Matrimoni, balli, fidanzati e altri disastri

di Daisy Ross
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** We never change ***
Capitolo 3: *** In my place ***
Capitolo 4: *** No bravery ***
Capitolo 5: *** Sugar coated ***
Capitolo 6: *** Everything's not lost ***
Capitolo 7: *** Radioactive ***
Capitolo 8: *** Wonderwall ***
Capitolo 9: *** Chasing cars ***
Capitolo 10: *** Jar of hearts ***
Capitolo 11: *** Demons ***
Capitolo 12: *** Safe and sound ***
Capitolo 13: *** When the darkness comes ***
Capitolo 14: *** Little by little ***
Capitolo 15: *** This is war ***
Capitolo 16: *** Dream on ***
Capitolo 17: *** When you say nothing at all ***
Capitolo 18: *** Flowers in your hair ***
Capitolo 19: *** Something to talk about ***
Capitolo 20: *** Secrets ***
Capitolo 21: *** Wake me up ***
Capitolo 22: *** Do I wanna know? ***
Capitolo 23: *** The masterplan ***
Capitolo 24: *** Going nowhere ***
Capitolo 25: *** The hardest part ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


A Demi, perché c'è sempre stata.
Ad Asia, perché è rimasta.
Ad Alessia, Sabrina e Alessandra, e
  a tutti voi, 
voi che resterete con me e la mia adorata Alice.
:)

 

 

Prologo 

 
 

Se c'era una cosa di cui Alice Paciock andava certa, fin da bambina, era che la compostezza e l'eleganza caratterizzanti sua madre e sua nonna, oltre che tutti i numerosi cugini Abbott, c'entravano con lei quanto i cavoli con la Burrobirra.
Difatti a soli cinque anni, dopo una sfilza di infinite cadute tragiche e numerose visitine al San Mungo, poté constatare di avere totale assenza di equilibrio e, invece, una buona dose di goffaggine.
Insomma, era una bambina piuttosto imbranata.
Ed ora, compiuti quindici anni...non era cambiata poi granché. Anzi, è più corretto dire che fosse peggiorata. E mentre suo padre -che, fra parentesi, adorava- si era rassegnato senza troppi sforzi all'avere una figlia goffa, Hannah Abbott non era mai stata una di quelle persone che si arrendevano facilmente.
Magari era proprio per questo motivo che, adesso, Alice si trovava incastrata in un vestitino rosa striminzito, in bilico su un paio di scarpe con un tacco davvero improbabile. Quando quella mattina la madre le aveva detto, in tono innocente, che sarebbe andata a comprarle qualcosa di nuovo per il matrimonio, non aveva di certo immaginato che in realtà stesse progettando la sua morte prematura.
Perché, diciamocelo, su quei tacchi sarebbe stata fortunata se fosse riuscita a fare più di un passo senza ammazzarsi. E dato che la fortuna, come la compostezza e l'eleganza, pareva evitarla quasi avesse il Vaiolo di Drago, lei preferiva non sfidare la sorte.
Arricciando il naso davanti il lungo specchio che aveva in camera, si tolse le Scarpe della Morte, e le lanciò sotto il letto. Gettò un'occhiata obliqua al suo riflesso, scuotendo la testa, e decise che avrebbe indossato quella specie di vestito in pubblico solo quando avrebbe voluto morire di vergogna. O attirare l'attenzione, come se già non bastassero le sue cadute epiche a farlo.
Quindi si affrettò a togliere anche quello, per poi buttarsi addosso jeans e camicia, mentre sognava di presentarsi alla carimonia così, nel pomeriggio. E l’avrebbe pure fatto, se non avesse temuto così tanto la reazione di sua madre.
Scese al piano inferiore della casa vuota. Mamma-belva era di nuovo in giro per negozi, mentre suo padre era ancora al Ministero, e non sarebbe tornato fino all’ora di pranzo. Alice gli assomigliava molto, sia nell’aspetto, che nei modi di fare; avevano entrambi i capelli castani, un po’ di lentiggini, la carnagione chiara e un’incredibile sensibilità. Con la differenza che Neville Paciock sapeva farsi coraggio e affrontare le cose da uomo, mentre lei, che non riusciva nemmeno a parlare con il ragazzo che le piaceva, cercava quasi sempre di rimanere nell’ombra, e di non farsi mai avanti, quale che fosse la situazione.
Spesso si era chiesta se per caso il Cappello Parlante fosse un amante dell’alcool, dato che, per assegnarla a Grifondoro, doveva per forza essere stato ubriaco.
Arrivò in cucina e, guidata dal profumo di cioccolata, scovò la torta regalata gentilmente dalla vicina, e ne addentò una fetta. Aperte sul bancone, c’erano ancora la sua Lettera di Hogwarts e l’invito ufficiale alla cerimonia di quel giorno.

                                    


E' con immenso piacere che
Percy Ingatius Weasley e Audrey Suzanne Miltoon
Annunicano il loro matrimonio
Che si terrà in data 29 Agosto
Alle ore 18:00 presso La Tana.

 

per gli sposi: 22, Leister Boulevard, Londra.                         

                               
 

All'arrivo della Partecipazione alle nozze, entrambi i suoi genitori avevano mormorato, sorridendo, un ‘era ora’, per poi inviare un Patronus di congratulazioni  a casa dei due futuri sposi. Hannah le era sembrata decisamente esaltata alla notizia; ma forse, rifletté Alice,era solo perché così aveva avuto un motivo valido per comprare nuovi vestiti. E per costringere lei a mettere una gonna.Era stata un po’ meno entusiasta nello scoprire che Alice non sarebbe stata uno dei nuovi Prefetti di Grifondoro; e, in effetti, persino lei ci era rimasta un po’ male.
Era sempre andata bene a scuola, e i suoi voti si mantenevano su una media piuttosto alta; ma poi, suo padre le aveva fatto presente che nemmeno lui era mai stato Prefetto e che, in ogni caso, sarebbe sempre stato fiero di lei.

Se non altro, anche lei era contenta di vedere che i due avessero finalmente deciso di sposarsi, dopo tanti anni passati assieme e con due figlie già quasi adulte. Molly e Lucy le erano molto simpatiche, come d’altronde praticamente tutti i componenti della famiglia Weasley, tranne forse qualche piccola eccezione.
C’era Rose, che era come una sorella per lei, e poi Fred, che la faceva sempre ridere, Hugo, Roxanne, Louis, Dominique…bè, erano molto numerosi.
Automatico era, poi, associare il nome dei Weasley a quello dei Potter. Harry e Ginny Potter avevano tre figli: James, Albus e Lily. Alice era cresciuta con loro –suo padre, sapeva, era un vecchio amico del signor Potter dai tempi della scuola, perciò si vedevano spesso-, giocando con Rose e Albus, che avevano la sua stessa età, e con James, di un anno più grande.
Le venne da ridere, a quel pensiero. Erano lontani i tempi in cui lei e James Potter riuscivano ad avere una conversazione senza bisticciare. Aggrottò la fronte, domandandosi per l’ennesima volta come avesse fatto a sopportarlo da bambina, quando era ovvio che già da allora il ragazzo covasse quel suo atteggiamento egocentrico e fastidioso che tanto detestava.
Nonostante tutti fossero al corrente di quanto poco i due ragazzi si sopportassero a vicenda, Alice aveva il sospetto che sua madre e Ginny Potter confabulassero per un loro improbabile futuro insieme. Ogni volta che stava dai Potter, e casualmente (ma no, diciamo pure, sfortunatamente, sventuratamente e disgraziatamente) capitava seduta di fianco a James, le sentiva parlottare e ridacchiare, lanciando occhiate maliziose nella loro direzione.
Ad ogni modo, da un bel po’ di tempo a questa parte semplicemente si ignoravano; soprattutto ad Hogwarts, nonostante fossero obbligati a vedersi ogni sera nella Sala Comune.
Tralasciando James, e le numerose ammiratrici che il ragazzo vantava, ad Alice piaceva molto la sua Casa, anche se, doveva ammettere, non aveva stretto particolari amicizie con nessuno a parte Jo. E Rose, che però era a Corvonero.
In realtà, non era mai stata molto propensa alla socialità, nemmeno prima di arrivare ad Hogwarts.
Scosse la testa, rassegnata, mentre finiva la sua fetta di torta e, lupus in fabula, Hannah Abbott faceva rumorosamente irruzione in casa con una miriade di buste tra le mani e un’aria soddisfatta che non prometteva nulla di buono. Il tempo di arrivare in cucina, posare le buste e squadrare la figlia da capo a piedi, che già la stava spingendo al piano superiore, borbottando qualcosa del tipo ‘ritardo’, ‘matrimonio’ e ‘bisogna prepararsi!’.
« Vedrai, Alice, ti ho preso un altro vestito, ed è…bè, è meraviglioso! Su, avanti, devi provarlo! » cinguettò allegra. Poi, vista l’espressione della figlia, aggiunse, piccata: « Non fare quella faccia da funerale, non ti sto portando alla ghigliottina ».
Alice pensò che la ghigliottina sarebbe stata un’idea decisamente migliore, ma decise di non controbattere, e si diresse di sopra, riflettendo su quanto la moda e quei maledetti tacchi alti le avessero causato un bel po’ di ossa rotte, in vita sua.
Quattro ore e quaranta minuti dopo, lei, suo padre e sua madre si tenevano per mano, nel salotto di casa, pronti per materializzasi a La Tana.

 
 
                                                      





  









Note dell'Autrice.
Ho davvero poco tempo di scrivere le note ma, ecco, ci tengo a farvi sapere che pubblicherò il primo capitolo a breve,
che tengo tanto a questa storia e che sarei felice, no, felicissima se al mio rientro trovassi qualche recensione. 
Detto questo, grazie per essere arrivati fin qui e, tanti auguri a tutti! :)
A presto, :3
daylise_

 

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Capitolo 2
*** We never change ***


1.
We Never Change

And I wanna fly and never come down
and live my life and have friends around
We never change, do we?


We never Change, Coldplay


« Oh, ma è meraviglioso! »
Alice si riscosse all’esclamazione di sua madre, mentre se ne stava distesa per terra, nell’erba incolta, tenendosi una mano sulla pancia, con la faccia pallida e un’aria malaticcia.
Odiava la Materializzazione.
Suo padre, visibilmente a disagio nel suo smoking nero nuovo di zecca, la aiutò ad alzarsi con cautela, dandole una leggera pacca sulla spalla.
Ma almeno, lui non doveva mettersi le scarpe con il tacco.
« Al ritorno usiamo la Metropolvere » la rassicurò, comprensivo.
A quel punto la ragazza poté osservare, non molto lontano dal punto in cui si erano materializzati, un’enorme tendone bianco ed elegante montato nel giardino della vecchia casa dei Weasley, e addobbato per l’occasione. Tutto attorno al tendone erano appese lampadine rosso e oro, che brillavano ad intermittenza.
La famigliola si avviò verso La Tana. Alice, che faticava parecchio a tenersi in equilibrio su quelle stupide scarpe, si teneva in coda al gruppetto.
Ad accoglierli fu Molly Weasley, che aprì frettolosamente il cancelletto in ottone dello steccato che circondava l’immenso giardino, e si scostò per lasciarli entrare. 
« Neville, Hannah, che piacere vedervi! Prego, venite…siete i primi ad arrivare! » cinguettò, allegra. « Alice, cara, sei adorabile stasera! » aggiunse, rivolgendosi a lei con calore e stringendola in un abbraccio spacca-ossa. 
« Oh…grazie » farfugliò lei, a corto di fiato. 
Mentre la signora Weasley li scortava verso casa, chiacchierando con i suoi genitori, Alice si incantò ad osservare le lucine ad intermittenza, e gli enormi festoni decorativi, rosa e bianchi, sparsi un po’ ovunque. Sotto il tendone più di un centinaio di sedie erano disposte in due grandi file; al centro, per terra, era steso un tappeto bianco ricoperto a chiazze da fiori rosa profumati. Poco più in là c’era un altare, dove un piccolo uomo sulla settantina, vestito di bianco, stava chino su un libro. Alice immaginò che fosse il prete.
La porta d’ingresso della Tana era già spalancata, e dall’interno provenivano diverse voci famigliari, oltre che un piacevole profumino di cucinato.
« Prego, ecco, entrate… Alice, c’è Rose che non vedeva l’ora che arriva… » 
« Alice! »
Una nuvola di capelli rossi le oscurò la visuale, e due nuove braccia la strinsero in un altro abbraccio caloroso.
« Rosie, mi sei mancata » esclamò allegra, ricambiando forte la stretta dell’amica.
Non si vedevano dall’inizio delle vacanze: Alice era partita quasi subito per la Scozia, dove stavano i cugini della madre, e il resto dell’estate l’aveva passato da Jo sulla costa; Rose, invece, era rimasta per buona parte delle vacanze proprio alla Tana, insieme alla sua moltitudine di zii e cugini, ed aveva passato qualche settimana in Francia.
Si erano scritte numerose lettere, certo, ma essere di nuovo lì, insieme, era tutta un’altra cosa.
Rose la lasciò, e sorrise radiosa.
« Salve, signori Paciock »
Hannah si chinò a baciarle la guancia, mentre suo padre dava anche a lei una piccola pacca sulla spalla.
« Come va, Rosie? Passate bene, le vacanze? »
« Benissimo » confermò, allegra.
Era bella, Rose: indossava un abito cremisi, e ai piedi portava un paio di scarpette dello stesso colore. Si era lisciata i capelli, che adesso le circondavano il viso in modo armonioso, e gli occhi azzurri brillavano luminosi.
Si sentì parecchio a disagio; lei i capelli li aveva semplicemente legati in una coda alta, dall’aspetto indefinito, e con quel vestito addosso più che bella ed elegante si sentiva soltanto ridicola.
Una ragazzina brutta che cerca disperatamente di apparire diversa.
« Ti devo raccontare un bel po’ di cose. Vieni, sono tutti di là » disse poi Rose, trascinando Alice verso un’altra stanza.
La Tana le era sempre piaciuta, e nonostante nel complesso fosse una casa piuttosto strana, lei la trovava meravigliosa così come era: disordinata, caotica, dagli spazi decisamente ristretti per un numero così grande di persone, ma accoglienti.
Entrarono in cucina, dove la luce del sole filtrava ancora dalle finestre attraverso le tendine chiare, e una quantità di pentole galleggiava sospesa in aria sopra il lavandino, mentre uno straccio incantato le scrostava e lucidava. Seduti al tavolo di legno, al centro della stanza, c’erano Hugo, il fratello di Rose, insieme ai signori Weasley e la famiglia Potter al completo.
Alice si sentì piuttosto in soggezione quando tutti gli occhi dei presenti si posarono su di lei.
« Alice! Diventi ogni anno più carina » squittì la madre di Rose, venendole incontro, e scoccandole un bacio sulla guancia. 
Il signor Weasley le rifilò una pacca sulla spalla, facendola traballare, mentre Ginny Potter la avvolse in un abbraccio, e al suo seguì quello di Lily, la più piccola dei Potter. Fu il quarto e sicuramente non l’ultimo che avrebbe ricevuto quella sera.
« Guardati, come sei cresciuta! » continuò la signora Weasley, piegando la testa di lato per osservarla meglio. « Compi quindici anni tra poco e già sembri una giovane donna ».
Alice sorrise, imbarazzata. 
« Tutto bene, Alice? »
La ragazza annuì in direzione di Harry Potter; le faceva ogni volta un effetto strano, leggere il suo nome nei libri e poi avercelo lì, di fronte a sé, che le sorrideva benevolo come era solito fare.
Lily, trotterellando, se ne tornò a sedere vicino ad Hugo, che la salutò con la mano. Quei due sembravano inseparabili, oltre che dotati di caratteri davvero singolari, fuori dal comune. 
Alice li paragonava spesso ai fuochi d’artificio, così pieni di vitalità come erano.
In quel momento, irruppero nella stanza anche i suoi genitori, seguiti a ruota dalla signora Weasley.
L’attenzione degli adulti a quel punto si riversò su di loro, con suo enorme sollievo, che tra strette di mano e scoppi di risate presero a fare conversazione allegramente.
« Ehi, Alice ».
Alice si voltò, in sincrono con Rose, verso il viso sottile di Albus, vestito di tutto punto, che le sorrideva gentile. Albus Potter era sempre stato un tipo molto riservato, poco loquace, persino con la sua famiglia e con lei, che conosceva da sempre. Nonostante questo, gli piaceva molto: non era un impiccione, si faceva i fatti suoi, ma quando avevi bisogno d’aiuto non esitava di certo ad offrirti il suo. E, inoltre, sapeva leggere dentro le persone.
Accanto a lui, poi, c’era James.
Alice era più che sicura di non averlo mai visto indossare abiti eleganti, e si dovette trattenere dallo strabuzzare gli occhi, di fronte al ragazzo in giacca e cravatta.
Anche se, bè, i capelli neri erano sempre arruffati, i primi bottoni della camicia bianca sempre sbottonati e aveva ancora quell’aria ribelle che non lo abbandonava mai. Alice notò che durante l’estate doveva aver preso almeno un paio di centimetri in altezza, perché ora la sovrastava decisamente. Anche i lineamenti del viso erano leggermente mutati: adesso sembravano un po’ più maturi, più adulti.
« Ciao, Al » gli sorrise di rimando. « James » aggiunse, educata.
Si chiese se, per caso, non fosse maturato un po’ anche lui insieme ai tratti del suo volto.
Meglio non sperarci troppo.
« Guarda un po’ chi si rivede » commentò il ragazzo, in tono divertito.
E quando mai James Potter non era divertito?
Rose lanciò uno sguardo esasperato al cugino, per poi sbuffare.
« Non darle il tormento anche oggi, Jamie ».
Il ragazzo parve offeso.
« Io non le do il tormento » replicò, sulla difensiva.
Alice fece per parlare, ma l’arrivo di nuovi parenti la interruppe.
« Bill, Fleur, accomodatevi! » sentirono cinguettare Molly Weasley, visibilmente eccitata.
Con loro giunsero anche Dominique e Victorie, le sorelle –come le definiva Jo- Ammazza-autostima, e Ted Lupin, il figlioccio di Harry Potter, mano nella mano con Victoire.
Ben presto, la casa si riempì di teste rosse.
Man mano che le persone arrivavano, la folla si spingeva verso il giardino, e il chiacchiericcio si faceva sempre più rumoroso; Alice riconobbe molti visi conosciuti, ma altrettanti non li aveva mai visti in vita sua: probabilmente, rifletté, erano i parenti di Audrey.
Il signor Weasley, insieme a quattro dei suoi fratelli, si dileguò ben presto al piano superiore annunciando che sarebbe andato a fare una visitina allo sposo, che pareva si stesse ancora preparando.
Materializzandosi, apparvero anche Molly e Lucy, per poi dirigersi anche loro, quasi subito, al piano superiore, dirette però nella stanza dove c’era Audrey a prepararsi.
Rose presentò ad Alice diversi parenti lontani dei Weasley, alcuni dei quali avevano la loro stessa età ma vivevano praticamente dall’altra parte del mondo.
C’era un cugino americano, che scoprì chiamarsi Paul, che continuava a chiedere a tutti l’orario, per poi scoppiare a ridere e prenderli in giro per l’accento.
George, un altro zio di Rose, sfoggiava orgoglioso sulla giacca grigia un gigantesco fiore all’occhiello arancione, mentre suo figlio, Fred, aveva ben pensato di non vestirsi elegante: si era presentato, invece, con una t-shirt con su scritto ‘Viva gli sposi’ a caratteri cubitali.
Fred confessò alle due ragazze che avrebbe portato anche uno striscione, se sua madre non glielo avesse impedito.
I signori Potter si misero ad aiutare Molly e Arthur Weasley con le ultime decorazioni, facendo apparire una moltitudine di palloncini rosa dalle bacchette.
Nel frattempo Alice, Rose, Albus e Louis, l’ultimo figlio di Bill e Fleur, nonché fratello delle Ammazza-autostima, si erano seduti su un muretto in un punto imprecisato del grande giardino, parlando del più e del meno.
Rose stava raccontando ad Alice i dettagli della sua vacanza in Francia, mentre Albus, seduto accanto a lei, scrutava tra la folla con aria annoiata.
Che i due cugini si volessero molto bene era lampante; ad Hogwarts capitava spesso che il ragazzo si sedesse insieme a loro e Jo, al tavolo di Grifondoro o a quello di Corvonero, e che le seguisse tra una lezione e l’altra. Alice aveva ragione di credere che Albus avrebbe fatto di tutto per la sua cugina preferita, e viceversa.
« Abbiamo visitato anche la Cattedrale di Notre Dame » spiegò, animata « e poi abbiamo girato un po’ per le vie del centro. C’era un mercatino molto grazioso, e ti ho portato una cosa » disse, estraendo dalla taschina del vestito un piccolo ciondolo a forma di Tour Eiffel. 
« Dicono porti fortuna » aggiunse, sorridendo.
Alice lo prese in mano con cautela, sentendosi abbastanza in colpa. Lei dalla Scozia non le aveva mai portato nulla, nonostante ci andasse tutte le estati.
Aveva una catenina d’acciaio, e sembrava piuttosto fragile, ma le piaceva tantissimo. Era come tenere un pezzetto di Parigi sempre con sé. Sorrise anche lei, legandoselo al collo, prima di abbracciare l’amica e ringraziarla di cuore.
« Ragazzi, mi sa che dobbiamo iniziare a sederci. Papà dice che stanno per cominciare ».
Li avvertì Hugo, che si era avvicinato a loro seguito da Lily, indicando il tendone alle sue spalle.
Annuirono, e si affrettarono a raggiungere gli altri ospiti.
Proprio mentre tutti prendevano posto sulle sedie, un mago alto, con la barba lunga ed il naso adunco, fece apparire un pianoforte, dal nulla, con un colpo di bacchetta, ed iniziò a suonare la Marcia Nuziale.
Davanti l’altare, in smoking, c’era Percy Weasley, con accanto Ron, Bill e Charlie, un altro dei fratelli. Dall’altra parte dell’altare c’erano invece i testimoni della sposa: una donna tarchiata, con un enorme cappello rosso accesso sulla testa, e una ragazza minuta, dall’aria eccitata.
Subito sulla folla cadde il silenzio.
Rose e Albus si erano seduti poco lontano dal punto in cui Alice, che si era fermata per ritrovare l’equilibrio –stupide, stupide scarpe-, rimase bloccata a causa di due streghe robuste, che stavano discutendo sottovoce su chi dovesse prendere una sedia vuota alla loro destra, mentre nelle altre file gli invitati si affrettavano ad accaparrarsi gli ultimi posti rimasti.
Alice si sentì nuovamente a disagio, realizzando di essere quasi l’unica ancora in piedi, e non trovando posti vuoti intorno a lei. Si chiese disperatamente se non fosse stato meglio sgusciare via da lì e andarsi a sedere per terra, quando qualcuno la prese per il braccio, facendola cadere, rumorosamente, su una sedia proprio dietro di lei.
Che era stata così sbadata da non notare.
Arrossì parecchio, di fronte allo sguardo seccato di James.
« Aspettavi un permesso scritto? » chiese, brusco.
Alice sbuffò. Forse quel ciondolo non portava poi così tanta fortuna, visto che, come al solito, era capitata seduta di fianco a lui.
« Non mi ero accorta che c’era un posto libero » ribatté.
« E non volevi sederti vicino a me » osservò il ragazzo, curvando le labbra in una sorta di ghigno.
Di nuovo Alice fece per replicare, e di nuovo venne interrotta, stavolta dall’entrata in scena della sposa. Tutti i presenti si alzarono, e dalla folla si levò un basso coro di ‘oooh’, mentre la donna, scortata da un mago panciuto con un’espressione orgogliosa in volto, che doveva essere suo padre, procedeva lentamente sul lungo tappeto.
Era bellissima.
Audrey aveva i capelli raccolti in un morbido chignon, e un velo semitrasparente le copriva il viso. Il vestito candido le ricadeva a coste fino ai piedi, stretto in vita e largo sulla parte inferiore. Il busto era adornato da ricami in pizzo, e al collo sfoggiava una semplice collana di perle.
Alice sorrise, vedendola, per poi portare lo sguardo sullo sposo e sorridere ancora. Perché Percy guardava Audrey come se non avesse mai visto niente di più bello in vita sua.
« Ma ti prego, sembra un fantasma, con quella roba addosso » bisbigliò qualcuno, lì vicino. « Se avesse almeno messo la mia tiara, sarebbe stata un po’ più decente… »
Alice si voltò stupita.
Accanto a lei c’era un’anziana signora grassoccia, con il naso a becco e gli occhi arrossati: era la zia Muriel, tanto detestata da Rose e da tutti i cugini Weasley, oltre che dai loro genitori. E dai nonni. Insomma, non era molto ben voluta in famiglia.
Nessuno sapeva come la zia potesse essere ancora viva: a cento trentatré anni, anche per i maghi era difficile rimanere in salute. Sul mistero della lunga vita di zia Muriel, tra i Weasley circolavano le leggende più bizzarre: alcuni ritenevano che avesse fabbricato, in qualche modo, una nuova Pietra Filosofale; altri si ostinavano a credere che fosse già morta parecchi anni prima, e che quella era una specie di zombie, perché nessun essere umano poteva essere tanto fastidioso; altri ancora, ridacchiando, affermavano che la vecchia zia aveva fatto un patto con il diavolo.
« …ma no, è troppo antica per lei…e comunque il vestito è oltremodo scollato. Lo dicevo, a Perce, che quella lì non ha tutte le carte in regola » borbottò aspramente, parlando più a sé stessa che a lei.
Alice continuò a guardarla esterrefatta; James, che se ne accorse, le rivolse un’occhiata eloquente, scuotendo la testa e sospirando.
Quando Audrey raggiunse Percy, al quale brillavano gli occhi, il prete iniziò a parlare.
« Signore e signori » cominciò, schiarendosi la voce, « siamo qui riuniti oggi per celebrare l’unione in matrimonio di due anime fedeli… »
Alice iniziava a sentire davvero male ai piedi. Passò in rassegna nella sua testa tutti gli incantesimi di medicina che conosceva, ma uno per il mal di piedi non l’aveva mai imparato. E comunque, non le era permesso usare la magia all’infuori dei confini di Hogwarts. Magari si sarebbe semplicemente fatta prestare un paio di scarpe da Rose. Possibilmente basse. Possibilmente da ginnastica.
Accanto a lei, anche James iniziò a perdere interesse per il monologo del prete. Alice lo vide prima passarsi distrattamente una mano tra i capelli, in un gesto abituale, uno di quelli che a scuola facevano impazzire le ragazze, per poi sbuffare e stravaccarsi sulla sedia.
Anche Alice si mise un po’ più comoda sulla sedia, e lasciò che la sua mente vagasse sui ricordi dell’estate appena trascorsa.
Quando era stata da Jo avevano passato un bel po’ di tempo a giocare a Quidditch. Alice era rimasta piacevolmente stupita nello scoprire che, quando si trattava di coordinazione occhio-mano lontano dal pavimento, era piuttosto brava. Insomma, nonostante quando camminava sembrava un Troll di montagna, sulla scopa ci sapeva fare. Volava abbastanza bene, e con suo grande stupore, se la cavava anche nel ruolo di Cacciatrice.
E poi le piaceva.
« Vuoi tu, Audrey Suzanne Miltoon, prendere in sposo Percy Ingnatius… »
Alice si riscosse, e cercò di sporsi un po’ per riuscire a vedere l’altare, ma aveva troppe teste davanti a sé.
« …nella buona e nella cattiva sorte… »
Lasciò perdere, scrollando le spalle.
« …E vuoi tu, Percy Ingnatius Weasley… »
Ecco, c’erano quasi.
« …in salute e in malattia… »
James, di fianco a lei, emise una specie di grugnito.
« Quindi io vi dichiaro, marito e moglie! »
La folla esplose in un applauso caloroso, alcuni si alzarono addirittura in piedi, e quando i due sposi si baciarono, James, Fred e lo zio George fischiarono entusiasti.
In prima fila, Molly Weasley e un’altra donnina anziana dalla chioma bionda singhiozzavano senza controllo. Alice si guardò intorno; anche Lily aveva gli occhi lucidi, e guardava lo zio con un sorriso enorme stampato sulla faccia, così come una delle sorelle Ammazza-autostima, che invece piangeva piano dentro un fazzoletto di pizzo.
Il mago con il naso adunco riprese a suonare la Marcia Nuziale, per poi intonare diversi motivetti, tutti molti allegri, e dai palloncini fuoriuscirono tanti piccoli coriandoli dorati.
A quel punto tutti erano ormai in piedi, e le sedie sotto di loro sparirono, lasciando il posto ad un’enorme tavolata imbandita, una pista da ballo, un piccolo palchetto e diversi tavolini da bar sparsi qua e là. La musica si fece sempre più alta.
Fred e suo padre presero subito a ballare, incoraggiando gli altri parenti ad unirsi a loro, mentre gran parte della folla si affrettava ad andare a congratularsi con i neo sposi, che si erano ritirati in disparte.
« Dovremmo andare anche noi » le disse James, urlandole nell’orecchio per farsi sentire, e spaccandole quasi i timpani.
Alice annuì, consapevole che, minuta com’era, da sola non sarebbe mai riuscita ad addentrarsi tra tutte quelle persone e parlare con i festeggiati.
James la aiutò a farsi largo tra la folla e insieme raggiunsero Percy e Audrey.
« Congratulazioni » esordì Alice, alzando la voce, e rivolgendo ai due un gran sorriso.
Audrey le sorrise di rimando, con gli occhi che le brillavano di felicità, e la abbracciò ; la ragazza ricambiò un po’ sorpresa.
James strinse la mano a suo zio, e si lasciò baciare sulle guancie da Audrey.
« Allora…adesso aspettiamo per voi due! » ridacchiò la donna, mentre il marito le passava un braccio attorno alle spalle.
I due ragazzi impiegarono qualche secondo per rendersi conto di ciò che intendesse, e digerire le sue parole.
Poi esclamarono, in coro, con foga:
« No! »
Alice squadrò James inorridita, e viceversa, mentre Audrey ridacchiava ancora e si lasciava trasportare da Percy sulla pista da ballo.
« Forse la zia Muriel ha ragione » borbottò James, che ora guardava Audrey con aria sconcertata « quella lì non ha la testa a posto ».
Alice scoppiò a ridere.
« O si è messa ad ascoltare i discorsi dei nostri genitori alle cene di famiglia » osservò, « l’ultima volta, tua madre mi voleva portare a provare il suo vecchio abito da sposa. Diceva che si abbinava con lo smoking che avresti indossato tu » scosse energicamente la testa, come a scacciare quel ricordo.
A quel punto fu James a mettersi a ridere, e Alice, con un moto di sorpresa, si accorse che stavano facendo conversazione.Stavano facendo conversazione senza volersi schiantare a vicenda.
Il ragazzo parve pensare la stessa cosa, perché alzò un sopracciglio con aria scettica, e si schiarì la voce.
« Magari, infondo la cosa ti piace » sussurrò, prendendo a ghignare « magari, ti piacerebbe se ci sposassimo » aggiunse, allargando le labbra in un sorrisetto soddisfatto, « d’altronde, a nessuna dispiacerebbe ».
Oh, perfetto.
Ecco, era questo l’atteggiamento che odiava.
Gli rivolse un’occhiataccia.
« Certo, e ti sogno ogni notte, sperando che il celebre figlio di Harry PotterCampione di Quidditch, si accorga di me, piccola e umile ragazzina di…James, ridammi l’elastico! »
Il ragazzo, ridacchiando, le aveva sciolto i capelli, rubato l’elastico e ora si stava divertendo a lanciarlo in aria e prenderlo al volo, quasi fosse un boccino.
Alice si sbracciò per riprenderselo, ma lui fu più veloce: il risultato fu che la ragazza perse definitivamente l’equilibrio e cadde a terra, e James portò in alto il minuscolo oggetto, brandendolo come un trofeo.
« Sei imbranata come l’anno scorso » constatò lui, sghignazzando.
« E tu sei stupido anche più dell’anno scorso » sbottò lei, offesa, mentre cercava invano di tirarsi su.
Dato che il ragazzo non pareva avere alcuna intenzione di darle una mano, sospirò, e si slacciò le scarpe. Riuscì quasi ad udire i suoi piedi gridare ringraziamenti e piangere di gioia.
« Ragazzi, mi dispiace interrompere le vostre…ehm…quello che sono, ma la mamma ti vuole parlare, Jamie ».
Alice alzò gli occhi verso Lily, così graziosa nel suo vestitino blu, che spostava lo sguardo da lei a James con un’espressione curiosa.
James ridacchiò di nuovo, poi le lanciò un’ultima occhiata carica di divertimento prima di allontanarsi insieme alla sorella.
Alice balzò in piedi, e partì in quarta alla ricerca di Rose, a piedi nudi, guardandosi bene dal prendere la stessa direzione presa da James. Se possibile, avrebbe fatto in modo di evitarlo per il resto della serata.

 

 ***


Adesso erano quasi tutti a ballare: Alice vide le streghe tarchiate di prima scatenarsi al centro della pista, urtando violentemente gli altri invitati che lanciavano alle due donne pesanti occhiatacce. Poco più in là, Percy e Audrey ballavano un lento, come anche il signor Weasley e la signora Weasley. Tutti gli altri si muovevano senza seguire delle vere e proprie mosse; Fred Weasley aveva abbandonato la pista e ora se ne stava stravaccato su una sedia, ammiccando verso una ragazza carina che Alice non conosceva.
« Oh, eccoti qui » esclamò una voce, alle sue spalle, « pensavo ti avessero rapito gli alieni. Ma dov’eri? » domandò Rose, ridendo.
Alice si voltò e lanciò un’occhiata truce verso la folla.
« Tuo cugino » biascicò, a mo’ di spiegazione.
« Oooh, capisco » fece lei, portandosi una mano sulla bocca, con finta sorpresa, « siete stati a sbaciucchiarvi fino ad ora? »
Alice la fissò, spalancando gli occhi, sentendosi in qualche modo tradita.
« Cos’è, ti ci metti anche tu? Da quando ti ci metti anche tu? »
Rose scoppiò a ridere, ma non rispose. La trascinò invece dall’altra parte della pista, dove c’erano Albus e Louis, entrambi intenti a parlottare sommessamente di qualcosa, lanciando ogni tanto delle occhiatine strane verso gli ospiti, come temessero di venire spiati.
« Cosa confabulate, voi due? » domandò loro Rose, tornando a sedersi accanto ad Albus.
Louis fece un verso strano con la bocca, prima di ridacchiare.
« Noi nulla. Nostra cugina, invece, mi sa che sta progettando qualcosa » affermò, risoluto.
Davanti alle espressioni interrogative delle due ragazze, Albus si affrettò a spiegare: « E’ Victorie. Lei e Teddy continuano a girare intorno a quel palchetto » indicò lo spiazzo vicino la pista da ballo, dove alcuni strumenti incantati stavano suonando da soli, e un microfono magico fluttuava davanti ad essi, « con aria strana. Poi si dicono qualcosa all’orecchio, e si rimettono a girare in tondo ».
Rose fece una smorfia.
« Li stavate spiando? »
Albus aggrottò le sopracciglia, e fece per ribattere, ma in quel momento la stessa Victorie afferrò con irruenza il piccolo microfono e strattonò Ted Lupin accanto a sé.
« Vorrei la vostra attenzione, per piacere ».
Un piccolo gruppetto di presenti si voltò verso di lei, con aria perplessa, ma la maggior parte di loro nemmeno si accorse che la ragazza aveva parlato.
Victorie li squadrò con astio, poi prese la bacchetta, la agitò con furia e subito gli strumenti smisero di suonare, cadendo sul pavimento e provocando un gran fracasso.
A quel punto, tutti gli occhi degli ospiti erano puntati su Victorie.
Ted la guardava con un misto di ammirazione e spavento allo stesso tempo.
« Bene » cominciò la ragazza, in tono altezzoso, « Io e il mio ragazzo vorremmo fare un annuncio ».
Dalla folla, vide Alice, si sporsero il signore e la signora Potter.
Victorie li notò e sorrise al loro indirizzo, poi si ravvivò i capelli di platino con un gesto secco, e riprese, squittendo: « Io e Teddy ci sposiamo! »
Alice spalancò la bocca, e notò che anche il resto della folla ebbe la stessa identica reazione, prima che si iniziassero a levare alcuni mormorii sorpresi, e poi le persone prendessero ad applaudire.
Victorie si voltò felice verso Ted e gli stampò un bacio sulla bocca, e il ragazzo sorrise come un’ebete.
In realtà, rifletté, non era una notizia così strabiliante: la cugina di Rose e Ted Lupin stavano assieme da tantissimo tempo, e Alice, anche se non li conosceva granché, immaginava si volessero davvero bene.
In effetti non seppe spiegarsi bene la reazione della famiglia, né tantomeno la sua.
Accanto a lei, Rose si era immobilizzata un attimo, prima di applaudire come tutti gli altri, e stessa cosa valeva per Louis, mentre Albus non aveva battuto ciglio.
Il temperamento di quel ragazzo era qualcosa di disumano.
« Perché…? » sussurrò Alice, rivolgendosi all’amica, ma questa l’anticipò.
« Victorie non è molto…bè, non tutti la sopportano in famiglia e…come biasimarli, d’altronde… » borbottò, scrutando l’orizzonte persa in chissà quale ricordo.
« Rose, tesoro, c’è zia Emma che se ne sta andando, e ti vuole salutare! » Hermione si stava sbracciando per attirare l’attenzione della figlia, così Alice le picchiettò la spalla richiamandola alla realtà, e indicandole la madre. Rose sussultò, e le sorrise, congedandosi con un ‘torno subito’.
Alice si trascinò con aria stanca verso uno dei tavolini da bar, e si lasciò cadere su una sedia. Aveva ancora i piedi nudi, ma pareva che nessuno se ne fosse accorto ed era meglio così. L’unico problema era che aveva abbandonato le scarpe chissà dove nel giardino dei Weasley, e dato che quest’ultimo era famoso per le infestazioni di gnomi da giardino malefici, non era del tutto sicura che le avrebbe ritrovate.
Sulla pista c’era chi ancora si scatenava e, mentre il cielo imbruniva, Alice si chiese distrattamente che ore fossero.
Appoggiò la testa sul tavolo, sbadigliando, rendendosi conto di essere davvero stanca.
Sentì qualcuno prendere posto sulla sedia accanto alla sua, ma non vi badò, nonostante in quel momento dovesse avere un aspetto penoso.
« Buonanotte, allora ».
Alice si riscosse di scatto, guardando con astio, tutto quello che riuscì ad accumulare, il profilo di James che ghignava al suo indirizzo.
« Sei una persecuzione » asserì, in tono tetro.
« Avevo bisogno di distrarmi, sai, e prenderti in giro mi rilassa » disse lui, per nulla offeso.
Alice grugnì e poggiò di nuovo la testa sul tavolo, stavolta rivolta però verso di lui. Notò che il ragazzo continuava a fissare truce un punto alle sue spalle, perciò si decise a parlare.
« La finisci? Non è carino guardare la gente a quel modo ».
James sbuffò, voltandosi nella sua direzione.
« Magari se la fisso così incenerisce, non si sa mai ».
Alice alzò un sopracciglio stupita, così lui continuò: « E’ quella. Che vuole sempre rovinarci la vita ».
Alice si rimise a sedere composta, e sbirciò il punto in cui James si accaniva a guardare. VictorieVictorie che ballava con Ted.
Alice non capiva, ma mentre una nuova domanda le saliva alle labbra, sua madre si parò davanti a loro con un sorriso zuccheroso stampato in faccia, e si rivolse ad Alice di fretta.
« Dobbiamo andare » fece.
Alice annuì, colta di sorpresa, e si alzò, rivolgendo a James un’occhiata curiosa. Ma il ragazzo scosse la testa e continuò a fissare Victorie.
« Avanti, siamo già in ritardo, ho promesso a mia madre che stasera eravamo a cena da lei e…Morgana, perché diavolo sei scalza? »

 
 
 















Note.
Vi volevo dire alcune cose. Allora, per descrivere il matrimonio ho preso un po’ spunto da quello di Bill e Fleur, narrato dalla Rowling nel settimo libro, poiché –ahimé- purtroppo non ho la più pallida idea di come possa essere un matrimonio tra maghi.
Non mi è ancora arrivata la lettera, sapete.
Comunque sia, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, e mi piacerebbe tanto se mi lasciaste qualche recensione, giusto per capire se la storia è così orribile, insomma, non vorrei traumatizzarvi tutti con qualcosa di mostruoso su efp.
Lol comunque, adesso vado e bè, grazie a quelle meravigliose tre persone che hanno messo la mia storia tra le seguite, aw.
A presto, prestissimo.
 
Daylise

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Capitolo 3
*** In my place ***


2.
In my place

In my place, in my place
were lines that I couldn't change
I was lost, oh yeah
In my place, Coldplay


Il binario 9 e 3 \4 era affollato e caotico come ogni primo Settembre che si rispetti.

Sul marciapiede, gremito di maghi e streghe di ogni età, aleggiava un alone di denso fumo biancastro, emesso dalla locomotiva. Qua e là, bambini con dei buffissimi cappelli a punta in testa correvano a perdifiato, inseguendo i loro animaletti, mentre i rispettivi genitori discutevano del più o del meno o gli intimavano di montare sul treno.
Rivedere l’Espresso per Hogwarts, splendente e scarlatto, scaturì in Alice Paciock un moto di sollievo, e sentì un incredibile calore che non riusciva a spiegarsi. Tornare a scuola le sembrava un po’ come tornare a casa: perché Hogwarts era casa sua, lo sentiva.
Ne conosceva ormai ogni muro, scala e armatura a memoria; non vedeva l’ora di poter di nuovo ammirare il soffitto incantato della Sala Grande, passeggiare per i prati nel parco, passare le serate davanti al caminetto nella Sala Comune e immergersi in qualche libro della biblioteca, magari d’avventura, come le piaceva tanto.
Mentre ci pensava, euforica, osservava distratta i tentativi di suo padre di chiuderle baule.
L’uomo continuava a premere e sforzarsi, con le sopracciglia aggrottate e un’aria di sfida, ma la valigia non voleva proprio saperne: come Neville la lasciava, ansimando, questa si spalancava nuovamente, sputando fuori qualche maglietta di troppo. Alice era più che certa che sua madre avesse messo mano nelle sue cose prima di arrivare in King’s Cross, perché lei non avrebbe mai portato con sé tanti vestiti.
In realtà non sapeva neanche quanti ne possedesse –probabilmente tanti, considerate le atroci manie di Hannah-, poiché quelli che usava di solito erano sempre ammassati sul suo letto o sulla sedia della scrivania nella sua stanza, perciò l’armadio lo apriva massimo una o due volte l’anno. Forse un po’ la spaventava, essere faccia a faccia con le gonne di pizzo e i vestitini svolazzanti che Hannah le comprava.
Appena maggiorenne avrebbe provveduto a dare tutta quella roba inutile in beneficienza.
« Alice, ti spiace se lo leghiamo e lo porti così? » sospirò infine suo padre, in tono di scuse.
Alice, desolata, acconsentì: Neville mormorò un incantesimo e subito apparve parecchio spago, che si strinse intorno al bagaglio chiudendosi poi in un nodo stretto. Era rimasto leggermente socchiuso, gonfio com’era, e si potevano intravedere alcuni capi, ma in fondo non le importava poi granché.
Lo afferrò, poi scrutò tra la folla in cerca di qualche volto conosciuto, speranzosa di riconoscere Rose o Jo, e quando qualcuno da dietro le picchiettò la spalla, sobbalzò.
« Mi cercavi, forse? »
Al suono della voce della sua migliore amica Alice si girò di scatto, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi, felice come non mai.
E Jo era proprio lì: alta, slanciata, con due enormi occhi verdi da cerbiatto, la divisa della scuola con lo stemma di Grifondoro in bella vista e svolazzanti, setosi, lucenti capelli…viola.
Viola.
Alice, che era sul punto di abbracciarla, si bloccò e rimase a fissare la sua chioma, sbigottita.
Jo scoppiò a ridere, incrociando le braccia sul petto e inarcando un sopracciglio.
« Terra chiama Alice. Qui c’è la tua migliore amica che non vedi da ben tre settimane, ma ehi, continua pure ad ignorarla ».
Allora fu Alice a ridere, rianimandosi, e le due si abbracciarono con affetto.
« Come va, Jo? Mi piace il tuo nuovo look » Neville sorrise benevolo all’indirizzo della ragazza. Probabilmente ormai, dopo quattro anni, si era abituato alle sue stramberie.
Non c’era che dire: Jo di normale non aveva proprio nulla, a partire dalla sua franchezza spropositata, dalla sua visione della vita, dal suo aspetto originale, fino ad arrivare alla sua incredibile energia. Era una vera e propria forza della natura, uno spirito libero, qualcosa che niente e nessuno poteva contrastare.
Il sorriso di quest’ultima si fece ancora più largo.
« La ringrazio, signor Paciock. I mie genitori ci tenevano a farle i loro saluti ».
« Salutali tanto anche da parte nostra…oh, ecco che arriva Hannah… »
Neville si incamminò verso la moglie, che si era allontanata per salutare qualcuno più in là.
« Allora, il motivo di questa tua…scelta? » ridacchiò Alice, rivolgendosi all’amica.
Jo scrollò le spalle: « Era da una vita che li tenevo biondi, erano noiosi… »
« Non sono male così » dichiarò Alice, che ora la scrutava con più attenzione, « un po’ appariscenti, forse » sorrise, « ma ti stanno bene ».
Neville e Hannah fecero ritorno verso di loro. Alice si divertì ad osservare la reazione di sua madre di fronte a Jo: la sua espressione mutò da gentile ad incredula, e poi le sue sopracciglia si aggrottarono in quello che doveva essere un vano tentativo di sfoggiare un’espressione normale, e che invece appariva più che altro una faccia orripilata. Sembrava si stesse contenendo con tutte le sue forze dal dire qualcosa di poco carino a proposito della chioma della ragazza.
Tuttavia Jo sfoggiò un altro dei suoi sorrisi, completamente a proprio agio, e la salutò con allegria.
Hannah restò immobile per qualche secondo, tanto che Neville dovette darle un colpetto sulla spalla, facendole notare il suo comportamento poco educato.
« Ciao, Josephine » disse infine, con la voce così palesemente controllata da risultare buffa, senza però staccare gli occhi dai suoi capelli. 
Jo storse il naso, ma soltanto perché odiava il suo nome completo. Più o meno tutti a scuola avevano imparato a chiamarla ‘Jo’, anche perché in pochi avevano il coraggio di sfidare la sua ira.
In quel momento, il capotreno prese a fischiare richiamando gli studenti in carrozza.
« Allora, ci vediamo a Natale » fece Alice, sorridendo ai suoi genitori, pronta ad andare.
« Aspetta, Alice, tesoro » Hannah distolse la sua attenzione dalla chioma viola di Jo e la puntò su sua figlia. « Prima che tu vada, dobbiamo parlare ».
Neville rivolse alla moglie un’occhiata dubbiosa, ma questa lo ignorò e posò le mani sulle spalle di Alice.
« Quest’anno ci sono i G.U.F.O. » cominciò, « e ne abbiamo parlato già molte volte, ma voglio che tu ne sia assolutamente consapevole… »
Alice si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo, ed intercettò lo sguardo di Jo, che le lanciò un’occhiata dispiaciuta. 
Erano mesi che sua madre le faceva pressione per quegli esami, ripetendole quanto fossero importanti per il suo futuro e quanto avrebbero influenzato il suo intero percorso di studi a venire. Grazie al cielo aveva potuto passare una buona parte delle vacanze lontano da casa, altrimenti sarebbe diventata matta, sotto le sue continue prediche.
« …e sai che ti dovrai impegnare al massimo, sempre. Con la tua media mi aspetto almeno sette G.U.F.O., e se vorrai fare qualcosa di utile, nella vita, studiare sarà fondamentale. Siamo intesi? »
Aveva un sorriso zuccheroso, probabilmente cercando si sembrare incoraggiante, ma ad Alice quella pareva di più una velata minaccia.
« Certo, mamma » rispose, con voce piatta, mentre la sua mente vagava già su ciò che avrebbero mangiato quella sera a cena.
Il capotreno fischiò una seconda volta e Hannah le scoccò un bacio in capo, poi salutò Jo con distacco. 
Nel frattempo la folla si disperdeva, mentre anche le ultime famiglie si affrettavano a salutarsi; sul marciapiede i bambini che si rincorrevano erano scomparsi, e di animali fuggitivi non v’era più traccia. Alice si chiese dove fosse Rose, non riuscendo a scorgere da nessuna parte qualche testa rossa.
Neville si avvicinò con loro al treno per aiutarle a caricare i bauli, e quando ebbero fatto, Jo balzò dentro annunciando che sarebbe andata a cercare uno scompartimento, dopo aver salutato Neville.
« Alice » fece questi, trattenendola, « aspetta, ti volevo dare una cosa ».
Tirò fuori dalla giacca un pacco chiuso con del nastro rosso, e glielo porse con un sorriso.
« Cos’è, papà? »
« Il tuo regalo di compleanno. In anticipo di due settimane, lo so, ma pensavo che sarebbe stato più bello averlo fin dall’inizio dell’anno » spiegò.
Alice inclinò la testa di lato e lo prese in mano. Lo scartò con cura, attenta a non strappare troppo la carta, rivelando una vecchia macchina fotografica dall’aria vissuta, agganciata ad una cinghia grigia. La osservò meravigliata, rigirandosela tra le mani con ammirazione, quasi fosse una pietra preziosa.
« E’ bellissima » mormorò.
« Sapevo che ti sarebbe piaciuta » affermò Neville, ridacchiando, « era di tuo nonno. L’ho ritrovata nella soffitta solo poco tempo fa, e ho immaginato potesse interessarti…guarda » la prese e, indietreggiando di qualche passo, strizzò gli occhi nel mirino e le scattò una foto.
Subito, da una fessura posta nella parte inferiore dell’aggeggio, fuoriuscì scintillando la fotografia, in carta rilegata.
Neville gliela porse e Alice la prese sempre più ammaliata, esaminando la sua stessa figura, forse un tantino scolorita, che le sorrideva dalla carta, e di tanto in tanto sbadigliava o si grattava il naso.
« Si vede un po’ sgranata, ma è perché la macchina è vecchia, e...»
« E’ perfetta, papà » lo rassicurò lei, sincera.
Neville sorrise, poi le ridiede la macchina.
« Ah, e senti, per i G.U.F.O. sta’ tranquilla. Non importa quali saranno i voti finali, importa solo che tu dia il meglio di te…e poi, sono sicuro che ce la farai ».
Il capotreno fischiò per la terza volta.
Alice lo abbracciò, ringraziandolo di cuore, e constatando per l’ennesima volta quanto suo padre la conoscesse così bene, e quanto sua madre così poco.
Montò sul treno e, mentre questo prendeva velocità, si affacciò ad uno dei finestrini per salutarlo ancora con la mano. Poi il veicolo fece una curva e la stazione sparì.
 

          ***


Sospirò, infilando la fotocamera, con cura, in una delle tasche interne del suo baule già strapieno. Vagò per i corridoi del treno, facendosi strada tra gli altri ragazzi, e stava giusto riflettendo su dove potesse essere finita Jo quando questa le si parò davanti, sbarrandole la strada.
« Dobbiamo sbrigarci, o non troveremo più scompartimenti! » esclamò, trascinandola verso la carrozza successiva. Alice notò che gli occhi di molti studenti erano puntati su Jo, o per meglio dire, sui suoi capelli.
« Scusa, ma cosa hai fatto per tutto questo tempo? » domandò, aggrottando la fronte.
Jo sorrise maliziosa.
« Ho incontrato Michael ».
Quando si accorse che Alice non capiva, aggiunse, spazientita: « ci stavamo salutando…»
« Si stavano mangiando la faccia a vicenda, veramente » intervenne una voce, lì vicino.
Le due si voltarono verso Rose Weasley, che sorrideva radiosa, anche lei con la divisa già indosso e i capelli crespi raccolti in una treccia. Accanto a lei, Albus Potter le salutò con la mano, fissando Jo con un’espressione strana che Alice non seppe decifrare, e immaginò che anche lui fosse colpito da tutto quel viola.
Jo ululò di gioia e saltò praticamente addosso a Rose mentre la abbracciava; questa rise, tossicchiando, a corto di fiato nella stretta dell’amica.
« Bè, ciao anche a te. Uhm » divertita, lanciò un’occhiata alla sua chioma, « stavolta hai dato il meglio di te, Josey, davvero ».
Jo sorrise di nuovo. « Michael dice che sono un incanto! » squittì.
Rose alzò gli occhi al cielo, poi abbracciò anche Alice, e tutti insieme s’incamminarono per cercare uno scompartimento vuoto.
Constatarono, desolati, che erano già quasi tutti occupati. Dovettero giungere fino all’ultima carrozza per trovarne uno ancora libero.
In realtà c’era un ragazzo, al suo interno, seduto in malo modo su uno dei sedili e che scrutava il paesaggio in corsa fuori dal finestrino con aria pensierosa.
E sfortunatamente, quello era proprio l’ultimo ragazzo con il quale avrebbero voluto condividere uno scompartimento. Cioè, l’ultimo ragazzo con il quale Albus e Jo avrebbero voluto condividere uno scompartimento.
« Ah. Ciao ».
Il saluto piatto di Scorpius Malfoy sembrò far imbestialire Jo quasi le avesse lanciato contro un terribile insulto.
Non sembrava cambiato granché durante l’estate: stessa aria solenne, stessi capelli biondissimi, volto pallido, occhi cerulei e fisico esile, sebbene fosse piuttosto alto. Indossava un semplice paio di jeans color cachi e una t-shirt blu.
« Andiamo via » sibilò Jo, mentre Albus fissava il ragazzo con astio.
« Questo è l’ultimo » le fece notare Rose, arrossendo e abbassando gli occhi.
Ora, qualunque osservatore attento –o meglio, qualunque osservatore non accecato dall’odio della propria famiglia e dei propri amici- avrebbe capito che Rose e Scorpius si piacevano.
Punto primo, perché ogni qual volta che era in presenza del ragazzo, Rose arrossiva furiosamente –tipo ora-, e farfugliava frasi sconnesse, una cosa decisamente non da lei.
Punto secondo, perché Scorpius, che pareva essere infastidito da tutto il mondo, non si lamentava mai della presenza di Rose.
Punto terzo, perché tutti gli ammiratori di Rose finivano per avere qualche brutto incidente, in cui misteriosamente Scorpius c’entrava sempre qualcosa.
Punto quarto, perché Scorpius guardava Rose e sembrava un cieco che vedeva la luce per la prima volta. 
Perché erano Rose e Scorpius, e avevano molte più cose in comune di quante ci si potrebbe immaginare.
Per questi motivi, Alice riteneva che i due fossero una sorta di reincarnazione di Giulietta e Romeo. 
E c’erano molte divergenze tra i Weasley, davvero, ma se c’era una cosa su cui tutti andavano d’accordo, quella era proprio che i Malfoy andassero evitati e detestati.
Sempre e comunque.
E pareva che l’odio fosse reciproco.
Neville le aveva parlato tante volte di quella famiglia, e sebbene tra le sue parole lasciasse intendere quanto poco apprezzasse Malfoy senior, le aveva anche detto che alla resa dei conti ognuno imparava dai propri errori. Insomma, niente rancore.
Alice comunque non associava mai i racconti del passato del signor Malfoy con suo figlio; in effetti, almeno stando alle storie che aveva racimolato nel corso dei suoi anni ad Hogwarts e da quel poco che conosceva di Scorpius, lui e il padre le sembravano due persone totalmente differenti. A partire dal fatto che, con enorme disappunto da parte dei Weasley (e anche dei Malfoy, probabilmente), Scorpius era in Grifondoro.
Alla fine, Rose entrò nello scompartimento e si sedette di fronte a lui, invitando gli altri a fare lo stesso con un timido cenno del capo. Alice la seguì prontamente, cercando di darle man forte, mentre Jo si trascinò dentro con aria palesemente irritata e Albus richiuse la porta scorrevole impiegando più forza del necessario, tanto che questa sbatté con un tonfo.
Scorpius non sembrava scalfito dalle occhiatacce che i due gli stavano mandando; anzi, dava l’impressione di esserci abituato e che la cosa lo annoiasse. La sua attenzione, comunque, era completamente rivolta verso Rose.
Calò un silenzio abbastanza teso.
Albus, che già di per sé era un tipo di poche parole, si fece ancora più taciturno del solito e continuò a fissare male il biondo davanti a sé.
Jo frugò nel suo baule ed estrasse una rivista, che dai colori sgargianti della copertina Alice riconobbe come Il Cavillo, la aprì con furia e prese a leggerla al contrario, imbronciata.
Scorpius continuò a guardare Rose, mentre quest’ultima sembrava particolarmente interessata agli interessantissimi lacci bianchi delle sue scarpe da ginnastica.
Alice tentò invano di avviare una conversazione, biascicando qualcosa di poco concreto a proposito del bel tempo, che gli altri ignorarono bellamente.
La fatica di cercare un altro improbabile argomento di cui parlare le venne risparmiata dall’irruzione, nel loro scompartimento, di una ragazza bionda dall’aria affannata, quasi avesse appena concluso una maratona.
Tutti e cinque puntarono lo sguardo su di lei, nel momento in cui questa spalancava la porta con un gesto secco.
« Scusate » esclamò, riprendendo fiato « potrei nascondermi qui? »
Non aspettò la risposta e si affrettò a richiuderla, per poi lasciarsi cadere accanto ad Albus, tenendosi le mani sulla pancia mentre sospirava sonoramente.
« Ehm » cominciò Rose, ma Jo la interruppe.
« Chi diavolo sei? » chiese, brusca. Rose lanciò all’amica un’occhiata di rimprovero.
La ragazza bionda, che nel frattempo sembrava aver ripreso a respirare come i comuni mortali, si mise seduta composta e osservò gli altri ragazzi con aria imbarazzata.
« Scusate » ripeté, tentando un sorriso, « sono Catherine. Catherine Montague » porse la mano a Jo, senza fare una piega di fronte ai suoi capelli, e la ragazza la strinse con aria dubbiosa.
Scorpius aveva smesso di guardare Rose e posato la sua attenzione sulla nuova arrivata, con un’espressione vagamente interessata.
Albus si era irrigidito, strisciando sulla punta del sedile.
Rose sorrise alla ragazza e le strinse anche lei la mano con fare incoraggiante, e Alice le chiese, curiosa:
« Perché ti nascondi? »
Catherine fece una smorfia, lanciando un’occhiata alla porta di vetro.
« Goldstain e Macmillan sono in cerca di un nuovo scoop » sbuffò, e una ciocca di capelli le svolazzò sul viso, « e pare siano interessate a me. Non fanno che assillarmi da quando ho messo piede sul treno ».
Alice ebbe pena per lei: Candice Goldstain e Stacey Macmillan erano le ragazze più pettegole e impiccione che avesse mai avuto la sfortuna di conoscere. Erano del suo anno, a Corvonero, e potevi star certo che se a Hogwarts girava un pettegolezzo su qualcuno, di chiunque si trattasse, era stato messo in giro da quelle due.
« Merlino » esclamò Jo, dispiaciuta, « puoi restare qui quanto vuoi ».
Rose e Alice annuirono, comprensive.
Il volto di Catherine si aprì in un sorriso luminoso, e Alice a quel punto la osservò meglio.
Aveva occhi e carnagione chiarissimi, un viso tondo con il naso alla francese, e i capelli le ricadevano sotto le spalle, leggermente mossi e in disordine. Alice era sicura di averla già intravista, magari in Sala Grande, ma non aveva mai frequentato nessuna lezione con lei.
Rose, che sembrava setsse pensando la stessa cosa, fece per parlare.
« Catherine… »
« Cathy. Preferisco Cathy » la interruppe lei.
« Cathy » Rose sorrise. « Di che anno sei? » chiese.
« Quarto. A Serpeverde » dichiarò, risoluta. « Tu sei Rose Weasley, vero? »
Rose parve stupita da quella domanda, ma annuì. 
Jo si irrigidì impercettibilmente sentendo la sua Casa d’appartenenza; Alice scosse la testa, trattenendosi dallo sbuffare.
Grifondoro e Serpeverde non erano più in contesa come un tempo, certo, ma questa continua tensione che si respirava ancora fra le due Case le dava davvero fastidio. Era pur vero che molti ragazzi di Serpeverde, del suo anno, erano indiscutibilmente sgradevoli; ma d’altronde tanti altri non li conoscevano neppure, e tutta quella rivalità sommessa le sembrava pressoché una stupidaggine. 
Catherine si voltò verso di lei, a sorpresa, e le sorrise. « E tu Alice Paciock, no? »
Se Rose era stata sorpresa, lei lo fu ancor di più; insomma, la sua amica era pur sempre la figlia di due dei Salvatori del Mondo Magico, e che la gente sapesse chi fosse era piuttosto normale; per quanto riguardava lei, Alice, la situazione era diversa. Sapeva che anche Neville aveva contribuito a fare la sua parte, durante la guerra, e in molti ora lo ammiravano, ma le persone che conoscevano lei si riducevano alle sue compagne di dormitorio, qualche alunno del quinto anno, i Potter e quei componenti dei Weasley che studiavano ancora. Per il resto, viveva nell’ombra quasi fosse un fantasma, e in effetti le andava bene così.
Tuttavia annuì, sgranando gli occhi.
Cathy, notando la sua espressione, spiegò con semplicità: « Quando ero al primo anno, una volta, mi hai dato una mano a trovare la mia classe. Mi ricordo di te ».
Alice, sempre più sorpresa ogni minuto che passava, sorrise.
Jo si affrettò a presentarsi, sporgendosi verso la ragazza.
« Jo Mitchell » dichiarò, « e loro sono Albus e…quell’altro » concluse, con una smorfia.
Scorpius in tutta risposta ammiccò nella sua direzione, cosa che sembrò darle profondamente fastidio.
Cathy sorrise. « Ciao, Albus e quell’altro ».
« Scorpius » si affrettò a dire lui.
« Le mie compagne di dormitorio ti muoiono tutte dietro » informò la ragazza, rivolta verso Albus.
Questi si rabbuiò. « Solo per il mio cognome ».
« Probabile » constatò lei, pensierosa, « non ti conoscono nemmeno. Però sono carine » aggiunse, ridacchiando.
Alice fu profondamente grata a Cathy per non aver fatto commenti sulla famiglia di Albus e di Rose, perché sapeva benissimo quanto la cosa desse fastidio ai due. Li capiva: anche lei, al loro posto, si sarebbe sentita in soggezione di fronte alle persone che li paragonavano costantemente ai loro genitori. I due ragazzi, nonostante amassero entrambi le loro famiglie, avrebbero preferito di gran lunga essere conosciuti soltanto come Albus e Rose, e non come Potter e Weasley.
Albus borbottò qualcosa di poco concreto, poi si lasciò cadere sul sedile senza aggiungere altro.
« Perché quelle due cornacchie sono interessate a te? » chiese Jo, con gli occhi che brillavano, smaniosa di saperne di più. Aveva iniziato ad appellare Candice e Stacey 'cornacchie' due anni prima, affermando che assomigliavano più ad uccellacci che a streghe.
« Bè… » Cathy esitò, « Avete presente Nott? »
Jo squittì e si sporse ancora di più sul sedile, incitandola a continuare.
Rose e Alice si trattennero dallo scoppiare a ridere, di fronte alle reazioni di Jo. Anche lei era particolarmente interessata ai pettegolezzi, però in modo diverso: non ne metteva in giro, e tantomeno una volta ascoltati dava loro importanza. Era la prima ad affermare che non importava ciò che la gente pensava di lei, o di tutte loro. Che bisognasse essere sempre sé stessi.
« Ecco, noi…stiamo assieme, insomma » sospirò Cathy.
« Oh! » esclamò Jo, colpita. « Congratulazioni! » disse poi.
Alec Nott era un ragazzo piuttosto robusto di Serpeverde, del quinto anno. Alice lo conosceva solo di vista, perché avevano frequentato assieme Pozioni, però ce l’aveva ben presente: infatti, per tutto l’anno precedente Jo le aveva ripetuto quanto fosse figo, ad ogni singola lezione.
« Oh no » intervenne a quel punto Rose, battendosi una mano sulla fronte, « io sono un Prefetto! E tu sei il Prefetto di Grifondoro, Al! Dovevamo andare nella cabina dei Prefetti, ricordi? » esclamò, balzando in piedi.
Albus aggrottò la fronte, e si tirò in piedi anche lui. « Già. E’ vero. Andiamo ».
« Scusate, ragazzi » fece Rose, dispiaciuta.
« Non preoccuparti » replicò Jo, ridendo. « Prefettinolandia attende ».
Alice le diede una gomitata.
« A dopo » salutò i due, con un sorriso.
Cathy agitò la mano con allegria, mentre Scorpius osservava Rose uscire di scena con palese rammarico.
« Ehm… » Jo si torturò il labbro inferiore con i denti, appena la porta dello scompartimento si fu chiusa alle spalle dei due ragazzi.
« Michael mi aveva chiesto se stavo un po’ con lui. Ti dispiace, se vado anch’io? » chiese ad Alice.
Questa fece una smorfia, ma scosse la testa e disse: « No, va’ pure ».
Jo squittì d’entusiasmo, salutò Cathy, rivolse un ringhio a Scorpius e si dileguò frettolosamente.
Anche il ragazzo si alzò, indugiò con lo sguardo sulle uniche due rimaste, e borbottò: « vado in bagno ».
« Anche io vorrei diventare un Prefetto, il prossimo anno » commentò Cathy, pensierosa.
Alice le rispose che le sarebbe piaciuto anche a lei, ma infondo forse era meglio di no: troppe responsabilità. Si avviarono in una piacevole conversazione, ridendo di tanto in tanto, e la giovane Paciock poté constatare che Catherine Montague era una ragazza davvero simpatica.
Poi, la porta dello scompartimento si aprì un’altra volta, e sulla soglia indugiarono due ragazzi.
Alice riconobbe Trevor Flitt, il battitore tutto ossa della squadra di Quidditch di Serpeverde, nonché frequentante il suo stesso anno, e un tizio enorme al suo fianco, che le pareva si chiamasse Warrington.
« Ma guarda » sghignazzò Flitt, « che duetto interessante ».
Cathy si alzò. « Levati di torno, Flitt » ringhiò.
Alice rimase piuttosto sorpresa, poiché i due appartenevano alla stessa Casa. Poi però rifletté che probabilmente tutti detestavano Flitt. Era impossibile non trovarlo odioso.
« Ritira le unghie, gattina » soffiò lui, e Warringotn al sui fianco grugnì in quella che doveva essere una risata. Ad Alice ricordò molto un uomo delle caverne. « Ero solo venuto a cercare Daphne, non pensavo certo di imbattermi negli sfigati di turno ».
Lanciò un’occhiata ad Alice. « Come, va, Paciock? Dove sono le tue amichette? »
A quel punto anche Alice si alzò. Si fece coraggio, perché accidenti, era una Grifondoro. E doveva imparare a difendersi da sola, una volta tanto.
Doveva tirare fuori le palle.
« Non avete nulla di meglio da fare? » sbottò, fingendo una sicurezza che sapeva per certo di non avere.
Warrington grugnì di nuovo. Alice si chiese se non fosse davvero una sorta di uomo delle caverne.
« Ehi, calma » ridacchiò Flitt, poggiandosi allo stipite della porta, « volevo solo parlare. Capisco che non tu non sia abituata a sentirti rivolgere la parola, visto che sei praticamente invisibile… »
Alice indietreggiò di un passo. Sapeva che non doveva lasciarsi scalfire dalle prese in giro di quel cretino. Sapeva che non ne valeva la pena. Sapeva che lui si divertiva a farlo, a far star male le persone.
« Sta’ zitto, idiota » sputò Cathy.
Warrington ringhiò, ma Flitt la ignorò e continuò a rivolgersi ad Alice con una risata da brividi, e con una strana luce negli occhi.
« …insomma, magari la gente scappa da te…voglio dire, ma ti sei vista allo specchio stamattina? O magari ti vesti al buio? No perché, se vai in giro così, ci credo che li spaventi…oh, che fai, non rispondi? Il gatto ti ha mangiato la lingua? »
Lo sapeva, Alice, ma questo non le impedì di sentire quelle parole perforarle la pelle, come lame incandescenti. E si diede della stupida, perché lei non doveva starci male.
Ma come poteva far finta di niente, quando qualcuno le sbatteva in faccia tutte le sue insicurezze?
Gli occhi le si riempirono di lacrime di rabbia.
« Mi vorresti dire che oltre brutta, sei anche codarda? »
« Nessuno è più codardo di te, Flitt ».
Alice sobbalzò nell’udire quella voce.
James Potter, in piedi dietro i due Serpeverde, la bacchetta sguainata, i capelli spettinati e un’aria di sfida, li squadrava con disgusto.
Warrington ringhiò di nuovo. Alice prese in seria considerazione l’ipotesi che quel ragazzo non sapesse parlare.
« Nessuno ha chiesto il tuo parere, Potter » sputò Flitt.
Però, nel vederlo, era indietreggiato impercettibilmente, e adesso si trovava all’interno dello scompartimento, più vicino a Cathy.
James ghignò. Alice non poté fare a meno di notare quanto fosse diverso quel ghigno, dal solito che rivolgeva a lei.
« E io mi sono intromesso lo stesso. Ops ».
Cathy seguiva lo scambio di battute con la bocca spalancata, mentre Alice era visibilmente preoccupata.
Sul fatto che James fosse ben piazzato non c’erano dubbi, ma in caso di scontro, se la sarebbe dovuta cavare uno contro due –era abbastanza sicura che sarebbe stata messa KO in cinque secondi, e altrettanto valeva per Catherine, che era ancor più minuta di lei-, e la stazza di Warrington era veramente spaventosa.
« Gira a largo » sbottò Trevor, afferrando la bacchetta dal mantello e puntandogliela contro.
« Certo » affermò James, perfettamente tranquillo, « se chiedi scusa » aggiunse.
Warringotn fece scrocchiare le dita, in un gesto che aveva tutta l’intenzione di sembrare minaccioso, e Flitt scoppiò in un’orribile risata finta.
« E per cosa? Tutto quello che ho detto è vero. E’ vero che sono sfigate, è vero che lei è brutta, è vero che è una codarda, una... »
Ma Alice non seppe mai quale altro insulto Flitt meditava di lanciarle. Perché in quello stesso momento, James ringhiò, e gli scagliò contro una fattura.
Allora accaddero molte cose contemporaneamente: Cathy urlò, coprendosi il volto con le mani, mentre Flitt si accasciava a terra ed enormi pustole gli ricoprivano il viso; Warrington si buttò addosso a James e iniziò a prenderlo a pugni, bloccandolo a terra.
Alice, spaventata, prese la sua bacchetta e gridò il primo incantesimo che le venne in mente:
« Feraverto! »
Sfortunatamente, si ricordò un secondo troppo tardi che andava usato solo sugli animali. Non che il ragazzo non sembrasse un animale, certo, ma non era sicura che la cosa contasse molto.
Warrington, difatti, si bloccò con una mano in aria, mentre stava per colpire ancora, e alzò lo sguardo su di lei con occhi languidi.
James ne approfittò per sferrargli un colpo, ma lui parve non accorgersene nemmeno: iniziò a rimpicciolire, in uno spettacolo raccapricciante, finché, sotto i loro occhi, non si trasformò in un calice d’acqua.
Un calice d’acqua di pelle umanaCon gli occhi.
James lo afferrò di malagrazia e si rimise in piedi.
« Feraverto? » ridacchiò, lanciandole un’occhiata.
Alice arrossì, imbarazzata.
Catherine fissava Flitt che se ne stava ancora per terra, imprecando sommessamente e biascicando lamenti.
« Bè, è sempre meglio del suo aspetto normale » dichiarò James, dandogli un piccolo colpetto con la gamba.
Cathy e Alice scoppiarono a ridere.
Quest’ultima aprì la bocca, sorpresa e un po’ stordita, pronta a ringraziarlo.
Era stato grande, doveva ammetterlo, anche se credeva avesse esagerato un tantino. L’aveva aiutata, nonostante non fossero amici.
Questa era una delle cose che non si spiegava di James. Perché era egocentrico, egoista e oltremodo pieno di sé, ma sembrava sempre pronto a fare l’eroe.
Purtroppo, le parole le morirono in gola quando irruppe sulla scena del crimine una ragazza alta, che dalla spilla che sfoggiava sul mantello, Alice riconobbe come una dei Caposcuola di Serpeverde.
« Merda » biascicò James, sbuffando.
« Eh sì, Potter » cantilenò questa, sorridendo soddisfatta. « Rissa prima ancora di mettere piede a scuola. Direi che ci siete dentro fino al collo ».











 

 


Note dell'Autrice.
Salve!
Come promesso ho aggiornato presto, e spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. L'ho scritto tutto d'un fiato e so che non è un granché ma poi la storia migliora, lo giuro! lol
Volevo precisare alcune cose:
- Scorpius è un Grifondoro, come avrete capito, ma vi prego, non fatevi un'immagine di lui prima ancora che lo possa descrivere ç_ç ;
- Neville ha insegnato sì Erbologia ad Hogwarts, ma ha lasciato la cattedra alla nascita di Alice, e ora lavora al Ministero (comunque dopo verrà fuori, nella storia);
- ho creato il personaggio di Cathy soprattutto perché volevo smontare questo mito dei 'serpeverde cattivi' ( ma tanto lo so che voi di efp li amate, lol);
- Albus e Scorpius non sono migliori amici. Eh no, mi spiace. Muhahah. Vabbè, comunque, ci saranno delle sorpese, vedrete :)
Detto questo, vi lascio e vi ringrazio per essere arrivati fin qui.
Grazie mille alle dodici persone che hanno messo la storia tra le seguite, aww, siete state dolcissime (?)

ora vado davvero, a presto,
Daylise

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Capitolo 4
*** No bravery ***


3.

No bravery

And I see no bravery
no bravery in your eyes anymore.
Only sadness.
No bravery, James Blunt

 
 
Sua madre l’avrebbe uccisa.
No, anzi. L’avrebbe torturata, uccisa, resuscitata e poi uccisa di nuovo.
L’avrebbe fatta a pezzi e data in pasto alla Piovra Gigante, come minimo, o a qualche lupo mannaro. L’avrebbe annientata.
Perché Hannah Paciock provava una profonda repulsione verso le punizioni, e ancor di più, odiava l’idea d sua figlia in punizione. E se la punizione in questione fosse stata assegnata a causa di un’aggressione, compiuta da lei stessa, senza aver nemmeno ancora messo piede a scuola…bè, diciamo che le possibilità di uscirne viva erano davvero ben poche.
Inesistenti.
Ci rifletteva, Alice, mentre si trascinava con aria afflitta accodata alle sue amiche, fuori dalla stazione di Hogsmeade e via per il sentiero che conduceva alle carrozze, che poi l’avrebbero portata direttamente ad Hogwarts.
« …lo ammazzo, giuro che lo ammazzo, prima o poi… » stava dicendo Jo, con i pugni serrati ed uno sguardo omicida.
Continuava a borbottare frasi simili da che Alice le aveva raccontato l’episodio avvenuto sul treno.
Rose scuoteva la testa, divertita, poi si rivolse ad Alice in tono di scuse: « Mi dispiace tanto di non esserci stata, avrei potuto fermare tutto fin dal principio, visto che ora sono un Prefetto…ti avrei evitato questo casino ».
Alice le sorrise. « Figurati. Non è colpa tua… »
« Io lo ammazzo. Gli spezzo le gambe, a quel lurido, viscido scarafaggio » la interruppe Jo, sibilando.
« Ti do una mano » aggiunse qualcuno, lì vicino, che si era unito silenziosamente al gruppetto.
Jo sorrise a Cathy. « Sì, in due si farebbe prima, in effetti ».
Giunsero alle carrozze e montarono su una di esse, caricando i bauli.
Rose una volta le aveva spiegato che, a trainarle, c’erano i Thestral: una specie di cavalli alati visibili solo a chi aveva guardato qualcuno morire. Piuttosto macabra, come cosa, ma ad Alice incuriosivano parecchio. Le sembravano affascinanti, per il loro essere diversi. Allontanati dalle persone, che spesso erano intimorite da questa faccenda della morte, e quindi soggetti ai pregiudizi della gente. E Alice odiava i pregiudizi.
Si sporse un po’ fuori dal finestrino, osservando il profilo di Hogwarts, che imperava su di una pendice, illuminata di traverso dagli ultimi raggi del sole ormai morente.
La luce rossastra si rifletteva anche sulla superficie del lago Nero, che si stagliava tra monti e colline verdeggianti poco distante dal castello.
Era così meraviglioso, quel luogo, da farle dimenticare almeno per un minuto tutta quell’ansia che la tormentava da quando erano arrivati in stazione.
E di nuovo poté appurare che amava Hogwarts, e tornarci sarebbe sempre stato per lei motivo di serenità, punizione o no.
La carrozza si fermò davanti l’enorme portone di quercia, e in contemporanea a loro anche un altro centinaio di veicoli frenò. Gli studenti varcarono le soglie della scuola di fretta, diretti verso la Sala Grande illuminata dalle luci di mille e più candele sospese a mezz’aria, e decorata a festa.
I quattro tavoli delle Case erano imbanditi, e i professori già sedevano sulla lunga tavolata in fondo all’enorme sala, chiacchierando animatamente. C’era un gran trambusto, tra i ragazzi che prendevano posto e quelli che si fermavano a parlare; e ancora chi gridava, chi rideva, e chi semplicemente sorrideva estasiato.
Alice era tra questi ultimi.
« Secondo me, quest’anno saremo pieni di Grifondoro! » esclamò Jo, che come gli altri fissava incantata il soffitto tempestato di stelle dell’enorme sala, dimenticando temporaneamente i suoi istinti omicidi verso Trevor Flitt.
« Come lo sai? » le chiese Rose.
« Oh, andiamo, tutti vogliono finire tra i Grifondoro, è la Casa migliore! »
« Josey, questa è discriminazione… »
Cathy osservava le due ridacchiando. Sembrava il ritratto della tranquillità, e quasi fischiettava, mentre trotterellava al suo fianco.
Si separò da loro poco dopo, comunque, dirigendosi verso il tavolo di Serpeverde, che era già praticamente pieno.
Anche Rose si congedò, prendendo posto vicino a sua cugina Dominique, l’unica delle sorelle Ammazza-entusiasmo che andava ancora a scuola, al tavolo di Corvonero.
Alice e Jo si diressero a passo spedito verso quello di Grifondoro, la prima nervosa, l’altra euforica.
Alice aveva notato James –con tanto di, Merlino, un occhio nero- sedersi accanto a Fred Weasley poco più avanti, e si voltò con decisione dalla parte opposta, prima che la stretta di Jo la costringesse a voltarsi.
« Dove vai? Lì c’è Michael! » trillò, indicando il ragazzo che, si accorse con orrore, sedeva proprio di fronte a James e Fred.
« Io…ehm… » balbettò.
Jo alzò gli occhi al cielo e la trascinò in quella direzione. Spostò rumorosamente la sedia vicino a quella di Michael Davies, e si sedette tutta pimpante, mentre questi la abbracciava e si precipitava sulle sue labbra con foga.
Alice, imbarazzata, si sedette al suo fianco e girò ostinatamente la testa dall’altra parte.
Il posto vuoto lì di fianco, venne subito occupato da Albus Potter, che le sorrise sbrigativo.
Era un po’ strano, il rapporto che aveva con Al. In realtà stavano quasi sempre insieme ad Hogwarts, ma Alice non riusciva mai a scrollarsi di dosso la fastidiosa sensazione di irritarlo. Sapeva che non era vero, e che le sue erano ipotesi del tutto infondate: nonostante fosse sempre così chiuso e silenzioso, Albus le aveva dimostrato più di una volta di gradire la sua compagnia. Eppure lei si sentiva costantemente in soggezione sotto il suo sguardo.
Anche Lily Potter, seguita da Hugo, aveva varcato l’ingresso della Sala Grande, saltellando fino al suo tavolo sotto gli occhi di tutti; dopo di lei, Roxanne Weasley, un’altra cugina di Rose, con i capelli rosso fuoco e un’incredibile talento nel Quidditch nonostante avesse solamente quattordici anni, e una sua amica bionda, entrarono e si accomodarono vicino a Lily.
Alice si guardò intorno con aria nervosa, cercando di individuare la Caposcuola di Serpverde, o Flitt, o qualche professore infuriato che le veniva incontro.
« Sta’ tranquilla, hai una fedina penale impeccabile, non può andarti tanto male » disse Albus, che aveva intercettato il suo sguardo e, come al solito, capito cosa la preoccupava.
« Lo spero » sussurrò lei.
Il vociferare degli alunni aumentava, mentre la professoressa Palmer attraversava il centro della sala, posizionava uno sgabello proprio davanti alla tavolata dei professori, poi appellava il Cappello Parlante e lo adagiava sempre sullo sgabello con accortezza.
Era così presa ad osservare quell'operazione da non accorgersi, invece, della professoressa Spinnet che avanzava nella sua direzione con andamento severo e occhi lampeggianti d’ira.
« Paciock! Potter! Vi voglio nel mio ufficio, adesso ».
Alice sobbalzò e si voltò allarmata nella sua direzione. Scattò in piedi, colpendo il tavolo e facendo rovesciare parecchi bicchieri, nella fretta –tanto per dare l’ennesima dimostrazione della sua goffaggine, insomma-.
Molte teste si voltarono nella loro direzione, nella confusione generale, e anche James, che fino ad un momento prima stava sfoggiando il livido sulla faccia con onore, quasi fosse una ferita da battaglia, si era alzato lanciandole un’occhiata estremamente divertita.
Fred Weasley gli diede una pacca sulla spalla, per poi tornare a concentrarsi con insistenza  sul piatto davanti a sé non appena la Spinnet posò il suo sguardo furioso su di lui.
Alcune ragazzine del terzo anno, quelle che in Sala Comune si appostavano dietro le colonne per poter spiare i movimenti di James e Fred ( sospettava che avessero anche fondato una specie di Potter-Weasley fan club ), osservavano la scena turbate.
Alice e James si affrettarono a seguire la professoressa, che li condusse fuori dalla Sala Grande, per le scale, e fino al secondo piano, varcando una porta di legno scuro sulla destra.
Il caos della sala Grande sembrava un’eco lontano, nel silenzio dei grandi corridoi del castello.
Alice non era mai stata nell’ufficio della professoressa Spinnet. Era una stanza tonda, con il soffitto alto e dotata di grandi finestre; sul muro erano appesi qua e là stendardi di Grifondoro, e foto di vecchie squadre di Quidditch della scuola, oltre che una pergamena ingiallita con su scritto ‘diploma di Volo’ –difatti, la Spinnet era la direttrice della loro Casa, insegnava Volo a scuola ed era stata in passato una delle più brave Cacciatrici che la squadra di Grifondoro avesse mai visto-.
I due ragazzi rimasero in piedi davanti alla scrivania. Alice si dondolava sul posto nervosamente, mentre la Spinnet preneva posto su una sedia rosso scuro, e li fissava accigliata.
« Sono venuta a conoscenza » cominciò, severa, « di fatti accaduti quest’oggi sul treno. Fatti molto gravi ».
Alice deglutì.
La Spinnet li studiò per un minuto. « Esigo una spiegazione » proferì, glaciale.
James subito si fece avanti, e disse: « Non abbiamo cominciato noi! Era Flitt, lui stava…bè… » lanciò un’occhiata di sbieco ad Alice, « la insultava » concluse, furente.
« La tua cavalleria è ammirevole, Potter, ma questo » tuonò la Spinnet, « non giustifica la vostra totale mancanza di maturità ».
« Noi non- »
James si zittì in seguito ad un’occhiata più che rabbiosa della professoressa.
« Non tollero duelli inutili tra gli studenti della mia Casa, o di altre Case. Se c’è un problema, si chiama un docente, o un Caposcuola, e non si risolve la cosa con quei metodi. Avrete una punizione, entrambi. E mi vedo inoltre costretta ad informare i vostri genitori dell’accaduto ».
Lo stomaco di Alice sprofondò. Ne era già consapevole, ma sentirselo dire non migliorava di certo le cose. Adesso era ufficiale. La sua morte imminente era ufficiale.
James fece di nuovo per aprire la bocca, ma la Spinnet lo interruppe.
« Sì, Potter, ne verrà assegnata una anche alla signorina Montague e al signor Warrington. Naturalmente » aggiunse, guardandoli di sottecchi, « dopo che il signor Warrington sarà stato di nuovo trasfigurato in forma normale ».
James aggrottò la fronte.
« Anche Flitt ha partecipato » osservò.
« Non mi risulta abbia usato qualche incantesimo contro uno di voi due. E’ lui quello con la faccia sfigurata, o sbaglio? » non aspettò la loro risposta e, ergendosi in tutta la sua altezza, proclamò: « vi aspetto nella Sala Trofei, alle cinque di ogni sabato per il prossimo mese ».
Il ragazzo fece una smorfia ma non osò ribattere, e Alice annuì intimorita.
Fantastico, pensò ironicamente.Una punizione insieme. Fantastico.
« E ora, tornate al banchetto » ordinò la Spinnet a quel punto, abbandonando, però, quello sguardo di ghiaccio che aveva prima.
I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte, e sgusciarono via senza esitazioni.
Adesso, Alice era completamente certa che non avrebbe mai avuto una vita lunga. Ne era sicura, Hannah avrebbe approfittato della prima gita a Hogsmeade per farla fuori. O forse sarebbe direttamente piombata a scuola, magari sorprendendola nel sonno.
Sperò che fosse una cosa veloce e indolore.
E ogni buon proposito che si era posta, ogni ringraziamento che aveva formulato per James, ogni senso di gratitudine…sparirono così, in un soffio. Sentì l’irritazione farsi spazio in lei a grandi falcate, e non riuscì ad impedirlo in alcun modo.
Cercò, inutilmente, di ignorare i sensi di colpa che la avvolgevano ogni qual volta buttava lo sguardo sull’occhio nero di James.
Ma tanto, in quel momento la rabbia li superava di gran lunga.
Accidenti, se non fosse stato per il suo intervento, ora non sarebbe stata lì! Insomma, era consapevole del fatto che lei non era discolpata, in quella faccenda, ma se non fosse piombato James non avrebbe mai lanciato un incantesimo contro Warrington, mai. Flitt l’aveva tormentata a quel modo almeno una decina di volte l’anno precedente, e lei, semplicemente, lo aveva sempre ignorato: funzionava, perché alla fine il ragazzo perdeva interesse e se ne andava.
Se la sapeva cavare da sola. Non aveva bisogno dell’aiuto di James, né di nessun altro.
Non sarebbe certo morta, e non era nemmeno in un grave pericolo. Ergo, tutta quella situazione era una grande, enorme, mastodontica buffonata.
Lasciò vagare i pensieri su Cathy, e sperò che il professor Turner, direttore della Casa di Serpeverde, non fosse troppo severo con lei. D’altronde non aveva fatto nulla, si era solo trovata nel famoso ‘posto sbagliato al momento sbagliato’.
Se anche lei, a detta della Spinnet, sarebbe stata punita, voleva dire che Flitt e la Caposcuola di Serpeverde avevano riferito la vicenda decisamente a modo loro.
In effetti, era a quel punto palese che tra Flitt e Cathy non corresse buon sangue.
James si schiarì la voce, di fianco a lei, mentre percorrevano un lungo corridoio del primo piano.
Alice inarcò un sopracciglio. « Che c’è? »
Il ragazzo le lanciò un’occhiata. « Non dovresti dirmi qualcosa? » ridacchiò.
Lei si fermò di botto e disse, secca: « No ».
« Andiamo, è una semplice parola…inizia per ‘g’ ».
« No ».
« Su, Paciock, sono stato un vero cavaliere… »
« No ».
« ...Mi merito decisamente i tuoi più sentiti ringraziam- »
« James, Sta’ zitto ».
James ridacchiò di nuovo ma non aggiunse altro. Continuarono a camminare in silenzio per un paio di minuti, poi giunsero di nuovo davanti le porte della Sala Grande, calorosa e caotica come l’avevano lasciata.
Mentre entravano, e si dirigevano di filato verso il tavolo di Grifondoro, molti studenti si voltarono a guardarli incuriositi.
Alice cercò di ignorarli con tutta sé stessa. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione, ogni volta che succedeva finiva per fare una drastica brutta figura cadendo o, magari, facendo cadere qualcun altro.
« Ci si vede in punizione, Alice » ammiccò James, facendole l’occhiolino e andando a riprendersi il suo posto vicino a Fred.
Subito una manciata di ragazze si sporse nella sua direzione, bramose di sapere cos’era successo.
Alice notò tra tanti Candice e Stacey fissarla con insistenza.
Aiuto, pensò, lasciandosi cadere nel posto accanto ad Albus.
Non si era accorta di avere tanta fame finché non posò lo sguardo sul piatto davanti a sé, pieno di cotolette, pollo, patate, roast-beef e chi più ne ha più ne metta. Emanavano un odore caldo e gustoso, che le fece venire l’acquolina in bocca.
« Com’è andata? » chiese Al, leggermente preoccupato dall’espressione –tutto tranne che felice- della ragazza.
Anche Jo, che aveva smesso di scambiarsi effusioni con Michael, la scrutava ansiosa.
« Sono in punizione…siamo » specificò, decisa a non guardare verso James.
Prese a mente che avrebbe cercato di evitarlo il più possibile anche quell’anno.
Come al matrimonio. Come sempre.
« Oh, bè…poteva andare peggio, dai » la consolò Albus, comprensivo.
Jo, invece, aveva spalancato la bocca, e le si erano illuminati gli occhi.
« Credo tu abbia fatto una specie di record, sai? » disse, ridendo, « in punizione il primo giorno. No, la prima sera. E’ una cosafortissima! »
« Penso più che altro di aver appena firmato la mia condanna a morte » replicò lei in tono lugubre, pensando di nuovo a sua madre.
Albus fissava Jo straniato, probabilmente cercando di capire cosa ci fosse di fortissimo nell’essere messi in punizione.
« Oh, ma per favore » sbuffò Jo, « è fantastico. Nessuno lo ha mai fatto… »
« Non proprio ».
Alice  sobbalzò, accorgendosi che Lily Potter era appena apparsa dietro di loro, tutta sorridente nella sua nuova divisa di scuola.
« Anche papà e zio Ron hanno avuto una punizione la prima sera » spiegò, « mi sembra..al secondo anno, no, Al? Per la faccenda della macchina volante… »
Albus aggrottò la fronte, poi annuì, e a sorpresa sorrise: « Neanche James può tenere testa a papà in questo campo ».
Lily ridacchiò, poi li salutò e se ne tornò trotterellando accanto ad Hugo, picchiettandogli la spalla e dandogli una leggera botta in testa. Hugo scoppiò a ridere e ricambiò con un pizzicotto.
Alice sorrise, scuotendo la testa, poi chiese: « Com’è andato lo Smistamento? »
Era piuttosto dispiaciuta di esserselo perso.
« Non male » fece Albus, infilzando con la forchetta un pezzo di bistecca, che però sparì sotto i suoi occhi, così come il resto delle carni, per lasciare spazio al dessert.
Alice, che non era nemmeno riuscita a toccare il resto del cibo, agguantò una manciata di pasticcini, una fetta di torta e del budino, rovesciandosi il tutto nel proprio piatto mentre il suo stomaco brontolava.
« Aveva ragione Rose » disse Jo, afflitta. « pochi Grifondoro e tanti Tassorosso. Bah, che generazione sprecata… »
Si interruppe quando la professoressa McGrannitt si alzò, elegantissima nella sua veste viola scuro, con i capelli bianchi raccolti in un ordinato chignon, e sulla Sala Grande calò il silenzio.
« Un altro anno è iniziato » cominciò, sorridendo, « ed è un’immensa gioia, per me, vedervi nuovamente qui riuniti in questo castello ».
« Prima di augurarvi la buonanotte, devo fare alcuni annunci. Per gli studenti del primo anno, e per quelli più anziani che potrebbero dimenticarlo » indugiò per un momento sulle sagome di James e Fred, « si ricorda che è severamente vietato recarsi nella Foresta Proibita. Vi assicuro che sarete molto, molto più felici restandone lontani, soprattutto quest’anno ».
Tra i ragazzi si levò un leggero brusio di curiosità, che si placò subito quando la Preside ricominciò a parlare.
« Si rammenta anche, che le selezioni per le squadre di Quidditch di quest’anno avranno luogo il secondo finesettimana del mese, che le gite a Hogsmeade non sono previste se non per l’inizio di Ottobre e che, come ci tiene a precisare il nostro guardiano, il signor Pierce, chiunque sarà sorpreso a sporcare deliberatamente i corridoi non la passerà liscia ».
Jo rivolse ad Alice un’occhiata di sottecchi, rattenendosi dal ridere, mentre la professoressa McGrannitt spiegava anche gli orari del coro. L’anno prima, un gruppo di ragazzi di Tassorosso aveva lanciato su al terzo piano una manciata di Caccabombe, per augurare un “felice Capodanno” a Pierce.
« …detto questo, a noi l’estremo piacere di intonare l’inno della scuola ».
Subito, la musica risuonò per magia attraverso le mura del castello, e tutti, studenti e professori, presero a cantare allegramente, mentre la Preside muoveva la bacchetta a condurre la melodia.
 
Hogwarts, Hogwarts dei nostri cuori…
 
Una volta terminato, la Sala Grande scoppiò in un grosso applauso caloroso.
« Potete andare. Buonanotte a tutti » li congedò la Preside, con un altro sorriso.
A questo seguì il rumore di sedie che si spostavano, alunni che si alzavano e persone che si incamminavano fuori, chiacchierando o sbadigliando, con la pancia più che piena.
Albus venne chiamato da Matt Finnigan, un suo compagno di dormitorio, e si avviò con lui su verso la torre di Grifondoro.
Rose raggiunse Alice, Jo e Michael dopo aver scortato quelli del primo anno fuori dalla Sala Grande e avergli indicato la strada per la sala Comune di Corvonero. Al suo fianco, Dominique sorrideva raggiante, bella da strapparsi i capelli. Frequentava il sesto anno, e anche lei l’anno prima era stata prefetto.
« Andiamo? » fece Rose, con gli occhi assonnati.
Alice annuì e presero la strada per il terzo piano. Potevano fare un tratto insieme, tornando in dormitorio, almeno fino al quadro degli stregoni ubriachi.
« Secondo voi, perché ha detto quella cosa sulla Foresta Proibita? Perché ‘soprattutto quest’anno’? » chiese Jo stropicciandosi gli occhi.
« Per me, vuole che non ci andiamo! » proferì Michael, in tono solenne.
Rose e Dominique lo fissarono. Alice sospirò.
Michael, Grifondoro piuttosto alto, bruno e circondato da un’infinità di amici, era un ragazzo molto simpatico, davvero, solo un po’…tonto.
Persino Jo lo stava guardando in modo strano, e Michael parve accorgersi solo allora di aver detto qualcosa di poco intelligente.
« Bè, questo era ovvio » commentò Dominique, lentamente.
« Magari quest’anno ci tengono nascosto qualcosa. Qualcosa di ancor più pericoloso dei lupi mannari » ipotizzò Jo, decisa a distogliere la loro attenzione dalle uscite filosofiche del suo ragazzo.
« Non credo » intervenne Rose, con una smorfia. « Perché nascondere una cosa del genere in una scuola? Il Ministero ne conoscerà abbastanza, di luoghi segreti ».
« Bè, forse è proprio perché è una scuola…nessuno sospetterebbe che questa…cosa…qualunque cosa sia, si trovi a scuola, no? » replicò Jo.
« Uhm » fece Rose, pensierosa.
Poco più in là, un gruppo di ragazze si affrettava verso le scale, ridacchiando e borbottando.
« Oh, quelle sono le mie compagne di stanza…ci vediamo domani » disse, rivolgendo alle altre un sorriso, e una strana smorfia a Michael, che la stava fissando quasi con la bava alla bocca. Jo se ne accorse e si accigliò, non troppo dispiaciuta che Dominique se ne andasse.
« Vado anche io » comunicò Rose, sbadigliando, « a domani ».
Con un cenno della mano, si allontanò.
Alice, Jo e Micheal raggiunsero il ritratto della Signora Grassa, l’entrata segreta per la Torre di Grifondoro, continuando a discutere sulla Foresta Proibita e su quello che poteva contenere.
Alla fine, Alice fu contenta di salire in dormitorio e potersi finalmente stendere sul suo morbido letto a baldacchino. Il baule era già lì ad aspettarla.
Poco dopo di loro arrivarono anche Anne, Liz e Guen, sue compagne di dormitorio.
Parlarono poco, e Alice si addormentò quasi subito, mentre le note dell’inno della scuola le risuonavano ancora dolcemente nella testa.
 

***


La prima settimana di scuola passò abbastanza tranquillamente.

Riprendere le lezioni fu un trauma, come sempre, ma Alice aveva iniziato con il piede giusto e quello a venire si prospettava come un buon anno scolastico.
Il lunedì, a colazione, ricevette il nuovo orario.
Scoprì che la giornata più impegnativa sarebbe stata il giovedì: due ore di Trasfigurazione, altre due di Pozioni, pranzo, e un’ora di Difesa contro le Arti Oscure. Era praticamente un suicidio, considerato che Pozioni e Trasfigurazione erano tra le materie più complesse dei G.U.F.O., e Difesa contro le Arti Oscure le aveva sempre creato qualche problemino.
Però almeno, considerò, aveva moltissime ore di lezione in comune con i Corvonero, e avrebbe passato tanto tempo con Rose, che con l’incarico di prefetto quell’anno sarebbe stata sempre super impegnata anche nelle ore buche. 
Contro ogni probabilità, comunque, la prima lezione di Pozioni dell’anno era stata piacevole; il professor Turner li aveva fatti lavorare sui filtri d’amore, che nessuno, chiaramente, era riuscito a fare bene –nemmeno Rose era stata in grado di prepararne uno perfetto, anche se il suo era quello che di gran lunga si avvicinava di più al risultato finale-.
Eppure si erano divertiti, a mescolare nuovi ingredienti mai usati prima, e ad identificare i diversi profumi che le pozioni emanavano. Quella di Alice aveva un odore misto di pergamena, inchiostro, marmellata e qualcosa di non classificabile che sospettava fosse la parte sbagliata del filtro.
Quella di Rose aveva un dolce profumo di panni puliti, ciclamino e menta.
Alice si divertì a pensare che forse anche l’alito di Scorpius Malfoy odorava di menta.
Ebbe modo di riparlare con Cathy, che le raccontò che sì, anche lei aveva ricevuto una punizione, che consisteva in compiti extra di Pozioni per tutto il prossimo mese.
Warrington, che era stato riportato in forma di ragazzo –di cavernicolo, più che altro-, e che aveva preso a pugni James, ricevette un’intensa strigliata e…e basta.
E basta.
Cathy spiegò che, davanti a Turner, Flitt aveva inscenato una versione dei fatti tutta sua: di loro che lo aggredivano in corridoio, per divertimento, e di Warrington che interveniva prontamente in difesa dell’amico come meglio poteva ( doveva spiegare in qualche modo l’occhio nero di James, d’altronde).
La Caposcuola, naturalmente, gli aveva dato man forte.
Non avevano potuto fare nulla, nonostante quella fosse una palese ingiustizia. Se non altro, adesso lei e Cathy si conoscevano un po’ meglio.
Di venerdì sera la ragazza si era anche seduta con Alice e gli altri, a cena, sotto lo sguardo leggermente sorpreso di Rose, e abbastanza irritato di Albus, che però non disse nulla.
Alice pensò che fosse una fortuna che, anni prima, la McGrannitt avesse acconsentito allo scambio di studenti tra tavolate. In quel modo lei, Albus e Jo potevano tranquillamente mangiare insieme a Rose, e talvolta a Dominique. E adesso, anche con Cathy.
Fu soltanto il giorno dopo, di sabato mattina, che Alice ricevette finalmente una temuta –e altrettanto attesa- Strillettera di sua madre.
Passati ormai cinque giorni, in realtà, aveva quasi smesso di pensare ai provvedimenti che avrebbe preso Hannah per l’episodio avvenuto sul treno e la punizione della Spinnet. O meglio, non era più il suo pensiero fisso anche mentre si faceva la doccia, o mentre mangiava, dormiva e studiava.
Aveva perfino iniziato a credere che, che so, il gufo di casa si fosse perso in una qualche misteriosa tempesta, o che magari sua madre avesse deciso che no, non era proprio il caso di traumatizzarla con una sfuriata coi fiocchi la prima settimana di scuola.
E invece, il gufo bruno di suo padre planò davanti a lei a colazione proprio mentre addentava, allegra e sorridente, una fetta di pane e marmellata.
E il sorriso le era subito scivolato via dal viso, lasciando il posto ad una smorfia terrorizzata.
Anche Jo, al suo fianco, fissava la lettera intimorita. Rose invece la esortò ad aprirla: prima l’avrebbe fatto, prima sarebbe tutto finito, no?
Alice, deglutendo, si era fatta coraggio. Si era fatta coraggio da degna Grifondoro.
Si era fatta coraggio e poi si era decisamente pentita non appena la voce infuriata di Hannah era esplosa per tutta la Sala Grande.
 
« ALICE HANNAH AUGUSTA PACIOCK! COME HAI OSATO, INFRANGERE LE REGOLE COSI’? SONO PROFONDAMENTE DELUSA, SIGNORINA! SONO DISGUSTATA! CHE TI E’ SALTATO IN MENTE? POTEVATE FARVI MALE…POTEVI ESSERE ESPULSA! »
 
Parecchi studenti si erano voltati verso il suo tavolo, per adocchiare la sfortunata destinataria della Strillettera. Alice stava sprofondando nella sua sedia, desiderando nient’altro che essere inghiottita dal pavimento.
 
« …IO E TUO PADRE SIAMO SCIOCCATI! TI AVVERTO… BASTA SOLO UN ALTRO, SOLO UN ALTRO GESTO COSI’ IRRESPONSABILE DA PARTE TUA, E GIURO CHE TI RIPORTO A CASA! CI SIAMO CAPITI? »
 
Alice, terrorizzata, annuiva piano in direzione della busta rossa.
Nel frattempo questa aveva cominciato a spruzzare fumo dai margini e, solo dopo averla fissata per un altro minuto buono, scomparve, disintegrandosi in tanti piccoli coriandoli.
La Sala Grande era rimasta immersa nel silenzio totale ancora per un po’.
Alice credeva che anche gli altri, come lei, fossero rimasti sconvolti dalla furia di mamma-belva.
Tre ore dopo, tuttavia, dopo una lunga passeggiata nel parco e una doccia fresca, aveva constato che, infondo, sarebbe potuta andarle peggio. La Strillettera era stata un’alternativa più che accettabile alla morte e, sebbene non fosse ancora del tutto convinta che Hannah non le stesse riservando qualche brutta sorpresa in occasione della prima gita a Hogsmeade ( magari di lei, con un’ascia insanguinata in mano, che le intimava di comportarsi bene per il resto dei suoi giorni ), adesso era piuttosto sollevata.
Certo, non abbastanza sollevata da ringraziare James.
Aveva sentito alcune ragazze, in Sala Comune, sussurrare eccitate che ‘Per Morgana, James Potter si è fatto un occhio nero combattendo con un drago!’
Alice aveva accuratamente evitato di chiedere come potessero pensare che, combattendo con un drago, una persona riportasse solamente un occhio nero. E dove mai James Potter potesse aver trovato un drago sull’Espresso per Hogwarts. E per quale assurdo motivo ci avesse anche dovuto combattere, invece che darsela a gambe.
Sapeva che porre domande decisamente infondate come queste sarebbe stato poco intelligente, in confronto alle loro teorie geniali, che presumevano che James fosse una specie di incrocio tra un dio greco e superman.
Ma la cosa che le dava fastidio era che lui, naturalmente, non si premuniva di negare le dicerie, anzi.
Se ne andava in giro per la scuola con Fred con aria fiera, e grazie al cielo Alice non li incontrava spesso: si era imposta di evitarli, e per una volta stava funzionando davvero.
Purtroppo, però, la cosa non era destinata a durare molto. Difatti, alle cinque meno un quarto di sabato pomeriggio, dovette salutare Rose e Jo e, con rammarico, dirigersi verso la Sala Trofei, dove sapeva avrebbe dovuto per forza vederlo di nuovo.
Ci stava pensando, afflitta, mentre attraversava un corridoio luminoso del secondo piano.
E ci stava pensando così intensamente da non accorgersi di una sagoma che correva nella direzione opposta alla sua, con il volto rivolto dall’altra parte.
Lo scontro fu inevitabile.
Alice cadde rovinosamente a terra, insieme alla sua sacca piena dei libri appena presi dalla biblioteca, che si sparsero tutti sul pavimento di pietra.
« Mi dispiace » disse una voce, dietro di lei.
Si voltò, confusa e disorientata, con le ginocchia doloranti per la botta appena presa.
E il suo cuore fece un balzo, quando riconobbe la figura di Christopher Canon.
Il ragazzo le porse la mano per aiutarla ad alzarsi. Alice la fissò in trance, mentre arrossiva.
Chris le piaceva più o meno da quando frequentava il secondo anno.
Lui era a Tassorosso, alto, bello, con una massa di adorabili riccioli castani in testa, gli occhi blu scuro, e un sorriso mozzafiato. Ogni volta che lo vedeva sorridere, Alice si sentiva le gambe di pasta frolla, e la mente l’abbandonava, vagando in luoghi sperduti con Chris, dove Chris la conosceva, la notava e sapeva perlomeno come si chiamava.
« Scusa » ripeté il ragazzo, « scusa, ehm…Al-Anna ».
Ecco, appunto.
« Alice » lo corresse, con un filo di voce.
Poi si accorse di essere ancora a terra, e di stare ancora fissando la sua mano tesa con un’espressione da pazza psicopatica, e si ricompose in fretta, lasciando che lui la aiutasse a tirarsi su –e rischiando per poco di non cadere ancora, troppo occupata com’era a guardare i suoi occhi blu, meravigliosamente blu-.
Una parte del suo cervello le diede della sciocca, commentando che sembrava una stupida adolescente in preda agli ormoni. L’altra, invece, le fece notare che era giusto così, perché teoricamente lei era un’adolescente, in quel momento decisamente in preda ai suoi ormoni, anche se magari non stupida.
« Alice » Chris sorrise. Lei si trattenne dal sospirare. « Io dovrei, ecco, andare » disse poi, vagamente imbarazzato.
Alice si rese conto di non avergli ancora mollato la mano, e si affrettò a farlo con uno scatto.
« Oh, certo, ehm…io… »
« Ci si vede in giro » proferì lui. Le sorrise di nuovo, prima di superarla e voltare dietro l’angolo.
Alice restò per un po’ imbambolata a fissare il punto in cui il ragazzo era sparito.
Poi, lentamente, si chinò a raccogliere i libri caduti, e si riavviò verso la Sala Trofei.
Con un sorriso.

 
 
 












Note dell’Autrice.
Buondì!
State bene? Spero di si, e spero anche che questo capitolo vi sia piaciuto.
Allora, -che dire?
E’ un capitolo un po’ misto, c’è di tutto, e in effetti avevo e ho tutt’ora paura di essere un po’ troppo generica e frettolosa nel descrivere personaggi e situazioni.
Spero di migliorare con il tempo.
Comunque, ora, magari alcuni di voi avranno già iniziato a shippare qualche pairing.
E magari, non so…adesso qualcuno di voi mi odia per quest’ultima scena.
Eh eh eh.
Lo so, in effetti mi ci è voluta tanta forza di volontà per scriverla çç perché anche io inizio già a shippare ( cioè, li shippo più o meno da sempre, lol) Alice e…e bè, poi lo scoprite!
Bene, detto questo, mille e mille grazie alle venticinque amorevoli persone che hanno messo la storia tra le seguite, aww. E anche a quelle che hanno recensito, naturally!
E ora vi lascio, grazie davvero a tutti per essere arrivati fin qui.
A prestissimo!
 
Daylise

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Capitolo 5
*** Sugar coated ***


4.

Sugar Coated
 
I’m gonna make today sugar-coated.
I’m gonna get so high I’m lying here on the floor.
It’s time these shoes of mine were fully loaded.
It’s time to sit back and smile.

Sugar Coated, James Blunt

 
            


La Sala Trofei era semivuota quando Alice arrivò, scombussolata, ancora con il fantasma di un sorriso spiaccicato in volto e tutti i capelli in disordine.
I suoi pensieri vagavano felici su zuccherose nuvole di cioccolata, così come il suo cuore, che le martellava nel petto ad una velocità tale che le sembrava potesse esplodere da un momento all’altro.
"Ti ha solo sorriso, Alice", le fece notare una vocina nella sua testa, che somigliava in modo estremamente irritante a quella di Jo, quando le faceva presente quanto era disperata la sua situazione con Chris.
"Bè, è questo il punto", partì all’attacco una seconda voce, che invece somigliava di più a quella di Rose. Rose, l’inguaribile romantica. "Le ha sorriso. Non è fantastico?"
Alice annuì energicamente con la testa, per dare man forte alla vocina-Rose, e quando si accorse che Pierce, da dentro la stanza, la stava fissando come se fosse matta, si affrettò a smettere e a cercare di assumere un’espressione innocente.
Bè, almeno non c’era la Spinnet. Se l’avesse guardata lei, a quel modo, si sarebbe vergognata da morire per il resto dell’anno.
« Buongiorno » sussurrò, tesa e al contempo impaziente di sapere quale sorte sarebbe toccata a lei e a James.
Pierce continuò a guardarla strano e non le rispose, limitandosi a borbottare cose del tipo ‘stupidi ragazzini!’ o ‘ne inventano sempre una!’ e ancora ‘Ci penseranno due volte alla prossima prima di combinare guai…
Dovettero aspettare dieci minuti buoni prima che arrivasse James, e quando questi finalmente si presentò, aveva un’aria leggermente affannata, i capelli ancora più arruffati del solito e la camicia abbottonata in malo modo che gli pendeva molle fuori dai pantaloni.
Forse, pensò Alice, si era allenato con Fred o qualcun altro, visto che aveva tutta l’aria di uno che era appena sceso dalla scopa. E che avrebbe dato di tutto pur di restarci, considerata la sua espressione riluttante.
Alice pensò con nostalgia alla brezza fresca che ci doveva essere fuori nel parco, in quel momento, e a come si dovesse stare bene sotto l’ombra del vecchio olmo, quello dove lei e Rose passavano interi pomeriggi primaverili.
« Ora che ci ha degnato della sua presenza, signor Potter… » gracchiò Pierce, avvicinandosi a loro due, e tendendo le mani: « Le bacchette ».
James e Alice lo fissarono sconcertati.
« Dovete pulire queste targhe…senza magia » specificò allora Pierce, con estrema soddisfazione.
Alice si guardò intorno, inorridita: al centro della Sala troneggiava un’immensa libreria, i cui ripiani dovevano essere occupati da trecento e più targhe, targhette e premi vari, e se dovevano pulirli tutti senza magia…avrebbero finito praticamente a notte fonda!
« Avanti, le bacchette » continuò Pierce, ghignando malignamente.
I due ragazzi gliele dovettero consegnare, afflitti, e il vecchio custode emise un grugnito perfido prima di voltare loro le spalle, e sgusciare via continuando a borbottare ininterrottamente.
Appena la porta della Sala Trofei si fu chiusa dietro di lui, James si avviò a passo strascicato verso uno dei banchi vuoti al centro della stanza, e ci si catapultò sopra con un tonfo sordo. Sbadigliò sonoramente e, posizionando le mani sotto la testa, biascicò:
« Allora…chiamami quando hai fatto, uhm? »
Oh, tipico.
Alice valutò l’ipotesi di prendere una di quelle stupide targhe e tirargliela in testa, ma si trattenne –solo ed esclusivamente perché, a quel modo, si sarebbe presa un’ ulteriore e affatto necessaria punizione-; si limitò invece ad afferrare un grosso vaso sul davanzale di una delle  finestre della stanza, che dava sul parco, svuotarlo dei fiori, e rovesciare il miscuglio indistinto di acqua e terra che vi giaceva direttamente sulla testa di James.
« Che cazz…ma che fai? » esclamò questi, scattando su a sedere come una molla. Si portò preoccupato una mano sui capelli fradici, prima di rivolgerle un’occhiata in cagnesco.
« Non crederai davvero di poter lasciare che faccia tutto io… » si giustificò lei, sbuffando.
James sbatté più volte le palpebre.
« No che non farò tutto io! » sbottò allora Alice, infervorata.
« Datti una calmata, Paciock » disse il ragazzo, le gambe a penzoloni sul banco e la camicia ora completamente zuppa, continuando a tastarsi ciocche di capelli scuri. « Adesso ti aiuto, okay? Dovresti prendere lezioni di yoga, sul serio » aggiunse poi, ridacchiando.
Alice incrociò le braccia al petto, guardinga: « E tu come lo conosci lo yoga? »
« Lunga storia » fece James, enigmatico. « Tu? »
« Lunga storia » borbottò.
La verità era che non era affatto una lunga storia, ma solo una storia incredibilmente imbarazzante: i ricordi di sua zia May che cercava di insegnarle lo yoga da bambina, convintissima che questo sarebbe servito anche a decimare i suoi problemi di equilibrio, le riaffiorarono alla mente sbiaditi. Inutile dire che, con la sua scarsa propensione all’attività fisica, i risultati erano stati scadenti, e un bel giorno si era ritrovata con le gambe incastrate sopra la testa e le braccia legate chissà dove, sotto gli occhi di tutti gli altri bambini del corso che frequentava (che era stata obbligata a frequentare, s’intende). Zia May, che era l’insegnante, aveva infine rinunciato proclamando che lei, Alice, era più un tipo da libri.
Insomma, un modo carino per dirle che era un topo da biblioteca, e in più anche imbranata. La storia della sua vita.
James scese quindi dal banco e, con lentezza esasperante, iniziò a sbottonarsi la camicia.
Alice si ritrasse di scatto, allontanandosi in un balzo dal punto in cui stava lui, come se si fosse scottata.
« Ehy, che cosa…? James…rimettiti…n-non provare a toglierti quella roba di dosso » bofonchiò, arrossendo.
Il ragazzo le lanciò un’occhiata divertita. « E’ fradicia » disse, a mo’ di spiegazione.
« E dove pensi di trovarla un’altra camicia, qui? » osservò Alice, voltandogli le spalle, ben decisa a non guardare più nella sua direzione per alcun motivo. Almeno fino a quando non fosse stato di nuovo completamente vestito.
« Basta aspettare che si asciuga, eh… »
« No, dai » implorò Alice, al massimo dell’imbarazzo, « smettila ».
James ridacchiò: « Ai tuoi ordini ».
Alice esitò un momento prima di rigirarsi, infine si voltò di nuovo a guardarlo, e vide che lui aveva alzato le mani con fare innocente. La camicia bianca era ancora lì al suo posto. Sospirò di sollievo.
« Se proprio ti da fastidio » sghignazzò James, sistemandosela meglio indosso e avviandosi dalla parte opposta della stanza, verso una pila impolverata di vecchi trofei.
Alice, lungi dal volergli stare troppo vicino e ancora rossa in viso, si diresse con decisione dalla parte opposta. Sapeva che questo avrebbe soltanto divertito James ancora di più, ma cercò di non badarci troppo. E sapeva benissimo anche che, in teoria, non si sarebbe dovuta vergognare nemmeno di vederlo nudo, poiché da bambini avevano persino fatto il bagno assieme. Ma ora non erano più bambini, e lui era…bè, James.  
Esaminò alcune targhe risalenti almeno a cinquant’anni prima, e si mise a strofinarle con uno straccio lurido, che Pierce aveva lasciato appositamente lì per loro.
I trofei parevano incrostati da uno sporco così antico da essere quasi irremovibile: dovette faticare non poco per riuscire a lucidare per bene la prima coppa d’oro.
Calò uno strano silenzio per un po’ di tempo. A dir la verità, dovevano essere stati massimo due minuti, perché subito James sbuffò sonoramente, e sbottò: « Hai perso la lingua? »
« Cosa dovrei dirti? » ribatté Alice, aggrottando le sopracciglia.
« Qualcosa. Qualsiasi cosa.Odio i silenzi. E mi annoio. Ti prego. Risponderei a qualsiasi domanda ».
Lei alzò gli occhi al cielo, poi si fece pensierosa.
« Perché hai parlato a quel modo di Victoire, al matrimonio? » chiese infine.
Ci aveva pensato tanto la sera stessa della cerimonia, e tutta la notte successiva: il desiderio di scoprire perché quella ragazza non fosse tanto apprezzata dalla famiglia Weasley-Potter, dove solitamente andavano tutti d’amore e d’accordo, l’aveva tormentata.
Ma la cosa più sorprendente era che non ci aveva mai fatto caso prima. Possibile? Dopo tutte le estati passate con Rose, Albus, Lily e tutto il clan al completo?
La domanda le era uscita così, senza che dovesse rifletterci troppo: era una cosa che, per un qualche motivo che nemmeno lei conosceva bene, doveva sapere.
E poi, Rose e la sua famiglia le stavano molto a cuore. Non se la sentiva comunque di chiederlo a lei: quando lo aveva fatto, al matrimonio, non le era sembrata molto felice di affrontare la questione.
James parve stupito.
In un primo momento esitò, poi si fece scontroso e rispose, brusco: « Non a questa, di domanda ».
« Avevi detto qualsiasi » lo sfidò Alice, sempre più curiosa ogni minuto che passava.
James si rabbuiò ancora di più. « Non è nemmeno una cosa così interessante. E’ abbastanza ovvio. Quella è una strega ».
Alice scoppiò a ridere e, sotto il suo sguardo sconcertato, si giustificò: « Non credo fosse l’aggettivo migliore, sai? Anche io lo sono, e anche Rose… »
« Finiscila » tagliò corto James, sbuffando, « hai capito cosa intendo ».
Alice si sporse sulle punte dei piedi, e un grosso calice d’oro per poco non le cadde in testa mentre cercava a tentoni di afferrarlo saldamente da una dei ripiani più alti della grande libreria.
« Ci ho parlato tante volte… » obiettò, riuscendo finalmente a tirare giù il calice. « Non è così male ».
Insomma, non credeva possibile che Victoire Weasley potesse essere tanto malvagia, nonostante tutto sommato non la conoscesse poi granché.
Ma Strega, inteso nel senso di arpia, era una parola che lei riservava solo a persone come Courtney Thomas, la ragazza di sesto anno che in Sala Comune si divertiva a tormentare i più piccoli e a disintegrare l’autostima delle povere ragazzine di turno.
E poi era una Weasley. Ed erano tutti così meravigliosi e genuini, i Weasley.
« Fidati, lo è » continuò James, imperterrito, stringendo i pugni.
« Senti, James » sospirò lei, con un mezzo sorriso, « Victoire è fidanzata con Ted, no? E Ted è un ragazzo in gamba, se la saprà scegliere una fidanzata, no? »
« E’ qui che ti sbagli » commentò lui, in tono lugubre.
« Dai, non fare il bambino… »
« Tu non capisci ».
« Io capisco, invece » ribatté lei, irritata, « magari ti senti messo da parte perché adesso si sposa e non avrà più tempo per- »
« Victoire tradisce Ted ».
 

  ***                                                             

 
Era già buio, come previsto, quando Alice fece ritorno alla Sala Comune.
Rose e Jo la stavano aspettando: la prima, acciambellata sulla poltrona rossa davanti al camino, con un libro sulle gambe e l’aria concentrata; e la seconda, distesa a testa in giù su un divanetto tutta intenta a lisciarsi i capelli con la bacchetta. A parte loro, c’erano giusto quattro ragazzi intenti a giocare una partita a Spara-Schiocco.
Aveva perso il conto delle volte in cui Rose si era intrufolata con loro nella Torre di Grifondoro. All’inizio, lo faceva solo a ora tarda o comunque quando era abbastanza vuota; poi, con il tempo, un po’ tutti si erano abituati a vederla lì e a nessuno d’altronde dava fastidio: era così facile voler bene a Rose.
« Oh, eccoti! Com’è andata? » chiese Jo, sollevandosi in fretta e scrutandola con attenzione.
Anche Rose alzò lo sguardo su di lei, e sorrise.
Alice esitò un attimo, poi scrollò le spalle e si lasciò cadere, stanca e affamata, sul divanetto accanto a Jo.
« Normale ».
Rose puntò la bacchetta verso i dormitori, mormorò: « Accio! », e subito un piatto di pollo arrosto volò nella loro direzione, e atterrò leggero proprio sulle sue gambe.
« Avevamo pensato avessi fame » spiegò.
In tutta risposta, lo stomaco di Alice brontolò. Tutte e tre scoppiarono a ridere.
« Grazie. Ho una fame da lupi » assentì Alice.
Mentre mangiava, Jo si lanciò nel racconto del suo incredibile pomeriggio passato con Michael e di come fosse assolutamente convinta del fatto che loro due erano anime gemelle.
Alice, che l’aveva sentita dire la stessa cosa riguardo tutti i ragazzi di cui si era presa una cotta, scosse la testa esasperata.
Era incredibile come Jo riuscisse ad essere cinica e oggettiva rispetto alle faccende di cuore altrui, così tanto da risultare quasi fastidiosa –no, chiaramente il fatto che distruggesse quotidianamente i suoi sogni su Chris non c’entrava assolutamente nulla-, e come invece potesse diventare mielosa se si trattava delle sue, di fantasticherie.
« E poi mi ha portata sotto al Platano e… » stava dicendo, con aria trasognata e le pupille a cuoricino, quando Rose la interruppe bruscamente:
« Il Platano? Quel Platano? Ti sei fatta trascinare sotto un albero che può ucciderti? »
« E dai, Rosie » replicò Jo, profondamente infastidita dall’essere stata interrotta sul più bello, « sei una guastafeste ».
Rose si rabbuiò e tornò a prestare la sua attenzione al libro che ancora teneva in grembo.
Alice, mentre Jo riattaccava con la sua storia, scrutò il titolo: The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet.
Si aprì in un sorriso a trentadue denti.                                                
Stava leggendo Romeo e Giulietta.
Ah!
Magari Giulietta l’avrebbe ispirata. Magari anche lei, una volta finito di leggere, in una vampata di coraggio avrebbe mandato tutto e tutti a quel paese e sarebbe corsa dritta di filato dall’unico ragazzo che l’avesse mai veramente interessata.
Ah!
E poco importava che alla fine Giulietta si suicidava: Rose doveva darsi una mossa.
Magari avrebbe fatto bene a leggerlo anche…
« Ma insomma, voi due, mi state ascoltando oppure no? » sbotto Jo tutt’a un tratto.
Rose annuì distrattamente, annoiata.
« Perché sorridi così? » chiese ancora Jo, rivolta ad Alice, aggrottando la fronte e smuovendo i capelli violacei.
Alice mostrò un altro sorrisetto compiaciuto, ma ripose soltanto: « Nulla ».
Aveva scoperto quanto le piacessero le opere babbane quando, un terrificante pomeriggio afoso d’agosto, aveva esaurito le scorte di libri che c'erano in casa e si era avventurata in città alla ricerca disperata di una libreria aperta.
La letteratura e il teatro dei babbani erano qualcosa che l’affascinava: soprattutto quelle che parlavano di vite comuni, amori comuni, storie comuni che però, viste sotto una certa luce, apparivano straordinarie. Ed era questo l’immenso potere che aveva un autore, credeva Alice: quello di prendere dei personaggi perfettamente normali –o quasi-, e renderli fantastici, epici. Non in base a ciò che compivano, quanto più che altro a ciò che erano e al loro modo di affrontare e vedere il mondo.
In sostanza, aveva conosciuto Romeo e Giulietta in uno dei suoi numerosi pomeriggi di vagabondaggio in città successivi al primo, negli anni a venire.
E il collegamento con Rose lo aveva fatto praticamente subito.
Finì di masticare anche l’ultimo boccone di pollo, biascicò un ‘Evanesco!’ per far sparire il piatto, e si alzò a malincuore dal confortevole divanetto per dirigersi a passo strascicato verso i domritori.
« Vado a dormire » annunciò, scoprendo solo in quel momento quanto davvero si sentisse stanca, « a domani, Rosie » sorrise all’amica.
Anche questa si alzò. « Sì, vado anch’io. Sta per scattare il coprifuoco e non mi va proprio di avere richiami, sapete… » accennò con leggero imbarazzo alla spilla lucente da prefetto che portava appuntata alla maglia.
Jo spostò lo sguardo dall’una all’altra, chiaramente contrariata dal non poter celarsi ancora in racconti intricati su quello che Michael le aveva o non le aveva detto quel giorno. Poi però sospirò, sconfitta, e acconsentì a salire in dormitorio con Alice.
« ‘Notte » disse a Rose.
« Buonanotte ».
Poi, poco prima che Rose varcasse il ritratto della Signora Grassa, e che loro salissero i gradini che conducevano ai dormitori, Jo trattenne il fiato e si batté una mano sulla fronte, come se si fosse ricordata una cosa di vitale importanza solo in quell’istante, ed esclamò:
« Rosie! »
La ragazza sobbalzò spaventata e si girò a guardarla con un cipiglio divertito.
« Che c’è? »
« Volevo chiedertelo ma poi mi sono dimenticata…oggi mentre tornavo in Sala Grande con Michael, siamo passati davanti la biblioteca e abbiamo viste te e…Malfoy…seduti allo stesso tavolo… » arricciò le labbra, come se la cosa la disgustasse, e continuò, « ti stava dando fastidio? Volevo intervenire ma Michael mi ha detto di lasciare stare…che voleva da te? »
Aveva tutta l’aria di una che, se solo avesse ricevuto la risposta che desiderava, tipo ‘mi stava importunando!’, sarebbe partita in quarta per andare a prendere Malfoy a pugni.
Alice spalancò gli occhi, mentre la sua mente lavorava veloce, e l’entusiasmo affievolitosi poco prima ritornava velocemente a galla.
Rose arrossì fino alla punta dei capelli e fece un passio indietro, verso il buco del ritratto, ridacchiando nervosamente.
« No, io…ehm…no, certo che no, insomma… » tossicchiò, « è che ci serviva lo stesso libro e allora… »
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse…
« noi…cioè, io…devo andare. Buonanotte » esalò infine, sgusciando via così in fretta che Jo rimase alquanto sconcertata.
« Ma che le è preso? » chiese ad Alice, stranita.
« Non lo so, insomma… » fece lei, improvvisando uno sbadiglio fin troppo sonoro per essere credibile, e iniziò a salire verso il dormitorio, « ho sonno. ‘Notte, Josey ».
E, mentre lasciava l’amica sempre più perplessa sul primo gradino delle scale, sorrise ancora.
E pensò che, magari, il libro condiviso poteva essere stato proprio Romeo e Giulietta.
Galeotto fu il libro…
Che Jo sapeva essere incredibilmente cieca.
Che forse prima o poi Rose le avrebbe confessato la sua cotta per Scorpius Malfoy e avrebbe smesso di fingere disinteresse –con scarsissimi risultati.
Che avrebbe eretto un santuario a Sheakspeare se questo fosse successo grazie a lui.
…e chi lo scrisse.
 

 ***                                                            

 
Solo quando, finalmente, si stese a letto, poté concedersi di tornare con la mente alla conversazione avvenuta con James poche ore prima.
Victoire tradisce Ted.
Era rimasta così spiazzata da quelle parole che non aveva più aperto bocca per il resto del pomeriggio.
Nemmeno James aveva più fiatato, e Alice si era più volte chiesta se per caso dovesse averlo in qualche modo offeso, visto che solitamente non riusciva a starsi zitto per più di cinque minuti.
Più probabilmente però, il pensiero di Ted che veniva preso in giro a quel modo dalla sua ragazza lo faceva stare male. Alice si chiese se per caso James non avesse provato a dirlo all’amico –quasi fratello, praticamente- e non fosse stato respinto.
E cos’avrebbe fatto, lei, al posto di James? Dirlo a tutti, e far soffrire tutti, o aspettare che la situazione si risolvesse da sola? Che Victoire dicesse la verità, al posto suo, come sarebbe stato giusto?
Non avrebbe mai voluto conoscere quella storia, se avesse saputo il guaio in cui era cacciato il ragazzo. Perché era un guaio, sì: in bilico tra la verità e la menzogna, la fiducia dei suoi parenti e il benessere degli stessi.
E lei, con una situazione così, non avrebbe mai voluto averci a che fare.
Con un po’ di fortuna non le sarebbe capitato mai, e ci sperava davvero.

Ma non aveva forse già constatato che, disgraziatamente, la fortuna non era mai stata dalla sua parte?

 
 
 
 
 
 
 
 







Note dell’Autrice.
Buonasera dfgh :)
Okay, mi devo scusare per il leggero ritardo. Non mi uccidete, solo tre giorni dai ç_ç
Sono stata impegnata, ormai non riesco più ad avere un attimo di tempo, tra lo studio, gli amici, la scuola, lo sport…aiuto!
Arrivo la sera tardi a casa e mi precipito a scrivere, ma purtroppo poi sono stanca e faccio uj pastrocchio e…questo è quello che ne viene fuori.
Ho dovuto ricontrollarlo e riscriverlo tremila volte, perché avevo fatto un vero casino. Vabbè, don’t worry, ora ci sono le vacanze e avrò mooolto più tempo per fare ciò che voglio.
Insomma, mi piacerebbe sapere cosa ne pensate anche di questo quarto capitolo, visto che non sono molto sicura del mio lavoro, però non lo sono quasi mai, in effetti…si va bè, la smetto di scocciarvi. lol
 Ah, ecco:
‘Galeotto fu il libro e chi lo scrisse…’ è il nostro amato Dante, gente, ma sicuramente già lo sapete.
Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta…sì, amo le storie d’amore che finiscono in un bagno di sangue, yep.
lol
 Bene, detto questo, spero vi sia piaciuto anche questo nuovo capitolo e..bè, ciaao.
A prestissimo :D
 
daylise_

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Capitolo 6
*** Everything's not lost ***


 5.
Everything's Not Lost


When you thought that it was over
you could feel it all around
and everybody's out to get you

don't you let it drag you down.

Everything's Not Lost, Coldplay



« Alice? »
« Mmh? »
« Trovi che abbia i capelli secchi? »
« Mmh ».
« Cos’era, un sì o un no? »
« Uhm-mmh ».
« Ma mi stai ascoltando almeno? »
Alice sollevò la testa dal libro di incantesimi, su cui era china da almeno due ore, guardandosi intorno con aria spaesata. Jo, seduta davanti a lei ad un tavolo della biblioteca, la fissava irritata. Era pomeriggio tardi, e i raggi del sole filtravano obliqui attraverso una delle grandi finestre della sala. C’era uno strano silenzio ovattato, in biblioteca, un’atmosfera che le era sempre piaciuta: era come estraniarsi dal mondo. Almeno per un po’.
« Eh? » fece, confusa.
« Come non detto » sbuffò Jo, alzando gli occhi al cielo e sistemandosi una ciocca di capelli viola dietro l’orecchio, prima di tornare a leggere il Cavillo.
Alice chinò la testa di lato, senza capire. Poi la scosse e tornò al suo libro, seppur di malavoglia.
Tutti i professori, prevedibilmente, avevano subito cominciato a parlar loro dei G.U.F.O., premurandosi di ricordargli quanto fossero difficili e impegnativi, e questo Alice se lo era aspettato. Ma mai e poi mai avrebbe pensato che volessero sommergerli –letteralmente- di compiti fino allo sfinimento: insomma, era ancora la seconda settimana di scuola e già aveva da fare due temi, una quantità enorme di esercizi vari, pagine su pagine da studiare e una moltitudine di nuove formule magiche da memorizzare. Se avessero continuato con questo ritmo per tutto l’anno Alice dubitava che sarebbe riuscita a tenere il passo, e ciò la spaventava non poco.
Anche Rose era piuttosto nervosa, nonostante con lo studio non avesse mai avuto alcun problema; l’unica immune all’ansia che sembrava aver contagiato tutti gli studenti del quinto anno in pochi giorni, pareva essere Jo.
Difatti quest’ultima studiava, se possibile, ancor meno degli anni precedenti, ed era sempre al settimo cielo per un motivo o per un altro. Ma d’altro canto Jo era così: lei sapeva trovare l’energia positiva di tutte le cose.
Alice le invidiava parecchio questa capacità.
Se non altro, c’era da dire che lo studio teneva lontani i pensieri pericolosi, e perciò non aveva più avuto modo di rimuginare su Ted, o Victoire, o James.
Purtroppo però le sue preoccupazioni non finivano qui: proprio due giorni prima aveva incrociato per caso Flitt nei corridoi, e il ragazzo le aveva lanciato un’occhiata così carica d’astio che Alice si era dovuta trattenere dallo scappare via a gambe levate.
Stessa cosa valeva per Warrington, che aveva preso la brutta abitudine di fissarla in malo modo in Sala Grande –in effetti, era stata proprio lei ad averlo trasformato in un bicchiere ambulante, e Warrington non le pareva affatto un tipo molto propenso al perdono-.
Il fatto che poi frequentasse la metà delle sue lezioni con i Serpeverde non aiutava di certo: le occhiatacce erano diventate così frequenti che Alice sospettava che i due attendessero solo il momento di scovarla da sola da qualche parte, per poter tenderle un’imboscata.
Così aveva perfino iniziato a fare in modo di essere sempre accompagnata dalle sue amiche per i corridoi prima di accorgersi che, con tutte le probabilità, stava diventando paranoica, e riacquistare un briciolo di buon senso.
Cathy invece non le era parsa granché preoccupata, anzi, tutta quella situazione pareva divertirla. Le aveva confessato che, qualche giorno prima, mentre era su al terzo piano, Flitt si era precipitato verso di lei con fare minaccioso, le era piombato davanti, aveva alzato una mano e poi si era improvvisamente bloccato a fissare con occhi languidi un punto dietro di lei. E Cathy, voltandosi, aveva visto James e Fred in fondo al corridoio osservare la scena divertiti. Flitt allora le aveva lanciato un ultimo sguardo carico di risentimento, per poi voltarle le spalle e andarsene tutto infuriato.
Alice, dopo il suo racconto, non si era di certo tranquillizzata; tuttavia l’idea che Flitt adesso potesse essere spaventato da James faceva ridere anche lei. Bè, se non altro, non poteva biasimarlo: chi si vorrebbe ritrovare di nuovo ricoperto di orribili pustole?
Un rumore alla sua destra la riscosse dai suoi pensieri, e alzò di nuovo la testa, stavolta per vedere Rose e Albus fare capolino davanti al loro tavolo.
« Ciao » Rose sorrise.
Albus fece un cenno con la mano.
« Ciao » fece Alice, contenta della presenza dei due.
Jo alzò la testa dal Cavillo, e sorrise al loro indirizzo, allegra.
Poi si illuminò e, in un barlume di secondo, si sporse verso Albus, tanto in fretta che questi si ritrasse di scatto: « Tu credi che abbia i capelli secchi? » gli chiese, con espressione maniacale.
Albus si ritirò ancora di più sulla sua sedia, leggermente imbarazzato. Albus imbarazzato. 
Era una cosa che solo Jo sarebbe riuscita mai a fare; d’altronde la ragazza, con quei suoi comportamenti alle volte un po’ strambi, sapeva mettere involontariamente in imbarazzo una gran moltitudine di persone.
« Ehm…non saprei… » borbottò Al.
Jo aggrottò le sopracciglia, poi sbuffò e si tirò indietro velocemente.
« Bene » sbottò, a denti stretti. Rivolse un’occhiata infastidita ai tre, prima di alzarsi, raccattare in fretta e furia le sue cose e proclamare: « Io vado. Ci vediamo a cena, eh », e uscire dalla biblioteca a grandi e rabbiose falcate.
Alice, Albus e Rose fissarono sconcertati il punto in cui la ragazza era sparita.
Rose le rivolse un’occhiata interrogatrice, alla quale Alice rispose con un’alzata di spalle, altrettanto sorpresa.
« Hai finito qui? » le chiese poi Rose, continuando a lanciare occhiate preoccupate all’uscita della biblioteca. Albus, nervoso, forse ancora più del solito, fissava lo stesso punto ed era percorso da un leggero tremore alle mani.
Alice fissò il libro di incantesimi ancora aperto sul tavolo di fronte a sé e lo chiuse con un tonfo sordo, scoprendosi improvvisamente bisognosa di una boccata d’aria.
« Quasi » rispose, riponendo libri, penna e calamaio nella borsa. « Finirò dopo cena » disse poi, sfinita.
Rose sorrise. « Perfetto. Ti va di fare una passeggiata? »
Alice annuì, felice all’idea di uscire un po’ all’aperto.
Mentre si avviavano fuori nel parco, però,  Albus si bloccò, scusandosi e dicendo loro che aveva una cosa importante da fare e salutandole frettolosamente.
« Oggi sono tutti strani » fece Rose, osservando perplessa suo cugino che si allontanava lungo il corridoio del castello.
Alice ridacchiò, pensando che, in ogni caso, Albus Potter era sempre stato un ragazzo piuttosto strano, e stessa cosa valeva per Jo.
Lentamente, giunsero fino al grande portone di quercia e si infiltrarono fuori, dove il sole si abbassava all’orizzonte e alcuni ragazzi sedevano sotto l’ombra degli alberi, chini su voluminosi libri di testo. Un brezza fresca soffiava sul parco di Hogwarts e le accarezzava dolcemente la pelle, spargendo nell’aria un dolce profumo di cucinato, probabilmente proveniente dalle cucine.
« Alice » proruppe Rose nervosamente, una volta che furono un po’ più in là, fuori portata d’orecchio di chiunque, « devo dirti una cosa ».
Lei si voltò curiosa. Scrutò il volto dell’amica, dove una ruga di preoccupazione le solcava la fronte.
« Dimmi » disse, sorpresa.
Rose si mordicchiò il labbro e prese a contorcersi le mani, esitando.
« In realtà è da un po’ che volevo dirtelo ma…ma non ne ho mai avuta l’occasione e…insomma » le lanciò un’occhiata, « non posso farlo sapere a nessuno. Nessuno ».
Alice la fissò, fermandosi di botto. Per un minuto buono vorticarono nella sua testa orribili immagini di Rose che si cacciava nei guai, che veniva minacciata, che veniva ferita…poi però, notando il rossore espandersi sul volto dell’amica, le immagini mutarono all’improvviso. E si figurò, invece, Rose che se ne andava in giro mano nella mano con Scorpius Malfoy…
Oh, pensò, lo avrebbe eretto eccome un santuario a Sheakspeare.
« Puoi fidarti di me, Rose, lo sai » commentò allora, seria. In realtà stava facendo di tutto per trattenersi dal saltellare di gioia.
Rose sorrise nervosa, chinando la testa di lato: « Lo so. Ecco, vedi… ».
« Si? » la incoraggiò lei.
« Io… »
« Eilà, Rosie bella! »
Le due sussultarono, voltandosi spaventate.
Candice Goldstain e Stacey Macmillan le squadravano dall’alto in basso con un sorriso diabolico in viso.
« E la piccola Augusta » esclamò Stacey, zuccherosa, « come state? »
Alice fece una smorfia che si sforzò di trasformare in un sorriso almeno un pochino credibile. Naturalmente non ci riuscì; non le piaceva il tono che usavano quelle due, o il fatto che piombassero sempre alle spalle della gente, ma soprattutto, odiava che la chiamavano a quel modo. Augusta. Nemmeno con il secondo, Morgana, ma con il suo terzo nome!
E soprattutto, adesso, odiava come non mai il loro tempismo perfetto.
« Ehm…bene » disse Rose, aggrottando le sopracciglia.
Candice e Stacey si scambiarono un’occhiata complice.
« Passavamo di qui e non abbiamo potuto fare a meno di sentire che stavi per confessare qualcosa di importante! » squittì Candice. « E da brava nostra compagna di dormitorio, sarebbe carino se informassi anche noi delle tue avventure, Rosie bella ».
Rose arrossì nuovamente, e fece un passo incerto verso Alice.
« Non stavo confessando nulla » disse, nervosa.
Stacey ridacchiò frivola: « Oh andiamo, Rose, a chi la dai a bere? E poi non ci racconti mai niente » disse, mettendo su un finto broncio.
Alice fissò le due perplessa. Si era sempre chiesta come facesse Rose a sopportarle, a condividere con loro il dormitorio. Era pur vero che Rose era sempre stata una persona gentile e pacata con tutti, ma era anche molto riservata, una caratteristica che con le personalità di Candice e Stacey faceva praticamente a pugni.
Rose sbuffò ma, a sorpresa, sorrise.
« Questo perché non mi succede mai niente di interessante » replicò, tranquilla.
Candice inarcò un sopracciglio con fare scettico, ma prima che potesse aggiungere qualcos’altro Stacey la interruppe: « Capisco. E tu, Augusta, novità? »
Alice si rabbuiò, ma cercò di non fare troppo caso al fatto che le affibbiassero quel nome ogni singola volta che le rivolgevano la parola. « Il solito » rispose.
Candice si sporse verso di lei con un sorrisetto, e sussurrò: « Gira voce che tu sia finita in punizione con Potter. James Potter.Non sai quanto ti invidiamo ».
Stacey annuì, portandosi una mano al petto ed esclamando: « E’ così carino! »
Oh, Merlino. A quanto pare i membri del Potter-Weasley fan club erano anche più di quelli che Alice temeva, e si estendevano proprio a tutte le Case.
« Però, mio cugino fa strage di cuori » intervenne Rose. « Comunque noi ora dobbiamo andare, ci vediamo a cena » aggiunse frettolosamente.
Prese Alice per un braccio e stavano già sgattaiolando via per rientrare, quando la voce di Candice le bloccò a metà strada.
« Rose, aspetta! Ce lo fai conoscere poi, un giorno, vero? »
Alice ridacchiò e Rose, che ancora dava loro le spalle, alzò gli occhi al cielo.
« Se proprio volete » biascicò.
E, prima di seminarle del tutto, udirono distintamente le due ragazze scoppiare in risolini eccitati.
Varcarono le soglie del castello, dove il calore le avvolse in un morbido abbraccio e, prima che potessero entrare in Sala Grande, Alice si fermò.
« Rose » cominciò, anche se ormai era sicura che l’amica avesse perso l’intenzione e l’occasione di confidarle ciò che voleva confidarle. « Che mi stavi dicendo? »
E, difatti, questa rispose titubante: « Niente di importante, lascia stare ».
E lei lasciò stare davvero: conosceva troppo bene Rose, e sapeva che forzarla sarebbe servito solamente a peggiorare le cose, in qualunque caso e di qualsiasi faccenda si trattasse, sebbene fosse piuttosto sicura di sapere cose avesse in mente di dirle.
Infondo non tutto era perduto: Rose non aveva ancora finito di leggere Romeo e Giulietta, e Alice era sicura che il vecchio zio William sarebbe riuscito a darle una spintarella prima della vecchiaia.
Forse.
In caso contrario, l’Avada Kedavra non le sarebbe parso più un brutto incantesimo, specialmente se usato contro Candice e Stacey.
Per premiare il loro tempismo perfetto.
 

***

 
Il venerdì mattina Alice venne svegliata da una cuscinata.
Ci mise un minuto buono per riuscire ad aprire completamente gli occhi, e abituarli alla luce del sole che inondava il dormitorio della Torre.
Poi, una volta che il torpore e il sonno l’ebbero abbandonata almeno in parte, riuscì a distinguere la sagoma della ragazza che l’aveva svegliata: la cascata di boccoli biondi e gli occhi verdi e brillanti di Guen Jordan erano inconfondibili.
« Sveglia, dormigliona » rise Guen, dandole una pacca sulla spalla.
Alice la guardò, lievemente sorpresa, ma le sorrise a sua volta. Si mise a sedere lentamente, sbadigliando.
« Ehi, Liz, vieni » chiamò poi la ragazza, con un sorriso a trentadue denti.
Alice continuò a guardarla, senza capire.
Sì, le sue compagne di dormitorio le erano sempre state simpatiche, ed era abbastanza sicura che fosse così anche per loro, ma non avevano mai avuto un grande rapporto.
Guen si era legata fin da subito a Liz, come lei a Jo, mentre Anne era una di quelle ragazze che si trovava di gran lunga meglio in compagnia dei maschi.
Liz, tutta pimpante nella sua divisa, con le trecce scure sistemate dietro le spalle, si sedette sul suo letto accanto a Guen. Entrambe la fissarono con un sorriso smagliante.
« Cosa c’è? » chiese Alice, perplessa.
« Bè…lunedì è il tuo compleanno » cominciò Guen, mentre il sorriso le si allargava sempre di più sul viso.
Alice chinò la testa di lato.
Già, il suo compleanno. Si era completamente dimenticata del suo compleanno…ma, d’altronde, si dimenticava di parecchie cose. Queste era una delle caratteristiche ereditate sicuramente da suo padre –oltre che la goffaggine.
Adorava Neville, Alice, ma doveva ammettere che le aveva trasmesso delle cose che avrebbe tanto preferito non ricevere.
« Quindi, significa che dovrà essere una giornata speciale, no? » continuò la bionda con entusiasmo.
Alice annuì lentamente, sorridendo. Non sapeva bene perché, ma il fatto che Guen e Liz si ricordassero del suo compleanno le faceva estremamente piacere.
« Perciò… » intervenne Liz, facendo una pausa ad effetto, per poi proclamare in tono solenne: «  che pizza-party sia! »
Alice scoppiò a ridere, ributtandosi indietro sul materasso, e al contempo rise anche Guen.
« Grazie, ragazze » disse poi, sincera, « ma… »
« Ehi, che succede? »
Jo si era sporta dalla porta del bagno, curiosa.
« Vogliamo organizzare una festa per Alice » spiegò Liz, allegra.
« Oh! » esclamò Jo, precipitandosi verso di loro e buttandosi nel letto accanto all’amica.
« quando, dove e come? È un’idea stupenda! »
Guen batté le mani, felice di tanto entusiasmo alla loro proposta. Alice notò con sollievo che Jo aveva perso ogni traccia del nervosismo della sera prima.
« Allora è deciso, e niente ‘ma’, signorina » fece Liz. « Per il dove, bè, qui in dormitorio –non vedo dove altro potremmo farlo, purtroppo-, e sicuramente lunedì sera…magari, oltre la pizza portiamo anche un po’ di Tuttigusti+1, eh? » aggiunse.
« Vada per le Tuttigusti+1 » decretò Jo, leccandosi le labbra, « sono le mie preferite! »
Alice, che finalmente si era alzata dal letto, lasciandolo completamente all’amica che aprì braccia e gambe per occuparlo tutto, sorrise di nuovo al loro indirizzo, infilando le ciabatte.
« Ma non sai mai che ti può capitare » osservò, « ti piacciono anche quelle al gusto di sangue? »
« Ah, per favore » fece Jo, riservandole una linguaccia, « solo tu puoi essere così sfortunata da trovarne una al sangue… »
« Io una volta ne ho assaggiata una alla cacca » intervenne Liz, pensierosa.
Alice, Jo e Guen la fissarono sconvolte.
« Bleah » commentò Guen, con una smorfia disgustata. « Dimmi che stai scherzando o non ne toccherò più una in vita mia ».
Risero di nuovo e, mentre si preparavano per scendere a colazione, si avviarono in una strana conversazione sui pro e i contro delle caramelle e in generale dei cibi magici. Alice notò che il letto di Anne era vuoto e che la ragazza si era già avviata in Sala Grande senza di loro.
Non che fosse un’abitudine delle Grifondoro del quinto anno, scendere insieme in Sala Grande tutti i giorni, ma per qualche strano motivo Alice sentì che quell’insolita vicinanza a Liz e Guen le piaceva, e che sarebbe stato davvero bello poter essere un gruppo un po’ più unito.
E poi l’idea della festa non le dispiaceva affatto: era stata titubante, in un primo momento, ma solo perché aveva avuto il timore che le due volessero organizzare qualcosa in grande e a lei non andava proprio.
L’aveva già specificato, che non amava affatto stare al centro dell’attenzione, no?
A colazione, comunque, si separarono; Guen e Liz si diressero, dopo averle salutate allegramente, verso il tavolo di Tassorosso, mentre lei e Jo andarono di filato nel punto in cui le aspettava Rose, che stava chiacchierando con Dominique a quello di Corvonero.
« Buongiorno » proruppe Jo, sorridente, scostando la sedia alla sinistra di Rose.
« Ehi » sorrise benevola Rose, come era solita fare.
« Ragazze » fece Dominique, serena, « tutto ok? »
« Non c’è male » rispose Alice, afferrando una fetta di pane imburrato.
Notò che Jo rivolgeva alla cugina di Rose un sorriso piuttosto tirato, una cosa decisamente strana, per una tipa come lei: forse perché, giorni prima, Michael si era dimostrato tanto interessato a Dominique –che, comunque, faceva quell’effetto più o meno su tutti i ragazzi di Hogwarts, essendo in parte una Veela.
Alice però credeva che i geni Delacour della ragazza terminassero lì. Era bellissima, su questo non c’erano dubbi, però non era affatto frivola o vanesia, anzi, aveva il tipico carattere Weasley in tutto e per tutto: divertente, alla mano, rumorosa e, alle volte, giusto un po’ nevrotica.
Nell’intelligenza spiccata era molto simile a Rose, la quale però era di natura più riflessiva ed introversa.
« Merlino, non so proprio come farò a stare su, oggi » esclamò poi Dominique, lievemente afflitta, « due ore di Aritmanzia, una di Atsronomia e altre due di Pozioni. Sarò fortunata se riuscirò ad arrivare viva all’ora di pranzo ».
Rose le batté una mano sulla spalla, e anche Alice si fece mogia, entrambe comprensive.
Alice non frequentava Aritmanzia, ma immaginava comunque che fosse una materia abbastanza difficile. Inoltre la severa professoressa Coote, che teneva il corso, le aveva sempre fatto un po’ di paura.
Si voltò istintivamente verso il tavolo dei professori, dove la McGranitt imperava seduta su di un grande trono di legno al centro; sulla destra, vistoso e inconfondibile nel suo enorme cappotto di pelle, c’era Hagrid.
Hagrid era il guardiacaccia di Hogwarts e, nonostante Alice non ci avesse avuto a che fare mai granché, lo trovava molto simpatico e le faceva anche un po’ di tenerezza. Rose, invece, lo andava spesso a trovare insieme ad Albus: Hagrid era stato amico dei loro genitori ai tempi della scuola e dopo la fine della Guerra, e si continuavano a vedere tutt’ora.
Rose le aveva raccontato che all’epoca Hagrid aveva anche avuto la cattedra di Cura delle Creature Magiche, ma che poi aveva lasciato l’incarico ritirandosi per una quantità di tempo sulle montagne per accudire suo fratello, che sapevano essere un gigante.
E Alice aveva subito pensato, a primo impatto, che Hagrid doveva essere un uomo molto coraggioso.
Vicino a lui sedeva la Spinnet, che indossava un lungo cappello a punta verde smeraldo e sembrava piuttosto allegra, quella mattina.
Alice, allora, portò automaticamente lo sguardo al tavolo di Grifondoro per cercare la figura di James. E lo trovò, seduto accanto a Fred a scherzare su qualcosa che Alice non poteva udire, e a passarsi distrattamente una mano tra i capelli arruffati. Notò che il livido sull’occhio era completamente scomparso.
Poco lontano c’era Albus, che aveva preso posto vicino a Matt Finnigan e Riley Thomas, entrambi suoi compagni di dormitorio. In realtà non sembrava che stesse prestando loro molta attenzione, e difatti, mentre questi discutevano animatamente, Albus guardava dritto nel piatto davanti a sé con espressione assorta e aria pensierosa.
Alice levò l’attenzione da lui e la posò su Scorpius Malfoy che, seduto in disparte agli angoli della lunga tavolata, con la cravatta rosso oro legata stretta attorno al collo, stava sorseggiando annoiato il suo succo di zucca.
Alice si ritrovò stranamente a pensare a quanto in realtà i due si somigliassero: così taciturni, riflessivi, schivi e piuttosto propensi all’asocialità. Il fatto che Albus detestasse Scorpius era una cosa che lei non comprendeva: o meglio, il motivo lo conosceva, ma non riusciva a capirlo fino in fondo. Perché faceva parte di quella serie di pregiudizi che lei odiava tanto, e non si capacitava del fatto che Albus Potter, un ragazzo così sveglio, potesse averne. Per quanto riguardava Scorpius, invece, le era sempre parso così…stufo, ecco. Anche in Sala Comune, dove comunque si faceva vedere davvero poco, se ne stava sempre sulle sue e con i suoi coetanei non aveva nemmeno mai provato ad avere un qualche tipo di rapporto. E, d’altronde, la cosa non sembrava interessargli granché. Come non sembravano interessargli le battute sarcastiche riferite alla sua famiglia, che qualche alunno più grande ogni tanto gli lanciava.
Pareva quasi che nulla potesse scalfirlo, o distogliere la sua attenzione da questioni più importanti che solo lui conosceva.
A interrompere le sue riflessioni fu Cathy, che oscurò con la sua figura minuta la visuale davanti ad Alice e si sedette di fronte a loro, tenendo in mano una pergamena con aria euforica.
« Buongiorno! » tuonò con entusiasmo.
Alice, Jo e Rose la salutarono tra sorrisi e sbadigli vari, mentre Dominique le tese la mano a presentarsi.
« A cosa dobbiamo tutta questa euforia? » chiese poi Rose, notando che la ragazzina continuava a saltellare sulla sedia, pimpante.
« Non avete visto? » ribatté allora Cathy.
Alice scosse la testa, mentre masticava il suo pane: « Cosa? »
« Sono usciti gli orari per le selezioni delle squadre di Quidditch! » esclamò Cathy con un sorriso a trentadue denti.
Dominique squittì d’entusiasmo e afferrò il foglio che teneva la ragazza, scrutandolo con attenzione.
« Oh! » fece Alice. Si era completamente dimenticata delle selezioni, come del suo compleanno; iniziò a temere che la sua memoria, già abbastanza deludente, stesse addirittura peggiorando. « Vuoi fare il provino? » chiese quindi a Cathy.
« Sì » affermò lei, risoluta. « Anche se le probabilità che mi prendano sono piuttosto basse… »
« Non dire così » la rincuorò Rose, con un sorriso, mentre si versava del succo di zucca, « non puoi saperlo ».
Cathy le sorrise radiosa.
Anche Jo, che stava china sulla pergamena insieme a Dominique, si animò improvvisamente e si rivolse ad Alice con euforia: « Bè, è fantastico! »
Alice non sapeva dire se ritenesse quella notizia fantastica perché, di punto in bianco, si era iniziata ad interessare al Quidditch dopo cinque anni di insulti ai giocatori e alle varie squadre internazionali, oppure perché, semplicemente, per Jo tutto era fantastico e meraviglioso.
« Vuoi fare il provino anche tu? » le domandò quindi, perplessa.
« Io? Certo che no » scosse la testa, come se la sola idea di lei in sella ad una scopa fosse da malati mentali, « tu vuoi fare il provino ».
Alice la fissò sconcertata per qualche secondo, il tempo di assorbire le sue parole, mentre Cathy spalancava la bocca e Rose spostava lo sguardo dall’una all’altra divertita.
« Ma che dici? » sbottò infine, « Sei matta? Io non ho mai giocato a Quidditch! »
« Sbagliato » dichiarò Jo, facendo l’occhiolino a Rose e sistemandosi i capelli dietro le orecchie: « quest’estate abbiamo giocato un sacco, e io ero una frana, ma tu te la cavavi alla grande! »
Alice stava scuotendo la testa senza interruzione, nervosa.
« Davvero? E in che ruolo? » intervenne Dominique, curiosa.
« Cacciatrice » disse orgogliosamente Jo.
« Oh, non sarebbe male avere una degna avversaria finalmente… »
« Già, l’anno scorso vi abbiamo regalato un sacco di vittorie…grazie al cielo avevamo James come cercatore, o il campionato ce lo sognavamo… »
« Alice? » fece a quel punto Rose, passandole una mano davanti al viso per riscuoterla dal suo stato di trance. « Non devi farlo per forza se non vuoi » commentò, lanciando un’occhiataccia a Jo.
« Certo che deve! » esclamò questa, puntigliosa, facendo scoppiare a ridere Cathy.
Allora anche Alice aggrottò la fronte e guardò male l’amica.
« No » decretò.
« Oh, andiamo… » piagnucolò Jo.
« Noo ».
« Uffa, sei noiosa… »
« Io non- »
« Salve, ragazze! »
Tutte e cinque alzarono lo sguardo su Olivia Baston, la sorella di Liz, che frequentava il settimo anno e, verso di Alice e le sue compagne, aveva sempre tenuto un affettuoso atteggiamento protettivo.
« Ehi, Olivia » salutò allegramente Jo.
« Sapete la novità? » fece questa, sorridente: « sono capitano! »
Jo batté le mani con entusiasmo, pronunciando un lungo ‘ooooh’, e Alice sorrise.
Olivia era una delle Cacciatrici, a suo parere la più brava, ed era anche una persona ragionevole e solare: si meritava quel titolo in tutto e per tutto.
« Anche noi abbiamo una novità » proclamò poi Jo, guadagnandosi un’occhiata di sbieco da parte di Rose. « Alice vuole fare il provino come Cacciatrice ».
La suddetta si girò a fissarla sconcertata una seconda volta, spalancando la bocca.
« Cosa? » ringhiò.
Jo ridacchiò mentre Olivia Baston si illuminava ed esplodeva in un sorriso a trentadue denti.
« Davvero? Ma è fantastico! Magari quest’anno riesco a fare una squadra equilibrata e…oooh, è stupendo! Allora ci vediamo domani » esclamò e, senza attendere una sua risposta, si dileguò trotterellando verso il tavolo di Grifondoro.
Alice continuava a fissare l’amica con furia crescente e, se per caso qualcuno avesse mai usato l’espressione ‘occhi che mandavano lampi’, bè, avrebbe sicuramente dovuto far riferimento al suo sguardo in quel momento.
« Oops » sussurrò Cathy, ridacchiando.
« L’ho fatto solo per te » dichiarò Jo, intimorita dalle sue occhiate. « Guarda, sono la mattina presto, non dovrai nemmeno saltare la punizione… »
Alice assottigliò gli occhi e non smise di fissarla truce, stringendo i pugni.
« Oh…oh, andiamo, Allie! Non la fare tanto lunga, è solo un- »
« Hai ragione, solo un provino. Quindi tu verrai con me, Josephine » sbottò Alice, pronunciando con enfasi il nome completo dell’amica, che si rabbuiò.
Rose e Cathy scoppiarono a ridere.
Dominique, qualche secondo dopo, fu raggiunta al tavolo da un alto ragazzo bruno che la prese per mano, e insieme a lui si avviò verso la classe di Aritmanzia.
E Alice, raccolte le sue cose e allontanata la rabbia, mentre si avviava con le altre a lezione rifletté che, in ogni caso, anche se si fosse presentata al provino l’indomani mattina –ormai non aveva proprio cuore di rifiutare di fronte all’espressione gioiosa di Olivia-, le probabilità di essere davvero presa in squadra si riducevano a una o due, considerati tutti gli aspiranti giocatori che avrebbero partecipato alle selezioni.
E che quindi sarebbe stata una tortura bella e buona, mettersi in ridicolo così davanti a tutti ma, sebbene solitamente non le piacevano le persone che umiliavano la gente, stavolta era decisamente divertita dal fatto che Josephine sarebbe venuta con lei.
O che l’avrebbe obbligata a venire, insomma.
Poi, mentre superavano il tavolo di Grifondoro, realizzò che quel sabato l’avrebbe passato interamente in compagnia di James Potter.
E di nuovo pensò a come il fato dovesse veramente aver sviluppato una particolare avversione verso di lei: i suoi progetti per evitarlo, fin da quando ricordava e in qualunque caso, non erano mai andati a buon fine.
 

 
 
 
 
 
 
 
 









Note dell’Autrice
Sssssalve :3
Mi mancavate già ç_ç Innanzitutto, un grazie alle splendide 42 persone che hanno messo tra le seguite questa storia. Siete la dolcezza, davvero.
Poi, vorrei anticiparvi una cosa: all’inizio avevo buttato giù una trama piuttosto semplice, quindi i capitoli in tutto sarebbero dovuti essere circa una ventina; ora però ho aggiunto molte cose e, comunque, mi sono accorta che se voglio fare un buon lavoro devo per forza allungare i tempi. Quindi i capitoli saranno sicuramente più di venti, anche se non so darvi un numero preciso e…bè, spero di non annoiarvi anche se faccio procedere le cose lentamente, ma ecco, è necessario per la trama.
Ah, poi: i pairing che voglio portare avanti sono più di due, anche se volevo comunque continuare ad incentrarmi sul personaggio di Alice, ma sono indecisa.
Quindi, chiedo a voi:
vorreste più Pov?
Sicuramente sarebbe più facile per me, descrivere le storie utilizzando più punti di vista, ma so anche che continuare a focalizzarmi su Alice sarebbe più..come dire, elegante (?)
E poi raccontare tutto dal suo punto di vista mi piace un sacco, è un po’ come mettermi alla prova e, insomma, lo preferirei anche se è difficoltoso.
Però c'è da dire che l'aumento dei Pov sarebbe interessante, per esempio aggiungendo quello di Rose (Rose\Scorpius accanite, vi prego, non ditemi di sì solo perché volete la loro storia in diretta, che tanto ve la faccio uguale çç), e di Catherine, oppure di Albus...aiuto. lol
Però non so, ditemi voi. I pairing saranno comunque tanti, che ci dovessero essere più di un Pov o meno. :)
Detto questo, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio ancora una volta per essere arrivati fin qui.
A prestissimo!
 
 
Daylise

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Capitolo 7
*** Radioactive ***


6.
Radioactive

I raise my flags, don my clothes
it's a revolution, I suppose
We'll paint it red to fith right in

 Radioactive, Imagine Dragons



Cura delle Creature Magiche era sempre stata una delle materie che Alice preferiva di più in assoluto assieme ad Erbologia: trovava che lo studio delle caratteristiche degli Animali Fantastici fosse estremamente interessante, ed inoltre la professoressa Green, l’insegnante che teneva il corso, era una donna pacata, competente e gentile, sempre disponibile con tutti gli studenti. Certo, alle volte giusto un tantino severa, ma ogni tanto serviva e Alice lo capiva.
E così nel pomeriggio, mentre lei, Rose e Albus uscivano dalle serre per recarsi ai confini della Foresta Proibita dove si sarebbe tenuta la lezione, il suo umore era decisamente migliorato da quella mattina.
E sarebbe persino riuscita a dimenticarsi di quelle stupide, stupidisse selezioni, se non fosse stato per l’ondata d’entusiasmo che si era riversata su tutta Hogwarts alla notizia: i fogli degli orari dei provini erano stati affissi alle bacheche delle Sale Comuni solo qualche ora prima e già l’intera scuola ne parlava; a pranzo era stata una vera e proprio tortura, tanto  che Alice era stata tentata di mangiare da sola rinchiusa nello sgabuzzino delle scope, che tutt’a un tratto le era parso un luogo caldo e invitante. Grazie al cielo né Rose né Albus erano mai stati particolarmente interessati al Quidditch, o le fastidiose conversazioni su chi o cosa avrebbe fatto vincere la Coppa a chissà quale squadra quell’anno l’avrebbero assillata praticamente ovunque. E Jo, la spumeggiante, esilarante e vivace Jo, era fuori di sé dalla gioia e non mancava di ripeterlo ogni qual volta Alice le rivolgeva la parola, anche se per chiederle solo in prestino una piuma. Sinceramente lei non capiva tutta l’allegria dell’amica: solo l’anno prima Jo avrebbe dato oro per eliminare brutalmente ogni traccia di quello sport dalla  faccia della Terra, tanto non lo sopportava, e adesso all’improvviso si rivelava una fan accanita della squadra di Grifondoro –squadra che, tra l’altro, ancora si doveva formare. E tra parentesi, Alice non aveva alcuna intenzione di entrarci per davvero, altroché.
Ma l’arcano era stato svelato quando, ad Erbologia, Michael Davies se n’era uscito con una lunga filippica sulle sue doti inequivocabili di grande Battitore, e allora Alice aveva finalmente compreso tutto: Jo quell’anno tifava Grifondoro perché Michael sarebbe entrato nella squadra.
Ma la cosa che più la faceva disperare era che, a pranzo, aveva incrociato Olivia e questa l’aveva guardata con così palese speranza negli occhi da farla sentire orribilmente in colpa –sì, perché in verità stava architettando più e più metodi per dare il peggior spettacolo di sé a quelle selezioni, tanto per essere sicura di non avere possibilità d’ammissione.
Certo, era convinta che avrebbe fatto una catastrofe volente o nolente, perché non era mai stata una gran giocatrice -e Jo lo sapeva, accidenti-, ma voci di corridoio avevano rivelato che Olivia cercasse Cacciatrici e Cacciatori quantomeno passabili, e non necessariamente fenomenali, smaniosa com’era di sostituire quelli terribili dell’anno prima che avevano fatto perdere a Grifondoro la tanto ambita Coppa del Quidditch.
E Jo sapeva anche questoMaledetta.
Alice aveva riflettuto che no, non sarebbe stato affatto facile obbligare Jo a presentarsi alle selezioni assieme a lei per ripicca: era praticamente un’impresa utopica, se si considerava che nessuno -nemmeno lei, la sua migliore amica-,  poteva obbligare Jo Mitchell a fare qualcosa che non voleva fare.
E che Olivia, a lei, non lanciava ogni tre per due sguardi carichi di aspettativa.
Così le sarebbe probabilmente toccato presentarsi da sola. Fantastico.
Comunque ai suoi progetti anti-ammissione non aveva ancora rinunciato, ed erano davvero numerosi: variavano da clamorosi incidenti catastrofici a punti segnati negli anelli sbagliati, e ogni tanto, fantasticava anche sulla possibilità di uccidere un aspirante membro della squadra, sapendo perfino quale di preciso.
In fondo, Grifondoro avrebbe potuto fare a meno delle grandiose qualità sportive di Michael Davies, no?
« Scusami, Al, mi presteresti una pergamena? » proruppe Rose, interrompendo le sue macchinazioni.
« Certo » rispose il ragazzo, frugando nella sua cartella.
Erano quasi arrivati alla capanna di Hagrid, e il sole caldo delle tre di pomeriggio filtrava imperioso tra i maestosi alberi della Foresta Proibita. Percorrendo la lunga discesa erbosa che portava fino alla loro ultima meta, Alice faticava parecchio a non inciampare nel suo lungo mantello nero, mentre Rose, che aveva ricevuto la sua pergamena, la teneva stretta in mano e sembrava persa nei suoi pensieri.
Giunti a destinazione, nel grande spiazzo d’erba alta che separava la capanna dalla Foresta  dove già alcuni studenti avevano preso posto sopra alcuni ceppi mozzati, Alice e Rose si sedettero per terra a gambe incrociate, in attesa della professoressa, mentre Albus raggiunse Matt Finnigan poco lontano da loro.
Alice vide un gruppetto di Corvonero, tra cui Candice e Stacey, scendere la piccola collina, che formava una vallata nel punto in cui si stagliava la foresta, e a seguirli Jo e Michael mano nella mano.
Sedute sul prato, alla loro destra, c’erano Liz e Guen che le salutarono con allegria, per poi riprendere un’animata discussione –Alice sperò con tutto il cuore che non si trattasse di Quidditch, perché davvero non ne poteva più- con altre Corvonero. Sulla sinistra invece sedeva Scorpius Malfoy, da solo, come sempre, che scriveva su di una pergamena con aria estremamente concentrata. Alzò un secondo lo sguardo su di loro, sentendosi osservato, e  indugiò per un lasso di tempo indeterminato sulla figura di Rose, negli occhi una strana luce, e poi tornò alla sua pergamena tracciando altre righe furiosamente, come se questa avesse fatto al ragazzo chissà quale grande torto.
Alice notò che Rose fissava Scorpius e la pergamena con aria nervosa, ma quando glielo fece notare, l’amica si affrettò a farfugliare frasi confuse e concentrarsi invece sul libro di testo: Animali Fantastici Volume V- Guida al Riconoscimento per Principianti.
Jo e Micheal li raggiunsero poco dopo, così Alice guardò l’amica picchiettando la mano sul terreno accanto a lei, invitandola a sedersi, ma Jo scosse la testa e accennò a Micheal con un sorrisone. Il ragazzo la trascinò dall’altra parte del prato e si sedettero in disparte, sussurrandosi qualcosa all’orecchio, e Alice non riuscì a trattenere una piccola smorfia dispiaciuta.
« Buongiorno » proruppe una voce potente alle loro spalle.
Immediatamente anche gli ultimi arrivati presero posto, in silenzio, mentre la professoressa Green si piazzava di fronte alla classe, bassa, i capelli bianchi raccolti in una lunga treccia e sottili occhiali tondi in viso. Posò una pesante borsa nera a terra, e dispose su di un ceppo alcune scartoffie che teneva fra le braccia.
Si spicciò frettolosamente e levò lo sguardo su di loro, squadrandoli uno ad uno, prima di annunciare: « Bene, ragazzi, oggi parleremo di uno degli argomenti più importanti ed interessanti dell’anno » sorrise, anche se una strana ruga di nervosismo le campeggiava sulla fronte, e Alice si accorse che non era a suo agio come al solito, bensì sembrava molto contrariata nonostante cercasse di mascherare il suo disappunto.
Si voltò, frugando nella sua grande borse nera, e un mormorio eccitato attraversò gli studenti, mentre ciascuno di loro si affrettava a prendere libri, piume e pergamene.
La Greensi voltò di nuovo, tenendo in mano quello che doveva per forza essere un uovo. Uno strano uovo, a dirla tutta: delle dimensioni di un piccolo palloncino, screziato da numerose sfumature rossastre e con una forma leggermente più allungata del normale.
Alice si guardò intorno e notò, con sollievo, che quasi tutti avevano la sua stessa espressione confusa.
« Allora, chi sa dirmi che cos’è questo? » domandò la Green.
Immediatamente la mano di Anne scattò in aria, ma la professoressa la ignorò e posò insistentemente lo sguardo su Rose. Quest’ultima, in effetti, sembrava conoscere la risposta e fissava l’uovo con aria sbalordita.
« Signorina Weasley? »
Rose sobbalzò, e guardò prima la Green e poi di nuovo l’uovo con aria nervosa. Alice sapeva che l’amica odiava attirare l’attenzione su di sé quanto lo odiava lei, se non di più.
« Oh…bè… » mugugnò Rose, torturandosi con le mani l’orlo della divisa, « potrebbe…potrebbe essere un uovo di drago ».
Anne abbassò la mano delusa, mentre tutta la classe trattenne il respiro, all’unisono, e prese a fissare l’uovo con spavento e ammirazione. Anche Alice lo fece, sorpresa, osservando come rapita il piccolo oggetto che teneva in mano la professoressa. Le pareva quasi impossibile che una cosa dall’aspetto così innocuo racchiudesse una creatura tanto pericolosa.
« Esattamente » affermò la Green compiaciuta, « e sa dirmi anche quali sono le sue proprietà? »
Rose deglutì rumorosamente, arrossendo quando la classe portò di nuovo tutta l’attenzione su di lei.
« Si…dunque, ehm, il loro guscio è molto resistente, non può essere oltrepassato da nulla se non dai denti del drago stesso… » chinò la testa di lato, portando tutta la sua concentrazione sull’uovo e cercando di non far caso agli sguardi pressanti di tutti gli altri. « E il loro colore cambia a seconda dello stato di maturazione. Se è giallo, significa che è ancora all’inizio del processo, se invece è rosso, come ora…vuol dire che sta per schiudersi » concluse, ritraendosi automaticamente.
Anche parecchi altri studenti ebbero la stessa reazione a quelle parole, quasi si aspettassero che il cucciolo di drago rompesse il guscio dell’uovo in quello stesso momento.
« Esatto, esatto! Dieci punti a Corvonero » proclamò la Green con allegria. « Dunque, come sapete i draghi sono tra le creature più letali del Mondo Magico, ma posseggono alcune qualità essenziali per… »
La Greenprese a spiegare e Rose si rilassò, abbassando le spalle e sospirando.
« Te la sei cavata alla grande » le sussurrò Alice, sorridendo, sentendosi in dovere di rassicurarla.
« Continuo a non capire perché si ostini a chiamare me » ribatté Rose, aggrottando le sopracciglia, « è dallo scorso anno che lo fa… »
« …e naturalmente è di estrema importanza ricordare i Sette Usi del Sangue di Drago, che scoprì il Professor Albus Silente nel… »
« …davvero, perché non chiede ad Anne qualche volta? » continuò Rose, lanciando uno sguardo di sbieco alla ragazza. Questa difatti se ne stava seduta con aria moggia, il libro aperto sulle gambe e uno spaventoso tic all’occhio destro che le dava un aspetto un po’ folle. « Insomma, la farebbe felice come una pasqua » concluse.
« …e gli adulti possono avere un’apertura alare che varia dai due ai tre metri e mezzo… »
Rose distolse la sguardo da Anne e sbuffò di nuovo. E, proprio mentre Alice stava per replicare, un piccolo pezzo di pergamena volò verso di loro e planò volteggiando davanti a Rose. Entrambe lo fissarono sbalordite per qualche istante e Rose, dopo aver controllato che la Green non si fosse accorta di nulla, lo afferrò in fretta e furia.
La sua espressione mutò da tesa ad imbarazzata, e in un attimo arrossì fino alla punta dei capelli.
« Cos’è? » sussurrò allora Alice.
« Niente » fece Rose, infilandoselo nella tasca del mantello alla velocità della luce.
Alice alzò un sopracciglio, scettica: da quando Rose le nascondeva le cose?
L’amica colse la sua espressione e si affrettò ad aggiungere, a bassa voce: « te lo spiego dopo ».
Lei chinò la testa di lato, dubbiosa, ma annuì e successivamente tornò a guardare la Green che spiegava. Si affrettò a prendere qualche appunto, conscia del fatto di non aver compreso ancora nemmeno una parola del suo discorso.
« …e i loro habitat naturali sono piuttosto soggettivi, cambiano a seconda delle caratteristiche di ciascun esemplare. Ora, in Gran Bretagna non ve ne sono più molti, e se ci sono fanno parte di allevamenti minori. Il più importante allevamento di draghi del mondo è sicuramente quello della Romania ».
Alice tracciò qualche parola chiave sulla sua pergamena, per la prima volta poco interessata ad una lezione di Cura delle Creature Magiche. Non che l’argomento fosse noioso, tutt’altro: solo che aveva mille pensieri che le vorticavano per la testa, e quel giorno faceva piuttosto fatica a prestare attenzione.
La Green continuò ad aggiungere elementi al suo discorso, mentre Alice si ritrovò a fissare senza una ragione precisa l’uovo di drago, che ora era adagiato sopra il borsone nero, immaginando come potesse essere vivere al suo interno. Un leggero fremito la percorse, al pensiero di un incontro ravvicinato con un drago; suo padre, tempo prima,  le aveva raccontato di averne visto uno al suo quarto anno, quando a scuola avevano tenuto un torneo. Sapeva di per certo che Harry Potter lo aveva affrontato e sconfitto –e d’altronde, se mai c’era stato un pericolo all’epoca c’era sempre stato di mezzo Harry Potter-, e pensò che lei, fosse stata al suo posto, sarebbe di per certo morta nel giro di cinque secondi.
E no, non per il drago, ma per la paura.
Lo stava guardando con così tanta insistenza da non accorgersi nemmeno del tempo che passava. E quando il suono della campanella le arrivò alle orecchie come un’eco lontana, Rose dovette scuoterla e chiamarla più volte per riportarla alla realtà.
« Sì, scusami » balbettò, sotto lo sguardo inquisitore dell’amica, e raccolse di fretta le sue cose.
Si avviarono verso il castello insieme agli altri –Jo era già sgusciata via con Michael, e di nuovo, Alice non riuscì a non sentirsi quasi delusa, suo malgrado- , mentre brusii eccitati attraversavano la piccola folla. Alcuni parlavano ancora della lezione appena tenuta, che pareva aver rapito l’attenzione di tutti,  mentre altri chiacchieravano del più e del meno felici di aver finalmente concluso gli studi almeno per quella settimana.
« Allora? » proruppe Alice, voltandosi verso Rose in attesa, alludendo alla misteriosa pergamena di prima.
L’amica fece una smorfia ma aprì la bocca, in procinto di darle le doverose spiegazioni, ma proprio in quel momento Candice Goldstain fece la sua comparsa di fianco a loro e Rose la richiuse prontamente, negli occhi un’espressione dispiaciuta.
E Alice pensò che quella doveva essere la giornata delle prime volte: la prima volta in cui Rose non le diceva qualcosa, la prima volta in cui non seguiva una lezione di Cura delle Creature Magiche e la prima volta in cui Jo non si sedeva vicino a loro a lezione.
E la seconda volta, invece, che Rose tentava di rivelarle qualcosa e che qualcuno la interrompeva brutalmente.
Avada Kedavra, pensò Alice. Avada Kedavra, Candice.
« Rosie bella, Augusta! » proclamò la ragazza, sbattendo le lunghe ciglia e infiltrandosi tra le due. Circondò le loro spalle con le braccia, chinando la testa e sospirando.
«Ciao, Candice » disse Alice in tono lugubre.
Rose ridacchiò, alzando gli occhi al cielo e rivolgendo all’amica un’occhiata alla presto-tutto-sarà-finito.
« Oh, tesoro, oggi sei particolarmente afflitta » commentò Candice, fermandosi di botto –facendola quasi rovesciare a terra- e squadrandola con quella che doveva essere un’espressione preoccupata. In realtà ad Alice pareva più una sorta di piacere maniacale, quello che lei e la Macmillan sentivano ogni qual volta che in giro c’era profumo (o puzza, a seconda dei punti di vista) di una bella notizia nuova di zecca.
« Vuoi confidarti? Considerami il tuo diario personale, cara Gusta » disse poi, battendole una pacca in segno d’incoraggiamento e sorridendo civettuola.
Sì, bè, un diario personale decisamente fuori dagli schemi, pensò Alice. Perché tutto quello di cui veniva a conoscenza Candice, o Stacey, poi diveniva misteriosamente un fatto di pubblico dominio e…Merlino, l’aveva appena chiamata Gusta?
« G-gusta? » fu l’unica cosa che riuscì a ribattere, presa in contropiede e scandalizzata dall’orribile soprannome appena affibbiatole.
Augusta era già abbastanza spaventoso, ma Gusta era letteralmente agghiacciante.
« Oh, ma guardala » Candice le prese il mento con irruenza, spalancando gli occhi, e si rivolse a Rose piagnucolando: « sembra sconvolta! »
Rose pareva indecisa se scoppiare a ridere o mettersi a gridare.
« Lo è. Insomma… » sembrò rifletterci su per un attimo, probabilmente indecisa su quale scusa usare per togliersi di torno Candice e le sue manie ossessive-compulsive per il gossip.
« …è più o meno la seconda volta in tutta la sua vita che riceve una punizione, sai » concluse, accennando ad un sorriso. Liberò Alice e la prese per un braccio, ridacchiando di nuovo della sua espressione traumatizzata.
« Capisco » esalò Candice, pensierosa. Poi si rivolse ad Alice: « Ma dicci, tesoro: non sei contenta di poter passare un po’ di tempo con uno dei ragazzi più ambiti della scuola? » domandò, estraendo dalla borsa un piccolo taccuino e una piuma, per poi afferrarli saldamente e fissarla in attesa, con le labbra curve in un sorrisino vagamente inquietante.
Alice fissò perplessa la piuma che fremeva in mano alla ragazza, e si chiese disperata quale delle due –lei o la sua padrona- smaniasse di più dalla voglia di curiosare nei fatti altrui.
« Io…certo che no » sputò poi, con una smorfia, figurandosi nella mente James e il suo stuolo di ammiratrici.
Alice non poteva, non voleva credere che ce ne fossero davvero così tante, e perciò si limitava ad immaginare che la popolarità del ragazzo fosse solo ingigantita da lui e da persone come Candice.
« Ah, Gusta, Gusta, Gusta…ci nascondi qualcosa » trillò quest’ultima, con una nota eccitata nella voce.
Ci?
« Candice, credo che Stacey ti stia cercando » intervenne Rose, indicando un punto alle loro spalle. In effetti, la Macmillan si aggirava su per la collinetta che portava al castello senza una meta, e pareva quasi persa senza la sua migliore amica –nonché fedele compagna nella caccia al gossip.
Candice si voltò verso il luogo indicatole e la vide, ma ribatté: « Oh, tra poco la raggiungerò, non importa… » sorrise zuccherosa.
Alice si batté una mano sulla fronte, esasperata, poi le venne un’idea e gridò: « Oh mio Dio, Alexander Nott sta venendo verso di noi! »
Gli occhi di Candice si illuminarono e si voltò di nuovo, alla velocità della luce; lei e Rose ne approfittarono per squagliarsela senza dare nell’occhio.
Raggiunsero finalmente l’atrio, ansimanti, un po’ per il fiatone e un po’ perché non riuscivano più a smettere di ridere.
Alice pensò, per l’ennesima volta nella sua vita, di essere fortunata ad avere Rose accanto a sé.
E che, qualsiasi cosa le nascondesse, non importava, perché Rose c'era e sarebbe rimasta, e quella era l'unica cosa che contava davvero.
 

***

 
L’atmosfera nella Sala Comune di Grifondoro non era mai stata così tesa, soprattutto alle otto di mattina e nonostante fosse praticamente vuota, ad eccezione di tre figure nervose che vi presidiavano.
Alice continuava a fare avanti e indietro davanti al caminetto, mentre una parte del suo cervello realizzava che sì, il giorno era arrivato e che no, ormai non poteva tirarsi indietro; l’altra invece si chiedeva per quale accidenti di motivo la Spinnet avesse fissato quelle stupide, stupidissime selezioni alle nove di mattina. Alle nove di sabatomattina, per Morgana! Poi c’era Albus, che si era svegliato presto, seduto sul divano con un pesante libro di Pozioni in mano e completamente assorto nel guardare storto Scorpius Malfoy che, dall’altra parte della Torre, non pareva avere più calma di Alice e si tormentava continuamente i capelli chiari con gesti avventati. Anche lui aveva già indosso una casacca da allenamento, e teneva stretta in mano una scopa fiammeggiante, dell’ultimo modello.
Scorpius era stato in squadra al loro secondo anno, come portiere: Alice lo ricordava piuttosto bravo, e difatti, non aveva capito come mai l’anno dopo non fosse stato accettato di nuovo. Ma la verità era che un po’ tutti, a Grifondoro, storcevano il naso quando si trattava di Scorpius Malfoy. Quando si trattava di Malfoy, per intenderci, e il ragazzo pareva così abituato a quegli atteggiamenti da non farci praticamente più caso.
Alice lo aveva osservato, qualche volta, mangiare in disparte in Sala Grande o studiare da solo in Biblioteca: non riusciva a credere che una persona potesse essere tanto solitaria, forse perché era convinta del fatto che per vivere in armonia chiunque ha bisogno di avere qualcuno accanto a sé, qualcuno su cui contare. E si era chiesta, con una nota malinconica a far da guida ai suoi pensieri, se era più crudele che la gente lo evitasse per un cognome di cui non portava colpe, o che lui stesso allontanasse tutti da sé, stanco, stufo di tutto questo.
« Al » proruppe quindi, con la gola un po’ secca. Un orologio a pendolo posto accanto alla bacheca segnava le otto e quaranta, e il suo cuore martellava più furiosamente man mano che l’orario tanto temuto si avvicinava. « Al, ti entrano i moscerini nell’occhio ».
Albus si riscosse, smise di lanciare occhiatacce a Scorpius e si concentrò su di lei, perplesso. Sorrise, e disse:
« O i Nargilli ».
Alice rise, ricordando con un moto di calore Luna, la sua zia preferita. In realtà non era sua zia, anzi, non erano neanche lontanamente parenti, ma era un’amica dei suoi genitori (no, di suo padre, perché Hannah detestava Luna), e a lei piaceva definirla così. Era una delle persone che preferiva in assoluto. Ora viveva con i suoi due figli, Lorcan e Lysander, che peraltro avevano la sua età, in Irlanda: era partita senza avvertire nessuno e Alice era più che convinta che una bella mattina si sarebbe ripresentata a Londra allo stesso modo, all’improvviso, perché Luna era fatta così, sempre frizzante e soprendente.
Si sedette accanto ad Albus, strofinandosi le mani, e si accorse di star tremando solamente quando lui glielo fece notare poco dopo.
« Dovresti calmarti, è soltanto Quidd- »
« Salve a tutti! »
Cathy Montague si era precipitata nella stanza in un balzo, superando il buco del ritratto con agilità, volteggiando nella sua divisa e salutandoli con voce chiara e cristallina.
Alice smise di tremare e spalancò la bocca, Albus guardò Cathy come se fosse indeciso tra il mostrarsi stupito o estremamente irritato, e Scorpius smise di smuoversi le ciocche bionde per fissare la nuova arrivata, o per meglio dire, intrusa, come se fosse una pazzoide.
« Cosa sono quelle facce da funerale? » domandò poi la ragazza, inclinando il capo e aggrottando le sopracciglia fine. « Su con la vita, oggi si gioca! » esclamò, scuotendo i lunghi capelli biondi con allegria.
« Cathy, come hai fatto a entrare? » le chiese saggiamente Alice, sinceramente curiosa.
« Oh, è stato facile » rispose questa con una scrollata di spalle. « Matt Finnigan mi doveva un favore ».
« E come facevi a sapere dov’è la nostra Sala Comune? » osservò Albus, con un tono inquisitore e tutta l’aria di voler tenere un interrogatorio in piena regola. Alice gli scoccò un’occhiataccia ma lui non vi badò.
Cathy sorrise, e con qualcosa di furbesco negli occhi, ripeté: « Matt Finnigan mi doveva un enorme favore ».
Albus si incupì ma non aggiunse altro, così Cathy trotterellò verso Alice, guardandosi intorno ammirata.
« E’ fantastico qui » commentò, con aria estasiata, « c’è così tanta luce. Giù nei sotterranei a malapena si vede dove cammini quand’è sera, è una tale tristezza...  »
« Credevo che voi Serpeverde amaste le cose oscure » replicò Albus con acidità.
Alice gli rivolse una seconda occhiataccia, incredula: non era da Al comportarsi così.
« Credevo che voi Grifondoro foste tutti gentili » ribatté Cathy, tranquilla.
Albus rimase per un secondo senza parole, colpito, poi si riprese e, a sorpresa, ridacchiò: « Solo con chi ci va a genio ».
Cathy inarcò un sopracciglio mentre sia Alice, seduta in mezzo a loro e decisamente in imbarazzo, che Scorpius, poco lontano, seguivano lo scambio di battute tra i due senza una parola.
« Bè, noi Serpeverde siamo più educati di voi, allora ».
« Touché » fece Al, e Alice non seppe dire se era più irritato o più divertito allo stesso tempo.
Decisamente non sembrava Albus, comunque: non l’aveva mai visto battibeccare con nessuno, nemmeno in famiglia e tantomeno con qualcuno che conosceva a malapena. Certo, che Cathy non gli fosse particolarmente simpatica –chissà perché, poi?- era indubbio, visto che ogni qual volta la ragazza si univa a loro, ai pasti, lui non faceva granché per mascherare il suo fastidio. Tuttavia Alice non capiva, e c’era da aggiungere che, inoltre, Albus Potter era sempre stato un ragazzo molto misterioso.
Cathy sembrava soddisfatta e ghignò per tutta risposta, poi tornò a rivolgersi ad Alice, con estrema naturalezza, e disse: « Comunque, ero venuta solo per portarti un messaggio. E dirti buona fortuna » sorrise, incoraggiante.
« Un messaggio? » chiese Alice, confusa.
« Di James » spiegò la ragazza, « Potter » aggiunse, esitando. « Vuole che tu lo raggiunga al campo di Quidditch…non ho idea del perché ».
Alice aggrottò la fronte, perplessa. Già di per sé il fatto che Catherine portasse messaggi di James Potter era strano; poi che James Potter cercasse lei, era ancora più insolito –e terribile, a seconda dei punti di vista. Per Alice, decisamente raccapricciante.
Oltretutto, se voleva che lo raggiungesse al campo poteva significare solo una cosa: James sapeva che si sarebbe presentata. E questo non prometteva nulla di buono, se non un'ampia dose di prese in giro e battutine sulla sua agilità. Non voleva pensare che le avrebbe dato il tormento per tutta la durata della mattinata, ma conoscendo James era proprio così che sarebbe andata, e considerando i suoi nervi già pericolosamente tesi l’aggiunta della presenza del ragazzo non era esattamente quella che avrebbe definito una buona notizia, ecco.
Si ritrovò a pensare che, accidenti, James era davvero una persecuzione.
« Ah » commentò, apatica. « Grazie, adesso vado. Tanto dovevo scendere comunque… » lasciò cadere il discorso mentre fissava sconsolata, ancora una volta, l’orologio: adesso faceva le otto e cinquanta, e il suo stomaco aveva preso a contrarsi spiacevolmente per il nervoso.
« Ti accompagno » disse Cathy, « cioè, se non ti da fastidio. Potrei venire a fare il tifo per te » sorrise di nuovo. Ad Alice parve quasi di sentire una nota di speranza, nella sua voce, e ne rimase alquanto stupita, perché fino ad allora Cathy le era sempre sembrata una ragazza molto sicura di sé.
« Certo, magari » rispose sincera, ricambiando il sorriso, anche se un po’ forzato, con tutta quell’ansia che la stava divorando dentro.
Salutò Albus –e rivolse anche una strana occhiata a Scorpius, quasi incoraggiante, senza rendersene conto e senza sapere bene il perché, e le parve quasi di scorgere il ragazzo ricambiare con sorpesa-, e poi si avviò con Cathy fuori dalla Torre di Grifondoro e giù fino alla Sala Grande, attraversando i corridoi silenziosi. Intuì che praticamente quasi tutti dovevano essere ancora a dormire, a parte appunto chi voleva fare il provino.
Pensò, con malinconia, alla calda e morbida trapunta bianca del suo letto su in dormitorio, e si ritrovò ad invidiare Jo e le altre sue compagne come mai prima d’ora.
Jo, Jo che prima la cacciava nei guai e adesso, per la miseria, se ne stava sotto le coperte a dormire beatamente.
Alice a volte quasi rimpiangeva di essere poco incline alla vendetta o alla rabbia: perché Jo era una delle persone a cui voleva più bene al mondo ma, in quel momento, mentre marciava spedita verso il piano terra, sentiva che l’amica le doveva un enorme, mastodontico favore per tutta quella buffonata. E forse la sarebbe piaciuto riuscire a prendersela un po’ con Jo invece che stare lì a mangiucchiarsi le unghie e tormentare se stessa.
Quando raggiunsero il grande portone di quercia per poi inoltrarsi nell’aria fredda della mattina presto, il vento gelido le tagliò il viso come una lama e rabbrividì istantaneamente.
Attraversò con Cathy la stessa collinetta che aveva percorso il giorno prima con Rose, olo che stavolta deviò a destra, nella discesa che conduceva verso il campo di Quiddicth, dal quale si levava un brusio smorzato e dove le luci per gli allenamenti serali erano ancora accese e abbaglianti.
Una volta arrivate, Cathy la salutò, e di nuovo sorrise incoraggiante avviandosi verso gli spalti, mentre Alice procedeva verso il campo come uno zombie.
Un paio di ragazzi stavano discutendo su qualche tattica di gioco e altri due erano già perfino sulle scope; altri invece erano nervosi quanto lei, o perlomeno parevano abbastanza preoccupati. In mezzo alla piccola folla però non riconobbe né la testa di James né quella di Fred, e si chiese se per caso il ragazzo non le avesse fatto uno strano scherzo, per giunta senza alcun senso. Invece trovò senza troppa difficoltà quella di Michael Davies, e involontariamente fece una smorfia, voltandosi dalla parte opposta. Roxanne Weasley con i suoi inconfondibili capelli rosso fuoco, poco lontano da lì, rideva con una sua compagna di qualcosa che Alice non poteva udire.
Poco dopo arrivò anche Scorpius Malfoy, a passo veloce e irrequieto, che senza salutare nessuno andò a piazzarsi dall’altra parte del campo e stette là, in silenzio, guardandosi attorno svogliato.
Alice distolse lo sguardo da lui quasi a fatica per osservare gli spalti, e sorrise d’istinto quando notò Albus e Rose accomodarsi nelle ultime file, vicino a Cathy, e salutare al suo indirizzo: si sentì improvvisamente un po’ più sollevata.
Sentimento che durò ben poco: il suo cuore fece un balzo quando vide arrivare anche Christopher Canon assieme ad alcuni suoi amici. I riccioli che gli svolazzavano senza controllo, gli occhi azzurri spalancati e un sorriso genuino stampato in viso…
« Oooh, ma che stanno facendo? »
Alice sobbalzò e si voltò di scatto. Una ragazzina scrutava il cielo ammirata e indicava con il dito qualcosa sopra di loro. Ben presto anche gli altri accorsero e si ritrovarono, tutti, a fissare a bocca spalancata James e Fred precipitarsi verso il terreno sulla scopa ad una velocità disumana, tanto che si faceva a distinguerli tra la foschia mattutina.
Atterrarono poco distanti da loro, rotolando sull’erba fresca con un tonfo sordo, accompagnati da sospiri e mormorii eccitati dei presenti, e sbuffi di altri che avevano l’aria di chi doveva aver visto una scena simile altre trecentomila volte.
« AH! » gridò Fred, balzando in piedi e canzonando l’altro. « Mi devi cinque galeoni, amico! »
James, mettendosi dritto, sbuffò sonoramente e sorrise strafottente: « Non dire cazzate, sono arrivato prima io ».
« Ma per favore, ti stai solo parando il cul- »
« Potter! Weasley! »
Alice sobbalzò di nuovo, così come tutti: Olivia Baston era appena arrivata, con il volto paonazzo ed un diavolo per capello, seguita da una sua amica decisamente seccata.
« Capitano » James inscenò un inchino, sghignazzando; Olivia però non rise, anzi, parve infervorarsi ancora di più.
« Se non la piantate adesso, giuro che vi butto fuori dalla squadra ancora prima di averla formata » tuonò quindi, furiosa.
Sia James che Fred alzarono le mani in segno di resa, senza però smettere di sorridere. Olivia parve decidere di non volere sprecare altro tempo con loro e li ignorò entrambi, voltando loro le spalle. Poi mutò espressione tanto velocemente da fare quasi paura e sorrise dolcemente, rivolgendosi ai presenti: « Benvenuti, ragazzi. Io sono Olivia Baston e sarò il vostro Capitano  quest’anno » si interruppe un secondo, giusto il tempo di osservarli un po’ tutti, per poi continuare: « il fatto che siate entrati in squadra la scorsa stagione, non vi garantisce un posto anche in questa » si soffermò sull’ultima parola per un istante, scoccando un’occhiataccia a James e Fred. « quindi impegnatevi al massimo e…bè, divertitevi, siamo qui soprattutto per questo. Allora, iniziamo! »
Olivia divise tutti loro in gruppi, a seconda del ruolo che volevano avere, e mentre Alice andava ad accostarsi accanto agli altri aspiranti Cacciatori cercò, invano, di non pensare a Christopher Canon seduto sugli spalti proprio dietro di lei, e ai suoi lucenti, splendidi e profondi occhi azzurri.
Sperò anche, invano ancora una volta,che James non la scorgesse o almeno non subito, prima di dover fare il provino. E naturalmente il ragazzo la vide e le si precipitò praticamente addosso appena un secondo dopo che ebbe formulato quel pensiero, ghignando e scompigliandole i capelli.
« Allora, Paciock, e così non puoi fare a meno di girarmi attorno, eh? »
Si, James sapeva. Non pareva affatto sorpreso di trovarla lì.
Alice alzò gli occhi al cielo, passandosi una mano sulla chioma arruffata, ma si trattenne dal commentare alcunché perché era già abbastanza nervosa e preoccupata di suo. Ed inoltre, nonostante fosse piuttosto sicura che Chris non stesse di certo guardando lei, si sentiva i suoi occhi addosso costantemente e le pareva di essersi scordata anche come si faceva a camminare.
« Cosa dovevi dirmi? » si limitò a chiedergli.
« La Spinnet voleva avvertirci che oggi non dovremo andare in Sala Trofei » rispose prontamente lui.
« Oh » commentò Alice. « Perché? » chiese ancora, sinceramente perplessa.
James alzò le spalle: « Non mi ha dato spiegazioni » si giustificò.
Alice annuì, pensierosa: anche quella era una cosa strana, la Spinnet che cancellava una punizione. Ma d’altronde non poté far altro che sentirsi sollevata al pensiero di non dover passare un altro pomeriggio tra polvere, muffa, vecchi premi e in presenza di quel ghigno irritante.
Stava per chiedergli se conosceva Cathy, e perché mai avesse mandato lei su nella Torre e non fosse venuto lui stesso, visto che era anche la sua Sala Comune, quando Olivia ordinò ai ragazzi non muniti di una scopa di andare a recapitarne una nello sgabuzzino vicino gli spogliatoi, e Alice così fece, allontanandosi da James. Evitò la piccola lotta che si era creata tra alcuni ragazzi per accaparrarsi quella che intuì essere una scopa molto pregiata, e ne afferrò una spudoratamente a caso, scheggiata e graffiata, che aveva tutta l’aria di essere la peggiore di tutte.
Oh, di bene in meglio.
Tornarono tutti di fronte al Capitano, stavolta più attenti e silenziosi.
« Quella è pessima » le bisbigliò all’orecchio James, che a quanto pare si era piazzato proprio dietro di lei.
Alice, al massimo della tensione, non riuscì a trattenere una risposta acida: « Me ne farò una ragione » sussurrò di rimando, voltando leggermente la testa.
James ridacchiò.
« Okay, Jhonson, Coote, Potter, Weasley, Weasley, Paciock e Davies, tocca a voi » tuonò Olivia, montando sulla scopa con la pluffa sotto braccio ed incitando loro a fare lo stesso. « Menfis, quando ti faccio segno, libera i bolidi e il boccino! »
Alice venne percorsa da un fremito di paura lungo tutta la schiena, e si costrinse a salire sulla sua scopa, pur sentendo improvvisamente la nausea.
James le ammiccò e si alzò subito in volo, impaziente, e così anche Fred, che diede una pacca a sua sorella Roxanne prima che anche questa si librasse in aria, ricambiando con un leggero e amichevole pugno fraterno sul braccio.
« Inizieremo con alcuni passaggi, niente di troppo complesso » gridò Olivia, non appena furono abbastanza in alto. « Una volta finito di testarvi faremo una piccola partita, giusto per vedere come ve la cavate, e poi toccherà all’altro gruppo » indicò i restanti, che li osservavano da terra chi con curiosità, chi con sfida, chi con avversione.
Alice fece giusto in tempo a metabolizzare le sue parole che Olivia fece apparire un fischiettò e soffiò forte nell’imboccatura, e immediatamente lanciò la pluffa in aria e gli altri si lanciarono subito all’inseguimento, mentre i due bolidi sfrecciavano davanti a lei a tutta velocità.
Realizzò un secondo troppo tardi di essere ancora ferma, immobile come una statua, e nonostante la paura ormai le stringeva lo stomaco e le membra in una smorza soffocante si decise finalmente a muoversi anche lei.
E fu un attimo: il vento che le scompigliava i capelli e la veste, il profumo di aria fresca e pulita,  con l’adrenalina che le scorreva nelle vene e il battito del cuore a mille, si ricordò perché quell’estate si era divertita tanto a giocare a Quidditch nel giardino dietro casa di Jo, e perché nessuno dei graffi e delle botte che si era presa l’avesse mai fatta desistere dal proporre all’amica un’altra partita. Certo, faticava a tenere sotto controllo la scopa, tanto tremava, però le piaceva, e questo bastava a darle almeno quella forza necessaria a non mollare tutto proprio adesso e continuare a protrarsi in avanti, spingendo nella direzione in cui volavano gli altri. 
Capì di aver preso la scopa più lenta quasi all’istante, quando si accorse che pur sotto sforzo raggiungeva a stento i giocatori e la pluffa stessa. Eppure, senza riuscire a credere nemmeno lei a ciò che faceva, si insinuò istintivamente nello spazio che distanziava Roxanne e l’altro ragazzo, fece una brusca manovra e riuscì ad afferrare la palla rossa abbastanza facilmente. Quando l’ebbe in mano sprizzava letteralmente felicità da tutti i pori, e fu probabilmente in quel momento che dimenticò totalmente che lei non voleva entrare nella squadra, e che tecnicamente avrebbe dovuto invece cercare di non prendere la pluffa, e non volare bene.
Schizzò contro Jhonson agli anelli e tirò, mettendoci tutta la forza che aveva in corpo, quasi anche l’anima, ma funzionò perché effettivamente la pluffa scivolò tra le mani del Portiere ed andò a segno nell’anello centrale.
Roxanne applaudì entusiasta e Alice le sorrise, mentre l’altro ragazzo la squadrava con fastidio; udì indistintamente le urla di Cathy dagli spalti e sentì persino Fred fare un fischio d’approvazione.
Poi fu la volta di Roxanne di segnare, e fece uno, due, tre, quattro centri consecutivi, perfetti e lineari, seguiti sempre dall’omonimo commento di Fred: « Quella è mia sorella, gente! »
L’altro ragazzo segnò un altro tiro, poi ci riprovò e Jhonson parò la sua prima palla, mentre Fed tirava bolidi a tutto spiano, guadagnandosi probabilmente un altro posto annuale assicurato in squadra.
Un ennesimo urlo si levò dalla folla sottostante quando James afferrò il boccino, facendo una smorzata mozzafiato così difficile che Alice si chiese se fosse mai riuscita a fare una cosa del genere in vita sua; e rifletté che, sicuramente, anche lui si era aggiudicato il suo solito posto in squadra come gli altri anni senza ombra di dubbio.
Si stupì, quando riuscì persino a segnare un altro tiro ancora, abbastanza fiera di ciò che aveva appena fatto nonostante credesse, in cuor suo, di non essere comunque andata un granché. Non in confronto a Roxanne, che nel frattempo aveva mandato negli anelli la pluffa altre tre volte e pareva inarrestabile.
Olivia annunciò che avevano ancora pochi minuti, e Alice si ritrovò fortunatamente abbastanza vicina alla pluffa, tanto che si azzardò ad andare a prenderla di nuovo. La afferrò saldamente, e si stava già dirigendo agli anelli, presa da un’euforia improvvisa, di quelle che senti quando sei ad un passo dalla fine e ad un altro dall’inizio, superando il ragazzo che aveva alle calcagna, guadagnando campo, protraendosi verso un altro possibile tiro…quando qualcosa la colpì al fianco destro e si arrestò bruscamente, vacillando.
Restò stordita per un momento.
Poi arrivò il dolore, bruciante, inatteso e terribile, e mentre si portava entrambe le mani sul punto dolente in una mossa disperata, non ebbe il tempo e la coscienza di riflettere di avere appena mollato la presa sulla sua scopa, così si sentì scivolare e perse l’equilibrio senza poter fare più nulla, quando l’unica cosa che riusciva a distinguere era il dolore, e il dolore era ovunque, il dolore era tutto.
Strinse gli occhi e si preparò al salto nel vuoto, quasi incosciente.
L’ultima cosa che percepì furono due braccia forti stringerla in una presa d’acciaio, poi il buio.


















Note dell'Autrice.
Okay, ammetto di dovervi delle scuse: scuuuuusate per il ritardo, mi ero ripromessa che avrei aggiornato sempre una volta alla settimana e invece eccomi qua, a quindici giorni di distanza çç chiedo perdono, ragazzi, ma davvero, sono stata impegnatissima e non ho avuto un secondo di tempo. E ci tengo a precisare che odio immensamente questo capitolo, ma per la trama è molto importante (poi vedrete), e comunque volevo postarlo e spero..di non aver rovinato un pezzo di storia, così. 
Ah, poi, visto che in alcune recensioni ho letto che vi 'manca' James, bè, vi anticipo che il prossimo capitolo sarè moooolto Jamesoso.  :P E che sarà da lì che comincerà la parte più, diciamo, 'interessante' della storia.
Il prossimo capitolo lo pubblicherò tra due, e non una settimana (ve lo dico ora in modo da non sentirmi in colpa perché sono in ritardo :c ), perché sto studiando come un'ossessa e non voglio proprio dover scrivere un'altro obrorio-poco passabile come questo solo per pubblicare in fretta.
Vabbè, detto questo, grazie per essere arrivati fin qui e un enorme, enorme grazie a voi che mi seguite e mi recensite, siete speciali, davvero. 
♡ <--- cuore strambo.

a prestissimo!
Martina :)

p.s. Ho fatto uno schizzo su come mi immagino io Alice, e penso che nel prossimo capitolo lo pubblicherò, tanto per farvi vedere come l'ho pensata, e poi perché adoro disegnare dfghj...poi, naturalmente, voi continuate a figurarvela come volete: secondo me è anche questo il bello della lettura!

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Capitolo 8
*** Wonderwall ***


Leggete le note alla fine!
Il capitolo è dedicato a tutti voi  (<33)


7.
Wonderwall

Today is gonna be the day
That they're gonna throw it back to you

Wonderwall, Oasis
                                                


« Si risveglierà, vero? »
« Merlino, Jo, da quando sei così tragica? »
« Tragica? Rose, è caduta da trenta metri d’altezza! »
« Ma- »
« Secondo me è morta per la paura, nel frattempo ».
« James! »
« Che c’è? Cerco di alleggerire l’atmosfera… »
Un colpo.
« Morgana, Rosie, non sapevo fossi così violent- ».
Due colpi.
« Argh! Questo faceva male ».
« Un’altra parola, Jamie, e ti assicuro che… »
Alice Paciock aprì gli occhi.
Non realizzò subito dove si trovava: in un primo momento, mentre la luce abbagliante le offuscava la vista, l’unica cosa che riuscì a vedere fu il bianco.
Era dappertutto: sulle pareti, sul pavimento, persino sui volti delle sette sagome che –da quello che riuscì ad intuire- circondavano il suo…letto. Sì, doveva per forza essere un letto.
E quella somigliava decisamente all’infermeria.
Sbatté le palpebre un paio di volte per abituarsi alla luce del giorno, ma non fece in tempo a guardarsi attorno che una massa di lucenti capelli viola la travolse –letteralmente-. Jo la strinse in un abbraccio spacca costole degno dei più stritolanti abbracci spacca costole della signora Weasley ed esclamò: « Alice, sei viva! »
E Alice avrebbe voluto davvero scoppiare a ridere, e rincuorarla con un consueto ‘va tutto bene’, ma forse in quel momento era troppo concentrata sulle grida disperate di protesta delle sue ossa rotte per poter anche solo formulare frasi concrete.
« J-Jo » tossicchiò, sperando che l’amica comprendesse e la mollasse.
Evidentemente, però, Jo non aveva capito proprio nulla: la strinse ancora di più e ad Alice parve quasi di sentire tutti i suoi muscoli doloranti piangere simultaneamente.
« Oh, Allie, ci hai fatto prendere uno spavento… »
« Jo » riprovò, invano.
« …potevi farti male sul serio, potevi… »
« Josey, le stai facendo male » osservò pacatamente Rose. Alice pensò di non esserle mai stata così grata.
Jo si staccò immediatamente, e sul suo volto balenò un lampo di comprensione: ridacchiando si ritrasse, biascicando poi un paio di scuse.
Alice poté finalmente osservare ciò che la circondava: l’infermeria era praticamente vuota, ad eccezione del suo letto e di un altro poco lontano chiuso da una tendina azzurra; sul comodino lì di fianco sostava un bicchiere stracolmo di un liquido verde e puzzolente di muffa, che Alice sperò con tutto il cuore non fosse destinato a lei;seduta sul bordo del letto, poi, c’era Rose con aria preoccupata, che le sorrise tesa non appena intercettò il suo sguardo. Dalla parte opposta invece, Cathy sembrava come al solito il ritratto della felicità e della spensieratezza, ma dalla posa scomposta e rigida che aveva Alice capì che doveva essere rimasta lì con lei per molto tempo, prima del suo risveglio. Albus la scrutava in piedi pensieroso, accanto a Jo, mentre poco lontano –con suo immenso stupore- c’erano James, Fred e Roxanne Weasley. Tutti quanti puntarono gli occhi su di lei, e calò uno strano silenzio d’attesa mentre Alice respirava lentamente e sentiva le guance andare a fuoco per l’imbarazzo.
Naturalmente durò ben poco: subito si fecero avanti James e Fred, che le scompigliarono i capelli con aria fraterna e le diedero entrambi pesanti pacche sulla spalla che la buttarono in avanti –guadagnandosi tutti e due, peraltro, parecchie occhiate omicide di Rose; poi Cathy, che squittì entusiasta e l’abbracciò di getto (seppur con cautela), seguita dalla stretta attenta e leggera di Rose e da uno sguardo più sollevato di Albus. Anche Roxanne le si fece vicino, sorridendole allegramente, con la sua coda di capelli rossi scompigliati, la pelle olivastra e gli occhi scuri, così diversi da quelli del fratello, brillanti di una strana luce dorata. Alice aveva sempre creduto che Roxanne fosse una ragazzina un po’ ribelle, ma anche incredibilmente intelligente, oltre che animata da una pazzesca voglia di vivere. Doveva essere qualcosa che aveva a che fare con il ceppo Weasley-Potter, quella particolarità: anche Lily, Hugo, James, Fred e innumerevoli altri cugini sembravano sempre così allegri ed entusiasti alla vita e alle novità.
« Come ti senti? » chiese Rose, cauta.
« Bene » mugugnò Alice automaticamente. Poi ci pensò su, e realizzò che no, non si sentiva affatto bene: si accorse con un sussulto di avere tutto il bacino fasciato da pesanti garze color grigio chiaro, lo stomaco e il petto doloranti, e le pareva quasi che, tutt’a un tratto, tutte le ossa che aveva in corpo avessero acquisito la consistenza della pastafrolla. Inoltre sentiva la nausea e solamente per tirarsi su a sedere, sistemandosi sullo schienale del letto alla bell’e meglio, fece un’immensa fatica.
Ma la cosa che le dava più fastidio era che non capiva: perché era in infermeria, quando un secondo prima si trovava alle selezioni? O forse era passato più tempo?
Non aveva idea di che ore fossero, perché la luce soffusa che filtrava dalle grandi vetrate sul muro di pietra era abbastanza neutra: per lei, sarebbero benissimo potute essere le sei di mattina come le sei del pomeriggio.
« Che…che cosa è successo? » si azzardò a chiedere, trepidante. Il vuoto di memoria era qualcosa che davvero non riusciva a concepire, in quel momento, nonostante solitamente fosse piuttosto abituata comunque a scordarsi qualsiasi cosa –d’altronde, distratta e sbadata com’era, dimenticarsi di piccoli particolari quali dare da mangiare al gatto di casa era il minimo.
« Quell’idiota di Davies ha una pessima mira » rispose Cathy con una smorfia.
« Ti ha tirato un bolide » spiegò Roxanne, in risposta al suo sguardo confuso. « Che ti ha rotto le ossa del bacino…e poi sei svenuta ».
« Dal dolore, probabilmente » aggiunse Cathy. Albus annuì lentamente.
Alice socchiuse la bocca, stupita, mentre una parte del suo cervello lavorava veloce per cercare di ricordare quanto accaduto nei dettagli, e provava a mettere a tacere l’altra che, al contempo, stava sbraitando con più e più ingiurie contro Michael Davies e la sua immancabile stupidità. In realtà, tutti gli eventi che l’avevano portata lì le parevano come una grande macchia sfocata, un buco nero nel rullino dei suoi ricordi, e più si sforzava di mettere a fuoco, più la macchia si allontanava, sgranata e irragiungibile.
« Ma non lo ha fatto apposta » intervenne precipitosamente Jo, con aria battagliera. Fece per aggiungere altro, risoluta, ma quando tutti gli occhi dei presenti puntarono su di lei con sguardo omicida parve cambiare idea, e tacque, ritirandosi e borbottando frasi sconnesse.
« Comunque » proseguì Cathy infastidita, « per fortuna è andato tutto bene. Appena sei caduta James ti ha preso al volo e Olivia è andata a strangolare Davies, che strillava come una ragazz- »
« James cosa? » esclamò Alice, senza riuscire a trattenersi. Si voltò verso il suddetto, che stava ghignando compiaciuto, e rimase a fissarlo imbambolata senza riuscire ad aggiungere alcunché. Fred e Cathy ridacchiarono della sua espressione traumatizzata, mentre Rose la scrutava, alternando le occhiate ansiose che lanciava a lei con quelle omicide che lanciava ai suoi cugini.
Alice tuttavia continuò a guardare James stranita mentre, dentro di lei, si diffondeva un sentimento che non avrebbe mai creduto di poter provare per lui: gratitudine.
« Sì » spiegò ancora Cathy, divertita, « eri svenuta e Jam ti ha afferrata prima che cadessi giù ».
« Jam? » boccheggiò Alice.
Di nuovo, Cathy, James e Fred ridacchiarono sonoramente e Alice, sconvolta, si ritrovò a chiedersi –tra le tante cose- per quale assurdo motivo tra quei tre ci fosse tutta quella complicità.
« Ma l’importante è che ora stai bene e sei sana e salva, no? » le venne in aiuto Rose, con fin troppo finto entusiasmo.
Alice non rispose. Non riusciva a capacitarsi di come Catherine –Catherine Montague!- potesse avere alcunché a che fare conquella gente; inoltre, stava ancora cercando di digerire il fatto che in sole due settimane James Potter fosse riuscito a tirarla fuori da ben due spiacevoli situazioni pericolose, e che ora teoricamente era più che in debito con lui.
Non che fosse una ragazza orgogliosa, Alice, altroché: solo che l’idea di dovere qualcosa proprio a lui le pareva così strana che non credeva sarebbe mai riuscita ad abituarsi alla cosa.
Se non altro, pensò poi, con una punta di speranza, ora le possibilità di essere ammessa in squadra si riducevano allo zero spaccato.
Jo venne di nuovo avanti e fece per aprire bocca, risoluta, con tutta l’aria di voler dire qualcosa di estremamente importante, quando da un porticina nell’angolo sbucò la testa di Madama Chips che li squadrò furiosa, prima di mettersi a urlare.
« Maleducati! Cosa fate? L’orario delle visite è finito da un pezzo! Sloggiate! » tuonò, barcollando verso di loro e agitando la mano in aria freneticamente, tutta rossa in viso per l’irritazione; i suoi compagni non se lo fecero ripetere due volte e, dopo averle rivolto qualche cenno o saluto sbrigativo, si dileguarono velocemente verso la grande porta d’olmo che dava sul corridoio deserto del terzo piano, biascicando scuse incomprensibili.
Alice li guardò andarsene con rammarico e pensò, di colpo sorpresa, che erano venuti tutti lì per lei e che, impegnata com’era a realizzare tutte quelle novità sconcertanti, non li aveva nemmeno ringraziati; perche la verità era che il fatto che davvero delle persone così meravigliose come Rose, Al, Jo e forse persino Cathy tenessero a lei era qualcosa di cui non riusciva a capacitarsi. Figurarsi se poi alla lista si aggiungevano misteriosamente nomi curiosi come quello di Fred, Roxanne, James
L’infermeria calò nel silenzio e Madama Chips si avvicinò quindi al suo letto, mutando espressione ad una velocità sorprendente, e le chiese dolcemente se avesse bisogno di qualcosa. Alice negò educatamente e si azzardò solo a chiedere che ore fossero, al che l’infermiera rispose, riassumendo il tonno secco e irritato di poco prima, che erano già le otto di sera e che, datosi il suo stato affaticato, lei avrebbe necessariamente dovuto mettersi a dormire.
Così, solo dopo aver spento tutte le luci con un colpo di bacchetta ed aver chiuso le tende attorno al letto di Alice –che si premurò di strizzare gli occhi e far finta di cadere nel mondo dei sogni al più presto, non si sapeva mai-, se ne ritornò borbottando nel suo studio.
Alice sospirò, conscia che non sarebbe mai riuscita davvero a dormire, e si rigirò sulla schiena, annoiata. Si permise solo allora di passare alla mente tutti gli eventi di quella giornata sfortunata come tanti flash indistinti, mentre fissava un punto imprecisato della stoffa azzurra della tendina senza veramente vederlo.
Fu uno strano rumore, all’altezza dell’entrata, come di qualcosa che si rompe, a distoglierla dal suo stato di trance. Aguzzò le orecchie, all’erta.
Il rumore si ripeté un’altra volta più piano e poi ancora di nuovo, a questo punto seguito dall’inconfondibile suono di passi felpati, che si avvicinavano sempre di più.
Alice sbarrò gli occhi e fissò il pavimento dove, al di sotto dell’orlo della tenda, spuntava quella che era chiaramente la sagoma dell’ombra di una persona che si aggirava furtiva per la stanza.
Impaurita, fece la prima cosa che le passò per la testa e, al diavolo il buon senso, si trascinò le coperte fin sopra la testa e si rifugiò tra le lenzuola.
Fu quando la presenza misteriosa aprì proprio la sua tenda, e posò una mano sul miscuglio indefinito di coperte che era il suo corpo, che scattò su a sedere come una molla –ignorando la fitta al bacino-, pronta a lanciare un urlo stratosferico: ma la sagoma quello che capì essere un ragazzo fu più veloce, e le tappò la bocca con la mano prima che lei potesse emettere alcun suono.
Alice iniziò a gemere e agitare le braccia freneticamente, nel panico, mentre il ragazzo tentava di tenerla ferma anche se, curiosamente, sembrava mille volte più impacciato di lei.
« Sono io! Sono io, Paciock, sta’ ferma! »
Alice ignorò il sussurro strozzato del suo aggressore, continuando a dimenarsi, prima di realizzare un secondo dopo a chiapparteneva quella voce.
Si girò di scatto, stralunata, in tempo per vedere gli occhi scuri di James fissarla con astio e divertimento al tempo stesso.
« Che cosa ci fai ancora qui?! » sbottò, irritata, mentre il cuore le batteva ancora all’impazzata per lo spavento.
« Shh! Merlino, ma non ci riesci a fare piano? » si lamentò lui, esasperato.
Alice assottigliò gli occhi, incrociando le braccia al petto e squadrandolo con sfida.
« Cosa vuoi? » chiese, stavolta più piano, ma non senza metterci tutta l’irritazione che riuscì ad accumulare.
James, ora più tranquillo, chiuse per bene la tendina e si passò una mano fra i capelli con nonchalance, reprimendo un sorrisetto strafottente. Indossava ancora la divisa del Quidditch, con lo stemma di Grifondoro stampato in bela vista sulla casacca rosso e oro, e quell’aria ribelle che possedeva anche in situazioni del tutto normali ora era decisamente aumentata a dismisura dall’effetto dei capelli, anche più scompigliati del solito, e da quell’atteggiamento distratto e menefreghista di chi, seppur erroneamente, si sente sempre un gradino più in alto del resto del mondo.
« Mi sono scordato di darti una cosa, prima » affermò. Frugò nelle tasche del mantello e tirò fuori una piccola catenina d’acciaio, con un ciondolo a forma di Tour Eiffel.
Alice si sporse immediatamente a prenderlo, stupita, rigirandosi fra le mani il piccolo regalo di Rose che, dall’inizio di Settembre, portava sempre al collo.
« Oh…io…grazie… » farfugliò, confusa.
« Ti si è slacciata quando sei caduta » spiegò James semplicemente, facendo spallucce.
Alice si legò la catenina dietro al collo velocemente, per poi tornare a fissare James un po’ stordita.
Da quando in qua era gentile con lei?
Seriamente non capiva, e forse, pensò, non sarebbe mai riuscita ad intuire cosa frullasse per la testa di quel ragazzo strambo.
James allora le sorrise sornione e, per la prima volta, si ritrovò persino a pensare che avesse un bel sorriso: non lo aveva mai notato prima, ma forse solo perché erano state davvero poche le occasioni in cui le aveva rivolto un vero sorriso, proprio come quello.
« Grazieperavermisalvatolavita » pronunciò tutto d’un fiato, improvvisamente.
James corrugò la fronte e la guardò stranito.
« Che? »
Alice sospirò.
« Grazie –ripeté, scandendo ogni sillaba con estrema lentezza, e guardando ovunque fuorché in direzione del ragazzo- di avermi salvato l’osso del collo, sai ».
James dilatò le pupille per un secondo, sorpreso; poi, inaspettatamente, fece spallucce ancora una volta.
« Non c’è di che ».
Alice lo scrutò per un altro paio di minuti, attenta, cercando nella sua espressione…cosa? Non lo sapeva bene nemmeno lei; forse, si aspettava che d’un tratto scoppiasse a ridere, o che magari da qualche parte uscisse quel mago barbuto che, sul Settimanale delle Streghe, gestiva una rubrica tutta sua dedicata agli scherzi, e annunciasse come di consueto che proprio lei, Alice Paciok, era stata fregata. Sì, insomma, forse si aspettava un cambio di programma, o almeno una straccio di spiegazione sul perché, adesso, il Potter che meno sopportava in assoluto la trattava con riguardo, così, dal nulla.
Alice li ricordava bene, gli anni precedenti: fin da quando aveva messo piede a scuola il ragazzo non l’aveva lasciata un secondo in pace. Certo, anche lei ci aveva messo del suo…almeno per i primi due anni ad Hogwarts, tra loro c’era stata una continua, vera e propria battaglia all’ultimo scherzo.
Sapeva benissimo anche che, in fondo –molto, molto in fondo- James Potter era un bravo ragazzo e di certo non l’avrebbe mailasciata precipitare nel vuoto, odio profondo a parte. Eppure, non era quello che la lasciava basita: bensì il fatto che, per esempio, non volesse nulla in cambio. O non la stesse sbeffeggiando per la caduta.
Fu da quel pensiero che se ne generò un altro, lentamente, e Alice socchiuse la bocca stupita.
James Potter poteva davvero essere…cresciuto? Maturato? Era un’idea eccentrica e quasi sicuramente utopica, eppure…
Alice non si permise di sperarci troppo. Nel frattempo, quell’anomala sensazione di gratitudine di poco prima non l’abbandonava, ed iniziò persino a credere di potersi sentire in colpa. In fondo, era da tempo che non parlava praticamente più con lui, e l’aveva sempre giudicato per cose successe in passato, vecchi bisticci, atteggiamenti tenuti di fronte ai suoi amici…
Chinò la testa di lato, continuando a rimuginare tra sé e sé, fissando un punto fisso sulla stoffa della tendina azzurra mentre, pian piano, il sole calava e l’infermeria si tingeva di rosso.
Alla fine si decise a parlare, sicura che, in ogni caso, si sarebbe pentita di ciò che stava per pronunciare:
« Quindi…sono in debito con te ».
James strabuzzò per la seconda volta gli occhi e Alice si ritrovò a mordicchiarsi le labbra a più non posso, nervosa.
« Nessun debito, Paciock » sbuffò lui, scrutandola come se fosse pazza.
Alice insistette: « No, davvero! Se…se ti serve qualcosa, insomma… »
James alzò gli occhi al cielo, ridacchiando. « Non sai quello che dici. Forse hai battuto la testa, mentre ti portavamo in infermeria… » la osservò per un momento, quasi con sincera preoccupazione, prima di scuotere la testa e scoppiare a ridere.
Alice incrociò le braccia al petto, ma non si diede per vinta. « Avanti! Insomma, se…ci sarà pur qualcosa che ti serve…e… » si interruppe, notando come l’espressione sul volto del ragazzo stava mutando alle sue ultime parole. Quasi desiderò di essersi stata zitta, quando poté osservare chiaramente un luccichio brillare negli occhi di James, che aveva la bocca spalancata, con quell’aria estasiata di chi aveva appena vinto alla Magilotteria.
« Ehm… -mugugnò, cautamente- …J-James… »
« Cazzo! Cazzo, Paciock, sei un genio, un fottuto genio! » esclamò il ragazzo, con voce roca, scuotendola per le spalle e fissando, ancora con quell’aria estasiata, chissà che cosa al di là della finestra
Alice lo fissò orripilata, prendendo nota del fatto che, qualora avesse mai avuto un’altra reazione del genere davanti a lei, sarebbe dovuta scappare via a gambe levate. E lo avrebbe fatto anche adesso…se solo avesse potuto alzarsi da quella trappola che era il suo letto.
James si allontanò da lei quanto bastava per sfiorare con la schiena la tendina, unendo entrambe le mani dietro la nuca e ciondolando avanti e indietro senza sosta.
« Cosa…? » iniziò Alice allarmata, ma lui la interruppe.
« Ti ricordi quando ti ho parlato della storia di Ted? E di mia cugina Vic? »
Lei annuì lentamente, presa in contropiede. Tra le tante, quella era decisamente l’ultima cosa che si aspettava dicesse. Inoltre, era riuscita bene o male a non pensare più a quella storia incasinata, tra gli altri pensieri che le frullavano per la testa ultimamente –anche se, doveva ammetterlo anche lei, le parole del ragazzo restavano stampate in un angolino della sua testa e, di sera, il viso di Teddy Lupin le tornava alla mente giusto in tempo per darle il tormento quanto bastava,
« Bè » proseguì James, « ho pensato ad una…soluzione ».
Alice lo fissò per alcuni istanti. Non prometteva nulla di buono.  « Soluzione? »
« Sì » il ragazzo si grattò la nuca, imbarazzato, « per far scoprire a Ted del tradimento, no? »
Lei schiuse le labbra e dilatò le pupille, scrutandolo con tanto d’occhi. « Scusa, non sarebbe più facile dirglielo? »
« Merlino, davvero? Accidenti, non so proprio come ho fatto a non pensarci! » la rimbeccò lui ironico. « Credi che non ci abbia già provato? Credi che mi abbia ascoltato? » sbuffò frustrato, poggiando entrambe le mani sull’orlo del materasso e spostando il peso su di esse, chinando la testa.
Alice rimase in silenzio, osservando la schiena del ragazzo alzarsi e abbassarsi ad ogni respiro strozzato, quasi ipnotizzata, senza saper bene cosa dire.
« Io…io cosa centro, in tutto questo? » chiese infine, in un sussurro appena percettibile.
James alzò la testa il capo quel tanto che bastava per lanciarle un’occhiata in tralice, poi disse: « Ted deve vedere con i suoi occhi, o non ci crederà mai. E’ troppo accecato da lei…da…dall’amore » pronunciò la parola con disprezzo, quasi, soffermandosi un secondo per assumere una smorfia contrariata: « Non farà mai nulla di propria iniziativa. Quindi noi gli sabotiamo il matrimonio ».
Ci fu un istante di silenzio, nel quale riecheggiarono, lontani, i cinguettii degli ultimi uccellini della sera da una delle grandi finestre aperte, che dava sull’enorme parco.
« Sei impazzito? » fu infine il grido di Alice, che boccheggiò, a spezzarlo bruscamente: « sei matto. Sei completamente matto! »
James abbandonò un secondo la sua espressione truce, sghignazzando divertito. « Matto e irresistibile, sì ».
« Cosa diavolo ti prende? » Alice non lo stava ascoltando nemmeno. « Tu…dio, sei tu quello che ha preso la botta in testa! Ma cosa credi? Non- non puoi intrometterti nella vita della gente a questo modo… »
« Se continui a sbraitare sveglierai Madama Chips ».
« …questo è davvero troppo, è una delle cose più stupide che ti siano mai saltate in testa…e ne hai avute tante di idee stupide… »
« Poi te la vedi te, con quell’arpia infuriata, eh… »
« James! » sbottò Alice, balzando in avanti con il busto per afferrarlo dal colletto della camicia. « Non puoi pensare di farlo davvero. Non sarebbe giusto e… è un’idea idiota e tu sei un’imbecille ».
James s’immobilizzò, sgranando gli occhi, a venti centimetri dal viso di lei che ora aveva il fiato corto e un’aria truce.
Alice ci mise dieci secondi buoni per accorgersi di cosa aveva fatto, poi si ritrasse di scatto, imbarazzata al massimo, arrossendo furiosamente sulle gote.
« Scusa » mugugnò a disagio. « Ma io… »
« Senti » proruppe lui, sistemandosi il le pieghe sul colletto con un gesto fulmineo, « tu non capisci, va bene? E’ vero che Vic non è mai stata la mia cugina preferita, ma… » sospirò. Sembrava in difficoltà. « …Ted è il mio migliore amico. E non ce la posso fare da solo » esalò infine, lasciando cadere le braccia penzoloni lungo i fianchi.
Alice avrebbe voluto urlargli di tutto, davvero. E una parte di lei era così infuriata, così contraria a quella pazzia che, fosse stata un’altra persona, sarebbe scesa da quel letto solo per prenderlo a calci. E mollargli un pugno in faccia, magari.
Ma era quello il punto. Alice era solo Alice, quella ragazza che di fronte a un paio di occhi dolci si scioglieva come il gelato al sole. Quella che non sapeva far del male nemmeno ad una mosca (e anche nella remota possibilità che lo avesse voluto, il massimo che sarebbe riuscita a fare sarebbe stato inciampare sui suoi stessi piedi). Quella che, di fronte ad un amico -o, in quel caso, a quello che di più simile aveva di un nemico- in difficoltà, e in cerca d’aiuto, si faceva avanti contro ogni ragione e logica.
Ma questa volta era diverso, commentò una vocina nella sua testa. Ed era sbagliato, totalmente ed irrimediabilmente sbagliato. Perché Victoire Weasley sarebbe potuta anche essere piena di difetti, per quanto le riguardava, e avrebbe potuto fare di tutto, ma lei cosa c’entrava con quella storia? Con lei? Con loro?
E nemmeno James, avrebbe dovuto mettersi in mezzo! Senza contare la gran quantità di ragioni per le quali tutta quella farsa era immorale.
Scosse la testa con convinzione. « Mi dispiace… »
« Ho un piano, ma non  posso fare tutto da solo- e tu sei l’unica che può aiutarmi » continuò James sfiancato, « Rose non ci crede. Fred non ci crede. Lily…Lily non può saperlo, la sconvolgerei. Tutti gli altri non mi ascolterebbero nemmeno, e Ted… » si portò, di nuovo, le braccia dietro la nuca, scuotendo i capelli disordinati, e aggrottò le sopracciglia.
Alice nascose la faccia tra le mani: « No, mi dispiace James ».
Il ragazzo le lanciò un’occhiata in cagnesco. Poi si riavvicinò pericolosamente al letto, e le puntò un dito contro: « Ma sei in debito con me, l’hai detto tu stessa! »
« Che cosa?! » tuonò lei scandalizzata. « Ma se tre minuti fa mi hai detto ‘nessun debito, Paciock’ » ripeté, mimando la sua voce e alzando gli occhi al cielo.
« E tu che avresti fatto qualcosa per me » ribatté lui prontamente.
« Tu…tu…non puoi obbligarmi! »
James la fissò per alcuni secondi. Lei sostenne il suo sguardo, a metà tra lo sconcertato e il terrorizzato, con la pesante, ed orribile convinzione di essersi cacciata da sola in tutta quella situazione. Cacciarsi nei guai, le aveva detto una volta la sua bisnonna, era una vera e propria arte, oltre che una caratteristica prettamente legata alla sua famiglia da secoli: suo padre ci riusciva bene, e guarda caso quel gene spregiudicato non aveva potuto saltare una generazione. Per forza. Naturalmente.
« Bene » borbottò James, aggrottando le sopracciglia folte e scure, « bene » ripeté, indietreggiando. 
Alice schiuse le labbra e sgranò gli occhi allarmata.
« Ci si vede in giro » disse però il ragazzo, solamente, fulminandola con un’ultima, feroce occhiataccia per poi sparire oltre le tende prima che lei potesse dire alcunché. E Alice rimase là, seduta a gambe incrociate, con il lenzuolo a coprirle il bacino fasciato, il pigiama spiegazzato, e una stranissima sensazione a darle il tormento.
Come un…presentimento.
Decisamente negativo.

***

 
Alice fu dimessa da Madama Chips la mattina seguente, solo dopo ripetute raccomandazioni sull’evitare gli sforzi, le corse, lo stress e qualsiasi altro tipo di attività che avrebbe potuto arrecarle qualche ulteriore danno. La pozione puzzolente che le aveva fatto ingurgitare, sebbene fosse stata decisamente disgustosa, si era rivelata straordinariamente efficace: non solo non sentiva più dolore da nessuna parte, ma le pareva di essere anche abbastanza in forma –cosa che, la domenica mattina, intontita com’era dalla lunga e pesante settimana, non accadeva da circa cinque anni.
Jo si era subito premurata di accompagnarla dall’infermeria sino al dormitorio (non si sa mai le fosse preso un infarto durante il tragitto, come aveva osservato piuttosto ironicamente Madama Chips), e rinunciati gli inutili tentativi di portarla giù in Sala Grande per il pranzo –dopo quella poltiglia verde che aveva bevuto, Alice non aveva la benché minima voglia di toccare del cibo-, era sgusciata via dicendo di andare ad avvertire Rose che era stata dimessa.
E così, nel giro di due ore, la giovane Paciock si era ritrovata stesa sul suo letto con le gambe larghe e un braccio penzoloni nel vuoto, il viso rivolto verso la grande finestra che illuminava il dormitorio di Grifondoro e gli occhi puntati sul cielo azzurro chiaro del primo pomeriggio. Fosse stato per lei sarebbe rimasta così anche per sempre: purtroppo, però, nonostante si fosse ripromessa più e più volte di censurare accuratamente qualsiasi pensiero riguardante gli episodi della sera prima, questi non facevano che sorprenderla quando meno se l’aspettava, infiltrandosi nella sua immaginazione a tradimento e sconvolgendo la sua povera coscienza pulita –o quasi. Ma la cosa peggiore era che, se riusciva almeno per un secondo a non pensare a quelle cose, rimuginava invece su quello che Olivia Baston le aveva detto quella mattina stessa: poco prima di venire dimessa, difatti, la ragazza si era presentata da lei in infermeria per informarla allegramente delle sue buone possibilità di essere ancora ammessa in squadra.
Quasi tutti gli altri aspiranti al ruolo, a detta sua, si erano rivelati degli incompetenti senza la minima esperienza, escludendo i Weasley e qualche altro fortunato eletto.
Aveva ignorato bellamente le dichiarazioni di Alice, che si era precipitata a dirle quanto poco ne sapesse anche lei di Quidditch infondo, e se n’era andata con un sorriso stampato in faccia parlottando di strani schemi di gioco e tattiche di vittoria.
Alice, desolata, aveva così dovuto rinunciare a quell’unica, piccola luce di speranza che l’aveva portata a credere, a quanto pare ingenuamente, che la caduta dalla scopa e il successivo ricovero in infermeria fossero stati dei pretesti sufficienti per essere scartata alle selezioni, e tanti saluti al Quidditch.
Ma cosa accidenti le sarebbe dovuto succedere per non prendere mai più parte ad un allenamento? Oltre che il suo solito lato melodrammatico e pessimista, stavolta era anche la paura a farle passare la voglia di continuare a giocare. Non poteva fingere con se stessa, non ci era mai riuscita: sulla scopa si era divertita, e volare le piaceva. Ma dopo quella caduta…bè, ne aveva già subite fin troppe con i piedi attaccati al suolo, di cadute. Non voleva affatto che la cosa si ripetesse anche per aria. 
Sbuffò sonoramente, rigirandosi su di un fianco. Persino il materasso del suo letto a baldacchino le sembrava scomodo, quel materasso che, fino a due giorni prima, le era sempre sembrato così incredibilmente confortante. Impiegò circa altri cinque minuti di tortura per capire che se avesse continuato a non fare nulla non avrebbe mai potuto scacciare i brutti pensieri dalla mente; poi balzò in piedi, con un leggero capogiro, e si precipitò senza un’apparente ragione sul suo baule abbandonato ai piedi del letto. Frugò al suo interno, tra il gran disordine di vestiti e oggetti vari, finché non trovò la prima cosa che, finalmente, attirò la sua attenzione.
La vecchia macchina fotografica magica, che le aveva regalato suo padre appena due settimane prima, era lì, ancora inutilizzata, a fissarla quasi volesse fargliene una colpa. Stavolta, Alice non ci mise poi molto a decidere sul da farsi: afferrò l’oggetto, infilandosi la cinghia al collo, e scese dal dormitorio giù nella Sala Comune vuota. Varcò il buco del Ritratto, ignorando le esclamazioni scandalizzate della Signora Grassa che, a quanto pareva, era stata appena svegliata bruscamente, e si diresse dritta di filato verso il parco.
A quell’ora i giochi di luce che compiva il sole, infiltrandosi tra le foglie verde chiaro dei grandi pioppi robusti, avevano sempre incuriosito tanto Alice sin da quando era bambina. Vicino casa sua, all’incirca qualche chilometro al nord del piccolo paesino dove abitava, vi era un folto bosco. Ricordava che quando aveva all’incirca quattro o cinque anni, sua madre la portava sempre lì nelle prime ore del pomeriggio,magari quando c’era un po’ di vento e le foglie si muovevano flessuose e silenziose sui rami. ‘Guarda cosa fa la luce, Alice’, le ripeteva sempre, indicandole i getti di bagliore chiaro che si intravedevano tra la flora, ‘gioca a rincorrersi’.
A pensarci ora, Alice non riusciva a credere che quella donna che le indicava le foglie, canticchiando lente canzoncine della buonanotte tutto il giorno, fosse la stessa che ora scattava sulla sedia ogni volta che sentiva un rumore. La stessa che usciva di casa giusto per andare a fare acquisti e che, di quell’aria romantica e pacata che aveva quand’era giovane, ne conservava poco e niente.
Da allora, in ogni caso, aveva sempre avuto un po’ questa mania di voler catturare la luce. Ci aveva provato con i disegni, tante volte, ma era un vero disastro con le matite e i colori. Perché non provare con una fotografia?
Il parco era stranamente vuoto e silenzioso; dovevano essere ancora tutti in Sala Grande, rifletté Alice. S’infiltrò sulla destra, costeggiando le mura del castello, e procedendo con la macchinetta stretta tra le mani e un’aria curiosa e allo stesso tempo quasi temeraria che ben poco le s’addiceva, quando sotto l’ombra di un albero poco più in là, nascosta dietro il tronco, scorse la famigliare sagoma di Catherine Montague.
Fece un passo nella sua direzione, sorridendo, quando si accorse che la ragazza non era sola, bensì si trovava stretta tra le braccia di Alec Nott, che le aveva posato le mani sui fianchi magri e le stava sussurrando qualcosa all’orecchio. Cathy ridacchiò, in un suono cristallino, e Alice seppe all’istante di essere di troppo. Ripercorse in fretta i suoi passi, leggermente imbarazzata, e attenta a non far rumore –cosa che, stranamente, le riuscì anche bene.
Si avviò quindi nella direzione opposta, diretta verso il lago Nero, ma riuscì a coprire appena una decina di metri prima di scorgere un’altra coppia ancora, intenta a sbaciucchiarsi come se non vi fosse un domani. Sbuffando, girò simultaneamente i tacchi e prese una via laterale, che conduceva dritto di filato verso la capanna di Hagrid. Camminò giù per la dolce scoscesa della piccola collinetta erbosa, e si fermò proprio vicino ad alcuni pini. Facendo attenzione alla macchinetta, si sedette con cautela a gambe incrociate sotto di essi.
Avvicinò l’aggeggio agli occhi, sorridendo tra sé e sé, e mise a fuoco un punto nell’erba poco lontano: piggiò qualche tasto alla rinfusa, finché non beccò quello giusto e la macchinetta emise un debole ‘crac’, prima che dalla fessura posteriore fuoriuscisse la fotografia. Alice se la rigirò fra le mani, osservando una formica muoversi a piccoli passi sulla carta, e quasi ne rimase incantata.
Si riscosse solo quando, in lontananza, udì il rumore di passi strascicati. Alzò il volto e le gote le si colorarono: Christopher Canon stava giungendo nella sua direzione, con aria stanca, quasi di malavoglia. Presa da un’euforia improvvisa, con la pelle d’oca e le guancie più infuocate che mai, gattonò impacciata sull’erba e si nascose dietro il tronco, il cuore che le batteva all’impazzata.
Lo osservò, di nascosto, mentre si lasciava cadere sull’erba a pochi metri da lei.
Chris tirò fuori un libro dall’aria pesante dalla sua tracolla, se lo posizionò in alto sulle ginocchia e prese a leggere con attenzione. La mente di Alice parve andarsene a zonzo: con il respiro corto, iniziò a vagare su strane nuvole di cioccolata, riconnettendosi solamente per riflettere su quanto fossero belli i riflessi dorati dei suoi capelli, o quelli smeraldo dei suoi occhi lucenti. Si incantò nel tentativo d’esaminare tutte le pieghe che aveva assunto la sua camicia prima di afferrare la macchinetta con un gesto automatico, quasi inconsciamente,  e scattare un’altra fotografia.
Al sonoro ‘crac’ che la susseguì Chris alzò pigramente lo sguardo, sbirciando intorno a sé, e Alice trattenne il fiato –come se ne avesse ancora, oltretutto- prima che lui tornasse scuotendo la testa alla sua lettura.
Scrutò per un secondo la foto, poi se la infilò alla svela nella tasca del mantello e, piano, si allontanò in un disperato tentativo di non emettere alcun suono.
Tornò al castello quasi intontita, come le succedeva ogni volta che incontrava quel ragazzo, ma con un vago sorriso da ebete stampato sulle labbra rosee; sorriso che sarebbe sparito in un battibaleno se solo avesse saputo che, svoltando in un anonimo corridoio del secondo piano, la fotografia, quella fotografia, le era scivolata dal mantello.
E che, inevitabilmente –trattandosi di Alice Paciock, curiosamente perseguitata dalla sfortuna, insomma-, era finita nelle mani sbagliate.
 
 



Note.
LO SO CHE MI ODIATE.
LO SO. Siete liberissimi di tirarmi adosso pomodori\carote\ortaggi di ogni genere quanto volete: ME LI MERITO.
Però a mia discolpa posso dire che vi amo tutti! Eh? Mi avete perdonata? Nemmeno con gli occhi da cucciolo?
Okay, d’accordo, mi scuso enormemente per il clamoroso ritardo – ma ehy, in compenso ecco qua un capitolo ultra chilometrico. Jamesoso come vi avevo promesso. E anche denso di avvenimenti, gnaaw. Vorrei sapere cosa ne pensate a questo punto di tutta la situazione: dal prossimo capitolo le cose cominceranno a farsi mooolto più complicate!
E divertenti per me, uhu. Ora me ne vado, so di avervi rotto già abbastanza i boccini, so- aloha.
 Grazie per essere arrivati fin qui, per sopportarmi sempre, per leggere questa roba mostruosa che posto (in ritardo) e lasciarmi delle recensioni stupende! Vi voglio bene, ragazzi, davvero.
A presto (lo giuro!)
 Martina, che vi adora. <33

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Capitolo 9
*** Chasing cars ***


{D'accordo, gente, oggi metto le note prima perché mi sembra dovuto. Non ho più scuse per la mia lunga assenza e lo so; posso solo dirvi che, in questi mesi, ne ho passate veramente delle belle. Lo so che non posso giustificarmi, ma vi chiedo solo di capirmi, con la promessa che cercherò, ve lo giuro, di essere più puntuale. Ve lo devo, perché le vostre recensioni sono bellissime e voi siete bellissimi. 
E' stato un parto, questo capitolo, perché nonostante avessi trentamila idee che mi frullavano per la testa, non riuscivo a decidermi su come strutturarlo. Dove c'è l'asterisco, andate a fine capitolo dove ho inserito delle note aggiuntive di significato. Okay, il resto delle cose che devo dirvi, ve le dirò lì sotto! 
Enjoy. <3}
 
8.
Chasing Cars
If I lay here, if I just lay here
would you lie with me
and just forget the world?
Snow Patrol, Chasing Cars
 
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Sfortuna.
Alice Paciock era tra quei pochi individui che potevano affermare di conoscere il concetto piuttosto bene, e di averlo provato più e più volte (sì, insomma, praticamente un giorno sì e l’altro pure) sulla propria pelle, al punto tale di essere ormai dei veri e propri esperti in genere. 
Lei credeva esistessero diversi tipi di sfortuna, che classificava con un metodo tutto suo, valutando la quantità e, soprattutto, la qualità delle varie disgrazie che erano capitate a lei e ai suoi conoscenti.
Esisteva la cosiddetta ‘sfiga passeggera’: quella che colpiva per un determinato periodo di tempo, variabile da pochi giorni a diverse, estenuanti settimane, e che proprio in quel lasso si scatenava sul povero soggetto a mo’ di bomba atomica.
Poi c’era la ‘sfiga da principianti’: si manifestava in piccole cadute o lievi incidenti da lattanti, portando a conseguenze più o meno drastiche a seconda dell’umore dello sfigato in questione che subiva la disgrazia.
La ‘sfiga occasionale’: Alice la classificava sotto il più comune nome di ‘sfortuna dei fortunati’; era quella sfiga così poco presente da sembrare inesistente, che caratterizzava quei pochi graziati eletti da Merlino che sembravano avere una vita perfetta e che, massimo una volta o due, avevano fatto i conti con episodi sfortunati.
E, infine, la ‘sfiga catastrofica’: il più temibile tipo di sfiga; era quella che perseguitava il soggetto nel corso degli anni senza mai allontanarsi, al punto di far arrivare il suddetto all’esasperazione o, più spesso, alla crisi di nervi seguita da omicidio\suicidio assolutamente intenzionale. 
Inutile dire quale fosse la categoria nella quale Alice classificava se stessa.
 
 
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Quel pomeriggio l’aula del professor Turner brulicava di studenti affannati e insoddisfatti: la ‘Pozione più complicata dell’anno!’ –così l’aveva chiamata Turner, quando gliel’aveva assegnata quaranta minuti prima come esercitazioni per gli “imminenti” G.U.F.O.- stava causando non poche crisi di nervi ed esplosioni tra un banco e l’altro.
L’aria pungeva al naso di un odore acre, disgustoso, mentre nella maggior parte dei calderoni quello che doveva essere del liquido rosa chiaro, risultava invece come una densa poltiglia viola scuro o, nel peggiore dei casi, verde oliva.
Turner si aggirava per la classe come un fantasma, ripresentandosi a cadenza regolare davanti il banco di Rose con aria speranzosa; la ragazza però, al fianco di Alice, le gote rosse e i capelli ancora più arruffati del solito, aveva la fronte aggrottata nel tentativo di capire cosa fosse andato storto nella sua pozione e perché diavolo stesse fumando in un modo decisamente inquietante.
Due banchi dietro di loro, perfino Scorpius Malfoy si trovava visibilmente in difficoltà e, un dito a tenere il segno nel libro, spostava insistentemente lo sguardo irrequieto da quello al suo calderone, lanciando di tanto in tanto nervose occhiatine al professore.
Alice d’altronde non era da meno: la sua pozione somigliava più che altro ad una massa informe di fango scuro, puzzolente e acida; fortuna che non era un test, altrimenti era certa che una ‘T’ non sarebbe bastata a descrivere l’orrore che era quella cosa. Così, in attesa dello scadere del tempo, aggiungeva ingredienti a caso tentando inutilmente di raggiungere almeno un risultato passabile, cercando di ignorare il fatto che, probabilmente, di questo passo avrebbe fatto esplodere l’aula o qualcosa del genere.
« Forse non dovresti darti così da fare per tentare di ucciderci tutti » osservò Jo che, dal canto suo, si stava tranquillamente limando le unghie smaltate con uno degli attrezzi del kit di Pozioni, mentre il suo compito, ormai abbandonato da tempo, emetteva strani getti di vapore scuro. « Non vuoi cercare di uscirne illesa almeno oggi? Il giorno del tuo compleanno? »
Alice ridacchiò e Rose, il sudore ad imperlarle la fronte,  lanciò ad entrambe un’occhiata disperata: « Ma come fate ad essere così calme? »
« Forse vorrai dire come faccio » la corresse subito Jo « Alice sta per avere un infarto dalla fifa di prendere una D, sento battere il suo cuoricino fin da qui… » si accostò al petto dell’amica con aria concentrata: « tu-tu, tu-tu, tu-tu, tu-tu, tu- »
« Signorina Mitchell, posso gentilmente chiederle cosa diavolo sta facendo? »
Jo si radrizzò immediatamente sulla sua sedia sotto lo sguardo inquisitore di Turner, tentando un sorriso innocente, mentre Rose si sbellicava silenziosamente dalle risate.
« Niente, signore! Assolutamente nulla, anzi…sa, oggi la trovo particolarmente bene! Cos’ha fatto? Nuovo taglio di capelli, eh? »
Turner assottigliò gli occhi. « Molto divertente, davvero. Vedremo quanto lo sarà quando riceverai i risultati dei tuoi GUFO, la prossima estate » soffiò, un ghigno terribile dipinto sul volto.
Jo strinse i pugni e fissò Turner allontanarsi con aria truce, e Alice seppe all’istante che, se mai si fosse parlato di sguardi che incenerivano, allora si avrebbe fatto riferimento a quello di Josephine Mitchell in quell’esatto momento.
« Quel…quel… »
La giovane Paciock le posò delicatamente una mano sulla spalla: « Lascia perdere, dai… »
« Quel lurido… »
« Jo! » protestò Rose scandalizzata.
«… stronzo ».     
« L’esercitazione termina qui, ragazzi » proruppe il suddetto in quel momento, fermandosi al centro dell’aula e gettando una rapida occhiata all’orologio attaccato al muro –coprendo, con la voce rauca, l’esclamazione sbalordita di Rose e la successiva risposta decisamente poco carina di Jo. Il pendolo segnava le tre e cinquanta. « Mettete un po’ della vostra pozione in una fiala e consegnatemela prima di andarvene ».
Dall’aula si levò un sommesso coro di malcontento, ma il professore fece categoricamente finta di nulla sfoderando uno dei suoi ghigni più malefici.
Alice versò, riluttante, una quantità minima di quella robaccia dentro la sua fialetta, pregando Merlino e Morgana che non la corrodesse o, peggio, la facesse esplodere, a causa di chissà quale dei tanti errori che aveva commesso durante la preparazione: quindi lasciò il suo compito alla cattedra e, all’occhiata orripilata di Turner, si volatilizzò in un lampo fuori dall’aula.
Aveva sempre creduto che una delle sue più grandi fortune fosse che, essendo ad Hogwarts –e quindi a miglia e miglia di distanza da casa sua- per sua madre sarebbe stato impossibile venire a conoscenza di ogni singolo voto che prendeva (e lei si guardava bene dal comunicarglieli tutti per lettera).
Certo, per forza di cose tutti i genitori venivano informati almeno del rendimento finale di ogni studente, dopo gli esami: ma di quello non si era mai dovuta preoccupare granché, perché solitamente riusciva sempre, bene o male, a cavarsela con una ‘O’ e qualche ‘D’.
La spaventava, però, il fatto che quell’anno il testo di Pozioni le paresse sempre di più un libriccino oscuro e misterioso, e che tutte quelle ricette che fino all’anno prima aveva trovato, seppur molto difficoltose, abbastanza interessanti, adesso la disgustavano e proprio non riusciva a trarne nulla di buono.
Non che fosse mai stata una cima in Pozioni, Alice, come d’altronde in nessun’altra materia –eccezion fatta, forse, per Cura ed Erbologia-; però ricordava che non aveva mai avuto così tante difficoltà a tirare avanti nello studio, ed erano solamente a metà settembre.
Settembre, Merlino santo.
« Ehy, Pancok!* Come ti è andata? »
Guen le si fece incontro, fresca come una giornata estiva, uscendo dai Sotterranei con un’aria decisamente troppo frizzante data la situazione.
Alice sospettava che il motivo fosse ancora la sua festa di compleanno, e che la ragazza avesse in mente qualche altra sorpresa in serbo per lei –e la cosa, detto sinceramente, la terrorizzava un tantino. Quella mattina lei e Liz l’avevano svegliata con una secchiata d’acqua in faccia alle sei del mattino, tirato le orecchie, riempito le braccia di pizzicotti e tentato di farle ingurgitare un’enorme tavoletta di cioccolata grossa quanto un gatto; avevano poi giustificato le loro azioni affermando che, per anni, quelle erano state vecchie tradizioni delle Grifondoro per le feste e che lei, Alice, doveva essere pazza per non conoscerle.
Liz aveva continuato a ridacchiare per tutta la mattinata, accennando qua e là alle parole 'regalo’, ‘festa’ e ‘Burrobirra’, mentre Guen aveva fatto fuoco e fiamme pur di impedirle di tornare in Dormitorio dopo pranzo. E Alice non aveva avuto modo di impedire alla sua più che fondata paura di trafelare dal suo sguardo, ogni qual volta che una delle due amiche le si avvicinava con quell’aria così… complice.
« Non molto bene » ammise, una timida alzata di spalle.
« Nemmeno a me – confessò Guen – ma credo di poter arrivare ad uno Scadente. Sai, mia nonna dice che ho una certa affinità per Pozioni! »
« Oh…beata te » commentò Alice sinceramente.
« Ma dai, sono sicura che anche tu…oh, Jo! Jo, com’è andata? »
Jo, che era appena emersa dalla classe, le rivolse un’occhiata omicida, aumentò il passo e, furente, le superò a grandi falcate, risalendo il corridoio.
« Bè, immagino che se la sia cavata a meraviglia – Guen roteò gli occhi al cielo. – Comunque io volevo solo avvertirti che stasera ci incontriamo tutte in Sala Comune dopo cena, d’accordo? Per…fare una cosa, ehm, sì – le fece l’occhiolino – e chiama chi vuoi, ovviamente! La fes…cioè, la cosa è in tuo onore. »
Alice arrossì parecchio sulle guance, e le rivolse un mezzo sorriso: « Non ce n’era bisogno, Gee, dico sul serio… »
« Poche storie – la interruppe. – a stasera, Pancok! » sorrise.
Alice la guardò allontanarsi riflettendo intensamente su quella che sarebbe stata la serata, mentre dall’aula, finalmente, usciva una Rose decisamente preoccupata, seguita da Scorpius Malfoy e la sua solita espressione indecifrabile che la incuriosiva tanto.
Mentre si facevano strada verso le Serre, Alice disse a Rose di quella sera, e la ragazza, dapprima esitante, accettò poi di buon grado, constatando che non avrebbe potuto perdersi la sua festa per nulla al mondo. Alice invece credeva che il suo compleanno non valeva la pena di una punizione, che sarebbe toccata a Rose se questa si fosse fatta beccare a tornare nel suo dormitorio a ora tarda; ma d’altronde, quando Rose si metteva in testa una cosa era davvero difficile poi farla desistere.
Lei e Jo erano state le prime a farle gli auguri la sera prima, dopo mezzanotte. Jo era rimasta sveglia con lei, giocando a Sparaschiocco in dormitorio, e appena arrivata l’ora le era saltata addosso felice, per poi piazzarle sotto il naso il suo regalo (facendole giurare e spergiurare che non lo avrebbe aperto fino alla sera dopo). Rose invece le aveva inviato una piccola lettera incantata, che era schizzata nella loro stanza dalla finestra aperta della Torre e le aveva cantato tanti auguri in un motivetto allegro, spruzzando coriandoli profumati dalle quattro estremità della carta.
Alice, sebbene non amasse le feste di compleanno (o forse era più corretto dire che non amasse le sue, di feste di compleanno), aveva adorate entrambe le amiche entrambe senza limiti, ancora più del solito.
Forse fu il pensiero delle due a spingerla ad essere un po’ più entusiasta per quella sera e per ciò che, evidentemente, Guen e Liz avevano organizzato apposta per lei: una cosa che in fin dei conti le riempiva il cuore di gioia, perché erano rare le volte in cui sentiva di contare davvero qualcosa per qualcuno.
 
Nella Serra numero Tre l’aria era umida e appiccicaticcia, in netto contrasto con quella fresca, pungente e limpida dell’esterno.
I vetri appannati erano freddi al tatto, e nell’aria aleggiava l’odore acre dei fiori appena sbocciati misto a quello più mite delle foglie bagnate; sulle due grandi tavolate, posizionate al centro, vi erano lunghe file di vasi contenenti piante dalle forme più bizzarre e dai colori più sgargianti.
Alice adorava le Serre.
Adorava Erbologia e, tutto sommato, adorava anche la professoressa Sprite, una donnona sempre allegra e di buon cuore.
E quell’ora di lezione sarebbe stata perfetta che non avesse dovuto condividerla con i Serpeverde e quindi, inevitabilmente venire a contatto con…
« Paciock » sghignazzò Trevor Flitt, per una volta solo e non seguito dal suo cane-da-guardia-Warrington. La classe, in assenza della professoressa, era ancora semivuota, e Alice sapeva bene quanto Flitt ce l’avesse con lei per l’episodio avvenuto sul treno; la presenza del ragazzo continuava quindi ad incuterle una certa ansia, soprattutto quando, come in quel caso, si trovava in un luogo abbastanza isolato. E, sì, era affiancata da Rose, ma loro due insieme non erano esattamente una gran coppia in quel tipo specifico di situazioni potenzialmente pericolose. « Ci si rivede, eh? »
Ma va, avrebbe voluto rispondergli lei, visto che frequentiamo solo metà delle lezioni assieme. 
Forse per la prima volta nella sua vita, rimpianse che non fosse presente James Potter. Anche se una parte di lei, dopo la discussione di due giorni prima, avrebbe preferito di gran lunga non doverlo rivedere mai più.
« E smamma, Flitt » Jo era sbucata alle loro spalle all’improvviso.
La discussione.
James.
Alice aveva perso il conto delle volte in cui si era imposta di non pensare a quel pazzoide e poi, inevitabilmente, i suoi pensieri avevano finito per incentrarsi totalmente e unicamente su di lui. Anche nelle situazioni in cui sarebbe dovuta rimanere concentrata.
« Non parlavo con te, Mitchell » ribatté il ragazzo, scoccando la mandibola ossuta.
E quello, per esempio, era decisamente il momento di rimanere concentrata.
Jo assottigliò lo sguardo e fece per ribattere, ma Alice, riscuotendosi e prevedendo la catastrofe imminente, la precedette:
« Ciao, Flitt » si sforzò di sembrare cordiale. « Ti serve qualcosa? »
« Nulla, in realtà – cominciò lui, l’aria perfidamente divertita – ma sai, passavo di qui e mi stavo chiedendo se… » si bloccò, sgranando leggermente gli occhi fissando un punto alle loro spalle. Alice gettò un’occhiata indietro, verso il parco, ma non vide nessuno.
Un’ombra scura attraversò il volto pallido del Serpeverde, che tremò impercettibilmente; poi, tutt’a un tratto, distolse lo sguardo e scosse la testa con forza, portandosi una mano sulla fronte e, aggirate loro tre, uscì velocemente dalla Serra senza più degnarle di uno sguardo.
« Ma che diavolo… » esalò Jo, mente Alice fissava basita la schiena di Flitt correre attraverso il prato in direzione del castello.
E poi dicevano che era lei, quella strana, pensò, mentre la professoressa Sprite faceva il suo ingresso e, anche gli ultimi arrivati, si accomodavano a posto, ognuno davanti ad un vaso.
Mentre la donna spiegava, Alice continuò a gettare l’occhio nel posto che, di, norma, sarebbe dovuto essere stato occupato da Trevor.
 
*** 
 
« Non azzardarti a sbirciare, o giuro su Merlino che ti affatturo. »
Qualcuno ridacchiò, mentre Alice roteava gli occhi al cielo ringraziando che, dietro quella benda che le avevano legato attorno alla testa, nessuno avrebbe notato nulla.
La mano di Liz intrecciò la sua e la trascinò in avanti, di getto, facendole quasi perdere l’equilibrio.
« Ops – sbuffò quella – colpa mia. »
Alice mosse un passo dopo l’altro completamente alla cieca, affidando tutta se stessa alla presa dell’amica e riflettendo sul fatto che, con un equilibrio precario come il suo, forse quella della benda non era stata la più brillante delle idee.
« Ci siamo quasi » la informò un’altra voce, quella di Jo.
« Pronta… »
Le gambe le tremavano.
« Ancora qualche passo… »
Pregò di non cadere. Non quel giorno, diamine: un po' si fortuna qualche volte doveva pur toccare anche a lei...
« Uno…due… »
Una porta cigolò lentamente e Alice sentì un’improvvisa folata di profumo di cocco invaderle le narici, e sorrise automaticamente.
« …Tre! »
Jo le slacciò la benda in un gesto fluido e questa cadde ai suoi piedi mentre Alice sbatteva piano gli occhi, abituandoli alla luce delle lampade, ed ammirava lo spettacolo che le si presentava davanti.
Il dormitorio femminile di Grifondoro non era mai stato così bello: appesi al muso vi erano grossi festoni colorati dove apparivano, in sequenza, scintillanti lettere azzurrine che formavano la scritta ‘Buon Compleanno Alice’.
Il pavimento era cosparso di brillantini (sospettava che Jo ne fosse la causa), e sui letti a baldacchino erano sparse scatole su scatole di Cioccorane, Penne allo Zucchero, Zuccoti di Zucca e grandi vassoi di dolcetti al cocco, alla cui vista, gli occhi della ragazza si illuminarono isantaneamente.
Sedute intorno a lei, sopra soffici tappeti di lana, c’erano Guen, Annie, Liz, Rose, Jo e persino Cathy.
Alice non poteva credere che tutto quello fosse veramente solo per lei.
« Sorpresa! » esclamò Rose.
« Merlino » esalò in un sussurro, la mani sulla bocca e l’aria meravigliata, « è fantastico. »
« Ti piace, vero? Ve l’avevo detto che le sarebbe piaciuto! Ah, e tu che dicevi che odiavi i compleanni, ‘Lice… » Guen le fece nuovamente l’occhiolino.
« No, sul serio, non dovevate, io… »
« Sta’ zitta. Questo – Jo allargò le braccia, indicando
 ciò che aveva intorno – te lo meriti tutto. »
Rose le sorrise gioiosa e, mentre Alice si faceva avanti verso di loro, pronta a ringraziarle di cuore, Cathy sbuffò sonoramente. « Sì, sì, va bene, però ora non metterti a piangere, che se no lo faccio anche io e questa stanza diventa una valle di lacrime. »
Alice scoppiò a ridere, seguita dalle altre, e l’abbracciò forte, mentre la bionda infilava la mano nella tasca del mantello e tirava fuori una piccola scatolina di cartone. « Questo è per te. Tanti auguri, ‘Lice. »
Lei lo prese tra le mani con tanto d’occhi. « Che cos’è? »
« Aprilo » la incoraggiò Cathy.
Alice obbedì: al suo interno scoprì un piccolo oggetto di bronzo, simile ad un orologio da taschino ma più squadrato, e senza quadrante. Inclinò la testa e sollevò, curiosa, il piccolo coperchio che vi era sopra, scoprendo una specie di piccola palla di vetro. Al suo interno fluttuava una sostanza strana -Alice non era sicura che l’avrebbe definita fumo, ma del fumo aveva la consistenza. Il suo colore variava dal viola scuro al porpora, con vaghi richiami al rosa pallido e alcune sfumature di un verde brillante, e si muoveva vorticando in strane acrobazie: pensò che fosse un vero spettacolo da guardare.
« Cos’è? » ripeté, ammirata.
Cathy sorrise mesta. « Li chiamano Dendroidi. Sono dei sensori magici che captano le vibrazioni dell’aria che emette un corpo, a seconda del suo stato d’animo. Sono delle specie di…rilevatori di emozioni. »
Alice continuò ad osservare lo strano oggetto con aria rapita. « Wow » mugugnò.
Cathy si chinò sulla scatola e ne estrasse un piccolo pezzo di pergamena. « Ecco » disse « qui c’è la legenda dei colori. In pratica dovrebbe cambiare colore a seconda dell’umore… »
Fece una strana smorfia pensierosa. Poi, all’improvviso, scattò in avanti e lo posò sulla schiena di Jo che, impegnata in una fitta conversazione con Liz riguardo la lunghezza della gonna della divisa, non se ne accorse nemmeno.
Quello strano fumo dentro la pallina di vetro mutò da viola in viola chiaro e poi ancora in un giallo intenso. Cathy consultò sbrigativa la pergamena che teneva sulle ginocchia, poi alzò lo sguardo su di lei e proclamò, con un sorriso: « Per esempio, Jo adesso è euforica. Giallo vuol dire euforico ».
« Che novità » ridacchiò Alice. « Posso provare? » chiese, non vedendo l’ora ti tenere di nuovo tra le mani il Denroide.
« Certo, è tuo ora ».
Alice lo afferrò e lo strinse stretto nel suo pugno. E, come aveva sperato, il fumo mutò nuovamente, stavolta in azzurro cielo. Cathy sorrise radiosa: « Azzurro è felice » disse.
Alice rifletté che sì, in quel momento si sentiva decisamente felice. La abbracciò di nuovo.
Il resto della serata proseguì, se possibile, ancora meglio: Jo, Guen e Liz le consegnarono i loro rispettivi regali, che consistevano tutti in quantità industriali di dolci di Mielandia, mentre Rose le aveva regalato un libro sulle proprietà magiche dei fiori che Alice aveva stretto a sé come un piccolo tesoro, e aveva simultaneamente riposto sotto il cuscino.
Persino Anne le aveva regalato qualcosa e Alice ne rimase piacevolmente sorpresa: una scacchiera magica.
E mentre Guen, Jo e le altre si divertivano a collaudarla con una vera e propria guerra all’ultima pedina, ben due gufi planarono nel loro dormitorio.
Il primo era di Hannah: Alice lo aveva aperto con molta cautela. Conteneva una breve lettera d’auguri e, allegato, un pacchetto di un rosso splendente, che si rivelò essere l’ennesima Ricordella.
Sua madre gliene regalava una quasi tutti gli anni visto che, imbranata com’era, puntualmente lei non faceva che perdersela.
Con l’altro gufo invece ricevette la lettera di suo padre: anche lui le rivolgeva cari auguri e, appuntato in fondo alla pergamena tutta bagnata (Alice sospettò che Neville vi avesse pianto sopra per la commozione, come capitava ogni volta), vi era l’ordine di recarsi il venerdì mattina alla Guferia alle sette in punto, per una sopresa.
L’ennesima.
Alice non ne aveva capito il motivo, ma aveva preferito non farsi domande.
Verso le undici, dopo un’abbondante scorpacciata di cibo e di risate, gli occhi semichiusi dal sonno, accompagnò Rose giù in Sala Comune.
« Come farai, adesso? » chiese preoccupata, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio. « L’ultima cosa che voglio è che tu prenda una punizione a causa mia… »
Rose, anche lei mezza addormentata, le scompigliò i capelli benevola: « Non preoccuparti, ‘Lice, mi sono organizzata. »
Alice aggrottò la fronte, e fece appena in tempo a chiedersi cosa mai l’amica avesse in mente, che da una rampa di scale sulla sinistra sbucò la figura di James.
Alice indietreggiò istintivamente di un passo: e ti pareva, che non lo doveva incontrare per forza.
Il ragazzo non ci fece caso e, una mano dietro la schiena, rivolse ad entrambe un sorriso sghembo: « Siete così cotte, già a quest’ora? Si vede proprio che siete del quinto anno… »
« Perché, voi del sesto non dormite mai? Non ci credo » Rose, socchiudendo gli occhi, gli diede un buffetto sulla spalla. « Dov’è il mantello? »
James sogghignò. Mosse il braccio sinistro in avanti, mostrando ciò che teneva nascosto: un lungo mantello color viola scuro, di un tessuto strano, a cui Alice non seppe dare un nome così come era avvenuto per lo strano fumo del Dendroide.
Continuava, però, a non capire, e guardava insistentemente prima lui e poi Rose in cerca di una spiegazione.
« Ecco a te. Mi raccomando, assicurati che siano coperti i piedi, non andare a sbattere a nessuno  -altrimenti è inutile essere invisibile- e soprattutto non devi mai, in nessunissimo caso, per nessunissimo motivo, lasciarlo incustodito. Intesi? »
« Tutto chiaro » affermò Rose. Fece per prenderlo, ma il ragazzo lo tratteneva con evidente riluttanza. « James… » lo richiamò Rose.
Lui sbuffò esasperato e lasciò definitivamente la presa. « Scusa. Ma è una sofferenza, dartelo, e…stacci attenta, okay? »
« Te lo prometto ».
« E ricorda che… »
« Me lo ricorderò ».
« Ma se dovessi… »
« James. Buonanotte. Ciao, ‘Lice, a domani ».
La rossa fece un piccolo cenno, dopodiché, con il mantello stresso tra le mani, sparì oltre il buco del ritratto.
Rimasta sola con il ragazzo, Alice si grattò la testa, confusa. « Non ho capito » ammise. Con gli occhi semichiusi e la bocca spalancata, doveva avere un’aria decisamente stupida.
James rise sommessamente e le passò un braccio attorno alle spalle, gesto che la fece sobbalzare all’istante: « Un giorno capirai, piccola ‘Lice, ma non oggi. Non oggi » proclamò, in tono solenne.
La giovane Paciock sbuffò e lo spinse via. Non si era nemmeno accorta di essere arrivata al divanetto davanti il camino, quando ci si abbandonò sopra. Voltò lo sguardo su James: ogni traccia di divertimento sparita dal suo volto ribelle.
Forse anche lui, come Alice, stava pensando a tutto ciò che si erano detti due giorni prima. Lei era riuscita a non pensarci per un’intera giornata, o quasi, ma adesso le sembrava che ogni parola, ogni singola parola detta, riecheggiasse nell’aria intorno a loro come un’eco lontano.
Distolse lo sguardo a fatica, e si portò le mani sul viso, improvvisamente ancora più stanca di prima, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Rimase in quella posizione per quelle che le parvero ore, ma forse erano stati solo pochi minuti.
Si riscosse solo quando una mano, la mano di James, le piazzò sotto il naso una cosa che la fece sussultare di sorpresa.
E spavento. Perché quella era una cosa che lui non avrebbe mai dovuto avere. E non aveva senso che fosse lì, nella sua presa, perché lei era più che sicura di averla nascosta nel…
Oh, no.
Oh, no, no, no.
Spalancò la bocca e fissò la fotografia di Chris Canon, che lei stessa aveva scattato, mentre lo stomaco le si contorceva e le guance le si tingevano di imbarazzo.
Il caso, oh, il caso doveva per forza avercela con lei. Si domandò cosa diavolo avesse potuto fare di così orribile in una delle sue vite precedenti, per dover passare questo adesso.
Non era possibile. Non era decisamente possibile.
« I-io…tu…come…. » farfugliò, completamente presa alla sprovvista.
« Sai – cominciò James, in piedi di fronte a lei. Una parte del suo volto era immersa nell’oscurità e Alice pensò, senza una ragione precisa, che avrebbe tanto voluto toccare quella parte buia –se non l’avessi vista cadere proprio dalla tua tasca, probabilmente non avrei mai creduto che appartenesse a te. »
Alice boccheggiò, incapace di formulare qualsiasi tipo di frase concreta, mentre il rossore sul suo viso aumentava a dismisura.
« E così Canon, eh? » James emise una risata priva di allegria. « Andiamo, è un’idiota quello ».
« Ridammela » Alice fu quasi sorpresa di sentire quelle parole uscire dalla sua bocca, in tono fermo, composto.
« Quanta fretta » protestò il ragazzo, « e se non volessi farlo? »
« Non ne avresti motivo » ribatté lei.
Il ragazzo esitò per un lungo istante. « Invece sì » disse infine in tono tetro. « Avevi detto… » si bloccò, di nuovo titubante. Alice era più che sicura di non averlo mai visto così, ma d’altronde, le volte in cui James Potter era stato serio in vita sua si potevano contare sulla dita di una mano. « Avevi detto che non avrei potuto obbligarti ad aiutarmi ».
La giovane Paciock impiegò trenta secondi buoni per afferrare il significato di quell’ultima frase. Rabbrividì. Questo non era da James. Questo era…aveva tutta l’aria di essere uno sporco, sporchissimo ricatto.
James conosceva bene Christopher. Alice lo sapeva perché l’anno prima li aveva visti spesso insieme: lui aveva fatto parte per lungo tempo della cricca di amici che James e Fred si scorrazzavano dietro ovunque.
James conosceva Christopher, e ora conosceva anche il piccolo segreto di Alice.
« Non…non lo faresti. Non è da te » ripeté, come a cercare di auto confermare i suoi pensieri. Fissò il ragazzo e fu certa di vederlo mordersi le labbra, in difficoltà.
Era più che sicura che una cosa del genere andasse contro all’incirca tutti i principi morali di un Grifondoro ma, soprattutto, di un Potter. E James era solamente stupido.
Non era cattivo.
« Non ho scelta » esalò, alla fine.
O forse sì?
Alice si alzò di scatto. Il sonno era ormai un ricordo lontano: ora, a farle da compagna c’era solo l’angoscia e poi rabbia, tanta, troppa rabbia.
Lo fronteggiò. Lui la superava in altezza di parecchi centimetri, ma l’occhiata di fuoco che gli stava lanciando avrebbe attenuato qualsiasi vantaggio fisico; riuscì a sentire il respiro caldo di lui solleticarle la pelle del collo.
« Ti odio » sibilò.
Fu quasi certa di averlo visto indietreggiare. La guardò sconvolto.
Alice fece dietrofront, e si diresse a passo svelto, quasi correndo, verso il suo dormitorio.
« Paciock! Paciock, diamine, aspetta! »
Non si voltò.
 

 
Note, Note, Note!
Pancok= è un gioco di parole inglese, che gira sul significato del cognome di Alice, che è reso in italiano come Paciock, e sul sostantivo 'Pancake'. 
Avrete notato che ognuno dei nostri personaggi ha un modo tutto suo per chiamare Alice: Allie, Gusta, Pancok, 'Lice...poverina :D
Ah, e non temete: vedremo il ritorno inesorabile di James tutto-ghigni-e-niente-arrosto Potter! Già dal prossimo capitolo, che ho già stilato su pc e che dovrei (DOVREI) riuscire a postare puntuale, per una volta. ( E qui ne approfitto per scusarmi di nuovo aha)
Perfetto, le note finiscono qui. Spero davvero che vi sia piaciuto e a prestissimo!

p.s.: Non ho dimenticato la mia promessa di postare un mio disegno di Alice, solo che non ho avuto tempo stavolta e invece che aspettare ho preferito pubblicare il capitolo. Lo farò, prima o poi: intanto vi dico che...Hannah Murray, ma quanto è Alice? Quanto? ç___ç immaginatevela castana e ditemi se non è Alice Pancok. Aw!

 

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Capitolo 10
*** Jar of hearts ***


 9.
Jar of hearts
 
 
"Who do you think you are? Runnin' 'round 
leaving scars
collecting a jar of hearts."

Jar of Hearts - Christina Perri
 
 
 
Quando Alice si svegliò, il venerdì mattina, si rese subito conto di non aver riposato abbastanza. Pesanti occhiaie ingiallite le contornavano gli occhi, e sentiva tutti i muscoli tesi e indolenziti, come se quella notte l’avesse passata a lottare contro un drago invece che a letto a cercare di prender sonno.
Una volta la sua bisnonna le aveva detto che, prima di dormire, più si pensava al sonno stesso, e meno probabilità c’erano di addormentarsi. Alice, nell’arco della sua vita, aveva poi attestato due cose: la prima, che nonna Augusta aveva sempre, sempre ragione; e la seconda che, nonostante si sforzasse con tutte le sue forze di non pensare a nulla quando si trovava a letto, finiva sempre per immaginarsi le cose più impressionanti. Era sicura che non vi fosse altro momento della giornata in cui il suo cervello lavorava così attivamente come quando cercava di addormentarsi.
Restò distesa sul materasso morbido per parecchi minuti, lo sguardo incollato al soffitto sopra di lei, per poi sbuffare sonoramente e decidersi ad alzarsi. Con tutta quella stanchezza addosso perfino mettersi i calzini diventava un’impresa ardua, e le servirono ben tre tentativi per infilare i mocassini neri nel modo giusto. Alla fine, con un po’ di buona volontà, riuscì nella magnifica impresa: attenta a non fare troppo rumore, uscì silenziosamente dal Dormitorio, gettando un’occhiata al letto delle altre per controllare di non aver svegliato nessuno.
L’orologio a pendolo della Sala Comune segnava le sei e quarantacinque minuti: Alice credeva di non essere mai scesa tanto presto a fare colazione da quando era ad Hogwarts –la puntualità, d’altronde, non era mai stata il suo forte. La sua quotidianità consisteva nell’essere sempre in ritardo per tutto, dimenticarsi le cose e inciampare sui suoi stessi piedi praticamente ovunque.
Quella iniziava perciò come una giornata relativamente non ordinaria, il che, pensò Alice francamente, non prometteva nulla di buono.
E le stranezze difatti non finirono lì: a metà strada per la Sala Grande si ricordò (proprio lei, che si ricordava qualcosa, lei, lei da sola!) di dover recarsi alla Guferia, come le era stato detto nella lettera di suo padre. Alice virò quindi in un corridoio sulla destra e prese la rampa di scale che l’avrebbe condotta direttamente all’ultimo piano, più in alto, verso il luogo desiderato. Stringendosi nel mantello della divisa, varcò infine la porticina di legno che conduceva poi alla Guferia vera e propria che, essendo aperta in più punti per permettere l’uscita dei gufi, era gelida come una lastra di ghiaccio. Il pavimento di pietra era brinoso, così come le alte pareti circolari, e l’aria odorava di un misto di escrementi di animali e tabacco. Subito, mille occhi iniziarono a fissarla dall’alto delle loro postazioni: nell’insieme, i colori delle penne di quelli uccelli avevano un certo fascino, anche se –doveva ammettere Alice- i loro occhietti attenti a acquosi le avevano sempre dato i brividi. Restò immobile per un lungo momento, unico sottofondo ai suoi pensieri i versi sommessi delle civette che schioccavano il becco, e attese.
Dopo diversi minuti, proprio quando stava iniziando a chiedersi se non fosse il caso di andarsene e riprovare più tardi, un barbagianni dalle piume grigio-azzurre planò da uno dei buchi del soffitto ad arco ed atterrò con eleganza a pochi metri da lei. Il gufo portava un pesante pacco di cartone, dal cui interno proveniva uno strano rumore metallico e che si stava, senza ombra di dubbio, muovendo da solo.
Alice si avvicinò a passo incerto. Era sicura che quel pacco fosse per lei, visto che il barbagianni era nientemeno che Gool, il gufo prediletto di nonna Augusta.
Alice lo odiava. Ogni volta che si recavano dalla nonna di Neville per Natale, quello non faceva altro che beccarle le dita attraverso le sbarre della sua gabbietta ogni qual volta che lei provava a dargli da mangiare, e oltretutto non aveva mai voluto saperne di spedire le sue lettere.
« Senti, mettiamo in chiaro una cosa » gli si rivolse Alice sibilando, « non mi va di litigare, oggi, okay? Non sono dell’umore, quindi vedi di lasciarmi il pacco e andartene, come… » quello che doveva essere un tono minaccioso si spense in un baleno alla vista dell’occhiata furente che Gool le stava riservando. « Oh… » la Grifondoro si morse nervosamente un labbro, « oh…oh, andiamo! Non possiamo essere amici, io e te? Dai, solo…solamente per questa volta! »
Il gufo aprì le ali e, con aria altezzosa, si rivolse categoricamente dall’altra parte. Alice alzò le spalle e mormorò un “meglio di niente”, prima di fiondarsi a capofitto sul grosso pacco di cartone. Stracciò la carta senza tanti complimenti, dalla quale cadde un piccolo bigliettino di pergamena. Alice se lo rigirò tra le mani, lo aprì:

"Alice cara, bada che non ho scelto questo pensiero perché mi aggradava, bensì perché ti sarà molto utile in più modi, che ora tu non comprendi. Posso dirti che, alla lunga, imparerai ad assumere almeno in parte quel senso di responsabilità necessario a prendersi cura delle proprie cose. Con la speranza che ti sia gradito, e che tu possa trarne beneficio: eccolo a te.
E cerca di tenere gli occhi aperti, tesoro mio, in questi tempi inquieti.
Tanti auguri alla mia piccola donna.

 
Sempre tua,
nonna.

p.s. : morde."


Alice fissò il bigliettino come ipnotizzata, poi lasciò scivolare lo sguardo sul pacco di fronte a lei, la carta stracciata, un lembo del cartone aperto. Si avvicinò quindi ad esso e finì di aprirlo, rivelando una piccola gabbietta di ferro, a forma di cupola, sul quale fondo era adagiata un’enorme palla rossa e pelosa…
Alice fece un salto all’indietro nel momento in cui si accorse che quella cosa respirava. E che aveva due orecchie a punta, un muso e due piccoli occhietti gialli.
Si riavvicinò piano, cautamente, raccogliendo il foglietto che aveva lasciato cadere a terra e riponendolo in tasca. Fece scivolare due dita tra le sbarre della gabbietta e prese ad accarezzare il pelo morbido del gatto, che emise un suono che Alice non riuscì ad identificare. Si chiese se spedire animali via gufo fosse una cosa legale, e le spuntò un sorrisetto divertito sul viso. Questo, prima che il gatto si voltasse di scatto, riemergendo dal sonno con tanta velocità da farla sobbalzare, e le imprigionasse il dito indice tra i denti con forza, soffiandole contro.
« Ahi » Alice lo ritrasse subito e se lo nascose tra le vesti, tenendolo stretto con l’altra mano.
Morde.
« Iniziamo col piede sbagliato, sai? » sbuffò. Dopodiché, rialzandosi, prese la gabbietta con un braccio, lanciò un occhiataccia a Gool che la restituì con ferocia, e tornò trotterellando nei dormitori di Grifondoro per sistemare il suo nuovo animale. Non aveva ancora deciso che nome dargli, e in realtà non aveva nemmeno capito se era maschio o femmina –avrebbe controllato dopo-, ma si era mentalmente appuntata di scrivere una lettera di ringraziamento a nonna Augusta prima di cena. Sempre attenta a non svegliare nessuna delle sue compagne, ripose la gabbietta al lato del letto. Rimase a guardarla per qualche istante, chiedendosi se non avrebbe dovuto lasciare uscire quell’enorme (ma davvero, davvero enorme) palla di pelo, o se non avrebbe dovuto dargli da mangiare, o pulirla, o…be’, qualcosa. E realizzò che non aveva la benché minima idea su come si dovesse tenere un animale domestico. Il massimo che era riuscita a curare in vita sua era un pesciolino rosso di nome Benjamin, morto dopo una settimana che lo aveva, quando gli aveva dato per sbaglio da mangiare un sacchetto di terra umida.
Fissò il gatto con aria terrorizzata per un momento, prima di dirigersi di filato fuori dal dormitorio, con la vaga speranza che, prima che lei fosse tornata, quello scomparisse. E nel tragitto per la Sala Grande si chiese, confusamente, cosa avesse voluto dire sua nonna quando le aveva scritto di tenere gli occhi aperti.
In questi tempi inquieti.
Come in preda ad un riflesso involontario, rabbrividì.
 
 ***
 
Non trovò la Sala Grande totalmente deserta come si aspettava, bensì vi distinse la sagoma di Catherine Montague appollaiata su una delle panche al tavolo di Serpeverde, che quasi le venne un colpo. Esitò sulla soglia, volgendo lo sguardo alle altre tavolate, vuote, e a quella dei professori, ove l’unico posto occupato era quello di Madama Chips, che stava sorseggiando allegramente una tazza di tè.
Si diresse verso Cathy, che le dava le spalle, china sul tavolo di legno con la testa nascosta tra le braccia, e una volta raggiunta le picchiettò un dito sulla schiena. La sentì russare appena.
Riprovò una seconda volta, sussurrando piano il suo nome; quella sobbalzò e si voltò di scatto, biascicando un ‘presente!’, e lasciò cadere la forchetta sul piatto di porridge che aveva davanti.
« Alice » mugugnò, la voce impastata dal sonno. « Che ci fai qui? »
« Potrei chiederti la stessa cosa » osservò la Grifondoro con un sorriso.
« Io sto aspettando i risultati. »
« Risultati? »
« Sì » Cathy inarcò un sopracciglio biondo, « delle squadre di Quidditch » si lasciò andare ad un profondo sbadiglio.
«Aspetta. Uscivano oggi?Merlino santissimo. »
Alice si lasciò cadere mollemente al suo fianco, sbattendo volutamente la testa sul legno freddo del tavolo; subito, dal nulla apparve un piatto d’argento e, con un sonoro ‘pop’, su di esso comparve una pila di pancake al burro. Alice fissò il cibo stordita, e si guardò bene dall’appoggiarsi sul tavolo un’altra volta, mentre Cathy ridacchiava.
« Sai, spero davvero di avercela fatta… »
Io spero di no, pensò drasticamente Alice.
« Salazar, se sarebbe fantastico… »
Sarebbe orribile
« Ho sempre sognato di essere una Cercatrice… »
Ho sempre avuto paura della Pluffa…
« E infondo non sono neanche poi così terribile! »
E infondo faccio schifo.
Alice si impegnò per rivolgerle un sorriso forzato: « Oh, sono sicura che ti hanno presa » disse, ed era la verità. Non aveva mai visto giocare Cathy, ma qualcosa le diceva che quella ragazzina, così pimpante ed esplosiva, non poteva non essere adatta ad un campo da Quidditch. Lei, invece…be’, lei era completamente diversa da Catherine, ragion per cui non vedeva come fosse possibile anche solo immaginare di far parte della squadra.
Catherine parve intuire il suo stato d’animo, per cui le circondò le spalle con un braccio. « Non temere, avranno sicuramente accettato anche te! Ti ho vista alle selezioni, sei brava, anche se sei caduta non fa nulla… e ti assicuro che tra quegli altri stupidi che si erano presentati… » scosse la testa « …be’, tu non hai decisamente nulla da invidiargli. E poi James Potter fa il tifo per te. »
Alice, se possibile, si rabbuiò ancora di più.
Fu mezz’ora dopo, quando aveva rifiutato ogni tentativo di Cathy di farle ingurgitare del cibo, e gli studenti avevano iniziato a riversarsi nella sala producendo un lieve chiacchiericcio allegro, che sulla soglia comparvero Rose e Jo, l’una piuttosto abbattuta e l’altra decisamente euforica. Le due, intercettate le amiche, le raggiunsero sbrigativamente e presero posto anch’esse al tavolo di Serpeverde; qualcuno degli studenti guardò malamente Jo, che non si era mai preoccupata troppo di celare la sua avversione verso quella Casa.
« Oggi è il gran giorno! » squittì questa, senza nemmeno farci caso.
« Che gioia » commentò Alice senza entusiasmo.
« Abbiamo visto Olivia prima in corridoio » intervenne Rose « sembrava tesa… »
« Be’, è ovvio » sottolineò Jo, « sarà nervosa per le scelte che ha fatto. Di sicuro non è preoccupata riguardo Michael. Lui è un così bravo giocatore… » e si lanciò nello sproloquiare gli elogi del suo fidanzato, mentre le altre alzavano gli occhi al cielo all’unisono.
Alice si lasciò distrarre dai colori tenui del cielo incantato del soffitto della Sala Grande, screziato qua e là da soffici striscioline di nuvole rosa. C’era sempre qualcosa di così magico, ad Hogwarts, e Alice era più che convinta, giorno dopo giorno, che questo non avesse nulla a che vedere con le magie che praticavano loro. Era un qualcosa di più intenso, di più vero: una sorta di forza invisibile che li circondava, tutti loro, e li rendeva partecipi di una grande famiglia. Ecco, era così che si sentiva: a casa. E, anche se quello non era un momento esattamente felice, o forse una settimana…o magari tutto un mese un po’ spiacevole, ecco, Hogwarts non riusciva proprio a non piacerle.
Ci rifletté ancora mentre volgeva automaticamente gli occhi verso il basso, con la velata intenzione di trovare Christopher Canon, ed incontrò invece la figura slanciata di James Potter, che stava chiacchierando con Fred. Subito le guance le si colorarono di porpora, gli occhi saettarono verso il suo piatto, ancora pieno di pancake, e un’ondata di emozioni differenti la travolse come uno tsunami.
Cercò di non pensarci: non era il momento adatto per aggiungere brutti pensieri ad altri che premevano più urgentemente. Era da lunedì che faceva di tutto pur di scappare dal ragazzo, e stranamente stavolta ci era riuscita piuttosto bene: forse, aveva pensato, perché nemmeno lui era poi così ansioso di rivederla.
Rose le scosse la spalla delicatamente. « Allora, ‘Lice? Che ne pensi? »
« Eh? » la Grifondoro si accorse che le altre la stavano fissando. « Ehm…sì, sì. Certo. »
Rose e Cathy la scrutarono con occhiate indagatrici, ma lasciarono presto cadere il discorso quando, giusto pochi secondi dopo, il capitano di Grifondoro fece il suo ingresso in Sala Grande, con tanto di  pergamena sgualcita stretta tra le mani in una morsa ferrea ed un cipiglio così inarcato da mettere i brividi.
Immediatamente tutto il tavolo rosso-oro si fiondò su di lei, che scomparve nella mischia di studenti agguerriti: Alice riconobbe tra loro molti di quelli che erano presenti alle selezioni; lei, Rose, Cathy e Jo restarono immobili dov’erano, con il respiro mozzato. La tensione diffusa nell’aria avrebbe potuto essere tagliata con un coltello.
« Sì! » sentirono esclamare qualcuno, « Sì, sì, sì! »
Cathy sganciò una gomitata nelle costole di Alice, indicandole la provenienza del grido: Roxanne Weasley stava esultando poco distante da loro. Alice era più che sicura che la cugina di Rose ce l’avrebbe fatta, la sua prova era stata formidabile.
A lei seguirono più e più esulti, che echeggiarono nel chiacchiericcio generale, e diversi battiti di mani. Fred Weasley lanciò un fischio d’approvazione più volte –anche lui, sicuramente, aveva riconfermato il suo posto in squadra-, come anche James, che si era direttamente abbandonato ad una danza della vittoria nel bel mezzo della Sala Grande, attirando l’attenzione di più o meno tutti gli studenti e le occhiatacce indignate di diversi professori.
Alice intercettò con lo sguardo Micheal Davies e fu piuttosto sorpresa di vederlo scuro in volto, con un’aria decisamente poco amichevole: evidentemente anche Jo doveva averlo notato, poiché si era alzata velocemente e si era precipitata a consolarlo a suon di moine.
« Dovresti andare anche tu » la incitò Cathy, indicandole la folla ancora compatta attorno alla povera Olivia.
Alice emise un singulto a metà tra il disperato e lo spaventato, e Rose ridacchiò sommessamente. « Coraggio » disse, e si alzò tendendole la mano.
Alice si fece forza e la afferrò, lasciandosi trascinare mollemente dall’amica, seguita a ruota da una Cathy piuttosto pimpante –come sempre.
Avanti. Pensò. Puoi farcela.
Più si avvicinava, più le sue gambe molleggiavano.
Solo qualche altro passo.
Olivia non era distante, ormai.
Andrà tutto bene. Puoi farcela.
Il Capitano alzò la testa ed incrociò il suo sguardo impaurito; le rivolse quindi un enorme sorriso incoraggiante, annuendo appena.
No, non puoi farcela. No, no, no. Torna indietro, torna indietro finché sei in tempo!
« Guarda, c’è la Paciock » proruppe Fred Weasley non appena la vide, « ben venuta in squadra, scricciolo! »
Alice si sentì quasi mancare.
Oh, no.
Non era possibile. Concepibile. Immaginabile.
Lei era caduta da quella stupida scopa, e che diamine! A che cosa pensava, Olivia, mentre la sceglieva? Alle margherite? Agli uccellini? O era stata Confusa? Magari era stata Confusa, sì: questo spiegava tutto. E, non appena svanito l’effetto dell’incantesimo, si sarebbe accorta del suo madornale errore e l’avrebbe espulsa dalla squadra. Sì, doveva essere andata così. Era stata confusa. Per forza.
Il suo stomaco, però, non era d’accordo, e fece due capriole all’indietro: all’improvviso capì di non voler nemmeno avvicinarsi a quella lista.
« Te l’avevo detto che ce l’avresti fatta! » Cathy le saltò al collo felicemente. « Grandioso, Alice, brava! »
« Io… »
« Oh, sarai un’ottima Cacciatrice, me lo sento! »
« Ma… »
« Rosie, non è fantastico? »
Rose, in tutta risposta, rivolse alla Serpeverde un’occhiata allusiva, accennando appena al viso pallido di Alice. « Oh » esclamò Cathy, sorpresa, « ehm…tutto bene, Allie? »
« Sta bene » assicurò Rose « deve solo abituarsi all’idea…a proposito, devo ancora congratularmi con Jamie » si sollevò sulle punte, alzando il mento alla ricerca del ragazzo. « Ma se  l’è data a gambe, a quanto pare…vado a cercarlo. Ci vediamo a Pozioni, okay? »
Cathy la salutò allegramente mentre Alice annuiva con volto inespressivo.
« Forse è meglio se ci allontaniamo anche noi, ti va? » propose immediatamente la bionda, un po’ titubante, notando l’espressione vacua di Alice. « Ti accompagno a lezione! »
Questa annuì titubante, e le rivolse un mezzo sorriso; dopodiché si inoltrarono per i corridoi del castello.
« Cathy… » proruppe Alice dopo un po’.
« Uhm? »
« Ma tu…insomma, tu come lo conosci…James, cioè, Potter- insomma, lui? »
« Oh! » Cathy si lasciò sfuggire una risatina, scuotendo i lunghi capelli biondi. « Be’…è una storia divertente. Sai quando Flitt e Warrington hanno cercato di schiantarmi, dopo l’incidente sul treno…sì, quella volta che volevano appendermi all’ingiù in Sala Comune... » si bloccò, notando lo sguardo sconcertato di Alice. « Ah, non te l’avevo raccontato? Va be’, insomma: ci stavano provando ed eravamo due contro uno, quindi sai, non me la stavo cavando molto bene…e poi all’improvviso è sbucato Potter da una delle stanze di Serpeverde –non chiedermi cosa diavolo ci facesse lì-, ci ha visti e li ha messi K.O. tutti e due! E’ stata la cosa più forte del mondo! » sorrise, con aria sognante, e Alice corrugò le sopracciglia così tanto che quasi le si unirono al di sopra del naso.
« E poi li abbiamo nascosti in un armadio. Flitt e Warringotn, intendo. E niente, lui mi sembrava simpatico, l’ho ringraziato e ci siamo messi a giocare a Spara Schiocco. Ho vinto naturalmente io. »
Alice annuì automaticamente, e seguirono diversi minuti di silenzio durante i quali la sua mente lavorò veloce, presa da una sorta di fibrillazione improvvisa.
« Devo vederlo » proclamò infine.
« Chi? »
« James! »
« Aah » commentò Cathy, « Perché? »
Alice sbatté le palpebre, stranamente elettrizzata e determinata, una sensazione piuttosto insolita che poche volte aveva provato prima, e che le faceva rizzare i peli sulle braccia.
« Devo parlargli » disse, « devo parlargli subito… »
Lasciò cadere il discorso, volgendo gli occhi verso l’aula dove si stavano dirigendo e poi dall’altra parte, sul lato opposto del corridoio nel quale si erano fermate. Sotto lo sguardo perplesso di Cathy, biascicò qualcosa di confuso, e corse via, da quella parte là, da dove erano arrivate.
 
***
 
Trovare James Potter fu inaspettatamente semplice.
Rose una volta le aveva detto che, molto spesso, il ragazzo saltava le lezioni di Divinazione e passava quelle ore nel parco con gli amici o in solitario, ad ingannare il tempo. Qualcosa l’aveva quindi spinta in quella direzione, sebbene le possibilità che proprio il venerdì mattina i ragazzi del sesto avessero Divinazione non fossero tanto alte.
Eppure, una volta varcato il portone d’ingresso, dopo alcuni minuti di ricerca scorse l’ombra di una chioma spettinata poco lontano da lei. Assottigliò lo sguardo, avvicinandosi, e lui era effettivamente là: appoggiato ad un albero con la schiena, il volto rivolto verso il cielo, circondato da due o tre ragazzi di Grifondoro che Alice aveva già visto qualche volta in Sala Comune.
Ignorando il freddo della mattina che le tagliava il viso, si piazzò di fronte a loro senza dire una parola, rivolgendo al ragazzo un’occhiata intensa.
La sua determinazione vacillò pericolosamente quando i due Grifondoro presero a ridacchiare, fissandola come se avesse un naso da clown in faccia, e James posò gli occhi su di lei con aria perplessa.
« Ehm » mugugnò quindi, ora piuttosto imbarazzata, « possiamo…cioè, ti va di - uhm - possiamo parlare? »
James continuò a fissarla sconcertato e lei si chiese disperatamente se ne avesse ancora per molto, visto che là fuori faceva decisamente troppo freddo e quei due idioti accanto a lui iniziavano ad essere decisamente troppo idioti.
« Okay » disse infine placidamente. Si alzò, sistemandosi la camicia bianca, e la seguì senza dire altro, mentre i due Grifondoro dietro di loro continuavano a schiamazzare senza controllo.
Alice storse il naso, ma non parlò, per non spezzare quello strano silenzio diplomatico che si era creato tra di loro, che aleggiava lì, nello spazio che li sperava, come un filo sottile che avrebbe potuto spezzarsi con una sola folata di vento.
Non pensò bene a dove andare, le gambe si mossero da sole per lei e raggiunsero un piccolo spiazzo di prato, abbastanza distante dal castello da non poter essere visti, dietro un pioppo dall’aria secolare che le sembrò stranamente famigliare. Le sembrò una situazione piuttosto equivoca quando capì il perché: era proprio lì che poco tempo prima aveva visto Cathy in atteggiamenti intimi con il suo fidanzato.
Scacciò quel pensiero e si concentrò invece sul ragazzo, che la guardava in attesa.
« Ehm » borbottò, e si chiese se dovesse per caso sembrare stupida, visto che non faceva altro che incespicare con le parole da quella mattina. Respirò piano, imponendosi di ritrovare un briciolo di quella determinazione che l’aveva condotta fino a lì. « Senti, io…okay. Voglio aiutarti. »
Non sapeva bene quando l’aveva deciso o se mai ci aveva veramente pensato, o se non era chiaro sin dall’inizio, quando lui gliene aveva parlato per la prima volta: fatto stava che le parole le erano uscita di bocca prima che lei potesse anche solo realizzare ciò che stava dicendo, e quando James raddrizzò di botto la schiena, rivolgendole uno sguardo più interessato e sorpreso, capì improvvisamente quanto tutta quella faccenda doveva essere davvero importante per lui. Non lo faceva per creare scompiglio in famiglia, non lo faceva perché era geloso delle attenzioni del suo più vecchio amico, quasi fratello, non lo faceva perché voleva dimostrarsi l’eroe della situazione: ci credeva davvero, in quello che diceva, e il suo intento più grande era veramente il benessere dell’amico.
Era pur vero, però, che la decisione non era completamente sua: lui l’aveva praticamente obbligata a prendere le sue parti, con i suoi stupidi sotterfugi e i suoi sporchi ricatti.
E magari non lo odiava davvero, come gli aveva urlato in preda alla rabbia, però i suoi sentimenti verso di lui non erano esattamente da definirsi positivi. Anzi.
« Però ci sono delle condizioni » rimarcò dunque, stavolta assottigliando lo sguardo. In realtà non aveva pensato a nulla del genere, voleva solamente fargli intendere che tutta quella situazione non le piaceva, che fosse stato per lei non avrebbe fatto proprio nulla e che, insomma, non era per niente d’accordo con ciò verso cui la stava conducendo. « Dovrai…non sarò mica…insomma, nessuno dovrà sapere di questa cosa » improvvisò.
James sollevò un sopracciglio, mentre le sue spalle si rilassavano all’istante. « Questo era ovvio. »
Alice si morse nervosamente un labbro. « E…devi spiegarmi anche cosa diamine hai in mente, perché non l’ho ancora capito. »
« Certo. »
« E a questo punto vorrei riavere la foto, se non ti dispiace. Grazie. »
James la guardò di sottecchi. Parve esitare. « E come faccio a sapere che appena ti do la foto tu non te la dai a gambe? »
« Merlino santo » sbuffò lei, « ti ho detto che ti aiuterò! Non ti fidi, o cosa? Sai, qui non sono tutti dei ricattatori bugiardi come te. »
« Senti, Paciock… »
« E poi cosa accidenti vorresti farci, scusa? Fargliela vedere a lui, vero? Sbandierare ai quattro venti che mi piace Chris, no? Sì, è vero, mi piace! Okay? Mi piace Christopher Canon, e da ben tre anni! » sbraitò agitando convulsamente le braccia, la lingua irrefrenabile, in preda ad una crisi incontrollata.
James la fissò come se fosse impazzita e lei si chiese, per un attimo, se un po’ fosse vero. Sentiva le guance andare a fuoco e il cuore batterle a mille nel petto; ogni singola cellula del suo corpo era furiosa, frustrata, e le pareva che la sua gola stesse ribollendo nell'attesa di poter gridare ancora. 
« Ma… » tentò il ragazzo, facendo un passo indietro.
« Ma va bene! Mi va benissimo, anche se ti ho detto che ti aiuterò nonostante sia una cosa che non voglio fare, che non servirà assolutamente a nulla, che porterà solo guai e che…ma dove hai la testa? Merlino, Merlino, Merlino se sarà un disastro! Io... »
Si interruppe bruscamente quando James si fiondò su di lei e le afferrò i polsi, tenendoli fermi con le mani. « Okay, d’accordo, hai ragione tu, ma per tutti i Gargoyle, la pianti di fare la pazza? » sbottò.
Alice prese diversi respiri, calmandosi pian piano; dopodiché si staccò dalla sua presa come se si fosse scottata.
« Stai bene? » le chiese dopo un po’.
Alice gli rivolse un’occhiataccia.
« Grandioso » commentò lui senza allegria. « Senti, facciamo così: ti spiego il mio piano e ti giuro su chiunque ti pare che quando avremo finito ti ridarò la foto…no, aspetta, fammi finire! » incespicò, quando la vide aprire la bocca per protestare, « E in cambio io ti posso aiutare. Cioè, con Chris…visto che ti piace così tanto come dici » disse, e parve per un attimo divertito. Alice arrossì fino alla punta dei capelli e si pentì immediatamente di avergli urlato quelle cose, prima.
« Be’, non so se… » cominciò.
« E se mi aiuterai, non farò mai vedere quella foto ad anima viva » proferì lui, passandosi solennemente una mano sul cuore. Poi la chinò sino a piazzarla di fronte a lei, aperta, e disse: « Allora, abbiamo un accordo? » le rivolse un sorriso sghembo e divertito che la fece sbuffare.
Alice fissò la sua mano per qualche istante. L’accordo non era certamente equo e lei lo sapeva benissimo, ma quante scelte aveva? Poteva lasciare che lui sparpagliasse ovunque la voce della sua cotta –perché James l’avrebbe fatto, ne era sicura come era sicura che il sole sarebbe sorto ogni mattina-, una prospettiva che forse per qualcun altro sarebbe stata sopportabile, ma che a lei faceva venire i brividi. Ma, come era successo poco prima, il suo corpo reagì prima che la mente potesse formulare un pensiero nitido, e la sua mano andò a stringere quella di lui senza esitazioni.
« Abbiamo un accordo » assentì, premurandosi però di riservargli un’ulteriore, infuocata occhiataccia furiosa.
 
 ***
 
La Sala Trofei era polverosa e spettrale come sempre, e nell’aria aleggiava un vago odore di muffa e sapone. Alice era arrivata per prima, tenendo stretto tra le mani il bigliettino a forma di aeroplano che James aveva fatto volare nel suo piatto a colazione il giorno dopo. 
Logico, aveva pensato Alice: tanto lì ci si sarebbero dovuti presentare uguale per la punizione, perciò tanto valeva utilizzare quel luogo per i loro…be’, incontri segreti, da allora in poi.
Non aveva detto nulla né a Rose, né a Jo, né a nessun altro, e aveva nascosto l’areoplanino di pergamena nel mantello così velocemente che nessuna delle amiche lo aveva nemmeno notato.
Mentre aspettava, poggiata con la schiena ad uno degli scaffali intrisi di ragnatele, lasciò scivolare lo sguardo sui vari trofei esposti e uno in particolare catturò la sua attenzione. Era una coppa del torneo scolastico di Quidditch e risaliva ad anni prima, intestata al Grifondoro, e tra i nomi dei partecipanti della squadra spiccava come una lampadina accesa quello di Harry Potter. Alice la osservò a lungo senza una ragione precisa, rabbrividendo al pensiero che ora anche lei, a tutti gli effetti, faceva parte della squadra della sua Casa. Il suo stomaco sobbalzò, come ad affermare il suo disaccordo a questo fatto.
Olivia l’aveva fermata proprio quella mattina per avvisarla che i primi allenamenti si sarebbero tenuti il martedì successivo, e per darle il benvenuto in squadra; lei era sbiancata.
Il rumore della porta che sbatteva contro il muro circolare la distolse bruscamente dai suoi pensieri: James era arrivato di gran carriera, con la cravatta allentata e la chioma disordinata - come sempre. Portava tra le braccia uno scatolone dall’aria molto pesante.
« Ciao » lo salutò, il tono piatto di una calma controllata. Aveva deciso che, per facilitare le cose tra loro, sarebbe stato meglio instaurare una tregua, almeno per il momento,
« Ciao. Allora cominciamo? »
Alice annuì e si diresse verso di lui con aria circospetta, incrociò le braccia al petto e restò in attesa.
« Bene » iniziò James, e un sorriso gli balenò sulla faccia. Alice fu piuttosto sorpresa di constatare quanto fosse euforico, e non seppe dire se la cosa la divertì o lo spaventò di più.
Il ragazzo posò lo scatolone a terra e ne estrasse, facendo forza, un calderone in ottone e diverse fialette. Frugò ancora nella scatola e tirò fuori quindi una manciata di erbe e qualche confezione di insetti morti, e una volta finito li sistemò con cura intorno al calderone. « Il piano A è semplice in realtà… »
« C’è anche un piano B? » lo interruppe Alice allarmata.
« Certo » lui la guardò di nuovo come se fosse impazzita, e Alice pensò che stesse diventando una sgradevole abitudine. « In caso il piano A fallisca o qualcuno di noi si faccia male o muoia. Sto scherzando, Paciock » aggiunse, in risposta alla sua occhiata terrorizzata.
« Scherzando. Sì. Lo so. » annuì lei freneticamente.
« Stavo dicendo, il piano A è semplice, o almeno la prima fase del piano A. Si tratta di preparare una Polisucco, in pratica… »
« Che cosa? »
« …e poi berla, assumere le sembianze di Vic e il tipo con cui ha una storia, farsi vedere da Ted e il gioco è fatto! »
« Aspetta un secondo! » sbraitò lei, mille rughe di preoccupazione ad incresparle la fronte.
« A te spetterà fare la pozione, ovviamente, visto che io sono una frana. »
« Ma James, io non sono così… »
« A Natale prenderemo un capello di Vic e in qualche modo ne strapperemo uno anche a quell’idiota, e il matrimonio è in Aprile quindi avremo tutto il tempo per… »
« James Potter, frena un secondo! » sbottò Alice. Lui si interruppe e parve accorgersi solo in quel momento che lei aveva parlato. « Io non sono così brillante in Pozioni, okay? Potrei fare un macello e rovinarla, o peggio, e poi è una pozione difficile da preparare e…e non abbiamo tutti gli ingredienti e … » lanciò un’occhiata alle erbe sparse sul pavimento e poi tornò con gli occhi su di lui, che la guardava con un sorrisetto beffardo e una fastidiosissima aria di superiorità. « …E l’hai rubati, non è vero? » sospirò.
« Un prestito » replicò lui con nonchalance.
« Un prestito dalla dispensa di Turner? Oh, oh no, no, così ci scopriranno sicuramente! »
Quel ragazzo era ammattito. Completamente ammattito. Andato. Fuori come un balcone. Matto come un cavallo. Alice scosse la testa più volte, senza risultati: l'unica reazione che ottenne da parte di lui fu una risata sarcastica.
« Rilassati, non ci scoprirà nessuno. Dovresti affrontare la vita con più serenità, Paciock, come faccio io… »
« Tu » sibilò lei di rimando, « proprio tu che hai architettato tutta questa bravata vieni a dire a me di rilassarmi, eh? »
« Tecnicamente non è stata un’idea mia. E’ stato Fred a suggerirmelo. Cioè, non in modo diretto, chiaramente. »
Alice lo ignorò. « E comunque sia rimane il fatto che non sono certo una gran Pozionista, per cui non.... »
« Ah, ma figurati, saresti comunque meglio di me in qualsiasi caso. »
Alice lasciò cadere le braccia lungo i fianci, sospirando una seconda volta. Era così determinato nel suo intento che, ne era convinta, non si sarebbe lasciato far desistere da niente e nessuno. Le metteva quasi paura, per quanto si era elettrizzato: lo vedeva chiaramente nel modo in cui gesticolava e straparlava, completamente convinto che tutto ciò che stava macchinando fosse cosa buona e giusta.
« Non sarebbe più facile –che so- fare in modo che Ted li veda insieme e basta? Senza tutto…tutto questo? » protestò Alice disperatamente, in un ultimo tentativo di farlo rinunciare.
James le rivolse una lunga occhiata prima di rispondere.
Alla fine disse: « Quello è il piano B. »

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note disperate di un’autrice disperata:
Buonasera, bellissimi e amatissimi (da me, perché vi adoro tanto, lo giuro!) lettori della storia! Passate buone feste? Spero di sì, e ne approfitto per augurarvi un buon anno nuovo un po’ in anticipo (questa parola sconosciuta nel mio vocabolario…).
Inutile annoiarvi con le mie scuse - lo sapete, mi dispiace davvero di essere di nuovo in ritardo. Spero che con l’arrivo del nuovo anno arriverà anche tanta ispirazione, e tempo libero soprattutto!
Ma passando alla storia: mi ero appuntata di dirvi nello scorso capitolo una cosa che poi mi è sfuggita, quindi lo faccio qui. Alice è un personaggio dalla sfumatura indubbiamente comica, con il suo pessimismo esagerato e tutte quelle sue caratteristiche un po’ strambe. Insomma, confido e spero di essere riuscita a farvi sentire questo anche a voi e che lei e i suoi pensieri contorti vi facciano sorridere, e non che vi diano noia. Ve lo dico perché una ragazza mi ha fatto notare questa cosa, del fatto che lei veda tutto così esageratamente in nero, ed è vero, in effetti  io volevo proprio questo. Volevo rendere un po’ quel sentimento che si ha nell’adolescenza, quella visione del mondo per cui tutto è o bianco o nero, e non ci sono vie di mezzo.
Oh, e nonna Augusta è la bisnonna, ovviamente, che chiama nonna per comodità - lo facciamo tutti immagino.
E…niente, spero abbiate apprezzato anche questo capitolo e come al solito vi ringrazio di essere arrivati fin qui!
Fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate dello svolgimento della storia fino ad ora. Critiche e consigli sono ben accetti!
 
Un bacio,
Martina (disperata, ma che vi ama)

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Capitolo 11
*** Demons ***


10.
Demons
 
 When you feel my heart
look into my eyes
it's where my demons hide
it's where my demons hide
Demons - Imagine Dragons


Nei giorni seguenti, evitare di far scoprire alle amiche dei suoi incontri segreti si rivelò inaspettatamente semplice. Lei e James avevano accordato che si sarebbero visti il sabato pomeriggio, giorno in cui tanto coincideva anche la loro punizione, e che quindi avrebbero dovuto passare assieme comunque: e così, mentre James puliva targhe e targhette anche per lei, Alice faceva del suo meglio per preparare la pozione nel modo esatto e tentare di non avvelenarli entrambi.
La ragazza aveva notato quanto impegno lui ci mettesse nel cercare di mantenere quel patto silenzioso che, a seguito dell’ultima discussione, si era venuto ad instaurare tra loro: lo vedeva, che tentava di sforzarsi il più possibile per tenere chiusa quella boccaccia quando erano insieme, per poi fallire miseramente ogni singola volta, sbuffando e lamentandosi di quanto odiasse il silenzio e la noia. Al che, di solito, Alice gli ripeteva che era un’imbecille e che doveva lasciarla concentrare se voleva avere la sua pozione entro l’anno. Dopodiché o ricominciavano a bisticciare e andavano avanti a quel modo per tutto il pomeriggio, o James le metteva il broncio come un bambino di tre anni e poi se ne andava senza salutare.
Sinceramente, Alice non avrebbe mai pensato di riuscire a sentirsi matura in una circostanza del genere, ma doveva ammettere che accanto a James Potter anche un Asticello sarebbe sembrato pieno di senso di responsabilità. Non aveva più chiesto nulla riguardo la foto e non aveva nemmeno incontrato Chris, grazie a Merlino: sarebbe stato davvero imbarazzante, nonostante lui in effetti non fosse a conoscenza di nulla. Almeno per ora.
Si era data da fare con lo studio, specialmente in Pozioni –poiché checché ne dicesse a James, non voleva davvero intossicarlo con la Polisucco, anche se doveva ammettere che ultimamente, quando lui prendeva a stuzzicarla come suo solito, il pensiero le era balenato alla mente sempre più spesso, trasmettendole un’ inquietante sensazione di macabro divertimento.
Nel frattempo, aveva anche pensato insieme a Rose al nome da dare al suo nuovo animale, che aveva scoperto essere in realtà una gatta: quella piccola peste, non appena Alice l’aveva condotta in dormitorio, le aveva smembrato tutti i cuscini e si era tuffata nella tazza del water schizzando acqua dappertutto. Jo aveva così pensato che sarebbe stato divertente chiamarla Diarrea, e quando Alice era tornata dalle lezioni aveva trovato l’amica seduta sul letto a baldacchino, tutta intenta ad insegnare alla gatta a rispondere a quel richiamo.
“«Diarrea, vieni qui! No, cosa stai facendo? Ho detto qui! Ah, ecco, brava la mia ciccina: tieni, Diarrea, è tutto tuo»” e le piazzava sotto i baffi un biscotto allo zenzero.
Per fortuna, lei e Rose erano intervenute in tempo: una domenica che Jo era fuori con Michael, si erano rimboccate le maniche e, scelto un nome nuovo e decisamente più carino, avevano passato tutta la serata con la gattina per farglielo imparare.
Ora era, ufficialmente, Frittella Paciock: ma se mai qualcuno si azzardava a pronunciare la parola “diarrea” in Sala Comune, quella drizzava ancora le orecchie e scattava sull’attenti come un soldato.

I primi allenamenti di Quidditch erano previsti per gli inizi di ottobre, mentre la prima vera partita della stagione si sarebbe svolta solo verso metà novembre. Le gambe di Alice tremavano all’idea, ma Rose era riuscita a farla calmare notevolmente sulla questione. Erano state al campo due volte, insieme a Cathy, per provare un paio di tiri (nonostante Alice sapesse quanto poco a Rose piaceva il Quidditch), e tutto sommato non era andata poi tanto male. Certo, Alice aveva rischiato di colpire Cathy con la mazza da Battitore e di scontrarsi con Rose circa una o due volte (o forse diciassette), ma niente che non si potesse migliorare.
Ma la buona sorte era un’amica volubile e, come avrebbe saggiamente suggerito sua madre, il corso naturale delle cose prevedeva che ogni azione venisse scontata con una conseguenza al pari di essa. E se facevi qualcosa di sbagliato, era piuttosto probabile che il mondo decidesse di punirti con un avvenimento altrettanto spiacevole o, in casi estremi, con una lunga sequenza di avvenimenti spiacevoli. Era la terribile legge del “ben ti sta”, più spietata di Voldemort e puntuale come un orologio svizzero.
Fu in una nuvolosa mattina di ottobre, nella tranquilla (ma non troppo) e sgargiante Sala Grande gremita di studenti affamati, che il naturale corso delle cose decise di intervenire sulla noiosa e ordinaria vita di Alice e delle sue allegre compagne di sventure.
Il destino si presentò alla finestra come due maestosi barbagianni grigio scuro, identici, con le piume macchiate a schizzo di marrone, come se qualcuno vi avesse versato sopra del caffè: nel frastuono delle chiacchiere, planarono insieme agli altri gufi dentro la Sala Grande, e svoltarono dritto di filato al tavolo di Corvonero, dove Alice, Rose, Cathy e Dominique Weasley stavano consumando tranquillamente la loro colazione. Ora, c’era da dire che, a conti fatti, nessuna delle quattro ragazze fosse completamente sincera. D’altronde, chi non commette qualche errore in adolescenza? Ognuna di loro –chi più, chi meno- nascondeva un segreto alle altre, non necessariamente tremendo, ma pur sempre un segreto, abbastanza compromettente da dover essere necessariamente tenuto nascosto. Ma il destino era paziente e, per quella volta, decise di operare solamente su due di loro: e quando i barbagianni lasciarono sul tavolo le due lettere, entrambe bianche, entrambe firmate frettolosamente e con i nomi delle destinatarie esposti in bella vista sul fronte, la reazione primaria che ebbero tutte quante fu una  grande occhiata perplessa di gruppo.
I barbagianni filarono via senza aspettare nulla in cambio (di solito non se ne andavano una mancia o, perlomeno, qualche biscottino gufico, e ti beccavano sulle dita finché non li accontentavi), e Cathy fu la prima a parlare, prendendo una delle lettere e osservandola con attenzione: «Qui c’è il tuo nome» disse, e la porse ad Alice, mentre Rose afferrava l’altra - su cui era inciso, in una calligrafia piuttosto disordinata, “a Rose Weasley”- con la sua stessa identica espressione sorpresa. Nessuna delle due conosceva quei gufi e, per giunta, entrambe le lettere erano sigillate con il timbro del Ministero della Magia. Scambiandosi un’ultima occhiata, le due ragazze le aprirono in sincrono:
 
A: Alice A. H. Paciock;         :Hogwarts, Scozia, Sala Grande
Da: Gwedon Fitzergald,  segretaria al Quartier Generale Auror
del  Ministero della Magia e vicesegretaria dell’Ufficio
Applicazione della Legge Magica    :Ministero della Magia, Londra
 
"Gentile signorina Paciock,
la informiamo che a causa dei recenti avvenimenti di questa notte, datati alle 03:45\46, è tenuta a presentarsi al Ministero della Magia in giorno 7 Ottobre alle ore 8:00  per un’udienza straordinaria. Sotto indicazione del Ministero e del capo del Quartier Generale Auror, lei è esonerata temporaneamente dalle attività didattiche. Ci teniamo inoltre ad aggiornarla sulle buone condizioni di suo padre e garantirle che potrà fargli visita, accompagnata da un tutore, una volta terminata l’udienza.
 
Cordiali saluti,
G. Fitzergald, segretaria al Q.G.Auror e vicesegretaria all’U. dell’Applicazione della Legge Magica, Ministero della Magia"
 
 
Alice dovette rileggerla tre volte prima di riuscire a capirci qualcosa. In realtà, anche dopo quelle rimase parecchio confusa. Alzò lo sguardo su Rose, completamente disorientata, e notò che l’amica, le mani tese e gli occhi che saettavano da un lato all’altro della pergamena, aveva quella strana e buffa ruga sulla fronte, proprio in mezzo, che le compariva ogni qual volta era molto preoccupata per qualcosa.
«Ma che accidenti…» sussurrò, e Cathy le rivolse un’occhiata interrogativa, ma prima che Alice potesse risponderle alcunché un altro gufo le atterrò proprio di fronte, scaraventando via il suo piatto di porridge e rovesciando il bicchiere di succo di zucca. Portava nel becco un bigliettino spiegazzato e macchiato di inchiostro, e Alice afferrò anche questao, certa come non mai che fosse destinato anch’esso a lei, con uno spiacevole formicolio all’altezza dello stomaco:
 
"Alice, tesoro, tuo padre è stato attaccato ieri notte insieme a Ron Weasley. Non si sa bene cosa sia successo, gli Auror non vogliono parlare con noi, ma ora sono al San Mungo. Adesso stanno bene, ma non ricordano nulla. Stiamo venendo a prendervi. Non preoccuparti.
 
Mamma"
 
Lo strinse tra le mani, iniziando ad avere difficoltà nel respirare correttamente. Le girava la testa e si sentiva come se, tutt’a un tratto, il mondo si fosse rovesciato e tutte le cose fossero atterrate al contrario. Udiva, come un rimbombo lontano, la voce preoccupata di Catherine e quella nervosa di Dominique giungerle all’orecchio, ma non riusciva a pensare a nient’altro se non a quelle parole, che le avevano squarciato la testa con la stessa velocità di un proiettile.
Un quarto gufo, con mittente Hermione Granger in Weasley, atterrò davanti a Rose. La ragazza, comunque, aveva già strappato dalle mani di Alice il suo bigliettino.
Già sapeva.
Non aveva detto nulla. L’aveva guardata –con la stessa aria grave che aveva assunto ben poche volte da quanto Alice ricordava- e l’aveva abbracciata. Poi, con la stessa, terribile espressione seria, si era alzata senza una parola e si era diretta al tavolo di Grifondoro per parlare con Hugo, che la osservava da un po’ e sembrava piuttosto nervoso.
Alice rimase immobile sulla sua sedia, come bloccata in una lastra di ghiaccio; sentì un sapore metallico in bocca e si accorse, solo così, di essersi morsa le labbra così aggressivamente da averle fatte sanguinare. Sentì il tocco caldo di Cathy sulla sua mano:
«Alice, è tutto a posto» le ripeteva, e Alice capì dalla sua voce rotta che era sull’orlo del pianto, e che probabilmente doveva aver preso e letto anche lei la sua lettera e capito cosa stava succedendo, e che non le importava, non le importava di nulla, e che tutto quello che in quel momento riusciva a realizzare –nonostante nella sua mente frullassero vortici di pensieri confusi e il suo cervello formulasse più e più ipotesi- era starsene lì, seduta immobile, con lo sguardo perso nel vuoto e il terrore che le attorcigliava le viscere.
 
***
 
Quattro ore dopo, il baule sul letto di Alice era quasi fatto. Non ci aveva messo molta roba: anzi, precisamente, lei non ci aveva messo assolutamente nulla, perché una volta saputa la notizia (di cui ora, per giunta, a causa della Gazzetta del Profeta, era venuta a conoscenza praticamente tutta Hogwarts), Jo si era sbracciata e affannata per farla mettere a letto –“«ora hai solo bisogno di riposarti»”, le aveva detto, come se quella ad essere stata attaccata fosse lei e non suo padre e il padre di Rose- e per poter prepararle lei tutto l’occorrente per la partenza.
La McGranitt aveva ricevuto lei e Rose in presidenza per comunicare ad entrambe che le rispettive madri sarebbero venute a prenderle la sera stessa, che potevano prendersi tutti i giorni di cui avessero bisogno e che non dovevano preoccuparsi di nulla, poiché ora sia Neville che Ron non riportavano più alcun danno se non tanta stanchezza e qualche ferita che si stava rimarginando velocemente. Dopodiché, con loro immensa soprepsa, le aveva abbracciate (Alice non si era mai sentita tanto a disagio in vita sua), e aveva chiesto a Rose se le la sentisse ancora di fare quella-cosa-di-cui-avevano-parlato. A quel punto Alice si era domandata di cosa diavolo la preside stesse blaterando, per poi rendersi conto che era l’ultima cosa di cui le interessava in quel momento.
Tornando verso il dormitorio, Rose le aveva detto che c’era qualcosa di strano in tutta quella storia e le aveva rivelato le sue preoccupazioni su cosa intendesse esattamente il ministero con la parola “udienza”. Alice non ne rimase sorpresa: aveva immaginato anche lei che entrambe avessero ricevuto la stessa identica lettera. Tuttavia, non se n’era curata granché. In verità non si era curata granché di nulla. Voleva solamente arrivare il più possibile a Londra, fare quell’udienza e qualsiasi cosa implicasse alla svelta e poi andare, finalmente, a trovare suo padre ed accettarsi che stesse bene davvero. Hermione aveva spedito una seconda lettera indirizzata sia a lei che a sua figlia, in cui ripeteva per l’ennesima volta di non preoccuparsi e in cui assicurava di aver parlato con la McGranitt lei stessa per accordarsi sul loro temporaneo ritorno a casa.
C’erano comunque troppe cose che non quadravano e che Alice non capiva. Perché suo padre era fuori casa nel bel mezzo della notte? Perché insieme a Ron Weasley? E perché diavolo qualcuno avrebbe mai dovuto attaccarli?
Erano quesiti che la tormentavano ma che erano decisamente sovrastati dalla paura e dall’angoscia per le condizioni del padre e per il fatto stesso che fosse stato attaccato. “attaccato” era una parola che le metteva i brividi, perché implicava qualcosa di violento e premeditato. Di letale.
 
La sera arrivò fortunatamente in fretta e, dopo aver passato parecchie ore chiusa in bagno facendo di tutto per evitare di dover scontrarsi con qualsiasi altro studente che non fosse Rose –o Jo, che non le aveva lasciato modo di sbarazzarsi anche di lei e che l’aveva trattata come si trattava un paziente malato nei suoi ultimi giorni di vita-, Alice era finalmente uscita dal dormitorio, con la valigia serrata e il mantello sulle spalle. Essendo ora di cena, trovò la Sala Comune praticamente deserta così come i corridoi del Castello (cosa che la fece sospirare di sollievo). Avrebbe dovuto raggiungere l’atrio, come da programma, insieme a Rose, Hugo e la preside, dove poi avrebbero aspettato l’arrivo di Hermione Granger in Weasley, con la quale, superati i confini di Hogwarts si sarebbero Smaterializzate direttamente a Londra.
E così avvenne: la McGranitt, accompagnata dalla professoressa Green (“«Oh, ragazze, some sono dispiaciuta! Un tragico incidente, davvero tragico. Che possiate stare bene.»”), le aveva scortate fino al limitare del parco e lì, puntualissima, era apparsa Hermione dal nulla. Con vaga sorpresa di Alice –e dal lieve sussulto accanto a lei, probabilmente anche della preside- dopo di lei si Materializzò anche Harry Potter.
Rose si buttò tra le braccia della madre e Alice salutò educatamente il signor Potter; dopodiché partirono e, un nanosecondo dopo, arrivarono a Londra che era già buio.








Note 
Ops! Okay, probabilmente dopo questo capitolo mi odierete. Mi scuso come al solito per il ritardo...no, davvero, perché so bene quanto voi quanto sia fastidioso seguire una storia che aggiorna ogni due mesi (se va bene), quindi sul serio, mi dispiace un sacco e credetemi se vi dico che sto cercando in tutti i modi di migliorare da questo punto di vista. Ma sono ancora abbastanza scarsa ;_; Anyway: che ne pensate? Colpo di scena, lo so lo so, non ci avrete capito nulla immagino! Ma nel prossimo capitolo alcuni pezzi andranno al loro posto. Da questo capitolo inizia la parte più intrigante della storia e spero con tutto il cuore che vi sia piaciuto. AAAAH,  grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate. Awh.
hjdhds a presto! (....)

Martina (cuore cuore cuore cuore cuore cuore)

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Capitolo 12
*** Safe and sound ***


Dedicato a Gio(Jeff), perché è scema,
ma sotto sotto le voglio bene
.
<3

 

11.
Safe and Sound

Just close your eyes
the sun is going down
you'll be alright
no one can hurt you now.
Safe and Sound - Taylor Swift ft. Civil Wars


 



 
« Alice. »
La bambina con le trecce sfrecciò via dalla presa rassicurante di sua madre, tuffandosi nell’erba umida macchiata di chiazze dorate di luce solare. « Volo! Mamma, guarda, guarda! » urlò, contorcendosi sul terreno con un gran sorriso stampato in viso, dal quale spuntavano chiaramente due grossi buchi nel punto in cui, solo pochi giorni prima, c’erano stati due incisivi da latte. Si rialzò in un lampo, barcollò un secondo sulle gambe e saltò una seconda volta – per finire, inesorabilmente, di nuovo con la faccia sull’erba. Scoppiò a ridere, una risata che riecheggiò nell’aria come un’eco lontana. « Volo! » gridò.
« Alice, è tardi. Dobbiamo andare. »
La bambina si rimise in piedi e curvò le sottili labbra rosee verso il basso, gli occhi le si riempirono di lacrime. « Ma voglio restare qui » protestò, scalciando.
« Alice… »
« Qui! » ripeté la bambina, e le lacrime le rigarono le guance paffute, « Qui! Qui! »
« Alice. »
Iniziò a battere i minuscoli pugni sulle ginocchia, mentre ripeteva quella parola all’infinito, furiosa, come una filastrocca.
« Qui! »
« Alice… Alice… »
 

« Alice! »
Alice sussultò e aprì gli occhi. Rose la fissava, una mano all’altezza della sua spalla e l’altra che le ricadeva lungo il fianco, e sembrava piuttosto preoccupata. Si guardò velocemente intorno:
il vagone della metro era sporco e mezzo vuoto, esattamente lo stesso su cui era salita…controllò l’orologio. Ecco, su cui era salita nemmeno dieci minuti prima.
« Ti eri addormentata » spiegò Rose, in risposta al suo sguardo vacuo. « Siamo quasi arrivati » aggiunse.
Tacque e tornò a sprofondare nel seggiolino di fianco al suo, tenendo ben salda la mano sul portellone, tentando di mantenere l’equilibrio. Davanti a loro, Hugo sbirciava alcuni passeggeri con aria incuriosita, la signora Weasley era assorta in alcune scartoffie che teneva tra le braccia e Harry Potter consultava con attenzione una grande mappa della metropolitana di Londra. Alice era stata fin troppo stanca e sconvolta dall’accaduto per avere l’interesse di chiedere perché non si fossero smaterializzati tutti direttamente al San Mungo, e avessero invece dovuto prendere la Linea B da Clockwork Avenue in piena notte, per arrivare nei pressi dell’ospedale. Ora, la sua unica preoccupazione era vedere suo padre, accertarsi con i propri occhi che stesse veramente bene.
Tornò a guardare Rose, tanto per fare qualcosa: la ragazza teneva lo sguardo fisso davanti a sé e sembrava completamente concentrata su qualcosa che Alice non poteva vedere. Aveva la fronte aggrottata e le mani che si muovevano febbrilmente sopra la stoffa dei jeans scuri. Le avrebbe voluto chiedere se andava tutto bene, in un riflesso istintivo, ma era una domanda fin troppo scontata per poterla porre davvero – non a Rose, comunque. Tornò quindi a fissare fuori dal finestrino, dietro di esso solo il buio della galleria sotterranea.
« Allora » iniziò Rose dopo un po’, tirandosi su a sedere. « Cos’è questa storia dell’udienza? »
Tutto il gruppo puntò gli occhi su di lei. Fu la signora Weasley a rispondere, con un vago cipiglio infastidito: « Non lo capiamo neanche noi, Rose. E’ una cosa inaudita » aggiunse, mentre il cipiglio si inarcava pericolosamente, sempre di più, « prelevare due studentesse da Hogwarts in pieno anno scolastico così, senza un motivo! Per di più, non vedo come possiate essere in qualche modo utili nelle indagini quando eravate a centinaia di chilometri di distanza. »
Alice continuò a osservarle, mentre il suo cervello lavorava veloce alla ricerca di una risposta logica. Non ne trovò nessuna.
« Non ha alcun senso » biascicò Rose, e si spinse più avanti con il busto, sporgendosi verso la madre e lo zio; ogni volta che la metro prendeva una curva, faceva un balzo sul suo sedile. « Non sappiamo nemmeno cosa è successo. Cosa è successo? »
« Noi ne sappiamo quanto te, Rose » intervenne il signor Potter sbucando con il naso fuori dalla grossa mappa.
« Ma… » Rose parve delusa. « Ma tu sei il capo degli Auror, zio! Come…insomma, dovrai pur sapere qualcosa… »
« Io e i ragazzi della squadra siamo arrivati sul posto poco dopo l’incidente » cominciò a spiegare Harry, lo sguardo concentrato, « e abbiamo trovato tuo padre e suo padre » indicò Alice, « in…pessime condizioni, diciamo così. Ma non siamo riusciti a trovare traccia di magia né qualunque indizio che potesse portarci al colpevole, almeno per ora. »
« Ma perché attaccare proprio loro? Perché ieri? Perché fare… »
« E’ quello che stiamo cercando di capire » disse pacatamente il signor Potter, « ma per ora, resta un caso isolato. »
Rose incrociò le braccia e tacque per un po’, con l’aria di riflettere su qualcosa di estremamente fondamentale.  « Ma se non avete trovato traccia di magia, come fate a sapere che è stato un attacco? » domandò infine.
« I Guaritori ci hanno informato di aver trovato diverse lesioni da incantesimo sia su tuo padre che su Neville » rispose Harry.
« Ed erano tanto gravi? » intervenne Alice.
« No » la signora Weasley le rivolse un sorriso rassicurante, « niente che non avessero già curato. Ora stanno già molto meglio. »
Alice si abbandonò ad un sospiro di sollievo, e Rose sembrò decidere che era giunta l’ora di smettere di porre domande.
« Siamo arrivati? » gracchiò Hugo dopo un po’. La signora Weasley non fece in tempo a rispondere che la voce metallica dell’altoparlante annunciò la loro fermata.
Gli sportelli scorrevoli si aprirono e tutti loro scesero in un guizzo; uscirono dalla metropolitana e raggiunsero una piazzola deserta che, probabilmente, di giorno sarebbe stata il luogo perfetto dove portare un bambino a giocare, ma che in quel momento aveva un’aria così oscura e lugubre da fare accapponare la pelle. Presero una via secondaria che costeggiava la tetra piazzola, e giunsero in men che non si dica davanti a quello che, apparentemente, sembrava un enorme magazzino abbandonato, etichettato “Purge & Dowse Ltd”.
Alice, che fin da bambina aveva visitato l’ospedale anche troppe volte a causa della sua sbadataggine piuttosto accentuata, sapeva benissimo che proprio oltre la vetrina si stagliava il più grande e fornito ospedale per maghi della nazione: il gruppo si avvicinò senza esitare ad una delle finestre dell’edificio, dietro la quale sostava un manichino dall’aria malandata, e a quel punto la signora Weasley dichiarò: « Salve » non si curò di mantenere bassa la voce – a quell’ora della notte non c’erano di certo passanti che avrebbero potuto sentirla -, « Vorremmo vedere Neville Paciock e Ron Weasley. »
Il manichino annuì e fece cenno al gruppetto di avvicinarsi, e così fecero: in un battibaleno, tutti e cinque sparirono dietro la vetrina e si ritrovarono nella grande sala d’ingresso dell’ospedale.
Consisteva in un’enorme sala d’attesa molto rumorosa, strepita di maghi e streghe seduti sulle sedie che costeggiavano tutta la lunghezza delle quattro pareti: alcuni, rifletté Alice, dovevano essere dei normali visitatori come loro, ma altri – senza poter trattenersi, soffermò lo sguardo a lungo su una strega con un gigantesco foruncolo verde sulla faccia, dal quale stava colando una sostanza non identificata di un colore marrone scuro – aspettavano probabilmente una visita o un ricovero immediato. Proprio al centro della sala c’era una piccola scrivania che sfoggiava un cartello con su scritto “informazioni”, accanto al quale sostava un cartello più grosso che riportava invece la mappa dell’edificio e le indicazioni su dove trovare o collocare i vari pazienti, a seconda del loro problema.
Alice si stupì di notare come anche di notte quel posto fosse sempre super affollato, e lei e gli altri dovettero aspettare almeno una decina di minuti in fila prima di raggiungere la strega che sedeva alla scrivania delle informazioni, durante i quali (con estremo fastidio da parte di Rose e di Hugo) diversi maghi tennero lo sguardo fisso nella loro direzione, specialmente dalla parte di Harry, sussurrando all’orecchio dei loro vicini o indicandoli in continuazione. Alice si irritò parecchio e pensò, fissando un paio di streghe che saltellavano sul posto continuando ad invocare contro quei “maledetti pantaloni urticanti” che portavano addosso, che lì non erano certo il signor Potter o la signora Weasley i fenomeni da baraccone.
« E’ sempre così? » chiese timidamente Alice, allungandosi verso il signor Potter.
Harry sospirò e annuì, ma poi le sorrise: « Dopo un po’ ci si fa l’abitudine. »
Mentre raggiungevano finalmente la strega alla scrivania, Alice pensò che, però, se fosse stato per lei non ci avrebbe mai fatto l’abitudine, e si sentì d’un tratto molto fortunata ad essere nata in quella generazione.
« Buonasera » esordì Hermione, che si stava evidentemente sforzando di ignorare tutti quei bisbiglI, « cerchiamo Neville Paciock e Ron Weasley. Sono stati trasferiti qui ieri notte… »
« Weasley e Paciock, ha detto? » la strega, che fino a quel momento aveva continuato a scarabocchiare qualcosa sopra un piccolo quaderno, portò finalmente la sua attenzione su di loro, fissandoli da dietro le lenti di un paio di enormi occhiali a punta verde acido. Non si scompose, controllando velocemente una lista che teneva sulla scrivania, e disse: « Quarto piano, nona corsia di destra. Il prossimo! » urlò, tanto forte che Alice si vide sobbalzare.
Il gruppetto si diresse lungo una lunga rampa di scale che li condusse al quarto piano, dove sostava una grossa targa con su scritto “Reparto Lesioni da Incantesimo – Guaritore Responsabile: Verity Fitch; Tirocinante: Paul McEvoy”. Alice iniziò a risentire una certa agitazione, lanciando occhiate nervose verso il corridoio semi-deserto (quasi tutti i pazienti, probabilmente, stavano dormendo in quel momento) salvo per alcuni Guaritori in uniforme verdi che si affaccendavano di qua e di là, chi parlottando con un collega, chi accorrendo da un paziente, chi portando misteriose scatole di cartone che –Alice avrebbe potuto giurarlo- sembrava proprio respirassero.
Ma non era questo a rendere la ragazza irrequieta. Rose parve intuire il suo stato d’animo e le strinse forte la mano, quella libera, mentre con l’altra carezzava lievemente il capo di Hugo che aveva un’aria mortificata. Alice pensò che faceva uno strano effetto vedere Hugo senza Lily: era come se gli mancasse qualcosa, rifletté, come se quell’immagine non fosse del tutto completa, e aveva quasi la sensazione che la piccola Potter sarebbe comparsa lì da un momento all’altro per aggiustare il tutto.
« Dovrebbero essere svegli » proruppe la signora Weasley, quando giunsero finalmente davanti la porta della loro stanza. « Sapevano che saremmo venuti » spiegò, prima di chinarsi a dare un bacio sulla fronte al figlio minore; « Dai, andate. Io e Harry vi raggiungiamo tra poco. »
Rose lanciò un’occhiata inquisitrice a sua madre, che però la trascurò con discrezione; così i tre entrarono, senza altri indugi, nella stanza: era abbastanza piccola, bassa e rettangolare; le pareti erano tutte bianche, illuminate dalle luci di tante candele magiche, e proprio al centro vi erano due letti disfatti, uno vuoto, l’altro occupato da – e qui le spalle di Alice si rilassarono all’istante – Ron e Neville, che sedevano vicini, una grossa scacchiera a dividerli, con l’aria talmente concentrata che, di primo impatto, non si accorsero nemmeno della presenza dei loro figli.
« Ehm » mugulò Rose, tenendo ancora le mani intrecciate con quelle di Hugo e Alice. « Papà? »
Ron e Neville alzarono lo sguardo in contemporanea, e ad Alice venne quasi da piangere nel notare le pesanti ombre violacee che chiazzavano in più punti i visi di entrambi. Senza riuscire a trattenersi, slacciò la mano dalla presa dell’amica e si precipitò letteralmente addosso al padre.
« Ehy » salutò questi, inverosimilmente allegro, « come stai, ‘Lice? » Neville la strinse a sé, sebbene fosse piuttosto debole, e solo così Alice si accorse della grossa benda che gli circondava il petto. Fissò inorridita il punto in cui dalla garza spiccavano due chiazze rosso scuro.
« Tu come stai » replicò, guardando suo padre con un certo risentimento.
Neville rise, sempre facendo attenzione a non fare troppi movimenti; era messo abbastanza male, constatò Alice facendo il quadro della situazione: i lividi sul viso, la ferita sul petto (che aveva tutta l’aria di essere piuttosto grave), e qualche altra chiazza viola lungo le braccia. Voltò lo sguardo verso Ron, il quale era tutto intento ad abbracciare goffamente i suoi figli, e appurò che aveva più o meno lo stesso aspetto. Più che aver riportato ferite da incantesimo, rifletté, sembrava quasi che fossero stati picchiati.
« Sembri un enorme punching-ball » commentò innocentemente Hugo, rivolto verso Ron, quasi a dare conferma ai pensieri che frullavano per la testa di Alice.
Ron e Neville risero, anche se ben presto il primo iniziò a tossicchiare, tenendosi una mano sul petto; Rose gli allungò il bicchiere d’acqua che teneva sopra un tavolino vicino al letto, e lo fece bere scuotendo la testa. « Non dovresti fare sforzi » lo rimproverò.
« Sembri tua madre » disse Ron, ridendo di nuovo, ma c’era una vaga nota di orgoglio nella sua voce che Alice non comprese, e alla quale Rose sorrise teneramente.
« Allora…che cos’è successo? »
Alla domanda di Rose, Ron e Neville si scambiarono una lunga occhiata, palesemente nervosi, ma il dover dare una risposta gli venne risparmiato dall’intervento di Hugo.
« Stavate giocando? » gli occhi del ragazzino si illuminarono, mentre saltellava sul posto indicando la scacchiera. Ignorando i tentativi di Rose di intimargli di fare più silenzio, dato l’orario, Hugo scalpitò per salire sul letto vuoto e si posò sui propri gomiti, osservando gli scacchi con aria pensierosa.
« Stavo stracciando Neville, a dire il vero » disse Ron, rilassandosi e dando una leggera e impacciata pacca sulla spalla all’amico – il pigiama da ospedale e il dolore della ferita gli rendevano tutto più goffo e difficoltoso.
« Mi stava stracciando » annuì tristemente questi, « ma solo perché gliel’ho lasciato fare. »
Ron ridacchiò. « Andiamo, amico, non devi vergognarti. C’è chi ce l’ha nel sangue e chi, invece… »
Alice rise, e suo padre alzò gli occhi al cielo. Hugo chiese a Ron di sfidare lui, affermando di essere migliorato, mentre Rose giurava che avrebbe fatto da arbitro imparziale per la partita; Neville si voltò quindi verso Alice e le chiese come stava andando con la scuola.
« Bene » disse Alice, esitando. « A pare la punizione. Sono nella squadra di Quidditch. »
Neville la fissò stupito. « E quando pensavi di dircelo, signorina? »
Alice abbassò gli occhi, mordicchiandosi un labbro. « Be’…non era così importante, insomma…non è che me ne importi tanto. »
Suo padre la scrutò con attenzione per un attimo, con quello sguardo che utilizzava ogni qual volta cercava di leggere il suo viso, di capirla, e puntualmente ci riusciva benissimo; non a caso, quando la ragazza aveva un problema o voleva sfogarsi di qualcosa, preferiva mille volte andare a cercare suo padre piuttosto che Hannah. Neville riusciva a mettersi nei suoi panni, e a darle conforto – cosa che ad Hannah non riusciva granché bene. « Non mi sembri molto contenta » commentò infatti, alla fine.
« Non lo so, papà » sospirò Alice. « Non credo di essere molto brava. Ma comunque » continuò, prima che lui potesse ribattere alcunché, « non ci avete ancora detto che cosa vi è capitato. »
Neville esitò un attimo, ma poi disse: « Te l’ha detto tua madre. Non mi ricordo niente. Nemmeno Ron. »
« Niente di niente? » domandò lei.
Suo padre scosse la testa.
« E i Guaritori cosa dicono? »
« Che passerà in fretta, con le cure » spiegò Neville, tastando con le dita i contorni della ferita sul petto, « Ma ci obbligano a stare a riposo » sbuffò, con evidente disapprovazione.
Alice curvò le labbra in un mezzo sorriso. « E mamma dov’è? »
« A casa, immagino. Ha passato qui l’intera notte, ieri, era molto stanca. Voleva rimanere per vederti, l’ho quasi dovuta obbligare ad andare a riposare. »
« Tipico della mamma » commentò Alice, « e, insomma, non avete la minima idea di cosa vi abbia attaccato, quindi? »
Lo sguardo di Neville si fece scuro per un attimo. « No » affermò poi, « ma non devi preoccuparti di questo, Alice. Chiunque sia stato, il Ministero lo sta già cercando, e verrà rintracciato molto presto… »
« …eh, Neville, che ne dici? »
Ron si era voltato verso di loro con aria scherzosa, mentre chiacchierava allegramente con Hugo e Rose.
« L’ometto, qui, ha proposto un mega-torneo di scacchi di Natale » dichiarò entusiasmato, un braccio intorno alle spalle di Hugo, « allora, vi va? Passiamo le feste assieme, come ai vecchi tempi! »
Alice s’illuminò, e si voltò entusiasta verso Rose. Passare le vacanze dai Weasley sarebbe stato decisamente più divertente che trascorrerle dai nonni materni, che erano quasi più noiosi delle spiegazioni del professor Ruf e che a malapena si ricordavano il nome e l’età della loro unica nipote.
Lei di solito passava solamente gli ultimi giorni delle vacanze alla Tana con Rose e gli altri, e oltretutto senza i suoi genitori – ed era davvero tanto tempo che i grandi non facevano una delle loro rimpatriate tra vecchi compagni di scuola.
« Perché no? » asserì Neville con fare pensieroso. « Stavo giusto pensando a quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho avuto il piacere di mangiare il famoso polpettone di Natale di Ginny. »
« Se ti va di lusso, quest’anno cucinerà mia madre. Ginny, sai…ancora non ci sa fare. L’ultima volta ci ha quasi avvelenati tutti… » commentò Ron, storcendo il naso lentigginoso.
« E’ stato epico » intervenne Hugo, « Freddie non ha smesso di tossire per tutto il tempo, e mamma… »
« E mamma cosa? » Hugo fu interrotto dall’entrata della signora Weasley seguita da Harry.
« …E mamma è davvero una mamma fantastica! » terminò il piccoletto con una smorfia.
Hermione sorrise, poi si precipitò a salutare il marito, e così anche Harry dopo di lei. Si misero a chiacchierare allegramente del Natale che avrebbero trascorso tutti assieme, dell’ipotetico torneo di scacchi e di un ipotetico torneo di Quidditch tra cugini, ma nessuno – Alice notò con un certo sospetto – pareva avere l’intenzione di parlare di ciò che era successo. La cosa non doveva essere sfuggita nemmeno a Rose, poiché la ragazza continuava a guardare i genitori con aria scettica, ma né lei né Alice dissero nulla.
Forse era solo che ne avevano già parlato abbondantemente tra di loro prima di venirle a prendere ad Hogwarts, o forse davvero nessuno di loro sapeva nulla, nemmeno i due diretti interessati, e così in effetti non avevano granché di cui discutere. O forse, suggerì una vocina da un angolo della testa di Alice, stavano semplicemente cercando di distrarre lei, Rose e Hugo, per non dover affrontare l’argomento “attacco” con loro. Magari credevano che fossero ancora troppo piccoli per potergli parlare liberamente di questioni importanti – ma era un’idiozia, si disse Alice, soprattutto considerando che sia lei che Rose avrebbero dovuto sostenere un’udienza al riguardo l’indomani mattina, e nessuna delle due sapeva assolutamente nulla di ciò che era successo o del perché era successo.
Ora che suo padre era lì, sereno e vicino, era molto più facile ragionare lucidamente e mettere da parte la paura e l’angoscia per lui, così da poter iniziare a riflettere sulle questioni ora più pressanti – includenti, naturalmente, l’udienza.
Che cosa le avrebbero chiesto? Che cosa le avrebbero fatto?
Ma soprattutto: cosa c’entravano lei e Rose in tutto questo?
Erano tutti quesiti ai quali non avrebbe potuto rispondere se non la mattina dopo. Forse l’idea della signora Weasley di portarli tutti direttamente al San Mungo nonostante l’ora tarda (e ignorare le istruzioni impartite dalla lettera del Ministero) non era stata poi così brillante, visto che a causa di quell’udienza le due si sarebbero dovute svegliare molto presto – ma poi Alice rifletté che no, non avrebbe potuto passare l’intera notte e chissà quante ore ancora senza essersi accertata, personalmente, che suo padre stesse effettivamente bene. Infondo la faccenda dell’attacco e del suo bisogno di spiegazioni passava nettamente in secondo piano rispetto alla questione della salute di Neville.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dalla voce pacata del signor Potter che, posandole con gentilezza una mano sulla spalla, si era avvicinato per chiederle se volesse andare a trovare anche i suoi nonni.
Alice sorrise a quella richiesta e qualcosa nel suo stomaco la riempì di un calore inaspettato: non aveva smesso di pensarci un attimo, da quando erano arrivati lì, che a distanza di soli pochi metri da dove stavano loro vi era il reparto dei lungodegenti, dunque la stanza dei genitori di Neville, la stessa in cui non metteva piede da quasi due mesi.
« Vai » la incitò suo padre apprensivo, il viso tondo curvato in un sorriso allegro. « Saranno felicissimi di vedere anche te qui. »
Alice lo sentì ancora chiacchierare con gli altri mentre si lasciava condurre fuori in corridoio. Il signor Potter ebbe l’accortezza di lasciarla sola, e Alice poté proseguire: lasciandosi alle spalle la stanza chiassosa, si diresse di filato verso quella dei suoi nonni percorrendo mentalmente la distanza che compiva, confrontando quel tragitto al buio con lo stesso che aveva percorso alla luce del giorno più e più volte nell’arco della sua vita, insieme ai suoi genitori. Quand’era piccola, andare a trovare i nonni tutti assieme era una specie di tradizione di famiglia – e forse fu proprio il fatto che allora non conoscesse ciò che era loro successo, ciò che avevano passato, a permetterle di affezionarsi senza alcun tipo di disagio di fondo, ad affrontare la situazione con l’innocenza e la semplicità che solo una bambina poteva avere.
Arrivò a destinazione e sgusciò nella stanza in più silenziosamente possibile; ma non ve ne sarebbe stato bisogno, comunque: Alice e Frank, come gli altri pochi pazienti, dormivano così profondamente che Alice sospettava che nemmeno lo scoppio di una bomba sarebbe riuscito a svegliarli tutti.
Se lo aspettava, che li avrebbe trovati addormentati. Tuttavia decise di avvicinarsi lo stesso ai loro letti, sempre con cautela – per quanto il suo equilibrio precario permettesse –, e si fermò a contemplare i visi sereni e consumati di quelli che un tempo erano stati due giovani pieni di vita. E speranza.
Non poté fare a meno di intristirsi all’istante, ma non si mosse: l’atmosfera aveva qualcosa di intoccabile, tanto era avvolta nella quiete, e con quella tranquillità poteva permettersi di studiare i loro volti con maggiore attenzione di quanta gliene fosse mai stata permessa.
Frank aveva il viso tondo come il suo e quello di suo padre, e qualche lentiggine qua e là a macchiarli le guance di tanto in tanto; Alice invece aveva lineamenti più dolci e sottili, anche se oramai inaspriti dalle numerose rughe che le tiravano la pelle. Ai tempi d’oro doveva essere stata bellissima, e quella bellezza si poteva vedere ancora, si poteva sentire ancora nell’eco della sua risata cristallina.
Le sue riflessioni vennero nuovamente interrotte nuovamente, stavolta da Rose, che era venuta ad avvertirla che stavano per andare via.
« Mamma non vuole che facciamo troppo tardi » spiegò pacatamente.
« Arrivo » disse Alice. Rose le si avvicinò e seguì la direzione dello sguardo dell’amica.
Le mani rugose dei suoi nonni cadevano al di fuori dei rispettivi materassi, unite, intrecciandosi a penzoloni nel vuoto.
« Dovevano amarsi tanto » osservò Rose.
Alice sorrise.


 
***
 
Passarono la notte – o quello che ne restava – a casa Weasley, che si trovava nella periferia di Londra e che raggiunsero materializzandosi.
Alice dormì molto male. Alternò momenti di completa veglia a incubi tremendi, popolati da impiegati del Ministero carnivori e misteriosi uomini vestiti di nero che facevano del male a suo padre, attaccandolo nel letto d’ospedale. E quando, finalmente, sembrò trovare un po’ di pace e riuscì a chiudere occhio, si fecero le sei e trenta e la sveglia prese a suonare con irruenza.
La signora Weasley cucinò loro pancake per colazione (fu una sensazione stranissima non trovarsi in Sala Grande in quel momento, ma sapere che, mentre loro erano lì a spalmare marmellata sul pane, altri studenti erano ad Hogwarts che si svegliavano nei loro letti a baldacchino), ma né Alice né Rose avevano molta fame.
Quando finirono di vestirsi, il signor Potter comparì con la Metropolvere nel camino del salotto e spiegò loro che le avrebbe accompagnate lui, in quanto Hermione sarebbe dovuta nel frattempo tornare in ospedale per portare il cambio asciugamani a suo marito.
« Devo incontrarmi con tua madre, Alice, cara. Poi verremo tutte e due al Ministero a prendervi. Dopo vi riportiamo a scuola, ve lo prometto » spiegò loro con un mezzo sorriso, aggiustando velocemente un bottone della camicia azzurra di Rose. Le guardò con intensità per un istante, poi sospirò. « State tranquille. Probabilmente sarà solo una cosa formale, davvero. »
« Mamma » cominciò Rose, inarcando un sopracciglio.
« Non dovete preoccuparvi di nulla, è… »
« Mamma » la ragazza tentò ancora, stavolta con voce più ferma e decisa. « Lo sappiamo. Ma sta’ tranquilla anche tu, okay? »
La signora Weasley la guardò per un secondo con gli occhi spalancati, e fu sul punto di dire qualcosa, quando fu interrotta.
« Hermione, dobbiamo andare » Harry picchiettò il dito sull’orologio con aria nervosa. Alice deglutì.
« Sì, sì. Allora, avete tutte le vostre cose, e…sì. D’accordo. Allora ci vediamo tra poco. A dopo, ragazze – e per l’amor del cielo, Harry, non sbagliate ufficio o non arriverete mai in tempo. »
Alice fu certa di aver udito il signor Potter ridacchiare, mentre si infilavano nel vano del camino e, pronunciata la meta, sparivano tra le fiamme smeraldo della Metropolvere.
 
 
Il Ministero era super affollato alle sette e trentacinque del martedì mattina. Se al San Mungo quasi tutti i pazienti si erano voltati e li avevano squadrati per bene quando erano entrati, qui nessuno parve accorgersi nemmeno per un attimo della loro presenza: erano tutti troppo indaffarati, intendi a raggiungere in fretta un ufficio o uno degli ascensori magici o, ancora, il centralino informazioni in fondo alla grande sala che era l’Atrium.
C’era un’enorme fontana proprio al centro, e Alice, che era stata lì dentro solamente un’altra volta in vita sua, in occasione di una visita agli uffici dove ora lavorava il padre dopo essersi dimesso dalla carica di professore, la fissò per più di due minuti con la bocca spalancata per quant’era grossa e imponente. L’acqua sgorgava continuamente dalle bocche di alcune statue raffiguranti maghi, streghe e – Alice lo intuì dagli abiti – Babbani che cooperavano insieme nella costruzione di un grosso pilastro centrale, sul quale erano incise le tre ‘M’ del Ministero della Magia.
Harry si fermò qualche istante a parlare fitto fitto con alcuni impiegati, prima di raggiungerle di nuovo e informarle che l’udienza avrebbe avuto luogo di lì a mezz’ora in un ufficio al secondo livello – che, considerata la struttura orientata verso il basso del luogo, sarebbe stato a significare che dovevano scendere.
Nessuno dei tre parlò mentre si affaccendavano tra la folla per prendere posto nell’ascensore. Il signor Potter rivolse qualche altro saluto ad alcuni maghi dall’aspetto piuttosto bizzarro, ma poi, forse anche troppo presto per il cuore di Alice che correva all’impazzata, l’ascensore si fermò e una voce di donna annunciò che erano arrivati al secondo livello.
Lì l’atmosfera era molto più tranquilla. I rumori provenivano solamente dagli uffici con le porte aperte, e si sentiva l’eco di qualche chiacchierata avente luogo forse poco lontano, ma nulla di più. Alice iniziò a sentire le gambe cedere, ma sapeva che doveva tenere duro: non poteva essere così tesa già da ora, o durante il colloquio (o qualunque cosa fosse) sarebbe morta d’infarto.
« Allora » cominciò Harry, distribuendo a tutte e due un cartellino che riportava i loro nomi e le informazioni sulle loro bacchette. Alice lo fissò alla felpa con un gesto impacciato. « La stanza è quella » indicò una porta di legno scuro a qualche passo di distanza, « ma non ho il permesso di portarvi dentro. Ora, non so bene cosa vi sarà chiesto di dire o di fare » continuò sincero, abbassando la voce, anche se il corridoio era praticamente deserto, « ma come ha detto tua madre » rivolse un breve sorriso a Rose, « sarà sicuramente una questione di prassi. Non dovete preoccuparvi. Sul serio » aggiunse, notando il colorito verdognolo della faccia tonda di Alice. « Conosco Gwedon Fitzergald, la responsabile dell’udienza, ed è una persona onesta. Andate serene. »
Alice guardò verso Rose, trovandola pensierosa come al solito e, se non proprio tranquilla, comunque più serena di lei, che aveva il timore di farsela addosso da un momento all’altro.
La cosa che la preoccupava di più di tutta quella situazione erano tutte quelle domande senza risposta, il fatto che nessuno, Harry Potter incluso, aveva saputo spiegargli nulla a proposito di quell’accidenti di udienza.
« Zio » proruppe Rose improvvisamente, assottigliando lo sguardo persa in chissà quali macchinazioni, e parve sull’orlo di porre una domanda di fondamentale importanza. Ma proprio mentre stava per aprire bocca, la porta dell’ufficio si aprì e una donna alta e snella, vestita di tutto punto, si rivolse loro con un sorriso zuccheroso.
« Rose Weasley? E…  » controllò velocemente uno schedario che teneva tra le braccia esili, « Alice Paciock? »
Le due annuirono. La donna sorrise di nuovo e le fece cenno di seguirla all’interno, salutando Harry con la mano.
« Buona fortuna » bisbigliò questi a loro due, appena prima che si incamminassero in direzione della donna.
Alice tremò impercettibilmente, e Rose le lanciò un’occhiata nervosa.
Bene, si disse.
E udienza sia.









Note:
I don't know. Really. Non ho molto da dire su questo capitolo - o meglio, avrei infinite cose da dire ma preferirei lasciare le riflessioni a voi e vedere che ne pensate. Per ora le cose sono ancora molto ingarbugliate, ma già con l'udienza si farà un po' di chiarezza, e...niente, nel prossimo avremo uno scorcio del pensiero di Alice riguardo i Malandrini e la Prima Guerra Magica, e riicontreremo James e *zan zan zaaaaan* Scorpius. Insomma, sì, spoiler a go go.
Spero vi sia piaciuto e spoero che ci sia ancora qualcuno qui per questa storia, nonostante i miei immensi ritardi, e se ci siete ancora, be', allora siete belli n.n
un immenso grazie alle ottantatré persone che hanno inserito la storia tra le seguite, tutti quelli che l'hanno messa tra le preferite e ovviamente tutti quelli che mi recensiscono!
Un bacio :)

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Capitolo 13
*** When the darkness comes ***


12.
When the darkness comes

When you’re feeling lost
Don’t leave, my love
Hidden in the sun
For when the darkness comes

When the darkness comes – Colbie Callait
 


La stanza era piccola e ovale. Il soffitto alto e bianco chiudeva una parete circolare, costellata da molte finestre, dalle quali entrava una strana luce soffusa, quasi dorata, che rendeva l’atmosfera in qualche modo mistica. A contribuire a ciò, c’era un intenso odore di tè verde che aleggiava nell’aria, mischiato ad incenso e braciere, che fuoriusciva dal caminetto acceso sulla loro destra. Esattamente al centro, vi era una scrivania piena di fogli e cianfrusaglie e, subito davanti, due sedie con sedili di pelle scura. Ad Alice ricordava vagamente l’aula di Divinazione. Con una stretta al cuore, immaginò quanto sarebbe stato bello essere ad Hogwarts in quel momento, magari pronta per iniziare le lezioni di quella giornata, piuttosto che dov’era ora.
La donna di nome Gwedon le fece accomodare sulle due sedie e prese posto in quella dietro la scrivania, sistemando la montatura nera degli occhiali pericolosamente in bilico sulla punta del naso, e fissandole con una certa curiosità al di là delle spesse lenti.
« Allora, signorine » rivolse loro un sorriso gentile. Alice si rilassò un poco. « Mi chiamo Gwedon Fitzergald, e oggi condurrò la vostra udienza. Come state? Avrete affrontato un lungo viaggio. »
Rose inclinò la testa e la guardò con attenzione, come a valutarla. Unì le mani in grembo e le sorrise timidamente di rimando: « Bene, grazie. »
« Aspettiamo che arrivi il signor Burbage prima di cominciare », Gwedon Fitzergald aprì un cassetto di legno e ne tirò fuori una manciata di documenti di pergamena, ne prese uno vuoto, afferrò una piuma, la intinse nell’inchiostro e vi scrisse qualche parola. « Vi sarà posta qualche domanda » spiegò, trafficando ora con il mozzicone di una candela, « e dovrete semplicemente rispondere con ciò che sapete o che ricordate. Nulla di più » alzò nuovamente lo sguardo su di loro e fece l’ennesimo sorriso. Aveva le labbra sottili e i denti bianchissimi, di cui due, notò Alice, erano lievemente inclinati verso destra.
« Ma noi non sappiamo nulla » la voce di Rose fu un sussurro, eppure risuonò perfettamente udibile tra di loro.
La donna la fissò con la fronte aggrottata. Aprì la bocca per ribattere qualcosa, ma in quel momento la porta si aprì e nella stanza fece capolino un uomo. Era alto, tozzo e barbuto, dall’andatura sbilenca; Gwedon Fitzergald s’incupì all’istante quando lo vide, e gli rivolse una smorfia tirata che doveva essere un nuovo tentativo di sorriso.
« Oh, Burbage, quindi si è deciso a degnarci della sua presenza » strinse le labbra. « Si accomodi pure. Possiamo cominciare. »
L’uomo rivolse a Rose e Alice uno sguardo inquisitorio prima di prendere rumorosamente posto su un’altra sedia che fece apparire con un colpo di bacchetta. Rose prese la mano di Alice da sotto la scrivania e gliela strinse forte, e così lei di rimando, tormentando nervosamente con l’altra l’orlo dei suoi jeans.
La signora Fitzergald prese una nuova pergamena pulita, vi avvicinò la bacchetta ed emise alcune parole sottovoce; dopodiché la passò a Burbage, quasi con riluttanza, senza premurarsi stavolta di cercare di apparire cordiale. Burbage parve divertito da quel comportamento, ma i suoi occhi scuri rimanevano freddi e severi, puntati dritti verso le due imputate.
« Trascriva: Con la presente Gwedon Fitzergald, sottosegretario anziano del Dipartimento Auror e vicesegretario dell’Ufficio Applicazione della legge Magica, e sotto supervisione di Edward Burbage, personale addetto all’Ufficio Applicazione della Legge Magica, inizia l’udienza straordinaria del 7 Ottobre, ore 8:00 e sedici minuti. »
Burbage incantò la sua piuma affinché quella trascrivesse le parole della signora Fitzergald sulla pergamena e si dedicò, invece, all’apparentemente interessante impiego di continuare a fissare truce Alice e Rose.
« Interrogate: Rose Anya Weasley e Alice Hannah Augusta Paciock. »
Alice deglutì sonoramente. La signora Fitzergald le guardò con curiosità ancora una volta; aveva un aspetto dolce e delicato, come un piccolo fiore, esattamente il contrario dell’uomo sedutole (a debita distanza) che, invece, assomigliava più a una specie di gorilla. La donna prese un profondo respiro, poi cominciò:
« Bene. Presumo siate entrambe a conoscenza degli avvenimenti della scorsa notte. »
Alice e Rose annuirono incerte.
La Fitzergald continuò: « Quindi saprete che Ron Weasley e Neville Paciock sono stati ritrovati, svenuti e gravemente feriti, vicino all’entrata visitatori del Ministero, all’incirca tra le due e le tre. »
Di nuovo, le due ragazze annuirono. La piuma di Burbage si muoveva frenetica sopra la pergamena sospesa di fronte a loro. Alice teneva gli occhi fissi sulla scrivania e non aveva coraggio di controllare se l’uomo le stesse ancora fissando con astio, sebbene la curiosità la premesse forte – ma in quel momento, in ogni caso, la paura e il nervosismo sovrastavano qualsiasi altra emozione.
« Ora, entrambi i vostri padri affermano di non ricordare nulla dell’accaduto. E lo credo bene » aggiunse, con una smorfia, « gli è stato lanciato contro un potente incantesimo di memoria. Davvero singolare, in effetti. Gli aggressori si sono preoccupati di Obliviare solo l’intervallo preciso di tempo impiegato per attaccarli. Nulla di più, nulla di meno. Un lavoro sofisticato » si lasciò cadere contro lo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto, « di solito, le persone obliviate in circostanze simili, come furti o rapine, presentano lacune di interi giorni, se non di anni. Nessun rapinatore al mondo avrebbe l’accortezza di lanciare un incantesimo con precisione, giusto? Lo farebbe in fretta, impulsivamente. Senza controllo. Non avrebbe l’interesse né l’accortezza necessaria per…evitare i danni più spiacevoli, ecco, come la perdita del ricordo di anni e anni della vita dell’uomo attentato. »
Alice, con la coda dell’occhio, osservò Rose stringere le labbra e irrigidirsi sulla propria sedia. Rimase in silenzio, chiedendosi disperatamente dove la donna volesse andare a parare.
« Rose » chiamò senza preavviso la donna, dolcemente, e si rivolse alla ragazza con fare gentile: « che mi dici di tuo padre? A cosa sta lavorando, ultimamente? »
« A quello a cui lavora di solito » il tono di Rose era tagliente e infastidito, ma il suo viso tradiva un’espressione confusa. Alice guardò l’amica esterrefatta. Rose, di solito, era calma e paziente e – oltretutto – Alice non ricordava di averla vista nemmeno una volta rispondere male o mancare di rispetto ad un adulto.
« E a cosa lavora, di solito? » la Fitzergald non fece troppo caso all’atteggiamento di Rose.
« E’ un Auror. Cattura i maghi oscuri, no? »
« Sì, sì, ovviamente » la signora Fitzergald sembrava dotata di un’infinita pazienza. Non smetteva di sorridere in modo cordiale, mentre le scrutava di sottecchi e analizzava le loro mosse.  Alice non riuscì a capire quel comportamento, si chiese cosa la donna cercasse con tanto interesse, cosa volesse estirpare da loro due – due ragazzine, due studentesse -, sapendo bene che non potevano avere grandi informazioni da offrirle. Come avrebbero potuto, se mentre accadevano i fatti loro erano a chilometri di distanza, a dormire ignare nei loro letti caldi?
Rose rimase in silenzio e attese che la Fitzergald continuasse, e così quella riprese: « Ma ci è stato riferito dal alcuni informatori che, ultimamente, lui e altri suoi colleghi si siano impegnati in un nuovo…progetto. »
Rose non disse nulla. Aveva la fronte leggermente aggrottata e lo sguardo ancora più confuso di prima.
« Tu sai di cosa si tratta? » chiese la donna. Il tono gentile lasciava ora trasparire una punta di morbosa curiosità.
« Io…no » fece Rose, « non sapevo stesse lavorando ad un progetto, come ha detto lei. »
« Non ve ne ha mai parlato? Nemmeno a cena, in casa, durante una chiacchierata di famiglia…? »
« Mi scusi » la interruppe Rose, « ma perché non lo chiedete direttamente a lui? »
La Fitzergald non rispose; sorrise ancora, invece, al di là della scrivania, scrisse un breve appunto su un’altra pergamena che teneva lì vicino, e poi volse la testa verso Alice, che tremò impercettibilmente: « Alice Paciock » il sorriso le si allargò sul viso ovale e impeccabile. « Due nomi abbastanza importanti da portare. Un po’ pesanti, forse » picchiettò un dito sulla scrivania. L’unghia era lunga e perfettamente smaltata.
Alice pensò che, tra le persone che conosceva, lei era quella con i nomi decisamente meno pesanti da portare. Rose faceva “Weasley” di cognome e già questo bastava ad attirare fin troppo l’attenzione (a scuola, fortunatamente, ormai quasi per nulla: Rose aveva con gli anni preso una certa destrezza nell’arte del saper rendersi anonima e invisibile tra la folla). Lily e James, be’, si chiamavano Lily e James.
Potter.
E poi c’era Albus, il taciturno, riflessivo, ombroso Albus, che in quel tremendo gioco, sfortunatamente per lui, li batteva tutti centocinquanta a zero.
« Mmh » mugugnò quindi in risposta, visto che la donna la fissava in attesa e lei non aveva assolutamente idea di cosa dire.
« I tuoi nonni sono stati veramente coraggiosi » commentò la Fitzergald, « davvero, davvero coraggiosi. Due anime così nobili. E tu, Alice, cara? » si sporse un po’ verso di lei, per quanto le permettesse la scrivania che le separava, « anche tu sei un’anima nobile, come quella di cui porti il nome? » non aspettò la risposta e si tirò nuovamente indietro, riprendendo a tamburellare con le dita sulla scrivania, lasciando un’Alice decisamente confusa e stranita. « Ma sì, sembri proprio una brava ragazza. Ma, d’altronde, è perfettamente logico, perfettamente. Neville Paciock non poteva che crescere una figlia straordinaria! »
Alice guardò Rose con la coda dell’occhio e la vide stringere le labbra. Le strinse di nuovo la mano, e la ragazza ricambiò di nuovo la stretta.
« Anche tuo padre, vedi, sta lavorando a qualcosa di cui il Ministero non è al corrente » continuò dopo un po’ la donna. « Tu che mi dici, Alice? Tu ne sai qualcosa? Sai, non devi temere di dirci ciò che sai » le sorrise per l’ennesima volta, « noi siamo tuoi amici. Puoi fidarti! Questo è solo un colloquio tra…confidenti, se vogliamo metterla così. Queste carte, queste pergamene - » indicò con la punta dell’indice i fogli che teneva sulla scrivania e quello che ancora galleggiava nell’aria proprio di fianco ad Alice, « - sono solo una procedura di prassi. Non devi tenerne conto. Questo non è un interrogatorio, cara, è una piacevole chiacchierata. »
Rose fece una smorfia palesemente contrariata di cui però Alice non si accorse. Le parole di quella donna le sembravano così…calde. Rassicuranti. In effetti, si sentiva tranquillizzata ora che il vocabolo “interrogatorio” era stato ufficialmente escluso dalla lista di sostantivi adatti a descrivere quell’udienza. Gwedon Fitzergald aveva una voce dolce e persuasiva, due occhi grandi e scuri, i capelli perfettamente ordinati in uno chignon e l’innaturale capacità di saper mettere gli altri a proprio agio anche nelle situazioni più tese.
Smise di tremare e le sue gambe si rilassarono, e quasi le venne da sorridere quando la Fitzergald agitò la bacchetta e fece comparire due tazze di thè fumante, che porse loro con un nuovo sorriso gentile – ad Alice parve che ne avesse una scorta infinita, di sorrisi gentili, da rivolgere alla gente nelle occasioni più disparate. Tutto ciò la faceva sentire più tranquilla, e davvero non riusciva a comprendere perché la gamba di Rose, vicina alla sua, si irrigidisse sempre di più, perché la sua mano sudasse nella loro stretta e perché mai la ragazza continuasse a muoversi con piccoli scatti sulla sua sedia, come faceva sempre quando era nervosa.
Non riusciva proprio a capire il motivo per cui, mentre lei accettava di buon grado il thè e portava la tazza calda alle labbra con un gesto automatico, Rose avesse rifiutato più volte di bere con una certa impazienza. Non aveva notato un cipiglio contrariato balenare sul volto di Gwedon Fitzergald abbastanza a lungo affinché, invece, Rose potesse vederlo benissimo. Non aveva notato lo sguardo del silenzioso e tenebroso Burbage spostarsi unicamente su Rose e continuare ad osservarla, ora, con crescente interesse. Non aveva notato nemmeno gli angoli barbuti della sua bocca piccola allungarsi e tradire un sorrisetto appena accennato.
Quando il liquido caldo e aromatizzato del thè le scese lungo la gola, immergendola di piacere e calore, sentì una strana sensazione irradiarsi immediatamente nel suo stomaco, per poi salire, salire, fino ad arrivare alla testa. Le parve che il suo cervello stesse fluttuando all’interno della scatola cranica, e si sentì improvvisamente confusa e annebbiata. Strizzò gli occhi un paio di volte e il sorriso della Fitzergald si allargò ancora di più.
« Allora, Alice » riprese, stavolta con tono un po’ più impaziente, « dicevamo? »
« Il nome » farfugliò Alice sommessamente. Le parole le erano uscite dalla bocca senza che lei potesse controllarle. Era una sensazione strana, che non aveva mai provato prima, ma dentro di sé sapeva che non c’era nulla di cui preoccuparsi: il thè era buonissimo, anche più del solito, l’aria odorava di rose e la donna continuava a sorriderle calorosamente.
« Sì, sì » squittì la Fitzergald, gli occhi illuminati d’un entusiasmo tutto nuovo, « ma prima? Parlavamo del progetto dei vostri genitori, ricordi? »
« Oh » Alice inclinò il capo. « Sì » parlò quasi senza rendersene conto. Le parole continuavano a venire su da sole, all’improvviso, lasciandola interdetta una volta pronunciate.
« Sì » annuì la donna con vigore, « dunque? Sai di cosa si tratta? »
Alice bevve un altro sorso di thè, completamente confusa, poi la guardò un po’ spiazzata e, di nuovo, la risposta le fuoriuscì dalle labbra senza che lei dovesse anche solo formularla: « No. »
La Fiztergald, stavolta, non parve avere altri sorrisi gentili da sfoggiare. Incassò il colpo con difficoltà, ricacciò indietro l’onda di entusiasmo e tornò a sedersi compostamente sulla propria sedia, dalla quale si era di nuovo sporta in avanti mentre attendeva la risposta della ragazza. « Capisco » disse infine, delusa, e trascrisse un altro appunto sulla pergamena, ormai piena fino alla metà.
Alice bevve un altro sorso ancora, poi posò la tazza sulla scrivania e guardò Rose, con la vaga intenzione di sorriderle, perché si sentiva straordinariamente serena e rilassata. L’amica tuttavia non la stava guardando: i suoi occhi erano puntati sulla donna e aveva un’espressione disgustata. La sua tazza di thè era ancora piena.
Mentre la Fitzergald scriveva convulsamente sulla sua pergamena, seguirono diversi attimi di silenzio, che fu poi interrotto bruscamente, e a sorpresa, dal signor Burbage:
« Cosa sapete della Setta delle Ombre? » la sua voce era dura e fredda proprio come il suo aspetto.
« La cosa? » Rose smise di guardare in tralice la donna e lo fissò stupita.
« Burbage » lo richiamò allora all’ordine la signora Fitzergald con un’occhiata ammonitrice, smettendo si scrivere, ma lui la ignorò completamente, afferrando la pergamena fluttuante e interrompendo l’incantesimo della piuma.
« La Setta delle Ombre » ripeté, sfilando poi un sigaro dalla tasca della sua giacca.
Alice rispose subito: « niente », e tornò a guardare la tazza di thè vuota con un pizzico di fastidio. Ne voleva dell’altro. Era così buono! Perché non gliene versavano dell’altro?
Rose gli rivolse solamente uno sguardo confuso e lui, sorprendentemente, ridacchiò piano. « Andiamo, sei troppo sveglia per non aver capito che c’è qualcosa sotto, ragazzina » commentò.
« Burbage! » trillò di nuovo la signora Fitzergald.
« Che c’è? Non mi pare che tu abbia ottenuto molto con i tuoi sporchi giochetti, tanto vale provare un approccio diretto » ribatté tranquillamente l’uomo.
Fu come se l’avesse schiaffeggiata. Lo fissò con astio per un secondo, e poi tuonò: « Non ti permetto di immischiarti nel mio lavoro! Non…non azzardati nemmeno per un secondo a criticare quello che faccio! »
« Non mi permetterei mai, Gwedon » Burbage alzò le mani, « io critico come lo fai. »
Alice iniziò a spazientirsi. Voleva dell’altro thè. Era caldo e sapeva di menta e allegria. Magari avrebbe potuto prenderne un po’ dalla tazza di Rose…d’altronde, la ragazza non sembrava interessata a berne nemmeno un goccio…non avrebbe fatto male a nessuno…
La Fitzergald sbatté le nocche sulla scrivania, alzandosi in piedi, lanciandogli un’occhiata carica di rabbia. « Potete andare, ragazze » sibilò senza guardarle, « l’udienza è terminata. »
Burbage parve sul punto di scoppiare a ridere. Alice non voleva andarsene, però: non prima di aver bevuto un altro po’ di quel thè così innaturalmente squisito. Aprì la bocca per protestare ma sentì la stretta di Rose afferrarle un braccio e trascinarla via con forza. Si lasciò trasportare e, mentre uscivano dalla stanza e si chiudevano la porta alle spalle, sentirono la donna riprendere a urlare frasi sconnesse e Burbage ridere di gusto.
L’aria fresca del corridoio le sbatté contro il viso e Alice inspirò profondamente, con una sensazione strana. Aveva quasi l’impressione di non ricordare granché di quello che era avvenuto in quella stanza. Vide di sfuggita Rose fissarla con la fronte increspata di preoccupazione, e d’un tratto tutta quell’allegria che aveva percepito fino a poco prima sembrò svanire, scoppiare come una bolla di sapone. Sbatté le palpebre e rivolse all’amica uno sguardo confuso e un po’ spaurito.
« Non…capisco » farfugliò, e sentì le lacrime pizzicarle gli occhi. « Che è successo? »
Rose emise un grugnito di rabbia, poi sbottò: « Quell’arpia! », e Alice fu sicura di non averla mai vista così infuriata prima d’ora.
Si voltò e vide il signor Potter venire loro incontro con l’aria preoccupata. Quando lui le raggiunse, e notò l’espressione di Rose, le rughe sulla sua fronte si intensificarono.
« Che è successo? » chiese, e per un attimo ad Alice parve di vedere se stessa, buffamente camuffata da Harry Potter, porre quella stessa domanda giusto un attimo prima, e d’un tratto si sentì stupida e ingenua.
« Non volevano parlare dell’aggressione » spiegò Rose, accigliata, mentre si dirigevano a passo spedito verso l’ascensore, « volevano parlare…di voi! Ci hanno chiesto informazioni su di voi! »
Il signor Potter assottigliò lo sguardo e parve ancora più preoccupato. « Cosa vi hanno chiesto? » domandò con tono grave.
« Se sapessimo che cosa state combinando ultimamente » Rose esitò. « Se sapessimo qualcosa su…su quello che state facendo. »
Harry si fermò bruscamente in mezzo al corridoio. Ad Alice sembrò di vederlo riflettere velocemente sul da farsi, lo vide indeciso su qualcosa, ma non ne fu del tutto sicura: si sentiva ancora piuttosto scombussolata e confusa.
« Venite » disse infine, sospirando, « Hermione e Hannah ci aspettano nell’Atrium. »
Rose spalancò gli occhi e gli rivolse un’occhiata ferita. « Non ha senso non dirci nulla, adesso » protestò, « non dopo questo… »
« Rose » la ammonì il signor Potter, mentre prendevano posto nell’ascensore vuoto e lui premeva il bottone del piano terra.
« Hanno usato del Veritaserum su Alice! O qualsiasi cosa fosse…hanno cercato di incantarci per estrarci informazioni, hanno parlato di progetti segreti e sette, non credi che…insomma, che meriteremmo una qualche spiegazione? »
Alice sussultò e fissò l’amica boccheggiando.
« Veritaserum? » fece il signor Potter, strabuzzando gli occhi. Guardò Alice con attenzione, mentre la sua espressione mutava velocemente da tesa, ad arrabbiata, ad infuriata. Purtroppo, ancora nessuna legge vietava l’uso di quella pozione sui minorenni, né tanto meno sui partecipanti ad un’udienza – e, in ogni caso, né Alice né Rose avrebbero mai avuto per prove per poterlo dimostrare. Ma l’uomo si ripromise di fare al più presto quattro chiacchere con Gwedon Fitzergald per i suoi metodi medioevali.
« Credo di sì » assentì Rose, « Non saprei. Le hanno dato qualcosa, sicuramente. »
« Come ti senti? » chiese Harry ad Alice. Pareva aver deciso che fosse più importante assicurarsi sulle condizioni della ragazza, prima di lasciarsi andare alla furia contro la Fitzergald. « E per rispondere alla tua domanda, Rose: non è questo il luogo adatto per parlarne » aggiunse a bassa voce, riassumendo il tono pacato e paziente di sempre. Rose sembrava ancora infervorata, ma alle parole dello zio tacque e, dopo un secondo, annuì piano.
Alice avrebbe voluto rispondere che si sentiva bene, ma evidentemente l’effetto della pozione non doveva ancora essere sparito del tutto e, in un modo che ormai le era quasi diventato famigliare, si sentì rispondere: «Male».
Si tappò immediatamente la bocca e gettò ai due un’occhiata disperata. « No! Voglio dire…mi sento b-male – oh, accidenti! » inspirò profondamente, appoggiando la schiena alla superficie fredda dell’ascensore, che sfrecciava tra i piani del Ministero alla velocità della luce. « Mi sento così stupida » ammise, sospirando, e di nuovo fu sul punto di piangere.
« Maghi più grandi e più esperti di te sono stati ingannati in questo modo » il signor Potter le sorrise benevolo e dispiaciuto, e le strinse una spalla con fare rassicurante. « Non è colpa tua, tu non hai fatto proprio nulla per cui ti debba sentire così.  Sei tutt’altro che stupida, e lo sai bene,  Alice. »
La ragazza annuì piano, lievemente in imbarazzo e non del tutto rassicurata. Anche Rose le prese la mano e gliela strinse, sospirando. Però, pensò allora Alice, Rose l’aveva capito subito.
Lei, Alice, era stata così ingenua da cascarci senza sospettare nulla.
 
Quando furono nell’Atrium, la prima cosa che catturò l’attenzione di Alice, che nel frattempo si era ripulita in fretta gli occhi arrossati di pianto, fu la chioma straordinariamente cespugliosa della madre di Rose. E, subito accanto, una coda di cavallo biondo cenere tirata su da un pettinino blu, che aveva un’aria decisamente molto famigliare.
Quando Hannah si voltò verso di loro, Alice fu quasi tentata di fare dietro front, prendere la riconcorsa e buttarsi giù nel vano vuoto dell’ascensore. Il viso di sua madre era livido di rabbia. Il motivo, poi, Alice non lo conosceva, ma conosceva abbastanza bene quell’espressione da sapere che non prometteva nulla di buono, almeno non per lei. Per questo motivo, continuò a mettere un piede dopo l’altro con estrema riluttanza, mentalmente preparata al peggio: eppure, quando finalmente le raggiunsero, nello stesso istante in cui Rose scompariva tra le braccia di Hermione, sua madre l’aveva già stretta in una morsa spacca-ossa e la stava abbracciando come se fosse l’ultima volta.
« M-mamma » tossicchiò, « mamma…  »
« Oh, Alice, sono stata così preoccupata! Ero così…non sai quanto sia felice di rivederti. Come è andata? State bene? Sia ringraziato il cielo! » la stretta s’intensificò mentre Alice tentava di non soffocare.
« Mamma… » tentò di nuovo, « non riesco…a respirare. »
Hannah mantenne la stretta per un altro minuto buono, in cui la colorazione del viso di Alice mutò da rosso intenso a viola scuro per poi trasformarsi in un inquietante verde oliva, prima di lasciarla finalmente andare, prenderle il viso tra le mani, baciarle la fronte e sospirare pesantemente.
« Faremmo meglio a tornare in ospedale » le avvertì la signora Weasley, che teneva un imbronciato Hugo per la mano, « prima ci sbrighiamo, prima le ragazze possono ripartire. »
Salutarono il signor Potter, che sarebbe rimasto a lavoro (Rose si premurò di riservargli una lunga occhiata eloquente, che sottintendeva che no, non aveva affatto dimenticato il suo bisogno di spiegazioni), e poi si Smaterializzarono davanti l’entrata del San Mungo in un sonoro “pop”. Alice cadde faccia a terra come di consueto –odiava la Materializzazione!-, poi il gruppetto si recò all’interno del grosso edificio e, dopo aver sostato per un po’ nella sala d’attesa aspettando che iniziasse l’orario delle visite - visto che, a quanto pareva, per la responsabile del reparto far entrare i visitatori alle nove meno dieci quando i turni cominciavano solo alle nove equivaleva ad un atto di puro vandalismo -, si precipitarono finalmente nella stanza di Neville e Ron.
L’aspetto della stanza non era cambiato granché dalla sera prima; con l’unica differenza che ora entrambi i letti erano vuoti, c’erano diversi fogli di giornale sparsi qua e là, e sopra ad un baule di pelle, dentro la sua gabbietta, sonnecchiava beato un grosso gufo grigio.
Il padre di Rose era in piedi vicino la finestra, i pantaloni del pigiama a sfiorargli appena le caviglie, e quando le sentì arrivare si voltò e rivolse loro un sorriso un po’ turbato.
« Allora, com’è andata? »
Ma Hermione intervenne prima che Rose o Alice potessero rispondere alcunché: « Cosa stai facendo, Ron? I Guartiori hanno detto che devi stare a letto! »
« Quei vecchi pazzi » Ron fece una smorfia contrariata, ma all’occhiata della moglie si risedette afflitto sopra al materasso, « ci servono minestra a pranzo e a cena. Sarà un fortuna se una volta uscito da qui non me la sognerò, la minestra…visto che già lo faccio. »
« Per l’amor del cielo, Ronald, la prossima volta che rischierai di morire ti prenoterò un posto in un albergo a cinque stelle... »
Rose alzò gli occhi al cielo e si chinò verso l’orecchio di Alice, mentre Hugo prendeva svogliatamente posto su una sedia accanto al letto del padre, e sussurrò: « Credo che tuo padre sia dai tuoi nonni, l’ho visto entrare mentre venivamo. »
Hannah confermò la sua ipotesi chiedendo ad Alice e Rose se volessero accompagnarla nella stanza accanto.
Uscirono da lì, mentre i genitori di Rose si scambiavano battute infervorate e poi, arrossendo simultaneamente, si davano un tenero bacio di riconciliazione.
La madre di Alice le precedette di parecchi passi, così le due ragazze poterono rimanere un po' più indietro per parlare.
« Dev’essere qualcosa di grave, vero? » chiese Rose una volta fuori. La stanza dei suoi nonni era a pochi metri di distanza, così Alice rallentò il passo e la guardò. Non ebbe bisogno di chiederle a cosa si riferisse.
« Non lo so. Non…non mi piace molto, però. Ma che cos’è, poi, questo progetto? »
« Non ne ho idea » lo sguardo di Rose s’incupì, « ed è proprio questo che mi preoccupa. »
« Che intendi dire? » chiese Alice.
« Be’, se non fosse stato nulla di segreto o pericoloso, perché i nostri genitori non avrebbero dovuto parlarcene? E poi » aggiunse, aggrottando la fronte, « non ci hanno ancora dato risposte. E’ da quando siamo qui che non fanno altro che evitare le nostre domande. »
« Nemmeno loro immaginavano che stamattina ci avrebbero chiesto cose su di loro » disse Alice, pensierosa. « Se stanno facendo qualcosa all’oscuro del Ministero significa che non possono parlarne proprio con nessuno, forse » aggiunse, ma non era tanto convinta nemmeno lei.
« O magari » commentò Rose, un attimo prima di aprire la porta della stanza dei lungodegenti, « significa che non si fidano del Ministero. Anche se…non ne capisco il motivo. E non capisco nemmeno tutta questa situazione, quello che sta succedendo…non ha alcun senso » farfugliò.
Alice rabbrividì. Il suo nervosismo, però, si attenuò un po’ non appena vide suo padre, seduto sul letto di sua nonna, sorridere felice mentre questa gli porgeva una barchetta di carta. Hannah se ne stava da una parte, un po' incerta, con un'espressione imbarazzata che ad Alice dava sempre molto fastidio. Lei e Rose entrarono, sorpassando una famiglia in visita a quello che una volta suo padre le aveva detto chiamarsi “Allock” – un uomo anziano davvero bizzarro, con una strana mania per gli autografi, che aveva perso tutta la memoria tempo prima per un incidente in circostante misteriose -, e si sedettero ai due lati del letto.
Sua nonna parve illuminarsi di gioia a vederla, poiché sorrise teneramente e le si accostò, sedendole accanto, dondolando con le gambe e canticchiando qualcosa che la ragazza non riuscì ad afferrare. Rose, che si sentiva sempre un po’ di troppo quando accompagnava Alice dai nonni (era già successo diverse volte, durante gli anni), fece un incantesimo alla barchetta affinché svolazzasse intorno a loro e salutò Neville con un sorriso, allontanandosi un poco.
Frank era steso sul letto di fianco, lo sguardo concentrato su un libro dalla copertina viola acceso che teneva in mano al contrario. Né lui né la nonna potevano ancora riconoscere davvero nessuno di loro, ma c’era qualcosa, Alice lo sentiva, c’era ancora qualcosa che li legava tutti in modo così profondo da renderli incondizionatamente uniti.
Alice si chinò a dare al nonno un bacio sulla guancia e questo la guardò un po’ spaesato per un attimo, per poi metterle in mano – Alice l’aveva già aperta e tesa verso di lui – il segnalibro che stava usando, stringere il suo dito indice con allegria, e poi tornare alla sua lettura.
« Sarà meglio che andiamo » commentò Neville. Si alzò – indossava il pigiama dell’ospedale anche lui, come Ron –, e dopo aver baciato la madre sulla fronte, presa sotto braccio la propria moglie, e atteso che anche Alice la salutasse, i tre si diressero fuori al seguito di Rose.
« Vado a chiamare la mamma » annunciò la ragazza, dileguandosi con un cenno del capo mentre Alice, suo padre e sua madre si sedevano sulla panca del corridoio, dove i Guaritori e parecchi infermieri indaffarati facevano avanti e indietro tra una stanza e l’altra con l’aria un po’ nervosa e un po’ divertita.
Alice ripensò a quella volta in cui sua madre le aveva detto che sarebbe stata felicissima se un giorno, una volta cresciuta, lei fosse diventata una Guaritrice. Al che lei aveva messo su una faccia terrorizzata, riflettendo sul fatto che, una che non riusciva a tenere in sicurezza nemmeno se stessa, non poteva di certo fare un mestiere in cui si sarebbe dovuta occupare di quella degli altri. Dopo un minuto di silenzio, Hannah si allontanò, ciancicando che sarebbe andata a prendere un po' di thè.
« Allora, quest’udienza? » chiese Neville, mentre sfilava dalla tasca una bustina di zucchero e faceva comparire dell’acqua in un bicchiere. I Guaritori gli avevano detto che li avrebbero mandati via più in fretta non appena avessero ripreso un po’ di energie, e così lui e Ron si erano dati da fare.
Alice sospirò. « Papà » cominciò, « che cosa sta succedendo? »
Neville la scrutò con aria confusa, mentre mischiava la sua bevanda con un cucchiaino.
« Voglio dire, ai genitori di Rose. E a te. E al signor Potter…e cosa diamine è la Setta delle Ombre? »
Neville strabuzzò gli occhi e per poco non si strozzò mentre beveva: « Dove ne hai sentito parlare? »
« Quella donna, all’udienza » spiegò Alice, battendogli una mano sulla schiena, « ha detto un sacco di cose strane. »
« Del tipo? » indagò Neville, poggiando il bicchiere ancora quasi pieno sulla panca e guardandolo storto.
« Del tipo che voi state lavorando a qualcosa di segreto e… »
« Ascolta, Alice » proruppe suo padre, facendosi più serio, « quello che devi capire di questa storia è che... »
« Neville, caro, Alice deve andare! » Rose era riuscita a trascinare fuori dalla stanza la signora Weasley, e nel frattempo Hannah era tornata, con una tazza tra le mani, e ora si stava sbracciando dall’altra parte del corridoio per attirare la loro attenzione.
Alice sbuffò. Merlino, era la sedicesima volta in due giorni che non riuscivano a portare a termine un discorso! Non si mosse e continuò a scrutare suo padre in trepidante attesa; lui, però, si era già alzato e la stava incitando a fare lo stesso.
« Ma… » protestò.
« Ti scriverò non appena mi dimetteranno. Dovrebbe essere a breve, stiamo già tutti e due meglio. E quando ci rivedremo, ti prometto che ti spiegherò ciò che vuoi sapere. D’accordo? » propose.
Alice tentennò per un momento, ma sua madre si stava ancora sbracciando e suo padre pareva deciso a concludere lì la loro conversazione. « D’accordo » mugugnò infine, contrariata.
Neville sorrise e le diede un bacio sulla fronte; poi, prima che raggiungesse definitivamente Hannah, le diede una busta. « Volevo dartela ieri, ma l’ho dimenticato » disse, « vecchie abitudini. A volte penso che mi serva ancora una Ricordella… »
« Alice! » chiamò Hannah ancora una volta.
« Aprila quando vuoi, ti piacerà. Adesso va’, che a tua madre sta venendo un infarto. Ci vediamo a Natale, bambina » la abbracciò, poi Alice sgusciò via con la busta stretta tra le mani e, per la prima volta da quando le era arrivata la notizia dell’attacco, un pizzico di mera allegria.
 
***
 
Era pomeriggio inoltrato quando si Smaterializzarono appena fuori i cancelli di Hogwarts, dove già le aspettava la Preside, affiancata dal custode.
Hannah salutò Alice con un secondo abbraccio spacca-ossa, e utilizzando i seguenti tre minuti per raccomandarle di fare attenzione, di darsi da fare a scuola, di comportarsi bene e di scrivere frequentemente. Poi, dopo averle rivolto un ultimo sguardo pieno di preoccupazione, si Smaterializzò e Alice tirò un sospiro di sollievo, al seguito del quale si sentì subito in colpa.
Hermione si fermò a scuola per un’ora abbondante per parlare con la McGranitt, che sembrava quanto mai felice di vederla, e che aveva generosamente concesso loro la libertà di mancare alle lezioni di quel pomeriggio, se non se la sentivano ancora.
E così Rose si dileguò nel suo dormitorio quasi subito, ammettendo di avere un infinito bisogno di dormire – nemmeno lei era riuscita a chiudere occhio la notte prima -, e Hugo si precipitò in Sala Grande dove, aveva detto ad Alice, avrebbe sicuramente trovato Lily, che aveva l’abitudine di saltare qualche lezione nelle ore più calde, poiché a quanto sembrava le mettevano troppo sonno.
Alice, rimasta sola, si diresse nella Sala Comune, dove una manciata di studenti sedevano vicino al camino o giocavano a Spara Schiocco sul tappeto, per aspettare che Jo tornasse dalle lezioni e raccontarle tutto l’accaduto.
Passò su nel dormitorio con l’intento di sciacquarsi solo un po’ il viso, ma alla fine il getto d’acqua calda le parve così invitante che finì per tuffarsi sotto la doccia. Si insaponò con irruenza, quasi sospettasse di avere ancora in circolo nel corpo un po’ di quella pozione che le aveva fatto trangiugiare, come se raschiarsi la pelle con una spugna servisse a mandare via la vergogna che ancora la consumava.
Poi uscì, si asciugò, e improvvisamente si sentì turbata al pensiero di rimanere troppo tempo sola con i propri pensieri. Allora afferrò la camicia della divisa e si vestì in tutta fretta, senza far bene caso a ciò che indossava; afferrò quindi un libro dal baule accanto al letto, la busta che le aveva dato suo padre, e si precipitò di nuovo nella Sala Comune. Prese posto in una delle poltrone libere, più lontana dal ciarlare senza freni degli altri ragazzi, aprì la misteriosa busta e tirò fuori una foto ingiallita. La girò, curiosa, e notò la scritta che enunciava in una calligrafia disordinata: “Ordine della Fenice”, e una data sbiadita che non riuscì a leggere.
Fissò stupita i volti dei suoi nonni, un’infinità di anni più giovani, un’infinita di anni più felici fa. Accanto a loro, molti volti sconosciuti e qualcuno che le ricordava qualcosa ma che non riuscì ad associare a nessun nome. C’era anche il professor Silente, notò, il mago barbuto che faceva sempre qualche strana battuta dal quadro che c’era nella presidenza. E poi, notò con sorpresa, c’erano anche James e Lily, i nonni di Albus, che aveva già visto tante volte nelle vecchie foto che il signor Potter teneva in casa sua.
La guardò per un altro po’, incantata: i visi di suo nonno e sua nonna le erano famigliari pur essendo così distanti, e avevano l’aria felice. Frank teneva Alice per la mano, mentre il nonno di Albus, James, aveva un braccio intorno alle spalle di Frank e uno intorno alla vita di Lily. La donna aveva una cascata infinita di capelli rossissimi ed era davvero molto bella, con un viso gentile e delicato. Stava fissando probabilmente l’ignoto fotografo e sorrideva allegramente, le mani intrecciate in grembo; James, invece, non faceva altro che scompigliarsi i capelli neri e guardare Lily con la coda dell’occhio di tanto in tanto, con fare protettivo. Alice si sentì improvvisamente molto piccola, di fronte agli occhi di chi aveva dato così tanto, anche la propria vita, per il bene di altri, per una rovinosa battaglia contro l’ingiustizia.

Girò la fotografia, felice di aver con sé quel piccolo pezzo della vita di persone coraggiose e dal cuore d’oro; dopodiché aprì il volume ad una pagina a caso e ce la infilò.
Prese a fare finta di studiare mentre osservava gli scintillii che la collanina a forma di Tour Eiffel emetteva quando si muoveva. Così iniziò a girare il collo, prima lentamente e poi più veloce, continuando a guardare rapita i giochi di luce del piccolo ciondolo.
« Ma cosa accidenti stai facendo? »
La voce di James le giunse all’orecchio poco distante. Si fermò immediatamente e si voltò, appurando che, in effetti, il ragazzo non era poi così lontano: stava prendendo posto nella poltrona accanto alla sua, e la osservava con aria divertita. « Sei completamente matta » dichiarò.
« Non sto facendo proprio niente » protestò Alice sbuffando, ed era una mezza verità. Chiuse il libro con un colpo secco, ma sfortunatamente quello era così pieno di sporco, per quanto poco lo usava, che una manciata di polvere fuoriuscì dall’imboccatura delle pagine e le finì dritta sulla faccia.
« Tu sei pazza, Alice Paciock » ribadì James ridendo, lasciandosi scivolare lungo il sedile della poltrona, « sei pazza. » Si sporse verso di lei e, sempre ridendo, le passò un dito sulla guancia impolverata, lasciandole un’impronta.
« Ah – ah » commentò Alice in tono lugubre, pulendosi la faccia con l’orlo della camicia. « Divertente. »
James non smise di ridere e si scompigliò i capelli. Alice spalancò le enormi pupille marroni quando realizzò che quel gesto, per lui tanto abituale, le ricordava in un modo bizzarro lo stesso gesto che il nonno del ragazzo aveva compiuto più volte dalla fotografia. Si ritrovò a pensare che, per certi versi, James assomigliava a...be', all'altro James. Avevano lo stesso sguardo a metà tra il divertito e lo sventato, quasi strafottente, e un ardore bruciante illuminava gli occhi di entrambi costantemente. Ma il viso del padre di Harry era più sottile, in un modo quasi impercettibile, e i lineamenti più marcati, più duri; James Sirius era ancora quasi un bambino al confronto. Il sorriso, invece, il sorriso lo aveva preso decisamente dalla nonna: era luminoso e vivace come una stella. In realtà, pensò Alice, la stessa Lily raffigurava benissimo una stella in tutto e per tutto.
James si accorse del suo sguardo insistente, così aggrottò la fronte: « Che c’è? » chiese.
Alice si riscosse e si affrettò a fissare i lacci delle proprie scarpe. « Niente, perché? »
« Mi stavi fissando. »
« Non è vero » sbuffò, lanciandogli un’occhiataccia, « smettila di essere così egocentrico. »
James alzò gli occhi al cielo. Era strano, pensò Alice, parlare con lui, ora che condividevano qualcosa. Ora che avevano un segreto in comune.
« E tu smettila di essere così insopportabile. »
Be’, era strano, sì, ma forse non era poi così diverso da come era sempre stato.
« E tu smettila di tormentarmi. »
« Mmh » James finse di pensarci su per un momento. « Nah, non credo lo farò. E’ troppo divertente vederti dare in escandescenze! »
« James! »
« Sì, Paciock? » il ragazzo le sorrise, beffardo, poi si alzò e le rivolse un breve inchino. « Ci si vede in giro, milady. »
« Ciao » fece lei con una smorfia, facendo per aprire di nuovo il suo volume. Sapevano entrambi che quel “in giro” sottintendeva un preciso momento, in un preciso luogo.
James si allontanò con aria baldanzosa. Alice lesse cinque righe di quel tomo polveroso, capendo che si trattasse di un noiosissimo libro di Astronomia, prima di rialzare lo sguardo.

James era ancora nella Sala Comune, a pochi metri di distanza, poggiato con la schiena contro il muro, e stava appassionatamente baciando una ragazza alta e carina che Alice non conosceva.
 
 
 
 
 


Note:
Okay, aggiungo le ultime note in fretta e furia perché devo assolutamente scappare via! Graziegraziegrazie per essere arrivati fin qui e fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate!
Oh, dopo un’infinita ricerca sono riuscita a trovare la perfetta Alice Paciock e aww.
Carey Mulligan (in An Education): http://www.filmdetail.com/wp-content/uploads/2009/10/Carey-Mulligan-in-An-Education.jpg
A prestissimo!

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Capitolo 14
*** Little by little ***


13.
Little By Little

“We don't claim to be perfect but we're free
We dream our dreams alone with no resistance
Fading like the stars we wish to be.”

Little By Little - Oasis
 
 

 
« Quindi, ricapitolando: qualcuno aggredisce i vostri genitori, vi convocano al Ministero per un’udienza senza senso, una tizia vi interroga sulle presunte attività super-segrete di famiglia e un altro tizio blatera qualcosa su una Setta –che brutta parola, lasciatemelo dire- che nessuno conosce. Beh » dichiarò Cathy, sistemando una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, « ora sì che è tutto più chiaro. »
Erano a colazione e, per quanto Alice si sforzasse di rimanere concentrata per riflettere sugli ultimi eventi, che lei e Rose avevano appena riassunto agli amici con scrupolosa minuziosità, non riusciva a ragionare lucidamente. Lei ci provava, cercava davvero di trovare una connessione, un filo logico che mettesse tutti i pezzi al loro posto e desse a quella storia assurda un minimo di spiegazione, ma proprio non ci riusciva.
Se non altro, almeno, a parte la loro ristretta cerchia di conoscenze, la notizia dell’aggressione di Ron e Neville e la faccenda dell’udienza non si erano divulgate tra le mura della scuola così in fretta come Alice pensava: anzi, è più corretto dire che non si erano divulgate affatto.
Insomma, non che lei si aspettasse di trovare cartelloni o manifesti pubblicitari a grandezza d’uomo, ma si era preparata psicologicamente ad affrontare le conseguenze di un qualche articolo sulla Gazzetta del Profeta, che le sembrava praticamente cosa ovvia. Era certa che la notizia di un attacco a uno dei grandi eroi della guerra avrebbe fatto scalpore, era certa che nessun giornalista si sarebbe lasciato scappare uno scoop così succulento e promettente.
Eppure, al contrario di quanto sia Alice che Rose si erano aspettate, la Gazzetta non citava alcuna aggressione e, soprattutto, nessuno pareva essere a conoscenza degli eventi.
Nessuno.
Be’, non che fosse una brutta cosa. Sarebbe stato insopportabile dover sottostare agli sguardi e ai bisbigli degli altri studenti che, se la notizia si fosse sparsa per la scuola, avrebbero certamente inseguito lei e Rose per settimane. Eppure, non riusciva proprio a scrollarsi di dosso la sensazione che sotto quel bizzarro silenzio ci fosse qualcosa di sospetto.
« Non posso credere che mio padre ci stia nascondendo qualcosa » commentò Albus con voce piatta, ed erano le prime parole che pronunciava dal pomeriggio prima. Insomma, avevano tutti già avuto modo di appurare che Albus non fosse esattamente un tipo loquace, ma non dire letteralmente nulla per un’intera giornata era un po’ fuori dal comune persino per lui.
« Già, dillo a noi » commentò Alice in tono lugubre.
« Magari non vi hanno detto nulla per proteggervi » ipotizzò Cathy mentre imburrava una fetta di pane tostato sotto lo sguardo curioso di Jo, « voglio dire, da quel poco che si può capire di questa situazione sappiamo che c’è sicuramente sotto qualcosa di strano. Forse addirittura pericoloso…magari non vogliono mettervi in mezzo. »
« Ci siamo già in mezzo » replicò Rose.
« Ma non del tutto, no? Insomma, nessuna di voi due sa ancora come stanno davvero le cose. »
« E’ vero, ma conoscerle a metà è anche peggio di non conoscerle affatto… »
« Okay, mi sono ufficialmente persa » annunciò Jo. « Albus, mi passi quella tartina, per piacere? »
Albus la fissò come se fosse impazzita prima di eseguire, al che Alice rise e Rose scosse la testa con rassegnazione.
« Magari potremmo fare qualche ricerca su questa Setta-delle-cose » propose Cathy prima di addentare il suo pane.
« Setta delle Ombre » precisò Rose, « e sì, è una buona idea. Posso chiedere il permesso alla Spinnet di visitare il Reparto Proibito, non ha l’aria di qualcosa che potremmo trovare tranquillamente tra i libri di testo… »
Cathy rise: « Ha più l’aria di qualcosa che potremmo trovare in un covo segreto sottoterra, o in una caverna sulle montagne, o in un castello maledetto, o… »
« Nella Sala Comune di Serpeverde? » propose Jo ridacchiando.
« Ah-ah-ah » commentò Cathy facendole la linguaccia. « Non si chiama mica Setta delle Serpi… »
« Beh, sarebbe stato troppo esplicito! » esclamò Jo con sicurezza.
« Sapete, noi Serpeverde abbiamo una teoria tutta nostra su questa storia delle Case » dichiarò Cathy ignorandola.
« Ah sì? » ridacchiò Rose, e Alice fu contenta che almeno Cathy riuscisse a tirarla un po’ su di morale.
« Certo. Secondo noi, inizialmente, tutti gli studenti erano Serpeverde. Sapete, astuti, svegli, ambiziosi e blablabla. Ma si annoiavano, e così si divisero in due gruppi e da un gruppo nacquero i Corvonero: e finalmente i Serpeverde ebbero altre menti brillanti con cui confrontarsi…ma si annoiavano ancora, perché non sapevano come divertirsi. E così si divisero nuovamente e da un terzo gruppo nacquero i Tassorosso, che però si dimostrarono troppo fedeli e diligenti per poter fare baldoria. Dunque si divisero un’ultima volta, ma qualcosa andò storto: dal quel gruppo nacquero bambini bizzarri e scalmanati che non ne combinavano una giusta e sapevano solo fare confusione, pavoneggiandosi ovunque per il loro coraggio. E così i Serpeverde e i Corvonero, che spiccavano per intelletto, provarono a rimetterli in riga per rimediare al loro errore, ma ormai il danno era fatto. L’ultimo gruppo, che chiamarono Grifondoro, era troppo numeroso per poter essere controllato. Da allora, però, i Serpeverde capirono di poter raggirare i Grifondoro e, non potendo eliminarli, trovarono finalmente di che divertirsi. E così furono le quattro Case… » concluse Cathy in tono solenne.
« Per la sottogonna di Morgana, questo è razzismo! » protestò Jo, mentre Alice e Rose si sbellicavano letteralmente dalle risate, che si perdevano nella confusione generale della Sala Grande, e Albus fissava la Serpeverde con aria a dir poco sconvolta.
Jo fissò e due amiche in tralce, poi mise il muso e incrociò le braccia al petto: « Traditrici. »
« E dai, Jo, devi ammettere che è una teoria piuttosto veritiera…oh » Cathy si bloccò, voltando di scatto la testa verso una figura alle sue spalle.
L’atmosfera mutò radicalmente mentre Scorpius Malfoy squadrava il gruppetto con circospezione. Jo spostò lo sguardo minaccioso su di lui, Albus s’irrigidì visibilmente e Rose iniziò a respirare un po’ più veloce, una cosa che fece ridacchiare Alice in modo incontrollato.
« La professoressa Spinnet sta cercando Albus Potter » dichiarò Scorpius levando un sopracciglio e fissando un punto di fronte a sé, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
Albus si alzò con aria dubbiosa, quasi sospettosa. Squadrò Scorpius con attenzione, dopodiché si voltò e si allontanò dal tavolo senza dire nulla.
Scorpius indugiò ancora un attimo davanti a loro, così Alice si voltò verso Rose e la poté chiaramente vedere arrossire. Jo sprizzava scintille, ma Cathy pareva infinitamente più propensa alla gentilezza nei confronti di quel ragazzo misterioso, ed ebbe il coraggio di chiedergli quello che Alice, seppur volendolo da tanto tempo, non avrebbe mai fatto: « Vuoi sederti con noi…uhm, Scorpius, giusto? »
Lui sembrò sorpreso da quella domanda. Esitò un attimo, durante il quale Jo ebbe il tempo di lanciare alla Serpeverde un’occhiataccia e bisbigliare piuttosto chiaramente un “no!”, prima di rispondere: « No, grazie. »
Voltò loro le spalle e si dileguò nello stesso modo in cui Albus le aveva lasciate poco prima, e di nuovo Alice si ritrovò stranamente a pensare a quanto quei due si somigliassero e quanto Albus l’avrebbe presa per pazza per aver anche solo immaginato una cosa del genere.
Cathy alzò le spalle. « Ci vediamo, allora! » disse, anche se lui era già troppo lontano per sentirla.
Rose sospirò e si lasciò scivolare un po’ sulla panca con rassegnazione.
 

***
 

Con la nuova settimana arrivò la pioggia e con la pioggia arrivò anche il freddo. Gli studenti iniziarono a rifugiarsi nei loro mantelli più spesso, a girare per i corridoi avvolti da pesanti sciarpe a righe e guanti di lana. Le lezioni scorrevano con il solito, esasperante ordine ma il cielo non pareva avere la minima intenzione di schiararsi, nemmeno quando fu martedì e i tanto temuti allenamenti di Quidditch giunsero alle porte.
Olivia aveva avvertito Alice la mattina stessa, la quale aveva vanamente sperato che la ragazza si fosse dimenticata di averla davvero presa in squadra. Eppure stavolta non era più così impaurita: dopo l’iniziale panico da palcoscenico, per così dire, aveva avuto modo di concentrarsi più sul concetto di volare che su tutte le figuracce che avrebbe potuto fare volando. Era nervosa perché, insomma, era il suo primo allenamento e checché ne dicesse sotto sotto le importava davvero di fare buona impressione alla squadra, ora che ne faceva parte –che cosa strana! Non riusciva ancora a crederci.
E così, dopo aver pranzato alla velocità della luce ed essersi sorbita qualche sgradito sbaciucchiamento in diretta tra Jo e Micheal, il quale era tutto fuorché felice di essere stato respinto dalla squadra, e per questo non mancava di tirare insulti a Olivia quando meglio poteva, si diresse finalmente verso il campo da Quidditch con il mantello abbottonato praticamente fin sopra il naso e qualche frequente crampo allo stomaco.
Lo spogliatoio era già pieno quando Alice arrivò: un brusio eccitato si levava tra i presenti, ma fra tutti quella che faceva decisamente più rumore, urlando e gesticolando, era Roxanne Weasley, la cugina di Rose che si era dimostrata spaventosamente brava alle selezioni. Poi c’erano James e Fred, entrambi già pronti, che discutevano su una pergamena che Alice sospettava trattasse qualche schema di gioco; poi ancora Jason Finnigan, il fratello maggiore di Matt, che doveva aver ottenuto il posto di secondo Battitore che non aveva conquistato Micheal, mentre seduto in disparte con l’aria di chi avrebbe preferito trovarsi ovunque fuorché lì, c’era anche Scorpius Malfoy. Olivia Baston li osservava tutti con interesse e attenzione, e quando Alice si presentò, non tardò a venirle in contro e piazzarle tra le braccia la sua nuova divisa: « Ben venuta in squadra! » esclamò entusiasta, dopodiché la spinse nei bagni delle ragazze e Alice provvide a cambiarsi il più velocemente possibile. La divisa le stava larga e dovette arrotolarsi le maniche più volte prima di riuscire a vedersi le mani, inoltre le ricadeva addosso come una casacca deforme, ma era molto calda e aveva persino un buon odore.
Olivia le diede la scopa meno consunta che trovò nello sgabuzzino, che si rivelò essere una vecchia Cometa 5000 dall’aria piuttosto malandata ma comunque sufficientemente salda –quantomeno a detta del Capitano, ecco-, e fu giusto una manciata di secondi prima di iniziare l’allenamento, mentre Olivia pronunciava un interminabile discorso di incitamento alla sua nuova e promettente (l’aveva definita così diverse volte) squadra, che Alice si permise di abbandonarsi all’ansia più totale, che ora l’aveva presa in contropiede.
Il cielo continuava a tuonare e una pioggerella fitta cascava su di loro senza sosta.
« Stai tremando, Pancok » le sussurrò James da dietro, che sembrava trovarsi invece completamente a proprio agio. « Rilassati un po’, sembri un Asticello. »
«  Il nostro fastidioso amico ha ragione, Alice » disse Fred, spuntando da chissà dove. Entrambi i ragazzi la superavano in altezza così tanto che lei al confronto si sentì una bambina. Si tirò un po’ più su le maniche della divisa. « Più sei nervosa, più probabilità ci sono che tu vada a sbattere contro qualcuno. »
« O che ti colpisca un bolide… » aggiunse James.
« O che ti spingano giù dalla scopa… »
« O che finisci a centinaia di chilometri da qui senza rendertene conto… »
« O che vi picchi tutti e due con la mazza da Battitore » propose Alice sbuffando. Più che come una minaccia, però, suonò come una specie di borbottio indistinto.
« Eh no! Quella è la mia specialità! » protestò Fred.
« Ora sono seriamente spaventato, Freddie » rise James, « lo scricciolo vuole picchiarci! »
« Potter, Weasley, la piantate di fare caciara? Siete sempre voi due! Piuttosto, in sella alle scope, che si comincia! » urlò Olivia, e tutti ubbidirono immediatamente, anche i due cugini che, però, sembravano più divertiti che spaventati dai rimproveri del loro Capitano.
Alice espirò l’aria dai polmoni con lentezza studiata prima di sollevarsi in aria.
Puoi farcela, si disse. Puoi farcela.
Il fischio di Olivia squarciò il silenzio nell’aria e sette figure si levarono da terra simultaneamente.
 
                                                                                                 
                                                                                               *** 
                                                                                             
 

Tornarono verso il castello sudati e fradici come non mai.
Alice si sorprese di riuscire ancora a muovere le gambe: le facevano male tutti i muscoli, e non credeva di essere mai stata così esausta in vita sua. La rincuorava, però, il fatto che nemmeno gli altri fossero messi così bene; ad eccezione di Olivia, che sembrava eccessivamente entusiasta e sprizzava felicità da tutti i pori, tutti i suoi compagni erano stremati e sfiancati quanto lei.
« Quella psicopatica » Roxanne le si fece vicino mentre sfidavano la pioggia sempre più insistente, e lanciò uno sguardo torvo verso Olivia che camminava qualche metro più avanti a loro, « quattro ore di allenamento! Non mi sento più le braccia – ed è assurdo, credimi, visto che sono abituata a fare continuamente la lotta con mio fratello… »
Alice le sorrise: « Non ce la faccio più nemmeno io. »
« Accidenti, lo credo bene! » esclamò Roxanne, « Però almeno è stato divertente. E’ forte che ci sei anche tu in squadra, quest’anno. L’anno scorso ci aveva provato Lily, ma non l’avevano presa: assurdo! Lily è spettacolare, sulla scopa. Le ho detto di riprovarci, quest’anno, ma niente, non ha voluto saperne… » continuò, con una parlantina inarrestabile che fece sorridere Alice ancora di più, che l’ascoltava con sincero interesse.
« …Insomma, sa fare certi tiri che – wow! Secondo me è anche più brava di James, anche se quell’idiota non lo ammetterebbe mai, è troppo vanitoso… »
Alice, completamente d’accordo, annuì con rassegnazione.
« …Albie, invece, dal Quidditch si tiene a distanza di sicurezza. Non sa che si perde, secondo me! Oh, comunque te la sei cavata bene. »
Alice le sorrise ancora una volta, speranzosa: « Davvero? »
« Non farle troppi complimenti, Roxie » intervenne l’inconfondibile voce di James, che chissà come le era di nuovo dietro –iniziava a diventare un tantino inquietante-, ridacchiando, « altrimenti poi si monta la testa. »
« Qui non sono di certo io quella che si monta la testa » protestò Alice, infastidita.
« Vediamo, cos’hai combinato oggi? » continuò James, ignorandola, « due tiri mancati, uno dritto in faccia a Malfoy –beh, quello è stato bello, devo concedertelo-, una strana giravolta su te stessa…che cos’era, quella roba? Sembrava che qualcuno ti avesse Confusa… »
« Stavo cercando di tenermi in equilibrio » si difese Alice arrossendo e incrociando le braccia al petto, in un gesto che le ricordò vagamente Jo.
« Ah » rise James.
« Jamie, sei insopportabile, dico sul serio! » Roxanne tirò un pugno sulla spalla del cugino più grande, però sembrava divertita anche lei.
James finse una smorfia di dolore e si portò una mano nel punto colpito con aria melodrammatica: « Ma come » protestò, « io e lo scricciolo, qui, ci stavamo divertendo! Vero, Alice? »
Alice digrignò i denti e si tirò su il cappuccio della casacca, nonostante avesse smesso di piovere e i suoi capelli fossero già completamente bagnati.
« Mmh, sei stato appena snobbato, Jamie! » rise Roxanne, prima di correre dal fratello con un’energia che Alice non avrebbe riacquistato nemmeno tra un milione di anni, dopo quell’allenamento assurdo.
« Ehm, senti, Paciock » cominciò allora James, grattandosi la nuca con aria imbarazzata mentre le camminava di fianco, « dobbiamo…sai, per la faccenda della pozione, no? Ci serve un altro posto. »
Alice gli diede ostinatamente le spalle, ma aggrottò la fronte e si stupì a quell’uscita, così rispose: « Perché? »
« Beh, ora che la punizione è finita…okay, è probabile che io ne riceverò un’altra nel giro di una settimana, ma tu sei una santarellina, quindi non avrebbe più senso se ci incontrassimo nella Sala Trofei. Cioè, qualcuno potrebbe vederti e cominciare a fare domande e finiremmo nella merd- »
« Okay, ho capito » lo interruppe Alice con una smorfia, « quindi cosa proponi? »
Non ricevendo risposta, si costrinse a voltarsi. « Che c’è? » sbottò, visto che lui la guardava palesemente spiazzato.
« Pensavo che avresti avuto un’idea brillante tu… » si giustificò lui alzando le mani.
« Ma io non ne ho idea » replicò Alice.
« Nemmeno io. Grandioso, eh? »
Lei sbuffò. « Magari potremmo usare...i dormitori? Quando non c’è nessuno. »
James la fissò come se fosse impazzita: « troppo pericoloso, la gente va e viene! E poi in quel caso se qualcuno ci vedesse daremmo un’altra impressione, insomma - »
« Okay, okay, no, hai ragione » ammise Alice, leggermente disgustata per l’allusione, « allora…un’aula vuota? »
« Non se ne parla. Come la mettiamo con i fantasmi? E con Pix? »
« Allora non lo so » sospirò Alice sconfortata. Ormai erano a pochi metri dal portone principale e tra le nuvole si stava aprendo, lentamente, un piccolo varco, nel quale si intravedeva uno sprazzo di cielo sereno. « Il bagno del terzo piano? »
« Il bagno di Mirtilla Malcontenta? » chiese James, pensieroso.
« Sì, beh – nessuno lo usa perché… »
James aveva un’aria estasiata che ad Alice fece piuttosto paura, così smise di parlare e aspettò che le desse qualche spiegazione.
« Mi sembra di rivivere la storia di mio padre » disse solo il ragazzo, per poi cambiare bruscamente espressione e farsi inquieto e taciturno, superarla a grandi passi e sparire all’interno del castello.
Alice si chiese disperatamente se i maschi della famiglia Potter, per qualche strano incidente genetico, avessero le mestruazioni.







 
Wowowowo.
Onestamente? Questo capitolo non mi piace per niente. Chiedo venia, sono in ritardo ed è anche corto, ma stavolta non è colpa mia, l'avevo finito due settimane fa ed era bello corposo, e poi per bsaglio, poco prima di pubblicare....ecco che lo cancello. Tutto. Ho dovuto riscriverlo e ne è uscita fuori 'sta schifezza, ma vabbè, mi farò perdonare con il prossimo ç_ç 
L'unica cosa che mi piace è la canzone, che ho ascoltato tipo settemila volte nelle ultime ventiquattro ore. Anyway, ho modificato nel frattempo l'introduzione della storia e ho scelto tutti i prestavolto dei personaggi! Oggi vi propongo la mia Rose, Jane Levy, di cui Efp non mi fa caricare la foto non so perché e uffa okay la pubblico nel prossimo capitolo. Avevo anche fatto casino col numero dei capitoli, insomma...un disastro!
Oh, e ho fatto un banner di cui sono stranamente fiera! *^* Un grazie infito come sempre a tutti voi che mi leggete e jhdskhsjdjhds ciao.
Ora la smetto di blaterare e vi lascio, un bacio
Martina
                                                                                             

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Capitolo 15
*** This is war ***


14.
This Is War
"It’s the moment of truth, and the moment to lie,
The moment to live and the moment to die,
The moment to fight, the moment to fight
To fight, to fight, to fight!"
This Is War - Thirty Seconds To Mars

 
 
 
 
Restare con gli occhi bene aperti si rivelò essere un’impresa particolarmente difficile quel pomeriggio.
Chinata da ore sopra uno dei tomi polverosi della biblioteca, Alice non faceva altro che sussultare a intermittenza ogni qual volta che si accorgeva di essersi lasciata troppo andare al sonno, e magari di aver persino poggiato inconsapevolmente la testa sulla carta a mo’di cuscino.
L’atmosfera che c’era nella sala di certo non aiutava: uno strano silenzio ovattato regnava padrone tra gli scaffali e intorno ai tavoli, perlopiù vuoti, ad eccezione di qualche studente del settimo anno indaffarato dietro a pile di pergamene ingiallite. E poi c’era quella maledettissima sensazione di calore lì, proprio lì, nel punto esatto in cui la luce del sole batteva sopra le sue braccia e la sua guancia destra.
Tanta era la tentazione di calare le palpebre che si sarebbe potuta benissimo addormentare così, seduta, e probabilmente non si sarebbe svegliata più per le prossime dieci ore.
 
« Trovato qualcosa? » sussurrò Cathy accanto a lei.
 
Nemmeno lei, notò Alice, pareva molto propensa a restare sveglia; forse, ipotizzò, Madama Pince o qualche ragazzino in vena di scherzi aveva deciso di filtrare l’aria con della pozione soporifera o qualcosa del genere. O forse, semplicemente, era ormai così tanto tempo che se ne stavano sedute a quel tavolo senza concludere nulla che sarebbe stato impossibile non annoiarsi tanto da addormentarsi seduti stante.
 
« No. Voi? »
 
Rose, di fronte alle due, sospirò e le guardò con aria profondamente delusa: « Niente di niente. »
 
« Magari potremmo tornare domani » propose allora Cathy, lanciando un’occhiata speranzosa verso l’uscita.
Rose scosse la testa. « Non capisco. Deve pur esserci qualcosa…se questa Setta esiste, deve pur comparire, che so, un accenno da qualche parte. E invece non c’è assolutamente nulla. »
 
« Troveremo qualcosa, Rose » la rassicurò un po’ titubante Alice, « magari abbiamo solo cercato nei libri sbagliati. Non potevamo di certo controllarli tutti in un pomeriggio… »
 
« Già » Rose si lasciò cadere contro lo schienale della sedia. « Mi dispiace di avervi tenute qui tanto tempo senza arrivare a niente » disse poi, guardandole con espressione mortificata.
 
« Ma no, volevamo aiutarti! » replicò prontamente Cathy, reprimendo appena in tempo uno sbadiglio.
 
« Esatto, e poi questa cosa interessa anche me, Rosie » disse Alice inclinando il capo di lato.
 
Rose le sorrise con quella sua solita espressione a metà tra il dolce e il saggio, che Alice non sapeva definire mai bene. In ogni caso, i suoi tentativi di affibiare un nome al sorriso-alla-Rose vennero interrotti dall’arrivo di Jo che, seguita a ruota da Micheal, le raggiunse con aria totalmente spensierata e un gran sorrisone in pieno volto.
 
« Come sta andando, ragazze? Sono venuta a darvi una mano! Scusate il ritardo, ma, ecco… » lanciò un’occhiata di sbieco al suo ragazzo, che se ne stava lì davanti al loro tavolo con aria imbarazzata. « …beh, siamo stati un po’ impegnati » concluse, ridacchiando.
 
Alice provò un violento moto di fastidio nei confronti della sua migliore amica. Avrebbe anche potuto rinunciare a starsene con Micheal almeno per quel pomeriggio, visto che avevano bisogno di lei. In fin dei conti non le mancava di certo il tempo da passare assieme a lui; Jo stava sempre con Michael: ai pasti, negli intervalli tra una lezione e l’altra, seduta vicino a lui in classe…
 
Rose, che parve pensare la stessa cosa, le rispose un po’ scocciata: « Veramente stavamo andando via, ormai. »
« Oh » esalò Jo con un’alzata di spalle, senza cogliere il tono dell’amica. « Capito. Allora ci vediamo stasera a cena. »
 
« Non sali su in Dormitorio? » le chiese Alice cautamente.
 
« Sì, sì, arrivo più tardi » replicò Jo sorridendo. Dopodiché prese la mano di Michael nella sua e cinguettò a voce alta: « A dopo! »
 
Madama Pince, che si aggirava da quelle parti, le scoccò un’occhiata minacciosa, intimandole di fare silenzio; Jo si scusò con un sorriso, ma quando la vecchia strega riprese a girare per gli scaffali, le rivolse una linguaccia, prima di girare i tacchi e dileguarsi assieme a Michael fuori dalla biblioteca.
 
Alice la guardò allontanarsi con un po’ di sconforto addosso. Jo era fantastica, davvero, e non avrebbe potuto desiderare un’amica e una confidente migliore di lei, ma…a volte le sembrava che la cosa non fosse reciproca. E se fosse diventata un peso? E se fosse per colpa sua, che Jo non passava più molto tempo con loro?
Una vocina nella sua testa suggerì che no, non poteva essere colpa sua, perché Alice era la stessa Alice di sempre, pregi e innumerevoli difetti compresi, e così valeva anche per Rose.
Ma allora per quale motivo si sentiva così afflitta?
 
« Beeeene! Allora, ho sentito dire che oggi a cena servono il budino alla cioccolata. Non è grandioso? » tentò Cathy, notando la faccia di Alice. Questa rise e annuì con convinzione.
 
« Faremmo meglio ad andare » dichiarò Rose, sorridendo a sua volta; poi chiuse i numerosi libri che avevano consultato con un colpo di bacchetta e ripose velocemente le proprie cose nella borsa.
 
Misero tutti i volumi al loro posto sugli scaffali (la punizione per chi non lo faceva o, disgraziatamente, se ne dimenticava, era una strigliata coi fiocchi da parte della bibliotecaria che Alice aveva sempre pensato fosse un po’ psicopatica), e solo allora uscirono dalla sala, inalando con piacere l’aria fresca del corridoio dopo le ore di soffocamento passate a quel tavolo.
A giudicare dal colore del cielo, e dal modo in cui il sole sonnecchiava beato dietro agli alberi della Foresta Nera, dovevano essere già le sette passate. Avevano davvero trascorso l’intero pomeriggio lì dentro.
 
« Oooh, sentite che buon profumo! » esclamò Cathy, mentre percorrevano il lungo corridoio del primo piano.
 
Alice pensò che doveva essere una specie di segugio se riusciva a sentire l’odore del cibo delle Cucine fin laggiù, ma poi la spiegazione arrivò prima che lei dovesse porre qualsiasi domanda: la professoressa Spinnet avanzava verso di loro, tra le braccia un enorme vaso contenente una strana pianta piena di grossi fiori arancioni.
 
« Buonasera, ragazze! » proruppe allegramente non appena le incrociò. Pareva infinitamente piccola con quella cosa gigante in mano, e sembrava che stesse impiegando tutte le sue forze per riuscire a sorreggerla. Eppure non era affatto una donna minuta, la Spinnet, anzi: aveva un fisico prorompente, un paio di spalle larghe ed era anche piuttosto alta. « Che ci fate in giro a quest’ora? Dovreste già essere a cena. »
 
« Eravamo impegnate in un…progetto, e abbiamo perso la cognizione del tempo. » Rose esitò un momento, poi riprese: « Ehm, professoressa…le serve una mano? »
 
« Oh, no, no, figuratevi! Ma grazie per averlo chiesto, Rose*, pare che nessuno studente di questa scuola abbia più il senso della cortesia… » enunciò, pensierosa. Alice assottigliò lo sguardo e la scrutò con attenzione, come se così facendo potesse entrare nella sua testa e capire cosa stesse immaginando, ma all’improvviso la Spinnet si riscosse e si schiarì rumorosamente la gola, facendola sobbalzare. « Beh, direi che è ora di portare questa bestia alle Serre. Ci vediamo in Sala Grande, signorine, e non fate deviazioni! » intimò, ma sembrava decisamente divertita. Le superò a grandi passi, fischiettando un motivetto vivace.
 
« E’ innamorata » dichiarò Cathy, non appena la professoressa fu sparita dietro l’angolo.

Poi scoppiarono tutte e tre a ridere, e finalmente Alice riuscì a scrollarsi di dosso quella sensazione di sconforto che l’aveva assalita prima in presenza di Jo. Si diressero verso la Sala Grande chiacchierando con entusiasmo e ipotizzando, di tanto in tanto, chi potesse essere il misterioso interesse amoroso della Spinnet o se per caso quegli strambi fiori fossero il regalo di un ammiratore segreto.
E durante la cena, nonostante Jo non si fosse presentata nemmeno per sbaglio, Alice rise e scherzò tutto il tempo e non vi badò più di tanto.
Non perse il buonumore nemmeno quando le arrivò un fogliettino incantato da parte di James, che la informava dell’ora in cui si sarebbero incontrati il giorno seguente per gli “affari di famiglia” – così li aveva chiamati.
Soltanto dopo, una volta rientrata in Sala Comune insieme ad Albus, le venne il desiderio di raccontare l’episodio della Spinnet all’amica, e così si ritrovò a pensare a come le sarebbe piaciuto che anche lei fosse stata lì con loro.
 
 ***
 
James Potter non era il genere di persona da farsi alcun tipo di problema quando doveva fare qualcosa.
Insomma, diciamo pure che James Potter non era il genere di persona da farsi alcun tipo di problema e basta, visto il modo esageratamente spensierato con cui soleva affrontare ogni avversità.
Insomma, c’era da dire a suo favore che ciò lo rendeva piuttosto spiccio, ragion per cui si poteva sempre star certi che, se ti voleva parlare di qualcosa, te la diceva punto e basta.
 
« Sei proprio una frana, scricciolo. »
 
Sì, te la diceva, James, e tanti cari saluti al tatto e alla delicatezza.
 
« Sto facendo del mio meglio! » protestò Alice, ripulendo tutta quella melma verdastra, che avrebbe dovuto essere la loro pozione, finita sul pavimento dopo che lei l’aveva urtata per l’ennesima volta. Aveva la fronte imperlata di sudore, le maniche della camicia arrotolate fin sopra i gomiti e i capelli tirati indietro da una coda ormai sfatta, probabilmente a causa di tutto il vapore emesso dal calderone. Rivolse a James lo stesso sguardo che avrebbe riservato ad un esemplare di Vermicolo particolarmente disgustoso. « E tu che stai facendo, invece? »
 
James si guardò intorno con aria spaesata per un momento. Era nello stesso stato di Alice, con l’unica differenza che, mentre lei se ne stava accovacciata sul pavimento lurido del bagno tentando di preparare la pozione, lui aveva trascorso la maggior parte del tempo stravaccato sopra un lavandino a scrutare una pergamena dalla dubbia provenienza.
 
« Te lo dico io cosa stai facendo » sbottò Alice, incrociando le braccia sotto il seno, « un bel niente! »
 
« Questo non è vero», James aggrottò le sopracciglia con aria offesa, « sto controllando che non arrivi nessuno. Ti sto facendo la guardia. »
 
« Ma chi dovrebbe arrivare quassù, scusa? E poi, l’ultima volta che ho controllato, la guardia si faceva davanti alla porta e non nel bel mezzo della stanza, fissando uno stupido pezzo di carta » sbuffò, mentre la roba dentro il calderone prendeva di nuovo a bollire. Alice la fissò inorridita e si mise a distanza di sicurezza, temendo in un’altra mini-esplosione come quella di mezz’ora prima.
 
Se prima era offeso, ora James pareva decisamente oltraggiato. « Come l’hai chiamata? » domandò, sventolandole sotto il naso la pergamena. « Questa, scricciolo, » dichiarò in tono solenne, « è probabilmente la cosa più preziosa e pericolosa che ci sia nell’intero Castello. »
 
Alice lo scrutò con scetticismo: « Ah, davvero? E perché? »
 
« Perché non è uno stupido pezzo di carta, come dici tu. »
 
« E che cos’è, allora? »
 
 James stavolta curvò le labbra in un ghigno divertito. « E’ un segreto. »
 
« Ma… » mugugnò lei, « è solo una pergamena! Avanti, dimmi di che si tratta. »
 
« Smettila di chiamarla così. E’ una mappa. »
 
« Una mappa? » indagò Alice incuriosita.
 
« Sì, ma ti ho già detto troppo, quindi lasciamo perdere » replicò James, ma Alice avrebbe potuto giurare di aver rivisto quell’odioso sorrisetto divertito spuntare di nuovo sulla sua faccia mentre lo diceva.
 
Tacque e tornò a concentrarsi sulla pozione, che a quanto pare, grazie a Merlino, aveva deciso saggiamente di non esplodere una seconda volta. Ma James non resistette più di una manciata di minuti prima di attaccare di nuovo.
 
« Cos’è, ti sei offesa, scricciolo? »
 
« Finiscila… »
 
« Di fare cosa? »
 
« Di chiamarmi scricciolo. »
 
« Ti si addice » ribatté James con tranquillità, ignorando quello che doveva essere il tentativo di uno sguardo minaccioso, da parte di Alice, su di sé. Si avvicinò e le si sedette accanto: « Visto? Anche da seduto sono più alto di te. »
 
« Beh, è ovvio, sei più grande… »
 
« Hai detto bene! Invece tu, Paciock, sei ancora uno scricciolo » concluse James con semplicità, come se fosse davvero un discorso sensato.
 
Alice sbuffò e borbottò qualcosa che somigliava tanto a “imbecille”, prima di prendere un po’ della pozione che si ritrovava sui vestiti e spalmargliela sulla faccia a tradimento.
 
James sobbalzò e scattò in piedi come una molla, imprecando. Le lanciò un’occhiata furiosa prima di dichiarare: « Questa è guerra. »
Si precipitò sul calderone e afferrò tra le mani un po’ di quella roba verdastra senza curarsi di quanto fosse calda, poi gliela tirò addosso come se fosse una palla di neve.
 
Lei urlò e si nascose dietro al calderone, per poi contraccambiare il colpo, così James la spinse a terra e, bloccatala al pavimento, iniziò a spargerle tutta la melma sulla faccia.
 
« Che schifo…che schifo, James, che schifo! » protestò Alice contorcendosi sotto la sua presa.
 
« L’hai voluto tu… » obiettò lui, sbellicandosi dalle risate alla vista della sua faccia verde; poi, inaspettatamente, cessò di colpo di ridere e rallentò la presa su di lei, voltando di scatto la testa verso la porta.
 
Alice ne approfittò per liberarsi e rimettersi in piedi, senza capire, poi fece per parlare ma James le mise subito una mano sulla bocca con irruenza, intimandole di stare zitta.
 
« Ho sentito delle voci » spiegò in un sussurro.
 
Così Alice aguzzò le orecchie e allora poté sentirle anche lei: l’inconfondibile tono di voce della professoressa McGranitt, alternato a quello di un uomo al quale non seppe associare un volto.
 
« …non ci sarebbe bisogno di alcuna allerta, Preside, se ci concedesse di proteggere la scuola a modo nostro… »
 
« Non concederò mai a lei e ai suoi uomini di circondare Hogwarts con i Dissenatori. Questo errore è già stato commesso in passato, e di certo non si ripeterà di nuovo sotto la mia custodia. »
 
« Ma…Signora, lei non comprende la gravità della situazione… »
 
« Con tutto il rispetto, io credo di comprendere molte più cose di lei, signor Proteus. E il suo è solo tempo perso: ho già preso provvedimenti al riguardo, la mia scuola è sicura. Ora, se non le dispiace… »
 
Le voci si dispersero lungo il corridoio assieme al suono dei loro passi, che si spense completamente dopo alcuni secondi.
 
Alice, che aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo, si concesse solo allora di riprendere a respirare, mentre James rilassava le spalle.
 
« C’è mancato poco » biascicò.
 
James le sorrise sornione, con un che di malizioso nello sguardo. « Se fosse stato per te, saremmo già in punizione…a vita. »
 
Alice gli mollò un pugno sulla spalla, che a quanto pare non gli fece nemmeno il solletico. Dopodiché si alzò in piedi e dichiarò che fosse meglio andare: in fondo per oggi avevano fatto abbastanza, ed era meglio non sfidare la fortuna più di una volta.
 
Trascinarono il calderone all’interno di uno dei gabinetti, chiudendo la serratura con un incantesimo, poi ripulirono in fretta le tracce di pozione dal pavimento, dai vestiti e anche dalla faccia, con enorme disappunto di Alice.
 
Fu mentre uscivano di soppiatto dal bagno, quando il sollievo per non essere stati scoperti si era dissipato, che a James venne in mente di chiedere ciò che avrebbe, nei giorni seguenti, assillato Alice tanto da non farla dormire: « Ma perché dovrebbero mettere dei Dissennatori a scuola? »
 
***
 
 Due giorni dopo, comunque, i pensieri di Alice riguardo quella misteriosa conversazione furono eclissati da un problema decisamente più imminente: i G.U.F.O.
Se all’inizio dell’anno era stata impaurita dalla possibilità che potessero andare male (e soprattutto dalla paura della reazione di mamma-belva), adesso ne era letteralmente terrorizzata.
Le lezioni si facevano sempre più complicate e stare al passo si rivelò più arduo del previsto, tanto che persino Anne, la sua compagna di dormitorio sapientona, faticava a tenere il ritmo degli studi.
Rose aveva iniziato a rintanarsi nella propria Sala Comune per studiare molto più spesso del solito, e persino Jo aveva dovuto rinunciare a un po’ di tempo da passare con il suo fidanzato per poter scrivere un tema assurdamente lungo di Trasfigurazione.
Il professor Vitious aveva assegnato loro l’obbligo di esercitarsi quanto più possibile su un incantesimo di Memoria che non riusciva a nessuno, e ad Emma Querzy, di Tassorosso, era venuta una crisi d’ansia così forte che, per sbaglio, si era colpita da sola con la bacchetta e si era fatta spuntare degli enormi tentacoli dalle orecchie, così da essere portata da Madama Chips d’urgenza.
Ma la batosta più grande arrivò il venerdì seguente, durante le tanto temute ore di Pozioni: il professor Turner, che pareva più sereno che mai, riportò loro i risultati dell’ultimo test svolto in classe, e ad Alice venne l’irresistibile impulso di urlare quando si ritrovò sotto il naso la propria fialetta con un’orribile ‘Desolante’ stampato sopra.
Jo, dal canto proprio, non sembrava affatto scossa dalla sua ‘T’, mentre Rose aveva un’aria così mortificata che Alice comprese che fosse meglio non porre domande.
L’unica nota positiva dell’intera settimana fu la lettera ricevuta da suo padre, che le aveva promesso di scriverle non appena fosse stato dimesso.
E così, quel burrascoso pomeriggio di metà ottobre, si scoprì abbastanza rilassata mentre, acciambellata su una delle poltrone della Sala Comune di Grifondoro, leggeva quella lettera, ridendo di tanto in tanto per i battibecchi di Rose e Jo (la quale miracolosamente aveva deciso di passare la giornata in loro compagnia!), che discutevano su quanto fosse sano oppure no dar da mangiare delle Tuttigusti+1 a Frittella.
 
“Cara Alice,
Io e Ron siamo usciti dal San Mungo proprio ieri, e sì, sto bene, non preoccuparti troppo per me. Da quando sono a casa tua madre mi prepara sempre lo stufato, quello con i funghi che ci piace tanto. Vedi? Mi va di lusso.
Tu, invece, come stai? Tutto bene a scuola? Dev’essere dura quest’anno, ma non perderti d’animo: se ce l’ho fatta io, ce la farai sicuramente anche tu, visto che sei mille volte più in gamba del tuo papà.
Ti piace il regalo di tua nonna? Spero che tu e lei abbiate fatto amicizia.
Non cacciarti nei guai e scrivi appena puoi.
 
 Ti voglio bene
 
Papà
 
Alice sorrise, portando automaticamente una mano a carezzare il dorso della sua gatta, che se ne stata beata a ronfare sopra le sue gambe.
Non appena le toccò il pelo, questa rizzò la coda e spalancò gli occhietti acquosi, scattando in avanti alla velocità della luce. Le rivolse un’occhiata di sufficienza, per poi darle le spalle e accovacciarsi  fieramente sopra il divano rosso, nel posto libero di fianco a Rose.
Sì, papà, pensò con uno sbuffo. Abbiamo proprio fatto amicizia.

« Guarda, persino Diarrea è d’accordo con me! » esclamò Jo, indicando la gatta e gesticolando furiosamente. « Vorrebbe assaggiare una caramella senza sapere a che gusto sia! Non è vero, Diarrea, ciccina? »

« Si chiama Frittella » s’intromise Alice roteando gli occhi al cielo, « rassegnati, Josey, il suo secondo nome non sarà mai Diarrea, e - »

« E non mangerà mai una Tuttigusti+1, ameno che non vorrà prima morire intossicata » concluse Rose per lei.
Alice annuì con vigore, così Jo incrociò le braccia e rivolse ad entrambe un’occhiataccia: « Ah, vi siete coalizzate contro di me? »

« Come sempre » rise Rose.

« Siete davvero spregevoli » sbuffò Jo, lasciandosi teatralmente andare ad un lungo sospiro.
Rose rise di nuovo e così Jo le rivolse una seconda occhiataccia: « Dico seriamente! La prossima volta ci penserò bene prima di fare amicizia con delle tipe come voi. Mi cercherò dei nuovi amici…oh, Albie, arrivi al momento giusto! » trillò, quando vide Albus Potter giungere nella loro direzione.
Il ragazzo alzò un sopracciglio e la fissò confuso.

« Stavamo giusto parlando di fare nuove amicizie, ma poi ho pensato, e a che serve? Ho già te! » esclamò Jo con enfasi, sporgendosi dal divano.
Albus le rivolse uno sguardo a metà tra il dubbioso e l’incredulo, poi girò i tacchi e se ne andò così come era arrivato, senza dire una parola.

« Ma…che ho detto? » chiese Jo, evidentemente scossa da quel comportamento.
Alice, che intanto era quasi scoppiata nel tentativo di trattenere le risate, le diede delle piccole pacche di comprensione sulla spalla.

« Credo che tu lo abbia un po’ spaventato, Jo » ridacchiò Rose.

« E’ proprio strano, tuo cugino » rincarò lei, leggermente offesa.

Alice provò l’irreprensibile impulso di intervenire in difesa dell’amico: « Non è vero, è solo…Albus. »

« Ma con me non è mai stato gentile! » continuò Jo, sicura delle sue argomentazioni, « con te e Rose sì, ma con me è anche più schivo di quanto non lo sia col resto del mondo… »

Rose sospirò e alzò gli occhi al cielo. « Lui è fatto così, Jo… »

« E se non gli piacessi? Voglio dire, se gli stessi antipatica o cose del genere? » la interruppe Jo spalancando gli occhi.

Rose borbottò qualcosa che Alice non colse a pieno, ma che fece assumere a Jo un’espressione oltraggiata. « Bene! Andrò a parlarci. E vedremo cos’avrà da dirmi faccia a faccia. »

Alice e Rose non tentarono nemmeno di fermarla, entrambe con l’aria piuttosto sconvolta.
Ma prima che l’amica potesse raggiungere Albus. si girò verso di loro e mugugnò qualcosa tra le risatine incontrastabili: « Ah, Rosie…mi ero dimenticata di dirtelo… » le risatine aumentarono mentre si sopracciglia di Rose s’inclinavano verso l’alto, « Hai presente quell’amico di Michael…ma sì, un certo Britt…Bratt…o come si chiama, ha detto che sei un vero schianto e che gli piacerebbe conoscerti » concluse, sempre ridacchiando, dopodiché trotterellò via con allegria.

Rose arrossì, sospirò e voltò il viso da un’altra parte, assorta nei propri pensieri. Alice seguì la traiettoria del suo sguardo e, chissà perché, non fu affatto sorpresa di intercettare Scorpius Malfoy, seduto su una poltrona poco lontana, che leggeva in silenzio un volume dall’aria molto pesante. A Rose di Britt, Bratt, o qualunque fosse il suo nome non poteva importare granché e questo Alice lo sapeva; non conosceva invece il motivo per cui così ostinatamente l’amica continuasse a contrastare i propri sentimenti, come se il solo fatto di sentire le farfalle nello stomaco per una persona fosse qualcosa di deplorevole. Beh, sì, c’era da considerare che la persona in questione non era proprio una persona qualunque, ma…insomma, erano mesi ormai, se non anni, che andava avanti così, ed era davvero terribile dover assistere a teatrini del genere tutte le volte. Sentì l’irrefrenabile bisogno di intervenire, anche se lei di queste cose non ci capiva nulla, anche se non aveva senso, anche se forse non avrebbe portato a niente.

« Sai… » mormorò, quasi spaventata della risposta che avrebbe ottenuto, « credo che tu gli sia simpatica. » Okay, probabilmente era la cosa più stupida che avrebbe potuto dire, ma era sempre meglio di niente.

« Perché? » la testa di Rose scattò verso di lei.

Alice esitò. « Non so » sospirò alla fine, consapevole di essersi messa nei pasticci da sola, « lui evita tutti, ma quando si tratta di te è differente… »

« Come lo sai? »

« E’ il modo in cui si comporta. Non è che lo so, è più una sensazione, e poi… » si bloccò, cercando le parole e soprattutto il coraggio di dirle quanto fosse evidente che anche lei, Rose, era interessata a quell’ambiguo ragazzo. Eppure era ancora convinta che se mai l’amica avrebbe sentito il bisogno di confidarsi con lei l’avrebbe fatto, senza bisogno di spinte o pressioni: e questo la frenava, perché quando si azzardava a parlare di Scorpius si sentiva quasi invadente nei confronti di un segreto troppo ingombrante, anche se Alice tutta questa riservatezza non la capiva.

« E poi? » incalzò Rose.

« E poi ti guarda spesso » concluse, ed era la verità, anche se non corrispondeva propriamente a ciò che davvero voleva dire. Rose si morse le labbra e la guardò come era solita fare quando si sentiva in colpa, assumendo un’espressione mortificata di cui Alice non capì il motivo, così inclinò il capo ed esortò l’amica a spiegarsi con un’occhiata allusiva.

« E’ gentile » sputò fuori Rose tutto d’un fiato, come se avesse trattenute quelle parole in gola per troppo tempo e ora, finalmente, le avesse lasciate uscire. « Non è come la gente crede...è gentile, non ha nulla che non vada. » Alice restò un attimo spiazzata, ma fu solo un secondo, il tempo di riprendersi dallo shock di aver finalmente carpito qualche cosa da Rose al riguardo.

« Ci hai parlato? » chiese.

Rose arrossì di nuovo, un po’ in difficoltà: « Sì, qualche volta sì. »

« E che tipo è? » continuò Alice, sinceramente curiosa di scoprire qualcosa in più sullo schivo e taciturno Scorpius.

« Silenzioso » Rose abbozzò un sorriso, « non parla se non ha davvero qualcosa da dire. Ed è…comprensivo, credo. Sa ascoltare. »

« E’ una cosa bella » annuì Alice.

« Già… » esalò Rose, lo sguardo perso in chissà quale ricordo. Alice le concesse due minuti di fantasticherie prima di schiarirsi sonoramente la voce, al che Rose sobbalzò e ritornò bruscamente alla realtà con una domanda sulle labbra.

« Tu ci credi nel destino, Alice? »

Lei la fissò per un po’, spiazzata e pensierosa. « Sì, credo di sì » disse alla fine. E credeva anche a molte altre cose che ne dipendevano direttamente, tra le quali la fortuna ma, soprattutto, la sfortuna, e tutte le drammatiche conseguenze che essa implicava.

« E secondo te è possibile che un evento cambi totalmente il nostro modo di vedere le cose…è possibile che una cosa, anche se piccola, modifichi tutte le nostre decisioni, il nostro intero futuro? » il tono di Rose era serio e giudizioso.

Alice impiegò qualche tempo prima di rispondere, un po’ perché non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso e un po’ perché non ne aveva sinceramente idea. Osservò Frittella aggirarsi con circospezione attorno alle gambe di Matt Finnigan, che stava trangugiando una Merendina Marinara* sotto gli sguardi divertiti dei suoi amici, poi ammise: « Non saprei. Forse sì…non so, non ci ho mai pensato. » Rose sospirò una seconda volta portando le ginocchia al petto e circondandole con le braccia.
« Perché me lo chiedi? » domandò allora Alice, visto che l’amica pareva decisa a non aggiungere altro di propria iniziativa.

Così Rose la guardò con quello sguardo serioso e un po’ confuso che aveva avuto il giorno dell’udienza, e sembrò essere sul punto di rivelarle qualcosa di estrema importanza, qualcosa che forse non vedeva l’ora di dire, qualcosa che magari l’aveva tenuta sveglia intere notti e tormentata interi giorni senza che nessuno, Alice compresa, potesse sospettare nulla.

Aprì la bocca con aria grave ma poi, improvvisamente, abbassò le spalle e lasciò uscire fuori l’aria dal petto, cambiò espressione e se ne uscì con qualcosa di ancora più inaspettato: « Credo che potrei andare a parlargli. » Guardò di nuovo verso Scorpius mentre si tormentava le mani, nervosa. Alice non capì se era davvero quello ciò che Rose stava per dire o se aveva cambiato idea all’ultimo momento, fatto sta che curvò le labbra in un grosso sorriso –impiegando uno sforzo non indifferente per non esultare dalla gioia-, si alzò e strattonò l’amica affinché facesse lo stesso.

« Allora vai. »

Rose esitò, continuando a spostare lo sguardo da lei a Scorpius. « Vado? »

Alice annuì con convinzione e le diede una piccola spinta in avanti, così Rose prese a camminare, lentamente, anonima, confondendosi tra la moltitudine di Grifondoro.
La giovane Paciock rimase per un attimo indecisa sul da farsi: poteva rimanere lì, rispondere alla lettera di suo padre e farsi gli affari propri, oppure poteva fingere di stare cercando qualcosa, o qualcuno, avventurarsi nella Torre e casualmente imbattersi in una colonna, dalla quale, sempre molto casualmente, si aveva una vista piuttosto chiara di Rose e Scorpius, che conversavano di chissà che cosa. Mosse qualche passo in avanti prima di fermarsi, scuotere più volte la testa e tornare al divano con aria afflitta. Si sarebbe sentita quanto mai fastidiosa e di troppo nell’origliare qualcosa che, seppur all’apparenza normale, aveva un che di così…intimo –Alice non seppe spiegarlo, ma forse già il fatto che Scorpius Malfoy non parlasse mai con nessuno rendeva una sua semplice conversazione un evento mozzafiato. E così rimase là, la lettera di suo padre ancora stretta tra le dita, a lanciare di tanto in tanto qualche occhiata nella loro direzione, con le netta sensazione che, in mezzo a tutta quella confusione –l’attacco, i compiti, il Quidditch, i voti-, ci fosse comunque qualcosa che aveva trovato il modo di sbocciare e, forse, continuare bene.







*La professoressa Spinnet chiama Rose per nome, sì, perché è una donna giovane e insomma, ho immaginato avesse un rapporto con i suoi studenti simile a quello che aveva Lupin a suo tempo con Harry e gli altri.
** Le Merendine Marinare di George Weasley (lasciatemi un attimo piangere) vanno ancora a ruba!

NOTE:
Maaaa salve, gente! Per una volta non sono troppo in ritardo con la pubblicazione e mi sento estremamente fiera di me stessa (no, non è vero, sono abbastanza confusa riguardo al capitolo quindi ugh). Ah, volevo dirvi alcune cose:
1- Il numero delle persone che seguono la storia è arrivato a 100! Urrà! No, sul serio: che belli che siete, vi ringrazio tanto, sia voi che recensite sia voi che mi seguite silenziosamente, perché è solo grazie a questo che riesco a portare avanti le mie storie nonostante tutto. Vi mando tanti baci.
2- In occasione di questa cosa kjdskjsdkjs, ho deciso di farvi un regalo, e così ho scritto un piccolo Spin-off di questa storia sottoforma di One Shot, che sarà esclusivamente Rose!Centric. Se siete curiosi di sapere di cosa hanno parlato Rose e Scorpius... :) 
(Lo pubblicherò a breve, non appena la mia beta finirà il suo lavoro e io riavrò una connessione decente.)
3- Che dire? Nel prossimo capitolo succederano un po' di cose strane, e ci sarà un annuncio importante, che creerà non poco panico per la nostra combriccola :)
4- Vi metto, qui sotto, la foto della prestavolto che ho scelto per Alice, che nell'altro capitolo non ero riuscita a caricare bene:
(Carey Mulligan)



A prestissimo, un bacione!
♥ 
Martina 

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Capitolo 16
*** Dream on ***





15.
Dream on
"Half my life in books' written pages
Lived and learned from fools and from sages
You know it's true

All the things come back to you."
Dream on - Aerosmith
 
 

La settimana seguente trascorse relativamente in fretta, ma le ricerche di Rose, Alice e Cathy proseguirono sempre più lentamente.
Dopo aver setacciato praticamente ogni singolo libro del Reparto Proibito senza trovare nulla, si erano rassegnate all’ipotesi di dover controllare anche il resto della biblioteca, anche se, dovevano ammetterlo, oramai nutrivano ben poche speranze arrivare a qualcosa di concreto.
E così il mercoledì pomeriggio, armate di una buona dose di olio di gomito, le ragazze avevano preso tutti i volumi che sottostavano alle voci “Setta”, “Ombra”, “S” e “O” e, dopo aver rassicurato più volte Madama Pince sui loro intenti puramente a scopi accademici, avevano cominciato a cercare anche lì qualcosa che potesse anche solo fare un accenno alla misteriosa Setta delle Ombre.
Ma alla fine della settimana, dopo aver consultato con attenzione almeno la metà di quegli infiniti tomi polverosi, l’unica cosa vagamente interessante che erano riuscite ad apprendere era la grande quantità di incantesimi inizianti per “S”.
Afflitte e scoraggiate, le ragazze avevano così deciso di abbandonare le ricerche per un po’.
Per fortuna, però, un nuovo annuncio affisso alla bacheca nella sala comune di Grifondoro era riuscito a riportare un pizzico di buonumore nella combriccola: la prima gita a Hogsmeade di quell’anno, infatti, si sarebbe svolta giusto quel sabato.
La prospettiva di un po’ di libertà tra tutto quello studio forsennato allietava così tanto gli studenti del quinto anno che nemmeno uno di loro preferì restarsene a scuola.
Alice avrebbe dovuto approfittare del tempo libero che aveva per portarsi avanti con i compiti (doveva ancora consegnare una pergamena di cinquanta centimetri sugli usi del sangue di unicorno e non aveva nemmeno iniziato ad esercitarsi sull’incanto Geminio assegnato da Vitious) ma, proprio come gli altri, non aveva resistito al desiderio di prendersi una breve pausa da tutto quel studiare studiare studiare, che andava avanti da settembre a quella parte.
E così sabato mattina, dopo la colazione, sfidando i tuoni e i grossi nuvoloni neri all’orizzonte, Alice si presentò insieme ad Albus all’ingresso alle undici in punto, dove i due si erano dati appuntamento con Rose e Cathy.
La prima arrivò quasi subito, in compagnia di sua cugina Dominque, la quale salutò Alice e Albus con un sorriso a trentadue denti e annunciò che, quel giorno, avrebbe mangiato quanti più dolci di Mielandia il suo stomaco sarebbe riuscito a contenere, poiché necessitava di superare una “grande delusione amorosa” – così l’aveva chiamata.
Poco dopo arrivò anche Cathy, che sembrava ancora più piccola avvolta nella sua sciarpona verde e argento; dopodiché il gruppetto si avviò fuori dal Castello, contro il freddo pungente di ottobre.
Solo verso metà strada, interrompendo Dominique che inveiva pesanti accuse contro il suo ex-ragazzo – che a quanto pareva l’aveva tradita più e più volte senza che lei si accorgesse di nulla -, Rose chiese dove fosse Jo e allora Alice le rispose che non lo sapeva, davvero, ma era abbastanza certa di averla vista uscire dalla sala comune mano per mano con Michael quella stessa mattina.
« Non mi piace quel Michael » esordì allora Dominique, che anche con i capelli tutti scompigliati dal vento restava comunque di una bellezza raggiante.
« Perché dici così? » Rose la guardò con curiosità, mentre Albus brontolava appena, e Alice poté giurare di aver intravisto nel suo sguardo opaco una sorta di assenso taciuto.
« Ha qualcosa che non quadra » spiegò la cugina, facendosi pensierosa per un attimo, per poi liquidare: « ma potrei sbagliarmi, infondo lo conosco appena. »
Alice restò in silenzio, ma non poté fare a meno di pensare che, per lei, era Jo quella che ultimamente aveva qualcosa che non quadrava.
Poi però le venne alla mente che, proprio a inizio anno, era stato quello stesso Micheal a squadrare senza pudore Dominique con la bava alla bocca, e proprio di fronte alla sua ragazza…
Ma il filo dei suoi pensieri venne interrotto da una rumorosa risata alle loro spalle, e da una mano che le strattonò la spalla con fare amichevole, facendola traballare leggermente sul posto.
« Eilà, Pancok! » Gwen Jordan s’insinuò tra lei e Rose e circondò le loro spalle con le braccia: « E la splendida Rosie! Che si dice tra le file dei Corvonero? »
Anche Liz, la compagna inseparabile di Gwen, comparve alla loro destra dopo pochi secondi salutando gli altri e in ultimo Albus con un certo entusiasmo, che però il ragazzo non ricambiò.
Rose sorrise, anche se un po’ perplessa da quella confidenza inaspettata.
« Si studia per i G.U.F.O. » rispose, con aria melodrammatica.
Gwen fece una smorfia disgustata: « Voi studiate? Io e Liz abbiamo deciso di puntare tutto sulla nostra fortuna sfacciata…ehy, dov’è la pazza? »
Alice rise, intuendo a chi si riferisse: « Jo è con il suo ragazzo. Credo. »
« Sembra che vivano in simbiosi, quei due » commentò Liz, fingendo un conato di vomito e scatenando le risate generali.
Alice si sentì stranamente rincuorata nel sapere di non essere l’unica a pensarlo.
« Oh, a proposito » Gwen sfilò il braccio che ancora circondava la vita di Alice per battersi una mano sulla fronte, voltandosi inaspettatamente verso Cathy, « quasi me ne dimenticavo. Tu sei Cathy Montague, vero? Nott ti sta cercando. Ci ha chiesto di ricordarti, nel caso ti fosse passato di mente, che avevi un appuntamento con lui, oggi… »
Cathy, che fino a quel momento l’aveva fissata con aria stupita, sgranò gli occhi e si portò una mano sulla bocca, bloccando di colpo il passo e facendo così perdere l’equilibrio a Dominique, che le sbatté addosso.
« Che stupida! Stupida, stupida, stupida… »
« Cathy… » tentò Rose, stringendole la spalla con una mano.
« …davvero stupida! Oh, mi odierà, me lo sento… »
« …Cathy, cosa…? »
« …insomma, è la terza volta che gli do buca! Io…ragazze, mi dispiace… » rivolse loro un’occhiata profondamente dispiaciuta, mentre si distaccava dal gruppo, voltandosi in direzione del castello.
Ad Alice venne da ridere senza un preciso motivo, ma si trattenne, lasciando che Rose rassicurasse la loro amica: « Sta’ tranquilla. Se devi andare, non c’è problema… »
« Ma certo che deve andare! » squittì Dominique. 
Si avvicinò a Cathy, dandole una piccola spinta in avanti, forse con un po’ troppa foga. « Voglio dire…non sarebbe affatto carino farlo aspettare ancora. »
Cathy annuì tristemente. « Credo che tu abbia ragione. »
« Ci vediamo dopo, caso mai...magari ce lo presenti, eh? » incalzò Dominique.
« Certo » Cathy sorrise appena, dondolandosi un po’ sul posto. Pareva estremamente riluttante a fare anche un singolo passo. « Ci vediamo dopo, allora » biascicò, e con un ultimo sguardo afflitto s’incamminò verso il castello.
Alice la seguì con lo sguardo finché non sparì oltre una svolta del sentiero, poi sospirò e riprese il cammino insieme con gli altri, avvicinandosi a Gwen, la quale la prese prontamente a braccetto e cominciò a canticchiare una canzone.
« Santa Morgana, quella nanerottola sta insieme ad Alec Nott e si dimentica che ha un appuntamento con lui… » borbottò Dominique, ricalcando con particolare enfasi il nome del ragazzo.
« Non essere così crudele, Domi » la rimproverò Rose, anche se aveva un’aria piuttosto divertita.
« Non sono affatto crudele! Sono realista… »
« Come credete che andrà il campionato quest’anno? » chiese Liz, lascinado che Rose e Dominique continuassero a battibeccare.
« Bene, per noi! » esclamò Gwen con entusiasmo.
« E male per noi, invece » esalò Dominique sconsolata, che alla parola “campionato” aveva immediatamente dedicato a Liz tutte le sue attenzioni, « anche se mi costa ammetterlo, e non sapete quanto, la Baston ha messo su una squadra decisamente più forte della nostra. »
Alice le rivolse un’occhiata perplessa, così la bionda spiegò: « Abbiamo i nostri informatori. E con questo intendo: vi abbiamo spiati agli allenamenti. »
« Non è contro le regole? » domandò Gwen.
« Probabilmente sì, ma lo fanno tutti! » si giustificò l’altra con un’alzata di spalle.
« Ma noi non abbiamo Corner come Cercatore? Pensavo fosse imbattibile o qualcosa del genere » fece Rose vaga, soppesando l'argomento con ben poco interesse. Non le era mai piaciuto, il Quidditch.
« Ha preso i suoi M.A.G.O. lo scorso anno. » Dominique aveva un'evidente aria addolorata. « Ora c’è un certo Belby, del settimo…una frana totale. James se lo mangerà vivo. »
Rose ridacchiò: « Ahia. Mi sa che la Coppa ce la sognamo, stavolta. »
« Non saprei » borbottò Alice in tutta risposta, riflettendo sulle sue particolari doti di guastafeste.
Il gruppetto aggirò un muretto, dove sostava una vecchia insegna di legno, e si avvicinò alla strada principale del paesino.
« Beh, diciamo che voi avete molte possibilità. Oltre a Jamie, Freddie è un battitore eccezionale, e Roxanne non ne parliamo neanche! Oh, e mettiamoci anche Olivia, che se la cava bene, e poi Malfoy, che sembra essere un buon Portiere… »
« Scorpius è davvero bravo » annuì Alice, dopodiché lanciò una strana occhiata a Rose che la ragazza ricambiò con una linguaccia, arrossendo appena.
« …Sì, insomma, le carte in tavola per una bella vittoria ci sono tutte » dichiarò Dominique con aria esperta.
Continuarono a ipotizzare i possibili risultati delle partite per il resto del tragitto, sparando di tanto in tanto qualche battuta sui diversi giocatori, prima di raggiungere High Street e trovarla viva e gremita di studenti a passeggio.
Decisero di andare, prima di tutto, ai Tre Manici di Scopa a prendersi una bella Burrobirra: stava iniziando a piovere, e qualcosa di caldo e asciutto era proprio quello che ci voleva.
Ma quando entrarono nel locale, lo trovarono talmente pieno che non riuscirono a trovare nemmeno un minuscolo posticino dove sedersi, e il vociferare di tutta quella gente era così frastornante che si riusciva a malapena a scambiarsi una parola; così, piuttosto sconsolati, uscirono senza ordinare nulla.
Rose propose di aspettare qualche ora, magari recandosi prima da Mielandia o in qualche altro negozietto, e poi riprovare quando la calca si fosse dissipata; ma Dominique, decisa a rimpinzarsi di cibo e abbastanza insofferente al tempo umido e alla pioggia sempre più copiosa, si rifiutò categoricamente di aspettare tutto quel tempo.
Allora Alice ipotizzò di trovare un po’ di riparo alla Testa di Porco, al che Albus informò, resuscitando dal suo stato di muto letargo, che il pub era stato chiuso momentaneamente a causa della brutta malattia che aveva colpito il padrone.
Così Liz, anche se con un po’ di riluttanza, propose di andare da Madama Piediburro e aspettare lì che smettesse di piovere.
Inizialmente nessuno prese l’idea nemmeno in considerazione, ma quando la pioggia si fece sempre più fitta e il freddo sempre più fastidioso, decretarono all’unisono che una decina di minuti rinchiusi al calduccio non avrebbero fatto male a nessuno.
Purtroppo i loro buoni propositi vennero bruscamente distrutti non appena misero piede nel locale, che era così rosa da fare male alla vista.
Alice ricordava che suo padre una volta le aveva detto che, quando era ancora uno studente, Madama Piediburro era il rifugio degli innamorati per eccellenza, specialmente a San Valentino. E, beh, diciamo che ora la situazione non era cambiata granché, se non forse per il fatto che adesso l’atmosfera eccessivamente sdolcinata c’era tutti i giorni dell’anno. Ed era per questo motivo che solitamente lei e le altre lo evitavano come la peste.
« Oh, no. No, no, no… » borbottò Gwen, non appena misero piede in quella che somigliava ad una scintillante saletta da tè, annunciati dal tintinnio di una campanella sullo stipite della porta. « Preferisco la pioggia. Andiamo via di qui! »
Alice scrutò con aria titubante le coppiette ai tavolini, tutte apparentemente impegnate a scambiarsi occhiate sdolcinate o, peggio ancora, qualche litro di saliva.
« Bleah…sì, credo…sia meglio. » biascicò, facendo un passo indietro verso la porta ancora socchiusa. Gli altri la seguirono a ruota.
Ma fu proprio quando, finalmente, si decisero tutti ad andare via, che Dominique sì fermò bruscamente sullo stipite della porta, una mano serrata attorno alla spalla di Rose, e gli occhi fiammeggianti puntati verso qualcosa dall’altra parte della sala.
« Domi, cosa…? » chiese Rose, confusa, ma nella sua espressione balenò un lampo di comprensione non appena seguì la traiettoria dello sguardo della cugina.
Alice fece lo stesso.
Esattamente a cinque tavoli di distanza da loro, accostati davanti ad un separé ricco di ricami in oro e argento luccicante, c’era un ragazzo alto, bruno, dall’aria tremendamente famigliare, che pareva tutto intento a strusciarsi addosso ad una tipa a cui non seppe dare un nome.
Ma fu il piccolo, insignificante particolare che si trattava della stessa persona contro cui Dominique aveva inveito per tutto il tragitto verso Hogsmeade, a far rabbrividire Alice di terrore.
« Oh » fu il solo commento che riuscì a produrre.
« Io resto qui » dichiarò la cugina di Rose con tono perentorio, senza scollare gli occhi dal suo ex-ragazzo.
Gwen e Liz si scambiarono un’occhiata, a disagio. « Ehm…magari…magari ci vediamo dopo ai Tre Manici di Scopa, eh, Alice? » propose la prima, un po’ titubante.
Alice sospirò e le salutò, conscia che non avrebbe potuto andare con loro e lasciare Rose lì da sola con una Dominque così furente – visto che, a quanto pareva, Rose non aveva intenzione di allontanarsi dalla cugina.
Albus tentò di svignarsela a sua volta ma Alice lo trattenne per un braccio, lanciandogli un’occhiataccia come a dirgli: "Dai, non puoi lasciarci qui". E avrebbe aggiunto anche un colorito “con lei” se non avesse temuto di essere notata da Dominique, alla quale per poco non usciva il fumo dalle orecchie.
Quest’ultima li trascinò verso un tavolino poco distante, troppo piccolo per tutti e quattro, che dava sulla strada, dove la pioggia aveva creato per terra pozzanghere e fango.
Si strinsero sulla panca.
Seguì un silenzio piuttosto imbarazzato: Dominique continuava a scrutare in tralice il suo ex-ragazzo, Rose la osservava con aria preoccupata, Albus faceva di tutto pur di non guardarsi intorno e Alice, spiaccicata contro il vetro umido della finestra, fissava i pochi passanti al di fuori del locale che sfidavano il brutto tempo a suon di ombrelli.
L’atmosfera fu spezzata dall’arrivo della cameriera, che chiese loro cosa volessero ordinare: Rose chiese quattro Burrobirre, e Alice, tanto per provare qualcosa di diverso, ordinò anche una ciambella alla crema.
Il tutto venne servito loro prontamente, e almeno questo bisognava ammetterlo: Madama Piediburro forniva un servizio impeccabile.
 Peccato che quasi tutta la clientela preferiva passare il tempo a sbaciucchiarsi e nella maggior parte dei casi non toccava cibo.
Dominique si alzò all'improvviso.
Alice la fissò con gli occhi spalancati. Un drago, in quel momento, le avrebbe fatto meno paura.
La Corvonero scosse i capelli lucenti, scavalcò la cugina, e si diresse senza una parola verso il suo ex a passo deciso, senza premurarsi di evitar di calpestare i piedi dei poveri ragazzi seduti ai tavoli.
"Ora lo uccide" bisbigliò Rose.
"Non prima di aver fatto fuori quella" replicò Alice, che davvero non avrebbe mai voluto trovarsi nei panni della ragazza al tavolo con lui.
"Melodrammatiche" sbuffò Albus. Entrambe si voltarono a guardarlo. "Al massimo, farà una scenata delle sue davanti a tutti. E' la cosa che le riesce meglio..."
Ma non successe nulla di tutto questo. Dominique, alta e regale nel suo cappotto nero, si avvicinò al suo ex-ragazzo e si chinò a bisbigliargli qualcosa all'orecchio. Lui parve stupito per un attimo, ma poi si alzò e la seguì, quasi ipnotizzato, lasciando l'altra ragazza seduta là come un'idiota e anche piuttosto arrabbiata.
I due scomparvero dietro la porta del bagno delle ragazze.
Alice sbatté le palpebre. "Accidenti. Vorrei saperlo fare anche io."
Rose ridacchiò e sorseggiò la Burrobirra con fin troppa foga, nello stesso momento in cui la campanella sulla porta tintinnava di nuovo, questa volta per annunciare l'ingresso di una nuova coppietta dall'aria tanto felice.
Alice tornò a guardare fuori con una smorfia non appena sentì un famigliare e  fastidioso rumore di risucchio provenire dai due.
Albus emise un verso di disgusto, mentre Rose commentava: "Bleah. Questa scena popolerà i miei incubi notturni."
Alice non capì l'allusione, così si costrinse a guardare di nuovo verso la coppietta-tanto-felice.
E quasi non le andò la ciambella di traverso quando riconobbe James Potter, avvinghiato alla sua ragazza in modo a dir poco indecente.
Quando si staccarono, James aveva un'aria piuttosto malconcia, con tutta la camicia spiegazzata e i capelli arruffati all'ennesima potenza. Sfoggiava perfino un'espressione scocciata. Si allontanò un po' dalla ragazza, che subito gli si fece più vicina e cercò le sue labbra, al che James si districò da lei con poca gentilezza. Guardò verso il loro tavolo e vide Alice prima che lei potesse nascodersi, o quantomeno fare finta di non averlo fissato fino ad allora. Le rivolse un'occhiata divertita.
Lei restò a guardarlo, un po' infastidita senza sapere bene perché.
"James non mi aveva detto di avere una ragazza" stava dicendo Rose, in risposta a chissà quale affermazione di Albus che Alice non aveva sentito.
James strinse gli occhi, poi le lanciò un bacio immaginario. Lei gli fece la linguaccia e tornò a guardare fuori con il viso in fiamme.
"Alice, hai capito che ti ho chiesto?"
Alice sussultò, facendo rovesciare il proprio boccale vuoto di Burrobirra. "Eh?"
Sul volto di Rose affiorò un sorriso."Sei nel mondo dei vivi?"
"Ah, io...sì..."
"A James piaci, sai?" buttò lì Albus senza nessun preavviso.
Tra di loro calò il silenzio. La giovane Paciock impiegò diversi secondi per digerire quanto appena detto. "Come, scusa?"
"Gli piaci" ribadì lui, "come persona. Ti trova divertente."
Alice si rese conto di essersi irrigidita prima solo quando rilassò le spalle, con una strana sensazione allo stomaco.
Per un attimo aveva pensato che intendesse...
"Si vede. Non smette mai di girarle intorno" rise Rose, "è un tormento."
Albus sorrise impercettibilmente: "Quello è il suo modo di dimostrare affetto..."
"Non credo" lo interruppe Alice, categorica. Non riusciva nemmeno a pensare ad una realtà in cui tra lei e James esistesse qualcosa di diverso dal fastidio reciproco. Era così facile bisticciare con lui, talvolta persino divertente, una cosa così abituale da essere ormai parte integrante delle sue giornate. Non le andava di pensarla in un modo diverso, di pensare a lui in un modo diverso...non poteva. Al solo immaginarlo, le venivano i brividi. "Io e James ci detestiamo. E' così da sempre."
Una verità assoluta, ecco cos'era.
Rose era piuttosto scettica, e scuoteva il capo, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata al tavolo del cugino. "Sarà...beh, anche se alle volte a me sembra che..."
"L'ho sistemato per bene, quell'imbecille figlio di Merlino."
La voce di Dominique catturò la loro attenzione rimbombando chiara e forte come un tuono. La ragazza aveva le mani sui fianchi e un'espressione orgogliosa, il portamento fiero di una donna.
"Che
è successo?" indagò Alice, da un lato decisa a cambiare discorso, dall'altro sinceramente curiosa di sapere cosa fosse successo a quello sventurato ragazzo.
Dominique si sedette accanto a Rose, prese un sorso di Burrobirra con molta calma, e poi esibì il più misterioso dei sorrisi mentre diceva: "Ha avuto ciò che si meritava."
 
 
       ***
 
Il resto della giornata proseguì piuttosto bene. Quando smise di piovere, lei, Rose, Albus e una felice Dominique s'incontrarono con Gwen e Liz ai Tre Manici di Scopa come accordato, e passarono il resto della mattinata e buona parte del pomeriggio tra una risata e l'altra, bevendo Burrobirra e tirandosi addosso pezzetti dei biscotti alla glassa di Madama Rosmerta.
Non tornarono a scuola prima delle sei, e poi se ne andarono direttamente in Sala Grande per la cena.
Alice incontrò Jo solo la sera in dormitorio, e restò ad ascoltare il racconto del suo formidabile appuntamento con Michael che, a quanto pareva, l'aveva portata a vedere la Stamberga Strillante, dimostrando di non avere paura di nulla, come un vero e proprio cavaliere.
Quando chiuse le tende del suo letto e si rintanò sotto le coperte, pensò a come sarebbe stato bello condividere la sua, di giornata, con la sua migliore amica, e magari raccontarle anche dei mille pensieri che le passavano per la testa. Ma c'era qualcosa che la frenava, qualcosa che non aveva mai provato prima di allora, non nei confronti di Jo.
Cercò di ignorare la strana sensazione di disagio e strinse gli occhi, decisa ad addormentarsi il prima possibile.
Purtroppo la sua testa cominciò invece a lavorare più veloce, come di consueto, e ben presto si ritrovò a pensare alle misteriose parole scambiate tra la professoressa McGranitt e l'uomo-senza-nome di quel pomeriggio in corridoio, quando si era nascosta nel bagno di Mirtilla Malcontenta con James.
E non smise mai di interrogarsi sul perché mai dovessero piazzare dei Dissenatori ad Hogwarts, che si supponeva fosse il posto più sicuro di tutta l'Inghilterra.
Quella che si presentò come una possibile risposta a quel quesito fu, pochi giorni dopo, un agghiacciante articolo di cronaca sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta.
Alice stava tranquillamente facendo colazione, quando il gufo che le portava il giornale planò come una furia sulla tavolata di Grifondoro. Pagò il pennuto e iniziò a leggere, nello stupore generale di chi, come lei, aveva ricevuto la Gazzetta per posta anche quella mattina.
 
VIOLENTO ATTACCO A DUE IMPIEGATI DEL MINISTERO
L’assassino abbandona i corpi senza vita in mezzo alla strada
 
Terrorizzanti gli avvenimenti di questa notte, ore 3:45 circa, nei pressi del Ministero della Magia, a Londra. Quello che sembrava essere il più sicuro degli edifici magici della nostra storia, diventa così il panorama di una terribile tragedia: il duplice omicidio di due dei più brillanti uomini del personale nell’Ufficio della Cooperazione Magica Internazionale.
Jacob Collins e Burty Weedon trovano la morte non appena aver staccato da lavoro, ad ora tarda, a causa di numerose ferite da incantesimo e, in ultimo, l’Anatema che Uccide, per poi essere brutalmente gettati in strada.
Harry Potter, capo dell’ufficio Auror, non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione alla stampa. Gerril, assistente di fiducia di Potter, ci informa: “Stiamo prendendo provvedimenti al riguardo. Gli Auror lavorano giorno e notte per catturare questo pazzo omicida.”
Vedremo a cosa porteranno le loro ricerche, dunque. Nel frattempo, l’unica cosa che possiamo fare è piangere la morte di due uomini d’oro, e inchinarci di fronte al dolore delle loro famiglie.
 
 A cura di
Gelsomina Richett
 
« E' orribile » esalò Alice con una mano sulla bocca.
Rose, che aveva letto insieme a lei tenendo il giornale da un lato, aveva la sua stessa aria orripilata.
« Che cos’è? » s’incuriosì Cathy, che oramai faceva colazione al loro tavolo un giorno sì e l’altro pure.
Non appena le spiegarono l’accaduto, assunse un’espressione impaurita che Alice non le aveva mai visto in viso.
« Morgana » sussurrò, « è…è da mostri. »
Alice annuì e quasi le venne da piangere a pensare che la stessa cosa sarebbe potuta accadere a suo padre, quando nemmeno un mese prima era stato attaccato insieme al signor Weasley.
Curiosamente, però, questo pensiero la fece ragionare su altro: anche Neville e Ron erano stati aggrediti all’uscita del Ministero della Magia, sempre nel cuore della notte, e avevano entrambi riportato più e più lesioni da incantesimo su tutto il corpo.
Spalancò la bocca e si voltò verso Rose nello stesso momento in cui quella si girava verso di lei, con l’aria di una che aveva appena fatto una scoperta sensazionale.
Riuscì a formulare un'unica frase:
« Non è possibile. »
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
[  Note  ]
Sono in vacanza. Davvero, non riesco a crederci neanche io.
E questo significa una sola cosa....mare, sole e Game of Thrones!
No, no, scherzo, d'accordo: sto lavorando seriamente alla storia, e ho buttato giù qualcosa sui prossimi capitoli. E sono immensamente felice di avere finalmente tempo per scrivere!
Vi ringrazio tanto per le ultime recensioni, e un enorme bacio a tutti voi che seguite o avete messo tra le preferite e\o tra le ricordate Matrimoni, balli, fidanzati e altri disastri, as usual.
Visto che sono sempre in ritardo, vi faccio un piccolo spoiler per farmi perdonare: ci sarà un evento importante, ad Hogwarts, e ci sarà un ballo...a cui tutti andranno con la persona sbagliata.
Un ENORME grazie a Holkay Efp per lo splendido banner! *^* (da sinistra verso destra: Albus, Alice, Jo, James, Cathy e Rose.)
Beh, alla prossima! xD
Un bacio :)
 
P.s. : la OS su Rose e Scorpius è in fase di betaggio. :]

 

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Capitolo 17
*** When you say nothing at all ***


16.
When you say nothing at all
 

"All day long
I can hear people talking out loud
but when you hold me near
you drown out the crowd."
When You Say Nothing At All - Ronan Keating




Il torpore che aleggiava nella biblioteca era diventato qualcosa di tremendamente famigliare. Non frequentava così tanto quel luogo da quando...no, non aveva mai frequentato così tanto quel luogo. Ormai, avrebbe potuto descrivere con estrema precisione il gioco di luce che il sole creava sugli scaffali impolverati, entrando attraverso il vetro decorato delle grandi finestre. La polvere che si alzava dai libri danzava nell'aria, brillando, in un vortice di riflessi luminosi. A volte, se socchiudevi abbastanza gli occhi , sembravano tante piccole stelle.

« Non ne posso più. Fuori c'è il sole, l'aria profuma di fiori, non abbiamo nemmeno i compiti e voi davvero volete starvene ancora rinchiuse qui dentro? »

Alice alzò lo sguardo su Jo, che aveva la testa mollemente chinata sopra il tavolo di legno e sfoggiava un'espressione scocciata.

« Non possiamo andare via senza aver trovato qualcosa »mormorò in risposta, « non di nuovo. »

« Ma sono ore che siamo qua. »

« Beh, non ci abbiamo comunque capito granché di questa faccenda, no? »

« Appunto, non l'abbiamo fatto" replicò Jo acidamente, « tutto tempo sprecato. »

Rose smise di consultare una pergamena e la trafisse con lo sguardo: « Senti, se ti da tanto fastidio aiutarci, puoi anche andare via. »

Jo la fissò con aria risentita. « Vi ho dato una mano fino ad ora senza problemi! Stavo solo dicendo che sarebbe bello prenderci una pausa. »

« E nessuno ti ferma dal farlo, Jo » intervenne Alice con calma.

« Bene. Perfetto. Allora ci vediamo dopo, immagino » sbottò Jo e, senza un'altra parola, raccolse le sue cose e si dileguò in fretta e furia.

 Rose sbuffò e tornò a concentrarsi sulle proprie ricerche. Alice la osservò: aveva i capelli tutti arruffati, non curati, raccolti in una coda approssimata che le ricadeva lenta sulla spalla destra. Il viso era pallido e, sotto gli occhi, erano visibili due grosse occhiaie violacee. Alice realizzò improvvisamente che anche lei doveva avere quell'aspetto. 

« Forse però ha ragione » cominciò, riponendo con cautela la penna d'oca nello zaino. « Una piccola pausa ci farebbe bene. »

« Io non ne ho bisogno » scattò Rose, senza alzare gli occhi. 

Alice esitò, aprendo bocca per parlare e poi tacendo di nuovo. Fece per raccogliere i propri averi, ma si rese conto ben presto che non era proprio in grado di lasciare l'amica lì da sola, non in quelle condizioni. « Rose, guardati. Hai bisogno di dormire anche tu. Quant'è che passiamo giorno e notte qui? Tre settimane? »

Rose non diede segno di averla sentita, gli occhi che correvano da una parte all'altra della pergamena. Ma Alice sapeva che la stava ascoltando. 

« Anche io voglio scoprire qualcosa di più su tutto questo, lo sai bene. Ma in questo stato non siamo in grado di fare un bel niente. Dai, andiamo a... »

« Ho detto che non ne ho bisogno! »

Alice la fissò, senza riuscire a reprimere un'espressione ferita. Si alzò lentamente, e fu allora che Rose la guardò, con un velo di tristezza negli occhi e le guance arrossate: « Scusami. Scusa davvero, Alice. Non so cosa mi prende. »

Lei si risedette. Allungò il braccio lungo il tavolo, circondando la mano di Rose con la propria. 

« E' che...sono nervosa. Papà mi ha raccontato di quelle cose brutte che successero quando scoppiò la guerra. Tutte le sparizioni e gli omicidi...e ora, tutt'a un tratto, sta succedendo qualcosa di simile. » Si bloccò, stringendo le palpebre. « O perlomeno, sta succedendo qualcosa. »

« E noi scopriremo cosa » le promise Alice, anche se non era così convinta nemmeno lei. 

Un accenno di sorriso spuntò sul volto di Rose. La ragazza lasciò la sua mano, arrotlò la pergamena e gettò tutte le altre cose nella sua borsa senza troppo riguardo. « Hai ragione, comunque. Sul fatto di dormire e tutto il resto » disse, sfregandosi un dito sotto gli occhi.

« Forse dovremmo andare a cercare Jo » propose allora Alice, alzandosi nuovamente e issando lo zaino su una spalla. Madama Pince, dall'altro lato della biblioteca, le rivolse un'occhiata ammonitrice, intimandole di fare silenzio.

Rose storse leggermente il naso. « Non voglio scusarmi con Jo. Sono settimane che ci evita o ci pianta in asso per stare assieme al suo ragazzo. Non mi ha nemmeno chiesto come stessi dopo quello che è successo ai nostri gentori. » Afferrò la sua borsa e s'incamminò con Alice verso la porta. « Io le voglio bene, Ali. Ma sono così stufa di lasciarmi calpestare da tutti. »

Alice rimase al suo fianco in silenzio. Improvvisamente, si sentiva come se fosse stata appena investita da un camion. 

« Forse » aggiunse Rose dopo qualche minuto, sorridendo inaspettatamente, « è ora che cominci a comportarmi come un'adolescente egocentrica anche io. »

                                       
***


L'annuncio di un nuovo attacco, terribilmente simile ai precedenti, non migliorò di certo la situazione.
Era pomeriggio presto, quando Rose le piazzò l'articolo sotto il naso, interrompendo il suo studio-sonnellino in compagnia di Cathy all'ombra del vecchio olmo in cortile. 

« Guarda qua. »

Alice lesse velocemente. Non poteva credere ai propri occhi, e così anche Cathy, che commentò: « Lesioni da incantesimo. Attaccati nei pressi del ministero. Beh, chiunque questo pazzo maniaco omicida sia, non si sta impegnando molto a tenere la faccenda segreta, eh? »

« Non credo sia solo uno » affermò Rose. « Insomma, una sola persona non può essere così abile da mettere KO due uomini alla volta, muniti di bacchette e tutto il resto. »

« Ma perché? » farfugliò confusamente Alice. « Perché fare tutto questo? E perché dare tanto nell'occhio? Che cosa vogliono? »

Rose scosse la testa. 

Alice tornò a chiudere gli occhi, sospirando. Si concentrò su tutti gli indizi, se si potevano chiamare tali, che avevano raccolto: un'udienza, una setta, tre tentati omicidi ripetitivi - di cui uno, grazie al cielo, non andato in porto. Non era molto su cui basarsi per fare una qualche deduzione in proposito, ma allo stesso tempo era abbastanza per capire che qualcosa non andava. 
Non erano le uniche a pensarlo, comunque; rapidamente, la notizia dell'attacco si era sparsa per la scuola, e ora che ne era a conoscenza, Alice poté dare un senso a tutti i bisbigli tesi e le occhiate confuse che gli studenti di Hogwarts si scambiavano nei corridoi da quella mattina. 
Perfino l'aria era cambiata, si era fatta più fredda, e nonostante Alice sapesse bene che era tutta colpa dell'inverno ormai imminente, non riusciva a fare a meno di ricollegare quell'improvviso vento gelido alla paura che le mordeva lo stomaco.

Paura di cosa, poi, non lo sapeva. Perché non sapeva cosa diamine stava succedendo.

« Sapete » proruppe Cathy dopo un po', pensierosa, « credo che abbiamo sbagliato a continuare a cercare nella biblioteca. Magari non abbiamo ancora trovato nulla sulla Setta delle Ombre perché...perché nessuno ha mai scritto niente al riguardo. »

« Ma se nessuno ne hai mai parlato, allora... » cominciò Alice.

« Allora significa che è un qualcosa che sta nascendo in questo secolo! » concluse Rose per lei, anche se non era esattamente ciò che Alice stava pensando. 

« Non c'è nulla di archiviato in quei libri sugli ultimi dieci anni. I testi di storia arrivano fino alla seconda guerra magica...e anche tutti gli altri. Magari, questa Setta-del-cavolo è più moderna » aggiunse Cathy.

Stettero in silenzio per qualche secondo, guardandosi l'un l'altra, mentre la realizzazione della nuova scoperta si lasciava dietro una scia di eccitazione. Poi, rompendo bruscamente quella strana sensazione di soddisfazione che aleggiava tra di loro, Alice mormorò esitante: « Ma se nessun libro ne dice nulla, come facciamo a scoprire di che si tratta? »

La sua affermazione ebbe lo stesso effetto di un vaso che andava in frantumi sul pavimento, interrompendo una lunga meditazione. 
Cathy e Rose si scambiarono un'occhiata. Alla fine, Rose rispose: « Dobbiamo parlare con la McGranitt. »


La cosa non fu semplice come pensarono. O, perlomeno, non fu semplice come Rose aveva pensato che sarebbe stata. 
Mettendo da parte tutti i timori di Alice e i dubbi di Catherine, c'era comunque da considerare che, ovviamente, la preside era sempre molto impegnata, e riuscire a strapparle anche solo un minuto per poter parlare si prospettava come un'impresa impossibile.
Neville una volta aveva raccontato ad Alice che, ai tempi in cui era uno studente, Albus Silente, allora preside di Hogwarts, riusciva sempre a trovare un po' di tempo da dedicare ai suoi alunni in difficoltà, seppur finendo la maggior parte delle volte con il dare consigli molto vaghi o fare strani discorsi apparentemente inconcludenti.
Anche la McGranitt, comunque, era stata una preside del genere a suo tempo, solo che ora...ora, come d'altronde da mesi ormai, qualcosa non quadrava. 
Strani uomini vestiti di nero andavano e venivano dall'ufficio della McGranitt in continuazione. Alice non aveva saputo associare a loro un nome finché Rose, un pomeriggio, non aveva mormorato: « Auror. Che ci fanno tutti questi Auror nella nostra scuola? »

Alla fine, decisero di appollaiarsi tutti i giorni, alla fine delle lezioni, dietro una delle colonne del corridoio del secondo piano, in attesa di vedere l'andirivieni terminare e di poter chiedere la bramata udienza con la preside. 
Ma non ci riuscirono mai. 
La presenza degli Auror era diventata così frequente in quell'ala del castello che persino le armature di ferro, immobili da secoli, sembravano fremere dall'agitazione alla vista di tutto quel movimento. 
E fu con una buona dose di delusione che, un venerdì dopo, le ragazze se ne tornarono tutte tristi nella sala comune di Grifondoro, borbottando frasi sconnesse con estrema disapprovazione.
Cathy si rifiutò categoricamente di entrare nella torre con le amiche, dicendo che, se avesse messo un piede lì dentro un'altra volta, tutti quei Grifondoro l'avrebbero probabilmente scuoiata viva.
Così, mentre lei trotterellava verso i Sotterranei, Alice e Rose varcarono il buco del ritratto da sole. 
Furono piuttosto soprese di trovare l'intera sala in fibrillazione. 

« Che sta succedendo? » bisbigliò Alice all'orecchio dell'amica.

La risposta non tardò ad arrivare. Gwen, in una nuvola di capelli lisci, sgusciò verso di loro nella calca di ragazzi affollati attorno alla bacheca. « Avete sentito della notizia? » trillò, la voce piena di allegria.

Alice inarcò un sopracciglio: « Che notizia? »

Gwen sospirò, e Alice fu certa che il silenzio che seguì fu architettato a dovere per dare maggiore suspance a ciò che la ragazza stava per dire. « Ci sarà un ballo di Halloween! »

« Che? » farfugliò Rose.

« Un ballo. Per Halloween. Un ballo in maschera, per l'esattezza » spiegò Gwen, un sorriso da un orecchio all'altro.

Alice scrutò tra gli studenti tutti amassati sull'annuncio della festa, evidentemente appeso alla bacheca. Jo era tra questi, e squittiva di gioia insieme a Liz. 
Immediatamente, l'allegria della stanza contagiò anche lei. Un ballo...sarebbe stato un evento carino, tutto sommato, e magari sarebbe riuscito ad occupare i suoi pensieri per un po', al posto di tutte le preoccupazioni che la assalivano da qualche tempo.
Immaginò la Sala Grande imbandita a festa, con tutte le decorazioni, e le zucche, e i dolci squisiti a forma di pipistrello...poi, brucamente, la sua visione cambiò, e si ritrovò a pensare a lei stessa, che cadeva rovinosamente a terra nel bel mezzo della pista da ballo, con il vestito tutto strappato e le labbra che mimavano le parole "non so ballare!", mentre una manciata di lacrime le rigavano le guance.

« Godric santissimo » gemette, prendendosi il viso tra le mani.

Gwen parve piuttosto sconvolta dalla sua reazione. Si scambiò un'occhiata con Rose, che alzò le spalle. « Beh...uhm, immagino che... »

La frase venne interrotta dall'arrivo tutt'altro che furtivo di Jo, cosa della quale Gwen parve piuttosto grata.
La ragazza, con la chioma viola intrecciata in una lunga treccia, sorrise radiosa ad Alice e le allontanò le mani dalla faccia, scuotendola per le spalle: « Su con la vita, Allie! Sarà fantastico! Non sei emozionata? »

Era terrorizzata, semmai. Fissò Jo senza dire nulla.

Lei parve prendere il suo silenzio come una conferma, così sorrise di nuovo e si rivolse a Gwen, « spero che Jonathan ti inviti. Sareste carinissimi, voi due assieme. »

Gwen arrossì in modo molto grazioso, scrollando le spalle e allontanandosi da loro. Jo tornò a guardare Alice. « Magari tu potresti avere qualche chance con Chris, eh? »

« Io non... » Alice non ci aveva nemmeno pensato. Ora, però, la prospettiva di un ballo sembrava improvvisamente molto più allettante.

Jo le fece l'occhiono, e senza rivolgere nemmeno uno sguardo a Rose, si dileguò nuovamente nella calca di Grifondoro.

Alice non notò subito l'espressione turbata dell'amica al suo fianco, poiché in quel momento il suo cervello era troppo occupato a fondersi e spiattellarsi, capace di formulare solamente le parole Chirs, ballo, Chris, ballo, Chris, Chris, Chris.

« Molto maturo da parte sua »
  mormorò Rose.

Alice si riscosse. « Rose... »

« No, lascia stare. Se vuole fare così, faccia pure. Comunque io non mi scuserò. E' una cosa che non farò. » Così dicendo, corse fuori dalla sala comune. 

Alice gemette. 
Era come se il normale equilibrio delle cose avesse preso una piega diversa, totalmente inaspettata...e tutto così, all'improvviso, senza che lei o nessun altro di loro potesse avere il tempo di abituarsi all'idea.
E adesso non poteva far altro che restare a guardare come tutto iniziava a cambiare, dapprima lentamente, ed ora sempre più veloce, veloce, veloce, in un modo che cominciava a farle paura. 

 

***


Il giorno dopo, mentre tornava da colazione, ebbe modo di constatare come la febbre del ballo si fosse velocemente diffusa tra gli studenti. 
Le ragazze non facevano che parlare di quello, mentre i ragazzi sembravano sempre in procinto di spuntare fuori da qualche cespuglio per cogliere di soppiatto fanciulle impreparate e proporre loro di andare al ballo insieme.
Non che Alice temesse una cosa del genere: prima che qualcuno fosse stato tanto scemo da invitare lei, sarebbero dovuti passare dei secoli.

Si era preparata psicologicamente a questo. Davvero, ci aveva lavorato su, e anche piuttosto bene. Se non che, giusto quel pomeriggio, mentre si dirigeva verso l'aula di Incantesimi, vide Christohper Canon camminare troppo vicino ad una ragazza dai capelli rossi, con un sorriso decisamente troppo radioso, e allora il suo cuore fece un brusco salto mortale all'indietro e poi spronfondò giù, dritto di filato nell'intestino.

Fu Cathy a tentare di consolarla: « Potrebbe essere...una sua amica, no? »

Alice grugnì in tutta risposta. 

Se non altro, ci pensavano gli sfiancanti allenamenti di Quidditch organizzati da Olivia Baston a distrarla quel tanto che bastava da non permetterle di perdere la testa.

Il sabato seguente, in particolare, la ragazza convocò una riunione straordinaria di tutta la squadra per discutere di alcuni schemi in vista dell'ormai imminente campionato. E così, conclusi alla bell'e e meglio i compiti di Trasfigurazione, Alice si era diretta al campo da Quidditch insieme a Roxanne Weasley e, abbastanza distante da sembrare di star lì per caso, ma abbastanza vicino da lasciare intendere di voler seguire la loro stessa direzione, Scorpius Malfoy.

Una volta arrivati, poterono constatare con facilità che la giovane Baston era letteralmente su di giri.

« Io direi di cominciare da qui. Se abbattiamo le loro difese, avremo più speranze di poter tentare un piano di gioco decente. »

Olivia passò lo sguardo su di loro, uno per uno. Erano riuniti esattamente al centro del campo, avvolti nelle pesanti casacche rosso e oro, ed avevano tutti un'aria così assonnata che non si sarebbe potuto dire con precisione chi, tra di loro, fosse davvero riemerso dal mondo dei sogni.

« Mi state almeno ascoltando? » sbottò Olivia, mettendo le mani sui fianchi.

« Sicuro, capitano. Però magari, la prossima volta, pensaci due volte prima di fissare un allenamento alle sette di mattina. » Fred sbadigliò sonoramente, senza curarsi di coprire la bocca con la mano. « Di sabato mattina. »

« Tappati la bocca, Fred. Ci serve tutto l'allenamento possibile se vogliamo che sia una buona annata per la squadra, e ora che sono Capitano non permetterò che qualcuno pensi che - Potter,  ti ho sentito! »

James, che le stava facendo il verso, provocando le risate degli altri, alzò gli occhi al cielo. 

Olivia gli lanciò un'occhiataccia e riprese: « Come stavo dicendo, dobbiamo concentrarci su uno schema d'attacco. Infiltriamoci nella linea di difesa dei Tassorosso, e a quel punto tentiamo di fare punto.  Che ne pensate? »

Tra di loro, regnò il silenzio per diversi minuti. Alla fine, Olivia storse il naso e proclamò: « Considero il vostro improvviso mutismo come un assenso generale. Bene, squadra, a lavoro! »

Era un mattino limpido. Il cielo era ancora screziato dal colore rossastro dell'alba quando i ragazzi si levarono in aria sulle loro scope. Alice sorvolò il campo un paio di volte, come sempre - la aiutava ad abituarsi a stare in volo. Avere le gambe penzoloni  nel vuoto la faceva sentire nervosa solamente all'inizio, ormai: superati i primi cinque minuti di fifa, non c'era assolutamente nulla di meglio di stare lì, ad un passo dal cielo, con il vento tra i capelli e il naso pieno dell'odore dei fiori.

L'allenamento durò più del previsto. Dopo quasi due ore, Alice fu costretta ad atterrare per riprendere fiato. Non sembrava l'unica in quelle condizioni: Roxanne l'aveva seguita a ruota e Piech, uno dei Battitori, si era disteso nell'erba poco lontano, la mazza stretta in pugno e un sorriso beato sulla faccia. 

Olivia lasciò che si riposassero, ma continuò a giocare con i restanti, che ancora non davano segni di cedimento. Alice osservò con interesse Scorpius Malfoy parare una, due, tre pluffe di seguito; a discapito di quanto potesse dire Jo, ci sapeva davvero fare. 
Qualcosa che luccicava, non molto distante dal suo orecchio, distrasse la sua attenzione da lui. Ebbe appena il tempo di voltarsi per capire cos'era, che si accorse di una figura che scendeva in picchiata proprio verso di lei. Prima di rendersi conto di ciò che stava accadendo, James planò a due centimetri dalla sua faccia, afferrando il boccino d'oro -  che le stava svolazzando pericolosamente vicino. Roxanne applaudì entusiasta: « Bella manovra. »

James smontò dalla scopa e fece un inchino. Dopodiché si lasciò cadere di fianco ad Alice, trattenendo a stento il fiatone. « Hai un'aria terribile » le disse.

« Non è che tu sia proprio un figurino. Puzzi di sudore, anche. »

« Non fare la scema » ribatté James scherzosamente, « sappiamo entrambi che il mio sudore profuma di rose. »

Alice fece una smorfia. « Devono avere un odore proprio schifoso, queste rose. »

James la guardò davvero male. Poi le diede uno spintone con la spalla, che la fece finire addosso a Roxanne.
Questa scoppiò a ridere, si alzò e rimontò in sella alla propria scopa, annunciando di voler "ridurre le parti intime di Malfoy in poltiglia con uno dei miei lanci ad effetto."

« Allora, scricciolo » riprese James non appena la cugina se ne fu andata, e solo dopo aver dato la sua completa approvazione a quelle intenzioni, « hai sentito del ballo? »

« Già » mugugnò Alice, « il ballo. »

« Una cosa mostruosa » commentò lui.

Alice aggrottò la fronte. « Ma come? Non ci andrai con la tua - uhm - fidanzata? »

« Sì. »

Alice non capì, ma lui non sembrava intenzionato ad aggiungere altro, così lei decise di non porre domande.

« Tu? » chiese James dopo qualche minuto. « Con chi ci vai? »

« Nessuno. »

« Ah, andiamo, piccoletta. Non dirmi che non sei riuscita a trovare un cavaliere... »

« Io...andrò con Rose. »

« Davvero deprimente » rise James, « dai, Alice Pancock, dimmi che ti passa per la testa. »

Alice esitò un secondo. Lui conosceva il suo segreto...non avrebbe evuto senso tenerglielo nascosto, alla fine, no? 
« Speravo di andarci con Chris » sussurrò alla fine, talmente piano che temette di non essere stata udita.

James ridacchiò al suo fianco, e Alice si pentì immediatamente di averglielo detto. 
« Giusto, tu sei ancora cotta di Canon. E che aspetti a chiederglielo? »

« Chiederglielo? » mormorò Alice terrorizzata.

« Certo. E se non ti dai una mossa, glielo chiederà qualche altra ragazza. »

Alice si morse il labbro, domandandosi se la misteriosa tipa dai capelli rossi non fosse proprio la sua accompagnatrice. Immediatamente, si sentì stupida per non averlo fermato ieri pomeriggio, prima che potesse farlo qualsiasi altra persona. 

« Ah, a proposito » riprese James, alzandosi da terra e pulendosi i pantaloni dall'erba, « oggi pomeriggio niente...tu-sai-cosa. »

Alice rifletté che, detta così, più che un pomeriggio a preparare una pozione dava l'impressione di essere un incontro di corse clandestine. « Perché? » chiese.

« Mi vedo con Emily » rispose James, facendole l'occhiolino. « Studiamo Incantesimi » aggiunse con un sorrisetto ironico, mimando le virgolette con le dita. 

Alice si sentì improvvisamente infastidita. All'inizio non capì perché, ma poi se ne rese conto: era lui ad averla trascinata in quella storia, lui ad averle chiesto una mano, lui ad averla incastrata in un piano strampalato per sabotare un matrimonio...e ora, improvvisamente, tutto questo passava in secondo piano? Non era forse, come le aveva detto lui stesso, una cosa essenziale per il bene del suo migliore amico?

E invece ora aveva deciso che "studiare" con la sua ragazza fosse più importante. L'aveva messa da parte, proprio come stava facendo Jo. E Alice non poté fare a meno di sentirsi in qualche modo tradita.

« Bene » sbottò. « Divertiti. »

Si alzò, montò sulla scopa e, prima che James potesse replicare, sfrecciò via. 

















Note

L'ultimo pezzo è stato un parto. Seriamente. Ho sofferto scrivendolo! Ma passiamo a noi: cosa ne pensate? E, soprattutto, cosa pensate che accadrà al ballo? :D
Sarebbe tipo - fantastico se azzardaste un paio di teorie, sono curiosissima di sapere cosa pensate ^-^
Ho fatto uno schema generale degli eventi che accadranno da ora in poi, e posso dirvi con certezza che ci troviamo più o meno nel mezzo della storia. 
Volevo ringraziare aliehs che mi ha lasciato sedici splendide recensioni! E poi RedHeadPotter e RoseSnape_99, che hanno recnesito lo scorso capitolo e, ovviamente, parabatime, che è una bellissima puccissima mucca e legge tutti i miei scleri senza fare proteste.

A presto!

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Capitolo 18
*** Flowers in your hair ***


 


17.

Flowers in your hair
 
"Cause it's a long road to wisdom 
But it's a short wind to being ignored."
Flowers In Your Hair - The Lumineers



Posso farcela. Non è difficile. Posso farcela.
Alice si morse un labbro. Più di una volta.
No, no, no, non è vero. Non ce la farò mai.
 
« Coraggio! » la spronò Cathy, sussurrandole all’orecchio.
 
Coraggio. Posso averlo, quello. Sono una Grifondoro, in fin dei conti…una leonessa. Posso essere coraggiosa. Sono coraggiosa.
 
Scrutò di nuovo l’oggetto indiscusso dei suoi pensieri: Chris Canon, due tavoli più in là, stava consumando tranquillamente la sua colazione, scambiando di tanto in tanto qualche parola con un ragazzo al suo fianco e ridendo spesso per gli sputacchi che questi, un boccone sì e l’altro pure, emetteva.
Era così carino e così fastidiosamente ignaro della lotta interiore che, in quell’esatto momento, stava prosciugando tutte le energie vitali di Alice. 
 
Ma cosa accidenti mi viene in mente. Io non sono coraggiosa. Né una leonessa. Al massimo sono un bradipo.
 
Tentò di tergiversare: « Forse è meglio aspettare che finisca di mangiare… »
 
« Non se ne parla. » Cathy era irremovibile. « Avevi detto che glielo avresti chiesto stamattina, e lo farai. Avanti, non è così difficile! Basta che tu sia spontanea. Ricordi quello che ti ho detto sull’essere spontanea? »
 
Alice emise un suono molto simile ad un grugnito. « Sii naturale. E’ il miglior modo per piacere alle persone » ripeté in tono strascicato, come se stesse recitando una filastrocca.
 
« Esattamente » approvò Cathy con un sorrisetto tutto soddisfatto. « E l’altra cosa di cui abbiamo parlato, quella sulla sicurezza in se stessi, te la ricordi? »
 
« Abbi fiducia in te, non sei affatto una nullità » rispose Alice sbuffando.
 
« E…? »
 
« Credi nelle tue potenzialità » ora, iniziava a spazientirsi.
 
« Sì, e…? »
 
« Pensa a te stessa come alla persona meravigliosa che sei…abbiamo finito, adesso? »
 
Cathy sorrise nuovamente, incapace di nascondere il divertimento: « Okay, okay, ora puoi andare. Ma tieni a mente tutte queste cose. E…oh, cerca di non inciampargli addosso! »
 
 Alice annuì, incapace di aggiungere altro; dopodiché si alzò dalla panca e, con un ultimo sguardo incerto a Cathy, si diresse verso la tavolata dei Tassorosso, immersa nella confusione della Sala Grande.
 
Non sarebbe stato poi così difficile. Si trattava solo di fare una brutta figura in modo del tutto consapevole, senza alcun pretesto per giustificarsi e, soprattutto, esclusivamente di sua volontà. Con una spintarella da parte della sua amica, certo, ma pur sempre di sua volontà.
Puoi farcela. Ricorda i consigli di Cathy.
Si sentiva come se stesse marciando consenziente verso la tana del lupo, a dire il vero. Ma ormai non poteva tirarsi indietro. Lui era così vicino…
 
« Ciao. »
 
Era stata lei a dirlo? Non se ne era nemmeno resa conto. Ma ora era lì, in piedi davanti a Christopher Canon in carne e ossa, che la fissava con quell’aria un po’ confusa di chi non riesce ad afferrare bene il motivo per cui gli stai rivolgendo la parola. E gli aveva detto ciao.
 
« Ehy… » fece lui, voltandosi un poco sulla panca in modo che potesse guardarla bene in faccia. Il suo amico continuava a sputacchiare cibo come se fosse l’attività più divertente del mondo, facendo letteralmente sganasciare dalle risate due Tassorosso lì vicini. « Come va…ehm…? »
 
« Alice » le corse subito lei in aiuto. Non si ricordava ancora il suo nome.
 
« Certo. » Christopher Canon sorrise in modo radioso. Ad Alice parve quasi di sentire gli angeli cantare, e poté giurare di aver visto un’aurea di puro oro circondargli il viso – ma forse stava solo impazzendo, a forza di concentrarsi su tutte quelle regole che le aveva dato Cathy, provare a formulare parole di senso compiuto e pregare Merlino di non arrossire perché, in tal caso, si sarebbe potuta direttamente sotterrare.
 
Si accorse che avrebbe dovuto rispondergli qualcosa, così si precipitò: « Fa un po’ caldo, tu? »
 
Fa. 
Un. 
Po’. 
Caldo. 
Ma che genere di essere rispondeva così alla domanda “come stai”?
E poi non faceva caldo. Lei stessa portava il maglione di lana sopra la camicia. Ed era ottobre! Non fa caldo a ottobre!
 
« Beh…sì, anche io ho un po’ caldo » disse Chris, incerto.
 
Oh, beh, a quanto pare nemmeno lui sembrava dare molta importanza alle normali condizioni atmosferiche dei vari mesi dell’anno. Alice si sentì un po’ più sicura, così respirò a fondo e si concesse di sorridergli di rimando.
 
« E così… » cercò disperatamente di trovare qualcosa da dire, ma era abbastanza difficoltoso, visto che si erano scambiati sì e no dieci parole in quattro anni e non frequentavano nemmeno una classe assieme. Lo fissò per circa trenta secondi, tentando di ignorare quanto potesse sembrargli stupida in quel momento. « …bella, ehm, spilla » mugugnò alla fine, indicando il piccolo oggetto luccicante a forma di chitarra appuntato sulla sua camicia.
 
« Ti piace? » Chris sorrise di nuovo, con quegli adorabili riccioli castani che gli scendevano sulla fronte e oh Merlino e Morgana, era decisamente troppo per il povero cuore di Alice. « E’ un regalo di mia nonna. »
 
« È bellissima. »
 
Passarono circa altri venti secondi senza che riuscisse ad aggiungere nulla; lui la guardava in attesa, probabilmente non vedendo l’ora che alzasse i tacchi, rifletté. Poi ripensò a Cathy.
 
Sii spontanea.
 
« Senti, io mi domandavo se…insomma, volevo chiederti… » cominciò.
 
« Puoi sederti se vuoi, comunque » la interruppe Chris, indicando il posto vuoto sulla panca accanto a lui, e solo allora Alice si accorse di essere rimasta lì in piedi impalata per tutto il tempo. Senza farselo dire due volte, si sedette di tutta fretta, urtando con il ginocchio alla gamba del tavolo e tentando di nascondere la conseguente smorfia di dolore. 
 
« Grazie » biascicò.
 
« Stavi dicendo? »
 
« Oh. Già. » Alice inspirò. Chris continuava a sorridere; magari doveva aver capito cosa stava per chiedergli e ne era divertito…ma no, pensò, non sembrava poi così divertito.
Sospirò.
Forse…insomma, forse le sue speranze non erano poi così irrealizzabili…
« Ecco, io volevo chiederti se ti andrebbe di - »
 
« Chris! »
 
…di venire al ballo con me.
 
Ad interromperli era stata la stessa ragazza con i capelli rossi che Alice aveva visto due giorni prima. Era bella, pensò: aveva un viso delicato e grandi occhi verdi, la vita stretta, i fianchi piuttosto pronunciati.
Si era avvicinata a passo di marcia, per poi stringere gentilmente le spalle di Chris e chinarsi per dargli un bacio sulla guancia. Nel salutarla, lui l’aveva chiamata Bree.
 
« Buongiorno. Come va il braccio? » gli chiese Bree-rovina-momenti, tutta zuccherosa.
 
Alice prese a tormentarsi con le mani un lembo del maglione.
No, ma tranquilli. Fate come se io non ci fossi.
E che cavolo aveva il suo braccio?
 
« Meglio. Da ieri sera non mi fa neanche più male, ma Madama Chips continua a dire di non sforzarlo troppo » fece Chris, con una piccola smorfia.
 
Lei rise e gli diede un altro bacio: « e tu dovresti ascoltarla senza protestare. »
 
Alice fece un passo indietro, desiderando con tutta se stessa di dileguarsi all’istante o, più fortunatamente, essere inghiottita dal pavimento, ma il caso volle che proprio in quel momento Bree-rovina-momenti si degnasse di accorgersi della sua presenza.
 
Le rivolse un sorriso di cortesia. « Ciao. Ti serve qualcosa? »
 
« Veramente io stavo… » cominciò Alice, alzandosi e accennando in modo impacciato alla sua tavolata.
 
« Hai dei bellissimi capelli! Vieni, siediti con noi » esclamò Bree prima che potesse finire la frase.
 
…andando via.
 
A malincuore, si sedette di nuovo. Ogni singolo neurone del suo cervello le stava gridando di scappare via di lì a gambe levate, ma ormai era troppo tardi.
 
Chris si schiarì pesantemente la voce: « Alice, questa è Bree. Bree, Alice. »
 
Bree, seduta sulle gambe di Chris, puntò gli occhi verdi su di lei e le tese la mano destra. Alice la strinse un po’ esitante e si chiese in cosa diavolo si fosse andata a cacciare.
 
« Noi stavamo…uhm, Alice stava… » Chris si interruppe lanciandole un’occhiata interrogativa, che fece nascere in lei la voglia di sprofondare nel suolo e non tornare mai più.
 
Pensò velocemente, sforzandosi il più possibile di ignorare le mani di Chris e della ragazza intrecciate sopra il ginocchio di lui. « Stavo chiedendo a Chris se avesse voglia di entrare a far parte del club di Gobbiglie. Sai, cerchiamo nuovi membri e siamo davvero…disperati. Reclutiamo gente in giro per il castello da giorni. »
 
Nel finire la frase, si permise di sfoggiare un sorriso compiaciuto. Niente male. Le sue capacità nell’improvvisare stavano notevolmente migliorando.
 
« Davvero? La mia migliore amica è la vice-presidentessa e non mi ha parlato di nulla del genere » osservò Bree.
 
Alice spalancò gli occhi e il sorriso le morì sulle labbra.
 
Bree scrollò le spalle. « Ma deve essere colpa di tutta quest’agitazione per il ballo, che ti fa perdere la testa… » ridacchiò contro il collo di Chris.
 
« Sì, deve essere così » commentò lei, reprimendo un conato di vomito.
 
La Tassorosso annuì distrattamente, poi, proprio quando Alice credeva di averla scampata e di poter finalmente darsela a gambe, proruppe dal nulla: « E tu, ce l’hai un accompagnatore per il ballo? »
 
Alice si bloccò. Se avesse detto di no, sarebbe stata una catastrofe: sia Bree che Chris avrebbero probabilmente intuito il vero motivo per cui era lì, data la scusa ormai poco convincente, ed essendo il ragazzo evidentemente già impegnato, lei sarebbe diventata uno zimbello per i secoli a venire.  E poi, il modo in cui quei due se ne stavano appiccicati le faceva venire una sorta di prurito all’altezza dello stomaco, una sensazione così fastidiosa che sentiva l’urgenza di scolarsi tutto d’un fiato un bicchiere di succo di zucca. Era gelosa, realizzò. E forse fu la gelosia a rispondere per lei.
 
« Sì, ce l’ho » disse, quasi con ferocia. Si diede mentalmente uno schiaffo. Cosa stava dicendo? « Ci vado con… » si gettò un’occhiata intorno disperatamente. Il vero miracolo, che la salvò all’ultimo, proprio quando era sull’orlo del baratro, fu l’apparizione della testa corvina di Albus Potter sulla porta della Sala Grande, la divisa abbottonata fino al collo, seguito a ruota da Rose e completamente ignaro di ciò che Alice stava confabulando. « …con Potter. »
 
Godric Santissimo, Albus l’avrebbe uccisa. Lentamente.
 
« Potter? » Bree sembrava un po’ sorpresa, senza che Alice ne comprendesse il motivo. « Beh, wow, congratulazioni. Un vero peccato. Un nostro amico, Smith – lo conosci? E’ di Corvonero – insomma, cercava una ragazza, e scommetto che gli saresti piaciuta. »
 
« Oh…grazie? » tentennò Alice, totalmente spaesata. Spostò il peso da una gamba all’altra, in imbarazzo sotto lo sguardo oppressivo di quella strana ragazza. « Ora, ecco, io dovrei proprio andare… »
 
Ma le furono risparmiati i convenevoli. Ben presto, infatti, l’attenzione di Bree-rovina-momenti venne catturata dalla comparsa di un’altra Tassorosso tutta sorrisini e lustrini, che a giudicare dal nomignolo obbrobrioso con cui aveva osato chiamarla doveva essere una sua amica molto stretta.
Alice lanciò un ultimo sguardo sconsolato verso Chris, che aveva ripreso a ridere con il ragazzo degli sputacchi: era stata così vicina a farcela, a chiederglielo davvero…
 
Se ne tornò, delusa, verso il tavolo di Grifondoro e si lasciò cadere mollemente sulla panca. Cathy la stava aspettando, ed era euforica come non mai.
 
« Allora? Com’è andata? »
 
Alice, senza staccare gli occhi dalla coppietta felice, emise un suono a metà tra uno sbuffo e un grugnito. « Beh, un accompagnatore ce l’ho. »
 
Anche se non esattamente quello che aveva sperato.
 
*** 
 
« Me la daresti una mano? » bisbigliò Jo al suo orecchio, cercando di non farsi beccare dal professor Turner che, spietato come non mai, circolava tra i banchi a passo di marcia con un cipiglio terrificante.
 
« Te la darei, se capissi come evitare che questo accidenti di filtro non esploda. »
 
Jo sbuffò, lanciando un’occhiataccia al banco dietro di loro.
In altre circostanze avrebbe chiesto senza indugi aiuto a Rose, che con i test a sorpresa in qualche modo se la sapeva cavare sempre; ma si diceva che l’orgoglio fosse capace di neutralizzare qualsiasi altro bisogno, e Jo era una ragazza davvero molto, molto orgogliosa.
 
 « Sai, se provassi a parlarle... » cominciò Alice.
 
« È fuori discussione! » sbraitò Jo, « ma non hai visto come mi ha trattata? »
 
« Ma… »
 
« Lascia perdere, Alice. Se tiene davvero alla nostra amicizia, sarà lei a venire da me. In caso contrario, beh…sai come si dice, no? Certe persone è meglio perderle che trovarle. »
 
Alice ammutolì, infastidita dal discorso dell’amica. Lei voleva solo aggiustare le cose, non aveva la minima intenzione di mettersi in mezzo, anche perché, lo sapeva, il farlo avrebbe probabilmente peggiorato le cose. Ma era difficile stare a sentire l’una lamentarsi dell’altra e dover fingere indifferenza, quando indifferente non lo era per niente, e tantomeno riusciva ad essere una buona mediatrice.
 
Forse Rose era stata un po’ brusca con Jo, ma, viceversa, lei non si era esattamente dimostrata l’amica più fidata, e questo aveva potuto costatarlo parecchie volte anche Alice.
 
« Mancano tre minuti alla consegna, ragazzi » tuonò il professor Turner all’improvviso, facendola sobbalzare.
 
« Giusto per non metterci ansia » osservò Jo, trafficando con le fialette che aveva in mano. « Ehy, sei riuscita a finire la pozione? »
 
« No » ammise Alice.
 
« Grandioso. Un’altra T in arrivo. Per fortuna i miei sono babbani e di tutta questa robaccia non ci capiscono un granché. »
 
Alice deglutì. I suoi genitori, al contrario, erano entrambi maghi, e il sistema dei voti di Hogwarts lo conoscevano alla perfezione. Specialmente sua madre (meglio conosciuta come “la belva”).
 
Turner, arricciandosi i baffi, mise su uno dei suoi famosi sorrisetti maligni mentre esclamava: « Tempo scaduto! »
 
Alice guardò quella che doveva essere il suo primo filtro d’amore con aria sconsolata. L’acqua sarebbe dovuta essere colorata di rosa, non di azzurro, e sicuramente l’odore di uova marce che emanava non era proprio quello che avresti sentito annusando una Amortentia fatta come si deve…
 
Anche Turner sembrava pensarla allo stesso modo. Quando passò vicino al loro banco, per ritirare le fialette, lanciò ad Alice un’occhiata inorridita – ribrezzo che si trasformò in vero e proprio terrore quando vide cosa aveva combinato Jo.
 
« Signorina Mitchell, si rende conto che questo voto vale un quarto della sua valutazione finale? » commentò, glaciale come una mattina d’inverno, « immagino che di questo passo non riuscirà a mettere insieme un voto passabile nemmeno sommando tutti quelli che ha già. »
 
Una volta fuori dall’aula, Jo continuò ad inveire contro il professor Turner per tutto il tragitto verso l’aula di Incantesimi, ed erano quasi tre interi piani di scale da percorrere dai Sotterranei fino a lì, per cui ebbe tutto il tempo di sperimentare i più fantasiosi insulti che Alice avesse mai sentito.
 
Una volta arrivate in classe, Alice lasciò Jo alle proprie imprecazioni e se ne andò a sedersi all’ultimo banco, dove Liz e Gwen, non appena la videro, le fecero subito un po’ di posto.
 
« Che succede? » chiese Liz, accennando all’indirizzo di Jo, dall’altra parte della classe.
 
« Turner » tagliò corto Alice.
« Oh. Nemmeno il mio test è stato un sucessone… »
 
« Era impossibile » intervenne Gwen, che con tutti quei gigli colorati che aveva intrecciati nei capelli biondi sembrava una figlia dei fiori, « insomma, roba da MAGO. Non capisco cosa ci trovi di divertente Turner nel torturarci tutti così. »
 
Abbassò la voce nel momento stesso in cui Vitious fece il suo ingresso in classe, intimando di fare silenzio. Il professore fece velocemente l’appello, dopodiché assegnò loro il compito di esercitarsi nuovamente con l’incantesimo di Estensione Irriconoscibile, che creava non pochi problemi agli studenti del quinto anno da ormai diverse settimane.
Quando tutti si misero all’opera, c’era abbastanza confusione perché le tre ragazze potessero proseguire la loro conversazione indisturbate.
 
« È un sadico, questo lo sanno tutti » sentenziò Liz, al che Alice annuì con approvazione.
 
« Sì, ma comunque… » Gwen fece cenno loro di avvinarsi con la testa, in modo da poter sussurrare, « non è che questa sua pensata del test a sorpresa abbia avuto soltanto risvolti negativi. »
 
« Che intendi dire? » chiese Alice.
 
Gwen sorrise, misteriosa, e si scostò quel tanto che bastava da piegare il gomito e mettere una mano nella tasca della gonna, per tirarne fuori una piccola fialetta, piena di un liquido rosa pallido che aveva tutto l’aspetto di un…
 
« Filtro d’amore! » esalò Liz, portandosi una mano sulla bocca, mentre Alice tratteneva il respiro.
 
« Shh, non urlarlo ai quattro venti! Vuoi forse farmi scoprire? » sbraitò Gwen, lanciando all’amica un’occhiataccia e riponendo la fialetta al sicuro nella tasca.
 
« Ma…ma… » Alice era senza parole. « Da chi l’hai presa? Come l’hai presa? »
 
« La pozione di Anne era venuta benone, lo ha detto anche Turner. Così, mentre lei non guardava…gliene ho presa un po’ in prestito, ecco » spiegò Gwen, scrollando le spalle.
 
« Godric » fece Liz, incredula, « tu sei fuori come un balcone! E adesso che ne facciamo? »
 
« La usiamo, no? »
Alice fissò l’espressione estasiata di Gwen con un pizzico di timore.
 
« Non so se è una buona idea, G » ribatté Liz, « forse è meglio se la riporti indietro. O la butti. Lo ha detto anche Turner, che la Amortentia può diventare tanto pericolosa quanto il Distillato della Morte Vivente… »
 
« E dai, Liz » sbuffò Gwen, « non fare la guastafeste! »
 
« Mi sa che ha ragione » intervenne Alice titubante.
 
« Oh, ma che male potrà mai fare una piccola pozione? Al massimo ci divertiremo un po’, vedrete! Potrei versarla nel punch di qualcuno al ballo, magari di qualche Serpeverde antipatico. »
 
Alice aveva una brutta sensazione. Non che fosse una sensitiva o roba del genere, ma avendo un rapporto particolarmente intricato con la sfortuna, le sue deduzioni di questo genere si rivelavano sempre piuttosto azzeccate.
 
« O potresti usarla per farti invitare al ballo, visto che non l’ha ancora fatto nessuno » la prese in giro Liz, ridacchiando.
 
Gwen le fece la linguaccia: « Non puoi biasimarli se il mio sconfinato fascino li intimorisce! »
 
« La tua bellezza li rende tutti troppo nervosi per avvicinarsi » rise Alice, stando al gioco.
 
Liz scoppiò a ridere di gusto, guadagnandosi un’occhiata ammonitrice dal professor Vitious. « Nah, caso mai è il suo caratteraccio. »
 
« Solo perché sei stata invitata da Weasley non è che puoi darti tutte queste arie » la rimproverò scherzosamente Gwen.
 
« Quale Weasley? » chiese Alice.
 
« Fred » rispose Liz facendo spallucce, « me lo ha chiesto l’altro ieri. »
 
Alice rimase vagamente sorpresa da quella notizia: non le era mai sembrato che Fred provasse interesse per la sua compagna di dormitorio (anche se, c’era da dire, notare questo genere di cose non era affatto la sua specialità), o tantomeno che a Liz fosse mai piaciuto lui. Anzi, ora che ci pensava, Rose una volta le aveva confidato che, secondo lei, Liz nutriva una cotta segreta per Albus.
 
« Sì, la cosa ha lasciato scioccate un bel po’ di persone » la informò Gwen, percependo il suo stato d’animo, « e ora lei non fa che ripeterlo a tutti. Ma – ehy, da quello che si dice in giro, anche tu hai fatto conquiste! »
 
« Beh, veramente… » cominciò Alice, pensando al modo migliore per spiegare la situazione e chiedendosi chi diavolo doveva aver messo in giro la voce, quando lei non era riuscita a parlarne nemmeno con il diretto interessato (a proposito: doveva assolutamente discuterne con Albus).
E poi la risposta le arrivò, immediata: Bree.
 
« Ecco, parliamo un po’ di ‘Lice! Quando avevi intenzione di dirci di te e Potter? » la punzecchiò Liz.
 
« Io… »
 
« La vostra sì che è stata una sorpresa » esclamò Gwen, tutta divertita, « voglio dire, vi conoscete da quanto, una vita? Eppure non mi era mai sembrato che tra di voi ci fosse mai stato qualcosa, a parte… »
 
« …l’amicizia » sospirò Alice.
 
« …l’odio reciproco » concluse Liz, in contemporanea.
 
Alice si bloccò, perplessa: « Come? »
 
« Ma sì, insomma, siete sempre lì a bisticciare » rispose Liz, aggrottando la fronte.
 
« Bisticciare? Non lo facciamo mai… »
 
« Vorrai scherzare » Gwen era a dir poco sconvolta. « Non vi ho mai visti fare altro. »
 
« No, davvero » insistette Alice, « siamo amici…insomma, ci vogliamo bene. »
 
Ed era straordinariamente vero. Alice non ci aveva mai pensato molto, al suo rapporto con Albus; o meglio, era sempre stata preoccupata dal fatto che lui potesse non gradire, per qualche motivo, la sua compagnia, ma non si era mai soffermata a riflettere su quello che realmente esisteva tra di loro. Lei gli voleva bene, realizzò all’improvviso, e lo percepiva ormai come parte integrante del suo piccolo ma fidato gruppo di amici.
Lui poteva anche essere schivo, taciturno e schietto in maniera quasi fastidiosa, ma gli voleva bene e forse era sempre stato così, ci aveva solo messo tanto per rendersene conto.
 
Liz non pareva affatto convinta, comunque. « Wow. Quindi, aspetta – non c’è niente di romantico tra di voi? »
 
« No » rispose in fretta Alice, « affatto. È come…come un fratello, in un certo senso. Lo conosco da quando ero bambina. »
 
« E come mai andate al ballo assieme? » domandò Gwen.
 
Alice fu tentata di chiederle se fosse un crimine andarci con un amico, a questo accidenti di ballo, ma poi si trattenne, e decise invece di spiegare bene o male come era davvero andata: « In realtà, volevo chiedere a Christopher Canon di farmi da accompagnatore per il ballo » sospirò.
 
« No » esalò Liz, portandosi una mano sulla bocca. « E? »
 
« E poi ho scoperto un po’ troppo tardi che era già impegnato, così, per non fare una figuraccia più figuraccia di quanto già non fosse, gli ho detto che al ballo ci andavo con Potter… »
 
« Quindi lui è, tipo, una copertura? » chiese Gwen, incredula.
 
« Beh…ecco, io…ero nel panico… » si giustificò Alice, mortificata.
 
« Ma no, è stata una grande idea, invece! » la rincuorò Liz, battendole una mano sulla spalla. « Così hai anche un pretesto per fare ingelosire Christopher » le fece l’occhiolino.
 
Alice era ancora dubbiosa, ma lasciò perdere e tornò a concentrarsi, invece, sull’incantesimo di Estensione Irriconoscibile.
Alla fine dell’ora, né lei né le altre due erano riuscite a combinare qualcosa di decente con quella scatolina. Alice iniziò a preoccuparsi seriamente del suo rendimento scolastico: fino all’anno prima, se l’era sempre bene o male cavata in tutte le materie; ora, invece, pareva che non fosse capace di fare più nulla. Ed era l’anno dei GUFO, il che significava doppio impegno e tanta, tanta voglia di studiare.
 
Finita la lezione, salutò Gwen e Liz e s’incamminò per i bui corridoi dei Sotterranei senza una meta precisa. Visto che lei, Rose e Cathy avevano deciso in comune accordo di rimandare le ricerche sulla Setta i tentativi di avvicinarsi alla McGranitt alla settimana seguente, era ben determinata ad evitare la biblioteca il più a lungo possibile, avendo ormai la nausea di quell’ala del castello; quindi decise di rifugiarsi nella torre di Grifondoro e portarsi un po’ avanti con i compiti.
Accoccolata su una delle poltrone della sala comune, portò avanti due rotoli di pergamena sulle caratteristiche fisiche di Giove e tutte le sue lune, più la lunga lista di pietre magiche che potevano essere trovate sulla sua superficie.
Andò avanti con Astronomia per il resto del pomeriggio, e non seppe bene in quale preciso momento le si chiusero gli occhi – forse mentre descriveva le montagne di Marte o tracciando la mappa della Via Lattea – fatto sta che, poche ore dopo, poco prima dell’ora di cena, venne riscossa con poca delicatezza da una manata sulla schiena, e solo allora si accorse di essersi letteralmente addormentata sopra i suoi compiti.
 
« Hai un po’ di bava, sai, Alice? » La voce di Roxanne Weasley era fresca e squillante come sempre. « Proprio lì, sul mento! »
 
« Accidenti » mugugnò Alice sbadigliando. Sbatté le palpebre un paio di volte per abituare gli occhi alla luce delle lampade, poi si asciugò alla svelta il mento, imbarazzata. Scrutò con attenzione Roxanne prendere posto nella poltrona di fronte a lei e fissare tutti i suoi appunti con aria spaesata.
 
« È Astronomia » chiarì Alice, iniziando a raccattare tutte le pergamene che aveva lasciato sul tavolo. Con orrore, si accorse di avere metà della gonna imbrattata di inchiostro: doveva esserle caduto addosso mentre dormiva. « Accidenti, accidenti, accidenti… »
 
« Sembra mostruosa » commentò Roxanne, « senti, sono venuta ad avvertirti che Olivia ha spostato i prossimi allenamenti a martedì, invece che lunedì. » Seguì con gli occhi i movimenti di Alice, che non la stava affatto ascoltando e tentava disperatamente di trasfigurare le sue piume in fazzoletti di carta per ripulirsi i vestiti. « Mia nonna dice che la chiave per far sparire ogni macchia è usare un po’ di Whiskey Incendiario. »
 
« Come dici? » fece Alice, perplessa.
 
« Whiskey Incendiario e un po’ di menta, per essere precisi » ribadì Roxanne, facendole l’occhiolino; poi si alzò, prese la sua borsa e le lanciò un’ultima occhiata, che Alice non seppe decifrare: « comunque, sono venuta anche a ringraziarti. Ho sentito in giro con chi andrai al ballo, e…insomma, avevo fatto una scommessa su voi due tempo fa con Lily, e adesso ho vinto. Lo sapevo! » le ammiccò, prima di allontanarsi lasciandosi dietro un’Alice ancora più confusa di prima.
 
 ***
 
 Per l’ora di cena, mentre il sole se ne stava già andando a dormire,  Alice iniziò veramente a preoccuparsi di come la febbre del pettegolezzo avesse contagiato tutta Hogwarts.
Già entro la prima portata, tutta la tavolata di Grifondoro conosceva i nomi di ogni ragazzo che aveva invitato Lily Potter al ballo, metà scuola sapeva quello del fortunato che la ragazza aveva poi scelto, e più o meno tutti, forse persino i professori, erano a conoscenza delle numerose coppie creatasi tra gli studenti delle varie Case – così come, ovviamente, di quelle che avevano rotto proprio a causa dell’evento.
Era quasi terrificante: una voce circolava e, in men che non si dica, era già sulla bocca di tutti.
 
Alice, comunque, era solitamente estranea a questo genere di cose: non era proprio quel che si definiva una ragazza popolare, per cui essere al centro dell’attenzione dei gossip era un fenomeno che non la riguardava minimamente.
Eppure, non riusciva proprio a fare a meno di notare le occhiate che vari studenti, Grifondoro e non, le avevano lanciato durante la cena. Sentiva i loro sguardi fissi su di lei, ma non appena alzava gli occhi dal piatto, o smetteva di chiacchierare con Rose, ecco che i diretti interessati giravano di scatto la testa e nessuno la stava più guardando.
Cercò di non farci più caso: si concentrò sulla debole luce rossastra del tramonto che s’infrangeva sui piatti d’oro, ispirò profondamente l’aria satura dei profumini deliziosi del cibo e si disse più volte che stava diventando paranoica, che non c’era nulla da preoccuparsi, che era tutto nella sua mente.
 
E fu proprio a quel punto, come se avessero udito i suoi pensieri, che Candice Goldstain e Stacey Macmillan fecero il loro ingresso trionfale nella visuale di Alice, appostandosi strategicamente nei due posti liberi accanto a lei.
 
« Buonasera, Alice! » proruppe Candice, in un’esplosione di allegria e spensieratezza che fece venire in mente ad Alice la parola “brillantini”, senza un preciso motivo. « Tutto bene? Ciao, Rose. »
 
Rose rivolse loro un cenno della mano, lievemente preoccupata, poi tornò a parlare con Dominique.
 
« Bene… » la voce di Alice si ridusse a un sussurro. « Alla grande. »
 
« Sicura? Sembra che tu abbia appena visto un Infero » osservò Stacey.
 
« Anzi, sembra che tu sia un Infero, con quelle brutte occhiaie. Senza offesa. » aggiunse Candice, decisamente con poco tatto.
 
« Ho trovato il mio travestimento per Halloween, allora » ribatté Alice con finto entusiasmo.
 
Candice rise sguaiatamente, in modo esagerato, tanto forte che diverse persone si voltarono nella sua direzione. « Sei così divertente! »
 
« Oh – ehm – certo » balbettò Alice.
 
« Davvero, sei uno spasso. » Con l’ombra della risata ancora dipinta sul viso, Candice fece per asciugarsi delle lacrime inesistenti. « Allora…io e Stacey abbiamo saputo. »
 
Alice sbatté le palpebre. « Avete saputo cosa? »
 
« Non è ovvio? » esalò Candice mentre Stacey sghignazzava senza controllo, « di te e Potter! »
Lo disse come se fossero due braciole di maiale particolarmente succulente.
 
Ad Alice venne l’istinto di prendersi la testa tra le mani, ma riuscì a trattenersi e rivolse loro, invece, una strana smorfia, il miglior tentativo di sorriso che avrebbe saputo inscenare in quel momento.
 
« Insomma, cavolo, e chi se lo aspettava? » attaccò Candice tutta pimpante. « Sai davvero il fatto tuo, Gusta, non c’è che dire. Insomma, volevamo complimentarci! »
 
 « Complimentarci, davvero » annuì Stacey.
 
Alice le fissò in silenzio, un po’ spaesata, ma preferì continuare ad inghiottire la propria cena senza porre domande.
 
« È strano, lo devo ammettere, ma alla fin fine credo che formiate una bella coppia. Anche se… » si avvicinò all’orecchio di Alice, sussurrando in modo che solo lei potesse sentire, « …avete fatto indiavolare tu-sai-chi. »
 
La mascella di Alice scattò verso il basso, presa in contropiede: « Voldemort? »
 
Candice scoppiò a ridere: « No, intelligentona. Peggio. Emily Wilson. »
 
Una figura prese forma nella mente di Alice, dapprima un po’ sfocata, poi sempre più precisa: alta, magra, carina, con lunghi capelli castani e la faccia sempre spiaccicata contro quella di James Potter.
 
« Come? » chiese, con la netta impressione di essersi persa qualche pezzo. « E cosa vuole Emily Wilson da me? »
 
Stacey le rivolse un’occhiata incredula che le fece capire che pensava fosse stupida. « Vuoi scherzare? Dopo che le hai – ehm – praticamente rubato il fidanzato da sotto il naso? »
 
Alice incassò il colpo con difficoltà. Le ci vollero diversi secondi per capire ciò che la ragazza aveva detto, soprattutto perché il suo cervello nel frattempo era troppo impegnato a gridare: “GUAI IN ARRIVO!”.
E poi d’un tratto, come in un vortice confuso di flash back, tutti i pezzi tornarono al loro posto. Ecco spiegato l’arcano: la reazione di Bree, il comportamento di Liz e Gwen, quello di Roxanne e ora delle due pettegole per eccellenza: tutte loro avevano creduto che il Potter che avrebbe portato Alice al ballo fosse James.
Ma per la sottogonna di Morgana, quale idiota sano di mente avrebbe mai preso anche solo in considerazione quell’ipotesi? Insomma, Albus era suo amico da secoli, più o meno tutti l’avevano vista almeno una volta in sua compagnia…non era più deducibile che fosse lui il suo accompagnatore?
E invece no, Bree-rovina-momenti doveva per forza aver pensato a James.
Ed ora, oltre che portarle via il ragazzo che le piaceva da una vita, le aveva pure appioppato quello che non sopportava come appuntamento per Halloween. 
 
« Ehy, una Banshee ti ha rubato la lingua…? »
 
Si riscosse, ritrovandosi a guardare dritto la mano che Candice le stava sventolando davanti la faccia. La ragazza la scrutava, lievemente preoccupata, come se si aspettasse di vederla esibire il segno di un qualche pericoloso malanno da un momento all’altro, e allora Alice capì che non doveva avere proprio una bella cera.
 
« Bene… » la voce di Alice si ridusse a un sussurro, « alla grande. »
 
« Secondo me le si è fritto il cervello » commentò Stacey, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Candice.
 
« Chi è stato a dirvi di me e James? » chiese Alice, domandandosi se fosse una domanda lecita da porre alle due regine del gossip.
 
« Nessuno » rispose Candice, « abbiamo assistito di persona alla sfuriata di Emily Wilson in corridoio stamattina. »
Giravano davvero troppo in fretta i pettegolezzi, in quella scuola.
 
« Già…non è stato un bello spettacolo. Faceva paura, sul serio. Grazie al cielo Potter era a lezione » osservò Stacey, con un qualcosa di leggermente sadico negli occhi, « o probabilmente gli avrebbe lanciato un Avada Kedavra senza pensarci due volte. »
 
« Vi avrebbe » la corresse Candice, lanciandole un’occhiata allusiva.
 
Alice si prese la testa tra le mani. « Sentite, io non… »
 
« Faresti meglio a guardarti le spalle, a proposito » ridacchiò ancora Candice, addentando un pezzo della torta alla cannella dal piatto di Rose che, tutta presa com’era a discutere con Dominique, non si era accorta di nulla.
 
Alice era sull’orlo di una crisi di nervi. « Non è come pensate. È stato un equivoco. »
 
« Un equivoco? » rincarò Candice, abbandonando la torta e tuffandosi sul succo di zucca.
 
« Sì. James Potter non mi ha mai chiesto di andare al ballo con lui. Insomma, James Potter non mi chiederebbe mai di andare al ballo con lui » si precipitò Alice.
 
Stacey sembrava sconvolta.
« Ma Emily ha detto che le hanno detto che… »
 
« Era solo una scusa » disse un po’ troppo fretta Alice, « cioè, la mia scusa era Albus, non James, ma a quanto pare nessuno ha pensato ad Albus e tutti hanno pensato a James…insomma un equivoco, capito? » domandò, per poi mordersi la lingua un momento dopo, rendendosi conto di chi aveva davanti e realizzando che forse non era proprio una grande idea raccontare i fatti suoi a quelle due.
 
Candice e Stacey si scambiarono un’occhiata. « No » risposero in coro.
 
Alice desiderò di sprofondare nel pavimento, consica di essersi appena addentrata in un campo minato. Le due ragazze la fissavano con occhi spalancati, brillanti, e seppe di non poter tentare alcuna via di fuga: qualcosa, che fosse ciò che realmente era accaduto o no, gliela doveva raccontare, o le avrebbero dato il tormento per settimane. Così, titubante, optò per dire una mezza verità: « Ecco, io…non trovavo un accompagnatore per il ballo, così avevo pensato di chiedere ad Albus di venirci con me, come amici » sottolineò la parola con enfasi, « ma quando l’ho detto a – ehm – alcune amiche, loro devono aver capito che intendessi James. »
 
Le due Corvonero sbatterono le palpebre, entrambe apparentemente sconvolte da quella rivelazione; poi, così di scatto che Alice per poco non sobbalzò, fu Candice a parlare per prima: « Wow! Che delusione. »
 
« Delusione? » Alice era completamente spiazzata, forse anche più di prima.
 
« Già, insomma, noi eravamo così convinte che ti stavi frequentando con James. Vi abbiamo persino visti insieme, da soli…ed era uno scoop niente male, non c’è che dire! »
 
Alice roteò gli occhi al cielo e ridacchiò sommessamente, sollevata che la tempesta fosse passata. « No, è una cosa che non potrebbe mai succedere. »
 
Candice le rivolse un sorriso enigmatico, dopodiché si alzò, cennò a Stacey di fare lo stesso e, poco prima di girare i tacchi, disse solo: « Peccato. »
 
Alice le seguì con lo sguardo finché non si sedettero al tavolo di Corvonero, confabulando a bassa voce su Merlino sapeva cosa. Poi si voltò verso Rose, che la osservava con aria interrogativa, e mentre le iniziava a spiegare tutto, si ritrovò per l’ennesima volta a pensare a come fosse strano il destino, giusto poco prima di realizzare che, in quell’esatto momento, non solo Emily Wilson ma anche un’altra persona voleva probabilmente ucciderla, e quella stessa persona la aspettava al bagno di Mirtilla Malcontenta di lì a poche ore.








Note:
17 capitoli, 124 seguiti, 41 preferiti. Non so cos'altro dire se non grazie, grazie, grazie

E un ENORME grazie anche a Whatadaph per il banner e per tutto il resto! 
Oh, quasi dimenticavo! Ho creato da pochissimo un gruppo Facebook su questa storia, dove pubblicherò spoiler, avvisi e tanto altro, e dove se vi va potrete postare tutto quelllo che avete da dire su Matrimoni, balli, fidanzati e altri disastri, o esprimere intenzioni omicide per i miei ritardi o, insomma, quello che vi pare. :D Il link è questo: https://www.facebook.com/groups/750527668326469/ 

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Capitolo 19
*** Something to talk about ***




18.
Something to talk about
"I've been dreaming of the things i've learnt about a boy
Whose leaving, nothing else to chance again
You've got to let me in or let me out
Oh something to talk about."

Something To Talk About - Badly Drawn Boy

 


L’aria autunnale pizzicava le narici, odorava di foglie e fumo.
Alice se ne stava distesa nell’erba, la testa sopra la sua borsa di tela e la macchinetta fotografica stretta tra le mani. Fin ora, quell’aggeggio aveva procurato più guai che altro, ma c’era ancora molto tempo per usarla per fare delle belle foto.
Rose ripeteva una poesia, con la schiena contro il tronco dell’albero che li avvolgeva tutti nella loro ombra, e aveva gli occhi chiusi, in un’espressione di così beata tranquillità che Alice fu sicura che niente avrebbe potuto scalfire quell’intimo, perfetto momento. Cathy, stesa accanto a lei, la ascoltava in silenzio, con un sorriso rilassato, distesa con gran parte del busto sulle gambe di un incredulo Albus, il quale pareva stesse impiegando tutte le sue forze per mantenere la sua onorevole aria indifferente e non lasciarsi imbarazzare dalla situazione.
Ad Alice venne da ridere al pensiero di come Cathy confabulasse in continuazione per far sentire a disagio Al; giorni prima l’amica le aveva confidato, in estrema segretezza, che moriva dalla voglia di vederlo esternare qualche emozione, e si divertiva come una matta a farlo arrossire per un motivo o per un altro.
Povero Albus, pensò Alice, che se si fosse trovata al suo posto avrebbe già dato di matto da un pezzo. Lo osservò per un attimo: aveva lo sguardo fisso su un punto imprecisato del parco (Alice sospettò che stesse facendo di tutto pur di non guardare Cathy), la mascella tesa, le labbra contratte e un’espressione tutt’altro che indifferente.
Si sentiva ancora in debito con lui per averlo in pratica costretto in tutta la faccenda del ballo ma, al contrario di tutte le sue aspettative, lui non si era dimostrato affatto arrabbiato né dispiaciuto dalla cosa, anzi, le aveva detto che gli avrebbe fatto piacere andarci con lei. Se non altro, Alice aveva capito che nemmeno Albus aveva avuto il coraggio di invitare la ragazza che davvero gli interessava, anche se non era ancora riuscita a inquadrare chi fosse.
In ogni caso, il ballo sarebbe stato quella sera e oramai per gli inviti non c’era più tempo. L’entusiasmo degli studenti era palpabile in ogni parte del castello, e persino là, in mezzo al parco, ad Alice pareva di sentire i bisbigli eccitati delle ragazze colmare d’attesa l’aria quieta del primo pomeriggio.
Cathy sarebbe andata con Alec Nott, con il quale, aveva dichiarato, sperava di risolvere al più presto tutte le divergenze che avevano avuto ultimamente; Jo, nemmeno a dirlo, era orribilmente lieta di sperperare ai quattro venti (a qualunque ora, in qualunque posto) che il suo cavaliere era Micheal e che lei, di questo, era a dir poco felicissima; infine, Rose aveva timidamente accettato la proposta di Matt Finnigan, un Grifondoro del loro anno e compagno di stanza di Albus.
Scorpius Malfoy, le aveva detto Rose il giorno prima, un po’ delusa, non aveva intenzione di andare al ballo.
Alice continuava ad avere la vaga sensazione che l’amica le stesse nascondendo qualcosa, e ora che la questione Scorpius era stata chiarita (beh, in un certo senso...), non era più tanto sicura che questo qualcosa riguardasse lui.
Non sapeva bene cosa pensare, così decise di non pensarci affatto: niente preoccupazioni fino a dopo il ballo, così avevano deciso lei, Cathy e Rose stessa, d’altronde.
E poi, Alice era ancora troppo sollevata di averla scampata con James per torturarsi con altri problemi…ripensandoci, una smorfia di irritazione le affiorò immediatamente alle labbra.
 
Bagno di Mirtilla Malcontenta, 19:09

Alice si avvicinò, con cautela, aspettandosi un qualche attacco a sorpresa che l’avrebbe messa KO non appena avesse varcato la soglia della porta.
Fece qualche passo avanti, lentamente, con discrezione…abbassò la maniglia…entrò nella stanza e…
Niente.
Era vuota.
Alice fissò senza muoversi un punto dall’altra parte del bagno dove, proprio accanto ad un lavandino che perdeva, stava il calderone fumante, pieno di quel che era rimasto della pozione Polisucco dall’ultima volta che lei e James ci avevano lavorato. Di solito, una volta finito, lo nascondevano dietro la colonna di pietra, o dentro uno dei bagni personali; ciò significava che, essendo già fuori, lui doveva per forzaessere lì, o perlomeno esserci passato.
Uno scricchiolio proveniente da chissà dove la fece sobbalzare. Si stava giusto iniziando a chiedere dove si potesse essere cacciato, quando lo scricchiolio si ripeté una volta ancora, seguito dall’inconfondibile rumore di suole che calpestano il pavimento bagnato.
« Sei in ritardo » la accolse James.
Alice si voltò lentamente, tesa, temendo il peggio. James aveva la bacchetta in mano e uno sguardo indecifrabile.
« Sei arrabbiato » disse. Non era una domanda.
James emise un suono a metà tra uno sbuffo e una risata, avanzando verso di lei di qualche passo, la bacchetta ancora sguainata. « Diciamo che sono confuso. »
Alice indietreggiò; ogni poro del suo corpo avvertiva il pericolo. Non che temesse davvero che le avrebbe fatto del male, questo era fuori discussione, ma conosceva abbastanza James da sapere che, se ce l’aveva con te, in qualche modo te la faceva pagare.
James sorrise in modo strano. Inquietante. « Ma per tua fortuna » continuò, rigirandosi la bacchetta tra le mani e poi riponendola, finalmente, nella tasca dei pantaloni, « non sono in cerca di vendetta. »
 Alice lo scrutò, scettica, tentando di capire se stava bluffando o era realmente sincero. Rimase a distanza per qualche secondo, cercando qualsiasi segno che suggerisse che la stesse ingannando, ma lui non sembrava intento a giocarle qualche tiro mancino, almeno per ora, per cui si rilassò e tirò, invece, un lungo sospiro di sollievo. « Meglio così, allora, per un attimo ho creduto che… »
Ma non fece in tempo a finire la frase. James, il bastardo, approfittò proprio del momento in cui lei si distrasse per tirare fuori la bacchetta a tradimento e lanciarle una fattura, così in fretta da non lasciarle neanche il tempo di schivarla.
Alice strizzò gli occhi contro il getto di luce rosa e si ritrovò a terra. Impiegò qualche secondo per realizzare le sue condizioni: piedi incollati al pavimento, una strana melma giallognola che le bloccava le caviglie…le aveva lanciato una Gambemolli. Immediatamente, iniziò a sentire i propri arti cedere, come se tutt’a un tratto non avesse più un briciolo di forza nelle gambe.
« Non dovresti  abbassare la guardia così facilmente » la rimproverò James, ma era talmente divertito che non riusciva nemmeno a sfoggiare una finta espressione di rimprovero. « È il modo più veloce per farsi ammazzare in un combattimento. »
Alice gli lanciò un’occhiata carica di astio. « Non siamo mica in guerra, cadetto Potter. »
« Beh, è più una guerra fredda, la nostra, ma comunque… » infilò la bacchetta di nuovo al sicuro nei pantaloni, e si sedette davanti a lei, ridendo ancora, « …questo era per avermi fatto litigare con la mia ragazza » decretò.
Alice sbuffò sonoramente, tentando in tutti i modi di liberarsi, ma le sue gambe non ne volevano proprio sapere di collaborare: si sentiva indolenzita, come dopo un lungo allenamento di Quidditch, e le faceva anche male la testa. Ma quel che era peggio, sapeva di essere totalmente indifesa da qualsiasi altro attacco a sorpresa.
James, osservando i suoi vani tentativi di fuga, si stava letteralmente sbellicando dalle risate. Continuava a guardare sopra la sua testa, senza che Alice capisse perché. Prese a fissarlo con aria omicida, aspettando solo il momento in cui sarebbe svanito l’effetto dell’incantesimo, e allora, si disse, al diavolo la razionalità, avrebbe…avrebbe...beh, avrebbe cercato la via d’uscita più veloce che c'era e se la sarebbe data a gambe.
James, ancora scosso dalle risa, frugò per un po’ nella sua cartella. Alla fine tirò fuori un oggetto, taglia media, con un grande obiettivo, che si rivelò essere la sua Polaroid magica.
« Me l’hai rubata! » gridò Alice, torcendo il busto per afferrarla, senza alcun risultato.
« Presa in prestito » rettificò James, « comunque te la ridò subito. E questo » dichiarò poi, dopo averle scattato una foto, « era perché un momento così non può non essere immortalato. »
Gliela sventolò davanti, così Alice fissò con orrore l’immagine che la ritraeva ancorata al pavimento, con gli abiti sudici e un’espressione di puro sconcerto; ma non fu proprio quello a lasciarla senza parole: piuttosto, ci riuscirono i lunghi e fioriti rami che le incorniciavano tutto il viso, al posto dei suoi normali e, in quel momento, adoratissimi capelli. James doveva averle lanciato una doppia fattura. Ora si spiegava il male alla testa…accidenti, era davvero inguardabile, sembrava un albero raggrinzito, con tutte quelle foglie in testa. Era così buffa che, se non avesse conservato quel minimo di buon senso che le rimaneva, si sarebbe quasi messa a ridere.
James infilò la foto in tasca, posò la macchinetta e la guardò con aria profondamente soddisfatta. « E poi, Alice, se proprio volevi così tanto venire al ballo con me, potevi chiedermelo e basta » la stuzzicò.
« Liberami subito! » sbottò Alice, ignorando volutamente quell'ultima frase.
« Ai tuoi ordini. » James riprese ancora una volta la bacchetta e la agitò seccamente, pronunciando: « Finite Incantatem. »
Non appena sentì il sangue riprendere a scorrere nelle gambe, Alice balzò in piedi, afferrò la propria bacchetta e si toccò la testa. I rami erano ancora là.
« Toglimi questa roba! »
« Se ne andrà via da sola » la informò James tutto ghignante, « tra…un po’. »
Alice avrebbe potuto giurare di sentire il fumo fuoriuscirle dalle orecchie. Si erse in tutta la sua insignificante statura e assunse l’aria più minacciosa che riuscì a mettere su, puntandogli contro la bacchetta: « Sei un prepotente… »
« Me lo hanno già detto » replicò James, annoiato.
« …egoista… »
« Già sentita. »
« …arrogante… »
« Vecchia come la prozia Muriel » commentò James.
« ...imbroglione! » concluse lei, senza acoltarlo nemmeno.
James la fissò come se avesse fatto qualcosa di assolutamente osceno, nemmeno fosse lui quello con un frutteto sulla testa. « Non puoi venire a farmi la predica dopo la tua bella trovata! »
« È stato un incidente! » ribatté Alice sull’orlo della disperazione. Frustrata, gli spiegò tutto, dal suo impacciato tentativo con Chris al colossale fraintendimento di Bree, la ragazza rovina-momenti, e successivamente di tutti gli altri.
Quando ebbe concluso il suo racconto, ci fu silenzio per qualche minuto.
Alla fine, come se fosse la cosa più naturale del mondo, James commentò solo: « Ma tu attiri la sfortuna, o cosa? »
 
Ora, tutto sommato, non era andata poi così male. Insomma, James avrebbe potuto escogitare uno scherzo molto più crudele – l’aveva visto ricoprire di pus di Bubotubero un Serpeverde dell’ultimo anno perché, a quanto pareva, questi lo aveva preso in giro –, per cui, ecco, non si lamentava.
Comunque i rami si erano gà sfoltiti dopo qualche ora, per poi cadere definitivamente il giorno dopo, lasciando spazio ai suoi capelli che, chissà per quale motivo, non le sembravano più così orripilanti come al solito.
E proprio quella mattina, Fred Weasley l'aveva fermata in Sala Comune per comunicarle da parte di James che la missione "rinconquista Emily" era andata a buon fine e che era riuscito a mettere in chiaro le cose, spiegandole che no, non l'aveva rimpiazzata con Alice Paciock e , era stato tutto un grande malinteso. Alice però sospettava che Emily ce l'avesse ancora con lei, visto che poi a colazione l'aveva squadrata con l'aria di una serial killer in cerca di vendetta, ma preferiva non farci troppo caso e comunque, finché James fosse rimasto contento, lei poteva stare tranquilla.
« “…Dal profondo della notte che mi avvolge / nera come l’abisso da un estremo all’altro, / ringrazio qualunque divinità esista / per la mia anima invincibile. / Nella feroce morsa delle circostanze / non ho arretrato, né gridato. / Sotto i colpi d’ascia della sorte…” » Rose, che era ancora tutta presa dalla sua poesia, si interruppe, aprendo gli occhi. « Non la ricordo più. »
« Inventa il resto! » suggerì Cathy, speranzosa.
« Mi dispiace, ma non penso di poter fare concorrenza allo zio Willy... » disse Rose.
Albus si lasciò sfuggire quella che sembrava una piccola risata, mentre Cathy sbuffò, delusa. « Va bene, allora ne compongo una io. »
Albus, ora, stava proprio ridendo. Cathy gli lanciò un'occhiataccia e si alzò immediatamente dalle sue gambe, piazzandosi di fianco a lui e spingendolo, in modo tale da occupare la maggior parte della superficie del tronco. Si schiarì la voce: « Le rose sono rosse / le viole sono blu / se Albus è tremendo / che ci vuoi far tu! »
Alice scoppiò a ridere e applaudì forte, seguita da Rose, ma Albus roteò gli occhi al cielo e scosse la testa con esasperazione.
« Oooh, avanti, non fare quel muso lungo » lo prese in giro Cathy, « la prossima volta te ne dedico una d'amore, va bene? Oh, Albus, Albus, perché sei tu, Albus? Me la cavo proprio! »
« No, sei terribile » disse lui.
« Ha ragione » concordò Alice scherzosamente, « smettila di far sanguinare le nostre orecchie. »
Cathy le diede una spallata. « A proposito di sangue » disse poi, con aria misteriosa, « da quali mostri spaventosissimi avete intenzione di travestirvi stasera? »
« Credo che metterò il vecchio costume da Banshee di mia mamma » rispose Rose, pensierosa, « non fa paura, ma è un secolo che volevo usarlo. »
« Albus? » esortò Cathy.
« Niente » borbottò lui.
« Io non ci ho ancora pensato » ammise Alice, scrollando le spalle. Le sarebbe servita una ricordella per qualsiasi cosa.
« Preparatevi a tremare allora, perché io sarò un lupo mannaro » ridacchiò Cathy, « anche se per farmi crescere tutti quei peli, persino con la magia ci vorrà un secolo. Ma sarà forte. 'Lice, tu potresti vestirti da fantasma! Che ne dici? »
Alice, che non sapeva se trovare divertente o raccapricciante il fatto che Cathy fosse così entusiasta di coprirsi di peluria dalla testa ai piedi, mugugnò un sì.
« Se ti vestissi da fantasma potresti offenderne qualcuno del castello » le fece notare Rose.
Alice sospirò. « Allora non so. »
Cathy aggrottò la fronte, concentrata, finché non parve improvvisamente illuminarsi: « Una sposa cadavere? »
« Non è comunque un fantasma? »
« E' più come uno zombie » replicò Cathy, « trasfiguriamo un tuo abito nel vestito, e conosco una ragazza che è bravissima con il trucco e le pettinature. Possiamo chiedere una mano a lei, se ti va. »
Alice ci pensò su per un attimo. "Sì, mi sembra un'idea carina" disse alla fine, con un grande sorriso.

***

La ragazza di cui parlava, scoprì in seguito Alice, si chiama Layla Amid, Serpeverde, decisamente più alta di Alice nonostante fosse al quarto anno e straordinariamente capace con ombretti, matite, mascara e tutta quella roba che sua madre definiva "odiose seppur utili cianfrusaglie".
« Ecco, un altro po' di viola... » commentò Lyla Amid, imbrattandole ancora la faccia come se stesse mischiando le tempere su una tavolozza di colori, « ...perfetto! »
Si allontanò un po' e la squadrò attentamente, ammirando il lavoro finito.
Erano nel dormitorio di Alice, e non c'era mai stata così tanta confusione: praticamente ovunque erano sparse spazzole per capelli, piccole trousse, matite, libri d'incantesimi di bellezza, vestiti stropicciati e veli, che ricoprovano i letti e nascondevano i pavimenti. Gwen, Liz e Annie, tutte indaffarate con i loro costumi, si erano lasciate tutte truccare e pettinare a turno da Lyla dopo aver visto il modo in cui la ragazza si era acconciata i capelli, da sola e agilmente, in una meravigliosa treccia di mille colori.
Jo, che aveva scelto di travestirsi da vampira, stava passandosi il fard sulla faccia da ormai quaranta minuti buoni, ed era diventata così bianca che si faticava a distinguerla dal lenzuolo del suo letto a baldacchino; Cathy, invece, era entrata in bagno circa due ore prima annunciando di voler iniziare con la crescita dei peli, si era chiusa a chiave, aveva urlato qualcosa su un incantesimo fasullo e non era più uscita.
« Fantastico » commentò Lyla, soddisfatta, « sì, direi che va bene così. Puoi guardarti allo specchio, ora. »
Alice tirò un sospiro di sollievo. Siccome lo specchio del bagno era off-limits per colpa di Cathy, andò a prendere quello tascabile che teneva nel cassetto del comodino.
Il riflesso che la superficie le proponeva era un po' bizzarro, a dire il vero, a cavallo tra lo spaventoso e il grazioso. Lyla le aveva ingigantito con l'ombretto delle occhiaie che già esistevano, aveva reso la sua pelle pallida (niente rossore sulle guance! Evviva!) e le aveva sparso un po' di polvere sui capelli, sciolti sulle spalle, in modo che sembrassero grigi. Gli occhi, circondati di nero, avevano un aspetto piuttosto terrificante, mentre sulla bocca doveva averle passato qualcosa di opaco, forse rossetto, che le faceva tutte le labbra blu.  Alice non seppe decidersi se si sentiva carina o orrenda, ma capì comunque che era un buon risultato: si avvicinava ad un cadavere così tanto che avrebbe potuto temere di essere morta senza accorgersene.
« Grazie » disse alla ragazza, che si stava già occupando di un'altra testa, « mi piace tantissimo. »
Lyla le fece l'occhiolino. « Non c'è problema. »
« Wow, fai paura! » esordì Jo, che aveva appena mollato il fard e stava cercando, non con poche difficoltà, di aprire un barattolino di smalto nero.
« Immagino sia quello lo scopo » rise Alice. Fissò per qualche secondo l'abito poggiato sul suo letto, bianco, pieno di toppe, poi si sfilò in fretta i vestiti e se lo fece scivolare addosso senza troppi complimenti. Infine, lasciò che Jo le sistemasse il velo sulla testa, agganciandolo ai capelli con qualche fermaglio luccicante.
« Okay, pronta » dichiarò Alice alla fine, lasciandosi cadere sul proprio letto e osservando Jo mentre ultimava il suo travestimento. Le venne in mente una cosa: frugò per un po' nel proprio baule finché non lo trovò, il Dendroide che Cathy le aveva regalato al compleanno. Lo allacciò al polso e immediatamente la strana sostanza simile a fumo che vorticava al suo interno diventò azzurro cielo che, se non si sbagliava, indicava che il suo umore era a cavallo tra la serenità e l’eccitazione.
« Questa...cerniera...non vuole...saperne...di chiudersi! » sbraitò Jo tutta affannata, facendo asciugare lo smalto su una mano e tirandosi su il vestito nero con l'altra.
Gwen aveva finito: come Rose, aveva scelto di travesirsi da Banshee e si era fatta tingere tutti i capelli di verde; Liz, invece, che stava frugando nel suo baule in cerca di un cerchietto, era una ninfa dei boschi - così aveva detto loro, mentre Annie, che non era stata di molte parole ed era uscita salutandole a malapena, aveva un costume da pirata.
E poi c'era Lyla, che con la pelle olivastra e i tratti orientali, aveva davvero l’aspetto della principessa indiana da cui si era travestita.
Una volta che tutte furono pronte, iniziarono a scendere in Sala Comune. Alice rimase indietro, si accovacciò davanti la porta del bagno e bussò tre volte, finché dall'interno non udì una specie di brontolio.
« Cathy, hai fatto? »
Un tonfo, seguito qualcosa che si rimpeva contro il pavimento.
« ...Cat? Tutto okay? »
« Sì! Io...io devo finire di fare il costume. Non aspettarmi, Alice » sentì borbottare una voce ovattata. « Ci vediamo giù alla festa. »
Alice fissò la porta chiusa, confusa. « Sicura che vada tutto bene? »
Seguì qualche secondo di silenzio, poi di nuovo: « sì, alla grande, a dopo! »
Non era affatto convinta, Alice, ma Cathy non voleva saperne di aprire la porta, così immaginò che avesse avuto qualche problema a farsi crescere i peli. Le aveva detto che non avrebbe rinunciato finché non fosse stata perfetta: forse non le piaceva come era venuto l'incantesimo, e stava escogitando qualcosa per assomigliare più ad un licantropo e meno ad una ragazza. Quindi lasciò perdere, afferrò la borsetta (innaturalmente ingrandita da un incantesimo di Estensione Irriconoscibile che Anne era riuscita a praticare) e raggiunse le altre in Sala Comune, dove anche Rose, graziosa persino in un costume da Banshee, la stava aspettando insieme ad Albus.
« Andiamo? » propose Alice. Non c'era traccia di Jo, ma avrebbe scommesso un arto che se n'era già andata via con Michael.
« Aspettiamo Matt » disse Rose.
Albus si era messo una semplice camicia nera, ma sopra vi aveva appuntato una spilla con su scritto “Felice Festa dei Morti ai Vivi", cosa che divertì Alice molto più del dovuto.
Matt si presentò dopo una decina di minuti, con una lunga barba finta, un paio di occhialetti a mezzaluna e una veste colorata che gli arrivava fin sotto i piedi. Alice non capì che travestimento fosse finché lui non rispose alle loro occhiate perplesse dicendo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo: « Sono Albus Silente, no? » e poi, rivolto a Rose, « sei davvero bellissima. »
Rose arrossì furiosamente e lo ringraziò, affrettandosi a condurli fuori dalla torre di Grifondoro.  
Quando giunsero nella Sala Grande, Alice poté giurare di non averla mai vista più meravigliosa di così: le quattro tavolate erano state fatte evanescere, e al loro posto vi erano tanti tavolini rotondo addobati da simpatiche ghirlande arancioni e nere. Al centro era stato lasciato lo spazio per la pista da ballo, illuminata dal chiarore della luna che filtrava dal soffitto incantato, mentre migliaia di candele pendevano sospese a mezz'aria; anche ai muri erano appese centinaia di decorazioni, tra le quali spiccavano maggiormente le finte ragnatele e le maschere terrificanti, e su ogni tavolo, compreso quello dei professori (l'unico rimasto nel suo solito posto), era stata piazzata una grossa zucca ghignante.
Ma la cosa più straordinaria di tutte era la moltitudine di studenti che si scatenava sulla pista, a ritmo di una canzone delle Sorelle Stravagarie, sotto lo sguardo divertito di alcuni professori e quello sconvolto di altri.
Alice notò che molti di loro erano travesititi da Inferi, cosa che rendeva l'atmosfera in un certo qual modo più inquitante e divertente che mai.
C'erano stati altri eventi del genere ad Hogwarts da quando Alice frequentava la scuola (la Festa di Natale al secondo anno, il ballo del raccolto al terzo), organizzati unicamente quando i Caposcuola erano stati abbastanza persuasivi da convincere l'austera professoressa McGranitt a darne l'autorizzazione, ma restava sempre una sorpresa vedere l'intero castello in festa.
« Allora... » Matt, che non aveva fatto altro che blaterare per tutto il tragitto, sembrava improvvisamente a disagio. Guardò Rose, esitò, poi disse: « ti va di ballare? »
Rose lanciò un'occhiata ad Albus e Alice, ma accettò con un sorriso titubante e si lasciò trascinare sulla pista.
Alice sbirciò tra la folla cercando di scovare Jo, ma ben presto capì che erano tutti tentativi inutili: troppa confusione. Così propose ad Albus di andarsi a sedere da qualche parte, visto che lei non era una gran ballerina e nemmeno lui pareva avere molta voglia di buttarsi; si sistemarono in uno dei tavolini in fondo, dove scorpirono con gioia che i piatti, dapprima vuoti, si erano ora riempiti di dolcetti alla mandorla e biscotti a forma di pipistrelli.
Alice, che stava morendo di fame, ne prese uno e lo morse con così tanta foga da imbrattarsi tutta la faccia con la melassa. Albus, accanto a lei, stava cercando senza molto successo di trattenere una risata mentre le passava un tovagliolo.
« Felice di essere così divertente » borbottò Alice, senza riuscire a rislutare tanto credibile visto che, sotto i baffi, stava ridacchiando anche lei.
« Sei buffa » si giustificò Albus.
Alice sospirò. « E' una cosa di famiglia, a quanto pare. Ti va se ti scatto una foto? »
Albus inarcò un sopracciglio, così si affrettò a spiegare: « per il mio album dei ricordi.»
Ringraziò il cielo di essersi ricordata la Polaroid (aveva sprecato almeno sette chili di carta a forza di attaccare ovunque bigliettini con su scritto: "PORTA LA MACCHINETTA!"), la appellò dalla borsetta e, messo a fuoco l'obiettivo, scattò.
« Però » commentò, osservando la foto, « sei proprio fotogenico, Al! »
« E' una cosa di famiglia, a quanto pare » disse lui.
Alice rise, scosse la testa, ripose la macchinetta al sicuro al suo posto e, tra una Burrobirra e l'altra, prese a chiacchierare con Albus, cosa che si rivelò inaspettatamente facile - poteva giurare di non averlo mai sentito parlare così tanto in sua presenza -, e fu proprio quand'erano ormai nel bel mezzo di una colorita discussione sulle sfumature metaforiche dell'utilizzo dei tovaglioli di carta, che qualcosa, o meglio, qualcuno interruppe bruscamente lo slancio comunicativo di Albus e lo trascinò di nuovo nel cupo mutismo di sempre.
« Ciao » fece questo qualcuno alle spalle di Alice, « sto cercando Rose Weasley. L'avete vista? »
« Era con Matt » rispose Alice, sbalordita, scrutando Scorpius con tanta insistenza da guadagnarsi una sua occhiataccia.
Sembrò confuso. « Matt? »
« Matt Finnigan »  precisò lei, « l'ha portata lui, al ballo. »
Scorpius aggrottò la fronte e per un attimo parve così sconfortato che Alice fu quasi tentata di alzarsi e dargli un abbraccio di consolazione. Ma poi l'attimo finì, lui cambiò bruscamente espressione e, digrignando tra i denti qualcosa che somigliava ad un « grazie », sparì velocemente dalla loro vista.
Alice continuò a fissare, incredula, il punto in cui era sparito, domandandosi per quale accidenti di motivo si fosse deciso solo adesso a venire al ballo e sentendo l'urgente esigenza di dargli una bella lavata di capo.
« Non fa che girarle intorno » borbottò Albus, infastidito.
Improvvisamente molto assetata, Alice cominciò a sorseggiare la sua Burrobirra con più foga del necessario. Anche lei, avrebbe voluto urlare al mondo intero, non fa che girargli intorno. In realtà era abbastanza stupita che Albus non ci avesse fatto caso, era troppo intelligente e troppo attento per non aver notato il comportamente di sua cugina, ma non era stato suo padre, una volta, a dirle che a volte le persone vedono solo quello che vogliono vedere?
Notando che lui la guardava come in attesa di una qualche risposta, prese un altro sorso di Burrobirra. Per fortuna, prima che potesse blaterare qualcosa di stupido, fu James, la cui comparsa per una volta la rese infinitamente felice, ad interrompere la loro "discussione".
« Ti stai divertendo, fratellino? » chiese, lasciandosi cadere senza tanti complimenti sulla sedia rimasta libera. Era vestito interamente di nero, eccezzion fatta per una maschera bianca che ora teneva tirata su, sopra i capelli.
Albus roteò gli occhi al cielo. « Cosa vuoi, James? »
Il fratello lo fissò, profondamente indignato: « Cosa ti fa credere che io voglia qualcosa? Non posso aver voglia di passare un po' di tempo con il mio fratellino preferito, senza secondi fini? »
« Secondo fine è il tuo secondo nome » ribatté Albus.
Alice ridacchiò e James parve ancora più offeso.
« Sapete? Siete delle vere Serpi, tutti e due. »
« Non te la prendere tanto se non sei credibile » lo punzecchiò Alice, che ancora ce l'aveva con lui per la storia dei capelli-rami (avevano impiegato cinque ore ad andare via completamente).
« Infatti, non è colpa nostra se hai dei precedenti » concordò Albus.
James grugnì di frustrazione, scuotendo la testa e sbracandosi in una posizione indecente sulla sedia. « Lo vedi quello? » sbottò contro Alice, accennando ad un punto tra la folla di studenti che stavano ballando, « quello è decisamente colpa tua. »
E Alice lo vide. Emily Wilson, dentro un incantevole vestito rosso scuro, che si strusciava su un ragazzo la cui identità era nascosta da una maschera.
« Oh » fu tutto quello che riuscì a balbettare confusamente, « ma non avevate fatto pace? »
« Era quello che credevo anche io. »
Alice si sentì mortificata e, non sapendo bene cosa dire, rimase in silenzio, mentre James fissava Emily con aperta antipatia e Albus spostava lo sguardo dalla ragazza al fratello con vaga curiosità.
Alla fine, non riuscendo più a sopportare quel silenzio teso che si era creato, blaterò qualcosa sulla musica alta, senza trovare il coraggio per dire che, accidenti, le dispiaceva da morire per quello che era successo. Ma prima che potesse trovare un modo per fare uscire quelle parole dalla propria bocca - questa storia dell'essere sempre interrotta stava diventando davvero bizzarra – James si alzò bruscamente, le tese la mano e sbottò: « Andiamo a ballare. »
« Dici a me? » fece Alice, sbalordita.
« No, a mio fratello. Certo che dico a te. Vieni o no? »
« Beh, veramente io... » ma non riuscì a finire, perché James l'aveva già trascinata verso la pista.
Non appena furono immersi dalla confusione della folla e della musica, che risunava magicamente nell'ambiente privo di casse, Alice perse il senso dell'orientamento e non riuscì più a capire bene in che parte della Sala Grande si trovasse, dove fosse seduto Albus o da che parte stesse il tavolo dei professori.
Alice non aveva idea di cosa fare: se ne stava lì impalata con sguado vacuo, mentre James, così come il resto dei ragazzi, si muoveva in modo sconnesso, non propriamente a ritmo di musica.
« Devi solo agitarti » le suggerì lui, alzando la voce perché potesse sentirlo. « Come se dovessi...saltare, ma senza salto. »
Alice, spiazzata, eseguì alla lettera: prese la spinta, piegando le gambe, ma si raddrizzò senza staccare i piedi dal suolo, e poi avanti così, diverse volte, finché non si accorse che James stava ridendo, allora si bloccò, arrossendo furiosamente.
Ma la fatica di nascondere la sua incredibile incapacità di fare festa come si deve le fu risparmiata dal cambio di canzone, che da tutta batteria e arresti cardiaci si trasformò in qualcosa di diverso, forse anche più terrificante: un lento.
« Questo è più facile » dichiarò James mentre le cingeva la vita con le mani.
Alice poggiò cautamente le braccie sulle sue spalle, non molto convinta, e i suoi timori ebbero conferma quando si ritrovò a pestargli i piedi almeno tre o quattro volte. In ogni caso, James era troppo distratto a fissare truce Emily Wilson che ballava con quel ragazzo per prestare troppa attenzione al dolore.
« Ma da cosa saresti vestito? » chiese, tanto per trovare una qualche distrazione dal modo in cui i suoi piedi si stavano ribellando alla sua volontà.
James esibì un ghigno. « Sono un angelo della morte. » Allo sguardo perplesso di Alice, aggiunse: « volevo travestirmi da Lily, veramente, avevo pensato che fosse abbastanza spaventoso, ma quando lei mi ha visto con la parrucca rossa ha dato di matto e me l'ha fatta togliere, così, sai, ho dovuto improvvisare qualcosa all'ultimo minuto... »
Alice scoppiò a ridere pensando alla piccola (neanche tanto) Lily Potter che minacciava il fratello maggiore, con tutto il viso rosso e gli occhi lampeggianti. La cercò tra la folla: era in un angolo della sala e stava amorevolmente ignorando la musica, esibendo insieme al cugino Hugo un sensazionale ballo-del-robot. Il suo cavaliere, un Tassorosso dell'età di Alice, li guardava in disparte con tanto di broncio.
Alice si voltò per farlo notare a James ma notò che questi stava ancora fissando una certa persona.
« Forse... » cominciò Alice, ciondolando la testa sulle note della canzone, « forse dovresti parlarle. »
« Parlare con chi? » buttò lì James, in un pessimo tentativo di fare l'indifferente.
Poco lontano da loro, Alice vide la professoressa Sprite improvvisare un passo di valzer, mano nella mano con un incredulo professor Vitious. « Lo sai con chi. »
« No, non lo so » ribadì lui, testardo come non mai, « e anche se lo sapessi, ti direi che non me ne importa proprio nulla. »
Alice storse il naso e gli pestò di nuovo un piede, stavolta non proprio inavvertitamente. « Certo. »
Lui sbuffò, ma non ribatté. Alice stava iniziando a chiedersi se sarebbe stato il caso di piantarlo là per potersene tornare da Albus, quando James fece una cosa assurda: si chinò così improvvisamente da non lasciarle modo di pensare e le diede un bacio sulla guancia, proprio all'angolo della bocca.
Per un momento, un solo, fugace momento, fu troppo incredula per capire cosa stesse succedendo. Ebbe giusto il tempo di sentire il proprio viso andare in fiamme prima di vederla; e allora capì.
Emily li stava fissando con un'espressione così astiosa da fare quasi paura.
Spinse via James con entrambe le mani, furiosamente, e lo guardò con tutto il disprezzo che riuscì ad accumulare. « Che cosa stai facendo? »
« Ehy, calma... »
« No! » sbraitò Alice. Era così arrabbiata che a malapena si accorgeva degli sguardi curiosi che qualcuno, vicino a loro, le stava lanciando. « Non puoi...non puoi usarmi per fare quello che ti pare, sono una persona! »
Consapevole che, nella maggior parte dei casi, quando si infuriava finiva sempre per scoppiare a piangere, fu abbastanza razionale da decidere di girare i tacchi e correre via, tappandosi le orecchie alla voce di James che la chiamava.
Non poteva crederci.
Non poteva davvero averla usata per fare ingelosire la sua ragazza, era una cosa così incredibile, così patetica che si sentiva una stupida solamente a pensarci.
Quando arrivò al tavolino che aveva condiviso con Al, lui non c'era. Lo avrebbe cercato, se non fosse che il suo viso era già rigato di lacrime di rabbia e, okay, probabilmente nessuno l'avrebbe notata in mezzo a tutti quegli studenti, ma preferiva non correre il rischio.
Così, senza sapere bene dove andare a rifugiarsi, si ritrovò a percorrere frettolosamente i corridoi silenziosi fino alla Sala Comune. Correndo quasi senza guardare su per le scale, non poté evitare di scontrarsi con Nick-Quasi-Senza-Testa, il cui contatto le provocò una gelida ondata di freddo, come se qualcuno le avesse buttato addosso un secchio di acqua ghiacciata.
« Dove stai andando, signorina? » la rimproverò. « La festa è dall'altra parte! »
Alice, gli occhi umidi di pianto, non rispose e corse via, raggiungendo finalmente il ritratto della Signora Grassa.
« Radigorda » disse. La vecchia signora, che singhiozzava continuamente reggendo in mano un calice di quello che Alice sospettò essere Wiskhey Incendiario, la lasciò entrare con un'occhiata profondamente infastidita.
Si precipitò su nel dormitorio deserto e si accucciò sul pavimento davanti al suo letto, in attesa che le lacrime cessassero, con una mano sulla fronte e le ginocchia raccolte contro il petto.
E' una cosa così stupida, pensò. Stupida, stupida, stupida. Smettila di piangere!
Ma era troppo nervosa, e più cercava di asciugare le lacrime, più quelle sgorgavano senza sosta; sbirciò il Dendroide che aveva al polso: rosso. Non riusciva a ricordare bene la legenda dei colori dell’umore, ma era piuttosto sicura che rosso significasse rabbia.
Un rumore, però, molto simile ad uno dei singhiozzi emessi dalla Signora Grassa poco prima, spezzò il silenzio e la distrasse da quei pensieri.
Sigh.
Con orrore, si accorse che si trattava di un gemito e che proveniva quasi sicuramente dal bagno. Sentendosi, se possibile, ancora più male, realizzò che l'ultimo posto in cui aveva lasciato Cathy era stato proprio quel bagno, e che poi non l'aveva mai vista arrivare in Sala Grande, come invece la ragazza aveva promesso che avrebbe fatto.
Si avvicinò cautamente alla porta, ancora chiusa, quasi temesse di disturbarla in qualche modo.
« Cathy?»  chiamò, piano. « Cathy, sei lì dentro? » 
Un altro gemito. « S-sì. »
Alice sospirò contro la porta. « Cosa è successo? »
Cathy non rispose.
« Ti va di uscire e raccontarmelo? » tentò allora Alice.
Di nuovo, un gemito. « No. »
« Okay, allora...magari posso entrare io? »
Ci fu un breve secondo di silenzio, in cui Alice temette di aver fatto qualche passo falso, finché poi non sentì lo scatto della chiave nella serratura e il cigolio della porta che si apriva.
Si precipitò all'interno, quasi gattonando, e le venne un colpo quando rintracciò Cathy: seduta con la schiena contro la parete umida del bagno, aveva la testa nascosta tra le gambe e l'intero corpo ricoperto di migliaia di lunghissimi...peli marroni.
Erano davvero ovunque, così tanti che rigonfiavano il suo vestito e quasi strappavano il tessuto. Forse, in un'altra occasione, Alice avrebbe riso, ma bastò la vista degli occhi arrossati dal pianto che sfoggiò Cathy non appena alzò la testa a farle comprendere che ben poche volte, in tutta la sua vita, aveva avuto meno voglia di ridere.
I peli, notò allora, si allungavano fin sotto il naso, sul mento, sulle guance e persino nelle orecchie. Non l’avrebbe nemmeno riconosciuta se non avesse saputo per certo che si trattava di lei.
« Accidenti, Cathy...cosa...come...? »
« E' stato un incidente » singhiozzò Cathy con voce rotta, « stavo provando...io stavo...provavo degli incantesimi, quando...q-qualcosa è andato storto... »
Alice si protese in avanti e la abbracciò senza pensarci due volte.
Cathy tirò su con il naso, restò immobile per un po' e poi, solo quando ebbe smesso di singhiozzare, la strinse a sua volta. « Lui mi ha vista. »
« Lui chi? » domandò Alice, spiazzata.
« Alec. Mi ha vista quando è venuto a prendermi fuori dalla Sala Comune. Ha detto che sembravo uno yeti » fece una smorfia di profondo disgusto, « e che non gli andava di presentarsi al ballo con una ragazza conciata così. Allora io...io... » singhiozzò di nuovo, le lacrime che inumidivano il fitto strato di peluria sulla faccia, « ...io gli ho detto che può proprio lasciarla perdere, una ragazza conciata così, se non gli sta bene q-quello che fa! »
Alice rimase in silenzio, incerta su cosa dire, così fu Cathy a continuare a parlare, evidentemente bisognosa di sfogarsi.
« Insomma, lui si...si vergognava di venire al ballo con me! E lo sai cosa mi ha detto, Alice? Lo sai cosa? Mi ha detto di andarci da sola, a questo stupido ballo, se lo preferivo! »
Si interruppe, tracciando con le dita dei piccoli cerchi sulla superficie del pavimento. « Io gli ho detto che non aveva capito un bel niente, allora lui se n'è andato. Se n'è andato. »
« Si è comportato da imbecille » disse Alice.
« No » Cathy scosse fortemente la testa, « no, non è vero. Guardami, Allie. Non ho mai visto niente di più brutto. Sembro un enorme palla di pelo... »
« Smettila » la interruppe Alice, spostandosi in modo che potesse guardarla in viso. « Smettila. Tu sei bellissima, divertente e piena di talento » le asciugò una lacrima con il dorso della mano. « E questo » aggiunse, facendo cenno ai suoi peli, « è solo un effetto collaterale di una delle tue idee geniali. E sai una cosa? Se lui non riesce a vedere tutto questo, allora significa che non ha capito quanto era fortunato. »
Cathy sospirò, inclinando la testa sulla spalla di Alice; solo dopo un lasso di tempo che parve in'eternità, sussurrò: « grazie. »
Un sorriso spontaneo fece breccia sul viso di Alice. « Dai, alzati, diamoti una ripulita. »
Barcollando, Cathy si rimise in piedi e osservò il proprio corpo con aria afflitta. « Ho già provato con Evanesco » la informò, « e non è servito a niente. Dev’essere per il fatto che sono attaccati alla pelle… »
Alice ci rifletté su per un po’, camminando in cerchio intorno all’amica con la fronte aggrottata e il cervello in fibrillazione. « Potremmo provare con una magia che cancella gli incantesimi, non le cose »  propose. « C’era una formula del genere, credo di averla studiata, ma non riesco a ricordare….  » si bloccò, battendosi una mano sulla fronte: « Ma certo! » 
Si avvicinò a Cathy, che la fissava con aria interrogativa, afferrò la sua bacchetta dal pavimento e, puntandogliela contro, mormorò: « Deletrius. »
Pian piano, in un vortice di scintillii, la peluria iniziò a sparire. Era così tanta che l’incantesimo impiegò due minuti buoni per fare effetto; alla fine, per la lieta incredulità della ragazza, i peli di Cathy cascarono sul pavimento, abbastanza per farci perlomeno tre parrucche, lasciando spazio alla sua pelle pallida e al vestito azzurro che indossava. Era davvero delicato, la faceva assomigliare a una fata.
Alice le passò il panno per asciugarsi il viso e aspettò di esser certa che si fosse definitivamente calmata prima di chiederle: « Che ne dici di tornare giù? »
Notando la sua espressione dubbiosa, aggiunse: « Non puoi perderti i biscotti-pipistrello di Halloween. E poi devi per forza vedere com’è bella la Sala Grande! »
Cathy ridacchiò e annuì. « Credo che tu abbia ragione. »
« Bene. »
« Ma… » Cathy la guardò con un cipiglio indecifrabile. « Tu stai bene? »
« Io? »
« Beh… » esitò, come se stesse cercando il modo migliore per farle notare come era evidente che anche lei, Alice, aveva appena aperto tutti i suoi rubinetti. « Ti è colato tutto il trucco sulle guance. »
« Non è niente » la rassicurò Alice con un sorriso sincero, togliendosi quella sporcizia dal viso con un lembo del vestito. Ed era la verità: non era niente, non contava niente.
Volarono giù per i dormitori e via verso a Sala Grande, guadagnandosi una bella strigliata dalla Signora Grassa, ormai completamente ubriaca.
Sulla porta della Sala, Cathy la fermò tenendole un polso: « Qualsiasi cosa sia a farti stare così » disse, « spacchiamole il sedere. »








Note:
E insomma, ecco un altro capitolo tutta drama e niente arrosto! Quasi mi vergogno ad averlo scritto, ma un po' di drama ci vuole in una scuola piena zeppa di adolescenti n.n
Anyyyyyway, un bacio a tutti quelli che si sono iscritti al gruppo facebook (se ve lo siete perso, è questo: https://www.facebook.com/groups/750527668326469/ ), e un cuoricino a Giorgia, perché è Giorgia. 
Il prossimo capitolo sarà ancora incentrato sul ballo, almeno per una buona parte, e poi sugli eventi successivi a questo.
A prestissimo!


 

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Capitolo 20
*** Secrets ***


19.
Secrets
"This time, I don't need a perfect line
don't care if critics never jump in line
I'm gonna give all my secrets away."

Secrets - OneRepublic
 



Alice non raccontò all’amica di quel che era accaduto solo un’ora prima, e Cathy, che non era mai inopportuna, non le fece troppe domande.
E poi non c’era tempo di farsi prendere dallo sconforto: le aveva promesso di regalarle una bella serata e avrebbe mantenuto quella promessa, costasse quel che costasse.
Si sforzò quindi di sorridere. « Allora, andiamo a ballare? »
« Davvero? » Cathy la squadrò come se fosse impazzita. « Non avevi detto che odi ballare? »
« Io? » esalò Alice, fingendosi sorpresa, « ti stai sbagliando. Io sono una ballerina provetta. »
Cathy scoppiò a ridere. Era rincuorante sentirla ridere, pensò Alice. « Va bene, Pinocchio, andiamo a ballare, ma stai attenta a quel naso. »
Notando lo sguardo curioso di Alice, aggiunse: « La mia tata era babbana, e mi raccontava un mucchio di storie babbane per farmi addormentare, quando ero piccola…non hai idea di chi sia Pinocchio, tu, vero? »
Alice scosse la testa. « Ma scommetto che era un gran bugiardo » commentò.
Cathy ridacchiò e accennò verso la pista da ballo.
Passarono una buona mezz’ora appostate nell’angolo più estremo della pista da ballo, improvvisando mosse poco aggraziate – Alice scoprì che nemmeno Cathy coltivava un grande talento per la danza – e tentando di imitare i gesti degli altri; se non altro, si divertirono come matte a inventare improbabili nuovi passi, che finivano sempre per far precipitare una delle due con il sedere a terra. Alice fu quasi sicura di aver visto la professoressa Sprite, che si era coraggiosamente unita agli studenti, ridacchiare per una delle loro rovinose cadute.
Alla fine, entrambe stanche e sudate, decisero simultaneamente di porre fine a quello spettacolino e se ne tornarono verso i tavoli, ancora incapaci di trattenere le risate. « Non ho bisogno di un ragazzo per divertirmi » dichiarò Cathy con risolutezza, « anzi, a dirla tutta, mi sono divertita più stasera con te, che qualsiasi altra volta con Alec. »
Alice annuì. Non sapeva bene cosa risponderle, così biascicò qualcosa sul fatto di andare a cercare Albus.
Fu piuttosto semplice scovarlo: si trovava ancora allo stesso tavolo, in una situazione molto simile a quella di prima con l’unica differenza che adesso, ad occupare la sedia di fronte a lui, c’era Jo.
Alice e Cathy si diressero verso di loro a passo di marcia.
« Eilà, voi due! Dove eravate finite? » fu l’accoglienza di Jo.
Alice storse il naso, vagamente infastidita. « Noi? E’ tutta la sera che ti cerco… »
« Sì, be’ » Jo esibì quel suo solito sorriso misterioso, come a voler dire che la sapeva più lunga di quanto loro potessero immaginare, « ero con… »
« Lasciami indovinare » la interruppe Alice, « Michael? »
Jo ammiccò, poi cambiò bruscamente espressione e lanciò un’occhiatina ad Albus mentre diceva: « Almeno lui sa essere di piacevole compagnia. »
Albus, d’altro canto, emise uno strano suono a metà tra uno sbuffo e un grugnito, voltando loro categoricamente le spalle.
« Che succede? » chiese Cathy, confusa.
« Niente, perché? »
« Intendo…tra voi due » aggiunse Cathy, lasciando vagare lo sguardo da lei ad Albus.
« Oh » esclamò Jo fin troppo teatralmente, come se avesse compreso solamente ora, « be’, lui mi ha attaccata senza motivo. »
« Ti ho solo detto » intervenne Albus sulla difensiva, « che questa situazione tra te e mia cugina è stupida. E che lei ha ragione e dovresti scusarti. »
« Non sono proprio affaracci tuoi! » sbraitò lei, agitando le braccia nell’aria come in preda alle convulsioni.
« Josie… » la ammonì Alice.
« Cosa? Se lo merita! Non spiccia una parola con me e quando lo fa, dice sciocchezze. »
« Jo! »
Gli occhi di Jo mandavano lampi. « Sapete cosa c’è? Mi sono stancata di voi. Sempre lì a dirmi cosa fare e cosa non fare, questo è giusto, questo è sbagliato, “sei proprio una bambina, Josie! Quando cresci?” Be’, notizia falsh: io sono fatta così! »
Alice la fissò, sconvolta, incapace di riconoscere la sua migliore amica. « Ma…ma cosa stai dicendo… » balbettò.
« E no, per tutti i Gargoyle, non mi scuserò con Rose. E’ una mia decisione. E’ la mia vita. Lasciatemi respirare! » concluse, il tono freddo come il ghiaccio. Dopodiché, senza degnare nessuno di loro di un altro sguardo, girò i tacchi e se ne andò. Ben presto venne inghiottita dalla folla di studenti.
Albus scosse la testa. Si versò un bicchiere di succo di zucca, poi si alzò, ne bevve un sorso, lo posò sul tavolo e si dileguò in un silenzio solenne, sparendo anche lui dalla loro vista; Alice sentiva le lacrime pizzicarle nuovamente gli occhi.
« Le passerà » mormorò Cathy, stringendole il braccio.
« Non lo so » mugugnò. Le parole di Jo l’avevano ferita e si sentiva un po’ inutile, come se fosse stata incapace di custodire con cura quel sottile filo a cui la loro amicizia era appesa da qualche tempo a quella parte. Si era resa conto un po’ troppo tardi di quanto Jo fosse lontana da lei; forse ormai lo era già da diversi mesi. Era stata così occupata a cercare di aggrapparsi a quel filo da non accorgersi che, pian piano, si stava sgretolando proprio sotto il suo naso. E lei non poteva farci nulla, non se da parte della sua migliore amica non c’era tutta questa voglia di ripararlo, il filo, e tenerlo ben stretto, prima che fosse troppo tardi. Un’amicizia non può funzionare a senso unico, Alice lo capiva solamente adesso.
Cathy fece per dire qualcos’altro, ma venne interrotta dall’arrivo di due ragazzi, entrambi piuttosto alti, che si pararono improvvisamente davanti a loro.
« Ehm…ciao » fece il primo, apparentemente più spudorato. Era vestito da vampiro, con il trucco bianco, il sangue finto, le zanne e tutto il resto. « Io sono Gale, e lui è Adam » disse. L’altro ragazzo, che era rimasto dietro di lui, in disparte e palesemente a disagio, sollevò una mano in segno di saluto. Alice lo riconobbe con un secondo di ritardo: Adam Mason frequentava il suo stesso anno ma a Tassorosso, e non era proprio un tipo che attirava attenzione su di sé. Eppure Alice si ricordava bene di lui perché una volta, al terzo anno, aveva incidentalmente fatto crescere i baffi sulla faccia di un iratissimo professor Turner.
« Piacere di conoscervi » disse Cathy, stringendogli la mano e scrutandoli con curiosità.
« Mi piacerebbe invitarti a ballare, se per te va bene » continuò Gale, rivolgendosi alla Serpeverde con un sorriso speranzoso.
La ragazza cercò lo sguardo di Alice, titubante; lei capì che non voleva lasciarla sola dopo quel che era appena successo, ma la verità era che stare da sola era proprio ciò che Alice voleva in quel momento, così, in risposta, lanciò all’amica un’occhiata incoraggiante.
« Uhm…sì, perché no? » rispose allora Cathy, praticamente saltellando. « D’accordo! »
Gli occhi verdi di Gale si illuminarono; poi i due si dileguarono in fretta. Alice li seguì con lo sguardo, scuotendo la testa e sorridendo tra sé e sé alla vista di Cathy che, arrossendo un po’, acconsentiva a ballare un lento.
« Tu sei Alice Paciock, vero? »
Alice sussultò. Non si era accorta che Adam fosse ancora lì con lei, né tantomeno che la stesse fissando con uno sguardo che, lì per lì, non seppe decifrare bene.
« Sì... » si morse un labbro, presa in contropiede dal fatto che sapesse anche il suo nome. « E tu Adam…Mason. Frequentiamo Incantesimi assieme, giusto? »
« E Storia della Magia » aggiunse Adam. Alice annuì, e per un po’ ci fu un silenzio che a lei parve piuttosto imbarazzante, ma poi lui riprese a parlare con naturalezza: « Sai, ti ho vista allenarti a Quidditch, e sei parecchio in gamba » sorrise impercettibilmente, e Alice si chiese se per caso non avesse visto anche la sua brutta caduta alle selezioni. « Io e Gale ci occupiamo della sezione sportiva del giornale scolastico, seguiamo tutti gli eventi » spiegò.
« Oh, cioè, wow » esalò Alice, stupita, « non lo sapevo. »
Be’, a sua discolpa c’era da dire che non leggeva quasi mai il giornale della scuola. Da quando la McGranitt aveva bandito la rubrica “Incantesimi sbagliati o professori svalvolati?” non c’era quasi più nulla che valesse la pena di essere letto.
« Già. » Adam si grattò la nuca, di nuovo a disagio.
Alice si perse per un attimo ad ammirare le luci colorate che irradiavano per tutta la Sala Grande, e sentì l’improvvisa voglia di andarsi a congratulare con chiunque l’avesse allestita per la festa. Era semplicemente stupenda, tutta arancione, nera e blu, ed ogni singolo studente sembrava in preda ad una strana euforia, che persino lei, che non aveva passato la migliore delle serate, riusciva a sentire. Tutti, ad Hogwarts, amavano Halloween.
Adam Mason sembrava ancora in preda ad una specie di lotta interna, finché, esalando un piccolo sospiro, non le chiese: « Senti, ti va di ballare? »
Alice sussultò di nuovo. Lo fissò, sorpresa: credeva che lui avesse solo fatto “da spalla” al suo amico per Cathy, quindi di certo non si aspettava che le parlasse, che la notasse, o tantomeno che le chiedesse di ballare.
Si sentì lusingata; Adam, come Gale, era piuttosto carino, anche se aveva un aspetto un po’ meno sbarazzino (persino nel suo a dir poco terrificante costume da zombie, ogni centimetro di lui pareva gridare: sono un ragazzo per bene), occhi color cioccolato, qualche lentiggine sulle guance e orecchie leggermente più grandi del normale.
Adam era davvero carino, sì, ma tutto quello a cui riuscì a pensare Alice, mentre lui la guardava in attesa, fu a quanto le sarebbe piaciuto se, al suo posto, ci fosse stato Chris.
Per cui la risposta che le fuoriuscì dalle labbra non fu quella che lei stessa aveva premeditato. « Io...ti ringrazio, ma non posso. »
Sono una stupida, pensò immediatamente. Proprio una stupida.
Adam parve desolato, ma sembrò fare del suo meglio per ricomporsi e apparire indifferente. « D’accordo » disse solo. « Ci vediamo » aggiunse, mentre si allontanava frettolosamente anche lui.
« Mi dispiace » sussurrò Alice, anche se ormai non poteva sentirla più.
Non le andava di mettersi di nuovo a cercare Albus; aveva individuato Rose e Matt poco più in là, ma sembrava che si stessero divertendo molto e si sarebbe sentita un po’ di troppo in mezzo a loro. Decise perciò che fosse meglio prendere un po’ d’aria; varcò il portone d’ingresso e si aggirò per i corridoi senza una meta precisa, lasciandosi alle spalle tutta la musica, il calore e la confusione della festa. Aveva una mezza idea di andarsene verso le cucine, ma sulla strada incrociò il Barone Sanguinario, che la terrificava a morte, così, a malincuore, deviò e si diresse invece verso il parco. C’era un piccolo cortile, appena fuori dalle mura, costeggiato da un cerchio di grandi colonne di pietra, che ad Alice piaceva molto, e fu proprio lì che la guidarono i suoi pensieri. L’anno prima ci era andata spesso, per studiare o semplicemente per starsene un po’ per conto suo; ultimamente, invece, aveva avuto così tante cose per la testa che si era quasi dimenticata della sua esistenza. Sì sentì anche vagamente in colpa per questo, senza un vero motivo: il cortile di certo non si sarebbe offeso.
Di solito in quel periodo dell’anno il pavimento lastricato di pietruzze era ricoperto di foglie secche, mentre imponenti rampicanti incantati si aggrappavano su tutte le colonne. Alice si sedette dietro una di esse, ispirando a pieni polmoni l’aria notturna; faceva piuttosto freddo, lì fuori, e lei indossava solamente il suo sottile abito bianco. Iniziò a sfregare le mani sulle braccia, e cercò di ricordare qual era l’incantesimo per far fiorire le piantine, totalmente ignara di non essere sola fin quando udì una specie di strano fruscio alle sue spalle, proprio dietro la colonna.
Incuriosita e un tantino spaventata, voltò lentamente la testa e si scostò con un movimento fluido, appostandosi in modo da poter sbirciare senza essere vista. Doveva ammetterlo: per un attimo aveva seriamente pensato che si trattasse di un qualche mostro, di un fantasma del castello o di uno di quegli animali feroci che ad Hagrid piaceva chiamare “cuccioli da compagnia”. Ma forse in quel caso, solo in quel caso, avrebbe di gran lunga preferito averci azzeccato con le supposizioni, perché di certo la visione del ragazzo per cui aveva una cotta che si sbaciucchiava con un’altra non le fu di alcun tipo di sollievo.
E ruzzolò subito via, il più velocemente possibile, come se a rincorrerla ci fosse stato uno Schiopodo Sparacoda. Non si sarebbe messa a piangere, non di nuovo. Aveva davvero versato troppe lacrime per quella sera.
Barcollò fino a uno dei muretti che tappezzavano la via per arrivare alle serre e vi si lasciò cadere sopra. Forse non ne aveva propriamente motivo, ma si sentiva di nuovo così umiliata. Era come se il karma avesse deciso di prendersela con lei, tutto in una volta. Come al solito.
E non riuscì ad evitare di pensare a Bree, che aveva avuto la fortuna di piacere proprio a Chris, di entrare nella sua vita, cosa che Alice non sarebbe mai riuscita a fare. E il crudele destino aveva deciso che dovesse essere Bree, adesso, a starsene in un angoletto appartato del cortile di Hogwarts insieme a Chris Canon, mentre lei, Alice, moriva d’invidia. Non era giusto, pensò, che avesse anche dovuto vederli. Erano così vicini. Alice si chiese cosa si dovesse provare; doveva essere una bella sensazione. Ma non l’avrebbe mai scoperto, perché non si sarebbe mai potuta mettere a competere con Bree, che era molto, molto più carina di lei. L’intera sua figura era decisamente più formosa e aggraziata di quanto quella di Alice sarebbe mai potuta diventare.
« Stai bene? »
Oh, accidenti.
Al suono di quella voce, emise uno sbuffo, al limite dell’esasperazione. « Va’ via. » Era tutto già abbastanza brutto senza che ci si mettesse anche lui.
Era mai possibile che si ritrovasse sempre intorno le persone che a tutti i costi non voleva incontrare?
« Mi dispiace per prima » cominciò James, sedendosi lì accanto. Senza permesso.
VA’. VIA!
« Va’ via » ripeté Alice.
« No. » Lo fissò, scettica, mentre incrociava le braccia al petto e la guardava con quell’espressione moggia che mettono su i bambini capricciosi quando vogliono intenerire i genitori.
« Sei proprio petulante. »
James, a questo, sorrise. « Lo so, ma è uno dei motivi per cui sto così simpatico a tutti. »
« Non a tutti » replicò Alice.
« Godric, se sei permalosa! » All’occhiata furiosa che gli lanciò, James roteò gli occhi al cielo. « Va bene, va bene. Scusa. Parlo sul serio, mi dispiace. »
« Tu non parli mai sul serio… »
« Stavolta sì » ribatté James, « devi ascoltarmi. Non ti ho mai usata, come hai detto tu. »
Alice gli lanciò un’occhiata annoiata, mugugnando un “come no”.
« Okay, d’accordo, magari ti ho invitata a ballare per infastidire Emily » ammise James, abbassando le spalle, « ma non ho…il resto non l’ho fatto per farla ingelosire. Sul serio. »
« E allora perché lo hai fatto? » chiese Alice, confusa.
James non rispose per un po’. Ad Alice non sfuggì che stesse evitando il suo sguardo, e non si perse neanche quella sua strana espressione vacua, come se non sapesse nemmeno lui come rispondere.
« Mi facevi tenerezza. Eri là, tutta terrorizzata da un passo di danza… » disse alla fine, ridacchiando.
Alice gli mollò un pugno sul braccio. « Ah, ma finiscila. » Era proprio un imbecille, James Potter, non c’era che dire.
« Avanti, devi ammetterlo, sei stata terribile. Eri inguardabile! »
« Sai, non sei tanto bravo con questa cosa delle scuse. Di solito non è molto vantaggioso alla causa insultare la persona da cui si sta cercando di farsi perdonare » osservò Alice.
« Ho capito » sentenziò solennemente James, « quindi…vuoi un altro bacio? » le lanciò un’occhiata che la fece arrossire in modo indecente. « Stavolta un vero bacio, però. »
Lei lo fissò, sconvolta, per una decina di secondi prima che lui scoppiasse a ridere e le puntasse contro un dito, ondulando la testa. « Ci sei cascata » sghignazzò, tutto trionfante. « Avresti dovuto vedere la tua faccia. »
« Ah ah » borbottò Alice; scosse la testa e gli lanciò un’occhiata in stile tappati-quella-bocca, che sperò gli facesse capire che quello non era proprio il momento adatto per scherzarci sopra.
Poco lontano da loro, Chris Canon e Bree-rovina-momenti stavano passeggiando per il prato mano nella mano, mentre ridacchiavano insieme di qualcosa. In un momento di silenzio, l’eco di quelle risa volteggiò nell’aria e arrivò fino alla loro panchina.
Alice si lasciò sfuggire un sospiro, cercando di non portare lo sguardo in quella direzione.
« Sai, per quello che vale…è lui a perderci, non tu. »
Anche l’imbecille, evidentemente, si era accorto di loro.
Lo guardò. « Davvero? »
« Sì, insomma… » James si grattò nervosamente la nuca, « lui è un’idiota, tu invece sei una ragazza intelligente. Un po’ matta, ma intelligente. »
Alice gli diede una spallata, ma rise, sorpresa, tirando su con il naso. Una piccola parte della sua mente non poté evitare di ribattere che Chris non era un’idiota, mentre l’altra parte dava alla prima della stupida e le intimava di stare zitta.
James si avvicinò e le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, accarezzandole la guancia con il pollice; poi, come rendendosi conto solo in quel momento di ciò che aveva appena fatto, si tirò bruscamente indietro e si schiarì la voce. « Adesso dovrei tornare dentro. »
Alice annuì, leggermente scossa, e lo seguì con lo sguardo mentre si alzava e poi spariva dietro le colonne di fiori del cortile, all’improvviso così come era apparso. Concedendosi di tornare a respirare solo allora, alzò lentamente una mano e si toccò, con delicatezza, il punto in cui James l’aveva sfiorata.

***

Quando si decise a tornare nella Sala Grande, il grande orologio dell’atrio segnava le undici e mezza, e la confusione di prima si era ora trasformata in un’atmosfera ovattata, con gli studenti sparsi qua e là in gruppetti e la musica, ora molto più bassa, solo di sottofondo.
« Alice, eccoti! » Rose, tutta raggiante, le catturò una mano entusiasticamente, « Ti stavo cercando. Io e Cathy pensavamo di restare un altro po’ qui e rientrare in dormitorio per mezzanotte, tanto il coprifuoco per stasera è stato posticipato. Tu che dici? »
« Sì, resto anche io » mormorò lei, titubante. In verità non era così entusiasmata all’idea di restare, ma non aveva cuore di rovinare il sorrisone speranzoso di Rose. Pensò che forse avrebbe dovuto raccontarle di Jo; ma no, si disse, non era proprio necessario farlo adesso.
« Fantastico! » esclamò questa. Lanciò un’occhiata verso alcuni ragazzi riuniti ad un tavolo vicino; Alice riconobbe tra loro Matt, Cathy e il ragazzo che l’aveva invitata a ballare, Albus e Adam Mason.
« Com’è andata? » indagò Alice, guardando l’amica con un sorrisetto allusivo.
Rose, capendo, arrossì. « Matt è…simpatico. Sono stata davvero bene. »
« Oh » annuì Alice, poco convinta, « e con – uhm – sai… »
« Se n’è andato » chiarì bruscamente Rose.
Alice la guardò, confusa. « Ti stava cercando, prima » la informò, « credo che volesse dirti qualcosa…ha fatto infastidire parecchio tuo cugino. »
« Lo so » disse Rose nervosamente, « Al me lo ha detto. E Matt mi ha chiesto se tra noi due – tra me e Scorpius, insomma – ci fosse qualcosa, visto che non ha fatto altro che lanciarci occhiatacce per tutto il tempo che è stato qui. »
« Accidenti » commentò Alice con una smorfia, « davvero…inquietante. »
Rose allargò le braccia come a dire: dillo a me.
« E tu cosa gli hai risposto? »
« Che non c’è niente » dichiarò Rose con semplicità, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. « Perché, ecco, non c’è niente. »
Alice era sempre meno convinta. Scrutò l’amica con un pizzico di scetticismo, ma poi lasciò perdere, visto che in fondo, quella sera, Scorpius Malfoy non aveva fatto altro che far star male Rose, mentre era stato proprio Matt Finnigan, d’altro canto, a comportarsi straordinariamente bene con lei.
« D’accordo » sospirò, facendo per voltarsi e raggiungere il tavolo dei suoi amici. Ma Rose le afferrò gentilmente un braccio e la fermò: « A te com’è andata? »
« Perché me lo chiedi? »
« ‘Lice » mormorò Rose con dolcezza, « non voglio offenderti, ma non è che tu abbia proprio una bella cera. »
« E’ solo… » Alice si mordicchiò un labbro. « E’ l’altro tuo cugino. Sai, le sue solite buffonate. »
I suoi assurdi alti e bassi da donna mestruata, più che altro, ma questo non lo disse.
« James è un po’ estremo, a volte. » Sembrava che Rose stesse cercando di trattenere un sorriso. Alice pensò che l’aggettivo più adatto a descriverlo non fosse affatto estremo, ma qualcosa di più simile a insopportabile o tragicamente lunatico. « Ma non è che non ti voglia bene, sai? E’ come se fossi un’altra sorella per lui, alla fine. »
E per qualche strana ragione, Alice pensò che Rose si sbagliasse.
Il resto della serata trascorse relativamente in pace. Cathy non faceva altro che ridere alle battute di Gale, che a quanto pare, oltre che di bell’aspetto, era anche divertente, mentre Rose e Matt si scambiavano di tanto in tanto qualche sorriso e Adam faceva di tutto pur di evitare lo sguardo di Alice che, sentendosi tremendamente in colpa, stava tentando invano di provare a intraprendere una qualche conversazione con lui.
Albus sembrò imbarazzato per la maggior parte del tempo; a sorpresa, si scusò con Alice per non essere stato esattamente il miglior cavaliere del mondo ma, dopo che lei gli ebbe assicurato che era tutto apposto, tornò in fretta ad essere il solito sereno, ambiguo e taciturno ragazzo di sempre. S’incupì un po’ solo verso la fine, quando oramai stavano per tornare tutti nei propri dormitori: poco prima che si alzassero dal tavolo, videro Jo e Michael attraversare la Sala. Giusto poco prima di uscire, Jo lanciò un’occhiata verso la loro direzione; poi si voltò, fredda come il ghiaccio, e tornò sui propri passi con aria terribilmente indifferente.
Salutandosi, Cathy scoccò a Gale un tenero bacio sulla guancia, mentre Matt, in un momento in cui credeva che nessuno li stesse guardando, posò delicatamente le proprie labbra su quelle di Rose.
Alla fine Alice rientrò in Sala Comune insieme ad Albus, lo ringraziò per la serata, gli sistemò la cravatta tutta stropicciata e gli diede la buonanotte. Quando salì in dormitorio, Annie sonnecchiava sotto le coperte, mentre Gwen e Liz se ne stavano sedute l’una di fronte all’altra a gambe incrociate sopra il letto di Alice, in pigiama, bisbigliando animatamente e ridacchiando di tanto in tanto.
« Bella serata? » le sussurrò Gwen, non appena varcò la porta.
« Non mi lamento » mormorò Alice.
« Io e Liz stiamo spettegolando senza ritegno. Vuoi unirti al club delle innamorate sventurate? »
Alice sorrise. « Grazie, ma credo che andrò a letto. Sono stanca morta » ammise.
Le due Grifondoro parvero piuttosto deluse, ma si alzarono e si spostarono sopra il letto di Liz senza fare ulteriori proteste.
Alice impiegò circa tre quarti d’ora a togliersi tutto quel trucco dalla faccia, per non parlare della questione vestito; alla fine, fortunatamente, riuscì a uscire illesa dal bagno, pronta per la notte. Poco prima di stendersi sul letto lanciò un’occhiata verso quello di Jo: aveva le tende chiuse. Con un peso nel cuore, chiuse gli occhi contro il cuscino, cercando di ignorare i mormorii eccitati di Gwen e Liz e sognando di vampiri col buquet, di zombie danzanti e di un ragazzo senza nome che le carezzava il viso.
 
*** 

Il giorno dopo, entrando in Sala Grande, Alice poté constatare che tutto l’entusiasmo della festa era improvvisamente svanito, lasciando il posto ad un comune senso di pacatezza e anche un tantino di nausea, derivata probabilmente da tutti quei deliziosi biscottini a forma di zucche e pipistrelli.
Il solito chiacchiericcio mattutino si estendeva un po’ ovunque tra le tavolate, e fu a quella di Corvonero che Alice puntò, senza esitazioni, non appena varcò la soglia, sgattaiolando nel posto libero sulla panca vicino a Rose e Dominique.
Le due stavano discutendo animatamente su qualcosa riguardante le lezioni di Trasfigurazioni, per quello che Alice poteva capire: ancora sottoposta ad una mezza trance indetta dal sonno, le ci sarebbero voluti ancora almeno venti minuti per riacquistare la capacità di intendere e volere. Con gli occhi semichiusi e le palpebre pesanti, cominciò ad imburrare lentamente la sua fetta di pane, operazione che di solito le rubava una manciata di secondi e che invece, quella mattina, sembrava non finire più.
« ...e poi è diventato un bottone, ma continuava a gracchiare e saltellare sul banco, così la McGranitt mi ha dato uno Scadente. Insomma, una cosa totalmente ingiusta! » spiegò infervorata Dominique.
Alice sorrise al pensiero di un bottone che faceva cra cra. Il suo cervello si disconnesse nuovamente dalla conversazione, così lasciò vagare lo sguardo tra la sala, senza sapere bene cosa cercava. Chris? No, non lui. Si sentiva amareggiata e delusa, ma non avrebbe permesso a se stessa di diventare anche patetica. Lui non la ricambiava e non l’avrebbe mai fatto, questo era evidente, per cui non c’era più nulla da dire o da fare se non rassegnarsi a quella triste realtà.
Ma come si faceva a dimenticare? Quella dolce sensazione allo stomaco che sentiva quando lui sorrideva…come poteva scordarsela, così, da un giorno all’altro? Alice non capiva. Avrebbe dovuto pensare a qualcos’altro? A qualcun altro?
Ma erano secoli che moriva per Chris, secoli che non aveva per la mente nessun altro. Non poteva sapere come sarebbe stato, non poteva fare paragoni, perché non aveva nessunissima esperienza sul campo. Lei, che non aveva capito cos’era un bacio vero, come lo avrebbe definito James, fino a dodici anni, quando Jo glielo aveva pazientemente spiegato, in una piovosa serata di luglio. Lei, che quel famoso bacio vero non l’aveva mai dato. Come poteva sapere come fare a scordarsi tutte quelle cose? E se non ci fosse riuscita? E se avesse dovuto continuare a sentirsi triste ogni volta che vedeva Chris?
Si riscosse da quei pensieri solamente quando Rose, con dolcezza, le fece notare che invece di imburrare quello che lei aveva creduto fosse la sua fetta di pane, stava spalmando marmellata di fragole su un tovagliolo.
« Credo che andrò un po’ nel parco prima delle lezioni » annunciò, alzandosi e riponendo coltello sporco e tovagliolo sul proprio piatto.
« Ci vediamo a Incantesimi » disse Rose.
Alice si voltò, fece per muoversi, poi si girò nuovamente e si rivolse a Rose con velato nervosismo: « Hai mica visto Jo? »
Quando si era alzata, il letto dell’amica era già vuoto, e non l’aveva vista nemmeno in sala comune quando era scesa con Liz e Gwen per la colazione.
Rose si rabbuiò un po’ alla domanda. « Sì, era con… »
« Michael » concluse Alice per lei, trattenendosi con molto sforzo dall’alzare gli occhi al cielo.
« No » disse Rose, scuotendo energicamente la testa, « con Candice Goldstain. »
« Con chi? » esalò Alice, domandandosi se per caso ora, oltre che l’imbranataggine, il sonno le provocasse anche problemi all’udito.
« Già, mi chiedo anche io che cosa ci facesse Jo con Candice Goldtsain » fece Rose, cupa.
Alice non poté che incassare il colpo e digerire la cosa. Jo detestava Cadice e Stacey, e detestava le pettegole; nel corso degli anni aveva addirittura inventato per loro una manciata infinita di nomignoli poco carini, guadagnandosi anche qualche gossip fasullo e imbarazzante sul suo conto. Ragion per cui era assolutamente assurdo che si trovasse proprio con Candice. Era così inverosimile che per un attimo Alice non si chiese se stesse ancora sognando, nel suo caldo letto a baldacchino.
Ma la faccia di Rose era troppo seria e il profumo di marmellata troppo intenso perché potesse essere tutto un sogno. Si risedette di scatto, aggrottando le sopracciglia così tanto che quasi le si unirono in un’unica linea al di sopra del naso. « Jo. Con Candice Goldstain. Insieme. »
« Esatto » annuì Rose, « e non è che stessero parlando, battibeccando o altro, capisci? Stavano ridacchiando assieme di Merlino sa che cosa. »
Dominique si sporse leggermente in avanti per poter guardare dritto in faccia Alice, la quale, osservandola, si chiese come fosse possibile avere dei capelli perfettamente ordinati già di prima mattina. I suoi, in quel momento, non erano molto differenti dal groviglio di rami che le aveva fatto crescere in testa James. Il soprannome di Sorella-Ammazza-Autostima le si addiceva alla perfezione, ma c’era qualcosa di sbagliato nel pensarci proprio ora, senza la voce squillante di Jo al suo fianco che se ne prendeva orgogliosamente tutti i diritti d’autore.
« Lasciatela perdere » dichiarò Dominique con aria risoluta, « tornerà da voi scodinzolando non appena si sarà annoiata di tenere il broncio. »
Rose scosse la testa, abbattuta, riflettendo perfettamente l’espressione di Alice: entrambe sapevano benissimo che quando Jo si metteva in testa una cosa, poteva pure cascare il mondo ma non c’era modo di farle cambiare idea. E poi mettere il broncio alle persone era una delle sue attività preferite. Faceva praticamente parte della sua lista giornaliera di cose da fare: colazione, compiti, leggere un libro, mettere il broncio a qualcuno.
« Sarà » mormorò Rose, alzandosi dalla panca e issando la borsa sulla spalla, « ma continuo a pensare che non si sia comportata bene. Stavolta non se la caverà con qualche sorriso e uno scherzo, mi dispiace. » Detto questo, girò i tacchi e si allontanò, lasciandosi dietro una scia infinita di dubbi che fluttuarono senza sosta nella testa di Alice.
« Ehy, ‘Lice » proruppe allora Dominique, distraendola da tutto quel macchinare del suo cervello. « Dicevo sul serio, prima: non starci troppo male, va bene? E’ un po’ strana, la vostra amica, ma sono sicura che se ci tiene davvero tornerà. Lo fanno tutti, te lo posso assicurare. »
Alice la guardò con aria pensierosa. Era più che sicura che imbottigliare l’orgoglio e tornare sui propri passi non fosse l’atteggiamento tipico di Jo, ma Dominique le sembrava piuttosto sicura e, soprattutto, sincera. Così decise di apprezzare comunque il suo tentativo di confortarla; se non altro, il tono dolce con cui aveva pronunciato quelle parole l’aveva lasciata piacevolmente sorpresa, e l’aveva anche rincuorata un pochino. Poiché se da un lato mettere da parte l’orgoglio non era una prerogativa di Jo Mitchell, dall’altro discorsi del genere non erano affatto una prerogativa di Dominique Weasley.
« Lo terrò a mente. Grazie » disse quindi, sincera, allargando le labbra in un sorriso.
Dominique le sorrise a sua volta; poi, puntando gli occhi su un punto dietro di lei, aggiunse: « credo che la tua amica biondina sia impaziente di parlarti. »
Alice si guardò intorno, basita. « Che? Chi? » Poi la vide: Cathy, i lunghi capelli dorati legati in una treccia e il mantello troppo grande che svolazzava nell’aria, correva verso di lei con delle scartoffie in mano e un’espressione estasiata.
« Ci vediamo » disse Dominique con un altro sorriso ancora, alzandosi giusto in tempo per lasciare il posto a Cathy, che si piombò sulla panca come un uragano. Aveva il respiro affannato e si teneva la mano libera sulla milza; rivolse un breve cenno a Dominique prima che se ne andasse, poi tornò a guardare Alice, con le pupille tutte dilatate e un ghigno vittorioso.
« Indovina » mugolò.
« Hai finalmente convinto gli Elfi delle cucine a stabilire il “giorno degli hot-dog” a Hogwarts? » tentò Alice, ricordando l’animata protesta che l’amica aveva intenzione di attuare al riguardo.
« Meglio » esclamò Cathy, tutta eccitata, « Beh…quasi. Diciamo che le due notizie se la giocherebbero, se ipotizzassimo che… »
« Cat, arriva al punto » la esortò Alice, roteando gli occhi al cielo.
« Giusto. Dicevo. Indovina chi ha scoperto cosa diavolo è questa Setta delle Ombre? »
Alice spalancò la bocca.
Curioso, come un’unica, piccola frase potesse completamente ribaltare l’andamento di una giornata. Credette quasi di soffocare mentre si lasciava prendere dall’agitazione, mista all’eccitazione e un pizzico di panico. Finalmente.
« Santo Godric, Cathy, dimmi che non stai scherzando! »
Cathy scosse la testa, esibendo un sorriso trionfante. Frugò tra le scartoffie e ne estrasse una pergamena, la srotolò e poi guardò di nuovo Alice. « Una settimana fa ho deciso di scrivere ad un collega di mia madre riguardo le nostre ricerche » cominciò, la trepidazione palpabile nella sua voce, « E lui, sai, lavora negli archivi del Ministero, quindi è pratico di questo genere di cose. »
« Sapevo che non avrebbe mai confessato nulla se a chiedere ero io, così…ho preso un gufo della scuola e gli ho scritto una lettera firmandomi come la mamma. » Lanciò un’occhiata ad Alice con un’espressione colpevole. Lei, d’altro canto, non poteva che essere felicissima che Cathy avesse fatto ciò che aveva fatto. « Lui ha una specie di cotta per lei, le direbbe qualsiasi cosa che vorrebbe sapere. All’inizio credevo che avrebbe capito subito l’imbroglio e che avrebbe detto tutto quanto a mia madre, e io sarei morta, ‘Lice, morta di sicuro, ma poi oggi è arrivata questa, e senti qua:
“Cara Cornelia,
Io sto bene, ti ringrazio. Apprezzo il fatto che tu sia così dedicata alla storia della magia e blablabla, scemenze varie che non ti interessa sapere, e poi, ho fatto qualche piccola ricerca nei nostri libri e ho trovato qualcosa, anche se è tutto molto frammentato. La Setta delle Ombre, secondo il Manuale della Storia Magica Moderna, è una comunità fondata pochi anni fa da un mago la cui identità è anonima, così come quelle dei suoi seguaci, che agisce segretamente con l’intento di creare disordine e disguidi all’interno del sistema cooperativo del Ministero della Magia. Questa Setta ha come obiettivo principale, secondo quanto è scritto qui, destabilizzare il sistema sopra cui si fonda la società di oggi nel nostro mondo, ristabilita completamente a seguito della Seconda Guerra Magica. Non è chiaro se il loro obiettivo sia riportare le condizioni a come erano prima della guerra, con le speculazioni raziali relative al cosiddetto “stato di sangue”, o se vogliano rovesciare il Ministero per creare la loro società “ideale”. Agiscono nell’ombra, cauti, senza destare l’attenzione dei media e della gente, la maggior parte delle volte lasciando messaggi minatori. Qualsivoglia informazione relativa alla Setta delle Ombre è stata bandita dai giornali, in quanto l’organizzazione ritenuta tutt’oggi innocua dal Ministro della Magia e dai rappresentanti della sicurezza, i quali ritengono che, essendo la setta unicamente dedita a speculazioni e minacce senza fondo, la conoscenza di questa creerebbe solo timori inutili tra i cittadini.
Quante cose si nascondo tra gli scaffali polverosi degli archivi magici, eh, ‘Nelia cara? Immagino che non dovrei nemmeno aver letto questo documento, ma sai che per te farei di tutto… » Cathy si interruppe, esibendo una smorfia disgustata. « Bleah. Senti come fa il cascamorto con la mia mamma! Mi dispiace, signor Noioso Barboso, ma è una donna sposata… »
Alice non la ascoltava nemmeno. Nella sua testa, completamente in fibrillazione, risuonavano le parole della lettera come una lenta cantilena: una comunità segreta…anonima…destabilizzare il Ministero…
Si fiondò su Cathy e la scosse per le spalle, trattenendosi dallo scoppiare in urla di gioia. « Cat, sei geniale! Sei davvero geniale! »
« Oh… » fece Cathy, un po’ perplessa, « …beh… »
« Insomma, questo è – fantastico! » Quasi le veniva da piangere per la gioia. « L’abbiamo trovata, l’abbiamo davvero trovata! » Si accucciò di nuovo sulla propria sedia e sfoggiò un sorriso a trentadue denti. Al diavolo la colazione, Jo e tutto il resto, finalmente erano giunte a delle risposte! « Dobbiamo avvertire subito Rose » rifletté ad alta voce, ma era ancora troppo emozionata per prendere anche la più semplice delle decisioni, alzarsi e andare a cercare l’amica.
« Giusto. Glielo dico io appena finiscono le lezioni della mattina…oh » aggiunse, mentre le compariva un sorriso beato sul viso, « niente più pomeriggi di spionaggio top-secret alla McGranitt in punti super-scomodi del castello. Niente più intere settimane spese in bliblioteca. E’ il paradiso. »
Alice scoppiò a ridere. « Giusto, ma ora che sappiamo tutto questo ci sono ancora più domande senza risposta e… »
« Shhh » la zittì Cathy portandosi un dito alle labbra, ancora con quell’espressione beata, « non rovinare il bel momento, ‘Lice. »
Alice sospirò, ma non replicò nulla. In fondo, Cathy aveva ragione: era giusto godersi quel po’ di conoscenza che avevano acquisito su tutta la situazione degli attacchi ai loro genitori e degli omicidi. « Okay. Hai ragione. Diciamolo a Rose, poi penseremo al resto. »
Lo stesso giorno, non fece altro che pensare a quella nuova scoperta e alle possibili ipotesi che questa determinava: ora, con tutta l’adrenalina di prima ancora in circolo, si sentiva come se potesse venire alla luce di qualsiasi mistero.
Non poteva sapere che il resto sarebbe stato ancora più sconvolgente, né avrebbe mai immaginato che, alla fine dei conti, quella scoperta, seppur apparentemente miracolosa, avrebbe portato più guai che soluzioni.
Ma d’altronde, i Paciock e i guai erano sempre andati di pari passo.
 

 
 













PARAPAPAPA! Ebbene sì, è accaduto. E’ FINALMENTE SUCCESSO. :D
Scusate per il ritardo (as usual), sono un disastro (as usual), e dovreste tirarmi i pomodori appresso (as usual), ma in fondo so che mi perdonerete perché…perché…perché sono carina e coccolosa. Yawh.
Vi ringrazio di cuore per tutte le stupende recensioni, e per chiunque abbia messo la storia tra le seguite o le preferite. Graziegraziegrazie çwç
Comunicazione di servizio: c’è da poco il gruppo facebook di questa ff (il link lo trovate nelle note dello scorso capitolo), se per caso voleste unirvi alla banda di matti (carini e coccolosi<3) che seguono questa storia, dove troverete spoiler, roba random, avvisi e...buh, scleri vari, immagino.
A presto, un bacione!

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Capitolo 21
*** Wake me up ***


20.
Wake me up
“They tell me I’m too young to understand
They say I’m caught up in a dream
Life will pass me by if I don’t open up my eyes
Well that’s fine by me.”

Wake Me Up – Avicii
 


Novembre s’intrufolò nell’aria pian piano, di soppiatto, portando con sé sferzate di venti gelidi e nuvoloni carichi di pioggia. Gli alberi del parco, ormai quasi completamente spogli, allungavano i rami nudi verso il cielo, mentre le vette dei monti all’orizzonte iniziavano a tingersi di bianco con le prime nevicate dell’anno.
La routine giornaliera degli studenti del quinto anno consisteva in pasti e lezioni consistenti e tanti, tantissimi compiti. Anche i più audaci si erano ormai rassegnati a tristi pomeriggi di studio nella Sala Comune, fortunatamente rallegrati dalla presenza di Nick-quasi-senza-testa, che aveva deciso di assumersi la responsabilità di tenere alto l’umore dei Grifondoro e si aggirava per la torre buttando qua e là battute dalla dubbia comicità.
Anche le giornate di Alice erano scandite da studio non-stop, con l’aggiunta di qualche animata discussione con le sue amiche sulle recenti scoperte riguardanti una certa Setta. Spinte finalmente da un po’ di sollievo e di speranza, le tre avevano deciso che avrebbero esteso la questione a qualche altro membro della famiglia di Rose, o perlomeno ai Potter, in quanto qualsiasi discorso sulla Setta delle Ombre si riconduceva alla presunta organizzazione segreta dei loro genitori.
Nessuna di loro, invece, aveva sentito il bisogno di parlarne con Jo.
La notizia dell’imminente prima partita di Quidditch del campionato, nel frattempo, aveva reso Alice più eccitata del solito, cosa che la portò a saltare qualche pasto e impegnarsi più duramente ad ogni allenamento.
Quel piovoso giovedì pomeriggio, comunque, aveva deciso di saltarne uno per rifugiarsi nel torpore della biblioteca, visto che sentiva ancora tutti i muscoli indolenziti dal giovedì precedente e aveva bisogno di portarsi avanti con di compiti di Pozioni. Turner aveva continuato la sua strage di voti, guadagnandosi una buona dose di odio da parte di più o meno…tutti quanti.
Alice era fermamente decisa a non dargliela vinta, comunque: la sua media era sempre stata piuttosto buona, e non avrebbe permesso che l’improvvisa follia sadica di un professore la mettesse a repentaglio. Anche se, doveva ammetterlo, su tutta questa sua determinazione incideva parecchio la paura cieca che sua madre scoprisse che c’era una materia in cui non stava andando molto bene.
Raggiunta la biblioteca, e piena di buoni propositi, si aggirò tra gli scaffali, caricandosi di tre grossi tomi polverosi. Erano talmente pesanti che le sue braccia esili a stento riuscivano a sorreggerli, e tanto alti da occupare gran parte della sua visuale. Fu proprio questo, misto al suo ben noto precario equilibrio, a dare luogo al più imbarazzante momento di tutta la settimana – e considerata la vergognosa quantità di momenti imbarazzanti che Alice metteva da parte, quello era davvero un grande traguardo.
Difatti, impegnata com’era ad avanzare a stento, senza poter vedere nulla dietro quei libroni giganti, andò dritta a sbattere contro la schiena di Adam Mason.
Perché era talmente ovvio che, tra tutte le schiene che c’erano ad Hogwarts, lei dovesse inciampare proprio in quella! Una cosa così scontata, così banale, che quasi non si chiese come mai non l’avesse predetto.
E doveva dire che era anche una gran bella schiena. No, un momento. Cosa?
« Ciao » esordì allora Adam Mason, che la guardava come si può guardare un povero cucciolo di cane abbandonato per strada.
« Scusami tanto » esordì Alice, resistendo all’impulso di coprirsi il viso con le mani. « Non guardavo dove mettevo i piedi. »
« Figurati » fece lui con noncuranza. Almeno uno di loro due non stava morendo di vergogna. Poi si chinò a raccoglierle un libro e solo allora Alice si accorse che le erano caduti tutti e tre, sparpagliandosi rovinosamente sul pavimento.
Si chinò anche lei, raccattando anche gli altri due e lanciandogli altre occhiate di scuse che lui ignorò semplicemente. Che cliché. Una scena da commediola romantica in piena regola, se non fosse che Adam stava palesemente cercando di trattenere le risate e lei non era proprio quello che si potrebbe definire una ragazza fortunata.
« Allora…come va? » fece Alice, prima di riflettere se fosse stato il caso o no di intraprendere una conversazione con uno che l’aveva evitata per un’intera serata, dopo che lei aveva declinato con non troppa gentilezza il suo invito a ballare, e ora se la stava ridendo di lei.
« Ehm…bene, immagino. Pozioni, eh? » disse lui, accennando ai libri.
« Già » sospirò Alice, « sono un po’ indietro. »
« Turner è un mostro » commentò Adam. « Io e gli altri ragazzi lo seguiamo a stento. »
« A chi lo dici! Noi non riusciamo ad arrivare ad una O nemmeno mettendo insieme tutti i nostri voti. »
Adam rise, e Alice si ritrovò di nuovo a pensare che fosse davvero carino. Avrebbe voluto dirgli qualcosa riguardo la sera del ballo, ma poi realizzò che non c’era nulla da dire.
« Allora…ci vediamo a lezione » disse Adam.
« Certo » annuì Alice, « ci vediamo. »
E di nuovo fu sul punto di dirgli qualcosa, senza sapere bene cosa, ma poi lui si voltò, si allontanò, e alla fine fu troppo distante perché potesse sentirla, proprio come al ballo, così ci rinunciò, senza in realtà averci neanche lontanamente provato.
Quando raggiunse i tavoli, scorse Dominique, seduta accanto alla finestra, completamente immersa nella lettura di un manuale di Incantesimi. Un po’ intimorita di disturbarla, si avvicinò e prese il posto accanto al suo.
Dominique alzò gli occhi dal suo libro, le rivolse un sorriso e poi fissò sconcertata quei tre grossi volumi che Alice aveva, il più silenziosamente possibile, posato lì sul banco. « Vuoi davvero leggerli tutti? »
« Non voglio » precisò Alice con aria lugubre, « ma ho bisogno di recuperare. »
« Buona fortuna » replicò Dominique. « Ehy, Alice » aggiunse poi, mentre lei stava coraggiosamente sfogliando il primo libro, « quello lì ha una bella cotta per te, eh? »
Alice la fissò, stupita. « Chi? »
Dominique la guardò di sottecchi. « Oh » fece allora Alice, arrossendo simultaneamente. « Oh, no...insomma, non credo... » cominciò a farfugliare, con l'inspiegabile bisogno di ridacchiare in modo sconnesso, cosa che probabilmente la stava facendo sembrare una pazza isterica.
Domi scosse la testa e roteò gli occhi al cielo. « Posso darti un parere? »
Alice, un po’ esitante, annuì.
« A lui piaci molto, questo è chiaro, ma tu hai la testa altrove, ho ragione? »
Capendo ora dove la ragazza volesse arrivare, Alice le rivolse un’occhiata dubbiosa. « Penso di sì. » ammise, sospirando.
« Beh, secondo me, è meglio dare una possibilità a qualcuno a cui interessi piuttosto che disperarsi per chi non si cura di te. » Dominique le rivolse un sorriso incoraggiante. « E comunque, lui sembra davvero carino. » Detto ciò, se ne tornò in silenzio al suo libro.
Alice fissò, ora confusa, il banco in cui si era andato a sedere Adam. « Già », incrociò le braccia sul tavolo e vi posò sopra la testa, sospirando, « lo è. »

 
***
 
Il pomeriggio seguente, Alice decise che era ora di scrivere ai suoi genitori. L’ultima lettera ricevuta risaliva a due settimane prima, e ormai era impaziente di avere qualche notizia da casa. Suo padre aveva sempre dimostrato di avere estrema fiducia in lei, e sapeva bene che Hogwarts, per i ragazzi, era decisamente il posto più sicuro del mondo. Era Alice ad essere preoccupata; dal giorno dell’attacco, non aveva fatto altro che pensare a quali cose orribili potevano accadere alla gente così, da un momento all’altro, senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Così, armata di penna e calamaio, rifugiatasi nel calduccio della torre di Grifondoro, abbandonò i compiti e buttò giù qualche riga:

“Caro papà,
Tutto bene a casa? Qui va come al solito. Le lezioni sono difficili e abbiamo tanti compiti, ma fin’ora tutto bene. La Spinnet ci ha detto che i primi di dicembre ci saranno dei colloqui con i professori per aiutarci a scegliere le materie per i MAGO, e capire ciò che vogliamo veramente fare dopo la scuola. Spero che sarà utile. Tu quali materie avevi scelto? E la mamma?
Volevo dirti che Rose ci ha invitati tutti quanti a passare il Natale alla Tana, con loro e i Potter. Per te andrebbe bene? So che mamma voleva andare in Scozia da zio Moris, ma ci siamo già stati lo scorso anno e mi piacerebbe davvero tantissimo stare da Rose. Fammi sapere cosa ne pensi.
Ora devo andare, ho una pila di compiti di Trasfigurazione che mi aspetta. Mi manchi tanto, papà. A presto.
Tua,
Alice
 
Posò la penna d’oca sul tavolo, ripiegò la pergamena e la chiuse con un nastro rosso. Rose se ne stava tranquillamente acciambellata nella sedia fronte la sua, leggendo un libro; Frittella, che si era avvicinata di soppiatto, zompò sulla sedia e si acciambellò sulle sue cosce, ronfando.
« Ah sì, eh? » ridacchiò Alice, grattandole il folto strato di pelo lungo il collo. « E ora io come faccio ad alzarmi, secondo te? »
La gatta la guardò con aria disinteressata, poi chiuse gli occhietti vispi e stiracchiò una zampa.
« Non credo le importi granché » commentò Rose ridacchiando.
Al che, Frittella prese a farle le fusa.
« Ruffiana » sbuffò Alice, mentre riponeva penna e calamaio nella propria borsa e si voltava a guardare con un po’ di inquietudine Emily Wilson, che proprio in quel momento stava facendo gli occhi dolci a James dall’altra parte della Sala Comune.
Ma guarda. Eccola, un’altra ruffiana, pensò Alice.
Staro al passo con le decisioni di quella ragazza doveva essere davvero difficile. Prima ti ama, poi ti odia, poi ti fa le moine. Non aveva rifiutato James proprio pochi giorni prima? E ora aveva persino la faccia tosta di fargli le fusa.
Alice, dal canto suo, non riuscì proprio a reprimere un sorrisetto quando si accorse che James, con estrema noncuranza, stava accuratamente ignorando tutte quelle moine.
« A cosa pensi? »
Si riscosse, portando lo sguardo all’altra sedia di fronte alla sua, che era stata appena occupata da Roxanne Weasley, i cui intricati riccioli scuri, quel pomeriggio, parevano ancora più indomabili del solito.
« Oh, nulla d’importante » rispose, facendo spallucce. « Che c’è? » chiese poi, notando che Roxanne la stava fissando con un’espressione incuriosita.
« Oh, nulla d’importante » la liquidò, con un sorrisetto furbo. « Senti, non è che ti andrebbe di allenarti con me a Quidditch, uno di questi giorni? Avrei bisogno di provare quella tripla di cui parlava Olivia…Rosie, sai che l’invito è esteso anche a te, ovviamente. »
« E tu sai che rifiuterò, ovviamente » rispose Rose con un sorriso, « magari vengo a fare il tifo, piuttosto. Sono molto più utile con i piedi ben piantati per terra. »
Roxanne roteò gli occhi al cielo: « Continuo a non capire come tu faccia a rifiutare il gene del Quidditch che scorre nelle vene di questa famiglia. »
« Il gene del Quidditch deve avermi saltata » ribatté Rose scherzosamente, « è passato direttamente a Hugo. »
« A te è andata tutta l’intelligenza, però » disse Roxanne, « quella sì che ha saltato Hugo… »
« Ehy! » protestò Rose, dandola una leggera spinta, ma anche lei stava ridendo sotto i baffi.
Roxanne alzò le mani in segno di resa. « Scusa, scusa…allora, ‘Lice, ti va? »
« Certo » disse Alice, piacevolmente sorpresa di essere stata invitata.
Roxanne esibì un grosso sorriso, poi aggiunse: « verrà anche Lily. L’ho finalmente convinta ad allenarsi con me! Per te va bene tanto, giusto? »
« Sì, ma certo… »
« Grandioso! Magari riesco a convincere persino Dominique. »
« Non credo che le dispiacerebbe un po’ di Quidditch » osservò Alice, riflettendo sull’incredibile talento sportivo della cugina di Rose. Bella e atletica - era quasi troppo perfetta per essere vera.
« Già, nemmeno io » concordò Roxanne annuendo, « continuo a non capire come faccia ad essere sorella di Victoire. »
Rose rise, ma Alice notò un certo nervosismo nel suo sguardo. La questione “Victoire” rimaneva un mistero, per lei; tanti anni che conosceva Rose e la sua famiglia, e ancora non aveva compreso per quale motivo la maggiore delle sorelle Veela era così mal vista da gran parte dei Potter-Weasley.
Certo, il rancore di James nei suoi confronti lo capiva, e dopo aver scoperto quella terribile verità sul suo conto, persino lei aveva iniziato a trovarla sgradevole. Ma il resto della famiglia? Loro non sapevano che Victoire tradiva Ted e, stando a quanto diceva James, non la credevano nemmeno capace di un gesto simile. Ma allora, perché tanta ostilità nei suoi confronti?
Roxanne catturò la sua espressione interrogativa prima che Alice potesse nasconderla, così, dopo aver preso un lungo sospiro, le spiegò: « Vic non è esattamente…amichevole, ecco. Non lo è mai stata, o perlomeno non con noi. »
« Ma perché? » chiese allora Alice, senza riuscire a reprimere la propria curiosità.
« Perché » s’intromise Rose, serissima, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, « non le siamo mai andati molto a genio. Vedi, la sorella di zia Fleur, Gabrielle, è stata la sua tata per un sacco di tempo prima che Vic entrasse a Hogwarts. E lei è, beh… »
« Una smorfiosa » disse Roxanne.
« …Diciamo che non ha mai visto di buon occhio il fidanzamento tra sua sorella e zio Bill » chiarì Rose. « Papà ci ha raccontato che la prima cena di famiglia, dopo il loro matrimonio, è stata un completo disastro. Da allora, Gabrielle e suo marito non si sono più fatti vedere alla Tana. »
« E quando zia Fleur ha mandato Vic dalla sorella in Francia per un’estate, Gabrielle ha avuto tutto il tempo di farle il lavaggio del cervello » disse Roxanne, infervorata.
« Le ha…parlato male di voi? » mugugnò Alice, sentendosi un po’ stupida nel porre una domanda simile.
« Si può dire così, sì. L’avrà convinta che siamo tutti al di sotto della loro perfetta perfezione, non so. Fatto sta che quando Vic è tornata in Inghilterra, non era più la stessa. Io ero troppo piccola per ricordarlo bene, ma Molly ci ha raccontato che ha smesso di parlarle – e loro due erano affiatatissime! – così, improvvisamente, e ha cominciato a lamentarsi ogni volta che c’era qualche riunione di famiglia. Non voleva più passare il suo tempo con nessuno di noi, ha iniziato a trattarci come se fossimo degli estranei, come se lei fosse un gradino più in alto di tutti… » Rose si interruppe, scuotendo nervosamente la testa. Alice la fissava, sconcertata da come l’amica esternasse così tanto rancore nei confronti della cugina; non avrebbe mai immaginato che la faida che c’era tra di loro fosse così profonda. La stessa Rose, che non si sbilanciava mai, era evidentemente scossa da quanto aveva appena detto.
Anche Roxanne l’aveva notato, così si affrettò ad aggiungere qualcosa per colmare quel silenzio teso: « Insomma, Gabrielle l’ha trasformata in una bambolina francese, capito? »
« Ma allora com’è possibile che Teddy voglia sposarla? » continuò Alice, abbandonando ogni cautela. Ted Lupin, almeno stando a quanto aveva notato lei, era da sempre molto affiatato ai Potter e a tutti i Weasley.
« L’amore fa fare cose pazze » rispose Roxanne storcendo il naso, chiaramente disgustata al pensiero di una cosa del genere.
« Teddy e Victoire stanno insieme da sempre » spiegò Rose, « lui riesce a tirare fuori il meglio da Vic, in realtà. La convince a passare il Natale con noi ogni tanto, e quando sono insieme lei diventa persino sopportabile. »
« Anche se, come puoi immaginare, non è che il fatto che si sposeranno ci renda così felici » rincarò Roxanne.
Alice lo immaginava benissimo. Ricordava ancora perfettamente le facce da funerale di tutti i presenti quando Victoire, al matrimonio di Percy, aveva dato la grande notizia.
« Probabilmente vedremo Ted molto di meno » considerò Rose, ora piuttosto abbattuta.
« Non se ne parla. Non potrebbe mai tenerlo lontano dalla famiglia, soprattutto da zio Harry e da Jamie » ribatté Roxanne.
Ecco, Alice ricordava bene anche la reazione di James, e non poté evitare di pensare ancora una volta a come lui dovesse sentirsi. Dalla descrizione che Rose faceva di Victoire e Ted, Alice adesso capiva il motivo per cui James diceva che, anche se avesse svelato il tradimento, nessuno gli avrebbe creduto.
« E Dominique? E Louis? Loro non sembrano così…così… »
« Così orribili? » le venne in aiuto Roxanne, « no, non lo sono affatto. Zia Fleur deve avere imparato dai propri errori, col cavolo che li ha mandati in Francia! »
« Domi e Victoire litigano continuamente » fece Rose. « Non fanno altro che punzecchiarsi a vicenda. »
« Davvero non invidio Domi » commentò Roxanne.
« Come mai Gabrielle ce l’ha tanto con voi? » continuò Alice, confusa.
« A dire la verità, non lo sappiamo di preciso » ammise Rose. « Gli zii non ne parlano tanto facilmente. Dev’essere successo qualcosa che l’ha fatta infuriare. Ma se anche fosse, sarà stato quando noi eravamo ancora bambine, o forse nemmeno nate…dev’essere terribile serbare rancore per così tanto tempo. »
« Insomma, non avrà avuto proprio nient’altro da fare » borbottò Roxanne, diretta e forse un po’ sfacciata. « Ma comunque non è tutta colpa sua. Victoire ha una testa propria. E’ davvero stupido lasciarsi influenzare a quel modo contro la propria famiglia. »
Rose annuì a quell’affermazione, poi sospirò. « Sarà meglio che torni a Corvonero. E’ quasi ora di cena. »
Alice aveva ancora mille domande che le frullavano nella testa sulla faccenda, ma decise di lasciar perdere, almeno per quel giorno. Le domande avevano chiaramente messo Rose un po’ a disagio, anche se Alice era sicura che l’amica avesse davvero bisogno di sfogarsi un po’. Si teneva sempre tutto dentro, Rose; qualche volte Alice aveva timore che potesse esplodere sotto il peso di tutti quei pensieri che sembrava conservare.
Quando Rose se ne fu andata, Alice, Roxanne e Albus, che le aveva raggiunte poco dopo, iniziarono un’avvincente partita a scacchi magici, ignorando con allegria la loro lunga pila di compiti.
Alice continuò a pensare a Victoire. Tutti quei piani strampalati di James, ora, non le sembravano poi così sciocchi, e nemmeno egoistici. Aveva pensato che quello di lui fosse qualcosa di simile ad un capriccio; si era sbagliata di grosso. Forse non era propriamente giusto, ma non era niente di simile ad un capriccio. Non era neanche sbagliato, insomma. Era quel che era. Lui stava solo cercando di sistemare le cose a modo suo.
 
 
Il giorno seguente, comunque, avrebbe dovuto incontrare James nel bagno di Mirtilla Malcontenta. La pozione ormai era quasi pronta; mancava solo un ultimo ingrediente e qualche altro giorno di ebollizione. Avevano già discusso sul da farsi: l’avrebbero versata in due fialette che si sarebbero portati dietro durante le vacanze di Natale, una volta fuori da Hogwarts. Il resto del piano rimaneva ancora un grosso punto interrogativo, ma Alice era più che sicura che il maggiore dei Potter avesse già in mente qualcosa. Quanto a stratagemmi e trucchetti, nessuno lo batteva.
« Non so dove possiamo trovarlo, questo » stava dicendo James, irritato, scrutando con aria ostile la pergamena in cui era spiegato il necessario per la pozione. Alice se la portava sempre appresso, oramai.
« Non c’era nella dispensa di Turner? »
Un pelo di crine di unicorno, a quanto pareva, era qualcosa di estremamente raro.
« L’ultima volta che ho controllato, no. E rischiare di nuovo l’espulsione per esserne certi…è fuori discussione. » James appoggiò la schiena contro il muro, sospirando.
« Niente ingrediente, niente pozione » constatò Alice. « Dev’esserci un modo… »
« Potrei parlare con Hagrid. Lui alleva ogni genere di animali, e…ah, ma no, mi farebbe troppe domande. » Si strusciò la fronte con la mano destra. « Bisogna andare direttamente nella Foresta. Di unicorni, lì, ce ne saranno sicuramente. »
« Quindi per te andare nella Foresta Proibita non ti costerà l’espulsione? » ribatté Alice, sbuffando.
« Forse sì, ma sarebbe sempre meno pericoloso che infastidire Turner » osservò James, e Alice fu costretta ad ammettere che aveva effettivamente ragione. In qualche modo, Turner la terrorizzava molto di più della Foresta Proibita. « E poi ci andrei di notte, così nessuno se ne accorgerebbe. »
« Ma sarebbe comunque stupido » disse, decisa a fargli passare la voglia di avventurarsi in quel luogo senza un adulto. « Non possiamo andarci da soli, ci potrebbero essere dei lupi mannari, o peggio… »
 « Beh, in qualche modo…aspetta, quindi vuoi venire con me? » chiese James, guardandola di sottecchi.
Alice aggrottò la fronte. « Credevo che fosse scontato. »
James mise su un sorrisetto. « E così vuoi infrangere le regole, eh? Sicura di sentirti bene? »
Alice, in tutta risposta, gli mostrò la lingua. « Ci siamo dentro tutti e due, in questa cosa. Quindi sì, vengo con te. »
James, inaspettatamente, le rivolse un sorriso radioso. « Bene, allora è fatta. Useremo il mantello per uscire dalla scuola, poi una volta fuori sarà più facile… »
« Ehy, aspetta un secondo » lo fermò Alice, preoccupata da quello scintillio negli occhi che lui aveva ogni volta che gli veniva in testa qualcosa di assurdo. « Non ho detto che mi andava bene andare nella Foresta Proibita, tanto meno la notte. E’ pericoloso, James. Non possiamo. E poi come faremmo a passare inosservati sotto un mantello? »
« Non è un mantello come gli altri. Andiamo, ora vuoi tirarti indietro? » replicò velocemente lui.
« No, sto solo dicendo che… »
« Se non vuoi venire con me, ci andrò da solo. Questo è l’unico modo. »
Alice lo guardò con ostilità. Doveva sempre metterla alle strette, vero? Non era mai possibile stringere un accordo, con lui; doveva sempre fare di testa propria. Che idiota.
« Va bene » ringhiò, « ma ti avverto, se troviamo un lupo mannaro userò te come scudo umano. »
« Andata » concordò James, un’espressione vittoriosa in viso.










Note -
Grazie mille per le splendide recensioni, siete davvero carinissimi, e mi dispiace di non aver risposto fin'ora ma tra una cosa e all'altra ho sempre dovuto rimandare! 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto; è un po' corto, lo so, e dopo tutta questa attesa doveva essere qualcosa di un po' più concreto, ma è finito per diventare una sorta di capitolo di passaggio per il prossimo, che invece è più importante. 
Come sempre, vi linko la pagina del gruppo Facebook:

https://www.facebook.com/groups/750527668326469/
Un bacione grande, a presto!
Martina






 

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Capitolo 22
*** Do I wanna know? ***


21.
Do I wanna know?
“(Do I wanna know?) If this feeling flows both ways
(Sad to see you go) Was sorta hoping that you’d stay
(Baby we both know) That the nights were mainly made
for saying things that you can’t say tomorrow day.”
Do I Wanna Know? – Arctic Monkeys
 
 

« Passa! Avanti, passa! »
Roxanne urlava, agitando furiosamente la mazza da Battiore e piroettando su e giù nell’aria. Lily le lanciò la pluffa, poi virò verso uno degli anelli con un movimento agile e desto, giusto in tempo per intercettare di nuovo la palla e tirare a segno. 
« Sì! » guaì, alzando un pugno in aria.
Alice applaudì, fischiando. Roxanne aveva ragione: la più piccola dei Potter aveva un talento innato per il Quidditch, era evidente. Non aveva sbagliato un tiro da quando avevano iniziato a giocare – circa due ore prima.
« Sei una forza, Lils! » commentò Roxanne, difatti, estremamente divertita.
Alice volò verso di loro, ormai completamente a proprio agio sulla sua scopa. Lo aveva realizzato giusto pochi giorni prima, durante l’ultimo allenamento, che di miglioramenti ne aveva fatti davvero tanti e, per una volta, si era sentita molto orgogliosa di se stessa.
« L’ultimo punto? » propose alle due, non appena fu abbastanza vicina perché potessero sentirla. Roxanne le rivolse un gran sorriso e Lily annuì allegramente.
Si distanziarono: Alice sfrecciò verso il lato destro del campo, mentre Roxanne raggiungeva il centro e Lily si piazzava di fronte agli anelli.
Non appena Rox colpì la pluffa con la mazza, lanciandola almeno sette metri sopra di loro, Alice partì in quarta. L’azione durò all’incirca un minuto; ci fu un veloce scambio di palla tra le due ragazze, finché Alice non si sentì abbastanza sicura da tentare un tiro nell’anello centrale – che poi Lily, con una capovolta, riuscì a parare abilmente con il piede.
Roxanne ululò – era uno spettacolo impagabile quando si divertiva, pensò Alice.
Si ritrovarono tutte, ansanti e sfinite, al centro del campo, con le scope strette in mano e tre sorrisoni soddisfatti.
« Direi che…è ora di farsi una doccia » commentò Lily, asciugandosi con un lembo del mantello la fronte imperlata di sudore.
« Dobbiamo assolutamente rifarlo » propose Roxanne mentre si avviavano verso gli spogliatoi. Era incredibilmente energica per una che aveva appena concluso un allenamento così lungo.
« Già » concordò Alice, che a stento riusciva a parlare per il troppo affanno, « è…stato…divertente. » Si portò automaticamente una mano alle costole, colpita dall’improvvisa paura di poter perdere un polmone per strada.
Roxanne scoppiò a ridere e le diede un’amichevole pacca sulla spalla, un gesto che sembrava essere spiacevolmente frequente una volta che entravi in contatto con la famiglia Weasley-Potter. Lei ormai ci aveva fatto l’abitudine – se qualcuno di loro avesse invece mai osato darne una a sua madre, considerò Alice, se ne sarebbe pentito amaramente.
Si fecero la doccia velocemente, poi, riposte le scope nella rimessa, tornarono insieme al castello. Una volta entrate nell’atrio, subito le investì un invitante odorino di frittelle, probabilmente proveniente dalla Sala Grande – considerata l’ora, doveva ancora esserci qualche studente ritardatario che faceva colazione.
Alice, Roxanne e Lily si lasciarono guidare da quel profumo fino a prendere posto su una panca della tavola di Grifondoro, proprio davanti ad un enorme vassoio argentato stracolmo di pasticcini.
« A che schema avete pensato per domani? » s’informò Lily mentre addentava un bignè alla fragola.
Alice si sentì stringere lo stomaco al pensiero dell’imminente partita.
« Nessuno in particolare » fece Roxanne, parlando a voce bassa, come se qualche Serpeverde fosse lì in agguato a spiarle. « Olivia vuole dare libero sfogo alla nostra creatività, a quanto pare. Il che significa che faremo un gran disastro. »
« Dici sul serio? Niente schema? »
« Schema libero » chiarì Alice con una smorfia.
« Olivia dev’essere impazzita » commentò Lily.
« Fred e James le hanno messo in testa quest’idea » ribatté Rox, « il che, se ci pensi bene, è assurdo. Olivia ha sempre fatto tutto il contrario di quello che le suggerivano Freddie e James… »
« Probabilmente l’ansia per i MAGO le sta dando alla testa. »
Alice annuì, completamente d’accordo. La verità era che se la faceva sotto solamente al pensiero della giornata di domani, e una parte di lei, quella poco incline ad ascoltare la propria coscienza, stava già escogitando qualche modo per infortunarsi prima dell’incontro.
Il fatto, poi, che la partita fosse contro Serpeverde, non migliorava di certo il suo umore. Inizialmente, Grifondoro avrebbe dovuto sfidare Tassorosso – una partita che si prospettava avvincente, ma alla quale Alice si era preparata psicologicamente fin da quando aveva saputo del campionato.
Poi, quando il capitano di Tassorosso si era preso una polmonite la settimana prima (come diavolo si facesse ad ammalarsi di polmonite ad Hogwarts, Alice non se lo riusciva a spiegare), la data della partita era stata immediatamente messa in discussione. Alla fine, i Tassorosso avevano in qualche modo convinto la Spinnet che la squadra non avrebbe potuto giocare senza il proprio capitano, e così erano stati graziati.
I Grifondoro, invece, avrebbero giocato lo stesso, ed ovviamente, nell’estrazione per determinare i loro nuovi avversari, furono sorteggiati i Serpeverde.
Alice portò inconsapevolmente lo sguardo verso la tavolata verde e argento, solo per incontrare un altro paio di occhi (decisamente non amichevoli) fissarla di rimando. E fu allora che ricordò che il battitore di Sperpeverde sarebbe stato nient’altri che Flitt, il fastidioso bullo che, caso vogliasi, era stato vittima dell’unico tentativo di Alice di attaccare qualcuno con la magia e, cosa ancora più eclatante, per questo adesso la detestava.
E adesso la guardava con così aperta ostilità che lei dovette deglutire a forza, voltando la testa di scatto.
Accidenti.
Il mugolio eccitato di Lily riportò la sua attenzione alle due amiche. Stavano entrambe guardando verso l’alto, così Alice le imitò, accorgendosi dell’ondata di gufi che si stava riversando nella Sala Grande dalle ampie finestre.
Un barbagianni fece cadere un grosso pacco sopra Roxanne, che lo afferrò al volo prima che potesse colpirla in testa. Lily e Alice ricevettero entrambe una pergamena.
« Questi gufi diventano più maleducati ogni giorno che passa » borbottò Rox, mentre Lily si affrettava a leggere la sua lettera.
Prima che Alice potesse srotolare la propria, un areoplanino di carta planò dritto sulla sua testa, impigliandosi tra i suoi capelli. Lo sfilò, confusa, guardandosi intorno per capire da dove potesse essere arrivato. La risposta non tardò a farsi avanti: notò quasi immediatamente James sbracciarsi in modo decisamente poco discreto nella sua direzione.
Dopo avergli rivolto un’occhiata che sottintendeva chiaramente finiscila-subito-o-finirai-per-attirare-l’attenzione-di-chiunque-nel-raggio-di-un-chilometro, Alice si assicurò che Roxanne e Lily non avessero notato niente – grazie al cielo erano tutte e due troppo impegnate con la loro posta – e poi, un po’ tentennante, lo aprì.
 
Entrata della sala comune. Stasera, appena scattato il coprifuoco.
Porta la lista degli ingredienti e fai in modo di non farti seguire da nessuno.
Penserò io al resto.
  • J
 
Cercando di ignorare il tono del messaggio, che sembrava un po’ troppo in stile sergente Potter per i suoi gusti, Alice sospirò e scarabocchiò velocemente un ‘okay’ sotto la firma. Accertandosi di nuovo che fosse passata inosservata, nascose il bigliettino sotto il tavolo e, con un colpo di bacchetta, lo fece volare verso le gambe di James.
Era ancora assolutamente convinta che l’idea di andare nella Foresta Proibita fosse a dir poco pessima, ma ormai aveva accettato e, inoltre, lui non sembrava per nulla incline a darle ascolto. La testardaggine dei Potter era terribile.
James fece una smorfia quando il foglietto lo colpì. Alice ridacchiò, poi tornò alla sua lettera come se niente fosse.
 
Cara Alice,
Qui tutto a posto, sì. So che dev’essere dura con i compiti (ricordo fin troppo bene il mio quinto anno), ma vedrai che ce la farai a reggere il passo. Sei una ragazza in gamba, lo sai.
So che vorresti passare le feste con Rose, ma io e tua madre ne abbiamo parlato e ci manchi tanto, Alice, quindi ci piacerebbe se rimanessi un po’ anche con noi. Magari ci vai per Capodanno, alla Tana? Tanto so che tutti i Weasley sono sempre da Molly durante le vacanze. Oppure, se ti va, posso chiedere a Hermione se stiamo tutti insieme il giorno di Natale. Possiamo rimandare il viaggio in Scozia per l’anno prossimo, in fondo. Vedremo.
Il 23, comunque, tua madre vorrebbe portarti all’incontro delle Tè delle Streghe. Mi ha chiesto di ricordartelo. So che non è proprio la tua idea di divertimento, ma lei ci tiene davvero molto e vorrebbe che tu lo sapessi.
A presto,
ti vogliamo bene,
mamma e papà.
 
« Merlino, ti pareva » esalò Alice, richiudendo in fretta la lettera e facendo del proprio meglio per non sbuffare.
Si era completamente dimenticata del Tè delle Streghe, un orribile incontro a cui sua madre la obbligava ogni anno, sotto Natale, a partecipare. In una sala da tè nascosta nelle vie più compromettenti di Diagon Alley, un gruppo di aspiranti altolocate, armate di sorrisetti falsi e pregiudizi, si riunivano il ventitré di ogni mese, da settembre a giugno, per discutere di cose di cui ad Alice non importava nulla.
Sua madre ne faceva parte da anni, ormai; d’altronde, i capelli laccati fino ad essere unti, le facce tirate e i discorsi superficiali calzavano a pennello con la sua personalità. Alice si sentì in colpa a pensarlo – tuttavia, il rimorso scemò in fretta davanti alla prospettiva di un’altra serata in compagnia di quelle donne orribili. Erano così fastidiose che, ogni qual volta aprivano bocca, Alice doveva seriamente sforzarsi per non alzare gli occhi al cielo, e di tanto in tanto soffocare i propri lamenti con i biscotti glassati, l’unica nota positiva di quegli incontri.
 « Che succede? » indagò Roxanne, fin’ora tutta intenta ad ammirare la cassetta di dolci che suo padre le aveva spedito.
« Oh, nulla, mia madre e le sue solite manie » la liquidò in fretta Alice, che non aveva nessuna voglia di aprire l’argomento. « Andiamo nella Sala Comune? Devo finire i compiti di Aritmanzia » aggiunse, decisa a focalizzare la propria attenzione su altre faccende che non fossero Hannah Paciock e il suo discutibile rapporto con lei.
Roxanne annuì, mentre Lily disse loro che sarebbe rimasta ad aspettare Hugo. A quanto pareva, lui di sabato non scendeva mai a colazione prima delle undici.
Le due si avviarono verso il corridoio, ma prima di lasciare la Sala Grande, Alice non poté proprio trattenersi dal gettare un’altra occhiata verso il tavolo di Serpeverde.
Flitt era ancora là, impegnato in una fitta conversazione con un altro ragazzo. Dopo qualche secondo, scoppiò a ridere. Era una risata orribile, pensò Alice, una risata cattiva.
All’improvviso molto più nervosa, superò a grandi falcate la porta della Sala Grande e passò il resto della giornata tentando invano di non pensare ulteriormente alla partita.
 
 ***
 
Alle nove e un minuto esatte, varcò il ritratto della Signora Grassa e si sistemò dietro una colonna, pregando ogni divinità che conosceva, greca o romana che fosse, di non essere acciuffata dai prefetti, che ispezionavano i corridoi per la ronda notturna.
Grifondoro non aveva certamente bisogno di altri punti in meno, così come lei non voleva un’altra punizione. E a James doveva per forza mancare qualche rotella, Alice ne era certa.
Restò immobile per circa dieci minuti prima di iniziare a spazientirsi. Avrebbero dovuto vedersi lì, per Godric, e va bene che lui era un tipo ritardatario, ma avrebbe potuto assicurarsi di arrivare puntuale almeno quando le faceva rischiare la vita. O l’espulsione.
Controllò di nuovo che la lista degli ingredienti fosse al sicuro nella tasca del mantello; poi, con estrema cautela, si affacciò con la testa verso il corridoio, completamente vuoto.
Si lasciò sfuggire un lamento, frustrata, per poi coprirsi immediatamente la bocca con le mani – ma dove aveva il cervello? Era già abbastanza probabile che venisse scoperta senza che facesse tutto quel rumore.
Uscì fuori dal proprio nascondiglio, sgattaiolando in silenzio verso l’entrata della Torre. Rimanere lì fuori dopo il coprifuoco era troppo pericoloso, e visto che James non si decideva a farsi vivo, tanto valeva che lei tornasse…
Udì un rumore alle proprie spalle. Si immobilizzò.
Merlino, fa che non sia un prefetto. Fa che non sia un prefetto. Fa che non sia –
« Psss. »
Alice per poco non lanciò un urlo. Quando si voltò, James la stava fissando con aria divertita.
Merlino, ovunque tu sia, grazie.
« Pensavo fossi un prefetto » ammise, sollevata, concedendosi finalmente di tornare a respirare.
James fece per dire qualcosa, poi i bloccò e le rivolse un’occhiata ostile. « Te la stavi svignando? »
« Che? » Alice lo fissò. « No! » esclamò infervorata, aggiungendo mentalmente un razza di idiota, per buona misura. « Tu non arrivavi, quindi io…a proposito, dove ti eri cacciato? » tuonò, senza curarsi di mascherare la propria irritazione.
« Scusa, ma dovevo prendere questo » si difese allora lui, indicando un mantello ornato da ricami orribili che teneva stretto tra le mani.
Alice storse il naso. « Davvero? Un mantello? » Lo fissò, sinceramente perplessa. « Quindi eri serio quando hai detto che la chiave del tuo piano era un mantello. »
« Smettila di guardarlo come se ti avesse insultata » borbottò James, accarezzandolo con estrema riverenza. « Non ascoltarla, è solo invidiosa. »
Alice impiegò dieci secondi per digerire il fatto che lui avesse appena parlato con il mantello. Era sempre più sconvolta; se prima sospettava che James avesse qualcosa di difettoso nel cervello, adesso ne era completamente certa.
« Vuoi che vi lasci soli? »
« Eh? »
« Vuoi che vi lasci soli? » ripeté Alice, cominciando a ridacchiare. « Perché inizio a sentirmi un po’ di troppo, sai... »
James sbuffò, ma non smise di stringere l’oggetto come se fosse la cosa più preziosa al mondo. E infatti disse: « Questo, Scricciolo, è la cosa più preziosa al mondo. »
All’occhiata scettica che lei gli lanciò, decise di darle qualche spiegazione. « Era di mio padre, e…be’, guarda tu stessa. »
Con un’espressione trionfante, si sistemò il mantello sulle spalle, chiudendolo attorno al collo. E in quell’esatto momento, il suo intero corpo sparì: non ve n’era più neanche l’ombra, neanche una traccia, niente di niente. Solo la sua testa si vedeva, ancora scoperta dal mantello, e sembrava galleggiare leggera nell’aria davanti ad Alice. Era uno spettacolo a dir poco inquietante.
« Cosa…come…perché? » sussurrò lei, così piano che a malapena riuscì ad udire la sua stessa voce.
James sghignazzò tutto compiaciuto, una cosa che normalmente l’avrebbe fatta infuriare – se non fosse stato per il fatto che, ora come ora, era troppo impegnata a fissare il vuoto nell’esatto punto in cui, solo un momento prima, c’era stato il suo corpo.
Alice non riusciva a crederci. « Un mantello…dell’invisibilità. »
 « Il più antico » affermò James orgogliosamente, « e il più potente. E’ uno dei tre Doni della Morte, non so se mi spiego… »
« Va bene, va bene » lo interruppe Alice, decisa a fermare l’imminente valanga di vanterie. « Ho capito. E’ un buon piano, in fondo. »
James sorrise come un bambino la mattina di Natale. La tirò verso di lui – Alice mise su una smorfia – e lasciò che il mantello li avvolgesse tutti e due, piegando le ginocchia per abbassarsi all’altezza di lei, in modo che entrambi i loro piedi fossero ben coperti. « Andiamo, allora. »
Procedettero cautamente giù per le scale, che per fortuna trovarono vuote. Una volta giunti nel corridoio parallelo all’atrio, s’intrufolarono dietro una delle grosse colonne di pietra – sempre il più silenziosamente possibile.
« Controllo che la via sia libera » bisbigliò Alice, calcolando che, dalla posizione in cui si trovava, sarebbe riuscita facilmente a sbirciare verso l’ingresso.
« Aspetta. » James frugò nelle proprie tasche, per poi tirare fuori una vecchia pergamena. « E’ più sicuro usare questa. »
Alice fece per aprir bocca, ma poi si bloccò; dopo la storia del mantello, era piuttosto sicura che nemmeno quella fosse una pergamena come le altre. Invece, non era così sicura di voler sapere esattamente di cosa si trattasse…
James le diede due colpetti con la bacchetta, poi, così piano che Alice riuscì a sentirlo a malapena, sussurrò: « Giuro solennemente di non avere buone intenzioni. »
Oh, fantastico. Confortante.
E poi, pian piano, la pergamena che dapprima le era sembrata vuota iniziò a disegnarsi, lunghe linee d’inchiostro che si tracciavano da sole sulla carta, rivelando un disegno che, più si ingrandiva, più somigliava ad una piantina. Alice fissò quello spettacolo a bocca aperta; e il suo stupore non poté che aumentare quando si accorse che quella era effettivamente una piantina, e nemmeno una qualunque.
« Ma è…? »
« Hogwarts. Già. » James disse.
Alice tacque, ammirando come dei minuscoli puntini si muovevano da tutte le parti sulla cartina. Ognuno di loro era contrassegnato da un nome: Alastair Turner, Alicia Spinnet, Marie Rose Green, Minerva McGranitt…
« Ecco » James puntò il dito su uno di quei puntini, sormontato da un “Amadeus Pierce” scritto in bel corsivo. In quel momento, stava percorrendo il corridoio opposto rispetto a dove si trovavano loro. Alice riusciva quasi a sentire i suoi passi risuonare minacciosi per le aule buie e vuote del piano terra. « Sta arrivando Pierce. Dobbiamo solo aspettare che ci sorpassi… »
E così fecero. Con il cuore che le batteva in gola, Alice si appiattì il più possibile contro la colonna, trattenendo il respiro quando la figura del vecchio custode sbucò da uno degli sbocchi del corridoio. Sentiva il fiato di James sul proprio collo, anche lui immobile come una statua.
Pierce aveva li occhi stretti e un orribile ghigno sul volto. Teneva in mano una lampada a olio, che disegnava ombre raccapriccianti sulle pareti dell’atrio. Procedette tutto ingobbito nella loro direzione; una volta giunto di fronte la colonna dietro la quale si nascondevano, si fermò. Poi, contro ogni logica o aspettativa, girò la testa verso di loro, con uno sguardo così carico di astio da far venire la pelle d’oca.
Li sentiva. In qualche modo, quel vecchio pazzo li sentiva, sapeva che erano lì.
Pierce fece un passo in avanti e Alice sentì James irrigidirsi, mentre lei tremava già come una foglia, cercando in tutti i modi di farsi indietro – ma scoprì ben presto che era impossibile, perché già si trovava appiccicata a James e dietro di loro c’era solo il muro. La mano raggrinzita di Pierce si allungò verso di loro, fendendo l’aria, aprendosi e chiudendosi in cerca di qualcosa…
La mente di Alice agì in fretta. Afferrò senza pensarci uno dei fermagli che aveva tra i capelli, alzò un lembo del mantello quel poco che bastava per farvelo passare sotto; spingendolo con un calcio, il fermaglio scivolò lungo il pavimento fino a colpire un’armatura alla loro destra, tintinnando. Il rumore bastò a far distrarre Pierce quel tanto che bastava perché loro potessero sgusciare via di lì, il più silenziosamente possibile, con il cuore ancora a mille.
Superarono senza difficoltà il resto del tragitto che li separava dall’uscita. Una volta fuori, James si lasciò andare ad una rumorosa risata.
« Shhh! » gli intimò Alice, sconvolta, « Vuoi farci scoprire? »
« Niente…di così…divertente » stava dicendo James tra una risata e l’altra, tenendo le mani sulle costole, « …da…mesi... »
Divertente? Alice non riusciva a credere alle proprie orecchie, ma cercò di non badarci troppo, mentre lo trascinava (letteralmente) lungo il sentiero che portava alla foresta.
« Dobbiamo rifarlo, qualche volta » se ne uscì poi lui, con gli occhi lucidi dalle troppe risate.
Alice sbuffò, ma dovette nascondere un sorriso. « Tu sei matto », disse.
James le ammiccò. Decisero di intrufolarsi tra gli alberi dietro la casa di Hagrid, dove l’uomo, anche se fosse stato sveglio, non avrebbe potuto vederli. Si addentrarono tra gli alberi, invisibili, come dei fantasmi.
E in effetti, quello era decisamente un posto in cui ci si aspetterebbe di trovare dei fantasmi (o peggio). Non solo i rami degli alberi erano così intricati da non lasciar passare nemmeno un filo di luce lunare, ma nell’aria aleggiava un’inquietante nebbiolina bianca e ogni tanto si sentiva un ululato.
Si tolsero il mantello, consapevoli che da lì in poi nessuno avrebbe potuto vederli. Alice mormorò un Lumos, lasciando che la bacchetta le facesse strada e setacciando l’oscurità alla ricerca di un qualche movimento sospetto.
« Non credo che servirà trovare un unicorno » disse a voce bassa. Non perché qualcuno potesse udirla, quanto perché alzare il tono in quel posto da brividi la faceva sentire in qualche modo scoperta, e proprio non le andava. « La Green dice che di solito, in questo periodo dell’anno, molti perdono del pelo dalla criniera quando diventano adulti. Se siamo fortunati ne troveremo qualcuno nell’erba, o vicino ai tronchi degli alberi… »
James annuì e procedette in silenzio. Per un po’, gli unici rumori furono lo scalpiccio delle foglie che pestavano, e i battiti del cuore agitato di Alice.
« Grazie » disse lui dopo un po’.
Alice si voltò, ma non la stava guardando. Teneva gli occhi dritti davanti a lui.
« Per cosa? »
« Per questo » rispose James, un po’ a disagio – non lo aveva mai visto a disagio, e per qualche motivo le sembrò adorabile, così le venne spontaneo sorridergli.  Non avrebbe saputo dire con certezza se lui si riferisse solamente e quella sera in particolare o a…be’, tutto quanto.
« Non è che avessi poi molta scelta, no? » borbottò scherzosamente.
James sbuffò, e Alice avrebbe scommesso cento galeoni che stava alzando gli occhi al cielo, con quella sua solita espressione menefreghista.
« Ehy » lo richiamò, sospirando, « non c’è di che. »
James ricambiò il sorriso, per poi sbruffare in modo teatrale. « Direi che per stasera ne ho abbastanza delle sdolcinatezze. »
Alice avrebbe voluto fargli notare che aveva cominciato lui, ma lasciò perdere; e invece, incapace di frenare la propria curiosità, gli chiese: « Allora, cos’è quella mappa? Dove l’hai trovata? Come funziona? »
« Va bene, calma. » James le lanciò un’occhiata profondamente divertita. « Anche la mappa era di mio padre. E di mio zio prima di lui. E’ stata disegnata da mio nonno, a dire il vero. »
« Però » commentò Alice, impressionata, « non vi fate mancare nulla, eh? »
« L’hanno creata lui e i suoi migliori amici » continuò James ignorandola, « erano…degli scavezzacollo, ma erano anche geniali. Si facevano chiamare i Malandrini » aggiunse, con l’ombra di un sorriso in volto e lo sguardo perso in chissà quali pensieri. Dal tono con cui parlava, Alice intuì che dovesse ammirarli tanto.
« Che nome strano » disse, guadagnandosi un’occhiataccia.
« Erano grandiosi » affermò lui, tutto orgoglioso, « hanno progettato alcuni degli scherzi più assurdi mai visti ad Hogwarts. Oltre che i miei zii, Fred e George, naturalmente. E mio nonno, James, lui era il miglior Cacciatore nella storia della scuola da almeno cinquant’anni. »
« Lo stimi molto » notò Alice.
James annuì. « Mi piacerebbe essere come lui, quando uscirò da qui. »
« Cioè? »
« Sai, un buon mago. Coraggioso. Impegnato con la ragazza più bella della scuola. Cose così » disse con un sorriso.
« Oh » esalò Alice, guardandolo con gli occhi sbarrati. « E io che pensavo volessi passare il resto della vita ad essere vanitoso e fastidioso. »
« Ah ah » commentò James, dandole una spallata. Piano, per fortuna, o l’avrebbe probabilmente fatta schiantare a terra, data la sua stazza. « Davvero divertente. » Improvvisamente si bloccò, indicando un punto per terra a pochi centimetri da loro: « Guarda là. Quella non ti sembra robaccia di unicorno? »
Alice fece qualche passo avanti, chinandosi e afferrando ciò a cui si lui si riferiva tra le mani. « No » replicò, delusa, « solo erbacce secche. Ma, seriamente, tu cosa pensi di fare una volta fuori Hogwarts? » gli chiese, pensierosa, tornando a camminare al suo fianco.
Lei non ne aveva la minima idea. Anzi, pensarci le faceva venire il voltastomaco. La verità era che la scuola poteva essere anche faticosa e impegnativa, e magari qualche volta anche imbarazzante, ma perlomeno era sicura. Era qualcosa di famigliare e confortevole, al contrario del mondo là fuori che, ora più che mai, le sembrava un’infinita pozza scura, piena di paure e incertezze.
James ci rifletté per un secondo. « Probabilmente vorrei giocare a Quidditch. »
Alice pensò per un attimo a come sarebbe stato, per lei, fare la Cacciatrice per il resto della sua vita. No, assolutamente no, decise. Non era quello il suo posto.
« Perché? » gli chiese, avida di sapere come si facesse a capire qual era la propria strada. James sembrava già conoscere la sua.
« Semplice » rispose lui, « sono nato per questo sport. E’ il motivo per cui sopporto Olivia, gli allenamenti, le ossa rotte ad ogni partita e tutto il resto. » Si voltò verso di lei, ridacchiando. « Mi sono anche fatto un tatuaggio, per il Quidditch. »
Alice spalancò la bocca. Che?
James rise della sua espressione. « Non volevo sconvolgerti così, mi dispiace. »
« Quando? E perché? » chiese di nuovo Alice; per qualche motivo, le veniva da ridere.
« La scorsa estate. Mi…ricorda perché gioco, e perché sono un Cercatore. »
« Tutta l’attenzione è su di te quando afferri il boccino? » optò Alice scherzosamente.
« No, per niente » ribatté James con tutta tranquillità.
Alice lo scrutò curiosamente. Non sapeva quasi nulla di lui, rifletté. O meglio, lo conosceva da anni, ma non lo aveva mai conosciuto per davvero, non seriamente. Per qualche strana ragione, parlare con lui nel bel mezzo della notte, nel luogo più pericoloso dell’intera scuola, le sembrava giusto e piacevole. Un secondo dopo averlo formulato, la colpì la stranezza di un pensiero del genere.
« E allora perché? » domandò ancora una volta.
« Perché lo faceva mio padre, immagino…ma soprattutto perché amo giocare. Mi piace da morire, e voglio continuare » rispose James semplicemente.
Un sorriso spontaneo affiorò sul volto di Alice a quelle parole. « I Potter e il Quidditch, la combinazione perfetta. »
« Puoi dirlo forte » rincarò James, « Al sarà pure la solita pecora nera, ma Lily è una bomba come Portiere. »
« E’ davvero brava » concordò Alice, ancora sconvolta dalla quantità di tiri che la piccola Potter le aveva parato quella mattina. « Roxanne vorrebbe convincerla ad entrare in squadra. »
« Già, sono anni che ci prova » sospirò James. « Sarebbe meglio lei che Malfoy, questo è sicuro. »
« Scorpius non è così male » ribatté Alice prontamente.
James una smorfia che le fece chiaramente capire come la pensasse.
« Solo perché non ti sta simpatico non significa che non tu non possa ammettere che è bravo » osservò.
« Non è questo il punto » ribatté lui, aggrottando le sopracciglia.
Alice roteò gli occhi al cielo. « Perché tu e Al siete così…così ostili verso di lui? »
« Perché è Scorpius Malfoy » ribadì James, guardandola come se fosse impazzita.
« Dovrebbe essere una buona ragione? »
« E’ un idiota. »
« Neanche lo conosci! »
James la fulminò. « Perché ti importa coì tanto? Non sei la sua ragazza! »
« E questo cosa c’entra? » sbottò Alice incredula. Ormai stavano praticamente urlando, e anche se una parte del suo cervello rimaneva vigile e prudente, intimandole di abbassare la voce visto che erano nel bel mezzo della Foresta Proibita, l’altra era troppo impegnata ad inveire per curarsi di piccoli, insignificanti particolari come il non dare nell’occhio o il sopravvivere.
Lui era rosso in viso. « Lascia perdere » disse con rabbia, voltandole le spalle.
« No, Merlino, non - non fare così. » Alice si arrestò bruscamente e incrociò le braccia al petto. « Io non ti capisco. »
« Okay. »
« Sembra che tu sia…che tu sia… » Geloso? Alice scosse la testa: non avrebbe avuto senso.
« Ho detto lascia perdere » ringhiò James.
« Non darmi ordini » borbottò Alice.
« Godric, sei impossibile! »
« Perché tu dici cose senza senso! »
« Sta’ zitta. »
Alice lo fissò. « Come? Non credere che solo perché sei più grande di me allora puoi… »
« Accidenti, Alice, sta’ zitta un secondo! » James le coprì la bocca con la mano. Lei si ammutolì, perplessa. Lui guardava con insistenza un punto da qualche parte al di là di lei, con aria concentrata. « Lo senti? » bisbigliò, lasciandola andare.
Alice aguzzò le orecchie. Ora che c’era silenzio, sì, lo sentiva: uno strano rumore, come una specie di fruscio, che proveniva da uno dei fitti cespugli che li circondavano. Per un attimo calò di nuovo il silenzio più assoluto; poi il fruscio si ripeté una seconda volta, e Alice quasi balzò sui propri piedi.
Scambiatosi un’occhiata, lei e James sguainarono le bacchette. Avanzarono cautamente verso la fonte del suono. Alice non osava nemmeno respirare troppo forte.
Si sentiva le gambe molleggiare e lo stomaco stretto in una morsa. James la precedette di qualche passo, allungando una mano tentennante per scostare i rami dell’ enorme arbusto, mentre Alice alzò un po’ di più la bacchetta, terrificata, pronta a lanciare uno schiantesimo.  
Ebbe giusto il tempo di chiedersi se per caso non stessero davvero per essere attaccati da un lupo mannaro, quando James fece finalmente da parte tutti rami, rivelando la scena più raccapricciante che Alice avesse mai visto.
Sdraiato a terra c’era un uomo, con gli abiti stracciati, il volto bianco come quello di un fantasma e le braccia piegate in un’angolazione estrema, sbagliata, decisamente non normale.
Ma la cosa che, più di tutto, colpì Alice, furono gli occhi: spalancati, vitrei, spogli di qualsiasi segno di vita.
Una parte di lei fu abbastanza lucida da riconoscere il suo viso.
Prima ancora che il pensiero potesse razionalizzarsi nella sua mente, Alice urlò, urlò con tutta l’aria che aveva nei polmoni, squarciando la quiete della notte. 

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Capitolo 23
*** The masterplan ***


22.
The masterplan
“Say it loud and sing it proud
Today...
I'm not saying right is wrong
It's up to us to make
The best of all the things that come our way.”
The Masterplan – Oasis
 
 
Respirare nel modo corretto poteva diventare faticoso in determinate circostanze.
Alice ricordava di una volta in cui, da bambina, si era arrampicata sopra uno degli alberi da frutto che circondavano la casa di Rose. All’epoca era ghiotta di ciliegie, e quelle che crescevano sopra quei rami erano già mature, rosse come il sangue ed estremamente invitanti. Alice era riuscita a riempire il suo cestello senza grossi problemi, ma al momento di scendere dal grosso ramo al quale era si era aggrappata, aveva inevitabilmente perso l’equilibrio, cadendo in un baleno verso terra. Ricordava di essersi sbucciata sia i gomiti che le ginocchia e, ancora, ricordava di come il respiro le fosse di colpo mancato non appena aveva toccato terra, come se una mano invisibile l’avesse tenuta stretta per il collo, impedendole qualsiasi tentativo di prendere aria nei polmoni.
Ed era proprio così che si sentiva anche ora; come se qualcuno le impedisse di respirare. Come se stesse soffocando.
« Alice. Alice, cara, cerca di concentrarti. »
Si riscosse non appena si sentì scuotere gentilmente per le spalle.
La Spinnet la stava guardando, tutti i lineamenti del suo viso distorti dalla preoccupazione. C’era una terribile nota di urgenza nella sua voce. « Non c’è assolutamente nient’altro che ricordi? »
Alice scosse la testa.
« E’ tutto qui. E’ così che è andata » intervenne James, ancora seduto accanto a lei. Nella piccola stanza circolare che faceva da studio alla loro professoressa, la luce era fioca e garantita solamente da alcune candele fluttuanti; eppure, Alice riusciva a vedere chiaramente l’espressione sul volto del ragazzo: confusa e spaventata. Doveva essere uno specchio della sua.
Alicia Spinnet gli rivolse lo stesso sguardo allarmato che aveva rivolto a lei. Fece di nuovo per aprire bocca, ma venne interrotta dallo sbattere della grande porta di legno alle loro spalle.
La McGranitt fece il suo ingresso rapidamente, placida, parandosi davanti a loro con quella sua posa statuaria, che avrebbe terrorizzato anche il più spavaldo degli studenti. 
Al suo seguito, Madama Chips e il professor Turner si affrettarono a varcare la soglia, per poi tirarsi dietro la porta, che si chiuse con un gran botto.
« Ha ricevuto il messaggio, Preside? » domandò la Spinnet, che in confronto alla McGranitt sembrava estremamente piccola.
Quest’ultima annuì gravemente, poi abbassò gli occhi su lei e James. Alice degluì. Sapeva cosa sarebbe successo ora: avrebbero dovuto rifilare il loro racconto una volta ancora, per filo e per segno, proprio come avevano fatto con la Spinnet. Alice, che tutto voleva fuorché rivivere nuovamente quella scena orrenda a cui aveva assistito, cominciò a sfregare l’una contro l’altra le mani sudate.
Ma la McGranitt, mantenendo sempre quell’espressione gravosa, non chiese mai loro il resoconto dei fatti, o cosa ci facessero nella foresta nel bel mezzo della notte o, peggio ancora, di descrivere per l’ennesima volta come avessero trovato il cadavere. Disse, invece, qualcosa per la quale Alice le fu estremamente grata: « Madama, per favore, assicurati che questi ragazzi stiano bene. Accompagnali in Infermeria, suppongo che possano rimanere entrambi lì per questa notte. »
Il resto dei presenti sembrò sorpreso quanto Alice. « Ma, Minerva… » cominciò Turner, chiaramente esterrefatto.
« Teolonhius » lo interruppe la McGranitt con voce ferma, « fai un giro dei corridoi, se non ti dispiace. Tutti gli studenti dovrebbero essere nei loro letti, ma è meglio controllare che nessuno sia stato svegliato. Sono certa » aggiunse, puntando gli occhi attenti sulla Spinnet, « che la professoressa Spinnet saprà darmi tutte le informazioni di cui ho bisogno. Poppy, come ti ho detto, per piacere. »
 Madama Chips impiegò dieci secondi buoni a realizzare che la McGrannit stesse effettivamente parlando con lei, intenta com’era a fissare i due studenti con evidente sconcerto.
« Oh! Sì, sì, naturalmente, Preside… » allungò un braccio attorno alle spalle di Alice, esortandola ad alzarsi.
Lei le gambe non se le sentiva più, ma si sforzò comunque di darsi una spinta verso l’alto, e in men che non si dica lei, James e Madama Chips erano fuori dalla stanza. Prima che la porta si richiudesse alle loro spalle, Alice sentì la professoressa Spinnet iniziare a riportare ciò che lei e James le avevano appena raccontato.
I tre varcarono i corridoi in silenzio; Alice sbirciava, di tanto in tanto, il viso di James, che ricambiava le sue occhiate confuse. Quando raggiunsero l’Infermeria, Madama Chips arrangiò frettolosamente due letti per loro, intimandogli di fare silenzio perché non svegliassero gli altri studenti malati.
« Coraggio, su, e fate piano » sussurrava, mentre tirava le tende intorno ai due letti, vicini, e aiutava Alice ad infilarsi il suo pigiama.
« Grazie » riuscì a bisbigliare lei, per poi lasciarsi cadere sopra il materasso.
Madama Chips si allontanò un secondo, poi tornò in men che non si dica con un cucchiaio e una boccetta colma di un liquido verdastro che non prometteva nulla di buono.
« Che cos’è? »
« Vi aiuterà a dormire. »
Alice lo ingoiò senza esitare, nonostante il sapore fosse amaro e sgradevole.
Madama Chips fece bere lo stesso intruglio anche a James, che Alice non poteva vedere dietro la tenda che separava i loro letti, poi, una volta aver dato loro la buonanotte, se ne uscì sbrigativa, probabilmente impaziente di raggiungere la McGranitt.
Alice si strinse nelle sue coperte, fissando il soffitto in silenzio. Non desiderava altro che chiudere gli occhi e cadere in un sonno profondo; e chissà, magari si sarebbe svegliata constatando che tutto questo era stato solo un brutto sogno. Pensò a suo padre, e si chiese se qualche genitore sarebbe mai stato avvertito che delle perone venivano uccise nella loro scuola. Poi realizzò che le persone continuavano a venire brutalmente uccise da mesi, oramai; fin da quando suo padre era stato aggredito, o quando quel dipendente del ministero era morto sul posto di lavoro, lasciando per sempre moglie e figli. Era un pensiero che si fece lentamente largo tra gli innumerevoli altri che tempestavano la testa di Alice, come una strana consapevolezza, qualcosa di cui era già al corrente pur senza rendersene conto. Doveva essere tutto collegato, capì: una sequenza così lunga di coincidenze era improbabile persino in un mondo dove esisteva la magia.
Ciò che era successo quella sera era solamente l’ultimo di una lunga lista di avvenimenti sospetti, che iniziava a settembre e Merlino solo sapeva quando e con chi sarebbe finita.
All’improvviso, una grosso magone la assalì al pensiero dei suoi genitori, e per l’ennesima volta si domandò se suo padre fosse al sicuro, se stesse bene, se nessuno stesse tentando di fargli del male nella notte.
Guardò le ombre inseguirsi sui muri di pietra dell’Infermeria, e sentì di nuovo la morsa delle paura stringerle lo stomaco.
« Sei sveglia? » era poco più che un sussurro, la voce di James, ma Alice la udì lo stesso.
« Sì. »
« Stai bene? »
Alice esitò. « Non proprio. Tu? »
James sospirò e ignorò la domanda. « Vuoi…vuoi dormire qui? » disse poi, stavolta così piano che lei dovette sforzarsi seriamente per riuscire a capirlo.
Voltò la testa verso la tenda, interdetta, cercando invano di intravedere il profilo del viso del ragazzo.
« Insomma, solo…non è che sia…solo perché…lascia perdere » aggiunse James balbettando, probabilmente allarmato dal silenzio di Alice.
Ma lei non intendeva affatto lasciar perdere; il suo letto era troppo freddo, la stanza troppo buia e quelle ombre sui muri le davano il tormento. « Io…va bene. »
« Va bene? »
Alice si alzò con cautela, facendo poi del suo meglio per non fare troppo rumore mentre apriva la tenda cigolante; James era seduto sul suo letto a cavalcioni, e mascherava a fatica un’aria sconcertata, quasi fosse sconvolto del fatto che lei avesse davvero accettato.
Alice indugiò per un attimo lì in piedi, spostando il peso da una gamba all’altra senza sapere bene cosa fare. Poi James tirò le gambe sul materasso e si scostò un poco, per permetterle di sdraiarsi lì di fianco.
Gli si mise accanto prima che potesse pensare con lucidità a ciò che stava succedendo, raggomitolandosi sotto le coperte. In qualsiasi altra circostanza si sarebbe vergognata da morire, ma in quel momento non c’era spazio per battutine o rossore di guance; il calore che James emanava era fin troppo confortante, e per la prima volta in tutta la serata, si sentì un po’ più al sicuro.
Pensò che forse lui doveva sentirsi allo stesso modo, così, dopo un attimo di incertezza, frugò sotto le coperte fino a trovare la sua mano, che prese timidamente nella propria. James non la guardò, ma non la spinse via e, al contrario, ricambiò la stretta.
Buonanotte”, pensò Alice, ma non pronunciò mai le parole ad alta voce. E alla fine, pian piano, la pozione di Madama Chips cominciò a fare effetto, così che entrambi scivolarono in un quieto sonno senza sogni.
 
***

Non passò molto prima che tutta la scuola fosse al corrente della morte di Dedalus Lux.
Chiunque, nel mondo della Magia, lo conosceva come vice segretario del Ministro Shacklebolt; per Alice, era soprattutto l’ometto dai tratti un po’ buffi che di tanto in tanto accompagnava suo padre a casa dal ministero, lasciando sempre commenti affettuosi circa le doti culinarie di sua madre.
Nessuno, comunque, pareva sapere che fossero stati due studenti a scovare il suo corpo, né tantomeno che quest’ultimo fosse stato ritrovato, tra tutti i luoghi, proprio ad Hogwarts.
Alice, dunque, poteva aggirarsi per i corridoi della scuola senza temere occhiatine o chiacchiericci alle proprie spalle, sebbene tutta quella segretezza non faceva che aumentare la sua preoccupazione.
E a dire il vero, nonostante fossero passate due settimane dall’accaduto, non riusciva proprio a togliersi dalla testa quella sera, poco importava quanto impegno ci mettesse: quel volto pallido e scarno la perseguitava di giorno e di notte, intrufolandosi senza preavviso nei suoi sogni, plagiandoli, trasformandoli in incubi terrificanti.
Avvolta nelle caldi coperte del suo letto in dormitorio, raschiava le unghie a fondo contro il legno duro della testiera, stringeva gli occhi, li riapriva, poi li stringeva un’altra volta ed eccola, puntuale come un orologio svizzero: l’immagine sfocata di quel corpo senza vita. Ormai non faceva che sfumare; i dettagli più piccoli andavano perdendosi nella foschia dei suoi ricordi, che si mescolavano a pensieri, parole e immagini che le frullavano per la testa in un grande vortice. Eppure, per quanto lei scuotesse il capo, stringesse i denti e si concentrasse pur di scacciarlo, il pensiero tornava a farsi vivo, puntualmente, non appena veniva lasciata sola o si azzardava a chiudere le palpebre, anche solo per un momento.
Si svegliava nel cuore della notte tutta sudata, con le coperte appiccicate al corpo e i brividi lungo le braccia; poi le sue compagne di stanza accorrevano di tutta fretta al suo letto e, solamente allora, Alice si accorgeva di aver urlato, o di essere ancora scossa da tremiti incontrollabili.
Va da sé che, perlomeno alle ragazze che condividevano il suo stesso dormitorio, non aveva potuto nascondere ciò che era successo. Gwen e Liz, dimostrando un tatto che Alice apprezzò infinitamente, non toccavano mai l’argomento; mentre ad Annie, discreta come sempre, non c’era stato nemmeno bisogno di chiedere di non dire nulla a nessuno.
Jo, invece, era un altro paio di maniche. Dal grosso litigio della sera del ballo – se “litigio” si poteva chiamare, visto che Jo aveva praticamente fatto tutto da sola – non si erano quasi rivolte la parola. Alice, ferita dai suoi silenzi, non aveva mai osato provare a riconciliarsi con lei, e l’amica non si era di certo mostrata disponibile ad una buona chiacchierata di pace.
Nemmeno gli eventi recenti erano serviti a dare una svolta alla situazione: Jo era sempre più distante, evitando Alice e Rose come meglio poteva, e mostrando una glaciale indifferenza qualora capitasse nei loro paraggi.
Se è questo quello che vuole, si ripeteva Alice ogni volta, allora così sia.
Eppure non poteva impedire a se stessa di sentirsi come se le mancasse sempre qualcosa – sapeva bene, dentro di sé, che lei e Jo avevano condiviso fin troppe cose assieme perché Alice potesse metterla da parte tanto facilmente. E gran parte di lei, a dirla tutta, non vedeva l’ora di risolvere tutto, di riportare le cose esattamente a com’erano prima che tutte quelle discussioni s’insinuassero nella loro amicizia. Solo che non sapeva bene né quando e né in che modo ciò sarebbe avvenuto.
In ogni caso, almeno per ora, aveva ben altro cui pensare: Rose le aveva mandato un biglietto proprio quella mattina, a colazione, chiedendole di incontrarsi nel parco quello stesso pomeriggio per discutere di alcune faccende e aggiungendo, in una nota post-scriptum, che le avrebbe spiegato ogni cosa una volta lì.
Così, non appena terminò anche l’ultima lezione della giornata – che il mercoledì equivaleva nientemeno che a Trasfigurazione, il corso più duro tra tutte le materie che seguiva – si avvolse ben stretta nel suo mantello per poi incamminarsi verso il punto prefissato per l’incontro, con il vento che le sferzava il viso e qualche pallido raggio del sole morente delle cinque a riscaldare un po’ l’aria.
Rose si trovava a qualche decina di metri dal portone di legno di quercia, raggomitolata su una panchina con le gambe strette contro il petto e gli inconfondibili capelli rosso rame che il vento scuoteva da ogni parte, dando vita alle forme più bizzarre.
Accanto a lei c’era anche Cathy, afflosciata sulla stessa panchina, che  gesticolava freneticamente tutta intenta in qualche discorso. Non appena la ragazza vide Alice avvicinarsi, s’interruppe bruscamente e le rivolse un grande sorriso. « Ce l’hai fatta, ‘Lice! Stavamo giusto parlando della Setta delle Ombre, e… »
« Cat, abbassa la voce… »
« Oh, giusto. Dimenticavo. Tutta questa faccenda del top secret è ancora nuova, per me. » Cathy si grattò la nuca. « Le stavo raccontando di nuovo della lettera, quella del collega di mia madre » aggiunse poi, stavolta bisbigliando.
« Mi sono persa qualcosa? » domandò Alice, divertita.
« Nulla di rilevante » Rose si alzò dalla panchina, rifugiando le mani nelle tasche. « Andiamo? »
« Dove? »
« Da Hagrid » rispose Rose con un’occhiata incoraggiante, « vedrai. »
Cathy balzò in piedi e si affrettò a mettersi in testa al gruppetto, guidandole verso la casa del guardiacaccia, mentre Alice seguiva le due amiche con una curiosità sempre più premente.
Arrivate davanti la capanna, Alice aguzzò le orecchie, cogliendo un lieve brusio provenire dall’interno, indice di diverse voci sovrapposte, mischiato a qualche risatina sommessa.
« C’è qualcun altro, a parte Hagrid? » domandò perplessa.
« Hagrid non è qui » chiarì Rose, « è partito ieri per contro della McGranitt. »
Senza indugiare oltre, poi, aprì la porta, così che Alice poté finalmente identificare la provenienza di quei suoni: una schiera di teste rosso fuoco e guance lentigginose si voltò all’unisono verso di loro.
Alice provò un grande calore a quella vista, sentendo l’improvvisa voglia di ridacchiare: « Sono stata invitata a una riunione di famiglia? »
« Più o meno. »
Fu Roxanne a rispondere, saltando giù dal tavolo e salutandola con un abbraccio.
« E’ più una specie di riunione strategica » aggiunse Fred allegro, annuendo. Al suo fianco c’erano Dominique e Louis, che stavano discutendo animatamente, mentre dall’altra parte della casa, vicino al lavello, Albus guardava la scena silenzioso, poggiato a braccia conserte contro il muro. 
«Lo sarebbe se fossimo davvero in grado di metter su una strategia » gli fece notare la piccola Lily, che se ne stava acciambellata in una poltrona nell’angolo.
« E chi lo dice? »
« Lily, piantala di fare la saputella » intervenne Hugo, stravaccato su una delle quattro sedie attorno al tavolino, proprio davanti ad un piattino colmo di biscotti. « O qualcuno finirà per farti lo sgambetto, prima o poi. »
Fred scoppiò a ridere. « Esatto, Lilian, piantala. Siamo in guerra, qui! »
Lily fece ad entrambi linguaccia, trattenendo una risatina. « Non chiamarmi Lilian » proferì minacciosa, « e non siamo mica in guerra! »
« Questo lo dici tu, sorellina » aggiunse James, seduto a cavalcioni sul tavolo. Alice, vedendolo, si impose di non arrossire; a distanza di poco tempo, ora che lo shock per l’accaduto si stava lentamente dissipando, faceva fatica a ricordare quella notte senza un minimo di imbarazzo. 
« Va bene, basta così » s’intromise Rose con fare risoluto, « siamo qui per un motivo, ricordate? »
« Lo faremmo, Rosie, se ci avessi detto di cosa diamine si tratta » borbottò Fred. « A parte la storia del grande piano malefico, intendo. »
Alice lo guardò un po’ perplessa; quindi nemmeno loro sapevano perché erano lì, proprio come lei.
Rose sbuffò. « Non ho mai accennato a un piano malefico. »
« Tutto è un possibile piano malefico per te, Fred » ridacchiò Roxanne.
Cathy, che fino a quel momento era rimasta nell’angolo, con un piede ancora fuori la porta, intervenne esitante: « Forse stavolta non ha tutti i torti. »
A quelle parole, tutti smisero di beccarsi l’un l’altro e si voltarono verso di loro. Alice vide Cathy arrossire.
« Ha ragione. E questo ci riporta alla ragione per cui vi ho chiesto di venire qui oggi » disse Rose.
Anche Dominique e Louis, adesso, avevano smesso di chiacchierare, e nella piccola casa, composta da quell’unica stanza, era piombato un silenzio improvviso. Alice esaminò il viso determinato di Rose e pensò di sapere dove l’amica voleva andare a parare – d’altronde, non ne avevano forse parlato nn molto tempo prima? “Bisogna avvertire gli altri” aveva detto Rose un pomeriggio di qualche settimana prima, pochi giorni dopo essere venuta a sapere della lettera che l’impiegato del ministero aveva inviato a Cathy. “Lily, James….tutti gli altri. Ci riguarda tutti quanti, in un modo o nell’altro.”
Ed era vero. Non era possibile parlare della Setta delle Ombre senza tirare in ballo i Weasley e i Potter e, se non altro, quelle che il Ministero avrebbe definito le loro “organizzazioni segrete” – o almeno così aveva lasciato intendere la signora Fitzergald quando, tempo prima, aveva interrogato lei e Rose, subito dopo l’attacco a Ron e suo padre. 
Alice ricordava un po’ confusamente l’udienza, probabilmente a causa dell’intruglio che era stata indotta a bere con l’inganno, ma nella sua mente erano marchiate a fuoco alcune delle parole che la giovane dipendente del ministero aveva pronunciato alludendo ai loro genitori.
 
 “« Rose » chiamò senza preavviso la donna, dolcemente, e si rivolse alla ragazza con fare gentile: « che mi dici di tuo padre? A cosa sta lavorando, ultimamente? »
« A quello a cui lavora di solito » il tono di Rose era tagliente e infastidito.
« E a cosa lavora, di solito? » la Fitzergald non fece troppo caso all’atteggiamento di Rose.
« E’ un Auror. Cattura i maghi oscuri, no? »
« Sì, sì, ovviamente. Ma ci è stato riferito dal alcuni informatori che, ultimamente, lui e altri suoi colleghi si siano impegnati in un nuovo…progetto. »
Rose non disse nulla. Aveva la fronte leggermente aggrottata e lo sguardo ancora più confuso di prima.
« Tu sai di cosa si tratta? » chiese la donna. Il tono gentile lasciava ora trasparire una punta di morbosa curiosità.”
 
E poi, come in un lampo d’improvviso consapevolezza, le tornarono in mente anche le parole che Burbage, l’uomo alto e tozzo che presidieva la loro udienza con la Fitzergald, aveva rivolto a Rose.
 
“« Andiamo, sei troppo sveglia per non aver capito che c’è qualcosa sotto, ragazzina. »”
 
« Quindi? Che cosa succede, Rose? »
La voce squillante di Roxanne la riportò bruscamente al presente. Il resto dei presenti stava chiaramente morendo di curiosità.
Rose, alla destra di Alice, fece un passo avanti e prese un lungo respiro prima di cominciare. « Tutto è iniziato pochi mesi fa, quando papà e il padre di Alice sono stati attaccati. Come credo tutti sappiate, nessuno degli Auror è mai riuscito a capire chi o cosa avesse causato l’attacco. Non sembrava un grosso problema, comunque, forse perché entrambi non si erano fatti poi così male, e alla fine il caso è stato archiviato come un incidente. E questa è la prima cosa…sospetta. Voglio dire, come si fa a chiamare quello incidente? »
« Ben detto » le fece eco Hugo.
« Poi le stranezze sono aumentate. Io e Alice siamo state convocate per quell’udienza al Ministero, ricordate? Bene, credo che abbiate tutti il diritto di sapere davvero come è andata, perché questa faccenda, in un modo o nell’altro, si sta ritorcendo su tutta la nostra famiglia. » Fece una pausa.  
«
L’udienza non è mai stata una semplice formalità, come lo zio Harry credeva. E’ stata…un interrogatorio in piena regola, a dirla tutta. E’ stato lì che, per la prima volta, è saltata fuori la Setta delle Ombre. »
La confusione dei cugini di Rose era lampante dai loro sguardi vacui; anche loro, proprio come avevano fatto Alice e le amiche tempo prima, stavano cercando di dare un senso a tutta quella sequela di informazioni, solo apparentemente sconnessa.
« Che cos’è? » chiese Lily, i grandi occhi color nocciola spalancati.
« Be’, io, Alice e Cathy abbiamo abbiamo cercato di informarci su trilioni di libri senza mai concludere niente per un bel po’ – alla fine ci eravamo quasi convinte che questa Setta neanche esistesse -  finché non ci siamo fatte dare qualche spiegazione direttamente da un dipendente nel reparto Archivi del Ministero. Quindi abbiamo… »
« Woah, un momento » la interruppe James, « come diavolo siete riuscite a farlo? »
« Cathy ha avuto un’idea geniale » sorrise Rose guardando l’amica, che non appena udì quelle parole diventò, se possibile, ancora più rossa di prima. Alice la fissò con curiosità; Cathy solitamente era la più espansiva ed estroversa delle tre, ragion per cui una reazione del genere da parte sua era decisamente anomala, se non quasi bizzarra.
« Ehm…già. Sì, insomma, non la definirei esattamente… » Cathy si schiarì la gola. « Voglio dire, ci avrebbe pensato chiunque. »
Alice sorrise al suo indirizzo, ma l’amica non la stava guardando; aveva, invece, gli occhi puntati su Albus, che dall’altra parte della stanza ricambiava il suo sguardo, al che Alice si domandò se tra i due stesse avvenendo qualche tipo di comunicazione telepatica che lei non poteva percepire.
« Vedi, Fred? Te l’avevo detto che la piccoletta aveva stoffa! » esclamò James.
« Quindi? Poi? » esortò Roxanne.
« …Quindi abbiamo ricevuto questa lettera » continuò Rose, frugando poi nelle proprie tasche fino a trovare una pergamena arrotolata e chiusa da fiocco di nastro blu.
Lentamente, iniziò a leggere. Alice ascoltò ogni parola attentamente, sebbene conoscesse già perfettamente la lettera in questione (lei e Cathy l’avevano letta e riletta, spinte dall’incredulità di aver finalmente scoperto qualcosa sulla Setta, e la conseguente voglia di non perdere neanche un dettaglio di ciò che era stato loro rivelato).
Non appena ebbe finito, Rose ripiegò la pergamena e alzò nuovamente lo sguardo sui suoi cugini: Dominique, Louis e Fred parevano scettici; Roxanne e Hugo erano spiazzati, mentre Lily, Albus e James avevano tutti un’espressione ugualmente sconcertata, tanto che ad Alice sembrarono più simili di quanto non lo fossero mai stati.
« Allora è questo che c’è dietro agli omicidi al Ministero di cui si parla tanto sulla Gazzetta del Profeta » proclamò infine Dominique.
« Noi crediamo di sì » annuì Rose.
« Ci scommetto la bacchetta che la Gazzetta non riporta neanche la metà di tutti gli attacchi che avvengono » sbuffò Lily.
« Altroché! » le diede man forte Fred, « sapevo che c’era qualcosa che non quadrava, non se l’è mai bevuta nessuno la storia degli incidenti… »
« La gente sì, a quanto pare » intervenne bruscamente Albus, « o non saremmo arrivati a questo punto. »
« Albus ha ragione. Le persone preferiscono far finta di non vedere piuttosto che accettare di essere in pericolo » dichiarò Dominique.
« E’ così? » intervenne, timidamente, Hugo. « Siamo in pericolo? »
Alice gli rivolse un sorriso incerto. « Questo non è detto. »
« Già, ma non possiamo esserne certi » disse Rose, « ed è per questo che noi faremo in modo di saperne ancora di più, riguardo tutta questa storia. » Si interruppe, e le sue guancie si imporporaro lievemente. « Sempre che voi vogliate » si affrettò ad aggiungere.

« Ma questa…Setta, che cosa vuole? Perché uccidere tanta gente? Quale dovrebbe essere lo scopo di tutto questo? »
Entrambe Alice e Rose guardarono Fred senza sapere bene cosa rispondergli.
« Creare scompiglio, principalmente » borbottò alla fine Cathy. « Ma la verità è che non ne abbiamo idea. 
»

« Mettiamo pure che questa Setta sia davvero la causa di tutto » disse James, scendendo lentamente dalla sua postazione sul tavolo, « avrebbe qualcosa a che fare anche con quello che è successo l’altra sera? » Alice rabbrividì. « E perché quella donna del ministero, all’udienza, avrebbe dovuto parlarvene se era una faccenda tanto segreta? »
« Non è stata lei a parlarcene » ripose automaticamente Alice, « e si è infuriata quando qualcun altro l’ha fatto. »
« E sì, probabilmente a tutto a che fare con l’omicidio di Dedalus Lux » disse Rose. « Ma non ti saprei dire come le due cose siano collegate. Io…so solo che lo sono. Devono esserlo. Ci sono fin troppe stranezze per trattarsi solo di coincidenze. »
James annuì con la fronte aggrottata.
« Hai detto che vorreste saperne di più » cominciò Louis cautamente, « be’…tuo padre è un Auror, Rose, e tua madre è immersa negli affari del Ministero fino al collo. Non basterebbe parlarne con loro? »
Rose esibì un sorriso triste. « Non vogliono toccare l’argomento. Ogni volta che ho provato a…anche solo ad accennare loro qualcosa, a capire…mi hanno sbattuto le porte in faccia. E’ successa la stessa cosa ad Alice. »
La suddetta annuì impercettibilmente.
« E visto che siamo in argomento, dovrei dirvi anche un’altra cosa » aggiunse Rose, prendendo un altro grande respiro. « Avete presente quando vi ho detto che quell’udienza al Ministero è stata più simile ad un interrogatorio? Ecco, lo è stata, ma soprattutto perché ci hanno chiesto di raccontare loro se sapessimo qualcosa riguardo….riguardo certe “attività” dei nostri genitori. »
« Attività? » domandò Dominique, inarcando entrambe le sopracciglia.
« Il Ministero crede che le vostre famiglie siano implicate in un progetto segreto, o qualcosa del genere » spiegò Cathy.
Occorsero dieci secondi buoni per digerire quella nuova informazione.
« Ma è da pazzi! » protestò alla fine Louis, evidentemente scandalizzato da quell’ipotesi. « Praticamente tutta la famiglia lavora nel Ministero…voglio dire, zio Harry e zio Ron sono Auror… »
« Be’, ammettendo che sia vero, potrebbe esserci un motivo per cui stiano facendo qualcosa alle spalle dei loro datori di lavoro » commentò Rose.
« E alle nostre » bofonchiò Alice.
« Giusto » annuì Rose. « Insomma, come vi ho detto: in un modo o nell’altro, ci siamo dentro tutti quanti. »
« Puoi dirlo forte » rincarò Roxanne, « se possiamo fare qualcosa, qualsiasi cosa, io ci sto. »
Alice guardò Rose; l’amica aveva gli occhi fissi sul resto dei presenti e un’aria sempre più determinata. Uno dopo l’altro, i Potter e i Weasley annuirono tutti, scambiandosi occhiate d’intesa.
« Anche io. »
« E io pure! »
Rose sorrise impercettibilmente. « Bene. Studieremo qualcosa per avere le nostre informazioni. I nostri genitori potranno anche non volercene parlare, ma io credo che dopo tutto quello che è successo, abbiamo tutto il diritto di sapere. »
« Io non sono d’accordo, Rose » proruppe improvvisamente Louis. « Se ci vogliono tenere all’oscuro di tutto, ci sarà una buona ragione dietro. »
« Io invece credo » replicò James tagliente, « che non parleresti così se fossi stato tu a trovare un cadavere a una spanna dal tuo naso. »
Questo ammutolì Louis, che si voltò con decisione dalla parte opposta rispetto a James. Alice fissò James: anche lui doveva essere perseguitato dai suoi stessi incubi.
Fu Lily a spezzare con leggerezza la tensione che si era venuta a creare: « Insieme sarà più semplice trovare risposte, Rosie, ne sono sicura. »
« Dici bene, cara cugina. E poi i Weasley sono famosi per i loro stratagemmi, no? » disse Fred facendole l’occhiolino.
Rose e Lily scoppiarono a ridere. Alice sospirò, sentendosi un po’ più rilassata dopo quelli che le erano parsi secoli.
Magari i Potter-Weasley non erano perfetti, ma c’era comunque qualcosa di speciale, in loro, Alice ne era estremamente convinta. Forse era la calorosità che, volenti o nolenti, riuscivano sempre a trasmettere agli altri; o magari il modo in cui erano capaci di unirsi e riconciliarsi nel momento del bisogno, nonostante tra di loro, come in ogni grande famiglia che si rispetti, non mancassero di certo i litigi – be’, eccezion fatta per Victoire.
Cathy si accostò a sussurare “vittoria” nell’orecchio di Alice, prima di allontanarsi e pararsi di fronte ad Albus. Così Alice guardò Rose e pensò che sì, quella di oggi era stata decisamente una vittoria, e l’amica se ne teneva tutti i meriti.
« Tutti d’accordo, quindi? » chiese una volta ancora quest’ultima.
E stavolta, nessuno fece obiezioni.
Leader-Rose non si prospettava affatto male, considerò infine Alice.
 
 
 
 
 
 
 
 
NOTE:
Salut! Zan zan ZAAAANNN. Mi rendo conto che questo capitolo è un gran milkshake di roba importante, ma l’attesa è stata così lunga che in fondo va bene così.
Insomma, un bel passo avanti per la timida Rose, che ne dite?
E come pensate che si evolverà la storia della Setta? 
Tra una settimanella pubblicherò uno spoiler del prossimo capitolo sul gruppo Facebook – a proposito, ne approfitto per ringraziare enormemente tutti i membri del gruppo e ovviamente, come sempre, anche tutti voi che seguite\mipiacciate\commentate questa storia! ❤
P.S. Oggi vi lascio con una domanda che mi tormenta da un po’. La storia segue ovviamente una trama di base e ho già buttato giù molto generalmente tutto quello che succederà da qui all’ultimo capitolo, però ho alcuni dubbi su delle costtee di margine: ad esempio, quale personaggio, a parte i principali, vorreste che fosse più approfondito?
Presupponendo che la storia rimarrà sempre dal punto di vista di Alice, of course.
E niente, grazie se siete arrivati fin qui, grazie se state ancora dedicando un po’ del vostro tempo a questa storia, grazie in generale, e un bacione, à la prochaine

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Capitolo 24
*** Going nowhere ***


Ricapitolando: Viene alla luce che cos’è la setta delle ombre sulla quale Alice, Rose e Cathy avevano cercato informazioni: fin ora si è scoperto che è un’associazione segreta di maghi che mira a destabilizzare il ministero tramite minacce, sotterfugi e altre azioni di cui i cittadini vengono tenuti all’oscuro; nessuno per ora sa da chi sia composta, né come e quando agisca. Alice e James trovano il cadavere di Dedalus Lux, ex vicesegretario del Ministro della Magia e membro dell’Ordine della Fenice, nella Foresta Proibita, mentre sono fuori di nascosto per cercare l’ultimo ingrediente per la pozione polisucco (che servirà loro per prendere le sembianze di Victoire e il suo presunto amante e smascherare così la loro relazione); Alice, Rose, Cathy e gran parte dei cugini Weasley-Potter si riuniscono e concordano che durante le vacanze natalizie cercheranno di scoprire tutto ciò che possono riguardo la setta delle ombre e i progetti segreti che, sempre secondo il ministero, le loro famiglie stanno portando avanti di nascosto (capitolo: When the darkness comes). Le vacanze di Natale si avvicina; nel frattempo, strani eventi e misteriose morti continuano a verificarsi.
+ Adam è un Tassorosso dello stesso anno di Alice; alla festa di Halloween aveva invitato Alice a ballare, ricevendo un rifiuto.
+Rose, attualmente, frequenta Matt Finnigan, da quando si sono baciati, sempre ad Halloween.

 
 
 
 
 
23.
Going nowhere
“Here I am, going nowhere on a train;
Here I am, growing older in the rain…”
Going Nowhere - Oasis
 
 
 
Alice si svegliò di soprassalto, con il fischio di un treno che ancora le risuonava nelle orecchie.
Aveva sognato l’Espresso, e se stessa che osservava le immense distese di campagne sfrecciare al di là dei finestrini, mescolandosi con i colori del cielo. Poi il treno aveva frenato bruscamente, arrestandosi nel bel mezzo del nulla: e allora, pian piano, lunghe file di uomini incappucciati avevano iniziato a riversarsi nei corridoi, setacciando gli scompartimenti in cerca di chissà che cosa. Fa’ che non mi vedano, continuava a ripetersi lei. Fa’ che non mi trovino.
E poi uno di loro, inevitabilmente, aveva spalancato la porta della sua cabina, parandosele di fronte; era alto più di due metri e il lungo mantello scuro lo ricopriva per intero, aprendosi solamente in una piccola fessura per gli occhi: erano bianchi e vuoti.
Alice si era ritratta, schiacciandosi contro la parete, tremando come una foglia e reprimendo un groppo in gola, mentre l’uomo incappucciato levava la bacchetta…
E poi aveva aperto gli occhi.
Si guardò intorno, facendo mente locale sul luogo che la circondava: era ancora molto buio, ma l’abitudine le permise di distinguere con facilità i contorni dei letti a baldacchino, gli spigoli dei muri, la sagoma del suo baule ai piedi del letto.
Lanciò un’occhiata al piccolo orologio che teneva sul comodino; faceva le cinque e dodici. Tra meno di tre ore sarebbe cominciato il suo ultimo giorno di scuola prima della pausa natalizia, per cui sarebbe stata un’idea decisamente sana quella di sdraiarsi, chiudere gli occhi e tornare a dormire.
Invece, ovviamente, Alice optò per recuperare le proprie pantofole – le cui punte, rosicchiate da Briciola, erano ormai così logore che lasciavano intravedere la punta dei piedi – e alzarsi, barcollando leggermente sul posto, ancora insonnolita, prima di ritrovare l’equilibrio.
A grosse falcate raggiunse il bagno, facendo del suo meglio per essere silenziosa (ma considerata la sua andatura poco aggraziata, si rivelò più difficile del previsto), e cercando di non inciampare, nel buio, su qualcuno dei bauli delle sue compagne di stanza.
Una volta giunta sana e salva nel bagno, chiuse la porta alle proprie spalle e lanciò un’occhiata di sbieco verso lo specchio: aveva due profonde occhiaie violacee e il pigiama tutto stropicciato – per non parlare dei capelli, minuziosamente sistemati in una treccia la sera precedente, e che ora infuriavano sulle sue spalle, così arruffati che non avrebbe potuto distinguerli da un nido d’uccello. Ripensò con un moto d’orrore a quella volte in cui James le aveva fatto crescere dei lunghi rami intricati sulla testa, e decise che aveva comunque avuto un aspetto migliore di quello che aveva ora.
Uno scherzo azzeccato, pensò con una punta d’ironia, roteando gli occhi al cielo. D’altronde, gli scherzi di James si rivelavano sempre piuttosto azzeccati.
Prese a spazzolarli furiosamente, ignorando il dolore qualora incontrasse un nodo particolarmente resistente.
Non si era mai piaciuta granché – ma d’altronde, quale adolescente al mondo aveva mai apprezzato il proprio aspetto? L’unica persona che conosceva che si dichiarava fiera delle sue fattezze era Jo, eppure Alice conosceva troppo bene l’amica – l’ex amica, sottolineò una vocina nella sua testa che Alice zittì prontamente – per crederci davvero. Jo era, in effetti, insicura di sé quasi quanto lei, solo che riusciva a nasconderlo molto meglio.
Rose, che Alice considerava una delle ragazze più carine del suo anno, arrossiva e sorrideva sempre in modo triste quando qualcuno le faceva un complimento, come se non ci credesse o, peggio, sentisse di non meritarselo.
Fissò di nuovo il proprio riflesso nello specchio, che gli restituiva la stessa espressione scocciata. Lasciò vagare lo sguardo sulle gambe corte, i fianchi stretti, il seno appena accennato sotto la maglia; il tutto diventava molto buffo se comparato alle guance, piene e tonde, che la facevano assomigliare a una bambina troppo cresciuta.
Storse il naso. Come avrebbe mai potuto suscitare interesse in Chris, quando lei stessa si vedeva piuttosto insignificante? Aveva sognato così tante volte che lui la notasse, che la vedesse, perlomeno, e la trovasse bella. Forse, rifletté, lo aveva fatto non tanto per la cotta che aveva nei suoi confronti, quanto per la vaga illusione che, se lui l’avesse considerata carina, allora lei si sarebbe sentita tale. Chris le era piaciuto tanto, tantissimo, ma ora che non le interessava più molto, si domandò per la prima volta se una cosa del genere sarebbe potuta accadere davvero.
Sì, disse una parte di lei.
No, decise Alice. Era sbagliato. Non poteva giudicare se stessa in base a come la vedevano gli altri. O forse sì?
Sua nonna le aveva detto, una volta, che il segreto per essere belle era, prima di ogni altra cosa, sentirsi belle. E non importava come invece ti reputavano gli altri.
Ma Alice non capiva: se nessun altro la reputava bella, come avrebbe potuto considerarsi tale? E se, al contrario, tutti l’avessero considerata carina, non era automatico ritenersi carina almeno un po’?
Non appena formulò quei pensieri, li scacciò via, percependo il calore infiammarle le guance. Era una convinzione talmente superficiale, quella – e poi sapeva che sua nonna aveva ragione in proposito. Di solito, sua nonna aveva sempre ragione.
E sì, Augusta Paciock era una grande fonte di saggezza, ma il problema era metterli in pratica, quei consigli che le dava, perché Alice non sapeva assolutamente come fare.
Di solito, Alice non sapeva mai come fare.
Sbuffò, sciacquò velocemente il viso con l’acqua calda per poi voltare le spalle allo specchio, sgattaiolando di nuovo nella stanza a vestirsi.
Aveva altre cose a cui pensare, comunque, e molto più importanti: tra le altre, pianificare come estorcere informazioni a suo padre sulla Setta, organizzarsi per le vacanze di Natale da Rose, farsi un’idea su quali corsi avrebbe scelto una volta superati i G.U.F.O. (e questo le fece venire in mente che, quel pomeriggio, avrebbe affrontato il colloquio con la direttrice della sua Casa per discutere sulle possibili opzioni della sua futura carriera lavorativa).
Sempre che li avrebbe superati, i G.U.F.O., ma questa era un’altra storia.
Scostò un po’ la tenda di una delle finestre della torre, sbirciando fuori: il cielo era diventato rosa opaco e i primi raggi di sole spuntavano dietro le montagne. Ovviamente a Hogwarts era vietato andarsene in giro per la scuola dopo il coprifuoco; nessuna regola, però, impediva di uscire dal dormitorio la mattina presto, dopo l’alba.
Alice ne approfittò per recarsi alla Guferia. Nella lettera che aveva ricevuto la mattina precedente, infatti, Neville e Hannah le avevano finalmente dato il permesso di passare le vacanze a casa di Rose, avvertendola che invece loro due sarebbero volati in Scozia dai suoi zii, per poi tornare solamente pochi giorni prima di Capodanno. Tutto ciò, ovviamente, ad una condizione: la partecipazione di Alice al Tè delle Streghe, che ormai sembrava essere perentoria.
Sinceramente, lei non capiva ancora tutta la determinazione di sua madre nel portarla di forza a quegli incontri. Magari non glielo aveva mai detto apertamente – d’altronde, Alice non parlava quasi mai in modo aperto con sua madre – ma si vedeva lontano un miglio che detestava le riunioni del Tè delle Streghe, così come erano abbastanza evidenti i suoi vani tentativi di evitarle.
Era anche questo uno dei motivi per cui preferiva di gran lunga suo padre ad Hannah: lui – Alice ne era sicura – non l’avrebbe mai costretta a partecipare a qualcosa che odiava.
Comunque, se non fosse stato per questo, non sarebbe stata poi così contraria a passare del tempo con i suoi, prima di andare da Rose. In effetti smaniava per riabbracciare suo padre, e a seguito dell’aggressione tendeva a dare meno per scontato il tempo che trascorreva con lui e sua madre.
Afferrati penna, calamaio, un sacchetto di biscotti gufici e una pergamena nuova, scese le scale a chiocciola del dormitorio e attraversò in fretta la Sala Comune, che era prevedibilmente deserta. La Signora Grassa mugugnò qualche protesta quando s’infilò nel buco del ritratto, ma le parole furono presto soffocate dal suo profondo, sonoro ronfare. 
Alice, ridacchiando sotto i baffi, attraversò tranquillamente i corridoi vuoti del castello.
Una volta raggiunta la Guferia, che si trovava spiacevolmente lontana rispetto alla torre di Grifondoro, diede una rapida occhiata ai gufi che popolavano i vari cunei della parete – molti sonnecchiavano ancora, con il muso nascosto sotto le imponenti ali. Poi si lasciò scivolare lungo una delle pareti di pietra, fino a toccare il pavimento freddo con le gambe: si sistemò con la schiena contro il muro, poi  riprese in mano la pergamena che aveva poggiato lì di fianco, intinse la punta della penna d’oca nel calamaio, e cominciò finalmente a tracciare le prime parole sulla carta ingiallita:
 
"Cari mamma e papà,
Grazie per aver accettato di lasciarmi passare le feste con Rose. Mi mancate anche voi.
P.S.
Se proprio devo partecipare a quell’incontro, comunque, mi servirà un vestito adatto e non credo di avere -
Forse sarebbe scortese presentarsi a casa di Rose giusto la Vigilia di Natale, dovrei
Non voglio non voglio NON VOGLIO andarci
Quelle streghe hanno tutte la puzza sotto al naso non voglio andarci voglio solo andare da Rose non voglio andarci non voglio

Va bene, mamma, verrò con te al Tè delle Streghe. Ci vediamo a King’s Cross dopodomani.
 
Sempre vostra, Alice"
 
 Sospirando, ripose la penna da un lato e cominciò ad arrotolare la pergamena su se stessa. Forse un giorno avrebbe finalmente trovato il coraggio di affrontare sua madre; per ora, le andava bene così. Più o meno.
Si alzò ed allungò in avanti un braccio, tenendo in mano uno dei biscotti gufici. Fischiettò un paio di volte, e immediatamente una grossa civetta dispiegò le ali e falciò l’aria planando nella sua direzione. Afferrò nel becco il biscottino, poi puntò su di lei i due occhietti vispi, in attesa. Alice agganciò la lettera alla cinghia che la civetta teneva al collo; poi restò ferma a guardarla mentre questa spiccava il volo, sbucava fuori da una delle grosse aperture della torre, e diventata sempre più piccola man mano che si allontanava, inconfondibile tra il resto del paesaggio.
Non seppe esattamente per quanto rimase a fissarla, ma fu solo quando ormai era scomparsa che sentì lo scricchiolio alle sue spalle. Sobbalzò, voltandosi di scatto, facendo per brandire una bacchetta che non c’era (non aveva nemmeno preso la bacchetta, che stupida era!), per poi scoprire che si trattava solamente di Jo.
Tirò il sospiro di sollievo più lungo della sua vita: per un attimo si era sentita come quella notte nella Foresta; per un attimo, uno soltanto, aveva pensato che fosse…be’, non importava ormai.
Jo indossava già la divisa, che era un po’ sgualcita, e portava i lunghi capelli di un viola ormai sbiadito legati in una coda di cavallo. La stava guardando con un’espressione indecifrabile, e Alice si chiese da quanto fosse lì o perché mai si trovasse nella Guferia a quell’ora improbabile, dal momento che Jo non era mai stata un tipo mattiniero.
Così la domanda le sfuggì dalle labbra prima che potesse pensarci due volte: « Mi stavi seguendo? »
Jo, le mani incrociate sul petto, sbuffò. « Non gira tutto intorno a te, sai. »
« E questo che cosa c’entra? »
« Lascia perdere. »
Alice la osservò, mentre l’amica – o quello che era – la sorpassava senza degnarla di un altro sguardo, richiamando un gufo verso di lei e tirando fuori un piccolo biglietto.
Si domandò a chi potesse mai mandare biglietti alle cinque di mattina, cosa ci fosse scritto, ma soprattutto, cosa diamine fosse successo tra di loro. Neanche se lo ricordava più, il vero motivo del litigio. Ma era sicura che c’entrasse qualcosa con quelle orribili frasi che Jo le aveva rivolto contro la sera di Halloween, tra le quali “mi sono stancata di voi!” e “lasciatemi respirare!” erano quelle che più le facevano attorcigliare lo stomaco dalla rabbia. Era strano provare quel sentimento, ed era ancora più strano provarlo nei confronti di Jo.
« Che cos’è successo? » disse, con una nota disperata nella voce che fece del suo meglio per nascondere.
La ragazza continuò a darle le spalle. « Che vuoi dire? »
« Intendo…che cosa ci è successo? Non è strano anche per te, non parlarsi più? Io, te e Rose stavamo sempre insieme fino a poco tempo fa. »
Jo si irrigidì, smettendo per un secondo di agganciare il biglietto alla cinghia del suo gufo. « Be’, non saprei. Non è stato così male, esentarsi per un po’ dai giudizi di Rose o… »
« Dovresti smetterla di parlare di lei a quel modo » scattò Alice, « non ti ha fatto nulla! Non lo merita. »
« Ma certo, sei sempre pronta a prendere le sue difese, vero? » Finalmente, si voltò verso di lei. « Lascia che ti dica una cosa: mi mancate, Alice. Sia tu che Rose. Ma non ne potevo più! »
Alice arretrò, ferita. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma non le lasciò uscire, non stavolta. « Bene. Ci dispiace di essere state una tale scocciatura per te » sbottò, con un’acidità che lei stessa non credeva di possedere.
« Oh, risparmiamela, per favore! Sai bene che non intendevo questo. Ma voi…lei…mi ha sempre biasimata per quello che facevo, per come mi comportavo, certe volte mi sembrava di stare con mia madre, non con la mia migliore amica! »
Alice scosse la testa; non sapeva con certezza da quanto Jo covasse certi pensieri, ma di una cosa era sicura: quella descrizione di Rose non le era affatto famigliare, anzi, la trovava a dir poco improbabile. Non corrispondeva certamente alla Rose gentile e pragmatica che conosceva lei: una ragazza un po’ introversa, insicura, ma sempre pronta ad offrire qualche saggio consiglio, e non dei rimproveri.
« Forse hai frainteso qualcosa, Josey » tentò, stavolta più dolcemente. « Sono sicura che non è mai stato quello il suo intento, e di certo non il mio. Noi ti vogliamo bene, e… »
« Apprezzo quello che stai dicendo, Alice, davvero – ma credo che dovrebbe essere la diretta interessata a venire qui a scusarsi con me, non trovi? »
« Non saprei. Io non mi sto scusando. »
Jo parve presa, per un attimo, in contropiede. Poi le rivolse un’occhiata scettica: « E da quando sei diventata così schietta, tu? »
« Ci sto lavorando su » borbottò Alice scrollando le spalle.
Jo sospirò, lasciando andare il gufo con il biglietto. « Be’, in caso decidessi di schierarti dalla parte del nemico, sai dove trovarmi, no ? » buttò lì, ma stavolta non c’era alcuna freddezza nelle sue parole. Era una proposta.
« Io non voglio schierarmi proprio da nessuna parte… »
« Ma lo hai già fatto » la interruppe Jo.
Poi la superò e sfrecciò via giù per le scale della torre, lasciandola lì, immobile e interdetta, mentre le sue parole le riecheggiavano nella testa.

 

Quando finalmente arrivò l’ora della colazione, Alice si trovava nella Sala Grande già da un pezzo, tutta intenta ad imburrare il proprio pane tostato mentre leggeva la Gazzetta del Profeta di quel giorno. Per una volta, nessuna notizia di strane sparizioni o omicidi infestava la prima pagina. Curioso, pensò Alice: nelle ultime settimane, quel giornale non aveva dato pace neanche un momento alla McGrannitt, narrando le vicende di Hogwarts nei modi più dettagliati e plasmando ogni parola in modo che il tutto risultasse, se possibile, ancora più inquietante di quanto già non fosse.
« Sentita l’ultima? » proruppe Cathy, prendendo posto sulla panca proprio vicino a lei e facendola sobbalzare per la seconda volta quella mattina – quasi le cadde il coltello dalle mani.
« Mmh? »
« Il torneo di Quidditch inizierà solamente a metà gennaio. »
« Oh » esalò Alice, « accidenti, non era mai cominciato così tardi. »
Naturalmente, non c’era alcun bisogno di interrogarsi sul motivo: gli eventi recenti, che avevano coinvolto Alice in prima persona, rappresentavano un motivo sufficiente per rimandare una partita, o almeno così la pensava la McGrannitt – forse troppo occupata a gestire le cose con gli Auror e i giornalisti per prendersi ulteriori impegni organizzando gli incontri di Quidditch.
Bene o male tutti quanti avevano sorvolato sulla questione: l’intera scuola, d’altronde, era ancora scossa dall’accaduto.
Olivia Baston, però, era di tutt’altro avviso. All’annuncio della cancellazione dell’incontro previsto per due settimane prima, proprio il giorno dopo quella notte, era andata su tutte le furie, inveendo a destra e a manca contro le orribile ingiustizie che avvenivano ad Hogwarts nei confronti di squadre che si erano preparate un’intera stagione per quella partita.
Alice era anche troppo contenta di non dover giocare, non solo perché non se la sentiva, ma anche perché una piccola parte di lei non poteva fare a meno di ripensare alle occhiate feroci che, di tanto intanto, ancora le lanciavano Flitt e Warrington. Eppure, non riusciva a biasimare del tutto Olivia, perché era anche convinta che magari un po’ di normalità, mischiata al fervore che solo una partita di Quidditch sapeva scatenare, sarebbero riusciti a spezzare quell’atmosfera cupa che era calata sulla scuola.
Neanche l’aria natalizia era riuscita a smorzare tutta la tensione, e sebbene ognuno fosse tornato alle proprie attività – professori e alunni –, si riusciva comunque a percepire che c’era qualcosa che non andava.
« Già. E sono stati rimandati anche i tornei di scacchi magici. Pare che Gwyneth McLaggen – sai, il loro presidente – abbia scritto persino una lettera di protesta! »
« A quando? » chiese, offrendo nel contempo all’amica la metà altrimenti sprecata del suo panino, che aveva abbandonato sul piatto.
« A – umf – gennaio, anche quelli » rispose Cathy mentre infilava un pezzo straordinariamente grande di quel panino in bocca.
« Be’, gli altri membri del club degli scacchi ne saranno– »
« Alice, va tutto bene? »
Quest’ultima la guardò per un secondo, spiazzata, prima di rivolgerle un sorriso un po’ stanco « Sì » mormorò. Poi, visto che l’amica non pareva affatto convinta, aggiunse: « Sì, voglio dire, io…be’, ho parlato con Jo. »
« Ah. » Un lampo di comprensione attraversò gli occhi di Cathy, che la scrutò come in cerca di qualche malanno. « E…? »
« Niente, in realtà. Fa dei discorsi strani. Non riesco a capire se ce l’abbia davvero con me o meno. »
« Chi dovrebbe avercela con te? » le interruppe in quel momento Dominique, che si sedette davanti a loro seguita a ruota da Rose. Avevano entrambe l’aria molto assonnata. « Sei troppo dolce per poter fare arrabbiare qualcuno. »
Alice rise, a disagio come lo era sempre di fronte ad un complimento, ma Cathy rispose per lei. « Jo Mitchell. Chi altri, se no? »
Rose s’irrigidì immediatamente, mentre Dominique roteava gli occhi al cielo.
« Quella ragazza ha la capacità di infastidirmi pur non conoscendola affatto. »
« Che cosa ti ha fatto? » indagò Rose, la voce vagamente triste.
«  Niente, davvero » si affrettò a chiarire Alice. « Abbiamo solamente parlato di…me » aggiunse poi, senza pensarci. Per qualche strana ragione, capì che era meglio non riportare le esatte parole di Jo alle amiche – avrebbero potuto ferire Rose o, ancora peggio, rendere irreparabile una situazione già terribilmente precaria.
Rose corrugò la fronte. « Avete fatto pace? »
« Non credo. E’ tutto molto strano » commentò, e stavolta era assolutamente sincera.
« E’ lei ad essere strana » commentò Dominique con un cipiglio molto simile a quello di Molly Weasley, la nonna di Rose.
« Sì, d’accordo, cambiamo argomento » implorò Rose, « allora vieni da me per le vacanze, ‘Lice? »
A questo, la giovane Paciock sfoggiò un sorriso a trentadue denti. « Tutto confermato! »
« Oh, menomale! » Rose, ora più serena, le sorrise a sua volta. « Non vedo l’ora. »
« Già, sarà entusiasmante » intervenne Dominque, « preparati a una folla imbizzarrita di cugini. Anche se, devo ammettere, i peggiori sono gli adulti. »
Alice rise, al pensiero delle clamorose festività che si svolgevano alla Tana. L’ultima volta che aveva passato il Natale da Rose risaliva solo a qualche anno prima, ed era da un po’ che non vedeva la casa dei suoi nonni bella piena – eccezion fatta per il matrimonio di Percy e Audrey, i quali, però, avevano richiesto con non poche difficoltà un certo decoro alla famiglia, ragion per cui la scatenata dozzina dei cugini Weasley-Potter non aveva avuto l’opportunità di farsi valere in tutta la sua rumorosa energia.
« Ma no » ridacchiò Rose, « i peggiori sono James e Fred. »
« Perché? » chiese Alice, subito scattante non appena l’amica aveva pronunciato il nome di James.
Wow. Calmati. Che ti prende?
« Si fanno scherzi a vicenda per tutto il tempo – è una specie di tradizione, una gara a chi è il migliore. Secondo me è una gara a chi è il più cretino, e ogni anno finisce in pareggio, trai le tue conclusioni » sentenziò Dominque, facendo ridere ancora di più Alice.
« E mettono sempre in mezzo tutti gli altri » sospirò Rose, « lo scorso Natale mi sono beccata una Fattura Foruncolante, e mi è anche andata bene. Lily è inciampata per sbaglio in una delle trappole che James aveva messo per Fred, ed è rimasta appesa al soffitto della sua stanza per ore prima che qualcuno la trovasse. »
Un lieve sorriso increspò le labbra di Dominique quando disse: « Sì, ma quando è riuscita a scendere, è andata su tutte le furie. E gliel’ha fatta pagare. C’erano brillantini rosa ovunque…la scena più divertente che avessi mai visto. »
Anche Rose rise, lo sguardo perso probabilmente nel ricordo di quel momento. « James se l’è meritato. Da allora si guarda bene dal fare scherzi a Lily. »
« Dev’essere il caos totale, lì da voi » commentò Cathy, ma aveva gli occhi colmi di meraviglia. Era chiaro che quella prospettiva non le dispiaceva affatto.
« Sì, be’, siamo una “famiglia movimentata!” » rispose Domi, facendo il verso a qualcuno che Alice non riconobbe.
« Tu invece che farai, Cathy? » s’informò Rose.
Quest’ultima fece spallucce, rigirando un cucchiaio nel proprio succo di zucca. « Niente di straordinario. I miei saranno in viaggio di lavoro in Nuova Zelanda, e be’, a chi va di andare in Nuova Zelanda?, così ho deciso di rimanere a Hogwarts. »
« Cosa…? Ma Cathy, vieni da noi alla Tana! » esclamò Rose, chiaramente colta di sorpresa. Anche Alice, dal canto suo, era perplessa: aveva creduto che Cathy fosse già impegnata per quanto riguardava le vacanze – e che fosse per questo motivo che Rose non aveva invitato anche lei.
« Oh…dici sul serio? » fece Cathy, titubante.
« Naturalmente, io… » Rose arrossì, visibilmente imbarazzata. « …io credevo che avessi già dei piani, per questo che non te l’ho chiesto… »
« Be’, accetto volentieri » la interruppe subito Cathy con un grande sorriso, probabilmente notando lo stato d’animo dell’amica.
« Sarà divertente » commentò allegramente Alice. Quel Natale si prospettava sempre più entusiasmante, e lei ormai non aspettava altro che la scuola finisse.
« Sì, non vedo l’ora che…oh » si interruppe Rose, lasciando vagare lo sguardo verso l’ingresso della Sala Grande.
Alice fece lo stesso, riconoscendo nientemeno che Matt Finnigan venire verso di loro; aveva proprio tutta l’aria di essere un ragazzo perfetto con una vita perfetta.
E una fidanzata perfetta, aggiunse mentalmente quando vide Rose alzarsi e raggiungerlo in un baleno. Matt le sorrise calorosamente, stringendole la vita con un braccio; poi le scoccò un tenero bacio sulla fronte.
« Rose sembra al settimo cielo » osservò Cathy, « sono davvero adorabili! »
Alice non poté che essere completamente d’accordo.
I due avevano iniziato a frequentarsi dopo il ballo di Halloween, e a quanto pareva adesso si trattava di una cosa ufficiale. Rose aveva speso parecchi pomeriggi in sua compagnia, nonostante ultimamente – tra quella notte e tutto il resto – avesse passato molto più tempo con Alice e Cathy.
Era contenta che finalmente Rose avesse trovato un po’ di tranquillità, nonostante in cuor suo fosse convinta che l’amica covasse ancora dei sentimenti – sebbene non era possibile definire esattamente di che natura fossero – per Scorpius Malfoy. Dopo tutto, per Alice quei due rimanevano pur sempre le perfette incarnazioni di Romeo e Giulietta, e non era affatto facile trovarne altre, né dimenticarsi il modo in cui Scorpius sembrasse un po’ meno scorbutico in presenza di Rose, o viceversa il modo in cui la ragazza paresse sempre così intrigata da lui.
Ma in fondo, Alice delle questioni di cuore non ci capiva nulla.
« Sì, lui ha la mia approvazione » constatò Dominique. « E tu? Non stavi con quel…Jade? » chiese, rivolgendosi a Cathy.
« Gale. E no, non era proprio il mio tipo » ammise questa, « e poi, dopo un intero anno passato a sbavare per Alec Nott, che poi si è rivelato peggio del pus di Bubotubero, credo di volermi prendere una pausa dalle cotte e dai fidanzati. »
Alice rise per il paragone.
Quando finalmente lasciarono la Sala Grande e si recarono verso le lezioni di quella mattina, Cathy e Dominique stavano ancora discutendo sulle dimensioni apparentemente molto piccole del cervello di Nott.
Alice si era estraniata, persa nei propri pensieri; rimase in un mondo tutto suo per l’intera giornata, rimanendo cosciente quel tanto che bastava per scarabocchiare qualche appunto di Trasfigurazione mentre con la mente già vagava a ciò che sarebbe accaduto quel pomeriggio.
Quando infine arrivò l’ora del colloquio, era così nervosa che per poco non si era sgranocchiata tutte le unghie delle mani, che tremavano strette in due pugni.
Salutò le amiche al corridoio del secondo piano; poi, mentre queste si diressero nei rispettivi dormitori a preparare i bauli per l’indomani, Alice si recò verso l’ufficio della Spinnet, che le sembrava stranamente più grande e minaccioso del solito.
Alle cinque in punto bussò alla massiccia porta di legno e, solo dopo aver ricevuto il permesso d’entrare, mosse pochi passi titubanti all’interno della stanca circolare.
Le riaffiorò subito alla mente il ricordo di quella notte, e poi, immediatamente dopo di questo, uno più vecchio e sfocato, che risaliva all’inizio di quell’anno: il primo giorno di scuola, quando lei e James erano stati messi in punizione per aver scatenato una rissa ancor prima di mettere piede nel castello. Lily Potter l’aveva definito un record; lei, Alice, l’aveva definita una disgrazia.
Anche se, doveva ammettere, non proprio tutte le conseguenze di quella punizione erano state disastrose.
« Accomodati pure, signorina Paciock », disse la Spinnet con quel suo solito tono gentile ma perentorio, appostata dietro la sua scrivania ed intenta ad impilare delle pergamene che davano l’aria di essere documenti importanti.
« Grazie, professoressa. »
Quando Alice prese posto nella sedia di fronte a lei, la Spinnet sollevò gli occhi dalle scartoffie, la squadrò con gli enormi occhi azzurri e mise su un’espressione piuttosto rilassata.
« Dunque: questo colloquio ha come scopo quello di aiutarti nello scegliere quale carriera ti piacerebbe intraprendere una volta conclusi gli studi qui ad Hogwarts » cominciò. « Ti servirà anche per capire che materie scegliere per il sesto e il settimo anno. So che prendere questo tipo di decisioni è difficile, ma è fondamentale per il tuo futuro, credimi. »
Alice deglutì, tesa, malgrado l’atteggiamento empatico della professoressa.
« Allora, quali sono le tue materie preferite, ora? In quali ti reputi più portata? »
« Oh, ehm - » Alice si schiarì la voce, « be’…mi piacciono molto Incantesimi e Cura delle Creature Magiche. E sono queste le due in cui prendo dei voti più alti. »
La Spinnet annuì, pensierosa, « Capisco. E per quanto riguarda le tue aspirazioni per il futuro? »
« Uhm. Io pensavo di…ho una mezza idea per…ehm… »
La professoressa interruppe, sorridendo, il suo patetico tentativo di cercare un’aspirazione lì, su due piedi. « Non ti preoccupare » disse, « molti ragazzi alla tua età non sanno ancora quello che vogliono. »
« Davvero? » si lasciò sfuggire Alice.
« Certamente. Alcuni lo capiscono durante il settimo anno, altri solamente dopo i M.A.G.O…anzi, sarebbe più strano se ne fossi già assolutamente convinta. Comunque, viste le circostanze, io ti consiglierei di orientarti in base a ciò che più ti piace: magari portando avanti gli studi di Cura delle Creature Magiche, o scegliendo il corso avanzato di Incantesimi. »
Alice ci pensò su; era un buon punto di partenza, perlomeno. Avrebbe preso quelle materie, ne avrebbe aggiunta qualcun'altra importante – come Pozioni e Trasfigurazione – e poi avrebbe potuto cercare di farsi venire in mente qualcosa in base a queste.
Sua madre voleva che pensasse a Medimagia, ma era l’ultima cosa che Alice intendeva fare. E insegnare, come suo padre…non ci si vedeva per niente. Non era per lei. Come non lo erano una carriera da giocatrice di Quidditch professionista o una da giornalista per la Gazzetta del Profeta. Ma allora cosa era per lei?
« Hai qualche domanda? » la incoraggiò la Spinnet, probabilmente notando la vistosa riga di preoccupazione che le tagliava la fronte.
« Sì » disse Alice, « se per caso volessi – se non ci fosse nessun lavoro magico…adatto a me? »
« Be’, puoi sempre puntare su un impiego babbano, ci hai mai pensato? »
Alice scosse la testa, così la Spinnet continuò: « Sono molti adesso i maghi che scelgono questa strada, specialmente nel caso in cui dovessero sposarsi con dei babbani. Se i tuoi interessi riguardano cose al di fuori del nostro mondo… »
Alice ripensò all’amore che nutriva per la letteratura babbana, che di certo non poteva garantirle un lavoro – a meno che non esistesse un qualche tipo di posto in cui venivi pagato per leggere sempre di più.
« …non c’è alcuna vergogna nel provare cose diverse. O potresti lavorare al Ministero, che offre davvero innumerevoli possibilità… »
Il Ministero le faceva venire in mente brutti ricordi.
(Un sacco di cose le facevano venire in mente brutti ricordi. E non era salutare, per niente.)
« …ma hai ancora del tempo per decidere. Per ora, concentrati sulle materie per il prossimo anno. Pensaci bene » l’avvertì, trapassandola con un’occhiata, « una volta fatta la tua scelta, non ti sarà più permesso cambiare. »
Uscita da quell’ufficio, Alice era, se possibile, ancora più nervosa e confusa di prima.
 
 ✻

Mentre tornava verso il dormitorio, Alice poté constare per l’ennesima volta il suo complicato rapporto con il fato, che sembrava provare piacere nel farle capitare cose spiacevoli e poi ridere gustosamente di lei. E infatti, mentre percorreva un corridoio apparentemente isolato al terzo piano, incappò in una delle scene più disgustose che avesse mai visto: schiacciati contro il muro di pietra, Chris Canon e Bree-rovina-momenti erano impegnati in un allucinante scambio di saliva, che le fece drizzare i peli sulle braccia.
Non appena li avvistò, Alice sgusciò di corsa dietro l’armatura più vicina, ringraziando il cielo o chiunque avesse deciso che fosse il caso di allestire la scuola con quei singolari pezzi d’arredamento. Nascosta lì dietro, non osava allungare la testa per avere una visuale del corridoio: non ci teneva affatto, e nella mente aveva ancora una chiara immagine che non riusciva a scacciare.
Chris la teneva così stretta che fu costretta a chiedersi se Bree riuscisse almeno a respirare, in quella presa; inoltre, avvolgeva uno dei seni di lei in una stretta d’acciaio, che aveva tutta l’aria di fare un male cane.
Così gliela spremerà, pensò Alice. E poi le venne da ridere; si bloccò di colpo dopo il primo schiamazzo, appena in tempo per capire che i rumori di risucchi che quei due emettevano erano appena cessati.
« Hai sentito? » stava sussurrando Bree.
« Cosa? »
« Una risata. Forse dovremmo andarcene. »
« Siamo in un castello stregato, Bree. Probabilmente sarà stato Pix, o un fantasma. Dai, lascia perdere... »
Altri risucchi.
Alice alzò gli occhi al cielo, ma era sollevata: se l’avessero scoperta, non avrebbe mai saputo trovare una scusa plausibile per spiegare il motivo per cui si trovasse lì. Improvvisare davanti a Chris le era riuscito bene una volta, ma era meglio non sfidare la sorte di nuovo.
Cercando di fare il meno rumore possibile, Alice fece dietro-front, svoltando l’angolo del corridoio senza mai guardarsi alle spalle. Avrebbe preso la via più lunga per il dormitorio, ma non importava.
Quello che davvero contava, era l’effetto che le aveva fatto vedere quei due scambiarsi effusioni nel bel mezzo di un corridoio deserto: nulla assoluto. Il vuoto totale.
Niente guance arrossate, né moti di rabbia inspiegabile, né quel fastidioso prurito alla bocca dello stomaco che aveva provato la prima volta che li aveva visti baciarsi.
E ne era così contenta che avrebbe potuto mettersi a saltare dalla gioia.
 
Varcato il buco del ritratto, Alice mise piede nella sala comune di Grifondoro credendo di trovarla vuota come quella mattina, con la mente già rivolta verso il suo caldo letto a baldacchino – aveva in programma di saltare la cena e dormire fino alla mattina dopo. Di certo non si sarebbe mai aspettata, invece, di vedere quel mucchietto di studenti tutti ammassati in un angolo, vicino il camino, dal quale provenivano degli strani rumori di voci acute che in un primo momento non riuscì ad identificare.
Superò le poltrone e si avvicinò a Gwen, che si trovava ai margini del piccolo cerchio formato dalla folla: « Che sta succedendo? » bisbigliò.
La ragazza si voltò verso di lei con gli occhi spalancati per lo stupore. « Mitchell e la Weasley stanno per darsele di santa ragione! »
Alice ci mise trenta secondi buoni per digerire il significato di quelle parole. Mitchell e la Weasley. Non era assolutamente possibile.
Scosse la testa, incredula, ma poi sentì l’inconfondibile voce di Rose dare conferma ai suoi timori: « Va bene, ora basta. Non c’è alcun bisogno di dare spettacolo. Smettiamola. »
Alice sfruttò la sua piccola statura per sgattaiolare in mezzo agli altri, tutti molti più alti e massicci di lei, e sbucare in prima fila. La scena che le si parò davanti era a dir poco assurda: da un lato vi era Rose, in piedi, con le gote tinte di rosso e un’espressione chiaramente seccata; dall’altro c’era Jo, che si trovava vicino ad uno dei divanetti e fissava la Corvonero con occhi fiammeggianti. La tensione nell’aria era così fitta da poter essere tagliata con un coltello.
« Ma fammi il piacere, Rose » sbottò Jo, roteando teatralmente gli occhi al cielo. « Il tuo problema non è dare spettacolo, è non sapere più che diavolo dire! E non sono tutti obbligati a obbedirti solo perché sei un prefetto. O una Weasley. »
Fu come se qualcuno avesse versato addosso a Rose un secchio d’acqua gelida.
Alice fissò Jo, sconcertata: quest'ultima sapeva quanto ferisse Rose essere etichettata per la sua famiglia, sapeva quanto ci sarebbe rimasta male. Eppure, non aveva esitato nemmeno per un secondo a scagliarle addosso quelle parole.
« Attenta a come parli, Mitchell » intervenne una voce burbera di ragazzo; quando Alice, come tutti gli altri, si voltò, vide James farsi largo tra la piccola folla di studenti.
« Ecco che arriva la cavalleria. » Jo incrociò le braccia e lo guardò con le sopracciglia inarcate, chiaramente in segno di sfida.
« Non c’è bisogno, Jamie » disse Rose con calma, esprimendo tuttavia una certa risolutezza che non ammetteva obiezioni.
« Esatto, Jamie, non intrometterti » cinguettò Jo.
James la guardò come si potrebbe guardare un esemplare di Vermicolo particolarmente disgustoso. « Non sarai certo tu a dirmi quello che devo o non devo fare » le fece notare.
« Ooh, che paura! » commentò Jo, l’ironia marcata nella sua voce, « è questo il meglio che sai fare? »
« Senti un po’, razza di… »
« James » tuonò Rose una seconda volta. « Basta. »
« Ma no, finisci la frase, Potter! Insultami pure! Prendi le difese della tua adorata cugina! D’altronde è questo quello sapete fare meglio voi Weasley, no? Farvi coprire dagli altri, sempre nascosti dietro la schiena di qualcuno, con - »
« Piantala, Jo! » Rose, con il viso ormai di un intenso color porpora, era quasi sull’orlo delle lacrime. « Forse sarò anche una rompiscatole, come dici tu, ma sai cosa? I miei amici, i miei parenti, loro rimarranno per sempre al mio fianco. E sì, prenderanno le mie difese, perché è questo che si fa in una famiglia. Invece tu respingi tutti, sei così impegnata a pensare a te stessa che non ti accorgi nemmeno di ferire le persone che ti vogliono bene. Hai fatto del male a me, ad Alice, e lo farai a tutti quelli che ti si avvicineranno, perché è quello che sai fare meglio. E’ per questo che nessuno ci sarà per te, è per questo che rimarrai sola. E vuoi sapere un’altra cosa? Mi dispiace per te. »
Jo incassò il colpo con difficoltà, facendo involontariamente un passo indietro. Rose, invece, si era eretta in tutta la sua statura e aveva un’espressione incredibilmente ferita, sebbene a tratti furiosa.
 « Bene. » Fu tutto ciò che riuscì a pronunciare Jo, livida di rabbia. Poi, senza un’altra parola, questa girò i tacchi, voltò a tutti loro le spalle, e scavalcò senza difficoltà la marmaglia di Grifondoro. Poi si girò all’improvviso, rivolgendosi con occhi freddi e accusatori verso Alice– che aveva creduto erroneamente di non essere stata notata: « Vedi? Te lo avevo detto. Tu l’hai già scelto, da che parte stare. »
E detto ciò, sparì senza ulteriori indugi su per le scale del dormitorio femminile, seguita a ruota dagli sguardi curiosi dei presenti.
Non appena si fu dileguata, gli occhi di tutti i Grifondoro si puntarono su Rose, la quale tratteneva a stento le lacrime; Alice si diresse in fretta verso di lei, passandole un braccio attorno alle spalle e conducendola il più lontano possibile da lì. Fu imitata da James, il quale, grazie al cielo, si premurò di scacciare via chiunque tentasse di seguirli.
Una volta fuori dalla sala comune, Alice abbracciò Rose, tenendola stretta più che poteva. Quando infine si staccarono, Rose aveva il viso rigato da lacrime silenziose, che asciugò via velocemente con l’orlo della camicia, per poi aprirsi in un sorriso titubante.
« No, sto bene » asserì, anticipando la domanda di Alice.
« Rose » proruppe James, grattandosi la nuca, « magari potremmo… »
« Sto bene » ripeté, « davvero. Non c’è bisogno. » Rivolse loro un altro mezzo sorriso. « Devo andare in dormitorio, ora. Ho ancora un baule da riempire…ci vediamo. »
Alice restò a guardarla percorrere il corridoio con le gambe tremolanti.
« Che idiota, quella vostra amica » fu il commento di James. Anche lui fissava Rose allontanarsi, e aveva un’aria piuttosto preoccupata, conferita soprattutto dai profondi solchi sulla sua fronte.
« Eh, già. »
« Le starai vicino, no? » farfugliò poi lui, facendo cenno verso la cugina con un gesto impacciato. « Ora avrà bisogno di qualcuno, immagino…insomma… »
« Certo, James » lo bloccò Alice, sorridendo al suo tenero tentativo di affrontare un argomento che riguardasse la sfera emotiva. Provava un certo piacere distorto nel vederlo imbarazzato, perché era un sentimento che lei conosceva bene, mentre lui a volte pareva essere il ragazzo più sfrontato ed espansivo del mondo. « Le starò sempre accanto. »
 
 
Il mattino successivo, la stazione di Hogsmeade pullulava di vita, mentre centinaia di studenti si preparavano al tanto atteso ritorno a casa.
Quando l’Espresso fece il suo ingresso, rallentando progressivamente fino a fermarsi davanti a loro, l’eccitazione era ormai talmente palpabile e i giovani così irrequieti che Hagrid, incaricato di badare al trasferimento degli alunni sul treno, era sull’orlo di perdere le staffe.
Alice era sulla banchina con Rose, Cathy, Albus e Dominique, in attesa che la folla si diradasse cosicché potessero caricare anche i loro bauli.
« Spero che anche quest’anno organizzeremo qualche partita a Quidditch tra cugini » stava dicendo Dominique, splendida come sempre nei suoi jeans super-attillati. « Non vedo l’ora di battere Roxanne! »
« In bocca al lupo, allora » disse Fred Weasley, appena sbucato alle sue spalle. « Mia sorella è invincibile, Domi, persino per te. »
« Sciocchezze. »
« Se è in squadra con Lily, poi, non potrai vincere per nulla al mondo » scherzò Rose.
« Allora, Alice, che giorno hai detto che arriverai? » le chiese Cathy, lasciando i due cugini alle loro dispute.
« Credo la mattina della vigilia. » rispose lei con una smorfia, ripensando al Tè delle Streghe.
« Non vedo l’ora! Io sarò già là da Rose…arriva presto, non vorrei dover trascorrere troppo tempo sola con Albus » ridacchiò, lanciando al suddetto un’occhiata divertita.
I Potter erano vicini di casa dei Weasley, e così Albus, James e Lily passavano praticamente metà del loro tempo da Rose.
« Sì, Alice, ti prego, salvaci da questo supplizio » commentò Albus.
Alice rise, mentre Cathy assunse un’espressione di finto stupore ed esclamò: « Era mica sarcasmo, quello?! Attenzione, maghi e streghe! Albus Potter sa fare del sarcasmo! Che si avvicina pericolosamente allo scherzare. Non ti pare di esagerare un po’? »
Albus scosse la testa, sconsolato, ma Alice poté giurare di aver visto gli angoli della sua bocca incurvarsi verso l’altro.
Lasciò vagare lo sguardo tra le teste di ragazzi impegnati nell’affrettarsi a salire sul treno. Erano tutti così indaffarati che nessuno di loro si accorse dello sguardo premente di Alice, praticamente imbambolata di fronte a quello spettacolo chiassoso e, in qualche modo, caloroso.
E poi lo vide: in piedi di fianco ad una delle panchine della banchina, con il baule da una parte e una pergamena stretta tra le mani, c’era Adam Mason.
Aveva un cappello con visiera e un semplice giacca di jeans, e guardava insistentemente verso il treno, come se fosse catturato da qualcosa di molto importante o molto bello. Ed era, come sempre, estremamente carino.
Alice mosse i piedi verso di lui prima che potesse anche solo rendersene conto, ritrovandosi improvvisamente faccia a faccia con il Tassorosso. Maledisse mentalmente se stessa, pentendosi subito di quello che aveva fatto; poi si accorse che lui, ora, la stava fissando, così si schiarì la voce nel tentativo di darsi un contegno – tentativo reso vano dall’evidente espressione da pesce lesso che aveva sulla faccia.
« Ciao » disse, cercando di sorridergli nonostante l’imbarazzo.
« Ehy, Alice. » Si ricordava il suo nome se lo ricordava se lo ricordava! « Pronta a partire? »
« Direi di sì, » lanciò un’occhiata di sbieco verso il suo baule, che aveva lasciato vicino ad Albus e Cathy. Entrambi la stavano guardando da lontano, con un sguardo divertito decisamente mal celato. « Tu? Starai dai tuoi? »
Adam fece una smorfia. « Dagli zii dalla parte di mio padre. Un vero strazio. Fortuna che dopo Capodanno torno dritto di filato a Hogwarts. »
Alice annuì, comprensiva. « Io sono sotto custodia dei miei fino alla vigilia, ma poi per fortuna andrò a stare dalla mia amica Rose. »
Adam le sorrise. Per un po’ nessuno dei due disse nulla, e Alice ebbe l’oscuro presentimento che quello lì fosse stato un sorriso di congedo, che lui non stesse aspettando altro che girasse i tacchi e lo lasciasse in pace, ma poi lui sembrò farsi coraggio, e proruppe all’improvviso: « Senti, magari potremmo scriverci durante le vacanze. Insomma, se…se ti va. »
« Sì! » esclamò Alice, forse un po’ troppo velocemente. Così si schiarì una seconda volta la gola, costringendosi a darsi un tono. « Voglio dire, sì, certo che mi va. »
Adam sorrise ancora e Merlino, aveva persino le fossette. E le lentiggini. Moltissime, innumerevoli, adorabili piccole lentiggini.
« D’accordo, allora. Buone vacanze, Alice. »
« Buone vacanze, Adam. »
Quando tornò verso il punto in cui, un minuto prima, c’erano tutti i suoi amici, lo trovò deserto. In effetti, la maggior parte degli studenti aveva ormai preso posto sul treno, lasciando così la banchina molto più vuota di quanto non fosse prima.
Una voce, proveniente da qualche parte sopra di lei, la fece sobbalzare e voltare.
« Se non ti sbrighi ti lasciamo qui! »
Era Cathy, affacciata da uno dei finestrini.
« Avanti, sali, rubacuori! Abbiamo noi il tuo baule. »
Alice sorrise ed imitò gli altri salendo sull’Espresso, e raggiungendo lo scompartimento dal quale Cathy si era affacciata. In quella piccola porzione di treno era riunito un numero sorprendente di persone, tutte ammassate sui sedili come meglio potevano: Rose, Albus, Cathy, Dominique, Fred, James, Lily e Hugo, tutti intenti a scherzare e discutere in modo colorito dei temi più bizzarri. Alice non sapeva come erano arrivati a quel punto, e non ricordava il momento preciso in cui tutti loro erano diventati così amici; fatto stava che quel cambiamento le piaceva, e sperò con tutto il cuore che non fosse l’ultima volta che vedesse quello stesso scompartimento così pieno da scoppiare.
E quando prese posto, arrancando, accanto al finestrino, ripensò ad Adam Mason e alle lettere che avrebbe scambiato con lui nei giorni seguenti, non accorgendosi neanche del sorriso che, inevitabilmente, le increspò le labbra. 

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Capitolo 25
*** The hardest part ***


24.
The hardest part

“Oh I, I wish that I could work it out.
And the hardest part
Was letting go, not taking part…”
The Hardest Part, Coldplay
 
 
 
Alice osservò, sbuffando, il vestito tutto merletti e pizzi che si trovava sul letto.
Lo stava fissando da diversi minuti, ormai, e più lo guardava, più si convinceva che qualcuno lo doveva avere affatturato proprio perché diventasse così brutto.
E ci era riuscito, alla perfezione. Era il capo d’abbigliamento più orrendo che avesse mai visto, sembrava uscito da un catalogo del 1500: lungo fino alle caviglie, ti ricadeva addosso come una tunica informe, bianco latte, con le maniche larghe sugli avambracci e la scollatura praticamente inesistente, incorniciata da un nastro.
Era persino più bizzarro delle tuniche per maghi, che ormai in pochi, dopo la Guerra, si ostinavano a portare.
(Dopo l’integrazione dei maghi nel mondo babbano, incoraggiata dal ministro Shacklebolt, nelle varie cittadine magiche era stato aperto più di un negozio che vendeva quasi esclusivamente roba babbana: elettrodomestici, apparecchi dagli usi più svariati e, naturalmente, vestiti. E così, mentre i Babbani continuavano a vivere serenamente all’oscuro del mondo che li affiancava, i maghi si avvicinavano sempre di più a ciò che, per lungo tempo, gli era stato tenuto lontano.
Nonostante questo, la maggior parte della popolazione magica continuava ad ignorare come si utilizzasse il cellulare o come funzionassero i dvd, e non; ma il segreto era, come diceva sempre il ministro, fare le cose un passo alla volta.)
Dopo aver preso un lungo respiro, comunque, Alice si provò il vestito lo stesso, perché così le aveva indicato di fare sua madre; non si girò verso lo specchio, decisa più che mai a non vedere il proprio riflesso – sapeva che, se l’avesse fatto, si sarebbe tolta quella cosa di dosso immediatamente.
Si diresse, quindi, verso la finestra, per sbirciare la vita che scorreva placida nel quartiere: i giardini ordinati, il terreno morbido, gli alberi spogli e i loro rami ancora ricoperti della neve che era caduta qualche giorno prima. Sulla strada principale, sulla quale la stanza di Alice si affacciava, c’erano tre bambine, che pedalavano allegre sulle loro biciclette, avvolte da pesanti giubbotti invernali che quasi nascondevano loro il viso.
Nel cortile dei vicini, ricoperto da grandi vetrate che impedivano al freddo di entrare, il vecchio signor Thompson se ne stava fermo, in piedi davanti al suo cavalletto, con una mano sul mento e gli occhi fissi sulla tela di fronte a lui. Da quella prospettiva, Alice non poteva vedere il dipinto; non era mai riuscita a vederne uno, nonostante le capitasse spesso di scorgerlo là, a fissare i suoi quadri con quell’aria pensierosa, e la mente che nuotava in chissà quali abissi a lei sconosciuti.
La signora Joplin, dall’altra parte della strada, non faceva che annaffiare le aiuole, in qualsiasi periodo dell’anno: persino ora che gli arbusti erano costituiti da rami aggrovigliati e i boccioli erano solo un vago ricordo della primavera precedente, lei apriva la finestra al piano terra, che dava sul giardino, e passava con cura l’annaffiatoio su ogni pianta.
Ma era quella di Alice a vincere la nomina di casa più bizzarra del vicinato, solo che da fuori poteva dare l’impressione di essere perfettamente ordinaria, e così, a saperlo, erano solamente i suoi abitanti, che quell’anno in particolare ammontavano all’egregio numero di quattro: lei, sua madre, suo padre e Frittella.
Frittella era la più scalmanata, non faceva che saltellare dal suo baule, abbandonato mezzo pieno ai piedi del letto (Alice non aveva voluto svuotarlo tutto, visto che, tra nemmeno due giorni, sarebbe dovuta ripartire per raggiungere Rose), al tappeto, che era ormai diventato la sua lima per unghie preferita. Approfittava di quei pochi instanti in cui Alice non c’era per metterle a soqquadro la stanza: quando lei poi provava a spiegarlo a sua madre, Hannah non le credeva, e si arrabbiava moltissimo per tutto il disordine. Alice continuava a credere che quel gatto fosse posseduto, ma forse era solo tremendamente intelligente.
Nel tentativo di ammazzare la noia di quei giorni, aveva sistemato la scrivania, rimesso al proprio posto tutti i libri sugli scaffali della libreria, piegato e ripiegato i vestiti nei cassetti dell’armadio ad angolo; aveva camminato fino al negozio di ferramenta lì vicino per comprare delle lucine natalizie da appendere qua e là sui muri della loro abitazione, e poi suo padre le aveva incantate perché emettessero della musica ogni volta che qualcuno vi passava accanto. Così ora, quando le capitava di aggirarsi per la casa, i suoi passi erano prontamente seguiti dalle note di Jingle Bells e White Christmas.
Sotto l’albero, che avevano sistemato nel salotto, sostavano cinque regali: uno per lei da parte dei suoi genitori, uno per suo padre e uno per sua madre da parte sua, uno per Frittella e uno per la nonna.
A pensarci, le dispiaceva più di quanto avrebbe creduto non poter passare quel Natale con sua nonna – ma la prospettiva di trascorrerlo con Rose e Cathy era troppo entusiasmante per rinunciare.
« Alice? Alice? Vuoi scendere, per piacere? È tardi, santo cielo! »
La voce di sua madre le fece, come al solito, alzare gli occhi al cielo.
Prese frettolosamente le proprie cose (un pacchetto di fazzoletti, qualche zellino e il telefono cellulare che Jo le aveva regalato l’anno precedente), le infilò nella sua borsa fidata rivestita di toppe colorate e si recò giù per le scale, dove mamma-belva la aspettava con indosso un vestito spaventosamente simile al suo, sul viso un’espressione contrariata.
« Perché ci hai messo così tanto? »
« Mi stavo preparando » mentì, pensando con un moto di tristezza a tutti i suoi tentativi fallititi di scappare dalla finestra. Il fatto che fuori da Hogwarts non potesse utilizzare la magia aveva reso tutto più complicato.
« Dobbiamo muoverci, siamo in ritardo! »
Hannah afferrò con irruenza la sua borsetta dal tavolino nell’ingresso, come se quella le avesse fatto chissà quale innominabile torto. Buttò un’occhiata verso Alice, probabilmente per controllare che avesse indossato quello che aveva preparato per lei – e che la ragazza era stata ben felice di coprire il più possibile con il cappotto.
« Prendi il mio braccio » disse poi, non appena furono sull’uscio di casa.
Alice continuava ad odiare la Materializzazione, ma la cosa pareva inevitabile, visto che suo padre, l’unico in famiglia a saper guidare un’automobile, non sarebbe tornato dal Ministero fino a quella sera, e non c’era nulla al mondo che avrebbe convinto Hannah Paciock ad usare le scope.
Così pose, riluttante, una mano sul braccio che la madre tendeva verso di lei. E un secondo dopo, ecco che il mondo attorno a loro era sparito, mentre l’unica cosa a cui riusciva a pensare era il suo corpo, innaturalmente compresso su se stesso mentre viaggiavano nello spazio-tempo.
Ma fu questione di pochi istanti: tutto finì in fretta come era iniziato, e Alice si ritrovò improvvisamente con i piedi sul marciapiede che si trovava proprio di fronte a Madame Lefévre, la Sala da Tè più raffinata del mondo magico – o almeno, così diceva l’insegna luminescente che pendeva sopra il locale. In realtà, le aveva sempre dato l’impressione di essere un posto molto squallido, che però fingeva di avere un certo decoro: era un buco grande all’incirca quanto l’aula di Divinazione, pieno di tavolini in legno rivestiti con tovaglie bianche, piattini e posate di ceramica e candele profumate che fluttuavano sopra i divanetti di pelle, ma anche grosse ragnatele sul soffitto, biscotti rancidi e camerieri ancora più sgradevoli.
Hannah si lisciò le pieghe sui vestiti, mentre Alice aveva solo voglia di vomitare.
Stupida, stupida Materializzazione!
« Non mi sento molto bene » rantolò.
« E’ normale sentirsi frastornati dopo essersi materializzati… »
« Non penso sia normale sentirsi così tanto frastornati, però. »
Hannah sospirò. « Devi abituartici, Alice. Cosa farai, altrimenti, quando sarai più grande? Andrai a piedi in ogni posto? Non potrai volare su grandi distanze. Ti comprerai una di quelle diavolerie babbane su quattro ruote? »
« Potrei sempre avere una motocicletta, che ne ha due, di ruote. »
« Non scherzare, signorina. Non ti permetterei mai di avvicinarti a uno di quegli aggeggi mortali, per carità! »
Alice scosse la testa, rassegnata: era totalmente inutile parlare con sua madre.
Si trascinarono dentro il locale, l’una con un gran sorriso tirato stampato in faccia e i capelli sistemati in un’impeccabile crocchia ordinata, l’altra con le gambe tremolanti, l’orribile vestito sgualcito e la faccia di un colorito che somigliava vagamente al verde.
Quando entrarono (Hannah ripeté, per l’ennesima volta, quanto fossero in ritardo) trovarono il loro solito tavolo, in fondo alla sala e vicino alla finestra che dava sulla strada, praticamente già al completo.
Alice non ebbe nemmeno il tempo di prepararsi mentalmente alla situazione che un’ondata travolgente di chiacchiericci e schiamazzi la travolse non appena fu a portata d’orecchio.
« Hannah! Hannah, da questa parte! »
« Siete arrivate finalmente! »
« Che vestito grazioso! »
Alice si sforzò di non storcere il naso, mentre sua madre sorrideva e annuiva a tutto con una determinazione ed un’eleganza che facevano invidia al mondo intero.
Le streghe che partecipavano con loro, ogni anno, al Tè delle Streghe erano sette:
Julia Littleton, capo dell’organizzazione Le Streghe In Bianco di Londra e leader di ogni incontro del Tè delle Streghe da che Alice ne avesse memoria, era anche felicemente sposata da dieci anni, lavorava part-time al Ministero e si vociferava che avesse nove vite come i gatti; Vanessa McFly, la donna più chiacchierona che Alice avesse mai incontrato, famosa per i suoi abiti dalle stoffe pregiate e, in generale, per il peso esorbitante del suo portafoglio; Calì e Padma Patil, gemelle e graziose come due rose, che Alice trovava molto più simpatiche di tutte le altre nonostante fossero esageratamente impiccione; Annalise Macmillan, madre della sua compagna di scuola Stacey e, come lei, nata con lo straordinario potere di sapere tutto sui fatti di tutti; Marietta Edgecombe, dalla voce acuta come uno spillo, che aveva sempre in tasca qualche insulto camuffato sotto le spoglie di un bel complimento; e ultima, ma non meno importante, Mary Finch-Fletchley, affetta da gravi manie di protagonismo e da una fissazione per l’ordine talmente insopportabile che Alice aveva deciso di affibbiarle il soprannome di Signora Perfettini, e non se pentiva nemmeno lontanamente.
« Abbiamo avuto qualche imprevisto » si scusò sua madre, prendendo posto accanto Padma Patil e lasciando ad Alice l’unica altra sedia libera che, con sua immensa gioia, si trovava proprio a capo tavola, così che potesse essere vicina da un lato ad Hannah e dall’altro alla Signora Perfettini.
Come se non bastasse, si sentiva ancora tremendamente nauseata dalla materializzazione di poco prima, e le sembrava che il suo stomaco stesse facendo le capriole.
« Non importa, tesoro » esordì Vanessa, che quel giorno aveva deciso di portare un enorme cappello di paglia ricoperto di fiori finti, così ora la sua testa assomigliava ad una serra. « Come sta tuo marito? »
« Molto meglio, cara. Con le giuste cure, si è ripreso perfettamente. »
« Ernie era così scioccato! » intervenne Annalise. Ernie, che era suo marito, aveva frequentato Hogwarts negli stessi anni di sua madre, così i due si conoscevano praticamente da una vita. Stessa cosa valeva per Justin, il marito di Mary, che però non si faceva mai vedere in giro (Alice sospettava che si fosse ritirato in esilio volontario dopo tutti quegli anni di matrimonio passati con lei).
« Lo eravamo tutti, tesoro, lo eravamo tutti » annuì Vanessa, comprensiva.
Padma si rivolse ad Alice, attirando simultaneamente l’attenzione della sorella.
« Come stai, tu? Dev’essere stato un brutto colpo. »
« Sto bene » assicurò Alice, « anche se…non abbiamo ancora capito, uhm, com’è successo. »
Si sentì orribile ad approfittare così della situazione ma, in fin dei conti, non stava facendo male a nessuno. Inoltre, Padma lavorava al Ministero, e Calì nella Gazzetta del Profeta…le probabilità che ne sapessero qualcosa non erano alte, ma neanche inesistenti.
« Un orribile incidente » sospirò Padma, « mi ricordo quella notte come fosse ieri. »
« Oh, sì, a chi lo dici! Gli uffici della Gazzetta sono letteralmente impazziti » disse Calì.
« Ma non avete scritto nulla sull’accaduto » sottolineò Alice cautamente.
Ne era certa, perché aveva controllato i giornali per settimane dopo quel giorno in ottobre, e sebbene altri incidenti inquietanti fossero stati riportati in tempo record, di un articolo sull’attacco a Neville e Ron non c’era mai stata traccia.
« Abbiamo scritto eccome! » esclamò Calì, « ma ci è stato impedito di pubblicare. Un’ordinanza urgente del Ministero, pare…un tantino sospetto, se vuoi sapere come la penso io. »
« ‘Lice » intervenne a quel punto Hannah, che fino ad allora era stata presa da una carismatica conversazione sui fidanzati, a quanto pareva numerosi, della proprietaria dei Tre Manici di Scopa – cosa di cui a chiunque altro non importerebbe nulla, ma le loro vite erano così noiose che farsi gli affari propri non era pensabile. « Perché non racconti a Mary di come sta andando la scuola? »
Padma le lanciò un’occhiata complice, come a dire ne-parliamo-dopo, mentre la Signora Perfettini portava i suoi sottili occhietti accusatori su di lei. Erano ancora più spaventosi dietro le lenti dei suoi occhiali a cerchio, che li facevano sembrare grossi quanto due palle da golf.
« Ehm…bene, credo » farfugliò, a disagio.
« Mi fa molto piacere, Alicia – »
« …è Alice… » la corresse.
« – visto che so che quest’anno avrai i tuoi G.U.F.O. »
Non sapeva il suo nome, ma sapeva che avrebbe avuto i G.U.F.O., ovviamente. Alice si sforzò di sorriderle, sebbene quelle palle da golf le facessero venire voglia di scappare via.
« Benjamin ha ottenuto i voti più alti del suo corso, quando diede i suoi esami » esclamò la Perfettini, senza darle il tempo di dire alcunché, « tutti i professori ne rimasero colpiti! »
Benjamin era suo figlio, nato un paio d’anni prima di Alice, che ora faceva l’apprendistato di Medimagia diciassette ore su ventiquattro al San Mungo. Come lo sapeva? Semplice: Mary non aveva smesso di parlarne un secondo l’anno precedente, dopo che il figlio aveva brillantemente superato tutti i test d’ammissione.
« Anche Alice va molto bene a scuola » commentò sua madre con una punta di acidità, « non è vero? »
Lei, presa alla sprovvista, farfugliò qualcosa di poco significativo. « Be’…sì, più o meno… »
« Benjamin aveva Eccezionale in tutte le materie eccetto Pozioni » disse Mary quasi ringhiando, nonostante mantenesse il suo sorriso zuccheroso.
« Alice è la migliore studentessa di Cura delle Creature Magiche del suo corso » abbaiò  Hannah in tono perfettamente misurato.
Veramente, non era del tutto vero…
Ma quando fece per parlare, lo stomaco di Alice si ribaltò di nuovo: Dio, quella nausea. Al ritorno, non si sarebbe smaterializzata nemmeno morta, anche a costo di farsela a piedi fino a casa.
« Benjamin lavora più sodo di tutti gli altri nel suo apprendistato. »
« Alice diventerà un Medimaga eccezionale. »
« A Benjamin è già stato chiesto di operare in piccoli interventi con gli specializzandi. »
« Alice è Cacciatrice nella sua squadra di Quidditch! »
« Benjamin giocava come Battitore! »
Andò avanti così per quelle che parvero ore. Le altre streghe al tavolo si limitarono ad ignorarle, tanto che alla fine l’unica vittima della loro sfuriata fu il cameriere, il quale fece lo sbaglio di offrire un biscotto alla cannella alla Signora Perfettini, che essendo allergica, lo minacciò di andare a fargli causa per tentato omicidio dal Ministro della Magia in persona.
Alice, scioccata dal comportamento della madre, realizzò che doveva essersi persa qualche puntata cruciale, visto che il Tè delle Streghe era mutato da soap opera a reality show nel giro di qualche minuto. Poi, proprio quando la sua nausea da materializzazione stava per raggiungere il culmine, ormai convinta di essere sull’orlo di rimettere tutti i biscotti che aveva ingurgitato, quasi non si accorse del lieve tintinnare del suo cellulare.
Era così poco abituata a quel suono (non riceveva né inviava mai messaggi, visto che lo utilizzava pressappoco una volta ogni sette anni), che quello dovette suonare per un buon quarto d’ora prima che realizzasse qual era la fonte del rumore.
 
 
Nuovo messaggio, 334 567 9100:
Ciap, spnp James. Seu d@ Mad88ame Lefevre5?
 
Alice fissò il display, esterrefatta, tentando di dare un senso a quello che c’era scritto. Alla fine replicò:
 
Sì, sono da Madame Lefévre. Come lo sai? E come hai il mio numero?
 
Ripose il telefonino nella tasca della borsa a toppe, sempre più sconvolta. Osservò le labbra della Signora Perfettini muoversi, senza ascoltarla davvero, per un altro po’ – poi, l’avviso squillante di un nuovo messaggio la fece praticamente sobbalzare sulla sedia.
« Ma che ti prende?! » le bisbigliò allora sua madre, cercando di evitare le occhiate invadenti delle altre streghe.
« Niente. Scusa. » sussurrò.
Non appena Hannah tornò a partecipare attivamente alla conversazione, e la lunga sequela di velate umiliazioni ricominciò, Alice riprese il telefono.
 
Nuovo messaggio (1), Albus Potter:
James non sa usare il cellulare. Siamo qui fuori, ti abbiamo vista dalla vetrina e non eravamo sicuri che fossi tu.
 
Nuovo messaggio (2), 334 567 9100:
Lp sp usare benniss3mp. Esc5i?
 
Alice scosse la testa e digitò frettolosamente la risposta:
 
Non posso uscire.
 
Non dovette attendere molto prima che lo schermo s’illuminasse di nuovo.
 
Nuovo messaggio, 334 567 9100:
Ven3iamo dentrp a prendert3i.
 
Spalancò gli occhi, nel panico. Gettò un’occhiata al di là della vetrina, ma non riuscì a vederli da dove si era seduta. Riprese a digitare furiosamente:
 
Vi prego, non fatelo. Mia madre ucciderebbe prima me e poi voi.
 
« Allora, Alicia - »
La voce di Mary la riportò bruscamente alla realtà.
« Alice » la corresse ancora una volta.
« – sai già quali materie prenderai il prossimo anno? »
Mascherò uno sbuffo. « Sì, più o meno, credo che… » ma a quel punto si portò la mano sulla bocca, assalita da un vero e proprio conato di vomito.
Mary la fissò come se fosse impazzita, mentre negli occhi di sua madre si faceva lentamente strada la comprensione di ciò che sarebbe successo di lì a poco: in quell’istante, Hannah si sporse verso di lei, allarmata, ma Alice, voltata dall’altra parte, aveva già vomitato tè, biscotti e probabilmente anche l’anima sopra la lunga gonna color porpora della signora Perfettini.
Sull’intero tavolo piombò il silenzio.
Un secondo più tardi, l’urlo disgustato di Mary squarciò l’aria come un vaso che cade in frantumi, e tutta la sala d a tè, fortunatamente non molto popolata, si voltò nella loro direzione.
« Toglietemelo di dosso! Toglietemelo! Toglietemelo! »
« Mi dispiace tanto…davvero, io…mi scusi… » farfugliò Alice nel panico, dandosi da fare con le salviettine di carta, finché  Hannah non le bloccò il polso.
« Lascia perdere, faccio io qui, tu va’ in bagno a pulirti! »
Alice non se lo fece ripetere due volte, balzando in piedi e precipitandosi nella toilette più in fretta che poteva; lì si sciacquò la bocca, maledicendo l’acqua ghiacciata, poi sostò circa dieci minuti davanti la porta chiusa a chiave senza trovare il coraggio di uscire, mentre dalla sala provenivano le urla forsennate di Mary e l’inconfondibile rumore di risatine.
Finita. La sua vita era finita.
Ma fu a quel punto che sentì un botto contro il vetro della finestra, come se qualcuno, da fuori, vi stesse tirando contro qualcosa. Se ne stette in silenzio finché non udì ripetersi lo stesso rumore un’altra volta: a quel punto, si fece forza con le braccia e, scostata la tenda, tirò su il vetro, lasciando che una folata di freddo pungente invadesse tutta la stanza.
« Fidati del mio istinto, piccolo Albie! »
« Potresti, di grazia, piantarla di chiamarmi così? »
« James, finiscila di tormentare Albus. »
« “Finiscila di tormentare Albus!”  Per Godric, Lily, sembri la mamma! »
Alice scosse la testa, incredula. Affacciata dalla finestra, aveva riconosciuto chiaramente le figure dei tre fratelli, uno dei quali teneva in mano una manciata di sassolini.
« Come sapevate che c’ero io? » domandò, al che i tre Potter si voltarono verso di lei.
« Ecco, appunto » spiegò Albus accigliato, « non ne avevamo idea, in realtà. »
« Ah, ma figurati, ne ero certo » protestò James, lasciando cadere tutti i sassolini a terra e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Lily. « E come vedi, avevo ragione. Adesso esci? » aggiunse, rivolto ad Alice.
« Ehm… »
D’accordo, forse rientrare lì dentro dopo quel che era successo non era esattamente al primo posto nella lista delle cose che avrebbe voluto fare…ma sarebbe stato totalmente illogico, se non pericoloso, sgattaiolare via – in particolare perché poi, in ogni caso, sua madre l’avrebbe scoperto, e a quel punto non osava neanche immaginare cosa sarebbe accaduto. E poi non aveva nemmeno il giubbotto con sé, quando lì fuori dovevano esserci circa dieci gradi.
Insomma, forse la dignità l’aveva persa dieci minuti prima in quella sala, ma aveva ancora un po’ di buon senso.
E così, naturalmente, alla fine disse: « …certo. »
Si arrampicò sul bordo della finestra, che grazie al cielo si trovava al piano terra, e poi, complice la sua innata grazia e destrezza nei movimenti, scivolò giù di sedere sull’asfalto di fuori.
James le offrì una mano per rialzarsi.
« Cosa ci fate qui? » chiese poi, incuriosita, mentre si ripuliva il vestito dallo sporco che c’era per terra. Improvvisamente si rese conto che, senza il suo cappotto, Albus, James e Lily godevano di una vista impeccabile di quel disastro di vestito che portava addosso. A quel pensiero, arrossì furiosamente, e cercò di sembrare a suo agio come meglio poteva, nonostante fosse praticamente impossibile ormai.
« Compriamo i regali di Natale » disse Lily spiccia, stringendosi nelle spalle. « Tu, invece? »
« Be’… » e raccontò loro dell’incontro, di quanto lo odiasse, e di come era andato a finire.
Quando smise di parlare, Albus le mise una mano sulla spalla con aria comprensiva, Lily si portò le mani alla bocca con aria scioccata, mentre James si stava sbellicando dal ridere.
« Le hai…davvero…addosso…ah-ah-ah… »
« Non è divertente! » lo riprese lei.
« Un po’ lo è » disse Albus in un sussurro, al che Alice lo guardò davvero molto, molto male.
Ma poi scoppiò a ridere anche lei, perché la risata di James era tremendamente contagiosa e perché, in effetti, un po’ lo era davvero.
Aggirarono il locale passando dal retro, per avere la sicurezza di non essere visti da Hannah, e si ritrovarono ben presto sulla via principale. L’intera strada era illuminata da decori natalizi di ogni genere: lucine colorate, pupazzi di babbo natale e grosse scritte che recitavano “Auguri!” erano appese da tutte le parti; il Ghirigoro aveva messo in mostra in vetrina un gigantesco pupazzo di neve animato che salutava i passanti, mentre dalla cucina aperta di Fortebraccio proveniva un invitante odorino di cioccolata calda.
James, Albus, Lily e Alice ne presero una tazza a testa, e vagarono per Diagon Alley con grossi sorrisi e baffi di cioccolata. Successivamente si fermarono davanti ad Accessori di Prima Qualità per il Quidditch, dove trascorsero quelle che parvero ore. Alice s’incantò ad osservare un paio di guanti da Cacciatore esposti in bella vista su uno degli scaffali: erano neri, di pelle di drago, e attiravano il suo sguardo come l’avrebbe fatto un diamante grosso quanto una palla da biliardo. James e Lily sbirciarono con estremo interesse gli ultimi modelli di Nimbus, esageratamente cari per tutti loro, e poi James s’innamorò di un set di adesivi per scope che recitavano cori, insulti alle squadre avversarie e tutta una serie di incitamenti spiritosi.
I fratelli Potter ebbero una piccola discussione sul regalo da fare a Ginny, in quanto James era più che propenso a comprarle un kit professionale di manutenzione delle scope, mentre Albus continuava a ripetere che il deodorante per ambienti alla Mandragola le avrebbe fatto più piacere. Alla fine, come Alice immaginava, vinse Lily, che uscì dal negozio tutta soddisfatta con una cornice incantata, seguita a ruota dagli sbuffi dei suoi fratelli. Alice chiese che si fermassero al Serraglio Stregato, dove acquistò i croccantini per Frittella e un grazioso collare ricoperto di vischio; una volta usciti, si avviarono verso una panchina ricoperta dalla neve del giorno prima.
In quel punto, la strada era praticamente deserta, eccezion fatta per loro tre -ma d’altronde, a quell’ora del pomeriggio, era quanto mai improbabile trovare molta gente a spasso per Diagon Alley.
« Germania, 1967. I Cannoni di Chudley contro gli Heidelberg Harriers » stava dicendo James con una strana luce negli occhi, come se stesse parlando della sua fidanzata o di una cosa a lui molto, molto cara. « Giocavamo in trasferta, su un campo nuovo, e con il Battitore di riserva. Le possibilità di vittoria erano praticamente inesistenti. »
« Eppure il destino era dalla nostra » cantilenarono Albus e Lily, l’ombra di un sorriso sui loro volti. Lo dissero come se avessero ripetuto quelle parole altre mille volte, e Alice sospettò che James avesse già raccontato questa storia, e che il resto della sua famiglia ormai la conoscesse a memoria.
« Esattamente » annuì il ragazzo. « Sette minuti dopo il fischio d’inizio, Johnny Hopkins afferra il boccino, il suo primo boccino nella sua intera carriera da Cercatore! »
« Evviva » commentò Albus senza entusiasmo, facendo scoppiare a ridere la sorella.
Ma James non se ne curò, preso com’era dal suo racconto. « La partita si conclude 150 a 0. In meno di dieci minuti! La folla è in delirio. I tifosi tedeschi per poco non iniziano una rissa. »
« Saranno stati furiosi » osservò Alice.
 « Puoi dirlo forte. Non erano furiosi. Erano neri. Ma ormai avevamo vinto, che potevano farci? »
Albus scosse la testa, esasperato, mentre Lily sembrava divertita.
« E così i Cannoni vincono la prima partita di campionato. »
« E l’ultima » gli fece notare Alice. Quando James la guardò male, si strinse nelle spalle. « L’incontro successivo l’abbiamo perso 190 a 10…e poi siamo usciti dal campionato. »
Non era mai stata una grande tifosa, ma sapeva bene di quel particolare evento, in quanto Ron, il padre di Rose, non faceva altro che ricordarlo con rammarico ogni volta che si parlava dei Cannoni di Chudley in casa Weasley -  cioè sempre.
James, ora, aveva un’espressione ferita.
« Be’, è vero… » si giustificò Alice.
« Ma solo perché abbiamo perso anche il secondo battitore. »
« Nemmeno la Bulgaria andava forte » ribatté Lily a quel punto, « il loro Cercatore regolare si era rotto tutte le costole la settimana prima. »
« Ma avevano comunque due dei Cacciatori più forti al mondo: sono ritenuti ancora oggi dei grandi nonostante ormai siano troppo vecchi per giocare, e… »
« Ragazzi » li richiamò Albus, un po’ scocciato.
« E noi avevamo Peaks come Portiere, che era decisamente superiore al portiere bulgaro… »
« Ragazzi. »
« Cosa?! » domandarono a quel punto Alice, James e Lily.
Albus lanciò loro un’occhiata di sbieco, sulla difensiva, poi fece un cenno spazientito verso la strada. « Non vi pare un po’ strano? »
Inizialmente Alice non capì a cosa si riferisse, ma poi, dopo uno sguardo più attento nella direzione indicata, lo vide: Draco Malfoy, parzialmente nascosto dall’albero che sovrastava la panchina dove i ragazzi erano seduti, se ne stava dritto in piedi con sguardo altero davanti a quello che, un tempo, era stato il negozio di bacchette di Olivander. A seguito della guerra, tuttavia, di questo non erano rimaste nient’altro che macerie. Il locale era ancora in piedi per miracolo, ma gran parte del muro davanti era ormai quasi del tutto crollato – probabilmente colpito da chissà quanti incantesimi dei Mangiamorte – la porta era stata sradicata dai propri cardini e tutte le finestre sbarrate con pesanti assi di legno. L’interno era in fase di ristrutturazione da anni, ma i lavori erano poi stati abbandonati per mancanza di fondi. I più giovani erano talmente abituati a quel posto in rovina da non farci neanche più caso, nonostante si trovasse nel bel mezzo di una delle strade magiche più frequentate; per gli adulti, invece, era tutta un’altra storia: nessuno di loro, anche dopo tutti quegli anni, riusciva a rimanere indifferente di fronte a quel disastro. Tutti avevano acquistato le loro bacchette da Olivander.
« Che cosa ci fa lì…? » bisbigliò Lily.
Ma tutti loro tacquero quando lo spettacolo si fece improvvisamente ancora più curioso. Narcissa Malfoy  sbucò da quel vano buio che era l’entrata, facendosi strada a grandi falcate tra i mattoni e la polvere per raggiungere in figlio. I due si scambiarono qualche parola sottovoce; poi, dopo essersi gettati un’occhiata intorno per controllare che la via fosse vuota, si avviarono con circospetto dall’altra parte della strada.
Fortunatamente, l’albero vicino la panchina li aveva nascosti a sufficienza: né Draco né la madre sembravano essersi accorti della presenza di Lily, James, Albus e Alice.
« Be’, Al, credo che tu abbia ragione. E’ un po’ strano » commentò James.
Alice aggrottò le sopracciglia, sporgendosi per sbirciare ancora verso l’edificio. « Non è vietato entrare? »
« Probabilmente sì » disse Albus, « e comunque, non ha senso. Non c’è più niente lì dentro. Il Ministero ha ripulito tutto dopo la guerra. »
« E poi non ce li vedo i Malfoy a rubare nei vecchi negozi » disse Lily.
James lanciò alla sorella un’occhiata strana, che sembrava chiaramente dire “perché parli bene dei Malfoy?”. Lei sembrò capire al volo, poiché aggiunse: « Oh, per favore, piantala. I Malfoy non ti piacciono solo perché vuoi imitare a tutti i costi papà. »
Fu come se avesse appena dato a James uno schiaffo in faccia. « Senti un po’, saputella… »
« Non è proprio il momento » li interruppe Albus, e dal suo viso Alice intuì che fosse quasi annoiato. Anche quello, rifletté, doveva essere stato un argomento di discussione trito e ritrito nella famiglia.
Lily incrociò le braccia al petto. « Non è colpa mia se nostro fratello è un razzista. »
« Io sono un razzista? Lily, hai idea di quello che hanno fatto i tuoi cari amichetti durante la guerra? Di quello che hanno fatto ai nostri genitori? » Il suo sguardo s’incupì improvvisamente. « Hanno quasi ucciso papà. »
« Sono passati più di vent’anni, santo cielo! »
« Be’, non mi importa. »
« James, certe volte sei proprio ottuso. »
« Non parlarmi con questo tono, Lily! »
Alice guardò Albus in cerca d’aiuto, ma questi scosse la testa in modo sconsolato. « Sì, fanno sempre così » constatò.
Lei continuò a guardare, a disagio, i due fratelli litigare. Alla fine decise che era proprio arrivato il momento di mettere fine a quello spettacolino, così se ne uscì con la cosa più assurda, più improbabile che avrebbe potuto dire.
« Ehm, scusate » si schiarì la voce. « Io credo che dovremmo seguirli. »
James e Lily s’interruppero e la fissarono con la bocca spalancata.
« Cosa? » fece Lily, « Alice? »
« Sì, insomma, si stavano davvero comportando in modo strano, e poi…lei aveva preso qualcosa, una scatola, credo. Piccola. Vorrei sapere che cos’era. Voi no? »
Non mentiva: aveva visto la scatolina in mano a Narcissa una volta uscita da Olivander, sebbene solo per un fugace attimo prima che la donna la nascondesse sotto le vesti.
Albus aveva un’espressione in qualche modo tradita, e Alice capì che l’idea non gli piaceva affatto. Forse aveva pensato che lei avrebbe trovato un modo un po’ più intelligente di porre fine alla litigata dei suoi fratelli…
« Be’, uhm… » Lily sembrò pensarci su. « E’ un po’ strano, voglio dire, non è illegale seguire la gente? »
« Già, non è una buona idea » rincarò Al.
Ma James era già partito in quarta. « Ha ragione, è un’idea grandiosa. » Rivolse loro il più entusiasta dei sorrisi. Poi, di fronte alle loro facce incerte, sbuffò. « Oh, andiamo, non siete curiosi di sapere che stavano facendo? Nemmeno un po’? »
Lily si mordicchiò le labbra e Alice capì che aveva già deciso. Albus, invece, aveva quell’espressione che mettevano su i professori quando non avevi portato i compiti, o ti eri dimenticato il rotolo di pergamena in dormitorio.
« Non possiamo metterci a seguire la gente e basta » sbottò.
Alice alzò le spalle e lo guardò in segno di scuse.
« Ma non ci stiamo mettendo a seguire la gente e basta » precisò James. « Stiamo solo…pianificando di percorrere casualmente i loro stessi passi. Di nascosto. Semplice, no? »
Fece loro l’occhiolino.
 
***

Si ritrovarono ben presto nel vicolo che portava a Notturn Alley. La questione, dovette ammettere Alice, si stava facendo sempre più sospetta; la maggior parte dei negozi di quel lato della strada avevano chiuso da tempo, e ben poca gente si azzardava a frequentare quei pochi rimasti. Certo, le arti oscure non erano scomparse con la caduta di Voldemort e forse non sarebbero mai state debellate del tutto, ma a nessuno piaceva essere visto lì, probabilmente temendo di poter poi passare in cattiva luce di fronte alla comunità magica. Inoltre, ancora adesso la strada era pattugliata da un gruppetto di Auror a intervalli regolari della giornata, che di tanto in tanto facevano controlli nei locali aperti.
« Ahia, James, mi hai pesato un piede! »
« Scusa, Lils, ma non dare la colpa a me se i tuoi piedi sono grandi come quelli di un troll. »
Alice udì un tonfo alle sue spalle, e il successivo gemito di dolore di James. Soffocò una risatina.
« Shh! » li ammonì Albus. « Siamo vicini. Potrebbero sentirci. »
I quattro si sistemarono in fila dietro ad una colonna di mattoni. Alice, che in qualche bizzarro modo era finita in capo al gruppo, si sporse per avere una visuale sulla strada. Ed eccoli: Narcissa e Draco, a braccetto, che suonavano il campanello di Magie Sinister. Sparirono dietro la porta.
« Sono entrati nel negozio » dichiarò Alice facendo un passo indietro.
« Ah, accidenti. Dobbiamo trovare il modo di entrare anche noi. »
« Forse non sarà necessario, fratellone » replicò Lily rivolgendo a James un sorriso furbo. La discussione era già stata dimenticata, a quanto pareva. « Ho un paio di queste. »
Frugò nelle proprie tasche e tirò fuori due piccole cimici a forma di orecchio. Erano un prodotto rigorosamente Weasley: figlie delle Orecchie Oblunghe, erano state perfezionate da George affinché risultassero più comode e meno appariscenti nell’utilizzo.
« Basterà infilarne una sotto la porta e sentiremo tutte le cose sporche che hanno da dirsi » affermò Lily, soddisfatta.
Albus storse il naso a quell’uscita, mentre James sorrise. « Sono davvero orgoglioso di te » disse a sua sorella.
Alice provò un moto di tenerezza, come sempre accadeva quando aveva modo di constatare quanto profondo e particolare fosse l’affetto che legava i tre fratelli Potter. Era anche piuttosto sollevata che la litigata fosse passata in secondo piano così velocemente, visto che a lei, le discussioni, non piacevano per niente, e tanto meno amava vedere i suoi amici così turbati.
Fu lei, poi, a sporsi nuovamente verso la strada e a lanciare la cimice, che rotolò fin sotto la porta e scivolò silenziosamente dentro il negozio.
« Io l’ho detto che la tua mira è eccezionale » si complimentò Lily, « sei davvero un’ottima Cacciatrice. »
Alice le sorrise, arrossendo un po’, e poi tutti loro si azzittirono non appena l’orecchio rimanente cominciò a vibrare nella mano di Lily, attivandosi.
« …Non vogliamo comprare niente, qui » stava esclamando, in tono sprezzante, Narcissa. La sua voce risuonò acuta e leggermente metallica attraverso la cimice.
« Allora fuori dal mio negozio! » abbaiò Sinister.
« Bada a come parli » lo riprese quello che Alice identificò come Draco. « E’ mia madre quella che hai davanti. »
« E dovrebbe importarmene qualcosa? » Sinister scoppiò a ridere. « Il vostro nome non è più niente! Niente! Non avrete nessun rispetto, da me. »
Si udì qualche rumore sordo, poi Draco iniziò a bisbigliare. « Nemmeno tu vali più nulla, stupido imbroglione. Senza più nessuno a cui fare da leccapiedi… » Altri rumori di sottofondo. Qualcosa che colpiva una superfice dura. « …cosa ne sarà della tua misera vita? »
« Ora basta, Draco. »
« Sì, Dracuccio, dai ascolto a mammina… »
« Sei un pezzente » sbottò Malfoy. Il suo tono faceva paura, e Alice dovette reprimere un brivido. « Mi prenderò quello che è mio, con o senza il tuo consenso. E ora dammi quella chiave. Non voglio passare in questo posto sudicio un minuto in più del necessario. »
« Dovevate pensarci bene, prima di nascondere le vostre cose nel mio negozio…prima di tradire… »
« Tu parli a noi di tradimento? Sappiamo bene del tuo colloquio con gli Auror. Sappiamo tutto, di come ti sei venduto e hai venduto altri Mangiamorte per non finire ad Azkaban… »
« Ah! » Sinister stava di nuovo ridendo. La sua voce era ruvida e flebile, e continuava a tossire ad intervalli regolari. Sembrava in condizioni pietose, a dir la verità. Ma c’era una cattiveria spaventosa nel modo in cui pronunciò le parole successive, che erano intrise di veleno. « Tutti noi abbiamo giocato sporco dopo la guerra. E stando alle voci che sento in giro…voi Malfoy più di tanti altri. »
« Lucius ha fatto quel che doveva per proteggere la sua famiglia » replicò Narcissa.
« Lucius si è nascosto! Come un codardo! Per tutta la guerra! »
« Acoltami attentamente, feccia » intervenne a quel punto Draco. « Conosco persone a cui non farebbe piacere sapere dei giochetti che hai architettato per evitare di andare in fallimento…ti sei tenuto le tue ricchezze, ma ad un prezzo molto alto. Ora tu mi darai quello che cerco – e me lo darai immediatamente – o io mi premurerò di alimentare quelle voci di cui parli. Hai fatto carte false pur di salvarti…e ora ne pagherai le conseguenze. Scommetto che non ti piacerebbe avere uno dei vecchi amici alle calcagna…no, vero?...lo immaginavo… »
Ci fu qualche secondo di silenzio. Poi altri rumori: qualcosa che veniva spostato, un cassetto chiuso, un suono vagamente stridulo. Alla fine, Sinister parlò di nuovo, questa volta in modo molto più controllato, calmo, professionale.  « Se non c’è altro, signori, vi prego di lasciare il locale. »
 
Alice fissò i compagni a bocca aperta; sentirono la porta del negozio tintinnare ed aprirsi. I ragazzi si schiacciarono contro il muro, aspettando pazientemente che il rumore dei passi di Draco e Narcissa Mafloy si facesse sempre più fievole fino a sparire del tutto.
A quel punto però, prima che qualcuno di loro potesse azzardarsi a fare il primo commento, un suono agghiacciante proveniente dalla cimice li fece tutti sobbalzare, al che Lily la lasciò andare improvvisamente facendola cadere a terra.
Fissarono, scioccati, il piccolo oggetto. All’altro capo, che si trovava ancora all’interno del negozio, qualcuno stava evidentemente sfregando il secondo orecchio, poiché il rumore provocato era una specie di gridolio – simile a quello prodotto da una forchetta che struscia su un piatto o dalle unghie che graffiano una lavagna. Era a dir poco insopportabile.
Poi, così all’improvviso come era cominciato, il rumore s’interruppe, sostituito da una voce ancora più terribile.
« Chi è là? Chi c’è? So che state ascoltando…ficcanaso! Feccia! Se vi prendo… »
Sentirono anche i passi minacciosi di Sinister, ma prima ancora che l’uomo potesse mettere il naso fuori dalla porta, loro erano già scappati via, più veloci della luce, lungo la strada di ciottoli che riconduceva a Diagon Alley.










Note:
Eccomi qui (finalmente, direte voi...)! Innanzitutto, grazie, come sempre, di essere arrivati fin qua. Sono sparita - ma chi mi segue ul gruppo Facebook sa già di cosa parlo. Ho voluto aspettare un po' a pubblicare questo capitolo non perché non fosse finito, ma perché ho deciso di prendermi un po' di vantaggio e scrivere, scrivere, scrivere, di modo che d'ora in avanti la pubblicazione possa essere più regolare. Poi grazie a Elisa 
, la splendida ragazza che si è offerta di farmi da beta, mi sono finalmente decisa a postare. 
Ho buttato giù tutta la trama per filo e per segno da qui alla fine, e ho anche inserito e tolto molte cose per aggiustarne l'insieme. La storia dovrebbe arrivare, se tutto va bene, intorno ai 33 capitoli. E...che dire? Spero che rimarrete fino alla fine :P 
Tornando a noi: fate
mi sapere che ne pensate di questo capitolo, se vi va! I commenti sono ovviamente sempre ben accetti, e mi aiutano un sacco a scrivere.
Il capitolo 25 arriverà tra 10 giorni (se il calendario non mi inganna, dovrebbe cadere di lunedì). 

A presto

 

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