice. Sirius avrebbe aspettato tre giorni una volta arrivato a casa – giusto abbastanza per far cadere Walburga in un falso senso di sicurezza. Poi avrebbe aspettato fino alle tre della terza notte, e sarebbe sgattaiolato fino al quarto piano. Lì avrebbe scassinato la serratura, l'avrebbe richiusa dall'interno, e lasciato un biglietto a Remus che spiegava tutto, e gli chiedeva per favore di incontrarlo alle tre di mattina la notte seguente. Poi, quantomeno, avrebbero avuto un paio di giorni per vedersi prima che Sirius avrebbe dovuto ripetere l'intero processo alle vacanze seguenti. Avrebbe richiuso la porta ogni volta che tornava indietro.

Teoricamente, era a prova d'errore. Scivolando dentro la carrozza, Sirius stava già pensando a tutto quello che sarebbe potuto andare storto.

Tre notti più tardi, Sirius stava tremando nel suo pigiama di seta mentre camminava in punta di piedi per la casa, evitando ogni asse scricchiolante e pozze di luce nei bui corridoi. Le sue mani tremarono quando si strinsero intorno al grimaldello. Ce la poteva fare. Doveva farcela: altrimenti, non avrebbe mai più rivisto Remus. E il pensiero di avere un'intera vita di fronte a lui senza Remus – beh, quello era qualcosa di più doloroso e terribile di qualsiasi punizione che Walburga avrebbe mai potuto infliggergli.

Per un qualche miracolo cosmico, Sirius arrivò alla porta del ripostiglio senza incidenti. E per la grazia di quello che era senza ombra di dubbio un meraviglioso e benevolo universo, Sirius riuscì a forzare la serratura e scivolare dentro la stanza con altrettanta facilità. Una volta lì, camminò in punta di piedi fino alla porta e la spalancò, senza dar peso al fatto che era in pigiama e che probabilmente là fuori facevano meno due o tre gradi. Doveva solo lasciare il suo biglietto velocemente e andarsene, e poi tornare qui l'indomani. Sperando che Remus non si fosse arreso. Sperando che venisse ancora, che lo stesse ancora aspettando.

Mentre Sirius si affrettava verso la loro panchina, alcune delle vecchie insicurezze della sua infanzia ricominciarono a far vedere i loro brutti musi. E se Remus aveva smesso di venire? E se a Remus non importava davvero così tanto di lui, e aveva continuato a venire solo perché Sirius gli faceva fare qualche risata, e gli continuava a chiedere di tornare? Ma Sirius scostò via quelle preoccupazioni con la facilità con cui si scrollava di dosso l'aria gelida. Remus sarebbe venuto. Forse aveva già abbandonato la speranza per queste vacanze, ma sarebbe sicuramente stato qui per le prossime, o quelle dopo ancora. Remus non si sarebbe arreso del tutto. Non ancora.

Quando girò l'angolo del muro, gli occhi di Sirius furono immediatamente attirati da una massa scura sopra la panchina. All'inizio Sirius pensò che forse Remus gli aveva lasciato qualcosa, come un costume o un pacchetto o qualcosa del genere, nella speranza che Sirius sarebbe tornato. Poi, mentre Sirius si avvicinava e i suoi occhi si abituavano al buio, riuscì a distinguere dei capelli scompigliati, il contorno di un corpo, un singolo stivale che spuntava fuori da sotto quella che sembrava essere una pila dei loro vecchi costumi.

“Remus?” disse Sirius con un filo di voce. Anche se sussurrate, le sue parole sembrarono rimbombare nel tranquillo, freddo silenzio della notte.

Sulla panchina, la figura sdraiata si mosse di colpo, poi si mise seduta. Sirius ebbe a malapena il tempo sufficiente per confermare che era senz'altro Remus prima che l'altro ragazzo gli si lanciò addosso, sotterrando il suo viso nel collo di Sirius e stringendolo come se ne andasse della sua stessa vita. Il suo respiro era caldo e umido sul collo di Sirius, le sue labbra si muovevano sulla pelle fredda – pronunciando parole o dando baci gentili, Sirius non riusciva a capirlo. Non gli importava neanche. Sirius alzò le braccia per avvolgerle intorno a Remus, per stringerlo ancora più vicino al suo petto mentre respiravano insieme. Delle lacrime iniziarono a premere contro gli occhi di Sirius, e lui girò il volto per sotterrarlo tra i capelli di Remus.

Dentro di lui, c'era un oceano di sentimenti in conflitto. Remus aveva aspettato per lui. Per lui. Erano passate due vacanze da quando Sirius non era più potuto venire, ma Remus era stato lì, sdraiato, dormendo nella fredda notte pungente mentre aspettava il suo ritorno. Aveva saputo che Sirius sarebbe tornato da lui; non aveva mai rinunciato alla speranza. Le lacrime di Sirius erano fredde mentre scendevano lungo le sue guance.

Anche quando finalmente si separarono rimasero vicini, i loro respiri che si mescolavano nell'aria ghiacciata. Sirius tenne le sue braccia avvolte intorno alla schiena di Remus, e le mani di Remus stringevano forte i suoi fianchi.

“Che cosa è successo?” chiese Remus. La paura nei suoi occhi era ovvia. Sapeva che cosa era successo. Forse non nello specifico, ma era riuscito a indovinare abbastanza.

Così Sirius glielo disse, in forma ristretta. Lasciò fuori la punizione di Walburga e il suo cattivo comportamento, perché quelle erano le due parti della storia che avrebbero solo portato alla pena di Remus e la sua disapprovazione, nessuna delle quali Sirius voleva vedere in quel momento. Ma disse a Remus abbastanza: di Walburga e Kreacher che lo aveva aspettato nel ripostiglio, di lui che apriva la porta e di come quelle due persone odiose avessero solo visto un muro di pietra. Di come Walburga aveva serrato la porta, e Sirius non l'aveva scoperto fino alle scorse vacanze. E di James, e delle sua magnifica mamma che gli aveva insegnato come forzare le serrature. Di come era sgattaiolato fin lì nel mezzo della notte, e del suo piano per lasciare un biglietto a Remus.

“Quanto tempo abbiamo ancora stanotte?” chiese Remus quando ebbe finito.

Sirius scosse la testa. “Un paio d'ore. Devo tornare indietro prima che i servitori inizino a svegliarsi.”

A quello, Remus lo avvolse di nuovo in un abbraccio e lo tenne stretto. Sirius lasciò che lo stringesse, incurvando il suo corpo intorno a quello Remus come un cucciolo intorno al suo giocattolo preferito. Avrebbe potuto passare il resto della sua vita lì con Remus, in quella notte, in quella esatta posizione, e sarebbe stato perfettamente felice. Questa era tutto ciò di cui aveva bisogno: silenzio, intimità, e il suo Remus. Momenti come questo sarebbero stati abbastanza per fargli sopportare la prossima metà semestre senza Remus; momenti come questo lo avrebbero aiutato a sopportare i prossimi anni che gli rimanevano da passare sotto l'odiata tutela di Walburga, fino a che lui e Remus non sarebbero andati all'università insieme e avrebbero condiviso un appartamento e... Sirius arrossì, abbracciando Remus più stretto. Beh. Stava iniziato a farsi un'idea di alcune altre cose che avrebbe voluto fare con Remus oltre ad essere coinquilini, ma. Non poteva ancora parlare di quello. Riusciva a malapena a pensarci lui stesso.

“Vorrei che tu potessi scappare via con me,” sussurrò Remus.

“Anch'io,” replicò Sirius. “Ma va bene,” continuò. “Questo è abbastanza.”

Anche se parlarono e si raccontarono storie sulle loro vite a scuola degli scorsi mesi per il resto della notte, non si separarono mai. Sirius tenne le mani di Remus avvolte strette nelle sue, o strofinò le sue braccia quando si accorse che stava tremando di freddo, o Remus rise e colpì la sua coscia quando Sirius gli disse una storia particolarmente folle di uno scherzo che lui e James avevano fatto.

Quando iniziarono ad alzarsi per andare via, Sirius strinse forte le mani di Remus e guardò la luce della luna riflessa nei suoi occhi, chiedendosi che cosa avrebbe potuto fare, cosa avrebbe potuto dire. Ma Remus, sia benedetto, gli risparmiò la fatica.

“Sii prudente,” ordinò Remus.

Sirius gli rivolse un sorriso storto, facendo mostra di un coraggio che non sentiva affatto. “Io? Mai,” lo prese in giro. Ma eseguì comunque i movimenti della loro stretta di mano segreta con Remus, promettendo di fare del suo meglio.

Quando le loro dita si unirono per l'ultima parte, una grande paura crebbe dentro Sirius. Avrebbe fatto del suo meglio per venire almeno un giorno durante ogni vacanza, per vedere Remus finché non avrebbero potuto fare i loro piani per l'università insieme e correre verso le brillanti giornate che li aspettavano nel mondo reale. Ma qualcosa sarebbe potuto succedere. Walburga avrebbe potuto confinarlo nella sua stanza di nuovo, o murare completamente la stanza, o far scardinare del tutto la Porta, o...

Con il cuore stretto dalla paura, fu quell'emozione che spinse Sirius in avanti. Tenne le sue dita intrecciate con quelle di Remus e lo tirò verso di sé. Remus si avvicinò, con un piccolo sorriso sulle labbra come se non sapesse a che cosa Sirius stesse giocando, ma sapesse che gli sarebbe piaciuto in ogni caso. Poi, Sirius premette il più lieve dei baci sull'angolo della bocca di Remus. Si tirò indietro senza dare a Remus la possibilità di rispondere. Nella sua mente, sia che Remus ricambiasse il bacio sia che non lo facesse sarebbe stato altrettanto orribile. Se non l'avesse fatto, allora tutti quei sentimenti che Sirius stava provando, tutti quei minuscoli abbozzi di pensieri negli angoli più remoti della sua mente sul fatto che forse loro due sarebbero potuti stare insieme come ragazzo e ragazza, sarebbero stati annientati prima ancora di sollevarsi da terra. Ma se l'avesse fatto... quello sarebbe stato quasi peggiore. Perché Sirius doveva tornare a Grimmauld, e le sue future possibilità di scappare da Remus ad ogni vacanza stavano diventando sempre più improbabili. Quindi Sirius si tirò indietro velocemente, e lasciò cadere le mani di Remus dalle sue.

“Tornerò,” bisbigliò mentre si girava velocemente.

“Sirius!”

“Tornerò,” promise di nuovo. La porta era sfocata di fronte a lui. Sirius non sapeva se fosse per la stordita nervosità che vibrava dentro di lui, o per le lacrime che gli riempivano gli occhi. “Dimmelo quando tornerò,” bisbigliò sopra la spalla. E con quello, Sirius tornò indietro nell'amaro calore di Grimmauld Place.


 

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World



Capitolo 23


 

La brezza estiva era forte sul campus così in alto, rendendo quello che Sirius e James stavano cercando di fare ancora più difficile. Ma Sirius stava sorridendo durante tutta l'operazione, sapendo che sarebbe stato ancora più geniale con la brezza che avrebbe reso il loro scherzo molto più caotico e spettacolare.

“OI! Sirius, brutta idiota, attaccalo qui!

Sirius rivolse con noncuranza a James il suo dito medio ma fece quello che gli era stato detto, attaccando un pezzo di nastro adesivo più in alto e a destra di dove lo stava per mettere.

Spostandosi i capelli dagli occhi, Sirius diede un'occhiata sul tetto intorno a sé. Erano riusciti ad assicurare i lenzuoli pieni di coriandoli lungo quasi tutto il bordo del tetto che sovrastava il punto principale del campus. James stava finendo l'ultima parte in fondo, attaccando il lenzuolo sulla parte opposta da dove si trovava Sirius. Sirius lo guardò mentre si sporgeva più che poteva oltre il bordo, poi ancora più in là su una gamba sola. Finalmente riuscì ad attaccare il nastro adesivo dove voleva, assicurando al tetto l'ultimo bordo del lenzuolo. Con un sorriso James saltò giù dal suo precario trespolo e avanzò verso Sirius.

Scivolarono giù insieme, con le schiene rivolte contro le tegole inclinate, aspettando che giungessero le tre del pomeriggio. Avevano ancora all'incirca un'ora, ma nessuno dei due aveva saputo quanto ci avrebbero messo a trasportare le molte e molte federe piene di coriandoli che avevano accumulato in segreto per tutto il semestre su per le scale e fino al tetto dell'edificio che conteneva il loro campus, senza menzionare il fatto di attaccare tutto con attenzione.

In silenzio, James scavò dentro la sua uniforme e tirò fuori un accendino e due vecchie sigarette piegate. Ne passò una a Sirius, che cercò di raddrizzarla finché James non accese la sua e lanciò l'accendino sul grembo di Sirius. Presero un paio di lunghi tiri dalle sigarette prima che Sirius dicesse qualcosa.

“Qualche piano per le vacanze estive?” chiese.

James scrollò le spalle. “Vado in Francia con i miei per una settimana. Mamma pensa che io abbia bisogno di cultura.” Sirius rise, sapendo tanto quanto James che anche se si lamentava dei suoi genitori, li amava comunque con tutto se stesso. “Puoi venire, se vuoi,” aggiunse.

Sembravano brava gente, i Potter. Avevano anche esteso a Sirius un invito a passare da loro tutte le vacanze, senza dover avvisare prima. A Sirius sarebbe piaciuto moltissimo accettare, ma il pensiero che Remus lo stesse aspettando a casa aveva sempre reso fin troppo facile la sua decisione. E visto che non vedeva Remus da quella notte, mesi e mesi prima, Sirius era impaziente di tornare a casa e cercare di capire in quale notte potesse sgattaiolare fuori senza che Kreacher lo seguisse lungo i corridoi o Walburga lo individuasse dalla sua ora costantemente aperta porta.

“No grazie, amico,” disse Sirius. “Devo tornare a casa. Inoltre: non vorresti avere competizione con tutte le tipe francesi, giusto?”

James sbuffò anche se le sue mani si mossero inconsciamente a scompigliarsi i capelli. Sirius rise piano e alzò gli occhi al cielo. James sembrava pensare che scompigliarsi i capelli lo rendeva più affasciante, o qualche stupidaggine del genere. Personalmente, Sirius pensava che lo faceva sembrare come un idiota. Ma non lo disse: James veniva tormento da lui già abbastanza.

“Sì, certo. Non sapresti che cosa fare con una ragazza neanche se avesse la bocca aperta e le gambe spalancate.”

Sirius scrollò le spalle, facendo un altro tiro invece di rispondere. Onestamente, su quello James aveva completamente ragione. E James probabilmente lo sapeva anche. Ma loro non parlavano di quello.

Le sigarette erano quasi finite quando James parlò di nuovo. “Vai a casa a vedere Remus, eh?”

Sirius annuì, cercando di non pensare a come quelle domanda fosse correlata al precedente insulto di James. “Già.”

“Non l'hai più visto da quando...”

Sirius scosse la testa, con un dolore al petto che era alleviato solo dal fatto che avrebbe visto di nuovo Remus durante le vacanze estive. Doveva farlo. “No. Non da quella volta durante le vacanze do Pasqua. Ma adesso lo vedrò. Ho un sacco di tempo per provarci, e Walburga andrà anche in vacanza prima o poi per un'intera settimana. Almeno lo vedrò in quel periodo.”

James era stranamente silenzioso. Sirius pensò che forse non era un buon segno. Pensò di lanciargli un'occhiata veloce, solo per cercare di capire che cosa stesse pensando, ma poi decise di no e si concentrò invece sul fumare la sua sigaretta. Se James gli voleva chiedere qualcosa, l'avrebbe fatto e basta. Non era come Remus, che non aveva bisogno di dire niente perché Sirius lo capisse senza problemi.

“Quindi. Tu e Remus.”

Con calma, Sirius spense la sua sigaretta sul cemento sotto di lui. Arrotolò il resto del tabaccò tra le dita, guardandolo cadere a terra. Poi tolse il filtro dalla carta, strappandoli entrambi in mille pezzi finché non fu rimasto nulla. Fu solo allora che lasciò un piccola punta di panico crescere nel suo petto al pensiero di cosa James stesse implicando. James era una ragazzo intelligente. Aveva probabilmente dei sospetti da secoli. Il fatto che ne stesse parlando ora... Sirius prese un respiro. La voce di James non era sembrata crudele. Non era sembrata accusatoria. Ma quel panico nel petto di Sirius crebbe un po' di più, e si chiese se si era sbagliato a pensare che James sarebbe stato abbastanza suo amico da non odiarlo per quello.

“Cosa?” ringhiò Sirius. Si girò per guardare James, con gli occhi socchiusi e i pugni stretti, pronto per una rissa. “Qualche problema?”

James scosse la testa, ciccando la sigaretta di fronte a lui. “Nessun problema, sia in un modo che nell'altro. Non fa differenza per me. Ma noi siamo amici. Volevo saperlo.”

Sirius prese un respiro, poi un altro mentre lentamente rilassava i suoi pugni. Non poteva essere certo che James stesse dicendo la verità, ma ne era abbastanza sicuro. James era una brava persona, e se la prendeva solo contro quelli che se lo meritavano davvero, come Mocciosus e i suoi amici marci. Avrebbe potuto non reagire in modo orribile.

“Non... non ancora,” scelse finalmente di dire Sirius. Si tormentò le dita, con i nervi a fior di pelle. “Siamo solo amici. Ma. Io. Penso che io... mi piacerebbe.”

“Hey.” Una confortante, solida mano premette contro le spalle di Sirius. Lanciò un'occhiata a James per vedere che gli stava sorridendo, e anche se non in modo totalmente estatico, almeno genuino. “Va bene. Siamo amici. Pensavo che ci dicevamo tutto? Voglio dire, io ho straparlato di ragazze per gli ultimi quattro anni, il minimo che posso fare è ricambiare il favore e sentirti parlare con la bava alla bocca di qualche ragazzo.”

James gli rivolse un sorriso storto, e Sirius non poté fare a meno di sorridergli in risposta. La mano di James sulla sua spalla lo strinse una volta e poi lo lasciò andare, poggiandosi di nuovo sul grembo di James. “Beh? Abbiamo ancora...” lanciò un'occhiata al suo orologio. “Venti minuti prima di lanciare la più grande festa di fine anno che questa scuola abbia mai visto. Sputa il rospo.”

Sirius arrossì, pensando a tutto quello che avrebbe potuto dire su Remus. Si coprì la faccia, sorridendo come un pazzo al pensiero del suo sorriso, i suoi capelli, i suoi occhi. Il modo in cui sapevano sempre che cosa stesse pensando l'altro, che cosa stesse sentendo, quanto fossero fantastici i loro piani e giochi. Come fosse sentire le sue labbra contro quelle di Sirius, quella volta che si erano avvicinati a un vero bacio, prima ancora che Sirius sapesse cosa fossero, ma sapeva che qualsiasi cosa avessero appena fatto era stata fantastica. Come fosse perfetto Remus a confortare Sirius, oppure no, quando non lo voleva. Come Remus fosse intelligente e saggio e gentile. Come fosse la cosa più meravigliosa ad aver mai brillato sulla breve, oscura esistenza di Sirius.

“Lo amo,” sussurrò Sirius da dietro le mani. Con un sobbalzo, si accorse di cosa aveva appena detto. Non aveva mai detto quelle parole ad alta voce, non si era neanche mai permesso di pensarle. Ma era vero. Amava Remus. Lo amava così tanto che ogni minuto passato lontano da lui era come se la Terra fosse senza la Luna; persa e caotica, un vorticare di onde incontrollate e tempeste che infuriavano ovunque finché lui... si perdeva. Remus era tutto per Sirius. Lo amava.

“Cazzo, amico,” borbottò James. Si strofinò la testa imbarazzato. “Pensavo che avresti solo parlato di... non lo so, quanto sia fico il suo culo, o qualsiasi cosa piaccia alle checche.”

Sirius rise, una risata tremolante, nervosa. Fece cadere le mani dal suo viso e sbatté le palpebre per cacciare le lacrime che gli si erano formate negli occhi, lanciando a James un sorriso storto. “Beh, adesso che l'hai detto...”

James rise e gli diede un pugno forte sul braccio. Sirius si limitò a sbuffare, senza strofinarsi il braccio, anche se gli faceva un po' male.

“Ma, tu non... voglio dire, hai solo quindici anni. Io ho solo quindici anni. Lo pensi davvero?”

Non c'era nient'altro al mondo di cui Sirius era mai stato più certo, in effetti. Non aveva pensato a quelle parole per così tanto tempo, non si era lasciato mettere un etichetta a quello che Remus significava per lui, ma adesso che lo aveva fatto, Sirius era assolutamente sicuro di avere ragione. Amava Remus. Era un dato di fatto più incontestabile della velocità della luce, più brillante e solido nella mente di Sirius del sole nel cielo sopra di lui. “Sì,” rispose Sirius, assolutamente sicuro. “Sì. Lo so. L'ho saputo da sempre, solo che... non riuscivo a dirlo. Ma lo conosco da quando avevo sette anni, James. È più di metà della mia vita! Probabilmente sono stato innamorato di lui fin dalla prima volta che mi ha baciato quando avevamo nove anni. È solo che non sapevo che cosa volesse dire. Ma sì. Lo amo.”

James si stava tormentando le mani, stringendole e agitandole mentre considerava le parole di Sirius. Lui lo lasciò fare, aspettando che il suo amico formulasse una risposta. Era strano, lo sapeva. Era strano per lui: doveva esserlo altrettanto per James. Sembrava essersi bloccato alla parte del “ci siamo baciati a nove anni”, ma poi scrollò le spalle e si accontentò di dire: “Quindi non glielo hai detto? Lui lo sa?”

Lo stomaco di Sirius fece una curiosa giravolta quando pensò di dirlo a Remus, che Remus l'avrebbe saputo. Già gliel'aveva detto... in un certo senso. Lo aveva baciato l'ultima volta che erano stati insieme. Non era proprio sicuro di cosa stesse pensando – no, aspetta, lo sapeva. Aveva pensato che quella sarebbe potuto essere l'ultima volta che avrebbe visto Remus, e voleva essere certo di almeno fare qualcosa, di far capire a Remus tutta la quantità di emozioni che riusciva a far provare a Sirius.

Raccontò a James del bacio, e lui fischiò in una maniera appropriatamente ammirata. “Beh,” concluse, colpendo la coscia di Sirius con la mano, “sembra che tutto quello che sia rimasto da fare è dichiararsi, sposarsi, e avere un mucchio di piccoli... uh. Beh. Immagino non bambini. Cani? Gatti?”

Sirius rise per l'abilità di James di essere un tale geniale idiota. Alzando un braccio, cercò di catturare il collo di James in una morsa, solo per essere respinto quando James rispose all'attacco. Si dimenarono a terra per qualche minuto finché James non riuscì ad avere la meglio, e se ne vantò mettendosi a cavalcioni di Sirius ridendo e battendosi il petto con i pugni. L'unica risorsa di Sirius era di colpire inutilmente le cosce di James finché non si arrese e si sdraiò accettando la vittoria di James.

Quando finalmente arrivarono le tre del pomeriggio, i due ragazzi erano in piedi sul bordo dell'edifico, con entrambi un bordo del lenzuolo in mano mentre facevano insieme un conto alla rovescia. Mentre il prato sotto di loro si riempiva di studenti e insegnanti pronti per le vacanze estive, Sirius e James lasciarono andare i lenzuoli, facendo piovere coriandoli sopra tutto il campus. Risero e si diedero il cinque mentre guardavano gli altri studenti – e anche la maggior parte degli insegnanti – sorridere verso il cielo a godersi lo spirito della giornata.

Con un braccio intorno alle spalle di James, Sirius guardò lo spettacolo sotto di lui e, per una volta, se ne sentì parte anche lui. Sarebbe andato a casa da Remus, e gli avrebbe detto che lo amava, e che voleva stare insieme a lui. Mentre James gli stringeva il fianco per congratularsi di uno scherzo ben fatto, Sirius sorrise. Quella sarebbe stata la migliore estate di sempre.


 



N/T:
Ciao a tutti!
Quindi, mi sono accorta che l'anno sta davvero finendo (sono già passati quattro mesi??!!?), e ho realizzato che non avrei finito di pubblicare la storia prima del 2016 :o
Perciò, dalla prossima settimana aggiornerò tre volte, il lunedì, mercoledì, e venerdì. Prendetelo come il mio regalo di Natale per voi! (una sorta di scusa per l'angst dei prossimi capitoli...)

p.s.: Non riesco a credere che ci stiamo avvicinando alla fine... mi mancate già! :(


 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 24


 

Remus stava scrivendo degli appunti sul suo quaderno, disegnando dei piccoli scarabocchi e cancellandoli un momento dopo. Non alzava lo sguardo ad ogni più piccolo suono intorno a lui. Non più. Aveva speso fin troppe settimane a farlo – così a lungo e così spesso, che aveva addirittura sviluppato un tic al collo. No, adesso continuava solo a scrivere, e occasionalmente masticava il tappo della penna a sfera con cui stava scrivendo. Se Sirius fosse arrivato, Remus l'avrebbe saputo.

Il quaderno si era quasi completamente riempito a questo punto, ma Remus era riuscito ad allungarlo attaccando delle nuove pagine sul dietro. Non si chiudeva più davvero, ma andava bene. Finché non avesse finito le pagine del quaderno che gli aveva regalato Sirius, andava bene. Doveva solo... aveva bisogno di sentire il liscio avorio sotto il suo palmo, di poter tenere in mano qualcosa che gli aveva dato Sirius. Altrimenti l'enorme cratere nel suo petto sarebbe diventato troppo grande e avrebbe finito per inghiottirlo.

Finendo la storia che stava scrivendo, Remus poggiò il quaderno a terra accanto alla panchina. Adesso si permise di guardare, anche se sapeva che Sirius non sarebbe stato lì. Era pomeriggio tardi, quasi il crepuscolo, in realtà. Sirius non sarebbe venuto adesso, poteva venire solo a metà giornata, Remus lo sapeva. Ma non avrebbe potuto passare la notte qui, non stasera. Il giorno dopo sarebbe stato il primo giorno del sesto anno, e doveva provare a farsi una buona notte di sonno. Non pensava che ci sarebbe riuscito, si sarebbe chiesto se Sirius fosse riuscito a lasciargli un biglietto durante la sua ultima notte a casa prima di partire di nuovo per la sua scuola. Se Sirius c'era ancora, a casa. Se Sirius sarebbe mai tornato.

Strofinandosi il viso con le mani, Remus si sdraiò sulla panchina e guardò il cielo che continuava a scurirsi, e tutta la luce ne scivolava via come l'assenza di Sirius era riuscita a far scivolare via ogni luminosità dalla vita di Remus. Lily, essendo la dolce ragazza che era, aveva cercato di aiutarlo quell'estate. Lo aveva portato a dei picnic e gli aveva menzionato non così sottilmente che alcune delle sue amiche potevano essere interessate ad incontrare un dolce ragazzo studioso, se solo lui avesse pensato a mostrare qualche interesse. Remus l'aveva lasciata fare, trasportarlo in giro, ma fu tutto ciò che le lasciò fare. Gli faceva venire la nausea, ogni volta che pensava ad andare ad appuntamenti con delle ragazze. Sapeva che altri ragazzi della sua età lo facevano, ed era quello che ci si aspettava di lui. Ma comunque, neanche Sirius aveva mai mostrato nessun interesse del genere.

Ovviamente, era proprio quello il problema, non è vero? Sopra la sua testa, Remus guardava le stelle che iniziavano a fare capolino, una dopo l'altra. Da dove era sdraiato non riusciva a vedere la stella del cane. Non si mosse per cercare di vederla. Aveva fatto quell'errore le prime vacanze in cui Sirius non si era fatto vedere. Gli aveva solo fatto più male. Le stelle ricordavano a Remus di quella volta che si erano sdraiati insieme sulla spiaggia, scambiandosi miti e discutendo delle costellazioni sopra le loro teste. Gli facevano pensare a come Sirius si era messo sopra di lui, con il corpo così vicino, labbra così vicine. Il modo in cui Sirius lo aveva guardato... e qui c'era di nuovo quel problema. Remus era stato così certo che Sirius l'avrebbe baciato, e lui l'avrebbe lasciato fare, felicemente. In quel momento, gli era sembrata la cosa più naturale del mondo.

Così naturale, in effetti, che Remus aveva cercato di farlo, il più spesso possibile. Era stato il primo ad aver baciato l'aria intorno alle guance di Sirius quando lui l'aveva salvato dalla strega cattiva. Era stato Remus ad aver per primo dato un vero bacio sulla guancia di Sirius quando lui lo aveva salvato dall'alieno cattivo. Per un momento, Remus aveva pensato di essersi spinto troppo oltre. Aveva pensato che Sirius l'avrebbe colpito, gli avrebbe rivolto ogni sorta di terribile insulto come facevano una volta i ragazzi del suo quartiere e non avrebbe mai, mai più voluto vederlo di nuovo. Ma poi la faccia di Sirius si era illuminata e lui l'aveva incoraggiato, chiedendo a Remus di farlo di nuovo. Quindi Remus aveva pensato che sarebbe andato tutto bene.

Andava tutto così bene. Sirius continuava a fare giochi con Remus in cui uno dei due o entrambi dovevano dare dei baci alla fine, e Remus era felice di giocare fintantoché non doveva sempre fare la ragazza. Si erano anche quasi dati un vero bacio, quell'unica volta – un bacio come quello che aveva visto suo cugina Lauren dare al suo ragazzo un giorno nel retro del negozio. In realtà, era stata più una pomiciata. E Remus aveva pensato che avrebbero fatto quello dal quel momento in poi, e che sarebbe stato anche meglio. Ma Sirius si era un po' tirato indietro, e Remus non aveva spinto. Aveva sempre così paura di spingere Sirius un po' troppo velocemente, un po' troppo lontano, e si assicurava sempre di tirarsi indietro e accettare le sue decisioni. Il che, ovviamente, aveva portato al non baciarsi più in generale.

Orione era visibile nel cielo sopra di lui, riuscendo a superare appena la linea del muro davanti a lui. Remus sapeva che avrebbe dovuto alzarsi in piedi e forse anche camminare un po' per vedere la stella del cane. Rimase sdraiato sulla schiena, tracciando le costellazioni con la mente. Quando Sirius aveva detto che non pensava che avrebbero dovuto più giocare come delle ragazze, il cuore di Remus si era spezzato, solo un po'. Sirius doveva averlo capito, grazie a James o qualcuno degli altri ragazzi del suo collegio: i ragazzi non si baciavano per gioco con altri ragazzi. Remus aveva pensato che sarebbero andati avanti così per sempre. Peccato che Sirius aveva ritrovato il suo senno da solo.

Ma poi... Distrattamente, Remus si portò una mano alla bocca, toccandosi gli angoli con le dita. Sirius lo aveva baciato. Sirius – non Siria – aveva baciato lui – non Remusa. L'ultima volta che Remus l'aveva visto, Sirius lo aveva spinto verso di lui, con le sue dita che accarezzavano quelle di Remus, il suo corpo forte e solido contro la figura più ossuta di Remus. E lo aveva baciato, solo per un secondo, ma era stato reale e c'era stato ed erano entrambi stati loro stessi. Remus aveva pensato che Sirius avesse finalmente, finalmente realizzato quello che Remus sapeva da quando aveva dodici anni e aveva iniziato a fare dei sogni su Sirius: che loro potevano stare insieme, che potevano baciarsi e pomiciare e fare altre cose essendo loro stessi, e andava bene.

Ma poi Sirius se n'era andato. E Remus non l'aveva più rivisto da allora.

Facendo cadere la mano dalla sua bocca, Remus tambureggiò distrattamente con le dita sul suo petto. Faceva ancora male, non avere Sirius lì con lui. Sapeva che sarebbe stato difficile per Sirius riuscire a venire durante le varie vacanze, sicuramente. Era per quello che Remus continuava a cercare di convincerlo a restare a scuola per quei periodi: c'erano troppi rischi, e Sirius doveva soffrire per Walburga durante quel tempo in cui avrebbe potuto essere libero da lei. Remus aveva sempre odiato il pensiero di essere il responsabile per qualsiasi sofferenza non necessaria che Sirius dovesse sopportare durante le vacanze.

Remus aveva spiegato la situazione a Lily, in un certo senso. Aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che ascoltasse il suo cervello andare a tutta velocità e lo aiutasse ad evitare dei passi falsi. Di solito quella persona era Sirius, ma ovviamente in quel caso non era un'opzione. Quindi aveva detto a Lily che il suo amico di penna aveva smesso di scrivergli, e che tutte le sue lettere rimanevano senza risposta. All'inizio, Lily gli aveva suggerito delle cose a cui Remus aveva già pensato: si era trasferito, sua madre non gli permetteva più di scrivergli (entrambe delle possibilità, vista la recente realizzazione di Walburga che stava succedendo qualcosa nella vita di Sirius su cui lei non aveva il completo controllo).

Ma dopo altre due pause di metà semestre senza notizie di Sirius, Remus aveva deciso di spiegare a Lily qualcosa in più. Gli aveva detto di come quando erano piccoli erano soliti scriversi delle storie in cui si baciavano con loro come personaggi, e come Remus fosse in qualche modo interessato a continuare quel comportamento. Di come Sirius l'aveva lasciato, finendo la sua lettera con dei baci anche se non c'era nessuna storia, nessuno di loro stava facendo la ragazza. Lily – dopo aver superato il fatto di quanto pensava l'intera cosa fosse adorabile – era stata in disaccordo con le paure di Remus secondo le quali Sirius stava avendo una qualche sorta di crisi sessuale. Come aveva detto lei:

“Voi due avete iniziato ad avere problemi con la madre di 'Felpato', giusto? Quindi lui sapeva che forse non sarebbe più riuscito a scriverti, e aveva bisogno che tu sapessi quello che provava per te. Era la sua confessione in punto di morte – oh, brutta scelta di parole, scusa. Ma quello era il suo modo di dirti esattamente come si sentiva davvero. Voleva essere sicuro che tu lo sapessi. Nel caso che non riuscisse più a scriverti.”

Il petto di Remus a quello aveva solo fatto più male. Sapendo – secondo Lily – che anche Sirius lo voleva, che era pronto a provarci con lui, come ragazzi, a fare questa cosa reale, adulta, rendeva solo la sua perdita molto più tragica. Remus si strofinò di nuovo il petto con la mano. Voleva solo che smettesse di far male tutto il tempo.

Era del tutto notte adesso. Non una punta di grigio nel cielo, e i grilli cantavano come un sistema d'allarme di qualche tipo: tutti ansiosi e veloci, come erano solo i grilli estivi. Sospirando, Remus si sforzò di sedersi. Non avrebbe fatto di quella panchina un letto come le così tante notti di quest'ultima estate. Ma aveva ancora un modo per comunicare con Sirius, nella lontana possibilità che lui riuscisse a sgattaiolare fin qui prima che iniziasse il semestre.

Strappando un pagina che aveva scritto in precedenza dal suo quaderno, Remus si chinò per attaccarla sotto la panchina, proprio accanto all'incisione che avevano scoperto anni prima. Gentilmente Remus tracciò con le dita i due nomi in fondo all'incisione. Sapeva che erano amanti, anche allora. Aveva pensato che forse anche Sirius l'aveva capito, giudicando il modo in cui il suo sguardo si alternava cautamente dalla scritta a Remus stesso. Sembrava come se Sirius stesse cercando di mettere le cose insieme, di forzare due pezzi di puzzle insieme anche se non erano proprio giusti. Ma Remus l'aveva saputo fin dal primo momento. Quei due che avevano fatto quell'incisione chissà quanti millenni prima erano stati amanti, ed erano stati come Remus e Sirius. Forse non erano entrambi ragazzi – forse potevano anche essere tutte e due ragazze! - ma erano due persone fatte per stare insieme, che avevano bisogno di un piccolo aiuto da questo Mondo, qualunque fosse.

Solo che adesso il Mondo non era abbastanza per portare Sirius e Remus insieme. Walburga era in qualche modo riuscita a sconfiggere anche la sua antica magia.

Remus premette un bacio pieno di lacrime sul foglio prima di attaccarlo. Poi si raddrizzò, si spolverò lo sporco dalle ginocchia, e iniziò a tornare alla sua porta. Se Sirius fosse tornato, avrebbe trovato il biglietto – Remus ne era sicuro. E se non l'avesse fatto... Remus sarebbe ancora stato qui. Sarebbe sempre stato qui, ad aspettare il ritorno di Sirius.

Sirius,

Ti sto ancora aspettando. Passerò la notte qui il primo e il penultimo giorno di ogni vacanza: pausa di metà semestre, vacanze di Pasqua, di Natale, estive, eccetera. Passerò sempre la notte qui in quei giorni, aspettandoti, quindi ci sarò anche la mattina del secondo e dell'ultimo giorno. Vieni in quei giorni, se vedi questo biglietto. Se puoi. Ti aspetterò.

Con amore,

Remus


 



N/T:

Mi dispiace...


 

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 25


 

Sirius,

Mi chiedo sei hai mai visto le foglie cambiare colore nel nostro Mondo. Adesso lo stanno facendo, per me, ma se tu vedevi dei cipressi e sempreverdi dove io vedo querce e aceri, forse non hai mai visto i colori dell'autunno qui con me. I boschi non contano – i boschi sono fuori dai confini.

È la pausa di metà semestre d'autunno, adesso. L'ultimo giorno. Devo andare via tra solo un paio d'ore, ma tornerò quando sarà finito il semestre, e di nuovo alle vacanze di Natale. Il primo e il penultimo giorno, come sempre. Ho barato e ho passato due interi giorni qui, invece di solo un giorno e una mattina. È solo che non riesco a sopportare il pensiero che potrei mancarti.

Mamma e papà probabilmente pensano che vado a letto con Lily quando passo la notte qui. È piuttosto orribile quanto siano lontani dalla verità – e quanta speranza vedo che hanno per me e Lily. Penso che mamma l'abbia capito secoli fa, e stia solo sperando di essersi sbagliata. Credo che anche papà lo sospetti, ma non vuole ammetterlo finché non lo faccio io. Non penso che se la prenderebbero troppo, davvero. La prenderebbero meglio di molti altri, sicuramente. È solo che non mi va molto di pensarci senza te intorno. Non mi va di fare un granché senza te intorno.

Sta diventando troppo lungo. Scusa. Non lo leggerai neanche, ma-

Troppo lungo. Ci vediamo,

Con amore,

Remus
 

Appoggiandosi sui talloni, Remus si pulì le mani sui pantaloni, strofinando via lo sporco del sotto della panchina, dove aveva attaccato la sua nuova lettera. Dopo un momento di contemplazione si tirò su, ispezionando il loro Mondo con occhi stanchi. Aveva tutto un aspetto così piacevole, con arancioni e rossi e gialli che illuminavano gli alberi tutto intorno a lui, foglie cadute incastrate tra le muschiose, scure pietre impilate insieme vicine. Remus incurvò le spalle. La fresca brezza autunnale ora gli sembrava solo fredda, non frizzante, non eccitante.

“Due giorni fa era il mio compleanno,” annunciò Remus all'aria vuota. Sospirò, facendo passare una mano tra le sue fulve, disordinate ciocche di capelli, mentre si sedeva sulla panchina. Fece attenzione a lasciare il posto accanto a lui, alla sua destra, libero.

“Lily ha deciso di organizzarmi una piccola festicciola – lo so, lo so, ma tu sai che non è così tra lei e me, Sirius.” Remus sorrise. Qualche volta menzionava il nome di Lily di proposito, solo per vedere come Sirius avrebbe reagito. L'aveva sempre fatto sorridere dentro di sé, vedere la faccia di Sirius scurirsi e la gelosia andargli alla testa. Remus si era preoccupato di James, quando Sirius gli aveva parlato per la prima volta del suo migliore amico. Era stato prima ancora che sapesse davvero di essere geloso o, in realtà, che quell'emozione di tristezza e rabbia mischiate che sentiva si chiamasse gelosia. L'aveva capito abbastanza presto – e placato le sue paure altrettanto velocemente. Anche se Sirius stesso non lo sapeva, non proprio, Remus sapeva che a lui non piaceva James nello stesso in cui gli piaceva Remus.

La brezza si alzò di nuovo, più sferzante stavolta. Era ora di andare, molto presto. Remus voleva solo prendersi un altro po' di tempo, aspettare solo un altro po' per Sirius. Giusto in caso. Mancarlo di un'ora per poi scoprire mesi dopo che se avesse solo aspettato un po' più a lungo avrebbe potuto placare la sua costante, spaventosa incertezza, sarebbe stato troppo doloroso. “Non era una cosa molto affollata, puoi immaginarlo. Lily ha invitato alcune delle sua amiche, e alcuni ragazzi della nostra classe che non mi danno fastidio.”

Alcuni ragazzi. Più che altro tre ragazzi. Erano gli unici tre della sua classe che non prendevano di mira Remus: Peter, perché era quasi più patetico di Remus, e i gemelli Prewett, che erano i fratelli maggiori di una delle amiche di Lily. Gideon e Fabian erano dei bravi ragazzi, senza dubbio – e anche piuttosto belli, anche se i gusti di Remus protendevano più per i capelli scuri che rossi – ma non si sarebbero neanche scomodati a tenere d'occhio Remus se Molly non li avesse costretti a farlo.

Quello lasciava fuori tutti gli altri. Tutti gli altri ragazzi del quartiere che erano determinati a rendere la vita di Remus la più dura e crudele possibile. Remus aveva pensato che forse, solo forse, le prese in giro e i bulli si sarebbero calmati un po' negli ultimi anni del liceo. Ma no: un po' di maturità era troppo da chiedere agli altri ragazzi. In effetti-

“-sono peggiorati ultimamente, se riesci a crederci,” disse Remus all'assente Sirius. “Non so perché.” Quella era una bugia, o almeno non tutta la verità. Remus non sapeva esattamente perché i ragazzi avevano iniziato a prenderlo di mira anche più di prima, ma aveva ristretto le sue ipotesi a una o due probabili ragioni. “E come dice Holmes,” borbottò Remus, “una volta eliminato l'impossibile...” Strofinò tra di loro le punta delle sua dita, socchiudendo gli occhi alle rovine immerse in una luce sempre più debole.

“Due possibilità, okay? Tu mi dici quali pensi che sia.” Il suo cuore gli si strinse nel petto mentre Remus immaginava fare la sua stretta di mano con Sirius. La loro stretta speciale. “La prima: sanno che non potranno prendersela con me ancora per molto e quindi se la godono finché dura.” Remus fece una pausa, immaginando Sirius sbuffare e dire qualcosa che era solo un complimento nascosto, come “Sanno che saranno bloccati in quello stesso quartiere per il resto delle loro vite, mentre tu te ne andrai tra due anni, a fare il cervellone all'università.” Remus trattenne il respiro. Avrebbero dovuto essere coinquilini all'università.

“La seconda,” esalò Remus, prima di mettersi a pensare di più a quell'opportunità quasi certamente sfumata, “Hanno capito che cosa sono.”

Il silenzio riempiva l'aria. La brezza frusciava tra gli alberi, soffiava tra le rovine, facendo svolazzare polvere e terra e premendo le sue dita sulle pietre coperte di muschio, troppo pesanti per lei da spostare. Adesso Sirius avrebbe detto qualcosa del tipo “E che cosa saresti, Remus? Assolutamente geniale? Troppo intelligente per sprecare il tuo tempo con quegli idioti?” o forse anche “Un gran bel pezzo d'uomo?” Remus si strozzò con la sua lingua, e qualcosa come un mezzo singhiozzo, mezza risata gli scappò dalla gola.

La brezza si fermò, le rovine si immobilizzarono, e Remus lasciò che il silenzio si trascinasse. “Sai,” disse finalmente nel silenzio, “sono sorpreso che non l'abbiano capito prima. O forse l'hanno fatto, ma inconsciamente. Come se potessero... come se potessero sentirne l'odore.” Sentire il tuo odore su di me, gli sibilò il suo sleale cervello. Ma ovviamente non era colpa di Sirius. Remus non avrebbe mai dato la colpa a Sirius del motivo per cui lui era sbagliato. Era probabilmente sbagliato fin da prima di incontrare Sirius.

Però, Sirius non era sbagliato, e Remus era sicuro – forse, probabilmente - che Sirius era come lui. Quindi. Non poteva pensare di essere sbagliato se non pensava che lo fosse anche Sirius. Questo è quello che avrebbe insistito Sirius, comunque.

“Credo che abbiano capito cosa sono i froci in questo ultimo paio d'anni, e hanno deciso che io ne sono uno. Quindi adesso hanno una buona ragione per odiarmi.”

Non è una buona ragione!” Gli gridò il suo Sirius mentale.

“Hanno una ragione concreta per prendersela con me,” si corresse Remus, anche se lo faceva per Sirius, non per se stesso.

“Scommetto che tu non lasceresti che quei ragazzi ti dessero fastidio,” sussurrò Remus.

La luce era più fioca adesso, e viola e blu scuro e grigio avevano sostituito i brillanti arancioni e gialli. Stava scendendo il tramonto, come un velo davanti gli occhi di Remus. Ogni cosa intorno a lui era più netta, ma non proprio: più chiara ma più difficile di prima da distinguere. Remus amava quando il loro Mondo diventava così. Così tanti addii tra Remus e Sirius erano avvenuti a quest'ora, completi di baci moglie-marito e saluti affettuosi e promesse di tornare a casa presto, e Remus non poteva evitare di sentire un calore e una felicità dentro di sé quando questa luce avvolgeva il loro mondo.

Qualcosa di affilato si rigirò nel petto di Remus mentre pensava a Sirius, che arrivava coraggiosamente a salvarlo da tutti i ragazzi crudeli. Le litanie di “frocio, “finocchio”, “femminuccia”, e “checca” sarebbero risuonate a vuoto mentre Sirius avrebbe preso Remus, detto qualcosa di orribilmente crudele ai ragazzi, e lo avrebbe portato via.

Quando erano molto, molto giovani, Remus era solito immaginarsi questa scena molto spesso. Poi, mano a mano che Remus conosceva meglio Sirius e lui si faceva sfuggire qualcuno degli orrori della sua vita domestica – perché Remus sapeva che era sempre un incidente, quando Sirius menzionava Walburga e la sua crudeltà; non voleva mai che Remus sapesse davvero fino a che punto si spingeva il male dietro la sua porta – le fantasie di Remus si rivoltarono. Non era più Sirius ad arrivare per spaventare i ragazzi cattivi e salvare Remus; no, crescendo, era Remus a fare l'eroe, a portare via Sirius con un piccolo zaino da quell'orribile strega che risiedeva appena dietro la sua porta. Ma adesso... adesso Remus voleva solo che Sirius tornasse e lo confortasse, anche se Sirius non sapeva che lo stava facendo.

Remus fece una pausa, stringendosi attorno la giacca di tweed che suo padre gli aveva passato. Il vento aveva iniziato a soffiare più forte – non una tempesta, più come un gentile promemoria che si stava facendo tardi, che la luce del sole stava diminuendo. Era decisamente calato dietro l'orizzonte, ed era quasi arrivata l'ora in cui avrebbe dovuto raccogliere le sue cose e tornare a casa, di nuovo. Era quasi ora di dire addio al loro Mondo per un altra metà semestre; quasi ora di iniziare a pregare che Sirius avrebbe trovato il modo di tornare da Remus la prossima volta.

O, e fu questa la preghiera altruista che Remus pronunciò, anche se gli faceva molto, molto male: pregare che Sirius avesse trovato un modo per andarsene, per andarsene via da Walburga per sempre, e l'aveva fatto senza pensarci due volte. Non era quella la preghiera che Remus voleva fare, ma sapeva che era quella giusta da fare.

“È più facile parlare con te adesso, sai,” disse Remus dopo un pausa. La sua bocca si stese in un amaro sorriso. “Non che sia mai stato difficile. Eri la persona con cui era più facile parlare, davvero. In tutto il mondo. Ma con te... preferivo che fossi tu a parlare. Sembrava che tu te la passassi molto peggio di me, con tua mamma. Almeno io avevo i miei genitori, e loro mi hanno sempre amato.”

Il vento soffiò deciso, trasportando via le parole di Remus: “Io ti avrei amato. Ti ho amato. Ti amo ancora.” Le sue lacrime furono asciugate via dal vento.

Era troppo tardi quando Remus se ne andò, dopo aver attaccato il suo biglietto nello stesso posto di sempre. Le stelle stavano iniziando a fare capolino. La stella del cane era ancora troppo bassa nel cielo per essere vista.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

Capitolo 26


 

Il regalo impacchettato con carta colorata aveva un aspetto quasi deprimente nella fioca luce dell'alba della mattina di Natale. Remus guardò il fiocco in cima al regalo, che svolazzava tristemente in quel poco di brezza che si era fatta strada attraverso le rovine fino alla loro panchina. Remus tirò gentilmente il fiocco verso destra, raddrizzandolo. Ricadde a sinistra un momento dopo. Remus sospirò.

“Buon Natale,” borbottò Remus, stringendosi il grosso cappotto di lana di suo padre intorno al corpo. “Sono sicuro che lo stai odiando, come al solito.” Nel corso degli anni, Remus era stato affascinato nel sentire i racconti delle festività versione-incubo di Sirius. Dessert che non erano dolci o caldi, ma riempiti di frutta e senza sapore. Parenti con cui eri a malapena imparentato che ti dicevano cose crudeli e ti davano regali che avresti odiato proprio perché li avresti odiati. Mettersi in tiro dentro rigidi, orribili vestiti ed essere portato in giro come una qualche sorta di trofeo. Dover stare attento ad ogni singolo suono che ti usciva dalla bocca, od affrontare la furia di Walburga. Qualche volta la casa di Sirius sembrava come la terra dell'opposto a un giovane, ingenuo Remus.

Remus era ferito dal fatto che quest'anno non avrebbe potuto portare un po' d'allegria al Natale di Sirius, come lo zucchero a velo che la mamma spolverava sui pasticcini per i clienti. A quel pensiero, lo stomaco di Remus brontolò, ricordandogli che non gli mancava molto tempo da passare qui. Non sarebbe dovuto venire oggi, davvero - non era il primo o il penultimo giorno delle vacanze, e la sua famiglia si stava probabilmente chiedendo che fine avesse fatto.

“Ho una storia per te,” annunciò Remus all'aria frizzante. “Quindi ascolta, perché te la racconterò solo una volta prima di rientrare.” Il tempo poteva anche essere sempre un po' più clemente nel loro Mondo – o almeno meno piovoso e deprimente – ma era comunque metà dicembre.

“Io e la mia famiglia, viviamo sopra il negozio, no?” Remus sentiva il bisogno di dirlo a Sirius, anche se lui non sembrava dimenticarsi neanche il più piccolo dettaglio che Remus si faceva scivolare sulla sua vita. Gli piaceva immaginare che fosse perché Sirius stava immagazzinando tutti i piccoli fatti e le differenze, proprio come faceva Remus con lui. “E ti ho detto, la prima volta che ci siamo incontrati, che mi stavo nascondendo dal rumore del negozio e dai clienti e cose così, no?”

Remus sorrise e incrociò le braccia sul petto. “Ho mentito,” bisbigliò per fare più effetto. Immaginò che Sirius avrebbe fatto finta di essere scioccato, ma non lo sarebbe stato davvero. Per quanto Sirius avesse la zucca dura quando si trattava di loro due, non era stupido. Alla fine doveva aver fatto due più due sui problemi di Remus con gli altri ragazzi, di sicuro.

“Mi stavo nascondendo da alcuni ragazzi del quartiere vicino al nostro. Ci eravamo appena trasferiti un po' più a sud, e sembrava che qualsiasi cosa facessi mi metteva al centro dell'attenzione. Il mio accento era troppo del nord,” Remus cadde brevemente nel suo pesante accento, come faceva solo quando passava le vacanze con la famiglia che viveva su a nord: “È solo un po' scozzese.” Le labbra di Remus si tesero in un sorriso, sentendole muoversi intorno alle vocali nel modo giusto. “Il mio accento era troppo del nord, i miei vestiti erano riciclati invece che comprati al negozio, e vivevo dove lavorava mio papà, invece che nel complesso di abitazioni.”

Interrompendosi, Remus aggiustò di nuovo il fiocco. Di nuovo, quello cadde di lato. Remus gli lanciò un'occhiataccia mentre si stringeva le braccia intorno al corpo. “Non so se sapevano di me, del vero me, già allora. Probabilmente pensavano solo che ero un secchione, il che,” Remus ridacchiò,”Sì, lo so: sorpresa, ero un secchione. Scioccante.”

“Comunque, stavo scappando da loro. Mi avevano trovato, alla fontana al centro del quartiere. Stavo leggendo,” Remus scosse la testa, “mi ricordo ancora che cosa stavo leggendo, non è assurdo? Beh, stavo leggendo Il Giardino Segreto. Avevo finito la saga di Narnia secoli prima, e stavo cercando un altro libro con mondi segreti e nascondigli e... Qualsiasi libro dove i bambini scappavano: da qualunque parte, in qualsiasi modo. Il Giardino Segreto era molto diverso, ovviamente, ma non lo so, io lo sentivo uguale. Più o meno come il film Scanner Darkly mi da la stessa sensazione inquietante di un sacco di storie di Poe, come Il Cuore Rivelatore, anche se è del tutto diverso.”

Abbassandosi, Remus strattonò una pietra incastrata nel terreno, rialzandosi quando riuscì finalmente a tirarla fuori dalla dura terra e a tenerla in mano. Era ovale, liscia, sarebbe andata bene per rimbalzare sull'acqua se fosse stata più piccola. Si chiese come l'azione sarebbe sembrata a Sirius, che vedeva il pavimento sotto i loro piedi come dei blocchi di liscio marmo perfettamente rettangolare. Sarebbe stato un angolo di mattonella rotto, per lui? O forse solo una pietra normale che si era andata a incastrare in un punto dove non c'erano più i blocchi di marmo? Avevano passato quasi tutto di quel poco tempo che gli era rimasto insieme ad essere spaventati del fatto che vedevano il Mondo in modo diverso, che non si erano dati la pena di esplorarne la fisica e le regole, come avevano fatto con le loro Porte che non gli permettevano il passaggio.

“Hanno iniziato a tirarmi delle pietre,” meditò Remus, rigirandosi la pietra nella mano, spazzando via la terra che ci si era attaccata con delle dita che quasi non sentiva più. Sarebbe dovuto andarsene presto. “Non pietre,” si corresse Remus, “Non c'è ragione di essere drammatici. Dei ciottoli. Mi stavano lanciando dei ciottoli, cercando di farmi reagire. Aveva iniziato a fare male, quindi ho cercato di farli smettere, ma non l'hanno fatto.” Remus fece una smorfia ricordando quanto fosse stato patetico: chiedendo agli altri ragazzi di fermarsi, poi iniziando a correre quando loro si erano limitati a ridere e a tormentarlo ancora di più. Però, neanche gli altri ragazzi avevano mostrato il loro lato migliore, quel giorno.

“Quindi sono scappato. Sono corso al negozio di papà, ma visto che è un negozio, loro potevano entrare.” Si interruppe, riflettendo sulle sue decisioni di quel giorno. Non per la prima volta, pensò che forse il Mondo lo aveva chiamato. “Non so perché non sono corso di sopra, in camera mia,” mormorò. “Non mi avrebbero potuto seguire lassù. Forse stavo pensando a come mi avevano preso in giro perché la nostra casa era come il negozio, e non volevo dargli ragione, anche se già lo sapevano.” O forse era stato il Mondo. Dopotutto, lui e Sirius l'avevano scoperto lo stesso giorno, entro la stessa ora. Remus non si sarebbe sorpreso se avesse mai scoperto che lui e Sirius avevano aperto le loro Porte ed erano entrati nel Mondo nello stesso esatto secondo, in perfetta sincronia l'uno con l'altro. Sembrava che concordasse con la logica di quel posto.

“Quella porta non era mai stata lì prima. Non l'avevo mai vista. Eppure: eccola lì. Non ho pensato che era strano. Che cavolo, non ho neanche pensato a Narnia o niente del genere solo fino a dopo. Sembrava solo un posto sicuro in cui andare. Sapevo che era un posto sicuro in cui andare. Così sono entrato.” Silenzioso e piccolo e nascosto: questo era quello che Remus aveva imparato ad essere; quello che aveva imparato per essere al sicuro. “Non sono mai stato rumoroso, né estroverto o coraggioso come mio papà. O come te,” Remus sorrise al regalo sulla panchina, come se Sirius fosse seduto lì tenendolo sul grembo. “Ma ero ancora più silenzioso da quando gli altri ragazzi avevano iniziato a prendersela con me. Ho imparato in fretta come non fare rumore, farmi piccolo, farmi notare il meno possibile.”

Quello stupido fiocco non voleva restare al suo posto. Remus considerò di strapparlo via completamente, poi decise di lasciarlo. Non poteva lasciare il regalo di Sirius senza un fiocco.

“Così quando mi hai notato...” Remus rabbrividì, ma con un sorriso sul volto. Rabbrividì ricordandosi com'era stato prima di Sirius. Era così abituato che le attenzioni ricevute dagli altri ragazzi fossero brutte, e dolorose, che quando Sirius aveva tirato quella pietra dall'altra parte del muro e aveva colpito Remus in testa, lui aveva sentito una travolgente sensazione di orrore. “Questo era solo un altro posto, ho pensato,” disse Remus ad alta voce. “Un altro posto in cui mi avrebbero spinto a terra, e altri ragazzi mi avrebbero tormentato. Ho pensato, solo forse, che se facevo finta di essere un duro da subito, forse saresti stato tu quello ad avere paura.”

Remus si era arrampicato sulla pila di detriti per cercare di guardare attraverso il buco nel muro, per provare a sembrare più grande e intimidatorio di tutti i ragazzi che lo stessero aspettando dall'altro lato del muro. Solo che non erano tanti ragazzi: era solo uno. E quel ragazzo non lo stava aspettando: era lì proprio come Remus, sbirciava attraverso il buco nello stesso modo.

“Per questo ho pensato che non eri come uno di loro,” rifletté Remus. Scosse la testa, sorridendo mestamente. “Voglio dire, non so se già lo sapevo in quel momento. Non avevo capito un granché allora.” Del perché gli altri ragazzi lo prendessero in giro, del perché sembrasse attirare i bulli come un magnete. Gli ci erano voluti qualche anni per capirlo – anche se sembrava averlo capito comunque molto prima di Sirius. Remus fece un sorrisetto. Sirius poteva aver una gran bel testa dura, quando si trattava di certe cose. Era una delle sue qualità più tenere (anche se ogni cosa riguardo Sirius era tenera, grazie allo sguardo appannato di amore di Remus).

“Fu qualcosa di istintivo,” continuò Remus, ripensando a uno dei migliori giorni della sua vita, il giorno in cui aveva incontrato Sirius. “Eri salito sulle pietre come me, per guardare attraverso il buco proprio come avevo fatto io. Stavi cercando di sembrare più grande di quello che eri, ma tenendo una solida parete di pietra tra te e la potenziale minaccia. I tuoi occhi...” il sorriso scivolò via dal viso di Remus. “Mi ci sono voluti dei secoli per capirlo. Ma comunque, non so se tu l'abbia mai capito. Mi fidavo di te perché i tuoi occhi erano come i miei. Avevi dietro di te una vita in cui avevi cercato di farti il più piccolo possibile, di nasconderti, di voler contrattaccare ma non potere perché eri troppo piccolo e spaventato, e avevi la terrificante consapevolezza di non poter fare niente per cambiare la tua situazione, c'era tutto questo, dietro i tuoi occhi. Erano di un diverso colore, una forma di versa, ma dietro avevano le stesse cose che c'erano nei miei.

“Tu mi hai notato, ma io ti ho davvero notato, ho notato che eravamo... non lo so, 'spiriti affini', per mancanza di una parola meno sdolcinata,” borbottò Remus. “E poi sei tornato. Hai mantenuto la tua promessa e sei venuto il giorno dopo.” Delle lacrime calde riempirono gli occhi di Remus, mentre il dolore tingeva quelle dolci memorie. “Tu sapevi quanto era stato importante, o perlomeno per te era importante che io fossi tornatoi. Ma, oh. Sirius.” Remus si mise il viso tra le mani, premendo i palmi contro gli occhi. Era ormai mattina tardi. Doveva andarsene. Sirius non sarebbe venuto, e Remus doveva tornare dalla sua famiglia, e al Natale.

Senza sollevare la testa dalle mani o aprire gli occhi, Remus bisbigliò: “Eri sempre così spaventato che non sarei tornato. Che non avevo bisogno di te tanto quanto tu ne avevi di me.” Remus emise un respiro strozzato. “Sirius,” mugolò. “Avevo bisogno di te- così tanto, non l'hai mai saputo, non avresti mai potuto capire...”

Un vento iniziò ad alzarsi da chissà dove, sollevando il cappotto di Remus e mandando dei brividi lungo tutto il suo corpo. Senza un'altra parola di girò bruscamente dalla panchina e si affrettò lungo la strada per la sua porta. Non guardò indietro verso il regalo, o il suo stupido fiocco storto.



 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World



Capitolo 27


 

“Allora, i miei hanno capito che Lily non è la mia ragazza, e che non lo sarà mai,” iniziò Remus quel giorno. Rise, cercando di immaginarsi la reazione di Sirius. L'avrebbe capito, quello che intendeva Remus? Ma sì, certo che l'avrebbe fatto. Sirius capiva sempre quello che voleva dire Remus. Poi sarebbe stato felice, avrebbe riso con Remus lanciandogli un braccio intorno alla schiena (o forse una manifestazione di felicità più intima...)? O sarebbe stato spaventato, scioccato, preoccupato per la reazione dei genitori di Remus? Di certo i genitori di Sirius non l'avrebbero mai presa così bene come quelli di Remus, quindi la reazione istintiva di Sirius, a causa delle sue esperienze, sarebbe potuta essere quella di aggrapparsi a Remus e avvicinarlo a sé, gli occhi grigi spalancati e spaventati per la sicurezza di Remus.

Ad essere sinceri, era lui stesso ancora un po' sconvolto di quanto fosse andata bene la conversazione. Un giorno, dopo aver accompagnato Lily a casa (anche se Lily aveva insistito per essere lei ad accompagnare Remus a casa, visto che sembrava proteggerlo più lei che viceversa), era andato in cucina per uno spuntino e aveva trovato sua madre seduta al tavolo, ad aspettarlo.

Mamma? C'è qualcosa che non va?”

La madre di Remus sospirò, aggiustandosi delicatamente il maglioncino. “Remus, caro, penso che dobbiamo parlare. Di Lily.”

Remus rise e scosse la testa. “Mamma, te l'ho già detto...”

Lei non è la tua ragazza,” finì sua madre per lui. Sorrise, solo un po' triste, prima di dire: “Sì, caro. Lo sappiamo. E io penso... io e tuo padre ti amiamo. Qualsiasi cosa succeda. Questa Lily: non sarà mai la tua ragazza, non è vero?”

Oh. Il primo, infantile istinto di Remus fu quello di scappare a nascondersi, di farsi il più piccolo e silenzioso possibile finché sua madre avesse smesso di guardarlo con quei tristi, consapevoli occhi. Era di nuovo come con i ragazzi, quei ragazzi che l'avevano capito molto tempo prima che c'era qualcosa di sbagliato in Remus, che avevano capito che non sarebbe mai diventato un uomo come un giorno sarebbero stati loro.

Ma poi Remus si era ricordato che quella era sua madre, non quei ragazzi. E pensò a Sirius, di come l'aveva baciato quell'unica volta prima di andarsene in quella fredda notte d'inverno. Solo per un minuto, Remus riusciva ad immaginarsi Sirius nella stanza insieme a lui, a tenergli la mano. Diede a Remus la forza di non nascondersi, di non rendersi piccolo e silenzioso.

Sì, mamma.” La voce di Remus era bassa, ma riuscì a mantenerla ferma mentre faceva fuoriuscire le parole. “Le ragazze non fanno per me.”

CI fu una lunga pausa mentre sua madre fissava giù verso la superficie del tavolo, tracciando leggermente con i polpastrelli gli intrecci nel vecchio legno. Finalmente premette giù l'intera mano, allargando le dita sempre di più finché il suo palmo non toccò piatto la superficie. Poi alzò lo sguardo e sorrise rigidamente. “D'accordo allora,” disse. “Volevamo solo esserne sicuri.”

Remus annuì, un migliaio di domande che gli riempivano la testa ma era troppo spaventato per chiedere. Anche suo padre lo sapeva? L'avrebbe accettato? A sua madre andava davvero bene, o la rabbia e il risentimento sarebbero dilagati senza parlarne, alla buona vecchia maniera inglese? Ma, no. Remus sapeva che sua madre era meglio di così. Era sincera quando gli aveva detto che lo amava ancora, qualsiasi cosa sarebbe successa. E suo padre... se suo padre non avesse accettato la cosa, glielo avrebbe fatta accettare sua madre. Ma avrebbe anche potuto non avere problemi. Alla fine. Non lo stava picchiando a sangue, perlomeno, anche se non era presente per quell'ovviamente programmata conversazione.

Forse sarebbe andato tutto bene.

Remus emise uno sbuffo ed inclinò indietro la testa, guardando la chioma di boccioli in fioritura sopra la sua testa. Rise, lasciando il capo piegato in quel modo, chiudendo gli occhi contro la calda luce primaverile. “Non riesco a credere che non gli importi. Beh, gli importa, ma non così tanto. Non abbastanza da sbattermi fuori di casa o cercare di aggiustarmi.”

Remus inclinò lentamente la testa in avanti mentre pensava a dove sarebbe potuto essere Sirius: se era ancora bloccato con Walburga per più di un altro anno prima di fare diciotto anni, o se era in qualche modo riuscito a scappare, andare via, ed era per quello che non era più tornato.

Si chiese se Sirius fosse stato costretto a sopportare una conversazione del genere con i suoi genitori. Non sarebbe potuta andare tanto bene quanto quella di Remus. Sarebbe andata nel modo peggiore possibile.

“Spero che tu sia al sicuro,” mormorò Remus. Il suo umore allegro si era in qualche modo smorzato, e Remus si lasciò cadere pesantemente sulla panchina. “Spero che Walburga non l'abbia mai scoperto. E se l'ha fatto, spero che tu sia scappato.”

Dopo una pausa, Remus rise di se stesso.

“Perché lo sei, lo sei totalmente, spero davvero che tu l'abbia capito a questo punto, cocciuto idiota,” lo prese in giro Remus.

Sirius non aveva mai davvero fatto capire a Remus che sapeva di essere gay, anche se nella mente di Remus non c'era quasi nessun dubbio che lo fossero entrambi. Quel bacio... quell'ultimo bacio, proprio prima che Sirius se ne andasse per sempre: quello sembrava indicare che Sirius sapesse che cosa era, chi voleva. Ma Remus non poteva mai essere sicuro con Sirius.

“Sai, quando mi hai chiesto dei sogni erotici quando avevamo dodici anni, ho pensato che tu l'avessi capito,” disse Remus all'aria vuota. Le sue mani erano unite morbidamente di fonte a lui mentre fissava le rovine davanti a sé, rifiutandosi ostinatamente di guardare il posto vuoto accanto a lui. “Ho pensato che l'avessi intuito, come me. Ma sembrava di no. La prima volta...” Anche se stava parlando al vuoto, Remus sentì lo stesso la sua faccia andare a fuoco per l'imbarazzo. Però, se non poteva parlarne adesso, quando avrebbe potuto farlo?

Prendendo un respiro, Remus continuò. “La prima volta che mi sono svegliato, tutto bagnato e con una strana sensazione, mi sono ricordato del sogno. Era su di te. Più o meno. Tu eri più grande, e lo ero anch'io.” Un bocciolo rosa fluttuò fino a posarsi sulle lisce pietre di fronte a lui. “Tu eri sopra di me. Caldo e... bagnato.” Inclinandosi in avanti, Remus raccolse il bocciolo dalla pietra e lo tenne delicatamente tra le sue dita. “Penso di essere stato attratto da te anche da prima di quello. Voglio dire, sapevo di esserlo, è solo che non so se sapevo di saperlo...” La voce di Remus si affievolì, e la sua bocca si inclinò beffardamente per la sua stessa ingenuità. “Sai cosa voglio dire,” finì.

“Pensavo che me l'avresti detto allora. Che tu eri... lo sai.” Remus staccò un singolo petalo dal bocciolo. “Te l'avrei detto se tu l'avessi detto a me. Era quello che pensavo stesse succedendo: tu mi stavi per dire di essere... in quel modo, e io ti avrei detto che lo ero anch'io, e poi-”

Remus si interruppe, ripensando a quel giorno. Il suo cuore stava andando in mille direzioni diverse e faceva centinaia di battiti al minuto. Era stato spaventato, e felice, ed eccitato, e oh talmente nervoso. Per essere onesto con se stesso, quando aveva finalmente capito che Sirius non stava ammettendo le sue inclinazioni sessuali, ma solo che le cose avevano cominciato a scuotersi, l'emozione principale di Remus era stata di sollievo. “Probabilmente non eravamo ancora pronti,” concesse Remus. “Eravamo così giovani, avevamo un'idea troppo confusa su quello che stava succedendo, e avremmo solo mandato tutto all'aria, gli avremmo dato solo una mezza possibilità.” Strappò un altro petalo dal fiore e lo lasciò cadere a terra. “Era la cosa migliore che tu non l'avessi capito da solo, in quel momento.”

La parte razionale di Remus sapeva di avere ragione, che la sua ipotesi sulla maturità sua e di Sirius era esatta. Ma un'altra parte di Remus, la parte di lui che era stata irrimediabilmente innamorata di Sirius fin da quando avevano otto anni, aveva sperato che qualcosa succedesse quel giorno. Aveva fantasticato su come le cose sarebbero potute andare diversamente se Sirius avesse realizzato che cosa – o meglio, chi – aveva sognato. Remus l'aveva sognato ad occhi aperti molte volte, quando era annoiato in classe o nascosto sul tetto della scuola mentre gli altri ragazzi correvano in giro per l'edificio, cercano cose da colpire, su cosa sarebbe potuto succedere quel giorno.

Forse Sirius gli avrebbe chiesto se era interessato ai ragazzi. Oppure si sarebbe inventato una qualche scusa per stare sul sicuro, del tipo che tutti i loro giochi gli avevano confuso il cervello riguardo a chi avrebbe dovuto baciare. Nelle sua fantasie più audaci, sarebbe stato Remus ad iniziare, a dire a Sirius che aveva avuto gli stessi sogni, solo che erano riguardo a dei ragazzi. Poi avrebbe aspettato, senza fiato, e gli occhi di Sirius si sarebbero spalancati e l'avrebbe realizzato o ammesso di corsa la stessa cosa.

E poi ci sarebbero stati dei timidi baci mentre le loro canne da pesca sarebbero state abbandonate sulla sabbia. E poi forse i baci sarebbero diventati qualcosa di più ardito, e avrebbero usato la lingua. Poi avrebbero passato tutto il giorno sdraiati sulla sabbia, a baciarsi e baciarsi e baciarsi finché le loro labbra non avrebbero fatto troppo male e avrebbero dovuto accontentarsi di restare abbracciati, sentendo la pelle calda dell'altro dove era esposta, sui loro colli, polsi e caviglie.

Remus arrossì. Aveva fantasticato su molto più di quello in anni più recenti, ma quando aveva dodici anni quei sogni ad occhi aperti gli erano sembrati sia la cosa più scandalosa del mondo sia la più sicura e rassicurante.

Le fantasie erano iniziate anche da prima di allora, prima ancora che sapesse cosa fossero le fantasie. “Ti ricordi quando siamo andati a guardare le stelle insieme?” chiese Remus. “Mi hai fatto vedere la tua stella e mi hai citato l'Iliade.” Remus sorrise, cambiando argomento solo per un attimo: “Non centra niente, ma hai idea di quanto fosse impressionante, ogni volta che lo facevi? Mettersi a parlare una lingua morta come se fosse la tua madre lingua?” Remus sospirò nostalgico. “Ero così geloso di te – non proprio geloso, solo ammirato. Volevo quel tipo di educazione così tanto, e tu la davi per scontata. Non che io abbia mai pensato che tu non meritassi il meglio, perché te lo meriti, Sirius: ti meriti tutto il meglio del mondo per quello che la tua famiglia ti ha fatto passare. Era solo... era fantastico.”

Prendendo un respiro, Remus sussurrò: Te quoque, Amyclide, posuisset in aethere Phoebus, / tristia si spatium ponendi fata dedissent. / qua licet, aeternus tamen es, quotiensque repellit / ver hiemem, Piscique Aries succedit aquoso, / tu totiens oreris viridique in caespite flores.” Le dita di Remus giocherellarono di nuovo con il bocciolo, lasciando cadere i petali strappati a terra. Iniziò a lisciare le rimanenti parti del fiore tra la punta delle dita. “Lo scorso anno ho trovato un libro sui miti greci nascosto in fondo alla libreria. Ho pianto quando ho letto questo,” ammise piano. “Non penso che tu allora sapessi che erano amanti. Non penso che tu sappia certe cose. Ma l'hai scelto lo stesso, hai lo stesso riconosciuto qualcosa di noi là, e questo-”

Perché così tanto di quello che Sirius aveva fatto adesso gli faceva così male? Remus posò con attenzione il bocciolo nel centro del suo palmo e lo appiattì con l'altro. Tenne le sue mani così mentre continuava a parlare. “E poi stavamo guardando le stelle, e io ho pensato che forse mi avresti baciato. Penso che fosse la prima volta che ci ho pensato. Ma non è stata una qualche grande, radicale realizzazione. Era solo quello che mi sembrava naturale fare: solo sollevarmi e baciarti. Saremmo stati nascosti dal resto del mondo dalle setose pareti ondulate che formavano i tuoi capelli cadendo giù, sfiorandomi la guancia...” Remus rise, scuotendo la testa mestamente. “Penserai che sono la persona più sdolcinata del mondo, non è vero? Beh, ho imparato dal migliore.”

Allungando indietro la testa, Remus stiracchiò il collo, con le mani che ancora schiacciavano il bocciolo. Finalmente si alzò, sospirando leggermente al cielo. “Devo andare,” borbottò. Girandosi verso la panchina, prese con delicatezza il bocciolo tra le dita. Era riuscito ad appiattirlo fino a farlo diventare una stella rosa a cinque punte. Lo mise sulla panchina – dalla sua parte, non quella di Sirius – poggiandosi sopra un ciottolo piatto. Guardò verso il lato della panchina di Sirius, mettendosi le mani in tasca. “Non tornerò fino a quest'estate. Facciamo un viaggio di famiglia la prossima vacanza. Ma farò in modo di passare qui più tempo possibile, durante quest'estate.”

Si accigliò. Sarebbe stata l'ultima estate che avrebbe sicuramente passato qui. Il prossimo anno, avrebbe dovuto fare i piani per l'università, e iniziare a cercare un appartamento, e trasferirsi. Non aveva idea di quanto tempo sarebbe riuscito a trovare per indugiare in desideri infantili come questo.

“Leggere qui non è diverso che leggere al negozio – meglio, anche, visto che sto all'aria aperta.”

Forzando un sorriso sul volto, Remus annuì verso la panchina. “Okay. Bene. Quindi. Tornerò tra qualche mese.”

Girandosi esitante, Remus lanciò un ultimo sguardo alla panchina. Velocemente, premette le sua dita alle labbra, poi sulla panchina. Sorrise, con gli occhi solo un po' umidi. “Amore. Tornerò. Quest'estate.” Con quello, Remus si sbrigò a tornare alla sua Porta prima che potesse cambiare idea.


 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 




Capitolo 28


 

I mondi che creiamo da bambini sono tanto reali quanto lo era il nostro Mondo, con altrettanti costumi e leggi apparentemente arbitrari. I ragazzi del quartiere erano uno schema definito, rigido sulla scelta dei suoi membri. Se non vivevi nel complesso di abitazioni, eri diverso, e non andavi bene. Non importava se non vivevi nel quartiere perché eri troppo ricco o troppo povero. Da un parte o dall'altra, sia che fossi migliore o peggiore, non andavi bene. Perché eri diverso.

Ovviamente, una volta che tutte le tue diversità si sommavano, allora eri nei guai. Avere una diversità ti rende parte di un gruppo di emarginati. Se non eri un ragazzo del complesso, allori eri un ragazzo che non lo era. C'era un gruppo per te. Ma se poi avevi qualcosa che ti rendeva diverso da quel gruppo, dovevi trovartene un altro. E un altro ancora. Finché non avevi abbastanza diversità sommate da essere solo. Completamente solo.

E allora dovevi imparare diverse cose. Per esempio, dovevi imparare come farti piccolo. Piccolo, e silenzioso come una mosca. Qualcosa che non ho imparato era che non era abbastanza, essere silenzioso. Silenzioso, piccolo, fuori dai piedi: quello era giusto abbastanza per farti notare, davvero. Non potevi semplicemente stare fuori dai piedi di tutti: dovevi fare in modo che gli altri non ti volessero. Quando ero piccolo non avevo quell'abilità. Non ce l'ho neanche adesso, ad essere sincero.

L'altra cosa che devi imparare quando sei tutto solo è come farti i tuoi amici. E non voglio dire imparare ad essere socievole. Voglio dire creare i tuoi mondi, disegnare le regole e giochi da fare, con cartine geografiche, città e linguaggi. Forse io ho giocato nel modo sbagliato – non ho mai potuto capirlo, visto che la ragione per cui creavo il mio mondo personale era la stessa ragione per cui non potevo giocare con gli altri bambini e scoprire come giocavano. Ma per me ha funzionato. Forse è stato sbagliato, forse era troppo elaborato e c'erano troppe regole. Ma almeno una persona pensava che andava bene. Almeno una persona giocava nel modo giusto.

Quella è stata probabilmente la prima cosa che mi ha fatto innamorare di lui.
 

“Ti nascondi di nuovo?”

Velocemente – ma non così veloce da far notare il gesto – Remus chiuse il suo quaderno con la copertina d'avorio infilando la penna a sfera nel bordo. Le labbra rosa di Lily sorrisero al movimento, ma non disse niente. Non subito, almeno.

Mentre Lily si sistemava la gonna sotto le gambe per sedersi, Remus sorrise rivolto al quaderno. “Cerco di trovare un po' di pace e silenzio,” la punzecchiò. “Impossibile averne insieme a te e alle ragazze.”

Lily si spostò in modo sdegnoso i lunghi capelli rossi dietro la spalla, rivolgendo a Remus un suono di disapprovazione. “Io e le ragazze siamo l'unica cosa tra te e i Carrow e i Dolohov.”

Remus fece una smorfia, non contento di essere ricordato che Lily era la sua protettrice là fuori. Non solo era un colpo alla sua mascolinità – anche se probabilmente Lily gli avrebbe dato un pugno sul braccio se lo avesse mai detto ad alta voce – ma era così diverso da come si era immaginato essere protetto da bambino. Era sempre Sirius a proteggerlo, Sirius a fermare i bulli, o almeno erano loro due ad affrontare gli altri ragazzi insieme, trovando conforto l'uno nell'altro. Non Lily.

“Anche i gemelli fanno la loro parte,” osservò Remus.

Lily alzò gli occhi al cielo. “Ai gemelli neanche importerebbe se non glielo chiedesse Molly. Perciò, se l'adorabile posizione del tuo naso sulla tua faccia continua a rimanere tale è grazie a me e le ragazze. Di niente.”

Appoggiandosi con la schiena al muro dietro di lui, Remus stirò il collo da lato a lato, sciogliendo le contratture che si erano formate scrivendo. Sospirò, lanciando un'occhiata al lato dell'edificio alla parte di terreno che riusciva a vedere. Era passata solo un'ora dalla fine delle lezioni, quindi c'era ancora un po' di gente che girava: studenti che finivano attività o le stavano per cominciare, studenti che si stavano solo godendo quella giornata di prima estate non-così-fredda-e-piovosa. Remus non avrebbe ancora rischiato.

“Niente da Felpato, immagino?” chiese Lily dopo un lungo momento di silenzio.

Remus scosse la testa, tracciando leggermente con la mano gli intarsi d'avorio della copertina del suo quaderno. Niente da Felpato. E non pensava che sarebbe mai arrivato niente. Anche se aveva ancora un anno di scuola prima di partire per l'università, Remus aveva abbandonato le speranze di rivedere Sirius prima di allora. Le loro fantasie di prendere un appartamento insieme, andare all'università insieme e forse qualcosa di più... (anche se forse quelle fantasie erano state solo nella testa di Remus) stavano dimostrando di essere solo quello: fantasie. Fantasie infantili che non si sarebbero mai avverate. Come l'avrebbero programmato, comunque? Sirius avrebbe finito per andare in una delle più famose università del paese: Oxford o Cambridge, dovunque la sua famiglie avesse più contatti. Forse anche St. Andrews, da qualche parte su a nord. E non era come Remus, che anche con i suoi voti alti e test attitudinali e gli esami del terzo anno (che non aveva ancora finito, ma non c'era davvero nessun dubbio. Remus poteva essere insicuro su un sacco di cose, ma conosceva la sua mente e i risultati che avrebbero avuto i suoi test) forse non sarebbe riuscito ad entrare in quel genere di posti. Succedeva, una volta ogni tanto, ma soldi, potere, e connessioni familiari contavano ancora fin troppo.

E anche se fosse riuscito ad entrare, forse non sarebbe riuscito ad ottenere la borsa di studio che gli serviva. Poteva sempre provare a trovarsi un lavoro, lavorare di notte e andare all'università, ma non era sicuro di quanto sarebbe riuscito a fare lavorando quelle ore. Contava su quei soldi per pagarsi i viveri.

Ovviamente, se avesse condiviso un appartamento con Sirius, non se ne sarebbe dovuto preoccupare così tanto.

“Sai che non se ne sarebbe andato se non avesse dovuto. Non ti avrebbe abbandonato.”

Qualcosa di indescrivibilmente doloroso artigliò lo stomaco di Remus quando le parole di Lily lo raggiunsero. Le sue dita si strinsero intorno al quaderno sul suo grembo. Volevo stringercisi intorno, abbracciarlo e perdersi dentro di esso. Forse lo avrebbe fatto quella sera quando sarebbe tornato a casa. Non sarebbe stato troppo fuori dall'ordinario per lui, visto che quasi ogni notte dormiva con il quaderno sotto il cuscino o anche nelle braccia.

“È solo colpa di quella sua orribile madre-”

“Lily,” si sforzò di dire Remus. La sua voce non era ferma, ma quasi. Andava abbastanza bene, considerando come il suo petto si sentiva come se stesse per scoppiare e rovesciare tutti i suoi sentimenti per Sirius sul tetto della scuola. Immaginò che se un giorno si fosse veramente spezzato in due, sarebbe stato quello che avrebbero trovato dentro di lui: Sirius. Pensieri su di lui, immagini di lui, memorie che consistevano interamente nei grandi occhi di Remus che lo fissavano, lo fissavano e basta, assorbendo ogni cosa, che fosse il modo in cui il corpo di Sirius si muoveva e i suoi occhi ridevano e come suonava la sua voce, insieme sonora e impertinente quando stavano battendo il loro ultimo nemico e morbida e dolce quando parlavano piano sotto le stelle.

“Posso tornare a casa da solo oggi,” riuscì finalmente a dire.

Lily si irrigidì. Con la coda dell'occhio, Remus poté vederla allungare il collo per guardare dall'altra parte del tetto rispetto a dove erano seduti. Scosse la testa con veemenza. “No, Remus, non essere stupido. Gli allenamenti di rugby sono quasi finiti. Andiamocene adesso-”

“Lily.” Questa volta, la voce di Remus era più ferma. Era fiero di se stesso. “Vai e basta. Starò bene.” Gli serviva solo un po' di tempo da solo, lontano da Lily e i suoi occhi comprensivi.

Dopo qualche minuto di occhiate per indurgli il senso di colpa, che Remus riuscì con successo ad ignorare, Lily si alzò e si spolverò freddamente la gonna. “Non fare niente di stupido, Remus, caro.”

Remus si agitò accanto a Lily, con gli occhi che gli bruciavano per il vezzeggiativo. Sirius lo diceva qualche volta, quando giocavano alla casa. “Remusa cara,” o “Remusa amore”. La sillaba extra dopo il suo nome non aveva mai dato fastidio a Remus. Era bravo ad immaginarsi cose per stare meglio, e immaginava sempre che Sirius stesse dicendo quelle cose a Remus, non Remusa. Le parole “Remus caro,” e “Remus amore,” sussurrate nella sua testa nelle buie ore della notte riuscivano sempre a rendere il suo sonno più facile.

Dopo un altro momento di sguardo di attesa, i passi di Lily iniziarono finalmente ad allontanarsi da Remus, trasportandola attraverso la stanza e fino all'uscita. Non sbatté la porta dietro di sé, ma era come se l'avesse fatto. Remus sopirò e poggiò la testa sul muro dietro di lui, deglutendo i suoi sentimenti confusi.

Non ho mai condiviso la mia storia preferita con Sirius. È di Bradbury, si chiama Statue. Non ho potuto raccontartela, perché quando l'ho trovata tu avevi già iniziato a sparire. L'ho letta quando te ne sei andato, dopo l'ultima volta che ci siamo visti durante le vacanze di Natale. E quando sei tornato, avevo così paura di perderti

Avevo così paura, ed eravamo così impegnati ad aggiornarci, che non ho neanche pensato a raccontarglielo. Di come Bradbury conosceva esattamente come mi sentivo, conosceva tutto sulle mie paure che lui mi lasciasse da solo.

E adesso l'hai fatto, e-

Continuo a cambiare la persona a cui mi sto riferendo. Penseresti che mi sia entrato qualcosa in testa sulla scrittura dopo tutti quei libri, huh? Oh beh.

Flettendo le dita, Remus chiuse il quaderno e si strofinò gli occhi. Lanciò un'occhiata a lato dell'edificio. La folla di studenti era un po' diminuita, adesso. Non vedeva nessuno al campo di rugby, e neanche nessun gruppo di ragazzi sudati dall'allenamento. Sarebbe dovuto essere abbastanza sicuro tornare a casa.

Ovviamente Remus fece un errore. Faceva sempre degli errori con gli altri ragazzi. Era così che era iniziato tutto in primo luogo: la sua incapacità di fare la cosa giusta, dire la cosa giusta, camminare nel modo giusto.

Remus si tenne stretto al suo zaino e corse. Non poteva semplicemente gettarlo a terra e andare via. Non quando al suo interno c'era il quaderno che Sirius gli aveva regalato. Quindi lo strinse sotto il braccio e corse e corse corse. Gli altri ragazzi lo raggiunsero velocemente, i loro sghignazzi sempre più forti ad ogni passo.

Quando lo presero Remus lasciò cadere lo zaino e si rifiutò di prestargli alcuna attenzione. Il suo corpo sarebbe guarito. Il quaderno di Sirius era insostituibile.


 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 




Capitolo 29


 

Fissando la mappa nelle sue mani, Remus si chiese come diavolo fosse possibile che non si fossero accorti prima di vedere il Mondo in modo diverso. Avrebbe dovuto essere ovvio dalla differenza tra le due parti della mappa: la metà di Sirius era crudamente decorata con colonne doriche e quelle che erano ovviamente ville romane, mentre quella di Remus aveva l'aspetto più rustico (e nella sua mente, più magico) delle antiche strutture celtiche. Avevano solo nove anni quando avevano fatto la mappa, quindi poteva per una parte attribuire la mancanza di osservazione del se stesso bambino al fatto che a quel tempo non sapeva niente sui differenti stili di architetture.

Sorridendo leggermente, Remus girò il foglio di carta dall'altro lato: la nuova mappa. Aveva iniziato a farla lungo il corso dell'ultimo anno e mezzo mentre aspettava Sirius, come un modo per distrarsi da... tutto. Il fatto di avere un progetto a cui lavorare lo aveva aiutato soprattuto nel corso di quella lunga estate. Ovviamente, le sue abilità di cartografo erano migliorate da quando aveva nove anni. E aveva anche imparato di più sui diversi tipi di materiali che poteva usare. Ora, per esempio, aveva messo un foglio di pergamena sopra la mappa base. La mappa base rappresentava il modo in cui lui vedeva il mondo: con tutti gli edifici a stile celtico e i bagni e il resto. Molte forme rotonde, in realtà. Il foglio superiore era lo stesso mondo, ma nel modo in cui Sirius glielo aveva descritto quell'unica volta. Colonne romane, e bagni, e architravi. Molte forme rettangolari e dritte. Remus pensava che in quel modo sembrasse molto più noioso, ma Sirius aveva sembrato preferirlo.

La bocca di Remus si piegò in un sorriso al ricordo, prima di fermarsi e sentire di nuovo dolore. Era difficile ricordare qualsiasi cosa su Sirius senza sentire una schiacciante ondata di tristezza.

La mappa, però, era buona. Costringeva Remus ad un lavoro che richiedeva appena abbastanza della sua concentrazione per smettere di pensare a Sirius mentre lo aspettava, ma non troppa da rovinarsi se avesse finito per fermarsi a fissare nel vuoto per ore mentre ripensava alla volta che Sirius lo aveva salvato dalla Strega Cattiva in quel punto, o quando Remus aveva battuto miserabilmente Sirius a costruire i castelli di sabbia in quell'altro punto.

Remus sorrise di nuovo, guardando la mappa. Sirius era sempre stato rumoroso e sfacciato, pronto a prendere il comando contro il mostro cattivo della settimana, ma rendeva sempre partecipe anche Remus. Perché era Remus quello con i piani: riusciva a costruire castelli di sabbia o battere Sirius a Marco Polo o programmare la loro prossima avventura. Quando erano piccoli, Remus aveva sempre aspettato di scoprire quale fosse la fregatura: che Sirius realizzasse che lui era il ragazzo più grande, quello più rumoroso, e avrebbe spinto Remus a terra e preso il controllo dei loro giochi. Ma non lo aveva mai fatto. In effetti, Sirius faceva sempre di tutto per assicurarsi che fossero sempre pari su tutto, come il numero di volte in cui facevano la ragazza, o i piani di chi avrebbero usato quel giorno. Sirius era fantastico in quello.

Alternando lo sguardo tra le due mappe per qualche minuto, Remus cercò di vedere se ci fosse qualcos'altro che avrebbe potuto aggiungere. Se non ci fosse stato, avrebbe dovuto trovare qualche nuovo progetto a cui lavorare. Sicuramente non sarebbe rimasto seduto lì con niente da fare mentre aspettava che Sirius tornasse. Avrebbe solo finito per scoppiare in lacrime – letteralmente. E Remus era già arrivato vicino alle lacrime e pianto davvero per l'assenza di Sirius abbastanza da durargli per una vita intera.

Fissando la mappa, Remus premette un dito sul disegno del muro dietro il quale era seduto proprio in quel momento. Lo aveva fatto in modo così dettagliato da aggiungere anche il buco. Dopotutto, era stato attraverso quel muro che aveva incontrato Sirius per la prima volta: un ragazzo con occhi tempestosi e capelli scuri, che guardava Remus come se fosse stato sul punto di fare qualcosa di terribile, e Sirius avrebbe dovuto combattere contro di lui e mordere e graffiare per salvarsi. Remus era stato un po' spaventato dalla luce quasi selvaggia nei suoi occhi, ma simultaneamente qualcosa dentro di lui era scattato. Qualcosa che gli aveva detto che dentro quel ragazzo c'era qualcosa di esattamente uguale a quello che c'era dentro di lui. Erano simili, non importava quanto sembrassero diversi. Uno portava il nome di una stella, gli veniva ordinato di essere obbediente ma tirava sempre la corda, anche quando il carro al quale era attaccato lo trascinava su rocce tagliente e il bordo della strada. Quel ragazzo non voleva fare altro che consumarsi i denti finché non avesse strappato la corda, e correre ed essere libero, i capelli neri come la notte che volavano dietro di lui. L'altro ragazzo, Remus stesso, era proprio l'opposto: capelli come il sole, occhi luminosi come il pigro cielo del pomeriggio. Veniva da genitori che lo incoraggiavano a parlare, ad essere avventuroso, a correre e giocare e rompere tutto le regole e conquistare ogni cosa di fronte a lui, inclusi quei ragazzi che si sforzavano tanto per spegnere il sole negli occhi di Remus... Ma qualche volta lui voleva solo raggomitolarsi accanto a qualcuno e leggere i suoi libri, e lasciare che qualcun altro fosse quello avventuroso mentre lui programmava tutto in anticipo.

Era per quello che avevano funzionato. Per quello Remus aveva sentito qualcosa dentro di lui scivolare al suo posto nel momento in cui aveva visto Sirius. Era un amico con cui Remus poteva stare senza sentirsi a disagio, senza aver paura che l'altro facesse un disastro o rovinasse le cose. Sirius era assolutamente pronto a seguire il comando di Remus, fintantoché il comando di Remus facesse in modo che fosse Sirius quello in controllo. Per quanto contraddittorio e strano suonasse, quello era esattamente ciò che Remus aveva bisogno in un amico. Funzionavano, insieme. Funzionavano meglio di chiunque altro Remus avesse mai incontrato.

D'impulso, Remus prese la sua penna e scrisse sulla sua versione della mappa 1° incontro, 1968, proprio accanto al buco nel muro. Mentre la sua penna segnava l'ultimo numero, d'improvviso Remus si sentì obbligato a scrivere tutto. Ogni singolo posto sulla mappa che aveva un significato, che per qualsiasi ragione era importante per lui.

Sulla spiaggia Remus disegnò due piccole linee nella sabbia, ai lati di dove la strada scompariva. Scrisse Fortezza di Re Sirius da un lato e Fortezza di Re Remus dall'altro, datandole 1969. Sulla casa della piscina scrisse Primo bacio, 1969. Alla sua porta: Provato a Scappare, 1970. Si accigliò e toccò la pagina, delicatamente, ricordando tutto il dolore e l'orrore che aveva provato e si era riflettuto un migliaio di volte più forte in Sirius quel giorno. Avrebbe dovuto provarci di più, pensò, quando era piccolo. Avrebbe dovuto cercare un modo di salvare Sirius, di portarlo via da Walburga e quell'ambiente ovviamente abusivo. Ma Remus non aveva mai davvero pensato... una nausea bruciante gli avvolgeva lo stomaco solo a pensarci. Non aveva mai pensato che Walburga avesse fatto qualcosa di così drammatico come far davvero del male a Sirius, ma. Non poteva esserne sicuro, con quello che sapeva di quella pazza.

La porta di Sirius fu datata Partito per il Collegio, 1971. La spiaggia aveva una sfilza di memorie speciali, da Sconfitti i Gambariani (1969), a Guardare le Stelle, Quasi Bacio (1969). Remus inclinò la testa verso la mappa e sorrise, un sorriso piccolo, segreto. Si erano baciati un sacco nel 1969. Era stato un buon anno per lui. Ovviamente, il 1971 era stato l'anno del grande bacio, il bacio da collegio. E nel 1972 c'era stato il bacio da Spalla Slogata. Remus era stato così turbato, non aveva saputo che cos'altro fare a parte baciare e baciare Sirius finché il dolore non fosse diminuito, almeno un pochino. Stupido, stupido Sirius, sempre a cercare di mettersi in mostra. Remus scosse la testa rivolto al foglio, mentre le lacrime gli premevano sugli occhi. Okay. Mise giù il foglio. Quello era esattamente quello che stava cercando di evitare: pensare troppo a Sirius, sentire tutto quel dolore crescere di nuovo dentro di lui. Era passato quasi più di un anno e mezzo da quando aveva visto Sirius per l'ultima volta, e non sembrava che il dolore lo avrebbe lasciato andare molto presto.

Lily pensava che fosse un grande sdolcinato e che avesse solo bisogno di una buona pomiciata. Ma Remus lo sapeva. Sirius era perfetto per lui – si era rovinato per qualsiasi altro. Aveva solo bisogno che Sirius tornasse nella sua vita. E quello era il perché continuava a tornare, continuava a controllare il sotto della panchina per vedere se Sirius aveva scritto qualcosa sul suo biglietto o attaccato lui stesso qualcosa. E Remus avrebbe continuato a venire, avrebbe continuato ad aspettare Sirius per tutto il tempo che avrebbe potuto. Anche se il suo orologio mentale stava ticchettando inesorabilmente verso Partire per l'Università, tra poco meno di un anno, adesso. Se tutto andava secondo i piani.


 



N/T:

Ciao e Buon Natale a tutti! Spero che stiate passando una buona giornata e non affogando nei parenti come me!
Una piccola nota che forse vi farà piacere: restano solo altri tre capitoli dal POV di Remus (e quindi di angst D:), poi si tornerà a Sirius!
Beh, detto questo, tornate pure ai vostri regali e agli infiniti pranzi! (io sto letteralmente rotolando)

Alla prossima!



 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 


 

 

Capitolo 30


 

L'acqua della piscina era ancora gelata, ma Remus la trovava in qualche modo rinfrescante in quella tiepida giornata primaverile. Il sole splendeva ed era appena abbastanza caldo da giustificare l'acqua fredda intorno ai suoi piedi, pensò Remus. Diede dei leggeri calci nell'acqua appoggiandosi indietro sulle mani, inclinando la testa verso l'alto per guardare con occhi socchiusi il sole che brillava sulla piscina.

“Stavi tremando la prima volta che abbiamo giocato a Marco Polo. Te lo ricordi?”

Remus chiuse gli occhi mentre riviveva il ricordo nella sua mente. Il corpo di Sirius, bagnato e freddo sotto la punta delle sue dita, e poi il suo torso nudo quando si era avvicinato. I suoi muscoli guizzavano sotto la pelle, piccoli brividi di nervosità, anticipazione, o forse paura che si spargevano da lui a Remus. Non aveva avuto molto senso per Remus a quel tempo, o forse aveva avuto perfettamente senso. Entrambe le opzioni erano plausibili, quando pensava a come si era sentito in quel momento. Sirius non si sarebbe dovuto sentire nervoso, o spaventato da lui, o qualsiasi cosa del genere – Remus lo sapeva, per quanto giovani fossero. Però, Remus aveva sentito una sorta di potere quel giorno alla piscina, un potere su Sirius che non sarebbe mai riuscito a mettere in parole allora.

In un certo senso, stava seducendo Sirius. E Sirius aveva risposto positivamente alle attenzioni. Remus non l'aveva capito a quel tempi, e avrebbe scommesso i suoi risparmi di una vita (ben mille sterline, nascoste al sicuro sotto il suo materasso) che neanche Sirius l'aveva capito.

La volta seguente che avevano giocato nella piscina, avevano giocato agli astronauti. E oh. Era stato fantastico. Le labbra di Remus si inclinarono in un sorriso al ricordo, e si mosse, solo un po', dal punto in cui era poggiata la sua schiena. La sua mente stava pensando a come Sirius avrebbe potuto reagire a delle avance del genere ora, ora che erano entrambi molto più grandi e avrebbero nuotato insieme nella piscina solo in mutande. Remus si mosse di nuovo quando il suo corpo rispose lievemente all'immagine.

“Anche se sapevo che era diverso, quello che stavamo facendo, non lo sentivo diverso,” rifletté Remus. “Sapevo che non avrei mai potuto fare la stessa cosa con gli altri ragazzi: fare quel genere di giochi in cui eravamo Remusa e Siria. Ma non lo sentivo sbagliato. Non lo sentivo innaturale.” Quelle parole avevano il sapore della cenere sulla lingua di Remus. Le aveva sentite un sacco di volte dagli altri ragazzi, e dai genitori degli altri ragazzi. Nessuno di loro sapeva specificatamente di Remus, ma c'erano abbastanza chiacchiere riguardo altri uomini, che a quanto pare facevano cortei per Londra e sbandieravano la loro sessualità e “stili di vita alternativi”.

Ma non era così che Remus lo sentiva. Non sentiva che lui e Sirius stessero facendo gli “oppositori”, o sfidando la moralità moderna e facendo qualche sorta di grande affermazione sulla loro sessualità e libertà eccetera. Erano solo... loro stessi. L'uno con l'altro. Erano Remus e Sirius, e a Remus e Sirius capitava semplicemente di baciarsi in fredde piscine durante calde giornate d'estate. A Remus e Sirius capitava semplicemente di toccarsi di più quando erano felici, di tenersi stretti e cercare conforto fisico quando erano tristi. Era solo quello che facevano – non era un manifesto politico. Non era un dibattito filosofico o sull'evoluzione. Era solo... Erano solo loro.

“Sai qual era il mio gioco preferito, però?” Remus sorrise. “Scommetto che neanche te lo ricordi, perché non era uno dei tuoi. Orchi e hobbit.”

Era una tiepida giornata di primavera, proprio come questa, quando Remus aveva suggerito quel gioco. L'aria aveva perfino lo stesso odore – era probabilmente quello il motivo per cui era venuto in mente a Remus in quel momento. Aveva finito di leggere Tolkien durante quell'estate e stava cercando di forzare Sirius a finirlo tutto. Sirius era solo riuscito a finire La Compagnia dell'Anello durante le vacanze di Pasqua del suo terzo anno di collegio, ma aveva promesso di leggere Le Due Torri per quando sarebbe tornato per le vacanze estive.

“Non c'erano neanche baci, in quel gioco, quindi scommetto che quella è un'altra delle ragioni per cui non te lo ricordi,” osservò Remus.

I suoi piedi si muovevano nell'acqua mentre pensava al ricordo, formando piccoli gorghi e correnti che fluivano intorno alle sue dita. “Io facevo l'hobbit¹, e tu l'umano o l'elfo che mi salvava. Ti piaceva di più fare l'umano, però, perché ti piaceva Grampasso. Hai sempre pensato che Legolas fosse un po' effemminato.” Remus sorrise al ricordo. “E cominciavamo durante una spedizione, o mentre stavamo programmando un viaggio, o nel bel mezzo di un'avventura. Gli orchi venivano, e ci circondavano. Mi stavano inseguendo per qualsiasi ragione ci eravamo inventati quella volta, ma aveva sempre qualcosa a che fare con il fatto che ero un piccolo hobbit. I loro padroni volevano degli hobbit per lavorare alle miniere, o per picchiarli, o mangiarli, o qualcosa del genere.”

La luce del sole gli sembrò oscurarsi mentre Remus ricordava quanto reali gli erano sembrati quei giochi – quelli in cui orde di grandi, spaventose persone cattive lo strappavano via da Sirius, per fargli innominabili cose crudeli. La paura era ancora reale nella vita di Remus, solo in qualche modo più mitigata ora che era più grande e aveva abbastanza persone che si prendevano cura di lui per prevenire qualsiasi danno serio. Anche se Sirius era stato la luce maggiore nell'infanzia di Remus, riconosceva che senza Lily e le sue amiche – e i fratelli delle sue amiche - gli anni scolastici di Remus sarebbero probabilmente, quasi sicuramente, stati peggiori di quello che già erano.

“Tu combattevi, ovviamente,” disse Remus. “Combattevi valorosamente per impedire che le orde di orchi mi prendessero. Qualche volta li sconfiggevi, ma la maggior parte delle volte no. La maggior parte delle volte ti sopraffacevano, perché erano così tanti. E io venivo portato via.”

Remus sollevò brevemente i piedi dall'acqua, allungando le dita e guardando le fresche gocce scintillanti cadere nell'acqua. Dopo che l'ultima goccia fu caduta, Remus rimise i suoi piedi in acqua, agitando la calma superficie ancora una volta. “Avevano la precedenza su di te, ma tu mi seguivi. Attraverso montagne e vallate ed ogni sorta di orribile posto, tu mi seguivi, aspettando solo di fare la tua mossa. Poi, una notte, gli orchi si prendevano una pausa. Io iniziavano a liberarmi dalle mie corde, e tu ti avvicinavi, pronto ad entrare in azione.”

Era stato importante per Remus contribuire al suo stesso salvataggio, a modo suo. Voleva che fosse Sirius a salvarlo. Anche adesso, quando pensava più lui a salvare Sirius che viceversa, si trovava ancora a fantasticare in classe su Sirius che si sarebbe precipitato lì e l'avrebbe portato via, diretto a quell'appartamento che avrebbero affittato insieme all'università – ma voleva anche essere parte del salvataggio, non essere una completa damigella in pericolo senza speranze.

Inoltre, se le sue mani fossero ancora state legate, Sirius si sarebbe preso tutte le più belle uccisioni di orchi prima di salvare Remus. E Remus non era abbastanza maturo o una persona abbastanza buona da non voler uccidere qualche orco. Solo qualcuno. Era solo per finta, dopotutto.

“Anche se non ti potevo vedere, sapevo dov'eri nell'oscurità. E sapevo dove avresti colpito. Ci muovevamo sempre allo stesso momento, come se ci leggessimo nel pensiero. Ma non lo facevamo: è solo che ci conoscevamo così bene dopo tutte le avventure che avevamo affrontato insieme. Tu arrivavi di corsa, aprendo le gole di una mezza dozzina di orchi prima ancora che loro si accorgessero che eri lì. Una volta che si svegliavano e realizzavano di essere sotto attacco, allora eri rumoroso e spavaldo, agitando la spada a destra e sinistra mentre facevi a pezzi l'orda di orchi. Mentre tu facevi l'eroe, io sgattaiolavo dietro di loro e gli tagliavo la gola, velocemente e in silenzio. Non volevo attirare attenzione su di me, ma non potevo lasciarti tutta la gloria.”

“Alla fine, ci trovavamo in mezzo alla pila di cadaveri di orchi. Ci... abbracciavamo.” Remus arricciò il naso. “Odiavo il fatto che non potevamo baciarci. Lo odiavo dopo che avevi realizzato che gli altri ragazzi non facevano giochi in cui si baciavano tra di loro. Le battaglie con gli orchi erano sempre così drammatiche, ed era come se si meritassero assolutamente un bacio alla fine. Ma noi ci abbracciavamo e basta.” Remus arricciò ancora di più il naso in disapprovazione, poi lo rilasso quando ridacchiò. Disse seccamente: “Ovviamente, era quella la mia ragione per volere un bacio alla fine di tutto: sarebbe stata una conclusione più appropriata, sarebbe stato più adatto alla sequenza di azione e alla storia se ci fossimo baciati. Non certo perché volevo sempre baciarti.”

Alzando lo sguardo verso il sole con uno scopo stavolta, Remus sospirò. Sarebbe dovuto andare presto. Lily voleva convincerlo ad andare a una festa elegante alla fine della settimana – una sorta di cosa da “ricomincia la scuola”. L'avrebbe lasciata convincerlo, alla fine, ma voleva prima farla pregare. Non gli erano mai piaciute comunque quelle cose idiote, e farla lavorare per convincerlo voleva dire che poteva spingere sul senso di colpa quando lei avrebbe realizzato quanto poco si stesse divertendo durante tutto il tempo.

“Tornerò tra un paio di mesi,” disse Remus all'aria vuota. Diede un'occhiata intorno alla piscina per un momento, guardando i lisci ciottoli e gli angoli muschiosi. La casa della piscina doveva sembrare così differente, a Sirius, con le sue architetture romane. Ma era lo stesso la loro piscina, dove avevano giocato a Marco Polo e agli astronauti insieme. Dove Remus aveva sentito il corpo bagnato e tramante di Sirius sotto di lui, e aveva premuto per la prima volta le sue labbra sulla fredda guancia di Sirius. Era lo stesso loro.

“Ci vediamo,” disse con un piccolo saluto della mano. “Tornerò presto.”

“Ciao.”



 




 

N/T:

¹Lo so, lo so, si scrive Lo Hobbit... ma io lo trovo troppo antiestetico, non posso farci niente :/
Prendetevela con Tolkien e la sua H sonora!


 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 




Capitolo 31


 

“Mi hanno preso all'università,” disse Remus tutto d'un fiato. Il suo stomaco si strinse in modo spiacevole, i suoi nervi erano tesi sia dalla paura che dall'eccitazione. Le due emozioni formavano come un nodo gordiano nella sua gola, e Remus sapeva di non essere l'impavido Alexander, venuto a scioglierlo con la sua spada. L'unico che sarebbe riuscito a farlo se n'era andato da tempo dalla sua vita. Da due anni.

“Cambridge,” continuò Remus, stringendosi le mani. Era in piedi davanti la panchina, e aveva voglia di camminare o muoversi o... aveva troppa energia. Stava traboccando dentro di lui, ma senza una via d'uscita. Remus era quello calmo, quello con la testa sulle spalle. Sirius era il conduttore di tutta l'energia e elettricità della stanza: era lui quello che si illuminava e saltava e gridava ogni volta che succedeva qualcosa di emozionante. Non Remus. E adesso Remus aveva tutta questa energia in eccesso dentro di lui, come un fulmine in una bottiglia, e aveva bisogno di Sirius per incanalarla.

Remus rimase dov'era e si tormentò ancora di più le mani.

“Sono entrato anche in altri posti, ma... Se i fondi arrivano, ci vado. Non- non so dove ti manderebbe la tua famiglia. Se sei ancora con loro. Potresti- beh. Potresti andare a St. Andrews, o Oxford. Ma potrebbe anche essere Cambridge.”

Muovendosi a scatti, Remus girò sul posto – prima di centottanta gradi, come se stesse per andarsene; poi di trecentosessanta quando tornò a fronteggiare la panchina. “Non è per te!” insistette. Era importante, che Sirius lo capisse. “Non solo per te,” si corresse Remus.

Scuotendo le mani, Remus prese un respiro. Poi un altro. E un altro. Lentamente, forzandosi, si calmò. Finalmente, Remus fu in grado di distendere le mani e farle cadere lungo i suoi fianchi.

“Te l'ho già detto qualche volta – che sarei andato all'università, che nessuno nella mia famiglia c'era mai andato. Ma eravamo entrambi più giovani allora, e non penso che tu avessi davvero la prospettiva giusta per capire che cosa significasse,” disse Remus.

Sentendosi più tranquillo, Remus riorganizzò un momento i suoi pensieri, con la testa abbassata. Quando iniziò a parlare, la sua voce era bassa. “Mio padre lavorava come garzone da ragazzo. Sistemava gli scaffali, aiutava i clienti a fare i loro acquisti, cose così. Cose per cui non serviva una grande istruzione. Tutta l'educazione che aveva ricevuto mio padre riguardava come fare il negoziante. Ha imparato a fare le somme perché il vecchio che aveva il negozio lo lasciava stare alla cassa nei pomeriggi della settimana quando c'erano solo pochi clienti. Ha imparato le percentuali per capire le tasse e gli sconti. Non era istruito – non è neanche andato al liceo; certamente non è mai andato all'università.

“Per mamma era diverso. Lei amava leggere, amava raccontare storie e cose del genere, ma non ha mai davvero pensato di fare niente al riguardo. Quando ha incontrato mio padre, era deciso: si sarebbe sposata, avuto figli, e fatto la moglie e la madre. Quello era ciò che voleva fare: non gli è mai importato molto di nient'altro.”

Remus fece un respiro profondo. Era più facile spiegarlo adesso che era più grande. Era più facile adesso che non notava il taglio di capelli elegante di Sirius o i suoi vestiti o le sue mani lisce mentre parlava. Anche se Sirius non aveva mai, mai guardato Remus dall'alto al basso a causa della sua condizione sociale o i soldi della sua famiglia – o per meglio dire, la loro mancanza – Remus era consapevole della differenza tra loro classi sociali. Possibilmente anche più di Sirius. Per Sirius, i soldi erano così abbondanti, una parte talmente normale della sua vita, che probabilmente non aveva una grande concezione di com'era non essere come lui. Remus aveva una ben più dolorosa consapevolezza delle loro differenze.

“Quando ero molto piccolo, mamma e papà si sono trasferiti più a sud per aprire il loro negozio. Papà aveva imparato abbastanza dall'uomo per cui aveva lavorato per intuire come far funzionare un negozio. Mamma l'ha aiutato. L'hanno gestito insieme. Viviamo ancora lì, sopra il negozio. È bello.”

Remus fece una pausa, guardando la panchina vuota.

“Mi piacerebbe fartelo vedere. Un giorno.”

Quando la ferma aria d'estate non rispose, Remus continuò. “È bello, ma è la classe operaia. Non c'è niente di male in quello, ma fin da quando riesco a ricordare mamma mi ha sempre letto, e poi ho iniziato a leggere da solo, di tutte queste fantastiche avventure e posti e culture che mamma e papà non avevano mai visto, mai conosciuto. E ho imparato. Ho imparato così tanto dai libri, sulle parole stesse e su relazioni, moralità, cultura, cibo, arte... ho imparato tutto ciò che so dai libri. Mamma e papà erano sempre lì, ad amarmi e incoraggiarmi, ma i libri mi hanno mostrato tutte queste cose che loro non hanno mai saputo. E io cercavo sempre, sempre, sempre di più.

“Quindi non appena fui abbastanza grande per capire che cosa fosse, mamma e papà hanno iniziato a dirmi che sarei andato all'università. Perché sapevano com'ero, che tipo di persona ero, e sapevano che non sarei andato a lavorare al negozio. L'avrei fatto, se avessi dovuto. Ma non ero fatto per quello. Avevo bisogno di qualcosa di più. Avevo bisogno di un tipo di vita diverso. Avevo bisogno di persone diverse nella mia vita: non la gentile signora Gershwin o il vecchio vedovo Mayson che vengono ogni martedì e sabato per chiacchierare e ritirare i loro due acquisti. Avevo bisogno...” La voce di Remus si affievolì, e lui rise piano. “Beh, avevo bisogno di persone come te. E di accademici.

“Quindi sarei andato all'università. Primo della mia famiglia. Perché era lì che appartenevo. Quindi ho iniziato ad essere un bravo studente. Era facile, davvero: sapevo già tutto dai libri. Ho dovuto lavorare un po' sulla matematica, ma papà mi faceva sempre aiutare in negozio e quello mi ha fatto capire le cose meglio di qualunque insegnante avrebbe mai potuto. Poi mamma ha trovato un libro sugli indovinelli matematici, trucchetti e piccole scorciatoie, e quello rendevo tutto ancora più semplice. Ero bravo a scuola. No,” incoraggiato dal silenzio della panchina, Remus continuò. “Ero fantastico a scuola. Ero geniale. Era quello che ero destinato a fare.”

Facendo un passo in avanti, Remus allungò un braccio e toccò con le dita l'aria di fronte alla panchina. Le girò, dorate nella luminosa, luminosa luce della mattina estiva. “Ed ero anche bravo ad insegnare. Credo. Ti ho aiutato con i tuoi compiti, e anche se tu eri intelligente e tutto il resto e i tuoi tutori erano solo degli idioti, credo che significhi che ero bravo a farlo. Aiutarti... mi dava una bella sensazione. Sapevo qualcosa, sapevo fare qualcosa che tu non sapevi, e poi ti aiutavo e tu sapevi farla. Era...” Remus rise. “Mi faceva sentire potente, ecco. Per una volta ero io quello forte, in un certo senso. Volevo farlo di più. Sempre.”

Remus sospirò. Parlarne senza Sirius qui era decisamente più facile che farlo con lui qui. Ma era comunque presente quello strano, persistente senso di colpa. Come se entrare a Cambridge significasse lasciare Sirius, significasse lasciare dietro di sé il loro intero mondo. Tra solo qualche mese non sarebbe più stato un bambino. Certo, tecnicamente era un adulto da due anni, ma adesso sembrava molto più reale. Avrebbe lasciato la sua casa dietro di lui, e la sua Casa, il Mondo che aveva costruito insieme a Sirius. Sarebbe tornato indietro, forse, durante le vacanze, ma non sarebbero state così numerose o lunghe come questi ultimi due anni da quando Sirius se n'era andato. Quando sarebbe uscito dalla sua porta tra solo qualche mese da questo giorno, Remus sapeva che sarebbe stato differente. Ed era così, così spaventato a quel pensiero.

“Non voglio lasciarti indietro,” disse Remus con voce strozzata. Le lacrime iniziarono a bruciargli gli occhi. “È solo che... Ti prego Sirius. Devi capire. Questo vuol dire così tanto per me. È… è tutto a parte te. Ci sei tu, e c'è l'università, e basta. Questo è tutto me. Tutto quello che c'è in me sono queste due cose. E da quando tu te ne sei andato-” I singhiozzi spezzarono le parole che si rovesciavano dalla gola di Remus. Si premette una mano sugli occhi, strofinandoli furiosamente. “Senza di te, c'è solo quello! È tutto quello che rimane di me, senza di te. Quindi devo andare. Non posso lasciar stare, non posso arrendermi, come tu ti sei arreso con me!”

Con un grido Remus corse via dalla panchina, correndo alla sua porta. I suoi piedi inciamparono e scivolarono sui ciottoli sparsi sulla strada, ma rimase in piedi, anche con le lacrime che gli offuscavano la vista. Aveva corso su questa strada, con Sirius e senza di lui, troppe volte perché potesse farlo inciampare. Quando arrivò alla sua porta si fermò, ansimando più per le lacrime e i singhiozzi che per la piccola corsa.

Rivolto alla sua porta, con la testa abbassata, Remus continuò a parlare in un bisbiglio furioso. “So che non è colpa tua. So che è successo qualcosa, Sirius. Ma fa così male, e anche questo, l'unica cosa che ho che non è te, fa male perché mi fa sentire come se ti stessi lasciando. E sono così arrabbiato con te per questo: per aver reso dolorosa l'unica cosa che mi rende felice senza di te per colpa tua. Perché tu non sei qui per condividerla con me.”

Il Mondo era silenzioso. Remus respirò.

“Lily sta parlando di prendere un appartamento con me. Hanno preso anche lei. Non gliel'ho ancora detto, ma rifiuterò. So che è uno spreco di soldi, ma non posso. Me ne prenderò uno da solo, e non le dirò perché. Ma tu lo sai, Sirius. Sai perché.” Non posso prendere un appartamento senza di te. Era una cosa nostra. Era il nostro sogno. Coinquilini all'università. Scappare insieme.

“Quindi è tutto qui,” finì Remus. “Questo è quello che farò. Andrò a Cambridge, starò in un appartamento da solo.” Sporgendosi in avanti, Remus strinse la maniglia della porta. Ma si fermò, solo un altro momento, strofinando le dita contro il metallo. “Tornerò. Ancora un altro po'. C'è tempo, Sirius.” Non molto. “C'è tempo. Prima che me ne vada.” Con quello, Remus rientrò a casa sua, senza guardarsi indietro mentre chiudeva la porta.


 




N/T:
Ciao a tutti! Una parola solo per dirvi che non so se rispetterò il giorno della pubblicazione del prossimo capitolo. Dovrei postare il capitolo 32 questo venerdì, ma essendo il 1° gennaio, non so in che condizioni sarò ahahah.
In ogni caso, aggiornerò al massimo il 2, quindi non temete, avrete presto "l'ultimo" capitolo angst...
A presto!



 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



 

 

Capitolo 32


 

Lo stomaco di Remus si contrasse mentre lui si sedeva alla loro panchina, lasciando come sempre il posto alla sua sinistra libero, per Sirius. Sembrava che l'autunno stesse venendo presto quell'anno, con una leggera frescura nella brezza che non era tipica dell'inizio dell'anno scolastico. Remus sospirò e toccò con il palmo della mano il lato della panchina di Sirius. Ovvio che l'autunno sarebbe venuto prima quell'anno; tutto quanto sembrava arrivare troppo presto, e passare troppo in fretta durante quell'estate.

“Sto partendo per l'università,” disse Remus ad alta voce. Se chiudeva gli occhi e faceva un respiro profondo, riusciva ad immaginare senza problemi che Sirius fosse seduto accanto a lui. Ma Remus non voleva farlo. Non voleva far finta che Sirius fosse lì quando non c'era. Quando non l'avrebbe mai più rivisto. “Mi manchi,” sussurrò, e la voce gli si spezzò. Le lacrime iniziarono in quel momento, lacrime che Remus pensava di aver già completamente versato in questo ultimo paio d'anni, mentre aspettava che Sirius tornasse da lui. Si premette le mani sul viso, strofinandole sulle palpebre chiuse come se potesse spingere le lacrime indietro. Il risultato fu solo un patetico suono bagnato, e Remus singhiozzò una risata, per poi piangere ancora più forte. “Ti amo,” gemette nell'aria vuota. “Ti amo, e mi manchi, e vorrei che stessi andando all'università con te. Vorrei che vivessimo in un appartamento insieme e andassimo alla stessa scuola, proprio come abbiamo sempre programmato. Dio, Sirius,” Remus prese un respiro profondo, lasciando cadere le sue mani per alzare lo sguardo al cielo, le lacrime che ancora gli cadevano dagli occhi. “Vorrei averti salvato. Vorrei averti tirato fuori da quel posto. Vorrei che la mia porta avesse funzionato per te.”

Remus sedette lì per un lungo momento, fissando le nuvole che passavano sopra di lui. Era luminoso qui fuori, e prima di quanto venisse normalmente Remus, considerando che passava sempre la notte qui aspettando per Sirius. Ma quella notte non avrebbe potuto passarla qui, visto che la sua famiglia voleva fare una cena d'addio e sua madre si aspettava che quella sera sarebbe stato nel suo letto.

“Sai,” disse Remus mestamente, ”Ho mentito. Riguardo al non masturbarmi. Beh, non la prima volta che me l'hai chiesto. Ma l'ho fatto, quando eravamo più grandi. E mi immaginavo sempre te.” Anni prima, la faccia di Remus sarebbe andata a fuoco per quella confessione. Adesso, avrebbe dato qualsiasi cosa per riavere il vero Sirius con sé in modo da dirglielo di persona. Remus abbassò la voce, posando gli avambracci sulle cosce e lasciando le mani dondolare tra le sue gambe, confidando un segreto al fantasma di una memoria che non era lì. “All'inizio non mi immaginavo niente di più che baciarti con la lingua. Ma era abbastanza. Crescendo, mi sono fatto un'idea più precisa di quello che avremmo potuto fare insieme, e beh. Mi immaginavo quello.” Con la voce ruvida, Remus chiuse gli occhi. “Adesso darei qualsiasi cosa per vederti di nuovo. Non per toccarti, o parlarti: solo camminare lungo una strada di Londra e vederti, sapere che sei in salute e felice e ancora là fuori, da qualche parte, a fare del mondo un posto più luminoso e geniale solo esistendo.

“Qualche volta pensavo che non eri reale. Qualche volta pensavo di averti inventato io, perché ero così solo. Durante la mia intera infanzia prima di te era come se fossi perso in una folla, da solo in mezzo a centinaia, migliaia di persone. Il complesso di abitazioni accanto al quale sono cresciuto era enorme, pieno di ragazzi che correvano in giro giocando tra di loro. Non erano per me, ovviamente. E i bambini a scuola mi prendevano in giro solo perché ero troppo intelligente, o troppo silenzioso, o troppo strano. Anche quando ero a casa, c'erano sempre persone che entravano e uscivano dal negozio. Completamente diverso da casa tua, non è vero?”

Remus rise, immaginandosi l'espressione del tutto perplessa di Sirius. Aveva capito presto che Sirius aveva soldi, un mucchio di soldi, e che la sua vita domestica era piena di feste tremende e di espressioni sprezzanti. Sirius era perso in una folla proprio come Remus, certo, ma era una folla completamente diversa. Era una folla di freddo e pallide imitazioni di affetto. La folla di Remus era rumore e calore, ragazzi spaventosi che lo buttavano a terra o nelle fontane, avventori del negozio che entravano a tutte le ore, e un piccolo ragazzino a cui piacevano i libri che cercava solo di trovare un angolino tranquillo in cui nascondersi.

“Ma tu eri perfetto per me. Tu eri rumoroso e spavaldo e avventuroso, senza farmi sentire come se mi stessi inghiottendo. Riuscivo a fare le cose meglio con te, potevo darti ordini a volte, e tu facevi sempre quello che ti chiedevo. E tu eri bravo a trasportarmi, solo un po', a farmi fare delle cose più avventurose di quanto avrei potuto fare da solo. Non credo che sarei riuscito a diventare amico di Lily senza di te.”

Riusciva quasi ad immaginarsi l'espressione irritata sul volto di Sirius al nominare di Lily. Non gli piaceva mai quando Remus la menzionava, e segretamente quel fatto gli era sempre piaciuto. Avrebbe potuto essere gelosia, possessività, che faceva in modo che a Sirius non piacesse una ragazza che andava in giro con il suo Remus, e quel pensiero mandava sempre un brivido di felicità lungo la sua schiena.

“So che non ti piace sentire di lei,” continuò Remus. “Ma è una ragazza a posto. Inoltre: l'ho capito da quando avevo undici anni di essere completamente, assolutamente gay. La povera Lily non ha mai avuto una possibilità.” Rise, ripensando a quando aveva finalmente fatto “coming out” con Lily. Lei aveva semplicemente alzato gli occhi al cielo e continuato a strappare la sua gonna, nel tentativo di trasformarla in un paio di pantaloncini. “Ma non mi dire, Sherlock,” gli aveva finalmente detto in risposta. “E io ho i capelli rossi. Che rivelazione. Adesso aiutami con questa orrida cosa, voglio salire su quella scala antincendio.”

Tirando fuori dalla tasca un coltellino, Remus si girò sulla panchina, piegando le gambe sotto di lui mentre iniziava a incidere. Mentre lavorava, continuò a parlare con Sirius – la nota che stava scrivendo l'aveva scritta e rivista e memorizzata centinaia di volte nel corso delle ultime sei settimane. Avrebbe potuta inciderla mentre dormiva. “Vado a Cambridge,” disse. “Viene anche Lily. Non riesco a credere che siano entrate due persone dello stesso quartiere, ma siamo tutti e due bravi studenti. Non ero sicuro...” Fece una pausa, incidendo con il coltello una “s” ancora e ancora, sempre più a fondo nel cemento, pensando.

“So che è stupido,” sussurrò. “Ma è solo che... voglio vederti di nuovo, Sirius. Spero che tu sia lì. Ma chi lo sa? Forse sei scappato di casa e ti sei unito a un circo itinerante o qualcosa. Forse non andrai neanche all'università. Non lo so.”

Lavorando senza fermarsi, Remus riuscì a finire l'incisione proprio quando la prima stella apparve nel cielo. Remus non la guardò, strofinando invece il cemento, soffiando via la polvere. Dopo un'ultima revisione, Remus lanciò il coltello nella loro scatola dei costumi, strappò l'ultima lettera che aveva attaccato sul sotto della panchina, e iniziò ad andarsene via camminando. Pianse lungo tutto il tragitto verso la sua porta, il corpo che tremava per la gravità di quello da cui si stava allontanando. Forse stava tremando per qualcos'altro, Remus non lo sapeva. Forse aveva fatto qualcosa, forse l'incisione... forse, come gli amanti originali... ma no. Remus aveva già ottenuto così tanto dalla magia di quel posto. Non poteva chiedere di più. Mentre chiudeva la porta per l'ultima volta, non si guardò indietro – non ci riusciva. Perché finiva lì. Quello era un addio, per sempre.

Qui sedettero i ragazzi più brillanti che si siano mai conosciuti. Questo Mondo li ha portati insieme, e gli ha dato un'infanzia che non avrebbero mai potuto avere da soli. Hanno avuto otto anni insieme, crescendo loro stessi e l'uno nell'altro. Si amavano, e questo Mondo glielo ha permesso, da soli, insieme.

Remus John Lupin



 





N/T:
Spero che siate fieri di me, sono riuscita ad aggiornare il giorno giusto ;)
Da lunedì si torna al POV di Sirius!

Buon Anno!



 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 



N/T: 
In questo e i prossimi capitoli sarà presente un linguaggio un po' scurrile, soprattuttto da una certa persona ;)
Niente di che, ma pensavo fosse giusto avvertirvi. :)


 



 

Capitolo 33


 

Sirius si rigirò, gemendo mentre sentiva passi pesanti dirigersi verso il suo bagno. Si buttò il cuscino sopra la testa quando il rumore di qualcuno che vomitava raggiunse le sue orecchie. Non si sentiva neanche lontanamente tanto male quanto il poveretto che stava rovinando il suo bagno, ma ciò non voleva dire che stava abbastanza bene per occuparsene. Invece, lasciò che la morbidezza di cotone lo circondasse mentre cercava di rimettersi a dormire.

“Oi, coglione. Ho bisogno di colazione. Svegliati.”

Lo stomaco di Sirius si ribellò quando un pesante corpo si gettò pesantemente sul suo letto. Si rivoltò ancora di più quando suddetto corpo strappò via il cuscino dalla sua testa e gli respirò vicino con un alito puzzolente di vomito e alcool stantio.

Oh, no. Cazzo. Rotolandosi direttamente sopra l'altro corpo – scendere dalla sua parte del letto e fare il giro avrebbe richiesto troppo tempo – Sirius si lanciò in bagno e procedette nel rigettare il più possibile dentro il suo water.

Il bastardo non aveva scaricato.

In mezzo ai conati Sirius riuscì a gridare: “Ti ammazzo- Idiota- Potter-”

James, essendo il pezzo di merda che era, si limitò a ridere dal letto di Sirius, suonando decisamente troppo vispo per qualcuno che aveva appena fatto quello al povero water di Sirius. “Sbrigati. Voglio andarmi a prendere un caffè prima che arriva la folla della chiesa.”

Asciugandosi la bocca, Sirius rivolse una smorfia alla sua povera toilet. “Già, non vorrei costringerli a sorbirsi un pagano come te.”

Mentre Sirius scaricava e andava a lavarsi le mani – cosa che James non aveva fatto, se Sirius ricordava bene, il che era proprio delizioso – James emise un forte sbuffo dal letto. “Hey, se la gente di chiesa deve avere un problema con uno di noi due, non sarà me, amico.”

Sirius fece una smorfia asciugandosi le mani, rimettendo poi l'asciugamano al suo posto. James aveva sempre pensato che il suo ordine contraddicesse con il suo carattere, visti i soldi e la moltitudini di domestici con cui era cresciuto Sirius che facevano tutto per lui. Il semplice motivo della questione era che crescere in quel modo aveva abituato Sirius che le cose intorno a lui fossero in ordine. Non appena i domestici gli erano stati portati via quando era scappato di casa per andare a vivere con James, era diventato l'ombra di Mrs. Potter abbastanza a lungo per capire come fare in modo che lo cose fossero come le voleva lui.

Sirius tornò nella sua stanza alla vista del petto nudo di James che imbrattava le sue belle lenzuola pulite di macchie di pennarello sudate e brillantini. Con un ringhio Sirius colpì James finché lui non saltò giù dal letto e si diresse verso il salotto di Sirius che fungeva da camera extra. Sirius fece una smorfia rivolta alle lenzuola, poi iniziò a toglierle dal letto. Anche se James non le avesse appena imbrattate di brillantini e pennarello, Sirius le avrebbe lavate comunque. Il corpo da dopo sbronza di James era capace di fare le cose più spettacolari, una delle quali era secernere un sudore che odorava come un orribile mix di benzina, bile, cipolle, e merda. Era davvero un magnifico livello di disgusto.

“E comunque,” gridò Sirius attraverso la porta mentre raggruppava le lenzuola e le gettava nel cesto dei panni sporchi. Considerò brevemente di rifare il letto con lenzuola pulite, ma si sentiva già pallido e sudaticcio, come se dovesse collassare da un momento all'altro. Avrebbe lasciato quel compito per quando si sarebbe sentito più umano. “Non è che mi metterò a sbaciucchiare un ragazzo nel bel mezzo della colazione,” concluse Sirius. Entrò nel salone appena in tempo per vedere James cadere dal divano mentre cercava di infilarsi i pantaloni. Sirius sospirò e raccolse i propri pantaloni da dove li aveva lasciati a terra la notte prima.

Ripensandoci... Sirius odorò i suddetti pantaloni, poi li gettò nei panni sporchi e tornò in camera sua per cercare qualcosa di non così aderente e che non odorasse di sigarette stantie e sudore di genitali. Scavando nel suo armadio, trovò una salopette da lavoro. Si infilò velocemente una canottiera bianca sopra la testa, poi si tirò la salopette su fino alla vita e si allacciò intorno le maniche. Andava abbastanza bene per un dopo sbronza tutto all'inglese.

James era già sulla porta, stringendosi lo stomaco e gemendo in modo penoso quando Sirius uscì dalla stanza. Prese le chiavi dal tavolo, esitando di fronte al casco accanto alla porta. Quando James riuscì a diventare ancora più verde – il che era già di per sé un notevole sforzo – Sirius alzò gli occhi al cielo e lasciò il casco lì dov'era.

“Oh, grazie, amico,” gemette James. Gettò il suo intero corpo contro quello di Sirius mentre uscivano dalla porta dell'appartamento di Sirius e lui la chiudeva dietro di loro. “Sono solo tre isolati, comunque.”

Sirius riuscì a produrre un sorriso genuino mentre scivolava giù lungo il corrimano delle scale dell'edificio in cui viveva, incespicando in avanti e fuori dalla portata di James quando l'altro ragazzo fece la stessa cosa dietro di lui. “Così manchi del tutto il punto di avere una moto, te ne rendi conto?”

James sbuffò. “Sì, sì, la libertà e tutte quelle altre cazzate. Scommetto che tra poco te ne andrai in America, a guidare per il vecchio west e cercare dei ranch per accoppiarti con delle mucche.”

Uscendo fuori nella brillante luce di quella mattina di settembre, entrambi i ragazzi gemettero e si misero gli occhiali da sole quasi in unisono. “Mucche?” chiese Sirius quando iniziarono ad avviarsi lungo la strada. Mise le mani nelle tasche della salopette mentre camminava, i lunghi capelli neri che svolazzavano intorno al suo collo nella brezza gentile. “Perché mucche?”

James scrollò le spalle. Una ragazza bionda carina gli passò accanto, e la mano di James aveva iniziato a salire verso la sua testa per arruffarsi i capelli. Sirius gliela spostò con uno schiaffo senza un momento di esitazione. James gli lanciò un'occhiataccia da dietro i suoi occhiali da sole. “O cavalli, o chi se ne importa. Forse dei morbidi coniglietti, per soddisfare le tue voglie da checca, che ne so.”

Sirius rise, non essendo mai non divertito dalla bizzarre cose che James pensava fossero “da checca”. Coniglietti, apparentemente. Anche il colore rosa (Sirius non aveva neanche una cucitura rosa), fiori (che James comprava più di Sirius, per ogni nuova ragazza che corteggiava), motociclette (bugie. Orribili, calunniose bugie. Le motociclette erano semplicemente la cosa più fantastica del mondo, e James era solo un coglione geloso).

Riuscirono ad arrivare alla caffetteria in fondo alla strada con James che dovette fermarsi per vomitare bile in un vicolo solo una volta, il che la rese una passeggiata riuscita agli occhi di Sirius. Quando arrivarono alla caffetteria Sirius fu contento di vedere che erano arrivati prima che le chiese lasciassero uscire tutti i fedeli. C'erano più che altro uomini in giacca e cravatta venuti per un caffè veloce e studenti che avevano tutti un aspetto simile a quello di James e Sirius. I due ragazzi scivolarono velocemente in un divanetto vicino alla finestra, e James si raggomitolò contro la finestra come se fosse la sua ragazza preferita. Sirius si limitò a spaparanzarsi sul suo posto, con le gambe spalancate e giocando con le maniche della sua salopette legate intorno alla vita.

“Che cos'hai domani?” chiese Sirius dopo che ebbero ordinato le loro colazioni e bevuto i loro tè e caffè – James il tè, Sirius il caffè.

James grugnì nel suo tè, appoggiato alla finestra di schiena ora che aveva la calda tazza nelle sue mani. Sirius chiuse i suoi palmi in modo simile intorno alla tazza di caffè. Era una bella sensazione, quella tranquillità, in un certo senso. Specialmente dopo una notte talmente caotica. “Economia. Politica. Matematica.”

Sirius sorrise rivolto al suo caffè mentre prendeva un sorso. Posando giù la tazza – lentamente, piano – chiese: “Hai già capito le derivate?”

James gli lanciò un'occhiataccia. “No. E se qualcuno-”

Qualcuno,” lo interruppe Sirius, “pensa che non sia divertente quando presumi che non sappia distinguere un logaritmo da un esponente.”

James alzò gli occhi al cielo. “Come facevo a sapere che per il tuo stupido lavoro devi sapere la matematica?”

Sirius strinse le labbra, con gli occhi che lampeggiavano. Ma poi la sua testa iniziò a pulsare dietro i suoi occhi, e Sirius decise che non se la sentiva molto di mettersi a litigare con James così presto di mattina.

“Devo sbatterti la testa nell'asfalto di nuovo per ricordarti che quasi tutti i miei corsi sono di matematica?”

James alzò le spalle, come al solito non preoccupato per la sua mancanza di tatto. Era una delle cose che Sirius amava di lui, certo, ma qualche volta James aveva bisogno di una bella strigliata.

“Come facevo a sapere che voi svitati non-universitari avete bisogno della matematica solo per far volare un aeroplano? Io non ne ho bisogno per guidare.”

Dal bancone il proprietario gli stava facendo cenno di avvicinarsi, due piatti pieni di cibo preparati e pronti per loro. Sirius alzò gli occhi al cielo e saltò in piedi, lasciando James ad amoreggiare con il suo tè: “Non che tu sappia farlo molto bene,” commentò sarcasticamente da dietro la spalla. Poteva sentire James lanciargli insulti dietro, ma Sirius lo ignorò e afferrò i loro piatti.

Ma davvero, James, per quanto fosse un tipo genuinamente decente, non realizzava quanto a volte potesse essere un'imbecille privilegiato. Non che Sirius fosse estraneo ai privilegi, ma... Solo perché lui andava ad una scuola professionale invece della costosa Cambridge come quel pesaculo di Potter non voleva dire che fosse un idiota. Neanche lontanamente. In quelle poche settimane da quando aveva iniziato le sue classi all'accademia, aveva fatto più problemi di matematica che tutti i suoi anni al collegio, probabilmente. A quanto pareva, per fare il pilota c'era bisogno di un sacco di matematica. E fisica. E vettori e tutta quella geometria fica che, per grande sorpresa di Sirius, non era la stessa geometria che aveva imparato al collegio? Il che era da pazzi, ma piuttosto geniale. A volte si chiedeva-

Sirius fece quasi cadere i piatti prima di posarli sul tavolo. Li riprese appena in tempo, facendo scivolare il piatto di James di fronte a lui con leggermente più forza di quanto fosse necessaria. James lo fermò prima che cadesse dal bordo, però, e cominciò a sotterrare con praticità la sua faccia nei fagioli e toast.

“Oh, no, no, assolutamente no, amico.”

Sirius sbatté le palpebre, alzando lo sguardo dalla sua forchettata di uova. James stava gesticolando arrabbiato verso di lui con la forchetta, schizzando sugo di fagioli su tutto il tavolo e su Sirius. Almeno la sua canottiera era già macchiata dall'olio e il grasso degli aeroplani.

“Che cosa abbiamo detto riguardo quell'espressione? Stai facendo la faccia. La faccia da Lunastorta.”

James aveva tirato fuori il suo stupido nomignolo preferito per quando Sirius fantasticava sul suo perso Remus. Doveva essersi notato molto. Sirius fece una smorfia e lanciò un'occhiataccia alle sua uova, infilzandole con violenza e portandosele alla bocca con tanta ferocia da far invidia a un lupo. Quando James continuò a punzecchiarlo con la forchetta, tra un sorso e l'altro di tè, Sirius finalmente cedette. “Stavo solo pensando a qualcosa che volevo dirgli.” James allargò gli occhi, aspettando che gli dicesse di più mentre la sua forchetta tornava al giusto compito: stipare quanto più cibo possibile in una volta nelle sue fauci spalancate. Sirius sospirò. “Geometria iperbolica. Seguo questo corso, e mi chiedevo se Lunastorta sapeva che c'erano altre-”

Con un sonoro gemito James sbatté la testa sul tavolo in modo preoccupantemente forte. Sirius, imperterrito, continuò a mangiare la sua colazione. Lo ignorò quando James iniziò a russare rumorosamente. A James non interessava niente di quella roba, okay, lo capiva. Era per quello che non gli aveva detto subito quello che stava pensando – era per quello che ne voleva parlare con Remus.

Ma ovviamente, Remus non era più nei paraggi. Sirius non era più potuto tornare a Grimmauld Place da quando era scappato da James il primo giorno delle vacanze estive tra il quinto e il sesto anno. Sirius poteva solo sperare, e sognare, e fantasticare che Remus ce l'avesse fatta ad andare via da qualsiasi posto stesse vivendo, ad andarsene da quei ragazzi di cui parlava solo una volta ogni tanto, tanto tempo.

Con un gemito, James si alzò di colpo dal tavolo e corse verso il bagno. Sirius alzò gli occhi al cielo e continuò ad attaccare la sua colazione. Dieci minuti dopo James tornò, sorridendo come se avesse appena ottenuto il numero di una ragazza. “Quelle cazzo di cacate da birra,” si lamentò James. “Adesso sto meglio. E hey: non l'ho fatta nel tuo water. Non c'è di che.”

Sirius fece una smorfia. Almeno quello. Se James avesse fatto al suo povero bagno quello che aveva certamente fatto a l'insospettabile toilet della caffetteria, Sirius non sarebbe stato in grado di entrare nell'appartamento per il resto della giornata.

Ruttando rumorosamente, James allontanò da sé il suo piatto ormai vuoto e sorrise a Sirius, con i capelli che gli stavano dritti in testa in tutte le direzioni. “Vuoi passare da me dopo a lavorare un po'? A fare un po' di matematica, giusto, perché voi piloti avete bisogno della matematica e siete altrettanto brillanti e intelligenti di qualunque ragazzo snob dell'università, lo so.”

Quello riuscì ad ottenere un piccolo sorriso da Sirius. Buttando giù il resto del suo caffè, il ragazzo annuì. “Va bene. Anche se questo è solo un piano non-così-ben-mascherato per fare in modo che ti aiuti in matematica, verrò.”

Tenendo una mano sul cuore e l'altro palmo aperto accanto alla sua testa, James giurò solennemente: “Prometto di cucinare le fantastiche salsicce e purè di mia madre in ricompensa.”

Sirius annuì bruscamente. “Ci sto.”

Si strinsero la mano, e Sirius fu in grado di farlo senza che il suo cuore volesse strappare il suo petto per uscire, senza che la sua mano formicolasse per eseguire i movimenti di una stretta completamente diversa. Stava guarendo, un passo alla volta. Forse. Chi lo sapeva: forse uno di quei giorni avrebbe lasciato che James lo trascinasse in uno di quei club di qui aveva sentito la gente mormorare, dove ai ragazzi che andavano con ragazzi e ragazze che andavano con ragazze non veniva rivolto più di uno sguardo.

Un lampo di tweed e capelli color sabbia catturò i suoi occhi mentre Sirius e James uscivano fuori dal caffè. Girando di scatto il collo come se dovesse separarsi dal suo corpo, Sirius seguì i colori e la vista di un ragazzo magro e basso che camminava velocemente lungo la strada. Troppo basso. E quando si girò per guardare Sirius – probabilmente perché si stava rendendo ridicolo, lì in piedi in mezzo al marciapiede – lui vedette degli occhi verdi preoccupati a rimettere il suo portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. Forse non era ancora pronto ad incontrare altri ragazzi come lui. Non quando non gli era ancora chiaramente passato quello che provava per Remus.

“Alle sette?” chiese James, inconsapevole della distrazione di Sirius.

Sirius annuì, mettendosi un sorriso sulle labbra. “Alle sette,” confermò. Si salutarono, dirigendosi in direzioni opposte.

“Sarebbe più facile se ti trasferissi da me e basta!” gli gridò dietro James.

Sirius si girò per vedere James che gli sorrideva, camminando all'indietro lungo la strada. Sirius alzò gli occhi al cielo e gli gridò in risposta: “E vedere il tuo brutto muso tutti giorni? No grazie, mai!”

Risero entrambi, ma il sorriso cadde dal volto di Sirius non appena si girò. Affondando le mani nelle tasche della sua salopette, Sirius cercò di ignorare il vuoto dolorante nel suo petto. Non sarebbe mai riuscito ad accettare l'offerta di James di condividere un appartamento. Non quando la persona con cui avrebbe dovuto farlo era lì fuori, da qualche parte, che ancora lo cercava. Forse. Sirius poteva sognare, almeno.


 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 

 



Capitolo 34


 

L'appartamento di James puzzava come una fogna. Sirius brontolò mentre si faceva strada tra montagne di calzini da lacrosse sporchi e pantaloni macchiati. Ugh. Era solo felice di non andare all'università con James, e non dovere quindi tollerare la sua assolutamente spaventosa igiene personale. Sirius non si aspettava che James fosse ordinato come lui – la maggior parte dei ragazzi, da quello che aveva visto Sirius, non lo erano – ma doveva esserci un minimo livello di igiene, davvero! Sirius cercava di non guardare neanche il lavandino di James se poteva evitarlo. L'ultima volta che l'aveva fatto, aveva visto della muffa crescere sul lato superiore di pentole e padelle. Chi sapeva che cosa si nascondeva qualche strato più sotto?

“Sei pronto?”

“Chiudi la bocca!” gli gridò Sirius. “Comunque devo tornare al mio appartamento,” continuò, sollevando nel frattempo le lenzuola del letto. Oh, che schifo. Pile di fazzoletti usati. James era così fottutamente sciatto. “Non capisco perché mi dovresti portare con te solo per andare a vedere una ragazza!”

Dei passi alle spalle di Sirius lo allertarono della presenza di James. Continuò a tenere alzato il lenzuolo, girandosi verso James con le sopracciglia sollevate. James alzò gli occhi al cielo e camminò verso Sirius, strappandogli il lenzuolo dalle mani. “Non tutti possono essere delle checche come te,” gli disse in risposta.

Sirius fece roteare gli occhi. “Non c'è bisogno di essere una checca per tenere un appartamento pulito. Non capirò mai come riesci a far tornare una ragazza nel tuo letto.”

James gli fece l'occhiolino. “Mica accendo le luci, no?” Poi lo sguardo depravato che Sirius negli ultimi anni si era abituato a vedere sulla faccia di James fu sostituito in un momento da un nuovo sguardo completamente infatuato, che aveva colpito i lineamenti fastidiosamente belli di James sempre più spesso in quegli ultimi giorni. “E se mai portassi lei qui, pulirei. O pagherei te per farlo.”

A Sirius venne un conato al solo pensiero. “Amico, ti ci vorrebbero più soldi di quanto la tua famiglia riuscirebbe mai ad avere più l'eredità dello zio Al per farmi avvicinare a quella cucina anche solo con un lanciafiamme.”

James contraccambiò tirando un calzino verso la testa di Sirius. Lui si abbassò, facendo del suo meglio per non pensare che quel calzino veniva dal mezzo della pila di fazzoletti sul letto. Seriamente: James aveva bisogno di una brava donna nella sua vita. Grazie a Dio per questa nuova ragazza, anche se Sirius non l'aveva ancora conosciuta. Il che, oh giusto, era il motivo per cui stava rovistando nell'appartamento disastrato di James. Avrebbe dovuto vestirsi bene per andare ad incontrare questa “Lily” di James. Sirius grugnì e spostò la sua ricerca verso la libreria, pensando che forse l'aveva lasciato lì. Cercò di ignorare il dolore nel suo petto quando il pensiero di un altro ragazzo che aveva perso per un'altra Lily gli riempì la mente, bruscamente ed arrabbiato.

Gli occhi di Sirius si fermarono di colpo quando lanciarono un'occhiata allo scaffale di James, stringendosi quando notarono un libro. Tirandolo fuori, Sirius vide che era un libro per bambini. Pensò per un momento che fosse del buon materiale per prendere in giro il suo amico, quindi lo sfogliò rapidamente mentre James si spruzzava un po' della sua orribile acqua di colonia in bagno. Quando arrivò alla fine l'umore di Sirius peggiorò, e quando chiuse la copertina voleva solo lanciare quello stupido libro attraverso la stanza.

“Oh sì, quello è bello,” disse James, proprio da dietro la spalla di Sirius.

Sirius rispose spingendo il libro contro il petto di James e camminando a passi pesanti verso la porta che separava la camera da letto dal salotto. “Sì, forse per degli sdolcinati innamorati come te,” borbottò.

“Sì, beh forse se cercassi di trovarti qualcuno-” James smise di parlare, interrompendosi bruscamente. Sirius non si girò per guardarlo, concentrandosi invece sul controllare in mezzo ai cuscini del fatiscente, orribile divano e poi sotto di esso. Poteva sentire James rimettere a posto The Missing Piece sul suo scaffale prima di seguirlo nel salotto.

“Scusa,” mormorò James. “So che ci stai ancora sotto, con lui.”

Sirius scrollò le spalle, senza confermarlo o negarlo. Il fatto era che pensava a Remus ogni disperato, solitario giorno, ed ogni notte anche più solitaria. Gli mancava. Terribilmente. Quando non era più stato in grado di tornare alla stanza, quando era scappato da James, si era sentito come se stesse lasciando dietro di sé una parte del suo cuore. Anzi: si era sentito come se avesse lasciato il suo intero cuore dietro di lui nel Mondo con Remus, come se non avesse mai, mai potuto sentirsi di nuovo in quel modo per nessun altro, perché non aveva più niente con cui sentirlo. E nessuno sarebbe stato in grado di paragonarsi a Remus, al modo in cui capiva perfettamente Sirius e a come lui lo capisse a sua volta.

La sua unica consolazione era che aveva avuto la previdenza di portare la scatola di scarpe con sé al collegio dopo l'ultima volta, quando aveva avuto quella sensazione, quell'orribile, spaventosa premonizione che sarebbe potuto passare molto tempo prima che sarebbe riuscito a rivedere Remus. E grazie a Dio per quello. Altrimenti Sirius non avrebbe avuto niente con cui ricordare Remus.

E quello era ciò che stava cercando in quel cazzo di momento, in quel buco infernale dell'appartamento di James. Il che, probabilmente, spiegava il suo umore particolarmente pietoso di quel giorno. Quei giorni andavano e venivano. Inoltre, non stava cercando la sua scatola di scarpe, ma il primo biglietto di compleanno che gli aveva dato Remus, tutti quegli anni prima. Non c'erano quasi più brillantini rimasti, da quante volte Sirius lo aveva tirato fuori e toccato, ma la scrittura del piccolo Remus di nove anni era ancora lì, chiarissima. L'aveva portato con sé quando James l'aveva forzato ad andare in un pub con lui. Tutto quello che riusciva a ricordare dopo era che ci aveva pianto sopra, ubriaco da qualche parte nell'appartamento di James alla fine della serata. Se solo fosse riuscito...

Aha! Le sue dita si chiusero intorno a qualcosa sotto il divano, qualcosa che non sembrava essere una lattina vuota di birra o... qualcosa... di appiccicoso. Lo tirò fuori, ed ecco infatti il biglietto di Remus: l'inchiostro era un po' sbavato, i brillantini ancora più sbiaditi e il cartoncino più spiegazzato dell'ultima volta, ma era completamente intatto. Sirius l'avrebbe baciato se non avesse avuto paura di quello che avrebbe potuto prendersi dai microorganismi che sicuramente avevano costruito una colonia sotto il divano di James.

“Vorrei che almeno facessi uno sforzo,” disse James, anche se il suo tono era più cauto e gentile di una presa in giro. Sirius doveva essersi reso davvero ridicolo la scorsa notte. Fantastico.

Scrollò le spalle, spolverando il cartoncino prima di infilarlo nella tasca posteriore dei pantaloni. Incrociò le braccia e guardò James. “Non voglio,” disse semplicemente. “Non ancora.”

James si strofinò la nuca, con i capelli tutti scompigliati ovviamente in preparazione per il suo emozionante appuntamento alla caffetteria. “Sì, ma... voglio dire, io ho Lils, e sono sicuro che andresti alla grande con qualcuno, lo sai. Potremmo fare uscite a quattro, sarebbe fantastico! Non c'è qualcuno alla tua scuola di piloti? Nessuna checca fuori di testa come te?”

Sirius fece roteare gli occhi. James era il suo migliore amico, certo, ma quello che stava dicendo dimostrava esattamente quello che non capiva di Sirius – e Remus. Sirius non aveva bisogno di qualcuno pazzo come lui, qualcuno che voleva andare nello spazio e far volare dei jet e fare tutti quegli stunt pazzeschi. Aveva bisogno di qualcuno che lo calmasse, che lo riportasse con i piedi per terra e lo tenesse lì senza essere troppo appiccicoso o esigente. Ciò era esattamente quello che Remus era stato per Sirius, ed era quello che James non capiva. Il che andava bene, era grandioso, perché James era il suo migliore amico e pazzo almeno la metà di Sirius, quindi andavano d'accordo alla grande. Ma James non era quello di cui Sirius aveva bisogno in un compagno, e neanche capiva quello di cui lui aveva bisogno. Sirius lo capiva. Sirius l'aveva già avuto. E l'aveva già perso.

“Hey, sta per venire il compleanno di mamma. Le hai preso qualcosa?”

Sirius annuì distrattamente, lanciandosi un'occhiata intorno per essere certo che non ci fosse niente di cui aveva bisogno prima di tornare a casa sua per darsi una ripulita. James voleva che fosse “presentabile” per incontrare questa sua ragazza, quindi Sirius si sarebbe come minimo fatto una doccia al volo e pettinato i capelli prima di uscire. “Sì,” rispose. “Secoli fa. È la prossima settimana: tu non le hai preso niente?”

Lo sguardo imbarazzato sulla faccia di James rispondeva da sé. Sirius alzò gli occhi al cielo e dovette pensare a malapena per un secondo prima che gli venisse in mentre qualcosa, “Quella borsa, te la ricordi? Quella che abbiamo visto al Ghirigoro tre mesi fa? Sarà fuori stagione ormai, ma questo vuol dire che sarà al cinquanta per cento e la potrà usare il prossimo anno.”

James lo fissò a bocca aperta. Lui si limitò a roteare gli occhi e affrettarsi prima che James potesse ricollegare le abilità di fare i regali di Sirius al suo essere una checca. Era perché aveva pensato a fare regali ad altre persone – Remus, specificatamente – fin da quando aveva nove anni. Era facile da capire con un po' di pratica. E non dovevi essere una checca per riuscirci.

“Okay allora,” disse Sirius, afferrando le sue chiavi dal tavolo. “Ci vediamo alle tre, no?”

James annuì. “Sì. Sai quale bar, vero? Quello proprio dietro-”

Sirius alzò gli occhi al cielo e rivolse a James il suo dito medio prima di uscire di corsa dal suo appartamento. “Sì, sì, lo so. Solo perché non vado alla tua Cambridge da ricconi non vuol dire che non mi ricordo dove sta una caffetteria per studenti. Ci sarò.”

“Vaffanculo!”

“Tu per primo!”

Sirius sorrise mentre si sistemava sulla sua moto, riavviando il motore e partendo. James era un assoluto coglione, ma era l'assoluto coglione di Sirius. E davvero, aveva a cuore i migliori interesse di Sirius. Era stato il testimone di due anni della disperazione di Sirius per il ragazzo che aveva lasciato dietro di sé quando era scappato dai Potter, e voleva solo che Sirius trovasse qualcuno con cui essere felice. L'unico problema era che Sirius aveva già trovato quella persona. E ora non c'era più.

Infilandosi tra due macchine e ignorando i suoni di clacson che seguirono al suo passaggio, Sirius corse attraverso la città per raggiungere il suo appartamento, sentendo il vento sulla faccia che asciugava via le lacrime prima ancora che riuscisse a sentirle.


 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


Attenzione: non ho scritto io questa storia, la sto solo traducendo con il permesso di Amuly, l'autrice. Potete trovare la storia originale qui:  The Door Through the World
 




Capitolo 35


 

Sirius aprì la zip della sua giacca di pelle entrando nel caffè, ma non la tolse. Immaginava che avrebbe dovuto impersonare il ruolo del fratello maggiore quel giorno, dare l'aria da spezza-il-cuore-di-James-e-io-ti-spezzo-le-gambe, e sarebbe stato molto più facile con ancora indosso la giacca. Specialmente visto che era sicuro che ormai James avesse detto alla sua ragazza che lui era una checca – James aveva detto a tutti che era una checca, pensava che fosse fantastico, il coglione dalla testa dura – Sirius si sarebbe servito di tutto l'aiuto possibile per non avere un aspetto effeminato.

Individuò James quasi all'istante, seduto ad un tavolino in fondo alla caffetteria. Camminando verso di lui, Sirius guardò con aria sospettosa i quattro posti. Forse era solo il modo in cui era apparecchiato il tavolo. Ma c'erano molti tavoli a tre posti appoggiati alle finestre, con una bella vista su tutte le persone che camminavano velocemente nella fresca aria autunnale. Sirius si sedette lentamente sulla sedia accanto a James, lanciandogli un'occhiata.

James assunse la sua espressione innocente, che ovviamente non la diede a vendere a Sirius neanche per un secondo. Anni e anni di corse in giro per la Scuola di Hogwarts con James, mettendosi in ogni genere di guai e poi negare ogni coinvolgimento con i professori, avevano insegnato a Sirius tutti i trucchetti di James.

“Sputa il rospo,” disse Sirius. “Stai cercando di incastrarmi, non è vero?”

James sobbalzò, alzando le spalle imbarazzato. “È il suo migliore amico. Ho pensato che se io portavo te, allora era giusto che-”

“È gay, vero?”

A quello James rise, scompigliandosi i capelli. “Beh doveva esserlo, per andare in giro con una bellezza come Lily e non provarci!”

Sirius fece roteare gli occhi - James non sembrava capire il concetto di gusti personali e preferenze. Solo perché lui pensava che la sua ragazza fosse assolutamente la migliore del mondo ciò non lo rendeva oggettivamente vero. Ma Sirius se ne guardava dal cercare di spiegarglielo.

Considerò brevemente di andarsene da quella maledetta caffetteria e lascare James da solo come un idiota. Gli sarebbe stato bene, per aver cercato di sistemare Sirius con un qualche sconosciuto. Ma James era così nervoso che si stava muovendo a scatti, portandosi le mani ai capelli per scompigliarli, poi allisciarli, poi scompigliarli di nuovo; i piedi che facevano il tip tap sotto il tavolo; le dita che aggiustavano gli occhiali ancora e ancora e ancora su quella sua idiota faccia emozionata. Quindi Sirius rimase, avendo pena di James, e prese un menu cercando di decidere se avesse voglia di qualcosa di più avventuroso del suo solito caffè nero.

“Lei ti piacerà,” insistette James.

Sirius non si diede neanche la pena di alzare gli occhi al cielo, limitandosi invece a sospirare un annoiato: “Sono sicuro che è fantastica,” mentre tamburellava con le dita sul ripiano del tavolo. Voleva disperatamente non essere lì. Avrebbe preferito di gran lunga essere al garage, ad armeggiare con gli aerei, a controllare l'attrezzatura. Uno dei tizi più anziani – un vero pilota dell'Aviazione Reale, che aveva fatto la guerra – aveva detto che avrebbe presto portato Sirius in giro per un paio di voli da copilota. Sirius aveva solo dovuto promettere di mantenere il suo aereo in perfette condizioni, cosa che faceva volentieri. Almeno, quando era seduto in un aeroplano, o metteva a soqquadro un motore, Sirius era in grado di avere un po' di pace mentale. Tutto andava al suo posto, come quando guidava la sua motocicletta. Era come... era quasi come ridiventare Siria. Nessuna aspettativa, niente famiglia o nervosità o inadeguatezze. Era solo un compito, delle azioni da eseguire, e il suo corpo si muoveva in automatico per fare tutto nel modo giusto.

Quando la porta si aprì, Sirius non alzò neanche lo sguardo. Ad essere sinceri, voleva rimandare l'incontro con questa Lily e qualsiasi ragazzo James aveva pensato fosse un rimpiazzo adatto per Remus il più a lungo possibile. Accanto a lui, James stava già inciampando sulla sua sedia cercando di alzarsi, praticamente capovolgendo il tavolino nel processo. Sirius alzò gli occhi al cielo ed abbassò il suo menu, decidendo che sarebbe stato meglio salutare la ragazza di James prima che lui si uccidesse cercando di raggiungerla. Quindi alzò lo sguardo... e il suo cuore si fermò.

Era Remus. Era Remus lì in piedi accanto a Lily, sorridendo per la goffaggine di James mentre sembrava non aver ancora notato Sirius. Era quasi tre anni più grande, certo, ma era senza ombra di dubbio lui. Un po' più alto, i capelli di un tono più scuri e qualche centimetro più lunghi – si arricciavano alle punte, e lo stomaco di Sirius a quello fece una capriola, mentre le sue dita formicolavano dalla voglia di allungarsi e toccarlo. Era anche diventato più robusto: non aveva più tutte quelle ginocchia e gomiti affilati che Sirius ricordava dall'ultima volta che si erano visti. Ma i suoi occhi erano gli stessi. Quegli occhi che Sirius aveva passato gran parte della sua infanzia a fissare; quegli occhi che sapeva avrebbe riconosciuto anche se fossero passati decenni. Erano esattamente gli stessi.

“-questo è Sirius,” stava dicendo James, apparentemente facendo le introduzioni mentre Sirius sedeva lì a bocca aperta, guardando l'unica persona al mondo che aveva pensato di non rivedere mai più e l'unica che doveva rivedere, che aveva bisogno di avere nella sua vita, più dell'aria e il cibo e qualsiasi altra cosa. Avrebbe rinunciato a volare se quello avesse voluto dire rivedere Remus, visto che comunque era lui quello che aveva instillato in lui l'amore per il volo.

A Sirius servì un momento per realizzare che Remus aveva incrociato i suoi occhi e lo stava fissando, altrettanto esterrefatto. Sirius saltò in piedi di scatto, e la sua sedia scivolò indietro sulle mattonelle di pietra della caffetteria con un stridio rumoroso. Lanciandosi in avanti, allungò la sua mano verso Remus. Grazie a qualche istinto, perché a giudicare dall'espressione sul viso di Remus il suo cervello si era spento circa dieci secondi fa e non era ancora riuscito a rimettersi in moto, anche Remus tese la sua. Le loro mani si incontrarono, girarono una intorno all'altra, poi le loro dita si incrociarono nei movimenti naturali della loro stretta di mano segreta. Solo che questa volta Sirius non lasciò andare. Non l'avrebbe lasciato andare mai più. Questa volta, Sirius tirò Remus verso di sé per un bacio.

Remus rispose immediatamente, mentre la sua mano libera circondava i fianchi di Sirius e lo avvicina a sé, e le loro mani destre rimanevano unite tra di loro. Sirius aprì la sua bocca, sciogliendosi dentro di Remus quando lui rispose allo stesso modo, le loro labbra che si muovevano disperatamente le une contro le altre e loro lingue che si incontravano, i loro corpi toccandosi ovunque in un affrettato, frenetico tentativo di ricongiungersi, di mettere da parte gli ultimi tre anni e confermarsi a vicenda che sì, erano lì, e sì, si amavano ancora. Non aveva importanza che non l'avevano mai detto; non aveva importanza che non avevano mai neanche parlato del fatto di essere gay e volersi a vicenda. Si conoscevano, sapevano immediatamente cosa ci fosse nella mente dell'altro, proprio come avevano sempre fatto.

Quando si separarono Sirius sbatté le palpebre, con la vista sfocata come se fosse appena stato colpito in testa. Solo quando la mano sinistra di Remus lasciò il suo fianco ed asciugò le lacrime dalle sue guance Sirius realizzò che stava piangendo.

“Ti amo,” sussurrò Sirius. Era la prima cosa che gli era venuta in mente, l'unica cosa che aveva bisogno che Remus sapesse in caso che venissero di nuovi strappati via l'uno dall'altro.

L'espressione estatica che si accese sul viso di Remus fece tremare le ginocchia di Sirius, e il suo cuore si riempì come se stesse per scoppiare nel suo petto, troppo piccolo per contenerlo. Remus premette la sua fronte su quella di Sirius, ondeggiando lievemente mentre rispondeva. “Lo so. L'ho sempre saputo. Ti amo anch'io.”

Sirius pensò di riuscire vagamente a distinguere delle grida di scherno intorno a loro nella caffetteria, e forse James (e Lily?) che minacciavano di stendere a cazzotti gli altri clienti e acclamavano Sirius e Remus. Anche se, ad essere sinceri, le orecchie di Sirius fischiavano ancora dal sangue che gli ruggiva attraverso, e il suo sguardo era incapace di guardare qualsiasi altra cosa che non fosse il viso felice di Remus. Per Sirius, assomigliava a quelle antiche statue di santi del Rinascimento: espressioni di dolore e estasi che dipingevano i loro lineamenti e che potevano venire solo da un essere divino. Era bellissimo.

“Il tuo compleanno è fra tre settimane,” disse Sirius, realizzando mentre parlava che non centrava niente in quel momento. Ma Remus si limitò a ridere e strofinò con il naso la guancia di Sirius, chiudendo gli occhi dalla felicità.

“Sì,” sussurrò. “È vero. Mi regalerai qualcosa di carino?”

“Ho già un'idea,” rispose Sirius. Ed era vero. La pausa di metà semestre avrebbe coinciso con il compleanno di Remus, e Sirius sapeva esattamente che cosa voleva fare con Remus, e dove voleva andare.


 

**

 

Alla fine i due ragazzi riuscirono a separarsi abbastanza a lungo per sedersi vicini, anche se Sirius non riusciva a contenere il suo bisogno di restare in contatto costante con Remus. Una mano sulla sua coscia, un piede che strofinava contro il suo, le punte delle sue dita che toccavano e giocherellavano con quei nuovi riccioli sulle punte dei capelli di Remus. Sirius non riusciva ad averne abbastanza, non voleva mai averne abbastanza. Voleva solo continuare a guardarlo e toccarlo e avere Remus , per sempre.

Lily e James erano seduti vicini, con un'espressione insieme confusa e fiera. Era Remus che chiese per primo l'ovvia domanda, però, cosa per cui Sirius gli fu grato. Onestamente non era sicuro di riuscire a staccare gli occhi da lui per il secondo necessario per lanciare un'occhiataccia a James.

“Voi due lo sapevate?” chiese Remus. Sirius sfiorò con la punta delle dita l'interno del gomito di Remus. La pelle sotto la sua mano fu attraversata da un leggero brivido – un punto sensibile. Sirius non riusciva a smettere di sorridere.

Lily scosse la testa, i suoi capelli rossi che le ondeggiavano sopra le spalle avanti e indietro. “No,” insistette. “James mi aveva menzionato il suo amico Sirius, ma non sapevo che- lui è Felpato? L'amico di penna?” La domanda era diretta a Remus.

Quello riuscì a penetrare la consapevolezza di Sirius, che alzò lo sguardo verso Remus, divertito. “Felpato? L'amico di penna?”

Il sorriso di Remus era imbarazzato, e oh, lo stomaco di Sirius fece una giravolta e saltò e iniziò a danzare dentro di lui a quella vista. “Dovevo spiegare il motivo per cui non sapevo che cosa fosse successo,” disse. “E il perché lei non poteva incontrarti durante le vacanze.”

La domanda fu negli occhi di Remus un secondo dopo, e Sirius si sbrigò a risponderla. L'aveva detto a Remus una dozzina di volte nella sua testa, gli aveva spiegato quanto avrebbe voluto dirgli addio, quanto voleva vederlo anche solo un'altra volta così da potergli dare un indirizzo, un numero di telefono, qualcosa così da potersi vedere nel mondo reale. “Sono scappato” disse. “Il primo giorno delle vacanze estive. Io e James abbiamo lanciato una pioggia di coriandoli sopra il campus-”

James a quello latrò una risata, e Lily gli diede un pugno sul braccio per farlo stare zitto. Se Sirius in quel momento non fosse stato così immerso nella sua storia d'amore, si sarebbe preso un attimo per approvare la ragazza di James. Era disposta e tenerlo in riga: era una buona cosa. Sirius le avrebbe messo il suo ufficiale stampo di approvazione se la ragazza fosse riuscita a costringerlo a pulire il suo appartamento.

“Walburga era lì nella carrozza. Non era mai venuta di persona,” continuò Sirius. Remus fece una smorfia di compassione, e scivolò lungo il tavolo per stringersi in modo protettivo intorno a Sirius. “Mi ha minacciato, sai. Per quando sarei tornato a casa. Poi...” sospirò, sentendo i capelli sul suo viso alzarsi e abbassarsi. Gli occhi di Remus si mossero per seguirne il movimento, e Sirius ne fece una nota mentale per dopo. Remus non l'aveva mai visto con i capelli così lunghi. “Beh, James mi aveva chiesto di te. E io gli avevo detto qualcosa a riguardo. E immagino che mi sentivo, non so... stupido e coraggioso e innamorato-” a quello Remus sorrise, “e le ho detto dove poteva infilarsi le sue minacce. E che non avrei mai sposato nessuna delle ragazze che sceglieva per me perché ero una checca. Non mi ha diseredato in quel momento – quella lettera è arrivata dopo un paio di mesi, dopo che sono andato a vivere da James.”

“Quindi sei dovuto scappare,” esalò Remus, uno sguardo di comprensione che gli passava sul viso. “Non sei potuto tornare alla tua porta.”

Sirius scosse la testa, ignorando gli sguardi confusi che James e Lily si stavano scambiando. “Ho una scatola, però. Una scatola con tutte le cose che mi hai dato. Biglietti e lettere e vestiti. L'ho portata con me a scuola l'ultima volta, perché avevo paura che Walburga l'avrebbe trovata. Dentro c'è...” la sua voce si spezzò, e dovette fermarsi per un momento mentre Remus gli stringeva la mano per rassicurarlo. “Tutto. Ho tenuto tutto.”

“Io ho ancora il quaderno,” replicò Remus. Sirius inalò bruscamente, con il cuore che gli si stringeva nel petto. Amava questo uomo così tanto. “Ci ho aggiunto delle pagine così sarebbe durato più a lungo. Ti ho scritto. Ti ho lasciato dei biglietti nel Mondo.”

“Aspetta, aspetta.” James agitò le mani nel tentativo di attirare l'attenzione dei due ragazzi malati d'amore seduti al tavolo con lui. Sirius rise, asciugandosi gli occhi con la mani libera e distogliendo finalmente gli occhi da Remus per guardare James. “Che cavolo succede?” chiese James, impotente. “Lily dice che voi due eravate amici di penna, ma pensavo che tu vivevi nel quartiere di Sirius o una cosa dl genere.”

Sirius e Remus si lanciarono un'occhiata, poi scoppiarono a ridere. James e Lily rimasero seduti lì, con l'espressione stupefatta alle risate dei due ragazzi. Sirius gemette, cercando di pensare a un modo per spiegarlo, se dovevano spiegarlo. James probabilmente lo avrebbe rinchiuso credendolo completamente pazzo. Fu Remus che alla fine parlò e disse semplicemente: “È una specie di segreto. Ve lo diremo, un giorno: quando avremo capito come spiegarvelo.”

James sembrava pronto a protestare e insistere, ma Lily gli diede una gomitata e sorrise dolcemente alla coppia. Sirius fissò i peli chiari sparsi sulle braccia di Remus. Non c'erano l'ultima volta che si erano visti. Almeno, non così tanti. Huh. “Aspetta,” disse Sirius, mentre la sua mente ripartiva invertendo la marcia. “Vai all'università con Lily? A Cambridge?”

Remus sorrise. “Sì. Te l'ho detto che sarei andato all'università. Primo della mia famiglia.”

Sirius gli rivolse un sorriso a trentadue denti. “È fantastico, Remus. È... è fantastico.”

“In effetti...” Remus arrossì, e il cuore di Sirius accelerò di nuovo. “Ne ho scelta una a cui pensavo saresti andato tu. Giusto in caso.”

Sirius rise, poi scosse la tesa. “Io vado alla scuola di aviazione. Diventerò un pilota privato. Probabilmente finirò per portare in giro su un jet i miei parenti, in effetti,” scherzò.

Ma gli occhi di Remus si erano illuminati, riconoscendo il significato dietro il tono leggero di Sirius. “Sei un pilota,” sospirò. “Tu voli.”

“Sì,” gli sussurrò Sirius in risposta. “Grazie a te. Tu mi hai fatto venire voglia di volare.”

Si inclinò in avanti, e Remus lo incontrò a metà strada, baciandolo gentilmente sulle labbra. James fece finta di avere un conato di vomito, al quale Sirius rispose rivolgendogli il dito medio. Non si diede neanche la pena di aprire gli occhi o interrompere il suo bacio con Remus.

Quando si separarono, Sirius sorrise. “Ho una motocicletta,” disse, ammiccando con le sopracciglia. Remus scoppiò a ridere, portandosi una mano alla bocca interrompendo quel forte rumore per lui insolito. “Vuoi sentire che cosa si prova a volare?”

“Con te? Assolutamente,” gli sorrise in risposta Remus, e. Wow. Sirius sentì per un attimo che la sua testa stesse galleggiando. Non si era mai immaginato che Remus lo avrebbe guardato con malizia, o avesse avuto un aspetto totalmente sexy come quello. Nei suoi ricordi, Remus era sempre timido, silenzioso, mai quello estroverso. Però... il sorrisetto di Sirius si allargò quando ricordò tutte quelle volte che Remus aveva fatto il primo passo: fare giochi ragazzo-ragazza, baci finti, baci sulla guancia... Sembrava, ora che Sirius ci rifletteva, che Remus lo stesse seducendo da ben sette anni. Sirius semplicemente non era mai stato abbastanza intelligente da capirlo.

“Andiamo.” Sirius strinse la mano di Remus e lo tirò in piedi, realizzando all'ultimo momento che stava abbandonando James e Lily. “Oh...”

“Vai!” disse James, roteando gli occhi. Lily stava facendo segno a Remus di andare in modo altrettanto incoraggiante. “Chi sono io per negare a voi due piccioncini un po' di tempo da soli? Oh, ma...” Il naso di James si arricciò dietro i suoi occhiali prima che di chiedere, in modo piuttosto lamentoso: “Potreste non farlo sul divano? Ci dormo io quando sono sbron- uh... quando sto da Sirius?” Cambiò la fine della frase all'ultimo secondo quando Lily iniziò a lanciargli occhiatacce da dietro la sua fiera frangetta di lisci capelli rossi.

Sirius arrossì, e fu sollevato quando lanciò un'occhiata a Remus e vide la stessa reazione. “Non penso che devi già preoccuparti di quello,” borbottò Sirius. “Ma lo terrò a mente.”

Con quello, Sirius trasportò Remus fuori nella frizzante aria d'ottobre. Lasciò andare la mano di Remus solo per chiudere la zip della sua giacca di pelle. Poi si voltò e sorrise verso Remus, che si stava impacchettando in modo simile nel suo cappotto. Sirius gli si avvicinò, prendendo la morbida sciarpa di Remus e rigirandogliela intorno al collo diverse volte prima di infilare gli estremi nella giacca. Quando ebbe finito diede un bacetto sul naso di Remus e sorrise al rossore che si sparse sulle sue guance. “Per sicurezza,” spiegò. “E così non la perderai.”

Mentre salivano insieme sulla moto, Remus si sporse in avanti e parlò direttamente nell'orecchio di Sirius. “Quindi non vivi in un appartamento con James?” chiese.

Sirius scosse la testa mentre faceva tornare in vita la moto con un ruggito. “No,” gli urlò in risposta. “Non era con lui che avevo promesso di vivere.”

Le braccia di Remus si strinsero intorno a Sirius mentre correvano via, il suo petto che riversava calore sulla schiena di Sirius. Il vento colpì Sirius sul viso, e i suoi capelli si intrecciarono a annodarono mentre svolazzavano in giro. Guidare la motocicletta non gli era mai sembrato davvero come volare. Ma adesso, con Remus dietro di lui, c'era una leggerezza nel suo corpo che gli faceva girare la testa, lo faceva sentire come se stesse galleggiando. Con Remus lì, esattamente dove doveva essere, Sirius si sentiva abbastanza leggero da volare veramente.



 




N/T:
Eccoci qui! Il momento che tutti stavamo aspettando! Non è ancora finita, ma ci siamo quasi... Domani posterò l'epilogo, quindi non dovrete aspettare fino a lunedì ;)

Spero che stiate passando una fantastica giornata!


 

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Capitolo 36
*** Epilogo ***




Epilogo


 

Sirius annuì sorridendo verso il padre di Remus, che stava spiegando le complessità di portare avanti un negozio di cianfrusaglie ai giorni d'oggi. Remus era seduto accanto a lui, sorseggiando il suo tè e cercando in modo ovvio di trattenere le risate mentre Sirius usava tutta la sua pazienza per restare seduto e non trasportare Remus nella stanza nel retro.

Finalmente Mr. Lupin si alzò e strinse la mano di Sirius, accomiatandosi con un'amichevole presa in giro sul trattare bene suo figlio e una vaga minaccia su quello che poteva fare con la mazza da cricket che teneva sotto il bancone. Sirius annuì e gli rivolse il suo sorriso più affascinante, che in effetti sembrò funzionare con il vecchio Mr. Lupin. Sirius sapeva che l'avrebbe fatto. Nessuno poteva resistere a quel sorriso. Remus sicuramente non ci era riuscito.

Una volta che Mr. Lupin se ne fu andato Sirius afferrò il polso di Remus, che lo seguì con il suo zaino. Quando Sirius aveva detto che sapeva che cosa voleva fare per il compleanno di Remus, non aveva mentito. Visto che cadeva nel mezzo della loro pausa di metà semestre, Sirius era determinato ad andare a vedere la porta di Remus dall'altro lato – il lato da cui era stato crudelmente tenuto lontano da bambino. Non si aspettava veramente di poter entrare, visto che Walburga non ci era riuscita, ma aveva pensato che valeva la pena provarci. E, a quanto pareva, Remus aveva telefonato sua madre due giorni dopo aver incontrato Sirius – dopo aver pomiciato con lui sul divano di Sirius abbastanza a lungo da considerarlo profanato il più possibile prima di iniziare veramente ad andare a letto insieme – per dirle che aveva un ragazzo, e che era completamente, disperatamente innamorato. Per il completo sconcerto di Sirius – ma grande felicità, ovviamente – il padre e la madre di Remus si erano congratulati con lui, e poi avevano immediatamente insistito per vedere Sirius durante le vacanze.

Sirius individuò la porta immediatamente. Aveva esattamente lo stesso aspetto che aveva dall'altro lato, nel loro Mondo. Con il viso teso dalla trepidazione, Remus si voltò verso Sirius tenendo una mano sulla maniglia. “Non ti turberà, vero?” chiese. “Se non funziona?”

“No.” Sarebbe stato un po' deluso – sarebbe stato fantastico visitare il loro mondo solo un'altra volta. Ma era preparato al peggio, e in effetti se lo aspettava di più che riuscire a passare.

Prima di spalancare la porta, Remus si fermò e tese la sua altra mano verso Sirius. Lui si lasciò trasportare in un bacio, mentre il suo corpo scivolava su quello di Remus e si scioglievano l'uno contro l'altro. Sentì la porta fare un click, e poi l'aria intorno a lui muoversi mentre l'anta si muoveva accanto a lui. E poi, da dietro le palpebre chiuse... riuscì a sentire l'odore del mare.

Sirius si tirò indietro con un sussulto, stringendo ancora forte Remus mentre si girava per guardare. Riusciva a vedere il Mondo. Non era solo un muro di pietra tra gli stipiti: era il loro Mondo, dal lato completamente opposto da dove era solito entrare.

Non ebbe neanche bisogno di dire una parola a Remus. Sapeva che lui avrebbe saputo dallo sguardo sul suo viso che aveva funzionato. Remus lo spinse gentilmente in avanti, guidandolo dentro il Mondo. Uno, due, tre passi, ed era passato attraverso.

Era sera, quasi notte, e la prima delle stelle aveva iniziato a fare capolino. Camminarono in silenzio verso la spiaggia, mano nella mano. Sirius si stava guardando intorno, assorbendo la vista delle colonne spezzate e le ville in decadimento che erano state una seconda casa – una vera casa – per lui da bambino. E, cosa più importante: il muro dietro il quale Remus l'aveva baciato, come se stesso, per la prima volta.

C'era la strada che si perdeva nella sabbia, dove avevano segnato le loro linee e costruito fortini di sabbia. Dove erano stati Re Remus e Re Sirius, e Re Remus aveva mostrato con benevolenza a Re Sirius come mischiare la sabbia e l'acqua nel modo giusto per fare i migliori castelli di sabbia possibili.

Si fermarono molto più sopra del bagnasciuga, e Remus lasciò andare la mano di Sirius per cercare nel suo zaino. Tirò fuori un lenzuolo che aveva infilato lì, insieme a due bottiglie di birra e il quaderno d'avorio che aveva tenuto dopo che Sirius se n'era andato.

Sedettero insieme, Remus rannicchiato sul grembo di Sirius e Sirius con il mento sulla spalla di Remus. Bevettero inseme le loro birre e lessero le lettere che Remus aveva scritto a un assente Sirius nell'ultimissima luce del giorno. Quando fu troppo buio per vedere la scrittura ordinata ma tremante di Remus, Sirius mise da parte il quaderno e strinse forte le braccia intorno a Remus. Sotterrò il viso nel suo collo, baciandolo delicatamente ancora e ancora e ancora ed ascoltando il modo in cui Remus sospirava, sentendo come si rilassava sotto di lui.

Senza dire una parola Sirius si spostò, muovendoli così che Remus fosse sdraiato di schiena e Sirius fosse sopra di lui, guardandolo dall'alto mentre Remus era bagnato dalla luce della luna e delle stelle. Remus gli stava sorridendo da dietro palpebre pesanti, e... Sirius deglutì, il suo respiro che diventava più veloce. Remus era così bello in quel modo, sexy e meraviglioso e così calmo, così sicuro di quello che stavano facendo. Sirius aveva voglia di ululare alla luna, sentiva così tante cose per quel giovane uomo sotto di lui, troppo da tenere tutto quanto dentro. Invece abbassò la testa e premette la sua bocca contro quella di Remus, silenziando ogni inutile suono che cercasse di scappare dalla sua bocca.

Sotto di lui, Remus inarcò la schiena, stringendo morbidamente le braccia intorno al collo di Sirius mentre lo trascinava giù, inondandolo di baci e piccoli gemiti e mugolii mentre Sirius portava le esplorazioni della sua bocca più a sud.

Fecero l'amore per la prima volta lì, sulla spiaggia, con le stelle come uniche testimoni. Remus si teneva stretto a Sirius mentre si muovevano insieme, e le sue dita stringevano la sua schiena nuda come se avesse paura che Sirius sarebbe scivolato via, l'avrebbe lasciato di nuovo. Sirius sotterrò il suo viso nel collo di Remus, ascoltando ogni respiro mozzato, sentendo ogni centimetro di Remus scivolare contro di lui, stringendolo, tenendolo al suo posto così che non sarebbe mai, mai scivolato via di nuovo.

Quando si separarono non si separarono davvero, si mossero solo quel poco per stare comodi. La brezza era fresca ma non fredda sulla loro pelle, l'aria di mare puliva i loro polmoni mentre la respiravano profondamente, i corpi doloranti e stanchi e completamente, perfettamente felici. Il Mondo sembrava sapere sempre come trattarli, di cosa avessero bisogno. E quella notte avevano bisogno di restare sdraiati nudi sulla spiaggia l'uno accanto all'altro, sfiorando la pelle dell'altro con la punta delle dita, tracciando i rivoletti di sudore, solleticando i piccoli punti speciali appena scoperti e meravigliosamente accessibili.

“Ti amo,” mormorò Sirius, sdraiato di pancia sul lenzuolo, una gamba sopra quella di Remus, il braccio sul suo petto.

Sdraiato sulla schiena, Remus si voltò per guardare Sirius, gli occhi che gli brillavano con la luce delle stelle. “Io ti ho sempre amato,” rispose. “Ti amerò per sempre.”

Chiudendo gli occhi contro quelle sensazioni che lo tiravano in mille direzioni diverse, Sirius sentì Remus muoversi accanto a lui, finché non furono raggomitolati di fianco faccia a faccia. Un bacio leggero fu premuto sulla mascella di Sirius, e all'improvviso riuscì ad aprire di nuovo gli occhi, all'improvviso non sentiva più come se tutte quelle emozioni potessero sopraffarlo e portarlo via. La prima cosa che vide fu Remus che gli sorrideva dolcemente, gli occhi ambrati luminosi. Quegli occhi che non avrebbe mai, mai scordato.


 

**


 

Qualche tempo dopo i ragazzi recuperarono i loro vestiti e li indossarono, infilando il lenzuolo, il quaderno e le bottiglie di birra usate nello zaino di Remus. Si tennero per mano mentre Remus li guidava alla loro panchina un'ultima volta.

Quando arrivarono Remus lasciò la mano di Sirius per cercare di nuovo nel suo zaino. Dopo un momento tirò fuori una torca e un coltello. Sirius rise, rigirandosi il coltello nelle mani mentre Remus accendeva la torcia. “Borsa senza fondo? Mi farebbe comodo.”

Remus alzò gli occhi al cielo e puntò per dispetto la torcia in faccia a Sirius. “Dovevo venire preparato: so che tu non programmi niente.”

“Ed è per questo che ho te,” sussurrò Sirius, sporgendosi per baciare le labbra di Remus.

Remus puntò la torcia verso la panchina, mostrando a Sirius il messaggio che aveva inciso mesi fa. Sirius sentì tutto il buon umore lasciarlo, il respiro che gli si mozzava in gola mentre leggeva il significato dietro quelle frasi, sentendo tutta la tristezza e la confusione e l'intensa solitudine che guastavano le parole di Remus.

“Firma sotto di me,” lo incoraggiò Remus “Così sarà come il messaggio degli altri amanti. Penso che sia la stessa cosa. Che dica la stessa cosa, significhi la stessa cosa.”

Sirius annuì. Lo pensava anche lui. Remus aveva senza volerlo intercettato la magia di quel luogo quando aveva scritto il messaggio, facendo in modo che un giorno si sarebbero rivisti. Grazie a Dio era stato prima piuttosto che poi. Sirius non riusciva a immaginarsi di vivere per decenni sentendosi come si era sentito, da solo in una grande folla di persone.

In silenzio Sirius incise il suo nome sotto di quello di Remus mentre Remus teneva la torcia ferma per lui. Quando ebbe finito si presero di nuovo per mano, baciandosi ancora una volta prima di dirigersi verso la porta. Remus aveva con sé il suo quaderno, e Sirius la sua scatola di scarpe, ma si lasciarono indietro la loro incisione sulla panchina, e la scatola di costumi sotto quella.

Tornarono al negozio il giorno seguente, perché Remus aveva promesso di aiutare i suoi genitori mentre era casa per le vacanze, e Sirius non aveva niente di meglio da fare che non coinvolgesse Remus. D'istinto Sirius si diresse verso il retro del negozio, cercando di nuovo la loro porta. Non fu del tutto sorpreso quando non la trovò. Sorridendo, Sirius si baciò la mano, poi la premette sul muro di pietra dove una volta era la porta.

“Grazie,” mormorò.

“Sirius!” Remus lo stava chiamando dal negozio. “Porta qui il sedere, devi aiutarmi a mettere questa scatola sullo scaffale!”

Con un sorriso, Sirius si affrettò ad andare, tornando da Remus. Non si guardò indietro.




 




N/T:

Eccoci qua, siamo arrivati alla fine... Dopo quasi 6 mesi, 36 capitoli, più di 100 mila parole tradotte e 190 pagine di documento Word, è arrivato il momento di lasciarci.
Non so dirvi quanto sia stato bello ed emozionante per me questo viaggio, l'essermi appassionata ed entrata così profondamente in una storia, di cui l'unica cosa che non mi piace è il fatto che non l'abbia scritta io.
Tradurre e postare capitoli era per me diventata una costante in questi ultimi mesi, e mi mancherà da morire. Voi mi mancherete da morire (anche le molte persone che hanno letto silenziosamente, vi ringrazio moltissimo).
Beh, che altro dire? Grazie per avermi seguito fino alla fine ed essere cresciuti con me insieme a Sirius e Remus, e spero che anche voi un giorno troviate una Porta che vi faccia scoprire mondi meravigliosi!

Addio e arrivederci!




P.S. Questa è anche la prima storia che sono sempre riuscita ad aggiornare nei giorni prestabiliti, quindi urrà per me ;)




 

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