Pietatis Causa

di Oblakom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La regola dei corpi ***
Capitolo 2: *** Il paradosso del gatto ***
Capitolo 3: *** Il riflesso del Mercante di Vite ***



Capitolo 1
*** La regola dei corpi ***


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Pietatis Causa







1. Nella vita ci possono essere scelte che se farai sai già che ti pentirai, e se non farai non ti perdonerai mai.



Avrebbe potuto lasciarlo lì. Sarebbe stato semplice, sarebbe stato ovvio. Forse, in qualche modo, sarebbe persino stato giusto. Se non giusto, almeno necessario; se non necessario, inevitabile.
E dire che ne aveva avute di ragioni per voltare le spalle, e non erano nemmeno poche. Anzi, erano molte, moltissime. Più di quante lui stesso riuscisse a richiamare alla mente, ora, con i muscoli dolenti e il respiro affannoso e gli occhi sbarrati ed increduli. Decisamente, più di quante avrebbe avuto bisogno – di quante chiunque avrebbe avuto bisogno – di metterne sul piatto per dire che sì, : il sacrificio valeva tutto il guadagno e anche di più.
E forse avrebbe davvero dovuto farlo – di certo avrebbe dovuto farlo. Era semplice, era chiaro, era ovvio. Bastava pensare al guadagno.
Ma lui non aveva pensato al guadagno, perché lì, su quel pianeta morente, da guadagnare non vi era più nulla, neanche la speranza. Lì, su quel pianeta che già aveva iniziato a contrarsi su sé stesso come cuore agli ultimi battiti, il guadagno non lo vedeva. Il sacrificio sì, invece, il sacrificio lo vedeva eccome. E, per un istante solo, per una bontà di cuore e per un mero calcolo matematico… per un battito, per un cuore… lui aveva detto che no, non serviva ancora il sacrificio, si poteva anche metterlo da parte, il sacrificio.
Era pura e semplice matematica, di quelle elementari che persino lui capiva.

A…iu…ta…mi…!

Se c’è un corpo così com’è, è perché il corpo serve tutto. Se si nasce con un corpo così, è perché è così che serve per vivere bene – spesso, per vivere e basta.
È la regola dei corpi.
Verità biologica inconfutabile: non si sopravvive con metà corpo amputato. E non occorreva essere una cima per capirlo, e non occorreva neppure vedere gli organi interni riversi al suolo come viscidi, enormi, inermi vermi violacei.
Non si sopravvive con metà corpo amputato. Basta formulare il concetto per avere chiara la risposta, e se poi lo vedi non devi neppure preoccuparti di rendertene conto.
Non aveva dovuto preoccuparsi di rendersene conto.

Ti… prego…!

C’era la collera, e c’era l’odio e c’era il potere straripante. Ma c’era anche quella realizzazione, quella consapevolezza lampante che attenuava il resto – non è la consapevolezza che rende tutti umani, infondo, a dispetto del sangue? – e gli aveva impedito di accelerare una fine inevitabile: il sacrificio, in qualche modo, era stato già compiuto, e poco importava che la morte non fosse ancora arrivata, perché era comunque .

Ti… scon…giuro…! Aiu…ta…mi…!

C’era stata la collera, e c’era stato l’odio e c’era stato il potere straripante, ma c’era stata anche quella consapevolezza che aveva attenuato il resto e poi… e poi… e poi c’era stata la pietà.



Goku contava i respiri e contava i minuti, anche se, a conti fatti, erano solo questi ultimi a pesargli sull’anima. Forse. Più o meno. Pesavano di dolore, e i respiri pesavano di colpa e vergogna e tradimento.
“Scusa, Crilin…” pensò, rivolto ad un amico scomparso da troppo poco tempo perché la nostalgia avesse già potuto prendere il posto del dolore. Scomparso da troppo poco, e scomparso per sempre.
Inspirò ed espirò, tremante. Avrebbe accettato, Crilin, perché era un buon amico, il migliore. Avrebbe accettato anche se forse non avrebbe capito, come con Vegeta. Lo avrebbe ammonito e avrebbe cercato di riportarlo alla ragione ma alla fine si sarebbe comunque fidato di lui perché lui era Crilin, ed era il suo migliore amico da una vita. O forse… forse non lo avrebbe ammonito, anche se non avrebbe capito: d’altronde, la situazione non era come con Vegeta, qui non ci sarebbero state conseguenze, e non ci sarebbe stato un dopo. Ed era da questi pensieri che traeva la forza di sradicarsi dai sensi di colpa, ed era per questi pensieri che si vergognava. Vigliacco, oltre che traditore. Ma era meglio vergognarsi di sé stessi che delle proprie azioni: i pensieri, quelli, almeno, si possono nascondere.
Goku contava i respiri e contava i minuti, anche se, a conti fatti, li stava solo scalando, in una sorta di inesorabile countdown che lo separava da una coscienza di nuovo – quasi – pulita.
“Basta, quand’è che muori?” pensò quasi, al colmo della frustrazione e della disperazione, e si sentì in colpa, per questo. E si odiò, per quella colpa.
Puoi provare pietà per un nemico morente, ma sentirti in colpa per una morte che neppure gli hai inflitto, ma che si è procurato con le sue stesse mani?
Ma Son Goku aveva il cuore tenero, Son Goku era buono, Son Goku aveva pietà anche verso chi non meritava nulla se non l’Inferno.
Per questo lo aveva raccolto e lo aveva salvato, per questo, pur rischiando la vita, era riuscito a raggiungere la sua navicella e a non lasciarlo ad una sorte che, di certo, era ampiamente meritata.

L’esplosione era stata tremenda ed era stata rossa di fuoco e sangue: collera e ferite di un mondo al collasso per la superbia di uno.
La navicella della Capsule Corporation si era ribaltata ed era stata sparata nello spazio cosmico da quell’onda d’urto immane che li aveva raggiunti appena oltre la stratosfera. Si era bruciacchiata e si era capottata e li aveva sballottati come in una centrifuga, ma aveva retto, perché portava la firma della famiglia Brief.
Chissà cosa avrebbe detto, Bulma, di quel suo gesto. Ma Bulma non era lì, era sulla Terra. Bulma, Gohan e Piccolo erano a casa, erano vivi. Loro, per lo meno, laddove non era riuscito a proteggerli era riuscito perlomeno a salvarli. Non come Vegeta, non come Crilin…

‘Stai buono, adesso, e non tentare niente di strano’ lo aveva ammonito, come se fosse necessario, come se avrebbe mai più avuto la forza di fare qualsiasi cosa, come se non fosse già condannato. ‘Troverò un pianeta dove ti risistemeranno. Resta lì e fatti un esame di coscienza, almeno per capire fino a che punto non te lo meriti’.
Era stato duro, ed era stato tagliente. Ma era stato meglio così, lasciargli credere che avesse delle colpe che avrebbe fatto in tempo a scontare.
Gli aveva chiesto aiuto, anche se non lo meritava. Ma d’altronde ‘più del modo in cui si vive conta il modo in cui si muore’, ed il tiranno non aveva fatto altro che riprodurre in morte la filosofia con cui era sempre vissuto: sfruttare le debolezze degli altri per ottenere guadagni immeritati.
Goku, però, non poteva aiutarlo – e forse, in qualche modo, era grato che questa possibilità gli fosse preclusa, perché in quel caso no, non voleva immaginare cosa avrebbe fatto. Non si sopravvive con metà corpo amputato e i visceri riversi al suolo: verità inconfutabile.
Forse, più giusta sarebbe stata una morte rapida che ponesse fine alle sue sofferenze, ma di certo, più umana era una speranza, un’illusione di salvezza.
‘A…iuta…mi…!’.
‘Troverò un pianeta dove ti risistemeranno’.
…Ed era quanto Goku potesse dargli, perché non si sopravvive con metà corpo amputato: inutile prestare l’energia ed accanirsi, non si sopravvive e basta.

Aveva comunque cercato un pianeta che avrebbe potuto aiutarlo – se ci fosse stato qualcosa da aiutare, una ferita che necessitasse di medicamenti e non del congedare ogni legge della natura e della biologia.
E c’era Ethbera, a sedici ore di viaggio da lì.
Non credeva che la navicella sarebbe riuscita a trovare un pianeta, ma lui non era più un Sayan semplice, lui era un Super Sayan ed era buono e le aveva percepite, in lontananza, quasi invisibili, delle minuscole, sfumate forze affini. Erano gentili, erano buone – troppo, perché il tiranno morente avesse già potuto averle contaminate. Troppo, perché meritassero di avere il suolo del loro pianeta contaminato da sangue di mostro.
Ma il mostro non ci sarebbe comunque mai arrivato, dopotutto. A lui bastava una meta, bastava l’illusione di una speranza, in attesa della morte.
Aveva spronato i sensori della nave e questi avevano trovato Ethbera. Era piccola, quella terra, ma ronzava di elettricità quanto e probabilmente più della sua Terra. Un pianeta libero, e avanzato.
Lo aveva detto a Freezer.
E sarebbe stato perfetto, se ci fosse stato qualcosa che poteva essere salvato.

Erano passati… minuti. Quanti, non avrebbe saputo dirlo. Aveva smesso di contarli, assieme ai respiri. Ora rimaneva solo lo sfinimento e la disperazione, e poco importava che quello fosse un nemico, che fosse il nemico. A vederlo così… forse sarebbe stato davvero più giusto lasciarlo su Namecc, forse sarebbe stato più umano porre fine alle sue sofferenze.
Non si sopravvive con metà corpo amputato, ma magari si resiste alla morte. E, diavolo, Freezer stava resistendo.
Goku lo osservava immobile, appoggiato al generatore gravitazionale al centro della navicella, con le sopracciglia di nuovo scure e corrugate e gli occhi sbarrati. Incredibile, c’era più inquietudine nel veder morire un altro che non sé stesso.
Freezer era immobile laddove era stato gettato dai sussulti della navicella, dopo che l’aveva lasciato cadere nella foga di gettarsi sui comandi, e non aveva più avuto il coraggio di muoverlo. Poco più addietro del torso mozzato, attaccato al quale rimanevano solo un braccio ed la testa, era stato gettato il bacino e le gambe e il braccio restante. Perché li avesse raccolti, ora come ora neppure Goku poteva dirlo, ma forse la ragione era sempre la stessa: se non puoi salvarlo, lascialo sperare.
Lo osservava da quella posizione addossata al generatore con occhi carici del riflesso di quell’aggrapparsi ad una vita già condannata e aspettava – sperava – che morisse. E che morisse il prima possibile, perché vederlo lì, rantolare e agonizzare e soffocare nel suo stesso sangue era quanto di più disturbante avesse mai visto, ed aveva la netta impressione che ne avrebbe ritrovata traccia, nei giorni futuri, in un dolore al petto e negli incubi.

Freezer tossì, e gocce di sangue purpureo schizzarono sulle piastrelle della navicella della Capsule Corporation. Porpora, il colore degli imperatori giusti e sbagliati.
Era steso a pancia – la metà ancora attaccata al cuore, perlomeno – in giù, e rantolava per prendere aria. Il suo respiro non era più quello sibilante e affannoso di chi tenta di resistere a un dolore, ma affannoso e gorgogliante di chi sta affogando nel proprio sangue.
Goku non aveva smesso per un solo istante di guardarlo, e non aveva capito neppure lui perché non fosse riuscito a muoversi da lì, da quando Namecc morta era rimasta a fluttuare alle loro spalle come polvere di stelle… Aveva voluto dargli una speranza, anche se la possibilità di sopravvivere non c’era, ma perché restarlo a guardare? Cercò di ignorare la voce della verità che gli suggeriva la meschina risposta: vedere il momento in cui il tiranno avrebbe tirato le cuoia avrebbe significato vedere il momento in cui sarebbe tornato a respirare senza colpa.
Aveva la bocca piena di sangue come un lago, Freezer, e forse anche la gola. Ad ogni rantolo si smuoveva, formava bolle e piccoli schizzi, ma non si spostava per lasciarlo respirare. Morire soffocato dal sangue: degna fine di un tiranno.
Freezer fremette e tossì, uno spasmo istintivo per tentare di liberare le vie respiratorie, ma quando tentò di riprendere fiato, quando tentò di…
Sì stupì di sé stesso, Goku. Più di questo che dell’aver rimandato la morte del suo nemico, per quello un po’ si conosceva.
Infilò una mano sotto lo sterno del tiranno, sotto quei muscoli abnormi e innaturali e tesi fino allo spasmo che tremavano di dolore e sussultavano come lui cercava di respirare; infilò una mano sotto allo sterno e l’altra gliela premette sulla fronte e lo sollevò un po’ dal pavimento freddo, perché il volto fosse girato verso al basso e non orizzontalmente.
«Sputa» disse, indeciso se Freezer potesse sentirlo o meno. I suoi occhi erano sbarrati, sottili come spilli, e se il dolore non l’aveva ancora allontanato del tutto dalla consapevolezza di sé presto ci avrebbe pensato l’emorragia. Ma Freezer non era ancora morto, e Goku gli aveva promesso a voce che lo avrebbe salvato e nella mente che gli avrebbe dato il conforto della speranza nei suoi ultimi minuti.
Malgrado i sensi di colpa, quello era un regalo che poteva ancora fargli, per quanto immeritato.
Lo tenne goffamente mentre tossiva, e più che spasmi muscolari gli parevano convulsioni. No, non era davvero cosciente, realizzò, o non si sarebbe lasciato toccare.
Non era cosciente e stava sputando sangue a fiotti, quasi un rigurgito costante e aveva metà corpo amputato. E non si sopravvive, con metà corpo amputato, anche togliendo l’incoscienza e l’emorragia.
Ma Goku non lo lasciò, per quanto si sforzasse di toccarlo solo con le mani ed al colmo del disagio – lo faceva sentire titubante anche solo mettere una pezza sulla fronte di sua moglie per abbassarle la febbre, figurarsi assistere Freezer che tossiva e sputava sangue e aveva metà corpo amputato e le viscere che fuoriuscivano.
…Ma era quasi morto, e, finché ci fosse stato quel quasi…
Lo rimise giù con cautela quando si fu calmato, o almeno così gli pareva. Era così che sopraggiungeva infine una morte tanto contrastata? Con il tepore dopo le ultime sofferenze?
«Dai…» sospirò, alzandosi senza distogliere lo sguardo da lui. «Ti prendo un cuscino e una coperta».

Non ebbe molto altro tempo da attendere.
Gli ripulì il viso dal sangue con una pezza umida e gli fece scivolare un cuscino sotto la testa e gli stese il lenzuolo sulle spalle e su quanto restava del busto.
‘Dormi un po’, finché non arriviamo’ gli aveva suggerito, goffamente ed inutilmente. ‘Arriveremo su… Etkera…? Etbera…? Uh … Beh, arriveremo fra qualche ora, quindi fatti una dormita’.
Aveva da poco voltato le spalle che l’aveva sentito tossire di nuovo, ed i suoi rantoli diventare più simili ad un fischio di agonia.
Prima aveva quasi pensato ‘sbrigati a morire’, ma questa volta non ebbe molto da attendere.
Stava sull’avvicinarsi di nuovo, quando ci fu un ultimo spasmo più forte ed i muscoli del tiranno si rilassarono e i suoi occhi si chiusero. Alle percezioni di Goku, il suo ki si spense come un debole lume inghiottito dalle tenebre.
Il Sayan rimase immobile un istante per la sorpresa, poi sospirò di un misto di sollievo e compatimento, perché Freezer voleva davvero continuare a vivere ed aveva resistito più di quanto chiunque avrebbe mai potuto fare, e veder morire qualcuno, chiunque fosse, lasciava un po’ di pietà nel cuore a chiunque l’avesse, un cuore. E poi, era comunque una vita.
Magari, avrebbe potuto fargli visita all’Inferno, prima o poi.



Lo aveva lasciato lì. Era stato semplice, era stato ovvio. Era stato giusto.
Freezer era un mostro. Freezer era un genocida. Freezer era un tiranno. Ma Freezer era anche un figlio e forse era un fratello e forse… forse aveva una famiglia. E meritava una sepoltura, nonostante tutto, e la sua famiglia, se ne aveva una, meritava un corpo da piangere. Solo le bestie infieriscono sui cadaveri.
Per questo non se n’era sbarazzato. Per questo, ciò che un tempo era stato Freezer, l’aveva lasciato lì, sul pavimento.
Forse avrebbe trovato il modo di restituirlo, e se non ci fosse riuscito l’avrebbe sepolto su un pianeta disabitato, magari anche piacevole all’occhio. Ma non era poi così importante: l’importante, era che fosse abitato da nulla che respirasse. Perché Freezer era stato un megalomane, e di certo avere un intero pianeta come tomba era buono, per un megalomane e perché… perché nessuna creatura viva, senziente o meno, meritava di avere la terra su cui era nata contaminata dal cadavere di quel mostro.

Si svegliò ore più tardi, quando l’atterraggio su Ethbera era ormai a distanza di qualche pugno di minuti. Si svegliò infreddolito e fradicio, immerso nella vasca da bagno, con i polpastrelli raggrinziti e l’acqua putrida dello sporco che non aveva fatto in tempo a lavar via prima di cedere alla stanchezza.
Freezer. Lo ricordò con un lampo incoerente, mentre accendeva il getto dell’acqua calda e toglieva il tappo. Oltre quella porta, su un pavimento coperto di sangue, c’era ciò che restava di Freezer. Avrebbe dovuto occuparsene come prima cosa, ma non aveva cambiato destinazione, prima di decidere di lavar via il sangue – il sangue di entrambi loro – e la stanchezza e di cedere all’oblio. Avrebbe dovuto pensarci, ma non gli era venuto in mente. E ora aveva poco senso, cambiare destinazione, perché mancavano pochi minuti – forse un paio d’ore, a Ethbera.
Forse avrebbero potuto conservarlo gli abitanti – un po’, giusto qualche giorno finché i muscoli non avessero smesso di dolergli e le ossa, se non guarite, fossero state abbastanza forti da sorreggerlo di nuovo senza appellarsi al ki. Non meritavano il cadavere di quel mostro, ma forse avrebbero accettato, ma se non l’avrebbero fatto li avrebbe di certo capiti. Non l’avrebbe sepolto lì, però. Neppure se si fossero offerti, sacrificandosi per quel che al mostro era sempre mancato e che aveva sempre disprezzato, la pietà umana.
Freezer non sarebbe stato sepolto su un pianeta abitato, neppure su un pianeta abitato da meri animali. Perché Freezer era una condanna senza appello, anche da morto. Perché i suoi alleati avrebbero potuto volerselo venire a riprendere, o magari avrebbero voluto farlo i suoi nemici. E se fosse capitato, nessuna illusione: il pianeta che aveva ospitato il corpo di Lord Freezer, del tiranno Freezer non avrebbe più avuto nessuna sorte, e chi lo reclamava sua dimora tanto meno.

Uscì dalla vasca e scese nella stanza di sotto con solo un asciugamano in vita, con la pelle che sanguinava dai tagli e dalle abrasioni e dalla ustioni da ki che l’acqua aveva riaperto. Si massaggiò una spalla, sospirando per impedirsi un gemito. Dio, Super Sayan o no, non era ridotto bene.
Si vestì e si gettò sul letto sfondato*, fissando il soffitto. Non aveva voglia di tornare di sopra, perché di sopra c’era il cadavere di Freezer, e il cadavere di Freezer gli ricordava le sue colpe verso chiunque avesse sofferto e fosse scomparso per mano sua, e sul fatto che lui, mostrando pietà al mostro, avesse quasi sputato, su quelle sofferenze.
Ma almeno… sospirò, almeno ora era finita. Ora neppure Freezer soffriva più.

Cinque minuti all’atterraggio sul pianeta Ethbera – condizioni verificate, favorevoli alla vita terrestre.

La voce registrata, metallica, lo turbò dai propri pensieri e lo fece sorridere, quasi ridacchiare. Questa era Bulma, poco ma sicuro: questa era Bulma che lo conosceva e sapeva che non si sarebbe ricordato di controllare qualcosa di vitale come la composizione dell’aria, e quindi aveva fatto in modo che l’annuncio lo avvisasse.
Salì al piano superiore sbadigliando e gemette quando quel semplice gesto gli mandò una scarica di dolore che partì dalla mascella agli zigomi alla testa ed al collo. Era rotto dalla testa ai piedi, accidenti.
Dall’oblò, Ethbera era una terra giallastra e violacea, a macchie. Più giallo che viola, però. Chissà se assomigliava alla Terra, malgrado i colori. Sembrava un luogo pacifico, sembrava un luogo caldo, sembrava un luogo sicuro. Sembrava un luogo che non meritava di veder atterrare una nave con il cadavere di Freezer il genocida, a bordo.
Distolse lo sguardo, mentre la nave iniziava le procedure di atterraggio. Distolse lo sguardo e vide Freezer.

Non era così che l’aveva lasciato. Non era così che era morto. Perché Freezer era morto, perché non si sopravvive con metà corpo amputato e i visceri riversi al suolo… questo era ovvio, questo lo sapeva anche lui.
…Ma non era così che l’aveva lasciato. Freezer aveva la testa poggiata sul cuscino ed ora il cuscino era fra il mento e le spalle e c’erano strisce purpuree, sangue spalmato sul pavimento, sotto la sua mano. Come se avesse cercato di muoversi, come se avesse cercato di strisciare. Ma Freezer era morto, non poteva essere vivo… Lo aveva visto morire e Freezer aveva metà corpo amputato e lui non lo sentiva, il suo ki.

Due minuti all’atterraggio sul pianeta Ethbera – condizioni verificate, favorevoli alla vita terrestre.

Si avvicinò con cautela, quasi con timore di quel corpo mutilo.
Mancavano meno di due minuti all’atterraggio su Ethbera, una terra buona, abitata da energie affini che non meritava di conoscere neppure il cadavere di Freezer. L’aveva cercata perché aveva cercato un pianeta che potesse aiutare Freezer, perché potesse dire al mostro che l’aveva trovato, perché potesse rassicurarlo, nei suoi ultimi istanti di vita. L’aveva cercata non perché Freezer la raggiungesse, ma perché morisse nel conforto della speranza, non nella disperazione.
Era stata l’unica risposta che gli fosse venuta in mente, di contro a quell’aiutami rantolato, ed era stato grato che di scelta non ce ne fosse un’altra. Perché Freezer era un mostro che non meritava nulla se non la peggiore delle morti e l’Inferno, ma che si aggrappava alla vita con una ostinazione quasi folle e Goku… Goku era buono, troppo buono e troppo pietoso anche con chi non lo meritava affatto e per questo era stato grato, che Freezer avesse metà corpo amputato. Perché non si sopravvive con metà corpo amputato, si muore e basta.
E Freezer era morto, doveva essere morto, perché se non era morto… se non era morto…
Esitò e gli sfiorò piano l’unico braccio che restava, sporco di terra e sudore e sangue rappresi, si chinò su di lui.
Mancava meno di un minuto all’atterraggio su Ethbera, e Freezer non respirava. Forse era stato ancora vivo, prima, ma ora… ora era morto. Ed era giusto così, perché non si sopravvive con metà corpo amputato, per questo Goku l’aveva preso con sé: per dargli conforto prima della morte.
Sospirò, e c’era una nota di sollievo, in quel sospiro. “Accidenti… che spavento”.

Lo aveva appena pensato.
Mancava meno di un minuto all’atterraggio su Ethbera, quando lentamente Freezer sollevò le palpebre e, prima di riabbassarle, lo guardò con occhi vacui ed un gemito sulle labbra scure impiastricciate di sangue.

Oddio.










* Goku sfonda il letto nel suo viaggio verso Namecc, quando ci si butta di peso senza aver prima disattivato il generatore di gravità – Dragon Ball Z, episodio 49, “Vegeta contro Dodoria”.




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Capitolo 2
*** Il paradosso del gatto ***





2. Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante.




Erano brava gente, gli ethberiani.
Non gli avevano fatto neppure una domanda, e lui… lui non aveva detto niente. Dopotutto, nessuno, specie chi è rimasto un bambino nel cuore, è impaziente di confessare le proprie colpe. E non sarebbe stato giusto, ma almeno sarebbe stato naturale, se solo la colpa fosse stata un’altra, se solo non fosse stato Freezer, se solo loro non fossero stati Freezer e Goku. Ethbera aveva tutto il diritto di sapere chi – cosa – fosse appena atterrato sul suo suolo, ma i suoi abitanti, loro… loro erano brava gente e quando l’avevano visto non avevano fatto domande e lui non aveva detto niente.
Erano brava gente, non avevano bisogno di appellarsi a ragioni per salvare una vita. Neppure una vita dannata e condannata. Goku cercò di non chiedersi cosa sarebbe cambiato se l’avessero saputo.

Un’infermiera spalancò di botto la porta facendolo sussultare, e lo cercò con gli occhi. Era pallida, sembrava esausta, per quanto gli riuscisse ancora difficile leggere le espressioni di quei volti alieni color sabbia, ma la disperazione nei suoi occhi era un linguaggio universale che non aveva bisogno di venire tradotto.
Corse per raggiungerlo, e la sua toga, che in un giorno più felice sarebbe rimasta candida, gocciolò sangue per tutto il corridoio, al suo passaggio. Goku non riuscì ad impedirsi di fissarle, quelle gocce, una ad una, ed avrebbe davvero voluto poter avere una speranza in merito, nel bene o nel male.
«Il suo amico, sa se è allergico o meno allo Hysteb?» lo interrogò con una certa urgenza.
Si riscosse e la guardò come se le fosse spuntata una testa in più. Se Freezer era allergico a cosa? «Non… non credo… Io non lo conosco poi così bene, ma… non credo, dai…».
La giovane ethberiana sospirò. «‘Non credo’ non basta» disse affranta. «Se gliene diamo e poi è allergico… Siamo già ben oltre il cosiddetto colpo di grazia».
E questo era il punto in cui un amico l’avrebbe guardata con il terrore negli occhi ed il cuore che perdeva battiti nel petto, era il punto in cui si sarebbe alzato e l’avrebbe presa per un braccio. ‘Ma se la caverà, vero?’, avrebbe chiesto un amico.
Ma Goku scoprì solamente che, oltre la pietà, gli riusciva molto, molto difficile pregare per la vita di un mostro.

Se le viscere erano state messe dentro, era perché non dovessero vedere la luce del sole. Poco ma sicuro. Ancor meno ed ancora più sicuro: nessuno avrebbe dovuto maneggiare le viscere di qualcosa che fosse ancora vivo, specie di qualcosa che fosse ancora cosciente.
Lo avevano allontanato a pochi passi dalla porta di quella che doveva essere una sala operatoria, spintonandolo via con l’urgenza chi non ha neppure mezzo secondo da perdere e, se possibile, è perfino già in conto negativo con le lancette dell’orologio. Sulla barella, Freezer non aveva più emesso un suono, neppure quando l’avevano raccolto; fissava un punto imprecisato con occhi sbarrati ed il volto segnato dal dolore, e muoveva le labbra e snudava i denti ed apriva la bocca in modo incoerente, ma Goku non sentiva neppure il suono del suo respiro. Era una scena grottesca, era una scena spaventosa, era una scena sbagliata.
‘Lui…’ aveva iniziato, ma aveva anche scoperto di non poter continuare. Per dire cosa, poi?
Si era voltato con un sussulto quando un ethberiano gli aveva messo una mano sulla spalla. Era un maschio, e sembrava più vecchio degli altri – sempre che avere una maculazione rossa più estesa sugli avambracci e sulle tempie fosse effettivamente sinonimo di vecchiaia – e indossava una tunica differente dalla liscia stoffa sintetica di coloro che avevano preso in custodia Freezer, più ricca, più ornata e più pesante.
L’ethberiano si era fermato e aveva fatto cenno ai medici di iniziare a preparare la sala senza di lui. Aveva guardato Goku con pietà e dispiacere, ma quando aveva parlato la sua voce ovattata era stata ferma e sicura.
‘Può capitare che si renda necessario un intervento di trapianto pluriorganico, ma persino nei casi più estremi io lo sconsiglio. Qualora debba venire coinvolta più del 35% della massa corporea e del 20% degli organi vitali, persino con le preparazioni migliori e le cure pre-intervento iniziate per tempo, la percentuale di successo oscilla fra il 55 ed il 60%’ aveva spiegato con il tono pratico di chi vuole mettere a nudo la realtà. ‘Non serve che io faccia notare di quanto, questa povera creatura, sia ormai fuori asse. Se l’amputazione fosse stata eseguita clinicamente e secondo le procedure avrei dato massimo un 30% di probabilità di sopravvivenza, ma questa è una ferita di guerra e, benché riconosca la sua straordinaria resistenza laddove una persona normale non sarebbe durata cinque minuti, credo comunque che, data la situazione, ci troviamo attorno ad un 10%, forse anche meno’ aveva esitato ed aveva gettato un occhiata oltre la porta prima di riportare la propria attenzione su Goku. ‘Non posso promettere che non morirà fra cinque minuti sul tavolo operatorio’.

Non era stato gentile, non nel senso umano del termine, ma era stato onesto. Lui era stato onesto, aveva pensato con il cuore. Perché se qualcuno ti porta davanti ad una creatura con metà corpo amputato e i visceri riversi al suolo, e ti chiede se per caso non è possibile fare qualcosa, se nonostante l’evidenza si sente in dovere di chiedere, allora cosa pensi? Un amico. Un fratello. Un familiare. Non un assassino, mostro, tiranno, nemico… chi andrebbe a pensarlo? Ecco la verità: non si mente solo con le parole, ma anche con i gesti. Ed ecco l’ironia: non si mente solo con l’intenzione di mentire, ma anche con il semplice desiderio di fare la cosa più giusta e umana ed essere onesto, onesto con tutti. Esiste una parola, per questo: fraintendimento, che diventa inganno, nel momento in cui non viene corretto. Il dottore l’aveva frainteso, e lui non l’aveva corretto, e il dottore… il dottore aveva detto ‘ci proverò’, ma senza convinzione: non si sopravvive con metà corpo amputato e i visceri riversi al suolo, ma c’era un ragazzo che chiedeva aiuto, che sperava ancora per quella vita – e la speranza è legame. Goku glielo aveva letto negli occhi e nell’energia vitale.
Anche l’odio è un legame: forse avrebbe dovuto spiegarglielo. E correggerlo, quando per Ethbera Freezer era diventato ‘suo amico’. Ma non lo aveva fatto. Il dottore era stato onesto, era stato umano, aveva deciso di tentare l’impossibile per salvare un mostro indegno di continuare a respirare e aveva scelto di essere buono con una creatura mai gli avrebbe restituito una frazione di gentilezza che non fosse da intendersi con l’ossimoro di una morta rapida e indolore e lui, l’eroe, non aveva detto niente.
‘Se nascondi qualcosa di solito è perché sai che è sbagliata’ gli aveva detto Chichi una volta.
E guardando la porta chiudersi alle spalle del medico Goku aveva sospirato e scosso la testa, cercando di tenere a mente che salvare una vita, malgrado il passato, le intenzioni e le circostanze non è mai sbagliato, ostinandosi a non pensare che Chichi, la sua Chichi… lei aveva sempre ragione, in un modo o nell’altro.

All’inizio aveva atteso, contando i minuti – buffo, pareva fosse destinata a diventargli un’abitudine, negli ultimi tempi. Poi aveva iniziato a fissare la porta e a dondolare i piedi, annoiato, e dopo ancora si era alzato ed era quasi ricaduto a sedere notando che – accidenti – era ancora rotto dalla testa ai piedi e le gambe non lo reggevano quasi più.
Si era massaggiato la zazzera nera e sparata con una mano, sospirando rassegnato.
Magari sarebbe stato il caso di occuparsi di sé stesso, adesso, aveva pensato, perché, davvero, ai dottori non serviva a nulla che ne stesse lì come un cane da guardia, in quel momento: Freezer non avrebbe combinato proprio un accidente di niente nello stato in cui si trovava eccetto magari morire, ma, davvero, farlo adesso sarebbe stato proprio uno scherzo di pessimo gusto.
E lui aveva bisogno di farsi dare un’occhiata e mettere qualcosa nello stomaco – non necessariamente in quest’ordine, però. E, parlando di ordine… chissà che qualcuno non riuscisse ad indicargli la mensa dell’ospedale.

Era tornato quasi tre ore dopo con movimenti e pensieri incerti e più fasciature che pelle scoperta, cercando con cautela la porta che aveva lasciato fra tante tutte uguali
‘Non posso promettere che non morirà fra cinque minuti sul tavolo operatorio’.
…Ma la porta era ancora chiusa, e sentiva voci provenire dal suo interno. Voci agitate e voci tranquille, momenti di silenzio e minuti di passi affrettati e ordini quasi gridati.
Si era seduto in silenzio, riprendendo, quasi fosse un gesto dovuto, la stessa seggiola che aveva abbandonato tempo prima e fissando la porta in silenzio. Freezer era ancora vivo. Da quasi venti ore, ormai.
E dire che il patto silenzioso per il quale l’aveva sottratto alla morente Namecc – che lui, Freezer, aveva distrutto – non prevedeva che sopravvivesse, ma solo che morisse in modo più giusto, più umano… Aveva ripensato ai genocidi e ai bambini morti e a Gohan che rischiava la vita e a… e a Crilin, e si era passato una mano sul viso, quasi sconsolato.
Ingenuo. Non si sopravvive con metà corpo amputato, verità universale – ma, a quanto pare, il fatto che Freezer non avesse l’onore di tener fede ad un patto era un più che degno avversario nella scala delle affermazioni inoppugnabili che regolavano l’universo.

Goku sospirò.
Arrivati a questo punto aveva la sensazione che fosse quasi ora di dare bandiera bianca: se Freezer fosse morto… ormai non sapeva più come pensarla. Sarebbe stato giusto, una giustizia in mondo che di giusto aveva ben poco, ma… arrivati a questo punto? Anche se Freezer fosse morto, lui aveva comunque tentato di salvarlo. Perché prima, prima c’era stato l’inevitabile, prima Freezer non sarebbe comunque potuto sopravvivere, perché non si vive con metà corpo amputato e i visceri riversi al suolo, al massimo si sopravvive per un po’, ma poi, se lui non avesse cercato Ethbera, se lui non gli avesse permesso di raggiungerla… ma era inutile. Aveva cercato Ethbera – perché, poi, si chiedeva a lavoro fatto… perché farlo se tanto Freezer non avrebbe dovuto raggiungerla? – e lui gli aveva permesso di raggiungerla e lui lo aveva consegnato alle mani dei medici. Che senso aveva, ormai, continuare a ripetersi che voleva solo lasciarlo sperare? Pace fatta con sé stessi: aveva cercato di salvarlo.
Si passò una mano fra i capelli.
Ingenuamente, inconsapevolmente, agendo di anima e non di testa, ma l’aveva fatto. E anche se Freezer fosse morto, lui aveva comunque cercato di salvarlo.
E fosse vissuto, sarebbe vissuto grazie a lui e aveva la netta – spaventosa – sensazione che avrebbe dovuto assumersi la responsabilità di quelle sue azioni sconsiderate, anche se in che modo non osava neppure provare a trovare il coraggio di pensarlo.
“Ma perché mi caccio sempre nei guai?” pensò levando gli occhi al cielo con uno sguardo che aveva un che di disperato.
Decise di venire a patti con l’emicrania che già gli bussava alle tempie lasciando da parte il dopo in favore dell’adesso: Freezer era ancora vivo e forse sarebbe sopravvissuto, ma adesso era ancora in quella stanza bianca, adesso non c’era un futuro certo, adesso il Freezer di domani era sia vivo che morto, per quel che ne sapeva. Chichi tempo prima gli aveva detto che qualcuno aveva studiato una situazione simile, una volta, e forse la cosa sarebbe potuta essere utile alla sua situazione, ma non l’aveva ascoltata attentamente e non riusciva a ricordarsi niente di niente; sapeva solo che – forse – da qualche parte dovesse c’entrarci un gatto…
Scosse la testa e sospirò di nuovo, e questa volta c’era una nota di divertimento, in quel sospiro, mentre un pensiero si affacciava alla sua mente: male – o bene? – che andasse, aveva già imparato una cosa su Freezer, almeno.
‘Una persona normale non sarebbe durata cinque minuti’, ma Freezer era ancora vivo.
‘Non posso promettere che non morirà fra cinque minuti sul tavolo operatorio’, ma Freezer c’era già da mezza giornata.
Decisamente, Freezer doveva avere un rapporto molto conflittuale con gli ultimatum da cinque minuti.



Sussultò quando si sentì toccare sul braccio.
«Cos… dottore!» esclamò, svegliandosi di botto dal sonno in cui era scivolato. «Ha… ehm… finito?» tentennò, non sapendo bene come porre la domanda.
L’ethberiano annuì con espressione grave. «Vieni con me, ragazzo, è il caso di parlare un attimo a quattrocchi».
Goku esitò, grattandosi la testa, confuso. «Come mai?» chiese, e fece per chiedere anche altro, ma il suo stomaco lo interruppe con un ringhio rumoroso che li fece bloccare entrambi. Il Sayan gettò imbarazzato un’occhiata verso il basso, quasi a voler rimproverare le proprie viscere, e ridacchiò scompigliandosi ancor di più la zazzera nera e sparata. «Scusi tanto, di solito quando mi sveglio ho fame… Non è che mi accompagna in mensa e parliamo lì?».
Per tutta risposta l’ethberiano gli gettò un occhiata moderatamente attonita; solo qualche secondo dopo Goku realizzò che questa era una situazione simile a quelle per cui lo rimproverava sempre Chichi a causa del suo comportamento sconveniente negli incontri con i professori di Gohan.
Il sorriso sciocco gli scivolò dalla faccia lentamente, quasi speculare al movimento della mano che ricadde lungo al fianco. «Ehm, scusi… non volevo mancarle di rispetto».
Con suo sollievo il dottore sorrise. «Non è un problema, lo posso capire, dopo aver passato quasi una giornata intera in questo corridoio, preoccupato per il tuo amico…» gli concesse, compassionevole e Goku dovette usare tutto il suo autocontrollo per non spiegare al dottore che, guardi, quello è Freezer, ed un mostro psicopatico e… davvero, ‘amico’ non lo è neanche un po’. «Ma temo che la mensa sia chiusa a quest’ora, d’altronde è ormai notte inoltrata» proseguì il dottore, mentre Goku gettava una rapida occhiata fuori dalla finestra – accidenti, ma quanto aveva dormito? «Ti offrirò qualcosa nel mio ufficio, e intanto discuteremo del quadro generale».
Goku esitò, rizzando le orecchie per il tono che non pareva presagire – quasi fosse una novità, negli ultimi tempi – nulla di buono o di semplice o che – altra novità – non gli facesse capire di essersi nuovamente messo nella peggiore situazione immaginabile. «Il quadro generale di cosa, esattamente?» si azzardò a chiedere, con cautela.
E ricevette proprio la risposta che non voleva sentire: «Della situazione medica, che non è affatto buona».

«…Uhm, ghafie, dohore» articolò a fatica il Sayan, la bocca tanto piena che quasi il suono non riusciva a uscire. Deglutì l’enorme boccone e riprovò: «Urca, grazie, dottore! Questo è squisito, che cos’è?» chiese, ma non diede all’ethberiano il tempo di formulare una risposta coerente che si ributtò sullo strano pasticcio verde e terroso, ficcandosene in bocca una cucchiaiata che si avvicinava più alla mestolata.
Il medico, seduto rigido dal lato opposto della scrivania ovale, lo guardava con le labbra serrate e gli occhi sbarrati, tanto immobile che pareva non respirare neanche. ‘Ma dove metti tutto quel che mangi?’ era una domanda stampata a lettere cubitali sul viso maculato.
«P-Prego» riuscì infine a rispondere meccanicamente. «Lieto che sia di tuo gradimento, tuttavia credo che sia ora di discutere del resto, non ti pare?» suggerì cauto – forse perché, nella mentalità universale, chiunque mangi con tanta foga non dovrebbe essere interrotto.
L’allegria sul viso di Goku si attenuò leggermente. Il Sayan deglutì ed abbasso sul piatto praticamente vuoto sia lo sguardo che le posate. No, non gli pareva: l’ultima cosa che gli serviva era di discutere di Freezer, di capire fino a che punto fosse messo male, di sapere che sarebbe morto, di sapere che sarebbe vissuto.
Il medico prese il suo silenzio come un invito a continuare, e quasi di preventiva, Goku sentì immediatamente il mal di testa che minacciava di tornare. «Emicorporectomia, sei famigliare con questo termine medico?».
Goku batté le palpebre e mosse le labbra per cercare di farsi rotolare la parola sulla lingua, ma, santo cielo, non era neppure certo che sarebbe riuscito a leggerla, figurarsi ripeterla e ricordarla.
«Emicorporectomia» proseguì il dottore «è una parola complessa per indicare un particolare tipo di intervento di amputazione che comprende la perdita totale della parte interiore del corpo; può dirsi anche ‘amputazione transolombare’ o ‘transezione corporale’. L’intervento medio, per quanto di ‘medio’ ci sia poco da parlare quando si tratta di questo tipo di chirurgia, è una chirurgia radicale in cui il corpo viene amputato sotto la cintura, e la colonna lombare viene tagliata. Questo porta alla rimozione di gambe, organi genitali, del sistema urinario, pelvico, di ossa, ano, e del retto. Si tratta di una procedura mutilante che, come accennai vagamente prima di iniziare l’intervento, consiglio solo come ultima risorsa e solo per i pazienti con malattie gravi e fatali quali osteomieliti, tumori, traumi gravi» s’interruppe, per accertarsi che il suo interlocutore lo stesse seguendo.
Goku sussultò quasi, scavando nel proprio cervello per tirare fuori qualcosa di intelligente da dire, ma, onestamente, non gli venne in mente nulla – anche perché si era perso più o meno a ‘emicorto’… ‘emiorosco’… alla prima parola, ecco – quindi si limitò ad annuire con aria moderatamente perplessa pensando che, se le speranze di Freezer derivavano dalla sua capacità di destreggiarsi in quei discorsi allora, davvero, neanche Shenron sarebbe riuscito a salvarlo.
Il dottore parve intercettare i suoi dubbi. «Lasciami finire, poi ti sarà più chiaro. Stavo dicendo: solitamente, l’operazione viene svolta in due fasi: nella prima ci occupiamo di interrompere le funzioni degli apparati coinvolti, e nella seconda eseguiamo la vera e propria amputazione. Ammesso che il paziente non muoia sul tavolo operatorio, bisogna considerare le complicazioni al sistema circolatorio, che viene dimezzato nella sua ampiezza, e possono esservi danni al cuore, mentre questo cerca di ristabilizzare la pressione sanguigna; i reni vengono messi sotto sforzo, ed una morte per emorragia non è una possibilità ma un rischio pressante ed effettivo e vengono necessitate trasfusioni costanti… ovviamente, non essendovi più la muscolatura né gli apparati vitali, pensare ad una protesi è quasi fantascienza, ma questo argomento viene toccato solo nel caso in cui il paziente osservato rientri sia nei pochi trenta su cento a lasciare vivi il tavolo operatorio che nell’ancor più bassa percentuale di coloro che riescono, effettivamente, a sopravvivere al post intervento».
Goku lo osservava ad occhi sbarrati, grattandosi la testa quasi meccanicamente. Dire che stava capendo poco e niente era un eufemismo, e l’unica cosa che riusciva a pensare di aver afferrato era anche l’unica che sapeva di per certo: che avere metà corpo amputato non è cosa una buona in nessun contesto. Però… «Ehm, scusi…?» azzardò, dubbioso. «Ma questo perché me lo dice? Insomma, F–orse… ehm… forse è importante, ma qui abbiamo già… eh… qualcuno tagliato a metà, no? Non è che ha dovuto farlo lei…».
Abbassò la mano, sperando con tutto il cuore che l’ethberiano non avesse notato la sua gaffe. Stava per sfuggirgli il nome di Freezer, perché stava parlando di lui, era normale, lo conosceva, no? Se conosci qualcuno non lo chiami ‘lui’ o ‘ehi, tu’… ma si era trattenuto. Di nuovo. E dire che l’occasione era buona, non serviva nascondere nulla, non c’era la necessità di nascondere qualcosa, no? Ma lui, di nuovo, non aveva detto niente. Non capiva da dove gli venisse quell’ostinazione a tenersi per sé l’identità del paziente, ma non gli piaceva. Non lo faceva stare bene con sé stesso, lo faceva sentire in colpa. Fu un sollievo quando il medico riprese a parlare.
«Tutto questo per spiegare che genere di operazione complicata sia la semplice amputazione chirurgica, un intervento volontario e controllato, eseguito con le procedure di regole e mezzi sterili, e per farti capire, persino nelle condizioni migliori, che genere di pericolo comporti. Ma qui, come tu hai giustamente sottolineato, non stiamo parlando di amputazione, ma del riattaccare una parte del corpo amputata, cosa che, te lo assicuro, presenta difficoltà ancor maggiori, specie considerando lo stato della ferita».
«Era… sporca?» buttò lì il Sayan, sentendosi vagamente ridicolo.
«Non solo» rispose l’altro, poi cambiò bruscamente argomento: «A che specie appartiene, il mio paziente?».
Goku boccheggiò. «Eh, non saprei…» borbottò, rendendosi conto solo in quel momento del punto: il suo pianeta natale, Vegeta-sei, era stato distrutto per una questione di specie, perché erano Sayan, lui e Vegeta erano entrati nel mirino di Freezer perché erano Sayan e Freezer temeva i Sayan. Avevano sofferto a causa della specie in cui erano nati, erano stati condannati a causa del loro sangue, e lui, per ironia, non conosceva neppure il nome della razza che avesse avuto la maledizione di partorire un essere abbietto come Freezer. Vegeta doveva averlo saputo, ma Vegeta era morto.
«Come temevo» sospirò il dottore. «Abbiamo tentato un prelievo di sangue ed uno di midollo spinale, ma già con il primo esame non abbiamo trovato tracce di corrispondenza biologica nei nostri archivi. Speriamo sull’analisi del midollo, ma ne dubito. Se la situazione clinica fosse diversa manderei dei campioni di tessuto biologico crioconservato su un pianeta affiliato, a dodici ghuarmts da Ethbera, ma nel nostro caso è vitale il fattore tempo e attendere che le operazioni del processo vengano espletate non è neanche lontanamente attuabile, senza contare che potrebbero comunque non portare a nulla».
«E… quindi? È un problema?».
Il dottore sgranò gli occhi. «Come possiamo curare qualcuno di cui non conosciamo la biologia? Specie qualcuno nel suo stato: non possiamo andare a tentativi e vedere come il suo organismo reagisce ai nostri medicamenti, perché un passo falso sarebbe fatale, e questo ci preclude molte possibilità che altrimenti avrei considerato fertili».
Goku annuì, le sopracciglia vagamente corrugate. Sì, quello più o meno l’aveva capito. «Però, mi scusi… Io continuo a non capire il punto: si riprenderà o no? E come è andato l’intervento?».
A quel punto, l’ethberiano sospirò leggermente. «Sei uno a cui piace la concretezza delle cose, eh? Parlerò più semplicemente» sorrise. «Molto bene. Il problema, con la situazione che ci troviamo fra le mani, è che non possiamo sapere neppure se domattina sarà ancora vivo né tantomeno fare piani medici a lungo termine per un recupero, eppure ci stiamo già torturando il cervello per capire come tirarlo fuori dalle crisi che potrebbero verificarsi in una prossima settimana che forse non arriverà neppure a vivere. Abbiamo una diagnosi estremamente riservata, e incerta. L’intervento, per quanto possibile, è riuscito, ma non posso promettere che supererà la notte, per vari motivi: il più urgente e pressante riguarda il tempo in cui gli arti amputati sono stati separati al resto del corpo, il processo di deterioramento, seppur in minima parte, è già iniziato e nessun chirurgo scommetterebbe sulla possibilità che non si verifichi una grave forma di infezione, o addirittura di cancrena. Se dovesse accadere, ci sarà ben poco che io possa fare se non alleviargli le sofferenze con dei palliativi, ma tenteremo di prevenire la situazione con una terapia antibiotica aggressiva. Se supererà i primi giorni, arriveranno altri ostacoli. La ferita era stata causata da un laser, dico bene?».
Goku annuì di nuovo, colto di sorpresa dal brusco cambio di argomento, ricordando con un vago brivido i due dischi laser con Freezer aveva ossessivamente tentato di ucciderlo, per di più dopo che già una volta, a ben pensarci, lui aveva tentato di risparmiargli la vita. Perfetto, aveva davvero bisogno di ricordarsi quanto fosse grata la creatura per cui si stava torturando il cervello con quel casino.
Per un attimo parve che il medico volesse indagare sul come fosse capitato il tutto, ma poi qualcosa – forse la stessa titubanza negli occhi di Goku – lo fece desistere. «Il laser, o per meglio specificare, alcune delle sue sottovarianti vengono usati anche in chirurgia. Conosci una proprietà medica del laser? No? Cicatrizza. Ed è stato questo, probabilmente, a contenere l’emorragia e a salvarlo: nel momento in cui è stata inferta, la ferita si è anche cicatrizzata. Ma questo, se da un lato è stato un vantaggio, dall’altro è stato un ulteriore danno, perché ci ha costretti a danneggiare ulteriormente il suo corpo ed i suoi organi vitali per poterla riaprire ed avere materiale che organico che potesse ricongiungersi, invece dei due lembi senza sbocco che ci siamo trovati davanti; in pratica abbiamo dovuto rimuovere millimetri quadrati di carne da entrambe le parti delle sue mutilazioni. Questo potrebbe causare emorragie interne, e la situazione richiederà un monitoraggio costante, oltre alla consapevolezza che potremmo doverlo riportare d’urgenza in sala operatoria e sinceramente dubito che potrebbe sopportare un secondo intervento: tieni conto che, oltre al fisico già provato, ha perso molto sangue e non conoscendo la sua biologia non possiamo azzardare una trasfusione sintetica».
Ci fu un’altra pausa, e Goku annuì per mostrare che stava perlomeno cercando di seguire il discorso. Il che era un po’ più facile, almeno, ora che il medico aveva smesso di mitragliarli il cervello con tutte quelle assurde parole scientifiche; un po’ più difficile, d’altro canto, era sentire e comprendere con esattezza quante e quali fossero le sofferenze che Freezer stava attraversando, provare quella pietà indesiderata per la sua terribile condizione senza riuscire ad abbandonare la consapevolezza che, dio, Freezer avrebbe potuto benissimo rivelarsi un ingrato, tentare di ucciderlo, tentare di uccidere il dottore e tutti gli innocenti e loro, loro che l’avevano salvato, gli ethberiani, che erano brava gente che si trovava in pericolo a causa di quella sua maledetta, sbagliata pietà. Strinse i pugni in grembo, lottando per non chiedersi cosa si provasse ad uccidere la creatura a cui si è salvato la vita.
«Ma togliendo anche il danno principale ci sono molte altre ferite che necessiteranno di un intervento medico» proseguì il dottore, ed il Sayan vide una vaga disperazione nei suoi occhi mentre iniziava il secondo elenco dei danni. «Abbiamo fratture varie, contusioni, uno sterno praticamente in frantumi e costole che dire ridotte in schegge è un eufemismo, ed inoltre la massa muscolare è in sovratensione, i tessuti sono lacerati e molti tendini non hanno fatto una fine migliore. Per risolvere questo problema lo abbiamo già intubato, tenteremo di invertire il processo sovratensione tramite una serie di impulsi elettrici» il dottore fece un’altra breve pausa, poi riprese a parlare con tono sinceramente addolorato. «Non posso fare una prognosi per un recupero, ma posso dire, sempre ammesso che sopravviva, che sarà lungo e doloroso e dovremo sottoporlo ad altri interventi, con l’andare dei mesi, e forse degli anni».
Anni. Goku sentì uno strano agitarsi nello stomaco, denso e sgradevole. Anni. Freezer avrebbe impiegato anni a guarire. Cosa avrebbe significato questo, per lui, per quella situazione? Freezer non poteva restare solo con sé stesso. Non con il suo potere, non con la sua indole, neppure se era debilitato… ma se non poteva restare solo, se doveva essere tenuto sotto controllo, se doveva ricevere cure costanti…
“Dovrò restare qui con lui?” si chiese con una punta di disperazione, sentendo un macigno nel petto. Non voleva, davvero, non voleva assolutamente. Ma che scelta avrebbe avuto? Lottò per cercare una soluzione, ma Freezer… diavolo, Freezer non era affidabile, neppure un po’, e uccidere il tiranno non per le atrocità che aveva commesso, ma perché dopo averlo salvato si era reso conto le sue condizioni di salute glielo avrebbero reso scomodo… quello sarebbe stato atroce. Non lo avrebbe reso migliore dell’essere che condannava.
«E poi» proseguì il medico ethberiano, e, perso com’era nei suoi pensieri, Goku quasi non lo sentì. Col senno del poi, sarebbe stato meglio. «Rimarrebbero le conseguenze del danno al midollo spinale».
Goku rizzò di scatto la testa, fissandolo ad occhi sbarrati. Non ne sapeva quasi nulla di medicina, certo, ma una volta, in ospedale, non aveva sentito dire…? Non ci aveva pensato. Aveva visto Freezer con metà corpo tranciato, sapeva che aveva metà corpo tranciato, ma non gli era venuto in mente, non ci aveva pensato, di nuovo non aveva pensato. «Ma… se il midollo spinale si rompe, poi non si rimane…?».
«Se sopravvivrà e il suo corpo sarà abbastanza forte più avanti nel tempo forse potremo tentare una serie di interventi di ricostruzione del midollo spinale, ma sì, ora come ora la paraplegia non è un rischio, ma una certezza».









Attenzione: il discorso medico e le terminologie presenti in questo capitolo sono state trattate in maniera ovviamente semplicistica; se fra di voi c’è un dottore a cui ho fatto prendere una crisi epilettica mi scuso, ma, capitemi, è una fanfiction che sto cercando di incastrare fra studio e lavoro. Ho fatto ricerche per trovare le informazioni di cui ho fatto uso (improprio, temo) in questo capitolo, ma non è proprio il mio campo.

In realtà, temo che questo capitolo mi sia uscito un po’ noioso, proprio a causa di tutto il discorso medico, ma, capitemi, avevo bisogno di provare almeno, a spiegare qualcosa da quel punto di vista.




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Capitolo 3
*** Il riflesso del Mercante di Vite ***





3. Un uomo è fatto di scelte e di circostanze. Nessuno ha potere sulle circostanze, ma ognuno ne ha sulle proprie scelte.



Ci sono cose che un belonefobico non dovrebbe vedere, mai, e per svariate ragioni. Ragione uno: gli aghi, un belonefobico, se li sente nella carne appena li vede, non importa che abbiano già trovato nido in un’altra pelle; ragione uno, parte due: a vedere quegli aghi – quelle decine di aghi, che però sembrano più centinaia – e a vederli in un’altra pelle, ma ad immaginarseli nella propria, il belonefobico prova un immediato, inevitabile senso di empatia ibridato a paura. Da lì alla pietà, il passo è breve.
Fissava il volto del suo nemico, di quel nemico che era anche il nemico del mondo. Solo il volto. Il resto del corpo no, per carità, no. Lo aveva visto nel complesso un istante appena, e tanto gli era bastato; lo aveva visto dalla porta, da lontano, e si era coperto gli occhi ed era voluto scappare, e lo avrebbe fatto, se non fosse stato che la linea diretta fra lui e la fuga da quella scena raccapricciante passava attraverso o sopra il dottore ethberiano.

Sembrava un film dell’orrore. E non era la carne gonfia e tumefatta e violacea, non erano i punti di sutura o le bende sporche di sangue o il moncherino della coda che non era stato riattaccato del tutto, perché mancava ancora un pezzo che era rimasto su Namecc; non era il respiratore, il tubo infilato giù per la gola che forzava i polmoni a prendere aria.
Era la schiena, era la vita. Dio, sembrava agopuntura, sembrava un film dell’orrore.
Aveva tremato. Il dottore di Ethbera l’aveva guardato con preoccupazione e cautela, perché aveva gli occhi sbarrati di una preda in gabbia troppo terrorizzata anche solo per nascondersi.
Freezer era steso sulla schiena in un baldacchino di fili e flebo. Poteva quasi sembrare un letto d’ospedale o una sedia molto inclinata, ma doveva esserci uno spacco, nel centro dello schienale, perché entravano gli aghi, da lì, dritti nella schiena di Freezer, dalla base del collo alla radice della coda, in più e più file; lo schienale s’interrompeva all’altezza della vita per poco più di una spanna, e lì c’era un intero anello di più file di aghi piantate attorno allo squarcio di bisezione, alcune file sopra ed alcune file sotto. Era stato fatto passare anche quel che restava della coda, attraverso quello spacco, e anche il moncherino non era stato risparmiato…
A vederlo poteva quasi ricordare un porcospino, in qualche modo; a lui aveva solo fatto pensare a… non sapeva neppure lui cosa. In realtà, non aveva pensato proprio a niente, in quel momento. Dio, era orribile, era spaventoso.
«Elettrostimolatori» aveva spiegato il dottore, dandogli una ragione per distogliere lo sguardo da quello spettacolo raccapricciante. «Cerchiamo di convincere il suo corpo a riaccettare la parte amputata».



Si svegliò fissando un soffitto bianco e metallico e solcato da sottili linee ondulate, e gli ci volle ben più di un secondo per rendersi di essere in ospedale alieno e non a casa, sui Paoz, con Gohan e Chichi e una tavola imbandita di ogni bendidio che sua moglie avesse avuto voglia ci cucinare, e Crilin a cena a casa loro e Piccolo e…
Crilin era morto. Piccolo… Piccolo gli piaceva pensare che si fosse salvato, ma Piccolo aveva un buco nel cuore, l’ultima volta che l’aveva visto. E lui non era a casa, lui era su Ethbera, e non c’era nessuno che ridesse, su Ethbera. E c’era Freezer, su Ethbera. Da qualche parte, qualche piano più in su, c’era Freezer, se era an… era vivo. Si passò una mano sul viso, dal mento alla tempia e poi fra i capelli neri e scompigliati. Dio, Freezer era vivo. L’aveva salvato lui, che non era riuscito a salvare Crilin e Vegeta, e Piccolo, che se era vivo non lo doveva certo a lui. Non era riuscito a salvare il proprio migliore amico e chi aveva protetto e cresciuto suo figlio in sua assenza, ma chi li aveva uccisi… lui l’aveva salvato. Il mostro, l’aveva salvato eccome.
Si tirò su a sedere con un sospiro, e le sue costole incrinate protestarono, quasi a dargli un altro ricordo più diretto di cosa gli avesse fatto passare quella creatura che respirava ancora solo a causa sua.


«Buongiorno, Son Goku».

C’era un che di comico nel modo in cui sollevò lo sguardo, senza inghiottire l’enorme boccone che gli gonfiava le guance o raddrizzare la schiena. «Oh, dohore!» biascicò, poi inghiottì e ritentò. «Dottore! Salve! Ha… ehm… bisogno di me?».
«Che tu possa crederlo o no, parte del contratto di un medico è l’obbligo di ritagliarsi qualche minuto per mangiare».
Il sorriso di Goku si allargò mentre il dottore sedeva difronte a lui e posava un vassoio sul tavolo. «Questo è giustissimo!».

Fu il dottore a rompere il silenzio, qualche minuto dopo. «Ieri è stata una giornataccia».
Goku s’infilò un boccone in bocca, masticando lentamente ed osservando con cautela l’ethberiano. Alla fine annuì.
Il dottore ripeté il gesto in modo meccanico, sovrappensiero. «Sì, certo…» mormorò.
Gli occhi del Sayan ricaddero sul suo piatto. Il dottore voleva chiedergli qualcosa, e lui lo sapeva. Sarebbe stato semplice, nella sua natura, uscirsene con ‘Ha bisogno di qualcosa?’, ma… Freezer. Non voleva tornare a parlare di Freezer, a pensare a Freezer. Freezer gli martellava in testa come un pensiero fisso anche senza che ci pensasse il dottore.
Quando l’ethberiano posò le posate con un vago tintinnio, Goku irrigidì leggermente la mascella. Presentimento, aspettativa, inevitabilità… era un po’ come quando faceva qualcosa che Chichi non sopportava, e lui sapeva che lei non lo sopportava e che si sarebbe arrabbiata, quindi la sfuriata se l’aspettava, quando alla fine arrivava.
«Ieri nessuno ha avuto né il tempo né le energie di fare domande» iniziò infine il dottore. «Ma io ho bisogno di sapere chi sia quella creatura, Son Goku. Ho notato come tu abbia evitato di darmi qualsiasi informazione a riguardo».
«Non farà del male a nessuno, glielo prometto su quello che vuole!» gettò le mani avanti, Goku, con uno slancio che si spense un istante dopo aver pronunciato quelle parole, resosi conto di aver appena confermato i peggiori sospetti dell’alieno seduto difronte a lui.
Ma questi annuì di nuovo, lentamente e senza distogliere lo sguardo dagli occhi neri del Sayan. «Mi sembri una brava persona, Goku» osservò lentamente. «Chiamala deformazione professionale, ma chiunque lotti a tal punto per salvare qualcuno deve esserlo, almeno ai miei occhi. Ma questo non fa che fortificare la mia necessità di sapere la verità: perché ti sei sentito in dovere di dirmi che non avrebbe fatto del male a nessuno? Io non ho mai toccato questo argomento. Cosa devo presumere?».
Quanto può essere lungo un minuto, quanto rumore si può percepire nelle orecchie a dispetto di un silenzio assoluto e denso? Goku non guardava l’ethberiano negli occhi e non toccava posate. C’era una scheggia di crosta di pane, proprio sul bordo del tavolo, e traballava, in bilico fra il piano ed il vuoto.
Quanto a lungo si può difendere un nemico, quanto a lungo si può ingannare un innocente? C’era il timore, ma c’era la giustizia e forse era davvero ora di lasciar cadere la maschera. La prima crepa, d’altronde, già l’aveva aperta. Forse… Lui aveva salvato Freezer, lui sapeva cosa fosse Freezer e sapeva che nessuno, nessuno del tutto sano o che non fosse mostro avrebbe accettato di curare il mostro. E lui… lui l’aveva salvato, ma non era stato programmato, non era stato quello il piano: il suo piano sarebbe dovuto terminare con un cadavere. Non aveva voluto salvarlo, ma non aveva neppure voluto ucciderlo, e confessare la verità adesso, confessarsi adesso… quello significava ucciderlo, perché nessuno del tutto sano avrebbe salvato un mostro. Ma forse… forse… C’era il timore, ma c’era la giustizia, e forse era davvero ora che Freezer si scontrasse con le proprie colpe.
«Lui… non è una brava persona» ammise infine. E, dio, era una minimizzazione tanto grande da sfiorare l’ennesima bugia. «E non è mio amico. A dire il vero non l’ho conosciuto molto prima di lei, sa, non l’avevo mai visto prima di due giorni fa: ho dovuto combatterlo per salvare i miei amici… è stato allora che ha… ehm… perso il controllo della sua stessa tecnica e si è, beh… ridotto… così».
«È a causa sua che sei lontano dal tuo pianeta natale?».
La domanda era inaspettata, e Goku piegò leggermente la testa di lato mentre cercava di rimettere in ordina i pensieri. Era a causa sua, di Freezer? No, no… Loro erano andati su Namecc per cercare le Sfere del Drago, e lui era andato dopo perché i suoi amici erano in pericolo a causa… Corrugò le sopracciglia, ricordando perché era partito con tanta urgenza. All’epoca non aveva mai sentito nominare Freezer, quindi non ci aveva mai pensato, né ne aveva avuto il tempo o il modo, ma sì: era stato a causa di Freezer. Era iniziata con Vegeta e Nappa sulla Terra, che avevano ucciso Yamcha Thenshinhan e Jaozi, che si era sacrificato, ma Vegeta e Nappa erano iniziati con le Sfere del Drago, con Radish, e Radish aveva detto di essere lì perché commerciava pianeti. Allora non lo sapeva, e non aveva fatto il collegamento dopo, ma era… dio, era così. La sua morte, Gohan costretto ad allenarsi e a faticare e a sacrificare la propria innocenza, le lacrime di Chichi, le lacrime di Bulma, le morti e i sacrifici e la paura… tutto era iniziato con Freezer, tutto il male era venuto da Freezer, in un modo o nell’altro.
«Io… immagino di sì. Cioè… non proprio, non è esattamente partita da lui».
«Ha invaso il tuo pianeta natale?» chiese in un soffio il dottore, e nei suoi occhi era riflesso il dolore di chi sa e ha vissuto.
Goku fece di no con la testa. «Non è stato lui, è stato… un altro» si corresse: pensare a Radish come a suo fratello era quasi insopportabile. «L’ho eliminato, ma quelli che sono venuti dopo erano molto più forti e hanno fatto molti più danni, così per rimediare i miei amici sono partiti verso il pianeta Namecc. All’inizio non sono potuto andare con loro, ma li ho raggiunti dopo. L’ho incontrato lì, mentre voleva conquistare Namecc, e l’ho combattuto e sconfitto».
«Dunque, correggimi se sbaglio, non siete in rapporti amichevoli, tutt’altro».
Goku annuì. «Già» sospirò. «A dire il vero non mi stupirei se cercasse di nuovo di uccidermi, ma non si preoccupi!» esclamò, sollevando un pugno con aria combattiva ed un sorriso determinato. «Sono sicuro di poterlo tenere a bada se dovesse provare a fare qualche sciocchezza!».
Terminò la frase ridacchiando, ma un istante dopo non ridacchiava più ed un istante dopo ancora abbassava il braccio ed il pugno e lasciava che il sorriso gli scivolasse via dalla faccia, il peso dalle spalle, perché ecco, ecco, gliel’aveva alla fine detto, al dottore: aveva infilzato il mostro sotto al letto, e poi l’aveva tirato fuori per metterlo dentro al letto, e nella stanza accanto c’erano suo figlio e sua moglie e tutti gli innocenti ed in una stanza accanto ancora tutte le vittime del mostro, una piramide di cadaveri ancora caldi. Gliel’avrebbe detto, il dottore, come gliel’avrebbe detto Crilin, se Crilin avesse potuto ancora dire qualsiasi cosa: brutta scelta, Goku, bruttissima scelta. Non si salvano i mostri, i mostri mordono anche con la museruola, lo trovano il modo, stanne certo.
«Mi ha chiesto aiuto» sospirò, guardando il dottore con occhi dispiaciuti, come se fosse un motivo ragionevole, come se la sua fosse stata una scelta sensata, come se fosse abbastanza per convincere qualcuno a rischiare. «Sa, non avevo in mente di salvarlo, ma mi ha chiesto aiuto, e io…».
Il dottore sorrise. «Non credere che non lo sappia. È il dovere di un medico, dopotutto, aiutare tutti coloro che soffrono senza fare distinzioni».
Era ciò che voleva sentirsi dire, scoprì: non essere l’unico a dar qualche valore alla vita di un mostro. Rizzò le orecchie e guardò l’ethberiano con malcelata speranza. «Allora a lei non importa?».
«Non gli rifiuterò le cure che gli sono dovute, no, ma è rilevante, vorrei che tu te ne rendessi conto» disse il medico, guardandolo gravemente. «Ho il timore, Goku, che tu stesso non ti sia reso completamente conto di chi sia questa creatura, né coloro che hanno invaso il tuo pianeta natale».
Il Sayan lo guardò battendo due volte le palpebre, perplesso. Lui sapeva chi era quello, davvero, se c’era una cosa che gli era ben chiara di quella storia era proprio chi diavolo fosse il demonio che aveva salvato.
L’ethberiano sospirò. «Non so da dove tu venga, Son Goku, ma mi dai l’idea di sapere poco, molto poco, di un mostro di nome Freezer».
«Eh…?» inarcò un sopracciglio, piegando la testa di lato, sempre più perplesso. Beh, si disse, lo aveva definito mostro, ma perlomeno non aveva tirato fuori la forca…
«Sai chi è questo?».
«Eh?».
Sembrava un vecchio ritaglio di una immagine stampata, ed era completamente accartocciato, rovinato. Il dottore glielo fece scivolare sul tavolo, schiacciandolo sotto una mano per appiattirlo, ma era inutile: c’erano crepe, increspature impossibili da cancellare e da rimuovere; doveva essere stato tirato fuori più e più volte ancora, disteso e riaccartocciato senza cura e senza rispetto, come spazzatura.
Rimosse la mano e Goku lo guardò: c’erano occhi rossi a restituire il suo sguardo piuttosto curioso e vagamente perplesso, occhi rossi, taglienti e crudeli, leggermente socchiusi in un sorriso che del sorriso vero non aveva nulla, neppure una parvenza di parodia. Aveva due leggere rughe d’espressione agli angoli della bocca e la mano sinistra sollevata quasi timidamente davanti alle labbra, con le dita piegate in un atteggiamento che poteva quasi ricordare quello d’una nobildonna, ma che della leggiadra innocenza non possedeva nulla più di quanta fosse la sincerità di quel suo sorriso artefatto. Goku raccolse il foglietto per avvicinarlo agli occhi, ed intanto faceva scorrere lo sguardo sulla conformazione ossea che avvolgeva il capo della creatura come un elmo, sulle corna nere, brutali e lisce come quelle di un demone, sulla pelle rosa pallidissimo del volte e della mano e sulla colorazione più scura delle guance. Era una femmina? Qualcosa, come un istinto, gli diceva che la postura e l’eleganza dell’alieno erano ingannevoli. Cercò il suo petto, ma la fotografia s’interrompeva prima e… e quella era la divisa di Vegeta e di Ginew, era la divisa dell’impero di Freezer! Ma cosa… chi era?
Il dottore ethberiano lo strappò alle sue osservazioni. «Non ho molto tempo, temo» disse, gettando un’occhiata ad una schermata a muro che doveva essere un orologio. Goku lo guardò distrattamente, ma quelli non erano numeri per quel che lo riguardasse, proprio no. «…ma ti darò qualche rapida lezione. Lezione uno: chi ti parla di ‘Lord’ Freezer è tutto fuorché amico della libertà. Freezer non è un Lord, se non nel suo Impero corrotto. Freezer è un mostro, un essere inumano. Qui lo chiamiamo il Mercante di Vite, perché più o meno è quello che fa: trova un pianeta, e se gli piace lo conquista e lo rivende, e quelli della popolazione che non può usare per ampliare la file del suo esercito vengono ridotti in schiavitù o venduti, o entrambi. E se un pianeta non gli piace… Nella sua mente tutto esiste per uno scopo, e quello scopo è essere utile o gradevole a lui. E sei esisti per uno scopo, e poi quello scopo perde peso tu non esisti più, punto. Ci sono dicerie, voci, secondo le quali sia l’essere più potente dell’universo; si dice che possa far scomparire pianeti interi con una sola imposizione della sua mano».
Goku strinse la mascella e le sue dita si contrassero, spiegazzando ancor di più il ritaglio che teneva ancora in mano. Lo sapeva, maledizione, lo sapeva benissimo. Radish già glielo aveva detto, e poi aveva visto lo stesso Freezer all’opera e aveva provato sulla sua pelle la filosofia distorta di quell’essere:
Che ne diresti di lavorare per me? Sarebbe uno spreco ucciderti…
«Chi lo segue» proseguì l’ethberiano. «…non lo fa mai per reale fedeltà. Molti lo fanno per terrore, perché rendersi utili ai suoi occhi significa tenere in vita la propria famiglia. Lo so, Goku, perché ne ho incontrate, di quelle creature. Alcuni continuano a servirlo fino alla morte, e sono i disperati; altri, i più coraggiosi, disertano alla prima occasione e cercano rifugio presso altri eserciti, e sono quelli che spesso credono di non avere più nulla da perdere. Ma molti sono parassiti, scalatori sociali, che baciano i suoi piedi solo per vanagloria o prospettiva di guadagno o perché sono esattamente come lui. C’è stata una razza intera ormai estinta, quella dei Sayan, che si era unita a lui proprio per questo: amavano distruggere e conquistare, erano vermi, ingordi di gloria e assetati di sangue. Freezer poteva dar loro tutto questo, e loro avevano visto nel suo potere una rampa di lancio perfetta. Erano mostri, ma Freezer lo era di più: li ha spazzati via tutti, dal primo all’ultimo, e solo quel cane rognoso, figlio di quello che una volta era stato il Re, il ‘Principe’ è stato risparmiato e continua a uccidere e saccheggiare… il suo piccolo animaletto domestico, il trofeo di Freezer».
Era strano, disagiante, quasi spaventoso sentir parlare della propria razza dal dottore. Gliene aveva parlato già Radish, e poi Re Kaioh, Vegeta e, santo cielo, anche Freezer si era più volte premurato di tornare sull’argomento, ma questo… Questo era la razza Sayan vista dagli occhi di un innocente, di una creatura normale, e se prima aveva provato di disgusto ed era stato doloroso, ora era persino peggio. Ora lo sentiva quel disgusto e quell’odio che gli cadeva addosso assieme alle parole, ed era indirizzato a lui, solo a lui, riguardava lui, che era l’ultimo dei Sayan.
«Il Principe dei Sayan è morto» disse prima di riuscire a trattenersi. «Era fra quelli che sono morti su Namecc».
L’ethberiano sussultò sotto l’impatto di quella notizia, poi piegò leggermente la testa di lato e sorrise, un sorriso come Goku non l’aveva mai visto, lento e sgradevolissimo e malevolo. «Buon per l’universo» rispose. «E se è morto annegato nel suo stesso sangue, piangendo e strisciando come un patetico verme, allora esiste ancora della giustizia divina in questo mondo a catafascio».
Goku lo guardò turbato, gettando la testa all’indietro. Ricordava la morte di Vegeta, tanto quanto ricordava quella di Crilin. Bastava chiudere gli occhi ed erano lì, impresse a fuoco dietro alle palpebre. La ricordava bene e non c’era niente di cui rallegrarsi, perché era stata una morte orrenda, ingiusta, e non capiva come l’ethberiano potesse esserne rallegrato, proprio lui, che aveva appena detto che il suo dovere era salvare delle vite e che era disposto a curare persino Freezer.
Fu uno strano suono ad impedirgli di parlare. Risuonò nella mensa e nei corridoi: Ko–dlong, ko–dlong.
L’ethberiano voltò immediatamente la testa, scrutando gli angoli della mensa e il soffitto, in attesa.

Dottor Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.

«…Temo che il dovere mi reclami, dovremo continuare la nostra conversazione in un altro momento» sospirò il medico, alzandosi rapidamente da tavolo con un gesto fluido. «Non temere, non ha nulla a che fare con il nostro… non amico: il paziente dell’A59 è un meccanico di astronavi… ha quasi perso un braccio durante una riparazione» lo informò, quasi serenamente.

«Lo ha ucciso Freezer» lo disse tutto d’un tratto alla schiena del dottore, e non seppe neppure lui perché.
Valedo si fermò di colpo e si voltò verso di lui, guardandolo perplesso.
«Vegeta, il Principe dei Sayan, lo ha ucciso Freezer: ero lì» insistette.
Non sapeva cosa volesse, non sapeva che reazione si aspettasse, ma il modo in cui l’ethberiano sgranò gli occhi e dischiuse la bocca, lo shock totale sul suo volto furono inaspettati. Sembrava paralizzato lì e fissava Goku come se avesse visto un fantasma; Goku sosteneva il suo sguardo con occhi determinati e pugni chiusi.
Ko–dlong, ko–dlong.

Dottor Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.

Il dottore sussultò e si riscosse, gettò un occhiata al soffitto ed una alla porta d’uscita, ma non sfrecciò via come Goku si sarebbe aspettato: riportò lo sguardo su di lui, aveva gli occhi sbarrati.
«Tu…» sussurrò, e mosse un passo nella direzione del Sayan. Gli strappò di mano il foglietto e lo tenne sollevato, l’immagine rivolta verso Goku. Lo agitò, quasi volesse essere sicuro che vi concentrasse tutta la sua attenzione. «Tu hai visto… Freezer era su Namecc?».
…Eh?
Goku batté le palpebre e si piegò appena in avanti, guardando il dottore ethberiano ad occhi sgranati. La sua perplessità era totale mentre sollevava l’indice della mano destra a grattarsi piano la guancia. Guardava Valedo e guardava l’immagine, pensava a Freezer e all’assurdità della domanda appena ricevuta ed in lui iniziava a torcersi il vago presentimento d’aver tralasciato qualche importante tassello di quella conversazione.
«Ehm… beh… è ovvio…?» riuscì ad articolare dopo qualche istante. «Insomma, è per colpa sua che poi non siamo potuti rimanere su Namecc e siamo dovuti venire qui: stava esplodendo perché Freezer ha deciso di distruggere tutto il pianeta, quando le cose per lui si sono messe male».
E stava per chiedere cosa centrasse quella creatura cornuta ed effemminata con Freezer, ma udire le ultime parole della frase parve illuminare il dottore dall’interno. «‘Messe male’?» indagò subito, e c’era una sorta di avidità maligna, nel fondo della sua malcelata eccitazione. «Freezer stesso ne è uscito danneggiato?».
Goku batté le palpebre e la sensazione di aver tralasciato davvero qualcosa di importante, di importantissimo, tornò a martellargli contro le tempie. Perché il dottore l’aveva visto, Freezer, l’aveva ricucito pezzo per pezzo e non era stato certo neppure lui che sarebbero bastati i medicamenti e i punti di sutura a tenerlo insieme, e dato che l’aveva visto che senso aveva una domanda simile?
«Sai perché porto sempre una foto di Freezer, in tasca, quando lavoro?» chiese tutto d’un tratto il dottore, dando una leggera scossa al foglietto.
Una foto di…? Goku non ebbe neppure il tempo di assimilare il concetto, né di fare nulla che non fosse il guardare inebetito il foglietto e quella maledetta figura rosata e cornuta e pensare che no, un momento, Freezer?
«…Fbrenha, il pianeta a cui ho inviato un campione del sangue della creatura che tu hai tratto in salvo non è sempre stato l’unico pianeta affilato ad Ethbera» riprese il dottore, cambiando bruscamente discorso. «Ve n’era un altro, si chiamava Vochdre. Era più lontano, a quasi trecentoundici ghuarmts da Ethbera. Quando è stata scattata questa foto lavoravo lì come infermiere, anni fa, e io c’ero, il giorno in cui ‘Lord’ Freezer venne a farci visita: il pianeta rientrava… rientrava nei suoi interessi, disse così. Propose un accordo, e Vochdre accettò» parlava e la sua voce traboccava d’odio e disgusto e impotenza. «Sette mesi dopo Vochdre non esisteva più. Io tornai a casa pochi giorni dopo aver saputo che il pianeta si sarebbe alleato a Freezer, ed è per questo che oggi vivo ed ho in tasca questa fotografia: Freezer è venuto a distruggerci.
L’ha fatto sorridendo, promettendo un futuro migliore. Funziona così, per quel che lo riguarda, nulla è insostituibile, neppure le vite di coloro che lo servono fedelmente». Accennò con un movimento del capo all’alto, oltre il soffitto, e prese un respiro profondo e mise la fotografia ritagliata sul tavolo, proprio davanti ad un sempre più inebetito Goku. «Porto questa foto con me per ricordarmi, davanti a qualcuno che non riesco a salvare, feriti, martiri e vittime di guerra, che alla domanda ‘perché capita tutto questo’ c’è una risposta, ed ha un volto e un nome».
Ko–dlong, ko–dlong.

Dottor Valedo in chirurgia, Terzo Piano, A59 Rosso.

«Temo di dover davvero scappare, ma la tua notizia mi hai rallegrato la giornata, Son Goku. Spero, un giorno, di poter udire anche la notizia della sua morte».
Lo salutò con cenno del capo e lo lasciò lì imbambolato in mezzo alla mensa, con quella fotografia stropicciata sul tavolo.
Goku si grattò la testa e gettò un’occhiata in tralice alla figura nella foto. «Tu ridi, ma io non ci ho capito niente, sai?».



«Poi mi dovrai spiegare perché il dottore crede che questo sia tu» lo informò Goku con un vago brontolio, agitando l’immagine stropicciata che teneva stretta fra l’indice ed il medio.
Dal letto, nessuna risposta, e sotto un certo punto di vista era persino meglio. Non erano passate che poche ore da che si era trovato per la prima volta in quella stanza, al cospetto di quello spettacolo raccapricciante ed era quasi voluto scappare, e niente era cambiato: non gli aghi o la carne violacea e gonfia e tumefatta, non i fili o il respiratore infilato giù per la trachea, e quindi era meglio che Freezer continuasse a dormire. Niente sofferenza, niente dolore, niente sangue in bocca o sulle bende o nei polmoni, niente ferite riaperte, niente collera o spergiuri. Davvero, meglio che continuasse a dormire per un po’ di tempo, ancora. Di risvegliarsi in una condizione come quella in cui si trovava, Goku non lo augurava neppure a lui. Di trovarselo davanti, sveglio e ferito e furibondo, senza una mezza parola pensata o un mezzo motivo, senza un mezzo piano per gestire la situazione… decisamente non lo augurava a sé stesso, questo.
Ficcò in tasca la fotografia e poggiò le mani sul bordo del comodino metallico su cui si era appollaiato, dondolando le gambe, agitato e pensieroso. Qualche istante dopo voltò nuovamente la testa verso il nemico sconfitto.
«Almeno te li meritassi, tutti i casini che sto facendo per tenerti in vita» rognò con una vaga punta d’ostilità, poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Spero proprio che ti dimostrerai un po’ più ragionevole di quanto lo sei stato su Namecc, perché già così io non so davvero perché voglio aiutarti».
Balzò giù dal comodino e si avvicinò di qualche passo al letto. Estrasse e avvicinò l’immagine al volto di Freezer, provò a immaginarselo sorridere, parlare, spergiurare… Sospirò e rificcò in tasca il foglietto.
Erano brava gente, gli ethberiani, non si meritavano il suo silenzio, però…

«Immagino che abbiano tutto il diritto di odiarti, di non volerti salvare».
Sembrava passata un’eternità, potevano essere passate ore. La stanza era silenziosa e immobile nella luce artificiale, nella temperatura regolata, nel ronzio delicato dei macchinari.
Fissava un punto davanti a sé, cercando di mettere in ordine i pensieri, e c’è chi dice che iniziando sei già a metà dell’opera, ma l’unica cosa che riusciva a pensare era che se solo ci fosse Bulma. Bulma era intelligente e sapeva sempre cosa fare, era molto più intelligente di lui, molto più di tutti loro, ed era ancora viva. Bulma era viva, era sulla Terra ed era maledettamente fuori portata, come tutti i volti, i vivi ed i morti, che l’avevano accompagnato e consigliato fino a quel punto, no, prima di quel punto, perché se ci fossero stati, lì con lui su Namecc, forse l’avrebbe fatto ragionare ed avrebbero impedito tutto quel casino. Niente Bulma, quindi. E Chichi… pensare a Chichi lo faceva pensare a casa, e la reazione di Chichi, oh, quella…
Sbuffò per non mettersi a ridacchiare, ma poi ridacchiò comunque, con una mano schiaffata sulla bocca ed un'altra stretta sulle costole doloranti, con una mezza isteria e quell’immagine stampata nel cranio. Cielo, poteva praticamente vederla, sua moglie che non strillava, no – quello l’avrebbe fatto, poco ma sicuro, ma dopo – ma che realizzava la situazione con occhi sgranati e la bocca ridotta ad una linea sottile e poi prendeva una lieve rincorsa, come al rallentatore, una lieve rincorsa e la padella in mano e spiccava un salto e… Oddio, Freezer non l’avrebbe mai schivata. Troppo assurdo e troppo inaspettato e troppo maledettamente doloroso, lui lo sapeva bene. E sapeva bene anche, come una sensazione, che altri si sarebbero chiesti se fosse effettivamente normale essere nel più grande e pericoloso casino immaginabile e ridacchiare immaginando la propria moglie terrestre menare padellate sulla testa del essere più spietato e crudele dell’universo, ma…
Si calmò e sorrise, levando la testa verso il soffitto. Faceva incredibilmente bene pensare a casa, ricordare casa, dove tutto aveva una soluzione.
Quando si voltò a guardare Freezer non sorrideva più, era impossibile guardare Freezer e sorridere.

Spero, un giorno, di poter udire anche la notizia della sua morte.

«Se lo sa, sei morto, Freezer» disse all’aria con voce cupa.
Ma Freezer era morto, stabilì un istante dopo guardando la figura mutila e pallidissima distasa nel letto, tenuta in vita da meri pezzi di metallo. Era già morto, non serviva che smettesse di respirare. Morire significava anche altre cose: significava finire la vita e, poco ma sicuro, la vita di Freezer era finita, in un modo o nell’altro. Niente Freezer il Tiranno, niente Freezer il Mercante di Vite. Capitolo chiuso, non avrebbe mai permesso che ricapitasse. E se quel Freezer era morto, allora andava bene. Niente bugie: questo era un altro Freezer, non gli avrebbe permesso di tornare ad essere quel Freezer, questo era un altro Freezer, non lo era diventato chiedendogli aiuto, no di certo, ma se non poteva essere quello di prima sarebbe dovuto diventare qualcos’altro, poco ma sicuro.

Dopotutto, o si cambia o si muore.









Dunque… ringrazio tutti coloro che sono arrivati in fondo a questo capitolo, malgrado il colossale ritardo e la trama non esattamente popolare. Se volete, lasciatemi un’opinione, e se potete, arrivati a questo punto, non scappate via. Da qui in poi, se Goku si ricorda il copione e vossignoria Lord Freezer decide di farmi contenta degnandosi di dare una scorsa al suo, le cose dovrebbero movimentarsi, o quantomeno diventare interessanti. Perché sono in vena di chiacchiere, oggi? Perché a me piace il Lunedì, e questo è il terzo capitolo – 3 è un numero bello.
Ah, il dottore – temo di non essere stata sufficientemente chiara, ma questo capitolo è stato un parto – è convinto che Freezer sia un semplice sottoposto di, beh, Freezer.



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