A new lease on life

di Soul of Paper
(/viewuser.php?uid=563545)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto cominciò da uno scatolone... ***
Capitolo 2: *** La pausa pranzo ***
Capitolo 3: *** Giocando col fuoco... ***



Capitolo 1
*** Tutto cominciò da uno scatolone... ***


Nota dell’autrice: voglio innanzitutto tranquillizzare chi segue la mia lunghissima storia su PAP che non ho affatto intenzione di abbandonarla, anzi, il prossimo capitolo è a buon punto e dovrebbe arrivare tra pochi giorni. Solo che il tarlo dell’ispirazione ha iniziato a darmi il tormento due giorni fa con questo piccolo esperimento e ho imparato ormai ad assecondarlo, perché se no sono guai ;). Doveva essere una oneshot, insomma, una autoconclusiva, ma tra gli orari di lavoro, la casa nuova e il mio stile di scrittura ho deciso che è meglio dividerla in due capitoli più brevi. La premessa è semplice: come scopre Camilla di un certo trasloco? O meglio, cosa pensa di aver scoperto Camilla? In questo capitolo ci sarà una prima parte introspettiva e la scena che dà il via a tutto. Vi anticipo già che non credo realmente che lo scopra esattamente così ma… vedrete, vi dò appuntamento alle note a fine capitolo per i dettagli sul seguito e per non rovinarvi la sorpresa sulle premesse.
 


“A new lease on life”


 
Capitolo uno: “Tutto cominciò da uno scatolone…”
 


 
Tutto era cominciato da uno scatolone.
 
Sì, uno scatolone, uno di quei cubotti o parallelepipedi (in fondo se ci si sforzava qualche concetto le era rimasto dagli anni passati a lottare prima con i suoi compiti di geometria e poi quelli di Livietta, che di solito erano stati prerogativa di Renzo ma… mentre Renzo era in altre faccende affaccendato – Carmen, ovviamente! – ci si era dovuta arrabattare pure lei) grigi o marroni e tristissimi che avevano accompagnato da sempre i momenti più traumatici della sua esistenza.
 
Quei cosi bislunghi, deformi ed ingobbiti peggio del povero Quasimodo, simboleggiavano per lei il caos, il salto nel vuoto, la sua vita che mutava di fronte ai suoi occhi e, fatalmente, mai in meglio. Certo, c’era forse stata un’eccezione: il suo matrimonio con Renzo. Ma all’epoca di scatoloni ce n’erano stati ben pochi: era tutto nuovo e lei in fondo aveva solo dovuto fare un piano di scale. Appartamento sopra a quello di mammà, un regalo di nozze – col senno di poi non saprebbe dire chi era il mittente e chi il destinatario del dono. Ma col senno di poi, forse quei maledetti pezzi di cartone pressato avevano cominciato a portarle sfortuna già da allora.
 
O forse, col senno di poi, è solo ingiusta adesso: in fondo era stata felice, erano stati felici, nonostante sua madre – una parola che solo da poco riesce a pensare senza sentire una pugnalata all’altezza dello sterno, l’unica cosa positiva di tutta questa storia, di tutto questo dolore fresco che aveva coperto e ovattato il dolore ormai quasi rappreso.
 
Per dieci lunghi anni, che erano passati troppo in fretta, c’erano stati felicità, tranquillità, serenità, forse un po’ di noia, di monotonia ma… aveva avuto una vita quasi perfetta, quella che tutte le sue amiche invidiavano. Il marito dolce, innamorato, premuroso, comprensivo, paterno, perfetto che tutte le raccomandavano di “tenersi stretto”. E soprattutto era arrivata Livietta a riempire la sua vita, la loro vita di una gioia e di un amore che Camilla non aveva mai provato prima, a farle capire per la prima volta cosa significa amare qualcuno più di se stessi, a tal punto da essere disposti a qualunque cosa pur di rendere felice quello scricciolo dagli enormi occhioni azzurri che la guardava, che li guardava con così tanto amore incondizionato da farle bene e male al cuore e che dipendeva solo da lei, da loro, la sua mamma un po’ folle e casinista e il suo papà adorato.
 
Ma dopo dieci anni di quiete, improvvisa e non cercata, la tempesta l’aveva travolta. Un commissario di polizia dalla battuta pronta e dalle scarpe di cuoio inglese, che non erano sopravvissute al loro primo incontro, era piombato nella sua vita una sera come tante altre, a ribaltare ogni sua certezza, a portare il caos nella sua placida esistenza. A farle dubitare, per la prima volta da quando aveva pronunciato quelle promesse “fino a che morte non vi separi”, se quella vita, così perfetta, così invidiabile, così rassicurante e così prevedibile fosse davvero quella che voleva. A farle sognare, ad occhi chiusi e ad occhi aperti, di lasciarsi andare alla passione, a quella specie di corrente magnetica che sembrava attrarla inesorabilmente verso di lui, verso un uomo che non era suo marito. A domandarsi come sarebbe potuto essere una vita accanto ad un uomo che non era quello che aveva scelto e sposato. A farle sentire la mancanza di qualcosa di indefinibile, di qualcosa che non si era mai nemmeno accorta le mancasse prima di conoscere lui. A farle scoprire una parte di sé che nemmeno sapeva esistesse, che la affascinava, la tentava e la turbava in egual misura. Proprio come lui.
 
All’inizio non l’aveva preso sul serio, non aveva preso sul serio le sue frasi, i suoi sguardi, i suoi ammiccamenti, le sue battute. Fa così con tutte! Scherza soltanto! – si era detta, forse perché mentre le diceva a lei, chissà cosa diceva alla sua amica Bettina, chissà cosa faceva con la sua amica Bettina. O forse per sentirsi meno in colpa delle sensazioni che quelle battute provocavano in lei, quella specie di sciame d’api che si scatenava nel suo stomaco e che ronzava nelle sue orecchie ogni volta che lui scherzava, ogni volta che lui si avvicinava. E poi aveva iniziato pure lei a scherzare, a giocare.
 
A giocare con il fuoco.
 
E l’aveva sfiorato il fuoco e ci si era quasi scottata, quando lui l’aveva convocata a casa sua e le aveva comunicato così, senza troppi giri di parole, che si era innamorato. E che la tizia di cui si era innamorato e che Camilla aveva desiderato ardentemente ed irrazionalmente di strangolare con le sue mani, senza nemmeno conoscerla, non era altri se non lei, Camilla Baudino in Ferrero, madre, moglie, professoressa di professione e investigatrice per diletto e ormai diversamente giovane, oltre che ben poco avvenente.
 
Eppure lui, per qualche miracolo o scherzo del destino – o forse per qualche inspiegabile effetto collaterale dei litri di Vermouth che si erano scolati insieme nel corso della loro conoscenza – la trovava addirittura sexy, la donna più attraente che avesse mai incontrato.
 
Un pazzo totale. Ma quel pazzo l’amava.
 
Non era un gioco per lui, forse lo era stato all’inizio ma… non lo era più. Lui l’amava. L’amava.
 
Se l’era ripetuto come un mantra mentre scappava come una ladra da quel loft, toccandosi le labbra che ancora scottavano per quel contatto più leggero di una piuma.
 
Lui l’amava. Non era un gioco e Camilla si era trovata inaspettatamente a desiderare ardentemente di strozzare non un’altra ma se stessa.
 
Per essere andata a quell’appuntamento, per non essersi fermata prima, per avergli quasi permesso di baciarla, di arrivare ad un millimetro dall’infrangere tutte le sue promesse, tutti i suoi ideali, dal lasciarsi andare al caos. Dal diventare quel genere di donna che aveva sempre disprezzato o forse compatito. Dal tradire Renzo, Livietta, le promesse fatte, dal tradire se stessa.
 
Ma, soprattutto, perché nemmeno per lei era mai stato un gioco e l’aveva capito soltanto in quel momento, mentre una scarica elettrica la trapassava da parte a parte al solo sfiorare quelle labbra sconosciute che però sentiva di conoscere in ogni dettaglio, in ogni piega, in ogni curva, in ogni ruga, in ogni espressione, in ogni smorfia.
 
Come conosceva quegli occhi azzurri eppure così diversi da quelli di Renzo, quegli occhi luminosi, aperti, gentili, che si accendevano quando incrociavano i suoi, quello sguardo e quel sorriso così pieni di calore, che sapevano passare dal tepore del sole di primavera sul viso, all’incendio che ti consuma fin nelle viscere. Dalla dolcezza alla malizia, da Lancillotto a Casanova, tutto nel giro di un battito di ciglia.
 
Ci aveva provato ad allontanarsi da lui, ma ogni volta il destino sembrava rimetterlo sulla sua strada e lei non sapeva se odiarlo per questo o essergli grata.
 
Al destino e a Gaetano.
 
Si era illusa di poter controllare quello che provava per il suo commissario, l’attrazione che c’era e che c’è ancora tra loro.
 
Tutte palle.
 
Ma ci si era aggrappata a questa speranza con tutte le sue forze, all’illusione di poter salvare capra e cavoli, di poter tenere Gaetano nella sua vita senza che questo turbasse il suo matrimonio con Renzo.
 
Fino a quando si era ritrovata sì aggrappata, ma alle spalle di Gaetano, avvinghiata ai suoi capelli, alle sue labbra, che riesce ancora a sentire sulle sue come se fosse successo un’ora fa, in quello che definire un bacio sarebbe come definire Michelangelo un imbianchino e il Giudizio Universale nella Cappella Sistina come una mano di pittura.
 
Ma lui le aveva sconvolto la vita due volte e gliel’aveva apparentemente rimessa a posto facendosi da parte, andandosene a Praga, permettendole di fare finta di niente, di fare finta che quello che era successo fosse giusto una spennellata di bianco come tante altre. Un incidente di percorso.
 
Tutte palle.
 
Era tornato ma non da solo. C’era quella dei tozzetti al cioccolato. Roberta, la sua fidanzata. Quanto l’aveva odiata Roberta, quanto l’aveva invidiata Roberta e quanto l’aveva, col senno di poi, benedetta Roberta.
 
Perché Roberta era stata l’alibi perfetto per la sua coscienza, per zittire i suoi sensi di colpa al primo, secondo, terzo, quarto, centesimo vermouth con Gaetano. Perché che c’era di male a trovarsi due, tre volte al giorno con un amico per un cappuccino o per un aperitivo al bar e qualche confidenza? Tanto lui era fidanzato, figuriamoci se pensava ancora a lei!
 
Non si capacita tuttora di come avessero fatto il suo stomaco e il suo fegato a reggere tutta quella caffeina e tutto quell’alcol che tracannavano guardandosi negli occhi e parlandosi di cose di cui avrebbe dovuto parlare con qualcuno che però stava in pausa di riflessione.
 
Eppure il rigurgito acido le era salito in gola soltanto una fredda mattina di fine inverno, quando Gaetano aveva sganciato la bomba: si sposava con Roberta.
 
La tazza le era caduta dalle mani, il cui tremore non era riuscita a contenere e la caffeina e il freddo non c’entravano niente.
 
La realtà aveva presentato finalmente il conto e le aveva ricordato che quell’anello al dito di Roberta e la definizione di fidanzata significavano quello che il dizionario della lingua italiana da sempre suggerisce ma che lei aveva preferito ignorare.
 
Era stato uno schiaffo in pieno viso, il primo, l’inizio della fine.
 
Perché anche se Gaetano alla fine non si era affatto sposato, l’alibi ormai non c’era più ed un secondo schiaffo, secco, netto e affilato come il bisturi di un chirurgo l’aveva colpita come una cinquina sulla guancia, rivelandole senza possibilità di smentita il vero motivo per cui questo maledetto matrimonio era saltato – altro che l’emergenza. Motivo che una parte di lei conosceva benissimo, visto che la colpa – o il merito – di quella scena degna del peggiore filmetto rosa era stata anche sua, oltre che del suo cellulare.
 
Gaetano l’amava ancora, forse più di prima, l’aveva sempre amata e nel delirio di una febbre l’aveva implorata, l’aveva implorata di… di aiutarlo a liberarsi di lei, di aiutarlo a lasciarla andare.
 
Il nodo allo stomaco non è affatto un ricordo, lo sente ancora adesso, insieme a quel maledetto pizzicore agli occhi.
 
Aiutami a distruggerti! – il ritornello di una canzone di Zarrillo che dovrebbe essere vietata a chiunque sia anche solo in odor di depressione, in quanto potenziale istigatrice di suicidi, risuona nelle sue orecchie ora come allora.
 
E lei aveva fatto esattamente ciò che le aveva chiesto, l’unica cosa che, da vigliacca e da egoista quale era, poteva fare per lui, per loro, per essere almeno un pochino meno egoista. Aveva preso l’unica strada che poteva prendere. Anzi, no, forse non era l’unica strada, ce n’era un’altra, più tortuosa, coraggiosa e difficile, ma era stata l’unica strada che era riuscita a prendere, che si era sentita pronta a prendere.
 
Aveva giocato con le vite di quattro persone, lei compresa, anzi cinque, contando Roberta, e doveva guardare in faccia la realtà e smettere di provocare tutta questa sofferenza con la sua indecisione.
 
Ed erano arrivati quei maledetti scatoloni a riempirle casa e a svuotarla pian piano, a svuotare e sradicare la sua vita, oggetto dopo oggetto, nastro di scotch dopo nastro di scotch.
 
Se ne era andata senza nemmeno salutarlo, di nuovo come una ladra, forse perché una parte di lei sapeva che non sarebbe mai riuscita a dirgli addio guardandolo negli occhi.
 
Barcellona era sembrata la meta ideale per ricominciare e ricostruire un rapporto con Renzo, con quel marito che, nonostante tutto quello che era successo, soprattutto nell’ultimo anno, sentiva di amare ancora.
 
Lei e Renzo si sarebbero ritrovati, lo avrebbe aiutato ad uscire dal suo periodo nero, si sarebbe dedicata solo a lui e a Livietta e piano-piano sarebbero tornati quelli che erano un tempo. Città nuova, vita nuova.
 
E Gaetano?
 
Una tentazione, così l’aveva definito davanti alla tomba della sua professoressa.
 
Qualche migliaio di chilometri sarebbe bastato a darle la forza di mantenere i suoi propositi di stargli lontana e di non cedere più alla tentazione. Di non cedere oltre.
 
Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
 
Tutte palle.
 
Chi ha scritto quella frase forse non sa che pure il cuore ha gli occhi, che magari di giorno stanno chiusi ma di notte, nei sogni, ci vedono benissimo.
 
L’aveva sognato in continuazione, soprattutto i primi tempi, tutte le notti.
 
Ogni volta che le succedeva qualcosa di bello, di brutto o che, peggio, non le succedeva proprio niente, avrebbe solo voluto poterne parlare con lui. Avrebbe voluto potersi sfogare con lui di quella maledetta città in cui si sentiva come un’estranea, in cui si sentiva sfiorire e appassire come una piantina tenuta chiusa in una stanza buia, mentre Renzo, almeno lui, sembrava sentirsi finalmente a casa e rifiorire ogni giorno di più. Ma non con lei, visto che lei era diventata l’angelo di un focolare perennemente vuoto e spento.
 
Avrebbe voluto potersi lamentare degli  orari, delle abitudini che non le appartenevano, di quella lingua che continuava a suonarle estranea, di quanto le mancassero Roma, sua madre, le sue amiche, i suoi studenti, il suo lavoro.
 
Di quanto le mancasse lui.
 
Era stata tante volte sul punto di chiamarlo anche solo per sentire la sua voce, come la peggiore stalker psicopatica o come la peggiore ragazzina patetica che fa le poste al ragazzo più grande che le piace.
 
Si era sempre fermata in tempo.
 
Ma aveva consumato come se fosse metadone una fotografia di lui, l’unica che aveva, il ritaglio di un giornale, un articolo sul loro primo caso insieme dopo il ritorno da Praga. La custodiva gelosamente come segnalibro in uno dei pochi romanzi rosa che possedeva – un regalo poco azzeccato che aveva abbandonato alla ventesima pagina – e a cui sapeva che Renzo non si sarebbe avvicinato nemmeno per sbaglio. E ogni tanto si faceva la sua dose quotidiana, quando suo marito non c’era.
 
Non che fosse difficile, visto che Renzo c’era sempre meno.
 
Aveva capito il motivo di quelle assenze quando le aveva annunciato così, da un giorno all’altro, che il loro matrimonio era finito. È stato bello ma non funziona più, grazie e arrivederci.
 
La botta era stata devastante. Lei odiava i fallimenti, li aveva sempre odiati e quello non era solo un fallimento, era IL fallimento. Un fallimento totale, su tutta la linea.
 
Aveva sradicato se stessa e sua figlia, aveva rinunciato a tutto, aveva rinunciato a LUI e per cosa? Per ritrovarsi di nuovo la casa piena di quei dannatissimi pezzi di cartone, per ritornare con la coda tra le gambe da dove era partita ma senza un marito e con l’autostima e il cuore in frantumi, più un principio di depressione.
 
E poi il tempo era passato a lenire almeno un poco le ferite e di nuovo altri scatoloni, questa volta per traslocare alla “Fattoria” con Marco dopo un fidanzamento lampo.
 
Povero Marco: era stata davvero una stronza con lui. La peggiore delle stronze.
 
Ma quando Renzo era tornato dicendole che non poteva passare tutta la vita con Marco, lei aveva sentito che aveva ragione. Non poteva farlo.
 
Sempre con il dannatissimo senno di poi, non sa quanto sia dipeso da Renzo e quanto da Marco. Perché, anche se aveva provato a convincersene in ogni modo, lei non aveva mai amato davvero Marco e ritrovare un certo commissariopromossovicequestore gliel’aveva fatto capire senza più alcuna ombra di dubbio.
 
Perché quello sciame d’api si era risvegliato e aveva fatto mille volte più casino in cinque minuti, nel rivedere Gaetano a Torino di fronte al commissariato e poi dalla finestra di fronte – maledetto e benedetto di nuovo il fato beffardo – che in tutta la sua grande storia d’amore con Marco messa insieme.
 
Ma aveva avuto bisogno di credere di amarlo Marco, perché il produttore di vini non era solo molto affascinante, ma era l’uomo giusto al posto giusto e lei aveva appena scoperto di aver perso per sempre non solo Renzo ma pure il sogno mai del tutto svanito da un angolo della sua mente e del suo cuore di un… di un qualcosa tra lei e il suo commissario.
 
Ma il suo commissariodiventatovicequestore non era più suo: si era sposato, aveva figliato, come aveva detto Torre e si era scordato di lei.
 
Come Renzo, anche Gaetano era andato avanti.
 
E lei era rimasta indietro, con un palmo di naso e una dieta degna di un culturista a base di uova al tegamino: chi troppo vuole nulla stringe. Così diceva sua madre… pace all’anima sua.
 
Aveva disfatto tutti i cartoni appena preparati, impilati e caricati sul camion ed era tornata insieme a Renzo in quella che era stata la loro casa, il loro nido d’amore. In cui si era, per l’ennesima volta, illusa che avrebbero potuto tornare ad essere quelli che erano stati una volta.
 
Peccato che dal nido Renzo era di nuovo volato via subito, in direzione Torino. E come facevano a tornare ad essere una coppia, una famiglia, se metà della coppia e un terzo della famiglia era presente, quando andava bene, per un paio di weekend al mese?
 
E quindi altro giro, altro trasloco, altre scatole riempite e catalogate con precisione certosina, nonostante le proteste e gli scioperi della fame di Livietta contro la deportazione e nonostante sua madre continuasse a ripeterle che era una pazza a sradicare di nuovo la sua vita per il Mostro.
 
Ma lei a ribattere come un mantra a loro e a se stessa che con la convivenza tutto si sarebbe aggiustato.
 
Città nuova, vita nuova.
 
Quand’è che l’aveva già sentita quella frase?
 
Poco importa: tutte palle.
 
Erano ritornati alla loro vecchia vita, sì, la vecchia vita con lei che passava sempre più tempo con Gaetano da una parte e Renzo che passava sempre più tempo con Carmen dall’altra.
 
La cara vecchia Carmen, che lei aveva accettato di far richiamare pregando e sperando che o lui si rifiutasse o si rifiutasse lei.
 
Come no….
 
Sua madre di nuovo le aveva dato della cretina a fidarsi, perché il lupo perde il pelo – o i capelli – ma non il vizio.
 
Non è sicura se credere o meno in qualcosa dopo la morte, anche se a volte, nei momenti peggiori, aveva quasi sentito la presenza, il conforto di sua madre, che sembrava farle forza, ma è sicura che, da dovunque stia ora, sua madre stia morendo dalla voglia di dirle “te l’avevo detto!” e poi di stringerla in quell’abbraccio fortissimo di cui avrebbe maledettamente bisogno da quando Renzo è tornato a casa una sera, iniziando a balbettare scuse assurde e a delirare di hotel a cinque stelle e grappe aromatiche, mentre il suo cervello e la sua stramaledetta capacità deduttiva avevano già dedotto, avevano già capito e si rifiutavano di capire.
 
E poi la mazzata finale, l’ultima umiliazione, la più grande: suo marito stava per avere un altro figlio.
 
Lei no.
 
Non sa cosa le abbia fatto più male, più schifo: se immaginarsi Renzo e Carmen insieme in un eterno incubo ad occhi aperti e ad occhi chiusi, in ogni squallidissimo dettaglio, se il fatto che Renzo avesse cercato di giustificare il suo tradimento con il suo rifiuto di seguirlo ad un pallosissimo convegno di architettura e con i fumi della grappa aromatica, mentre lei non aveva mai ceduto di una virgola alle tentazioni nonostante tutto il vermouth ingollato a stomaco vuoto, o se sapere che il suo devoto marito non aveva nemmeno preso delle stramaledettissime precauzioni. Che non aveva minimamente pensato né a se stesso, né a Carmen né a lei, nemmeno alla sua salute fisica oltre che a quella mentale che ormai è a dir poco vacillante.
 
Aveva urlato, pianto, mangiato, vomitato, dato sfogo al dolore e alla rabbia tra le quattro mura di quell’appartamento ormai vuoto.
 
Non si era trattenuta, meno male che il vicino faceva il turno di notte e non l’aveva sentita, ma quell’abbraccio… quell’abbraccio di cui aveva sentito disperatamente bisogno le era mancato e le manca ancora.
 
In un attimo di follia era corsa alla finestra, non per buttarsi giù ma per guardare al di là del cortile e quello che aveva visto era stato come uno schiaffo, un tradimento quasi peggiore di quello di Renzo.
 
Gaetano, il suo Gaetano che accoglieva e consolava non lei ma il fedifrago con la sua grandissima faccia tosta e la sua grappa aromatica.
 
Maledetta solidarietà maschile: li avrebbe uccisi entrambi!
 
Tanto che l’aveva mandato a quel paese, lui e il suo messaggino in piena notte, perché certo, la priorità era il fedifrago che poverino non aveva un tetto sulla testa, non lei sola a mangiarsi il fegato e vomitare l’anima in un appartamento vuoto.
 
Ma, anche se non capisce ancora del tutto il comportamento di Gaetano di quella sera, con il passare dei giorni e soprattutto con ogni piccolo, grande gesto che le dedicava, piano piano il senso di tradimento e il risentimento nei suoi confronti si erano sciolti come neve al sole lasciando il posto solo ad un’immensa gratitudine e a quel dolore sordo piacevole al petto che da anni ormai associa unicamente a lui.
 
Perché quella sera Gaetano non aveva preso le parti di Renzo, Gaetano era, è e sarà sempre dalla sua parte, ora lo sa. Non era Renzo che voleva aiutare, difendere, proteggere,  ma lei. Di questo ora è sicura, anche se forse non comprenderà mai i ragionamenti di Gaetano quella sera.
 
Perché in tutte queste settimane, in tutti questi mesi, fin da subito, non aveva perso occasione di dimostrarle sostegno e vicinanza in una maniera così delicata e rispettosa e sensibile che le provocava un bruciore agli occhi – per una volta piacevole – e quell’ormai arcinota fitta al petto. Riusciva incredibilmente ad essere presente senza essere opprimente, ad esserci quando aveva bisogno di lui e a capire quando voleva stare da sola. Sembrava intuire, fiutare come un segugio quando stava per lasciarsi andare e con due battute farle ritrovare un minimo di quella fiducia in se stessa e di quell’autostima che si erano polverizzate di fronte a quest’ennesima umiliazione, a quest’ennesimo fallimento.
 
Il suo fallimento, perché come si dice… se mi freghi una volta è colpa tua. Ma se mi freghi due volte è colpa mia.
 
E lei si era fatta fregare di nuovo, come una cretina, ostinandosi a salvare qualcosa che non poteva essere salvato, perché Renzo, nonostante tutti i suoi proclami di amore e di pentimento non la amava più, non come un marito dovrebbe amare e soprattutto rispettare una moglie.
 
E anche se davvero è amore quello che prova per lei, che se ne fa lei di un amore così?
 
Non contano le parole ma i fatti e i fatti stanno a zero: se questo è amore, lei non vuole averci più niente a che fare con l’amore.
 
Tutte palle.
 
Perché lei aveva e ha disperatamente bisogno d’amore, d’amore vero, puro, di bene, come mai prima di quel momento, aveva bisogno di quell’abbraccio che non riusciva a chiedere e non riusciva a dare. Nemmeno a lui: quella sera sì, sì che avrebbe potuto, nella vulnerabilità e nella disperazione, aggrapparsi a lui, lasciarsi abbracciare e avvolgere da tutto quel calore che le trasmetteva con la sua presenza. Perché se c’è una cosa di cui Camilla è sicura è che lui non avrebbe mai approfittato della sua vulnerabilità, mai, soprattutto non quella sera.
 
Ma dopo… dopo era tardi… aveva paura di essere ferita, aveva paura di quello che provava per lui, di quello che lui provava per lei, sapeva e sa che ogni loro abbraccio è troppo pericoloso per lei, si sentiva e si sente ancora troppo scoperta, vulnerabile, nuda, fragile e si era chiusa a riccio completamente.
 
Era stato, come sempre, dannatamente e miracolosamente bravo a far breccia nelle sue difese, da quando l’aveva convocata a tradimento con la complicità del vicepreside, l’aveva portata a levarsi gli occhiali che indossava come uno scudo, le aveva preso le mani e, guardandola negli occhi, l’aveva implorata di permettergli di starle vicino.
 
La cosa più simile a quell’abbraccio che potesse permettersi e permettergli in quel momento senza fuggire o senza sciogliersi in lacrime e singhiozzi, anche se c’era mancato un soffio e sa che lui lo sapeva.
 
Era diventato esattamente quello di cui aveva bisogno: l’amico dolce, comprensivo, rispettoso e corretto. Perfetto. Niente più avvicinamenti pericolosi, solo qualche battuta ogni tanto – e per i primi tempi nemmeno quelle – come a ricordarle quello che c’era e ci sarebbe sempre stato, che LUI ci sarebbe sempre stato ma che sapeva aspettarla. Che avrebbe aspettato che lei fosse pronta, che il suo cuore e il suo ego feriti a morte si fossero un minimo rattoppati, che uscisse dal suo periodo nero e…
 
E un giorno chissà…
 
Tutte palle.
 
Aveva aspettato certo. Aveva aspettato giusto il tempo che lei svuotasse gli armadi, i cassetti, per gettare quasi tutta la roba del fedifrago in altri dannatissimi cubi di cartone, anche se nei cassetti continuavano a spuntare a tradimento cose che le ricordavano di lui, anche se il fedifrago, anzi Renzo - doveva abituarsi ad avere un rapporto almeno civile con lui, per il bene di Livietta, sebbene l’avrebbe voluto uccidere per quel mezzo sorriso che gli era spuntato sul volto quando le aveva confermato di aspettare IL MASCHIO che tanto aveva desiderato e che lei non si era forse mai sentita pronta a dargli – non si decideva a completarlo il trasloco e il suo studio sembrava ancora un garage.
 
Aveva aspettato che lei abbassasse le difese, che ritirasse gli aculei, che si sentisse talmente in pace, talmente serena con lui e con quell’angelo di suo figlio da portare il suo corpo e il suo inconscio a tradirla. Due volte. A lasciarsi andare nella stanza di Tommy a quel sonno che disperatamente ogni notte le sfuggiva e arrivava sempre troppo tardi: prima sulla scrivania e poi in quel letto così grande per un bimbo.
 
Una piuma tra i capelli e sulla spalla l’aveva svegliata – per modo di dire perché era ancora mezza intontita – e istintivamente, senza quasi pensarci, l’aveva salutato come si impediva sempre di fare, con un bacio sulla guancia ben diverso dai guancia a guancia che di solito dà agli uomini che definisce amici, senza sottotesti e virgolette.
 
Si era dimenticata per un secondo quanto fosse pericoloso Gaetano per lei, quanto fosse pericoloso avvicinare i loro visi in quel modo.
 
Ma lui gliel’aveva ricordato, l’aveva risvegliata bruscamente e dolcemente con un vero bacio, breve, delicato, lieve come quel tocco sul collo e dalla forza dirompente di uno tsunami.
 
Come sempre… ma stavolta era diverso, perché mentre gli dava le spalle senza guardarlo e chiamava quel maledetto ascensore che sembrava non arrivare mai, non si era solo sentita confusa, sconvolta, come sempre, no! Stavolta c’era anche un vago sentore di rabbia che montava dentro di lei.
 
Non saprebbe dire se verso di lui per avere infranto questo specie di patto non scritto di solidarietà non amorosa o verso se stessa per avergli permesso di infrangerlo, per averlo quasi invitato ad infrangerlo per… per non riuscire a fare a meno di lui, a tremare ad ogni suo tocco, a desiderare disperatamente di voltarsi, spingerlo contro quella porta e baciarlo – come aveva fatto mille volte nei brevi e tormentati sonni delle notti successive. Per non riuscire, allo stesso tempo, a lasciarsi andare, a non avere paura di lui, dell’intensità viscerale di questi sentimenti ingarbugliati che prova per lo stimatissimo vicequestore Gaetano Berardi a cui non vuole, non può dare un nome, perché quel nome la atterrisce e la fa sentire ancora più fragile e vulnerabile di quanto già è.
 
L’aveva evitato per due settimane, due intere settimane, o forse era lui che aveva evitato lei. Di sicuro non l’aveva cercata, non aveva provato ad avvicinarsi e per i primi giorni questo le aveva fatto comodo. Oh, se le aveva fatto comodo!
 
Al quarto giorno una specie di ronzio nell’orecchio aveva cominciato a infastidirla, diventando sempre più forte mano a mano che i giorni passavano, mano a mano che il campanello non suonava, il cellulare non squillava. Nessun caso, nessuna scusa per vederlo, nessuna nuova improbabile emergenza sanitaria di Tommy – almeno non che lei sapesse. Aveva solo incrociato padre e figlio in cortile una sera quando era scesa un attimo per portare Potti a fare i bisogni.
 
Il fatto che l’avesse fatto proprio all’orario in cui di solito Gaetano e Tommy rientravano dal lavoro e da scuola e che l’attimo era durato più di un quarto d’ora, nonostante l’aria già fredda di fine novembre, era ovviamente da ritenersi assolutamente casuale.
 
Tommy aveva salutato lei e Potti con il solito entusiasmo ma, mentre cane e bimbo giocavano insieme, tra lei e Gaetano era sceso un silenzio gelido più della sera che era già notte.
 
Nessuno sembrava intenzionato ad aprire bocca per primo, forse entrambi si aspettavano una parola, una giustificazione, delle scuse o anche solo delle recriminazioni.

Niente, solo qualche occhiata fugace prima che Gaetano ricordasse a Tommy che era ora di cena e ignorasse, come lei, l’invito del bimbo ad unirsi a loro, facendo finta di non aver sentito e salutandola con due frasi di circostanza.
 
Lo sguardo deluso di Tommy l’aveva fatta sentire uno schifo ancora più di quanto già si sentisse, ma era stato niente rispetto al gelo che le era ormai entrato fin nelle ossa, un gelo che nemmeno una serata davanti a un caminetto acceso avrebbe potuto estinguere.
 
A meno che non ci fosse qualcuno insieme a lei davanti al caminetto – le ricorda la vocetta maliziosa e tentatrice nella sua testa che ha, chissà perché, lo stesso tono di Francesca.
 
Aveva capito istintivamente che c’era qualcosa nell’aria, qualcosa che non andava, che stavolta era diverso e ne aveva avuto conferma una sera quando, senza farsi vedere, da perfetta stalker quale era diventata, aveva spiato acquattata  dietro le tende la finestra di fronte.
 
E, proprio davanti al divano, ci aveva trovato la sua nemesi: uno di quei cosi oblunghi marrone chiaro, con le inconfondibili freccette nere rivolte verso l’alto e la scritta fragile, che, pure se non riusciva ovviamente a leggere, avrebbe potuto riconoscere anche a chilometri di distanza.
 
Avrà comprato qualcosa per Tommy – primo pensiero. Magari un giocattolo di quelli voluminosi, da montare.
 
Ma il ronzio nelle orecchie era aumentato mentre nello stomaco nessun brusio stavolta, solo una specie di sasso che non voleva andarsene né su né giù.
 
Aveva ignorato sasso e ronzio anche quando la sera dopo era apparso un altro di quei cosi, impilato sopra al precedente nel salotto di casa di Gaetano, ed il ronzio era diventato una specie di sibilo, di fischio fastidioso e sempre presente.
 
Magari ha comprato qualche mobile nuovo per rinnovare la stanza di Tommy o magari sta dando via i vestiti che al bambino ormai non vanno più – del resto Tommy cresce talmente in fretta!
 
Tutte palle.
 
La terza sera, poco dopo che Livietta si era ritirata in camera sua – ultimamente sembrava sempre stanca, strana, aveva poco appetito, forse le mancava George o forse non si era ancora ripresa dalla botta di suo padre e, passata la fase di rabbia, era arrivata quella del dolore – c’era stata la mazzata finale.
 
Un terzo e un quarto scatolone, accanto ai primi due.
 
Se due indizi fanno una prova, quattro fanno una certezza.
 
La conferma che c’era qualcosa che non andava, qualcosa di grave, di storto, l’aveva avuta quando al fischio si era accompagnato uno strano formicolio che dalla punta delle dita le aveva invaso le braccia, quando improvvisamente il ferretto del reggiseno sembrava essere diventato di due taglie più stretto e impedirle di respirare, il fiato corto, il battito di un tamburo nel petto, le labbra secche ed addormentate.
 
Stava arrivando un altro attacco di panico e si era imposta di mettersi seduta sul divano a respirare, a fare gli esercizi che alla fine le aveva insegnato Francesca, visto che lei si era rifiutata di andare dalla psicologa che le aveva consigliato.
 
Dopo una chiamata a Francesca, trascorsa tentando di ignorare la preoccupazione nella voce dell’amica, che, con Roberto in casa, non poteva correre lì senza preavviso, si era tranquillizzata e l’aveva rassicurata che tutto andava bene.
 
Tutte palle.
 
Per la carità, l’attacco di panico era passato ma non andava affatto tutto bene, per niente.
 
Seguendo un impulso irrefrenabile, si ritrova adesso, meno di ventiquattr’ore dopo quella telefonata, insieme a Potti in giardino, seduta su una panchina, accoccolata a lui per scaldarlo e per scaldarsi, i bisogni ormai soddisfatti da un pezzo.
 
Quelli di Potti almeno.
 
Mentre cerca di non battere i denti per il freddo, ode infine i passi inconfondibili di padre e figlio raggiungerla, imbacuccati quasi quanto lei ma sicuramente molto meno intirizziti.
 
Il dolcissimo peso di Tommy le vola in braccio, trasmettendole per qualche istante il calore di cui ha disperatamente bisogno per poi sparire così come è venuto, perché Tommy si è lanciato a giocare con Potti, sgambettando per tutto il giardino dietro al cagnolino.
 
Dopo aver studiato per un attimo i loro giochi, invidiando benevolmente quella meravigliosa ed ormai irraggiungibile innocenza, Camilla solleva lo sguardo ed incrocia per la prima volta quegli occhi azzurri che la guardano con… con preoccupazione?
 
“Sei sicura di stare bene?” domanda Gaetano, dopo essersi schiarito la voce, come se non fosse più abituato ad usarla.
 
“Bene?” ripete lei, confusa, trattenendo l’impulso di scoppiare in una risata sarcastica e replicare che no, non va tutto bene, per niente.
 
La sua vita e bene è da qualche mese che vivono ai poli opposti del globo terracqueo.
 
“Sei quasi blu…” proclama con voce neutra e bassa, sollevando un dito e puntandolo verso la sua bocca, prima di mordersi quelle labbra che avevano catturato le sue a tradimento e che popolavano i suoi sogni da allora anzi da… da… era perfino inutile provare a fare il conto e poi lei e la matematica non erano mai andate d’accordo, “da quanto è che stai qua fuori?”
 
“Potti aveva bisogno di… di fare i suoi bisogni e io avevo bisogno di un po’ d’aria,” risponde semplicemente, con tutta la nonchalance di cui è capace, ignorando la domanda pronunciata e quelle sottintese.
 
Gaetano sembra per due o tre volte sul punto di dire qualcosa per poi bloccarsi senza che un solo suono esca dalla sua gola.
 
Prima che il silenzio si faccia ancora opprimente, Camilla tira un respiro, prende coraggio e sgancia la domanda che stava per esploderle in testa come una bomba, lasciandola deflagrare in mezzo al giardino.
 
“Ho visto gli scatoloni,” dichiara, la voce talmente roca che quasi non si riconosce.
 
“Ah.”
 
Ah? Ah?! – vorrebbe urlargli, di fronte a quella che non è una risposta, non è nemmeno una parola… di fronte a quel sospiro che alza nuvole di vapore nell’aria e a quell’espressione così dannatamente piatta ed imperscrutabile.
 
Ah?! Non c’è nient’altro che mi devi dire? Qualcosa che io non so?” domanda infine, facendo leva su tutto il suo self control per evitare di alzare la voce, ma non potendo evitare la nota accusatoria che risuona chiaramente nel silenzio del cortile.
 
“Credo di averti già detto tutto, di averti sempre detto anche più di tutto, Camilla. Tu, piuttosto: non c’è niente che mi devi dire? Qualcosa che io non so?” chiede di rimando Gaetano dopo un attimo di esitazione, guardandola negli occhi come a volere studiare ogni sua espressione, un tono neutro e stanco che non gli aveva mai sentito usare prima e che non avrebbe saputo definire ma che suonava così asciutto e… e freddo rispetto al calore, alla dolcezza a cui l’aveva ormai abituata.
 
Un tono che la fa imbestialire.
 
“Io?! Non sono io quella con il salotto che sembra un magazzino! Forse mentre mi dicevi tutto e più di tutto, questo piccolo particolare te lo sarai scordato!” sibila, sarcastica, non riuscendo a trattenersi oltre e sorprendendosi da sola nel sentirsi apostrofare Gaetano con un tono che finora aveva riservato solo per il fedifrago.
 
E non è la sola ad essere sorpresa – e turbata – a giudicare dal modo in cui gli occhi di Gaetano si spalancano per qualche istante prima di tornare a quella maledetta espressione inintelligibile.
 
“Che significano quegli scatoloni, Gaetano?” chiede con un tono più tranquillo dopo altri interminabili istanti di silenzio passati a studiarsi a vicenda, cedendo ed esplicitando quella domanda di cui ha una paura folle di conoscere la risposta.
 
Ma deve sapere, ha bisogno di sapere.
 
“Cosa vuoi che significhino, Camilla? Viste le tue incredibili capacità deduttive, immagino che tu l’abbia già intuito, no?” le fa eco, il tono altrettanto calmo, scuotendo leggermente il capo e continuando a fissarla con quegli occhi azzurri che sembrano brillare sotto la luce artificiale che illumina il cortile, senza scomporsi.
 
“Stai… stai traslocando?” esala, capitolando di nuovo, la voce che le si spezza a tradimento sull’ultima parola.
 
“Sì.”
 
Due lettere, una sillaba, una coltellata al cuore assestata con un semplice cenno del capo, con una tranquillità, una pacatezza da perfetto serial killer.
 
“Ti… ti hanno trasferito?” riesce infine ad enunciare deglutendo la palla di ovatta che le si era incastrata in gola, il fischio nelle orecchie talmente intenso da causarle un principio di vertigini, le formichine che cominciano a zampettarle sulle dita.
 
Ma come puoi essere così calmo? Come puoi dirmelo così?! Come hai potuto non dirmelo prima, fare finta di niente!? – una voce le ruggisce e le rimbomba nella scatola cranica mentre a bocca cucita aspetta il verdetto del boia e la sua mente visualizza mete sempre più lontane ed irraggiungibili: Milano, Firenze, ancora Roma, Napoli, Bari, Catania, Praga – maledetta Praga! –, Barcellona – ironia della sorte –, Tokyo, Honolulu.
 
Non ora, non ora! Non posso perderti, non ce la faccio! – continua a ripetere come un mantra, le formiche che le risalgono le spalle accompagnate da fitte calde e pulsanti, non potendo credere all’ennesima beffa di quel grandissimo stronzo che di nome fa Fato o Destino e, allo stesso tempo, sapendo che in fondo avrebbe dovuto aspettarselo.
 
Perché Gaetano è un vicequestore, un funzionario di polizia, e i funzionari di polizia non rimangono mai per troppi anni nello stesso posto. E lui era già da molto tempo che stava qui a Torino.
 
E se invece si fosse fatto trasferire? Per colpa sua… per colpa del suo rifiuto come… come tanti anni prima a Roma quando era partito per Praga. E anche allora non le aveva detto niente se non all’ultimo minuto e-
 
“No.”
 
Altre due lettere, una sillaba, un altro cenno del capo, questa volta in negazione, pronunciato semplicemente, sempre con quel tono tranquillo, prima di chiarire, “rimango a Torino, Camilla: cambio solo appartamento.”
 
Per qualche istante il tappo d’ovatta si scioglie in gola, le formiche si bloccano nella loro corsa, il fischio nelle orecchie si attutisce e il reggiseno torna ad essere di una taglia umana e non più stretto del corsetto di Rossella O’Hara.
 
Fino a quando il suo cervello, a tradimento, fa il collegamento successivo e non può evitare di chiedersi-
 
“Perché?” la parola sfugge dalle sue labbra prima che possa trattenerla, temendo questa sentenza quasi più della precedente, visto che non può nemmeno dare la colpa ad ordini superiori, no, è evidente che Gaetano ha scelto così e c’è solo una possibile spiegazione, “è per quello che… è per quello che è successo due settimane fa?”
 
“No,” scuote il capo, l’espressione del viso che sembra addolcirsi leggermente, per poi aggiungere, sempre con quel tono così pacato, “cioè forse in parte sì ma… diciamo che mi si è presentata un’occasione irripetibile che non potevo non cogliere al volo e… e poi forse avevo bisogno di cambiare un po’ e magari mi porterà fortuna. Com’è che si dice? Casa nuova, vita nuova?”
 
Camilla trattiene a stento una risata sarcastica, chiedendosi per la milionesima volta da quando conosce Gaetano se lui abbia il potere di leggerle nel pensiero ma anche, forse per la prima volta da quando lo conosce, se la stia prendendo per il culo, per usare un francesismo.
 
Qualche secondo ed il dubbio la colpisce come una doccia gelida. Un’occasione? Vita nuova? Non è che…
 
“C’è di mezzo un’a- una donna non è vero?” pronuncia in quella che più che una domanda è una certezza, bloccandosi appena in tempo prima di sibilare un’altra.
 
Gaetano spalanca gli occhi per un secondo, sembrando sorpreso, prima di ammettere, sempre con quello stramaledetto tono indefinibile, “sì, in effetti sì.”
 
Altro che doccia gelida, è come se tutta l’acqua delle cascate del Niagara le fosse precipitata addosso tutta insieme, schiaffeggiandola in pieno viso.
 
E mo chi è questa squinzia?! – è il primo pensiero che la sua mente enuncia in perfetto romanesco.
 
Come hai potuto?! – è il secondo, mentre un senso di tradimento la invade fin nelle viscere, mentre una rabbia cieca le monta in gola.
 
“Ah, beh, certo! E magari ti trasferisci nell’appartamento di fronte al suo, dall’altra parte del cortile, no? Così vi potete guardare tutti i giorni dalla finestra!” sibila sardonica e acida quanto il liquido che le ribolle nello stomaco mentre un ghigno tirato che è praticamente un rictus le si dipinge in viso.
 
“In realtà no… stesso pianerottolo, appartamento a fianco… sai, è molto più comodo, se uno avesse… bisogno di qualcosa, soprattutto dopo una certa ora…. Niente cortili da attraversare, niente scale, niente ascensori,” ribatte serafico, le labbra che si schiudono in un sorrisetto che la colpisce peggio di uno schiaffo, peggio perfino di quel mezzo sorriso del fedifrago quando gli era toccato confermare che il suo nuovo erede era IL MASCHIO.
 
Si artiglia i palmi delle mani per trattenersi dal tirarglielo uno schiaffo, uno vero, una cinquina di quelle che ti lasciano il segno rosso a giorni di distanza.
 
Sei un grandissimo stronzo! – questo avrebbe voluto urlargli, se non fosse stato per Tommy, il portiere, i vicini e il suo benedetto e maledetto orgoglio.
 
Francesca aveva proprio ragione quando diceva che gli uomini sono tutti stronzi, dal primo all’ultimo. Anzi, no, non aveva ragione, visto che le aveva consigliato di gettarsi tra le braccia di Gaetano che, evidentemente, come aveva sempre in fondo-in fondo temuto, era come consigliarle di gettarsi da un aereo senza paracadute.
 
“Complimenti! Certo che ti sei consolato in fretta!” il suo inconscio la tradisce quando si rende conto, in un moto di sgomento, dalla sua bocca che si sta ancora muovendo, di averlo detto ad alta voce.
 
“Come?” domanda Gaetano, spalancando di nuovo leggermente gli occhi, sembrando colto di sorpresa.
 
“Dicevo, complimenti! Però adesso vado di fretta. Potti, andiamo?” esclama, chiamando il cagnolino che arranca verso di lei, affaticato dai giochi con Tommy, non sollevando gli occhi neanche per sbaglio e tenendoli fissi sul cane – manco morta lo ripeto, stronzo!
 
“Camilla, non rimani con noi a cena? È tanto che non stiamo un po’ insieme!” la implora Tommy con due occhioni che sono un’arma impropria e che le ricordano fin troppo quelli del padre quando vuole chiederti un favore o ha qualcosa da farsi perdonare.
 
Solo che questa non basterebbero mille sguardi per perdonargliela.
 
“No, amore, non posso e poi… tu e papà sarete impegnati nei preparativi del trasloco…” risponde, chinandosi per  dargli un bacio di saluto sulla guancia e non resistendo all’impulso di abbracciarselo stretto-stretto al petto un’ultima volta.
 
Perché è praticamente sicura che non ci sarà più un’altra cena, un’altra occasione. Non potrebbe sopportare di vedere Gaetano con un’altra, non adesso, non… non ce la fa, non può farcela.
 
Con uno sforzo sovrumano lascia andare Tommy, afferra di nuovo il guinzaglio di Potti, mentre le formiche ballano la samba sulla sua mano e sfrecciano in autostrada sulle sue braccia, fa per voltarsi ed andarsene quando due dita sul polso destro la bloccano, costringendola a girarsi verso di lui e guardarlo per la prima volta negli occhi.
 
“Camilla, aspetta, ma che hai capito? Guarda che io-”
 
“Guarda che ho capito benissimo!” sussurra, bassa, tagliente e letale, fulminandolo con un’occhiata che incenerirebbe pure l’acqua, prima di strattonare il braccio e liberarsi dalla sua presa, “i dettagli almeno risparmiameli!”
 
Prima che possa bloccarla di nuovo, prende in braccio Potti e si avvia verso le scale al passo più veloce che riesce a produrre senza mettersi a correre – col cavolo che gliela do questa soddisfazione! – ignorando i “Camilla!” che lui le lancia, inforcando il portoncino di ingresso e buttandoselo alle spalle con un boato che risuona per l’intero condominio.
 


 
Nota dell’autrice: e volendo la storia potrebbe anche chiudersi qui e ricollegarsi alla famosa “scena” che abbiamo visto a Porta a Porta, quella in cui si nomina la famosissima “lavatrice galeotta” xD e in cui Gaetano chiarisce l’equivoco. Ma sto scrivendo questa storia con l’intento di dare spazio ad un Gaetano che… come si può dire… coglie il malinteso al balzo per tirare fuori un po’ più d’orgoglio e un pizzico di strategia (molto più di quanto secondo me farà nella puntata di stasera) e capire, e soprattutto far capire ad una certa professoressa, come potrebbe reagire e cosa potrebbe provare di fronte alla prospettiva di perderlo per “un’altra”. E magari vedere Camilla che fa questo benedetto primo passo (che spero faccia anche stasera in puntata). Sto proseguendo a scrivere, quindi il secondo e ultimo capitolo dovrebbe arrivare domani sera o sabato, impegni imprevisti permettendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La pausa pranzo ***


Nota dell’autrice: Mi scuso innanzitutto per il ritardo ma con le tre puntate di settimana scorsa il tempo per scrivere è stato pari a zero. La bella notizia (spero) è che questo capitolo è bello corposo e quindi “vale per due” ;). Questo capitolo contiene, in tutto o in parte, la mia risposta ad alcune domande che mi sono posta guardando la serie: in che termini una certa professoressa aveva parlato alla sua amica dottoressa di un certo poliziotto? Come reagirà Camilla alla prospettiva che Gaetano stia per traslocare per stare accanto ad una “nuova vicina” che lei crede essere un’altra? E Gaetano come reagirà di fronte a questo malinteso? Non è stato facile scrivere una Camilla che fa la prima mossa e quindi, proprio perché Camilla è testona forte e deve mettere i piedi a mollo un po’ di volte prima di tuffarsi ;) ci sarà anche un terzo e ultimo capitolo che, dalle previsioni, sarà più breve di questo ed è già scritto in parte. Dovrebbe arrivare a metà settimana, tra mercoledì e giovedì, causa impegni di lavoro che mi impediranno anche di vedere la puntata di stasera in diretta, in cui spero che magari chissà… riusciremo finalmente a vedere una Camilla gelosa.... Vi do per intanto appuntamento alle note a fine capitolo ;).
 


Capitolo 2: “La pausa pranzo”
 

 
 
“Hai capito?! Prima mi implora ‘permettimi di starti vicino!’, fa quello innamorato perso, è arrivato perfino a dirmi ‘magari un giorno chissà… saremo una famiglia…’, con suo figlio presente, oltretutto. Poi mi bacia a tradimento e siccome io non mi butto tra le sue braccia come una pera cotta, nel giro di due settimane si trova un’altra e si trasferisce per starle vicino di giorno e di notte. E ovviamente di me che sto passando un periodo di merda, chi se ne frega, no? Dov’è finito tutto questo grande amore, eh, me lo spieghi?!”
 
Francesca ascolta a bocca cucita e occhi lievemente spalancati dalla sorpresa. Non sa se sia merito dei bicchieri di vino rosso che Camilla sta tracannando ad un ritmo che non sfigurerebbe ad un raduno degli Alpini – quando le aveva proposto un vermouth l’aveva guardata come se le avesse offerto veleno o, peggio, della grappa aromatica – o se sia solo il suo amico poliziotto a farle questo effetto, senza bisogno di aiuti alcolici, ma non l’aveva mai vista così loquace – e così furiosa, per non dire proprio incazzata nera.
 
Camilla non era mai stata una da confessioni cuore a cuore, non era mai stata una che sfiniva di chiacchiere le amiche lamentandosi delle sue disgrazie amorose. Nemmeno da ragazzine, e forse era anche per questo che erano sempre andate d’accordo, visto che Francesca non era mai stata una romanticona e per i patemi d’amore altrui aveva sempre avuto ben poca tolleranza. Se non ti piace la tua vita, smettila di lamentarti e cambiala! – questo era sempre stato il suo motto e valeva anche per fidanzati, mariti e storie d’amore in genere.
 
Crescendo, le fregature della vita l’avevano allo stesso tempo indurita e addolcita, rendendola un po’ più tollerante e un po’ meno assolutista. Perché a volte cambiare vita non è per niente facile, soprattutto se con le tue scelte cambierai, volente o nolente, anche la vita di altri. Soprattutto se c’è di mezzo l’amore, quello vero, che è la cosa più irrazionale che esista al mondo e che crea più dipendenza di una droga. L’aveva capito del tutto solo quando era arrivata la mazzata tra i denti, La Fregatura, con Elle e Effe maiuscole e si era ritrovata perfino lei, la pragmatica e volitiva dottoressa Francesca Gariglio a piangere per amore di uno stronzo che non meritava nemmeno una sua lacrima. A rendersi conto con sgomento di avere galleggiato per mesi in un mare di bugie, di aver fatto finta di non vedere, proprio lei che aveva sempre guardato con compatimento alle cecità volontarie ed autoindotte altrui, perché l’idea di perderlo, di vivere senza di lui la atterriva.
 
Aveva ignorato tutti i segnali, i soliti, da manuale: le assenze non solo fisiche ma anche mentali, l’avere sempre troppo poco tempo, troppa poca voglia di vedersi, il cellulare che squillava ad orari improbabili quelle rare volte che riuscivano a stare un po’ insieme, il fatto che faticasse sempre di più a rintracciarlo quando era a Parigi, il cellulare sempre spento. Quel cellulare che non mollava mai per un minuto quando tornava a Torino. Quel grandissimo stronzo che una volta chiamava amore, aveva fatto la doppia vita per mesi con la scusa del lavoro, la distanza, gli impegni e amorequantovorreistartivicinomanonpossoancorachiedereiltrasferimento prima che lei avesse la benedetta e maledetta idea di presentarsi a sorpresa un sabato mattina nel suo bilocale a Parigi, per recuperare un weekend saltato per colpa di un collega che lui aveva dovuto sostituire all’ultimo – la voce contrita al telefono la mattina precedente mentre le riferiva del cambio di programma era stata molto convincente – beccandolo a letto con un’altra. La sua segretaria, anzi la sua personal assistant, come nei peggiori cliché da soap opera.
 
Ringrazia ancora il destino per aver rimesso Camilla sulla sua strada proprio poche settimane prima di quello stramaledetto sabato perché altrimenti si sarebbe ritrovata ad affrontare i postumi del tradimento praticamente da sola, visto che tutta la sua famiglia era rimasta a Roma e lei a Torino, con gli orari di lavoro che faceva e una vita da pendolare del weekend per amore, praticamente non aveva amiche.
 
Se l’era trovata davanti un mercoledì mattina, alzando gli occhi dopo aver letto quel nome stranamente familiare – Camilla Baudino – stampato sulla prenotazione per l’elettrocardiogramma a riposo e da sforzo. Il primo esame di un check-up completo cardiocircolatorio consigliato a Camilla a seguito del decesso improvviso di sua madre – l’apparentemente inossidabile donna Andreina, che in realtà da anni soffriva di problemi di circolazione – per colpa di un aneurisma all’Aorta. Silenzioso, istantaneo, letale.
 
Aveva incrociato quegli occhi castani ancora più inconfondibili del nome, che avevano riconosciuto praticamente immediatamente i suoi. Dopo qualche rapida chiacchiera della serie – che ci fai tu qui a Torino? – aveva eseguito i test rassicurandola che il suo cuore era a posto, indirizzandola dal collega angiologo per gli esami rimanenti, dopo essersi promesse a vicenda di rivedersi per recuperare un po’ il tempo perduto e aggiornarsi sulle loro vite torinesi.
 
Mai si sarebbe aspettata che, poco più di un mese dopo, sarebbe stata proprio Camilla – il cui cuore fortunatamente, almeno da un punto di vista medico, era sano come un pesce – a dover cercare di aiutarla a rattoppare il suo di cuore lacerato e a rimettersi in piedi.
 
E che, poco più di un anno dopo, sarebbe toccato a lei ripagare il favore, o almeno provarci.
 
Perché, mentre Francesca si era inaspettatamente ritrovata, senza nemmeno rendersene conto, a correre da Camilla non appena rientrata a Torino da Parigi – dopo un viaggio surreale e da incubo che ricorda solo a tratti e in modo confuso – sciogliendosi in lacrime e singhiozzi peggio di una fontana, mentre Camilla la abbracciava e praticamente la cullava nemmeno fosse sua madre, Camilla dopo il fattaccio si era invece chiusa a riccio e non le aveva detto niente di Renzo, della nuova separazione e dei motivi della nuova separazione, se non quasi un mese dopo che era avvenuta. Un mese in cui Camilla era praticamente sparita dal globo terracqueo.
 
E, come sempre succedeva con Camilla, aveva dovuto cavarle le parole quasi a forza, prima che cedesse e si lanciasse infine in uno sfogo carico di rabbia e risentimento sul fedifrago, sulla spagnola, sulle grappe aromatiche e sui viaggi di lavoro.
 
Francesca aveva fatto l’unica cosa che poteva fare per aiutarla: starle vicino con i gesti, più che con le parole, essendoci e basta, aiutandola ad affrontare gli attacchi di panico, a ricominciare almeno un poco a guardare avanti, ad aprirsi di nuovo al mondo, invece di rimanere chiusa nel suo bozzolo di dolore. Come aveva fatto per lei Camilla qualche mese prima, anche perché, sempre proprio come lei, Camilla aveva una testa più dura del diamante: chi si somiglia si piglia. E stare vicina a Camilla, aiutarla nel suo momento buio, aveva aiutato anche lei, per quella specie di strano meccanismo psicologico innato, secondo il quale occuparsi e preoccuparsi delle disgrazie altrui, rende le proprie incredibilmente più lievi. Mal comune, mezzo gaudio.
 
Ma, proprio conoscendo il dolore a chiusura ermetica di Camilla, ora si stupisce profondamente di tutta questa logorrea. O forse, ripensandoci, non dovrebbe stupirsi, perché se c’era un argomento su cui Camilla era sempre stata involontariamente e stranamente loquace era proprio il suo amico commissario.
 
Fin dal loro primo aperitivo da Boffi, la pasticceria preferita di Camilla, quando entrambe erano ancora due donne, almeno in apparenza, felicemente impegnate, non si ricorda nemmeno bene come ma erano venute in argomento di questo amico e vicino di casa – dirimpettaio per essere precisi – che di mestiere faceva il poliziotto – commissario, anzi vicequestore, sempre per essere precisi – anche se avrebbe potuto fare benissimo l’elettricista, a giudicare da quanto gli occhi e il viso di Camilla si illuminavano al solo nominarlo.
 
Camilla non aveva mai ammesso esplicitamente che il suo amico poliziotto le piacesse e pure parecchio, ovviamente, ma non ci voleva né un vicequestore, né Sherlock Holmes per intuirlo. Anche perché, chissà come, gira e rigira, ad ogni incontro prima o poi l’argomento saltava fuori per qualche motivo e si ritrovavano a parlare ad esempio di qualche impresa del poliziotto, da solo o con Camilla, la cui passione per indagini e misteri non l’aveva sorpresa quanto forse avrebbe dovuto.
 
Oppure, quando Francesca si era ritrovata invischiata nei meandri legali della sua separazione transalpina, anche se forse di separazione non si poteva parlare, visto che lei e lo stronzo non si erano mai sposati e questo, se possibile, complicava ancora di più le cose, a Camilla, guarda caso, era venuto in mente come esempio il poliziotto e i problemi legati al divorzio dalla sua ex, una svedese che era da pochi mesi ritornata nella sua terra natia, portandosi dietro loro figlio, nonostante il bimbo sapesse a stento tre parole di svedese e fosse nato e cresciuto in Italia. Bimbo che gli permetteva di vedere con il contagocce, praticamente solo quando la svedese doveva andarsene in giro per il mondo per lavoro.
 
Oppure, quando Francesca raccontava dei suoi nuovi pretendenti e delle storie di molto poco amore e tanto sesso con cui si era intrattenuta nell’ultimo anno, Camilla le narrava con un tono di malcelato fastidio prima e di malcelata soddisfazione poi, dell’ultima conquista del poliziotto e di come era stata inevitabilmente scaricata dopo appena qualche settimana.
 
Più raramente, con occhi che le brillavano come un faro a led, Camilla le raccontava di qualche gesto, di qualche premura del vicino. Premure che suscitavano in Francesca un senso di benevola invidia verso l’amica e di istintiva simpatia e apprezzamento per l’evidente devozione e… amore, inutile girarci intorno, che quell’uomo doveva provare per Camilla. Perché quelle attenzioni andavano ben oltre la semplice cortesia di buon vicinato, ben oltre l’affetto di un amico, fosse anche il più devoto.
 
L’esempio più lampante e che aveva quasi commosso e addolcito perfino il suo cuore di granito di cardiologa post-separazione, era stata una convocazione d’urgenza in questura, guarda un po’ te che coincidenza, proprio in concomitanza del primo anniversario dalla scomparsa di Andreina – anniversario di cui Francesca aveva saputo solo qualche giorno dopo, visto che Camilla non le aveva mai detto la data precisa e si era rifiutata di ricordarlo o commemorarlo in qualsiasi modo, tanto più che Livia era già a Londra per l’estate e Renzo era via per un viaggio di lavoro che Camilla, a quanto pare, aveva insistito perché non rinviasse o annullasse per lei. Probabilmente sperando, in un moto di orgoglio o in uno di quei vani tentativi di psicologia inversa che confonde tanto i mariti e causa cocenti illusioni e delusioni nelle mogli, che Renzo avrebbe annullato lo stesso il viaggio o sarebbe comunque tornato da lei quel giorno.
 
Ma non l’aveva fatto e Camilla si era ritrovata da sola o si sarebbe ritrovata da sola, fino a che non era arrivata, per l’appunto, la chiamata del poliziotto, che l’aveva fatta correre in questura per un riconoscimento da dietro il famoso vetro a specchio – per la sua sicurezza – di uno degli spacciatori che stazionavano abitualmente di fronte al Mandela e che qualche settimana prima, durante una divergenza di opinioni con un affezionato cliente, uno degli studenti di quinta, aveva deciso di appianare la divergenza estraendo un bel coltello a serramanico e puntandoglielo alla gola, incurante di essere in mezzo ad una folla di studenti e professori. E poi, qualche mattina dopo, lo studente in questione era stato ritrovato in un lago di sangue di fronte al portoncino di casa, vivo per miracolo dopo un pestaggio in piena regola, anche se era rimasto in coma per settimane e stava, a quanto Francesca ne sapeva, ancora facendo riabilitazione per riuscire, almeno in parte, a recuperare le funzionalità motorie.
 
Dopo l’avvenuto riconoscimento, il poliziotto si era scusato dicendo che, guarda sempre che caso, aveva uno degli appuntamenti su Skype con il figlio e non poteva perderselo – perché chissà quando sarebbe stato il prossimo, con tutti gli impegni della sua ex e gli orari da caserma che imponeva al bimbo – ma se Camilla voleva magari restare e fargli un saluto…. Alla fine erano rimasti per più di un’ora a chiacchierare con il bambino, fino a quando la svedese aveva proclamato che era ora di cena e che si dovevano salutare. Camilla le aveva mostrato con orgoglio il cellulare in cui teneva salvata una copia del disegno che il bimbo le aveva inviato quel giorno e che lo ritraeva con una specie di insetto stecco biondo – la svedese – un insetto stecco con un cespuglio in testa – Camilla evidentemente – il poliziotto con quella che doveva essere in teoria una stella da sceriffo al petto, e un piccolo cespuglio nero – Potti – tutti insieme di fronte a quella che Gaetano aveva spiegato a Camilla essere una versione stilizzata della casa della svedese a Stoccolma. Di nuovo non ci voleva una psicologa per cogliere i significati del disegno che erano tutt’altro che nascosti.
 
La serata era proseguita con uno dei loro soliti vermouth al loro solito bar ed una pizza, visto che avevano ancora appetito, e poi il poliziotto l’aveva riaccompagnata fino all’uscio di casa come un perfetto gentiluomo, data l’ora tarda. E niente bacio della buonanotte? – aveva provato ad ironizzare Francesca, deglutendo il groppo in gola e quel senso di invidia benevola per la fortuna di Camilla di avere un amico così. La reazione di Camilla era stata inequivocabile: guance rosse, sguardo precipitato a terra, seguiti da una serie di proteste eccessive e di giustificazioni non richieste sul fatto che Gaetano era solo un amico e sull’essere una donna felicissimamente sposata, in un tripudio di superlativi assoluti sulle sue gioie coniugali, di cui Francesca nei racconti di Camilla dei mesi precedenti aveva visto ben poca traccia, per non dire zero assoluto. Anzi, era proprio il marito stesso di cui nei racconti di Camilla non c’era praticamente traccia, a differenza di qualcun altro che però era solo un amico.
 
Francesca aveva lasciato cadere il discorso per quella sera ma siccome, di nuovo proprio come Camilla, non era mai stata una che si arrendeva o mollava il colpo quando sapeva di avere ragione e di avere avuto l’intuizione giusta, aveva deciso di giocare un po’ sporco e di passare alle maniere forti, non appena se ne fosse presentata l’occasione.
 
E l’occasione Camilla gliel’aveva servita su un piatto d’argento già all’uscita successiva, quando si era lanciata, dopo che Francesca le aveva annunciato la fine della sua ennesima storiella durata poco più di un mese, a farle l’elenco di suoi conoscenti single e appetibili che, a suo dire, Francesca doveva assolutamente conoscere. Per la maggior parte colleghi di lavoro, soprattutto un certo professore di matematica, arrivato a Torino da pochi mesi, che faceva impazzire le studentesse e che avrebbe dovuto rivedere a breve per una delle classiche cene di classe di fine anno. E le aveva proposto di raggiungerli a fine cena, dato che dopo ci sarebbe stata la discoteca e lei non ne aveva nessuna voglia, ma sai, per un’amica….
 
Francesca aveva abbozzato, facendosi descrivere un po’ questo famoso professore di matematica e sentenziando infine che lei i tipi troppo timidi e dolci e un po’ ingenui se li mangiava a colazione, che non facevano per lei e che non voleva rischiare di illudere e ferire quello che, dalla descrizione, sembrava un bravissimo ragazzo – sempre se si fosse interessato a lei, ovviamente.
 
E poi, con la massima nonchalance di cui era capace, facendo leva sulle reminiscenze del corso di teatro fatto al liceo, aveva proclamato – a me serve un uomo vero, con esperienza! – e aveva sganciato la bomba, facendo il nome dell’unico amico di Camilla che, ma guarda sempre un po’ che caso, mancava all’appello nell’elenco – piuttosto, ma il tuo amico, il poliziotto, non mi hai detto che è di nuovo single?
 
Il viso di Camilla era passato da pallido a cadaverico, sbiancando come minimo di un paio di toni, gli occhi spalancati, l’espressione pietrificata per qualche lunghissimo ed interminabile istante. Poi Camilla aveva bevuto un sorsone di tè bollente, roba che Francesca già temeva di dover chiamare di corsa Rizzoli, il suo amico gastroenterologo, si era schiarita la voce e si era lanciata in un’opera di dissuasione e di demolizione del suo amico, che a Francesca aveva ricordato straordinariamente sua madre con i suoi fidanzatini del liceo. A giudicare dalla descrizione di Camilla, il poliziotto improvvisamente era diventato una specie di incrocio tra Casanova, Rodolfo Valentino, Valmont e Don Giovanni, più inaffidabile di un adolescente, con orari di lavoro impossibili, incapace a cavarsela in casa e chi più ne ha più ne metta. Ci mancava solo che le dicesse che aveva l’alito pesante o che soffriva di problemi di iperidrosi per completare il quadro di difetti a dir poco enciclopedico.

Francesca aveva provato a farle notare che però dagli episodi che le aveva raccontato in precedenza sembrava un uomo dolce, premuroso, intelligente, affascinante, simpatico, un ottimo padre e anche un bell’uomo, a giudicare da quante donne gli ronzavano intorno. E Camilla allora aveva ribattuto con la frase rivelatrice per eccellenza – ma infatti come amico è fantastico, ma come potenziale fidanzato, proprio non te lo consiglio! – per poi aggiungere che – e poi ti sarai accorta anche tu che ha una donna nuova ogni due settimane, no? E ti ci manca solo un’altra delusione, non voglio vederti stare male!
 
Meglio, no? Almeno l’esperienza non gli manca e poi pure io cambio uomini ogni due settimane, se non te ne fossi accorta! E quindi se va male non faccio soffrire nessuno, ma intanto mi diverto un po’… e se invece va bene…  – aveva buttato lì, trattenendo a fatica una risata di fronte all’espressione di Camilla che, se già si era rabbuiata sul mi diverto un po’, sul e se invece va bene era diventata uno strano mix tra uno che ha mangiato un limone intero, il cerbiatto di fronte ai fanali dell’auto ed il ghigno del Joker.
 
Alla fine Francesca non ce l’aveva fatta più ed era esplosa a ridere e lo sguardo di Camilla era passato dall’omicida, al confuso, allo sbigottito. Smaltite le risate, gliel’aveva detto esplicitamente – dovevi vedere la tua faccia! – e si era affrettata a chiarire – visto che ci tengo alla mia pelle e alla tua amicizia, stai tranquilla che non punterei mai l’uomo che piace ad un’amica. A maggior ragione non se l’amica sei tu e, soprattutto, non se l’uomo in questione non è che… ti piace e basta….
 
Camilla aveva spalancato gli occhi e aveva provato di nuovo a protestare veementemente lanciandosi in una descrizione del poliziotto che, dal più inaffidabile degli stronzi, tornava magicamente di nuovo ad essere praticamente l’uomo perfetto – sì, per la carità, hai ragione: è bello, affascinante, intelligente, dolce, affettuoso, ridiamo tanto insieme, c’è sempre quando ho bisogno di lui, posso confidargli qualsiasi cosa… e poi mi piace indagare con lui, mi fa sentire utile, apprezzata, mi stima e si fida di me… e poi adoro suo figlio – per concludere con un – ma comunque per me è solo un amico! – pronunciato in un modo che non avrebbe persuaso nemmeno il peggiore degli ingenui.
 
Non ti ho convinta, eh? – aveva infine sospirato Camilla, dopo un attimo di silenzio eloquente, passato a guardarsi negli occhi, Francesca con un sopracciglio alzato e l’espressione da ma mi prendi per scema?! e Camilla con l’aria di chi è allo stesso tempo sollevata e terrorizzata da quello che sta per essere costretta ad ammettere.
 
E qualcosa aveva ammesso, anche se Francesca aveva capito benissimo che si trattava solo della punta dell’iceberg – sì, d’accordo, mi piace e… sono attratta da lui, chi non lo sarebbe! E… insomma, lui mi confonde le idee e… mi tenta, è vero. E poi io… io… gli voglio bene e tengo tantissimo a lui e a suo figlio ma… voglio un bene dell’anima anche a mio marito e non voglio farlo soffrire e non voglio tradire le promesse che gli ho fatto, che ci siamo fatti. E non voglio deludere Livietta.
 
Francesca si era morsa la lingua per evitare di fare notare a Camilla che tra volere un bene dell’anima e amare c’è una grossa differenza. Più o meno la stessa differenza che c’era tra il tono di voce con cui aveva pronunciato il voglio bene indirizzato al poliziotto e quello invece destinato al marito. Il problema stava nel fatto che il tono usato per il primo era quello che si sarebbe aspettata di sentire per il secondo e viceversa, almeno in un mondo ideale.
 
Francesca sapeva però che Camilla non era pronta a questa ammissione, così come sapeva di non avere alcun diritto di estorcergliela o di suggerirle di rivoltare la sua vita come un calzino, di sconvolgere la sua esistenza e quella della figlia – oltre a quella del marito, a cui comunque era evidente volesse davvero bene – e per cosa? Per inseguire l’amore? Quella specie di droga potentissima ed inspiegabile che può farti precipitare dalle stelle alle stalle in un secondo?
 
E quindi era stata zitta e non aveva pressato oltre, ma da quella volta in poi Camilla aveva incrementato ancora di più le confidenze sul suo amico, raccontandole piano-piano anche delle battute, degli ammiccamenti, degli avvicinamenti e delle avance che le faceva e che aveva fatto nel corso della loro conoscenza e su cui, fino a quel momento, Camilla aveva mantenuto il più stretto silenzio stampa. Di alcuni momenti quando era stata quasi sul punto di cedere e baciarlo, fino ad arrivare a confessarle, dopo un bicchiere di vino rosso di troppo, di quell’unica volta in cui invece l’aveva baciato sul serio. E, a giudicare da come arrossiva e sorrideva come un’ebete al solo ricordo, nonostante gli evidenti sensi di colpa, doveva essere stato un bacio memorabile, di quelli che capitano poche volte nella vita.
 
Tutto era cambiato dopo il grande tradimento e dopo la sparizione di Camilla. Da quando si erano ritrovate, basta riferimenti ai sentimenti ingarbugliati per il poliziotto: Camilla si era chiusa a riccio anche su quello. Forse perché preferiva non ricordare che il suo matrimonio, già prima della rivelazione, era tutt’altro che ideale, almeno le sarebbe stato più facile mantenere quella rabbia che le serviva per tenere il marito a distanza ed affrontarlo di petto, senza farsi condizionare dall’affetto e dai sensi di colpa per il modo in cui anche lei aveva contribuito a minare il loro matrimonio. Perché, nonostante i suoi proclami sugli uomini stronzi, Francesca non è tanto ingenua da non sapere che nella fine di un rapporto le colpe raramente stanno da una parte sola. Certo, il marito di Camilla se pure aveva eccome delle attenuanti, con grappa aromatica e paternità se le era bruciate tutte, passando irrimediabilmente dalla parte del torto.
 
Comunque, tornando al poliziotto, da dopo la confessione di Renzo era stata Francesca a dover venire in argomento mentre Camilla svicolava. Ma alla fine cedeva sempre e, con occhi lucidi e voce tra il commosso e il tremante, le aveva raccontato alcuni dei gesti – altri Francesca aveva poi anche potuto vederli di persona – con cui il vicino le era stato davvero vicino per aiutarla a non lasciarsi andare e a superare la batosta. Il poliziotto era stata probabilmente l’unica persona a cui Camilla aveva realmente permesso di avvicinarsi e di sostenerla nel periodo appena successivo al grande tradimento, anche se da lontano, con i suoi tempi e i suoi spazi. L’unica persona a cui Camilla aveva concesso di vederla davvero vulnerabile.
 
E questo valeva più di mille ammissioni a mezza bocca o di mille aneddoti raccontati con quella lucetta negli occhi: Francesca aveva avuto conferma di non essersi affatto sbagliata sulla natura e sulla profondità dei sentimenti che legavano la sua amica e il poliziotto.
 
Ma poi, a Francesca non serviva una laurea in psicologia per capirlo, era subentrata la paura di quello che il poliziotto desiderava da lei – e, soprattutto, di quello che Camilla desiderava dal poliziotto – ma per cui evidentemente non si sentiva ancora pronta.
 
Però, a giudicare da come si giravano intorno, da come si guardavano, si sorridevano e da come Camilla non riusciva a dirgli di no e a stargli lontano, Francesca si era convinta che fosse ormai solo questione di tempo e che, prima o poi, Camilla avrebbe lasciato nuovamente il club delle single sfigate che non credono più nell’amore, per entrare in quello esclusivo delle poche elette davvero felicemente impegnate, davvero innamorate e soprattutto davvero ricambiate.
 
Proprio per questo Francesca non si capacita di quello che sta sentendo ora, che le sembra uscito da un episodio di twin peaks per quanto è surreale e completamente inconciliabile con quello che aveva visto con i suoi stessi occhi solo due settimane prima.
 
Grande amore un corno! Sembrava che senza di me non potesse vivere e invece… e invece non solo vive benissimo ma si è consolato a tempo di record!” la tirata di Camilla è finalmente giunta alla sua conclusione e l’amica la guarda con quell’aria carica di attese. Non solo di una risposta ma che, evidentemente, Francesca avalli il suo sfogo e la sua indignazione.
 
“Beh… sì, hai ragione, in effetti dieci anni mi sembrano proprio un lasso di tempo troppo breve: come ha potuto?!” ribatte invece Francesca con un’occhiata eloquente e tono ironico.
 
“Ma tu da che parte stai?!” sbotta Camilla, fulminandola con lo sguardo.
 
“Dalla tua Camilla ma-“
 
“Ah, sì? Meno male perché non mi sembrava! A parte che il signorino non è mica vissuto in clausura in questi dieci anni: con tutte le conquiste che ha avuto da quando lo conosco ci si potrebbe fondare una città! Ma comunque-“
 
“Ma comunque negli ultimi mesi, da quando… da quando tu sei tornata single… non mi hai più parlato di sue altre conquiste o sbaglio?” le fa notare Francesca con un sospiro, “e anche quando sono stata ospite a casa tua c’erano solo lui e il figlio e l’unica donna nella loro vita eri tu.”
 
“Va beh, sì, ok, si è dato una calmata in questi mesi – almeno quello! – ma evidentemente solo perché ero io la sua nuova conquista, o almeno ci sperava, e ovviamente sapeva che se mi si fosse presentato con una diversa ogni giorno, campa cavallo! È chiaro che ero solo un capriccio per lui, un puntiglio, una specie di stupida questione di principio. Voleva solo portarmi a letto e siccome non ci sono stata… se ne è trovata un’altra più disponibile, tanti saluti e chi si è visto si è visto!”
 
“Camilla, ma ti ascolti? Quello che stai dicendo è assurdo e secondo me lo sai anche tu: ti contraddici nel giro di due frasi!” esclama con un sospiro, cercando di farla ragionare, visto che è evidente che la rabbia e l’indignazione e la paura di perdere il poliziotto hanno annebbiato il cervello e la vista dell’amica, “Camilla, se l’unica cosa che voleva era portarti a letto, non ti sarebbe stato dietro per dieci anni, ma ti avrebbe mandata a quel paese parecchio ma parecchio tempo fa, non ti pare? E se invece-”
 
“No, che non mi pare!” la interrompe Camilla con un tono furente e più alto del voluto, tanto che diversi avventori del wine bar vicino all’ospedale – in cui aveva dato appuntamento a Camilla dopo una telefonata a dir poco concitata che le aveva fatto capire che era decisamente consigliabile incontrare l’amica di persona per accertarsi di come stesse – si girano verso il loro tavolino ma Camilla è talmente infervorata da non rendersene nemmeno conto, “anzi, proprio perché ero l’unica che non gli cadeva tra le braccia dopo due moine e due sorrisini e due complimenti e due rose rosse, si sarà impuntato su di me per questione di orgoglio maschile e doveva farmi cedere a tutti i costi e-“

“E non c’è ancora riuscito, mi sembra, no? E quindi, se era solo una questione di orgoglio maschile e di completare l’album di figurine e l’ultima tacca sulla cintura, ti starebbe ancora appresso fino a che non cedi, visto oltretutto che adesso sei single e le probabilità che tu prima o poi avresti ceduto sono… diciamo che sono aumentate,” abbozza Francesca, trattenendosi dal dire che era quasi certa che Camilla avrebbe ceduto, “o avrebbe fatto la sua mossa prima, quando eri ancora più vulnerabile e confusa ed incavolata con Renzo, o si sarebbe approfittato di averti trovata addormentata a casa sua e-”
 
“E infatti si è approfittato, visto che mi ha baciata a tradimento!”
 
“Camilla, ti ha dato solo un bacetto, sulla porta, quando eri libera di andartene come infatti hai poi fatto, mica ti è saltato addosso!” sbuffa Francesca, scuotendo il capo.
 
“E ci mancava solo quello!” esclama Camilla con un tono e uno sguardo apparentemente indignati ma che hanno una specie di nota strana, stonata, che fa dubitare a Francesca se, in fondo in fondo, a Camilla l’idea che il poliziotto potesse saltarle addosso non sarebbe proprio dispiaciuta così tanto, per poi proseguire, il tono più calmo e pensieroso, “e comunque anche io me lo sono chiesto, è ovvio! Perché mollare proprio adesso dopo dieci anni? Quando ero sul punto di… va beh! E sai a che conclusione sono arrivata?”
 
“No, ma scommetto che non vedi l’ora di dirmela e che mi lascerà a bocca aperta,” replica Francesca, lasciando volutamente trapelare l’ironia e versandosi un altro calice di vino, prima che l’amica finisca la bottiglia praticamente da sola.
 
“Ah. Ah. Comunque sono arrivata alla conclusione che… che a lui piacciono le sfide appunto, non il vincere facile e che… quando ero sotto un treno e vulnerabile, sai te che conquista! E anche adesso… che differenza c’è tra questa volta in cui l’ho respinto e tutte le altre?”
 
“Che non stai più con Renzo?” chiede Francesca, essendoci arrivata anche lei a questa differenza. Ma ha come l’impressione che lei e Camilla non siano giunte alle stesse conclusioni, pur partendo dagli stessi fatti.
 
“Esatto! E quindi… non c’è più di mezzo l’orgoglio maschile, la sfida con un altro uomo, il fascino della donna sposata e-“
 
“E poi tu e il poliziotto vi comprate due belle parrucche incipriate, andate al Regio e mettete su una magnifica rappresentazione de Les Liaisons Dangereuses. Lui è Valmont, tu immagino la pura e casta e devota ed inaccessibile De Tourvel. Se vuoi io faccio la perversa e lussuriosa Merteuil, che almeno mi diverto un po’ e poi è l’unico personaggio che sopravvive… certo in disgrazia, ma almeno è ancora viva…” proclama Francesca, sarcastica, sollevando il calice di vino con aria lasciva da seduttrice del Settecento.
 
“Cioè, io ti confido i miei problemi e tu mi prendi in giro?” sbotta Camilla, incredula, con un’aria ferita che porta Francesca a tornare seria e a poggiarle una mano sul braccio prima che l’amica tiri fuori di nuovo gli aculei, si alzi e se ne vada.
 
“No, Camilla, voglio solo farti ragionare e che tu ti renda conto che… che le tue teorie sono assurde, che ti stai facendo su un film mentale degno del peggior melodramma rococò,” replica Francesca con un sospiro, chiarendo, serissima, “non pensi che ci sia un’altra spiegazione, molto più semplice? L’hai detto tu stessa: la differenza tra stavolta e le altre volte è che prima tu eri impegnata con Renzo, ora no. E quindi non ti sembra logico che magari le altre volte, quando lo respingevi, il poliziotto poteva pensare che non era… per lui, perché non eri interessata a lui o perché non ti piacesse o non lo desiderassi, ma perché non volevi tradire la fiducia di tuo marito? Mentre adesso… in teoria non ci sarebbero più ostacoli e… da come me l’hai descritta la scena, te ne sei andata senza dirgli niente, poi per qualche giorno sei sparita e non l’hai cercato-“
 
“Non mi ha cercata neanche lui, però-“
 
“No, ma magari avrà pensato che non lo volessi vedere, che eri a disagio con lui o che eri arrabbiata con lui. E magari si sarà posto per la prima volta seriamente la fatidica domanda: che cosa prova Camilla per me? E magari si sarà pure dato una risposta e avrà pensato che evidentemente, se l’hai di nuovo respinto, è perché non ti piace abbastanza, che il problema non era Renzo ma lui e… ha deciso di farsi da parte e di toglierti le castagne dal fuoco. Per evitarti di doverlo respingere più esplicitamente o di sentirti in obbligo di dargli una possibilità, insomma, di diventare il ripiego, il premio di consolazione. Per evitarti altri problemi o di stare male in un periodo in cui ne hai già fin troppi di problemi e in cui stai già troppo male.”
 
“E quindi per farmi stare meglio lui decide di trasferirsi di… di piantarmi in asso e di trovarsi un’altra nel giro di due settimane? Ma no, non sta in piedi, non regge, Francesca! E poi… e poi Gaetano non può non sapere che mi piace abbastanza e… e più che abbastanza… con tutto quello che è successo tra noi in questi anni-“
 
“Alleluia, l’ha ammesso!” proclama Francesca, alzando le mani e gli occhi al cielo in segno di preghiera.
 
“Mi ricordi perché siamo amiche io e te?” domanda Camilla, altrettanto sarcastica, scuotendo il capo e bevendosi un altro sorso di vino.
 
“Perché non ti permetto di raccontare palle? A me e a te stessa?” chiede Francesca, fulminandola con un’occhiata eloquente, prima di ammettere, con un sorriso carico di gratitudine, “e tu fai lo stesso per me.”
 
“D’accordo,” sospira Camilla dopo qualche istante di silenzio ed un altro sorso di vino, “d’accordo, mi piace e lo sanno… credo che lo sappiano tutti: lo sapeva mia madre, me l’ha anche rinfacciato una volta, l’ha sempre saputo. Renzo… lasciamo perdere… eccome se lo sa, da anni! Non ha mai sopportato la mia amicizia con il poliziotto-super-più come lo chiamava lui e… e forse almeno su questo non gli posso dare torto, anche se mentre io mi sforzavo di mantenere le nostre promesse, il nostro patto, lui… si dava alla grappa aromatica! Lo sa Livietta e infatti quando ci siamo trasferiti a Torino i primi tempi sembrava tollerarlo a fatica Gaetano, anche se invece in altri periodi lo adorava e adesso mi sembra che le stia di nuovo simpatico – vai a capirla. E… e lo sai anche tu. Quindi come può non saperlo lui?”
 
“Perché non è un veggente e si può basare solo su piccoli indizi tipo… tu che lo respingi per l’ennesima volta, te ne vai senza dire una parola e poi lo eviti?” chiede Francesca in quella che è più un’affermazione.
 
“Va bene, quando mi ha baciata l’ho respinto ed ero… ero arrabbiata e delusa ma… ma perché pensavo, speravo che avesse capito che… che avevo bisogno di un po’ di tempo ancora, che… che non sono pronta a buttarmi in una nuova relazione e non perché me ne frego di lui ma perché ci tengo a lui, tantissimo e… non posso permettermi di perderlo adesso, di rischiare di stare ancora più male di quanto già sto. Non ne posso più di stare male, maledizione!”
 
“E non pensi che sia lo stesso per lui, Camilla? Ma tu pensi che sia piacevole continuare a ricevere due di picche e porte in faccia? Non pensi che… che non ne possa più nemmeno lui di stare male?” ribatte Francesca, appoggiando la sua mano su quella dell’amica, portandola ad alzare gli occhi fino ad incrociare i suoi, “Camilla, perché non provi a parlargli e a spiegarti con lui? A dirgli quello che hai appena detto a me? A spiegargli che hai solo bisogno di tempo. Ti ha aspettata dieci anni, aspetterà ancora qualche settimana o qualche mese. Certo, se non lo fai aspettare troppo, però.”
 
“Forse ti sei dimenticata due piccoli particolari: che sta per traslocare per stare accanto ad un’altra. E io dovrei andare ad umiliarmi e ad implorarlo di non farlo? Di rimanere con me? Di scegliere me? Non ci penso nemmeno!” sbotta Camilla sottraendosi al contatto di Francesca e incrociando le braccia, la fronte corrugata e le labbra serrate.
 
“Camilla, cosa è più importante? Il tuo orgoglio o lui? Hai detto tu che non puoi permetterti di perderlo e-“
 
“Lo so ma… ho calpestato il mio orgoglio talmente tante volte per… per il mio matrimonio, per Renzo. E mi sono giurata che non mi sarei mai più umiliata così per nessuno e-“

“E hai ragione, ma qui non si tratta di perdonare un tradimento, Camilla. Si tratta di fare per una volta tu il primo passo, di inghiottirlo per una volta tu l’orgoglio. Ma tu non pensi che lui ne abbia già inghiottito abbastanza in questi anni, per continuare a rimanerti accanto nonostante tutti i due di picche? Quanti uomini l’avrebbero fatto al suo posto?” prova a farla ragionare e capisce dal modo in cui Camilla scioglie le braccia e abbassa gli occhi, uno sguardo quasi colpevole sul viso, di esserci riuscita.
 
“E… e se lui sceglie lei?” domanda Camilla con un filo di voce dopo lunghi attimi di silenzio, incrociando di nuovo i suoi occhi.
 
“Camilla… un uomo che ti guarda come lui ti guardava due settimane fa… non si innamora di un’altra, non in due settimane almeno. Certo, se lo lasci andare ora… chi lo sa. E infatti te l’ho anche detto che se non te lo prendevi tu, se lo sarebbe preso qualcun’altra prima o poi, ma non in quindici giorni. Quindi se davvero esiste un’altra, cosa su cui sinceramente ho pure qualche dubbio… sarà il classico chiodo-scaccia-chiodo e non sceglierà mai lei, Camilla, fidati,” la rassicura, posandole di nuovo la mano sull’avambraccio e stringendo lievemente la presa.
 
“D’accordo, mi fido…” annuisce Camilla dopo un attimo di silenzio, tirando un altro forte sospiro.
 
“E allora vai e parlagli,” la esorta Francesca, stringendole un’ultima volta il braccio prima di mollare la presa.
 
“La fai facile tu…” sospira, scuotendo il capo.
 
“Beh, e allora non parlare: agisci e basta!” commenta con un mezzo sorriso malizioso, sollevando il calice come per fare un brindisi.
 
“Scema!” esclama Camilla con una mezza risata, dandole un buffetto sul braccio, prima di cedere al brindisi e bere un altro sorso di vino, quasi come a suggellare la promessa.
 
***************************************************************************************
 
“Sono serena, centrata e aperta ad accogliere positivamente tutte le novità,” si ripete come un mantra a bassa voce, eseguendo gli esercizi che le aveva insegnato Francesca per bloccare e prevenire gli attacchi di panico e che ora le servono per farsi forza, per darle il coraggio di fare quello che sta per fare.
 
Spera che i due agenti di guardia al portone non l’abbiano notata perché se no questa volta un bel TSO non glielo leva nessuno: perché non solo sta, di fatto, parlando da sola ma è da quasi due ore che aspetta lì fuori che Gaetano rientri in questura dalla pausa pranzo. O così le aveva riferito Torre, invitandola anche a rimanere a pranzo con lui, che tanto aveva una porzione in più di arancini che rischiava di andare a male, visto che nessun’altra sembrava più apprezzarli. Un’evidente frecciata alla Lucianona che passava di lì: Camilla aveva saputo da Gaetano che i due poliziotti erano in crisi per via delle aspirazioni matrimoniali della Balocco e del terrore che quell’impegno suscitava nell’ispettore. Ma aveva appreso solo in quel momento che si erano addirittura lasciati due settimane prima.
 
Non che fosse l’unica novità di cui Gaetano non l’aveva messa al corrente, anzi.
 
Comunque, con lo stomaco in subbuglio peggio che prima di un esame all’università – che poi almeno quelli volendo… c’era sempre un altro appello, un’altra possibilità, mentre qui lei invece si sta per giocare il tutto per tutto – la sola idea degli arancini le aveva provocato un rigurgito acido.
 
Idem l’idea di rimanere nel caos della questura a sentire i battibecchi di Torre e della Lucianona.
 
Quindi si era scusata e, adducendo impegni urgenti, aveva rassicurato Torre che sarebbe passata più tardi e – no, non serve dire al dottore che l’ho cercato, tanto so dove abita!
 
Almeno per qualche giorno ancora, Camilla – le aveva ricordato quella maledetta vocina così simile a quella di Francesca, provocandole un’altra ondata di nausea, che l’aveva spinta ad uscire dalla questura in tutta fretta, prima di cedere o al vomito o alla tentazione di chiedere a Torre se sapesse dove traslocava il dottore o chi fosse questa fantomatica nuova fiamma.
 
Certo che se la prende comoda: ma quanto dura sta pausa pranzo?! E meno male che è un vicequestore e dovrebbe essere sempre pieno di impegni! – riflette, tornando al presente e guardando l’orologio, realizzando che sono ormai passate due ore. E Gaetano era già in pausa pranzo chissà da quanto, quando lei era arrivata in questura.
 
Oltretutto l’auto di lui è parcheggiata lì fuori, in uno dei posti riservati al personale, quindi deve esserci andato a piedi in pausa pranzo, in uno dei locali nei dintorni. Aveva pure provato a passare con nonchalance di fronte al bar e al ristorante che sapeva che Gaetano frequentava più spesso ma niente, di lui nessuna traccia.
 
Ma non ha alternative: deve intercettarlo mentre è al lavoro, possibilmente quando non è circondato dai suoi sottoposti, perché quando va al lavoro e quando rientra a casa lo fa con Tommy e… non è il caso che il bimbo senta quello che gli deve dire, che si devono dire.
 
Sta per estrarre il cellulare di borsa per telefonargli, con buona pace dell’effetto sorpresa, quando vede arrivare a tutta velocità un’auto dalla linea sportiva che praticamente inchioda proprio di fronte alla questura, con uno stridio di freni degno di un rally.
 
Si sporge per vedere chi è lo scavezzacollo al volante e si rende conto di due cose: che è UNA scavezzacollo e che, soprattutto, sul sedile del passeggero c’è un certo vicequestore. Che sta lanciando uno dei suoi sorrisi da manuale – quello gentile ma un po’ marpione, della serie: quanto so’ figo, ma come fai a resistermi? – proprio in direzione della scavezzacollo. Una biondona dai capelli lunghissimi e dalle labbra carnose – il resto non riesce a vederlo, visto che la bionda è seduta in auto e le dà praticamente le spalle – che scoppia a ridere e gli assesta un colpo sul braccio dall’aria decisamente troppo confidenziale e troppo familiare, prima di sporgersi verso di lui per sbloccargli la portiera – mossa da manuale pure questa, certo che sono proprio fatti l’uno per l’altra!
 
Hai capito la pausa pranzo!
 
Ma del resto a Gaetano le pause pranzo e le bionde sono sempre piaciute, meglio ancora se combinate tra loro.
 
Una colata d’acido nello stomaco, che neanche se si fosse scofanata tutti gli arancini di Torre, quel dolore all’altezza dello sterno, il ferretto del reggiseno che la taglia in due e le braccia che sembrano essere diventate dei puntaspilli, Camilla assiste quasi paralizzata al saluto tra i due.
 
Niente baci – almeno quello! – ma un saluto militare ben poco militare da parte della bionda, mentre Gaetano, già sceso dall’auto, richiude la portiera, piegandosi verso di lei e ricambiando con un altro saluto che di militare ha solo il nome, un sorriso brillante ed un occhiolino che danno un altro giro di vite alla morsa che stringe il petto di Camilla.
 
Pochi secondi e l’auto sgomma via. Pochi secondi in cui il cervello di Camilla, ancora pietrificata, sembra scisso in due tra la voglia straripante di scendere e di dirgliene quattro e pure di dargliene quattro – calma e centrata un corno, sto stronzo! – e quella di accendere il motore, sparire il più rapidamente possibile da lì e chiudersi in camera senza vedere più nessuno fino alla prossima glaciazione.
 
Alla fine è lo stronzo a decidere per lei perché, una volta rimessosi diritto e perso quello stramaledetto sorriso, fa per voltarsi ma si blocca quando quegli occhi azzurri incrociano i suoi, nemmeno avesse un radar.
 
Camilla non può più scappare adesso – col cavolo che gliela do questa soddisfazione! – non le resta che afferrare la borsa – quanto è tentata di tirargliela in testa – scendere dall’auto, richiuderla ed avviarsi a passo deciso verso di lui, che la studia con l’aria sorpresa di chi non sa bene cosa aspettarsi.
 
E pensare che le aveva pure telefonato, due volte, la sera dell’episodio in mezzo al cortile, ma lei non aveva risposto. Poi però non l’aveva più cercata – e certo, c’aveva ben altro da fare!
 
“Camilla! Che ci fai qui? Non mi aspettavo di-“
 
“È lei?!” sibila, tagliando corto e trattenendosi a fatica dall’alzare la voce, “è lei, non è vero?”
 
“Lei chi?” domanda lui, con quell’aria confusa che la manda ancora più in bestia.
 
“Ma come chi? La tua… nuova vicina!” proclama, con tono basso e sarcastico, mentre Gaetano continua ad osservarla ad occhi spalancati, come se fosse impazzita – ma del resto negare, sempre negare, no? Tutti uguali gli uomini!
 
“La tua pausa pranzo. La biondona che ama le auto sportive e superare tutti i limiti di velocità, proprio come te!” chiarisce, mentre le mani le prudono e non solo per le formiche ma per la grandissima faccia tosta dello stronzo, che ha pure il coraggio di fingersi sorpreso, come se non sapesse benissimo di che cosa sta parlando.
 
“Non ci posso credere,” mormora lui dopo qualche istante di silenzio, scuotendo il capo con un accenno di riso sarcastico che sta per farle partire una cinquina di quelle da primato, prima di voltarsi e di incamminarsi verso il portone della questura.
 
“Se tu pensi di potertela cavare così e di ignorarmi, hai-“ sbotta Camilla, indignata, la cinquina sulla punta delle dita, che però lui blocca ancora prima di nascere, afferrandola delicatamente per l’avambraccio destro, guardandola negli occhi e mormorando un eloquente…
 
“Non qui: nel mio ufficio. O vuoi davvero metterti a discutere qui in mezzo?” le chiede, indicandole con un cenno del capo i due agenti di guardia al portone che li osservano con curiosità molto malcelata, più tutti i passanti, alcuni dei quali si sono fermati a guardarli, nemmeno fossero due artisti di strada che stanno dando spettacolo.
 
Con un sospiro, Camilla deve abbozzare e ammettere che non ha tutti i torti – almeno su questo, perché sul resto invece… - sottraendosi però con un movimento brusco alla sua presa ed avviandosi a passo di marcia verso lo stramaledettissimo ufficio.
 
“Dottò! Finalmente siete tornato! Ah, vedo che avete già incrociato la professoressa, sapete vi aveva cercato e vi aveva anche cercato-“
 
“Non ora, Torre,” lo stoppa Gaetano con tono cortese ma fermo, prima di ordinargli, con un’occhiata che non ammette repliche, “sarò nel mio ufficio e fino a nuovo ordine non voglio essere disturbato, cascasse il mondo. Chiaro?!”
 
“Sì, dottore, chiarissimo,” ribatte Torre, mettendosi sull’attenti, prima di mormorare tra sé e sé, “qui gatta cicala… tira ‘na brutta aria.”
 
“Come, Torre?” chiede Gaetano che, nonostante la concitazione, ha evidentemente sentito benissimo, proprio come lei.
 
“Niente dottò. Ai vostri ordini!” ribatte l’ispettore, solerte, prima di rivolgersi a due agenti che si erano avvicinati, probabilmente per parlare con il dottore, “e voi, sciò, aria, non avete sentito cosa ha detto il dottore?”
 
Camilla scuote il capo e compie i pochi passi che la separano dall’ufficio di Gaetano senza fermarsi, aprendo la porta e piantandosi di fronte alla scrivania, aspettando che lui la richiuda e la raggiunga.
 
Rimangono ad osservarsi per qualche istante, come pugili in mezzo ad un ring, in attesa che l’altro faccia la prima mossa.
 
“Allora?” chiede infine Camilla, le braccia incrociate.
 
“Allora cosa?” le domanda, tentando di circumnavigare la scrivania per sedersi al suo posto ma lei gli si para davanti bloccandolo.
 
“Lo sai benissimo che cosa. Devo pure ripeterlo?” gli chiede con un sopracciglio alzato, prima di tirare un sospiro e cedere, di fronte all’aria impassibile di lui, “d’accordo, ribadirò il concetto, visto che a quanto pare ultimamente hai grossi problemi di memoria a breve termine: la biondona di poco fa è la tua nuova vicina, non è vero?”
 
“Mi stai facendo una scenata di gelosia, Camilla?” rimpalla con uno sguardo tra l’incredulo, il divertito, l’esasperato e… il compiaciuto che sta di nuovo per levarle un ceffone dalle mani.
 
“Non te l’hanno insegnato che non si risponde ad una domanda con un’altra domanda?” rinvia al mittente, non cedendo di un millimetro – te lo scordi che ti rispondo, idiota!
 
“Veramente sono anni che proprio tu mi insegni esattamente il contrario, professoressa,” ribatte Gaetano con quel mezzo sorrisetto da schiaffi, prima di aggiungere, mordendosi leggermente il labbro, “anche perché siamo in questura, sul mio territorio e qui le domande le faccio io. E poi… non puoi pretendere che io sia onesto con te e che ti dica tutto, se tu sei la prima a non essere onesta con me e a non dirmi tutto. Ti pare?”
 
“No, non mi pare! E comunque, pure se fosse? Mettiamo per ipotesi che io ti dica che sono gelosa. Cambia qualcosa?” gli chiede con sguardo e tono di sfida, cercando di contenere il tremore di voce su quella che non vuole che sembri l’ammissione che è, inutile raccontarsi palle.
 
“Dipende…” pronuncia, con un tono enigmatico che la confonde e la imbufalisce ancora di più.
 
“Da che cosa? Da qual è l’appartamento più confortevole? Il condominio con la posizione migliore? O da quanto è disponibile la biondona, a meno che non tu non ti sia già stancato pure di lei, ovviamente, o-“
 
“Camilla,” la interrompe posandole una mano sulla spalla che lei prontamente ritrae, come se si fosse scottata – e in effetti così è – prima di sospirare ed aggiungere, guardandola negli occhi in un modo serissimo che gli ha visto usare solo in un’occasione prima di allora, in un loft, tanti anni prima, “se, sempre parlando per ipotesi, tu mi dicessi che sei gelosa della biondona, come la chiami tu, ti direi innanzitutto che non ne hai motivo, visto che la biondona altri non è che la dottoressa Ricci, un bravissimo medico legale che collabora con me da anni e-“
 
“E nella vostra stretta collaborazione sono comprese pause pranzo della durata di oltre due ore? Perché Torre me l’ha detto, sai, che eri in pausa pranzo. E, o avete fatto un banchetto nuziale, o avete fatto un altro genere di pausa pranzo su cui tu sei un grande esperto, o devo forse pensare che i risultati dell’autopsia e le foto dei cadaveri si analizzino e si digeriscano meglio tra un boccone e l’altro?” domanda sarcastica e per nulla convinta – conta palle!
 
“O forse ero in pausa pranzo non con la biondona ma con il magistrato che si sta occupando di un caso che abbiamo chiuso proprio stamattina, quando mi hanno telefonato di recarmi con urgenza su una scena del crimine e il magistrato mi ha dato un passaggio, visto che il caso è stato assegnato pure a lui. E poi, siccome lui doveva correre in tribunale per un’udienza, la dottoressa si è gentilmente offerta di riaccompagnarmi fin qui.”
 
“E quindi tu tutte le tue colleghe le saluti in quel modo?”
 
“Quelle che conosco da anni e con cui sono in confidenza sì… scherziamo, si fanno due battute, ci si prende un po’ in giro… come con i colleghi maschi… che c’è di male?”
 
“E la tua nuova vicina lo sa che sei così amichevole con le colleghe? Visto che mi sembra di capire da quello che mi hai detto, che la biondona non è la tua nuova vicina…”
 
“Beh, sì, direi che lo sa,” conferma con un altro di quei mezzi sorrisetti che Camilla vorrebbe solo levargli a suon di schiaffi – o di baci… Camilla, che stai pensando? Concentrati! Non farti fregare!
 
“E le sta bene?” chiede con un sopracciglio alzato, senza riuscire a nascondere del tutto il fatto che a lei non starebbe, anzi non sta bene, per niente.
 
“Mi sa che… è parecchio gelosa… anche se non ne ha alcun motivo,” pronuncia, sempre con quello strano sorrisino enigmatico, l’angolo sinistro della bocca leggermente sollevato.
 
“Ah, no?” gli chiede, il sopracciglio che ha quasi raggiunto la cima della fronte – come no! Lode a San Gaetano da Roma, protettore delle vergini!
 
“No,” ribadisce con un tono piatto e deciso, guardandola dritto negli occhi senza sbattere le palpebre nemmeno per un istante.
 
Ma a che gioco stai giocando? A che gioco stai giocando, Gaetano, maledizione?!
 
“Eh, beh, certo. Con uno come te... perché mai dovrebbe preoccuparsi, no? Per caso sa anche in che rapporti sei… anzi, diciamo pure eri… con... con la tua vecchia vicina?” domanda, sprezzante e amara, maledicendo questa volta se stessa quando il sibilo sarcastico con cui voleva pronunciare quelle ultime due parole si incrina, tramutandosi in un una specie di rantolo rauco, sulla parola vecchia.
 
Perché è così che si sente: vecchia. Vecchia e brutta e messa da parte come un giocattolo passato di moda che nessuno vuole più.
 
“No, direi di no…”  ammette Gaetano con un sospiro ed uno sguardo che Camilla non riesce a decifrare.
 
Ma poco importa: non le ha detto niente di lei. Non ha detto di lei all’altra. E anche se è stupido e forse un po’ folle, una sensazione di sollievo le allevia lievemente il petto, mentre la vocina nella sua mente, quella di Francesca, le ricorda che è un buon segno. Perché se non le ha detto niente, evidentemente sa che non potrebbe dirle tutto, che c’è qualcosa da nascondere sulle loro… relazioni di vicinato.
 
E se invece non le avesse parlato di me perché… perché non sono importante? Perché… perché faccio parte del passato, di una vita passata, perché sono solo un dettaglio trascurabile di un’esistenza che si sta per lasciare alle spalle e-
 
“Anche perché… non so nemmeno io in che rapporti sono con la mia vecchia vicina. E ho l’impressione che nemmeno tu abbia le idee molto chiare in proposito, Camilla,” chiarisce con uno sguardo eloquente e quel tono indefinibile ma serissimo, interrompendo bruscamente i pensieri e le paure che, di nuovo, la stanno avviluppando come un bozzolo.
 
 “Come?” chiede, confusa e spiazzata.
 
"Ecco, appunto…” commenta con un sospiro e quell’espressione inafferrabile, che gradatamente muta, il sopracciglio destro e l’angolo sinistro della bocca che si sollevano, conferendogli un’aria quasi sorniona, mentre ribadisce, “e comunque, Camilla, questa a me continua a sembrare una scenata di gelosia in piena regola.”
 
“E io continuo a ripeterti, e anche se fosse?! Se fossi gelosa, cambierebbe qualcosa, Gaetano?” riafferma a sua volta, il tono più calmo perché… anche se è stupido ed irrazionale, sapere che la bionda non è l’altra e che non c’è stata nessuna pausa pranzo, sapere che Gaetano non ha parlato di lei all’altra, un poco l’ha rabbonita e si è improvvisamente ricordata del motivo per cui è andata lì.
 
È da quando ha avuto conferma del significato di quegli stramaledetti scatoloni che si sente quasi bipolare, scissa in due. La gratitudine nei confronti di Gaetano per tutto quello che ha fatto per lei, per esserci sempre stato, soprattutto quando ne aveva più bisogno e non sapeva come chiederlo, per non essersi mai allontanato, nemmeno quando lei lo teneva a distanza – anche se avrebbe solo voluto stringerlo forte a sé e stringersi a lui, in lui – che si trasforma in rabbia, quasi in odio per… per aver deciso di non esserci più, di abbandonarla e proprio adesso. Il senso di tradimento che le brucia fin nelle viscere per avere scelto un’altra, per poter desiderare un’altra, preferirle un’altra, per aver rinunciato a lei, a loro e proprio adesso, che poi diventa senso di colpa per… per tutto quello che gli ha fatto passare in questi anni, per essere stata lei a tradire per prima non solo Renzo, Livietta, il suo matrimonio, ma anche e soprattutto se stessa e lui, con la sua vigliaccheria, le sue indecisioni. Per aver aspettato troppo, paralizzata dalla paura, per avergli sbattuto la porta in faccia ancora una volta, una volta di troppo. Il dolore, lo sconforto, la delusione che si alternano al sollievo, ad ogni minimo segnale di interesse, di bene, a cui si aggrappa disperatamente. La sensazione di essere sull’orlo del baratro, ad un passo dall’infrangersi in mille pezzi, dal perdersi per sempre e, allo stesso tempo, ad un passo dal ritrovarsi, dal rimettere insieme il puzzle della sua vita e di poter trovare finalmente i pezzi che mancavano ormai da tanto, troppo tempo. Di riempire quel senso di vuoto, di mancanza, che non l’ha mai lasciata negli ultimi dieci anni e che non ha fatto altro che peggiorare, giorno dopo giorno, fino a portarla qui.
 
Dì di sì, maledizione, dì di sì! – si ripete come un mantra, guardandolo negli occhi – io sono anche pronta a fare la pazzia di confessare ma prima devi dirmi di sì.
 
“E io continuo a ripeterti che dipende, Camilla,” reitera, il sorrisetto e l’aria da micione che scompaiono per lasciare il posto di nuovo a quel tono e a quello sguardo serissimi.
 
“Da cosa?” mormora, altrettanto seria.
 
“Dal motivo per cui sei gelosa, Camilla,” afferma, deciso, in un modo che le fa capire chiaramente che Gaetano sa perfettamente che è gelosa. Eccome se è gelosa.
 
“Il motivo?” domanda, confusa, non cercando più di dissimulare, anche perché tanto sarebbe inutile.
 
“Sì. Se sei gelosa perché… perché vorresti essere tu la… la mia nuova vicina,” esordisce, dritto negli occhi, prima di concludere, “o se invece ti dà solo fastidio che… possa esserlo qualcun’altra. Che qualcun’altra possa venire prima di te, sia come amica sia come… vicina.”
 
“Ma per chi mi hai preso?!” sbotta, indignata e ferita, non credendo alle sue orecchie, “cosa pensi che sia, eh? Una specie di bimba egoista, viziata e capricciosa?”
 
“No, solo una donna confusa che non sa quello che vuole: due settimane fa ho provato a baciarti e tu… tu mi hai voltato le spalle, letteralmente. Sembravi furiosa con me e sei sparita per giorni. Messaggio chiarissimo, direi. E ora invece, siccome hai scoperto del mio trasloco e temi che io possa dimenticarti per un’altra, vieni qui e mi fai una scenata di gelosia come se fossimo fidanzati. Ma che devo pensare, io, eh, me lo spieghi?” afferma, bloccandola con una mano sulla spalla e con uno sguardo che sembra scavarle fin nel profondo dell’anima e che la fa sentire incredibilmente e terribilmente vulnerabile.
 
E, per una specie di meccanismo di difesa innato ed esacerbato dagli ultimi avvenimenti, alla vulnerabilità si associa la rabbia.
 
“Io non so quello che voglio?? Ma certo che hai una bella faccia tosta! Il bue che dice cornuto all’asino!” replica, risoluta ed indignata, scrollando le spalle per scostarsi da lui, “forse sei tu quello confuso e che non sa quello che vuole! O che forse vuole solo una cosa! Perché non so che cosa pensi tu, ma dimmi, cosa dovrei pensare io, eh, Gaetano? Due settimane fa mi baci, dopo aver interpretato per settimane, per mesi, per anni il ruolo dell’innamorato perso. Sembrava che non potessi vivere senza di me, mi parlavi perfino di famiglia, di famiglia! E poi? Io non ricambio il tuo bacio e allora tu nel giro di due settimane decidi addirittura di traslocare per correre appresso a… ad una nuova vicina! Proprio un uomo che sa quello che vuole, complimenti!”
 
“Camilla…” sospira, provando ad intervenire, ma ormai lei è un fiume in piena.
 
“Ma forse ti devo ringraziare, Gaetano, per avermi aperto definitivamente gli occhi su che cos’è che vuoi esattamente, qual è l’unica costante di tutte le tue… chiamiamole relazioni. Per avermi tolto ogni dubbio su che genere di… vicino sei e su come le tratti le tue… vicine, prima che potessi-“
 
Si blocca bruscamente, mordendosi la lingua, realizzando di essere ad un soffio dal tradirsi, dall’ammettere. E anche se è andata lì esattamente per questo, per confessare, almeno parzialmente, il segreto più inconfessabile – o forse il segreto di Pulcinella – della sua vita, non ci riesce… non può farlo, non ora.
 
C’è troppo orgoglio, troppa rabbia che le ribollono in gola, strozzandole la voce, impedendole di pronunciare quelle parole, di condannarsi con le sue stesse labbra.
 
O forse di salvarti, Camilla? – le sussurra la vocina maliziosa di Francesca all’orecchio.
 
“Prima che potessi…?” ripete lui, afferrandola di nuovo per le spalle, guardandola con un’intensità che la fa tremare quasi di più del calore delle sue mani che sembra irradiarsi in tutto il corpo, scatenando un formicolio ben diverso da quello che l’aveva accompagnata nelle ultime settimane, “Camilla, prima che potessi cosa?”
 
“Prima che potessi commettere il più grande errore della mia vita!” scoppia, non riuscendo più a contenersi né a controllare il tono di voce.
 
“E chi ti dice che sarebbe stato un errore, che sarebbe un errore?” le chiede, mentre Camilla sente quelle dita stringersi ancora di più, come tizzoni ardenti sulla sua pelle, anche attraverso i vestiti, mentre il tono e l’espressione di Gaetano si fanno improvvisamente più dolci.
 
E questo la manda in bestia.
 
“Non lo so… forse il fatto che tratti le tue vicine come fazzoletti usa e getta? Che mi stai piantando in asso proprio mentre sto appena iniziando a raccogliere i cocci della mia vita solo perché non sono caduta come una pera cotta tra le tue braccia? E per cosa, eh? Per correre dietro alla prima squinzia che invece te l’ha servita su un piatto d’argento?!” grida, spingendolo via con tutta la rabbia che ha in corpo, vedendolo incespicare all’indietro e aggrapparsi alla scrivania per non cadere.
 
“Camilla non è una squinzia!” proclama, ancora appoggiato al bordo in legno, una fermezza nella voce che non ricorda di avergli mai sentito usare, che è come una frustata in pieno viso, ancora prima che ribadisca, risoluto e con quello sguardo indecifrabile, “e non permetto a nessuno di definirla così. Nemmeno a te.”
 
Crack
 
Il cuore salta un battito, incrinandosi quasi quanto il ghiaccio sul quale sente improvvisamente di stare camminando.
 
Oh mio dio… non è possibile… non è possibile!
 
“Sei… ti sei innamorato di lei, non è vero?” pronuncia con voce roca e spezzata, la gola di cartavetra, la sua condanna a morte, trattenendo il fiato mentre attende che il boia spalanchi la botola sotto i suoi piedi.
 
“Sì.”
 
Crash
 
La botola si spalanca, il ghiaccio si rompe, il senso di vuoto allo stomaco, di caduta, l’acqua gelida la sommerge, soffocandola, bruciando nelle narici, in gola, milioni di aghi che si infilzano in ogni poro della pelle.
 
“In effetti sì… anzi… forse innamorato non è l’aggettivo esatto…” la voce di lui la raggiunge a fatica, come da un’enorme distanza, distorta ed ovattata dalla tempesta che si infrange nelle sue orecchie.
 
Un lampo di sollievo e il colpo di grazia.
 
“Io la amo Camilla. Moltissimo.”
 
Cinque coltellate assestate con calma, con decisione. Non sa che cosa le faccia più male, se le parole o quel sorriso brillante, quella luce, quella dolcezza negli occhi mentre guarda lei ma… ma pensa a un’altra.
 
Ama un’altra.
 
Ama un’altra. Ama un’altra. Ama un’altra. Ama un’altra.
 
È finita. È finita. È finita. È troppo tardi. È troppo tardi. È troppo tardi.
 
È finita.
 
Dita invisibili le si stringono attorno al collo, togliendole il respiro, si porta una mano alla gola mentre boccheggia per prendere aria.
 
E poi altre dita come marchi a fuoco sulle spalle la estraggono a forza dall’abisso in cui stava affondando.
 
“Lasciami!” urla, roca, ferale, cercando di nuovo di spingerlo via ma finendo per artigliare l’aria perché Gaetano ha mollato bruscamente la presa ed è arretrato di tre passi.
 
Distanza di sicurezza da cui la osserva come si osserverebbe una tigre ferita e pronta ad attaccare. Ma c’è sempre quella dannata dolcezza nel suo sguardo, quella tenerezza, quella preoccupazione che sono peggio di un pugno allo stomaco.
 
Ti faccio pena non è vero? Risparmiami almeno la compassione! Io non la voglio la tua pietà! Non me ne faccio niente della tua pietà! – grida senza voce, solo con gli occhi perché se pronunciasse quelle parole otterrebbe solo l’effetto opposto e lei non vuole vuote consolazioni che non significano niente, che non servono a niente, non vuole sentire quelle orribili frasi di circostanza che si sciorinano in casi come questo.
 
Ha perso, ha perso tutto, ha tirato la corda una volta di troppo e si è spezzata.
 
E del resto, perché uno come lui, uno che può avere tutte le donne che vuole, dovrebbe accontentarsi di una come lei?
 
Non si è mai spiegata che cosa lui ci trovasse in lei, che cosa ci vedesse in lei, per quale clamoroso abbaglio si fosse interessato a lei, innamorato di lei dieci anni prima.
 
Ma ora il bello addormentato si è svegliato, l’incantesimo è finito e l’ha vista esattamente per quello che è: una grandissima fregatura. Vecchia, insignificante, con un principio di depressione, una vita incasinata e per di più vigliacca, indecisa, egoista.
 
Chi mai la vorrebbe una donna così?
 
Nemmeno lei si vorrebbe.
 
“Camilla, certo che non cambi mai…” è di nuovo la sua voce a riscuoterla con quella maledetta dolcezza, con quell’insopportabile premura.
 
Solleva lo sguardo e se lo ritrova vicino, troppo vicino, che la osserva scuotendo il capo tra il preoccupato, l’esasperato, l’intenerito, il commosso ed il… divertito?
 
Ridi pure delle mie disgrazie, stronzo?! Ma certo, infierisci pure! – questo vorrebbe urlargli d’istinto ma… ma c’è qualcosa che non torna, qualcosa di familiare che non si sa spiegare ma-
 
“Mi sembra di essere tornato indietro di dieci anni…” commenta, avvicinandosi ancora di più a lei, fino a poter sentire il suo respiro sul viso, con quel mezzo sorriso in cui non c’è malizia, cattiveria ma… se non sapesse che è impossibile ci leggerebbe ancora amore, solo amore, “Camilla, possibile che non hai ancora capito che-?”
 
Il rumore della porta che si spalanca esplode come un boato, facendole saltare il cuore nella laringe.
 
“Dottò mi scusi, ma-“
 
“Torre!” ruggisce Gaetano, fulminandolo con un’occhiataccia e con un tono che portano l’ispettore a deglutire visibilmente e ad abbassare il capo, “ti avevo detto che non volevo essere disturbato per nessun motivo e-“
 
“Mi scusi dottò ma-“
 
“Ho dato io ordine all’ispettore di lasciarmi passare: ho bisogno di parlarle e non può aspettare!” proclama un ometto allampanato più sulla sessantina che sulla cinquantina, superando Torre e piazzandosi in mezzo alla stanza, senza troppe cerimonie.
 
“Signor questore…” pronuncia Gaetano, sembrando calmarsi all’istante, lanciando a Torre un’occhiata di scuse.
 
“E la signora qui presente chi è? Una testimone?” domanda rivolgendosi a lei con sufficienza, come se fosse solo un’incombenza di cui liberarsi alla svelta.
 
“No, sono… sono una vicina del dottor Berardi. Gli sto dando una mano con il trasloco e… avevo bisogno di alcuni chiarimenti… ma stavo giusto per andare via,” improvvisa Camilla, facendo uno sforzo sovrumano per non lasciare trapelare nulla dal tono di voce, maledicendosi quando le si spezza di nuovo a tradimento sulla parola trasloco.
 
“Ah, trasloca, Berardi? Non lo sapevo!” esclama l’ometto, ignorando per fortuna il tremore, anzi, ignorandola e basta, evidentemente ansioso di tornare agli urgentissimi motivi per cui si trova lì.
 
“Va beh, io vado…” pronuncia Camilla, rivolta a nessuno e a tutti, facendo per avviarsi alla porta, ma si sente di nuovo afferrare per il polso.
 
“Camilla, aspetta! Io-“
 
“Non ti preoccupare, ho capito tutto. È tutto chiarissimo adesso. E conosco la strada,” dichiara, secca, neutra e fredda, liberandosi per l’ennesima volta dalla sua presa, salutando l’illustrissimo questore con un cenno del capo e circumnavigando Torre che è ancora piazzato in mezzo alla porta come un secondino.
 
Incespica non sa bene come fino alla macchina, il capo chino, le mani che tremano fottutamente, anche e soprattutto mentre cerca disperatamente le chiavi, maledicendo la sua passione per le borse troppo grandi e piene di cianfrusaglie inutili.
 
Esattamente come lei.
 
Le chiavi, finalmente! Si tuffa nel sedile del guidatore, la vista che le si appanna, si ritrova con il viso allagato, maledicendo la sua debolezza quando si rende conto che non riuscirà mai a guidare in queste condizioni.
 
Ma non può rimanere lì, nemmeno un secondo di più.
 
Afferra alla cieca il cellulare come se fosse l’ultima ancora di salvezza.
 
“Francesca… ho… ho bisogno di aiuto,” riesce ad articolare tra i singhiozzi quelle parole che non avrebbe mai più voluto pronunciare, prima di sciogliersi in una pozzanghera.
 
***************************************************************************************
 
Buio.
 
Neanche una luce, nemmeno una.
 
Con un sospiro che solleva nubi di vapore nell’aria, si stringe di più nel cappotto – ormai l’inverno è alle porte e a quest’ora l’aria è gelida– e si avvia rassegnato verso la sua scala.
 
All’inizio l’equivoco gli aveva pure fatto un po’ comodo… anche quando lei non aveva risposto alle sue chiamate dopo il loro incontro in cortile, aveva deciso di lasciarla sobbollire per un po’ e vedere che sarebbe successo. Tanto era questione di giorni prima che scoprisse da sola chi era esattamente la sua nuova vicina.
 
Certo, vederla gelosa gli aveva fatto piacere da un lato, ovviamente: era una piccola conferma, un segno di interesse ma… ma non bastava.
 
Del resto non era una novità, Camilla era già stata gelosa: di Bettina, di Sonia – ricorda ancora quei sorrisi tirati e fintissimi, per non parlare del tono con cui l’apostrofava – e di Roberta.
 
Con Roberta era stato tutto più complicato: per tanto tempo avevano entrambi finto di essere diventati i migliori amici e consulenti amorosi l’uno dell’altra, ma non avrebbe mai scordato l’espressione di Camilla quando le aveva detto che si sposava o quello sguardo, quell’occhiata, il giorno del suo matrimonio, quando doveva decidersi se andarsene o restare. E, ovviamente, se ne era andato con lei.
 
E poi lei se ne era andata, ma senza di lui, giusto giusto ad appena qualche migliaio di chilometri di distanza.
 
E che dire delle sue conquiste torinesi? Camilla si rivolgeva sempre a loro con quell’atteggiamento eccessivamente cortese, con sorrisi a trentadue denti che non le raggiungevano gli occhi. E come gliele smontava! Non ce n’era mai una che le andasse bene, trovava sempre loro qualche difetto.
 
Non che gli servisse che qualcun altro glieli facesse notare quei difetti… soprattutto uno: non erano lei e non lo sarebbero mai state, nemmeno lontanamente.
 
Ma, nonostante tutta questa gelosia più o meno malcelata… era mai cambiato qualcosa? Era mai servita a qualcosa?
 
No, certo che no!
 
Ormai ci si era quasi abituato… sapeva che a lei non faceva piacere vederlo con altre ma… ma ciò non toglieva che non lo volesse nemmeno per sé. O che, anche se lo voleva, non aveva mai avuto il coraggio di ammetterlo né a lui, né forse a se stessa. Non aveva mai avuto il coraggio di sceglierlo.
 
E quindi poco cambiava, perché ammesso e non concesso che lo volesse… non lo voleva abbastanza. Forse abbastanza solo per un momento di follia, se lui avesse insistito un po’ di più, se avesse calcato un po’ la mano in una delle mille occasioni che c’erano state.
 
Ma lui non voleva un momento di follia, non voleva essere un attimo di debolezza e poi il peggior rimorso di una vita. Non voleva diventare per lei un errore da cancellare, una macchia, non voleva rischiare di essere guardato con odio, con disprezzo con… con pentimento da lei. Non l’avrebbe sopportato.
 
E quindi si era ormai rassegnato al ruolo del vicino, dell’amico che non è proprio un amico ma non è nemmeno qualcos’altro. Si era rassegnato ad amarla in silenzio, vicino appunto, eppure così distante, godendosi ogni momento con lei, ogni gesto d’affetto verso di lui e verso suo figlio, senza pretendere di più, senza aspettarsi altro. Osservandola vivere ed essere felice – o almeno provarci, perché non l’aveva mai vista davvero felice con Renzo da quando si erano ritrovati a Torino, nonostante lei proclamasse il contrario. Ma forse era solo un meccanismo di autodifesa, un’illusione della sua mente e del suo cuore che gli facevano vedere cose che non esistevano ed ignorare invece tutto quello che invece gli faceva troppo male.
 
Aveva ripreso a frequentare altre, dopo mesi di astinenza, dopo quel quasi bacio sul divano di Camilla un anno e mezzo prima. Dopo quell’armadio… dopo che nel bel mezzo di una festa si era allontanata con Renzo nella loro camera matrimoniale, forse credendo di non essere vista o forse sapendo benissimo che lui l’avrebbe vista eccome.
 
Il messaggio era chiarissimo: lei aveva scelto di nuovo Renzo, avrebbe scelto sempre Renzo.
 
Si era quasi autoimposto di andare avanti, o almeno di provarci di… di non continuare ad essere il marito fedele e devoto della moglie di un altro.
 
Un altro che non le era stato affatto fedele e devoto, lui. Un vigliacco che invece di apprezzare l’incredibile fortuna che è avere accanto una donna straordinaria come Camilla… l’aveva buttata via, aveva buttato via per la seconda volta il loro matrimonio per un po’ di grappa aromatica e per un giro tra le lenzuola con la sua ex amante, che aveva avuto pure la faccia tosta di far tornare a lavorare con lui.
 
E non aveva nemmeno avuto il buonsenso di prendere delle precauzioni, dimostrando per l’ennesima volta quanto del benessere di Camilla non gliene fregasse nulla. Dimostrando di non meritare nemmeno un’unghia della donna incredibile ed eccezionale che è Camilla, di non essere degno nemmeno di allacciarle le scarpe. E ora aveva pure la faccia tosta di insistere, di tampinarla, di cercare di farsi perdonare e di tornare con lei, senza alcun rispetto per il dolore che aveva provocato.
 
Il dolore di Camilla l’aveva distrutto. Vederla così fragile, con quegli occhialoni da sole, la voce pronta a spezzarsi in ogni momento, vederla così… grigia, piatta, priva di quella vitalità, di quel calore, di quel sorriso, di quella verve, di quella fiducia in se stessa, negli altri, nel mondo che l’avevano fatto innamorare perdutamente di lei dieci anni prima.
 
Aveva tentato in ogni modo di starle vicino, per quanto era nelle sue possibilità, per quanto lei glielo permetteva, cercando di sostenerla, di distrarla con le sue amate indagini che improvvisamente sembravano pesarle più di un macigno. Di tirarla fuori da casa, farle recuperare un po’ di fiducia in se stessa, di strapparle un sorriso ogni tanto, uno di quei sorrisi che erano come un regalo preziosissimo e per cui sarebbe stato probabilmente disposto perfino ad uccidere.
 
Che Camilla era diversa se ne era accorto perfino Tommy, ormai abituato alla dolcezza, all’amore incondizionato di quella che considerava un po’ la sua seconda mamma italiana, tanto che si era sentito improvvisamente trascurato. Tanto che aveva iniziato ad inventarsi malattie ed emergenze inesistenti per attirare l’attenzione, proprio lui che era sempre stato un bimbo iperubbidiente e fin troppo responsabile – del resto il soldato Eva l’aveva addestrato ad una disciplina al cui confronto perfino il carabiniere più intransigente avrebbe sfigurato.
 
Ma Camilla non aveva più energie nemmeno per Tommy e passava tutto il tempo con la dottoressa Gariglio.
 
A cui Gaetano avrebbe voluto fare un monumento perché, doveva ammetterlo, Camilla durante il periodo trascorso in compagnia della sua amica era migliorata a vista d’occhio. E, anche se gli faceva un po’ male non poterci essere stato di più, non aver potuto fare di più, anche se era stato geloso non tanto di Francesca ma di tutto il suo codazzo di amici – ricorda ancora la pugnalata al petto che era stata vederla abbracciare quel bellimbusto che poi aveva scoperto essere un amico di Francesca, oltre che un gran bravo ragazzo diventato assassino per un senso di giustizia distorto – non avrebbe mai potuto ringraziare abbastanza la dottoressa.
 
Perché rivedeva finalmente Camilla, la sua Camilla. Un po’ acciaccata, certo, le ferite non si erano ancora del tutto rimarginate e ci sarebbe voluto molto altro tempo… ma stava tornando lentamente alla normalità.
 
E, più Camilla tornava in sé, più lui faceva fatica a starle lontano a mantenere quelle distanze, quei paletti, quelle regole che si era autoimposto, perché non voleva rischiare di approfittarsi di lei in un momento di debolezza e confusione, perché non avrebbe sopportato di farla stare ancora più male di quanto già stesse.
 
Solo che, appunto, Camilla migliorava, scherzava, sorrideva e si avvicinava di nuovo a lui. Tutto sembrava stare lentamente ma inesorabilmente tornando alla normalità, come prima.
 
Ma qualcosa era cambiato, una cosa era cambiata: ora Camilla era una donna libera.
 
Almeno in teoria perché se il suo cuore fosse libero o meno… solo lei poteva saperlo e Gaetano moriva dalla voglia e dalla paura di scoprirlo.
 
E poi si sentiva in colpa, un lato di lui si sentiva dannatamente in colpa perché, anche se malediceva Renzo per quello che aveva fatto a Camilla, per averla fatta stare male, anche se il dolore di Camilla l’aveva quasi ucciso… d’altro lato una parte di lui era quasi grata all’architetto, al destino e alla grappa aromatica per… per aver dimostrato inequivocabilmente e nel modo più plateale possibile di non essere l’uomo che Camilla meritava, per averle aperto gli occhi definitivamente sul fatto che il suo matrimonio era finito e che forse era finito parecchi anni fa.
 
Odiava questa sensazione, quasi inconscia, quel sorrisetto che l’aveva tradito mentre cercava di capire da Renzo che cosa fosse successo esattamente quella fatidica sera, sapendo che Camilla, per correttezza e forse per paura, non gliel’avrebbe mai detto chiaramente. Non aveva davvero voluto sorridere, non c’era niente da sorridere o di cui essere felici… ma una piccola parte di lui, una parte oscura che non gli piaceva e di cui si vergognava era… era grata al destino e a Renzo per l’opportunità che gli stava dando.
 
L’opportunità di dimostrare a Camilla chi meritava e merita davvero il suo amore. L’opportunità di… di avere un’opportunità con lei.
 
Ma paure, esitazioni, sensi di colpa erano tutti volati fuori dalla finestra insieme al suo cervello quando l’aveva trovata addormentata abbracciata a Tommy.
 
Gli era sembrato quasi di entrare in un sogno, in uno dei tanti sogni che aveva fatto in questi anni in cui Camilla era sua e di nessun altro, in cui erano davvero una famiglia e non sembravano solamente una famiglia agli occhi di qualche sconosciuto o in una fotografia custodita gelosamente in un libro e che aveva quasi consumato a furia di sguardi.
 
Aveva trattenuto a fatica l’impulso di svegliarla con un bacio e si era limitato ad una carezza ben più lieve di quanto avrebbe voluto, la mano che gli tremava nemmeno avesse quindici anni.
 
Lei se l’era come al solito data a gambe alla sua battuta sul “sentirsi in famiglia” – e lui aveva sorriso divertito, perché ormai ci era abituato alle fughe di Camilla e perché conosce – o credeva di conoscere – il motivo delle sue fughe.
 
E poi lei, inaspettatamente, l’aveva salutato con un bacio sulla guancia. Un bacio vero, non uno di quei guancia a guancia che si danno agli amici. Un bacio che sapeva di famiglia. Un bacio simile a quello che Camilla gli aveva concesso solo in un’altra occasione: quando aveva ristabilito le regole tra loro dopo essere stato scagionato dall’accusa di aver ucciso Serena.
 
Il bacio di allora aveva il sapore di un addio… questo… questo no, sembrava anzi segnare un nuovo inizio.
 
Non ce l’aveva fatta più: aveva colto la palla al balzo e lo spiraglio che lei sembrava avergli aperto e l’aveva baciata con una delle scuse più vecchie del mondo.

Che c’hai qua?patetico, peggio di un ragazzino!
 
E lei, per tutta risposta, gli aveva dato le spalle e gli aveva fatto segno con la mano di chiudere la porta, sciò sciò, senza nemmeno guardarlo in faccia.
 
Si era dato dell’idiota per giorni, si era chiesto se avesse rovinato tutto con la sua brillante idea, per la follia di un momento. Paura che si era fatta sempre più opprimente, soprattutto quando lei non l’aveva più cercato.
 
Ma nemmeno lui aveva più cercato lei perché… perché una parte di lui era stanca, stufa di dover sempre fare la prima mossa, di ritrovarsi sempre ad inseguirla.
 
O meglio, lui per Camilla era ed è più che disposto a continuare a fare la prima mossa, ad inseguirla e a beccarsi porte in faccia pure per i prossimi cent’anni, ma a patto di essere certo che dall’altra parte ci sia un interesse, seppur minimo.
 
Perché una volta c’erano mille ottimi motivi per cui Camilla doveva respingerlo. Soprattutto due: Renzo e Livietta.
 
Ma ora… ora lei appunto, in teoria almeno, è una donna libera. E lui aveva e ha bisogno di sapere che se Camilla esitava ed esita è solo perché non è ancora pronta ad una nuova relazione, perché ha paura, perché è ancora scottata dal tradimento di Renzo e non invece per il motivo più banale di tutti.
 
Perché lui non le piace abbastanza. Perché non prova per lui quello che lui prova per lei, nemmeno in minima parte.
 
E Gaetano aveva e ha bisogno di un segnale, di un segnale anche minimo che così non è che… che lui per Camilla non è solo un amico, un confidente, una spalla su cui piangere, un tonico per l’autostima, magari una tentazione, l’incarnazione della sua passione per le indagini, una distrazione dalla routine quotidiana.
 
Perché vuole essere lui la sua quotidianità. Perché la quotidianità con Camilla, ne è sicuro, non sarebbe mai una routine, non per lui, nemmeno tra cent’anni, nemmeno dovessero passare insieme altre cento vite. Non può nemmeno immaginarsi di stancarsi di Camilla, di non ridere con lei, di non sorprendersi più ad ogni sua adorabile follia, di assuefarsi a quel bellissimo sorriso che la fa sembrare una ragazzina un po’ monella, di non amare le sue mani, la sua bocca, la sua voce in tutte le sue mille sfumature, di non perdersi in quei suoi occhi luminosi, vispi ma anche a volte cupi e malinconici, dietro ai quali si nasconde un mondo.
 
Un mondo di cui sente di aver esplorato solo la punta dell’iceberg.
 
E un segnale era arrivato, seppur minimo: la gelosia, la rabbia, in seguito al malinteso. E allora aveva deciso di stare al gioco, di assecondare il destino e vedere dove li avrebbe portati.
 
Non si aspettava la visita in ufficio, questo no, non si aspettava che quel lampo di gelosia che aveva colto nelle parole sibilate in cortile, esplodesse in una scenata in piena regola.
 
Non si aspettava di sentirsi apostrofare da lei con quei toni da… da fidanzata gelosa e tradita. Quasi come se fosse lui il fedifrago e non Renzo.
 
E, se da un lato questo l’aveva compiaciuto e l’aveva incoraggiato, se aveva sperato davvero che in quell’ufficio finalmente la situazione si sarebbe sbloccata una volta per tutte, vederla stare male per lui era stata peggio di una coltellata.
 
Si era sentito un idiota, un mostro come l’avrebbe definito la buonanima di Andreina.
 
Quando lei aveva ammesso di starci almeno pensando, di… di averci pensato sul serio a… a quello che lei aveva ribattezzato come il più grande errore della sua vita, quando si era autodefinita una squinzia – ed il sangue gli era ribollito nelle vene al solo ricordo di quando Eva aveva osato chiamarla così e aveva dovuto trattenersi a forza dal difenderla con troppa veemenza, sapendo che avrebbe solo peggiorato le cose tra Camilla e la svedese – quando gli aveva servito quell’assist su un piatto d’argento chiedendogli se fosse innamorato della sua nuova vicina, lui… lui aveva deciso di cedere, di confessare e giocare di nuovo a carte scoperte.
 
Ma, se la situazione gli ricordava assurdamente la sua prima sfortunatissima confessione d’amore, risalente ormai ad un decennio fa, la reazione di Camilla era stata completamente diversa.
 
Se allora c’erano stati fastidio, gelosia, irritazione, forse addirittura rabbia, questa volta negli occhi di Camilla aveva letto solo dolore, un dolore puro, profondissimo ed oscuro che l’aveva fatto sentire come il peggiore dei vermi.
 
Aveva ritrovato quello sguardo perso, tradito, smarrito, fragile e spaurito di quel giorno, quando l’aveva fatta convocare dal vicepreside a tradimento e Camilla si era infine decisa a togliersi gli occhiali da sole.
 
Anzi, forse era perfino peggio.
 
Solo che questa volta era stato lui il destinatario di quello sguardo, era stato lui a provocarle quel male, a farla sentire tradita e pugnalata alle spalle.
 
Sgomento, l’aveva vista annaspare e portarsi una mano alla gola, come se stesse soffocando, aveva cercato di toccarla ma Camilla aveva reagito con una violenza quasi ferale che l’aveva spaventato. L’aveva guardato come se fosse l’essere più schifoso mai esistito sulla faccia della Terra e lui si era davvero sentito così.
 
Aveva cercato di spiegarle, doveva spiegarle, chiarire l’equivoco una volta per tutte, farle capire che, anche se è un idiota e probabilmente nemmeno lui si merita una donna straordinaria come lei... c’è un’unica donna che lui abbia mai amato. E sa ormai con certezza che sarà così per sempre.
 
Doveva riuscire in qualche modo a farle capire che, se gliene avesse dato la possibilità, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, per starle vicino, per essere, almeno in parte, degno di lei, per dimostrarle quanto la ama e che… che non l’avrebbe mai più fatta soffrire.
 
Che è disposto a tutto per lei: dall’organizzare un trasloco solo per avvicinarsi a lei di qualche metro in linea d’aria a rivoluzionare tutta la sua vita. Qualsiasi cosa pur di renderla felice.
 
Che lei lo ricambiasse o meno, che avessero una storia o meno, lui per lei ci sarebbe sempre stato, sempre, fino a che lei avesse avuto bisogno di lui, fino a che l’avesse voluto nella sua vita.
 
Ma era arrivato Torre con quell’idiota del questore e Camilla se ne era andata prima che potesse chiarire l’equivoco, guardandolo in quel modo che era come una stilettata e poi rivolgendosi a lui con una freddezza polare, simile a quella che ultimamente riservava solo a Renzo.
 
Aveva provato a telefonarle non appena si era finalmente liberato del questore, per tutto il pomeriggio, ma  Camilla aveva sempre il telefono staccato. Aveva provato a suonarle al campanello non appena era riuscito a rientrare a casa, ma non rispondeva nessuno e la macchina di Camilla non c’era.
 
L’appartamento sembrava sempre vuoto, le luci spente. Forse Livietta dormiva o era fuori con i suoi amici ma… dov’era Camilla?
 
Era sceso a buttare la spazzatura che erano quasi le undici di sera, sentendosi un vero idiota, per verificare se la sua macchina almeno adesso ci fosse.
 
Ma niente, nessuna traccia.
 
Dove sei Camilla, maledizione? – si domanda, guardando per l’ultima volta la finestra buia prima di infilarsi nell’androne.
 
Se fosse successo qualcosa a Camilla per colpa delle sue stupide strategie non se lo perdonerebbe mai. Mai.
 
Considera per qualche secondo di farla a piedi, per scaldarsi un minimo e distrarsi con un po’ di moto.
 
Ma poi cede e preme il pulsante dell’ascensore: non gli basterebbe la maratona di New York per distrarlo o per togliergli quel senso di gelo che lo invade fin nelle ossa.
 
Nell’attesa che sembra interminabile, ragiona sul da farsi. Se Camilla non vuole parlargli, se continua a farsi negare – e non può darle torto – dovrà chiarire l’equivoco come aveva già preventivato: facendo in modo che scopra da sola chi è il suo nuovo vicino. Ma deve accelerare i tempi, non può più aspettare.
 
Domani, domani sera farà in modo che lei lo veda traslocare o che vada a suonare al nuovo vicino.
 
Sperando che Camilla torni a casa la sera dopo. Ma c’è anche Livietta… non può mica sparire.
 
O no?
 
E se fosse Camilla a decidere di traslocare? Cogliendo l’occasione della separazione da Renzo… se decidessero di vendere casa e trasferirsi?
 
Non ci vuole nemmeno pensare!
 
Finalmente l’ascensore arriva al piano e le porte si aprono con il solito inconfondibile cicalino, ridestandolo dai suoi pensieri e dalle sue paure. Solleva il piede per fare un passo, quando qualcosa gli urta contro la schiena, facendogli perdere l’equilibrio.
 
Si ritrova spalmato contro la parete posteriore dell’ascensore, aggrappandosi al legno per non cadere. Cerca di voltarsi, quando vede una mano premere il pulsante dell’ultimo piano.
 
Una mano che gli è incredibilmente familiare.
 
“Camilla?!” esclama, sorpreso, girandosi giusto in tempo per incontrare quegli occhi che brillano di una luce quasi inquietante, un’espressione sul volto che non le ha mai visto prima.
 
Un guizzo, un pulsante rosso pestato con un colpo che fa tremare l’ascensore, lo stridio dei freni ed un sobbalzo.
 
E poi il silenzio.
 
 
 
Nota dell’autrice: ebbene sì, vi lascio su un cliffhanger, lo so, ma se no questo capitolo sarebbe venuto davvero troppo ma troppo lungo. Avevo iniziato a scrivere la scena in ascensore prima che un paio di bravissime autrici decidessero di cimentarcisi, ma diciamo che sicuramente questa sarà molto diversa ed era l’unico luogo in cui realisticamente Camilla potesse “intrappolare” Gaetano. Cosa avrà in mente Camilla? Quali sono i motivi di questo agguato? Chi farà la prima mossa e che genere di prima mossa? Sarà amore o guerra? Per scoprirlo, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo. Colgo l’occasione per ringraziare tantissimo tutti voi che mi state leggendo ed un ringraziamento speciale a chi mi ha lasciato un commento, un parere ed un incoraggiamento a proseguire. Grazie mille!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Giocando col fuoco... ***


Nota dell’autrice: Lo so che ci ho messo molto più tempo del previsto per completare e pubblicare questo capitolo e ho lasciato i nostri intrappolati nell’ascensore per un bel po’ xD, ma una certa professoressa dalla testa molto dura, che proprio non voleva decidersi a fare la prima mossa e a confessare, ha fatto sì che questo capitolo, da breve che doveva essere, si allungasse e pure di parecchio. Inoltre, tra le vacanze romane, la delusione post fine serie che mi ha bloccato la creatività per un bel po’ di giorni e i miei impegni di lavoro, ci sono stati un bel po’ di ritardi sulla tabella di marcia. Spero almeno che il lungo capitolo compensi l’attesa. Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note di fine capitolo.


 
Capitolo 3: “Giocando col fuoco…”


 
“Camilla?!”
 
Il suo nome… non l’aveva mai sentito pronunciare in quel modo. Né da lui né da nessun altro.
 
Ma, del resto, lui era sempre riuscito a racchiudere un mondo in tre sillabe, a farle amare persino quel nome desueto e di solito associato solo a tortine alla carota e alla consorte di un erede al trono più sgraziata che la storia moderna ricordi.
 
Ogni volta che sentiva il suo nome pronunciato da lui, le sembrava quasi di venire ribattezzata, che assumesse un nuovo significato – non solo il nome ma lei stessa, la sua vita.
 
Ammirazione, a volte quasi venerazione, dolcezza, sensualità, orgoglio, frustrazione, irritazione, perfino rabbia, disperazione, ma soprattutto amore.
 
Quell’amore che ora lui dice di provare per un’altra.
 
Per una donna che non è lei, che ha un altro nome, molto probabilmente più bello, più moderno, più elegante, più musicale, più seducente, più adatto a lui, ad accompagnarsi al vicequestore Gaetano Berardi.
 
Stringe i pugni mentre nell’ascensore cala il silenzio, mentre lui continua a guardarla in quel modo… non solo con sorpresa, ma come se fosse una belva feroce o forse come se fosse pazza.
 
Probabilmente lo sono davvero, Gaetano.
 
Come se avesse paura di lei.
 
E fai bene ad avercela, non penserai di cavartela così facilmente? Di liquidarmi così? Eh no, non se ne parla proprio, te lo puoi scordare!
 
 
 
Il cuore a mille per la sorpresa, Gaetano si regge ancora con il gomito alla parete contro la quale si era quasi schiantato pochi attimi prima.
 
Un silenzio perfetto, la tensione che si taglia con un coltello e che impregna quello spazio troppo stretto in cui Camilla li ha intrappolati letteralmente con un colpo di mano. Mano ancora contratta sul tasto rosso, un’espressione in volto che non le ha mai visto prima e che… che gli fa quasi paura.
 
Non ha mai avuto paura di Camilla prima d’ora, o meglio, non ha mai avuto questo genere di paura: paura di uno scontro fisico, di un male fisico.
 
Di quello che provava e prova per Camilla, sì che aveva avuto paura, una paura folle quasi quanto quello che sente per lei. Ci aveva lottato contro per mesi, anni, provando a resistere all’inizio, a non ammettere nemmeno a se stesso che con lei era diverso. Provando poi a dimenticarla, a non vederla, a non sentirla. Arrivando addirittura a lasciarla andare, a rassegnarsi, pur vivendo di fronte a lei, pur vedendola tutti i giorni più volte al giorno.
 
Perché al male invisibile e letale, quello che ti corrode e ti uccide dentro… ci si era quasi assuefatto: il suo cuore aveva ormai più ferite e più cicatrici di un vecchio guerriero indiano. Più calli dei piedi di una ballerina classica o di un maratoneta.
 
Ma sa che non era un male che lei gli aveva mai procurato volontariamente: è lui l’idiota che si era innamorato di una donna sposata e con una figlia piccola, ormai dieci anni prima. Ed è sempre lui l’idiota che non l’aveva mai dimenticata, che non riusciva a dimenticarla e continuava a… a sperare contro ogni logica in un qualcosa per loro, anche dopo aver deposto le armi, dopo aver smesso di cercare di cambiare le cose.
 
Camilla non gli aveva mai fatto promesse e soprattutto non gli aveva mai richiesto alcuna fedeltà.
 
O forse sì, vista la sua reazione di fronte alla prospettiva di un’altra.
 
Forse lei si aspettava e si aspetta che lui fosse e sia sempre lì, fedele e devoto, a struggersi per lei, ad assecondarla in tutto, senza chiedere niente, come non aveva chiesto niente negli ultimi due anni, in cui aveva abbandonato ogni tentativo di conquistarla ed aveva accettato esattamente quello che lei poteva dargli e nulla di più.
 
Forse è anche colpa sua: in fondo è lui che l’ha abituata così.
 
No, non è vero, è ingiusto e sa di esserlo: Camilla non aveva mai reagito così alle sue… liaison, non prima della fine del matrimonio con Renzo.
 
Certo, ne era stata infastidita, molto infastidita ma… ma mai al punto da fargli una scenata di gelosia in piena regola e non invece limitarsi a qualche frecciata scoccata tra le righe.
 
Mai al punto di arrivare al sequestro di persona, in ascensore per di più.
 
Mai al punto di guardarlo così… con quello sguardo quasi inquietante nella sua intensità. Uno sguardo che riconosce benissimo ma non su di lei.
 
Lo sguardo di chi è pronto a tutto, letteralmente a tutto, a qualsiasi cosa.
 
Quello sguardo che, nel suo mestiere, significa solo una cosa: o spari subito o tra pochi secondi sarai morto, perché l’altro non avrà pietà per te e non sta bluffando.
 
Non si sarebbe mai aspettato di vederlo su di lei, sulla sua professoressa.
 
E, se non sapere cosa aspettarsi da lei, se non essere in grado di leggere le sue intenzioni, non fino in fondo, non è affatto una novità… è la prima volta che ha davvero paura.
 
Paura di aver tirato troppo la corda con questa storia della nuova vicina, paura che Camilla commetta qualche sciocchezza, o di commettere per reazione qualche sciocchezza da cui poi sarebbe impossibile tornare indietro.
 
Lei sembra pronta a colpire, la mano libera stretta a pugno lungo i fianchi, lo sguardo omicida. Sa che potrebbe colpirlo. E anche se non le farebbe mai del male, anche se si lascerebbe colpire… ad un certo punto dovrebbe bloccarla e… e non è sicuro di cosa potrebbe succedere, nel bene e nel male.
 
Non solo di riuscire a dosare le forze ma di riuscire a trattenersi dal-
 
“Non ti credo.”
 
Tre parole, pronunciate con voce di cartavetra e tono piatto, ma sempre quello sguardo pericoloso, di lucida follia e allo stesso tempo di sfida, rompono il silenzio e la sequenza dei suoi pensieri, del suo piano di battaglia che, solo ora, si rende conto di aver tratteggiato nella mente quasi si stesse preparando sul serio ad uno scontro a fuoco.
 
“Non ti credo. Ma del resto sei sempre stato un bel bugiardo, oltre che un bello stronzo,” proclama con quello stesso tono piatto che assume però una nota gelida e dura e che è peggio di uno schiaffo in pieno viso.
 
Sa di esserselo meritato, di meritarsi tutti questi appellativi: perché tra omissione e bugia… non c’è differenza di fronte alla legge. E stronzo… stronzo lo era stato davvero, anche se non del tutto volontariamente.
 
Evidentemente Camilla aveva scoperto tutto, aveva capito tutto, anche se non sa come, ma del resto… la prof. è la prof.!
 
Si deve essere sentita presa in giro ed è furiosa con lui. L’aveva già messo in conto quando aveva deciso di confessare. Ma non avrebbe mai immaginato una reazione del genere, che sarebbe arrivata a… a questo.
 
“Camilla, ascolta, io non-“
 
“Camilla niente: adesso mi ascolti tu!” sibila, dando un’altra manata al pulsante rosso che fa vibrare tutto l’ascensore e che rimbomba peggio di una fucilata, uccidendogli tutte le parole che aveva in gola e sulla punta della lingua. Quasi inconsciamente, Gaetano solleva le mani davanti al petto, i palmi in avanti, come a placarla, a cercare di assecondarla e tranquillizzarla, come aveva già fatto in mille altri casi difficili, quando bisogna impedire al sospettato di commettere qualche sciocchezza, contro di sé o contro gli altri.
 
“Sei un bugiardo e ti sei comportato da stronzo, è vero. Ma… sono stata anche io una gran bugiarda e… e pure un po’ stronza. Quindi uno a uno, palla al centro.”
 
“Cosa?” sussurra, sempre più sconcertato e spiazzato, ancora più del solito quando si tratta di lei.
 
“Sei arrabbiato con me? Volevi farmela pagare, eh?! Perché… perché non ti ho baciato… perché… perché ti ho evitato dopo quel bacio e… anche prima di quel bacio?! Perché… perché ti ho ferito? Perché ho ferito il tuo orgoglio maschile?” gli domanda, guardandolo negli occhi con quello sguardo quasi febbrile che gli provoca un colpo al cuore, mentre le ferite, le tante, troppe ferite, si riaprono e sembrano allo stesso tempo guarire di fronte a questa parziale ammissione di colpa di Camilla, che non si sarebbe mai aspettato, sapendo quanto lei sia orgogliosa, molto più di lui, “perché magari ti sei sentito umiliato? E allora volevi… volevi ferirmi, volevi umiliarmi? Beh, ci sei riuscito, complimenti! Spero sarai soddisfatto!”
 
“Camilla, io non-“ prova a protestare, sentendosi uno schifo di fronte al dolore che sente nel tono di lei, che le legge negli occhi, nell’espressione del viso e che per un attimo le fa perdere quello sguardo e quell’atteggiamento quasi inquietanti.
 
Ma è solo un attimo: Camilla lo fulmina con un’altra occhiata di ghiaccio.
 
Chiude per un secondo gli occhi, inconsciamente, aspettandosi un nuovo terremoto o forse uno schiaffo vero, di quelli che ti lasciano le dita stampate sul volto per giorni ma… ma niente.

E, quando li riapre, Camilla è più vicina. Troppo vicina.
 
Ha fatto un passo. Solo un passo. Ma l’ascensore è piccolo, è stretto e… basterebbe nemmeno un altro passo ora, solo dieci centimetri per ritrovarsela addosso.
 
Riesce a sentire il suo calore, nonostante il freddo di fine novembre, riesce a sentire sulle labbra il soffio del suo respiro che sa di-
 
“Alcol? Hai bevuto?!” esclama, ancora, se possibile, più turbato e spaventato di prima. E sentendosi, sempre se possibile, ancora peggio, ancora più uno schifo.
 
Perché, se lui, soprattutto a Praga e pure a Roma, prima di costringersi a chiedere il trasferimento, ad allontanarsi e a fermarsi prima di giungere all’autodistruzione, ci era appunto arrivato ad un soffio dal distruggersi il fegato, la vita e la carriera con qualche bicchiere di troppo per dimenticare… lei… non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe messa a bere a causa sua, e non solo un bicchiere di vermouth in amicizia.
 
Certo, il calo dei freni inibitori provocato dall’alcol spiegherebbe… tutto questo.
 
“Solo un paio di bicchieri, non divagare!” intima Camilla, minimizzando e puntandogli un dito al petto.
 
“Non divagare da cosa? Non ho aperto bocca, Camilla!” prova a farle notare, ottenendo come unico risultato quello di sentirsi pungolare all’altezza dello sterno, cercando di arretrare ma ritrovandosi, letteralmente, con le spalle al muro.
 
“Tu la bocca la apri e la usi fin troppo e non solo con me!” ribatte, sarcastica, lo sguardo che si sposta dagli occhi alle labbra di lui, rendendolo ancora più consapevole di quanto siano pericolosamente vicini.
 
“Camilla, per favore, non-“
 
“Bacia bene, è così? E magari… magari è brava non solo a baciare, non è vero?” sputa fuori, con una smorfia tra il sarcastico e il disgustato.
 
“Chi?” domanda, assolutamente e completamente confuso.
 
Ma come chi?! La tua nuova vicina!” sbotta, indignata, di nuovo con quel tono da ma mi prendi per scema?!
 
“Camilla…” sospira, comprendendo di essersi sbagliato e che Camilla non ha affatto inteso, che non sa niente ed è ancora convinta che lui abbia un’altra, “Camilla, possibile che tu non abbia ancora capito che-“
 
“No, no, io non capisco e non capirò mai! Questa… com’è che si chiama, tra l’altro? Ce l’ha un nome o non te lo ricordi nemmeno? Mi sono sempre chiesta, lo sai, se tenessi tipo un’agenda o uno schedario, giusto per non rischiare di fare confusione tra tutte le tue amiche,” ironizza, tagliente come un rasoio, la voce che assume una nota velenosa sulla parola amiche.
 
“Camilla,” risponde, semplicemente e sinceramente, guardandola negli occhi, sperando di riuscire finalmente a spiegarsi.
 
“Camilla, niente! Dimmi come si chiama! Almeno questo potrò saperlo, no?! O è una dei servizi segreti, il che giustificherebbe tutto questo mistero e come mai ancora qui non si è vista? Perché altrimenti potrei pensare che non volessi farmela incontrare… cos’è? Temevi il mio giudizio… o che ti rovinassi la piazza?” prosegue, imperterrita, il sarcasmo che trasuda da ogni singola lettera.
 
“Camilla, si chiama-”
 
“Sai che ti dico?” lo interrompe di nuovo, prima che possa ripetere quel nome che Gaetano associa indelebilmente ai momenti più belli e più bui della sua vita, al tutto e al niente, all’amore e all’odio, alla gioia e alla disperazione, al vivere invece che al sopravvivere e poi al sopravvivere invece che vivere, “non fa niente, non mi importa! Non mi importa come si chiama, se ha un nome italiano, inglese, tedesco, svedese, indiano, cinese o giapponese. Se è bionda, mora, rossa o è rasata tipo skinhead, se è brava a baciare, se è molto più disponibile di me e sembra uscita da nove settimane e mezzo. Potrai prendere in giro lei o te stesso ma non me. Tu non la ami. Tu ami me.”
 
“Che cosa?” non può fare a meno di sussurrare, preso nuovamente totalmente in contropiede.
 
“Tu. Ami. Me. Ti ho visto sai… da dietro la tenda… anche se avevo le luci spente,” svela, facendogli capire una volta di più che a Camilla non la si fa, mai. Purtroppo e per fortuna, perché altrimenti non sarebbe l’adorabile e geniale impicciona di cui si è innamorato tanti anni fa.
 
“Ho visto come guardavi verso la mia finestra, ho visto quanto tempo sei rimasto lì fuori! Come… come mi guardavi in questi mesi, in questi ultimi anni quando pensavi che non me ne accorgessi. Come mi hai guardata quella sera prima di baciarmi e immagino anche dopo, anche se dopo… dopo non ho visto più niente, non ho capito più niente. È lo stesso sguardo che avevi dieci anni fa, quando mi hai invitata a casa tua e mi hai detto che ti eri innamorato di me e-“
 
“No, non lo è, Camilla. Non è come dieci anni fa,” afferma, deciso, deciso a confessare tutto fino in fondo. Ad ammettere quello che prova e che, se potesse per un solo istante incontrare il se stesso di dieci anni, fa gli direbbe due cose – armati di tantissima pazienza, che ne avrai bisogno! – e – ragazzo mio, pensi di essere innamorato perso? Non hai ancora visto niente!
 
Perché, al confronto di quello che prova per lei adesso, quello che provava dieci anni fa sembra una cottarella, un focherello, una cosa piccola ed insignificante. Anche se per lui era già tantissimo, più che tantissimo.
 
Ma era solo l’inizio.
 
“Camilla, quello che provo adesso non è assolutamente paragonabile a quello che… che provavo dieci anni fa, è-“
 
“Me la vuoi ancora fare pagare, è così?” lo interrompe per l’ennesima volta prima che possa completare il discorso, rendendogli sempre più difficile controllare l’istinto di tapparle la bocca – per non parlare di come vorrebbe tappargliela!
 
“No! E mi fai parlare, porca miseria?!” sbotta, trafiggendola con un’occhiata eloquente e non riuscendo più a trattenersi dall’alzare la voce e dal fare emergere quell’accento romanesco che gli scappa ancora quando è infervorato o stanco o arrabbiato o preoccupato, pure dopo tutti questi anni lontano dalla sua città natia.
 
“Ma certo, per la carità, parla! Dai, avanti, sfogati, dimmi quello che pensi, tutto quello che ti passa per la testa!” lo esorta, alzando a sua volta la voce e tornando a pungolarlo allo sterno con l’indice della mano destra, “se può farti sentire meglio, mandami pure a quel paese, dammi della stronza, ma non mi puoi dire che ami un’altra, non è possibile, non ci credo. Non puoi dire che… che non mi ami più, perché non ci credo!”
 
Gaetano è ammutolito, completamente spiazzato e disorientato da… da tutto: dalle circostanze, dalla mancanza d’aria che comincia a farsi sentire in quello spazio che si fa sempre più stretto, da Camilla che si fa sempre più vicina, inchiodandolo al muro con quel dito che sembra scottargli sulla pelle come un ferro incandescente. Quel corpo che quasi sfiora il suo, l’ampia casacca dentro cui è infagottata – niente cappotto, lo nota solo ora, ma come accidenti fa a non morire di freddo? – che gli sfiora le braccia e le mani che tiene rigide lungo il corpo, per evitare di… di cadere in tentazione e commettere qualche sciocchezza – o meglio, qualcosa che per lei sarebbe una sciocchezza – il fiato di lei sulle labbra e nelle narici, con quella nota alcolica che gli fa girare la testa, i loro visi ormai a cinque centimetri, forse meno, lei che protende il capo con quell’aria di sfida e quella fronte e quelle labbra corrucciate.
 
Dio quanto sei bella! Bella e completamente folle! Come posso non amarti? – questo solo vorrebbe dirle, perché solo questo emerge dal caos di pensieri e sentimenti confusi che ha in testa.
 
“Anzi, non credo che tu… che tu possa nemmeno dirmelo che non mi ami,” afferma, con un tono di voce indefinibile, che non le ha mai sentito usare prima, continuando a premergli sul petto ed a ridurre, se possibile, ancora di più le distanze, tanto che le loro ginocchia si toccano, visto che lui è ancora appoggiato alla parete dell’ascensore, “avanti, dai, forza, dimmelo, ma guardandomi negli occhi! Dimmi che non mi ami e faccio ripartire questo maledetto ascensore e sparirò dalla tua vita. Anzi, ti permetterò di sparire dalla mia vita e di goderti la tua grandissima storia d’amore con la tua nuova vicina!”
 
Gaetano è paralizzato, non sa cosa dire, non sa cosa fare. E non solo perché gli sembra tutto un sogno bizzarro ma perché sa benissimo che non può dire quello che Camilla gli sta chiedendo di dire. Un conto era proclamare amore per un’ipotetica altra, che poi è lei, guardandola negli occhi.
 
Quello era facile, troppo facile.
 
Ma lei ha ragione: non potrebbe mai mentirle su una cosa del genere, dirle che non la ama. Soprattutto non guardandola negli occhi.
 
E per una volta, il fatto che Camilla abbia ragione e che lo affermi con questa decisione, questa sicurezza che rasenta la strafottenza, che gli getti in faccia in questo modo quello che prova per lei… invece di renderlo orgoglioso di lei o di esasperarlo in quella maniera che gli fa solo desiderare di caricarsela in spalla e non rispondere di se stesso... lo esaspera e basta.
 
“Dimmi che non mi ami, avanti, dimmelo e facciamola finita qui!” ribadisce, di fronte al suo silenzio, picchiando i palmi delle mani sulla parete a cui è appoggiato, ai lati della sua testa, intrappolandogliela e sibilandogli sulle labbra, “come mai non parli, mm? La lingua di solito ce l’hai e la sai usare… fin troppo! Quindi, forza, dimmi che non mi ami, dimmi che ami lei e non me, dimmi che non senti più niente per me, che non… che non provi niente… che non… che non mi desideri.”
 
Un suono gutturale gli sfugge dalla gola quando sente quelle stesse mani, quelle dita lunghe ed affusolate, sfiorargli il collo, prima lievi come piuma e poi più decise, una carezza ed un graffio, le unghie sulla pelle tesa e sensibile del collo, appena sotto la linea dei capelli, una scossa ed un brivido caldo e freddo insieme che lo trapassano da parte a parte. I vestiti che sembrano farsi improvvisamente stretti ed opprimenti.
 
Mentre le dita della mano sinistra continuano a torturargli collo e capelli, quelle della mano destra si insinuano invece sempre più in basso, tracciando scie invisibili sulla clavicola e sulla pelle esposta del torace: si era slacciato i primi tre bottoni della camicia quando si era tolto la cravatta al rientro a casa.
 
“Camilla, per favore, non… non fare così, io… hai bevuto e non sai quello che stai facendo!” la prega con voce strozzata e cavernosa che non sembra nemmeno la sua, guardandola in quegli occhi nocciola che brillano di nuovo di quella luce inquietante, quello sguardo disperato pronto a qualsiasi follia.
 
L’afferra per le braccia, cercando di bloccarle, di fermare ed allontanare quelle mani troppo pericolose.
 
Prima che le sue di mani cedano all’impulso di ricambiare la cortesia, prima che il cervello prenda un aereo di sola andata per Honolulu.
 
Ma quelle dita sottili, per tutta risposta, si intrecciano sulla sua nuca, tra i suoi capelli, come solo una volta prima d’ora in uno dei giorni più belli e più terribili della sua vita.
 
Un bacio in una piazza.
 
Un miracolo ed una disgrazia.
 
Quello che sta succedendo ora.
 
Prova ancora a spingerla via, ma l’unico risultato è una fitta al collo ed uno strattone ai capelli: Camilla non molla la presa, anzi, lo stringe ancora più forte e Gaetano sa che per fargliela mollare dovrà o farsi male o farle male.
 
Maledizione! Ma a che gioco stai giocando? Sei impazzita?!
 
“Lo so benissimo cosa sto facendo. Cos’è, non ti piace vedere usate le tue tecniche da interrogatorio contro di te, commissario? Non ti piace trovarti per una volta dall’altra parte? O forse ti piace troppo?” lo provoca, massaggiandogli il cuoio capelluto in una specie di tortura a fuoco lento che sta però scatenando un incendio, i pollici che gli premono lievemente sulle carotidi in un modo che gli fa girare la testa, “lo sento sai? Sento il tuo respiro e i tuoi battiti... sento quello che vuoi davvero. Chi vuoi davvero. O vuoi dirmi che la desideri più di quanto desideri me? Che la vuoi più di quanto vuoi me?!”
 
Come faccio a desiderare un’altra più di te? Come fai a farmi impazzire solo sfiorandomi?! Vuoi farmi uscire di testa, farmi perdere il controllo? Costringermi a farti e farmi male?! Maledizione, Camilla!
 
Preso dalla disperazione prova di nuovo a spingerla via, prima di perdere la testa e fare una follia, ma Camilla non cede, anzi, si stringe ancora di più a lui per intrappolarlo: le curve morbide del suo seno compresse sul suo torace, le distanze azzerate come la salivazione, il battito a mille all’ora e il sangue che fluisce tutto in un’unica direzione.
 
“Camilla, basta, ti prego, fermati!” rantola, paonazzo, non sapendo più dove mettere o non mettere le mani, se tentare di nuovo di allontanarla o di stringerla a sua volta, in modo da bloccarle almeno le mani, in modo da bloccarla, anche se contro di sé – vuoi morire, Gaetano? – decidendo poi di fare un ultimo disperato tentativo di confessare, per uscire da questa impasse, “Camilla, possibile che non capisci che-?“
 
“No, non capisco!” lo tronca bruscamente con quello che è quasi un grido nell’orecchio, visto che sono praticamente incollati, portando indietro il capo per guardarlo negli occhi, quell’espressione di lucida follia sul volto a cui sembrano mischiarsi rabbia ed indignazione, “non capisco come puoi buttare via tutto in due settimane per… per correre dietro alla prima venuta! Per un bacio! Un bacio! Perché questo conta per te, no? Se io ti bacio o no, se io ci sto o no! Perché tu ragioni così, tutto il resto non conta, no?!”
 
Se gli avesse mollato un ceffone gli avrebbe fatto mille volte meno male e, per la prima volta nella sua vita, Gaetano si ritrova per una frazione di secondo a desiderare di darle uno schiaffo, uno schiaffo vero per farle capire quanto sia inaccettabile, assurdo ed ingiusto quello che gli sta sputando addosso. Per farle provare almeno un centesimo del dolore che gli sta provocando. Un dolore talmente forte da azzerare perfino il piacere fisico di sentirla, di sentirsi stretto tra le sue braccia.
 
Il suo sogno di sempre, un sogno che si è improvvisamente trasformato in incubo.
 
Ma, lo sa perfettamente, facendo male a lei, farebbe male prima di tutto a se stesso. E si mozzerebbe le mani, piuttosto che colpirla.
 
“È questo che vuoi, no? Solo questo!” la sente sibilare, un tocco morbido e umido appena sotto l’orecchio, una scossa che lo lascia a bocca aperta, “bene, ti accontento subito!”
 
“Ca-“
 
Il nome di lei gli si blocca in gola – altro che scossa, un terremoto lo scuote fin nelle viscere – quando si ritrova con la bocca tappata da quelle labbra che hanno popolato i suoi sogni e le sue fantasie da circa un decennio, fino ad averne mappato e memorizzato ogni piega, ogni curva.
 
Labbra che sanno di vino, di sale, di rabbia, di disperazione.
 
Così diverse dalle labbra che ricordava, dalla disperazione di quella piazza: una disperazione dolce, appassionata, soffice, carica di… amore, comunque lo si voglia definire, di passione repressa e di sollievo.
 
Ora è una disperazione densa di rancore, di sfida: la bocca di Camilla si scontra con la sua, si impadronisce della sua come se fosse una dichiarazione di guerra e... di possesso.
 
È un bacio duro, aspro, violento: le labbra che si muovono sulle sue con una forza quasi brutale.
 
Gli ci vuole tutto il suo autocontrollo per non rispondere a quel bacio, con uno sforzo quasi sovrumano riesce a serrare le labbra per bloccare l’assalto.
 
Una vittoria momentanea.
 
Un morso al labbro inferiore gli strappa un grido e poi un nuovo assalto, ancora più feroce e passionale del precedente, le mani che gli strattonano i capelli.
 
Il cervello, il buon senso, l’orgoglio, il dolore e la rabbia si smarriscono dentro ad una coltre di nebbia e di vapore acqueo.
 
Una resa ed una dichiarazione di guerra e d’amore insieme, si ritrova, senza quasi rendersene conto, a rispondere all’assalto colpo su colpo, labbra contro labbra, denti contro denti, mani contro mani, ad afferrare capelli, vestiti, aria, perdendosi in lei, in una lotta fino all’ultimo respiro.
 
E poi la sente, spalmarglisi addosso completamente, come lava incandescente che si fonde su di lui.
 
Un rantolo strozzato esalato all’unisono che è come una doccia fredda.
 
La nebbia si squarcia e torna la luce.
 
“Ca- Camil- Cami- no, no, no!” protesta, staccandosi a forza dalle sue labbra – più facile a dirsi che a farsi, visto che le mani di lei sono intrecciate nei suoi capelli – con voce roca che si alza sempre più di volume mano a mano che lei continua con l’assalto, non accennando a mollare la presa, come una leonessa con la sua preda.
 
“Basta, maledizione, basta! Fermati!!!” grida, spingendola via e vedendola barcollare all’indietro e quasi schiantarsi contro la porta dell’ascensore: nel panico e nella disperazione non è riuscito a dosare le forze quanto avrebbe voluto.
 
La cortina di ricci che le copre il viso si apre mentre Camilla si solleva piano piano, aggrappata al legno, lasciando intravedere una smorfia di dolore sul viso che lo fa sentire una merda, il peggiore degli uomini.
 
E quegli occhi scurissimi, che hanno perso quell’intensità inquietante e sembrano lucidi – in tutti i sensi – ma stanchi, terribilmente stanchi, iniettati di sangue come erano mesi che non li vedeva.
 
Di fronte a sé non c’è più un’erinni ma la donna, in tutta la sua fragilità.
 
“Ti sei fatta male?” domanda, a bassa voce, la gola di cartavetra, cercando di deglutire la saliva che non ha, combattuto tra l’istinto di avvicinarsi a lei per accertarsi che stia bene e tenerla a distanza, tenersi a distanza.
 
 
“Perché?”
 
 
È l’unica parola che le esce, anche se vorrebbe chiedere tutt’altro, dirgli tutt’altro. Non sa bene cosa, solo altro.
 
La schiena che protesta, i gomiti ancora sotto choc – ma perché fanno così male quei bastardi? Del resto IL gomito, maschile, come volevasi dimostrare – di sicuro non si è fatta bene.
 
Ma Camilla sa che è colpa sua, che non gli ha lasciato scelta.
 
Folle, era stata folle.
 
Non sa cosa le sia preso, cosa sia scattato in lei ma tutta la sua giornata, a partire da quando aveva visto La Biondona – anzi, la stimatissima dottoressa Ricci – era stata un insieme di emozioni confuse e caotiche, che l’avevano travolta come un’esplosione dopo quella dichiarazione d’amore di Gaetano.

Ad una donna che non è lei. Ad un’altra.
 
Da lì era stato tutto molto confuso, non ricorda bene i dettagli, solo di essersi trascinata in auto, la telefonata disperata a Francesca, l’arrivo dell’amica, più rapida ed efficiente del 118, in taxi. Un paio di isolati fatti tra i singhiozzi e le lacrime che le allagavano il viso, con la sua auto e la guida terribile di Francesca, fino a che, all’ennesimo spegnimento di motore, Francesca si era arresa all’evidenza e aveva fermato un altro taxi.
 
Con la vista appannata, l’aveva vista lanciare un’occhiataccia al tassista, evidentemente incuriosito e turbato dal suo stato di devastazione, e poi Francesca gli aveva dato l’indirizzo della sua villetta: Camilla non voleva tornare a casa e rischiare che Livietta la scoprisse in quelle condizioni pietose.
 
Singhiozzi, lacrime, rabbia, insulti ed epiteti che avrebbero fatto arrossire un camionista indirizzati ad un certo vicequestore. E vino rosso.
 
Tanto vino rosso.
 
Una bottiglia di Barolo d’annata che avrà avuto almeno sedici gradi d’alcol e che si era quasi interamente scolata, incurante delle proteste di Francesca.
 
L’ultima volta che aveva bevuto così… in realtà non se la ricorda. Forse non ha mai bevuto così tanto, così in fretta.
 
Certo, era già andata un po’ oltre ai suoi limiti quando si erano viste al wine bar vicino all’ospedale, quando aveva scoperto del trasloco e della nuova vicina.
 
Ma era riuscita a contenersi, forse perché erano in un locale pubblico, forse perché aveva ancora qualcosa da perdere, a parte la dignità.
 
Oggi invece, aveva sentito di non avere proprio più niente da perdere ed era come se tutto il dolore represso ed in parte superato fosse tornato in superficie, se tutte le vecchie ferite si fossero riaperte e ci si fosse assommata una tonnellata di nuovo dolore, piantata dritta nel petto, fino a soffocarla.
 
La dignità… che le fregava della dignità, quando la sua vita sembrava reduce da un’esplosione atomica!
 
Terra arida, bruciata, sterile, su cui non sarebbe mai più cresciuto niente, germogliato niente.
 
Era riuscita ad allontanare perfino Gaetano – l’unico uomo che sembrava averla amata davvero in modo incondizionato, senza arrendersi per dieci anni – ed invece…
 
Tutte palle!
 
Francesca aveva provato a rassicurarla che ci doveva essere una spiegazione. Aveva ribadito che, secondo lei, non era possibile che Gaetano si fosse innamorato sul serio di un’altra in due settimane. Che magari voleva solo farla ingelosire, testare le sue reazioni, vedere se ci tenesse a lui o meno e fino a che punto. Se era disposta a combattere per lui e a non mollare, tanto quanto lui aveva sempre combattuto per lei, per loro. Le aveva detto chiaro e tondo che c’era un solo modo di risolverla questa situazione: parlargli sinceramente, raccontargli tutta la verità. E aveva continuato a ripeterle che Gaetano non avrebbe mai preferito un’altra a lei, ammesso che quest’altra esistesse.
 
Ma Camilla non si era affatto sentita meglio, non si era sentita sollevata.
 
Per innamorarsi basta un’ora – così recitava una vecchia canzone.
 
Forse è un po’ un’esagerazione ma è vero che… certe volte l’amore arriva quando meno te lo aspetti, come certi colpi di fulmine.
 
E forse stavolta aveva davvero piovuto, ma non su di lei.
 
Terra arida, bruciata, sterile, su cui non sarebbe mai più cresciuto niente, germogliato niente.
 
O forse terra allagata, allagata ed inondata e poi lasciata a marcire lentamente in un mare di fango.
 
Perché… perché, chi voleva prendere in giro? Aveva già piovuto, stava già piovendo da dieci anni, anche se si era ostinata a fingere che fosse solo un temporale estivo, di quelli che durano il tempo di un lampo.
 
Non lo era. Tutt’altro. Almeno, non per lei.
 
Per quanto riguarda lui… quel pomeriggio le era sembrato davvero di non sapere più nulla, di non aver mai capito nulla.
 
Quando era rientrata a casa, dopo essersi accertata con una telefonata che Livietta fosse uscita con i suoi amici e dopo essersi trattenuta a fatica dal ricoprire i tappetini del taxi di vomito color rubino, aveva notato immediatamente l’auto di Gaetano in cortile – era rientrato presto!
 
Si era rifugiata in casa, tenendo le luci spente, sia per il principio di cerchio alla testa, sia per non farsi vedere da lui.
 
Non voglio vederlo più neanche in fotografia! – così si era detta.
 
Si era ripromessa che non si sarebbe mai più fatta umiliare da un uomo, tantomeno da Gaetano Berardi.
 
Si sarebbe uccisa piuttosto che rendersi vulnerabile di fronte a lui. Mettersi a nudo, confessargli le sue paure e… e… quello che prova per lui.
 
Si sarebbe uccisa piuttosto che elemosinare amore ad un uomo che le aveva detto chiaro e tondo di essersi innamorato di un’altra.
 
Ma poi aveva trovato le chiamate perse sul fisso di casa.

Aveva acceso il cellulare: altre chiamate perse.
 
Otto: più di una all’ora.
 
Perché continui a cercarmi, se ami un’altra? – questo si era domandata – vuoi torturarmi, eh? Vuoi vedermi soffrire?
 
Era rimasta a spiare da dietro le tende, peggio di una stalker, ma tanto ormai… la dignità aveva intrapreso un viaggio di sola andata verso Alfa Centauri.
 
E l’aveva visto, affacciarsi a sua volta dalla finestra, più volte e poi… scendere a buttare la spazzatura alle undici di sera.
 
Una mezza risata rauca le era sfuggita dalla gola, scatenando un colpo di tosse ed un rigurgito acido al sapore di vino rosso e bile, quando l’aveva visto guardarsi intorno – non trovi la mia auto, eh, commissario? – e poi fermarsi e mirare dritto verso la finestra, verso di lei, come se potesse vederla.
 
E le era anche venuto il dubbio che lui potesse davvero vederla, considerando quanto tempo era rimasto così, quasi immobile sotto la luce del lampione. E poi se ne era andato lentamente, ma aveva continuato a cercarla con lo sguardo in quella finestra ed in ogni angolo del cortile.
 
Non saprebbe dire cosa fosse scattato in lei ma, per qualche assurda ragione, tutta questa preoccupazione di Gaetano, questi segni evidenti di… di amore, di bene, invece che renderla felice l’avevano solo fatta incazzare come mai le era successo prima.
 
Come puoi desiderare un’altra, desiderare di vivere accanto ad un’altra se ami me?! Perché vuoi farmi male? Vuoi distruggermi?! Vuoi vedermi strisciare?! Te la faccio vedere io! – con questo pensiero fisso aveva inforcato la porta e gli era arrivata alle spalle, mentre attendeva l’ascensore.
 
Aveva intrappolato la sua preda con precisione chirurgica, un solo obiettivo: ottenere una piena e totale confessione.
 
Non si sarebbe mai aspettata che… che avrebbe cercato di ottenerla in questo modo.
 
È sconvolta e quasi si vergogna di se stessa, di una se stessa di cui sembra non avere più il controllo, che non riconosce più.
 
È colpa tua! Sei tu che mi fai perdere la ragione! Perché?! Perché mi-
 
“Perché cosa, Camilla?”
 
Tre parole. Tre parole che la riportano al presente.
 
Mi leggi nel pensiero adesso? - si domanda, spaventata all’idea di aver involontariamente espresso i suoi pensieri ad alta voce.
 
Fino a che si ricorda di quel perché pronunciato neanche un minuto prima, ma che ora sembra così distante...
 
Tutto sembra così distante.
 
“Perché mi hai fermata? Lo so che lo vuoi anche tu, lo sento che lo vuoi anche tu!” pronuncia con una voce degna della più incallita delle fumatrici, per quanto è cavernosa, guardandolo in quegli occhi azzurri che sembrano più stanchi dei suoi, se è possibile.
 
C'è preoccupazione, ma anche… delusione. E… disagio e… senso di colpa?
 
“L’hai fatto per lei, è così?” domanda, assalita dal dubbio atroce di aver frainteso tutto.
 
Che Gaetano si sia preoccupato per lei solo perché le vuole bene.
 
O, peggio, per pietà.
 
Che magari sia attratto da lei, certo. E per questo ha risposto al suo bacio. In fondo gli è saltata addosso ed è un uomo, non un santo.
 
Ma forse… forse è davvero un uomo innamorato.
 
Non di lei.
 
Forse ha visto solo quello che voleva vedere, che aveva bisogno di vedere e di credere.
 
Ha trasformato una goccia di pioggia in un temporale.
 
“L’ho fatto per me. E per te, Camilla,” ribatte con un tono serissimo che azzera ogni sollievo per quelle parole.
 
“Per me? Che vuoi dire? Che il problema sono io?! Che non mi vuoi?!” domanda, incredula: potrà non amarla più, ma c’era anche lui in quel bacio, di questo ne è sicura.
 
“No, Camilla, maledizione! Certo che ti voglio, ma non così! Dopo dieci anni, dopo tutto quello che… che ho fatto per te e con te, dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, penso di meritare di meglio che… che questo. Che un bacio dato per rabbia e per vincere una specie di sfida con un’altra! Non mi merito di essere… di essere usato come un giocattolo, come un trofeo, come una specie di cagnolino fedele che tieni a distanza ma che, se appena prova ad allontanarsi, allora accorci il guinzaglio!”
 
 
Silenzio
 
 
Per qualche lunghissimo ed interminabile istante c’è solo silenzio, un silenzio gelido quasi quanto le mani di entrambi, che artigliano il legno della porta e della parete posteriore dell’ascensore, come pugili attaccati alle corde di un ring.
 
Camilla ci si aggrappa con tutta la forza, per bloccare quel tremore incontrollabile ed involontario che dalle gambe la scuote fino alla punta dei capelli.

E per impedirsi di fare due passi, chiudere di nuovo le distanze e ricambiare lo schiaffo con un ceffone di quelli che fanno girare la testa dall’altra parte.
 
Perché così si sente: come se avesse ricevuto uno schiaffo, anzi, un pugno in pieno viso.
 
Un gancio destro da knock-out.
 
“Come puoi dire questo?! Ma che razza di donna pensi che sia, eh?!” grida, indignata, la voce come pneumatici che stridono sull’asfalto, non riuscendo a trattenersi dal tirare una manata alla porta dell’ascensore, ignorando il dolore al palmo della mano e l’ascensore che traballa come se ci fosse un terremoto, la rabbia e l’orgoglio che le ricordano che la miglior difesa è l’attacco, “ma quale guinzaglio! Quale cagnolino fedele?! Tu non sei un cagnolino fedele, non sai nemmeno cosa sia la fedeltà! Al massimo sei un randagio che corre dietro a qualsiasi cagna in calore che ti scodinzola davanti, ecco cosa sei!”
 
 
Silenzio
 
 
Questa volta è il turno di Gaetano di costringersi a rimanere attaccato alla parete, come Ulisse all’albero della nave, non solo per sorreggersi dopo quella pugnalata - la seconda quella sera - ma perché sa che se si avvicinasse a lei… non riuscirebbe a rispondere di sé.
 
Sono ad un passo dall’esplosione. Le dita dei piedi che fendono l’aria all’orlo del precipizio.
 
Gaetano sa che, comunque vadano le cose, non torneranno mai più quelli di prima, una volta usciti da questo ascensore.
 
Non dopo tutto quello che si stanno sputando addosso: paure, livori, rancori, risentimenti decennali.
 
“Che bella opinione che hai di me, Camilla, non c’è che dire! Che sono un latin lover, un dongiovanni, anzi, diciamo pure un puttaniere! Non posso credere che dopo dieci anni… dopo quello che abbiamo passato in questi ultimi mesi tu… tu possa pensare questo di me!!” sbotta, non provando nemmeno a contenere il dolore, la delusione lancinanti nel vedere confermate le sue peggiori paure.
 
Perché ha sempre temuto che fosse esattamente questo che lei pensava di lui e delle sue...  conquiste… ma ha sempre sperato di sbagliarsi e invece….
 
“E infatti non lo pensavo fino a due settimane fa! Peccato che dopo quello che abbiamo passato in questi ultimi mesi, sei tu che prima tenti di baciarmi a tradimento e poi, visto che non ci sono stata, in due settimane ti innamori di un’altra. O così dici! Perché poi mi cerchi, mi chiami, ti preoccupi per me invece di stare con il tuo nuovo grande amore, di cui peraltro finora non ho visto traccia! Che cosa dovrei pensare, me lo spieghi?! Che devo essere stata proprio importante se ti basta così poco per dimenticarmi? E che quindi mi hai mentito in tutti questi mesi, in questi anni quando interpretavi il ruolo dell’innamorato perso? O che per te conta di più qualche bacio, qualche notte di sesso che piantarmi in asso dall’oggi al domani? Che è solo questo che ti importa, che è solo questo che volevi da me?!”
 
“Certo che voglio baciarti, fare l’amore con te! Non posso evitare di essere attratto da te e desiderati! Ma… ma non ho mai voluto solo questo, maledizione! Se avessi voluto solo… solo una botta e via, ti garantisco che mi sarei comportato molto ma molto diversamente, non solo in questo maledetto ascensore ma… in ogni occasione che c’è stata in questi dieci anni. Ti avrei baciata di sorpresa, senza darti il tempo di ragionare, di pensare, di tirati indietro. E poco fa… ma pensi che sia stato facile tirarmi indietro, eh, Camilla? Che sia stato facile respingerti? Tu hai un’idea di quanto ti desidero? Di quanta voglia avevo e avrei di inchiodarti a quella porta e fare l’amore con te fino a non avere nemmeno la forza di respirare?”
 
 
Un sibilo, aria aspirata a fatica nei polmoni.
 
 
Camilla si porta una mano tremante alla bocca, rendendosi conto con sgomento che quel suono strangolato è uscito dalla sua gola.
 
Le gambe di gelatina, un fuoco che le brucia nel petto e sulle guance. Non sa se sia più forte l’istinto assurdo di sbloccare quel dannato ascensore - lei e le sue grandi idee! - e fuggire a gambe levate o… di fare tre passi, solo tre passi, e-
 
“Fare l’amore, Camilla, l’amore! Perché questo sarebbe per me: amore, non sesso. E anche se evidentemente pensi che io sia il peggiore degli uomini, il più squallido degli uomini, quello che voglio con te e da te non è una squallida storia di sesso, uno sfogo momentaneo… un… un capriccio… un momento di follia provocato da un paio di bicchieri di troppo. Non voglio diventare un errore, un rimorso. Non voglio trovarmi a… a leggere il pentimento nei tuoi occhi, a sentire quelle orribili frasi di circostanza che si dicono il mattino dopo… o due giorni dopo… o una settimana dopo… o un mese dopo. Non voglio essere un ripiego o una rivincita verso Renzo o verso un’altra donna. Perché tu… tu non sai quello che vuoi, Camilla, e da qui non si torna indietro. E piuttosto che distruggerci, io...”
 
Il nodo in gola le si stringe ancora di più, ma per tutt’altri motivi, quando sente la voce di lui spezzarsi, quando vede quegli occhi stanchi e pieni di… di dolore.
 
Sembra così sincero, così maledettamente sincero, quando parla di amore quando parla di… di loro, di un noi.
 
Ma sembrava maledettamente sincero anche quando proclamava amore per un’altra, giusto poche ore prima.
 
Camilla non capisce più niente. Non capisce più se credere e a cosa credere.
 
Del resto aveva già preso talmente tante cantonate in quello che lei si era ostinata a definire amore che… fidarsi del suo istinto quando si tratta di sentimenti è come… è come andare nel bosco di notte con solo un pacco di fiammiferi in mano.
 
Mezzo vuoto per giunta.
 
“Piuttosto che distruggerci, preferisci buttarci via per correre dietro ad un’altra? Ma tu pensi che da qui… si torni indietro, eh? Che dopo il tuo trasloco tutto sarà come prima?! Che… che… maledizione, Gaetano!” grida, non riuscendo più a trattenersi dal tirare un’altra manata alla porta, ignorando il dolore al polso e ai gomiti, per poi sibilare, guardandolo dritto in quegli occhi che la osservano di nuovo con quel timore, come se fosse una povera pazza, “ma cos’è tutta questa fretta, eh, me lo spieghi?! Mi hai corteggiata per dieci anni - a riprese alterne, certo, e non sei stato certo un santo nel frattempo, ma pur sempre per dieci anni! - e adesso… adesso che sono… che sono una donna libera, tu nel giro di due settimane rinunci e sparisci dalla mia vita! Per un bacio, uno stramaledettissimo bacio! Piantandomi in asso oltretutto proprio nel momento in cui… in cui ho più bisogno di te!”
 
“Hai… hai bisogno di me?” le domanda in quello che è poco più di un sussurro roco, sembrando non solo toccato, scosso, ma anche davvero sorpreso.
 
Molto sorpreso.
 
Troppo sorpreso.
 
“Che c’hai da stupirti?! Certo che ho bisogno di te, Gaetano, dannazione, come fai a non capirlo?!” sbotta, sentendo di nuovo quell’assurda ed inspiegabile rabbia, quell’indignazione montare di fronte a… a quello sguardo meravigliato, come se… come se lui non sapesse tutto quello che lei ha passato e che sta passando.
 
Come se non sapesse che, senza di lui, probabilmente sarebbe impazzita mesi fa e starebbe ancora rintanata dietro un paio di occhiali da sole.
 
O chiusa in casa con un vecchio maglione e le uova al tegamino, preda dell’ansia e degli attacchi di panico.
 
“Forse  ti sei scordato il piccolo dettaglio che ho scoperto nemmeno tre mesi fa che l’uomo con cui ho passato vent’anni della mia vita mi ha tradita per l’ennesima volta, senza nemmeno degnarsi di prendere delle stramaledettissime precauzioni e che aspetta un figlio dalla sua ex, che proprio io come una scema l’ho incoraggiato a far ritornare nella sua vita?! Perché non riesci a capire che la mia vita è ancora in un frullatore? Che mi sento come se avessi tutti i nervi scoperti e che… non ce la faccio a buttarmi adesso in una nuova storia, Gaetano, non ce la faccio!” esclama, spingendosi via dal legno, raggiungendolo in due falcate, occhi negli occhi, la voce ridotta a poco più di un soffio strozzato, “e non è una questione di cosa voglio o non voglio, di sapere chi voglio o non voglio, ma di cosa riesco e non riesco a fare. E non ci riesco, non sono pronta e… e forse non lo sarò ancora per un po’. Ma questo non significa che non ho bisogno di te! Perché ho bisogno di te come mai prima d’ora! E se non riesci a capire nemmeno questo-”
 
“Camilla, ascoltami-“
 
“No, adesso mi ascolti tu! Se ti ho respinto è proprio perché… perché non voglio prenderti in giro, lo capisci?! Perché per me tu sei importante, maledizione! E non… non potevo permettermi di sbagliare con te… non volevo farti soffrire e… ho paura… ho paura di soffrire e di stare ancora più male di quanto già mi sento. Sto appena appena mettendo insieme i cocci della mia vita… e… e tu adesso mi vuoi dare il colpo di grazia, eh?! Io non ce la faccio più, Gaetano, non ne posso più! Non ne posso più di stare male e non posso perdere anche te, dannazione, non ce la faccio, lo capisci almeno questo?!” grida, roca, ferale, piantandogli l’indice nello sterno, le parole che sgorgano senza che possa controllarle e controllarsi, la rabbia e la disperazione più forti anche dell’orgoglio, della paura di mostrarsi vulnerabile.
 
Perché è vulnerabile, nuda, fuori controllo, e non c’entra niente la sbronza: sente di non avere più in mano le redini della sua vita e non lo sopporta.
 
Gaetano era… era il suo unico punto fermo, l’unico ancora rimasto in una vita travolta da uno tsunami.
 
E la paura, anzi il terrore di perderlo, di perdere l’ultimo caposaldo, l’ultima traccia di… di normalità, di bene, di… di leggerezza e di serenità che le è rimasta nella vita - a parte la sua adorata Livietta, che ha ancora tanto, troppo bisogno di lei, ma a cui non può appoggiarsi, a cui non può chiedere di sostenerla - supera ed annulla ogni altra paura, l’orgoglio, quelle corazze che non servono a niente se non ad aggiungere altro  peso al fardello che la schiaccia, senza permetterle di respirare.
 
“E tu pensi che io voglia farti stare male?! Vederti stare male mi fa stare male, anzi mi distrugge, Camilla! Possibile che tu non lo capisca?” le domanda afferrandole le spalle e con uno sguardo che le fa saltare almeno un battito, il cuore che accelera non solo per il calore di quelle mani, di quelle dita che sente anche attraverso i vestiti, ma per… per quello che sente nel tono di voce rotto con cui lui sta pronunciando quelle parole, “non capisci che farei qualsiasi cosa per te, per… per vederti felice? Che ci sono per qualunque cosa tu possa avere bisogno? Te l’ho anche detto, anzi, te l’ho perfino scritto mesi fa e… e lo pensavo sul serio, lo penso ancora e lo penserò sempre! Ci sarò sempre, Camilla, sempre, fino a quando avrai bisogno di me… anche se… se non ci dovesse essere mai niente tra noi.”
 
“Gae-tano…” prova a sussurrare, la voce che si spezza a tradimento come le era già successo mesi fa… quando aveva ricevuto quel messaggio sul cellulare, anzi, no, peggio, gli occhi che le bruciano tanto quanto il cuore.
 
Sta per cedere all’impulso di abbracciarlo, di lasciarsi andare a quell’abbraccio che le è disperatamente mancato in questi mesi, da quando la sua vita è stata distrutta e rivoltata come un calzino - al diavolo tutto, tutti e… e tutte! - quando sente una mano lasciarle la spalla e sfiorarle il mento, costringendola a sollevarlo ed a guardarlo negli occhi - o almeno a provarci, in mezzo alle lacrime che sta cercando di trattenere e che le appannano la vista.
 
“Proprio per questo… mi fa male, Camilla, mi fa… mi fa molto male, non hai idea quanto, che… che tu sia arrivata a… a questo!” proclama, lasciandole il mento per indicarle la pulsantiera dell’ascensore, il dispiacere e la delusione che riemergono prepotenti nel tono di voce, “che tu sia arrivata a pensare di… di dover arrivare a tanto di… di doverti… di dovermi saltare addosso… quasi come se questo fosse il prezzo da pagare per avere il mio… il mio aiuto e il mio sostegno! Per non perdermi! Perché questo mi fa capire che… che non hai capito niente di me e di quello che provo per te, Camilla. Nonostante i tuoi proclami di poco fa. Tu non credi davvero che io ti possa amare. O forse che io sia capace di amare in generale.”
 
“Io non capisco la tua definizione di amore, Gaetano… non… non la capisco più da due settimane a questa parte, almeno. Mi hai detto che ti sei innamorato di un’altra, ma poi… ma poi ora… mi parli come… come se mi amassi, come se mi amassi in un modo che… che…” sospira, la voce che non vuole più saperne di uscire, un dolore sordo in gola e nel petto, il dito ancora puntato contro lo sterno di Gaetano che si piega, la mano che quasi inconsciamente gli si comprime all’altezza del cuore, cogliendo ogni battito, ogni respiro accelerato, facendosene forza, “è vero, io… io dei tuoi proclami d’amore mi sono sempre fidata poco o forse non ho mai voluto fidarmi perché… perché avevi sempre questa sfilza di donne intorno a te e… ne hai pure mollata una all’altare! E il tuo matrimonio con Eva quanto sarà durato? Da Natale a Pasqua?! Tante volte ho pensato di essere una specie di sfida per te… un trofeo da conquistare, la turris eburnea. Ma da quando ci siamo ritrovati a Torino e… soprattutto da quando… da quando hai smesso di corteggiarmi, paradossalmente, da quando… da quando hai iniziato a starmi vicino senza chiedermi niente - e mai come in questi ultimi mesi - io… io ci ho davvero creduto che tu mi amassi, Gaetano. Che tu mi amassi veramente, in un modo che… che mi ha sempre fatto bene e male perché… perché sapevo di non meritarlo. Perché… mi sentivo così in colpa nei tuoi confronti! E una parte di me credeva che… che davvero ci saresti sempre stato, che… che ora che sono una donna libera… avessimo una specie di patto noi due. Che tu avresti continuato a… a rispettare il mio dolore a… a lasciarmi il tempo per cercare di riprendermi, a starmi vicino, a sostenermi e poi… chissà… un giorno... magari…. E invece… e invece mi sono sentita tradita, presa in giro, nel modo peggiore… con te che… che di colpo ti trovi un’altra e… e mi dai questa specie di ultimatum!”
 
“Io non ti ho mai dato nessun ultimatum, Camilla! Come puoi dirmi questo?! Come puoi parlarmi come… come se fossi una specie di ricattatore? Ti ho solo dato un bacio, porca miseria! A cui tu hai reagito nemmeno ti fossi saltato addosso, peggio di te poco fa!” sbotta, lasciandole bruscamente anche l’altra spalla, quasi come se scottasse, ed appoggiandosi al muro, cercando quasi di allontanarsi da lei, dal suo tocco.
 
“Forse non me l’avrai dato esplicitamente! Non mi avrai detto chiaramente: ‘o ti dai una mossa e… e ci stai o chi si è visto si è visto!’ ma il messaggio mi è arrivato lo stesso, forte e chiaro! Che ora avevi la nuova vicina disponibile di giorno e di notte, no?!” sputa fuori, tagliente come un rasoio, picchiandogli la mano sul petto, anche se, con i muscoli che si ritrova, è più il male che fa a se stessa di quella che fa a lui.
 
“Camilla….” sospira di nuovo, bloccandole il polso e la mano con la sua in una presa salda e troppo intima che Camilla tenta invano di sciogliere, “non hai proprio capito niente! Hai fatto tutto tu! E io… io forse avrò sbagliato ma volevo… volevo solo capire cos’ero per te… se… se per te ero solo un amico, una spalla su cui piangere o… o se potevamo diventare qualcos’altro. Ma a me… a me sarebbero state bene entrambe le cose, Camilla, come… come ho sempre accettato i tuoi no, le tue scelte. Certo, mi avrebbe fatto male, mi fa e mi farà male ma… a me basta sapere la verità. Non voglio costringerti a stare con me se tu non provi quello che provo io, maledizione! Perché io da te voglio tutto, Camilla, tutto! Non qualche bacio e qualche notte di sesso, ma tutto, il pacchetto completo, una storia vera! E se invece quello che sono per te e quello di cui tu hai bisogno e che hai paura di perdere è… è l’amico, il confidente, la spalla su cui piangere e sfogarti, non lo perderai, non mi perderai, Camilla, te lo ripeto, anche se non ci sarà mai niente tra noi, anche se-”
 
“Anche se tu ti trasferisci? A chissà quanti chilometri di distanza da qui? Per stare con un’altra?!” esclama in un’altra specie di mezzo grido mozzato, riuscendo finalmente ad estricare le sue dita da quelle di Gaetano, per puntargliele stavolta a due centimetri dal viso ed esplodere e tracimare come un fiume in piena che rompe argini, barriere ed ogni residuo pudore, se ancora ne ha, “ma che bel sostegno, che bell’appoggio, che sollievo, eh, Gaetano?! Io che vengo da te, magari nei ritagli di tempo mentre lei non c’è, o, peggio, quando lei c’è! Perché quello di cui ho bisogno adesso per stare meglio è proprio vederti amoreggiare con un’altra, no?! O magari vorresti che tornassimo ai tempi di Roberta? Con io che mi sfogo su Renzo e il suo tradimento e la gravidanza di Carmen e tu che mi racconti i tuoi drammi amorosi con la tua nuova vicina? O, peggio, che mi sbatti in faccia il vostro idillio amoroso! Lo vuoi capire che non me ne faccio niente dell’amico, del confidente, della spalla su cui piangere se… se questo vuol dire vederti con un’altra?! Che non ce la faccio a vederti con un’altra, non lo sopporto, non ci riesco, non ora! E non puoi chiedermi questo! Non puoi chiedermi di restare nella tua vita a guardarti mentre la vivi con un’altra, mentre ami un’altra, io-”
 
La gola le si chiude in una specie di miagolio che risuona nel piccolo ascensore peggio di un boato, circondato solo dal silenzio e da quegli occhi azzurri che la guardano da sotto due palpebre appesantite dalla stanchezza ma che… che dicono tutto anche senza parlare.
 
Come sempre accade da quando lo conosce, basta loro uno sguardo per capirsi, per esprimere tutto quello che non direbbero mai ad alta voce.
 
Quanto si sente idiota… e patetica… ed egoista.
 
“Lo so… lo so che tu l’hai fatto per… per tanti anni. E anche io ce l’ho fatta in passato… con Roberta appunto… ma… ma… adesso non… non ne ho la forza. Non riuscirei a fingere che vada tutto bene a… ad essere felice per voi, anche se… questo mi rende un’egoista, un’ipocrita ma… non ci riesco…” ammette dopo attimi interminabili di silenzio, con poco più di un filo di voce, gli occhi precipitati sul pavimento per il rimorso e l’imbarazzo.
 
“Camilla, guardami,” lo sente sussurrare, sollevandole il mento con una pressione leggera, costringendola di nuovo ad incontrare quell’azzurro nel quale tante volte si è persa… e forse si è pure ritrovata, “proprio perché so benissimo come ci si sente… non te lo chiederei mai.”
 
Un istante di sollievo e poi un altro pugno, un destro diretto al plesso solare, che le toglie il fiato, quando realizza le implicazioni di quella frase.
 
“Mi stai dicendo addio?” riesce ad articolare con un filo di voce, lo stomaco completamente sottosopra e le lacrime che minacciano ad ogni secondo di strabordare.
 
Non deve piangere. Non davanti a lui.
 
E non può neanche abbassare lo sguardo, visto che lui continua a tenerle il viso puntato direttamente nei suoi occhi.
 
“No, Camilla, affatto. Quello che sto cercando di dirti è che-”
 
“Mi stai dicendo che rinunci a lei? Che… che scegli me?” non può trattenersi dall’interromperlo, la voce uno strano misto tra uno squittio ed un rantolo, la speranza che si fa largo nel cuore e nello sguardo mentre cerca di leggerlo, di decifrare quella strana espressione - dì di sì, per favore Gaetano, dimmi di sì!
 
“Camilla, io per te rinuncerei… rinuncerei quasi a tutto,” proclama, serio, e Camilla finalmente riesce a capire, con un altro tuffo al cuore, cosa c’è di strano in quegli occhi azzurri - senso di colpa! Perché ti senti in colpa, Gaetano?! - prima che lui aggiunga con un sospiro, “ma in questo caso non-”
 
“Gaetano, per favore!” lo interrompe, non riuscendo più a nascondere la disperazione, due lacrime che infine sfuggono alle sue ciglia e le scorrono a tradimento sulle guance, “lo so che non posso chiederti niente, che anche se non ti ho mai chiesto niente, hai fatto già fin troppo per me e non hai idea di quanto… di quanto questo significhi per me. Ma… ma te lo chiedo lo stesso: per favore, aspettami ancora un po’, Gaetano! Non so dirti quanto ma…  ti chiedo di aspettare che… che io sia di nuovo… non dico la Camilla che ero prima perché… non so se quella Camilla esiste ancora ma… ma che sia di nuovo io… che capisca chi sono adesso, a cinquant’anni dopo quest’ennesima mazzata sui denti. E se poi la nuova Camilla non ti dovesse piacere… ovviamente… ovviamente sei libero di… di… cioè lo sei anche adesso ma…”
 
“Camilla…” lo sente mormorare con un tono stranamente dolce, interrompendola prima che si incarti ancora di più in quella specie di groviglio di parole e sentimenti che non riesce ancora del tutto a sbrogliare, i pollici che dal mento le vagano sulle guance, bruciando più delle lacrime che si portano via, “io sono disposto ad aspettarti anche per tutta la vita. Ma a patto che… che ci sia qualcosa da aspettare. Che non sono una specie di stalker patetico che… che continua ad inseguire una donna che non vuole essere inseguita.”
 
“Ma certo che sì! Cioè ma certo che no, che non sei uno stalker! E certo che c’è… che c’è qualcosa da aspettare, Gaetano! Tu mi hai detto che vuoi tutto e… e anche io voglio tutto e… vorrei poterti dare tutto, lo vorrei così tanto, Gaetano, credimi. Ma… ma non posso dare a qualcuno quando… quando non ho le energie nemmeno per me stessa. Quando sono ancora così…. piena di rabbia e di rancore, non solo verso Renzo o Carmen ma… ma verso me stessa. Lo capisci?”
 
“Sì… ti capisco fin troppo bene,” annuisce con un altro sospiro, gli occhi che si velano di malinconia come… come se per un attimo si perdessero in ricordi distanti e per nulla piacevoli.
 
D’istinto, senza quasi pensarci, allunga la mano destra fino a sfiorargli la guancia. Un gesto intimo, forse troppo intimo ma che le era sempre venuto spontaneo e quasi naturale con lui anche se… anche se se lo era concessa solo in poche, pochissime occasioni, quando aveva le difese completamente abbassate, proprio come ora.
 
Anzi, no, mai quanto ora.
 
Come ogni altra volta, lo sente quasi rintanarsi, rifugiarsi nella sua mano, come… come un bimbo.
 
Sembra quasi assurdo per un uomo grande e grosso come lui ma… ma questo lato dolce, infantile e vulnerabile di Gaetano che ogni tanto emerge, forse solo con lei, è uno dei motivi per cui si è… per cui prova quello che prova per lui.
 
Qualcosa che l’ha sempre attratta tanto quanto spaventata.
 
“Gaetano, io non voglio che tu sia… sia l’uomo giusto al momento sbagliato. Perché io… io non posso e non voglio sbagliare con te… non voglio rovinare quello che so che potremmo, che possiamo essere. Voglio… voglio darci una possibilità vera. Perché… se ho capito qualcosa in questi dieci anni è che… è che io…” la voce le si spezza, quasi si rifiutasse di uscire, di emettere quelle sillabe, di rendersi di nuovo così tanto vulnerabile con qualcuno.
 
Conta di più lui o il tuo orgoglio? Hai più paura di perderlo per sempre ora o di rischiare magari di perderlo un giorno? - la sua coscienza le sussurra con la voce inconfondibile di Francesca.
 
“Tu…?” la esorta Gaetano, sollevando a sua volta la mano sinistra, appoggiandola dolcemente sul dorso della sua, il pollice che le traccia piccoli cerchi sul palmo, un brivido che le corre lungo la schiena.
 
“Io… io…” sussurra, le dita che si intrecciano con le sue, gli stringe la mano in maniera quasi convulsa prima di buttar fuori, in un unico fiato, “non riesco a stare bene se tu non fai parte della mia vita, Gaetano.”
 
Stupore, un sorriso, uno di quei sorrisi luminosissimi e aperti che gli corrugano gli occhi e che non gli vedeva sul viso da… non si ricorda nemmeno più lei quanto.
 
E poi le labbra e gli occhi che si socchiudono e mani, braccia che la stringono all’improvviso, senza lasciarle neanche il tempo di rendersene conto, in quell’abbraccio di cui aveva e ha così disperatamente bisogno.
 
Camilla si ritrova completamente avvolta da lui, dal suo calore, in una stretta decisa ma straordinariamente dolce e… serena.
 
Non può e non vuole nemmeno opporre resistenza: si lascia andare, lascia andare tutte le paure, tutte le barriere, tutte le remore, sciogliendosi tra le sue braccia, appoggiandosi sul suo petto, rifugiandosi nell’incavo del suo collo.
 
Le braccia intorno alla sua schiena si tendono, cingendola ancora più saldamente a lui. Camilla, d’istinto, gli allaccia le mani intorno al collo, abbracciandolo più forte che può.
 
Si sente in pace, in una pace perfetta che non ricorda nemmeno di aver mai provato prima.
 
C’è solo calore, luce, tranquillità.
 
Almeno per qualche lunghissimo istante.
 
Un suono strozzato squarcia improvvisamente il silenzio totale nel quale erano immersi.
 
Camilla impiega alcuni secondi per realizzare che il suono è un singhiozzo e che proviene dalla sua stessa gola.
 
“Camilla…”
 
Il suo nome pronunciato con preoccupazione, le mani di Gaetano che le accarezzano la schiena e i capelli, quasi come a cullarla, Camilla si ritrova per la seconda volta quel giorno con il viso allagato, scossa da singulti e da un pianto incontrollato ed inarrestabile.
 
E Camilla si arrende: si arrende alle lacrime, si arrende alla sua fragilità, si lascia travolgere, rimanendo aggrappata a lui come ad un salvagente, lasciandosi trascinare dalla corrente.
 
Non saprebbe dire quanto tempo sia trascorso prima che il fiume di lacrime piano piano si riduca e si secchi, pizzicandole le guance, prima di smettere di tremare peggio di una foglia al vento, prima che i respiri si calmino, prima di ritornare in sé.
 
E prima di avvertire il freddo e il bagnato, sollevare lievemente il viso e rendersi conto con imbarazzo di aver completamente inzuppato la camicia di Gaetano e di avergli praticamente lavato il petto.
 
“Oddio, scusami, io-” pronuncia, guardandolo per la prima volta negli occhi e bloccandosi di fronte a quello sguardo, a quegli occhi lucidi, che sembrano anch’essi in procinto di tracimare da un secondo all’altro.
 
“Non scusarti,” mormora Gaetano, il tono arrochito e basso, spostando la mano che ancora le accarezzava i capelli per sfiorarle una guancia, “non per questo almeno. Si vede che… che ne avevi bisogno. E forse ne avevo bisogno anche io.”
 
Camilla si limita ad annuire, un nodo in gola, rendendosi conto che sì, ne aveva davvero avuto bisogno, un bisogno disperato, sia del pianto sia… sia dell’abbraccio di Gaetano.
 
Un sorriso che a tradimento le increspa le labbra salate e mezze martoriate, non solo da quel bacio violento e furioso per cui, sì, dovrebbe davvero scusarsi con lui - per non parlare delle cose che gli ha sputato addosso dopo quel bacio - ma dai maltrattamenti che aveva inflitto loro durante tutta la giornata, soprattutto durante quel pianto disperato in macchina.
 
Ed è assurda la differenza tra quel pianto e questo pianto: il primo le aveva lasciato addosso rabbia, disperazione, rancore, il desiderio di… di fare male a qualcuno, di fargli male e di fare male anche a se stessa fino a non sentire più nulla, nulla che la rendesse ancora vulnerabile, dipendente da qualcuno. Fino a riprendersi il controllo, fino ad avere lei il coltello dalla parte del manico.
 
Mentre ora… ora sente addosso solo… solo pace. Quella dolenza piacevole ai muscoli quando si rilassano dopo tanta, troppa tensione. Una tensione che, se ne rende conto solo ora, non l’ha abbandonata da… da quella sera con Renzo seduto sul divano, il cappotto ancora indosso e… e i deliri su camere d’albergo a Venezia e grappe aromatiche.
 
Non c’è più rabbia, né rancore, non solo nei confronti di Gaetano e della… della nuova vicina ma… non sente più quella specie di groviglio nello stomaco, quel serpente strisciante a cui si era ormai assuefatta negli ultimi mesi.
 
Come se, lasciandosi andare, avesse lasciato andare anche tutto quello che la stava avvelenando dentro.
 
Sente la mente sgombra e piena di… di tranquillità, di una serenità che non avrebbe mai più pensato possibile, che potesse di nuovo appartenere a lei. Si era quasi scordata di cosa si provasse, di come ci si sentisse.
 
Quella sensazione di… di forza che deriva solo dall’essersi mostrati fragili, indifesi, come il cane che espone la gola e la pancia.
 
Dal dare fiducia, fiducia totale a qualcuno, vincendo le paure, il terrore di essere di nuovo feriti a morte. E sentirsi anzi protetti, rispettati, capiti… amati, non c’è altro modo di definire quello che ha provato e che prova tra le braccia di Gaetano e quello che legge ora nel suo sguardo.
 
Quella confessione a cui tanto anelava è finalmente lì, davanti ai suoi occhi, nel modo in cui ancora la stringe e le accarezza il viso: come se fosse il bene più fragile e prezioso, anzi, inestimabile che ha al mondo.
 
E le sembra così stupido ed assurdo aver provato ad estorcergliela in quel modo di cui ora si vergogna profondamente anche se… anche se non si scorderà mai fin che vive quello che ha provato in quel bacio.
 
“Va un po’ meglio?” le domanda, una nota di preoccupazione ancora evidente nel tono di voce, guardandola negli occhi come a voler cogliere ogni menzogna od omissione.
 
“Dipende…” abbozza Camilla, soffocando quel sì che minaccia di sfuggirle dalle labbra.
 
“Da cosa?” chiede, confuso e forse anche un po’ turbato, allentando la presa su di lei, la mano che le lascia la guancia per appoggiarsi sulla spalla.
 
“Mi aspetterai o no? Ho bisogno di sentirtelo dire,” ammette, ricambiando l’occhiata, pronta ad analizzare ogni movimento, ogni sillaba, ogni esitazione.
 
Per tutta risposta, lo vede sospirare, scuotere il capo e lasciarsi sfuggire un mezzo sorriso, tornando a stringerla più forte.
 
“Camilla, ascoltami, anche io… anche io se c’è qualcosa che ho capito in questi dieci anni è che… senza di te non ci so stare, e pensavo tu lo sapessi o che dovessi ormai averlo capito,” confessa, di nuovo con quel tono serio, anzi, serissimo, “e per questo, te l’ho già detto, ti aspetterei anche per una vita intera. E, in ogni caso, anche se non ci fosse nulla da aspettare io… io non sopporto di vederti stare male, voglio che tu sia felice, Camilla, e quindi ci sarò fino a che avrai bisogno di me… fino a che rimetti insieme i cocci della tua vita e… ritrovi questa nuova Camilla. Che, tra parentesi, sono sicuro che mi piacerà quanto la precedente perché… tu sei sempre tu, nel profondo. Forse ora sei un po’ acciaccata ed ammaccata ed indurita, più fatalista e cinica e con meno energie… hai questa… rabbia dentro che… che non ti è mai appartenuta ma… ma ti conosco da anni e lo so chi sei, lo sento, l’ho sentito poco fa, Camilla. Tu non puoi vivere con una corazza addosso per sempre, non puoi lasciarti guidare per sempre dalla rabbia, o dal dolore o dal rancore, perché… nonostante tutto, nonostante i tuoi difetti e le tue contraddizioni, sei una persona… buona, positiva, che ama gli altri e ama la vita e sei forte, più forte anche di quello che ti è successo. E non ti lascerai ingabbiare da niente e da nessuno. Neanche da te stessa.”
 
“Gae-tano, io-” sussurra, profondamente toccata da quelle parole, dalla stima, dalla fiducia che risuonano in ogni sillaba.
 
“Aspetta,” la blocca prima che possa cedere di nuovo all’impulso di abbracciarlo, prendendole il viso tra le mani e trafiggendola con un altro sguardo eloquente e serissimo, “c’è una cosa però, una sola, che ti chiedo. Di essere sincera con me, Camilla. Se… se quando ti sarai ripresa dovessi capire che… che questa nuova vita non la vuoi vivere accanto a me… che… che quello che provi per me non è… non è amore, almeno non quel tipo di amore, io… io voglio che tu me lo dica. Ci starò male, certo e forse… forse dovrò allontanarmi da te per qualche tempo, in modo da… da darti la possibilità di rifarti una vita come meriti senza doverti preoccupare per me e… e in modo da abituarmi all’idea di… di vederti con un altro. Ma preferisco saperlo e mettermi il cuore in pace.”
 
“Te lo prometto, se anche tu prometti lo stesso. Non voglio… non voglio un uomo che mi sta accanto solo per pietà, non… non lo sopporterei e soprattutto non voglio bugie se dovessi… se dovessi accorgerti che non puoi più aspettarmi o se dovessi desiderare o avere qualche altra nuova vicina. Ne ho già sopportate fin troppe di bugie, anche se non da te.”
 
Lo vede annuire, sembrando davvero sincero. Sta per stringerlo di nuovo a sé, per suggellare la promessa, quando nota un velo passargli sul viso, un’ombra… come… come…  senso di colpa? Ancora?
 
“Che c’è?” gli domanda, in apprensione, temendo che la risposta non le piacerà.
 
“A proposito della… della nuova vicina e di… di bugie… cioè... in realtà si tratta più di un’omissione, involontaria credimi, anche se poi forse ci ho un po’ marciato su... io-”
 
“Mi hai mentito quando mi hai detto di amarla, è così?” lo interrompe, troncando quella specie di balbettare imbarazzato - dimmi di sì, dimmi che è così e che non c’è altro su cui hai mentito, dimmi che non la ami!
 
“Camilla… non è questo…” sospira, facendole finire il cuore dritto nello stomaco e facendole temere il peggio; le dita che ancora le trattengono le guance si flettono in una presa quasi spasmodica, impedendole di guardare altro che non sia l’azzurro delle sue iridi, per poi confessare, con un tono quasi esasperato, “possibile che tu non abbia ancora capito che…?”
 
“Che?” lo incita, il cuore che le rimbomba nel petto.
 
“Che sei tu, Camilla, sei sempre stata tu!” ammette, accarezzandole le guance con i pollici e guardandola in un modo strano… carico di apprensione, come se temesse un’esplosione.
 
E Camilla sente davvero un’esplosione: un’esplosione di sollievo come fuochi d’artificio nello stomaco e nel cuore. Allora…
 
“Allora… non ci sei andato a letto?” la domanda le sfugge prima che possa contenersi. Trattiene il fiato per un paio di secondi, giusto il tempo per vederlo spalancare gli occhi e scoppiare in una risata.
 
“Perché ridi?” gli domanda, basita e confusa, osservandolo scuotere il capo e lanciarle uno di quei suoi sorrisi esasperati.
 
“Perché non cambi mai, Camilla… e comunque-”
 
“E comunque non divagare: ci sei andato a letto sì o no?” ribadisce, decisa ad ottenere una piena confessione.
 
“No, non ci sono andato a letto,” afferma, deciso e sincero, lo vede che è sincero, anche se continua a sorriderle in quel modo che lei non riesce a decifrare.
 
“Per volontà tua o sua?” si ritrova a chiedere, anche se lo sa che è patetico e forse non ne ha il diritto, ma ha bisogno di sapere tutto di questa... storia e della nuova vicina prima di lasciarsele alle spalle.
 
“Mia… anche se… anche se non sono sicuro che nemmeno lei lo volesse davvero,” pronuncia sempre con quello sguardo enigmatico, ma Camilla è troppo sollevata per curarsene davvero.
 
Almeno per due secondi, fino all’arrivo dell’ennesima paranoia.
 
C’è un’ultima cosa che gli deve chiedere, che deve sapere con certezza.
 
“E… e non traslochi più, vero?” domanda con un filo di voce, odiando il tono quasi implorante con cui ha pronunciato quelle parole, ma non riuscendo di nuovo a farne a meno.
 
“No, in realtà... trasloco lo stesso, ma vedi-”
 
“Cosa?!” esclama, con una forza tale che Gaetano fa un sobbalzo e molla la presa sul suo viso, guardandola quasi spaventato.
 
Per Camilla è come una coltellata, neanche in pieno petto, ma nella schiena, a tradimento.
 
“Camilla,” pronuncia con quel maledetto tono conciliante che in questo momento gli infilerebbe… lo sa solo lei dove, “non posso non traslocare: ormai ho disdetto con il vecchio padrone di casa, ho firmato un nuovo contratto di affitto, e poi in realtà-”
 
“E quindi io dovrei stare a guardare mentre tu ti trasferisci accanto a quella?!” sibila, alzando le braccia, cercando di allontanarsi di due passi da lui ma venendo bloccata per le spalle in una presa che non riesce a scrollare.
 
“Camilla, per favore, guardami: ti fidi di me?” le domanda, dritto in faccia, di nuovo quel tono talmente serio e… e qualcosa nello sguardo che la porta a calmarsi.
 
“Mi stai dicendo che… che non ci sarà più niente tra di voi?” deduce, pregando stavolta di non sbagliarsi e ritornando a tormentarsi il labbro.
 
“Ti sto dicendo che c’è una sola donna con cui voglio stare, che voglio abbracciare, baciare, con cui voglio fare l’amore. E… da quanto ho visto e sentito stasera... sono ancora più convinto che valga l’attesa!” proclama, deciso, per poi lasciarsi sfuggire un altro sorriso e mormorare, “sempre se sopravvivo, è chiaro.”
 
“Stupido!” esclama, assestandogli un colpo sul fianco ma non potendo evitare un sorriso compiaciuto, “e comunque-”
 
“E comunque adesso sono io che ho bisogno di sentirtelo dire: Camilla, ti fidi di me o no?” la interrompe, con quello sguardo che le causa un rimescolamento allo stomaco, quello sguardo di fronte al quale si sente nuda, completamente nuda.
 
Eppure… eppure, per qualche strana ragione, non le fa più paura.
 
“Sì… me ne pentirò forse, ma sì,” pronuncia infine quelle parole che mai avrebbe più pensato di pronunciare di fronte ad un uomo: un altro atto di fede, un altro salto nel buio.
 
Ma lui… lui non è Renzo e… e ne vale la pena.
 
Del resto, lui si è sempre fidato di lei, anche troppo, si sta ancora fidando di lei, forse come mai prima: anche lui sta facendo un enorme salto nel vuoto e… e ora tocca a lei ricambiare.
 
E viene ricompensata dal sorriso più bello e luminoso che gli abbia mai visto.
 
“Però, Gaetano, anche se non… se non succederà più niente con quella, io… io ho davvero bisogno di te, di averti… di averti vicino,” ammette, alzando le mani fino a posarle su quelle di lui che ancora la tengono saldamente per le spalle, continuando a provocarle un mezzo incendio, “e… se tu traslochi ci vedremo per forza meno, molto meno e-”
 
“Camilla, te lo ripeto, ti fidi di me?”
 
“Sì, ma-”
 
“E allora ti garantisco e ti prometto che ti starò più vicino che mai, in tutti i sensi,” proclama con tono solenne, facendole l’occhiolino, “anzi, temo che non ne potrai più di vedermi.”
 
“Mai!” esclama, sorridendo come un’ebete e cedendo all’impulso di buttargli di nuovo le braccia al collo e stringerlo a sé, con tutta la forza che ha.
 
“Camilla…” lo sente sussurrare, mentre ricambia con una tale intensità che si ritrova sollevata da terra di qualche centimetro, a ridere come una ragazzina.
 
Era da tanto, troppo tempo che non si sentiva così… così leggera, come se si fosse tolta un enorme peso dallo stomaco e dal cuore come se… come se finalmente, almeno in quel momento e in quell’ascensore, ci fossero solo serenità e pace.
 
Una serenità ed una pace che, ne è sicura, le daranno la forza necessaria per affrontare anche il mondo fuori da quell’ascensore.
 
“Che ne dici se adesso sblocchiamo quest’ascensore e… e cerchiamo di andare a riposarci un po’?” le mormora all’orecchio, sembrando, per l’ennesima volta leggerle nel pensiero.
 
“Gaetano…” sospira, allentando leggermente la presa per guardarlo negli occhi: la verità è che una parte di lei non vorrebbe muoversi da lì almeno… almeno fino all’indomani mattina, quando quel pettegolo del portiere sicuramente si sarebbe accorto dell’ascensore fermo tra due piani.
 
“Camilla, io starei qui con te anche tutta la notte, ma non credo sia prudente: gli ascensori sono luoghi pericolosi, professoressa!” commenta con un altro occhiolino e faccia da schiaffi.
 
“Scemo!” esclama, dandogli un altro buffetto, stavolta alla nuca; un sorriso che si tramuta in un sogghigno mano a mano che un’idea, sussurratale dalla sua coscienza con la voce maliziosa di Francesca, la tenta sempre di più, spingendola a mormorare, con voce roca, “anche se… in effetti hai ragione: sono luoghi molto pericolosi.”
 
Con un movimento rapido e fluido, si riappropria di quelle labbra increspate da un mezzo sorriso, soffocando l’esclamazione di sorpresa - la prima sillaba del suo stesso nome - con un bacio profondo ma morbido, dolce, languido, tenero: tutto l’opposto dell’assalto feroce di poco prima.
 
Se quella era stata una dichiarazione di guerra e di possesso, un marcare il territorio, questa è una resa e... una dichiarazione d’amore.
 
Camilla si blocca per qualche istante, il cuore in gola, e poi si ritrova a sorridergli sulle labbra, mentre prende pienamente consapevolezza di quanto ha appena ammesso a se stessa.
 
E che la cosa non la fa andare in panico, anzi, quel senso di leggerezza, di pace, di benessere, nel vero senso della parola, diventa sempre più intenso e totalizzante.
 
Certo, da qui ad ammetterlo ad alta voce ci vorrà del tempo ma… ma è un inizio.
 
Un nuovo inizio per lei e per loro.
 
Lo sente ricambiare il sorriso, labbra su labbra, posarle un bacio lieve come le ali di una farfalla ed iniziare a staccarsi.
 
Gli tuffa le mani nei capelli per tenerlo a sé e per sé ancora per qualche attimo, qualche attimo in cui cerca di trasmettergli tutto quello che non può ancora dirgli e in cui si perde nella sua bocca e tra le sue braccia.
 
E poi si stacca, bruscamente, quasi a forza, prima di smarrire del tutto la bussola e il controllo e fare qualcosa che desidera come non ha mai desiderato niente in vita sua, ma per cui non è ancora arrivato il momento.
 
Per qualche attimo ci sono solo silenzio e respiri affannosi, mentre si studiano: occhi appannati dal desiderio, pupille dilatate, i capelli arruffati e le labbra umide e gonfie di baci.
 
“Che… che significa?” boccheggia Gaetano, appoggiato alla parete dell’ascensore, l’aspetto completamente sconvolto, mentre le stringe ancora le spalle in una presa spasmodica.
 
“Significa… grazie ed aspettami, perché... questo è solo un piccolo anticipo di quello che ti aspetta,” sussurra, leccandosi le labbra, un angolo della bocca sollevato in un sorriso trattenuto, “a patto che te lo meriti, ovvio!”
 
“Camilla…” sospira, scuotendo il capo, con quell’espressione divertita ed esasperata che ha sempre adorato provocargli.
 
Soddisfatta di sé, scioglie le mani da quei capelli che, le tocca ammetterlo, potrebbe passare delle ore ad accarezzare, e fa un passo indietro per allontanarsi.
 
O almeno ci prova.
 
In un lampo, si ritrova agguantata per le spalle e messa letteralmente con le spalle al muro, il corpo di Gaetano una trappola che le fa girare la testa, trascinata in un bacio talmente passionale, urgente ed implacabile da levarle il fiato, i polmoni che bruciano tanto quanto ogni centimetro che lui tocca e sfiora, una voglia matta ed incontenibile di… di più, di più, di tutto.
 
Gli si aggrappa al collo, infilandogli le mani nella camicia, il cervello disconnesso, pronta a fare una follia che sembra sempre meno una follia, visto che non ricorda più tutte le buone ragioni che pensava di avere per considerarla tale.
 
E di colpo... freddo, freddo e vuoto, le gambe che non la reggono: se non scivola a terra è solo perché riesce ad attaccarsi alla parete dietro alla sua schiena.
 
Rantolando, cerca l’azzurro che ora le sembra il blu di un mare in tempesta, un sorrisetto sul volto che sa solo lei come vorrebbe levargli, se avesse ancora il controllo dei suoi arti.
 
“Questo invece significa grazie e… non farmi aspettare troppo, perché questo è solo un piccolo assaggio di quello che fai aspettare, professoressa,” pronuncia, nel medesimo tono roco e suggestivo che lei stessa aveva usato poco prima.
 
“Ah, e Camilla…” aggiunge, arretrando di un altro passo fino alla pulsantiera e sbloccando finalmente l’ascensore, che ricomincia la sua lenta risalita, “nel frattempo… cerca di non giocare troppo col fuoco, che ci si brucia: non sono fatto di ferro.”
 
Odia lasciargli l’ultima parola ma… ma le tocca ammettere che ha ragione e poi... non ha il fiato nemmeno per provare ad obiettare.
 
E se volessi bruciarmi? - è questo l’unico pensiero: il cuore come una grancassa nel petto, si limita a rimanere immobile, cercando di riprendersi, fino a che l’ascensore, con il solito cicalino, arriva al piano.
 
“Non… non scendi?” riesce ad articolare, stupita e non saprebbe dire se più turbata o più intrigata, quando Gaetano rimane altrettanto immobile, di fronte alle porte spalancate - che cos’hai in mente adesso, commissario?
 
Gaetano, per tutta risposta, allunga di nuovo la mano per premere il pulsante del piano terra ed, abbandonando i modi da Casanova, pronuncia con uno di quei suoi sorrisi dolci e teneri, il tono premuroso da perfetto gentleman, “è notte fonda ormai, ed è meglio che tu non scenda in cortile da sola: ti accompagno fino alla porta di casa.”
 
“E niente bacio della buonanotte?” mormora tra sé e sé, con un mezzo sorriso, ricordando benissimo la battuta che Francesca le fece, ormai diversi mesi prima, e la sua reazione spropositata e, col senno di poi, davvero trasparente.
 
“Cosa?” le domanda, con aria interrogativa, mentre si sfila il cappotto e glielo drappeggia sulle spalle: un gesto che, nonostante tutto quello che è appena successo, le provoca una fiammata alle guance - un vero cavaliere, quando vuole!
 
“Niente… pensavo che… non so se la scorta mi rassicuri o mi inquieti ancora di più del buio del cortile,” improvvisa, non riuscendo proprio a frenarsi dal dare un tono suggestivo alle ultime tre parole.
 
“Sei tu che mi hai detto che… mi volevi vicino a te, no?” ribatte, senza perdere un colpo, aiutandola ad infilarsi meglio il cappotto in un modo che, guarda caso, lo porta ad accarezzarle le braccia e le spalle.
 
“Sei tremendo, lo sai?!” sospira, scuotendo il capo, un sorriso che minaccia da un momento all’altro di tradirla, lasciando volutamente che i loro corpi si sfiorino mentre guadagna l’uscita dell’ascensore.
 
L’aria gelida della notte torinese, rispetto all’ascensore ormai saturo di calore ed umidità, le schiaffeggia il viso, provocandole un brivido lungo la schiena.
 
“Ho avuto un’ottima insegnante!” ironizza, seguendola sul pianerottolo.
 
“No, no, non essere modesto: te la cavavi già egregiamente quando ti ho conosciuto! Anzi, al limite sei tu che mi hai traviata!” lo rimbecca, voltandosi verso di lui per puntargli un dito accusatorio in viso, la lotta contro il sorriso ormai persa.
 
“Adesso sei tu che ti sottovaluti, professoressa,” controbatte, afferrando dito e mano, ricambiando con un sorriso che illumina il buio del cortile.
 
“Che mani gelide che c’hai!” esclama Camilla, percependo nettamente un tremito nelle dita di lui, “starai surgelando con solo quella giacca addosso, vieni qui!”
 
“Come?”
 
“Vieni qui!” ribadisce, passandogli un braccio dietro la schiena ed abbracciandolo di lato, stringendolo a sé per scaldarlo - e scaldarsi - incurante del suo sguardo sorpreso, cominciando quasi a trascinarlo verso l’altro ascensore.
 
“A qualcuna piace proprio giocare con il fuoco, vedo...” le sussurra all’orecchio, strappandole un altro sorriso.
 
“Con questo gelo il fuoco è allettante e poi… non lo sa che gli incendiari tendono a ripetersi, commissario?”
 
“Non avrei potuto dirlo meglio, professoressa!”
 

****************************************************************************************

 
“Alfredo?!”
 
Si sveglia di soprassalto, guardandosi intorno e udendo un guaito sommesso.
 
“Potty…” sospira, accarezzando il cagnolino che probabilmente stava stritolando nel sonno.
 
Si mette a sedere sul divano: aveva fatto un sogno a dir poco bizzarro in cui lei era Violetta Valery e Gaetano era Alfredo Germont.
 
Lui le confessava di amarla e lei… lei infine c’era riuscita a dirgli quel benedetto ti amo, anche se solo in sogno, ormai sfinita dalla tisi.
 
Un mezzo sorriso le si allarga sul volto al ricordo dell’espressione di lui, quando lei aveva infine ceduto e confessato, sebbene quell’espressione sia solo frutto della sua immaginazione.
 
Non può fare a meno di chiedersi come sarebbe nella realtà ma… ma non è ancora pronta ad un tale salto nel vuoto: ne aveva già fatti parecchi in questi ultimi giorni.
 
Anche se, piano piano…
 
Sì, piano! Vedi almeno di non aspettare di essere quasi sul letto di morte, Camilla! - arriva puntuale la voce di Francesca a punzecchiarla.
 
No, non avrebbe fatto la fine di Violetta e poi… e poi, da quando si erano finalmente chiariti una settimana prima, l’atmosfera tra loro era radicalmente mutata.
 
Il mezzo sorriso diventa un sorriso pieno ed inarrestabile al ricordo di quella notte lunghissima ed indimenticabile: alla fine erano rimasti per ore di fronte alla porta di casa sua così, mezzi abbracciati, a parlare, a scherzare, a provocarsi, senza riuscire a fermarsi.
 
Avrebbero probabilmente fatto l’alba, non fosse stato per Potti che, udendo le loro voci, aveva iniziato ad abbaiare come un ossesso dall’altro lato della porta.
 
Si erano dovuti salutare in tutta fretta, prima che risvegliasse tutto il vicinato.
 
“Sei sempre stato saggio tu: abbiamo quasi rischiato di farci beccare da tua sorella,” commenta, accarezzandogli la testa, mentre Potti la studia  con un’espressione straordinariamente umana che sembra volerle dire: lo so!
 
Livietta era infatti rientrata dalla discoteca quando lei aveva a malapena finito di cambiarsi. Si era perfino scusata per averla fatta preoccupare così tanto da averla tenuta sveglia fino a quell’ora.
 
Camilla si era quasi sentita in colpa, quasi, non fosse altro che era troppo felice perché qualcosa potesse turbare quel momento.
 
Felice… un aggettivo che, fino a pochi mesi prima, aveva creduto non potesse mai più definirla, appartenerle, appartenere alla sua vita, e invece….
 
Da quella notte lei e Gaetano avevano ripreso a vedersi più regolarmente e frequentemente, anche se lui doveva occuparsi del trasloco sempre più imminente.
 
Camilla aveva accettato e ricambiato parecchi inviti a cena - per la gioia di Tommy - volendo sfruttare al massimo gli ultimi giorni da vicini di casa.
 
Avevano anche ripreso la consuetudine dei loro vermouth al bar prima di cena.
 
Per certi versi, le sembra quasi di essere tornata ai primi tempi della loro conoscenza, quando, potendo ancora fare finta di ignorare quello che provava per Gaetano e, soprattutto, quello che Gaetano provava per lei, si sentiva più libera di scherzare, di... flirtare e di avvicinarsi a lui, anche fisicamente.
 
Ma ora questa tranquillità, questo sentirsi a proprio agio, non derivano dall’inconsapevolezza - reale o di comodo - ma, anzi, dall’aver finalmente iniziato a giocare a carte scoperte. Dopo tutto quello che si erano detti, dopo quei baci e quegli abbracci in ascensore, le distanze tra loro si erano ulteriormente ridotte, il limite del non consentito si era spinto molto più in là.
 
Quando passeggiavano insieme, di solito all’andata o al ritorno dal bar, si ritrovavano sempre più spesso a farlo a braccetto, per ripararsi dal freddo e dalla pioggia, ovviamente - ma chi ci crede!
 
Il giorno prima, al bar, con la scusa delle mani gelide - si erano seduti ad un tavolinetto all’aperto - gira e rigira, avevano finito per tenersi per mano.
 
Ma non come due adolescenti, anzi, proprio tutto il contrario: Gaetano aveva iniziato a giocare con le sue dita e ad accarezzargliele, per poi dedicarsi al palmo e al dorso, in un modo che probabilmente sarebbe considerato illegale in qualche decina di stati.
 
E lei… lei poteva a quel punto essere da meno? Chiaramente no!
 
Se fossero tornati nella stessa auto, avrebbero probabilmente rischiato di oltrepassare il limite ma… ma stranamente il pensiero del limite e di quello che c’è oltre al limite, tutto quello che c’è oltre al limite, il fatto che da lì non si potrà più tornare indietro... non la spaventano più come prima.
 
Anzi, c’è una specie di strana attesa carica di elettricità, ma non spiacevole, tutt’altro. Come la vigilia di natale, quando da bambina aspettava l’arrivo dei regali: immaginarsi quel momento, il momento di scartarli e di scoprire cosa c’era dentro a quei pacchi colorati, era eccitante quasi tanto quanto giocare con i doni appena ricevuti.
 
Ed ora è la stessa cosa: sa che lei e Gaetano stanno arrivando lentamente ma inesorabilmente e vuole godersi ogni momento del viaggio.
 
Ma la cosa più strana ed inattesa, addirittura impensabile fino a poco tempo prima è che… nemmeno Renzo, Carmen e… il figlio di Renzo e Carmen stiano riuscendo a rovinarle questo momento. Già che riesca a definire il bimbo in arrivo come il figlio di Renzo e Carmen è qualcosa di monumentale, ma… la verità è che si è riscoperta molto meno risentita, arrabbiata e gelosa.
 
Anche quando, quel pomeriggio, era andata ad ordinare la torta per i diciott’anni di Livietta - se ne era perfino miracolosamente ricordata per tempo, grazie all’imbeccata di un certo poliziotto che era inaspettatamente diventato un papà ed un uomo molto più organizzato di lei - e la pasticcera le aveva appioppato la loro torta al cioccolato, che un Renzo imbarazzato le aveva prontamente tolto dalle mani, dovendo ammettere di averla comprata per placare le voglie di Carmen, lei… lei non aveva sentito quello che si aspettava di sentire e che probabilmente avrebbe sentito fino a poco tempo addietro.
 
Le era anzi quasi scappato da ridere di fronte all’espressione di Renzo, che sembrava temere un’esplosione, e di fronte alla sua evidente stanchezza - a malapena teneva gli occhi aperti, a parte i tic che peggioravano a vista d’occhio - immaginando che l’attendessero mesi da galoppino, per stare dietro alle voglie di Carmen.
 
E quando, fuori dal negozio, aveva incrociato proprio la futura madre, che l’aveva squadrata con apprensione malcelata, l’aveva semplicemente salutata e se ne era andata, come se nulla fosse, sentendo chiaramente i loro sguardi, sicuramente sorpresi, bruciarle nella nuca.
 
Sebbene questa gravidanza e il modo in cui questo bimbo era stato concepito non fossero propriamente nulla - e non lo sarebbero stati ancora per un po’, realisticamente - la verità è che si era per la prima volta ritrovata a pensare che davvero non li invidiava, Renzo e Carmen, affatto.
 
Certo, c’era stato un periodo in cui anche lei avrebbe voluto un altro figlio da Renzo, magari il famoso maschio, ma era stato tanti, tanti anni prima, prima ancora di conoscere un certo commissario. E meno male che non si era fatta trascinare dalla nostalgia della maternità che le aveva suscitato Tommy quando era piombato nella sua vita. C’era una parte di lei che aveva frenato, che le aveva sussurrato che non era più il tempo per un altro figlio.
 
Nonostante le sue cecità autoindotte su Renzo, l’istinto anche questa volta l’aveva salvata: l’idea di cosa sarebbe successo con tutta la storia della grappa aromatica e della gravidanza di Carmen se, oltre a Livietta, ci fosse stato un altro figlio o un’altra figlia ancora così piccola a cui pensare… la sola idea la fa rabbrividire.
 
E finalmente aveva visto Renzo e Carmen per quello che erano: un quasi sessantenne in procinto di separarsi che, mentre aspetta un figlio dalla sua ex fidanzata ed attuale collega, cerca ancora di riconquistare la sua ex moglie e… la ex fidanzata di un uomo che l’aveva mollata dall’oggi al domani per rimettersi con la sua ex moglie e che poi l’aveva messa incinta dopo una notte di ubriachezza e bagordi. E che, ciliegina sulla torta,  ancora cercava di riconquistare la sua ex moglie.
 
Ma che c’era da invidiare?
 
La sua preoccupazione più grossa adesso in realtà è Livietta, che è sempre più strana: o esce a tutte le ore o rimane chiusa in camera a chattare con George. Mangia poco e male e ha sbalzi di umore peggio di quando aveva sedici anni: certi giorni sembra una bimba capricciosa di cinque anni, altri giorni la sorprende con uscite riflessive, pensose, malinconiche e spesso ciniche, degne di una cinquantenne come lei.
 
Spera che l’arrivo del suo amato per festeggiare il suo compleanno la settimana prossima risollevi un po’ il morale alla figlia, perché altrimenti saranno guai. E forse è ora di pensare un po’ meno al suo dolore e al suo trauma e più a quello subito da Livietta, ora che comincia ad avere le energie e quel minimo di stabilità emotiva e psicologica necessarie per farlo.
 
Infatti, il riuscire a vedere tutto con un po’ più di distacco e un po’ più di razionalità, le ore di… serenità trascorse con Gaetano avevano avuto i loro effetti: niente più attacchi di panico.
 
Era orgogliosa di se stessa, anche se continuava con gli esercizi che le aveva amichevolmente prescritto Francesca.
 
E aveva fatto bene… perché il suo subconscio aveva ancora parecchie cose da disseppellire… a giudicare dal sogno assurdo che aveva appena fatto.
 
La Traviata di Verdi... un sogno degno di una prof. di lettere o di musica, anche se... sognarsi nei panni di una cortigiana… praticamente una escort, se Violetta fosse nata i giorni nostri….
 
Ma il cuore del sogno era un altro, ed era proprio… il cuore. Violetta aveva abdicato all’amore, non credeva di potersi innamorare e invece le era successo. Troppo tardi ma le era successo.
 
Certo che sto proprio messa male! Mi sembra quasi di sentirne ancora la musica! - sospira, scuotendo il capo, ridestandosi bruscamente dai suoi pensieri quando realizza che non è un’autosuggestione e non sono nemmeno i postumi del sogno: la musica c’è sul serio!
 
E pure alta: troppo alta.
 
Libiamo Ne’ lieti Calici, sparata a tutto volume, roba che manco in discoteca - questo almeno spiega l’origine del sogno, e anche per stavolta il TSO me lo sono scampata!
 
Un nodo improvviso in gola al ricordo di una settantenne dura d’orecchi, invaghita del suo insegnante di pianoforte, che li assordava con la musica classica a tutte le ore. Forse… forse col senno di poi non avrebbe dovuto implicitamente consigliarle di troncare quella passione sul nascere: la vita è così breve!
 
Sciolto il nodo in gola - ormai ci riesce con una sorprendente rapidità - subentra un fastidio sempre crescente: questi devono essere i nuovi vicini, che ancora non ha avuto modo di incrociare. In realtà si rende conto solo ora che l’appartamento accanto al suo è stato affittato: aveva altro per la testa e… un altro trasloco a cui pensare.
 
Certo che cominciamo bene! - sbuffa, alzandosi in piedi, dopo aver posato Potti a terra - e pensare che il vicino di prima si lamentava del nostro di rumore! Questi come minimo li avrebbe ammazzati!
 
O sarà un contrappasso?
 
Con passo deciso e marziale, esce dall’appartamento ed allunga la mano per scampanellare ai vicini - sperando che sentano, con sto casino!
 
Devono avere l’udito buono, visto che, tempo due secondi, sente la chiave girarsi nella toppa e vede la porta aprirsi lentamente.
 
“Scusi, guardi, non credo che la musica-” la frase le si congela in gola, mentre gli occhi le si spalancano.
 
Per un secondo si convince di stare allucinando - forse ho davvero bisogno di quel TSO dopo tutto!
 
Altri due secondi, il tempo di rendersi conto che lui è davvero lì: reale e presente tanto quanto lei e tanto quanto la musica assordante.
 
“Ma che ci fai tu qui?” gli chiede, confusa e sconcertata, fissando quegli occhi azzurri che brillano divertiti, sebbene vi colga una traccia di apprensione.
 
“Te l’avevo detto che avrei traslocato…” proclama, abbarbicato alla porta con posa e sguardo da micione, per poi pronunciare, con un sorrisetto che definire da schiaffi ed allusivo sarebbe riduttivo, “e ho traslocato qui….”
 
Te possino! Mi ha fregata! Mi ha completamente e totalmente fregata, sto… sto...
 
 
Silenzio
 
 
Rimangono a studiarsi in perfetto e totale silenzio, incerti su chi farà la prima mossa.
 
Gaetano, quando il silenzio comincia a protrarsi a lungo, troppo a lungo, inizia inevitabilmente a preoccuparsi: anche se si sforza di mantenere quell’aria di studiata nonchalance, la verità è che l’aggrapparsi alla porta ha una triplice funzione.
 
Non solo per provocarla un po’ e prenderla in contropiede, ma anche e soprattutto per nascondere il tremore alle mani e... per farsi pure un po’ scudo con la porta.
 
Camilla, quando vuole, può essere pericolosa, molto pericolosa, in tutti i sensi.
 
“Mi hai fregata, mi tocca ammetterlo: spero sarai soddisfatto!” pronuncia, tagliente nel tono e nello sguardo anche se… c’è una punta di tradimento e di vulnerabilità in quegli occhi, come se l’avesse ferita profondamente.
 
Sei un idiota, Gaetano! - si maledice da solo, andando quasi in panico quando la vede voltarsi, senza dire un’altra parola.
 
“No!” esclama, prendendole una spalla per bloccarla, ma lei lo scrolla via, “aspetta, lasciami spiegare!”
 
“Spiegare che cosa? A me sembra tutto chiarissimo: sono io la nuova vicina! Non c’è mai stata un’altra!” sibila, sarcastica, fulminandolo con lo sguardo, “e quindi mi hai ingannata, ti sei preso gioco di me!”
 
“No, Camilla, no! Sì, è vero, non c’è mai stata un’altra ma… quello che voglio dire, che ho bisogno di spiegarti è che… non ho mai voluto ingannarti o prenderti in giro. Hai fatto tutto tu, Camilla, almeno all’inizio: tu mi hai chiesto se mi stessi trasferendo per via di una donna e… e ti ho risposto di sì, perché era ed è la verità e… e tu hai pensato ad un’altra. Io ho provato subito a chiarire con la battuta dell’ascensore, credevo che avresti capito che mi riferivo a te ma… ma tu hai frainteso tutto. E ho provato a telefonarti, ma non rispondevi mai, sei sparita e… e poi mi sei piombata in questura. E lì… e lì… d’accordo, lo riconosco, quando ho visto la tua reazione, la tua scenata di gelosia, un po’ ci ho marciato su…” ammette, di fronte all’occhiata eloquente di lei, un sopracciglio alzato e le braccia incrociate, mentre ascolta le sue spiegazioni senza muovere un muscolo, “ma poi quando… quando ti ho vista stare male mi sono sentito un idiota e ho provato a… a confessare tutto, ma è arrivato Torre con il questore e tu sei scappata via, senza darmi la possibilità di farlo. Ti ho telefonato non so quante volte quel giorno, lo sai anche tu, per chiarire l’equivoco, ma di nuovo non mi hai risposto e poi… mi sono ritrovato intrappolato nell’ascensore.”
 
La vede sospirare, chiudere gli occhi per un secondo e poi riaprirli, un’espressione indecifrabile sul volto, anche se nota una punta di imbarazzo, probabilmente al ricordo di come l’aveva intrappolato in ascensore.
 
“All’inizio ho pensato che tu avessi capito tutto e che per quello eri così arrabbiata e mi davi del bugiardo. E, quando invece mi sono reso conto che non sapevi ancora niente ed eri ancora convinta che esistesse un’altra, di nuovo ho provato a dirtelo, a dirti… a dirti come si chiamava e si chiama la mia nuova vicina-”
 
Camilla…” sussurra lei, pronunciando il suo stesso nome ma come… come un ricordo: sta sicuramente passando in rassegna ogni parola che si erano detti, che lui le aveva detto. Può quasi vedere gli ingranaggi di quella mente brillante girare vorticosamente.
 
Prega che gli creda… che gli creda e che capisca e lo perdoni.
 
“Ma tu continuavi ad interrompermi, a non lasciarmi finire neanche una frase e poi… e poi mi hai… mi hai baciato, anzi mi sei praticamente saltata addosso in quel modo così… violento… e c’è stata tutta quella discussione e… e a quel punto avevo bisogno di capire io, Camilla, di capire perché ti stavi comportando in quel modo e se… se davvero pensavi quello di me. Se pensavi tutte le cose che mi stavi sputando addosso…” spiega, notando come lo sguardo di Camilla diventi, almeno per qualche secondo, decisamente colpevole, “e poi quando ci siamo un attimo chiariti ho… ho provato a spiegarti che la nuova vicina eri tu, che sei-”
 
Sei sempre stata tu…” mormora Camilla, scuotendo il capo e toccandosi la fronte, “che idiota!”
 
Gaetano non saprebbe onestamente dire se l’idiota sia riferito a lui o a se stessa.
 
“E visto che continuavi a non capire, a fraintendere - mi sembrava quasi di essere tornato a dieci anni fa in quel loft - lo so che probabilmente ho sbagliato ma… ho deciso di… di mostrarti la verità, come avevo già pensato di fare quel pomeriggio, dopo che ti sei fatta negare al telefono. Di farti scoprire chi era il tuo nuovo vicino e quindi la mia nuova vicina.”
 
“Peccato che sia passata più di una settimana nel frattempo, in cui hai avuto tutto il tempo e mille modi per dirmelo e anche per… mostrarmelo, se avessi davvero voluto farlo,” gli fa notare, il tono della voce che sembra solo impercettibilmente ammorbidito.
 
“Lo so, hai ragione, ma… da un lato volevo… volevo farti questa sorpresa e… ho fatto l’impossibile per completare il trasloco a tempo di record - pensavo di finirlo il mese prossimo - e-”
 
“Ma avresti potuto farmelo scoprire anche senza completare il trasloco,” obietta, squadrandolo in un modo che lo fa improvvisamente sentire come lo studentello che si presenta davanti alla professoressa, dicendole che il cane gli ha mangiato il compito.
 
“Sì, è vero, ma stavo cercando di dirti che… in effetti avevo pensato di fartelo scoprire già il giorno dopo… dopo tutto quello che è successo in ascensore ma… ammetto che mi è mancato un po’ il coraggio e… e sono stato felice di avere un alibi per rimandare di qualche giorno la rivelazione. Temevo la tua reazione, soprattutto… soprattutto dopo che ci eravamo chiariti e che finalmente stava andando tutto così bene. Ma, quando ti lasciavo la sera, mi sentivo sempre più in colpa a tenermi questo segreto, soprattutto perché le cose non solo stavano andando bene, ma andavano sempre meglio, più di quanto avrei mai osato sperare. E, proprio per questo, ho fatto il possibile e anche l’impossibile per finire questo trasloco in fretta e non avere più scuse. Ma quello che ti ho detto, tutto quello che ti ho detto, è la verità, Camilla. Quello che penso di te, quello che provo per te, quello che voglio per te e per noi due, tutto. E, in ogni caso, non avrei mai permesso che… che le cose tra noi due andassero oltre senza… senza che sapessi tutta la verità.”
 
Camilla rimane ferma, impassibile a guardarlo con quell’espressione indefinibile ed illeggibile e Gaetano comincia seriamente a preoccuparsi. E anche ad essere assalito dai dubbi.
 
“Camilla… che io traslochi altrove o qui, che io abbia avuto un’altra o meno, non dovrebbe cambiare quello che è successo tra noi in questi ultimi giorni. Di sicuro non cambia quello che provo e… e non dovrebbe cambiare quello che tu provi per me. Quello che pensi di noi due e… insomma, lo capisco che tu sia arrabbiata, ma… dovresti anche essere sollevata all’idea che non ci sia stata un’altra, che… che ero e sono disposto ad aspettarti, anche prima che tu me lo chiedessi e che… che non ho mai nemmeno lontanamente pensato di allontanarmi da te e di lasciarti da sola, anzi: farei di tutto per starti vicino!” proclama, indicando l’appartamento alle sue spalle, “dimmi qualcosa, almeno! Nel bene o nel male, ma parlami!”
 
“Vuoi la verità?” enuncia, scuotendo il capo, con un tono strano che Gaetano non le ha mai sentito usare prima, “la verità è che… in questo momento non so se buttarti le braccia al collo per abbracciarti e per baciarti o per strozzarti. E fino a che non lo decido e… e non sbollisco un po’… forse è meglio per tutti e due se ci prendiamo un timeout.”
 
Occhi negli occhi per un paio di istanti e poi Camilla cerca di nuovo di voltarsi.
 
Il cuore in gola, l’istinto prende il sopravvento: Gaetano le afferra delicatamente il braccio sinistro, portandola a voltarsi verso di lui e trattenendola per un momento, anche quando cerca di liberarsi.
 
“E se volessi correre questo rischio?” pronuncia, tutto d’un fiato, lasciandola andare, ma rimanendo a pochi centimetri da lei, le braccia lungo i fianchi, attendendo il verdetto del boia.
 
Occhi castani che si chiudono a fessura come le labbra, la mascella serrata, Camilla sembra studiarlo per qualche istante infinito.
 
Sempre l’istinto, l’istinto acquisito da anni in polizia, registra all’istante un movimento alla sua sinistra, il braccio e la mano che con velocità e con violenza fendono l’aria.
 
Gli occhi che si chiudono, preparandosi al ceffone che sa di essersi meritato.
 
Uno, due, tre secondi e...
 
Niente?
 
Stupito, li riapre lentamente, incontrando quelli di Camilla che brillano divertiti, a giudicare anche dal sorrisetto soddisfatto che le increspa il viso.
 
E poi le sente: cinque dita che gli si posano delicatamente sulla guancia, sopra la barba, tracciandogli lo zigomo.
 
“Oggi è il tuo giorno fortunato, commissario: diciamo che… ti concedo delle attenuanti, per buona condotta, ma ti avverto che dovrai farti perdonare!” intima con tono tra il serio e il faceto, con quel sorriso quasi felino che gli fa venire una voglia matta di baciarla.
 
“Agli ordini, professoressa!” proclama, mettendosi ironicamente sull’attenti, per poi aggiungere, ricambiando il mezzo sorriso, “avanti, dimmi cosa posso fare per farmi perdonare: puoi chiedermi tutto quello che vuoi.”
 
“Qualsiasi cosa?” chiede conferma, un’ombra di malizia nel tono e nel sorriso.
 
“Qualsiasi cosa,” garantisce, una mano sul cuore.
 
“Tommy non è in casa? O lo fai dormire con i tappi?” gli domanda all’improvviso, indicando la porta aperta alle sue spalle e la musica assordante.
 
“Stanotte dorme da un amichetto… festa di compleanno con cinema e pigiama party,” chiarisce, sempre più intrigato e con la netta sensazione che questa punizione gli piacerà.
 
“Anche Livietta è uscita con i suoi amici… ultimamente fa degli orari impossibili…” commenta Camilla, con una nonchalance evidentemente finta, per poi avvicinare lentamente ma inesorabilmente i loro visi, e sussurrare, in modo suggestivo, “quindi… visto che tu sei solo in casa… e io sono sola in casa… pensavo che magari…”
 
“Sì?” esala, mentre Camilla si fa sempre più vicina, troppo vicina.
 
“Che magari potresti venire a casa mia e…”
 
“E?” le respira, ormai ad un centimetro dalle labbra, la salivazione azzerata, i battiti a mille.
 
“Ed aiutarmi a smontare i mobili dell’ex studio di Renzo,” proclama ad alta voce, ritraendo bruscamente il viso, un sorriso a dir poco soddisfatto che le si riflette negli occhi, “sai, ho sempre sognato di avere una sala lettura in casa, fatta come dico io e... nella quale poter correggere i compiti o rilassarmi un po’. E ho deciso che è arrivato il momento di concedermela. Ah, e naturalmente domani, visto che è sabato, sei reclutato ufficialmente per venire con me a comprare i mobili e poi aiutarmi a montarli.”
 
“Naturalmente…” commenta, scuotendo il capo, ancora mezzo scombussolato ma decisamente divertito: gliel’ha fatta un’altra volta!
 
Come sempre.
 
Ed è anche per questo che è completamente, totalmente ed irrimediabilmente pazzo di lei.
 

****************************************************************************************

 
“Finalmente! Guarda che ci aspetta un lungo lavo - ro.”
 
La parola le si strozza in gola quando lo vede: jeans attillati e una maglietta bianca che lasciano ben poco spazio all’immaginazione, una cassetta degli attrezzi in mano.
 
Sembra uscito da uno spot della coca cola.
 
Deglutisce visibilmente, mentre lui le struscia contro - di proposito ne è sicura - cercando di oltrepassarla.
 
Rimangono per qualche istante bloccati così, l’uno di fronte all’altra, nella cornice della porta.
 
“Non chiedo di meglio...” le soffia sulle labbra, mozzandole il fiato: sono ad un millimetro.
 
Un solo millimetro.
 
Camilla solleva il viso e… un mugolio le sfugge dalla bocca quando incontra solo l’aria, visto che qualcuno ha ritratto il capo all’ultimo secondo e ora la osserva con aria sorniona.
 
Una scossa elettrica quando, languidamente, infine la supera e varca la soglia.
 
“Nemmeno io…” le parole le sfuggono dalla bocca, mentre lo vede incamminarsi verso lo studio.
 
Uno stridio di attrezzi, metallo contro metallo, la gomma delle suole contro il pavimento: Gaetano si è bloccato bruscamente - mi ha sentita!

Azzurro incontra nocciola, in un lungo, lunghissimo sguardo: uno sguardo che è una promessa.
 
A giocare col fuoco ci si brucia.
 
Ma Camilla non ha più paura di scottarsi.
  



Nota dell’autrice: Ed eccoci arrivati alla fine di questo capitolo e forse di questa storia che spero non abbia deluso la lunga attesa. Camilla, dopo il momento di rabbia e disperazione iniziale, ha dovuto ammettere un po’ di cose, a Gaetano e a se stessa, hanno parlato e si sono chiariti prima di fare l’amore e, si spera, questo dovrebbe evitare “cuccioli adottati”. Tra parentesi, giuro che la battuta di Gaetano sul “cagnolino” è stata scritta prima dell’ultima puntata della serie xD. Sono ahimé stata profetica. Ho inoltre cercato di riportare Gaetano a com’era nelle prime cinque serie e fino a metà di questa serie: innamorato, certo, dolce e premuroso, ma comunque con una sua dignità personale e non “zerbino” e a cui non va bene “qualunque cosa” pur di non perdere Camilla o avere una chance con lei.
Sto valutando se scrivere un capitolo di epilogo, ma ci devo pensare ancora un po’, anche per studiarne bene la trama. Voi lo vorreste? Nel frattempo ritornerò a scrivere la mia lunga storia “Ribaltando Ogni Certezza”. Per chi di voi non la conoscesse, è una sesta serie alternativa, con tanti capitoli, praticamente Camilla decide di lasciare Renzo, perché il dubbio su un possibile tradimento con Carmen a Parigi, la porta a realizzare di essere innamorata di Gaetano e che il suo matrimonio è finito. Da lì si sviluppa una storia in cui la neonata coppia Camilla  e Gaetano cerca di affrontare insieme le difficoltà di un rapporto agli inizi (figli, ex gelosi e rancorosi, prove di convivenza...) e di costruire insieme una famiglia vera, piano piano. C’è anche una trama gialla, già conclusa, ambientata a Roma e sto per scrivere la seconda trama gialla. Se vi va di dare un’occhiata, la trovate qui, sia il primo capitolo che i successivi:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2242104

Vi ringrazio tantissimo per avere letto questa storia, e un ringraziamento particolare a chi mi ha lasciato un commento, un parere ed un incoraggiamento. Grazie!

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3269466