Wonder. A un passo dal tuo cuore

di Anita_Anita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 01. Collasso ***
Capitolo 3: *** Altrove ***
Capitolo 4: *** 02. Vibrazioni ***
Capitolo 5: *** 03. Tentativi ***
Capitolo 6: *** Altrove ***
Capitolo 7: *** 04. Automatismi ***
Capitolo 8: *** Altrove ***
Capitolo 9: *** 05. Attimi ***
Capitolo 10: *** Altrove ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

 

Il giorno in cui mia nonna ci lasciò tirava un vento forte e gelido. Non volevo indossare qualcosa di troppo triste, così scelsi uno dei suoi abitini preferiti, che quando mi guardava mi diceva di assomigliare a una fata leggiadra. Era nero, in modo che potesse rivelare il mio dolore, ma aveva anche dei minuscoli fiorellini bianchi sul davanti identici a quelli del suo adorato giardino.

Mia nonna era una donna di ferrei principi e inconfutabili certezze, ma non era mai stata severa con me. Mi aveva trattata come una figlia prediletta, come il miracolo della sua vita. Mi voleva un gran bene.

Passavo quasi tutto il tempo in sua compagnia; mi piaceva per certi versi, mi faceva sentire al sicuro, in un luogo in cui si nascondevano tesori meravigliosi; dall’altra parte, però, mi metteva addosso un’impellente bramosia di libertà.

Aveva sempre una storia da raccontarmi. Favole inventate su misura per me, dove le principesse non rimanevano mai affacciate al balcone ad aspettare l’arrivo del principe (quasi sempre un ritardatario), ma montavano in sella al loro destriero e viaggiavano in lungo e il largo per il mondo in cerca di un'identità.

Perché ciò che mi insegnavano i suoi magici racconti, e ciò che mi ripeteva ogni volta che si accorgeva delle mie tristezze, era sempre e solo una cosa: siamo noi gli artefici del nostro destino. Noi che lo scriviamo e che ne determiniamo la direzione.

Mi mancava da morire, e non era solo un modo di dire.

Il fatto è che non ero mai stata pronta a dirle addio. Avevo sempre creduto che le fosse stata concessa una vita immortale ma avevo imparato che anche il mondo aveva i suoi «ferrei principi» e la morte occupava il primo, ineluttabile posto.

La chiesa era gremita, la funzione fu breve e commuovente. Non fui brava a trattenere i singhiozzi, ma in fondo cosa importava se gli altri mi sentivano piangere? Erano estranei alla sofferenza che provavo, e mai avrebbero potuto capire.

Nessuna cerimonia del «dopo funerale», nessun pietismo né ridicole pacche consolatorie sulle spalle. La gente se ne andò e noi parenti ci ritirammo nella solitudine.

Il tempo rallentò e da allora non ha più ritrovato il suo ritmo.

Si ruppe. Come il mio cuore.

Il giorno in cui mia nonna ci lasciò, tirava un vento forte e gelido. Entrai in quella che era stata la sua stanza, dove tutto era ancora al suo posto, come se lei avesse potuto comparire da un momento all’altro e aprire uno dei cassetti del suo portagioielli per indossare la sua collana preferita.

Chiusi gli occhi, mentre le lacrime continuavano a sgorgare ustionandomi le guance già irritate.

Le lenzuola conservavano il suo profumo, borotalco e quel lieve aroma fiorato che mi faceva pensare a distese di soffice erbetta e al sole di prima mattina. Anche i vestiti nell'armadio ne erano pregni. Tutto sapeva di lei.

Mi rannicchiai sul suo letto e strinsi forte il cuscino. Piansi fino a prosciugarmi, fino a farmi scoppiare la testa.

Non capivo perché se ne fosse andata. Era venuta meno al suo «patto». Non glielo avrei mai perdonato.

Il giorno in cui mia nonna ci lasciò, tirava un vento forte e gelido, il tempo si era rotto, la chiesa era gremita, le lacrime bruciavano, il vestito non era troppo triste, le pareti avevano trattenuto il suo profumo e io affondavo.

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Capitolo 2
*** 01. Collasso ***


PARTE PRIMA

LA PRINCIPESSA PERDUTA


01. Collasso

 

 

Niente dura per sempre. Neanche le cose che lo sembrano o che ti persuadono a crederlo. Il segreto per prevenire ferite e tutti i «mal» di quello o di questo male è vivere solo per se stessi e ignorare il resto. E ciò la maggior parte delle volte immette su una strada a senso unico.

— Clare, non puoi passare tutta la vita a vegetare. Chiama una delle tue amiche e va’ a prendere un po’ d’aria fresca. Compra i biglietti per il cinema, prenota un tavolo al ristorante più vicino, ma, ti prego, schiodati da quel letto e sparisci per un paio d’ore.

Mia madre sa farmi innervosire anche quando vuole agire per il mio bene e assume toni condiscendenti.

Alzo il volume dell’iPod al massimo. La nostalgica The lonely di Christina Perri mi esplode nelle orecchie in un trionfo di archi e piano. Lei sì che sa ascoltarmi.

Un attimo dopo, le cuffiette saltano via.

— Ehi! Ma che problemi hai?

— Il tuo comportamento è infantile. — Mamma brandisce gli auricolari come se fossero un’arma. — Devi smetterla di chiuderti in te stessa. Finirai per soffocare. Io voglio aiutarti, lo capisci?

Scatto a sedere, furiosa. — Tu non sai niente di me.

Azione, reazione. Il suo viso diventa di pietra.

— Sei mia figlia — dice piano, evidentemente per mantenere il controllo ed evitare di andare in escandescenza. È un soggetto ansiogeno. — So sempre tutto di te.

— Allora dovresti sapere che voglio essere lasciata in pace. O fingi di dimenticartene?

Le esce fuori un suono strozzato. L’inizio di un’obiezione o forse il verso dello sconcerto.

— Come vuoi — mormora stizzita. Mi riconsegna gli auricolari e va via sbattendosi la porta alle spalle.

Nella stanza si riversa un silenzio pesante più del piombo, che rischia di trascinarmi a fondo.

Infilo una mano sotto la fodera del cuscino e tiro fuori una vecchia fotografia. L’ho consumata a furia di passarci sopra le dita, ma non la butterò mai né la metterò in palio a qualche asta di beneficienza.

Una mano invisibile mi strizza il cuore. È colpa tua, grido nella testa. È colpa tua se non credo più in niente.

Riconosco il sapore salato delle lacrime che con troppa abitudine mi scivolano sul viso.

Per cosa vivere? Per cosa combattere ancora?

— Aiutami — gemo stringendo la foto al petto. — Aiutami tu.

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Capitolo 3
*** Altrove ***


Non immaginavo che avrei trovato subito recensioni e invece è successo. A GreenWind e IsaLove un grazie profondo quanto può essere profondo l'oceano. Non so se la storia continuerà a entusiasmarvi ma naturalmente il mio augurio è che ci riesca. Per rispondere alla dolce IsaLove, purtroppo la strada a senso unico di Clare è da intendersi nella sua accezione negativa. Non se la passa bene, la nostra giovane protagonista. :( E poi, sono certa che anche tu sapresti descrivere bene gli odori, i gesti e le parole di una nonna. Sono impressioni soggettive che richiamano alla mente associazioni diverse, le più disparate, e tutte quante sublimi. 
Resto in attesa di nuovi commenti e intanto vi lascio due nuovi capitoletti.
 

ALTROVE 





— Anne, non puoi.

— Oh, sì invece. Posso eccome.

— Ma lo sai come funzionano le cose qui. Se lo venissero a sapere ti spedirebbero nel Limbo.

— Non me ne importa un fico secco! Quella è mia nipote e non posso sopportare il suo dolore. Non posso vederla così. Ha chiesto il mio aiuto, l’hai sentita!

— Anne…

— Spiacente, non cambierò idea.

— Ma voglio farti ragionare.

— Non c’è nulla da ragionare, Gabriel. Ho già fatto la mia scelta.

— Sei davvero… Tu sei davvero…

— Ostinata? Caparbia? Testarda? Determinata? Sì, esatto, e quando mi avete accolto in questo posto lo sapevate tutti quanti, quindi non venirmi a dire il contrario.

— Va bene, va bene. Voce Celeste, che fatica parlare con te. Proverò a discuterne col Capo ma non ti garantisco nulla.

— Dammi la tua parola che insisterai.

— Sì, d’accordo, insisterò.

— Voglio la tua parola. Hai capito cosa intendo.

— Oh, andiamo!

— Non ti lascerò uscire finché non avrai recitato il giuramento.

— Io, Gabriel, giuro solennemente sulla bontà divina del mio Padre creatore e sul cuore puro dei miei Fratelli che non deluderò la fiducia di quest’anima e che le darò il mio aiuto per tutta l’eternità.

— Perbacco, mi aspettavo qualcosa di più spiccio. Perfetto, va’ pure adesso. Io ti aspetto qui. E fa’ in fretta. Non vorrei arrivare troppo tardi.

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Capitolo 4
*** 02. Vibrazioni ***


02. Vibrazioni





Mio padre e mia madre litigano. Non è la prima volta, ma per me è come se lo fosse. Non mi ci abituerò mai.

Con il brusio della televisione, i cani che abbaiano come se avessero il diavolo in corpo e le loro voci che sbraitano peggio dei cani, mi sento impazzire.

Striscio la sedia contro il pavimento e mi alzo da tavola. Il piatto con l’insalata e il purè di patate è praticamente intonso.

— Dove vai, Clare? — La mamma smette per un momento di inveire contro papà e mi fissa truce.

Ma io non rispondo alla sua domanda. Dico: — Siete patetici — e mi dileguo.

Non ho ancora capito il motivo per cui bisticciano. Quello vero, almeno, perché di ingiustificati ne potrei elencare migliaia. È uno strambo modo di amarsi, il loro. O forse non lo è e io mi sono sbagliata sull’immagine della famiglia perfetta che ho sempre creduto di avere. Non so più niente ormai.

Mi butto sul letto e sono pronta a spararmi un altro CD di musica deprimente nei timpani, quando il cellulare squilla. Non ricordavo nemmeno di averne uno.

— Pronto?

— Ehm… Ciao Clare, sono io, Sarah. Ti ricordi?

Vorrei riattaccare all’istante, invece mi sento rispondere: — Sarah, ciao.

Malumore a parte, non sono una ragazza scortese.

— Scusa l’orario sconveniente, ma mi stavo domandando se ti andasse di venire un po’ da me.

Tutto mi aspettavo, tranne che un invito. La gente ha smesso di porgermene da un pezzo. — Adesso?

Dall’altra parte proviene un colpetto di tosse. — Sì, be’, mi piacerebbe molto. È da tempo che non chiacchieriamo come una volta. — Pausa. — Mi manchi.

Stringo il telefono. Non so se crederle o meno. Quando mi serviva il suo supporto non c’era, perché adesso dovrebbe importargliene?

Siamo state migliori amiche un tempo, non posso negarlo, ma dopo la morte di mia nonna e la mia progressiva depressione il rapporto è cambiato. Peggiorato, direi.

— Io… — Non so bene cosa dire.

— Ti prego, non sentirti obbligata. Possiamo fare un altro giorno, se sei impegnata, è solo che mi piacerebbe tornare a vederci come quando era tutto okay, prima che…

Mi mordo il labbro. Lo faccio sempre quando sono agitata o devo prendere una decisione troppo velocemente. E poi sta per pronunciare le parole sbagliate, quelle che spedirebbero il suo debole tentativo di ristabilire un legame a farsi benedire.

Prego che si fermi e la mia richiesta viene accolta. La cornetta produce un sibilo prolungato e un po’ gracchiante.

Le parole della mamma riaffiorano alla mente. Devi uscire, Clare, farti una vita. Soffocherai. Forse dovrei darle retta. Si tratta solo di un paio d’ore, in fondo. Uno di quei pomeriggi spesi a spettegolare, pitturarsi le unghie a vicenda, guardare film strappalacrime con attori dal fascino irraggiungibile con cui sognare favolose notti di passione. Niente di complicato.

Ma se poi si rivelasse un disastro? Se non fossi ancora pronta? 

— Clare, ci sei?

Scendo dalle nuvole. — Sì, ecco…

— Allora? Vieni?

Mi prendo altri dieci secondi per riflettere. I dieci secondi più lunghi di tutta la mia vita. O quasi.

— Ti ringrazio molto, Sarah — dico finalmente. — Magari un’altra volta.

 

Mi sento inquieta. Inizia a mancarmi l’aria.

Esco sul terrazzo di casa, quello che affaccia sulla strada, e mi metto a osservare il dirimpettaio che lava la sua auto, la vicina che carica sul suo SUV cassette di frutta appena colta, un gruppo di ragazzini in bicicletta che fanno ripetutamente il giro dell’isolato strillando come piccole canaglie.

La vita nei suoi innumerevoli show, sforzandomi di ricordare l’ultima volta che ho provato la stessa sensazione di felicità che prova questa gente. Perché glielo si legge in faccia che sono felici.

Appoggio i gomiti sul parapetto e sospiro, il vento soffia in mezzo ai capelli e alcune ciocche cadono sugli occhi. Per un attimo vedo tutto attraverso una coltre di liane color cioccolato, come dentro una giungla.

Cosa devo fare per liberare la visuale, per tornare a vederci chiaro? Sposto la ciocca e il cielo appare di nuovo limpido e sconfinato sopra di me.

Un sorriso mi accarezza le labbra. Una questione di pochi istanti, sufficienti, però, a farmi capire. Dipende da me. Posso riappropriarmi di tutto ciò che è mio, se lo desidero.

Mi precipito di corsa in camera e ricompongo il numero di Sarah, che risponde dopo neanche due squilli.

— Ehi, sono… sono sempre io.

— Clare! È successo qualcosa? — dice lei, la voce si vena di preoccupazione.

— No, sto bene — la rassicuro. — Volevo solo... Ecco, io ho cambiato idea. È ancora valido il tuo invito?

All’altro capo del telefono, un urlo di gioia. — Oddio, non ci credo! Certo che è ancora valido. Sono contentissima. Tra quanto vieni?

Getto un’occhiata alla mia t-shirt slabbrata e agli shorts di jeans scoloriti. — Dieci minuti, può andare?

— Non vedo l’ora — strepita lei, e riattacca.

 

Davanti al portoncino in legno lucidato della casa dei Lee mi viene una sorta di paralisi e non riesco ad alzare il braccio per schiacciare il bottoncino placcato in oro sulla destra.

Mamma è scoppiata a piangere quando le ho detto che uscivo. Si è tamponata le lacrime con un fazzoletto di stoffa e ha singhiozzato che non si sentiva così felice da troppo tempo. Ma io mi ero già pentita della decisione presa.

Inspiro a fondo cercando di non pensare al formicolio delle mani e di concentrami sulle fioriere di ranuncoli dalle tinte vivaci, o sulla sedia a dondolo posta sotto la finestra della veranda. Ma è parecchio difficile e la calura estiva non aiuta.

Poi, però, mi giunge un abbaio persistente misto a guaiti e sbuffi. Dietro la porta, qualcosa gratta con foga. Arretro, per poco non inciampo nella lanterna dal vetro scheggiato rovesciata a terra, pochi passi dietro di me.

— Iron, smettila! — urla una voce dall’interno. Altro grattare, sempre più energico. — Iron, no, fermo! — urla ancora la voce, ma ormai è troppo tardi.

La porta si spalanca, l’acchiappasogni appeso in alto viene giù con uno scampanio acuto e l’ombra di un bestione bavoso mi scaraventa al suolo.  

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Capitolo 5
*** 03. Tentativi ***


03. Tentativi





Sarah è china su di me. — Scusami — dice, strattonando il collare dell’alano arlecchino che mi sta leccando la faccia. — Andiamo, Iron, fa’ il bravo.

Il cane uggiola di contentezza e obbedisce al richiamo della padrona. Ne approfitto per rimettermi in piedi.

— Nessun problema — dico io con un sorriso. Sembra che mi sia passata una lumaca sulle labbra. — Ti capisco. Ne ho tre io, ricordi? — Nemmeno finisco di formulare la domanda che mi do dell’idiota. Come può ricordarsi se è da secoli che non ci vediamo?

Il molosso schizza un altro po’ della sua bava appiccicosa in giro e poi trotterella via facendo tremare le assi di legno.

Sarah lo segue con lo sguardo. Sospira. — È un giocherellone, ma anche un gran maleducato. Non sapevo che avessi preso dei cani — dice poi spostando l’attenzione su di me.

Per l’appunto. — Mia sorella, sai, lei è fissata con la causa per la difesa dei randagi e ha trasformato la casa in una specie di ospedaletto. Papà ha minacciato di cacciarci e… — Mi zittisco di colpo. Ma perché le sto a raccontare queste cose?

Fa una smorfia di disappunto. — Sì, genitori… Se non ci stai dentro è difficile che qualcuno ti capisca. Sono sollevata, però. Ora so con chi confidarmi quando avrò qualche problema con quel demonio.

Metto le mani avanti. — Ehi, non è che sia chissà quale esperta. Riesco solo a riempirgli la ciotola di croccantini.

Sarah ridacchia e tiene la porta aperta. — Su, entra.

I suoi non ci sono, così abbiamo tutta la casa per noi.

— Siediti pure. — Fa cenno a una delle sedie attorno al tavolo dell’accogliente sala da pranzo. — Vado a prendere della limonata fresca e torno.

Faccio come dice, lo sguardo che corre lungo il soffitto affrescato, l’immenso lampadario di cristallo, la mobilia in stile rococò, sfarzosa neanche se fosse la sala ricevimenti del re Luigi XIV. Ma la sua è una famiglia ricca e questa è solo una piccola parte dei beni che ha ereditato dai suoi rispettivi antenati.

Torna con due bicchieri colmi di limonata e una scatola di biscotti al burro sottobraccio.

— Ero sicura che fossero rimasti ancora i tortini al cocco e cioccolato della festa di ieri, ma papà deve averli fatti fuori stamattina. — Scuote il capo. — Identico a William.

William. Suo fratello maggiore. Mi si annoda lo stomaco, vittima di un'improvvisa e inspiegabile soggezione. Alle medie mi ero presa una cotta pazzesca per lui ma non aveva funzionato. Non avrebbe mai potuto funzionare, mi ha sempre considerata una sorella più che un’amica.

— Come se la passa? — chiedo sperando che non fraintenda il mio interessamento.

Non lo fa. — Il solito scavezzacollo — dice, poggiando scatola e bicchieri sulla pregiata tovaglia di lino. Mi sorprende il fatto che non la tolga per evitare che si macchi. Se la vedesse sua madre le verrebbe un colpo apoplettico. Forse Sarah è cambiata. — Ha lasciato il liceo — continua, prendendo posto al mio fianco. — A un anno dal diploma, capisci?

L'allusione voleva essere sottile ma punse comunque. Anch'io avevo abbandonato gli studi, con l'unica differenza che non l'avevo fatto per inseguire un ambizioso sogno agonistico bensì perché l'entusiasmo nei confronti delle materie scolastiche era calato in maniera proporzionale alla mia depressione.

— Immagino i tuoi — dissi, augurandomi che non indagasse con ulteriori domande.

Giocherella con le frange della tovaglia. — Gli hanno vietato di rimettere piede in casa. Per loro è il disonore dei Lee.

Dalla sua serietà trasudano sofferenza e rabbia.

— Ti manca molto — dico cauta e nello stesso momento mi resi conto che mancava anche a me. Assurdamente folle.

Alza le spalle, in un gesto che sembra quasi di rassegnazione. — È mio fratello. — Sorride appena. — Mi ha cresciuta. Certo che mi manca.

— Non lo senti mai?

— Ogni tanto mi chiama, ma sempre da un telefono pubblico, come se non volesse farmi sapere in quale angolo del mondo si trovi. Suppongo che sia comunque qualcosa.

— Sì, suppongo di sì. Starà bene, vedrai. Lui sa badare a se stesso. — Non sono una brava a confortare, ma mi sembra la cosa più carina da dire, malgrado il desiderio di domandarle di più.

Pian piano, Clare, pian piano

Annuisce e tra noi si intromette il silenzio. L’imbarazzo inizia a farsi palpabile, allora abbasso gli occhi sulla gonna in taffetà che ho scelto per questo appuntamento. Le sue pieghe mi fanno sentire un marinaio in balia delle onde.

Poi Sarah si schiarisce la voce e dice: — Biscotti? 

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Capitolo 6
*** Altrove ***


Buondì e felice domenica a tutti voi lettori di EFP. E naturalmente buongiorno a te, GreenWind, che sei sempre così gentile nelle parole. Ti ringrazio davvero per i complimenti che mi hai rivolto e spero di riuscire a incuriosirti sempre più. Non posso anticiparti nulla, ma forse William tornerà a farsi vedere. O forse no. Chissà. ;) 
Vi lascio intanto alla lettura di altri due capitoletti e attendo ansiosa di ricevere pareri. 



ALTROVE 





— Allora?

— Calma, Anne. Resta seduta.

— Non dirmi cosa devo o non devo fare.

— Allora terrò la bocca chiusa.

— D’accordo, come vuoi. Mi siedo.

— Gli ho parlato.

— E che ha detto?

— Brutte notizie, Anne.

— Che significa «brutte notizie»?

— Lui non è sicuro che questa storia del tuo intervento sia una buona idea.

— Ma se non mi dà neanche l’opportunità di provarci?

— Sai com’è.

— Be’, potrebbe ammorbidirsi, ogni tanto. Cos’è, crede di avere la simpatia di tutte le sue anime? Puh! Narcisista.

— Anne, ti prego, ascoltami.

— Lo faccio, Gabriel. E anche troppo, forse.

— Io non biasimo il tuo malcontento, ma devi capire che il tuo mondo ora non è più quello mortale. Qui ci sono leggi e stili di vita diversi. Non puoi restare ancorata alla Terra.

— Stai ancora tentando di dirmi cosa devo fare?

— Oh, Anne, andiamo! Sai benissimo cosa intendo dire.

— Anche io lo so e non mi persuaderai a desistere. Hai visto cos’è successo non appena sono entrata in contatto con lei? Una leggera e innocua brezza estiva, et voilà, le è venuta voglia di uscire e di andare da quella sua amica.

— Hai rischiato molto. Hai quasi scombinato l’equilibrio.

— Fandonie! Non ho scombinato nessun equilibrio. Anzi, ho dato una mano a una povera donzella in difficoltà. Ma non li hai letti mai quei romanzi sull'amor cortese?

— È strano che tu non riesca a capire.

— No, sai cos’è strano, invece? Che un tipo come te, con il tuo prestigio e il tuo onore, non riesca a capire.

— È complicato, Anne.

— Non c’è nulla di complicato nella vita, nemmeno per un arcangelo. Ci sono solo un mucchio di menzogne.

— A fin di bene.

— Ma sempre menzogne. Ammalano lo spirito, Gabriel, dovresti saperlo meglio di me. Perché non provi a fidarti? Perché non mi lasci fare?

— Un giorno. È così che andrà. Un giorno capirai, ma ora non posso niente Anne. Mi dispiace. Devi lasciarla andare.

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Capitolo 7
*** 04. Automatismi ***


04. Automatismi





La crisi ha inizio verso mezzogiorno.

Mi lamento per il mal di stomaco e la mamma mi dice che dovrei mangiare, anche solo due cucchiaiate di zuppa. Ma io non ho appetito. O non voglio averne.

Papà entra in camera e sbuffa spazientito perché è stanco di questi attacchi e perché secondo lui sono io stessa a causarli. Magari ha pure ragione, ma la risposta la conosce solo il mio subconscio, che in questo momento è impegnato a inviarmi la rassicurante immagine di un letto d’ospedale e un ago da flebo infilato sottopelle.

È un processo strano, ma si ripete sempre allo stesso modo, con le stesse identiche sensazioni. Ossigeno che pompa troppo velocemente nei polmoni, le mani che si irrigidiscono, le labbra che scolorano fino a tingersi di uno spaventoso blu cianotico, la vista che si appanna, le gambe che formicolano, l’incoscienza.

I dottori hanno spiegato che questi attacchi appartengono a una forma di panico amplificata che finisce per interessare le zone cerebrali trascinandomi in una sorta di coma apparente. Ho fatto anche una capatina nel reperto psichiatrico più vicino, dove la mamma ha avuto uno shock ed è svenuta. Comprensibile, con tutta la povera gente rinchiusa là dentro.

Non ho memoria di quello che accadde ma stando al resoconto della mamma (una volta che si fu ripresa) la dottoressa che mi ha visitato mi ha trattata al pari dei suoi pazienti.

Mi ha persino prescritto un’assortita lista di psicofarmaci. Roba leggera, a suo dire, capace di stendere una mandria di cavalli, secondo il bugiardino.

Mi arriva una zaffata del profumo all’iris della mamma.

— Tesoro, mi senti?

Sì, vorrei annuire, sì ti sento. Invece mugugno suoni accavallati che lei interpreta come un'accorata richiesta d'aiuto.

Parla con papà, vuole chiamare un'ambulanza, ma lui ribatte che è fuori discussione.

— È sbagliato, Rose. Non possiamo assecondarla sempre.

Mia madre è in lacrime. — Fosse per te la lasceresti morire in questo letto!

Basta, grido dentro me. Basta, vi supplico.

— Non la stiamo aiutando, così — persiste papà.

— E come dovremmo aiutarla, sentiamo. Ah, no, lo so già. Vuoi che le dia una di quelle orribili medicine che le ha segnato la psichiatra, non è così?

— Non ho detto questo.

— Allora cosa?

Gemo più forte che posso, le labbra saldamente incollate tra loro che mi è impossibile aprirle, ma mamma e papà non sembrano darmi retta. Sono diventati sordi. Ho bisogno di loro due insieme. Ho bisogno di ricevere il loro amore. Non me ne faccio niente dell’odio che si rimbalzano addosso.

— Finitela! — grida qualcun altro all’improvviso.

Le urla si spengono, risucchiate dal silenzio. Sento i battiti del mio cuore rimbombare sui muri. Fanno rumore.

Una vibrazione calda sulla mia fronte, come una carezza.

— Clare, sono io. — È la stessa voce che ha interrotto papà e mamma. Dolce e consolatrice. — Andrà tutto bene adesso, sta’ tranquilla.

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Capitolo 8
*** Altrove ***


Buongiorno amici lettori di EFP e buon lunedì. Inizia una nuova settimana e ci auguriamo che porti una ventata di buone notizie, in ogni ambito. Non so se questa storia stia piacendo sul serio ma continuo a postarla perché oramai non posso più farne a meno e perché non sono mai stata una tipa da lasciare le cose a metà. Forse vi aspettavate un amore plateale e subitaneo e in effetti non posso darvi torto se ne siete rimasti delusi poiché la componente sentimentale non è ancora entrata in gioco. Ma ci sarà, pertanto vi domando solo un briciolo di pazienza in più. Detto ciò, saluto GreenWind e attendo numerose vostre opinioni. :)



ALTROVE





— Preghi?

— Mi è negato anche questo?

— No, no. Come sta?

— E a te che importa?

— Non parlare così, Anne.

— Ma è la verità. Non te ne importa niente.

— Al contrario, me ne importa molto.

— E pensi che restartene qui a gettare qualche occhiatina al mondo di sotto sprimacciando le tue belle piume influisca sulla felicità della gente? Ma fammi il piacere.

— Non lo penso, ma è la missione che mi hanno affidato e che io adempio.

— E smettila di usare tutte queste parole difficili. Non hai mai voluto aiutarmi sul serio. Hai solo provato a imbonirmi.

— Un’altra menzogna. Io desidero aiutarti davvero.

— Lascia perdere.

— Anne?

— Ho detto lascia perdere. Non ha più senso, ormai.

— Che vuoi dire?

— Si sta già smarrendo, Gabriel!

— Io…

— Vado a fare una passeggiata ma gradirei essere lasciata sola, se possibile.

— Va bene. Ho un paio di faccende da sistemare, in effetti.

— Te ne sono grata.

— Anne?

— Sì.

— Non smarrirti anche tu, però. 

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Capitolo 9
*** 05. Attimi ***


05. Attimi





Mia sorella è rimasta sdraiata al mio fianco fino a che non mi sono tranquillizzata e il respiro non si è fatto di nuovo regolare. Mamma ci ha portato della Coca insieme a delle deliziose focaccine alle noci che abbiamo divorato come se digiunassimo da giorni.

— Va meglio? — domanda mia sorella masticando un boccone.

— Sì. — Devo avere le guance accalorate per via del sangue che è tornato a irrorarmi le vene. Mi sento avvampare. — Grazie per quello che hai fatto poco fa. Non deve essere facile per te. — Mi correggo subito. — Per voi.

I suoi occhi si rabbuiano, ma solo un po’. — Non mi è mai piaciuto vederti soffrire, sorellina, nemmeno quando pensavo che lo facessi di proposito. Che fosse un modo di aggirare gli ostacoli, insomma. Voglio che tu stia bene, che torni a vivere come quando l’unica preoccupazione era il mal di pancia per le troppe risate o i mostri nell’armadio.

Mi sorprende il fatto che abbia dubitato di me come papà, ma non gliene faccio una colpa. Ha parlato al passato, perciò è stato un pensiero che l’ha solo sfiorata.

— Sì, era bello — ammetto fissando le bollicine che gorgogliano in superficie, nel mio bicchiere. — Ma siamo cresciute adesso, non trovi?

— Nah…. C’è sempre tempo per quelle cose. — Mi dà una spallata leggera e mi strizza un occhio. — A proposito, — dice poi — com’è stato rivedere Sarah?

Faccio spallucce. — Come mi aspettavo.

Assume la posa da comare pettegola che ha appena fiutato una notizia succulenta da spifferare ai quattro venti. — Non tenermi sulle spine e vuota il sacco — asserisce trepidante.

Le racconto ogni dettaglio del pomeriggio trascorso a casa dei Lee. Di come fosse tutto perfetto e impeccabilmente lucidato, di come persino il tè contenesse tracce d’oro zecchino, di come l'immodestia di Sarah non si fosse placata neppure di un milligrammo o di come il suo egocentrismo avesse raggiunto livelli esorbitanti. Quindi di come fosse stata una perdita di tempo. Ometto soltanto il dolce spiffero di pensiero rivolto a William. Per il momento voglio che resti segreto, anche perché non hai poi così importanza.

Mia sorella si fa una risata. — Però, proprio un bel tentativo da parte sua. Le concederai altre occasioni?

— Piuttosto mi impicco — affermo risoluta. Mi rendo conto del peso che possono avere le mie parole in un momento delicato come questo solo un istante dopo. — In senso metaforico, ovvio.

Il sorriso sul viso di mia sorella si fa più malinconico, ma conserva sempre tutta la sua gentilezza. — So che non faresti mai una cosa del genere. — Appoggia una mano sul mio petto. — Proprio qui, in fondo al tuo cuore, tu vuoi vincere questa battaglia. Lo sento. — Mi salgono le lacrime agli occhi, le ricaccio indietro. — Potrai sempre contare su di me, sorellina — aggiunge poi. — Io non ti lascio.

 

A pranzo, c’è il gelo più assoluto. Nessuno osa pronunciare una parola e l’unico rumore è il raschiare delle forchettate nei piatti.

Poi mamma scioglie la tensione e mi avvisa che nel pomeriggio andremo a trovare una sua amica. Sebbene non abbia molta voglia di spostarmi, intuisco che non mi sarà concesso potere decisionale e che mi toccherà assecondarla, che lo voglia o no.

Anche una volta in macchina continua a pedinarci il silenzio. Mamma è persa nei suoi pensieri, una ruga profonda le arriccia la fronte e le labbra sono strette in una linea sottile.

Prendo coraggio e chiedo: — Chi è questa amica?

— Una vecchia conoscenza — risponde lei vaga. — Farete quattro chiacchiere. Una cosa tranquilla, non preoccuparti.

Non sono sicura se sia un bene o meno che mia madre mi porti a casa di una sconosciuta per fare quattro chiacchiere, ma decido di soprassedere e siccome capisco che non mi dirà nient’altro accendo il lettore e faccio partire una versione molto romantica di Over the Rainbow.

Pian piano, escludo ogni altro suono dal mio campo uditivo e mi distraggo guardando le macchie d’alberi, le distese erbose dei terreni coltivati e l'azzurro turchino del cielo. Li osservo sfrecciare al mio fianco, fondendosi in una moltitudine di colori come pennellate confuse sulla tela di un pittore. Poi mi diverto a indovinare le forme delle nuvole. Individuo un drago, una farfalla, un cuore e il volto di una persona che mi ricorda tanto…

— Ehi, mamma, c’è nonna lassù.

Alza velocemente gli occhi. Il fatto che abbia nominato la nonna, la risveglia dal torpore. — Dove?

— Lì, la vedi? — Muovo un dito per beccare la posizione esatta della mia nuvola.

D’improvviso le sue rughe si distendono e le viene un sorriso manco fosse una bambina davanti al suo negozio di giocattoli preferito.

— Sì, la vedo. Dio, è proprio lei — sussurra incredula.

La nuvola in questione ha un contorno smerlettato e si allunga per delineare un paio di zigomi ossuti, guance incavate, un naso adunco, due buchi vaporosi per gli occhi e labbra dischiuse, protese quasi a dare un bacio. È il ritratto spiccicato di nonna Anne.

— Mi manca molto — mormora mia madre, e non so se lo stia dicendo a me o a se stessa.

Torna a puntare gli occhi sulla strada e io voglio fare qualcosa per trattenere questa scheggia di armonia che resta ad aleggiare tra noi, sospesa.

— Credi che stia bene, adesso, ovunque sia? — dico allora.

Non risponde subito e per un istante penso che non lo farà. Ma poi la sento pronunciare a bassa voce: — Credo di sì — per poi rintanarsi di nuovo nel suo bunker di pensieri.

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Capitolo 10
*** Altrove ***


ALTROVE





— Per niente! Non sto bene per niente, dove mi trovo!

— Con chi parli, Anne?

— Ehi! Mi stavi spiando, per caso?

— Te l’ho già detto, noi conosciamo ogni vostro movimento e possiamo rintracciarvi in un attimo.

— Che tradotto significa che siete dei gran ficcanaso.

— Non la metterei su questo piano. Ci preoccupiamo della vostra incolumità.

— Ma se sono morta!

— Oh, quindi pensi di essere… invulnerabile?

— Perché, è forse il contrario?

— Anne, dolce Anne, sei davvero un’anima straordinaria. Non ne abbiamo mai avute altre così esuberanti e infaticabili in custodia. Sei una perla rara.

— Adulami pure, apollo, non cederò mai alle tue lusinghe.

— Lo so bene, ma anch’io sono un osso duro. Non sottovalutarmi.

— Non ci penso nemmeno. Chissà quali stregonerie potresti rifilarmi pur di tenermi al guinzaglio.

— Tu vaneggi. Non voglio tenerti al guinzaglio. Pensi che mi piaccia respingere ogni tua richiesta? Non sono io il capo di questo posto, Anne. Ho le mani legate.

— Tutti possiamo scegliere, Gabriel. Anche tu. Non mi arrenderò fino a quando non avrò ottenuto ciò che voglio.

— Suona come una minaccia.

— Lo è. Puoi giurarci. 

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