Pietatis Causa di Oblakom (/viewuser.php?uid=170415)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La regola dei corpi ***
Capitolo 2: *** Il paradosso del gatto ***
Capitolo 3: *** Il riflesso del Mercante di Vite ***
Capitolo 1 *** La regola dei corpi ***
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Pietatis Causa
1. Nella vita
ci possono essere scelte che se farai sai già che ti
pentirai, e se non farai non ti perdonerai mai.
Avrebbe potuto lasciarlo lì. Sarebbe stato semplice, sarebbe
stato ovvio. Forse, in qualche modo, sarebbe persino stato giusto. Se non
giusto, almeno necessario; se non necessario, inevitabile.
E dire che ne aveva avute di ragioni per voltare le spalle, e non erano
nemmeno poche. Anzi, erano molte, moltissime. Più di quante
lui stesso riuscisse a richiamare alla mente, ora, con i muscoli
dolenti e il respiro affannoso e gli occhi sbarrati ed increduli.
Decisamente, più di quante avrebbe avuto bisogno –
di quante chiunque
avrebbe avuto bisogno – di metterne sul piatto per dire che
sì, sì:
il sacrificio valeva tutto il guadagno e anche di più.
E forse avrebbe davvero dovuto farlo – di certo avrebbe
dovuto farlo. Era semplice, era chiaro, era ovvio. Bastava pensare al
guadagno.
Ma lui non aveva pensato al guadagno, perché lì,
su quel pianeta morente, da guadagnare non vi era più nulla,
neanche la speranza. Lì, su quel pianeta che già
aveva iniziato a contrarsi su sé stesso come cuore agli
ultimi battiti, il guadagno non lo vedeva. Il sacrificio sì,
invece, il sacrificio lo vedeva eccome. E, per un istante solo, per una
bontà di cuore e per un mero calcolo matematico…
per un battito, per un cuore…
lui aveva detto che no, non serviva ancora il sacrificio, si poteva
anche metterlo da parte, il sacrificio.
Era pura e semplice matematica, di quelle elementari che persino lui
capiva.
A…iu…ta…mi…!
Se c’è un corpo così
com’è, è perché il corpo
serve tutto. Se si nasce con un corpo così,
è perché è così che serve
per vivere bene – spesso, per vivere e basta.
È la regola dei corpi.
Verità biologica inconfutabile: non si sopravvive
con metà corpo amputato. E non occorreva essere una cima per
capirlo, e non occorreva neppure vedere gli organi interni riversi al
suolo come viscidi, enormi, inermi vermi violacei.
Non si sopravvive con metà corpo amputato. Basta formulare
il concetto per avere chiara la risposta, e se poi lo vedi non devi
neppure preoccuparti di rendertene conto.
Non aveva dovuto preoccuparsi di rendersene conto.
Ti…
prego…!
C’era la collera, e c’era l’odio e
c’era il potere straripante. Ma c’era anche quella
realizzazione, quella consapevolezza lampante che attenuava il resto
– non è la consapevolezza che rende tutti umani,
infondo, a dispetto del sangue? – e gli aveva impedito di
accelerare una fine inevitabile: il sacrificio, in qualche modo, era
stato già compiuto, e poco importava che la morte non fosse
ancora arrivata, perché era comunque lì.
Ti…
scon…giuro…!
Aiu…ta…mi…!
C’era stata la collera, e c’era stato
l’odio e c’era stato il potere straripante, ma
c’era stata anche quella consapevolezza che aveva attenuato
il resto e poi… e poi… e poi c’era stata la
pietà.
∞
Goku contava i respiri e contava i minuti, anche se, a conti fatti,
erano solo questi ultimi a pesargli sull’anima. Forse.
Più o meno. Pesavano di dolore, e i respiri pesavano di
colpa e vergogna e tradimento.
“Scusa, Crilin…” pensò,
rivolto ad un amico scomparso da troppo poco tempo perché la
nostalgia avesse già potuto prendere il posto del dolore.
Scomparso da troppo poco, e scomparso per sempre.
Inspirò ed espirò, tremante. Avrebbe accettato,
Crilin, perché era un buon amico, il migliore. Avrebbe
accettato anche se forse non avrebbe capito, come con Vegeta. Lo
avrebbe ammonito e avrebbe cercato di riportarlo alla ragione ma alla
fine si sarebbe comunque fidato di lui perché lui era Crilin, ed
era il suo migliore amico da una vita. O forse… forse non lo
avrebbe ammonito, anche se non avrebbe capito: d’altronde, la
situazione non era come con Vegeta, qui non ci sarebbero state
conseguenze, e non ci sarebbe stato un dopo. Ed era da questi pensieri
che traeva la forza di sradicarsi dai sensi di colpa, ed era per questi
pensieri che si vergognava. Vigliacco, oltre che traditore. Ma era
meglio vergognarsi di sé stessi che delle proprie azioni: i
pensieri, quelli, almeno, si possono nascondere.
Goku contava i respiri e contava i minuti, anche se, a conti fatti, li
stava solo scalando, in una sorta di inesorabile countdown che lo
separava da una coscienza di nuovo – quasi – pulita.
“Basta, quand’è che muori?”
pensò quasi, al colmo della frustrazione e della
disperazione, e si sentì in colpa, per questo. E si
odiò, per quella colpa.
Puoi provare pietà per un nemico morente, ma sentirti in
colpa per una morte che neppure gli hai inflitto, ma che si
è procurato con le sue stesse mani?
Ma Son Goku aveva il cuore tenero, Son Goku era buono, Son Goku aveva
pietà anche verso chi non meritava nulla se non
l’Inferno.
Per questo lo aveva raccolto e lo aveva salvato, per questo, pur
rischiando la vita, era riuscito a raggiungere la sua navicella e a non
lasciarlo ad una sorte che, di certo, era ampiamente meritata.
L’esplosione era stata tremenda ed era stata rossa di fuoco e
sangue: collera e ferite di un mondo al collasso per la superbia di
uno.
La navicella della Capsule Corporation si era ribaltata ed era stata
sparata nello spazio cosmico da quell’onda d’urto
immane che li aveva raggiunti appena oltre la stratosfera. Si era
bruciacchiata e si era capottata e li aveva sballottati come in una
centrifuga, ma aveva retto, perché portava la firma della
famiglia Brief.
Chissà cosa avrebbe detto, Bulma, di quel suo gesto. Ma
Bulma non era lì, era sulla Terra. Bulma, Gohan e Piccolo
erano a casa, erano vivi. Loro, per lo meno, laddove non era riuscito a
proteggerli era riuscito perlomeno a salvarli. Non come Vegeta, non
come Crilin…
‘Stai buono, adesso, e non tentare niente di
strano’ lo aveva ammonito, come se fosse necessario, come se
avrebbe mai più avuto la forza di fare qualsiasi cosa, come
se non fosse già condannato. ‘Troverò
un pianeta dove ti risistemeranno. Resta lì e fatti un esame
di coscienza, almeno per capire fino
a che punto non te lo meriti’.
Era stato duro, ed era stato tagliente. Ma era stato meglio
così, lasciargli credere che avesse delle colpe che avrebbe
fatto in tempo a scontare.
Gli aveva chiesto aiuto, anche se non lo meritava. Ma
d’altronde ‘più del modo in cui si vive
conta il modo in cui si muore’, ed il tiranno non aveva fatto
altro che riprodurre in morte la filosofia con cui era sempre vissuto:
sfruttare le debolezze degli altri per ottenere guadagni immeritati.
Goku, però, non poteva aiutarlo – e forse, in
qualche modo, era grato che questa possibilità gli fosse
preclusa, perché in quel caso no, non voleva immaginare cosa
avrebbe fatto. Non si sopravvive con metà corpo amputato e i
visceri riversi al suolo: verità inconfutabile.
Forse, più giusta sarebbe stata una morte rapida che ponesse
fine alle sue sofferenze, ma di certo, più umana era una
speranza, un’illusione di salvezza.
‘A…iuta…mi…!’.
‘Troverò un pianeta dove ti
risistemeranno’.
…Ed era quanto Goku potesse dargli, perché non si
sopravvive con metà corpo amputato: inutile prestare
l’energia ed accanirsi, non si sopravvive e basta.
Aveva comunque cercato un pianeta che avrebbe potuto aiutarlo
– se ci fosse stato qualcosa da aiutare, una ferita che
necessitasse di medicamenti e non del congedare ogni legge della natura
e della biologia.
E c’era Ethbera, a sedici ore di viaggio da lì.
Non credeva che la navicella sarebbe riuscita a trovare un pianeta, ma
lui non era più un Sayan semplice, lui era un Super Sayan ed
era buono e le aveva percepite, in lontananza, quasi invisibili, delle
minuscole, sfumate forze affini. Erano gentili, erano buone –
troppo, perché il tiranno morente avesse già
potuto averle contaminate. Troppo, perché meritassero di
avere il suolo del loro pianeta contaminato da sangue di mostro.
Ma il mostro non ci sarebbe comunque mai arrivato, dopotutto. A lui
bastava una meta, bastava l’illusione di una speranza, in
attesa della morte.
Aveva spronato i sensori della nave e questi avevano trovato Ethbera.
Era piccola, quella terra, ma ronzava di elettricità quanto
e probabilmente più della sua Terra. Un pianeta libero, e
avanzato.
Lo aveva detto a Freezer.
E sarebbe stato perfetto, se ci fosse stato qualcosa che poteva essere
salvato.
Erano passati… minuti. Quanti,
non avrebbe saputo dirlo. Aveva smesso di contarli, assieme ai respiri.
Ora rimaneva solo lo sfinimento e la disperazione, e poco importava che
quello fosse un nemico, che fosse il nemico. A vederlo
così… forse sarebbe stato davvero più
giusto lasciarlo su Namecc, forse sarebbe stato più umano
porre fine alle sue sofferenze.
Non si sopravvive con metà corpo amputato, ma magari si
resiste alla morte. E, diavolo, Freezer stava resistendo.
Goku lo osservava immobile, appoggiato al generatore gravitazionale al
centro della navicella, con le sopracciglia di nuovo scure e corrugate
e gli occhi sbarrati. Incredibile, c’era più
inquietudine nel veder morire un altro che non sé stesso.
Freezer era immobile laddove era stato gettato dai sussulti della
navicella, dopo che l’aveva lasciato cadere nella foga di
gettarsi sui comandi, e non aveva più avuto il coraggio di
muoverlo. Poco più addietro del torso mozzato, attaccato al
quale rimanevano solo un braccio ed la testa, era stato gettato il
bacino e le gambe e il braccio restante. Perché li avesse
raccolti, ora come ora neppure Goku poteva dirlo, ma forse la ragione
era sempre la stessa: se non puoi salvarlo, lascialo sperare.
Lo osservava da quella posizione addossata al generatore con occhi
carici del riflesso di quell’aggrapparsi ad una vita
già condannata e aspettava – sperava –
che morisse. E che morisse il prima possibile, perché
vederlo lì, rantolare e agonizzare e soffocare nel suo
stesso sangue era quanto di più disturbante avesse mai
visto, ed aveva la netta impressione che ne avrebbe ritrovata traccia,
nei giorni futuri, in un dolore al petto e negli incubi.
Freezer tossì, e gocce di sangue purpureo schizzarono sulle
piastrelle della navicella della Capsule Corporation. Porpora, il
colore degli imperatori giusti e sbagliati.
Era steso a pancia – la metà ancora attaccata al
cuore, perlomeno – in giù, e rantolava per
prendere aria. Il suo respiro non era più quello sibilante e
affannoso di chi tenta di resistere a un dolore, ma affannoso e
gorgogliante di chi sta affogando nel proprio sangue.
Goku non aveva smesso per un solo istante di guardarlo, e non aveva
capito neppure lui perché non fosse riuscito a muoversi da
lì, da quando Namecc morta era rimasta a fluttuare alle loro
spalle come polvere di stelle… Aveva voluto dargli una
speranza, anche se la possibilità di sopravvivere non
c’era, ma perché restarlo a guardare?
Cercò di ignorare la voce della verità che gli
suggeriva la meschina risposta: vedere il momento in cui il tiranno
avrebbe tirato le cuoia avrebbe significato vedere il momento in cui
sarebbe tornato a respirare senza colpa.
Aveva la bocca piena di sangue come un lago, Freezer, e forse anche la
gola. Ad ogni rantolo si smuoveva, formava bolle e piccoli schizzi, ma
non si spostava per lasciarlo respirare. Morire soffocato dal sangue:
degna fine di un tiranno.
Freezer fremette e tossì, uno spasmo istintivo per tentare
di liberare le vie respiratorie, ma quando tentò di
riprendere fiato, quando tentò di…
Sì stupì di sé stesso, Goku.
Più di questo che dell’aver rimandato la morte del
suo nemico, per quello un po’ si conosceva.
Infilò una mano sotto lo sterno del tiranno, sotto quei
muscoli abnormi e innaturali e tesi fino allo spasmo che tremavano di
dolore e sussultavano come lui cercava di respirare; infilò
una mano sotto allo sterno e l’altra gliela premette sulla
fronte e lo sollevò un po’ dal pavimento freddo,
perché il volto fosse girato verso al basso e non
orizzontalmente.
«Sputa» disse, indeciso se Freezer potesse sentirlo
o meno. I suoi occhi erano sbarrati, sottili come spilli, e se il
dolore non l’aveva ancora allontanato del tutto dalla
consapevolezza di sé presto ci avrebbe pensato
l’emorragia. Ma Freezer non era ancora morto, e Goku gli
aveva promesso a voce che lo avrebbe salvato e nella mente che gli
avrebbe dato il conforto della speranza nei suoi ultimi minuti.
Malgrado i sensi di colpa, quello era un regalo che poteva ancora
fargli, per quanto immeritato.
Lo tenne goffamente mentre tossiva, e più che spasmi
muscolari gli parevano convulsioni. No, non era davvero cosciente,
realizzò, o non si sarebbe lasciato toccare.
Non era cosciente e stava sputando sangue a fiotti, quasi un rigurgito
costante e aveva metà corpo amputato. E non si sopravvive,
con metà corpo amputato, anche togliendo
l’incoscienza e l’emorragia.
Ma Goku non lo lasciò, per quanto si sforzasse di toccarlo
solo con le mani ed al colmo del disagio – lo faceva sentire
titubante anche solo mettere una pezza sulla fronte di sua moglie per
abbassarle la febbre, figurarsi assistere Freezer che tossiva e sputava
sangue e aveva metà corpo amputato e le viscere che
fuoriuscivano.
…Ma era quasi
morto, e, finché ci fosse stato quel quasi…
Lo rimise giù con cautela quando si fu calmato, o almeno
così gli pareva. Era così che sopraggiungeva
infine una morte tanto contrastata? Con il tepore dopo le ultime
sofferenze?
«Dai…» sospirò, alzandosi
senza distogliere lo sguardo da lui. «Ti prendo un cuscino e
una coperta».
Non ebbe molto altro tempo da attendere.
Gli ripulì il viso dal sangue con una pezza umida e gli fece
scivolare un cuscino sotto la testa e gli stese il lenzuolo sulle
spalle e su quanto restava del busto.
‘Dormi un po’, finché non
arriviamo’ gli aveva suggerito, goffamente ed inutilmente.
‘Arriveremo su… Etkera…?
Etbera…? Uh … Beh, arriveremo fra qualche ora,
quindi fatti una dormita’.
Aveva da poco voltato le spalle che l’aveva sentito tossire
di nuovo, ed i suoi rantoli diventare più simili ad un
fischio di agonia.
Prima aveva quasi pensato ‘sbrigati a morire’, ma
questa volta non ebbe molto da attendere.
Stava sull’avvicinarsi di nuovo, quando ci fu un ultimo
spasmo più forte ed i muscoli del tiranno si rilassarono e i
suoi occhi si chiusero. Alle percezioni di Goku, il suo ki si spense
come un debole lume inghiottito dalle tenebre.
Il Sayan rimase immobile un istante per la sorpresa, poi
sospirò di un misto di sollievo e compatimento,
perché Freezer voleva davvero continuare a vivere ed aveva
resistito più di quanto chiunque avrebbe mai potuto fare, e
veder morire qualcuno, chiunque fosse, lasciava un po’ di
pietà nel cuore a chiunque l’avesse, un cuore. E
poi, era comunque una vita.
Magari, avrebbe potuto fargli visita all’Inferno, prima o poi.
∞
Lo aveva lasciato lì. Era stato semplice, era stato ovvio.
Era stato giusto.
Freezer era un mostro. Freezer era un genocida. Freezer era un tiranno.
Ma Freezer era anche un figlio e forse era un fratello e
forse… forse aveva una famiglia. E meritava una sepoltura,
nonostante tutto, e la sua famiglia, se ne aveva una, meritava un corpo
da piangere. Solo le bestie infieriscono sui cadaveri.
Per questo non se n’era sbarazzato. Per questo,
ciò che un tempo era stato Freezer, l’aveva
lasciato lì, sul pavimento.
Forse avrebbe trovato il modo di restituirlo, e se non ci fosse
riuscito l’avrebbe sepolto su un pianeta disabitato, magari
anche piacevole all’occhio. Ma non era poi così
importante: l’importante, era che fosse abitato da nulla che
respirasse. Perché Freezer era stato un megalomane, e di
certo avere un intero pianeta come tomba era buono, per un megalomane e
perché… perché nessuna creatura viva,
senziente o meno, meritava di avere la terra su cui era nata
contaminata dal cadavere di quel mostro.
Si svegliò ore più tardi, quando
l’atterraggio su Ethbera era ormai a distanza di qualche
pugno di minuti. Si svegliò infreddolito e fradicio, immerso
nella vasca da bagno, con i polpastrelli raggrinziti e
l’acqua putrida dello sporco che non aveva fatto in tempo a
lavar via prima di cedere alla stanchezza.
Freezer. Lo ricordò con un lampo incoerente, mentre
accendeva il getto dell’acqua calda e toglieva il tappo.
Oltre quella porta, su un pavimento coperto di sangue, c’era
ciò che restava di Freezer. Avrebbe dovuto occuparsene come
prima cosa, ma non aveva cambiato destinazione, prima di decidere di
lavar via il sangue – il sangue di entrambi loro –
e la stanchezza e di cedere all’oblio. Avrebbe dovuto
pensarci, ma non gli era venuto in mente. E ora aveva poco senso,
cambiare destinazione, perché mancavano pochi minuti
– forse un paio d’ore, a Ethbera.
Forse avrebbero potuto conservarlo gli abitanti – un
po’, giusto qualche giorno finché i muscoli non
avessero smesso di dolergli e le ossa, se non guarite, fossero state
abbastanza forti da sorreggerlo di nuovo senza appellarsi al ki. Non
meritavano il cadavere di quel mostro, ma forse avrebbero accettato, ma
se non l’avrebbero fatto li avrebbe di certo capiti. Non
l’avrebbe sepolto lì, però. Neppure se
si fossero offerti, sacrificandosi
per quel che al mostro era sempre mancato e che aveva sempre
disprezzato, la pietà umana.
Freezer non sarebbe stato sepolto su un pianeta abitato, neppure su un
pianeta abitato da meri animali. Perché Freezer era una
condanna senza appello, anche da morto. Perché i suoi
alleati avrebbero potuto volerselo venire a riprendere, o magari
avrebbero voluto farlo i suoi nemici. E se fosse capitato, nessuna
illusione: il pianeta che aveva ospitato il corpo di Lord Freezer, del
tiranno Freezer non avrebbe più avuto nessuna sorte, e chi
lo reclamava sua dimora tanto meno.
Uscì dalla vasca e scese nella stanza di sotto con solo un
asciugamano in vita, con la pelle che sanguinava dai tagli e dalle
abrasioni e dalla ustioni da ki che l’acqua aveva riaperto.
Si massaggiò una spalla, sospirando per impedirsi un gemito.
Dio, Super Sayan o no, non era ridotto bene.
Si vestì e si gettò sul letto sfondato*, fissando
il soffitto. Non aveva voglia di tornare di sopra, perché di
sopra c’era il cadavere di Freezer, e il cadavere di Freezer
gli ricordava le sue colpe verso chiunque avesse sofferto e fosse
scomparso per mano sua, e sul fatto che lui, mostrando pietà
al mostro, avesse quasi sputato, su quelle sofferenze.
Ma almeno… sospirò, almeno ora era finita. Ora
neppure Freezer soffriva più.
Cinque minuti
all’atterraggio sul pianeta Ethbera – condizioni
verificate, favorevoli alla vita terrestre.
La voce registrata, metallica, lo turbò dai propri pensieri
e lo fece sorridere, quasi ridacchiare. Questa era Bulma, poco ma
sicuro: questa era Bulma che lo conosceva e sapeva che non si sarebbe
ricordato di controllare qualcosa di vitale come la composizione
dell’aria, e quindi aveva fatto in modo che
l’annuncio lo avvisasse.
Salì al piano superiore sbadigliando e gemette quando quel
semplice gesto gli mandò una scarica di dolore che
partì dalla mascella agli zigomi alla testa ed al collo. Era
rotto dalla testa ai piedi, accidenti.
Dall’oblò, Ethbera era una terra giallastra e
violacea, a macchie. Più giallo che viola, però.
Chissà se assomigliava alla Terra, malgrado i colori.
Sembrava un luogo pacifico, sembrava un luogo caldo, sembrava un luogo
sicuro. Sembrava un luogo che non meritava di veder atterrare una nave
con il cadavere di Freezer il genocida, a bordo.
Distolse lo sguardo, mentre la nave iniziava le procedure di
atterraggio. Distolse lo sguardo e
vide Freezer.
Non era così che l’aveva lasciato. Non era
così che era morto. Perché Freezer era morto,
perché non si sopravvive con metà corpo amputato
e i visceri riversi al suolo… questo era ovvio, questo lo
sapeva anche lui.
…Ma non era così che l’aveva lasciato.
Freezer aveva la testa poggiata sul cuscino ed ora il cuscino era fra
il mento e le spalle e c’erano strisce purpuree, sangue
spalmato sul pavimento, sotto la sua mano. Come se avesse cercato di
muoversi, come se avesse cercato di strisciare. Ma Freezer era morto,
non poteva essere vivo… Lo aveva visto morire e Freezer
aveva metà corpo amputato e lui non lo sentiva, il suo ki.
Due minuti
all’atterraggio sul pianeta Ethbera – condizioni
verificate, favorevoli alla vita terrestre.
Si avvicinò con cautela, quasi con timore di quel corpo
mutilo.
Mancavano meno di due minuti all’atterraggio su Ethbera, una
terra buona, abitata da energie affini che non meritava di conoscere
neppure il cadavere
di Freezer. L’aveva cercata perché aveva cercato
un pianeta che potesse aiutare Freezer, perché potesse dire
al mostro che l’aveva trovato, perché potesse rassicurarlo, nei
suoi ultimi istanti di vita. L’aveva cercata non
perché Freezer la raggiungesse, ma perché morisse
nel conforto della speranza, non nella disperazione.
Era stata l’unica risposta che gli fosse venuta in mente, di
contro a quell’aiutami rantolato, ed era stato grato che di
scelta non ce ne fosse un’altra. Perché Freezer
era un mostro che non meritava nulla se non la peggiore delle morti e
l’Inferno, ma che si aggrappava alla vita con una ostinazione
quasi folle e Goku… Goku era buono, troppo buono e troppo
pietoso anche con chi non lo meritava affatto e per questo era stato
grato, che Freezer avesse metà corpo amputato.
Perché non si sopravvive con metà corpo amputato,
si muore e basta.
E Freezer era morto, doveva
essere morto, perché se non era
morto… se non era morto…
Esitò e gli sfiorò piano l’unico
braccio che restava, sporco di terra e sudore e sangue rappresi, si
chinò su di lui.
Mancava meno di un minuto all’atterraggio su Ethbera, e
Freezer non respirava. Forse era stato ancora vivo, prima, ma
ora… ora era morto. Ed era giusto così,
perché non si sopravvive con metà corpo amputato,
per questo Goku l’aveva preso con sé: per dargli
conforto prima della morte.
Sospirò, e c’era una nota di sollievo, in quel
sospiro. “Accidenti… che spavento”.
Lo aveva appena pensato.
Mancava meno di un minuto all’atterraggio su Ethbera, quando
lentamente Freezer sollevò le palpebre e, prima di
riabbassarle, lo guardò con occhi vacui ed un gemito sulle
labbra scure impiastricciate di sangue.
Oddio.
–
* Goku sfonda il letto nel suo viaggio verso Namecc, quando ci si butta
di peso senza aver prima disattivato il generatore di
gravità – Dragon
Ball Z, episodio 49, “Vegeta contro Dodoria”.
Campagna
di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona l’8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può
copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)
|
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Capitolo 2 *** Il paradosso del gatto ***
2. Le scelte si fanno in pochi
secondi e si scontano per il tempo restante.
Erano
brava gente, gli ethberiani.
Non
gli avevano fatto neppure una domanda, e lui… lui non aveva
detto niente. Dopotutto, nessuno, specie chi è rimasto un
bambino nel cuore, è impaziente di confessare le proprie
colpe. E non sarebbe stato giusto, ma almeno sarebbe stato naturale, se solo
la colpa fosse stata un’altra, se solo non fosse stato Freezer, se solo loro non fossero
stati Freezer e Goku. Ethbera aveva tutto il diritto di sapere chi
– cosa
– fosse appena atterrato sul suo suolo, ma i suoi abitanti,
loro… loro erano brava gente e quando l’avevano
visto non avevano fatto domande e lui non aveva detto niente.
Erano
brava gente, non avevano bisogno di appellarsi a ragioni per salvare
una vita. Neppure una vita dannata e condannata. Goku cercò
di non chiedersi cosa sarebbe cambiato se l’avessero saputo.
Un’infermiera
spalancò di botto la porta facendolo sussultare, e lo
cercò con gli occhi. Era pallida, sembrava esausta, per
quanto gli riuscisse ancora difficile leggere le espressioni di quei
volti alieni color sabbia, ma la disperazione nei suoi occhi era un
linguaggio universale che non aveva bisogno di venire tradotto.
Corse
per raggiungerlo, e la sua toga, che in un giorno più felice
sarebbe rimasta candida, gocciolò sangue per tutto il
corridoio, al suo passaggio. Goku non riuscì ad impedirsi di
fissarle, quelle gocce, una ad una, ed avrebbe davvero voluto poter
avere una speranza in merito, nel bene o nel male.
«Il
suo amico, sa se è allergico o meno allo Hysteb?»
lo interrogò con una certa urgenza.
Si
riscosse e la guardò come se le fosse spuntata una testa in
più. Se Freezer era allergico a cosa?
«Non… non credo… Io non lo conosco poi
così bene, ma… non credo,
dai…».
La
giovane ethberiana sospirò. «‘Non
credo’ non basta» disse affranta. «Se
gliene diamo e poi è allergico… Siamo
già ben oltre il cosiddetto colpo di grazia».
E
questo era il punto in cui un amico
l’avrebbe guardata con il terrore negli occhi ed il cuore che
perdeva battiti nel petto, era il punto in cui si sarebbe alzato e
l’avrebbe presa per un braccio. ‘Ma se la
caverà, vero?’, avrebbe chiesto un amico.
Ma
Goku scoprì solamente che, oltre la pietà, gli
riusciva molto, molto difficile pregare per la vita di un mostro.
Se
le viscere erano state messe dentro, era perché non
dovessero vedere la luce del sole. Poco ma sicuro. Ancor meno ed ancora
più sicuro: nessuno avrebbe dovuto maneggiare le viscere di
qualcosa che fosse ancora vivo, specie di qualcosa che fosse ancora cosciente.
Lo
avevano allontanato a pochi passi dalla porta di quella che doveva
essere una sala operatoria, spintonandolo via con l’urgenza
chi non ha neppure mezzo secondo da perdere e, se possibile,
è perfino già in conto negativo con le lancette
dell’orologio. Sulla barella, Freezer non aveva
più emesso un suono, neppure quando l’avevano
raccolto; fissava un punto imprecisato con occhi sbarrati ed il volto
segnato dal dolore, e muoveva le labbra e snudava i denti ed apriva la
bocca in modo incoerente, ma Goku non sentiva neppure il suono del suo
respiro. Era una scena grottesca, era una scena spaventosa, era una
scena sbagliata.
‘Lui…’
aveva iniziato, ma aveva anche scoperto di non poter continuare. Per
dire cosa, poi?
Si
era voltato con un sussulto quando un ethberiano gli aveva messo una
mano sulla spalla. Era un maschio, e sembrava più vecchio
degli altri – sempre che avere una maculazione rossa
più estesa sugli avambracci e sulle tempie fosse
effettivamente sinonimo di vecchiaia – e indossava una tunica
differente dalla liscia stoffa sintetica di coloro che avevano preso in
custodia Freezer, più ricca, più ornata e
più pesante.
L’ethberiano
si era fermato e aveva fatto cenno ai medici di iniziare a preparare la
sala senza di lui. Aveva guardato Goku con pietà e
dispiacere, ma quando aveva parlato la sua voce ovattata era stata
ferma e sicura.
‘Può
capitare che si renda necessario un intervento di trapianto
pluriorganico, ma persino nei casi più estremi io lo
sconsiglio. Qualora debba venire coinvolta più del 35% della
massa corporea e del 20% degli organi vitali, persino con le
preparazioni migliori e le cure pre-intervento iniziate per tempo, la
percentuale di successo oscilla fra il 55 ed il 60%’ aveva
spiegato con il tono pratico di chi vuole mettere a nudo la
realtà. ‘Non serve che io faccia notare di quanto,
questa povera creatura, sia ormai fuori asse. Se
l’amputazione fosse stata eseguita clinicamente e secondo le
procedure avrei dato massimo un 30% di probabilità di
sopravvivenza, ma questa è una ferita di guerra e,
benché riconosca la sua straordinaria resistenza laddove una
persona normale non sarebbe durata cinque minuti, credo comunque che,
data la situazione, ci troviamo attorno ad un 10%, forse anche
meno’ aveva esitato ed aveva gettato un occhiata oltre la
porta prima di riportare la propria attenzione su Goku. ‘Non
posso promettere che non morirà fra cinque minuti sul tavolo
operatorio’.
Non
era stato gentile, non nel senso umano del termine, ma era stato
onesto. Lui era stato
onesto, aveva pensato con il cuore. Perché se
qualcuno ti porta davanti ad una creatura con metà corpo
amputato e i visceri riversi al suolo, e ti chiede se per caso non
è possibile fare qualcosa, se nonostante
l’evidenza si sente in dovere di chiedere, allora cosa pensi?
Un amico. Un fratello. Un familiare. Non un assassino, mostro, tiranno,
nemico… chi andrebbe a pensarlo? Ecco la verità:
non si mente solo con le parole, ma anche con i gesti. Ed ecco
l’ironia: non si mente solo con l’intenzione di
mentire, ma anche con il semplice desiderio di fare la cosa
più giusta e umana ed essere onesto, onesto con tutti. Esiste
una parola, per questo: fraintendimento, che diventa inganno, nel
momento in cui non viene corretto. Il dottore l’aveva
frainteso, e lui non l’aveva corretto, e il
dottore… il dottore aveva detto ‘ci
proverò’, ma senza convinzione: non si sopravvive
con metà corpo amputato e i visceri riversi al suolo, ma
c’era un ragazzo che chiedeva aiuto, che sperava ancora per
quella vita – e la speranza è legame. Goku glielo
aveva letto negli occhi e nell’energia vitale.
Anche
l’odio è un legame: forse avrebbe dovuto
spiegarglielo. E correggerlo, quando per Ethbera Freezer era diventato
‘suo amico’. Ma non lo aveva fatto. Il dottore era
stato onesto, era stato umano, aveva deciso di tentare
l’impossibile per salvare un mostro indegno di continuare a
respirare e aveva scelto di essere buono con una creatura mai gli
avrebbe restituito una frazione di gentilezza che non fosse da
intendersi con l’ossimoro di una morta rapida e indolore e lui, l’eroe, non
aveva detto niente.
‘Se
nascondi qualcosa di solito è perché sai che
è sbagliata’ gli aveva detto Chichi una volta.
E
guardando la porta chiudersi alle spalle del medico Goku aveva
sospirato e scosso la testa, cercando di tenere a mente che salvare una
vita, malgrado il passato, le intenzioni e le circostanze non
è mai sbagliato, ostinandosi a non pensare che Chichi, la
sua Chichi… lei aveva sempre ragione, in un modo o
nell’altro.
All’inizio
aveva atteso, contando i minuti – buffo, pareva fosse
destinata a diventargli un’abitudine, negli ultimi tempi. Poi
aveva iniziato a fissare la porta e a dondolare i piedi, annoiato, e
dopo ancora si era alzato ed era quasi ricaduto a sedere notando che
– accidenti – era ancora rotto dalla testa ai piedi
e le gambe non lo reggevano quasi più.
Si
era massaggiato la zazzera nera e sparata con una mano, sospirando
rassegnato.
Magari
sarebbe stato il caso di occuparsi di sé stesso, adesso,
aveva pensato, perché, davvero, ai dottori non serviva a
nulla che ne stesse lì come un cane da guardia, in quel
momento: Freezer non avrebbe combinato proprio un accidente di niente
nello stato in cui si trovava eccetto magari morire, ma, davvero, farlo
adesso sarebbe stato proprio uno scherzo di pessimo gusto.
E
lui aveva bisogno di farsi dare un’occhiata e mettere
qualcosa nello stomaco – non necessariamente in
quest’ordine, però. E, parlando di
ordine… chissà che qualcuno non riuscisse ad
indicargli la mensa dell’ospedale.
Era
tornato quasi tre ore dopo con movimenti e pensieri incerti e
più fasciature che pelle scoperta, cercando con cautela la
porta che aveva lasciato fra tante tutte uguali
‘Non
posso promettere che non morirà fra cinque minuti sul tavolo
operatorio’.
…Ma
la porta era ancora chiusa, e sentiva voci provenire dal suo interno.
Voci agitate e voci tranquille, momenti di silenzio e minuti di passi
affrettati e ordini quasi gridati.
Si
era seduto in silenzio, riprendendo, quasi fosse un gesto dovuto, la
stessa seggiola che aveva abbandonato tempo prima e fissando la porta
in silenzio. Freezer era ancora
vivo. Da quasi venti ore, ormai.
E
dire che il patto silenzioso per il quale l’aveva sottratto
alla morente Namecc – che lui, Freezer, aveva
distrutto – non prevedeva che sopravvivesse, ma solo che
morisse in modo più giusto, più umano…
Aveva ripensato ai genocidi e ai bambini morti e a Gohan che rischiava
la vita e a… e a Crilin,
e si era passato una mano sul viso, quasi sconsolato.
Ingenuo.
Non si sopravvive con metà corpo amputato, verità
universale – ma, a quanto pare, il fatto che Freezer non
avesse l’onore di tener fede ad un patto era un
più che degno avversario nella scala delle affermazioni
inoppugnabili che regolavano l’universo.
Goku
sospirò.
Arrivati
a questo punto aveva la sensazione che fosse quasi ora di dare bandiera
bianca: se Freezer fosse morto… ormai non sapeva
più come pensarla. Sarebbe stato giusto, una giustizia in
mondo che di giusto aveva ben poco, ma… arrivati a questo punto?
Anche se Freezer fosse morto, lui aveva comunque tentato di salvarlo.
Perché prima,
prima c’era stato l’inevitabile, prima Freezer non
sarebbe comunque potuto sopravvivere, perché non si vive con
metà corpo amputato e i visceri riversi al suolo, al massimo
si sopravvive per un po’, ma poi, se lui non avesse cercato
Ethbera, se lui non gli avesse permesso di raggiungerla… ma
era inutile. Aveva
cercato Ethbera – perché, poi, si chiedeva a
lavoro fatto… perché farlo se tanto
Freezer non avrebbe dovuto raggiungerla? – e lui gli aveva permesso di
raggiungerla e lui
lo aveva consegnato alle mani dei medici. Che senso aveva, ormai,
continuare a ripetersi che voleva solo
lasciarlo sperare? Pace fatta con sé stessi: aveva cercato
di salvarlo.
Si
passò una mano fra i capelli.
Ingenuamente,
inconsapevolmente, agendo di anima e non di testa, ma l’aveva
fatto. E anche se Freezer fosse morto, lui aveva comunque cercato di
salvarlo.
E
fosse vissuto, sarebbe vissuto grazie a lui e aveva la netta
– spaventosa – sensazione che avrebbe dovuto
assumersi la responsabilità di quelle sue azioni
sconsiderate, anche se in
che modo non osava neppure provare a trovare il coraggio
di pensarlo.
“Ma
perché mi caccio sempre nei guai?”
pensò levando gli occhi al cielo con uno sguardo che aveva
un che di disperato.
Decise
di venire a patti con l’emicrania che già gli
bussava alle tempie lasciando da parte il dopo in favore
dell’adesso: Freezer era ancora
vivo e forse
sarebbe sopravvissuto, ma adesso era ancora in quella stanza bianca,
adesso non c’era un futuro certo, adesso il Freezer
di domani
era sia vivo che morto, per quel che ne sapeva. Chichi tempo prima gli
aveva detto che qualcuno aveva studiato una situazione simile, una
volta, e forse la cosa sarebbe potuta essere utile alla sua situazione,
ma non l’aveva ascoltata attentamente e non riusciva a
ricordarsi niente di niente; sapeva solo che – forse
– da qualche parte dovesse c’entrarci un
gatto…
Scosse
la testa e sospirò di nuovo, e questa volta c’era
una nota di divertimento, in quel sospiro, mentre un pensiero si
affacciava alla sua mente: male – o bene? – che
andasse, aveva già imparato una cosa su Freezer, almeno.
‘Una
persona normale non sarebbe durata cinque minuti’, ma Freezer
era ancora vivo.
‘Non
posso promettere che non morirà fra cinque minuti sul tavolo
operatorio’, ma Freezer c’era già da
mezza giornata.
Decisamente,
Freezer doveva avere un rapporto molto conflittuale con gli ultimatum
da cinque minuti.
∞
Sussultò
quando si sentì toccare sul braccio.
«Cos…
dottore!» esclamò, svegliandosi di botto dal sonno
in cui era scivolato. «Ha… ehm…
finito?» tentennò, non sapendo bene come porre la
domanda.
L’ethberiano
annuì con espressione grave. «Vieni con me,
ragazzo, è il caso di parlare un attimo a
quattrocchi».
Goku
esitò, grattandosi la testa, confuso. «Come
mai?» chiese, e fece per chiedere anche altro, ma il suo
stomaco lo interruppe con un ringhio rumoroso che li fece bloccare
entrambi. Il Sayan gettò imbarazzato un’occhiata
verso il basso, quasi a voler rimproverare le proprie viscere, e
ridacchiò scompigliandosi ancor di più la zazzera
nera e sparata. «Scusi tanto, di solito quando mi sveglio ho
fame… Non è che mi accompagna in mensa e parliamo
lì?».
Per
tutta risposta l’ethberiano gli gettò un occhiata
moderatamente attonita; solo qualche secondo dopo Goku
realizzò che questa era una situazione simile a quelle per
cui lo rimproverava sempre Chichi a causa del suo comportamento
sconveniente negli incontri con i professori di Gohan.
Il
sorriso sciocco gli scivolò dalla faccia lentamente, quasi
speculare al movimento della mano che ricadde lungo al fianco.
«Ehm, scusi… non volevo mancarle di
rispetto».
Con
suo sollievo il dottore sorrise. «Non è un
problema, lo posso capire, dopo aver passato quasi una giornata intera
in questo corridoio, preoccupato per il tuo
amico…» gli concesse, compassionevole e Goku
dovette usare tutto il suo autocontrollo per non spiegare al dottore
che, guardi, quello è Freezer, ed un mostro psicopatico
e… davvero, ‘amico’ non lo è
neanche un po’. «Ma temo che la mensa sia chiusa a
quest’ora, d’altronde è ormai notte
inoltrata» proseguì il dottore, mentre Goku
gettava una rapida occhiata fuori dalla finestra – accidenti,
ma quanto aveva dormito? «Ti offrirò qualcosa nel
mio ufficio, e intanto discuteremo del quadro generale».
Goku
esitò, rizzando le orecchie per il tono che non pareva
presagire – quasi fosse una novità, negli ultimi
tempi – nulla di buono o di semplice o che – altra novità
– non gli facesse capire di essersi nuovamente messo nella
peggiore situazione immaginabile. «Il quadro generale di
cosa, esattamente?» si azzardò a chiedere, con
cautela.
E
ricevette proprio la risposta che non voleva sentire: «Della
situazione medica, che non è affatto buona».
«…Uhm,
ghafie, dohore»
articolò a fatica il Sayan, la bocca tanto piena che quasi
il suono non riusciva a uscire. Deglutì l’enorme
boccone e riprovò: «Urca, grazie, dottore! Questo
è squisito, che cos’è?»
chiese, ma non diede all’ethberiano il tempo di formulare una
risposta coerente che si ributtò sullo strano pasticcio
verde e terroso, ficcandosene in bocca una cucchiaiata che si
avvicinava più alla mestolata.
Il
medico, seduto rigido dal lato opposto della scrivania ovale, lo
guardava con le labbra serrate e gli occhi sbarrati, tanto immobile che
pareva non respirare neanche. ‘Ma dove metti tutto quel che
mangi?’ era una domanda stampata a lettere cubitali sul viso
maculato.
«P-Prego»
riuscì infine a rispondere meccanicamente. «Lieto
che sia di tuo gradimento, tuttavia credo che sia ora di discutere del
resto, non ti pare?» suggerì cauto –
forse perché, nella mentalità universale,
chiunque mangi con tanta foga non dovrebbe essere interrotto.
L’allegria
sul viso di Goku si attenuò leggermente. Il Sayan
deglutì ed abbasso sul piatto praticamente vuoto sia lo
sguardo che le posate. No, non gli pareva: l’ultima cosa che
gli serviva era di discutere di Freezer, di capire fino a che punto
fosse messo male, di sapere che sarebbe morto, di sapere che sarebbe
vissuto.
Il
medico prese il suo silenzio come un invito a continuare, e quasi di
preventiva, Goku sentì immediatamente il mal di testa che
minacciava di tornare. «Emicorporectomia,
sei famigliare con questo termine medico?».
Goku
batté le palpebre e mosse le labbra per cercare di farsi
rotolare la parola sulla lingua, ma, santo cielo, non era neppure certo
che sarebbe riuscito a leggerla,
figurarsi ripeterla e ricordarla.
«Emicorporectomia»
proseguì il dottore «è una parola
complessa per indicare un particolare tipo di intervento di amputazione
che comprende la perdita totale della parte interiore del corpo;
può dirsi anche ‘amputazione
transolombare’ o ‘transezione corporale’.
L’intervento medio, per quanto di ‘medio’
ci sia poco da parlare quando si tratta di questo tipo di chirurgia,
è una chirurgia radicale in cui il corpo viene amputato
sotto la cintura, e la colonna lombare viene tagliata. Questo porta
alla rimozione di gambe, organi genitali, del sistema urinario,
pelvico, di ossa, ano, e del retto. Si tratta di una procedura
mutilante che, come accennai vagamente prima di iniziare
l’intervento, consiglio solo come ultima risorsa e solo per i
pazienti con malattie gravi e fatali quali osteomieliti, tumori, traumi
gravi» s’interruppe, per accertarsi che il suo
interlocutore lo stesse seguendo.
Goku
sussultò quasi, scavando nel proprio cervello per tirare
fuori qualcosa di intelligente da dire, ma, onestamente, non gli venne
in mente nulla – anche perché si era perso
più o meno a ‘emicorto’…
‘emiorosco’… alla prima parola, ecco
– quindi si limitò ad annuire con aria
moderatamente perplessa pensando che, se le speranze di Freezer
derivavano dalla sua capacità di destreggiarsi in quei
discorsi allora, davvero, neanche Shenron sarebbe riuscito a salvarlo.
Il
dottore parve intercettare i suoi dubbi. «Lasciami finire,
poi ti sarà più chiaro. Stavo dicendo:
solitamente, l’operazione viene svolta in due fasi: nella
prima ci occupiamo di interrompere le funzioni degli apparati
coinvolti, e nella seconda eseguiamo la vera e propria amputazione.
Ammesso che il paziente non muoia sul tavolo operatorio, bisogna
considerare le complicazioni al sistema circolatorio, che viene
dimezzato nella sua ampiezza, e possono esservi danni al cuore, mentre
questo cerca di ristabilizzare la pressione sanguigna; i reni vengono
messi sotto sforzo, ed una morte per emorragia non è una
possibilità ma un rischio pressante ed effettivo e vengono
necessitate trasfusioni costanti… ovviamente, non essendovi
più la muscolatura né gli apparati vitali,
pensare ad una protesi è quasi fantascienza, ma questo
argomento viene toccato solo nel caso in cui il paziente osservato
rientri sia nei pochi trenta su cento a lasciare vivi il tavolo
operatorio che nell’ancor più bassa percentuale di
coloro che riescono, effettivamente, a sopravvivere al post
intervento».
Goku
lo osservava ad occhi sbarrati, grattandosi la testa quasi
meccanicamente. Dire che stava capendo poco e niente era un eufemismo,
e l’unica cosa che riusciva a pensare di aver afferrato era
anche l’unica che sapeva di per certo: che avere
metà corpo amputato non è cosa una buona in
nessun contesto. Però… «Ehm,
scusi…?» azzardò, dubbioso.
«Ma questo perché me lo dice? Insomma, F–orse…
ehm… forse è importante, ma qui abbiamo
già… eh… qualcuno tagliato a
metà, no? Non è che ha dovuto farlo
lei…».
Abbassò
la mano, sperando con tutto il cuore che l’ethberiano non
avesse notato la sua gaffe. Stava per sfuggirgli il nome di Freezer,
perché stava parlando di lui, era normale, lo conosceva, no?
Se conosci qualcuno non lo chiami ‘lui’ o
‘ehi, tu’… ma si era trattenuto. Di
nuovo. E dire che l’occasione era buona, non serviva
nascondere nulla, non c’era la necessità
di nascondere qualcosa, no? Ma lui, di nuovo, non aveva detto niente. Non capiva
da dove gli venisse quell’ostinazione a tenersi per
sé l’identità del paziente, ma non
gli piaceva. Non lo faceva stare bene con sé stesso, lo
faceva sentire in colpa. Fu un sollievo quando il medico riprese a
parlare.
«Tutto
questo per spiegare che genere di operazione complicata sia la semplice
amputazione chirurgica,
un intervento volontario e controllato, eseguito con le procedure di
regole e mezzi sterili, e per farti capire, persino nelle condizioni
migliori, che genere di pericolo comporti. Ma qui, come tu hai
giustamente sottolineato, non stiamo parlando di amputazione, ma del
riattaccare una parte del corpo amputata, cosa che, te lo assicuro,
presenta difficoltà ancor maggiori, specie considerando lo
stato della ferita».
«Era…
sporca?» buttò lì il Sayan, sentendosi
vagamente ridicolo.
«Non
solo» rispose l’altro, poi cambiò
bruscamente argomento: «A che specie appartiene, il mio
paziente?».
Goku
boccheggiò. «Eh, non saprei…»
borbottò, rendendosi conto solo in quel momento del punto:
il suo pianeta natale, Vegeta-sei, era stato distrutto per una
questione di specie,
perché erano Sayan, lui e Vegeta erano entrati nel mirino di
Freezer perché
erano Sayan e Freezer temeva i Sayan. Avevano sofferto a
causa della specie in cui erano nati, erano stati condannati a causa
del loro sangue, e lui, per ironia, non conosceva neppure il nome della
razza che avesse avuto la maledizione di partorire un essere abbietto
come Freezer. Vegeta doveva averlo saputo, ma Vegeta era morto.
«Come
temevo» sospirò il dottore. «Abbiamo
tentato un prelievo di sangue ed uno di midollo spinale, ma
già con il primo esame non abbiamo trovato tracce di
corrispondenza biologica nei nostri archivi. Speriamo
sull’analisi del midollo, ma ne dubito. Se la situazione
clinica fosse diversa manderei dei campioni di tessuto biologico
crioconservato su un pianeta affiliato, a dodici ghuarmts da
Ethbera, ma nel nostro caso è vitale il fattore tempo e
attendere che le operazioni del processo vengano espletate non
è neanche lontanamente attuabile, senza contare che
potrebbero comunque non portare a nulla».
«E…
quindi? È un problema?».
Il
dottore sgranò gli occhi. «Come possiamo curare
qualcuno di cui non conosciamo la biologia? Specie qualcuno nel suo
stato: non possiamo andare a tentativi e vedere come il suo organismo
reagisce ai nostri medicamenti, perché un passo falso
sarebbe fatale, e questo ci preclude molte possibilità che
altrimenti avrei considerato fertili».
Goku
annuì, le sopracciglia vagamente corrugate. Sì,
quello più o meno l’aveva capito.
«Però, mi scusi… Io continuo a non
capire il punto: si riprenderà o no? E come è
andato l’intervento?».
A
quel punto, l’ethberiano sospirò leggermente.
«Sei uno a cui piace la concretezza delle cose, eh?
Parlerò più semplicemente» sorrise.
«Molto bene. Il problema, con la situazione che ci troviamo
fra le mani, è che non possiamo sapere neppure se domattina
sarà ancora vivo né tantomeno fare piani medici a
lungo termine per un recupero, eppure ci stiamo già
torturando il cervello per capire come tirarlo fuori dalle crisi che
potrebbero verificarsi in una prossima settimana che forse non
arriverà neppure a vivere. Abbiamo una diagnosi estremamente
riservata, e incerta. L’intervento, per quanto possibile,
è riuscito, ma non posso promettere che supererà
la notte, per vari motivi: il più urgente e pressante
riguarda il tempo in cui gli arti amputati sono stati separati al resto
del corpo, il processo di deterioramento, seppur in minima parte,
è già iniziato e nessun chirurgo scommetterebbe
sulla possibilità che non
si verifichi una grave forma di infezione, o addirittura di cancrena.
Se dovesse accadere, ci sarà ben poco che io possa fare se
non alleviargli le sofferenze con dei palliativi, ma tenteremo di
prevenire la situazione con una terapia antibiotica aggressiva. Se
supererà i primi giorni, arriveranno altri ostacoli. La
ferita era stata causata da un laser, dico bene?».
Goku
annuì di nuovo, colto di sorpresa dal brusco cambio di
argomento, ricordando con un vago brivido i due dischi laser con
Freezer aveva ossessivamente tentato di ucciderlo, per di
più dopo che già
una volta, a ben pensarci, lui aveva tentato di
risparmiargli la vita. Perfetto, aveva davvero bisogno di
ricordarsi quanto fosse grata la creatura per cui si stava torturando
il cervello con quel casino.
Per
un attimo parve che il medico volesse indagare sul come fosse capitato
il tutto, ma poi qualcosa – forse la stessa titubanza negli
occhi di Goku – lo fece desistere. «Il laser, o per
meglio specificare, alcune delle sue sottovarianti vengono usati anche
in chirurgia. Conosci una proprietà medica del laser? No? Cicatrizza. Ed
è stato questo, probabilmente, a contenere
l’emorragia e a salvarlo: nel momento in cui è
stata inferta, la ferita si è anche cicatrizzata. Ma questo,
se da un lato è stato un vantaggio, dall’altro
è stato un ulteriore danno, perché ci ha
costretti a danneggiare ulteriormente il suo corpo ed i suoi organi
vitali per poterla riaprire ed avere materiale che organico che potesse
ricongiungersi, invece dei due lembi senza sbocco che ci siamo trovati
davanti; in pratica abbiamo dovuto rimuovere millimetri quadrati di
carne da entrambe le parti delle sue mutilazioni. Questo potrebbe
causare emorragie interne, e la situazione richiederà un
monitoraggio costante, oltre alla consapevolezza che potremmo doverlo
riportare d’urgenza in sala operatoria e sinceramente dubito
che potrebbe sopportare un secondo intervento: tieni conto che, oltre
al fisico già provato, ha perso molto sangue e non
conoscendo la sua biologia non possiamo azzardare una trasfusione
sintetica».
Ci
fu un’altra pausa, e Goku annuì per mostrare che
stava perlomeno cercando di seguire il discorso. Il che era un
po’ più facile, almeno, ora che il medico aveva
smesso di mitragliarli il cervello con tutte quelle assurde parole
scientifiche; un po’ più difficile,
d’altro canto, era sentire e comprendere con esattezza quante e quali fossero le
sofferenze che Freezer stava attraversando, provare quella
pietà indesiderata per la sua terribile condizione senza
riuscire ad abbandonare la consapevolezza che, dio, Freezer
avrebbe potuto benissimo rivelarsi un ingrato, tentare di ucciderlo,
tentare di uccidere il dottore e tutti gli innocenti e loro, loro che
l’avevano salvato, gli ethberiani, che erano brava gente
che si trovava in pericolo a causa di quella sua maledetta, sbagliata
pietà. Strinse i pugni in grembo, lottando per non chiedersi
cosa si provasse ad uccidere la creatura a cui si è salvato
la vita.
«Ma
togliendo anche il danno principale ci sono molte altre ferite che
necessiteranno di un intervento medico» proseguì
il dottore, ed il Sayan vide una vaga disperazione nei suoi occhi
mentre iniziava il secondo elenco dei danni. «Abbiamo
fratture varie, contusioni, uno sterno praticamente in frantumi e
costole che dire ridotte in schegge è un eufemismo, ed
inoltre la massa muscolare è in sovratensione, i tessuti
sono lacerati e molti tendini non hanno fatto una fine migliore. Per
risolvere questo problema lo abbiamo già intubato, tenteremo
di invertire il processo sovratensione tramite una serie di impulsi
elettrici» il dottore fece un’altra breve pausa,
poi riprese a parlare con tono sinceramente addolorato. «Non
posso fare una prognosi per un recupero, ma posso dire, sempre ammesso
che sopravviva, che sarà lungo e doloroso e dovremo
sottoporlo ad altri interventi, con l’andare dei mesi, e
forse degli anni».
Anni. Goku
sentì uno strano agitarsi nello stomaco, denso e sgradevole.
Anni. Freezer avrebbe impiegato anni
a guarire. Cosa avrebbe significato questo, per lui, per quella
situazione? Freezer non poteva restare solo con sé stesso.
Non con il suo potere, non con la sua indole, neppure se era
debilitato… ma se non poteva restare solo, se doveva essere
tenuto sotto controllo, se
doveva ricevere cure costanti…
“Dovrò
restare qui con lui?” si chiese con una punta di
disperazione, sentendo un macigno nel petto. Non voleva, davvero, non
voleva assolutamente. Ma che scelta avrebbe avuto? Lottò per
cercare una soluzione, ma Freezer… diavolo, Freezer non era
affidabile, neppure un po’, e uccidere il tiranno non per le
atrocità che aveva commesso, ma perché dopo
averlo salvato si era reso conto le sue condizioni di salute glielo
avrebbero reso scomodo… quello sarebbe stato atroce. Non lo
avrebbe reso migliore dell’essere che condannava.
«E
poi» proseguì il medico ethberiano, e, perso
com’era nei suoi pensieri, Goku quasi non lo
sentì. Col senno del poi, sarebbe stato meglio.
«Rimarrebbero le conseguenze del danno al midollo
spinale».
Goku
rizzò di scatto la testa, fissandolo ad occhi sbarrati. Non
ne sapeva quasi nulla di medicina, certo, ma una volta, in ospedale,
non aveva sentito dire…? Non ci aveva pensato. Aveva visto
Freezer con metà corpo tranciato, sapeva che aveva
metà corpo tranciato, ma non gli era venuto in mente, non ci
aveva pensato, di nuovo
non aveva pensato. «Ma… se il midollo
spinale si rompe, poi non si rimane…?».
«Se
sopravvivrà e il suo corpo sarà abbastanza forte
più avanti nel tempo forse potremo tentare una serie di
interventi di ricostruzione del midollo spinale, ma sì, ora
come ora la paraplegia non è un rischio, ma una
certezza».
–
Attenzione:
il discorso medico e le terminologie presenti in questo capitolo sono
state trattate in maniera ovviamente semplicistica; se fra di voi
c’è un dottore a cui ho fatto prendere una crisi
epilettica mi scuso, ma, capitemi, è una fanfiction che sto
cercando di incastrare fra studio e lavoro. Ho fatto ricerche per
trovare le informazioni di cui ho fatto uso (improprio, temo) in questo
capitolo, ma non è proprio il mio campo.
In realtà, temo che questo capitolo mi sia uscito un
po’ noioso, proprio a causa di tutto il discorso medico, ma,
capitemi, avevo bisogno di provare almeno, a spiegare qualcosa da quel
punto di vista.
Campagna
di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa
pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori!
Chiunque voglia aderire a tale iniziativa, può
copia-incollare questo messaggio dove meglio crede.
(© elyxyz)
|
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Capitolo 3 *** Il riflesso del Mercante di Vite ***
3.
Un uomo è fatto di scelte e di circostanze. Nessuno ha
potere sulle circostanze, ma ognuno ne ha sulle proprie scelte.
Ci sono cose
che un belonefobico non dovrebbe vedere, mai, e per svariate ragioni.
Ragione uno: gli aghi, un belonefobico, se li sente nella carne appena
li vede, non importa che abbiano già trovato nido in
un’altra pelle; ragione uno, parte due: a vedere quegli aghi
– quelle decine di aghi, che però sembrano
più centinaia
– e a vederli in un’altra pelle, ma ad
immaginarseli nella propria, il belonefobico prova un immediato,
inevitabile senso di empatia ibridato a paura. Da lì alla
pietà, il passo è breve.
Fissava il
volto del suo nemico, di quel nemico che era anche il nemico del mondo.
Solo il volto. Il resto del corpo no, per carità, no. Lo
aveva visto nel complesso un istante appena, e tanto gli era bastato;
lo aveva visto dalla porta, da lontano, e si era coperto gli occhi ed
era voluto scappare, e lo avrebbe fatto, se non fosse stato che la
linea diretta fra lui e la fuga da quella scena raccapricciante passava
attraverso o sopra il dottore ethberiano.
Sembrava un
film dell’orrore. E non era la carne gonfia e tumefatta e
violacea, non erano i punti di sutura o le bende sporche di sangue o il
moncherino della coda che non era stato riattaccato del tutto,
perché mancava ancora un pezzo che era rimasto su Namecc;
non era il respiratore, il tubo infilato giù per la gola che
forzava i polmoni a prendere aria.
Era la
schiena, era la vita. Dio, sembrava agopuntura, sembrava un film
dell’orrore.
Aveva tremato.
Il dottore di Ethbera l’aveva guardato con preoccupazione e
cautela, perché aveva gli occhi sbarrati di una preda in
gabbia troppo terrorizzata anche solo per nascondersi.
Freezer era
steso sulla schiena in un baldacchino di fili e flebo. Poteva quasi
sembrare un letto d’ospedale o una sedia molto inclinata, ma
doveva esserci uno spacco, nel centro dello schienale,
perché entravano gli aghi, da lì, dritti nella
schiena di Freezer, dalla base del collo alla radice della coda, in
più e più file; lo schienale
s’interrompeva all’altezza della vita per poco
più di una spanna, e lì c’era un intero
anello di più file di aghi piantate attorno allo squarcio di
bisezione, alcune file sopra ed alcune file sotto. Era stato fatto
passare anche quel che restava della coda, attraverso quello spacco, e
anche il moncherino non era stato risparmiato…
A vederlo
poteva quasi ricordare un porcospino, in qualche modo; a lui aveva solo
fatto pensare a… non sapeva neppure lui cosa. In
realtà, non aveva pensato proprio a niente, in quel momento.
Dio, era orribile, era spaventoso.
«Elettrostimolatori»
aveva spiegato il dottore, dandogli una ragione per distogliere lo
sguardo da quello spettacolo raccapricciante. «Cerchiamo di
convincere il suo corpo a riaccettare la parte amputata».
∞
Si
svegliò fissando un soffitto bianco e metallico e solcato da
sottili linee ondulate, e gli ci volle ben più di un secondo
per rendersi di essere in ospedale alieno e non a casa, sui Paoz, con
Gohan e Chichi e una tavola imbandita di ogni bendidio che sua moglie
avesse avuto voglia ci cucinare, e Crilin a cena a casa loro e Piccolo
e…
Crilin era
morto. Piccolo… Piccolo gli piaceva pensare che si fosse
salvato, ma Piccolo aveva un buco nel cuore, l’ultima volta
che l’aveva visto. E lui non era a casa, lui era su Ethbera,
e non c’era nessuno che ridesse, su Ethbera. E
c’era Freezer, su Ethbera. Da qualche parte, qualche piano
più in su, c’era Freezer, se era an… era vivo. Si
passò una mano sul viso, dal mento alla tempia e poi fra i
capelli neri e scompigliati. Dio, Freezer era vivo. L’aveva
salvato lui, che non era riuscito a salvare Crilin e Vegeta, e Piccolo,
che se era vivo non lo doveva certo a lui. Non era riuscito a salvare
il proprio migliore amico e chi aveva protetto e cresciuto suo figlio
in sua assenza, ma chi li aveva uccisi… lui
l’aveva salvato. Il mostro, l’aveva salvato eccome.
Si
tirò su a sedere con un sospiro, e le sue costole incrinate
protestarono, quasi a dargli un altro ricordo più diretto di
cosa gli avesse fatto passare quella creatura che respirava ancora solo
a causa sua.
«Buongiorno, Son Goku».
C’era
un che di comico nel modo in cui sollevò lo sguardo, senza
inghiottire l’enorme boccone che gli gonfiava le guance o
raddrizzare la schiena. «Oh, dohore!»
biascicò, poi inghiottì e ritentò.
«Dottore! Salve! Ha… ehm… bisogno di
me?».
«Che
tu possa crederlo o no, parte del contratto di un medico è
l’obbligo di ritagliarsi qualche minuto per
mangiare».
Il sorriso di
Goku si allargò mentre il dottore sedeva difronte a lui e
posava un vassoio sul tavolo. «Questo è
giustissimo!».
Fu il dottore
a rompere il silenzio, qualche minuto dopo. «Ieri
è stata una giornataccia».
Goku
s’infilò un boccone in bocca, masticando
lentamente ed osservando con cautela l’ethberiano. Alla fine
annuì.
Il dottore
ripeté il gesto in modo meccanico, sovrappensiero.
«Sì, certo…»
mormorò.
Gli occhi del
Sayan ricaddero sul suo piatto. Il dottore voleva chiedergli qualcosa,
e lui lo sapeva. Sarebbe stato semplice, nella sua natura, uscirsene
con ‘Ha bisogno di qualcosa?’, ma… Freezer. Non voleva
tornare a parlare di Freezer, a pensare a Freezer. Freezer gli
martellava in testa come un pensiero fisso anche senza che ci pensasse
il dottore.
Quando
l’ethberiano posò le posate con un vago tintinnio,
Goku irrigidì leggermente la mascella. Presentimento,
aspettativa, inevitabilità… era un po’
come quando faceva qualcosa che Chichi non sopportava, e lui sapeva che
lei non lo sopportava e che si sarebbe arrabbiata, quindi la sfuriata
se l’aspettava, quando alla fine arrivava.
«Ieri
nessuno ha avuto né il tempo né le energie di
fare domande» iniziò infine il dottore.
«Ma io ho
bisogno di sapere chi sia quella creatura, Son Goku. Ho
notato come tu abbia evitato di darmi qualsiasi informazione a
riguardo».
«Non
farà del male a nessuno, glielo prometto su quello che
vuole!» gettò le mani avanti, Goku, con uno
slancio che si spense un istante dopo aver pronunciato quelle parole,
resosi conto di aver appena confermato i peggiori sospetti
dell’alieno seduto difronte a lui.
Ma questi
annuì di nuovo, lentamente e senza distogliere lo sguardo
dagli occhi neri del Sayan. «Mi sembri una brava persona,
Goku» osservò lentamente. «Chiamala
deformazione professionale, ma chiunque lotti a tal punto per salvare
qualcuno deve esserlo, almeno ai miei occhi. Ma questo non fa che
fortificare la mia necessità di sapere la verità:
perché ti sei sentito in dovere di dirmi che non avrebbe
fatto del male a nessuno? Io non ho mai toccato questo argomento. Cosa
devo presumere?».
Quanto
può essere lungo un minuto, quanto rumore si può
percepire nelle orecchie a dispetto di un silenzio assoluto e denso?
Goku non guardava l’ethberiano negli occhi e non toccava
posate. C’era una scheggia di crosta di pane, proprio sul
bordo del tavolo, e traballava, in bilico fra il piano ed il vuoto.
Quanto a lungo
si può difendere un nemico, quanto a lungo si può
ingannare un innocente? C’era il timore, ma c’era
la giustizia e forse era davvero ora di lasciar cadere la maschera. La
prima crepa, d’altronde, già l’aveva
aperta. Forse… Lui aveva salvato Freezer, lui sapeva cosa fosse Freezer
e sapeva che nessuno, nessuno del tutto sano o che non fosse mostro
avrebbe accettato di curare il mostro. E lui… lui
l’aveva salvato, ma non era stato programmato, non era stato
quello il piano: il suo piano sarebbe dovuto terminare con un cadavere.
Non aveva voluto salvarlo, ma non aveva neppure voluto ucciderlo, e
confessare la verità adesso, confessarsi adesso…
quello significava ucciderlo, perché nessuno del tutto sano
avrebbe salvato un mostro. Ma forse… forse…
C’era il timore, ma c’era la giustizia, e forse era
davvero ora che Freezer si scontrasse con le proprie colpe.
«Lui…
non è una brava persona» ammise infine. E, dio,
era una minimizzazione tanto grande da sfiorare l’ennesima
bugia. «E non è mio amico. A dire il vero non
l’ho conosciuto molto prima di lei, sa, non l’avevo
mai visto prima di due giorni fa: ho dovuto combatterlo per salvare i
miei amici… è stato allora che ha…
ehm… perso il controllo della sua stessa tecnica e si
è, beh… ridotto… così».
«È
a causa sua che sei lontano dal tuo pianeta natale?».
La domanda era
inaspettata, e Goku piegò leggermente la testa di lato
mentre cercava di rimettere in ordina i pensieri. Era a causa sua, di
Freezer? No, no… Loro erano andati su Namecc per cercare le
Sfere del Drago, e lui era andato dopo perché i suoi amici
erano in pericolo a causa… Corrugò le
sopracciglia, ricordando perché era partito con tanta
urgenza. All’epoca non aveva mai sentito nominare Freezer,
quindi non ci aveva mai pensato, né ne aveva avuto il tempo
o il modo, ma sì: era stato a causa di Freezer. Era iniziata
con Vegeta e Nappa sulla Terra, che avevano ucciso Yamcha Thenshinhan e
Jaozi, che si era sacrificato, ma Vegeta e Nappa erano iniziati con le
Sfere del Drago, con Radish, e Radish aveva detto di essere
lì perché commerciava pianeti. Allora non lo
sapeva, e non aveva fatto il collegamento dopo, ma era… dio,
era così. La sua morte, Gohan costretto ad allenarsi e a
faticare e a sacrificare la propria innocenza, le lacrime di Chichi, le
lacrime di Bulma, le morti e i sacrifici e la paura… tutto
era iniziato con Freezer, tutto il male era venuto da Freezer, in un
modo o nell’altro.
«Io…
immagino di sì. Cioè… non proprio, non
è esattamente partita da lui».
«Ha
invaso il tuo pianeta natale?» chiese in un soffio il
dottore, e nei suoi occhi era riflesso il dolore di chi sa e ha vissuto.
Goku fece di
no con la testa. «Non è stato lui, è
stato… un altro» si corresse: pensare a Radish
come a suo fratello era quasi insopportabile. «L’ho
eliminato, ma quelli che sono venuti dopo erano molto più
forti e hanno fatto molti più danni, così per
rimediare i miei amici sono partiti verso il pianeta Namecc.
All’inizio non sono potuto andare con loro, ma li ho
raggiunti dopo. L’ho incontrato lì, mentre voleva
conquistare Namecc, e l’ho combattuto e sconfitto».
«Dunque,
correggimi se sbaglio, non siete in rapporti amichevoli,
tutt’altro».
Goku
annuì. «Già»
sospirò. «A dire il vero non mi stupirei se
cercasse di nuovo di uccidermi, ma non si preoccupi!»
esclamò, sollevando un pugno con aria combattiva ed un
sorriso determinato. «Sono sicuro di poterlo tenere a bada se
dovesse provare a fare qualche sciocchezza!».
Terminò
la frase ridacchiando, ma un istante dopo non ridacchiava
più ed un istante dopo ancora abbassava il braccio ed il
pugno e lasciava che il sorriso gli scivolasse via dalla faccia, il
peso dalle spalle, perché ecco, ecco,
gliel’aveva alla fine detto, al dottore: aveva infilzato il
mostro sotto al letto, e poi l’aveva tirato fuori per
metterlo dentro
al letto, e nella stanza accanto c’erano suo figlio e sua
moglie e tutti gli innocenti ed in una stanza accanto ancora tutte le
vittime del mostro, una piramide di cadaveri ancora caldi.
Gliel’avrebbe detto, il dottore, come gliel’avrebbe
detto Crilin, se Crilin avesse potuto ancora dire qualsiasi cosa:
brutta scelta, Goku, bruttissima scelta. Non si salvano i mostri, i
mostri mordono anche con la museruola, lo trovano il modo, stanne certo.
«Mi
ha chiesto aiuto» sospirò, guardando il dottore
con occhi dispiaciuti, come se fosse un motivo ragionevole, come se la
sua fosse stata una scelta sensata, come se fosse abbastanza per
convincere qualcuno a rischiare. «Sa, non avevo in mente di
salvarlo, ma mi ha chiesto aiuto, e io…».
Il dottore
sorrise. «Non credere che non lo sappia. È il
dovere di un medico, dopotutto, aiutare tutti coloro che soffrono senza
fare distinzioni».
Era
ciò che voleva sentirsi dire, scoprì: non essere
l’unico a dar qualche valore alla vita di un mostro.
Rizzò le orecchie e guardò l’ethberiano
con malcelata speranza. «Allora a lei non importa?».
«Non
gli rifiuterò le cure che gli sono dovute, no, ma è
rilevante, vorrei che tu te ne rendessi conto» disse il
medico, guardandolo gravemente. «Ho il timore, Goku, che tu
stesso non ti sia reso completamente conto di chi sia questa creatura,
né coloro che hanno invaso il tuo pianeta natale».
Il Sayan lo
guardò battendo due volte le palpebre, perplesso. Lui sapeva
chi era quello, davvero,
se c’era una cosa che gli era ben chiara di quella storia era
proprio chi diavolo fosse il demonio che aveva salvato.
L’ethberiano
sospirò. «Non so da dove tu venga, Son Goku, ma mi
dai l’idea di sapere poco, molto poco, di un mostro di nome
Freezer».
«Eh…?»
inarcò un sopracciglio, piegando la testa di lato, sempre
più perplesso. Beh, si disse, lo aveva definito mostro, ma
perlomeno non aveva tirato fuori la forca…
«Sai
chi è questo?».
«Eh?».
Sembrava un
vecchio ritaglio di una immagine stampata, ed era completamente
accartocciato, rovinato. Il dottore glielo fece scivolare sul tavolo,
schiacciandolo sotto una mano per appiattirlo, ma era inutile:
c’erano crepe, increspature impossibili da cancellare e da
rimuovere; doveva essere stato tirato fuori più e
più volte ancora, disteso e riaccartocciato senza cura e
senza rispetto, come spazzatura.
Rimosse la
mano e Goku lo guardò: c’erano occhi rossi a
restituire il suo sguardo piuttosto curioso e vagamente perplesso,
occhi rossi, taglienti e crudeli, leggermente socchiusi in un sorriso
che del sorriso vero non aveva nulla, neppure una parvenza di parodia.
Aveva due leggere rughe d’espressione agli angoli della bocca
e la mano sinistra sollevata quasi timidamente davanti alle labbra, con
le dita piegate in un atteggiamento che poteva quasi ricordare quello
d’una nobildonna, ma che della leggiadra innocenza non
possedeva nulla più di quanta fosse la sincerità
di quel suo sorriso artefatto. Goku raccolse il foglietto per
avvicinarlo agli occhi, ed intanto faceva scorrere lo sguardo sulla
conformazione ossea che avvolgeva il capo della creatura come un elmo,
sulle corna nere, brutali e lisce come quelle di un demone, sulla pelle
rosa pallidissimo del volte e della mano e sulla colorazione
più scura delle guance. Era una femmina? Qualcosa, come un
istinto, gli diceva che la postura e l’eleganza
dell’alieno erano ingannevoli. Cercò il suo petto,
ma la fotografia s’interrompeva prima e… e quella
era la divisa di Vegeta e di Ginew, era la divisa dell’impero
di Freezer! Ma cosa… chi era?
Il dottore
ethberiano lo strappò alle sue osservazioni. «Non
ho molto tempo, temo» disse, gettando un’occhiata
ad una schermata a muro che doveva essere un orologio. Goku lo
guardò distrattamente, ma quelli non erano numeri per quel
che lo riguardasse, proprio no. «…ma ti
darò qualche rapida lezione. Lezione uno: chi ti parla di
‘Lord’ Freezer è tutto
fuorché amico della libertà. Freezer non
è un Lord, se non nel suo Impero corrotto. Freezer
è un mostro, un essere inumano. Qui lo chiamiamo il Mercante
di Vite, perché più o meno è quello
che fa: trova un pianeta, e se gli piace lo conquista e lo rivende, e
quelli della popolazione che non può usare per ampliare la
file del suo esercito vengono ridotti in schiavitù o
venduti, o entrambi. E se un pianeta non gli piace… Nella
sua mente tutto esiste per uno scopo, e quello scopo è
essere utile o gradevole a lui. E sei esisti per uno scopo, e poi
quello scopo perde peso tu non esisti più, punto. Ci sono
dicerie, voci, secondo le quali sia l’essere più
potente dell’universo; si dice che possa far scomparire
pianeti interi con una sola imposizione della sua mano».
Goku strinse
la mascella e le sue dita si contrassero, spiegazzando ancor di
più il ritaglio che teneva ancora in mano. Lo sapeva,
maledizione, lo sapeva benissimo. Radish già glielo aveva
detto, e poi aveva visto lo stesso Freezer all’opera e aveva
provato sulla sua pelle la filosofia distorta di
quell’essere:
Che
ne diresti di lavorare per me? Sarebbe uno spreco ucciderti…
«Chi
lo segue» proseguì l’ethberiano.
«…non lo fa mai per reale fedeltà.
Molti lo fanno per terrore, perché rendersi utili ai suoi
occhi significa tenere in vita la propria famiglia. Lo so, Goku,
perché ne ho incontrate, di quelle creature. Alcuni
continuano a servirlo fino alla morte, e sono i disperati; altri, i
più coraggiosi, disertano alla prima occasione e cercano
rifugio presso altri eserciti, e sono quelli che spesso credono di non
avere più nulla da perdere. Ma molti sono parassiti,
scalatori sociali, che baciano i suoi piedi solo per vanagloria o
prospettiva di guadagno o perché sono esattamente come lui.
C’è stata una razza intera ormai estinta, quella
dei Sayan, che si era unita a lui proprio per questo: amavano
distruggere e conquistare, erano vermi, ingordi di gloria e assetati di
sangue. Freezer poteva dar loro tutto questo, e loro avevano visto nel
suo potere una rampa di lancio perfetta. Erano mostri, ma Freezer lo
era di più: li ha spazzati via tutti, dal primo
all’ultimo, e solo quel cane rognoso, figlio di quello che
una volta era stato il Re, il ‘Principe’
è stato risparmiato e continua a uccidere e
saccheggiare… il suo piccolo animaletto domestico, il trofeo
di Freezer».
Era strano,
disagiante, quasi spaventoso sentir parlare della propria razza dal
dottore. Gliene aveva parlato già Radish, e poi Re Kaioh,
Vegeta e, santo cielo, anche Freezer si era più volte
premurato di tornare sull’argomento, ma questo…
Questo era la razza Sayan vista dagli occhi di un innocente, di una
creatura normale, e se prima aveva provato di disgusto ed era stato
doloroso, ora era persino peggio. Ora lo sentiva quel
disgusto e quell’odio che gli cadeva addosso assieme alle
parole, ed era indirizzato a lui, solo a lui, riguardava lui, che era
l’ultimo dei Sayan.
«Il
Principe dei Sayan è morto» disse prima di
riuscire a trattenersi. «Era fra quelli che sono morti su
Namecc».
L’ethberiano
sussultò sotto l’impatto di quella notizia, poi
piegò leggermente la testa di lato e sorrise, un sorriso
come Goku non l’aveva mai visto, lento e sgradevolissimo e
malevolo. «Buon per l’universo» rispose.
«E se è morto annegato nel suo stesso sangue,
piangendo e strisciando come un patetico verme, allora esiste ancora
della giustizia divina in questo mondo a catafascio».
Goku lo
guardò turbato, gettando la testa all’indietro.
Ricordava la morte di Vegeta, tanto quanto ricordava quella di Crilin.
Bastava chiudere gli occhi ed erano lì, impresse a fuoco
dietro alle palpebre. La ricordava bene e non c’era niente di
cui rallegrarsi, perché era stata una morte orrenda,
ingiusta, e non capiva come l’ethberiano potesse esserne
rallegrato, proprio lui, che aveva appena detto che il suo dovere era salvare delle vite
e che era disposto a curare persino Freezer.
Fu uno strano
suono ad impedirgli di parlare. Risuonò nella mensa e nei
corridoi: Ko–dlong,
ko–dlong.
L’ethberiano
voltò immediatamente la testa, scrutando gli angoli della
mensa e il soffitto, in attesa.
Dottor
Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.
«…Temo
che il dovere mi reclami, dovremo continuare la nostra conversazione in
un altro momento» sospirò il medico, alzandosi
rapidamente da tavolo con un gesto fluido. «Non temere, non
ha nulla a che fare con il nostro… non amico: il
paziente dell’A59 è un meccanico di
astronavi… ha quasi perso un braccio durante una
riparazione» lo informò, quasi serenamente.
«Lo
ha ucciso Freezer» lo disse tutto d’un tratto alla
schiena del dottore, e non seppe neppure lui perché.
Valedo si
fermò di colpo e si voltò verso di lui,
guardandolo perplesso.
«Vegeta,
il Principe dei Sayan, lo ha ucciso Freezer: ero
lì» insistette.
Non sapeva
cosa volesse, non sapeva che reazione si aspettasse, ma il modo in cui
l’ethberiano sgranò gli occhi e dischiuse la
bocca, lo shock totale sul suo volto furono inaspettati. Sembrava
paralizzato lì e fissava Goku come se avesse visto un
fantasma; Goku sosteneva il suo sguardo con occhi determinati e pugni
chiusi.
Ko–dlong,
ko–dlong.
Dottor
Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.
Il dottore
sussultò e si riscosse, gettò un occhiata al
soffitto ed una alla porta d’uscita, ma non
sfrecciò via come Goku si sarebbe aspettato:
riportò lo sguardo su di lui, aveva gli occhi sbarrati.
«Tu…»
sussurrò, e mosse un passo nella direzione del Sayan. Gli
strappò di mano il foglietto e lo tenne sollevato,
l’immagine rivolta verso Goku. Lo agitò, quasi
volesse essere sicuro che vi concentrasse tutta la sua attenzione.
«Tu hai visto… Freezer era su Namecc?».
…Eh?
Goku
batté le palpebre e si piegò appena in avanti,
guardando il dottore ethberiano ad occhi sgranati. La sua
perplessità era totale mentre sollevava l’indice
della mano destra a grattarsi piano la guancia. Guardava Valedo e
guardava l’immagine, pensava a Freezer e
all’assurdità della domanda appena ricevuta ed in
lui iniziava a torcersi il vago presentimento d’aver
tralasciato qualche importante tassello di quella conversazione.
«Ehm…
beh… è ovvio…?»
riuscì ad articolare dopo qualche istante.
«Insomma, è per colpa sua che poi non siamo potuti
rimanere su Namecc e siamo dovuti venire qui: stava esplodendo
perché Freezer ha deciso di distruggere tutto il pianeta,
quando le cose per lui si sono messe male».
E stava per
chiedere cosa centrasse quella creatura cornuta ed effemminata con
Freezer, ma udire le ultime parole della frase parve illuminare il
dottore dall’interno. «‘Messe
male’?» indagò subito, e c’era
una sorta di avidità maligna, nel fondo della sua malcelata
eccitazione. «Freezer stesso ne è uscito
danneggiato?».
Goku
batté le palpebre e la sensazione di aver tralasciato
davvero qualcosa di importante, di importantissimo, tornò a
martellargli contro le tempie. Perché il dottore
l’aveva visto, Freezer, l’aveva ricucito pezzo per
pezzo e non era stato certo neppure lui che sarebbero bastati i
medicamenti e i punti di sutura a tenerlo insieme, e dato che
l’aveva visto che senso aveva una domanda simile?
«Sai
perché porto sempre una foto di Freezer, in tasca, quando
lavoro?» chiese tutto d’un tratto il dottore, dando
una leggera scossa al foglietto.
Una foto
di…? Goku non ebbe neppure il tempo di assimilare il
concetto, né di fare nulla che non fosse il guardare
inebetito il foglietto e quella maledetta figura rosata e cornuta e
pensare che no, un
momento, Freezer?
«…Fbrenha,
il pianeta a cui ho inviato un campione del sangue della creatura che
tu hai tratto in salvo non è sempre stato l’unico
pianeta affilato ad Ethbera» riprese il dottore, cambiando
bruscamente discorso. «Ve n’era un altro, si
chiamava Vochdre. Era più lontano, a quasi trecentoundici ghuarmts da
Ethbera. Quando è stata scattata questa foto lavoravo
lì come infermiere, anni fa, e io c’ero, il giorno
in cui ‘Lord’ Freezer venne a farci visita: il
pianeta rientrava… rientrava
nei suoi interessi, disse così. Propose un
accordo, e Vochdre accettò» parlava e la sua voce
traboccava d’odio e disgusto e impotenza. «Sette
mesi dopo Vochdre non esisteva più. Io tornai a casa pochi
giorni dopo aver saputo che il pianeta si sarebbe alleato a Freezer, ed
è per questo che oggi vivo ed ho in tasca questa fotografia:
Freezer è venuto a distruggerci.
L’ha
fatto sorridendo, promettendo un futuro migliore. Funziona
così, per quel che lo riguarda, nulla è
insostituibile, neppure le vite di coloro che lo servono
fedelmente». Accennò con un movimento del capo
all’alto, oltre il soffitto, e prese un respiro profondo e
mise la fotografia ritagliata sul tavolo, proprio davanti ad un sempre
più inebetito Goku. «Porto questa foto con me per
ricordarmi, davanti a qualcuno che non riesco a salvare, feriti,
martiri e vittime di guerra, che alla domanda
‘perché capita tutto questo’
c’è una risposta, ed ha un volto e un
nome».
Ko–dlong,
ko–dlong.
Dottor
Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.
«Temo
di dover davvero scappare, ma la tua notizia mi hai rallegrato la
giornata, Son Goku. Spero, un giorno, di poter udire anche la notizia
della sua morte».
Lo
salutò con cenno del capo e lo lasciò
lì imbambolato in mezzo alla mensa, con quella fotografia
stropicciata sul tavolo.
Goku si
grattò la testa e gettò un’occhiata in
tralice alla figura nella foto. «Tu ridi, ma io non ci ho
capito niente, sai?».
∞
«Poi
mi dovrai spiegare perché il dottore crede che questo sia
tu» lo informò Goku con un vago brontolio,
agitando l’immagine stropicciata che teneva stretta fra
l’indice ed il medio.
Dal letto,
nessuna risposta, e sotto un certo punto di vista era persino meglio.
Non erano passate che poche ore da che si era trovato per la prima
volta in quella stanza, al cospetto di quello spettacolo
raccapricciante ed era quasi voluto scappare, e niente era cambiato:
non gli aghi o la carne violacea e gonfia e tumefatta, non i fili o il
respiratore infilato giù per la trachea, e quindi era meglio
che Freezer continuasse a dormire. Niente sofferenza, niente dolore,
niente sangue in bocca o sulle bende o nei polmoni, niente ferite
riaperte, niente collera o spergiuri. Davvero, meglio che continuasse a
dormire per un po’ di tempo, ancora. Di risvegliarsi in una
condizione come quella in cui si trovava, Goku non lo augurava neppure
a lui. Di trovarselo davanti, sveglio e ferito e furibondo, senza una
mezza parola pensata o un mezzo motivo, senza un mezzo piano per
gestire la situazione… decisamente non lo augurava a
sé stesso, questo.
Ficcò
in tasca la fotografia e poggiò le mani sul bordo del
comodino metallico su cui si era appollaiato, dondolando le gambe,
agitato e pensieroso. Qualche istante dopo voltò nuovamente
la testa verso il nemico sconfitto.
«Almeno
te li meritassi, tutti i casini che sto facendo per tenerti in
vita» rognò con una vaga punta
d’ostilità, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
«Spero proprio che ti dimostrerai un po’
più ragionevole di quanto lo sei stato su Namecc,
perché già così io non so davvero
perché voglio aiutarti».
Balzò
giù dal comodino e si avvicinò di qualche passo
al letto. Estrasse e avvicinò l’immagine al volto
di Freezer, provò a immaginarselo sorridere, parlare,
spergiurare… Sospirò e rificcò in
tasca il foglietto.
Erano brava
gente, gli ethberiani, non si meritavano il suo silenzio, però…
«Immagino
che abbiano tutto il diritto di odiarti, di non volerti
salvare».
Sembrava
passata un’eternità, potevano essere passate ore.
La stanza era silenziosa e immobile nella luce artificiale, nella
temperatura regolata, nel ronzio delicato dei macchinari.
Fissava un
punto davanti a sé, cercando di mettere in ordine i
pensieri, e c’è chi dice che iniziando sei
già a metà dell’opera, ma
l’unica cosa che riusciva a pensare era che se solo ci fosse Bulma.
Bulma era intelligente e sapeva sempre cosa fare, era molto
più intelligente di lui, molto più di tutti loro,
ed era ancora viva. Bulma era viva, era sulla Terra ed era
maledettamente fuori portata, come tutti i volti, i vivi ed i morti,
che l’avevano accompagnato e consigliato fino a quel punto,
no, prima di quel punto, perché se ci fossero stati,
lì con lui su Namecc, forse l’avrebbe fatto
ragionare ed avrebbero impedito tutto quel casino. Niente Bulma,
quindi. E Chichi… pensare a Chichi lo faceva pensare a casa,
e la reazione di Chichi, oh, quella…
Sbuffò
per non mettersi a ridacchiare, ma poi ridacchiò comunque,
con una mano schiaffata sulla bocca ed un'altra stretta sulle costole
doloranti, con una mezza isteria e quell’immagine
stampata nel cranio. Cielo, poteva praticamente vederla, sua moglie che
non strillava, no – quello l’avrebbe fatto, poco ma
sicuro, ma dopo – ma che realizzava la situazione con occhi
sgranati e la bocca ridotta ad una linea sottile e poi prendeva una
lieve rincorsa, come al rallentatore, una lieve rincorsa e la padella
in mano e spiccava un salto e… Oddio, Freezer non
l’avrebbe mai
schivata. Troppo assurdo e troppo inaspettato e troppo maledettamente
doloroso, lui lo sapeva bene. E sapeva bene anche, come una sensazione,
che altri si sarebbero chiesti se fosse effettivamente normale essere nel
più grande e pericoloso casino immaginabile e ridacchiare
immaginando la propria moglie terrestre menare padellate sulla testa
del essere più spietato e crudele dell’universo,
ma…
Si
calmò e sorrise, levando la testa verso il soffitto. Faceva
incredibilmente bene pensare a casa, ricordare casa, dove tutto aveva
una soluzione.
Quando si
voltò a guardare Freezer non sorrideva più, era
impossibile guardare Freezer e sorridere.
Spero,
un giorno, di poter udire anche la notizia della sua morte.
«Se
lo sa, sei morto, Freezer» disse all’aria con voce
cupa.
Ma Freezer era morto,
stabilì un istante dopo guardando la figura mutila e
pallidissima distasa nel letto, tenuta in vita da meri pezzi di
metallo. Era già morto, non serviva che smettesse di
respirare. Morire significava anche altre cose: significava finire la
vita e, poco ma sicuro, la vita di Freezer era finita, in un modo
o nell’altro. Niente Freezer il Tiranno, niente Freezer il
Mercante di Vite. Capitolo chiuso, non avrebbe mai permesso che
ricapitasse. E se quel
Freezer era morto, allora andava bene. Niente bugie: questo era un
altro Freezer, non gli avrebbe permesso di tornare ad essere quel Freezer,
questo era un altro Freezer, non lo era diventato chiedendogli aiuto,
no di certo, ma se non poteva essere quello di prima sarebbe dovuto
diventare qualcos’altro, poco ma sicuro.
Dopotutto, o
si cambia o si muore.
–
Dunque…
ringrazio tutti coloro che sono arrivati in fondo a questo capitolo,
malgrado il colossale ritardo e la trama non esattamente popolare. Se
volete, lasciatemi un’opinione, e se potete, arrivati a
questo punto, non scappate via. Da qui in poi, se Goku si ricorda il
copione e vossignoria
Lord
Freezer decide di farmi
contenta degnandosi di dare una scorsa al suo, le cose dovrebbero
movimentarsi, o quantomeno diventare interessanti. Perché
sono in vena di chiacchiere, oggi? Perché a me piace il
Lunedì, e questo è il terzo capitolo –
3 è un numero bello.
Ah, il dottore
– temo di non essere stata sufficientemente chiara, ma questo
capitolo è stato un parto – è convinto
che Freezer sia un semplice sottoposto di, beh, Freezer.
Campagna
di Promozione Sociale - Messaggio No Profit.
Dona
l’8‰ del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice
milioni di scrittori!
Chiunque
voglia aderire a tale iniziativa, può copia-incollare questo
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