Nate Babbane - e le Mortali Speranze (OLD VERSION)

di ToscaSam
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani ***
Capitolo 2: *** imminenza ***
Capitolo 3: *** la riunione ***
Capitolo 4: *** l'amore delle mamme ***
Capitolo 4: *** l'Espresso di Hogwarts ***
Capitolo 5: *** il discorso di Piton ***
Capitolo 7: *** inizio di avventure ***
Capitolo 8: *** le salvatrici ***
Capitolo 9: *** verso la salvezza ***
Capitolo 10: *** Gabrielle ***
Capitolo 11: *** prigionieri ***
Capitolo 12: *** cuor di leone ***
Capitolo 13: *** insieme agli stambecchi ***
Capitolo 14: *** conseguenze di un furto ***
Capitolo 15: *** diversivi ***
Capitolo 16: *** sentirsi utili ***
Capitolo 17: *** l'intruso ***
Capitolo 18: *** la storia di Joe ***
Capitolo 19: *** rapimento ***
Capitolo 20: *** arrivo a destinazione ***
Capitolo 21: *** Radio Potter ***
Capitolo 22: *** Natale ***
Capitolo 23: *** senza occhi indiscreti ***
Capitolo 24: *** tre serpenti nello Stivale ***
Capitolo 25: *** credere in Harry Potter ***
Capitolo 26: *** la trasmissione ***
Capitolo 27: *** le varie facce del coraggio ***
Capitolo 28: *** primavera ***
Capitolo 29: *** rapina a cavallo di un drago ***
Capitolo 30: *** la chiamata alle armi ***
Capitolo 31: *** l'ultimo sguardo su Maison Lavande ***
Capitolo 32: *** la battaglia di Hogwarts ***
Capitolo 33: *** diciannove anni dopo ***



Capitolo 1
*** la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani ***


Nate Babbane e le Mortali Speranze
 
                    Inizia qui l’ultimo capitolo di Nate Babbane.
Vorrei dedicarlo a
tutti quelli che hanno seguito la storia
sin dal principio;
a quelli che la scoprono adesso,
e a voi,
personaggi
ma soprattutto amici,
che avete vissuto questa fan fiction
 insieme a me,
proprio
fino
alla
fine.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Grazie.

 
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*******

La Commissione per il Censimento dei Nati Babbani
 
L’estate riscaldava Londra con il suo avvolgente abbraccio.
Il sole riluceva sui vetri delle macchine posteggiate, che rimandavano indietro i raggi abbaglianti.
Non si vedeva un’anima in giro a quell’ora del pomeriggio. Nessuno era così coraggioso da inoltrarsi, alle due in punto, nel mondo privo di condizionatori climatici.
In una via di Twickenham non molto lontana da Londra, c’era una modesta casetta tirata su alla moda appunto londinese : due piani più mansarda, con il tetto a punta e l’esterno dipinto in azzurro. A dire il vero ce n’erano una ventina tutte uguali, disposte lungo l’isolato;  ma l’unica veramente interessante  conteneva un segreto al suo interno.
Un ragazzo, coi capelli chiari, gli occhiali dalla stecca nera e un’evidente aria preoccupata, stava leggendo sdraiato sul suo letto, con un ventilatore puntato in faccia. Fra le mani teneva una lettera su pergamena che un gufo gli aveva fatto trovare sul bovindo della finestra.
Vi abitava un mago, in quella casa ed era una cosa piuttosto rara, considerando che fuori dalle imposte, altro non c’era se non le normalissime case di una comunissima via di una banalissima periferia cittadina.
Era Dario Nub, figlio di Mr e Mrs Nub, un operaio e una farmacista, bravissime persone.
La prima volta che iniziarono ad arrivare gufi in quella casa, era conseguita una delle più straordinarie notizie che la famiglia avesse mai ricevuto:
« Quelle lettere, miei carissimi signori, vogliono soltanto significare che vostro figlio è nato con delle abilità magiche e che quindi è abilitato a frequentare la migliore scuola di Magia e Stregoneria, dove troverà ragazzi e amici come lui.» aveva detto ai signori Nub uno stravagante signore con barba e capelli molto lunghi e molto bianchi.
Si era presentato alla porta poco dopo l’arrivo delle suddette lettre, portate dai gufi.
« Sono certo che la notizia non potrà sconvolgervi più di quanto sia normale: se ci pensate, forse, credo che possediate una collezione di ricordi singolari: eventi inspiegabili, legati a cose che il vostro bambino ha fatto. Cose misteriose, magari, come il rompere un oggetto solo avendolo desiderato, oppure scomparire e ricomparire in luoghi distanti. Una volta una famiglia di Babbani mi raccontò che la loro figlia aveva trasformato un cavoletto di Bruxelles in una rana! Loro sì che si erano spaventati, eh eh. Oh, “Babbano”  vuole solo indicare le persone senza poteri magici … che sono altrettanto rispettabili e interessanti, spesso stracolme di un antico tipo di magia che molti maghi hanno dimenticato ».
Lui, Dario, se le ricordava bene quelle parole: aveva origliato la conversazione dall’ultimo gradino delle scale e si era sentito fremere di eccitazione.
Aveva scoperto essere una cosa molto rara che, fra le persone normali (i «Babbani»!), nascessero figli con doti magiche. Non aveva potuto fare a meno di sentirsi un po’ speciale.
E da quel suo undicesimo compleanno, ne erano seguiti tre che erano stati i più belli della sua vita: si era sentito a suo agio in un mondo che gli pareva fatto su misura per sé. Hogwarts e il mondo magico erano la sua vita, il suo posto, la sua vera casa.
Non riusciva più a immaginare di svegliarsi la mattina e non avere la certezza di appartenere a quell’ambiente, a quell’esistenza.
Si era fatto delle amicizie, nella scuola di Hogwarts: amiche che lo avevano condotto nelle più spericolate avventure ma che, in qualche modo, l’avevano fatto sentire vivo per davvero. Erano tutte streghe, ovviamente. Tutte dotate di quel particolare dono che appare come normalità, quando si è fra gente tutta uguale.
Non gli era mai passato per la mente di essere “inferiore”.
Era anche successo di recente che le sue amiche avessero litigato proprio sulla questione del sangue magico, ma sinceramente, Dario non si era mai davvero sentito interessato.
E ora, invece, teneva fra le mani quella lettera.
Era firmata dal nuovo Ministro della magia, Pius O’Tusoe e in alto a sinistra c’era un bello stemma dall’aria molto ufficiale.
 
‘All’attenzione di Dario Xerses Nub,
in merito alle nuove misure politiche adottate dal Ministero, per garantire una totale sicurezza della comunità magica, visti i tempi oscuri che corrono,la informiamo che è stato istituito un ente di sicurezza pubblica: la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani.
Come le sarà noto, le ultime ricerche condotte dall'Ufficio Misteri hanno rivelato che la magia può essere trasmessa da mago a mago solo per via riproduttiva. Là dove non sussistono dimostrate ascendenze magiche, dunque, è probabile che il cosiddetto Nato Babbano (in questo caso, Lei)  si sia procurato il potere magico con il furto o con la forza.
Ci dispiace dover sospettare di Lei e dell’onestà con cui possiede le sue qualità magiche. Certamente potrà fugare ogni dubbio sul suo conto presentandosi al più presto presso la Sede della Commissione, negli stabilimenti del Ministero.
Se, come speriamo, Lei non ha niente da nascondere, è pregato di rispondere all’invito e di sottoporsi al breve interrogatorio di competenza della Commissione.
Basterà la presenza di almeno una linea di sangue magico nella sua famiglia, per scagionarLa da ogni deplorevole accusa.
In fede,
Pius O’Tusoe
Ministro della Magia.
Firmato, Dolores Jane Umbridge,
Sottosegretario Anziano del Wizegamot
e Presidente della Commissione
per il Censimento dei Nati Babbani’
 
« Dario?»
Dario, come scosso, aspettò che la voce di sua madre ripetesse di nuovo:
« Dario! Posso entrare?»
Era proprio dietro la porta chiusa di camera sua.
Sentendosi come un ladro colto in flagrante, Dario arrotolò in malo modo la pergamena dentro una tasca dei jeans, appena in tempo per vedere la maniglia abbassarsi e sua madre entrare con il cordless in mano.
Aveva un’espressione sorridente.
Dario si stupì di fare un pensiero: che sua mamma non gli era mai sembrata così bella e così buona.
« Dario, c’è una tua amica al telefono. Ti vorrebbe parlare».
Come imbambolato, tese la mano e afferrò il cordless.
La donna uscì richiudendo la porta per far parlare suo figlio in libertà.
Dario si riscosse dal torpore dei pensieri e disse debolmente:
« Pronto?»
« Dario sono io» Riconobbe la voce di Alice al di là della cornetta.
« Ehi cara! Come … come stai?»
« Non so. È arrivata anche a te quella lettera?»
Dario ci mise qualche secondo per rispondere.
Riprese la pergamena stropicciata da dentro la tasca.
« Dario?»
« Si»
« Si cosa? Ci sei o ti è arrivata?»
« Si, mi è … arrivata».
Improvvisamente si riscosse e sentì un gran fuoco bollirgli nelle vene e su su fino alla punta delle dita e nel cervello:
« Cosa dobbiamo fare, Alice? Io col cavolo che mi presento a un .. un abominio del genere! Non ho niente che non va! Non ho rubato la magia! Cosa vuol dire poi, “rubare la magia”? Non ha senso!»
« Dario, calmati. Lo so. Non sei … non sei da meno a nessuno. Siamo tutti maghi, che al nuovo Ministro piaccia o no. Ascoltami, ho deciso di telefonarti perché non credo che il Ministero si abbassi tanto da intercettare i mezzi Babbani di comunicazione (a dire il vero è un’idea di Terry, che un telefono non l’ha manco mai toccato in vita sua). Comunque, ascoltami: che non ti venga in mente di presentarti a quell’interrogatorio. Dario, io non ci torno a Hogwarts quest’anno»
L’ultima frase colpì il ragazzo come una mazzata nello stomaco.
« Cosa?»
« Sveglia Dario! C’è Tu-Sai-Chi dietro la scrivania di Pius O’Tusoe. Perché credi che Scrimgeour se la sia squagliata così dal nulla? L’hanno fatto sparire loro, te lo dico io: i Mangiamorte! E non voglio immaginare cosa gli sia capitato. Hai letto cosa scrivono sulla Gazzetta? Che Harry Potter è  coinvolto nell’omicidio di Silente! Ma dai!! Qui ci resta solo una cosa da fare, a noi due: preparare un bello zaino e nasconderci da qualche parte.»
« Ti nasconderai?» c’era un fremito di paura nella voce di Dario.
Alice invece sembrava determinata.
« Si. Credo di si. Intanto andrò a casa di Irene. Mi hanno detto che ci sarà una riunione»
« Una riunione?»
Dario si passò una mano sulla fronte: sentì che stava per iniziare a sudare freddo. Un magone doloroso gli annodò la bocca dello stomaco.
La voce di Alice risuonò nella cornetta, anche se stava sussurrando:
« Si. Sei invitato anche tu: la mamma di Irene ha ricevuto la lettera, come noi. Mi ha telefonato giusto prima che chiamassi te. Quello che però credo sia necessario, Dario, è capire che … non si torna indietro. Se parti di casa … non dovrai più tornarci. Capisci cosa voglio dire? Se dobbiamo darci alla clandestinità, dobbiamo proteggere i nostri genitori: sono Babbani … per loro sarà più facile prendere un treno o un aereo e trasferirsi da qualche parente. Noi siamo rintracciabili tramite i gufi postali e in mille altri modi (senza contare la Traccia). Abbiamo bisogno di protezione magica. Io … io credo che partirò stanotte».
La voce dell’amica si spense come la luce flebile di una candela.
Le ultime parole le erano costate un grande sforzo.
Dario capì che la conversazione era finita e seppe che anche Alice lo credeva; premette così il pulsante rosso del cordless e terminò la chiamata.
Mentre tornava di sotto a riportare il telefono al suo posto, gli capitò di perdersi a spiare ogni angolo della sua casa: il corrimano di legno morbido, un po’ vecchio e tarlato; i gradini, uno per uno, passando anche sopra quello che di solito saltava per via dello scricchiolio; le vecchie foto di famiglia appese nel salotto; il profilo del divano, del caminetto, delle tende …
 
« Dario, tutto bene?»
Incapace di mascherare l’espressione sognante e sorpresa, il ragazzo si voltò verso sua madre.
Era sempre sorridente e pacifica.
Aveva un grembiulino rosa, legato in vita e dietro il collo. Dalla grande tasca centrale spuntava un mestolo di legno dai contorni bruciacchiati.
« Ah. Si. Certo, tutto benissimo. Abbiamo parlato un po’ di scuola …»
« Ho capito, meglio evitare di approfondire allora» sorrise lei, tirando fuori una terrina ampia di plastica, da uno sportello del salotto.
Fece un gentile dietrofront e ritornò in cucina, accompagnata dall’odore dolce e intenso di crostata di mele.

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Capitolo 2
*** imminenza ***


Imminenza
 
La casa dei Clarke era sempre stata in ordine: i soprammobili venivano curati con minuziosa attenzione, i libri riposti con straordinaria premura, e ogni singola componente dell’arredamento domestico riceveva attenzioni che non tutte le persone gli avrebbero dedicato.
Se qualche frequentatore abituale della casa vi fosse entrato in quell’agosto, si sarebbe messo le mani nei capelli e avrebbe urlato: “dove diavolo sono finito?!”.
E fu proprio quella la prima cosa a cui pensò la signora Clarke quando udì suonare il campanello.
Avvicinandosi velocemente all’ingresso, spostando inutilmente l’insolito disordine che regnava nel suo salotto, sperando di dargli in de secondi una rassettata accettabile, chiese a voce alta:
« Chi è?»
Non fu data nessuna immediata risposta.
La signora aggrottò le sopracciglia in un’espressione preoccupata.
Il cuore le batté più forte nel petto.
Sbirciò nello spioncino della porta portandosi contemporaneamente una mano all’altezza della vita, dove teneva la bacchetta.
« Chi è?!»
Ripeté, notando la figura sconosciuta di un ragazzo piuttosto giovane.
« Signora Clarke? Sono… sono Dario, signora. Un amico di sua figlia».
La donna si sciolse da ogni timore e aprì la porta quasi spalancandola:
« Dario!!» urlò tirando dentro il ragazzo per un braccio.
« Dario! Sei proprio tu? Oh povero caro, Dara mi ha avvisato delle lettere che stanno mandando a voi poveri tesori. Oh! Sono così contenta che sei venuto qui! Con cosa sei arrivato? Con i tuoi genitori? Vieni, siediti caro, siediti mentre vado a chiamare Dara e scusa il disordine … Dara! DARA!!».
Dario fu scaraventato su un divano molto morbido, che lo inglobò nella sua imbottitura. Era trafelato e appesantito da tre grandi borse rigonfie.
La mamma di Dara era, come già Alice aveva raccontato a tutti, una Dara di vent’anni più anziana: l’atteggiamento e persino la voce erano uguali; si assomigliavano molto pure dal punto di vista fisico, anche se la carnagione della signora Clarke era più scura di quella della figlia e l’abbondante chioma bruna, molto più voluminosa – quella di Dara aveva subito di recente una non desiderata sfoltita – .
Dario si lasciò coccolare dalla stanchezza unita al morbido appoggio.
Non prestò attenzione allo scambio di battute vociate molto forte fra le due donne di casa, ma gli parve che dicessero qualcosa riguardo una doccia.
Confermando la sua ipotesi, qualche minuto più tardi, Dara Silva Clarke, o semplicemente la sua amica di Corvonero, scese le scale avvolta in un accappatoio bianco.
Sua madre gli stava al fianco, rimproverandola di non essersi sbrigata.
Quando Dara vide Dario appollaiato sul divano, in mezzo alla confusione che regnava nel salotto, gli corse appresso e si tuffò letteralmente su di lui.
Dario accolse con un doloroso tossicchiare il peso dell’abbraccio, piombato direttamente sulle sue costole già provate dalle borse a tracolla.
« Dario!! Che ci fai qui? Come stai? Ho parlato con Alice, mi ha detto delle orribili lettere che vi hanno mandato. Dario, prendi qualcosa. MAMMA! Offri qualcosa a Dario invece di continuare a ripetere che ho fatto tardi!».
Mamma Clarke scosse il capo, per evitare di continuare il battibecco, e si diresse in cucina a prendere qualcosa dal frigo.
« Ciao Dara» sputacchiò il ragazzo, liberandosi dell’amica facendola scivolare al suo fianco. Si sentì un rumore di risucchio d’aria.
Mentre Dara si preparava a continuare il suo interrogatorio anche dalla nuova postazione, con espressione affranta l’amico disse:
« So che è un po’ sfacciato da chiedere, ma avrei bisogno di un posto dove dormire, stanotte».
Dara si sistemò l’asciugamano-turbante che le avvolgeva la testa e fissò l’ospite dritto in faccia.
« Per quello non c’è problema, puoi stare qui quanto vuoi. Ma cosa ti è successo?».
La mamma di Dara tornò in salotto con tre Burrobirre fresche, già stappate. Si sedette con i ragazzi, porgendo loro le bottiglie.
Dario sospirò e allungò una mano per prendere la bevanda.
« Sono praticamente scappato di casa. I miei pensano che tu mi abbia invitata per le vacanze, ma in realtà non tornerò né da loro, né a Hogwarts».
Non ci fu tempo per entrare in un clima di tristezza, come il tono sconsolato del ragazzo avrebbe potuto causare, poiché la signora Clarke replicò con un energico:
« Ben detto! Che non ti venga in mente di mettere piede in quel posto! Povero caro, devi nasconderti al più presto! DARA. Perché non hai detto tu a Dario di venire qui? Oh e anche a quella vostra altra amica. Come si chiama?!»
Dara scoccò un’occhiata infastidita alla madre:
« Alice, mamma. E per favore, non ti ricordi più che stiamo sloggiando anche noi?».
La signora Clarke affievolì l’energia del suo sorriso e si guardò intorno, desolata.
« Hai ragione. E dobbiamo ancora pensare a dove andare. In Brasile di certo …. Ma a casa di chi? Di sicuro, però, non prima di aver risolto la questione di Dario e Anita. La sicurezza dei Nati Babbani è la cosa più importante»
« Alice, mamma. E anche papà è un Nato Babbano e anche a lui è arrivata la lettera. Comunque. Parliamo della riunione: ho sentito dire che ce ne sarà una. Dico male?».
Mentre parlava, Dara si sciolse l’asciugamano dai capelli e iniziò a massaggiarseli per riportarli alla naturale curvatura.
Dario intanto si era liberato dai lacci delle tre borse che continuavano a mozzargli il respiro.
« Si, faranno una riunione ed è per questo che sono venuto via da casa proprio ora. Casa tua era la più vicina e …. Aspetta un attimo! Anche tu non tornerai a Hogwarts?»
« Hah! Non ci pensa nemmeno!» Sbraitò la signora Clarke prima che Dara potesse rispondere.
Anche se era una strega purosangue, discendente di una lunga linea dinastica del Brasile, Rayane Clarke non aveva avuto nessun tipo di problema a sposare un mago nato dai Babbani. Non aveva mai considerato i non-maghi degli esseri inferiori, né nessuno gliel’aveva mai fatto credere. Diceva sempre che l’Inghilterra era malata, per questa questione del sangue, e che in Brasile la mentalità era decisamente più aperta.
Era molto preoccupata per la rinascita di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e quando a sua figlia era arrivata una lettera (firmata dal Ministero) che informava dell’obbligo di frequenza a Hogwarts, non aveva avuto alcun dubbio sul da farsi: preparare le valige, prenderle e andare molto molto lontano.
Dara aveva smesso di scuotere la chioma riccia e si era attaccata alla Burrobirra, quasi famelica.
« Che poi, non so nemmeno se mi ci vorrebbero davvero in quella scuola marcita. Nella lettera che mi hanno mandato, c’è scritto che all’arrivo mi avrebbero fatto un controllo per verificare il mio stato di sangue. Sembrava che mi parlassero come se avessi l’ebola, accidenti a loro e le loro corna»
Sbuffò, dopo aver tracannato il primo sorso.
Rayane non disapprovò i toni poco educati della figlia.
« Dario, tu dove pensi di andare?» chiese al ragazzo che era rimasto in silenzio, a contemplare gli scatoloni dell’imminente trasloco.
« Vieni con noi. In Brasile ti confonderai bene. Ho venticinque cugine, di certo Tu-Sai-Chi impazzirebbe prima di riuscire a capirci qualcosa nel nostro albero genealogico» suggerì la donna, invitando Dario a bere la Burrobirra con così tanta frenesia che ne versò una buona dose sul divano.
Dario per un attimo immaginò sé stesso sopra un aereo, che volava alto sull’oceano e atterrava in un paese dove venticinque Dara lo strapazzavano a destra e a manca, riempendolo di moine.
La vera Dara, invece, ebbe un’idea.
« Mamma. Perché non nascondiamo Dario a Maison Lavande? Chiederò a François se hanno un posto per lui … e io potrei accompagnarlo, così non sarebbe solo».
Nella mente di Dario si delinearono i contorni violetti della villa ben conosciuta.
La prospettiva lo entusiasmò molto e sentì quasi l’impazienza crescergli in petto.
Mentre Rayane rifletteva sulla proposta della figlia, la serratura dell’appartamento scattò. I tre occupanti del divano fecero un balzo all’unisono e si voltarono per vedere chi fosse: un uomo sulla quarantina, con la fronte molto solcata dalle rughe, i capelli e barba castani e due grandi occhi spiccatamente verdi, fece il suo ingresso nella casa.
« Han! Bentornato. Questo è Dario, un amico di Dara … stavamo appunto pensando al suo nascondiglio».
Il signor Clarke parve un attimo sconvolto. Passò in rassegna il volto della moglie e della figlia, per poi fissare Dario. Aveva lo sguardo identico a Dara, pensò lui.
Riscuotendosi dallo spaesamento, il padrone di casa disse:
« Ah, sei un Babbano di nascita anche tu, vero figliolo? Ce l’hai fatta a spiegarlo ai tuoi genitori? Un mucchio di ragazzi sta scappando di casa …».
Dario arrossì e tacque, tormentando l’etichetta della Burrobirra.
Il signor Clarke tuttavia, non badò alla reazione del ragazzo e subito si rivolse alla moglie: « Rayane. Ho sentito Sally Smith, che abita a due isolati da qui: dice che dei funzionari del Ministero sono andati a bussare alle porte di tutti i Nati Babbani della zona. Bisogna sbrigarsi … ce la facciamo a partire domani mattina?».
La donna non fu troppo sorpresa e il suo occhio divenne determinato.
Annuì al marito, poi afferrò il braccio di sua figlia e strinse la presa:
« Dara, scrivi a François. Dario non può andare là da solo. Senti se ha posto per voi due. Di noi non preoccuparti, sai che in Brasile non ci verrà certo a cercare nessuno».
Dara si alzò dal divano e prendendo Dario per mano lo condusse al piano di sopra, lasciando i suoi genitori a discutere della partenza e delle preoccupazioni.
Quando entrarono in camera, la ragazza scagliò l’asciugamano sul letto sfatto e iniziò ad armeggiare sulla scrivania, buttando all’aria mille foglietti di pergamena, piume e calamai.
Era stranamente buffo l’accozzo che produceva l’arredamento magico in un appartamento di un condominio Babbano nel centro di Londra, pensò Dario.
Come se in una casa torre del medioevo, entrando, uno si fosse trovato davanti un divano di pelle sintetica, l’interruttore della luce e un computer portatile su un tavolino di vetro.
Rapito dalla praticità con cui Dara interagiva nel suo mondo, Dario si concedette un’occhiata alla stanza: non era grande né piccola, ma ad ogni parete erano appesi poster di modelle che si muovevano sulle passerelle di chissà che sfilate di moda. Erano sicuramente streghe, perché come nelle foto, si muovevano davvero. Ce n’era una con una stravagante veste verde, che inciampava in continuazione, tra i flash dei fotografi.
Dara incrociò lo sguardo del suo amico:
« Ah, si. Quella è un pezzo raro! È uno scatto originale, ma il fotografo l’aveva buttato via perché pensava che nessuno volesse vedere una modella che inciampa. A me però fa ridere … guarda! È inciampata di nuovo! Ah ah!»
Dario rise con più forza di quanto si sarebbe aspettato da sé stesso in un momento come quello.
« Dopo ti faccio vedere la mia stanza segreta. Vedi quella porticina? In realtà era uno sgabuzzino, ma papà con la magia l’ha Estesa e dentro ci tengo due manichini e un sacco di stoffe. Mi mancherà un sacco, se andremo davvero a nasconderci in Francia. Vabbè, tanto non l’avrei usata nemmeno a Hogwarts … Comunque! Dario. Sei sicuro di non voler tornare a casa dai tuoi genitori?».
Dara brandiva una pergamena abbastanza grande e una bella piuma d’aquila per scrivere.
Aveva acceso uno sguardo molto penetrante.
Dario sospirò:
« Si. Ho parlato con Alice ed è la cosa giusta da fare. Dovrò scrivere una lettera ai miei genitori, dove gli spiegherò al meglio le cose. Gli dirò che vadano a nascondersi da qualche parte. Però non adesso. Lo farò quando anche i tuoi saranno partiti e noi saremo lontani da qui … altrimenti mi verrebbero a cercare». Sospirò il ragazzo.
Dara si rimboccò le maniche pelucchiose dell’accappatoio e intinse la piuma in un calamaio ricolmo di inchiostro azzurro.
 
Caro François,
 
Prese un bel respiro.
Guardò la sua camera, Dario e quel poco delle strade di Londra che si riusciva a vedere dalla finestra.
« Ma Alice dove andrà?»
Dario non ne aveva idea.
« Passami quella cornetta, Dario. Anzi, fai tu il numero. Chiamala!»
Dario ruotò di centottanta gradi e afferrò la cornetta di un telefono arancione elettrico, che lasciò un lungo filo arricciolato penzoloni dietro di sé.
« Aspetta, ma a me ha detto che sarebbe scappata di casa …. Non posso chiamare i suoi genitori!»
« Hai detto che andava a casa di Irene per questa famosa riunione, no? Chiama Irene!».
Dario non se lo fece ripetere e premette a memoria la combinazione di numeri sui tasti del telefono.
Dopo qualche squillo monotono, si sentì un click, poi una voce rispose:
« Pronto?»
« Signora Tennant? Sono Dario Nub, un amico di sua figlia …»
« Sono io, Dario. Non mi riconosci? Ah ah, dimmi tutto»
« Oh, ciao Irene. Volevo … ehm … volevo sapere se Alice è già da te per quella riunione»
«No, mi ha scritto una lettera. È in viaggio da Ashington; dovrebbe arrivare domani. Che succede? Tu ci sarai, vero?»
Dario gemette: « No, in realtà non credo. Penso che mi nasconderò in Francia con Dara. Sai … la serra. … Però volevamo sapere se Alice ha già un piano»
« In effetti credo che ci sia un’altra proposta … Moris ha offerto casa dei suoi nonni. Sai, credo che faranno un Incanto Fidelius sulla casa, mentre lei andrà a scuola, così che nessuno sospetti niente. Credo che anche io mi nasconderò lì. Quindi tu vai a Maison Lavande?»
Dario fissò Dara, che cercava di seguire la conversazione, mentre reggeva in mano la penna sempre intinta di inchiostro azzurro.
« Si, a questo punto credo di si. I genitori di Dara partono domani, non possiamo aspettare. Ci sono quelli del Ministero già a due isolati da qui.»
Irene tacque per una buona manciata di secondi.
Dario la sentì respirare più forte, da dietro la cornetta.
« Ho capito. Allora … buona fortuna».
« Grazie. Anche a te buona fortuna»
« Stammi bene Darius»
« Anche tu. Salutami Tegamina»
« Certo!»
« Ciao Ire ...»
« Ciao …»

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Capitolo 3
*** la riunione ***


La riunione
 
Alice si era addormentata sulla poltroncina scomoda del pullman.
Non aveva mai fatto una cosa del genere in tutta la sua vita, né si era mai sentita tanto convinta e determinata.
Era scappata di casa senza remore, anche se il pensiero dei suoi genitori che trovavano camera vuota e quel biglietto sul tavolo, le dava un’odiosa uggia al petto.
Appena aveva sentito che i suoi se ne andavano a dormire, la sera precedente, si era alzata; con mano ferma aveva cercato il suo vecchio zaino di scuola, quello grande, in stile pienamente Babbano.
Con la poca luce offerta dal lume sul comodino, aveva preso tutti i cambi possibili dall’armadio, due paia di scarpe, una scatolina del pronto soccorso e svuotato il salvadanaio di tutto quel che conteneva.
Indugiando sul baule di legno di Hogwarts, l’aveva poi aperto e prelevato tutti i libri, la bacchetta e una piccola bandierina con lo stemma di Corvonero.
Intascò lo specchietto regalato da Terry, sentendo una dolorosa fitta, in mezzo alle costole.
Le sarebbe piaciuto portarsi dietro anche il calderone e gli ingredienti per le pozioni, ma la borsa non era abbastanza capiente.
Aveva preso la gabbia con Eulalia e con molta discrezione se n’era uscita, lasciando sul tavolo di cucina in bella vista una lettera sigillata.
L’aveva scritta durante il pomeriggio e le era costata fatica e dolore. Per quanto quel foglio le sembrasse misero e riduttivo, era riuscita a concentrarci una dignitosa spiegazione della faccenda dell’Oscuro Signore e di quello che pensavano dei Nati Babbani.
E fu con il pensiero rivolto alla lettera, che Alice si svegliò, rendendosi improvvisamente conto del torcicollo che la infastidiva.
Sentì i muscoli intorpiditi e indolenziti.
Tirò fuori le braccia dal giacchetto che aveva usato come coperta e si stropicciò gli occhi.
Fuori dal finestrino era giorno, anche se il colore grigiastro dell’alba suggeriva che il sole era sorto da poco.
Alice era a bordo dell’autobus National Express, che dalle undici e dieci della sera precedente, l’aveva trasportata lungo tutto il Regno Unito per arrivare a Londra.
Si ricordava vagamente di una fermata a Newcastle Upon Tyne e di un orologio che indicava mezzanotte e quindici. Poi si era addormentata, ripensando a quel che aveva fatto.
Il suo sguardo assonnato, ora, vagava fuori dal finestrino appannato, in cerca di un qualche cartello familiare, che le annunciasse l’arrivo a Londra.
Eulalia dormiva nel seggiolino accanto, con la gabbia coperta da un altro giaccone.
Cambiare posizione, costò alla ragazza una lunga serie di mugolii a metà fra il sonnolento e il doloroso.
I suoi sensi ripresero lentamente coscienza di ciò che li circondava: un signore seduto poco lontano, russava debolmente; le ruote del mezzo vibravano sull’asfalto; l’autista tossicchiava …
Alice si portò una mano alla fronte, togliendosi alcuni ciuffi di capelli dagli occhi e riaggiustandosi gli occhiali.
Era diretta a casa di Irene. L’indirizzo se l’era scritto in un foglietto che conservava in tasca. Tastò i pantaloni per assicurarsi che ci fosse sempre e un lieve scricchiolio cartaceo la tranquillizzò.
Erano le sei e venti, quando il pullman si fermò a London Golders Green. La sua fermata era la prossima, London Marble Arch. Mancava ancora un buon quarto d’ora. L’avrebbe utilizzato per sgranchirsi e svegliarsi del tutto.
 
Irene era impaziente e non riusciva a smettere di fissare il camino.
Sapeva che Samantha era in arrivo con i suoi genitori.
Valentina era già lì, arrivata da appena dieci minuti e giocava con Tegamina sul divano.
« Non mi piace che Alice se ne sia andata di casa da sola e abbia viaggiato da Ashington fin qui»
Disse una donna, sbucando alle spalle delle due ragazze: era la madre di Irene, accompagnata dal marito.
Erano scesi di sotto: lei teneva in mano l’ultima copia della Gazzetta del Profeta, lui esibiva un’aria preoccupata.
« Lo so, mamma» sospirò Irene, sedendosi sul divano accanto a Valentina.
« Ma non c’era molta scelta. Sai che quelli del Ministero hanno iniziato a bussare alle porte dei Nati Babbani? Me l’ha detto ieri Dario …»
La signora Tennant si morse un labbro, silenziosamente.
Il padre di Irene prese una sedia di legno dalla cucina e ci si accomodò.
« Aspettiamo che arrivino i Moncrieff, poi prendo la macchina e vado a cercare la vostra amica».
Irene annuì e vide sua madre iniziare a preoccuparsi.
Era molto strano che Irene e Valentina fossero nella stessa stanza ma non stessero ridendo a crepapelle. Boris e Moris erano molto distanti, in quel momento …
« Valentina, cara, ma tu sei proprio sicura di voler tornare in quel postaccio? Stare fra i Serpeverde non sarà proprio il massimo … anche ai miei tempi erano tutti musoni e antipatici»
Irene borbottò qualcosa che somigliava a “stereotipi che circolano sempre fra i Tassorosso …”
La signora si accomodò su una sedia a dondolo vicino al camino. Teneva le mani congiunte come in preghiera e aveva gli occhi arrossati.
I lunghi capelli biondi erano raccolti in una treccia corposa e sfatta.
Valentina sospirò, sorridendo a fatica dei sussurri di Irene, lasciando che Tegamina le scivolasse dalla spalla in tasca.
« Non posso fare altrimenti, signora Tennant. Mi è arrivata la lettera con l’obbligo di frequenza e poi, se vado a Hogwarts, di certo nessun Mangiamorte andrà a indagare a casa dei miei nonni»
« Cosa si può fare per ripagare la loro gentilezza?» azzardò il signor Tennant che, preoccupato, iniziava già a prendere le chiavi della macchina e a dirigersi verso la porta.
« Per quello non c’è problema … anzi, a mia nonna dispiacerebbe se nessuno usufruisse della sua offerta. Lei è sempre stata contro il regime di … beh, Voi-Sapete-Chi. Lo sanno tutti, tanto, che i miei genitori erano Mangiamorte e che lei mi ha strappato da loro …»
La signora Tennant stava per dire qualcosa, sicuramente volta a consolare Valentina, quando un lampo verde annunciò l’arrivo di qualcuno con la Metropolvere.
In un attimo, un mago coi capelli castani, tozzo, vestito da Babbano se non per il mantello da viaggio, entrò nel salotto.
« Buongiorno» disse cortesemente: « Cecily e Samantha stanno arrivando».
« Ciao Nick. Tutto bene?» Il padre di Irene andò in contro a quello di Samantha, mentre un secondo lampo verde illuminava il focolare.
« Ehilà, Julien. Si, più o meno tutto bene. Almeno la testa, io, per ora ce l’ho sempre»
La signora Tennant fece un debole sorriso, mentre Julien, suo marito, rimase interdetto.
« Il fantasma, caro. Te l’ho già raccontato …» sussurrò la padrona di casa, andando poi a salutare mamma e figlia Moncrieff.
Samantha salutò i genitori di Irene, poi si catapultò ad abbracciare le sue amiche, preoccupandosi di non vedere ancora Alice.
Cecily, sua madre, era una strega di statura molto bassa, con i capelli neri e un mare di lentiggini. Strinse la mano della signora Tennant con molto calore.
« Come stai?» le chiese, tristemente: « ho saputo che quell’orribile lettera è arrivata anche a te».
« Eh si» sospirò l’altra donna: « ma di certo io non mi presento a nessun interrogatorio».
« Dov’è Alice?» chiese la signora Moncrieff guardandosi intorno.
« Stavo giusto andando a cercarla … se ha preso  il National Express dovrebbe scendere a…»
Nemmeno il tempo di finire la frase, che il campanello suonò tintinnando.
Tutti i presenti si catapultarono alla porta e tirarono un sospiro di sollievo nel riconoscere Alice, sana e salva, con in spalla uno zaino dall’aria pesante e la gabbia di Eulalia.
« Buongiorno a tutti. Sono in ritardo?»
Esclamò con il tono più gioviale possibile, notando l’aria preoccupata degli astanti.
Eulalia tubò impaziente, chiedendo di essere liberata.
« Oh Alice, menomale sei arrivata. Eravamo in pensiero. Purtroppo devo chiederti di tenere questa bella civetta ancora in gabbia … siamo in pieno centro e potrebbe destare qualche sospetto ad occhi magici. Non abbiamo mai tenuto gufi … vieni, cara, hai fame?»
Alice non rifiutò l’offerta di Mrs Tennant, che portò in salotto un vassoio abbondante di pasticceria Babbana.
Ora che Alice era arrivata e che tutti si sentivano per il momento al sicuro, non parlarono delle urgenti questioni prima delle otto: si dedicarono ad una silenziosa colazione, in cui le ragazze si lanciavano occhiate preoccupate e i genitori tenevano gli occhi bassi, immersi nei pensieri.
Fu Valentina a prendere la parola, quando si sentì in lontananza il Big Ben risuonare melodiosamente.
« Scusate se interrompo la colazione … ma mia nonna potrebbe spedire in avanscoperta un esercito di mucche inferocite, se non ritorno a casa prima delle undici. Devo perciò comunicare a tutti e chiaramente quello che è il suo piano».
Non ci furono obiezioni, nemmeno dagli adulti, che furono piacevolmente impressionati dall’intraprendenza della ragazza.
Si alzò in piedi, sotto gli occhi di tutti e incominciò:
« I miei nonni, Climene e Prometheus Martin, vivono sulle Coniston Fells. Non so se tutti sapete che sono famosi per avermi strappata ai miei genitori – che erano attivisti Mangiamorte, quando nacqui – e fatta crescere lontana dai pregiudizi, con loro, immersa nelle montagne. Quindi se vi spaventa il fatto che siano due maghi purosangue, state pur certi che troverete discriminazione in loro quanta ne avreste potuta trovare in Albus Silente.
« Detto questo; mia nonna ha avuto l’idea di offrire casa nostra come rifugio per i miei amici Nati Babbani. Non viviamo in una magione, anzi, il posto è molto piccolo, però non ci saranno problemi ad ospitare tre persone: Alice, Irene e Samantha possono tranquillamente trasferirsi lì. Staranno un po’ strette, ma di certo saranno salve. So che Dario si rifugerà in Francia con Dara … e sono tranquilla che il luogo dove vanno è sicuro.
« Io andrò a scuola, innanzitutto perché mi hanno spedito una lettera di obbligo di frequenza e poi perché così fugherò ogni dubbio e nessuno sospetterà dei miei nonni.
« Mio nonno e i nostri vicini di casa (un’altra coppia di maghi anziani), hanno deciso di stringere un Incanto Fidelius sulle due case, una volta che voi ragazze sarete arrivate, quindi la protezione è garantita al massimo.
« Questo è tutto. Spero di essere stata chiara. Se ci sono domande, chiedete pure» .
Il discorso di Valentina fu seguito da un lungo silenzio.
Alice era forse la più tranquilla: non aveva i suoi genitori lì con sé e qualunque decisione avesse preso, ne avrebbe risposto solo lei personalmente.
Julien Tennant era l’unico Babbano lì presente. Di certo non aveva idea di cosa fosse un Incanto Fidelius, né poteva sapere che i Martin erano famosi per aver salvato loro nipote dai Mangiamorte. Fissava sua moglie, che avrebbe giudicato da sola la validità della proposta.
« Credo di avere una domanda» disse Cecily, la madre di Samantha.
Samantha la guardò incuriosita e leggermente infastidita: era un piano perfetto, quello di Valentina; non le pareva necessaria alcuna domanda.
« Perché Irene e Samantha dovrebbero nascondersi? Loro sono streghe. Hanno ogni diritto di frequentare Hogwarts. Non gli è arrivata nessuna lettera, se non quella dell'obbligo di frequenza.»
« Con questo, di certo, Cecily non vuole dire che anche noi Nati Babbani non siamo maghi o streghe» precisò Nicholas Moncrieff, suo marito.
La mamma di Irene guardò i Moncrieff, sorpresa:
« Beh, io non credo proprio che mi presenterò al Censimento dei Nati Babbani. Di certo non faranno festa a mia figlia, se la vedranno arrivare a Hogwarts, trionfante, mentre i suoi genitori sono latitanti chissà dove».
Irene ebbe un fremito.
« A mio avviso, né Irene, né Samantha hanno da temere qualcosa. L’unica è la povera Alice, che condivide la nostra “sfortuna” di essere nata dai Babbani. Secondo me, per lei, l’offerta dei Martin è molto valida».
Continuò Cecily Moncrieff.
« Io credo che Irene sia più al sicuro dai Martin che a Hogwarts. Irene, che ne pensi? Vuoi andare a Hogwarts?»
Disse la Tennant, rivolgendosi a sua figlia.
Irene arrossì e passò in rassegna tutti i presenti. Tegamina rotolò dalla tasca di Valentina e balzellò in grembo alla padrona.
« No. Non voglio andare a Hogwarts. Ma voi dove andrete?» chiese ai genitori.
« Noi saremo al sicuro. Ci sposteremo un po’ … però preferisco non dirti i luoghi precisi, così che non si corra il rischio che ti vengano estorte informazioni. Però stai sicura che non ci saranno problemi …»
Sorrise il signor Tennant, con una strizzatina d’occhio.
« Samantha» disse Nicholas alla figlia: « e Sara? Non pensi che abbia bisogno di manforte, a Hogwarts? Voi Grifondoro avete Harry Potter e tutti i suoi sostenitori … e per questo credo che sarete un po’ nel mirino dei sostenitori di Voi-Sapete-Chi. Credo che Hogwarts abbia bisogno di studenti ribelli, più che di studenti nascosti».
Samantha si sentì ferire nell’orgoglio: si immaginò Sara, la sua compagna di Casa e amica con cui condivideva la maggior parte dei momenti nel castello, sola. Sara sola e presa di mira da un branco di studenti a caso, cattivi e con la divisa di Serpeverde.
Poi pensò a sé stessa, in villeggiatura sulle montagne a spassarsela con Irene e Alice.
« È vero …. Io … io devo tornare a Hogwarts».
« Non ti faranno entrare, cara! Non se i tuoi genitori non si sono presentati all’appello del Ministero …»
Tentò di nuovo la mamma di Irene.
« Ma lei è una strega a tutti gli effetti! Non possono dirle niente!» insistette Cecily Moncrieff.
« Io devo stare con Sara. Dario e Dara sono al sicuro … e le Serpeverde non dovrebbero avere problemi».
Samantha aveva il respiro affannoso: non si era immaginata di tornare a scuola, ma il suo codice d’onore personale le impediva di allontanarsi dai suoi obblighi (in questo caso essere insieme a Sara e vivere con lei il tetro anno che si prospettava).
Le luci del mattino inoltrato fecero capolino attraverso le tende.
Eulalia tentò uno schiamazzo indignato, per far capire ad Alice quanto odiasse stare lì imprigionata,
Il silenzio di riflessione durò ancora qualche minuto.
« E va bene. Allora solo Irene e Alice andranno dai miei nonni. Vi spiegherò come arrivarci, però dovrete fare il viaggio in maniera Babbana»
Sentenziò Valentina.
« Perché?» chiese Irene.
« Perché siete minorenni e avete ancora addosso la Traccia. Il Ministero ci metterebbe un attimo a rintracciarvi. Vi spiegherò come si raggiunge il luogo. Portatevi dietro maglioni e mantelli pesanti, mi raccomando».
E così la riunione per le sorti dei Nati Babbani ebbe fine: i Moncrieff se ne tornarono a casa con la Metropolvere, così com’erano arrivati. Valentina aspettò che il caminetto si liberasse per fare altrettanto, non prima di aver accuratamente spiegato come si raggiungesse casa dei suoi nonni.
Alice rimase da Irene. Avrebbe dormito da lei fino al giorno della partenza, che fu ufficialmente programmato come il primo di settembre.
 
 
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:angolo dell’autrice:
ATTENZIONE ATTEZIONE! Il gruppo delle Nate Babbane (e Dario u.u) sarà presente a Lucca Comics  SABATO 31 ottobre. Potrete incontrarci in giro, con le nostre uniformi e i nostri animali!
e vi piacesse incontrarci di persona, così quanto noi siamo impazienti di fare la conoscenza di qualche lettore, allora non perdete l’occasione!!

Saremo ben riconoscibili, anche perché distribuiremo volantini con il QR code della fanfiction.
Vi aspettiamo in numerosi! E vi vogliamo bene!! <3

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Capitolo 4
*** l'amore delle mamme ***


L’amore delle mamme
 
Settembre arrivò alla svelta, subito dopo il trentuno agosto, così come aveva sempre fatto: il primo giorno di scuola non è mai uno che arriva come tutti gli altri.
Quell’anno però, aveva ben altre ragioni per essere fuori dall’ordinario.
 
« Mamma smettila di riordinare tutto. Stanno per arrivare … vuoi farti trovare con lo spolverino in mano?»
Sbraitò Dara, con voce soffocata.
Rayane Clarke, sua mamma, era all’opera dalle sei del mattino e stava spolverando per la centesima volta praticamente tutto quello che c’era nel salotto.
L’operazione era pressoché inutile, dato che la stanza era più o meno sottosopra a causa delle scatole per l’imminente trasloco.
La partenza era stata rimandata di qualche giorno: la lettera di risposta dalla Francia non era arrivata subito.
I funzionari del Ministero, fortunatamente, non erano ancora passati a bussare alla porta di casa Clarke.
Dara e Dario erano seduti sul divano morbidissimo. Lui aveva le solite tre borse, ancora piene di tutto ciò che ci aveva messo partendo da casa.
Dara ne aveva cinque.
« Non voglio dare l’impressione che siamo una famiglia di sfaccendati che non perdiamo tempo nelle pulizie domestiche … OH!»
La signora non fece in tempo a finire di parlare: un sonoro crack si sovrappose alla sua voce e una sagoma ben nota ai ragazzi prese forma davanti ai loro occhi.
« Madame!»
Dario e Dara scattarono in piedi e si precipitarono ad abbracciare Madame Belhome.
Era sorridente, anche se vagamente preoccupata. Aveva i lunghi capelli castani sciolti, che la facevano sembrare molto più giovane. Sulle spalle portava un mantello grigio da viaggio, che copriva una veste blu molto bella, ricamata.
« Sciao tesoro mio» disse accarezzando i ricci di Dara; « e sciao anche a toi, caro Darius», concluse baciando il ragazzo sulla guancia.
Dara non poté fare a meno di pensare che era terribilmente strano vedere Amélie Belhome in carne e ossa nel salotto di casa sua, in un appartamento di Londra.
Se la guardò ben bene, abbracciandola. Pensò che era una donna molto buona.
« Mia cara signora» esordì Madame Belhome dinnanzi alla signora Clarke.
Si liberò dall’abbraccio dei ragazzi e baciò la mamma di Dara due volte, sulle guance.
« No, madame. Cara lo è lei a me: ha offerto un posto sicuro a mia figlia e a Dario. Come potrò mai sdebitarmi in tutta la vita, non lo so».
La mano pallida di Amélie prese quella scura di Rayane, facendo una leggera pressione.
« Signora. La mia casa ha la fortuna (o sfortuna, diponde da come la si vuol vedere) di possedere un noscondilio molto sicuro. Sarebbe un’onta non offrire questa sicuressa alla vostra familia. Maison Lavande è casa di Dara e di tutti quelli che lei ritiene abbiano besonio di aiuto».
Le due donne rimasero qualche secondo a fissarsi: Amélie aveva lo sguardo determinato, mentre quello di Rayane era stranamente lucido …
« Dara …» esclamò quest’ultima dopo essersi schiarita la voce: « Dara … mi auguro che tu non sia un peso per queste persone, ma anzi, un aiuto. Non stare lì a ciondolare e chiedi sempre alla signora Belhome se ha bisogno di una mano»
« Su questo puoi stare certa, mamma» rispose la figlia con devozione quasi militare a un ordine del genere.
Amélie sorrise debolmente.
Non ribatté, perché sapeva che lei avrebbe detto esattamente le stesse cose, se suo figlio avesse dovuto nascondersi con la famiglia di Dara.
« Avete tutto pronto?» chiese con gentilezza ai due ragazzi.
Loro annuirono e indicarono le borse posate ai piedi del divano.
« E va bien. Onate a prenderli»
I ragazzi obbedirono e iniziarono a caricarsi di tutta quella roba, non senza qualche difficoltà.
« Siniora …» disse infine la Belhome, quando Dara e Dario stavano tornando da lei, carichi come muli, per procedere alla Smaterializzaizione.
« La prego. Mi dica che ha trovato onche lei un posto dove ondare. Lei è stata corasgiosa e di gronde spirito a sposare l’uomo che ama, onche se non ha una linea di songue masgico che quegli idioti definirebbero “pura”. Ho a cuore la sua situassione come ho a cuore sua filia. Purtroppo non abiamo altri posti nel nascondilio …»
« Madame, non si preoccupi» Rayane trasformò la stretta di mano in un abbraccio: « Lei è una cara signora e non avrò dubbi che Dara sia nel posto giusto. Più lontana sarà da Hogwarts e più sarò felice. Non abbia paura per me; io e mio marito andremo in Brasile e passerà molto tempo prima che riescano a trovarci, laggiù».
Separandosi, le due donne si sorrisero sinceramente.
Madame Belhome prese Dara e Dario per mano, preparandosi a Materializzarsi a Maison Lavande.
« Allora ondiamo …».
Dara lanciò uno sguardo tenero a sua madre e valse più di ogni parola.
« Buona fortuna. E state tranquilli. Andrà tutto bene».
« Salutami papà. E state attenti».
Poi una sensazione di risucchio prese i due ragazzi a partire dall’ombelico.
Gli parve di venire compressi all’interno di un tubo di gomma.
Il respiro mozzato e …
Crack!
Davanti ai loro occhi si estendevano campi in fiore, pieni di lavande.
L’immensa distesa violetta – interrotta solo da una manciata di ginestre gialle come il sole – si perdeva a vista d’occhio.
Alle loro spalle si ergeva la sagoma conosciuta di Maison Lavande: splendida villa di campagna che, l’ultima volta, avevano salutato in circostanze poco piacevoli.
Appariva ora in tutta la sua magnificenza e sembrava accoglierli a braccia aperte.
Dario stava per incamminarsi lungo il sentiero di ciottoli che conduceva all’ingresso principale, ma si ravvide e seguì Dara e Amélie Belhome, che andavano a costeggiare le mura della villa.
Faceva un effetto strano … come essere invitati da un amico, ma venire portati in cantina invece che accolti in casa.
Giunsero così alla tettoia in muratura, attraversarono con cautela le piante della serra e giunsero alla porta segreta nella colonna.
Scesero il buio corridoio fino all’ingresso male illuminato della vecchia chiesa franata.
Prima di farli entrare, Madame Belhome si fermò.
« Cari ragassi. Per osgi è melio se non entro: mio marito è stato tutta la mattina alla Maison e ora deve ondare a lavorare. Non si può lasciare la casa sonza nessuno. Troverete François, che vi aspetta qui dontro».
Baciò entrambi, poi si Smaterializzò. Il suo crack risuonò per tutto il corridoio.
« E allora Dario. Siamo pronti?»
Sussurrò Dara, scrutando il volto dell’amico alla luce delle torce tremolanti.
Dario ebbe un tremito che per poco non lo fece cadere assieme a tutte le borse.
Dara spinse il portone di legno, affaticata dal peso dei suoi bagagli e rimase di stucco quando una luce splendente li accolse nella loro nuova casa.
Si era dimenticata della finestra magica che illuminava il salone: un sole di mezzogiorno risplendeva sul mobilio arrangiato e gli abitanti del rifugio.
Quando la porta fu spalancata e Dara e Dario ben visibili, partì un applauso entusiasta.
I due si resero conto di essere lì, goffi, imbacuccati e con espressioni da pesce lesso, ma non seppero come reagire all’inaspettata sorpresa.
« Benvenuti!»
« Ben arrivati!»
Gridavano gli ospiti ai due ragazzi.
Alcune persone vennero ad aiutarli e gli presero le borse dalle spalle.
« Venite, ecco i vostri letti»
Disse un uomo sui cinquant’anni, accompagnandoli agli unici due letti vuoti.
« Avete fame? Abbiamo conservato un dolce di Amélie per voi!» esordì invece una donna che, Dara si ricordava, era lì già dalla volta precedente (se non si sbagliava doveva anche avere un figlioletto, da qualche parte).
Per quanta gratitudine le avesse ispirato questa scena, non poté fare a meno di sentirsi in imbarazzo quando quella signora le passò un braccio attorno al collo e non la mollò finché non si fu seduta sul suo letto.
Dario aveva posato le sue borse e stringeva mani e riceveva pacche sulle spalle in un misto di commozione e disagio.
Quando il consistente gruppo dei rifugiati si fu diradato, comparvero due facce piacevolmente note.
« Franz!! Oh Franz!»
Dara fece uno dei suoi scatti felini per atterrare in braccio al giovane francese.
François distese il suo più caloroso sorriso, irradiando una sensazione più tiepida e piacevole del sole finto che usciva dalla finestra magica.
« Come stai, ma belle? Il viasgio è ondato bene? Mia mamma ha fatto discorsi strani?»
Ridacchiò, mentre accarezzava il viso della ragazza.
Dara rispose più che altro a monosillabi, poggiando il capo contro il suo petto, come una leonessa che fa le fusa.
« Mh … è stato emozionante … le nostre mamme sono amiche
L’altro viso conosciuto, fu invece una sorpresa.
« Anton! Come mai sei tornato qui? Laura ha detto che eri in Bulgaria …»
Dario salutò l’alto e bruno ragazzo bulgaro, che spiccava mastodontico da dietro il minuto François.
Quello salutò con un lieve inchino della testa, rimanendo serio.
« Io dofefa confondere le acque. Mi dispiace afere mentito a Laura. Non sono mai andato via da qui, in realtà. Se mai i Mangiamorte o i seguaci di Grinderwald stanno a me dando la caccia, di certo qui non mi troveranno».
Parlava con voce bassa e seria. Muovendo la bocca metteva in risalto le fossette sulle guance. Gli era cresciuta una leggera barba, già ispida e nera, segno della prolungata reclusione nei confini di Maison Lavande.
 
« Ho avuto un’idea meravigliosa!»
La donna che aveva preso Dara a braccetto, ricomparve con due belle fette di dolce – dall’aria un po’ appassita – e un gran sorriso stampato in faccia.
Consegnò di forza i piatti in mano a Dara e Dario che, quasi spaventati, non seppero come reagire a tanto entusiasmo. François sospirò, Anton rimase muto.
« Perché non ci sediamo qui in cerchio tutti insieme e non ascoltiamo la storia dei nostri nuovi arrivati? Se vi mette più a vostro agio possiamo raccontare anche noi le nostre … è un modo per iniziare la convivenza. Che dite? Visto che siamo costretti a passare del tempo insieme, potremmo anche impegnarci per diventare tutti amici! No?»
Dallo sguardo esasperato di Anton, i nuovi arrivati capirono che quello era il comportamento abituale dell’energica signora.
Nemmeno il tempo di far decidere ai ragazzi se avevano voglia di condividere qualcosa con gli altri o se preferivano chiudersi in un po’ di privacy, che quella aveva sistemato le poche sedie del rifugio tutte in cerchio e li invitava a sedersi, elargendo sorrisi a destra e a manca.
Sprizzava così tanta gioia da ogni poro che, pensarono Dara e Dario, magari non era una reclusione così tanto dolorosa, quella a Maison Lavande.
 
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:angolo dell’autrice:
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Capitolo 4
*** l'Espresso di Hogwarts ***


L’Espresso di Hogwarts
 
L’iniziativa della signora molto entusiasta non fu presa così bene da tutti.
Molti dei rifugiati finsero di non aver sentito e tirarono fuori vecchie copie raggrinzite della Gazzetta del Profeta, tanto per dire di essere impegnati.
Dara e Dario per non apparire scortesi, si sedettero con la donna nel più solitario cerchio di sempre: c’erano loro tre, il figlio della signora e un omino con la barba bianca e molto lanosa.
François si sedette vicino a Dara, ma rimase sul bordo della sedia, come uno che sta per alzarsi, tanto per far capire l’intenzione di non partecipare a qualunque attività si fosse svolta nel “cerchio”.
Anton tornò a sedersi per i fatti suoi.
La donna continuava a guardarsi in giro con uno sgradevole sorriso splendente, come a passare in rassegna i disertori della sua opera di benvenuto.
« Se poi volete inserirvi, non c’è problema! Non diciamo mai di no a nessuno!»
Dopodiché prese un gran respiro e iniziò:
« Io mi chiamo Crisantema Vaselly, però qui tutti mi conoscono come Cris. È più corto e più carino … ma che gli era saltato in testa a quei mattacchioni dei miei genitori, a chiamarmi Crisantema? Non lo so! Ah ah … sono capitata qui dalla cara Amélie perché i Mangiamorte mi cercano. Sapete, ero un’insegnante privata di Babbanologia. Una di quelli che insegna nelle case dei maghi che preferiscono non mandare i figli a scuola, sapete? E insomma, io insegnavo Babbanologia. Dicevo che i Babbani sono persone tali e quali a noi, con qualche pizzico di specialità sconosciute a noi maghi. Voi non pensate di essere superiori, vero? No, altrimenti perché vi nascondereste? Sono inglese come voi, come la maggior parte di tutti i rifugiati. Si vede proprio che Voi-Sapete-Chi è inglese, eh? Ih ih … l’unica francese è quella bella signorina laggiù» fece un gran cenno con il braccio, indicando con solennità – e una raccapricciante strizzatina d’occhio – una ragazzina in età da Hogwarts, bionda e molto graziosa, che sedeva tutta sola in un angolo del salone.
La signora Vaselly la incitò con qualche smorfia ad unirsi al cerchio, ma la ragazzina la degnò di uno sguardo di totale disgusto e indifferenza.
L’entusiasta signora Vaselly non si scoraggiò e tornò a rivolgersi al suo pubblico:
« Si, lei è francese. Si chiama Gabrielle, ma ancora non so bene cosa le è successo. Strano, perché di solito i ragazzi confidano a me i loro problemi … non so perché, forse viene loro naturale; capiscono che di me ci si può fidare, ecco! Ma tanto lo so. Tempo qualche settimana e si aprirà. È timida, povera cara. È arrivata da poco. Parla solo con te, vero?» aggiunse ammiccando a François.
Lui si sentì chiamato in causa e, con un’espressione da ladro, spalancando a fanale i grandi occhi celesti, annuì furtivamente.
Cris gli sorrise così tanto che le si raggrinzì il naso: « Che carino! Siete fidanzati?» chiese, ammiccando alle mani congiunte di François e Dara.
Aspettò una risposta, ma visto che non arrivava, continuò per la tangente dei suoi discorsi:
« E lui è Josh. Il mio piccino. Eh, “piccino” è una parola grossa. Ha sette anni, mica si scherza qui? Il suo più grande sogno è quello di andare a Hogwarts. Che dite? Ce le farete con lui delle belle chiacchieratone? Gli racconterete tutto tutto quel che c’è da sapere su quella magica scuola. Dico bene?».
In sostanza quella fu una delle più imbarazzanti giornate di tutta la vita di Dario e Dara.
Impararono che il signore barbuto era un Purosangue, ma aveva sposato una Babbana. La sua famiglia lo aveva rinnegato e ora i Mangiamorte gli davano la caccia.
Dara parlò per entrambi: raccontò che Dario essendo un Nato Babbano, aveva ricevuto la lettera per comparire davanti al Ministero; così avevano deciso di nascondersi lì, perché conoscevano la famiglia Belhome.
Alla fine, però, pensarono che non gli era andata così male se il guaio peggiore era sopportare Cris Vaselly e i suoi sproloqui.
Erano in Francia; erano al sicuro.
C’era François, c’era Anton.
 
**
 
Sara e Samantha si guardavano intorno con aria molto furtiva.
Era il primo settembre anche per quelli che, come loro, avevano deciso di frequentare l’anno a Hogwarts.
Già da una prima occhiata a King’s Cross, capirono che il clima non era dei migliori.
Diverse figure con mantelli e cappucci neri stavano di guardia alle entrate del treno e guardavano, immobili, le famiglie che si separavano dai propri ragazzi.
I genitori di Samantha non c’erano. Non si sarebbero presentati all’appello del Censimento dei Nati Babbani, così avevano preferito affidarla ai fratelli di Sara, per accompagnarla all’Espresso.
In realtà, Samantha aveva la vaga impressione che i suoi genitori si sarebbero dati alla clandestinità non appena lei fosse partita per la scuola. La cosa non la preoccupava troppo, anzi, era contenta che i suoi genitori si mettessero in salvo.
Si rammaricava un po’ della mancanza di fiducia che avevano dimostrato non dicendole niente, ma alla fin fine, la ragazza si sentiva abbastanza adulta da saper badare a sé stessa.
Sara stringeva la gabbietta di Palla, guardando veramente male quei tizi in nero a guardia della locomotiva.
Eean e Duncan non parevano meno minacciosi.
« Sara. Sei sicura che vuoi andare a scuola? Io non credo che sia una buona idea»
« Vieni in Irlanda con noi. E se provano a venirci a cercare a casa, li sistemiamo»
Sara si voltò di scatto: « Oh! No! Non dite mai queste cose! Andrò a scuola e nessuno vi verrà a cercare. Non dovete rischiare niente. Farò la brava e vi terrò aggiornati».
I due digrignarono i denti come cani rabbiosi.
« Quelli sono Mangiamorte, Sara. Il nostro Ministero è caduto così palesemente sotto l’influenza di Tu-Sai-Chi. Sara, Hogwarts è un posto pericoloso …»
« Saremo insieme. Non ci faranno del male»
Provò a dire Samantha.
« Con tutto il rispetto … non credo che farà una grande differenza, Samantha. Siete studenti in un covo di vipere».
La locomotiva fischiò forte e i Mangiamorte fecero un passo avanti, invitando i ragazzi a sbrigarsi.
Le ragazze di Grifondoro riconobbero la famiglia dei Weasley, ma videro solo Ginny salire su una carrozza. Immaginarono che Harry Potter fosse già dentro.
Dovevano credere in lui. Era riuscito a dare del filo da torcere al Signore Oscuro, anche se si trattava soltanto di un ragazzo. Samantha e Sara erano pronte a essere dalla sua parte, una volta per tutte.
 
Poco distanti, Laura, Valentina e Bianca erano cariche dei loro bauli, che l’Elfo Domestico di casa Gamp stava portando lentamente sul treno.
Assieme a loro, c’era un gran numero di ragazzi e una strega dall’aspetto distinto, con una lunga veste color smeraldo che si guardava con soddisfazione attorno.
« Almeno sono felice che il Ministero abbia messo in chiaro che i figli dei Babbani vadano nelle scuole dei Babbani»
Austere Gamp seguiva con gli occhi il faticoso lavoro dell’Elfo.
Un leggero sorriso sollevava gli angoli rugosi della sua bocca.
Bianca sbottò:
« Almeno sei felice che il Ministero sia controllato da Tu-Sai-Chi?»
Uno dei ragazzi, alto, ben piazzato, con capelli neri irsuti e una barbetta crespa, ridacchiò.
« Bianca! Non fare figuracce a scuola, per l’amor del cielo. Ricorda sempre ai tuoi nuovi insegnanti che appartieni alla famiglia Gamp …»
« Signora … aveva detto che era l’ora della pasticchinaheeEemmm…. Della sua tisana mattutina. Aiutiamo noi Vexy a portare i bagagli e a salutare le ragazze. Può Smaterializzarsi. I simpatici signori del Ministero l’hanno vista e sanno che Bianca è una pura al cento per cento. Adios. Arrivederci. Passi una buona annata. Ci pensiamo noi a scrivere lettere a sua nipote e le sue amiche!»
Adrian Pucey fece l’occhiolino alle Serpeverde, che contennero i risolini.
Zia Austere, confusa, borbottò:
« Oh, si … la tisana delle undici. Meglio che vada a prenderla. Rimandate a casa Vexy quando avete finito. Tu sei Pucey, vero? Della famiglia dei Pucey?»
« … discendente dei Pucey, imparentato coi Pucey. Si, cara zia. Si sbrighi ora … o perderà l’attimo»
Sempre più confusa, Austere Gamp si Smaterializzò, dopo aver abbracciato Bianca e salutato le altre due ragazze.
« Quella vecchia rincoglionita» sbuffò Bianca.
« Via Platino … (cioè, ora che sei tornata nel mondo dei capelli normali come devo chiamarti?) è vecchia. O che l’ascolti a fare? Laurina tesoro … diglielo tu. E anche tu, Dragoncella Bella».
Valentina divenne rossa e sputacchiò qualcosa.
Ad accompagnarle c’erano anche Bletchley e Warrington, che risero pigramente, mentre si caricavano in spalla la scopa di Laura, la gabbia di Morgana e i bauli delle due.
« Laura. Ma il tuo fidanzato Ercole Re degli Eroi dove l’hai piantato?»
« Non ho piantato proprio niente ed è esattamente dove deve essere!»
« Mamma mia … Dragoncella, anche tu sei acida come lei? Comunque, Laurina cara, vedi di far vincere il Campionato a Serpeverde almeno quest’anno … e ora, Bianca: salite sul treno, che parte. Fate le brave, state dalla parte giusta. E se i Mangiamorte vi danno fastidio … ricordategli che è il miglior sangue magico, quello che stanno sprecando. Tenetemi aggiornato. Bye bye».
 
« Ragazze! Ragazze!»
Il treno aveva fischiato.
Dall’altro gruppo, mentre Samantha e Sara stavano salutando Duncan ed Eean, una mano sventolante sovrastò le teste degli altri studenti.
Sara si voltò per prima.
« Oh. Ciao Terry»
Era proprio Terry Steeval, accompagnato dall’immancabile Anthony Goldstein.
« State bene?» chiese.
« Non ci lamentiamo ….» dichiarò Samantha.
« Ho due cose da chiedervi. La prima: voi sapete chi è al sicuro?»
« Cosa??» risposero in coro le ragazze.
Terry si picchiettò un pungo sulla fronte: « Cioè, non quel Voi-Sapete-Chi. Intendevo … lei. La nostra comune amica. È al sicuro lontana da qui e non si presenterà mai a quello stupido censimento, vero?»
Capendo a chi si riferiva, Sara e Samantha annuirono.
« Al sicuro»
« Molto lontana».
Terry trasse un triste sospiro di sollievo.
« Seconda cosa» riprese, rianimandosi all’istante. I suoi vispi occhi neri scintillavano.
« Avete saputo?».
Sventolò un giornale in faccia alle ragazze.
Loro lo presero, curiose.
Era una Gazetta del Profeta, di quella mattina. Recitava:
SEVERUS PITON CONFERMATO PRESIDE DI HOGWARTS
'Severus Piton, da molti anni insegnante di Pozioni alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, è stato oggi nominato Preside. È il più importante di una serie di cambiamenti nel corpo docente dell'antica scuola. In seguito alle dimissioni della precedente insegnante di Babbanologia, Alecto Carrow prenderà il suo posto, mentre il fratello Amycus ricoprirà la cattedra di Difesa contro le Arti Oscure. «'Sono lieto dell'opportunità di tenere alti i nostri più nobili valori e tradizioni magiche...' [continua a pag 8]’

 
Sara e Samantha impallidirono.
« Cosa?!»
« Ma non possono …»
« Insomma, lui ha … »
« Ucciso Silente? Ovvio. C’è Voi-Sapete-Chi al vertice del nostro mondo. Si, stavolta quel Voi-Sapete-Chi».
Salirono insieme sul treno e si sistemarono nello stesso scompartimento, discutendo di quanto fosse terrificante la prospettiva di avere Piton come preside.
Sara era già pronta col piede di battaglia.
« Harry Potter farà un macello colossale! Si è sempre ribellato a Piton. E noi non saremo da meno!»
« Ben detto. Peccato che Potter non sia sul treno …» sussurrò Terry, sbirciando i Mangiamorte che si erano spostati all’interno e pattugliavano i corridoi.
« Io non ci vado a fare il Prefetto con quella gente» sbottò Anthony, nascondendo il distintivo nel mantello.
« Ma … Harry Potter non è sul treno?» chiese Samantha con voce soffocata e preoccupata.
Tutti sobbalzarono.
La porta dello scompartimento si era aperta sonoramente e con aria trionfale, Bianca si faceva largo, accompagnata da Laura e Valentina.
« Non mi toccare. Non ho fatto niente di male»
Ruggì a uno di quelli vestiti di nero, che l’aveva presa per un braccio.
« Dove vai, ragazzina?»
« In questo scompartimento. E non sei tu a dirmi dove non posso andare»
« Non darti arie, mocciosa» attaccò un altro, comparendo dall’altro lato.
Bianca li guardò entrambi con profondo disgusto, come se avessero un brufolo raccapricciante sul naso.
Senza degnarli di ulteriori parole, dette uno strattone a quello che la teneva per un braccio ed entrò.
Laura e Valentina la seguirono, sfidando con lo sguardo i Mangiamorte a fermarle.
L’ultima che entrò, richiuse la porta.
« Come se non potessi spostarmi liberamente sul treno»
Borbottò Valentina, liberando Morgana dalla cestina di vimini.
Hoo-Hoo e Viktor si ritrassero, nelle loro gabbie.
Sara aprì lo sportellino a Palla, ma quello preferì poltrire dentro la comoda portantina.
« Oh che emozione. Abbiamo dei sovversivi anche fra i Serpeverde?»
Terry simulò un applauso, ma l’espressione gioiosa era sincera.
Bianca si sedette comodamente, sbuffando:
« Cosa credi, Stivale? Che siamo tutti dei rincoglioniti con il cervello pieno di segatura?»
« Wow. Idoli. Che belle che siete! Anthony, perché non ci provi con una di loro? Sono un buon partito»
Sghignazzò dando gomitate a Anthony che, imbronciato, era sempre a coccolare il suo distintivo da Prefetto.
« Non ti conviene» scherzò Samantha: «L’uomo di quella ragazza lì è così muscoloso che ti potrebbe schiacciare con un mignolo; quello di lei ti potrebbe aizzare draghi furiosi contro e il suo … beh non lo conosco, ma credo proprio che abbia una lunga serie di maghi purosangue nella sua famiglia. Magari qualche Mangiamorte ce lo troviamo …».
Laura ridacchiò, mentre Valentina e Bianca ribatterono con forza.
Tutto sommato il viaggio in treno non fu terrificante: i Mangiamorte pattugliavano il corridoio aiutati dai Prefetti – che furono costretti a collaborare con loro – . Non passò nessuna signora con il carrello, quindi gli stomaci gorgogliarono a volontà.
Il cielo iniziava a scurirsi, fuori dai finestrini e le luci giallognole del treno incoraggiavano una certa sonnolenza.
« Ma dimmi una cosa …» disse Terry a Samantha, tutto d’un tratto.
Lei alzò lo sguardo.
« Alice mi aveva detto che i tuoi genitori sono Babbani di nascita …»
« Si, è vero» rispose lei, dando un buffetto a Hoo-Hoo attraverso le sbarre della gabbia.
Lui si gonfiò tutto nelle penne, vergognoso.
Terry guardò distrattamente il gufo, e continuò:
« Che ci fai qui? Insomma … i tuoi genitori sono stati al Censimento e l’hanno passato?»
« Per il Ministero io dovrei essere a posto … mi hanno mandato la lettera con l’obbligo di frequenza».
Terry non indagò oltre.
Samantha, tuttavia, dovette ripensare molto a quelle parole.
Quando il treno si fermò alla stazione di Hogsmeade, iniziò a percepire una certa brutta aria: ai Mangiaorte del treno, se ne aggiunse una gran schiera, che attendeva gli studenti davanti alle carrozze.
Avevano in mano una torcia e una lunga pergamena.
Anche Sara era nervosa.
« Cosa sono quelle pergamene?» chiese all’amica in un sussurro.
Samantha non rispose, ma lo fece Valentina per lei:
« Credo ci siano i nomi di tutti. E vedono se sei in regola o no».
In regola, pensò Samantha sentendo un’angoscia crescente dentro il suo stomaco.
Si sistemò in fila dietro a Sara e attese il suo turno per venire ammessa al posto sulla carrozza.
I miei genitori non sono in regola. Quindi non lo sono nemmeno io?
Il ragazzo davanti a loro salì in carrozza.
Era il turno di Sara.
Samantha pensò a quale fosse la via di fuga più efficace, nel caso ci fosse qualcosa che non andava …
« Tu sei?»
« Sara Harrison»
Il mago con la pergamena scorse la lista con occhi da rapace.
« Harrison, eh? Purosangue. Siete gli Harrison Irlandesi?»
« Si» rispose Sara in tono poco amichevole.
Samantha pensò a Dara, a Joe e alla Smaterializzazione.
Cos’aveva detto Joe? Determinazione ….?
« Molto bene. Sali»
Sara fu ammessa nella carrozza.
Era il turno di Samantha.
Destinazione … Determinazione …
« Nome?»
Le sue labbra tremarono appena.
Vide la faccia preoccupata di Sara, da dentro l’abitacolo della carrozza.
« Moncrieff. Samantha Moncrieff»
Decisione.
Destinazione, Determinazione, Decisione
Vide lo sguardo del Mangiamorte accendersi.
E quando fece un veloce cenno del capo a un suo collega lì accanto, Samantha capì che era il momento di agire.
Vide i due incappucciati portarsi le mani alla tasca dove tenevano la bacchetta … ma fu più lesta: un risucchio improvviso la prese dall’ombelico.
Si sentì strappare da quell’ambiente con tale forza che le parve di venire spezzettata.
Un dolore lancinante si aggiunse all’incapacità di respirare.
In un attimo si sentì affettata da un coltello invisibile e qualcosa si strappò con violenza dal suo corpo.
Seppe di essersi Spezzata ancor prima di Materializzarsi nel primo posto vicino che le era venuto in mente: la Foresta Proibita.
 
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:angolo dell’autrice:
ATTENZIONE ATTEZIONE! Il gruppo delle Nate Babbane (e Dario u.u) sarà presente a Lucca Comics  SABATO 31 ottobre. Potrete incontrarci in giro, con le nostre uniformi e i nostri animali! Se vi piacesse incontrarci di persona, così quanto noi siamo impazienti di fare la conoscenza di qualche lettore, allora non perdete l’occasione!!
Saremo ben riconoscibili, anche perché distribuiremo volantini con il QR code della fanfiction.
Vi aspettiamo in numerosi! E vi vogliamo bene!!

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Capitolo 5
*** il discorso di Piton ***


Il discorso di Piton
 
La carrozza con a bordo Sara, partì dopo aver caricato anche Laura e Valentina.
Le tre si guardavano con eloquenza, spaventate. Non potevano parlare perché c’era anche un ragazzo sconosciuto.
Videro Bianca salire sulla carrozza successiva.
Le ruote urtavano contro i sassi e le piccole buche della strada sterrata. Fra scossoni e rumore di ciottoli, le ragazze videro la stazione di Hogsmeade allontanarsi sempre di più.
Sara era pallida. Non che fosse spaventata dalla prospettiva di essere sola a Hogwarts, ma aver assistito alla Smaterializzazione improvvisa di Samantha l’aveva messa nel panico.
Palla si muoveva silenziosamente dentro la portantina, mentre Morgana lanciava gridolini reclamando la libertà.
Anche Valentina e Laura erano sconvolte dall’accaduto.
Notarono che il ragazzino lì seduto aveva lanciato un’occhiata furtiva ai loro mantelli, per scorgere i distintivi delle Case.
Aveva sgranato gli occhi dopo aver visto i colori verde e argento.
Erano dunque già arrivati a quei livelli? Le Case erano già così divise e in guerra fra loro? I Serpeverde sarebbero stati i cattivi, quelli dalla parte di Voldemort, quelli contenti della loro purezza di sangue?
Valentina strinse al petto il cesto rigido della sua gatta e fissò Sara, preoccupata.
Le scosse traballanti durarono ancora per qualche minuto: videro le grandi statue di cinghiali alati e infine il grande ingresso di Hogwarts, illuminato da torce che parevano ancora più cupe quella sera.
Il ragazzino si catapultò fuori dall’abitacolo. Sara, Laura e Valentina uscirono insieme, riunendosi con Bianca
« Sara! Pensi che Samantha stia bene?» sussurrò con molta forza, prendendo Sara a braccetto.
La piccola Grifondoro scosse il capo: « Non ne ho idea. Non si era mai Smaterializzata prima … »
Al tremore della voce si aggiunse anche quello delle gambe, ma questo valse per tutte e quattro: entrando nel castello, scorsero un’immensità di figure nere incappucciate, che li scortavano sommessamente verso la Sala Grande.
Laura si portò l’indice al dito, per comunicare che era meglio tagliare lì ogni discorso che potesse essere sospetto.
Tutti i fantasmi, muti e tristi, erano stati radunati nella Sala d’Ingresso e guardavano con aria tetra gli studenti che passavano.
Sara tentò un saluto a Nick-Quasi-Senza-Testa, ma quello non dette cenno di riconoscerla e rimase apatico.
Alcuni Mangiamorte sorvegliavano il portone di quercia dal quale si accedeva alla Sala Grande.
Avevano iniziato a smistare i ragazzi in base alle Case:
« Di là. Fila al tuo tavolo e non fare deviazioni.».
Sentirono dire rivolto a una bambina del secondo anno, dall’aria esile e spaventata. Quella si separò dalla sua amica che portava lo stemma di Corvonero, e si avviò sola soletta verso la tavolata dei Tassorosso.
Ben presto le ragazze si accorsero che i Serpeverde non avevano alcun bisogno di venire condotti al proprio posto: attraversavano l’Ingresso con aria fiera e la testa alta, e si incamminavano nella giusta direzione senza degnare di uno sguardo né gli altri ragazzi, né i Mangiamorte.
Bianca assunse un’espressione da funerale e, con al seguito Laura e Valentina, si avviò verso la sua destinazione.
« Tieni gli occhi aperti, Sara» disse all’amica, prima di separarsene.
« Se hai bisogno di aiuto, ci siamo noi» aggiunse Laura dandole un buffetto su una spalla.
« Se qualche Sepreverde ti fa qualcosa, dillo a noi». Convenne Valentina.
Sara annuì, reprimendo l’istinto per lei innaturale di liberare dei grossi lacrimoni.
Tirò su col naso e guardò le tre Serpeverde sparire nella mischia di tuniche nere.
 
« Tu di che razza sei? Fai un po’ vedere!»
Un Mangiamorte le mise sgradevolmente le mani addosso, scostandole il mantello dall’uniforme.
Sara si ritrasse rabbiosamente e quello la squadrò da capo a piedi, minaccioso.
« Grifondoro. Puah!» sputò per terra ai piedi della ragazza.
Lei rimase immobile, tremante.
« Il tuo tavolo è quello là. Guai a te se fai deviazioni e se ti becco a confabulare, come fanno sempre i tuoi amici, giuro che ti vengo a togliere quell’espressione ribelle dal faccino».
Spintonò Sara dentro la Sala Grande.
Lei corse senza farselo ripetere al tavolo della sua Casa e si accorse di avere il fiatone.
Lanciò un’occhiata al tavolo dei professori: avevano tutti la stessa espressione preoccupata e sconvolta. Ognuno aveva alle loro spalle due Mangiamorte, come se pensassero che qualcuno di loro avrebbe tentato la fuga.
L’unica che sedeva con dignità, senza lasciare che il suo corpo venisse condizionato dalla paura, era la professoressa McGranitt.
Sara sentì i muscoli sciogliersi un poco in una sensazione di protezione e gratitudine.
La professoressa sedeva con la schiena rigida e un’espressione austera che non lasciava spazio al timore per i due uomini incappucciati dietro di lei.
Guardava dall’alto dei suoi occhiali quadrati gli studenti che si sedevano. Forse Sara se lo immaginò, ma le parve che nei suoi occhi brillasse una luce di solidarietà, con la quale la professoressa si autonominava paladina dei soprusi contro gli studenti.
C’erano anche due nuovi professori, che non avevano Mangiamorte a fare la guardia.
Li notarono anche Valentina, Bianca e Laura, che nel frattempo si erano messe insieme nell’angolo più lontano del tavolo.
I due professori sfoggiavano un’orribile sorriso soddisfatto. Erano molto simili nel viso – e anche ugualmente brutti – così che le ragazze indovinarono che fossero fratelli.
Sara si ricordò dell’articolo di giornale letto quella mattina a King’s Cross: doveva senza dubbio trattarsi di Amycus e Alecto Carrow, nuovi insegnanti di Babbanologina e Difesa Contro le Arti Oscure.
Non avevano bisogno di Mangiamorte perché di certo erano amici fidati di colui che sedeva al centro della tavola dei professori.
Avvolto nel suo solito mantello nero, che aveva assunto una tonalità ancora più scura del solito, troneggiava Severus Piton.
Sfoggiava la sua solita aria assente; sul volto giallastro erano comparse due grandi occhiaie che contornavano gli occhi color carbone, ancora più cupi e tetri. I capelli neri si separavano in due orride tendine untuose ai lati del viso.
 
« Sara! Che bello vederti! Sei sorpresa, eh, di vedere me?»
Una voce troppo entusiasta per la circostanza fece voltare Sara dalla sua analisi del tavolo dei professori.
« Dennis. Come stai?»
Disse apaticamente Sara, prima di ricordarsi di un particolare …
« Dennis!» esclamò con più forza. La luce accesa negli occhi del suo compagno di classe le comunicò che era esattamente l’atteggiamento che lui si aspettava da lei.
« Come fai a essere qui?! Non sei un Nato Babbano?»
Dennis Canon sorrise entusiasta, mostrando una schiera di denti bianchi. Dette una gomitata al fratello, che era seduto accanto a lui.
« Colin! C’è Sara qui che chiede come abbiamo fatto ad essere ammessi! Eh eh! Diglielo un po’, Colin!».
Con la stessa aria esaltata, Sara vide Colin Canon voltarsi verso di lei.
Per quanto gli dovesse essere riconoscente – dopotutto si era impegnato così tanto a dare a lei e a Samantha quelle ripetizioni di Difesa Contro le Arti Oscure – non poté non sospirare pietosamente.
Erano decisamente imbarazzanti, quei due fratelli.
« Siamo stati al Ministero» iniziò Colin : « avevamo paura che ci arrestassero o cose del genere! Pensa un po’, dicevano che avevamo rubato la magia!».
Si interruppe con una pausa ad effetto, aspettandosi una reazione dalla sua interlocutrice. Sara annuì, comprensiva.
« Insomma, ci siamo presentati. Ci siamo detti: tu hai rubato la magia? Io no. Nemmeno tu. Quindi non possono farci niente. Non ci crederai, Sara, ma all’inizio sembrava che ci volessero arrestare davvero!».
Si aspettò di nuovo un commento.
« Pensa un po’ …» disse Sara, incoraggiandolo goffamente.
« Poi la professoressa Umbridge, che è a capo del tribunale per giudicare i Nati Babbani, ci ha riconosciuti. Siete di Grifondoro, dice. Mi ricordo di voi, eravate amici stretti di Harry Potter. Eravate in quel gruppo di monelli che si facevano chiamare Esercito di Silente, dice. Noi abbiamo detto di si, perché siamo coraggiosi, abbiamo pensato; volevamo essere dei veri Grifondoro, abbiamo pensato. Allora la Umbridge sorride e dice: sapete dov’è Harry Potter? Questo potrebbe cambiare l’esito dell’interrogatorio, ci dice. Noi ci facciamo furbi e rispondiamo: si. Ci ha detto che verrà a Hogwarts ma da una strada diversa e che si metterà in contatto con noi, in un momento imprecisato dell’anno, per poter entrare. Ma noi in realtà ce lo immaginavamo che Harry non sarebbe venuto a scuola. Di certo è impegnato a combattere Voi-Sapete-Chi. Noi Grifondoro dobbiamo dargli il nostro sostegno!»
Sara, suo malgrado, era fortemente interessata dal discorso di Colin Canon.
« E allora cosa vi ha detto la Umbridge?» chiese incalzante.
Colin e Dennis si scambiarono uno sguardo soddisfatto.
« Ci ha detto di frequentare Hogwarts e di rimanere amici con Harry Potter, perché lui è l’unica speranza per il mondo magico. Ma noi lo sappiamo che in realtà lei pensa di spiarci perché crede che la condurremo da Harry Potter!».
Le questioni erano due, pensò Sara. O quelli del ministero erano terribilmente stupidi, oppure i fratelli Canon erano diventati piuttosto intelligenti.
Ad ogni modo, una voce lugubre interruppe ogni altro discorso nella Sala.
 
« È un immenso piacere per me quello di ricoprire il ruolo di Preside della più grande scuola di magia e stregoneria del mondo. Da quando la carica si è ritrovata improvvisamente vacante, il Ministero ha avuto la gentilezza di offrirmi il posto … ».
La McGranitt sussultò, sul viso un’espressione aspra.
I Serpeverde ridacchiarono, mentre Bianca borbottò con voce troppo alta:
« Bella storia, si».
Molti dei suoi vicini di tavolo si voltaorno col sorriso sulle labbra, immaginando che la “bella storia” non fosse una battuta sarcastica.
Si ritrassero di nuovo, scandalizzati, quando fecero i conti con l’espressione dura e ribelle di Bianca.
Dal tavolo dei Corvonero, immediatamente vicino al loro, Terry Steeval mandò una risatina.
Piton continuò imperterrito, senza essersi accorto di niente.
« … ed è con lo stesso spirito riconoscente che chiedo a Mastro Gazza di condurre i nuovi arrivati all’interno della Sala Grande per procedere allo Smistamento».
Le porte di quercia si aprirono e rivelarono una misera manciata di ragazzini, che si avvicinarono verso il centro impauriti.
Una squadra di Mangiamorte li accompagnava.
« Ecco» disse Piton: « questi sono i figli dei maghi d’Inghilterra. Questi sono il futuro del mondo magico. Il nuovo regime del Ministero, che approvo personalmente e al quale mi dichiaro fedele, ha preso la decisione di restringere l’insegnamento ai soli maghi il cui sangue sia frutto dell’unione di un mago e una strega. È opinione largamente diffusa e condivisibile, che i cosiddetti Nati Babbani siano dei traditori e dei ladri: con quale diritto pensavano di poter frequentare una scuola che avrebbe insegnato loro ad affinare le arti magiche? I figli dei Babbani non sono maghi. Sono Babbani particolarmente astuti che sono riusciti a carpire con l’inganno il sapere magico e hanno per anni preso il posto in questa scuola, che avrebbe invece dovuto garantire la sicurezza per i figli dei maghi.
« Questa scuola ha da oggi un aspetto nuovo. La collaborazione con i funzionari del ministero non deve spaventarvi: siamo coscienti che, se vi trovate qui, il vostro sangue è degno di essere chiamato magico. Non cospirate, non tramate, non vi ribellate e a nessuno di voi sarà fatto alcun male.
« Non dovete spaventarvi se il numero dei nuovi adepti è così esiguo. Per troppo tempo le unioni fra maghi e Babbani non sono state controllate. Le nostre linee di sangue più pure sono andate quasi tutte disperse. Il sangue più antico è defluito nell’arido e sporco sangue Babbano, spegnendosi per sempre. Ma è finalmente iniziato un nuovo periodo storico, un nuovo atteggiamento nei confronti della vera magia e della sua conservazione. Mastro Gazza, porti qui il Cappello Parlante e proceda pure allo Smistamento».

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Capitolo 7
*** inizio di avventure ***


Inizio di avventure
 
Quel primo di settembre era stata una giornata fuori dall’ordinario per tutte le ragazze. Anche per quelle che l’avevano trascorso molto lontano da Hogwarts …
 
« Buongiorno»
Mugolò Alice stiracchiandosi. Eulalia tubò allegra, nascosta sotto il solito giaccone di pelle, avvisando di essere sveglia.
Irene non rispose: era ancora infagottata nella giacca a vento bitorzoluta e assomigliava vagamente ad una larva gigante.
Alice la guardò sorridendo, poi fece capolino fra i sedili del treno per vedere l’ora segnata dall’orologio digitale in cima alla carrozza.
Erano le sei e mezza del mattino e purtroppo la loro fermata era vicina.
Armandosi di tutta la gentilezza possibile, Alice dette una scrollata all’amica che dormiva beatamente.
« Ehi, Ire … siamo quasi arrivate»
« Mh..» Irene mandò un muggito dell’oltretomba.
Alice si raddrizzò gli occhiali e decise di temporeggiare ancora qualche secondo: frugò nel grande zaino ai suoi piedi e ne estrasse una bottiglia d’acqua.
Bevve quel tanto che servì a rendere la sua voce naturale anziché impastata dal sonno e ritentò:
« Irene … su, alzati»
« Ma i lama non sono a pallini!»
« Oh, si che lo sono»
« Ah si?»
« Certo»
« Da quando?»
« Dalle sei e mezzo di stamattina »
« Ah. Allora sarà meglio che mi svegli?»
« Si, direi di si …»
Irene aprì di scatto gli occhi, come un gatto spaventato.
Si guardò intorno furtivamente e vide Alice che tratteneva le risate a poca distanza da lei.
« Alice!»
« Si?»
« Credo di essermi addormentata…» bofonchiò, pescando Tegamina morbida e sonnolenta da una tasca dello zaino.
Quando Puffola e padrona furono abbastanza in grado di intendere e volere, Alice era riuscita ad organizzare l’uscita dal treno in maniera agevole: avevano entrambe un grosso zaino e un trolley, in più Alice doveva portarsi dietro la gabbietta di Eulaia – che aveva destato non pochi sguardi traversi da parte dei Babbani sul treno – .
« Coraggio. Ci resta solo un’oretta di pullman e saremo arrivate a Coniston».
Esclamò Alice con quanto più entusiasmo riuscì a comunicare.
Irene le tenne dietro, zompando fuori dal treno, una volta che i portoni si furono aperti.
C’era il sole, anche se coperto da una leggera nebbiolina pallida.
L’umidità nell’aria faceva sembrare ovattati i contorni del paesaggio.
« Non mi spaventa l’ora di pullman per arrivare a Coniston» rispose Irene affannata dal peso dei bagagli.
Sentiva Tegamina rigirarsi nel taschino del giacchetto.
Alice si guardò intorno in cerca di un tabellone con gli orari dei mezzi pubblici.
« Lo so. Valentina ha detto che dovremo camminare un po’. Ma meglio questo che Hogwarts, no?» disse distrattamente mentre faceva scivolare l’indice su e giù, fra le linee piene di nomi e numeri.
Irene gemette, abbandonandosi a sedere sul trolley.
Non avevano potuto viaggiare in maniera magica: la Metropolvere era controllata dal Ministero e se avessero tentato una Materializzazione sarebbero state comunque localizzabili per via della Traccia, che non le avrebbe abbandonate fino ai diciassette anni.
« L’autobus arriva fra cinque minuti» annunciò Alice.
Ce la stava mettendo davvero tutta per sembrare entusiasta della faccenda, anche a sé stessa.
Il suo vero pensiero, però era molto lontano dalle Furness Fells e dal viaggio verso i nonni di Valentina. Non aveva potuto pensare ad altro, mentre si addormentava sulle poltroncine del treno: quel giorno, in quello stesso momento, gli studenti si trovavano a Hogwarts.
Sara, Samantha, Bianca, Valentina e Laura si trovavano in balia del nuovo regime con a capo Voldemort. E non solo loro. Anche Terry Steeval era a Hogwarts.
Si portò una mano alla tasca dei jeans e ne estrasse il suo magico specchietto rotondo. Ci si specchiò, fissando l’ormai noto volto dell’aquila reale, fiero e capace.
 
« Ci siamo!»
Irene la riscosse dai suoi pensieri, indicando un autobus che si avvicinava sbuffando.
Assieme a pochissimi altri passeggeri, le ragazze salirono a bordo, destando di nuovo curiosità per la civetta.
« Buongiorno. Due biglietti per Coniston» cinguettò Alice nella più disinvolta delle maniere.
L’autista si grattò sotto il cappello, terribilmente contrariato per dover frugare in cerca dei biglietti.
Guardò di sbieco la gabbia con Eulalia per far capire alle ragazze il suo disappunto.
Irene sborsò il prezzo maggiorato (Alice aveva già pagato per il treno) e si avviò frettolosamente ai primi due posti liberi.
C’erano due vecchiette che borbottavano, indicandole. Si percepivano distintamente parole come “maleducate” e “ragazzacce”.
Il mezzo ripartì con un rombo, mentre fuori la nebbiolina si trasformava in una pioggia leggera.
 
**
 
Samantha era piegata a terra dal dolore.
Sentiva il contatto con il suolo umido e sporco, oltre a una agghiacciante sensazione di fresco su tutta una guancia.
Non riusciva ad urlare, ma la bocca spalancata le faceva un male lancinante, così come ogni altro piccolo movimento connesso a quella porzione di faccia.
Hoo-Hoo sbatteva con foga le ali contro la gabbia e strideva con forza.
Se solo fosse riuscita ad aprire gli occhi, a muoversi, a reagire …
L’erba scura e molle si inzuppava di una sostanza corposa che dava un forte odore di ferro.
Samantha sentì le narici dilatarsi e il cuore batterle più velocemente, quando si accorse di essere stesa in mezzo al suo sangue.
Non riusciva ad aprire gli occhi, e da una parte era un bene: sapeva che vedere un lago rosso sotto di sé non l’avrebbe aiutata a sentirsi meglio.
Ma il sangue era l’ultimo dei suoi problemi: il guaio era il dolore. Il forte, terribile, terrificante, mostruoso dolore.
Non aveva idea di cosa si provasse a morire sbranati da uno squalo o da un leone, ma di certo quello rendeva bene l’idea.
Hoo-Hoo continuava a strillare e sbattere rumorosamente le ali. Doveva avere la gabbia capovolta, ma Samantha non poteva prendersi cura di lui in quel momento, per quanto se ne rammaricasse.
Incominciò a sentire dolore anche agli arti: si era Smaterializzata in una posizione scomodissima ed era caduta a terra in quella maniera, contorcendosi ancora di più da male terrificante che aveva alla faccia.
Si ricordava a stento perché era in quella situazione: era a Hogwarts, aveva passato la giornata in treno con Sara e le altre. Poi c’erano stati i Mangiamorte e l’avrebbero catturata se non fosse stata così veloce da Smaterializzarsi … nella Foresta Proibita!
Samantha si provò a domandare perché avesse scelto proprio la Foresta Proibita, ma nessuna risposta pareva in grado di venir prodotta dal suo cervello.
Un grande abisso nero le occupava la vista e la mente e se anche avesse provato a scuoterlo, avrebbe sentito un cupo rimbombo solitario.
Un gemito le uscì dalle labbra.
Il suono si espanse nell’aria e definì i canoni di spazio dentro il cervello strizzato della povera sofferente.
Seppe di trovarsi in un certo “qualche parte” e bene o male riuscì a ridimensionarsi.
Riprese il controllo del respiro e, lentamente, del suo corpo: sentiva un gomito che cozzava con la terra e faceva male perché c’era stesa sopra; poi le gambe, strette in posizione fetale; poi gli occhi, strizzati e tutti i muscoli facciali contratti dal dolore.
Provò ad aprire gli occhi: il destro si spalancò, rivelando un buio spettrale anche fuori dalle palpebre. Il sinistro fece molta fatica, così Samantha preferì tenerlo chiuso.
Hoo-Hoo faceva un rumore infernale, così la ragazza mandò il grido più forte che le riuscì.
« Stai zitto!» gli ordinò.
Hoo-Hoo continuò freneticamente a sbattere da tutte le parti, ma controllò gli stridii.
Tutta la parte sinistra della faccia risentì dell’urlo: frizzò per il movimento della mandibola e l’aria fresca sembrò essersi trasformata in un coltello affilato.
Ora Samantha era a pancia in su. Era riuscita a spostarsi facendo leva sul gomito dolente.
Fissava le cime scure degli alberi e capì che era giorno, oltre quella spessa coltre di foglie.
Facendo un attimo mente locale, si ricordò che era buio, quando si era Smaterializzata. Possibile che avesse passato tutta la notte in quello stato?
Improvvisamente si rese conto che era sì nella Foresta Proibita … ma aveva lanciato un grido ed era forse la cosa più stupida che potesse fare.
Se aveva avuto la fortuna di non incontrare mostri di ogni genere per tutta la notte, mandare richiami non era proprio la migliore delle idee.
Sentì di nuovo il battito accelerare.
Una grande scarica di adrenalina le dette la forza di muoversi con libertà: si guardò intorno, scoprendo che il suo baule era completamente rovesciato a terra e la gabbia con il gufo in agitazione era sotto sopra. Come aveva immaginato, il suo mantello e tutti i vestiti erano inzuppati di sangue.
Con una forza per lei innaturale, si portò una mano alla guancia e scoprì che anche quella non era cosa buona e giusta: l’esagerata sensibilità, che provocò un gran frizzare, le suggerì di avere un bello squarcio non ancora rimarginato.
Andando a tentoni, provò a quantificare le dimensioni dello sbrano, toccandosi la faccia dal lato destro piano piano, fin dove faceva male.
La portata della ferita era preoccupante, se davvero l’emozione non le giocava brutti scherzi: metà fronte e metà guancia erano scorticate e la Spaccatura doveva essere arrivata molto vicina all’occhio …
In un secondo scoppio di adrenalina, Samantha temette di essere diventata guercia. Spalancò anche l’occhio sinistro, che fece un male terribile, ma confermò di essere ancora bene o male funzionante.
Richiuse l’occhio, trattenendosi per miracolo dalla voglia di piangere: uno scroscio di lacrime non avrebbero aiutato a sentirsi meglio …
Aveva la mente abbastanza lucida per riuscire a pensare.
Quali sarebbero stati i suoi piani?
Istintivamente aveva scelto la Foresta Proibita come rifugio … forse perché era vicina a Hogwarts e qualcosa le aveva detto “da lì ci potrai arrivare in sicurezza!”; ma a pensarci bene, cosa diavolo credeva di fare? Tornare a scuola, trionfante, per venire arrestata subito dai Mangiamorte?
No, era fuori discussione.
Si immaginò di nuovo la faccia di Sara, che l’aveva guardata preoccupata dall’abitacolo della carrozza. Sara era entrata a Hogwarts, aveva partecipato al banchetto, aveva visto lo Smistamento, era circondata dai professori ….
Con lei, anche se sedute a due tavoli di distanza, c’erano anche Laura, Bianca e Valentina.
Valentina!
Valentina le aveva proposto la casa dei suoi nonni come nascondiglio! Alice e Irene erano di certo già lì, ma lei non c’era voluta andare ... 
Si mordeva le labbra, adesso. Avrebbe potuto essere al sicuro, al calduccio, protetta e in compagnia.
La cadde lo sguardo sul ciondolo, legato al polso, che Monsieur Belhome le aveva regalato lo scorso Natale: la pietruzza verde era opaca. Non l’aveva mai vista spenta, perché si era sempre trovata in compagnia di persone amiche.
Sconsolata, Samantha si tirò a sedere.
Sostenne abbastanza bene il tipico giramento di testa, ma lo spostamento d’aria fu di nuovo una lama fredda e tagliente per la sua guancia.
Dunque, come raggiungere Irene e Alice?
La Smaterializzazione? No. Fuori da ogni discussione.
Mai e mai più avrebbe usato la sua bacchetta per Smaterializzarsi. E poi l’avrebbero localizzata subito, per via della Traccia.
Fu una consolazione, in un certo senso, sapere di avere un altro buon motivo per non usare la Smaterializzazione oltre che per il terrore della prospettiva.
La Traccia, si diceva. Con la Traccia mi localizzerebbero, non posso assolutamente Smaterializzarmi.
Si guardò di nuovo intorno: la poca luce che filtrava dai rami non offriva certo un paesaggio invitante.
Eppure era l’unica via incerta, fra le altre che la conducevano a una certissima brutta fine.
“Cercherò il limite opposto della Foresta. Da qualche parte dovrà pure sbucare ... vorrà dire che l’attraverserò”.
E sia. Doveva avventurarsi nell’ignota e pericolosa Foresta Proibita.
Nemmeno Fiorenzo, il suo unico amico là dentro, l’avrebbe potuta soccorrere, perché si trovava a Hogwarts.
Sarebbe stata sola a vagare in mezzo al nulla.
Non poteva nemmeno trascinarsi il pesantissimo baule dietro. Doveva fare una selezione degli abiti da portare con sé. Quelli più pesanti in prospettiva dell’inverno … quanto ci avrebbe messo a trovare il limite opposto della Foresta?
E poi, si disse, come troverò Irene e Alice, anche se riuscissi ad uscirne fuori?
Ma un altro pensiero le fece annodare lo stomaco.
Lentamente, si alzò, percependo una debolezza strana alle gambe.
Si avvicinò alla gabbia di Hoo-Hoo, dove la povera bestia si divincolava ancora, ma obbediente, non emanava suono.
L’aprì e l’animale le piombò in braccio, stridendo una sola volta, con rimprovero.
« Scusa, Hoo-Hoo».
Disse Samantha, mentre il nodo le arrivava fino alla gola.
Il groppo divenne doloroso.
Hoo-Hoo la fissava con i suoi enormi occhi gialli e tondi.
« Scusa, Hoo-Hoo» ripeté Samantha: « ma devi andare via».
Il gufo, entusiasta, porse la zampetta.
Incontrollabili, le lacrime le sgorgarono dagli occhi, facendo frizzare tremendamente tutta la guancia sinistra.
« No, Hoo-Hoo» disse Samantha, abbassando con leggerezza la zampina del gufo.
Lui continuò a fissarla, senza capire.
« Non posso portarti con me qui dentro. Non potresti volare e se volassi alto sarei rintracciabile. Non saprei come nutrirti … a fatica so come farò a sopravvivere io. Non posso proteggerti, non posso fare magie. E se qualcosa ti fa del male … non potrei curarti. E con quale coraggio ti guarderei morire, Hoo?».
Hoo-Hoo tese di nuovo la zampetta, con insistenza.
Samantha fu scossa da un singhiozzo.
Il gufo la fissava, lamentandosi della lentezza di quella commissione.
« Hoo-Hoo, devi andare via. Devi scappare. Non posso più essere la tua padrona. Vai via, Hoo-Hoo!»
Samantha scosse il braccio, come a scacciare un insetto.
Le pesò sul cuore come un macigno.
Hoo-Hoo, indignato, la guardò ancora.
« Vai!»
Gli gridò lei.
« Non sono più la tua padrona. Sei libero, Hoo-Hoo. Non mi devi mai trovare, qui dentro, capito? Non mi devi trovare! Vai via. Non puoi stare con me!».
E con un’ultima forte scossa, il gufo volò via.
L’ultima immagine che Samantha ebbe di lui, fu un vortico di penne grigie scure, che si allontanavano nel cielo sopra la Foresta.
 


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:angolo dell’autrice:
ATTENZIONE ATTEZIONE! Il gruppo delle Nate Babbane (e Dario u.u) sarà presente a Lucca Comics  SABATO 31 ottobre. Potrete incontrarci in giro, con le nostre uniformi e i nostri animali! Se vi piacesse incontrarci di persona, così quanto noi siamo impazienti di fare la conoscenza di qualche lettore, allora non perdete l’occasione!!
Saremo ben riconoscibili, anche perché distribuiremo volantini con il QR code della fanfiction.
Vi aspettiamo in numerosi! E vi vogliamo bene!!

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Capitolo 8
*** le salvatrici ***


Le salvatrici
 
Irene e Alice erano arrivate a Coniston e l’avevano puntualmente ignorato.
Valentina aveva lasciato indicazioni ben precise su come raggiungere la casa dei nonni ed era stata esplicita nello specificare che si trovava piuttosto fuori portata.
 
« Il sentiero è di sicuro quello» disse Alice, indicando una camminata per sportivi che si perdeva in alto fra le immense montagne.
« Eh si. Magari non sarà così terribile, se ce la fanno anche i Babbani» si rallegrò Irene, partendo di gran lena.
Alice evitò di farle presente che i Babbani di solito non si avventurano in montagna con zaino, trolley e civetta.
Decise di tenersi impegnata per non sentire la fatica fin da subito:
« E allora, che ne pensi di quest’avventura?»
Irene sbuffò, mentre Tegamina ballonzolava sulla spalla sotto il ritmo dei passi della padrona.
« Mah. È il genere di cose che piacerebbe a Samantha»
« Ah si?»
« Si … boschi, natura … queste cose qui. Non dico che non mi piaccia, però avrei preferito una comoda, caotica e grande città. Non ci avrebbero mica trovate, sai?»
Distese le labbra in un sorriso, per comunicare che era molto felice anche dell’attuale sistemazione.
« Com’è che si dice? Non c’è posto migliore per nascondere un albero che una foresta!» ridacchiò Alice con lei.
Eulalia, intanto, mandava starnazzi contrariati per la sua reclusione forzata.
« Perché non la fai volare? Non credo che sarebbe sospetto vedere una civetta qui»
Chiese Irene, indicando l’ambiente circostante: avevano iniziato la risalita e già era loro offerta una vista mozzafiato della vallata alle loro spalle.
Le montagne erano verdi di alberi e sembravano tanti dinosauri addormentati.
« Lo sai? Hai ragione. Sentito Eulalia? Non ti allontanare troppo però. E non perdermi di vista, tontolona».
Alice si fermò quei due minuti che servirono ad aprire lo sportellino della gabbia –che le costarono una gran fatica per ripartire –  .
Eulalia non ci pensò neppure e in un attimo fu sopra le loro teste a librarsi nel cielo settembrino.
Non sembrava di essere in pericolo, lì: l’aria era pulita e fresca. Le nuvole grigiastre concedevano una mattinata di riposo dalla pioggia. Il panorama si faceva sempre più bello.
Camminarono in silenzio per una mezz’ora, iniziando a rendersi conto che parlare avrebbe reso l’impresa più faticosa di quanto non fosse.
Il sentiero in salita le conduceva dentro un bel bosco di conifere, che resero l’aria ancora più pungente.
Decisero di fare una pausa per alleviare un po’ il dolore alle spalle per il gran peso.
Si sedettero sull’erba umida.
« Oh! Alice» Irene la stava indicando con una faccia da “come ho fatto a non pensarci prima?”.
Alice si guardò a destra e a sinistra senza capire.
« Che cosa?» chiese, incuriosita.
« Il tuo braccialetto verde! Te lo ricordi? Ti avevo predetto un rapporto piacevole con la natura. Di certo era riferito a questo! Andrà tutto bene… ahhhh».
Con la faccia arrossata, la ragazza si sdraiò in una posa scomposta. I capelli biondo scuro, legati in una coda morbida, si sparpagliarono al suolo.
Tirò un grande sospiro che pareva di sollievo.
Alice guardò la pietruzza verde chiaro che aveva legata al braccio. Era luminosa e piacevole.
Chissà come e dove avrebbe passato il Natale, quell’anno.
Di certo, si disse Alice, non sarebbe stata a Maison Lavande, per quanto i signori Belhome fossero care persone…
« Ire!» Improvvisamente Alice si ricordò di una cosa.
Irene rispose con un “mh?” che somigliava molto al verso di un alce che si sveglia.
Alice parlò in direzione della testa, che presupponeva essere oltre le montagnole create dai ginocchi.
« Hai fatto finta di non saper leggere la mano di Franz. Perché? Non te l’ho mai chiesto, un po’ perché me ne ero dimenticata e poi perché ero sempre con Dara …».
La sua voce era affaticata ma anche preoccupata.
Irene non rispose subito. Tegamina rotolava sui fili d’erba lì accanto.
« Non è una cosa bella» ammise la ragazza, sempre stesa a terra.
Alice fremette: « È in pericolo di vita?».
« Quella mano non è per niente piacevole. C’è sangue … morte …»
« Fra …. Fra quanto tempo accadrà?»
« Non si può mai sapere, ma visti i tempi che corrono …»
Le due ragazze non ebbero il coraggio di continuare.
Poi Alice disse, poco convinta: « Ma dai, lui è in Francia. È al sicuro. Come vuoi che gli venga in mente ai Mangiamorte di andare proprio in Francia, proprio a Maison Lavande?».
Altrettanto scoraggiata, Irene annuì, sorridendo debolmente.
Si rialzarono e ripresero gli zaini – che ora sembravano macigni – sulle spalle.
Entrambe avevano le guance molto rosse e i capelli appiccicati al collo dal sudore.
Immerse nei pensieri che la conversazione di poco prima aveva causato, camminarono per un’ora senza proferire parola.
Eulalia si faceva vedere, di tanto in tanto, poi tornava a piroettare felice nel cielo pulito.
Anche se erano quasi le dieci del mattino, il clima non si faceva più caldo: la salita di montagna era accompagnata da un bel sole, che però pareva voltare le spalle alle ragazze, per riversarsi con gioia solo sull’ormai lontana valle con il paese di Coniston.
Valentina aveva detto: camminate lungo il sentiero Babbano per il trekking, poi, quando lo vedete curvare per ridiscendere, fermatevi; guardate in alto e vedrete casa dei miei nonni.
Il sentiero Babbano, però, non finiva.
Senza che facessero più pause, la giornata scivolò via come era arrivata.
Il sudore cozzava con l’aria pungente di montagna.
Verso l’imbrunire, le ragazze erano stremate.
Era facile da dire, pensavano silenziosamente all’unisono Irene e Alice.
Quello che nessuna delle due si aspettava, però, era la doppia sgradita sorpresa: si faceva presto anche a dire “guardate in alto” …
Le loro immaginazioni le avevano tradite completamente.
Si erano aspettate di essere in qualche modo vicine alla meta, una volta raggiunta la fine del percorso da trekking.
E invece no.
« No. Non può essere quella»
Disse scetticamente Irene, dopo aver osservato per due minuti buoni a bocca aperta un punto imprecisato nelle montagne.
Alice era immobile e sentiva le gambe come due grissini dinnanzi al tonno…
« No, no. Non è quella» convenne.
« E allora dov’è? Abbiamo sbagliato?»
La disperazione nella voce della compagna, rifletteva esattamente il devasto del suo cervello.
Evidentemente “guardate in alto e vedrete casa dei miei nonni” significava: “alzate lo sguardo su una montagna lontanissima e affinate la vista. Se guardate molto bene, potrete scorgere un puntino minuscolo – perché molto tanto assai lontanissimo – che è la casa di mia nonna. Buona morte”.
Entrambe erano lì, immobili e incapaci di proseguire.
« Torniamo indietro …» disperò Irene: « Accampiamoci, scappiamo, andiamo in Francia …. Ti prego».
Il minuscolo puntino della casa in lontananza somigliava sempre di più a un uovo di pulce.
Alice stava convincendo il suo cervello a rispondere che dovevano farsi coraggio e arrivare fin laggiù, quando una vocetta stridula alle loro spalle urlò:
« AH!! Eccovi qui! Siete Alice e Irene vero? Le amiche di mia nipote!».
Con un sobbalzo che per poco non le fece crollare sotto il peso dei loro zaini, le due ragazze si voltarono verso la proprietaria della voce.
Era una signora bassa, un po’ in carne, con i capelli argentei stretti in una crocchia da cui pendeva un elegante fermaglio.
Tutto il resto dell’abbigliamento, invece, era completamente casalingo: portava una vestaglia rosa scuro, sporca e consunta sui bordi; in vita teneva annodato un grembiule forse in origine bianco, impiastricciato dal sudicio dei lavori domestici.
Aveva la faccia spigolosa, con zigomi pronunciati e una bocca molto rugosa.
Gli occhi erano invece vispi come quelli di una marmotta.
Emanava un’energia molto frizzante, che non molte signore di quell’età avrebbero saputo donare.
« Forza, sono venuta a prendervi. Meglio se non mi faccio vedere tanto in giro, al villaggio. Valentina mi ha detto che vi aveva spiegato come arrivare qui! Così sono venuta a prendervi. Cos’è quell’espressione, Merlino su un pony! Sono la nonna di Valentina … Climene Martin. Cosa credete? Che sia una teppista? Afferrate il mio braccio, che ci Smaterializzaiamo a casa, così facciamo quell’Incanto Fidelius delle mie mutande una volta per tutte!».
 
**
 
Samantha aveva passato la giornata sbandando di qua e di là per la Foresta.
Aveva ancora un dolore terribile alla faccia e sentiva che la ferita non era rimarginata.
Si era allontanata dal luogo di partenza e ne fuggiva con terrore. Aveva fatto la cosa più stupida di tutta la sua carriera scolastica e non: si era sentita furba a Trasfigurare il baule e la gabbia di Hoo-Hoo in sassi, allo scopo che non venissero ritrovati … solo dopo essersi incamminata, felice, con la borsa a tracolla, le era tornata in mente la Traccia.
Era stata sicuramente localizzata, si diceva, mentre col fiatone cercava di allontanarsi sempre di più.
Stupida, cretina e ancora stupida.
Poi però la vocina del buon senso più sfacciato ipotizzava: anche se così fosse, credi proprio che un Mangiamorte si incamminerà da solo dentro la Foresta per cercare una studentella ribelle?
Quello che però rendeva lei stessa tranquilla e disperata allo stesso tempo, era la disarmante assenza di ostacoli.
Non un ragno velenoso, non un Lupo Mannaro affamato, né un Centauro arrabbiato.
Tutta la Foresta sembrava disabitata.
O era in arrivo una trappola mortale, pensava la ragazza, oppure doveva considerarsi campionessa del record di fortuna mondiale.
In ogni caso, non poteva certo definirsi una passeggiata piacevole, la sua: i rami erano intricati e spinosi, così come i cespugli secchi. L’ambiente era spaventoso, umido e nebbioso.
Si percepiva il vento frusciare in maniera spettrale fra le fronde scure degli alberi e sembrava un sospiro di morte.
Samantha procedeva senza riuscire a tenere a mente alcun punto fisso, divorata dalla paura, dalla fretta e dal dolore della ferita.
Ad un certo punto dovette però fermarsi: si rese conto che era diventato troppo buio e non vedeva a un palmo dal naso.
Cercò uno spiraglio fra le chiome folte sopra la sua testa, ma non ne trovò.
Era dunque notte. Doveva riposarsi e calmarsi.
I rumori circostanti erano una tortura, nell’oscurità: Samantha sentiva passi, sospiri, il rumore del vento, lo stridio di una qualche creatura lontana …
Stringeva la mano alla bacchetta, tremando.
Trovò una roccia abbastanza grande da coprirle la schiena, se ci si rannicchiava davanti.
L’occhio sinistro era ancora chiuso, dolente insieme al resto della sua metà di faccia.
Come avrebbe voluto fare una qualche magia, si diceva Samantha. Una piccola cura, qualcosa per placare il dolore … ma di certo non se la sentiva di correre di nuovo il rischio di venire localizzata.
Ripensò al baule trasfigurato. Tra le cose che aveva scartato c’era un sacchettino di plastica con la cerniera, dove sua mamma le aveva messo il sapone e alcune medicine Babbane.
Pensò alla sua mamma, che insisteva sempre per farle portare quel sacchetto tutti gli anni, e lei che le rispondeva che di sapone ce n’era a volontà nei bagni della scuola, e che le medicine Babbane erano del tutto inutili dinnanzi all’infermeria di Madama Chips.
Solo ora le venne in mente di quanto avrebbe desiderato poter assumere un antidolorifico o potersi anche solo applicare una garza.
In un folle istante pensò anche di tornare indietro.
Mentre il cervello le diceva che no, era stanca ed era praticamente impossibile ritrovare al buio la strada che aveva percorso a casaccio in tutta una giornata, probabilmente si addormentò.
Fu la notte più breve di tutta la sua vita e in futuro si chiese se il tempo fosse davvero diverso dentro la Foresta Proibita.
La svegliò una forte luce, che inizialmente Samantha non riusciva a capire da cosa provenisse.
Aprì con fatica l’occhio destro per sbirciare il luminoso mattino … c’era il suo braccio.
Sul braccio, il braccialetto di Gilbert Belhome splendeva.
“Oh. Funziona di nuovo? E fa tutta questa luce?” pensò Samantha assonnata.
Poi ebbe un colpo al cuore: quella pietra si illuminava quando vicino a lei c’era un amico!
Balzò in piedi, sbattendo la testa contro un ramo, causando una pioggia di foglie secche: davanti a lei c’era qualcuno che la fissava.
Non era uno sguardo feroce, anzi! Era caldo e amichevole.
Illuminava con tutto il suo corpo le fronde circostanti, rendendo l’atmosfera meno paurosa.
Davanti a lei, c’era Esmeralda.
 


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Capitolo 9
*** verso la salvezza ***


Verso la salvezza
 
Samantha non seppe bene se avere paura o se rallegrarsi.
Esmeralda era pur sempre un drago che aveva già manifestato poca attitudine all’addomesticazione.
Si ricordò in un lampo delle braccia bruciacchiate di Anton e se prima quella luce calda l’aveva fatta sentire a suo agio, ora quasi la intimoriva.
In tutto questo ragionamento, in cui l’aspetto esteriore di Samantha non doveva essere proprio quello di una persona sveglia, Esmeralda non dette segno di voler scappare.
Continuava a fissare la ragazza con occhio alleato, ma comunque non intenzionato a manifestazioni d’affetto.
« Ciao Esmeralda»
Provò a dire Samantha.
Il drago luminoso non si mosse.
Tutt’intorno la Foresta aveva assunto un aspetto più rilassato: con la luce faceva decisamente un altro effetto.
Appena finita la frase, Samantha si rese conto che la guancia non le aveva fatto troppo male e anzi, non la sentiva più frizzare contro l’aria pungente.
Provò a tastarsi la zona interessata e percepì solo una forte sensibilità, ma non dolore.
Stupita, tornò a fissare il Lugano, che nel frattempo si era accomodato come una lucertola fuori misura sul sasso che Samantha aveva usato come protezione per la notte.
« Sei stata tu?» chiese ad alta voce.
Il piccolo drago la fissava, con la bocca semiaperta, che scopriva una lunga schiera di dentini affilati.
« Oh! Ma certo … sei un Lugano Nano! Porti la salvezza dove c’è il pericolo e quindi … la guarigione dove c’è un malessere. Cos’è che diceva quel libro?»
Samantha chiuse l’occhio destro, massaggiandosi una tempia con la mano, nello sforzo di ricordare la pagina di Guida ai Draghi della Gran Bretagna che aveva letto tre anni prima.
Ricordi e immagini, sfocati e confuse, si affollarono nella sua testa: il Ballo del Ceppo … il gioco della Verità … l’indovinello dell’aquila di Corvonero … Fred e George Weasley … l’uovo che si crepava … la prima volta che vide Anton …
Esmeralda non si muoveva e fissava la ragazza nella stessa posizione rilassata, emanando fiamme luminose su tutto il suo manto verde e nero.
Anche Samantha, dopo qualche secondo, ricambiò lo sguardo, sforzandosi di aprire anche l’occhio sinistro.
« Si, non ti ricordi, Esmeralda? Avevamo trovato quel libro in biblioteca. Diceva qualcosa a proposito del colore della tua pelle. Ma non importa, vero? Chissà come hai fatto a sentirmi e a decidere di volermi aiutare. Mi riconosci? Da che? Dall’odore?»
Azzardò ad allungare una mano, ma Esmeralda si ritrasse come un gatto scontroso.
Per fortuna non scomparve da dove se n’era venuta, ma per Samantha fu un segnale chiaro: non cercare mai più di accarezzarla.
« Beh. Mi chiedo come avrebbe reagito la tua mamma Valentina, se fosse stata nella mia situazione. Da una parte credo tu sia stata fortunata … lei ti avrebbe strizzolato anche a costo di carbonizzarsi».
Esmeralda se ne stava lì, ora tranquilla. Pareva che volesse andare via, ma qualcosa le impedisse di partire.
Fissava Samantha con impazienza.
« Che c’è? Vuoi andare di là? E vuoi che ti segua?».
Samantha fece per alzarsi ed Esmeralda continuò a fissarla.
« Wow»
Commentò la ragazza. Fece un passo verso il drago e quella ne fece un altro in avanti.
Non se ne sarebbe scappata da sola, a quanto pareva.
« Dove mi porti, amore di bestiolina? Vorrei che il mio Patronus diventasse un Lugano Nano in tuo onore, sai? Che dici? Ho qualche speranza? Ehi! Hai proprio furia! Aspettami. Ma dimmi un po’, se Valentina è la tua mamma … chi è il tuo papà? Spero tu non pensi a Joe, eh. Lui non ti voleva mica bene. Ma noi te ne abbiamo voluto. Te lo ricordi? Venivamo sempre a farti la guardia, che eri tutta sola nella Stanza Misteriosa … mi sa anche che Valentina ti leggesse i libri di storielline; è vero? E a Bianca era venuta quella strana allergia …. Poverina! Non me ne ricordavo neanche più. Senti una cosa, Esmy, riesci a portarmi al limite opposto della Foresta? Sto cercando di raggiungere casa dei Martin …».
Le due procedevano insieme verso un percorso che, a quanto pareva, il drago aveva già stabilito.
Samantha decise di non poter fare altro se non fidarsi di lei. Che altre scelte aveva?
Esmeralda era arrivata a portarle luce e salvezza forse per saldare il debito perché si erano prese cura di lei e di l’avevano fatta nascere; forse Esmeralda sentiva quel legame in qualche maniera misteriosa. La sua luce era buona e aveva fatto bene alla ferita di Samantha. Che male poteva infliggerle?
E così, chiacchierando per non farsi prendere dalla solitudine, la ragazza e il drago, suo amico, si inoltrarono sempre di più nella Foresta Proibita.

 
**
 
La Smaterializzazione verso casa dei nonni di Valentina fu rapida, ma non per questo meno disturbante. Irene e Alice si tenevano lo stomaco con le mani quando i loro bulbi oculari tornarono al proprio posto.
« Via, che era la prima volta che vi Smaterializzavate? Non raccontate cavolate, satanaré. Allora siete tutte intere? Non mi vomitate mica, eh? Theus! ‘Ndiamo dai Baston che è tutto il pomeriggio che aspettano!».
Climene Martin si muoveva con una velocità inattesa per una figura come la sua: nessuno avrebbe pensato mai a un’iperattività tale in una donna di quell’età.
Faceva cose, diceva cose, prendeva e spostava cose: in dieci secondi aveva già messo la bacchetta in tasca, preso il mantello, slegato il grembiule e salito mezze scale per far affrettare il marito.
Alice e Irene, intanto, si guardarono un po’ intorno. In realtà stavano cercando il primo punto di appiglio disponibile per non vomitare davvero: erano in una stanza adorabile, arredata in tipico stile da baita di montagna; travi di legno, un grande camino, sedie a dondolo, coperte di patchwork e di pelliccia … un gusto decisamente e amabilmente rustico.
Prima che una delle due potesse arrivare ad aggrapparsi al tavolo di legno robusto, la signora Climene stava ridiscendendo le scale con Prometheus Martin, suo marito, e spingeva tutti quanti verso la porta d’ingresso.
« Su, muoviamoci satanaré … Pan ed Epimes sono in fermento da tutto il giorno. “ma quando arrivano?” mi chiedono. E io che ne so, satanaboia, gli rispondo.  Si saranno perse? No, gli dico. Mia nipote ha spiegato la strada a modo, sennò vado a Hogwarts e ne tocca. Faccio un macello, dico. Poi io mi agito. Il loro nipote è giù arrivato dall’ora di pranzo. Eh, ma lui mica ha dovuto viaggiare in maniera Babbana. Lui è maggiorenne, satanaré. Povere care … ora, appena abbiamo finito quest’Incanto Fidelius vi metto a scaldare un po’ di latte».
In un attimo, furono tutti e quattro fuori.
Irene si era rianimata a sentir parlare di cibo, mentre Alice parve più stomacata che mai. Il signor Prometheus, in tutto questo, aveva lanciato un fugace sorriso alle due nuove arrivate ma a causa dei soliloqui di sua moglie, non si era potuto esprimere molto.
Si presentava come un uomo alto, dalla fronte molto rugosa e gli occhi buoni. I capelli erano bianchi e radi. Si sarebbe detto lo stereotipo del “nonno” di qualunque favola.
Una volta nel giardino, le ragazze si accorsero che accanto a casa Martin ce n’era un’altra, uguale. Tre figure li stavano aspettando davanti al cancello di legno: una coppia di anziani, della stessa età dei Martin, e un ragazzo sulla ventina.
Il sole era ormai quasi sparito e faceva molto freddo.
L’erba che calpestavano era intirizzita e dalle loro bocche uscivano nuvolette di condensa.
« Buonasera Climene! Le ragazze ce l’hanno fatta!» disse la signora con forse un po’ troppo stupore.
« Diavolo che ce l’hanno fatta, satanaré. Ora sbrighiamoci … prima finiamo questa faccenda, meglio è»
« Un po’ di convenevoli!» insistette il signore, sorridendo a Irene e Alice: « Noi siamo i Baston, i vostri nuovi vicini di casa per dio sa quanto tempo. Stringeremo insieme l’Incanto Fidelius, quindi saremo l’unica altra compagnia con cui passerete questa specie di esilio. Conoscete Oliver? È uscito da Hogwarts da poco … »
Indicò con orgoglio il ragazzone di fianco a lui: era alto e robusto, con due grosse spalle e braccia possenti. Sorrise alle ragazze. A Irene ricordò vagamente qualcuno, mentre Alice era certa di non averlo mai visto.
In ogni caso, sorrisero di rimando.
« E ora bando alle ciance …» disse Prometheus, con gentilezza.
Estrasse la bacchetta e si preparò a compiere l’Incanto Fidelius sulle due dimore.
 
 
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:angolo dell’autrice:
ATTENZIONE ATTEZIONE! Il gruppo delle Nate Babbane (e Dario u.u) sarà presentea Lucca ComicsSABATO 31 ottobre. Potrete incontrarci in giro, con i nostri uniformi e i nostri animali! Se vi piacerebbe incontrarci di persona, così quanto noi siamo impazienti di fare la conoscenza di qualche lettore, allora non perdete l’occasione!!
Saremo ben riconoscibili, anche perché distribuiremo volantini con il QR code della fanfiction.
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Capitolo 10
*** Gabrielle ***


Pre-angolino autricino:
prima di farvi leggere il capitolo, volevo solo dirvi che il personaggio di Gabrielle è ispirato (più che altro fisicamente) a Giulia, e tale rimarrà per il resto del libro. Giulia è la lettrice di Nate Babbane per eccellenza e mi sembrava inconcepibile non menzionarla.
Grazie Giulia!!!  un bacio!! <3 <3
 
Gabrielle
 
Settembre scivolò via in un ottobre molto piovoso.
Quelli che non ne risentivano particolarmente, se non per il costante odore di terra umida, erano Dara e Dario, reclusi nel sotterraneo di Maison Lavande.
Avevano imparato a convivere con Cris Vaselly: in un paio di settimane erano riusciti a scrostarsela di dosso, facendola arrivare alla conclusione intelligente che ormai non erano più un giocattolo nuovo da mettere in mostra.
Lei comunque continuava a lanciare occhiatine complici e non si era fatta mancare di ripetere che qualora avessero avuto bisogno anche di una semplice chiacchierata, lei era lì per loro.
 
« Ma sante divinità …» bisbigliò una volta Dara a Dario, osservando di soppiatto la signora Vaselly che giocava con il figlio: « … possibile che esistano persone così fuori di cervello?».
« Oh, certo che si. Da quando ho conosciuto te non faccio altro che pensarlo»
« Vai a morire sotto un ponte, Dario».
Dara tirò una sberla all’amico, che ridacchiò.
La lotta non continuò oltre, perché in quel momento la porta si aprì dietro la mano di François.
« Franz!»
« Bonjour, ma belle!».
Dara si alzò dal letto e si precipitò a salutarlo.
Aveva portato la colazione a tutti: dalla Maison, Amélie Belhome mandava una deliziosa crostata di mele.
Dopo aver sfiorato un bacio sulle labbra di Dara, il ragazzo si inoltrò nel rifugio, accolto dai saluti festanti di tutti gli ospiti.
« Buongiorno figliolo, come vanno le cose dalla casa?»
Chiese il signore con la barba lanosa, ricercato per aver sposato una babbana.
Dette una pacca sulla spalla a François, mentre Cris Vaselly gli prendeva il dolce dalle mani e si operava per dividerlo in parti uguali.
« Touto a posto. Maman osgi rimarrà sola tutto il jorno, puorquoi papa è stato chiamato a dare una mano viscino alla Manica. Un gruppo di Nati Babbani ha scercato di scappare da l’Angleterre a bordo di un canotto per bambini … povera jonte. I nostri stanno provando a rasjungerli prima dei Mansgiamorte. Eh … non, madame Vaselì! Maman ha spescificato che una fetta va fatta più gronde».
La signora Cris fermò la lama ammaccata del coltello appena in tempo; lanciò poi al padrone di casa uno sguardo dolcemente di rimprovero:
« Oh. E perché?»
François ammiccò a un angolo lontano della stanza, dove la ragazzina bionda stava seduta in disparte, con espressione tetra e le braccia incrociate.
« Ah! Che donna meravigliosa che è tua mamma! Che sciocca a non averci pensato da sola! Ecco, ora vado a portarle la fetta più grande e vedo di farci due chiacchiere, eh?»
Strizzò abbondantemente l’occhio con complicità e già stava galoppando in direzione della triste biondina, quando François riuscì a fermarla.
« Non! Madame! Per piascere …. Abiate passionza. Mia mamma disce – e credo onche io che sia melio – se sci ondiamo io e Darà a parlare con lei … »
Cris Vaselly rimase un po’ interdetta.
« Ho esperienza con i bambini, sai? Cioè, ragazzi! Siete tutti grandi qui!»
« Davero, madame. Lasci ondare moi et Darà».
L’esuberante signora non trovò altre chance per replicare e fu costretta a cedere la fetta di crostata nelle mani di François, che si allontanò prendendo Dara a braccetto.
 
« Perché tua mamma vuole che andiamo io e te a parlare con lei?» chiese Dara, segretamente soddisfatta che il suo ragazzo avesse zittito le becerate di Cris Vaselly.
« Parce-que quela donna l’ha traumatissata più del dovuto! Non parla per nionte volentieri ed è sompre triste. Maman ha ponsato che la tua presonza fosse più piascevole di quella Vaselì. È snervonte! È da quando è arrivata che scerca di farla parlare con chiacchiere inutili …».
Mentre si avviavano verso l’angolo in cui la ragazzina si era rintanata, Dara vide Anton e Dario avvicinarsi al capannello di gente che attorniava la torta di Amélie.
Dario si voltò casualmente verso di lei e le indicò la sua porzione, come chiedendole se non avesse visto che era servita la colazione.
Dara gli rivolse un gesto veloce per liquidarlo, poi tornò a prestare attenzione alla ragazzina.
Dovendo essersi accorta che i due si stavano dirigendo proprio verso di lei, alzò gli occhi tristi e tondi in loro direzione.
Dara provò un po’ di compassione nel notare le occhiaie che le erano nate e che sbiadivano quelle già naturalmente leggere lentiggini che le decoravano il naso e la zona immediatamente sotto i begli occhi.
Indossava una felpa grigia da maschio, molto grande per lei, ma non la rendeva certo meno graziosa.
Teneva i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, che ricadevano leggeri e flessuosi lungo la schiena.
 
« Bonjour Gabrielle, ma petite, commen ça va?»
Salutò cortesemente François, offrendole la crostata.
Gabrielle la osservò a lungo, prima di decidersi a prenderla.
Rimase silenziosa, mentre François le spiegava che era stata appena sfornata con tanto amore da mamma Amélie.
La ragazzina gli regalò un debole sorriso, che Dara non poté fare a meno di incassare come un pugno nello stomaco, tanto era mozzafiato.
Evidentemente, il ragazzo percepì l’esplosione atomica avvenuta all’interno della psiche di Dara – anche se ne ignorò del tutto il motivo – , così la introdusse:
« Lei è Darà. La mia ragssa. È anglaise. Se non mi sbalio, onche tu ne parli un po’, vero?».
Gabrielle scrutò ora Dara, così come aveva fatto con la fetta di crostata.
A Dara non passò inosservato il fatto di essere passata per un triangolo di pastafrolla e mele.
Si sforzò comunque di essere gentile:
« Ciao! Ti chiami Gabrielle?».
Sfoderò un sorriso luminoso come l’aura di Cris Vaselly.
La ragazzina storse il naso.
« L’ha sgià deto lui»
Bisbigliò con una vocina da usignolo, indicando Fraçois con un dito della piccola mano.
Una pantera a cavallo di uno squalo bianco a cavallo di un drago a bordo di un aereo col turbo, ruggì dentro Dara.
« Ah ah.Già hai ragione. Io sono Dara» sorrise con forza disumana.
Il volto bellissimo di Gabrielle rimase impassibile:
« L’ha sgià deto lui».
Forse, stavolta, Dara avrebbe risposto per le rime, se non fosse sopraggiunto un entusiasta Dario a urlare:
« Dara!! Ho preso una fetta anche a te! Hanno già spolpato tutto! Cavolo François, dì a tua mamma che era buonissima!».
Dara si voltò con occhio omicida e fissò Dario e la sua stupida porzione di crostata.
« E ora cosa c’è?» chiese lui, senza sconvolgersi troppo.
Vide poi la ragazzina seduta nell’angolo e la salutò.
« Ciao!»
Lei lo guardò con sufficienza.
Dario non si curò nemmeno di lei e continuò a porgere la colazione a Dara.
« Allora, questa fetta la vuoi o no? Bada che non ho problemi a mangiare pure questa …»
Dara prese il pezzo di dolce con molta violenza, sbriciolando dappertutto – soprattutto sulla felpa di Gabrielle – e con solenne indignazione si avviò verso il suo letto.
In tutto ciò, François era rimasto come un sasso, stupito e immobile.
« Ma che è suscesso?» chiese in direzione di Dario, sperando di venire illuminato da una spiegazione.
Dario alzò le spalle.
« Credo che la tua amica mi trovi odiosa»
Brontolò la vocina soave alle loro spalle.
« Ah beh non è una novità. Lei odia tutti, credo. A parte François».
Ridacchiò Dario.
Gabrielle tornò a tacere con noncuranza e con molta lentezza, prese a mangiare la sua colazione.
Dario si offrì di andare a parlare con Dara, sotto lo sguardo terrorizzato di François; così se ne tornò anche lui verso la schiera di letti, preparandosi a sostenere una lunga conversazione di cui sapeva che non avrebbe compreso il benché minimo senso.
Si sedette sul materasso, provocando uno scricchiolio ferreo.
Dara era sdraiata su quello immediatamente accanto e si era messa a parlare con Anton.
 
« Tu pensa che Laura è al sicuro a Hogwarts? Darei non so cosa per poter ricevere almeno una lettera …»
Dieva lui, con in mano il tovagliolo ormai vuoto.
« Devi stare tranquillo. È insieme a Bianca e Valentina. E poi sono Serpeverde … e queste cose oscure sono tanto di moda da quelle parti … di certo nessuno le romperà le scatole. Tu piuttosto, come stai? Non avevi il raffreddore, la settimana scorsa?»
« Eh già. Io crede che sia tutto questo umido»
« Oh non dirlo a me. Ho dei capelli che sembro un porcospino. Sai io non ho mica la fortuna di essere bionda e con i capelli lisci come un filo d’olio!».
Anton parve spaesato e lanciò un’occhiata smarrita a Dario.
Lui gli fece cenno di lasciar perdere.
« Oh, certo Dario. Fai pure tutti i versini che vuoi, alle mie spalle. Tanto io sono stupida e non me ne accorgo mica! C’è anche François con te? Oppure è rimasto dalla sua petite?».
Fu Dario, ora, a rimanere interdetto.
Anton lo guardò con occhio intelligente.
« È gelosa, io crede».
Dario si guardò alle spalle.
« Gelosa? Della ragazzina bionda?»
Anton aggrottò le sopracciglia.
« È possibile».
« Oh ma fate pure come se non ci fossi! Ma dopotutto Dara è solo brutta e stupida, vero? Ma alla fine chi è qui che si sforza di fare conversazione? Io o la vostra amica fotomodella?».
Dara si alzò a sedere e lanciò uno sguardo furente a entrambi.
Dario e Anton dapprima rimasero muti … poi scoppiarono a ridere.
« Stai zitto te! Cosa ridi?! Bada che sarà la prima cosa che dirò a Laura … ti tengo d’occhio» abbaiò verso Anton.
« E te, invece, che vuoi?» ruggì a Dario.
« Ehm … François non capiva perché te n’eri scappata così dal niente».
« Ma bene. Vedo che sono circondata da premi Nobel!»
Cris Vaselly si avvicinò, per capire quale fosse la cagione del litigio.
Dara non poteva aver fatto un’affermazione più giusta.
 
**
 
La già menzionata Laura, invece, non era molto felice.
Non lo erano né lei, né le sue amiche.
Le prime settimane di Hogwarts si erano rivelate terrificanti come il primo giorno.
Quello che più l’aveva devastata era stato scoprire che la Coppa del Quidditch era stata soppressa, così come le gite a Hogsmeade.
Ma anche la vita scolastica in sé era diventata mostruosa: al posto di Difesa Contro le Arti Oscuse, Amycus Carrow insegnava Arti Oscure. Non si poteva esprimere la propria opinione e se si faceva si veniva messi in punizione.
 
« Quello che mi fa ridere è pensare a quei mocciosi che pensano di essere speciali e invece rimarranno per sempre fra i Babbani. Penseranno che sono matti! Li chiuderanno in manicomio»
un gruppo di ragazze di Serpeverde, capeggiate dal Prefetto Pansy Parkinson, rideva a squarciagola nella Sala Comune.
Il lago era scuro e tempestoso e questo causava strani giochi di luce nella stanza.
« Potete fare più piano? Stiamo cercando di studiare»
Bianca non aveva avuto timore a parlare: Laura e Valentina si erano guardate di sottecchi per dieci buoni minuti e nessuna delle due pareva essersi decisa ad agire.
Così Bianca, anche lei stufa delle chiacchiere ripugnanti delle compagne di Casa, aveva azzardato ad alzare la voce.
Tutto il gruppetto si voltò immediatamente verso le tre ragazze sedute assieme.
Erano tutte molto piccole, eccetto la Parkinson. Quelle del primo anno finite in Serpeverde, ricoprivano un buon cinquanta percento delle nuove entrate totali.
Bianca provò un’immensa repulsione per quelle faccette da undicenni che la giudicavano ridacchiando.
« Ah, lei è quella che si è beccata la punizione dalla professoressa Carrow»
Sghignazzò una bambinetta.
« Cos’è che ha fatto? Ha lavato i bagni senza magia?»
Una di loro si portò la mano alla bocca, nascondendo il sorriso.
Bianca era adesso in piedi.
Valentina e Laura la guardavano vigili, temendo che facesse azioni sconsiderate.
« Si» rispose tranquilla Bianca: « Quella che ha pulito la tua cacchina da purosangue uscita dal tuo culetto purosangue. Sai che ti dico? Se sei pura di sangue così come sei piena di merda, allora mi inchino a te».
La bimbetta di undici anni si alzò in piedi strillando: « Ma come osi?!».
La messa in piega dei capelli si scompigliò vistosamente. Le altre mocciose assunsero eclatanti facce scandalizzate.
Bianca le guardò con pietà.
« Lasciatele perdere. Can che abbaia …» disse la Parkinson con nonchalance: « Gamp fa la figa, o almeno ci prova, con il fedele aiuto di Martin e Foster. Vedrete che come proveranno a comportarsi così davanti ai professori, verranno punite. È una brutta cosa avere la reputazione di traditori del sangue, sapete? Potrebbe scapparmi con qualche professore, se continuate».
« Cosa? La cacca? Anche a te? Però te lo pulisci da sola il sederino, vero?».
Valentina e Laura si alzarono e convinsero Bianca ad andare a letto.
Tutte e tre si ritirarono nei Dormitori e poco prima di separarsi, Laura bisbigliò:
« Questa volta ti fai rimettere in punizione, Bianca»
« Bisogna cercare di controllarsi. Devi far finta di non ascoltare ..» aggiunse Valentina.
« Spero proprio che mi mettano in punizione, in realtà».
La naturalezza con cui Bianca lo annunciò, lasciò le amiche basite.
Precisò: « Voglio essere messa in punizione perché a questo giro rinchiudono la gente nei sotterranei. E Sara è lì da ieri e dovrà starci fino a domani».
Valentina e Laura sgranarono gli occhi ed esclamarono all’unisono: « Cosa?!».
« Si, me l’ha detto stamani coso Stivale … pare che lei e un certo Dennis di classe sua si siano rifiutati di scagliare la Maledizione Imperius sui bambini del primo anno, a lezione di Arti Oscure. Credo che la prossima volta useranno i ragazzi in punizione per provare la Maledizione Cruciatus»
« Scherzi!» Ruggì Valentina, mentre Laura impallidì.
« Se almeno mi mettono in punizione posso farmi due chiacchiere con Sara e sollevarle il morale» concluse Bianca con un’alzata di spalle.
« Ma … e per mangiare?! È da ieri che non mangia??» si preoccupò Laura.
« Tranquilla. C’è un tizio di Grifondoro che ha rimesso in piedi quell’esercito che aveva fondato Potter. A quanto ne so si sono intrufolati nelle cucine e hanno già portato qualcosa di buono a quelli che stanno chiusi giù. Tanto c’è Gazza a fare la guardia. Non avranno avuto problemi …».
Poi però, sentirono la Parkinson che si avvicinava per andare nel suo Dormitorio e dovettero salutarsi.
Chissà se agli altri è andata meglio di noi, pensavano le ragazze.
Avrebbero tanto voluto essere insieme.
 
 
 
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:angolo dell’autrice:
CI SIAMOOOOOOHHH!!! MANCA POCO! MANCA POCO!!  FANGIRL A MILLE!! *_* ATTENZIONE ATTEZIONE! Il gruppo delle Nate Babbane (e Dario u.u) sarà presentea Lucca ComicsSABATO 31 ottobre. Potrete incontrarci in giro, con le nostre uniformi e i nostri animali! Se vi piacesse incontrarci di persona, così quanto noi siamo impazienti di fare la conoscenza di qualche lettore, allora non perdete l’occasione!!
Saremo ben riconoscibili, anche perché distribuiremo volantini con il QR code della fanfiction.
Vi aspettiamo in numerosi! E vi vogliamo bene!!

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Capitolo 11
*** prigionieri ***


Prigionieri
 
Sara aveva smesso di lottare contro la catena stregata che assicurava la sua caviglia a terra. Aveva invitato Dennis a fare altrettanto.
« Non c’è bisogno di farsi male inutilmente. Tanto ci tirano fuori fra poco … »
Dennis non demordeva dal tirare strattoni che rumoreggiavano amplificati dall’eco per tutto il sotterraneo.
« Voglio evadere!» gridò.
Sara trasse uno spazientito sospiro.
« Dennis per carità. Abbiamo già fatto la nostra parte coraggiosa, rifiutandoci di maledire i bambini del primo anno. Ci liberano fra qualche ora … abbi pazienza, santo cielo».
Dennis provò ancora un po’ a liberarsi dalla stretta prigionia, poi si stufò anche lui del rumore metallico e cedette.
« Comunque, non è un brutto risultato che su una classe di circa venti persone, quattro si siano ribellate a piè pari» si animò un poco Sara, alludendo ad altri due compagni di classe , incatenati come lei e Dennis.
« Per forza!» disse uno di loro, biondo con le guance rosse.
« Noi di Grifondoro non dobbiamo abbassare la testa!» esclamò orgogliosa l’altra ragazza, coi capelli castani e lisci.
La sera prima – o qualche indefinita ora fa, visto che nei bui sotterranei era difficile scindere il giorno dalla notte – erano arrivati due ragazzi più grandi, di Grifondoro, a portare loro un sacco di cose buone da mangiare.
Si erano fermati a fare due chiacchiere per rallegrare un po’ gli animi dei reclusi: tutto sommato, gli avevano detto, era una pacchia quella prigionia! Niente lezioni, potevano dire tutto quel che volevano e gli veniva anche portato il cibo!
Sara aveva evitato di provare qualsiasi emozione nei confronto di Ginny Weasley (una dei due infiltrati) e aveva chiacchierato con sincero piacere.
Avevano passato un’oretta ad inventare i soprannomi più schifosi per i professori Carrow e per Piton.
Sara ricordava di non aver mai desiderato ridere a voce alta così tanto: Piton-Il-Caccolone, Alecto-Che-Si-Fa-La-Pipì-A-Letto … e altre cose del genere.
 
« Pensate che dovremmo calmarci,una volta usciti?» bisbigliò il ragazzo biondo.
La ragazza rispose: « No. Se vedono che ci siamo noi a tenere testa ai professori, sempre più ragazzi si ribelleranno».
« E se ci fanno del male per davvero?» pigolò Dennis, tornando alle prese con la catena.
Quest’inizio di conversazione fu stroncato sul nascere dalla mano di Gazza, che aprì la porta cigolante con uno sghignazzo catarroso:
« Eh eh eh, avete finito di fare i furbetti? Mi hanno detto di venire a liberarvi … peccato …».
Con passo zoppicante si inoltrò nel sotterraneo, tenendo stretta una torcia accesa.
Fedele e inseparabile, la gatta Mrs Purr lo seguiva.
Era molto strano per Sara provare repulsione per i gatti, ma in quel caso l’eccezione confermava la regola.
Con una chiave ammaccata e rugginosa, sempre ridendo e scatarrando, Gazza aprì le catene stregate che legavano i ragazzi.
« Canon, Dennis; Dobbs, Emma; Harrison, Sara; Uley, Ben. Dico bene?»
« Sissignore» risposero in tono sarcasticamente militare i quattro ragazzi.
Gazza li incenerì con i suoi occhi lattiginosi:
« Filate nel vostro dormitorio. Ecco le vostre bacchette e badate bene di non far arrabbiare di nuovo il signor preside e i signori Carrow …»
« Certo che no» fece Sara in tono amabile.
La sua tenerezza convinse quasi anche Gazza, che li lasciò andar via senza altri sermoni, rimanendo di stucco con la gatta che si strusciava alle sue gambe.
 
**
 
Madame Belhome in persona era scesa nel sotterraneo e aveva portato il cibo ai suoi rifugiati. Maison Lavande rimaneva nelle mani di François, dato che Monsieur Gilbert ancora non era tornato dalla sua missione.
Inaspettatamente – o forse era anche troppo prevedibile – Amélie dedicò poco tempo alle chiacchiere con gli altri e chiese a Dara di accompagnarla fino al corridoio per uscire.
La sua faccia dai lineamenti fini, così simili al figlio, rendevano Dara nervosa.
Non era piacevole camminare al fianco di un François-femmina silenzioso.
« Alors, mia cara bambina. Come ti trovi qui?»
Erano uscite dalla stanza e si erano fermate sulla porta che dava sul buio corridoio.
Madame Belhome sorrideva benigna, anche se Dara era certa del suo secondo fine.
« Molto bene, Madame. Non so cosa farei per ripagarvi del posto sicuro che avete offerto a me e a Dario».
« Oh, tesoro, nessun problema pur quelo. Tu sei un’ospite spesciale perché sei un po’ come la mia bambina».
Di nuovo, Dara evitò di esprimere la sua commozione e gratitudine, perché sapeva che c’era dell’altro …
« Bien. François mi ha deto che è suscesso qualcosa con quella povera Gabrielle …?»
« Ugh … beh, non è che è successo. Aspetti un attimo. “povera”? doveva sentire come mi trattava. È una bimba viziata, ecco cos’è! Se non parla è perché vuole tuttele attenzioni su di sé…»
Dara preferì non continuare e testò l’espressione di Madame Belhome per giudicare quanto si fosse spinta oltre.
Era pacifica.
Pensò molto bene alle cose da dire, poi prese fiato e parlò:
« Darà, tu es come una filia per moi. Te l’ho sgià deto. Ho promesso ala tua mamma che mi sarei presa cura di te. Dunque come vice-mamma ponso di poterti chiedere di fare questo piccolo sforzo: quella ragassina è veramonte triste. Non parla. Non mansgia. Sta sompre in un angolo da sola. È sgià tonto se ieri ti ha detto quelle due cose, che purtroppo a te non sono piasciute molto …»
« Volevo anche vedere …»
« … E allora, pour favor, vorrei che tu provassi a starle viscino. Non ne ha passate di belle e forse onche tu saresti scontrosa con tutti, se ti fossero suscesse le cose che le sono capitate».
Madame Belhome continuava ad essere dolce e la sua voce aveva assunto un che di morbido. Dara sentì ogni barriera difensiva eliminarsi da sola.
« Che cosa le è successo?»
« Beh … Sua sorela si è sposata quest’estate, con un mago anglaise. Per i Mansgiamorte non è quelo che si disce proprio “un buon partito”, pourquoi viene da una familia di traditori di sangue ed è onche un membro dell’Ordine della Fenice. Ensomma, non uno che piasce agli amici di Tu-Sai-Chi. I Mansgiamorte hanno rovinato il matrimonio e lei e i suoi sgenitori sono tornati en France appena in tompo. Poi una notte, Gabrielle ha sontito che sc’era qualcuno in casa … erano andati a scercarli anche lì! Sc’è stata una confusione tremonda, i suoi sgenitori combattevano e le hanno detto di scappare. L’abbiamo trovata in pijama, che si dirisgeva verso il Tarrasque Avide … deve aver camminato da sola per almeno due sgiorni. Dei suoi sgenitori non abiamo notissie. Se sono riusciti a scampare l’attacco dei Mansgiamorte, di scerto ora sono nascosti. Non sappiamo nionte, né nessuno è venuta a scercarla».
Dara era sinceramente dispiaciuta.
« Mi dispiace. Va bene, Madame. Io e Dario ci metteremo di impegno per farle un po’ di compagnia »
« Oh bien! Sapevo di poter contare su di te. Sei una ragazza d’oro»
Abbracciò Dara e le accarezzò i capelli.
« Vedo che ricrescono bene» disse amorevole.
« Si!» sorrise Dara con affetto, poi scherzò: « ne avrà passate mille, quella Gabrielle … però anche noi non scherziamo! E chissà come avrebbe reagito se avesse perso metà di quei suoi bei capelli biondi!»
Amélie fissò Dara molto seriamente, al che la ragazza si chiese se non avesse detto qualcosa di sbagliato. Dopo poco, un sorriso distese le belle labbra della signora:
« Lo sai, Darà? Se Gabrielle ti ha trattata male sc’è solo un motivo: le donne entrano in competissione quando si vedono davonti una donna più bella di loro.»
E sorridendo ancora, si allontanò per ritornare a Maison Lavande.
Con questo sentimento di beatitudine, Dara ritornò fra i rifugiati.
Era pronta ad affrontare la ragazzina con tutte le migliori intenzioni del mondo; anzi, non vedeva l’ora di parlare con ... Dario?
Ad una prima occhiata, Dara non riuscì a vedere dove diavolo fosse il suo compagno di reclusione. Appena lo vide, le uscirono gli occhi fuori dalle orbite: era seduto proprio nell’angolino incriminato, proprio con Gabrielle.
Stavano facendo qualcosa di apparentemente interessante, ma di cui Dara non coglieva il senso.
Si avvicinò, cercando di trattenere l’espressione scandalizzata.
 
« Dara! Scommetto che nemmeno te sai che cos’è questo!»
Dario, euforico, mostrò una scatolina rettangolare da cui uscivano due fili di plastica che lui e Gabrielle si erano infilati dentro le orecchie.
Dara guardò il tutto con suprema indignazione.
« Sembra quella roba che vendevano i gemelli Weasley di Grifondoro … Orecchie Assatanate, quelle cose lì».
Dario scoppiò a ridere, mentre Gabrielle lanciò un’occhiataccia tagliente.
« È una roba Babbana, per tua informazione. Ho chiesto a Gabrielle se ne avesse mai visto uno e ne è rimasta folgorata! Ci si ascolta la musica! Senti!»
Si tolse uno di quegli aggeggi dall’orecchio e lo porse a Dara.
« No, grazie. Per carità»
« Tu ha deto pour caso “Weasley”?» cinguettò Gabrielle, che aveva mantenuto l’occhiata tagliente.
« Uhm … si?»
« Cosa sai di loro?! Mia sorela Fleur si è sposata da poco con uno dei Weasley!».
La pantera, sempre quella dello squalo bianco sul drago sull’aereo, cascò di sotto, nei meandri infiniti del subconscio di Dara.
« Tua sorella … Fleur?!».
 
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:angolo dell’autrice:
CI SIAMOOOOOOHHH!!! MANCA POCO! MANCA POCO!!  FANGIRL A MILLE!! *_* ATTENZIONE ATTEZIONE! Il gruppo delle Nate Babbane (e Dario u.u) sarà presentea Lucca Comics SABATO 31 ottobre. Potrete incontrarci in giro, con le nostre uniformi e i nostri animali! Se vi piacesse incontrarci di persona, così quanto noi siamo impazienti di fare la conoscenza di qualche lettore, allora non perdete l’occasione!!
Saremo ben riconoscibili, anche perché distribuiremo volantini con il QR code della fanfiction.
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Capitolo 12
*** cuor di leone ***


Dedico questo capitolo a Sara, perché è so maddafacca ed è riuscita ad entrare a Scienze Infermieristiche *-*. Tanto ammore Sara <3
(ho preso a dedicare le cose… scusate XD)

 
Cuor di leone
 
Sara, Dennis, Emma e  Ben di certo non si aspettavano quello che trovarono dietro il buco del ritratto della Signora Grassa.
Avevano galoppato su su per i corridoi senza nemmeno chiacchierare fra loro.
« Tempi Duri» aveva pigolato Emma Dobbs, dinnanzi al quadro.
« Oh, non mi abbatterei così tanto, se fossi in te» aveva ridacchiato la Signora Grassa, dopo una strizzatina d’occhio, aprendosi con un clack.
I quattro ragazzi si immisero nel piccolo passaggio ed ecco che …
Uno scroscio di applausi li accolse e tutte le mani batterono sulle loro spalle e tutti i sorrisi gridavano loro “siete grandi!”.
Nella confusione, Sara vide Colin Canon in piedi su un tavolo che applaudiva con foga e gridava cose incomprensibili, poi tutti i loro compagni di classe e Ginny Weasley e un sacco di altre persone.
« Siete stati coraggiosi!»
« I migliori!»
« Dei veri Grifondoro!»
« Non vi siete fatti mettere i piedi in testa!»
« Bravi ragazzi!»
« Siete l’esempio di tutti!»
Su uno dei tavoli della Sala Comune, era stato portato un assortimento di pasticcini non indifferente, di certo proveniente dalle Cucine.
Qualcuno trascinò i quattro ragazzi verso il banchetto e li fece mangiare.
Un orologio a muro segnava mezzanotte e mezzo.
« Ma la professoressa McGranitt … ci sentirà!»
Sibilò Ben Uley, tutto rosso in faccia, cercando di far abbassare i toni del festeggiamento.
« Di certo si, ma non penso che abbia alcuna intenzione di zittirci»
Lo rassicurò un ragazzo di cui Sara non conosceva il nome.
« Proporrei però di spostarci nel mio dormitorio e di fare più piano: i Carrow pattugliano i corridoi e noi non vogliamo certo altre grane. Chi ha voglia di ascoltare quello che ho da dirvi, mi segua».
Sempre lo stesso ragazzo fece strada verso le stanze dei maschi.
Sara non si peritò a seguirlo: sapeva che i maschi non potevano entrare nei dormitori delle femmine, ma non viceversa. In più quel ragazzo aveva una faccia veramente buona e Sara parve immediato l’istinto di fidarsi di lui.
La piccola festa in onore dei prigionieri del sotterraneo, si dissipò: molti rimasero a mangiucchiare i dolci sul tavolo, altri si dileguarono nei rispettivi dormitori.
Una buona parte della popolazione della Torre di Grifondoro, però, seguì il capobranco che aveva reclamato attenzione.
La stanza in cui vennero guidati era circolare ed era occupata da cinque letti a baldacchino – solo due sembravano occupati, perché avevano un baule aperto ai loro piedi – .
Si creò un cerchio, nel pigia pigia generale; alcuni si sedettero sui letti, altri sul pavimento.
Sara si posizionò accanto a Dennis, che non aveva mai smesso di venire abbracciato dal fratello maggiore.
Un ragazzo coi capelli color topo, reclamò l’attenzione di Sara.
« Ehi, scusami …»
« Si?»
« Tu sei Sara, vero? Sei amica di Dean».
Sara avvampò in un istante.
Realizzò di aver già visto quella faccia, spesso in compagnia di Dean Thomas.
« Uhm, si» rispose appena, evitando lo sguardo diretto del ragazzo.
« Mi chiamo Seamus. In realtà volevo chiederti se hai qualche notizia di lui. Ho chiesto a chiunque potesse sapere qualcosa … ma Ginny Weasley non sa nemmeno dov’è Harry, quindi figuriamoci se sa dov’è Dean».
Era vero: Sara non aveva trovato la faccia amichevole di Dean Thomas fra quelle spaventate sedute al tavolo del primo banchetto. Era stato il primo che aveva cercato, subito dopo essersi resa conto che Samantha non sarebbe stata con lei per tutto l’anno.
Aveva immaginato che si fosse dato alla clandestinità come la maggior parte delle sue amiche. Le era parso di ricordare che al Ballo del Ceppo l’avesse informata di essere un Nato Babbano.
« No. Mi dispiace. Purtroppo ne so quanto te»
Il ragazzo coi capelli color topo spense il suo sguardo.
« Peccato. Spero solo che stia bene»
« Ma si, tranquillo! È un mago di tutto rispetto. Non avrà problemi. Credo in lui»
Sara aveva acceso i suoi occhi temerari e fieri, che diventavano l’emblema della Casa di Grifondoro. Il suo faccino non poteva essere scalfito nemmeno dalla paura, in quei momenti.
Seamus sorrise, rincuorato.
« Si, anche io penso che sappia cavarsela. Sai, è il mio migliore amico. Ha fatto bene a diventare anche amico tuo. Sei forte»
« Grazie!» sorrise Sara, piacevolmente sorpresa.
« Ah, Seamus» continuò: « chi è quel ragazzo che ci ha chiamati qui? Cosa vuole dirci?».
Indicò il compagno di Casa che, in piedi in mezzo al cerchio asimmetrico, faceva accomodare e sistemare i ragazzi che entravano.
Seamus rispose: « Quello è Neville Paciock. Da quando Harry Potter ha lasciato la scuola ha organizzato tutta la resistenza al regime di Piton. Ti ricordi della Umbridge? C’eri?»
« Si, certo. Come potrei scordarmi di quel rospo obeso?»
Seamus rise e continuò: « Ecco … Harry aveva fondato l’Esercito di Silente. C’ero anche io. Ora Neville e Ginny l’hanno rimesso in sesto. Sono molto bravi … ci hanno motivati un sacco».
Seamus tacque perché Neville Paciock aveva preso la parola.
Tutti i Grifondoro, in pigiama, erano silenziosi e lo guardavano con aria ammirata.
« … e non c’è assolutamente da avere paura. I giornali possono dire quel che vogliono, ma la verità è una sola: Harry Potter ha una missione da svolgere ed è per questo che non è venuto a Hogwarts. Non si sta nascondendo come molti vogliono far credere. Lo conosco, io. È amico mio. Non si tirerebbe mai indietro, è veramente coraggioso. Non è certo per paura di Piton che non si è presentato.
« E dunque noi che dobbiamo fare? Noi che siamo qui, qual è il nostro compito nella lotta contro Voi-Sapete-Chi? Ve lo dico io: abbiate il coraggio di essere voi stessi! Se qualcosa non vi va bene, ribellatevi. Se i Carrow vi dicono di usare la Maledizione Imperius sugli studenti del primo anno … non fatelo!» indicò con un ampio gesto Sara e Dennis, seduti in linea d’aria con gli altri due compagni di classe che avevano subito la punizione.
Tutti i Grifondoro esplosero di nuovo in un fragoroso applauso.
Neville Paciock attese con pazienza che si placasse, per continuare:
« Il vostro sangue, per quegli schifosi dei Mangiamorte, è prezioso. Non temete che vi uccideranno! Non lo farebbero mai! Soprattutto perché ci sono toppi pochi maghi “puri” per i loro gusti. Avete visto quanti ragazzi sono riusciti a trovare in tutto il Regno Unito, che non avessero discendenze Babbane? A fatica dieci! E guarda caso sono finti per metà in Serpeverde. Però non lamentiamoci, perché anche a noi è toccata la fortuna di una nuova meravigliosa e  coraggiosa Grifondoro!»
Indicò una bambina piccolissima, bionda, l’unica matricola di Grifondoro, che arrossì violentemente, mentre i suoi vicini di posto la applaudivano e l’abbracciavano.
 « Serpeverde non è tutta marcia, eh!»
Gridò Sara, facendo spegnere ogni altra voce.
Neville Paciock la guardò con una faccia che ispirava bontà e fiducia.
Sara continuò: « Ho delle amiche in Serpeverde. E anche loro se ne infischiano del sangue puro e altre idiozie. Non stanno facendo la bella vita, nella loro Casa …».
Molte facce erano dubbiose, ma Neville Paciock le aveva creduto.
« Questa è una bellissima notizia. Un applauso ai Serpeverde che odiano Voi-Sapete-Chi!».
L’applauso fu un po’ fiacco, ma sostanzialmente completo.
Sara fu felice di aver reso onore alle sue amiche.
« Come sapete» continuò Neville: « non siamo soli nella nostra impresa: Corvonero e Tassorosso sono pieni di amici coraggiosi come noi. Luna Lovegood (la figlia del direttore del Cavillo), Terry Steeval, Michael Corner, Anthnoy Goldstein, Cho Chang, la sorella della nostra Calì, Ernie Macmillan, Hannah Abbott, Susan Bones, quell’idiota di Zacharias Smith… insomma, un sacco di gente pronta a schierarsi dalla parte giusta. Non siete soli, non siamo soli. Non sentitevi mai abbandonati. L’Esercito di Silente siete voi! Siamo noi!».
Cercando di sovrastare il rumore delle mani che battevano di nuovo all’impazzata, Neville concluse:
« Ragazzi, qualche avviso: abbonatevi al Cavillo se volete rimanere aggiornati, non alla Gazzetta del Profeta. Poi, vi ricordo che la settimana scorsa è andata in onda la prima puntata di Radio Potter. Per chi fosse interessato, la password per ascoltare la prossima è “sopravvissuto”. Dovrebbe andare in onda sabato!».
Tutti però si ammutolirono quando da una parete filtrò una figura evanescente. Qualche bambina tirò un sospiro spaventato.
« Ragazzi!» era Nick-Quasi-Senza-Testa, il fantasma della torre, che appariva trafelato nella sua espressione argentea.
« I Carrow stanno pattugliando i corridoi vicini. Stavate facendo un po’ troppo rumore … sono venuto ad avvisarvi. Andate a dormire, per stanotte, o vi potreste cacciare nei guai».
Il gruppo di ragazzi si dissipò in fretta, con molto più silenzio di quanto ci si potesse immaginare.
« Cos’è Radio Potter?» bisbigliò Sara a Dennis, che scendeva le scale insieme a lei.
Lui fu molto felice di conoscere la risposta: « È una radio organizzata dai membri dell’Ordine della Fenice. Sono bravissimi. Dicono un sacco di cose che il Ministero tiene nascoste. Sabato la ascoltiamo insieme, eh Sara?»
« Ok» sorrise lei di sfuggita, mentre attraversava in fretta la Sala Comune e si avviava alla scalinata del suo dormitorio.
 
**
 
« Ho deciso che voglio provare questa cosa, sai?».
Samantha camminava, rinvolta nel suo mantello (bucherellato da rami occasionali), seguendo il drago Esmeralda che le trotterellava davanti.
Aveva la bacchetta sguainata e con una mano frugava dentro la borsa a tracolla.
« Esmy aspetta un attimo! Mamma mia, hai furia! Cioè si, anche io ho furia di andarmene da questo posto, però cavolo, ho il fiatone!».
La ragazza si fermò e si sedette su una pietra abbastanza grande.
La luce di Esmeralda svanì in mezzo alle frasche, ma Samantha sapeva che non se n’era andata. Aveva imparato abbastanza bene a conoscere la sua compagna di viaggio.
Samantha aprì la borsa e ne tirò fuori un volume che aveva deciso di portare con sé, quando aveva selezionato le cose da prendere o lasciare, all’inizio di quella sciagurata avventura.
Estrasse il manuale di Incantesimi e lo sfogliò per trovare il capitolo su quelli curativi.
Come si aspettava, dal tronco di un albero vicino, ricomparve Esmeralda venendo fuori come se stesse uscendo da una pozza d’acqua, invece che da una superficie solida.
« Che dici, Esmy? La tua magia protettiva è abbastanza potente da non farmi rintracciare da quelli del Ministero, se faccio un incantesimo?».
Samantha guardò il drago, poco distante.
Esmeralda non stava mai troppo lontana né troppo vicina. Fissava la ragazza, di rimando, con la sua solita espressione a bocca mezza aperta.
« Lo interpreto come un si? Oh, guarda questo! ‘Incantesimo Curativo: livello Medio. Blocca le epistassi e risalda le lesioni. Si consiglia in caso di emorragie o ferite da taglio. Non è tuttavia da considerarsi un rimedio universale: è inefficace contro gli Schiantesimi o gravi fratture...’ Mi pare ottimo. Che dici? … si, lo so che non sanguino più, però mi fa sempre un male cane se mi tocco la guancia».
Esmeralda rimase immobile, illuminando l’ambiente circostante.
Samantha riprese la bacchetta e provò il movimento descritto nel libro.
« Ok, la formula è Epismendo. Boh, Esmy io provo. Se si Materializza qualcuno tu che fai? Lo incenerisci? Vabbé al massimo lo Schianto io … a quel punto buona notte sicurezza».
Osservò la pagina del libro per ancora qualche secondo.
Il drago cambiò a fatica posizione, spostandosi leggermente più in alto.
« Esmy io provo. È stato bello conoscerti».
Si puntò la bacchetta nella parte sinistra della faccia e pronunciò: « Epismendo».
Un leggero frizzore le fece bruciare la guancia, fino alla tempia.
A Samantha ricordò l’effetto di star seduta in treno con la testa appoggiata al finestrino.
Più che preoccuparsi degli esiti dell’incantesimo, la ragazza si guardò intorno, spaventata: pareva tutto molto tranquillo.
« Andiamo» disse velocemente a Esmeralda e si affrettò nella Foresta buia, sperando in ogni caso di riuscire ad essere il più lontana possibile dal luogo in cui aveva fatto la magia.
Esmeralda si materializzò davanti a lei e prese a zampettare allegra.
Camminarono in silenzio per un buon quarto d’ora, finché …
« Esmeralda! Lo senti questo rumore? È … è acqua! Esmy mi hai portata a un fiume? Ma quanto sei brava? Tieni, tesoro! Tieni».
Samantha aveva scoperto che Esmeralda andava matta per le Gelatine Tutti i Gusti +1. Si era accorta di averne un gran pacco in borsa ed aveva testato la voracità di Esmeralda, quando per curiosità gliene aveva offerta una.
Non era rassicurante, forse, il fatto che quella roba fosse buona per i draghi.
In ogni caso, Esmeralda ricevette una bella manciata di gelatine, che divorò con fame selvaggia.
Il cibo per l’umana, invece, era un po’ più tragico: Esmeralda era magicamente a conoscenza dei percorsi che pullulavano di funghi, bacche, more e frutta … ma non era comunque una bella vita.
Correndo verso il ruscello, Samantha svuotò la borraccia della disgustosa acqua piovana che aveva raccolto durante l’ultimo rovescio.
« Oh, questa si che è acqua buona. Esmy fruga nella mia borsa, prenditi tutte quelle Gelatine schifose!».
Dopo essersi dissetata a volontà, la ragazza si tolse lo sfizio di specchiarsi sulla superficie tremolante del piccolo torrente.
Con una mano, finalmente tastò gli effetti dell’Incantesimo Curativo, mentre guardava la sua immagine riflessa: una lucida cicatrice le ricopriva un’abbondante porzione di viso, che andava dalla tempia sinistra, fino al mento. La scorticatura si era portata via un pezzo di sopracciglio ed era arrivata vicinissima all’occhio. Samantha si ritenne fortunata di non averlo perso per sempre.
Si passò le mani fra i capelli, completamente ribelli e pieni di rametti.
All’improvviso, qualcosa di molto caldo, come un ferro rovente, la fece schizzare via di qualche passo.
« Esmeralda! Ma … sei impazzita?!».
Il drago si era avvicinato troppo e aveva infilato la testa dentro la borsa a tracolla che Samantha aveva ancora addosso.
 
 
 
 
:angolo dell’autrice:
CI SIAMOOOOOOHHH!!! MANCA POCO! MANCA POCO!!  FANGIRL A MILLE!! *_* ATTENZIONE ATTEZIONE! Il gruppo delle Nate Babbane (e Dario u.u) sarà presentea Lucca Comics SABATO 31 ottobre. Potrete incontrarci in giro, con le nostre uniformi e i nostri animali! Se vi piacesse incontrarci di persona, così quanto noi siamo impazienti di fare la conoscenza di qualche lettore, allora non perdete l’occasione!!
Saremo ben riconoscibili, anche perché distribuiremo volantini con il QR code della fanfiction.
Vi aspettiamo in numerosi! E vi vogliamo bene!!

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Capitolo 13
*** insieme agli stambecchi ***


Insieme agli stambecchi
 
Alice aveva molto freddo, ma non se ne curava più di tanto.
Stava rincantucciata in una coperta di lana, così grande che se l’era raggomitolata addosso almeno quattro volte.
Nonna Climene gliel’aveva praticamente regalata, dacché il suo compito era quello di portare le capre al pascolo sulla vetta dell’Old Man of Coniston, la regina della catena delle Furnes Fells.
Non erano bastati tutti i suoi più pesanti indumenti Babbani a vincere il soffio gelido del vento dell’alta montagna, né avrebbe avuto scarpe adeguate se non le avessero fornito anche degli scarponi in pelle di drago, caldissimi e molto resistenti.
Mentre cambiava, suo malgrado, posizione, sentì la bacchetta che premeva contro la sua coscia.
Cercò di spostarla in una posizione che le fosse più comoda, poi pensò che avrebbe anche potuto fare a meno di portarla con sé: non faceva magie da così tanto tempo e le sarebbe stato proibito per chissà quanto ancora, che quasi quasi si sentiva di nuovo una Babbana.
Alla fin fine, non era una vita terribile, si disse, quella del Magonò: viveva a stretto contatto con persone magiche, come erano i Martin e i Baston, che facevano tutte le magie per lei e Irene.
E poi c’era il meraviglioso, mozzafiato e bellissimo pascolo.
Alice si disse che non erano molti i maghi che potevano vantarsi di portare le capre al pascolo nelle vette montane più spettacolari del mondo.
Da quando nonna Climene le aveva mostrato il percorso da seguire e le aveva fatto capire che sarebbe stato molto utile se si fosse occupata lei di quell’attività, Alice si era sentita a pieno titolo la titolare delle capre.
Erano caprette assai simpatiche. Climene le aveva indirettamente insegnato tutti i nomi, dato che le prime volte, quando ancora la accompagnava, non faceva altro che parlare con loro.
« Barbariccia, vieni subito via da lì!» urlò la ragazza all’improvviso, contro una capra dalla barba molto ispida; si era avventurata troppo lontano e rischiava di perdere il gruppo.
Climene si era raccomandata di parlare con le capre, cosa che Alice trovava terribilmente imbarazzante all’inizio, ma che col passare del tempo era diventata un’abitudine.
Secondo l’anziana signora, il silenzio della montagna può far diventar matte le persone; non tanto perché sia qualcosa di malvagio, al contrario, per la sua bellezza che va oltre i limiti umani. Per questo, a suo avviso, era importante parlare con le capre: per mantenere un rapporto con la realtà ed avere la consapevolezza di non essere da soli in un luogo tanto impregnato di magia allo stato puro.
« Barbariccia!» tentò di nuovo Alice, alzando la voce.
Barbariccia non le dette minimamente retta e continuò a zampettare in lontananza.
Alice si alzò, maledicendo il freddo che subito le attanagliò le articolazioni.
« Mi date una mano? No, eh? Draghignazzo spostati. E te, Calcabrina, se non la finisci di mangiare così all’impazzata diventerai obesa … e ci toccherà chiedere a nonna Climene di cercare un nuovo pascolo. Ma è possibile? Hai potato tutto!».
Facendosi largo fra le caprette obbedienti che erano rimaste nei paraggi, Alice si allontanò in direzione di Barbariccia.
L’erba sotto i suoi piedi era verde, nonostante tutt’intorno regnasse una coltre di neve: era opera di Climene e della signora Baston; avevano aiutato con la magia quel terreno, di modo che non venisse mai scalfito dall’inverno; una specie di eterna primavera, che permetteva alla vegetazione di rimanere sempre in buono stato anche con il gelo.
La capretta fuggitiva, però era uscita dal confine dell’incantesimo, perciò Alice fu costretta ad inoltrarsi nella neve alta mezzo metro con i suoi stivali di pelle di drago.
La coperta di lana si inzuppò immediatamente, al che Alice cercò il tono più indignato per urlare:
« Barbariccia! Guarda cosa mi tocca fare per colpa tua!».
La capra, intanto, aveva scovato una pianta ancora buona da mangiare, sotto la bianca e soffice neve. Brucava felice sull’orlo di un dirupo.
« Vieni qui! Non mi posso avvicinare! Se cadiamo di sotto si muore, Barbariccia, hai capito? Si muore. Caput. Addio. Ma porca miseria! Vieni qui, ti ho detto!».
Muovendo ancora un paio di passi in sua direzione, Alice fu distratta da un verso proveniente dall’alto.
Alzò gli occhi al cielo giusto in tempo per vedere un’aquila volteggiare in cerchio un paio di volte, per poi scendere in una meravigliosa picchiata, sparendo così dalla sua vista.
Fu una visione così mozzafiato, che Alice dovette rimanere per un attimo lì, in piedi, ferma sul ciglio del gigantesco burrone.
« Wow»
Sospirò a fatica, sbirciando giù, in cerca del rapace.
« Hai visto Barbariccia? Era un aquila! Proprio come il mio Pa…» ma il fiato le fu tolto per la seconda volta: una piccola comitiva di stambecchi stava risalendo la fiancata della montagna oltre il dirupo.
Saltavano agili sui sassi pericolanti come se danzassero, non curandosi minimamente del pericolo, né seppero mai di essere osservati.
Ad Alice venne di colpo in mente la profezia che Irene le aveva fatto un sacco di tempo prima … nel futuro verrai perseguitata e ti salverà uno stambecco.
Le era sembrata una cosa così stupida, quando l’aveva sentita.
E dire che ci aveva ripensato, quando aveva scoperto come funzionavano le previsioni … che tutto andava “per estensione”, così come il nero poteva riferirsi a una persona mora di capelli.
Lei era perseguitata … e la montagna l’aveva salvata! Lo stambecco indicava la montagna, il luogo dove si svolgeva quella specie di esilio dal mondo magico per la sua sicurezza.
« Devo subito dirlo a Irene …» convenne Alice, dandosi una smossa, mentre finalmente acchiappava Barbariccia per le corna e la riportava verso il pascolo.
 
**
 
« Ehi. Ti ho portato i biscotti di nonna Climene! Facciamo a cambio!».
Irene era entrata nella grande serra che si innalzava poco dietro le due baite di montagna.
Aveva dei guanti molto ingombranti e sorreggeva una teglia ammaccata che ancora fumava.
Un forte odore di burro e mele si diffuse sotto le pareti di polietilene.
Oliver, il nipote dei Baston, si stava occupando delle varie semine ed aveva passato lì tutto il pomeriggio.
Guardò in direzione di Irene che, sorridente, gli trottava incontro offrendogli i dolci fatti in casa e il suo cipiglio si distese un po’.
« Grazie! Appoggiali qui … sembra pesante»
Irene colse al volo l’occasione di liberarsi della teglia e la mise sul tavolo di legno che le indicava Oliver, in mezzo a un sacco di piccoli vasi di coccio.
« Mangia, mangia! La nonna ora sta facendo anche delle tisane. Anzi, a dire il vero credo che ci offrirà del Whisky Incendiario … però non dirlo a tua nonna: l’altra volta non sembrava molto contenta …».
Irene si sedette sul bordo del tavolo, scansando un vasetto di basilico. Afferrò un biscotto alle mele e lo trangugiò.
Oliver ridacchiò per quanto glielo consentisse il boccone che aveva appena addentato.
« No, povera donna. Crede che sia roba da ubriachi …»
« Penserà che siamo dei ragazzacci!» disse Irene, passando al suo secondo biscotto.
Tegamina la guardò sognante, appoggiata sulla sua spalla.
« Che c’è Tegamina? Vuoi qualcosa anche tu? No, il biscotto no. C’è il burro, che fa ingrassae. Aspetta il Whisky che ti faccio preparare un bicchierino ..»
Questa, che era una delle frasi più serie che Irene avesse mai detto, parve a Oliver qualcosa di evidentemente buffissimo.
Scoppiò in una fragorosa risata, davanti alla faccia scandalizzata di Irene.
« Che ho detto?»
« Scusa … mi stavo solo … immaginando quella cosina che si scola un bicchiere di Whisky».
Tossì leggermente appoggiandosi una mano sulle labbra.
Irene rimase imperturbabile:
« Ah. Una volta ha rovesciato una bottiglia di vino da collezione di mio padre. L’abbiamo ritrovata nella pozza, che rotolava a singhiozzi … mi ci sono voluti due giorni per farla tornare bianca … e almeno una settimana per farle passare la sbronza».
A Oliver scappò un’altra risata involontaria.
Tegamina guardò, sempre più ammaliata, il suo biscotto che veniva ignorato per una cosa stupida come il ridere.
« Posso chiederti due cose?»
« Perché hai detto “due” con quel tono così … due
Oliver parve un attimo confuso.
« Uhm … perché di solito si dice “posso chiederti una cosa”, credo …»
« Continui a dire tutto con quel tono! Ahahah! Unadue! È buffissimo!»
Irene rise da sola per qualche secondo, poi si riprese:
« Comunque vai, chiedimi queste due cose».
« Numero uno: che cos’è Tegamina? Numero due … perché si chiama Tegamina?».
Era divertito dalla piccola bestiola, che continuava a desiderare i biscotti non mangiati.
« È una Puffola Pigmea. E la storia del nome Tegamina è cosa che solo i più valorosi possono sapere. Però ok te la racconto, perché mi fa voglia. All’inizio volevo chiamarla Triglia. Non so bene perché, hai presente quando vedi una cosa e dici … “O! Questa si chiama Triglia”?»
« Presentissimo»
« Ecco! Però poi ho detto: guarda com’è bianca … e con questi due occhietti gialli sembra proprio un uovo al tegamino. Con due tuorli. Allora l’ho chiamata Tegamina. Anche se così non si capisce la cosa dei due tuorli …».
Oliver pareva molto confuso.
Tegamina lo guardava ardentemente.
« Credo che voglia salirti sulla spalla» disse Irene incoraggiante.
Lui la guardò diffidente, ma Irene stava già portando la Puffola all’altezza della spalla di Oliver, quando … Tegamina spiccò un gran balzo e si schiantò contro la superficie pastosa del biscotto di mele.
Caddero entrambi in terra, ma nulla impedì alla Puffola di dimostrare la sua voracità.
« Ora ho paura» ammise Oliver, sconcertato.
« Ho anche io una domanda: per caso ti ho visto in qualche squadra di Quidditch, a Hogwarts? Non riesco a ricordare perché mi sei familiare …».
Oliver parve molto più scandalizzato da questa domanda piuttosto che dalla Puffola divoratrice di biscotti.
« Certo!! Ero il Portiere di Grifondoro! Ero il Capitano!».
« Ah ecco! Si, giusto, mi ricordo che ci fu un gran chiacchiericcio quando Grifondoro ha dovuto cambiare Portiere. Eri bravo, no? Credo che quello di adesso non lo sia molto …»
« Ah si?! E chi è? Come si chiama? Com’è fatto? Ma il Capitano ora non è Harry Potter? Non ha scelto un giocatore bravo? Cioè … intendevo prima che iniziasse tutto questo macello con Tu-Sai-Chi …»
Irene prese un altro biscotto.
« Non lo so chi è … sinceramente non me lo ricordo molto. Però gli hanno inventato una canzoncina. Ora ci penso. Se me la ricordo, ci sta che mi ricordi il suo cognome. Ma tu che hai fatto dopo Hogwarts? Voglio dire … sei ancora dentro al Quidditch?».
Parve la domanda meno adatta da fare, visto che Oliver si rabbuiò tantissimo.
« Si, ero dentro al Quidditch. Mi avevano preso nel Puddlemere United. Se andava tutto bene potevo anche entrare nella squadra ufficiale, a breve. Avevo proposto alcune strategie al Capitano e gli erano piaciute un sacco … »
« Perché sei venuto quassù? Non sei un Nato Babbano, no? E nemmeno hai parenti che lo sono, credo …»
Una delle tante qualità di Irene era quella di saper porre domande scomode con buonissimo tatto. Con leggerezza si chinò per riprendere la Puffola e si avviò verso la zona della semina, per sostituire Oliver.
Lui ci pensò un po’, poi rispose:
« Perché siamo dei traditori del sangue … I miei nonni hanno un sacco di amici Babbani, giù a Coniston e anche i Martin. I miei genitori mi hanno praticamente minacciato di venire a nascondermi qui … ma non c’era alcun bisogno. Io vorrei essere là fuori a fare qualcosa di utile … o quantomeno a giocare a Quidditch. Non mi importa un accidente se i Mangiamorte vengono a infastidirmi mentre sono a cavallo di una scopa. Ah, ci puoi giurare che li stendo tutti con un Bolide solo!».
Ma Irene non fece in tempo a pensare alla risposta, che nonna Climene entrò nella serra, spalancando la porta di legno e poliestere.
« Alice non è ancora tornata, Satana bolide?!».
« No … dovrebbe essere al pascolo» rispose Irene.
« Diavolo che dovrebbe essere al pascolo! Lo so che è lassù! Ma se non torna prima che faccia buio, Satanaré, io la spezzetto, la disosso e ci faccio il salame! Non mi deve far preoccupare così!».
Oliver la consolò:
« Tranquilla, nonna Climene. Vedrai che non aspetterà buio. Anzi, non senti anche tu questi campanellini? Vedrai che è lei, che torna in giù con le capre».
Nonna Climene, tendendo le orecchie, parve condividere l’ipotesi del ragazzo.
Un’espressione tranquilla sostituì quella preoccupata, sul suo volto rugoso.
« Mh. Menomale. Voglio sapere se Calcabrina ha mangiato troppo come sempre. È una grassa bestiale, quella capra. E ora via, venite dentro finché tua nonna Pandora è giù al villaggio. Fa un freddo, boia di un satana, che ho deciso di dare un bel sorsetto di Whisky Incendiario a tutti».
 
 
 
 
:angolo dell’autrice:
CI SIAMOOOOOOHHH!!! MANCA POCO! MANCA POCO!!  FANGIRL A MILLE!! *_* ATTENZIONE ATTEZIONE! Il gruppo delle Nate Babbane (e Dario u.u) sarà presentea Lucca Comics SABATO 31 ottobre. Potrete incontrarci in giro, con  le nostre uniformi e i nostri animali! Se vi piacesse incontrarci di persona, così quanto noi siamo impazienti di fare la conoscenza di qualche lettore, allora non perdete l’occasione!!
Saremo ben riconoscibili, anche perché distribuiremo volantini con il QR code della fanfiction.
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Capitolo 14
*** conseguenze di un furto ***


Conseguenze di un furto
 
« Sara, svegliati! Corri!»
Sara si era addormentata sopra un libro di Trasfigurazione, accanto al caminetto della Sala Comune.
« Che c’è?» disse confusa, riemergendo dal torpore verso un mondo pieno di subbuglio, voci e rumori.
« Che è successo?» ripeté, con più lucidità, sgranando gli occhi.
Si ritrovò davanti la faccia di Dennis Canon, che la stava scuotendo con un braccio.
« Vieni, Sara. Ci vogliono tutti in Sala Grande! Sbrigati!»
« In … in Sala Grande?» Sara si alzò di malavoglia, curvando la testa per vedere l’ora segnata dalla pendola.
Dennis – ed evidentemente tutta la Sala Comune – aveva una certa fretta, così la prese per un braccio e la trascinò fuori dal buco del ritratto.
« Dennis, ma sono le tre di notte!!»
« Lo so, ma credo che sia successo qualcosa»
Disse il ragazzo, mentre anche Colin si univa a loro. Li aveva aspettati sul pianerottolo, lasciando passare gli altri Grifondoro che correvano spaventati verso il luogo di ritrovo.
Sara era adesso sveglia e senziente.
« Cosa è successo?» chiese preoccupata a Colin, sperando che sapesse dirle qualcosa di più.
Lui la prese per l’altro braccio e insieme a Dennis la trascinarono giù per la rampa di scale al trotto.
« C’entra l’Esercito di Silente, credo» bisbigliò Colin.
Arrivarono alla svelta nel salone d’Ingresso, dove una marea di ragazzi in pigiama si guardava intorno con aria smarrita e spaventata.
Gazza scorrazzava goffamente qua e là, con un ghigno malefico in faccia e una torcia tremolante in mano.
« Mettetevi in ordine di Casa!» tossicchiava imperioso a ripetizione.
Sara allungò il collo per individuare le sue amiche Serpeverde, ma c’era troppa gente.
Lei, Dennis e Colin si unirono in una specie di plotone in cui si era riunito tutto Grifondoro. Avanzarono impauriti dentro la Sala Grande, dove i tavoli erano stati allineati alle pareti per lasciare un grande spazio vuoto al suo interno.
Sulla scalinata del piccoli podio su cui c’era il tavolo degli insegnanti, torreggiava Piton, avvolto in un mantello nero, con un’espressione da funerale in volto.
Un gradino più in basso di lui, i due Carrow sghignazzavano, sfregandosi le mani con gioia malvagia.
L’ultimo gradino era invece occupato da tre ragazzi, con le mani dietro la schiena e la testa bassa.
« Sara, quello è Neville Paciock!»
Bisbigliò Dennis, dando alla ragazza una gomitata di fianco.
Superando il colpo di tosse che ne conseguì, Sara affinò lo sguardo e analizzò i tre – evidentemente – colpevoli.
« È vero, è lui! E quella non è Ginny Weasley?»
 
Anche le Serpeverde erano state svegliate nel cuore della notte dai loro Prefetti, che avevano ordinato l’immediata ascesa alla Sala Grande.
Era con disgusto che Bianca, Laura e Valentina avevano accolto l’entusiasmo dei compagni di Casa, quando era corsa la voce che qualche traditore del sangue sarebbe stato punito severamente, quella notte.
« Chi sono?» bisbigliò Bianca alle due amiche.
Laura, che fra le tre era un pochino più alta, si mise in punta di piedi.
« Due hanno lo stemma di Grifondoro, una di Corvonero» informò.
Valentina emise un urlo strozzato: « Non è Sara, vero?!»
Laura sbatté le palpebre, nel tentativo di vederci meglio.
« In effetti ha i capelli rossi … però non credo proprio che sia Sara. Credo di più che sia quella Weasley» concluse, sistemandosi gli occhiali.
Bianca e Valentina ebbero un fremito e cercarono con ogni mezzo di capire chi fosse la rossa che non stava per vedersene delle belle.
Accanto ai Serpeverde, c’era il plotone dei Corvonero.
Si poteva scorgere Terry Steeval, vistosamente preoccupato, accanto ad Anthony Goldstein che non era da meno.
 
« Silenzio».
Con una sola parola detta anche a voce non troppo alta, il professor Piton ottenne l’immediata cessazione di ogni mormorio.
Con espressione sprezzante sul volto giallastro, passò in rassegna i quattro gruppi che le Case avevano formato davanti ai suoi occhi.
« Questa notte» incominciò, con voce lugubre: « questi tre ragazzini hanno tentato un furto nel mio ufficio».
Nei pochi secondi di pausa che seguirono, il brusio ricominciò.
« Furto? Che furto? Cosa volevano rubare?» bisbigliò Valentina nell’orecchio di Bianca.
Bianca alzò le spalle e guardò in direzione di Terry Steeval, che però fissava sempre dritto.
« Ho detto silenzio» precisò Piton, anche se aveva certo volontariamente lasciato quei momenti di silenzio per far sollevare le preoccupazioni dei ragazzi.
Di nuovo, magicamente, tutti si zittirono all’istante.
« Voglio che Paciock, Weasley e Lovegood siano di esempio per ciascuno di voi, questa notte. Se nelle vostre boriose testoline si è insinuata l’idea di essere migliori della sicurezza di questa scuola, questo è quello che vi succederà. Professori Carrow, per cortesia …».
Piton fece un gesto con la mano verso i Carrow, che continuavano a sghignazzare con identiche facce da goblin.
« Voglio che i ragazzi del primo anno di Serpeverde facciano un passo avanti».
Gracchiò Alecto Carrow, diretta al plotone dei Serpeverde.
Una manciata di undicenni che si contavano sulla punta delle dita (tra cui anche le ragazzine con cui Bianca aveva litigato di recente) uscirono dalla schiera e si allinearono dinnanzi agli scalini.
Bianca, Valentina e Laura notarono che non avevano esitato, ma anzi erano sembrati quasi entusiasti.
« Chi di voi sa dirmi cosa abbiamo detto a lezione, qualche giorno fa, riguardo alla definizione di “traditori del sangue magico”?»
Una bambinetta coi capelli biondi e lisci come l’olio rispose scattante:
« Che sono maghi di sangue puro che familiarizzano con i Babbani oppure che si oppongono alle regole dettate dalla legge riguardo al sangue magico».
« Molto bene, Stevens. Dieci punti a Serpeverde per la puntualità. Vedete, questi ragazzi si sono intrufolati nello studio del Preside perché pensano di poter essere a capo di una sommossa. Vogliono sovvertire il sistema di Hogwarts e cambiare le cose. Loro non sono dalla parte giusta, come noi e voi. Sono amici di Harry Potter e dei Babbani»
« E ora invece ditemi» si intromise il fratello, Amycus Carrow: « quanti di voi si ricordano la Maledizione Cruciatus? Assegnerò venti punti a testa per coloro che riusciranno a lanciarla sui nostri cari amichetti qui presenti».
Tutti quelli delle altre case sbiancarono.
« Ha detto la Maledizione Cruciatus?» bisbigliò Sara pianissimo, con un tremito, all’orecchio di Colin.
Lui era cereo e con gli occhi sgranati.
Nessuno riuscì a trovare il coraggio o anche solo l’intenzione per impedire che quei ragazzini di Serpeverde, fieri, estraessero le bacchette e le puntassero verso i tre condannati.
 
« Crucio!»
« Crucio
Guizzi di luce uscivano dalle loro bacchette a scatti irregolari. Le loro vocine candide, orgogliose, stonavano totalmente con la tremenda parola che pronunciavano. Il risultato fu un grottesco quadro in cui la manciata di undicenni gioì nel vedere la propria bacchetta fare del male a degli studenti più grandi.
Non fu tanto l’effetto delle maledizioni– che erano troppo deboli per fare davvero del male ai tre colpevoli – ma ciò che simbolicamente significava, ciò che fece indignare tutti i Grifondoro, i Corvonero, i Tassorosso e anche qualche Serpeverde.
Dopo che il triste spettacolo fu finito, Piton ordinò che Neville Paciock e le due ragazze venissero scortati nella Foresta Proibita, per svolgere dei lavori per il guardiacaccia Hagrid.
 
« Non è una gran punizione. Gli è andata bene» sospirò Colin, alzando un pollice verso Sara e Dennis.
« Perché?» chiese il fratellino, bianco come un cencio.
« Hagrid è amico di Harry. E loro sono amici di Harry. Di certo non li metterà in pericolo» Concluse Colin, prendendo energicamente sottobraccio suo fratello e Sara, per donargli un po’ di tono.
Il loro gruppo si avviò lentamente e in silenzio verso la torre di Grifondoro.
Lungo il corridoio dell’Ingresso, furono molto vicini ai Corvonero.
« Che cos’è che volevano rubare?» bisbigliò Colin a Terry Steeval.
Terry gli mimò con la bocca e con dei gesti la “Spada di Grifondoro”.
« E che ci volevano fare?» biascicò Dennis, da lontano.
Terry alzò le spalle, senza sapere la risposta, poi fu trascinato in un’altra direzione assieme a quelli della sua Casa.
Sara si sentiva come un palloncino sgonfiato: possibile che a Hogwarts stessero accadendo quelle cose?
Sentiva le gambe camminare per inerzia, come pappa. Riusciva a stento a salire i gradini.
Quando fu di nuovo in Sala Comune, prese in braccio Palla e se lo portò a letto. Lui continuò a dormire senza neanche accorgersi di essere stato spostato, iniziando però  a ronzare di fusa.
Avvolta nelle sue coperte, la ragazza si sentì momentaneamente protetta. C’era Palla, lì con lei; diversi piani più in basso, c’erano tre amiche importanti.
Ma quanto potevano esserle utili le amicizie dei suoi cari, in un luogo come era adesso Hogwarts?
 
 


Angolo autrice SPECIALONE.
Questo sabato siamo stati a Lucca Comics (Dario, per colpa tua mi tocca usare il maschile … ora ne tocchi!). Ci siamo divertiti tantissimo e ci ha fatto un piacere immenso vedere l’entusiasmo e la gentilezza con cui tutti hanno accolto il nostro volantino (contenente il link per la ficcy!).
Quando per due volte ci è capitato di incontrare ragazzi che conoscevano “Nate Babbane” …. BOH siamo esplosi di felicità.
Metto qui anche qualche foto per ringraziare tutti della bella giornata trascorsa e per dare uno spunto in più alla vostra immaginazione <3
GRAZIE A TUTTI VOI CHE LEGGETE. SIETE LA VITA DELLA FAN FICTION.
*per il veryBIG commentone strappalacrime dovrete aspettare la fine della fan fiction, ma sappiate che non risparmierò nessuno dai ringraziamenti. A partire dal lettore silenzioso fino ai miei amici e personaggi. Vi voglio tanto bene! ;A; *

 
SARA E SAMANTHA. Le Grifondoro Spaccaculy.
 
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DARA e ALICE, le mie Corvonero bellissime!

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DARIO, IRENE e TEGAMINA! I Tassi con le Gocciole XD

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LAURA, VALENTINA, BIANCA ed ESMERALDA, le migliori Serpeverde!
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BORIS e MORIS durante la lettura della mano …
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Capitolo 15
*** diversivi ***


Diversivi
 
L’eco degli avvenimenti di quella notte durò a lungo, nei corridoi e nelle Sale Comuni di Hogwarts.
 
« Hai trovato niente, Colin?» chiese Sara al compagno di Casa, che sfogliava un libro preso quella mattina in biblioteca.
Il ragazzo emerse dalle pagine polverose ed esclamò: « Non ancora!».
Era ammirevole, pensò Sara, quanto non si scoraggiasse mai e rimanesse entusiasta di qualsiasi cosa fino alla fine. Esattamente come suo fratello.
Dennis, in quel momento, era seduto lì con loro davanti al caminetto: stava ricopiando gli appunti di Pozioni sia per sé che per Sara.
Lei e Colin, invece, si erano dedicati a una forsennata ricerca sulla Spada di Grifondoro.
Sara aveva provato a chiedere alla McGranitt, in classe, ma lei le aveva fatto capire che non era il caso di porle certe domande e non avrebbe mai potuto risponderle.
In biblioteca, però, Madama Pince non aveva fatto troppe storie per prestare a Colin Manufatti Magici della Storia; forse perché la menzogna di una ricerca per Storia della Magia era stata efficace, o forse perché anche la bibliotecaria nel suo piccolo voleva mostrare la sua contrarietà al regime di Piton.
« Possibile che non parli della Spada di Grifondoro? Se quello non è un manufatto magico importante …»
« L’ho trovata!»
Sara non aveva fatto a tempo a finire di parlare, che Colin era saltato sulla sedia dall’eccitazione per aver finalmente fatto centro.
Dennis smise di ricopiare gli appunti di Sara e lei posò l’inutile libro sul Medioevo Magico, che aveva preso giusto per dire di aiutare Colin nella ricerca.
« Leggici cosa dice»
Incitò la piccola ragazza, sistemandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio. Accavallò le gambe sulla poltrona morbida.
Colin scorse con gli occhi le parti che non erano evidentemente funzionali alla loro indagine, poi lesse: « “… si dice che abbia infiniti poteri, la maggior parte dei quali sarebbe sconosciuta. La leggenda vuole che siano stati i Folletti a forgiarla,ma ancora oggi la contesa resta irrisolta e controversa. È narrato che Godric Grifondoro l’abbia nascosta in un luogo sicuro e che soltanto un vero discendente della sua Casata avrebbe potuto trovarla ed impugnarla. Così come il famoso Diadema Perduto di Priscilla Corvonero (vedi paragrafo) accresceva l’intelligenza del suo portatore, è probabile che la Spada di Gordic Grifonforo infondesse più coraggio al guerriero che la sosteneva. SI parla spesso della capacità della lama di fortificarsi da tutto ciò che la colpisce …” wow! Sono certo che volevano usarla per darla a Harry! Che dici, Sara?»
Sara e Dennis avevano ascoltato con ammirazione ogni parola su quella meravigliosa arma ed annuirono simultaneamente.
« Dite che siano in contatto con lui, in qualche modo?»
« Ne dubito. Harry è proprio sparito, sai … però forse aveva lasciato detto che gli serviva quella spada!»
Sara si raggomitolò ancora di più nella morbida poltrona.
« Ma voi due? La Umbridge vi ha più cercati?»
Dennis rispose con un “no” vittorioso, come se l’avesse sconfitta in una duello a mani nude. Evidentemente la vecchia professoressa aveva il suo bel daffare al Ministero per poter tenere d’occhio due ragazzini che avevano una probabilità su mille di essere in contatto con Harry Potter.
« Uh, ascoltate!».
Colin alzò una mano per invocare il silenzio, e chiuse gli occhi.
Sara e Dennis tesero le orecchie.
« Mi sa che qualcuno ha acceso la radio. Dev’essere iniziata la puntata di Radio Potter»
« Andiamo ad ascoltarla?» nel dirlo, Dennis era già scattato in piedi.
« Sara, vieni con noi nel dormitorio! Noi non possiamo entrare nel tuo» le ricordò Colin, tendendo una mano alla ragazza, che ancora era accovacciata sulla poltrona.
« Certo!» rispose lei, prendendo la mano, facendosi condurre di sopra.
 
**
 
Laura, Bianca e Valentina erano accalcate nel bagno del sotterraneo.
Valentina teneva in mano una radiolina piuttosto vecchia, Bianca cambiava la frequenza con la bacchetta e Laura faceva la guardia.
 
« Trovato niente?» incitò Laura alle sue spalle, tenendo fissi gli occhi sul corridoio oltre la porta.
« Ancora no, ma fra poco dovremmo esserci» assicurò Valentina, mentre Bianca continuava a picchiettare la bacchetta sulla radiolina, mormorando parole strane.
« Sembrava più facile quando ce l’ha spiegato Sara …» borbottò, prima di riuscire finalmente a beccare la frequenza giusta : « Oh! Eccola!» esclamò.
Laura si voltò e lanciò un’altra occhiata al corridoio deserto, poi si avvicinò un poco alle due amiche, che tenevano il volume molto basso.
La radio gracchiò:
« … E con l’arrivo di Novembre,cari ascoltatori di Radio Potter, torniamo anche noi, è sempre il vostro River a parlarvi! C’è qualche Mangiamorte sulle nostre tracce, ma siamo abbastanza in gamba da tenerci nascosti per adesso. Ma ciancio alle bande, e mettiamoci subito in moto con le notizie più importanti …».
« Speriamo che non li prendano …. Ho un brutto presentimento» sussurrò Valentina.
« Già, fanno un lavoro rischioso» commentò Bianca: « Però sono fondamentali, cavolo. Quella cosa che ci ha detto Sara, riguardo al nome impronunciabile … non credevo nemmeno che esistesse una magia così!».
« Comunque non mi sarei sognata lo stesso, di chiamare Voi-Sapete-Chi per nome» concluse Laura, prima di far di nuovo silenzio per dare spazio alla voce della radiolina.
« … il numero dei Nati Babbani in clandestinità è impossibile da enumerare. Facciamo un breve elenco dei nomi che ci sono pervenuti di coloro che purtroppo non ce l’hanno fatta a sfuggire ai Mangiamorte …»
Le tre ragazze ascoltarono con angoscia i nomi che venivano snocciolati dal conduttore.
L’elenco finì e loro trassero un sospiro di sollievo.
« Mi sono giunte notizie che qualche giorno fa a Hogwarts un gruppo di ragazzi ha tentato un colpo grosso. Ragazzi, siete stati davvero coraggiosi, ma non fatelo più sotto il naso di Piton o vi ritroverete in guai seri! Voglio dire, non è che sono dimensioni trascurabili, quelle del suddetto naso, quindi avete più probabilità di venire scoperti! In ogni caso, si dice che avessero tentato di rubare la Spada di Grifondoro, conservata nell’ufficio del nostro simpatico Preside. Ancora non sappiamo bene cosa avessero intenzione di farci, però è stato un bell’esempio di sovversione. Bravi ragazzi! Però vedete di non farvi fare del male. Insomma … ben fatto, ma non fatelo più! E adesso commentiamo insieme a un nostro ospite, le ultime mosse politiche di Pius O’Tusoe, il Ministro al servizio di Voi-Sapete-Chi …».
« Hanno detto del furto!» disse Valentina con eccitazione.
« Chissà cosa ci volevano fare … dubito che volessero brandirla contro Piton» fece Laura, che nel frattempo si era di nuovo avvicinata alla porta.
Bianca stava per dire la sua, quando l’amica le fece un gesto veloce agitando le mani: qualcuno veniva in quella direzione.
Valentina per poco non fece cadere la radio, ma riuscì a spengerla e a nasconderla in tasca.
Bianca si avviò verso un lavandino e finse di lavarsi le mani.
Una ragazza del quinto anno, col distintivo da Prefetto, entrò e le guardò con sospetto.
« Cosa state confabulando, voi tre?»
« Stavamo facendo la pipì. Di solito è quello che si fa nei bagni»
Rispose Bianca, acida.
La ragazza col distintivo di Prefetto la guardò dall’alto al basso e così fece più volte con le altre due.
« Infatti, di solito. Badate bene di fare poco le spiritose. Lo sappiamo tutte che voi siete delle sporche traditrici. Vi sta andando bene solo perché siete in Serpeverde e tutti pensano che non ci sia certa feccia, fra di noi. Ma i Prefetti vi tengono d’occhio, sappiatelo bene. Appena farete qualche passo falso non esiteremo a denunciarvi ai Carrow e al professor Piton».
« Si, si, ok …» tagliò corto Valentina, così che tutti gli sguardi si puntassero su di lei: « … Ma non ti scappava la pipì? Cioè … io di solito se vengo al bagno, son lì lì che non so come fare a reggerla; tu invece stai qui a fare un sacco di discorsi …»
 
**
 
Il freddo di novembre aveva raggiunto nella sua pienezza anche il rifugio di Maison Lavande.
I clandestini ricevevano una scorta illimitata di copertoni, visto che non avevano a disposizione nessun camino. I signori Belhome avevano spiegato che non era consigliabile mettercelo per due principali motivi: il fumo sarebbe dovuto defluire da qualche parte e poi un camino era anche un punto di approdo per eventuali nemici.
Gli unici fuocherelli che si potevano accendere erano piccoli e blu; non bruciavano, ma non facevano nemmeno troppo calore. Il panorama del grande stanzone era dunque pieno di fluttuanti fuocherelli.
 
François era sceso a portare dei decotti caldi fumanti ai rifugiati e si era fermato a far compagnia a Dara.
Erano seduti sul suo letto e insieme ad Anton giocavano ad una noiosissima partita di un gioco da tavola.
Dara lanciò il dado e la sua pedina finì su una casella rosa.
« Oh! Ottimo! Vediamo se me la cavo con il settore “moda e  spettacolo” … sennò mi sono anche rotta di questo giochino del cavolo».
Lanciò un’occhiata di sbieco a Dario, seduto molto lontano, che leggeva per i fatti suoi.
Aveva rifiutato la proposta del gioco da tavola, preferendo qualche buona pagina alla socializzazione.
Dall’altro lato della stanza, Gabrielle Delacour sedeva rinvolta nelle sue coperte, triste e silenziosa come sempre, anche se ogni tanto lanciava loro qualche occhiataccia, per il gran rumore che evidentemente facevano.
Cris Vaselly era invece impegnata con il figlio e altri due rifugiati ad accendere fuocherelli blu per tutti.
Anton pescò la carta contenente la domanda da sottoporre a Dara. Lesse:
« Chi ha vinto premio per sorriso più seducente di Settimanale delle Streghe ed è stato insegnante a scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts? … ah, ma che razza di domande sono queste?»
Dara rispose con entusiasmo allo sdegno di Anton: « È Gilderoy Allock!! Mia mamma lo seguiva sempre. Era così affascinante … peccato non averlo incontrato!»
François storse il naso.
« Ha rasgione Anton, comunque. Le domonde del settore fuscia non hanno sonso»
« Beh? Io invece le so! Siete voi che rispondete bene a tutte quelle cavolate sul Quidditch che io, accidenti allo stinco di Merlino, vai a sapere che roba sono!».
Dara segnò con violenza i suoi punti per la risposta corretta e sfidò François a tirare il dado, con un’occhiata fiammeggiante per niente raccomandabile.
La sua pedina finì su una casella verde.
« Ah! Babbanologia! Vediamo come te la cavi! Spero proprio che tu non la sappia, guarda …»
Dara pescò il foglietto plastificato contenente la domanda.
« Nome di una band Babbana di successo con origini Armene! Tié. Rispondi se hai il coraggio».
Dara trafisse François con lo sguardo di sfida più soddisfatto di sempre.
« Ah. Io sa questa!»
« Stai zitto te! Sto parlando con te?!»
Anton si portò una mano alla bocca, scusandosi con un gesto ironico. Le marcate fossette sulle guance tradivano un sorriso.
François era alle strette.
« Sjioco il jolly!»
« Che diavolo è il jolly?!»
« Posso rinunciare a metà dei miei punti e cambiare domonda dello stesso argomonto. Devo sceliere un altro jocatore contro cui garejiare. Quello che risponderà bene si pronderà i miei punti»
« Te lo sei inventato!» Dara,tuffandosi su François per raggiungere l’altra estremità del letto, buttò all’aria la scatola di cartone contenente il foglio con le istruzioni del gioco.
« Ma scerto che no!» replicò il ragazzo, indignato: « e mi pare ovvio che sfiderò te. Anton, per cortesia, lesgici un’altra domonda!».
Dara stava facendo le bizze contro la trovata di François, ma la voce di Anton li sovrastò entrambi.
« Libro Babbano di successo che parla di storia d’amore fra essere umano e vampiro».
Inaspettatamente, Dario, dalla sua lontana postazione, rizzò la testa e guardò verso di loro.
François si mise a pensare ad un possibile titolo per il romanzo Babbano, mentre Dara non riuscì a non far caso alla strana mossa di Dario, che ora si era addirittura alzato e incamminato verso il loro ritrovo.
Lo guardò con molto sospetto.
« Che vuoi, Dario?»
« Nulla …» ridacchiò lui.
« Dario, vuoi le mani nel muso? Cos’hai da sghignazzare?!» Dara se la stava prendendo con lui, mentre Anton continuava a ridere sotto i baffi in silenzio e François ragionava sulla risposta.
« No, è che sto proprio leggendo quel libro che è nella tua domanda … volevo sentire che cavolate tiravi fuori».
« Dimmi subito come si chiama!» ruggì la ragazza cercando con uno scatto felino, di acciuffare il libro dalle mani dell’amico.
« Ah ah ah! Già ti arrendi?»
« Dario certo che sei un bell’amico. Potevi farmi vincere i punti e invece fai il figo … “io ho il libro” … oh, ma chi ti credi di essere? Basta mi sono rotta. François, ti do i miei metà punti» Sbraitò Dara, incrociando braccia e gambe.
Anton non trattenne più il sorriso, mentre François scoppiò in una fragorosa risata. Cercò di abbracciare Dara, che faceva l’offesa come un gattino rissoso.
Nessuno di certo si aspettava di sentir cinguettare una vocina candida alle loro spalle:
« Oh, stai parlando pour caso di Twilight1? Sce l’hai davvero? Quel libro che parla dei vampiri? Mia sorella Fleur lo ha riscevuto per Natale dal papà di suo marito … disce che sia molto di moda fra i Babbani e che sia molto bello …».
Sobbalzando dallo stupore dell’inaspettata presenza di Gabrielle Delacour, tutti si voltarono a guardarla: i grandi occhioni chiari, di solito spenti e bassi, erano accesissimi e quasi commossi. Persino Dara ne rimase stupita.
Dario sbatté le palpebre.
« Beh, si, è molto bello. A me piace. Vuoi leggerlo? Te lo presto volentieri»
Dara tirò una gomitata nelle costole di Dario, per l’eccessiva mielosità della sua risposta dinnanzi alle lunghe ciglia emozionate della ragazzina.
L’ardore che donava vitalità a quegli occhi così graziosi, si sgonfiò leggermente. Un lieve rossore le colorò le guance smorte.
« Ehm … non so lesgere en anglaise …». Gabrielle si afflosciò come un fiore a fine giornata. Parve quasi vergognarsi dello slancio di emozione che l’aveva fatta catapultare laggiù.
« Te lo leggo io!» esclamò Dario, contento.
Dara gli assestò una seconda gomitata, alla quale lui rispose con un pizzicotto su una spalla.
Gabrielle alzò lo sguardo prima che Dara potesse assalire e assassinare Dario.
« Davero? Me lo lesgeresti?» anche la vocina languida e cinguettante contribuiva a renderla tremendamente adorabile.
« Ma certo» confermò Dario, cogliendo al volo l’occasione per togliersi dalla portata di qualsiasi aggressione da parte di Dara.
Accompagnò la malinconica ragazzina nel suo angolo e si sedette con lei.
 
 
 
 
 
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1 credo che sia la collocazione più anacronistica della vita. Perdonatemelo, ma avevo bisogno di inserire un libro da adolescenti abbastanza conosciuto.
Per quanto riguarda la mia personale opinione su Twilight (visto che di certo si sarebbe aperto un dibattito di giorni XD) sappiate che ho apprezzato molto i libri prima che uscissero i film, quando ero un’adolescente – eh, si è stati tutti giovini – .
Purtroppo, il cinema ha reso la serie un fenomeno adatto per le ragazzine isteriche con gli ormoni in tempesta.
Oramai sono schierata dalla parte di quelle che con rimpianto, spolverano i libri sulla mensola e guardano con sdegno e delusione ciò che adesso è diventata questa serie.
Fine XD. Liberi di pensarla diversamente.
Cia’.
Viva gli arcobaleni!

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Capitolo 16
*** sentirsi utili ***


Sentirsi utili
 
Dara passò i giorni seguenti a tenere il muso a Dario, anche se non fu molto efficace: adesso pure lui passava il suo tempo nell’angolino di solitudine di Gabrielle Delacour.
 
« Io scommette che nascerà una bella storia d’amore fra quei due»
« Anton. Ti meno. Lo so che lo dici solo per farmi innervosire. Sto cercando di trovare la pace interiore».
Anton sghignazzò, mentre Dara manteneva la sua posizione di yoga, in equilibrio sul suo materasso.
Passò qualche minuto di silenzio, poi la ragazza si stancò.
« Lo yoga non serve a un bel niente»
« Ma tu ha appena cominciato»
« Si ma non mi rilassa lo stesso!»
« Di cosa sei tu nervosa? Sei gelosa di tuo amico laggiù?»
Dara seguì con occhi sgranati il dito di Anton, che puntava verso l’angolo di Dario e Gabrielle.
« Ci mancherebbe altro! Per le mutande del Barone Sanguinario! Gli voglio bene, ma oh … non esageriamo. E poi sono impegnata con Franz, non metterti a fare il romanziere, zio».
Anton sorrise, poi sgranchì le braccia e si sdraiò lungo disteso sul suo letto. Rimase in silenzio con le labbra distorte in qualcosa di amaro.
Dara lo guardò più attentamente.
« Che hai? Anche tu sei nervoso».
Anton continuò a fissare in alto le travi di legno che sostenevano la terra bruna sopra le loro teste.
« Io vorrebbe fare di più che stare qui ingabbiato».
Dara non seppe cosa rispondere, su due piedi.
Non aveva mai approfondito la sua confidenza con Anton e sentirsi tirare dentro in un discorso così privato, all’improvviso, la stordì.
Si prese qualche minuto per pensare bene a cosa rispondere: la fortuna di avere Anton come interlocutore, fu che di certo non si poteva definire un gran chiacchierone; non incalzò con affermazioni aggiuntive, né dette segno di aspettarsi le parole di Dara.
Ad ogni modo, lei riuscì a trovare la giusta tonalità per dire:
« Lo so cosa intendi. Sinceramente anche io mi sento un po’ inutile, qui».
Il giovane bulgaro voltò la testa di lato e guardò Dara negli occhi. Aveva due globi neri e intriganti, molto pacifici, che infondevano sicurezza.
« Anche tu, per davvero?»
« Si. Beh, sono molto contenta di essere al sicuro e non smetterò mai di sentirmi in debito con la famiglia di François per quello che stanno facendo per me. Però … l’anno scorso, quando siamo scappati per un pelo dai Maghi Oscuri della Bulgaria, io ero già al sicuro prima di tutti gli altri; non ero con Céline quando è morta. Ho giurato a me stessa che non sarei mai più stata lontana da un combattimento cruciale per la vita dei miei cari. E ora guardaci: io, Dario e te, siamo in Francia nascosti sottoterra; Laura è con poche altre a Hogwarts a patire le pene dell’inferno; Irene e Alice sono nascoste sulle montagne. Siamo separati e non sappiamo cosa ci succede gli uni gli altri».
Anton respirò forte, tornando a fissare il soffitto.
« Se qualcuno fa del male a Laura perché non sottostà al regime … io … io lo spezzo con queste mani, senza bacchetta. Tu ha ragione. È un tormento non sapere cosa sta succedendo alle persone che amiamo».
Dara si sdraiò sul materasso, che fece cigolare il lettino. Prese un’altra coperta di lana e se l’avvolse sulle tre che già aveva addosso.
« Credo che chiederò a François di poter parlare con la signora Amélie»
« Questa è buona idea. Molto gentile signora. Potrebbe prendere in considerazione tua proposta di aiuto».
Proprio in quel momento, i due ragazzi videro la porta di ingresso aprirsi. Era François che portava qualcosa da mangiare per la cena.
 
Dario, relativamente poco distante, dimostrava come sempre la sua meravigliosa capacità di sapersene infischiare dei problemi.
Aveva passato tutto il pomeriggio a leggere Twilight per Gabrielle Delacour, che non gli aveva permesso di fare pause.
Appena finiva un capitolo, Dario le lanciava un’occhiata interrogativa e si trovava davanti sempre lo stesso sguardo avido e languido – irresistibile, per qualunque standard – .
« Io ponso che lei sia davvero deboluscia. È svenuta pour così poco … il songue. Bah. E lui le fa veramonte troppe smanscerie. Però è così … bellissimo».
Pronunciò l’ultima parola con tono struggente.
Gabrielle si afflosciò all’interno delle sue coperte, appoggiandosi alla parete.
« Vuoi che legga un altro capitolo?» chiese Dario. Il suo tono aveva un che di docile.
« Non! Continuiamo domain. Ho paura che finisca troppo alla svelta!»
Gesticolava tantissimo, mentre parlava, come se non riuscisse ad esprimere con le sole parole la grande emozione che era per lei la lettura di quel romanzo.
« Beh. Nel caso finisse troppo alla svelta, ho anche il seguito, in borsa».
Gabrielle spalancò i suoi enormi occhi cigliati nella più splendida espressione di meraviglia.
« Esiste un dopo?»
« Uh, ne esistono tre, di “dopo”»
« Oh mon dieu, Darius! Dobiamo assolutamonte lesgerli tutti! Subito!! E come finisce?! Belle si fidonserà con Edouard? Dimmi di si!»
Dario fece di no con l’indice: « Niente spoiler. O non avrebbe senso leggere»
« Ti prego!»
« Assolutamente no»
« Allora volio un altro capitolo!».
 
Dalla schiera di letti appoggiati sulla parete opposta, qualcuno stava osservando i due lettori.
« Beh» disse François, che aveva servito la cena sul tavolo centrale della stanza, per poi sedersi con Dara e Anton: « Mi fa piascere che tu abia preso a cuore la richiesta di maman di mettere en peu di alegria a Gabrielle».
« A cosa servo io quando c’è Dario che la mette di buon umore, tanto volentieri?» grugnì la ragazza, infilandosi un cucchiaio fumante di minestra in bocca, con solennità.
François le aveva portato la cena a parte: essendo vegetariana – ed essendo un’ospite un po’ speciale – Dara riceveva spesso cibi alternativi dall’amorevole cucina di Amélie Belhome.
Quella sera era stata coccolata con una vellutata di patate dall’aria molto buona.
« L’emportante è che alla fine sia riuscita a sbloccarsi. Come sc’è riuscito Darius
« Con il magico potere della lettura dei libri per adolescenti».
Dara continuò a mangiare la sua minestra.
« Bien» convenne François, allegro.
« “Bien” un accidente. Te lo dico io che quella lì è una smorfiosa, che fa gli occhioni languidi a Dario solo per farsi leggere quel libro con le mele. Non mi sono dimenticata di come mi ha risposto, sai? E lo so che tu prenderesti le sue difese solo perché è piccola, è indifesa, è carina, è … tutto, via! Di certo sta tramando qualcosa, in quella testolina bionda».
François sospirò. Alzò vistosamente gli occhi al cielo, poi mise una mano sulla spalla di Dara: « Mansgia quella minestrina, ma belle. Mansgia, che ti si chiascia».
 
**
 
Sulla Foresta Proibita soffiava un venticello non indifferente.
Per sfuggirgli, Samantha si era rintanata nel tronco di un albero cavo.
Aveva indosso solo il mantello di Hogwarts più pesante che possedeva e si era resa ben presto conto che non le avrebbe offerto un riparo adeguato dalle nevi dell’inverno.
Quello che le impediva di morire assiderata nelle già gelide notti di novembre, era senza dubbio Esmeralda.
Il giovane Lugano aveva preso ad ardere con una fiamma molto più intensa, da quando la temperatura si era abbassata.
Samantha sapeva che non si sarebbe avvicinata mai troppo, ma aveva capito anche che la magia salvifica del suo drago arrivava fino a quel punto: l’avrebbe riscaldata a sufficienza senza farla soffrire.
« Esmy … davvero … senza di te sarei tipo morta dopo due giorni, in questa Foresta. Non abbiamo incontrato nessun ostacolo, mi hai sempre portata nelle vicinanze di corsi d’acqua, mi riscaldi … perché mi vuoi salvare?»
Esmeralda stava lì ad ardere a poca distanza dall’albero cavo, guardando la sua compagna di viaggio con la bocca semiaperta sul suo viso da rettile.
Samantha sospirò.
« Immagino che sia perché ti abbiamo fatta nascere, vero? Sai, mi ricordo bene di quando ho tradotto le rune sul tuo guscio. Abbiamo scoperto che sei una signorina, da lì. Quello scemo di Joe ti aveva abbandonata. Beh non ha di certo idea di chi si è perso la lealtà; perché di certo tu non gli vuoi bene, vero? Io non gliene vorrei. Chissà che fine ha fatto, a proposito».
Il cielo era invisibile sotto la coltre di foglie, ma il buio era diventato così intenso da far capire alla ragazza che era scesa la notte.
In più, il freddo si era intensificato.
Esmeralda sembrava il fuoco di un bivacco, che ardeva per un’unica esploratrice, sola.
Un po’ di malinconia calò sulla ragazza:
« Mi domando dove stiamo andando, Esmy. A che serve che io sia qui? Chi sto aiutando? A chi sono utile? Non credo davvero di riuscire a raggiungere Irene e Alice. Chissà dove sbucheremo, una volta fuori da qui. Sempre che tu mi stia davvero portando fuori …».
Esmeralda fissava la ragazza nei suoi soliloqui, con espressione quasi sonnolenta. Si beava del suo stesso calore.
Samantha sospirò e sorrise.
« Ah, Esmy!» esordì d’un tratto battendo assieme le mani: « Ho ancora in borsa quella simpatica carcassa di non so che uccello fosse, che ti era piaciuta tanto. Ne vuoi un altro pezzo?».
Esmeralda osservò con interesse i movimenti di Samantha, che frugava nella borsa per estrarre un fagotto fatto con una maglietta strappata.
Dilatò le narici e mosse la testa a destra e sinistra con fervente eccitazione, quando scoprì che il fagotto conteneva pezzetti di carne – alcuni ancora mezzi coperti di penne – .
La ragazza sorrise e lanciò un bel boccone all’amica squamosa.
Ammirò con un po’ di disgusto quanto quella carne troppo putrida per un umano, fosse una ghiottoneria per un drago.
Esmeralda finì di mangiare e si rivolse di nuovo alla compagna, scuotendo la testa per reclamare attenzione.
« Ne vuoi ancora? Guarda che secondo me dovresti accontentarti. Non ho intenzione di sciupare un’altra maglietta per conservare robe morte. Dai, Esmy, questa te la do domani».
Esmeralda continuò a scuotere la testa ed emise qualche ruggito stridulo.
Samantha rise:
« Ah! Me lo chiedi addirittura per favore? Allora non posso dirti di no. Tieni, piccola ingorda adorabile».
Le lanciò direttamente il fagotto, dato che la maglia non era di certo recuperabile.
Il drago saltò di contentezza attorno al suo tesoro e si buttò a capofitto nell’impresa di finire il prezioso cibo.
Samantha la guardò con affetto e sorrise fra sé e sé.
Si strinse forte nel mantello, percependo con gratitudine il calore della fiamma di Esmeralda.
In pochi attimi il rumore della mascella del drago, il frusciare delle foglie al vento e il sospiro delle enormi chiome degli alberi, divennero inudibili e Samantha si addormentò.
 


Angolo dell’autricia:
Buonasseraaaaaaaa!! <3
Volevo solo informare i miei cari lettori che è stata creata questa pagina Facebook per la nostra fanfiction.
Se andrete a mettere mi piace, vi amerò alla follia (come già faccio per il semplice fatto che state continuando a seguire la mia storia! Non vedo l’ora di pubblicare il super mega iper ringraziamento!!).
Mettete mi piace alla pagina, spammate, condividete … aiutateci a rendere questa storia più popolare!
Dentro ci troverete news di ogni genere ed avrete modo di conoscerci più da vicino!
(poi, io parlo in grande, ma in realtà non ho Facebook, quindi conoscerete la maggior parte delle altre Nate Babbane! :3 anche se sarò di certo partecipe nella gestione della pagina <3).
GRAZIE per il vostro contributo. Siete meravigliosi. Vedere le vostre visualizzazioni dei capitoli mi rende la persona più felice del mondo.
Tanto ammoreh.
Un bacissimo!

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Capitolo 17
*** l'intruso ***


L’intruso
 
Nel sotterraneo di Serpeverde faceva più freddo che nel resto del castello: la presenza delle acque scure del lago attorno alle pareti, contribuiva a rendere l’ambiente simile a una cella frigorifera.
In una camera dei dormitori del quarto anno, tuttavia, una luce innaturale faceva risplendere le lisce mura come se fosse mezzogiorno.
« Laura, quell’uccello fra poco sveglia tutti, te lo dico io»
Bofonchiò Bianca, tirandosi un cuscino sugli occhi: nonostante avesse tirato le tende del letto a baldacchino, la possente luce la disturbava.
Laura accarezzava le morbide piume luminose di Zaafira la Fenice e la guardava teneramente.
La Fenice ricambiava lo sguardo con le palpebre socchiuse, beandosi delle coccole. Le sue zampette avevano una presa salda sulla coperta voluminosa.
D’un tratto a Laura balenò un’idea.
« Andresti un po’ da Anton per conto mio?» chiese in un sussurro, facendo scorrere l’indice sulla testolina dell’animale.
Zaafira osservò attentamente la sua padrona, recependo la richiesta.
« Gli porteresti un po’ di calore, per favore? Eh Zaafira? Lui capirà che glielo mando io».
La Fenice sbatté le palpebre, poi spalancò le ali e liberò una fiamma poderosa, dentro la quale scomparve.
La stanza tornò buia come la notte.
« Oh, grazie a Merlino».
Si sentì bofonchiare Bianca, che aveva sempre la testa premuta sotto il cuscino.
Laura si tirò sdegnosamente le coperte fin sotto il mento e rispose, piano:
« Viva la sagra della sensibilità»
« Laura, dormi, vai».
Laura non ribatté. Sapeva che Zaafira era ora comparsa da Anton, in Bulgaria.
Si immaginò un’ipotetica casa in cui il ragazzo potesse abitare. Se la figurò in pietra, con le travi di legno, sullo stile di Pllovka.
Non si era fatto sentire da tantissimo tempo, ma lei sapeva che non poteva mettere a rischio né la propria vita né la sua. In Bulgaria c’erano pazzi fanatici del Mago Oscuro Grinderwald e potenzialmente gli stavano ancora dando la caccia.
Sperò che Zaafira gli fosse arrivata fra le braccia, a prendersi le sue carezze.
Poi Laura si addormentò, ignorando che la Fenice era sì a donare calore ad Anton, ma nei sotterranei di Maison Lavande.
 
« Buongiorno Sara!»
Dalla scala del dormitorio maschile stavano scendendo di gran lena Dennis e Colin Canon.
Sara si era svegliata presto, quel sabato mattina, e insieme a Palla si era messa su una poltrona della Sala Comune a guardare il caminetto scoppiettante.
Sospirò, sentendo le due dosi di adrenalina vaganti venire in sua direzione.
Palla era scappato sgambettando con le zampette ciccione, per aver solo sentito quelle voci euforiche già di prima mattina.
« Buongiorno Canon uno e due. Passata una buona nottata?»
I due, molto simili nei lineamenti del viso, presero posto nelle due poltrone ai lati di Sara.
« Si, certo. Tu invece che sei a fare?»
« In verità stavo sfogliando questo» la ragazza mostrò un libro che teneva in grembo. Con un dito stava tenendo il segno ad una pagina.
Dennis glielo sfilò di mano e lo guardò inorridito.
« Sara! Di sabato mattina ti sei messa a leggere il libro di Pozioni?!»
« Oh si! Guarda quanto è bella questa!»
Riprese possesso del testo scolastico e mostrò a Colin la pagina interessata, raggiungendo quasi i loro livelli di entusiasmo.
Colin ne studiò il contenuto e vi si aggiunse anche Dennis, sbucandogli da dietro una spalla.
« Hai visto quant’è bella?» ripeté Sara con un sorriso che andava da orecchio a orecchio.
Colin storse il naso e le sue guance assunsero una colorazione bluastra.
« Ma serve a far uscire gli organi interni dal corpo! È disgustosa!»
« Si!!» confermò Sara tirando le gambe sulla poltrona, sistemandosi in ginocchio.
« Ed è anche molto facile (eccetto per trovare gli ingredienti, che andrebbero rubati …)! Pensa se la versassimo nel tè del professor Carrow! Guarda, Colin! A quest’omino gli esce il fegato!»
Eccitata, Sara indicò la figura sul libro di Pozioni.
Dennis continuò ad essere disgustato e anche Colin, ma a quest’ultimo si accese uno sbilenco sorriso molle.
« Fico. E se gli uscisse tutto l’intestino? Come un verme gigante, dalla bocca!»
« Bellissimo!»
Sara e Colin stettero tutta la mattina a fantasticare sulla pozione degli organi interni, mentre Dennis esprimeva i suoi dubbi sulla possibile riuscita dell’impresa.
Era un piano ipotetico, Sara lo sapeva benissimo. Però era divertente lo stesso.
« Dovremmo parlarne con Neville, stasera»
« Con Neville?» Sara sbatté le palpebre.
« Si! Neville Paciock, il capo dell’ES! Credo che stasera ci sarà un’altra riunione. Magari se glielo proponiamo, riusciamo a farci rubare gli ingredienti dalla scorta del professor Lumacorno …».
Sara sapeva che era impossibile riuscire davvero a somministrare la pozione a un Carrow, però era splendidamente malvagio da immaginare. Magari ne avrebbe davvero parlato con Neville Paciock e una riunione era una buona scusa anche per rivedere Seamus Finnegan, per poter parlare ancora di Dean.
« Comunque. Noi scendiamo a fare colazione. Vieni?»
Colin e Dennis stesero gli angoli delle bocche in due identici sorrisi a trentadue denti, tendendo entrambi una mano a Sara.
« Arrivo, arrivo … però vedete di piantarla con questa cosa dello spingermi dappertutto. Non c’è bisogno che mi trasciniate!».
Sara si alzò, salutando Palla che si era ritirato in un angolo a giocare con un qualcosa di lana dall’aria molto polverosa – di certo un reperto storico di sporcizia che nemmeno gli Elfi avevano notato da secoli e secoli – .
Tutti e tre insieme scesero le innumerevoli scalinate per arrivare alla Sala Grande, imbandita per la colazione.
Alecto Carrow sedeva da sola sulla sedia del Preside, certamente a significare che ne faceva le veci in sua assenza.
Guardò con gli occhi malvagi da megera i tre nuovi arrivati, che si sedettero al tavolo in silenzio.
Dalla filata dei Serpeverde, inaspettatamente, un trio di ragazze si alzò e con nonchalance si andò a sedere fra i Grifondoro.
Questo non sfuggì alla professoressa Carrow:
« Voi tre! Che credete di fare, eh?!»
Bianca, Valentina e Laura – erano infatti loro – sbuffarono.
« Te lo dicevo che avrebbe detto qualcosa» bisbigliò Laura a Bianca.
« Siamo solo venute a dare loro il buongiorno, professoressa» esclamò Bianca a voce più alta.
« Non abbiamo infranto le regole!» aggiunse Valentina.
Alecto Carrow fece un gesto definitivo con il braccio, intimando loro di tornarsene al loro posto. Legge o no, le tre immaginarono che scambiare tavolata era qualcosa che non si potesse fare.
« E meno dieci punti a Grifondoro, per aver pensato di essere così simpatici da ospitare membri delle altre casate!».
Colin e Dennis affogarono nel cornetto che stavano deglutendo, mentre Sara disse fra i denti, a voce bassissima:
« Lasciate perdere … finché le punizioni sono punti in meno, non vale la pena controbattere …».
Dall’altro lato, Valentina, Bianca e Laura non erano così insoddisfatte: erano riuscite nel loro intento.
« Sara ci informerà non appena sarà cambiata, vero?» bisbigliò Valentina, guardandosi alle spalle per sincerarsi che la Carrow non le guardasse più.
« Si, ma dovremo trovare modi un tantino più subdoli che “ehi, andiamo a sederci con i Grifondoro a parlare con i nostri amichetti”» ribatté Laura, davanti la sua tazza di caffè fumante, che le appannava gli occhiali.
« Oh, senti. Non avevo altre idee. Ci ho provato» sbuffò Bianca.
Si erano infatti messe d’accordo: Sara avrebbe fornito loro tutte le parole d’ordine per l’accesso alla Torre di Grifondoro. In caso il sotterraneo fosse diventato un covo di Mangiamorte Junior assetati di sangue, almeno per un po’ le tre potevano contare su un posto sicuro dove nascondersi.
« Gamp, la scappatella non è riuscita?»
Una voce odiosa le fece sobbalzare tutte e tre.
Il Prefetto Pansy Parkinson rideva di loro insieme a un'altra con il distintivo “P”, bionda, dall’espressione patetica.
« Si, si. Tutto riuscito. Sono fuggita, questo in realtà è solo un ologramma».
Laura e Valentina sghignazzarono, mentre la Parkinson alzò un labbro disgustata, senza aver capito, per poi tornare alla sua colazione.
 
**
 
« Satanaré, Alice, sei sempre lì?!»
« Vado, vado subito signora …»
« Signora?! Signora, satanaboia?! Sono nonna Climene, budello delle salsicce! Alice, ma ancora non ti sei alzata?!».
« Scusami nonna Climene, sono in piedi, guarda! Mi metto la giacca e vado!»
Erano le otto di mattina.
Nonna Climene aveva acceso il fuoco nel caminetto per sciogliere la cioccolata, ma aveva bisogno del latte.
Dato che ormai Alice era l’unica e la sola responsabile delle capre, la signora Martin aveva deciso di buttare giù dal letto la diretta interessata per mandarla a mungere.
Alice in un minuto fu in piedi con la sua coperta di lana addosso e si fiondò nel corridoio. Ridacchiò quando la nonna le dette una gran pacca sul sedere per farla sveltire.
« Stai correndo?!»
«Sto volando!» rise Alice ancora più forte.
« Mi prendi per il culo?!» risuonò dal corridoio ormai lontano.
Alice si stava sganasciando dal ridere, da sola, mentre apriva la porta ed usciva nel gelo del mattino di montagna.
Continuò a sghignazzare pensando a quanto volesse bene a quella donna folle che era nonna Climene e sempre col sorriso sulle labbra si avviò verso la rimessa delle capre, portandosi dietro un secchio di latta.
« Calcabrina, cicciona mia? Draghignazzo? Barbaricc….»
Si zittì all’istante.
C’era un uomo.
Di spalle, alto avvolto in un mantello nero.
Mentre il sangue le si gelava nelle vene e le mani perdevano la presa sul manico di latta, il primo pensiero della ragazza volò ai Mangiamorte.
Il secchio le scivolò dalle dita e l’intruso si voltò.
Ci furono troppi fattori concomitanti, per impedire alla ragazza di lanciare un grido di sorpresa.
Come aveva fatto a trovarli? Cosa voleva? Riusciva a vederla e sentirla nonostante l’Incanto Fidelius? Ma soprattutto … cosa ci faceva lì, Joe?




--
ci mettete un mipiacino sulla paginina? *occhioni*
se ci volete bene (NOI VE NE VOGLIAMO <3 <3) passate di
qua.
Oppure anche no. amen. 
ci vediamo il prossimo capitolo? <3

 

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Capitolo 18
*** la storia di Joe ***


La storia di Joe
 
Joe continuò a fissare in direzione di Alice, anche se la sua pupilla pareva persa nel vuoto.
La sua pupilla, perché l’altra … non c’era. Una cicatrice longitudinale, lucente (evidente conseguenza di una magia), gli attraversava  la parte destra della faccia, passando per l’occhio, e arrivando fino alle labbra.
Alice non sapeva come comportarsi e aspettava che fosse Joe a dire qualcosa.
Lui rimaneva lì, fisso, a guardare verso di lei in maniera strana.
 
« Alice, cos’è successo, bambina?»
Nonna Climene, accompagnata da nonno Theus, arrivava di gran lena in suo soccorso. Di certo avevano sentito il fracasso del secchio di latta caduto a terra e l’urlo di spavento.
Entrambi avevano la bacchetta sfoderata.
« Porco di un satana lercio! Theus!! I Mangiamorte! »
« Alice vieni via, cori!»
Joe in tutto questo era rimasto impassibile e continuava a squadrare il panorama con occhio indagatore.
Nonna Climene prese Alice per un braccio, mentre nonno Theus roteava la bacchetta prima di pronunciare l’incantesimo.
« No! Fermi! Non è un Mangiamorte! Fermi! Io lo conosco!»
Il nonno fermò la mano.
Nonna Climene guardò Alice esterrefatta.
« Lo conosci
« Si, si! Conosce anche tua nipote! Non è un Mangiamorte … anche se è un idiota. Però, davvero, non fategli del male. Ma … lui non ci vede?»
« Siamo sotto l’Incanto Fidelius, satanaré, come pensi che faccia a vederci? Siamo dentro i confini della casa!»
Alice notò la staccionata di legno che circoscriveva le due abitazioni: se fosse uscita da quel limite, Joe l’avrebbe potuta vedere.
Irene arrivò di corsa, con Tegamina sulla spalla.
« Cosa succede? Uh! Ma quello chi … oh! Ma è Joe!».
Nonna Climene guardò alternativamente Alice e Irene in faccia, come chiedendosi se stessero scherzando o se davvero conoscessero quell’individuo dall’aspetto poco raccomandabile.
« Theus, cosa facciamo?» aveva un tono insolitamente preoccupato.
Nonno Theus stava per rispondere, ma non fece in tempo ad aprire bocca che Joe incominciò ad urlare:
« Martin! Climene e Prometheus Martin! Siete qui?! Conosco vostra nipote Valentina! Posso essere d’aiuto!».
Irene, Alice e i due nonni guardarono sbigottiti verso di lui.
Dunque non li stava vedendo, anche se erano a pochissimi metri di distanza. Se non fossero stati tutti preoccupati, la scena poteva avere un che di comico.
« “posso essere d’aiuto” è un’antifona nuova dalla sua bocca …» bisbigliò Alice verso Irene.
Joe si guardò intorno un’ultima volta, poi prese la bacchetta.
« Si Smaterializzerà! Nonna Climene, ti prego! Passiamogli il segreto, facciamolo entrare!» implorò Irene.
« Beh se vi fidate di questo disgraziato …» brontolò la nonna. Lanciò uno sguardo di conferma a nonno Theus, che si avvicinò lestamente all’altro uomo.
Gli pose una mano sulla spalla e Joe fece uno schizzo di spavento poiché, ai suoi occhi, un signore anziano gli era come comparso davanti dal niente.
Con l’occhio buono, si guardò nuovamente intorno, intontito: ora poteva vedere le due abitazioni e le altre persone presenti nel giardino.
 
« Voi!»
« Joe!» lo salutarono con animo Irene e Alice. Erano stranamente felici di rivederlo. Non ne avevano più saputo niente da quando era morta la povera Céline. Dalle circostanze in cui l’avevano lasciato, non era da escludere che anche lui ci avesse rimesso la pelle.
Lui squadrò ben bene l’ambiente circostante.
« L’altra ragazzina sta bene?»
« Valentina è a Hogwarts. Teoricamente si, sta bene … ma tu? Cosa ti è successo in tutto questo tempo?» Irene lo fissava cercando di apparire estremamente seria. Tegamina le balzellava sulla spalla e rendeva vano ogni tentativo.
« Insomma vi conoscete tutti e invece io e Theus non sappiamo una mazza! Che vi pare il caso di entrare e scaldarci un po’? Stavo facendo la cioccolata ma a questo punto, budello di un satana, si sarà bruciato ogni bene».
Joe lanciò un’occhiata sbieca all’anziana signora, ma non disdegnò la proposta di entrare in casa.
Sulla via del ritorno, i Baston si affacciarono sulla porta:
« Cosa è successo?» chiese la signora, dando l’aria di non fidarsi minimamente del nuovo arrivato.
« Te lo spiego fra poco, quando anche io saprò qualcosa, demonio ladro»
Rispose Climene, facendo entrare gli ospiti e infine sbattendo l’uscio con vigore.
I Baston rimasero sbigottiti e decisero che entrare ad ascoltare le nuove dello straniero fosse una buona idea. Bussarono alla porta dei Martin e si fecero aprire da nonno Theus.
 
« Io non ce l’ho la cioccolata per tutti, pio ciuco1
Grugnì la padrona di casa, constatando che anche i tre vicini si erano seduti al suo tavolo.
Nel calderone, la cioccolata calda era diventata praticamente uno strato di ruggine bruciacchiata, che la nonna grattò in quattro tazze; ci buttò sopra un po’ d’acqua e brontolando fra sé e sé, vi eseguì un incantesimo che rese la bevanda più presentabile e simile a quello che doveva essere.
Solo i ragazzi e Joe poterono beneficiarne, perché in casa non c’erano altre tazze.
« E ora figliolo, raccontaci chi sei e che cosa sei venuto a dirci»
Intervenne nonno Theus, grattando la sedia per terra mentre si sedeva.
Joe sorseggiò la sua cioccolata avidamente, poi guardò uno ad uno i suoi ascoltatori: Alice e Irene erano le uniche a non apparire preoccupate. Il ragazzo, che non conosceva, insieme agli anziani, invece, esibivano un’inquietudine manifesta sui loro volti.
« Sono Jonathan Blusvich. Le ragazzine, qui, mi conoscono come Joe …»
« AH!» interruppe nonna Climene con un sobbalzo. Tutti gli sguardi ruotarono verso di lei.
« Ho capito! Sei quello su cui mia nipote si fa le fantasie! Insomma, quello dei draghi!»
Joe assunse un’espressione quasi turbata.
« Uhm … si, quello dei draghi … »
« COME TI SALTA IN TESTA di trafficare draghi illegalmente e di scaricare la colpa su mia nipote, satanabioa di un diavolo! Potevano mettermela ad Azkaban! Ma nel cervello che c’hai?! Èh? Il budello rattrappito di un babbuino-drago!»
« Ehm … cara, fallo parlare, su … queste sono cose successe anni fa …»
Nonno Theus dette un colpetto sulla spalla alla moglie, sorridendo imbarazzato.
« Fallo parlare? FALLO PARLARE?! È quello che ha cercato di rimediare ai danni con quell’invito al campus in Romania! Ma io lo sapevo che avrebbe combinato qualche altro danno! HAH! Non ci casco! E non ti approfittare degli occhioni a cuore di mia nipote, eh!»
Con profonda riluttanza, Joe distolse lo sguardo da nonna Climene.
« A sua discolpa possiamo dire che ultimamente ci ha aiutate … è stato un idiota, si, ma si è dimostrato capace di cambiare»
Alice sapeva che nonna Climene aveva un debole per lei, quindi se si fosse dimostrata favorevole nei confronti di Joe, magari anche la nonna sarebbe stata clemente.
Infatti, grugnì con una poco convinta scossa di testa e non commentò oltre, proprio come Alice aveva sperato.
Joe fissò l’interno della sua tazza fumante e ricominciò:
« Si, il mio lavoro è legato ai draghi e alle Creature Magiche Pericolose in generale. Sono uno del Ministero, anche se il mio raggio d’azione è piuttosto libero. In ogni caso … dopo alcuni avvenimenti piuttosto drammatici che mi hanno coinvolto in Bulgaria, lo scorso dicembre, mi sono dovuto ritirare in un posto sicuro. Potevo essere ricercato … ma questo non per azioni illegali!» specificò notando lo sguardo assassino di nonna Climene; « Ero in missione per conto della resistenza a Voi-Sapete-Chi».
Lanciò un’occhiata complice ad Alice e Irene, che annuirono lievemente, decidendo di reggergli il gioco.
« Mi sono dunque ritirato in un luogo nascosto, e ci sono rimasto per diverso tempo. Però … ammetto che … ero preoccupato».
Né Alice né Irene avevano mai sentito quel tono di voce da lui: la sua espressione era come frustrata e la presa sulla tazza fumante si era fatta ferrea.
« Preoccupato?»
Chiese la signora Baston.
« Si. Ero preoccupato per quel branco di ragazzini che mi avevano tirato dentro la missione. Mi dispiace rovinare un castello ben costruito di bugie, magari in buona fede, però devo essere onesto e ammettere che …»
« Che siamo noi quel gruppo di ragazzini. È vero, nonna Climene. Lo scorso dicembre siamo stati con lui in Bulgaria. Per una buona causa»
La voce calma di Irene concluse la frase di Joe. Ora gli occhi erano puntati su di lei.
« In Bulgaria? A fare che, diavoloboia?»
La nonna fissò Irene a lungo, ma visto che né lei né Alice parevano intenzionate ad aggiungere altro, sbuffò: « ma bene. Qui sono l’ultima a venire a sapere delle cose, cerbero cane»
« Eri preoccupato per noi, Joe?» chiese Alice, per riportare l’attenzione sul racconto del nuovo arrivato; era sinceramente colpita dalla piega che aveva preso il suo discorso.
Joe rispose: «Si. Lo ero. Vi avevo lasciati in delle condizioni non troppo belle …     e mi pareva di aver visto un incantesimo poco bello aggirarsi dalle vostre parti.»
« Beh. Non possiamo darti torto. Diciamo che noi abbiamo avuto fortuna …» commentò Irene senza lasciar trapelare troppi dettagli, per paura che nonna Climene esplodesse di nuovo.
« Sono stato in pensiero ogni singolo giorno, ragazzine. Per voi. Diciamo che mi sentivo la responsabilità addosso … ho temuto che fosse accaduto qualcosa di terribile a qualcuno di voi … mi sono immaginato scene di un tribunale in cui tutti facevate il mio nome …»
« In pratica avevi paura per la tua pellaccia, come al solito?» sbuffò Irene, con la stessa espressione seria – ugualmente vanificata da Tegamina – .
Joe rispose deciso: « No, mocciosa. Non è solo questione della mia pellaccia. Ero davvero preoccupato. Siete un branco di ragazzini incoscienti e scavezzacollo! Ho pensato a come non vi è fregato nulla della vostra vita per salvare quella del vostro amichetto bulgaro e … sinceramente … credo che fino ad ora io non avessi mai considerato di potermi comportare in maniera simile. Se sono tornato qui in Inghilterra è solo perché volevo essere certo che tutte voi steste bene e … che … non vi accadesse nient’altro di brutto. Ero pronto a venirvi a soccorrere, in qualunque guaio vi foste cacciati. Perché ero certo che c’era almeno un guaio. Da quando vi conosco non fate che importunarmi con i vostri guai e puntualmente è sempre colpa mia.
« In ogni caso, sono tornato qui e ho visto quanto la situazione sia degenerata: Voi-Sapete-Chi ha vinto. Il ministero è suo. L’ho capito in due secondi io che me n’ero stato per mesi in Sudamerica … e ancora sento gente che parla di “poche certezze”. Vedo Mangiamorte che camminano liberamente per le strade di Londra, persone che usano Maledizioni Senza Perdono alla luce del giorno, Dissennatori a piede libero … questa è la guerra. Sono venuto a sapere della caccia ai Nati Babbani e ai clandestini. Mi sono immaginato che di certo voi piccole invasate eravate troppo ribelli per sottomettervi al sistema, quindi non mi è venuto in mente nemmeno lontanamente di venire a cercarvi ad Azkaban … o a Hogwarts.
« Sapevo che la famiglia dei Martin viveva da queste parti … lo sanno in tanti, siete quelli famosi che hanno avuto dei figli Mangiamorte, no? Temevo per vostra nipote che è purosangue e ha questa storia di famiglia poco piacevole. Temevo che potesse essere presa di mira da qualche Mangiamorte. Ho chiesto giù a Coniston se mi sapevano indicare il luogo preciso e così mi sono Smaterializzato. Avete fatto bene a proteggervi con l’Incanto Fidelius, una saggia decisione. Ma gli altri dove sono?»
« Al sicuro. Ti basti sapere questo. Meno informazioni dilagano e meglio è» Concluse nonno Theus con ferma gentilezza.
« Ti siamo comunque grati per la tua preoccupazione. Che cosa intendi fare, adesso?»
Joe alzò finalmente lo sguardo ed era così indurito che probabilmente nascondeva dietro questa muraglia, qualche arida lacrima di commozione che mai sarebbe scesa.
« Tutto quello in cui posso esservi utile. Posso aggirarmi nelle città e portarvi informazioni, oppure tutto quello che può farvi piacere. Non ho più un lavoro, perché al Ministero, col cavolo che ci metto piede. Sono a completa disposizione di voi e di me stesso».
Nonna Climene era ancora arrabbiata per la faccenda dei draghi e della Bulgaria, ma Theus gli sorrise con gratitudine.
« Allora attenderemo tue notizie. Vai pure in città e fai attenzione. Stai attento a non farti seguire dai Mangiamorte e, se posso darti un consiglio, tienici alla tua pellaccia». Gli strizzò amichevolmente l’occhio.
Joe annuì e si alzò dal tavolo.
« Allora a presto»
Poi si Smaterializzò con un rumoroso crack.
 
 
 
 
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1 pio ciuco: un a sorta di offesa-fusione-omaggio ad una cara persona che io e Sarina conosciamo molto bene ;) somiglia un po’ a nonna Climene. (ho fatto anche la rima, LOL).
 
Questa è la nostra PAGINA FACEBOOK. Dalla regia mi dicono che i mi piace sono tantissimi e io vi adoro tutti quanti!! Purtroppo io non ho facebook, quindi non potrete interagire direttamente con me, però non potete perdervi i post mirabolanti delle altre Nate Babbane!
C’è la meravigliosa e pazza Dara! Sarina! Moris&Boris che pubblicano COSEH; Bianca-Nera-Rossa-Arcobaleno- etc (? ) che pubblica disegni!
Passate a salutarci! Un bacione!

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Capitolo 19
*** rapimento ***


Rapimento
 
Non sembrava vero a Hogwarts, quando vennero annunciate le date delle vacanze di Natale.
Gli studenti reagirono con estremo stupore: gli permettevano davvero di tornare a casa?
 
« Non temete. La frequenza resta comunque obbligatoria» diceva con amarezza Neville Paciock durante l’ultima notte che i Grifondoro avrebbero passato nel castello, prima di tornarsene dalle proprie famiglie.
« Se volete che i vostri parenti siano al sicuro, così come lo erano fino ad ora, vi conviene tornare a Hogwarts, dopo le vacanze. Oppure diventerete clandestini e ricercati».
Sara sedeva sul materasso di un letto a baldacchino, schiacciata fra Colin e Dennis Canon.
« Pensi che gli studenti ritorneranno? Questo posto è un inferno»
Sospirò Dennis, anche se sembrava più eccitato che sconfortato.
Sara lo guardò di sbieco: « Perché me lo chiedi con quel tono? Voi cosa farete, scusa? Non è ovvio che vi nasconderete? »
Colin e Dennis risposero con un sorriso smagliante: « Ovvio che torniamo!»
« No! Siete Nati Babbani, ragazzi … scappate! Mettetevi al sicuro …»
« E ti lasceremmo qui da sola?»
« E ti lasceremmo tutto il divertimento di suonarle a quei primini di Serpeverde?»
« E di ribellarsi ai Carrow?»
« E di aiutare l’Esercito di Silente?».
Sara voltò la testa a destra e a sinistra per squadrare nei loro occhi quella folle euforia.
« Non stiamo giocando, siete pazzi! È già una fortuna che la Umbridge non vi abbia fatti rinchiudere ad Azkaban all’inizio dell’anno!»
Colin e Dennis cinsero entrambi con una mano le spalle di Sara.
« Non possiamo lasciarti sola! Vogliamo fare un po’ di casino!» ripeterono, dopodiché uno seduto davanti a loro li zittì con uno “shh” piuttosto violento: Neville Paciock stava ancora parlando, ed era affiancato da Ginny Weasley.
Sara la guardò e provò di nuovo quell’antipatia repressa da tempo nei suoi confronti: lei che era stata la ragazza di Dean Thomas e l’aveva trattato come niente per cadere fra le braccia di Harry Potter. Sara era riuscita a diventarci amica e a parlare con lui solo per i pochi giorni di scuola rimasti, prima di quell’estate terribile. Lei, Ginny, aveva potuto stargli vicino per tanto tempo e chissà come avrebbe reagito se Dean fosse stato ancora il suo ragazzo. Nessuno aveva idea di dove fosse, nemmeno se fosse ancora vivo. Oh, certo, valeva lo stesso per Harry Potter, il Prescelto, la salvezza che Neville Paciock sempre esaltava. E allora che ci faceva ancora lì, quella Weasley, a fare la reginetta della scuola? Sara avrebbe voluto poter fare qualcosa di più del semplice sopravvivere alla dittatura di Piton. Voleva fare come Dean, come i Nati Babbani, come l’Ordine della Fenice: essere fuori a mettere i bastoni fra le ruote ai Mangiamorte che davano loro la caccia. Evidentemente questo non era il suo ruolo, per adesso. Ma se in un qualsiasi momento si fosse presentata l’occasione di sfoderare la bacchetta e di lanciarsi nella mischia, di certo sarebbe scattata in prima linea.
Salutò con la mano il ragazzo di nome Seamus, il migliore amico di Dean Thomas, e si scambiarono un sorriso amaro.
 
**
 
« Sono esattamente due Natali che mento alla mia famiglia su dove sto andando»
Bianca trascinò il suo baule e la gabbia di Viktor dentro uno scompartimento del treno.
L’Espresso di Hogwarts era pieno satollo, esattamente come per il primo giorno di scuola. Presumibilmente nessun ragazzo era rimasto al castello per le vacanze.
« Se ti senti in colpa, Bianca, puoi sempre andare a casa»
Le rispose Sara, già seduta, con in braccio Palla.
« Col cavolo» Bianca posò Viktor e Baule sul pavimento in mezzo ai sedili e si buttò di peso sulla poltroncina, sfinita: « io in quel covo di Serpevedre convinti non ci vado. Già mi tocca convivere con quella gente a scuola … e di certo zia Austere sarebbe venuta a farmi le prediche sul mio comportamento indisciplinato».
« Valentina, tu però potevi andare dai tuoi nonni … così poi potevi salutarci le ragazze» bisbigliò Laura, dolcemente.
Valentina fece comunque segno di far silenzio: « Non parliamo troppo di questo argomento ad alta voce … non voglio che i nonni abbiano problemi. In ogni caso no, Irene, Samantha e Alice sono già in tre e la casa non ha abbastanza posto per un quarto ospite. Ho scritto a mia nonna una lettera stamattina, per dirle che vado in Irlanda da Sara».
« Ah. A te fanno spedire le lettere? Le mie restano sempre ferme alla zampa di Viktor» mugolò Bianca, dalla sua comoda posizione.
« Di certo perché scrivi cose che i Carrow non vorrebbero che uscissero dalle mura del castello. Gazza ha il compito di leggere tutto quello che gli studenti provano a spedire» rispose Sara, che aveva ricevuto quell’informazione in una riunione dell’Esercito di Silente.
Bianca incrociò le braccia: « Bah. Ci sta che abbia offeso qualcuno, è probabile … in ogni caso non mi è mai riuscito spedire niente. Né mi è arrivato altro che non i rimproveri dei miei per le mie innumerevoli punizioni. Non ho potuto parlare per niente con Adrian. E pensare che è così gnocco … ah, non sboccerà mai niente, se continuo di questo passo».
Rise amaramente, come fanno gli eroi dopo le battaglie.
Il treno prese velocità con fatica, sbuffando e sferragliando. Il paesaggio brullo si sostituì alla vista del castello.
Pian piano, il sole pallido fece capolino da dietro le fredde nuvole.
Il tempo passava lentamente e nessuno aveva troppa voglia di parlare, se non quando Laura interruppe il silenzio.
« Secondo voi va tutto bene? Fuori, intendo. Le ragazze e Dario staranno bene?»
« Non parliamone finché siamo sul treno, Laura …» sibilò Valentina, scrutando il vetro della porta che dava sul corridoio.
« Comunque, sul Profeta non si è letta nessuna catastrofe, ultimamente» esclamò Bianca con un’alzata di spalle.
« Oh, andiamo, Bia! Leggi il Profeta?! Dovresti ascoltarla di più Radio Potter, per capire che è spazzatura! Sono dei venduti a Tu-Sai-Chi! Neville Paciock ci ha detto che se vogliamo tenerci informati dobbiamo leggere …»
In quel momento un vociare sguaiato attirò l’attenzione di tutte e quattro.
Si sentì un rumore di sporti che si aprivano, passi e grida; poi alcune voci prepotenti urlavano sopra le altre.
Sara, coraggiosamente, fu la prima ad alzarsi e ad aprire la porta scorrevole per affacciarsi sul corridoio. La seguirono immediatamente anche le Serpeverde.
 
« Lasciatela stare! Stupeficium
« Ah! Indietro ragazzo! Crucio
Neville Paciock si accasciò gridando, sul pavimento del corridoio.
C’erano tre Mangiamorte, avvolti nei loro mantelli neri, a faccia scoperta, che tenevano per i capelli una ragazza bionda dalla divisa di Corvonero.
« Ma non è quella che era stata in punizione insieme a Ginny Weasley?» bisbigliò Laura, terrorizzata.
Le altre non risposero, perché erano troppo prese dalla scena terribile che accadeva davanti ai loro occhi.
« State tutti indietro! E soprattutto, ascoltate! Ascoltate molto bene!»
Gridò uno dei tre Mangiamorte, puntando la bacchetta in avanti.
« Questa ragazza, sapete chi è? No? È la simpatica figlia del simpatico Xenophilius Lovegood. Il suo papino è il direttore di quel fogliaccio che viene stampato sotto il nome di “Cavillo”. Vi dice niente?»
Mentre quello sghignazzava così, quello che teneva la Lovegood per i capelli stringeva la presa, con sguardo truce. L’altro controllava che nessun ragazzo tentasse di ribellarsi e intimidiva tutti con la bacchetta sguainata.
« La signorina Luna Lovegood pagherà per quello che suo padre scrive su quel maledetto giornale. Volete sapere cosa accade a quelli che si ribellano al grande Signore Oscuro? Ecco cosa succede!»
L’altro Mangiamorte strinse ancora la presa sui capelli della ragazza, che non strillava, come avrebbero fatto migliaia di altre ragazze, ma aveva gli occhi gonfi di lacrime.
Ginny Weasley galoppò nel corridoio e lanciò una fattura con rabbia, ma il terzo Mangiamorte, la bloccò con facilità.
« Indietro ho detto! Crucio
« Voi non le farete del male!» gridò la ragazza, contorcendosi a terra.
« Oh io invece credo proprio di si. State in guardia, piccoli ragazzini, e fate in modo che lo siano anche i vostri parenti, oppure questa è la fine che vi tocca …»
Con una risata dal gusto veramente orrendo, i Mangiamorte si Smaterializzarono, portando  Luna Lovegood con loro.
Lasciarono il corridoio del treno in balia al silenzio di terrore, che riecheggiava soltanto del crack appena risuonato.

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Capitolo 20
*** arrivo a destinazione ***


Arrivo a destinazione
 
Il rifugio di Maison Lavande si era praticamente svuotato: il Natale si avvicinava e molti ospiti avevano deciso di cercare la propria famiglia, invece di rimanere nascosti.
Madame Belhome aveva insistito perché non andassero via: era estremamente pericoloso uscire fuori, alla mercé dei Mangiamorte e dei Ghermidori (bande che cercavano di far soldi consegnando Nati Babbani e traditori del sangue, visto che il Ministero Inglese aveva accordato una ricompensa per ogni cattura).
Nessuna preghiera era valsa, neanche quella di Gilbert Belhome, che aveva tenuto una sorta di comizio per spiegare quanto fosse necessario rimanere nascosti.
Il signore con l barba lanosa che leggeva sempre la Gazzetta del Profeta, se ne andò in cerca della moglie Babbana. Salutò anche Dara e Dario, augurando loro tutta la fortuna del mondo.
Chi invece non si sarebbe mai schiodato da lì, era Cris Vaselly col figlioletto. Anche loro si impegnarono nella campagna di “restiamo tutti insieme appassionatamente”, cercando di convincere gli altri rifugiati a non scappare.
Ovviamente il risultato fu che da quanti erano, rimasero nel nascondiglio soltanto Dara, Dario, Anton, Cris Vaselly, il figlio e Gabrielle Delacour.
Molti promisero di tornare, anche perché non era facile trovare un porto sicuro come Maison Lavande, in tutto il mondo.
 
« Non so quanto sia piascevole , povera bambina, che tutti li altri se ne siano ondati. I suoi paronti non si sono fatti vivi. Non sapiamo nionte…»
Dara e mamma Belhome, stavano addobbando il rifugio con delle stelline luminose. Amélie era in bilico su una scala, mentre Dara le passava i decori da terra, prendendoli da una scatola.
« Beh. Di certo qui non ci sta male» commentò, mentre allungava il braccio per raggiungere quello della signora.
« Oh, Darà. Scerto che non sci sta male, però nemmeno bene. Sembra che non sci sia nessuno che tiene a lei. Come vorrei trovare il modo per rintrasciare almeno i suoi sgenitori … ».
Dara lanciò un’occhiata all’angolino di solitudine, ormai condiviso, di Dario e Gabrielle: stavano ancora leggendo Twilight, anche se si avvicinavano alla fine. Lei sorrideva graziosamente, anche se le pesanti occhiaie scurivano sempre quel volto che sarebbe stato magnifico. Dario le leggeva con animo e ogni tanto si fermava ad ascoltare i suoi commenti.
Anche mamma Amélie si era fermata a guardarli.
« Meno male che Darius è riuscito en peu a distrarla, con quei libri. Sono divontati amisci. Le fa bene, povera piccola».
Dara commentò con un mugolio abbastanza neutro.
Amélie sorrise in silenzio, guardandola di sbieco.
 
« Darius, quonte pasgine moncano alla fine?»
Gabrielle strattonò con foga la spalla di Dario.
« Ancora due capitoli … vedrai che oggi lo finiamo!»
« Oh! Non! Alora smetti di lesgere! Continuiamo domain!»
Dario rispose di malavoglia il volume. Era inutile dirle che aveva anche il seguito, in borsa: Gabrielle si agitava un sacco, quando pensava che tra poco avrebbero raggiunto la fine del libro.
« Va bene. Allora cosa vuoi fare?» chiese il ragazzo, abbandonandosi contro la parete grezza.
« Non vuoi ondare ad aiutare la tua amica a sistemare le decorassioni de Noel?».
Dario lanciò un’occhiata pigra verso Dara e Madame Belhome, in lontananza. Sembravano così distanti …
« Nah, non credo di averne voglia. Non hanno bisogno di me, sono già in due»
« Sei uno sconsa fatiche, Darius!» cinguettò Gabrielle, mostrando un sorriso luminoso.
Dario alzò le spalle.
« Su!! Darius, decoriamo onche noi! Vado a prondere qualche stella dalla siniora, così le mettiamo qui!» esclamò la ragazzina, saltando su come una cavalletta.
Svolazzò con grazia per tutta la lunghezza de rifugio, fino a raggiungere Madame Belhome e Dara.
Dario notò quanto fosse magra, osservando durante quella corsa, le pieghe della largheggiante felpa fornitale da François.
Quando ritornò, era raggiante come le stelle che si era guadagnata: ne lanciò una manciata su Dario e si arrampicò su un letto per arrivare a decorare il muro più in alto possibile.
« Sei un po’ iperattiva o sbaglio?» chiese Dario ridendo fra sé.
Gabrelle si voltò, con gli occhi inaspettatamente – di nuovo – tristi: « Pour favor, Darius. Aiutami … è il primo Noel che passo da sola. Magari se riesco a stare felisce, anche mia mamma lo sarà. Dovunque si trovi. Noi siamo persone mortali e dobiamo avere le nostre speronze. Quel Siniore Oscuro vuol far finta di essere immortale, ma tonto prima o poi sci sarà la fine onche per lui. Noi non dobiamo perdere la speronza, non possiamo essere tristi!».
E per evitare che anche solo una lacrima osasse riempire quegli occhioni grandi e chiari, Dario scattò subito in piedi e si impegnò fino allo stremo delle forze nella missione di abbellire il rifugio con le stelline luminescenti.
 
**
 
Dicembre era gelido e tagliente, anche in Inghlterra.
Eppure, all’interno della Foresta Proibita, anche se ormai erano così lontane da Hogwarts che nemmeno sapevano se si poteva più chiamare così, due amiche trottavano di gran lena, senza patire un briciolo di freddo.
Era da tutta la mattina che Esmeralda camminava con convinzione,  tanto che Samantha faticava a starle dietro.
Si era evidentemente svegliata con un’idea ed aveva una gran fretta di metterla in atto.
« Ehi Esmy, rallenta!».
Il drago sgusciava abilmente fra i rami nodosi e i cespugli, senza badare ai richiami della ragazza.
« Esmy! Aspettami!»
Poi però Samantha sentì dei rumori, vicinissimi.
Si spaventò e si fermò, incapace di fare altro se non stare immobile in mezzo alle frasche secche.
Sparita la luce di Esmeralda, se n’era andato anche il calore bonus; così la ragazza si strinse nel mantello logoro e dalla sua bocca iniziò ad uscire una nuvoletta di vapore ad ogni sospiro.
 
«Avete sentito?»
« C’è qualcuno qui!»
« Veniva da là dietro!»
Samantha si portò una mano alla bocca e sentì il cuore martellarle dentro le orecchie.
La luce di Esmeralda non si vedeva da nessuna parte e all’improvviso i rumori di persone in avvicinamento e foglie spostate furono a un passo di distanza.
Non c’erano vie di fuga, né ci furono istanti per pensare.
Dalla folta vegetazione, Samantha scorse alcune figure umane che la videro palesemente.
 
« È qui!! È qui!»
« Prendi la bacchetta, Robin!»
Samantha indietreggiò, terrorizzata, annaspando con una mano per trovare la propria bacchetta nella tasca dell’uniforme stracciata.
Sentiva voci e passi da ogni direzione e a un certo punto qualcuno gridò:
« Fermi! Fermi! È una ragazza!»
Ma i due con la bacchetta sguainata continuavano ad avvicinarsi minacciosamente.
« Fermi idioti! Ho detto fermi! Mettete giù quelle bacchette! È una ragazzina! Fermi!».
La voce cui Samantha fu immensamente grata, proveniva dalla sua destra: si voltò con le pupille dilatate dalla foga e vide una faccia umana che le sorrideva, amichevole.
Come pietrificata, non si mosse quando questi le venne incontro e l’aiutò con molta gentilezza ad alzarsi. Sentì a fatica la pressione che le mani estranee attorno ai suoi polsi esercitavano.
« Chi sei, ragazzina?»
« Che diavolo ci facevi là dentro, eh?»
Quelli con le bacchette – abbassate – in mano, avevano toni sprezzanti.
Samantha era confusa e spaventata. Si guardò intorno in cerca di Esmeralda, ma la Foresta era buia come la notte, eccetto per i raggi di sole che filtravano dai rami nodosi.
« Volete stare un po’ zitti, voi due? Ma non lo vedete che è sotto shock?».
Quello che l’aveva fatta alzare, le era ancora vicino e istintivamente Samantha lo percepiva come il bene assoluto.
Le si rivolse con molta calma e gentilezza:
« Come ti chiami?»
Chiese cortesemente.
« Samantha» rispose lei, quasi senza accorgersene.
Uno di quelli alle sue spalle gridò: « Allora parli, eh? Ti ho chiesto che ci facevi lì nascosta! Ci stavi spiando?».
Samantha voltò la testa di scatto verso quello che aveva parlato, sgranando gli occhi, sempre più frastornata.
« Le faccio io le domande qui. Mi fate il piacere di stare zitti, teste di acciuga?».
Quello gentile le mise una mano sulla spalla e la fece di nuovo voltare.
« Stai tranquilla, Samantha. È tutto apposto ora. Noi non siamo Mangiamorte, se è quello che ti fa paura. Siamo persone per bene. È tutto finito, non hai da avere paura. Ti proteggiamo noi».
Presa dal disarmante tono di rassicurazione, Samantha si commosse e scoppiò a piangere, abbracciando con foga quella persona così buona.
« Oh, accidenti. No, Samantha, non piangere … devi stare tranquilla. È tutto passato, qualunque cosa ti sia successa. Ma … hai l’uniforme di Hogwarts? Cosa … come hai fatto a ritrovarti quaggiù?».
Mentre lei si sfogava, lui le accarezzava i capelli ribelli, pieni di foglie. Gli era evidentemente caduto l’occhio sul distintivo mezzo strappato, ancora visibile sul mantello dell’uniforme.
Rendendosi conto che quello era forse un comportamento poco appropriato da tenere in compagnia di umani, Samantha si asciugò in fretta gli occhi, singhiozzando pesantemente. Riuscì a farfugliare:
« Si. I. Mangiamorte. Mi … Mi volevano. Catturare. Ho. Percorso. La … la Foresta Proibita».
« La Foresta Proibita? Quindi questo bosco arriva fino a Hogwarts? Questa è la Foresta Proibita?»
Chiese il gentile, vivamente curioso.
Samantha annuì, poi si sentì finalmente in grado di guardarlo in faccia: era un ragazzo, sulla ventina, con la pelle scura, una leggera barbetta sul mento e i dreadlocks legati in una coda sbarazzina.
La sua faccia non le fu per niente nuova … ma a quanto pare non fu l’unica:
« Aspetta! Ma … non ti conosco? Io ti ho vista a Hogwarts! Sei di Grifondoro?»
« Si … e tu non sei …? Non sei quello …»
« Io sono Lee Jordan. Sono quello delle cronache del Quidditch»
Sorrise amichevolmente, guardandola in faccia e dimostrando di possedere un paio di occhi vispi e brillanti.
Lee Jordan. Quello delle cronache del Quidditch. Si ripeté Samantha nella sua testa.
Ma si! Era proprio lui! Ora che ci pensava le venivano in mente delle immagini di lui in Sala Comune o i giro per i corridoi del castello …
« Oh. Ma che è successo al tuo viso?»
Lee Jordan sfiorò con una mano la cicatrice sulla parte sinistra del volto di Samantha.
Lei rispose amaramente:
« Mi sono Spaccata».
Lee mostrò i denti, in un’espressione di simulazione del dolore.
« I Mangiamorte mi volevano prendere, il primo giorno di scuola, quando siamo arrivati col treno. Io mi sono Smaterializzata e sono riuscita a scappare. Ho attraversato la Foresta …»
« Cosa? Da settembre fino a oggi?!» Esclamò Lee.
« E sei sopravvissuta?» uno dei due che ancora la stavano fissando con disapprovazione, pareva comunque essersi sciolto un poco, dopo lo sfogo di lacrime piovuto dagli occhi della ragazza.
« Beh, si» pigolò Samantha.
Un’altra voce (di donna, molto autoritaria) si fece sentire da lontano:
« Allora? Signori purtroppo non ho molto tempo a disposizione! Avete trovato un Gatto Mammone, laggiù?»
Lee Jordan e gli altri due indirizzarono immediatamente lo sguardo verso colei che aveva parlato, alle loro spalle.
« Arriviamo, ci scusi, signora!»
« Abbiamo trovato una ragazza»
« Vieni, Samantha, ti spiego tutto dopo».
Lee Jordan la prese sottobraccio e la diresse verso il limitare della Foresta, che era lì a due passi.
Vedendo i rami diradarsi sempre di più, Samantha ebbe un fremito di smarrimento e si voltò indietro, per vedere …
Esmeralda. Era lì, esattamente dove un attimo prima c’era lei.
La guardò con gli occhietti neri e la bocca mezza aperta, come suo solito.
Inclinò la testa di lato, come un gattino curioso.
Samantha cercò lo sguardo di Lee Jordan, forse per timore che vedesse  il drago – in quel momento sentiva che doveva essere un segreto – , ma quando si girò di nuovo verso la Foresta, Esmeralda era sparita.
Fu l’ultima volta che la vide in tutta la sua vita.

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Capitolo 21
*** Radio Potter ***


Radio Potter
 
Samantha fu condotta da Lee Jordan a quello che sembrava l’accampamento di un’escursione in famiglia: c’era una tenda molto piccola, verde, un po’ malridotta e i segni sparsi di un recente bivacco.
Una signora alta, distinta, che indossava un cappello con un enorme avvoltoio impagliato, sedeva con sguardo severo su un masso ricoperto di muschio.
Appena vide i tre ritornare con Samantha appresso, la scandagliò con occhi indagatori.
« Buon cielo! Chi è questa ragazza? Cosa le è successo?»
« Ancora non sappiamo la storia per intero, signora Paciock, ma è una fuggitiva. Un po’ come noi»
Rispose Lee Jordan amichevolmente. Dal suo tono, Samantha capì che aveva fretta.
La signora Paciock continuò a fissarla ancora un po’, combattuta anche lei fra il desiderio di sapere cosa fosse accaduto e la fretta per qualcosa che apparentemente dovevano fare.
« Roger, prepara i trasmettitori. Robin, lo aiuteresti per cortesia? Signora, sta comoda lì? Altrimenti vedo di prendere due sedie … dovremmo averne un paio, dentro. Vieni Samantha, entra con me».
Lee Jordan la condusse dentro la piccola tenda: il suo interno, come tutte le tende magiche, era più grande e agevole, ma non così tanto.
Samantha poté analizzare di sfuggita un tranquillo disordine, segno evidente della convivenza di tre maschi. La cosa non le dispiacque: il caos casalingo la metteva a suo agio.
« Se mi facessi la cortesia di una sedia, ragazzo mio, sarebbe assai più piacevole di questo sasso. Ma mi so adattare all’esigenza»
« No, no, ne abbiamo! Arrivo subito, signora » rispose Lee rivolto verso l’esterno, poi tornò a parlare con Samantha, sempre con una gentilezza inaudita: « Ascolta. Noi ora dobbiamo mandare in onda una puntata di Radio Potter. Siamo l’unico canale radio che trasmette le notizie della resistenza a Tu-Sai-Chi e siamo appoggiati dall’Ordine della Fenice. Se hai voglia, puoi usare il bagno e fare una doccia. E, sempre se vuoi, là c’è il frigo; non è molto pieno, ma di sicuro qualcosa ci troverai. Scusami se ti devo abbandonare così. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, fammi un cenno. Ora devo andare. Dopo parleremo quanto vorrai».
Sparì fuori dai lembi di tessuto che formavano l’ingresso, trascinando due sedie di plastica dall’aspetto poco resistente.
Samantha non riusciva a credere a quello che stava succedendo: era salva? Non sarebbe più stata sola a girovagare per i boschi, a mangiare bacche e funghi, a non sapere se mai ci sarebbe stata una fine a quell’intrico immenso di rami frondosi?
Con passo incerto si avviò verso la porta del piccolo –minuscolo – bagno.
Ma era un bagno!
Fu incredibile il sollievo di sentire l’acqua calda scorrere sulla schiena e il profumo del sapone raschiare via i mesi di vagabondaggio nella Foresta.
Da una piccola finestrella, la ragazza sentì vagamente le voci dei suoi salvatori e della signora Paciock:
« … E insomma la nostra ospite, Mrs Smart, ha lasciato intendere che vuole dare un messaggio a tutti gli ascoltatori che hanno appena iniziato le vacanze da Hogwarts! »
« Certo che voglio! Badate bene ragazzi, mi rivolgo direttamente a voi! Ora che siete nelle vostre case, non scappate! Dovrete tornare a Hogwarts per  fare il vostro dovere: prendere una parte nella lotta contro Voi-Sapete-Chi! Hogwarts è molto importante e sta a voi difenderla. Che non vi salti in testa di lasciarvi soggiogare da quel viscido di Piton, né tantomeno dai due vecchi avvoltoi dei Carrow. Ribellatevi! Ostinatevi! Difendete il vostro pensiero e il giusto!»
« ehm! Signora Smart! La prego … anch’io sono d’accordo sul fatto che non debbano sottostare al regime, ma se lo fanno troppo apertamente rischiano di essere puniti con violenza …»
« Siamo a una radio di pace o di guerra, River?! Qui siamo in guerra! E in guerra si contrattacca! Perché il Bene non può sempre fare la figura del mollaccione! Se vi trattano male, reagite! Non vi ha insegnato niente, Harry Potter? Se non sapete come reagiva lui a ogni offesa, allora fatevelo raccontare da qualche Grifondoro! E se vi mettono in punizione, fategli vedere che non vi interessa! Testa alta, ragazzi!»
« Ok, ok, grazie mille signora Smart. Passiamo ora all’elenco dei fuggitivi di cui abbiamo la triste notizia che, purtroppo, ci hanno abbandonato …»
Samantha cercò di prestare attenzione, ma lo scroscio d’acqua rendeva le parole incomprensibili.
Provò almeno a sperare di non udire il nome dei suoi genitori, ma non riconobbe altro che il suono umido della doccia.
Quando poi uscì, avvolgendosi in un asciugamano che le parve da considerarsi “pulito”, la lista dei deceduti era finita. In compenso, Lee Jordan e la signora Paciock, con i nomi in incognito, avevano ripreso a battibeccare sulla necessità reattiva di combattere il potere costituito.
Samantha raggiunse il frigo e ci trovò quello che le parve il banchetto più ricco di tutta la sua vita: trangugiò un tramezzino molto farcito e  bevve una lattina di cola con gusto malsano. Si impose di non depredare tutto quello che c’era, perché immaginò che la vita non fosse così comoda nemmeno per i tre ragazzi.
Senza avere il coraggio di rimettersi l’uniforme di Hogwarts (ormai in stato di decadimento elevato), Samantha cercò nella sua borsa (anch’essa abbastanza prossima all’essere inutilizzabile) una biancheria pulita e la indossò.
Non voleva prendersi la responsabilità di frugare in giro in cerca di abiti non suoi, così si avvolse di nuovo nel grande asciugamano morbido e si affacciò appena all’ingresso della tenda, per poter sentire quando la trasmissione fosse finita.
« … certo, certo, signora Smart. Lei ha impresso molto bene il suo messaggio e non posso far altro che ringraziarla. OH! Ecco che ci raggiunge anche la nostra amica …uhm … Cicatrice. Vuoi dire qualcosa anche tu agli ascoltatori? Molti ragazzi in età da Hogwarts ci stanno ascoltando, magari vuoi dare il tuo incoraggiamento?»
Lee Jordan si rese conto che l’aveva interpellata in un momento non proprio comodo, così, mentre le faceva segno di avvicinarsi, le passò una coperta di plaid, con cui lui si stava comprendo le spalle.
Samantha fu presa alla sprovvista.
« Ehm …»
La signora Paciock la guardava con aria compassionevole, mentre i due già poco simpatici maghi che stavano dietro alle trasmittenti, la incenerirono con disprezzo.
Quasi per far loro un dispiacere, Samantha trovò un paio di parole giuste:
« Si, ecco. Salve! Mando il mio pieno supporto a tutti i ragazzi che si ribellano al sistema. Tenete duro. Qualunque punizione possano darvi, sappiate che voi siete più forti. Siete più forti a prescindere, perché difendete con coraggio il bene e non vi arrendete mai, qualunque sia la vostra Casa! Tenete la testa alta. Siate la luce di Hogwarts, come un Lugano Nano!».
L’espressione di Lee Jordan cambiò radicalmente sull’ultima frase e rimanendo con un sopracciglio alzato, prese parola:
« … Grazie Cicatrice per il tuo supporto. Con questo vi salutiamo e ci auguriamo di riuscire a tornare in onda il più presto possibile. Purtroppo, siamo seguiti da un bel branco di Mangiamorte. Speriamo di seminarli in tempo per darvi buone notizie. A presto gentili ascoltatori. La parola d’ordine per ascoltarci la prossima volta, sarà “Albus”. Vi auguriamo in anticipo di un giorno un buon Natale! Con tutto il cuore! ».
I due tecnici delle trasmittenti fecero cenno a Lee che avevano spento il segnale, poi cominciarono a smontare gli apparecchi.
Samantha sgranò gli occhi: « Oggi è la vigilia di Natale??»
Lee le si rivolse con una faccia buffa: « Eh si! Ma … Cosa voleva dire quella cosa del nano?»
Lei scoppiò a ridere: « il Lugano Nano è un drago che fa luce. Ma più che altro era un messaggio in codice, per far capire a delle amiche che sono io e che sto bene!»
Alzò entrambi i pollici e sfoderò un sorriso incerto.
« Vieni, andiamo dentro. Vediamo se ti trovo una felpa. Roger è il più tappetto di tutti, magari i suoi vestiti ti vanno bene»
Uno dei due maghi alle loro spalle gridò: « Eh! Cosa vorresti dire?!»
Samantha gli fece eco: « Già! Che vorresti dire? Che sono tappa?»
Lee si grattò la testa, fingendo indecisione.
« Ok, ragazzi. Uno, Roger se sei nano come un Lugano non è colpa mia. Due, Samantha non ho mai detto che sei tappa e non voglio essere io quello che ti informa della realtà. Ehm comunque. Vieni, scherzi a parte. Ti do una felpa mia, perché Roger è un idiota, altrimenti ti contagia. Ti piace il verde?»
Samantha sorrise con gratitudine.
Lee Jordan le offrì una felpa calda e asciutta e un paio di pantaloni di una tuta, un po’ consumati.
Le andava tutto piuttosto grande, ma aumentava l’effetto comodità.
« Mio dio, non ne potevo più della gonna dell’uniforme. Quanto vi amo, pantaloni»
Samantha non riuscì a trattenere questo commento, che fece ridere Lee.
Fuori il sole stava scomparendo sotto la coltre degli alberi e il cielo diventava sempre più buio.
La signora Paciock salutò tutti calorosamente, dispiacendosi di non potersi trattenere più a lungo. Si Smaterializzò dopo aver regalato il suo mantello di feltro a Samantha, per sostituire quello dell’uniforme ridotto a brindelli.
I due tecnici finirono di smontare le trasmittenti e finalmente, tutti e tre poterono ascoltare la storia di Samantha.
Rendendosi un poco più cordiali, si presentarono: Roger e Robin, fuggitivi perché come lei avevano parenti che non avevano superato il “vaglio” di sangue del Ministero. Avevano già lavorato per diverse radio e si erano incontrati per la prima volta quando Lee li aveva contattati per mettere in piedi Radio Potter.
La conversazione si spostò nella descrizione della trasmissione: dissero che di solito c’erano lì con loro anche altri due ragazzi, che al momento erano impegnati in una qualche missione, ma che con ogni probabilità si sarebbero riaggregati l’indomani.
Ad ogni puntata, cercavano sempre di mettersi in contatto con un ospite, meglio se appartenente all’Ordine della Fenice, per garantire notizie serie e veritiere.
Quando fu così buio che la stanchezza appesantì gli occhi di tutti, Lee Jordan indicò a Samantha un letto dove dormire.
« Domattina a che ore ci svegliamo, Lee? A che ore hai detto ai ragazzi che ci incontriamo?» chiese Robin in uno sbadiglio.
« Alle nove e mezza in cima alla collina. Siamo vicinissimi, quindi basta che ci svegliamo alle otto. Speriamo che abbiano seminato i Mangiamorte».
Samantha tese le orecchie: «Ma … davvero i Mangiamorte vi stanno dietro? Sono così tanto sulle vostre tracce?»
Lee sorrise per tranquillizzarla: « Non preoccuparti di quei salami. Non ci prenderanno mai. Abbiamo mandato Fred e George a seminarli. Ah, tu li conosci? I gemelli Weasley, del mio anno. Sono certo che li hai visti a Hogwarts»
Samantha impallidì.
« I gemelli Weasley
« Si! Fred e George. Capelli rossi, lentiggini … come tutti i Weasley. Abbiamo sempre combinato un sacco di macelli a scuola. Non puoi non ricordarteli»
« Me li ricordo, me li ricordo …» annaspò Samantha con un fil di voce, rimboccandosi la coperta molto imbottita fin sopra le orecchie.
 
**
 
In Irlanda la neve scendeva con una rabbia non indifferente.
La casetta di pietra dei fratelli di Sara era fredda e piena di spifferi, se non per il grande camino attorno a cui tutti erano riuniti.
« Ma ha detto “Lugano Nano”? Era davvero Samantha quella?!»
Sara si stringeva a Palla, dal cui pelo soffice traeva ancora più benefici che dal fuoco scoppiettante.
Sedute con lei c’erano anche Valentina, Bianca e Laura, tutte ugualmente emozionate dalla puntata di Radio Potter.
« Si! Ve l’avevo detto che era la sua voce!» esultò Bianca.
« Allora sta bene! Menomale ….» Sara si sciolse in un immenso sospiro.
« Ad ogni modo, ragazze. Io vi sconsiglio di tornare a Hogwarts» disse Duncan, uno dei fratelli di Sara.
Lui e Eean erano seduti attorno al tavolo di legno che corredava la stanza, mentre le ragazze, loro ospiti per le vacanze, si erano stese su una grande coperta davanti al caminetto.
« No! Hai sentito? Dobbiamo fare il nostro dovere!» ribatté Valentina, convinta.
Anche Sara aveva lo sguardo acceso e di certo pure Bianca e Laura erano della stessa opinione.
Duncan scosse il capo: « Dovete starvene qui nascoste. Io e Eean possiamo lanciare un Incanto Fidelius. E sareste al sicuro».
« Ma le nostre famiglie?» chiese timidamente, ma tenacemente, Laura: « Non posso nascondermi.  I Mangiamorte se la rifarebbero con loro. Hanno rapito quella ragazza di Corvonero sul treno … non possiamo non andare»
« E poi è lì che siamo chiamati a essere attivi. Se ci nascondessimo, saremmo dei codardi! Se possiamo fare qualcosa per sentirci parte della ribellione, a nostro modo, questo è andare a Hogwarts a testa alta!» esclamò forte Sara.
Palla le mandò un’occhiata assonnata.
« Giusto, Sara. Finora mi chiedevo se fosse utile a qualcosa essere lì a scuola, ferma come uno stoccafisso. Invece è proprio come dici tu. È lì che noi dobbiamo fare la nostra parte!»
Bianca aveva lo sguardo brillante.
« L’ha detto Neville Paciock, all’ultima riunione. Mi ha dato molta carica, in effetti» ammise Sara, con orgoglio.
Duncan si preparava a ribattere ancora, ma Eean lo fermò.
Disse che non dovevano pensarci nell’immediato e che, almeno per il momento, dovevano solo godersi quegli attimi di riposo e di lontananza dal castello.
Sapeva che sua sorella non avrebbe mai cambiato idea.
La osservò in silenzio e riconobbe in lei i suoi stessi tratti somatici e anche quelli di Duncan.
Eppure, il Cappello doveva aver visto qualcosa di più profondo, una differenza invisibile ad occhio nudo.
Ed era per quello che Sara era una Grifondoro, mentre loro erano stati Corvonero. Lei era testarda e coraggiosa e non avrebbe rinunciato ad avventure tremendamente rischiose.
Ma quelle tre Serpeverde erano quasi un miracolo: se in quella Casa si celavano ancora persone di buon cuore e con le idee così ben chiare, allora c’era davvero una piccola speranza luminosa, nel mare nero della tirannia di Voldemort.

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Capitolo 22
*** Natale ***


Natale
 
« Buon Natale!»
« Vi abbiamo portato un regalo»
« Non è granché ma spero accettiate lo stesso»
« L’abbiamo fatto con il cuore …»
 
Era una mattina molto fredda, quella in cui Samantha si era ritrovata a camminare insieme a tre persone sconosciute su per una collina.
Si era svegliata da quello che le era parso una specie di sogno ed era piombata nella realtà …. Che magicamente era più bella dei sogni!
Se con gli occhi chiusi, la mente aveva vagato per sentieri boscosi, draghi e adii, la ripresa di coscienza l’aveva fatta ritrovare dentro un letto, coperta da un piumino soffice.
Ci aveva messo un po’ per ricordarsi di quello che era successo e ancora non riusciva a credere di aver fatto una doccia calda, di aver indossato abiti puliti e di essere finalmente con persone che la potevano aiutare.
Doveva essere ancora molto presto, quando si era svegliata, perché aveva sentito i suoi compagni parlare di alzarsi alle otto, la sera precedente.
Qualche timido raggio del sole era riuscito a penetrare all’interno della tenda e illuminava scarsamente i tre personaggi che la ospitavano:
Alzandosi, Samantha si era accorta che i due tecnici radiofonici, Robin e Roger, dormivano in un letto a castello poco distante. Erano coperti da una tendina blu, ma Samantha aveva riconosciuto le loro voci dai sospiri del sonno.
Con una fitta al cuore, sentendosi in molto colpa, aveva visto che Lee Jordan aveva trascorso la notte sdraiato per terra, avvolto in una coperta.
Credendo dunque che il minio che potesse fare fosse di preparare la colazione per tutti, Samantha aveva aperto il frigo e la minuscola dispensa, adoprandosi per comporre un pasto presentabile.
Era riuscita a far bollire il caffè e a riscaldare dei biscottini profumati che aveva trovato nel frigo.
il buon odore delle pietanze aveva pian piano svegliato tutti i ragazzi e Samantha fu lieta di notare che anche Roger e Robin sembravano un po’ meno scettici al suo riguardo.
Dunque, di buona lena, si erano incamminati su per la collina per andare ad accogliere i gemelli Weasley, che dovevano informarli dell’esito della loro missione.
Samantha aveva cercato tremendamente di non pensarci, mentre risaliva il colle, con l’aria fredda che le pungeva le guance.
Eppure quando erano arrivati lassù, quelle due voci identiche, l’avevano fatta sobbalzare anche prima di averli visti
 
« Ah si? Che regalo è?»
Chiese Lee Jordan avvicinandosi agli amici.
Samantha stava ben nascosta dietro le spalle di Robin, che era grande e grosso.
« Un pezzetto del mantello di uno dei Mangiamorte. Da quanto se l’è fatta addosso per uno dei nostri trucchetti, se l’è data a gambe; è inciampato; si è rialzato strappandosi ogni bendiddio ed è scappato»
« Abbiamo raccolto il lembo del mantello»
« Pensavamo di usarlo come trofeo»
« Hai un posticino nella tenda dove possiamo appenderlo?»
« Magari ci facciamo una cornice»
« Ah! A proposito … dov’è Susanna?»
Samantha sbatté le palpebre, sentendosi misteriosamente chiamata in causa.
« Oh, è rimasta giù in tenda. Dopo venite a salutarla …»
Rispose Lee.
Samantha rimase interdetta e fece mente locale di tutti gli angoli della tenda: possibile che le fosse sfuggito il qualunque essere vivente che fosse Susanna?
« Comunque. Anche io ho una sorpresa!» continuò Lee allegramente.
« Oh! Così ci piaci. Cos’è? È roba da mangiare?»
« Zitto Georgie, che se penso al super Pranzo che ci farà mamma, mi sento male»
« Insomma … » continuò Lee: « Ho trovato una ragazza, nella foresta – che tra l’altro ho scoperto essere la Foresta Proibita di Hogwarts – ma … Samantha, dove sei? Ecco! È lei, è di Grifondoro, ma è scappata ai Mangiamorte che la volevano arrestare il primo giorno di scuola».
Samantha, suo malgrado, uscì allo scoperto.
Doveva avere una faccia veramente stupida e si sentì maledettamente goffa a sorridere e alzare una mano, dicendo: « Ciao».
I gemelli, invece, rimasero molto disinvolti.
Era passato diverso tempo da quando li aveva visti: erano sempre identici, sempre con la stessa espressione beffarda e ironica.
« Oh!»
« Una Grifondoro fuggitiva!»
« Mi ricordo bene di te!»
« Hai contribuito con un sacco di altri adepti alla sperimentazione delle nostre creazioni!»
« Ma … che hai fatto al viso?»
Uno dei due indicò la liscia e pallida cicatrice sul lato sinistro della faccia della ragazza.
« Ehm … mi sono Spaccata».
Aveva un filo di voce e pensò di essere sembrata ancora più stupida.
« Ah! Facciamo a chi ha la cicatrice più bella?»
Scostandosi i capelli di lato, quello che Samantha riconobbe come George, mostrò un’orribile posto vacante, laddove doveva esserci l’orecchio sinistro.
« Cos’è quella faccia? La tua è più visibile» si finse indignato, ma stava scherzando.
Samantha sorrise, completamente a disagio.
Fred Weasley la ignorava cortesemente, come se la conoscesse di vista – il che era piuttosto vero, ma anche discretamente falso.
La presenza di Lee Jordan che mediava ogni imbarazzo, era decisamente piacevole.
« Allora. Scendiamo giù, così ci raccontate un po’ dei Mangiamorte. Poi ho capito che volete tornare a casa?».
Dalla cima della collina si vedeva un piccolo agglomerato urbano, probabilmente Babbano.
Tutti insieme iniziarono a ridiscendere verso l’accampamento, seguendo il sentiero dove gli alberi erano più radi.
« Si, si. Almeno per Natale dobbiamo tornare a casa»
« Mamma ci ammazzerebbe se ci facessimo ammazzare dai Mangiamorte per Natale»
« Avrà preparato ogni bendiddio»
« E poi volevamo ritornare un po’ là per accalappiare i prossimi ospiti per Radio Potter. Avevo pensato a Remus. Che dite?».
Lee rispose, emozionato: « Sarebbe fantastico!»
Robin aggiunse: « Sarebbe molto d’effetto anche se riusciste a convincere Kingsley Shacklebolt. La gente lo ammira molto. E chi lo conosce, saprebbe riconoscerlo dalla voce …»
« Va bene, vedremo cosa possiamo fare» rispose Fred
« Per adesso, meglio continuare a tenerci alla larga da questo posto, però. Anche se li abbiamo spaventati per bene, credo che quei viscidoni potrebbero farsi di nuovo vivi».
Arrivarono alla radura dove era piantata la tenda.
« Dov’è la mia Susy? Mi è mancata un sacco!»
Samantha cercò di controllare l’irritazione causata dal tono smielato di Fred Weasley e si preparò all’incontro con questa misteriosa Susanna.
Lee rise forte ed entrò.
« È nella sua scatola, lì sul piano della cucina».
Anche Samantha entrò, seguita dai gemelli e dai tecnici.
Il suo sguardo si indirizzò immediatamente verso il ripiano su cui nemmeno due ore prima aveva preparato la colazione e notò, effettivamente, una scatola da scarpe marrone.
Sempre più curiosa, osservò George che si catapultava ad aprirla; cosa che a lei non era nemmeno passato per la testa di fare … e si ringraziò per questo.
Susanna era, a quanto pareva, una grossissima tarantola pelosa, dalle gambe ciccione come wurstel.
Fred la prese in mano con noncuranza, anzi, con occhi amorevoli e anche George iniziò a farle versini dolci.
Quella zampettava orribilmente sui loro bracci.
Samantha appellò tutto il suo autocontrollo per non urlare e distruggere la tenda e qualsiasi prova dell’esistenza di Susanna.
« Ehm … non ci avevo pensato, ad avvertirti. Non hai mica paura, vero?»
Samantha sentì Lee che le parlava di fianco.
Scosse il capo lentamente, cercando di mascherare la palese bugia.
« Non fa niente, eh! È bravissima!»
Anche Lee andò dal suo animaletto e la fece rampicare sul suo braccio.
Samantha sperò di ricordarsi sempre, in futuro, di controllare che Lee non avesse tarantole addosso, casomai avesse avuto bisogno di sorreggersi a lui come quando l’aveva salvata nella Foresta.
 
« Allora, dicevate che i Mangiamorte potrebbero essere ancora sulle nostre tracce?»
Chiese Robin con impazienza, forse anche lui riluttante all’idea di coccolare una tarantola.
« Si. Mettiamoci d’accordo su dove far Smaterializzare i nostri ospiti, così glielo diciamo dopo, quando andiamo a casa nostra»
« Io direi di Smaterializzarci subito anche noi, molto lontani da qui»
« NO»
L’urlo fu assolutamente involontario. Le era uscito di bocca con troppa più foga del previsto.
Samantha arrossì, visto che tutti si erano voltati a guardarla.
« No … vi prego» spiegò, sentendo la voce farsi tremolante e pregando sé stessa di non scoppiare in un pianto imbarazzante: « vi prego, no. Non usiamo la Smaterializzazione. Per favore … vi prego. Non voglio mai più usarla in vita mia. È stato … terribile».
Fred sghignazzò: « Eddai, mica devi farlo da sola! Ti diamo un passaggio noi, che abbiamo la patente»
George gli fece eco: « Esatto! Ti sei Spaccata perché non sapevi come fare»
« Ma se facciamo una Smaterializzazione combinata …»
« No!»
Ribatté Samantha con forza. « Vi prego … no. O almeno … io non la userò. In nessun modo. Ci potete giurare. Rimarrò qui. Posso tornare nella Foresta … so come sopravvivere. Cioè … più o meno. Ma insomma, io non mi Smaterializzerò. Nemmeno se fosse l’ultima chance per salvarmi la vita. Davvero. No. Assolutamente».
I gemelli stavano per ribattere, Roger e Robin pure; ma Lee Jordan intervenne:
« Non dire sciocchezze. Qui non ti ci lascia nessuno. Andremo a piedi. I Mangiamorte non se l’aspettano, no? E poi conosciamo diversi incantesimi respingi-Babbano. Possiamo proseguire anche a piedi»
« A piedi!? Andiamo, Lee … non vorrai davvero …»
« Si, voglio davvero. Se dobbiamo convivere tutti assieme dobbiamo riuscire a soddisfare le esigenze prioritarie di tutti. Se Samantha è terrorizzata dalla Smaterializzazione, noi eviteremo di farlo. E non si discute».
Il silenzio che seguì era molto risentito.
George Weasley bisbigliò:
« È obbligato a dire così, perché la sua esigenza prioritaria è quella di portarsi in giro un ragno peloso gigante …».
 
**
 
Il pranzo di Natale nel nascondiglio di Maison Lavande fu bellissimo.
Sebbene fossero rimasti in pochi, fu allestita una tavolata che pareva per una reggia.
Per la prima volta, tutti gli abitanti di Maison Lavande erano scesi giù con gli ospiti.
« Abbiamo lasciato indizi evidenti che siamo a pranzo da qualche parente. L’abbiamo scritto sul calendario e su ogni agenda che abbiamo in casa … nel remotissimo caso che qualcuno di sgradito ci venga a disturbare proprio il giorno di Natale»
Assicurò Monsieur Gilbert.
Lui e sua moglie Amélie avevano preparato quella giornata perché fosse bellissima.
Dara, seduta accanto a François, immaginava che il motivo di tante cerimonie, soprattutto da parte di Madame Belhome, fosse volto a rallegrare Gabrielle.
Alla fine nessun parente si era fatto vivo e la povera ragazzina si ritrovava ad essere sola come un cane, anche nel giorno in cui di solito tutte le famiglie si riuniscono e stanno insieme.
Era seduta accanto a Dario, con indosso un vestito lungo e blu che Amélie le aveva regalato personalmente.
Aveva un’espressione tetra, ma non riusciva a risultare qualcosa di meno di magnifica, pure nella sua tristezza.
Anche Dara indossava un abito nuovo: gliel’aveva comperato François.
Era stato quello a rendere la sua giornata uno splendore. Grazie a quel regalo aveva deciso che poteva sopportare Gabrielle Delacour e tutte le attenzioni che Amélie le riservava.
Forse, a mente fredda, Dara avrebbe potuto sospettare che il dono di François fosse così esagerato proprio per ammansirla. Ma non le importava di questo, in quel momento.
Non riusciva a smettere di guardare le maniche rosa antico, lunghe e cadenti, che terminavano con una trina a sbuffo. E il resto dell’abito, grigio lucente, con una scollatura ricercata e una trama parimenti preziosa.
Risaltava la sua carnagione caffellatte, che pareva brillare di luce propria.
Anche François era rimasto a bocca aperta nel vedere l’effetto che il suo vestito indossato aveva scatenato.
Mentre Mamma Belhome cercava di tirare Gabrielle in una conversazione appunto sulla moda e sugli abiti, François le aveva detto in un orecchio:
« Se maman mi forzerà a parlare, per compiascerla dovrò fare i complimonti a Gabrielle … parce-que è piccola, triste e sonza nessuno. Lo so che ti farà arrabbiare, ma sappi sin da subito che non le direi nionte di mia spontanea volontà e, soprattutto, che sei la creatura divina più bella e preziosa seduta a questo tavolo».
Proprio mentre Dara si voltava verso di lui e si accingeva – ameno nella sua fantasia – a dimostrargli tutto il suo amore nel modo meno verbale possibile, Amélie disse:
« E tu Darà, che ne ponsi? François mi ha deto che sei appassionata di moda! Credi che abbiamo avuto buon occhio con i vostri vestiti?»
Dara aveva il sorriso più angelico stampato sulle labbra:
« Oh si. Penso che quel blu si intoni molto con la sua figura. Ti dona tantissimo, Gabrielle. Sei molto bella oggi»
A Dario cadde la forchetta di mano e Anton, seduto di fronte, sghignazzò, mascherandolo con un colpo di tosse.
Gabrielle distaccò a fatica gli occhi dalla pietanza intatta che giaceva nel suo piatto.
« Grazie» disse a malapena, senza guardarla.
Dario vide una vena contrarsi sulla tempia di Dara e si affrettò a prendere la parola:
« Certo che è vero. Sei bellissima, signora Belhome avete avuto un gusto eccezionale».
Gabrielle sorrise a Dario, ma non parve intenzionata a continuare la conversazione.
Cris Vaselly partì all’attacco con una vagonata di complimenti ad entrambe le fanciulle che indossavano i loro splendidi abiti nuovi e ricollegò il tutto all’importanza delle tradizioni e del Natale.
Anton fu miracolosamente l’unico a cui fu concesso di non proferire parola durante tutto il pranzo, ma ogni tanto, Dara lo vide lanciare occhiatine divertite in giro.
Ogni volta, lei gli assestò un discreto calcio da sotto il tavolo, che tuttavia lo lasciò sempre impassibile.
Fu una giornata molto bella, comunque: Gilbert aveva di nuovo comperato una bottiglia di Champagne e la stappò invocando un brindisi alla speranza, alla pace e a Céline.
« Chi è Céline?»
Chiese Gabrielle, piano, a Dario.
« Era un’Auror che lavorava qui a Maison Lavande. È morta l’anno scorso, poverina. Era molto bella e molto buona, proprio come te. Io ho avuto la fortuna di conoscerla»
« Tu l’hai conosciuta?»
« Eh si. Anche per lo scorso Natale mi trovavo qui. Céline preparava sempre un sacco di cose buone da mangiare … ed era sempre gentile»
« Anche io sono brava a cuscinare»
« E allora, quando avremo finito di leggere Twilight e tutti i seguiti, ci dedicheremo alla cucina. Anche se la vedo dura cucinare quaggiù. Beh, magari mi racconterai quello che sai fare … e mi farai venire l’acquolina in bocca»
« Oh oui! Maman mi ha enseniato a cuscinare i macarons … e l’Eclair au Chocolat …».
Mentre Dario riusciva ad intrattenere Gabrielle, dimostrandosi ancora una volta l’unico in grado di farlo, mamma Amélie fece un cenno a Dara, chiedendole di raggiungerla.
Dara si alzò da tavola e si avvicinò alla signora, che aveva iniziato a sparecchiare.
« Darà, mia cara» le bisbigliò: « sei stata un tesoro, prima».
« Ma si figuri, signora», gongolò lei, ancora frastornata dai complimenti ricevuti.
« Senti … io e Gilbert avremmo in mente un piano. Un piano con qualche piccolo rischio da correre. Abbiamo pensato che tu e François potreste aiutarci. Hai volia di collaborare? Sarebbe un enorme piascere, per me».
 
 

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Capitolo 23
*** senza occhi indiscreti ***


Senza occhi indiscreti
 
La mattina seguente, Dara fu convocata eccezionalmente a Maison Lavande.
Di solito nessun rifugiato veniva mai portato all’interno della casa e infatti alla ragazza era stato chiesto di mantenere il segreto (anche con Dario).
Mamma Amélie era venuta a prenderla e aveva usato come scusante quello di una chiacchierata nel corridoio.
Dario non aveva percepito nulla di fuori dall’ordinario ed era rimasto con Gabrielle Delacour, che quella mattina era mogia come non mai e pareva non avere nemmeno la forza per leggere Twilight.
Anton era invece impegnato a ripulire il nascondiglio dai suoi addobbi per il pranzo del giorno prima.
Insomma, Dara uscì dalla porta del covo nella più totale indifferenza da parte degli altri, accompagnata a braccetto dalla signora Amélie.
Fecero qualche passo in silenzio, poi la padrona di casa disse:
« Ti dispiasce se sci Smaterialissiamo? È sompre melio non farsi vedere, fuori».
Dara acconsentì, sempre più impaziente di scoprire cosa ci fosse dietro a tutto questo mistero.
D’altronde la casa dei Belhome aveva sempre pullulato di cose strane e inspiegabili. Si ricordò le congetture che lei e le sue amiche avevano fatto circa l’identità di Amélie, l’anno precedente: erano addirittura arrivate a pensare che si trattasse di uno zombie.
Ridendo del pensiero – e non volendosi assolutamente ricordare del perché avevano tratto questa conclusione –, Dara si sentì comprimere e decomprimere, come se un enorme tubo a pressione l’avesse risucchiata e poi sputata.
Subito l’ambiente pulito di Maison Lavande la fece sentire inadatta e troppo sporca per poter anche solo respirare lì dentro.
Il salotto dalle vaghe sfumature violette era in perfette condizioni: a differenza del rifugio, lì ogni cosa era in perfetto ordine e sembrava che chi l’abitava non avesse altri interessi che la cura dell’ambiente domestico.
In effetti, era insospettabile che una donna gentile e dalle doti decisamente casalinghe come mamma Belhome, potesse invece ospitare un discreto numero di clandestini in un covo segreto sotto il giardino.
Le uniche componenti dell’arredamento a non essere di color lillà, erano due figure che spiccavano, sedute sul divano: Gilbert Belhome e François salutarono la nuova arrivata con un gran sorriso stampato in faccia.
« Ciao cara!» la salutò con aria estremamente gioviale il padre di François: « È sempre un piacere rivederti»
« Anche per me, signor Belhome» rispose Dara, con timida gentilezza.
« Abituati pure a chiamarmi Gilbert. Ma non siamo qui per i convenevoli, giusto? Suppongo che tu ancora non sappia niente del piano a cui Amélie e io abbiamo pensato».
Dara scosse la testa da destra verso sinistra.
Non era pienamente convinta di questa faccenda, tuttavia, vedere che François sorrideva incoraggiante, le dette la fiducia necessaria.
Gilbert attese che Dara scambiasse quella piccola occhiata con suo figlio, per farla sentire a suo agio, poi continuò:
« Io e mia moglie siamo preoccupati per la povera Gabrielle. È davvero troppo triste e ho l’impressione che passare il Natale senza nessuno dei suoi familiari, l’abbia scossa ulteriormente».
Dara si rilassò un poco: quindi tutto questo riguardava Gabrielle Delacour.
Di nuovo.
Si immaginò che il grande piano segreto dei Belhome fosse quello di coinvolgerla in un’ennesima opera di familiarizzare con quella ragazzina viziata.
Sospirò, decisa a sorbirsi un discorso sull’importanza di lasciare da parte ogni rancore inutile e di decidersi ad offrirle la sua amicizia.
Amélie, però, disse:
« Voliamo ondare a trovare i suoi sgenitori. Abiamo sontito alcune vosci riguardo al nascondilio di Madame Maxime e vorremmo sapere da lei, che è in contatto con gli Auror di Francia, se sci sono notissie dei Delacour».
Questo era inaspettato, pensò Dara, che si era voltata a guardare la signora Belhome.
L’espressione gentile si era mutata in qualcosa di molto fermo e determinato.
Poi, però, a Dara balenò in mente una cosa:
« Ma … e Maison Lavande? Non potete lasciarla disabitata!»
Il silenzio che seguì l’affermazione, confermò che Dara aveva proprio fatto centro.
Fu di nuovo Gilbert a parlare:
« È per questo che abbiamo chiesto l’aiuto tuo e di François. Lo so che ti stiamo chiedendo di fare una cosa terribilmente rischiosa … però io e Amélie siamo certi che voi due siate gli unici in grado di svolgerla nel migliore dei modi».
Scambiò un’occhiata con la moglie e con François, che continuava a sorridere.
Dara non capiva dove il signor Belhome volesse arrivare.
« Il punto è che avremmo bisogno che voi due prendeste il nostro posto. Mio e di Amélie. Ma nella maniera più totale possibile: come sai i Mangiamorte sono alle porte e potrebbero benissimo arrivare anche fin qui. È già successo che qualche brutto ceffo si aggirasse da queste parti a buttare un occhio e vedere se tutto fosse normale. Ecco, vi stiamo chiedendo di far sembrare che sia proprio tutto nella norma, mentre io e Amélie siamo fuori in cerca dei parenti di Gabrielle».
Dara si sentì emozionata: sembrava un ottimo modo per tornare veramente utile alla famiglia Belhome.
Ne aveva giusto parlato con Anton non molto tempo prima: se mai avesse avuto la possibilità di essere qualcosa di più che una bocca da sfamare, per coloro che la ospitavano e proteggevano, allora l’avrebbe afferrata al volo.
Amélie Belhome aspettò che il corso dei pensieri di Dara defluisse un poco, prima di spiegare le sue intenzioni:
« Darà. So che ti sombrerà una richiesta terribile …. Ma vorremmo che tu e François assumeste la Possione Polisucco, per prondere le sombianse mie e di Gilbert. E vorremmo che voi due abitaste a Maison Lavande come se davvero fossimo io e mio marito. Solo in questo modo nessuno sospetterebbe nionte, capisci? Dovreste solo comportarvi come sci comportiamo io e Gilbert ogni giorno: cuscinare qualcosa per gli ospiti nel rifgujo, e passare en peu di tempo con loro; alternativamente. Non lasciare mai Maison Lavande abbandonata. Fugare ogni dubbio, se qualche sgherro del Siniore Oscuro si fa vivo … questo è quello che noi fasciamo tutti i jorni. François lo sa bene e può aiutarti, Dara. Cosa … cosa ne ponsi?».
Dara aggrottò le sopracciglia.
La proposta le era arrivata dritta in pieno petto, senza essere attutita.
Non aveva sospettato lontanamente che potesse trattarsi di una cosa del genere.
In effetti, pensò, nel vortice di pensieri che seguì il discorso di madame Belhome, che sarebbe stato stupido chiedere a lei di occuparsi di Maison Lavande a viso scoperto: in Inghilterra lei e la sua famiglia risultavano come traditori del sangue e i Mangiamorte non le avrebbero fatto un sorriso, se l’avessero vista.
Però l’idea di assumere le sembianze di Amélie Belhome le sembrava così fuori dal normale, così inconcepibile …
« Io … io credo che … se c’è bisogno di me per fare questa cosa, accetto volentieri. E … vi ringrazio per la fiducia» balbettò, ancora in confusione.
Volentieri non era la parola esatta, ma non importava. Lei voleva essere d’aiuto ed era sinceramente commossa e onorata dalla fiducia che i Belhome riponevano in lei.
Amélie l’abbracciò e la ringraziò chiamandola “la sua bambina”.
Dara sentì le guance bruciare molto forte.
« Abiamo dejà pronti due calderoni pieni di Possione. L’abiamo preparata io e Gilbert, quindi state sicuri che non sci sono rischi. In un calderone ho sgettato alcuni miei capelli, nell’altro Gilbert ha fatto lo stesso. Abiamo fatto alcuni conti e dovrebbe essere una scorta suffiscionte pour tre setimane. Vedremo di essere di ritorno per quella data».
I signori Belhome accompagnarono i due ragazzi nella cantina della casa (perché c’era anche una cantina ufficiale, oltre al nascondiglio dei rifugiati).
A differenza di quello del covo, quest’ingresso non era nascosto e non era all’aperto: da un’anta di quello che si sarebbe detto un armadio della cucina, si accedeva a una scalinata di legno.
Dara vide i due calderoni che sobbollivano, nella tenue luce che filtrava fin laggiù.
« Quella lillà è la Pozione che ti farà assumere le sembianze di mia moglie» indicò monsieur Belhome a Dara.
Lei sbirciò dentro e vide una sostanza rosa, molto liscia e invitante, che vibrava sotto la fiamma, quasi rasente l’orlo del pentolone.
« Mentre questa è la mia, François. Mi raccomando, fatene un uso parsimonioso e non finitela prima di tre settimane».
La Pozione del signor Belhome era più densa di quella di Amélie e il colorito era un blu molto intenso. Somigliava quasi ad una granita.
Dara sperò che i Belhome non chiedessero loro di assumere quelle sembianze davanti ai loro occhi.
Non lo fecero, infatti, e chiesero ai ragazzi di salire di nuovo di sopra, in salotto.
François dovette percepire il misto di preoccupazioni che stava esplodendo dentro Dara, di fatti le prese la mano tremante, lungo la risalita.
Lei si sentì più tranquilla, ma ancora non aveva voglia di immaginarsi François trasformato in suo padre.
 
« E allora, miei cari. Fasciamo qualche ultima raccomandassione»
Esclamò Amélie, sistemandosi elegantemente sul sofà.
I cuscini si piegarono sotto il suo peso, dando un effetto di morbidezza.
François teneva ancora stretta la mano di Dara.
« Vi prego di fare come vi ho detto poco fa, riguardo agli ospiti: sonsa mai lasciare la casa vuota, scendete e passate en peu di tompo con loro. Darà, dovrai sforzarti a finsgere di parlare con ascento française. Sono tutti anglaisi, i rifusgiati  rimasti – o comunque parliamo con loro en aglaise – , quindi non dovrai parlare una lingua che non conosci. Se si presenterà un problema di questo tipo, lascia parlare François.
« Usate sompre la possione, anche quando siete in casa da soli e vi sembra che non sci siano pericoli. È proprio per gli imprevisti che usiamo questa precaussione, no?
« Darà, affido Maison Lavande a te e alle tue cure. Sono scerta che sarai una meravigliosa padrona di casa.
« Per quanto riguarda la segretezza della missione … beh. Vi prego di non farne parola con nessuno dei rifugiati. Dovremo apparire a tutti come i siniori Belhome».
Dara a questo punto, però, si animò:
« Scusate, ma come spiegheremo l’assenza mia e di François? Anche lui vi aiutava con i rifugiati … e poi non credo di poter tenere Dario all’oscuro di questa faccenda. Penserebbe che l’ho abbandonato! E invece io sono qui per fargli compagnia!».
Amélie e Gilbert si scambiarono un’occhiata, riflettendo.
« Avevamo pensato di dire che François era andato all’estero per aiutare gli inglesi e che tu avevi raggiunto la tua famiglia in Brasile.» rispose il signor Belhome: « Però hai ragione … devi dirlo al tuo amico Dario. Chiedigli però di mantenere il segreto. Spiegagli che glielo riveli solo perché sennò si sentirebbe tradito. Non dovrà farne parola con nessuno. Pensi di poterglielo chiedere?».
Dara annuì, convinta.
Sentiva la determinazione prendere forza dentro di lei.
Tre settimane, alla fine, non erano tante: avrebbe dovuto solo cucinare, fare le pulizie, stare con la gente … tutte cose che non poteva fare, mentre era rinchiusa nel rifugio, quindi tutto sommato non le sarebbe costata nessuna fatica.
I Belhome si alzarono in piedi e si presero la mano, preparandosi alla Smaterializzazione.
« Allora buona fortuna» disse Gilbert, sorridendo.
« Fra tre settimane saremo di ritorno» confermò Amélie, che stava palesemente combattendo contro un groppo alla gola.
Dara e François annuirono, commossi e fiduciosi, augurando altrettanta fortuna ai due per la riuscita della missione.
Poi nel salottino lillà risuonò un forte crack e i Belhome sparirono.
 
« E per tre settimane, moi e toi avremo molto tompo a disposissione»
Sussurrò François all’orecchio di Dara.
La sua mente produsse a velocità supersonica immagini di Maison Lavande deserta e di lei, da sola con François, a piede libero, senza nessuno nei dintorni …
Un brivido percorse la schiena di Dara.

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Capitolo 24
*** tre serpenti nello Stivale ***


Tre serpenti nello Stivale
 
« Guarda, sc’è la siniora Belhome. Puoi ondare a chiederlo a lei …»
Gabrielle Delacour indicò con un dito l’ingresso del rifugio: Amélie Belhome portava una pentola contenente il pranzo per tutti i rifugiati.
Dario scrutò bene l’ingresso, sperando di veder comparire Dara al seguito della signora.
Era dal giorno precedente che non la vedeva. Si era un po’ preoccupato quando non si era fatta viva nemmeno per la notte.
Aveva immaginato che le fosse stato consentito un pernottamento speciale a Maison Lavande, ma in primis non ne indovinava il motivo e poi gli pareva davvero fuori dall’ottica dei Belhome.
Dara non compariva dalla porta e madame Amélie rimaneva disinvolta fra i rifugiati, senza dare segni di preoccupazione.
Con Gabrielle che gli trottava al fianco, Dario si alzò, per andare a mangiare.
« Signora Belhome, mi scusi …» chiese gentilmente.
Quella gli si rivolse con un sorriso piuttosto strano; come se stese per scoppiargli a ridere in faccia.
Evidentemente trattenendosi, la signora rispose:
« Oh, sciao Dario. Vuoi il pranzo? Ecco, dopo io e te dovremmo parlare di una cosa …».
Gabrielle si intromise: « Ah, deve dirgli dov’è finita la sua amica? Così almeno la smette di essere preoccupato». Lo disse col suo solito tono noncurante, quasi scocciato.
Amélie soffermò a lungo il suo sguardo sulla ragazzina e il suo sorriso parve piuttosto stirato.
« Beh. È dovuta ondare in Brasile»
« COSA?» Esclamò Dario, aggrottando le sopracciglia: « E perché?!»
« Aveva cose da fare lasgiù».
Gabrielle soffocò una risatina: « Mm … puor moi moriva di paura a starsene icì. Se l’è sviniata. Chi vuoi che la vada a scercare, en Brsil?».
Dario poté quasi giurare di vedere un muscolo contrarsi sulla tempia di Madame Belhome.
« In realtà, aveva cose da sbrigare con la sua famiglia. Si, voleva stare con loro almeno per le vacanze di Natale, sai ... Si era sentita un po’ sola a non essere fra i familiari per il Pranzo. E poi tornerà. Capisci? Dopo che è stata dalla sua famiglia.».
Gabrielle apparve molto ferita da quelle parole e si rabbuiò.
Dario non si capacitava del poco tatto di Amélie e rimase sconcertato soprattutto dal fatto che Dara non l’avesse nemmeno salutato, prima di scappare in Brasile.
« In ogni caso, Dario. Vorrei comunque scambiare due parole con te al riguardo. Non è che potresti lasciarci un attimo soli, cara? Potrete tornare a fare i fidanzatini, dopo».
Gabrielle sgranò i grandi occhi chiari, e con un’aria mesta e tradita si riavvicinò al suo tetro angolino di solitudine.
Dario la vide raccogliere Twilight e mettersi a sfogliarlo da sola. Immaginò che ciò la rendesse ancora più triste, visto che non sapeva leggere l’inglese …
« Allora. Vieni un attimo qui fuori con me».
Dario si sentì afferrare a braccetto dalla signora e questa mossa lo turbò un poco.
Non era mai entrato in grandi confidenze con lei, sebbene fosse una donna molto gentile.
Si stava giusto chiedendo di cosa mai avrebbero potuto parlare, una volta soli, quando Madame Belhome si girò verso di lui.
Le tremolanti luci delle torce illuminavano il fastoso sorriso sulle labbra della donna.
« Dario! Io sono Dara».
Silenzio.
Passarono circa tre secondi.
« Cosa?!»
Dario arretrò, sentendo la porta del rifugio serrata alle sue spalle.
« Si, lezzo. Sono Dara. Ho bevuto la Pozione Polisucco. Me l’ha chiesto la signora Belhome. Lei e suo marito dovevano andare in missione. Se non mi credi ti spettino a suon di bestemmie».
Dario rimase così shockato che non fu capace di proferire parola per una ventina di secondi.
Proprio quando Amélie stava per dar fondo a tutta la sua fantasia in campo di zotichezza, Dario scoppiò a ridere. Molto forte.
« Ma sei cretino? Cosa … cosa ridi?! È una situazione seria!»
« Scusa ma …. Ahahahah! È così buffo vedere la signora Belhome che parla come Dara ahahah! Sarei stato curioso di sentire la tua scarica di parolacce! Ahahahah posso averne un trailer?»
« Non c’è niente da ridere! Io e Franz dobbiamo impersonare i Belhome finché non tornano. E mi raccomando! Tu devi stare zitto, anche con quella sciacquetta frignucolosa! Ti ho avvertito solo perché non volevo che tu pensassi che me l’ero squagliata senza di te. Come ha detto miss simpatia!»
« L’hai trattata da cani, poverina!» sbottò Dario, anche se non riusciva a mantenere un tono serio.
« Beh? Lei aveva subito pensato male di me! Se lo merita! E smettila di fare il cascamorto solo perché ha gli occhioni calamitati! Ora che sono la signora Belhome devi comportarti bene, sai!».
Dara incrociò le braccia e il corpo di Amélie rispose al suo comando.
Dario continuò a fissarla con espressione ilare.
« E allora, nottate brave, eh? Tu e il signor Belhome!».
Dara schizzò all’indietro: « Cosa cavolo stai insinuando, Dario imbecille Nub?»
« Che tu e Franz farete molto sesso e che tu la finirai di essere così acida, sempre».
Dara/Amélie boccheggiò per un minuto buono senza trovare offese dalla mole adeguata alle insinuazioni di Dario.
« Uh! Balbetti? È già successo? Bene, bene! Non vedo l’ora che tu torni normale, così mi racconti tutto!»
« Io … io ti spello vivo, sai?! Non è successo proprio niente!»
« Vallo a raccontare a qualcun altro»
« Non osare …»
« Oh, andiamo, Dara … Io so sempre tutto di tutti. Ora fammi tornare da Gabrielle, così vedo di finire quel cavolo di Twilight. L’hai traumatizzata, credo. Vado a rimediare i tuoi danni. A domani, madame!»
E con una risata che rasentava il maligno, fece dietrofront, aprendosi da solo la porta per ritornare nel covo.
Dara sapeva solo che quello che più desiderava, in quel momento, era fargli tanto male. Riuscì a stento a trattenersi dal dargli una pedata nel didietro per farlo cadere.
 
**
 
Dara dovette abituarsi alle frecciatine di Dario, nei giorni successivi.
François fu invece molto bravo a recitare la sua parte, nonostante Dario cercasse di mettere a disagio anche lui, con risatine a sproposito.
Ma, spostando per un po’ l’occhio dalla solidale Francia alla soggiogata Inghilterra, si sarebbe saputo che era già stato tempo per gli studenti di Hogwarts di ritornare a scuola.
E già l’agonia era ricominciata per tutti quelli che si ostinavano a resistere alla tirannia del preside Piton.
Il numero dei frequentanti si era ridotto drasticamente, aumentando così a dismisura le liste dei fuggitivi a cui i Mangiamorte davano la caccia.
Non scappavano più solo quelli con il “sangue sporco”; era stata una fuga di massa, una decimazione.
 
« E tu, Gamp? Mi sorprende che tu sia tornata a mostrare la tua faccina qui per i corridoi di Hogwarts»
Il Prefetto Pansy Parkinson, accompagnata dalle ragazzine del primo anno, aveva trattenuto Bianca e le altre due in mezzo a un corridoio.
Era sera inoltrata e le tre si erano nascoste in un bagno per sentire se Radio Potter fosse tornata di nuovo in onda.
Fuori, la luce del lago che penetrava dalle finestre del sotterraneo, si rifletteva grottescamente sul profilo della Parkinson e delle sue compagne.
« La tua famiglia non ti ha già consegnata ai Ghermidori? Non è forse questo che pensano di te? Che sei una sporca traditrice?».
« E di te cosa pensano? Che hai un cervello? Te lo sei fatto regalare per Natale?»
Rispose Valentina, per impedire che fosse sempre Bianca a reagire e a subirne le conseguenze.
Il Prefetto sghignazzò, propagando la sua eco per tutto il corridoio buio.
« Attenta, Martin. Lo sanno tutti che sei figlia di Mangiamorte. Frequentare gentaccia come Gamp e quell’inutile creatura di Foster, di certo non aiuterà la fama della tua famiglia. Con chi vivi, a proposito? Hai una famiglia? O sono tutti morti?»
Le ragazzine del primo anno risero come oche.
« Attenta a te, con tutto il rispetto. Se credi che una spilla da Prefetto mi faccia così paura da non farmi reagire a offese di questo tipo, allora sei fuori strada» esclamò Laura, facendo un passo avanti.
Se anche Laura – insolitamente pacifica, per appartenere a Serpeverde – aveva sorpassato la soglia della pazienza, allora Pansy Parkinson aveva davvero esagerato.
« Oho, Foster. Credo sia la prima volta che ti sento parlare. Allora, tu non sei quella che giocava a Quidditch? Ma si, sei quella che si è fatta mezza squadra per poi scodinzolare dietro al tipo di Durmstrang. Non è vero? Montague parlava spesso di questa cosa. Quindi, dietro alla tua aria da santa martire, nascondi un’indole da sgualdrina, uh?»
« Cosa hai detto?!»
Laura si avvicinò con foga, ma Bianca e Valentina la trattennero.
« Lascia stare, Laura. Lei vuole che reagiamo, così potrà denunciarci ai Carrow e farci dare una punizione seria»
Ringhiò Valentina, anche se i suoi occhi di ghiaccio erano rivolti al ghigno soddisfatto della Parkinson.
« Siete proprio ridicole, voi tre»
Snocciolò una delle ragazzine del primo anno: era piccola, con i capelli scuri. Sfoderava un sorriso vanitoso, da voltastomaco su un’undicenne.
« Avete la fortuna di stare nella Casa di Salazar Serpeverde … e lo disonorate così. Che scempio. Preferirei morire, piuttosto che essere come voi».
Valentina staccò la sua mano dal braccio di Laura e Bianca fece altrettanto.
« Ah si?!»
Dissero tutte e tre in coro, prima di lanciarsi verso di lei.
Non fecero in tempo a fare loro tutto il male fisico che desideravano, perché quando erano ancora piuttosto distanti, il Prefetto e la sua scorta caddero a terra come sassi.
 
« Salve! Serviva una mano, da queste parti?»
Le tre Serpeverde si guardarono intorno: la voce allegra proveniva da dietro l’angolo del corridoio.
Prima che la curiosità le facesse avanzare, due ragazzi con la divisa da Corvonero spuntarono alla luce verdastra del lago e fecero loro segno di avvicinarsi.
Avevano l’aria piuttosto familiare.
Le tre ragazze scomparvero dal luogo del delitto, lasciando le poco simpatiche compagne di Casa sdraiate a pancia ingiù sul pavimento.
Quando furono nell’altro corridoio assieme ai due Corvonero, Bianca esclamò, entusiasta:
« Ah! Tu sei Terry Steeval. Il fidanzato di Alice!»
Quello che dei due aveva una folta capigliatura mora, esibì un sorriso smagliante, poi rispose:
« Non vero da ogni punto di vista, ahimé. Ma interpreto la tua frase come un segno che mi hai riconosciuto. Che stava succedendo qui?».
L’altro ragazzo, biondo, aveva anche lui una spilla da Prefetto e sbirciò con pietà la collega, lontana, stesa a terra.
« Puah, Pansy Parkinson. Se esiste qualcuno più ripugnante di lei, devo ancora conoscerlo».
« Anthony … queste parole cattive …» lo rimproverò Terry Steeval.
Vedendo che il suo sarcasmo non era stato accolto da uno scroscio di risate, il ragazzo decise di sciogliere un po’ la tensione.
« State tranquille, voialtre. Abbiamo solo lanciato un Incantesimo delle Pastoie. Staranno pietrificate così per un po’. Prima che qualcuno le trovi, che ne dite se vi riaccompagniamo al vostro dormitorio? State bene?»
« Oh, si, certo. Volevano solo fare un po’ le grosse, ma ci vuole altro per farci paura. Piuttosto. Voi due che ci fate da queste parti?»
Chiese Bianca, ricomponendosi dalla sorpresa e incamminandosi con gli altri verso la Sala Comune di Serpeverde.
« Abbiamo portato da mangiare a una manciata di ragazzi di Tassorosso che sono imprigionati nel sotterraneo. Ieri devono aver fatto un po’ di sommossa e i Carrow non hanno gradito … ovviamente. Siamo qui per conto dell’Esercito di Silente».
« Bel nome» annuì Bianca, vagamente.
« Voi sapete perché Radio Potter non è andata in onda?» esordì Laura tutto d’un fiato.
Terry Steeval sgranò gli occhi e la sua bocca rimase per qualche secondo una gigantesca “o”.
« Wow! Delle Serpevedre che seguono Radio Potter! Anthony, hai sentito? Seguono Radio Potter
« E si che ho sentito! Sono delle brave ragazze. Altrimenti non si sarebbero messe a litigare con quella feccia».
« Hai proprio ragione, Anthony. Comunque ho sentito dire che quelli della radio abbiano un po’ di grane per via di qualche Mangiamorte che li sta inseguendo. Ma di certo risolveranno tutto. Sono tipi in gamba!»
« Li conosci?» chiese Valentina, curiosa.
« Diciamo che sono bravo a riconoscere le voci delle persone».
Anthony e Terry davano un gran senso di sicurezza, nel parlare. Erano così disinvolti che sarebbe venuto spontaneo prenderli a braccetto e seguirli fino alla torre di Corvonero, per rimanere sempre sotto la loro protezione.
Scherzavano con leggerezza eppure con la giusta accortezza su temi come le punizioni e le torture dei Carrow.
Fu un dispiacere arrivare in prossimità del muro che nascondeva l’entrata per la Sala Comune di Serpeverde.
Rimasero comunque a chiacchiera, finché l’orario per gironzolare per i corridoi non fosse diventato del tutto illegale.
« Ma … dimmi una cosa. Tu eri nella squadra di Quidditch, giusto?»
Chiese Terry a Laura.
« Mi ricordo di questa ragazzina, che sembrava così piccola in mezzo a quei colossi … sei tu, vero? Che fine hanno fatto gli altri? Possibile che ti abbiano lasciata sola? Se io fossi stato grande e grosso come loro, sarei venuto a calpestare la Parkinson come uno scarafaggio alla prima occasione»
Laura sorrise: « Non ho molte notizie … ma gran parte di loro è Purosangue e non dichiaratamente un traditore. Quindi immagino che stando in silenzio, possano essere considerati dalla parte di Tu-Sai-Chi. So che Warrington è scappato all’estero con i genitori … poi nient’altro».
« Io invece so qualcosa» intervenne Bianca, con le guance di un vivido color vinaccia.
« Adrian Pucey si sta dando da fare con la sua famiglia per aiutare i clandestini … e tutto questo sotto gli occhi di Tu-Sai-Chi. Sono molto coraggiosi. Godono ancora di una certa fiducia fra i Purosangue, quindi nessuno va a casa sua a controllare».
Anthony rimase ammirato dall’atteggiamento di questi Serpeverde e si stupì che ne esistessero di questo genere. A detta sua, lo stereotipo “malvagio” era una convinzione ancora ben radicata nelle teste di tutti.
« Pucey hai detto? Mai sentito nominare. Però si direbbe interessante, se si tiene di conto di quanto tu sia diventata Rossa, invece che Bianca».
Bianca non si scompose troppo:
« Beh, è un discreto figlioulo, si. Lo hanno anche preso come riserva nelle Vespe di Wimbourne – la stessa squadra dove giocava Ludo Bagman –  … Ma che ti interessa a te? Torna a baccagliare Alice!»
Dopo qualche ultima risata consolatoria, i due gruppi si salutarono.
Bianca, Laura e Valentina erano felici di aver sparso un po’ la voce che anche fra i Serpeverde c’era qualcuno che aveva voglia di farsi da parte, piuttosto che schierarsi con Voldemort.
E di certo Terry Steeval e Anthony Goldstein potevano considerarsi contenti di essersi imbattuti in una così piacevole compagnia, anche se con ogni probabilità, ci sarebbero state delle conseguenze per l’Incantesimo delle Pastoie su Pansy Parkinson e le sue amichette. 

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Capitolo 25
*** credere in Harry Potter ***


Credere in Harry Potter
 
Anche Sara era tornata a Hogwarts.
Con sua sorpresa aveva scoperto che i fratelli Canon avevano fatto altrettanto.
Proprio non capiva come mai la Umbridge credesse che potessero avere un qualche contatto con Harry Potter.
Immaginò che volesse tenerli come piano di riserva; una specie di ultimissima spiaggia, nel remotissimo caso in cui Harry Potter davvero avesse deciso di spuntare a Hogwarts – cosa del tutto impensabile – e ancora di più che decidesse di avvisare i fratelli Canon.
D’altra parte, però, Sara non poteva dirsi che felice di essere di nuovo in loro compagnia.
 
« E così hai i fratelli in Irlanda?»
« Già» confermò la ragazza.
Colin e Dennis risposero con scarsissimo entusiasmo.
« Che c’è?» chiese Sara constatando l’aria affranta dei due, che si scambiavano occhiate tristi.
« No, niente … » mugolò Colin
« È che ti avevamo comprato questa, per Natale …» disse Dennis, tirando fuori una scatolina incartata dalla borsa.
« … però ne avrai a migliaia. Credevano di farti un regalo speciale, perché i nostri genitori si sono trasferiti a Dublino …».
Colin consegnò la scatola all’amica, che già aveva gli occhi illuminati dalla gratitudine.
L’incarto nascondeva una bambola di pezza, che indossava un vestitino di lana delle isole Aran.
« Abbiamo pensato che ti assomigliasse!»
« Ha i capelli rossi come te»
Sara non sapeva come ringraziare i due ragazzi così tanto da fargli capire che il loro senso di desolazione era totalmente fuori luogo.
Ne aveva viste, si, di quelle bambole. Ma nessuno gliene aveva mai regalata una.
Visto che le parole erano così tante da affollarle la testa, Sara optò per saltare addosso a entrambi e stritolarli in un grande abbraccio.
Si ripropose assolutamente di cercare un regalo – in ritardo – anche per loro.
Erano questi, pensò Sara, i momenti belli per cui valeva la pena tornare a Hogwarts.
Aveva dovuto lottare un sacco contro Eean e Duncan, che costantemente le intimavano di restare in Irlanda.
No, lei voleva andare a scuola, dov’era giusto che fosse. Doveva combattere nel suo piccolo, stare vicino ai più deboli e ribellarsi sempre all’ordine costituito.
Non avrebbe mai permesso che Piton stroncasse con punizioni e torture quelli della sua Casa. Non i suoi amici.
E guardando quella bambola di pezza, con i capelli rossi, sentì che Colin e Dennis Canon erano come sotto la sua protezione. Li percepì suoi, quasi come figli o fratelli.
 
« Coraggio» disse, stropicciandosi gli occhi, poiché quella scarica di pensieri glieli avevano fatti pizzicare: « Sono quasi le nove. Neville Paciock ci starà aspettando».
Avevano avuto una giornata terribile di lezione: a Babbanologia, la professoressa Carrow si era dilungata su una lista di differenze intellettuali fra maghi e Babbani, che aveva fatto venire a tutti la nausea. Una ragazza del loro anno si era anche messa a piangere, quando fu uscita.
Sotto l’esortazione appena ricevuta dell’amica, Colin e Dennis si alzarono scattanti; erano esaltati da quell’ennesima riunione segreta nel dormitorio dove aveva alloggiato anche Harry Potter.
Sara ridacchiò dell’entusiasmo che i due manifestavano sempre per qualsiasi cosa:
« Pronti a vivere un’intensa nottata di Esercito di Silente?»
« SI!!» risposero in coro, seriamente, mentre Sara sghignazzava.
Salirono le scale di pietra, seguiti da Palla, che zampettò alla volta della padrona, balzellando con tutto il suo grasso e il suo pelo.
Nella stanza circolare erano già radunate diverse persone.
Quasi nessuno, però, aveva lo stesso sorriso di Sara e dei Canon. Anche Neville aveva un’aria da funerale e tutti capirono il perché, quando iniziò a parlare:
« I Carrow hanno beccato Michael Corner. Ieri notte l’hanno Cruciato per ore. Oggi è stato tutto il giorno in infermeria … Madama Chips ha detto che dovrebbe essere ricoverato al San Mungo, ma Piton le ha risposto che ha avuto ciò che si meritava».
Se c’era un intenzione di brusio, quella svanì all’istante.
Tutti fissarono increduli il loro capo.
« Cosa? E allora come farà?!» gridò una ragazza dai lineamenti indiani, dello stesso anno di Neville.
Questi alzò le spalle amaramente: « Piton ha detto che è scusato solo per oggi. Da domani deve frequentare le lezioni».
Un boato di sdegno si dilagò per tutta la stanza.
« Non è possibile!»
« Abbiamo raggiunto livelli inumani!»
« Ma siamo pazzi?!»
« Non ci credo!»
Molte mani coprirono le rispettive bocche, in segno di sdegno e orrore.
Ci volle del tempo prima che fosse possibile ristabilire l’ordine.
A quanto pareva, Michael Corner aveva subito la Maledizione Cruciatus per un tempo esageratamente dilungato. Le voci che giravano parlavano di intense ripercussioni fisiche e mentali.
« Ma cosa stava facendo quel ragazzo? Era in giro per conto dell’Esercito di Silente?» chiese una ragazzina dagli occhi lacrimosi.
Neville annuì, mestamente:
« Avevamo chiesto a Michael, Terry e Anthony, di Corvonero, di portare da mangiare a dei bambini del primo anno, nel sotterraneo. Pare che Michael si sia trattenuto perché voleva liberarne uno … e l’hanno beccato».
Il mormorio si fece attutito e subdolo.
Si respirava una forte aria spaventata … e del resto nemmeno Neville Paciock poteva farci niente.
Fece cenno di no con la testa a Ginny Weasley, che sedeva fra il pubblico, e poi dichiararono che la riunione era finita.
« Ma Radio Potter? Perché non trasmette più? Hanno preso anche loro?»
Chiese una ragazza, con voce tremante.
Neville alzò le spalle: « Ne so quanto te, purtroppo. Avevano avuto dei problemi con i Mangiamorte, a quanto pare. Magari stanno ancora cercando un luogo sicuro da cui trasmettere. Non preoccuparti!».
Quella fu, in assoluto, la riunione più breve dell’Esercito di Silente.
La storia di Michael Corner aveva spaventato tutti un po’ troppo. I Carrow erano stati tremendamente cattivi e si iniziò a credere che avrebbero calcato la mano sempre di più, visto che gli studenti continuavano a ribellarsi.
Sara indovinò che da quel giorno, molti compagni avrebbero smesso di partecipare attivamente all’Esercito.
Dai Corvonero fino ai Grifondoro, si erano ammutoliti quasi tutti da quando Luna Lovegood era stata rapita sul treno di Natale. Adesso l’episodio poco piacevole di Michael Corner era la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso; ma non in senso di ribellione, quanto di recessione.
La paura stava vincendo sugli individui più deboli e Sara, dentro di sé, si domandò in quanti sarebbero rimasti fermamente convinti nella volontà di resistere.
 
Uscendo dal dormitorio, alla sua sinistra Sara si accorse che c’erano rumori soffocati che rimbombavano lievemente.
Dennis e Colin si voltarono verso di lei, per capire perché di fosse fermata e lei glielo fece notare.
Quasi tutti gli studenti erano scemati, facendo così svanire ogni rumore tranne quello.
Ne cercarono l’origine: la bambina piccolissima che aveva parlato alla riunione, che era l’unica matricola di Grofondoro, era adesso rincantucciata in un angolo a piangere.
Sara non sapeva mai troppo bene come comportarsi in questi momenti.
« Ehi, ehm … tutto bene?»
Quella rimase rincantucciata contro il muro e fu scossa da forti tremori e singhiozzi.
Spaesata, Sara si rivolse ai due amici.
« Ehm … vado a chiamare qualcuno» esclamò Dennis, confuso.
« Buona idea» confermò Colin, ugualmente a disagio.
Sara gli riservò un’occhiataccia, poi si sedette accanto alla bambina.
Era davvero piccola e tutta raggomitolata in quel modo, lo sembrava ancora di più. E se ne rese conto Sara, che di solito era la più minuscola di tutti.
« Cosa è successo?» le chiese, sperando di non essere apparita brusca.
La bimba mugolò da sotto le braccia:
« … hanno torturato quel ragazzo …»
« Già. È orribile» sospirò Sara, indecisa se metterle o no un braccio intorno al collo. Davvero non sapeva come trattarla.
La ragazzina singhiozzò: « Io … io non voglio più stare nell’Esercito di Silente. Hai visto cosa ci fanno! A cosa … a cosa ci serve? Perché lo facciamo?».
Sara sentì qualcosa vibrarle nel petto e le si inginocchiò davanti, facendole pressione con le mani sulle braccia incrociate:
« No! Non devi mai dire questo!».
Il calore con cui l’aveva pronunciato, evidentemente fecero credere alla ragazzina che fosse il momento di alzare lo sguardo: posò i suoi occhi lacrimosi su Sara, stupiti e impauriti.
« Non devi pensare che sia giusto il regime di Piton! Hogwarts non è così. Hogwarts è un posto bellissimo!»
Sara si guardò alle spalle, ma Colin e Dennis se l’erano davvero squagliata. Non aveva nessuno a darle manforte.
« Ascolta …» continuò, vedendo la bimba ancora scoraggiata: « lo so che per te è il primo anno. Però, devi credermi! I maghi non vengono istruiti in un ambiente così! Il nostro compito è proteggere la vera Hogwarts dai soprusi che la stanno assediando. Ognuno ha una sua piccola battaglia da compiere! Pensa a Harry Potter, come dice sempre Neville! Lui da solo ha la più grande responsabilità di tutte! Pensa! Deve occuparsi di uccidere Tu-Sai-Chi! Rispetto a quello che dobbiamo fare noi è decisamente più pericoloso … no?».
La bimba emise un grugnito: « Harry Potter? … tutti dicono che è un eroe. Ma io non l’ho mai visto. Io … io non ci credo in Harry Potter! Noi veniamo torturati … chi ci dice che lui non se l’è data a gambe, eh? Deve uccidere Tu-Sai-Chi? Io credo che tutti al suo posto sarebbero scappati! E allora noi che ci stiamo a fare qui?»
Sara strinse la presa sulle braccia della ragazzina, cercando un contatto con gli occhi, che evidentemente la mettevano a disagio:
« Senti. Io non lo conosco bene, Harry Potter, però alcune cose le so: quando ero al mio primo anno, esattamente alla tua età, Harry Potter fu scelto per essere il campione del Torneo Tremaghi. Era una trappola, in realtà! Tu-Sai-Chi voleva farlo vincere per poi ucciderlo. Lui sopportò tutte le offese che gli altri gli rivolgevano, perché nessuno lo voleva come campione di Hogwarts. Eppure è arrivato fino alla fine, comportandosi bene in tutte le prove; che erano spaventose, tra l’altro. Ha dovuto sconfiggere un drago! E alla fine ha davvero trovato Tu-Sai-Chi, ed è riuscito a fronteggiarlo!»
La ragazzina stava ad ascoltare, poco convinta.
« Quando invece ero al secondo anno, tutti i giornali lo infamavano. Ma di brutto. E lui non ha desistito! C’era una professoressa terribile, la Umbridge – che ora infatti aiuta im Mamgiamorte – che lo ha torturato e insultato ogni giorno. Eppure lui ha fondato l’Esercito di Silente e ha trovato gente che, come lui, non si arrenderà mai!».
Un rumore di passi, annunciò il ritorno di Colin e Dennis.
Sara si immaginò che avessero provato a portarsi dietro Neville Paciock, ma quando si voltò a guardarli vide qualcun altro.
Ginny Weasley la stava ascoltando, appoggiata alla parete dietro di lei.
Dennis e Colin l’avevano appena raggiunta, col fiatone.
Sara mantenne il contegno.
Ginny parlò, con un sorriso amaro sulle labbra:
« Quando io ero al mio primo anno, invece, mi ha salvata da Tu-Sai-Chi in persona. Io ero stata posseduta da Tu-Sai-Chi, che mi usava per fare cose orribili».
Si avvicinò alla ragazzina e di conseguenza a Sara.
Inaspettatamente, Ginny le si rivolse e le fece un sorriso sincero, complice. Poi tornò a fissare la bimba del primo anno.
« Se devi credere in qualcuno, quello è Harry Potter. Lui è il prescelto. Io lo conosco. Te lo posso giurare. Non se l’è data a gambe. Lui sta combattendo. Lo so!»
« Fidati. Harry Potter non si è dimenticato di Hogwarts» concluse Sara, ricambiando il sorriso complice a Ginny.
Sentiva come una scarica elettrica vibrarle dentro le vene.
Avrebbe tonfato Colin e Dennis moto volentieri, più tardi, per essere andati a pescare proprio lei. Però, per la prima volta, per davvero, sentiva che poteva chiudere un occhio sull’antipatia che provava per lei.
La sentì come un alleato forte e indispensabile.
 
**
 
I cieli di gennaio si stavano lentamente mutando in quelli altrettanto gelidi di febbraio.
Sulla cima della Old Man of Coniston, il tempo era tempestoso: la neve si era abbattuta, gelida, sulle abitazioni Martin e Baston.
Alice non aveva potuto portare le capre al pascolo da almeno una settimana. Anche se di certo il loro quadratino di terra era rimasto verde, la via per raggiungerlo si trovava sotto un altissimo strato bianco.
 
« Satana sbudellato, di questo passo quelle bestie rivedono la cima dei monti solo a marzo!»
Bubbolava nonna Climene, mentre guardava fuori dalla finestra, constatando che nevicava ancora.
Offrì una cioccolata calda ad Alice.
« Grazie nonna. Ma dai, sono certa che almeno Calcabrina riuscirà a dimagrire un po’. Lo sai che era ingrassata ancora? Meglio se riusciamo a non portarla al pascolo per qualche tempo»
« Mhm. Quella cicciona. Forse hai ragione. Dov’è Irene?»
« Lei e Oliver hanno deciso che era tempo di raccogliere un po’ di cose nell’orto»
Rispose Alice, sorseggiando la sua cioccolata fumante, che le appannò gli occhiali.
« Mhm. “un po’ di cose”? Che roba sarebbe? Satanaré, Alice, tu e l’orto siete come il diavolo e l’acqua santa!»
« Ma io e il pascolo siamo un tutt’uno come marito e moglie. Eh nonna Climene?»
Alla risposta pronta e sbarazzina di Alice, nonna Climene replicò lanciandole una pugnetta da cucina in viso.
« Eh! Vorrà dire che sei una vaccara nata!»
« Ma io bado alle capre, non alle mucche!»
« E allora sei una capraia!»
« Si, come no!»
Le due se la risero insieme, per un po’, mentre la neve continuava a scendere fuori dalla finestra.
« Sei preoccupata, bimba mia»
Disse nonna Climene, con un tono così scorbutico da sembrare in realtà una maschera per la dolcezza.
« Eh già» annuì Alice, scomparendo di nuovo nella sua cioccolata calda.
La nonna si sedette su una sedia a dondolo, rivolta verso la finestra.
Alice sapeva che non era tipa da fare i discorsi sentimentali faccia a faccia … e gliene fu grata, visto che di certo non lo era neppure lei.
« Pensi a qualcuno che è a Hogwarts?»
« Si. Amiche ed amici. Sono preoccupata per loro … e mi mancano».
Nonna Climene dondolò avanti e indietro per qualche secondo.
« Sono sicura che anche loro pensano a te e sono in pensiero. E se lui non lo è, vado lì e lo prendo a pedate nei denti così forte che dovrà pagarmi in ziqqurat d’oro, prima che gli riattacchi quelli che gli ho rotto».
Alice rise molto forte.
In cuor suo era così contenta di quella breve chiacchierata con nonna Climene.
Le piacevano le persone che capivano da sole le cose che lei nascondeva di proposito.
 
Nella serra, Irene e Oliver avevano dei cesti pieni di ottimi prodotti agricoli: Irene si stava ora dedicando a raccogliere i ravanelli, mentre Oliver era dietro ai cavoli neri.
« Ma quel Joe … ti fidi di lui? Sembrate molto amici»
Oliver era chino, con un coltello da cucina, che svelleva i cavoli dal terreno.
Dentro la serra faceva un gran caldo, a dispetto del clima esterno.
« Si, lo conosco. Però non credere troppo a quello che dice. Sarà anche buono, ora, ma è comunque un vigliacco. Pensa sempre da vigliacco e fa solo quello che la vigliaccheria gli comanda».
Irene frugò in cerca di un altro ravanello, rimproverando Tegamina per essersi camuffata ed essere ora tutta sporca di terra.
Oliver guardò la scena divertito: aveva un debole per Tegamina; lo faceva sempre ridere, anche se di base era un ragazzo molto serio.
« ti ricordi quel porro dall’aspetto poco raccomandabile che abbiamo raccolto prima?»
Chiese Irene tutto a un tratto.
« Uhm, si …» Oliver lanciò un’occhiata al cesto dei porri: uno, particolarmente oblungo, mezzo mangiucchiato dalle lumache, faceva la sua figura sopra gli altri.
« Ecco. Diciamo che sarà quel porro che servirò a cena sul piatto di Joe»
« Oh. Allora è una specie di tattica, la tua? Perché fai l’amicona se sotto sotto vuoi avvelenarlo?»
« Perché è l’unico che ci porta le notizie dal mondo magico. Per ora ci serve» annunciò Irene con tono teatralmente drammatico.
« Esatto. Stasera ha detto che viene a cena, giusto? Non vedo l’ora che mi dica com’è andata a finire la partita fra le Frecce di Appleby e i Pipistrelli di Ballycastle. Se vincono i Pipistrelli, i Puddlemere United hanno ancora qualche speranza di rimontare alla fine del campionato».
Irene lo vide fremere di un’esaltazione quasi selvaggia.
« Wow. Io dico di avvelenare Joe, ma tu sembri sul punto di uccidere me se lo uccido prima che tu sappia i risultati della partita»
« Speriamo che i Puddlemere mi prendano di nuovo con sé, quando tutta questa faccenda di Tu-Sai-Chi sarà finita»
« Ok, ok. Tegamina, andiamo … ormai è entrato in argomento “Quidditch” … non ne uscirà più per tutta la sera».
Irene si allontanò, ridacchiando, con la Puffola che le balzellava sulla spalla.
« Ma … non è vero!» ribatté Oliver, contrariato.
« Oh, si che è vero»
« No, no, guarda, parliamo d’altro. Aspetta, senti qua, mi ricordo tutto quello che mi hai raccontato: a Hogwarts hai un’amica che chiami Moris, mentre tu sei Boris. Lei è di Serpeverde, ma mi hai assicurato più volte che è simpatica e buona. Ah, si, e alla prima lezione di Divinazione avete lanciato tazzine di tè per tutta l’aula. Dì un po’, chi è che ascolta, invece di pensare solo al Quidditch?».
Irene lo guardò, rivolgendogli un sorriso.
« Mhm. Ottimo. E ora vediamo quanto tempo trascorrerà, prima che la parola Quidditch esca di nuovo dalla tua bocca!».
Il record non fu molto alto, come Irene aveva previsto: quando Joe arrivò, nel suo mantello nero di pelliccia, coperto di neve, aveva la Gazzetta del Profeta che conteneva anche i risultati delle contese sportive.
I nonni la spulciarono, invece, in cerca di qualche notizia sulla che era in corso ma di cui nessuno, al Ministero, sembrava accorgersi: da quando il Cavillo aveva smesso di pubblicare, pareva evidente che non ci fossero più notizie attendibili in giro.
Il Ministero era palesemente sotto la mano del Signore Oscuro.
Cosa mai potevano fare tutti loro per contrastare una simile situazione? Come potevano addirittura sperare in un singolo individuo? Harry Potter? Un diciassettenne scomparso dalla faccia terra, poteva davvero essere considerato una speranza?
 

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Capitolo 26
*** la trasmissione ***


La trasmissione
 
« Forza! Svegliarsi! Hop! Giù dal letto, bella addormentata! »
Samantha si svegliò di soprassalto, agitata.
La voce che le aveva urlato quella frase nell’orecchio non era per nulla amichevole e tutt’intorno percepiva confusione.
« Che succede?» disse fra il sonno, confusa, sentendo il torpore del letto venirle strappato di dosso.
« I Mangiamorte» le rispose una seconda voce.
Era adesso abbastanza lucida per riconoscere di essere a braccetto a Lee Jordan, che la stava praticamente trascinando molto lontana dall’accampamento.
« Lee! Aiutami!»
Disse la voce di Roger, in lontananza.
Lee imprecò, poi si fermò e parlò a Samantha con molta gentilezza:
« Sam, devo andare ad aiutare i ragazzi della radio. George, andate a nascondervi!».
Samantha si sentiva ancora stordita dal sonno, ma la gravità della situazione era riuscita a renderla un poco reattiva.
Percepì il cambio di braccia da Lee Jordan a George Weasley, che però la fece muovere ad una velocità molto più spedita.
« Sam, muovi quelle gambette! Bisogna allontanarsi!»
« Si, si! Scusami ..»
Samantha strizzò gli occhi, per scacciare i rimasugli dell’intorpidimento e si impegnò per stare al passo.
« George, bisogna Smaterializzarsi per forza! Questi ci ammazzano!»
« Eh! Dillo a me!»
I gemelli parlavano col fiatone durante la corsa e Samantha si sentì chiaramente chiamata in causa. Adesso si era perfettamente svegliata.
Sentì una fitta al petto, appena pronunciarono la parola “Smaterializzazione”.
Era per colpa sua che da più di un mese si stavano spostando a piedi e i Mangiamorte rimanevano sulle loro tracce.
La voce di Fred Weasley la riscosse dai suoi sensi di colpa:
« Via, Sam, dobbiamo per forza! Vuoi che moriamo? Ti portiamo noi!»
« Non ti succede nulla, per davvero!»
« Fai la brava bimba, ti scongiuro!»
Samantha sentì rumori di lotta magica provenire da dietro di sé, dove c’era l’accampamento.
« Lasciatemi qui! Davvero! Io non mi Smaterializzo»
George sospirò e Fred la prese per un braccio, scuotendola:
« Non fare la scema! Non ti possiamo lasciare qui!»
« Reggiti al nostro braccio»
« No! Andate voi! Io non mi muovo! Non lo farò mai più, ma proprio mai mai più!».
I gemelli, dall’aria esasperata, si guardarono intorno.
Samantha si chiese se stessero cercando un ramo abbastanza grande per stordirla, ma poi capì che si erano fermati a guardare cosa succedeva verso l’accampamento:
nella notte buia, fiamme lucenti ardevano come fanali ed emanavano un calore innaturale.
Lee Jordan, insieme a Roger e Robin, correva in loro direzione.
Tutti trasportavano quanti più oggetti potevano.
« Bisogna filare!» urlò agli amici, appena li ebbe raggiunti.
Nel cielo si vedevano figure nere, ancora più scure della notte, a cavallo di non meno di dieci scope.
« Ragionaci tu con questa qua!» urlò Fred Weasley, indicando Samantha.
Samantha si vergognò tantissimo, quando lesse negli occhi di tutti il disagio immenso che stava creando.
Ma davvero, lei non si faceva problemi a rimanere lì da sola …
« Samantha. Ascoltami»
Lee posò i trasmettitori – e Susanna -  per terra, vicino al tronco di un albero.
Roger e Robin si misero a parlottare con i gemelli, scocciati e preoccupati.
I Mangiamorte stavano setacciando la zona e non ci avrebbero messo molto a trovarli. Erano tantissimi.
Samantha fissò il volto di Lee, illuminato a zone dal riflesso del fuoco.
« Dobbiamo davvero andarcene di qui. Fra poco tempo quelli ci trovano e ci ammazzano. Se ci Smaterializziamo rimarremo vivi e ti giuro che non ti Spaccherai. Non mi Smaterializzerò da qui senza di te, hai capito? Non ti lasceremo qui. Ti prego. Ti prego. Fidati di me. Davvero, non ti succederà niente».
I suoi occhi neri riflettevano l’incendio della tenda.
Samantha si sentì col fiato sul collo.
« Va bene» si arrese, aggrappandosi al braccio di Lee.
Il sollievo generale era palpabile nell’aria. Samantha sentì ogni singola persona sospirare rumorosamente.
« Allora andiamo al punto di ritrovo stabilito?» chiese Lee agli altri.
« Andiamo!»
Samantha strinse fortissimo gli occhi, certa che si sarebbe pentita della sua scelta.
Sentì il risucchio fischiarle negli orecchi e la pressione esploderle nel cervello. Tutto era compresso e continuava a schiacciarla.
Non riusciva a respirare …
Poi il freddo. Aria fresca e pungente disponibile per essere respirata.
Samantha ne ingurgitò a boccate piene, barcollando, con gli occhi in fuori.  Lee le impedì di cadere, solo perché era sempre abbracciata a lui.
Gli altri parevano indifferenti alla tortura della Smaterializzazione e sorridevano, osservando il cielo aperto sopra le loro teste.
« Oooh! Era ora!»
« Finalmente!»
« Allora, Sammy? Hai visto che non era niente di che?»
« Tra l’altro, ora che sei maggiorenne potresti addirittura aver preso la patente!»
Risero i gemelli, raggiungendo lei e Lee.
Roger e Robin si misero a raccogliere l’attrezzatura della radio con ordine.
Era vero: Samantha aveva festeggiato i suoi diciassette anni da poco. Quando aveva detto ai suoi compagni di viaggio che sarebbe diventata maggiorenne, le avevano improvvisato una festa bellissima: erano riusciti a procurarsi una torta – a Samantha non fu consentito fare domande al riguardo – ed erano rimasti tutti svegli fino a mezzanotte per tirarle le orecchie.
Questo, comunque, non aveva significato nei suoi pensieri nemmeno per un attimo il fatto che avrebbe potuto Smaterializzarsi.
Era stato comunque un sollievo poter usare di nuovo la magia, senza preoccuparsi della Traccia.
 
« Scordatevi di farmi fare questa cosa un’altra volta. Se i Mangiamorte ci beccano anche qui, lasciatemi a loro. Magari gli sto simpatica e non mi fanno niente».
Fred e George si misero a ridere, ma i due tecnici, invece, si arrabbiarono:
« Vediamo di smetterla con questa storia! Se c’è da Smaterializzarsi, tu ti Smaterializzi. Chiaro?»
« Abbiamo passato più di un mese a farci inseguire da quei pazzi e stanotte potevamo anche rimanerci! Per colpa tua. Quindi ora smettiamola, eh!»
Samantha stava per ribattere, aggredendoli con una scarica di parole confuse che le venivano in mente, ma Lee fu più veloce:
« Sentite. Ora basta, fra tutti. È andata bene, siamo vivi e domani trasmettiamo. Sam, è andato tutto bene? Non ti ho fatta Spaccare, no?».
Samantha arrossì, sentendosi un po’ come la bambina del gruppo.
Doveva superare quel trauma della Matrializzazione … ma le serviva ancora tempo.
« No. Tutto ok» rispose: « e comunque … dove siamo?»
Si guardò intorno: erano approdati in aperta campagna.
Le colline si flettevano in onde flessuose, sotto la spinta del vento leggero.
Era molto freddo, più che dentro la Foresta.
A pensarci, Samantha si rese conto che era per la prima volta davvero molto lontana dal luogo che l’aveva ospitata per mesi. Era ormai chissà quanto lontana da Esmeralda. Aveva quasi sperato di poterla vedere di nuovo … ma il drago se n’era tornato alla sua vita di protettrice della Foresta Proibita.
« Siamo sulle colline di Cotswolds, nell’Oxfordshire. Ci siamo dati appuntamento qui con i nostri ospiti. Fred … George? Mandate i Patroni a chiamarli?».
Disse Lee.
« Sissignore» risposero in coro i due.
Estrassero la bacchetta e ne uscirono una iena e un coyote argentei, che sparirono nella notte fluttuando a grande velocità.
« Una iena e un coyote?» ridacchiò Samantha. « non l’avrei mai immaginato».
« Ah no? Secondo te non siamo abbastanza spiritosi da avere animali che ridono e che ululano, come Patronus?».
« Secondo me sareste abbastanza rompiscatole da avere due pappagalli per Patronus»
« Oh … ma sentitela. Scommettiamo che tu manco lo sai fare, l’Incanto Patronus. Lee, dille qualcosa. È antipatica!».
Mentre tutto stava per risolversi con una risata, Samantha tirò fuori la bacchetta di quercia (quanto le mancava fare magie costantemente!) ed evocò un Patronus: il suo grande bisonte d’argento le girò attorno due volte, poi sparì.
I gemelli scoppiarono letteralmente a ridere e anche Lee non si trattenne.
« E dici a noi? Bello davvero, un bisonte! Alla faccia!»
Si stavano praticamente sbellicando.
Samantha ne rimase molto offesa: « Cos’ha di divertente? È un animale meraviglioso! Se solo conosceste la spiritualità dei Nativi Americani!»
« Dice che le ragazzine piccoline e mingherline come te, hanno come alter ego un bestione lardoso, grosso quanto una casa?»
« Cretini».
Samantha non discusse oltre. Era così fiera del suo Patronus …
Mentre insieme agli altri provavano a far comparire una tenda (quella buona era stata distrutta dalle fiamme dei Mangamorte), con scarsi successi, Fred e George non la smisero nemmeno per un attimo di ridere a crepapelle per il fatto del bisonte.
 
**
 
Gli ospiti arrivarono la sera del giorno dopo.
Si Materializzarono lì vicino ad orari molto ravvicinati. Roger e Robin allestirono, così, in fretta gli attrezzi per la trasmissione della puntata.
 
« Professor Lupin!»
Samantha non si aspettava minimamente di vederlo.
Come in un flashback, si ricordò di Fred e Goerge che dicevano di voler invitare “Remus” … era così che si chiamava il suo ex professore!
« Ciao Samantha! Cosa ci fai tu, qui?» le rispose lui, gentilmente.
Gli raccontò molto velocemente la sua storia, poiché Robin aveva praticamente finito di accendere tutti i trasmettitori e non voleva fargli perdere tempo.
Lo trovò molto più grigio ed emaciato di quanto non se lo ricordasse: era magro, con gli abiti logori e molte rughe gli invecchiavano precocemente il viso.
« Raggiungo Lee alla postazione dei microfoni. Dopo possiamo parlare ancora, se vuoi»
Il professor Lupin si allontanò, lasciandole fra le mani una barretta di cioccolata.
« Ah, Lee! Il Patronus di Fred mi ha avvisato che vi mancava una tenda. Ve ne ho rimediata una»
« Lei è il massimo, professore!»
« Puoi chiamarmi Remus, Lee. Anzi, Romulus, in questa circostanza».
Lee fece sedere l’ex professore su un trespolo improvvisato, vicino ad un microfono rotondo.
L’altro ospite era un uomo alto, robusto, di carnagione nera e dalla voce molto calda e tranquillizzante.
Samantha non lo conosceva, ma le bastò uno sguardo per capire che le rimaneva simpatico.
Prima di iniziare la trasmissione, Lee fu aggiornato sui fatti di cronaca che avrebbero dovuto divulgare. L’uomo che si scoprì chiamarsi Kingsley Shacklebolt, aveva con sé diversi fogli e li illustrò a Lee.
Samantha sistemò a sedere vicino a Roger, avvolta in una coperta, mentre mangiava la sua cioccolata.
Robin, dall’altra parte, alzò in aria una mano e con le dita segnò un conto alla rovescia.
Tutto era pronto.
Tre, due, uno …
 
« Gentili ascoltatori! Radio Potter è di nuovo fra voi! Quanto tempo è passato, eh? Ci scusiamo per la temporanea assenza dalle frequenze radio, dovuta a qualche visitina di quei simpaticoni di Mangiamorte nella nostra zona»
Lee sembrava fondersi con il microfono. Era decisamente entusiasta di quel mestiere e gli si leggeva in faccia. Sorprendendosi un poco di sé stessa, Samantha notò che quella gioia incondizionata gli stava molto bene.
«... Adesso ci siamo trovati un altro posto sicuro e ho il piacere di annunciarvi che due dei nostri collaboratori fissi sono qui con noi stasera. Buonasera, ragazzi!» «Salve» disse il professor Lupin.
«'Sera, River» rispose invece l’altro ospite.
«Ma prima di ascoltare Royal e Romulus» riprese Lee, afferrando un foglio che quest’ultimo gli porgeva: «dedichiamo un istante all'elenco dei caduti che Radio Strega Network e La Gazzetta del Profeta non ritengono importante divulgare. È con enorme dolore che informiamo i nostri ascoltatori dell'assassinio di Ted Tonks e Dirk Cresswell».
«È stato ucciso anche un folletto di nome Gonci. Si pensa che il Nato Babbano Dean Thomas e un secondo folletto, entrambi presumibilmente in viaggio con Tonks, Cresswell e Gonci, siano sfuggiti alla morte. Se Dean è in ascolto, o se qualcuno sa dove si trova, i genitori e le sorelle cercano disperatamente sue notizie.
«Nel frattempo a Gaddley una famiglia Babbana di cinque persone è stata trovata morta in casa. Le autorità Babbane attribuiscono i decessi a una fuga di gas, ma alcuni membri dell'Ordine della Fenice mi informano che è stato un Anatema che Uccide: una prova ulteriore, se ce ne fosse bisogno, del fatto che le stragi di Babbani stanno diventando qualcosa di più che un'attività ricreativa sotto il nuovo regime. «Infine siamo dolenti di informare i nostri ascoltatori che i resti di Bathilda Bath sono stati scoperti a Godric's Hollow. A quanto pare la morte risale a diversi mesi fa. L'Ordine della Fenice ci informa che il suo corpo mostrava inconfondibili tracce di ferite da Magia Oscura.
«Cari ascoltatori, vi invito ora a unirvi a noi nell'osservare un minuto di silenzio in memoria di Ted Tonks, Dirk Cresswell, Bathilda Bath, Gonci e degli sconosciuti, ma non meno rimpianti, Babbani assassinati dai Mangiamorte».
Samantha sentì un brivido di freddo salirle su per la schiena e non ebbe il coraggio di deglutire il boccone di cioccolata.
Dean Thomas … non si chiamava così il ragazzo che piaceva tanto a Sara? Ma certo che era lui! Quello che l’aveva invitata al Ballo del Ceppo … quello che era stato fidanzato con Ginny Weasley!
Quelle cose sembravano così lontane, adesso …
«Grazie» riprese la voce di Lee. «E ora rivolgiamoci al nostro collaboratore, Royal, per un aggiornamento sugli effetti del nuovo ordine magico sul mondo Babbano». «Grazie, River» rispose Kingsley con voce profonda, misurata, rassicurante: «I Babbani continuano a ignorare la causa delle loro sofferenze ma stanno subendo ripetute, pesanti perdite. Tuttavia, continuiamo a sentire storie profondamente significative di maghi e streghe che rischiano la propria incolumità per proteggere amici e vicini Babbani, spesso a insaputa dei Babbani stessi. Vorrei fare un appello a tutti gli ascoltatori perché seguano il loro esempio, magari imponendo un incantesimo di protezione sulle abitazioni Babbane della loro strada. Molte vite potrebbero essere salvate adottando queste semplici misure».
«E che cosa diresti, Royal, a quegli ascoltatori che obiettano che in tempi così pericolosi dovrebbe valere il motto 'prima i maghi'?» gli chiese Lee.
«Direi che da 'prima i maghi' a 'prima i Purosangue', e infine a 'prima i Mangiamorte' il passo è breve» rispose Kingsley. «Siamo tutti esseri umani, no? Ogni vita umana ha lo stesso valore e merita di essere salvata».
«Ben detto, Royal, ti garantisco il mio voto per il Ministero della Magia non appena saremo usciti da questo disastro» continuò Lee. «E ora passiamo la parola a Romulus per la nostra popolare rubrica: 'Amici di Potter'».
Samantha ridacchiò. Da quando era popolare la rubrica “Amici di Potter”? O Lee se l’era inventata, oppure non gli aveva mai chiesto abbastanza informazioni sul programma radio … ma la parlantina era un’indubbia dote di quel ragazzo.
«Grazie, River» replicò il professor Lupin.
«Romulus, tu continui a sostenere, come hai fatto tutte le volte che hai partecipato al nostro programma, che Harry Potter è ancora vivo?»
«Certamente» rispose Lupin con decisione. «Non ho alcun dubbio che la notizia della sua morte sarebbe stata diffusa con la massima sollecitudine dai Mangiamorte, perché sarebbe un colpo fatale per il morale di coloro che si oppongono al nuovo regime. Il Ragazzo Che È Sopravvissuto resta il simbolo di tutto ciò per cui stiamo lottando: il trionfo del bene, il potere dell'innocenza, il bisogno di continuare a resistere».
Samantha aveva dimenticato quanto le piacesse il professor Lupin. Senza dubbio era stato il migliore insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure mai avuto! Ed era un uomo così buono …
Sperò che Sara fosse in ascolto. Chissà se a Hogwarts si ascoltava Radio Potter.
«E cosa diresti a Harry se fosse in ascolto, Romulus?»
«Gli direi che siamo tutti con lui». Lupin esitò e riprese. «E gli direi di seguire il suo istinto, che è affidabile e quasi sempre nel giusto».
« Grazie per queste parole, caro Romulus. E il consueto aggiornamento sugli amici di Harry Potter che stanno soffrendo per la loro lealtà?» stava chiedendo Lee.
«Be', come i nostri ascoltatori sapranno, molti dei più aperti sostenitori di Harry Potter sono stati imprigionati, tra cui Xenophilius Lovegood, già direttore del Cavillo. Abbiamo anche saputo nelle ultime ore che Rubeus Hagrid, noto guardiacaccia alla Scuola di Hogwarts, è sfuggito per un soffio all'arresto nel territorio della Scuola, dove corre voce che abbia ospitato una festa 'Pro Harry Potter'. Tuttavia Hagrid non è stato fatto prigioniero e pensiamo che si sia dato alla macchia».
«Immagino che avere un fratellastro alto cinque metri sia d'aiuto se vuoi sfuggire ai Mangiamorte» commentò Lee.
«Diciamo che ti dà un certo vantaggio» convenne Lupin, serio. «Vorrei solo aggiungere che anche se noi qui a Radio Potter applaudiamo Hagrid per il suo coraggio, consigliamo anche i più fedeli sostenitori di Harry di non seguirne l'esempio. Le feste 'Pro Harry Potter' sono poco prudenti nel clima attuale».
«Senza dubbio, Romulus» convenne Lee, «perciò vi suggeriamo di continuare a dimostrare la vostra dedizione all'uomo con la cicatrice a saetta ascoltando Radio Potter!».
Samantha si chiese con un magone allo stomaco se Sara fosse fra i partecipanti alla festa.
“Ma no”, si disse; “Sara che partecipa a festini pro- Potter? Quando mai!”.
« E ora passiamo al mago che si sta dimostrando elusivo quanto Harry Potter. Ci piace riferirci a lui come al Mangiamorte Capo. Qui con noi, per commentare alcune delle voci più deliranti che circolano sul suo conto, ho il piacere di presentarvi il nostro nuovo collaboratore: Rodente».
Fred, che fino a quel momento era rimasto vicino a Samantha e Roger, insieme a George, ebbe un fremito e si catapultò alla postazione dei microfoni:
«Niente 'Rodente', non se ne parla, ti avevo detto che volevo chiamarmi 'Mordente’!»
Samantha scoppiò a ridere, ricordandosi di aver sentito qualcosa del genere, durante una discussione notturna.
Lee sbottò: «Oh, d'accordo, allora. Mordente, puoi dirci il tuo punto di vista sulle
varie storie che circolano sul Mangiamorte Capo?»
«Sì, certo, River» rispose Fred, risentito per la confusione fra i soprannomi (Samantha era certa che trovasse fantastico quello che si era scelto).
«Come i nostri ascoltatori sapranno, a meno che non si siano rifugiati in fondo allo stagno di un giardino o in un posto del genere, la strategia di Voi-Sapete-Chi di restare nell'ombra sta diffondendo un piacevole clima di panico. Badate, se tutti i presunti avvistamenti fossero autentici, dovrebbero esserci in giro almeno diciannove Voi-Sapete-Chi».
«Il che gli sta benissimo, naturalmente» intervenne Kingsley. «Il mistero crea più terrore che se si facesse veramente vedere».
«Esatto» continuò Fred. «Quindi, gente, cerchiamo di darci una calmata. Va già abbastanza male senza che ci inventiamo le cose. Per esempio, questa nuova idea che Voi-Sapete-Chi sia in grado di uccidere solo con lo sguardo. Quello è il Basilisco, gentile pubblico. Una semplice prova: se la cosa che vi sta lumando ha le gambe, potete guardarla tranquillamente negli occhi. Naturalmente, se è davvero Voi-Sapete-Chi è comunque molto probabile che sia l'ultima cosa che farete».
Samantha sputò l’ultimo boccone di cioccolata, senza riuscire a trattenersi.
Anche George sghignazzò con lei.
«E le voci di avvistamenti all'estero?» chiese Lee, lanciando ai due un’occhiataccia per il rumore che stavano producendo senza ritegno.
«Be', chi non vorrebbe farsi una bella vacanza dopo mesi di duro lavoro?» rispose Fred, orgoglioso di aver scatenato tanta ilarità.
«Il punto è, gente, non cullatevi in un falso senso di sicurezza, solo perché pensate che sia fuori dal nostro paese. Forse lo è, forse no, ma resta il fatto che se vuole è in grado di spostarsi più in fretta di Severus Piton davanti a un flacone di shampoo, quindi non contate sul fatto che sia molto lontano, se avete in mente di correre dei rischi. Non avrei mai immaginato di dire una cosa del genere, ma la prudenza viene prima di tutto!»
«Grazie infinite per queste sagge parole, Mordente» concluse Lee. «Gentili ascoltatori, con questo siamo giunti alla fine di un'altra puntata di Radio Potter. Non sappiamo quando potremo essere di nuovo in onda; ma state certi che torneremo. Continuate a girare quelle manopole: la prossima parola d'ordine sarà 'Malocchio'. Proteggetevi a vicenda; abbiate fede. Buonanotte».
Robin dette l’ok con la mano e spense i trasmettitori.
La puntata era finita.
Come liberatisi di un peso enorme, tutti scoppiarono a ridere molto forte.
« Ma cos’è questa storia del “nuovo collaboratore”? Oh! Ti ho aiutato più io che Roger-l’uomo-delle-antenne!»
Borbottò Fred, mentre si sbellicava.
« Eh! Ogni volta hai un nome diverso, che cavolo! Bisognerà che inventi qualcosa, alla gente che ci ascolta!» gli rispose Lee, abbracciandolo, mentre si contorceva dal ridere.
« Lo shampoo! E Severus Piton! Stavo morendo!» aggiunse Samantha, con le lacrime agli occhi.
Con suo immenso piacere, Fred abbracciò anche lei –  e George – .
Kingsley e il professor Lupin si fermarono poco oltre: li aiutarono a montare la tenda nuova e mangiarono un boccone di minestra; poi si Smaterializzarono.
Erano momenti per cui valeva la pena essere ricercati, quelli così. Semplici, intensi e puntati dritti sulla via dell’onestà.
Così si era veri Grifondoro. Così si poteva vincere una guerra.
 



 
* angolo della scrittorah *
Awwwwww scusate il capitolo egocentrico al 1000%. In realtà volevo attaccare qui anche un pezzo di Maison Lavande, ma ho visto che si contavano già 10 pagine word (di solito un capitolo ne conta 5 o poco più) e non ho voluto calcare la mano. Per la Maison, aspettate il prossimo ;*
In ogni caso! Era dall’inizio del libro che non vedevo l’ora di scrivere e pubblicare questo capitolo! È così bello prendere pezzi della Rowling e vedere che tutto torna e potrebbe essere plausibile
Ahhh che bello!
Basta! Giuro che sono finiti i pezzi egocentrici.
Ormai siamo quasi alla fine T__T
 
#fredgnocco
#coffcoff 

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Capitolo 27
*** le varie facce del coraggio ***


Le varie facce del coraggio
 
Dario leggeva per i fatti suoi un romanzo che non c’entrava nulla con Twilight. Era finalmente riuscito nell’impresa di finirlo, assieme a Gabrielle, che ora era passata dalla fase di asocialità a quella di totale introversione: passava tutto il giorno a disegnare i personaggi del libro e le sue scene preferite. Aveva chiesto a Madame Belhome una scorta di fogli e penne, e Dara non aveva potuto dire di no.
 
« Darius, ti piasce?»
Dario voltò distrattamente lo sguardo dal suo libro, leggermente annoiato, immaginando di doverle dire per la centesima volta che aveva reso Edward molto bene.
Questa volta, però, si trovò faccia a faccia con uno schizzo diverso: c’erano quattro persone sul foglio.
Sebbene lo stile ancora fanciullesco, Gabrielle non era affatto male a disegnare.
« Ma quello sono io?»  chiese il ragazzo, avvicinandosi al foglio: accanto all’evidente autoritratto di Gabrielle, c’era un ragazzo con gli occhiali, con un libro in mano.
« Oui!» cinguettò lei, arrossendo mentre la sua opera veniva scandagliata.
« Aspetta! Questi due invece sono Dara e Franz?»
« Oui!» ripeté lei, ancora vergognosa.
Dario prese il foglio fra le mani e lo guardò accuratamente: la seconda ragazza aveva tantissimi ricci e con la penna, Gabrielle aveva colorato leggermente lo spazio relativo alla carnagione.
Dario si meravigliò di quanto Dara fosse resa amorevole e sorridente. Si sarebbe immaginato che nella testa della ragazzina, fosse più simile a una strega cattiva.
« Mi piace come … ehm … come hai disegnato Dara» puntualizzò.
Non vedeva l’ora di imbattersi in una situazione in cui Dara avrebbe trattato Gabrielle molto male – per nulla inverosimile – e mostrarle poi quel disegno, per farla sentire in colpa. Era un piano malvagio e perfetto.
 
Chi non era risultato molto di compagnia, in quegli ultimi tempi, era Anton. Se ne stava per conto suo, senza fare apparentemente nulla.
Ogni tanto, la sera, compariva una luce calda vicino al suo letto: era la fenice Zaafira, mandata da Laura, che gli faceva compagnia.
Quel giorno, tuttavia, Anton si avvicinò a Dario.
« Ciao. Ha tu un momento per parlare?»
Dev’essere un giorno di socialità, pensò Dario: prima Gabrielle, che usciva dalla sua silenziosa bolla di solitudine, e ora Anton.
« Certo. Dimmi»
« Io volefa sapere se … se tua amica Dara sta bene. Mi è sembrato così strano che sia andata via».
Dario sospirò. Non gli piaceva mentire, ma non aveva altra scelta:
« Ma si. È andata in Brasile per stare un po’ con i suoi. Hai visto quanti altri se ne sono andati da Maison Lavande, per cercare i familiari»
Anton rimase cupo.
« Io ha creduto, per un attimo, che lei fosse andata in una qualche missione … anche il ragazzo Belhome è scomparso. Girano voci di sommosse, anche dalle parti di Hogwarts. Ho sentito dire che i ragazzi che stanno contro il regime di Oscuro Signore vengono torturati. Credevo che Dara fosse andata a loro aiutare … magari perché sapeva qualcosa che io non sapevo»
Dario aggrottò le sopracciglia: « Del tipo?»
« Laura è là dentro. Non è schierata dalla parte di Tu-Sa-Chi. La Casa Serpeverde non è certo la migliore in cui stare, di questi tempi. Ho creduto che Dara fosse andata in segreto ad aiutare Laura e le altre Serpeverde sue amiche. Magari era loro successo qualcosa. La Fenice non è più comparsa da diversi giorni».
A Dario scappò un sorriso. Non sapeva se quel colosso fosse tenero, a preoccuparsi sempre così tanto per Laura, oppure addirittura paranoico.
« Ma no! Davvero, sono certo che Laura sta bene. Dara non è a Hogwarts! Te lo garantisco al cento percento. E poi, perché mai i Belhome dovrebbero tenertelo nascosto?»
Anton ci pensò su, silenzioso.
Alla fine sospirò: « Si, si hai ragione. È solo che mi sento così incapace, rinchiuso qui dentro. Se solo io potesse fare qualcosa …».
Dario sapeva che Anton si sentiva come un leone in gabbia. Era un discorso che già più volte aveva sentito uscire dalle sue labbra.
Forse era per questo che si preoccupava in continuazione per Laura … forse quasi sperava che accadesse qualcosa per avere l’occasione di andarsene ed entrare in azione.
Anche Dara gli aveva parlato di una sensazione simile. E di certo per quel motivo, la signora Belhome le aveva affidato l’incarico che stava ora svolgendo.
Per conto suo, Dario, non condivideva per nulla quel sentimento: era un Nato Babbano. Se avesse rimesso piede in Inghilterra l’avrebbero catturato e ucciso.
Non ci teneva per nulla, sinceramente.
Stava bene a Maison Lavande. Di certo questo non significava che gli stava anche bene che il mondo andasse per quel verso, ma nemmeno smaniava per rischiare la vita.
Si domandò cos’avrebbe fatto se davvero qualcuno dei suoi amici avesse chiesto aiuto.
“Ma ovvio che li aiuterei!” si disse, con una scrollata di testa, per scacciare quei pensieri.
Per il momento, tornò a sedersi nell’angolino di Gabrielle, riprendendo in mano il suo libro.
 
**
 
« Colin, dobbiamo andare per forza
Sara strattonava l’amico da sotto le coperte.
« Hai visto cos’hanno fatto a Michael Corner!» bisbigliò lui, girandosi dall’altra parte nel groviglio di lenzuola.
Era notte.
Sara era sgattaiolata nel dormitorio dei maschi per andare a svegliare i suoi amici.
Qualche notte prima, nella capanna del guardiacaccia Hagrid, si era tenuta una piccola festicciola segreta, finita in un disastro.
Neville Paciock aveva partecipato, assieme ad altri ragazzi e attualmente si trovava da tre giorni chiuso nel sotterraneo.
La fortuna aveva voluto che lei e i due ragazzi non fossero venuti a sapere dell’evento, perché con ogni probabilità, ne avrebbero preso parte.
 
« Colin se non ti alzi non me ne frega niente. E sai cosa? Ci vado da sola. E se non mi Cruciano così tanto da rimanerci secca, appena ti rivedo ti gonfio di botte!»
Sara si allontanò, sdegnata.
Stava già scendendo le scale di pietra per raggiungere il dormitorio di Dennis, sperando che almeno lui l’avrebbe seguita, quando sentì un rumore alle sue spalle.
« Ferma! Va bene, vengo!»
Colin si era alzato e la guardava malissimo, avvolto nella vestaglia da notte.
Sara evitò di sorridergli, per farlo sentire ancora un po’ in colpa per aver esitato.
Dopo che ebbero svegliato anche Dennis, con molta cautela i tre si avviarono verso il buco del ritratto.
 
« Dove state andando?»
Una vocina soffocata, proveniente da dietro, li fece rabbrividire da capo a piedi.
Chi aveva parlato, tuttavia, altri non era che la ragazzina bionda del primo anno.
Era avvolta in una coperta, aveva gli occhioni sonnolenti e molto tristi.
Sara, una volta che il sangue le fu tornato in circolazione, sussurrò:
« Stiamo andando a liberare Neville e Ginny. Non possiamo lasciarli laggiù. I Carrow li tengono nei sotterranei da tre giorni».
« Ma … e quel ragazzo di Corvonero? Quello che hanno torturato …»
Sara lesse il terrore nei suoi occhi. Sospirò e fece cenno a Dennis e Colin di aspettare.
Si avvicinò alla bimba e la circondò con un braccio.
« Senti. Non devi preoccuparti di quello che ci può accadere. Siamo la Casa dei coraggiosi, e io e i miei amici dobbiamo andare a fare quel che è giusto. Tu rimani qui a vegliare e aspettaci. Ti assicuro che torneremo con Neville e gli altri. Sii forte!».
La bimba non pareva molto convinta.
Guardò Sara, Colin e Dennis salutarla con i pollici alzati, mentre uscivano dal buco del ritratto.
La discesa verso i sotterranei fu molto lenta, perché ad ogni angolo si fermavano a controllare di non essere seguiti.
Essendo tutti e tre di statura molto minuta, erano ben nascondibili: Dennis si salvò in corner da Gazza, che ritornava al suo ufficio dopo una sosta al gabinetto, appiattendosi fra due armature.
Non avevano previsto che i Carrow sarebbero stati a guardia delle scale per i piani interrati. Effettivamente era una cosa ovvia da immaginare, a mente fredda, ma loro avevano agito d’impulso e non ci avevano pensato.
Con voci basse, quasi soffocate, si misero d’accordo e decisero di rischiare:
« Expecto Patronum!» sussurrò Sara, nascosta sotto una cassapanca di legno. Dennis e  Colin si erano rifugiati dietro le armature, che per far loro un favore se ne stettero ferme.
Un leopardo argentato fece un gran balzo dalla bacchetta di Sara e corse in direzione dei Carrow, per poi risalire una rampa che conduceva ai piani superiori.
 
« Ma che accidenti …»
« Alecto! Inseguiamolo!»
Con rumori goffi, i due vecchi insegnanti zoppicarono a gran velocità nella direzione del Patronus.
Sara e i ragazzi sgusciarono alle loro spalle, correndo a perdifiato nel sotterraneo, pregando tutto l’oro del mondo che nessuno dei due fosse abbastanza sveglio da capire che il leopardo era un diversivo.
Sentivano il cuore che martellava nelle loro gole, ma nessuno osava emettere suono.
Scesero due rampe di scale e si infilarono nel primo corridoio disponibile, per uscire dal campo visivo dei Carrow, appena tornati alle postazioni di guardia.
Si appoggiarono con la schiena al muro e respirarono forte, cercando di calmarsi.
Proprio mentre il battito cardiaco sembrava ritornare alla normalità, una luce opaca fluttuò attraverso il muro.
Dennis stava per urlare, ma Colin e Sara gli tapparono insieme la bocca.
Fu però impossibile per tutti e tre non essere visti: si trattava del Barone Sanguinario, lo spettro della Casa di Serpeverde.
Con lugubre silenzio, il Barone li fissò.
I ragazzi potevano vedere il suo sguardo evanescente attraverso le fessure dell’elmo.
« Signore. La prego. Siamo qui per aiutare dei ragazzi imprigionati per pura malvagità. La prego. Non dia l’allarme» intervenne Colin, con una voce così piccola da sembrare quella di un topolino.
Il Barone Sanguinario continuò a rimanere immobile e silenzioso, a mezz’aria, con le catene insanguinate a ciondoloni.
« Io non so se a lei piace. Però noi siamo contro il regime di Tu-Sai-Chi. Noi … noi crediamo in qualcosa di diverso. In questa scuola c’è un usurpatore, così come il Signore Oscuro sta infestando il mondo magico intero. Io … non so se lei stia dalla sua parte …»
Bisbigliò Sara, posando una mano sulla spalla a Colin. Il ragazzo stava tremando come una foglia.
Dennis rimase muto, come il Barone. Come suo fratello, era scosso da convulsi di paura.
« Dalla sua parte?»
Sussurrò il Barone Sanguinario, con una voce profonda e gutturale. Sembrava uscita da un vecchio grammofono o dalla cornetta di un telefono a gettoni.
Sapeva di vecchio, di antico.
« Quell’individuo che disonora la Casa del mio mentore e il nome di tutti i maghi? Io non sono dalla sua parte».
Dal tono solenne che utilizzò, pareva quasi che la conversazione fosse finita.
Sara, Colin e Dennis stettero fermi, immobili.
Il Barone non aggiungeva altro e loro non sapevano come comportarsi.
Lo sguardo vitreo che li osservava da dietro la visiera dell’elmo, scintillò un poco.
« Coloro che cercate sono alla fine di questo corridoio. Farò in modo che non ci sia nessuno, all’ingresso, quando la vostra missione sarà terminata».
Mantenne sempre il tono di voce gutturale e profondo.
Mentre scivolava lentamente verso la rampa di scale, Sara disse:
« Grazie!».
Il Barone le rispose, di spalle, senza fermarsi:
« Non ringraziatemi, figli dei figli di Godric. Ho molte colpe da emendare. Sia questo un emendamento».
Il rumore delle sue catene piene di sangue, cigolanti, si allontanò pian piano.
I tre ragazzi erano senza fiato.
Senza proferire parola, raggiunsero la fine del corridoio, dove con un semplice incantesimo riuscirono a far saltare la serratura dell’unica porta che c’era.
 
All’interno vi era un buio inquietante.
« Neville? Ginny?»
Bisbigliarono in coro.
« Chi è?»
Rispose la voce lontana di Neville Paciock.
Sara si sentì gonfiare di orgoglio, nel rispondere: « Siamo l’Esercito di Silente».
La loro missione andò a buon fine: liberarono tutti e cinque i ragazzi che i Carrow avevano arrestato per essere stati presenti alla festa “Pro Harry Potter”, tenuta dal guardiacaccia Hagrid.
Erano tutte facce conosciute: Neville Paciock, Ginny Weasley, Seamus Finnegan e due ragazze di cui Sara ignorava i nomi, che andavano sempre in giro insieme per la torre di Grifondoro.
« Io tanto non ci torno in questo posto, dopo le vacanze di Pasqua»
Esclamò Ginny Weasley, mentre Sara le scioglieva le catene dai polsi.
« Fai come vuoi, Ginny. La tua situazione è diversa dalla nostra: hai troppi legami con Harry Potter. Tutta la tua famiglia ne ha»
Le rispose Neville.
« Proprio così. Preferisco spendere gli  ultimi giorni di vita con la mia famiglia, invece che venire ammazzata qui» replicò. «Grazie» disse poi, brusca, rivolta a Sara.
Sara accolse l’antifona e decise di non essere troppo gentile, nel sorriso di ricambio che le rivolse.
« Sapete che hanno parlato della festa nella capanna di Hagrid, a Radio Potter
Cinguettò Colin, per suscitare l’interesse di Neville.
 
Il Barone Sanguinario, come apparve evidente, aveva mantenuto la sua promessa: i Carrow non erano ancora ritornati alle loro postazioni di guardia, quando la comitiva di Grifondoro sgusciò fuori dai sotterranei e si diresse verso la sua Sala Comune.
 
**
 
Nessuno di loro seppe mai cosa stava accadendo a un muro di distanza, quella notte.
Nel dormitorio di Serpeverde, Bianca e Laura erano state svegliate da due ragazzine del secondo anno.
Laura era andata a chiamare pure Valentina, perché la questione riguardava proprio loro tre.
 
« E insomma. Dite di nuovo a Valentina quello che avete detto a me e a Laura»
Esortò Bianca.
Le due ragazzine erano entrambe magre ed emaciate. Il loro aspetto aumentava l’aria spaventata con cui si erano presentate.
Una ebbe il coraggio di parlare per prima, mentre Valentina si accomodava sul letto a baldacchino di Bianca.
La stanza era silenziosa, eccetto per il ronzio leggero delle compagne di stanza di Laura e Bianca, che ancora dormivano.
 
« Noi non vogliamo che Voi-Sapete-Chi vinca. Non ci piace questa situazione.»
« Voi siete andate controcorrente … e tutta la Casa parla male di voi»
« Come possiamo fare? Noi vorremmo essere semplicemente delle Serpeverde … normali
A entrambe si era arrossato il naso.
« Eh per la miseria» sbraitò con tono soffocato Valentina: « volete pensarla diversa dal coro, ma non vi vanno bene le conseguenze. Bella storia».
Le due sgranarono gli occhi, che si riempirono d lacrime lucide.
Prima che potessero scoppiare a piangere, Laura rimediò al danno:
« Secondo me è già qualcosa che non la pensino come tutti gli altri», disse rivolgendo alle due un sorriso consolatorio.
A Valentina questa cosa del “avete il nostro sostegno, ma rimaniamo nell’ombra perché sennò veniamo denigrate” non andava per nulla a genio. E stava per farlo di nuovo notare, quando Bianca prese la parola:
« Sentite. Ha ragione Laura, in un certo senso. Meno male che c’è qualche testa che ragiona, un pochino, anche in questa Casa. Per quel che mi riguarda vi sconsiglio di comportarvi come noi, se non siete pronte a pagarne le conseguenze. Però sappiate che prima o poi ci sarà un momento decisivo. E allora voi dovrete prendere la vostra decisione e stare dalla parte giusta. Questo è quanto».
Le due parvero molto spaventate dalle parole profetiche di Bianca.
« Come sarebbe, un “momento decisivo”?»
« Cosa dovremo fare?»
Laura aveva capito quello che Bianca voleva dire, così rispose per lei:
« Credete che questa situazione durerà per sempre? Voi-Sapete-Chi non ha ancora vinto. Non ha ancora perso. Prima o poi qualcuno sopraffarà l’altra parte. E allora voi dovrete decidere dove volete stare».
« Decidere … se vivere o morire?» annaspò una delle due, pallida.
« Può anche darsi! Non si può sapere cosa accadrà. Perciò iniziate a pensarci già da ora!» le zittì Valentina.
Non le andava proprio bene quell’atteggiamento.
Essere Serpeverde non significava essere codardi. Molti definivano la sua Casa come l’antitesi dei Grifondoro: laddove quelli sono temerari, i Serpeverde sono vigliacchi … ma anche laddove i Grifondoro sono incoscienti, i Serpeverde meditano a lungo su quale sia l’opzione migliore.
« Dunque ora tornatevene a dormire. Pensate a quello che volete essere, nella vostra vita. Tante cose dicono di noi, che portiamo questo stemma. Perciò decidete se volete essere un Serpeverde vile e in vita, o un Serpeverde onesto ma caduto in onore del bene».
« E ora a letto»
Intimò Bianca, che aveva sentito dei rumori nel corridoio: proprio un attimo dopo che le due bambine se ne furono andate, il Barone Sanguinario entrò nel dormitorio, scuotendo rumorosamente le catene.
I Carrow arrivarono di corsa e spalancarono la porta, gridandogli:
« Vuoi startene zitto?! Cos’hai da ululare, stanotte, eh?!»
« Creature inutili e stupide, i fantasmi!».

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Capitolo 28
*** primavera ***


Primavera
 
Mano a mano che ci si avvicinava alla bella stagione, appariva evidente il divario fra la bellezza di quello che c’era fuori e il freddo gelido che attanagliava il cuore di ogni mago.
Marzo e aprile, precursori della primavera, apparvero come grigi agli occhi di tutti.
Per Dara, soprattutto, era una sofferenza constatare che il tempo passava.
Dalla finestra della camera dei signori Belhome, passava pomeriggi interi a fissare le immense distese di lavande, che si coloravano lentamente di lillà.
Si era ormai abituata al suo nuovo corpo: purché evitasse di guardarsi allo specchio, era diventata abbastanza amichevole con quelle braccia pallide e affusolate, che rispondevano ai suoi comandi.
Madame Belhome non le aveva dato indicazioni sul guardaroba, quindi Dara si era sentita in diritto di usufruire liberamente del suo armadio.
Si sentiva quasi davvero un’altra persona: si muoveva in un corpo che non era il suo e indossava vestiti che non le piacevano. Eppure sapeva di essere una bella donna e che quelle lunghe tuniche le donavano molto.
Non avrebbe mai osato prendere in prestito degli abiti da sé stessa (dalla sua valigia, di Dara!), perché incompatibili a priori con lo stile della donna che interpretava.
 
Un carck sonoro proveniente dal salotto le annunciò il ritorno di François dalla sua abituale visita nel rifugio.
Dara si alzò e si diresse alla porta. Percorse il lungo corridoio violetto e infine scese le scale: davanti a lei c’era Gilbert Belhome, ovvero suo marito. Ed era anche François, ovvero il suo ragazzo.
Quel giorno, a Dara,  i pensieri confusi e strani affollavano la mente più del solito.
Gilbert la guardò:
« Che sc’è?»
Dara non riusciva a non provare imbarazzo, anche se impacchettato dalla professionalità:
« Niente …»
Sospirò lei, in risposta.
Gilbert le tese la mano e la condusse sul divano.
Dara non riusciva a sciogliere completamente la tensione, anche se sapeva che dietro il volto di Gilbert Belhome si nascondeva quello del suo François. A dirla tutta, non c’era riuscita per un singolo momento dacché assumevano la Pozione Polisucco.
Si sedettero sul divano soffice e passò un po’ di tempo prima che qualcuno dei due riuscisse a proferire parola.
« Darà, ma belle. Lo so che la possione è quasi finita. Ma devi stare tranquilla …»
« Non è per quello. Anzi, prima finisce, quell’aggeggio e meglio è».
Gilbert sgranò gli occhi in una movenza innaturale per il suo viso.
Dara si corresse subito: « Cioè, voglio dire … sono preoccupata per me e te … insomma, i tuoi genitori! Dovevano essere già tornati. Intendevo che … non riesco più a sopportare questa situazione. Mia e tua. Non … insomma. Non ti dà fastidio che io sia … tua madre?».
Gilbert mantenne l’aria sconvolta di François, anche se dopo un po’ un velo di malinconia la affievolì.
Quasi con imbarazzo allungò la mano per prendere quella di Amélie, che altrettanto schiva, cercò di ricambiare la stretta.
« Darà, mi dispiasce se non ti sono stato abbastonsa accanto in questi sgiorni … in effetti, si. Mi fa molto strano stare qui con mia madre come se fosse mia molie. Lo so che ti aspettavi di più da me, in questo tompo che abiamo trascorso ensieme»
« No! No! Gilbert … cioè, Franz! Hai colto perfettamente nel segno. In realtà credevo che tu mi vedessi scontrosa. E se lo sono stata è solo perché non riesco a vederti attraverso questo travestimento. Franz, io non vedo l’ora che questa cosa finisca, perché non ce la faccio più! Mi manca François, il vero François».
Mentre i due coniugi si guardavano intensamente, forse per la prima volta da quando si erano impegnati in quella missione, davanti ai loro occhi comparve una massa indistinta accompagnata da un fragoroso schiocco.
 
« Oh!»
« Interrompiamo qualcosa?»
François scattò come una molla.
« Maman! Papa
L’esatta copia di sé stessi era appena comparsa nel salotto: erano trasandati, sporchi dal viaggio e l’aria molto ma molto stanca.
Si tenevano la mano esattamente come Dara e François, sotto le loro sembianze, stavano facendo sul divano.
« Ma com’è possibile? Stavamo giusto parlando di voi …» balbettò Dara, incredula.
« Allora il caso vi ha fatto un bel regalo» cinguettò la vera Amélie, correndo ad abbracciare la sé stessa dentro cui era rinchiusa Dara.
« Merci, Darà. Merci beaucoup. Non sci sono parole per ringrassiarti di quello che hai fatto».
L’ora entro cui Dara e François dovevano assumere di nuovo la pozione stva per scadere. Entrambi iniziarono a manifestare lo svanimento degli effetti.
« Madame, come … come è andata la missione?»
Dara vide le sue braccia riprendere il consueto colore della carnagione e si sentì come sgonfiare, tanto che le braccia di Amelie, che la cingevano, arrivarono proprio a sostenerla.
Il corpo di François stava dimagrendo, sotto la stretta dell’abbraccio del padre.
Dall’esitazione di entrambi i Belhome, Dara intuì che non tutto era andato secondo i piani.
« Non siamo riusciti a trovare i sgenitori di Gabrielle» ammise Amélie.
Si sciolse da Dara, con dolcezza e le carezò una guancia.
« Però abbiamo trovato Madame Maxime. Lei è in contatto con gli Auror … siamo riusciti a parlarle. Non sa dove siano nascosti, però ci ha assicurato che i Delacour sono vivi. È comunque una grandissima notizia».
 
Ci volle ancora qualche minuto prima che gli effetti della Pozione Polisucco fossero del tutto svaniti.
I Belhome si scusarono dai ragazzi, perché avevano davvero bisogno di una doccia e di dormire. Le loro facce tradivano appunto una grande stanchezza. Amélie si dichiarò in debito per tutta la vita, perché era consapevole di quanto potesse essere stata fastidiosa quella missione.
E così, pensò Dara, una buona notizia era in arrivo per Gabrielle.
Era contenta, alla fin fine. Magari avrebbe smesso di tenere quel muso ridicolo e si sarebbe aperta un po’ di più con tutti.
Fu certa di essere di nuovo sé stessa al cento percento quando vide che anche François lo era.
A quel punto, si alzò e gli porse il braccio:
« Ci Smaterializziamo giù?»
Gli disse, alludendo al rifugio. Dal momento che la sua missione era finita, sapeva di doversene tornare fra i clandestini. La cosa non le dispiaceva, anzi! Preferiva di gran lunga la vita di laggiù, che passare un altro singolo giorno nello splendore della casa, con la Pozione Polisucco addosso.
Finalmente, gli occhi del vero François la guardarono e Dara non poté che pensare – con un certo fuoco nelle vene – che era davvero bello.
Squadrò con curiosità il braccio alzato di Dara, poi parve capire.
« Oh, scerto. Ci Smaterialissiamo».
La strinse a sé e insieme si sentirono risucchiare dall’ormai abituale sensazione legata alla Smaterializzazione.
Quando furono Materializzati, però, a Dara ci volle un po’ prima di capire dove fossero.
« Franz … ma siamo ancora alla Maison?»
La stanza in cui si era ritrovata era per lei nuova: a base rettangolare, con le pareti dipinte dell’usuale color violetto e una grande finestra a vetri, coperta da lunghe tende.
Accanto al letto a baldacchino, che le ricordò moltissimo quelli dei dormitori di Hogwarts, Dara vide una scrivania piena di libri e fogli.
« Lo so. Questa è camera mia» le annunciò lui, con un sorriso smagliante.
Dara era persa:
« E … perché siamo in camera tua? Cioè, non che non mi faccia piacere. È una bella stanza ... ma io credo che dovrei tornare fra i rifugiati».
« Oui e sci tornerai domani. Ti meriti il premio di dormire a Maison Lavande, con tutte le comodità a disposizione. Non ti riporterò lasgiù sonza che tu, come Darà, abia potuto vivere questo posto. Puoi dormire qui, stanotte, se vuoi».
Un groppo alla gola fece sì che la risposta suonasse bassissima e rauca:
« Grazie Franz …»
Lui non le diede il tempo di aggiungere molto altro.
La baciò come non aveva mai fatto prima e la ragione svanì completamente dal cervello di Dara.
« Grazie per aver sopportato che io avessi le sombianse di mio padre. Mi dispiasce che tu abia dovuto soffrire, per tutti questi jiorni» .
Dara era stordita e ammutolita.
Quel bacio valeva più di tutte le settimane di sofferenza passate ad essere Amélie Belhome.
E adesso era di nuovo sé stessa.
 
**
 
Anche a casa Martin, finalmente la primavera aveva fatto ritorno.
La neve si scioglieva con la dovuta calma e le margherite facevano capolino dai primi germogli di erba.
Questo significava che Alice era potuta tornare al pascolo con le sue amate caprette.
Draghignazzo, Calcabrina, Barbariccia e tutte le altre, scampanavano felici mentre brucavano l’erbetta fresca di montagna.
Per Alice era un sollievo poter essere di nuovo lassù: le era mancata la natura aperta e sconfinata.
Una volta che fosse tornata la pace, si promise di tornare a trovare Valentina il più spesso possibile. Era davvero una fortuna vivere in un posto come quello.
Chissà se nonna Climene avrebbe insegnato anche a sua nipote come comporarsi con le capre, esattamente come aveva fatto con lei.
« Eccoti qui, Draghignazzo mio!»
Una delle bestiole si era avvicinata alla ragazza, evidentemente perecpendo l’odore di cibo.
Alice aveva appena estratto da un barattolino una fetta di focaccia salata, ripiena di salame, che i nonni le avevano preparato apposta per la sua giornata sul pascolo.
« Mi sorprende che non sia quella cicciona di Calcabrina a chiedermi di assaggiare»
Con disinvoltura, Alice porse una mano alla capretta, che prese a leccarle i chicchi di sale incastrati sulle dita.
« Mi fai il solletico, Drag! E intanto, incominciate a radunarvi, che fra cinque minuti scendiamo giù!».
I cinque minuti si trasformarono prima in dieci, poi in venti e infine in un’ora: Alice non era riuscita a trattenersi dinnanzi allo spettacolo del sole che lentamente si avviava al tramonto.
Quando fu diventato un globo rosso e infuocato, Alice si decise ad alzarsi.
Si stiracchiò, abbandonando la roccia che era divetuta tiepida sotto il suo calore.
Di solito non le piaceva crogiolarsi nei pensieri tristi, ma non poté fare a meno di specchiarsi di nuovo nel piccolo oggetto rotondo che Terry le aveva regalato l’anno prima: lo sguardo fiero dell’aquila reale si scambiò con il suo.
Chissà se Terry stava bene. In quel momento, immaginò che fosse a casa per le vacanze di pasqua.
Chissà come stavano andando le cose a Hogwarts, se le sue amiche stavano tutte bene … le notizie che Joe portava a casa non erano granché utili: riusciva soltanto a racimolare qualche Gazzetta del Profeta, ma la maggior parte delle robe scritte là sopra erano spazzatura.
Camminando per il ripido sentiero, accompagnata dal cantilenante vociare delle capre, Alice discendeva verso casa.
Era aprile, si, ma sulla sera tirava ancora un certo venticello.
Quello che non si aspettava furono Irene e Oliver, che le venivano in contro, di corsa.
Irene stava ridendo come una matta:
« Ali!!»
« Che c’è?» chiese, curiosa, affrettando il passo.
Ormai le due baite erano visibili, fra la vegetazione.
« Nonna Climene sta bestemmiando … e come!» Annaspava nel suo stesso fiato, da quanto rideva.
« Che è successo?» ripeté Alice, raggiungendola. Le caprette affrettarono il passo con lei, con grandi suoni di campane.
« Mia nonna si è dimenticata di chiudere il recinto dei conigli … e poi si è addormentata davanti al caminetto … con la finestra aperta. Lo so che sembra una cosa fuori dal mondo. Quella donna è partita di cervello!»
Oliver, che rimaneva sempre serio, aveva una faccia insolitamente ilare.
« E quindi qual è il problema?» incalzò Alice.
« Che i conigli sono scappati dappertutto» continuò Oliver.
« E che alcuni hanno meditato vendetta, distruggendo il bucato che nonna Climene aveva teso fuori» Concluse Irene.
Alice si mise le mani nei capelli: « Stai dicendo che tutti i nostri vestiti sono strappati?»
« Non l’hanno strappati. Li hanno solo tirati giù. Solo che qualche tizzone del caminetto deve essere uscito dalla finestra. In pratica i panni hanno preso fuoco».
Alice non poteva crederci.
Mosse la corsa con Irene e Oliver – e le capre – pregando il firmamento che non venisse giù a suon delle bestemmie di nonna Climene.

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Capitolo 29
*** rapina a cavallo di un drago ***


Rapina a cavallo di un drago
 
Era una serata tiepida, quella del primo giorno di maggio.
Il sole, come ogni giorno, si era levato tiepidamente dalla sua coltre di nuvole ed aveva riscaldato il mondo con la sua luce.
Era del tutto ignaro di quello che accadeva alla luce dei suoi raggi, così lontano da lui.
Molte voci erano circolate, in quel primo del mese di maggio.
Voci che avevano raggiunto persino le orecchie più sorvegliate: quelle degli studenti di Hogwarts. Avevano penetrato le spesse mura del castello ed erano sapute dirigersi verso orecchie che non aspettavano altro.
Una minuscola scintilla di speranza iniziò a scaldare qualche animo, dei più impavidi e coraggisi, e i raggi di sole fecero risiedere il loro calore dentro di loro, anche quando il giorno stava per cedere il passo all’imbrunire.
La gente stava cenando, a Hogwarts.
I Carrow erano seduti al tavolo degli insegnanti, in posizione di rilievo rispetto ai tavoli delle casate studentesche. Sfoggiavano un’aria da cani rabbiosi.
Il preside, Piton, troneggiava su tutti quanti e consumava il suo pasto con apaticità.
C’era un brusio innaturale, quella sera a cena.
Tutti gli studenti portavano i segni di quel regime terrificante che aveva soggiogato Hogwarts per tutto l’anno.
Alcune misteriose sparizioni, negli ultimi tempi, avevano alimentato il terrore generale: come le vacanze di Natale, quelle di pasqua avevano portato come conseguenza l’abbandono di un sacco di ragazzi – e quindi l’aumento delle liste dei ricercati – .
Eppure tutti insinuavano che c’era qualcos’altro che non andava: Sara, per esempio, non si spiegava l’assenza di Neville Paciock. Lui non se ne sarebbe mai andato dalla scuola.
Eppure era qualche tempo che non lo vedeva più in giro. E nemmeno gli altri membri di spicco dell’Esercito di Silente.
I Carrow incoraggiavano quest’aura di mistero e di paura. A loro giovava e sghignazzavano come orridi gargoyle, fieri del loro lavoro.
Giravano alcune voci che vi fosse un rifugio, da qualche parte, nella scuola, in cui Neville e tutti gli altri dispersi si sarebbero nascosti.
Ad un certo punto, qualcosa ruppe il silenzioso brusio.
« Avete sentito? AVETE SENTITO?!»
Tutti si voltarono di scatto verso il tavolo di Corvonero, da cui la voce squillante aveva urlato:
« Harry Potter è entrato alla Gringott e ne è uscito a cavallo di un drago! Il vostro tempo sta per scadere, signor Preside, signori Carrow! Harry Potter è il prescelto! È uscito dalla Gringott a cavallo di un drago e ben presto riuscirà ad ammazzare il vostro Signore Oscuro! Avete i minuti contati!» Terry Steeval se ne stava in piedi, sulla panca della sua tavolata.
Era calato un silenzio di terrore nella Sala Grande. Nessuno osava schierarsi dalla parte di Terry, né chiedergli di tacere.
Al minimo cenno di Piton, il professor Carrow scese dalla sua postazione del tavolo degli insegnanti e si diresse con un sorriso ripugnante verso il ragazzo.
Terry decise di continuare ad urlare, mentre Carrow si avvicinava, inesorabile.
« Harry Potter ci salverà! Il Signore Oscuro sarà sconfitto! Voi marcirete in galera per il resto dei vostri … ah!!»
Senza ricorrere alla bacchetta, Carrow l’aveva tirato giù dal suo podio improvvisato e trascinato in mezzo alla Sala, di modo che tutti lo potessero vedere.
Senza pietà, iniziò a scagliargli pugni in faccia e nello stomaco e, quando il ragazzo non fu più in grado di reggersi in piedi, accasciandosi a terra, il professore continuò a percuoterlo con sonori calci.
Il rumore dei colpi e i rantolii di Terry riempivano solitari l’aria della Sala Grande.
I professori tenevano le mani sulle bocche, terrorizzati e i ragazzi tremavano come foglie, incapaci di fare qualunque cosa.
« Harry Potter è il …»
« Stai zitto, feccia! Quelli come te, sono bestie da macello! Hai capito?!»
Un altro calcio e poi ancora un altro.
Terry Steeval fu poi lasciato lì, ammaccato, gemente e sanguinante. Fu vietato a chiunque di avvicinarsi.
Nessuno toccò più il cibo, quella sera.
Quando l’orario della cena finì, Anthony Goldstein aiutò l’amico ad alzarsi e lo portò di volata nel corridoio del settimo piano.  Lui sapeva già che lì c’era il nascondiglio ideale per quelli che non avrebbero più potuto far vita a Hogwarts.
E per Terry, ormai, era la fine.
 
**
 
« Hai finito?»
Robin, annoiato, aveva smesso di lottare contro Lee che non gli permetteva di prendersi la salsiccia sul fuoco.
« La parolina magica?»
« “Ridammi quella salsiccia o butto te nel fuoco”»
Lee rise più forte, facendo balzellare la salsiccia in aria, con la bacchetta sguainata.
Samantha non riusciva a mangiare, esattamente come Roger, perché entrambi si stavano sbellicando dalle risate.
La salsiccia volante, alla fine, si posò su uno dei rami disposti a tepee del falò e Robin cercò di afferrarla con troppa foga, facendola cadere per terra.
« Ah! Andiamo Lee! Guarda che schifo, ora non posso nemmeno mangiare!»
Lee si era aggiunto alla combriccola dei due che se la ridevano di brutto, mentre Robin imprecava sonoramente.
Mentre la acque si calmavano e gli unici rumori erano quelli delle pietanze che venivano consumate, un sonoro schiocco si manifestò, del tutto inaspettato.
 
« Fred! George!» Esclamò Lee, lasciando a mezzo il suo boccone: « Cosa ci fate qui? Non dovevate passare qualche giorno da vostra zia Muriel?».
I gemelli parevano trafelati e i loro identici sorrisi somigliavano più a ghighni soddisfatti.
« Harry Potter!»
Dissero in coro.
« Harry Potter?» chiese Roger, inarcando le sopracciglia.
Loro annuirono in sincronia e passarono in rassegna le facce di tutti i presenti, con occhi luminosi e sognanti.
« Abbiamo incontrato Kingsley»
« Stamattina lui era a Diagon Alley»
« Ci ha detto che Harry Potter ha rapinato la Gringoitt»
« COSA?!»  gridarono tutti i presenti, all’unisono, mollando le salsicce nel piatto.
I gemelli si scambiarono un’occhiata soddisfatta e continuarono:
« … a cavallo di un drago»
« COSA?!!» ripeterono tutti.
« Ragazzi, non siate monotoni»
« Abbiamo capito che siete soropesi»
« Anche noi lo eravamo»
« Ma adesso siamo più che altro entusiasti!»
« Dobbiamo subito fare un’edizione straordinaria!» gridò Lee gettando all’aria il suo piatto, muovendo la corsa dentro la tenda, iniziando a buttare ogni cosa per terra.
« Ha rapinato la Gringott! Chissà cosa diavolo c’era dentro! Non l’aveva mai fatto nessuno!»
Borbottava emozionato, mentre usciva carico di trasmettitori, microfoni, antenne e fili.
Roger e Robin si alzarono per aiutarlo e in pochissimo tempo fu allestita la stazione di Radio Potter più improvvisata di sempre.
Lee si sistemò le cuffie e sedette davanti al microfono, completamente su di giri.
Samantha aveva notato che si esaltava sempre molto, quando arrivava il momento di parlare al microfono, ma quella volta era decisamente fuori di sé.
Attese con impazienza che i tecnici gli desserò l’ok per cominciare a parlare:
 
« Cari amici ascoltatori! Quella che state ascoltando è un’EDIZIONE SPECIALE di Radio Potter! Lo so che siamo completamente fuori orario e immagino che nessuno di voi starà armeggiando con le manopole … però è necessario che vi informi di una grandissima notizia!»
L’aria primaverile sembrava elettrica.
Samantha fu presa da un fremito di eccitazione: non sapeva cosa significasse, se Harry Potter aveva rapinato la banca dei maghi; di normale immaginò che avrebbe sperato che lo rinchiudessero ad Azkaban.
Però tutto questo aveva creato uno stato di allarme e di esaltazione che le piaceva da morire.
« Harry Potter, ragazzi! Il nostro uomo dalla cicatrice, questa mattina ha rapinato la Gringott e ne è uscito a cavallo di un drago! AVETE CAPITO BENE! Harry Potter, questa mattina, si è introdotto nella Gringott, la banca che nessuno aveva mai profanato e ne è uscito cavalcando un vero sputa- fuoco!
«Che sia un segno che la nostra lotta contro il Mangiamorte Capo sta per avere una nuova svolta?
«Ancora non abbiamo informazioni su che cosa sia stato prelevato dalla banca, quello che possiamo dire è …. OH!»
Lee fece all’improvviso una faccia molto strana.
Roger lo guardò di sbieco e gesticolò per chiedergli cosa fosse successo.
Samantha lo vide armeggiare con qualcosa che aveva in tasca e che sembrava gli facesse un gran male.
Nello stesso momento, anche i gemelli lanciarono un grido e si tastarono le tasche dei pantaloni.
Robin, confuso, esortava Lee a dire qualcosa, dal momento che erano ancora in onda.
Il conduttore aveva finalmente estratto dalla tasca quello che gli aveva provocato dolore: ora fissava un’apparente moneta sul palmo della sua mano.
Dopo alcuni secondi, in cui Robin e Roger, disperati, smanacciavano per far riprendere la trasmissione, Lee fece un segno definitivo: incrociò le braccia e con una sola occhiata fece capire che l’emissione doveva finire in quel momento.
Senza capirci molto, i due tecnici spensero le trasmittenti.
« Lee cosa succede?»
Ma lui e i gemelli si stavano fissando con intensità, con un sorriso del tutto indecifrabile.
« Lee … va tutto bene?» si azzardò a chiedere Samantha. Non l’aveva mai visto in quello stato.
Passrono ancora alcuni secondi, prima che Lee o i gemelli riuscissero a parlare.
« Ragazzi. Ci siamo.» farfugliò Lee, con gli occhi lucidi dall’emozione.
« Ci siamo?» chiese Samantha, condividendo il tono interrogativo di Roger e Robin.
Lee mostrò la piccola moneta a Samantha, mentre i gemelli porsero le loro ai due tecnici.
Appena la ragazza provò a toccarla, si accorse che era quasi incandescente.
« Che cos’è?» domandò, incuriosita.
« È un messaggio» rispose Lee, entusiasta.
« Un messaggio dall’Esercito di Silente» confermarono Fred e George.
« Se leggi sul bordo della moneta, capirai» insistette Lee.
Samantha curvò la testa di lato e affinò lo sguardo: sul bordo, inciso dove solitamente si trovava il numero di serie della moneta, c’era una frase: “Harry è a Hogwarts. Si combatte. Rivoluzione!”.
Samantha, Roger e Robin rimasero ammutoiti.
Un venticello fresco passò fra i capelli di tutti.
« Noi andiamo» annunciarono in coro i gemelli, prendendosi a braccetto: « anzi, passiamo prima da casa a prendere Ginny. Siamo certi che vorrà venire anche lei».
« No, fermi! Ma … ma cosa dite?! Non potete Smaterializzarvi a Hogwarts, è impossibile! E a Hogsmeade c’è il pieno di Mangiamorte!» Strillò Roger.
« Si, c’è un Incantesimo Gnaulante! Appena mettete piede a Hogsemade, suona una sirena d’allarme!» lo assecondò Robin.
I gemelli non si fecero scoraggiare e continuarono a sorridere, quasi malignamente:
« Voi non conoscete La Testa di Porco
« Il Pub del vecchio Aberforth»
« Sappiamo che c’è una specie di passaggio, laggiù …»
« Ce l’hanno detto quelli dell’Ordine»
« E da lì si può raggiungere Hogwarts»
« Ci Smaterializzaremo direttamente dentro il Pub».
Samantha e i due tecnici non sapevano più cosa ribattere. Lei era sbiancata e non riusciva a connettere quello che veniva detto.
« Allora ci vediamo da Aberforth» esclamò Lee, battendo il pugno ai gemelli.
« NO! Fermi! Io … io vengo con voi! Lee! Fammi Smaterializzare con te! Voglio venire anch’io!» gridò Samantha, d’un tratto, vedendo che tutti si preparavano a scomparire da lì.
« Cosa? No, non se ne parla» Le rispose Lee.
« Tu hai paura della Smaterializzazione, piccina» cantilenò Fred, quasi a presa in giro.
« Tu non mi dici di cosa ho paura. E vai a fare lo spiritoso con qualcun altro!» gli urlò Samantha, provando un insensato desiderio di mettergli le mani addosso.
« Lee. Io vengo con voi! Ci puoi giurare! Sono maggiorenne. Voglio combattere! Ci sono le mie amiche a Hogwarts! C’è Sara! Non me ne starò qui».
Lee la guardò con aria affranta.
« E invece si. Te ne starai qui. Ti prego. Non voglio che tu metta in pericolo la tua vita»
« COSA?! E io dovrei stare qui ad aspettare che voi veniate ammazzati?! Nemmeno per sogno! Io vengo con voi! Lee! Fammi Smaterializzare!».
« No, Sam. Stai qui con Roger e Robin. Sarai al sicuro».
E senza permetterle di toccarlo, si Smaterializzò con un crack, che rimbombò altre due volte, a seguito anche della partenza dei gemelli.
Samantha rimase con i due tecnici, ancora sconvolti.
Tutto era accaduto così velocemente che le girava la testa.
Oh potevano sograrselo che sarebbe rimasta lì.
E se Lee e i gemelli non volevano che lei fosse nel loro team, Samantha si disse che sapeva da sé dove procurarsi qualcuno che stesse dalla sua parte. Doveva avvertirle, per forza. Era la cosa giusta da fare.
« Signori» esclamò in tono lugubre, rivolta ai due tecnici.
« È stato un piacere conoscervi. Grazie di tutto».
E poi strinse forte la bacchetta fra le mani, chiudendo gli occhi, esattamente come aveva fatto tantissimi mesi prima, alla stazione di Hogsmeade.
Non ho idea di dove siano. Si disse.
L’ultima volta mi sono Spaccata. Ma non è importante. Non rimarrò qui.
Digrignò i denti, nello sforzo di concentrarsi. Il tempo pareva essersi dilatato, nella sua testa.
Non rimarrò qui, mentre gli altri combattono a Hogwarts. C’è Sara. Ci sono tutti gli altri.
Devo andare da loro.
Dovunque siano.
Da loro!
Samantha focalizzò nella sua mente Irene e Alice.
Non aveva idea di dove si trovasse la casa di Valentina, né che aspetto avesse.
Cercando di non rendersi conto che si trattava di una Smaterializzazione disperata, si fissò nella testa i volti delle amiche e con un’ultima e decisiva strizzata di occhi, sparì.

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Capitolo 30
*** la chiamata alle armi ***


La chiamata alle armi
 
« Alice, Irene!! »
Nonna Climene correva urlando verso di loro: era stata fuori a portare alle capre un po’ d’erba per la notte e aveva riscontrato qualcosa di insolito.
Le due ragazze erano in compagnia di Oliver e Joe, che facevano un gioco da tavola, prima di andare a dormire.
Davanti a loro, sul tavolo, facevano la loro figura quattro grandi bicchieri di latte di capra, accompagnati da pane casereccio e cioccolata.
L’urlo trafelato di nonna Climene, li fece sobbalzare.
« Che c’è?» chiesero tutti e quattro all’unisono.
« Ragazze! Oh satanasso! Non avete idea! C’è qualcuno, fuori! Qualcuno che urla cose incomprensibili! Ho capito solo “Irene” e “Alice”».
Le ragazze si guardarono, stupefatte. Si alzarono di scatto, facendo grattare le sedie di legno e corsero fuori, insieme alla nonna.
Anche Oliver e Joe seguirono le donne, premunendosi già con le bacchette sguainate.
 
Dal canto suo, Samantha, si era accasciata al suolo per la seconda volta.
Odiava la Smaterializzazione. La odiava più di quanto odiasse sé stessa per averci riprovato.
Il suo braccio sinistro era rosso di sangue e frizzava come se le avessero gettato addosso una mandria di formiche rosse a pungerla.
Si era ritrovata in una zona desolata, con il sole prossimo al tramonto, in mezzo alle montagne, senza anima viva intorno.
Non si vedevano luci, né paesi vicini. Solo erba, roccia e altissime cime montuose in lontananza.
Era fatta, si disse: Lee e i gemelli se n’erano andati a Hogwarts e lei, invece di rimanere nell’unico posto in cui avrebbe potuto ritrovarli, in seguito, se n’era andata nella più insensata delle maniere.
Ma come le era saltato in mente anche solo di Smaterializzarsi? Di nuovo, da sola!
Rimase distesa sull’erba fresca a maledire sé stessa e qualunque cosa fosse maledibile.
Stava per farsi prendere di nuovo dall’angoscia: si domandò se Lee fosse già arrivato a Hogwarts, se i gemelli l’avessero raggiunto, se Sara fosse ancora incolume …
Nella sua mente Hogwarts era illuminata da un indistinto fuoco rosso e migliaia di cappucci neri la soggiogavano con incantesimi mortali.
Il braccio le faceva un male cane. Vedeva il sole scomparire all’orizzonte e presto sarebbe stata al buio completo, senza nessuno, sperduta.
 
« Sam!»
Una mano all’improvviso la toccò e vide, come in un miraggio, Alice che l’aiutava ad alzarsi.
Poi anche Irene e infine un’anziana signora dall’aria energica.
A Samantha girò forte la testa, tanto la salvezza stava piovendo dal cielo con velocità inaspettata.
« Budello di satana nell’inferno! Voi due andate a chiamare mio marito! Deve passarle il segreto, o non possiamo farla entrare in casa!»
Gridò la donna a qualcuno che era rimasto alle sue spalle.
« Siete voi! Siete voi! Come state?»
Annaspò Samantha, mentre si reggeva ad Alice e Irene.
« Cosa parli, te, satanaboia!? Cos’hai fatto a quel braccio, per la barba caprina del demonio?»
Samantha rimase stordita da quelle che forse erano parole con un’intenzione gentile, ma risultavano piuttosto strane.
« Io … mi sono Spaccata»
« HAH! E scommetto che non hai manco la patente! Ma hai perso il cervello, satanaré?! Ora dovrò fare un macello per rimarginarlo! Ma dove sono finiti quei due?!»
La signora si guardò intorno, mentre Samantha si domandava dove stessero andando: ai suoi occhi c’era soltanto un vasto territorio montuoso.
« Sam, ma cosa è successo?»
« Non sei a Hogwarts?»
Chiesero Irene e Alice, mentre la signora si volgeva a grandi passi verso una direzione a lei molto chiara.
« No, non ci sono mai stata. Ma questa è una cosa che vi racconterò un’altra volta. Prima c’è qualcosa di più urgente … ah! Accidenti!» aveva provato a muovere il braccio, rosso e zuppo di sangue e aveva ricominciato a bruciare.
« Aspetta, stai tranquilla» le disse Alice, facendola fermare.
« Ora arriverà nonno Prometheus e ti passerà il segreto. Così potrai entrare in casa e spiegarci tutto» precisò Irene.
Poco tempo dopo, infatti, Samantha vide apparire come dal nulla tre figure maschili: il più anziano dei tre era un uomo alto, che di certo non aveva mai visto.
Le altre due erano sagome che, chissà perché, non le risultavano sconosciute.
« Oh! Ma … sei Joe!»
Esclamò, appena tutti e tre furono vicini.
Era Joe: con uno sfregio verticale e inquietante sull’occhio destro, lineare, esattamente come lo stereotipo di “uomo con la cicatrice su un occhio”.
Quello rispose al saluto con un banale cenno del capo.
Per quanto riguardava l’ultimo dei tre, Samantha non sapeva bene perché le fosse familiare, visto che non aveva idea di come si chiamasse.
Appena l’anziano signore, sorridendole, le toccò un braccio e le disse: « Benvenuta a casa dei Martin» , Samantha per poco non ebbe un colpo: non era più una semplice distesa d’erba, ma due baite in legno si stagliavano all’orizzonte, sormontate dagli immensi alberi e dalle lontane cime montuose.
 
« Ecco, ora portiamola dentro, satanaboia, che le metto un unguento su quel braccio. Bisognerà che mi ricordi qualche vecchio incantesimo di sutura … ahh questi giovani! Ma ti pare? Senza patente se ne vanno in giro per il mondo come se nulla fosse, diavolo di un satana porco!»
La signora Martin spalancò la porta di casa e si mise a trafficare con alcuni barattoli di ceramica che teneva sopra il camino.
Samantha fu fatta sistemare su una sedia a dondolo di legno, mentre Irene e Alice erano andate a prendere un po’ d’acqua per lavarle il braccio.
« Ascoltatemi, però!» iniziò l’infortunata, per distogliere la mente dal pensiero di quel braccio sanguinante. Odiava le ferite e odiava vedere le ferite.
La signora Martin iniziò a spargerle sul brutto taglio un unguento verde, che diventava fumante al contatto con la pelle viva.
« Ma bada che lavori …» borbottava fra sé, palesemente contrariata: « … tutto scorticato, dal mignolo fino alla spalla. Ti rimarrà una brutta cicatrice!»
Samantha rise tetramente:
« Beh, così faccio l’en plein »
Scostò i ricci castani dalla faccia e mostrò la metà di viso coperta dalla vecchia – ma ancora terrificante – cicatrice della prima Smaterializazione.
Irene e Alice spalancarono le bocche, terrorizzate.
« Che hai fatto?!»
« Non ci avevamo fatto caso!!»
« Niente! Poi ve lo spiego … però ora è successa una cosa più importante! Ah!» strizzò gli occhi, mentre nonna Climene eseguiva un incantesimo sul braccio: « Harry Potter è a Hogwarts. In questo momento! Si stanno preparando a combattere! Tutti i membri dell’Ordine della Fenice stanno andando lì, adesso! Dovevo dirvelo … dobbiamo andare! C’è Sara, a Hogwarts!»
« E Moris!» aggiunse Irene.
« E Laura e Bianca!» concluse Alice.
« Esatto! Dobbiamo andare, voi lo capite, vero?!» le supplicò Samantha.
Le due ragazze si guardarono, frenetiche.
« Ci sarà una battaglia? La gente a Hogwarts … morirà? Stanotte?!» Alice si portò una mano alla gola, in preda al panico. L’improvvisa idea di Terry Steeval che moriva a colpi di Anatemi che Uccidono la fece rabbrividire. Guardò Irene, che sembrava parimenti colta alla sprovvista.
 
« Hai detto che quelli dell’Ordine della Fenice stanno andando?» chiese il ragazzo dall’aria familiare.
« Si. Harry Potter, questa mattina ha fatto un colpo alla Gringott … a cavallo di un drago! E adesso è a Hogwarts! Si sta preparando a combattere! Contro Voi-Sapete-Chi!»
« È vera quella cosa del drago» annuì Joe, come per convincere i presenti. Samantha si stupì della sua gentilezza. « Ve l’ho detto che c’era agitazione a Diagon Alley, stamani. Avevo sentito dire qualcosa a proposito di un drago».
Nonna Climene rimase molto seria e molto preoccupata.
Squadrò i volti dei ragazzi presenti nel suo salotto.
« Prometheus. Cosa … cosa dobbiamo dirgli?» esclamò dopo qualche minuto, con un filo di voce.
L’anziano signore, suo marito, aveva un’aria sì grave, ma allo stesso tempo più distera di quella della moglie.
« Devono fare quello che vogliono. Quello che credono giusto. Siamo stati noi o no a rapire nostra nipote dai Mangiamorte che erano i suoi genitori? Noi abbiamo agito secondo quello che era il nostro ideale di bene, magari discutibile per altri. E abbiamo rischiato le nostre vite».
« Non me la sento di dirgli che devono stare qui per forza. Ci sono i loro amici, a Hogwarts … e c’è Valentina!».
Nonna Climene, dacché Irene e Alice si ricordavano, aveva per la prima volta il naso arrossato e gli occhi lucidi.
Alice le si porse davanti e le strinse forte le mani:
« Grazie, nonna. Anche quella persona di cui avevamo parlato è a Hogwarts … io devo aiutarlo»
Nonna Climene rispose con un rantolio molto basso:
« E allora vai, bimba mia».
Nonno Prometheus si intromise: « Aspettate, però! Come pensate di raggiungere Hogwarts? Hogsmeade è pieno di Mangiamorte»
« C’è il pub La Testa di Porco. Il proprietario Aberforth ha un passaggio segreto che conduce dentro Hogwarts. Bisgona Smaterializzarsi direttamente nel locale».
« Aberfofth?» chiese il signor Martin, animato: « lo sapete che è il fratello del defunto preside Albus Silente?».
Ma la notizia era troppo irrilevante per sconvolgere gli animi, in quel momento.
« Io posso darvi un passaggio. Poi però voglio andare ad avvertire anche i membri dell’ex squadra di Quidditch dei miei tempi … perché le conosco e so che non si perderebbero mai il combattimento decisivo. Specie se è a Hogwarts. Inoltre Harry avrà bisogno del massimo aiuto … i Mangiamorte saranno tantissimi. Più siamo e meglio è».
Disse il ragazzo che Samantha ricordò, appunto, essere l’ex Portiere della portentosa squadra di Quidditch di Grifondoro.
Irene si animò molto, dopo che il ragazzo ebbe parlato e parve decidersi: prese fra le mani Tegamina – che fino a quel momento le stava rotolando sulla testa – e le disse:
« Andiamo anche noi. Sei pronta, Tegamina?»
E poi se la strofinò al viso con affetto, facendo naso naso.
« Fermi però. Anhe noi abbiamo qualcuno da avvertire» sentenziò Alice, molto seria.
« Chi?» chiese Samantha.
« Quelli che sono in Francia. Dara e Dario … loro hanno diritto di sapere cosa sta succedendo. E devono fare la loro scelta».
Il silenzio elettrizzante che seguì l’affermazione era scandito dalle lancette dell’orologio a muro, che alimentavano anche il senso di fretta.
A Hogwarts c’era Harry Potter …
Si sarebbe combattuto …
 
« Ci vado io ad avvisarli»
Una voce burbera e cupa, risuonò nella piccola sala di legno.
Era Joe.
« È la cosa giusta da fare. Per una volta voglio aiutarvi per davvero».  

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Capitolo 31
*** l'ultimo sguardo su Maison Lavande ***


L’ultimo sguardo su Maison Lavande
 
Joe si Materializzò in un luogo profumato e dai colori vivaci.
Si percepiva subito una netta differenza con l’Inghilterra, che pareva aver assorbito la gravità degli avvenimenti e che li manifestava in ogni suo piccolo angolo.
La serata, in Francia, era calda e asciutta. Distese di fiori ondeggiavano tranquille sotto le carezze del vento e non si sentivano rumori umani.
Sembrava di essere al sicuro, fra quelle lavande odorose e sotto quel cielo limpido che si preparava alla notte.
Per un momento, Joe sentì l’istinto di rimanere lì, di nascondersi da qualche parte, di non portare a compimento la sua missione …
 
« Bonsoir, monsieur, je peux vous aider?»
Una voce gentile, sebbene incapace di nascondere la propria preoccupazione, provenne dalla porta dell’immensa villa che si stagliava dinnanzi a Joe.
Lui si riscosse dai suoi pensieri e squadrò la donna che aveva parlato: era una signora di bella presenza, di certo che aveva passato la quarantina, esile e molto elegante di portamento.
« Buonasera, signora. Sono inglese»
Rispose Joe.
Queste parole aumentarono lo sconforto negli occhi della donna: le pupille le si dilatarono e parve incapace di prendere decisioni, sul momento.
Joe si avvicinò alla porta ed ebbe la sensazione che la donna volesse chiudergli lo sporto in faccia.
« Non sono un Mangiamorte, signora, se è questo che la spaventa» aggiunse, constatando che più passi avanti faceva, più la donna arretrava nel proprio salotto.
Non parve convinta dell’antifona.
« Chi siete, monsieur
« Conosco vostro figlio. Uhm … François!» Joe sperò di essersi ricordato il nome : « e conosco i due ragazzini che si sono nascosti qui: Dara e Dario, inglesi. Ho bisogno di parlare con loro. Urgentemente».
La donna parve molto turbata da quelle rivelazioni.
Si sentì con le spalle al muro e iniziò palesemente a valutare quale fosse la via di fuga più veloce.
Joe si spazientì: « Signora, mi creda! Non sono un Mangiamorte! La prego, devo parlare con loro. A Hogwarts in questo momento sta per avvenire una grande battaglia contro Lei-Sa-Chi. Tutte le altre ragazze che i suoi due ospiti conoscono, sono andate a combattere. Mi hanno chiesto di parlare anche con Dara e Dario, perché vogliono che facciano la loro scelta consapevole! Signora, mi creda, se non mi fa parlare con loro, le dispiacerà molto, a posteriori. Come pensa si sentiranno, i due marmocchi, nel caso dovesse accadere qualcosa alle loro amiche, a Hogwarts? Se la rifaranno con lei, perché non ha avuto il cuore di metterli al corrente!»
« Oh! La smetta subito di parlare così!» biascicò la padrona di casa con forte accento francese.
I suoi occhi si stavano arrossando.
« Mi ascolti bene, monsieur! Preferirei mile volte que i ragassi che sono icì mi odiassero puor touta la vita, piuttosto che farli morire en battalia! Preferisco che le loro vite siano al sicuro! Ho promesso questo ai loro sgenitori!».
« Singora, non me ne andrò di qui finché non avrò avvisato i ragazzi che a Hogwarts si sta combattendo».
« Ma si ronde conto! Sono oncora dei ragassi! Non hanno nemmeno diciassette anni!»
 
« Maman
Una terza voce si aggiunse a quella della donna.
Quella guardò alle sue spalle, presa dal panico: un giovane prestante, dall’aria preoccupata ma disinvolta, si fece largo verso la porta.
Joe riconobbe in lui il ragazzo con cui aveva avuto quella piccola discussione al Tarrasque Avide, l’anno precedente. Era François, anche se doveva riconoscere che si era fatto più simile ad un uomo che a un bambino.
« Cosa sta suscedondo? A Hogwarts sc’è una battaglia?» chiese rivolto più a Joe che alla madre.
La signora Belhome gli parlò con tono di preghiera:
« Oh, non, François. Ti prego. Ti prego! Non ascoltare quello che quest’uomo disce! Pour favor, mon amour, non ascoltare! Lo so che cosa vorrai fare. Ma ti prego! Non ondartene a Hogwarts per combattere … se ti suscede qualcosa! Se ti suscede qualcosa come potrei vivere, io? Hai visto la povera Céline! Non posso sapere che sei a combattere en Angleterre, montre io sono qui a morire di angoscia! François, ascolta la tua mamma! Ti sconjuro!»
François le trattenne i polsi, con dolcezza, ma chiese a Joe di ripetere il suo messaggio.
Joe gli spiegò per filo e per segno quello che era accaduto, ignorando i sospiri di dolore della signora Belhome.
Quando ebbe finito, François tornò a fissare sua madre. Il suo sguardo luminoso e fermo annunciava già quale fosse la sua decisione.
« Maman» disse, marcando molto bene la sua risoluzione.
Amélie già stava allentando la presa e diventava pallida come marmo.
« Ho il dovere di avvisare Darà, e Darius. E se loro descidessero di ondare a Hogwarts, il mio compito è quello di seguirli. Il mio posto è dov’è Darà, sia al sicuro che in pericolo di vita. Non potresti chiedermi di rimaner icì, montre a lei potrebbe accadere qualcosa. Tu e papa dovete stare ensieme, ma io non sono legato a Maison Lavande pour la vita».
La signora non ebbe più la forza di replicare.
Vedendo che diventava improvvisamente difficile, per lei, reggersi con le sue gambe, François l’accompagnò sul divano violetto e la fece sedere sui morbidi cuscini.
Senza aggiungere altro, il ragazzo uscì di casa, raggiungendo Joe.
« Vien. Ondiamo a parlare con gli altri»
Joe fu felice che il ragazzo l’avesse detto con fretta. Da quelle smancerie, si domandava se la famiglia avesse capito quanto fosse urgente la questione.
Fu condotto a passo svelto verso una tettoia che riparava un giardino pieno di fiori variopinti e bellissimi. Lo attraversarono fino a raggiungere la famosa entrata segreta e François precedette il suo accompagnatore nel lungo corridoio buio.
Joe non ebbe tempo di meravigliarsi del sofisticato nascondiglio che offriva Maison Lavande: François si era addentrato in quel grande stanzone pieno di letti e di mobili malridotti ed aveva sussurrato qualcosa a Dara, Dario e Anton.
I tre scattarono in piedi, non appena ebbero riconosciuto il volto di Joe e seguirono il padrone di casa fuori dalla porta.
 
« Tu è ancora vivo, infine. Sono contento»
Anton regalò una pacca sulla spalla a Joe, che gli sorrise bruscamente.
« Magari ancora per poco. Quindi ascoltatemi bene: questa notte, in questo esatto momento, a Hogwarts si stanno preparando per una battaglia. Pare che Harry Potter sia al castello e che abbia radunato tutte le forze possibili. Credo che Voi-Sapete-Chi si dirigerà là. Questa è la battaglia che conclude la guerra».
Dara ebbe un fremito e cercò lo sguardo di François.
Dario rimase a bocca aperta, incredulo.
Joe continuò, scostante: « Mi hanno mandato qui le vostre amiche … Irene, Alice e Samantha. Loro sono già dirette al castello. Hanno pensato che fosse giusto informare anche voi, così che possiate fare la vostra scelta».
Dara strinse forte la mano di François e gridò:
« Io vado a Hogwarts! Joe, portami subito lì! L’anno scorso ho giurato che non me ne sarei mai più stata lontana dalle battaglie combattute dai miei amici. Non voglio essere quella che si salva la vita perché è al sicuro! Com’è successo quando Céline … quando Céline …»
La sua voce si stava rompendo, ma Anton l’aiutò:
« Hai ragione. È la cosa giusta da fare. Noi deve aiutare quelli che amiamo e combattere per quello in cui crediamo. Anch’io verrò. Non ho dubbi. C’è Laura, laggiù».
Dario aveva perso il suo solito entusiasmo elettrico che lo pervadeva anche quando c’erano situazioni pericolose: sembrava una statua di marmo, eppure la sua espressione era dura e fiera.
« Anch’io verrò. Ci potete giurare».
La porta socchiusa alle loro spalle si spalancò con un tonfo sordo:
« No Darius! Puor favour … non ondare!»
Gabrielle, trafelata , si catapultò nel corridoio. Era stata evidentemente accostata alla porta per origliare.
Iniziò a piangere, senza pudore, come una bambina piccola.
Si aggrappò alla manica di Dario e gli singhiozzò frasi sconnesse in francese, in cui si riconosceva solo un cantilenante “per favore!”.
Dario, impietosito, le staccò gentilmente le mani dal suo braccio e gliele strinse assieme. Si chinò alla sua altezza e la guardò in faccia con il più caloroso dei sorrisi.
«Gabrielle. Cara, piccola, Gabrielle. Ho bisogno che tu capisca che io non posso rimanere qui, al sicuro, mentre i miei amici vanno a rischiare di morire per qualcosa in cui credo anch’io»
Gabrielle non smise di lacrimare e tirando su col naso ad ogni parola, disse:
« No! Darius, ti prego! Remain icì. Io ho besonio di te, sono sola! Volio stare qui con te. Ti prego. Ho perduto i miei sgenitori! Mia sorela! Non so dove siano, né se sono vivi! Se te ne vai onche tu … se tu dovessi … dovessi … non tornare, io cosa farei? Ti prego! Resta icì avec moi. Darius, non volio che tu vada a morire!».
Dario non si muoveva dalla sua posizione e continuava a sorriderle, guardandola dritta negli occhi.
« Ho bisogno di te anche per un compito speciale. I miei libri. Devi tenerli tu, al sicuro. Se quando tornerò ci troverò sopra anche solo una piega piccolissima, ti riterrò la diretta responsabile. Quindi attenta! È un compito importante».
Gabrielle pianse più forte e gli saltò al collo, abbracciandolo, continuando a urlare preghiere fra i singhiozzi e i convulsi.
Dario se la tenne stretta, così, per qualche secondo. Poi le batté una mano sulla schiena e con delicatezza la sciolse dalla sua presa.
Prima di staccarsi definitivamente, le lasciò un bacio sulla fronte.
« Aspettami qui. E bada ai libri, eh!»
Le disse, con un sorriso smagliante.
Gabrielle ebbe l’istinto di saltargli di nuovo addosso, ma lo represse. Rimase con i piedi piantati dov’era, tremante come una foglia e con il dolore scolpito in faccia.
« Brava bimba»
Sospirò Dario, allontanandosi con gli altri, concedendosi un ultimo sguardo a quella magnifica creatura, bella come un angelo, che si solcava il volto di lacrime per lui.
« E allora andiamo»
Bofonchiò Joe, allergico alle smancerie.
Tese il braccio di modo che tutti vi si potessero aggrappare.
Con un ultimo sguardo al rifugio che li aveva protetti proprio dalla cosa a cui ora andavano incontro, François, Dara, Anton e Dario vennero risucchiati dalla Smaterializzazione.
Nel tetro passaggio segreto, rimasero solo i singhiozzi soffocati di Gabrielle.
 


>Angolo dell’autrice<
Il prossimo capitolo sarà l’ultimo (senza contare l’epilogo, ovviamente).
Sarà un po’ un capitolo “speciale”, per celebrare la chiusura di Nate Babbane: infatti sarà piuttosto lungo.
Tutto qui. Ci tenevo a dirvelo.
Grazie per essere qui.
Verrà pubblicato il 17 mentre l'epilogo il18.
A presto <3

 

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Capitolo 32
*** la battaglia di Hogwarts ***


La battaglia di Hogwarts
 
L’interno del pub si materializzò davanti ai loro occhi, che con fatica riprendevano l’abitudine alla normale pressione dell’aria.
Un uomo vecchio, grigio, con dei penetranti occhi azzurri, li guardò malissimo.
« Puah! Ancora gente! Questo locale non è una stazione ferroviaria!».
Una capra sbucò da sotto il bancone e zampettò fino all’altro lato della stanza, dove già c’erano alcune persone.
« DARIO!»
Irene si slanciò verso il compagno di Casa, che non vedeva da una vita e che non si aspettava di ritrovare in quel momento.
« Irene!! Tegamina!»
Dario rispose all’entusiasmo accogliendo Irene in un abbraccio saldo, che durò diversi secondi.
Tegamina saltò come impazzita sulla spalla di Dario e iniziò a rotolarsi intorno al suo collo, strusciandosi come un gattino.
« Tegamina! Piccola mia!» esclamò Dario, afferrando l’animaletto e coccolandola fra le mani.
Oliver Baston guardò la scena, contrariato. Lui era in compagnia di tre ragazze: Angelina Johnson, Alicia Spinnett e Katie Bell, le tre ex compagne di Quidditch che era andato ad avvisare.
Nel frattempo, anche Samantha e Alice si erano avvicinate al gruppo di amici: Alice si scambiò un lungo e sentito abbraccio con François, mentre Samantha veniva sommersa dalle moine di Dara.
Il proprietario del locale, il signor Aberforth, li fissò con disgusto.
« Che diavolo siete venuti a fare, qui, se frignate già prima di combatter? Perché è questo che volete, no? Andare a farvi ammazzare, là dentro. Ho sentito che ci sarà una battaglia»
« È esattamente la nostra intenzione, si» gli rispose fermamente Samantha, senza battere ciglio. Aveva gli occhi lucidi, ma decisi.
« Non avrei saputo dirlo meglio» le fece eco Angelina Johnson, dal fianco di Oliver.
Aberforth li passò in rassegna, un’altra volta: Dara e François si stringevano la mano, Alice rimaneva abbracciata a François e a Irene, che – insieme a Tegamina –  era ancora incollata a Dario; accanto a lui, il colossale Anton, vicino a Joe, di fianco a Samantha e Dara, a braccetto; infine Oliver e le tre ragazze, con gli occhi vivi e risoluti.
Tutti avevano uno sguardo determinato, anche se già commosso.
Sapevano perché erano lì e l’aver provato già quella scarica di emozioni, conferiva ad ognuno di loro un’indescrivibile mania di mettersi in gioco.
Aberforth scosse la testa, disapprovando appieno quella che per lui era ridicola temerarietà.
Lanciò uno sguardo al grande quadro alle sue spalle, raffigurante una bambina, che rispose all’occhiata e si allontanò, nello sfondo: ne conseguì uno scatto e il quadro si staccò dalla parete, rivelando un passaggio dietro di sé.
Con un’ultima occhiataccia, l’anziano signore del pub indicò ai ragazzi che quella era la via per entrare a Hogwarts. Esprimeva così anche il suo ultimo avvertimento, schierandosi con evidenza contro l’audacia suicida di combattere quella battaglia.
Attraversarono il passaggio scavato nella roccia, che sembrò durare loro un’eternità.
Quando finalmente arrivarono dall’altra parte, si ritrovarono in un ambiente gremito di persone, che parlottavano fitte fitte ed erano in agitazione.
A fatica fecero caso al loro ingresso.
« Dove siamo?»
Chiese Anton.
Al momento, nemmeno i ragazzi che avevano familiarità con Hogwarts seppero rispondere: si trovavano in una stanza che non avevano mai visto.
Era molto grande e assomigliava all'interno di una casa sull'albero particolarmente lussuosa, o forse a una gigantesca cabina di nave. C’erano amache multicolore appese al soffitto e a una balconata che correva tutto intorno alle pareti rivestite di legno scuro e senza finestre, adorne di vivaci arazzi. C’era il leone d'oro di Grifondoro in campo scarlatto; il tasso nero di Tassorosso su fondo giallo, e il corvo di bronzo di Corvonero sul blu. Mancavano solo il verde e l'argento di Serpeverde. C'erano librerie traboccanti, alcuni manici di scopa appoggiati alle pareti, e nell'angolo una grossa radio nel suo mobiletto di legno.
« Siete nella Stanza delle Necessità».
 
A dirlo era stata una voce proveniente dal consistente gruppo di persone, che ancora si agitavano e parlavano fra sé.
Era Terry Steeval.
Guardava fisso davanti a sé, in direzione dei nuovi arrivati, con un’espressione indecifrabile, che conteneva dolcezza, tristezza, paura e commozione. Guardava Alice.
Nemmeno lei, per quella manciata di secondi che impiegò a capire la situazione, riuscì a fare altro dal fissarlo, immobile.
Aspettò che il suo cervello le desse l’ok per far compiere ai suoi muscoli lo sforzo di scattare, gridare, piangere e correre allo stesso tempo.
« TERRY! Oh! Terry!»
Gli si catapultò addosso con una forza che si sarebbe detta impensabile per la sua esile figura.
Terry incassò il colpo e l’abbracciò così stretta, che sembrava volesse farla scoppiare.
Qualche silenziosa lacrima gli bagnò le guance livide, cadendo sui capelli di Alice.
Lei alzò lo sguardo e notò che il suo volto era completamente ammaccato e recava segni di fresche contusioni.
« Terry! Che ti è successo? Cos’hai fatto? Cosa ti hanno fatto?» Alice gli accarezzò la guancia come se fosse fragile, di cristallo.
Terry alleggerì la sua espressione con il solito sorriso sghembo di cui solo lui era capace.
« Oh, non è niente … me le hanno un po’ suonate, ma tutto qui»
« Si è messo a urlare a tutti che Harry Potter avrebbe sconfitto Tu-Sai-Chi … non ha mica tutte le rotelle al posto!»
Disse Anthony Goldstein, sbucando dall’affollamento di gente.
Alice gli rivolse un caloroso sorriso, senza però allontanarsi dall’abbraccio saldo di Terry, che non sembrava intenzionato a smettere di cingerle la vita.
« Hai davvero fatto questo?»
Chiese poi, lei.
« Beh … non posso negarlo»
« E ti hanno picchiato? I professori ti hanno picchiato?»
« Già. In mezzo alla Sala Grande. Ho dato un po’ di spettacolo, in effetti …»
« Oh Terry … e io non c’ero! Mi dispiace! Non c’ero e non ti ho difeso»
Mentre gli parlava, continuava ad accarezzare i lividi sulle sue guance, il labbro gonfio e gli occhi pesti.
« Eh! Ma sono io il cavaliere, mia pulzella. Tutti gli eroi devono venire un po’ strapazzati dal cattivo. Che uomo sarei? E poi … ci sei ora, Alice. E non potrei aver ricevuto un premio migliore».
E poi si baciarono.
Dara, da poco distante, urlò un “evviva!” e iniziò a tirare avanti e indietro François per la maglietta, indicandogli Alice e Terry.
Anthony sorrise, silenzioso, lasciando che l’unica arma al mondo in grado di sconfiggere Voldemort facesse il suo corso.
« Insomma, cosa sta succedendo, qui? Cos’è tutto questo fermento?»
Chiese Joe, con un sospiro, guardandosi attorno.
« Di che stanno tutti a parlare?».
Anthony rispose: « È arrivato Harry Potter, poco tempo fa. Ci ha detto che doveva sbrigare una missione per conto di Silente … una cosa che ci aiuterà a vincere. È andato con Luna Lovegood a cercarla, nella torre di Corvonero. Sono arrivate un sacco di altre persone. Pare ci sarà davvero una grande battaglia, stanotte»
« È per questo che siamo venuti» rispose Joe, brusco.
 
« E tu che ci fai qui?!»
Una voce alterata alle loro spalle li fece voltare.
Samantha sentì una mano afferrarle la spalla. Si ritrovò faccia a faccia con Lee. Sul suo volto si leggeva un rimprovero chiaro e tondo.
« Te l’ho detto. Non me ne sarei mai rimasta fuori da questa battaglia» gli rispose lei, duramente.
« Io sono d’accordo! Ci sarà da divertirsi!» le disse George con una strizzatina d’occhio.
« Sei una stupida! Potresti morire! Dovevi rimanere al sicuro! Ti avevo detto di rimanere con Roger e Robin!»
« E io sono maggiorenne e voglio venire qui a rischiare la vita, mentre voi fate altrettanto!»
Lee rimase in un silenzio molto risentito, mentre Fred gli mimò con le labbra la parola: “spento!”.
Non molto tempo più tardi, l’anta di quello che si sarebbe detto un armadio si aprì e ne uscì proprio Harry Potter.
Pareva spaesato dal gran numero di combattenti che gli si moltiplicava sotto gli occhi.
« Che si fa, Harry?» gridò George in sua direzione. «Cosa succede?».
« Stanno facendo evacuare i ragazzi più piccoli, l'appuntamento è in Sala Grande per organizzarsi» rispose Potter: « Si combatte».
Con un boato, un'ondata di persone si lanciò verso la porta.
Harry Potter si ritrovò ad essere oltrepassato di corsa da tutti quelli che riempivano la Stanza delle Necessità, con le bacchette sfoderate, pronti a riversarsi nel castello.
 
« Cosa facciamo?!» gridò Dara, temendo di perdere di vista la sua compagnia.
« Io devo trovare Moris! A ogni costo!» ruggì Irene, determinata a non ascoltare altri che la voce della sua coscienza.
« Io viene con te. Io cerca Laura!» le disse Anton.
La folla in dispersione fece sì che Irene e Anton venissero inghiottiti e sparissero dagli occhi degli altri.
« Irene! Aspettami!» Urlò Dario, senza essere udito.
« Non ci dividiamo! Accidenti!» gridò Samantha in direzione delle scale, sperando invano di fermare Irene.
« È impossibile, Sam!» le rispose Alice, che veniva trascinata da un’altra parte, per mano a Terry Steeval e insieme ad altri Corvonero.
« E allora io vado a cercare Sara!» convenne la Grifondoro, correndo a perdifiato verso una rampa di scale che sapeva l’avrebbe condotta alla sua Sala Comune.
 
**
 
Sotto il soffitto incantato della Sala Grande, buio e disseminato di stelle, gli studenti scarmigliati, alcuni in mantello da viaggio, altri in vestaglia, erano allineati lungo i quattro tavoli delle Case.
Qua e là rilucevano le figure perlacee dei fantasmi della scuola. Gli occhi di tutti, vivi e non, erano fissi sulla professoressa McGranitt, che parlava dalla pedana in fondo alla Sala.
Dietro di lei erano schierati gli insegnanti rimasti, tra cui Fiorenzo, il Centauro palomino, e i membri dell'Ordine della Fenice che erano arrivati per combattere.
«... l'evacuazione verrà coordinata dal signor Gazza e da Madama Chips. Prefetti, al mio segnale, condurrete i ragazzi della vostra Casa, in ordine, verso il punto di evacuazione».
Molti studenti sembravano pietrificati.
Sara, tra questi, era  terrorizzata e allarmata. Non si era staccata un attimo da Dennis e Colin Canon.
Uno studente di Tassorosso urlò: «E se vogliamo restare a combattere?»
Fu salutato da alcuni applausi sparsi.
«Se siete maggiorenni, potete restare» rispose la professoressa McGranitt.
«E le nostre cose?» gridò invece una ragazza di Corvonero. «I bauli, i gufi?»
«Non c'è tempo per raccogliere gli effetti personali» ribatté la professoressa McGranitt. «L'importante è farvi uscire di qui sani e salvi».
«Dov'è il professor Piton?» urlò una Serpeverde.
Era una di quelle ragazzine del primo anno, che aveva detto a Bianca che avrebbe preferito morire anziché essere come lei.
«Per ricorrere a un comune modo di dire, se l'è data a gambe» replicò la professoressa McGranitt, e un boato di gioia si levò dai Grifondoro, dai Tassorosso e dai Corvonero.
Sara aveva esultato, ma in un secondo momento, si preoccupò della sorte dei Serpeverde: le altre tre Case parevano intenzionate ad accanirsi contro di loro con ferocia. Cercò gli sguardi di Bianca, Laura e Valentina, senza successo.
« Colin, guarda!» Dennis tirò la manica del fratello, indicandogli quello che sembrava Harry Potter, che costeggiava le pareti.
A Colin Canon si illuminarono gli occhi.
« È davvero qui! È venuto a combattere per noi! E noi saremo al suo fianco!».
Era così commosso che Sara poté udire distintamente il nodo che gli stringeva la gola.
Sorrise debolmente fra sé, intenerita, sapendo quanto Colin fosse devoto a Harry Potter.
 
«Abbiamo già imposto protezioni attorno al castello» continuò la professoressa McGranitt, «ma è improbabile che reggano a lungo, se non le rafforziamo. Devo dunque chiedervi di muovervi in fretta e con ordine, e di fare quello che i Prefetti...» Ma la conclusione fu coperta da un'altra voce che rimbombò nella Sala.
Era acuta, fredda e chiara: impossibile capire da dove venisse, sembrava uscire dalle mura stesse, come se vi fosse rimasta assopita per secoli:
«So che vi state preparando a combattere».
Ci furono urla tra gli studenti; alcuni si aggrapparono ai compagni, guardandosi intorno terrorizzati in cerca della fonte del suono.
Sara, Dennis e Colin si strinsero le mani.
«I vostri sforzi sono futili. Non potete fermarmi. Io non voglio uccidervi. Nutro un enorme rispetto per gli insegnanti di Hogwarts. Non voglio versare sangue di mago». Nella Sala calò il silenzio, il genere di silenzio che preme contro i timpani, che sembra troppo grande per essere contenuto dai muri.
«Consegnatemi Harry Potter» proseguì la voce di Voldemort « e a nessuno verrà fatto del male. Consegnatemi Harry Potter e lascerò la scuola intatta. Consegnatemi Harry Potter e verrete ricompensati. Avete tempo fino a mezzanotte».
 
Il silenzio li inghiottì di nuovo.
Le teste si voltarono, ogni occhio nella Sala sembrava aver trovato Harry Potter, che era sempre accostato contro il muro, e tenerlo immobilizzato nel riverbero di migliaia di raggi invisibili.
Poi una figura si alzò dal tavolo di Serpeverde.
Bianca, Laura e Valentina, anche loro per mano, terrorizzate, riconobbero Pansy Parkinson.
Quella levò un braccio tremante e urlò: «Ma è laggiù! Potter è laggiù! Qualcuno lo prenda!»
Prima di quanto anche Pansy Parkinson stessa potesse immaginarsi, ci fu un movimento collettivo. I Grifondoro, per primi, si alzarono sguainando le bacchette contro il gruppo dei Serpeverde.
Poi anche i Tassorosso , e quasi nello stesso istante i Corvonero: davano tutti le spalle a Harry Potter e guardavano Pansy.
Sara ebbe un forte senso di panico per le sue amiche e iniziò a respirare molto velocemente.
 
«Grazie, signorina Parkinson»
Disse la professoressa McGranitt con voce gelida: «Uscirai per prima dalla Sala con il signor Gazza. Il resto della tua Casa è pregato di seguirti»
Mentre i Serpeverde si alzavano dalla tavola e si dirigevano verso l’Ingresso, Sara provò ad urlare i nomi delle amiche.
Dal gruppo in movimento, Laura, Valentina e Bianca alzavano la testa, anche loro in cerca di Sara, disperate e prossime alle lacrime.
Quando fu la volta del plotone di Grifondoro, Sara si lasciò condurre su per la scalinata di marmo dalla corrente di compagni. Il suo sguardo, però, andava in ogni angolo, in una allarmata ricerca dei Serpeverde.
I Prefetti li stavano conducendo tutti verso il settimo piano.
Sara ebbe un velocissimo colpo di genio, quando sulla sua sinistra vide un arazzo: sapeva che dietro di esso c’era una scorciatoia per raggiungere la Torre di Grifondoro.
Approfittando della confusione, prese Colin per mano e gli lanciò un’occhiata eloquente per dirgli di fare altrettanto con Dennis.
Scivolarono silenziosamente fuori dal gruppo che si dirigeva alla Stanza delle Necessità e si nascosero dietro l’arazzo.
« Non mi faranno uscire di qui senza aver combattuto!»
Disse in un grido soffocato ai due ragazzi.
« Oh! Ottimo! Ci puoi giurare!» confermò Colin, correndo su per la buia scalinata insieme a lei.
« Noi di Grifondoro non scappiamo!» concluse Dennis, con la sua solita ingenua bontà che fece sorridere e allo stesso tempo caricare di orgoglio Sara.
 
« Buon cielo! Che sta succedendo, ragazzi miei?» ululò la Signora Grassa, vedendoli arrivare.
« Rivoluzione!» le gridò Sara, di fretta.
« Puoi ben dirlo!» le rispose il quadro, aprendosi alla parola d’ordine.
« Presto! Dentro!»
Gridò Colin, spingendo gli altri due dentro il buco del ritratto, poiché aveva sentito altri passi correre in quella direzione.
I tre corsero a perdifiato la scala per il dormitorio maschile e si catapultarono dentro un armadio, tappandosi le bocche per non far sentire i loro respiri affannati.
Ben presto, i passi che avevano sentito alle loro spalle, furono dentro la Sala Comune.
Passò qualche istante di silenzio, poi …
« Sara!»
Era la voce di Valentina.
Sara non ci pensò due volte e scattò fuori dall’armadio.
« Valentina! Bimbe! Siete voi? Oh! Siete voi!»
Le tre Serpeverde erano lì: nel mezzo della Sala Comune di Grifondoro, con il fiatone e le gambe tremanti.
Sara si gettò al collo di Laura e l’abbracciò.
Bianca iniziò a parlare, ansimando:
« Non voglio uscire da questo castello con quelli di Serpeverde»
Il suo sguardo si stava facendo umido e il naso le si arrossava:
« Io non sono una feccia come loro, come la Parkinson, come Piton! A me questa situazione fa schifo e non mi sognerei mai nella vita di stare dalla parte di Voldemort!».
« Lo so, Bianca! Certo che non sei come loro! Non lo penserei mai!» Sara abbracciò anche lei.
« Menomale che ci hai sempre detto la parola d’ordine per entrare!» continuò Bianca, prima che il nodo alla gola le impedisse di proferire altre parole.
« Vogliamo combattere. Vogliamo fare la nostra parte!» ringhiò Valentina: « Ti prego, facci nascondere qui! Se Voldemort sta venendo a scuola, ci ucciderà per essere le uniche Serpeverde a non stare dalla sua parte! Ti prego … hai delle uniformi di Grifondoro in più?».
Ma, sentendo altri passi in avvicinamento dal corridoio, Sara fece segno di seguirla, nel dormitorio dove erano nascosti Dennis e Colin.
Bussò all’armadio e i suoi amici aprirono l’anta.
« Colin. Sono le mie amiche. Vogliono delle uniformi di Grifondoro. Voldemort le ucciderà se sono le uniche Serpeverde a non sottomettersi a lui»
Colin e Dennis alzarono i loro occhi entusiasti sulle nuove arrivate.
« Fico» rispose, irradiandole con un larghissimo sorriso.
« Prendete i nostri!» esclamò Dennis, già sfilandosi la tunica dell’uniforme: « noi possiamo rimanere con gli abiti Babbani! Lo sanno tutti che siamo Grifondoro!»
E così Valentina, Bianca e Laura gettarono le tuniche con lo stemma di Serpeverde e indossarono quelle di Grifondoro.
Alcune voci, al piano di sotto, annunciarono loro che la Torre era stata occupata come base per la battaglia. Evidentemente era un luogo strategico per lanciare incantesimi dall’alto.
Sentirono distintamente urlare cose come “prendete la mira!” “ sono tantissimi!” “ al mio segnale …”.
 
Sara si sentiva nuda, senza la tunica a coprire gli abiti Babbani. Nel castello non era abituata a vedersi così.
« Cosa facciamo?» chiese Valentina, sguainando la bacchetta.
« Aspettiamo che inizi la confusione vera … e poi usciamo dalla torre. Non saremo di grande aiuto se rimaniamo quassù» concluse Laura.
« E allora aspettiamo …»
Il castello sembrava vibrare di attesa.
La mezzanotte si avvicinava …
 
**
 
Fu chiaro a tutti che il riscatto non era stato pagato e che la battaglia era iniziata, quando da ogni muro del castello cominciarono a risuonare gli echi rimbombanti dei primi incantesimi.
Sara, Colin, Dennis e le Serpeverde si catapultarono fuori dalla torre, quando un lampo di luce verde fece esplodere la finestra del dormitorio.
La Sala Comune era affollata di persone, tutte affacciate alle grandi finestre.
« FUOCO! FUOCO!» gridava la professoressa McGranitt capitanando un gran numero di combattenti, alle sue spalle.
Schizzi di luce verde accecante balenarono fuori da ogni bacchetta.
Nessuno fece caso ai ragazzi che, con le ali ai piedi, si buttarono fuori dal buco del ritratto e si immersero nel pandemonio che regnava già in ogni corridoio.
 
Un uomo vestito di nero con una maschera grottesca spuntò davanti alle Serpeverde.
« AVADA KEDAVRA
« CONFRINGO!» rispose Bianca, velocissima.
Esattamente come era successo nella bettola di Pllovka, l’anno precedente, ogni muro circostante saltò con un’esplosione assordante.
Bianca gridò, vedendo scomparire i tre Grifondoro nelle macerie davanti ai suoi occhi.
« Sara! Sara!!»
Il gran fumo provocato dal crollo, rendeva impossibile vedere se ci fossero passaggi fra i detriti.
« Bianca! Stiamo bene!» Rispose con ardore la piccola rossa, dall’altra parte delle macerie.
« Il Mangiamorte dov’è?!» strillò Valentina, stringendo la bacchetta in mano, quasi volesse farsi sanguinare le dita.
« Non lo so! Non c’è più!» rispose la voce di Sara.
« Sara, dobbiamo prendere un’altra strada!» gridò Laura, impotente di fronte al passaggio bloccato.
« Mi pare evidente, Laura» scherzò cupamente l’amica, dall’altra parte.
« Ci rivediamo. Più tardi. Non fare scherzi eh» disse Laura, piano, verso il cumulo di mattoni. La sua voce si era abbassata di un’ottava.
« A dopo» fu l’ultimo soffio sonoro che provenne da Sara, in quella circostanza.
E così si divisero: le Serpeverde trovarono un altro arazzo cavo e scesero le scale, che le condussero in un corridoio altrettanto disastrato.
 
Sara, Colin e Dennis proseguirono nella discesa della scala di pietra, finché non spuntarono in un ampio corridoio.
C’erano lampi di luce, grida e macerie da ogni parte.
Uomini con i mantelli neri si scontravano con ragazzi in pigiama o in uniformi bruciacchiate.
C’erano delle persone a terra …
« SARA! GIÙ!»
Fidandosi ciecamente dell’avvertimento piovutole dal cielo, Sara si buttò a terra, schiantandosi contro il pavimento.
Dean Thomas le si schierò davanti e con un Sortilegio Scudo deviò un’atroce Maledizione che un Mangiamorte aveva lanciato alle sue spalle, diretta a lei.
« Dean …!»
Sara non poteva credere ai suoi occhi: Dean Thomas.
Alto, bello e imperioso.
Indossava abiti Babbani, malridotti. Eppure era lui, a Hogwarts.
Le aveva appena salvato la vita.
« Devo ricambiare!» gli disse, quando lui si voltò per continuare la sua battaglia altrove.
« Resta viva e mi avrai ripagato!» le disse con determinazione e una punta di tenerezza.
In quel medesimo istante, un Mangiamorte gli comparve alle spalle.
Sara sfoderò la bacchetta con agilità e ferocia:
« CRUCIO
Dean si voltò stupefatto, vedendo il Mangiamorte contorcersi a terra. Poi tornò a fissare Sara, quasi spaventato.
« Ci. Avete. Insegnato. A. Usare. Le. Arti. Oscure! Ora. Ne. Pagate. Le. Conseguenze!»
La ragazza scandì ogni parola con sommo rancore, stringendo la bacchetta con forza.
Dopo, rivolse a Dean un mezzo sorriso, liberando il nemico dalla maledizione.
La circostanza non permetteva di perdersi in ringraziamenti o conversazioni di ammirazione, così, i due, si tuffarono insieme nel vortice dei combattimenti.
Sara si staccò da Colin e Dennis … aveva perduto Dean Thomas per tutti quei mesi, non avrebbe permesso che qualcuno gli facesse del male proprio adesso.
 
Irene si era intanto diretta verso la Sala Grande, per poter poi scendere nei sotterranei.
Cercava la sua migliore amica, Moris, e non si sarebbe fatta intralciare da nessuno.
Non poteva sapere che Valentina era invece dalle parti della torre di Grifondoro.
Anton correva al fianco della Tassorosso ed era riuscito ad atterrare tutti quelli che gli si erano frapposti. Anche Dario li aveva raggiunti, ma rimaneva ancora a qualche passo di distanza.
« Dove sono i Serpeverde?! Dove sono?! Tegamina stai attenta a non cadere! Stammi addosso!»
Gridò Irene, con le gambe tremanti, in preda al panico e alla fatica della corsa.
La Puffola sobbalzava a tempo dei passi veloci della sua padrona.
« Attenta!! BOMBARDA!»  Anton fece saltare una colonna, davanti la quale un Mangiamorte minacciava di colpirli.
« Irene, stai tu attenta! Non aiuterai i tuoi amici, se muori per loro! PROTEGO
« Irene! Non si può accedere ai sotterranei! GUARDA!» strillò Dario, indicando il corridoio che dall’Ingresso avrebbe condotto ai piani più bassi.
« ANTON!! Dario ha detto bene! Sono dappertutto! ANTON COSA FACCIAMO?!»
Erano ora nella Sala d’Ingresso e centinaia di Mangiamorte si stavano riversando all’interno del castello.
Erano un numero incalcolabile: dieci, venti, cento, trecento mantelli neri gli sfilavano davanti.
Irene, Dario e Anton dovevano spostarsi da lì,  non sarebbero mai sopravvissuti …
Un consistente numero di quegli incappucciati  iniziò a scagliare sortilegi in direzione dei ragazzi.
Anton gridò loro qualcosa come “difendetevi!” … ma poi tutto si fece distante … come dentro una campana di vetro … o almeno per Irene.
Erano in troppi e lei non conosceva incantesimi per uccidere … e non sapeva nemmeno se sarebbe stata  in grado di uccidere per davvero
Strinse forte la bacchetta e cominciò a urlare Schiantesimi a destra e a manca, terrorizzata a tal punto che non riusciva più a distinguere la paura di morire dal il desiderio di sopravvivere.
La fedele Tegamina, sulla sua spalla, tremava come una foglia.
Poi un guizzo luminoso destinato a colpire Irene, prese la Puffola  in pieno, trascinandola a forte velocità contro la parete più vicina.
Con un rumore sordo, il muro esplose, e con lui Tegamina.
 
**
 
Samantha si era ritrovata da sola e cercava in ogni modo di raggiungere la torre di Grifondoro.
Gridava il nome della sua compagna di Casa, ma risultava solo inghiottito dal resto dei rumori assordanti della battaglia.
Non era ancora riuscita a trovare Sara e aveva perso di vista anche Lee e i gemelli.
Alice era sparita assieme ai Corvonero e l’aveva vista dirigersi verso la torre della loro Casa.
Si ricordava a malapena gli incantesimi di Disarmo e gli Schiantesimi. Non sapeva bene nemmeno lei quello che le usciva di bocca e dalla bacchetta.
Rimase bloccata al quinto piano, in un lungo corridoio, dove uno sciame di Dissennatori a piede libero collaborava con i Mangiamorte che abbattevano i combattenti.
Non riuscì ad evocare il suo Patronus e un freddo innaturale l’attanagliò.
Rimase abbastanza lucida da vedere qualcuno evocare una scintillante gazzella d’argento, cui si aggiunse, volando, un’aquila …
Con sguardo vitreo, Samantha si voltò in tempo per riconoscere Terry Steeval correre giù per la rampa di scale. Alice era sempre con lui.
Questo le dette la carica ideale per riprendere le forze e lanciare una scarica di fatture sul Mangiamorte più vicino.
Sapeva si star subendo graffi, ferite e contraccolpi, ma non si sarebbe arresa, né fermata. Da un certo punto di vista, la vicinanza del Dissennatore l’aveva resa distaccata e insensibile al dolore fisico.
Doveva ritrovare Sara, si diceva. E Lee. E Fred e George. E tutte le sue amiche.
Con la bacchetta sguainata, in mezzo a sordi schianti, così forti da essere quasi inudibili, Samantha sorrise.
 
**
 
Joe si trovava, da solo, in un pianerottolo vicino alla torre di Grifondoro.
Era perfettamente in grado di combattere al livello del Mangiamorte che gli stava davanti. Entrambi usavano una tattica offensiva e nessuno dei due si curava di non distruggere quel che c’era intorno.
Un secondo Mangiamorte spuntato da chissà dove, lanciò un incantesimo che esplose ai piedi di Joe, facendolo cadere per terra.
Riempiendo l’aria di imprecazioni, Joe prese la bacchetta con rabbia e la indirizzò verso quello vestito di nero che l’aveva buttato a terra.
Era troppo accecato dalla sua vendetta per rendersi conto di fornire un facile bersaglio per chi gli arrivava alle spalle.
Bianca, Valentina e Laura finirono di scendere la scala dell’arazzo nascosto e si ritrovarono nel bel mezzo di quella battaglia.
Valentina, con l’uniforme di Grifondoro bruciacchiata., aveva visto di sfuggita Alice e Terry Steeval … Doveva raggiungerla!
Doveva assicurarsi che fosse davvero lei e che non  le accadesse nulla. Doveva sapere se era successo qualcosa ai suoi nonni e perché Alice sola si trovasse lì.
E voleva sapere dov’era Irene! Non avrebbe permesso che venisse fatto del male a Boris finché lei stessa era in vita.
Bianca e Laura, invece, non avevano di certo notato Alice e continuarono la loro corsa verso le scale successive. Volevano raggiungere la Sala Grande.
Valentina correva dietro di loro così in fretta che il fiatone le mozzava il respiro e la tonaca si aggrovigliava in mezzo alle gambe.
Fu altrettanto in fretta che i suoi occhi localizzarono e identificarono la figura distesa a terra, sul primo pianerottolo dove approdò.
Avvalendosi di un qualche misterioso superpotere, riuscì ad analizzare freddamente la situazione: vide come in moviola Joe, che tentava di lanciare un incantesimo su un Mangiamorte che scappava lontano, poi un altro incappucciato decidere di sfruttare la ghiotta occasione e scagliare una maledizione alle sue spalle.
Con uno slancio deciso, ignorando Bianca e Laura che si allontanavano, Valentina si frappose fra Joe e la maledizione e con un colpo di bacchetta respinse il fascio luminoso.
Il contraccolpo dello scontro magico, la fece indietreggiare di qualche passo.
Il Mangiamorte si era già dileguato altrove.
Valentina, ansimando per la corsa e per il folle avvenimento, si voltò a guardare Joe a terra.
« Non lo fare mai più»
Gli disse.
E Joe non poté trovare alcuna parola per ribattere, perché davanti ai suoi occhi era apparsa una ragazza cambiata, cresciuta. Un’adulta.
Il volto severo non nascondeva nessuna smanceria, come aveva più volte ribadito nonna Climene. Non c’erano occhi a cuore, ma solo due duri pezzi di ghiaccio, ardenti come il fuoco.
Aveva inteso lettera per lettera ogni singola parola.
“non lo fare mai più” voleva dire che Joe non si doveva azzardare davvero mai più a farlo di nuovo. Non gli era permesso mettersi in pericolo come uno scemo. E Valentina glielo aveva proibito con un ordine che non si sentiva in grado di infrangere.
 
 
**
 
Un corridoio più in là, con maestria inaudita, François agitava la bacchetta lanciando potenti incantesimi, il cui esito erano schianti, esplosioni o grida di dolore. L’espressione dura, su quel faccino angelico, spesso all’insegna del sorriso, ora lo rendeva capace e temibile.
Lanciava maledizioni e fatture, senza battere ciglio.
Poi un lampo accecante, da destra, lo colpì in pieno petto e con un tonfo cadde all’indietro.
Dara se ne accorse e con un ruggito si liberò di qualunque ostacolo fosse fra lei e François, correndo agile e furiosa.
Si trovò innanzi quello dalla cui bacchetta era uscito il fatidico incantesimo: lo afferrò per la veste e gli assestò un fragoroso pugno sul viso, tanto da farlo cadere a terra privo di sensi.
Gli spezzò la bacchetta urlando cose incomprensibili, poi corse da François, a terra, immobile, immerso in una pozza di sangue.
Dove l’incantesimo aveva colpito, sul torace, c’era uno squarcio che luccicava di rosso intenso.
Dara si sentì improvvisamente mancare le forze e le sue mani tremarono, quando si caricò il corpo a peso morto appoggiato ad una spalla.
A stento riuscì a trascinare sé stessa e François fuori dal campo di battaglia, in una nicchia di marmo, mezza ricoperta da macerie.
 
« Franz, non puoi essere morto.»
Gli disse dolcemente, accasciandosi su di lui dalla fatica e dalla debolezza.
Si sentiva svenire.
I rumori della battaglia provenivano, crudi, dalle stanze accanto, dai piani di sopra e anche da quelli inferiori.
« Franz, se sei morto non te lo perdonerò mai. Mi fai incazzare»
Disse, trovando forza nelle corde vocali, mentre il fisico cedeva sotto il peso dello svenimento imminente.
Se li avessero visti, li avrebbero scambiati per due cadaveri.
Dara sentiva il sangue caldo inzupparle i vestiti e impregnarle il braccio con cui cingeva François.
« Se sei morto» continuò, sentendo qualcosa di follemente caldo bruciarle lungo le guance in lunghi rivoli: «sei proprio uno stronzo. Se sei morto, François, io ti lascio, hai capito? Non mi puoi fare questo. Non puoi».
Un rantolio leggero, simile a un soffio, si liberò da poco sopra il suo orecchio.
« Comme se fosse colpa mia, Darà».
Era vivo.
E non sarebbe morto che a una veneranda età, circondato dall’amore delle persone a lui care.
Dara sentì la ragione tornarle nel cervello e l’istinto di svenire se ne andò, piano.
Le ronzavano le orecchie.
Guardò il viso di François: sebbene contratto dal dolore, sorrideva e la guardava.
« Ti amo, François. E vaffanculo, lurido. Se sopravvivremo a questo macello, promettimi che fra qualche anno mi sposerai».
« Mais certament, ma belle».
 
**
 
All’improvviso, una voce fredda, penetrante, identica a quella che avevano sentito prima dell’inizio della battaglia, sospirò di nuovo nelle teste di tutti.
Era Voldemort, che si rivolgeva ai combattenti e porgeva il suo secondo appello:
«Avete combattuto valorosamente» diceva la voce acuta e fredda.
Sembrava che scorresse sulle pareti di marmo, sui detriti, sulla polvere …
«Lord Voldemort sa apprezzare il coraggio. Ma avete subìto pesanti perdite. Se continuerete a resistermi, morirete tutti, uno per uno. Io non desidero che ciò accada. Ogni goccia di sangue magico versata è una perdita e uno spreco.
«Lord Voldemort è misericordioso. Ordino alle mie forze di ritirarsi, immediatamente. Avete un'ora. Disponete dei vostri morti con dignità. Curate i vostri feriti.
«Ora, Harry Potter, mi rivolgo direttamente a te. Tu hai consentito che i tuoi amici morissero per te piuttosto che affrontarmi di persona. Io ti aspetterò nella Foresta Proibita. Se entro un'ora non ti sarai consegnato a me, la battaglia riprenderà. E questa volta vi prenderò parte io stesso, Harry Potter, e ti troverò e punirò fino all'ultimo uomo, donna o bambino che abbia cercato di nasconderti a me. Un'ora».
 
Samantha scese le scale, con le orecchie ovattate dal ricordo del rombo di urla ed esplosioni.
La voce di Voldemort aveva zittito ogni altro rumore e il silenzio che ne conseguiva era quasi doloroso.
Sentiva i piedi estremamente pesanti per il suo corpo e le orecchie in preda al fuoco.
Riuscì a trascinare i passi fino alla Sala Grande: le sue amiche erano lì, doveva ritrovarle.
Valentina, Laura, Bianca, Sara … le sue amiche.
Lo scenario che le si presentò la fece piombare ancora di più nello stato di semicoscienza in cui si trovava.
Persone.
Morte.
Persone piene di sangue che si facevano medicare da altre persone.
E ancora persone morte.
Qualcuno trasportava cadaveri e li sistemava in pose più confortevoli, più umane.
La vista di Samantha si appannò e il suo cervello iniziò macchinalmente a passare in rassegna quei corpi vuoti, pesanti, senza più vita.
Doveva trovare le sue amiche, ma non così. Non lì..
Iniziò la sua rassegna dei corpi privi di vita, sdraiati in file ordinate accanto a lei.
Cupamente rallegrandosi di non dover prendere parte alle grida di dolore degli amici che si accerchiavano alle singole salme, Samantha percorse la Sala Grande.
Valentina, si diceva. In piedi, fiera, con qualche ferita e gli occhi stanchi.
Si, si, l’avrebbe trovata senz’altro così.
Camminava fra i cadaveri fortunatamente sconosciuti.
Accanto a lei Bianca e Laura, sporche di polvere e sudore, qualche graffio, le bacchette sfoderate.
Poi Sara, la sua piccola Sara di Grifondoro. Minuscola, con gli occhi duri e la capacità nella sua bacchetta.
Sara che era più piccola di un gattino ma più forte di un leone. Lei era la Casa di Grifondoro. Lei era il coraggio.
Vive senz’altro. Tutte vive.
Un altro corpo, accanto a Samantha.
Le si dilatarono le narici e qualcosa, dove molto tempo prima le risiedeva il cervello, parve strizzarsi e sbattere contro le pareti del cranio.
Stava per scivolare giù.
C’era il suo compagno di classe: Colin Canon.
Cereo, con la bocca storta in una posa innaturale.
Alzati Colin, cosa fai lì, deficiente? Ti ho mai detto che sei un vero rompiscatole? Dai, che fai, stupido? Alzati.
Colin non si alzava.
I passi silenziosi rimbombavano nella stanza, che sembrava essersi trasformata in una gigantesca bolla.
La Sala Grande aveva quadruplicato la sua lunghezza, quel giorno.
Fra un gruppo di persone, c’era Alice.
Stringeva la mano di Terry Steeval, mentre l’altra l’aveva serrata davanti la bocca. Le lacrime le bagnavano gli occhi, il naso, il mento e scorrevano filamentose lungo tutto il viso. Era scossa da conati di dolore, ma non riusciva a emettere suoni.
Terry, ugualmente, aveva il volto trasfigurato dalle lacrime. Era sporco di polvere, sangue e sudore.
Loro due, assieme ad altri ragazzi, facevano capannello attorno ad Anthony Goldstein, steso per terra, con la testa aperta e le braccia spezzate.
L’avevano sistemato in una posa più umana, più aggraziata. Ma i gomiti formavano angoli innaturali e lo spacco nel cranio lasciava intravedere quello che nessuno avrebbe dovuto vedere mai.
Come tutti i morti, veniva salutato per l’ultima volta da quelli che non avrebbero mai voluto dirgli addio in una vita intera.
Samantha, intanto, continuava la sua inquietante ricerca … che infine ebbe un esito: dalla strana nebbia che le offuscava i sensi, parve scorgere e udire un gruppetto consistente di persone, radunate attorno a un’ennesima figura, lungo distesa.
Forse fu qualcosa nella sagoma, qualcosa nei piedi e nelle gambe piegate in modo strano, o nella mano, ferma.
Una forza misteriosa le disse esattamente quel che c’era, là. Lo seppe da sé, un istante prima di vederlo.
Fred Weasley era andato a spassarsela da un’altra parte.
Non avrebbe mai mantenuto la sua vecchissima promessa.
Era andato a mettere un po’ di subbuglio in un altro luogo.
Per sempre ignoto ai fortunati che restavano vivi.
Ma valeva la pena,vivere?
 
Volgendosi per tornare indietro, sentì una voce familiare, nel gruppo di quelli che vegliavano su Colin Canon.
« Non ce la faccio» diceva piano la vocina soffocata di Dennis Canon.
C’era Sara, con lui.
Gli teneva un braccio intorno al collo e lo guardava con occhi terribilmente, disperatamente pietosi.
« Ce la farai, Dennis»
Gli rispondeva lei.
« Devi farti coraggio. Devi vivere.»
« No. Non ce la faccio. Non ce la farò mai»
Ululò il povero ragazzino, scoppiando in un pianto dirotto, abbracciando Sara.« Puoi piangere, Dennis. Piangi tutte le tue lacrime. Sfogati. Io sono qui»
« Sara, non ce la faccio!» gridava lui, rotto dai singhiozzi.
« Ci sarò sempre, per te. Sono tua sorella. Non ti lascerò mai solo».
Poi, Sara e Samantha si videro, incrociandosi con lo sguardo dopo tutti quei mesi.
I loro occhi si scambiarono messaggi eloquenti, e in un attimo seppero da sé tutto quello che si dovevano raccontare.
 
Laura era accoccolata su Anton, che la proteggeva e la cullava con le sue enormi braccia. Come una montagna che custodisse un uccellino.
Erano ntrambi sporchi di polvere e sangue. Anton mostrava una brutta ferita sulla spalla e Laura aveva l’uniforme completamente strappata.
Non parlavano, ma piangevano in silenzio, insieme, e si abbracciavano in quella posa statica, senza mai aprire gli occhi.
Valentina parlava sommessamente con Irene: le teneva una mano sulla spalla.
Irene aveva il volto deformato dalle lacrime e teneva in mano un minuscolo frammento ricoperto di pelo bianco.
Dario si faceva curare da Joe: aveva subìto una ferita al braccio destro. Joe si era fatto dare un unguento da Madama Chips, che nel frattempo passava in rassegna tutti i bisognosi di aiuto.
Dara sorreggeva François. Erano seduti a quello che un tempo era stato il tavolo di Corvonero. Lui era senza maglia ed era stato fasciato e medicato.
Madama Chips gli aveva severamente proibito di ritornare a combattere e gli aveva suggerito di nascondersi in qualche posto lontano dall’azione.
Lui si era rifiutato di stare in un luogo che fosse diverso a quello dove si trovava Dara.
Dean Thomas si era aggregato agli amici di Colin Canon, ma Sara non gli piangeva addosso: si lasciava abbracciare, mentre lei continuava a stringere Dennis.
Ginny Weasley era invece accanto alla ragazzina bionda, l’unica piccola matricola di Grifondoro, sfuggita ai Prefetti per unirsi alla battaglia, che ora piangeva e chiedeva della madre.
«Va tutto bene» le diceva Ginny. «È tutto a posto. Ora ti portiamo dentro».
«Ma io voglio andare a casa» sussurrò la ragazza. «Non voglio più combattere!»
«Lo so» rispose Ginny, e la sua voce si spezzò. «Andrà tutto bene».
Bianca, invece, era andata a dare una mano con il trasporto dei caduti, insieme a Oliver Baston. Stava ora piegando con delicatezza le braccia ai cadaveri delle due piccole ragazze di Serpeverde, che qualche mese prima l’avevano svegliata, di notte, dicendole che volevano stare dalla parte del giusto.
 
**
 
Il buio della notte si diradava pian piano.
La luce cominciava a gettare i suoi raggi attraverso le finestre della Sala Grande. ma non c’era sollievo. Non c’era gioia.
 
« NO!»
Fu l’urlo straziato della professoressa McGranitt a far alzare di nuovo tutte le teste dei combattenti devastati.
Scattarono in piedi e si diressero fuori, oltre la Sala d’Ingresso, dove un’orda di Mangiamorte si stava schierando in fila.
Alle loro spalle, si stagliavano gli immensi e grotteschi Giganti.
L’aria chiara del mattino evidenziava quanto fossero nei i loro mantelli; quei sorrisi orribili stonavano con il chiarore di maggio.
I ragazzi immaginarono che l’urlo fosse dovuto al numero smisurato di nemici, ma poi …
Sara teneva ancora a braccetto Dennis. Ma quando quest’ultimo vide quello che Hagrid il guardiacaccia portava in braccio, non ebbe la forza di trattenerlo.
Il ragazzino cadde in ginocchio, senza più lacrime o voce da sprecare, per Harry Potter.
Era morto, Harry Potter.
Non c’era più il Prescelto, il Ragazzo che è Sopravvissuto, l’eroe della casa di Grifondoro …
Le sue braccia ciondoloni venivano scosse dal vento mattutino.
Si iniziarono a sentire le prime voci, dalla folla dei ragazzi: Neville, Ginny, Ron Weasley, Hermione Granger …. E poi tutti presero fiato e iniziarono a fare la propria parte.
« MALEDETTI ASSASSINI!» Strillò Sara, incapace di trattenere le lacrime di rabbia: Colin era morto, lungo disteso sul pavimnto della Sala Grande. Dennis non aveva più forze. E Harry Potter era stato ammazzato.
« BASTARDI! Bestie!» sbraitava Samantha, assieme a Lee Jordan e a tutti i fratelli Weasley, con i volti rigati da lacrime polverose.
Laura, Valentina e Bianca, con le uniformi di Grifondoro, se ne stavano schierate dietro la professoressa McGranitt e vociavano, arrabbiate, disperate, cariche di rancore, pronte a sguainare le bacchette e mandare in malora tutto quello che di negativo poteva dirsi sulla Casa dei Serpeverde.
Dara tremava, piena di collera e strillava tutto l’odio che aveva in corpo, non lasciando nemmeno per un istante il fianco di François.
Irene e Dario, abbracciati, si unirono al coro di bacchette alzate e di grida.
Alice fece altrettanto, attorniata dai Corvonero, e da Terry, ancora in preda ai singhiozzi.
« INFAMI! CANI! Vi ammazziamo! Vi ammazziamo!!»
 
«SILENZIO!» gridò Voldemort.
Era lui: davanti a tutti gli altri Mangiamorte. Cereo, con il volto serpentino e due terrificanti e luminosi occhi rossi.
Al suo fianco, come la grottesca imitazione di un cagnolino, stava un enorme serpente.
Non c’erano dubbi che quell’uomo – se così si poteva definire – fosse Voldemort. Gli si leggeva in faccia. Era la creatura meno umana che loro tutti avessero mai visto.
Con la bacchetta lanciò un colpo, un lampo di luce chiara, e un Incantesimo Silenziatore calò a forza sul piazale.
 «È finita! Posalo ai miei piedi, Hagrid, dov'è giusto che stia!».
Harry Potter fu adagiato nell'erba.
«Visto?» disse Voldemort.
Iniziò a camminare avanti e indietro, circoscrivendo il cadavere del ragazzo.
«Harry Potter è morto! Lo capite adesso, illusi? Non è mai stato altro che un ragazzo che contava sul sacrificio degli altri!».
La sua voce era sottile, tagliente, come una lama fredda.
Cosa fosse, in realtà, era difficile da definire: se davvero quell’essere fosse stato umano, molto tempo prima, non era possibile intravederlo.
Era ripugnante e spaventoso e le gambe di tutti tremavano, contro le loro volontà, ad ogni passo che Voldemort compiva.
Poi accadde qualcosa:
«Ti ha sconfitto!» urlò Ron Weasley, da solo, contro il silenzio che spaccava i timpani.
L'incantesimo si ruppe: i difensori di Hogwarts ritrovarono il coraggio.
Urlarono e urlarono di nuovo fino a quando una seconda esplosione più potente li zittì un'altra volta.
«È stato ucciso mentre cercava di scappare di nascosto dal parco del castello» proseguì Voldemort: , «ucciso mentre tentava di mettersi in salvo...» .
Poi però s’interrupe: Neville Paciock si era lanciato contro di lui ma l’aveva fermato con un colpo secco.
«E chi è costui?» domandò Voldemort, con il suo morbido sibilo di serpente. Gli aveva rubato la bacchetta e gongolava, lisciandola in mano.
«Chi si è offerto volontario per dimostrare che cosa accade a coloro che continuano a combattere quando la battaglia è perduta?»
«È Neville Paciock, mio Signore!» disse una Mangiamorte dall’aria feroce: « Il ragazzo che ha dato tanti grattacapi ai Carrow! Il figlio degli Auror, ricordate?»
«Ah, sì, ricordo» mormorò Voldemort, guardando Neville che cercava di rialzarsi, disarmato e allo scoperto, nella terra di nessuno tra i sopravvissuti e i Mangiamorte. «Ma tu sei un Purosangue, vero, mio coraggioso ragazzo?» gli chiese, e Neville si alzò in piedi davanti a lui, le mani vuote chiuse a pugno.
«E allora?» rispose ad alta voce.  
Sara respirava forte, stringendo una mano sulla spalla di Dennis. Non poteva venire ucciso anche l’ultimo simbolo della loro forza di volontà.
Neville non poteva cadere, non doveva!
Come in un flash le vennero alla mente tutti i discorsi coraggiosi che lui e Ginny Weasley avevano fatto nelle riunioni segrete, nel dormitorio.
«Mostri spirito e ardimento, e discendi da una nobile stirpe. Sarai un Mangiamorte molto prezioso. Abbiamo bisogno di gente come te, Neville Paciock».
«Mi unirò a te quando l'inferno gelerà» ribatté Neville, poi si voltò verso i suoi compagni e gridò:
«Esercito di Silente!!»
Dalla folla si levò in risposta un boato che gli incantesimi tacitanti di Voldemort non riuscirono a domare.
Sara rispose all’urlo dei suoi compagni e alzò la bacchetta, come un guerriero vichingo che impugna la spada con fierezza di fronte alla morte.
Anche Dennis si rimise in piedi, tremante.
«Molto bene» proseguì Voldemort, con un tono tanto lieve quanto omicida.
«Se questa è la tua scelta, Paciock, torneremo al piano originale. L'hai voluto tu».
Voldemort agitò in aria la bacchetta e, con un incantesimo di Appello, richiamò da una finestra del castello quello che pareva un fagotto lacero.
Era il Cappello Parlante.
«Non vi saranno altri Smistamenti alla scuola di Hogwarts» annunciò Voldemort. «Non vi saranno più Case. Lo stemma e i colori del mio nobile antenato, Salazar Serpeverde, basteranno per tutti, non è vero, Neville Paciock?»
Puntò la Bacchetta contro Neville, che s'irrigidì, poi gli ficcò in testa il Cappello, che gli cadde sugli occhi. La folla davanti al castello fu percorsa da un fremito e come un sol uomo i Mangiamorte levarono le bacchette, per tenere a bada i combattenti di Hogwarts.
«Il nostro Neville ora dimostrerà che cosa accade a chiunque sia così sciocco da continuare a opporsi a me» annunciò Voldemort, e con un guizzo della Bacchetta incendiò il Cappello Parlante.
L'alba fu lacerata dalle urla e Neville prese fuoco, immobilizzato.
Poi, però, accaddero molte cose contemporaneamente:
Dal parco si udì un rumore di zoccoli e alti gridi di guerra.
Dalla foresta, l’intero branco dei Centauri si avvicinava al galoppo e allo stesso tempo un’orda di abitanti e negozianti del villaggio di Hogsmeade, arrivava a dare il suo sostegno con le bacchette sguainate.
Il rumore e la confusione fecero aizzare i mostruosi Giganti al servizo di Voldemort.
Le frecce dei Centauri raggiunsero con colpi secchi la fila dei Mangiamorte e alcuni caddero, trafitti.
Fu il pandemonio. Tutti sciolsero le righe e si dispersero, per evitare di venire schiacciati dai piedi dei Giganti o di intercettare i dardi dei Centauri.
Bianca, presa per mano da Laura e Valentina, riuscì a vedere Neville Paciock che si liberava dal rogo del cappello e con una spada lucente, identica a quella che era stata custodita nello studo del Preside, tagliò di netto la testa al serpente che accompagnava Voldemort.
Regnava il caos. I centauri scatenati stavano disperdendo i Mangiamorte, tutti cercavano di scappare dalla traiettoria dei piedi mostruosi o dagli archi. Tanto i difensori di Hogwarts quanto i Mangiamorte di Voldemort furono costretti a rientrare nel castello.
Fu come essere ritornati alle ore precedenti: la battaglia riprese vigore ed esplose con più ferocia che mai.
Alice scagliò una Maledizione Senza Perdono su un Mangiamorte che si era catapultato nella Sala Grande e minacciava di travolgere il cadavere di Anthony Goldstein. Quello cadde a terra, inerme.
La ragazza prese  poi un’accanita lotta contro altri due, che le si facevano innanzi, aiutata da Terry.
« Prima di toccare anche solo con un dito questi cadaveri, dovrete superare me! CRUCIO! Marcite nell’inferno! Bastardi!» Urlò lei, folle, contro il suo avversario.
Samantha aveva raggiunto Sara e insieme si impegnarono ad abbattere tutti i nemici che profanavano il luogo di riposo dei caduti. Sara era selvatica e furiosa, Samantha esasperata e fuori di sé. I guizzi di luce rossa, verde e di ogni altro colore, sfrecciavano sopra i loro capelli danzanti. Macchie di sangue e polvere imbrattavano le pareti del castello.
Dara faceva da scudo a François, urlando le peggiori imprecazioni a chiunque tentasse di far loro del male. Erano aiutati da Joe e Anton, che conoscevano le Arti Oscure ed erano in grado di rispondere alla pari dei Mangiamorte.
« Nessuno di voi toccherà di nuovo François! Dovessi crepare io! Non vi azzarderete nemmeno a pensare di fargli del male, figli di cagne! Vi ammazzo con le mie mani! Coi miei denti!! » I ricci scomposti di Dara fluttuavano fra gli incantesimi volanti. Sembrava una fiera inselvatichita, una pantera che attacca i domatori.
Alle loro spalle i muri si sgretolavano sotto il peso dei colpi delle maledizioni.
Bianca, Laura e Valentina, invece si erano alleate a Irene e Dario. Le loro uniformi erano ormai lacerate, ma non importava più a nessuno fingersi Grifondoro.
Poi, però, ci fu un boato di urla che all’unisono esclamarono:
« HARRY!»
« È VIVO!».
 
**
 
Harry Potter se ne stava in piedi.
Vivo.
In mezzo alla Sala Grande.
La sua espressione non tradiva nemmeno un barlume di paura: era lì, consapevole e pronto a porre fine ad ogni cosa.
Nessuno aveva tempo per chiedersi come fosse possiblie: lui era lì e questo era l’importante.
La battaglia si dissipò in un attimo.
Come per magia, tutti sentirono che era inutile combattere … e si radunarono intorno al fulcro della guerra: le due fazioni erano rappresentate solo da Harry e Voldemort, che si guardavano in cagnesco nel centro del grande cerchio di spettatori.
 
C’era troppa gente perché tutti riuscissero a sentire cosa si stessero dicendo, ma i toni aspri raggiungevano persino le orecchie più lontane.
Regnava una quiete innaturale e i boati dei giganti che cozzavano fra loro, all’esterno, faceva sembrare che stesse infuriando un temporale. Eppure era una mattina calda di maggio.
Poi tutti lo percepirono.
I discorsi erano finiti.
Fu un solo istante.
Un bagliore d'oro rosso divampò all'improvviso nel soffitto incantato sopra i due combattenti: uno spicchio di sole accecante apparve sul davanzale della finestra più vicina. La luce colpì i due volti nello stesso momento e quello di Voldemort divenne una macchia infuocata.
Le due voci risuonarono forte e chiaro, rimbombando nei muri antichi della Sala Grande:
«Avada Kedavra
«Expelliarmus
Lo scoppio fu come un colpo di cannone e le fiamme dorate che eruppero tra Harry Potter e Voldemort, al centro esatto del cerchio che avevano disegnato, segnarono il punto in cui gli incantesimi si scontrarono.
Il lampo verde di Voldemort urtò contro l’incantesimo rosso di Harry.
Poi la bacchetta di Voldemort volò in alto, scura contro l'alba.
Roteò come aveva fatto la testa  del serpente.
 
Voldemort cadde all'indietro, le braccia spalancate, le pupille a fessura degli occhi scarlatti si girarono verso l'alto.
Quell’essere umano che aveva avuto nome Tom Riddle, crollò sul pavimento con banale solennità, il corpo fiacco e rattrappito, le mani bianche vuote, il volto da serpente inespressivo e ignaro.
Voldemort era morto.
Ucciso dal rimbalzo della sua stessa maledizione.
Un vibrante secondo di silenzio, lo stupore sospeso, poi il tumulto esplose attorno a Harry Potter.
Le urla, l'esultanza e i ruggiti dei presenti lacerarono l'aria. L'ardente sole nuovo incendiò le finestre mentre tutti avanzavano verso il loro eroe.
Erano in centinaia a premere contro di lui, tutti decisi a toccare il Ragazzo Che È Sopravvissuto.
Sara abbracciò forte Dennis e insieme raggiunsero Harry, per stringergli la mano, anche se finirono per abbracciarlo e venire poi sostituiti da altre infinite braccia.
Poi trovò Samantha, che fece altrettanto.
E Irene, e Valentina, Alice, Terry, Laura, Dara, Anton, Joe, François, Dario, Bianca …
Il sole sorgeva su Hogwarts e la Sala Grande ardeva di vita e di luce.
Non si capiva bene (né era indispensabile farlo) che cosa fossero i sentimenti provati da tutti: manifestazioni di giubilo e lutto, dolore ed esultanza mescolati.
 
Spostarono il corpo di Voldemort in un'aula accanto alla Sala Grande, lontano dai corpi di Anthony, Colin, Fred, e degli altri che erano morti lottando contro di lui.
La McGranitt risistemò i tavoli delle Case al loro posto, ma nessuno era più seduto nell'ordine giusto: erano tutti mescolati, insegnanti e allievi, fantasmi e genitori, Centauri ed Elfi Domestici.
Anche i gufi, fuggiti dalla guferia ormai distrutta, planarono nella Sala Grande per far festa con i loro proprietari.
Tra loro, c’era Hoo-Hoo. In tutto quel tempo aveva deciso di starsene a Hogwarts, perché sapeva che era l’unico modo di poter ritrovare la sua vera padrona prima o poi.
Tubò con rimprovero ed emozione, senza perdere mai il suo portamento militaresco.
Le sue piume grige riflettevano l’aria luminosa.

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Capitolo 33
*** diciannove anni dopo ***


Diciannove anni dopo
 
Quella mattina il binario 9 ¾ era particolarmente affollato.
Non era la prima volta che un’ondata di maghi e streghe particolarmente numerosa spintonasse per far sedere i propri figli sull’Espresso di Hogwarts, ma quella volta entrò nella storia.
 
« Per forza; i genitori continuano a voler accompagnare i figli in coppia. Cosa gli costa lasciare un padre o una madre a casa? Farebbero un favore all’umanità».
Adrian Pucey camminava baldanzoso nella calca, spingendo un carrello carico di valige, riuscendo a fatica a non farsi calpestare il lungo mantello di feltro.
Bianca, dietro di lui, si faceva largo tenendo per mano un ragazzino coi capelli e gli occhi scuri, di carnagione pallida. Forse anche il mare di gente in tumulto lo rendeva agitato e la sua espressione non era, in quel momento, una delle migliori.
« Adrian, hai la capacità di diventare spiritoso quando il resto del mondo è irritabile»
« Per forza, Biancaneve. Altrimenti chi ti farebbe arrabbiare oltre il limite dell’umana comprensione?»
Adrian era raggiante.
« Seriamente. Vediamo di trovare gli altri alla svelta … abbiamo ancora mezz’ora prima che il treno parta e non ho troppa voglia di stare a girare come una tonta»
« Mamma, credo di aver visto Vasil, laggiù».
Bianca guardò speranzosa nella direzione che suo figlio le indicava … ed era vero! Appoggiata al muro di mattoni del binario, c’era la famiglia Rakovskij al completo: Anton assicurava i bauli del figlio sul carrello, mentre Laura teneva per mano una bimba sui sette anni.
Bianca cercò di fare cenno all’amica, ma la gente che li distanziava era ancora troppa.
« Adrian! Laggiù, ho visto Laura!».
I Pucey fecero grandi manovre prima di poter raggiungere i loro amici.
« Oh! Ma buongiorno!»
Laura vide Bianca e l’andò a salutare, abbracciandola forte; la bimba coi capelli neri, che aveva nome Vera, non le staccò la mano e guardò con dei grandi occhioni scuri i nuovi arrivati.
Laura indossava un mantello color panna, forse un po’ troppo leggero per il fresco autunnale che aleggiava quel mattino.
Anton e Adrian si salutarono con un cenno del capo e un mezzo sorriso.
« Allora, Felix. Sei emozionato?» chiese Laura al figlio di Bianca.
Felix annuì cercando la complicità di Vasil, figlio di Laura, nonché suo amico.
Per loro due e per altri della loro combriccola, sarbbe stato il primo anno a Hogwrats.
Vasil non si era ancora cambiato, mentre Felix indossava già l’uniforme completa.
« Sapete niente degli altri?» chiese Laura.
Bianca e Adrian scossero il capo, guardandosi intorno.
Dovettero aspettare almeno dieci minuti prima che qualcun altro riuscisse a farsi vivo: Irene e Oliver, con il figlio Cedric, si Materializzarono lì vicino quasi contemporaneamente alla famiglia di Sara.
« Ecco un’altra brancata di nuovi studenti! Chi manca all’appello, di matricole?»
Scherzò Adrian, mentre le donne si salutavano sentitamente.
« Manca solo Climene, credo» disse Irene, facendo il conto dei ragazzini: Vasil e Felix parlottavano fra sé in un angolo, scambiandosi presumibilmente le figurine delle Cioccorane. Cedric, suo figlio, si era messo a parlare con quello di Sara, Garrick.
« Dean, Sara, allora avete saputo se è un maschio o una femmina?»
Chiese Bianca, alludendo al pancione di Sara.
Entrambi scossero la testa e Sara precisò: « Se è un maschio lo chiamerò Colin. Il primo è stato in onore di Olivander … Sapete quanto Dean gli sia affezionato, dopo quello che hanno passato insieme. Però ho promesso a Dennis che se avessi avuto un altro maschio l’avrei chiamato come il povero Colin».
Sorrise, passandosi una mano fra i capelli rossi, lisci fino alle spalle, poi elegantemente arricciati dalle mani della natura.
Il suo figlio undicenne, Garrick, aveva un viso molto particolare, visto che alla sua carnagione scura si contrapponevano dei grandi ed espressivi occhi verdi.
« Oh, ecco Alice e Terry» indicò Dean, alzando una mano per farsi vedere.
« Io vado a loro aiutare … mi sembra che ci sia bisogno …» sentenziò Anton, preoccupato dal carico di valigie che gli Steeval si trascinavano dietro: Alice spingeva un carrello stracolmo e Terry armeggiava con non meno di tre borsoni dall’aria pesante.
Anthony Steeval, il più grande dei loro quattro figli, si portava da solo i suoi bagagli, con diligenza. Indossava già l’uniforme su cui spiccava il distintivo di Corvonero.
« Buongirno persone» salutò Alice, affaticata: « Athena, tesoro, fai scendere Harry dal carrello. Climene, tu sistema la tua roba, per piacere».
Athena, una bella bambina di nove anni, fece scendere il fratellino piccolo dal suo trono di valige.
Tutti i quattro ragazzi si somigliavano molto: oltre ai tratti del viso, condividevano lo stesso colore corvino di capelli. Gli occhi, dal taglio simile, alternavano la colorazione azzurra, come Alice, a quella scura, ereditata da Terry.
« Non vorrei dire … ma quanta roba avete portato? Ok che per Climene è il primo anno, ma … non è che avrà esagerato?»
Adrian osservò sarcasticamente quelli che sembravano i  postumi di un trasloco.
« Non è come sembra» ridacchiò Terry, mentre aiutava la figlia Climene a preparare le sue cose: « Io, Alice e i bambini rimaniamo a Diagon Alley per una settimanetta. Facciamo un po’ di vacanze prima che ricomincino le scuole Babbane».
« Hai tanto lavoro al Ministero, Terry?»
Chiese  Dean.
« Più lei che me» rispose lui, indicando Alice: « Io sono dietro alla traduzione di qualche storiella Francese … lei invece ha un sacco da fare con questa Coppa del Mondo, in Belgio »
« Devo ancora capire …» scherzò Sara: « Perché Terry lavora nel campo Babbano mentre Alice nell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale».
Tutti si fecero un’allegra risata.
« Beh, perché ho vissuto con i maghi per tutta la vita e sinceramente trovo i Babbani molto più simpatici. E poi il neo nato Ufficio della Diffusione della Cultura Babbana è veramente produttivo».
« Beh. Dovresti sentire Dario: lui ti fornirebbe i libri Babbani che vanno più in voga e Gabrielle te li tradurrebbe. Hai detto che sei dietro a cose francesi?».
La voce annunciò l’arrivo di Samantha, assieme a Lee e alla loro figlia: Esme, una ragazza di dodici anni, capelli neri ricci ,molto folti, e carnagione caffellatte. Sul suo mantello spiccava il distintivo di Grifondoro.
« Eccovi qui! Non vi trovavamo più. Ma quanta gente c’è oggi?» Samantha salutò le amiche, baciandole sulla guancia.
« Terry, sai chi c’è laggiù?» Lee salutò tutti con una generica alzata di mano, poi continuò: « Harry Potter! Però non ho fatto in tempo a salutarlo, dopo casomai ci passiamo insieme?»
Terry si emozionò: « Oh! Harry, hai sentito?» disse rivolto al figlio più piccolo, che dava la mano alla sorella Athena.
« Dopo andiamo a salutare quello di cui porti il nome. Il mago più famoso della storia!»
« Quante cerimonie …» rise Samantha: « solo per quella cicatrice? Le mie sono più belle» mostrò la guancia lucida e il braccio, scatenando la generale ilarità.
« Ehi Irene! Dove hai lasciato Moris?».
« In realtà dovrebbe già essere qui. Joe non poteva rimanere a lungo, aveva delle cose da sbrigare a lavoro …» rispose Irene, mentre suo figlio Cedric le chiedeva qualcosa da mangiare per la troppa fame.
« Oh ma che noia. Possibile che quello sia sempre così rompiscatole?» sbuffò Sara con un mezzo sorriso.
« Parli del diavolo … anzi, di satana …» esclamò Alice, sventolando la mano in una direzione imprecisata.
Tutti si voltarono a guardare fra la folla: un ragazzo alto, bello, con folti capelli castani e dei magnetici occhi celesti, camminava in loro direzione in compagnia della madre.
Erano Valentina e Arthur, che li avevano visti e si muovevano verso il gruppo di amici.
« Ma quanta bella gente! Ecco i nostri nuovi scolari! Tutti pronti per Hogwarts?» salutò Valentina, rivolgendosi agli undicenni, che nel frattempo si erano messi a parlare delle Case di Hogwarts. Risposero di si con un misto di eccitazione e paura.
« Boris, ma che ci fai qui? Vai a Hogwarts con il treno degli studenti?»
Domandò Valentina incrociando lo sguardo di Irene, accorgendosi che era sempre lì.
« Si, ho chiesto alla preside di poter venire in treno. Mi piace l’Espresso. Sul carrello ci sono sempre un sacco di cose buonissime da mangiare».
Irene da un paio d’anni insegnava Divinazione a Hogwarts, dividendo la cattedra con il Centauro Fiorenzo.
« Ma uooh! Che vedo lì? È un distintivo da Prefetto, quello, Arthur?»
Alice, emozionata, indicò l’uniforme del bel ragazzo: sotto lo stemma di Serpeverde figurava una P scintillante.
« Si» disse lui con voce suadente: «Mi è arrivato con la lettera, quest’anno!»
« Complimenti! Ma non iniziare a togliere punti a Grifondoro, eh!» Esme gli batté una mano sulla spalla, con amicizia.
« Come mai abbiamo l’onore di non vedere il brutto muso di Joe?» disse Samantha, mentre dava un buffetto ad un vecchio e sonnacchioso Hoo-Hoo, chiuso nella sua gabbietta.
« “Brutto” per via della cicatrice? In quel caso non hai troppa autorità per parlare, se permetti …»
Joe arrivò dall’altro lato della piattaforma.
« Scusate il ritardo, ma i Babbani non la smettevano di fissarmi e non riuscivo a trovare il momento adatto per entrare nel binario»
« Mhm … colpa della barba di sicuro» Terry scherzò alludendo all’innocente barba che Joe si era fatto crescere, che era sì meno terrificante della cicatrice, ma insieme creavano una combo piuttosto pittoresca. Sembrava lo stereotipo del “tipo losco” di qualsiasi film Babbano.
Anton si lisciò involontariamente la sua, più folta e più scura.
« Dara è in ritardo come sempre.» constatò Bianca, guardando il grande orologio appeso al muro; segnava le undici meno dieci.
« Si sarà persa a farsi l’acconciatura …» esclamò Terry con una fragorosa risata.
« Guardate un po’ laggiù!» disse Sara indicando un punto vicino alla locomotiva scarlatta.
Due belle bambine, identiche, ma con uniformi differenti, si stavano avvicinando al treno con una certa velocità. Avevano un viso molto grazioso e i capelli castani scendevano in grossi boccoli da bambola. Si erano pettinate con un’identica acconciatura, che lasciava ricadere sulle spalle di entrambe la voluminosa schiera di boccoli.
Non si sarebbe notata alcuna differenza, da lontano, ma un’attenta ispezione avrebbe rivelato che una aveva gli occhi celesti, l’atra verdi.
Quella con l’uniforme di Hogwarts si apprestò a caricare i bagagli sul treno, aiutata dalla sorella, che le passava le valige da terra.
« Antoinette, se quest’anno non ti fai sontire pas puor scinque mesi come l’anno scorso, sgiuro che ti vongo a scercare e te le do!»
Gridò quella a terra, con l’uniforme azzurra svolazzante.
Antoinette sbuffò, scendendo dalla carrozza, visto che era ancora troppo presto per partire.
« Non è vero che non mi sono fatta  sontire, bujiarda! Ti mondavo una letterina ogni fine settimana»
« Oui, mais sci scrivevi sompre solo “sciao, come stai? Qui tutto bene”. Io invesce ti scrivevo scerti papiri lunghissimi …»
« Se a Beauxbatons avete tompo da perdere non è colpa mia …»
« Antoinette! Marie! Fatela finita di litigare! Dovreste salutarvi e volervi bene … che pazienza. Franz. O dov’è? François, dì qualcosa alle ragazze!».
Dara arrivò mezza trafelata, trasportando una gabbia con un gufo marrone e minuto, poi si voltò verso il gruppo consistente dei suoi amici e gridò:
« E fai poco lo spiritoso, Stivale, che ti ho sentito. Non sono io quella che ha fatto tardi … dovresti saperlo, hai due figlie femmine anche te!»
Lanciò letteralmente la gabbia col gufo sul treno, che fortunatamente Antoinette afferrò.
« Anche peggio! Io ci ho aggiunto pure due figli maschi» le rispose Terry, divertito.
Qualche istante dopo arrivò anche François, che era stato evidentemente investito dalla folla del binario 9 ¾.
Ne era riemerso spettinato e stravolto; con aria scandalizzata si sistemò il mantello elegantemente appuntato su una spalla da una spilla d’oro.
« Non vedo l’ora di acompaniare Marie a Beauxbatons. Qui en Angleterre sc’è sompre un mascello incredibile!».
« A dire il vero, io non vedo l’ora di aver finito tutte queste consegne e di essere di nuovo a casa a schiacciare una di quelle dormite che mi ricorderò per secoli». Concluse Dara, palesemente sconvolta da quella che era stata senz’altro una giornata di “fai/sfai/rifai i bagagli”.
Le gemelle si separarono, poiché Antoinette aveva visto Esme, sua compagna di Casa e grande amica e le era saltata addosso.
Marie si associò alla comitiva dei genitori.
« Marie, hai visto Céline?» chiese Dara alla figlia vestita di azzurro.
« Uh! Céline? Viene qui anche Dario?! È un sacco che non lo vedo!» si emozionò Irene: « Devo ancora fargli conoscere Tegamina II!» disse allungando la mano al figlio, che le porse una bestiola tutta allegra.
Era una Puffola Pigmea più grassa della vecchia Tegamina, ed esattamente l’opposto: gialla fotonica con occhietti bianchi.
« Si, Dario ha detto che si Smaterializzava con Gabrielle per salutarci. È una vita che non si fa sentire, quel peleno» continuò Dara, guardandosi intorno stufa.
Marie Belhome era amica per la pelle di Céline Nub; a Beauxbatons erano inseparabili.
Non ci volle molto perché arrivasse la famiglia Nub, anche se ormai il treno stava per partire.
Dario e Gabrielle erano al di sopra di ogni fretta: erano lì solo per compagnia e, come fece notare Adrian, solo per aumentare quel dolce ammasso umano che pullulava nella stazione in quel primo di settembre.
Gabrielle era in splendida forma e non pochi colli maschili si voltarono in sua direzione; ma lei non se ne curava minimamente e allacciava a sua figlia il fiocco dell’uniforme di Beauxbatons.
Céline Nub era una bella bambina, con lunghi capelli biondi e un paio di occhi color castagna, incorniciati da occhiali rettangolari.
Irene soffocò Dario in un abbraccio stritolatore che durò parecchi minuti: entrambi erano molto emozionati di rivedersi dopo così tanto tempo; Dario e Dara erano quelli che si vedevano più di rado, nel grande gruppo, visto che tutti e due abitavano in Francia con le rispettive famiglie.
« A che ore avete la partenza?» chiese Valentina, guardando le due figlie di Francia che erano Marie e Céline, nelle loro uniformi azzurrine.
« A messosgiorno. Fasciamo apena en tompo pour salutar voi e mia sorela … Céline, a proposito: guarda en peu se vedi i tuoi cujini in jiro» Rispose Gabrielle, rivolgendosi poi alla figlia.
« Li ho visti io di sfuggita poco fa» ammise Dario ammiccando verso un gruppo di persone: « anzi, a dire la verità ho un mezzo scoop ma non so se è il caso che lo sappiate».
« Dario … sei un lezzo. Non puoi dire le cose a metà» Sarina lo fulminò con lo sguardo.
« E va bene. Gabrielle, però tu tappati le orecchie … e anche tu Céline. Sua cugina Victoire si stava … diciamo … intrattenendo con Ted Lupin, laggiù».
« Victoire fasceva cosa?!» Gabrielle virò la testa con una mossa che fece fluttuare i suoi lunghi capelli biondi e scintillanti.
La conversazione, comunque, non continuò in quella sede, perché Felix Pucey era sceso dal treno e si era diretto da sua madre con un’espressione poco promettente in faccia.
« Mamma. C’è una bambina che mi ha guardato la targhetta col nome e mi ha detto che anche il suo gatto si chiama Felix».
Pareva molto contrariato da ciò.
Bianca alzò le spalle: « Beh. Anche io mi chiamo Bianca ma ho i capelli scuri …»
Felix la guardò con gli occhi spalancati.
Adrian ridacchiò, mentre spostava scherzosamente Bianca di lato: « Credo che tua mamma intendesse dire che non te ne deve fregare niente. Puoi sempre chiederle se lei si chiama Cacca e che i suoi genitori hanno sprecato una grande occasione a non chiamarla così, perché le avrebbe donato …»
Bianca lo guardò scandalizzata, ma padre e figlio scoppiarono in una fragorosa risata.
Felix dette un bacio a tutti e due, poi fece dietrofront e tornò sul treno.
« Certo però che è un po’ un nome da gatto, eh …»
Ammise Laura, quando il bambino fu distante.
Bianca alzò un sopracciglio.
« È latino».
« Può essere anche sanscrito … » rise Laura mentre faceva ciao con la mano a suo figlio Vasil, che la salutava dal vetro.
« Vuol dire felice, Laura. Da quando è morta quella vecchiaccia di mia zia Austere ho deciso che nella mia famiglia si sarebbero dati solo nomi felici.».
Adrian strizzò l’occhio a Laura: « E sicuramente tutti i nostri trisnipoti si ricorderanno questa regola. Lo pensi anche tu, vero Laurina cara?»
Laura rise, mentre si stringeva ad Anton per via dell’arietta autunnale. Un marito bulgaro mastodontico con un giaccone di pelliccia, era proprio quel che ci voleva.
Anche Vera, la sua secondogenita, salutava il fratello con la piccola mano.
« Vogliamo parlare del nome che hai dato alla povera Vera?» disse Bianca impermalita.
La bimba dai capelli neri fortunatamente non faceva caso al fatto che si stesse parlando di lei.
Laura chiuse le palpebre in espressione solenne:
« È per una nobile storia che si chiama Severa. Avete letto tutti la Vita di Severus Piton»
« E grazie a dio si può abbreviare in “Vera” …» continuò Bianca, bubbolando.
« A me, comunque, Felix sembra un bel nome» convenne Valentina.
Tutti si voltarono all’unisono verso di lei, sgranando gli occhi.
Evitarono di ricordarle che aveva litigato per tutti e nove i mesi della gravidanza con Joe per decidere il nome di suo figlio. O meglio … per stipulare una trattativa di pace.
Lei voleva chiamarlo tassativamente Merlin, ma invece Joe, categoricamente, si era rifiutato.
Alla fine, dopo mesi e mesi di guerre mondiali, si erano accordati nel chiamare il povero nascituro Arthur – Joe aveva un cugino che si chiamava così, quindi poteva anche essere un nome di famiglia, invece che un rimando a re Artù – .
Valentina, però, non era stata capace di dargliela vinta e per evitare risvolti tragici, avevano dovuto optare per Arthur M. Blusvich, dove la “M” stava proprio per Merlin.
Mentre i genitori e i ragazzi troppo piccoli (o di Beauxbatons) si erano animati con questa discussione, l’Espresso di Hogwarts partì sbuffando.
Irene si strinse ad Oliver, salutandolo. Salì su uno scompartimento diverso dal figlio.
Il piccolo Cerdic iniziava la sua avventura a Hogwarts in compagnia di Tegamina II.
Aveva trovato uno scompartimento con tutti gli altri undicenni: Alice vide Climene sederglisi accanto, sistemandosi gli occhiali molto grandi sul naso. Terry sapeva che si sistemava gli occhiali in quel modo solo quando era particolarmente nervosa.
Athena e Harry, ancora troppo piccoli per raggiungere i fratelli, rimanevano a terra con la prospettiva di passare una settimana a Diagon Alley con i genitori.
Anthony invece, l’avevano visto in uno scompartimento più lontano, insieme ad Arthur e ad alcuni amici comuni.
Valentina si affiancò a Joe ed insieme constatarono che Arthur era proprio un figlio di cui essere orgogliosi.
Vasil, Felix e Garrck, continuarono la discussione sulle figurine delle Cioccorane, accorgendosi a fatica degli occhi pieni di affetto che li guardavano.
Vasil somigliava molto alla sorellina Vera: capelli e occhi neri, ereditati dal padre; lineamenti morbidi e gentili, ereditati dalla madre.
Sara e Dean videro che Garrick aveva liberato la sua gatta, Ciccia, dalla gabbietta e ora girellava felice sulle ginocchia dei ragazzi.
Felix si era già dimenticato della faccenda del suo nome ed esibiva la collezione di figurine per gli amici.
Adrian e Bianca si promisero di scrivergli un sacco di lettere. Erano ansiosi di sapere in quale Casa venisse sorteggiato, ma di certo non avevano preferenze. Sapevano entrambi che in ognuna di esse crescevano e si formavano maghi – ma soprattutto persone – meravigliosi.
Céline, insieme a Marie, rimase a terra con i genitori. Anche loro non vedevano l’ora di partire per Beauxbatons.
Dara e François si concessero una romantico mano nella mano, che nessun altro vide, nella calca della stazione, ma che entrambi sentirono bruciare meravigliosamente forte come un tizzone ardente.
Esme e Antoinette, che l’anno precedente avevano fatto tremare tutta Hogwarts con trovate di ogni genere, erano ora sedute in uno scompartimento di sole Grifondoro e già parevano nel pieno di una conversazione che di certo riguardava le rispettive estati.
Fu qualcosa nell’espressione troppo sorridente di Esme, che fece suonare un campanello d’allarme nella mente di Samantha.
 
« Lee, cos’aveva Esme in quel baule?»
Disse osservando il treno che ingranava sempre di più e lentamente prendeva velocità.
Solo adesso si ricordava che era entrato tutto perfettamente in un solo baule. Eppure era certa che Esme e Lee ne avessero caricati due.
« Non ne ho idea. Ma lo sai come sono le femmine … si portano dietro un mucchio di vestiti»
« Lee non è che George le ha mandato, come l’anno scorso, il suo regalo di compleanno dal negozio?»
Lee tentennò: « Sono certo che l’ha lasciata a casa, quella scatola»
« Ah! Quindi c’era una scatola»
« Ehm … lo sai che ho scritto una lettera alla McGranitt e che si ricorda di me? Ha detto che senz’altro faranno fare la cronaca delle partite a Esme, quest’anno»
« Sempre se non fa saltare in aria qualcosa! Come è già successo con il gabinetto l’anno scorso! E allora ce la rimanderanno a casa imballata a pezzettini!»
« Ma lo sai che lei e Antoinette stanno sempre insieme ai figli di George … Come posso dirle di non combinare disastri? ... ».
 
Ma poi il treno fu lontano; troppo perché i genitori continuassero ancora a guardare in sua direzione.
Era stata una giornata caotica, ma sostanzialmente felice.
Andava tutto bene.
 
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Angolo dell’autrice
Finisce dunque qui l’avventura che è stata Nate Babbane.
Non posso non fare qualche considerazione, che spero non vi risulti noiosa ma anzi, un pieno coronamento del progetto.
Non mi stancherò mai di ripeterlo: quello che devo dire in primis è GRAZIE. Senza il supporto dei lettori questa fanfiction non sarebbe mi andata avanti.
Considerazione numero 1: la fanfiction è arrivata alla sua fine. Non ci credo. Non riesco a credere che io abbia portato un progetto fino alla fine. Soffro di un’autostima molto bassa, quindi sono sempre alla ricerca di doni da fare agli altri per sentirmi dire che qualcuno mi apprezza …. Finire questa storia è un dono che mi sono fatta da sola: la consapevolezza di essere in grado di fare qualcosa di questo tipo, mi dovrà servire dinnanzi a qualsiasi altro progetto.
Vi ringrazio dal profondo del cuore. Permettetemi di rivolgermi in questo momento ai miei amici – i protagonisti della fanfiction – perché davvero si meritano una considerazione speciale: io spero davvero che questo regalo vi abbia fatto piacere. Lo so che vi ho costretti a leggere una storia lunga e impegnativa. Mi dispiace per questo … e spero sinceramente che non vi sia costato fatica, noia o imbarazzo.
Avete usato il vostro prezioso tempo per leggere questa storia, durante periodi di impegno decisamente grandi: alcuni di voi avevano la maturità lo scorso giugno, e ora che avete iniziato l’università siete stati dietro alla vicenda nonostante gli esami. E anche quelli che lavorano, hanno deciso di trovare il tempo per questa storia.
Quindi, davvero … davvero. Sono commossa e grata. A tutti voi. Perché siete miei amici e non so cosa farei senza persone così.
Spero che questa fanfiction sia servita in qualche modo a fare gruppo ancora di più, perché per me è stato anche così. Ci tengo ad ognuno di voi in maniera speciale e spero che non ci allontaneremo, adesso.
Volevo solo dirvi che per me siete la prima scelta. Nel senso che, com’è normale che sia, forse alcuni di voi considerano questo gruppo come “secondario” mentre le amicizie più vere sono altre. Per me no. Per me voi Tegamini  siete gli amici più cari, veri e sinceri che ho. Siete le persone in cui ripongo ogni fiducia e di cui so che posso fidarmi.
Quello che per me è stato davvero la cosa più bella di sempre è in realtà tutto quello che è nato dalla fanfiction: a partire dai discorsi sul gruppo di Whatsapp (che, tutti devono sapere, si chiama “Tegamina boss di maphyah”) fino alle serate in cui, in assenza di altri argomenti, ci mettevamo a parlare della fanfiction.
In quel momento avrei voluto non esserne l’autrice, per evadere da quel senso di presunzione che avevo paura di suscitare in voi. Era così bello sentire voi che parlavate, che facevate supposizioni, che commentavate … non so nemmeno come ringraziarvi oltre!
Non posso dimenticare la giornata di Lucca Comics. Voi avete deciso di vestirvi da voi stessi/personaggi della fanfiction e avete speso soldi per comprare le cravatte, gli stemmi e creare i gadget.
Vi voglio bene. Siete persone preziose e sono grata a ognuno di voi per quel pizzico di bene che vuole anche a me.
Nate Babbane  è dunque dedicato:
a Sara, la mia piccola compagna di Grifondoro. Se prima ti conoscevo in generale, adesso sei per me un punto di riferimento. Sei un’amica vera, una con cui fare dscorsi seri o stupidi. Sei quella con cui adoro andare alla mensa universitaria, prendere caffè al Macchi, guardare Star Wars e tutto quello che condivido con te. Non ti spoilero il biglietto del regalo di Natale, perché mi verrebbe quasi da ripetere le stesse identiche parole.
a Irene, che da quando andiamo all’asilo è la mia migliore amica. Bisogna alla fine svelare anche il significato di Boris, Moris e Mortino (che sono io). Oddio, forse non ce l’ha un gran significato … come faccio a spiegarlo senza che sembriamo da ricoverare in manicomio? XD in pratica, in origine c’entrava qualcosa il cartone animato di Madagascar. A Irene e Valentina era presa bene di parlare con quell’accento strano di re Julien … e così Irene è diventata re Julien (che per qualche strano motivo noi chiamiamo Boris … ma sono certa che una spiegazione c’è) e Valentina è Maurice (Moris). Io sono Mortino, il terzo elemento .. perché boh. Ma perché mi dilungo in questo, nel ringraziamento speciale di Irene? Forse perché con te mi ricordo di aver riso così tante volte e così bene … sarebbe scemo dire che senza di te, la mia vita sarebbe sempre stata più triste e più stupida. È troppo simile ad una frase fatta dei Baci Perugina, però non riesco a tradurla altrimenti. Grazie Boris, per aver letto la mia storia e per essere la persona che senza dubbio mi conosce più di me stessa.
a Dario, il nostro re del Fangirl. Dario che ha sopportato di leggere questa storia mentre anche lui, in realtà, ha scritto qualcosa di ben più impegnativo e grande! Ora che ho finito, mi impegno a leggere il tuo lavoro: tutto e con impegno. Dario che non smetterò mai di ringraziare per le vagonate di cuori che spediva su Whatsapp all’uscita di ogni capitolo. Dario che ci ha ingozzate come maialini per il suo compleanno, con il più buono dei buffet (facendoci credere che l’aveva cucinato lui, tsé … sarai anche un Tassorosso ….. ma conosciamo la tua indole di Serpeverde malefico!).
a Valentina, che è l’energica fonte di allegria, quando siamo in gruppo. Le risate comincino con lei e finiscono quando lei va via. Abbiamo anche pensato di farla studiare da qualche scienziato, perché è un fenomeno inspiegabile! A lei dobbiamo la creazione della Pagina Facebook dedicata a questa serie (che trovate qui) e grazie a lei si mantiene viva.
a Bianca, che nella fanfiction ho bistrattato come un burattino. Buona, cattiva, multicolor, con fidanzati vacanti etc … scusa per tutto quello che ti ho fatto! XD e ti ringrazio per aver accettato tutto con entusiasmo e allegria. Grazie dei tuoi disegni, che sono una gioia infinita per me. Ogni volta che mi mostri un disegno nuovo, io esplodo di felicità. Il mio preferito resta quello che mi ritrae, quello che avevi fatto per ringraziare dei 50 iscritti alla pagina. Grazie dei tuoi commenti e della tua attiva partecipazione, sempre e incondizionatamente. Ricordo i vestiti che disegnasti all’inizio della storia, per il Ballo del Ceppo e non potrò mai scordarmi la registrazione della tua risata sganasciata per “la pantera sullo squalo bianco, sul drago, sull’aereo”.
a Laura, che, lo sappiamo, non sarà mai cattiva: #lauranonseicattiva, anche se ti sei comprata gli anfibi neri borchiati da vera Serpeverde rockettara. A te che mi hai sempre sostenuta, mi hai sempre detto che amavi la fanfiction e che ti piaceva leggere i capitoli. Come si fa a non ringraziarti? Sei la persona più buona, paziente, altuista che io conosca e anche se sto facendo il bis di frasi Perugina, credici! Lo penso davvero. È bello andare all’università nella stessa città.
a Alice, che fa parte di quelli che ho conosciuto di nuovo grazie alla combriccola creatasi attorno alla fanfiction. Sei una persona speciale, come non se ne trovano quasi mai: non sei banale, ma anzi! Mi piace ascoltare le tue opinioni sui libri che entrambe abbiamo letto. Mi piace parlare con te di qualunque cosa ci capiti. Sono davvero contenta che la nostra amicizia si sia approfondita e spero che la fine della fanfiction ci sproni a rimanere sempre e comunque in contatto. Ogni volta che leggevo i tuoi commenti e le tue teorie, sul gruppo di Tegamina, ero una bimba felice: hai azzeccato al 99% tutte quelle teorie che io speravo non indovinaste mai. E poi i tuoi commenti su Terry … e Anthony … ohh come si fa a dire addio a tutto questo? Grazie, Alice! Per il tuo incredibile supporto, in ogni occasione.
a Dara, la nostra regina, la nostra Maria Antonietta. Lei che è diventata la mia confidente numero uno in ogni campo. Non riesco a stare senza il tuo parere, si parli di cani, di gatti, polli, cammelli, persone, film o yogurt avariati. Senza dubbio sei uno dei personaggi che ho amato di più scrivere e far muovere nella fanfiction. La tua immedesimazione mi è servita come ali, per riuscire a volare alto e superare i momenti in cui perdevo le speranze per la fiction. E anche i tuoi disegni. Perché per chi non lo sapesse, Dara fa disegni meravigliosi, in campo di moda. Rimango folgorata dalla sua fantasia e capacità, quando disegna vestiti, accessori e trucchi. Grazie per essere l’amica complementaria di cui tutti hanno bisogno. È bello avere qualcuno che sa sempre dirti in faccia quello che pensa e che, ogni tanto, la pensa diversamente da te. Grazie.
a Giulia, cui ho dedicato il personaggio di Gabrielle Delacuor. Rettifico: Gabrielle mi ha preso un po’ la mano, in effetti ed è diventata qualcosa di differente da te. Tu sei una ragazza bella, adorabile e buona, che non ha nulla a che vedere con quella primadonna presuntuosa con la puzza sotto il naso XD. Grazie per aver letto i capitoli, per averli commentati e per esserti appassionata. Mi sono divertita moltissimo a Lucca Comics insieme a te. Prima o poi ti infilerò la divisa di Beauxbatons, sai! (scherzo! Ahah). Davvero, rinnovo il grazie e ti mando un abbraccio fortissimo. Senza lettori esterni la fanfiction sarebbe stata senz’altro più grigia. Tu l’hai resa viva! Grazie!
a Katun92 (Kat!! <3) che ha commentato l’ultimo libro con costanza ed entusiasmo. Come ti ho sempre detto, ogni volta che leggevo una tua recensione mi emozionavo e scoppiavo di felicità. Ci hai voluto bene e ti sei affezionata a noi, senza neppure conoscerci. Ora ti percepisco come un’amica e non potevo non aggiungerti alla lista dei ringraziamenti. Ti meriti un posto speciale nei cuori delle Nate Babbane. Ti vogliamo tutti molto bene. Grazie.
A chi ha ricevuto il volantino a Lucca Comics e si è cimentato nella lettura.
a tutti quelli che hanno recensito/ favorito / seguito i quattro capitoli della storia:
- books_are_my_reality , CaptainSwan_05, Daphne BS, fabicap89, Meteandatica, Shurq Elalle, the real slim shady,  tixit (che ha commentato tutto il primo libro!! <3 ), Trollollove, hufflerin, annarella1212, Astoria_Felicis, HInny_Romione, Kaithlyn24, Lupacchiotta94, Rocket Girl, xxJudeSharp__, Anonimadelirante, Triscele_Celtica98, _imjusteri, 18Ginny18, andry_grace, Aregilla, ImbrattaCartaVirtuale, pagemaster91, PrimaStellaADestra.
A Valentina, compagna di università di Dara, che si è scaricata tutti i libri e ha detto di volerli leggere …grazie!!!
 
Nate Babbane è finito, ma sono sicura che non mi riuscirà mai di dimenticarlo.
GRAZIE.
 
Vi lascio ora alcuni aneddoti sui nostri personaggi (si, mi sento un po’ come la zia Row).
Appuntamento a qualche futuro ed eventuale spin-off!
Godetevi questa lista! Un bacio!
 
  • Esme farà la cronaca delle partite di Quidditch
  • Esmeralda, il Lugano Nano, rimarrà a proteggere la Foresta Proibita, ma nessuno di loro la vedrà mai più
  • Lee Jordan gestirà una radio di attualità, aiutato da Samantha, che lavorerà però principalmente come giornalista  per La Gazzetta del Profeta.
  • Samantha chiederà a sua figlia Esme di mettere ogni anno un barattolo di Gelatine Tutti i Gusti +1 all’interno del sentiero della Foresta Proibita
  • Dara e François vivranno a Parigi e ogni fine settimana andranno a Maison Lavande per pranzare con Amélie e Gilbert
  • François lavorerà al Ministero Francese, come diplomatico nelle contese fra maghi
  • Dara entrerà nel campo della Moda dei Maghi in Francia e Madama Malkin, a Diagon Alley, sarà la sua rivenditrice ufficiale per l’Inghilterra. Il suo brand si chiamerà “Darà”
  • Alice e Anton saranno colleghi di lavoro nella Cooperazione Magica Internazionale
  • Bianca troverà una cura alla sua allergia per i draghi, grazie agli studi del San Mungo
  • Sara e Valentina diventeranno Guaritrici al San Mungo e prenderanno in esame il caso di Bianca, ottenendo diversi riconoscimenti.
  • Il secondogenito di Sara sarà un maschietto, e si chiamerà Colin
  • Al suo quinto anno di Hogwarts, Alice è stata fatta Prefetto
  • Dall’anno successivo alla battaglia di Hogwarts, Laura tornò a giocare come Portiere della squadra di Quidditch e al suo settimo anno ne fu il Capitano
  • Irene insegnerà Divinazione a Hogwarts per tutta la vita e riceverà riconoscimenti ufficiali dalla comunità dei Veggenti, per le sue qualità
  • Gabrielle lavorerà come cameriera al Tarrasque Avide e non considererà mai nessuno spasimante (che abbonderanno!), rimanendo sempre e indiscutibilmente fedele a Dario.
  • Dario aprirà una libreria allo scopo di vendere libri Babbani ai maghi. Diventerà un recensore molto richiesto dagli scrittori magici.
  • Nonna Climene morirà circondata dall’affetto dei suoi cari, ad una veneranda età. Farà in tempo a veder nascere Arthur e a presenziare alle nozze di Alice (di cui sarà testimone, creando scompiglio durante la celebrazione, per le troppe bestemmie).
  • Dopo la morte di nonna Climene, il Patronus di Alice diventerà uno stambecco, che è simile a una capra e vive sulle montagne.
  • La famiglia di Pucey, come molte altre antiche discendenze magiche, era abbastanza ricca da permettere alla famiglia di vivere delle proprie rendite. Tuttavia, Bianca insisterà per rendersi utile e troverà lavoro al Serraglio Stregato, come aiutante per la cura degli animali, magici e non.
  • Laura verrà presa in apprendistato dallo speziale di Diagon Alley e imparerà, con un corso accelerato, qualche base di Alchimia, per riuscire ad ottenere un diploma di Pozionista.

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