A 21st century werewolf story

di Owlfiction
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




Ehilà, ciao a tutti. Sono Owlfiction, e vorrei cominciare col ringraziarvi per aver aperto il primo capitolo della storia nonostante la descrizione della trama faccia schifo. Dico sul serio, non so come mi sia potuto venire in mente di scrivere una cosa del genere! Già la storia fa acqua, ma se si aggiunge una pessima descrizione sarò fortunato se verrà letta da due persone.
*si ritira a piangere in un angolo...
Dove ero rimasto? Ah, giusto. Volevo solo informarvi che la storia è già completamente finita e scritta sul mio computer, e che devo solo trovare il tempo di pubblicarla.
Saluti lupeschi e gufeschi a tutti,
Owl.

Capitolo 1

Il suono della sveglia mi strappò dal sonno molto più violentemente di quanto avrei desiderato. Mossi la testa per cercare l'origine del suono, emettendo un basso mugolio di protesta. Aprire completamente gli occhi impastati dal sonno mi stava costando più sforzo del previsto, così allungai un braccio alla cieca verso l'aggeggio infernale, cercando di non graffiarlo con gli artigli.
Premetti un punto che riuscivo a ritrovare anche ad occhi chiusi sul touch screen della mia tortura e questa smise di suonare. Mi feci mentalmente forza e mi levai a sedere, sentendo la coda impigliarsi nelle coperte.
Oh, a proposito, sono un lupo mannaro.
Dovetti scuotere l'appendice pelosa più volte perché le lenzuola mollassero la presa. Dopodiché mi alzai in piedi evitando accuratamente di venire catturato di nuovo dalla biancheria.
-No...- mi lamentai con me stesso -Maledizione!
Uno sguardo al mio giaciglio mi aveva permesso di appurare che questo era ricoperto di peli marrone scuro, tendenti al bordò. Perché mi ero dimenticato di nuovo che dovevo ritrasformarmi prima di andare a dormire, per evitare di pulire il letto ogni giorno?
Non avevo tempo per riparare al mio errore in quel momento. Dovevo andare al lavoro.
Mi spostai in cucina per mangiare. Aprii le ante dell'armadietto e scoprii con mio sommo disappunto (cosa che mi fece maledire me stesso per la seconda volta quella mattina) di aver mangiato l'ultimo cuore di bambino giusto il giorno prima, e di essermi dimenticato di passare al parco giochi per fare rifornimento.
Non mi avrete preso sul serio, vero?
Il problema era ovviamente un altro, anche se di una natura comune: avevo finito i cereali al cioccolato.
Cercai velocemente un rimedio, e lo trovai in pane e marmellata accompagnati con del tè. Dopodiché andai in bagno e decisi di usare una Parola per pulirmi le zanne (che c'è? Credete forse che solo perché sono un licantropo non dovrei badare all'igiene orale? Provate voi ad azzannare qualcuno con il dolore di una carie che vi trapana il cranio.). La magia fluì tra le cavità dentali più velocemente di qualsiasi spazzolino di ultima generazione e più efficacemente. Una veloce occhiata allo specchio mi confermò che non stavo troppo male.
Ero nella mia forma lupino-antropomorfa. I miei arti posteriori erano da lupo, sebbene fossero abbastanza stabili da permettermi di scegliere se camminare a quattro zampe o solo su due. Una coda di un paio di spanne si allungava dietro di me, mentre risalendo il mio corpo assumeva caratteristiche più umane. La mia pelle era sempre coperta di una folta pelliccia, ma il mio ventre, il mio petto e le mie braccia avevano un aspetto meno canino. Per quanto riguardava la mia testa, invece, era proprio quella di un lupo, con degli occhi azzurro ghiaccio.
Per quanto riguardava la stazza probabilmente ero molto più grosso di un umano medio, e più grosso del più grande umano, e questo non era sempre un bene, nel mio lavoro.
Un'occhiata all'orologio della cucina mi disse che, per quanto riguardava il lavoro, ero in ritardo.
Afferrai la divisa dall'armadio con uno scatto improvviso e la indossai in fretta e furia. La questione del vestiario per un licantropo può apparire controversa, ma noi la viviamo con semplicità. Essendo completamente coperti da una folta pelliccia, per noi non è uno scandalo se una lupa esce di casa nella sua forma animale indossando solo gli occhiali da sole, ma per lavori come il mio è obbligatoria la divisa, perciò sono costretto a vestirmi anche quando sono in ritardo.
Chiusi la porta in fretta e furia, sussurrando qualche sillaba ai sigilli magici perché si attivassero.
-Oggi è in ritardo, signor Elija Blackfur.- mi salutò la signora Kamiry, stesa sul sentiero di mattonelle riscaldate dal sole.
-Perspicace come al solito, milady.- salutai a mia volta, aprendo il cancello dello stabile.
La vecchia mutante-lucertola mi lanciò uno sguardo bonario e tornò a scaldarsi al sole, mentre io correvo, a quattro zampe, verso l'ufficio.
Al mondo esistono un sacco di cose che la maggior parte degli umani non conosce. Per esempio tutti i mutaforma, vari tipi di magia, e i quartieri dedicati a una o entrambe queste cose.
Parlando di mutaforma, tutti noi abbiamo a disposizione tre sembianze in cui trasformarci, cioè quella umana, quella animale, e un ibrido tra le due, che è quella in cui ero io in quel momento. Ovviamente esistono anche altre creature che non sono propriamente mutaforma, ma comunque legate alla magia, e sono talmente tante da non poter essere elencate tutte qui, o perderemmo completamente il filo del discorso.
Poggiai la mano sul sito di riconoscimento ed evocai un po' di potere perché lo scanner mi identificasse in base alla mia aura. Pochi istanti dopo si udì un leggero “din don” e le porte a vetri si aprirono, lasciandomi entrare.
Mi fermai un secondo a riprendere fiato. Erano le 7:59, e io dovevo registrare la mia entrata con la procedura che avevo appena eseguito entro le 8:00. Tecnicamente, non ero in ritardo.
-Ti è toccato correre, stamattina, El?
Non avevo voglia di udire quella voce in quel istante, ma la sorte aveva pensato diversamente.
-Sì Tom.- risposi, imprimendomi sulla faccia un sorriso che temevo apparisse essere falso -Sono rientrato tardi ieri, lo sai.
Tom era un licantropo, come me, e anche lui era nella sua forma ibrida, di lupo mannaro dal pelo bruno chiaro e a chiazze bianche.
Avevamo partecipato entrambi, la sera prima, ad una specie di festa aziendale per la condanna in via definitiva del capo di un gruppo di criminali che sfruttava mutaforma per il traffico di esseri umani. Il mio team aveva contribuito alle indagini, e dato il nostro successo ci eravamo concessi un po' di svago come premio. Tom se n'era andato ben prima di me.
-È un sollievo che tu sia arrivato.- disse, con un tono eccessivamente zuccheroso -Il capo ti vuole in sala riunioni tra dieci minuti.
La sua affermazione mi lasciò sorpreso, sia per il modo in cui l'aveva detta sia per ciò che aveva detto. Non riuscivo a immaginare perché il capo volesse vedermi, né perché Tom si fosse offeso per questo.
-Allora mi conviene sbrigarmi.- mi congedai -Buona giornata, Tom.
-Anche a te. E buona fortuna.- aggiunse, indugiando prima della parola “fortuna”.
Mentre salivo le scale dell'edificio non potei fare a meno di chiedermi ancora cosa avesse Tom. Io e lui non eravamo mai stati amici, anzi, verso quel lupo provavo un vago sentimento di antipatia a causa di alcuni suoi modi che trovavo tiranneggianti, ed esibizionisti. Però ci eravamo sempre sopportati a vicenda senza nemmeno bisogno di queste vaghe punzecchiature verbali.
In poco tempo fui davanti alle porte di metallo della sala riunioni, su cui c'era stampato il simbolo del Protettorato, lo scudo con al centro una fiamma. Lo stesso simbolo era ricamato sulla mia divisa, all'altezza del cuore. Quando entrai in sala riunioni venni accolto dallo sguardo freddo di Gerald McGery, direttore di questa sezione del Protettorato, Generale della nostra provincia e un mutaforma-aquila che non vorrei avere mai contro nella vita.
-Buongiorno signor Blackfur,- mi salutò McGery, nella sua forma umana -temevamo non arrivasse, visti gli avvenimenti di ieri sera.
Presi una boccata d'aria prima di rispondere.
-Fortunatamente i suoi timori non si sono avverati.- risposi, sedendomi su una delle sedie girevoli che circondavano il grande tavolo bianco.
-Allora, signori e signore, possiamo cominciare.- annunciò McGery.
Mentre lo schermo grande come tutta la parete si accendeva alle spalle del capo, io osservai le persone intorno a me. Notai con mia sorpresa che i posti intorno al tavolo erano tutti occupati. Conoscevo solo alcune di quelle persone, e in generale avrei potuto dire che la maggior parte di loro erano o esperti in relazioni tra umani, o Artificieri (i maghi esperti nello spezzare incantesimi). La cosa che mi mise in guardia era un soldato delle teste di cuoio seduto in silenzio vicino al capo.
-Signor Blackfur.- mi chiamò McGery.
Mossi la testa verso di lui appena in tempo per vederlo pronunciare la domanda successiva.
-Lei perché è qui?
Scossi la testa e sgranai gli occhi.
-Scusi?- chiesi a mia volta.
-Intendo- specificò McGery -perché lei lavora al Protettorato?
La domanda mi colse impreparato. Sospettai che fosse una specie di strano test, o che fosse l'inizio di una lunga ramanzina che terminava con la frase “Sei licenziato, lascia il distintivo sul tavolo”.
-Beh...- esitai -Il Protettorato è un organismo...
-Non voglio una definizione tratta da un dizionario, Blackfur.- mi interruppe di nuovo il capo -Voglio che lei ripeta quello che ha scritto sulla domanda di ammissione all'accademia, sotto la domanda “perché desidera diventare Protettore?”.
Me la ricordavo, quella domanda, il giorno del test d'ammissione. Me la ricordavo perché mi aveva colpito, perché era praticamente l'unica domanda di cui fossi certo della risposta che dovevo dare. Sapevo il motivo per cui ero diventato Protettore.
-Salvare vite.- risposi -È il motivo per cui lavoriamo. È il motivo per cui il Protettorato è stato fondato. Dobbiamo far rispettare la legge, certo, ma aiutare la gente è la ragione per cui io adesso non sono da un altra parte a fare il contabile.
-Senza offesa per i contabili.
McGery spostò lo sguardo verso il soldato di fianco a lui, lanciandogli un'occhiata d'intesa. L'altro sbuffò e girò la testa dalla parte opposta.
Sullo schermo si materializzò all'improvviso la foto di una ragazza.
-Questa è Jane Mory, ventitreenne- ce la presentò il capo, alzandosi dalla sedia -È una specializzanda in neurochirurgia. Vive poco al di fuori del quartiere riservato alle creature magiche. Non ha precedenti penali, ma ha una passione per il disegno e per i cani, anche se non ha animali domestici.
La ragazza aveva i capelli marrone chiaro a boccoli che le scendevano appena sotto le spalle. Il suo naso era piccolo, e leggermente all'insù, circondato da qualche lentiggine presente sulle gote. I suoi occhi erano dello stesso colore dei capelli, e il mento recava una piccola cicatrice.
Non la conoscevo, mi pareva evidente non essere una creatura magica, e, a parte l'età, non mi pareva di avere nulla in comune con lei.
-Quello è l'obiettivo dell'operazione?- chiesi, stupito.
Dalle occhiate che si scambiarono gli altri presenti dedussi di essere il solo a non essere stato ancora informato.
-In un certo senso.- confermò il capo -La signorina non ha commesso alcun reato, sia chiaro, lei è la vittima...
-E la minaccia.- aggiunse l'agente speciale di fianco a McGery.
Di norma se qualcuno osava interrompere il capo rischiava seriamente di beccarsi un'artigliata in faccia. Nessuno era mai stato colpito, s'intende, ma a volte sembrava che McGery potesse cavare gli occhi a qualcuno senza battere ciglio.
Evidentemente questo non preoccupava l'agente delle teste di cuoio.
-Ci stavo giusto arrivando.- commentò il capo, lanciando un occhiataccia al suo vicino -La signorina Mory è la vittima di una maledizione complessa e molto potente, che per ora giace dormiente nel suo corpo. Si attiverà solo tra due anni, secondo i nostri dati, causando la vampirizzazione della vittima.
Non ci fu nessun gesto plateale o esclamazione sorpresa nella sala. Non era la prima maledizione di questo genere che incontravo, e io ero praticamente appena sopra a uno stagista in fatto di carriera. In genere in questi casi si portava la vittima da un Artificiere, dove si svolgevano ore di controlli praticamente inutili per assicurarsi che la maledizione non fosse più complessa di quello che sembrava. Poi l'Artificiere diceva due Parole, spezzava l'incantesimo, e mandava a casa la vittima augurandole buona giornata.
-Non sarò io a darvi maggiori informazioni sul caso.- disse poi -Vi presento la vampira agente speciale...
-Dikstra.- pregò una voce femminile dietro di me -Solo e soltanto Dikstra, vi prego. Niente cognomi.
L'avevo riconosciuta dal momento in cui aveva aperto la porta, dal suono dei suoi passi. L'odore di vampiro che mi era arrivato alle narici era stato solo una conferma.
-Sei tornata solo ieri sera da Parigi, Dikstra.- dissi, freddo -Pensavo che saresti stata troppo stanca per venire al lavoro, oggi.
Sì, esistono anche i vampiri, e sì, bevono sangue, ma no, non sono immortali. Hanno un ciclo di vita comune, come tutti, escluso il fatto che possono essere uccisi solo decapitandoli, bruciandoli o trafiggendogli il cuore.
-Non potevo lasciare New York per sempre, né perdermi la tua convocazione dal capo.- sorrise lei, con gli occhi seducenti che brillavano -Ho troppe cose qui che amo: il clima, gli hot dog, un licantropo da prendere a calci...
-La presentazione del caso, Dikstra.- le ricordò il capo.
La vampira mi sorrise un'ultima volta, facendo allungare i canini, e andò di fianco allo schermo. Quel giorno la donna si era messa in tiro: aveva un vestito nero aderente che le scendeva fino alle caviglie, ma che si allargava sulle maniche, dove probabilmente erano nascosti i pugnali d'argento. I capelli corvini lisci le ricadevano su una spalla sola, mentre l'altra era scoperta.
-A Jane devono essere state somministrate costanti dosi di sangue di vampiro perché le potesse venire applicata una maledizione del genere.- cominciò Dikstra -Abbiamo il sospetto che di ciò siano responsabili gli Apostoli del Caos, una setta di vampiri che contesta apertamente l'autorità del Protettorato.
Uno strano sigillo, il simbolo degli Apostoli, apparve sul monitor.
-Questo gruppo predica l'uscita delle creature della magia dall'ombra. Vuole che entriamo nella vita degli umani.
-Noi siamo già nella vita degli umani.- rifletto -È il ventunesimo secolo. Molti umani sanno della nostra esistenza.
-Ma non tutti.- mi ricorda Dikstra -Gli Apostoli vogliono che ci separiamo dalla società comune, prendendone poi il controllo. Ritengono gli umani incapaci di autogovernarsi. Un'opinione che personalmente condivido, purché sia estesa a tutti gli esseri dotati di raziocinio, vampiri compresi.
Varie risatine d'approvazione risuonarono nella sala.
-È però la natura stessa della maledizione a preoccuparci.- continuò lei -Quando io scoprii in Francia questa fonte di magia...
-L'hai scoperta tu?!- esclamai sorpreso.
-Giovanotto- mi richiamò un altro lupo seduto al tavolo -Credo che lei dovrebbe portare più rispetto ad un agente operativo...
-Nessun bisogno di formalità, capitano.- lo rassicurò Dikstra -Io ed Elija siamo amici di vecchia data. E comunque, ho scoperto le prime traccie dei legami di potere a Parigi, e poi le ho risalite fino a qui.
-Come hanno fatto delle traccie della magia di una maledizione ad attraversare l'Atlantico?- chiesi, sorpreso.
-Non si tratta di una semplice maledizione di vampirizzazione, Elija.- rispose la vampira -Per cominciare, tutti gli artificieri qui presenti hanno dichiarato che non sarebbero in grado di spezzare quella maledizione senza conoscerne a fondo i dettagli. E per farlo sarebbe necessario trovare chi l'ha imposta, persona che guarda caso è molto brava a nascondersi.
Allora avremmo dovuto preparare quella ragazza al processo, sperando di riuscire a trovare quello stregone prima della scadenza del termine. Se non ci fossimo riusciti, vivere da vampiro non era poi così male, con la giusta preparazione psicologica per evitare il trauma.
-Inoltre- mormorò Dikstra -Jane è solo l'occhio del ciclone, il pilastro su cui si fonda l'incantesimo.
Lo schermo alle spalle della vampira cambiò e mostrò un atlante, dove comparvero varie linee rosse che congiungevano New York al resto degli Stati uniti, poi rimbalzavano in Francia, in Europa, e in Africa, seppur in maniera minore.
-Lo stesso processo è stato eseguito a random su varie persone nel globo.- illustrò Dikstra -Questa mappa segna solo quelle che siamo riusciti a trovare. Tra due anni, tutta questa gene andrà incontro a una vampirizzazione in contemporanea, e noi non possiamo annullare il maleficio. Questo è un attacco terroristico su larga scala.
La donna si fermò un attimo e mi fissò, per essere sicura che avessi compreso il concetto.
-Senza una preparazione e ritrovandosi da un giorno all'altro con la sete di sangue- terminò lei, senza staccare il suo sguardo dal mio -Avremo per le mani una carneficina su scala mondiale.
L'istante successivo ero convinto che stesse scherzando, che fosse tutto una colossale presa per il culo organizzata da Dikstra. In fondo, quella vampira aveva tutti i suoi appoggi da agente operativo speciale, e probabilmente persino McGery le doveva almeno un favore, perciò avrebbe avuto la possibilità per inscenare una cosa del genere...
Il sorriso che aveva cominciato a spuntarmi sulle labbra si tramutò immediatamente in un ringhio quando capii che Dikstra non stava mentendo.
-Quindi qual'è il piano?- domandai -Se avete bisogno del supporto del mio team...
-Vogliamo te, non il tuo team.- s'intromise McGery -La maledizione ha un unico, seppur enorme, punto debole, cioè ciò su cui si regge: la signorina Mory. Se impediamo che questa vada incontro a vampirizzazione, la tela dell'incantesimo non riceverà mai il segnale di attivazione e collasserà su sé stessa.
-Il modo più semplice per farlo sarebbe eliminare l'oggetto su cui è apposto il sigillo.- commentò ancora l'agente delle teste di cuoio, senza ironia.
-...ma l'eliminazione di una vittima innocente non rientra nelle nostre priorità!- appuntò McGery, con decisione -Abbiamo optato per un'altra soluzione.
Ci fu un istante in cui credetti che i due si sarebbero lanciati l'uno sull'altro. In quell'istante intravidi un dito della mano destra di Dikstra far scivolare lentamente un pugnale fuori dalla manica.
La situazione però si distese rapidamente, forse perché l'agente delle teste di cuoio aveva capito di essere in inferiorità numerica.
-Se trasformiamo la signorina Jane in una creatura magica che non sia un vampiro, la maledizione non potrà attivarsi.- espose McGery, riguadagnando il controllo.
Un licantropo non poteva diventare vampiro, certo, e non poteva avvenire nemmeno il contrario. Valeva lo stesso per tutte le altre creature magiche.
-Intende che dovremmo farla trasformare in uno di noi, signore?- domandai.
Neanche questa soluzione mi sembrava molto corretta, ma almeno Jane avrebbe avuta salva la vita.
-È il momento per salvare delle vite, Blackfur.- continuò McGery -Lei avvicinerà la signorina Mory da umano, e, quando i tempi saranno maturi, le esporrà il caso della sua difficile questione, e tenterà di persuaderla ad accettare questa soluzione.
Annuii, prendendo mentalmente nota dello scopo fondamentale dell'operazione e...
-Cosa?!- esclamai -Ma... ma io non sono un operativo!
Dikstra rise e io le lanciai un'occhiataccia. Mi promisi di prenderla a calci alla prima occasione.
-Lei potrebbe non essere il nostro agente più potente, o il più esperto in relazioni con gli umani, anche se si sta specializzando in questo campo- mi spiegò -ma abbiamo esaminato attentamente la situazione e abbiamo deciso che lei era il più adatto agente reperibile.
-Sia chiaro a tutti- specificò Dikstra -che per tutta la durata del meeting per prendere una decisione io non ho fatto che parlare male di Elija.
-La fiducia che riponi in me mi riempie di gioia.- commentai a denti stretti.
Presi un respiro e mi passai nervosamente le dita tra la pelliccia della collottola. Mi stavo specializzando in relazioni umane o no? Avrei dovuto vedere la faccenda come un'occasione per la mia carriera, oltre che come una fonte di appagamento personale che mi avrebbe permesso di aiutare il prossimo.
Il mio sguardo incrociò di nuovo quello di Dikstra, e lei mi fece silenziosamente segno di accettare. Mi resi conto che mi stava implorando di farlo.
-Va bene.- acconsentii -Quando comincio?
Il capo sorrise.
-Adesso. Ti voglio in forma umana e all'uscita tra quindici minuti.
Feci per alzarmi per andare a prendere degli abiti da civile di taglia umana, ma Dikstra mi fermò con un gesto della mano.
-Generale McGery,- chiese la vampira -le dispiacerebbe lasciarmi sola con Elija?
-No, agente.- rispose il capo, facendo un cenno col capo.
-E lasci attivi i sigilli anti-spionaggio.- si raccomandò la vampira, mentre il capo usciva, lasciandoci soli.
Dopo due secondi dalla chiusura della porta, Dikstra aprì un sacchetto che teneva in mano (non voglio sapere da dove lo aveva tirato fuori, siccome sul vestito non c'erano tasche) e con le erbe che conteneva cominciò a tracciare un piccolo cerchio intorno a noi, sussurrando Parole. L'odore delle erbe e gli incantesimi mi dissero che Dikstra stava apponendo dei sigilli per la riservatezza.
-La sala è già provvista di questo genere di...- cercai di protestare, ma lei non mi ascoltò.
Si girò verso di me solo dopo aver chiuso il cerchio, e averci lasciato cadere sopra una goccia di sangue pungendosi un dito.
-Ora dovremmo essere davvero al sicuro per una decina di minuti.- disse, fissandomi -I sigilli delle pareti possono essere disattivati da quelli che lavorano qui.
-E con ciò?- domandai -Non sarai mica nei guai, vero?
Lei scosse la testa, avvicinandosi a me.
-Abbiamo poco tempo, Elija, ascolta e basta.- disse, seria -Ti ricordi che ieri mi sono unita a voi per la festa del team?
Annuii. Era stata la prima volta che avevo rivisto Dikstra dopo il suo viaggio a Parigi.
-Ricordi che ti ho rubato un drink?- chiese ancora.
-Sì, te lo sei scolato prima che potessi anche solo assaggiarlo.- raccontai -E non me lo hai nemmeno pagato.
-Quel bicchiere era drogato.- mi rivelò lei.
Quella mattina erano successe troppe cose strane perché potessi registrare subito la notizia.
-Strozzalupo unita ad un sonnifero.- continuò lei -Ne ho avuto la certezza quando ne ho sentito il sapore. Ti avrebbe fatto dormire qualche ora in più stanotte, ma niente di grave. La cosa grave è che è stato Tom a cercare di metterti fuori gioco.
-Aspetta.- la fermai -Tom Witchwood? Quello che lavora con me?
-Sì.- confermò lei -Mi sembrava di averlo visto toccare il tuo bicchiere mentre eri girato, e così l'ho bevuto al tuo posto. Tanto noi vampiri siamo immuni all'avvelenamento.
-E perché avrebbe voluto farmi arrivare tardi al lavoro?- chiesi ancora -No, aspetta, non dirmelo.
Ricombinai i pezzi. Il suo saluto freddo quella mattina, il drink drogato, l'operazione che doveva partire immediatamente.
-Era il prossimo in lista per il mio posto nella missione, non è così?- chiesi -Se io non mi fossi presentato oggi avrebbero preso lui come rimpiazzo.
Lei mi sorrise.
-Sto avendo un effetto positivo su di te, visto che adesso fai lavorare la tua materia cerebrale.- si complimentò da sola.
Non avrei mai pensato che Tom potesse arrivare a tanto per lavorare in una missione come operativo, ma Dikstra non aveva ragione di mentirmi e io mi fidavo di lei, ciecamente.
Prima di continuare la vampira mi abbracciò.
-Stai attento, Elija. Non mi piace quel licantropo, è troppo ambizioso.- mi avvertì lei -E metti questo in casa.
Mi porse una strana sfera attaccata ad un elica, che all'apparenza sembrava un giocattolo per bambini.
-Se qualcuno che non sei tu entrerà nel tuo appartamento senza essere invitato da te, questa riprenderà la scena.- mi spiegò lei -E salverà i video anche su un server esterno, così avremo una copia nel caso l'intruso distruggesse questa telecamera.
M'infilai l'oggetto magico in una tasca e abbracciai la vampira a mia volta, lasciando che lei appoggiasse il capo sul mio petto.
-Non mi sei mancata per niente.- sussurrai.
-Nemmeno tu.- fu la risposta.
-Hai ancora il mio sangue?- domandai.
-Oh... sì, certo...
Prima che lei potesse separarsi da me, le sfilai dal collo un ciondolo con una fialetta metallica come medaglione. La scossi e mi accorsi che, a differenza di quello che aveva detto Dikstra, essa era vuota.
-Ho avuto un brutto incontro con dei lupi mannari che non conoscevano le buone maniere.- sbuffò lei -Gliele ho insegnate io, ma mi sono beccata un morso. Era piccolo, ma ho bevuto la fiaschetta per precauzione.
Per un vampiro venire morso da un licantropo trasformato poteva essere un problema. Una parte dell'odio millenario tra le nostre razze s'insinuava nella ferita, e l'odio è una delle magie più potenti per uccidere. Il perdono di un altro lupo poteva risanare la ferita, ma se l'odio corrispondeva al morso, il perdono coincideva con la cessione di qualche goccia di sangue.
Mi accostai il polso al muso e mormorai qualche Parola di guarigione prima di mordermelo. Ero abituato quella specifica sensazione di dolore, ormai. Usai dell'altra magia per direzionare le gocce di liquido rosso dentro la fialetta. L'emorragia si fermò subito, ma il potere guaritivo che avevo evocato nel mio sangue prima di ferirmi era passato anche nella fialetta, oltre che nella mia ferita.
-Me ne dovevi chiedere altro già ieri.- la rimproverai, rimettendole la collana al collo.
-Avevo paura di stancarti.- si giustificò lei, mormorando una Parola per far levitare le erbe e farle rientrare nel sacchetto.
-Considerando il lavoro che fai,- protestai -non dovresti preoccuparti della mia stanchezza se questa ti salva la vita.
Dikstra alzò gli occhi al cielo.
-Vedi di muoverti.- mi avvertì lei -Ti restano solo undici minuti.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 
Capitolo 2


Fortunatamente per me, il fatto di dormire da umano praticamente ogni notte mi aveva permesso di non disabituarmi a quella forma. Conoscevo gente che nella mia situazione avrebbe cercato di correre a quattro zampe, rotolando rovinosamente per terra.
-Mi senti, Elija?- disse la voce di Dikstra nel mio orecchio destro.
-Forte e chiaro, base.- risposi -E da tutta la vita che sognavi di tormentarmi mettendomi la tua voce nella testa, vero?
L'auricolare era piccolo, ed era stato costruito usando la tecnomagia, la scienza che tentava di unire la tecnologia agli incantesimi. In effetti, il congegno era talmente ben fatto che era invisibile dall'esterno, e non aveva bisogno di cavi che mi scendessero sul collo. Aveva le dimensioni di mezza unghia di mignolo.
-Vedo il bersaglio.- mormorai, non appena avvistai la ragazza che saliva sul ponte.
-Ricorda l'approccio che abbiamo stabilito insieme ieri, Elija.- mi avvertì Dikstra.
-Se le rivelo tutto subito, mi prende per pazzo- elencai, per dimostrare che ricordavo il piano -se divento suo amico e poi le rivelo tutto, si sente tradita perché capisce che la nostra amicizia era una farsa, e vive male la trasformazione. Se mi presento come un normale umano ma do pian piano segni di non esserlo, lei scopre pian piano la verità da sola, e non si sente ingannata.
-Se escludi il fatto che la tua incapacità come operativo potrebbe mandare tutto a rotoli comunque...- commentò lei.
Sorrisi, ma non mi offesi. Avevo capito il gioco di Dikstra. Essendo nel consiglio che aveva deciso chi scegliere per l'operazione, e avendo un ovvio legame con me, non voleva essere accusata di favoreggiamento, né che io venissi accusato di essere stato favoreggiato. Parlando male di me rimaneva imparziale, perché nessuno le credeva fino in fondo, ma comunque non diceva nulla a mio favore.
La mia spalla e quella di Jane si urtarono senza alcuna delicatezza. La cartelletta che Jane stringeva sotto il braccio le sfuggì e volò oltre il parapetto, verso le acque vorticose dell'Hudson.
Girai intorno alla ragazza. Stesi la mano fuori dal ponte e afferrai la cartelletta di plastica trasparente prima che potesse cadere nel fiume.
Mi voltai stringendo l'oggetto in mano.
-Grazie- disse Jane, accostandosi una mano al petto e sospirando -grazie infinite.
-Bella presa, Elija!- esultò Dikstra.
Una folata di vento scostò la sciarpa dal volto della ragazza, che indossava un impermeabile ocra e un cappello pesante, che le celava i capelli. I suoi occhi nocciola scattarono dalla busta a me per un secondo.
-Non c'è di che.- risposi, porgendole la cartelletta -Sono stato io a colpirti, era il minimo che potessi fare.
-Beh, hai anche i riflessi da Spider Man che ti hanno permesso di farlo.- si complimentò lei, afferrando la sua cartelletta.
Per un fugace secondo pensai di dirle che gli unici uomini ragno che conoscevo erano i tecnici della parabola satellitare che erano venuti un paio di giorni prima a casa mia. Quegli operai erano dei razzi ad arrampicarsi, e facevano pure reti di sicurezza di ragnatela per evitare incidenti dovuti alla caduta di oggetti o persone.
Poi mi ricordai che lei era umana e notai che quello che lei si stava riprendendo era un plico di disegni.
-Un lupo?- chiesi sorpreso, cercando di vedere meglio oltre la copertina trasparente.
-Sì.- confermò lei, nascondendo maggiormente i fogli.
Non era stata abbastanza rapida, e io avevo potuto dare un'occhiatina al lupo bianco che ululava sul foglio più in alto. E potevo giurare che la ragazza aveva del talento.
-Di norma le persone pensano sia un cane.- confessò lei.
-Non è colpa tua.- la rassicurai -Si capiva che era un lupo, è che la gente a volte non conosce la differenza.
-La regia ti dice che stai andando bene.- sussurrò Dikstra -E attento a non fare troppa pressione.
-Perché scusa?- rise Jane -Tu sei un esperto?
-No.- ammisi -Ma diciamo che i lupi sono... un hobby di famiglia.
Ed ecco un primo, velato indizio. Sperai che andasse bene.
-Comunque, mi chiamo Elija Blackfur.- mi presentai, tendendo la mano.
-Aspetta, Blackfur come... “pelliccia nera”?- mi chiese.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo.
-Speravo non lo notassi...- confessai -Il mio cognome è parte della causa della passione per i lupi della mia famiglia.
Mi resi conto di essere rimasto con la mano tesa per tutto questo tempo, e mi preparai a ritirarla. Ma lei la strinse prima che potessi terminare il gesto.
-Io sono Jane Mory.- si presentò.
Questo lo sapevo già. Pensai, sentendomi un poco in colpa per quello che stavo facendo.
-Il tuo cognome non è assurdo. Buon segno.- mi congratulai invece, sorridendo.
Lei sorrise a sua volta.
-Stai tirando un po' troppo la corda.- mi avvertì Dikstra -Adesso devi ricordarti di avere un impegno.
Tirai fuori il cellulare e guardai l'ora. Rilassai gli angoli della bocca e il mio sorriso svanì.
-Scusami, ma devo andare all'università.- cercai di congedarmi -Se ritardo mi perderò la lezione.
-E dove studi?- s'informò lei.
-Nell'università nuova, quella che hanno appena costruito da zero.- risposi -L'Università Murphy.
Avevamo scelto l'università appena edificata per la mia copertura perché era di proprietà di una società di creature affiliate con la magia.
-Ma è quella che frequento anch'io!- esclamò lei.
E anche perché era quella in cui studiava Jane.
-Sto andando adesso ad un corso di chimica.- continuò a raccontarmi -Se vuoi possiamo andarci insieme.
Finsi di pensarci un secondo.
-Perché no?- risposi -Tanto la strada è quella.
Ci incamminammo verso l'estremità del ponte. L'università era proprio sulla riva dell'Hudson, il che le conferiva un odore non proprio di prima qualità.
-Tu cosa studi?- le chiesi.
-Neurochirurgia.- rispose -Tu?
-Sociologia.- dissi.
Lei mi squadrò per mezzo secondo.
-Esiste un corso di Sociologia alla Murphy?- domandò, sospettosa -Non è un'università di medicina?
-Di norma non è un corso della Murphy.- le spiegai -Ma questo mese la Murphy ha ceduto alcune sale ad un corso di Sociologia.
Tutto quello che stavo dicendo era vero, l'avevamo controllato. E poi, dire che ero in un corso di Sociologia significava non allontanarsi troppo dalla verità.
-Ah.- mormorò lei.
Dovette ricordarsi delle aule cedute agli altri corsi, perché assunse un'espressione imbarazzata.
-Bene.- commentò -Dopo questa figura di merda posso tornare a fare la nullità in silenzio.
-Nessuno è una nullità.- ridacchiai.
Lei si girò verso di me inarcando un sopracciglio, e io per tutta risposta alzai le spalle.
-Prima o poi ci troviamo tutti in una situazione dove siamo importanti.- dissi -Potremmo essere parte di qualcosa di più grande di noi senza neanche saperlo.
-Sembra un discorso da predicatore religioso.- mi fece notare.
Io scossi la testa.
-Scusa, non intendevo parlare di divinità o cose del genere.- mi giustificai -Però pensa questo: magari io domani scivolerò su una buccia di banana davanti a casa mia, un tizio di una trasmissione comica mi riprenderà per caso e mi manderà in onda. Ecco! Faccio parte di qualcosa di più grande!
-Detta così è brutale!- rise lei, scuotendo il capo.
-Ehm...- esitai, a corto di idee -E magari quella trasmissione mi pagherà un mucchio di soldi?
Lei mi afferrò un braccio e mi spinse a rallentare la camminata.
-Che c'è?- chiesi.
-Sto cercando una buccia di banana su cui scivolare.- spiegò lei, con gli occhi fissi sul terreno.
Feci roteare gli occhi, divertito. Quel giorno, il lavoro si stava tutto sommato annunciando più divertente del normale.


-Ottimo lavoro, Elija!- si complimentò Dikstra, scendendo dal furgone nero da cui il team di supporto mi aveva dato informazioni.
Si era cambiata d'abito, e adesso era in tenuta sportiva, perciò sicuramente aveva addosso un sacco di armi, sistemate nelle varie tasche e cuciture interne-
-Ok, sei troppo gentile.- osservai -Che genere di favore ti serve?
-Oh, non sono io ad essere gentile.- mi rassicurò lei -Riferivo soltanto le parole di McGery. Parole che probabilmente non sentirai mai pronunciare dalle sue labbra, quindi mi sembrava giusto che qualcuno te le riferisse.
Una donna all'interno del furgone si mise le mani tra i capelli al sentire le parole di Dikstra. Se pensavo che quell'agente aveva passato quasi tutto il giorno chiusa in un furgone con la vampira, provavo un vivo senso di compassione per lei.
-Senti- dissi -non ho voglia di cercare di capire se quello che stai dicendo sia vero o meno, perché in questo momento l'unica cosa che ho voglia di fare è ritrasformarmi e levarmi di dosso l'odore di spazzatura che diffonde questo fiume.
Dopo un'intera giornata universitaria a respirare quella merda, avevo il senso dell'olfatto che aveva dichiarato sciopero.
-Allora so come soddisfare la tua prima richiesta.- annunciò felicemente lei.
La guardai per un secondo.
-Significa altro lavoro, vero?- domandai.
Lei annuì, con il suo speciale sorriso completo di canini allungati.


Scivolai nel giardinetto della casa di periferia facendo il meno rumore possibile. L'erba e i miei polpastrelli attutivano il suono dei passi, e la mia pelliccia bordò scura mi mimetizzava abbastanza bene con il colore della tarda sera.
La casupola che Jane aveva preso in affitto aveva le persiane aperte, perciò si poteva guardare all'interno senza alcuna difficoltà. Lo scopo della mia intrusione era farmi raccogliere qualche informazione in più sulla ragazza, e magari farmi intravedere da lupo. Così quando Jane avrebbe cominciato a mettere insieme i pezzi avrebbe ripensato anche a questo evento.
-Devi essere veloce e silenzioso, El.- si raccomandò Dikstra.
Conoscevo l'antifona, non era necessario che mi ripetesse la stessa cosa ogni due minuti.
L'unica finestra da cui uscisse luce in tutta la casa era quella del seminterrato. Il vetro era ad appena una spanna dal terreno, perciò potei accucciarmi davanti ad esso per osservare meglio.
Jane mi dava le spalle, ed era intenta a lavorare su un tavolo. Dal modo in cui si muovevano le sue mani, capii che non stava scrivendo, né sottolineando un libro di testo. La ragazza stava disegnando. Inoltre, sparpagliati nella stanza, c'erano svariati dei suoi esperimenti precedenti appesi alle pareti, impilati, o appoggiati sul mobile vicino al mio punto d'osservazione.
E le tele ritraevano lupi. Non tutte le tele, certo, ma dalla stragrande maggioranza della carta un canide mi fissava con i suoi occhi ferini, mi ringhiava contro, oppure semplicemente mi ignorava. Adesso capivo perché avevano scelto un licantropo per svelarle il mondo magico: speravano di fare leva anche sulla sua passione.
Poi, all'improvviso, mentre fissavo la tazza di fianco alla ragazza, che doveva contenere qualcosa che un tempo era stato caldo, mi sentii un verme. Non importava che non fossi stato io a imporle la maledizione, o che mi stessi impegnando per trovare la soluzione che avrebbe causato meno dolore possibile, io stavo comunque ingannando una persona. Quella ragazza non mi aveva mai fatto nulla di male, eppure io la stavo spiando per raccogliere informazioni che avrei usato per rafforzare un legame basato su delle menzogne. Il comportamento più onesto che potessi avere in quella situazione sarebbe stato quello di grattare alla porta, convincerla a farmi entrare e poi lì assumere la mia forma ibrida. Poi le avrei dovuto spiegare per filo e per segno la sua situazione, in modo limpido ed evitando possibili fraintendimenti.
Certo, probabilmente Jane avrebbe cominciato a urlare come una forsennata prima che facessi in tempo a pronunciare la prima sillaba.
Udii il motore di una macchina avvicinarsi e mi appiattii un poco contro il muro. Le probabilità che i passeggeri mi vedessero erano minime, siccome godevo della parziale protezione di un cespuglio. Le probabilità che si fermassero dopo avermi visto poi, erano totalmente trascurabili.
I fari mi illuminarono da dietro per un secondo. Mi accorsi del mio errore quando, sul muro davanti a Jane, la mia ombra venne proiettata dalla luce dei fanali, pienamente visibile.
Jane si voltò con uno scatto verso la finestra, continuando a stringere la matita.
Una ciocca di capelli le cadde sugli occhi, e lei dovette distrarsi un momento per rimetterla a posto, ma io non approfittai della sua distrazione per scappare. Mi avrebbe fatto sentire ancora peggio sparire di colpo senza lasciare traccie. Lei non se lo meritava.
I suoi occhi nocciola mi scrutarono colmi di sorpresa. Mi chiesi se dal vivo lei sapesse distinguere un vero lupo da un pastore tedesco, o se disegnare tutte quelle figure non le avesse insegnato niente. Non sapevo nemmeno io cosa avrei voluto fare in quel momento, eccetto forse farmi venire in mente un modo per farle sapere tutto subito e senza shock.
-Un lupo dagli occhi azzurri...- mormorò lei, accostando lentamente la mano al cellulare.
-El, ti ha visto?- chiese Dikstra dall'auricolare.
Jane sollevò con calma lo strumento e un paio di istanti dopo udii il suono dello smartphone che scattava una fotografia.
-El, abbiamo un pessimo punto d'osservazione da qui- mi richiamò ancora la vampira -dicci cosa succede!
Io feci un cenno del capo alla studentessa di medicina per salutarla prima di alzarmi in piedi e di scrollarmi l'umidità dalla pelliccia. Le scoccai un ultimo sguardo prima di voltarmi, poi mi allontanai nella notte che andava addensandosi.
-El...- provò ancora Dikstra.
-Vi ricevo, base.- risposi, cominciando a correre verso il punto d'incontro prestabilito -Non potevo rispondere perché ero troppo vicino al bersaglio. Anche adesso c'è il rischio che qualcuno veda un cane parlante per strada.
-Allora ci aggiornerai dopo.- mi esentò dalle spiegazioni Dikstra.
Raggiunsi il furgone dopo appena un minuto di corsa. Dikstra mi aprì la porta perché potessi entrare e assumere di nuovo la mia forma ibrida, anche se dopo che lo ebbi fatto nel furgoncino stavamo stretti.
-È andato tutto bene?- chiese lei.
-Sì.- la rassicurai -Ma a parte il fatto che le piace disegnare lupi, non sono riuscito a carpire molto.
Evitai di menzionare davanti all'altro agente di essermi sentito uno scarafaggio mentre la spiavo così.
-Mi sono fatto vedere.- la informai -Per un paio di secondi, sono certo che abbia capito che sono un lupo, e in più mi ha scattato una foto col cellulare.
Dikstra si morse il labbro.
-Forse farsi fotografare è stato un po' eccessivo.- rifletté a voce alta la vampira.
-Non influenzerà più di tanto l'operazione.- la tranquillizzò l'altra donna, di cui non avevo afferrato il nome.
-Comunque, per oggi abbiamo finito.- concluse la vampira -El, ti dispiacerebbe ridarci l'auricolare?
Portai una zampa all'orecchio destro e premetti quello che sembrava un piccolo sassolino attaccato alla mia pelle.
-Staccati.- dissi, usando le Parole.
Sfilai il congegno tecnomagico e lo restituì a Dikstra, che lo ripose in una piccola custodia.
Il furgoncino del Protettorato ci trasportò fino a dentro il confine del quartiere riservato e poi ci scaricò. Il confine era presieduto da incantesimi, che rendevano la zona impossibile da trovare per qualunque umano non invitato o senza un permesso. Nemmeno io sapevo bene come funzionassero, ma immaginavo che imporli avesse richiesto molto lavoro.
Dikstra mi riaccompagnò a casa, siccome il mio appartamento era più vicino del suo. Una volta arrivati, però, la invitai ad entrare. Per la cronaca, i vampiri non hanno bisogno di essere invitati per entrare in una casa, il mio era un comunissimo invito senza alcun valore magico.
Una volta entrati riattivai i sigilli di sicurezza, e le domandai di rifare l'incantesimo di segretezza che aveva usato al Protettorato.
-Fatto.- annunciò Dikstra, una volta terminato il cerchio -Adesso sono io a chiedertelo: sei nei guai?
-In un certo senso...- ammisi, sedendomi sul pavimento, siccome nel cerchio non erano state incluse sedie.
Il suo volto assunse un'espressione preoccupata.
-È per la faccenda di Tom?- domandò.
Io scossi la testa.
-È per l'operazione.- raccontai -Tu mi hai chiesto di accettare il ruolo ma io... non sono sicuro di voler ingannare quella ragazza, Dikstra. Insomma, non è colpa sua se è il cardine di una maledizione dalla portata mondiale.
-Le alternative a questa operazione sono l'assassinio di Jane.- mi ricordò lei -Non credo che questo sia meglio.
Mi passai gli artigli tra la pelliccia del collo, a disagio. Quello che Dikstra diceva era vero, ma lo era anche quello che dicevo io, almeno dal mio punto di vista.
-Senti, El,- mi disse Diskstra, sedendosi a sua volta -questa è la situazione che, nell'addestramento per diventare agente speciale, gli insegnanti chiamavano compromesso. Tu non sei in una posizione che ti permette di fare qualcosa di completamente giusto, né sul piano etico né su quello morale. Sai qual è il criterio che ci hanno detto di usare in situazioni del genere?
-No.- risposi.
Lei sollevò le spalle.
-Quello del male minore.- spiegò semplicemente -Non possiamo lasciare che quella ragazza viva la sua vita senza controllarla, perché tra due anni la sua vampirizzazione scatenerà il caos. Non è giusto nemmeno ingannarla così, però almeno lei continuerà a vivere, con l'unica differenza che si ricoprirà di pelo ogni tanto, avrà sensi più acuti e ottime prestazioni fisiche. Sotto un certo punto di vista dovrebbe ringraziarci.
-Senti, spacciarmi per suo amico in nome del male minore non mi consola più di tanto.- protestai.
-Va bene, Elija, ma, se puoi, non mollare l'operazione.- mi pregò lei.
-Perché no?- chiesi -Se invoco l'obiezione di coscienza potrei anche uscirne senza grane legali.
-E lasceresti il posto a Tom?- domandò Dikstra, scandalizzata.
-Beh, lui ci sa fare molto più di me con le ragazze.- ammisi.
Quel lupo era in grado di portarsi a casa una donna diversa per ogni sera, era il più abile gigolò che conoscessi.
-Proprio per questo non devi lasciarli il posto.- protestò Dikstra -Senti, quando eravate sul ponte c'è stato un momento in cui se tu le avessi proposto di balzare l'università e di passare la giornata con te, lei avrebbe accettato al novantanove per cento, complici i tuoi ormoni da lupo. Ed è la strategia che avrei usato io.
-Nella tua situazione, e con un uomo al posto di Jane (non ho niente contro Jane, è solo una questione di gusti), avrei passato un paio di giorni con il mio bersaglio.- mi raccontò lei, costruendo la scena -Sarei andata a letto con lui dopo una settimana circa, ma sarebbe dipeso dalla sua personalità.
-Grazie mille per parlarmi di come ti porti a letto gli uomini.- la interruppi, indispettito -Ma non mi interessa.
-Poi mi sarei esibita in una parte lacrimosa in cui gli rivelavo tutto, della mia natura eccetera, e lo avrei convinto che se si fosse lasciato vampirizzare avremmo passato insieme la vita.- continuò lei, ignorando le mie occhiatacce -A vampirizzazione finita, lo avrei lasciato col cuore infranto sotto la pioggia di New York. Caso risolto in circa due settimane e mezza. Evviva!
-Ti ringrazio ulteriormente per avermi parlato di come tu sia un agente migliore di me.- commentai amaramente.
Lei scosse il capo.
-Non sono migliore di te.- mi corresse lei -Sono diversa da te.
-Io non avrei mai pensato ai sentimenti del mio bersaglio.- continuò -Avrei svolto tutto il più in fretta possibile, non concedendo agli altri agenti nemmeno il tempo per cercare di trovare il modo di spezzare la maledizione.
Dikstra mi prese le mani con un gesto improvviso. Si diede una scrollata alla chioma corvina e mi sorrise con fare tranquillizzante.
-Tu stai cercando di non ferire quella ragazza, e la cosa è magnifica, Elija.- disse, stringendomi le mani -Tu sei l'agente più adatto per questo ruolo.
Le passai un dito sulle nocche, pensieroso.
-E va bene.- accettai -Non mollerò l'operazione, almeno per ora.
Lei mi sorrise ancora e fece radunare in aria le erbe con un gesto della mano.
-Ora ti conviene tornare a casa, Dikstra.- la salutai -O domani sarai tu quella in ritardo.
-Vado, vado.- mi rassicurò lei, alzandosi -E ricordati di...
-... ritrasformarti prima di andare a letto.- completai la frase -Lo so.


Dopo una seconda mattinata senza cereali al cioccolato, causata dal fatto che non avevo avuto il tempo di comprarli, il mio cervello aveva un impellente bisogno di zuccheri.
-Ti giuro che è così.- disse Jane con enfasi -Era un lupo!
-A New York?- chiesi, dubbioso -Sicura che non fosse un cane randagio?
-Ho le prove.- protestò lei, mostrandomi la foto sul cellulare, trionfante.
Il lupo sullo schermo aveva la pelliccia bordò scarsamente illuminata dalla lampada del seminterrato, perciò il colore del pelo non si vedeva bene, altrimenti Jane avrebbe dovuto fare almeno una battuta sulla sua somiglianza con i miei capelli. Le pupille al centro delle iridi azzurre avevano rimandato indietro parte della luce, ma la qualità della foto nel complesso era abbastanza buona. Sembrava quasi che mi fossi messo in posa.
-Da questa foto potrebbe essere un husky- le feci presente -ma di sicuro non è un bassotto.
-Dal vivo si vedeva che era un lupo.- continuò lei -Magari è scappato da uno zoo.
Oh, fidati, allo zoo non riuscirebbero a trattenermi per nemmeno cinque minuti. Pensai, ma mi morsi la lingua per impedirmi di parlare.
-Ti spaventa avere un randagio che gironzola nella tua zona?- chiesi invece.
Di base, stavo aspettando che mi desse dell'animale pericoloso. Forse sentirmi insultare indirettamente avrebbe alleviato il mio senso di colpa.
Ingoiai un altro pezzo di carne per cercare di soffocare questo genere di pensieri. Sia lodato il cibo della mensa dell'università.
-Non più di tanto, no.- rispose Jane -I lupi cacciano in branco, e la loro preda naturale non è l'uomo, perciò non dovrebbe attaccare. In più, non mi sembrava nemmeno rabbioso.
-Sono più preoccupata che qualcuno gli tiri una fucilata.- ammise poi -Un cane di quelle dimensioni può fare paura. Forse dovrei controllare se in uno zoo hanno smarrito un lupo.
Mi trattava persino bene.
Desiderai ardentemente che una crepa apparisse nel suolo e mi inghiottisse.
-Potresti farlo.- la incoraggiai -Se ti confermano di averne smarrito uno, hai la certezza che quello sia un lupo.
-Guarda, se dipendesse da me non chiamerei nessuno e lo adotterei.- disse, bevendo un sorso d'acqua -Ma le regole del mio padrone di casa includono la clausola “niente animali”, e poi io passo tutto il giorno all'università... Ma quanto mangi?
Sollevai lo sguardo dal piatto ormai tristemente vuoto verso Jane, che mi guardava con un misto di sorpresa e divertimento.
-Fame da lupi.- spiegai -Praticamente oggi non ho fatto colazione.
-Ti sei dimenticato di nuovo di comprare i cereali, vero?- chiese Dikstra dall'auricolare.
Strinsi la forchetta ed evitai sia di risponderle sia di tirare quell'aggeggio fuori dalla finestra, nell'Hudson.
-Adesso ho capito tutto.- commentò Jane -Anche se trovo sia un mistero medico che nel tuo stomaco possa essere finita tanta roba.
-Ehi, ci sono persone che mangiano molto più di me! I lottatori di sumo, per esempio- protestai -Quella carne la finisci?
Lei si avvicinò di più il vassoio alla sua parte del tavolo, per allontanarlo dalla mia portata.
-Comunque, tu sai che mi piace disegnare- cambiò argomento lei -ma io non so quali sono i tuoi hobby.
Non avevo intenzione di mentire su quello, ma mi sarebbe stato necessario distorcere un poco la verità.
-Adoro il campeggio- cominciai -non riesco a passare più di un anno in città senza uscirne per andare da qualche parte sperduta.
E in genere lì andavo a caccia di animali, disputavo gare di sopravvivenza insieme ad altri miei amici mutaforma e mi cimentavo con loro in esibizioni di fuochi d'artificio magici.
-Faccio spesso jogging.- continuai.
Su quattro zampe, però.
-Ma mi piace anche leggere, specialmente libri relativi alla mia materia di studio.
Adoravo imparare nuovi incantesimi, e avevo speso fiumi di denaro per tomi con rituali di magia avanzata, poi avevo scoperto che queste cose erano anche su Internet.
-E a volte mi intrattengo con i videogiochi- conclusi -Più che altro giochi di ruolo in cui faccio sempre e solo il mago.
Questo era totalmente vero.
-Bene, quindi all'apparenza sei a metà tra un nerd e un amante del fitness.- dedusse Jane, cominciando ad aprire il budino.
Inarcai un sopracciglio.
-All'apparenza?- richiesi ulteriori informazioni.
Lei annuì.
-Nessuno dice mai tutto di sé agli altri, soprattutto alle persone che conosce da un giorno e mezzo.- spiegò, mangiando il budino -Hai presente la frase che paragona le persone alla luna?
Io scossi la testa. Eppure ne conoscevo tante di cose sulla luna.
-Ognuno di noi ha un lato in ombra che non mostra a nessuno.- concluse lei.
Non potei fare a meno di trovare la citazione adatta alla situazione.
-E da studente di Sociologia potrei anche aggiungere che quello che diciamo di noi è relazionato a come ci vogliamo mostrare.- dissi.
-Questo è ovvio.- approvò Jane -Quindi devo chiedermi perché ti sei voluto mostrare come un misto tra un nerd e un palestrato?
-Solo se io mi chiedo perché ti sei voluta mostrare come una disegnatrice che non mostra mai le sue opere.- la rimbeccai.
-E va bene- si arrese lei -niente più insinuazioni da ambo le parti. Chiamo una tregua.
-Raccogliete i vostri morti e poi tornate negli accampamenti- ordinai con voce nasale.
-Il suo lato nerd lo sta possedendo.- annunciò sconsolata Jane -Chiamo un esorcista.
Lo sguardo mi cadde sul telefono di Jane, appoggiato sul tavolo, e mi accorsi a malincuore che si stava facendo tardi. Dovevamo ritornare a lezione. Io dovevo andare ad un corso a cui non concedevo più di molta attenzione perché in parte non mi interessava e in parte trattava di argomenti che avevo già svolto all'accademia, quando avevo deciso di specializzarmi nei rapporti tra gli umani.
-Elija!- mi chiamò Jane, mentre mi stavo allontanando.
Mi voltai di scatto, sorpreso da quel richiamo.
-Ho notato che per tornare dove abiti devi percorrere la mia stessa strada.- disse Jane, avvicinandosi di nuovo a me per non farsi bloccare la visuale dalla folla -Ti va se ci vediamo all'uscita?
Anche se non avessi voluto, il mio lavoro m'imponeva di accettare, ma in fondo mi stavo divertendo, perciò non avevo motivo di rifiutare.
-Non vedo perché no.- risposi -Potresti lasciarmi mangiare da quel lupo se ci attaccasse.
-Ehi, è da tutto il pranzo che lo insulti.- mi rimproverò Jane -Sembra che tu abbia qualcosa contro i lupi.
-No.- la smentii -Non ho assolutamente niente contro i lupi.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 
Capitolo 3


-Sono certa che ti piaceranno.- mi rassicurò Jane.
Era passata una settimana dal nostro incontro sul ponte, e il Provveditorato mi aveva tolto l'auricolare il terzo giorno per tagliare i fondi dedicati all'operazione. La maledizione di Jane era considerata una minaccia a bassa priorità, siccome si sarebbe scatenata solo dopo due anni, perciò per risparmiare avevano ristretto il team che ci lavorava a... me.
Però mi avevano dato delle sedute gratuite da uno psicologo nel caso mi fosse venuto un esaurimento nervoso.
-Non so ancora come fai ad esserne così sicura.- risposi -E comunque, perché adesso usi il plurale? Non doveva venire solo la tua amica Anne?
Eravamo al parco, ad aspettare l'arrivo della migliore amica di Jane, siccome la ragazza pensava avremmo avuto un sacco di cose in comune.
-Viene anche il fratello.- spiegò lei -Hanno fatto un cambio di programma all'ultimo momento, forse è per questo che sono in ritardo.
-Sarebbe frustrante ricevere una buca da qualcuno prima ancora di conoscerlo.- commentai.
Lei mi tirò una gomitata sullo sterno.
-Ahi!- gemetti, anche se il colpo non era stato forte.
-Lei non ci darà buca.- protestò lei.
-Hai ragione.- ammisi -Lo farà solo dopo avermi incontrato. Organizzerete insieme un piano diabolico in cui mi inviterete in qualche posto sperduto un giorno in cui diluvia, poi non vi presenterete e io rimarrò da solo...
-Finiscila.- mi esortò Jane, roteando gli occhi.
-Zuppo come un cucciolo abbandonato...
-Più che un cucciolo mi sembri un uomo adulto e vaccinato.- mi fece presente lei.
-E la cosa mi distruggerà. Frantumerà il mio piccolo cuoricino.- conclusi -Poi mi prenderò una polmonite e morirò.
-Potrei darti buca io adesso- propose lei -così evitiamo tutto il dramma, che dici?
-Ehm... forse è meglio di no.- risposi.
Lei scosse la testa, sorridendo. Poi si sedette su una panchina vicina e alzò gli occhi verso il cielo nuvoloso, che minacciava vagamente di far cominciare a piovere. Le minacce, però, erano fasulle: noi lupi sentiamo le precipitazioni ore prima che avvengano.
-Sei la prima persona che incontro che scherza sul farsi dare buca.- mi raccontò lei -Non credo che te ne abbiano mai dato una, perché quando lo fanno senti più o meno quello che hai descritto tu, ma non ci scherzi affabilmente sopra.
Il suo sguardo si fece triste. Pensai di sedermi accanto a lei, ma mi trattenni, credendo che il gesto fosse troppo espansivo.
-Ci sei passata?- chiesi.
Lei annuì.
-Ti va di parlarne?
Lei ci rifletté sopra, e credetti che stesse per dirmi di no. Dopotutto, erano fatti suoi, e io avevo già frugato abbastanza nella sua vita, anche se lei non lo sapeva.
-Sì, ormai è passato abbastanza tempo.- acconsentì lei -Ma non so bene da dove cominciare.
Lei fece un respiro profondo per prepararsi a parlare, ma poi dalle sue labbra non uscì alcun suono. Rimase in silenzio per dieci secondi, poi per quindici, poi per venti.
-Non fa niente se non vuoi, Jane.- la tranquillizzai -Non sono comunque fatti miei.
-Non è per questo.- mi smentì lei -Non so davvero da dove cominciare, è questo il problema. Mi blocco ogni volta che provo a iniziare. È complicato.
-Non è così raro- dissi -e non c'è niente di male.
Lei rise amaramente.
-Mi sento schiava di questo ricordo da quasi un anno- commentò lei -per me questo è male. Non ti hanno insegnato nessun trucco a Sociologia per parlare degli eventi traumatici?
Sospirai e annuii. Sì, un trucchetto c'era.
-Posso sedermi?- chiesi, preparandomi.
Lei annuì.
-Non ti ho mai detto di non farlo.-mi ricordò.
Mi sedetti vicino a lei e torsi il busto per guardarla negli occhi. Il metodo che volevo usare non era magico, di base, ma la magia poteva essere usata per migliorarne l'effetto.
-Comincia da qualcosa di quella storia di cui ti è facile parlare- le dissi -e poi vai solamente avanti.
Lei mi lanciò un ultimo sguardo prima di cominciare a raccontare.
-Lo conobbi due anni e mezzo fa, ad una festa noiosissima organizzata da una tipa che a malapena conoscevo.- iniziò, spostando lo sguardo verso l'albero davanti a noi -Si chiamava Evan, ed era praticamente l'unica cosa positiva che mi accadde quel giorno.
Il momento per le battute e gli scherzi era finito, lo sapevo. Rimasi in silenzio mentre lei raccontava, continuando a fissarla, anche se lei faceva incontrare i suoi occhi coi miei solo fugacemente.
-Ero totalmente, completamente innamorata. Dico sul serio, non mi sono mai sentita tanto affezionata a qualcuno in tutta la mia vita prima di incontrare lui. Quando lui confessò i suoi sentimenti per me mi sembrava di non poter essere più felice di così.- continuò Jane, il cui volto, tuttavia, andava scurendosi.
La ragazza sospirò e scosse la testa, finendo per prendersi il capo tra le mani.
-E poi arriva la parte brutta.- disse, voltandosi verso di me -E quel ragazzo mi tortura anche dopo che se ne è andato.
Aveva gli occhi umidi.
Approfittai di un momento in cui non mi stava guardando per sussurrare una Parola nella lingua del potere. Non era un incantesimo per influenzare la mente, era più che altro il passaggio di un'emozione, o meglio, di un atteggiamento.
-Coraggio.- mormorai, o almeno questo è come può essere tradotto in lingua comune.
Era uno dei trucchi che avevo imparato studiando per conto mio, ma era la prima volta che mi tornava davvero utile.
-Come dici?- chiese Jane, voltandosi di nuovo verso di me.
-Se davvero vuoi finire la tua storia- la esortai, facendolo come se stessi ripetendo qualcosa -prova a rilassarti e a lasciare che venga fuori, prometto che non ti giudicherò.
Jane si abbandonò sullo schienale della panchina, traendo un altro respiro profondo prima di chiudere gli occhi.
-Andò esattamente come hai detto tu nel tuo scherzo- mormorò lei, ma abbastanza forte perché la potessi sentire -un giorno mi diede buca. Quando lo chiamai per chiedergli spiegazioni, lui mi rispose che aveva avuto un impegno importante, che non aveva potuto rimandare, così io lo perdonai. Dopotutto, ne ero innamorata, ed era la prima volta che succedeva.
-Non fu neanche l'ultima.- proseguì Jane -Evan cominciò a non presentarsi quando uscivamo, a diventare sempre più sfuggente. Se non lo cercavo io, da lui non mi arrivava nemmeno un messaggio. Gli chiedevo in continuazione se ci fosse qualcosa che non andava, e a un certo punto arrivai a domandargli se voleva chiudere il nostro rapporto. Ma lui diceva sempre che andava tutto bene, si scusava, e prometteva che non avrebbe più mancato un impegno.
-Tirai avanti così per tre mesi.
-L'ultima goccia cadde quando, alla vigilia dell'appuntamento che avevamo stabilito con Anne per passare il weekend assieme fuori città, lui mi chiamò per dirmi che non sarebbe potuto venire. Io conoscevo Anne da poco, lui non l'aveva mai incontrata, e le diede buca prima ancora di conoscerla.
Jane mi aveva detto che aveva provato quello che avevo detto io nella mia battuta, ma a me sembrava che si fosse sentita molto peggio.
-Immediatamente dopo aver riattaccato chiamai Anne- seguitò lei -e le dissi che il weekend si faceva comunque. Durante quei due giorni spensi il telefono, ma quando lo riaccesi non trovai alcun messaggio di Evan. Non so se desideravo che mi cercasse o meno, quello che però decisi era che non avrei fatto io il passo successivo. Se mi avesse chiamato, avrei risposto, ma avrei smesso di inseguirlo.
Jane si strofinò gli occhi, ma non pianse, nonostante sembrasse sul punto di farlo.
-E così sono passati undici mesi.- concluse -Tecnicamente, stiamo ancora insieme.
-Tecnicamente- mi intromisi -lui è uno stronzo.
-È la stessa cosa che ha detto Anne.- replicò -Visto? Avete già una cosa in comune.
Mi guardai un poco in giro, ma non notai alcun segno di questa fantomatica ragazza. Non che sapessi che aspetto aveva, in realtà stavo cercando qualcuno che si sbracciasse nella nostra direzione.
-Mi dispiace.- le dissi -Sembra una storia davvero brutta.
-Non ti preoccupare- mi tranquillizzò lei -ne sto uscendo, con degli psico-farmaci. Però in quest'ultimo periodo faccio delle sedute da uno studente di Sociologia che costa molto meno del mio psichiatra.
La squadrai cercando di capire se facesse sul serio o se fosse uno scherzo. Lei non si degnò di rispondere alla mia muta domanda.
Poi il suo sguardo si fissò su un punto alle mie spalle. Nello stesso istante, una zaffata di odore di gufo mi arrivò alle narici, distinguendosi pienamente dalla puzza di gas di scarico e dalle scie degli umani.
-Ehi!- esclamò alzandosi di scatto -Quella è Anne!
Voltai la testa e notai subito una ragazza dai corti capelli corvini, pettinati ordinatamente, i cui occhi verdi scattavano da me a Jane, spaventati. Quando la guardavo vedevo chiaramente il gufo dentro di lei, così come lei vedeva il lupo in me. Noi ci riconosciamo a vicenda.
Anne si avvicinò con troppa lentezza per dare l'impressione di stare bene. Vedermi con la sua migliore amica faceva emettere al suo corpo una forte puzza di paura, probabilmente perché i licantropi non erano visti come i mutaforma più socievoli del mondo con gli esseri umani. Magari pensava che mi fossi avvicinato a Jane solo per... insomma per cacciare.
Dovevo trovare il modo per farle sapere che ero del Protettorato, così avrebbe capito che non ero quel genere di lupo. Di mostrare il distintivo, un ciondolo con sopra inciso lo scudo con la fiamma che portavo al collo, davanti a Jane non se ne parlava proprio. Magari avrei dovuto trovare il modo di restare da soli.
-Elija- ci presentò Jane -lei è Anne Anderson. Anne, lui è Elija Blackfur.
Venni come colpito da un fulmine. Un gufo di nome Anderson? La stessa espressione di stupore si dipinse sul volto di Anne.
-Tu sei la sorella di Philip!- esclamai.
-Tu sei l'amico di mio fratello!- esclamò lei, insieme a me.
-Voi vi conoscete?!- esclamò Jane, dopo di noi.
Io e il gufo lasciammo andare contemporaneamente il fiato che avevamo trattenuto fino a quel momento. Philip Anderson era un mio collega un paio d'anni più grande di me, di cui ero diventato un grande amico col passare del tempo.
-Suo fratello è una delle persone con cui vado in campeggio.- spiegai a Jane -Ma è la prima volta che incontro Anne, anche se ne ho sentito parlare molto.
-Immagino non bene.- commentò la ragazza corvina.
-Phil mi ha parlato bene di te in gran parte.- risposi, cercando di rimanere sul vago.
La sorte mi aveva assistito, Anne ora sapeva che ero del Protettorato senza che io avessi fatto niente di rischioso per rivelarglielo.
-Perfetto!- ridacchiò entusiasticamente Jane, voltandosi verso di me -Visto che avete già un sacco di cose in comune?
-Più di quante immagini...- fu il commento al limite dell'udibile umano di Anne.
Jane le lanciò un'occhiata perplessa, e io un'occhiata d'avvertimento: quella femmina di gufo doveva cercare di essere più discreta.
-A proposito- chiese Jane -dov'è Phil?
-Conoscendolo- risposi -direi che è dietro di me.
Si udì un imprecazione da dietro le mie spalle e Phil smise di cercare di rendere silenziosi i suoi passi.
-E va bene. E va bene.- si scusò lui -Non ho saputo resistere, El, ok?
Mi voltai verso il ragazzo, che aveva una foglia sui capelli neri e spettinati, e che aveva gli stessi occhi della sorella. Non potei fare a meno di sorridere.
-Perché?- chiesi -Ti sei mai trattenuto?
Lui alzò la mano destra e io gli battei il cinque.
-Sei tu quello che è sparito negli ultimi giorni.- mi rinfacciò lui, avvicinandosi per darmi una spallata.
-E comunque- sussurrò, sfruttando il momento in cui mi era vicino -Sono molto soddisfatto che tu sia uscito dal tuo piccolo appartamento per correre finalmente dietro all'altro sesso.
Se fossimo stati nel quartiere magico, avrei sfoderato gli artigli e ringhiato una minaccia scherzosa.
-E adesso, verso le meraviglie di New York!- ci spronò Phil, trascinando via la sorella
-Verso la pizza!- aggiunse subito dopo, leccandosi le labbra.
Taci e va' a mangiare i topi nelle fogne. Avrei voluto dirgli, ma il fatto di essere in una zona umana mi stava mettendo in seria difficoltà con le battute.


-Cominciavo a pensare che avessi la peste dopo una settimana che non ti vedevo- disse il gufo -e invece l'unica malattia da cui sei affetto ha dei bellissimi capelli ondulati.
Io, per ricambiare, gli misi un artiglio sulla sua spalla coperta di piume.
-Potrei buttarti giù dal palazzo.- gli dissi, in tono stucchevole.
Phil sporse il becco oltre l'orlo per valutare l'altezza a cui eravamo.
-Mi limiterei a volare di nuovo qua.- commentò, agitando le ali.
Eravamo entrambi nella nostra forma ibrida, nel nostro quartiere. Phil adesso aveva le stesse dimensioni che aveva da umano, quindi era più piccolo di me, ma le sue braccia erano ali bianche come la neve, dalla cui metà fuoriuscivano tre artigli per ciascuna. Le sue gambe erano coperte di penne, e al posto dei piedi aveva degli artigli da gufo. Il suo volto era il muso di un uccello, anche se leggermente deformato, con dei vispi occhi verdi, mentre la sua schiena era coperta da penne marroni. Come la sorella, era un barbagianni.
Gli piaceva stare nei posti alti, dove si sentiva vicino al cielo. Così eravamo andati sul tetto del mio condominio.
-Lasciando stare Jane,- cambiò argomento Philip -a che missione speciale ti hanno assegnato? Ho sentito che sei stato in riunione col capo.
-Sai che non te posso parlare.- gli risposi.
Philip stese un ala verso il cielo notturno e da essa partì una scintilla bianca. Il debole fuoco d'artificio magico (non ne potevamo creare di più forti o ci avrebbero accusato di disturbo della quiete) descrisse due otto sopra le nostre teste e poi si consumò, senza lasciare traccie.
-Ma vorrei chiederti una cosa.- continuai -Una cosa seria.
Dikstra mi aveva suggerito di farlo, e dopo aver riflettuto avevo deciso di seguire il suo consiglio.
-Spara.- m'incoraggiò lui, generando tra le ali un piccolo fuocherello bluastro.
-Vorrei che tu tenessi d'occhio Tom Witchwood per conto mio.- rivelai.
Il suo becco scatto nella mia direzione, e il fuoco si spense a causa della sua deconcentrazione.
-Sei un artificiere.- proseguii -Riferiscimi se usa degli incantesimi strani, se cerca di seguirmi, se si vede con qualcuno dei capi che organizzano la mia operazione. Concentrati sui suoi artefatti magici.
-Perché?- chiese lui -So che non ti è mai piaciuto, ma l'hai sempre sopportato di buon grado.
-Ha tentato di drogarmi alla festa del team- raccontai -per farmi risultare assente quel giorno e venire scelto come mio sostituto. Non ho le prove, ma le informazioni arrivano da una fonte attendibile.
Phil rimase a becco aperto.
-Cazzo...- imprecò -È una cosa grave, Elija.
-Lo so- risposi -per questo non dirò niente finché non avrò prove sufficienti. Magari il suo è stato un isolato momento di pazzia, ma non si sa mai.
Lui annuì.
-Un'ultima cosa- lo pregai -se decidi di assecondarmi, non fare niente di coraggioso o stupido. Non correre rischi, non cercare lo scontro e resta in disparte. Preferisco bermi un drink di strozzalupo piuttosto che sapere che Tom ti ha torto anche solo una piuma a causa mia.
-Cosa?!- esclamò lui, indignato -El, ha tentato di soffiarti il posto! Dovrei mettere una bomba ad acqua in casa di quel bastardo!
-Questo è proprio il genere di cose che non voglio tu faccia.- gli dissi, scuotendo la testa -I lupi sono più forti dei gufi negli scontri ravvicinati. Cosa succede se ti becca in casa sua a ficcanasare e tu non hai spazio per volare via?
-Gli tiro una fiammata magica in faccia. Fuoco!- rispose lui, alzando le proprie ali, che si ricoprirono istantaneamente di fiamme.
-Così ti rendi colpevole di aggressione ad un membro del Protettorato e magari perdi il lavoro.- gli feci presente.
Phil riabbassò gli arti, che si spensero.
-Va bene.- acconsentì a malincuore -Ma in cambio voglio un altro favore.
-Spara.- fu il mio turno di chiedere.
-Voglio il numero di quella vampira che conosci.- disse lui, mentre il suo cuore cominciava a battere più forte -Quella alta, capelli scuri, occhi azzurro ghiaccio...
Nell'istante in cui capii di chi parlava mi sentii indispettito dalla sua richiesta. Non ero la persona giusta a cui chiedere la cosa.
Poi ci ripensai e sorrisi maliziosamente.
-Il numero di Dikstra? Nessun problema.- dissi, circondandogli le spalle con una zampa -Potevi anche chiedermelo prima.


La giornata era passata bene, anzi, benissimo. Rivedere Phil mi aveva messo di buon umore, Anne si era mostrata amichevole dopo un primo momento di silenziose minacce alla stile tocca-la-mia-amica-e-ti-cavo-gli-occhi. Jane invece non aveva ancora mostrato di avere una seconda vita in cui ammazzava cuccioli di labrador retriver, perciò la consideravo una bella persona.
Ed ero di nuovo nel suo giardino.
La tentazione di tornarci mi aveva torturato per una settimana, periodo in cui mi era capitato di fare avanti e indietro al confine del quartiere magico, indeciso se andare da lei o meno. Quel giorno, dopo essere tornato a casa mia, mi ero trasformato in un lupo, avevo chiuso casa badando che il congegno di Dikstra fosse ancora sul comodino, ed ero corso fino al viale dove viveva Jane.
Era la stessa ora di quando ero entrato nel giardino la prima volta, e, come una settimana fa, Jane era nel seminterrato a disegnare. Mi dava le spalle e muoveva un pennello, ma da come scuoteva la testa ogni tanto non sembrava soddisfatta.
Picchiai due volte sul vetro con la zampa.
Non volevo sentirmi come se la stessi spiando di nuovo, cosa che in effetti stavo facendo. Ma mi dissi che se avessi reso nota la mia presenza allora non sarebbe stato più spionaggio, no? In questo modo Jane avrebbe potuto tirare le tende del seminterrato per non farsi vedere, oppure uscire in giardino con una mazza da baseball per scacciare il randagio che le colonizzava il cortile.
Quando si voltò le cadde di nuovo una ciocca di capelli sugli occhi. La ragazza se la rimise a posto e mi sorrise.
-Ancora tu.- mi salutò -Non pensavo saresti tornato.
Io inclinai il capo, pregandola silenziosamente perché mi desse del bastardo pulcioso. Un gesto del genere mi avrebbe ferito, ma forse avrei cominciato a considerarla una stronza e mi sarebbe dispiaciuto meno ingannarla.
-Forse dovrei cominciare a lasciare gli avanzi fuori.- rifletté ad alta voce lei.
Io scossi con vigore il capo. Non avevo alcuna intenzione di mangiare il pollo di tre giorni prima, grazie per l'interessamento.
L'espressione di Jane si fece sorpresa.
-Sbaglio o hai appena detto di no?- domandò la ragazza.
Evitai di rispondere e le lasciai credere che mi fossi levato di dosso una formica.
La studentessa di medicina alzò di scatto un dito verso di me e cominciò a frugare tra le tele sparse per la stanza. Vari lupi ed un'anatra finirono per essere spostati da una pila ad un'altra, finché lei non trovò il disegno che cercava.
-Che te ne pare?- domandò avvicinando il foglio al vetro.
Sulla carta si vedeva un lupo dalla pelliccia bordò e dagli occhi azzurri, e non mi ci volle molto a capire che ero io. Jane aveva cercato di disegnare la foto che mi aveva fatto col cellulare la prima volta che mi aveva visto da lupo, colorandola con matite di varie tonalità. L'anatomia era curata, l'espressione del lupo intelligente, peccato che guardando la tela mi sembrava che più che me ritraesse un altro licantropo.
Lei girò il disegno verso se stessa e poi fissò la mia espressione perplessa.
-Non ci siamo, vero?
Scossi il capo. Le proporzioni del muso non erano giuste, o forse c'era qualcos'altro che mi distingueva dal lupo che aveva disegnato.
-So che non capisci quello che dico,- si accigliò lei -ma ho appena deciso di fingere che tu mi abbia detto “no” con quel tuo movimento del capo.
Io ridacchiai, anche se mi sentivo vagamente offeso dal fatto che Jane facesse vedere i suoi disegni ad un randagio che incontrava per la seconda volta e non ad un ragazzo che conosceva da una settimana. Se mai fossi riuscito a dirle cos'ero rimanendo in buoni rapporti con lei, glielo avrei rinfacciato.
-Immagino che non rimarrai fermo abbastanza da lasciarmi fare una bozza.- suppose Jane, afferrando un foglio e una matita da un cassetto.
Per tutta risposta io mi girai a pancia in su e la fissai sottosopra.
-Sembra che tu ti diverta a dirmi di no.- disse Jane, accostando la matita al foglio.
Tirò solo due linee prima di girare la sedia che stava usando quando ero arrivato e prima di prendere una cartelletta rigida come supporto per il foglio. A differenza di quello che avevo lasciato credere, rimasi fermo, almeno finché una formica non cercò davvero di risalirmi la fronte fino al naso.
Dopo qualche minuto accostai il muso al vetro perché lei mi mostrasse a che punto era. Lei ci mise un po' a capire cosa volevo, ma alla fine (e dopo che ebbi minacciato di andarmene per due volte) girò il foglio verso di me. Vidi solo delle leggerissime linee a matita che andavano a comporre il mio muso, e un bozzetto approssimato del mio corpo intero.
-Allora?- chiese Jane -Il verdetto?
Ha delle buone possibilità di venire bene pensai ma puoi fare di meglio.
Jane sorrise e spostò di nuovo gli occhi sul disegno.
-Ho appena chiesto a un lupo un parere artistico.- fece notare a se stessa -Sto impazzendo.
Un urlo squarciò la notte come nessun tuono avrebbe mai potuto fare.
La mia testa scattò nella direzione da cui era venuto il suono. Le mie orecchie si mossero per studiare i dintorni e le mie narici si dilatarono, cogliendo aromi di paura e adrenalina. Il grido era stato soffocato, forse Jane non l'aveva nemmeno sentito con il suo udito limitato.
Scattai verso la sorgente del suono maledicendo il fatto di non avere neanche un arma addosso.
-Aspetta! Dove vai?
Il mio cervello eliminò il richiamo di Jane dalla lista delle priorità. Potevo non essere un operativo, ma ero un Protettore, merda! E, anche senz'armi da fuoco, avevo la magia.
Le due figure erano distanti una cinquantina di metri dalla casa di Jane. Erano un uomo e una donna, a fianco di una moto accesa, probabilmente il mezzo per la fuga. L'uomo era caucasico, sulla quarantina, e stringeva una donna afro-americana di circa sessant'anni da dietro la schiena. I due erano rivolti verso di me, perciò potevo vedere chiaramente il luccichio del coltello nella mano sinistra dell'aggressore, mentre con la destra tappava la bocca della donna.
-La borsa, vecchia!- latrò lui -Avanti! Sporgila verso la moto!
Ringhiai.
Drizzai il pelo mentre scoprivo i denti. Un codice d'onore molto vecchio infuso dentro di me mi diceva di intimare all'avversario la resa prima di attaccare. Era la maniera dei lupi.
Udii il cuore dell'uomo battere più forte mentre una maggiore dose di ormoni della paura abbandonava il suo corpo. Non doveva essere così facile vedersela con un lupo, se eri abituato a rapinare pensionati.
La donna fu lanciata violentemente a terra e il coltello venne puntato nella mia direzione.
Il gemito di dolore della signora fece aumentare di volume il mio ringhio. Questo non doveva farlo.
-Indietro, bas...- cominciò la sua minaccia l'uomo.
-Confondi- lo interruppi io, nella lingua del potere.
Il ladro cominciò a vacillare, senza riuscire a concludere la sua frase. Il coltello ondeggiò in una direzione e poi in un'altra, senza fermarsi.
Questo era un incantesimo che influenzava la mente del bersaglio su cui veniva lanciato. L'avevo scelto perché era poco scenografico, semplice, efficace e abbastanza duraturo. Avevo sussurrato appena la Parola, per cui non credevo che qualcuno mi avesse sentito. Certo, se un mago avesse visto la scena non avrebbe potuto fare a meno di percepire il mio potere avvolgere la mente del ladro, ma per non farsi scoprire dagli umani quello era un metodo perfetto.
Dal modo in cui quell'uomo muoveva il coltello dedussi che vedeva triplo.
L'aggressore ondeggiò e andò a sbattere contro la sua moto, facendola cadere malamente per terra. Nonostante mostrasse serie difficoltà a rimanere in equilibrio, teneva ancora stretta la sua arma, così decisi di occuparmene io. Balzai e tirai una zampata decisa alla mano che stringeva il coltello. Il colpo fu troppo forte perché quell'uomo disorientato lo potesse reggere, e la lama rimbalzò sull'asfalto.
Udii le sirene della polizia due secondi dopo. Un anonimo spettatore degli eventi doveva aver avvisato il 911.
Perfetto. Il mio lavoro era finito.
Mi voltai nella direzione opposta a quella da cui venivano le sirene per uscire di scena, ma la vista di Jane mi bloccò. La ragazza mi guardava stupita, mentre ancora stringeva il cellulare, quello con cui probabilmente era stata chiamata la polizia.
-Ma chi diavolo sei tu...- chiese a vuoto la ragazza.
Io le sorrisi alla maniera dei lupi, feci un cenno col capo, e corsi via.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 
Capitolo 4


Quella non fu l'ultima sera in cui andai da Jane. Prima cominciai ad andarla a trovare una volta a settimana, poi due, infine tre o più, a seconda di come ero messo col lavoro. Nonostante il mio dovere principale come agente sotto copertura fosse avvicinarmi a Jane, infatti, dovevo anche compilare rapporti su come procedeva l'operazione, e ciò poteva anche costarmi diverse ore.
Le lezioni all'università erano la cosa più brutta delle mie giornate. Era interessante sapere come gli umani guardavano gli altri umani, ma non vi erano applicazioni della magia di alcun genere. Io stringevo i denti e sopportavo rimanendo concentrato, ma studiare per i corsi e compilare i rapporti riempiva quasi tutto il mio tempo libero.
Avere scoperto che Jane era amica della sorella di Phil mi aveva reso le cose più leggere, perché a volte incontrare l'una significava incontrare anche l'altro. E così adesso avevo due legami con la studentessa di medicina: uno, di giorno, da studente, l'altro, di notte, da lupo randagio. Era far unire le due cose che diventava difficile.
Piantai i piedi sul terreno, cercando di farli diventare tutt'uno con l'asfalto.
-No!- esclamai -Questo mai!
Le porte scorrevoli del centro commerciale mi fissarono deliziate, pronte a ingoiarmi come fossi un involtino primavera.
-Sarà divertente!- mi esortò Anne -Per me, almeno.
Mi voltai verso Jane, in cerca di soccorso.
-Io non c'entro niente.- si scusò -Non era pianificato, Elija.
Stava arrivando un “ma” e la parte più importante della frase è sempre quella che segue il “ma”.
-Ma anche a me serve un vestito per la festa dell'università.- concluse lei.
-Non ne hai uno nel guardaroba?- chiesi speranzoso.
-Nessuno che non sia da diciassettenne? No.- rispose lei.
-Solo per dieci minuti...- mi pregò Anne.
Fissai i suoi occhi supplichevoli per un attimo interminabile.
-Sei consapevole che dopo mi dovrai un favore?- chiesi -Mi dovrai dieci minuti in cui tu non potrai interferire in alcun modo nella mia vita, a meno che io non stia per uccidere qualcuno?
Lei annuì felicemente.
-Lo giuri?
-Lo giuro.
Passai lo sguardo da una ragazza all'altra. Poi sbuffai.
-E va bene. Avviamoci verso questi trentacinque minuti di tortura.- accettai.
-Erano solo dieci.- mi corresse Jane.
-Quando una ragazza chiede ad un ragazzo di passare del tempo in un centro commerciale- spiegai -perché il ragazzo sappia realmente quante ore trascorrerà lì dentro deve moltiplicare il tempo che gli è stato detto per tre, e poi sommare almeno cinque minuti di ritardo.
Anne spinse Jane nell'edificio prima che la ragazza potesse rispondermi. Io le seguii a occhi bassi.
Cercai di ignorare i vestiti e mi concentrai sul bellissimo pavimento del centro commerciale, che ovviamente non era bello quanto mi piaceva pensare. Avevo bisogno di qualcosa che alleviasse il senso di noia. Ogni tanto scoccavo sguardi incuriositi agli abiti, ma riabbassavo quasi subito la testa.
-Elija?
La voce di Jane mi riscosse dal mio torpore. Era già passata mezz'ora?
-Abbiamo bisogno di un terzo parere.- spiegò Anne, sventolandomi davanti due vestiti.
Fissai gli abiti e poi fissai le ragazze.
-Per chi sono?- chiesi.
-Sarebbero per me.- rispose Jane -Ma non so quale prendere.
Spostai di nuovo gli occhi sugli abiti. Uno era un vestito nero che probabilmente le sarebbe arrivato fino al ginocchio, se lo avesse indossato, con una gonfia gonna a balze, che si allargava a cono. L'abito aveva poca scollatura, che era marcata da una specie di colletto bianco, ma non aveva le maniche, sebbene le spalline coprissero dalla base del collo alla spalla.
L'altro era di una tonalità pesca, e a vederlo così sembrava che scendesse semplicemente fino alla vita, in modo abbastanza aderente, per poi ammorbidirsi, rimanendo comunque vicino al corpo che lo indossava.
Ci sono momenti nella vita in cui sei davanti ad un dilemma. Potevo dire alle ragazze di prendere una decisione salomonica e comprarli entrambi, sceglierne uno a caso o dire che erano tutti e due talmente belli che non sapevo decidermi. Poi, mentre valutavo quale di queste tre opzioni fosse la migliore, vidi l'immagine di Dikstra avvicinarmisi, nella mia mente.
La Dikstra della mia immaginazione mi sorrise benevolmente, afferrò una grossa mazza da baseball e cominciò a picchiare il mio testardo cranio lupino con l'intenzione di continuare finché una delle due cose (la mazza o la mia testa) non si fosse rotta.
Ogni uomo sa che dire ad una donna che ti piace il vestito che lei porta non è mentire, è sopravvivere. Quando m'immaginai di nuovo Dikstra avvicinarmisi con un bastone da hokey, cambiai idea.
-Io non metterei nessuno dei due, se fossi in te.- sospirai, mentre la Dikstra della mia immaginazione annuiva compiaciuta.
-Scusa?- chiese Anne.
Afferrai il vestito nero e lo mostrai a Jane.
-Andiamo! Un colletto bianco su un vestito nero?- arringai, concitato -Non sei una suora, né una cameriera! E poi la gonna non è nemmeno sexy, è volgare, un concetto ben lontano da uno stile sensuale che tu potresti voler ricercare in una festa a tarda primavera come la nostra.
Scambiai i due abiti e avvicinai quello rosa alla mano di Jane.
-Questo poi ha lo stesso colore della tua pelle.- continuai -E se lo mettessi ti farebbe sembrare una pesca gigante. Se senti il tessuto...
Le passai la gonna tra le dita.
-...ti accorgi che è leggermente ruvido. Non c'è nulla di male in questo, ma se vogliamo fare gli scrupolosi ad un ipotetico ragazzo con cui ballerai alla festa piacerà molto di più sentire del velluto che del cartone.
Restituii l'abito a Anne e mi passai la mano sulla nuca, per poi ricordarmi che non avevo una pelliccia da usare come antistress e abbassare l'arto. Le due ragazze mi guardarono in silenzio, e il mutaforma gufo anche strizzando le palpebre.
-Proposte alternative?- domandò Jane.
Sospirai, affranto.
-Un secondo.
Mi allontanai a grandi passi verso una fila di abiti vicini e puntai deciso verso una sezione. Anche se avevo scelto il modello d'abito, mi ci volle un po' per decidere quale colore fosse migliore, e quando decisi non ero ancora del tutto sicuro.
-Ecco qua.- esposi, porgendo il capo d'abbigliamento alla ragazza -Era da un po' che lo puntavo.
Lei sollevò il vestito e lo osservò attentamente, poi lo mostrò a Anne, che però si astenne dal fare commenti.
-Vado a provarlo.- annunciò Jane.
Il minuto che le occorse per cambiarsi fu interminabile. Quel minuto aveva concesso a me stesso di ricordarmi che avevo giurato di non fare mai più una cosa del genere. Mai più consigli di shopping. Era una cosa che mi turbava profondamente.
Era stata Dikstra a insegnarmi tutte quelle cose, ma pensavo di aver ormai dimenticato quelle eresie.
La tenda del camerino si aprì.
Jane uscì dallo spazio per cambiarsi mordendosi il labbro. Il vestito aveva una sola spallina, la sinistra, fatta da un tessuto ripiegato che scendeva su parte della clavicola e poi sui seni, per poi distendersi e scenderle lungo il corpo, seguendone le curve. La gonna le arrivava appena sotto il ginocchio, e terminava con un taglio leggermente obliquo, che portava più stoffa a coprire la gamba destra. Il colore era un lillà deciso, che però sbiadiva verso la vita per lasciare gradatamente posto al blu.
Jane fece una piroetta e lasciò vedere che la spallina del vestito copriva sul retro solo una scapola, per poi andare ad allacciarsi alla parte anteriore sotto il braccio destro.
-Allora?- chiese lei.
Chiusi di scatto la bocca e mi ricordai che avevo bisogno di deglutire.
-Devi essere tu a decidere.- le feci presente -Se non ti piace almeno sai cosa evitare, oppure puoi provare con un altro colore...
-No.- mi fermò lei, guardandosi allo specchio -È lui. È bellissimo.
-Non è l'abito.- mormorai -Quell'abito da solo fa schifo, ma addosso a te è un incanto.
Mi avvicinai a lei mentre ancora si guardava allo specchio.
-Un'ultima cosa.- dissi, mettendole le mani sulle spalle e guardando davanti a me per vedere la sua immagine riflessa -Posso provare a scioglierti i capelli?
Lei alzò le mani e si sfilò da sola l'elastico, quasi a testimoniare che le donne del ventunesimo secolo si liberavano da sole dalla presa delle acconciature. Sorrisi e le scossi i capelli con una mano per farli ricadere nella loro posizione naturale.
-Adesso sono ridicola.- si vergognò lei.
-Dal tuo punto di vista, ma nel mio patrimonio genetico ho un cromosoma Y, io, perciò vedo le cose da un'altra prospettiva.- la corressi.
La maggior parte dei boccoli le erano caduti dietro la schiena, alcuni sulle spalle e uno sulla fronte. Non era la pettinatura più bella che potesse ottenere, ma nemmeno Dikstra si sarebbe opposta al mio giudizio se avessi detto che Jane aveva un'ottima materia grezza su cui lavorare.
Le scostai tutta la chioma su una spalla per vedere come stava in quel modo, ma mi interruppi a metà gesto e mi allontanai.
-Mi spiace se sono stato troppo insistente.- mi scusai -Mi ero promesso di non farlo più.
-Cosa? Dovrei ringraziarti!- protestò Jane.
-Scuse accettate, ma non farlo più.- mi avvertì Anne -Sei un uomo etero, e non hai diritto di parola qui.
-Anne!- esclamò Jane, voltandosi di botto.
Scossi la testa e pregustai la sensazione di libertà che avrei provato quando fossi uscito di lì.


-Coraggio, Jane!- la incoraggiai -Te li tieni stretti come se fossero una reliquia.
Mi aveva promesso che prima della festa di primavera me li avrebbe fatti vedere, e la festa era tra meno di una settimana. Ci conoscevamo da quattro mesi senza che lei avesse mai mostrato all'Elija umano uno dei suoi lavori, mentre ormai l'Elija lupo li conosceva tutti. Ero offeso, ma cercavo di non darlo a vedere.
-Non sei autorizzato a ridere, d'accordo?- chiarì lei, stringendo un po' di più la cartelletta.
-Lo prometto solennemente.- giurai.
Lei sospirò, appoggiò la cartellina sul tavolino del bar e tirò fuori il plico, alto mezzo pollice.
-Sono un sacco.- mi meravigliai, sporgendomi per osservare il primo.
Era il lupo bianco che avevo visto la prima volta che ci eravamo incontrati, quando avevo salvato le sue creazioni dall'Hudson.
Scostai delicatamente il disegno per guardare il successivo: un gatto sdraiato in una cesta. Jane non disegnava solo lupi, l'avevo visto durante le mie visite serali. Andai avanti a guardare le sue creazioni rimpiangendo di non avere più tempo da dedicare a quell'attività, siccome più avanzavo nella pila più i disegni si facevano elaborati e complessi.
-Non resisto più.- si lamentò Jane -Come sono?
Staccai i miei occhi da quelli di un lupo irritato e li sollevai su quelli della ragazza, alzando le spalle.
-Sono semplicemente bellissimi.- mi complimentai -A volte mi sembra di poterci parlare.
-Sei troppo vago.- mi rimproverò lei -Qual'è il tuo preferito?
Questa era facile.
-Quello del lupo nero e della lupa bianca.- risposi, ricostruendolo nella mia memoria.
-Devi essere più preciso.- mi pregò -Ne ho fatti tanti su di loro.
-Quello dove lei è seduta ed è come se lui si fosse appena avvicinato per sfiorarle il naso col suo. Hanno gli occhi chiusi e sono le uniche figure colorate della tela.- raccontai -Lo sfondo diventa meno definito mano a mano che si allontana dai due, fino a sparire.
In quel dipinto non c'era nulla, solo loro due. Lui, lei, e tutto il resto perdeva d'importanza.
-Hai presente?- chiesi, per sapere se ero riuscito a spiegarmi.
Jane mi sembrava leggermente più pallida del solito.
-Ma tu quel disegno non lo hai mai visto.- disse, atona -È sul fondo del plico.
Corrugai la fronte.
-L'ho visto invece. Te l'ho appena descritto.- le feci presente.
Jane sollevò il plico dei disegni che dovevo ancora guardare e ne sfilò proprio quello di cui stavamo parlando.
Rimasi di sasso. Merda. Avevo visto quel disegno solo da lupo, e pertanto non avrei dovuto conoscerlo, ma ero sovrappensiero e non me ne ero reso conto se non troppo tardi.
-Magari era prima e io l'ho rimesso in fondo per sbaglio.- ipotizzai.
-Era il penultimo, l'ho messo apposta lì perché è uno dei migliori.- contestò lei.
Amen, quel che è fatto è fatto. E poi era ora che Jane ricevesse un altro indizio sulla mia natura. Non dovevo dimenticare la missione.
-Non so cosa risponderti.- dissi -Non mi viene in mente alcun altro modo in cui avrei potuto vedere quel disegno prima di adesso. Magari ti sei sbagliata e non lo hai messo nella posizione che volevi.
-Mi sembra improbabile.- obiettò lei.
-Più improbabile del fatto che io abbia visto i tuoi disegni in sogno?- chiesi -Oppure hai altre idee?
Lei sospirò e scosse il capo.
-Che stupida...- commentò, scuotendo il capo -Sì, scusami, è che a volte divento paranoica.
Non hai ancora notato che ho i suoi stessi occhi, Jane? Gli occhi del lupo che viene a farti visita la sera, che rimane a guardarti lavorare dalla finestra del seminterrato? La sua pelliccia assomiglia ai miei capelli, è vero, ma sono le mie iridi ad essere l'unica parte di me che non cambia da una forma all'altra.
-Scusami tu.- dissi.
Per tutto il resto, non per il disegno.
-Comunque, se quello era il penultimo e tu hai messo quelli migliori in fondo- cambiai argomento -qual'è l'ultimo?
Jane sorrise e sfilò dalla pila l'ultimo foglio, per poi mettermelo sotto gli occhi.
-Ritrae un soggetto realmente esistente.- spiegò, arrossendo.
Il lupo era sdraiato supino, con le zampe anteriori in alto, mentre la schiena si torceva per appoggiare lateralmente quelle posteriori sul terreno. Il suo pelo era bordò scuro, e la scena veniva vista da raso terra, con il muso del canide in primo piano. Nel ritratto avevo dei vispi occhi azzurri che fissavano l'osservatore, con una scintilla divertita, che mi ricordava tanto l'espressione di Dikstra dopo che aveva fatto qualcosa di male. Avevo sempre associato quell'espressione alla vampira più che a me, ma non potevo escludere che quella donna me l'avesse impressa sul viso a mia insaputa. Sembravo sorridere, mostrando in parte le zanne e la lingua.
Le era uscito bene. Non potevo fingere di non riconoscermi nel lupo che mi stava guardando dalla carta.
Mi sentii di nuovo una merda.
-Nulla da dire su questo.- commentai, guardando il gioco di luce sulla collottola del canide.
-Non è che tu abbia detto esattamente qualcosa sugli altri.- mi fece notare.
Non da umano. Pensai. Da lupo continuavo a ripetere “puoi fare di meglio”.
Le ci vollero due secondi per capire che non avrei risposto al suo commento.
-Comunque, di' ciao ciao ai tuoi amici bidimensionali- mi incitò lei, raccogliendo i fogli -perché non li rivedrai mai più.
-Ma abbiamo appena cominciato a conoscerci!- protestai -Io e l'anatra abbiamo un sacco di cose in comune!
Lei richiuse i disegni nella cartelletta.
-Sì,- confermò lei -infatti un giorno vi sposerete e avrete tre figli. Non voglio sapere come verranno fuori.
Risi.
-Forse sarebbero un po' bizzarri- ridacchiai -ma scommetto diventerebbero campioni di nuoto.
Lei roteò gli occhi e si allontanò dal tavolino.
-Ehi!- la richiamai -Jane!
Lei non si voltò.
Fui costretto ad alzarmi per correrle dietro.
-Scherzavi quando dicevi che non mi avresti più mostrato i tuoi lavori, vero?- chiesi.
Lei continuò a camminare, ma io la raggiunsi comunque poco dopo, siccome Jane stava andando molto lentamente.
La giornata passò in fretta, e siccome era domenica nessuno dei due aveva molto altro da fare se non passare il pomeriggio insieme. Tornai a casa verso le otto e mezza, ma solo perché Jane aveva detto che aveva delle cose da finire a casa e che quindi voleva andare via presto.
Era un peccato che la serata fosse già finita, avrei voluto passare più tempo in sua compagnia. Ma in fondo non si può ottenere tutto dalla vita, giusto? Non è che potessi trasformarmi in lupo così su due piedi e correre a casa sua, sarebbe stato un gesto stupido, e talmente impulsivo che si sarebbe certamente ritorto contro di me.
Lasciai i vestiti sul letto e chiusi la porta di casa con la zampa e con qualche Parola.
Ignorai il profumo che si diffondeva dall'appartamento della signora Kamiry, anche se era estremamente invitante (Lasagne! Yum!), e corsi giù per le scale. Ci impiegai quasi dieci minuti ad arrivare da Jane con quel ritmo forsennato, finendo per avere il fiatone. Avrei potuto correre ancora per un bel tratto se ce ne fosse stato bisogno, il mio corpo da lupo me lo permetteva, ma alla fine mi sarei buttato nella vasca da bagno e ci sarei rimasto per tutto il giorno seguente.
Stavolta la ragazza era in una delle stanze al piano terra, e non nel seminterrato. Riuscì ad alzarmi su due zampe e a battere la finestra con il muso per farle capire che ero arrivato.
Lei si voltò subito, dopodiché si avvicinò al davanzale per tirare su le imposte e sporgersi dalla finestra. Io mi ritrassi di un passo per lasciarle posto, ma anche per sedermi e per permettere alle mie membra stancate dallo scatto improvviso di riposarsi.
-Ciao.- mi salutò lei -Avevo la sensazione che saresti venuto, oggi.
Scodinzolai (odiavo quel gesto eccessivamente da cane, ma dovevo usarlo come uno dei miei pochi mezzi di comunicazione) per far intendere di essere felice di vederla.
-Oggi ho fatto vedere l'ultimo disegno che ho fatto su di te a un mio amico.- mi raccontò lei -Si chiama Elija e anche a lui piacciono i lupi, così mi sono fatta dare un'opinione. Indovina un po'? Mi ha detto che gli è piaciuto.
Inclinai la testa senza rispondere, cercando di mostrare di aver compreso ciò che diceva.
-Vuoi vederlo anche tu?- domandò lei.
Io annuii, convinto.
Ormai Jane si era abituata al fatto che facessi “si” e “no” con la testa, anche se forse credeva che fosse solo una specie di tic per me. Comunque, la ragazza scomparve in casa e poi si affacciò di nuovo con il disegno tra le mani.
-Allora- domandò -Che te ne pare?
Guardai un secondo la mia figura del ritratto e poi Jane.
Nessun commento da fare, te l'ho già detto.
Ma lei non poteva sentire i miei pensieri.
-Tutto qui?- chiese incredula lei -Niente scenate, scatti d'ira, ringhi rabbiosi, ululati...
Non potei fare a meno di ridere della sua parodia degli atteggiamenti che assumevo quando cercavo di darle un parere non verbale sui suoi lavori. Lei sorrise per un momento, ma poi il suo sorriso smise di arrivarle agli occhi e le rimase solo sulle labbra, ostentando quanto non fosse sincero.
Uggiolai.
-Non è niente.- mi tranquillizzò lei.
Fissai i miei occhi nei suoi, anche se un rimasuglio del fiatone non mi permetteva di avere l'espressione seria che avrei voluto.
Jane mi fece un cenno con la mano dicendomi di aspettare, poi scomparve di nuovo nella casa. Attesi per cinque minuti, ascoltando i suoni che la ragazza produceva camminando per casa e frugando tra i cassetti. Poco dopo la porta si sbloccò e si aprì con un leggero cigolio, per far uscire la ragazza con una ciotola di plastica in mano.
Indietreggiai, perché non volevo del cibo da lei, ma Jane mi fermò con un gesto della mano.
-Lo so che non mangi qui- disse -e che non ti fermi nemmeno a dormire, anche se una volta ti ho lasciato una scatola fuori. Però, ho visto che hai fatto una corsa e pensavo che avessi sete.
La scrutai con sguardo inquisitore mentre lei appoggiava la ciotola per terra. Conteneva solo acqua, e il mio naso non mi diceva nulla di diverso: non credevo contenesse droghe o veleni.
-Non vuoi essere adottato, lo capisco.- mi rassicurò Jane, spingendo delicatamente la ciotola verso il bordo delle scale che conducevano alla sua porta d'ingresso -Credevo solo che ti avrebbe fatto piacere.
Indietreggiò fino a mettersi con le spalle contro la porta e lì si sedette, lontano dall'acqua.
Inizialmente decisi di mantenere quella posizione finché la studentessa di medicina non si fosse stancata e avesse desistito, ma piano piano la sete mi spinse verso la ciotola, per annusarla più da vicino. No, niente strozzalupo, a meno che non fosse mascherata bene, e nemmeno sonniferi, a cui comunque il mio sangue da licantropo avrebbe opposto più resistenza di quello di un lupo normale. Non conoscevo un incantesimo per controllare la presenza di veleni, e rimpiansi di non aver studiato quell'argomento mentre davo una prima lappata di prova. Dikstra avrebbe sicuramente saputo cosa fare, con tutto l'addestramento da spia che aveva fatto.
Continuai a bere con circospezione, ma non sentii alcun sintomo stroncarmi la lucidità mentale, perciò finii l'acqua. Mi sentivo meglio ora che la sete se ne era andata.
Jane aprì la bocca per parlare, finendo per richiuderla senza emettere un suono. Chissà se aveva capito che era difficile, per me, vivere due rapporti con lei, uno da persona e uno da lupo, senza che le due sfere si incontrassero minimamente. Forse aveva capito che a volte ero triste con lei, da lupo, quando dovevo fingere di meno perché non dovevo parlare, ma non capiva da dove derivasse la mia tristezza.
-Ne vuoi dell'altra?- chiese lei.
Io scossi la testa.
-Ok. Porto via la ciotola.- mi avvertì Jane, alzandosi in piedi.
Rimise dentro la bacinella di plastica e poi uscì di nuovo, sedendosi di nuovo contro la porta.
Io rimasi fermo a guardarla. Era la prima volta che non c'era un muro a separarci, o che lei non si sporgeva da una finestra. Era il nostro primo incontro faccia a faccia, per lei, ma l'ennesimo, per me.
E la stavo ingannando ancora.
Notai che Jane scoccava di tanto in tanto occhiate preoccupate al cellulare, così le chiesi silenziosamente cosa c'era che non andava. Lei vide il mio sguardo, capì cosa intendeva.
-Devo fare una cosa.- sospirò, afferrando il telefono -Devo solo trovarne il coraggio.
Digitò un numero sullo schermo del cellulare, ma si fermò all'ultimo istante prima di premere il pulsante di chiamata.
I nostri occhi si incrociarono, e non so cosa lei lesse nei miei. Poi premette il cerchio verde e si portò il telefono all'orecchio.
Il suo cuore accelerò durante i due squilli che seguirono, mentre partì al galoppo quando una voce maschile uscì dal microfono.
-Pronto?- chiese la voce.
-Pronto, sono Jane.- disse la ragazza, il cui polso aveva raggiunto livelli preoccupanti.
-Jane?!- esclamò la voce -Oddio, Jane, da quanto tempo! Come sta la mia ragazza?
-Sto bene, Evan.- rispose lei, fredda nella voce, ma febbricitante nella realtà.
Evan?!
-E allora...- cominciò Evan.
-No, lasciami parlare.- lo interruppe Jane -Non sai quanto mi senta imbarazzata a fare questa telefonata. Probabilmente è una telefonata inutile, ma io sento il bisogno di farla, ok? Almeno ti darò qualcosa di cui ridere con gli amici.
Lei prese un respiro profondo.
-È un anno che non ti sento.- continuò lei -E tu non hai nemmeno mostrato la decenza di farti vedere per mollarmi come si deve.
-Ma io non ti...
-Così ho deciso di prendere io l'iniziativa.- lo interruppe di nuovo -So che potresti già avere avuto una dozzina di ragazze diverse, però te lo voglio dire comunque, giusto per togliermelo dalla coscienza.
La paura era sparita dall'odore di Jane, che adesso era intriso di endorfine e adrenalina.
-In breve,- concluse lei -ti mollo io. Siamo entrambi ufficialmente single da questo momento in poi.
Jane smise di parlare e un silenzio teso si diffuse nella linea telefonica.
-Perché?- riuscì a chiedere Evan dopo qualche secondo.
-Così avrai qualcosa da raccontare per rimorchiare.- rispose lei.
E chiuse la comunicazione.
Rimase lì per cinque secondi buoni con il telefono in mano, prima che l'apparecchio suonasse di nuovo. Jane gli sbatté in faccia il telefono senza rispondere e poi armeggiò con lo schermo, per bloccare il numero.
A operazione terminata la ragazza alzò lo sguardo su di me. Emanava una strana tensione nervosa, come se fosse pronta a scattare per i cento metri olimpici.
-Ok. Credo che in questo momento potrei sollevare una montagna.- sussurrò.
Digitò un altro numero e si portò la cornetta all'orecchio.
-Solleviamo questa montagna allora...- mormorò, lanciandomi un'occhiata complice -Andiamo, Elija, rispondi!
Il telefono, lasciato in casa mia, squillò finché non partì la segreteria, senza che io potessi rispondere. Ironicamente, lei mi cercava lontano, mentre io ero davanti a lei.
-Ehi, Elija- registrò Jane sulla segreteria -ho il mio piccolo lupo mascotte qui mentre ti chiamo. Senti, ti dovrei parlare di una cosa importante che ho fatto... beh, adesso, e vorrei discuterne a quattr'occhi con te. Se senti questo messaggio per favore richiamami subito.
Mise giù e mi fissò sorridendo.
-Non hai idea- mi disse -del tempo che è passato prima che io trovassi il coraggio di farlo.
Colmai la distanza che ci separava e le spinsi il capo sotto la mano, premendo la mia pelliccia contro il suo palmo.
Sono qui. Sono qui. Sono qui. Pensai. Tu non lo sai ma sono già qui.
Sentii le dita di Jane grattarmi la nuca e il pelo tra le orecchie. Ero stranito da quel contatto, inconscio della ragione per cui lo avevo cercato così disperatamente in quell'istante, inconscio per un secondo anche del motivo per cui mi stavo nascondendo dietro ad una pelliccia.
-E ora chiamiamo Anne.- mi avvisò Jane -Devo dirlo anche a lei. Forse l'avrei dovuta chiamare per prima.
Mi separai da lei e la guardai comporre il numero, raggiante.


Trotterellai su quattro zampe nella sala di addestramento semivuota maledicendo l'appuntamento fissato a quell'ora dal capo. Era la notte prima della festa, e questo non mi faceva esattamente impazzire dalla voglia di passarla in bianco, escludendo il fatto che avevo già passato una giornata pesante e che volevo andare a dormire.
Avevo ricevuto un messaggio da McGery che mi diceva ora e luogo dell'incontro il pomeriggio precedente, che era necessario per “informarmi dei nuovi sviluppi sul caso”.
Nella stanza c'erano McGery nella sua forma ibrida, praticamente uguale a quella di Phil se si sostituivano i tratti da barbagiannicon quelli di un'aquila. Le sue penne erano marrone chiaro, che a volte sfociava verso il dorato, così come i suoi occhi, di un castano talmente strano da essere paragonabile ad un giallo scuro.
Assieme a lui vidi anche tre donne e un uomo che lavoravano nelle alte sfere che avevano ordinato l'operazione.
-Buonasera, signore.- salutai il capo per primo -Buonasera a tutti.
C'era una certa gerarchia da rispettare, nonostante non fossi proprio un membro dell'esercito, e sapevo che McGery era un generale. Avevo salutato lui per primo perché probabilmente era quello di grado più alto, anche se non sapevo se gli altri presenti fossero ufficiali o meno.
-Buonasera, Blackfur.- salutò McGery -Riteniamo che gli Apostoli del Caos abbiano in mente di riavvicinarsi a Jane.
Dritti al punto, eh? Bene. Prima finivamo, prima sarei andato a dormire.
-Mi aveva convocato per dirmi questo, signore?- domandai, cercando di non far trapelare dalla mia voce l'impazienza.
-Non solo.- rispose lui -Vedi...
Le porte della palestra si riaprirono con un baccano assordante, interrompendo McGery.
-Scusate il ritardo.- si annunciò con una smorfia l'agente delle teste di cuoio -Ho trovato traffico.
Era lo stesso agente presente al meeting in cui mi avevano affidato la missione, quello che non aveva ancora detto il proprio nome dopo cinque mesi, anche se era solo la seconda volta che lo incontravo. Era umano, lo avevo percepito subito, ma non capivo se a causargli tutta quella irritabilità fosse il fatto di trovarsi in mezzo a creature magiche o un trauma subito da piccolo.
-Vedi Blackfuf, è stato portato alla nostra attenzione- e qui il capo scoccò un'occhiata al tipo delle teste di cuoio -che tu non sei un agente operativo, e che quindi potresti non essere in grado di difendere te stesso o la signorina Mory.
-È vostra intenzione testare le mie abilità di combattente?- chiesi, dubbioso.
-No.- mi contraddisse McGery -Intendiamo farti una lezione sulle basi dell'autodifesa.
Le porte si aprirono di nuovo con un fracasso assordante.
-La differenza è che se non passi un test sei fuori dall'operazione- specificò la donna oltre la soglia -mentre puoi fare schifo quanto vuoi ad una lezione, tanto nell'operazione ci resti comunque.
La nuova venuta (un lupo mannaro) fece un sorriso falsamente cortese in direzione dell'agente delle teste di cuoio. Quella donna aveva capelli biondo scuro tagliati cortissimi e alla rinfusa, che coronavano un volto leggermente squadrato, con labbra rosee ed occhi scuri debolmente allungati. Portava la divisa da Protettore, ma il distintivo ulteriore applicato sul petto indicava che era della squadra di sicurezza dell'ufficio. La prima cosa che notai è che trascinava accanto a se un'irritata Dikstra vestita completamente di nero, che tamburellava col piede sul terreno e che aveva le mani ammanettate dietro la schiena. La seconda cosa che notai di lei furono la cintura e le due pistole che vi pendevano.
-Quindi- dichiarò la donna, mentre liberava Dikstra -tutto quello che succederà in questa stanza è superfluo, così come il tentativo del tenente Pitterson di annullare l'operazione di avvicinamento a Jane.
-Ti dispiacerebbe anche spiegarmi perché hai portato qui Dikstra come fosse una carcerata?- domandai, inclinando il muso.
-L'agente... beh Dikstra ha preferito rimanere a New York piuttosto che ripartire in missione- raccontò il capo -così le è stato assegnato il compito di verificare la sicurezza degli edifici del Protettorato, cercando di entrarci di soppiatto.
La vampira si sfregò i polsi e sorrise amaramente.
-Ci sarei anche riuscita se questa lupa non mi avesse puntato una pistola contro.- mormorò.
-Ha neutralizzato due agenti dopo essere uscita dai condotti d'aerazione.- raccontò la responsabile della sicurezza -Erano uomini, ovviamente. Ci vuole una donna per battere una donna.
-Sbaglio o è sessismo...- cominciò Dikstra, voltandosi di scatto verso l'altra.
-Grazie per il vostro impegno, agente.- la interruppe McGery, rivolgendosi alla lupa -Sono certo che non vi dispiacerà tornare alle vostre mansioni.
Le due donne si scambiarono un'occhiata assassina. Forse era il caso che ridessi a Dikstra il suo congegno d'allarme.
L'agente della sicurezza sorrise malignamente mentre si sollevava un cappuccio attaccato alla divisa sulla testa.
-Vieni a riprendere le tue armi all'uscita quando hai finito, Dikstra.- le disse, uscendo dalla porta.
La vampira ringhiò.
-Certamente... J.
La lupa si paralizzò all'istante, per poi voltarsi lentamente, con una mano sulla pistola.
-Smettila con quel soprannome!- le intimò -Io mi chiamo...
Dikstra le chiuse la porta in faccia prima che potesse finire.
-Perfetto, dicevamo? Ah, sì.- Dikstra tirò fuori da una tasca un sacchetto e lo lanciò a McGery -Il materiale sulle abilità di combattimento di Elija, video, principalmente. Però potrebbe esserci qualcosa di imbarazzante che El ha fatto quando aveva due o tre anni.
Il mio cuore fece un balzo e spostai lo sguardo sulla vampira.
-Non sono sicura di aver separato le cose utili da quelle inutili...- si giustificò lei.
Le lanciai un ringhio d'avvertimento mentre lei si avvicinava lentamente.
-Tutto ciò è ridicolo!- esclamo l'agente delle teste di cuoio Pitterson -Adesso ci siederemo tutti insieme a guardare come l'agente Blackfur combatte?
-Ma non era proprio questa la sua idea, in un primo momento?- chiese McGery, fintamente sorpreso.
Il capo tirò fuori una serie di chiavette usb dal sacchetto e le esaminò, leggendo ciò che c'era scritto sopra.
-Peggior combattimento- recitò -Discreto allenamento all'accademia, Test di fine anno. Se a tutti va bene, tanto per sapere tutto quello che sa fare Blackfur, io comincerei con Miglior combattimento.
Il polso del tenente Pitterson è troppo alto. Pensai, mentre questi si allontanava dal gruppo.
Non sentii quello che dissero gli altri mentre l'agente delle teste di cuoio tornava verso di noi, dopo aver preso un'arma dalla parete. Non c'erano problemi per me se voleva offrirsi come avversario per cominciare una prova sulle mie abilità.
-Lei crede di poter proteggere un terzo da un attacco, signor Blackfur?- chiese il tenente.
-Penso di poter guadagnare qualche minuto.- risposi.
Pitt aspettò che mi voltassi prima di sollevare il manganello ricoperto d'argento che aveva preso dalla parete delle armi. Lo calò con decisione verso dei capelli scuri racchiusi in uno chignon. Mi accorsi con terrore che dopo un'istante Dikstra non si era ancora resa conto della minaccia diretta contro la sua nuca. Poi non mi accorsi più di nulla.
Scattai.
Avevo troppo poco tempo per evocare del potere. Niente magia, stavolta. Afferrai il manganello con la zampa sinistra, mentre con il braccio destro avvolgevo Dikstra e mi interponevo tra lei e Pitt. Non ricordo l'espressione del suo volto, perché mi concentrai solo sui suoi occhi sbarrati, ruggendogli la mia rabbia in faccia. Il ruggito risuonò con strana violenza nella palestra, e la forza che si opponeva alla mia per il controllo della mazza svanì. Con il palmo che pizzicava, lanciai lontano il manganello.
Sentivo che mi sarei potuto lanciare su quell'uomo in qualunque momento. Non era una questione di controllo razionale degli istinti: non mi stavo perdendo come si fantastica facciano i lupi mannari nella loro forma animale. Ogni singola parte di me, umana o lupina, mi gridava di spezzare ogni singolo osso di quell'essere abominevole che aveva cercato di fare del male a Dikstra.
Forse fu un tabù sociale, o la presenza della vampira dietro alle mie spalle, a far sì che non avessi ancora infierito coi miei artigli sul bastardo quando il mio ruggito si spense.
Respiravamo tutti e tre affannosamente. Il dolore al mio palmo causato dall'argento si stava intensificando man mano che l'adrenalina scemava.
Dikstra scivolò fuori dalla mia presa e mi fissò con sguardo preoccupato. Quando vide la mano con la quale avevo toccato l'argento le sue iridi vennero inondate da un colore rosso cremisi, che andò a sostituirne l'azzurro.
-Tenente Pitterson Lucas- declamò, a voce alta, mostrando i canini -la dichiaro in arresto per aggressione a un membro del Protettorato. Lei ha il diritto di rimanere in silenzio...
La vampira fece un passo verso di lui con le vene che le sporgevano da sotto gli occhi, mostrando completamente il suo aspetto da battaglia. Lucas fece un passo indietro.
-Tutto questo è ridicolo!- esclamò il tenente.
-tutto quello che dirà- Dikstra gli si fece pericolosamente vicina -potrà...
Un pugno sul volto la interruppe. Non ero intervenuto perché ero convinto che lei lo avesse visto arrivare, a differenza della mazzata. La testa della vampira si mosse di qualche grado, ma contemporaneamente lei mi fece cenno con la mano di non intervenire.
-E con questo fanno due aggressioni.- fece il conto Dikstra, con voce mielosa -Più una resistenza all'arresto.
La vampira afferrò il braccio del tenente e lo torse violentemente, costringendolo in ginocchio con un'esclamazione di dolore.
-Vincolalo al mio cospetto.- disse con le Parole.
Conoscevo quell'incantesimo. Le braccia di Lucas vennero immobilizzate dietro la schiena da corde invisibili, ma sapevo anche che adesso l'uomo non poteva allontanarsi a più di un metro da Dikstra.
La vampira trascinò il tenente fuori dalla palestra, continuando a elencargli i suoi diritti.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


-Ti fa male?- chiese Dikstra sfiorandomi la zampa sinistra.
Mi osservai il palmo della mano, che assieme alla pianta del piede erano le uniche parti del mio corpo da ibrido che non fossero ricoperte dalla pelliccia. Per questo si poteva vedere la scottatura sulla pelle.
-Brucia un po'.- ammisi, nascondendole l'arto.
In realtà più che una scottatura era una reazione allergica. Tutte le creature magiche hanno una qualche sorta di debolezza, sotto forma di un allergia ad un materiale o altro. Per noi licantropi è l'argento.
-Hai degli antistaminici?- mi chiese di nuovo Dikstra, preoccupata.
-Do solo un attimo alla ferita per guarire.- le risposi, cercando di cambiare argomento.
Il suo sguardo si fece insistente.
-Ho gli immunosoppressori.- cercai di giustificarmi.
-Non ti puoi uccidere il sistema immunitario per una piccola abrasione.- commentò lei.
-Infatti non ho intenzione di farlo.- dissi, col suo stesso tono.
Lei sbuffò e si frugò nelle tasche fino a tirarne fuori un piccolo contenitore cilindrico. Gli tolse il tappo e si fece rotolare una compressa bianca sulla mano.
-Per tua fortuna io ho gli antistaminici.- mi espose, piazzandomi la pastiglia sul palmo sano -È inutile soffrire per nulla.
Osservai la medicina per un secondo prima di replicare.
-Non ho acqua.
-Fai uno di quei trucchetti che ti piace tanto esibire e condensala dall'aria.- sospirò lei -Oppure vai ad un distributore. Il più vicino è a qualcosa come... cinque passi.
Ingoiai il medicinale senza fare nessuna di quelle due cose, anche se avevo vagamente considerato l'idea cominciare a farle piovere sulla testa.
-E ti consiglierei di usarci sopra un incantesimo di guarigione.- continuò lei, accennando alla mia mano ferita.
Prima che potessi rispondere lei mi stava già sollevando delicatamente il braccio, sussurrando Parole. Una luminescenza bianca avvolse la sua mano, che lei avvicinò alla mia scottatura, causando un'istantanea ondata di sollevo dal dolore.
Sospirai. Non mi piaceva essere accudito in questo modo, ma dovevo ammettere che la zampa adesso andava molto meglio.
-Non dovevi arrestare Pitterson in quella maniera.- la rimproverai -È pur sempre...
-Un pallone gonfiato, egoista ed incompetente.- concluse lei la frase, accalorata -Ti ha fatto male, e poi mi ha colpita. L'aggressione di un membro del Protettorato è un crimine federale, se poi le aggressioni sono due, la cosa è ancora più grave.
-E che succede se ti riconoscono colpevole di insubordinazione?- chiesi io.
Dikstra scosse le spalle.
-Io ho solo fatto il mio dovere di agente.- rispose -Sarà lui quello che verrà sospeso.
-Cosa che immagino ti dispiacerebbe moltissimo.- speculai di rimando -Se verrà escluso dall'operazione però ne sarò felice anch'io. Quell'idiota non ha fatto che cercare di far uccidere Jane per tutto il tempo.
La vampira mi sorrise e disgiunse le nostre mani. Io provai ad aprire e chiudere la mia, che notai con piacere funzionare bene e non pizzicare più. Avevo stretto l'argento solo per pochi secondi, non sarei dovuto essere sorpreso del mio veloce miglioramento.
Una delle donne che erano con noi entrò nella stanza, con il sacchetto delle chiavette di Dikstra.
La vampira aveva insistito per uscire a medicarmi dopo aver sbattuto il tenente in cella, e, come era ovvio, non c'era stato verso di dissuaderla. Avevamo lasciato gli altri giù a guardare i video, che speravo non contenessero nulla di imbarazzante.
-Ecco qui.- disse lei, consegnando il sacchetto -Il più recente è stato davvero strabiliante. Voi due vi picchiate sempre così?
Capii di quale combattimento stesse parlando e abbassai lo sguardo.
-Quella volta avevamo litigato per qualcosa.- raccontai -Non mi ricordo più per cosa...
-Non importa.- mi tranquillizzò l'altra -Comunque, Elija, tu usi troppo la magia. Hai molta destrezza nel farlo, ma dovresti cercare di sviluppare altri metodi, almeno nell'addestramento. Mentre, Dikstra, tu ti sei sbilanciata in un paio di momenti.
-Lo so.- ammise la vampira -El ha sfruttato quei momenti per mettermi al tappeto. Di solito non vince lui.
Mi schiarii la gola ad alto volume.
-Vuoi rimettermi alla prova ora?- chiesi, socchiudendo gli occhi.
Lei ringhiò.
-No, ma solo perché domani hai una festa. Devi avere le ossa tutte intere.
-Non ho ancora capito.- rifletté la nuova arrivata -Se è El a combattere come un vampiro o Dikstra a combattere come un lupo.
-Ne discuteremo un'altra volta, signora Mason- si congedò Dikstra -Ora temo che io e El dovremmo andare a letto. Domani si lavora.


La festa data dalla Murphy era discretamente formale, quindi ero stato costretto dalle circostanze ad indossare una camicia. Entrai dall'ingresso principale immerso nella calca, chiedendomi dove fossero gli altri. Anne aveva deciso di portare Phil con sé, siccome la festa non era solo della scuola e non si svolgeva all'interno del complesso universitario, ma in due saloni presi in affitto.
Un salone, quello più in basso, era per tutti, mentre l'altro, superiore al primo e celato da opportuni incantesimi, ospitava le creature magiche, che lì potevano assumere altre forme, praticare incantesimi e volare sul tetto se potevano farsi crescere le ali.
-El!- mi chiamò Phil non appena mi vide entrare.
Alzai la mano per salutare Anne e suo fratello mentre facevo lo slalom tra la folla.
-Jane non c'è.- mormorai.
-Gli Apostoli non possono essere già intervenuti.- imprecò Dikstra dall'auricolare, che adesso era tornato nel mio orecchio.
Me l'avevano ridato per la serata. Le informazioni della squadra di cui faceva parte Dikstra (non avevo idea di come se le fossero procurate) dicevano che gli Apostoli avrebbero potuto cercare un contatto con Jane quella notte. L'auricolare mi serviva solo come supporto tecnico in caso di aggressione.
-Ciao.- salutai i due gufi.
-Ciao.- ricambiò Anne -Jane dovrebbe arrivare tra un paio di minuti.
-Scommetto che era l'unica cosa che importava a El.- sorrise Phil, inarcando le sopracciglia.
Gli sorrisi a mia volta, ma solo per scoprire i denti.
-Sai perché Jane è in ritardo?- domandai, distogliendo lo sguardo da lui.
-C'è stato un problema con la metro.- rispose Anne -Lavori di manutenzione o qualcosa del genere. È stata costretta a fare il giro della città.
-Allora non ha senso continuare ad aspettarla fuori.- proposi -Vi va di entrare?
-Per me va bene.- acconsentì lei -Ho freddo a stare vicino all'uscita con questo vestito leggero e senza penne.
Entrammo nel salone di comune accordo, nonostante avrei preferito aver trovato Jane subito dopo essere entrato. Quella faccenda degli Apostoli non mi faceva stare tranquillo.
-Io mi lancerei sul bar.- annunciò Phil, sfregandosi le mani -Tanto non mi interessa ballare. E poi...
Il mio amico lasciò la frase in sospeso mentre i suoi occhi si puntavano verso l'alto.
Seguì il suo sguardo fino ad arrivare alla scalinata alla fine del salone, quella che congiungeva la parte degli umani a quella delle creature magiche. Le persone comuni potevano vederla, certo, ma nessuna ci sarebbe salita per tutto l'oro del mondo, grazie al Potere di cui era stata infusa.
Una donna stava scendendo i gradini.
Aveva un abito rosso che le scendeva fino alle caviglie, aprendosi in uno spacco lungo la gamba destra che le arrivava appena sopra il ginocchio. Con una spallina sola, l'abito fasciato strettamente intorno al busto lasciava poco spazio all'immaginazione, per poi cadere più morbidamente dalla vita in giù. I capelli corvini ondulati le ricadevano sulle spalle e sulle scapole scoperte. Di trucco ne aveva messo poco: una linea di eyeliner nero sugli occhi azzurro chiaro e un tocco di blush per nascondere l'eccessivo pallore della pelle.
Dopotutto, Dikstra sapeva benissimo di non aver bisogno di agghindarsi troppo.
-Oddio.- mormorò Phil, a bocca aperta.
Mi portai una mano all'orecchio per disattivare l'auricolare. Non credevo che quello che stavamo per dire fossero affari di Dikstra.
-Aspetta- lo fermai, esaminando la sua espressione -non l'hai ancora chiamata?
Lui fece cenno di no con la testa.
-Ma ti ho dato il numero!- esclamai -Tutti e tre i numeri! E l'indirizzo di posta elettronica!
-Non ne ho avuto il coraggio.- ammise, a bassa voce.
Sospirai. La vampira era arrivata a metà della scala, continuando a scendere lentamente. Aveva di certo deciso di eseguire un'entrata in scena d'effetto, e per questo molti occhi le si stavano puntando addosso.
Un uomo si avviò alla fine della scala per riceverla, ma io fui più veloce. Afferrai la mano di Dikstra prima che questa potesse mettere il piede giù dall'ultimo scalino.
-Milady.- la salutai.
Lei mi lanciò un'occhiata di sbieco, ma non ritrasse la mano. Vidi che sogghignava mentre terminava la sua discesa e mi conduceva (sì, era sempre lei a voler comandare) nel centro del salone.
-Vuoi ballare?- chiese lei.
-Io odio ballare.- le ricordai.
-Ma io lo adoro.- replicò Dikstra.
Le prime note del lento uscirono dalle casse e io maledissi quella musica. Perché cominciavamo con un valzer? Chi diavolo era il DJ? Non avevo capito che con “occasione discretamente formale” s'intendesse che dovevamo ballare come nel diciannovesimo secolo.
-So che lo sai ballare.- mi provocò le vampira, mettendomi le braccia in posizione -Solo il primo ballo, poi ti lascio in pace, anche se dovrei dire che sei stato tu a cercarmi.
Aspettai il tempo giusto per fare il primo passo, poi tutti gli altri semplicemente mi vennero spontanei. Dannate lezioni di ballo.
-Apostoli?- sussurrai, mentre giravamo per la pista.
-Ancora nessuno.- mi rispose lei -Jane sta bene, uno dei miei la sta controllando. E comunque anche qui ci sono degli agenti. Hai la pistola?
Le feci fare un giro sotto il mio braccio e poi la sua mano si appoggiò sulla mia vita. Sapevo che stava cercando il rigonfiamento di un arma sulla mia schiena, ma lì non avrebbe trovato nulla.
-La fondina è sulla caviglia.- rivelai -È caricata con proiettili di legno.
La vampira piroettò fuori dal mio abbraccio, interrompendo la danza, ma accostò il viso al mio orecchio invece di allontanarsi.
-Vado a fare il mio giro di ronda.- mi avvisò -Tu rilassati, avrai degli angeli custodi, stasera.
Feci un cenno col capo e lei si allontanò, portandosi dietro gli sguardi di una decina di giovani uomini ignari del fatto che, invece di osservare un grazioso cerbiatto, stavano ammirando una tigre.
Ritornai dai miei amici a bordo del salone, che mi stavano guardando con occhi sbarrati. O meglio, Anne mi stava guardando con occhi sbarrati, Phil, invece, faceva scattare gli occhi da me a Dikstra, anche se questi indugiavano più su di lei che su me.
-La lasci così?- chiese lui.
Per fortuna l'auricolare era già disattivato.
-Certo.- lo rassicurai -Adesso è libera, potresti chiederle di ballare.
Phil sembrò sul punto di soffocare anche senza aver bevuto niente che potesse andargli di traverso.
-Cosa!? Io!?- esclamò, scuotendo la testa -No, non se ne parla. Al massimo ci presenti tu.
Alzai le spalle.
-Per me non c'è problema.- dissi -Ma sappi che a lei fa piacere che qualcuno abbia il coraggio di presentarsi da solo, invece di ricorrere ad un intermediario. Adora essere corteggiata, deve darle una sadica sensazione di potere sul prossimo.
-Forse è meglio se bevi qualcosa, prima.- suggerì Anne, dando di gomito al fratello.
-Forse sì.- acconsentì l'altro, dirigendosi verso il bar.
Il movimento con cui Phil si immobilizzò all'improvviso gli fece finire addosso la sorella.
-Ehi! Che fai?- chiese lei, irritata.
Il gufo tamburellò sui due piedi per un paio di secondi, stringendo e rilassando i pugni. Il suo battito era alle stelle, e il suo odore era un misto tra paura ed eccitazione.
-Mi ubriacherò dopo, per dimenticare l'umiliazione.- decise Phil.
Scostò delicatamente la sorella per attraversare a grandi passi la sala, dirigendosi verso l'abito rosso. Io e Anne ci scambiammo uno sguardo, poi gli corremmo dietro, perché nessuno di noi due voleva perdersi la scena.
Io e la femmina di gufo ci separammo per non dare l'idea di stare spiando mentre ci avvicinavamo per sentire meglio. Avevo quasi raggiunto un buon punto di osservazione quando vidi Phil girare i tacchi per fare marcia indietro. Gemetti per il dispiacere: avevo appena perso l'occasione di vedere una scena epica. In fondo in fondo mi dispiaceva anche per il mio amico.
Il gufo fece un passo e mezzo prima di voltarsi di nuovo e tornare a puntare Dikstra, mormorando un'imprecazione.
Così si fa, uccellaccio. Pensai, sorridendo.
Phil la raggiunse mentre lei era seduta in disparte nella sala. Dikstra non poteva non essersi accorta che qualcuno voleva rompere il ghiaccio con lei, ma nonostante ciò ignorò l'uomo.
-Mi scusi, signorina.- la chiamò lui.
Riuscivo a sentirli anche se ero abbastanza lontano e anche se ero nella mia forma umana, i cui sensi erano limitati.
La vampira ruotò il volto verso il gufo, assumendo un'espressione neutra.
-Ecco io...- Phil incespicò nelle parole ed esitò -Non ho potuto fare a meno di notarla, stasera. E non ho potuto fare a meno di chiedermi se accetterebbe di ballare una volta con me.
-Capisco.- rispose Dikstra, annuendo per dimostrare la sua comprensione -Ma ancora non vedo ragioni per cui dovrei acconsentire.
Phil si morse il labbro. Quella risposta non era per niente un buon segno, praticamente la donna lo stava liquidando senza possibilità. Ma, al posto di ritirarsi, il gufo cominciò a ridacchiare.
-Cosa c'è?- chiese la vampira, vagamente sorpresa.
-Nulla, rido solo del mio imbarazzo.- rispose l'altro, aprendo le mani -Sa, quando l'ho vista arrivare, non ho potuto trattenermi dal pensare che lei fosse la creatura più bella e affascinante della sala, e non ho potuto trattenermi dal desiderare follemente di danzare con lei. Immaginavo che una donna seducente come lei non avrebbe pensato lo stesso di uno come me, ma mi sono detto che, se non ci avessi provato, avrei rimpianto amaramente di non aver nemmeno provato a parlare con una tale meraviglia.
Il gufo tese la mano.
-Non ho una vera e propria risposta alla sua domanda.- concluse, inchinandosi leggermente -Posso solo chiederle se mi farebbe l'onore di una danza con lei.
Dikstra rimase immobile per un istante, poi serrò di nuovo le labbra e un sorriso genuino le si dipinse sul volto.
Wow, Phil Pensai, quasi mettendomi a ridere questo lato da dongiovanni lo hai sempre avuto o è nato stasera?
-Non ho mai ballato con qualcuno con le ali.- rispose lei, afferrando la mano che le veniva porta -Immagino sarà la prima volta.
Riattivai l'auricolare mentre i due si spostavano verso il centro della sala. Ero rimasto ormai troppo a lungo separato dagli operativi. Una piccola assenza poteva essere tollerata, ma la mia si stava allungando troppo.
Il suo odore mi avvertì della sua presenza prima della voce di un agente che non conoscevo. Doveva essersi messa del profumo, che per sua sfortuna stonava con la fragranza del suo shampoo, creando un mix vagamente sgradevole quando ci si concentrava sulla nota creata dal prodotto per i capelli. Ma nel complesso l'odore era tollerabile, e mi lasciava avvertire anche quello della sua persona, sotto la puzza della chimica.
-Ciao, Jane.- salutai, senza voltarmi.
-Come diavolo hai fatto a sapere che ero io?- esclamò la voce della ragazza da dietro le mie spalle -Avrei giurato che la folla avrebbe coperto il rumore dei miei passi.
Mi voltai e alzai le spalle.
-Ho solo avuto la sensazione che fossi tu.- cercai di spiegarle, ma cambiai idea, preferendo la verità ad una bugia -No non è vero, in realtà ho riconosciuto il tuo profumo.
Jane inarcò un sopracciglio.
-E poi sarei io quella fissata coi lupi?- ridacchiò -Adesso ululi pure alla luna?
-Quando ho voglia, ma di solito non lo faccio in città perché fa arrabbiare i vicini.- confessai, annuendo.
Jane indossava il vestito che avevamo scelto insieme, ma doveva essere andata anche dal parrucchiere perché aveva cambiato acconciatura. Adesso i suoi capelli erano molto più disciplinati, e leggermente più corti. Lei mi sorrise e lasciò girovagare lo sguardo per la sala. Decisi che stava decisamente bene.
-Hai visto i due nuovi piccioncini?- domandai, indicando alle mie spalle.
-Chi?- domandò lei, esaminando la pista con gli occhi.
Mi voltai per scoprire che Phil e Dikstra non c'erano più. Dovevano essere saliti al piano superiore mentre io ero girato. La cosa non mi sorprendeva, siccome a Phil piaceva avere ali e penne, piuttosto che delle semplici braccia che non gli consentivano il volo.
-Se ne sono andati.- raccontai -Phil è riuscito a chiedere di ballare a una donna, e lei ha accettato, sorprendentemente.
-Non dovresti parlare così di un tuo amico.- mi rimproverò Jane, mettendosi di fianco a me.
-Parla quella che ha imparato dai miei amici a sgattaiolarmi dietro le spalle.- la rimbeccai -E comunque non lo sto prendendo in giro, ma lo sto ammirando per il suo coraggio. Io mi sarei sciolto nella sua situazione.
Mi accorsi che Anne stava venendo verso di noi, perciò la indicai anche a Jane, che subito cominciò a sbracciarsi per salutare.
-Ma dove diavolo eri finita?- chiese il gufo, una volta che ci fu vicino.
-Ho fatto il tour di New York in metro prima di riuscire ad arrivare alla fermata giusta.- spiegò l'altra, alzando gli occhi -Poi ho dovuto camminare fino a qui. Temevo di arrivare molto più tardi.
-Il tuo messaggio mi ha fatto quasi credere che non saresti arrivata affatto.- fece notare Anne.
-In quel momento ero nel panico.- si scusò Jane -Era la seconda volta che trovavo dei lavori in corso che mi costringevano a cambiare la linea ferroviaria.
-Almeno sei arrivata.- cercai di consolarla.
-Ma al ritorno chiamo un taxi.- sbuffò lei.
Un ricciolo le cadde sulla fronte, costringendola a soffiarlo via.
-Molto interessante.- annuì Anne -Ma adesso pensiamo a divertirci!
-Se la musica fosse diversa ci si potrebbe anche provare.- sospirai.
-Ehi, sei stato tu ad aprire le danze!- mi accusò la ragazza.
Lo sguardo di Jane si spostò su di me.
-Tu sai ballare?!- esclamò, non seppi giudicare se stupefatta o inorridita.
-Ho preso delle lezioni un paio di anni fa.- ammisi, a malincuore.
-Assieme alla donna con cui hai ballato?- chiese maliziosamente Anne.
-Sì, assieme a Dikstra.- confessai.
-Dikstra?!- domandò Jane, a bocca aperta -Chi è Dikstra?!
-Una specie di top model che Elija ha accolto molto galantemente alla fine della scalinata delle debuttanti.- raccontò sarcastica il gufo, accennando alla scala -Donna che a quanto pare è un'amica intima di Elija e a cui mio fratello fa il filo da mesi.
Sentii Dikstra ridacchiare dall'auricolare.
-Diciamo che più che amica è un'occasionale alleata.- specificai.
La risata di Dikstra divenne più forte.
Jane si morse il labbro e Anne mi fece l'occhiolino, dandomi di gomito. Nonostante mi stesse simpatica, quella ragazza non sapeva proprio essere discreta.
Jane agitò la gonna del vestito, spostando il peso da una gamba all'altra.
-E voi?- domandai -Sapete ballare questa sorta di idiozia?
-Purtroppo sì.- rispose Anne.
-Purtroppo no.- rispose Jane.
Spostai lo sguardo sulla ragazza, sgranando gli occhi a causa della sua affermazione.
-Purtroppo?- mi meravigliai -Ti piace questo tipo di musica?
Lei mi abbassò gli occhi sulle sue scarpe. Solo allora notai che aveva i tacchi.
-È un sogno che ho da quando ero bambina- spiegò lei -che è sopravvissuto fino ad adesso.
-Non so come faccia a piacerti l'idea.- dissi, stupito.
-Lo trovo molto romantico.- espose lei, arrossendo -Insomma, due persone che si muovono assieme, seguendo la stessa melodia e tenendosi tra le braccia. Trovo la danza e la musica piene di sentimenti e di passione. Mi è sempre piaciuto guardare le persone ballare, e mi sono chiesta come sarebbe se lo facessi io.
-Ma stasera non è proprio il caso.- aggiunse, frettolosamente -Farei una figuraccia.
-Non ne sarei così sicura.- la contraddisse Anne -Stai bene con quel vestito, nonostante l'abbia scelto Elija.
-L'hai scelto tu?!- intervenne Dikstra dall'auricolare -Discreta decisione, ma potevi fare meglio.
Dovetti frenarmi per non risponderle per dirle di farsi gli affari suoi, e comunque prima che potessi farlo del trambusto vicino al bar catturò la mia attenzione.
-Che succede?- chiesi, voltandomi verso il suono di un'imprecazione.
-Non saprei.- rispose Anne -Ma non so se è saggio andare a vedere.
-Vado solo io, allora.- annunciai cominciando a camminare.
Le mie orecchie mi dissero che Jane mi aveva subito seguito, e che Anne l'aveva imitata pochi istanti dopo.
-Attenzione, Blackfur- mi avvertì dall'auricolare un agente che non conoscevo mentre fendevo la folla -Riteniamo che sia un Apostolo.
-E non è nemmeno l'unico presente.- disse un altro.
Raggiunsi il cerchio di persone attorno all'evento che destava la loro attenzione. Tutto quello che potevo sentire erano le urla e le imprecazioni di un uomo, che però non riuscivo a vedere a causa della calca.
-Raggiungo Elija per fornire supporto.- informò Dikstra -Resisti qualche minuto.
In quel momento capii che Phil era appena stato piantato in asso.
Mi feci largo tra la folla per quasi un minuto prima di riuscire a vedere cosa stava succedendo: un uomo che avrà avuto più o meno la mia stessa età stava urlando contro il barista, anche se non si riusciva a capire bene per cosa. Il colorito pallido mi diceva che era un vampiro anche senza concentrarmi sull'aura che emanava. Aveva capelli corti e biondo cenere, tenuti in alto probabilmente da del gel. Come tutti i vampiri, era un bell'uomo, nonostante il verde delle sue iridi ogni tanto minacciasse di cambiare in un rosso cremisi.
Quell'uomo non si sapeva controllare, e certamente non si nutriva regolarmente, se soffriva di simili sbalzi d'umore. Oppure era solo una specie di trappola e io ci stavo cadendo in pieno.
Mi feci largo tra l'ultima fila di spettatori con i telefoni alzati con uno spintone e mi ritrovai nel centro del dramma.
-Ehi, che succede, amici miei?- chiesi, imprimendomi sulla faccia un sorriso stupido.
Per un momento il vampiro e il barista, che aveva passato i precedenti dieci minuti a subire stoicamente le maledizioni rivolte contro di lui, spostarono la loro attenzione dall'uno all'altro a me. Il vampiro sembrava piuttosto stupito dalla mia intromissione, ma si riprese velocemente.
-Questo figlio di puttana vende drink annacquati.- sibilò, accennando al barista.
Spostai lo sguardo all'uomo dietro al bancone, che fece vigorosamente cenno di no con la testa. Non ero così disposto a credere al barman, però. Il palato di un vampiro sapeva distinguere molto bene i sapori, e non vedevo ragione per cui quel vampiro in particolare avrebbe dovuto mentire.
-Vuoi dire che risparmiano sui liquori?- chiesi, allibito.
-Precisamente.- sputò l'altro.
Feci una smorfia.
-Già, è irritante quanto capita. Anch'io mi sono trovato un paio di volte nella tua stessa situazione, sai?- raccontai.
Di certo anche l'altro aveva capito che io non ero un umano comune, e sapeva che anch'io avevo un discreto palato, anche se mi affidavo più all'olfatto.
-Quindi pestiamo insieme lo stronzo?- propose lui, scrocchiandosi le nocche.
-Oh, andiamo!- lo incitai, avvicinandomi a lui -Non vale la pena di mettersi nei guai per un po' d'acqua. Trovo che la soluzione migliore sarebbe andare in un vero bar a bere vera birra.
Mi accostai a lui per sussurragli all'orecchio, pronunciando un incantesimo di segretezza.
-Posso anche offrirti un vero drink, se capisci cosa intendo.- mormorai -La banca del sangue è vicina, e se hai voglia di qualcosa di vivo c'è lo zoo. Sarebbe facile. Saremmo dentro e fuori prima che un'anima se ne accorga.
Vidi i suoi occhi arrossarsi mentre lui si passava la lingua sulle labbra. Doveva avere tanta sete e poco controllo, se capitombolava così all'idea della parola sangue.
-Mi piacerebbe tanto passare la serata con te, lupacchiotto.- sussurrò, in tono suadente -Ma ho altro da fare, mi spiace.
Il tono con cui lo aveva detto mi aveva fatto intuire che non si riferiva al trascorrere solo la sera insieme, ma anche la notte.
Deglutii, imbarazzato. Non ero su quella sponda, ma se una falsa promessa poteva portare quell'Apostolo fuori di lì, dove Dikstra gli avrebbe spezzato il collo per poi legarlo in una cella per interrogarlo, allora ero disposto a sopportare il disagio.
-Coraggio.- sussurrai, un po' più vicino a lui -Sappiamo tutti e due che possiamo ricavare molto più divertimento da questa serata in un altro posto piuttosto che in una festa per umani.
Dovevo dare solo vage allusioni. Vedevo che gli piacevano di più che l'offerta del fatto chiara e tonda.
-Perché quel Sociologo non è un operativo?!- esclamò un agente nell'auricolare -È un dio.
-Non dirglielo o si monterà la testa.- rispose Dikstra.
-Evan?- chiese una voce alle mie spalle.
Girai il capo per vedere che Jane stava guardando esterrefatta l'uomo davanti a me.
-Jane?- chiese il vampiro, mentre lasciavo che l'incantesimo di segretezza cedesse.
Lui è Evan?! Avrei voluto gridare. Ho appena flirtato con Evan?! Quindi è bisessuale ho ha finto di essere etero mentre stava con Jane?!
La situazione mi fece venire voglia di sbattere la testa contro un muro. Fu mentre il vampiro si avvicinava alla mia amica che mi ricordai che non mi interessava per niente la sua sessualità, ma esclusivamente il fatto che fosse un Apostolo, uno di quelli che aveva imposto la maledizione a Jane.
Lo bloccai mettendogli una mano sulla spalla, e lui si liberò per tirarmi un'artigliata.
Evitai i suoi artigli, ora estratti, per un pelo, ma solo perché me lo ero aspettato. Il cerchio intorno a noi si allargò per lasciare spazio alla rissa mentre io capivo che la situazione era precipitata.
-El!- mi chiamò Dikstra.
Evan mi caricò, a testa bassa. Chiamai il potere dentro di me e interposi uno schermo d'aria pressurizzata tra di noi. L'impatto con il corpo del vampiro la infranse, ma mi diede il tempo di scansarmi.
-Se interveniamo la copertura di Elija salta.- avvertì l'agente di prima, per evitare che Dikstra tirasse fuori la pistola in pubblico -Elija, credi di farcela da solo e senza trasformarti?
Io ed Evan avevamo cominciato a girare l'uno intorno all'altro, studiandoci. Se non mi trasformavo, lui godeva di un vantaggio non indifferente, perché un vampiro era più forte di un licantropo da umano. Però neanche lui poteva sfoderare zanne e artigli. Infatti, dopo il primo momento di smarrimento iniziale, li aveva rinfoderati. Inoltre lui non si nutriva regolarmente, come mi faceva dedurre il suo comportamento squilibrato, e questo lo rendeva debole.
Feci un cenno affermativo per dire che ce la potevo fare da solo.
Evan non aspettò oltre. Si lanciò su di me caricando un gancio destro.
Ci fu un attimo in cui la figura dell'uomo venne sostituita da quella di Dikstra, nella mia mente. Lei mi aveva aiutato per le lezioni di combattimento, mentre ero all'accademia, e mi aveva persino insegnato un paio di trucchi da agente speciale.
Un riflesso condizionato dentro di me mi fece portare indietro il busto. Il pugno passò davanti a me senza toccarmi, ma costringendomi a indietreggiare di un paio di passi. Il ring formato dai presenti si mosse con noi.
-Fingi di cercare di calmarlo, El.- mi suggerì Dikstra -Forse è meglio se hai un paio di testimoni che dicano che hai fatto di tutto per evitare la rissa, ma che sei stato costretto a difenderti.
Era una buona idea, così Jane forse non mi avrebbe odiato per aver pestato il suo ex-ragazzo.
Strinsi i denti un attimo prima che il dolore invadesse la mia guancia sinistra. Barcollai, riuscendo a non farmi oscurare la vista dal colpo che mi aveva preso in pieno.
Ok, c'era la possibilità che fosse lui a pestare me.
-Ehi, amico- lo bloccai, alzando le mani -senti, perché non proviamo a risolvere la cosa con una bevuta? Posso offrire...
Feci un balzo indietro quando lui minacciò di avvicinarsi ancora.
Non posso andare avanti così. Realizzai. Mi metterà al muro, prima o poi.
Posizione. Ricordai.
Divaricai le gambe e le piegai per avere maggiore stabilità. Ruotai leggermente il busto per poi stendere il braccio sinistro verso di lui e alzare il destro sul petto. Il destro serviva a proteggermi cuore e fegato, il sinistro come canale per il potere.
È arrabbiato continuò il ricordo del mio addestramento puoi aspettare che carichi per contrattaccare sfruttando il suo sbilanciamento oppure puoi attaccare per primo. Sappi che il tuo avversario sarà forte, colpirà per infliggere molto dolore, forse per uccidere.
Evan caricò di nuovo.
Mi scansai a sinistra e gli rifilai un colpo di piatto tra le scapole mentre correva oltre me. Non dovevo avergli fatto praticamente nulla. Mi sarei dovuto impegnare di più.
-Sii più deciso.- mi consigliò Dikstra -Avresti dovuto sfruttare di più quel momento.
Il vampiro si girò, soffiando come un gatto per poi approcciarsi a me più lentamente. Radunai un poco della mia forza sul palmo mentre attendevo.
L'altro dovette percepire quello che stavo facendo, perché colpì di nuovo, troppo lentamente. Lanciai il potere in una forma precisa, senza nemmeno aprire la bocca per Parlare, diretto verso la sua mente. Evan strizzò gli occhi quando venne colpito dall'incantesimo di influenza mentale, di base un confondi non verbale, e io colsi il momento.
Tirai un montante al suo ventre. Cercai di caricare il colpo anche con la forza delle gambe, perché fosse più veloce. Sentii il corpo piegarsi sul mio braccio. Non badai al leggero verso di dolore mentre gli tiravo uno spintone per farlo rotolare sul pavimento.
-Oh. Deve aver fatto male.- commentò Dikstra -Forse è meglio se facciamo intervenire la security per...
Evan si lanciò contro di me ruggendo, ma il fatto di doversi rialzare lo rese lento ancora una volta. Lo afferrai e lo lanciai dietro di me più forte che potevo. Il vampiro si sollevò da terra e andò a finire sul bancone, per poi rotolare oltre e cadere.
Mi sfiorai la guancia dolente, ma che stava guarendo.
-Forse era meglio risolverla con una birra.- riflettei ad alta voce.
Mi voltai brevemente verso la folla. Alcuni erano emozionati o allibiti, altri stavano filmando l'evento con i cellulari, uno stava persino applaudendo. Quando incontrai il volto di Jane vidi che era a bocca aperta.
Poi il rumore dei vetri mi disse che Evan si stava rialzando.
-Se lo stordisci abbiamo dei finti paramedici pronti a portarlo via.- mi disse Dikstra, suonando annoiata.
Mi girai mentre Evan scavalcava il balcone con la metà superiore di una bottiglia rotta in mano. Prima di far intervenire il paramedico, sarebbe stato meglio disarmarlo.
Mi sembrava impreparato, perciò agii subito. Balzai in avanti colpendo di taglio il suo polso destro con la mia mano. Il coccio di vetro volò via, tintinnando sul pavimento, prima che finissi Evan con un dritto sul naso.
Il vampiro cadde lungo disteso per terra, con un rivoletto di sangue che gli colava dalle narici e con gli occhi chiusi. Alzai lo sguardo per vedere due paramedici che spostavano gli spettatori per arrivare sul luogo della rissa, su cui ora giacevano anche dei frammenti di bottiglia.
Incontrai involontariamente gli occhi di Jane, proprio mentre la coppia di agenti sotto copertura mi passava di fianco, nonostante non fossi sicuro di cosa sarebbe stato meglio vederci dentro. Avevo appena picchiato un uomo a cui, nel bene e nel male, lei era stata legata per più di un anno da un vincolo d'affetto.
L'unica parola a cui potevo associare l'espressione della ragazza era stupore. Jane aveva la bocca semiaperta, le braccia abbandonate lungo i fianchi, e la pelle pallida, come se tutto il sangue del suo corpo avesse deciso di abbandonarle la pelle. Forse assieme allo stupore c'era anche della paura.
La voce di un finto paramedico mi fece interrompere il contatto.
-Come scusi?- chiesi, sapendo di essermi perso le sue parole.
-Si sente bene?- ripeté l'unico paramedico rimasto, con sguardo indulgente.
Lo riconobbi come quello che mi aveva definito un dio della Sociologia. Mi venne da ridere, ma mi trattenni.
-Sì, io sto bene.- lo tranquillizzai -Occupatevi pure dell'altro.
L'agente annuì e si allontanò a grandi passi, forse per aiutare a incatenare Evan con delle manette di legno, o per tenere d'occhio un altro possibile Apostolo.
Cerci di nuovo lo sguardo di Jane, per scoprire che la ragazza era scomparsa, portandosi dietro anche Anne. La calca fortunatamente stava cominciando a disperdersi, cosa che mi rese facile passare oltre il cerchio di curiosi, tra cui comunque qualcuno mi indicò con entusiasmo o disgusto, per cercare di seguire l'odore della ragazza. Non sarebbe stato comunque troppo semplice, siccome si mischiava agli effluvi di decine di persone diverse, ma ci avrei provato, oppure avrei chiesto in giro se qualcuno l'aveva vista.
-Centrale, ho bisogno di supporto urgente.- fu il bisbiglio di Dikstra nell'auricolare.
Mi immobilizzai come se mi fosse stata sostituita della pietra ai muscoli.
-Corro il rischio di essere identificata.- continuò la vampira, con una nota spaventata nella voce.
Ringhiai a bassa voce.
-La tua posizione?- chiesi.
-Piano superiore.- rispose lei -Mi dirigo verso le scale.
-Noi siamo troppo lontani.- imprecò uno dei paramedici.
La direzione era opposta a quella in cui stavo andando io. Scattai verso le scale alla massima velocità che mi permettevano folla e necessità di mantenere la copertura.
-Arrivo.- avvisai.
I secondi che mi occorsero per raggiungere le scale mi sembrarono minuti. Alzai lo sguardo, ma della vampira non si vedeva traccia, così risalii velocemente i gradini verso il piano delle creature magiche. Mi bastava che Dikstra avesse solo poco tempo. Solo poco tempo.
Un mutantropo lucertola nella sua forma ibrida ed in smoking mi passò davanti non appena raggiunsi il piano superiore. Cercai l'abito rosso della vampira in quella che mi sembrava una selva di zanne, piume e scaglie, mentre la parte razionale del mio cervello si rendeva conto che erano solo un serpente e un gufo che facevano una sorta di gioco di bevute.
Diktra veniva verso di me con un andatura calma, che faceva sembrare che la donna non avesse fretta, mentre invece io capivo che i due vampiri a cinque passi dietro di lei le facevano desiderare di essere da tutt'altra parte. I due uomini si guardavano intorno sospettosi e guardinghi. Dovevano aver capito di non essere soli.
Mi guardai intorno cercando di nascondere il panico. C'erano poche persone su quel piano, quindi non c'era abbastanza folla da consentire a qualcuno di nascondercisi in mezzo. I due vampiri camminavano velocemente, quasi correndo. Erano a quattro passi da Dikstra, adesso.
Pensa, Elija, pensa.
Mi avviai a grandi falcate verso la vampira, raggiungendola prima degli Apostoli. Non le passai oltre ne la afferrai per farla correre più veloce, ma le presi la testa tra le mani e la attirai a me, spostandola dal percorso degli altri vampiri.
Sfiorai il suo naso col mio, stringendola più vicino che potevo a me, finché le nostre labbra si sfiorarono appena. Nel frattempo le mie dita le coprirono il volto coi suoi capelli, in un gesto che speravo apparisse come dettato unicamente dalla passione del momento.
Passarono cinque battiti di cuore, in cui il respiro di Dikstra si mischiò col mio, prima che i due vampiri ci raggiungessero. Chiusi gli occhi, mentre il mio cuore accelerava e i due Apostoli ci passavano davanti. Sentii la mano sinistra di Dikstra posata vicino al mio ginocchio destro, pronta a scattare verso la pistola alla mia caviglia.
Il rumore dei passi dei due uomini si affievolì e poi sparì giù per le scale e nella folla al piano inferiore.
Lasciai andare Dikstra, respirando affannosamente. Qualcuno fischiò nella nostra direzione alle mie spalle, per complimentarsi della performance, ma uno sguardo rosso sangue della vampira fece cessare il suono.
Ero certo che, se le nostre labbra si fossero baciate davvero, non avrei potuto resistere all'impulso di vomitare in fronte ai due Apostoli.
-Centrale, scampato pericolo.- avvisò Dikstra -I due Apostoli sono nel piano inferiore.
Mi avvicinai al gufo e al serpente, che avevano davanti un'ulteriore serie di shots già pronti, per lasciare qualche dollaro di fronte a loro e rubargli un bicchiere. Dikstra mi imitò non appena capì quello che avevo intenzione di fare. Il rum mi scaldò la gola e lavò via il sapore di vampiro dalla bocca, sapore che trovavo insopportabile.
-Ogni mio possibile futuro rapporto con una donna sarà rovinato da questa esperienza.- ansimai, col sapore dell'alcolico ancora sulla lingua.
-Che ne dici se non ne parlassimo mai più?- propose lei, svuotando il bicchiere.
-Ottima idea.- approvai -Ora andiamo.
Raggiungemmo le scale di fretta, ma nonostante cercassi per tutta la stanza con lo sguardo, non riuscivo a vedere i vampiri. Fu Dikstra a parlare per prima, cominciando a trascinarmi per mano giù per la scalinata.
-Sono appena usciti, ma non vedo l'obiettivo primario.
-È uscita anche lei.- mormorai, ricordando che Jane era scomparsa subito dopo la mia rissa con Evan.
Io e la vampira non avemmo bisogno di guardarci per decidere di cominciare a correre più veloce.
Ricordai che assieme a Jane era scomparsa anche Anne, che, essendo la migliore amica della disegnatrice, probabilmente l'aveva seguita. Rallentai per afferrare il telefono nella mia tasca e digitare il suo numero.
-Che fai?- mi spronò Dikstra.
-Chiamo Anne.- spiegai -È con lei, ed è un gufo, può farci guadagnare tempo. Tu vai.
La mia spiegazione raffazzonata fu sufficiente a convincere la vampira a lasciarmi indietro con uno scatto, seppur non prima di avermi lanciato uno sguardo stranito.
Il telefono di Anne squillò una volta mentre mi facevo strada verso l'uscita, con metà della velocità della mia collega. Il secondo squillo sembrò non finire mai.
-Pronto, Elija?- rispose il gufo.
-Jane può sentirmi?- chiesi, concitato.
Ci fu un attimo di imbarazzato silenzio prima che lei parlasse di nuovo.
-No, tranquillo.
-Due vampiri vi stanno cercando.- raccontai, tutto d'un fiato, mentre uscivo nella pungente aria notturna -Non farli avvicinare a Jane. Se li vedi portala in salvo con qualunque mezzo possibile, dovessi trasformarti in mezzo alla strada, capito?
-Ma che...
-Sono pericolosi.- insistetti -Portala in luogo sicuro anche adesso, se puoi. Fatti aiutare dalla vampira che ha ballato con tuo fratello.
Annusai l'aria, mi concentrai perfino sull'energia residua che l'aura di una persona si lasciava sempre dietro, anche se era molto debole e confusa.
-Mi hai capito?- chiesi di nuovo.
-Credo che faresti meglio a venire qui subito.- rispose lei, con un tono spaventato.
Imprecai e mi infilai nel vicolo buio più vicino che riuscii a trovare. Gettai da parte il telefono e mi strappai la camicia con le unghie. Stavo già mutando prima di essermi tolto le scarpe.
Corri.
I miei polpastrelli fecero buona presa sull'asfalto mentre mi lanciavo in avanti. Trovai la scia: odore di gufo, il profumo di Jane e quello di Dikstra che si mischiavano. Non potevo sbagliare.
Un uomo si rovesciò una bottiglia (birra, a giudicare dall'odore) addosso mentre sfrecciavo in mezzo al gruppo di cui faceva parte. L'aria mi scuoteva la pelliccia, il mio respiro era affannoso, ma non sentivo la stanchezza, c'era solo l'adrenalina del momento e il mio bisogno di correre.
La pista di Dikstra e quella di Jane si separarono, ma io continuai a seguire quella di quest'ultima. Dikstra sapeva badare a sé stessa, e confidavo che avrebbe fatto del suo meglio per aiutarmi anche se non fosse stata vicino a me. Ma se si stava allontanando solo perché il suo naso aveva perso la pista l'avrei presa a calci.
-Ehilà.- sentii la voce di Anne che salutava -Possiamo esserle utili?
-Non hai idea di quanto.- rispose una voce maschile, minacciosa.
Entrai nel vicolo da cui provenivano le voci. Come diavolo avevano fatto a cacciarsi in una strada chiusa? Uno dei vampiri stava davanti a loro, bloccando l'uscita, larga appena un metro e mezzo. Anne e Jane erano l'una di fianco all'altra, ma solo il gufo stava richiamando il Potere che poteva controllare per prepararsi a difendersi. Dall'altra parte, il loro avversario faceva lo stesso, ma se Anne non si fosse trasformata non avrebbe potuto reggere lo scontro per molto.
Un bidone dell'immondizia appena dietro all'Apostolo faceva al caso mio.
Balzai sul bidone. Non sapevo dove fosse l'altro vampiro, però non potevo lasciare le due ragazze da sole. Aprii le fauci, pronte a mordere, ma avrei dovuto sapere che non era così facile avvicinarsi di soppiatto a un vampiro. Vidi l'uomo girarsi per colpirmi e riuscii a cambiare i miei piani all'ultimo secondo.
Saltai verso l'alto, passando sopra all'Apostolo in volo per atterrare davanti alle ragazze. Non avevo osato lanciarmi contro di lui per bucare la sua difesa, timoroso che un suo contrattacco sfruttasse l'imprecisione della mia offensiva. Ma adesso eravamo faccia a faccia, io davanti a Jane, cosicché non potesse minacciare lei senza prima avvicinarsi a me, e le cose cambiavano.
-Tu?- mormorò la ragazza dai capelli castani.
I miei occhi azzurri incontrarono i suoi marroni per un secondo, poi mi girai per ringhiare contro l'uomo.
Sentii Anne fare mezzo passo in avanti. Adesso eravamo due contro uno, perciò la situazione si era davvero ribaltata. Non sapevo dove fosse l'altro, però, quindi avrei dovuto prestare attenzione. Mi bastava dare qualche minuto agli altri agenti del Protettorato che erano sicuramente sulle nostre traccie, siccome dovevano aver ormai finito di legare Evan.
Udii i muscoli del vampiro contrarsi e vidi il suo braccio destro scattare verso il fianco. Concentrai il mio potere sulle labbra per convertirlo in un muro di aria solida.
-Impulso!- ordinai, lanciando la magia nell'area di fronte a me.
L'onda di forza telecinetica colpì prima la pistola che stava venendo sollevata contro di me, facendola volare via dalla mano che la stringeva. Il corpo del mio avversario si sollevò da terra e venne catapultato all'indietro di due metri, prima di atterrare pesantemente sulla schiena.
Anne colse l'occasione. Si lanciò oltre a me trascinandosi dietro Jane, diretta verso l'uscita del vicolo, ora sgombra. Le tallonai per assicurarsi che riuscissero ad andarsene senza venire seguite dall'Apostolo. Non ci volle molto perché superassero il corpo steso a terra, e lì io mi fermai.
Il vampiro si rialzò di scatto, ma non poté lanciarsi sulle ragazze a causa della minaccia rappresentata dalle mie zanne. Se non lo avessi rallentato, lui le avrebbe raggiunte. Inoltre, era una buona occasione per catturare un Apostolo.
-Vieni via!- mi gridò Jane.
-Muoviti!- la incitò a mo' di risposta Anne.
I passi delle ragazze cominciarono ad affievolirsi in lontananza. Sapevo che questo era il momento in cui il mio avversario avrebbe cercato di fare qualcosa, se non voleva farsi sfuggire Jane.
Un suono di passi attutiti giunse dall'altro capo della strada.
-Protettorato, mani in alto.- avvertì Dikstra, uscendo dall'ombra -Che ne dici di arrenderti e farla finita?
Non guardai la vampira, ma mi mantenni concentrato sull'altro. L'Apostolo scattò verso di me, chiamando il suo Potere mentre correva. Mi preparai a ricevere lui ed un incantesimo ostile, pronto a evocare uno scudo. Non dovevo cedere la posizione.
Perché diavolo ha detto “Sollevami”? Pensai, mentre il mio avversario lanciava la sua magia.
Un proiettile di Diktra fischiò vicinissimo alla sua schiena e colpì un muro. L'uomo balzò verso l'alto, aiutato dal Potere, e mi passò sopra, esattamente come io avevo fatto con lui. Fui costretto a cambiare forma all'energia che avevo chiamato.
-Vincolo!- chiamai.
Il vampiro appoggiò i piedi per terra. Ma la traiettoria in cui avevo scagliato le mie bolas magiche era giusta, e una corda di forza gli si avvolse intorno alle gambe. Mentre cadeva gli lanciai contro un altro vincolo, e quando fu a terra mi concedetti qualche secondo per creare una vera e propria ragnatela magica con cui attaccarlo al terreno.
-Rompi!- cercò di rimediare l'Apostolo, ma ormai Dikstra era già sopra di lui.
-Io non ci avrei provato.- lo rimproverò, poi gli sparò un colpo in testa.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


 
Capitolo 6


I tre Apostoli erano stati catturati, impacchettati e portati alla centrale, dove sarebbero stati interrogati per cercare di risalire ai capi dell'operazione. Dikstra però mi aveva detto di non aspettarmi di avere dei nomi precisi entro poco, sia perché i prigionieri avrebbero resistito, sia perché la loro organizzazione era estremamente frammentata proprio per motivi di sicurezza, e forse quei tre non conoscevano nemmeno chi aveva dato loro gli ordini. Di certo comunque, non potevano aver creato una simile maledizione da soli.
Il fatto che Evan avesse stretto un legame con Jane non era casuale. Esserle vicino gli facilitava il compito di metterle gocce di sangue nel cibo, e di applicarle gli incantesimi necessari. Anche il fatto che non avesse mai troncato di netto la loro relazione, ma che fosse semplicemente sparito pian piano, poteva essere stato dettato da un'esigenza magica. Alcuni incantesimi richiedono uno specifico legame tra il mago e la vittima, e magari un legame sentimentale era stato necessario per applicare alla ragazza la maledizione.
Una volta appreso questo avevo sperato che la maledizione si fosse infranta da sola quando Jane aveva chiamato Evan per lasciarlo, ma a quanto pareva una volta creata quella maledizione non necessitava più del legame con cui era stata originata. Jane aveva addosso la magia, e gli Apostoli erano venuti alla festa solo per verificare che fosse ancora così.
Camminai nervosamente avanti e indietro mentre il telefono squillava. Avevo mandato un messaggio a Anne per avvisarla dello scampato pericolo, e adesso stavo chiamando Jane, dopo aver recuperato vestiti e cellulare. Alla festa la ragazza non c'era più, probabilmente perché il gufo l'aveva portata via, dimostrando di essere capace di fare qualcosa di sensato, quando si impegnava.
-Pronto, Elija.- rispose Jane, al quarto squillo.
La sua voce suonava molto più tesa di quanto mi aspettassi.
-Ciao Jane.- dissi, fingendo ingenuità -Dove sei? Non ti trovo più da almeno venti minuti.
-Lo so.- replicò semplicemente lei.
Non sapevo a cosa si riferisse. Sapeva di me? Aveva capito tutto?
Sospirai.
-Sai che ti cerco da più di un quarto d'ora senza trovarti?- domandai, ma mettendo meno impegno di prima nella finzione.
-Io e Anne siamo state aggredite, Elija.- raccontò Jane -Insomma, quasi aggredite. Quell'uomo non ci ha fatto niente, ma ha mostrato di avere cattive intenzioni.
-Come?- mi meravigliai.
-Poco dopo che siamo uscite questo tipo ha cominciato ad avvicinarsi a noi.- spiegò l'altra -Ci siamo allontanate ma lui ci ha seguite. Sembrava essere ovunque, come... come se ci stessero seguendo due persone invece di una sola. Però poi è stato solo lui a chiuderci in un vicolo.
Perché l'altro aveva il collo spezzato da una vampira in abito da sera. Pensai.
Dikstra doveva essersi allontanata dalla traccia originale per eliminare silenziosamente il secondo vampiro che si nascondeva per tagliare le vie di fuga alle due ragazze.
-Poi, che tu ci creda o no- continuò lei -il lupo che vive nel mio quartiere è sbucato fuori dal nulla per difenderci. L'ha visto anche Anne perciò chiedi a lei se non ti fidi. Noi siamo corse via mentre i due si fronteggiavano. Spero che non gli sia capitato niente.
Tranquilla, sto bene. Volevo dire, ma mi trattenni con un groppo in gola.
-Devo ringraziare di cuore quel randagio.- terminò lei -Sarebbe andata molto peggio se non ci fosse stato lui.
Il groppo si sciolse.
-La cosa importante è che voi siate sane e salve.- risposi.
-La cosa importante- esclamò Anne, all'altro capo della linea -è che Elija oggi è stato mitico nel pestare quello stronzo di Evan, vero Jane? Gli hai dato proprio una bella lezione a quell'egocentrico, ipocrita, presuntuoso...
La lista di insulti sarebbe probabilmente continuata, se Jane non avesse strappato di nuovo il telefono dalla mano dell'amica.
-Questa tizia non voleva lasciarmi a casa da sola fino a poco tempo fa.- raccontò ancora -Diceva che era meglio se per un po' nessuna di noi due rimaneva sola, ma adesso ha accettato il fatto che quell'uomo non può sapere dove viviamo.
Più che altro non può raggiungervi da una cella d'argento e legno. Commentai silenziosamente.
-Credo che comunque per voi la festa sia finita.- dedussi -Immagino non vorrete tornare qua, sarebbe imprudente.
-Già.- confermò Jane -Troppe emozioni per una giornata sola. Torniamo a casa nostra. Ci vediamo lunedì.
-Ci vediamo lunedì.- salutai -E cerca di sopravvivere fino ad allora.
-Ci proverò.- rise lei.
La sua risata si calmò prima che lei mettesse giù. Le ultime parole vennero pronunciate con un tono più serio, quasi timido.
-Vorrei che il lupo si facesse vivo, stasera...
La comunicazione venne interrotta e io misi giù il telefono. Di fronte al fatto compiuto non potevo non ammettere con me stesso che non avevo aspettato altro per tutta la conversazione.


Girai intorno alla casa per un po' prima di avere il coraggio di grattare alla porta. Non dovevo trattenermi per molto, giusto il tempo per far sapere a Jane che il suo aggressore non mi aveva piantato una pallottola in testa.
-Aspetta un secondo.- udii la voce di Jane da dentro la casa.
I suoi passi si allontanarono da me e poi udii la porta sul retro aprirsi cigolando.
-Vieni qui, forza.- mi chiamò a bassa voce Jane.
Trotterellai sullo stretto sentiero ciottolato che portava al retro della casa, che scoprii essere un piccolo cortile quadrato, talmente piccolo che la bicicletta appoggiata allo steccato sembrava occupare molto spazio. Il terreno era fatto di ciottoli incastrati nel cemento, dove nulla cresceva. Il cortile era circondato da uno steccato di assi di legno, appiccicate l'una all'altra, cosicché non ci si potesse guardare attraverso.
Jane era seduta sull'unico gradino che conduceva alla porta, coi gomiti appoggiati sulle ginocchia. Mi sorrise non appena mi vide, e io mossi la coda in risposta.
-Grazie per quello che hai fatto oggi.- mormorò lei -Potresti avermi salvato la vita, lo sai?
La ragazza stese le mani con i palmi rivolti verso l'alto nella mia direzione, e io li scrutai, combattuto. Mi avvicinai piano, e lei rimase immobile, consapevole della mia diffidenza. Le avvicinai il naso al palmo. Emanava odore di calma, di tranquillità, senza alcuna sfumatura aggressiva. Vinsi le mie rimostranze e le misi il capo sulla mano.
Jane cominciò a carezzarmi la fronte, poi la nuca e infine la schiena. Agitai ancora la coda a causa di quel contatto, mentre accettavo le sue coccole per cani. Sì, ero un cane per lei.
-Non sei ferito, vero?- si preoccupò lei, grattandomi dietro le orecchie.
La sua preoccupazione mi fece sentire una merda per i miei pensieri, di nuovo.
Scossi la testa.
-Bene.- sospirò lei -Ero in pensiero.
Jane si separò da me e rimase seduta a guardarmi, così mi sedetti anch'io. Inclinai il capo per sapere cosa le passava per la mente, siccome non potevo dirle cosa passava per la mia. Il timore che gli altri agenti mi avevano assicurato essere del tutto infondato, che gli Apostoli potessero sapere che Jane era la colonna portante del loro maleficio e che cercassero di rapirla per tenerla al sicuro. Il fatto che dovessi aiutare a stendere un rapporto dettagliato sui luoghi che la ragazza era solita visitare per poter organizzare un piccolo servizio di sorveglianza. La difficoltà di essere tre persone diverse nei diversi momenti della giornata: Elija il licantropo, Elija lo studente di Sociologia e un lupo randagio. Tutte queste erano cose di cui non potevo parlare. Non ancora almeno.
-Senti, so che non vuoi un nome.- interruppe i miei pensieri la ragazza -Quando ho provato a dartene uno mi hai riso in faccia sentendo tutti quelli che ho provato. Lucky, Ted, Fido...
Le sorrisi con bonaria ironia. Quale licantropo si sarebbe mai fatto chiamare Fido?
-Ma io devo pur chiamarti in qualche modo!- protestò lei.
Il suo polso era aumentato.
-Che ne dici se provassi con...
Alzai gli occhi verso il cielo, emettendo un lieve guaito. Avevo già un nome, ed era...
-...Elija?
Abbassai gli occhi, sbarrati dalla sorpresa.
-Sei Elija?- chiese ancora Jane, stendendo la mano.
Mi ritrassi per evitare il contatto, con la pelliccia stretta intorno al corpo. Non doveva saperlo, non ancora, maledizione! Non così!
Adesso era paura quella che emanava dal suo corpo, mischiata ad adrenalina e tensione. Il clima di calma si sgretolò mentre la paura colpiva anche me. Mi resi conto di non essere preparato a quel momento, che per quanto le mie bugie mi pesassero addosso, mi avevano macchiato di una colpa di cui mi era difficile rendere conto.
-Fermo!- ordinò Jane.
Mi voltai e imboccai la strada di uscita a tutta velocità. Cazzo. Cazzo. Cazzo!
-Aspetta!
La voce della ragazza era già più fievole, ora, più lontana. Ma non potevo zittire i miei pensieri.
Mi fermai oltre la linea del quartiere magico ansando pesantemente. Non mi ero reso conto di essere così stanco fino a quel momento, eppure la fatica fisica mi stava calmando, stava lavando via l'eccesso di adrenalina dal mio cervello.
Mi avviai verso casa ad un passo più moderato, quello che mi concedevano le mie zampe brucianti. Aprii il cancello con un po' del mio Potere, ma quando arrivò il momento di salire le scale la stanchezza mi piombò addosso e preferii chiamare l'ascensore.
-Brutta giornata, Elija?
Mi voltai per vedere la signora Kamiri, ora una donna dai capelli grigi, che entrava dalla porta e si affiancava a me per aspettare l'ascensore.
-Poteva andare meglio.- risposi.
Il resto del tragitto fu fatto in silenzio, sebbene percepissi gli occhi dell'anziana signora fissi sulla mia nuca. Fui lieto di entrare in casa e di sottrarmi al suo sguardo, anche se farlo non alleviò in alcun modo la mia sofferenza principale.
Prima ancora di pulirmi le zampe sul tappetino, avevo già puntato gli occhi sul telefono che avevo lasciato sul tavolo. Mi avvicinai con cautela al mobile e ci girai intorno mentre valutavo cosa fosse meglio fare.
Avevo qualcosa da perdere, dopotutto? Lei doveva scoprire il mio mondo, in un modo o nell'altro, e se aveva scoperto la mia natura prima che gliela rivelassi io non sarebbe cambiato niente. Forse il nostro rapporto sarebbe peggiorato, ma avrei fatto quello che ero stato mandato a fare, e con un po' di fortuna Jane non avrebbe nemmeno sofferto.
Mi trasformai nella mia forma umana e afferrai il cellulare, su cui vidi tre chiamate perse dal telefono di Jane. Composi il suo numero sullo schermo.
Mi ci volle uno sforzo di volontà per premere il tasto di chiamata.
Al primo squillo pensai di mettere giù.
Al secondo squillo pensai di mettere giù e spegnere il telefono.
Al terzo squillo capii di essere come paralizzato, e di non riuscire a staccare il cellulare dall'orecchio.
-Pronto?- chiese Jane, affannata, come se avesse corso per prendere il telefono.
Quando sentii la sua voce persi la mia.
-Elija, ci sei?
Feci un respiro profondo.
-Sì, sono qui, Jane.- risposi.
Non potei evitare i tre secondi di silenzio che seguirono, anche se volevo. Decisi di passare subito al punto per levarmi il peso.
-Ti ho chiamato perché...- esitai di nuovo. Come lo potevo dire?
-Ho bisogno di parlarti di una cosa importante.- aggiunsi -Faccia a faccia, da soli, il prima possibile.
-Quando dici il prima possibile, ti va bene domani?- domandò lei.
-Domani è perfetto.- risposi, con il sangue che mi fischiava nelle orecchie.
Avrei avuto abbastanza tempo per prepararmi e poco tempo per torturarmi nell'angoscia. Era un compromesso accettabile.
-Senti, so che è scortese da chiedere- continuai, passandomi la mano libera sulla fronte -ma ti dispiace se vengo a casa tua? Mi servirebbe un posto riservato.
-No, non c'è nessun problema.- mi tranquillizzò l'altra.
Non mi diede l'indirizzo di dove abitava e io non glielo chiesi. Ormai non poteva non averlo capito, era inutile continuare la finzione.
-Mezzogiorno?- domandò ancora Jane.
-Mezzogiorno.- confermai -Ci vediamo domani.
-Un secondo.- mi fermò lei -Mi... mi dispiace di averti spaventato.
-Per favore, parliamo domani.- la pregai -Adesso voglio andare a letto.
La sentii gemere debolmente dall'altro capo della linea.
-Ti supplico.- insistetti.
-Va bene.- acconsentì lei -Ci vediamo domani.
-A domani.- la salutai -Non scappare via, mi raccomando.
La conversazione venne interrotta.
Mi sedetti sul letto, girandomi il telefono tra le mani. Non avevo sonno, perché la stanchezza che percepivo era stata spazzata via da quella telefonata, e dal progetto che avevo appena fatto. Dovevo parlare con qualcuno di quello che era appena successo, dovevo confessare il senso di insicurezza e di paura che sentivo dentro.
Avevo paura di come Jane mi avrebbe guardato quando le avessi raccontato tutto. Io non tolleravo chi mi ingannava deliberatamente e per molto tempo, e sapevo che non avrei potuto farle una colpa se mi avesse escluso dalla sua vita.
Avrei potuto chiamare Phil, ma lui non era coinvolto nell'operazione. Perciò c'era una sola persona con cui potevo sfogarmi, probabilmente la migliore con cui potessi parlare in ogni caso.
-Pronto?- rispose la voce di Dikstra, appena assonnata.
-Ciao.- la salutai -Ho bisogno di te per dieci minuti. Ti disturbo o...
-No, non ti preoccupare.- mi rassicurò la vampira -Sai che noi vampiri non abbiamo bisogno di dormire.
-Ma so che a te piace farlo comunque.- replicai, sorridendo.
-Dipende dalla persona con cui dovrei dormire.- specificò l'altra.
-Dikstra!- la rimproverai.
Odiavo sentirle fare commenti su quella parte della sua vita.
-Se sei indignato significa che non sei triste.- ridacchiò lei -E comunque, ora sono qui, hai tutto il tempo che vuoi.


Bussai alla porta a mezzogiorno e cinque. Dikstra mi aveva consigliato di arrivare puntuale, e non in ritardo, ma io avevo passato cinque minuti a passeggiare avanti e indietro sulla strada dove c'era la casa di Jane, indeciso se fuggire o meno.
-Sono io, Elija.- chiamai.
L'ingresso venne aperto pochi secondi dopo, con la testa di Jane che faceva capolino da dietro al pannello di legno.
-Cominciavo a pensare che non saresti venuto.- ammise lei, facendomi cenno di entrare.
Mi addentrai in quello che vidi essere un accogliente salotto. La stanza era ordinata, con un tavolo quadrato al centro della sala e divanetto davanti alla televisione, che era contro il muro.
-Avevo pensato di scappare.- raccontai -Ma poi mi sono reso conto che non sarebbe stato un comportamento maturo e che non avevo abbastanza soldi per sparire alle Hawaii.
Avevo appena fatto una battuta? Nella mia situazione? La tensione doveva starmi dando alla testa.
-Probabilmente la causa principale che ti ha trattenuto è stata la seconda.- commentò lei, sorridendo.
-Lo pensi davvero?- chiesi.
Lei scosse la testa.
-No.
-Allora ti sbagli.
La ragazza mi diede una gomitata sullo sterno, come era solita fare da quando mi aveva incontrato, e questo mi tranquillizzò. Conoscevo quella persona, dopotutto, perciò era improbabile che si spaventasse quando le avessi confermato quello che già sapeva.
-Ti dispiace- richiesi -se ci spostiamo nello scantinato o in qualcosa di simile. Qui ci sono troppe finestre.
Lei annuì e mi condusse giù per delle strette scale di cemento, in cui tuttavia l'aria non sapeva di chiuso o di umidità come in molte cantine.
-Ti avviso che non ho avuto il tempo di mettere in ordine.- mi avvertì lei, poggiando la mano sulla maniglia di una porta bianca.
Avevo capito dove mi stava portando: nello studio che usava per disegnare. Immaginavo che una cosa chiamata ordine non potesse esistere in quella stanza.
-Non c'è problema.- la tranquillizzai.
Non potei fare a meno di sorridere quando la porta venne aperta per rivelare le stanza piena di fogli colorati o in bianco e nero. Conoscevo quel posto, anche se non ci ero mai stato dentro, e mi fece impressione guardarlo dall'interno. Sembrava più piccolo da questa prospettiva di come era quando lo osservavo dalla finestra.
Jane si voltò verso di me e aprì le braccia.
-Adesso siamo soli.- annunciò -Di cosa mi volevi parlare?
Lei aveva alle spalle la finestra sbarrata da cui mi affacciavo da lupo, mentre alla mia sinistra c'era l'unica porta che consentiva di uscire.
-Prima di tutto ci scambiamo di posto.- dissi.
Lei mi lanciò uno sguardo stranito, ma obbedì. A operazione finita mi assicurai che le tende che bloccavano la visuale dalla finestrella fossero ben chiuse, e le tirai un altro po'.
-Qual'è il senso di questo gesto?- domandò lei.
-Farti stare il più vicino possibile alla via di fuga.- spiegai.
Non dissi che avrei potuto bloccare con una Parola la soglia e renderle impossibile uscire. L'avrei fatto solo in situazioni estreme, comunque.
-E adesso- continuai, armeggiano con il fagotto di stoffa che tenevo alla cintura -dovresti prendere questo.
Lei afferrò gli stracci con aria ancora più sorpresa.
-Lo considero un regalo.- mi ringraziò lei, cominciando a svolgere il pacchetto.
L'ultimo panno cadde per terra e il brillante luccichio di un pugnale d'argento si rivelò nella mano di Jane.
-Ma che cazzo...- imprecò la ragazza.
-Il trentatré per cento delle persone si sente meglio in questa situazione se stringe un'arma.- spiegai, dando fondo ai miei studi di rapporti con gli umani.
Lei inarcò un sopracciglio e osservò il pugnale. La lama era sottile e lunga poco più di una mano, mentre il manico era un po' più spesso, con una piccola guardia che univa le due parti dell'oggetto. Più che un pugnale era uno stiletto, ed era interamente d'argento.
-E ora l'ultimo favore.- annunciai -Chiudi gli occhi.
-Mi dovrei sentire più al sicuro con gli occhi chiusi?- ironizzò lei.
Cercai una risposta adatta, ma prima che potessi parlare lei aveva già abbassato le palpebre.
Mi levai maglietta e felpa velocemente. Avevo indossato dei pantaloni elastici, creati appositamente per poter essere indossati durante la trasformazione, così da non dare l'impressione a Jane di essere un maniaco. Scalciai via le scarpe senza slacciarle e poi ci gettai sopra le calze, che impiegarono più tempo di quanto avrei voluto a venir via.
Era il momento.
-Dammi ancora un attimo.- avvertii, affinché Jane non riaprisse ancora gli occhi.
Lei annuì. Mi morsi la lingua nel tentativo di farmi smettere di battere il cuore in gola, ma non funzionò. Chiusi e aprii i pugni. Era la prima volta che trasformarmi mi risultava difficile.
-Elija?- domandò Jane.
-Un altro secondo, ti prego.- la supplicai.
La paura dentro di me non stava stranamente stimolando la parte del mio istinto animale che di solito mi diceva di trasformarmi.
Respira, Elija, un passo per volta.
Le mie unghie si allunarono fino a trasformarsi in artigli, le mie dita cambiarono, coprendosi di pelo, mentre le articolazioni delle braccia scricchiolavano. Chiusi gli occhi quando la pelle cominciò a formicolare per far spuntare la pelliccia. Mi curvai leggermente in avanti mentre la mia colonna vertebrale si allungava, e i miei pantaloni mi facevano scivolare la coda lungo la gamba destra.
Le mie orecchie ora toccavano il soffitto, e il mio respiro affannoso riempiva la stanza. Non avevo sentito dolore, non ne avevo mai sentito durante la trasformazione da quando avevo memoria. Mia madre mi aveva detto che ero mutato in mano all'ostetrica poco dopo la mia nascita, assicurando a tutti che ero un lupo mannaro, proprio come il resto della mia famiglia da generazioni. Beh, in realtà, dovrei dire “come quasi tutto il resto della mia famiglia”.
Tutto questo era intollerabile.
-Jane- chiamai, con voce che ora era resa più profonda e ringhiante dalla mia forma ibrida -apri gli occhi.
Quando le iridi nocciola della disegnatrice tornarono visibili, la bocca di Jane si spalancò.
La ragazza rimase immobile, eccetto per i movimenti degli occhi con cui esaminava la nuova figura che le stava davanti. Non riuscivo a giudicare nemmeno il suo odore. Non avevo nulla che mi dicesse cosa stava pensando, almeno in linee generali.
-Tu...- mormorò la ragazza.
Annuii.
Jane si riscosse, e spostò lo guardo da me al pugnale, che teneva ancora stretto in mano.
-È per questo che mi hai dato il coltello?- chiese.
-Non volevo farti avere paura.- cercai di spiegarle.
Sapevo quanto le mie parole suonassero simili a latrati, ma non sapevo quanto questo potesse colpire Jane. Mi affrettai a serrare le labbra.
-Io non ho paura.- disse l'altra.
-Questo lo so.- ridacchiai.
Lei mi lanciò un'occhiata interrogativa.
-La paura ha un odore molto particolare.- raccontai, sorridendole.
Il suo cuore perse un battito.
-Che denti grandi che hai...- commentò, ripetendo la frase di Cappuccetto Rosso.
Avvertì una nota di paura nell'aria e nascosi le zanne. Non stava andando male, ma non dovevo rovinare tutto ora.
-Non voglio mangiarti.- mi affrettai a specificare -Non voglio nemmeno farti del male.
-Ti credo, insomma, hai avuto molte occasioni per farlo e non ne hai approfittato.- rifletté lei, stringendosi un braccio intorno al petto -E poi mi hai salvato la vita ieri.
Scossi la testa.
-Quel tipo non ti avrebbe uccisa.- la smentii -Ti avrebbe lasciato libera dopo un'oretta, nel peggiore dei casi ti avrebbe rinchiusa, ma non avrebbe osato ucciderti.
L'Apostolo non avrebbe mai eliminato una delle preziose bombe ad orologeria che costituivano il loro attentato. Probabilmente non sapevano che Jane era la colonna portante dell'incantesimo, perché anche gli Artificieri del Protettorato ci avevano messo molto a scoprirlo, e loro avevano tutte le attrezzature necessarie. Secondo la forma dell'incantesimo la colonna portante sarebbe stata scelta a caso tra tutte le persone che avevano subito il trattamento, e queste erano molte, quindi gli Apostoli non potevano sapere a priori dove questa fosse.
Il secondo sguardo interrogativo di Jane fu più eloquente del primo.
-Ne parleremo un'altra volta.- liquidai l'argomento -È qualcosa di importante ma che può aspettare.
-Ok.- acconsentì lei, appoggiando lentamente il coltello sulla scrivania.
Stese la mano, ora vuota, verso di me con lentezza estrema. Evidentemente aveva abbandonato l'argomento dell'aggressione perché era incuriosita di più da qualcos'altro.
-Posso?- chiese Jane.
Annuii e mi accucciai tenendo le ginocchia sollevate, appoggiando però una zampa a terra per avere maggiore equilibrio. Jane fece due passi avanti, come se si stesse avvicinando ad un timido cervo piuttosto che a un licantropo. Le sue dita mi scostarono la pelliccia del braccio, andando a insinuarsi tra i peli.
-Oddio.- sussurrò -Sembra così... reale.
Non le chiesi di smettere mentre spostava il proprio tocco più verso l'alto.
-Com'è?- chiese, all'improvviso -Com'è essere così?
-Nulla di speciale.- risposi, inclinando la testa -Il non avere alcuna mania assassina di cui parlano i film horror rende la vita di un lupo mannaro piuttosto noiosa.
-Lupo mannaro.- ripeté Jane, scioccata, grattandomi la pelliccia sulla spalla -Non so ancora cosa pensare.
Le sue dita mi sfiorarono il pelo della gola e io la scansai la mano prima che potesse andare oltre.
-Il collo no, per favore.- mi scusai -Mi fa impressione.
Avevo sempre avuto paura di farmi toccare la gola quando non ero in forma umana, la percepivo come una minaccia alla mia vita.
-Ma da lupo te lo facevi fare.- mi fece notare l'altra.
-Perché mi grattavi solo la nuca.- le spiegai, allontanando l'artiglio dal suo polso.
Mi sentivo strano. Avevo ancora paura, ed ero ancora teso per le mille svolte negative che poteva ancora prendere la situazione. Eppure avevo abbattuto la mia corazza di bugie, e adesso mi sentivo più libero, più leggero.
Ovviamente mi restava ancora qualche omissione da confessarle.
-Tu eri il lupo per tutto il tempo.- continuò lei -Mi hai spiata!
Sgranai gli occhi.
-Non è vero!- protestai con entusiasmo -Io mi sono solo affacciato alla finestra, ma da quando mi hai visto sei tu quella che ha sempre tenuto aperte le tende e le persiane!
-E ti sei anche lasciato disegnare!- insistette l'altra -Sai cosa significa di solito quando una donna fa un ritratto a un uomo nella letteratura?! Sarò presa per il culo a vita!
-Ma tu lo hai fatto a un cane!- mi difesi.
Lei rimase in silenzio un secondo.
-Ma nessuno di noi due parlerà mai ad anima viva dei miei disegni.- chiarì, austera, ma con un tono di mal celata minaccia.
-Assolutamente d'accordo.- acconsentii -Così come tu non parlerai ad anima viva di me, vero?
Lei annuì solennemente. Avrebbe davvero fatto meglio a non dirlo a nessuno, non perché io volessi minacciarla, ma perché se lei avesse rivelato in giro che ero un licantropo la cosa mi avrebbe messo in guai seri. E Dikstra pretendeva di avere il monopolio sulle possibilità di mettermi nei guai.
-Facciamo così.- propose Jane -Io credo di aver bisogno di mettermi a sedere ad un tavolo, perciò io vado di sopra, tiro tutte le tende, e poi ti offro un te oppure... una ciotola di latte...
-Hai dei croccantini?- chiesi.
La ragazza sbiancò.
-Scherzavo.- la rassicurai -E poi, se vuoi mi ritrasformo subito, così non c'è bisogno che tu tiri le tende.
Lei mi squadrò per un secondo, per poi allungare un dito fino a sfiorare di nuovo la pelliccia del mio braccio.
-No, resta così- mi rispose -almeno ancora un poco.


-Cos'è questo?- domandai, afferrando il foglio dalla mia parte del tavolo.
Jane arrossì prima di rispondere -Alcune curiosità che volevo chiarire.
-E hai preso appunti?- chiesi ancora.
-Non riuscivo a ricordarmele tutte!- si giustificò l'altra -In questo momento sono abbastanza sotto shock, sociologo.
-Aspetta- si interruppe da sola -tu sei un sociologo?
Sollevai le spalle.
-Più o meno...- esitai -In realtà, il mio campo sarebbe Relazioni Umane.
Jane inarcò un sopracciglio.
-Studi come è strutturata la società umana?- domandò ancora.
-Sì.- confermai -E come si relazionano tra loro individui diversi, siano tutti umani o umani e creature magiche.
-Creature magiche?- ripeté -Quindi non esistete solo voi licantropi... No, un attimo, mi devo sedere.
La ragazza si abbandonò sulla sedia con uno sbuffo. Me ne stetti zitto, aspettando che lei mi facesse cenno di continuare.
-Ok.- sospirò, ad occhi chiusi -Passiamo subito alla domanda numero cinque: ci sono altre creature soprannaturali oltre a... te?
-Tante da non poter essere elencate.- risposi, tranquillo -O almeno, ne uscirebbe un elenco piuttosto lungo.
Lei fece un respiro profondo.
-Va bene. Io ora resterò calma e farò dello yoga- disse -mentre tu mi farai degli esempi.
Inarcai un sopracciglio in maniera sarcastica, ma purtroppo Jane non mi vide perché era già intenta a meditare.
-Mutaforma lupi- cominciai -aquile, corvi, foche, vampiri...
-Anche i vampiri?- gemette lei, aprendo gli occhi.
Annuii, leggermente irritato.
-Perché tutti si impressionano con i vampiri?- domandai, esasperato -Voglio dire, la squadra di nuoto di delfini di New York ha vinto i campionati federali contro le foche di Washington e tutti passano il tempo a parlare di quanto siano fighi i vampiri!.
Aspettai due secondi, ma nessuna risposta venne dalla mia interlocutrice, che mi stava fissando con uno sguardo meravigliato e la bocca aperta.
-Credo che l'acqua del te stia bollendo.- mormorò Jane, avviandosi verso la cucina -Domanda numero sette: i lupi sono intolleranti ai latticini una volta diventati adulti?
-Solo nella forma animale.- risposi -E comunque no, non lo voglio il latte nel te, ma grazie per l'offerta.
La ragazza annuì e si alzò dal tavolo, mentre io mi accucciavo sul pavimento, per paura di poter rompere la sedia col mio peso eccessivo. La osservai mentre si dirigeva verso la cucina, finché Jane si fermò proprio sulla soglia della stanza. Mi affrettai a volgere lo sguardo da un'altra parte, consapevole di quanto potesse sembrare predatore un atteggiamento simile mentre avevo l'aspetto feroce della forma ibrida.
-El?- mi chiamò.
Mi girai di nuovo.
-Perché ci siamo...- interruppe la domanda -Perché mi hai detto cosa sei?
I suoi occhi nocciola erano inquisitori. Quella ragazza era intelligente, molto più di quanto avessi pensato in un primo momento.
-Prima dimmi tu come hai fatto a scoprirlo.- la esortai.
-Non hai fatto poi tutti quegli sforzi per nasconderlo.- sorrise lei, tesa -Ma l'illuminazione mi è arrivata quando hai disarmato Evan. Lo hai fatto nello stesso modo con cui hai tolto il coltello a quel rapinatore su questa strada un paio di mesi fa.
-È per questo che te ne sei andata, alla festa?- chiesi ancora, nonostante avessi promesso di rispondere subito alla sua domanda.
-Sì.- confermò lei -Avevo bisogno di riflettere: la cosa mi sembrava troppo assurda. Poi il lupo che avevo sempre visto solo qui è spuntato dal nulla proprio al momento del bisogno e...
Lasciò la frase in sospeso, lanciandomi uno sguardo eloquente.
-Adesso è il tuo turno.- mi ricordò lei.
Feci un respiro profondo. Qual'era la risposta che dovevo darle? Che ero stato mandato a fare proprio quello? Che tanto lei mi aveva già scoperto?
-Non mi sentivo bene a nasconderti una cosa di così grande importanza.- rivelai -Il senso di colpa mi stava torturando. E ti prego di non chiedermi altro su questo argomento.
La sua mano sfiorò il coltello che si era messa alla cintura.
Mi resi conto che era la prima volta che mi chiamava “El”.
-Guardami negli occhi.- mi ordinò lei.
Obbedii, fissando i miei occhi azzurri nei suoi nocciola.
-Vuoi farmi del male?- chiese.
Non separai i miei occhi dai suoi.
-No.- risposi.
-Vuoi usarmi?
-No.
-Sei mio amico?
Esitai. Non l'avevo incontrata per caso, né ero diventato suo conoscente perché mi stava simpatica. Ma non potevo negare che avrei sofferto se Jane avesse cominciato a mostrare indifferenza alla mia compagnia, se avesse voluto allontanarmi.
-Sì.- risposi -E ti prometto che ti dirò tutto quello che ti ho tenuto nascosto in questi mesi, ma abbiamo entrambi bisogno di tempo per farlo. Parola di studente di Sociologia.
-Relazioni Umane.- mi corresse.
-Come ti pare.
Le sue dita non si allontanarono di molto dalla lama.
-Quanto zucchero vuoi nel te?- s'informò.
Sorrisi.
-Faccio da me se me lo porti qui.
-A patto che tu non lo versi sul tavolo.- stabilì, entrando in cucina.
Risi. Quello era proprio il genere di ragazza che sarebbe piaciuto a Dikstra, pronta a infilare un coltello nel corpo del lupo che la importunava.
Anzi, per essere precisi, con un carattere così, Dikstra l'avrebbe o amata o dissanguata.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ciao a tutti. Scusate la mia assenza per questo paio di giorni, in cui non ho caricato niente (mi rivolgo alle due persone che forse sono interessate a questa storia). Comunque, state allegri, questo scritto non durerà in eterno. ;)


 
Capitolo 7


-Ok, rifallo.- mi esortò Jane -Con più calma questa volta.
Inarcai un sopracciglio mentre i suoi occhi marroni mi scrutavano eccitati. Sembrava una bambina il giorno di Natale, anche se di solito la festa preferita di noi lupi mannari è Halloween.
-Kuntera servaji hun micnek- scandii, sollevando una mano.
Il piccolo globo bianco materializzatosi sul mio palmo sembrava non avere intenzione di fare nulla, inizialmente, ma dopo poco filamenti di elettricità cominciarono a serpeggiare verso l'esterno, fermandosi dopo una spanna per deviare verso il mio palmo.
-Lo adoro!- esultò Jane, avvicinando un dito ad un arco elettrico.
Il filo d'energia trovò qualcosa a cui aggrapparsi che non fosse la mia pelle e si agganciò al polpastrello della ragazza, seguito presto da altri suoi simili. Logicamente il mio non era un incantesimo offensivo, e lei non sentì nulla, siccome c'era più luce che elettricità in quella magia, creata allo scopo di divertire i bambini e di insegnargli a controllare il proprio potere.
-È semplicemente meraviglioso!- commentò ancora, muovendo la mano per vedere come si tendevano gli archi di energia.
-Dimmi quando ti sei stancata- mi raccomandai -così magari possiamo passare a qualcosa di leggermente meno monotono.
Le riuscì facile punzecchiarmi ancora sulle costole, siccome non ero nella mia forma ibrida.
-È da cinque giorni che so che sei un licantropo e mi hai detto di poter fare delle vere magie solo ieri!- si lamentò lei -Era la prima cosa che dovevi dirmi!
Tutti i pomeriggi dei cinque giorni precedenti ero andata a casa di Jane per due ore circa per parlarle delle cose che avevo lasciato indietro nei precedenti mesi. Adesso sapeva che non potevo mangiare con un servizio di posate d'argento, che facevo jogging su quattro zampe invece che su due, e che lavoravo al Protettorato, anche se non sapeva che lei, teoricamente, faceva parte del mio lavoro.
-Ero impegnato a preoccuparmi che tu mi denunciassi alla polizia.- rivelai.
-E cosa avrei detto? “Aiuto, il mio amico El è un lupo mannaro e prende il te da me”?- domandò, ridacchiando.
-Adesso puoi dirgli che ti vuole far saltare in aria la casa con un fuoco d'artificio magico.- risposi, chiudendo la mano e facendo cessare l'incantesimo.
La domanda “cos'è un fuoco d'artificio magico?” venne soppiantata sulle labbra di Jane da un verso di delusione a causa dell'interruzione del suo divertimento.
Dissi un altro paio di Parole e feci scattare il mio pugno verso l'alto. Un globo di luce rossa grande quanto la mia mano si alzò in volo nel soggiorno.
Mossi la mano e il globo partì a razzo, lasciandosi dietro una scia rosea, come una cometa. La luce curvò un attimo prima di colpire il muro, fece il giro della stanza e ruotò intorno a noi, creando un sinuoso disegno di luce prima di fermarsi sopra le nostre teste ed esplodere in una pioggia di scintille arancioni.
La ragazza sollevò lo sguardo verso le piccole luci.
-Fuoco d'artificio magico?- domandò Jane, stupita.
Annuii, mentre intorno a noi il mondo era ancora fatto di lucciole scintillanti.
La magia venne interrotta dal rumore del telefono di Jane che squillava.
-Dannazione.- mormorò la ragazza, tirando fuori il cellulare da una tasca.
Osservò l'attrezzo, ora silente, e si mise a digitare qualcosa che non vidi. Poco dopo l'oggetto era sparito di nuovo.
-Era Anne.- spiegò Jane -Non vuole capire che oggi non posso passare il pomeriggio con lei.
Nascosi velocemente il mio imbarazzo. Nonostante le avessi rivelato la mia natura, non mi ero azzardato a fare lo stesso anche con la famiglia degli Anderson, ritenendo che dovesse essere una scelta di Anne se e quando dirle che poteva ricoprirsi di piume. Era un peccato però, perché se Phil fosse stato con noi i fuochi d'artificio si sarebbero fatti molto più interessanti.
Ovviamente, se Jane fosse diventata una di noi Anne non avrebbe più potuto celarsi.
-Possiamo rimandare i nostri programmi, se vuoi.- mi offrii -Tu vai con Anne e io passo il pomeriggio a giocare alla console.
-No.- rifiutò lei -Una visita nella vita segreta di New York non capita tutti i giorni.
Mi avvicinai alla porta.
-Se sei pronta allora andiamo.- la esortai -E, a proposito, se qualcosa vuole mangiarti...
-Scappo?- suggerì lei.
-No, di' le tue ultime preghiere.- la corressi -Non c'è nulla nel quartiere magico che non possa batterti nella corsa.
Lei sorrise.
-Allora mi appiccicherò a te come una cozza.- minacciò.
-Potrei essere io a volerti mangiare.- le ricordai.
-Così disse il lupo mannaro che odiava le frasi colme di senso di colpa dei libri sul soprannaturale- declamò lei -ma che ne aveva appena pronunciata una.


-Se ti sembra troppo per una volta sola- cercai di rassicurarla -dimmelo subito, così ce ne andiamo, chiaro?
Lei annuì. La sua presa nella mia mano era salda, tuttavia, quindi la guidai verso i confini magici.
-Ti sentirai al massimo un po' disorientata.- la avvisai -Tu limitati a seguire me, non cercare di memorizzare la strada, non ancora, almeno.
La sua mano entrò in contatto con la forza che circondava il quartiere, per venire seguita dal braccio, finché Jane non si ritrovò a fendere una marea che non poteva vedere. Le sue dita si strinsero un po' di più.
-Stai bene?- mi preoccupai, fermandomi.
-Sì.- sorrise lei -Pensavo sarebbe stato peggio. Siamo già dentro?
-Siamo quasi a metà strada. Le barriere occupano solo un paio di passi, anche se è uno spessore considerevole, in materia magica.- risposi.
La tirai ancora verso di me e ricominciammo a muoverci. Jane superò con notevole velocità scudi che sapevo sarebbero stati inviolabili per lei senza la mia guida, e che l'avrebbero fatta correre in cerchio piuttosto che farle raggiungere il posto alle mie spalle.
-Sei dentro.- annunciai.
Feci per lasciarle la mano, ma lei oppose resistenza. Si avvicinò a me con fare circospetto, prima di mormorare contro il mio petto, a voce bassissima:
-La foca che gioca a basket alla tua sinistra è un'allucinazione data dalle protezioni magiche o è reale?
Mi voltai verso sinistra e vidi un leone marino adolescente che tenne per qualche istante una palla da basket in equilibrio sul naso prima di lanciarla e fare canestro.
-Benvenuta nel mio quartiere.- dissi di rimando.
Mi accorsi che stavamo entrambi per scoppiare a ridere.
Riuscimmo a trattenerci e a sgattaiolare via per non dare imbarazzanti spiegazioni al mutaforma che aveva cominciato a palleggiare con il muso. Girammo l'angolo per essere sicuri di essere fuori dal suo campo visivo, poi io cominciai a sghignazzare.
-Sei scortese.- mi fece notare lei -Vorrei vedere te a fare dei trucchi del genere.
-Se lanci una palla te la riporto subito.- la provocai.
Lei corrugò la fronte.
-Pensavo che dire una cosa del genere a un lupo fosse un insulto.- si meravigliò.
-Lo è.- risposi -Ma volevo avere una scusa per sbranarti.
-Divertente.- ironizzò Jane -Allora, qual'è la prima tappa, escluso il basket degli animali marini?
Mi guardai intorno per un po' senza un piano. Non avevo idea di dove andare, e avevo rifiutato categoricamente di farmi una scaletta col programma per il pomeriggio.
Riconobbi la signora che si stava avvicinando a noi solo quando ormai questa ci aveva già visti e si stava avvicinando a noi.
-Buongiorno, Elija.- mi salutò la signora Kamiry, con un sorriso cordiale.
-Buongiorno a lei.- risposi.
Jane si girò per incontrare lo sguardo della lucertola mannara, seppur in forma umana.
-Buongiorno anche a te, signorina.- continuò la donna, approcciandosi alla studentessa di medicina.
-...Buongiorno.- salutò l'altra, imbarazzata.
Mi affrettai a mettermi in mezzo alle due per le presentazioni.
-Signora Kamiry, questa è Jane- cominciai -Jane, questa è la signora Kamiry, mutante-lucertola e mia vicina di casa.
-Piacere di conoscerla- disse la donna -È un piacere sapere che Elija frequenta persone che non siano solo gufi chiassosi o vampire che hanno l'abitudine di prenderlo a bacchettate verbali.
-Vampire che...- cominciò Jane, ma si rivelò incapace di finire.
-Oh, sì, Elija viene perseguitato da una vampira che un giorno si veste come se dovesse andare a una serata di gala e quello dopo va in giro in tuta.- raccontò l'altra.
Mi misi la testa tra le mani.
-Temo non riuscirò mai a liberarmi di Dikstra.- sospirai -Mi scusi, milady, ma ora noi dovremmo andare.
-No.- protestò Jane -Posso ascoltare ancora una decina di cose che ti mettono in imbarazzo.
-Oh, ma io non ho intenzione di disturbare ancora per molto la vostra passeggiata- chiarì lei -specialmente visto che il nostro lupo è in compagnia di una così affascinante ragazza.
Il mio cuore e quello di Jane partirono alle stelle mentre entrambi arrossivamo. Io mi affrettai a guardarmi i piedi.
-Non siamo in quel tipo di passeggiata.- specificai -Le facevo solo vedere il quartiere. Pensavo di portarla al parco.
La signora Kamiry fece scattare lo sguardo verso Jane.
-È la prima volta che viene qui, deduco?- chiese, con un tono che tradiva il sospetto.
Scoprii i denti.
-Ho l'autorizzazione per rivelarmi, se è questo che intende.- replicai, deciso -Possiamo andare al Protettorato anche adesso, se vuole, non ho nulla da nascondere.
Nessuno poteva andare in giro a trasformarsi davanti agli umani senza commettere un crimine, dopotutto, se così fosse stato il segreto della nostra esistenza sarebbe andato a puttane in un paio di anni, e sarebbero ricominciate le cacce alle streghe. Per questo prima di svelare la propria natura bisognava fare la richiesta di ottenere un'autorizzazione, che di solito non veniva concessa per una persona che si conosceva da pochi mesi, ma Jane era un caso speciale.
La signora Kamiry si morse il labbro.
-Non è necessario. Perdonatemi- si scusò la donna -credo di dover andare.
La donna ci oltrepassò, senza dare troppo credito al gesto che Jane fece con la mano per salutarla. Ma dopo i suoi primi due passi la mia indignazione era già sparita, e stavo cominciando a pentirmi della mia risposta brusca.
-Milady!- la richiamai.
Lei si voltò lentamente.
-Riguardo alla runa che mi ha dato- le dissi -ho cambiato un paio di incantesimi, adesso funziona. L'ho messa nel suo cassetto della posta questo mezzogiorno, non so se l'ha vista.
Lei scosse la testa.
-No, ma guarderò non appena sarò tornata.- mi assicurò -Grazie, Elija.
-È sempre un piacere.- risposi -Arrivederci.
Io e Jane riprendemmo a camminare, nella direzione opposta a quella in cui andava la mutaforma lucertola. Non parlammo per diverse dozzine di passi, e fu solo l'ulteriore domanda di Jane a rompere il silenzio.
-Hai bisogno di un'autorizzazione per dire chi sei a qualcuno?- chiese, di punto in bianco.
Annuii.
-Ci è proibito andare in giro a dire tutto di noi agli umani, nonostante ormai una gran parte di voi sappia della nostra esistenza.- raccontai -I politici temono ancora in una perdita dell'ordine pubblico se portassimo quello che c'è qui...
Indicai un cucciolo di tasso che scattava in avanti dall'altra parte della strada, con una lupa adulta che lo inseguiva e un uomo che rideva di gusto alle loro spalle.
-... là fuori.
Superammo la famigliola prima che continuassi la mia spiegazione. Ormai la strada si stava facendo affollata, mano a mano che ci allontanavamo dai confini.
-In origine abbiamo cominciato a nasconderci ai tempi dell'Impero Romano, perché le persone ritenevano la nostra presenza di cattivo auspicio e ci esiliavano, oppure ci uccidevano. O almeno, questo è il poco che si sa, perché non ci sono molti scritti sull'argomento. Qualcuno di noi ha perso la copertura nel Medioevo, e sono cominciate le cacce alle streghe, con relativi roghi annessi. Potevamo usare la nostra forza e la nostra magia per combattere, ma gli umani avevano il vantaggio dei numeri. Il vero problema nacque quando un paio di uomini molto religiosi morsi da un lupo mannaro decisero di usare le proprie nuove abilità demoniache per combattere il male, sebbene le loro anime fossero ormai dannate.
Mi accorsi di stare mettendo troppo sarcasmo nelle mie parole e affievolii il tono.
-E così nacquero i templari.- terminai -Dopo la loro finale distruzione, i nostri antenati hanno deciso che era meglio se mantenevano un basso profilo, così si nascosero in mezzo agli umani usando la capacità di diventare come loro.
-Ora di storia finita.
Jane si era fermata, stupita.
-Quindi vi nascondete per motivi religiosi?- domandò, incredula.
-Cosa? Assolutamente no!- mi affrettai a correggerla -Non è il credo delle persone il problema, sono le persone stesse.
-È un insulto?- si inorgoglì fintamente, mettendosi in una posa aggressiva.
-Sistemerebbe qualcosa- risi -se includessi anche noi nelle persone?
Jane scosse il capo in maniera sconsolata.
Le case e i condomini cessarono improvvisamente per lasciare posto ad un ampio spazio vuoto di fronte a noi. Se il resto del quartiere magico poteva essere sporco come tutta New York, nessuno di noi aveva il coraggio di intaccare il parco. Sentivamo il bisogno di avere uno spazio verde, pulito, isolato dal cemento, per quanto possibile, e gettare una sigaretta nell'erba faceva guadagnare una dozzina di sguardi sprezzanti e almeno un trio di assolutamente cortesissimi inviti a raccoglierla. Se ci si rifiutava ancora, spuntavano fuori più di un paio di artigli.
-Esattamente- mi chiese Jane -quanto è grande il quartiere di cui gli umani non conoscono l'esistenza?
Le lanciai uno sguardo d'intesa, ma non risposi.
-Elija!- mi sentii chiamare.
Mi guardai intorno, cercando di identificare la direzione da cui era venuto il suono, ma con scarso successo. Anche Jane sembrava essersi accorta di qualcosa, ma il suo udito non doveva averle permesso di capire che il richiamo era per me.
-Dietro di te.- mi avvertì la voce maschile.
Mi girai e puntai gli occhi verso l'alto, imitato dalla ragazza. Fortunatamente, o forse dovrei dire sfortunatamente, il cielo era coperto dalle solite nubi newyorkesi, per cui il sole non ci accecò.
E potemmo vedere, appollaiato sulla balaustra di sicurezza di un balcone al terzo piano, un uomo dai capelli neri che si rivelò subito essere Phil.
-Oh, no...- mormorai.
Dopotutto, sembrava che Jane stesse per scoprire che gli Anderson erano creature magiche.
-Che ci fa lui qui!- grido la ragazza.
-Che ci fa lei qui!- gridò il ragazzo.
Appunto.
-Prima che qualcuno di voi cominci ad urlare- li interruppi, allargando le braccia -che ne dite se Phil scendesse e ne parlassimo in maniera civile?
-Giusto...- sussurrò Philip.
Mi voltai verso Jane.
-Ha detto che va bene.- le riferii, consapevole del fatto che lei non aveva potuto sentire l'ultima frase -Diamogli un attimo per scendere le scale e... NON FARLO!
Troppo tardi. Phil era sparito per un secondo dietro alla balaustra, e mi ero aspettato che fosse andato a scendere le scale, come avrebbe fatto chiunque. Invece, una figura si era gettata giù dal balcone, cadendo a volo d'angelo. L'uomo aveva terminato di assumere la propria forma ibrida poco prima di metà altezza, e aveva disteso le proprie grandi ali per planare verso di noi, ed atterrare infine sulle zampe da uccello sul marciapiede.
Mossi gli occhi dal gufo Phil ad una scandalizzata Jane, poi scossi il capo.
-Potevamo arrivarci a parole, sai?- dissi.
L'altro scrollò le spalle.
-Se è qui con te sa già tutto- replicò, con uno schiocco del becco -e comunque, era il modo più veloce per scendere.
-Non sapevo ancora di te, veramente- gli rispose Jane -ma va bene lo stesso. Io... devo sedermi.
La ragazza barcollò e si massaggiò le tempie.
-Anzi- si contraddisse -forse a parole sarebbe stato meglio, almeno non avrei creduto che tu volessi suicidarti.
La guidai verso il parco, con il gufo che ci seguiva a ruota. Ci sedemmo con la schiena appoggiata al tronco di un albero poco dopo. Il clima non era freddo, per cui la sensazione dell'erba sulle gambe era perfino piacevole, e creava un morbido cuscino.
-Anche Anne è come te?- chiese Jane, sporgendosi per guardare il gufo seduto di fianco a me.
La domanda fatidica era arrivata. Non aveva senso tenerglielo nascosto, ora, anche se avrei preferito averne parlato prima con Anne e poi con lei. Non ebbi comunque nulla da obiettare quando Phil rispose:
-Sì, anche lei è un gufo sin dalla nascita.
-Non siete stati morsi?- domandò ancora.
-Morsi?- rise Phil -Al massimo un gufo mannaro di può beccare! El, cosa hai insegnato a questa povera ragazza? Non si diventa gufi venendo morsi.
-Ho avuto altre cose su cui concentrarmi.- mi giustificai.
Jane si sporse ancora di più.
-E allora come?- chiese.
Phil ammiccò.
-Stai progettando di prendere presto il volo, vedo.- scherzò, con un ghigno -Beh, ogni tipo di creatura magica ha il proprio modo di trasformare un umano, quello dei lupi è il morso, ma quello di noi gufi è un po' più complicato: bisogna prendere una penna dall'ala di un donatore volontario durante una luna piena, fargliela incantare con un po' di energia grezza e poi pungere l'umano, e tutto prima che la luna tramonti.
-Ma io e Anne siamo nati nella maniera tradizionale.- continuò lui.
-E non abbiamo bisogno che tu ci faccia un disegno, grazie.- lo interruppi prima che potesse continuare.
-Già che siamo in argomento- disse con tono languido lui -guarda qua.
Mi sbatté in faccia un bigliettino di carta rigida, che emanava una leggera fragranza dolce e avvolgente. Sopra, in nero e con una calligrafia elegante, c'era scritto un numero di telefono, ed il messaggio:


Chiamami
D.


Ci misi un secondo a capire.
-Quand'è che Dikstra ti ha lasciato il suo numero di telefono?!- esclamai, scandalizzato.
-Non lo so!- rispose lui, emozionato -Sono rientrato questo pomeriggio ed era sul tavolo, in una busta con scritto il mio nome! Mi sento in paradiso!
Il gufo si lasciò andare sul tronco, alzando gli occhi al cielo. Speravo solo che Dikstra non giocasse con lui come un gatto col topo.
-Credo di essermi persa qualcosa.- disse Jane.
-Solo la più bella, sensuale, femminile vampira che io abbia mai visto. Ha ballato con me alla festa di primavera. Siamo andati perfino sul tetto.- mormorò il gufo, guardando nel vuoto -Ma poi ha detto che doveva scappare e si è volatilizzata. Pensavo mi avesse piantato in asso, siccome non mi aveva lasciato nemmeno il suo numero, ma gli avvenimenti di oggi dicono il contrario.
Il suo sguardo era completamente perso.
-Esci dalle tue fantasie.- gli ordinai.
-Scusa.- rispose lui, scuotendo il capo -È che...
-Non mi interessa.- lo interruppi, cercando di concentrarmi su quanto fossero belle le foglie sopra di noi.
Jane si rese conto del mio disagio e mi venne in aiuto.
-Quindi- cambiò discorso lei -voi due andate in... campeggio insieme?
Il viso di Phil si illuminò.
-Quindi Elija te ne ha parlato eh?
-Ma non le ho detto nulla che ti mettesse in imbarazzo, tranquillo.- finsi di rassicurarlo.
-In imbarazzo? Io?!- esclamò ironico -Sei tu quello che dorme per terra tra le formiche, io mi riposo al sicuro sui rami...
-Sui rami infestati dalle termiti.- gli ricordai.
-Erano puliti!- protestò lui.
Mi lanciai su di lui e ci rotolammo nell'erba, ognuno cercando di guadagnare un vantaggio sull'altro. Lasciai che il mio corpo cambiasse e che la mia forza crescesse. Ringhiai in segno di minaccia, ma Phil mi beccò la fronte prima che potessi arrivare a metà mutazione.
Io e il gufo ci separammo e rotolammo l'uno lontano dall'altro sul terreno, ridendo. Bloccai la trasformazione e la feci retrocedere fino a tornare alla mia forma umana.
-Uomini.- commentò Jane.
Mi voltai e balzai sulla ragazza, con un latrato. L'afferrai prima che lei potesse fare più che lanciare un breve grido di sorpresa e l'impatto ci spostò dall'appoggio del tronco. La lasciai e rotolai via non appena mi ricordai che era umana.
Speravo di non averle fatto male. Avevo cercato di essere delicato, ma la mia forza poteva essere più di quella che desiderassi.
Alzai lo sguardo e incontrai il sorriso di Jane.
Mi scalciai via le scarpe e le calze. Il giubbotto venne via con facilità. Non mi levai altro prima di trasformarmi nel lupo.
Le girai intorno, cercando il punto migliore per colpire. Lei si accucciò per prepararsi a difendersi, ma io la presi a metà manovra, di sorpresa. Il mio petto impattò col suo fianco e la mandò di nuovo per terra. L'erba era morbida, ma la ragazza non si accontentò di essere sdraiata su un cuscino, e combatté fieramente nella mia stretta. Il suo corpo si girò sotto di me e...
Il dolore sul naso mi fece serrare gli occhi. Barcollai e qualcosa mi spinse col dorso a terra e con un peso sul petto.
-Allora, chi è l'esperto?- chiese la voce di Jane.
Riaprii gli occhi per vedere lo sguardo scintillante della ragazza accogliermi con divertimento. Aveva i capelli spettinati, una foglia dietro l'orecchio e un buonissimo profumo, come di vaniglia e viola.
-Quel pugno sul naso mi ha colto impreparato.- ammisi -Non avevi bisogno di un coltello, dopotutto.
-Fingiamo che tu ci sia andato piano con me.- scherzò, sfiorandomi lo zigomo con una mano.
Premetti il muso contro il suo palmo e cominciai inavvertitamente a scodinzolare.
Mi riscossi dalla mia tranquillità e aprii di nuovo gli occhi.
-Jane- mi preoccupai -non ti ho fatto male, vero?
-No, sta calmo.- rispose, grattandomi dietro le orecchie.
-Sono serio, se vuoi posso curarti.- insistetti -Ed è importante che non ti morda, che la mia saliva non ti sfiori nemmeno una piccola ferita.
-Tranquillo, El.- insistette lei -Sto bene, davvero.
-Bene.- sospirai -Non vorrei che...
-Basta con le frasi colme di senso di colpa.- mi interruppe lei.
-Hai ragione.- mi scusai.
Ebbi la fortissima tentazione di leccarle la mano con cui mi stava accarezzando, ma mi trattenni, sapendo il rischio che avrei corso se lei avesse avuto un graffio che non avevo visto.
-E comunque- continuò lei, facendomi l'occhiolino -non avevo mai visto un lupo con una t-shirt.
-Tu scherzi.- la rimbeccai, facendomi serio -ma la popolazione mondiale di mutaforma canidi piange per i chiuaua con i cappottini rosa di Beverly Hills.
Jane scosse il capo e si spostò dal mio petto, lasciandomi libero di alzarmi. Dopodiché la ragazza si sistemò velocemente la chioma disordinata. Non riuscì a trovare la foglia, così mi avvicinai a lei e le sfiorai l'orecchio col naso, scostando il pezzo di vegetazione dal suo capo.
Phil si schiarì la gola.
-Avete finito?- chiese.
Jane mi lanciò uno sguardo.
-No.
Si buttò su di me, stringendomi le braccia intorno al petto.
-Tutti addosso al licantropo!- ordinò lei.
-Phil non ti ubbidirà mai.- la contraddissi, ribaltando la situazione con un colpo di reni e spingendola di nuovo per farla cadere.
La sensazione di lunghe penne che mi circondavano negò la mia precedente affermazione.
-Tutti addosso al licantropo!- annunciò felicemente Phil.
Dovetti impegnarmi sul serio. Io e Phil evitammo di tacito accordo di usare il nostro Potere, perché Jane non poteva fare altrettanto, ma questo andò a mio svantaggio, perché senza magia ero da solo contro due avversari. Per me si stava mettendo male quando le orecchie
mi fischiavano. L'odore dolce di vampiro mi circondava. Una serie suoni di qualcuno che frugava in un armadio mi fece abbassare ancora di più per nascondermi dietro al bancone da bar che era diventato il mio rifugio. Non mi avevano ancora trovata, ma lo avrebbero fatto presto. Dovevo
muovermi, non avrei potuto rimanere in quella situazione ancora per molto. Il sangue mi ribolliva nelle vene, la mia coscienza stessa si spingeva verso quel ronzio che faceva tremare il mio essere.
Dikstra.
Lo Cherry Bar, che brutto posto dove rischiare di morire. Ed è pure chiuso per disinfestazione. Lo sapevo che sarei dovuta passare per il centro commerciale, ma immagino non abbia più importanza adesso.
Stringo la pistola. Qualunque cosa accada, devo risparmiare un proiettile. Quegli Apostoli non devono catturarmi viva, o prima o poi mi faranno confessare che Jane è la colonna portante, e questo non deve succedere.
No, non ci pensare nemmeno, Dikstra. Non finché io vivo.
Devo
fare
presto.
Elija. Aiuto.
-Phil, time out!- chiamai.
Il gufo mi lasciò andare e io scivolai fuori dalla sua presa.
-Porta Jane a casa tua.- ordinai, senza dargli il tempo di parlare -Sbarra porte e finestre, e se vedi un vampiro che non sia Dikstra che cerca di entrare, scaricagli addosso tutta la magia che hai.
-Cosa?- riuscì finalmente a domandare Philip.
-Dikstra ha usato un Richiamo del Sangue.- spiegai, di fretta -Fai convergere tutti gli agenti che puoi sullo Cherry Bar a White Square, possibile scontro a fuoco.
-Conosci abbastanza magia del sangue da poter venir Richiamato?- si meravigliò Phil.
-Che succede?- si intromise Jane, preoccupata.
Mi voltai verso la ragazza. Gli Apostoli non dovevano prenderla, non potevo portarla con me. In teoria forse avrei dovuto rimanere con lei e limitarmi a chiamare il Protettorato. Sarei arrivato prima degli altri agenti dalla vampira, ma Jane era la chiave per salvare una buona fetta di mondo mentre Dikstra...
Il mondo poteva andare a farsi fottere. Jane era abbastanza al sicuro. Dikstra no.
-Chiamate il Protettorato!- mi raccomandai, prima di scattare a tutta la velocità che mi consentivano le zampe verso White Square.
Arrivo. Sussurrai col sangue.
Svoltai un angolo, pensando disperatamente a come dovesse essere il mio approccio. Mi sarei potuto semplicemente buttare nel locale, ma probabilmente facendolo mi sarei solo beccato un paio di proiettili e avrei svelato il nascondiglio della vampira. Dovevo agire di soppiatto, dall'esterno, cercando di aprire un varco dove Dikstra potesse sgusciare. Mi pentii di non aver prestato più attenzione alle manovre furtive che la donna aveva cercato di spiegarmi qualche volta. Continuavo a ripeterle di avere un tranquillo lavoro d'ufficio e non l'ascoltavo, ma probabilmente lo facevo esclusivamente per irritarla.
La mia esperienza da videogamer non mi avrebbe aiutato questa volta. Ma forse l'istinto del lupo sì.
Feci il giro largo per arrivare a White Square da sottovento, in modo che non sentissero il mio odore, prendendo anche un po' di tempo per levarmi i vestiti con un po' di magia. Sicuramente la piazza era affollata e non era il posto dove gli Apostoli avrebbero aggredito Dikstra. Dovevano averla spinta nei vicoli più remoti.
Parlai, con la voce e con il sangue, per capire dove fosse. L'energia della vita ribolliva dentro di me, scorreva nelle mie vene, e mi ubbidì, cercando la coscienza con la quale la mia aveva un legame abbastanza forte da consentire un Richiamo.
La trovò.
Sono quattro. Sussurrò la sua voce nella mia testa.
Mi buttai in un vicolo, rallentando la mia andatura per avvicinarmi quanto più possibile di soppiatto. Era finito il tempo del Confondi, avrei dovuto usare qualcosa di più forte, a costo di sfidare un vampiro con la stessa magia del sangue, un campo in cui di solito erano tra i più dotati.
Un rumore mi fece sporgere con cautela dall'angolo del vicolo deserto. Un vampiro stava frugando velocemente in un bidone della spazzatura, tenendovi puntato contro una nove millimetri munita di silenziatore.
Non mi stava guardando, perciò scivolai oltre imboccando un altro vicolo. La costruzione del nostro quartiere poteva sembrare caotica, ma in realtà le strade formavano, viste dall'alto, una serie di Rune che aiutavano al mantenimento degli incantesimi di segretezza. Per questo motivo un appassionato di magia come me ci si orientava abbastanza bene, purché non andasse in zone che gli erano assolutamente sconosciute.
Avrei potuto avere bisogno di un piccolo aiuto soprannaturale. Mi infilai nell'ombra dietro a un cassonetto, percependo l'essenza della luce abbandonare il contatto sulla mia pelle. Dovevo costruire la base per un rozzo rituale, per cui mi ci sarebbe voluto un po', speravo che Dikstra avesse abbastanza tempo.
Fa presto. Mi rispose lei.
Linee di potere mi avvolsero come un bozzolo. Le strinsi un poco intorno a me, ma non avevo tempo di dargli anche l'esatta forma della mia fisionomia. Cominciai a mormorare decine di Parole riguardanti l'Oscurità, la Polvere, il Fumo. L'essenza d'Ombra cominciò a percorrere i fili che mi inglobavano, attirando l'oscurità e deviando la luce.
Quella non era ombra comune, che è banalmente l'assenza di luce, ma era Ombra, potere spirituale che allontanava la vista e nascondeva. Non esistono cose come Magia Oscura, perché l'Ombra non è che la madre più amorevole che possiate incontrare, se sapete riconoscere i suoi doni. Non le importa se siete ladri, assassini, poliziotti o paladini, lei vi nasconderà e vi proteggerà sempre dagli sguardi altrui, e dalle altrui zanne.
Mi mossi di ombra in ombra, avvicinandomi allo Cherry Bar. Saltai di ombra in ombra, e ognuna di loro si infittiva quando vi entravo. Le mie orecchie mi avvisarono dei passi quasi totalmente silenziosi di una donna che non era Dikstra e mi immobilizzai, arrivando perfino a trattenere il respiro.
I passi si allontanarono senza fermarsi, e io lasciai andare il fiato. Essendo trasformato, i miei sensi erano migliori dei loro, e questo mi aveva appena salvato.
Una porta del locale era stata forzata, e mi infilai dentro velocemente, essendo ben conscio che Dikstra aveva una mano troppo leggera per ricorrere a dare un banale calcio a una porta. Lì dentro c'era qualcuno con lei.
Mi ha quasi trovata. Fa presto.
Avanzai con più sicurezza nella cucina. Ce n'era solo uno, potevamo sopraffarlo. Dovevamo stare attenti a non fare rumore, però, o gli altri ci sarebbero balzati addosso come un branco di lupi sulla preda.
Mi fermai prima della porta che conduceva alla sala principale del bar. Percepivo la forza di Dikstra attraverso il nostro legame, e ciò mi disse che si era nascosta dietro un divanetto. Ma l'Apostolo si stava dirigendo verso di lei velocemente. Aveva quasi finito i posti in cui guardare.
El, ho bisogno di un diversivo. Mi disse Dikstra. Non posso farlo fuori senza fare chiasso altrimenti.
Maledissi la situazione in cui ci eravamo ritrovati. Non potevo aprire la porta senza allertare l'Apostolo, tutta la mia esperienza con i vampiri mi aveva insegnato che non sarebbe stato possibile. Sarebbe stato meglio lanciare un incantesimo, ma avrei dovuto farlo stando attento che la mia energia non si disperdesse nell'ambiente, avvertendolo in anticipo.
Optai per un semplice incantesimo di rallentamento. Caricai il poco Potere che mi serviva avendo cura di non lasciarne scappare nemmeno una goccia, lasciando cadere la mia magia d'Ombra. L'Apostolo era a mezzo passo dal divanetto.
Pronta? Chiesi.
Sono nata pronta.
Aprii di scatto la porta del bar.
-Rallenta!- ordinai, lanciando il velo di magia.
Il vampiro si girò, ma il velo lo avvolse prima che potesse ruotare di novanta gradi. I suoi movimenti diventarono improvvisamente più lenti, come se si muovesse nell'acqua invece che nell'aria.
Non avevo guadagnato molto tempo, ma a Dikstra bastava. In un lampo grigio e nero saltò oltre la poltrona e uno schizzo di sangue uscì dal petto dell'Apostolo, all'altezza del cuore.
La luce scomparve dagli occhi rossi del vampiro, le vene sotto ai suoi occhi sparirono mentre la sua pelle assumeva sempre di più l'aspetto di carta stropicciata. Le sue dita in parte rigide lasciarono a malapena cadere la pistola.
-Ferma- reagii istintivamente.
La pistola si bloccò a una spanna dal terreno, e poi io la posai delicatamente con una flessione della mia volontà. Dikstra sdraiò il cadavere a terra e poi prese l'arma per sé.
-Stai bene?- sussurrai.
Lei annuì.
-Grazie.- disse, quasi sputando fuori le parole.
Non l'ascoltai. I miei occhi erano stati catturati dalle orbite del corpo, così vuote, così... morte.
-Andiamocene prima che un altro venga a controllare dove è finito il loro amico.- mi incitò l'altra, strappandomi dai miei pensieri.
Uscimmo di fretta dalla porta sfondata, nel vicolo che sembrava deserto. Non appena io misi l'ultima zampa fuori dalla porta, però, questa si chiuse dietro di noi. Dopodiché una figura si lanciò giù dal tetto dell'edificio di fianco al bar e atterrò sulle due gambe, avvolta in un alone argenteo.
Una mano si strinse intorno alla mia collottola e mi spinse dietro l'ennesimo cassonetto, mentre qualcosa mi fischiava sopra la testa. Sbattei malamente contro il muro, e un altra serie di proiettili colpì il coperchio del bidone che ci faceva da rifugio.
-Incantesimi di Potenziamento.- dissi, stringendomi di più contro la vampira -E di Protezione. Gli altri due sono nelle retrovie a mantenere la magia, e lasciano che sia solo questo bruto a fare il lavoro sporco.
La vampira si sporse da dietro il cassonetto e due boati provennero dalla sua pistola, ma si ritirò subito.
-Quello stronzo è super pompato.- disse -Non possiamo scappare correndo, ci raggiungerebbe.
Entrare di nuovo nel bar era fuori discussione. Sentivo la barriera che era stata eretta a bloccare la porta. Forse avrei potuto infrangerla, ma non avevo il tempo di mettermici davanti a scaricarle contro fiumi di Potere.
-Probabilmente le sue Protezioni non lo difendono dagli attacchi corpo a corpo.- riflettei ad alta voce -Gli avranno messo addosso uno scudo contro i proiettili e alcuni contro vari tipi di incantesimi, ma con incantesimi del genere ogni strato di barriere che aggiungi ti consuma più forza. Non possono averlo protetto da tutto.
Sarebbe stato più semplice eliminare i maghi che erigevano le difese, ma non avevamo idea di dove fossero. Se avevano stabilito un legame, magari scambiandosi poche gocce di sangue, non avevano nemmeno bisogno del contatto visivo, ma solo di stare nel raggio di qualche centinaio di metri.
Il cassonetto scricchiolò e poi venne lanciato da parte. Una pistola venne puntata contro di me.
Il pugno di Dikstra unito a una buona dose del suo Potere fece volar via l'arma del mio aggressore. Mi sentii sollevare da terra e lanciare all'indietro. Rotolai sul terreno ma riuscii a rimettermi presto sulle zampe, allertato dal suono della colluttazione dietro di me.
In qualche modo, Dikstra aveva perso la pistola, e stava combattendo con i due pugnali d'argento. Il suo affondo fu velocissimo, ma invece di incontrare la gola dell'avversario venne bloccato dal suo avambraccio. Con uno scatto l'Apostolo strinse la mano libera intorno alla gola dell'altra.
Il corpo della vampira venne sbattuto contro il muro del vicolo. Ci fu uno spruzzo di sangue mentre il secondo pugnale di Dikstra si conficcava nel braccio dell'uomo, che comunque non mollò la presa. L'unica a gemere fu la donna, mentre le dita intorno alla sua gola si stringevano ancora di più.
Avevo già caricato il colpo. Rilasciai la sfera di aria compressa che avevo riunito davanti a me. Gli incantesimi probabilmente proteggevano l'Apostolo dalle magie usate contro di lui, specialmente quelle a cui i vampiri erano più vulnerabili, ma forse non lo difendevano dai groppi di vento improvvisi.
Il mio incantesimo colpì il bersaglio come una palla da bowling colpisce un birillo. L'Apostolo venne separato da Dikstra e barcollò di lato. Vidi la sua guardia bassa e balzai, puntando alla carotide.
Ci fu un movimento del vampiro che non vidi e un colpo sordo mi rimbombò nella gola. Ci volle ancora un'istante perché il mio collo cominciasse a dolermi, mentre il mondo girava vorticosamente intorno a me. Caddi sull'asfalto col fianco, rotolando. I miei polmoni stavano cominciando a bruciare per chiedere aria. Il colpo alla gola mi aveva mozzato il respiro.
La parte di me che era ancora cosciente chiamò il mio Potere, e le mie vie respiratorie vennero decompresse di nuovo.
Mi rialzai, sentendo un misto di rabbia e paura. Il nostro avversario aveva forza e velocità rafforzate dalla magia, e l'energia di altri due vampiri a sostenerlo. Tecnicamente, eravamo due contro tre.
Dikstra stappò la fialetta che portava al collo e bevve. Il suo corpo fu scosso da un breve tremito, mentre i graffi sul suo viso si risanavano, e i lividi sul suo collo sbiadivano.
L'Apostolo si prese pure il tempo di sorridere invece di attaccare di nuovo.
Dikstra si spostò di due passi verso di me, rimanendo comunque più vicina al nostro avversario di quanto lo fossi io. Poi ci guardammo con la coda dell'occhio.
-Orso.- stabilii.
Lei annuì e scoprì le zanne.
Cominciai a Parlare di fuoco, di fulmini e di armi. I lacci di magia si allungarono e si attorcigliarono intorno a i pugnali di Dikstra. Uno venne coperto dalle fiamme, mentre sull'altro si estesero archi di elettricità crepitante. Io assunsi la mia forma antropomorfa e mi accucciai, pronto a balzare o a lanciare un incantesimo.
-Si aprono le danze, coglione.- sfotté Dikstra, sollevando i coltelli.
L'altro vampiro divenne una scia argentea diretta verso la donna, ma si fermò per evitare la scia di fuoco di un pugnale. L'altra ne approfittò per saltargli oltre e roteare le armi. Le fiamme colpirono il bersaglio ma scivolarono impotenti sui suoi scudi. Gli artigli dell'Apostolo si conficcarono nel braccio che impugnava il pugnale infuocato, e Dikstra ricambiò con un affondo diretto verso il cuore con l'altra arma.
Dalla mia posizione potei vedere chiaramente la mano del vampiro afferrare la lama e salvarsi la vita. L'elettricità sembrava immune alle sue protezioni, ma lui pareva non curarsene.
-Presa, ballerina.- commentò l'altro, snudando i canini.
Il collo di Dikstra era terribilmente scoperto.
Il sangue eruttò dai tagli della donna in una piccola fontanella, risalì lungo le due braccia unite e alla fine trovò il palmo ferito dell'altro vampiro. Percepii la forza che Dikstra metteva nella magia di cui stava recitando le Parole aumentare mentre i due liquidi vitali si mischiavano, e formavano una serie di forti lacci che univano i due.
-Preso, coglione.- ribatté lei.
Nessuna protezione che il vampiro potesse essersi messo addosso in venti minuti poteva renderlo immune da un Vincolo di Sangue.
Non potevo lanciare nessuna magia semplice all'Apostolo, ma ciò non significava che non potessi fare lo stesso con Dikstra. Fu di lei che lanciai la tela magica che la legò al terreno dove si trovava. Per quanto l'Apostolo si dibattesse, ormai anche le sue gambe erano bloccate a una distanza fissa da quelle della vampira dal sangue, e nessuno dei due Vincoli aveva intenzione di cedere.
-Sai come fanno due lupi a uccidere un orso?- chiese Dikstra.
Fui dietro all'Apostolo l'istante successivo.
-Colpendolo ai fianchi.- risposi.
Artigliai il vampiro all'altezza delle scapole e un grosso brano di carne venne staccato dal suo alloggiamento. Adesso i miei artigli erano abbastanza lungi da raggiungere il cuore. Li appoggiai e poi spinsi.
La ferita smise di sanguinare e il vampiro si irrigidì. Il sangue del Vincolo smise di vorticare e cadde in piccole goccioline per terra. Lasciai cadere il corpo del vampiro che andava velocemente irrigidendosi per sostenere quello di Dikstra.
L'abbracciai mentre barcollava, minacciando di cadere, il suo corpo era leggermente troppo freddo, segno che aveva consumato molto energia.
-Ti porto via di qui.- la rassicurai.
-No.- protestò lei -Gli altri due... sono vicini, e sono deboli.
-Non importa.- ribattei -Non dobbiamo correre rischi inutili. Dobbiamo arrivare in un posto sicuro.
Capii subito dopo aver detto quelle parole che era troppo tardi. Il suono di due serie di passi leggeri, eppure affaticati, arrivò alle mie orecchie da un'estremità del vicolo.
Con una Parola feci volare la pistola dell'Apostolo appena morto in mano mia, e quella di Dikstra in mano alla vampira. Mi misi davanti alla donna e alzai l'arma, consapevole di non avere più tempo.
Quando una figura sbucò dall'angolo della strada entrambi sparammo due colpi d'avvertimento. La figura si ritrasse e noi strisciammo verso il cassonetto ribaltato. Gli avrei tirato una palla di fuoco magico non appena fossero usciti. Toccava a me ora proteggere Dikstra, e sarei morto prima che uno di quei disgustosi figli di puttana le mettesse le mani addosso.
Il primo si buttò fuori dal loro riparo, con i palmi luccicanti di magia.
-Fuoco!- chiamai.
Prima che potessi fare qualunque cosa, la testa dell'Apostolo scattò all'indietro con un'esplosione di sangue, frammenti d'osso e materia cerebrale. La stessa sorte toccò all'altro, che si era sporto fino agli occhi per osservare la scena.
Né io né Dikstra avevamo sparato un colpo.
La vampira di fianco a me cominciò a sussultare, poi a singhiozzare, e infine si lasciò andare a una risata liberatoria.
-J...- commentò lei, ridendo -Quella lupa è una vera cecchina.
Sorrisi anch'io e capii che se c'era la nostra responsabile della sicurezza a cinquecento metri di distanza con un fucile di precisione, il Protettorato era arrivato.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 
Capitolo 8


La mia baldanzosa gioia terminò due secondi dopo, quando Dikstra smise di ridere e si afflosciò per terra. Il suo cuore batteva ancora, ma debolmente. Può apparire buffo che i vampiri, nonostante vengano considerati tecnicamente morti, abbiano tutte le funzioni vitali di un umano comune. Dovevano respirare, nonostante il fatto che se li soffocavi questi erano costretti a svenire e a rinvenire pochi minuti dopo, potevano mangiare, se volevano, ma dovevano bere.
-Dikstra!- chiamai, trascinandomi fuori dal mio stato di trance.
Mi accucciai a sfiorarle la pelle, che era pallida e fredda. Il Vincolo di Sangue e il combattimento l'avevano sfinita, ma non rischiava di morire per questo. Dissi una Parola per evocare un semplice incantesimo di guarigione e posai la mia mano luccicante sulla sua fronte.
Le palpebre della vampira tremarono e poi si schiusero.
-Wow.- sussurrò, ma le sue pupille rosse mi dicevano che aveva poca lucidità mentale -Era roba forte quella delle fiala... stavolta...
Mi sedetti vicino a lei, le presi la nuca con una zampa e il busto con l'altra, poi le sollevai il torso per appoggiarlo sul mio petto. Dikstra mi aveva detto quanto potesse fare male la sete, e i suoi canini ancora allungati mi dicevano che ne aveva tanta.
-Ci avevo messo degli incantesimi di guarigione dentro.- spiegai, assicurandomi che il suo capo fosse stabile sulla mia spalla.
Mi avvicinai il polso che non stava reggendo il suo corpo alle mie zanne e morsi. Ero abituato alla sensazione di dolore acuto che mi punse la pelle, e al sapore del liquido viscoso che mi bagnò la lingua per un secondo.
-Ecco.- le dissi -Stai calma.
Le avvicinai la ferita al viso. Le vene sotto ai suoi occhi pulsarono per la vicinanza del sangue che mi colava in piccole gocce sulla pelliccia.
-Bevi.- la incoraggiai -Dopo starai meglio.
La sua mano strinse la mia zampa sana debolmente. Percepii la gratitudine che significava quel gesto, ma non pensai ancora a come farla sdebitare in seguito, per il momento mi interessava solo che lei stesse bene.
La sua bocca fredda mi coprì la ferita e il suo corpo tremò nella mia stretta.
In quel momento comparvero i primi agenti del Protettorato, a bordo di motociclette, probabilmente perché le auto erano troppo grandi per passare in quei vicoli. Smontarono dai mezzi e scoccarono uno sguardo preoccupato e stranito a me e a Dikstra prima di affaccendarsi a impacchettare i due vampiri temporaneamente uccisi dai colpi alla testa della lupa tiratrice.
La donna tra le mie braccia non usò mai i canini per aprire la ferita che andava velocemente guarendo, ma si limitò a deglutire il liquido che le bagnava la lingua. Non mi tagliò nemmeno quando il sangue smise di fluire dopo che la mia pelle si fu richiusa.
Attorno a noi il numero degli agenti del Protettorato era aumentato. Avevano allestito il perimetro di una scena del crimine, ma non ci avevano ancora interrogato. Un corvo, tuttavia, aveva visto le condizioni di Dikstra e chiamato un ambulanza con tre sacche di AB positivo per il soccorso della vampira.
La donna separò il capo dalla mia pelle e me lo appoggiò sulla spalla.
-Grazie.- mormorò, con voce roca -Ne avevo bisogno.
-No.- protestai -Ne hai ancora bisogno.
La debole replica di Dikstra mi venne risparmiata dal suono di una voce familiare.
-Che è successo qui?- domandò Phil, quasi gridando -Elija!
Tesi il collo e vidi il gufo, con Jane di fianco, che si guardava intorno spaesata. Philip oltrepassò il nastro giallo, mostrando il distintivo all'agente di guardia in quel punto e tirandosi dietro l'umana. I due mi videro, ma io avevo intenzione di evitare i loro sguardi per un altro momento.
-So che il sangue di lupo non è una prima scelta.- cercai di persuadere la donna, in tono ironico -ma è sempre meglio che soffrire.
Mi morsi di nuovo il polso. Mi sentivo gli sguardi stupiti di tutti addosso, ma non mi importava cosa pensassero sul legame che sottintendeva uno scambio di sangue, o sul loro disagio a vederne uno.
-Almeno da me accettalo.- continuai, accostandole la ferita alle labbra -Ti prego.
Le sue dita si strinsero di nuovo intorno alle mie, con più forza questa volta, e bevve ancora.
Mi voltai verso i due che ci stavano di fronte in piedi. Phil aveva il becco semiaperto e gli occhi sgranati, e il suo volto non esprimeva solo sorpresa, ma esprimeva anche un senso di indignazione che non tentava di essere celata. Drizzai le orecchie e gonfiai il petto, in atteggiamento di sfida. Non avevo intenzione di subire una critica per come stavo aiutando Dikstra.
-Ti avevo detto di tenerla al sicuro.- gli rinfacciai, indicando Jane col muso.
-E non c'è posto più sicuro di uno pieno di Protettori.- ribatté lui -Ci siamo aggregati a una pattuglia di ritardatari per venire qui. E strada facendo ci siamo potuti fermare a prendere questi.
Vidi i miei abiti piegati sotto il braccio di Jane solo in quel momento.
-Li abbiamo raccolti dopo che hanno detto che il pericolo era cessato e che stavate bene alla radio.- spiegò Jane, avvicinandosi di un passo -Pensavamo ti potessero servire.
Dikstra sollevò il capo, aprendo gli occhi. Jane fece un piccolo balzo indietro a vedere le sue iridi ancora rosse e le sue labbra rese cremisi dal sangue. Non si era nutrita molto, ma sufficientemente perché il suo cuore riacquistasse un ritmo stabile e la sua temperatura corporea salisse oltre i trenta gradi.
-Tu devi essere Jane.- la salutò la vampira, con la sua voce normale -Elija mi ha parlato molto bene di te.
-Non ti farà del male.- intervenni io, stringendo la donna -Dikstra sa controllare la sua sete.
-Per un vampiro resistere al sangue è...- cominciò a citare Jane.
-... come resistere alla tentazione di mangiare una mela particolarmente invitante per un umano.- terminò l'altra -Questa frase è mia. Te l'ha detta El?
-Sì.- confermò Jane, guardandomi di sottecchi -Ma non mi ha mai parlato di te.
-Non lo ha fatto per non farti sentire la valanga di improperi e insulti che associa al mio nome.- spiegò la vampira, annuendo.
L'altra annuì a sua volta, non pienamente convinta, ma si avvicinò comunque per poggiarmi vicino i vestiti e le scarpe.
-Certo che- commentò Phil -se condividete il sangue così trovo ovvio che abbiate un legame abbastanza forte da potervi Richiamare a vicenda.
Dikstra si morse il labbro, mentre io mi morsi la lingua per trattenere un ringhio.
Attraverso la folla di agenti, riuscirono a sgusciare una donna e un uomo vestiti di giacca e pantaloni bianchi, con una croce arancione cucita sul petto. L'uomo, un vampiro, trasportava una specie di termos che indovinai contenere le sacche di sangue per Dikstra.
I due Guaritori ci squadrarono, e prima di cominciare la loro infinita lista di domande per sapere se stavamo bene o meno misero una sacca di AB positivo in mano a Dikstra.
-Qualcosa di decente.- borbottò lei, stappando un tubicino collegato alla sacca e usandolo a mo' di cannuccia.
-Perché AB positivo?- domandò Jane, accigliandosi.
Mi sembrava strano non si fosse ancora impressionata a causa di tutto quel sangue, poi mi ricordai che si stava laureando in neurochirurgia.
-È quello meno utile per le trasfusioni.- spiegai -AB positivo può donare solo ad AB positivo, mentre può ricevere da tutti, quindi se a un vampiro bisognoso un ospedale da dell'AB positivo ci sono meno possibilità che il pronto soccorso ceda del sangue che gli sarebbe servito in seguito per una trasfusione.
-Giusto.- ammise Jane, apparendo affascinata.
Dikstra mi diede una gomitata che significava “mollami” e io la lasciai andare. Adesso riusciva a stare seduta da sola.
-Certo- s'intromise Philip -sarebbe potuta andare avanti col sangue di lupo, vero Elija?
Roteai gli occhi e mi volsi all'indietro, per non avere la tentazione di saltargli addosso. L'adrenalina nel mio sangue stava rapidamente scemando, e non mi sentivo più così aggressivo come prima. Ciononostante, Phil non poteva offendersi: solo perché avevo dato a Dikstra il mio sangue non significava che gli volessi rubare...
I miei occhi incontrarono quelli del cadavere del secondo Apostolo che io e Dikstra avevamo incontrato. Quello che io avevo ucciso.
Le sue iridi erano diventate del colore della sabbia, e sbucavano, vuote e spente, da un volto dalla pelle screpolata e secca. Tutti i vampiri si riducevano in quello stato dopo essere morti, o dopo essere stati uccisi. La magia che li permeava li abbandonava e si lasciava dietro solo un involucro vuoto.
Ricordai la sensazione dei miei artigli che laceravano la carne.
Avevo preso lentamente la mira prima di conficcare le mie unghie nel suo cuore.
I suoi occhi morti continuarono a guardarmi.
Non avevo esitato nemmeno un attimo.
Lo stomaco mi si ribaltò e mi voltai di colpo per affacciarmi al cassonetto aperto dalla forza che lo aveva scagliato. Il mio ventre decise che non poteva resistere oltre. Vomitai.
-Elija, tutto bene?- mi chiamo qualcuno.
Ovviamente non risposi. Mi sentivo tremare le membra, mentre il mio stomaco mi diceva di non avere ancora finito. Una mano mi carezzò il dorso sudato, in un tentativo di conforto. Non potei girarmi a guardare che fosse perché rigettai di nuovo, sentendomi ancora sulla nuca lo sguardo di quel vampiro.
Mi pulii le fauci col dorso della mano.
-Meglio adesso?- chiese con tono preoccupato Jane.
Mi girai e vidi l'umana accarezzarmi la pelliccia della schiena con la mano. Volevo risponderle di sì, ma sapevo in anticipo che avrei mentito spudoratamente.
-Era la tua prima volta, vero?
Il mio sguardo si spostò su Dikstra, la formulatrice della domanda diretta e indiscreta. Annuii, senza nemmeno sapere bene cosa provavo in quel momento, siccome l'unica cosa che distinguessi in me era un senso di disagio.
Non avevo mai ucciso prima.
-Forse dovresti andare in ospedale.- mi consigliò Jane.
-No.- la contraddisse la vampira, cominciando un'altra sacca di sangue -Starà bene tra poco, ed è inutile occupare posti letto che potrebbero servire a qualcun altro. Al massimo deve parlare con qualcuno.
Jane raccolse la mia giacca e me la gettò sulle spalle. Sentii un moto di gratitudine verso di lei. Avevo appena cominciato a sentire freddo.
-Ecco, El- s'intromise Phil -da' ascolto alla tua compagna di trasfusioni. La vampira che stimi abbastanza da darle sangue carico di perdono di lupo ti conoscerà abbastanza da sapere quello che è meglio per te.
Il silenzio calò su di noi per un secondo. Non né avevo la forza né la voglia di rispondere a tono a Philip, nonostante egli stesse commettendo un colossale errore.
-Il perdono per guarire da un morso?- chiese Jane, apparendo abbattuta.
Annuii di nuovo, ancora chino sul cassonetto per prevenire un'eventuale crisi ulteriore.
L'umana fece scattare lo sguardo da me a Dikstra, con un'espressione prima stranita, poi sorpresa, poi addirittura felice. Il tutto poco prima di cominciare a sogghignare.
Guardai Dikstra, ma non capii cosa potesse esserci di buffo in lei. I suoi occhi erano appena tornati del loro azzurro comune, e sulle sue labbra era spuntato lo stesso ghigno presente su quelle di Jane, ma a cui si miscelava quella sua aria sensuale che odiavo.
-Sei fuori strada Philip...- rise ancora la ragazza.
-Evidentemente Elija frequenta qualcuno con un quoziente intellettivo decente. Sono orgogliosa di te.- si complimentò Dikstra.
Non capivo ancora cosa ci fosse da ridere. Che Jane avesse scoperto...
-Che c'è adesso?- esclamò esasperato il gufo, aprendo le ali.
-Sono fratello e sorella.- disse semplicemente la studentessa di medicina, indicando me e la vampira.
Io sorrisi e mi voltai verso Philip, la cui parte inferiore del becco ricadde sul petto in un espressione scandalizzata molto più accentuata di quella che aveva assunto quando mi aveva visto dare del sangue alla donna. Lo lasciai al suo stupore e mi voltai di nuovo verso Jane.
-Come lo hai capito?- chiesi, meravigliato -Io e Dikstra non lo diciamo mai a nessuno.
-Tu non vuoi che lo sappia nessuno, io mi adeguo solamente.- replicò la vampira.
La ragazza tracciò un cerchio immaginario col piede e arrossì.
-Avete gli stessi occhi.- raccontò -Sono di un azzurro molto chiaro, un insieme di caratteri recessivi nel genoma...
-Taglia corto.- disse, come in un sogno, il gufo.
-Beh, è un tratto molto raro e di solito trasmesso in una famiglia in cui entrambi i genitori hanno gli occhi chiari- continuò lei, saltando la parte relativa al DNA -quindi questo li rende o un'incredibile coincidenza, o cugini, oppure fratello e sorella.
-E perché non cugini?- domandai io -Perché sei così certa che abbiamo gli stessi genitori?
-Il sangue del perdono.- rispose, alzando le spalle -I fratelli spesso hanno una relazione... alternata tra odio e amore. Per curare pienamente il morso di un lupo El mi ha detto che serve del sangue donato con l'intenzione di dissipare l'odio della ferita, con il perdono appunto, e che è una cosa molto difficile da fare. E... insomma, se il tuo fidanzato ti tira un pugno lo lasci no? Non ti limiti a perdonarlo e basta. Ma i fratelli si prendono a calci quasi tutti i giorni...
-Quasi tutti i giorni no.- si oppose Dikstra -Il nostro rapporto è molto migliorato da quando viviamo in posti diversi, penso a causa del fatto che non dobbiamo sopportarci continuamente.
-Ti sopporto già troppo.- la contraddissi.
Phil emise una risata imbarazzata e sembrò desiderare che la terra si aprisse per inghiottirlo lì sul momento. Io approfittai della situazione per lanciargli un'occhiata di rimprovero.
Il gufo evitò il mio sguardo abbassando agli occhi.
-Perché non lo avete mai detto?- chiese Phil.
Esitai prima di rispondere. Lanciai uno sguardo ai due paramedici, che capirono e si allontanarono, dopo aver lasciato l'ultima sacca per terra. Quei due avevano fatto il loro dovere, comunque. Lanciai un rudimentale incantesimo di segretezza non appena furono lontani.
-Hai notato la posizione di Dikstra nel Protettorato?- domandai poi -È uno dei più giovani agenti speciali in circolazione. Se tutti sapessero che sono suo fratello minore mi prenderebbero per un raccomandato, e come se non bastasse la famiglia di mia madre è nel Protettorato da generazioni.
Phil mi lanciò uno sguardo colpevole. Gli avrei fatto pesare questo suo sbaglio, ma in cuor mio avevo già deciso che, in fondo, non era colpa sua. E poi stavo cominciando a sentirmi meglio, l'importante era pensare ad altro che non fosse... lui.
Lasciai cadere l'incantesimo di segretezza mentre un agente si avvicinava a noi per farci stendere rapporto.


-Devi rilassarti.- insistetti -Svuota la mente, e come prima cosa smetti di cercare di combattere la magia.
Jane trasse un respiro profondo, fissando il libro che stringevo tra le mani un po' meno intensamente. Era passato un mese dall'aggressione a Dikstra nel quartiere magico, e a causa di quella avevamo capito che la sua copertura era saltata. Mia sorella aveva dovuto sparire dalla circolazione, inviando un solo messaggio dieci giorni prima per dire che era ancora viva.
-E ora rifiuta il condizionamento.- la incoraggiai, credendola pronta -Con calma, ma anche con decisione. Devi solo agire all'interno della tua stessa testa, non sul libro.
Il ciondolo che Dikstra mi aveva restituito poco prima di partire mi pesava stranamente sul collo. La corda di caucciù intrisa di magia perché non si rovinasse reggeva una piccola sfera di quello che appariva essere vetro, ma che io sapevo essere un particolare tipo di resina. Mi ci erano voluti mesi a fare quel talismano, ma alla fine ci ero riuscito, e lo avevo dato a Dikstra prima che partisse per la sua prima missione. La vampira me lo aveva restituito dicendomi che se gli Apostoli l'avessero uccisa e glielo avessero trovato addosso, sarebbero potuti arrivare anche a me e a Jane.
Jane strabuzzò gli occhi, facendomi capire che la copertina dell'oggetto che stringevo in mano era appena cambiata sotto il suo sguardo.
-Incantesimi improvvisati avanzati.- lesse, incerta -Come crearli e lanciarli con efficacia.
Annuii, gratificandola con un sorriso d'approvazione.
-Prima pensavo fosse una copia de Il Signore degli Anelli.- ammise, stupita -Questo è un Condizionamento Mentale, quindi?
-Uno debole.- specificai -È stato imposto su questo libro perché potesse essere portato fuori dal quartiere magico.
New York ci stava rallegrando con uno degli scarsissimo giorni di sole del suo clima. Io, Jane e Anne eravamo al parco del quartiere magico, e noi mutaforma cercavamo di insegnare all'umana qualcosa in più sulla magia.
-E qual'è la differenza tra un incantesimo improvvisato e uno normale?- domandò ancora.
-Un incantesimo normale è uno di cui conosci già la formula prima di lanciarlo- spiegò Anne -invece uno improvvisato è... improvvisato. Pronunci delle Parole che credi ti permetteranno di fare ciò che vuoi, ma è pericoloso: il mago potrebbe non essere in grado di prevedere le conseguenze della magia.
-Dipende dall'esperienza dell'incantatore.- aggiunsi -Le Parole contano, ma alla fine è la mente quella che controlla il potere. Con un buon allenamento...
-È comunque poco raccomandabile usarli- mi interruppe Anne -specialmente quelli più complessi.
Alzai le mani ed evitai di difendere nuovamente la mia posizione per scansare lunghi dibattiti.
-A me basterebbe poter lanciare un petardo magico durante la lezione.- si lamentò tristemente Jane.
-Potrei farlo io, sgattaiolando alla finestra dell'aula.- proposi, alzando le spalle.
-Davvero?- chiesero speranzose le due ragazze.
-E venire condannato per aver usato la magia in mezzo agli umani?- esclamai scandalizzato -Neanche per sogno.
Anne emise un gemito di disappunto.
-Vai alla toeletta per cani- mormorò Jane, storcendo le labbra -e fatti rasare il pelo a zero.
-Mi ci hanno portato, una volta.- raccontai.
Le due si voltarono di scatto verso di me e io sorrisi perfidamente.
-Ma dopo che ho mangiato due bassotti non sono nemmeno riusciti ad acciuffarmi.
La gomitata di Jane mi colse su un braccio.
-Esilarante.- commentò poi -E dimmi, erano più o meno buoni dei croccantini che ingurgiti di solito?
Pensai di lanciarla in uno degli stagni artificiali, ma poi realizzai che i mutaforma cigno da cui era occupato si sarebbero offesi.
-Potrei sempre mangiare te.- le ricordai, sorridendo in modo da mostrare tutti i denti.
-E io potrei beccarti a morte.- mi ricordò a sua volta Anne, facendomi la linguaccia.
-Che trapasso orribile!- mi lamentai -Mi ritiro, avete vinto.
Jane mi bersagliò con un filo d'erba.
-Ehi!- protestai -Ho detto che mi arrendo!
-Infierire sempre sul nemico che fugge.- rise Jane, tirandomi un bastoncino sulla maglietta.
La ragazza accartocciò una foglia per colpirmi di nuovo. Io chiamai il Potere dentro di me e dissi velocemente un paio di Parole. Prima che Jane potesse tirare il suo nuovo proiettile, uno spruzzo d'acqua la colpì in viso, bagnandola fino alla radice dei capelli.
-La condensazione dell'acqua e successivamente il suo lancio- elencai, con un sorriso amabile -è un incantesimo improvvisato.
Jane s'imbronciò, lasciò cadere la foglia, si asciugò la faccia con un fazzoletto preso dalla tasca, e mi saltò addosso.
Il movimento non mi colse del tutto impreparato, ma dovevo ammettere che Jane fosse più forte di quanto potesse apparire in un primo momento. Le sue braccia puntarono alle mie spalle, perché lei sapeva il mio disagio a vedermi puntare il collo, anche se in quel momento ero umano e l'istinto di sopravvivenza non si sarebbe fatto sentire troppo prepotentemente.
Afferrai le sue mani e lo slancio mi spinse indietro. Rotolammo una sola volta sull'erba soffice (e un bastoncino riuscì persino a pungermi la schiena in quella sola volta) prima che io guadagnassi definitivamente la posizione di vantaggio con un colpo di reni. Le spinsi le mani sul terreno, ai due lati della sua testa, cosicché non potesse muoversi.
-Non puoi vincere sempre tu.- sorrisi -Ma fingeremo che tu ci sia andata piano con me,
-Non potevo certo usare il pugnale.- si difese l'altra, agitandosi per liberarsi.
Risi nel vedere i suoi inutili tentativi.
-Te lo porti ancora dietro?- chiesi.
Lei smise di agitarsi, mi guardò, e scosse piano la testa.
-Puoi trasformarti e azzannarmi tutte le volte che vuoi senza che io sia in grado di fare nulla.
Tutta la mia allegria del momento venne spazzata via da quelle parole. Mi ero appena ricordato che, prima o poi, il mio compito era quello di convincerla a lasciarsi mordere. Lei era un lavoro.
-El...- cominciò lei -Ho detto qualcosa di...
-Addosso!- gridò Anne.
Sentii le penne che fendevano l'aria e alzai una mano.
-Scudo!- comandai.
Un muro invisibile si alzò dal terreno in mezzo a me e al gufo in forma ibrida. Rotolai nella direzione opposta, trascinando Jane con me. Lasciai la ragazza per terra e mi girai a fronteggiare il nemico ostacolato dal mio incantesimo, facendomi crescere gli artigli.
Non avevo interesse a mantenere ulteriormente lo scudo, perciò aspettai che cadesse e che Anne attaccasse. Invece di seguire i miei progetti però, il gufo sbatté le ali e si sollevò oltre la mia limitata barriera, senza alcun bisogno di frantumarla.
Anne sussurrò una Parola che non distinsi e aprì le ali piumate. Stava per scendere in picchiata, lo sape...
Il mondo intorno a me oscillò, facendomi barcollare con lui. Riconobbi i sintomi di un influenza mentale e mi maledissi per non aver saputo capire il Confondi che Anne mi aveva tirato contro. Incrociai le braccia sul petto, sapendo di non potermi difendere efficacemente.
Smisi di combattere contro la magia e feci il vuoto nella mia mente. Il Potere non trovò nessun pensiero da mischiare come un frullato e la sua presa scivolò via dalla mia testa.
Avevo dovuto imparare a infrangere da me piccole magie piuttosto presto, o Dikstra mi avrebbe fatto fare la figura dell'idiota lanciandomi influenze mentali nel bel mezzo della recita scolastica, o mi avrebbe Vincolato alla porta della scuola.
Balzai fuori dalla traiettoria della picchiata del gufo, ma questa virò in tempo prima di colpire il terreno. Si posò con gli artigli sull'erba, e poi si sistemò una penna dell'ala destra col becco scuro.
-Te lo concedo, stavolta sei stato bravo.- ammise Anne -Per oggi ti concedo una tregua.
M'inchinai, come se le fossi riconoscente, ma mentre ero a metà gesto un paio di braccia si strinse intorno al mio petto.
-Io no.- disse Jane al mio orecchio.
Tesi le mani verso il basso e le risposi con una sola Parola.
-Vincolo.
La ragazza mi lasciò andare per la sorpresa, ma si ritrovò il piede destro ancorato al terreno da un laccio invisibile. Mi voltai e le lanciai un altro caldo sorriso.
-Vediamo come te la cavi con questo.- la stuzzicai.
Lei sbuffò e tirò la gamba, che però si rifiutò categoricamente di staccarsi dal suolo.
-Non è giusto.- si lamentò Jane -Io non ho la magia.
-Ogni essere vivente ha la magia.- la contraddissi -Solo che solo quelli razionali riescono a controllarla, anche solo in parte, e quelli magici ci riescono meglio di tutti gli altri.
-Ti avviso quando comincio a sparare fulmini dalle dita.- promise acidamente quella.
-Comincia- la stuzzicai di nuovo -ad avvisarmi quando avrai spezzato il Vincolo.
Credo che Jane avrebbe potuto cercare di colpirmi se solo le fossi stato più vicino.
-Anne!- chiamò.
-È un buon esercizio.- la tradì il gufo mannaro -Il metodo è lo stesso che hai usato col libro.
La ragazza si sedette biascicando qualcosa di incomprensibile, e con il piede sempre bloccato, per poi chiudere gli occhi e regolarizzare dopo poco tempo il respiro. Percepivo la sua energia avere dei leggeri picchi, come una nube di scintille che si alzi all'improvviso da una brace senza fiamma ma che poi muoia subito.
-Ci sei vicina.- la esortò Anne, sentendo le stesse cose.
La fronte della ragazza si corrugò e una nube di scintille allentò la corda che le si attorcigliava intorno all'aura. Jane aprì gli occhi e si allontanò dal punto in cui era stata precedentemente confinata, trionfante, con una discreta dose di adrenalina nel sangue, stando al mio naso.
-Non mi mancherai quando te ne sarai andato in campeggio.- mi assicurò l'umana, ruotando il piede.
-Io ti avevo detto di pugnalarmi quando potevi.- le feci presente -E comunque da domani non ci vedremo più per due settimane, che immagino saranno troppo brevi per tutti e tre.
Il campeggio mi aspettava, praticamente un ritiro spirituale senza alcuna forma di comunicazione tecnomagica, eccetto due telefoni satellitari in caso di emergenza. O meglio, sarebbe stato una specie di ritiro spirituale, se nel gruppo non ci fossimo stati anche io e Phil.
-Io non vedo l'ora.- commentò Anne, per poi lisciarsi nuovamente le penne di un ala.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
Capitolo 9


Misi giù lo zaino da campeggio e mi abbandonai su una sedia del mio appartamento. Le due settimane precedenti erano state esilaranti, a partire da quando Phil aveva fatto arrabbiare un orso il secondo giorno ed era stato costretto a correre via urlando “Ritirata disordinata! Voli chi può!”. O meglio, era stato divertente finché l'orso non aveva deciso che io rappresentavo un cibo più succulento.
Avrei voluto continuare a riposarmi lì, ma sapevo che avevo promesso (maledizione a Phil per avermi convinto) di farmi vedere dagli altri per un'uscita a quattro con i gufi e con Jane quando fossimo tornati. Quando avevo chiamato il nostro appuntamento così Anne mi aveva fulminato dicendomi che un uscita a quattro si faceva tra due coppie di innamorati, di cui una non era composta da fratelli.
Io avevo continuato a chiamare la cosa un'uscita a quattro.
Uscii dall'appartamento, chiusi la porta a chiave e con la magia, salutai la signorina Kamiry che stava trasportando una torta al cioccolato ai nipoti, mi chiesi perché la lucertola non fosse mia nonna e mi avviai verso il confine del quartiere.
Arrivai al punto di ritrovo e mi guardai in giro. Ero ancora solo, nonostante fossi in ritardo di cinque minuti. Annusai l'aria, ma il mio naso nero non percepì odore di gufi, sentì però quello di un umana. Mi voltai verso il confine, ma non c'era nessuno, perciò mi misi su quattro zampe e cominciai a fiutare il terreno per seguire la pista.
Era indubbiamente Jane. Il suo profumo si allungava nelle protezioni magiche, diretto verso il centro del quartiere, prima di deviare improvvisamente. Evidentemente, Jane non aveva ancora imparato a difendersi da influenze mentali di quell'intensità, che comunque avrebbero potuto creare qualche problema anche a me se non fossero state create per agire solo sugli umani.
La raggiunsi in cinque minuti, mente si girava spaesata da una parte all'altra. Gli incantesimi non le permisero nemmeno di distinguere il grosso lupo mannaro che le si avvicinava. Aspettai di essere alle sue spalle prima di salutare.
-Buongiorno, umana.- mi annunciai.
Jane si girò lentamente, per nulla sorpresa.
-La puzza di cane ti ha preceduto di un paio di secondi- rispose lei, incrociando le braccia.
Mi annusai il dorso della mano. Oddio, avevo fatto un viaggio di ore e non avevo avuto nemmeno il tempo di lavarmi decentemente, non mi riusciva difficile immaginare il tanfo che lei percepiva. A Yellowstone non avevo certo a disposizione shampoo e balsamo, e gli unici bagni che facevo erano i tuffi nel fiume aiutati da un incantesimo per togliere la sporcizia.
-Mi spiace.- mi scusai -Non ho fatto in tempo a...
Lei mi bloccò mettendomi l'indice sul naso.
-Stavo scherzando El.- mi rassicurò, scuotendo il capo -Pensavo avresti capito.
M'imbronciai.
-So che l'odore di lupo non è esattamente dei più soavi.- sbuffai.
-Se ti può consolare- replicò lei -io puzzo di umano.
Risi.
-No.- la contraddissi, sorridendo -Tu hai un buon profumo.
Ci furono due secondi in cui io continuai a sorridere come un ebete, e in cui Jane arrossì. Mi ci volle tutta quell'eternità per capire che quello che avevo detto era negativo.
-Non nel senso di cibo.- mi affrettai allora a specificare -Nel senso di persona, cioè di donna...
Ancora peggio.
Uggiolai e abbassai il capo, desolato. Ero con lei da meno di cinque minuti e già facevo la figura del coglione.
Un braccio si strinse dolcemente attorno al mio, arruffandomi la pelliccia. Jane mi grattò un orecchio e io lo mossi, soffrendo il solletico, allora lei occupò anche l'altra mano a carezzarmi la pelliccia del braccio.
-Era da tanto tempo che non ti vedevo trasformato.- disse, senza continuare la conversazione di prima -Mi mancava il mio lupo mannaro.
Sentii un calore improvviso invadermi gli arti e le gote. Sfiorai la sua mano con la mia che era libera, consapevole della differenza tra le nostre pelli.
-Mi mancava- risposi -la ragazza che ha paura che mi tirino una fucilata.
Mi voltai verso la strada da cui ero arrivato.
-Ti porto dagli altri, ti va?- chiesi.
Lei annuì e si strinse al mio braccio, appoggiando il capo sulla mia pelliccia. Le feci da guida attraverso i muri di magia finché non arrivammo nel punto convenuto per l'appuntamento, dove i due gufi nella loro forma ibrida ci stavano già aspettando.
-Scusate ragazzi.- esordì Jane -Mi ero persa, e Elija mi è venuto a riprendere.
Philip annuì, sapendo che per lei andare avanti e indietro dalle protezioni poteva essere difficile, invece Anne ci accolse con un amorevole sorriso.
-Ciao, Elija.- mi salutò, sempre con quell'aria stucchevole -Phil mi ha detto che vi siete divertiti molto a mandare Yellowstone a fuoco.
-Nessuno dei nostri fuochi d'artificio magici ha appiccato incendi.- ci difese Phil immediatamente -E abbiamo pure piazzato degli incantesimi di riservatezza per non far spaventare gli altri animali.
-Poi Phil ha picchiato un corvo...- raccontai.
-Era spocchioso!- esclamò indignato lui -Mi ha visto da gufo è voleva il mio ramo tutto per sé. Solo perché era giorno e non notte non significava che lui fosse il signore della foresta, anch'io ho il diritto di appollaiarmi!
-Poi Phil ha picchiato lo stormo di gufi che ha cercato di uccidere lo stesso corvo la mattina dopo...- seguitai.
-I miei simili sono intelligenti ma irrispettosi.- sbuffò l'altro -Non capivano che quello era il mio pungball, non un bersaglio su cui affilarsi i becchi. E comunque tu hai incendiato il terreno.
Mi morsi il labbro.
-Quell'orso mi avrebbe attaccato!- insistetti -Ho dovuto trovare un modo per dissuaderlo, e poi le fiamme non erano sul terreno, ma le ho fatte levitare ad almeno venti centimetri d'altezza.
-Posso ridere?- chiese Jane, con la mano premuta sulla bocca.
-No.- risposi.
Lei premette il viso sulla mia pelliccia e si sforzò di ubbidirmi. Ovviamente, non ci riuscì, e quando alzò la testa e i nostri occhi si incontrarono, lei mi fece la linguaccia. Fui costretto ad afferrarla con ambo le zampe per ucciderla.
-Ehi!- mi interruppe Anne -La sapete la grande novità di New York?
Non lasciai la presa sulle sue spalle, che comunque giudicai abbastanza debole da permetterle di sgusciare via quando voleva. Decisi di voltarmi verso i gufi, ma non prima di aver dato un bacio sulla fronte alla ra...
Mi fermai e mi separai da lei a metà gesto. Da dove mi era venuta quella balzana idea?
-Che cosa è successo?- chiese Phil.
Anne ammiccò all'amica.
-Jane ha trovato un ragazzo.
Il mio cuore si fermò per un secondo. Il mio stomaco si chiuse dolorosamente e il sangue fischiò nelle mie orecchie. Un attimo dopo, mi sembrò che le mie vene fossero diventate di piombo, e un grande peso mi fosse crollato addosso.
-Anne!- esclamò la ragazza -Non è vero!
-Beh, semplicemente non è ancora ufficiale.- ribatté l'altra, lanciandomi uno sguardo.
Mi resi conto che il petto mi fremeva.
-E come si chiama?- la sfidò Jane -Il colore dei capelli? L'aspetto fisico? Dove l'ho conosciuto? Da dove viene? Quanti anni...
-Ok ok.- la interruppe Anne, alzando le ali in un gesto che le voleva dire di calmarsi -Era solo un innocente scherzetto, non ti arrabbiare.
Il peso enorme venne sollevato dalle mie spalle.
Mi voltai verso l'umana, il cui polso e odore dicevano che era arrabbiata.
-Non c'è nulla di innocente...- Jane chiuse gli occhi un secondo e trasse un respiro profondo -Va bene, non importa, non è successo nulla.
Anne le fece l'occhiolino, mentre Phil si toccava la tempia con un artiglio, per dire “È pazza”. E io dovevo smettere di sentirmi felice.
Spostai lo sguardo sulla ragazza, che mi lanciò una breve occhiata di sottecchi per però distogliere subito dopo lo sguardo. Le avrei detto tutto, quel giorno stesso. Avrei trovato un modo per stare da solo con lei e le avrei raccontato di tutta l'operazione, nei minimi dettagli. Così, quando lei si sarebbe arrabbiata, avrei ancora potuto dire di avere la coscienza a posto, almeno per la maggior parte.
Il pomeriggio passò troppo velocemente. Ogni minuto che passava mi avvicinava alla condanna in via definitiva, e non c'era nulla che potessi fare per cambiare le cose. O meglio, potevo stare zitto, lasciare Jane all'oscuro, ma sapevo che questo avrebbe solo peggiorato la situazione, perciò io in realtà stavo scegliendo di parlarle. Da quando formulai questo pensiero, cominciai a sentirmi un poco meglio.
Arrivai persino a cercare di affrettare la cosa, cercando un futile pretesto per restare soli prima che gli altri due se ne fossero andati, ma quando ci provavo o mi mancava il coraggio, oppure la situazione diventava imbarazzante e allora lasciavo cadere l'argomento. Non riuscii a godermi le ore di compagnia come mio solito, nonostante cercassi di pensare ad altro che non fosse la maledizione di Jane, come il corso di magia a cui dovevo andare alle sette. Quando però pensai agli incantesimi con cui mi dovevo impratichire, mi resi conto che il mio appuntamento serale mi toglieva ancora più tempo per parlare con la ragazza. Forse avrei dovuto rimandare.
Smisi improvvisamente di fantasticare. L'avrei fatto quel pomeriggio stesso, a costo di saltare il corso se Jane mi avesse costretto a parlare per ore, o mi avesse urlato contro per ore.
Ci fermammo davanti alla casa della famiglia Anderson.
-Immagino che questa sia la nostra fermata.- esordì Anne, agitando l'ala verso la porta -Io devo finire un saggio e Philip si ferma a cena prima di tornare a casa sua.
-Allora io riaccompagno Jane oltre il confine- mi offrii -tanto non è molto distante da casa mia.
Mi voltai verso la ragazza per sapere se a lei andava bene. L'altra annuì e io sospirai: avevo trovato la situazione che ci avrebbe permesso di restare da soli.
-Buona serata ragazzi.- ci salutò Phil, sollevandosi verso il balcone con un poderoso battito d'ali che mi arruffò la pelliccia.
Anne esitò, spostando lo sguardo da me a Jane.
-Il tema sul midollo spinale non si finirà da solo, sai?- l'esortò Jane, facendole un cenno con la mano.
-Lo stesso vale per te.- replicò l'altra.
-Infatti- rispose lei, incrociando le braccia -Io il mio l'ho già finito.
L'ibrido gufo scosse il capo e spiccò il volo verso il balcone di casa sua, lasciando le due creature senza ali sul marciapiede di fronte al cancello.
-Ci avviamo?- propose l'umana.
Io annuii e cominciai silenziosamente a camminare in direzione di casa mia. Forse avrei potuto arrivare al confine più velocemente da un'altra strada, ma mi risolsi a quella decisione perché speravo di poter sfruttare i sigilli di riservatezza imposti sulle mie pareti per tenere sicure le informazioni più scabrose.
La ragazza non disse nulla e mi seguì. La tensione stava crescendo nel silenzio, così cominciai a parlare.
-Jane.- chiamai
-Sì?- rispose lei, velocemente, forse felice di rompere il ghiaccio.
-Il giorno che mi trasformai davanti a te- continuai -ti ricordi che mi chiesi perché mi stavo rivelando a te?
-Sì.- rispose ancora, senza la sfumatura interrogativa di prima.
-E io non ti risposi.
-Già.
Vorrei non ci fosse nemmeno bisogno di farlo, pensai vorrei lasciare tutto così com'è. Ma non posso tentennare ancora, lei è pronta.
-Vorrei parlarti in privato.- sospirai -Mi faresti un grande favore se accettassi di ascoltare quello che ho da dire nell'appartamento che ho preso in affitto, perché possa attivare qualche incantesimo anti-spia. Però se preferisci possiamo andare a casa tua o da qualche altra parte.
Lei rimase in silenzio. La vidi prendermi a braccetto, e appoggiare il capo sulla pelliccia della mia spalla. Accettai di buon grado quel contatto: entrambi sapevamo che quello che avevo da dire avrebbe cambiato per sempre le cose tra di noi.
-Casa tua va bene.- accettò Jane, con il cuore accelerato da tensione e paura.
Mi venne l'impulso di intrecciare le sue dita alle mie, ma strinsi il pugno e me lo impedii. Non avrei dato falsi segnali a Jane.
La condussi fino al cancello del condominio, che poi aprii con un po' di magia. Salutai la signorina Kamiry stesa al sole nella sua forma ibrida, imitato da Jane, che si dimostrò stranamente prolissa nel salutare una donna vista solo una volta prima di quel momento. Non mi irritai per quel ritardo comunque, che mi parve una desiderata pausa durante un giro su una montagna russa troppo violenta. Prendemmo l'ascensore, arrivammo fino al mio piano, scendemmo, aprii la porta e lasciai entrare Jane per prima in casa, che ora mi pareva più un campo di battaglia che un posto dove vivere.
Entrai e mi richiusi la porta alle spalle. Mi preparai a tirare su le protezioni, ma mi trattenni, ricordando le buone maniere all'ultimo minuto.
-Vuoi qualcosa?- chiesi, sfregandomi le mani -Da bere? Da mangiare?
Jane scosse la testa, silenziosa.
-Allora almeno siediti- la invitai -nel frattempo io attivo gli incantesimi.
Aspettai che si fosse seduta su una sedia vicino al tavolo della piccola sala che conteneva soggiorno e cucina prima di voltarmi verso la porta e chiuderla a chiave. Sapevo che questo gesto era scortese, ma mi risolsi di lasciare la chiave alla ragazza per non farla sentire in trappola. Toccai il foglio di carta rigida attaccata alla parete, sul quale erano tracciate Rune con dell'inchiostro nero. Ci feci fluire un po' di Potere, e le Rune si attivarono, convertendo la magia grezza in uno schermo che bloccasse i suoni e impedisse alla porta di venire aperta dall'esterno.
Passai davanti a Jane e le lasciai la chiave sul tavolo, per dirigermi tuttavia verso un altro di quei fogli su un altro muro. Non avevo potuto apporre gli incantesimi direttamente sulle pareti perché la casa non era mia, ed era illegale imporre magie permanenti di quel genere in luoghi di proprietà altrui. Tuttavia, non era illegale apporli su dei fogli di cartone per poi attaccarli ai muri con del nastro biadesivo.
Attivai l'ultimo in camera mia, poi chiusi la porta e ritornai nella mia forma umana. Avevo deciso di affrontare così l'argomento cosicché quando fossimo arrivati all'argomento “trasformazione” Jane non avesse creduto che le volessi saltare addosso per morderla sul momento.
Indossai qualcosa di probabilmente inguardabile preso a caso e velocemente dall'armadio e ritornai nel soggiorno, dove la ragazza, ancora seduta, stava guardando le rune con aria disinteressata. Feci per sedermi anch'io, ma mi drizzai in piedi immediatamente dopo. Ero troppo teso per stare comodo.
-Vuoi un'arma per sentirti più sicura nel 33 per cento delle possibilità?- chiesi.
-Anche se mi dessi una pistola caricata ad argento- rispose lei, staccando lo sguardo dalle rune -io non saprei come usarla, e tu potresti disarmarmi con la magia non appena mostrassi di volerla usare.
La ragazza alzò la chiave della porta che le avevo lasciato all'altezza del viso.
-Un'arma sarebbe a malapena più utile di questa chiave.- continuò -Facciamo una prova: io ora scatto verso l'uscita, e vediamo se riesci a prendermi prima che possa raggiungere la porta, sbloccare la serratura e...
-Non cercherei di fermarti.- la interruppi, stringendo i pugni -Non lo farei.
Lei si morse il labbro, e la sua espressione mutò da decisa ad angosciata.
-Lo so.- rispose -Ma lo so perché mi fido di te, non perché potrei uscire di qui quando mi pare.
E stai per scoprire mi trattenni dal dire che la persona di cui ti fidi ti ha nascosto le sue vere intenzioni sin dall'inizio.
Mi passai la lingua sulle labbra.
-Sai come si cucinano le rane?- domandai.
Rane? Era davvero di questo che volevo parlare? Non potevo trovare un modo migliore per cominciare il discorso?
Anche Jane parve sorpresa, ma rispose comunque.
-Sì. Se getti una rana nell'acqua bollente lei ne salta via perfettamente illesa- raccontò la ragazza -ma se metti la stessa rana in acqua tiepida e poi la scaldi lentamente la rana non si accorge del pericolo e rimane ferma, fino a morire bollita. Devo averlo letto da qualche parte.
Annuii.
-È bene o male quello che è successo a me.- sospirai, avvicinandomi a un comodino a lato del tavolo -Farei di tutto per poter uscire da questa situazione, ora.
Era proibito portare a casa fascicoli contenenti informazioni confidenziali del Protettorato, e io non avevo l'abilità di sgraffignarne uno, a differenza di Dikstra. Così, ero riuscito a farmi dare da McGery una mappa che mostrava le diramazioni della maledizione di Jane, senza che però spiegasse da nessuna parte cosa quelle linee rosse significavano. Estrassi il foglio da un cassetto e lo misi sul tavolo, aspettando l'ulteriore domanda della studentessa.
-Cosa significa?- domandò Jane, studiando la mappa più da vicino.
-È l'estensione di una maledizione su cui il Protettorato sta lavorando.- esposi, prendendo la cosa alla larga -Al termine di ogni linea c'è una persona vittima dell'incantesimo, ma siamo certi che la carta non sia completa, perché questa è una magia che si annida nell'organismo, latente, ed è molto difficile da individuare.
Jane corrugò la fronte.
-Ma il centro delle righe è...- si fermò un momento -New York.
Rimasi zitto, accogliendo quella frase come un'affermazione che non richiedeva risposta.
-È una maledizione di vampirizzazione- dissi poi -cioè, fa trasformare la vittima dopo un lasso di tempo prestabilito. In genere un Artificiere come Phil può disinnescare questa specie di incantesimi, ma questo è stato applicato con tanta magia del sangue, e usando forme di energia intricate. Nemmeno gli Artificieri più esperti sono riusciti a capire come distruggerla.
-E quante persone ce l'hanno addosso?- domandò lei.
-Non lo sappiamo.- ammisi.
-Fai una stima.- insistette l'altra, chinandosi sul tavolo.
-Abbiamo scoperto, o meglio, hanno scoperto circa quattrocento casi- rivelai, spostando lo sguardo sulla mappa -ma sicuramente ce ne sono di più.
-Una persona che va incontro ad una trasformazione improvvisa...- esitai per cercare le parole -non è innocua come Dikstra, o come tutti gli altri vampiri o creature magiche che hai incontrato. Non sapranno come gestire la sete, sapranno solo di avere sete. Andranno a caccia per mangiare. Uccideranno le prime persone che capiteranno loro davanti.
Jane sbarrò gli occhi e inclinò leggermente la testa. Le avevo sempre parlato che le storie sulla mancanza di controllo di noi mutaforma erano calunnie, aveva persino visto Dikstra estremamente affamata che però non l'aveva toccata con un dito, e ora le stavo dicendo l'esatto opposto.
-L'hanno definito un attacco terroristico su scala mondiale.- proseguii -Dietro c'è un'organizzazione che si fa chiamare “Apostoli del Caos”. Vogliono che prendiamo il controllo della società umana, mentre la maggior parte di noi preferisce restare ancora nell'ombra.
-E io cosa...
Jane interruppe la domanda prima di poter finire di formularla. Il suo cuore e il suo odore mi dicevano che era spaventata, anche se io non volevo che lo fosse, anche se io volevo darle un conforto che non conoscevo il modo di concederle.
Dillo e basta.
Jane prese un respiro profondo.
-E qual'è il mio ruolo in tutto questo?- domandò, finalmente e troppo presto insieme.
Abbassai di nuovo lo sguardo sulla cartina, separando i miei occhi dalle sue iridi marroni.
-Tu sei il centro di tutte quelle linee rosse.
Mi concentrai solo sulla mappa sul tavolo, come se fosse la cosa più importante di tutta la stanza.
-La maledizione apposta su di te sostiene tutte le altre, le permette di esistere e di connettersi tra di loro a creare quella tela. La tua trasformazione darà il segnale di attivazione a tutte le altre. Sei quella che chiamiamo la colonna portante di questo genere di magie.
Non ebbi la forza di sollevare lo sguardo mentre su di noi calava il silenzio. Mi sembrava che il mio cuore facesse troppo rumore, che spezzasse una stasi necessaria alla rivelazione di quel tipo di notizia
-Tra quanto?- chiese Jane.
Non c'era bisogno che specificasse di cosa stava parlando.
-Poco meno di un anno e mezzo.- risposi -Ma non si può dire con precisione
-Vuoi dire che io adesso potrei...
-No.- la interruppi, con foga, alzando lo sguardo.
-No- ripresi, più dolcemente -ci saranno dei segnali... a partire da un paio di giorni prima. Per ora sei ancora nella fase latente.
Non riuscii a leggere l'espressione di Jane, potevo solo dire che mi sembrava apatica. Forse le sembrava tutto solo un sogno, e per certi versi anche per me era così.
-Quindi? Adesso sto qui e aspetto che la bomba a orologeria che sono diventata esploda?- domandò la ragazza.
Scossi la testa.
-Non possiamo permettere che tu esploda.- dissi.
La mia voce mi pareva strana: senza intonazione, senza cadenze di alcun genere.
-Se ti lasciassimo diventare un vampiro- proseguii -morirebbero migliaia di persone, e noi non possiamo annullare il maleficio, perché non abbiamo catturato il mago che lo ha elaborato. Lo stanno ancora cercando ma...
-Vieni al punto.- esclamò Jane -Ti prego.
Riuscii a incontrare veramente i suoi occhi solo allora. Mi resi conto che erano umidi.
-Se gli operativi non riuscissero a trovare il mago- confessai -allora, in capo a un anno e mezzo, tu dovrai trasformarti in una creatura magica diversa da un vampiro. La maledizione di vampirizzazione non potrà più continuare in te e tutta la tela sarà spezzata.
Strinsi i pugni e riuscii finalmente a sedermi. Sentivo il bisogno di nascondermi dietro al tavolo.
-Non c'è un'altra soluzione.- disse Jane.
Non suonava come una domanda.
-La soluzione non contemplabile- risposi -sarebbe la tua morte.
La ragazza si irrigidì e accartocciò involontariamente un angolo della cartina che stava stringendo. Tesi un braccio fino a toccarle la mano chiusa a pugno. Non fu colpa mia, lo feci senza pensare.
Lei si ritrasse, sottraendosi al contatto.
-Nessuno ha intenzione di...- cominciai.
-Lo hai saputo per tutto questo tempo, vero?- mormorò.
Nemmeno questa era una vera domanda.
-Sì.
Non c'era altra risposta che potessi dare.
-Philip mi ha detto che eri coinvolto in un'operazione speciale.- raccontò lei -Ma non avrei mai immaginato... che fossi...
-Non è...- persi le parole -Io...
A Relazioni Umane mi avevano insegnato che a volte bisogna dire quello che una persona vuole sentire per farla stare meglio. Ma a me non interessava: io volevo dire quello che io avrei voluto dire. Volevo liberarmi di quell'ansia che gli occhi di Jane mi mettevano addosso, volevo che ritornasse a sorridermi, a parlarmi.
-Io non volevo che fossi tu.- sussurrai, ma erano parole che non avevano senso e me ne rendevo conto -Quando sono venuti da me io ho accettato un caso: cercare di far vivere un evento traumatico in modo accettabile. Però ora io...
Maledizione. Però ora io vorrei non aver accettato il caso? Pensai di dirlo, ma le parole di Dikstra mi rimbombarono nella testa prima che ne avessi l'occasione. Le altre possibilità sarebbero state trasformare Jane con l'inganno o di sorpresa. L'altra possibilità sarebbe stato liberare la strada per Tom.
Tu sei l'agente più adatto per questo ruolo.
-Un caso? Avrei dovuto pugnalarti quando ne avevo la possibilità.- esclamò Jane, alzandosi di scatto -Sono un caso per te?!
La sedia della ragazza cadde per terra con un gran tonfo.
-No!- urlai di riamando -Come puoi anche solo pensarlo?
-Non lo so.- mi rispose ironicamente lei -Magari perché ogni attimo che hai passato con me era solo per convincermi a farmi pungere, mordere o qualunque altra cosa serva per trasformarmi in una di voi.
Sentii una stilettata nel petto.
-Ti ho detto che ti consideravo un'amica.- replicai -Non mentivo, non ti ho mentito su nessuna delle cose che consideravo importanti.
-Ma la mia situazione non cambia!- ribatté lei, secca.
-Ma io non posso cambiarla! Vorrei ma non posso! Non volevo tenerti nascosta una cosa così importante, e detestavo quello che stavo facendo ogni giorno di più. Ma dimmi: come avresti reagito se ti avessi detto tutto il primo giorno?
Distinsi rabbia nei suoi occhi, e un'altra stilettata mi colpì. Sembrava che Jane, dopotutto, non avesse bisogno del pugnale.
-Io...
Le parole che aveva pensato di avere non uscirono dalle sue labbra. Rimase ferma, con la bocca semiaperta, e la rabbia che le scemava dall'espressione.
-Io non volevo che fossi tu.- sussurrò -Io non voglio essere un caso. Non per te.
-Non lo sei mai stata.
Jane rimase in piedi, tremante, io rimasi seduto, nello stesso stato, la cartina era finita chissà dove. La ragazza si voltò e fece per sollevare la sedia.
-Ti ho fatto cadere...- cominciò, ma esitò quando vide che con uno scatto ero arrivato vicino a lei e avevo afferrato il mobile.
-Te l'avevo detto che avere la chiave della porta per me era inutile.- mi rinfacciò.
-Facciamo una prova.- la sfidai -Ora tu te ne vai ricoprendomi di ingiurie, e vediamo se io ho il coraggio di fermarti e dirti che hai torto.
Jane restò immobile e io la ringraziai silenziosamente per questo. La ragazza non si mosse nemmeno quando rimisi in piedi la sedia e la invitai a sedersi, ma la rabbia era sparita completamente dal suo volto.
-Cosa devo fare, El?- chiese all'improvviso.
Scossi la testa.
-Nulla.- la rassicurai -Dikstra e gli altri agenti speciali troveranno il mago che ha creato il maleficio e scopriranno i suoi punti deboli. Se anche questo non succedesse... tu...
-Preparati?- mi suggerì lei.
Mi schiaffeggiai sulla faccia un sorriso allegro.
-Cosa? No! Avrei detto “scegli”.- specificai -Pensa di essere a un grande supermercato: puoi prendere i gufi, i serpenti, i delfini, insomma di tutto. Aspetta, trovare un narvalo potrebbe essere un tantino difficile, e l'unico mutaforma orso che conosco fa il guardiacaccia a Yellowstone.
-E i lupi?- chiese lei, sorridendo a sua volta.
Al baluginio dei suoi occhi, le stilettate smisero di pulsare.
-Non li prenderei in considerazione, sono terribilmente sopravvalutati.- la consigliai, annuendo con l'aria di chi la sa lunga sull'argomento.
Non parlammo ancora per molto, o forse un paio di brevi frasi smozzicate non possono nemmeno essere definite “parlare”. Jane disse di avere bisogno di andare a casa sua a staccarsi dalla parte sovrannaturale della sua vita. Io capii, nonostante provassi ancora il desiderio di giustificarmi, di farmi perdonare.
-Vuoi che ti accompagni?- mi offrii, dopo che le ebbi aperto la porta.
-I confini non impediscono agli umani di uscire dal quartiere.- mi ricordò Jane.
L'umana mi tirò una gomitata sulle costole, a rinsaldare il concetto. Non mi aveva toccato da quando le avevo detto della maledizione.
-Allora arrivederci.- salutò Jane.
-Prima che tu vada- la interruppi -forse, vorresti... cioè sarebbe meglio... cioè potrebbe essere utile...
Sospirai. Jane sembrava divertita.
-Una visita al Protettorato.- riuscii a concludere -Ci sono persone... più brave di me.
Lei capì, e un po' di allegria le svanì dal viso.
-Penso di sì.- rispose -Ma la mia serata umana comincia ora, perciò ciao.
-Ciao.- ricambiai il saluto, cercando di apparire quanto più umano possibile.


-Sei pronta?- mi preoccupai -Sappi che le cose potrebbero essere un tantino caotiche.
A smentire la mia affermazione un barbagianni in forma ibrida ci passò volando sopra la testa, facendomi arruffare il pelo e facendo volare via l'elastico dei capelli di Jane. La porta si aprì automaticamente e il volatile ci si fiondò dentro, stringendo un pacco tra gli artigli.
-Chi era?- chiese Jane, spostando tutte le ciocche di capelli che le erano finite sul viso -Un agente speciale richiamato per qualche emergenza?
-Lui è John- risposi tranquillamente -Porta le pizze.
La ragazza mi guardò in silenzio per un secondo prima di andare a recuperare l'elastico, finito poco lontano da dove ci trovavamo noi. Dall'odore della scia del gufo, dedussi che molti miei colleghi avessero ordinato pizza al salame.
-Allora andiamo.- stabilì lei, legandosi di nuovo la chioma.
Annuii e la accompagnai all'ingresso delle porte vetrate.
-Ricordati: prima entro io e poi tu, per la normale procedura di sicurezza. Essendo tu una visitatrice, ti faranno qualche controllo in più prima di farti passare, ma non hai nulla di cui preoccuparti.- la avvisai di nuovo.
-Ho un minimo di memoria. Non serve che me lo dici ogni cinque minuti.- protestò lei, fermandosi con me davanti alle porte scorrevoli.
-Allora sarà meglio che la tua memoria ti aiuti bene- replicai, mentre i pannelli si aprivano per lasciarmi passare -perché se te ne dimenticherai e cercherai di andartene, ogni agente lì dentro avrà l'autorizzazione di aprire il fuoco.
-Scherzi vero?- mi bloccò Jane, afferrandomi per il braccio.
-In parte.- confessai -Degli incantesimi qui dentro possono metterti KO se cerchi di fuggire, ma se riesci a rompere il vetro il direttore della centrale può attivare le magie letali, ma solo in quel caso.
Jane sgranò gli occhi e fece un passo indietro.
-Diciamo che ti lascio andare volentieri per primo.- mi rassicurò.
Le lanciai un sorriso d'incoraggiamento e oltrepassai la soglia. Le porte si richiusero dietro di me immediatamente dopo. Poggiai la zampa sul sito di riconoscimento ed evocai un po' di Potere, cosa che fece risuonare un lieve din don all'interno dell'ambiente e aprire le porte interne.
Mi voltai per controllare che Jane fosse ancora fuori, e notai con piacere che non era scappata. Le mostrai la mano col pollice in su e varcai le porte interne, entrando nella centrale. La ragazza guardò con sospetto le porte a vetri che si erano appena aperte davanti a lei, per poi prendere un bel respiro e varcare la soglia.
-Controllo visitatore attivato.- avvertì la voce del computer -Visita su appuntamento della signorina: Jane Mory. Prego comunicare agente garante dell'identità.
Mi schiarii la gola e mi avvicinai allo schermo sulla parete di fianco alle porte.
-Elija Blackfur.- scandii.
Lo schermo divenne bianco, per poi far apparire il mio nome e le tre foto di me in forma umana, animale e ibrida.
-Controllo aura richiesto.- mi avvertì il computer -Oppure premere il pulsante ANNULLA.
Misi la mano artigliata sul touch screen e evocai altra magia.
-Identità dell'agente garante: confermata.- rispose la macchina dopo un secondo -Procedura di controllo di sicurezza: attivata.
Le luci tra le due porte diventarono rosse, poi verdi, come se qualcuno avesse deciso di far cominciare una discoteca. Un lieve ronzio fungeva da musica, ma per una vera festa mancava il dj.
-Din don.- fece il computer -Controllo terminato. Nessun pericolo rilevato.
McGery doveva aver programmato il protocollo per non far urlare ai quattro venti il fatto che Jane avesse addosso una maledizione di vampirizzazione. Qualcuno aveva fatto le cose come si deve.
Una sezione della parete alla sinistra della ragazza venne avanti, rivelandosi un piccolo tavolo con sopra un cartellino su cui c'era scritto Visitatore.
-La signorina è pregata di indossare il cartellino e di non rimuoverlo per tutto il tempo della sua permanenza.- raccomandò la voce elettronica -Buona giornata.
Jane si mise il cartellino al collo con un gesto lento, osservando le porte aprirsi per lasciarla passare. Varcò la soglia con circospezione, come se si aspettasse che questa si chiudesse all'ultimo secondo.
-Non lo rifarò mai più.- sentenziò, uscendo -Se provi a riportarmi qui dentro prenderò l'abitudine di coltivare strozzalupo.
-Capisco come si deve sentire.- disse una voce suadente alle mie spalle -I controlli di sicurezza sono piuttosto irritanti, ma purtroppo necessari.
Mi impedii di stringere i pugni, ma non potei fare lo stesso per evitare che la pelliccia sulla mia collottola si drizzasse. Tom era l'ultima persona che volevo vedere in quel momento.
Jane spostò lo sguardo da me e io mi voltai, in tempo per osservare il licantropo in forma ibrida dalla pelliccia marroncina a macchie chiare scendere dalle scale che conducevano al piano superiore.
-Non sono stata trasformata in un rospo, né fulminata- rispose Jane -mi ritengo soddisfatta.
-Essere un rospo mannaro non è così male come sembra. O almeno, così mi hanno detto.- scherzò Tom, sorridendo in maniera seducente.
Ingoiai il ringhio che voleva uscirmi dalle labbra, consapevole del mio ruolo in quel momento nella conversazione.
-Jane, questo è Tom Witchwood.- li presentai -Tom, questa è Jane Mory.
Il lupo strinse la mano che la ragazza gli offriva.
-Incantato.- mormorò, piegandosi col busto per baciarle la pelle.
-Scudo!- ordinai.
Il naso di Tom sbatté contro la mia barriera invisibile, e lui si drizzò, storcendo il muso. Per un attimo solo mentre avvicinava il muso alla mano della studentessa, mi era sembrato di vedere le sue labbra dischiudersi per lasciare posto al baluginio delle zanne. Avevo agito d'istinto, prima ancora di poter pensare a quello che stavo facendo.
-Devo rubartela.- mi scusai -Il capo la vuole vedere subito, e sai com'è fatto. Se lo facciamo aspettare finirà male per tutti e due.
Tom si grattò il naso, con una lieve espressione di disagio.
-Capisco. Allora ci rivedremo in giro, Elija. Spero di rincontrare anche voi, mon cher.- salutò Tom, lasciando andare la mano della ragazza.
-Arrivederci.- salutò Jane, prima di seguirmi per salire su per le scale.
A ogni gradino che salivamo la mia tensione scemava, man mano che ci allontanavamo dal licantropo. Non sapevo se Tom avrebbe osato mordere Jane in quel modo, ma sapevo che se lo avesse fatto gli sarebbe stato ordinato di seguire ed aiutare la giovane per tutto il tempo necessario perché si ambientasse. Il suo sarebbe stato un gesto grave, certo, ma sapevo di precedenti in cui un licantropo non riusciva a tenere ben serrate le labbra e mordeva per sbaglio qualcuno. Tom avrebbe potuto uscirne con una lavata di capo, forse una temporanea sospensione per chiarire il caso, ma alla fine non gli sarebbe successo nulla di definitivo. È avrebbe potuto passare molto tempo con Jane, cosa a cui forse puntava sin dall'inizio, da quel bicchiere drogato.
Che i miei timori fossero fondati o meno, stavo ormai tirando un sospiro di sollievo.
-Ehi, Elija!- mi richiamò la voce che speravo di non sentire più per quel giorno.
Mi voltai e vidi Tom lanciare un sasso che si doveva essere preso da una tasca dell'uniforme. Afferrai l'oggetto per riflesso, e immediatamente sentii che era magico. Chiusi gli occhi e mi preparai a qualunque cosa sarebbe successa nell'istante in cui l'incantesimo si attivò.
Non sentii dolore, né alcunché che non fosse una sensazione soffice sulla pelle della mano che prima stringeva il sasso. Aprii le palpebre, col Potere che ormai circolava in me, pronto a respingere un assalto magico.
Con mia sorpresa, nella mia zampa c'era, con un manico fatto da nastro bianco annodato, un bouquet di rose rosse.
Nei tre secondi che rimasi fermo a fissare i fiori tutte le persone intorno a noi avevano voltato lo sguardo sulla scena. Nei due secondi che fissai Tom, sbalordito e sicuramente imbarazzato, qualcuno di più lontano si avvicinò per caso e si bloccò, nel clima di silenzio generale.
Poi mi arrivò l'ispirazione.
-Io... sono lusingato Tom- dissi -ma non credo di essere il tuo tipo.
Il licantropo strinse tanto i pugni che se fosse stato umano gli si sarebbero sbiancate le nocche. Separò lo sguardo da me e lo punto alla sua destra, alzando il mento. Seguii i suoi occhi per vedere Phil, in forma umana e appollaiato sulla balaustra di sicurezza che dal secondo piano dava sull'atrio, sorridergli, compiaciuto.
Dopo un'ultima occhiata furente Tom si voltò e si fece largo tra la piccola folla di astanti, sparendo dalla mia vista.
-Cosa è successo?- s'informò Jane.
-Beh c'è un piccolo dissapore tra me e Tom- raccontai, ricominciando a salire le scale -ma non sono sicuro di cosa sia successo adesso.
-Non mi sembrava antipatico.- commentò lei, seguendomi.
Scrollai le spalle.
-Immagino dipenda dal carattere di una persona.- giustificai la mia opinione.
Non volevo rendere Jane partecipe del mio rapporto con l'altro licantropo, perché le mie accuse erano gravi e non provabili. Cercai di lasciar cadere l'argomento, anche se avrei preferito trovare un modo per non farle avvicinare mai più Tom Witchwood.
-Non mi hai ancora detto su cosa si basi il vostro litigio.- replicò lei.
-Dissapore.- specificai.
-È praticamente la stessa cosa.- sbuffò lei, roteando gli occhi.
Rimasi in silenzio per un paio di secondi, pensando a come risponderle senza citare il fatto che avesse tentato di avvelenarmi.
-Ho sempre trovato Tom troppo ambizioso- spiegai -disposto a tutto pur di raggiungere il suo scopo, e, se mi è concesso di dirlo, leggermente narcisista. È uno specializzando in Relazioni Umane anche lui, perciò a volte ci siamo trovati in competizione e queste sue caratteristiche mi hanno irritato.
Raggiungemmo la fine delle scale e io la condussi verso la sala riunioni, dove McGery la stava aspettando.
-Quindi è una questione di rivalità.- dedusse lei.
Ci riflettei su.
-No, non è quello.- dissentii -È più il modo in cui lui vive la rivalità a rendermelo odioso.
-E ora non vorrai dirmi che ti ha rubato la ragazza?- si preoccupò Jane, lanciandomi un'occhiata di sbieco.
Mi misi una mano sul muso e le diedi le spalle, fermandomi.
-Pensarci... mi fa ancora stare male.- singhiozzai.
Ci fu un istante di silenzio.
-Oh... aspetta.- dissi, sollevandomi e scoprendo il viso -No, questo non è mai successo, quindi non ho ragione di piangere.
-Ho appena deciso di farmi scortare da qualcun altro.- m'informò Jane.
Le sorrisi, ma lei per tutta risposta mi lanciò uno sguardo dubbioso. Ripresi a camminare, sempre con le rose in mano.
-Tom è sempre stato molto bravo con le donne, perciò non ci siamo mai scontrati su questo terreno: ogni ragazza avrebbe preferito lui a me.- raccontai.
-Sì, certo...- commentò ironicamente Jane.
Mi voltai.
-Sono serio.- insistetti.
Lei si morse il labbro e scrollò le spalle.
Giungemmo finalmente davanti alla porta della sala riunioni, aperta e con i sigilli per la segretezza momentaneamente dormienti. McGery e la signora Mason, un'agente che si occupava del caso e che aveva anche esaminato la mia tecnica di combattimento erano già all'interno. Il capo si alzò per andare ad accogliere la visitatrice, e sentii Jane stringersi un poco a me, mentre incontrava il muso da rapace del Generale.
-Jane, lui è il Generale McGery, mentre lei è la signora Mason.- presentai i due sconosciuti alla ragazza -Loro ti aiuteranno.
Il capo le offrì i tre artigli dell'ala destra e lei li strinse timidamente.
-Piacere, signorina Mory.- salutò McGery -Sarebbe meglio discorrere in sala riunioni, dove potremo avere un po' più di riservatezza.
Jane annuì e fece un passo avanti, poi si guardò dietro e si fermò, vedendo che io non accennavo a seguirli.
-Potreste dover parlare di cose che non mi riguardano.- spigai, cercando di sembrare rassicurante -Mi è stato chiesto di lasciarvi parlare in privato.
La ragazza parve sorpresa dalla mia affermazione.
-Ok, non fa niente.- si scusò lei -Pensavo... cioè non volevo che fossi la mia guida per forza, scusa.
-Non ti preoccupare.- risi -E comunque ti aspetto qui in giro, chiedi dov'è la mia scrivania se non mi trovi.
Lei annuì ed entrò nella stanza. Prima che le porte si chiudessero da sole, i nostri sguardi si incrociarono per un ultima volta.
Aspettai che la persona che mi stava seguendo facesse un paio di passi avanti prima di voltarmi e di lanciarle il mazzo di fiori. Phil lo afferrò con agilità, passandoselo brevemente sotto il becco per annusarlo.
-Bel colpo.- mi complimentai -Ma non eri obbligato.
Lui mi sorrise e mi fece l'occhiolino.
-Oh, andiamo- ridacchiò -il tuo nome era scritto ovunque sull'incantesimo di fulmine stordente che Tom aveva comprato in rete. Non potevo non manometterlo.
-Le gioie di essere un Artificiere.- commentai -E ora riprenditi i tuoi fiori.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


 
Capitolo 10


Dal giorno in cui le dissi tutto, non potei fare a meno di sentire più vivamente che mai la sensazione di rimorso per tutte le menzogne che avevo raccontato. Volevo farmi perdonare, con ogni mezzo possibile. Eppure, la mia confessione mi aveva liberato dal peso opprimente che la necessità di continuare a ingannarla aveva costituito. Mi dispiacevo per quello che avevo fatto, certo, ma almeno non ero più angosciato, e, sotto sotto, credevo di aver fatto la cosa migliore nella mia situazione. Avrei solo voluto aver trovato un'alternativa valida.
Il tempo che trascorrevo con Jane mi sembrava più pieno di prima. Sapevo di averla ferita, ma lei non infierì sulla piaga che mi ero autoinflitto facendolo. Ero deciso a sfruttare la seconda possibilità che mi stava offrendo per riguadagnare la fiducia che temevo di aver perduto.
La ragazza osservò con attenzione i due palmi umani di Anne, tesi verso di lei. Jane avvicinò la sua mano a quella sinistra del gufo, poi a quella destra, infine, indicò con sicurezza la prima a cui si era accostata.
-Questa.- scelse.
-Quinta risposta giusta su cinque!- esclamò Anne -Ormai è ufficiale, percepisci la magia.
Sorrisi. Era stata il gufo ad accorgersi che Jane cominciava ad avere comportamenti strani quando si avvicinava ad auree di potere. Continuava a grattarsi il collo, oppure si passava le mani sulle braccia. Quando le avevamo chiesto il perché di queste anomalie lei aveva risposto che quando stava con noi c'erano momenti in cui sentiva una specie di prurito.
Allora Anne aveva escogitato una prova: aveva evocato del Potere in una delle sue mani, a caso, ed eravamo stati a guardare se l'umana riusciva a capire quale delle due era. E la ragazza non aveva mai sbagliato.
-Ma... io... io non sono come voi.- balbettò Jane, spostando lo sguardo verso di me.
Il suo cuore accelerò, e un tanfo di paura si sollevò dalla ragazza.
-Ogni essere interagisce con l'energia di cui è fatto questo mondo.- spiegai -I sensi degli umani sono come assopiti, perché non ne avete bisogno e vivete lontani dalle forme più potenti di magia. La tua esposizione al Potere nel quartiere magico ha semplicemente riattivato la tua sensibilità.
-È perfettamente normale.
Non la rassicurai dicendole semplicemente che non si stava ancora trasformando, perché Anne non doveva sapere niente della maledizione. Meno persone lo sapevano, più Jane era sicuro.
-Quindi da adesso potrò lanciare incantesimi?- chiese la ragazza, speranzosa.
-Forse, tra una decina d'anni.- rispose il gufo, con un'espressione dispiaciuta.
Il volto di Jane s'incupì.
-Ehi, voi umani siete lenti a imparare queste cose.- si giustificò Anne -La vostra capacità di manipolare la realtà va svegliata a schiaffi. Se vuoi un metodo veloce per diventare una maga fatti mordere da Elija.
Jane sussultò e io strinsi involontariamente l'orlo della mia felpa. Staccai lo sguardo dalla ragazza rivolgendolo al muro.
-Vado a controllare le pizze.- si congedò l'umana, alzandosi di fretta per andare in cucina.
Eravamo in casa di Jane tutti e tre. La studentessa ci aveva dato appuntamento lì perché aveva voglia di “un incontro tra amici alla vecchia maniera”. Stava facendo cuocere delle pizze surgelate in forno per cena, ma la sua uscita di scena non mi sollevò dall'imbarazzo.
-Posso sempre pungerti io se i lupi non ti piacciono.- si offrì il gufo.
Jane non si voltò ed entrò in cucina.
Cercai qualcosa che potesse sbloccare la situazione, ma non trovai nulla nemmeno nei miei ricordi di Relazioni Umane. Ai corsi ti insegnavano come gli umani si comportano, non come resuscitare conversazioni morte.
-La pizza è pronta.- annunciò la ragazza.
Il cibo era un'ottima ragione per essere felici e socievoli, ma quando cominciammo a mangiare eravamo ancora tutti in silenzio.
-Stai lavorando a qualche disegno nuovo di recente?- chiese Anne, dopo un lunghissimo minuto.
Jane si concentrò su un pezzo di formaggio prima di rispondere.
-Sì.- confermò.
-E...- la incoraggiò Anne.
La ragazza scosse le spalle.
-Sai che non faccio vedere spesso quello che faccio. Quando qualcuno mi dice che sono brava è un insulto a quelli che lo sanno fare davvero bene.- replicò.
-Ma tu sei brava.- la contraddissi.
Lei si voltò verso di me di scatto e con un volto sorpreso.
-Tu continuavi a criticare i miei disegni!- mi accusò.
-Era per spronarti a fare meglio, per spingerti a mostrare il tuo potenziale!- mi giustificai.
-Ho rifatto un ritratto sei volte perché a te non andava mai bene!
-Ma alla fine era grandioso!
-Cosa?! Dai del grandioso a un tuo ritratto?!- chiese Jane, inclinando la testa -E poi dai del narcisista a Tom?!
Anne afferrò una spalla della ragazza e la costrinse a voltarsi verso di lei.
-Aspetta, gli hai fatto un ritratto?- intervenne il gufo.
-Non sapevo fosse il mio!- mi difesi energicamente -Credevo stessimo parlando per metafore!
-Non sapevo fosse lui!- si difese Jane, indicandomi -Credevo fosse solo un randagio di strada!
Ci squadrammo tutti per un secondo senza più dire niente, poi Jane cominciò a ridere, e io e Anne la imitammo.
-Era ora che vi rilassaste un po'.- ci rimproverò il gufo, addentando un'altra fetta di pizza -In quoespho perhiomo... mui sembrahate deprehessci.
-Mai pensato di deglutire prima di parlare?- suggerii.
-E poi magari ripeti quello che hai detto.- aggiunse Jane.
Anne ingoiò il boccone prima di ricominciare.
-In questo periodo mi sembravate depressi.- ripeté, squadrandoci.
Io e Jane ci guardammo. Avevo una scusa pronta migliore del semplice “non credevo di essere di un umore diverso dal solito”, ma mi interessava sapere quello che avrebbe detto lei. In più, avevo sempre paura di essere indelicato nei confronti dell'umana di recente: temevo di fare qualcosa che ferisse la ragazza più di quanto non lo fosse già.
-Problemi sul lavoro.- risposi per rompere il silenzio che si stava creando di nuovo -Nulla di irrisolvibile.
Guardando quelle iridi nocciola mi venne voglia di chiederle di nuovo perdono in ginocchio.
-Un collega ha regalato a El un mazzo di rose rosse in ufficio.- spiegò Jane, sorridendo divertita.
Sgranai gli occhi. E questo cosa c'entrava?
-Oddio...- esclamò Anne -Elija... è fantastico! Chi è?
-È un licantropo di nome Tom ma...- spiegai, ma venni interrotto.
-Quindi sei del tipo “lupo va con lupo”, eh?- Anne mi fece l'occhiolino -Immagino che però abbia altre qualità...
-È stato lui a darmi le rose- le ricordai -significa che...
-È anche romantico!- continuò Anne, alzando gli occhi al cielo e sorridendo beata -Peccato non gli piacciano le ragazze, o io ci avrei fatto un pensiero.
-Non è come...- cercai di intervenire, ma Jane mi precedette,
-E non dimentichiamoci che lo ha fatto davanti a tutti i loro colleghi.- raccontò Jane.
-Elija sono così felice per te!- esultò il gufo.
-Non era un anello quello che avevo visto attaccato al biglietto?- chiese ancora l'umana, sorridendo candidamente.
-Vi sposa...
-Silenzio!- esclamai, stendendo le mani verso le due donne.
I bavagli magici si premettero sulle loro bocche e le chiusero, lasciando posto solo a un lieve mugolio di protesta.
-Philip ha fatto uno scherzo a Tom- raccontai -rivoltando contro di lui un giochetto che Tom voleva a sua volta fare a me. Quel licantropo voleva tirarmi contro una pietra con un incantesimo elettrico, ma Phil l'ha scoperto e l'ha manomessa, cambiando la magia.
-Quelle rose non erano un illusione- continuai -quindi credo che Phil abbia distorto lo spazio per mettere quei fiori in una sacca interdimensionale...
-Puoi saltare tutto l'aspetto di spiegazione magica.- intervenne Anne, liberandosi dal bavaglio -Comunque, Jane, potevi dirmi subito tutto.
Stavo per rompere il bavaglio dell'umana quando lei parlò.
-Era per mettere in imbarazzo El.- spiegò, dandomi una gomitata.
Mi voltai verso la ragazza, sorpreso che avesse spezzato da sola la magia in così breve tempo, soprattutto considerando che era umana. O meglio, considerando che era ancora umana: questa situazione non sarebbe durata per molto.
-Hai già infranto l'incantesimo.- mi meravigliai.
Jane mi guardò di sottecchi e i suoi occhi fermarono i miei pensieri di poco prima.
-Ho avuto ottimi insegnanti.
La conversazione si allontanò dall'argomento sulle mie nozze con Tom Witchwood, cosa che Anne diceva di essere comunque convinta sarebbe avvenuta, prima o poi, e nonostante tutte le mie obiezioni.
-Anne- chiese l'umana, verso fine serata -com'è essere un gufo?
Io tesi le orecchie e mi drizzai, teso, perché sapevo che quella domanda aveva attinenza alla maledizione di Jane. L'altra bevve un sorso dalla bottiglia di birra.
-Allora stai pensando seriamente di farti pungere.- la stuzzicò.
-Mi sembrava solo strano non avertelo mai chiesto.- spiegò lei, sollevando le spalle -E lo ho scoperto in maniera anche abbastanza drastica, quando tuo fratello si è gettato da un balcone.
-Anch'io ho saputo che tu sapevi in maniera abbastanza drastica- continuò Anne -con un messaggio di Phil che diceva più o meno “Ciao, Jane sa che siamo gufi. Mamma vuole sapere se ci sei per pranzo domenica.
-Philip è solo fatto a modo suo.- lo difesi -È un gufo un po' esplosivo.
-Lo sarà davvero quando lo manderò in orbita su uno dei suoi fuochi d'artificio magici.- replicò la sorella del gufo, socchiudendo gli occhi.
-Ritornando alla tua domanda- continuò Anne -a dispetto di tutto quello che sentirai dire sul fatto che siamo deboli, fragili con le nostre ossa cave eccetera, noi possiamo volare. E volare è semplicemente meraviglioso. Non cercare di dire il contrario, lupo.
-Non ne ho alcuna intenzione.- assicurai.
-Bene.- replicò soddisfatta lei -Ho sentito dei mutaforma terrestri parlare di quanto sia bello correre. Sono tutte bufale.
Feci una smorfia.
-Può essere considerato bello solo da chi non ha mai sentito il vento sotto le ali.- continuò Anne -Ci sono momenti in cui ci si sente perfettamente liberi, in cui puoi solo... seguire il vento e andartene, ovunque, senza mai fermarti.
-E tu non hai mai visto Phil lanciarsi giù dall'Empire State Building.- aggiunsi, annuendo -Le loro picchiate raggiungono velocità impressionanti.
Jane inarcò un sopracciglio.
-Per caso vi siete messi d'accordo per fare pubblicità ai gufi mannari?- domandò.
-Vola con noi, diventa un volatile!- recitai, come in una televendita -Prenota la tua puntura, beccata o altro chiamando il numero in sovraimpressione. Per maggiori informazioni consulta il nostro sito internet.
-Fate anche lo sconto ai bambini?- domandò Jane.
-No.- rispose Anne, dando una spintarella all'amica -Ma c'è l'offerta “prendi tre paghi due”.
Jane scosse la testa e io le feci la linguaccia. A quel punto fu lei a dare una spinta a me. Se fossimo stati nel quartiere magico e avessi avuto addosso dei vestiti elastici mi sarei trasformato in lupo e avrei accettato la sfida. Ma, dopotutto, andava bene anche ricambiare con un sorriso esageratamente cortese.
-Lasciando da parte le offerte- cambiò discorso Jane -ho sentito che il prossimo sabato nel quartiere magico c'è la festa di Michael Er... qualcosa.
-Michael Ershall.- completai la sua frase -Fu l'uomo che s'impegnò maggiormente a garantire l'eguaglianza alle specie magiche e contribuì a sedare vari conflitti.
-Appunto. Pace all'anima sua.- approvò Jane.
-È ancora vivo.- la corresse Anne.
-Ci andiamo si o no alla festa?- sbottò esasperata l'umana.
-Ovvio.- risposi, ridacchiando e beccandomi un'occhiataccia dalla ragazza per questo.
-Certo che sì.- accettò Anne -Dopotutto, noi due saremo già nel quartiere, sarai tu a dover fare la strada.


Non attendevo al confine da molto, quando le mie orecchie si mossero in automatico per captare meglio il suono di passi. Nonostante la mia forma ibrida avesse un udito acuto, riuscii a udire l'avvicinarsi di Jane con meno anticipo del solito, a causa dell'eccessivo rumore proveniente dal centro del quartiere.
La ragazza si approcciò piano agli schermi e infine stese la mano fino a sfiorarli, dubbiosa. Sapevo che la magia non le consentiva ancora di vedermi, perciò mi feci avanti fino a raggiungere il bordo delle protezioni.
-El?- chiamò Jane -Ci sei?
Per farle capire che poteva entrare nella corrente turbinante di magia, scaldai un po' d'aria col mio Potere e poi la mossi verso di lei. Preferii evitare di far uscire dagli schermi anche solo un arto per un breve periodo di tempo, per paura di essere visto. Il metodo che avevo usato le faceva capire che qualcuno vicino a lei aveva usato la magia (il clima di New York in autunno non regala improvvise brezze tiepide, di ciò ero sicuro).
La ragazza capì e fece un passo avanti, varcando la superficie della calotta che avvolgeva il quartiere.
-Ciao.- la salutai, sorridendo.
-Ciao.- ricambiò lei, sollevando la testa -Tieni in dentro le zanne, lupo, non sono la tua cena.
A quel suo accenno all'atto di mordere, io serrai le labbra. Lei capì quello che avevo inteso dalla sua affermazione e abbassò lo sguardo, tracciando dei cerchi sull'asfalto col piede.
-Ti porto dall'altro lato.- mi offrii, tendendole le mani prima che la situazione potesse diventare troppo imbarazzante.
Lei mi lanciò un sorriso riconoscente e poggiò i palmi sui miei, prima che io la guidassi tra le correnti di energia fino all'inizio del quartiere magico.
-E adesso dobbiamo solo aspettare Anne.- annunciai, lasciando le mani della ragazza.
-Ecco...- cominciò Jane, esitante -Temo che Anne non verrà. Mi ha mandato un messaggio poco fa dicendomi che doveva studiare un'infinità di roba per un esame e che è indietro.
-Magnifico.- sbottai, roteando gli occhi -Immagino questo sia il modo per dirmi che tutto è saltato.
La ragazza si accigliò.
-Perché dovrebbe?- chiese.
Io mi accigliai a mia volta per farle il verso.
-Voi appartenenti al sesso femminile siete animali sociali.- replicai, con enfasi -Vi muovete sempre in branco, e se non c'è almeno un'altra donna non vi muovete affatto.
-Non è vero!- protestò lei.
Il mio stupore divenne sincero: voleva venire con me anche senza Anne?
-La mia esperienza dice che lo è.- replicai.
-Beh, mi piace uscire con le mie amiche, ma non significa che frequenti gente solo quando ci sono anche loro.- argomentò lei -In questo momento sono qui, non ti ho chiamato per dirti che me ne tornavo a casa.
Socchiusi gli occhi. Detestavo quando qualcuno usava la realtà che avevo sotto lo sguardo contro di me.
-Credevo che fossi venuta per dirmi cortesemente che te ne andavi. Oppure che Anne ti avesse contattata quando tu ormai eri molto vicina a qui e che tu avessi preferito riferirmi tutto a voce piuttosto che con un messaggio che avrei potuto non leggere, visto il mio rapporto incostante col cellulare .
Jane alzò le mani.
-Non sono io quella che si fa venire le fobie perché non si tiene il cellulare appresso.- disse mentre mi sventolava sotto gli occhi il telefono -Se qualcuno mi deve contattare, sa dove trovarmi, a differenza di te.
Sbuffai.
-Sai quanto è scomodo portarsi dietro un telefono in forma animale?- chiesi.
-Anne ci riesce.- mi ricordò lei.
Dannazione! Altra logica veniva usata contro di me!
Non potei fare a meno di pensare alla collana che Dikstra mi aveva restituito e al Richiamo di Sangue. Se qualcuno avesse avuto davvero bisogno, sapeva come trovarmi.
Mi riscossi dai miei pensieri per concentrarmi sulla situazione in cui mi trovavo e tesi il braccio.
-Non dire poi che non ti ho dato l'opportunità di scappare.- la ammonii.
L'altra mi tirò una gomitata e poi mi prese a braccetto. Muovemmo i primi passi verso il nucleo del baccano lentamente, talmente lentamente che io dovetti ricordarmi più di una volta che la sua falcata era più piccola della mia, e che dovevo prestare attenzione a non accelerare troppo. Dopo breve tempo le strade cominciarono ad affollarsi, e pian piano luci di vario colore iniziarono a pendere dai lampioni o dagli edifici.
-Questo Earshall deve aver fatto qualcosa di veramente importante perché gli sia dedicato un giorno dell'anno mentre è ancora in vita.- osservò Jane, guardando una donna (foca mannara) al fianco della strada che lanciava in aria veloci scintille magiche.
-In realtà la festa è per celebrare il giorno in cui venne garantita l'uguaglianza tra le specie magiche- raccontai, alzando lo sguardo per guardare due gufi e un gufo a cui erano appena spuntate le penne da volo che si rincorrevano nel cielo notturno -ma quell'uomo ha fatto talmente tanto per raggiungere questo obiettivo che tutto questo è praticamente in suo onore.
-Io rimango ancora stupita dal fatto che tra le creature magiche ci fossero discriminazioni.- disse lei.
-Ci sono ancora discriminazioni- replicai -solo che la maggior parte delle persone sta riuscendo a lasciarsele alle spalle.
La ragazza il braccio e mi indicò discretamente un punto quando la guardai.
-Avete preso un orso ammaestrato?- domandò lei, allibita.
Puntai lo sguardo nella stessa direzione del suo e vidi un grizzly grigio, con un papillon rosso intorno al collo, che si scatenava al ritmo del rock n' roll emesso da un paio di casse collegate a una postazione da DJ messe al lato della strada. Intorno a lui ballavano altre persone, ma la sua figura alta spiccò particolarmente quando suonò un accordo particolarmente violento su una chitarra elettrica immaginaria.
-Quello è il guardiacaccia di Yellowstone con cui vado in campeggio.- sussurrai, stupito -Ma non ho idea di cosa ci faccia a New York. Forse è venuto a trovare dei parenti.
Il grizzly cominciò a ballare schiena contro schiena con una mutaforma serpente a cui evidentemente piaceva molto la canzone e che non aveva timore della mole del proprio compagno di danza.
-Ormai dovrei essermi abituata a queste cose.- commentò Jane -Ma continuo a commettere errori stupidi.
Procedetti oltre il piccolo gruppo scuotendo la testa e facendo un cenno di saluto all'orso, che però non mi vide perché era troppo impegnato in una scivolata di potenza.
-E comunque- cambiò discorso Jane -quali motivi di discriminazioni ci sarebbero tra di voi? Il colore del pelo?
Scossi il capo.
-Alcune razze non sono mai andate molto d'accordo con altre nella storia, a causa di alcuni nostri... tratti animali.- cominciai la mia spiegazione.
-Quindi voi odiate i cervi mannari e loro odiano voi.- dedusse l'umana.
-Quelli tra cacciatore e preda erano i conflitti meno sentiti.- ridacchiai -Comunque il fatto che i lupi naturali siano predatori non ci ha reso molto celebri, anzi, siamo i cattivi di diverse storie per bambini.
-Ma le condizioni peggiori le pativano le cosiddette “novità”, nuovi generi di creature magiche, che non sono mutaforma o che avevano vissuto a lungo solo in posti sconosciuti alla maggior parte del mondo prima delle esplorazioni: i vampiri, ad esempio.
-I vampiri?- domandò Jane.
Io annuii.
-Non hai notato che non cambiano forma?- chiesi a mia volta -Non sono mutaforma pipistrello, anche se sono molto simili al genere di pipistrello mannaro che si nutre di sangue. La differenza è che nella loro forma umana o ibrida i pipistrelli sono onnivori mentre...
Mi resi conto di starmi perdendo e mi riconcentrai sull'argomento principale.
-Comunque- mi ripresi -la storia sulle origini dei vampiri è diversa da quella sulle altre razze di creature magiche, e per questo hanno avuto i loro problemi. Se vuoi te la racconto.
I suoi occhi scintillarono di curiosità e lei annuì, felice. Io le sorrisi e cominciai:
-Ti avverto che la realtà si mischia alla leggenda in questo racconto, e che non si sa esattamente come siano andate davvero le cose. Tutto sembra iniziare da una comunità totalmente umana nel sesto secolo dopo Cristo, ma in cui abitavano potenti stregoni, colti nelle arti magiche e che avevano un ruolo importante nel governo del loro popolo. Quegli uomini erano a conoscenza dell'esistenza dei mutaforma, ma nessuna delle due fazioni infastidiva l'altra, anche perché quella gente non viveva in stretto contatto con noi.
-Alcune versioni dicono che tutto cominciò con la scomparsa o gli assassinii di persone, altri a causa del massacro di un gruppo di cacciatori, comunque, i rapporti con un branco di licantropi che stava viaggiando attraverso quella zona divennero molto tesi. Gli umani mandarono una delegazione con un mago per parlare coi lupi, e per chiedergli di rendere conto delle loro azioni. Il branco giurò di non avere nulla a che fare con gli omicidi, ma, nonostante gli stregoni volessero evitare uno scontro e fossero sufficientemente sicuri della buona fede dell'Alfa, il popolo non ne era convinto. Il malumore crebbe, e si diffuse anche nella famiglia che comandava la comunità assieme alla gilda degli stregoni.
-E allora il principino, un giovane impetuoso che conosceva una parte delle usanze dei lupi, riunì qualche complice accalorato e andò a sfidare l'Alfa. Sapeva che, se avesse vinto in uno scontro uno contro uno, il ruolo di capo sarebbe passato a lui, secondo la tradizione dei licantropi. L'Alfa non era obbligato ad accettare lo scontro, perché l'umano non faceva parte del branco e non era nemmeno un lupo, perciò avrebbe potuto rifiutarsi di affrontarlo salvando l'onore. Ma il lupo aveva altri progetti in mente, e accettò la sfida, ricordando però al principe che se avesse vinto, l'umano si sarebbe dovuto sottomettere al suo volere riconoscendolo come suo Alfa, oppure morire. Il giovane era stato addestrato nelle arti magiche, e gli venne concesso dal licantropo di tenere il pugnale d'argento per compensare la mancanza di artigli. Forte di tutto questo, l'umano accettò. E perse.
-Si narra che l'Alfa, in forma ibrida, lo abbia spinto con una zampa posteriore per terra, con gli artigli che gli premevano la gola, e, ergendosi in piedi, gli abbia chiesto se desiderasse sottomettersi o morire. Il principe lo implorò di lasciarlo in vita e gli giurò fedeltà. A differenza di tutto ciò che avrebbe potuto ordinargli, l'Alfa gli intimò di tornare a casa sua, di non interferire più con il branco, e che si ricordasse che la morte e la schiavitù gli erano state risparmiate da un lupo mannaro. Dopodiché si voltò e fece per andarsene. La cosa sarebbe finita lì se il principe non si fosse lanciato sul licantropo voltato di spalle con uno stiletto d'argento intriso di magia letale. L'umano riuscì nel suo intento, ma aveva infranto il giuramento fatto poco prima e ucciso l'Alfa a tradimento dopo essere stato sconfitto in un duello d'onore. In breve, il branco imbestialì, e uccise lui e tutta la sua scorta.
-A quel punto la guerra tra le due fazioni si scatenò senza più possibilità di tregua. Dopo poco gli umani capirono che, nonostante fossero agguerriti e la gilda di stregoni fosse potente, stavano perdendo. I maghi sapevano che il loro popolo non poteva competere con i licantropi dal punto di vista fisico, e che ogni combattente dei mutaforma controllava la magia, anche se poco. Così elaborarono un incantesimo per aumentare permanentemente le capacità del corpo umano usando la magia del sangue. Dovevano avere già creato un progetto per quella magia, perché mi sembra strano che abbiano sviluppato un incantesimo così potente in così poco tempo. Comunque, incantarono del sangue e lo misero nel corpo di un uomo, usando il loro Potere per creare il nemico perfetto dei licantropi. Aumentarono la forza e la velocità dell'organismo ospite, incrementarono la sua capacità di pensiero perché potesse percepire la magia, gli acuirono i sensi in modo che potesse vedere nell'ombra e resero l'incantesimo trasferibile ad altri umani attraverso lo scambio di sangue.
-Oh, quasi dimenticavo: vollero spingersi ancora oltre. Mischiarono al sangue incantato il proprio, e legarono la vita della cavia a quel sangue, dopodiché vi intingettero un paletto di legno e lo conficcarono nel cuore dell'uomo.
-La cosa sta diventando macabra.- mi avvertì Jane.
Venni riscosso da una specie di trance dal suono della sua voce.
-Scusa, sto entrando nei particolari.- cercai di giustificarmi -Essendo un lupo e avendo una sorella vampiro, è una storia che mi interessa molto, specialmente quando si arriva ai dettagli del rituale.
-Tu e il tuo amore per la magia.- commentò Jane, alzando gli occhi nocciola verso il cielo -Comunque, stavi dicendo?
Mi schiarii la gola prima di continuare.
-La vita dei donatori del sangue e quella della pianta da cui era stato tagliato il paletto impedirono a quella dell'uomo di andare perduta, ma portando il corpo sul confine della morte e bloccandolo in quello stato, volevano rendere la nuova creatura impossibile da uccidere.
-Gli stregoni non avevano però calcolato tutte le possibili controindicazioni di quell'incantesimo potente e sbilanciato. Avevano dato al nuovo essere la possibilità di vivere al buio e al freddo, così egli perse quella di sopportare il sole. La vita della natura che aveva sostenuto quella del corpo che andava morendo avrebbe potuto togliere l'energia che gli aveva garantito, e così il legno divenne nocivo per i vampiri. La forza che aveva ucciso l'uomo era entrata dal cuore, e così l'incantesimo avrebbe potuto essere rotto trafiggendo quel cuore. I vampiri vennero creati per combattere i lupi mannari, e così ciò che di un lupo da forza a un umano...
Mi indicai le zanne con la zampa libera. Mordere una persona poteva significare fortificarlo, e non solo ferirlo.
-...avrebbe potuto ucciderli. E il sangue che li aveva resi tali era ciò di cui avevano bisogno per continuare a vivere.
-Ok, la cosa è decisamente macabra.- confermò l'altra, scuotendo la testa -Spero che quella che narra l'origine dei mutaforma non sia così violenta.
Mi sentii arrossire sotto la pelliccia.
-No... non lo è... quella è semplicemente disgustosa.- balbettai -Meglio se non te la racconto.
-Se è disgustosa per te immagino che per me sarebbe letale.- commentò Jane.
Fui io quello a tirarle una gomitata questa volta, ma stetti attento a non buttarla dall'altra parte della strada.
-E comunque io ho visto Dikstra al sole- mi contraddisse Jane -e lei non si è bruciata.
Annuii, comprendendo il suo dubbio.
-Amuleti che deviano i raggi UV, proprio come nei telefilm.- spiegai -Dikstra ha una collana che può essere avvolta a mo' di bracciale.
-Wow- scherzò Jane -altri incantesimi...
Il suo commento mi punse sul vivo. Mi piaceva la magia, immensamente, e lei lo sapeva. Come mi aveva insegnato Dikstra, incassai il colpo e preparai la mia vendetta.
Alzai il muso verso un tetto da cui sentivo provenire musica. Vedevo una serie di figure muoversi da oltre il davanzale di una specie di terrazzo sulla cima di una casa di fianco a noi. Vicino al tetto principale, c'era un piccolo terrazzino vuoto, con spazio sufficiente per due persone, ma su cui non c'era ancora nessuno.
-Aggrappati.- la avvertii.
-Come?- chiese l'altra.
Lanciai un Vincolo senza bisogno di Parlare e il suo petto si attaccò alla mia camicia. La strinsi forte e saltai.
Afferrai il bordo del tetto con una mano e ci tirai su entrambi prima che il mio slancio iniziale si esaurisse. Portai le gambe oltre il bordo, accucciandomi per appoggiare le zampe posteriori sulla terrazza e assicurare la ragazza contro il mio torso. Abbracciai la giovane, ancora inginocchiata a causa della mia posizione, mettendomi tra lei e il baratro, e poi mi permisi di guardare in basso, per valutare meglio come fosse la strada vista da lì.
Solo allora Jane ebbe la possibilità di gridare.
-Coglione!- esclamò Jane, allontanandosi dal bordo.
La lasciai andare mentre lei si schiacciava contro il muro, anche se il terrazzino era quadrato e aveva un lato di due metri e mezzo, cosa che permetteva a entrambi di stare in piedi comodamente, anche se un po' stretti.
-Potevi almeno avvisarmi.- protestò lei.
-L'ho fatto.- le ricordai -Ti ho detto di aggrapparti.
-“Aggrappati” non è un avvertimento.- si lamentò lei, scrutando spaventata il bordo del terrazzo.
-Non cadrai.- la rassicuro, aprendo le braccia.
Mossi il muso verso il terrazzo da cui proveniva la musica, separato da noi solo da un vicolo, mentre proprio in quel momento partiva un lento in tre tempi.
-E poi- dissi, tendendole una mano -non volevi imparare a ballare?
Lei fisso la mia zampa con un'espressione a metà tra il sospettoso e il desideroso.
-Valzer?- chiese lei.
Scossi il capo.
-Non proprio, è più un lento a caso, però il tempo può essere usato come un valzer.- spiegai.
Lei mi strinse la mano, e io le misi le braccia in posizione come avevo fatto con Dikstra tanto tempo prima. Cercai di farle sentire i battiti della musica, di insegnarle il passo base e di farle capire come lasciarsi portare. Alla fine della canzone Jane non aveva fatto grandi progressi, ma almeno non mi pestava più le zampe come all'inizio.
-Momento finito.- sospirò a bassissima voce lei, ma non abbastanza perché non la sentissi.
Sentii i suoi capelli appoggiarsi sul mio petto ed espirai, lasciandole andare le mani per stringerla nuovamente. Avvertii le braccia di Jane chiudersi intorno alla mia schiena.
-El- chiese lei -puoi rendere... più privato questo posto?
Capii quello che lei voleva dire e sollevai un braccio per pronunciare qualche Parola per la segretezza. Mi interruppi dopo una decina di secondi.
-Quanto deve essere privato questo posto?- domandai.
-Tanto.- mi rispose.
Mi morsi il polso libero e appoggiai il palmo alla parete. Controllai la vita che mi scorreva dentro per farla uscire dalla ferita e comporre una Runa di sangue sul muro, che significava Silenzio.
-Una Runa tracciata col sangue unita agli altri incantesimi normali è abbastanza affidabile.- la rassicuro -Adesso nessuno dovrebbe poterci sentire. Cosa stavi dicendo?
-Voglio diventare un lupo mannaro.
Annuii e ondeggiai il capo al ritmo della canzone partita dalla cassa. Quella melodia mi prendeva davvero. Insomma, era talmente epica che qualunque descrizione non potrebbe rendere giustizia alla sua epicità! Cominciai a canticchiarla inavvertitamente.
Poi incontrai lo sguardo scioccato di Jane e mi resi conto di ciò che aveva appena detto.
-COME?!- esclamai, facendo mezzo passo indietro per fissarla meglio -Tu?! Cioè... No! Voglio dire...Aargh!
Ringhiai e mi maledissi per aver ringhiato. Maledizione! Qualcosa sarebbe dovuto succedere prima o poi, lei avrebbe dovuto decidere. Sentirmelo dire così, però, mi aveva fatto rizzare il pelo sulla nuca, facendomi arrivare a passarci nervosamente gli artigli per placare il prurito che mi dava quella reazione involontaria.
-Tu mi hai detto di scegliere... e io ho scelto.- si spiegò lei -Come al supermercato.
-Ma io non volevo...- esitai.
Perfetto Elija, bel lavoro. Missione completata con successo. Magari il Protettorato ti darà una bella pacca sulla spalla e ti segnerà nel curriculum di aver dato un importante contributo a un'operazione speciale.
Poi realizzai che dovevo smetterla di fare la vittima e concentrarmi su Jane. Era un'adulta che aveva a disposizione tutte le informazioni che voleva. Stava prendendo una scelta consapevole, ed era questo quello che il mio dovere mi imponeva di aiutarla a fare. Me lo imponeva il mio dovere di agente, e di amico.
Respirai profondamente per calmarmi.
-Sei sicura?- domandai -Insomma, hai ancora tempo per pensarci.
-Un anno.- mi ricordò lei -Ma la maledizione potrebbe attivarsi prima. McGery mi ha detto che prima lo faccio, meno rischi ci sono.
-Puoi scegliere qualcos'altro.- protestai -I lupi non sono l'unico mutantropo che può trasformarti. Puoi diventare un gufo, come Anne. Non hai mai sognato di volare?
Lei scrollò le spalle.
-Forse preferisco correre.- sussurrò.
Jane fece mezzo passo verso di me, nonostante così si stesse avvicinando al limitare del terrazzino.
-Un'altra cosa.- annunciò lei.
Speravo che la richiesta successiva fosse meno gravosa della prima.
-Parla pure.- la incoraggiai.
Una folata di vento newyorkese mi scompigliò il pelo. Fortunatamente Jane aveva avuto la prudenza di vestirsi pesante, ma avevo paura che avesse freddo lo stesso, senza una pelliccia.
-Voglio che sia tu a farlo.- disse -Tanto vale che sia qualcuno che conosco.
Questa volta non accolsi la sua richiesta ballando una canzone che mi piaceva, ma presente a me stesso. Però non sapevo cosa dire. Arrivai addirittura a chiedermi se con questo gesto lei volesse comunicarmi qualcosa di diverso. Ma non potei fare a meno di pensare che se fossi stato io a trasformarla mi sarebbe stata affidata la sua custodia per il tempo dell'orientamento, e avrei mentito a me stesso se mi fossi finto dispiaciuto per questo.
L'unica cosa che mi sembrava giusta, a cui riuscivo a pensare, era prendere tempo.
-Due mesi.- risposi -Aspetta due mesi, poi lo farò io.
-Andiamo El...
-Jane- la interruppi -aspettare due mesi è un rischio accettabile, e daremo tempo agli agenti speciali di trovare una soluzione. E così potrai pensare bene a cosa vuoi diventare veramente.
Lei sembrava sul punto di opporsi di nuovo, ma si trattenne.
-Va bene.- accettò -Così avrò il tempo di organizzare meglio la faccenda. Avrò bisogno di qualcuno da cui andare nei due giorni in cui starò male. Pensavo a Anne.
-Gli Anderson non sono coinvolti nell'operazione.- le ricordai -Non sono sicuro saremo autorizzati a dirglielo, anche se Phil è un Protettore.
-Sarebbe un posto sicuro.- rifletté la ragazza.
-Su questo hai ragione.- approvai -Ma devo prima chiederlo a McGery.
La ragazza ci pensò un po' su prima di parlare ancora.
-Magari potremmo dirle che mi devo trasformare per un altra ragione.- propose lei.
Storsi il naso.
-Non credo che Phil se la berrà, ha già intuito che c'è qualcosa di grosso in ballo.- commentai -Però Dikstra potrebbe indurlo al silenzio.
-Chissà con quali metodi...- alluse Jane, roteando gli occhi verso il cielo.
Le pizzicai la pelle sotto le costole e lei si ritrasse per riflesso, emettendo una breve risata.
-Ti ricordo che stiamo parlando di mia sorella.- le feci presente.
-Già.- disse lei, sorridendo e guardando un punto lontano -È tua sorella, mentre io credevo fosse la tua ragazza.
Scossi il capo e mi accorsi che la musica era cambiata di nuovo. Spostai lo sguardo verso il tetto vicino, poi guardai di nuovo Jane, per tenderle la zampa ancora una volta.
-Mi concede l'onore di questo ballo?- domandai, cercando di suonare galante.
-Se me lo insegna lei.- rispose l'altra, stringendomi la mano.
La collana che portavo al collo mi sembrava più pesante del solito quando la sua carne calda venne in contatto con la mia. Mi resi conto che stava addirittura scintillando debolmente sotto la camicia quando le presi anche l'altra mano.
-Aspetta.- la fermai.
Mi portai una zampa al petto, dove sentivo il tepore della pietra. Era giusto quello che stavo per fare? Jane avrebbe accettato quello che volevo offrirle?
-El...
Tirai fuori il ciondolo luminoso da sotto la stoffa.
Il lieve bagliore biancastro illuminò il viso sorpreso della ragazza quando vide la collana. Stese la mano per sfiorarla, ma il suo istinto magico la fece bloccare venti centimetri prima di raggiungerla.
-Che cos'è?- domandò Jane, sollevando lo sguardo verso i miei occhi.
Combattei la sensazione di voltarmi e scappare saltando giù dal balcone.
-È una pietra del mago.- spiegai -Beh, a essere precisi è la mia pietra del mago. L'ho fatta io, e se la indosso la uso come canalizzatore per il mio Potere, per lanciare incantesimi più facilmente. Se non è con me, invece, resta sempre un canalizzatore, ma diventa anche una specie di... porta verso la mia mente.
-E immagino che ciò sia un male.- commentò Jane.
Ridacchiai nervosamente.
-In parte.- ammisi -Se qualcuno con cattive intenzioni prende la collana, gli diventa molto più facile entrarmi nella testa.
-E allora perché le creature magiche le creano?- domandò lei.
-Non tutti ne fanno una- risposi, sollevando le spalle -perché ci vuole un buon controllo della magia per costruirla, e solo tu puoi fare la tua pietra. E comunque io ho fatto la mia per aiutarmi con gli incantesimi più difficili e perché...
Ecco, quella era la parte imbarazzante.
-Crea un legame tra me e chiunque l'abbia con sé.- spiegai -Non è un legame forte, ma sufficiente a far passare da un capo all'altro energia e qualche pensiero, se ci si impegna un poco.
-La diedi a Dikstra quando lasciò casa per andare all'addestramento di agente speciale- raccontai -e lei me l'ha restituita poco prima di partire per andare sotto protezione. Mi ha detto che se l'avessero presa prima che facesse in tempo a distruggere la pietra sarebbero potuti arrivare anche a me.
Non citai apertamente gli Apostoli, né dissi che non mi sarei mai perdonato se lei fosse morta perché non aveva avuto la mia forza magica a sostenerla nel momento del bisogno. Lo sguardo acuto di Jane mi fece capire che aveva comunque dedotto tutte queste cose dal mio silenzio.
Mi dispiacque che mia sorella non avesse potuto conoscerla meglio.
-Io- continuai, esitando -io te ne ho parlato perché tu potresti avere bisogno di aiuto nella tua situazione... e con questa potresti chiamarmi immediatamente... per cose urgenti, ecco.
-Vuoi che la porti io?- chiese sorpresa lei.
-Sì...- mi interruppi di nuovo, con mio grande disappunto -Cioè, se ne hai bisogno. Insomma, se ti va...
Abbassai gli occhi per fissarmi le zampe nude mentre queste tracciavano figure immaginarie sul cemento.
-Quanto sarebbe forte il legame?- sentii la voce della ragazza domandare.
-Non sentirei sempre i tuoi pensieri- risposi -però potrei farlo, se ti cercassi. Ma tu puoi sempre toglierti la collana, mentre se tu cerchi di oltrepassare le mie barriere io non posso interrompere la connessione.
Lei non rispose e io cominciai a contare i battiti del mio cuore durante il silenzio.
-Ne sarei onorata.
Persi il conto. Sollevai il capo per vedere gli occhi scintillanti di Jane, poi lo abbassai di nuovo, rimanendo abbagliato dal flash emesso dalla mia pietra. Ridussi la dose di magia che vi scorreva dentro e la luce si attenuò, tornando a essere un flebile bagliore. Notai solo allora di non aver ancora lasciato una mano della giovane, e con quella la tirai verso di me, fino a sfiorarle col muso la tempia.
-Aspetta.- la pregai.
Strinsi con la mano libera la cordicella di caucciù, preparandomi al disagio causatomi quando la pietra non aveva un portatore, e poi feci scattare la zampa. La forma del mio muso mi permise di infilare la collana a Jane prima che questa mi abbandonasse completamente, evitando perciò i ridicoli brividi di freddo che sentivo quando la pietra stava da sola.
-È... strano.- commentò Jane.
Lasciai la corda e mi portai la zampa che prima la stringeva contro le tempie, come per arginare un diluvio che mi colpiva la testa.
-Non è brutto.- realizzai, mentre uno strano tepore mi invadeva all'improvviso.
Sentii Jane carezzare la pietra, e per un attimo un odore che io non stavo annusando mi invadette le narici. Mi consolai capendo che per lei io non puzzavo poi troppo.
-È caldo, vero?- disse lei.
Annuii, rispondendo al suo sorriso con uno dei miei, anche se dovevo mostrare le zanne.
-E quel ballo?- chiese lei, infilandosi la pietra sotto agli abiti.
-Ai suoi ordini.- risposi, prendendole l'altra mano e impedendo con la forza alla mia pietra di luccicare.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


 
Capitolo 11


-TU!- urlò Anne, i cui occhi scintillavano minacciosi -Razza di viscido ipocrita schifoso!
Alzai le mani per cercare di calmarla e frugai nella mia mente per trovare una frase rassicurante da usare. Purtroppo non ne ebbi il tempo: fui costretto a dire altro all'ultimo secondo.
-Scudo.- Parlai, mentre il vaso mi volava contro.
L'oggetto s'infranse con un terribile suono di porcellana rovinata sulla mia protezione.
-Non è colpa mia!- mi giustificai.
-Ma se le sei diventato amico solo per morderla!- protestò l'altra.
Una Parola volò nell'aria e una saetta schizzò nella mia direzione. Stesi una mano e il fulmine si scaricò sul vetro di una finestra invece che su di me. Jane aveva comunicato la sua decisione agli Anderson due giorni prima, e Anne sembrava non averla presa bene.
-È stata una mia...- s'intromise l'umana, senza fare in tempo a finire.
Il bagliore sulle mani di Anne aumentò fino a diventare abbagliante.
-Scudo di ghiaccio!- ordinai.
Una barriera azzurrina che diffondeva una luce tenue si materializzò intorno a me e alla ragazza, anche se il colpo era diretto solo verso la mia persona. Il fuoco magico si espanse lungo il diaframma, senza riuscire a consumarlo o a passarci attraverso, e si estinse dopo qualche attimo.
-Distruggeremo la casa se andiamo avanti così.- le feci notare, abbassando le braccia -Non voglio combattere con te, Anne. Sei una degna avversaria, ma scannarci a vicenda non servirà a nulla.
Il gufo mi fissò in cagnesco, e per un attimo mi parve sul punto di trasformarsi per lanciarmi addosso un incantesimo più potente, ma alla fine la sua pelle non si ricoprì di penne. Trassi un respiro di sollievo quando abbassò le mani anche lei, e la sua aura perse quell'intensità caratteristica di chi sta per usare la magia.
-Va bene.- mugugnò lei -Se Jane vuole trasformarsi in lupo perché crede faccia figo e le è permesso perché anche suo nonno era un licantropo, allora è una scelta sua. Però tu avresti dovuto almeno cercare di dissuaderla.
La storia del nonno era una balla, ma siccome era morto, nessuno poteva chiederglielo. Serviva una scusa perché Jane potesse prendere legalmente la decisione di trasformarsi, e avere un consanguineo licantropo ti dava l'autorizzazione di trasformarti in lupo. Certo, dovevi trovare qualcuno abbastanza annoiato che trovasse il dovere di farti da badante dopo averti morso un ottimo modo per passare il mese seguente. Nel caso di Jane: il sottoscritto.
-Mi verrebbe la tentazione di farti passare la convalescenza da sola se tu non avessi già convinto mia mamma ad ospitarti.- brontolò Anne.
Sentii la mia pietra pulsare al collo di Jane. La ragazza trattava bene l'oggetto: lo custodiva con cura, arrivando al punto di non toglierselo mai quando aveva scoperto che se la collana non veniva indossata io me ne accorgevo, e mi sentivo esposto. L'umana aveva persino imparato la Parola con cui attivare l'incantesimo di autodistruzione del ciondolo, se qualcuno avesse voluto prenderglielo.
-Dimentichi che ci sarebbe stato El.- rispose la giovane, facendo un cenno nella mia direzione.
-Credevo- replicò Anne -che tu fossi più una che segue il motto “meglio soli che male accompagnati”.


Fissammo insieme le porte di vetro, che probabilmente sembravano anche a lei una bocca che si stava per aprire per risucchiarci.
-Possiamo ancora scappare.- le sussurrai, senza distogliere lo sguardo dall'ingresso del Protettorato.
-Sui libri di Relazioni Umane non c'è scritto che alle persone fa bene affrontare le difficoltà invece di scansarle?- chiese lei, sempre a bassa voce.
-La realtà è molto diversa dai libri.- replicai.
-Hai ragione.- concordò lei -Ma se leggessi un libro in cui un personaggio fuggisse come vorrei fare io in questo momento, darei a questa persona del vigliacco.
Girai il capo verso di lei.
-Lo sai che nessuno ci sta “leggendo”, vero?- chiesi, accigliandomi.
-Ma è come se la mia coscienza stesse guardando la situazione da fuori.- si spiegò lei, alzando le spalle.
-Allora devi essere una persona molto autocritica- la lodai -oppure schizofrenica.
Il mio problema era che cercavo di sdrammatizzare la situazione facendo della pessima ironia. Quei due mesi erano volati come se non fossero niente, come le vacanze estive quando sei alle superiori, come le vacanze con gli amici, come le ferie dal lavoro. E Jane non aveva cambiato opinione, né c'erano stati importanti sviluppi nella ricerca del creatore della maledizione.
-Facciamola finita.- mi esortò Jane, in un tono, però, che sembrava quasi una supplica.
Annuii e varcai le porte, attesi che terminasse il solito controllo di sicurezza e poi entrai nel salone d'ingresso. Mi voltai e aspettai che anche Jane si sottoponesse alla scansione, indicandomi ancora una volta come agente garante. La guidai verso l'infermeria, incontrando sfortunatamente Tom (ma quel lupo non aveva niente di meglio da fare che starsene in mezzo ai piedi?). Jane si congedò dal licantropo poco dopo, senza che io le facessi alcuna pressione per continuare il percorso.
Evidentemente lei aveva davvero voglia che tutto fosse finito alla svelta.
Non appena l'infermiera vide entrare me e la ragazza ci fece spostare in una specie di sgabuzzino sul retro, ma che poi capii essere stato convertito in una piccola sala per le visite. Dentro spiccava un lettino coperto da carta bianca, un armadio in un angolo e un tavolo dalla parte opposta della stanza.
L'infermiera, un mutantropo gatto in forma umana, ci seguì e ci chiuse la porta alle spalle.
-Quindi è qui?- chiese Jane.
Annuii. Sentii odore di una leggerissima paura mentre il battito dell'umana aumentava.
-Io... non vorrei essere scortese.- cominciò Jane, rivolgendosi al gatto -Non è che potremmo restare soli?
L'altra le lanciò un sorriso imbarazzato e scosse la testa.
-Devo assistere.- disse, come per scusarsi -Sono questioni burocratiche.
Certo, il Protettorato voleva essere sicuro che Jane venisse effettivamente trasformata. Considerando la posta in gioco, non me la sentivo di criticarli, anzi, non mi sentii nemmeno offeso dalla certezza che quel posto fintamente isolato fosse pieno di telecamere attraverso le quali McGery poteva spiarci. Quell'uomo era stato fin troppo gentile a non costringerci a farlo davanti a un tribunale.
-Ok.- accettò Jane, distogliendo rapidamente lo sguardo dalla donna.
L'umana si passò la mano sulla gola e poi si abbassò il colletto della felpa.
-Va bene.- disse di nuovo -Io però... non so come si fa...
Le fermai le mani con le mie zampe.
-Non è necessario che sia sul collo, Jane.- la interruppi, sperando che per lei fosse rassicurante -Basta un graffio su una mano, o su un braccio, così i vestiti possono coprirlo.
Le sue dita strinsero le mie e lei tese l'arto verso di me, tirandosi su la manica destra. La sua pelle ora era a venti centimetri dal mio muso. Pensai a dove sarebbe stato meglio tagliarla, e optai per un graffio il più superficiale possibile vicino all'interno del gomito.
Ma le mie labbra non volevano saperne di dischiudersi alla vista degli occhi spaventati della ragazza.
Mi chiesi se le avessi fatto troppe pressioni, e se quella di diventare licantropo fosse una scelta in cui io avevo avuto troppo peso. Non volevo che si trasformasse in lupo solo perché glielo avevo suggerito inavvertitamente io. Volevo che almeno questa parte di tutta la vita di bugie che aveva vissuto con me fosse sincera e felice.
-Jane...- cominciai.
-Per favore- m'interruppe lei chiudendo gli occhi -fai in fretta e basta.
La sua poca paura che percepivo con l'olfatto stava accrescendo di molto la mia.
Poi sentii il legame creato dalla pietra fremere di qualcosa che non era paura. Cioè, c'era della paura, dentro, ma era più paura del dolore fisico del morso che di me. La sensazione era un miscuglio di tensione, nervosismo ed emozioni che correvano a tavoletta, ma la ragazza non sarebbe voluta essere in un altro posto, come invece avrei voluto essere io.
Io ero il vigliacco.
Le appoggiai un canino sulla pelle.
Ti voglio bene. Le dissi, senza parlare, poi feci passare la zanna sul suo braccio.
Sentii lo smalto del dente incidere la carne e mi ritrovai il sapore del sangue in bocca. Ritirai subito la testa, reso certo di aver morso da quel gusto, e consapevole che non era più necessario andare oltre. La ferita era rossa quando la guardai, con una lacrima di sangue su un angolo, che minacciava di scivolare via.
Era più profonda di quanto avessi voluto, ma non tanto da superare di molto un graffio. Non vidi ragioni per trattenermi e le passai la lingua sulla ferita, percependo il sapore ferroso del sangue. Lo feci di nuovo, non appena quella goccia di sangue minacciò di riformarsi.
-Va tutto bene.- sussurrai, col muso ancora vicino al suo braccio.
-Lo so.- fu la risposta.
Sollevai i miei occhi e incontrai i suoi, ora aperti. Le passai di nuovo la lingua sulla ferita. Non lo stavo facendo per infettarla di più: il lupo in me voleva solo aiutarla a guarire.
Notai che la sua pelle era pallida e che il battito del suo cuore era più lento del normale.
-È meglio se mi sdraio.- mormorò lei, traballando in direzione del lettino.
L'infermiera fu in un lampo di fianco a lei per aiutarla a stendersi. Il colorito di Jane era davvero pallido.
-Stai bene?- domandai, preoccupato.
-È solo l'emozione.- mi rassicurò la donna, che stava legando una garza attorno al braccio della giovane.
-Non credo sia necessario- intervenne Jane, indicando la fasciatura -è solo un taglietto.
Lasciai andare l'aria che trattenevo da troppo tempo nei polmoni: dall'atteggiamento del gatto avevo paura di averla quasi dissanguata.
-Così resta pulito- la contraddisse l'infermiera -anche se in realtà la saliva dei lupi è un buon antisettico.
Jane mi lanciò uno sguardo fugace. Le sue guance stavano riprendendo colore.
-Allora sono a posto.- commentò, ironica.
Io mi avvicinai e le sorrisi.
-Te l'avevo detto di farti pungere da Anne.- le ricordai, alzando le spalle.
-Per una volta avrei dovuto darti retta.- mi rimbeccò.
Scossi il capo sconsolato e le toccai con la zampa destra la fasciatura appena terminata, mormorando qualche Parola di guarigione. Un alone azzurrino venne irradiato dal mio palmo e io lo diressi oltre la medicazione, verso la cute della ragazza. Non so per quanto rimanemmo lì, fatto sta che a un certo punto la mutaforma gatto cominciò a tossire per schiarirsi la gola.
-Ce ne andiamo.- rassicurai l'infermiera, mentre aiutavo la studentessa di medicina ad alzarsi dalla brandina.
Salutammo la donna che per una decina di minuti era diventata una parte molto importante della nostra vita e ci dirigemmo verso l'uscita del Protettorato. Era sabato, ma io mi ero preso qualche giorno di ferie per aiutare Jane durante il primo periodo della mutazione, perciò non avevo obblighi di lavoro per la settimana seguente. Le mie vacanze avrebbero risentito dei giorni di riposo anticipati, perciò Jane doveva stare molto attenta a non farmi innervosire.
-Non è andata così male.- si rilassò lei, prendendomi la mano.
Mi aveva stretto col braccio che avevo morso, ma la cosa non mi diede fastidio.
-No.- approvai -I prossimi due giorni saranno un po' turbolenti, ma li puoi superare.
-Parla uno che non ha mai passato i due giorni di malattia dopo il morso di un lupo mannaro.- mi stuzzicò lei.
Le lanciai un'occhiataccia di sbieco.
-Beh- le risposi, pacato -io l'ho...
preso. Quel brutto figlio di una cagna deve ancora capire cosa sia successo. Oh, aspetto solo di vederlo durante l'interrogatorio. Aspetto solo che dica “Non vi dirò mai nulla!”, senza sapere che è prigioniero degli agenti speciali, e non sotto la custodia del Protettorato. Lo faremo cantare a costo di...
-... farmi impazzire!- sbottai -Scusa, Jane, Dikstra mi sta Richiamando.
La ragazza annuii, sapendo che mia sorella mi chiamava in quel modo solo per cose urgenti. Anche se era sotto protezione, infatti, le veniva consentito di mettersi in contatto con me in questo modo, perché un Richiamo di Sangue non è intercettabile e perché non ci sarebbe stato modo di impedirle di usarne uno. E poi la protezione dei testimoni...
non serve più! Sono una vampira libera, El! Abbiamo preso il mago che ha creato la maledizione di Jane, assieme a una mezza dozzina di pezzi grossi. Ovviamente non tutti sono vivi ma il mago sì! Gli faremo dire come annullare il maleficio, non è più necessario...
… trasformare la ragazza.
Lasciai la sua mano come se fosse stata improvvisamente ricoperta da argento bollente. Non potevo più annullare l'operazione. L'avevo già morsa. Il colore candido della sua benda mi colpì gli occhi come se stessi cercando di guardare il sole, così come il ricordo del taglio rosso mi fece rabbrividire.
Dikstra aveva sentito i miei pensieri e smise di parlare. Non tranciò il legame, però, né lo feci io. La vampira mi rimase vicino mentre spiegavo quello che era appena successo a Jane, trovando addirittura la forza di guardarla negli occhi per non sentirmi ancora una volta un vigliacco. Dopo di lei lo dovetti riferire a McGery, che nel mentre ricevette una telefonata con gli stessi aggiornamenti che io e Dikstra gli stavamo dando grazie al nostro legame telepatico. Rimanemmo nel Protettorato almeno un'ora in più del previsto, finché il capo non mi ordinò di scortare di nuovo a casa Jane.
Dikstra interruppe il contatto solo quando le spiegai che volevo avere un po' di privacy con l'umana, che presto sarebbe diventata un lupo.
Accompagnai la ragazza fino al confine magico senza che nessuno di noi due parlasse. Quella era una di quelle situazione in cui non solo io non sapevo cosa dire, ma in cui non sapevo nemmeno se volevo parlare oppure no. Quello era il giorno della mia eterna indecisione, però dovevo riconoscere a me stesso che chiunque si sarebbe sentito uno straccio dopo una giornata del genere.
-Mi dispiace, Jane.- dissi, guardando il muro magico che si innalzava di fronte a noi -Essere come me non è brutto, ma avrei voluto che tu lo diventassi in modo diverso. Tutta questa storia dell'operazione è la situazione più di merda della mia vita.
-Non è colpa tua.- replicò l'altra.
Risi amaramente.
-Già, è quello che mi ripeto ogni volta.- confessai -Ma la verità è che io ti ho ingannata. Evan è stato il primo a farlo, certo, ma io l'ho imitato per ben due volte, con la faccenda della licantropia e poi con quella della maledizione. Non ho dato agli agenti speciali il tempo che mi ero ripromesso di dare loro e ora ti ho morsa in anticipo di dieci minuti rispetto a come sarebbe stato giusto che andassero le cose.
Ci fu un istante di silenzio.
-Tu mi hai appena detto che essere come te non è brutto.- mi ricordò lei, a voce bassa.
-Ma vorrei che tu non lo fossi diventata in questa maniera.- continuai -Dimmelo sinceramente, Jane, se non ci fosse stata la maledizione, mi avresti chiesto di morderti?
I suoi occhi avevano un che di sottomesso quando li sfidai coi miei. Poi lei scosse piano la testa.
-E la cosa più brutta di tutto questo- ammisi, abbassando il tono della voce e facendole perdere l'enfasi che l'aveva accompagnata fino al momento prima -è che vorrei odiarti almeno un po', per fingere che tu non sia la persona meravigliosa che sei, e sentirmi meno in debito con te per tutto quello che ti è successo.
Jane si morse il labbro mentre io usavo la pelliccia della mia collottola come antistress. In quel momento mi sentivo molto più leggero di pochi minuti prima.
-El... pensi davvero tutto questo?- mormorò Jane.
Annuii lentamente, e il silenzio calò di nuovo su di noi, anche se a me pareva un po' più leggero di quelli precedenti, nonostante fosse più teso.
-A domani, El.- mi salutò lei.
-A domani, a casa di Anne.- ricambiai il saluto, mentre la ragazza s'inoltrava tra gli schermi di magia.


Il giorno seguente mi svegliai assonnato e di malumore, praticamente avrei potuto essere utile alla società solo se mi avessero usato come straccio per asciugare i pavimenti. Qualcuno stava suonando il campanello.
Mi maledissi perché era tardi ed ero ancora a letto e mi maledissi per non essermi maledetto abbastanza il giorno precedente. Andai comunque ad aprire alla porta con un aspetto che avrebbe fatto terrorizzare molti più bambini di quanti avrei potuto spaventarne in forma ibrida, il che era un ottimo risultato per un licantropo in forma umana.
Accostai l'occhio allo spioncino per vedere la signora Kamiri davanti all'ingresso, che attendeva di essere ricevuta.
Rimasi sorpreso da quella visita mattutina (o forse avevo dormito così tanto che dovrei dire pomeridiana?) ma mi affrettai a disattivare i sigilli magici e a tirare indietro il catenaccio. La signora rispose con un sorriso cordiale alla mia faccia da orco schiaffeggiato.
-Buongiorno, Elija. Appena svegliato?- domando la lucertola in forma umana.
-Perspicace come al solito, milady.- risposi, cercando di apparire cortese nonostante il mio orologio biologico volesse farmi tornare a dormire.
Mi spostai dall'ingresso per lasciare la via libera.
-Se vuole può entrare.- la invitai -Sappia però che è tutto molto disordinato al momento.
La cosa più in disordine di tutte era la PlayStation. Avevo dovuto trovare un modo per sfogare le emozioni represse la notte prima, e allora avevo ucciso un centinaio di banditi e non morti virtuali.
-No, grazie- rifiutò la signora Kamiri -non vorrei arrecare disturbo. E comunque, sono qui solo per darti questo.
La lucertola mi allungò una busta di plastica arancione rettangolare, grande poco più di trenta centimetri per quaranta. L'afferrai e la rigirai per osservarla da ogni angolazione, senza notare nulla di strano.
-Cos'è?- chiesi, incuriosito.
L'altra alzò le spalle.
-Ero al supermercato fuori dalla zona magica per comprare la verdura, e la tua amica Jane mi ha avvicinato.- raccontò.
Smisi di sentire sonno e drizzai le orecchie.
-Abbiamo scoperto che andiamo a fare la spesa nello stesso negozio, e in genere sempre la domenica, perciò deve avermi cercata per chiedermi di darti questo.- continuò -Sembrava avere mal di testa, la ragazza.
La lucertola mi lanciò uno sguardo furbo. Avevo morso la ragazza da più di dodici ore, la signora Kamiri doveva aver visto il lupo crescere dentro di lei. Io da parte mia non feci commenti.
-Non ho guardato l'interno del pacchetto- terminò lei -ho solo fatto da corriera.
Spostai lo sguardo dalla donna alla busta.
-Le sono debitore per il disturbo, milady.- la ringraziai.
-Figurati, tanto eri sulla strada di casa.- minimizzò la cosa lei, voltandosi verso il suo appartamento -E comunque, Jane sembra una brava persona.
Annuii.
-Anche tu sei una brava persona, sai?
Alzai la testa sentendo le guance andare a fuoco. La lucertola mi fece l'occhiolino e ritornò lentamente nel proprio appartamento. Mi ci vollero ancora due secondi buoni prima che chiudessi la porta di casa, e mi sedessi al tavolo del soggiorno.
Fissai di nuovo la busta. Sopra non c'era nessun biglietto, né alcuna scritta. La portai vicina al naso e presi un respiro, percependo un odore di chiuso e di cantina unirsi a quello della ragazza.
Aprii la busta di plastica e feci scivolare il contenuto nella mia mano: un foglio bianco. Girai la carta e un paio di occhi azzurri mi osservarono divertiti da quello che avevo appena scoperto essere un disegno.
Il mio muso da licantropo aveva la stessa espressione di Dikstra ogni volta che stava per fare qualcosa che avrebbe fatto mettere le mani nei capelli a qualcuno, o lo aveva appena fatto. Mi stavo girando verso l'osservatore, mostrando una delle zampe che avevo in forma antropomorfa mandare piccole scintille. Il mio pelo rossiccio rimandava indietro la luce delle scintille ad un livello impressionante, mentre mostravo le zanne in un sorriso stupido, ma che aveva un accenno di furbizia che io non credevo di avere, che però ritrovavo in mia sorella.
In basso a destra c'era la firma, mentre in alto a sinistra, sopra la testa del soggetto, c'era scritto: Per te, spero di essere stata abbastanza brava.
Avrei voluto cominciare a correre già da subito, ma mentre gettavo la maglietta in qualche recesso sconosciuto della stanza ebbi la lucidità mentale di afferrare il telefono per chiamare Anne.
Il gufo rispose al quarto squillo.
-Pronto?
-Ciao sono Elija. Jane è già lì?- domandai, in fretta e furia.
-No.- rispose sorpresa l'altra -Sarà qua solo tra un'ora, immagino debba prendere le ultime cose.
-D'accordo, grazie. Ci vediamo tra un'ora.- la salutai.
-Ok...- replicò Anne, meravigliata -Ciao...
Chiusi la comunicazione e appoggiai il telefono sul tavolo, spento. Mi trasformai in lupo l'istante successivo aver mandato il resto del vestiario a fare compagnia alla maglietta e mi lanciai verso al porta talmente velocemente da rischiare di sbatterci contro il naso. Salvai il mio naso, chiusi la porta dietro di me con la magia e mi fiondai giù per le scale, troppo impaziente per aspettare l'ascensore.
In un tempo da record, ero alla porta sul retro della casa di Jane, ansante. Non mi diedi tempo per respirare e cominciai a grattare il pannello e a guaire sommessamente. L'uscio si schiuse poco dopo, per mostrare una Jane con le guance rosse e gli occhi lucidi, nella cui aura vedevo quello che non potevo descrivere in altro modo che un dormiente cucciolo di lupo.
-Elija, allora l'hai...- cominciò lei, un attimo prima che io cominciassi a girarle intorno alle gambe per farle le feste.
Le premetti il capo sulle ginocchia e poi ci feci strofinare contro il fianco, scodinzolando. Sentii la mano di Jane accarezzarmi il capo e poi grattarmi la nuca. Balzai di lato e poi di nuovo vicino a lei come un cucciolo impazzito, fino a cominciare a leccarle le dita con cui cercava di accarezzarmi.
Mi separai da lei quando la sentii rabbrividire. Nella mia foga, a dispetto di tutta la mia esperienza da newyorkese, avevo lasciato la porta aperta quando ero entrato, e da essa filtrava un aria appena fresca per la mia pelliccia, ma che doveva essere decisamente fredda per una donna con la febbre.
-Chiudi.- dissi, e l'uscio venne serrato delicatamente.
Mi voltai verso la ragazza e premetti il naso contro il suo braccio. Era calda. Il morso cominciava a mostrare i suoi sintomi.
-Come ti senti?- domandai, infilando il muso sotto il suo palmo.
-Comincio a stare male.- rispose lei, passando le dita tra la mia pelliccia.
-E il morso?- mi forzai a chiedere.
Quando guardai il punto dove l'avevo ferita però non vidi nulla, né la fasciatura, né il taglio.
-Perché ti sei tolta la medicazione?- indagai, sorpreso che un medico non si avesse una cura ossessiva del proprio corpo.
-Era inutile.- sbuffò lei -L'infermiera ha rispettato la prassi, ma quella ferita non è mai stata pulita sin da quando me l'hai fatta.
-Grazie mille.- risposi, ironico.
-Andiamo, El- commentò lei -da quando il canino di un lupo è sterile?
Immaginai che assicurarle che mi ero lavato i denti prima di andare al Protettorato non fosse la risposta giusta e che la sua osservazione avesse senso. In quel momento mi ricordai di essermi scordato della mia igiene orale quella mattina, e che perciò dovevo evitare di alitare in faccia alle persone.
-E poi- continuò Jane -hai usato talmente tanta magia per curarmi che la pelle si era già risanata quando sono arrivata a casa.
Mi concentrai per intessere una rete di magia che mi unisse alle finestre della casa e poi dissi qualche Parola. Tutte le tende dell'abitazione vennero tirate contemporaneamente dal mio Potere, e io potei assumere al mia forma ibrida in completa sicurezza.
-Allora sono felice di non averti fatto sanguinare a morte.- commentai sorridendole -Ti aiuto a finire i bagagli.
-Quelli li ho già finiti.- mi raccontò la ragazza -Stavo solo aspettando... te.
Sentii il mio sorriso allargarsi un po' di più quando lei scosse i capelli, imbarazzata, mentre il mio cuore batteva più velocemente. La ragazza si sfiorò lo sterno, dove, sotto i vestiti, pendeva la mia pietra.
-Allora ti aiuto a portarli da Anne.- mi offrii -Posso legarmi qualcosa intorno al collo e trasportarla fino alla zona magica da lupo.
-Che nobile mansione da licantropo.- scherzò lei, dandomi una gomitata sulle costole.
-L'addetto delle poste è un mestiere onesto.- difesi i postini e gli addetti ai traslochi.
La ragazza sorrise e si strinse le braccia intorno al petto, rabbrividendo. Le passai il dorso della zampa sulla fronte, e mi accorsi che mi sembrava più calda di pochi minuti prima.
-Hai preso qualcosa per la febbre?- mi preoccupai.
-Perché? L'Aspirina funziona contro i morsi di un lupo mannaro?- domandò retoricamente lei.
-No.- confermai -Ma Anne mi ha detto, da medica, che sono i sintomi a farti stare così, non la trasformazione in sé, e un antipiretico combatte i sintomi, non la malattia. Fidati del gufo che fa corsi di medicina magica all'università.
Lei fece per andare a prendere le medicine, ma io insistetti perché si sdraiasse sul divano e per andare io a prendere i farmaci. Due minuti dopo lei aveva ingoiato un paio di compresse aiutandosi con un bicchiere d'acqua.
Jane si tirò la coperta fin sul mento, siccome evidentemente aveva ancora freddo. Mi sedetti di fianco a lei e dissi qualche Parola di calore e di luce. Un globo bianco delle dimensioni del mio pugno mi si accese sul palmo. Lo avvicinai a Jane.
-È un incantesimo di Calore- spiegai -non farà prendere fuoco a nulla, però ti scalderà.
La ragazza prese in mano il globo che le tendevo, il quale si fece afferrare senza spegnersi, e se lo portò vicino. Poi si alzò a sedere e si spinse contro il mio fianco.
Aprii le braccia e Jane appoggiò il capo sul mio petto chiudendo gli occhi. Non avevo intenzione di fare altro che non fosse stringerla e scaldarla contro la mia pelliccia, e così infatti feci. Mi appoggiai allo schienale del divano e portai la ragazza con me, perché si sdraiasse.
-Sei comodo.- sussurrò lei.
-Dopo il tuo regalo dovrò pur sdebitarmi in qualche modo- le risposi -per esempio fungendo da cuscino lupino.
Lei ridacchiò.
-Cuscino che rischia di farmi arrivare in ritardo da Anne.- commentò lei, debolmente.
-Devo essere il miglior cuscino del mondo.
-Ovviamente no.- protestò Jane.
Mi accigliai, anche se la ragazza aveva gli occhi chiusi e non poteva vedermi.
-Hai provato cuscini migliori?- risi.
-Tu non sei un cuscino.- sussurrò -Tu sei un lupo mannaro.
-Elementare, Watson.- citai Holmes.
Lei scosse piano il capo.
-Non è questione di evidenza, è questione di come giudichi una persona.- disse, a bassa voce -Tu non sei una persona buona solo per essere un cuscino così come non eri un cane da adottare quando venivi da lupo a spiare alla mia finestra. Ho capito perché non accettavi il cibo, allora, né volevi entrare in casa. Tu non eri un cucciolo, eri una persona indipendente e volevi dimostrarlo. Per questo non sei un cuscino, adesso, perché vederti come un cuscino sarebbe crudele.
-Sentivo il bisogno di chiarirlo.
Le rimboccai le coperte e poi la strinsi più forte.


-Il mio nido è il vostro nido!- annunciò felicemente la madre di Anne, aprendo un'ala -Ops, volevo dire, la mia tana è la vostra tana... no, ho sbagliato di nuovo.
-Immagino che ci si confonda tra tutte le razze delle creature magiche.- la giustificò Jane.
-Gli umani dicono “Fa' come se fossi a casa tua”.- la informò Anne, scuotendo la chioma in disapprovazione -E adesso sarebbe meglio mettere Jane sotto le coperte.
-Concordo su questo punto.- la sostenni -Dove metto la borsa di Jane?
Venimmo accompagnati fino alla camera degli ospiti, che mi fece rimanere sorpreso quando dimostrò di avere un vero letto e non un nido o un posatoio per rapaci. Lì appoggiai la borsa della ragazza in un angolo e poi tornai in soggiorno, dove Jane era stata fatta sedere sul divano e le era stato messo sopra un piumino.
-Immagino che il trasloco sia terminato.- esordii -Ti lascio in buone mani, ci vediamo domani.
-Perché non ti fermi a pranzo?- chiese la madre di Anne.
Non avevo nulla da fare per il pomeriggio, e mi sarebbe piaciuto, anche se non rispettava il programma originale che avevamo stabilito.
-Vorrei tanto- la ringraziai -ma non ho nulla con me: né telefono né documenti. Un Protettore non può andare in giro senza documenti.
Era vero. Ero senza nulla addosso eccetto la pelliccia, letteralmente.
-Puoi andare a prenderli e poi tornare qui.- propose lei.
-È una buona idea.- approvò Anne, a discapito di quanto mi sarei mai aspettato da lei -Così potrò finalmente avvelenarti.
Non so come sia successo, ma un'ora dopo avevo di nuovo i miei vestiti, i documenti, il distintivo, la pistola, il telefono, ed ero seduto alla loro tavola.
-Phil ha detto che questa domenica non c'è.- mi avvertì Anne -Deve uscire a mangiare con qualcuno, credo.
La cosa non mi sorprese più di tanto, per i primi due secondi in cui non mi ricordai che anche Dikstra era tornata a New York e mi aveva detto di dover uscire con qualcuno.
-Sapete se questo qualcuno è una vampira dai lunghi capelli corvini che si diverte a importunare il prossimo?- mi informai.
Gli altri si scambiarono uno sguardo perplesso.
-Non saprei, mio figlio non è mai stato bravo con le donne, specialmente se belle.- raccontò il padre, nella forma ibrida di una civetta delle nevi, dalle piume ancora più candide di quelle della moglie e dei figli, dei barbagianni.
-Rick!- lo rimproverò la madre di Philip.
Appoggiai la forchetta e stesi le mani sul tavolo.
-Vi dico subito se è lei.- dissi, chiudendo gli occhi.
Dikstra.
Il Potere che scorreva dentro di me mi invase, mentre io mi connettevo alle energie del mondo, e poi cercavo il legame tra le nostre anime. Raggiunsi la vampira in poco tempo, dopo neanche...
cinque minuti. Avevo ritardato di cinque minuti, giusto per tenerlo un po' sulla corda. Aveva proposto di venirmi a prendere a casa mia, ma io invece avevo insistito perché ci incontrassimo sotto casa sua, giusto per chiarire che non gli avrei ancora detto dove abitavo. Però era stato carino ad offrirsi di scortarmi. Un vero cavaliere. Philip...
-...esce con Dikstra.- dissi ad alta voce -A quanto pare ha fatto colpo durante il ballo.
Indubbiamente, Elija. Ma non infastidirmi troppo, oppure gli do buca solo per fare un dispiacere a te. Mi avvertì lei, telepaticamente.
Alzai il volto e annusai meglio l'aria. Sbagliavo o quello che sentivo era odore di paura e di adrenalina?
Sì, quello era proprio l'odore di un combattimento, ma era ancora lieve.
Mi affrettai verso l'ingresso del condominio in cui abitavano gli Anderson, sperando che non stesse succedendo nulla di brutto. Era il mio giorno libero, maledizione! Poi sentii la classica zaffata che accompagnava un lupo mannaro, poi odore di gufo unito a qualcosa di dolce. Un petalo rosso che sembrava uscito dal nulla giaceva sul marciapiede.
Girai l'angolo e la siepe smise di bloccarmi la visuale.
-Perché non tiri fuori uno dei tuoi scherzetti adesso, pennuto?- ringhiò qualcuno -Mi sembra che l'ultima volta tu ti sia divertito a farmene uno.
La voce proveniva dal possessore di una grande schiena dal pelo marrone chiaro. Il lupo si stava premendo contro la siepe, ma erano due i cuori che sentivo battere velocemente per diffondere nell'aria l'adrenalina. Estrassi i pugnali dalle maniche un istante prima che il lupo si girasse verso di me, e io lo riconoscessi come Tom. Davanti a lui, con uno dei bracci del lupo che gli bloccava la gola, il volto da barbagianni di Philip cercava disperatamente di prendere una boccata d'aria.
Sbattei i pugni sul tavolo e mi alzai di scatto.
Ci penso io, El.
-Protettorato, lascialo andare.- intimai.
-Altrimenti?- domandò lui.
Per legge, dovevo informare il criminale che ero del Protettorato, anche se lui lo sapeva già. Ora avevo campo libero.
Colmai la distanza tra di noi con uno scatto. Calciai forte l'articolazione della zampa sinistra del licantropo, che si piegò nel suo senso naturale. Tom perse l'equilibrio e cadde. Roteai su me stessa e sentii uno dei miei pugnali incontrare una leggera resistenza nel fendente.
Balzai all'indietro mentre una lunga linea rossa si disegnava sul braccio di Tom. Phil venne lasciato cadere a terra boccheggiante.
Il lupo si alzò per lanciarmi contro un ringhio feroce, distendendo gli artigli.
-Tutto qui?- lo provocai -Elija si sarebbe aspettato una mossa come quella, e invece di ringhiare minacce inutili mi avrebbe colpita. Le dinamiche elementari di uno scontro non gli sono completamente sconosciute, a differenza tua.
Sapevo di aver toccato un nervo scoperto, e poi di aver girato il dito nella piaga.
Durante quell'anno, mentre Tom si preoccupava di come Philip lo stava spiando, il licantropo non si era reso conto che la missione del gufo aveva come unico scopo quello di lasciarmi agire indisturbata. Avevo convinto Elija a chiedere aiuto a Philip perché Tom era certo che, dopo aver cercato di drogare mio fratello, sarebbe stato tenuto d'occhio. Non mi interessava che il gufo raccogliesse informazioni, mi interessava soltanto che facesse credere a Witchwood che fosse l'unico a cercare di raccogliere informazioni.
Mentre Tom si era preoccupato di Philip, non si era preoccupato di me. E io avevo messo bene a frutto quel tempo di libertà.
Mi dispiaceva un poco aver sfruttato il gufo, ma ero abituata a pensare come un agente speciale. In compenso adesso conoscevo perfettamente il profilo psicologico di Tom, e sapevo come farlo arrabbiare.
Il licantropo saltò contro di me. Fu veloce, ma io riuscii a rotolare di lato nonostante il vestito elegante.
-Fulmine.- dissi la Parola, stendendo il pugnale dietro di me.
L'arco di elettricità si estese fino alla figura accucciata del licantropo, facendolo scuotere e cadere per terra.
-Avevo ragione quando rifiutai di uscire con te.- lo schernii -Puoi portarti a letto tutte le donne che vuoi, ma Philip resta sempre dieci volte più uomo e più lupo di quanto tu non sarai mai, coglione.
L'aura di Tom s'intensificò, mentre lui richiamava tutto il Potere che riusciva a controllare, probabilmente per annichilirmi. Il mio primo istinto fu quello di erigere lo scudo più forte che potessi evocare. Poi fu come se i miei ricordi si ritorcessero, ribellandosi a quell'idea.
Mi ricordai di quando io ed El facevamo a botte da piccoli. Mi ricordai di tutti i discorsi di battaglie che gli facevo, cercando di farlo diventare l'agente operativo che lui non voleva essere, perché preferiva cercare di convincere le persone a parole piuttosto che a pugni (e se proprio doveva picchiarle, allora lo faceva anche lì a Parole).
El mi ha sempre detto sempre che quando un mago è impegnato in un incantesimo complesso, è indifeso.
-Fuoco!- dissi, e una sfera di fuoco centrò in pieno la schiena del lupo, spingendolo a faccia a terra e facendogli perdere la concentrazione.
Il Potere che era stato accumulato si disperse in qualche scintilla e in una piccola fiammella che rimbalzò come una pallina gommosa sull'asfalto per qualche metro, prima di spegnersi.
Tom si rialzò barcollando, e quando si voltò verso di me io stavo già giocando con del Potere grezzo che mi fluiva tra le mani.
-Ne vuoi ancora?- m'informai, lasciando che il mondo si tingesse di rosso e che i miei canini si allungassero.
Il cuore del licantropo accelerò, ma per la paura, non per la rabbia. Witchwood indietreggiò, poi sparì dietro l'angolo di corsa, tenendosi la coda tra le gambe.
Sorrisi di me stessa, pienamente soddisfatta, prima di girarmi verso Philip, che sentivo fare respiri corti e rochi.
-Stai bene?- chiesi, chinandomi verso il gufo, che mi pareva molto più piccolo di quando mi aveva avvolta tra le sue ali, al ballo.
-Sì...- cercò di rispondere, ma poi venne colto da un accesso di tosse.
Gli appoggiai le mani sul petto e pronunciai qualche Parola. Le vie respiratorie gli si aprirono di nuovo, e gli permisero di inspirare profondamente. Evocai una luce curativa sulle mie mani e gliele avvicinai al collo.
-Non sentirti in imbarazzo.- lo consolai -Ti ha colto di sorpresa perché deve averti pedinato per sdebitarsi di quello scherzo con le rose. Non è colpa tua. È capitato anche a me di trovarmi in situazioni del genere, più volte di quanto mi piaccia ammettere.
Feci fluire anche il mio Potere dentro di lei e vidi la luce sulle mani della vampira intensificarsi, mentre i lividi sul collo del gufo sbiadivano.
-Rose?- disse lui -Merda!
Philip si guardò di fianco e io lo imitai, per vedere a terra, di fianco alle sue penne, dei petali rossi schiacciati al suolo. Poco distante, un gambo spinoso sorreggeva una decina scarsa di petali purpurei. Il gufo lo prese e lo esaminò con sguardo affranto.
-Rovinata.- commentò.
Prima che la potesse lasciare cadere io afferrai il fiore.
-Mi hai portato una rosa?- domandai, stupita.
Lui ridacchiò e io pensai fosse un bene che ora riuscisse a ridere, seppur per l'imbarazzo.
-Io...- balbettò -Sì. Però adesso è rovinata...
Il petto mi si scaldò all'improvviso.
Elija, esci dalla mia testa.
Troncai il legame come Dikstra mi aveva chiesto e notai stupito che il resto della famiglia Anderson più Jane mi stava osservando.
-Perché- chiese Anne -mormoravi “Dai, Dikstra, suonagliele!”?
Diedi qualche minuto perché la vampira e il gufo potessero allontanarsi indisturbati prima di raccontare tutto quello che era successo.


Non sapevo come fosse successo, ma gli Anderson mi avevano convinto a dormire da loro. Dovevano essere capaci di usare qualche strana magia di persuasione che io non conoscevo per avermi fatto fare quello che volevano per ben due volte quel giorno. Considerai anche la remota possibilità che io fossi rimasto solo per Jane.
L'umana che si stava trasformando si era svegliata per ben tre volte quella notte, faticando poi a riprendere sonno. Non so se Jane ci avrebbe chiamati in quel frangente, ma quando il suo disagio era diventato quasi insopportabile esso era scivolato attraverso la pietra fino a me, svegliandomi. Al terzo risveglio la malata ci aveva chiesto di farle un incantesimo per farla dormire, e Anne aveva usato una magia calmante che aveva imparato a medicina.
Quando udii che la ragazza si era levata a sedere, solo verso la tarda mattinata, io bussai alla sua porta.
-Avanti.- mi incoraggiò la sua voce.
La prima cosa che notai quando la guardai fu che non aveva più gli occhi lucidi.
-Buongiorno.- la salutai -Riposato bene?
Lei si passò una mano tra i capelli.
-La magia di Anne mi ha proprio stesa.- confermò -Sicuro che non fosse una specie di anestesia totale?
Scossi il capo.
-Era un discreto calmante.- la contraddissi -Ma il tuo corpo doveva aver bisogno di riposare.
Lei annuì e mi sorrise, felice.
-E adesso tira fuori i muffin.- mi incitò.
Mi accigliai.
-Guarda che io non ho muffin.- le dissi, inarcando un sopracciglio e facendole vedere entrambe le zampe della mia forma ibrida.
-E allora da dove arriva il profumo di muffin?- rise lei.
Mi morsi il labbro.
-Dall'appartamento dei vicini.- le spiegai, serio.
Lei rimase a bocca aperta.
-Benvenuta tra noi, lupetta.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


 
Capitolo 12


Mi sedetti ai piedi del suo letto, mentre Jane continuava a fissarmi.
-Sto bene perché- chiese -la trasformazione è finita?
Annuii, guardandola e nel frattempo guardando il lupo che appariva nella sua aura. Jane aprì e chiuse i pugni, poi abbassò le palpebre e cominciò a prendere brevi respiri, girando il capo per annusare i dintorni.
-Ciambelle.- esclamò lei.
-Sono finite.- mi scusai.
Lei mi lanciò uno sguardo supplichevole.
-Scherzo.- la rassicurai -Te ne abbiamo lasciata qualcuna.
Lei si alzò e mi diede un pugno giocoso sul petto. Io lanciai un'esclamazione di dolore e mi tastai la parte colpita.
-Oddio, mi ero dimenticata dell'aumento delle prestazioni fisiche. Scusa, El.- si dispiacque Jane, liberandosi dalle coperte per avvicinarsi a me.
-Te la sei cercata.- mi criticò Anne, apparsa sulla porta -Non si entra nella camera di una ragazza.
Spostammo lo sguardo verso la giovane appena arrivata, in quel momento in forma umana, che lanciò qualcosa di nero sul letto in mezzo a noi. Capii che erano dei vestiti.
-Abiti elastici.- spiegò il gufo -Mettiteli il prima possibile, così se muti all'improvviso non rompi i vestiti.
-Non voglio metterti fretta.- chiarì Anne, addolcendo il tono -Ma entro poco tu potresti sentire il bisogno di mutare per la prima volta, ed è meglio essere preparati.
Jane annuì.
-Non fa male.- le promisi.
-Me l'hai già detto.- mi ricordò lei.
-Ma l'idea ti fa ancora paura.- dissi, inclinando il muso.
Lei non cercò di negare: sapeva che sentivo la sua paura nell'aria.
-È un brutto paragone- cominciai -ma assomiglia a dover vomitare. All'inizio ti senti male, ma dopo averlo fatto stai davvero meglio.
Lei e Anne si guardarono e risero. Io ovviamente non capii il perché.
-Io glielo avevo spiegato con metafore più delicate- disse il gufo, asciugandosi un occhio -ma anche la tua rende l'idea.
Uscii dalla stanza imbronciato, lasciando alla ragazza il tempo per cambiarsi.


Jane si mise una mano sullo stomaco.
-Ho mangiato troppe ciambelle.- si lamentò.
-Hai dimenticato di menzionare le caramelle.- le ricordò Anne.
-E i biscotti.- terminai io.
Noi tre eravamo da soli in casa, perché i genitori della gufa erano andati al lavoro, perciò avevamo indetto una grande festa all'insegna del cibo spazzatura.
-Il mio stomaco adesso non dovrebbe funzionare meglio?- chiese l'ex-umana, massaggiandosi l'addome.
-Beh, non credo che nemmeno uno stomaco umano starebbe male dopo così poco.- fece notare Anne -Non è che hai toccato dell'argento o dell'aconito?
-Io non ho visto nulla d'argento a portata di mano.- replicai -E l'aconito è velenoso per tutti, con la differenza che ai lupi fa male anche solo al tocco. Comunque, se la strozzalupo fosse finita nel cibo, ora staremmo male anche noi.
La ragazza scattò verso il bagno prima che uno di noi due facesse in tempo a chiederle quanto stava male. La seguimmo in fretta, e la trovammo china sulla tazza, ferma.
-Non ho vomitato.- ci disse, atona -L'attacco si è calmato, però è sempre lì, latente.
-Ho bisogno di trasformarmi.
L'aveva detto Jane stessa, nessun altro aveva riferito quello che ormai tutti avevano capito.
-Lo faccio adesso.- ci avvertì.
-Puoi ancora aspettare, se vuoi.- la avvertii -Il corpo di un licantropo deve mutare solo per qualche ora ogni mese lunare, e non per forza con la luna piena. Hai ancora qualche giorno per abituarti all'idea.
Lei mi fissò per un secondo poi scosse la testa.
-No, io... preferisco togliermi il pensiero.- spiegò Jane, appoggiando le mani sulle piastrelle e contraendo le dita.
-Aspetta!- esclamò Anne -Non nel bagno!
Jane sollevò il capo e si guardò intorno. In effetti, la minuscola stanza piena di oggetti fragili non era l'ideale per la prima trasformazione della nuova lupa. Io le tesi la zampa per aiutarla a rialzarsi.
-E allora dove?- domandò l'altra, prendendomi la mano.
-Al centro del salotto non rischi di farti male per sbaglio.- suggerì il gufo, facendo un cenno con la testa in direzione della stanza.
Jane si alzò in piedi, traballante. Avendo l'abitudine di continuare a mutare tra le mie tre forme, non potevo dire di comprendere lo stato in cui lei si trovava in quel momento: non ero mai rimasto nella mia forma umana o di lupo talmente tanto da costringere il mio corpo a mutare nella forma ibrida senza il mio consenso.
La sorressi mentre l'accompagnavo sul tappeto del soggiorno, e lì la lasciai andare delicatamente. Jane mi sorrise, come per ringraziarmi, poi cadde sui gomiti, emettendo una bassa esclamazione incredibilmente somigliante ad un latrato.
-Jane!- gridammo io e Anne contemporaneamente.
La ragazza aveva cominciato a respirare tramite boccate d'aria affannate. Le sue mani premettero con forza contro il tappeto, mostrando che le unghie si erano appuntite e scurite.
-Ok.- dissi, accucciandomi sulle quattro zampe per accarezzarle la schiena -Va tutto bene.
Sentii che, sotto il mio palmo, Jane stava tremando. Cominciai ad accarezzarle i capelli, e lei mosse con uno scatto la testa verso di me. Nei suoi occhi distinsi la paura prima ancora di doverla fiutare nell'aria. Non era stata lei a dare inizio alla mutazione, essa era cominciata spontaneamente.
-Lasciala uscire.- la incoraggiai, con tono calmo -Non combatterla, butta fuori tutto. Ti farà sentire meglio.
Mi focalizzai sul Potere dentro di me, cercando una porta che dava sull'esterno. Quando la trovai, la mia mente venne in contatto con la pietra e da lì con quella della giovane e con il mare di paura che la dominava.
Smette di fare male se la lasci uscire. La rassicurai. Te lo prometto.
La paura diminuì, e percepii un muto consenso e determinazione. Jane chiuse gli occhi castani e le sue dita si allungarono, coprendosi di una leggera peluria.
Mi avvicinai un po' di più alla lupa, sia con il corpo che con la mente.
-Brava.- sussurrai -Continua così.
Jane lasciò andare una boccata d'aria, lasciandomi vedere che i suoi denti erano diventati zanne. Il suo corpo venne scosso da un altro tremito, ma il suo respiro si era regolarizzato. La paura scivolò via dalla sua mente man mano che la mutazione avanzava.
-La colonna vertebrale può sembrare strana mentre cambia- la avvisai, passandole la mano tra le orecchie a punta -tu però non fermarti, il tuo corpo sa cosa fare.
Notai un movimento con la coda dell'occhio e vidi che ormai le sue gambe erano zampe coperte da una folta pelliccia castana. Il suo capo stava diventando rapidamente un muso, in cui non c'era traccia dei suoi capelli, sostituiti dallo stesso pelo degli arti, ma che sotto la pelle mi pareva soffice, e non irsuto come il mio.
Jane smise di tremare e sollevò lentamente la testa.
È finita. La rassicurai, passandole le dita tra la pelliccia della nuca.
La ragazza aprii gli occhi per rivelare che le sue iridi marroni non erano cambiate.
-Jane?- chiese Anne, preoccupata.
No, Jane non si era persa nella mutazione. La sua personalità era ancora lì, lo sentivo attraverso la pietra che portava al collo. La lupa abbassò il muso e rimase incantata alla vista della propria zampa. Cercò di muoverla, e sorridemmo insieme quando scoprì che l'arto obbediva alla sua volontà. La sua zampa si avvicinò alla mia, finché lei, quasi come se fosse un gioco, non sovrappose la propria.
Sono simili. È strano. Mi disse attraverso la pietra, silenziosamente.
Zampe da lupo. Commentai, grattandole la nuca per darle un conforto che sapevo non essere più necessario.
Lei percepii che io sapevo che lei non aveva più bisogno della mia presenza, ma che le continuavo a stare vicino comunque, e io sentii il mio cuore accelerare per l'imbarazzo. Lei mi sorrise e si premette contro il mio palmo, passando la sua pelliccia sulla mia pelle. Il mio battito cardiaco accelerò di più.
-Jane?- chiese ancora Anne, stranita.
La lupa si separò da me scuotendo la testa.
-Sì. Ci sono, Anne.- rispose, con la voce resa più ringhiante dalla nuova forma.
La ragazza si accorse del nuovo timbro e si mise una mano sul petto, stupita.
-Ti ci abituerai.- la tranquillizzò il gufo, ora l'unica tra di noi a essere in forma umana -Stai bene?
Il nuovo licantropo aveva già chiuso gli occhi e mi stava annusando il braccio che avevo fatto per stendere di nuovo al mio fianco, ma che lei aveva trattenuto per fiutarne l'odore.
-Jane!- la richiamò Anne, impaziente.
La lupa aprì di scatto gli occhi e staccò il muso dalla mia pelliccia.
-Scusa.- disse -Mi dispiace. È solo che ci sono così tanti odori... e suoni e...
Jane cercò le parole ma non le vennero.
-Come se ci fosse stata un'esplosione, vero?- propose il gufo, ridacchiando -Come se nei tuoi occhi ti avessero appena installato lo zoom digitale.
-Sì.- ridacchiò Jane, inclinando la testa -Anche se è l'olfatto il più strano di tutti.
La femmina di gufo incrociò le braccia sul petto, simulando stizza.
-Perfetto!- sentenziò Anne -Un segugio in più! Se trovi dei tartufi avvisami, va bene? Li vendiamo e facciamo cinquanta e cinquanta.
-Cosa?!- protestò Jane -Non ci penso nemmeno! Io li trovo, io mi tengo i guadagni.
-Allora ti farò pagare la notte che hai passato qui, i pasti, e anche l'assistenza durante la trasformazione.- la minacciò l'altra.
La lupa inarcò un sopracciglio.
-Già, in quella sei stata proprio d'aiuto...- insinuò, facendo un cenno nella mia direzione.
-Se non ci fosse stato El- disse la ragazza, tirandomi una leggera gomitata -sarebbe stato tutto molto peggio.
La lupa inclinò la testa dopo aver eseguito quel gesto, e avvicinò ancora di più il muso a me per poi chiudere gli occhi e annusare la pelliccia del mio petto. Doveva essere strano, per lei, avvertire così tanti odori mentre da umana forse dava poca importanza al proprio naso. Non potei fare a meno di notare che anche il suo aroma era cambiato, diventando leggermente più secco, più amaro di quando non era un licantropo. Il profumo era ancora buono, però, sapeva semplicemente meno di cibo e più di branco.
-Già- ridacchiò Anne, maliziosa -chissà cosa sarebbe successo se non ci fosse stato Elija, o se non ci fossi stata io...
Jane si separò da me di un passo, incespicando nel processo per finire col fondoschiena per terra. Il ringhio d'avvertimento che la lupa lanciò alla femmina di gufo sarebbe stato più convincente se la prima non avesse appena fatto quel capitombolo.
-Attenta.- l'avvertii, senza riuscire pienamente a trattenere le risate -Non vai ancora perfettamente d'accordo con la nuova forma, datti qualche minuto per abituarti alle misure degli arti.
Le tesi una zampa e l'aiutai a rialzarsi. Ebbe comunque bisogno di appoggiarsi a me per muovere i pochi e insicuri passi su due zampe che la separavano dal divano.
-Adesso i pantaloni ti bloccano la coda, ma quando la lasci libera ti aiuta a tenerti in equilibrio quando stai in posizione eretta.- la rassicurai.
-Ha ragione Elija.- mi appoggiò Anne -È uno dei motivi per cui portare dei vestiti può essere scomodo in forma non umana. Il licantropo qui presente non ti sta suggerendo di toglierti i pantaloni perché è un pervertito.
-Beh- aggiunse, dopo un attimo -non solo perché è un pervertito.
Ignorai la provocazione e aiutai Jane, il cui polso era aumentato per l'imbarazzo, a sedersi sul divano. Quando fu distesa la nuova lupa si permise un sospiro.
-È strano.- commentò -Mi sento molto più forte di ieri, eppure non riesco a stare in piedi da sola.
-Ehi, se fossi impazzita durante la trasformazione, adesso ti muoveresti perfettamente, ma noi avremmo dei seri problemi a fare tornare la vecchia Jane indietro.- scherzai.
Quella che Jane si perdesse nella sua forma di lupo era un'ipotesi praticamente impossibile, persino durante la sua prima mutazione. Si era fatta mordere volontariamente, e questo le conferiva una preparazione psicologica che preservava la sua personalità quando indossava la pelliccia.
-Non vi ringrazierò mai abbastanza per quello che avete fatto per me in questi giorni.- esordì la giovane.
-Penseremo a un modo per farti sdebitare.- la tranquillizzò Anne, sorridendo in maniera malvagia.
Scossi la testa e mi avviai verso la cucina. Avevo ancora voglia di...
Sentii qualcuno stringermi il braccio. Quando mi voltai gli occhi di Jane mi fissavano stupiti.
-Dove vai?- chiese, stranita dal mio comportamento.
Accennai alla cucina con il braccio libero.
-Pensavo di portare qui dalla cucina il resto del cibo. Ho ancora voglia di caramelle.- spiegai -E comunque, mi congratulo per la velocità.
Jane si rese conto solo in quel momento di essere scattata dal divano e di essere in piedi sulle zampe posteriori. Nel momento in cui realizzò la propria posizione, le sue gambe sembrarono ribellarsi cominciando a tremare. Capii al volo e fui abbastanza svelto da abbracciarla per sostenerla prima che potesse barcollare.
-Meno ci pensi, meglio ci riesci, Jane.- rise Anne, scuotendo il capo.
-È la nuova variante di “tu pensi troppo”?- domandò la lupa.
-Decisamente.- rispose l'altra.
Mi intromisi nella discussione dando un buffetto sul muso della lupa col mio.
-L'importante è che tu stia bene, e che la smetta di impedirmi di prendere da mangiare.- dissi io.
Il pensiero che filtrò attraverso la collana dalla mente di Jane non aveva voluto essere inviato. L'imbarazzo, la paura o un'altra emozione avevano spinto fuori un frammento di quello che la lupa pensava, ed esso era arrivato fino a me.
Pensavo te ne stessi andando.
Jane sapeva che io avevo sentito e si morse il labbro.
È per questo che mi hai chiesto di trasformarti? Chiesi, meravigliato. Perché credevi che altrimenti me ne sarei andato?
No. Si affrettò a rispondere lei, sempre attraverso la collana. L'ho fatto perché volevo sapere quanto l'operazione influenzava la tua scelta di passare del tempo con me. Se tu non avessi continuato a frequentarmi anche dopo che io avessi accettato di farmi trasformare, allora avrei saputo che la nostra amicizia non esisteva.
E non c'era nessun altro con cui potevo immaginare di vivere questo cambiamento. Confessò.
Non l'accompagnai al divano, ma quando Jane distolse lo sguardo dal mio e mise dei blocchi al nostro legame io le passai la lingua sulla fronte, riordinandole la pelliccia. Poi separai il mio muso dal suo per avvicinarglielo a un orecchio.
-Un consiglio- sussurrai -non leccarti mai troppo. Le palle di pelo nello stomaco sono un affare disgustoso, credimi.


-È strano- mormorò Jane, premendo gli artigli sulla neve -non sento il freddo. Cioè, lo sento, ma è sopportabile.
-La nostra pelliccia è un buon isolante termico- spiegai -e lo stesso vale per le penne di Anne.
Mi domandai per l'ennesima volta perché proprio quel giorno il clima aveva deciso di non aver riversato neve sulla città per troppo tempo e aveva fatto arrivare una lunga nevicata a imbiancare il parco del quartiere magico. Io e Anne avevamo pensato di posticipare la passeggiata a una stagione più mite, ma Jane aveva insistito affinché la facessimo il giorno successivo alla sua prima trasformazione.
La lupa si girò di scatto verso di me e si piegò sulle quattro zampe della sua forma ibrida, lanciando un ringhio giocoso. Jane stava vivendo molto bene la sua nuova condizione, e di questo non potevo che essere felice. La vedevo emozionata, curiosa delle sue nuove capacità, sicura nella propria pelliccia anche quando, il giorno prima, aveva riposto gli abiti di Anne per guardarsi allo specchio e non se li era più rimessi.
Balzai per rispondere alla provocazione e rotolai per terra con la ragazza. Lottammo con convinzione, cercando di oltrepassare l'uno la guardia dell'altra e di colpirci la gola. Il suo ventre era di un ocra più chiaro rispetto alla sua schiena, che a momenti sfociava quasi nel giallo. Finii a faccia nella neve, ma mi rialzai subito per correre via. Le falcate della lupa mi inseguirono subito.
Ok, forse più che una passeggiata la dovremmo chiamare una serie di follie.
-Aspettatemi!- urlo il gufo, da sopra di noi.
Sorrisi e accelerai. Jane però non demordeva, ora che la maggior parte dei suoi problemi di coordinazione se ne era andata. La ragazza aveva passato tutte le ventiquattro ore precedenti senza ritornare umana.
Sentii un peso afferrarmi e incespicai, finendo per cadere di nuovo sulla neve farinosa. Alzai lo sguardo per vedere Jane, ansante, bloccarmi a terra, ma senza tentare di attaccarmi ancora. Il nostro respiro si condensava in grosse nuvole d'aria umida, su di cui la luce emessa dal ciondolo che stava al collo di Jane sembrava ancora più evidente.
Jane mi sorrise, forse solo per il gusto di mostrarmi tutte le zanne, io la imitai e poi scoppiammo a ridere dei doppi sensi rappresentati dai nostri sorrisi.
-Hai una pietra del mago?
Io e la lupa ci girammo di scatto verso Anne, al cui atterraggio nessuno aveva prestato cura. Gli occhi della femmina di barbagianni erano fissi sul punto luminoso al collo di Jane, quasi come ne fossero ancorati. La mutaforma non si stava facendo scrupoli a osservare spudoratamente la porta della mia mente aperta. Sarebbe dovuta andare più vicino alla pietra per conoscerne il proprietario, ma immaginavo che, essendo al collo di Jane, non le fosse difficile immaginare che fossi io. Dopotutto, quanti maghi potenti conosceva la nuova lupa?
La luce si spense, e in un lampo di pelo la femmina di licantropo fu davanti a me, a lanciare un basso ringhio di minaccia.
Anne non capì subito e continuò a far passare gli occhi dal volto di Jane alla pietra che portava al collo. Per tutta risposta la lupa celò il ciondolo dietro il proprio artiglio e fece diventare il ringhio un ruggito. Il gufo si affrettò a distogliere lo sguardo, girando la testa della proprie forma ibrida di centottanta gradi.
Ci volle qualche secondo anche a me per capire che la giovane stava cercando di proteggermi.
-Aspetta, Jane.- la fermai -Va bene così.
Il muso della ragazza si girò verso di me mentre mi rialzavo dalla neve.
-Non m'importa se la vede o se la guarda.- la rassicurai -Anne è mia amica.
Non potei impedire di sentire calore al petto, nonostante il freddo mi pungesse la pelliccia, mentre guardavo Jane che sfoderava le zanne per difendere me.
La lupa scosse il capo e si guardò imbarazzata le zampe posteriori, tamburellando con gli artigli sul terreno. Mormorò qualche parola per scusarsi con la gufa, ma con un volume della voce talmente basso che non la sentimmo.
-No, Jane, non dire così.- la contraddisse Anne, per la cosa che io non avevo udito ma che lei sì.
Mi ero dimenticato che le orecchie dei barbagianni sono tra le migliori al mondo.
-La pietra di un mago è una cosa privata.- continuò il gufo -Non avrei dovuto cercare di guardarne l'aura, perciò sono io a dover chiedere scusa, a tutti e due.
Poi Anne mi lanciò uno sguardo e sorrise, o almeno, assunse quella che avevo imparato a identificare come l'espressione dei gufi per la felicità.
-Comunque,- aggiunse poi -credo che sia ora che Jane impari qualche variante da mutaforma dei giochi umani, cosa ne pensi Elija?
La lupa drizzò le orecchie, allarmata.
-In che senso?- domandò.
Io e Anne ci scambiammo uno sguardo complice.
-Lo capirai.- la rassicurai, sfoderando la miglior espressione malvagia che conoscevo.


Quel giorno volò, poi Anne dovette tornare all'università, e io e Jane dovemmo sforzarci per tenere impegnate le nostre mattinate da soli. In realtà non ci costò molta immaginazione, siccome la costante ricerca della nuova lupa di comprendere le sue capacità ci occupava tutta la giornata, e non solo la mattina. All'inizio mutare le richiedeva tempo, ma man mano che io la spingevo a passare da una forma all'altra per lei divenne semplice. Andavamo a zonzo per il quartiere magico cercando di trovare le pizzerie seguendone gli odori. Oppure correvamo insieme, ma correvamo veramente, usando la nostra forma totalmente lupina per lanciarci attraverso gli alberi del parco.
-Con tutto l'esercizio mentale che stai facendo nell'aprire e chiudere la comunicazione attraverso la pietra- le dissi -parti avvantaggiata, ma non ti demoralizzare se non ci riesci subito, capito?
Era mattina, ed eravamo soli in casa, perciò il posto aveva la tranquillità ideale.
-Capito.- confermò lei.
-Allora- continuai -chiudi gli occhi.
Lei mi ubbidì.
-Cerca di sentire l'energia dentro di te, immaginala come calore, un formicolio, corrente elettrica che scorre nel tuo corpo, o come quello che vuoi. Visualizzala nella tua mente, se preferisci.- le spiegai.
Jane mi aveva chiesto di insegnarle a usare la magia, e io avevo promesso, allegro, che ci avrei provato.
-Puoi cominciare- suggerii -col riprodurre lo stato che usi quando spezzi un Vincolo, o contrasti una magia.
Nel momento in cui finii di dirlo nella sua aura cominciò a serpeggiare Potere. Non era molto, ma abbastanza da dirmi che Jane stava facendo progressi.
-Kuntera servaji hun micnek- Parlò, stendendo la mano.
Non successe nulla. Jane aprì gli occhi per guardarsi la zampa, e il Potere nella sua aura svanì. Lei si imbronciò.
-Hai evocato del Potere- le spiegai -ma non l'hai modellato prima di pronunciare la formula. Le Parole ti aiutano a lanciare un incantesimo, ma non sono la parte fondamentale delle capacità di un mago, quella è la sua testa.
Lei annuì convinta prima di abbassare ancora le palpebre per provare di nuovo. Il Potere nella sua aura incrementò, ma stavolta le scintille erano più vicine alla sua zampa sinistra.
-Pensa ai fulmini- la esortai -all'elettricità, a una lampadina se ti fa venire l'idea. Poi devi solo creare una piccola bolla con quell'elettricità.
Il numero di scintille nell'aura della lupa aumentò.
-Kuntera servaji hun micnek!- ordinò.
Non accadde di nuovo nulla e le scintille si estinsero più velocemente di quanto erano arrivate. La lupa sbuffò e si accasciò sul divano.
-Credo di sentire qualcosa- sospirò -ma non ne sono sicura.
-Tu senti qualcosa- le confermai -ma non sei ancora in grado di padroneggiarlo. Riesci a connetterti con la tua forza, ma perdi la concentrazione quando provi ad usarla. Non te ne devi vergognare.
Mi sedetti alla sua sinistra per guardarla fare un altro paio di infruttuosi tentativi, in cui la quantità di Potere evocata non variò di molto. Insomma, dubitavo che quello che riusciva a concentrare sulla mano bastasse persino per il semplice incantesimo che voleva usare.
-Ho un'idea.- la fermai.
Jane interruppe i suoi esercizi e mi fissò con curiosità.
-Non raccogli ancora abbastanza Potere- esposi la mia idea -e per di più non riesci ancora a raccogliere energia e a usarla contemporaneamente.
Alzai la zampa destra, col palmo rivolto all'insù.
-Ma io forse potrei renderti i primi passi più facili.- proposi -Che ne dici se, invece di cercare di radunare la tua forza, usassi direttamente la mia?
Dallo sguardo sul muso della lupa capii che si era persa.
-Cosa?- domandò.
-Si chiama Condivisione- raccontai -quando due o più maghi uniscono le proprie forze. Non è difficile, con un contatto pelle a pelle, e se io ti passo il mio Potere tu non devi preoccuparti di radunarlo, ma devi solo plasmarlo.
-Quindi- disse Jane, socchiudendo gli occhi -sarò una novellina con la magia di due stregoni? Fantastico! Vado subito a prendere a colpi di palle di fuoco qualche veterano!
Il dorso della sua mano si appoggiò al mio palmo.
-Quando si comincia?- chiese lei, impaziente.
Le sorrisi e chiusi gli occhi per concentrarmi, intrecciando le sue dita alle mie. Non ero imbarazzato: una Condivisione di Potere è una cosa piuttosto comune se sei una persona che non usa la magia esclusivamente per cuocersi i pop corn. E poi, Jane aveva già la mia pietra del mago, perciò l'unica cosa che potessi fare che avrebbe portato il nostro rapporto a un livello più intimo sarebbe stato baciarla.
Scacciai quel pensiero dalla testa e vi feci rimanere solo il Potere. Trovare il contatto con lo spirito di Jane fu semplice, sia grazie alla sensazione della sua pelliccia sia grazie alla connessione creata dalla pietra.
Il braccio mi venne invaso da un familiare formicolio mentre la magia lo percorreva, fino ad arrivare sotto la mia pelle. Strinsi un poco più forte la mano della femmina di licantropo per avvertirla, poi feci scorrere l'energia nel suo corpo.
La lupa sobbalzò per la sorpresa ma poi si rilassò. Sentivo la sua mente sondare il mio Potere attraverso il nostro legame, e tranquillizzarsi mentre mi riconosceva.
-È... caldo.- mormorò.
Aprii gli occhi per sorriderle.
-Vuoi che la smetta?- mi assicurai.
Lei scosse il capo.
-No.- mi rassicurò lei -Non è una brutta sensazione.
-Allora riprova.- la esortai, lanciandole un altro sorriso di incoraggiamento.
L'altra mi scoccò uno sguardo divertito e abbassò le palpebre come avevo fatto io momenti prima. Il mio Potere venne chiamato da un controllo che non era il mio, ma accorse comunque in gran quantità. Era troppo.
-Scudo!- pronunciai.
Il fulmine che partì dalle nostre mani unite mi abbagliò la vista, ma si scaricò sulla barriera che ero stato abbastanza rapido da erigere per evitare di distruggere qualche mobile.
Io e Jane fissammo il punto dove l'incantesimo si era fermato, poi ci voltammo a guardarci l'un l'altra. Avevamo i peli dritti a causa dell'eccesso di elettricità statica e per la paura che scorreva in entrambi, in pratica sembravamo più ricci che lupi.
-Forse sono stata un po' troppo precipitosa.- suppose la giovane.
-Un tantino.- approvai -Però hai lanciato il tuo primo incantesimo.
-Già.- confermò lei.
-Era potente.- mi complimentai -Sei portata per la distruzione di massa. E, come vedi, non hai nemmeno avuto il bisogno di dire una Parola.
-Devo aver prosciugato metà della tua energia.- osservò lei.
-Naaah.- la contraddissi, ironico -Forse poco più di due terzi. Ma tu continua pure a provare.
-Posso?- domandò.
-Certo.
La lupa si focalizzò di nuovo e stavolta fu solo un filo di Potere quello che percepii concentrarsi sul suo palmo. L'avrei incoraggiata se non avessi avuto paura di distrarla, perché era sulla strada giusta.
-Kuntera servaji hun micnek- mormorò.
Una piccola luce apparve a due centimetri dal suo palmo, per poi crescere fino ad assumere le dimensioni di una sfera del diametro del mio pollice. Piccoli archi di elettricità si staccarono dal globo e si attaccarono alle nostre pellicce o si scaricarono sul divano.
Jane mi sorrise e io ricambiai con uno sguardo d'approvazione, prima di passare la mano libera sul globo, i cui piccoli fulmini si curvarono per agganciarsi alle mie dita.
-Hai ragione- ammisi -questo incantesimo è divertente.
-Beh, avevi ragione anche tu quando mi dicevi che usare la magia è divertente.- confessò a sua volta lei.
La sfera smise di brillare e gli archi di elettricità svanirono. L'unica fonte di luce magica della stanza ora era la mia collana, che irradiava un bagliore bianco dal collo della lupa.
-Perché l'hai fermato?- chiesi.
-Volevo provare a fare un'altra cosa.- mi spiegò lei -Ma devi darmi un secondo, ok?
Dopo che ebbi annuito lei chiuse gli occhi (Perché continuavamo alternativamente a chiudere gli occhi? Non avevamo paura che l'altro ci saltasse alla gola gridando “Sorpresaaaaa!!”?). Fu allora che lo sentii incunearsi.
La piccola onda di Potere che non mi apparteneva risalì la corrente di energia diretta a Jane e si diffuse nella mia mano. Poi ne arrivò un'altra, poi un'altra ancora, fino a che formarono un piccolo filamento di magia che mi entrava nel braccio. Non era brutto però, quella forza sapeva di caldo, di familiare, di sicuro.
-Jane.- mormorai.
-Ci sto riuscendo?- chiese l'altra, aprendo gli occhi.
La sua forza non smise di viaggiare solo perché lei aveva riacquistato la vista.
Sì. risposi, unendo la parola al Potere.
Jane sorrise e si guardò le zampe posteriori, con cui stava strofinando il tappeto.
Dopo che mi hai fatto sentire la tua magia Il pensiero mi si infilò nella testa riesco a gestire molto meglio la mia.
Lei stava scomoda in quella posizione, col braccio sollevato in quella maniera da così tanto tempo. Lo vedevo nella sua mente. Così mi avvicinai fino a premere il mio fianco contro al suo, e mi resi conto che anche per me era molto meglio.
È piacevole, vero? Chiese lei.
Non potevo negarlo. Dopotutto, mi era sempre piaciuta la sua compagnia, e poi non potevo negare che la sua pelliccia soffice, il suo nuovo odore e il suo fascino ferale non avessero reso la sua persona più interessante. In realtà però sotto quel pelo batteva sempre il cuore della vecchia Jane, perciò la sua trasformazione non aveva fatto nulla di significativo che me la rendesse più simpatica, o più...
Interruppi la Condivisione e mi alzai dal divano. I miei palmi sudavano per la paura e l'imbarazzo, mentre il mio cuore mi pulsava in gola.
Mi voltai verso Jane, che sembrava stanca. Doveva essersi sforzata più di quanto mi aspettassi per mandarmi quella goccia di Potere.
-Scusa- dissi -ma io sono distrutto. Non ce la facevo più a mantenere il contatto.
Non era vero.
-Non ti preoccupare.- mi tranquillizzò lei -Come prima lezione, è stata più che emozionante.
-Con quel fulmine, poi.- ricordai io.
-Non me lo menzionare.- mi minacciò lei.
Mi domandai quanto avesse visto nella mia mente grazie alla Condivisione. La mia esperienza dei Richiami di Sangue con Dikstra mi aveva reso piuttosto bravo nel nascondere delle cose nei legami mentali, ma non ero sicuro di aver celato tutto.
-Vado a fare una doccia.- mi congedai -Ne ho bisogno prima che cominci a puzzare più del solito.
E se me la faccio gelata aggiunsi, tra me e me forse riesco anche a levarmi di dosso questo folle desiderio di baciarti in questo preciso istante.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


 
Capitolo 13


-Ho sentito che hai fatto provare la Condivisione a Jane.- mi disse Dikstra, bevendo avidamente dalla cannuccia infilata nel frullato.
Appoggiai sul tavolo della sala ristoro la tazza con il caffè. Giusto per chiarirci, non sono andato in un bar con mia sorella (la vedo già per troppo tempo) ma in quel momento eravamo nel Protettorato, una settimana dopo la prima trasformazione di Jane. La nuova lupa aveva dimostrato di non avere nessun problema di controllo né nessun problema psichico a causa del quale avrebbe usato la sua forma di lupo per trucidare giovani coppiette a Central Park, perciò era tornata a casa propria.
Oddio, il massacro di coppiette a Central Park era davvero una brutta immagine.
-E chi te lo avrebbe detto?- chiesi.
-Un uccellino.- rispose l'altra, rimanendo sul vago.
-Jane l'ha detto a Anne che a sua volta lo ha detto a Philip, non è vero?- supposi.
-E va bene.- ammise lei -Me lo ha detto Phil, contento?
Alzai un sopracciglio.
-Da quanto tempo l'agente Anderson è diventato “Phil” per te?- indagai, avvicinandomi a lei.
Dikstra si mostrò impassibile, ma venne tradita dall'aumento della velocità con cui sorbiva la bevanda nel decimo di secondo seguente alle mie parole.
-Immagino tu sappia che se non mi rassicuri sul suo conto- le feci notare -io sarò costretto a spezzargli qualcosa. Ne va del mio onore.
La giovane scosse la chioma, ostentando indifferenza.
-È carino, a volte persino simpatico.- rivelò lei.
-E ti tratta come una regina.- aggiunsi.
Lei annuì, senza guardarmi negli occhi, e io rimasi a bocca aperta. Sapevo che la sua definizione di Phil come “carino e simpatico” era solo una mezza verità, ma non mi aspettavo che anche la sua conferma al mio commento lo fosse. Lei non usciva con Phil solo perché le stendeva un tappeto rosso sotto i piedi.
-Mi ha colpita per quello- confessò la vampira, poggiando il bicchiere -poi mi sono ritrovata a volerlo vedere ridere.
Prima che le mie fauci potessero spalancarsi fino a terra per la sorpresa, Dikstra si ricompose e congiunse le mani davanti a se.
-Comunque- cambiò argomento la vampira -torniamo all'argomento della tua tenera Condivisione con la dolce Jane, che tu hai salvato durante la sua prima mutazione come un principe su un cavallo bianco.
Scusate tutta la retorica. Mia sorella è fatta così.
-Dunque, sei andato solo in seconda base- chiese la vampira, mimando il gesto di un battitore del baseball -ho sei riuscito a fare direttamente un fuoricampo?
Dikstra mi sorrise in modo eloquente e ammiccò. Io ovviamente non capii.
Le braccia le ricaddero lungo hai fianchi.
-Non mi dire che hai mancato la palla!- esclamò.
Non sapevo cosa intendesse, ma ringraziai la Runa di silenzio tracciata sul tavolino che impediva a tutto l'ufficio di sentire quella scenata.
-Insomma la situazione si è scaldata oppure no?- insistette lei, ormai sul limite dell'esaurimento nervoso.
Compresi le metafore solo in quel momento.
-No, Dikstra!- risposi, scandalizzato -Dai, era una semplice Condivisione... è normale... mi avrebbe azzannato...
Lei mi bloccò con un gesto della mano.
-Aspetta, tu passi sei mattine da solo con una lupa a cui tu hai dato la tua pietra del mago, e da cui sei evidentemente attratto- ricapitolò -fai una Condivisione con lei, in cui oltre al Potere si possono trasmettere ogni sorta di pensieri e di intimità... e non sei riuscito nemmeno a sfiorarla?!
-Come fai a sapere che le ho dato la mia pietra?- domandai, ignorando il resto.
Lei mi lanciò uno sguardo che significava “Andiamo, era ovvio.”.
Incrociai le braccia e diedi uno sguardo all'orologio appeso nella stanza. Fortunatamente i miei dieci minuti di pausa erano quasi finiti, perciò non avrei dovuto sopportare la vampira ancora per molto. Mi alzai dalla sedia e lavai la tazza che avevo usato nel lavandino.
-Ricordami quando mi hai detto che mi sbagliavo riguardo alla tua attrazione per Jane.- richiese Dikstra, corrugando la fronte.
Io misi a posto la tazza.
-Non l'ho detto.- replicai.
Poi mi voltai per tornare al lavoro.


Fu circa un mese dopo che io, Philip e Anne ci ritrovammo a perlustrare con lo sguardo l'interno del Creepy Shiver Bar, un locale gestito da un vampiro abbastanza conosciuto nell'ambiente del Protettorato.
-Non vedo il bersaglio.- sussurrò Phil.
Io esaminai di nuovo i volti al centro del locale. Niente. Eppure il mio naso mi diceva che era passata di qua.
-Bersaglio avvistato!- ci chiamò Anne -Bersaglio avvistato!
Ci voltammo nella direzione indicata dalla gufa, per vedere i capelli di Jane, la quale ci dava le spalle, seminascosta da un'enorme tigre mannara.
Ci avvicinammo tutti e tre il più silenziosamente possibile, e poi fummo solo io e Phil quelli che le si misero davanti, per salutarla in modo totalmente idiota. La ragazza si accigliò alla nostra patetica posizione, con la mia pelliccia che sfiorava le sue penne.
-Perché mi avete detto di venire qui?- chiese lei.
Io e il gufo ci scambiammo uno sguardo complice. Quanto tempo ci metteva Anne a frugare nella sua borsa?
-Siete sicuri di stare bene?- insistette Jane, corrugando la fronte.
-Resta immobile.- le sussurrò Anne all'orecchio, prima di infilarle sulla testa un ridicolo cappellino di carta colorata a forma di cono e di fissarglielo addosso con un elastico.
-Ma che diavolo...
Non la lasciammo finire.
-Buon quasi compleanno!- esclamammo in coro.
La ragazza ci lanciò uno sguardo stupito, ma un cameriere arrivò portando una torta prima che potesse aprire bocca. Il dolce con panna e fragole (perché la gente non compie gli anni più spesso?) venne posato sotto ai miei occhi desiderosi. Mi trattenni, ma dovetti sforzarmi tanto. Davvero, davvero tanto.
-Ma è il mio compleanno è domani!- protestò Jane.
-Davvero?- esclamò Anne, fingendosi terrorizzata -Abbiamo sbagliato data!
-Abbiamo pensato, visto che tu avrai una festa umana domani- spiegò Phil, subentrando alla sorella -e visto che non sei superstiziosa, di farti una sorpresa con un giorno d'anticipo per essere originali e per lasciarti festeggiare anche con la metà magica della tua vita.
-Ma voi domani siete invitati.- disse ancora lei, arrossendo sotto il suo ridicolo cappellino.
-Ma non avremo l'occasione di fare un sacco di cose stupide, dovendoci comportare da normali esseri umani.- spiegai -Non potremo saltare sul tetto degli edifici, far volare il sale da un capo all'altro della tavola senza passarlo di mano in mano, dirti che il tuo odore naturale stona con quello del tuo shampoo...
-Eppure l'avevo cambiato da dopo la trasformazione.- si lamentò Jane, muovendosi i capelli per annusarli.
Sbiancai sotto il pelo.
-No, intendevo dire non adesso... cioè adesso i tuoi capelli hanno un buon profumo... non che di solito non ce l'abbiano, tu di solito hai un ottimo profumo...
Mi interruppi quando vidi che Jane stava ridendo, e che mi aveva appena preso in giro.
-Passiamo alle cose importanti.- ci esortò Anne, mettendo la sua borsa sul tavolo, di fianco alla torta -Prima torta o regali?
Torta supplicai tra me e me torta torta torta. Dii torta, ti prego.
-Regali.- affermò Jane, lanciandomi un eloquente sguardo di sottecchi.
Io rimasi impalato per un attimo.
-Mi hai appena letto nella mente?- chiesi, avvicinandomi alla lupa per poi socchiudere gli occhi.
Lei scosse le spalle.
-E difficile non ascoltare- commentò -quando qualcuno urla.
Ci lanciammo un lungo sguardo pieno di sfida prima che delle piume bianche e marroni di un ala si frapponessero tra di noi.
-Prima il mio.- ordinò Anne, porgendo alla ragazza qualcosa che non potevo vedere, siccome il suo arto me lo impediva.
Ci vollero altri dieci secondi prima che il separé tra me e Jane venisse calato, e quando ciò accadde vidi che la lupa leggeva imbronciata un bigliettino. Nel momento in cui la giovane sollevò il capo, la carta venne appallottolata dal suo pugno.
-Non è divertente.- commentò secca lei alla femmina di gufo.
L'altra inarcò un sopracciglio e le fece cenno di scartare il regalo. Jane cercò per ben trenta secondi di staccare il primo pezzo di nastro adesivo magico, poi l'unghia del mignolo destro divenne l'artiglio che aveva nella forma ibrida e lei la usò per tagliare la carta. A operazione terminata, l'interno del pacchetto si rivelò essere un film.
Jane saltò al collo di Anne per abbracciarla.
-Oh grazie grazie grazie grazie!- esultò.
Fissai la copertina e riconobbi il titolo. Era un film particolarmente famoso nel mondo magico perché era il primo in cui un mutaforma recitava una parte principale, e per di più trasformato. Lo stesso film era stato proiettato anche nei cinema umani, ma si era fatto credere che il personaggio animale fosse stato ottenuto grazie agli effetti speciali.
-Versione speciale.- le spiegò Anne, sorridendo -Hanno tolto tutte modifiche fatte al computer per far sembrare meno reale il personaggio del mutaforma, con aggiunte le scene tagliate e le interviste agli attori.
Jane le stampò un bacio sulla guancia piumata, poi si risedette per prendere un altro pacchetto.
-E questo di chi è?- domandò.
Philip alzò un'ala, con un'espressione furba.
-Serve nel caso dovessero partire fulmini incontrollati...- suggerì il gufo, mentre la ragazza scartava il pacchetto.
Jane finì di aprire la scatola e si ritrovò in mano un disco di metallo grande quanto il suo palmo, su cui erano state incise diverse Rune.
-È un campo protettivo.- raccontò Phil -Se vuoi fare pratica con la magia, mettilo sul terreno vicino a te e facci scorrere un po di Potere, si attiveranno degli schermi che conterranno eventuali incantesimi che altrimenti ti brucerebbero la televisione.
-E così hai saputo del fulmine, eh?- chiese Jane.
Il gufo annuì.
-Ehi, in poche lezioni, ha fatto grandi progressi- la sostenni io -ora, infatti, riesce a ricreare quella saetta a comando, anche se in quanto a dirigerla deve ancora lavorare.
La lupa sussurrò tre Parole e una cascata di scintille rosse venne lanciata nella mia direzione. I piccoli frammenti di energia rimbalzarono innocui sulla mia pelliccia, ma io rimasi comunque sorpreso che adesso Jane riuscisse a padroneggiare anche quell'incantesimo.
-Grazie Philip- disse lei, gongolando soddisfatta della mia espressione -mi sarà molto utile.
La femmina di licantropo sollevò l'ultimo regalo, mi lanciò uno sguardo incuriosito a cui io mi sforzai di non rispondere, e poi aprì il biglietto. Lesse in silenzio le poche parole che avevo scritto, e che io ricordavo senza il bisogno di vederle di nuovo.


Anche se non posso farti un regalo bello come quello che mi hai fatto tu, spero apprezzerai almeno l'impegno che ci ho messo per pensarci.
Buon compleanno,
Elija
detto anche il Cuscino


Anne si sporse per spiare il messaggio ma Jane glielo nascose con un movimento rapido. Si infilò il biglietto nella borsa, lontano dagli artigli dell'altra, prima di scartare con cautela il mio regalo. Il pacchetto rivelò una scatola di legno, che, una volta aperta a sua volta, mostrò un bracciale.
Il gioiello era costituito da una sottile catenina dorata, allungabile per poter essere indossata in più di una forma. A un certo punto i sottili fili d'oro si interrompevano per lasciare posto al vertice di una placca triangolare dagli spigoli smussati. Dopo la base del triangolo era stata inserita una piccola pietra bianca, di una resina simile a quella di una pietra del mago, e subito dopo questa c'era la base di una placca identica alla prima, ma disposta specularmente, in modo che i due pezzi formassero una specie di rombo allungato.
Jane sbiancò al vedere il contenuto del pacchetto. Alla fine prese in mano l'oggetto e lo sollevò davanti ai suoi occhi. Avevo paura che non le piacesse. Dikstra mi aveva aiutato a sceglierlo, certo, ma questo non mi dava la certezza di aver azzeccato il regalo giusto per lei.
-Cosa c'è scritto?- chiese la lupa, indicando le Rune sulle placche d'argento.
Anne scrutò il gioiello.
-Che la tua voce giunga alla luna.- tradusse la femmina di gufo -Se non mi sbaglio, è un vecchio motto da lupi.
Annuii per confermare ciò che diceva. Quella frase era stata creata in greco e poi tradotta nel linguaggio delle Parole, fino a venire conosciuta da tutti i lupi.
-La leggenda dice,- raccontai -che fu ciò che disse un filosofo licantropo a un suo discepolo, dopo avergli chiesto di ululare al cielo notturno. Gli disse che se fosse riuscito a farsi ascoltare dagli astri, non avrebbe più avuto difficoltà con le persone nella vita quotidiana.
Mi sentivo lo sguardo di Jane addosso, così le feci incontrare il mio.
-Però lo avvertì- continuai -che corteggiare la luna sarebbe stato molto più bello che farsi ammirare da qualunque persona comune.
Sentii la mente di Jane fare pressione sul legame della pietra, perciò rimossi i blocchi.
Non posso accettarlo, El. Disse lei.
Avvertii la mascella ricadermi di un centimetro.
Non ti piace? Chiesi, prima di fare in tempo a fermarmi. Il pensiero era scivolato via involontariamente, troppo veloce perché lo potessi fermare. Avrei preferito dire qualcos'altro.
No. Protestò l'altra. Ma è troppo. Ti deve essere costato un occhio della testa.
Dikstra ha la carta fedeltà del gioielliere. Replicai. Mi hanno fatto uno sconto enorme. Non rimarrò senza cibo per un regalo di compleanno.
Non dissi che dopo l'operazione di Jane il mio stipendio era lievitato considerevolmente perché avevo ricevuto una promozione.
Ma credo sia troppo bello per essere sprecato come regalo di compleanno. Si difese lei.
Ti piace? Le chiesi di nuovo.
Un senso di calore arrivò dalla pietra.
Lo adoro. Fu la risposta.
Allora non è sprecato.
-Ehi, salve a tutti, ragazzi.
Strinsi il tavolo talmente forte da farmi sbiancare le nocche. Credo che il legno non si ruppe solo perché era stato progettato appositamente per resistere a uno scoppio d'ira simile al mio. Però il fatto che anche Philip ebbe la mia stessa reazione dovette mettere a dura prova il mobile.
-Tom, che ci fai qui?- chiese stupita Jane.
-Mi hai detto tu di venire.- rispose l'altro.
Tutti gli sguardi vennero puntati sulla lupa.
-Ti avevo detto che ci saremmo incontrati tra un'ora e mezza la strada di fianco a questa, perché prima dovevo fare una cosa qui.- lo corresse lei.
Il licantropo in forma ibrida sfoderò uno scintillante sorriso che mi fece venir voglia di ringhiare. Si era vestito elegantemente, a differenza di noi altri, che avevamo tutti optato per un abbigliamento piuttosto casual.
-Ho pensato di fare un salto.- raccontò, con noncuranza -Non sapevo se ti avrei trovato, ma valeva la pena tentare.
La tensione dei muscoli di Phil si stava facendo pericolosamente alta nel vedere il lupo che lo aveva pestato comportarsi in questo modo. Riuscii a incrociare il suo sguardo per un breve istante, e gli feci cenno di no con la testa.
-E comunque il tuo discorso dell'altra volta è stato davvero illuminante, Jane.- continuò il lupo.
Aspetta. C'era stata un'altra volta in cui i due si erano parlati? E quando? Come? Questi dettagli mi sfuggivano, ma non ci pensai molto nei secondi che seguirono.
Il licantropo che era ancora in piedi si avvicinò a Philip, che in risposta abbassò leggermente il capo e arruffò le penne in segno di minaccia. L'altro non vi badò e si fermò vicino al gufo, senza mostrare intenzione di alzare gli artigli.
-Il mio comportamento nei tuoi confronti- disse piano, ma con decisione Tom Witchwood -è stato oltraggioso, oltre che infantile, Philip. E di questo ti chiedo perdono. Mi sono infiammato per nulla quando avrei potuto passare sopra tutto con una risata. Volevo dirti... volevo dirti che sono pentito di ciò che ho fatto, sul serio.
Tom tese la zampa.
-Una mia colpa non deve per forza degenerare in una faida.- concluse -Tregua?
Devo dire che fu un eccellente oratore. Se negli studi di Relazioni Umane non ci fossero state anche delle lezioni di psicologia tenute da un eccellente ex-agente dell'unità di Analisi Comportamentale probabilmente non avrei notato il leggero tic dell'orecchio sinistro del lupo, o il fatto che il suo battito cardiaco fosse calmo. Normalmente il battito ha delle variazioni quando qualcuno mente, ma cambia anche quando il soggetto è imbarazzato o emozionato, tutti stati in cui si dovrebbe trovare una persona normale in una situazione come quella.
La calma di Tom era appena troppo forzata perché potesse essere vera. Era stato bravo.
Phil non se la bevve.
-Ci penserò su.- rispose, lasciando la zampa del lupo a penzolare per aria.
Nonostante avessi voluto offrire da bere al gufo per la sua perspicacia, sapevo che Tom aveva vinto punti un'altra volta, soprattutto agli occhi di Jane. Lui era il povero lupo che si rende conto dei suoi errori e tenta di porvi rimedio, Philip un permaloso che vuole far diventare una guerra quella che probabilmente la giovane immaginava fosse stata una coppia di spintoni. Al posto del gufo, avrei stretto quella zampa.
Da quando avevo cominciato a pensare così? Dikstra aveva avuto una pessima influenza su di me.
-Allora io... vi lascio soli per la vostra ora e mezza.- si congedò il lupo mannaro, abbassando la zampa e allontanandosi.
Quando sparì nel locale Jane si rivolse a Philip.
-Perché l'hai fatto?- domandò, esasperata.
-Stava mentendo, Jane.- rispose Phil.
-A me non sembrava.- replicò l'altra.
-Lo sarebbe sembrato anche a te se avesse messo i suoi luridi artigli sulla tua gola e non sulla mia!- si difese Phil, con uno stridio da barbagianni.
-Lo dici come se avesse tentato di ucciderti.- commentò la lupa.
-Forse no, questo non lo avrebbe fatto- convenne il gufo, alzando ancora di più il volume della voce -ma non so fino a che punto si sarebbe spinto se non fosse arrivata Dikstra.
Jane incrociò le braccia.
-Vuoi trasformare la rivalità tra lui ed Elija in...- cominciò lei.
Phil la interruppe emettendo una risata amara, sarcastica.
-E questo che le hai raccontato?- rise, rivolto a me -È una “rivalità” tra due licantropi a dare origine a tutti i nostri problemi?
Mormorai qualche Parola di segretezza, imitato subito da Anne. La nostra magia creò uno scudo tra noi e l'esterno, da cui i suoni giungevano ovattati, talmente tanti erano gli incantesimi di sicurezza usati. Eravamo arrivati a erigere dei veri e propri scudi di aria compressa per bloccare ancora di più le vibrazioni delle nostre voci.
-Non credo che questo...- intervenni, a operazione finita.
-Perché non le fai vedere il ricordo di Dikstra quando mi ha salvato le penne dal nostro amabile lupacchiotto.- propose Philip, ironico -Oppure preferiresti cominciare a raccontare di quando ha tentato di drogarti? Forse se cominciassi a verbalizzare un po' di più la cosa la smetteresti di permettere passivamente che Jane lo frequenti.
-Cosa cazzo ha fatto?!- intervenne Anne, meravigliata.
Ignorai la ragazza e sbattei un pugno sul tavolo.
-Chi frequenta o non frequenta Jane non sono affari in cui tu o io abbiamo voce in capitolo!- sbottai.
La collera di Philip sbollentì, e il gufo si lasciò di nuovo andare sul divanetto. Sembrava triste, svuotato da quello scoppio d'ira.
-Non c'era bisogno che lo dicessi tu.- chiarì Jane.
Mi voltai, una risposta pungente pronta sulla lingua.
-Ma ti ringrazio per averlo fatto.- terminò lei.
Le parole mi morirono in gola. Tolsi la zampa dal tavolino e me la nascosi dietro la schiena.
-È vero quello che dice Phil?- proseguì la lupa, rivolta a me.
Non risposi, ma non separai i miei occhi dai suoi.
-Fammi vedere.- mi esortò lei.
Non mi tese la mano, ne io cercai di stabilire il contatto pelle a pelle che mi sarebbe servito per una normale Condivisione. Aprii piano la porta che separava le nostre due menti, fino a incontrare la rassicurante presenza della ragazza. Poi richiamai piano i ricordi che coinvolgevano Tom: cominciai a mostrarle il suo strano comportamento il giorno che mi avevano assegnato la missione di Jane, poi la rivelazione di Dikstra del drink drogato. Feci seguire la mia richiesta al gufo di tenere d'occhio Tom, e di come Phil avesse fatto diventare uno scherzo che mi avrebbe causato una discreta dose di dolore a uno che aveva somministrato a Tom una grande dose di imbarazzo.
Quando arrivai al ricordo dello stato in cui mia sorella aveva trovato il barbagianni il giorno del loro primo appuntamento, Jane si irrigidì. Lasciai che guardasse il combattimento che era seguito, permettendole di rivedere i pezzi di memoria che voleva riesaminare.
Richiusi piano la porta al sentire il mare di sentimenti che ribollivano nell'animo della giovane.
-Jane?- la chiamò Anne.
L'altra le fece cenno di attendere e dopo rimise nella custodia il braccialetto. Fatto questo si alzò e si allontanò a grandi passi, respirando profondamente. Ero sul punto di aprire una breccia tra gli schermi per farla passare, quando l'aura della lupa divenne densa di Potere. Jane oltrepassò la nostra barriera senza rallentare, lasciandosi dietro un buco.
Philip mi sfiorò con un'ala.
-Gliel'hai insegnato tu, vero?- domandò, lanciandomi uno sguardo d'intesa.
Annui, meravigliato dal fatto che la mia allieva si fosse data la pena di ascoltarmi mentre glielo spiegavo, e di esercitarsi da sola per diventarne capace.
-È un trucco che funziona solo con gli scudi deboli.- minimizzò Anne, alzando le spalle.
-E non mi meraviglio che questo lo sia- la rimbeccò il fratello -siccome tu hai contribuito a crearlo.
Anne si voltò verso il barbagianni con un'espressione irata.
-Perché non parli per te brutto...
...verme schifoso! Lurido bastardo bugiardo ed egoista che non sei altro! No, aspetta, i cani meticci sono simpatici e fedeli. Devo trovare un altro appellativo. Perché diavolo...
…mi stai chiamando così, Jane? Sono vicino a te, basta che muovi un paio di passi e puoi parlarmi di persona. Mi dici perché...
...si è comportato così? Immagino che la comune spiegazione che sia caduto dal passeggino da piccolo non sia sufficiente. Deve essere caduto molte volte, battendo sempre la testa per diventare questo genere di narcisista.
Dovevo ammetterlo davanti a me stessa: all'inizio mi era sembrato simpatico. Quando mi aveva avvicinata avevo creduto che l'unico problema tra lui ed Elija fosse davvero un'eccessiva esuberanza di Tom, ma a parte questo mi sembrava un tipo a posto. Lo avrei potuto anche considerare affascinante, se non fossi già stata...
Jane chiuse la comunicazione all'improvviso. Venni rispedito nel mondo concreto con un calcio, ma solo per essere trascinato di nuovo nei suoi pensieri il secondo dopo. La supplicai di smetterla, perché mi stava facendo venire il mal di testa.
Vidi Tom all'altro capo del locale. Era seduto al bancone e aveva un bicchiere di qualcosa in mano. Si doveva per forza essere accorto di me, ma si girò solo quando mi sedetti di fianco a lui.
-Ehi, raggio di sole.- mi salutò, con un sorriso galante.
Le precedenti volte che lo avevo visto quel suo modo di rivolgersi a me mi era perfino piaciuto. Invece, ora che avevo guardato nei pensieri di Elija, ora che sentivo il licantropo che mi aveva trasformata vicino a me, odiai quel sorriso.
El, concentrati e dimmi se mente.
-È vero che hai cercato di drogare Elija un anno fa?- chiesi, andando subito al sodo.
Non sapevo cosa avesse in testa Jane, e la cosa mi preoccupava.
È semplice, El: lui risponde alla mia domanda, tu mi dici se sta mentendo o no. Non sapevo che a Relazioni Umane ti insegnassero come diventare una macchina della verità, però tanto vale sfruttare il tuo addestramento in questa situazione.
Cominciai a capire: Jane era nella mia testa, perciò io non potevo mentire a lei, ma leggendo i miei pensieri la giovane poteva anche sapere se Tom stava dicendo la verità o meno. Witchwood non avrebbe mai risposto a questa domanda se gliela avessi posta io, ma alla lupa avrebbe detto qualcosa.
E io avrei saputo se i sospetti di Elija e di Dikstra erano fondati, e se Tom era davvero un essere tanto spregevole. In realtà, avendo la matematica certezza di come aveva aggredito Philip, quel lupo mannaro rimaneva un essere spregevole comunque, ma se non avesse tentato di drogare il licantropo che io...
Una pedata mentale mi cacciò fuori dalla sua testa di nuovo, poco prima che un lazo telepatico mi attirasse di nuovo al suo interno. Ok, in quel momento avevo davvero mal di testa.
-Di cosa stai parlando?- domandò Tom.
Dovevo concentrarmi sul suo battito cardiaco, sul suo odore, sul ritmo del suo respiro, e sul suo piccolo tic all'orecchio sinistro. Gli appoggiai la mano sul braccio tranquillamente, fingendo che non lo stessi facendo per sentire la tensione dei suoi muscoli.
Mi sembrava di essere Dikstra.
-Elija mi ha detto che una volta hai cercato di mettergli della strozzalupo nel bicchiere.- spiegai -Ti prego dimmi che non è vero.
Tom sospirò e si passò la zampa che non era sotto la mia mano sulla fronte, come se fosse stanco.
-Ascolta, non so quello che ti abbiano detto.- sussurrò lui -Ma Elija e i suoi amici hanno preso molto sul serio qualche parola detta avventatamente da ambo le parti.
Oh, dillo e basta. Pensammo insieme io e Jane.
-No- rispose -non ho mai tentato di drogare Elija.
Sorrisi involontariamente. Ero stupita, ferita e furiosa, ma anche serena. Aveva mentito, ora lo sapevo.
-Vaffanculo.- lo salutai, prima di voltarmi e andarmene.
Come avevo fatto a non accorgermi che era uno stronzo? Uno stronzo colossale? Drogare Elija? E per cosa? Per fare uno scatto di carriera e venirmi a mordere al nostro secondo incontro?
Pensare che Dikstra mi aveva avvertita sul suo conto mi faceva arrabbiare ancora di più. L'avevo trovata in camera mia due giorni dopo essermi trasferita di nuovo da casa di Anne, la settimana successiva alla mia trasformazione, mentre esaminava i vestiti nel mio armadio.
Mi aveva detto che sapeva che mi sentivo con Tom Witchwood, e all'inizio avevo pensato che volesse spararmi, siccome in quel momento indossava una tuta nera sicuramente ripiena di ogni genere di gadget da agente speciale. Ma lei non aveva fatto niente che non fosse stato sedersi sul letto e cominciare a parlarmi in tono affabile, come se fossimo state amiche da molto tempo. La prima cosa che mi aveva detto era che Tom non era il licantropo che poteva sembrarmi. Aveva risposto in modo vago alle mie domande, ma il ritratto del lupo mannaro che ne era uscito mi aveva fatto accapponare la pelle.
-Credi che Tom sia il classico uomo che sa apprezzare una bella donna, non è vero?- aveva sussurrato, con un tono strano, come se mi stesse rivelando un segreto -Ma non è così: lui non ama le donne, non le desidera nemmeno. Per lui, sono solo un modo di sentirsi superiore, un trofeo da guardare appeso sul camino. Non vuole conquistarle, lui vuole dominarle, e una volta che ha preso la loro mente per lui perdono ogni interesse.
Era a quel punto che avevo cominciato ad avere paura.
-Non sto parlando di sesso, no, quello è solo uno svago, sto parlando di farti amare da qualcuno, di diventare il fine ultimo di qualcuno. Questo lo fa sentire superiore, a questo gli servono le donne.- aveva continuato -Il rifiuto lo manda in bestia, lo costringe a inseguire la preda da cui invece doveva essere inseguito. Così comincia a desiderare e a odiare lo stesso trofeo, una situazione penosa.
-Mi stai proibendo di parlare con un uomo?- avevo chiesto, al limite della sopportazione.
Dikstra aveva sfoderato il suo sorriso furbo.
-Ovviamente no.- aveva risposto -Anzi, se le cose fossero diverse non sarei nemmeno venuta qui a parlarti. Se tu fossi stata un'altra donna non avresti corso nessun pericolo, nemmeno se Tom ti avesse conquistata. Saresti stata male per un paio di settimane, ma piano piano ti saresti ripresa, dopo che avesse rotto con te. In effetti, devo ammettere (ma questo non ripeterlo a nessuno) che ho fatto lo stesso con diversi ragazzi, al liceo.
Era allora che si era avvicinata, e si era portata il braccio dietro la schiena.
-Ma tu non sei come le altre donne.- aveva constatato -Sono solo due le persone che hanno rifiutato quel lupo, che io sappia...
La vampira aveva sollevato il braccio per mostrare il luccichio di una lama.
-...ed entrambe sono in questa stanza.- aveva concluso -Ed entrambe lo hanno rifiutato a causa della stessa persona.
Il pugnale che Elija mi aveva dato quando si era trasformato per la prima volta davanti a me era caduto sul mio letto, brillando alla luce della lampada. Quando avevo rialzato lo sguardo, Dikstra era sparita.
Non ci potevo credere: mia sorella era entrata in casa di Jane praticamente per minacciarla e lei non mi aveva detto niente. Non appena la avessi rivista Dikstra mi avrebbe sentito. Non poteva permettersi di minacciare i miei amici senza che io ne sapessi niente!
Stavo per chiedere a El di uscire ancora dalla mia testa, quando sentii la pressione di una mano sulla spalla, paurosamente vicina alla mia gola.
-Sei in contatto con lui, non è così?- sussurrò la voce di Tom, a un millimetro dal mio orecchio.
Mi voltai di scatto sgusciando via dalla sua presa, mentre la mia parte lupina mi urlava di correre, di fuggire. Mi girai per incontrare i suoi occhi, che emanavano una grande sicurezza, occhi che mi fecero correre un brivido lungo la colonna vertebrale. I suoi artigli avevano sfiorato per un momento la corda della pietra di Elija, che ora mi ricadeva sul petto.
Nell'istante in cui lui sfoderò un sorriso affascinante, io feci un passo indietro.
Mi alzai dal divanetto, pronto ad andare da Jane. L'espressione di Tom non mi era piaciuta, ma non credevo avrebbe fatto nulla di stupido in un locale pubblico, sotto gli occhi di tutti. O mi sbagliavo?
-Bella collana.- commentò il licantropo, stendendo un artiglio -Me la fai vedere?
Indietreggiai di un altro passo e venni fermata da un tavolino attorno a cui non si era seduto nessuno. Inclinai il busto all'indietro nel tentativo di sfuggire alla sua presa che si stava allungando sempre di più. Non potevo fare niente. Non riuscivo nemmeno a proteggere una stupida pietra.
Dikstra aveva ragione.
-El- chiese Philip -che succede?
Abbandonai i due gufi e mi diressi a grandi passi verso l'angolo del locale dove si trovavano i due licantropi. Sbattei contro un agente e dovetti rallentare per non travolgerne un altro, cosa che ero certo mi avrebbe solo fatto perdere altro tempo.
Perché non ero forte come Dikstra? O brava come Dikstra, o sveglia quanto Dikstra? Lei non si sarebbe fatta mettere all'angolo da Tom, non gli avrebbe permesso di minacciare la pietra di Elija. Dikstra non gli avrebbe permesso di minacciare lei stessa.
Da quando avevo visto i due fratelli Blackfur seduti con la schiena su un cassonetto ribaltato, con Elija che donava il sangue alla vampira, questa era diventata il mio termine di paragone. Dikstra lasciava il segno dove andava. Potevi amarla o odiarla, ma non rimanerle indifferente. Per me era una rivale, lo era stata da quando l'avevo vista abbracciata ad El, e lei lo aveva capito subito.
Tom indossava la divisa del Protettorato, e sulla sua cintola spiccava il pugnale di servizio.
Smisi di pensare e agii. Gli portai una mano sulla vita, poi ci fu solo il balenio della lama, il mio ringhio di battaglia, e l'uggiolio di dolore di Tom.
Il licantropo fece un balzo indietro, stringendosi la mano ferita, da cui sentivo provenire l'odore ferroso del sangue. Il liquido rosso rimasto sulla lama sfrigolava, reagendo con l'argento da cui era composta quella parte del pugnale.
Dal silenzio generale che si era creato intorno a noi uscì una donna con la divisa da Protettore. Al suo collo, una pietra da mago identica a quella di Elija scintillava. I suoi occhi marroni chiaro, freddi e decisi, scattarono tra noi due mentre avanzava minacciosa. Dietro ai suoi capelli biondi riuscì a vedere un uomo, accomunato con la Protettrice dalla pietra da mago al collo.
Consapevole di ciò che avevo fatto, lasciai cadere il pugnale a terra e sollevai le mani dietro la nuca.
La donna mi lanciò uno sguardo stupito, poi afferrò il polso del licantropo e glielo girò dietro la schiena.
-Non si prendono le pietre da mago alle ragazze.- sussurrò al lupo -Che ne dici di non opporre resistenza mentre andiamo fuori a fare una chiacchierata?
La zampa libera di Tom scattò in direzione della donna, ma fu afferrata per il polso dalla mano libera della Protettrice. Mentre i capelli della donna si muovevano di conseguenza vidi il riflesso dorato che mandavano ai raggi del sole, e vidi il lupo dentro di lei scoprire le zanne.
-Tipico.- commentò la femmina di licantropo, prima di ribaltare Tom sul pavimento per ammanettarlo.


-Come sta Jane?- chiesi concitato a Anne, mentre beveva un cocktail.
Mi domandai come la femmina di gufo potesse bere dalla cannuccia con il becco, ma la risposta al mio quesito avrebbe dovuto attendere.
-Bene, ma la paura stava facendo avviare la mutazione, perciò è dovuta correre in bagno.- mi spiegò lei.
-Comunque ora si sente bene?- insistetti.
-Tranquillo.- mi rassicurò -Da medico magico... beh, da quasi medico magico, ti assicuro che supererà lo shock tra pochi minuti, e allora starà di nuovo alla grande.
Trassi un sospiro di sollievo. Quando avevo visto la ragazza correre via mi ero preoccupato.
-Vedere Tom sbattuto in galera non è uno spettacolo da tutti i giorni, eh?- commentò il gufo -E ancora non riesco a credere che voleva prendere la tua pietra, e che Jane gli abbia mollato un fendente con un pugnale. Immagino tu ti senta piuttosto lusingato.
Corrugai la fronte. Non capivo proprio di cosa avrei dovuto sentirmi lusingato, insomma, non le avevo insegnato io a usare il pugnale o qualcosa del genere.
-Andiamo, Elija- mi incitò lei -ha accoltellato Tom per proteggere te. Non ti fa sentire nemmeno un po' felice?
Scossi il capo e mi sedetti anch'io al bancone, appoggiandomi ad esso con gli avambracci.
-Avrei preferito che non avesse dovuto farlo.- risposi.
-Se tu avessi insistito di più perché Jane non si vedesse con Tom, forse non sarebbe successo.- mi rinfacciò lei, con calma, come se mi stesse dicendo che domani avrebbe piovuto.
-Non è mio diritto farlo.- replicai.
Anne alzò le spalle.
-Se ci tenessi davvero a lei lo riterresti un tuo dovere, non un diritto.- insinuò, prendendo un altro sorso.
-Tenere a una persona e possederla sono due concetti molto diversi, Anne.- le feci presente, con una voce tesa.
-Già.- concordò lei -Ma forse un po' meno di menefreghismo da parte tua avrebbe potuto risparmiare a Jane qualche serio pericolo, visto ciò che sarebbe potuto succedere poco fa.
La misura era colma. Anne non aveva il diritto di parlarmi così, né di parlarmi così a proposito di Jane, che era più che legittimata a passare il suo tempo con chi volesse. Credevo che tenerla fuori dal mio conflitto con Tom non le avrebbe fatto avere problemi, ma ordinarle semplicemente di non vedere il licantropo sarebbe stato sbagliato.
-Pensi che lei per me sia un gioco, non è così?- domandai.
Il gufo aprì il becco per parlare, ma io andai avanti senza lasciargliene la possibilità.
-Allora sappi che non è vero. Non ho detto a Jane di non uscire con Tom anche se mi faceva arrabbiare ogni sguardo languido che lui le lanciava non perché non le voglio bene, ma perché lei non è mia. È una persona, Anne, una bellissima persona.- sbottai, deciso -Io ci tengo a lei, Anne, nonostante la stia corteggiando in modo dozzinale e scontato, nonostante io non sia il lupo più bello di New York, io sono innamorato di lei.
Anne roteò gli occhi ed aprì il becco, con l'aria di voler lanciare un altro commento sarcastico. Io però non la lasciai neanche cominciare.
-Non cominciare a comportarti come se non l'avessi già capito da tempo.- la avvertii -E sai un'altra cosa? Puoi accusarmi di ogni crimine possibile, ma preferirei mangiare strozzalupo piuttosto che mettere Jane in pericolo. Avevo paura che non mi credesse se le avessi raccontato tutto di Tom, e forse la mia morale è sbagliata, ma mi importa eccome che lei stia bene. Non ho mai agito per menefreghismo nei suoi confronti.
Anne mi lanciò uno sguardo compiaciuto e mi fece cenno di girarmi con l'ala. Non capii subito, ma eseguii quello che mi veniva detto. Dietro di me, a cinque metri di distanza, Jane nella sua forma ibrida mi fissava con gli occhi sbarrati.
Sentii una mano gelida afferrarmi lo stomaco e mi voltai di nuovo verso il volto soddisfatto di Anne. Quella gufa aveva fatto apposta.
Jane si allontanò rapidamente, con un'espressione spaventata. Nell'istante in cui mosse il primo passo per allontanarsi da me sapevo che l'avrei inseguita, che non volevo fare altro che seguirla. Ma prima mi sarei concesso un piccolo ritardo.
Afferrai il bicchiere quasi pieno di Anne e lo annusai.
-Ah, gin tonic.- commentai, poi lo misi sopra la testa della femmina di gufo e glielo rovesciai addosso.
Sgusciai via prima che la giovane con i vestiti macchiati potesse emettere un suono.


Oltrepassai la porta sul retro per entrare in un vicolo stretto. C'era un vago odore di spazzatura, sovrastato da quello della lupa che era uscita da quella porta venti secondi prima di me. La stessa lupa in quel momento stava camminando avanti e indietro poco distante dall'uscita del bar.
Era impossibile che non mi avesse visto, perciò non mi schiarii la voce per annunciare la mia presenza prima di parlare.
-Jane- la chiamai -mi dispiace. Tu non avresti dovuto sentirlo.
Lei fece ancora una decina di passi prima di rispondermi.
-Non volevi dire quello che hai detto?- chiese, tutto d'un fiato e guardandosi le zampe posteriori.
Mi concessi ben cinque secondi per pensare a cosa dire, e per prendere il coraggio di dirlo.
-No.- risposi -Ma avrei preferito che tu lo sentissi in un modo diverso.
-Perché?- fece una domanda retorica -Avrebbe forse cambiato qualcosa?
Una martellata mi colpì il petto. Il mio cuore accelerò e la mano gelida sul mio stomaco si strinse ancora di più mentre mi sembrava che anche i miei polmoni stessero venendo riempiti di ghiaccio.
-No- ammisi, a malincuore -immagino di no.
Jane sollevò lo sguardo un istante prima che io abbassassi il mio, costringendomi a mantenere il contatto visivo.
-Ascoltami, El...- cominciò lei, ma si interruppe per muovere il capo verso il cassonetto dei rifiuti.
A quanto pare, non ci eravamo guardati poi per molto.
-...Elija lo studente di Sociologia- continuò, prendendo un respiro profondo -poteva anche essere un amico, ma poi tu sei diventato Elija il licantropo, e poi Elija il consulente di Relazioni Umane e Protettore e...
Jane perse le parole, poi lottò contro quelle che non riusciva a pronunciare.
-E non può andare avanti così!- sbottò.
-Mi sento come una rana bollita.- insistette, stringendosi le braccia intorno al petto -Se fossi stata gettata nell'acqua bollente subito, sarei saltata via, e invece non mi sono accorta dell'aumento di temperatura. Tu... mi sei scivolato sotto la pelle senza che me ne rendessi conto.
Mi avvicinai a lei. Capivo. Le avevo portato troppi sconvolgimenti nella vita perché potesse pensare a me nello stesso modo in cui io facevo con lei. Le avevo mentito per ben due volte per non farmi allontanare. Non mi sarei opposto se avesse voluto restituirmi la mia pietra, ne aveva il diritto.
-Immagino sia il momento in cui tu mi dovresti dare il pugno che volevi tirarmi da un po'.- la incoraggiai, alzando le spalle.
-Già.- concordò lei.
Al suo movimento improvviso strizzai gli occhi e mi preparai al dolore. Immediatamente dopo sentii qualcosa di caldo posarsi sulla mia guancia e la bocca di Jane toccare la mia.
Balzai indietro per la sorpresa. Il bacio era stato casto ed era durato meno di un secondo, ma i cuori di entrambi andavano a mille e l'aria odorava di adrenalina ed endorfine. La fissai con gli occhi sbarrati per un eterno attimo, mentre lei si mordeva il labbro inferiore con i lunghi canini.
-Io...- commentò, imbarazzata.
Jane gesticolò verso l'uscita del vicolo alle sue spalle e mormorò qualcosa sul fatto che se ne dovesse andare. La Dikstra della mia immaginazione mi lanciò uno sguardo dubbioso, appoggiandosi a una sedia immaginaria.
Non avrai mica intenzione di lasciarla allontanare, vero? Chiese.
Jane si girò e mosse il primo passo. Contemporaneamente la vampira immaginaria si erse in tutta la sua altezza, afferrò la sedia su cui era seduta un attimo prima e me la ruppe sulla testa urlando: “INSEGUILA, IDIOTA!!!”.
Ritenni opportuno seguire il suo consiglio.
Le sfiorai la mano con la mia e lei si voltò senza bisogno di altro. Le accarezzai lo zigomo coperto dalla pelliccia con l'altra zampa, col cuore che stava per fuggirmi dalla gola. Attesi, ma lei non fece nulla che non fosse premersi leggermente contro il mio palmo. Fu allora che le passai la mano dietro la nuca, la cinsi intorno al petto con l'altra e la baciai.
Per quelli di voi che se lo chiedono, sì, un licantropo in forma antropomorfa può effettivamente baciare, perché abbiamo tutti i muscoli facciali necessari (ricordatevi che parliamo correttamente, seppur con una pronuncia un tantino accentuata sulle “r”).
Ah, e comunque questa non sarà la storia più avvincente e romantica di tutti i tempi, non sarà declamata da nessun cantore, né venderà migliaia di copie su Amazon, ma sapete una cosa? Questa è solo la mia storia, quella di un licantropo del ventunesimo secolo. Che vi aspettavate?
Il giorno del nostro primo bacio ci vollero venti minuti perché Anne e Philip ci ritrovassero nel vicolo, mentre Jane mi mordicchiava il collo e io la lasciavo fare, senza sentire alcuna minaccia. Potevo abbracciarla e lasciarle passare il muso sotto il mio mento senza temere le sue zanne. Potevo persino chiudere gli occhi per baciarla, per giocare con la pelliccia delle sue guance o della sua nuca.
Certo, finché non arrivarono gli Anderson a fare i guastafeste, in particolare Anne, che mi guardava con uno sguardo del genere “non ringraziarmi, sono solo Cupido”.
Per tirare le somme, non ho combattuto battaglie epiche, né salvato il mondo, anche se ho contribuito a preservare una buona fetta delle persone che lo abitano, né ho vinto trofei ambiti. Jane mi ha semplicemente donato sé stessa.
E sapete un'altra cosa?
Per me è perfetto così.

 
Fine

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