Il mio rischio più bello

di Bijouttina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Grandi novità, soliti amici ***
Capitolo 2: *** Una domenica parecchio movimentata ***
Capitolo 3: *** Una domenica senza fine ***
Capitolo 4: *** Novità nell'aria ***
Capitolo 5: *** Una boccata di ossigeno ***
Capitolo 6: *** Riunione straordinaria ***
Capitolo 7: *** Pedinamento a quattro ***
Capitolo 8: *** Che stress! ***
Capitolo 9: *** Fotografie di noi ***
Capitolo 10: *** Notizie difficili da digerire ***
Capitolo 11: *** E se non fossero incubi? ***
Capitolo 12: *** La grande notizia ***
Capitolo 13: *** Se il buongiorno si vede dal mattino ***
Capitolo 14: *** L'ora di chiarire ***
Capitolo 15: *** Un giorno importante ***
Capitolo 16: *** Spese pazze ***
Capitolo 17: *** Ultimi dettagli ***
Capitolo 18: *** Fiori d'arancio ***
Capitolo 19: *** Un milione di volte sì ***
Capitolo 20: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 21: *** L'importanza di un nome ***
Capitolo 22: *** Doppio fiocco azzurro ***
Capitolo 23: *** Grandi festeggiamenti ***



Capitolo 1
*** Grandi novità, soliti amici ***



 
 

Capitolo Uno 

Grandi novità, soliti amici



 
«Topo malefico, salta giù dalla credenza!». Minaccio Diablo, il nostro gattone, puntandogli un dito contro, che prontamente lecca senza alcun ritegno. «Io non ho il cuore tenero come Serena, te ne rendi conto?».
Continuo a parlare con lui come se mi potesse davvero capire. Secondo me è troppo furbo e fa finta di niente per ottenere tutto ciò che vuole, ma non lo avrà da me.
«So benissimo che lei ti dà lo stuzzichino di nascosto, non credere che io non me ne sia accorto. Non siete così discreti come credete».
Il felino si siede comodo sul mobile della cucina e mi guarda perplesso, emettendo dei rumorini soddisfatti. Non gli frega niente se lo sto prendendo a parole, a lui basta il risultato finale: ottenere il suo pezzo di prosciutto.
«Smettila di guardarmi in quel modo. Non riuscirai a intenerirmi», borbotto lisciandogli il pelo con una mano e prendendo delle bottiglie di birra dal frigo.
Mi volto all’improvviso e quattro paia di occhi mi stanno scrutando dal muretto della cucina.
«Che c’è?», sbotto infastidito. Non posso più nemmeno fare un discorso intelligente con il mio gatto che sono subito pronti a prendermi in giro.
«Ed ecco a voi l’uomo che borbottava ai gatti». Lorenzo mi indica con il braccio teso, un sorriso sghembo sulle sue labbra.
Paolo, Giorgio e il nuovo aggiunto Alex applaudono e fischiano come se fossi un fenomeno da baraccone.
«Siete una banda di idioti», commento tornando in sala e poggiando le birre sopra il tavolo pronto per la nostra partita a poker.
Diciamo che non ci sono tanto con la testa oggi. Ieri c’è stata la seconda ecografia di Serena e non abbiamo ancora detto a nessuno che stiamo aspettando due gemelli. Abbiamo approfittato di questa serata per ragguagliare i nostri amici sulle ultime novità e, sinceramente, mi sto facendo un po’ prendere dal panico.
Stanotte non ho mai chiuso occhio: dopo lo shock iniziale e la successiva euforia, mi sono sentito svuotato e inadeguato. Saremo in grado di gestire due bambini contemporaneamente? Mille domande continuavano a farsi strada nella mia testa, impedendomi di addormentarmi. Serena dormiva tranquilla al mio fianco, ho ascoltato il suo respiro regolare tutta notte, sperando che potesse aiutare anche me a cadere tra le braccia di Morfeo, ma non è servito assolutamente a niente. Mi sono girato e rigirato nel letto non so quante volte. Perfino Diablo ha rinunciato a dormire con noi stanotte, l’ho accidentalmente colpito tre o quattro volte con il piede, facendolo volare sul tappeto. Alla fine se n’è andato a dormire nella sua cesta per esasperazione.
«Tu, invece, hai delle occhiaie tremende», commenta il mio migliore amico osservandomi da vicino e facendomi venire voglia di sputargli in un occhio. «Ci avete dato dentro tutta notte, eh?».
Mi strizza l’occhio e io lo colpisco con una manata sul coppino.
«Ma sei scemo?!», borbotta massaggiandosi la parte dolente con una mano. «Mi hai quasi spezzato l’osso del collo».
Che esagerazione! L’ho appena sfiorato! Se avessi voluto fargli veramente male, gli avrei sbattuto la faccia contro il tavolo.
Crollo sulla sedia e mi copro il viso con entrambe le mani.
«Si può sapere che cosa ti prende? È andata male l’ecografia?», domanda Paolo sedendosi accanto a me e avvolgendomi le spalle con un braccio. «Siamo qui per te, socio».
«Paolo ha ragione, puoi sfogarti con noi», aggiunge Giorgio, sedendosi dall’altra parte e posandomi una mano sul braccio.
«L’importante è che tu la smetta di sfogarti su di noi, o su di me, tanto per essere precisi. Mi vibra ancora il collo per la manata che mi hai sganciato», bofonchia Lorenzo sedendosi di fronte a me.
Tolgo le mani dal viso e sbuffo.
«Ehm, credo che tu stia solo aumentando la nostra ansia». Mi fa notare Alex arricciando le labbra. Stappa una birra e me la passa. «Forse un po’ di alcol aiuterà a rilassarti».
Dubito che una birra possa far miracoli, ma magari un paio possono fare al caso mio.
I miei amici continuano a osservarmi attentamente, in attesa di un mio cenno. Mi sembra di essermi chiuso in una bolla di sapone e non capto niente di quello che c’è intorno a me. Quella bolla, però, esplode all’improvviso e la mia bocca pronuncia le parole che avevo tenuto sulla punta della lingua fino a quel momento.
«Sono gemelli», dico con un filo di voce.
«Chi sono gemelli?», domanda Lorenzo perplesso. La sua espressione non nasconde tutta la sua confusione. «Sei stato in silenzio stampa per quasi mezzora e te ne salti fuori con questa cosa. Che cazzo vuol dire? Scusa la franchezza, ma non ci ho capito una sega».
Alex, diversamente dagli altri miei amici tontoloni, sembra aver recepito il mio messaggio e si porta entrambe le mani alla bocca, esterrefatto.
«Davvero?», chiede conferma emozionato.
Lorenzo guarda prima me e poi lui, incrocia le braccia al petto ed esclama: «Sono l’unico coglione che non ha capito di cosa sta parlando il nostro socio?».
Paolo e Giorgio scuotono la testa, ma è solo il secondo a parlare. «No, non sei il solo».
«Ah, bene, allora mi consolo». Batte le mani sopra il tavolo facendomi sussultare. «Socio, abbi pietà di noi! Forse siamo noi che siamo rincoglioniti, ma vorremmo sapere di che diavolo stai parlando!».
La sua voce si alza di qualche tono e mi rimbomba nella testa.
Mi alzo dalla mia sedia, scrollandomi i miei amici di dosso e comincio a camminare nervosamente su e giù per la stanza. Perfino Diablo è saltato giù dal mobile della cucina e ora mi osserva attentamente dal muretto.
Lorenzo scuote la testa, raggiungendomi. Mi posa entrambe le mani sulle spalle, obbligandomi a fermarmi.
«Socio, ti prego, dimmi che ti succede. Mi stai facendo preoccupare». Questa volta la sua voce è bassa e riesco a percepire tutta la sua ansia.
Chiudo gli occhi e deglutisco un paio di volte a vuoto: non avrei mai immaginato che raccontare questa cosa ai miei amici potesse essere tanto faticosa. Quando li riapro, Lorenzo mi sta ancora fissando in attesa di una risposta.
«Serena aspetta due gemelli. Avremo due bambini». Alla fine riesco a spiegarmi meglio, e il mio socio spalanca poco elegantemente la bocca.
«Porco cazzo! Altro che fatto centro! Tu sei andato a segno ben due volte! Sei uno cazzuto!». All’improvviso comincia a ridere come un cretino e mi circonda il collo con un braccio, passandomi le nocche sulla testa. Se continua così mi darà fuoco!
«Il nostro Marcolino ha colpito nel segno!», commenta stringendomi ancora di più il collo. Ho sentito uno strano scricchiolio, forse dovrei preoccuparmi.
«Mi stai decapitando». Gli faccio notare togliendo il suo braccio e liberandomi dalla sua morsa.
«Come sei esagerato». Mi spintona con enfasi, facendomi barcollare e per poco non inciampo sul tappeto della sala. Lo guardo in modo truce.
Paolo mi intercetta e mi abbraccia di slancio.
«Congratulazioni, Marco! È una notizia bellissima». Mi picchietta la schiena con la mano.
Giorgio fa lo stesso. Alex è l’ultimo a congratularsi e anche lui mi dà delle pacche sulla spalla.
«Non oso immaginare come reagirà il mio Luca non appena Serena darà loro questa notizia fantastica». Mi sorride raggiante e io mi sento un po’ meno perso.
Non lo so, forse avevo bisogno della loro approvazione.
Lorenzo ha ancora un sorrisetto da ebete sulla faccia. Si appoggia con la schiena al divano e incrocia le braccia al petto.
«A te sono sempre piaciute le cose facili. Invece di fare due figli in tempi diversi, hai preferito farli in una botta sola. Sei furbo, chi lo avrebbe mai detto».
Dopo questa sua insinuazione, non posso fare altro che prorompere in una fragorosa risata, rido fino alle lacrime. La tensione si è allentata immediatamente e mi sento molto meglio ora.
«Grazie ragazzi», comincio asciugandomi gli occhi con le mani. «Stanotte non ho dormito perché mi sono fatto prendere da mille paranoie. Sia chiaro, sono immensamente felice per come sono andate le cose, ma due figli in un solo colpo non devono essere facili da gestire».
«Però ci sono un sacco di persone pronte a venire in vostro soccorso». Paolo mi stringe una spalla con la mano. «Se avrai bisogno di noi, ci saremo. I nonni non vedranno l’ora di darvi una mano, per non parlare delle tue sorelle. Non dico che saranno tutte rose e fiori, ma c’è una buona possibilità che tutto andrà per il verso giusto».
Le parole del mio amico mi fanno sentire meglio.
«Paolo ha perfettamente ragione, ci sarà la coda per fare da baby sitter ai pargoli, per lasciare voi fornicare in santa pace», aggiunge Lorenzo divertito. Per lui tutto ruota intorno al sesso, come se esistesse solo quello. Al momento ho altri pensieri per la testa. Sarò un buon padre? Riuscirò a dare lo stesso amore a entrambi? Non vorrei mai che uno si sentisse meno amato dell’altro perché sarebbe impossibile: amo già i miei figli in egual modo.
«Pensa se fossero due bambine!», esclama Giorgio divertito.
«A Rossini senior verrebbe un coccolone», commenta Lorenzo al posto mio. «Spero che tu sia riuscito a fare almeno un maschio, altrimenti sei fottuto».
Mi esce una smorfia involontaria al solo pensiero di mio padre deluso di non poter mandare avanti il buon nome della nostra famiglia. Sinceramente a me non importa del sesso dei miei bambini, l’importante è che siano sani, tutto il resto non conta.
«Come se si potesse scegliere», dice Alex scuotendo la testa.
«Sarà quel che sarà, non importa». Questa volta sono io a prendere la parola. «Se fossero due femmine, mio padre se ne farà una ragione e credo che alla fine ne sarebbe ugualmente felice».
«Quello sicuramente». Almeno qualcuno è dalla mia parte. Ringrazio Alex con un cenno del capo.
«Cazzate!». Lorenzo scaccia quell’idea con un gesto secco della mano, come se fosse una cosa assurda e non avesse avuto alcun senso. «Tuo padre te la menerebbe a vita per non aver dato alla luce un erede».
«Il nostro non è mica un regno», gli faccio notare allargando le braccia e facendole ricadere pesantemente lungo i fianchi un istante dopo.
«Il regno dei Rossini», commenta portandosi un dito sulle labbra. «Non suona nemmeno male. Secondo me dovreste cambiare la scritta sopra il cancello».
«Mio nonno si sta rivoltando nella tomba dopo questa tua affermazione».
«Un po’ di movimento non gli fa di certo male, si sgranchisce le ossa», dice lui con una scrollata di spalle.
«Direi che dopo questa battuta macabra, possiamo anche levare le tende, o per lo meno cominciare a giocare seriamente. Non so se ve ne siete resi conto, ma, da quando avete conosciuto le vostre donne, non riusciamo più nemmeno a fare una partita di poker decente. Le nostre serate sono diventate delle sedute degne di uno psicanalista», bofonchia Paolo sedendosi nuovamente al tavolo e mandando giù una generosa sorsata della sua birra.
In effetti non ha tutti i torti. Sinceramente non ricordo nemmeno quando abbiamo fatto una partita seria e la cosa mi spaventa un po’. Mi siedo di fronte a lui e sospiro.
«Hai ragione, Paolo». Gli concedo mollemente.
«Mmmm, qualcosa non mi quadra». Lorenzo cammina lentamente verso il tavolo, a braccia conserte e gli occhi ridotti a due fessure. «Dicci chi è».
Punta un dito dritto in faccia a Paolo e per poco non glielo infila in un occhio. Il nostro amico si scansa appena in tempo.
«Ma ti sei per caso rincoglionito? Chi è chi?», sbotta guardando Lorenzo come se fosse uscito momentaneamente di senno.
«La donna che non te la dà!», risponde il mio migliore amico con enfasi.
Noto un lieve rossore farsi strada sulle guance di Paolo e ora il dubbio si è insinuato anche nella mia mente.
«Non c’è alcuna donna», farfuglia lui in stato confusionale.
«Con chi credi di avere a che fare? Con un pivellino?». Lorenzo continua a colpirlo sulla spalla con un dito.
«Lo sai che quello che stai dicendo non ha alcun senso?». Paolo cerca di arrampicarsi sugli specchi come meglio può, ma non ha fatto i calcoli con Lorenzo: non mollerà finché non avrà ottenuto quello che vuole.
Vedo Paolo parecchio in difficoltà e mi fa una gran pena. È davvero un secolo che non lo vedo con una donna ed è l’unico di noi ancora solo. Che ci sia davvero una donna che gli piace? E dove l’avrebbe conosciuta? Al lavoro? Giorgio non mi ha mai detto niente, continua a ripetere che lavorano solo racchie nel loro ufficio.
Non è questo, però, il momento di fargli il terzo grado, lui non ne vuole parlare e obbligarlo non ha senso, si chiuderebbe ulteriormente a riccio. Paolo non è mai stato uno di molte parole, è introverso e tende a tenersi tutto dentro. Raramente si apre con noi, ma non lo fa perché non si fida, è solo il suo carattere. Sa benissimo che se avesse bisogno di noi, ci saremo sempre.
Decido allora di attirare nuovamente l’attenzione su di me e salvarlo dallo sguardo indagatore di Lorenzo.
«Serena ha accettato di sposarmi prima della nascita dei nostri figli. Ora devo anche abituarmi a parlare al plurale».
Questa mia frase ottiene l’effetto sperato e tutti si voltano a guardarmi con gli occhi sgranati.
«Ma è una notizia meravigliosa!», esclama Alex. Lui è l’unico in questa stanza a essere sempre entusiasta delle mie notizie, quasi quasi mi tengo lui come migliore amico al posto di Lorenzo, avrei più soddisfazioni!
«Credevo ci avrebbe messo nove mesi per darti una risposta!», commenta Lorenzo accigliato.
«I gemelli sarebbero nati da un po’, se avesse aspettato tutto quel tempo». Gli fa notare Giorgio prima di bere una sorsata dalla sua bottiglia.
Devo ancora abituarmi a sentire le parole gemelli, figli e tutto quello che ci sta dietro. La cosa che desidero di più è che Serena stia sempre bene e che questa gravidanza non gli crei problemi.
Lorenzo fa una smorfia. «Come siete diventati tutti pignoli ultimamente. Era per dire che ci avrebbe impiegato secoli, invece ci ha messo solo qualche ora. Sta migliorando o è una mia impressione?».
«Si vede che la gravidanza le fa bene». Paolo esterna il suo pensiero intrecciando le mani dietro la nuca e osservando Diablo che passeggia allegramente sopra il tavolo, dando qualche zampata alle fiches quando gli gira.
«Può darsi», dico stringendomi nelle spalle.
«E quando vorresti andare al patibolo?», domanda Lorenzo passandosi una mano tra i capelli.
«Patibolo», ripete Alex ridacchiando. «Come se tu non avessi chiesto a Stella di fare la stessa cosa».
«Ma noi non abbiamo fretta di sposarci, al contrario di questi due. Come se un anello al dito e una firmettina cambiassero qualcosa», borbotta infastidito dall’insinuazione di Alex.
«Beh, è una tutela maggiore», aggiunge l’uomo evitando di commentare il tono acido del mio amico. Ormai ha imparato anche lui a conoscere Lorenzo e non ha senso prendersela per quello che dice.
Paolo controlla il suo cellulare e deglutisce a vuoto: che diavolo gli prende? Si alza all’improvviso dal suo posto.
«Scusate, ragazzi, ma devo scappare».
«Era lei, non è vero?». Lorenzo torna di nuovo all’attacco e il poveretto rotea gli occhi esasperato.
«Non era nessuno. Ci sentiamo. Grazie per la birra, Marco, e congratulazioni». Mi stringe una spalla con la mano prima di sparire dal mio appartamento, chiudendosi la porta alle spalle.
«Non ce la racconta giusta», commenta Lorenzo fissando l’uscio.
Ha perfettamente ragione, ci sta nascondendo qualcosa e credo che il mio migliore amico indagherà finché non scoprirà la verità.
 
 
°°°
 
Sono sdraiata sul divano di Luca in attesa che Stella e Marica si presentino al nostro venerdì da film strappalacrime. Luca mi è passato a prendere, non si fidava a farmi fare da sola quei cento metri che separano i nostri appartamenti e ora mi sta massaggiando i piedi. Una goduria indescrivibile.
«Sembra che stai per avere un orgasmo». Mi prende in giro il mio migliore amico, passandomi i polpastrelli sulla caviglia gonfia.
Apro un occhio soltanto e gli mostro la lingua. «Sei solo invidioso perché nella mia condizione posso prendermi tutte le attenzioni al mondo e tu ti sentiresti in colpa a contraddirmi».
«Non sfidarmi, cucciola. Sai benissimo che potrei ribellarmi a questo lavoro sottopagato. Mi sento quasi un tuo schiavetto in questo momento e non è proprio una bella sensazione». Mi manda un bacio e io ridacchio felice.
Adoro queste sue attenzioni, mi fanno sentire davvero bene.
«Davvero non vuoi dirmi che cosa ti ha detto il ginecologo ieri?», domanda a un tratto.
Non abbiamo ancora parlato con nessuno di quello che è successo ieri, dobbiamo ancora dirlo anche alle nostre famiglie. Onestamente non mi sarei mai aspettata che potessi aspettare due gemelli, l’idea non mi era mai passata per l’anticamera del cervello. Credo di non aver ancora metabolizzato del tutto la cosa. Marco sembrava così entusiasta al nostro rientro a casa, ma la sua gioia si è affievolita durante la notte: l’ho sentito rigirarsi nel letto tutto il tempo. Forse credeva che io dormissi, invece non riuscivo ad addormentarmi. Il mio cervello continuava a lavorare a ritmi folli, a pensare a tutte le difficoltà a cui andremo incontro.
Poso una mano sul mio ventre e sorrido: è una sensazione davvero strana avere due vite che stanno crescendo dentro di me.
«Voglio aspettare anche le ragazze», gli rispondo dopo un po’.
«Posso almeno sapere se è tutto a posto?». Luca lascia andare i miei piedi e si inginocchia davanti a me, posando il mento sulla mia spalla. Mi bacia la guancia. Gli accarezzo i capelli dolcemente e sospiro.
«È tutto a posto». Lo rassicuro baciandogli la punta del naso. «Non ti preoccupare per me».
«Mi chiedi una cosa impossibile, io mi preoccuperò sempre per te. Sei il mio amore bello». Solleva appena la mia maglia, scoprendomi il punto dove stanno crescendo i miei figli. Mi bacia il ventre.
«È lo zio Luca che ti parla», comincia rivolgendosi a loro al singolare. «La tua mamma è davvero crudele con me e non mi vuole anticipare niente. Dille che così non va bene e che io ho il diritto di sapere come stai perché sei il mio cucciolino e io ti strapazzerò di coccole non appena uscirai da questo corpo deforme».
«Ehi!». Lo colpisco sulla testa con un cuscino che ho recuperato dal tappeto. Lui ridacchia scansando il secondo lanciato un istante dopo.
«Stavo scherzando, cucciolino. La tua mamma è di una bellezza esagerata e tu sei un bambino fortunato perché la avrai tutta per te una volta nato».
Senza rendermene conto, mi trovo gli occhi ricolmi di lacrime.
«Sono due». Quelle parole escono senza alcun controllo dalla mia bocca. Non posso più aspettare le nostre amiche, devo dirlo a Luca, non ce la faccio più.
Lui mi guarda senza capire. «Che cosa sono due?».
Indico il mio ventre con la mano, carezzandolo delicatamente. Luca guarda me e poi il punto che sto sfiorando e i suoi occhi diventano improvvisamente lucidi.
«Vorresti dirmi che qui dentro ci sono addirittura due nipotini da viziare?», domanda per scrupolo mentre le lacrime si fanno strada lungo il suo viso. Gli asciugo una guancia con le dita e annuisco.
«Oh tesoro mio!». Raggiunge di nuovo il mio viso e lo riempie di baci. «Sono così felice».
Piangiamo insieme come due idioti. Gli faccio un po’ di spazio sul suo divano e si sdraia accanto a me, rimaniamo stretti l’uno all’altra.
«Ho anche detto a Marco che voglio sposarlo prima della loro nascita», dico carezzandogli la schiena.
«Sbaglio o ci hai messo meno del solito a dargli una risposta?». Affonda il naso nell’incavo del mio collo e si accoccola ancora di più a me.
«Forse», ammetto. «Credo che sarebbe molto più difficile da gestire un matrimonio dopo il parto. Ci sarebbero due neonati cui pensare e non riusciremmo a organizzare tutto».
A essere sincera non abbiamo ancora avuto tempo di parlarne. Oggi Marco è stato impegnato tutto il giorno in azienda e io, essendo rimasta a casa da lavoro perché non mi sentivo troppo bene, non ho fatto altro che rimuginare sul nostro matrimonio. Non nascondo di essere parecchio agitata. La mia vita è cambiata radicalmente da quando ho conosciuto Marco e non avrei mai creduto che potesse prendere questa piega. Non sono pentita, per niente, amo la mia nuova vita insieme a lui.
«E quando pensavate di sposarvi? Più avanti vai, più sembrerai un pallone aerostatico», mi fa notare il mio migliore amico.
«Grazie per avermelo ricordato», mugugno con una smorfia.
Il campanello fa sobbalzare entrambi. Luca si tira su sbuffando e va ad aprire la porta. Le ragazze, con Eleonora a seguito, entrano nell’appartamento un paio di minuti dopo. Mi metto a sedere sul divano, ma mi viene un capogiro. Devo essermi mossa troppo rapidamente. Mi tengo la testa con le mani, finché la stanza non smette di girare vorticosamente.
«Che succede, cucciola?». Luca mi prende entrambe le mani e mi osserva preoccupato.
«Ho avuto solo un giramento di testa, tranquillo. È già passato». Gli regalo un sorriso rassicurante e lui annuisce, non gli mentirei mai, anche perché lo capirebbe immediatamente.
Stella e Marica si siedono sul divano, una alla mia destra e l’altra alla sinistra, rubando il posto a Luca come ogni volta. Lui rotea gli occhi e recupera Eleonora dalla carrozzina. Le riempie il viso di baci e lei gli sorride ogni volta, felice.
«Che ci siamo perse per colpa del suo ritardo?», domanda Stella incolpando Marica per essere arrivate tardi.
«Non mi partiva la macchina, non è colpa mia», si giustifica la nostra amica.
«Credo che ormai sia da rottamare», commenta Luca. «Dillo alla zia».
«Tu sei da rottamare», borbotta lei in direzione del nostro amico.
«Come siamo suscettibili stasera». Il mio migliore amico la guarda attentamente e poi, socchiudendo gli occhi, aggiunge: «Che cosa ci stai nascondendo, signorina Franchi?».
«Perché dovrei nascondervi qualcosa?», farfuglia lei in imbarazzo.
«Sei strana ultimamente, non puoi negarlo», continua lui senza staccarle gli occhi di dosso.
Marica gioca nervosamente con il braccialetto d’argento che ha allacciato al polso, facendo tintinnare tutti i ciondoli.
«Tu sei sempre il solito rompiscatole», sbuffa lei sonoramente. «È mai possibile che non si possa mai guardare un film in santa pace ultimamente? Sapete una cosa? Mi avete rotto le palle».
Si alza di scatto dal divano e si dirige a grandi falcate verso la porta.
«Non vuoi nemmeno sapere com’è andata l’ecografia di Serena?». Questa volta è Stella a parlare. Mi prende una mano e la tiene stretta nelle sue. I miei occhi cominciano a pizzicare e le lacrime si fanno strada lungo il mio viso. Faccio di tutto per resistere, ma non ce la faccio: comincio a singhiozzare. Non so che cosa le prenda ultimamente, ma questo suo comportamento mi rattrista molto. Non è più la Marica che conoscevo e la cosa non mi piace.
Un istante dopo, me la ritrovo inginocchiata sul pavimento, le sue mani a sorreggermi il viso.
«Mi dispiace, Sere. Mi dispiace da morire». Mi avvolge in un abbraccio e io mi aggrappo a lei con forza. «Ci sarò sempre per te. Per sempre».
«Aspetto due gemelli», riesco a dire tra i singhiozzi.
Marica si stacca quel poco che basta per potermi guardare negli occhi. Luca mi porge un fazzoletto e mi soffio rumorosamente il naso, non riesco nemmeno a respirare. Quanto odio piangere! Gli ormoni mi stanno facendo impazzire e io non riesco a trattenermi.
«Non stai scherzando, vero?». Stella si volta completamente verso di me e mi guarda con la bocca spalancata per lo stupore.
Scuoto la testa, tirando su col naso per l’ennesima volta. Mi sto facendo schifo da sola in questo momento.
«Monozigoti, eterozigoti?», chiede lei con fare esperto.
«Sono due sacche», le rispondo a fatica.
«Allora sono eterozigoti», dice senza alcuna esitazione.
Tutti e tre la guardiamo accigliati.
«Come fai a sapere tutte queste cose?», domanda Luca perplesso.
Lei si stringe nelle spalle. «Quando stavo aspettando Eleonora ho bazzicato un sacco di siti internet e mi sono informata su tutte le possibilità. Non so che cosa avrei fatto se fossero stati gemelli. Lorenzo sarebbe uscito di testa e mi avrebbe lasciato con due pargoli».
«Non dire scemenze, non ti avrebbe lasciato. Smettila di buttarti giù in questo modo!». La rimprovera Marica.
«Marica ha ragione», commenta Luca.
«Tu stai zitto», ringhia la nostra amica dandogli ancora le spalle.
Luca mi guarda con aria interrogativa e lo invito, con un cenno del capo, a non aggiungere altro. Marica è per qualche motivo arrabbiata con lui e non mi sembra il caso di peggiorare la situazione. Lui acconsente buttando fuori un po’ per volta l’aria che ha incamerato nelle guance, cercando di rimanere calmo. Avrebbe tanto voluto ribattere, lo so e lo capisco. Il comportamento di Marica non è normale, ma non è questo il momento di indagare.
«Quindi ci sono due fagiolini qui dentro?». Per la prima volta da quando è entrata mi regala un sorriso e io ricambio, annuendo con decisione. Non riesco nemmeno a parlare in questo momento, mi sento svuotata.
«Pensa se fossero due bambine», esclama estasiata.
Luca sta per aprire bocca, ma lo zittisco con lo sguardo. Lui sbuffa, concentrandosi nuovamente su Eleonora che si è addormentata serenamente tra le sue braccia. Il mio migliore amico spera che siano maschi, lo so.
«Il nostro gruppetto crescerebbe a dismisura», commenta Stella scoppiando a ridere un attimo dopo. «I nostri uomini andrebbero fuori di testa. Pensa quando cresceranno e dovranno uscire con un ragazzo».
«Avrebbero vita breve». Luca alla fine decide di parlare, non lo si può tenere in silenzio troppo a lungo, gli si atrofizzano le corde vocali.
«Oh, sicuramente», aggiunge Stella divertita.
Io sono ancora in silenzio, non mi va di aprire bocca. Marica mi accarezza la guancia arrossata con una mano e mi sorride.
«Mi potrai mai perdonare?», chiede in un sussurro per non farsi sentire dagli altri.
«Non c’è niente da perdonare», le dico con lo stesso tono di voce. Mi allungo per baciarle la guancia e le mormoro all’orecchio: «Ti voglio un bene dell’anima».
«Anch’io». Mi stringe forte a sé e rimaniamo abbracciate per qualche istante.
Non capisco per quale motivo Marica si comporti in questo modo, ma apprezzo le sue attenzioni.
«Hai deciso qualcosa per quanto riguarda il matrimonio?». Onestamente non mi sarei mai aspettata che fosse lei la prima a tirare fuori questo argomento.
«Gli ho detto che va bene».
Stella ha sentito questo nostro scambio di battute e si porta entrambe le mani alla bocca.
«Abbiamo un matrimonio da organizzare?», domanda in cerca di ulteriori conferme.
«Direi proprio di sì», rispondo cercando di sorriderle.
Luca mi strizza l’occhio e non aggiunge una sola parola, continuando a cullare Eleonora da bravo zio.
«Come mai tu non dici nulla?». Marica si rivolge a lui guardando un punto del pavimento.
«Stai parlando con me?». Luca inarca un sopracciglio, un angolo della bocca sollevato all’insù.
«No, sto parlando con il cretino che c’è alle mie spalle», borbotta la nostra amica ruotando gli occhi esasperata.
«Qualcuno qui mi aveva intimato di stare zitto ed è quello che sto facendo».
Lei si alza di scatto dal tappeto, gli ruba la piccola dalle braccia, consegnandola alla madre e nasconde il viso nel petto di Luca, singhiozzando. Il mio migliore amico guarda prima me e poi Stella, allibito, ma poi recupera le sue facoltà e la avvolge in un abbraccio.
«Dimmi che cosa c’è che non va, tesoro mio», dice lui massaggiandole dolcemente la schiena.
«Non c’è niente che non va. Va tutto alla grandissima». Le parole escono strozzate per via dei singhiozzi. Nessuno di noi crede a una sola parola.
«Sai che puoi contare su di noi, in qualsiasi momento e per qualsiasi cosa», le sussurra dolcemente, baciandole poi la fronte.
«Lo so ed è per questo che vi adoro». Si pulisce il naso sulla manica della maglia. «Non riesco a parlarne ora, non ce la faccio. Scusatemi».
Si stacca come una furia da Luca e questa volta prende l’uscita, sbattendo la porta alle sue spalle. Rimaniamo tutti e tre imbambolati, sconvolti da quello che è appena successo.
Marica non aveva mai reagito in questo modo prima di stasera.
«Che cosa le succede?», biascica Stella ancora con la bocca spalancata.
«Di una cosa sono certo. Se c’entra ancora una volta quel coglione di Michele, non ne verrà fuori intero», commenta Luca sedendosi al mio fianco e avvolgendomi le spalle con un braccio. Appoggio la testa contro di lui e mi faccio coccolare dal mio amico.
«Non so che cosa pensare», mormoro a un tratto. «Non l’ho mai vista in questo stato e non sono nemmeno certa che c’entri il bastardo traditore».
«Perché pensi questo?». Stella posa una mano sulla mia e ne accarezza il dorso lentamente.
«Non lo so, chiamalo sesto senso, chiamalo presentimento. Chiamatelo come vi pare». Sospiro sconsolata e chiudo gli occhi. Sono stremata e ho solo una gran voglia di dormire.
«Dobbiamo assolutamente scoprire che cosa succede nella vita di Marica. Dobbiamo studiare uno stratagemma», esclama Luca davvero convinto di quello che sta dicendo.
Io smetto immediatamente di ascoltare, non ce la faccio, preferisco raggiungere le braccia di Morfeo.

 
 
*Note dell'autrice*

Ed eccoci qui con il primo capitolo della seconda parte di Marco & Serena. Ho deciso di riprendere da dove avevo terminato “Ti va di rischiare?”, c’era ancora fin troppa carne al fuoco. Ho inoltre deciso di dare più spazio a Paolo e Marica in questa storia, impareremo a conoscerli un po’ meglio :) Okay, resto in attesa di una vostra considerazione *ansia da primo capitolo*
Grazie a chiunque darà una chance anche a questa mia nuova avventura :)
A martedì prossimo!
Un bacione, Ire.

Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 2
*** Una domenica parecchio movimentata ***



 
 

Capitolo Due 

Una domenica parecchio movimentata



 
Serena sta ancora dormendo tranquillamente al mio fianco. Guardo l’ora sulla radiosveglia sopra il comodino e segna le sette e trenta. È domenica, non ho voglia di alzarmi all’alba, ma ormai il mio orologio biologico mi sveglia automaticamente sempre alla stessa ora, anche senza allarme. Le scosto i capelli dal viso e osservo i suoi lineamenti rilassati: ogni giorno che passa diventa sempre più bella e io mi innamoro sempre più.
Ieri abbiamo passato tutto il giorno a parlare del nostro futuro, del nostro matrimonio, dei nostri bambini. Siamo entrambi spaventati, non sappiamo di preciso che cosa ci aspetterà, ma siamo felici e questo è quello che conta. Penso sia più che normale aver paura di non essere all’altezza di un compito, ma so per certo che insieme possiamo tutto. Mi è venuta anche in mente una cosa di cui non sono riuscito a parlarle.
«Non riesci più a dormire?», mi domanda con la bocca impastata dal sonno e gli occhi ancora chiusi. A quanto pare anche lei era sveglia, o per lo meno non stava dormendo profondamente come credevo.
«No, non ho più sonno», le rispondo baciandole delicatamente le labbra. «Non volevo svegliarti».
«Mi sarei svegliata ugualmente, mi scappa tremendamente la pipì», mugugna lei facendo una smorfia davvero adorabile.
«Già ci andavi parecchio di tuo di prima, ora sei incontinente». La prendo in giro ridacchiando.
«Sfotti, sfotti. Arriverà il giorno in cui la tua prostata non reggerà più, e dovrai andare al bagno ogni cinque minuti. Allora mi vedrai ridere fino alle lacrime», borbotta aprendo finalmente gli occhi e regalandomi un sorrisetto sghembo.
«Ho ancora qualche anno da godermi allora», commento attirandola a me e stordendola con un bacio. Infilo una mano sotto il suo pigiama e accarezzo il suo ventre. Qui dentro stanno crescendo i nostri bambini e io non riesco nemmeno a descrivere quanto tutto questo mi renda felice e ansioso allo stesso tempo.
«Se premi ancora un po’, me la faccio addosso». Ride sulle mie labbra e io non mi muovo minimamente, continuo a stringerla forte tra le mie braccia.
«Pazienza, cambieremo le lenzuola e ti farò il bagnetto con la paperella».
Mi colpisce la spalla con un pugno. «Sei un cretino».
La lascio andare prima che la faccia davvero nel letto e mi metto supino, intrecciando le dita dietro la testa. Fisso il soffitto come se ci fossero impresse tutte le risposte che mi servono su quel muro bianco.
Serena accende la luce nel tornare in camera, accecandomi completamente. Mi copro il viso con un braccio e mugugno: «Questa è crudeltà allo stato puro».
«Sei sempre il solito esagerato». Gattona sul letto fino a sdraiarsi su di me. Appoggia il viso sul mio petto e comincia a fare dei rumorini strani.
«Che stai combinando, Flounder?», domando scoprendomi piano gli occhi per abituarli a quella nuova luce.
«Sto facendo le fusa, magari così mi prendo la mia razione di coccole», risponde continuando a fare la scema.
«Non sei brava a fare le fusa, sappilo», dico sfiorandole un braccio con i polpastrelli.
«E tu fai finta che io lo sia. Dammi questa soddisfazione». Si finge offesa e mi morde una spalla.
«Sei bravissimissima e sei anche sexissimissima». La accontento a modo mio e lei scoppia a ridere.
«A proposito, lo sai che oggi sarà una giornata di fuoco?». Mi ricorda alzando la testa e cercando il mio sguardo.
E come potrei dimenticarmelo! Un’intera domenica in balia delle nostre famiglie. A mezzogiorno dobbiamo essere a casa Boissone perché è il loro turno, se così si può definire. Stasera, però, saremo dai miei perché è il compleanno di mia madre e ci vuole tutti lì. Mi viene già male al solo pensiero. Sinceramente me ne starei volentieri tutto il giorno sul divano a coccolare la mia donna e a parlare con lei. Serena si stanca in fretta e farla stare in ballo l’intera giornata mi spaventa parecchio. Avrebbe bisogno di un po’ di tranquillità, ma con le nostre famiglie è praticamente impossibile.
«Guarda, se potessi evitarti tutto questo, lo farei volentieri», le dico in un sospiro.
«Lo so, amore. Non fa niente, male che vada mi metto a dormire sul divano. Tanto ormai crollo ovunque, non ho bisogno di sonniferi o cose simili per cadere in un sonno profondo». Mi sorride e io mi sciolgo completamente.
«Dici che i nostri figli si offenderebbero se facessimo l’amore?». Le bacio le labbra, approfondendo un istante dopo. «Ho una voglia pazzesca di strapparti i vestiti di dosso».
«Magari non strapparli, sfilali soltanto». Mi morde il mento ridacchiando felice.
«Ti amo da morire Serena e non vedo l’ora che tu diventi mia moglie», farfuglio godendomi le attenzioni che la mia donna mi sta riservando.
«Dobbiamo scegliere la data», sussurra al mio orecchio, scendendo poi a baciarmi il collo.
«Se fosse per me ti sposerei anche domani», riesco a dire prima di rimanere senza fiato. La sua mano si è insinuata all’interno dei mie boxer, togliendomi ogni briciolo di razionalità.
Le sue labbra sfiorano il mio torace scoperto, mentre le sue dita mi stanno regalando un piacere indescrivibile. Con non poca fatica, ribalto le posizioni, sfilandole il pigiama e scoprendo quel suo corpo meraviglioso che è addirittura più bello da quando è incinta.
«Cinque dicembre», dico baciandole lentamente il viso. «Sposiamoci il cinque dicembre».
«Perché proprio il cinque?», domanda con gli occhi chiusi, mentre il suo corpo si protende irrimediabilmente verso di me. «Manca poco più di un mese».
«Il cinque è il mio numero preferito, tu entrerai nel quinto mese di gravidanza. Direi che il cinque è perfetto». Le sue cosce si allargano, chiedendomi silenziosamente di essere saziata.
«E se fosse un giorno stupido? Sai anche tu che di giove o di marte non ci si sposa e non si parte», farfuglia inarcando la schiena, mentre entro dentro di lei lentamente.
«Mi piacciono questi detti della nonna, ma in questo momento non me ne frega un cazzo. Scusa la schiettezza, Flounder. Io ti sposerò il cinque di dicembre, qualunque giorno della settimana sia». Le tappo la bocca con la mia, cominciando a muovermi a ritmo sostenuto.
«Hai vinto tu, Shark». Cede alla fine, completamente rilassata tra le mie braccia.
«Basta farti raggiungere un signor orgasmo per avere tutto ciò che voglio. Buono a sapersi». La prendo in giro, carezzandole dolcemente il braccio.
«O basta farti credere che sia sufficiente quello», ribatte lei ridacchiando.
«Anche questo è vero. Sono proprio un credulone». Le bacio la punta del naso, scendendo poi a baciarle le labbra.
«Oh sì, lo sei», infierisce accarezzandomi una guancia con le dita.
«Sono anche innamorato perso di te», mormoro perdendomi in quelle sue iridi verdi che tanto amo.
Le sue guance si imporporano immediatamente.
«E dei nostri figli. Vi amerò fino alla fine del tempo», aggiungo un istante dopo.
Lei mi regala un bacio mozzafiato, che mi lascia stordito e piacevolmente sorpreso.
 
 
Alle undici e mezza decidiamo di uscire di casa e raggiungere i suoi. Non che abbia mai molta voglia di interagire con sua madre, ma per lo meno posso farlo con il capofamiglia cui piace parlare di ogni cosa e mi chiede in continuazione dell’azienda di famiglia, curioso di sapere come funzionano le cose in una cantina. Di comune accordo con Serena, non parleremo di nozze oggi: sua madre comincerebbe a organizzare l’evento seduta stante e noi non abbiamo alcuna intenzione di soccombere come è successo per Alessandro. Vogliamo organizzare noi il nostro matrimonio, decidere ogni cosa insieme, come ogni coppia dovrebbe fare.
«Se mia madre ti chiede quando abbiamo deciso di sposarci, tu non aprire bocca. Dille che non lo abbiamo ancora deciso e che lo faremo presto». Serena mi sta ancora istruendo sul da farsi quando parcheggio la mia macchina nel vialetto di casa Boissone, dietro la macchina del fratello.
«Penso che non appena saprà dei gemelli, non ci sarà bisogno di andare su quell’argomento», le dico con convinzione.
«Sì, certo, credici. In tutto questo tempo, tu non hai ancora capito come pensa mia mamma e la cosa mi preoccupa», borbotta scendendo dall’auto afferrando la mano che le sto offrendo.
Vorrei ribattere che conosco benissimo come funziona il cervello della mia futura suocera, ma non ne ho il tempo: la donna in questione ci sta raggiungendo quasi di corsa e mi strappa la mia donna, soffocandola in un abbraccio.
«Allora? Come sta la mia bambina? Mio nipote? Che cosa ti ha detto il ginecologo? Non mi è bastato un va tutto bene, voglio sapere di più». La signora Boissone stordisce Serena con una valanga di domande. In questo momento io nemmeno esisto, non mi ha nemmeno guardato.
«Mamma, ti prego, una domanda per volta. Mi stai già facendo scoppiare la testa, e non sono ancora entrata in casa», brontola la mia donna sistemandosi la maglietta che mette in mostra il suo ventre che sta prendendo forma.
Mio suocero viene in nostro soccorso e abbraccia la figlia con trasporto.
«Venite dentro che è pronto l’aperitivo». Mi strizza l’occhio e io lo ringrazio con un cenno del capo. Capisco perché Serena va così d’accordo con lui, hanno un carattere molto simile e si capiscono al volo. A volte è difficile stare dietro all’esuberanza della madre.
«Lo spiedo è quasi pronto», mi informa lui stringendomi la spalla con la mano. «Ho lasciato Ale a controllarlo così almeno si rende utile».
«Se ti sente mio fratello», borbotta Serena attaccata al suo braccio.
«Tanto gliel’ho appena detto in faccia. Non è mica un segreto di stato». L’uomo prorompe in una calorosa risata e io mi unisco a lui.
«Mia figlia ed io avevamo un discorso in sospeso». S’intromette la madre sbuffando sonoramente.
«È anche mia figlia», le fa notare lui. «e ha bisogno di tranquillità. Non puoi tartassarla così, falla almeno accomodare sul divano prima».
Mi piace il modo in cui riesce sempre a metterla in riga, ormai deve averci fatto il callo dopo tutti questi anni di matrimonio. Si dice sempre che per sapere come sarà la tua donna più avanti con gli anni, bisogna guardare la madre. Ecco, io spero che diventi come suo padre e non come la genitrice, altrimenti dovrò correre ai ripari già da adesso. E per fortuna che è migliorata con il tempo! Era decisamente più petulante e ossessiva quando l’ho conosciuta agli inizi della nostra storia e Serena non faceva altro che battibeccare con lei.
Un po’ come ho sempre fatto io con mio padre del resto. In fin dei conti abbiamo il loro stesso sangue che scorre nelle vene, non possiamo farci molto.
Il mio cellulare comincia a suonare come un ossesso nella tasca posteriore dei miei pantaloni. Chi diavolo è che mi rompe le scatole a quest’ora della domenica?
«Scusatemi un secondo», dico loro mentre stanno entrando in casa.
Rimango fuori in giardino e rispondo dopo aver controllato chi fosse a chiamarmi.
«Ciao Paolo», lo saluto immediatamente, senza troppi giri di parole.
«Ciao Marco. Scusami se ti disturbo oggi che è domenica. Sarai sicuramente a pranzo con Serena e non voglio trattenerti a lungo. Volevo solo chiederti scusa per venerdì sera. Me ne sono andato in fretta e furia e non ti ho nemmeno ringraziato per la serata». Parla a raffica, trattenendo quasi il respiro.
«Non ti preoccupare. È successo qualcosa?», chiedo accigliato. Non vorrei che fosse accaduto qualcosa a qualche membro della sua famiglia. So che sua nonna è parecchio anziana e ha avuto dei seri problemi di cuore. È stata operata un paio di volte negli scorsi mesi e mi dispiacerebbe se fosse stata nuovamente male. So quanto Paolo tenga a lei, è l’unica nonna che gli è rimasta. Il mio amico non si confida molto con noi, ma ci rende comunque partecipi dei suoi crucci, sfogandosi quando ne ha bisogno. In effetti, ora che ci penso, è un po’ che non parliamo seriamente di qualcosa. Forse aveva ragione l’altra sera a dire che da quando sono entrate le nostre compagne nelle nostre vite, non facciamo altro che parlare di loro e della vita di coppia. Lui è solo da un po’ ormai, o per lo meno, se vedesse qualcuno, non ce l’ha detto. Probabilmente mi sentirei anch’io a disagio in una situazione come la sua.
«Niente di grave non ti preoccupare», risponde calmo.
«Tua nonna?». Vorrei sapere se era andato via a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Lui ci impiega un attimo a parlare, e il suo tono sembra quasi stridulo.
«Ah sì, ora sta meglio, grazie. Mia mamma mi aveva mandato un messaggio per correre immediatamente a casa che probabilmente avrebbero dovuto portarla nuovamente in ospedale».
I suoi genitori non hanno la patente e si muovono soltanto in bicicletta, perciò è lui quello che deve correre quando c’è bisogno di qualcosa, essendo pure figlio unico.
«L’importante è che ora stia meglio», gli dico tranquillo. Sono felice che tutto si sia risolto per il meglio.
«Grazie, Marco. Sei davvero un amico», esclama lui più rilassato.
«Sempre a disposizione, socio», commento con il sorriso sulle labbra. «Buona domenica».
«Anche a te». Dopo un attimo di esitazione aggiunge. «Salutami Serena».
«Come già fatto. Ci sentiamo».
Dopo i saluti di rito, riaggancio e metto il telefono in tasca. Sono stato fuori cinque minuti e sinceramente non ho molta voglia di andare dentro. Prendo un bel respiro e raggiungo la mia donna, devo salvarla dalle grinfie della madre.
Li trovo tutti in sala e stanno accerchiando Serena come in un film dell’orrore. Che cosa vogliono farle? Sacrificarla? Alessandro, appena si accorge della mia presenza, viene da me e mi dà una pacca sulla spalla.
«Ciao cognato. Come va la vita da futuro paparino?», domanda con un sorriso a trentadue denti.
Serena alza gli occhi al cielo e sbuffa. Ha pochissima pazienza in questo periodo e due cose le riescono benissimo: incazzarsi come una iena e piangere come una fontana. In questo momento siamo nella fase uno, fuoco e fiamme in arrivo!
«Va bene», gli rispondo tenendo sempre un occhio puntato sulla mia donna, pronto a intervenire se fosse necessario.
«Com’è avere a che fare con mia sorella incinta?». Ridacchia dopo questa sua domanda impertinente.
«Fai finta di essere un artificiere e che lei sia una bomba da disinnescare. Se tagli il filo sbagliato, sei fottuto».
Alessandro ride di gusto a questa mia immagine di Serena modello bomba a orologeria, ma è proprio così che la vedo. Bisogna stare sempre attenti a quello che si dice, perché, se malauguratamente la dovesse prendere per il verso sbagliato, cominciano le urla e i pianti. Arrivano poi le tipiche frasi da ormone impazzito: “Sei un insensibile”, “Vorrei vedere te al posto mio”, “Non hai te due esserini che stanno crescendo dentro di te” e via così anche per ore, fino a farti venire voglia di emigrare su un’isola deserta dove si sente solo il rumore del mare. Cerco di mantenere la calma, di assecondarla, ma a volte non è per niente facile.
«Scusami, Marco, non ci sarebbe niente da ridere, ma l’immagine che è apparsa nella mia mente è troppo buffa». Alessandro si allontana raggiungendo nuovamente sua moglie. Vera è sempre la solita timidona, ma riesce ugualmente a regalarmi un sorriso e un bacio sulla guancia per salutarmi. Ogni volta che la vedo, mi chiedo come possa essere possibile che sia la sorella di Lorenzo. Secondo me lo hanno adottato, potrebbe essere una soluzione più che plausibile.
Serena ha appena riempito le guance di aria, sta per scoppiare. Devo per forza salvarla da questa situazione.
 
°°°
 
Tenetemi ferma o faccio una strage! La testa mi sta martellando come una forsennata e un senso di nausea parecchio accentuato si è appena presentato. Vorrei mettermi a gridare, dire loro di smetterla di tartassarmi con mille domande. Sto per scoppiare, ma è Marco a salvare la situazione, il mio angelo custode.
«Signori, scusatemi, ma la mia futura moglie ha bisogno di prendere una boccata d’aria».
Afferra la mia mano e mi trascina nel giardino sul retro, dove lo spiedo sta ancora girando.
«Grazie, amore, stavo per esplodere», dico in un sospiro.
Mi prende il viso con entrambe le mani e mi regala un sorriso. «Lo so, ormai ti conosco meglio delle mie tasche».
«A volte mi chiedo come fai a sopportarmi. Ha ragione Luca, dovrebbero farti una statua». Appoggio il viso contro il suo petto, sbuffando. Lui mi avvolge immediatamente in un abbraccio e mi tiene stretta a sé.
«Mi raccomando, che la statua sia di marmo e che si vedano bene tutti gli addominali. Ah, e che i gioielli di famiglia siano di dimensioni reali, altrimenti mi incazzo». Marco sta al gioco e mi ritrovo a sorridere nonostante la mia ansia.
«Vorresti una statua che ti ritragga nudo?», chiedo divertita.
«E certo! Mica sono scemo! Tutti devono vedere quanto sono affascinante», risponde cercando di non ridere.
«Ti amo talmente tanto, che non so nemmeno quantificarlo», mormoro alzando lo sguardo e incontrando i suoi occhi blu che mi fanno battere il cuore all’impazzata.
«Hai detto una cosa dannatamente dolce. Come posso non amarti?». Sfiora le labbra con le sue e mi bacia dolcemente, approfondendo un attimo dopo quel bacio e facendomi venire le scalmane.
Dei passi dietro di me mi fanno staccare dalle labbra del mio uomo. Mi sento le guance in fiamme, nonostante viviamo insieme già da un po’, stiamo per sposarci e sto aspettando due figli da lui. Continuo a sentirmi come una ragazzina con il suo prima fidanzatino e la cosa è parecchio buffa.
Mio padre si dirige direttamente verso il suo spiedo, con un sorriso divertito sulle labbra. Per fortuna non se l’è presa per il mio comportamento strano di qualche istante fa in casa.
Marco mi fa cenno con la testa di raggiungerlo ed era quello che stavo già per fare.
Avvolgo le braccia attorno al busto del mio papino e appoggio la guancia sulla sua schiena. Una sua mano si posa sulle mie, mentre con l’altra continua a spennellare la sua opera d’arte culinaria.
«Scusami, papi», farfuglio con gli occhi chiusi. «Sono piuttosto intrattabile in questo periodo».
«Tua madre era uguale, ci sono passato», commenta lui ridacchiando. «Le somigli più di quanto tu creda».
Non credo di riuscire ad aspettare ancora, devo spifferargli tutto.
«Devo dirti una cosa», comincio cercando di respirare a fondo per trovare il coraggio di dire quello che tengo sulla punta della lingua da quando siamo arrivati qui. Se non mi avessero aggredito subito, probabilmente ora lo avrebbero già saputo tutti.
La voce squillante di mia madre mi fa sussultare.
«Quanto manca qui?». Si rivolge a mio padre evitando di chiedermi come mi sento. Forse ha capito di avere un tantino esagerato prima.
Mio padre si volta e mi avvolge le spalle con un braccio, baciandomi la tempia.
«Lascia perdere lo spiedo per un attimo. La nostra bambina stava per dirci una cosa». Lui rigira la frittata in modo tale da non far sentire esclusa mia madre. Lo dovrei ringraziare per questo, ma credo che lo farò dopo.
«Che cosa devi dirci, tesorino mio?», chiede guardandomi con aria preoccupata. Mi dispiace averli tenuti così sulle spine.
Marco si avvicina a me e intreccia le sue dita alle mie, infondendomi quel briciolo di coraggio che mi stava abbandonando.
Prendo un bel respiro e cerco di sorriderle.
«Ecco, Marco ed io», comincio schiarendomi la gola. «aspettiamo due gemelli».
Non so come sono riuscita a dire quelle parole, ma il peso che mi comprimeva il petto se n’è finalmente andato e riesco a respirare normalmente.
Mia madre spalanca la bocca e guarda mio padre attonita. Il braccio sulle mie spalle allenta la presa e mio padre si sposta, raggiungendola: ora sono in due a fissarmi come se avessi appena detto una cosa assurda.
«Credo che vostra figlia abbia il diritto di sapere che cosa ne pensate». Ale viene verso di noi e mi abbraccia di slancio. «Congratulazioni, sorellina! Avete fatto le cose davvero in grande! Addirittura due nipoti in una volta sola. Dio come sono felice!».
Quando si stacca da me, ha gli occhi lucidi. Mi bacia la guancia con trasporto per poi concentrarsi sul mio uomo e congratularsi anche con lui.
Vera mi avvolge in un abbraccio e mi massaggia delicatamente la schiena. «Altri due nipotini, non ci posso credere», commenta con le lacrime agli occhi. «Mi prenoto già come baby sitter se mai ne avrete bisogno».
Vera lavora in un asilo nido e ama i bambini, è sicuramente perfetta per badare ai nostri figli in un momento di bisogno.
«Grazie, lo terremo presente», le dico con un sorriso.
Ale passa una mano davanti agli occhi catatonici di mia madre e scoppia a ridere. «Sere, credo che tu abbia fatto venire un coccolone ai nostri genitori. Prepara la pala, li seppelliamo in giardino!».
A queste parole la nostra genitrice gli molla uno scappellotto.
«Non ci provare nemmeno! Non sai nemmeno come funziona quell’arnese», borbotta lei tornando all’improvviso tra noi.
«Due nipotini?», mormora mio padre ancora imbambolato.
Io annuisco con il sorriso sulle labbra.
«La mia bambina darà alla luce due bambini». Il suo volto si illumina improvvisamente e si fionda a riempirmi il viso di baci. Mi sta facendo il solletico con la sua barba incolta. Ridacchio come una scema, mi sento al settimo cielo in questo momento.
Mia madre lo caccia e stavolta è lei a riempirmi di baci.
«Almeno te la cavi in un colpo solo», commenta lei alla fine scoppiando a ridere.
«Marco ha assestato i colpi giusti!», esclama mio fratello senza alcun imbarazzo.
Le mie guance si arroventano all’istante, mia madre lancia un’occhiataccia eloquente a suo figlio, il quale si tappa la bocca con una mano e fa finta di non aver detto niente. Frequentare suo cognato non gli sta facendo affatto bene.
«Raccontami di più, ti prego. Sono omozigoti, eterozigoti? È la prima volta nella nostra famiglia che avviene un parto gemellare». Mia madre mi fa sedere sulla panchina sotto il portico e si accomoda accanto a me.
«Sono eterozigoti, sono in due sacche separate», le dico. Dopo che Stella mi ha raccontato quelle cose venerdì, Marco ed io abbiamo passato l’intero pomeriggio di ieri a curiosare tra i vari siti internet che parlano di gravidanze gemellari.
«Sono molto diffusi e non è necessario che ci siano dei casi in famiglia. Capita e basta», le spiego stringendomi nelle spalle.
C’è un bel sole oggi, ma l’aria è frizzante e comincio a tremare per il freddo. Marco se ne accorge, si toglie la sua giacca e me la mette sulle spalle, sedendosi accanto a me. Mi massaggia il braccio, infondendomi tutto il suo calore. Mi sento già meglio. Lo ringrazio con un bacio sulle labbra.
«Capisco». Mia madre sembra pensierosa e un attimo dopo aggiunge: «Non è troppo piccolo il vostro appartamento per due bambini? Non avete nemmeno una stanza per loro».
Oltre alla nostra camera, c’è una stanzina minuscola, dove Marco tiene il suo computer e tutte le sue cose elettroniche. Sembra quasi uno sgabuzzino più che uno studio e non sarebbe per niente adatto a ospitare i nostri figli.
Sinceramente non avevamo ancora pensato a questo dettaglio, forse perché la notizia è arrivata talmente inaspettata che la stavamo ancora metabolizzando, senza pensare ai dettagli logistici.
Guardo Marco con la fronte aggrottata e lui sembra accigliato almeno quanto me.
«Ci stavo pensando stanotte, se devo essere sincero, ma non avevo ancora avuto il tempo di parlarne con te». Mi informa muovendo nervosamente una gamba.
Beh, almeno uno dei due stava pensando a cose serie. Sinceramente non mi era nemmeno mai passato per la mente questo problema.
«Con calma ci penseremo». Sicuramente non possiamo decidere qui seduta stante, non sono cose che si scelgono nel giro di due minuti.
«Nemmeno molto con calma, tesoro mio. I mesi passano veloci e in men che non si dica nasceranno i bambini. Io comincerei già domani a guardarmi in giro». Mia madre ha le idee molto chiare, sicuramente più di me.
«Domani ci penseremo». Le concedo alla fine pur di smettere di parlarne. Sono questioni che dobbiamo risolvere Marco ed io, non abbiamo bisogno di persone che ci mettono pressione. Siamo già abbastanza nervosi per tutto quello che sta accadendo, se poi ci si mette anche mia madre a rompere le scatole, credo che questi mesi saranno i più lunghi della mia vita.
«Brava la mia bambina». Si alza entrando in casa a finire di preparare le cose per il pranzo e ci lascia finalmente soli.
Appoggio la testa sulla spalla del mio uomo e sospiro. Gli prendo la mano, mettendomi a giocare con le sue dita. Osserviamo in silenzio mio padre e mio fratello battibeccare per la cottura dello spiedo. Vera alza gli occhi al cielo scuotendo la testa divertita. Sorrido a quell’immagine. Mi stringo di più a Marco e lui mi avvolge con le sue braccia, facendomi sentire completamente al sicuro. Non servono parole per farmi sentire meglio, mi basta la sua presenza. Mi posa un bacio tra i capelli, appoggiando poi la guancia sul mio capo.
«Grazie di esistere», mormoro chiudendo gli occhi e godendomi quelle coccole fuori programma.
«Grazie a te di amarmi», dice lui in un sussurro.
È impossibile non amare quest’uomo, sono davvero fortunata ad averlo nella mia vita.
«Chi era al telefono prima?», chiedo curiosa. Mi stavo quasi dimenticando di chiederglielo.
«Era la mia amante. Mi ha chiesto quando sarò libero di andarmene da questo pranzo per poter passare un po’ di tempo con lei», risponde senza alcuna esitazione.
Se non mi fidassi ciecamente di lui, potrei perfino credere che stia dicendo la verità.
«Sei un cretino, ma non ho voglia di spostarmi da questa posizione per picchiarti, perciò abbi la decenza di darti una sberla da parte mia», mugugno dandogli una schicchera su una mano, è il massimo che posso fare in questo momento.
Marco ridacchia senza alcun ritegno. «È già difficile gestire te, non riuscirei ad avere a che fare con un’altra donna. Impazzirei».
Mi sono spesso chiesta come certe persone riescano a portare avanti più di una relazione contemporaneamente. Io non ci riuscirei proprio. Mentire sempre, costantemente, per non farsi beccare dall’altro o dagli altri. Il mio uomo mi scoprirebbe subito perché non riesco a raccontare palle e mi becca all’istante quando cerco in qualche modo di fregarlo. Devono avere un gran fegato, una buona memoria e un’elevata dose di masochismo. Quel mondo non fa proprio per me.
«Io valgo per cinque. Penso di essere abbastanza per te per le tue prossime vite», esclamo scoppiando a ridere un istante dopo.
«No, non sarai mai abbastanza per me, questo è sicuro», commenta stritolandomi fra le sue braccia. «Comunque era Paolo, ha detto di salutarti».
«Grazie. Come mai ti ha chiamato? È successo qualcosa?». Marco mi ha raccontato dei problemi della nonna e come stanno le cose nella sua famiglia. Mi dà l’impressione che sia molto solo e mi fa una gran tenerezza perché sembra un uomo parecchio dolce, deve solo avere la fortuna di incontrare la donna giusta cui donare tutto se stesso.
«L’altra sera è dovuto andarsene in fretta e voleva scusarsi», risponde allentando un po’ la presa e voltandomi il viso con due dita sotto il mento per potermi baciare le labbra.
«Sua nonna?», chiedo incupendomi impercettibilmente. Non vorrei mai le fosse successo qualcosa di grave.
«Lui dice di sì».
Dal suo sguardo capisco che non ne è proprio così convinto.
«Ma?». Lo sprono a continuare le sue considerazioni.
Lui sospira e prosegue: «Non lo so, amore. Sembrava essere caduto dal pero, come se si stesse arrampicando sugli specchi e io lo avessi imboccato con la risposta che volevo sentirmi dire. Forse è solo una mia sensazione, ma secondo me ci sta nascondendo qualcosa».
«Che c’entri una donna?», ipotizzo io cercando di trovare una ragione per questo suo comportamento.
«Lorenzo è convinto di sì. Io non so che dirti. Sai benissimo anche tu che Paolo non parla molto».
Credo che la mia conversazione più lunga che io abbia mai fatto con lui sia stata il giorno del compleanno di Marco, quando gli ho chiesto aiuto per il regalo che volevo fargli.
«Comunque, se ti può consolare, anche Marica sta combinando qualcosa. L’altra sera è andata via in lacrime dopo aver fatto una scenata ed essersi arrabbiata di brutto con Luca», gli racconto.
Per una cosa o per l’altra non ero ancora riuscita a raccontargli di quello che era successo venerdì sera a casa di Luca. A dirla tutta sono ancora un po’ scossa per il suo comportamento assurdo. Non riesco a trovare una spiegazione sensata. Okay, potrei dire Michele, visto che è sempre colpa sua, ma questa volta sento che lui non c’entra e non so nemmeno io il motivo di questa mia sensazione stupida.
«Michele?». Stavolta è Marco a ipotizzare quale potrebbe essere l’eventuale problema.
«Non lo so, non mi convince», gli dico onestamente.
«Direi che Lorenzo e Luca indagheranno a fondo sulla questione per scoprire che cosa i nostri amici ci nascondono», aggiunge lui dopo un attimo di silenzio.
«Oh sì, questo è certo».
Mia madre attira la nostra attenzione, avvisandoci che l’antipasto è pronto in tavola. Mio padre, nel frattempo, sta già mettendo lo spiedo in una grossa teglia con l’aiuto di mio fratello e con l’attenta supervisione di Vera. Ci alziamo lentamente dalla panchina e ci incamminiamo verso la sala. Aiuto mia madre a portare le ultime cose a tavola, nonostante borbottasse che ce la faceva da sola e che io dovevo starmene tranquilla. Ho fatto finta di non sentire le sue lamentele e ho continuato a portare i piatti come se niente fosse.
Trascorriamo qualche ora in allegria, hanno cercato in ogni modo di farmi sentire a mio agio e di non sommergermi nuovamente di domande.
Marco ed io abbiamo volontariamente evitato il discorso matrimonio. Abbiamo pensato che la notizia dei gemelli fosse abbastanza sostanziosa per oggi e aggiungere anche le imminenti nozze avrebbe smosso ulteriormente le acque. Quasi quasi lo dico loro all’ultimo minuto, così non potranno mettere il naso nell’organizzazione del nostro grande giorno.
Credo che mia madre non mi perdonerebbe mai una cosa del genere ed è la volta buona che faccio venire davvero un infarto a mio suocero!

 
 
 
*Note dell'autrice*
Ciao a tutti *saluta con la manina* Eccoci già al secondo capitolo :) La famiglia di Serena sembra aver preso bene la notizia, nonostante lo stupore iniziale. Serena è sempre più in preda agli ormoni, porella lol. Povero anche Marco che deve gestire i suoi sbalzi d'umore :) Nel prossimo capitolo scopriremo come l'avrà presa la famiglia di Marco. Okay, penso non ci sia molto altro da dire. A martedì prossimo e grazie a tutti voi che leggete, recensite, seguite 


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Capitolo 3
*** Una domenica senza fine ***



 
 

Capitolo Tre

Una domenica senza fine



 
Ammetto di essere parecchio stanca in questo momento. Siamo tornati dieci minuti fa da casa dei miei genitori, e sono crollata sul nostro letto. Marco si è assicurato che stessi bene, prima di lasciarmi riposare da sola in totale tranquillità. Mi ha rimboccato le coperte, mi ha baciato le labbra e mi ha sussurrato tutto il suo amore. Mi sono addormentata un istante dopo.
Continuo a fare sogni strani, dove un trillo fastidioso mi fa stringere con prepotenza gli occhi e tapparmi entrambe le orecchie. Solo dopo un po’ mi rendo conto che non è un sogno.
Mi metto a sedere sul letto e il mio cellulare sta squillando insistentemente all’interno della mia borsa abbondonata sulla sedia accanto all’armadio. Anche Marco deve averlo sentito e apre piano la porta, pensando che io stessi ancora dormendo.
«Non ho pensato di togliere la suoneria», biascico stropicciandomi gli occhi con una mano e sbuffando sonoramente.
Stavo anche dormendo di gusto, non avevo bisogno di questo brusco risveglio. Ora mi sento completamente stordita.
«Mi dispiace che ti abbiano rotto le scatole, spero almeno fosse qualcosa di urgente e non le solite chiamate promozionali. Ormai non hanno alcun ritegno e chiamano pure la domenica». Marco afferra la mia borsa e fruga all’interno alla ricerca di quell’aggeggio infernale. «Come diavolo fai a trovare le cose qua dentro?».
Infila tutto il braccio all’interno e scava in profondità. «Ti consiglierei di fare un po’ di pulizia».
Invece del cellulare, estrae una manciata di gomme da masticare appiccicate tra di loro e mezze sciolte. «Sicura che non dovrei andare al pronto soccorso a farmi l’antitetanica?».
Osservo la faccia disgustata del mio uomo e sorrido. «No, dai, non credo ti serva per quelle».
«Per queste no, ma sicuramente ci sarà qualcosa di infetto». Fa una smorfia e decide di passarmi la mia borsa. Apro la tasca davanti e sfilo il cellulare: so benissimo come trovare le mie cose al suo interno.
«Classico! Mi fai frugare per tre ore e poi era nel taschino. Non potevi dirmelo prima?», borbotta roteando gli occhi.
«Tu non me lo hai chiesto». Gli faccio notare stringendomi nella spalle. Osservo il display del mio telefono e comincia nuovamente a suonare, rispondo senza alcuna esitazione.
«Ciao Luca». Saluto il mio migliore amico, soffiando poi un bacio al mio uomo, che nel frattempo si è seduto accanto a me sul nostro letto.
«Non dirmi che ti ho disturbato mentre facevi le zozzerie con il tuo uomo!», esclama lui senza nemmeno degnarsi di salutarmi.
«Oh sì, stavamo cavalcando come non mai». Lo prendo in giro io. Marco si nasconde gli occhi con una mano e ride da solo, scuotendo la testa.
«Ho come la sensazione che tu mi stia prendendo per i fondelli», brontola il mio amico dall’altra parte della linea.
«Dai? Da cosa l’hai capito?». Ridacchio immaginandomi la sua espressione, lo conosco fin troppo bene.
«Dal tuo tono! Rompiscatole che non sei altro», bofonchia.
Marco mi fa segno con le dita di tagliare corto, mostrandomi poi il quadrante del suo orologio. Cacchio, sono già quasi le sei e fra poco dovremmo essere a casa dei suoi. Non credo che se la prenderebbero se facessimo qualche minuto di ritardo, considerando la mia situazione, ma non mi piace farci aspettare, manco fossimo delle celebrità.
«Come mai mi cercavi?», gli chiedo appoggiando la testa sulla spalla del mio uomo.
«Domani mattina dobbiamo essere al lavoro alle otto. Mi ha telefonato Mirco e ha detto che domani arriva un nuovo dipendente e dobbiamo cominciare ad ammaestrarlo», risponde quasi indignato.
«Ammaestrarlo?», ripeto io senza capire. Non lavoriamo mica in uno zoo!
«Sì, dai, passami il termine. Dobbiamo insegnargli tutto dall’inizio, come io ho fatto con te quando sei stata assunta e sinceramente ne farei volentieri a meno. Non so nemmeno se sia uomo, donna, giovane, vecchio, non so assolutamente niente», mi spiega con enfasi.
«Speriamo solo che capisca al volo e che non dobbiamo ripetere un milione di volte le stesse cose», aggiungo io in un sospiro.
Nemmeno io muoio dalla voglia di istruire un nuovo collega. Mi è già capitato di farlo una volta con una ragazza e avrei tanto voluto spaccarle la faccia. Era di un’arroganza assurda, lei si credeva migliore di qualunque altra persona al mondo e non voleva fare quello che le dicevo, se no si spezzava le unghie appena laccate. Quella settimana era stata la più ardua di tutta la mia vita: se non ho ucciso qualcuno in quei sette giorni, non lo farò mai più.
«Lo spero anch’io, altrimenti Mirco le prenderà di santa ragione!», commenta Luca infervorandosi. Una volta preso un respiro profondo aggiunge: «Passo a prenderti alle sette e trenta. Mi dispiace farti alzare all’alba, cucciola. Ho provato a dirgli che mi sarei arrangiato da solo, ma non ha voluto saperne».
«Non fa niente, Luca. Posso farcela». Lo rassicuro dolcemente. So che si preoccupa per me, forse fin troppo, ma un paio di ore di lavoro in più non credo mi ammazzeranno, altrimenti Mirco mi avrà sulla coscienza per il resto dei suoi giorni.
Ci salutiamo immediatamente dopo e chiudo la telefonata, sospirando rumorosamente.
«Se non te la senti, puoi anche darti malata», dice Marco avvolgendomi le spalle con un braccio e baciandomi la tempia.
«Non mi sembra giusto farlo, visto che non sono malata e sto anche abbastanza bene. Mi stanco solo facilmente, ma al massimo prenderò qualche pausa in più». Non mi sono mai tirata indietro quando si tratta di lavorare, devo stare davvero male per starmene a casa.
«Come vuoi tu, amore. L’importante è non strafare. Me lo prometti?». Posa due dita sotto il mio mento e mi ruota il capo per potermi guardare negli occhi.
«Te lo prometto». Gli sorrido, regalandogli poi un bacio sulle labbra.
Mi cambio, mi do una sistemata ai capelli e al trucco. I pochi minuti di sonno che mi sono concessa hanno reso la mia capigliatura simile a un rovo. Ci ho messo un quarto d’ora buono a togliermi i nodi con il pettine, come se avessi dormito chissà dove.
Mezzora dopo stiamo parcheggiando l’auto accanto alla station di Lucrezia. Nel vedere quella macchina, mi rendo conto di un’altra cosa e credo che a Marco non piacerà affatto.
«Amore, sto per dirti una cosa che ti farà inorridire», comincio con pochissimo tatto. Avrei voluto tanto indorargli la pillola, ma non mi è riuscito proprio per niente.
Lui si volta verso di me e mi guarda aspettando che io prosegua con questo mio discorso, la fronte aggrottata.
Mi schiarisco la voce prima di lanciargli la mazzata definitiva. «Dovremo cambiare macchina. La nostra non va bene per accogliere dei bambini, tanto meno due».
Marco spalanca la bocca e la richiude un attimo dopo, deglutisce a vuoto un paio di volte, prima di proferire parola. «La mia bambina non si vende», piagnucola accarezzandone la vernice brillante, fresca di lavaggio.
«Non credo potremmo permettercene due», gli dico arricciando le labbra.
Lui sembra riflettere un attimo.
«In qualche modo faremo». Cede alla fine con un sospiro sconsolato. «Non ci voglio pensare ora».
«Scusami se ti ho rovinato la serata con questa mia osservazione. Non volevo». La faccia delusa del mio uomo mi fa riempire gli occhi di lacrime. «So quanto tieni alla tua macchina. Perdonami».
Le lacrime ora scorrono lungo il mio viso e lui si blocca all’istante, asciugandole con entrambe le mani.
«Eh no, è solo una macchina, non vale le tue lacrime, amore mio. Voi siete più importanti di un pezzo di lamiera, per quanto bella possa essere. Voi siete più importanti di qualsiasi altra cosa al mondo». Mi bacia le labbra con tenerezza.
Maledetti ormoni che mi fanno diventare una fontana umana per ogni cazzata!
«Sceglieremo insieme una nuova macchina, che sia perfetta per i nostri bambini», aggiunge dopo un attimo. «Va bene?».
Annuisco mordendomi il labbro, cercando di smettere di piangere. Mi faccio aria con la mano e spero tanto che il mascara non mi sia colato.
La porta della villa si apre all’improvviso e il mio ometto ci raggiunge di corsa.
«Zia Serena! Zio Marco!», urla con il sorriso sulle labbra.
Marco lo prende al volo prima che mi salti addosso come al solito.
«Che cosa ti ha detto lo zio?», domanda il mio uomo baciandogli la guancia arrossata.
«Che non posso saltare in braccio a Serena perché il mio cuginetto sta crescendo nella sua pancia», risponde lui da bravo scolaretto.
«Sei bravissimo», gli dico arruffandogli i capelli.
A settembre ha cominciato la scuola elementare ed è entusiasta. Ogni volta che ci vediamo, mi deve raccontare che cosa ha imparato di nuovo e io mi incanto ad ascoltarlo, da zia orgogliosa quale sono.
«Posso farti le coccole, zia?», chiede educatamente lo squaletto.
«Certo che puoi, cucciolo». Marco lo allunga nella mia direzione e lo prendo in braccio. So che lui non vorrebbe che sollevassi pesi, ma non posso rifiutare le coccole di mio nipote, ne ho bisogno.
Daniele mi circonda il collo con le braccia e mi bacia la guancia con trasporto. Quanto adoro questo bambino!
«Sei la mia zietta preferita», mi dice all’orecchio e i miei occhi si riempiono di lacrime, tanto per cambiare. La mia emotività a volte mi fa davvero paura.
«E tu sei il mio cucciolo», gli sussurro con la voce strozzata.
«Ti voglio tanto bene». A quelle parole mi sciolgo completamente e le lacrime cominciano a scendere a fiumi. «Perché piangi, zia?».
«Perché sono felice», rispondo baciandogli la punta del naso. «Ti voglio un bene immenso».
Marco mi asciuga una guancia umida con le dita e mi sorride. Non so davvero che cosa farei se non ci fosse lui nella mia vita. Prendo dei bei respiri profondi, cercando di calmarmi e rendermi presentabile per il resto della famiglia. Faccio scendere a terra Daniele e lui mi prende per mano, accompagnandomi all’interno della villa. Marco è subito dietro di noi, ci segue silenziosamente.
La mia futura suocera ci intercetta non appena mettiamo piede in casa.
«Buon compleanno, Rossella», dico baciandole le guance arrossate. Avrà trascorso l’intera giornata in cucina, preparando manicaretti per l’intera famiglia. La invidio parecchio, io proprio non ci riuscirei. Probabilmente chiamerei una ditta di catering e spaccerei quelle pietanze per mie solo per fare bella figura con i miei commensali. Più il tempo passa, più mi rendo conto che non avrei mai potuto fare lo chef e nemmeno un aiuto cuoco qualsiasi. La cucina non fa davvero per me, non ci provo nemmeno a mettermi d’impegno, tanto riesco solo a combinare disastri.
«Grazie, tesoro», esclama lei stritolandomi in un abbraccio. Quando finalmente mi lascia andare, mi prende il viso tra le mani.
«Attacco ormonale improvviso?», chiede divertita osservando i miei occhi rossi e gonfi.
«Colpa di suo nipote», rispondo con un sorriso.
«Ci sono passata anch’io, è una cosa più che normale». Mi dà un buffetto sulla guancia e si concentra sul figlio.
«La mia giovane mamma». Marco sa come tenersi buone le persone quando serve. La signora Rossini gongola a quell’affermazione del suo bambino ed è una bellissima cosa.
«Sei sempre il solito adulatore», commenta lei baciandogli più volte la guancia.
«Questo è per te, da parte nostra». Le porge una piccola borsa di carta, dove all’interno si trova il pacchetto di una gioielleria. Marco ha voluto regalarle una spilla, che lei tanto adora indossare quando si veste a festa. Io l’ho aiutato a sceglierla: a forma di farfalla con dei brillantini che la rendono molto fine. Credo che le piacerà.
«Non dovevate», brontola lei stringendo i manici della borsina tra le dita. «Dovete pensare a risparmiare per vostro figlio ora».
Se solo sapesse che dovremo risparmiare il doppio. Non ho idea di come la famiglia di Marco possa prendere la notizia dei gemelli, sinceramente non ci ho pensato molto. Avevo altro per la testa, stavo pensando alla reazione dei miei.
«Tanto ci sarete voi a viziarl-». Do una gomitata sulle costole al mio uomo che mi guarda in cagnesco. So che gli sarebbe scappato, ormai abbiamo imparato a parlare al plurale. Se gli fosse scappato ora, sua madre avrebbe mangiato la foglia e noi vorremmo dirlo a tutti nello stesso momento. Non credo di poter sopportare di dirlo a ogni membro della sua uno per volta, collasserei prima.
«Questo è certo! Ho già cominciato a sferruzzare e ho pronti berrettini, copertine, scarpine», dice lei entusiasta.
Per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva. Marco mi massaggia la schiena, senza dire una sola parola.
«Colori neutri, ovvio, almeno finché non sapremo se sarà un maschietto o una femminuccia», continua lei con enfasi. È davvero felice di diventare nuovamente nonna e non vedeva l’ora di poter creare i suoi capolavori. Onestamente ho il terrore che possano essere delle oscenità incredibili. Mia madre aveva provato un po’ di tempo fa a farmi una sciarpa, ma appena me la fece vedere, mi venne un moto di disgusto parecchio accentuato. La lana sembrava caldissima, peccato che avesse scelto un colore decisamente assurdo e che non avrei mai indossato per nessuna ragione al mondo: fucsia! Non un rosa confetto, classico, che sta bene un po’ con tutto. Era un fucsia acceso, che se lo avessi indossato di notte, mi avrebbero visto a tre chilometri di distanza. Non l’avrei indossata nemmeno sotto tortura! Per fortuna alla fine si era stancata e la sua opera d’arte è rimasta incompiuta. Lì ho davvero temuto il peggio!
«Aspetta, ve li faccio vedere». La signora Rossini afferra la mia mano e mi accompagna in una piccola stanza vicino alla cucina.
«Qui tengo tutte le mie cose per fare a maglia», mi spiega con il sorriso sulle labbra.
Non vorrei rovinare questo suo entusiasmo proprio il giorno del suo compleanno, ricambio il sorriso, senza dire una parola.
Raccoglie una cesta da una piccola poltrona e la appoggia su una scrivania, o almeno credo che lo sia. Mi fa vedere un berrettino verde. Non è un colore obbrobrioso, è un verde smeraldo davvero stupendo. Mi passa poi un paio di calzine bianche, una copertina gialla davvero bellissima. Tengo strette al petto tutte quelle cose preparate con amore dalla futura nonna e comincio a piangere nuovamente. Lei si blocca all’improvviso, mentre cercava di porgermi un bavaglino ricamato a mano.
«Non ti piacciono?», domanda in ansia. Forse ha percepito in modo errato la mia reazione.
«Sono meravigliosi», rispondo tra i singhiozzi.
Prende tutte le cose che tengo ancora tra le mani e le rimette nella cesta, avvolgendomi poi in un abbraccio.
«Sono felice ti piacciano, tesoro». Mi accarezza dolcemente la schiena. «Shhh, tranquilla».
«Mi scusi, piango sempre per delle cose stupide», mugugno provando a darmi un po’ di contegno.
Mi porge un fazzoletto di carta, mi asciugo gli occhi e soffio il naso, cercando di non fare rumori troppo strani.
«Non ti scusare, è tutto a posto». Mi rassicura lei con un sorriso contagioso.
Mi volto alla ricerca di Marco, ma mi rendo conto che non ci ha seguiti. Ho bisogno di uno dei suoi abbracci per farmi passare tutta questa ansia.
 
°°°
 
Mia madre ha trascinato Serena nel suo regno dello sferruzzamento selvaggio e del ricamo, non fa proprio per me. Me la do a gambe prima che si rendano conto della mia assenza. Non muoio dalla voglia di vedere corredini fatti a maglia. Non metto in dubbio che possano essere belli, ma ne faccio volentieri a meno.
Raggiungo gli altri componenti della mia famiglia nella sala da pranzo. Mio padre sta mettendo delle bottiglie di vino rosso in tavola, mentre le mie sorelle stanno portando dei piatti da portata. I mie cognati sono sbracati sul divano e stanno guardando un programma sportivo. Le mie nipotine notano la mia presenza e mi corrono incontro, attaccandosi alle mie gambe e richiedendo la mia attenzione. Sono le uniche che si sono accorte che sono entrato nella stanza, a parte Daniele che era con me.
«Ciao sgorbietti!». Le spettino amorevolmente e loro mi lanciano un’occhiataccia. «Siete le mie principesse».
A queste parole, i loro volti si illuminano e mi tirano la giacca finché non mi abbasso alla loro altezza, sbaciucchiandomi tutto. È bastato poco per comprarmi nuovamente il loro affetto. Tengono molto ai loro lunghi capelli e averle spettinate è stato un affronto da parte mia. Loro mi vogliono bene lo stesso e questo è quello che conta.
«Ciao straniero!». Lucrezia si accorge finalmente di me e viene ad abbracciarmi. «È un po’ che non ti vedo».
«Sono sempre qui in azienda. Se vuoi vedermi, sai dove trovarmi», le dico pizzicandole la guancia. «Sorellina bella».
Lei sbuffa, baciandomi poi la guancia. Mi prende il mento con una mano e mi osserva attentamente.
«Da quanto tempo non ti radi?», domanda socchiudendo gli occhi.
«Qualche giorno, credo. Perché? Non ti piace il mio nuovo look?». Ho deciso di farmi crescere un po’ la barba, alla mia donna piaccio così, dice che sono più sexy. Voglio essere sempre al meglio per lei e, se a lei piaccio così, non capisco perché dovrei radermi tutti i giorni. Una rottura di palle in meno cui pensare.
«Ti stanno venendo i peli bianchi, non so se lo avessi notato». Come se non me ne fossi già accorto da solo, ma non me ne frega assolutamente. Sto invecchiando, e allora? Se non invecchiassi, sarebbe molto peggio! Non ho paura di mostrare i segni dell’età, non sono mica una donna che deve sempre dire di avere venticinque anni, anche quando ha già passato i cinquanta.
«E che problemi ci sono? A me piacciono i miei peli bianchi», borbotto cominciando a spazientirmi. Non mi piace quando cominciano a controllare quello che faccio. Sono grande abbastanza da sapere che cosa è meglio o no per me.
«Piacciono anche a Serena?», domanda dubbiosa. Crede davvero che alla mia donna non possano piacere?
«Domandaglielo a lei», rispondo allungando un braccio e afferrando al volo la mano della diretta interessata.
«Che cosa mi dovresti domandare?». Serena sembra confusa e non la biasimo. Non ha idea di che discorsi del cavolo stavo facendo con mia sorella. Anzi, che domande del cavolo mi stava ponendo la mia sorellina!
«Stavo facendo notare al tuo compagno che gli stanno venendo i peli bianchi e che con la barba lunga si notano. Mi stavo chiedendo se a te piacesse così». Lucrezia fa una smorfia. Se a lei non piace, non vuol dire che anche Serena la pensa allo stesso modo, non siamo tutti uguali.
«Mi piace da morire così», risponde l’amore della mia vita. Le sue guance diventano rosso fuoco in un baleno e io la stringo a me.
«Hai ottenuto quello che volevi?». Sfido Lucrezia con lo sguardo. «Devo piacere solo a lei. Tutto il resto del mondo non conta».
Mia sorella mi mostra la lingua e torna al tavolo imbandito. Mia madre nel frattempo ci ha raggiunti e ci fa accomodare tutti ai nostri posti.
Dopo aver mangiato gli antipasti, mio padre prende la parola. Mi sembrava davvero strano che nessuno finora ci avesse chiesto come fosse andata l’ecografia.
«Allora, com’è andata in ospedale l’altro giorno?», domanda guardando prima me e poi Serena. Lei comincia a muoversi nervosamente sulla sedia. Credo che dovrò prepararle una bella camomilla dopo questa giornata massacrante. Il problema sarà fargliela ingurgitare, considerando quanto lei odi tutte quelle bevande da malati.
«Ci hai solo detto che è andato bene, ma vorremmo saperne di più». Stavolta è mia madre a parlare, rivolgendosi a me.
«Glielo diciamo?», chiedo sommessamente a Serena, la quale si stringe nelle spalle e si fa piccola. Secondo me vorrebbe tanto trovarsi da tutt’altra parte in questo momento, e io con lei. Alla fine annuisce, passando un braccio intorno alle spalle di Daniele che aveva appoggiato la testa sul suo fianco, in cerca di coccole.
«Dirci cosa?». Mio padre comincia a preoccuparsi, lo percepisco dal suo sguardo
Prendo un bel respiro e poi, con un sorriso a trentadue denti, sgancio la notizia bomba. Immagino già le loro facce sconvolte.
«Aspettiamo due gemelli», esclamo alla fine guardando mio padre negli occhi.
Mia madre afferra il suo tovagliolo e comincia a sventolarlo davanti al viso.
«Gemelli?», sbotta mia sorella Chiara per poi prorompere in una fragorosa risata.
Inarco un sopracciglio e la guardo perplesso. Che cosa ci sarà di tanto divertente in tutto questo?
«Gemelli eterozigoti», specifica la mia donna prendendo in mano per un momento la situazione. Avrei voglia di lanciare un bicchiere di acqua fredda in faccia a mia sorella, magari la smette di fare la cretina.
«Che cosa vuol dire?», chiede Daniele con la sua sana curiosità.
«Vuol dire che dentro la mia pancia stanno crescendo due cuginetti», gli spiega con dolcezza. Mio nipote si illumina all’improvviso e comincia a sorridere felice. «Due cuginetti maschi con cui giocare con le macchinine!».
Mi copro gli occhi con una mano e scuoto la testa. Se dovessero essere due femmine, ci sarebbero un sacco di persone deluse dentro e fuori la mia famiglia.
«Non è detto che siano maschi», continua Serena con pazienza. «Potrebbero essere anche due bambine, oppure una femminuccia e un maschietto».
Daniele mette il broncio. «Uffa, pensavo già di avere qualcuno con cui giocare».
«Ci sarà comunque», gli fa notare posandogli un bacio tra i capelli.
Mia madre si sta ancora facendo aria con il tovagliolo, lo sguardo perso nel vuoto.
«Devo raddoppiare i miei lavori», esclama all’improvviso facendo voltare verso di lei l’intera tavolata.
Che lavori dovrebbe raddoppiare? Non credo di comprendere quello che sta dicendo, ma non credo nemmeno di essere l’unico. Tutti la stanno guardando come se avessero un grosso punto interrogativo impresso in fronte.
«Che stai dicendo, Rossella?». Mio padre è il primo a voler sapere che cosa sta dicendo la moglie. Magari crede che sia uscita di senno dopo aver saputo questa notizia.
Mia madre sbatte ripetutamente le ciglia e un sorriso appare sulle sue labbra. «Altri berrettini, scarpine, copertine. Ci sono molte cose cui pensare ora. Due nipotini in più da viziare».
Mio padre inarca un sopracciglio e sbuffa.
«Queste sono solo cazzate, ci sono cose più serie cui pensare», borbotta scacciando l’idea di mia madre con una mano, come se non avesse alcuna importanza. La signora Rossini non gradisce il comportamento del marito, ma fa finta di niente.
«Per esempio?», chiede Lucrezia perplessa.
«L’appartamento non va bene per voi. Avrete bisogno di più spazio», risponde versandosi un altro goccio di vino, sotto l’occhio attento di mia madre che gli abbassa la bottiglia in modo da evitare che se ne versi troppo.
«Su questo, papà ha ragione», commenta Chiara mandando giù un boccone di pane. «Non avete nemmeno una stanza per i bambini e non va bene. Ci vorrebbe almeno un trilocale».
Mio padre sembra assorto in mille pensieri e sorseggia lentamente il vino dal suo calice. Quando lo appoggia nuovamente sul tavolo, mi rivolge uno sguardo deciso.
«Vorrei che andaste a vivere nella casa sul lago», esordisce a un tratto, lasciandomi completamente senza parole.
Mia madre aggrotta la fronte e poi anche lei mi guarda attentamente. «Per voi sarebbe perfetta e almeno non andrebbe in disuso. Ormai non ci va più nessuno».
Serena si volta verso di me, sembra alquanto stupita e non sa che cosa dire.
«Solo se va bene anche alle tue sorelle. Quella casa è intestata a tutti e tre, siete voi che dovete decidere cosa farne», aggiunge mio padre rivolgendosi anche a Chiara e Lucrezia.
«Non possiamo accettare, cercheremo qualcosa in zona». La voce di Serena arriva flebile, e non credo che l’abbiano sentita in molti.
Le mie sorelle si stanno parlando silenziosamente, solo attraverso sguardi che capiscono solo loro. Hanno sempre avuto quel dono e io ne facevo sempre le spese. Non ho mai capito come facessero a capirsi al volo senza nemmeno dire una parola.
«Non dire stupidaggini. È vostra, a noi non serve». Lucrezia si alza e si mette dietro di noi, posando le mani sulle nostre spalle. «Non abbiamo bisogno di quella casa e a voi serve più spazio. Due bambini non sono facili da gestire, contemporaneamente poi penso sia anche peggio».
«Grazie, sei molto rassicurante», brontolo roteando gli occhi.
Lo sappiamo benissimo anche noi che due figli sono una grande responsabilità, non abbiamo bisogno che ce lo ricordino tutti. Non abbiamo mica fatto apposta a concepire i gemelli, è successo e basta e faremo tutto il necessario per crescerli al meglio.
«Scusa, volevo solo che lo sapessi». Alza le mani in segno di resa e se ne torna al suo posto.
«Comunque, sul serio, la casa è vostra, se la volete», continua mia sorella Chiara. «Senza obblighi o costrizioni. Pensateci su, avete qualche mese per prendere una decisione».
Chiara mi sorride e io ricambio con gratitudine. È bello che ci abbiano offerto la casa sul lago, ma non so se a Serena piacerebbe vivere lì. Troppe cose cui pensare oggi e la testa comincia a scoppiarmi. Non vedo l’ora che questa giornata finisca, così potrò starmene un po’ da solo con la mia donna e potrò parlare in santa pace con lei, senza nessuno che possa commentare e dire la sua ogni due secondi.
«Vi ringrazio, ci penseremo», dico alla fine. Stamattina la mia futura suocera, stasera loro: non c’è proprio verso di stare tranquilli cinque minuti oggi. E, per non farci mancare niente, mia madre lancia la domanda che tutti noi temevamo.
«Quando avete deciso di sposarvi?».
E ora? Serena ed io non volevamo parlare di questa cosa. Le nostre madri non vedrebbero l’ora di organizzare il nostro matrimonio, ma noi vogliamo fare di testa nostra. No, rimaniamo sulla nostra idea principale: non dire niente fino a data da destinarsi. Lo diremo a tutti a tempo debito e non sarà certamente questa sera.
«Non abbiamo ancora deciso una data. Appena lo sapremo, sarete i primi a cui lo diremo». Mento spudoratamente, un sorriso fa capolino sulle mie labbra e tutti credono alle mie parole.
Serena posa una mano sulla mia e la stringe appena, come segno di ringraziamento per non aver detto niente.
«Almeno dicci se volete sposarvi prima o dopo la nascita dei bambini». Mia madre mi sta implorando con lo sguardo, ma io non cederò.
«Non lo sappiamo ancora». Serena prende la parola e partecipa anche lei a questo scambio di battute. «Dobbiamo ancora pensarci».
Mi sorride e io non posso far altro che ricambiare felice. Afferro la sua mano, portandomela alla bocca e baciandone il palmo.
La mia famiglia ha la decenza di non aggiungere altro, decidendo di sorvolare sull’argomento e parlando di qualsiasi altra cosa. Serena non ha bisogno di ulteriore stress, deve stare tranquilla, per il bene di tutti. Dopo aver mangiato la torta e aver fatto più di un brindisi, noto che comincia a lasciarsi andare: le sue guance hanno perso ogni traccia di colore e comincia a sbadigliare, è stanchissima. La accompagno sul divano e la aiuto ad appoggiare i piedi sul tavolino. Chiude gli occhi, addormentandosi un istante dopo. La copro con una copertina di pile che trovo tra i cuscini e le bacio la fronte. Daniele ci raggiunge e la osserva attentamente, anche lui è stravolto.
«Vuoi dormire qui con la zia?», gli domando sommessamente per non rischiare di svegliare la mia donna.
Lui annuisce stropicciandosi gli occhi. Si sistema accanto a lei e posa la testa sulle sue gambe. Serena si sveglia giusto il tempo di accorgersi della presenza del piccolo, gli accarezza dolcemente i capelli, prima di rimettersi a dormire. Copro anche mio nipote con un’altra coperta. Le dita di Serena stanno carezzando la guancia di Daniele e lui si stringe di più a lei. Sono così teneri insieme. Sono certo che sarà una madre meravigliosa, nonostante lei abbia paura di non esserlo.
Mia madre mi raggiunge, mettendosi accanto a me e osservando anche lei quella scena.
«Daniele adora Serena», dice a bassissima voce.
«La cosa è reciproca». Le faccio notare osservando le dita della mia donna che sfiorano il viso di mio nipote.
La mia genitrice si aggrappa al mio braccio e mi trascina in un angolo più tranquillo, facendomi sedere su una poltrona accanto alla vetrata che dà sul giardino. La osservo confuso, non ho idea di che intenzioni abbia. Lei prende un bel respiro e poi si accomoda sul bracciolo, afferrandomi una mano e mettendosi a giocare con le mie dita.
«Volevo solo dirti che sono orgogliosa dell’uomo che sei diventato», comincia con un filo di voce. Si volta verso di me e mi carezza dolcemente i capelli. «Hai scelto una compagna di vita perfetta per te e state per diventare genitori. Non è un compito semplice, ma sono convinta che ve la caverete alla grande. Noi ci saremo sempre per voi, qualunque cosa voi abbiate bisogno».
Mi sorride, baciandomi poi il capo.
«Pensateci bene per la casa. È vostra, se a voi piace. Penseremo noi a sistemarla, non vi dovreste preoccupare di niente».
Detto questo, si alza e torna dal resto della famiglia.
Mi è sempre piaciuta quella casetta in riva al lago, da piccolo mi piaceva sedermi fuori in giardino e guardare le barche passare. Mi divertivo a contarle e mi immaginavo su una di esse, il vento che mi scompigliava i capelli. Se fosse per me, avrei detto immediatamente di sì all’offerta dei miei, ma non posso decidere io per entrambi. Sono decisioni importanti e dobbiamo prenderle insieme, voglio prenderle insieme, è giusto che sia così in una coppia. Magari a lei non piace vivere in riva al lago e preferisce la città. A me non importa dove andremo, la cosa più importante è che lei sarà con me, tutto il resto passa in secondo piano.
Osservo la mia donna dormire appoggiata a un morbido cuscino che mia madre le ha sistemato sotto la testa nel passare. Daniele si è girato e ora la sta quasi abbracciando. Mi sciolgo letteralmente a quella vista e immagino i miei tre amori stretti l’uno all’altra che dormono tranquilli. Al solo pensiero mi sento pizzicare gli occhi e il cuore mi si riempie di gioia: non vedo l’ora di scoprire il sesso dei gemelli e, ancora di più, muoio dalla voglia di stringerli fra le mie braccia e dire loro quanto li amo.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Bene, eccoci qua con la seconda parte di questa domenica convulsa! Possiamo dire che anche la famiglia di Marco ha preso bene la notizia. Sono perfino disposti a dar loro una casa più grande. I nostri piccioncini accetteranno? Vedremo :) A chi era mancato Danielino bello? A me tantissimo! Lui è sempre un amore, non c'è niente da fare. Serena e gli ormoni impazziti: lacrime a fiumi! Martedì prossimo faremo la conoscenza di due nuovi personaggi... positivi o negativi? Lo scopriremo presto!
Un grazie immenso a tutti voi che passate di qui, che leggete, commentate... mi rendete felice!
A martedì :)
Un bacione,
Ire


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 4
*** Novità nell'aria ***



 
 

Capitolo Quattro

Novità nell'aria



 
Luca è passato a prendermi all’alba stamattina. Alzarmi dal mio letto caldo è stato davvero un trauma, peggio di una secchiata di acqua gelata in testa. Marco mi ha preparato la colazione e mi ha fatto compagnia finché non sono scesa dal mio migliore amico. Non so se poi sia riuscito a dormicchiare ancora una po’, ma almeno poteva benissimo farlo, visto che non ha mai urgenza di cominciare a lavorare presto, nonostante sia sempre uno dei primi ad arrivare in azienda.
Salgo in macchina con la bocca spalancata in un poco elegante sbadiglio.
«Tesorino mio bello, ti ho visto perfino le tonsille», commenta lui baciandomi la guancia.
«Impossibile, non le ho più. Me le hanno tolte a quattro anni». Gli faccio notare allacciandomi la cintura. Quando mi volto verso di lui, mi sta fissando con un sopracciglio inarcato.
«Che c’è?», sbotto gesticolando con una mano e facendola ricadere sul mio grembo un istante dopo.
«Era per dire, non serviva che approfondissi la questione. Ora magari mi dirai che sei stata operata di appendicite e che».
«A sedici anni». Lo interrompo mordendomi l’interno della guancia per non ridere.
Lui sbatte le ciglia, le labbra arricciate e dal suo sguardo percepisco la sua voglia di picchiarmi, facendomi molto male.
«Dai, sentiamo. Che cosa vorresti insinuare con questa tua entrata nel mio discorso?», chiede mettendo in moto, tornando un secondo dopo a fissarmi.
«Stavo solo dicendo che a sedici anni sono stata operata di appendicite», rispondo stringendomi nelle spalle.
Luca socchiude gli occhi e sbuffa. Gli prendo il viso tra le mani e gli spappolo la mascella.
«Mamma mia, quanto sei bello quando fai lo scontroso con me», gli dico all’improvviso. Lascio andare le sue guance e lo abbraccio di slancio, per quanto possibile essendo legata dalla cintura. «Ti voglio talmente tanto bene, patato mio».
«Ancora con questo patato». Sospira e poi si lascia andare tra le mie braccia, ricambiando la stretta. «Tu sei il mio panzerotto ripieno».
«Panzerotto ripieno?», ripeto ridacchiando.
«Eh sì, cucciola». Si stacca da me e mi bacia la guancia. «Non hai idea di quanto ti adoro, mio bel panzerotto».
Ridiamo entrambi come dei pazzi, decidendo poi di darci una mossa. Di questo passo arriveremo tardi al lavoro e, sinceramente, non ho alcuna voglia di sentire le lamentele di Mirco. Dovermi sorbire un nuovo tirocinante non è nelle mie massime aspirazioni, ma non posso sottrarmi a questa tortura. Se non ci saranno complicazioni, avrò ancora qualche mese di lavoro davanti a me, prima di poter andare in maternità e vorrei trascorrerli in santa pace. 
Il nostro responsabile ci attende all’interno del negozio, assieme a lui c’è una ragazzina minuta. A vederla da lontano non sembra avere più di vent’anni. Luca, al mio fianco, fa una smorfia: credo avesse sperato in un bell’esemplare di uomo testosteronico da addestrare, ma gli è andata decisamente male.
«Ragazzi, lei è Sara, la vostra nuova collega». Mirco ci presenta alla ragazzina spaventata.
Lei ci saluta timidamente con la mano, sorridendo a stento nella nostra direzione. Le manca sicuramente la spavalderia di Luca, anche un po’ di sicurezza. La giovane età di sicuro non la aiuta.
«Loro due sono Luca e Serena. Ti seguiranno per un po’ e per qualsiasi dubbio rivolgiti pure a loro», continua lui imperturbabile. Se ne sta lavando completamente le mani, tocca a noi correrle dietro. Non vedevo davvero l’ora che questo accadesse!
Quelle sono state le sue uniche direttive, ci saluta e se ne va al bar a fare colazione. Grazie tante, Mirco!
Sara gioca nervosamente con la collanina che ha allacciata al collo, evitando volutamente di guardarci negli occhi. Luca inarca un sopracciglio e schiocca rumorosamente la lingua.
«Bene, bene, bene». È lui il primo a rompere il silenzio. «Quanti anni hai Saretta?».
Lei alza lo sguardo e aggrotta la fronte.
«Ne ho ventotto», risponde stringendosi nelle spalle.
«Ventotto?», ripete il mio migliore amico incredulo. Spalanca appena la bocca e si avvicina a lei, squadrandola senza alcun ritegno. La ragazza indietreggia di un passo, non appena Luca oltrepassa il limite.
«Luca, la stai spaventando». Lo rimprovero io scuotendo la testa.
Lui scaccia quell’idea assurda con un gesto secco della mano, senza degnarmi di uno solo sguardo.
«Ne dimostri sì e no venti», continua lui allontanandosi da lei e lasciandola respirare.
Non vorrei essere nei panni di Sara in questo momento. Quando Luca comincia con questo atteggiamento da curioso incallito, è davvero difficile farlo smettere e se non ci sei abituato, riesce a metterti non poco in soggezione. È quello che sta succedendo alla poveretta.
«Vuoi vedere la mia carta d’identità?», chiede lei con voce tremante. Non è che la sua età sia un dato di vitale importanza! Se dimostra meno anni di quelli che in realtà ha, buon per lei. In questo momento io ne dimostro almeno cinque o sei in più: le occhiaie e il colorito spento non mi aiutano a sembrare una giovincella.
«Beh, a dirla tutta, sarei davvero curioso di vederla», dice lui serio.
Io roteo gli occhi e blocco Sara prima che estragga i documenti dalla piccola borsa che tiene a tracolla.
«Non serve, ci fidiamo sulla parola». Le sorrido per poi colpire il mio migliore amico con un pugno sul braccio. «Tu devi smetterla di rompere le scatole alla gente».
«Ahi!». Lui si massaggia il punto dove l’ho appena sfiorato. «Tu, invece, devi smetterla di colpirmi a tradimento».
Mi guarda risentito per poi scoppiare a ridere un attimo dopo.
«Scusalo, è nato cretino e morirà tale». Mi rivolgo a Sara con un sorriso sghembo e lei ricambia timidamente.
«Nessuno crede che io sia più vicina ai trenta che ai venti», ammette lei stringendosi nelle spalle.
«È una cosa positiva, fidati». Le strizzo l’occhio.
Un conato di vomito mi investe all’improvviso, un’acidità di stomaco incredibile mi fa portare una mano alla bocca. Mi scuso con un cenno e corro in bagno. Quanto odio questi attacchi improvvisi! Spero che la nausea mi passi prima o poi, non vorrei dovermela trascinare per tutti i nove mesi, mi sparo prima! Mi risciacquo il viso con l’acqua ghiacciata e comincio a sentirmi un po’ meglio. Sento la porta chiudersi dietro di me e dal riflesso allo specchio vedo Sara che mi osserva con cipiglio preoccupato.
«Stai bene?», domanda avvicinandosi lentamente.
Annuisco asciugandomi le mani su una salvietta di carta.
«Sono solo incinta», le spiego in un sospiro. «Di due gemelli».
«Oh». Sono le uniche due sillabe che escono dalla sua bocca, lo stupore sul suo viso è alquanto evidente.
«Fra un po’ diventerò una balena». Scoppio a ridere da sola dopo la mia affermazione. Arriverà un giorno che non riuscirò più a vedermi la punta dei piedi, ne sono certa. Allora non mi verrà certamente da ridere.
«Allora sei tu che dovrò sostituire quando andrai in maternità», mormora quasi avesse paura di esternare i suoi pensieri.
Ecco perché il nuovo arrivo, mi stanno già mettendo in panchina. Che amarezza.
«Credo proprio di sì. Sono l’unica in dolce attesa in questo posto». Le parlo dolcemente, cercando di non farla sentire in colpa per questa situazione. Non mi cacciano mica, mi devo prendere solo una pausa e hanno bisogno di personale in mia assenza, è giusto che sia così.
Sara mi sembra una ragazza in gamba, nonostante questa sua timidezza che la blocca non poco, a mio parere. Secondo me migliorerà passando un po’ di tempo con Luca, oppure peggiorerà. In effetti bisogna tenere conto anche questa possibilità.
«Vieni, torniamo da Mr acidità e cominciamo a spiegarti qualche cosetta». La prendo sotto braccio e la trascino nel negozio.
Luca ci sta aspettando appoggiato a uno scaffale, sta mandando un messaggio con il cellulare, ridendo da solo. Starà sicuramente parlando con Alex, come se non si vedessero da secoli.
Un istante dopo anche il mio cellulare comincia a vibrare nella mia tasca dei pantaloni. Lo estraggo pensierosa e osservo il display: Marco mi sta chiamando. Stavo per prendere in giro il mio migliore amico, ma a questo punto non posso più farlo.
«Ciao amore», rispondo allontanandomi di qualche passo e nascondendomi dietro uno scaffale.
«Ciao Flounder. Volevo solo sapere come stavi». Il mio uomo si preoccupa per me, anche se sono uscita solo mezzora fa di casa.
«Ho appena buttato fuori anche il pasto della Cresima, ma ora sto molto meglio, grazie», gli dico ridacchiando.
«Hai preso l’antiacido?», chiede in ansia.
«È nella borsa», rispondo grattandomi la testa. Almeno spero di averlo nella borsa, non mi ricordo assolutamente se l’ho messo dentro. «Non ti preoccupare, sto bene».
«Come faccio a non preoccuparmi?», borbotta sbuffando un istante dopo.
«Manca ancora qualche mese al parto, amore. Se sei così apprensivo adesso, non so come diventerai più avanti». Lo prendo in giro io bonariamente.
Cerco di non far trapelare tutto il mio nervosismo. Non mi dispiacciono le sue attenzioni, ma a volte sono fin troppo eccessive e mi sembra di soffocare. Sono incinta, non sono in fin di vita! Mi manca l’aria quando mi controllano più del dovuto. Devono tutti capire che sto bene e che non mi devono alitare sul collo ventiquattro ore su ventiquattro, altrimenti potrei impazzire e non credo che loro vogliano che questo accada.
Prendo dei bei respiri profondi e butto fuori lentamente l’aria, cercando di non farmi sentire da Marco.
«Se vuoi smetto di preoccuparmi per te». Il suo tono risentito mi fa scuotere la testa. Non ho alcuna voglia di stare dietro a queste cavolate e non mi scuserò per la risposta che gli ho dato.
«Non ho detto questo», sbotto alla fine esasperata. Non avevo intenzione di urlare, ma mi sta facendo girare le scatole e io devo tornare al lavoro. Sono suscettibile, lo so, forse più di quanto lo sarei stata se non fossi incinta, ma non posso farci molto. Se non gli va bene così, se la farà andare bene per forza.
«Scusami, devo lavorare». Gli metto giù il telefono prima che possa aggiungere altro.
Mi appoggio con la schiena sullo scaffale e scoppio in lacrime, tanto per cambiare. Luca si presenta immediatamente al mio fianco e mi avvolge in un abbraccio.
Lo scanso via con forza e scappo in bagno. Non ho voglia nemmeno di sentire dal mio migliore amico quanto sono idiota a trattare quel sant’uomo in questo modo. Come se il santo fosse solo lui per sopportare me! Lui non ha idea di come possa essere scontroso Marco quando è nervoso per qualcosa. Tanto quella problematica sono io, sono sempre stata io. Ho voglia di mettermi a gridare, di andarmene da questo posto e non vedere nessuno per un po’. Stare da sola con i miei pensieri, senza che nessuno mi dica come dovrei comportarmi nelle mie condizioni.
Mi appoggio con entrambe le mani al lavandino e prosciugo tutte le mie lacrime.
«Tutto bene?», chiede una voce tremante alle mie spalle.
Credevo che Luca mi avrebbe seguito fin qui, ma ha avuto la decenza di starsene alla larga. Molto meglio per lui, o lo avrei mangiato vivo.
Incontro lo sguardo preoccupato di Sara attraverso il riflesso dello specchio e annuisco appena.
«Hai il ragazzo?».
Lei mi osserva aggrottando le sopracciglia. Ha ragione, questa mia domanda non aveva alcun senso, per lo meno non per lei.
«Ho bisogno di staccare il cervello e un po’ di gossip potrebbe fare al caso mio». Le spiego con un sorriso sghembo sulle labbra. Di recente ho scoperto che leggere certe riviste mi fa spegnere la mente e smetto di farmi mille paranoie.
Sara si porta una ciocca dei suoi lunghi capelli corvini dietro l’orecchio e sembra pensare sul da farsi. Il bagno delle ragazze è il luogo perfetto per parlare di certi argomenti, come si faceva a scuola.
«Nessun ragazzo al momento», risponde alla fine.
«Per caso o per scelta?», continuo io per farmi gli affari suoi.
«Diciamo per scelta del mio ex. Mi ha lasciata una settimana fa, dopo sei anni che stavamo insieme», mi racconta Sara con gli occhi lucidi.
Non volevo rattristarla, che stupida sono stata! Le lacrime tornano a fare capolino agli angoli dei miei occhi.
«Mi dispiace», le dico tirando su con il naso.
«Non dovresti. È stato meglio così credimi, io sto bene». Mi rassicura con un sorriso. «Tutti mi avevano messo in guardia su quanto fosse stronzo, ma sai, quando si è innamorati, i difetti di una persona passano in secondo piano, soprattutto all’inizio. Avrei dovuto lasciarlo molto tempo fa, ma avevo paura di rimanere sola. Mi ha fatto solo un favore».
«Sei anni sono tanti», mugugno asciugandomi gli occhi con le mani.
Sara estrae un pacchetto di fazzoletti di carta dalla tasca dei pantaloni e me lo porge. La ringrazio con un cenno del capo.
«Lo so, sono tanti e sono sembrati infiniti con lui. Era geloso e possessivo, non mi lasciava uscire con le mie amiche, le quali si sono allontanate da me e non ho più sentito per tutto questo tempo».
Io se avessi avuto un uomo del genere, lo avrei cacciato a calci nel sedere. Anche Marco è geloso, è giusto che ce ne sia un pizzico in una relazione, vuol dire che si tiene all’altra persona. È quando comincia a diventare eccessiva che cominciano i problemi.
«Dovresti riallacciare i rapporti con loro». Le consiglio dopo essermi soffiata il naso su un fazzoletto di carta che mi ha offerto.
Lei si stringe nelle spalle e arriccia le labbra. «Non lo so. Sono cambiata molto in questi anni e non credo di poter ricominciare con loro come se non fosse successo niente. Mi hanno lasciata sola e forse non erano queste grandi amiche come volevano farmi credere. Credo che dovrò ricominciare da capo».
Mi si stringe il cuore a sentire queste cose. Come possono averla lasciata sola in un momento di bisogno? I miei amici avrebbero fatto qualsiasi cosa per starmi accanto e probabilmente avrebbero preso a calci un individuo del genere. Persone come lui non sono degne di essere chiamate uomini.
«Mi sembra una buona cosa. Ora hai una nuova amica, se ti va ovviamente». Mi fa tantissima tenerezza e voglio tenerla sotto la mia ala protettiva, ha davvero bisogno di qualcuno che la faccia tonare a vivere.
«Mi andrebbe moltissimo». Una lacrima solitaria si fa strada sulla sua guancia. «Grazie Serena».
«Prima di ringraziarmi dovrai fare i conti con Luca e lui è un gran rompiscatole», le dico scoppiando a ridere.
«Credo di potercela fare». Si unisce alla mia risata.
Oggi ho un’amica in più e ora la tartasserò con un milione di domande per sapere tutto di lei.
 
°°°
 
Lancio il telefono sopra il tavolino e mi siedo sul divano, nascondendo il viso tra le mani. È difficile avere a che fare con una donna incinta e Serena sembra peggiorare ogni giorno che passa. Non lo so, forse sono io che sono stressato, al lavoro è un gran casino in questi giorni e sto impazzendo. Non ho detto niente a Serena per non preoccuparla, così facendo, però, tengo tutta l’ansia dentro e ho paura di scoppiare un giorno o l’altro. Non avrei mai voluto risponderle in quel modo al telefono, ma io mi preoccupo davvero per lei e per i nostri figli. Forse la sto pressando un po’ troppo, non lo so. Voglio solo il meglio per loro e vorrei che lo capisse. Forse dovrei lasciarle un po’ di spazio ed evitare di chiamarla ogni cinque minuti per sapere come sta, rischierei di peggiorare soltanto la situazione, è davvero l’ultima cosa che vorrei.
Mi alzo diretto in bagno, riempio le mani di acqua fredda e mi bagno il viso, sbuffando aria a più non posso. Sono stanco, avrei bisogno di una bella dormita e non ho alcuna voglia di andare a lavorare in azienda, soprattutto oggi. Arriverà uno nuovo che mi aiuterà in ufficio e io non ho assolutamente voglia di corrergli dietro. È stato mio padre a volere che ci fosse un’altra persona ad affiancarmi, in modo tale da alleggerirmi il lavoro. Dovrei esserne contento, ma non lo sono affatto. A me piace cavarmela da solo: forse da questo punto di vista assomiglio fin troppo a mio padre. Non so nemmeno se sarà un uomo o una donna, il capo indiscusso non mi ha detto assolutamente niente. Mi prospetta una giornata d’inferno.
Appena arrivo a casa dei miei, vado a salutare mia madre.
«Ciao amore». Mi bacia la guancia e mi regala un sorriso rassicurante.
«Ciao mamma», saluto con pochissimo entusiasmo, ma lei sembra non accorgersene.
«Ti preparo un caffè?», chiede gentilmente andando al lavabo e appoggiandoci all’interno una tazzina sporca.
«No, grazie. Sono già abbastanza nervoso di mio», rispondo con una smorfia. «Non vorrei peggiorare la situazione».
Mia madre si appoggia con la schiena al mobile della cucina e mi osserva a braccia conserte, le labbra arricciate.
«Che succede? Perché sei così nervoso?», domanda senza staccarmi gli occhi di dosso.
«Un insieme di cose, credo», rispondo in un sospiro. Sposto una sedia e mi accomodo, appoggiando il gomito sul tavolo.
«Serena ti sta facendo diventare matto?». Un sorriso sghembo appare sulle sue labbra.
«Un po’, ma non è tutta colpa sua». Non potrei darle la colpa di tutto il mio malessere, non sarebbe giusto e non sarebbe nemmeno la verità.
«Dovreste prendervi un fine settimana solo voi due, da qualche parte. Siete stressati entrambi, è normale, e la gravidanza sicuramente non aiuta. Noi donne possiamo diventare intrattabili quando cominciano a parlare gli ormoni impazziti».
L’idea di mia madre non è male, ma non so se Serena abbia voglia di andare da qualche parte nelle sue condizioni.
«Mi ha attaccato il telefono in faccia prima». Le racconto fissando il muro davanti a me, ho bisogno di sfogarmi con qualcuno.
«Che cosa le hai detto per farla arrabbiare?». Mia madre si siede accanto a me e mi accarezza delicatamente il braccio.
«Forse sono solo un po’ troppo apprensivo. Il fatto è che mi preoccupo per lei e a lei sembra dare fastidio», mugugno deglutendo a vuoto.
«Non le dà fastidio che tu ti preoccupi per lei, le dà fastidio che tu la tratti come se fosse malata», cerca di spiegarmi con dolcezza.
«Ma io…», comincio, ma le parole mi muoiono in gola.
Mia madre ha ragione, la tratto come se fosse malata e lei non lo è. Che stupido sono stato!
«Noi donne siamo complicate». Mi bacia la fronte ed esce dalla cucina, lasciandomi da solo a rimuginare sulle sue parole.
Dovrò imparare a lasciarle i suoi spazi, sarò sempre presente, ma non le toglierò il respiro. Potrà sempre contare su di me, in ogni momento. Stasera le parlerò dell’idea di mia madre di andare da qualche parte. Forse abbiamo davvero bisogno di staccare un po’ la spina, questi ultimi mesi sono stati davvero pesanti e mi sembra di aver fatto un milione di giri sulle montagne russe: sono frastornato, stanco e con lo stomaco in subbuglio! Cambiare aria farà proprio al caso nostro. Spero che anche Serena la pensi come me.
«Che cosa ci fai ancora qui?». Mio padre mi si piazza davanti all’improvviso. Mi stava tendendo un’imboscata? Non lo avevo nemmeno sentito entrare in cucina.
«Mi stavo per alzare. Stavo parlando con la mamma fino a due minuti fa». Mi giustifico, anche se non dovrei. Che diritto ha di riprendermi in questo modo? Non devo mica timbrare il cartellino per entrare in ufficio e non sono nemmeno in ritardo. Anzi, credo di essere sempre il primo ad arrivare, non ha davvero niente da recriminarmi.
«Due minuti a fissare il muro? Alla tua età ero già a correre tra le vigne a quest’ora», tuona infastidito.
Mi sta dando del fancazzista e non lo tollero.
«Se ti dà tanto fastidio il mio comportamento, cacciami. Di lavori migliori di questo ne trovo quanti ne voglio», sbotto alzandomi di scatto dalla sedia che per poco non cade a terra.
Mio padre non si muove di un passo dalla sua posizione autoritaria. Gli volto le spalle ed esco a passo spedito da quella stanza. Che cosa vuole da me? Non gli bacerò i piedi, non farò quello che mi obbliga di fare: deve mettersi bene in testa che io non sono lui e non ragiono al suo stesso modo. I suoi erano altri tempi, le cose sono cambiate, tutto si è modernizzato, ma lui è rimasto all’anteguerra! Chi glielo spiega che lui certe cose non le potrà mai capire, in quanto di una generazioni in cui i computer nemmeno esistevano? Sono stanco di essere trattato come un cretino, non me lo merito. Ci sto mettendo cuore e anima nella nostra azienda, ma forse per lui non è abbastanza, dovrò metterci pure il sangue! Quello non lo avrà mai, questo è poco ma sicuro.
Raggiungo il mio ufficio a tempo di record e mi chiudo la porta alle spalle. Se il buon giorno si vede dal mattino, questa sarà sicuramente una giornata di merda! Mi siedo alla scrivania e poso la fronte sul legno freddo. Non ce la posso fare.
Estraggo il telefono dalla tasca dei pantaloni e fisso la schermata nera. La tentazione di chiamare Serena è fortissima, ma mi trattengo, non vorrei essere mandato letteralmente a quel paese. Sblocco la schermata e sfoglio le nostre foto, mi perdo a osservare il suo viso sorridente. E se non fosse più felice con me? Se il mio comportamento la stesse allontanando da me? Al solo pensiero, il mio stomaco si chiude e un macigno mi si piazza proprio in mezzo allo sterno, togliendomi il respiro. Non potrei mai sopportare di perderla per delle sciocchezze, ho bisogno di lei nella mia vita.
Qualcuno bussa alla porta del mio ufficio, facendomi sospirare. Non ho voglia di vedere nessuno in questo momento, ma non posso sottrarmi ai mie doveri. Non sono così stupido come crede mio padre.
«Avanti», dico cercando di darmi un contegno, non posso farmi trovare qui a frignare come un adolescente.
Mio padre entra un istante dopo, seguito da un ragazzo vestito in giacca e cravatta. Dimostra venticinque anni, sbarbato, capelli corti e ben curati, l’aria da strafottente non mi piace nemmeno un po’.
«Marco, lui è Leonardo. Da oggi ti aiuterà con tutte le scartoffie». Mio padre fa le presentazioni e a me viene voglia di sputare in un occhio a entrambi. Il nuovo arrivato mi sta sulle palle, non so nemmeno io perché. Diciamo che mi sta sui coglioni a prescindere.
«Leonardo, Marco sarà il tuo capo. Sarà lui a dirti quello che devi fare. Ora vi lascio a fare conoscenza». Il vecchio traditore se ne va, lanciandomi un’occhiataccia prima di chiudere la porta non appena uscito.
«Accomodati», gli dico indicando la sedia di fronte a me.
Lui esegue senza battere ciglio, un sorrisetto furbo si forma sulle sue labbra. La voglia di colpirlo con un pugno sta aumentando a vista d’occhio. Non mi è mai piaciuto quel genere di persone. Lo so che non ha ancora aperto bocca, ma lo sento a pelle e sono certo che questo piccolo bastardo mi darà del filo da torcere.
«Devo darti del tu o del lei?», chiede intrecciando le dita sopra la mia scrivania.
Io mi farei dare del voi, ma non ho voglia di fare lo stronzo in questo momento.
«Dammi pure del tu», rispondo alla fine, con tono serio e professionale ovviamente. «Non credo di avere molti più anni di te».
Il ghigno che appare sul suo viso mi fa venire la pelle d’oca. Dove diavolo ha tirato fuori questo bamboccio mio padre?
«Ne ho appena compiuti ventiquattro». Odio, odio profondo. Ho come la netta sensazione che mi stia prendendo per il culo e che mi ritenga un vecchio babbione.
«Dodici non sono un’infinità», commento io aggrottando la fronte. «Come sei capitato qui da noi?».
Spero che a mio padre si fosse inceppata qualche rotella quando ha scelto questo sbarbatello per aiutarmi qui in ufficio. Non avevo assolutamente bisogno di un borioso ventenne che si crede il re del mondo. Spero abbia superato svariati colloqui e che non sia il primo bambinetto che ha incontrato per strada.
«Mio nonno è grande amico di tuo padre e gli ha chiesto un favore. Così eccomi qui».
Ora si spiegano molte cose, moltissime cose. Da quando in qua si fanno questo genere di favoritismi nella nostra azienda? Mi sembrava strano di non aver potuto avere voce in capitolo a riguardo. L’azienda è anche mia e avrei potuto scegliermi da solo il collaboratore che preferivo. Questa cosa mi puzza, molto anche. C’è qualcosa che non mi torna e scoprirò che cosa sta succedendo qui.
«Capisco». Mi porto i due indici alle labbra e lo osservo attentamente. La sua aria da strafottente non lo abbandona neanche un secondo. Questa convivenza forzata sarà una gran rottura di palle, già lo so. Io non potrò mai andare d’accordo con un ragazzino del genere, ma questo lui non lo deve sapere. Ho intenzione di venire a capo della questione. Mio padre mi ha tenuto nascosto questa cosa, un motivo deve pur esserci.
«Bene, ti spiego quello che dovrai fare. Se non capisci qualcosa, chiedi pure». Sono quasi certo che non mi chiederà mai niente, perché lui è migliore di me e sa già fare tutto, o almeno crede di sapere tutto e io glielo lascerò pensare. Non sarò di certo io a sminuirlo, il mio compito è quello di seguirlo e tenerlo d’occhio, sperando in un suo passo falso. Quanto godrei a mandarlo via a calci nel culo!
«Non credo ce ne sarà bisogno ma grazie». Dio, dammi la forza per non spaccargli la faccia a suon di calci.
Riduco gli occhi a due fessure e mi alzo dalla mia postazione, cercando di non dare troppa importanza alle sue parole. Non gliela darò questa soddisfazione. Lui vedrà la parte di me che vorrò mostrargli, il vero Marco rimarrà in agguato, pronto ad agire se necessario.
Gli faccio fare un giro degli uffici, gli spiego le sue mansioni e lui non sembra nemmeno ascoltarmi, peggio per lui. Anita lo guarda con aria perplessa, le faccio cenno con il capo di lasciare perdere. Le avrei spiegato la situazione in un altro momento, quando lui sarebbe stato impegnato a fare qualcosa, se mai farà qualcosa. A questo punto non mi sorprenderei più di niente.
Mezzora dopo lo lascio nel suo cubicolo a inserirmi dei dati a computer. Lo spio dal corridoio e sta sbuffando come un ossesso, con un occhio fisso sul suo cellulare. Direi che come inizio non è affatto male. Raggiungo la mia impiegata che mi sta aspettando impaziente in un angolo. Mi trascina all’interno del suo ufficio.
«Chi è?», chiede a bassa voce.
«Il nuovo impiegato che ha assunto mio padre», rispondo chiudendo la porta della stanza.
«C’era proprio bisogno di un’altra persona che lavorasse qui con noi?». Anita è perplessa, ma non può far notare una cosa del genere a mio padre. C’è un altro impiegato a lavorare nei nostri uffici, Vittorio, ma ha avuto un incidente in macchina ed è a casa con una gamba ingessata. Non per questo c’era proprio l’esigenza di chiamare un altro a sostituirlo, che poi non lo sta nemmeno facendo, in quanto mio padre lo ha assunto per aiutare me.
«No, non ce n’era bisogno», dico con lo sguardo perso nel vuoto. «Credo che mio padre abbia combinato qualcosa e io ne sono totalmente all’oscuro».
«Perché pensi questo?». La donna si appoggia con la schiena alla sua scrivania e mi osserva attentamente.
«Quel bamboccio ha detto che suo nonno è grande amico di mio padre ed è per questo motivo che lavora qui». Le spiego con una smorfia.
Lei aggrotta le sopracciglia. «Tutto questo non ha molto senso, tuo padre non ha mai fatto alcun favoritismo».
«È per questo che credo che ci sia qualcosa sotto», commento. «Teniamolo d’occhio, cerchiamo di scoprire che cosa sta succedendo in questo posto ma con discrezione. Conto su di te, Anita. Non mi fido minimamente di quel tipo».
La donna annuisce. «Conta pure su di me, Marco».
Ci salutiamo con un cenno del capo ed esco dal suo ufficio. In un modo o nell’altro scoprirò che cosa sta combinando Rossini Senior.
C’è davvero qualcosa che non mi quadra.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Abbiamo fatto la conoscenza con i due nuovi personaggi… che ne pensate? Sara sembra una ragazza carina e simpatica, Leonardo una gran spina nel fianco. Avrà ragione Marco a temere che ci sia qualcosa che non va in azienda? Credo che lo scopriremo presto. Serena si è scocciata di essere trattata da malata, Marco è nervoso… forse hanno davvero bisogno di staccare la spina per qualche giorno. Vedremo nel prossimo capitolo che cosa decideranno di fare a riguardo :)
Un grazie immenso a tutti voi che seguite, commentate o leggete soltanto: vi adoro!
Alla settimana prossima!
Un bacione, Ire ♥

Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

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Capitolo 5
*** Una boccata di ossigeno ***



 
 

Capitolo Cinque 

Una boccata di ossigeno



 
Quando torno a casa dal lavoro, trovo Serena sul divano, sta guardando un film d’amore e le lacrime stanno scendendo a fiumi sul suo viso. A volte mi spaventa la sua emotività, non l’ho mai vista piangere tanto come in questo periodo.
«Amore, sono tornato». Mi annuncio appendendo la giacca a una sedia. Mi slaccio la cravatta, la sfilo e la sistemo sopra la giacca.
Lei si asciuga gli occhi con le mani e mi sorride. «Ciao».
Che bello sentire nuovamente la sua voce. Mi sono trattenuto tutto il giorno, con il telefono in mano e il dito già pronto a far partire la chiamata, ma ho voluto resistere, ho dovuto farlo. Mi inginocchio ai suoi piedi e poso la guancia sul suo ventre, vorrei tanto poter sentire i nostri figli. Un braccio finisce sulla mia schiena, le sue dita mi accarezzano dolcemente i capelli.
«Mi dispiace per stamattina, non avrei dovuto alterarmi in quel modo», mormora con voce tremante.
«Scusami tu, amore. Non dovrei trattarti come se fossi malata, dovrei lasciarti i tuoi spazi», le dico avvolgendole il busto con le braccia e stringendola a me. «Vi amo più della mia stessa vita e voglio solo il meglio per voi».
Lei mi solleva il viso e mi obbliga a guardarla: i suoi occhi verdi come non mai sono colmi di lacrime. 
«Andiamo via un paio di giorni, solo tu ed io, cellulari spenti, nessuno che possa stressarci. Ho bisogno di tranquillità, di una boccata di ossigeno, di stare con te senza preoccupazioni». Parlo a ruota libera, esponendole quello che vorrei fare. Lei mi accarezza il viso, appoggio la guancia sul palmo della sua mano, adoro essere sfiorato da lei.
«Non riusciamo nemmeno più a parlare e questa cosa mi destabilizza. Vorrei dirti molte cose, tornare a dirci tutto come abbiamo sempre fatto», continuo senza staccare gli occhi dai suoi. «Ho paura di perderti, di perdervi e io morirei senza di voi».
Le lacrime tornano a scendere lungo le sue guance, le asciugo con una mano.
«Ti va di staccare la spina per due giorni? Scappa con me». La supplico con lo sguardo e lei, dopo un attimo di esitazione, annuisce con decisione, un sorriso a illuminarle finalmente il viso.
«Scapperei ovunque con te», dice prima di regalarmi un bacio dolcissimo che approfondisco un istante dopo.
 
Ora non mi resta che pensare a un posto dove portarla. Non mi va di farla viaggiare troppo, perciò ci vorrebbe una meta non troppo lontana. Non dobbiamo fare chissà che cosa, abbiamo solo bisogno di passare del tempo insieme e rilassarci. Non ha nemmeno senso spendere dei soldi per alloggiare in un hotel, non tanto per il costo, ma per quello che dobbiamo fare. Ci vorrebbe un posto immerso nel verde, che emani tranquillità da ogni angolazione. Mi infilo sotto la doccia e continuo a pensare a un posto che potrebbe fare al caso nostro.
Appoggio le mani contro le piastrelle e lascio che l’acqua tiepida porti via un po’ della tensione che ho accumulato oggi. Se penso a quel Leonardo, mi sale ancora la rabbia. Non ho mai avuto a che fare con ragazzini viziati, cui sembra sempre tutto dovuto e che si credono migliori di tutti gli altri. Non mi piacciono i favoritismi e avrà la mia stima solo dopo essersela guadagnata, se mai ci riuscirà. Allontano quelle immagini dalla mia testa e davanti agli occhi mi appare la casa sul lago. Perché non ci ho pensato prima? Potrebbe essere un modo per capire se ci piacerebbe davvero vivere lì insieme. La proposta della mia famiglia è sempre valida, ma noi non ne abbiamo mai davvero parlato. Credo che sia giunta l’ora di farlo e prendere una decisione a riguardo. Le nostre famiglie hanno ragione, questo appartamento è inadeguato per crescere due bambini, abbiamo bisogno di più spazio. Diablo adorerà il giardino, ne sono certo.
Esco dalla doccia e mi avvolgo un asciugamano in vita, indosso le ciabatte e raggiungo Serena in salotto. Devo aver lasciato la scia di acqua lungo tutto il tragitto, dopo passerò lo straccio e asciugherò i miei danni.
Serena mi osserva divertita e prorompe in una risata cristallina che mi riempie il cuore di una felicità esagerata. Mi era mancato sentirla ridere di gusto.
«Dove credi di andare conciato in quel modo? Per non parlare del fatto che stai allagando casa». Afferra un lembo dell’asciugamano e mi attira più vicino a sé.
«Avevo urgente bisogno di chiederti una cosa, non potevo aspettare di asciugarmi e vestirmi». Diablo mi lancia un’occhiataccia dopo aver gesticolato con una mano, devo averlo colpito con qualche goccia d’acqua e si sa che i gatti non ne sono molto amanti.
«E quale sarebbe questa domanda?». Mi slaccia l’asciugamano e spia al suo interno, emettendo un mugolio di apprezzamento. Queste sue attenzioni mi fanno davvero piacere e qualcosa si risveglia al solo pensiero delle sue dita su di me.
Mi gratto distrattamente il mento, ho perso il filo del discorso quando le sue labbra hanno sfiorato il mio ombelico.
«Sto ancora aspettando», mugugna lei scendendo più in basso. Chiudo gli occhi e poso le mani sulle sue spalle, aggrappandomi per non cadere.
Devo ammettere che non capisco più niente ogni volta che fa questi giochetti con me.
«Non mi ricordo», farfuglio mentre mi sta donando un piacere unico.
«Vuoi che smetta?», domanda maliziosamente staccandosi dalla sua fonte del desiderio.
«Se lo fai, mi uccidi», borbotto ancora con gli occhi chiusi.
A queste mie parole, riprende da dove mi aveva lasciato. Amo questa donna, la amo per un milione di motivi diversi.
«Che cosa volevi chiedermi?». Serena si sdraia sul divano e mi lascia un po’ di posto accanto a sé, ne approfitto immediatamente. Mi stringe forte per non farmi cadere a terra e io mi perdo completamente nei suoi occhi.
«Che ne pensi di passare quei due giorni nella casa al lago?», le chiedo spostandole una ciocca di capelli, mettendogliela poi dietro l’orecchio. «Potrebbe essere una prova per decidere successivamente che cosa fare».
Lei sembra pensarci un attimo e poi risponde: «Penso sia una buona idea. Non avevo voglia di andare in un luogo lontano».
«Allora è deciso. Sabato ti rapisco», esclamo con decisione, appropriandomi, un istante dopo, delle sue labbra.
 
Nei giorni precedenti la nostra fuga, ho chiesto a mia madre di prestarmi Lidia, la signora che la aiuta da sempre con i lavori domestici. Volevo che la casa si presentasse al meglio per l’arrivo della mia donna. L’ultima volta che avevamo messo piede lì dentro era Aprile, per il compleanno di Serena. La casa non era stata aperta da allora e c’era un bel po’ da fare. Mia madre mi ha rassicurato, dicendomi che avrebbe pensato a tutto lei e l’avrebbe resa presentabile e vivibile. Ha mantenuto la sua parola.
Varcata la soglia di casa, un profumo di pulito mi riempie le narici.
«Futura signora Rossini, benvenuta nella nostra possibile dimora». Le porgo la mia mano, che lei prontamente afferra e la accompagno all’interno della villa.
Mia madre ha fatto le cose in grande: i mobili sono diversi dall’ultima volta che siamo stati qui, c’è perfino un divano nuovo di zecca al centro della grande sala, un televisore enorme è appeso in fondo alla parete. Anche le tende sono nuove e raccolte al centro con delle calamine a forma di farfalla. Serena si porta una mano alla bocca per lo stupore; la mia bocca, invece, deve essersi spalancata e la mascella ormai tocca terra. Che diavolo è saltato in testa a mia madre?
Tengo stretta la mano di Serena e la trascino in cucina: tutto nuovo anche in questa stanza. Apro gli armadietti, trovando servizi di piatti mai usati, bicchieri, tazzine, posate, tutto appena comprato. Non riesco a dire una sola parola.
Continuo a trascinare Serena lungo il corridoio, fino a raggiungere quella che dovrebbe essere la camera padronale. La mia donna si siede sul letto, guardandosi intorno con la bocca aperta.
«Che cosa è successo a questa casa?», chiede con voce tremante.
Mi siedo accanto a lei e fisso il nuovo guardaroba che emana ancora un forte odore di legno. Davanti alla grande finestra che dà sul giardino c’è una cassapanca che può essere usata come un divanetto, dove potersi sedere a leggere, guardando il lago poco più in là.
«Ho solo chiesto a mia madre di dare una pulitina. Non avrei mai immaginato che si mettesse a rivoluzionare tutta la casa», rispondo quasi in un sussurro. Per essere rimasto senza parole, deve avermi davvero sconvolto.
«Non può avere fatto tutto in meno di una settimana». Mi fa notare Serena prendendo una mia mano e stringendola nelle sue.
«Dici che avesse già deciso di rimettere a nuovo la casa per noi?». L’idea non mi sembra nemmeno tanto assurda, conoscendo come ragiona la mia genitrice, ma mi fa strano che non me ne abbia mai parlato.
«Non lo so, ma la sensazione è questa», dice lei stringendosi nelle spalle.
Rimaniamo in silenzio per qualche istante, prima di decidere di alzarci e controllare anche il resto delle stanze. Rimaniamo di sasso quando vediamo la stanza che dovrebbe essere dei nostri figli: è stata ridipinta di fresco, ci sono dei mobili in legno che vanno bene qualunque sia il sesso dei bambini, c’è perfino una culla in mezzo alla stanza e dei pupazzi al suo interno.
«Oh mio Dio», esclama Serena scoppiando in lacrime.
La stringo tra le mie braccia e le massaggio dolcemente la schiena.
«Forse mia madre ha esagerato questa volta», le dico baciandole la fronte. Il suo pianto sembra un segnale negativo, probabilmente si sente sotto pressione. La mia genitrice non avrebbe dovuto risistemare la casa per noi, senza ancora sapere se noi avremmo mai accettato.
Serena comincia a scuotere la testa, mi sto spaventando non poco. Le prendo il viso tra le mani e le bacio la fronte.
«Dillo con parole tue, Flounder. Se questa casa ti fa schifo, possiamo trovare un altro posto dove andare. Non abbiamo l’obbligo di trasferirci qui e non dobbiamo nemmeno deciderlo in questo momento». Non voglio che si senta in dovere di assecondare mia madre e la sua mania di grandezza.
«Questa casa è», comincia tirando su con il naso. «Semplicemente perfetta. La adoro, adoro tutto».
«Davvero?», chiedo frastornato. Dalla sua reazione credevo che odiasse questo posto. Non ho capito proprio niente insomma!
Lei annuisce, pulendosi il naso su un fazzoletto di carta che teneva nella tasca dei suoi pantaloni comodi.
«Davvero. È bellissima, amore. I tuoi non avrebbero dovuto pensare a tutto però», dice posando entrambe le mani sul mio petto e guardandomi negli occhi.
«Questo lo so anch’io», ammetto in un sospiro.
«È stato davvero gentile da parte loro, ma restituiremo loro tutto quello che hanno speso. Un po’ per volta». Si guarda in giro un attimo e poi aggiunge: «Probabilmente per i prossimi trent’anni dovremmo farcela».
Scoppia a ridere un istante dopo e mi unisco a lei. Non ha tutti i torti. Sicuramente non hanno speso poco per risistemare tutta casa e non voglio nemmeno accettarla senza dare loro qualcosa.
«Accenderemo un mutuo per pagare i miei». Avvolgo il suo busto con le braccia e la attiro nuovamente a me. «Qualcosa ci inventeremo. L’importante è che a te piaccia l’idea di vivere qui con me».
«Direi che mi piace tantissimo». Mi sorride raggiante, baciandomi poi le labbra. «Non so se te l’ho mai detto, ma io ho sempre sognato di potermi permettere una casa sul lago un giorno».
«No, non me lo avevi mai detto». Questa mi mancava e sono davvero felice di poterle dare quello che tanto desiderava, non potrei esserlo di più. «Ora che lo so, penso che questa sarà la casa in cui cresceremo i nostri figli».
Le iridi verdi come smeraldi di Serena stanno brillando come non mai in questo momento, e io mi sento l’uomo più fortunato al mondo. Quando abbiamo deciso di andare a vivere insieme non era previsto un trasloco, ma ora che vedo questa casa, preparata apposta per noi, mi rendo conto che è semplicemente quello di cui abbiamo bisogno.
 
°°°
 
Sono seduta sulla cassapanca che dà sul giardino e guardo fuori dalla finestra, godendomi il tramonto. Riesco perfino a vedere il lago da questa posizione e gli occhi mi si inumidiscono. Mi rifiuto di piangere ancora, sono stanca di farlo per ogni cavolata. Chiudetemi il rubinetto, vi prego! Mi accarezzo delicatamente il ventre e mi ritrovo a sorridere da sola.
«Vi amo così tanto». Rivolgo quelle semplici parole ai miei figli che stanno crescendo dentro di me. Continuo ad essere spaventata all’idea di diventare madre, ma allo stesso tempo non vedo l’ora di stringerli fra le mie braccia. Sono emozioni contrastanti difficili da spiegare, l’unica cosa di cui sono certa è che amerò quei bambini più di ogni cosa al mondo.
Marco entra silenziosamente nella stanza e mi raggiunge, baciandomi amorevolmente la fronte.
«Secondo te saranno maschietti o femminucce?», domando carezzandogli il braccio.
Si inginocchia davanti a me e mi sorride.
«Magari sono un maschietto e una femminuccia», ipotizza scoprendomi il ventre e posandoci un leggero bacio. «Li chiameremo Ermenegildo e Asdrubela».
Oh mio Dio! Mi copro la bocca con una mano e rido come una pazza.
«Non ti piacciono?», chiede lui fingendosi risentito.
«Ermenegildo è davvero carino». Gli reggo il gioco asciugandomi gli occhi con una mano. «Asdrubela è perfetto».
«Ah ecco, perché se non ti piacevano, me lo sarei legato al dito per tutta la vita», commenta con un sorriso sghembo sulle labbra.
Gli faccio posto sui cuscini, si sdraia dietro di me e poso la testa contro il suo petto, le sue braccia mi cingono il busto.
«A parte gli scherzi, che nomi ti piacerebbero per i nostri bambini?». Formulo quella domanda con gli occhi chiusi, godendomi le carezze del mio uomo e cullata dal suo amore che sento in ogni suo minuscolo gesto.
Marco sembra pensarci un attimo e poi risponde: «Sinceramente non ci ho mai pensato davvero. Sicuramente non sono per nomi troppo strani, preferisco quelli semplici e comuni».
«Abbiamo tempo per pensarci, magari sarà più semplice quando ne scopriremo il sesso», affermo posando le mani sulle sue e portandole sul ventre.
Rimaniamo stretti l’uno all’altra per non so quanto tempo, è Marco a rompere il silenzio.
«Credo che dovremmo dire a qualcuno del nostro imminente matrimonio. Avremo bisogno che ci diano una mano a organizzare tutto in tempo. Non vorrei doverlo posticipare solo perché siamo in ritardo». Parla a bassa voce, vicino al mio orecchio, vengo percorsa da brividi in tutto il corpo.
«Sai anche tu che non appena lo dirò a Luca, partirà in quarta e non riusciremo più a fermarlo». Gli faccio notare con il sorriso sulle labbra.
«Oh, lo so benissimo», commenta lui senza alcuna esitazione. «Probabilmente è proprio quello che ci serve per darci una mossa. Non abbiamo ancora pensato a nulla e la data che abbiamo scelto non è poi così lontana».
«La data che tu hai scelto». Lo prendo in giro ridacchiando.
«Vogliamo discuterne ancora? Guarda che non ti sposo più, se continui a fare la stronzetta con me», brontola fingendosi offeso e risentito.
«Davvero non mi sposeresti più?». Porto una sua mano sotto la mia maglietta e la poso su un seno. Le sue dita reagiscono immediatamente a quel contatto e lo scoprono, carezzandolo delicatamente.
«Non avresti più tutto questo». Dirigo l’altra sua mano all’interno dei miei pantaloni, la quale si insinua sotto le mie mutandine.
Lui mugugna al mio orecchio.
«Quindi per avere tutto questo, devo per forza portarti all’altare?». Le sue dita si insinuano dentro la mia intimità, un gemito sfugge al mio controllo.
«Oh sì», rispondo con uno spasmo di piacere che mi scuote e mi fa inarcare la schiena, agevolando le sue dita sul mio seno.
«Allora lunedì organizzeremo una serata speciale con i nostri amici e mettiamo le carte in tavola. Abbiamo bisogno di più aiuto possibile». Mi scosta i capelli con le labbra, per poi baciarmi sensualmente il collo.
Le sue dita si muovono rapide dentro di me, fino a farmi raggiungere l’apice del piacere in brevissimo tempo.
«Sono io che sto diventando più bravo, o sei tu che sei più sensibile?», mormora al mio orecchio, mordicchiandomi un attimo dopo il lobo.
«È colpa dei tuoi figli», mugugno ancora in estasi.
«I miei figli», ripete scendendo con la lingua lungo il mio collo, scoprendomi la spalla e baciandola delicatamente. «Amo i miei figli».
Ruoto il collo fino a incontrare le sue labbra che sono già protese verso le mie.
«Amo te da morire», soffia sulla mia bocca prima di impossessarsene e baciarmi fino a togliermi completamente il respiro.
Si scosta con la schiena e mi trascina giù dalla cassapanca, senza smettere di baciarmi. Mi prende per mano e mi accompagna al letto. Prima che possa sedermi, mi sfila la maglia, appoggiandola sulla sedia alle sue spalle. Mi fa sdraiare e mi sfila i pantaloni, appendendo anche quelli con cura. Mi guarda a lungo, con desiderio. Ora è lui a spogliarsi davanti ai miei occhi e la visione è celestiale. Si mette in posa e io ridacchio.
«La tua statua deve ritrarti esattamente come sei in questo istante», farfuglio con il viso in fiamme. «Sei così maschio».
Marco si avvicina lentamente a me e, prima di sdraiarsi al mio fianco, porta il viso alla mia altezza e soffia sulle mie labbra: «Riesco ancora a farti arrossire, nonostante tutto il tempo che stiamo insieme».
Sento il calore arrivarmi fino alla punta delle orecchie e il mio corpo si protende verso di lui, vuole essere sfiorato dalle sue mani, vuole essere baciato da quelle labbra tanto perfette.
«Ti imbarazzi se ti guardo senza vestiti?», chiede in un sussurro, sfiorandomi il fianco con un leggero tocco delle dita.
«È il modo in cui mi guardi che mi fa avvampare, il modo in cui mi tocchi». Un gemito sfugge al mio controllo quando carezza la mia intimità prima di sfilarmi le mutandine.
«Intendevi così?». La sua voce arrochita dal desiderio mi fa allargare le cosce, come se avessero vita propria, le sue dita riprendono a stuzzicarmi.
Non riesco a rispondere alla sua insinuazione, lo sbatto con la schiena sul materasso e mi siedo sopra di lui. Marco rimane stupido da questa mia mossa inaspettata e alquanto agile.
«Amore, come sei irruenta». Mi prende il viso tra le mani e mi attira verso di sé per potermi baciare le labbra. Ci scambiamo dei baci che di casto hanno ben poco, che aumentano a dismisura la voglia di sentirlo dentro di me, un istante dopo mi accontenta. Mi muovo rapida sopra di lui, le sue mani sfiorano ogni centimetro del mio corpo, le nostre bocche faticano e stare separate. Sembra esserci un incendio nel mio basso ventre, una serie di colpi decisi mi fanno raggiungere il piacere estremo. Non credo di aver mai gridato tanto forte in tutta la mia vita. Marco si irrigidisce un istante dopo e si riversa dentro di me.
Mi lascio andare sopra di lui e mi prendo la mia razione di coccole post orgasmo spettacolare. Abbiamo entrambi il fiato corto e il battito accelerato, rimaniamo in quella posizione finché i nostri respiri non si sincronizzano. Mi accoccolo al suo fianco e lui mi avvolge le spalle con un braccio, stringendomi forte a sé.
«È una mia sensazione, o era da tempo che non facevamo l’amore con tanta passione?». A essere sincera avevo paura di formulare questa domanda che era da un po’ che si era insinuata nella mia mente. Fare l’amore con Marco è sempre stupendo, ma a volte sembra quasi forzato, manca quel qualcosa che rende tutto più magico.
«Hai ragione, era da un po’», risponde in un sospiro.
Ho avuto la conferma che non ero la sola a pensare questa cosa. Ultimamente Marco è sempre più stressato, lo sento, lo vedo, ma non mi ha mai voluto parlare dei motivi del suo nervosismo. Forse non voleva farmi preoccupare o agitare, considerando il mio stato. Facendo così, però, abbiamo smesso di confidarci e rimane sempre quel qualcosa che l’altro non sa. Abbiamo sempre parlato di qualsiasi cosa, bella o brutta che fosse, non c’erano mai stati segreti tra di noi. Inoltre la mia fervida immaginazione non mi aiuta certamente a rimanere tranquilla. Ero già partita con i miei film mentali: Marco aveva un’amante ed era per quello che non si confidava con me e a volte tornava più tardi dal lavoro. Non ho mai voluto indagare su questa cosa, ero consapevole che non poteva essere vero, ma la mia testolina non riusciva a fermare quel flusso di pensieri assurdi. Magari io non lo soddisfacevo più come avrei dovuto, magari non gli dimostravo tutto il mio amore, non lo so, sicuramente sbagliavo qualcosa. Tutti questi dubbi mi hanno fatto passare le notti insonne. Per non parlare dell’ansia di diventare madre. E se non fossi in grado di crescere addirittura due figli? Se fossi una madre degenere? So che non potrei mai esserlo, ma farlo capire anche alla mia mente contorta che viaggia a mille senza sosta non è affatto semplice.
«C’è qualcosa che ti turba?», domando alla fine. Siamo venuti qui per parlare e credo sia giunto il momento di farlo. «So che non mi dici alcune cose per non farmi preoccupare, ma saperti turbato e non conoscerne il motivo mi fa preoccupare ancora di più. Sfogati con me, amore, sono qui per te».
Marco mi accarezza dolcemente il braccio e sembra prendere un bel respiro.
«Mi dispiace averti procurato ansie, piccola. Non era mia intenzione», comincia dopo un attimo di esitazione. «Pensavo che tenendomi tutto dentro, ti avrei protetta e invece ho solo peggiorato le cose».
«Sai che ci siamo sempre detti tutto, non dobbiamo smettere ora che ci stiamo per sposare». Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi. Un angolo della sua bocca si solleva all’insù.
«E io che pensavo di tenerti nascoste tutte le mie infedeltà. Ora mi tocca raccontarti di ogni mia scappatella». Mi prende in giro lui posandomi poi un delicato bacio sulle labbra.
«Sei un idiota, ma ti amo davvero troppo per prendermela», gli dico con un sorrisetto sghembo. «Ora, però, dimmi tutto».
«Diciamo che al lavoro ho dei grattacapi», dice alla fine.
«L’azienda va male?», chiedo in apprensione.
«No, no, tranquilla. L’azienda va alla grande, non è questo quello che mi preoccupa». Mi rassicura immediatamente.
Riprendo a respirare normalmente, senza rendermene conto stavo trattenendo il fiato.
«Mio padre ha assunto un ragazzino per darmi una mano in ufficio», mi spiega gesticolando con la mano. «Un ragazzino rompicoglioni che si crede di essere migliore di tutti noi messi insieme per giunta».
Il tono della sua voce si alza sensibilmente, si sta accalorando.
«Avevate davvero bisogno di un altro impiegato?». Non mi sembra che avesse mai detto di avere problemi a gestire tutto con gli altri due che lavorano con lui.
«È quello che anch’io non capisco. Non ho affatto bisogno di lui e la cosa che riesce a fare meglio è farmi girare le palle», grugnisce.
«Ne hai parlato con tuo padre?». Il problema del signor Rossini è che non vuole sentire ragioni e quando si mette in testa una cosa è impossibile fargli cambiare idea, un po’ come mia madre insomma.
«Certo, ma sai benissimo anche tu che non mi dà mai retta e fa di testa sua. Questo bamboccio mi ha detto che è il nipote di un caro amico di mio padre e che è per questo motivo che l’ha preso a lavorare da noi. Io non so, non ci trovo un senso. Bene o male conosco tutti gli amici di mio padre e non avevo mai sentito parlare di questo tizio. C’è qualcosa che mi puzza e di brutto anche», continua lui sempre più alterato.
Gli accarezzo delicatamente il petto, facendogli capire che io sono qui per lui.
«Credi che tuo padre ti stia nascondendo qualcosa?». A questo punto mi sembra l’unica soluzione plausibile. Che senso avrebbe assumere un nipote di un fantomatico amico altrimenti?
«Non lo credo, ne sono assolutamente certo», esclama con enfasi. «Anita ed io stiamo tenendo d’occhio quel fannullone. Al primo passo falso gli faccio il mazzo».
«Non ti va proprio giù quel tipo!», ridacchio cercando di sdrammatizzare.
«Da cosa l’hai dedotto, Flounder? Se potessi, lo prenderei a calci dalla mattina alla sera. Sta tutto il giorno attaccato al suo cellulare e se gli dico di fare qualcosa, sbuffa come se lui fosse troppo importante per fare quel lavoro da misero plebeo. La tentazione di togliergli quel ghigno fastidioso dalla sua faccia c’è, eccome se c’è. Mi trattengo solamente perché mi ritengo migliore di lui».
«Tu sei il migliore di tutti». Mi sollevo su un gomito per poterlo guardare meglio in volto. «So che sistemerai tutto. Ti chiedo solo una cosa».
«Tutto quello che vuoi». Posa una mano sulla mia guancia e aspetta impaziente che io prosegua con la mia richiesta.
«Non tenermi più all’oscuro di niente. Sarò la tua complice se avrai bisogno di scavare una fossa per liberarti del suo cadavere».
Marco prorompe in una fragorosa risata e posa le labbra sulle mie.
«Non so che cosa farei senza di te», mi dice con la fronte sulla mia.
«Staresti sbattendo la testa contro il muro, chiedendoti che cosa avevi fatto di male per essere ancora uno zitellone vecchio e acido». Lo prendo in giro con il sorriso sulle labbra.
«Non sono ancora vecchio», brontola.
«Oh sì, lo sei. Sei il mio vecchiettino preferito».
«Insolente», esclama un istante prima di infilarmi la lingua in bocca.
Gli ha fatto davvero bene sfogarsi, era inutile tenersi tutto dentro. Io sarò sempre dalla sua parte, lo sosterrò qualsiasi cosa decida di fare, ci sarò sempre per lui. Parlare è la cosa principale per mantenere un rapporto solido e sono felice che abbiamo ricominciato a dirci tutto. Mi sento più tranquilla. Sono talmente rilassata che il mio stomaco comincia a borbottare senza sosta.
«I nostri figli reclamano cibo», mugugno massaggiandomi il ventre. Ho una fame esagerata in questo momento.
«Che cosa hai voglia di mangiare?», mi chiede premurosamente mettendosi a sedere e aiutandomi a fare lo stesso.
«Pizza», rispondo senza alcuna esitazione.
Prende il telefono dalla tasca dei suoi pantaloni abbandonati sul pavimento e controlla in internet.
«C’è una pizzeria qui dietro, fanno la pizza favolosa», mi ragguaglia prima di comporre il numero. «Come la vuoi?».
«Olive nere, peperoni, wurstel, funghi». Sto per aggiungere altro, ma lui mi blocca ridendo come un pazzo.
«Vuoi ancora qualcosa?», domanda un attimo prima che rispondessero dall’altra parte della linea.
«Voglio anche una montagna di mozzarella». Lo colpisco ripetutamente con un dito sul braccio per attirare la sua attenzione e lui alza gli occhi al soffitto, un sorriso bellissimo ad illuminargli il viso.
Avevamo davvero bisogno di questo fine settimana solo per noi, era un bel po’ di tempo che non mi sentivo così bene. Mi accoccolo al suo petto e mi lascio cullare dal suo amore. Mi sono innamorata nuovamente di lui oggi.

 
 
 
*Note dell'autrice*
Avevano proprio bisogno di staccare la spina e ora sono più rilassati. Nessuno dei due si sarebbe aspettato quello stravolgimento nella casa sul lago, i genitori di Marco hanno sistemato alla grande. Direi che una decisione l'hanno presa e penso sia quella giusta. Marco ha finalmente raccontato a Serena come stanno le cose in azienda, riprendendo a confidarsi come facevano un tempo. Forse le cose tra loro si sono sistemate, staremo a vedere. Martedì prossimo troveremo la banda al completo! Preparatevi psicologivcamente LOL!
Un grazie immenso a tutti voi che state leggendo, commentando e apprezzando questa mia storia *vi adoro*
A martedì!
Un bacione, Ire

Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 6
*** Riunione straordinaria ***



 
 

Capitolo Sei

Riunione straordinaria



 
Dopo il nostro fine settimana romantico, abbiamo avvisato tutti i nostri amici di venire a casa nostra questa sera. Erano tutti sorpresi che avessimo organizzato qualcosa per un lunedì, senza partitella a poker o film romantico oltretutto.
Luca continuava a farmi domande su domande, cercando di carpirmi più informazioni a riguardo, ma sono stata brava e non sono crollata sotto la sua pressione psicologica. È davvero bravo a ottenere ciò che vuole quando ci si mette, ma questa volta sono stata più brava io a resistere.
Siamo tutti seduti intorno al grande tavolo: Marco ed io ci siamo messi affiancati a capo tavola, ottenendo una perfetta visuale di tutti i nostri ospiti.
Lorenzo è seduto accanto a Stella, hanno lasciato Eleonora a casa dei genitori di lui per poter stare un paio di ore tranquilli con noi. Luca è seduto accanto a lei e Alex. Marica è seduta accanto a me, al suo fianco Paolo, e Giorgio è in mezzo tra lui e Alex. Tutti ci stanno osservando con impazienza, nessuno ha idea del motivo di quella riunione fuori programma.
«Okay, si può sapere perché ci avete convocati tutti qui stasera?». È proprio Luca il primo a parlare, rompendo quel silenzio imbarazzante che si era creato. «È successo qualcosa ai gemelli?».
Si agita nervosamente sul posto e comincia a muovere una gamba, facendo traballare anche il tavolo.
«Avete intenzione di tenerci sulle spine fino a domani? Sapete, abbiamo solo due ore e poi dobbiamo andare a ritirare il pacco», bofonchia Lorenzo spazientito.
Stella gli lancia un’occhiataccia e lo colpisce dietro il collo con una manata.
«Non parlare così di nostra figlia», lo ammonisce.
Lui la guarda con dolcezza e le bacia le labbra. «Sai che quando dico così sto scherzando. Vi amo troppo per trattarvi in qualche modo male».
La bacia ancora una volta, accarezzandole anche la guancia. Sono così dolci che mi viene da piangere, gli occhi cominciano a pizzicarmi come al solito. Distolgo lo sguardo e incontro quello perso nel vuoto di Marica. Che cosa le sta succedendo?
Le prendo una mano e lei ruota il viso fino a guardarmi, le sorrido. Lei si sporge verso di me e mi bacia la guancia, posando poi la testa sulla mia spalla. Sospira pesantemente e io vorrei tanto fare qualcosa per lei. Non sopporto vederla così triste, perché è quella la sensazione che provo ogni volta che la vedo: infinita tristezza. Le avvolgo le spalle con un braccio, stringendola al mio fianco.
«Ehm, avete finito?». Giorgio si rivolge ai due innamorati con un sorriso sghembo sulle labbra. «Non siamo venuti qui per vedervi amoreggiare. Avete tempo di farlo anche a casa vostra quello».
«Ha ragione», commenta Luca parteggiando con il socio del mio uomo.
Le guance di Stella si colorano di un rosso acceso e Lorenzo sbuffa. «Siete sempre i soliti rompicoglioni che rovinano in un attimo l’atmosfera».
Paolo si volta verso di noi e mi sorride. «Perché siamo qui?».
Marco si schiarisce la gola e decide di parlare, mentre io continuo a coccolare la mia migliore amica. Marica ha posato una mano sul mio grembo e lo sta accarezzando dolcemente, infondendo tutto il suo amore ai nostri piccoli.
«Vi abbiamo convocato per una questione per noi davvero molto importante e avremmo bisogno di tutto il vostro aiuto per realizzarla. Non siete obbligati ad accettare, ma consigli da parte vostra saranno ben graditi», comincia il mio uomo come un vero oratore. Io non sarei mai riuscita a dirlo così bene, sarei andata direttamente al sodo senza girarci troppo intorno.
«Avete tutta la nostra attenzione», dice Luca guardandomi perplesso. Non ha minimamente capito di cosa potrebbe trattarsi, riesco a leggerlo nei suoi occhi.
«Come ben sapete vorremo sposarci prima della nascita dei gemelli», prosegue Marco con una calma impressionante.
Accarezzo i capelli di Marica con dolcezza, baciandole poi il capo.
«Abbiamo scelto la data», conclude il mio uomo guardando tutti uno alla volta.
«E sarebbe?», domanda Lorenzo con crescente curiosità.
«Il cinque di dicembre», risponde Marco senza alcuna esitazione.
Marica si alza dalla posizione in cui era e ci guarda incredula. «Ma manca pochissimo».
Stavolta sono io a parlare. «Per questo avremmo bisogno di tutto l’aiuto possibile ed è per questo che vi abbiamo riunito qui questa sera. Vorremmo il vostro aiuto, se ve la sentite».
«Se ce la sentiamo?», sbotta Luca sgomento. «Io non vedevo l’ora!».
L’entusiasmo del mio migliore amico contagia tutti e parte un coro di “ci sto” dall’intero gruppetto.
Marica mi bacia ripetutamente la guancia.
«Sapete che per voi ci saremo sempre», aggiunge lei commossa. «La mia cucciola si sposa». Delle lacrime fanno capolino agli angoli dei suoi occhi, le asciuga prima che possano rigarle in viso, ma un paio sfuggono al suo controllo. Decido di farle compagnia. Ci abbracciamo di slancio e diamo sfogo alle nostre lacrime di gioia.
«Perché proprio il cinque dicembre?», chiede Lorenzo aggrottando la fronte.
«Perché più si va avanti, più Serena sembrerà una mongolfiera», risponde Luca facendomi staccare bruscamente da Marica. Prendo una lattina di aranciata che trovo sopra il tavolo e gliela lancio contro. Riesce ad afferrarla al volo prima che lo centri in fronte.
«Ho ancora i riflessi pronti, cosa credi!». Mi mostra la lingua per poi scoppiare a ridere come uno scemo. «Comunque se mi centravi davvero, mi avresti fracassato la testa!».
«Un po’ te lo saresti meritato». Alex, che dovrebbe stare dalla parte del suo compagno, strizza l’occhio a me e ridacchia davanti all’espressione indignata di Luca. «Non si dicono certe cose».
«Ma tu da che parte stai?», domanda il mio migliore amico colpendogli il petto con l’indice.
«Dalla parte del giusto, sempre», risponde lui con decisione.
«Mi dispiace, caro mio, ma hai trovato pane per i tuoi denti con Alex. Non te le darà tutte vinte, rassegnati». Lo prendo in giro con grande soddisfazione.
Luca si alza di scatto dalla sedia e mi raggiunge, abbracciandomi da dietro e lasciandomi dei leggeri morsi su una guancia.
«Me la pagherai, stronzetta, eccome se me la pagherai. Ti aiuterò a scegliere il tuo vestito da sposa e ti obbligherò a sembrare una meringa alla panna. Tu non potrai ribellarti e io avrò la mia vendetta». Mi bacia ripetutamente il capo con una tale irruenza, che per poco non vado a sbattere con la fronte sul tavolo.
«Avrai sulla coscienza il fatto di avermi rovinato il giorno delle nozze», brontolo afferrando una sua mano e mordendola con forza.
«Ahi! Ma sei scema?», sbotta lui muovendo su e giù la mano come se fosse appena stato morso da qualche animale pericoloso.
«Sempre stata e ormai dovresti anche saperlo benissimo», gli dico riprendendo la sua mano e baciandogli il punto dove ho appena infilzato i denti.
«Bambini, basta». Ci ammonisce Stella con un sorriso divertito sulle labbra. «Ci sono questioni più importanti di cui parlare in questo momento».
Luca mi posa un bacio sulla testa e torna a sedersi al suo posto. «Stellina bella ha ragione. I suoceri lo sanno?».
Marco per poco non si strozza con un sorso di birra. Gli massaggio vigorosamente la schiena, dandogli anche dei piccoli colpetti.
«Porca zozza, non lo sanno!», commenta Lorenzo lasciandosi andare contro lo schienale della sedia e battendo i palmi delle mani sul legno del tavolo, facendomi sobbalzare per quella reazione inaspettata.
«Non lo sanno», conferma il mio uomo dopo essersi ripreso dal quasi soffocamento.
«E che cosa aspettate a dirlo?», chiede Paolo aggrottando la fronte.
«Diciamo che non vorremmo che si intromettessero nell’organizzazione», rispondo io con un mezzo sorriso.
Dovrei sentirmi almeno un po’ in colpa per questo mio pensiero poco carino nei confronti dei nostri genitori, ma non ci riesco fino in fondo. So per certo che mia madre comincerebbe a organizzare ogni minimo dettaglio come ha fatto per Alessandro, ma non voglio che lo faccia anche con il mio matrimonio. Vogliamo scegliere noi quello che più si addice per il nostro giorno importante. Non dico che sarà il giorno più bello della mia vita, ma sarà uno dei tanti e vorrei che tutto andasse per il meglio quel giorno.
«Hanno il diritto di saperlo, Sere». Questa volta è Marica a parlare. «Se tua madre lo scopre prima, ti uccide di certo».
Questo è poco ma sicuro! Se la signora Boissone lo scoprisse, mi farebbe a pezzettini con le sue stesse mani, non avrei alcuna via di scampo.
«Oh sì, puoi starne certa!», infierisce Luca senza farsi alcun problema.
«E poi comincerà anche la signora Rossini. Vi torturerà con i ferri da maglia e poi vi infilzerà con quello dello spiedo». L’immagine che Lorenzo ha rievocato nella mia testa mi fa storcere la bocca.
«Che brutta immagine», commenta Giorgio con aria schifata.
«Io prenderei in seria considerazione l’idea di dire che avete intenzione di sposarvi fra meno di un mese. Mettete in chiaro che volete fare tutto da soli e fate firmare loro le carte che il sottoscritto vi preparerà. Se dovessero fare storie, verrò io in vostro soccorso. Mi sembra un buon modo per pararvi le chiappe». Lorenzo salta fuori con una delle sue solite idee strampalate, anche se, a dirla tutta, forse non ha tutti i torti questa volta. Non oso immaginare le facce delle nostre madri, se chiedessimo loro di firmare quel pseudo contratto.
«Mia madre non te la farebbe passare liscia», commenta Marco ridacchiando e portandosi la bottiglia di birra alla bocca.
«Probabile, ma almeno voi potreste organizzare tutte le vostre cose in santa pace, senza che loro comincino a dire la loro per qualsiasi cosa». Si stringe nelle spalle, afferrando la birra che Stella gli sta offrendo.
«Non credo ci sia bisogno di far firmare loro delle carte, però dovreste informarli». Paolo prende nuovamente la parola, continuando a fissare il display del suo cellulare. Sembra stia aspettando un messaggio importante, forse i ragazzi hanno ragione che c’entra una donna. Mi sembra più strano del solito ultimamente.
Marco si volta verso di me e mi guarda attentamente.
«Credo che alla fine abbiano ragione. Non possiamo tenere le nostre famiglie all’oscuro delle nostre intenzioni, non ce lo perdonerebbero mai». Prende la mia mano e la tiene stretta nelle sue.
Mi dovrò rassegnare all’idea di avere le nostre madri fra i piedi, ma forse potrebbero perfino tornarci utili. Mi auguro solamente che non mi facciano impazzire, altrimenti le licenzio immediatamente.
«Va bene, lo diremo a tutti», acconsento alla fine in un sospiro.
«Avete preso la decisione giusta». Stella mi sorride e io ricambio grata. Sono felice di avere il supporto dell’intera brigata. Avremo davvero bisogno di tutti loro in questo periodo. Non credo di essermi davvero resa conto in che tour de force mi sto cacciando: ci sono talmente tante cose cui pensare che non so davvero da che parte cominciare. Al solo pensiero di non riuscire a fare tutto per tempo, mi sale un nodo alla gola e comincio a singhiozzare.
Tutti mi fissano sgomenti.
«Che succede, amore?», domanda Marco preoccupato, posandomi una mano sulla guancia.
«E se non riuscissimo a farcela?». Rendo partecipi lui e i nostri amici delle mie preoccupazioni.
«Ce la faremo, dobbiamo farcela», risponde lui con un sorriso. «Tu non ti devi preoccupare di niente».
«Marco ha ragione». Si intromette il mio migliore amico. «Insieme organizzeremo un matrimonio da favola. L’unica cosa cui non dovrai sottrarti sarà la scelta del vestito».
Oh mio Dio, il vestito! Non voglio sembrare un grossa balena bianca! Le lacrime continuano a rigarmi il viso e Marco le asciuga con entrambe le mani.
«Andrà tutto alla perfezione». Mi rassicura il mio uomo.
Prendo dei respiri profondi e cerco di darmi una calmata. Non ha davvero senso andare nel panico ancora prima di cominciare. C’è ancora tutto da fare e io devo essere lucida per poter organizzare tutto al meglio, anche se non ho la minima idea di che cosa dovrò fare. Qualcosa mi inventerò e so per certo che nessuno di loro mi lascerà sola in questo periodo e potrò contare su di loro in ogni momento. Siamo davvero fortunati ad avere degli amici tanto premurosi.
«Domani non lavoriamo, ti porto a vedere abiti da sposa». Luca sembra davvero felice di questo suo nuovo ruolo e a me non va di rovinare tutto il suo entusiasmo.
«Va bene», gli dico alla fine.
Comincio già ora a sudare freddo.
 
°°°
I nostri amici hanno pienamente ragione: dobbiamo dirlo alle nostre famiglie. So che Serena non vorrebbe farlo per paura di venire sopraffatta dal loro entusiasmo, ma non possiamo evitare di dirlo o aspettare l’avvicinamento della data. Non arriveremmo interi il giorno delle nostre nozze in questo modo. Luca si è già offerto di accompagnare Serena a cercare l’abito da sposa. Già me la immagino bellissima nel suo vestito bianco, sarà una visione e io la fisserò sicuramente con un’espressione da ebete.
La mia donna non sembra molto entusiasta della cosa, non la biasimo, gestire Luca non è facile e ora che si stanca facilmente è ancora più complicato. Spero non me la strapazzi troppo, altrimenti dovrà fare i conti con me dopo.
«Bisogna pensare alle partecipazioni, alle bomboniere, la chiesa, il ristorante, il fotografo». Giorgio comincia a elencare tutte le cose da fare e già mi viene male. In fin dei conti, lui è l’unico già sposato di noi e ci è già passato.
«Io penso alle partecipazioni». Marica alza la mano entusiasta. Lavora in un negozio che vende articoli da ufficio, cartoleria e ha anche un reparto per gli eventi importanti. Non sarà difficile per lei procurarsi tutto il necessario.
«Posso prepararvi anche tutti i sacchettini con i confetti, se volete. Mi piacciono tutte queste cosette manuali», continua lei contenta all’idea di rendersi in qualche modo utile.
«Se non ti crea problemi, puoi farlo benissimo», dice Serena posando una mano su quella dell’amica.
«Sarà un divertimento per me», esclama la sua amica dando un bacio sulla guancia della mia donna.
«Una cosa in meno cui pensare», commenta Luca rilassandosi contro la sedia.
«La chiesa. Immagino che voi, ferventi cattolici come siete, non avete la minima idea di quale chiesa scegliere per sposarvi, non è vero?». Lorenzo ci prende in giro con un sorrisetto furbo sulle labbra.
Non ricordo nemmeno l’ultima volta che ho messo piede dentro una chiesa. Probabilmente è stato il matrimonio di Giorgio.
«A dirla tutta non so nemmeno se riuscite a fare il corso pre matrimoniale con questo poco preavviso». Ci fa notare Alex.
«Suo fratello e mia sorella l’hanno fatto e si sono sposati nel giro di un mese». Gli ricorda Lorenzo.
«Mia mamma aveva rotto le scatole al parroco del nostro paese e ha accettato di sposarli lo stesso solo perché ci conosceva tutti fin dalla nascita, ma non credo che lo farebbe ancora una volta. Credo che mia mamma si sia già giocata tutti i favori». Serena espone i suoi dubbi a riguardo e io la penso esattamente come lei. Non credo che il Don chiuderebbe un occhio ancora una volta. Per di più Serena è già incinta, potrebbe perfino storcere il naso.
«E se facessimo una cerimonia civile?», azzardo io posando una mano sul viso della mia donna. «Bisogna proprio sposarsi in chiesa?».
Abbiamo avuto talmente poco tempo per pensare a tutto questo, che non ne abbiamo mai parlato seriamente e me ne sto pentendo in questo momento.
Serena sembra pensarci per un momento e poi mi risponde con decisione. «Sinceramente no. Mi eviteresti una grande ansia e quel senso di claustrofobia che mi assale tutte le volte che entro in una chiesa».
Le sue parole mi arrivano come un balsamo.
«E se ci sposassimo nella tenuta dei tuoi come avevamo detto mesi fa?», mi domanda.
«Potrebbe sposarci mio zio, visto che fa il sindaco in un paese della zona». Non avevo pensato a questa possibilità. Mio zio Umberto, il fratello di mia madre, sarebbe felice di celebrare il nostro matrimonio, abbiamo sempre avuto un buon rapporto.
«Perfetto», commenta lei con un sorriso raggiante.
Ogni cosa si sta incastrando perfettamente e mi sento molto più sollevato. Nessun corso prematrimoniale da fare, niente ansia da navata della chiesa.
«Cazzo! Ci siamo dimenticati di nominare il fiorista! Ci servono anche i fiori!», sbotta Luca all’improvviso facendo sussultare entrambi.
«A quello posso pensarci io». Giorgio si offre di aiutarci con i fiori. Per lui non è un problema, i suoi hanno una fioreria nel paese dove abitano. «Mi farò fare un preventivo da mia mamma e poi vi farò sapere. Voi intanto pensate a che fiori preferite».
Non mi intendo assolutamente di queste cose e credo che Serena sia nella mia stessa identica situazione. So solo che adora i tulipani, ma non credo che dicembre sia la stagione giusta per questi fiori e dubito che possano essere perfetti per un bouquet. Non saprei proprio dove andare a sbattere la testa. Io lascerei fare tutto a loro che se ne intendono sicuramente più di noi. Magari potremmo valutare qualche scelta, potrebbe essere la soluzione migliore.
«Qualche idea per il ristorante?», chiede Stella guardando prima me e poi l’amica.
«E se andassimo da Bruno?», ipotizzo io cercando una qualsiasi reazione da parte di Serena. Avremmo la certezza di essere trattati bene e si mangia divinamente.
«E se rimanessimo dai tuoi? Potremmo chiamare una ditta di catering e installare una struttura all’esterno», propone la mia donna. «Non lo so, magari costa troppo per noi, non ne ho idea».
«Non ti devi preoccupare per i soldi. Se è questo quello che vuoi, contatteremo un’azienda di catering», dico prendendole il viso tra le mani. «Voglio che quel giorno sia perfetto per te, non importa dove festeggeremo, la cosa più importante è che saremo insieme. A me va bene tutto, basta che tu sia felice».
Le bacio le labbra e poso la fronte sulla sua.
«Ricordati: tutto quello che deciderai, per me andrà bene», ripeto ancora una volta.
«Certe cose le voglio decidere con te», mugugna.
«Quello di sicuro, non era quello che intendevo. Sceglieremo ogni cosa insieme, ma di certo non litigheremo per delle cavolate».
A queste mie parole, lei torna a sorridere e mi bacia dolcemente.
«Che cosa manca ancora da decidere?». Luca si porta un dito alle labbra e si dondola pericolosamente in bilico sulla sedia.
«Il fotografo, se non ricordo male», rispondo avvolgendo le spalle di Serena con un braccio.
«Paolo, credi che tuo cugino potrebbe essere disposto a farlo?». Serena si rivolge al mio socio con aria speranzosa.
Avevo scordato che il cugino era fotografo. In effetti la foto che mi ha fatto stampare per il mio compleanno è davvero molto bella. E, poi, mi fido del fatto che sia imparentato con il mio amico, farebbe le cose al meglio.
«Penso di sì», risponde lui stringendosi nelle spalle. «Posso chiedergli se è disponibile quel giorno. Non so che impegni possa avere o se abbia già altri eventi in programma».
«Perché non andiamo mercoledì?». La domanda di Serena mi fa pensare a che cosa devo fare quel giorno e mi rendo conto che sono impegnato tutto il giorno in azienda, senza possibilità di liberarmi. Sempre colpa di quel bamboccio di Leonardo che deve essere istruito da me a fare quattro cavolate, ma se non lo faccio, mio padre me lo rinfaccerà a vita.
«Mercoledì non riesco. E se facessimo giovedì?», propongo.
«Non posso io giovedì, finisco tardi al lavoro», sbuffa la mia donna.
Per chiedere al fotografo se è disponibile quel giorno e per avere un preventivo non è necessaria la presenza di entrambi.
«Rimandiamo?». Serena sembra delusa da questo intoppo e io non voglio che lo sia. Devo inventarmi alla svelta una soluzione.
«Intanto posso chiedere io a mio cugino quanto vi verrà un servizio fotografico». Paolo si offre di informarsi al posto nostro e mi sembra un’idea grandiosa.
«Sarebbe fantastico». Lo ringrazio con un cenno del capo.
«Però è un peccato che non possiate andare a vedere con i vostri occhi come lavora questo tipo. Va bene la fiducia, ma un’occhiata non farebbe male». S’intromette Luca.
Anche lui non ha tutti i torti, in effetti. Sinceramente io non ho voglia di andare fino in centro soltanto per delle foto, vorrei concentrarmi sul catering che è un filino più importante. Dubito che le nostre famiglie sarebbero felici se quel giorno non ci fosse un bel niente da mangiare. Non mi intendo molto di catering a dirla tutta, ma ho parecchie conoscenze in giro anche per via del mio vecchio lavoro, magari riesco a trovare qualcuno disposto a darmi una mano per trovare l’agenzia giusta. Vorrei davvero che andasse tutto per il verso giusto quel giorno.
«E che cosa possiamo fare allora?». Serena si rivolge nuovamente a me, l’aria desolata.
«Potresti andare con Paolo, se per lui non è un problema accompagnarti». Rivolgo uno sguardo di supplica al mio socio e lui acconsente con un cenno del capo.
«Non mi va di essere un peso», dice Serena preoccupata. So che lei non vuole mai essere di disturbo per nessuno, farebbe tutto da sola se solo potesse, ma deve capire che lei non sarà mai un peso. I nostri amici non sarebbero qui pronti ad aiutarci, se lo fosse.
«Non lo sei, tranquilla», la rassicura Paolo con un sorriso sincero. «A che ora passo a prenderti?».
Serena ci pensa su un momento e poi risponde: «Non saprei, dimmi tu».
Il mio amico arriccia le labbra. «Allora, devo portare mia nonna dal dottore alle nove. Facciamo per le dieci? Tanto ormai mi sono preso tutta la mattinata libera al lavoro e ho tutto il tempo che voglio a disposizione».
«Va benissimo». Serena è sollevata. Le piace dormire quando è a casa e secondo me aveva paura che gli proponesse un orario a lei poco consono.
«Direi che abbiamo sistemato tutto per il momento», commenta Lorenzo. «Poi dovremmo fare una lista e vedere che cosa manca all’appello».
Il mio migliore amico ha ragione, sembra che abbiamo sistemato ogni cosa per ora. Adesso dobbiamo rimboccarci le maniche e darci dentro. Il tempo è tiranno e le nozze sono dietro l’angolo. Il cinque dicembre arriverà senza nemmeno accorgercene e noi dobbiamo essere preparati. Sono tante le cose cui pensare, ma con l’aiuto di tutti loro e probabilmente anche delle nostre famiglie, possiamo farcela, ne sono certo. Io sono nato ottimista, al contrario di Serena che si fa prendere spesso dal panico. Per fortuna ci sono io pronto a ripeterle che andrà tutto bene.
«Visto che è tutto a posto, io me ne andrei a casa. Domani mattina devo alzarmi presto». Marica sbadiglia e si alza dal suo posto. «Vi porterò qualche partecipazione e poi sceglierete quale vi piace di più».
«Grazie, sei un tesoro». Serena la abbraccia di slancio e le bacia la guancia con affetto.
«Figurati, a cosa servono gli amici?». Le strizza l’occhio e si stacca da lei. Recupera la sua borsa sopra il divano, sfrattando Diablo che ci dormiva beatamente sopra.
«Andrei anch’io». Anche Paolo si alza e indossa la giacca che aveva sistemato sullo schienale della sedia. «Se avete bisogno di me, fatemi un fischio. Ci vediamo mercoledì alle dieci».
Serena abbraccia anche lui e il mio socio sembra sorpreso da quel gesto. Dopo un attimo di esitazione, ricambia l’abbraccio.
«Ti ringrazio davvero tanto», gli dice la mia donna con gli occhi lucidi.
«È un piacere aiutarvi», farfuglia lui in totale imbarazzo. Non è abituato a questi gesti d’affetto da parte delle persone. È un uomo schivo e non troppo espansivo, si imbarazza facilmente e stasera sembra parecchio in difficoltà.
Lei lo lascia andare e accompagna entrambi alla porta, baciando ancora una volta la guancia della sua migliore amica.
«State attenti nel tornare a casa». Sembra già una mamma apprensiva in questo momento e la cosa mi fa sorridere. Andrà completamente nel panico quando i nostri figli cominceranno a uscire la sera.
Dopo i vari saluti di rito, si chiude la porta alle spalle e sospira. Comincia a essere un tantino stanca, avrebbe bisogno di riposare.
«Mmm», comincia Lorenzo fissando la porta chiusa. «Qui gatta ci cova».
«Stai pensando anche tu quello che sto pensando io?». Luca si rivolge al mio socio con un sorrisetto sghembo sulle labbra.
«Secondo me sì. Che dici? Indaghiamo?», propone Lorenzo rivolgendosi al migliore amico di Serena.
«Si può sapere di che cosa state parlando?», sbotta Stella all’improvviso.
«Già, rendete partecipi anche noi dei vostri piani diabolici», aggiunge Alex divertito.
Quei due hanno sicuramente qualcosa in mente e non è molto rassicurante, insieme possono provocare seri danni.
«Paolo e Marica, usciti insieme. Che cosa nascondono?». Luca getta queste illazioni sperando che noi cogliamo al volo il senso delle sue parole.
Lo fissiamo tutti increduli, tutti tranne Lorenzo.
«A nessuno di voi è venuto in mente che possano nasconderci qualcosa?», domanda il mio socio guardandoci uno alla volta. «Sembrata delle mummie, cazzo!».
«Io indagherei». Luca intreccia le mani dietro la testa e continua a dondolare sulla sedia. Se continua così, cadrà all’indietro e si spezzerà l’osso del collo. Come a leggermi nel pensiero, Alex blocca la seggiola prima che potesse ribaltarsi con sopra il suo uomo. Peggio dei bambini! Serena scuote la testa rassegnata.
«Andiamo allora!». Lorenzo si alza di scatto, seguito a ruota da Luca. «Abbiamo una missione da compiere!».
Giuro, non ho parole! 
 
 
 
*Note dell'autrice*
Credo che con l'aiuto dei loro amici possano farcela, non sarà semplice ma nemmeno impossibile. Ovviamente dovranno parlarne anche con le loro famiglie, altrimenti non arriveranno interi al matrimonio. Io comincerei a preoccuparmi se fossi loro. Luca è entusiasta di portare Serena a vedere il vestito da sposa, ma noi non avevamo alcun dubbio a riguardo, vero? Che ne pensate di Paolo e Marica? Nasconderanno davvero qualcosa? Beh, lo scopriremo nel prossimo capitolo... cominceranno le indagini! Si salvi chi può!
Un grazie infinito a tutti voi che mi seguite, leggete e commentate... vuol dire molto per me.
A martedì prossimo!
Un bacione
Ire


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 7
*** Pedinamento a quattro ***



 
 

Capitolo Sette

Pedinamento a quattro



 
Credo fortemente che Luca e Lorenzo siano stati separati alla nascita! Quei due hanno idee strampalate e malsane, non si vergognano nemmeno di condividerle con noi. Sono entrambi in piedi, vicino alla porta e Lorenzo ha già una mano sulla maniglia.
«Che avete intenzione di fare voi?», domanda Luca e poi rivolto a me aggiunge: «Cucciola, non vorrai mica rimanere con il dubbio finché lei non deciderà di parlare, vero?».
Anche perché so benissimo che se Marica non vorrà confidarsi con noi, non ci sarà verso di farla parlare. Ha sempre avuto quel brutto vizio di tenersi tutto dentro e per carpirle informazioni dobbiamo romperle le scatole fino allo sfinimento.
«Socio? Se non vieni, vado comunque da solo». Lorenzo punta un dito in direzione di Marco che lo osserva parecchio perplesso. Si volta poi a guardare me.
«Che cosa facciamo?», mi domanda a bassa voce.
Credo che non abbiamo altre alternative. «Io vado con Luca, tu vai con Lorenzo. Non possiamo lasciarli andare da soli, chissà che cosa combinerebbero».
Gli altri tre si sono sistemati sul divano, telecomando alla mano. Direi che non hanno nessuna intenzione di aiutarci in questo pedinamento senza senso.
«È inutile che ci guardate così», bofonchia Alex. «Noi non ci muoviamo. Andate dove volete, noi vi aspettiamo qua. Dobbiamo fare la guardia al felino».
Il diretto interessato salta sulle gambe dell’uomo e si fa lisciare il pelo senza alcun ritegno. Passa poi in braccio a Stella e si accoccola sulle sue gambe.
«Andate pure, noi staremo bene», aggiunge lei carezzando il nostro gattone e regalando un sorriso a trentadue denti al suo uomo che scuote la testa rassegnato.
«Siete dei nonni! Sono solo le dieci e vi siete rintanati sul divano, quando fuori c’è una missione da compiere!», esclama Lorenzo con enfasi.
«Vi ci vedo proprio bene come moderni Sherlock Holmes, vi manca solo la lente di ingrandimento». Li prende in giro Alex, scoppiando a ridere un istante dopo. Luca lo fulmina con lo sguardo.
«Se non la smetti di fare il cretino, stanotte dormirai fuori in terrazza», borbotta il mio migliore amico.
«Non ti preoccupare, Alex. Al massimo puoi rimanere qui sul divano». Lo rassicuro io strizzandogli l’occhio. L’uomo mi manda un bacio e io ridacchio osservando l’espressione sgomenta di Luca.
«Voi due… voi due…». Non riesce a terminare il suo sproloquio. Mi avvento su di lui e lo abbraccio, facendolo barcollare.
«Dai, scemotto, andiamo a vedere dove sta andando Marica, prima di perderla di vista del tutto». Gli bacio la guancia e lui grugnisce. Adoro quando finge di essere arrabbiato con me, mi viene la tentazione di stritolarlo tra le mie braccia e riempirlo di baci.
Marco mi raggiunge e mi prende per mano. Lorenzo si scosta dalla porta per permetterci di uscire per primi.
«Voglio mettere le cose in chiaro. Il vostro comportamento non mi piace nemmeno un po’, ma non vi permetteremo di andarvene in giro da soli a combinare chissà quale casino», borbotta il mio uomo una volta davanti al cancello del nostro palazzo. «Strapazzami Serena e io ti metto nel frullatore».
Marco si rivolge a Luca guardandolo in malo modo e il mio migliore amico inarca un sopracciglio.
«Nel frullatore?», ripete divertito.
«È la prima cosa che mi è venuta in mente». Si giustifica il mio uomo. «Comunque hai capito quello che volevo dire».
«Sì, certo, ho capito», bofonchia Luca alzando gli occhi al cielo stellato, non c’è nemmeno una nuvola.
Marco posa una mano sul mio braccio, porta l’altra sul mio viso. «Stai attenta e non strafare».
«Te lo prometto. Stai attento anche tu». Lo bacio sulle labbra e raggiungo Luca che si è allontanato di qualche passo.
Marco ed io ci scambiamo un’ultima occhiata prima di andare ognuno per la propria strada. Una cosa è certa: Paolo e Marica non sono andati via insieme.
«Perché stiamo andando da questa parte?», chiedo a Luca dopo aver svoltato l’angolo.
«Volevo controllare se c’era ancora la sua macchina», risponde afferrando la mia mano e trascinandomi vicino a sé. «Guai a te se ti allontani dal mio fianco. Non ti voglio avere sulla coscienza».
«Vorrei farti notare che sei tu che mi hai obbligato a venire con te. Io me ne sarei stata anche volentieri a casa sul divano al posto di Stella». Gli faccio notare con una smorfia.
«Lo so, cucciola, mi dispiace averti trascinata qui, ma sai che sto più tranquillo quando tu sei con me. Il comportamento di Marica mi sta facendo impazzire e devo per forza scoprire che cosa ci sta nascondendo. Non posso aspettare di metterla sotto torchio, potrebbero perfino passare delle settimane e io non posso resistere tanto a lungo», mugugna passandomi un braccio lungo la schiena.
«So cosa intendi, sono anch’io curiosa di capire che cosa le sta succedendo. Spero solo non sia niente di grave», dico in un sospiro.
«Smettila di pensare sempre negativo. Secondo me ha una tresca con Paolo e sta mettendo le corna a quel pirla di Michele», ipotizza lui continuando a camminare lungo il marciapiede.
«Perché pensi che possa avere una tresca con lui?». Io non credo che possa essere possibile, non ci terrebbe all’oscuro di certi cambiamenti nella sua vita. A meno che non stia davvero tradendo Michele e si stia vergognando per quello che sta facendo.
«Mah, si comportano entrambi in modo strano e fatalità sono pure andati via insieme stasera. Sento puzza di inciucio».
La teoria di Luca potrebbe avere anche senso, ma non credo sia vera. Non ho mai visto nessun strano segnale tra di loro, nessun sguardo particolare. Se davvero avessero una relazione, qualcosa sarebbe trapelato. Almeno io la penso in questo modo. Sarebbe davvero difficile per me fingere di non essere interessata all’uomo che frequento. Per carità, ognuno la vive a proprio modo e magari riescono pure a fingere, però, non so, non mi sembra questa la strada giusta da intraprendere per capire qualcosa di tutta questa strana situazione.
«Non sei convinta, vero?». Il mio migliore amico mi conosce troppo bene e percepisce subito se c’è qualcosa che per me non va.
«No, nemmeno un po’». Mi stringo di più a lui, comincio ad avere freddo. La giacchettina che ho indossato è troppo leggera pei i miei gusti.
Luca si ferma di scatto e mi trascina dietro un albero. Che diavolo gli prende? Sto per aprire bocca, ma me la tappa con una mano.
«Shhh», sussurra al mio orecchio, guardando oltre la mia spalla.
Rimango stretta a lui, sperando che prima o poi mi faccia sapere che cosa sta succedendo. Poso la testa contro il suo petto e sospiro. Non mi dispiace essere qui con Luca, ma preferivo di gran lunga essere a casa al caldo con Marco.
«Si può sapere che cosa sta succedendo?», gli domando alla fine.
«Ho visto Marica in fondo alla via, si era voltata nella nostra direzione. Non volevo che ci vedesse», risponde a bassa voce.
«Dov’è adesso?».
Lui mi prende per le spalle e mi fa ruotare lentamente, fino ad avere la sua stessa visuale. Posa entrambe le mani sul mio ventre, il mento sulla mia testa. Noto Marica appoggiata a un lampione, sta parlando con un uomo che le sta tenendo una mano tra le sue.
«Magari è un parente», azzardo con pochissima convinzione.
Un istante dopo lui la bacia sulle labbra, un bacio che di casto ha gran poco. Lei gli allaccia le braccia intorno al collo e si stringe a lui. L’uomo la tiene stretta a sé e continua a baciarla come se non ci fosse un domani.
«Dicevi?», sussurra al mio orecchio.
«No, non è un parente», bofonchio io in un sospiro. «Chi diavolo è quel tipo?».
«Non ne ho la più pallida idea. L’unica cosa certa è che non si tratta di Paolo», commenta lui posandomi un delicato bacio tra i capelli.
«Come sei perspicace stasera». Lo prendo in giro io intrecciando le mie dita alle sue sul mio ventre.
L’uomo ha spinto la nostra amica contro la parete di un palazzo, senza staccare per un solo momento la bocca da quella di lei. Le solleva una gamba e se la porta su un fianco, carezzandola con desiderio. Lui scende a baciarle il collo, mentre lei armeggia con i suoi pantaloni. Direi che hanno gli ormoni a palla e stanno per farlo in un luogo pubblico, dove chiunque potrebbe vederli, noi compresi.
«Pensi che dovremmo andare, o dobbiamo rimanere per fare i guardoni mentre ci danno dentro in mezzo alla strada?», chiedo al mio migliore amico.
Non mi piace l’idea di spiare Marica in un momento tanto intimo, anche se probabilmente avrebbero dovuto scegliere un posto più appartato. Come se avessero potuto sentirmi, si guardano intorno guardinghi e si ricompongono. Lui la prende per mano, sparendo un istante dopo all’interno di quel palazzo. A quanto pare quell’uomo vive proprio qua.
«Salvi», esclamo voltandomi nuovamente verso Luca e buttandogli le braccia al collo.
«Vuoi fare anche tu le sporcacciate qui in pubblico?», chiede lo scemo del mio amico, prima di venire colpito con una manata dietro al collo.
«Se non volevi, bastava che lo dicessi. Non serve che alzi le mani ogni volta». Mi stringe di più a sé e mi bacia la fronte.
«Sai, cucciola, ora che abbiamo scoperto che cosa ci nascondeva Marica, non mi sento per niente meglio».
«Nemmeno io. Non sappiamo neanche chi sia lui. Mi chiedo come mai ci abbia tenuto all’oscuro di tutto e non si sia confidata con noi».
«L’unica spiegazione è che si vergogni di quello che sta succedendo», azzarda lui cercando il mio sguardo.
Arriccio le labbra, stringendomi nelle spalle. Esterno quello che mi è appena passato per la mente. «E se lui fosse già impegnato proprio come lei?».
«E se fosse sposato?», rincara la dose lui.
Onestamente non avevo pensato a questa possibilità ma, per quanto ne sappiamo noi, potrebbe anche essere la realtà.
«Sta restituendo le corna a Michele», dico ridacchiando. Lo so che la cosa non dovrebbe essere divertente, ma non si può negare quanto questa situazione sia strana.
«Hai perfettamente ragione. E sai che cosa ti dico? Quasi quasi mi dispiace per lui», aggiunge con un sorriso sghembo. «Sembrava davvero pentito delle sue malefatte e stava trattando Marica come una regina, forse fin troppo».
«Forse a lei questo nuovo Michele stava stretto». A volte cambiare troppo non è di grande aiuto e può solo peggiorare le cose. Non dico che dovesse continuare a tradirla, ma troppe attenzioni non sono mai state da lui.
«Forse questo nuovo tizio la soddisfa maggiormente». Luca guarda verso il palazzo dove si sono rintanati i due amanti. «Probabilmente a quest’ora stanno copulando come ricci».
«Secondo me non sono nemmeno arrivati in camera». Con la foga con cui si stavano baciando prima, dubito che avrebbero resistito a lungo prima di darci dentro.
«Lo stanno facendo sul pavimento del salotto», continua Luca.
«Okay, direi che per stasera abbiamo toccato il fondo. Che ne dici se ce ne torniamo a casa? Comincio a essere parecchio stanca e mi fanno male le caviglie a forza di stare qui in piedi come una scema». Mi stacco dal mio migliore amico e lo prendo per mano, intrecciando le mie dita alle sue.
«Anche perché ho promesso al tuo uomo di non strapazzarti, altrimenti mi mette nel frullatore. A essere sincero non ho ancora capito perché voglia proprio frullarmi». La sua espressione è talmente buffa che mi ritrovo a ridere spensierata.
«Ti adoro, tesoro mio». Gli scocco un bacio sulla guancia e ci incamminiamo mano nella mano.
Passeggiamo lentamente, ognuno immerso nei propri pensieri. Non ho più voglia di parlare, sono stanca e non saprei che altro dire. Questa serata è stata parecchio stancante per me e non vedo l’ora di andarmene sotto le coperte, stretta a Marco. Abbiamo cominciato a organizzare le cose per il matrimonio e già questo mi ha parecchio stressata, il pedinamento non mi ci voleva, ma forse è stato meglio così. Ora sappiamo che cosa sta combinando Marica, anche se non conosciamo esattamente tutti i dettagli. Per il momento questo è più che sufficiente. L’importante è che non si cacci nei pasticci, merita anche lei di essere felice come tutti noi.
Entriamo in casa e tre paia di occhi ci fissano con curiosità.
«Avete scoperto qualcosa?», chiede Stella alzandosi come una scheggia e prendendo le mie mani, accompagnandomi sul divano e facendomi sedere al suo posto tra i due uomini. Si inginocchia davanti a me in attesa di una mia risposta.
Luca si siede sul bracciolo accanto ad Alex e si appoggia con il braccio sulla sua spalla.
«Sì, direi di sì», rispondo in un sospiro. «Si vede con un uomo».
«Paolo?», domanda Giorgio voltandosi verso di me.
Scuoto la testa. «No, non sappiamo chi sia».
«Non lo abbiamo mai visto prima d’ora e abbiamo pure paura che sia un incontro clandestino», aggiunge il mio migliore amico.
«Oh cazzo», sbotta Stella portandosi immediatamente una mano alla bocca.
«Già», commento io lasciandomi andare contro i cuscini del divano.
L’unico modo per sapere che cosa sta succedendo davvero è chiederlo alla diretta interessata. Non credo sarà molto felice di sapere che l’abbiamo seguita. Forse è meglio che non lo sappia, almeno non ora. L’importante è che lei stia bene, è grande abbastanza per prendere da sola certe decisioni. Se avrà bisogno di noi, saremo sempre qui per lei.
 
°°°
 
Non sono certo che Lorenzo sappia dove andare, ma lo seguo con le mani nelle tasche dei pantaloni, senza dire una parola. Lui si guarda intorno alla ricerca di ogni piccolo indizio, di qualcosa che ci possa dire dove sia andato Paolo. La sua macchina è ancora parcheggiata nella via laterale sotto casa nostra, perciò si sta muovendo a piedi.
«Sei davvero sicuro di voler andare fino in fondo a questa follia?», domando dopo alcuni minuti di silenzio. Mi fa strano non sentire la voce del mio socio, lui di solito fa sempre andare la bocca, la maggior parte delle volte per sparare stronzate, ma questo è un altro discorso.
«Sono sicurissimo. Voglio sapere che cosa passa per la testa di quello zuccone. Se imparasse a sfogarsi con noi, ora non saremmo qui a cercarlo», risponde fermandosi a un incrocio e guardando in tutte le quattro direzioni.
«Sei proprio sicuro che sia venuto da questa parte?». Ho come la sensazione che stia andando a casaccio, sarebbe molto nel suo stile, ma non vorrei infierire troppo, magari si offende. In questo momento vorrei tanto essere con Serena, nel nostro appartamento, rilassati uno tra le braccia dell’altra. Mi sfugge un sospiro.
«Dall’altra parte è impossibile, non c’è niente a parte un sacco di palazzi e case. Di qua si va verso il centro, c’è un po’ più di vita», bofonchia punto sul vivo.
«Di lunedì sera?». Inarco un sopracciglio e non nascondo tutta la mia perplessità a riguardo.
«Come sei rompicoglioni!», sbotta lui gesticolando come un matto. «Vado di qua! Se vuoi seguirmi, fallo pure, altrimenti tornatene a casa, io ci vado lo stesso».
Riprende a camminare senza aspettare un mio cenno di assenso e io alzo gli occhi al cielo esasperato. Ragionare con Lorenzo non è affatto facile e, se ci provi, probabilmente ti viene soltanto un gran mal di testa.
Lo seguo nuovamente in silenzio e lui si volta a controllare se sono dietro di lui. Ridacchia da solo come un cretino.
«Non farti illusioni, vengo con te solo perché non mi va che tu vada in giro da solo di notte», brontolo affondando di nuovo le mani nelle tasche.
«Sono adulto e sono pure ben piazzato, so difendermi da solo», borbotta lui senza nemmeno voltarsi.
«In due siamo più protetti», continuo io senza volergli lasciare l’ultima parola.
«Fai quel cazzo che vuoi».
«Come sempre». A questo mio commento, lui scuote la testa e scoppia a ridere.
«Sei un coglione, ma credo che tu già lo sappia». Questa volta si gira verso di me e mi colpisce con un leggero pugno sul braccio.
«Sì, lo so, ma ti ringrazio per avermelo ricordato». Gli regalo un sorriso sghembo e gli passo un braccio intorno al collo, stritolandolo per benino. Lo lascio andare immediatamente dopo.
Sta per aggiungere qualcosa, ma si ferma all’improvviso, afferrandomi per un braccio e trascinandomi dietro una macchina parcheggiata. Sto per sbottare con epiteti poco eleganti, ma lui mi intima di starmene zitto e mi indica un punto con un cenno della mano. Guardo in quella direzione e vedo Paolo appoggiato al muro di un palazzo, una sigaretta tra le dita.
«Da quando in qua Paolo fuma?». Parlo a bassa voce, non vorrei mai che Lorenzo mi colpisse per aver disobbedito ai suoi ordini.
«Da adesso, credo. Non l’ho mai visto con una sigaretta in bocca in tutta la mia vita». Lorenzo continua a fissare il nostro amico attraverso il finestrino della macchina.
Paolo sbuffa delle nuvole di fumo, osservando un punto imprecisato davanti a sé. Sembra assorto nei suoi pensieri e sembra triste, parecchio anche.
«Che cazzo ci fa qui tutto solo?», sbotta Lorenzo all’improvviso.
«Forse sta aspettando qualcuno», ipotizzo io guardandomi in giro alla ricerca di possibili persone che potrebbero raggiungerlo.
Contro ogni nostra previsione, lancia la sigaretta a terra ed entra nel bar lì accanto.
Lorenzo parte all’attacco e si sposta più avanti, cercando sempre di rimanere basso per non farsi notare. Io lo raggiungo camminando normalmente.
«Abbassati!», mi intima non appena si accorge che sono ad altezza naturale. Eseguo sbuffando. Perché non posso tornarmene a casa dalla mia donna? Questa serata era cominciata bene, ma ha preso una strana piega e non è che ne sia molto entusiasta. Lorenzo mi trascina per un braccio e comincia a correre fino a raggiungere l’altra parte della strada: da questa angolazione vediamo perfettamente l’interno del locale. Paolo è seduto al bancone con davanti a sé una birra bionda. C’è pochissima gente nel bar, nessuno a fargli compagnia. Non credo stesse aspettando qualcuno e ho come l’impressione che nessuno lo raggiungerà.
Estrae il cellulare dalla tasca dei pantaloni e controlla il display, passandosi una mano sul mento ricoperto da un leggero strato di barba scura. Altra cosa che mi era sfuggita: lui si è sempre rasato, non ha mai saltato un giorno, ma quella barba mi dice che è da un po’ che non lo fa. Da cosa dipende questo suo cambiamento? Che cosa gli sta succedendo? Armeggia con il telefono fino a fermarsi su una schermata. Da qui non riesco a vedere che cos’è, non ho ancora la super vista, ma sembrerebbe una foto, di questo ne sono quasi certo.
Paolo fissa quell’immagine con aria sognante e sospira, bevendo poi una generosa sorsata di birra. Si stropiccia gli occhi con la mano, spegne il telefono e lo rimette in tasca.
«Sbaglio o stava guardando una foto di donna?», domanda Lorenzo cercando una conferma ai suoi sospetti.
«Non so se fosse una donna, ma di sicuro era una foto. Più di così non sono riuscito a vedere», rispondo stringendomi nelle spalle.
«Dici che dovremmo andare da lui e fargli compagnia?». Il mio socio propone questa soluzione, ma dubito che possa essere fattibile. Paolo se n’è andato da casa mia per venire qui a bere da solo. Dubito che abbia voglia di passare del tempo con noi, a quanto pare aveva bisogno di starsene tranquillo, non saprei.
«No, lasciamolo in pace. Credo che voglia restare solo». Se scoprisse che lo abbiamo pedinato, non credo che ne sarebbe molto felice.
Stavolta sono io che afferro Lorenzo per un braccio, trascinandolo fuori dalla possibile visuale di Paolo. Non vorrei che ci beccasse in flagrante.
«Vorrei proprio sapere chi è quella troia che ha ridotto il nostro socio in quello stato», mugugna Lorenzo una volta svoltato l’angolo ed essere tornati sulla mia via.
«Come fai a essere tanto certo che sia colpa di una donna?», gli domando per scrupolo. So già che cosa mi risponderà, non ho alcun dubbio a riguardo.
«È sempre colpa di una donna e deve essere pure una gran puttana per spezzare il cuore di un ragazzo d’oro come Paolo», sbotta alquanto alterato. Non si è di certo risparmiato con le parole dolci. Da un certo punto di vista ha pienamente ragione. Chi è quella pazza che si è lasciata scappare un uomo come lui? Non che sia mai stato molto fortunato in amore, ma non lo avevo mai visto così sconsolato. Deve essere stato davvero preso da lei e la cosa che mi fa girare ancora di più le palle è che non ne sapevamo nulla. Se almeno si fosse confidato con noi, magari avremmo potuto aiutarlo in qualche modo.
«Hai ragione. Le auguro di rimanere sola a vita». Sarà sicuramente la classica zitellona acida che aspetta il cretino di turno che la salvi dalla sua vita insulsa. Paolo non era abbastanza per lei.
«Una persona del genere si merita solo quello!», infierisce il mio migliore amico. «Ora devo assolutamente sapere chi è. Le manderò una denuncia per spezzamento di cuore».
Questa mi mancava! Se esistesse davvero la possibilità di fare una denuncia di quel tipo, Lorenzo a quest’ora sarebbe l’avvocato più ricco al mondo. Ci sono fin troppi cuori spezzati.
«Vorresti mettere sotto torchio Paolo?». Penso sia l’unico modo per ottenere delle risposte. Se non ha parlato finora, non credo lo farebbe adesso di sua spontanea volontà, non avrebbe alcun senso.
«Ovvio! Venerdì, alla nostra serata poker. Non avrà scampo». Lorenzo è davvero deciso ad arrivare fino in fondo a questa storia.
Se fossi Paolo, comincerei a correre e me ne starei alla larga da lui. Lorenzo gli romperà le palle finché non avrà ottenuto le risposte che cerca. Non ho ancora capito che cosa voglia fare quando saprà tutta la verità. Andrà a cercare la donna e gliela farà pagare? Dubito fortemente che alla fine farebbe una cosa tanto idiota, ma non si può mai sapere con lui, sa essere parecchio imprevedibile.
«Secondo te, perché non ne ha mai parlato con noi?». Questa domanda è un po’ che fa capolino nella mia testa e non sono mai riuscito a trovare una risposta che possa avere senso.
Lorenzo riempie le guance di aria e la butta fuori un po’ per volta, emettendo dei rumori buffi. «Non saprei, forse si vergogna. Magari lei è una racchia e si vergogna a farsi vedere con lei per paura di essere sfottuto a vita per il suo cattivo gusto».
Anche se lo fosse, non lo avremmo mai deriso. Alla fine deve uscire lui con una donna e se si trova bene con quella persona, non capisco perché dovremmo interferire. Almeno io non lo farei mai, però non metterei la mano sul fuoco per Lorenzo.
«Forse». Taglio corto io. Non mi va più di parlare di queste assurdità. Se Paolo non ha mai voluto parlarcene, avrà avuto le sue ragioni e io le rispetto.
Ora voglio solo tornare a casa dalla mia donna e cacciare via tutti, per oggi abbiamo dato e abbiamo bisogno di un po’ di tranquillità.
Saliamo nell’appartamento e anche Serena è già tornata: sta sonnecchiando sulla spalla di Alex, la mano stretta in quella di Stella seduta alla sua sinistra.
«Allora?», domanda Giorgio alzandosi dalla sedia e venendo verso di noi. «Qual è il verdetto?».
Lorenzo fa una smorfia. «Direi che è in fissa per una donna. Lo abbiamo trovato da solo davanti a un bar che fumava».
«Paolo che fuma?», sbotta Giorgio incredulo. Anche lui ha la nostra stessa reazione.
«E ora si sta scolando una birra in solitaria, fissando la foto di una donna sul suo cellulare», prosegue il mio socio con il suo resoconto.
«Non abbiamo la certezza che fosse una foto di donna». Gli faccio notare raggiungendo Serena e inginocchiandomi davanti a lei. Si stropiccia gli occhi con una mano e mi sorride.
«Di sicuro non era la foto della nonna», borbotta lui.
«A voi, invece, com’è andata?», chiedo alla mia donna.
«Marica si trastulla con un uomo che non è Michele». È Luca a rispondere al posto suo.
Aggrotto la fronte, incredulo. «Sul serio?».
«Direi di sì, visto che stavano per farlo sul marciapiede», continua lui con una smorfia.
Che cosa assurda. Non credevo che Marica fosse tipo da certi comportamenti fuori luogo. Sta restituendo al suo ragazzo quello che lui le aveva dato: le corna.
Direi che ne ho avuto abbastanza di queste indagini strampalate.
«Bene, signori, non so voi, ma è stata una giornata davvero pesante e me ne andrei a dormire. La mia futura moglie ha bisogno di riposarsi».
«Abbiamo capito, togliamo le tende», esclama Giorgio raccogliendo la sua giacca e incamminandosi verso la porta, seguito a ruota da tutti gli altri.
«Passo a prenderti domani alle dieci per andare a vedere il vestito», dice Luca a Serena, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Mi lascio cadere sul divano e lei si avvinghia immediatamente a me. Mi era mancato stare un po’ tranquillo con lei, ne avevo davvero bisogno. Non voglio più parlare di quello che è successo stasera, è stato tutto alquanto surreale. Voglio solo godermi la donna della mia vita in santa pace.
«Mi sei mancata», le sussurro accarezzandole dolcemente i capelli.
«Siamo stati via solo un quarto d’ora». Mi fa notare lei in un mugugno.
«Mi è sembrata una vita». Ogni istante passato lontano da lei è come una stretta al cuore per me, ho bisogno di lei più dell’aria. «Andiamo a letto?».
«Era una proposta sozza?», domanda lei ridacchiando.
«Non eri stanca fino a un attimo fa?». Inarco un sopracciglio e mi scosto quel poco che basta per poterla guardare negli occhi.
«Non sono mai stanca per fare l’amore con l’uomo che amo». Pronunciate queste parole si alza dal divano e si siede cavalcioni su di me. Le mie mani finiscono automaticamente sul suo sedere.
«Stai cercando di sedurmi?». La prendo in giro io, chiudendo gli occhi non appena le sue labbra si posano sul mio viso, lasciandomi dei delicati baci lungo la linea della mandibola. Mi sfugge un mugolio di piacere quando la sua lingua sfiora le mie labbra. Mi approprio della sua bocca prima che possa sfuggirmi. La bacio con foga, mentre il suo bacino continua a muoversi, accendendo in un attimo la mia voglia di lei. Mi alzo dal divano, tenendola stretta a me. Le sue gambe si allacciano intorno ai miei fianchi, non smette un istante di baciarmi. La lascio andare con delicatezza sul letto e la ammiro in un tutta la sua bellezza. Le sue guance sono arrossate, i capelli scompigliati, mi rendo conto di non poter vivere senza di lei. Amo questa donna, la amo più di ogni cosa al mondo.
 
 
 
*Note dell'autrice*
I nostri moderni Sherlocks hanno voluto indagare e ciò che hanno scoperto non è esattamente quello che avevano pensato. Marica sta tradendo Michele con un altro uomo, Paolo sospira davanti alla foto di una donna (o almeno così crede Lorenzo). Credo che presto avremo altri dettagli su tutta questa storia, ancora un po' di pazienza. Sicuramente per chi sperava in un'altra coppia all'interno del geruppo, è andata male :) Devo ammettere che mi sono divertita a farvi credere che potessero avere una tresca tra di loro *risata malefica*.
Nel prossimo capitolo scopriremo se Serena riuscirà a trovare il vestito e che cosa sta accadendo davvero in azienda da Marco. Tenetevi pronti.
Un grazie immenso a tutti voi che leggete, seguite e commentate... vi adoro!
A martedì prossimo!
Un bacione,
Ire.


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 8
*** Che stress! ***



 
 

Capitolo Otto

Che stress!



 
Non ho per niente voglia di andare per negozi con Luca stamattina. Ho appena avuto un attacco di nausea tremenda e ho passato una ventina di minuti con la testa nella tazza. Ora sono raggomitolata sul divano, con la copertina sullo stomaco e Diablo sulle gambe. Non ho alcuna intenzione di abbandonare questo posto tanto comodo. Il mio migliore amico dovrebbe arrivare tra mezzora, ma conoscendolo arriverà con dieci minuti di anticipo. Se avessi saputo prima che sarei stata così male, non avrei mai accettato di andare con lui oggi.
Il cellulare accanto a me sul divano emette un bip che indica l’arrivo di un messaggio. Lo apro con un sospiro.
 
Come stai, amore? Ti è passato un po’?
Il mio uomo si preoccupa sempre per me. Non voleva nemmeno andare al lavoro quando ha visto che non stavo tanto bene. Credo che sarebbe stato volentieri con me, piuttosto che affrontare nuovamente quel Leonardo che non sopporta. Lo sta facendo impazzire, ma per lo meno ora si sfoga con me e riesco a tranquillizzarlo quando si altera più del dovuto. Non ha senso tenersi tutte le angosce dentro, peggiora soltanto le cose e aumenta a dismisura lo stress. Non vorrei facesse la fine di suo padre, non vorrei mai gli venisse un infarto.
Gli rispondo, rassicurandolo di sentirmi molto meglio e di aver preso l’antiacido, che per giunta è la verità. Riesco a inviare il messaggio, prima che il cellulare cominci a suonare tra le mie mani. Il nome mamma appare sul display.
«Pronto?». Cerco di sembrare pimpante, anche se la nausea sta tornando a farsi viva. Non voglio che si agiti, poi comincia ad andarmi in paranoia.
«Come stai, tesorino mio?», chiede senza nemmeno salutare.
«Sto bene, mamma, tranquilla», rispondo roteando gli occhi. Carezzo il gattone che ha aperto un occhio, disturbato da questa telefonata. Ritorna a dormire beatamente, mentre gli liscio il pelo.
«Ti serviva qualcosa?». Dubito che mi avesse chiamato soltanto per chiedermi come stavo, a quest’ora soprattutto, non è solita chiamarmi il mattino.
Dopo un attimo di esitazione, mi risponde con entusiasmo. «Stavo pensando di organizzare un pranzo qui da noi domenica, per festeggiare la notizia dei nipotini e volevo invitare anche i tuoi futuri suoceri. Che ne pensi?».
Che cosa ne penso? Penso che avrò un gran mal di testa con entrambe le famiglie a rapporto.
«Se ti va di cucinare per tutti», butto lì con pochissimo entusiasmo. Mi è passata la voglia di sembrare pimpante.
«Ho già chiamato Rossella e ha detto che per lei va benissimo. Si è offerta di portare il dolce», cinguetta la mia genitrice.
Mi gratto nervosamente la testa. Se aveva già organizzato tutto e mia suocera aveva già accettato, perché cavolo ha chiesto il mio parere?
«Allora perché me lo chiedi?», brontolo poco elegantemente.
«Volevo solo renderti partecipe», dice lei senza perdere la sua allegria.
«La prossima volta invitami e basta, senza tutti questi giri di parole».
Il suono del campanello mi fa sussultare. Guardo l’ora sull’orologio a pendolo che si trova proprio di fronte a me e, come previsto, Luca è arrivato con dieci minuti di anticipo.
«Stavi aspettando qualcuno?», domanda mia madre.
Mi alzo dal divano e faccio scattare la serratura, aprendo la porta di uno spiraglio. Luca mi raggiunge in un attimo. Sta per aprire bocca, ma gli faccio segno che sono al telefono. Mi bacia la guancia e si siede pesantemente sul divano, facendo volare a terra Diablo che corre subito da me. Lancio un’occhiataccia al mio migliore amico, il quale mi mostra la lingua.
«Scusa mamma, è appena arrivato Luca. Dobbiamo andare a fare compere», le spiego sedendomi accanto a lui e appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Per i bambini?». La curiosità di mia madre ha preso il sopravvento e ora devo stare attenta a come parlo. Non posso di certo dirle che dobbiamo andare a vedere un vestito da sposa.
«No, devo cercare qualcosa per me, ma non sono certa che lo troverò». Sono orgogliosa di me. Le ho dato una risposta veritiera, dalla quale non trapela che cosa cerco in realtà.
Luca mi passa un braccio intorno alle spalle e mi bacia la tempia.
«Perché hai detto che non sai se lo troverai? Che cosa stai cercando di preciso?».
Oh cacchio! Okay, vediamo di salvarmi le chiappe.
«Un vestito elegante per il battesimo del figlio dell’amico di Marco». Avrei potuto dire del battesimo di Eleonora, ma fa parte della famiglia e sa benissimo che non è ancora prevista una data. Lei non conosce Giorgio, perciò posso raccontarle questa bugia bianca.
«Ah, okay». Sembra quasi delusa da questa nuova consapevolezza. «Speravo andassi a vedere il vestito da sposa, anche se vorrei esserci anch’io quel giorno».
Per poco non mi strozzo con la mia stessa saliva e Luca è costretto a massaggiarmi delicatamente la schiena.
«No, mamma, tranquilla. Quando sarà il momento, andremo insieme». Porca zozza! Ora sono davvero fregata!
«Oh bambina, non vedo l’ora! Ora ti lascio andare. Dai un bacio a Luca da parte mia», esclama con una nuova felicità nella voce.
La saluto e riaggancio.
«Niente vestito da sposa oggi allora», brontola il mio migliore amico. La delusione sul suo volto mi mette una gran tristezza.
«Possiamo andare lo stesso». Gli occhi cominciano a pizzicarmi, le lacrime vogliono uscire. Non sopporto deludere le persone che amo, ma come posso accontentare sempre tutti? È materialmente impossibile e a me scoppia la testa.
«No, cucciola, non piangere! Non sopporto vederti in questo stato». Mi avvolge in un abbraccio e lascio che le lacrime seguano il loro corso lungo le mie guance.
«Non ce la posso fare a sopportare tutto, io non voglio deludere nessuno. Vorrei che foste tutti sempre felici e orgogliosi di me. Qualunque decisione io prenda, qualcuno ci rimarrà male e io non voglio che questo accada», piagnucolo aggrappata a lui.
«Ascoltami, amorino mio bello. Dovremmo tutti renderci conto che stai aspettando due bambini, che sei stanca, hai gli ormoni a palla e il pianto facile. Noi dovremmo fare in modo di farti rimanere tranquilla e non agitarti ancora di più. Non ti fa bene e non fa bene ai miei nipotini». Si stacca da me e mi prende il viso tra le mani, asciugandomi le lacrime con i pollici. «Oggi ce ne staremo qui a casa tranquilli e beati. Parleremo fino a seccarci la gola, rideremo fino a farci venire il mal di pancia e mangeremo schifezze, un sacco di schifezze. Solo tu ed io. Che ne pensi?».
«Penso che sia perfetto», rispondo abbandonandomi nuovamente tra le sue braccia. «Come posso non adorarti?».
«È impossibile non farlo. Sono nato per essere adorato da tutti», esclama lui ridacchiando.
«Su questo posso solo darti ragione». Chiudo gli occhi e mi lascio cullare dal mio migliore amico. Sono così felice che sia qui con me in questo momento.
Ora che ci penso, non gli ho ancora detto che ci trasferiremo. Un nodo alla gola si forma dal nulla e mi sta tornando voglia di piangere. Come posso andare ad abitare lontano dal mio Luca? Va bene, sono soltanto una decina di chilometri e ci si impiega dieci minuti in macchina, ma è comunque lontanissimo. Non posso più raggiungerlo a piedi. Ho paura che non prenderà bene questa mia notizia. Tutto questo pensare mi sta stressando.
«Ti sei irrigidita all’improvviso. Devi darmi un’altra notizia che non mi piacerà, vero?». Come riesce a capirmi lui, non ci riesce nessuno.
Mi scosto da lui e mi siedo voltandomi nella sua direzione, intreccio le gambe e mi copro nuovamente con la copertina.
«La tua espressione non promette niente di buono». Luca mi prende una mano e si mette a giocherellare con le mie dita.
«Dobbiamo cambiare casa, questa è troppo piccola per tutti e cinque». Alla fine riesco a rivelargli la mia notizia.
«Cinque?», ripete lui perplesso.
«Marco, io, i gemelli e Diablo». Conto con le dita e, se non sono completamente fusa, dovremmo essere cinque in questa famiglia.
«Certo, scusa, non avevo contato il felino pulcioso», commenta lui con un sorrisetto sghembo.
Diablo, preso in causa, gli salta di peso sulla pancia, a Luca si forma una smorfia di dolore in volto.
«Non gli piace essere chiamato felino pulcioso», gli ricordo, richiamando il mio gattone a me e coccolandolo amorevolmente.
«Gatto infame e malefico», borbotta lui. «Dovreste dargli meno da mangiare».
«Può darsi, ma a noi piace così fuffoso». Prendo il musetto di Diablo tra le mani, lui chiude gli occhi, emettendo delle fusa esagerate.
«Fuffoso? Okay, dopo questa, le ho sentite tutte». Scuote la testa rassegnato. «Tornando a noi, avete già un posto dove andare o lo state cercando?».
«Andremo nella casa sul lago, quella dove abbiamo festeggiato il mio compleanno», rispondo lasciando andare il felino malmostoso, ora non ha più voglia di farsi coccolare.
«Vuoi dire quella villetta tanto graziosa, con un giardino che sembra quasi un piccolo parco e quella esagerata vista sul lago?», chiede conferma sgranando gli occhi.
«Proprio quella», confermo.
«Il sogno della tua vita sta per avverarsi? Oh mamma, sono emozionato io per te! Voglio saperne di più! Come mai proprio quella casa? Su, racconta al tuo cucciolino bello». Incrocia anche lui le gambe sul divano e mi prende nuovamente le mani.
«La domenica che siamo andati a cena dai suoi per il compleanno della madre, ci hanno fatto notare che il nostro appartamento non va bene per accogliere due bambini e ci hanno offerto quella casa. È intestata a tutti e tre i figli, ma nessuno la usa più da anni. Le sue sorelle sono disposte a cederci la loro parte e lasciare la casa a noi», comincio sistemandomi meglio il cuscino dietro la schiena.
«Che cosa carina da parte loro», commenta il mio migliore amico emozionato. Sembra davvero felice per me in questo momento e la cosa mi rincuora parecchio.
«Beh, noi non avevamo ancora deciso che cosa fare. Sai che sabato e domenica siamo andati lì per stare un po’ da soli». Lo guardo in attesa di un suo cenno di assenso che non tarda ad arrivare. «I suoi genitori l’hanno tirata a nuovo per noi».
«In che senso?», domanda curioso.
«Hanno imbiancato, cambiato le tende, mobili, hanno creato perfino una stanza per i bambini. C’è già una culla, non avevano ancora idea che fossero due quando avevano sistemato tutto. Ti giuro, non potevo credere ai miei occhi. Sono scoppiata a piangere come un’idiota e Marco credeva che pensassi i suoi avessero esagerato. Invece stavo piangendo perché era tutto quello che avevo sempre desiderato ed era tutto perfetto, meraviglioso». Una lacrima torna a rigarmi la guancia al pensiero della forte emozione che ho provato quel giorno.
«Davvero hanno fatto tutto questo per voi?». Luca ha gli occhi lucidi.
Annuisco solamente, pulendomi il naso con la manica della maglia. Lo so che non è una cosa elegante da fare, ma al momento non ho nient’altro a portata di mano.
«Hanno fatto anche fin troppo, non avrebbero dovuto riammobiliarla. Potevamo farlo anche noi», mugugno un tantino frastornata. Mi sta tornando la nausea.
«Magari volevate scegliere da soli l’arredamento», azzarda lui carezzandomi il dorso della mano.
«Sinceramente non mi importa molto, un pensiero in meno. Spero solo di non dover essere in debito con loro a vita. Vorrei in qualche modo ripagare loro ciò che hanno speso. Non mi va di vivere sulle loro spalle».
«Sei sempre stata una donna indipendente, ma per una volta potresti goderti ciò che ti stanno offrendo, senza pensarci su troppo. Non ti capiterà mai più di venire coccolata da tutti in questo modo. In fin dei conti, stanno regalando la casa al loro figlio, il quale si sta per sposare e li renderà ancora una volta nonni. Credo lo facciano solo perché sono felici di quello che sta accadendo. Fidati di me, goditi il momento, cucciola».
Le parole di Luca mi fanno stare bene e credo che lui abbia pure ragione. Dovrei godermi il momento, rilassarmi e lasciare che gli altri mi aiutino e mi coccolino. Più facile a dirsi che a farsi, testona come sono.
«Cambiando per un momento discorso. Venerdì ho intenzione di parlare a Marica di quello che è successo. L’ho accennato anche a Stellina ieri sera. Non mi sembrava molto convinta, ma lei non lo è mai del tutto. Lo so che probabilmente nemmeno tu lo sarai, ma ho intenzione di fare ugualmente l’antipatico e rompere le palle a Maricuccia nostra».
«Non assalirla però. Non credo abbia bisogno di una ramanzina da parte nostra». Mi assicuro che recepisca il messaggio, guardandolo con gli occhi socchiusi e puntandogli un dito contro.
«Tutto quello che vuoi, cucciola», dice il mio migliore amico alla fine.
È bello avere l’ultima parola una volta ogni tanto.
 
°°°

Ho appena messo piede in azienda e ho già le palle girate. Com’è possibile? So io da che cosa è dovuto: quel bamboccio di Leonardo. Se la sta ridendo e scherzando con mio padre, sorseggiando un caffè. Neanche la decenza di salutarmi hanno avuto! Ho già i nervi a fior di pelle e ho ancora tutta la giornata davanti, può solo peggiorare. Mi rifugio nell’ufficio di Anita e la donna mi saluta con un sorriso sincero. Almeno qualcuno sembra essere felice di vedermi stamattina.
«Sbaglio o quei due fanno comunella?», domando crollando sulla sedia davanti alla mia impiegata.
«Sembrerebbero andare d’amore e d’accordo», risponde lei offrendomi il caffè che aveva appena preso per lei. Lo rifiuto con un sorriso e un cenno della mano. Sono già abbastanza nervoso di mio, è meglio se me ne sto alla larga dalla caffeina.
«Fin troppo, per i miei gusti», dico con una smorfia. «Hai scoperto qualcosa?».
La donna guarda fuori dall’ufficio e poi si sporge verso di me.
«Questo fantomatico amico di tuo padre è un uomo molto influente. Ho scoperto che ha comprato parecchie aziende negli anni. Si diverte a tenerle in piedi per un po’ e poi falliscono misteriosamente», risponde lei a bassa voce per non farsi sentire.
«Perché mai dovrebbe farlo?», domando perplesso.
«Non ne ho idea». La donna si stringe nelle spalle e sembra davvero dispiaciuta di non potermi dare ulteriori spiegazioni. «Sono solo voci che girano, ma sembrerebbe che questo tizio presti soldi e li rivoglia con interessi astronomici».
«Uno strozzino?», sbotto alzando involontariamente il tono di voce.
Anita mi ammonisce con lo sguardo e mi dice, con un cenno della mano, di non gridare.
«Sembrerebbe», commenta mettendosi di nuovo composta sulla sedia e sorridendo a qualcuno alle mie spalle. «Buongiorno signor Rossini. La vedo in forma stamattina».
«Grazie Anita, buongiorno», saluta lui educatamente, ma la sua cortesia dura pochissimo. «Marco, muovi quel culo e vai a fare qualcosa».
Arriccio le labbra. Ho una voglia tremenda di rispondergli a tono, ma mi trattengo. Non sopporto l’idea che mi stia nascondendo qualcosa di tanto grave. Avrà chiesto dei soldi a quell’uomo? Che sia quello il motivo per cui quel cretino sta lavorando qui da noi? Magari ci sta tenendo d’occhio e vuole assicurarsi che restituiamo i soldi a suo nonno. Lo scoprirò, possono starne certi.
«Agli ordini», esclamo alzandomi dalla sedia e dirigendomi fuori dalla stanza, scansando mio padre e senza degnarlo nemmeno di uno sguardo. Sono incazzato nero con lui in questo momento e non ho voglia di litigarci.
Lo sento dietro di me e mi segue fino al mio ufficio, chiudendosi la porta alle spalle.
«Devi essere gentile con quel ragazzo», comincia lui con tono grave.
«Perché se no?». Mi volto verso di lui e lo osservo a braccia conserte.
Lui sembra stupito da questa mia reazione dura, ma si riprende immediatamente. «Tu fallo e basta». Se ne va via lasciandomi finalmente solo in questa stanza.
Io comincerò a essere gentile con quello stronzo, solo quando se ne andrà via dall’azienda della mia famiglia. Non lo voglio tra i piedi, non voglio vedere quel suo brutto muso tutto il giorno.
Estraggo il telefono dalla tasca della giacca e mando un messaggio a Serena per sapere come si sente. Mi risponde un attimo dopo, dicendomi di stare molto meglio. Avrei bisogno di sentire la sua voce rassicurante, ma ho promesso a me stesso di non tartassarla con troppi messaggi o telefonate.
Devo portare degli ordini a Tiziano e ne approfitto subito per tagliare la corda. Potevo mandare il bamboccio, ma voglio uscire da questo ufficio e respirare una boccata d’aria fresca. So già che sarà una giornata lunga, pesante e stressante. Riesco appena a mettere piede fuori dagli uffici, che vengo intercettato da mia madre.
«Ciao amore». Mi bacia la guancia per poi pizzicarmela un attimo dopo.
Doveva proprio farlo?
«Ciao mamma. Mi sembri di buon umore stamattina», le dico continuando a camminare lungo il vialetto con lei al mio fianco.
«Dici? Sto bene, nessun nuovo dolore, perciò posso permettermi di essere di buon umore. Ho fatto pure la rima!». Si mette a ridere per la sua stessa battuta e io ridacchio scuotendo la testa.
«Ti serviva qualcosa?», le domando fermandomi all’ingresso del magazzino.
«Volevo chiederti se sapevi che dolce preferisce tua suocera», risponde lei senza alcun segnale di imbarazzo.
Che diavolo c’entrano mia suocera e i dolci?
«Che io sappia adora il millefoglie, perché?». Ora ha acceso tutta la mia curiosità con questa sua domanda per me senza senso.
«Giovanna ci ha invitato a pranzo da loro domenica e le ho detto che avrei pensato io al dolce. Volevo portare qualcosa che piacesse un po’ a tutti e non andare a casaccio. Ora che so che apprezza il millefoglie, andrò nella mia pasticceria di fiducia a ordinarla».
A pranzo dai suoceri, assieme ai miei? Oh Signore santissimo! Mi viene già male adesso. Non avevo la minima idea di questa imboscata e credo che anche Serena ne fosse all’oscuro, altrimenti mi avrebbe avvertito immediatamente e saremmo scappati su un’isoletta solo lei ed io! In effetti, siamo ancora in tempo per farlo.
Credo che sarà l’occasione ideale per parlare alle nostre famiglie dell’imminente matrimonio, sperando di non far venire un colpo a qualcuno. Dovrò parlarne con la mia donna e decidere come organizzare la questione. Non possiamo lanciargli la bomba senza un piano preciso. La cosa più difficile sarà chiedere loro di non impicciarsi più del necessario, soprattutto le due madri. Sarà un mese lunghissimo e complicato, già lo so.
«Ti serviva altro?», le chiedo già con la mano sulla maniglia della porta che mi condurrà da Tiziano, l’uomo che potrebbe migliorare la mia giornata.
«Ti vedo strano, tesoro. Che cosa c’è che non va?». Mia madre si acciglia impercettibilmente e mi posa una mano sul viso.
Che cosa dovrei dirle? Che ho paura che suo marito si sia messo nei casini? Che mi sposerò a breve? No, non posso dirle proprio un bel niente.
«Sto bene, mamma, sono solo stanco». E stressato da morire, vorrei aggiungere, ma lo evito.
«Non farmi preoccupare anche tu». Mi posa un bacio sulla fronte e si incammina verso casa.
Anche tu. Non so se quell’affermazione fosse dovuta alle condizioni di salute di mio padre, o mia madre sappia qualcosa che io non so. Non credo che lui la farebbe preoccupare ulteriormente, ma non ci metto la mano sul fuoco.
I miei sono fin troppo imprevedibili.
Mi decido a entrare nel magazzino, mi guardo in giro e non trovo nessuno. Dove diavolo si è cacciato quel sant’uomo?
«Tiziano?». Provo a chiamarlo, ma nessuno mi risponde. Che cosa sta succedendo in questo posto?
Mi dirigo verso il suo piccolo ufficio e, dove dovrebbe essersi seduto lui, c’è quel viscido schifoso di Leonardo. Che cazzo ci fa lui qua? Non dovrebbe stare in questo posto.
«Il tuo amico non c’è, mi dispiace. Non ci sarà nemmeno domani, neanche dopo domani, e quello dopo ancora». Mi informa lui con un sorrisetto sardonico sulle labbra. Quanto vorrei spaccargli quel suo brutto muso.
«Che cosa vorresti insinuare?», domando allentando il nodo della mia cravatta. Mi sembra di soffocare in questo momento.
«Tuo padre l’ha licenziato, non ci serviva più. Ho preso io il suo posto», risponde intrecciando le mani dietro la nuca.
Non ci serviva più? Che cazzo c’entra lui in tutto questo? Lui non fa parte di questa azienda, non comanda lui.
«Perché mio padre avrebbe dovuto licenziarlo? Lavorava in questo posto da trent’anni ed era il migliore». Tesso le lodi dell’uomo che ho ammirato maggiormente qua dentro dalla prima volta che l’ho incontrato.
«Ora sono io il migliore e non c’è più bisogno di vecchi in questo posto», esclama lui dondolando sulla sedia come se fosse il legittimo proprietario di questo posto e fosse compito suo mandare avanti la baracca.
«Per cui vorresti sbattere fuori anche mio padre?». Non ho alcuna intenzione di girare intorno alla questione, non sarò carino con lui, non lo tratterò come un mio pari. Lui è il nemico e come tale gli farò il mazzo, cacciandolo dall’azienda della mia famiglia. Questo posto non sarà mai suo, fosse l’ultima cosa che farò in tutta la mia vita.
«L’intenzione del mio caro nonnino è proprio quella. Preparati, coglione, l’era dei Rossini sta per finire». Una risata da far accapponare la pelle riempie il piccolo abitacolo.
«Staremo a vedere», sibilo tra i denti. Non mi farò mettere in piedi in testa da questo bamboccio. Giro sui tacchi ed esco dal magazzino come una furia. Raggiungo il mio ufficio quasi di corsa, saluto Anita, lasciandole poche indicazioni e dicendole di tenersi alla larga da Leonardo. Recupero le chiavi della macchina dalla tasca dei pantaloni e salgo in macchina, andandomene da quella gabbia di matti. C’è un’unica destinazione nella mia mente.
Suono il campanello del suo ufficio e lo raggiungo a grandi falcate.
«Socio, qual buon vento ti porta in queste lande desolate?», chiede Lorenzo aggrottando la fronte. Devo aver messo piede nel suo studio di avvocato che divide con suo padre soltanto una paio di volte in tutta la vita, ma mai mi era passato per la testa che un giorno mi sarebbe servita una vera consulenza legale.
«Ho bisogno del tuo aiuto e di quello di tuo padre. Sono nella merda più totale», rispondo crollando su un divanetto di pelle nere. Nascondo il viso tra le mani e sbuffo, la testa continua a scuotere per conto suo. Non è possibile che una cosa del genere stia succedendo proprio a me. Mi ci voleva un’ulteriore fonte di stress per rendere migliore la mia giornata.
«Che sta succedendo? Mi preoccupi così». Si siede al mio fianco e mi posa una mano sulla spalla. «Marco, ti prego».
Lorenzo sembra davvero in ansia per me, così decido di sfogarmi.
«Mio padre deve aver combinato un gran casino in azienda. Ha chiesto aiuto alla persona sbagliata, credo sia uno strozzino. Questo tizio ha messo all’interno della nostra azienda un bamboccio appena uscito dall’università, quel Leonardo di cui ti ho parlato. Oggi quel coglione ha detto di aver licenziato Tiziano, il nostro magazziniere», comincio a raccontare fissando l’orlo del tappeto sotto i miei piedi.
«Aspetta un attimo. Perché mai tuo padre si sarebbe rivolto a uno strozzino?», domanda lui lecitamente.
«Se lo sapessi, probabilmente non mi troverei qui in questo momento. Avremmo risolto la questione in un altro modo», gli dico appoggiandomi con la schiena al divano, muovendo ritmicamente la gamba destra. Sono nervoso in questo momento, troppo nervoso.
«Ne hai parlato con lui?».
Scuoto la testa. «Ero troppo incazzato per intavolare un discorso con lui e tirare fuori l’argomento. Non so da quanto tempo va avanti questa storia, ma quel coglione vuole portarci via la nostra azienda. Potrebbe essere la fine delle Cantine Rossini e mio nonno morirebbe ancora una volta se accadesse. Socio, devi aiutarmi, devi tirarmi fuori da questo casino. Non posso permettere che quelli ci portino via tutto quello che abbiamo creato».
Senza rendermene conto sento le lacrime colarmi lungo il viso, le caccio con un movimento rapido delle mani.
«Stai tranquillo, vedrai che troveremo una soluzione. Spiegherò tutto a mio padre e penseremo sul da farsi. Tu, però, dovresti far parlare tuo padre intanto e farti dire tutto quello che sa. Se vuole davvero salvare la sua azienda, non può continuare a mentire e nascondere questa storia». Lorenzo mi stringe la spalla, rassicurandomi.
«Farò del mio meglio», gli dico in un sospiro.
Mi sento completamente senza forze, come se mi avessero tolto tutta l’energia vitale in un attimo. Non sta succedendo davvero, domani mattina mi sveglierò e sarà tutto tornato a posto. Magari fosse vero. Le cose possono solo peggiorare d’ora in poi e io farò tutto il possibile perché ciò non avvenga.
Ho promesso a Serena di raccontarle tutto, non posso nasconderle quello che succede al lavoro, ma allo stesso tempo non voglio che si agiti. Mi sta scoppiando la testa!
«Ho come l’impressione che a tuo padre sia venuto quel mezzo infarto per colpa di questa cosa. Mi sa che deve un mucchio di soldi a quel tizio, anche se mi auguro con tutto il cuore che non sia così». Il mio migliore amico mi posa una mano sul ginocchio, stringendolo appena.
«Credo che la questione sia brutta almeno quanto sembra. Spero solo di essere in tempo per salvare l’azienda che mio nonno ha creato dal nulla e che tanto ha amato».
So che Lorenzo farà il possibile per aiutare me e la mia famiglia, mi fido di lui, mi fido di suo padre. Sono in buone mani. Il problema sarà cercare di capire se sarà possibile incastrare quei bastardi, non possono farla franca. Se, come ha detto Anita, ha già fatto fallire un bel po’ di aziende, qualche errore, qualche traccia deve pur averla lasciata in giro. Non può andargli sempre tutto liscio. Troveremo il modo di ingabbiarli, di toglierli dalla circolazione per molto tempo, io sono fiducioso.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Eccomi qui, puntuale anche in questo giorno di festa :) Alla fine vi aspettavate la ricerca del vestito da sposa, ma la madre di Serena ha mandato tutto a monte, involontariamente. Serena vorrebbe compiacere tutti, ma è davvero impossibile. Marco, invece, ha avuto un confronto con Leonardo e a quanto sembra le sue intenzioni non sono per niente buone! Che cosa ne pensate? Ora si è messo nelle mani di Lorenzo, un avvocato può sempre essere utile in certi casi. Nel prossimo capitolo andremo a conoscere il fotografo, mentre Marco parlerà con il padre e scopriremo un po' di cosette. Le cose cominciano a movimentarsi.
Volevo ringraziare tutti voi che mi state seguendo con affetto, un grazie particolare a chi mi lascia sempre due parole, mi fanno davvero molto piacere. A martedì prossimo, tenetevi pronti!
Un bacione, Ire.


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 9
*** Fotografie di noi ***



 
 

Capitolo Nove 

Fotografie di noi



 
Ieri sera Marco era stravolto dopo il lavoro. Non so che cosa gli fosse successo, ma mi ha detto che era soltanto stanco. L’ho lasciato tranquillo solo perché vedevo che non stava affatto bene. So che non mi racconta la verità solo perché non vuole che mi preoccupi, ma saperlo stressato non mi fa sentire meglio. Vorrei poterlo aiutare. Non so che cosa stia succedendo in azienda, ma non mi sembra niente di buono. Mi sento completamente e irrimediabilmente inutile in questo momento. Lui non si sfoga con me e io non posso far altro che stargli vicino, dimostrandogli in ogni istante quanto lui sia importante per me, facendogli capire che io sono qui per lui. Stamattina aveva delle occhiaie tremende, un sorriso tirato, non deve aver chiuso occhio neanche un minuto stanotte. Se solo mi dicesse che cosa sta succedendo.
Finisco di prepararmi, passo un po’ di fard sul viso, nascondendo per quanto possibile il mio look cadaverico. Anche stamattina i bimbi hanno fatto i capricci e ho passato venti minuti con la testa nella tazza. Per fortuna che Marco era già uscito, altrimenti gli avrei procurato ulteriori ansie e non ne ha davvero bisogno in questo momento. Cercherò in ogni modo di non farlo preoccupare, voglio che stia tranquillo almeno qui a casa. Raccolgo i capelli in una coda di cavallo, stamattina mi stanno tutti sparati in aria ed è l’unico modo per domarli almeno un po’. Il campanello mi avvisa dell’arrivo di Paolo. Guardo l’ora sull’orologio che ho al polso e sono le dieci in punto. Un altro uomo che arriva puntuale, la cosa mi stupisce parecchio. Afferro la borsa che ho abbandonato sul divano, non prima di aver fatto sloggiare Diablo che ci stava dormendo sopra. Raggiungo il socio del mio uomo, il quale mi sta aspettando appoggiato alla sua macchina, una sigaretta tra le dita. Quando si accorge di me, sbuffa fuori una nuvola di fumo e lancia via il mozzicone. Non lo avevo mai visto fumare prima d’ora. Lui mi sorride impacciato e io ricambio, posandogli poi un bacio sulla guancia.
«Ciao Paolo, grazie per il tuo prezioso aiuto».
«Non ho ancora fatto nulla, mi ringrazierai dopo, se sarai soddisfatta», commenta lui ridacchiando. «Ciao anche a te comunque. Come ti senti stamattina?».
«A parte le gambe molli, la nausea e un cerchio alla testa sto divinamente», rispondo divertita. Ormai mi sento così la maggior parte delle mattine, ci sto facendo l’abitudine. «Mi raccomando, non dirlo a Marco, altrimenti si preoccupa».
«Ho le labbra sigillate». Mi apre galantemente la portiera e mi dà una mano a salire. Non voglio sapere come sarò al nono mese di gravidanza. Sono già stanca adesso! La vedo molto dura.
«Grazie», gli dico prima che chiuda la portiera.
Mi raggiunge un attimo dopo e mette in moto, partendo verso la nostra destinazione. Guardo fuori dal finestrino, il cielo è coperto e non promette niente di buono, pioverà di sicuro. Paolo non apre bocca e questo silenzio dentro l’abitacolo mi fa impazzire, non sono abituata a non sentire qualcuno parlare, o per lo meno ascoltare un po’ di buona musica. Decido perciò di fargli qualche domanda indiscreta. Si sa che noi donne siamo alquanto curiose.
«Come mai non hai una fidanzata?», gli chiedo volgendo lo sguardo verso di lui e notando il suo sguardo perso nel vuoto, sembra sussultare alla mia domanda.
«Non credo di aver ancora conosciuto la donna della mia vita», risponde con un filo di voce. Le sue guance hanno preso un strana sfumatura rosata. L’ho messo in imbarazzo e mi dispiace. Marco mi ha raccontato di quanto Paolo sia riservato, ma non credevo fosse così timido. Sì, okay, non parla mai molto quando usciamo tutti insieme, ma con i suoi soci riesce ad aprirsi un po’ di più.
«Ma ti piace qualcuno, non è vero?», azzardo senza ritegno. Mi piacerebbe conoscerlo un po’ meglio e mi dispiace che un uomo tanto gentile e carino sia ancora libero. Credo che anche lui abbia voglia di trovare la persona giusta da amare, ormai ha superato la trentina. Secondo Marco e Lorenzo, ha perso la testa per qualcuno, ma non hanno idea di chi possa essere perché lui non ne parla. Indagherò io per loro, magari con una donna riesce a sfogarsi, visto che io non ho alcuna intenzione di giudicarlo, voglio solo aiutarlo.
Paolo deglutisce a vuoto più volte e, dopo un attimo di esitazione, annuisce. Beh, è già qualcosa.
«Lavora con te?». Ora che ha ammesso che gli piace qualcuno, vorrei sapere chi è.
«Sì». Una risposta monosillabica mi va più che bene, stiamo facendo progressi.
«Perché non le chiedi di uscire?». Siamo fermi a un semaforo e lui sospira sconsolato.
«Non accetterebbe mai». Si passa nervosamente una mano sulla fronte, prima di ripartire una volta che il semaforo è tornato verde.
«Secondo me lo farebbe». Sono convinta di questo e se ne dovrebbe convincere anche lui.
«Serena, credimi, non lo farebbe». Perché deve essere così negativo e pessimista? Non che io sia la regina dell’ottimismo, ma almeno un po’ ci vuole nella vita.
«Dammi un buon motivo perché non dovrebbe farlo. Uno solo», insisto. Sono testarda come un mulo quando mi ci metto. Secondo me fra due secondi mi lancia giù dalla macchina.
«Perché è sposata».
Okay, bene, sapevo che non avrei dovuto insistere. Avrei dovuto farmi gli affaracci miei e lasciarlo in pace. Invece no, ho voluto fare di testa mia e ora mi sento uno schifo. Mi spiace talmente tanto per lui che gli occhi mi si riempiono di lacrime. La vita è così ingiusta.
Paolo parcheggia davanti a un complesso dove ci sono molti negozi. Mi asciugo gli occhi con le mani e tiro su con il naso. Che figura del cavolo sto facendo.
«Che succede?», mi domanda in apprensione.
Mi sventolo la mano davanti al viso. «È una cosa così triste, ingiusta».
Fatico a dire quelle parole, i singhiozzi mi scuotono.
«Deve essere orribile amare qualcuno che non potrà mai ricambiare». Oh mamma, i miei ormoni mi stanno massacrando in questo momento.
Paolo si slaccia la cintura e si gira verso di me, passandomi un fazzoletto di carta.
«Non essere triste per me, io sto bene». So che sta mentendo, non può stare bene.
«Non è giusto, tutti meritano di essere felici». Vi prego chiudete il rubinetto! Si sono aperte le cateratte e non riesco più a fermarmi!
«Ti prego, non piangere per me. Mi fai sentire in colpa». Paolo non sa più che cosa fare per calmarmi e io mi sento sempre peggio.
«Scusami, sono gli ormoni. Mi faccio schifo da sola», farfuglio prima di soffiarmi il naso sul fazzoletto che mi ha dato. Non ho nemmeno il coraggio di guardarmi nello specchietto.
«Non dire così». Mi stringe delicatamente la spalla.
Sbuffo sonoramente e gli regalo mezzo sorriso. «Sei gentile, ma so com’è la mia faccia quando mi vengono queste crisi».
Vorrei tanto aiutarlo a trovare qualcuno che possa apprezzare la sua compagnia, che possa donargli l’amore di cui ha bisogno.
«Posso fare qualcosa per farti sentire meglio?», domanda premurosamente.
Scuoto la testa. «Ho solo bisogno di una boccata d’aria».
Scende dalla macchina e in un attimo me lo ritrovo dalla mia parte, apre la portiera e mi offre la sua mano per aiutarmi a scendere.
«Come può un uomo premuroso come te essere ancora solo? Non mi piace questa cosa», borbotto afferrando la sua mano e mettendo un piede sul marciapiede. «Con la carenza di uomini decenti che c’è in giro! Sai una cosa? Credo di avere una ragazza da farti conoscere».
L’immagina di Sara è apparsa all’improvviso nella mia mente. Secondo me potrebbero piacersi. Lei è in gamba, dolce, di una gentilezza che poche persone hanno e Paolo, beh, sarebbe perfetto per lei. Hanno entrambi bisogno di dimenticare la persona che ha spezzato loro il cuore.
«Non ho bisogno di una donna», mugugna lui grattandosi la testa con la mano libera.
«Questo lo dici tu. Lascia fare a me, la inviterò la prima volta che usciamo tutti insieme e te la presenterò. È davvero carina, te lo assicuro». Non voglio essere contraddetta e credo che lo abbia capito anche lui.
«Va bene», acconsente alla fine.
Sorrido raggiante, sono soddisfatta di me stessa in questo momento. Mi decido a scendere dall’auto, ma metto male un piede e perdo l’equilibrio. Paolo mi prende al volo prima che possa cadere a terra. Mi aggrappo con forza a lui, mi gira la testa. Credo che due figli bastino, una gravidanza è più che sufficiente! Ho anche preso una storta alla caviglia. Ecchepalle! Mi ci mancava solo questa!
«Ti sei fatta male?», domanda Paolo senza mollare la presa. Se lo facesse, credo che cadrei in terra come un sacco di patate.
«Mi fa male una caviglia. Non lasciarmi andare, altrimenti cado». Mi assicuro che non mi faccia strani scherzi, non ho intenzione di sbattere il sedere sull’asfalto.
«Tranquilla, ti sorreggo io», dice lui con decisione. «Vuoi che ti accompagni a casa?».
A casa? Che cosa? Ora che siamo arrivati a destinazione? Non rimando questo appuntamento per una sciocchezza simile!
«Non ci pensare nemmeno. Siamo qui e voglio parlare con tuo cugino. Non sono mica moribonda», brontolo sommessamente.
Lui ridacchia. «Agli ordini, capo».
Almeno sono riuscita a fargli tornare il sorriso. Mi passa un braccio lungo la schiena e, saltellando come un’idiota, riesco a raggiungere l’ingresso del negozio di suo cugino. Un campanellino alla porta avvisa il proprietario del nostro arrivo.
«Ehi, ciao Paolo», saluta l’uomo dietro il bancone. Ha dei folti capelli ricci scuri e degli occhi blu da paura.
«Ciao Jonathan. Lei è Serena, la compagna di Marco di cui ti parlavo». Mi presenta a lui e io gli sorrido.
«Ciao. Non è che mi presteresti uno sgabello, una sedia, qualsiasi cosa? Mi sono slogata la caviglia e i gemelli non aiutano». Mi faccio subito riconoscere, anche in un posto dove non ho mai messo piede prima. Dovrei vergognarmi di me stessa, lo so.
«Gemelli?». L’uomo sembra confuso, come dargli torto. Mi passa una sedia pieghevole e io mi ci spiaggio con l’aiuto di Paolo che, come promesso, non mi ha mollata nemmeno un secondo.
«Sono incinta di due gemelli», gli spiego con un sorriso sghembo. «Abbiamo fatto le cose in grande».
Mi massaggio il ventre, sbuffando. Mi sta tornando la nausea e ne facevo volentieri a meno.
«Anch’io ho una bambina di un anno», mi racconta lui orgoglioso. Noto una foto appesa alla parete che ritrae Jonathan, con una donna dai capelli castani e credo la bimba in questione, ha i suoi stessi occhi: sono davvero una bellissima famiglia.
«Allora, mio cugino mi ha accennato che ti serviva un preventivo per un servizio fotografico», comincia lui appoggiandosi con entrambi i palmi delle mani sul bancone davanti a sé. «Avete scelto la data?».
«Noi vorremmo sposarci il prossimo cinque dicembre. Tu saresti libero quel giorno?», domando speranzosa. Dimmi di sì, ti prego. Non ho intenzione di cercare un altro fotografo. Preferisco di gran lunga lui, così andremo sul sicuro.
Apre un cassetto sotto la cassa ed estrae una piccola agenda. Sfoglia le pagine, fino ad arrivare a quella interessata. Arriccia le labbra e io comincio a sudare freddo.
«Non ho alcun impegno quel sabato, potrei essere libero», risponde rivolgendomi un sorriso rassicurante.
Tiro un sospiro di sollievo, mi sento molto meglio in questo momento.
«Che tipo di servizio vorreste?», mi chiede.
«Non ne ho la più pallida idea. Non me ne intendo per niente. Ti lascio carta bianca», rispondo stringendomi nelle spalle.
«Ti faccio solo qualche domanda. Ti piacciono le foto con effetti particolari, o preferisci stare sul classico, magari sfumate, anche bianco e nero, seppia?».
Almeno ora so che cosa intendeva. Sinceramente non mi sono mai piaciute le foto troppo particolari, sono una persona molto classica e so che anche Marco preferisce quel genere di fotografia. Mi fa vedere qualche esempio, mostrandomi alcune foto fresche di stampa e un libro di un intero matrimonio. È favoloso.
«Vada per il classico. Non mi piacciono le cose strane».
Lui annuisce e lo appunta sulla sua agenda.
«Quanto ci verrà a costare?». Alla fine sono qui anche per questo, o forse soprattutto per questo.
«Posso farvi millecinquecento euro. Siete amici di Paolo, vi faccio uno sconto», dice Jonathan gentilmente.
«Ti ringrazio davvero tanto per il tuo tempo. Ne parlerò con Marco e poi ti darò la conferma, ma ritieniti già assunto». Sono davvero convinta della mia scelta e il mio uomo ha già detto che andrà bene qualsiasi cosa io decida.
Provo ad alzarmi dalla sedia, ma la mia caviglia non collabora. Paolo arriva subito al mio fianco e mi sorregge.
«Direi che è meglio se ti porto a casa».
Sì, penso che questa volta abbia davvero ragione. Il mio compito qui è terminato.
 
°°°
 
Oggi metterò mio padre sotto torchio, non c’è santo che tenga! Non possiamo andare avanti così, con quel coglione di Leonardo che continua a girare in azienda, comportandosi come se fosse sua. Questo non lo tollero! Non ho chiuso occhio stanotte, ho fissato il soffitto tutto il tempo. Ho provato anche a contare le pecore, ma ero troppo nervoso e non riuscivo ad addormentarmi. Mi sono alzato stamattina che stavo peggio di ieri. Questa situazione mi sta logorando e devo per forza trovare una soluzione. Arrivo a casa dei miei alle otto precise, stanno ancora prendendo il caffè nella loro cucina.
«Dobbiamo parlare», esordisco senza salutare, senza preamboli e senza giri di parole. Non ho voglia di essere educato stamattina, esigo delle risposte.
I miei genitori mi fissano increduli, ma alla fine mio padre cede e acconsente con un cenno del capo. Mia madre sembra non capire quello che sta succedendo e forse è meglio così. Non voglio che venga messa in mezzo anche lei.
Esco dalla cucina, seguito da Rossini senior. Mi sorpassa e si dirige nel suo studio al piano superiore. Entriamo entrambi e mi chiudo la porta alle spalle.
«È ora che mi racconti quello che sta accadendo in questo posto. Voglio sentire la storia dall’inizio, senza omissioni. Non cercare di trattarmi da cretino, perché non lo sono e sono stanco di essere preso per i fondelli». Ho deciso di usare il pugno di ferro, me ne frego delle buone maniere in questo preciso istante. Sono furioso e voglio che se ne renda conto.
Mio padre sospira, sedendosi un attimo dopo sulla sua poltrona girevole. Si nasconde il viso tra le mani e succede quello che non mi sarei mai aspettato: scoppia a piangere. Mi cadono le braccia lungo i fianchi, sono sconvolto. Non ho mai visto mio padre piangere in trentasei anni di vita. Aspetto che si riprenda, non ha senso infierire. Mi si sta spezzando il cuore e ora la mia rabbia si sta catalizzando tutta verso quei figli di puttana che stanno rovinando la mia famiglia. Quando alza lo sguardo e i suoi occhi incontrano i miei, riesco a leggere tutta la sua paura.
«È cominciato tutto due anni fa. Gli affari stavano andando male e per migliorare il fatturato, avrei dovuto investire dei soldi per comprare dei macchinari nuovi, modernizzarmi. Un amico». Una smorfia si forma sulle sue labbra. «O meglio, una persona che credevo essermi amica, mi ha consigliato di chiedere aiuto a questo imprenditore. Prestava soldi ad aziende che ne avevano bisogno. Mai avrei pensato che fosse una sorta di strozzino con fame di potere».
«Non ti era mai sorto il dubbio che ci fosse qualcosa di strano sotto?», chiedo prendendo posto sulla sedia davanti a lui.
Scuote la testa sconsolato. «Quando ho cominciato a sentire puzza di guai, ormai il danno era fatto».
«Quanto gli devi?». Ho paura di sentire la cifra e non credo di essere pronto psicologicamente.
«Con gli interessi astronomici che ha aggiunto, gli devo centocinquantamila euro», risponde scoppiando nuovamente in un pianto disperato. «Non posso perdere la mia azienda, non posso».
Porca troia! Sono un mucchio di soldi! Prendo dei bei respiri, massaggiandomi una tempia che ha cominciato a martellare pericolosamente.
«Tu, ovviamente, non hai alcuna prova da usare contro di lui». Quell’uomo è troppo furbo, avrà usato tutti i mezzi a sua disposizione per non lasciare tracce.
«Il nulla più assoluto. Non so che cosa fare, Marco». La disperazione nei suoi occhi mi colpisce come un montante in pieno viso.
Le mie gambe si muovono incontrollate. «È questa la causa dei tuoi problemi di cuore, non è vero?».
Mio padre annuisce. «Sì, è colpa dello stress, dell’angoscia, del dolore fisico che tutto questo mi sta causando».
Rimaniamo in silenzio per alcuni istanti, solo il ticchettio dell’orologio appeso alla parete riempie la stanza. Il mio cervello sta lavorando a una velocità incredibile, varie ipotesi si formano nella mia mente, ma quella che sto per esporre mi sembra la più plausibile.
«Ora tu ti prendi qualche giorno di ferie», comincio monocorde. Mio padre sta per aprire bocca, ma lo blocco immediatamente con un cenno della mano.
«Porta la mamma da qualche parte, rilassatevi. Domenica a pranzo dai miei suoceri Serena ed io avremo una notizia importante da darvi e vi voglio pronti, tranquilli. Penserò io all’azienda nel frattempo, sistemerò io ogni cosa. Tu non dovrai pensare a niente».
«E come pensi di fare?», domanda alquanto perplesso.
«Ti fidi di me?». Ho bisogno che lui sappia di poter contare sul suo unico figlio maschio, che farà ogni cosa possibile per salvare l’azienda di famiglia.
«Mi fido ciecamente di te», risponde senza alcuna esitazione. «Mi rendi orgoglioso di te ogni giorno di più».
A quelle parole il mio cuore perde un battito. Mi alzo di scatto dalla sedia e raggiungo mio padre dall’altra parte della scrivania, abbracciandolo di slancio.
«Ti voglio bene, figliolo».
«Te ne voglio anch’io, papà. Ti tirerò fuori da questo casino, te lo prometto, per il bene della nostra famiglia», mormoro al suo orecchio, continuando a stringerlo a me.
Ora non mi resta che aggiornare Lorenzo sulle cose che ho scoperto e cominciare a pensare sul da farsi. Suo padre è uno dei migliori avvocati in circolazione e so che troverà una soluzione. Devo fare in modo che mio padre non si stressi ulteriormente, per la sua salute, per il suo bene. Mi sto facendo carico anche del suo peso e spero di riuscire a sopportarlo. Devo per forza riuscirci.
Raggiungo il mio ufficio, il coglioncello è già alla macchinetta del caffè, ancora mezzo addormentato e quel ghigno assurdo sempre presente, nonostante tutto.
Ti farò il culo a strisce, brutto bastardo!
Nessuno può mettere a repentaglio l’azienda di mio nonno, nessuno!
Saluto Anita con la mano e mi siedo alla mia scrivania. Faccio finta di controllare delle carte, mentre la mia mente continua a pensare sul da farsi. Due ore passano senza neanche rendermene conto. Credo che chiamare il mio socio sia la prima cosa da fare, sono arrivato a questa conclusione. Prendo in mano il mio cellulare, sto per comporre il numero, quando comincia a suonare tra le mie mani. È Paolo.
Questa mattina doveva accompagnare Serena da suo cugino che fa il fotografo a Brescia. Mi è dispiaciuto non poter andare con lei, ma so che non era necessaria la mia presenza. Non ci sarei nemmeno stato con la testa e non sarei stato di grande aiuto. Come mai mi sta chiamando? È successo qualcosa a Serena?
«Che succede?», chiedo senza nemmeno salutare. Forse avrei dovuto essere meno brusco, ma in questo momento non sono tanto in me.
«Serena si è slogata una caviglia e ora la riporto a casa. Sta bene, tranquillo, però volevo che lo sapessi. Se sa che ti sto chiamando, mi uccide», risponde il mio socio tutto d’un fiato.
«Si è fatta tanto male?». Ora sono in apprensione per lei, mi mancava ulteriore stress.
«No, tranquillo. Zoppica appena».
«Arrivo subito, aspettami a casa con lei, non lasciarla sola», gli dico stropicciandomi gli occhi con una mano.
«Sarà fatto».
Ci salutiamo e rimetto il cellulare nella tasca della giacca. Non dovrei lasciare l’azienda allo sbaraglio, ma devo accertarmi che Serena stia bene. Sono troppe le cose e le persone a cui tengo e devo assicurarmi che tutto vada per il meglio, sperando che il mio cuore non ceda prima del tempo. Mi assicuro che Anita mandi avanti la baracca al posto mio nel frattempo. È l’unica persona di cui mi fido qua dentro e so che posso sempre contare su di lei.
Salgo sulla mia auto e parto velocemente, lanciando la ghiaia ovunque. Devo anche mettermi in testa che dovrò cambiare questo gioiellino e non è che sia molto felice di questo. Per carità, la mia famiglia è di gran lunga più importante, ma vorrei ci fosse la possibilità di tenerla, prendendone comunque una nuova da usare con i gemelli. Poi penso a quelle migliaia di euro che dobbiamo a quell’individuo e mi rendo conto che non me ne frega un cavolo della macchina. Troppo cose cui pensare, troppe decisioni da prendere, troppi pensieri. Prima o poi il mio cervello scoppierà, senza darmi scampo.
Un quarto d’ora dopo parcheggio dietro l’auto di Paolo. Li trovo tutti e due sul divano che chiacchierano, sorseggiando un caffè.
«Che cosa ci fai a casa a quest’ora?», chiede la mia donna accigliata. Si volta immediatamente verso il mio socio e lo colpisce con un leggero pugno sulla spalla.
«Perché l’hai chiamato? Non ce n’era bisogno», brontola lei.
Li raggiungo e mi siedo sul bracciolo accanto a lei, le bacio la testa.
«Che cosa mi combini, amore?». La sua caviglia è fasciata e la sua gamba è allungata sopra il tavolino, un cuscino sotto il piede.
«Ho solo messo male il piede scendendo dalla macchina, cose che capitano. Il traditore qui di fianco mi ha presa al volo prima che potessi sbattere il sedere a terra». Indica Paolo con l’indice, il quale alza gli occhi al soffitto.
Mi ritrovo a sorridere davanti a questa scenetta. La mia donna sta alla grande e non ha perso il suo sarcasmo. È riuscita perfino a farmi dimenticare quello che sta succedendo in azienda, solo per qualche istante, ma è sempre meglio di niente.
«Grazie socio, sono in debito con te», gli dico.
«Non dirlo nemmeno», esclama tagliando di netto l’aria con un cenno della mano. «Io vado adesso. Credo che potete cavarvela anche da soli».
«Grazie ancora». Serena lo abbraccia, pizzicandogli poi una guancia per vendicarsi.
Lui ridacchia, stringendomi una spalla nel passare. «Ci vediamo presto, ragazzi».
Una volta soli, Serena si volta verso di me, le labbra arricciate.
«Sai che mi preoccupo da morire quando si tratta di te. Non potevi pretendere che me ne stessi lì senza poter vedere con i miei occhi che tu e i nostri figli stavate bene». La anticipo prima che possa dire qualcosa di insensato. Le poso una mano sul viso, baciandole poi le labbra. Una slogatura alla caviglia è una cosa stupida, ma io mi agito ugualmente. Vado a sedermi accanto a lei, almeno così stiamo entrambi meno scomodi.
«Mi sono ripromessa di non darti ulteriori grattacapi, ma a quanto pare proprio non ci riesco. È più forte di me, sono un completo disastro». Si rabbuia e i suoi occhi si inumidiscono, non voglio che pianga per questo, non voglio che pianga affatto.
«No, non lo sei». Le tappo la bocca con la mia prima che possa ribattere come al solito. «Ti amo da morire».
La tengo stretta fra le mie braccia e comincio a sentirmi un po’ meglio. Averla con me rende tutto migliore, tutte le mie ansie vengono spazzate via almeno per qualche istante, lasciandomi il tempo di rinfrancarmi.
«Raccontami com’è andata», la sprono senza lasciarla andare.
«Secondo me possiamo assumerlo, è davvero in gamba e ci fa pure lo sconto. Ha detto che sono millecinquecento euro. Sinceramente non so se sia conveniente o no, non me ne intendo. Dubito, però, che vorrebbe fregarci, ci andrebbe di mezzo anche Paolo», mi spiega con il naso premuto sul mio collo.
Nemmeno io so se la cifra sia equa, ma non è questo che mi turba. Sono i centocinquantamila euro che mio padre deve restituire a quel delinquente che mi spaventano. Spero di riuscire a far fronte a tutte le spese per le nostre nozze. Voglio che Serena abbia il matrimonio che si merita, senza preoccupazioni, senza pensieri. Non le racconterò di quello che sta succedendo, non ora. È troppo anche per lei da gestire e io voglio che stia tranquilla. So che le avevo promesso che le avrei raccontato tutto, ma questo sarebbe troppo per chiunque.
«Se dici che è bravo, mi fido. Una cosa in meno da pensare». Ho lo sguardo perso nel vuoto, un senso di impotenza davvero accentuato. Non mi sono mai sentito tanto male in tutta la mia vita.
«Sono riuscita a far parlare il tuo amico. Sembrerebbe essersi innamorato di una collega sposata». Quelle parole mi fanno tornare momentaneamente alla realtà.
«Sei davvero sicura?», le chiedo accigliato.
«Così mi ha detto, non ho motivo di dubitare delle sue parole», risponde stringendosi nelle spalle.
Mi stacco da lei per poterla guardare negli occhi.
«Ho fatto una delle mie solite figuracce, scoppiando a piangere come una scema perché non era giusto che si fosse innamorato di qualcuno che non avrebbe mai potuto amare liberamente. A pensarci adesso mi viene perfino da ridere. Devo averlo parecchio spaventato. Ormai tu sei abituato alle mie crisi isteriche, ma gli altri penseranno che sia impazzita».
Ascolto il suono della sua voce, ma non riesco a capire ogni parola che sta pronunciando. Non so perché, ma non credo che Paolo sia innamorato di una collega sposata. Non avrebbe neanche avuto senso mentirle. Non ci sto capendo niente e penso che la cosa migliore per me sia smettere di ficcare il naso negli affari dei miei amici.
«Gli ho detto che voglio presentargli Sara, la mia nuova collega. Secondo me potrebbero piacersi», continua lei senza alcuna esitazione.
Paolo ha trentadue anni, non è un adolescente, sa che cosa farne della sua vita. Non ha di certo bisogno di noi che gliela gestiamo e penso sia in grado di trovarsi una donna da solo.
«Mi stai ascoltando o stai solo annuendo a caso?». Serena non è stupida, ha capito che c’è qualcosa che non va in me. Devo stare più attento a come mi comporto con lei o rischio solamente di peggiorare la situazione.
«Scusami, sì, ti sto ascoltando. Ho solo un gran mal di testa stamattina», mi giustifico con una mezza verità.
«Prendi dieci delle mie gocce prima di andare, te lo farà passare in fretta», dice lei premurosamente, posandomi una mano sul viso.
Annuisco, cercando di sorriderle. Non so se sarò in grado di gestire tutta questa situazione da solo, ma farò del mio meglio per non mettere in mezzo la donna della mia vita. Non voglio rischiare che anche i nostri figli ne risentano.
Devo farcela!
 
 
 
*Note dell'autrice*
Finalmente Marco è riuscito a parlare con il padre e ora sappiamo che cosa Rossini senior ha combinato. Un debito bello sostanzioso direi. La parte più difficile sarà incastrare questi tizi. Vedremo che cosa diranno gli avvocati Zanna nel prossimo capitolo. Serena ha sistemato le cose con il fotografo, una cosa in meno a cui pensare. Ha ficcato pure il naso nella vita sentimentale di Paolo, donna curiosa! Che abbia detto tutta la verità? Beh, martedì prossimo scopriremo tutto e sapremo anche chi è il misterioso amante di Marica. È giunta l’ora dell’interrogatorio!
Un grazie immenso a tutti!
Un bacione, Ire

Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 10
*** Notizie difficili da digerire ***



 
 

Capitolo Dieci

Notizie difficili da digerire



 
Ho appuntamento nello studio di Lorenzo fra dieci minuti e ho i nervi a fior di pelle. Mio padre ha preso alla lettera le mie parole e ha portato mia madre alle terme per un paio di giorni. Erano anni che lei gli chiedeva di portarla in quel posto, ma lui non lo aveva mai fatto, in quanto sempre impegnato con il lavoro. Mia madre si è quasi messa a piangere quando le ha detto dove sarebbero andati.
Fortunatamente è già venerdì e ho detto ai nostri dipendenti che avremmo finito un’ora prima. Il coglione sembrava felice di andarsene dalla mia azienda in anticipo, non avevo alcun dubbio.
Uso il bagno dei miei prima di raggiungere il mio socio e guardarmi allo specchio non è stata proprio una brillante idea. Le occhiaie stanno aumentando a vista d’occhio e sono pallido da far paura. Noto l’espressione preoccupata di Serena tutte le volte che siamo insieme. La rassicuro che va tutto bene, ma come fa a credermi lei, se io sono il primo a non farlo? Non va tutto bene, sta andando tutto da schifo e non so come venirne fuori.
Ho spiegato a Lorenzo come stanno le cose, raccontandogli quello che mi ha detto mio padre e stasera ho appuntamento con il signor Zanna per vedere che cosa si può fare. Fisso le mie mani, stanno tremando visibilmente. Chiudo gli occhi, deglutendo più volte a vuoto, un nodo alla gola mi rende particolarmente difficile anche quella semplicissima azione. Vorrei che tutta questa situazione fosse solo un brutto sogno, ma purtroppo non lo è e devo farmi coraggio.
Quando suono il campanello dello studio degli avvocati Zanna, le mie dita stanno ancora vibrando, come mosse da vita propria. Stringo i pugni, cercando di far smettere quel tremore, ma non ho nessuna fortuna. Prendo un bel respiro e salgo le scale quasi di corsa.
«Ciao Marco», saluta l’avvocato Zanna senior, dandomi una rassicurante pacca sulla spalla. «Lorenzo mi ha spiegato tutto. Vieni, andiamo nel mio ufficio».
Lorenzo ci sta già aspettando lì.
«Ciao socio». Mi avvolge in un abbraccio e non è molto rassicurante, vuol dire che la situazione non è delle migliori.
Ho perso anche l’uso della parola in questo momento, mi sembra di avere il cervello avvolto nell’ovatta e non riesco a collegare quei pochi neuroni che sono ancora in vita.
Il padre di Lorenzo si accomoda sulla sua poltrona e afferra una penna, pronto a segnare ogni cosa sul blocco davanti a sé.
«Immagino che Luigi non abbia nessuna prova in mano, vero?», mi chiede senza preamboli.
Scuoto la testa. Ho provato a chiedere se mio padre aveva in mano qualcosa, ma non c’è niente di niente. Quell’uomo è furbo.
«Immaginavo. Quel genere di uomo non lascia alcuna prova, alcun piccolo indizio, però è umano e qualche errore deve averlo pur fatto. Ho chiesto ad amici e le voci sul suo conto sono pessime. Ha truffato e portato alla rovina più di un’azienda qui in zona e nessuno è ancora riuscito a incastrarlo. Ci stanno provando da anni, ma sembra che le minacce che lancia siano talmente forti, che nessuno dei truffati ha mai voluto sporgere denuncia».
«Che genere di minacce?», domando a un tratto, continuando a fissare un punto davanti a me.
«Se non avesse fatto ciò che lui voleva, avrebbe mandato qualcuno a sistemare la famiglia dell’interessato», risponde lui abbassando il tono della voce.
Al solo pensiero che delle persone si possano introdurre in casa mia e uccidere la mia famiglia, il mio cuore comincia a rallentare. Credo che mi sto per sentire male.
«Stai bene?». Lorenzo si avvicina con un bicchiere di acqua in mano e me lo porge.
Io lo rifiuto. Non voglio bere, non voglio niente.
«Che cosa si può fare?». Ci sarà pur un modo per incastrare quel bastardo prima che possa distruggere la mia famiglia e fregare altre brave persone. «Farò qualsiasi cosa per togliere di mezzo quel pezzo di merda una volta per tutte».
L’ansia, l’angoscia, il nervosismo, tutto si sta trasformando in pura rabbia in questo momento.
«Credo che bisogna coinvolgere le autorità». Il signor Zanna incrocia le mani sopra il tavolo e mi osserva attentamente. «Lo so a che cosa stai pensando, Marco, ma non credo ci siano altre alternative».
«Non posso permettere che il bastardo si accorga di qualcosa, non metterò a rischio la vita delle persone che amo». No, no, no e ancora no! Se lo può scordare che mi rivolga alla polizia! Che cosa ha fatto finora? Quel folle di Bruschi è ancora libero di fare tutto quello che vuole e io non posso permettere che continui a farlo.
«Forse so a chi rivolgermi». Lorenzo appoggia entrambe le mani sul legno scuro della scrivania di suo padre e guarda prima ma e poi lui.
Zanna senior arriccia le labbra e le rilascia con uno schiocco. «Che cosa avevi in mente, figliolo?».
«Ho un amico che lavora in polizia, andavamo a scuola insieme. Posso provare a chiedere a lui, mi deve ancora una favore e, dopo quindici anni, credo sia giunta l’ora di riscuoterlo. Fidati di me, socio». Il mio migliore amico mi sta chiedendo di credere in lui e io voglio farlo perché so che farebbe qualsiasi cosa per tirarmi fuori dai guai.
«Va bene», acconsento alla fine.
«Lo chiamerò, gli spiegherò la situazione e poi ci aggiorneremo. Vedrai che risolveremo, in un modo o nell’altro». Mi stringe la spalla infondendomi un po’ della sua sicurezza. Vorrei tanto poter essere ottimista quanto lui.
«Ci vediamo qui lunedì, non appena finisci di lavorare. Metteremo giù un piano d’azione», dice il signor Zanna prima di alzarsi. «Cerca di rimanere calmo in questi giorni. Agitarsi più del necessario non è mai di grande aiuto».
Mi sorride e io ricambio maldestramente. Fosse facile! Come posso rimanere calmo con tutto quello che sta succedendo?
Lorenzo mi accompagna alla porta e posa entrambe le mani sulle mie spalle. «Vai a farti una doccia, ci vediamo fra mezzora a casa tua con i ragazzi. Hai bisogno di staccare la spina e mettere sotto torchio Paolo sarà l’occasione giusta per farti dimenticare almeno per qualche ora questa cosa. Mi raccomando, non dimenticarti le birre!».
«Ti chiedo solo una cosa», comincio io guardandolo negli occhi.
Lui annuisce e conclude la frase al posto mio: «Non uscirà nulla dalla mia bocca. Questa questione rimarrà chiusa qui tra queste mura. C’è il segreto professionale e tu sei un mio cliente al momento. Non dirò una sola parola ai ragazzi».
«Nessuna parola anche con Serena», lo raccomando con un filo di voce.
«Non le hai detto niente?», domanda accigliandosi impercettibilmente.
«No, non voglio preoccuparla», rispondo scuotendo la testa e sospirando rumorosamente.
«Sai che non dovresti tenerla all’oscuro di tutto».
«Lo so, ma lo faccio per il suo bene e quello dei nostri figli».
Lui fa finta di niente e non commenta questa mia ultima affermazione. Forse è meglio così, non ho voglia di sentirmi dire che sto facendo un’enorme cazzata.
Seguo il suo consiglio e, una volta a casa, mi butto sotto la doccia. Serena è già andata da Luca, mi ha mandato un messaggio, dicendomi che lo aveva raggiunto un po’ prima per aiutarlo a sistemare la libreria nuova. Mi auguro soltanto che non si sforzi o che faccia qualche stupidaggine. Appoggio entrambe le mani sulle piastrelle e mi lascio cullare dallo scroscio dell’acqua. Forse Lorenzo ha ragione a chiedere a quel suo amico poliziotto, ma io ho una paura fottuta che possa succedere qualcosa a quelli che amo. Se dovessero toccare Serena, li ammazzerei con le mie stesse mani. Nessuno deve avvicinarsi alla mia donna, tanto meno ai nostri figli. Le mie mani cominciano nuovamente a tremare e lascio sfogare le lacrime. Qui nessuno può vedermi o sentirmi, nessuno può preoccuparsi per me. Piango come non mi capitava da tempi immemori. Le mie ultime lacrime erano state alle vista del test di gravidanza positivo, ma erano lacrime di gioia. Queste sono di rabbia, di frustrazione, di paura; paura di perdere tutto quello che ho. Per tutti devo essere forte, fingerò di essere quello che non sono, per il bene di chi mi sta accanto.
Una volta ripresomi, esco dalla doccia e mi vesto. I miei soci saranno qui fra dieci minuti e non possono trovarmi in queste condizioni, loro non devono sospettare nulla.
Arrivano puntuali e ci sediamo al tavolo, ricoperto dalla tovaglietta verde per il poker. Alex questa sera non c’è, è andato a trovare i suoi genitori, perciò siamo solo noi quattro, come ai vecchi tempi.
«Allora, allora, allora», comincia Lorenzo scrocchiando rumorosamente le dita. «Lo sai, Paolino bello, che non ci hai ancora detto chi è questa donna che ti ha fatto perdere la brocca?».
Spero non vorrà dirgli che lo abbiamo seguito la settimana scorsa, altrimenti Paolino bello potrebbe incazzarsi come una iena e io non ci tengo proprio a vederlo in stile Hulk.
«Non c’è nessuna donna», mugugna lui senza nemmeno alzare lo sguardo dalle carte che tiene tra le mani.
«Mi è giunta voce che ti sei invaghito di una donna sposata, che lavora pure con te», continua il mio migliore amico osservando attentamente il nostro socio.
Quelle donne e la loro lingua lunga. Sicuramente Serena avrà parlato con Stella di quello che si sono detti mercoledì quando sono andati dal fotografo e, ovviamente, lo avrà detto al compagno, il quale non riesce a tenere la bocca chiusa.
Giorgio sembra confuso. «E chi sarebbe, scusa? L’unica donna sposata che lavora con noi che possa essere considerata decente è Marianna e ha appena compiuto i cinquanta».
«Ti piacciono le tardone?». Lorenzo non nasconde tutto il suo sgomento e spalanca poco elegantemente la bocca.
«Non mi piacciono le tardone. Mi avete mai visto uscire con una su con l’età?». Paolo fa una smorfia e guarda ognuno di noi a turno.
«No, in effetti no», risponde Giorgio bevendo un sorso di birra dalla sua bottiglia.
«Allora, se non è lei, chi sarebbe questa tua ultima fiamma?». Lorenzo non vuole proprio mollare e lo tartasserà finché non avrà ottenuto quello che vuole. Non vorrei essere al posto suo.
«Perché lo vuoi sapere con così tanta insistenza? E se non fosse davvero qualcuno? Se fosse solo una mia fantasia?». Paolo sta cominciando a scaldarsi e non lo biasimo.
«Ti sei comprato una bambola gonfiabile?», chiede il mio socio senza alcun ritegno.
Il nostro compagno di bevute spalanca la bocca e scuote la testa, inorridito. «Io non ho parole. No, nessuna bambola gonfiabile. Non mi sono mai piaciute quelle cose».
«Ti trastulli da solo e basta insomma», commenta Lorenzo. Credo che stia oltrepassando il limite. Giorgio mi lancia un’occhiata preoccupata, le guance di Paolo si sono colorate di rosso.
«Ti trastulli pensando a una donna, ne sono certo e voglio sapere chi è». Non molla un solo attimo e la cosa sta cominciando ad agitarmi.
«Siamo qui per giocare a poker o per rompere i coglioni a me?». Paolo è un uomo tranquillo e pacato, ho come l’impressione che noi non lo abbiamo mai visto davvero arrabbiato, ma stiamo per scoprire che effetto fa.
«Entrambe le cose», risponde il mio socio con un sorrisetto furbo.
Paolo si attacca alla sua bottiglia di birra e la beve tutta d’un fiato.
«Non ho bisogno che tu lo faccia, me ne vado. Mi hai davvero rotto ultimamente». Si alza di scatto dalla sedia e per poco non la fa cadere.
«Paolo, ti prego, calmati. Sai che Lorenzo quando ci si mette, fa lo stronzo». Gli poso una mano sul braccio, cercando di tranquillizzarlo. Mi volto poi verso Lorenzo e lo fulmino con lo sguardo. Lui, però, non ha alcuna intenzione di demordere. Quel testone che non è altro!
«Oh sì, sono uno stronzo e non lascerai questa stanza prima di aver sputato il rospo. Noi siamo i tuoi amici e sei tenuto a raccontarci della tua vita sessuale. Abbiamo rotto le palle anche a Marco e non si è lamentato più di tanto. Tu, invece, la stai facendo più grande di quello che è».
«Non ho nessuna vita sessuale da raccontare e, anche se l’avessi, non sono obbligato a parlarne con voi. Mi avete rotto i coglioni». Paolo prende la sua giacca e si dirige verso la porta. Lorenzo lo intercetta e lo mette con le spalle al muro, inchiodandolo alla parete.
«Si può sapere che cosa ti prende?». Questa volta Lorenzo gli parla con voce preoccupata, non è più lo spaccone di prima. «Sei strano e ci stai facendo preoccupare».
«Non ho niente». Paolo vorrebbe scappare, ma Lorenzo non glielo permette.
«Diccelo», insiste il mio socio.
Il nostro amico deglutisce a vuoto.
«Diccelo!». Lorenzo lo scrolla per le spalle e alla fine Paolo esplode.
«Mi sono innamorato di Serena! Cazzo! Sei contento ora? Brutto coglione che non sei altro!». Si porta le mani tra i capelli e Lorenzo lo lascia finalmente andare.
«La mia Serena?», farfuglio io in catalessi. Credo che la terra sotto di me abbia cominciato a muoversi, il mondo sta girando vorticosamente e io non riesco a fermarlo.
«Mi dispiace, Marco. Non avrei mai voluto che accadesse». Esce dal nostro appartamento, sbattendo la porta dietro di sé.
Oh mio Dio, credo che ora vomiterò. Mi sento male, mi sento morire. Uno dei miei migliori amici si è innamorato della mia donna, la mia Serena.
«Marco, mi dispiace tanto». Lorenzo si avvicina a me e cerca di posarmi una mano sul braccio, ma io quasi gliela stacco con un movimento rapido.
«Andatevene via da qua», ordino con voce roca.
«Marco». Giorgio prova a dire qualcosa, ma lo zittisco con un gesto della mano.
«Andatevene fuori dai coglioni!», urlo alzandomi di scatto dalla sedia e facendola cadere all’indietro. «Via!».
Non voglio più vedere nessuno, voglio rimanere da solo, voglio ubriacarmi fino a perdere i sensi, voglio dimenticare tutto quello che sta succedendo nella mia vita. Appena sento la porta chiudersi, crollo sul pavimento e mi porto le ginocchia al petto, piangendo come un bambino. C’è altro che può andare storto?
 
°°°
 
Marco non tornava più a casa stasera e così sono andata da Luca un po’ prima del previsto, avvertendo il mio uomo con un messaggio. Mi stavo annoiando a casa da sola e avevo bisogno di parlare con qualcuno.
«Secondo te, Marco si comporta in modo strano ultimamente?», chiedo al mio migliore amico mentre metto due libri su uno degli scaffali della sua libreria nuova.
Luca sembra pensarci su un attimo e poi risponde: «Non più del solito».
A quanto pare solo io noto questo suo strano comportamento e questa constatazione mi fa perfino dubitare di me stessa. E se mi stessi soltanto immaginando tutto?
«Come mai questa domanda, cucciola?». Luca afferra la mia mano e ne accarezza il dorso con il pollice.
Mi sfugge un sospiro. «Non lo so. Sento che c’è qualcosa che non va, ma forse sono io».
«Il tuo sesto senso è sempre stato infallibile. Dubito che tu ti stia immaginando le cose. Sei tu che ci vivi insieme, noti cose che io non potrei notare, è normale». Il mio migliore amico mi sorride e io ricambio mestamente.
«Bene, ora basta. Ho solo voglia di chiacchiere tra amici», esclamo buttandomi fra le sue braccia e avvolgendogli il busto con le mie.
«E un bel terzo grado degno di un film poliziesco», aggiunge lui baciandomi il capo. «Marica non avrà scampo».
Non avevo alcun dubbio a riguardo. Lui non vede l’ora di poterle puntare un faro da stadio in viso e farla parlare. La diretta interessata arriva un attimo dopo, seguita a ruota da Stella e la mia figlioccia. Vado loro incontro, bacio le mie amiche sulla guancia e prendo fra le braccia la mia piccolina.
«Ciao amore della zia. Sei sempre più bella e io ti adoro». Le bacio la punta del naso e lei mi sorride. La sbaciucchio tutta e la coccolo senza alcun ritegno. Amo davvero questa piccola principessa e spero andrà d’accordo con i nostri bambini. Mi piacerebbe molto se crescessero in armonia tra di loro, io continuo a sperarlo.
«Allora, Maricuccia nostra, hai qualcosa da dire in tua discolpa?». Luca parte subito in quarta, senza darle nemmeno il tempo di sistemarsi sul divano.
«Che cosa stai dicendo?», chiede lei confusa.
Come darle torto? L’affermazione di Luca non è delle più felici e secondo me in questo momento lei sta pensando che sia impazzito, come ogni volta del resto. In effetti, non è una cosa fuori dal normale, è il classico comportamento da Luca.
«Lo so che adesso ti arrabbierai e comincerai a urlare come una pazza, ma non fa niente. Noi abbiamo il diritto di sapere», continua lui accompagnandola sul divano e sedendosi accanto a lei. Le prende le mani e le tiene strette nelle sue.
«Devo cominciare a preoccuparmi?». Marica mi lancia uno sguardo preoccupato e io mi stringo nelle spalle. Credo che debba cominciare a farlo, ma è meglio se non confermo.
«Lunedì ti abbiamo seguita». Luca comincia con il suo resoconto, ma Stella si intromette subito.
«Dico subito che io non c’entro niente e non ero minimamente d’accordo con tutta questa storia».
Forse fa bene a pararsi il sedere fin da subito, quello che abbiamo fatto si poteva evitare, mi sento dannatamente in colpa.
«Ragazzi, volete venire al nocciolo della questione? Mi state facendo venire l’ansia», brontola Marica muovendosi nervosamente sul posto.
«Ti abbiamo vista con quell’uomo». Sono io a parlare questa volta, con un filo di voce e anche rotta dall’imbarazzo.
Lei si volta verso di me, gli occhi sbarrati per l’incredulità.
«Non siamo qui per giudicarti, vogliamo solo assicurarci che tu stia bene. Sei strana negli ultimi tempi e ci stai facendo preoccupare», proseguo con dolcezza.
«Per questo ho deciso di seguirti. Serena è stata quasi obbligata a venire con me, non voleva che andassi da solo. Sembravate così in sintonia». Luca ha perso ogni traccia di spavalderia, il tono della sua voce si è addolcito e posa una mano sul viso della nostra migliore amica, la quale comincia immediatamente a piangere.
Passo la mia figlioccia alla madre e mi inginocchio davanti a Marica, appoggiando il viso sulle sue gambe e facendole sentire che io sono con lei.
«Noi siamo qui per te», le sussurro stringendomi a lei. Una sua mano finisce tra i miei capelli e mi accarezza delicatamente.
«È successo tutto per caso». Dopo un attimo di esitazione, la nostra amica comincia a raccontarci la sua versione dei fatti. «Ero andata con Michele a una cena organizzata dalla sua azienda. C’erano tutti i suoi colleghi, capi e relative consorti. Non so che cosa sia successo di preciso, ma un uomo continuava a fissarmi durante la cena, scoprii che era uno dei suoi capi e mi sentii strana. Non ero abituata a quel genere di attenzioni. Lui era un bell’uomo, sulla quarantina, ben piazzato sotto il vestito elegante. I suoi occhi azzurri puntati su di me mi facevano tremare le gambe».
Marica prende un bel respiro e, dopo essersi soffiata il naso, prosegue con il suo racconto.
«Quando mi sorrideva, poi. Non avete idea di come il mio cuore batteva forte. Decisi di andare al bagno a rinfrescarmi il viso e lui mi seguì. Me lo ritrovai nel bagno delle donne. Non potevo credere che avesse avuto il coraggio di osare tanto. Mi disse che ero bellissima e che avrebbe tanto voluto vedermi una di quelle sere. Mi baciò sulle labbra, lasciandomi completamente stordita. Gli diedi il mio numero, mi avrebbe chiamato lui».
«Scusami se ti interrompo, tesoro. È sposato?». Luca era convinto che lo fosse e vuole togliersi ogni dubbio a riguardo.
«No, è divorziato da dieci anni. Si era sposato giovane e hanno divorziato un anno dopo. Diciamo che il matrimonio non fa per lui», risponde Marica in un sospiro.
«Continua pure, non ti interromperò più». Lui le bacia la guancia e la incita a proseguire.
«Mi chiamò la mattina seguente e rimasi sorpresa. Sinceramente non credevo lo avrebbe mai fatto, ma mi sbagliavo. Ci demmo appuntamento per quel venerdì, fortuna voleva che abitasse a poche centinaia di metri da qua. Passammo un’intera ora a parlare sul suo divano. Mi sentivo stranamente a mio agio e me ne stupii. Sapete anche voi come sono nervosa quando devo avere a che fare con qualcosa di nuovo. Con Gioele non è successo, mi sembra di conoscerlo da sempre. È stato un galantuomo e siccome era il nostro primo appuntamento, si limitò a qualche innocente bacio».
Ho qualche riserva a riguardo, dubito fossero tanto innocenti, ma non mi metto di certo a fare la rompiscatole di turno.
«Da allora ci vediamo ogni venerdì, dopo la nostra serata insieme. È diventato il nostro giorno e lunedì, quando mi avete visto, beh, ne abbiamo approfittato».
Arrossisce visibilmente e si morde il labbro.
«Che c’è, tesoro?», chiede Stella preoccupata.
«Ehm, quella sera abbiamo fatto l’amore per la prima volta ed è stato spettacolare». Scoppia in un pianto disperato, nascondendo il viso tra le mani.
«Sono diventata come lui. L’ho tradito e me ne vergogno tremendamente. È che… è che…». È scossa dai singhiozzi e non riesce più a parlare.
Mi alzo dal tappeto e la avvolgo in un abbraccio. Appoggia il mento sulla mia spalla e si aggrappa forte a me.
«Ci siamo qui noi, stai tranquilla». Le massaggio amorevolmente la schiena e lei prende dei respiri profondi.
«Gioele mi fa stare bene e Michele ultimamente mi dà sui nervi», farfuglia dopo un po’.
«Come mai ti dà sui nervi?», le chiede Luca accarezzandole teneramente i capelli.
«È appiccicoso, non mi lascia mai i miei spazi, vorrebbe che passassi ogni momento libero con lui», risponde con un filo di voce.
«Da quanto tempo si comporta così?». Luca continua con le sue domande curiose, ma sembra in ansia per quello che sta succedendo alla nostra amica.
«Qualche mese», mugugna. «Più o meno da quando».
Si blocca all’improvviso, si stacca da me e si copre la mano con la bocca.
«Che si sia reso conto di tutto? Oh mio Dio, sono una merda. Che cosa ho combinato?». 
«Diciamo che hai reso pan per focaccia a Michele», commenta Luca stringendosi nelle spalle. «Diciamo anche che se l’è meritato dopo tutto quello che ti ha fatto».
«Ma non è giusto, io non sono così. Non doveva succedere». Marica scuote la testa, le lacrime le stanno ancora rigando il viso.
«Sei ancora innamorata di Michele?». La domanda che le pongo penso sia più che plausibile, visto quello che sta succedendo tra loro.
«Credo di sì, non lo so. Non capisco più niente». Gesticola vistosamente, facendo in mille pezzi il fazzoletto di carta che stringe tra le dita.
Mi dirigo in cucina e verso dell’acqua in un bicchiere, lo bevo tutto d’un fiato. Ne riempio un altro e lo porto alla mia amica, mi ringrazia con un sorriso tirato. Lo sorseggia lentamente, pulendosi ogni tanto gli occhi con la mano libera.
«Non sei arrabbiata con noi, vero?». Mi sento in colpa per averla seguita e per averla fatta piangere stasera.
Lei scuote la testa. «In questo momento sono arrabbiata solo con me stessa. Non avevo mai tradito in tutta la mia vita, non capisco che cosa mi sia preso. Michele è sempre stato premuroso da quando siamo tornati insieme, non mi ha mai fatto mancare niente e non mi ha nemmeno mai fatto dubitare del suo amore per me. Perché, allora, ho dovuto cercarmi un amante?».
Ci guardiamo tutti a turno, nessuno sembra avere una risposta degna di essere espressa a parole, solo Luca ha il coraggio di dire qualcosa.
«Forse è fin troppo premuroso e tu non sei abituata a questo suo comportamento. Probabilmente, nel tuo inconscio, amavi il fatto che a volte ti ignorasse, ti sentivi più libera. Le mie sono solo supposizioni, non sono uno psicanalista. Di sicuro qualcosa è scattato in te per averti portato a commettere questo tradimento. Con il suo capo poi!». Il nostro migliore amico comincia a ridere e, un po’ per volta, seguiamo il suo esempio: ci ritroviamo tutti e quattro a ridere fino alle lacrime.
«Stai tranquilla, tesorino nostro, non hai ucciso nessuno, forse hai compromesso la dignità di Michele, ma di quella ce ne freghiamo. Detto tra noi, ci è sempre stato un tantino sui coglioni». Luca è sempre il solito, non vedeva l’ora di usare qualche parolina dolce per quel pover’uomo. Non lo so, ma a me fa comunque una grande tenerezza. A parte che non faccio testo, visto che ultimamente mi fanno tutti questo effetto. Basta guardare come mi sono comportata con Paolo, organizzandogli un appuntamento al buio. Se lo avessero proposto a me, avrei mandato tutti a quel paese, ma lui è stato carino a non contraddirmi. Ora sono proprio curiosa di vedere se scatterà la scintilla tra di loro.
«Luca!», lo ammonisce Stella, facendomi sobbalzare. Ero immersa nel mio mondo e lei mi ha fatto quasi venire un colpo.
«Ho detto soltanto la verità e lo sapete benissimo anche voi», brontola lui incrociando le braccia al petto.
«Sarà anche la verità, ma potresti benissimo usare anche un po’ di tatto», continua Stella senza alcuna esitazione.
Luca si stringe nelle spalle e sbuffa sonoramente.
«Bambini, smettetela. Va bene lo stesso, ora che mi sono sfogata con voi mi sento meglio». Marica ha un sorriso per ognuno di noi e questo piccolo gesto mi riempie il cuore di gioia. «Ora devo solo capire che cosa fare».
«Segui il tuo cuore», le dico dolcemente.
«Ecco il guru dell’amore», mi prende in giro il mio migliore amico, scoccandomi poi un bacio sulla guancia.
Ci stringiamo tutti e quattro sul divano, nonostante non sia adatto a contenere tutti noi, ma non vogliamo stare separati. Ognuno di noi ha bisogno dell’altro in questo momento e la vicinanza ci aiuta davvero molto. Riusciamo finalmente a guardare un film dopo parecchio tempo, anche se me ne sono persa più di metà, addormentandomi come un sasso sulla spalla di Luca. La sua mano accarezza il mio ventre con dolcezza e questo mi rilassa ancora di più. Marica mi tiene la mano nella sua, mi sento davvero bene in questo momento.
L’idillio svanisce una volta che le ragazze mi riaccompagnano a casa. Marco è già steso nel letto, dorme pacifico. Non mi ha nemmeno aspettato e la cosa mi rattrista non poco. Mi spoglio nel bagno per non svegliarlo e mi infilo sotto le coperte, cercando di fare piano. Nemmeno un saluto, un bacio della buonanotte. Tutto questo non è da lui e l’ansia mi assale all’improvviso. Che cosa è successo oggi? Magari è solo stanco. Sì, deve essere per forza questo il motivo.
Mi giro su un fianco, dandogli la schiena e mi addormento in pochi istanti. Gli incubi che mi assalgono quella notte non possono essere raccontati.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Eccomi con questo capitolo “bomba”. Marco non ha avuto una bella giornata ed è finita anche peggio. Alla fine abbiamo scoperto di chi è innamorato Paolo e forse era meglio non saperlo. Mi fa una tenerezza quell’uomo! Mi dispiace anche aver strapazzato Marco, non era mia intenzione, lo giuro. Anche Marica ha confessato i suoi misfatti. Farsela con uno dei capi del suo uomo… mmm, pericoloso direi. A martedì prossimo… non anticipo nulla stavolta!
Un grazie immenso a tutti voi che leggete, commentate e apprezzate questa mia storia!
Un bacione, Ire.

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Capitolo 11
*** E se non fossero incubi? ***



 
 

Capitolo Undici

E se non fossero incubi?



 
Mi sveglio la mattina seguente con la testa che mi martella, come se avessi bevuto una quantità industriale di alcol e non ne tocco un goccio da mesi. Mi metto a sedere sul letto, mi volto verso il lato che dovrebbe essere occupato da Marco, ma di lui non c’è nemmeno l’ombra. Dove diavolo è andato? Indosso le ciabatte e la vestaglia, dirigendomi verso la sala. È seduto al tavolo della cucina, una tazza di caffè fumante tra le mani.
«Ciao amore», lo saluto andando da lui e baciandogli i capelli.
«Buongiorno Flounder». La sua voce esce roca, un tono stranissimo che non gli avevo mai sentito usare. Mi siedo accanto a lui e lo osservo attentamente: ha delle occhiaie tremende, gli occhi gonfissimi e le mani gli tremano appena. Sta evitando il mio sguardo e questo aumenta a dismisura la mia angoscia.
«Che ti succede?», domando con un filo di voce.
Lui muove nervosamente le gambe sotto il tavolo e sospira. «Niente, amore, stai tranquilla».
Come posso stare tranquilla? Si è guardato allo specchio? Sembra il fantasma dell’uomo di cui mi sono innamorata.
«Niente», ripeto io sarcastica. Non ho più voglia di essere trattata in questo modo da lui. Pensa davvero che io sia così stupida da non capire che lui sta male? Quello che non comprende è che se lui sta male, io sto anche peggio perché non so che cosa fare per poterlo aiutare. Lui è l’amore della mia vita e farei qualsiasi cosa per lui, ma non può rendermi la vita tanto complicata, mi sento inutile in questo modo.
«Mi ritieni stupida, vero?». Gioco nervosamente con le dita della mia mano, lo sguardo fisso su di loro.
«Non ho mai pensato una cosa tanto assurda», esclama lui alzando finalmente lo sguardo verso di me.
«Allora smettila di mentirmi. So benissimo che c’è qualcosa che non va e che non vuoi dirmi di cosa si tratta. Avevi promesso che mi avresti detto sempre tutto, che non mi avresti tenuta all’oscuro, ma ancora una volta mi stai escludendo, facendomi sentire una completa nullità», continuo io con tono duro. Credo che la soluzione migliore sia cercare di aprirgli gli occhi, forse ha bisogno di uno scossone per rendersi davvero conto che sta sbagliando.
«Tu non sei una nullità». Cerca di prendere la mia mano, ma io mi scanso.
«Dimostramelo allora. Che cosa ti sta succedendo?», ripeto nuovamente, sperando che questa volta mi dia la risposta che sto attendendo.
Lui guarda di nuovo la tazza davanti a sé e non risponde. Gli occhi cominciano a pizzicare, un nodo alla gola mi impedisce perfino di respirare. Lui non si fida di me. Che cosa posso ancora fare io qui per lui? Non ha nemmeno il coraggio di dirmi in faccia quello che gli sta capitando e io non credo di poterlo sopportare ancora a lungo. Io ho bisogno di lui nella mia vita, sarà il padre dei miei figli, dovrebbe diventare mio marito, ma forse non è pronto per tutto questo e io ho il diritto di saperlo.
«Mi vuoi ancora sposare o hai forse cambiato idea?». Fatico molto a porgli questa domanda, mi sembra di soffocare in questo momento.
«Certo che ti voglio sposare!», risponde lui guardando nuovamente nella mia direzione.
«Ma non vuoi dirmi che cosa sta succedendo». Mi mordo nervosamente il labbro e chiudo gli occhi. Forse mi pentirò di quello che sto per fare, ma devo per forza dire quello che penso, non si può andare avanti così.
«Non sta succedendo proprio niente», continua lui senza ritegno.
Mi alzo lentamente e appoggio entrambe le mani sul tavolo, guardando Marco dritto negli occhi. «Non ti credo. Tu non stai bene, sei distante, fatichi a guardarmi, fingi che vada tutto bene, quando sta andando tutto storto. Non mi hai nemmeno chiesto se ho trovato l’abito da sposa, non ti interessa del nostro matrimonio. Sono passata in secondo piano per te e non posso sopportarlo. Io ti amo, Marco, ma così non posso andare avanti». Prendo un respiro profondo e finisco di dire la mia. «Vado dai miei oggi, ho bisogno di stare da sola. Tu pensa a cosa vuoi farne di noi, lascio tutto nelle tue mani. Se davvero mi ami, devi capire che non puoi proteggermi da tutto e tutti, dovrei diventare tua moglie e io vorrei sostenerti in ogni tua scelta, ma tu mi escludi e non posso fare niente. Se non te la senti di andare avanti, basta che me lo dici. Io non ho alcuna intenzione di lasciarti, ma se tu non mi vuoi più nella tua vita, posso capirlo».
«Amore mio», prova a dire, ma io lo zittisco posandogli il palmo della mano sulla bocca.
«Tu pensaci, sai dove trovarmi. Vieni solo se sarai pronto a confidarti con me, altrimenti puoi restartene anche qui». Dette queste ultime parole corro in bagno e mi chiudo dentro a chiave. Scoppio in un pianto disperato, coprendomi il viso con entrambe le mani. Forse sono stata fin troppo dura con lui, ma deve riscuotersi e tornare l’uomo forte e sincero di cui mi sono innamorata. Non ho mai sopportato i segreti, portano solo al distacco e io non ho alcuna intenzione di perderlo. Marco è l’unico uomo io abbia mai amato davvero e non voglio separarmi da lui. Stiamo aspettando due bambini, dobbiamo organizzare il nostro matrimonio, ma finché non torna in sé non possiamo nemmeno parlare normalmente come facevamo un tempo. Deve essere successo qualcosa di grave per comportarsi in questo modo assurdo e io voglio aiutarlo, è mio dovere di brava compagna farlo. Lui, però, deve fidarsi di me e aprirmi il suo cuore. Si sta distruggendo da solo in questo modo e io non posso permetterlo, lo amo troppo per poterlo perdere. Mi auguro che questo mio ultimatum serva davvero, altrimenti dovrò trovare un altro modo per riportarlo a me, a noi. Ho un disperato bisogno di lui. Mi mancano le nostre chiacchierate senza senso, mi mancano i nostri scambi di battute, mi mancano i nostri momenti di intimità. Mi manca Marco, da morire.
Mi vesto lentamente, mi ricompongo un po’ e apro la porta. Il mio uomo è davanti a me, non l’ho mai visto in questo stato e mi si spezza il cuore. Gli prendo il viso tra le mani e gli bacio le labbra, stringendo forte le palpebre per evitare che le lacrime mi travolgano nuovamente come un fiume in piena.
«Ti prego, non andare», mi supplica con la fronte sulla mia.
«Devo farlo, abbiamo entrambi bisogno di pensare. Ti amo da morire, non amerò mai nessun altro uomo». Lo bacio ancora una volta, prima di prendere la mia borsa e chiudermi la porta del nostro appartamento alle spalle. Prendo il cellulare e chiamo l’unica persona al mondo che potrebbe aiutarmi in questo momento.
«Cucciola, che succede?», domanda Luca in apprensione.
«Ho bisogno di un passaggio fino a casa dei miei. Diciamo che ho litigato con Marco e ho bisogno di farmi del male», gli rispondo tra i singhiozzi.
Non è stata una vera e propria litigata, non ci sono state urla, non ci siamo lanciati contro oggetti. Se avessimo avuto una discussione reale, probabilmente ora staremmo facendo pace in camera. Il mutismo in cui Marco si è chiuso non rende le cose facili. Ho faticato davvero molto a uscire da casa nostra, non avrei voluto lasciarlo solo, ma a mali estremi, estremi rimedi. Lui ha un disperato bisogno di uno scossone, deve aprire gli occhi e rendersi conto che si sta comportando in un modo talmente assurdo, che potrebbe perfino perdermi. Non potrebbe mai succedere, perché io lotterei fino alla fine dei miei giorni per salvare il nostro rapporto.
«Ti farai tantissimo male dai tuoi. Sei sicura di volerlo fare davvero?». Il mio migliore amico si preoccupa per me, ma tanto peggio di così non potrebbe sicuramente andare.
«Sicurissima».
Tutta questa mia sicurezza l’ho lasciata a casa. Sono sdraiata sul divano dei miei, mentre loro mi fissano in evidente stato ansioso. Mia madre ha cercato di farmi delle domande, ma io non ho alcuna voglia di parlare. L’unica persona con cui vorrei intavolare un discorso, si è chiuso in un mutismo alquanto innaturale. E se non mi raggiungesse? Se preferisce proteggere i suoi segreti, piuttosto che condividerli con me? Se avesse problemi di salute? Al solo pensiero il mio cuore perde più di un battito, un macigno si piazza sul mio petto, impedendomi perfino di respirare. Mi raggomitolo sul divano e chiudo gli occhi, sperando che tutto questo sia soltanto un brutto incubo. Lascio che le lacrime scendano a rigarmi il viso. Qualcuno mi copre con una coperta calda e io mi avvolgo in quel tessuto morbido. Se solo Marco fosse qui a stringermi fra le sue braccia. Solo allora mi sentirei davvero al sicuro e protetta, solo accanto all’uomo che mi ha rubato il cuore, il padre dei miei figli.
Nel dormiveglia riesco a sentire i miei crucciarsi per me e mi dispiace davvero tanto. Non avrei mai voluto farli preoccupare, non avrei mai dovuto metterli in mezzo, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro.
«Che cosa è successo alla nostra bambina?», chiede mia madre a bassa voce per non disturbare il mio sonno travagliato.
«Non lo so, ma ho come l’impressione che c’entri Marco», risponde mio padre in un sussurro che riesce comunque a penetrare la mia corteccia cerebrale.
«Non si saranno mica lasciati?». La voce della mia genitrice esce stridula.
«Non penso, ma hanno sicuramente litigato. Non sarebbe sul nostro divano altrimenti». Mio padre sospira. «Se non trova le palle per sistemare la cosa, gliele faccio sputare io. Stanno per diventare genitori! Non possono comportarsi come degli adolescenti!».
Non lo avevo mai sentito così alterato e preoccupato, devo averlo fatto agitare non poco. Ora mi sento in colpa anche per questo. Vorrei tanto correre da Marco e buttargli le braccia al collo, vorrei essere stretta dalle sue forti braccia. Gli perdonerei qualsiasi cosa, purché torni ad essere quello di un tempo. Forse era meglio se continuava a fare il rappresentante, avrebbe avuto meno grattacapi, meno problemi, meno ansie. Capisco, però, la sua decisione, l’ha fatto per aiutare il padre, e la famiglia è più importante. Voglio essere anch’io importante per lui, che prenda le decisioni anche pensando a me e ai nostri figli. Non lo so, forse non sono abbastanza per lui. Non devo pensare a queste cose, non devo.
Ti prego, amore, vieni a prendermi. Riportami a casa con te, dimmi che sono la persona più importante per te, dimmi che amerai sempre e soltanto me.
Una mano finisce sul mio ventre e lo accarezzo delicatamente.
Amorini miei, vi prometto che risolverò ogni cosa. Vi amo tantissimo.
Parlare con loro mi tranquillizza e mi dà la forza per poter superare anche questo brutto momento. La vita di coppia non è mai una passeggiata, capita di trovare degli ostacoli lungo il percorso, l’importante è avere voglia e forza di superarli. Se ti lasci andare, rischi di rovinare tutto. Questo non deve succedere a noi, non posso permetterlo.
«Adesso lo chiamo e mi sentirà!», esclama mio padre infervorandosi.
«Francesco, no, non farlo». Mia madre si oppone a questa sua volontà e la sto ringraziando tra me e me.
«Perché non dovrei? Non lo vedi in che stato è la nostra bambina?», sbotta lui alzando di un tono la voce.
«Shhh, non svegliarla!», lo ammonisce mia madre. «Lo vedo anch’io che sta male, ma non possiamo interferire. Devono sistemare le cose tra di loro, qualunque cosa sia successa».
«Ma», prova a dire lui, ma lei lo zittisce immediatamente.
«Ma un corno. Se non ricordo male, anch’io me ne sono andata di casa quando stavo aspettando Serena e i nostri genitori non si sono messi in mezzo. Hanno aspettato che tu, brutto testone che non sei altro, venissi a chiedermi scusa. Ci hai impiegato un giorno intero a tornare da me. Mi auguro che quel ragazzo ci impieghi molto meno».
«Erano altri tempi», brontola mio padre.
«Tutte scuse! Voi uomini siete sempre tutti uguali, a qualsiasi età e in qualsiasi epoca. Siete dei testoni e rimarrete dei testoni», infierisce lei. «Quello che non riuscite a mettervi in quella testa dura come il marmo, è che senza di noi, voi siete il nulla più totale. Avete bisogno di noi, ma non volete ammetterlo nemmeno a voi stessi e poi fate delle cavolate tremende».
Mio padre grugnisce, non convinto di quello che la moglie sta dicendo. «Sarà».
Vorrei aprire gli occhi e correre ad abbracciare mia madre, ma il suono insistente del campanello me lo impedisce. Stringo ancora di più gli occhi e mi tiro la coperta fino al naso.
Se non dovesse essere lui, lasciatemi morire di vecchiaia su questo divano.
 
°°°
 
Come ho potuto lasciarla andare via? Come ho potuto fare una cazzata tanto grande? Continuo a fissare la porta chiusa, sperando che lei torni da me, invano. Come posso pretendere che torni sui suoi passi dopo il mio comportamento? So di aver sbagliato, me ne rendo conto e mi sento un coglione per questo. Io volevo solo proteggerla e, invece, l’ho solo allontanata da me. L’ho tenuta a distanza dalla mia vita in questi giorni e l’idea di poterla perdere mi fa gridare come un pazzo. Urlo tutta la mia frustrazione, fanculo i vicini! Non posso perdere la donna della mia vita, non voglio perderla. Porta in grembo i miei figli, che amo già alla follia e che non vedo l’ora di stringere fra le mie braccia. Loro tre sono la mia unica ragione di vita, non posso rischiare di perderli per colpa della mia testardaggine. Serena ha ragione, ho smesso di parlare con lei, le ho nascosto quello che sta succedendo. Non avrei dovuto ma l’ho fatto. Questo non sono io: il Marco che conosco lotterebbe con le unghie e con i denti per riprendersi la donna che ama!
Ed è quello che ho intenzione di fare!
Sono ancora frastornato dalle ultime notizie ricevute. Ammetto che sono rimasto sconvolto quando ho saputo che Paolo si era innamorato di Serena. Non riesco ad essere arrabbiato con lui, amarla è talmente semplice e lei è un sogno. Per lui deve rimanere tale, però, un sogno. Serena diventerà presto mia moglie e se la deve dimenticare. Non voglio vedere i miei amici per un po’, non me la sento. Rischierei di dire cose che nemmeno penso, solo per togliermi uno sfizio. Soprattutto con Lorenzo: avrebbe dovuto farsi gli affari suoi e tutto questo polverone non si sarebbe mai alzato. Preferivo rimanere all’oscuro di tutto, sarebbe stata la cosa migliore per me. So perfettamente che Paolo non proverebbe mai a portarmi via la mia donna, ma è meglio non rischiare. Prima o poi dovrò fare un discorso a quattr’occhi con lui, non so quando sarò pronto per questo passo, un giorno sicuramente.
Sarà difficile dirle tutto quello che ho dentro, ma devo farlo per forza, per non perderla. Farei qualsiasi cosa pur di poterla stringere nuovamente tra le mie braccia. Ho bisogno di lei più dell’aria e me ne rendo conto solamente ora. Mi stavo autodistruggendo negli ultimi giorni. Che cosa credevo di fare? Speravo che tutto scomparisse come per magia? Devo rimboccarmi le maniche, se voglio che tutto torni alla normalità: la mia vita, la mia azienda, è tutto nelle mie mani.
Mi guardo intorno e quasi odio questo appartamento, ho passato troppi momenti negativi, che coprono completamente quelli meravigliosi trascorsi con la donna che amo. All’improvviso so quello che devo fare: vado a riprendere la mia futura moglie. Prendo dei borsoni dall’armadio e butto tutti i nostri vestiti alla rinfusa, svuoto tutti i cassetti. Faccio un po’ di giri e carico tutto nella mia macchina. Mi vesto decentemente e per ultimo recupero Diablo, lo metto nella sua gabbietta. Lui non è molto entusiasta di questo cambiamento e me lo dimostra miagolando e soffiando come un pazzo. Prometto che mi farò perdonare anche da lui.
Mi sembra di avere un martello pneumatico che mi sta aprendo in due il cranio, non posso nemmeno dare la colpa all’alcool, ieri sera ho toccato a malapena una bottiglia di birra. Ora capisco lo stress cui mio padre è stato sottoposto, probabilmente verrebbe anche a me un infarto se avessi il cuore debole.
Osservo questa stanza e mi sento completamente diverso, provo sensazioni contrastanti, sono davvero deciso a dare una svolta alla mia vita, credo sia quello di cui ho bisogno. Manderò qualcuno a prendere il resto delle nostre cose, non voglio più mettere piede qui dentro. Cerco di tranquillizzare il nostro gattone, le mie parole sembrano avere l’effetto sperato e si appisola sul cuscino all’interno del trasportino. Raggiungo la nostra nuova casa e porto dentro tutte le borse, liberando Diablo appena ho finito. Ora può esplorare le sua nuova sistemazione. Curiosa in giro e poi trova il suo nuovo posto per dormire: la cassapanca in camera nostra. Mi ritrovo a sorridere, guardandolo con tenerezza. Anche lui fa parte della famiglia, una parte davvero importante e mi prenderò cura di lui finché mi sarà concesso.
Sistemo i nostri vestiti nel nuovo armadio, facendo attenzione a non rovinare i vestitini di Serena. Per una volta in tutta la sua vita, le sue cose saranno in ordine, almeno fino a quando non ci metterà mano lei. Il mio amore è un completo disastro, ma io la amo più di ogni cosa al mondo.
Un’ora dopo, sono già diretto a casa dei miei futuri suoceri: due ore senza la mia donna sono sembrate una vita. Mi attacco al campanello e, un attimo dopo, il signor Boissone si piazza davanti a me, le mani ben piantate sui fianchi e lo sguardo truce.
«Hai intenzione di sistemare le cose o sei qui solo per pregarla di tornare a casa con te?». La sua domanda così diretta mi spiazza per un istante, ma mi riprendo piuttosto in fretta.
«Ho intenzione di riportarla a casa e di sistemare ogni cosa. Non ho mai voluto perderla, ho fatto una cazzata e ora voglio solo rimediare. Ho bisogno di lei», rispondo con decisione, mantenendo il contatto visivo, nonostante mi stia davvero fulminando. Se non sapessi che è buono come il pane, le gambe avrebbero già cominciato a cedermi.
«Risposta corretta». Mi stringe la spalla con una mano e mi lascia lo spazio necessario per entrare in casa. «È raggomitolata sul divano da quando ha messo piede qui, non ha detto una sola parola. Non so che cosa sia successo tra di voi, ma direi che è giunta l’ora di chiarire. Avete entrambi la faccia stravolta, non mi piace per niente».
Anche mia suocera ci raggiunge e mi avvolge in un abbraccio. «Falle tornare il sorriso, ti prego. Non voglio più vederla in questo stato».
Scoppia in lacrime e sparisce in cucina. Suo marito la segue, lasciandomi solo. Prendo un bel respiro ed entro in salotto. Serena è ancora sul divano, gli occhi chiusi e le lacrime che le solcano una guancia. Mi inginocchio sul tappeto davanti a lei e le asciugo il viso con le dita, lentamente. Lei apre gli occhi, le labbra cominciano a tremarle visibilmente. Non sono preparato alla crisi di pianto che ne segue. Mi butta le braccia al collo, aggrappandosi a me con forza.
«Amore mio», le sussurro spostandole i capelli e baciandole il viso. Solo dopo un po’ mi rendo conto che sto piangendo insieme a lei. Le bacio le labbra più volte, quasi con violenza. Mi era mancata, non avevo nemmeno idea quanto, almeno non fino a questo momento.
«Ti amo da morire, Serena. Non voglio perderti, non posso perderti», riesco a dirle alla fine. «Ti amerò fino alla fine dei miei giorni».
«Amore», mormora lei tra i singhiozzi.
«Promettimi che non mi lascerai mai più, mi è sembrato di morire quando sei uscita da quella porta», la supplico prendendole il viso tra le mani e cercando il suo sguardo. «È inutile che fai di tutto per liberarti di me, non ci riuscirai mai».
Le sfugge un sorriso tra le lacrime e comprendo che per noi c’è speranza di tornare ad essere quelli di un tempo.
«Peccato, io ci ho provato». Si stringe nelle spalle e io mi fiondo sulle sue labbra, baciandola fino a toglierle il respiro. Come ho potuto escluderla dalla mia vita in questi ultimi giorni? Come ho potuto essere tanto cieco? Solo se c’è lei al mio fianco posso superare ogni difficoltà.
«Portami a casa», soffia sulle mie labbra, posandomi una mano sul viso.
«Sono qui proprio per questo». La bacio nuovamente, non riesco proprio a farne a meno. Mi alzo dal tappeto e sposto la coperta che avvolge ancora il suo corpo. La sollevo di peso, tenendola stretta fra le mie braccia. Sta per borbottare qualcosa, ma la zittisco mettendole la lingua in bocca, proprio come ai vecchi tempi.
«So già quello che stai per dire, perciò non ci provare nemmeno».
«Dio, quanto ti amo!». Stavolta è lei a togliermi completamente il fiato, facendomi barcollare pericolosamente per la troppa irruenza di quel gesto.
Si stringe forte a me e si lascia condurre fuori da quella stanza. I suoi genitori ci stanno aspettando nel corridoio, sono entrambi ansiosi di sapere come sono andate le cose.
«Riporto a casa vostra figlia, abbiamo un sacco di cose da dirci», li informo senza alcuna esitazione.
«Vedete di non metterci troppo, domani vi aspettiamo qui a pranzo», mugugna sua madre incrociando le braccia al petto.
«Ci saremo». Serena sorride loro e i due si sciolgono come neve al sole.
A volte basta davvero poco per capovolgere l’andamento di una giornata cominciata per il verso sbagliato.
Una volta in viaggio, Serena si rilassa sul sedile. Mi sento in qualche modo più leggero, nonostante ora mi attenda la parte più difficile: raccontarle ogni cosa.
Usciti dalla tangenziale, si volta verso di me e chiede: «Dove stiamo andando?».
«A casa», le rispondo con un sorriso.
Parcheggiata l’auto nel vialetto, la prendo nuovamente tra le mie braccia e la porto in casa, la nostra nuova casa.
«Oggi sarà un nuovo inizio per noi». La faccio scendere delicatamente a terra e Diablo ci raggiunge di corsa, felice di vederci. Serena se lo porta davanti al viso e gli bacia il musetto.
«Sembra si sia già ambientato», constata contenta.
Io lo sono ancora di più: quel sorriso che non ha ancora abbandonato le sue labbra mi riempie il cuore di gioia. Mi sembra di essere rinato.
«Spero non ti dispiaccia, ma ho portato qui tutte le nostre cose e ho sistemato anche la tua parte di armadio. Non voglio più tornare nell’altro appartamento. Voglio iniziare qui la nostra nuova vita». Le prendo entrambe le mani e sembra confusa.
«Lo so che mancano ancora molte cose, ma le recupereremo», la rassicuro. «Ora dobbiamo parlare».
La accompagno in camera e mi siedo sulla cassapanca, allungando le gambe. Le chiedo silenziosamente di sdraiarsi davanti a me. Sono stato così bene quel weekend trascorso qui con lei, che credo alla magia di questo posto, il nostro nido d’amore. Poso le mani sul suo ventre, accarezzandolo delicatamente, chiudendo gli occhi e godendomi questo momento di tranquillità. Serena non dice una sola parola e forse è meglio così, sarà più facile per me raccontarle ogni cosa.
«Avevo ragione che mio padre mi stava nascondendo qualcosa», comincio posando la guancia sul suo capo. «Quel Leonardo aveva qualcosa che non mi convinceva e il mio sesto senso non aveva torto. Mio padre si è indebitato fino al collo. Deve centocinquantamila euro a questo fantomatico Eugenio Broschi, uno strozzino con i controcazzi».
Serena sussulta, ma io cerco di tranquillizzarla con delle lievi carezze.
«La storia va avanti da un po’ ed è la causa del malore di mio padre. Altro che sforzo eccessivo per sollevare una damigiana come volevano farmi credere. I bastardi vogliono impossessarsi della nostra azienda e io lotterò fino alla fine per salvare ciò che ha costruito mio nonno. Ne ho parlato con Lorenzo e suo padre, ci aiuteranno a risolvere la questione. Non sarà facile, non lascia prove, ma faremo tutto il possibile. Ho appuntamento con un amico di Lorenzo che fa il poliziotto, vedremo che cosa dice». Prendo un bel respiro e proseguo. «Non ti ho detto niente perché non volevo che ti agitassi. Pensavo di farlo per il tuo bene e per quello dei nostri figli, invece ho fatto solo un gran casino e ho rischiato di perdervi. Voglio solo che tu sappia che non l’ho fatto con cattiveria, per tenerti all’oscuro di qualcosa, volevo solo evitarti ulteriore stress. Il problema è che non parlandone con te, tutto è degenerato e giorno dopo giorno io mi sentivo sempre peggio. Non sapevo come venirne fuori, stavo venendo risucchiato come dentro a un vortice e non c’era nessuno con una fune pronto a recuperarmi. Dovevi esserci tu a salvarmi, ma io non te l’ho permesso, non ti ho dato nemmeno la libertà di decidere se farlo o no e me ne rammarico».
«Io sono sempre qui per te, Marco. Sempre. Non ti lascerò solo nemmeno un istante d’ora in poi, insieme risolveremo ogni cosa». Alla fine Serena riesce a dire la sua, prendendo una mia mano e portandosela al viso. Le accarezzo la guancia e mi sciolgo completamente. Solo la sua presenza rende tutto migliore.
Ora, però, devo dirle anche il resto, non posso omettere questa parte. Non ho idea di come la prenderà, ma devo per forza farlo e togliermi questo peso che mi comprime il petto da ieri sera.
«C’è un’altra cosa che devo dirti. È stata la ciliegina sulla torta in tutta questa storia ed è quella che mi ha fatto sbarellare del tutto», proseguo chiudendo gli occhi e sospirando pesantemente.
«Ammetto che mi sta salendo un po’ l’ansia», farfuglia Serena accoccolandosi di più a me.
«Io ormai sono il re dell’ansia», commento con una risatina amara. «Avrei potuto ometterti questa notizia, ma dopo quello che abbiamo passato, direi che non voglio più farlo, mai più».
«Come minimo», infierisce lei ridacchiando.
La schiaffeggio scherzosamente su un braccio. «Non prendermi in giro, non credo che quello che sto per dirti ti piacerà».
«Riguarda me?», domanda con un filo di preoccupazione nella voce.
«Oh sì, stronzetta mia, riguarda te. Ti assicuro che preferivo non scoprirlo ed è tutta colpa di Lorenzo, tanto per cambiare».
Si alza dalla posizione in cui è, voltandosi dalla mia parte per potermi guardare negli occhi.
«L’ansia sta aumentando a vista d’occhio», si lamenta con una smorfia.
Decido di smettere di farla agitare e sputo il rospo. «Hai presente la donna di cui Paolo si è innamorato?».
«La sua collega sposata?». Aggrotta le sopracciglia e poi spalanca poco elegantemente la bocca.
«Non esiste alcuna collega sposata. Si è innamorato di te». Ecco, l’ho detto.
Serena sembra parecchio confusa. «Di me?».
Annuisco.
«Oh porco cazzo!», sbotta tappandosi la bocca un istante dopo.
A quella sua imprecazione, scoppio a ridere come uno scemo. «È impossibile non amarti, Flounder. Spero che tu non gli abbia dato delle false speranze».
«Okay, Paolo è un bel ragazzo, molto dolce e gentile, ma io ho già il mio pezzo di manzo. Scusami, volevo dirlo alla Luca, era un po’ che non lo facevo. Tu mi basti e avanzi. Già fatico a gestire te, pensa se dovessi cominciare tutto da capo e gestire un altro uomo. Poi non è il mio tipo, non è abbastanza stronzo».
«Mi hai appena dato dello stronzo?». Inarco un sopracciglio e mi fingo offeso.
«Forse, però ti amo da impazzire». Salvata in corner.
Mi ritrovo le sue labbra sulle mie e mi dimentico di tutto e tutti. Credo proprio che d’ora in poi le cose possono solo migliorare. Aver chiarito con lei è stato fondamentale. Ora ho la certezza che insieme possiamo farcela, noi siamo una squadra, da soli non valiamo un centesimo.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Il capitolo all'inizio aveva preso una brutta piega, ma fortunatamente tutto si è sistamto e i nostri due piccioncini si sono chiariti. Prometto che non strapazzerò più il nostro Marco da qui in poi. Farò la brava. La cosa importante è che le cose tra i due siano tornate alla normalità, non potevano andare avanti in quel modo. Nel prossimo capitolo i genitori sapranno dell'imminente matrimonio... come la prenderanno? :)
Voglio ringraziare chiunque passi da questa mia storia, vi adoro! A martedì prossimo!
Un bacione, Ire.


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Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 12
*** La grande notizia ***



 
 

Capitolo Dodici 

La grande notizia



 
Ho dormito tutta notte, come non mi capitava da un po’. Non mi sembra neanche vero. Ho stretto Serena a me per tutto il tempo, non avevo alcuna intenzione di lasciarla andare. Lei, dal canto suo, non voleva staccarsi, accoccolandosi sempre di più contro di me. Mi era mancato stringerla fra le mie braccia e ho davvero rischiato grosso con il mio silenzio. Non succederà mai più, cascasse il mondo.
Serena si stiracchia, un angolo della sua bocca si solleva all’insù. «Non riesci più a dormire?».
La sua voce roca, ancora impastata dal sonno mi fa sorridere. È meraviglioso iniziare la giornata con un suo sorriso.
«No, credo di aver dormito abbastanza». Controllo l’ora sul mio orologio che tengo al polso e segna le nove. Sì, ho decisamente dormito troppo.
«Ti senti pronto per il pranzo che ci aspetta? Sei sicuro di non voler dormire ancora un po’?», domanda posandomi una mano sulla guancia.
Cazzo, il pranzo con i nostri genitori! Lo avevo completamente rimosso nelle ultime ore e ho anche promesso che ci saremmo stati! Sinceramente lo salterei a piedi pari, non è che abbia una gran voglia di vederli tutti insieme. In effetti neanche in separata sede. Preferirei stare tutto il giorno qui con la mia donna a rilassarci e a parlare di noi. Ci metteranno sotto torchio e i miei futuri suoceri mi guarderanno sicuramente in malo modo dopo quello che è successo con la loro bambina.
«Se vuoi possiamo dormire tutto il giorno, così lo saltiamo», continua lei con il sorriso sulle labbra.
«Tua mamma ci verrebbe a prelevare con la forza», le faccio notare in un sospiro.
«Non saprebbe dove trovarci. Non ha idea di dove sia questa casa», dice lei con tono cospiratorio.
Che constatazione interessante! Quasi, quasi…
«La tentazione è molto forte, lo ammetto, ma non possiamo sottrarci a questa tortura, nonostante non abbia una gran voglia di dire loro del matrimonio. È che non so come comportarmi con i miei. Ho visto mio padre distrutto e mi si è spezzato il cuore a metà. Credo che mia madre sappia la verità, ma non ho idea fino a che punto. Non so se lui le abbia raccontato proprio tutto. Non sarà facile fingere che vada tutto bene. La cosa positiva è che non devo più farlo con te. Scusami ancora, amore. Non avrei dovuto».
Poso la fronte sulla sua e chiudo gli occhi.
«Sono stato malissimo ed è stata solo colpa mia. La cosa che mi fa sentire un completo disastro è che ho fatto stare male anche te, ti ho deluso».
Serena mi bacia le labbra, zittendomi. «Va tutto bene ora. Smettila di piangerti addosso. Il nostro amore è più forte di ogni altra cosa, e insieme supereremo ogni ostacolo che ci si parerà davanti».
«Hai ragione», commento.
«Certo che ho ragione», infierisce lei colpendomi la spalla con un leggero pugno. «Io ho sempre ragione, non solo perché sono incinta e non sopporto essere contraddetta».
La sua espressione buffa mi fa prorompere in una sonora risata. Mi lascio cadere con la schiena sul materasso e mi copro gli occhi con l’avambraccio.
«Sei davvero spettacolare quando ti ci metti, lo sai?». Mi volto verso di lei e le sorrido. «Mi sento decisamente meglio ora».
C’è soltanto la questione di Paolo che mi infastidisce un po’ al momento. Devo ammettere che sono geloso di Serena, da impazzire e sapere che il mio socio si è innamorato di lei mi lascia una strana sensazione addosso. So di potermi fidare di lui, so che la mia donna non mi tradirebbe mai, ma è comunque difficile da digerire.
Mi metto nuovamente sul fianco e la attiro a me, le carezzo un braccio con dolcezza.
«Che cosa c’è che non va, amore? Ti sei rabbuiato all’improvviso». Serena posa una mano sul mio viso, lo sguardo preoccupato.
Sospiro rassegnato. Certo che non le scappa proprio niente!
«Non ti dà fastidio Sapere che Paolo… beh, insomma, hai capito, no?». Non riesco a dirle quelle parole, è più forte di me.
Lei arriccia le labbra e si fa pensierosa. «Ammetto che la cosa mi fa parecchio strano. Non ho mai avuto un rapporto particolare con lui, non abbiamo nemmeno mai parlato molto insieme. Non capisco come si sia potuto innamorare di me, un mistero che probabilmente rimarrà irrisolto».
«Io posso capire come possa essersi innamorato di te. Sei semplicemente meravigliosa, di una dolcezza infinita, di una bellezza unica». Posa le labbra sulle mie, fermando quel flusso di parole.
«Di una cosa devi essere sempre certo: io sono tua e lo sarò fino alla fine dei miei giorni. Non potrei mai perdere la testa per un altro uomo, perché tu sei il meglio per me, sei tutto quello di cui ho bisogno per essere felice. Sarai mio marito, il padre dei miei figli, l’amore delle mia vita». Parla in un sussurro e il suo discorso mi arriva dritto al cuore, facendogli perdere un battito.
«Ti rendi conto che quello che mi hai appena detto ha soltanto reso più veritiere le mie parole? Dovrei sentirmi meglio ora? Sono fortunato che altri uomini non si siano innamorati di te, altrimenti avrei dovuto lottare con le unghie e con i denti per tenerti stretta a me». La prendo in giro io baciandole poi la punta del naso.
«Che ne sai che non ci siano altri uomini che mi fanno la corte?», domanda con aria da innocentina.
«Vuoi insinuare dei dubbi nella mia mente già parecchio provata?». Mi mancavano questi nostri scambi di battute e prese in giro, mi era mancata la complicità con Serena. Sono stato davvero uno stupido a rischiare di privarmi di tutto questo. Non mi sono reso davvero conto di quello che stava succedendo nella mia vita, ma quando ho rischiato di perdere la donna che amo, tutto è stato più chiaro.
«Non mi permetterei mai». Mi bacia le labbra, approfondendo il bacio un attimo dopo.
«Direi che questo bacio potrebbe allontanare ogni eventuale incertezza», mormoro ancora con gli occhi chiusi, sento il suo respiro sulla bocca e ho solo voglia di riprendere a baciarla.
«Potrebbe, ma non ne sei certo?», chiede lei sensualmente.
Come mi fa perdere la ragione lei, non ci era mai riuscita nessun’altra donna in tutta la mia vita.
«Mmm, credo che dovrai darmi qualche altra prova della tua devozione», rispondo scoprendole il ventre e carezzandolo delicatamente. I frutti del nostro amore stanno crescendo qui dentro e io muoio dalla voglia di sapere di che sesso saranno. Non manca molto per scoprirlo, già alla prossima ecografia dovremmo saperlo e sono esaltato all’idea. Non vedo l’ora di decorare la loro cameretta, di comprare tutto quello che manca per il loro arrivo: voglio viziarli ancora prima della loro nascita, ne sento il bisogno. Amo già i miei figli più di ogni cosa al mondo e li proteggerò finché avrò vita.
«Questi frugoletti non sono sufficienti?». La sua mano si posa sulla mia, le nostre dita si intrecciano. Le nostre labbra si uniscono ancora una volta e ci baciamo lentamente, assaporando fino in fondo questo nostro momento di intima tranquillità.
«Sì, lo sono», mugugno tra un bacio e l’altro. «Ti amo da morire».
Il mio cellulare comincia a squillare, ma non ho alcuna intenzione di staccarmi da Serena, proprio non voglio. Smette, ma dopo un secondo, ricomincia a suonare, irritandomi non poco.
«E se fosse qualcosa di importante?», chiede la mia donna accigliandosi.
«Di domenica mattina non c’è niente di importante». Apro un occhio quando la suoneria riprende a perforarmi un timpano. Chi cazzo è che rompe le palle?
Mi volto verso il mio comodino e allungo un braccio, fino a recuperare il telefono. Sbircio lo schermo ed è Lorenzo. Dovevo immaginare che poteva essere solo lui a spappolarmi i maroni la domenica! Non ho alcuna intenzione di parlare con lui, non ora. Non ho voglia di sentire ancora una volta le sue scuse. È tutta colpa sua se ha costretto Paolo a confessare, rischiando di mandare a puttane un’amicizia. Sinceramente non voglio avere a che fare con loro per un po’, ho bisogno di staccare la spina.
«Chi è?». Serena mi prende il telefono dalla mano quando comincia a suonare per la milionesima volta. «Perché non vuoi parlare con Lollo?».
«Sono incazzato con lui e potrei dire cose di cui mi pentirei, considerando che mi serve il suo aiuto con l’azienda». Posso dirle solo la verità, non ho alternative. È solo questo il motivo per cui non voglio parlare con il mio socio.
«Lorenzo?». Mi distraggo mezzo secondo ed è lei a rispondere al posto mio. Mi ritrovo a sbuffare risentito. Non avrebbe dovuto farlo, ma a lei sembra non importare.
«Certo, te lo passo subito». Serena mi porta il telefono all’orecchio e mi obbliga a parlare con lui con un’occhiataccia che non lascia scampo.
Grugnisco, è quello che mi riesce meglio in questo momento.
«Socio, credevo che non volessi parlarmi quando mi sono reso conto che non rispondevi», comincia lui, sembra preoccupato.
«Infatti non volevo, mi ci hanno costretto». Non ho alcuna intenzione di essere cortese, dovrà sudarsi il mio perdono. Metto il vivavoce, così anche Serena può ascoltare quello che ha da dirmi.
«Lo avevo immaginato». Sospira e poi riprende a parlare. «Ascoltami soltanto, non serve che tu dica una parola. Mi dispiace davvero tanto per quello che è successo l’altra sera. Se avessi anche solo immaginato che potesse trattarsi della tua donna, non lo avrei mai costretto ad ammettere di chi fosse innamorato. Cazzo, socio, chi poteva immaginarlo? Mi sento una merda in questo momento. So che sei incazzato con me e fai bene ad esserlo. Probabilmente sarei anch’io incazzato se fossi stato nei tuoi panni. Il solo pensiero che uno dei miei soci si possa essere innamorato della mia Stella, mi fa pizzicare le mani. Posso solo immaginare come ti senti. Voglio solo che tu sappia che potrai sempre contare su di me e prometto di farmi i cazzi miei d’ora in poi. Non voglio rischiare la tua amicizia per la mia curiosità, tengo davvero molto a te. Cazzo, sembro una tredicenne che sta chiedendo all’amica del cuore di perdonarla per aver letto il suo diario segreto di nascosto».
Mi immagino Lorenzo con i capelli lunghi raccolti in due trecce che scendono sulle spalle e mi ritrovo a ridacchiare da solo. Come si fa a rimanere arrabbiati con uno come lui? Purtroppo anch’io tengo molto a lui e, anche se mi fa incazzare da morire la maggior parte del tempo, non riuscirei a estrometterlo dalla mia vita.
«Socio, ti prego, ero in buona fede. Sai che non farei mai qualcosa che possa minare la nostra amicizia. Con chi posso sparare minchiate tutto il tempo poi? Chi sopporterebbe le mie innumerevoli cazzate? Sai che solo tu riesci a sopportare ogni mio singolo difetto. Probabilmente sei un masochista, ma è proprio per questo che ti voglio bene. Oh cazzo! L’ho detto davvero? Vivere con due donne in casa non mi fa affatto bene, devo per forza fare il figlio maschio».
«Davvero mi vuoi bene?», domando imitando una voce femminile.
«Porca troia, sei un bastardo! Non lo ripeterò nemmeno fra un milione di anni, scordatelo», ringhia lui dall’altra parte della linea.
«Dai, ti prego», continuo sempre con quella vocetta stupida.
Serena si porta una mano alla bocca e ride per questa nostra scenetta. Le strizzo l’occhio, in attesa di una nuova serie di insulti da parte del mio socio.
«Devi esserti bevuto il cervello! Mai e poi mai lo dirò di nuovo». Una smorfia si deve essere formata sul suo viso. Lui non è qui davanti a me, ma lo conosco come le mie tasche e so come si comporterebbe in queste situazioni.
«Ti prego». Mi mordo l’interno della guancia per non scoppiare a ridere. Credo che questa sia la punizione peggiore per Lorenzo, più di smettere di parlare con lui.
«Sei un fottuto bastardo e giuro che me la pagherai per questo! Se mi sentissero gli altri, mi prenderebbero per il culo fino alla fine dei miei giorni!», tuona infastidito. «Ti voglio bene, socio, e mi dispiace per tutto quello che è successo. Chiedo il tuo perdono in ginocchio sui carboni ardenti e spero accetterai le mie scuse perché non ho alcuna intenzione di bruciarmi. Ora smettila di rompere le palle».
«Okay», dico io.
«Okay cosa?», chiede lui perplesso.
«Smetto di rompere le palle». Chiudo la telefonata, lasciandolo sulle spine.
«Sei stato crudele», mi ammonisce la mia donna con il sorriso sulle labbra.
«Se l’è cercata». Le bacio le labbra e mi alzo dal letto. Ho bisogno di una doccia gelata prima di poter affrontare le nostre famiglie. Non credo che basti quella per darmi la forza, ma almeno posso tentare. Che gran rottura di scatole.
 
°°°
 
Quando ci presentiamo dai miei genitori, immediatamente dopo arrivano anche i miei futuri suoceri. Sinceramente me ne stavo di gran lunga meglio sdraiata sul letto con il mio uomo. Mi viene anche da vomitare in questo momento. Prendo dei respiri profondi e mi stringo al fianco di Marco.
«Serena, sei un fiore», cinguetta la signora Rossini, strappandomi dal figlio e avvolgendomi in un abbraccio. Io starei molto attenta se fossi in lei, questi movimenti bruschi non vanno bene per il mio stomaco sotto sopra.
Marco trascina suo padre in un angolo e li osservo parlottare tra di loro. Mi auguro che Lorenzo riesca a sistemare ogni cosa, se dovessero perdere l’azienda, mio suocero non sopravvivrebbe a quel colpo.
«Grazie Rossella. Com’è andata alle terme?», chiedo sperando che mi lasci andare, comincia a mancarmi l’aria. Fortunatamente ottengo quello che più desidero.
«È andata benissimo. Mi sento rinata, avevo davvero bisogno di staccare un po’ la spina», risponde con un sorriso radioso.
I due Rossini stanno ancora parlando tra di loro, e voglio aspettare il mio uomo per entrare in casa. Non mi va di affrontare i miei genitori da sola.
«Avete preso una decisione per la casa?». La domanda di mia suocera mi riscuote dai miei pensieri. «Spero non ve la siate presa per avervela rimessa a nuovo. Era da un po’ che pensavamo fosse l’ideale per voi e abbiamo cominciato a fare i lavori a vostra insaputa. Lo so che forse avremmo dovuto chiedervelo prima, ma voi non avreste mai accettato il nostro aiuto, o sbaglio?».
Ha perfettamente ragione, non credo avremmo mai approfittato di loro se lo avessimo saputo. Ci saremmo arrangiati come meglio potevamo.
«Non serviva tutto quel lavoro, lo avremmo fatto noi con calma». Ci sto girando un po’ intorno, non vorrei sembrare un’ingrata dopo tutto quello che hanno fatto per noi.
«Lo so, tesoro, ma volevamo lasciarvi qualcosa». Posa una mano sulla mia guancia e la sua espressione dolce mi fa riempire gli occhi di lacrime. «Diciamo che è il nostro regalo per le vostre nozze».
Non so che cosa mi prende, ma all’improvviso mi lascio andare e la abbraccio di slancio. Lei sembra stupita da questo mio gesto inaspettato, ma dopo un attimo di esitazione, ricambia la stretta.
«Io… io…». Vorrei dirle un sacco di cose, ma proprio non ci riesco. Sono rimasta completamente senza parole e in preda a una crisi di pianto.
La signora Rossini mi massaggio delicatamente la schiena. «È solo un immenso piacere per noi aiutarvi. Promettimi solo una cosa».
«Tutto quello che vuole», riesco a dire tra i singhiozzi.
«Continua a rendere felice mio figlio come stai facendo. Non lasciarlo mai solo e amatevi, sempre».
«Questo posso farlo senza alcun problema. Lui è l’uomo della mia vita».
Non so perché mi stia chiedendo di promettere queste cose, ma una cosa è certa: io amerò, sosterrò, proteggerò Marco fino alla fine dei miei giorni.
La porta d’ingresso si spalanca all’improvviso e mia madre esce come una furia, lo sguardo preoccupato.
«Perché piangi, tesorino mio? È successo qualcosa?». I suoi occhi si posano su Marco e poi tornano a guardare me. So che cosa sta pensando in questo momento. Dopo quello che è successo ieri, non la biasimo. Sarei preoccupata anch’io se fossi stata nei suoi panni.
«Sono solo felice mamma». Mi stacco da Rossella e butto le braccia al collo alla signora Boissone. Lei mi stringe a sé e sospira.
«Mi hai fatto preoccupare tanto», mormora posandomi un lieve bacio sulla fronte.
«Lo so, mi dispiace. Non volevo fare preoccupare te e papà. Tutto è sistemato ora, state tranquilli». La rassicuro lasciandomi cullare da lei. In questo periodo ho tanto bisogno di affetto, non so come mai. Normalmente non mi sarei mai buttata tra le braccia di mia madre, tanto meno tra quelle della mia futura suocera. Questi ormoni mi stanno davvero dando alla testa.
«Marco ha detto a suo padre che avete una notizia da darci. Non è che tu ci possa anticipare qualcosa? Sto morendo dalla curiosità di sapere di che cosa si tratta». La signora Rossini si intromette nei miei pensieri e sospiro, staccandomi da mia madre. Credo che dovremmo dirlo insieme, ma entrambe le donne mi stanno osservando attentamente e non nascondono la loro curiosità. Non so che cosa fare. E se poi Marco si arrabbiasse? Dubito che lo farebbe, però non si sa mai, non vorrei tentare la sorte.
Mia madre mi prende la mano e la tiene stretta nelle sue.
«È una bella novità almeno?», chiede cercando i miei occhi. Sto tentando in ogni modo di evitare il contatto visivo, ma è completamente inutile.
«Credo di sì», rispondo con un sorriso sghembo.
«Ti prego, non tenerci sulle spine». Rossella sta cercando di impietosirmi e io non so se riuscirò ancora a tenere le labbra sigillate.
Cerco Marco con lo sguardo e lui, come a leggermi nella mente, mi sorride e mi fa un cenno di assenso con la testa. Come posso non amare quell’uomo?
«Beh, ecco», comincio schiarendomi la voce. «Abbiamo fissato la data del matrimonio».
Le nostre madri mi osservano attentamente e aspettano che io prosegua con quella rivelazione.
«Ci sposeremo il cinque dicembre». Ecco, l’ho detto. Riprendo a respirare normalmente, o almeno ci provo.
«Ma è fra pochissimo», commenta mia madre spalancando poco elegantemente la bocca.
«Lo so, ma vogliamo sposarci prima che nascano i gemelli e non vorrei essere troppo grossa con il vestito bianco». Mi immagino già come un’immensa balena bianca che fatica perfino a raggiungere il suo uomo all’altare e la cosa non è per niente di grande aiuto.
«Beh, vi daremo tutto l’aiuto che vi servirà», dice la signora Rossini, spostandomi una ciocca di capelli ribelle dietro l’orecchio. «Potrete contare su di noi, vero Giovanna?».
«Certo che sì! La mia bambina avrà il matrimonio dei suoi sogni!», esclama alla fine infervorandosi. Ora sta uscendo la sua anima organizzatrice e comincio a sudare freddo. Non voglio immaginare che cosa gli verrà in mente ora.
«I nostri amici si sono già divisi i compiti, per aiutarci in questa avventura. Abbiamo pochissimo tempo per organizzare tutto», le informo arricciando le labbra.
«Che cosa vi manca?». La mia futura suocera sembra davvero disposta a impegnarsi in questa follia e le sono davvero grata.
Marco ci raggiunge, seguito da suo padre.
«Prima di tutto entriamo in casa che fa freschino. Possiamo sistemare ogni dettaglio davanti a un bel bicchiere di vino». Mia madre ci fa segno di entrare.
Lascio andare prima i nostri genitori, intreccio le dita a quelle di Marco e mi stringo a lui.
«Ho dovuto dirlo in anticipo, non avevo scelta». Mi giustifico con lui, anche se probabilmente non ne avrei bisogno.
«Hai fatto benissimo. Anche mio padre lo sa ed è entusiasta. Ora non ci resta che dirlo al tuo, sperando che non mi spari. Gli sto per portare via definitivamente la sua bambina». Marco ridacchia e io mi ritrovo a sorridere.
«Sei fortunato che non ha il porto d’armi», commento divertita.
«Non lo avrà, ma magari si è procurato una pistola al mercato nero. Sai, una di quelle con il numero di serie grattato via in modo tale che non venga riconosciuta l’arma. Un colpo dritto in fronte, una cancellata delle impronte digitali con un bel fazzoletto di cotone e la pistola gettata nel cassonetto dello sporco, a qualche chilometro da casa per non destare sospetti. Vedi? Non è poi così difficile che una cosa del genere possa accadere».
Finisce appena in tempo di dire quelle parole, che mio padre si piazza davanti a noi, le braccia incrociate al petto e lo sguardo minaccioso.
«Ehm, buongiorno signor Boissone». Marco si passa nervosamente una mano tra i capelli e cerca di sorridergli.
«E così alla fine sposerai mia figlia il cinque di dicembre». Non ho mai visto mio padre così serio e sinceramente mi sto preoccupando davvero per il mio uomo in questo momento.
«Sì signore». E non ho nemmeno mai visto Marco tanto in difficoltà. Quello che ha combinato ieri è ancora bene impresso nella mente di mio padre e non gliela farà passare liscia tanto facilmente. Poso una mano sul suo braccio e gli sorrido.
Lui mi osserva con la coda dell’occhio, ma un attimo dopo torna a fissare minacciosamente il mio uomo. Non ho più il fascino di una volta, non riesco più ad ammorbidire mio padre con un solo sorriso. Che tristezza!
«Hai ancora intenzione di lasciarla andare come hai fatto ieri? Io non voglio un coniglio al fianco di mia figlia».
Oh mamma, credo che ora mi sentirò male! Non mi era mai capitato di assistere personalmente a una scena simile e sinceramente ne avrei fatto volentieri a meno.
«Non succederà mai più, glielo posso giurare», farfuglia Marco inumidendosi le labbra. Mio padre lo sta davvero mettendo alle strette e vorrei tanto che la smettesse, ma non ho il coraggio di intervenire.
«Lo puoi giurare eccome, se tieni alle tue palle!».
«Papà!». Lo ammonisco io. Stavolta ho dovuto agire per forza, stava esagerando.
«Che c’è? Ho detto solo quello che penso», brontola lui lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
«Ecco, adesso tieni per te quello che pensi. Dovrai accompagnarmi all’altare e devi fare il bravo, altrimenti lo chiederò a qualcun altro». Lo minaccio puntandogli un dito contro.
«Va bene». Alza gli occhi al cielo e sbuffa. Gli bacio la guancia barbuta e lo abbraccio, infondendogli tutto il mio affetto per lui. Lui si lascia andare e sospira, baciandomi poi il capo.
«Vi aspetto dentro», mormora dopo un attimo.
Rimango da sola con il mio uomo, che sembra riprendere a respirare proprio in questo momento. Gli allaccio le braccia al collo, le sue mani si posano sui miei fianchi.
«Pensi ancora che non mi sparerebbe?». La sua fronte finisce sulla mia, le nostre labbra quasi si sfiorano.
«Ora qualche dubbio mi è venuto. Più tardi, con la scusa di andare al bagno, andrò alla ricerca dell’arma con il numero di serie cancellato. Ho qualche posticino dove credo che possa averla nascosta. Lascia fare a me».
«Come farei se non avessi te?». Le sue labbra si posano sulle mie e mi rilasso completamente. Mi ha sempre fatto uno strano effetto essere baciata da lui, ma negli ultimi tempi sembra essere peggiorato. Non riuscirei a fare a meno di lui.
«Non faresti propri un bel niente», mugugno mordendogli il labbro inferiore. In questo preciso istante lo trascinerei nella mia vecchia camera e gli farei cose che non si possono raccontare.
«Scappiamo?», domanda lasciandomi una scia di baci lungo la linea della mandibola.
«Sono davvero molto tentata. Tutta questa situazione ha mandato la mia libido alle stelle», soffio sulle sue labbra.
«Ci sono i nostri genitori dentro casa, pensa se ci vedessero in questo momento». Con un movimento rapido, avvicina i nostri bacini. Un gemito sfugge al mio controllo.
«Non stiamo facendo niente di male», dico con pochissima convinzione. La sua lingua sfiora il mio collo e io chiudo gli occhi; inconsciamente continuo a strusciarmi contro di lui, risvegliando in un attimo il suo desiderio per me.
«Ora mi stai decisamente mettendo a dura prova», ansima al mio orecchio, con voce arrochita.
«Ragazzi! Devo portarvi qui fuori il pranzo?». La voce di mia madre ci fa staccare in totale imbarazzo. Resto comunque abbracciata al mio uomo, per nascondere la protuberanza all’interno dei pantaloni.
«Arriviamo!».
Bacio le labbra di Marco e sospiro. «Dopo a casa dovrai soddisfarmi, non dimenticarlo».
«Non lo dimenticherò, tranquilla». Mi strizza l’occhio e fa scivolare la mano nella mia.
Ci incamminiamo verso casa, anche se torneremmo immediatamente a casa per finire il nostro discorso. Appena seduti a tavola, cominciano tutti a parlare del nostro matrimonio. Vogliono sapere come abbiamo intenzione di celebrarlo, che cosa abbiamo già sistemato, che cosa manca ancora da preparare. Molto delicatamente abbiamo detto loro che vogliamo meno intromissione possibile da parte di tutti: quel giorno deve essere come lo vogliamo noi e non come lo vogliono gli altri. Sembrano aver compreso il nostro punto di vista e spero che mantengano la parola data. Ho promesso a mia madre che sarei andata con lei a vedere il vestito da sposa e così sarà. Io mantengo sempre le mie promesse.
«Che ne dici se andiamo domani?», propone la signora Boissone con un sorriso radioso. Non vede l’ora di poterlo fare e non ha nemmeno la decenza di nasconderlo.
«Ci sarà anche Luca con noi, ti avverto». Non posso estrometterlo e nemmeno voglio. Ho bisogno di Luca con me. Lo so che probabilmente ne uscirò pazza, ma so a che cosa andrò incontro. A mio rischio e pericolo.
«Nessun problema, tesoro», commenta lei reprimendo una smorfia. So che avrebbe voluto l’esclusiva, ma non potrà mai averla.
La cosa certa è che sceglierò io il mio vestito!
 
 
 
*Note dell'autrice*
I nostri piccioncini sono tornati quelli di un tempo... per fortuna, aggiungerei io :) Alla fine Marco e Lorenzo hanno fatto pace a modo loro. Con i genitori è andata bene, no? Marco ha rischiato di essere fatto fuori dal futuro suocero, ma anche questa volta è riuscito a salvarsi! Martedì prossimo, nel nuovo capitolo, scopriremo come andrà la scelta del vestito e Marco incontrerà una nostra vecchia conoscenza (capirete meglio dopo aver letto, almeno per chi ha seguito anche altre mie storie).
Un grazie immenso a tutti voi che state leggendo queste mie parole... vi adoro!
Un bacione, Ire.


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

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Capitolo 13
*** Se il buongiorno si vede dal mattino ***



 
 

Capitolo Tredici 

Se il buongiorno si vede dal mattino



 
Sono dieci minuti che cerco il mio portafoglio e non lo trovo. Non può essersi volatilizzato! Non può essere sparito nel nulla! Sposto i cuscini del divano, trovo solo le briciole delle patatine che abbiamo mangiato ieri sera guardando un film sulla nostra TV nuova. Non ne ho mai avuta una tanto grande e fa davvero strano guardare qualcosa su una superficie di quelle dimensioni. Diablo mi osserva dal bracciolo, sembra davvero concentrato.
«Non te lo sei mangiato, vero?», chiedo al felino che in tutta risposta sbadiglia disinteressato. «Okay, come non detto. Vorrà dire che ne farò a meno».
Fra poco Luca sarà qui e io devo ancora finire di prepararmi. Ho chiesto anche a Sara di unirsi a noi oggi, la prima uscita con dei pazzi furiosi. Onestamente l’ho invitata per avere almeno una persona sana di mente accanto a me. Mia madre e Luca faranno a gara per avere l’ultima parola e io avrò bisogno di un parere sincero e spassionato che da loro non potrò mai nemmeno pretendere. E poi devo studiarla bene fuori dall’ambito lavorativo per capire se potrebbe davvero andare d’accordo con Paolo. Sono entrambi piuttosto timidi e riservati. Lei è molto carina ed educata, lui lo è altrettanto. Credo che il mio giudizio iniziale alla fine non cambierà: quei due sarebbero perfetti insieme. Paolo deve togliermi dalla sua testa, è per il suo bene. Non mi potrà mai avere e a me dispiace che possa soffrire a causa mia, non lo merita e non lo trovo giusto. Lo so che non si può amare a comando, però sarebbe bello se Sara potesse prendere il mio posto nei suoi pensieri. Ne hanno bisogno entrambi. Io continuo a sperarci.
Luca arriva puntuale come al solito, quell’uomo spacca davvero il secondo e non è affatto un modo di dire. Lo raggiungo lentamente, non ho più l’agilità di una volta; i gemellini mi stanno facendo sentire come un pallone, fra poco rotolerò per raggiungere la mia destinazione. Sara è seduta sul sedile posteriore e mi sorride non appena si accorge del mio arrivo, aprendo la portiera.
«Ciao tesoro», la saluto baciandole la guancia. «Sei la mia salvezza in questa giornata che si prospetta alquanto difficile».
«Come sei melodrammatica». Luca sbuffa alzando gli occhi al cielo.
«Tu e mia madre nello stesso negozio? Sarà decisamente complicato!», esclamo senza alcuna vergogna. Entrambi hanno gusti particolari ed entrambi vorranno impormi le loro idee, ma nessuno avrà scampo con me, non oggi.
«Pessimista», continua lui borbottando.
«Luca, tesoro, non sono pessimista, sono soltanto realista. Voi due avete gusti completamente diversi: tu mi faresti indossare un abito che mi farebbe assomigliare a una meringa e credo che mia madre mi farebbe indossare un abito floreale, anche se non sarebbe proprio adeguato a un matrimonio classico. Voi due oggi mi farete impazzire, ne ho la certezza matematica. Perciò smettila di sparare minchiate e andiamo a prendere mia madre prima che cominci a telefonare, ricordandoci che siamo in mostruoso ritardo».
Appena finisco il mio discorso, il mio cellulare comincia a suonare nella mia borsa. Osservo il display ed era proprio questo quello che temevo.
«Stiamo arrivando, mamma», le dico senza aggiungere altro.
«Vi aspetto allora», commenta lei dall’altra parte della linea. Perché dove voleva andare altrimenti? Se avessimo ritardato se ne sarebbe andata per conto suo da un’altra parte? Per carità, con mia madre tutto è possibile, però mi avrebbe fatto davvero parecchio strano. Non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di andare a caccia di vestiti mostruosi.
«Ma voi siete sempre così?», chiede Sara a un tratto.
«Così come?». Luca la osserva attraverso lo specchietto, mettendo poi in moto la macchina e immettendosi nuovamente in strada, diretto a casa Boissone.
«Non lo so, vi rimbeccate in continuazione, ma siete sempre insieme».
«Sempre, sempre, sempre, fin da quando eravamo dei mocciosi. Quando ne avremo abbastanza l’uno dell’altra, vorrà dire che sta per finire il mondo». La decisione con cui si esprime il mio migliore amico mi fa sorridere. Io la penso esattamente allo stesso modo, la nostra amicizia non avrà mai fine.
«Non litigate mai?», domanda curiosa, sembra anche un po’ scettica dal tono della voce, non la biasimo.
«Non abbiamo mai litigato seriamente, anche perché senza questo rompiscatole io proprio non ci so stare». Questa volta sono io a rispondere, posando la mano sulla coscia del mio Luca. Lui mi sorride, osservandomi di sottecchi per non distrarsi alla guida.
«Marco non è geloso di lui?». Bella domanda! Forse un po’ geloso lo è, ma non come intende lei.
«Anche il suo Alex allora dovrebbe essere geloso di me», rispondo stringendomi nelle spalle. «Diciamo che si sono rassegnati».
Non le ho ancora detto della mia idea di farla uscire con Paolo e penso che questo sia il momento migliore per renderla partecipe.
«Sara, vorrei farti conoscere un nostro amico, se ti va», comincio tenendo un profilo basso. Non vorrei si spaventasse per la mia esuberanza, in fin dei conti è grande abbastanza per cercarsi un uomo da sola. Non ne ho ancora parlato con Luca per mancanza di tempo, e la sua fronte corrugata mi fa capire che non ha compreso quali sono le mie intenzioni.
«Non mi sembra il caso». Come non le sembra il caso?  Speravo in un po’ più di collaborazione da parte sua. Non avevo previsto una sua risposta negativa alla mia proposta, non era così che doveva andare.
«È molto carino, è dolcissimo, secondo me». Non mi lascia nemmeno il tempo di tessere le lodi di Paolo, che lei mi blocca bruscamente.
«Scusami Serena, ma proprio non me la sento di uscire con un ragazzo dopo quello che è successo».
«Capisco», mugugno insoddisfatta. «Scusa».
Avevo già detto al diretto interessato che gli avrei fatto conoscere una ragazza carina e lei ha rovinato tutti i miei piani. Cupido, però, non si arrenderà alla prima difficoltà. Troverò un modo per far incontrare quei due. Rimaniamo in silenzio fino a destinazione, nessuno ha una gran voglia di fare conversazione. Luca ci avrebbe anche provato, ma ogni volta lo incenerivo con lo sguardo.
Mia madre ci sta aspettando fuori dal cancello, controllando l’ora sull’orologio al suo polso. Quando si rende conto che stiamo arrivando, ci saluta con la mano. Sembra entusiasta di questa gitarella per negozi, sicuramente lo è più di me. Non ho una gran voglia di mettermi a litigare con loro alla ricerca del mio abito da sposa. Spero solo che quei due manterranno un profilo basso, altrimenti li caccerò poco elegantemente fuori dal negozio.
«Ciao ragazzi». Saluta sedendosi accanto a Sara. «Tu devi essere la nuova collega di mia figlia, ho sentito parlare di te. Io sono Giovanna».
Sara stringe la mano che mia madre le sta offrendo e le regala un sorriso timido. «È un piacere conoscerla».
Avevo accennato a mia madre che ci sarebbe stata anche lei, almeno si sarebbe preparata psicologicamente alla presenza di una terza persona pronta a consigliarmi. Avrà sicuramente storto il naso, ma non importa, io penso al mio benessere in questo momento o i gemellini ne risentiranno di tutto questo stress.
Mia madre parla lungo tutto il tragitto, io decido di scollegare il cervello per evitarmi un sicuro mal di testa. Saranno delle ore parecchio pesanti, meglio preservare la mia sanità mentale, per quanto possibile. Venti minuti dopo, Luca sta parcheggiando la macchina davanti a un grosso palazzo, di fronte a noi il negozio che più temevo. Non ci sono altri posti per andare a vedere dei vestiti da cerimonia? Esiste solo questo cacchio di negozio? La parte con gli abiti da sposa si trova in un altro ingresso e io mi auguro fortemente di non trovare quella persona: speranza vana, la vedo subito all’interno.
«Ci sono altri negozi da queste parti?», chiedo a pochi passi dall’entrata.
«È quello più rifornito, mi sono informato», risponde Luca con decisione. «Perché quell’aria da cane bastonato?».
«C’è Grazia, l’ex di Marco là dentro e io non ci voglio entrare», piagnucolo senza ritegno. Non la vedo da mesi e speravo di non vederla più per il resto della mia vita, ma a quanto pare la sfiga ci vede bene.
«Tu devi essere superiore a lei». Mia madre mi prende sottobraccio e spalanca la porta, trascinandomi nella tana del lupo.
«Oh Serena, che piacere rivederti», cinguetta Grazia con finto entusiasmo. La sua espressione cambia non appena si accorge del mio pancione.
«In cosa posso esserti utile?».
Un lampo di profondo odio passa nelle sue iridi castane, un sorrisetto tirato e di circostanza si forma sulle sue labbra sottili colorate di rosso. Posso scappare? Io taglierei la corda e mi rintanerei nella macchina di Luca, ma mia madre ha altri programmi.
«Mia figlia cercava un abito. Sa, fra un mese si sposa con il suo Marco, un uomo davvero in gamba e sa, mi stanno anche per far diventare nonna. Due gemelli, si rende conto?».
Ora vorrei che il pavimento si aprisse sotto i miei piedi e mi inghiottisse.
«Congratulazioni». Quella semplice parole le esce in un ringhio e io ho come la sensazione che vorrebbe cavarmi gli occhi in questo preciso istante.
«Seguitemi».
Mia madre la segue a testa alta, orgogliosa di quello che le ha appena detto. Luca, invece, mi trascina in disparte.
«Quella sarebbe la pazza furiosa che voleva riprendersi Marco?», chiede guardandola attentamente. Lui non l’aveva mai vista, per sua fortuna. Solo Marica aveva avuto il dispiacere di avere a che fare con lei.
Annuisco mordendomi un’unghia per il nervoso.
«Tu sei un miliardo di volte migliore di lei, te lo posso garantire», commenta poi voltandosi verso di me e prendendomi il viso tra le mani. «Lui ha scelto te, avrebbe preso a sprangate lei. Sta per sposare te, non lei. Quella che porta in grembo i suoi figli sei tu, non lei».
Luca cerca di rassicurarmi in ogni modo possibile, ma la voglia di prendere l’uscita è ancora tanta. Mia madre ci fa cenno di raggiungerli.
Sara mi affianca e mi carezza un braccio. «Luca ha ragione. Tu devi essere superiore a lei. Prendi un bel respiro e cammina a testa alta, Marco sceglierà sempre te».
Inspiro, espiro, inspiro, espiro. I miei amici hanno ragione, devo essere superiore a lei. I due mi prendono sottobraccio e mi accompagnano alla gogna. Grazia ci sta aspettando spazientita e non nasconde tutto il suo malumore.
«Qui ci sono alcuni esempi di abiti. Guardati un po’ in giro e poi avvisami quando trovi qualcosa di tuo gradimento. Dubito che troverai un vestito che possa contenere la tua rotondità». La cattiveria con cui sputa quelle parole fa inumidire i miei occhi, ma non le darò la soddisfazione di piangere davanti a lei.
«Senta signorina, i commenti li tenga pure per lei». Mia madre la liquida con un gesto secco della mano.
«Mi perdoni, signora». Finge di essere dispiaciuta e ci lascia soli davanti a tutti quei vestiti da sposa.
Trovo uno sgabello in un angolo e mi siedo, nascondendo il viso tra le mani. Le lacrime premono per uscire, ma questa volta non l’avranno vinta. Sbuffo sonoramente.
«Vuoi che vada a prenderla a calci?». Luca si offre di farle del male fisico e io sono quasi tentata di lasciarlo fare. Io devo essere superiore.
«Tranquillo, al massimo lo faccio io nell’uscita». Lo rassicuro regalandogli un sorriso sghembo. «Ora concentriamoci sul motivo per cui siamo qua. Dobbiamo trovare il mio vestito e io ho bisogno del vostro aiuto».
«Hai ragione tesoro». Mia madre mi posa un bacio tra i capelli e comincia a guardarsi in giro, seguita a ruota da Luca. Io me ne sto seduta tranquilla, con Sara al mio fianco e li osserviamo mentre sgambettano da una parte all’altra. Mi diverto un mondo a vedere le loro espressioni buffe quando vedono capi non di loro gradimento. Ogni tanto mi mostrano dei modelli, ma io li scarto uno alla volta, scuotendo vigorosamente la testa. Non indosserei mai vestiti troppo ingombranti. Vorrei qualcosa di semplice, che valorizzasse le mie forme e che non mi facesse sentire una meringa alla panna. Non voglio nascondere il mio pancione, sarò orgogliosa di esibirlo quel giorno. Questi figli li abbiamo molto desiderati, non sono stati un errore. Il mio occhio cade su un vestito che loro non hanno mai preso nemmeno lontanamente in considerazione. Mi alzo lentamente e lo raggiungo, come se una forza invisibile mi stesse trascinando proprio da lui. È rosa cipria, un colore che adoro. Lo fisso con le lacrime agli occhi: è lui.
Mi volto verso i miei compagni di ricerca e mi porto una mano alla bocca, singhiozzando come una scema.
«Proviamolo», dice mia madre con gli occhi lucidi. Corre a chiamare Grazia, la quale ci raggiunge con un’espressione di puro odio in viso.
«Voglio provare questo abito». Lo sfioro con le dita e perfino al tatto percepisco che è quello giusto per me.
«Dubito che ci entrerai», commenta lei acida.
«Lo scopriremo presto». Non ho alcuna intenzione di badare alle sue parole. So io quello che voglio e lei non l’avrà vinta.
Mi aiuta a indossarlo e mi calza a pennello. Mi osservo allo specchio e quando mi volto verso di loro, mia madre e Luca si stanno abbracciando felici. Sara alza il pollice nella mia direzione, Grazia fa una smorfia disgustata.
Ho trovato il mio vestito e non vedo l’ora di indossarlo quel giorno, quando diventerò la moglie di Marco.
 
°°°
 
Questa mattina ho appuntamento nell’ufficio di Lorenzo, dobbiamo mettere giù un piano d’azione per incastrare quei bastardi che stanno tentando di portarmi via l’azienda di mio nonno. Mi presenterà questo suo ex compagno di classe che è diventato poliziotto, potrebbe proprio fare al caso nostro. Cerco di essere ottimista, altrimenti impazzisco. Alle nove in punto mi attacco al campanello e il portone si apre immediatamente. Il mio socio mi attende sull’uscio e mi trascina dentro, guardandosi intorno come a controllare se qualcuno mi avesse seguito.
«Sono solo». Lo rassicuro chiudendo la porta alle mie spalle.
«La prudenza non è mai troppa», esclama lui controllando anche dallo spioncino per essere totalmente sicuro.
Che cosa ridicola! Chi mai avrebbe potuto seguirmi qua? Lorenzo sta diventando più paranoico di me.
«È già arrivato il tuo amico?», chiedo allontanandolo dalla porta, mi sta mettendo ansia.
«Sì, sta parlando con mio padre nel suo ufficio. Vieni che te lo presento». Lo seguo lungo il corridoio ed entriamo nella stanza dopo aver bussato educatamente. Un tizio moro dagli occhi scurissimi si volta verso di noi e si alza dalla sedia, venendo immediatamente verso di me.
«Tu devi essere Marco. Io sono Massimiliano Ronchi, Lorenzo e il signor Zanna mi hanno già ragguagliato su quello che ti sta capitando. Avete fatto bene a rivolgervi a me».
Mi sembra un tipo molto alla mano e soprattutto mi dà l’impressione di essere bravo in quello che fa. Credo di potermi fidare di lui.
«Grazie per il tuo aiuto», gli dico stringendo la mano che mi sta offrendo. «Conoscete già questo Eugenio Broschi?».
Lui ride a questa mia domanda, una risata amara che la dice lunga su quello che sta per rispondermi.
«Lo conosciamo piuttosto bene questo individuo. Il problema di fondo è che terrorizza le sue vittime e nessuno, fino ad oggi, ha mai voluto denunciarlo seriamente o aiutarci a incastrarlo».
«Io farò tutto quello che c’è da fare per vederlo dietro le sbarre, te lo posso assicurare. Sia ben chiaro, non voglio mettere a repentaglio la vita della mia famiglia e delle persone che amo, ma non posso nemmeno starmene qui a guardare mentre distrugge l’azienda che mio nonno ha messo in piedi con tanti sacrifici». Non voglio che quei personaggi mandino a puttane tutto quello che è stato costruito in questi anni.
«Faremo in modo che stiano lontani dalla tua famiglia, non ti devi preoccupare di questo. L’importante è che ti fidi di me e della mia squadra». Mi rassicura l’uomo con decisione.
«Mi affido a voi, non so che altro fare», commento sedendomi sulla sedia. Sono talmente tanto nervoso che non riesco a tenere ferme le gambe, continuano a muoversi come se avessero vita propria ed è alquanto fastidioso.
«Andrà tutto bene, socio». Lorenzo mi posa una mano sulla spalla e la stringe appena. «Che cosa hai intenzione di fare, Max?».
«Vorrei infiltrarmi nella sua azienda e seguire quel Leonardo da vicino. Ho bisogno di qualche prova materiale per poterlo incastrare», risponde il poliziotto, passandosi la mano sul mento ricoperto da un filo di barba scura.
«Hai intenzione di mettere qualche cimice?». Questa volta è Zanna senior a porre il quesito.
«Sì, volevo mettere qualche microfono sparso negli uffici e anche qualche micro camera. Se riuscissimo a beccarlo mentre compie qualcosa di illegale, sarebbe davvero il massimo. Avremmo un motivo per arrestarlo. In ogni modo a noi servono le prove che vi stanno ricattando e credo che questa sia l’unica soluzione plausibile. Io vorrei essere lì a osservare tutto di persona, ma solo se tu te la senti Marco. Non ti obbligherò ad avermi tra i piedi, la decisione spetta solo a te».
Poso i gomiti sulle mie ginocchia e mi copro la bocca con entrambe le mani. Non credo ci siano tante alternative e questa sua idea non mi sembra per niente male. A me non dà fastidio averlo in azienda, probabilmente mi sentirei perfino più tranquillo a sapere che c’è un poliziotto pronto ad agire se fosse necessario. Spero davvero che non ce ne sarà mai bisogno, ma è meglio essere prudenti quando si ha a che fare con dei malintenzionati.
«Marco, secondo me dovresti prendere davvero in considerazione questa soluzione. I microfoni potrebbero non essere sufficienti e magari Massimiliano riesce pure a fare parlare quel ragazzino». Il signor Zanna mi guarda attentamente e credo che abbia perfettamente ragione.
«Va bene, facciamolo», esclamo guardando il poliziotto. Lui annuisce soddisfatto.
«Direi di lasciare passare qualche giorno prima di entrare in azione. Stasera manderò un mio collega ad installare le micro camere e i microfoni. Lo faremo fuori dall’orario di lavoro, quando il ragazzino se ne sarà già andato. Non so se qualcuno vi stia tenendo sotto controllo, ma per evitare ogni genere di compromissione del caso, verrà in borghese. Magari vi ritroverete in più persone nella stessa macchina, come se stesse andando alla tenuta per piacere. Non lo so, fingete una cena, quello che volete, ma dobbiamo fare in modo da non attirare l’attenzione sul mio collega. Poi sarà facile raggiungere gli uffici e i magazzini per installare tutto il necessario». Massimiliano sembra avere davvero le idee chiare su come procedere e questo mi fa sentire un po’ più tranquillo.
«Con te, invece, come faremo?», chiedo desideroso di sapere come andranno successivamente le cose.
«Potrei presentarmi per un colloquio di lavoro e tu deciderai di assumermi. Lui non ne sarà contento. Motivo in più per inscenare questa farsa e inimicarmelo. Se non ho capito male, da come lo avete descritto, lui va fiero del suo comportamento inadeguato e farlo arrabbiare potrebbe giocare a nostro favore. Credetemi, io sono un mago a far girare le scatole alle persone!», risponde con enfasi.
«Secondo me è una buona idea. Ascoltami, facciamo passare un paio di giorni, tanto per non dare troppo nell’occhio. Ti aspetto nel mio ufficio venerdì alle nove, così potrai cominciare lunedì. Se ti assumessi dall’oggi al domani, potrebbe insospettirsi e non mi sembra davvero il caso». Espongo la mia idea e sembra venire accolta bene.
«Perfetto», commenta il poliziotto. «Direi che non ho altro da aggiungere. Ci vediamo venerdì. Nel frattempo cerca di stare tranquillo e comportati come hai sempre fatto. Ci saranno i microfoni in azione e il mio collega seguirà tutto in diretta. Se ci fossero problemi prima del mio ingresso in scena, saremo pronti ad intervenire».
Ci stringiamo la mano per sigillare questo accordo non scritto e se ne va, salutando i due avvocati. Lorenzo si siede sulla sedia accanto alla mia e sbuffa.
«Sembra un film poliziesco!». Questa sua considerazione mi fa sorridere. Non ha tutti i torti, tutta questa situazione è a dir poco assurda.
«Massimiliano ha ragione, cerca di restare calmo. Lo so che non è facile, Marco, ma devi mantenere il sangue freddo. Quel Leonardo non dovrà sospettare niente, altrimenti la tua famiglia rischia davvero di andarci di mezzo. Non voglio allarmarti più del dovuto, credo che tu sappia benissimo la pericolosità di tutto questo. Noi faremo tutto il necessario per proteggerti legalmente e ti daremo ogni consiglio di cui avrai bisogno. Più di questo, però, non possiamo fare, dovrai contare solo sugli agenti di polizia e sulle tue forze». Il signor Zanna si alza dalla sua poltrona girevole e ci raggiunge, appoggiandosi con la schiena sulla scrivania. «Controlla tuo padre e tienilo lontano dagli uffici il più possibile. Meno si invischia in questa cosa, meglio è. So che c’è già dentro fino al collo, ma è meglio che non si stressi più del dovuto con i suoi problemi di cuore».
Non ho alcuna intenzione di permettergli di ficcare il naso in questa storia: gli ho promesso che avrei sistemato tutto io ed è quello che farò. Mio padre non si deve agitare o rischia davvero di fare un infarto e lasciarci le penne ed è proprio l’ultima cosa che vorrei.
«La risolverò io questa questione, stia tranquillo».
Ora ho solo voglia di tornarmene a casa e passare del tempo con la mia donna. Lo so che dovrei andare in azienda e fronteggiare il bamboccio, ma oggi proprio non ce la faccio. Mi do malato almeno un paio di ore e poi, dopo pranzo, farò la mia apparizione a sorpresa. Chiamo Anita prima di salire in macchina, la istruisco sul da farsi durante la mia assenza. Non le dirò quello che è successo oggi e che cosa abbiamo intenzione di fare, non voglio rischiare che le possa scappare qualche indiscrezione. Niente deve andare storto, su questo non transigo.
Varco la soglia di casa che sono già le undici e mezza, Serena è in cucina e sta addentando un panino. La becco con un dito nella marmellata.
«Non ti farebbe meglio un piatto di pasta?». Mi appoggio con la schiena allo stipite della porta e la osservo a braccia conserte.
Lei si lecca il dito e si stringe nelle spalle.
«Avevo voglia di pane, burro e marmellata. I tuoi figli mi fanno venire delle voglie strane, visto che non ho mai mangiato la marmellata di fragole in tutta la mia vita». Mi regala un sorriso sghembo e io mi sciolgo letteralmente.
La raggiungo, afferrandola per i fianchi e attirandola a me. «Immagino che ora ti stai rendendo conto di che cosa ti sei persa in tutti questi anni».
Le bacio le labbra, succhiandole quello inferiore sporco di marmellata. «Sì, hai ragione, è decisamente buona».
Avvolge il mio collo con le braccia, senza lasciare il suo panino che tiene saldo in una mano e approfondisce quel bacio, con una lentezza quasi esasperante. Il sapore dolciastro della fragola rende l’esperienza davvero particolare. I baci della mia donna riescono a rilassarmi completamente, sono un calmante naturale per me.
«Ho trovato il vestito». Soffia quelle parole al mio orecchio, mentre continuo a stringerla forte fra le mie braccia. «È semplicemente perfetto».
«Sarai meravigliosa in quell’abito, ne sono certo. Mi toglierai il respiro», sussurro posandole una mano sul viso e cercando i suoi occhi.
«Dovrò attrezzarmi con una bombola dell’ossigeno, in caso dovessi rianimarti prima che tu dica sì». Mi prende in giro con un sorriso meraviglioso sulle labbra.
«Al massimo puoi farmi la respirazione bocca a bocca, va bene lo stesso».
«In effetti, forse è anche meglio così», commenta divertita.
La lascio andare lentamente, anche se non vorrei separarmi da lei. Sta morendo dalla voglia di addentare quel panino che sfiora pericolosamente la mia giacca, lo so perfettamente. È quello che fa non appena mi siedo al tavolo della cucina. La osservo mangiare di gusto quello che si è preparata, non riesco a staccarle gli occhi di dosso.
«Stasera dovrò fare un giro fuori programma in azienda. L’amico poliziotto di Lorenzo manderà un suo collega ad installare delle micro camere e dei microfoni». La informo mentre manda giù l’ultimo boccone.
Un attimo dopo si siede sulle mie gambe, allacciandomi le braccia al collo.
«Posso venire anch’io?», chiede con un filo di voce.
«Non devi nemmeno chiedermelo, io ti voglio con me. E poi mia madre sarà felice di vederti. Se non ho capito male, deve aver preparato qualche altro corredino per i gemellini». Ci sta dando dentro alla grande, è una cosa che la rende felice e io non ho intenzione di sminuire il suo lavoro. Al massimo non li useremo mai, anche se dubito fortemente che questo avverrà.
«Mi sa che ci vuole un armadio intero solo per farci stare dentro tutto quello che tua mamma ci sta preparando. Sembra una sferruzzatrice selvaggia!». Ridacchia per questa sua affermazione, mi unisco a lei.
«Se sa che la chiamiamo in questo modo, ci toglie la casa. Meglio che non si sappia in giro».
«Ho le labbra sigillate», commenta lei divertita.
«Male che vada te le sigillo io». Le tappo la bocca con la mia, cercando di non ridere. Mi sento così bene in questo momento, che tutto il resto passa in secondo piano.
«Ho rivisto la tua ex pazza». Ecco, questo non volevo sentirlo. Mi stacco dalle sue labbra e la guardo con la fronte corrugata.
«E dove l’avresti vista?», domando in ansia. Non vorrei mai che le avesse fatto una nuova imboscata. Era da un po’ che non sentivo parlare di Grazia e sinceramente non ne sentivo per niente la mancanza.
«In boutique. È stata lei a servirmi. Beh, a essere sincera mi stava quasi incenerendo e, se avesse potuto, mi avrebbe ammazzata conficcandomi le sue lunghe unghie laccate dritte in mezzo al cuore, ma sono riuscita a scappare in tempo. Mia madre è stata mitica, ma anche questo tienilo per te. Non vorrei mai che si montasse la testa e poi potrebbe usare queste parole in suo favore. Meglio non rischiare».
«Non uscirà una sola sillaba da queste mie labbra meravigliosamente perfette».
«Quanto sei idiota!». Mi schiaffeggia delicatamente dietro la nuca, prima di baciarmi con passione. «Ti amo da morire lo stesso, non ti preoccupare».
Avevo davvero bisogno di questo momento di tranquillità con la mia donna, posso affrontare meglio il pomeriggio, senza il rischio di prendere a calci sui denti Leonardo.
 
 
 
*Note dell'autrice*
L'abito è stato trovato. Serena è anche riuscita nell'intento di non soccombere a Luca e sua madre. L'apparizione di Grazia non è stata delle più felici e ha rischiato di rovinare quel momento magico. Fortunatamente è riuscita a gestire bene la situazione. Marco, nel frattempo, ha organizzato un piano d'azione con il nostro vecchio amico Ronchi. Qualcuno di voi si ricorderà di lui se ha letto la mi storia "Io ti credo". Il nostro Max aiuterà Marco ad incastrare quel bamboccio di Leonardo. Nel prossimo capitolo Marco incontrerà Paolo... vedremo come andrà! A martedì prossimo!
Un grazie immenso a tutti voi che mi state seguendo con tanto affetto... vi adoro!
Un bacione, Ire.

 


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 14
*** L'ora di chiarire ***



 
 

Capitolo Quattordici

L'ora di chiarire



 
Mi nascondo dietro un albero e spio la mia donna che si dirige tranquillamente verso un palazzo. Dove diavolo sta andando?  Non riconosco il posto e non so nemmeno che intenzioni abbia. La seguo, cercando di non farmi scoprire. Lei non si volta mai indietro, non sospetta della mia presenza. Suona un campanello e, appena la porta d’ingresso si apre, sparisce all’interno. Riesco ad afferrare la maniglia prima che lo porta si richiuda dietro di lei e la seguo silenziosamente su per le scale. Che cosa ci fa in questo posto? Si ferma davanti a un appartamento e, un attimo dopo, qualcuno la fa entrare, sparisce all’interno. Raggiungo anch’io la porta a grandi falcate e mi accorgo che è socchiusa, si sono dimenticati di chiuderla. Che cosa faccio ora? Voglio sapere perché la mia donna si trova in questo posto e, soprattutto, con chi è. Spingo lentamente la porta, cercando di non fare rumore, non vorrei mai che si accorgessero di me. Sgattaiolo all’interno e la stanza è completamente buia, l’unica luce proviene dal corridoio che dà sulla zona notte. Sento anche dei rumori venire da lì. Mi avvicino con cautela e, una volta arrivato all’ingresso di quella camera, per poco non mi metto a urlare. Serena è seduta cavalcioni su Paolo e si stanno scambiando dei baci roventi. Le mani del mio socio stanno spogliando la mia donna, lancia il vestitino sul pavimento. Serena gli sfila la maglia e la getta all’indietro. Paolo scende a baciarle il collo, fino ad arrivare al suo seno che si protende pericolosamente verso la sua bocca. Serena si alza di scatto e gli sfila i pantaloni quasi con violenza, gettando a terra alla fine anche i suoi boxer. Si sfila le mutandine, sedendosi nuovamente su di lui. Entro come una furia nella stanza e loro mi osservano confusi.
«Marco, che cosa ci fai qui?», chiede Paolo stringendo a sé la mia Serena per nascondere le sue nudità.
«Io che cosa ci faccio qui? Tu che cazzo stai facendo con la mia donna!», sbotto serrando la mascella talmente forte che sento scricchiolare i denti.
«La tua donna?». Stavolta è lei a parlare. «Sei per caso impazzito? Io sto con Paolo e stiamo pure per diventare genitori».
A quelle parole mi sento mancare la terra sotto i piedi e comincio a gridare come un pazzo.
 
«Amore, amore! Calmati, era solo un brutto sogno». Serena mi stringe forte fra le sue braccia e mi culla, massaggiandomi dolcemente la schiena. Mi bacia la fronte, infondendomi tutto il suo amore.
Mi viene perfino da vomitare e io non soffro di nausee mattutine. Altro che brutto sogno, quello era un incubo tremendo e mi ha pure lasciato una brutta sensazione addosso. Respiro il profumo della mia donna e comincio a sentirmi un po’ meglio.
«Ti va di raccontarmi che cosa ti angustia?», domanda dolcemente, sollevandomi il mento con due dita. I nostri occhi si incontrano e io mi perdo completamente nei suoi.
Riempio le guance di aria e la butto fuori un po’ per volta, cercando di recuperare lucidità. «Diciamo che quello che ho sognato non era affatto piacevole».
Ho ancora la bocca impastata dal sonno e non riesco a parlare normalmente. L’immagine di Serena che fa l’amore con Paolo, poi, è ancora vivida nella mia mente. Sembrava talmente reale da fare davvero male.
«Se ne parli, ti sentirai meglio». La sua voce rassicurante mi fa chiudere gli occhi e appoggio la fronte sul suo petto, sospirando.
«Tu non eri mia, stavi con Paolo ed era lui il padre». La mia mano finisce sul suo ventre e lo sfioro lentamente. I miei bellissimi bambini non potrebbero mai essere di un altro uomo.
«Sai che cosa vuol dire tutto questo?». Mi accarezza la nuca con i polpastrelli e mi rilasso ancora un po’. Serena sa come tranquillizzarmi e sono certo che sarà una madre meravigliosa per i nostri figli. La sua innata dolcezza le sarà di grande aiuto.
«No». Mi esce quasi in un grugnito e lei ridacchia sommessamente, baciandomi poi la nuca.
«Devi chiarire con Paolo, amore. Non puoi più rimandare o credo che questi incubi non ti lasceranno mai in pace. Hai già rimandato anche troppo e devi riappacificarti con lui. Credo che anche lui abbia bisogno di parlare con te, ma non farà mai la prima mossa perché si sente in colpa. Non aveva di certo programmato di prendersi una cotta per la tua donna». Continua a carezzarmi lentamente i capelli mentre espone la sua teoria.
«Che poi saresti tu. Non mi tradiresti mai, vero?». Mi sento un ragazzino in questo momento, insicuro al mille per mille e con il terrore che la ragazzina di cui sono perdutamente innamorante possa preferire un altro a me.
«Non farti venire certi dubbi, Shark. Sai benissimo che non potrei mai farlo. E poi dubito fortemente di attirare l’attenzione di molti uomini con questo pancione ingombrante».
«Non sei molto rassicurante così, però. Paolo verrebbe sicuramente con te e magari ti potrebbe perfino soddisfare più del sottoscritto», mugugno stringendomi di più a lei.
«Smettila di dire cavolate. Nessuno potrebbe soddisfarmi più di te e poi io amo te. Fine di questo discorso senza senso. Ora ti fai una bella doccia fredda, ti vesti per benino e vai a parlare con il tuo amico prima che sia troppo tardi». Mi stacca con forza da lei e mi obbliga a guardarla, la sua espressione non ammette replica.
Va bene, posso anche accontentarla. In fin dei conti credo che lei abbia ragione. Ho bisogno di chiarire con Paolo e prima lo faccio meglio è. Non vorrei mai che questi incubi continuino a tormentare le mie notti. Già non dormo bene in questi giorni con la consapevolezza che fra due giorni avrò un poliziotto che si aggirerà nella mia azienda. Leonardo sembra non aver sospettato niente, io fingo che non ci siano delle telecamere e microfoni intorno a me, cerco di sembrare il più naturale possibile. Ho spiegato la situazione a mio padre e ha accettato di starsene il più possibile tranquillo a casa con mia madre. Per il momento sta facendo il bravo e io gliene sono grato. Ho già un milione di cose che mi passano per la testa e so per certo che se vado avanti di questo passo prima o poi scoppierà. Lunedì pomeriggio abbiamo anche l’ecografia e finalmente sapremo di che sesso saranno i nostri figli. Non vedo davvero l’ora! Paolo è il primo passo per riordinare la mia vita in questo periodo convulso, mi manca passare il mio tempo libero con loro. Con Lorenzo è tornato tutto alla normalità dopo quella stupida telefonata di domenica scorsa. Aveva già capito che lo avevo perdonato e non c’è stato bisogno di aggiungere altro.
Le labbra di Serena finiscono sulle mie, richiamandomi bruscamente alla realtà. Me la ritrovo sulle mie gambe, mentre mi sfila la maglia del pigiama e la getta sul pavimento. Mi sembra di vivere un de-ja-vu, ma stavolta quello che sta succedendo è reale e giusto: sono io l’uomo che ha l’onore di avere l’amore di questa donna meravigliosa. Le sfilo la camicia da notte, slacciandole il reggiseno con una mano soltanto, come ai vecchi tempi. Ci scambiamo dei baci roventi, che accendono in un istante il desiderio di farla mia. Le mie dita sfiorano lentamente ogni parte sensibile del suo corpo, sospira sulle mie labbra e l’eccitazione sale alle stelle. La faccio alzare, senza staccare la mia bocca dalla sua, e mi tolgo la parte sotto del pigiama, sfilando anche le sue mutandine. La faccio sedere nuovamente su di me, senza l’intralcio degli indumenti. Oh sì, avevo decisamente bisogno di lei in questo momento. Tutte le mie paure, ogni mia insicurezza, svaniscono alla stessa velocità di come si erano presentate. Facciamo l’amore lentamente, senza alcuna fretta, voglio godermi questo nostro momento il più a lungo possibile. Tanto sono solo le nove di sabato mattina, possiamo permetterci un po’ di coccole prima di andare, Paolo può aspettare ancora un’oretta.
 
Arrivo sotto casa sua per le dieci e mezza, ho aspettato ancora un po’ prima di presentarmi qui, non volevo disturbare. Poso il dito sul campanello ed esito qualche secondo prima di premerlo. Mi sento un tantino a disagio e non so come comportarmi con lui. Non posso dire di essere arrabbiato con il mio socio, però tutta questa situazione assurda mi lascia l’amaro in bocca. Non vorrei dover intavolare questo discorso con lui, ma purtroppo non ne posso fare a meno. È proprio Paolo a rispondere al citofono.
«Sono Marco, ho bisogno di parlare con te».
La serratura scatta immediatamente, senza che lui aggiunga altro. Raggiungo il suo appartamento con le gambe pesanti, non ho mai faticato tanto a fare i gradini. Fortunatamente questo palazzo è completamente diverso da quello del mio sogno, altrimenti sarebbe stato ancora più complicato raggiungere questo posto.
Paolo mi attende sulla porta e mi lascia lo spazio sufficiente per entrare, prima di richiuderla. Ci studiamo attentamente per qualche istante e poi lui crolla.
«Marco, tu non hai idea di quanto tutta questa storia mi faccia sentire una merda. Non doveva succedere, avrei dovuto evitarlo, ma non ce l’ho fatta. Ci ho provato in ogni modo, te lo posso giurare». Si porta entrambe le mani alla testa e sembra quasi si stia per mettere a piangere. Riesco a leggere tutta la sua disperazione nella voce e nei suoi occhi.
Mi siedo pesantemente sul divano e poso i gomiti sulle ginocchia, una mano a coprirmi la bocca.
«Non chiudo occhio da giorni, ho tradito la fiducia di uno dei migliori amici che io abbia mai avuto e mi sento uno schifo totale». Continua a camminare su e giù come un ossesso, mi sta facendo venire il mal di mare e mi agita ancora di più. Non sopporto vederlo in questo stato.
«Siediti, ti prego». Afferro una delle sedie al tavolo della sala e lo obbligo a sedersi davanti a me.
Paolo si blocca all’improvviso e fissa la seggiola in apprensione. So benissimo che continuare a muoversi aiuta il suo nervosismo, ma se non la smette, fa uscire pazzo me. Dopo un attimo di esitazione, mi accontenta, prendendo posto. Posa anche lui i gomiti sulle sue ginocchia e non stacca gli occhi dalle sue mani che continuano a muoversi convulse.
«Marco, io…», prova a dire, ma io gli dico di rimanere in silenzio con un gesto secco della mano.
Adesso ho intenzione di fare a modo mio. «Hai mai avuto intenzione di rubarmi la donna?».
Ho bisogno di avere una risposta sincera a questa domanda e so per certo che lui non mentirà, ne va della nostra amicizia.
Lui alza finalmente lo sguardo e i nostri occhi si incontrano: so già quello che sta per dire.
«No, non sarebbe mai accaduto. Piuttosto mi sarei staccato le palle! Le donne dei miei amici sono intoccabili». Non ha avuto alcuna esitazione nel dirmi ciò che pensava e io gli credo.
«Senti, Marco. Ho passato intere notti insonni, perché mi sentivo un bastardo. Tutte le volte che chiudevo gli occhi vedevo lei ed era insopportabile. Stando sveglio, vedevo te e pensavo a tutte le torture atroci cui mi avresti sottoposto se avessi scoperto che mi ero invaghito di lei. Me le sarei meritate tutte, lo so», aggiunge dopo essersi schiarito la voce. «Tengo davvero molto alla nostra amicizia, ma se non vorrai più avere a che fare con me, capirò, l’ho fatta davvero grossa. Altro che le cazzate di Lorenzo. Ti chiedo solo di perdonarmi, non desidero altro».
«Non sono mai stato davvero incazzato con te, Paolo. La notizia mi ha sconvolto, lo ammetto, ed è arrivata in un giorno davvero complicato, ma non mi sono mai arrabbiato, almeno non del tutto». Sospiro e mi passo una mano sul mento. «Ascoltami, voglio solo avere la certezza che tu non mineresti mai il mio rapporto con Serena».
«Mai e poi mai, te lo giuro su quello che vuoi». Si porta una mano al cuore, mantenendo il contatto visivo.
«Ti credo». Mi alzo dal divano e muovo un passo verso di lui.
Gli poso una mano sulla spalla nel passare e prima di andarmene gli dico: «Stasera mi offrirai una birra e faremo finta che non sia accaduto niente».
«Ci sto».
Una volta fuori dal suo appartamento, riprendo a respirare normalmente. Sono felice di aver chiarito con Paolo e non ho alcuna intenzione di ritornare sull’argomento. Tutto questo non è mai successo.
 
°°°
 
Marco doveva per forza parlare con Paolo, non si poteva andare avanti in questo modo, i suoi incubi parlavano chiaro. Non credo che il suo amico ci avrebbe mai provato con me, è troppo timido e riservato e poi non tradirebbe mai il suo socio, piuttosto avrebbe continuato a soffrire in silenzio. Se Lorenzo non avesse fatto esplodere questa bomba, nessuno avrebbe saputo di quello che prova Paolo per me. Ancora non mi capacito di come sia potuto accadere, in tutto questo tempo non ho avuto occhi che per Marco. Credo che questo mistero rimarrà irrisolto e forse è meglio così. Mi dispiace per lui, ma è meglio mettere la parola fine a questa storia: per me esisterà sempre e solo Marco, non cambierò mai idea.
Mi verso un bicchiere d’acqua e torno a sedermi sul divano, in attesa che torni il mio uomo. Mi piace vivere nella nostra nuova casa, adoro tutto di questo luogo e anche Diablo apprezza questa sistemazione. È appollaiato sul davanzale della sala e osserva gli alberi che si muovono in giardino per via del vento che si è alzato. Non è abituato a uscire e aspetterò che faccia più caldo per fargli provare la sensazione di correre nell’erba. Ho una paura folle che possa scappare, non me lo perdonerei mai. Non possiamo tenerlo sempre chiuso in casa, questo è certo.
Il suono del campanello attira la mia attenzione. Chi cavolo sarà? Il video citofono è la cosa bella di questa villetta. I miei suoceri hanno pensato proprio a tutto. Al cancello vedo Michele, aggrotto la fronte. Che diamine ci fa lui qui?
«Vieni, entra», gli dico aprendogli il cancellino. Un attimo dopo mi raggiunge sulla porta.
«Ciao Serena». Mi bacia una guancia. «Scusami se ti disturbo, ma ho un bisogno disperato di parlare con qualcuno e credo tu sia l’unica con cui posso davvero farlo».
La premessa non mi entusiasma per niente. Quello che ha detto ha senso, se fosse andato da Luca, probabilmente lo avrebbe cacciato a pedate, non lo ha mai sopportato e nemmeno lo nasconde.
«Che cosa succede?». Lo invito a sedersi sul divano e lo raggiungo subito dopo.
L’uomo si passa nervosamente una mano sulla fronte e sbuffa.
«Marica ha un altro, non è vero?». Si volta a guardarmi e riesco a leggere la disperazione nei suoi occhi.
E ora? Che cosa dovrei dirgli? Non mi va di tradire la fiducia della mia migliore amica, ma non voglio nemmeno mentire completamente.
«Michele, io…». Mi zittisce tagliando di netto l’aria con un gesto secco della mano.
«Tranquilla, era una domanda retorica. So per certo che mi sta tradendo, non sono uno stupido. Non so chi sia lui però e la cosa mi fa diventare pazzo. So che non sono stato un fidanzato modello in passato, so di averla ferita nel profondo, ma sto cercando di migliorare, lo sto facendo davvero». I suoi occhi diventano improvvisamente lucidi e a me si forma un nodo alla gola. Mi fa incredibilmente pena in questo momento. Sembra davvero sincero e io voglio credergli.
«Lo so, Michele. Ti stai comportando benissimo con lei». Lo rassicuro posandogli una mano sul braccio.
«E allora perché sente il bisogno di andare con un altro? Non mi sembra di trascurarla, le sto dando tutte le attenzioni che avrebbe sempre voluto, eppure mi sembra sempre di fare niente di giusto. In che cosa sto sbagliando?».
Perché continua a farmi domande di questo tipo cui non so dare una risposta adeguata. Non so che cosa voglia sentirsi dire e non credo di essere in grado di dargli ciò che vuole.
«Forse non è abituata a troppe attenzioni da parte tua e si sente soffocare», azzardo io, giocando con il solitario al mio anulare. Che cavolo sta succedendo ultimamente? Fra due giorni sapremo il sesso dei gemellini e fra un mese ci sarà il mio matrimonio con Marco, ci sono ancora un sacco di cose da organizzare e dobbiamo pure correre dietro ai nostri amici. Non ci stanno affatto rendendo le cose facili.
«Te lo ha detto lei?», domanda muovendosi nervosamente sul posto.
Scuoto la testa. «È solo una mia supposizione. Marica non si confida molto con noi in questo periodo».
Una piccola bugia in questo momento ci sta alla perfezione. Non posso di certo dirgli che non sa nemmeno se lo ama ancora o no. Non spetta a me dirgli determinate cose. Loro due devono parlarsi apertamente se vogliono salvare la loro relazione. Io non posso fare un granché.
«Io non capisco che cosa pretende da me, proprio non lo capisco. Ce la sto mettendo tutta per farle capire che la amo davvero e che sono dispiaciuto per quello che è successo, ma in un modo o nell’altro combino sempre qualcosa e rovino tutto. Sento che la sto perdendo, Serena, e non so che fare. Vorrei tanto capisse che farei qualsiasi cosa per lei e che lotterò fino allo stremo per riprendermi il suo cuore. Non posso permettere che qualcun altro me la porti via, non potrei sopportare di perderla ancora una volta».
Mi ritrovo a prendergli una mano e a stringerla nella mia, una lacrima scende a rigarmi la guancia. Vorrei tanto mettermi a piangere in questo momento, ma mi trattengo. Quello che ha detto è davvero molto dolce e credo che lui la ami davvero molto.
«Lotta per lei allora, riprenditela. Scopri chi è che se la fa con lei e prendi le giuste misure. Se tieni davvero a Marica, non credo ci sia altro da fare». Gli suggerisco con il cuore in mano. Non so se ho preso la decisione giusta, ma in questo momento sto tifando per Michele. Per quanto possa essere stato uno stronzo, non merita questo trattamento. Io sono per l’amore e credo che anche Marica sia ancora innamorata di lui, deve solo capirlo.
«Hai ragione, farò così. Giuro che appena so chi è quello stronzo, gli cambio i connotati». L’ultima parte gli esce quasi in un ringhio e io sussulto. Non vorrei mai essere nei panni del suo capo, credo che farà una gran brutta fine e poi mi sentirò in colpa perché sono stata io a consigliare a Michele di scovarlo.
«Grazie di avermi ascoltato, sapevo di poter contare su di te». Mi bacia la mano che stringe ancora la sua e si alza in un sospiro. Mi regala un sorriso, prima di sparire dalla porta d’ingresso.
Mi lascio andare con la schiena contro i cuscini e sbuffo. Un po’ di tranquillità non mi dispiacerebbe proprio per niente. Sto quasi per appisolarmi, quando sento la macchina di Marco parcheggiare nel vialetto. Finalmente è tornato e potrò starmene stretta a lui, ne sento davvero il bisogno. Entra un attimo dopo e mi raggiunge immediatamente, posando le sue labbra sulle mie.
«Che cosa ci faceva Michele qui? Non dovrò mica essere geloso anche di lui adesso?», chiede mettendosi accanto a me e, afferrandomi per i fianchi, mi fa sedere sulle sue gambe.
«D’ora in poi dovrai essere geloso di ogni essere vivente di genere maschile sulla faccia della Terra, Diablo compreso». Il diretto interessato, chiamato in causa, ci raggiunge sul divano con un balzo e si coccola sui miei piedi, prima di raggiungere il mio grembo e acciambellarsi, emettendo delle fusa esagerate, una perfetta ninna nanna per i nostri cuccioli.
«Lui ha già oltrepassato il limite», commenta Marco ridacchiando.
Poso la testa sulla sua spalla, lui mi avvolge la schiena con un braccio, stringendomi di più a sé.
«Michele ha capito che Marica lo sta tradendo e credo che appena scoprirà che il colpevole è il suo capo, ci sarà una strage nella sua azienda. Io dovrò emigrare in un paese senza estradizione perché verranno sicuramente a cercarmi per istigazione alla violenza. Gli ho consigliato di agire, mi faceva una gran pena. Era davvero sincero, amore, e mi dispiaceva davvero tanto per lui». Gli racconto carezzando distrattamente il pelo del nostro gattone.
«Mi fido del tuo giudizio e se dovrai scappare, io ti seguirò in capo al mondo». Posa una mano sulla mia guancia e io chiudo gli occhi, accoccolandomi ancora di più a lui.
«Come minimo!». Lo prendo in giro. «Non mi lascerai con due bambini da allevare da sola».
«Sto provando in ogni modo a liberarmi di voi, ma continuo a ritrovarmi invischiato in questa storia. Forse sto sbagliando qualcosa», borbotta fingendosi infastidito.
«Sì, stai decisamente sbagliando qualcosa, Shark». Infierisco con il sorriso sulle labbra. «Com’è andata con Paolo?».
«Diciamo che abbiamo risolto e non risolleveremo mai più la questione. Non è mai successo niente e continueremo la nostra amicizia come se niente fosse», risponde in un sospiro.
«Penso sia la soluzione migliore per tutti», commento baciandogli la guancia.
«Gli ho detto che stasera mi deve offrire una birra, ma non ho chiesto a te se ti andava di uscire. Avrei dovuto farlo come prima cosa», borbotta.
«Certo che mi va. Anzi, avviso subito i ragazzi e anche Sara. Stasera le presenterò Paolo, anche se lei non voleva. Se glielo faccio trovare sotto il naso per caso, non può certo prendersela con me, non è un appuntamento al buio. È soltanto un’uscita tra amici, in fin dei conti non ha ancora conosciuto né te né gli altri». È un piano semplicemente geniale. Posso finalmente far conoscere quei due, la mia missione da Cupido può proseguire. Sono così felice!
«Che piano malefico! Spero che Sara non se la prenda per questa tua intromissione nella sua vita sentimentale».
Mi stacco di poco da lui per poterlo osservare meglio e lo guardo con gli occhi socchiusi, fingendomi risentita da questo suo commento inappropriato.
«La mia non è intromissione, è una vera e propria missione, caro mio! Quei due sarebbero perfetti insieme, ne sono certa e poi Paolo ha acconsentito di conoscerla».
«Diciamo che è stato obbligato perché si sentiva in colpa», aggiunge lui baciandomi la punta del naso.
«Può anche essere, ma sta di fatto che ormai non si può tirare indietro. Mando un messaggio a Luca così avvisa Marica. Tu avvisi Lollino Lolloso».
«Se Lorenzo ti sentisse, saresti una donna morta». Scoppia in una fragorosa risata, baciandomi poi le labbra.
«Ma è un soprannome così cuccioloso!». Gli metto il broncio e sbatto le ciglia velocemente, cercando di impietosirlo.
«Per un cane è perfetto, ma per un avvocato un po’ meno», continua lui imperterrito.
«Manco fosse un super avvocatone», mugugno prendendo in giro il socio del mio uomo. Adoro Lorenzo, ma mi piace troppo stuzzicarlo. Le sue facce sono sempre troppo buffe quando si offende.
«Aspetta che gli racconti questa nostra conversazione!».
Questa è una minaccia e a me queste cose non piacciono. Comincio a fargli il solletico nei punti che so essere i più sensibili e lui si contorce, ridendo come un pazzo.
«Okay, Flounder, hai vinto tu! Non gli dirò niente!».
So sempre come ottenere ciò che voglio! «E bravo il mio Shark!».
 
I nostri amici erano tutti entusiasti di uscire questa sera, anche se non avevo molti dubbi a riguardo. Ci troviamo al solito posto e per prima cosa rapisco la mia figlioccia. Eleonora appena mi vede mi sorride felice. Dio, quanto amo questa bambina.
«Sei la mia patata, la mia cucciola dolce». Le sussurro baciandole la punta del naso. Lei mi afferra i capelli tra le dita e per poco non me li strappa. Può fare tutto quello che vuole con me, io ho solo il compito di viziarla.
«Ciao cucciolina dello zio». Marco mi raggiunge e bacia la fronte di Eleonora. Osservo l’espressione del mio uomo, è sempre così dolce quando c’è di mezzo lei. So per certo che sarà un padre meraviglioso, non ho alcun dubbio a riguardo. Potrà dare tutto il suo amore ai nostri figli e ne ha veramente tanto da donare.
Paolo mi sorride e io ricambio, sono felice che lui e Marco abbiano chiarito. Gli ho già presentato Sara, la quale prima ha sbuffato come un ossesso e poi si è messa a parlare con lui. Sono entrambi molto timidi, ma sembrano andare d’accordo. Lei sta ridendo a una sua battuta e questo mi rende orgogliosa. So che non sarà facile per lui dimenticarmi, ma deve farlo se vuole vivere tranquillo. Sara potrebbe fare al caso suo e lei ha davvero bisogno di un uomo dolce accanto, un uomo come Paolo. Io ci credo. Ora spetta solo a loro, la mia missione finisce qui.
Luca e Stella mi raggiungono, mi baciano contemporaneamente le guance, facendomi ridere come una scema. Adoro questi ragazzi, non posso immaginarmi senza di loro. Marica, invece, non si è presentata e questa assenza mi agita non poco. Speriamo che abbia messo la testa a posto e che abbia chiarito con Michele.
Ora non ci resta altro che trascorre in allegria questa serata, è proprio quello di cui ho bisogno.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Marco alla fine ha chiarito con Paolo, avevano davvero bisogno di farlo. Ora Serena vuole farlo mettere con Sara, nonostante la ragazza non volesse saperne di conoscerlo. Sappiamo quanto può essere testarda quando ci si mette. Lei ha avuto un incontro con Michele per parlare di Marica. Riusciranno quei due a sistemare le cose? Mah! Nel prossimo capitolo scopriremo finalmente il sesso dei gemellini! Siete pronti? :)
Grazie infinite a tutti voi che state leggendo, seguendo, commentando... vuol dire molto per me.
A martedì prossimo!
Un bacione, Ire.


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 15
*** Un giorno importante ***



 
 

Capitolo Quindici

Un giorno importante



 
Oggi sarà una giornata davvero faticosa, non che ultimamente sia tutto rose e fiori. Stamattina Massimiliano comincerà a lavorare qui in azienda, facendo finta di essere il nuovo magazziniere. Voglio proprio vedere come Leonardo prenderà la novità. Mio padre l’ha già avvisato dell’arrivo di un nuovo dipendente e non è stato molto felice. Crede davvero che faremo andare in rovina la nostra Cantina solo per un suo capriccio? Non aveva ancora avuto a che fare con i Rossini. Non vinceranno i cattivi, non questa volta. Ho intenzione di battermi fino allo stremo per salvare il nostro buon nome.
Devo solo pensare che alle due andrò a prendere Serena e finalmente sapremo il sesso dei nostri figli. Al solo pensiero mi sembra di camminare a un metro da terra. Sono così emozionato all’idea di sapere che cosa ci aspetterà una volta nati. Possiamo perfino cominciare a scegliere i nomi, sono davvero esaltato all’idea. Ho aspettato a lungo questo giorno e finalmente è arrivato. Sono anche un po’ in ansia, non sia mai che i nostri figli abbiano qualche problema. Non devo fare pensieri negativi, andrà tutto bene! 
Raggiungo il mio ufficio e Leonardo mi sta aspettando seduto alla mia postazione.
«Quella è la mia sedia», sputo a braccia conserte, fissandolo pieno d’odio. Nessuno in tutta la mia vita mi aveva mai mandato in bestia come questo bamboccio. Se potessi, gli spezzerei il collo con le mie stesse mani.
«Ancora per poco, tranquillo. Fra qualche mese tutto questo sarà mio e tu sarai per strada. Ti ci vedo bene a fare il barbone, lo sai? Se vuoi ti regalo un carrello della spesa così ci puoi mettere tutte le tue cose e muoverti liberamente senza portare troppi pesi». Intreccia le dita sopra la mia scrivania e io sto pensando al modo più rapido per raggiungere la sparachiodi che ha comprato di recente mio padre. Sarebbe perfetta per inchiodarlo al muro. Dovrebbe pregarmi poi per tirarlo giù senza farlo fuori. Sto facendo un sacco di pensieri omicidi in questo periodo e non è salutare.
«Tu, invece, fra poco ti ritroverai dentro a una stanza grande come uno sgabuzzino», ringhio a denti stretti.
Non ho nominato la prigione, altrimenti avrebbe potuto insospettirsi, ma la tentazione è troppo forte. Devo cercare di darmi una calmata o sarò io a rischiare di mandare a monte il nostro piano e non posso permetterlo. Ne va del bene della mia famiglia. Respira a fondo, Marco, respira a fondo.
«Hai ragione, ora vado in quel cubicolo del cazzo che si trova in magazzino. Sbaglio o deve arrivare questo nuovo assunto? Un altro da fare fuori. Siete davvero dei masochisti, lo sapete? Rassegnatevi, mio nonno ottiene sempre tutto ciò che vuole». Si alza dalla mia sedia e nel passare mi dà una pacca sulla spalla. Ora gli stacco quella mano!
Se ne va prima che io possa aggiungere altro. Meglio per lui, stavo per scoppiare e non sarebbe arrivato intero! Osservo le mie mani e stanno tremando visibilmente, le nocche sono perfino bianche da quanto sto stringendo i pugni e le unghie si sono perfino conficcate nei palmi. Lo guardo allontanarsi e la tentazione di seguirlo, prendendolo a calci nel sedere è davvero troppo forte. Non ho nemmeno il coraggio di sedermi sulla mia poltrona: fino a un attimo fa occupava lui quel posto e un senso di ribrezzo mi pervade. Prendo dei respiri profondi, devo per forza regolarizzare il mio respiro, altrimenti vomiterò anche l’anima. Chiudo gli occhi, coprendoli con una mano e deglutendo più volte, cercando di mandare giù il groppo che mi si è formato in gola. Sono stufo di questa situazione, stufo marcio davvero! Dovrei dedicarmi solamente all’organizzazione del matrimonio e prepararmi all’arrivo di gemelli, questo contrattempo sta minando la mia sanità mentale e non ne sentivo davvero il bisogno. Amavo la mia vita tranquilla con la donna che amo al mio fianco, stava andando tutto alla perfezione tra di noi. Il nervosismo che tutta questa storia ha portato nel mio quotidiano ha rischiato più volte di rovinare la mia storia con Serena, ma fortunatamente il nostro amore è più forte e resiste a tutto, anche a queste prove che ci hanno obbligato ad affrontare.
«Mi scusi, posso entrare?». Alzo lo sguardo e incontro gli occhi scuri dell’agente di polizia in incognito.
«Certo, entra pure. Dammi pure del tu, lo fanno tutti in azienda», gli dico con nonchalance, fingendomi l’imprenditore serio che dovrei essere. In realtà mi sento come un pesce fuor d’acqua in questo momento e sto annaspando per cercare di sopravvivere in questo mare di merda in cui sono finito.
«Ti ringrazio Marco, anche per avermi dato la possibilità di lavorare con voi». Allunga una mano nella mia direzione e io la stringo con forza.
Anita si presenta sulla porta, curiosa di conoscere il nuovo acquisto.
«Lui è Massimiliano, ci darà una mano in magazzino». Faccio le presentazioni e la donna sembra soddisfatta del nuovo arrivato, probabilmente è già stata colpita dal suo fascino da vero duro, nonostante non abbia idea di chi sia realmente.
Anche il bamboccio fa la sua apparizione, come una vera star: caffè in mano e sigaretta in bocca pronta per essere accesa. Lo aiuterei io a farlo, con una lanciafiamme!
«Bene, tu saresti quello nuovo da formare quindi». Lo guarda dall’alto al basso con aria schifata, arriccia le labbra e le rilascia con uno schiocco alquanto fastidioso. Sto ancora pensando alla lanciafiamme, anche la sparachiodi va bene lo stesso: in fin dei conti l’importante è il risultato finale.
«Sì, imparo in fretta comunque», commenta Massimiliano con un sorriso sghembo sulle labbra.
«Te ne andrai anche in fretta», borbotta sommessamente il cretino, allontanandosi subito dopo da noi ed estraendo il cellulare dalla tasca della giacca.
Scambio un’occhiata eloquente con il poliziotto, ha già capito tutto. Quest’uomo sa il fatto suo e sa come comportarsi in questi casi, è il suo lavoro e io mi fido ciecamente di lui. Lo segue fuori dagli uffici, intenzionato a farselo amico.
«È un gran bell’uomo», commenta Anita con il sorriso sulle labbra. «Non quanto te, sia chiaro».
La donna mi strizza l’occhio e io mi sciolgo in una risata liberatoria, ne sentivo davvero il bisogno.
«Sei un’adulatrice», le dico offrendole il mio braccio. Lei si aggrappa senza alcuna esitazione e la accompagno a prendere un caffè. Io lo evito anche oggi, sono già abbastanza nervoso di mio.
Per le restanti ore, istruisco Massimiliano sulle sue mansioni, sotto l’attento controllo di Leonardo che non perde nemmeno una parola. Non so se abbia intuito qualcosa, ma non lo credo tanto sveglio.
Per l’una e mezza parto, diretto all’outlet dove lavora Serena, l’ecografia dei gemelli ci aspetta. La mia donna mi attende sotto il portico, controlla l’ora al polso e, appena mi vede, mi raggiunge a passo svelto, salendo in macchina immediatamente.
«Non sono in ritardo». Mi giustifico immediatamente, prima che possa accusarmi di qualcosa che non è vero.
«Lo so che non sei in ritardo. Non posso più nemmeno guardare l’ora adesso?». Un sorriso beffardo si forma sulle sue labbra e io mi rilasso contro il sedile.
«Scusami, sono solo in ansia», le dico posando una mano sulla sua guancia.
«Sapevo anche questo. Io so tutto». Mi bacia le labbra, senza smettere di sorridere. «Dai, Shark, andiamo a conoscere i nostri figli».
Devo aver fatto qualcosa di veramente lodevole in un’altra vita per essermi meritato Serena in questa. Sono davvero un uomo fortunato ad avere accanto una donna straordinaria come lei e devo tenermela stretta.
«Com’è andata con il nuovo arrivato oggi?», chiede una volta entrati in tangenziale. Ha paura che ci siano microspie anche nella mia macchina che non usa il termine poliziotto? Comunque ha perfettamente ragione, meglio non rischiare. Possiamo parlare liberamente a casa per i dettagli.
«Direi che promette bene. È un uomo in gamba», rispondo afferrando la sua mano e portandomela alla bocca, ne bacio il palmo.
«Mi fa piacere», commenta accarezzandosi il ventre.
Mezzora dopo siamo davanti all’ospedale, abbiamo ancora dieci minuti prima del nostro appuntamento, possiamo muoverci senza alcuna fretta. Camminiamo mano nella mano, infondendoci vicendevolmente coraggio: siamo entrambi agitati ma allo stesso tempo ansiosi di sapere il sesso dei nostri bambini. L’infermiera ci aspetta fuori dalla porta del ginecologo e ci fa entrare non appena la raggiungiamo.
«La precedente mamma ha terminato prima la visita, tocca già a voi». Ci informa con un sorriso radioso. Noi la seguiamo, prendendo dei respiri profondi.
«Buon pomeriggio futuri genitori». Ci saluta cordialmente il medico. «Pronti a conoscere questi due angioletti?».
L’uomo ha un sorriso davvero rassicurante, un po’ di ansia abbandona il mio corpo, lasciando spazio alla curiosità
Entrambi annuiamo, senza aggiungere una sola parola. Serena si adagia sul lettino e si scopre il ventre. Il ginecologo lo cosparge con il gel blu e comincia a passarci il solito rullo. Serena ed io fissiamo il monitor in attesa di vedere i nostri figli. Serena ha già le lacrime agli occhi, quando sente i battiti dei loro cuori.
«Eccoli qui», esclama lui entusiasta.
Mi metto più comodo sulla sedia e prendo la mano della mia donna, tenendola stretta nella mia. Osservo le immagini che il medico ci sta indicando con l’indice.
«Come potete vedere sono gemelli dizigoti, in quanto si sono formate due sacche distinte. Ora controlliamo bene i nostri pargoli».
Sono talmente concentrato a fissare il monitor, che non controllo nemmeno tutte le azioni che compie il medico.
«Bimbo numero uno è un bel maschietto. Lo vedete qui?». Indica qualcosa con il dito e capisco subito quello che intende. Sì, è decisamente un bel maschietto. Serena si volta verso di me e mi sorride tra le lacrime. Le bacio la mano che stringo tra le mie. Un maschietto. La generazione dei Rossini può continuare, per la gioia di mio padre.
«Vediamo se il bimbo numero due si decide a girarsi per benino. Deve essere permaloso e ci dà la schiena. Dai, piccolino, fatti guardare da mamma e papà». Mi ritrovo a ridacchiare davanti a questa scenetta, il medico si unisce a me. «Sapete, mi capitano spesso queste cose. Alcuni bambini si vergognano a tal punto da non volersi mai far vedere».
Spero tanto non sia il nostro caso, vorrei proprio sapere il sesso anche dell’altro nostro figlio.
Continua a passare il rullo sul ventre di Serena, finché il miracolo non avviene.
«Che bravo sei. Allora non sei poi così arrabbiato», esclama il dottor Sansone. «Vediamo un po’ che cosa sei tu».
Prima che possa dire qualcosa, mi accorgo che anche lui ha un’appendice familiare. Mi porto una mano alla bocca per l’emozione: due maschi!
«Congratulazioni, ragazzi. Avrete due bei maschietti». Ci conferma l’uomo con un sorriso radioso.
Ora sappiamo il sesso dei nostri figli e non sono mai stato tanto felice. Non avrei mai immaginato che potessero essere due maschi. Non so perché, ma credevo che almeno uno di loro fosse una bambina, ma mi sbagliavo alla grande. Mi alzo dalla sedia e bacio la mia futura moglie sulle labbra. Sono così felice in questo momento!
«Due maschietti». Ripete lei con un filo di voce. «Che emozione».
Mi butta le braccia al collo e singhiozza sulla mia spalla. «Sono così felice, amore. Tanto felice».
«Lo sono anch’io, non immagini quanto». Le accarezzo dolcemente i capelli. Sento gli occhi pizzicare, ma non mi sembra il caso di mettermi a piangere. Oh, ma vaffanculo! Mi lascio andare a questa forte emozione e le lacrime scendono a rigarmi il viso. Sono talmente felice in questo momento che mi metterei a gridare.
«Appena vi siete ripresi, vi aspetto di là». Il ginecologo ci lascia soli per qualche istante e gliene sono davvero grato. Mi stacco momentaneamente dalla mia donna e le prendo il viso tra le mani, asciugando le tracce salate delle lacrime con i pollici.
«Ti amo da morire». Le bacio le labbra e non vorrei più staccarmi da lei.
Da questo momento possiamo già pensare ai nomi, possiamo dipingere la stanza di azzurro e comprare tutto il necessario per il loro arrivo. Non vedo l’ora di mettermi all’opera, pensare a loro mi farà dimenticare almeno un po’ i guai al lavoro.
 
°°°
 
Due maschietti! Non ci credo ancora! Ero quasi convinta che uno di loro sarebbe stata una bella bambina, ma mi sbagliavo alla grande. Non importa, non ho mai avuto una preferenza sul sesso dei nostri figli, la cosa che conta è che siano sani. Marco è al settimo cielo e non nasconde la sua felicità, lasciandosi andare a un pianto liberatorio. Non lo vedevo così felice da tempo, sono contenta che i nostri bimbi siano riusciti a portare un po’ di armonia nella vita dell’uomo che amo alla follia.
«Dovremmo raggiungere il dottor Sansone», gli dico pulendomi il ventre con un pezzo di carta assorbente che mi aveva messo tra le mani l’infermiera, prima di sparire insieme al medico. Mi sistemo la maglia e prendo un bel respiro. Mi sento così strana in questo momento, questa notizia mi ha scombussolato e forse devo ancora rendermene davvero conto.
«Certo, hai ragione. Non possiamo rubare tempo prezioso ad altri futuri genitori», esclama Marco aiutandomi a scendere dal lettino.
Getto la carta sporca di quel gel nel cestino vicino alla porta e raggiungiamo il ginecologo che ci aspetta seduto alla sua scrivania. Ci sorride appena ci vede arrivare.
«Allora, siete contenti del verdetto?», domanda intrecciando le dita sopra il legno.
«Contentissimi», rispondiamo all’unisono, ridacchiando un attimo dopo.
«È bello vedere dei giovani così innamorati e felici di diventare genitori. Portare in grembo due gemelli non è semplicissimo, ma noto con piacere che te la stai cavando egregiamente».
Mi sento arrossire dopo questo complimento da parte del mio medico.
«Grazie dottore. Sto facendo la brava come mi ha consigliato e, a parte la stanchezza e la nausea, mi sento bene», gli dico serenamente. Marco afferra la mia mano e la tiene stretta nella sua.
«Questa è la cosa importante. Mi raccomando, voglio vedere le tue analisi del sangue fra un paio di settimane, dobbiamo tenere sotto controllo il livello del ferro, la glicemia e anche la pressione. Questi due giovanotti hanno bisogno di un buon apporto di ossigeno e ne sottrae a te, perciò dobbiamo controllare i diversi parametri. Avete rapporti?».
A questa sua domanda credo di aver cambiato colore in viso, prendendo ogni tonalità del rosso.
«Ehm, ogni tanto», farfuglio in totale imbarazzo. «Non dovremmo?».
Ora mi sta salendo l’ansia. Non vorrei mai mettere a repentaglio la vita dei nostri figli solo per saziare le nostre voglie, possiamo anche stare in astinenza finché non sarà ancora possibile farlo. Magari sarà dura, ma per loro faremmo questo e altro.
«Non ho detto questo, tranquilli. Se tu stai bene e non hai alcun problema, potete benissimo continuare ad avere rapporti. Ovviamente se dovessi vedere delle strane perdite o qualsiasi altra cosa fuori dalla norma, ne riparleremo». Ci spiega con il sorriso sulle labbra.
«Come vi ho già spiegato alla scorsa ecografia, è molto probabile che nascano tre o quattro settimane prima del termine e dovremo quasi certamente farli nascere con un cesareo, anche se non è ancora detto. Dipende tutto da loro, dalla posizione che avranno a tempo debito. I gemelli nascono prima rispetto alla data di una gravidanza normale, semplicemente perché il peso dei bambini stimola molto il collo dell'utero e le loro dimensioni sono tali da indurre il travaglio prima del tempo». Ci spiega il medico.
Ho sempre saputo che non sarebbero mai stati dei bambini enormi al momento del parto. L’importante è che nascano senza alcuna malformazione, tutto il resto non ha importanza. Voglio solo che siano sani e forti, niente di più.
«Hai mai pensato di fare un corso pre parto in piscina? Potrebbe aiutarti molto». Il dottor Sansone continua ad avere un sorriso rassicurante sulle sue labbra. Io, invece, comincio a muovermi nervosamente sulla sedia alla parola piscina.
«Li fanno anche dove ci alleniamo noi». Mi fa notare subito Marco. E io che pensavo di aver detto definitivamente no a quella vasca piena d’acqua! Se il dottore dice che può fare bene a me e ai gemelli, forse dovrei fare quel corso. Ammetto che la paura verso quel liquido trasparente non mi è passata in tutto questo tempo.
«L’istruttore dicono che sia in gamba», continua il mio uomo senza alcuna esitazione.
«Non lo metto in dubbio», mugugno posando entrambe le mani sul mio ventre sporgente.
«Io sarò lì con te, se deciderai di farlo. Non ti lascerei da sola un attimo». Mi rassicura spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«La cosa importante è specificare che sei in attesa di due gemelli, avrai bisogno di un trattamento diverso dalle altre future mamme», aggiunge il ginecologo. «Decidi tu Serena, non sei obbligata a farlo, ma io te lo consiglio caldamente».
Non muoio dalla voglia di andare nuovamente in piscina, non mi manca sguazzare nell’acqua come una demente. Al solo pensiero mi ritrovo a sospirare.
«Se dice che è importante, lo farò», acconsento alla fine. Marco mi sorride raggiante per questa mia decisione, l’ho reso orgoglioso di me in questo momento e sono contenta. Lo sarò un po’ meno quando metterò i piedi a mollo.
Salutiamo il dottore e l’infermiera, tornando finalmente a casa. Sono stanchissima e ho voglia di chiudere gli occhi per qualche minuto. Poso la testa sulla spalla del mio uomo, mentre lui salta da un canale all’altro senza una meta precisa, mi addormento quasi subito, stringendomi a lui. È il suono del campanello a svegliarmi, l’orologio alla parete segna le sei. Quanto cavolo ho dormito? Marco si alza lentamente, baciandomi le labbra prima di dirigersi alla porta.
«Ci sono mia sorella e il tuo piccolo spasimante». Mi sorride e io ricambio assonnata. Sono intontita e me ne tornerei a dormire.
«Disturbiamo?», chiede Lucrezia una volta in casa.
«Assolutamente no», risponde Marco, baciandole la guancia.
Mio nipote, appena mi scorge, mi regala un sorriso meraviglioso e io mi sciolgo completamente. Allargo le braccia e lui corre da me, buttandomi le braccia al collo. Mi bacia ripetutamente la guancia felice. Lo stringo a me, coccolandolo come solo una zia preferita può fare.
«Avrai due cuginetti con cui giocare con le macchinine», gli sussurro all’orecchio. «Sei il primo della famiglia a saperlo».
Lui si stacca da me e mi guarda con gli occhi lucidi. «Davvero?».
Io annuisco soltanto e Daniele si incolla nuovamente a me. «Ti voglio tantissimissimo bene zia Serena».
Come si può non amare questo cucciolo? Divento di gelatina quando è con me.
«Allora, com’è andata?», chiede Lucrezia guardando prima me e poi il fratello. È sicuramente passata per avere notizie e sono contenta che la famiglia di Marco sia tanto premurosa nei nostri confronti.
«I gemelli stanno bene», risponde lui con un sorrisetto sghembo. La sta tenendo volontariamente sulle spine e lei, resasi conto di questo, sbuffa sonoramente, incrociando le braccia al petto.
«E?». Lo sprona a proseguire con un gesto della mano.
«Sono due cuginetti!», strilla Daniele raggiante.
Lucrezia spalanca la bocca, per poi scoppiare a ridere un attimo dopo.
«E così ci saranno addirittura due Rossini junior che manderanno avanti il nome! Nostro papà farà i salti di gioia appena lo saprà», commenta divertita. «Sei stato bravo, fratellino».
Marco gongola sul posto e le regala un sorriso smagliante. «Non è mica tutto merito mio. È Serena che sta facendo il grosso del lavoro».
Il mio uomo mi strizza l’occhio e io ridacchio coprendomi la bocca con la mano. Sto decisamente facendo il grosso del lavoro, ma non mi lamento di certo. Ammetto che portare in grembo due bambini non è proprio semplicissimo, però la gioia è talmente grande che fa passare in secondo piano tutto il resto.
«Questo è vero. In fin dei conti, siamo noi donne a portare tutto il peso. Voi vi divertite e noi soffriamo. La trovo un po’ ingiusta questa cosa, ma è così che va il mondo», dice Lucrezia colpendo il braccio del fratello con un leggero pugno.
«Però noi dobbiamo sopportare tutti i vostri sbalzi di umore, dobbiamo soddisfare tutte le vostre voglie», comincia Marco, fermandosi poi all’improvviso quando si rende conto di essere stato fin troppo ambiguo.
La sorella prorompe in una fragorosa risata. «Non voglio sapere che genere di voglie soddisfi».
«Adesso ho voglia di gelato al cocco». Vado in soccorso del mio uomo e Lucrezia mi guarda con un sopracciglio inarcato.
«Io lo voglio al cioccolato». Daniele si siede più comodo accanto a me sul divano e posa la testa sul mio fianco, avvolgo un braccio lungo la sua schiena, attirandolo a me.
«Credo che quei due se ne stiano un po’ approfittando», commenta Lucrezia ridacchiando. «Dai, discolo. Andiamo a casa che fra poco torna tuo papà».
Daniele sbuffa, mi bacia la guancia e raggiunge la madre. Dovrà tenersi la voglia di gelato al cioccolato.
«Ci vediamo domenica a pranzo dalla mamma». Bacia il fratello su entrambe le guance, ne soffia uno a me. «Stammi bene, tesoro».
Quando la porta si chiude alle loro spalle, Marco tira un sospiro di sollievo.
«Soddisfare le vostre voglie». Lo prendo in giro io con un sorrisetto malizioso sulle labbra.
«Sai benissimo che non intendevo quello! Non mi sarei mai permesso di dire una cosa del genere a mia sorella, con mio nipote presente oltretutto». Mi raggiunge e si siede al mio fianco, incrociando le braccia al petto e osservandomi in tralice.
«Immaginavo non fosse voluta, ma ti è uscita davvero pessima. Poi sembra che abbia sempre voglia di farlo», commento divertita.
«Non sarebbe neanche del tutto falso». Un angolo della sua bocca si solleva all’insù e stavolta sono io a guardarlo in cagnesco.
«Che cosa vorresti insinuare?». Mi alzo, sedendomi cavalcioni su di lui.
Le sue mani finiscono immediatamente sulla mia schiena, mi sostengono con forza.
«Assolutamente niente», mugugna mordendomi il labbro inferiore. «Che cosa ha detto il tuo ginecologo?».
Delinea il contorno della mia mandibola con dei delicati baci. Chiudo gli occhi e mi lascio cullare da queste sue piccole attenzioni.
«Che i nostri figli stanno bene e che sono due bei maschietti», rispondo con un filo di voce, mentre le sue dita si intrufolano sotto il mio maglione.
«Stai tergiversando. Sai benissimo che non è quello che voglio sentire», brontola sommessamente, scendendo con la lingua lungo il mio collo.
«Sei un insensibile». Lo prendo in giro con il sorriso sulle labbra.
«Oh sì, sono decisamente un troglodita insensibile». Infierisce risalendo con le labbra e posandole sulle mie. Ci scambiamo dei baci roventi che aumentano a dismisura la voglia di finire sotto le coperte con il mio futuro marito.
Il trillo del mio cellulare penetra la mia corteccia cerebrale e vorrei che smettesse immediatamente di suonare. Fortunatamente smette, per poi ricominciare un istante dopo. Che palle! Mi stacco con fatica dalle labbra di Marco e recupero quell’oggetto infernale che ho abbandonato sul tavolino accanto al bracciolo del divano. Controllo chi mi sta chiamando ed è mia madre. Dovevo immaginarlo che mi avrebbe chiamato per sapere com’è andata dal medico. Mi sono totalmente dimenticata di farlo io, è decisamente colpa mia. Le avevo promesso che lo avrei fatto, ma mi è uscito completamente di testa.
«Ti conviene rispondere», mi consiglia Marco continuando a tenermi stretta a sé.
«Tu, però, non stuzzicarmi, altrimenti non riesco a parlare con lei», brontolo colpendolo sul naso con l’indice.
«Farò il bravo, promesso». Mi bacia le labbra un attimo prima di premere il pulsante verde.
«Ciao mamma. Scusami se non ti ho avvisato prima, mi sono addormentata sul divano». Mi giustifico con una leggera smorfia. Non che sia una vera e propria bugia, mi sono addormentata davvero come un sasso appena ho appoggiato il sedere sul divano.
«Tranquilla, tesoro, non ti preoccupare. Volevamo solo sapere com’era andata». Non riesce a nascondere l’emozione, un leggero tremore nella sua voce tradisce tutta la sua impazienza.
«I vostri nipotini stanno benissimo», le dico carezzando la guancia del mio uomo che continua a fissarmi in totale adorazione. Il suo sorriso è dolcissimo e io non posso far altro che innamorarmi sempre di più di lui ogni giorno che passa. Mi bacia la punta del naso e io mi stringo di più a lui.
«Sono felicissima di saperlo, ma ti prego non tenerci ancora sulle spine».
Sinceramente non era mia intenzione farlo, sono solo un po’ distratta dall’uomo meraviglioso che mi regala delle emozioni esagerate anche solo con un semplice sguardo.
«Sono due maschietti, mamma». Una lacrima scende a rigarmi la guancia e Marco la asciuga prontamente con il pollice. Sono talmente felice di sapere il sesso dei nostri figli, che ogni volta che lo dico alle persone che mi vogliono bene, mi sciolgo completamente.
«Oh tesoro mio! Come sono felice! Ora posso sbizzarrirmi a comprare corredini per loro! Non vedo l’ora!». Non ho mai sentito mia madre tanto felice e le lacrime continuano a rigarmi il viso.
«Grazie di tutto, mamma». Riesco a dirle alla fine.
«Sono una mamma e una futura nonna fortunata». Le sue parole mi fanno singhiozzare. Questi ormoni del cavolo!
Ci salutiamo e, appena poso il cellulare sul cuscino del divano, mi aggrappo quasi con violenza al mio uomo. Lui mi culla, mi riempie di baci e mi sussurra tutto il suo amore per me e per i nostri figli. Non sono mai stata tanto felice in tutta la mia vita.

 
 
 
*Note dell'autrice*
Ed ecco a voi i gemellini Rossini!!! So che molti di voi saranno delusi da questa scoperta, ma a mia discolpa posso dire che è stato il caso a scegliere. Ho fatto testa o croce con la monetina perché ero indecisa sul sesso dei bimbi e così è stato il destino a scegliere al posto mio. I nostri futuri genitori sono al settimo cielo e voi? C'è stato anche il ritorno del piccolo Daniele che manca sempre tanto quando non c'è :) Abbiamo visto anche l'ingresso di Max Ronchi in azienda e ora non ci resta che sperare che incastri alla svelta quel bamboccio. A martedì prossimo e grazie infinite a tutti *vi adoro*
Un bacione, Ire.


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 16
*** Spese pazze ***



 
 

Capitolo Sedici

Spese pazze



 
Apro un occhio e controllo l’ora sulla sveglia: sono le sette. Mi giro verso Marco, ma lui non c’è. In compenso c’è Diablo che dorme al suo posto. Dove diavolo è finito? Mi metto a sedere sul letto, stiracchiandomi e salutando i miei piccoli con delle carezze. Per il momento non ho nemmeno la nausea, mi sento bene. Indosso la vestaglia e vado in cucina: non è nemmeno qui. Ecchecavolo! La stanza dei gemelli è chiusa, strano. Abbasso lentamente la maniglia, aprendo la porta di uno spiraglio. Una folata di aria gelida mi investe. Mi stringo nella mia vestaglia e apro di più la porta. Marco sta dipingendo la parete di fronte a me di azzurro.
«Che cosa stai facendo?», chiedo tappandomi il naso con la mano. L’odore forte della vernice fresca mi sta facendo venire la nausea.
«Sto dipingendo la stanza dei nostri figli», risponde con un sorriso.
«Questo lo avevo capito anch’io», borbotto fissando la parete per metà dipinta. Sapevo che voleva farlo, aveva anche comprato la pittura l’altro giorno al centro commerciale, ma certamente non credevo si sarebbe messo all’alba del venerdì mattina!
«Non riuscivo più a dormire e ho pensato di ottimizzare il tempo. Spero di non essere stato io a svegliarti». Viene verso di me e mi bacia le labbra. Ha schizzi di pittura su tutto il viso e le sue mani sono di un bell’azzurro. Credo sia la prima volta che si mette a dipingere una stanza.
Scuoto la testa. «Avevo bisogno di andare al bagno e mi sono preoccupata quando non ti ho visto al mio fianco. Ho trovato un esserino peloso al tuo posto e ho pensato ti fossi trasformato in un maialino affamato durante la notte».
Marco si mette a ridere. «Se non mi dai da mangiare dopo la mezzanotte, non posso trasformarmi in un mostriciattolo affamato, tranquilla».
«Okay, buono a sapersi. Devo ricordarmi di toglierti tutte le scorte di cibo allo scoccare della mezzanotte». Gli sorrido baciandogli le labbra. «Ora che so che stai bene, posso andare al bagno. Mi raccomando, non diventare anche tu azzurro, sei sulla buona strada».
Lui si guarda le mani e sbuffa. «Dovrò farmi la doccia con l’acqua ragia quando avrò finito».
«E al posto della spugna dovrai usare la carta vetrata. Non deve essere piacevole», dico con una smorfia.
«Soprattutto nei punti delicati», aggiunge ridacchiando. «Allora forse è meglio se sto più attento».
«Decisamente». Gli soffio un bacio dalla porta, richiudendola alle mie spalle.
Diciamo che il mio uomo sta ottimizzando il tempo, facendo andare le mani. Almeno lo vedo abbastanza tranquillo da quando abbiamo saputo il sesso dei gemelli, nonostante ci sia ancora il poliziotto sotto copertura nelle cantine Rossini. Lorenzo ci ha assicurato che sa il fatto suo e io non lo metto certamente in dubbio. Mi auguro solamente che riesca a scoprire qualcosa in fretta, così da tornare a vivere normalmente. Non vorrei passare tutti i mesi restanti della mia gravidanza con l’ansia che quei tizi possano davvero mettere le mani sull’azienda della famiglia di Marco. 
Cammino lentamente verso il bagno, accompagnata dal mio fido felino che mi affianca in attesa della sua colazione. Entra con me nella stanza e si mette a curiosare dentro la lavatrice.
«Vuoi provare la sensazione della centrifuga?», gli dico divertita.
Lui non mi bada nemmeno e continua a ispezionare ogni angolo, alla ricerca di chissà quale tesoro. Dobbiamo sempre tenere la porta chiusa, altrimenti possiamo dire addio all’intero rotolo di carta igienica. Per questo motivo, tutte le volte che ci segue in bagno, controlla da cima a fondo tutto quello che trova. Si infila dentro la doccia e a me viene la tentazione di aprire il rubinetto solo per vedere che cosa combina quando l’acqua lo raggiunge. Sono una padrona insensibile, lo ammetto.
«Dai, esploratore, andiamo a mangiare la pappa», esclamo dalla porta, con una mano già sulla maniglia. A quella parola, il pelosetto corre fuori e raggiunge la cucina alla velocità della luce. Mi ritrovo a ridere da sola come una scema. Quel gattone è davvero uno spasso!
Ora, però, devo sfamarlo davvero o non mi farà più neanche una coccola per ripicca. Mangia tutto il contenuto della sua ciotola in nemmeno cinque minuti, il caffè non è ancora pronto e lui ha già finito. Che maiale! Sorseggio il mio caffè con tanto latte lentamente, carezzando dolcemente il mio ventre. Preparo una tazza anche per il mio uomo e gliela porto. Sta ancora dipingendo con entusiasmo quando varco la soglia della cameretta. Dovrebbe essere in azienda fra poco più di un’ora e lui è qua che lavora come un matto.
«Non strafare, amore», lo ammonisco avvicinandomi a lui con la tazzina tra le mani. Da quando sono incinta non sento nemmeno freddo ed è una sensazione davvero piacevole. Non mi manca avere sempre un freddo assurdo. Per carità, l’aria che entra dalla finestra della stanza non è proprio piacevolissima, ma non tremo come avrei fatto prima dei gemelli.
«Non strafaccio, tranquilla. Mi manca solo quel pezzetto di parete e poi vado a farmi una doccia», mi dice indicando il punto prescelto con il braccio teso. Il pezzo di parete, come dice lui, non è altro che la metà esatta di quel muro. Un lavoretto da niente. Sospiro scuotendo la testa. Non vorrei che esagerasse.
«Amore, non ti preoccupare. Ho trovato un modo salutare per scaricare lo stress. Mi sento alla grande». Mi bacia le labbra, rubandomi la tazzina dalle mani. Sorseggia il suo caffè, continuando a guardarmi con tenerezza.
«Grazie di pensare a me», aggiunge restituendomi la tazza e regalandomi un bacio dolcissimo. «Non so che cosa farei se non ci fossi tu nella mia vita a prenderti cura di me».
«Lo farò sempre», gli dico stringendomi a lui. «Sai che ora possiamo pensare seriamente ai nomi dei bimbi?».
«Perché Ermenegildo non andava bene?», chiede divertito.
«No, decisamente non va bene», rispondo ridacchiando. «Puoi scordarti che chiamerò mio figlio in quel modo».
«Ah, adesso sarebbe solo tuo figlio?». Si stacca da me e incrocia le braccia al petto, socchiudendo sapientemente gli occhi.
«Beh, tua sorella ha ragione, tu ti sei solo divertito quando li abbiamo concepiti». Mi mordo l’interno della guancia per non ridere.
«Giuro che me la pagherai, Flounder». Mi punta un dito contro con aria minacciosa.
Non resisto più: comincio a ridere a crepapelle, fino alle lacrime.
«Ti amo da morire, Shark». Gli allaccio le braccia attorno al collo e lo bacio sulle labbra, approfondendo immediatamente dopo.
«Perdono questo tuo affronto solo perché sei meravigliosamente stupenda», brontola sulle mie labbra.
«Meravigliosamente stupenda, mi piace». Ci baciamo ancora un po’ e poi decido di lasciarlo al suo lavoro, altrimenti non finirà mai.
 
 
Marco è alla cantina e io mi annoio guardando la televisione. Potrei leggere un libro, ma la mia soglia di attenzione si è ridotta al minimo negli ultimi mesi e non riesco a concentrarmi. Continuo a leggere la stessa riga per una decina di minuti, senza nemmeno capire quello che leggo, perciò ho deciso di smettere di provarci. Carezzo il pelo morbido di Diablo, mentre salto da un canale all’altro nella speranza di trovare qualcosa di decente. Il suono del campanello mi fa sospirare. Chi cavolo è adesso? Spero non sia ancora qualcuno in cerca di consigli perché non ho affatto voglia di fare da consulente in questo momento. Sono stanca e ho solo voglia di rilassarmi.
Mi alzo trascinando i piedi sul pavimento lucido e raggiungo il videocitofono: c’è un corriere fuori dal cancello. Io non ho ordinato proprio niente, deve per forza essersi perso.
«Sì?». Vediamo che cosa mi dice questo tizio.
«Signora Rossini?». Ehm, okay, non sono ancora la signora Rossini, ma non sto qui a perdermi in questi piccoli dettagli.
«Sì, sono io», confermo grattandomi nervosamente la fronte.
«Ho una consegna per lei. Potrebbe aprirmi il cancello quello grande, per favore? Non ci passo con il carrello altrimenti».
Che cavolo deve consegnarmi per non passare dal cancellino? Non voglio saperlo. Premo il bottone dell’apertura e aspetto che mi raggiunga sulla soglia. Carica sul carello un pacco enorme e comincio a sudare freddo. Spero di non dover pagare qualcosa, non ho un centesimo in borsa.
«Questo è il primo pacco, signora. Dove glielo scarico?», chiede il ragazzo con un sorriso.
Io sono alquanto frastornata: primo pacco? Quanta merce deve consegnarmi?
«Lo metta pure là». Gli indico la sala dove c’è un grande spazio vuoto nelle vicinanze del divano. Poi ci penserà Marco a sistemare tutto, io non ci provo nemmeno.
«Recupero le altre cose, torno subito». Sparisce di nuovo all’esterno, tornando qualche minuto dopo con altri due pacchi, un po’ più piccoli di quello precedente. «Ecco qui, è tutto».
Estrae un foglio e una penna, consegnandomi entrambi.
«Le devo qualcosa?», chiedo fissando quel foglio che stringo tra le mani.
«No, signora. È già tutto pagato, deve solo mettermi una firma per l’avvenuta consegna», mi spiega gentilmente.
Lascio il mio autografo sulla bolla e lo restituisco al legittimo proprietario.
«La ringrazio, buona giornata». Mi sorride e se ne torna al suo furgone.
Chiudo la porta e fisso quei tre pacchi parcheggiati nel nostro salotto. Che cosa saranno mai? Non posso aspettare che torni Marco per conoscere il contenuto. Recupero un coltello dal cassetto della cucina e taglio il nastro adesivo. All’interno del pacco più grosso sembra esserci una culla, uguale a quella che abbiamo trovato nella stanza dei piccoli quando siamo venuti qui. Qui c’è lo zampino della signora Rossini, non ho alcun dubbio. Mi siedo sul bracciolo del divano e apro anche il secondo scatolone. Al suo interno ci sono una valanga di vestitini e scarpine. Mi porto una mano alla bocca, le lacrime cominciano a farsi strada lungo il mio viso. Non avrebbe dovuto spendere ancora per noi! Con tutti i problemi che hanno, non dovrebbero sperperare. Avremmo comprato noi tutto il necessario per i piccoli a tempo debito. Lo so che lei lo ha fatto con amore: non vede l’ora che nascano i nipotini per poterli viziare a più non posso. Quando hanno saputo che erano due maschietti, non sono riusciti a trattenere la contentezza. Mio suocero per poco non si è messo a saltare. Marco lo ha reso ancora più orgoglioso di lui, mettendo al mondo due eredi che possono portare avanti il buon nome dei Rossini. La scena era quasi comica, non li avevo mai visti tanto entusiasti per qualcosa.
Apro anche l’ultimo pacco e al suo interno trovo due carillon da appendere alle culle e due orsetti di peluche che sono un amore. Comincio a piangere come una disperata: sono felice e piango. Posso essere più stupida di così?
Prendo il mio cellulare dal tavolino e compongo il numero di Marco. Mi risponde al secondo squillo.
«Che succede, amore?», domanda preoccupato.
«Succede che tua mamma è una folle. Valle subito a tirare le orecchie», rispondo tirando su con il naso. Non ho nemmeno un fazzoletto a portata di mano.
«Che cosa ha combinato stavolta?». La preoccupazione nella sua voce è sparita, ora sembra solo rassegnato.
«Un corriere mi ha appena consegnato tre pacchi enormi. Ci sono vestiti, scarpine, due carillon, peluche e, dulcis in fundo, la seconda culla mancante», gli dico con enfasi. Sto gesticolando come una pazza, ma lui non può notarlo dall’altra parte della linea.
«Le avevo detto di non comprare niente e lei mi ha ascoltato subito vedo! Ora vado in casa e la picchio. Mi dai il permesso di farlo?», domanda speranzoso e la cosa mi fa sorridere.
«Lasciamo perdere la violenza, tanto non serve a niente con tua madre. Ringraziala e dille di smetterla di viziare i nipoti ancora prima che nascano». Tanto so che non ci daranno mai ascolto. Non vorremmo sembrare degli ingrati, è solo che non ci va che spendano un sacco di soldi per noi. Ci hanno anche regalato questa meravigliosa casa, nonostante tutti i problemi che hanno. Non voglio pesare ancora di più sulle loro spalle, non lo trovo giusto.
«Sarà una missione impossibile, ma ci proverò ugualmente. A più tardi, Flounder. Ti amo».
«Ti amo anch’io, Shark. A dopo».
Mi lascio cadere sui cuscini del divano e sbuffo. Siamo davvero fortunati ad avere molte persone che tengono a noi e che sono disposte a darci una mano in questa nostra nuova avventura.
 
                                                                       °°°        
 
Stamattina ho voluto dipingere di azzurro la stanza dei gemellini. Mi sono svegliato alle sei e non riuscivo più ad addormentarmi, ho pensato così di non sprecare il mio tempo. È stato un buon modo per smaltire il nervosismo. Mi è anche uscita abbastanza bene, considerando che era la prima volta che prendevo in mano un rullo. Sono soddisfatto del risultato e orgoglioso di me stesso. Mancano ancora dei mesi all’arrivo dei nostri figli, l’odore di vernice sarà svanito già da un pezzo e avranno la stanza perfetta per loro. Quando Serena mi ha telefonato per informarmi dell’arrivo di quei pacchi, ho immaginato subito che doveva esserci lo zampino di mia madre. Non ci avrebbe mai lasciato con una sola culla, ma non doveva comprare anche tutto il resto. So che lo fa con amore, ma non deve sperperare i suoi fondi, non ora che ci sono tutti questi problemi in azienda. Onestamente non so fino a che punto mio padre possa essere stato sincero con lei riguardo il debito, ma dubito che lei sappia a quanto ammonta.
Li raggiungo in casa: entrambi sono seduti sul divano. Mio padre sta leggendo un quotidiano, mentre la sua consorte sta sferruzzando come al solito. Da quel poco che me ne intendo, sembra stia facendo una copertina per i miei cuccioli.
«Tesoro mio, che cosa ci fai qui?», chiede mia madre appena si accorge della mia presenza alla porta.
«Ho appena ricevuto la telefonata della vostra futura nuora, avvisandomi dell’arrivo di alcuni pacchi da un mittente anonimo. Ne sapete per caso qualcosa?». Li osservo a braccia conserte e un sopracciglio inarcato.
Mio padre alza gli occhi dal giornale e scuote la testa. «Io non so assolutamente niente di tutto questo. Ha tutta l’aria di essere un complotto contro di voi».
Bene, ha anche voglia di prendermi in giro stamattina, per lo meno è di buon umore. Mia madre arriccia le labbra e le rilascia con uno schiocco.
«Non so di cosa tu stia parlando», risponde lei con aria innocente, portandosi pure una mano sul cuore. Che commedianti!
«Non siete bravi a recitare», dico con una smorfia.
«E tu non sei bravo a fare l’offeso», afferma mio padre ritornando a leggere le notizie del giorno.
«Grazie, volevo solo dire questo. Non dovevate assolutamente, ma vi ringrazio davvero tanto. Serena era commossa, anche se non fa molto testo, visto che piange per ogni cretinata». Mi siedo sul divano accanto a mia madre e sospiro. «Che cosa stai producendo?».
Osservo le sue dita muoversi rapide e creare un nuovo pezzo del suo capolavoro. Non avrei la pazienza di fare una cosa del genere, i ferri li userei per infilzare qualcuno e saprei anche chi. Il volto del bamboccio appare davanti ai miei occhi e un ghigno si forma sulle mie labbra. Non ho ancora smesso di pensare con che tortura lenta e dolorosa farlo perire.
«Ho cominciato a fare delle copertine per i miei nipotini. Sai, non sono mai abbastanza. Per fortuna ho ancora del tempo per farne un bel po’. Vi ho preparato anche dei berrettini in vari colori, ma ora che sappiamo che sono dei maschietti, posso preparare anche qualcosa in azzurro senza alcun problema. Domani vado a comprare ancora un po’ di lana, sono rimasta senza», mi spiega con enfasi. La vedo presa da questa sua missione sferruzzante e non ho intenzione di smorzare il suo entusiasmo. Fortunatamente i nostri figli non si renderanno conto di quello che indossano e non avranno niente da ridire se non saranno di loro gradimento.
«Ricordati che sono soltanto due bambini, non dieci». Le bacio la guancia e mi alzo sospirando.
«Lo so», brontola sommessamente.
«Sai che tua mamma non ha mezze misure», commenta mio padre con un angolo della bocca sollevata all’insù.
«Ehi!». Lo punzecchia con uno dei ferri e lui ridacchia scoccandole un bacio sulla guancia.
«Va bene, vado a lavorare che è meglio. Grazie ancora di tutto», dico dirigendomi verso la porta del salotto. Mi giro e mia madre mi manda un bacio, le strizzo l’occhio e torno in ufficio.
Massimiliano se la sta cavando egregiamente e in questi giorni sta carpendo più informazioni possibili. Il suo collega segue ogni movimento del bamboccio dalla centrare, registrando tutto quello che può essere utile per incastrarlo. Per il momento non hanno prove sufficienti per ingabbiarlo, non è così stupido come credevo. Non so se abbia capito che c’è qualcosa sotto, ma sembra più cauto del solito. Spero che non ci vogliano dei mesi per risolvere la questione, non credo di potercela fare ancora tutto questo tempo. Vorrei tornare alla mia vita tranquilla il prima possibile. Stasera abbiamo anche una riunione a casa con i nostri amici per parlare dei dettagli del matrimonio e vedere che cosa manca da sistemare. La data fatidica è ormai dietro l’angolo e non devo pensarci troppo, altrimenti comincio ad agitarmi prima del previsto. Sono nervoso all’idea di sposarmi, non che abbia alcun tipo di ripensamento o cose del genere, sono solo impaurito dalla novità. Ho sempre il terrore che Serena mi possa abbandonare sull’altare, anche se so per certo che non lo farebbe mai. Sarà tutto questo stress a portare pensieri assurdi a incasinarmi la testa.
Mi siedo alla mia scrivania e accendo il pc, controllando se è arrivato qualche nuovo ordine. Ce ne sono addirittura due e anche consistenti, è decisamente una buona cosa. Un bussare allo stipite della porta mi fa alzare lo sguardo in quella direzione. Anita mi sta sorridendo, stringendo tra le mani una borsa di carta.
«Posso disturbarti un minuto?», chiede raggiungendomi.
«Sai che tu non disturbi mai», le dico con un sorriso.
«Io non ne sarei tanto sicura, ma farò finta di crederti». Ridacchia divertita e si siede davanti a me dall’altra parte della scrivania. «Volevo darti questo».
Mi porge la borsa che teneva fra le mani e aggiunge: «È un pensierino da parte mia per i bambini».
«Non dovevi». La ammonisco con lo sguardo.
«Smettila, spero solo che a te e a Serena piaccia». Si alza e torna nel suo ufficio, lasciandomi solo con quel regalo tra le mani. Spio all’interno ed è confezionato. Lo farò scartare a Serena visto che adora farlo, così scopriremo insieme che cosa Anita ci ha regalato. Non avrebbe dovuto spendere per noi, ma ormai smetto anche di provare a dirlo a tutti, a quanto pare, adorano riempire i piccoli di regali e devono ancora nascere! Non voglio sapere che cosa combineranno tutti una volta nati.
Un messaggio arrivato sul mio cellulare mi fa tornare alla realtà. Lo apro immediatamente, pensando che sia di Serena, invece è Lorenzo.
“A che ora dobbiamo venire stasera? Ho un pacco da consegnarti”.
Anche lui? Devo già cominciare a preoccuparmi? Si sono concentrati tutti oggi, deve essere la giornata nazionale delle sorprese e io ne ero completamente inconsapevole. Sono proprio curioso di sapere che cosa gli è passato per la testa questa volta. No, in effetti forse è meglio non saperlo.
Alle cinque in punto mando a casa tutti e chiudo l’azienda. Il bulletto non ha nemmeno nascosto la sua contentezza di aver terminato un’altra settimana di lavoro nelle Cantine Rossini, che non saranno mai sue. Quanto vorrei prenderlo a calci sui suoi gioielli di famiglia e infierire fino a farglieli ingoiare! Questa mia parte vendicativa un po’ mi spaventa, ma allo stesso tempo mi mantiene lucido e concentrato sull’obiettivo: mandarlo in galera per il resto dei suoi giorni. So che non succederà mai, al massimo potrebbe farsi qualche anno, ma sognare fa bene al mio animo.
Me ne torno a casa fischiettando e, come un fulmine a ciel sereno, mi viene in mente che devo ancora trovare una soluzione con questa macchina. Ormai non la chiamo nemmeno più la mia bambina o la mia piccola, è solo un mezzo di trasporto e fra qualche mese sarà anche alquanto inutile. Non ci staranno mai i nostri due figli qui. Non so che cosa fare, ma devo certamente trovare una soluzione in fretta. Il tempo scorre fin troppo velocemente e non posso essere impreparato.
Una volta in casa, trovo Serena intenta a mangiare del gelato direttamente dal barattolo. Mi fissa con il cucchiaino ancora in bocca.
«Beccata!», esclamo togliendomi la giacca e appendendola alla sedia.
«Avevo voglia di gelato al cioccolato, che ci posso fare», brontola lei immergendo nuovamente il cucchiaio in quella delizia.
«Per fortuna che te ne ho comprata una scorta, altrimenti mi avresti mandato in gelateria a comprartelo», le dico ridendo.
«E certo! Non posso mica mangiare quella poltiglia surgelata. Solo gelato artigianale e che sia quello di Sippo, mi raccomando!», esclama con enfasi.
«Ovviamente! Devo farmi tutte le volte sessanta chilometri quando hai voglia di gelato. Non avevi una gelateria più vicina?», borbotto sedendomi accanto a lei e rubandole una cucchiaiata di gelato. Non è esattamente il mio gusto preferito, ma è talmente buono che per stavolta faccio un’eccezione.
«Quelle non mancano, ma nessuno fa il gelato come loro. Nemmeno se lo sognano! I nostri figli hanno bisogno di nutrirsi con cibi di alta qualità». Mi passa il barattolo e ne approfitto per mangiarne un altro po’. Come posso darle torto?
«Solo i nostri figli?», chiedo inarcando un sopracciglio.
«Loro si nutrono attraverso me, quindi anch’io devo mangiare al meglio. Hai voglia di rompere le scatole stasera, Shark?». Incrocia le braccia al petto e mi guarda con gli occhi socchiusi.
«Non mi permetterei mai, Flounder. Mai e poi mai». Mi porto una mano sul cuore e sbatto velocemente le ciglia per ammorbidirla. Il mio sguardo da cucciolo ha l’effetto sperato e scoppia a ridere.
«Ti credo, certo che ti credo», commenta coprendosi la bocca con la mano per nascondere la risata che continua a scuoterla.
«Oh mamma, devo smetterla di ridere in questo modo». Si passa una mano sul ventre e si sporge a baciarmi le labbra.
Appoggio il gelato sul tavolino e l’attiro a me, facendola sedere sulle mie gambe. Accarezzo dolcemente lì dove stanno crescendo i nostri cuccioli, continuando a baciare la mia donna. Mi sento così bene in questi giorni, adoro essere tornato a giocare con Serena. Ridere e scherzare con lei rendono migliore la mia giornata, non posso proprio farne a meno.
«Anita ha regalato qualcosa ai gemelli, ma l’ho dimenticato in ufficio. Sono scappato velocemente, volevo tornare da te», sussurro queste parole al suo orecchio, mentre la mia mano si insinua all’interno dei suoi pantaloni larghi, scostando immediatamente il cotone del suo intimo. «Possibile che abbia sempre così tanta voglia di te?».
«Nonostante il mio culo che cresce a vista d’occhio, il pancione che sta diventando ingombrante e tutto il resto, oltretutto», mugugna lei mordendomi il labbro inferiore, lo succhia, baciandomi poi con ardore quando le mie dita cominciano a muoversi nella sua intimità. Sospira sulle mie labbra e la mia voglia di lei aumenta a dismisura. Mi alzo, tenendola stretta tra le mie braccia e la porto in camera, sdraiandola sul trapuntino. La spoglio lentamente, osservando le sue curve meravigliose: perdo la testa ogni volta che vedo il suo corpo nudo. Getto via anche i miei indumenti e mi inginocchio sul letto, baciando dolcemente il ventre della mia futura sposa. Non posso credere che fra meno di un mese diventerà mia moglie, sto contando i giorni che mancano. Dovremmo anche pensare a dove andare in luna di miele: lei non si può affaticare troppo, ma vorrei comunque portarla da qualche parte. Farò scegliere a lei, è il minimo che io possa fare.
Mi metto su un fianco e la attiro a me, baciandole le labbra con desiderio. La sua gamba finisce sulla mia, le sua intimità sfiora il mio membro che non vede l’ora di soddisfare le voglie della mia donna. La penetro da quella posizione. Sarà sempre più scomodo fare l’amore con il pancione che lievita, ma si trova sempre il modo per divertirsi ed è proprio quello che stiamo facendo in questo momento. I suoi sospiri aumentano il mio desiderio, mi muovo lentamente dentro di lei, stando attento a non fare male a lei o ai bambini. Dopo quello che ha detto il ginecologo, un po’ di ansia mi è venuta. Non vorrei mai che succedesse qualcosa, piuttosto sto in astinenza fino alla loro nascita. Ci sono altri modi per provare piacere ed entrambi lo sappiamo benissimo. Qualche spinta dopo, Serena raggiunge l’apice del piacere e io con lei. Ci scambiamo dei baci delicati, mentre continuo a stringerla forte a me. Non vorrei mai separarmi da lei, è una parte fondamentale di me.
«Fra un’ora i nostri amici saranno qui», borbotta con il naso premuto sulla mia guancia.
«Lo so, ma manca ancora tanto», mormoro chiudendo gli occhi e inebriandomi del suo profumo.
«Lorenzo e Luca arriveranno come minimo dieci minuti prima. Non manca poi così tanto», continua lei contradicendomi. Non ha tutti i torti comunque, quei due non ce la fanno proprio ad arrivare all’orario prestabilito e tutte le volte fanno a gara a chi arriva prima. Sembrano farlo apposta. E se avessero fatto una scommessa anche su questo? Non mi stupirebbe neanche un po’.
«Hai ragione, amore. Forse è meglio se andiamo a farci una doccia e ci vestiamo», dico in un sospiro. Non ho proprio voglia di abbandonare questo letto.
«E a mettere via il gelato prima che diventi una poltiglia immangiabile», aggiunge lei ridendo.
Ha ragione anche su questo.

 
 
*Note dell'autrice*
Capitolo tranquillo oggi, ogni tanto ci vuole. Marco & Serena sono sempre dolcissimi insieme e tutti li stanno viziando. Se avete bisogno di ridipingere casa, chiedetelo pure a Marco...è bravissimo a sporcare in giro ahahah! Nel prossimo capitolo ritroveremo di nuovo tutta la banda per sistemare gli ultimi dettagli per il matrimonio... manca davvero poco al grande giorno! Un grazie infinito a tutti voi che leggete, commentate e amate questa storia... vi adoro! A martedì prossimo!
Un bacione, Ire.


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 17
*** Ultimi dettagli ***



 
 

Capitolo Diciassette 

Ultimi dettagli



 
Come previsto Lorenzo e Luca, con relativi compagni, sono arrivati insieme dieci minuti prima dell’ora pattuita. Non riescono proprio a non gareggiare sempre per delle cretinate, sono entrambi delle prime donne. Sia Stella sia Alex alzano gli occhi al soffitto, scuotendo la testa, ormai rassegnati a soccombere alla loro testardaggine. Sono certo che avranno provato a farli ragionare, inutilmente. Quando si mettono in testa una cosa, è impossibile far cambiare loro idea.
«Socio, questo è per te». Mi porge un pacchettino minuscolo e io mi chiedo che cosa possa essere. Credevo sarebbe arrivato con un pacco enorme per farsi notare, ma mi sbagliavo.
«Che cos’è?», chiedo grattandomi il mento ricoperto da un filo di barba.
«Il regalo di nozze da parte mia e di Stella», risponde baciando la guancia della compagna, che mi sorride timidamente.
«Abbiamo pensato che fosse un modo per evitarvi ulteriori pensieri», aggiunge lei massaggiandomi delicatamente un braccio.
Adesso sono davvero curioso. Apro la confezione e all’interno ci sono due fedi.
«È stata Stella a scegliere il modello, spero via piacciano», dice Lorenzo appena Serena si mette al mio fianco, guardando quei due anelli con una mano sulla bocca e le lacrime agli occhi.
«Avete davvero fatto questo per noi?», domanda guardando prima l’amica e poi il mio socio. Entrambi annuiscono.
Serena butta le braccia al collo della sua migliore amica e scoppia a piangere.
«Sono bellissime». Riesce a dire tra le lacrime. «Grazie ragazzi».
Abbraccia anche Lorenzo di slancio, facendolo barcollare. «È un pensiero stupendo. Grazie».
Prendo una delle fedi e leggo quello che c’è scritto all’interno. La data è quella corretta. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, non si sa mai.
«Grazie davvero di cuore», aggiungo io stringendo il braccio del mio socio.
«Anch’io vi ho portato qualcosa», esclama Luca andando verso il tavolo della sala, appoggiando delle confezioni di birre sul legno. «Birre per questa serata e un pensierino per la mia cucciola in dolce attesa».
Passa una borsa di plastica a Serena e lei ci spia dentro incuriosita da tutta quella segretezza.
«È un cuscino per dormire la notte, ti aiuta a tenere sollevato il pancione. La commessa mi ha assicurato che nessuna donna può farne a meno durante la gravidanza», le spiega con una certa sicurezza.
«Ha perfettamente ragione. Sere, vedrai, quel cuscino fa davvero miracoli. Ho fatto di quelle dormite grazie a lui». Stella dice la sua a riguardo e la mia donna sorride radiosa, prima di gettarsi letteralmente addosso al suo migliore amico.
«Grazie tesoro mio. Grazie di aver pensato a me», mormora al suo orecchio, ricominciando a piangere senza controllo.
«Io penso sempre al tuo benessere, amorino mio bello». Le bacia ripetutamente la guancia, facendola ridacchiare.
«Venite che vi faccio vedere come abbiamo sistemato la stanza dei gemelli». Sono orgoglioso di come è venuta e non vedevo l’ora di farla vedere a tutti. Non sono un pittore professionista, però devo ammettere che sono stato piuttosto bravo. I nostri ospiti mi seguono parlottando tra di loro. Appena apro la porta, mi volto a guardare le loro espressioni e sono tutti con la bocca spalancata. La stanza che una volta era tutta bianca, ora è di un tenue azzurro. Non ho voluto usare colori troppo accesi e questa tonalità è davvero molto gradevole. Le due culle sono al centro della stanza, aspettando solo che nascano i nostri cuccioli. Prima dell’arrivo dei nostri amici, sono riuscito a mettere in ordine tutto, sistemando i mobiletti ai loro posti e rendendo la cameretta presentabile.
«È davvero fantastica», commenta Stella entrando e guardandola attentamente.
«Fantastica sul serio». Anche Luca si unisce ai complimenti e io non posso far altro che gongolare entusiasta. In questo momento sono ancora più orgoglioso di me stesso.
«Non esagerate che poi si monta la testa». Serena appare al mio fianco e mi prende per mano, ridacchiando da sola. «Fra poco metterà fuori il tariffario per dipingere la casa a tutti».
«Beh, ci sarebbe la stanza di Eleonora da rinfrescare», dice il mio socio osservandomi divertito.
«Il nostro appartamento avrebbe bisogno di essere ridipinto, se ti interessa», aggiunge Luca con un sorrisetto furbo sulle labbra.
Io scoppio a ridere, scuotendo la testa. «Non mi fregate. Solo i miei figli hanno avuto l’onore».
Il campanello suona nuovamente e io mi precipito alla porta, lasciando tutti a ficcanasare nella stanza dei piccoli. Paolo è arrivato assieme a Giorgio, li accolgo entrambi con una pacca sulla spalla.
Paolo sembra sereno, la cosa mi rallegra davvero molto. So che non deve essere facile per lui avere a che fare con la mia donna dopo la sua sbandata, ma secondo me può farcela a non crollare di nuovo.
«Com’è andata con Sara?», chiedo curioso. So che dovevano uscire insieme dopo l’incontro a sorpresa organizzato da Serena quella sera. Sembrava andassero d’accordo, ma non è affatto detto che sia scoccata la scintilla. Non si dimentica una persona da un giorno all’altro, ma almeno mi auguro che ci stia provando. È per il suo bene e per la mia sanità mentale. Voglio solo il meglio per i miei amici e voglio anche che stiano alla larga dalla donna che sto per sposare, almeno sentimentalmente parlando.
«È andata bene», risponde passandosi una mano tra i capelli. «Serena aveva ragione, è una ragazza davvero molto dolce e simpatica».
«Io ho sempre ragione». Si intromette nel discorso la diretta interessata, baciando la guancia del mio socio e facendo lo stesso anche con Giorgio.
«Ecco che ricomincia». La prendo in giro alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa.
«Quando una ha ragione, ha ragione e basta. Io, modestamente, ce l’ho sempre. Fine della polemica», bofonchia lei fingendosi risentita.
«Le donne incinte non vanno contraddette e io ne so qualcosa», commenta Giorgio con aria da saputello.
«Diciamo le donne in generale, facciamo prima. Noi uomini ormai non possiamo più avere ragione su niente», aggiungo io incrociando le braccia al petto e osservando la mia donna con la coda dell’occhio. Si sta mordendo il labbro inferiore per non scoppiare a ridere.
«Guardate in faccia la realtà, ragazzi miei, ormai il mondo lo governiamo noi», dice lei con sicurezza.
Noi tre ci scambiamo un’occhiata e ci lasciamo andare a una sonora risata. Serena si unisce a noi un attimo dopo, passandomi un braccio lungo la schiena e stringendosi a me. Le bacio la tempia più volte, facendola ridere ancora di più.
«Che cosa ci siamo persi?», domanda Lorenzo raggiungendoci in salotto insieme agli altri.
«Uno sproloquio assurdo da parte di questa signorina», rispondo colpendola ripetutamente sulla testa con l’indice.
«Ah beh, allora non mi sono perso niente». Scrolla le spalle, passandosi poi una mano sul mento ricoperto di barba. A quanto pare se la sta facendo crescere di nuovo, spero non arrivi agli stessi livelli di quando era impazzito a causa di Stella.
«Ehi!», sbotta la mia donna colpendolo con un leggero pugno sul petto. «Sei scortese nei miei confronti. Potrei perfino offendermi, se davvero volessi. Sei fortunato che non ne ho affatto voglia».
«Sei decisamente fortunato, sappilo», confermo io ridacchiando.
Diablo appare dal nulla e si strofina sulle mie gambe, lasciando una bella scia di peli grigi sui miei pantaloni scuri. Trascorro un sacco di tempo a passare la spazzola sui miei vestiti per cercare di togliere via i segni del suo passaggio, ma è davvero un’impresa impossibile. Trovo peli ovunque e non è proprio il massimo. Se raccolgo tutto quello che trovo per casa, avrei un altro paio di gatti. Serena lo solleva da terra e se lo porta al petto, baciandogli la punta del naso. Il felino venduto chiude gli occhi e si fa coccolare tutto contento. Non gli dà nemmeno più fastidio quando vengono a trovarci tutti i nostri amici.
«Sapete per caso che fine ha fatto Marica?». Serena sembra preoccupata e si rivolge ai suoi migliori amici in apprensione. Dopo la chiacchierata che Michele ha avuto con Serena, Marica si è un po’ staccata da loro. Serena è in ansia per lei e non lo nasconde. Probabilmente la sua amica non ha ancora preso una decisione a riguardo, nonostante lei l’abbia messa in guardia sui sospetti del suo uomo. Anch’io se fossi nei panni di Michele, cercherei il tizio e gli cambierei i connotati. Nessuno può farsi la mia donna e soprattutto non può sopravvivere alla mia ira funesta.
«Io non l’ho sentita», risponde Luca stringendosi nelle spalle. «Le ho mandato un messaggio per confermare questa nostra serata, ma non ha avuto nemmeno la decenza di rispondermi».
«Anch’io ho provato a chiamarla, ma aveva il telefono staccato». A quanto pare neanche Stella aveva avuto fortuna con lei.
Serena va a recuperare il suo cellulare abbandonato sopra il tavolo della sala e compone il numero dell’amica. Si mordicchia un’unghia e poi lo rimette a posto quando non riceve alcuna risposta.
«Questa volta suona libero, ma non risponde». Ci informa con una mano a tenersi il ventre e una tra i capelli. «Scusatemi, devo sedermi un attimo».
Corro da lei e la accompagno sul divano. Mi inginocchio davanti a lei.
«Stai bene, amore?».
«Ho avuto un giramento di testa», dice cercando di sorridermi. «Marica mi sta facendo preoccupare».
«Lo avevo intuito». Le bacio amorevolmente la fronte.
Luca e Stella si siedono ai lati della mia donna, appoggiando la testa sulle sue spalle. È davvero fortunata ad avere degli amici che si prendono cure di lei ogni volta che si sente giù e in questo momento ha davvero molto bisogno di loro.
«Vedrai che verrà, tesoro». Stella cerca di rassicurarla prendendo la sua mano e tenendola stretta nelle sue.
Lascio che la mia donna si sfoghi con i suoi amici e raggiungo gli altri che sono ancora in piedi al centro della stanza. Li faccio accomodare al tavolo e servo loro delle birre, almeno inganniamo l’attesa in un modo proficuo. Abbiamo tutti bisogno di un po’ di alcool in corpo in questo momento. Rimaniamo in silenzio, osservando i tre ancora seduti a parlottare sul divano.
«Si può sapere che cos’ha quella Marica?», chiede Giorgio a bassa voce per non farsi sentire da loro.
«Se la fa con il capo del suo uomo». È Alex a rispondere, sorseggiando un attimo dopo la sua birra.
«Ah, ora si spiegano molte cose», commenta il mio amico portandosi la bottiglia alla bocca.
Un istante dopo il campanello suona nuovamente. Manca solo lei all’appello, non credo possa essere qualcun altro. Serena mi fissa preoccupata, cerco di tranquillizzarla con lo sguardo e lei mi sorride mogiamente.
Peccato che al cancello non ci sia la loro amica, ma il suo uomo cornificato. Che diavolo ci fa Michele qua?
«Marica è qui per caso?», chiede trafelato appena varcata la soglia di casa.
Si guarda in giro e tutti lo fissano confusi. Serena si alza dal divano e ci raggiunge.
«Ho provato a chiamarla cinque minuti fa, ma non mi ha risposto», gli dice portandosi una mano alla bocca.
«Sapevo che doveva venire da voi. È tutto il giorno che provo a chiamarla, ma sembra essere sparita nel nulla», continua lui sempre più preoccupato. «Mi ha lasciato».
Alla fine la ragazza ha avuto le palle di mollarlo. Se lo ha fatto, vuol dire che ha preso una decisione riguardo la loro storia, probabilmente ha scelto di stare con la sua nuova fiamma, il capo di Michele. Serena lo abbraccia di slancio, lui rimane sorpreso da quel gesto, ma ricambia la stretta in un sospiro.
«Devo ritrovarla, ho bisogno di parlarle», dice lui dopo essersi liberato dalla presa della mia donna. «Scusate l’intromissione».
Ci saluta con la mano e torna alla ricerca di Marica. In effetti avrei un’idea di dove possa essersi cacciata, ma non so se sia un bene fare la spia. Se fosse la mia donna ad avere una relazione con un altro, io vorrei sapere chi è il bastardo, tanto per spaccargli la faccia. Magari il rapporto non si risanerà, ma almeno avrò avuto la soddisfazione di fargli del male fisico solo per avermi portato via la donna che amo. Lo seguo all’esterno e lo intercetto prima che possa salire in macchina. Non so se quello che sto per fare sia la cosa giusta, ma, se come ha detto Serena, lui è ancora innamorato di Marica, è giusto che abbia la possibilità di lottare per riaverla. Sapere chi è il nemico può essere di grande aiuto.
«Michele!». Lo chiamo a gran voce e lui si volta verso di me. Sembra in procinto di piangere, è davvero provato.
«Forse so dove puoi trovare Marica».
 
°°°
 
Sapevo che alla fine Marica si sarebbe incasinata la vita. Non è abbastanza forte emotivamente per portare avanti due relazioni contemporaneamente e prima o poi avrebbe dovuto fare una scelta per non impazzire. Mai avrei pensato che potesse lasciare Michele però. So che negli ultimi tempi era insicura sui suoi sentimenti per lui, ma il mio sesto senso era certo che avrebbe scelto Michele. Non posso davvero credere che abbia deciso di continuare quella strampalata relazione con il capo di lui.
Quando Marco torna in casa, lo intercetto immediatamente.
«Non gli avrai mica detto del suo capo spero». La speranza che lui non lo abbia fatto svanisce non appena i suoi occhi si posano sui miei. Non avrebbe dovuto intromettersi nella loro storia.
«Non c’erano altre soluzioni, amore», dice lui prendendomi entrambe le mani e stringendole nelle mie.
«Non avevamo il diritto di dirglielo, doveva farlo lei», mugugno frastornata. Tutta questa storia mi ha fatto venire un gran mal di testa.
«Sai benissimo che lei non lo avrebbe mai fatto. Ha preferito lasciarlo piuttosto che dirgli la verità. Hai detto anche tu che ti sembrava davvero innamorato di lei ed è giusto che conosca il bastardo che gli ha portato via la sua donna. Marica può anche decidere di non tornare più con lui, ma è giusto che lui sappia con chi ha a che fare».
Marco ha ragione, ma non riesco a smettere di pensare che abbiamo tradito la fiducia della mia migliore amica e potrebbe non perdonare mai questa nostra intromissione e non potrei mai perdonarmelo. Poso la fronte contro il petto del mio uomo e sospiro. Sono davvero fortunata ad avere lui nella mia vita, non so davvero che cosa farei se non ci fosse lui. Mi avvolge in un abbraccio e mi posa un bacio tra i capelli.
«Andrà tutto bene, amore». Mi rassicura tenendomi stretta fra le sue braccia.
«Beh, le cose sono due», comincia Luca ridacchiando.
«O li vedremo tornare insieme mano nella mano o sentiremo la notizia dell’omicidio del capo nel prossimo telegiornale. Sappiamo tutti benissimo che ora sta andando da lui e che lo pesterà a sangue. So di non essere mai stato molto entusiasta di quel cornificatore di Michele, ma stasera mi ha fatto quasi tenerezza. Ho detto quasi». Precisa dopo un mio sguardo alquanto eloquente.
Non mi sarei mai aspettata un discorso del genere da parte del mio migliore amico, sta facendo davvero progressi. È meno acido da quando c’è Alex nella sua vita, devo ringraziare immensamente quell’uomo per aver addolcito il mio tesoro.
«Ora, però, dobbiamo metterci tranquilli e beati a sistemare gli ultimi dettagli, altrimenti questi due non si sposeranno più e non mi sembra davvero il caso dover rimandare tutto. La mia cucciola diventerà una mongolfiera e l’abito non le entrerà più nemmeno dalla testa».
Gli mostro irriverentemente la lingua e lui mi soffia un bacio. Luca ha ragione, dobbiamo controllare che cosa manca da fare. Non ho intenzione di rimandare proprio un bel niente. Voglio sposare Marco il cinque dicembre e tutto deve essere pronto per quel giorno.
«Mi sembra un’ottima idea», commenta riluttante Lorenzo. Gli dispiace davvero tanto dare ragione a Luca, entrambi vorrebbero avere sempre l’ultima parola.
«Le fedi sono a posto», dice rimarcando quella questione. È fiero di averci fatto questo regalo e io sono felice di non doverci pensare. Luca scuote la testa divertito, credo si sia reso conto che ormai è diventata una gara fra di loro a chi farà di più per noi. Dovrebbero darci un taglio, ma non è impresa da poco con quei due, entrambi testoni ed entrambi super permalosi.
«Mia mamma ha detto di passare da loro domani, se vi va. Vi mostrerà qualche campione così potrete scegliere i fiori che preferite». Giorgio intreccia le dita sopra il tavolo, guardando prima me e poi il suo socio.
Mi volto verso Marco e lui annuisce, baciandomi dolcemente la mano. «Va bene, mi ritaglierò del tempo per farlo. Questo matrimonio non deve subire alcun ritardo, perciò ho intenzione di darmi una mossa anch’io».
«Era anche ora che muovessi quel culo!», tuonò Lorenzo prima di portarsi la bottiglia di birra alla bocca.
«Non è che non faccio un cazzo dalla mattina alla sera come qualcuno di mia conoscenza», borbotta il mio uomo guardandolo in cagnesco.
«Stiamo andando fuori programma». Li ammonisco con un’occhiataccia.
«Scusa», dicono in coro e a me scappa da ridere. Sembrano dei bambini quando si comportano in questo modo. Ogni tanto mi sembra di essere all’asilo.
«Per i confetti e le partecipazioni doveva pensarci Marica». Stella mi guarda con una strana espressione. Ho come la netta sensazione che nemmeno lei sia del tutto convinta che abbia adempiuto al suo compito.
«Per il catering ci pensa mia madre», asserisce Marco. «Mio zio è disponibile a sposarci».
«Con mio cugino è tutto sistemato». Paolo dice la sua, prima di bere una generosa sorsata di birra.
«Il mio vestito devo ancora andarlo a vedere, ma credo che cambierò boutique». Marco mi osserva divertito. Una smorfia si è formata sul mio volto alla sola idea che possa andare a comprarlo dove lavora quella brutta vacca. Lo so che non dovrei parlare male delle persone, dovrei essere sempre gentile ed educata, ma lei rimarrà sempre una brutta vacca che ha provato in ogni modo a riprendersi un uomo che non l’ha mai voluta, il mio uomo per giunta. Se dovesse anche solo passargli per l’anticamera del cervello di mettere piede in quel posto, gli farò soffrire le pene dell’inferno.
«Con la tua bambina che cosa hai intenzione di fare?». Lorenzo fissa il suo socio con un ghigno divertito sulle labbra. Sa di aver toccato un nervo scoperto e non gli dispiace nemmeno. Incrocia le dita dietro la nuca e si rilassa completamente sulla sedia, allargando le gambe per mettersi più comodo.
Non voglio proprio perdermela questa scena. Mi volto verso il mio uomo e lo guardo attentamente. Si acciglia, grattandosi il mento ricoperto da un filo di barba. Sembra rimuginare sulla risposta da dare al suo amico e, alla fine, sospira.
«Credo che dovrò venderla. Non possiamo permetterci troppe macchine e quella sarebbe piuttosto inutile, non potendo muoverci con i gemelli». Non è stato facile per lui ammettere questa cosa, ma so benissimo che rinuncerebbe a tutto per il benessere dei nostri figli.
«Quella», ripete Lorenzo ridacchiando. «Ricordo ancora il giorno che l’hai portata fuori dal concessionario. La prima volta che ci sono salito. Il tuo primo graffio per colpa di una pazza furiosa che non sapeva guidare». Rivolge uno sguardo strafottente a me e io mi fingo offesa di questa sua illazione.
«Io so guidare. Sono gli altri che dovrebbero parcheggiare lontano dalla mia auto», bofonchio massaggiandomi il ventre. «E poi non mi sembrava questo gran graffio, non si vedeva quasi».
Non gli ho mica distrutto la macchina, non ha nemmeno voluto essere pagato per il danno che gli ho provocato. Non so se lo avesse fatto solo per provarci con me, ma io sono stata particolarmente felice di non tirare fuori il portafoglio.
«Già. Com’è finita poi? Sbaglio o non ci hai mai raccontato com’è andata davvero la storia?». Paolo puntella i gomiti sul tavolo e appoggia il mento sulle mani chiuse a pugno. Sono tutti interessati a sentire la versione dei fatti, anche se Marco non mi sembra molto intenzionato a parlare.
Muove nervosamente le gambe e butta fuori un po’ per volta l’aria che ha incamerato nelle guance, emettendo dei rumorini buffi.
«Paolo ha ragione. Non ce ne hai mai parlato», infierisce Lorenzo senza alcun ritegno.
«Ricordo quanto era nervosa Serena quando doveva incontrarti. Pensava volessi una montagna di soldi ed era già pronta a vendere un rene per pagarti. Sinceramente io le ho sempre consigliato il pagamento in natura, ma lei non mi ha mai dato retta». Luca parla candidamente, come se le parole appena pronunciate non avessero questo gran peso.
Stella per poco non si strozza con la sua aranciata.
«Ma sei scemo?». Alex lo guarda allibito. «Ti sembrano dei consigli da dare alla tua migliore amica?».
«Beh, che c’è di male? Doveva farlo solo se l’uomo in questione fosse stato un gran pezzo di manzo e avevo il sentore che lo fosse». Luca mi strizza l’occhio e io scuoto la testa ridacchiando. Come posso arrabbiarmi con lui?
«Anch’io ho consigliato a lui la stessa cosa», commenta Lorenzo indicando il suo socio con un cenno del capo.
Bene, ora devo farlo per forza, questa domanda mi perseguita da moltissimo tempo ormai. «Scusate se ve lo chiedo, ma voi due, per qualche malaugurato caso, siete stati separati alla nascita?». Guardo prima Lorenzo e poi il mio migliore amico. I due uomini si scambiano uno sguardo perplesso.
«Oh mio Dio, Sere, era da un po’ che volevo fare la stessa domanda!». Stella scoppia a ridere e noi tutti seguiamo il suo esempio, tutti tranne i due diretti interessati che ci stanno fulminando con lo sguardo, quasi offesi.
«È inutile che sviate il discorso, non ci fregate mica. Dai, Marco, dicci quanto hai speso per il danno alla tua bambina». Lorenzo non si dà proprio per vinto e il mio uomo sembra esasperarsi.
«Perché vuoi saperlo? Che cosa ti cambia? Ormai è tutto risolto, perché vogliamo rivangare quel brutto ricordo?».
«Perché non vuoi rispondere? Secondo me ci stai nascondendo qualcosa». Lorenzo lo osserva con gli occhi ridotti a due fessure. «Non vorrai mica dirmi che…».
Si blocca all’improvviso e cambia posizione, avvicinandosi pericolosamente al mio uomo. Gli punta un dito dritto davanti al naso.
«La tua macchina non aveva un cazzo, vero?», chiede ruotando il dito vicino agli occhi di Marco, che si scansa all’indietro per non rischiare di venire accecato.
«Hai fatto credere a tutti che fosse un danno inestimabile, hai fatto sentire in colpa questa povera donna». Ora punta un dito contro di me e io mi ritraggo impercettibilmente. Sembra stia facendo un’arringa finale, è parecchio divertente vederlo infervorato per una questione tanto stupida. Anche se non fosse stato un danno elevato, non capisco perché stia rompendo tanto le scatole a Marco.
«Solo per nascondere che ti eri incazzato come una iena senza motivo, non è vero? Non volevi ammettere di essere nel torto, vecchio cazzone che non sei altro!». Il nostro avvocatone da strapazzo sembra soddisfatto e si lascia andare nuovamente contro lo schienale, incrociando le braccia al petto.
«E va bene». Marco sbuffò sonoramente, stropicciandosi poi gli occhi con una mano. «Certo che sai essere un gran rompicoglioni. Era solo un graffio superficiale ed è andato via pulendolo con un panno. Soddisfatto ora?».
E così non avevo rovinato la sua macchina. Mi sento sollevata, forse potrei perfino tornare a guidare ora. Okay, non proprio ora, magari quando nasceranno i piccoli. No, a dirla tutta, adoro essere scarrozzata in giro.
«Sei un cazzone», rispose Lorenzo scoppiando a ridere un istante dopo.
Posai un bacio sulla guancia di Marco, il quale si voltò immediatamente verso di me. «Scusa se non te l’ho mai detto».
Sembra davvero mortifico e io non voglio che si senta in colpa per una cretinata del genere. «Non fa niente. Sono contenta di non aver rovinato la tua bambina».
Gli sorrido, baciandogli poi le labbra.
«E tu lo perdoneresti così?», domanda Lorenzo sgomento.
«Certo. Perché dovrei arrabbiarmi con lui? Non sono mica permalosa come qualcuno di mia conoscenza». Lo sfido con lo sguardo e lui per poco non mi incenerisce. Adoro stuzzicarlo, è davvero piacevole farlo alterare. Evita di commentare la mia provocazione, si limita a sorseggiare la sua birra.
Il mio cellulare comincia a squillare sopra il tavolo e tutti lo fissano come se fosse un oggetto alieno. Chi sarà mai a quest’ora? Marco me lo passa e leggo il nome di Marica sul display. Il mio cuore comincia a battere fortissimo. Che le sia successo qualcosa?
«Tesoro, che c’è?», chiedo in apprensione.
«Mi ha appena telefonato Gioele. Michele è stato da lui e l’ha riempito di botte», risponde tra i singhiozzi.
Mi porto una mano alla bocca e sento gli occhi pizzicare. Vorrei tanto che lei fosse qui, per poterla abbracciare e rassicurare di persona.
«Gli ha fatto tanto male?».
«Non lo so, lui ha minimizzato. Sere, ho lasciato Michele. Ho lasciato anche Gioele. Ho deciso di prendermi una pausa dagli uomini, sono stanca. Tutta questa storia mi sta facendo impazzire. Devo fare chiarezza nella mia testa e soprattutto nel mio cuore», mi spiega prendendo dei bei respiri.
«Penso tu abbia preso la decisione giusta», le dico con dolcezza.
Sia Luca sia Stella mi osservano attentamente, sono visibilmente preoccupati per la nostra migliore amica.
«Scusami se stasera non sono venuta, ma non me la sono sentita. Le partecipazioni e i confetti sono quasi pronti però, mi sono data da fare. Tu devi avere un matrimonio perfetto, te lo meriti».
«Oh tesoro mio», riesco a dire scoppiando in lacrime.
«Ti voglio bene, Sere. Grazie di esserci sempre per me».
Ci salutiamo qualche istante dopo e poso il telefono sul tavolo. Tutti stanno attendendo un commento da parte mia, mi sembra doveroso informarli di quello che Marica mi ha detto.
«Michele è andato dal suo capo e l’ha picchiato. Marica ha lasciato entrambi».
Un racconto conciso, ma non servono altre parole per esporre i fatti. Vorrei solo che la mia migliore amica fosse felice.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Ed eccoci a sistemare gli ultimi dettagli. In effetti hanno fatto molto altro, invece di concentrarsi sul matrimonio, ma l'importante è che sia tutto in ordine. La vita di Marica si è incasinata con quei due, speriamo bene. Marco è stato costretto a confessare che la sua bambina non aveva nemmeno un graffio... Lorenzo è davvero pesante quando vuole! Okay, volevo salutarvi: per due settimane non ci sarò, vado in vacanza. Le uniche due settimane in un anno, perciò concedetemele :) Al mio ritorno arriverà un capitolo importante, la prima parte del matrimonio. Nel frattempo ho pubblicato anche la mia nuova storia "Una semplice coincidenza", se vorrete darle un'occasione, mi rendereste felice. Ci tengo davvero tanto :) Detto questo, vi ringrazio per tutto e ci vediamo martedì 25 agosto! Fate i bravi ;)
Un bacione grande, Ire.

Ecco qui il link alla nuova storia:
http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3209621


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 18
*** Fiori d'arancio ***



 
 

Capitolo Diciotto 

Fiori d'arancio



 
 
Guardo fuori dalla finestra, il cielo non promette niente di buono. Se dovesse piovere? Se dovese perfino nevicare? È il giorno mio e di Marco oggi, il cinque di dicembre è arrivato velocemente, non ce ne siamo quasi resi conto. Alla fine siamo riusciti a sistemare ogni dettaglio e se manca qualcosa, faremo senza. Le cose essenziali sono pronte, non abbiamo bisogno di molto altro. Massaggio il mio ventre sporgente: questi due giovanotti stanno screscendo e mi fanno lievitare a vista d’occhio. Sono felice di potermi sposare prima della loro nascita, penso sia stata la decisione giusta.
Matrimonio. La moglie di Marco. La signora Rossini.
Devo prendere dei respiri profondi, altrimenti vomito. Ero quasi tranquilla fino a un secondo fa e ora comincio ad agitarmi. Mancano solo due ore alla cerimonia alla villa dei Rossini e io sto iper ventilando.
«Tesoro, sei pronta a indossare il vestito? Anna sarà qui fra poco per farti i capelli». Mia madre entra nella mia vecchia camera senza nemmeno bussare e per poco non mi viene un colpo.
Mugugno qualcosa di incomprensibile. Mi sta venendo la nausea e non so se sia colpa dei gemelli o dell’ansia. Ero nervosissima quando si è sposato mio fratello, ma ora lo sono decisamente di più. Stella, Marica e Luca hanno voluto dormire con me stanotte, non mi hanno lasciata sola nemmeno un istante. Mi è sembrato di tornare adolescente, quando facevamo i nostri pigiama party. Siamo rimasti svegli quasi tutta notte a parlare, io sono crollata verso le due, non riuscivo più a tenere gli occhi aperti e mi sono addormentata avvinghiata a Luca. Marica non ha più parlato con Michele dopo averlo lasciato, lui prova a cercarla ogni giorno, ma lei si nega. Non ha ancora fatto chiarezza nel suo cuore e non è certa di amarlo. Le manca tanto, ma piuttosto di commettere nuovamente un errore, preferisce estrometterlo dalla sua vita. Ha tagliato ogni genere di rapporto con Gioele, non ne vuole più sapere di lui, lo incolpa di tutto quello che è successo. Io non so che cosa pensare, non so cosa consigliarle, solo lei può sapere che cosa fare. Ho invitato Michele al matrimonio a sua insaputa, non mi avrebbe mai permesso di farlo altrimenti. Ho parlato di nascosto con lui ed era disperato. Sinceramente credo che quei due siano fatti per stare insieme, nonostante tutto quello che hanno passato. Marica è incompleta senza di lui. Mi auguro che non mi odierà, quando scoprirà che cosa ho architettato.
«Cucciolina mia». Luca viene nella mia direzione come una furia e mi avvolge in un abbraccio.
«Che succede?», gli chiedo ricambiando la stretta.
«Ora ti devi preparare e io non posso stare qui con te. Se te ne fossi dimenticata, io sono un uomo e non posso guardarti mentre ti prepari. Porta male e io non vorrei mai rovinarti il matrimonio. Aspetterò di sotto con tuo padre e tuo fratello, mi rosicchierò le unghie fino alla carne, finché tu non scenderai da quelle scale, bella come non mai. Ti assicuro che piangerò come una ragazzina e non mi vergognerò di farlo, non oggi!». Mi prende il viso tra le mani e mi bacia la punta del naso, ha già gli occhi lucidi e io sono prossima alle lacrime. «Rimarrai sempre la mia cucciolina bella, anche se stai per sposare un altro uomo. Rimarrai sempre la mia anima gemella».
Queste ultime parole le sussurra appena. Lascia andare il mio viso e mi stringe nuovamente a sé, baciandomi la fronte con affetto.
«Ti adoro», mormoro con il viso premuto contro il suo petto.
«Io di più», aggiunge lui in un sospiro.
Rimaniamo abbracciati a lungo. Solo l’arrivo di Anna ci fa staccare, anche se non avevo alcuna voglia di farlo, mi sentivo al sicuro tra le sue braccia.
«Come sta la nostra sposina?», domanda la parrucchiera con un sorriso rassicurante sulle labbra.
«Agitata», rispondo stringendomi nelle spalle.
Luca mi strizza l’occhio e sparisce, lasciandomi sola con la donna e mia madre, Stella e Marica entrano nella stanza un istante dopo.
«È normale, tesoro». Mi rassicura mia madre massaggiandomi dolcemente un braccio.
Stella si avvicina all’armadio e toglie il vestito dalla gruccia. «È ora di indossarlo».
Marica chiude la porta in modo tale che nessuno possa entrare. Io comincio a sudare freddo. Non credevo sarei stata tanto agitata il giorno delle mie nozze. Avrei dovuto immaginarlo, ma ero tranquillissima fino a ieri, l’ansia è arrivata tutta all’improvviso e mi toglie lucidità. Mi siedo sul letto e chiudo gli occhi, cercando di far tornare regolare il respiro.
«Non stai andando alla gogna, stai per sposare l’uomo della tua vita». Mi ricorda Stella inginocchiandosi davanti a me e prendendo entrambe le mie mani. «Respira a fondo e butta fuori tutta l’aria, andrà tutto bene, te lo garantisco».
Sono davvero felice di avere le mie migliori amiche qui con me oggi, non so se sarei stata in grado di farcela senza di loro.
«Dopo la cerimonia, arriverà la parte divertente, perciò resisti». Marica si siede al mio fianco e mi bacia la guancia, accarezzando il mio ventre con una mano.
Mia madre, nel frattempo, ha preso tra le mani il mio vestito e lo sta allungando nella mia direzione. Ho mandato lei a recuperarlo in boutique, non avevo alcuna intenzione di ritrovarmi di nuovo di fronte a quella Grazia da strapazzo. Avevo anche il terrore che potesse rovinare il mio abito, ma fortunatamente ha avuto la decenza di fare la professionista.
«Sarai la sposa più bella al mondo», dice la mia genitrice con le lacrime che le rigano il viso.
Mi ritrovo a singhiozzare senza rendermene conto. Stella mi asciuga gli occhi con un fazzoletto di carta e mi sorride, è abituata a prendersi cura di Eleonora, ora lo sta facendo con me. La abbraccio di slancio e mi lascio cullare dal suo affetto.
Mille lacrime dopo, decido di darmi una mossa. Non posso passare tutto il tempo a frignare, Marco non mi aspetterà per sempre. Va bene, questa è una cretinata perché sono certa che mi aspetterebbe in eterno, ma non per questo voglio fare tardi al mio matrimonio per colpa degli ormoni. Mi faccio aiutare dalle ragazze ad indossare il mio abito. Mi guardo allo specchio e le lacrime fanno di nuovo capolino agli angoli dei miei occhi. Nonostante il mio pancione pronunciato, il vestito mi sta alla perfezione. Continuo a sentire quel legame particolare con questo pezzo di stoffa che ho provato quando l’ho visto in negozio la prima volta. È stato lui a scegliere me. Sto battendo il mio record di lacrime oggi e non voglio guardare troppo il mio riflesso: i miei occhi saranno gonfissimi e rossi come un pomodoro!
Anna mi fa accomodare sulla sedia e comincia ad acconciarmi i capelli. Non volevo niente di troppo ricercato, volevo qualcosa che valorizzasse il mio viso ma con semplicità e l’avevo resa partecipe di questo mio desiderio l’ultima volta che sono stata da lei con mia madre. Mi fido di lei e so che esaudirà la mia richiesta. Quando finisce con i capelli, si dedica con pazienza al trucco. Normalmente spettegola in continuazione con mia madre, ma oggi sono entrambe piuttosto silenziose. La signora Boissone è particolarmente agitata, molto più di quando si è sposato il suo unico figlio maschio.
«Mi raccomando, piangi il meno possibile ora». Anna mi guarda attentamente, ritoccando qualche piccolo particolare che non la convinceva. «Ecco, ora sei perfetta».
Non ho voluto guardarmi mentre faceva magie su di me e, quando mi giro verso lo specchio, mi porto una mano alla bocca, evitando di togliermi il rossetto. Ha fatto davvero dei miracoli e mi trattengo per non ricominciare a piangere come una fontana. Mi ha appena raccomandato di non farlo, non posso disobbedire un secondo dopo.
«Bambina mia, sei bellissima», esclama mia madre scoppiando in lacrime un istante dopo.
«Mozzerai il fiato a Marco, questo è certo», commenta Marica con gli occhi lucidi. Anche lei si sta trattenendo per non piangere a dirotto.
Stella, invece, non si trattiene e si soffia rumorosamente il naso su un fazzoletto. «Sei semplicemente divina».
Prendo dei respiri profondi, ormai non faccio altro oggi, e cerco di darmi un contegno. Mia madre mi porge il bouquet di piccoli tulipani bianchi, lo tengo stretto tra le mani che tremano vistosamente.
Inspira, espira, inspira, espira. Posso farcela, devo farcela!
Scendiamo di sotto, io me ne sto per ultima nella fila, sono lenta a fare i gradini con questo pancione e le caviglie gonfie. Non so nemmeno come sono riuscita a indossare queste scarpe bellissime con il tacco. Per fortuna non è altissimo, altrimenti avrei rischiato di farmi davvero molto male se fossi accidentalmente scivolata. Quando incontro gli occhi di mio padre, noto tutta la sua emozione.
«La mia bambina sta per sposarsi», farfuglia sommessamente.
Luca mi raggiunge al volo e mi prende le mani, facendomi ruotare su me stessa per potermi guardare a trecentosessanta gradi.
«Cucciolina mia, farai venire un infarto al tuo pezzo di manzo, puoi starne certa!», esclama posandomi poi un delicato bacio sulla guancia.
«Sere, sei bellissima». Mio fratello mi reclama allargando le braccia e io mi fiondo all’istante al loro interno. «Sono così orgoglioso di te. Ti voglio un bene dell’anima».
Alessandro non è mai stato così esplicito prima d’ora, poche volte ha detto di volermi bene, me lo ha sempre dimostrato con i gesti, come mio padre. Questo giorno rimarrà nella storia per moltissimi aspetti e questo è sicuramente uno che non dimenticherò mai per il resto della mia vita.
«Te ne voglio anch’io, tantissimo», gli dico sorridendogli nel staccarmi da lui.
Tutti i miei parenti si sono riuniti intorno a noi e stanno ammirando la mia figura tonda avvolta in questo abito bellissimo. Stella si accosta a me e mi copre le spalle con la mantellina che abbiamo preso per coprirmi almeno un po’, non posso andare in giro mezza nuda con la temperatura che c’è all’esterno. Una delle cose positive di questa gravidanza è che soffro meno il freddo, perciò non mi spaventa uscire vestita in questo modo.
Jonathan, il cugino fotografo di Paolo, ci ha raggiunti qua per fare qualche foto a me e alla mia famiglia prima di andare alla cerimonia. Facciamo partire tutti i parenti, mentre sistemiamo questi ultimi dettagli. I miei tre testimoni non potevano assolutamente mancare nelle foto di rito, noi quattro saremo sempre inseparabili.
Sono già stremata ancora prima di raggiungere la tenuta dei Rossini, non ho più la resistenza di una volta. Mi stanco con una velocità impressionante e credo che più passeranno le settimane, peggio sarà. Luca mi porterà con la berlina di Alex, era l’unico ad avere una macchina abbastanza decente e capiente per me e il mio pancione. Mio padre sale con me, sarà lui ad accompagnarmi da Marco, come da usanza. Sono emozionata all’idea di camminare sotto braccio a lui, mentre fisso imbambolata il mio uomo che mi aspetta all’altare. Okay, non sarà un vero e proprio altare, ma va bene lo stesso. Non ho alcuna esigenza di sposarmi in chiesa, non importa chi celebrerà il nostro matrimonio, l’importante è sposare l’amore della mia vita e padre dei figli che porto in grembo.
Il silenzio in questa macchina è opprimente, ma nessuno ha il coraggio di dire una sola parola, nemmeno Luca. Siamo tutti super agitati e io sto cercando in ogni modo di rimanere calma, anche se è praticamente impossibile. Chiudo gli occhi, cercando di controllare il respiro. Mio padre mi prende la mano e la tiene stretta fra le sue. Muove ritmicamente una gamba, non riesce a stare fermo. La sua bambina si sta per sposare e lui ha una paura esagerata, non riesce a nascondermelo. Gli bacio la guancia barbuta: ho voluto io che non si rasasse, mia madre stava dando nuovamente di matto, ma a me piace con un po’ di barba. Il matrimonio è il mio e mia madre non ha insistito più di tanto. Mai mettersi contro di me, soprattutto da quando sono incinta.
Procediamo lungo il viale tra i vigneti che porta alla villa della famiglia Rossini e l’ansia raggiunge livelli assurdi, peggiora quando varchiamo il grande cancello.
«Tranquilla». Mio padre mi stringe la mano, cercando di rassicurarmi.
Ci sono macchine parcheggiate ovunque, ma hanno lasciato libero il passaggio per l’auto della sposa. Luca si ferma proprio davanti un grande telone bianco. Ci sono dei fiori ad abbellirlo tutt’intorno. La signora Rossini ha fatto le cose in grande per il ricevimento. Marco mi sta aspettando davanti a uno dei tanti vigneti. C’è un arco decorato con una infinità di fiori bianchi, nel mezzo c’è lo zio del mio uomo, pronto a unirci in matrimonio. Gli invitati sono tutti in piedi, stanno aspettando solo me. Non riesco a distinguere tante facce, l’unica persona che vedo in questo momento è lui, l’uomo che sta per diventare mio marito. È bellissimo nel vestito che ha scelto per l’occasione, anche se su di lui starebbe bene qualsiasi cosa. Il suo sorriso è talmente luminoso mentre posa lo sguardo su di me, che non posso far altro che sorridergli a mia volta. I nostri occhi sono incatenati tra loro e il mio cuore sta scoppiando di gioia. Tutta la mia paura, tutta la mia ansia è sparita, lasciando posto a una gioia esagerata. Quando mi ritrovo davanti a lui, capisco davvero che è lui l’uomo con il quale voglio invecchiare, l’uomo che amerò fino alla fine dei miei giorni, finché morte non ci separerà.
 
 
°°°
 
Oggi è il mio giorno, il nostro giorno, mio e di Serena. Non posso davvero credere che fra poche ore diventerà mia moglie, sembra un sogno, un sogno meraviglioso. Ricordo ancora quando le ho fatto la proposta in quel castello nel veronese, la mia paura di venire rifiutato. Lo so, era una paura infondata, ma l’insicurezza si era impossessata di me in quel momento, avevo il terrore che non fosse pronta e, invece, mi sbagliavo. Ora, quasi un anno dopo, stiamo per diventare marito e moglie. Al solo pensiero mi scoppia il cuore dalla felicità.
«Che cosa fai qui in piedi con quella espressione da demente?». Lorenzo si gratta la testa mentre si avvicina a me. Mi sono bloccato davanti la finestra della sala, con una tazza di caffè ormai freddo in mano. Ero immerso in mille pensieri e ho perso la cognizione del tempo.
I miei soci si sono fermati qui con me stanotte, saranno tutti e tre i miei testimoni. Non avrei mai potuto escluderli da questo giorno importante e, soprattutto, non avrei mai potuto scegliere solo uno di loro. Diciamo che abbiamo fatto un addio al celibato a modo nostro, con birra e poker. Nessuno voleva andare per locali ad ubriacarsi e nessuno sentiva l’esigenza di andare in qualche locale di spogliarello, come si usa tanto fare. Forse stiamo diventando vecchi o forse tutti abbiamo già una donna che ci soddisfa. Paolo sta dimenticando la mia Serena o almeno spero. Come pattuito, non abbiamo mai più parlato della questione. Lui si vede con Sara da quando Serena gliel’ha presentata a tradimento. Sembrano andare d’accordo e, chissà, magari potrà nascere anche un amore. Forse è un po’ troppo presto per parlare di un sentimento tanto forte, ma mi auguro soltanto che Paolo possa essere felice accanto a una donna di cui è innamorato e che non sia Serena.
«Stavo meditando», rispondo con lo sguardo perso nel vuoto.
«Stavi contemplando i misteri della vita? Non è che per caso ti sei fumato qualcosa di buono stanotte e non ce l’hai nemmeno offerto?». Il mio socio incrocia le braccia al petto e mi osserva con un ghigno divertito stampato in volto. Sa essere davvero stronzo quando ci si mette.
«Come siamo spiritosi questa mattina», borbotto riscuotendomi dal mio torpore e portando la tazza al lavello. Diablo mi raggiunge di corsa e, con un balzo, me lo ritrovo sul lavandino, il suo muso allungato verso la mia mano.
«Vorresti da mangiare tu?», chiedo al felino carezzandogli distrattamente il pelo. Ho scarsa concentrazione stamattina e credo che presto mi farò prendere dal panico. Questa finta calma mi spaventa parecchio.
«Un bel cornetto caldo lo prenderei volentieri». Lorenzo si siede al tavolo della cucina e sbadiglia rumorosamente, stirandosi.
Mi appoggio con la schiena al mobile e lo fisso con un sopracciglio inarcato.
«Era solo un’idea». Si giustifica lui in un borbottio.
«Peccato che io stessi parlando con Diablo». Gli faccio notare ridacchiando.
Il mio socio sposta lo sguardo verso il felino che si sta coccolando sulla mia spalla e una smorfia appare sul suo viso. Paolo e Giorgio appaiono alle sue spalle e mi dicono di stare in silenzio portandosi l’indice sulle labbra. Si mettono ad urlare dritto nelle sue orecchie e Lorenzo si alza di scatto portandosi una mano al petto.
«Voi siete delle emerite teste di cazzo!», tuona contro di loro e poi, voltandosi nella mia direzione, mi punta un dito contro. «Tu non sei da meno».
«Che cosa c’entro io?», chiedo portando le mani avanti con aria da innocente.
«Potevi avvertirmi che questi cretini stavano per tendermi un agguato», rispose risentito.
«Sono stati rapidissimi, non ne ho avuto il tempo». Mi giustifico stringendomi nelle spalle.
«Ogni scusa è buona per lavarsene le mani, vero?». Socchiude gli occhi, fulminandomi all’istante.
«Verissimo», confermo io scoppiando a ridere.
«Ti auguro che Serena arrivi in ritardo e ti faccia entrare nel panico». Mi minaccia con un sorrisetto malefico sulle labbra.
Mi verrebbe la tentazione di afferrare Diablo e lanciarglielo contro, ma ho paura che il mio felino si faccia male, allora desisto. Per farmi perdonare per questo mio pensiero, apro una scatoletta, la sua preferita, e gliela svuoto nella sua ciotola. Lui gradisce appieno e la spazzola nel giro di pochi minuti.
«Sembra un aspirapolvere», commenta Paolo osservando il mio gattone che si lecca i baffi soddisfatto.
«Che ne dite di prepararci e raggiungere villa Rossini?», propone Giorgio.
«Direi che è un’ottima idea», dico sorridendo loro.
Mi dirigo in bagno e mi butto sotto la doccia, cercando di lavare via un po’ della tensione che si è impossessata di me. Sono in uno stato di vera e propria calma apparente: visto dall’esterno sembro l’uomo più tranquillo sulla faccia della Terra, dentro sto tremando per la paura. So che non lo farebbe mai, ma se non si presentasse e mi lasciasse sull’altare? So anche che non ci sarà un vero e proprio altare, ma potrebbe lasciarmi ugualmente nel momento cruciale. Dovrei smettere di farmi paranoie assurde, Serena non si sognerebbe nemmeno lontanamente di giocami questo bruttissimo scherzo! Porta in grembi i miei figli, perché mai dovrebbe abbandonarmi il giorno delle nozze? Quanto sono idiota! Giro il rubinetto fino a far diventare l’acqua ghiacciata e metto la testa sotto. Un urlo sfugge al mio controllo. Devo essere davvero impazzito per fare una cosa simile a dicembre! D’estate non sarebbe stato un problema, con quaranta gradi all’ombra poi sarebbe addirittura il massimo, ma non con dieci gradi fuori. Esco dalla cabina alla velocità della luce e mi avvolgo nel mio grande asciugamano, sto tremando. Se Serena fosse stata con me, mi avrebbe preso in giro per mezzora e avrebbe pure avuto ragione.
Quando esco dal bagno, i mie tre soci sono davanti a me e mi guardano con un sorrisetto stupido sulle labbra. Che diavolo hanno ora?
«Ti abbiamo sentito urlare sotto la doccia, che cosa stavi combinando?», chiede Giorgio.
«Assolutamente nulla e non ho urlato», mento spudoratamente come se davvero potesse bastare a far desistere i miei migliori amici.
«Vallo a raccontare a qualcun altro», sbotta Lorenzo divertito. «Non ti tartasseremo per scoprire la verità solo perché ti stai per sposare e ho come la sensazione che stai per dare di matto».
Mi afferra per un braccio e mi accompagna in camera dove, appeso all’armadio, si trova il mio vestito. Ho mandato proprio lui a ritirarmelo, hanno dovuto accorciarmi di poco i pantaloni, altrimenti erano troppo lunghi. Ho evitato come la peste la boutique dove lavora Grazia, non avrei messo piede lì dentro nemmeno se mi avessero regalato il completo. Una piccolissima parte di me avrebbe voluto fare la bastarda e andare in quel negozio solo per ricordarle ancora una volta che sto per sposare una donna che non è lei. Non sarebbe mai stata lei, anche se non si è mai messa l’anima in pace. Almeno quel coglione di Massimo si è dato alla macchia e non si è più nemmeno fatto vivo, per sua fortuna. A quanto pare ha ancora voglia di restare a questo mondo. L’avrei mandato volentieri su un altro pianeta con un calcio ben assestato dove non batte mai il sole, ma non ne ho mai avuto l’occasione e quasi quasi mi dispiace di questo. Sarei stato felice di aiutarlo a trasferirsi.
Fortunatamente mia madre conosceva un altro negozio ben conosciuto dove poter andare a comprare il vestito e, per mia immensa gioia, sono stato obbligato a portarla con me. Voleva esserci a tutti i costi e mi sembrava brutto non assecondarla. È stata brava, lo ammetto, non si è mai intromessa nella decisione.
Osservo quel completo nero e sospiro: fra un’ora Serena mi vedrà con addosso quel pezzo di stoffa e mi auguro di aver fatto la scelta giusta. Lei sarà bellissima in quel suo abito da sposa e io non voglio sfigurare al suo fianco.
«Smettila di pensare a quello che stai pensando». Mi ammonisce Lorenzo dandomi uno scappellotto senza alcun preavviso.
Mi massaggio la parte indolenzita, guardandolo in malo modo. È per caso impazzito?
«Devi darti una mossa e basta. La tua donna sarà emozionata almeno quanto te, perciò smettila e fai l’uomo. Un uomo non mostra le sue debolezze, deve essere sicuro di sé, camminare a testa alta». Si blocca all’improvviso e si guarda intorno alla ricerca di qualcosa. Siamo soli nella stanza, non so che fine abbiano fatto gli altri due. Cerco di capire che cosa il mio socio stia combinando, ma non ci riesco proprio. Sto per aprire bocca, ma me lo ritrovo addosso. Mi abbraccia forte, battendomi il pugno sulla spalla.
«Cazzo, socio, ti stai per sposare!», esclama a bassa voce, sembra parecchio emozionato e la cosa mi sorprende parecchio.
Ricambio l’abbraccio, anche se non so bene come comportarmi in questo momento. Lorenzo non è mai stato tipo da dimostrazioni d’affetto di questo tipo.
«Ma che bella scenetta!». Giorgio tiene in mano il suo cellulare e ci scatta una foto avvinghiati in questo modo. «Posso usarla come mezzo di ricatto quando ne avrò bisogno».
Mette via il telefono e prorompe in una fragorosa risata. Lorenzo lo fulmina con lo sguardo e incrocia le mani al petto. Paolo osserva tutto in disparte, ridendosela sotto i baffi. Si è anche rasato per l’occasione. In effetti, ora che ci faccio caso, si rade sempre da quando abbiamo chiarito. Probabilmente ora si sente più in pace con se stesso.
«E io ti porto in tribunale per un reato qualsiasi, tanto per farti il mazzo. Te lo ricorderesti per il resto della tua vita, te lo posso garantire!», ringhia Lorenzo a denti stretti.
«Non mi fai paura», commenta Giorgio tenendo testa al mio socio.
«Vedremo se non avrai paura quando dichiarerò che sei un cretino davanti a una giuria», dice Lorenzo cambiando espressione e cercando di non ridere. «Siete tutti dei coglioni, ma non vorrei avere degli amici diversi da voi».
«Cazzo, mi sono dimenticato di accendere il registratore!», sbotto coprendomi la bocca con la mano un attimo dopo.
«Ah ah ah». Lorenzo mi guarda in tralice e poi sbuffa. «Vestiti, cazzone!».
Caccio tutti dalla camera e mi preparo lentamente, senza fretta. Non voglio sembrare sciatto il giorno delle mie nozze con la donna della mia vita. Quando apro la porta, anche loro tre sono pronti. Paolo si avvicina a me e mi sistema la cravatta. In effetti ho fatto parecchio fatica ad allacciarmela, le mani mi tremavano a dismisura e non riuscivo a fare un nodo perfetto. Per fortuna il mio socio è venuto il mio soccorso. Lo ringrazio con un cenno del capo, lui mi dà un’affettuosa pacca sulla spalla. Sono felice che le cose tra di noi siano tornate come un tempo.
Saliamo tutti sulla macchina di Lorenzo e partiamo in direzione villa Rossini. La mia gamba destra si muove frenetica, come mossa da vita propria. Non riesco minimamente a controllarla e questa cosa mi fa agitare ancora di più. Nessuno parla durante il tragitto, non so se sia un bene o un male per la mia ansia, ma sicuramente non sono in vena di intavolare alcun tipo di discorso in questo momento. Mi viene perfino da vomitare da quanto sono agitato.
Una volta a destinazione, mia madre mi accoglie immediatamente con un abbraccio materno alquanto rassicurante. Mi prende il viso tra le mani e mi osserva attentamente, ha gli occhi lucidi.
«Il mio piccolino si sposa», dice lasciando che una lacrima scenda a rigarle la guancia. La asciugo con il pollice e le sorrido. Nonostante non sia più tanto giovane, rimango comunque il suo piccolo ometto, l’unico figlio maschio.
«Sei pronto?», chiede accarezzandomi dolcemente il viso.
«Pronto a sposare Serena sicuramente, pronto emotivamente non molto. Sono un fascio di nervi». Ammetto senza alcun problema, inutile fingere quello che sto provando in questo momento.
«Sarebbe strano il contrario, tesoro». Mi rassicura lei con un sorriso.
Daniele ci raggiunge di corsa e si aggrappa alla mia gamba. Lo prendo in braccio e lo stritolo in un abbraccio.
«Zia Serena sarà una principessa oggi», sussurra al mio orecchio.
«Lo so, squaletto». Non vedo l’ora di posare i miei occhi su di lei e perdermi in quei suoi occhi verdi che tanto amo.
Raggiungiamo il resto dei parenti e amici all’interno del tendone che mia madre ha fatto allestire per il ricevimento. Stanno tutti chiacchierando tranquillamente, sorseggiando del vino e mangiando degli stuzzichini. Appena mi vedono arrivare, con Daniele avvinghiato a me, smettono di fare bisboccia e vengo accerchiato. Volente o nolente oggi sarò al centro dell’attenzione assieme a Serena. Abbiamo invitato il minor numero possibile di invitati, ma non potevamo escludere tutti a prescindere. Ci siamo limitati ai parenti e amici più stretti. La cerimonia si terrà all’esterno, accanto ai vigneti. La temperatura non è proprio l’ideale, ma non sarà lunghissima. Mio zio attira la mia attenzione, ha appena visto arrivare la macchina di Serena. I suoi parenti erano già arrivati venti minuti fa.
Okay, bene, prendo dei respiri profondi e mi metto in posizione. Comincio a muovermi nervosamente sul posto, inspirando ed espirando. Sono i minuti più lunghi di tutta la mia vita. I miei genitori mi sorridono dalla prima fila, le mie sorelle sono super emozionate, le mie nipotine sono tutte vestite come delle vere signorine, stanno crescendo anche loro. Fisso la mia famiglia per non pensare a nulla. Quando, però, vedo arrivare il mio futuro suocero con al braccio la figlia, la mia bellissima Serena, non riesco a far altro che guardare lei. I nostri occhi rimangono incatenati tra loro mentre percorre quei pochi metri che ci separano. È davvero meravigliosa in quell’abito, le sta divinamente e non nasconde per niente il suo ventre sporgente. Fin dall’inizio ha detto che non si sarebbe vergognata di far vedere a tutti il frutto del nostro amore. In questo momento mi sono innamorato ancora una volta di lei.
Quando è di fronte a me, non capisco più niente. Le prendo le mani e ho la certezza che sia davvero lei la donna che stavo aspettando da tutta la vita, la donna che ha rubato il mio cuore, la donna che amerò fino alla fine del tempo.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Eccomi tornata! Spero di esservi mancata almeno un po’. Prometto che non mi assenterò più tanto, almeno non fino alla prossima estate, ormai il lavoro mi chiama ;) Ed eccoci arrivati al tanto atteso matrimonio. Ho pensato di dividerlo in due parti… il prima e il dopo… non potevo ridurlo tutto in un unico capitolo. Martedì prossimo scopriremo come è andata la cerimonia. Siete emozionati? Un grazie immenso a tutti voi che mi seguite con affetto.
Un bacione,
Ire.

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Capitolo 19
*** Un milione di volte sì ***



 
 

Capitolo Diciannove 

Un milione di volte sì



 
«Marco intendi prendere in moglie la qui presente Serena?».
«Un milione di volte sì, lo voglio». Guardo negli occhi questa donna bellissima mentre pronuncio il tanto atteso sì, lei mi sorride emozionata e sta facendo uno sforzo tremendo per non mettersi a piangere, la conosco troppo bene.
«Serena intendi prendere in marito il qui presente Marco?».
Lei prima annuisce vistosamente e, poi, con la voce rotta dall’emozione risponde: «Sì, lo voglio».
Lorenzo mi porge fieramente la scatolina con all’interno le fedi. Prendo quella di Serena e la infilo al suo anulare. La sua mano sta tremando, ma anche la mia non è da meno. Serena infila l’altra fede al mio dito e mi sento pervadere da una gioia immensa. Tengo la sua mano stretta nella mia.
«A seguito della vostra risposta affermativa io dichiaro in nome della Legge che siete uniti in matrimonio».
Non so se posso farlo o meno, ma me ne frego altamente: bacio mia moglie davanti a tutti, un bacio davvero poco casto. Gli invitati applaudono e fischiano nella nostra direzione. Sono così felice in questo momento, tutta l’ansia è svanita così come si era presentata.
«Se volete, ora potete leggere le vostre promesse, così poi possiamo passare alle firme». Ci istruisce mio zio con un sorriso
Non sono mai stato bravo a mettere per iscritto i miei sentimenti e nemmeno Serena lo è, ma abbiamo pensato che poteva essere un’idea carina per personalizzare questa cerimonia. Mi vergogno terribilmente a leggere ciò che ho scritto, Lorenzo potrebbe usare anche questo come mezzo di ricatto e ci saranno perfino dei filmati a ricordarmi questa figuraccia, però lo devo a Serena, a mia moglie. Fa davvero strano pensare di essere il marito di qualcuno, devo ancora farci l’abitudine. Decido di cominciare io, via il dente via il dolore.
Mi schiarisco la gola, mentre estraggo il foglio dalla tasca dei miei pantaloni. Non me lo sarei mai ricordato a memoria, non oggi.
«Se mi avessero detto che mi sarei innamorato di quella pazza che aveva rigato accidentalmente la mia auto, avrei detto loro che si erano bevuti il cervello. Io non potevo mai stare con una donna che non sapeva nemmeno guidare».
Serena mi lancia un’occhiata divertita e mi osserva attentamente, cercando di non ridere.
«Quella pazza mi aveva perfino rovesciato un cappuccino sulla mia camicia nuova, scottandomi per giunta. Io, cretino come sono, mi sono innamorato comunque di lei. Conoscendola mi sono reso conto quanto fosse speciale: non era soltanto bella, era anche intelligente, ironica, pungente e soprattutto era la donna per me. Sposarmi era proprio l’ultimo dei miei pensieri e anche qui ho sbagliato tutto. Le ho chiesto di sposarmi, forse il luogo era fin troppo romantico per noi, ma lei ha detto sì e tutto il resto non contava più. Non avevo mai pensato ad avere dei figli tutti miei, solo perché non era ancora entrata lei nella mia vita. Ora quella donna fantastica è diventata mia moglie e porta in grembo due meravigliosi bambini, figli che abbiamo tanto desiderato e che ameremo sopra ogni cosa». Alzo lo sguardo dal foglio e riprendo a parlare di getto, ho bisogno di guardarla negli occhi. «Serena, sono felice che tu mi abbia rigato la macchina, se non lo avessi fatto, probabilmente ora non saremo qua e tu non saresti mia moglie. Sei bellissima oggi, in effetti lo sei sempre per me, anche appena sveglia, senza un filo di trucco. Sei semplicemente la perfezione per me. Ti amo più di ogni cosa al mondo e non smetterò mai un solo istante di farlo, non potrei. È impossibile per me non amarti, come è impossibile non respirare. Ti amerò fino alla fine del tempo e poi oltre, in tutte le mie vite future amerò sempre e soltanto te».
I suoi occhi sono lucidi e le lacrime non tardano a scendere lungo il suo viso. Le accarezzo una guancia, asciugando quelle tracce salate. Forse sono stato un po’ troppo zuccheroso, ma mi è uscita così e non mi andava di rimuginarci troppo sopra. Credo che le mie parole rispecchino i miei veri sentimenti e pensarci troppo avrebbe reso il tutto meno spontaneo.
Stella passa un foglietto a Serena, lei non aveva tasche dove tenere la sua promessa. Spero tanto di non mettermi a piangere di fronte a tutte queste persone, non ci farei una gran bella figura.
Lei prende un bel respiro e poi comincia a leggere, con voce bassa e tremante.
«Ogni giorno mi chiedo che cosa ho fatto di buono in una delle mie vite passate per avere un uomo meraviglioso come te al mio fianco. All’inizio nemmeno ti sopportavo, eri irritante, consapevole del tuo fascino e io non volevo innamorarmi. A un tratto, però, ho guardato oltre il tuo aspetto e ho scoperto un uomo fantastico, dolce, protettivo, con un cuore grande, ma allo stesso tempo forte, caparbio e dannatamente cocciuto. Mi sono innamorata di quell’uomo, di tutti i suoi pregi e tutti i suoi difetti, e ogni giorno che passa me ne innamoro nuovamente, non riesco a fare altro. Credo di essere nata per amare te, Marco. Prima di conoscerti non conoscevo nemmeno il vero significato della parola amore e ti ringrazio per avermi insegnato come si fa ad amare. Sono orgogliosa di essere diventata tua moglie oggi e sono immensamente felice di portare in grembo i tuoi figli, i nostri figli. Sei la mia metà perfetta, l’amore della mia vita, il mio complice, il mio amante, il mio tutto. Mi capisci con un solo sguardo, sai già quello che provo, come mi sento, senza dire una sola parola. Ti amo Marco, ti amo come non ho mai amato nessuno e ti amerò finché avrò vita».
Le mani che tengono il foglio stanno tremando vistosamente, una sua lacrima cade sull’inchiostro, bagnando quelle parole pregne di amore nei miei confronti. Non riesco a nascondere ciò che provo, la bacio di nuovo e le nostre lacrime si mescolano tra loro, amplificando la nostra emozione.
Mio zio attira la nostra attenzione, abbiamo ancora tutti i documenti da firmare e dobbiamo farlo prima che gli invitati diventino dei ghiaccioli qua fuori. Un milione di scartoffie dopo, posso dire con certezza che ora Serena ed io siamo ufficialmente marito e moglie.
Jonathan ci rapisce per le foto di rito, ne facciamo moltissime, in varie parti della tenuta. Coinvolge anche le nostre famiglie, i testimoni, non vogliamo perdere un solo istante di questa giornata meravigliosa. Un’ora dopo raggiungiamo i nostri ospiti sotto il tendone. Serena cominciava ad essere parecchio stanca e non voglio che si affatichi più del dovuto, anche se questo è il nostro giorno. I nostri figli hanno la precedenza su tutto.
«Le mie caviglie sembrano dei salsicciotti», brontola sedendosi al tavolo riservato agli sposi.
«Vorrà dire che le cucineremo con i crauti domani», commento buttandola sul ridere.
«Sei spiritoso, Shark. Questa giornata ti ha messo di buon umore». Mi prende in giro lei con un sorrisetto sghembo sulle labbra.
Mi stringo nelle spalle e fingo disinteresse. «Sarà colpa del vinello che ho bevuto mentre aspettavo che arrivassi. Ho messo in corpo un po’ di alcol per sopportare meglio l’attesa. Se poi non ti fossi presentata, mi sarei scolato l’intera cassa».
Serena ridacchia a questa mia sparata. «E pensare che ti ho appena sposato! Sei proprio un idiota».
«A questo punto l’idiota sei tu che hai detto sì». Le bacio la guancia arrossata.
«Certo che vuoi sempre avere l’ultima parola! Come sei fastidioso», borbotta fingendosi irritata.
«Sono più fastidioso di una mosca in una giornata afosa. Hai presente quelle mosche rompipalle che continuano ad attaccarsi su ogni parte del tuo corpo e non riesci a liberartene? Ecco, io sono fastidioso a tal punto», dico avvolgendole le spalle con un braccio e baciandole la tempia.
«Che brutta immagine però», commenta lei divertita.
I camerieri cominciano a servire ai tavoli, ho sentito alcuni parenti lamentarsi per la fame, almeno ora possono riempirsi la bocca e smettere di brontolare. Il cibo è ottimo, anche se non riusciamo a mangiare moltissimo. C’è sempre qualcuno che viene a disturbarci per farci le congratulazioni o fare due chiacchiere. Anche mio nipote Daniele si è presentato da noi ed è rimasto sulle mie ginocchia per un po’, facendosi coccolare da me e Serena. Ora è a tutti gli effetti la sua zia preferita. Quando vengono serviti i secondi, lo squaletto decide di tornare al suo tavolo. Per qualche minuto rimaniamo in santa pace, fino a quando i nostri testimoni non ci raggiungono quasi di corsa e ci circondano, facendo sussultare entrambi. Spero non abbiano in mente di farci qualche scherzo: ho severamente vietato ai miei soci di fare qualcosa che possa agitare mia moglie. Mia moglie. Ora posso presentare a tutti la mia donna come tale.
«Non mi avrete mica giocato un brutto scherzo, non è vero?», chiedo guardando in tralice a turno i miei migliori amici.
«Nessun brutto scherzo, anche perché hai minacciato di tagliarci le palle se avessimo tentato di fare qualcosa che sua Maestà non avrebbe gradito», risponde Lorenzo piantando entrambe le mani sul nostro tavolo.
«D’ora in avanti chiamami Sire», gli dico mordendomi l’interno della guancia per non ridere.
«Sire un cazzo!», sbotta lui fulminandomi con lo sguardo.
«Sboccato». Stella lo colpisce con una mano sul coppino e lui sbuffa.
«Scusa, amore», le dice rivolgendole un sorriso dolce. Devo ancora fare l’abitudine a questi suoi repentini cambiamenti in presenza della sua donna. Sembra proprio Dottor Jekyll e Mr. Hyde.
«Visto che non potevamo farvi impazzire con scherzi stupidi, abbiamo pensato di farvi un regalo». Si intromette Luca impossessandosi della scena. Credo che non vedesse l’ora di avere i fari puntati su di sé. Nemmeno il giorno del nostro matrimonio quei due riescono a smettere di gareggiare.
Marica fa un cenno a qualcuno poco più in là e, un attimo dopo, un gruppo musicale sale sul piccolo palco installato in fondo al tendone.
«Nessuno aveva pensato alla musica per il vostro ricevimento e così lo abbiamo fatto noi. Jonathan conosceva questi ragazzi inglesi e ce li ha vivamente consigliati. Si chiamano Stripaad». Ci spiega Paolo con il sorriso sulle labbra.
I quattro ragazzi cominciano a suonare, intonando una canzone romantica.
«È il vostro momento», dice Stella invitandoci ad alzarci e a ballare insieme per la prima volta come marito e moglie.
Offro la mano a Serena e lei la afferra con gli occhi lucidi, sono felice che abbia apprezzato il pensiero dei nostri amici, è stato davvero carino da parte loro pensare anche a questo. Sinceramente la musica del ricevimento era l’ultimo dei miei pensieri.
Raggiungiamo lentamente il palco, attiro poi mia moglie a me. Le braccia di Serena si allacciano intorno al mio collo, le mie mani si posano sui suoi fianchi. Ondeggiamo al ritmo di quella melodia dolce, guardandoci negli occhi e sorridendo come degli scemi. Mi sento così bene, l’ansia è svanita nel nulla, ora mi sto godendo appieno questo nostro momento. Un po’ per volta anche altre coppie si uniscono a noi per quel ballo: la vera festa inizia ora.
Dopo un paio di canzoni, Serena comincia a sentirsi stanca.
«Vorrei sedermi un po’, se non ti dispiace», mi dice sfiorando poi le mie labbra con le sue.
«Certo che non mi dispiace, amore. Non devi strapazzarti». La prendo per mano e la accompagno su un divanetto che mia madre ha fatto preparare apposta per lei. Ha pensato proprio a tutto per farla sentire a proprio agio e non l’ho nemmeno ringraziata per aver pensato alle sue esigenze di donna in dolce attesa. Nemmeno Serena si immaginava un tale trattamento ed è rimasta piacevolmente sorpresa. La aiuto a mettersi comoda sui cuscini, allungando le gambe su un pouf che ho trovato al lato del divano. Non manca proprio nulla. Daniele ci mette due secondi netti a raggiungerci e a sistemarsi accanto alla mia donna. Questo ometto prima o poi vorrà prendere il mio posto, devo stare molto attento. Serena avvolge un braccio lungo le spalle di mio nipote e lo attira a sé, lasciandogli un delicato bacio tra i capelli. Lui si stringe a lei senza alcuna vergogna. Mia sorella Lucrezia ci sta osservando poco più in là e sorride. La raggiungo con passo spedito.
«Vuole onorami di questo ballo?», le chiedo con un sorrisetto sghembo.
«Oh cavaliere, come potrei mai rinunciare a questa opportunità», risponde lei con tono teatrale, portandosi una mano allo bocca.
Le offro la mia mano, facendole un inchino e lei scoppia a ridere, buttandomi le braccia al collo un istante dopo.
«Fratellino, è proprio una bella festa», mi dice posando la testa sulla mia spalla e lasciandosi cullare dalla musica.
«È venuta bene, lo ammetto». La stringo a me, baciandole delicatamente il capo.
Amo la mia famiglia, sono fortunato ad avere delle persone tanto meravigliose nella mia vita. Osservo Serena strapazzare mio nipote di baci: sono entrambi sorridenti e spensierati, io, invece, sono un uomo felice. Non credo di esserlo mai stato così tanto come in questo giorno speciale.

 
°°°
 
Non ci posso credere: sono la moglie di Marco! La signora Rossini. No, okay, così mi sento tanto mia suocera. Stringo a me mio nipote e mi sento alla grande. Hanno pensato proprio a tutto in questo giorno di festa. Mi hanno perfino sistemato un divanetto per farmi riposare, mi sento tanto amata e coccolata.  Mio padre si presenta accanto a me e si siede sul bracciolo, guardando dritto davanti a sé. Il mio papino adorato.
«Vuoi ballare con me, papi?», gli chiedo posando una mano sul suo braccio, attirando la sua attenzione.
Lui finalmente si volta a guardarmi e mi sorride dolcemente, alzandosi dal bracciolo. Daniele mi lascia andare controvoglia, ma non posso trascurare mio padre in questo giorno particolarmente difficile per lui. La sua bambina si è appena sposata, è diventata grande e sta perfino per diventare madre.
Lo trascino sulla piccola pista e gli allaccio le braccia attorno al collo. Affianco Marco che sta ballando con Lucrezia, entrambi mi sorridono felici. Mio padre sembra un tronco di legno, ma non è che io sia da meno. Non ho mai ballato in tutta la mia vita, non sono mai stata tipo da discoteca o altri tipi di ballo in genere. I miei amici ed io ci siamo sempre divertiti in altri modi.
Quando finisce la canzone, Luca si presenta accanto a noi.
«Scusami, Francesco, posso rubarti la figlia per qualche minuto?», gli domanda speranzoso.
«Posso, Marco?», chiede poi a mio marito. Oh mamma, marito! Mi fa davvero strano chiamarlo in questo modo, dovrò farci l’abitudine.
Marco gli posa una mano sulla spalla. «Certo che puoi, ma non».
«Non la devo strapazzare, lo so». Luca finisce la frase al posto suo, alzando gli occhi al cielo.
«Ecco, bravo, vedo che hai già capito tutto». Lo prende in giro il mio uomo ridacchiando. Nel frattempo anche Chiara richiede l’attenzione del mio uomo e così cambia sorella con cui ballare.
Luca mi prende per i fianchi, avvicinando i nostri corpi, pancione permettendo. Poso le mani sulle sue spalle, poggiando la fronte contro la sua.
«La mia cucciolina è diventata la moglie di qualcuno. Non un qualcuno qualsiasi. La moglie di un pezzo di manzo», mormora per non farsi sentire dal diretto interessato e dalle persone intorno a noi. Dubito comunque che ci possano sentire con il volume della musica così elevato.
«Dovevo scegliermi un vecchio ereditiere?». Un sorrisetto si forma sulle mie labbra.
«No, decisamente no. Fin da piccoli ti ho sempre detto di sposare uno figo e con i soldi. Sono felice che almeno una volta nella tua vita mi hai dato ascolto», risponde divertito.
Lo colpisco dietro al collo con la mano aperta, lievemente. Mi scosto leggermente per poterlo guardare negli occhi, sembra rattristarsi.
«Che succede, tesoro mio?».
I suoi occhi si inumidiscono e sospira. «Ho paura di perderti del tutto ora che hai una famiglia tutta tua. Fra pochi mesi arriveranno anche i gemellini e poi non avrai più tempo per noi, per me».
Poso la testa sulla sua spalla, insinuando le dita tra i suoi capelli e accarezzandogli delicatamente la nuca.
«Non mi perderai mai, te lo prometto. La mia vita non avrebbe alcun senso se tu non ne facessi parte e poi avrò bisogno di baby sitter per i mostriciattoli», dico posandogli un leggero bacio sul mento sbarbato per questo giorno importante.
«Sarai per sempre la donna della mia vita», sussurra baciandomi la fronte.
L’ingresso di Michele attira la mia attenzione. Mi aveva avvisato che non sarebbe venuto alla cerimonia, ma che avrebbe provato a raggiungerci durante il ricevimento. Luca guarda nella mia stessa direzione.
«Guai in vista?», chiede liberandosi dalla mia presa e sistemandosi al mio fianco. Marco si mette alla mia destra, faccio scivolare la mia mano nella sua.
«Non è venuto a rovinarci la festa, vero?». Anche lui non sembra molto convinto della sua improvvisata.
«Spero di no per lui, altrimenti gli sego via le gambe», commenta Luca a denti stretti. Non ha mai cambiato opinione sul suo conto e non lo biasimo. Io, ancora adesso, non so se fidarmi delle sue buone intenzioni. Sono certa che lui ami ancora Marica, ma non so se riuscirà mai a renderla del tutto felice, questo lo possono sapere soltanto i diretti interessati.
«Io ti presto la motosega», aggiunge mio marito con un sorrisetto malevolo.
«Voi due dovreste guardare meno film dell’orrore», mugugno scuotendo la testa.
Marica sta chiacchierando allegramente con Stella, tenendo in braccio Eleonora e riempiendola di baci. Decido di avvicinarmi di più, per osservare meglio la scena e magari captare qualche parola. I due uomini mi seguono, sembrano le mie guardie del corpo in questo momento e la cosa è parecchio divertente. Mi siedo nuovamente sul mio divanetto personale: è in una posizione strategica e posso controllare tutto senza destare sospetti. Marco e Luca si sistemano alle mie spalle. Marco si abbassa all’altezza del mio viso.
«Sicura di sapere quello che fai?», chiede con una punta di preoccupazione nella voce.
«Diamogli un po’ di fiducia», rispondo carezzandogli una guancia.
«Io continuo a non fidarmi di quel cornificatore», borbotta Luca.
Vorrei ricordargli che anche Marica l’ha tradito con un altro, ma non ho voglia di mettermi a fare precisazioni di questo genere il giorno del mio matrimonio.
Marica si accorge della presenza di Michele solo quando lui è a pochi passi dal suo tavolo. Lei lo fissa sgomenta, incapace di dire una sola parola. Sicuramente non si aspettava che lui si presentasse oggi. L’uomo prende una sedia e si avvicina a lei. Stella si riprende la figlia, recupera Lorenzo che sta chiacchierando con Giorgio e Lara poco più in là, raggiungendoci. Si siede accanto a me e io, già che ci sono, reclamo la mia figlioccia. Tengo Eleonora tra le mie braccia e le bacio la punta del naso. È proprio una principessina.
«Che cosa sta succedendo?», domanda Lorenzo sistemandosi insieme ai due uomini alle nostre spalle.
«Spettacolo in prima fila, che cosa volete di più?», dico facendo delle smorfie a Eleonora, lei ride felice.
Onestamente non si capisce una sola parola di quello che Michele sta dicendo a Marica. Forse questa postazione non era proprio così strategica come credevo. Lui le prende entrambe le mani e le tiene strette nelle sue. Marica si morde il labbro inferiore, mentre le lacrime scendono a rigarle le guance. Non sembra arrabbiata, non sembra spaventata. Michele, invece, sembra un cagnolino bastonato e ho come l’impressione che fra poco scoppierà a piangere come un bambino.
«E io che pensavo di poter ascoltare tutto». Si lamenta Stella lasciandosi andare mollemente sul divanetto.
Anch’io avevo la stessa speranza, ma ci è andata male e dovremo aspettare il resoconto da parte di Marica. Che ingiustizia!
«Forse lo spettacolo non è del tutto rovinato», esclama Luca mettendo una mano davanti al mio naso e indicandomi due persone poco più in là che stanno ballando avvinghiati.
Sono Paolo e Sara, sembra si stiano davvero divertendo. Lui le sta parlando con il sorriso sulle labbra e lei ride portandosi una mano davanti la bocca. Sono così teneri insieme che quasi mi viene da piangere. Io mi auguro davvero che tra di loro possa nascere qualcosa di bello. Si scambiano un delicato bacio sulle labbra e io mi sciolgo completamente. Forse ci avevo visto giusto davvero, sono orgogliosa di averli fatti incontrare.
«Come sono carini!», esclamiamo in coro Luca, Stella ed io.
«Certo che voi tre a volte mi fate paura», commenta Lorenzo divertito.
Michele invita Marica a ballare e lei, dopo un attimo di esitazione, afferra la mano che le sta offrendo. Piccoli segnali positivi di una possibile riappacificazione.
Numerosi balli dopo, il taglio della torta è d’obbligo. Onestamente non vedo l’ora di tornarmene a casa con mio marito. Non mi sento più le caviglie, ho un sonno tremendo e sono stanchissima. Faccio davvero fatica a tenere gli occhi aperti. Guardo l’ora sull’orologio che tiene al polso il mio uomo e segna già le dieci di sera. Stiamo festeggiando da una decina di ore e non ce la faccio davvero più.
«Vuoi che abbandoniamo la nostra festa?», chiede Marco prendendomi il viso tra le mani.
«Non mi dispiacerebbe», rispondo io con un sorriso stanco.
Lui annuisce, avverte la sua famiglia e poi la mia, tornando poco dopo da me.
«Possiamo andare, sistemano tutto loro qui». Mi rassicura prendendomi per mano e accompagnandomi fuori dalla struttura.
Respiro a pieni polmoni l’aria fredda della sera, sentendomi già un po’ meglio. Mi blocco all’improvviso e mi rendo conto di essermi dimenticata una cosa importante. Non ho lanciato il mio bouquet!
«Che c’è?», domanda Marco perplesso.
«Devo lanciare i fiori, me ne sono dimenticata!». Gli spiego portandomi una mano alla bocca.
«Non casca mica il mondo, puoi comunque rimediare ora, no? Ci metti un attimo a farlo e poi andiamo», dice il mio uomo con sicurezza. Ha perfettamente ragione, non ci metto troppo per farlo e farei felice un po’ di single incallite. Speriamo solo non si metta in mezzo anche mia zia. Ritorniamo dentro e tutti si voltano a guardarci.
«Chi vuole prendere il mio bouquet?», urlo per farmi sentire in tutta la struttura.
«Mi sembrava mancasse qualcosa», osserva Luca venendo nella nostra direzione. «Sei sempre la solita sbadata».
Mi stringo nelle spalle, non è perché adesso sono una donna sposata, devo per forza cambiare il mio modo di essere.
Il mio migliore amico lo prende da sopra il tavolo degli sposi e me lo porge. «Ecco a lei, signora Rossini».
Alzo gli occhi al cielo sbuffando. «Dai, mettetevi tutti in posizione».
Anche lui si sistema alle mie spalle e sorrido divertita. Questa cosa è molto da Luca. Mi metto in posizione, chiudo gli occhi e lancio il mazzo all’indietro, prendendo un bel respiro. Degli urletti attirano la mia attenzione e quando mi volto, trovo una Marica sgomenta, con i miei fiori tra le mani.
«Non vale, non si è nemmeno mossa!», brontola Luca.
«Non mi sono mossa perché non volevo prenderlo», borbotta lei risentita.
Michele non è più nei paraggi e immagino se ne sia andato dalla festa.
«Continuate pure a litigare tra di voi, noi ce ne andiamo a casa», esclamo salutando tutti gli ospiti con la mano.
«Ricordatevi di consumare, mi raccomando», urla Luca nella nostra direzione. Sento il viso diventare rovente a questa sua esclamazione. Che impertinente!
È stata una giornata davvero pesante, ma anche meravigliosa. Domani mi sarò già dimenticata di tutte le stanchezze e ricorderò solamente ogni momento magico passato con le persone che amo. Lorenzo ci raggiunge al volo.
«Per questa sera sarò il vostro autista personale», dice facendoci un inchino.
Non avevo pensato al fatto che nessuno di noi fosse venuto con la propria auto. Okay, la mia ormai è rottamata, ma almeno poteva esserci quella di Marco. Saliamo nella macchina di Lorenzo e appoggio la testa sulla spalla del mio uomo. Credo di essermi addormentata durante il tragitto. Lui mi sveglia dolcemente quando ormai siamo già nel vialetto di casa nostra. Mi aiuta a scendere, salutiamo il nostro autista improvvisato e poi mi prende tra le sue braccia.
«Non sognarti di dire una sola parola, neanche un borbottio sommesso». Mi ammonisce lui ancora prima che possa aprire bocca. Lo ammetto, stavo per brontolare per il fatto che mi abbia sollevato di peso: non voglio che si faccia venire un’ernia a causa del mio peso che gravita a vista d’occhio. Decido di assecondarlo almeno oggi e me ne sto zitta. Sospiro rassegnata.
«Bravissima», commenta sfiorando le mie labbra con le sue.
Prende le chiavi di casa dalla tasca dei pantaloni e apre la porta d’ingresso. Si blocca all’improvviso e mi guarda dubbioso.
«Bisogna entrare con il piede destro o sinistro. Cazzo, non me lo ricordo più».
Butto la testa all’indietro, scoppiando a ridere. La sua espressione quasi preoccupata è troppo divertente.
«Non sei di grande aiuto, Flounder», borbotta lui con un filo di frustrazione nella voce.
«Voi uomini rompete tanto le scatole per fare i fighi e poi non sapete nemmeno che piede dovete usare. Tanto vale farci entrare con le nostre gambe, il risultato sarebbe lo stesso». Lo prendo in giro senza smettere di ridere.
«Sono quasi certo fosse il piede sinistro», dice lui dopo un attimo di esitazione.
«È il quasi che non mi convince molto, Shark. Se poi fosse sbagliato? Vuoi mandare a monte il nostro matrimonio la prima notte?».
Sinceramente non credo molto a tutte queste superstizioni, ma mi sto divertendo davvero molto a stuzzicarlo.  
«Oh fanculo, l’importante è che tu non cada». Entriamo in casa, senza sapere con che piede e veniamo accolti da un Diablo affamato e preoccupato per la nostra lunga assenza.
«Abbiamo il comitato di accoglienza». Ridacchio alla vista del nostro gattone arrampicato sulle gambe di mio marito.
«Sì, sì, abbiamo capito», mugugna mettendomi finalmente con i piedi per terra. Non ho mai avuto paura che mi facesse cadere, ma preferisco stare in posizione eretta sulle mie gambe.
Andiamo in cucina e troviamo un foglio appeso al congelatore, ci guardiamo perplessi.
Per mantenere fresca la vostra intimità.
Che cosa vorrebbe dire? Apro lo sportello curiosa di vedere che cosa hanno combinato i nostri amici e trovo all’interno un paio di boxer di Marco e il mio completino di pizzo nero.
«Come sono spiritosi», commenta Marco alle mie spalle.
«Di sicuro non indosserò questa biancheria congelata», dico tirandola fuori e appoggiandola sul termosifone tiepido.
Mi sfilo le scarpe, rimanendo a piedi nudi. Il pavimento è freddo, ma non ne potevo più di questi tacchi. Marco mi prende nuovamente tra le sue braccia senza alcun preavviso e mi porta in camera, adagiandomi delicatamente sul letto.
«Signora Rossini, credo che noi due abbiamo un discorso in sospeso», mormora maliziosamente.
Mi è passato il sonno, non sono nemmeno più stanca: sono sveglissima e reattiva. Non posso perdermi la prima notte di nozze.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Stavate tutti aspettando con ansia la seconda parte del matrimonio e spero abbia soddisfatto le vostre aspettative. Ammetto che una lacrimuccia mi è scesa mentre scrivevo le loro promesse. Che ne pensate di questo giorno meraviglioso per i nostri piccioncini? Adesso comincia la loro vita da coppia sposata :) Fra poco arriveranno anche i gemellini a far loro compagnia. A martedì prossimo! Grazie a tutti davvero di cuore.
Un bacione, Ire.


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Capitolo 20
*** Un nuovo inizio ***



 
 

Capitolo Venti 

Un nuovo inizio



 
Quando mi sveglio, è già mattina. Siamo entrambi ancora vestiti come la sera precedente. Altro che sesso estremo la prima notte di nozze! Ci siano addormentati avvinghiati sul letto, non ci siamo nemmeno coperti. Forse eravamo un tantino stanchi. Eppure mi sembrava di essere anche bella sveglia quando mi ha adagiato su questo materasso, ma a quanto pare non lo ero per niente. Marco non è stato da meno, sta ancora dormendo come un angioletto. Beh, possiamo comunque rimediare ora, non penso sia questo gran problema.
Avvicino il viso al suo e gli bacio lievemente il mento ricoperto da un cortissimo filo di barba. Gli lascio una scia di baci sulla linea della mandibola, fermandomi all’orecchio e mordendogli delicatamente il lobo. Lui mugugna sommessamente, girandosi su un fianco: ora le nostre labbra si sfiorano. Quasi mi dispiace svegliarlo, ma in questo momento ho davvero troppa voglia di lui. Gli bacio le labbra, sperando di ottenere una qualsiasi reazione da parte sua e, fortunatamente, ottengo ciò che voglio. Marco sembra svegliarsi all’improvviso: una sua mano si posa sul mio fianco, attirandomi più vicino a sé, mentre la sua lingua cerca avida la mia.
«Il mio principe azzurro finalmente si è svegliato», mugugno con il sorriso sulle labbra.
«Stai attenta che non diventi un rospo, magari funziona anche in senso inverso». Mi prende in giro lui insinuando le dita tra i miei capelli e carezzandomi delicatamente la cute.
«Correrò il rischio», dico mordendogli il labbro inferiore.
«A te è sempre piaciuto rischiare, vero signora Rossini?». Le sue dita lasciano andare i miei capelli e scendono lungo il mio braccio, fino a raggiungere il fianco, facendomi rabbrividire.
«Oh sì, decisamente». Mi fiondo nuovamente sulle sue labbra e lo bacio fino a togliergli il respiro.
Mi stacco da lui e scendo maldestramente dal letto: indosso ancora il vestito da sposa e ho davvero bisogno di toglierlo. Marco viene in mio soccorso e mi aiuta a sfilarlo dalla testa, lasciandolo scivolare a terra un istante dopo. Porto istintivamente entrambe le mani sul ventre, mentre lui fa una panoramica lenta e minuziosa del mio corpo quasi completamente nudo.
«Ora che sei mia moglie, sei perfino più bella», mormora senza staccare gli occhi dai miei.
Sento il calore arrivarmi alla guance e irradiarsi fino alla punta delle orecchie. Non credo che riuscirò mai a fare l’abitudine all’idea che lui mi trovi bella, soprattutto ora che sto lievitando abbondantemente.
Si avvicina lentamente a me e prende entrambe le mie mani nelle sue. Non smette mai di guardarmi, credo che ormai il mio viso abbia preso fuoco.
«Quanto adoro quando arrossisci per colpa mia», esclama con voce languida, facendomi tremare violentemente le ginocchia. Mio marito sa decisamente come farmi perdere la testa e ci sta provando anche parecchio gusto a farlo. Un sorrisetto malizioso appare sulle sue labbra e io non capisco più niente. Mi fiondo sulla sua bocca, sfilandogli la giacca del completo e gettandola da qualche parte sul pavimento. Non mi interessa sapere dov’è andata, voglio solo togliergli tutti questi strati inutili di stoffa. Gli sbottono la camicia, strappando anche un paio di bottoni. Ammetto di avere una certa urgenza al momento e non ci sto andando con molto garbo. Marco sorride sulle mie labbra, ma ha la decenza di non dire una sola parola. So quanto tiene ai suoi vestiti e all’ordine; a me, in questo momento, non importa né dell’uno né dell’altro.
Scendo più in basso e gli slaccio la cintura, le nostre bocche sono una cosa sola e non hanno alcuna intenzione di staccarsi, nemmeno per riprendere fiato. Faccio scendere la cerniera, i pantaloni scivolano a terra con l’aiuto delle nostre mani. A quanto pare anche lui ha una certa fretta di togliersi tutto. Li scalcia via, rimanendo solo in boxer. Le sue abili dita sganciano il mio reggiseno e in un attimo finisce a terra insieme al resto dei vestiti. Poso entrambe le mani sul suo petto, lo carezzo delicatamente, prima di spingerlo sul materasso. Lui mi sorride radioso. Sono innamorata persa di quest’uomo e sono davvero fortunata ad essere diventata sua moglie. Non potrei davvero immaginare la mia vita senza di lui, probabilmente perché non sarebbe affatto vita.
Gli sfilo i boxer e ammiro il suo corpo perfetto. Lui si mette in posa, accentuando i suoi muscoli da favola, mandando completamente fuori controllo i miei ormoni già impazziti. Mi sfilo le mutandine e mi siedo su di lui, il suo membro trova immediatamente la strada verso il piacere. Una sua mano finisce sul mio sedere, l’altra sfiora un mio seno, soffermandosi con le dita su un capezzolo. Si alza di poco con il busto per potermi baciare le labbra. I movimenti si fanno sempre più rapidi, fino a raggiungere il piacere estremo nello stesso istante. Forse è stato meglio non aver consumato ieri sera, non sarebbe stato così bello, eravamo entrambi esausti. Questa mattina siamo freschi e riposati, il risultato è stato spettacolare. Sono completamente senza fiato, ma mi sento meravigliosamente bene.
«Ti amo da morire», soffio sulle sue labbra prima di unirle alle mie in un bacio delicato.
«Ti amo anch’io, signora Rossini», mormora in totale estasi.
Mi sdraio nuovamente accanto a lui, ci ritroviamo naso contro naso. Sono così felice in questo momento. Chiudo gli occhi e mi beo di questa tranquilla domenica mattina, il nostro primo risveglio come marito e moglie. Diablo ci raggiunge, passeggiando spensieratamente sopra i nostri cuscini. Marco alza lo sguardo e ridacchia.
«Tu, essere peloso che non sei altro. Hai finito di camminare allegramente sopra le nostre teste? Non è un red carpet, se non lo avessi notato e tu non sei nemmeno un modello». Lo prende in giro il mio uomo afferrandolo con una mano e mettendolo a terra.
«Sai che vuole sempre essere al centro dell’attenzione e poi che ne sai, magari è il testimonial di una nota marca di alimenti per animali». Mi mordo l’interno della guancia per non ridere, ma è Marco a farlo al posto mio.
«Non potrebbe mai fare da testimonial, si mangerebbe tutta la loro scorta prima ancora di filmarlo o scattare qualche foto». Mi rende partecipe del suo pensiero divertente e mi rendo conto che non ha affatto torto. Quel maialino ci impiega due minuti cronometrati a svuotare la ciotola quando gliela riempiamo. Non avrebbero abbastanza tempo per fare tutto il servizio, a meno che non continuino a riempirgli la ciotola fino a farlo scoppiare. Meglio evitare, il modello non fa per lui.
«Hai pienamente ragione», concordo aggregandomi alla sua risata cristallina.
Gli bacio la punta del naso, prima di posare la guancia sul suo petto. Il suo braccio avvolge le mie spalle e mi stringe a sé. Ascolto il battito regolare del suo cuore, è così rilassante.
«Mi hai reso l’uomo più felice a questo mondo», sussurra con il viso sul mio capo. Sento il suo respiro spostarmi i capelli, mi solletica piacevolmente.
«Tu hai reso me la donna più felice dell’universo», ribatto con il sorriso sulle labbra. Vorrei starmene qui tutto il giorno a prendermi le coccole e le attenzioni del mio neo marito. Credo di essermi anche addormentata a un certo punto, ero fin troppo rilassata.
Quando apro gli occhi, la sveglia sul comodino di Marco segna le tredici e dieci. Non credo di aver mai dormito tanto in tutta la mia vita. Fortunatamente oggi non avevamo l’obbligo di alcun pranzo in famiglia e possiamo prendercela davvero molto comoda.
Sento squillare un cellulare in lontananza, ma non ho alcuna intenzione di muovermi da questo letto. Non so nemmeno dove l’ho lasciato. Quel suono fastidioso riprende. So benissimo che è il mio che sta suonando, Marco non oserebbe mai inserire una suoneria del genere nel suo telefono.
«Vuoi farlo squillare finché non ti consuma tutta la batteria?», chiede Marco in un sospiro.
«No, ma non ho nemmeno voglia di andarlo a recuperare», rispondo, sbuffando un istante dopo.
«Ci penso io allora». Si scosta da me, provocando un sonoro mugolio da parte mia. Stavo così bene avvinghiata a lui, non volevo che si allontanasse per recuperare quell’inutile arnese.
Per farmi tornare il sorriso, cammina mostrandomi maliziosamente tutte le sue grazie e io non posso far altro che scoppiare a ridere. Mi copro gli occhi con l’avambraccio, spiandolo di nascosto mentre sculetta fuori dalla stanza. Torna qualche minuto dopo con aria esultante e il cellulare alzato in aria come se fosse un prezioso trofeo.
«Ho lottato a lungo, ma alla fine l’ho trovato! Hai quel brutto vizio di mollare le tue cose ovunque in giro per casa e poi tocca al sottoscritto recuperarle. Per tua fortuna sono sempre stato un asso alla caccia al tesoro». Si siede accanto a me sul letto e mi passa il telefono. «Prima che terminasse un’altra telefonata sono riuscito a leggere il nome Luca. Nemmeno il primo giorno di nozze ti lascia in pace».
Mi strizza l’occhio, per poi baciarmi subito dopo le labbra. «Ti conviene richiamarlo prima che ti faccia esplodere il cellulare a forza di chiamate perse».
Mi tiro su a forza e mi metto a sedere vicinissima a lui, voglio continuare a sentire il calore del suo corpo contro il mio, anche perché sto cominciando a sentire freddo. Osservo il display con aria assorta, non ho molta voglia di chiamare il mio migliore amico, ma non vedo altre alternative. Non vorrei fosse successo qualcosa di grave a qualcuno. Premo il tasto verde e lui risponde al primissimo squillo.
«Tesorino mio, mi dispiace davvero tantissimo disturbarti oggi. Lo so che starai facendo le acrobazie a letto con tuo marito, ma avevo davvero bisogno di parlarti». Luca mi riempie la testa di parole e mi ritrovo immediatamente tramortita. Non sono del tutto sveglia e reattiva oggi, il mio cervello non ha ancora attivato tutte le sue normali funzioni.
«Che succede?», gli chiedo cominciando a preoccuparmi.
«Ieri sera Marica era un tantino strana quando abbiamo lasciato la festa. Per la cronaca era anche ubriaca marcia, non l’avevo mai vista in quelle condizioni prima d’ora. Tranquilla, l’ho fatta dormire qui da noi, volevo assicurarmi che stesse bene e non facesse delle cazzate», risponde prima che potessi prendermela con lui per averla lasciata a casa da sola in quelle condizioni.
«Ti ha detto il motivo della sua sbornia selvaggia?». Credo che sia proprio questo il motivo della sua telefonata: o non ha avuto alcuna risposta e mi sta chiedendo aiuto o l’ha avuta e non gli piace nemmeno un po’.
Lo sento sospirare dall’altra parte della linea. «Non mi ha detto proprio un bel niente e non lo sopporto! Sono stanco di doverle strappare informazioni con la forza. È per questo che ho bisogno del tuo aiuto. Sembra che con te abbia meno problemi a confidarsi, non lo so, forse è il tuo pancione che ispira fiducia. Sta di fatto che con me non vuole parlare e vorrei tanto che ci provassi tu. Non dico di andarci ora perché non è ancora del tutto sobria. Per la cronaca, sta vomitando nel mio bagno in questo momento e io mi rifiuto di pulire le sue schifezze. Magari potresti passare domani mattina da lei. Ho come la sensazione che si darà malata e non andrà a lavorare».
«Vedo quello che riesco a fare», gli dico prima di salutarlo e terminare la telefonata.
Marco mi avvolge le spalle con un braccio e mi bacia la tempia. Basta davvero poco per tranquillizzarmi e rendere tutto migliore.
 
Marco mi ha consigliato davvero di andare da Marica e chiederle informazioni, è certo che con me si sarebbe aperta. Abbiamo passato l’intero pomeriggio a chiacchierare e ad amarci, crollando poi esausti alle dieci di sera. Questa mattina sono fresca come una rosa, mi sento divinamente. Marco è andato presto in azienda, sembrava ansioso di parlare con il poliziotto e spero davvero che possa avere delle buone notizie. Luca è passato a prendermi alle nove e mezza, ha voluto a tutti i costi darmi lui un passaggio dalla nostra amica prima di andare a lavorare. Ha aspettato che Marica mi aprisse, prima di andarsene. Voleva essere certo che fossi al sicuro.
La porta del suo appartamento è socchiusa, entro chiedendo permesso. Marica è seduta sul divano con le ginocchia raccolte al petto e gli occhi rossi per il troppo pianto o per i bagordi. Probabilmente per entrambe le cose messe insieme. Mi siedo accanto a lei e le sposto i capelli dal viso, portandole alcune ciocche dietro l’orecchio.
«Come stai tesoro mio?», le chiedo dolcemente posandole poi un bacio sulla tempia.
Lei scoppia immediatamente a piangere e mi butta le braccia al collo. Le massaggio dolcemente la schiena, infondendole tutto il mio affetto attraverso quel semplice gesto.
«Michele mi ha chiesto di sposarlo», riesce a dire a fatica tra i singhiozzi. «Dopo tutto quello che gli ho fatto, lui vuole sposarmi».
Sinceramente non avrei mai immaginato che lui arrivasse a tanto. Il matrimonio è davvero un passo importante e avrebbero un po’ di cose da sistemare prima di dare una svolta alla loro vita di coppia.
«Lui ti ama», le dico spezzando una lancia in favore dell’uomo. Credo davvero nell’amore che lui prova per la mia amica, ma ho grossi dubbi nei sentimenti di Marica nei suoi confronti.
«Lo so, ma avrei voluto che si incazzasse con me, che urlasse per averlo tradito, che mi trattasse da schifo come avevo fatto io con lui. Invece si è limitato a prendere a pugni Gioele e a tornare da me come se niente fosse, come se io fossi la donna più onesta al mondo. Non posso sposare un uomo così». Finalmente sfoga tutta la sua frustrazione. Credo che avesse davvero bisogno di raccontare a qualcuno come si sente realmente.
«Io ho fatto uno sbaglio madornale ad andare con il suo capo, ma ho sbagliato ancora di più a far tornare Michele nella mia vita. Non avrei mai dovuto. Luca aveva ragione, lui non è l’uomo per me». Le sue parole escono confuse, l’indecisione nella sua voce suscita in me qualche dubbio sul vero significato di quello che ha detto.
«Ne sei proprio convinta?», le domando con un angolo della bocca sollevato all’insù.
Lei si stacca da me e mi fissa con le labbra tremanti e gli occhi ancora colmi di lacrime. Scuote la testa con decisione.
«Prenditi una pausa da tutto. Hai bisogno di staccare la spina e hai la necessità di stare lontana da Michele per capire se sei ancora innamorata di lui o no. Chiedigli di darti del tempo per riflettere, ritrova te stessa. Poi prenderai la tua decisione». Le consiglio posandole una mano sul viso e cancellando dolcemente le tracce salate lasciate dalle sue lacrime.
Mi butta nuovamente le braccia al collo. «Sei la migliore amica che io abbia mai avuto. Ti voglio un bene dell’anima».
Stavolta sono i miei occhi a riempirsi di lacrime, sono commossa da queste sue ultime parole.
 
°°°
 
Non è stato semplice alzarsi e vestirsi per andare al lavoro stamattina. Abbiamo passato tutta la domenica a parlare e a fare l’amore. Abbiamo recuperato per non averlo fatto la prima notte di nozze. Serena si era addormentata nel giro di pochi secondi, sinceramente non avevo alcuna voglia di svegliarla e, a dirla tutta, ero piuttosto stanco anch’io. Posso assicurare che abbiamo recuperato con gli interessi ed è impossibile che possa chiedere l’annullamento per non aver consumato.
Un messaggio ricevuto poco dopo il mio risveglio, però, mi ha dato la forza che mi mancava per compiere il mio dovere di bravo imprenditore. Forse Massimiliano aveva delle novità e io morivo dalla voglia di scoprire che cosa fosse successo. Che avesse abbastanza prove per incastrare il bastardo? Dovevo saperlo al più presto o sarei impazzito di curiosità.
Raggiungo il più in fretta possibile le cantine Rossini, lui mi sta già aspettando fuori dagli uffici, con una sigaretta tra le dita. Sbuffa fuori delle nuvole di fumo e, quando si accorge di me, getta il mozzicone nella sabbietta accanto alla porta.
«Novità?», chiedo con impazienza.
Lui mi prende per un braccio e mi accompagna direttamente nel mio ufficio, chiudendo la porta alle nostre spalle.
«Forse ci siamo», risponde alla fine. Voleva essere certo che non ci fossero orecchie indiscrete, almeno credo.
«Non tenermi sulle spine, ti prego», lo supplico crollando sulla mia sedia. Le gambe mi sono diventate improvvisamente molli quando ha detto che probabilmente può incastrare quei bastardi. Ho comunque tenuto in caldo la sparachiodi di mio padre, se fosse stato necessario utilizzarla per farli fuori illegalmente. In un modo o nell’altro mi sarei liberato di loro, non ho alcuna intenzione di andare avanti in questo modo.
«Ieri Leonardo ha tentato di presenziare al tuo matrimonio assieme a suo nonno», mi racconta continuando a guardarsi in giro per poi posare finalmente lo sguardo su di me.
«Che cosa?», sbotto sbalordito. Non ho visto nessuno che non fosse invitato ieri. «Mio padre lo sa?».
«È stato lui ad avvisarmi e a cacciarli via, non prima di averli costretti a scoprire le carte in tavola», mi dice con un sorriso che affiora lentamente sulle sue labbra.
«Raccontami dall’inizio, non ci sto capendo nulla». Ammetto massaggiandomi la fronte con una mano. Sono parecchio confuso al momento e ho bisogno di far chiarezza sulla questione, preferibilmente usando termini non troppo complessi. Sono ancora parecchio stordito e ho bisogno di carburare. Forse un bel caffè farebbe proprio al caso mio.
Alla fine anche lui decide di sedersi, prendendo posto sulla sedia di fronte a me dall’altra parte della scrivania. In effetti mi stava facendo venire l’ansia quando era in piedi.
«Si sono presentati durante il ricevimento, mentre stavi ballando con tua moglie. A proposito, non ti ho ancora fatto le congratulazioni».
Gli dico di lasciare perdere con un cenno della mano e di proseguire con il suo resoconto. Non me ne faccio niente delle congratulazioni in questo momento, ho altro per la testa.
«Tuo padre è riuscito a bloccarli prima che entrassero. Fortunatamente il mio collega era qui nei paraggi e teneva tutto sotto controllo. Appena ha visto che arrivavano in macchina ha avvertito il signor Rossini che si è presentato immediatamente nel parcheggio, facendo finta di essere lì per fumare una sigaretta immaginaria». Riprende a raccontare e io ascolto avidamente ogni singola parola. Dubito che quella sigaretta fosse immaginaria, ma per questa volta non mi lamenterò con lui, gliela concedo visto lo stress di quell’incontro.
«Non potevamo rischiare tutto, entrando noi in azione e cacciandoli via in malo modo. La possibilità che capissero le nostre intenzioni era elevata. Abbiamo fatto affidamento solo sul tuo vecchio e devo ammettere, caro il mio Marco, che quell’uomo ha davvero le palle. Dovresti essere fiero di lui».
«Lo sono», affermo intromettendomi nel suo discorso. Qualunque cosa avesse fatto per il bene dell’azienda di famiglia, mi avrebbe comunque reso orgoglioso, sempre.
«Ottimo», commenta lui sorridendomi. «Ti faccio ascoltare la registrazione, Zotti aveva piazzato dei microfoni ovunque e uno si trovava proprio al petto di tuo padre, per ogni evenienza».
Estrae un cellulare dalla tasca e fa partire l’audio, appoggiando l’apparecchio sopra la mia scrivania.
“Vecchio, siamo qui per ubriacarci e festeggiare”.
Quella voce la riconoscerei ovunque e a quel suono le mie mani si stringono automaticamente a pugno. Se fossi stato presente, lo avrei colpito senza pensarci due volte. La voce di mio padre non tarda a farsi viva.
“Non siete stati invitati. Questo è il matrimonio di mio figlio, la vostra presenza non è gradita”.
“È scortese da parte tua non averci mandato l’invito, avremmo potuto fare un bel regalo sostanzioso al tuo figliolo”.
Questa volta è un altro uomo a parlare. Immagino sia il bastardo che ha organizzato tutta questa messinscena per impossessarsi della nostra azienda.
“Mio figlio non avrebbe mai accettato un regalo da parte vostra. Anzi, no, forse uno lo avrebbe accettato di buon grado”.
“E che cosa sarebbe, sentiamo”.
“La vostra rinuncia a impossessarvi di ciò che è nostro da sempre”.
Mio padre ha tirato fuori gli artigli. Mi avvicino di più al cellulare di Massimiliano per sentire meglio la loro risposta. La risata del bamboccio riempie la stanza e io alzo lo sguardo di scatto. Non vorrei mai che fosse arrivato davvero qui e abbia ascoltato tutto. Fortunatamente è soltanto la registrazione.
“Te lo puoi scordare, vecchio rimbambito! Tu ci devi un sacco di soldi. Ti rifiuti di darceli? Noi ci prendiamo la tua azienda. Mettiti il cuore in pace. Non puoi vincere contro di noi, vero nonno?”.
“Stai zitto, imbecille!”.
Perfino lui lo tratta nel modo corretto: tutti sanno quanto quel ragazzo sia un cretino.
“Ma nonno! Sai benissimo che noi otteniamo sempre tutto quello che vogliamo. Guarda che cosa abbiamo combinato a Torbani. Gli abbiamo mangiato sia l’azienda sia la casa, mandandolo completamente in rovina. Voglio ripetere quella bellissima esperienza anche con le famose cantine Rossini”.
“Stai zitto, ti ho detto! Mi stai facendo incazzare”.
“Andatevene da qui o chiamo la polizia”.
Si sente un’altra risata, ma questa volta non è quella del bamboccio.
“La polizia non può farci nulla, non ci spaventi con queste minacce”.
“Volete tentare la sorte?”.
“Metti via quel telefono, vecchio”.
“Bene, ce ne andiamo, ma non è certamente finita qua”.
Si sente il rombo di una macchina di grossa cilindrata che si mette in moto e uno stridio di gomme.
Massimiliano riprende il suo cellulare e interrompe la registrazione, osservandomi poi attentamente.
«Credi che possa bastare per arrestarli?», chiedo posando il gomito sulla scrivania e appoggiando il mento sulla mano chiusa a pugno. Ho bisogno di un sostegno al momento, soprattutto prima di sentire la sua eventuale risposta.
«Sicuramente è un’ottima prova, secondo me può bastare».
Mi sembra di sognare in questo momento. Ha pronunciato davvero quelle parole?
«Che cosa succederà ora?». Vorrei tanto mettere io le manette a quel coglioncello di Leonardo, ma mi toglierò la soddisfazione nel vederlo imprecare nella mia direzione.
«Ho intenzione di arrestare Leonardo appena si presenterà qui stamattina, mentre una volante andrà a prelevare il nonno. Diciamo che poi possiamo mettere la parola fine a questa storia. Abbiamo le prove che hanno distrutto un’altra azienda, le accuse aumentano». Si blocca all’improvviso quando si sente la porta principale degli uffici chiudersi con un tonfo. Ci scambiamo uno sguardo eloquente.
Massimiliano si alza lentamente dalla sua sedia e si dirige verso la porta, io lo seguo con le gambe molli. Non ho mai assistito di persona a un’azione di polizia. Queste cose normalmente si vedono solo nei film.
Usciamo nel corridoio e incontriamo subito il bamboccio schifoso. Quel ghigno fastidioso è sempre presente. Mi trattengo per non colpirlo con forza e stenderlo, non desidero altro.
«Perché non sono stato invitato al tuo matrimonio?», mi chiede il verme senza alcun ritegno.
«Se è per questo nemmeno io sono stato invitato», risponde Massimiliano al posto mio, stringendosi nelle spalle.
«Mi dispiace, ma abbiamo voluto invitare poche persone e tutte di famiglia». Mi giustifico io con un sorriso. Non sto nemmeno mentendo, è semplicemente la verità.
Il poliziotto si allontana di qualche metro da noi, raggiungendo la macchinetta del caffè. Sta messaggiando o sta fingendo di farlo, non lo so.
«Non ti sopporto, Rossini. Sei un borioso pezzo di merda che crede di poter salvare questa azienda del cazzo», comincia il bamboccio, lasciandomi sorpreso da questa sua inaspettata reazione.
E così sarei io un borioso pezzo di merda? Questa mi è nuova.
«Non riuscirai mai a salvare la tua azienda, ormai è già nostra. Dovresti metterti l’anima in pace».
«Se è già vostra, allora non ti devo più restituire quei centocinquantamila euro che mio padre vi deve». Già che ci sono voglio farlo confessare ancora un po’. Non vorrei mai che questi se la cavassero per insufficienza di prove, meglio non rischiare.
«Sei proprio un coglione allora! Certo che devi ridarceli e nel frattempo gli interessi sono anche saliti. Ora ci devi diecimila euro in più per avermi spappolato le palle. Non ho mica fatto finta di lavorare in questo merdoso posto per niente. Potevo usare il mio tempo in un modo molto più divertente», sbotta lui infastidito.
Non è mica colpa mia se lui ha sprecato il suo tempo nella mia azienda, poteva benissimo starsene a casa sua. Sarebbe stato molto meglio per tutti noi.
«Secondo me andrà diversamente», commento sommessamente non appena vedo entrare il collega di Ronchi. Mi saluta con la mano e si ferma accanto a noi. Massimiliano ci raggiunge un istante dopo.
«Chi cazzo sei tu?», domanda Leonardo al nuovo arrivato.
«Sono qui per arrestarti», risponde lui con decisione.
Il bamboccio spalanca la bocca, non esce però alcun suono. Non l’ho mai visto senza parole da quando ha messo piede qui dentro.
«Già, se non lo avessi capito, sei in arresto», rincara la dose Massimiliano mettendogli le manette ai polsi. «Non ti dirò di non dire niente perché quello che dirai potrà essere usato contro di te, tanto hai già dato il meglio di te un paio di minuti fa. Congratulazioni: hai appena vinto la medaglia d’oro come miglior coglione dell’anno».
Non avrei saputo dire di meglio! Mi porto una mano alla bocca e cerco di non scoppiare a ridere. Questa scenetta è perfino surreale. I due poliziotti trascinano fuori dagli uffici il bamboccio imbambolato e io lo saluto con la mano, come se fossi davvero dispiaciuto di vederlo finire in galera. Mi manca solo il fazzoletto bianco da sventolare, sarebbe stato di grande effetto.
Non posso credere che sia davvero tutto finito! Ora ci sarà tutta la questione legale da sistemare, ma ci penseranno Lorenzo e il signor Zanna. Non dover più vedere la faccia di quel cretino tutti i giorni, mi riempie il cuore di gioia. Ritorno nel mio ufficio e mi lascio andare sulla sedia. Mi sento stordito, tutte queste emozioni mi hanno letteralmente scombussolato. Non vedo l’ora di dare questa bellissima notizia a mia moglie. Questo sarà davvero un nuovo inizio per noi e ne sono immensamente felice. Possiamo pensare davvero al nostro viaggio di nozze, ce lo godremo in pace e tranquillità. Dobbiamo pensare anche ai nomi dei piccoli, lo voglio fare oggi, mi sento ispirato.
Allungo le gambe sotto la scrivania e colpisco qualcosa che cade con un tonfo sul pavimento. Mi abbasso a controllare e mi accorgo che è il regalo che mi aveva portato Anita. Me ne ero completamente dimenticato! Lo prendo tra le mani, rigirandolo curioso. Lo aprirò con Serena una volta tornato a casa, stavolta farò in modo di non dimenticarlo.
 
 
 
*Note dell'autrice*
E voi che vi aspettavate una notte infuocata! Hanno rimediato al mattino, dai, va bene lo stesso. Diciamo che hanno passato il loro primo giorno da marito e moglie coccolandosi e rilassandosi, ne avevano davvero bisogno. Oh oh, Michele ha chiesto a Marica di sposarlo, mandandola completamente in crisi. Riuscirà mai a fare chiarezza nel suo cuore? Mi sembra ancora parecchio confusa. Alla fine hanno arrestato il bamboccio bastardo!!! State facendo i salti di gioia??? Grandissimo Ronchi! Questo è davvero un nuovo inizio! Nel prossimo capitolo scopriremo i nomi dei gemellini, siete curiosi? A martedì prossimo :) Un grazie infinito a tutti voi che seguite la mia storia con affetto. Un bacione, Ire.


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Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 21
*** L'importanza di un nome ***



 
 

Capitolo Ventuno 

L'importanza di un nome



 
Varcata la soglia di casa, Diablo mi accoglie miagolando disperato. Da quanti mesi non mangia questo gattone? Sembra sempre che stia per morire di fame. Faccio finta di niente e lui se ne va offeso. Ci ha provato, ma le sue moine non hanno alcun effetto su di me, non ci casco. Mi tolgo la giacca e la appendo a una delle sedie in sala, il regalo di Anita è ancora tra le mie mani. Mi guardo intorno, ma non vedo Serena. Vado a controllare in camera, è vuota. Dove cavolo si è cacciata? Anche il bagno non c’è. Non ci sono molte altre stanze da controllare, ma credo di sapere dove trovarla. Raggiungo la camera dei nostri figli e lei è seduta sulla sedia a dondolo, nuovo regalo da parte di suo fratello Ale e la moglie, con gli occhi chiusi ed entrambe le mani sul ventre. Un sorriso appare sulle sue labbra e, un attimo dopo, le sue iridi verdi sono posate su di me.
«Spero di non averti spaventato», le dico con un fianco appoggiato allo stipite della porta, lo sguardo fisso su quella donna bellissima che ora è mia moglie.
«No, tranquillo, ti ho sentito entrare». Mi rassicura con un sorriso meraviglioso. «Mi sembri felice. È successo qualcosa di positivo oggi in azienda?».
Io annuisco e mi avvicino lentamente a lei. Mi abbasso a baciarle le labbra, mi era mancato stare con lei oggi.
«Hanno arrestato Leonardo». Le racconto senza tanti preamboli, non ha alcun senso girare intorno alla questione.
«Fai sul serio?». Lo stupore è ben visibile sul suo volto e in un istante i suoi occhi si inumidiscono.
«È tutto finito, amore. Nessuno ci darà più fastidio».
Si porta entrambe le mani alla bocca e le lacrime scendono a rigarle il viso, scoppiando subito dopo in un pianto liberatorio. Mi butta le braccia al collo e io la stringo forte a me.
«Non ci posso credere», farfuglia appena smette di singhiozzare.
«Invece è tutto vero, amore mio. È tutto magnificamente vero. Ho visto Leonardo ammanettato con i miei occhi». Non dimenticherò mai questo giorno e soprattutto quel momento. Cacciarlo fuori a suon di calci sarebbe stato più soddisfacente, ma ho lasciato che la polizia facesse il suo lavoro. Non ringrazierò mai abbastanza Massimiliano per il suo prezioso aiuto, senza di lui non saremmo mai riusciti ad incastrare quei farabutti.
«Quanto hai gongolato?», mi chiede con un sorrisetto sghembo sulle labbra.
«Ho gongolato tantissimo, tutto il giorno», rispondo ammettendo di averlo fatto anche di gusto. Hanno avuto quello che si meritavano e sono fiero di aver contribuito a metterli dietro le sbarre.
«Non lo avrei mai dubitato. Lo sto facendo anch’io ora. Sono fiera di te, amore», soffia sulle mie labbra, baciandomele un istante dopo.
«Che ne dici di festeggiare stasera? Offriamo da bere a tutti i nostri amici?», le domando allontanandomi di un passo da lei per poterla guardare negli occhi.
«Mi sembra un’ottima idea», risponde con il sorriso sulle labbra.
Mi allontano per fare qualche telefonata, lasciando che anche lei avverti i suoi amici. Sono così felice di essermi tolto quella spina nel fianco, che non vedo davvero l’ora di fare baldoria con i miei soci. Una bella birra non me la toglie nessuno!
Chiamo per primo Lorenzo.
«Socio! Ho saputo la grande novità! Cazzo, siamo stati dei geni!». Si loda da solo il mio migliore amico. Permetto anche a lui di gongolare per questa notizia, in fin dei conti non avrei combinato nulla senza di lui. È stato proprio Lorenzo a mettermi in contatto con Massimiliano.
«Oh sì, siamo dei fottuti geni e per questo ci meritiamo una sbornia con i fiocchi! Stasera, socio, stasera!», esclamo esaltato.
«Birra a fiumi, alla faccia loro!», aggiunge Lorenzo con entusiasmo. «A dopo, socio!».
Chiamo anche Paolo e Giorgio, ma entrambi hanno un altro impegno. Torno da mia moglie ed è in piedi accanto alla finestra. Ha appena finito di parlare con qualcuno.
«Luca e Alex non mancheranno. Marica non se la sente, tanto per cambiare». Mi informa quando la raggiungo.
«Vedrai che quando avrà fatto chiarezza, tornerà ad essere quella di un tempo». La rassicuro prendendole entrambe le mani e sorridendole.
«Lo spero davvero tanto», dice in un sospiro. Capisco la sua preoccupazione per la sua migliore amica, ma può solo starle vicino in questo momento particolare della sua vita, non può fare altro.
«Vieni, ho recuperato il regalo che Anita ha fatto per i nostri figli. Lo avevo completamente scordato». La accompagno in sala, dove ho abbandonato il pacchetto.
Serena sta già fremendo all’idea di poterlo scartare, non avevo alcun dubbio a riguardo. Le metto il regalo tra le mani e si siede sul divano, tenendo gli occhi fissi su quella carta argentata, chiusa con dei nastri di raso azzurro. Lo apre con delicatezza, cercando, stranamente, di non rompere la confezione. Mi siedo accanto a lei per vedere meglio di cosa si tratta. Una volta tolta la carta, appare qualcosa di rettangolare, con dei decori in argento. Serena lo apre con curiosità ed è un album porta foto. Cade a terra un biglietto. Lo raccolgo immediatamente e lo apro.
Per i vostri piccoli, per immortalare i momenti più belli, per riviverli ogni volta che vorrete. Vi auguro tutta la felicità di questo mondo. Anita.
Serena si asciuga una lacrima sfuggita al suo controllo e mi sorride. È stato davvero un pensiero carino da parte di Anita e non l’ho nemmeno ringraziata adeguatamente. Recupererò al più presto.
«Dobbiamo pensare ai nomi», dice ad un tratto, cercando il mio sguardo.
«Verissimo, ora ci penseremo seriamente». È davvero ora di farlo, abbiamo rimandato anche fin troppo. Voglio essere pronto, nonostante manca ancora un po’ alla loro nascita. Non abbiamo mai parlato di nomi che potrebbero piacerci, non abbiamo mai affrontato l’argomento.
«Che nomi metteresti loro?», le chiedo curioso di sapere la sua opinione.
Lei si rilassa completamente contro i cuscini del divano, ponderando bene sulla risposta da darmi.
«Sai che cosa stavo pensando, Shark? Che ne dici se scegliamo due nomi con le nostre iniziali? Tu scegli un nome maschile che inizia con esse e io ne scelgo uno con la emme. Ti sembra una cosa stupida?». Si volta verso di me e aspetta impaziente il mio giudizio a riguardo.
«Mi sembra un’ottima idea», rispondo dopo averci pensato meno di mezzo secondo. Poso una mano sulla sua guancia e le sorrido, mia moglie diventa ogni giorno più bella.
«Facciamo così. Dimmi il primo nome che ti viene in mente con la emme. Non pensarci troppo, d’istinto che nome sceglieresti?».
Lei si acciglia e poi esclama: «Massimiliano».
Forse so anche il motivo di questa sua decisione ed è proprio lei a darmi la motivazione un istante dopo.
«È solo merito suo se l’azienda è salva e saremo grati in eterno per il lavoro che ha svolto, mi sembra il minimo dare il suo nome a uno dei nostri figli».
Sono d’accordo con lei, in tutto quello che ha detto. «E Massimiliano sia».
«Ora tocca a te dire un nome con la esse. Mi raccomando, senza pensarci. Spara il primo nome che ti viene in mente. Al massimo se non mi piace, lo sceglierò io». Mi stuzzica con il sorriso sulle labbra. So benissimo che lo farebbe e avrebbe anche ragione.
Chiudo gli occhi e sparo il primo nome maschile con la esse che mi viene in mente. «Simone».
Sollevo le palpebre e mia moglie mi sorride, annuendo convinta. Ho scelto un nome che l’aggrada e ne sono davvero felice.
I nostri figli si chiameranno Massimiliano e Simone Rossini, e io non vedo l’ora di stringerli fra le mie braccia.
Quando arriviamo al pub, i nostri amici ci stanno già aspettando seduti al nostro tavolo. Appena ci notano, cominciano a fischiare e ad applaudire nella nostra direzione. Sono certo che Serena vorrebbe che la smettessero di fare certe scene in un luogo pubblico, si vergogna da morire. Io, invece, sto al gioco, inchinandomi davanti a loro e ringraziandoli per la calda accoglienza.
«Bisogna proprio festeggiare questo grande giorno!», comincia Lorenzo, chiamando una cameriera con un cenno della mano. «Portaci cinque birre bionde e un’aranciata per la nostra mammina».
La ragazza, poco più che ventenne, annuisce e porta l’ordine al ragazzo al bancone.
«E se io volevo bere altro?». Lo prende in giro Serena, posando le mani sul suo pancione e osservandolo con un sopracciglio inarcato.
Lui scrolla le spalle, infiascandosene dei suoi borbottii. «Stasera bevi aranciata, tanto l’alcol non lo puoi bere e di acqua ne bevi già abbastanza. Stasera si brinda con le bollicine, analcoliche, ma sempre bollicine sono».
Anche se mia moglie volesse ribattere, non avrebbe alcuna vittoria contro Lorenzo, lo sa benissimo anche lei.
Quando arriva la nostra ordinazione, alziamo i bicchieri e brindiamo all’arresto di quei farabutti che volevano portarmi via l’azienda di famiglia.
«Dobbiamo brindare anche per qualcosa di ancora più bello», dico loro ad un tratto, dopo aver bevuto un generoso sorso di quella bevanda ambrata.
«Spara, quale sarebbe questa cosa ancora più bella?». S’intromette Luca allungandosi sul tavolo per ascoltare meglio la risposta che sto per dargli.
«Abbiamo deciso i nomi per i gemellini». Tutti mi guardano con curiosità aspettando di sapere come chiameremo i piccoli Rossini. «Dillo tu, amore».
Mi volto verso Serena, posando una mano sulla sua. Lei mi sorride felice, so quanto ci tenesse a farlo.
«I nostri figli si chiameranno Massimiliano Luca Rossini e Simone Lorenzo Rossini». Rivolge ai nostri amici uno sguardo orgoglioso e dolcissimo, loro si sciolgono completamente.
«Avete dato i nostri nomi ai vostri figli?», domanda Lorenzo sbalordito.
«Secondo nome». Lo corregge Alex, ridacchiando sommessamente.
Luca è rimasto completamente senza parole, ma i suoi occhi stanno brillando per l’emozione.
«Non so che dire», farfuglia ridestandosi momentaneamente dal torpore in cui era caduto.
«Saranno i vostri figliocci, era il minimo che potessimo fare», dice Serena emozionata.
Il suo migliore amico si alza di scatto dalla sedia e la raggiunge immediatamente, abbracciandola di slancio.
Credo che con questa nostra decisione li abbiamo resi felici.
«Socio, faremo del nostro meglio per essere dei padrini eccezionali», aggiunge Lorenzo con gli occhi lucidi, parlando anche per Luca. Non credo di averlo mai visto così emozionato, a parte quando è nata la sua principessa, ma era difficile non esserlo in quel momento.
Sarò emozionatissimo quando nasceranno i nostri figli e vorrei essere presente in sala parto. Il ginecologo di Serena ha detto che probabilmente dovranno nascere con taglio cesareo e non so se in quel caso io possa essere presente. Mi dispiacerebbe perdere il momento della nascita, vorrei essere io a tagliare il loro cordone ombelicale. A dirla tutta non so nemmeno se potrei sentirmi male in quella situazione, ma una cosa è certa: voglio essere con mia moglie quando partorirà i nostri bambini. Dovrò informarmi meglio su come andrà il parto, ma c’è ancora qualche mese di attesa, c’è tempo.
«Sai qualcosa di Paolo?», domando a Lorenzo con le mani intrecciate sopra il tavolo di legno. «Mi ha detto che aveva un appuntamento e che non poteva unirsi a noi».
A volte mi chiedo se siano soltanto delle scuse per non uscire con noi in presenza di Serena, ma mi auguro che non lo faccia per questo motivo.
È Luca a rispondere al posto suo. «È uscito con Sara. Stamattina al lavoro non ha fatto altro che parlare di questo appuntamento. Mi ha fatto una capa tanta. Paolo di qua, Paolo di là. Non so se sia stata una buona idea presentarglielo, è uscita di testa. E, secondo me, questa sera ci daranno dentro».
Scoppio a ridere di fronte alla faccia disgustata del migliore amico di mia moglie.
«Beh, almeno Paolino si sfogherà un po’, non inzuppava il biscotto da parecchio tempo», commenta Lorenzo prima di svuotare il suo primo boccale di birra.
«Sei sempre così fine». Lo prendo in giro io roteando gli occhi.
Lui si stringe nelle spalle. «Che ci vuoi fare, la finezza è il mio tratto caratteristico».
Luca, invece, vuole sapere altro. «Che cosa nascondeva Marica alla fine?».
Si rivolge alla sua amica con un sorrisetto divertito sulle labbra, quasi a sapere quale sarebbe stata la risposta. Invece, non appena Serena apre bocca, lui cambia immediatamente espressione.
«Michele le ha chiesto di sposarla», risponde mia moglie seria.
Stella e Luca spalancano poco elegantemente la bocca, stupiti da questa notizia inaspettata.
«E lei che cosa ha detto?», chiede Stella spostandosi una ciocca di capelli tagliati di recente dietro l’orecchio.
«Non sa che cosa fare, come al solito», risponde Serena massaggiandosi il ventre.
«Dovrebbe trovarsi un uomo con le palle e lasciare perdere quello stronzo». Luca non si trattiene e sputa quello che pensa a riguardo.
Io, onestamente, non conosco Michele così bene, ma sono dell’idea che quei due siano male assortiti. Marica avrebbe davvero bisogno di un uomo che la faccia sentire speciale e che, preferibilmente, non abbia il bisogno di andare con altre donne.
Passiamo il resto della serata a chiacchierare allegri, scordandoci di tutto il resto. I nostri amici possono cavarsela anche da soli, almeno per stasera.
 
°°°
 
È arrivato il momento fatidico: il corso pre parto in piscina! Mi sono svegliata questa mattina con l’ansia a mille. Lo faccio solo perché potrebbe essere utile per me e per i miei figli, ma non perché ne abbia voglia. Ho evitato quella vasca piena d’acqua fino a questo momento, non ne sentivo la mancanza, proprio per niente.
Marco ha già parlato con l’istruttore che lavora nella piscina comunale dove si allenava, istruendolo sulle mie condizioni. Quest’anno ha dovuto lasciare la pallanuoto per seguire al meglio l’azienda. È stata una decisione sofferta, ma non c’era con la testa e non se la sentiva di portare avanti anche quell’impegno, non sarebbe riuscito a dare tutto se stesso e avrebbe compromesso la sua squadra. Secondo me, in qualche modo, stava cercando una scusa per smettere e l’ha trovata senza grosse difficoltà.
Sono entrata nel settimo mese di gravidanza e mi sento sempre più tonda, sempre più larga e sempre più stanca. Non vedo davvero l’ora che i bimbi nascano, comincio a non poterne più. Stringerli fra le mie braccia sarà l’emozione più grande mai provata e l’attendo con impazienza. Abbiamo anche rimandato nuovamente il viaggio di nozze. Tra il matrimonio, l’arresto di quegli estorsori e tutto ciò che ne consegue, abbiamo deciso di non muoverci. A dirla tutta a me va bene lo stesso, non ho molta voglia di spostarmi con questo bagaglio prominente. Possiamo andare in un altro momento, anche quando i gemelli saranno più grandi, non abbiamo questa esigenza di andare in luoghi lontani per festeggiare il nostro matrimonio, è stato già perfetto così.
«Amore, sei pronta?». Marco appare in camera allacciandosi i polsini della camicia stirata di fresco. Mia madre è stata qui ieri per sistemarmi il bucato e stirare tutto quello che avevo in arretrato. Diciamo che già non stiravo molto prima, adesso ancora meno. La mia genitrice si è offerta di darmi una mano con le faccende domestiche e io non ho avuto il coraggio di dirle di no, in fin dei conti mi fa comodo il suo aiuto. Faccio fatica a fare le cose più semplici, stirare non era nemmeno nella mia lista delle cose essenziali. Mia suocera, invece, dà il suo contributo in cucina, preparandoci dei manicaretti e stipandoli in congelatore, così noi dobbiamo solo scongelarli e scaldarli. Non mi posso di certo lamentare, tutti sono contenti di offrirci il loro aiuto. 
«Prontissima», rispondo con pochissimo entusiasmo. Posso legarmi al letto con delle manette e poi buttare via la chiave? No, meglio di no, magari poi mio marito pensa che sia impazzita e che voglia fare giochetti strani. Meglio non mettergli in testa strane idee, non posso nemmeno fare acrobazie in questo momento, al massimo riesco a rotolare giù dal letto.
Le labbra di Marco si stendono in un sorriso divertito. «Non stiamo mica andando alla gogna, lo sai, vero?».
Incrocia le braccia al petto e mi osserva attentamente con il capo piegato leggermente di lato, un sorrisetto che diventa beffardo in un attimo. Si sta divertendo un mondo a prendermi in giro, mentre io me la sto facendo davvero addosso dalla paura. C’è anche il rischio che mi scappi di andare al bagno proprio mentre sono in acqua e non vorrei mai fare una figuraccia epica, sarei lo zimbello dell’intera piscina finché avrò vita.
«Molto peggio, fidati, è decisamente molto peggio», mugugno prendendo dei respiri profondi.
«Vorresti dirmi che entrare in una vasca con dell’acqua bassa è perfino peggiore di farti sgozzare?», chiede scoppiando a ridere un attimo dopo.
«Tanto per essere precisini, prima tu hai parlato di andare alla gogna e lì mica ti sgozzano. Se mi volessi mozzare la testa, potresti usare la ghigliottina. Sarebbe comunque più divertente di questo corso pre parto», gli dico borbottando come una pentola di fagioli.
«Su, su, muoviti e smettila di lamentarti. Sono convinto che alla fine ti divertirai e non vedrai l’ora di rifarlo». Mi offre la sua mano e io la afferro saldamente, mi ritrovo fra le sue braccia con un movimento rapido. «Sa, signora Rossini, a volte lei è davvero una gran rompiscatole, ma non riesco proprio a fare a meno di lei».
Mi bacia dolcemente le labbra, scendendo poi a parlare con il mio pancione. «Voi due lì dentro, fate capire alla vostra mamma che tutto questo lo facciamo per il suo bene».
Alzo gli occhi al soffitto, scuotendo la testa rassegnata. Anche se mi rifiutassi di seguirlo, mi ci trascinerebbe con la forza, perciò non provo nemmeno a ribattere. Gli poso entrambe le mani sul capo, scompigliandogli dolcemente i capelli, mentre continua a dialogare con i nostri angioletti. Chissà a chi assomiglieranno. Il ginecologo ha detto che saranno gemelli fratelli, non saranno identici e potrebbero assomigliare ad entrambi, vedremo. Mi piacerebbe che almeno uno di loro ereditasse gli occhi azzurri dei Rossini e, per non farci mancare nulla, l’altro potrebbe avere gli occhi verdi della famiglia Boissone. Sarebbe davvero bellissimo, ma lo scopriremo a tempo debito.
«Va bene, smettila di tormentare i mostriciattoli, andiamo. Prima che possa cambiare idea». Lo afferro per le orecchie, obbligandolo a rimettersi in posizione eretta.
«Come sei violenta oggi», brontola portandosi entrambe le mani sui suoi padiglioni auricolari e massaggiandoseli lentamente.
«Pappamolle». Lo schiaffeggio sul sedere e mi incammino verso la sala per recuperare la mia borsa.  
«No, non lo sono, sei tu che hai le mani pesanti. Prima mi stacchi entrambe le orecchie e poi mi sculacci. È il tuo modo di vendicarti per portarti in piscina?». Mi raggiunge e mi avvolge un braccio intorno al collo, baciandomi poi la tempia.
«Se avessi davvero voluto vendicarmi, ti avrei tagliato a pezzettini e messo nel freezer», rispondo io sadicamente.
Ammetto di aver visto qualche film d’azione e anche dei bei thriller in questo ultimo periodo. Non mi sono data solo alle commedie romantiche, anche perché la maggior parte delle volte mi si aprono le valvole delle lacrime e non smetto più di piangere. Potrei dare da bere ad un intero villaggio africano, desalinizzandole, ovviamente.
Sono a casa in maternità da una settimana, il mio medico ha detto che è meglio se mi riposo e non mi affatichi troppo. Onestamente non vedevo l’ora di starmene un po’ a casa tranquilla, stava diventando davvero faticoso lavorare in queste condizioni. Se Luca sapesse che ho fatto una scorpacciata di film di Marco, penserebbe che io sia uscita di senno. Forse avrebbe anche ragione, ma è più forte di me. La gravidanza mi ha fatto cambiare gusti anche in fatto di cinema. La prossima volta che nelle sale ci sarà un film con Bruce Willis, porterò Luca, senza dirgli che cosa andiamo a vedere. Preparerò il cellulare sulla modalità filmato e riprenderò la sua espressione sgomenta. Al solo pensiero mi viene da ridere, non mi rivolgerebbe più la parola per i prossimi cent’anni.
Ho anche ripreso a leggere da quando ho più tempo libero, in effetti ne ho anche fin troppo. Sto continuando un libro che avevo scordato perfino di avere e l’ho divorato in un paio di giorni. Lo avrei anche terminato prima, mi è piaciuto molto, ma il mio problema di fondo è la stanchezza cronica e mi addormento in fretta. L’altro ieri stavo leggendo un libro grosso quanto un mattone, ero stesa sul divano, mi sono addormentata come un sasso, facendo cadere il libro in terra con un tonfo. Diablo era proprio lì sotto e per poco non l’ho colpito, povero cucciolo! Deve sempre dormire con un occhio aperto, altrimenti rischia di rimanere sotto a chili di carta stampata.
«Chi ho sposato? Sono ancora in tempo a chiedere l’annullamento?», domanda Marco fingendosi inorridito da quello che ho appena detto.
«Mi dispiace, non si può. Abbiamo consumato, nessuno dei due risultava già sposato quando abbiamo firmato, perciò nulla da fare. Niente annullamento, potresti chiedere il divorzio, ma io non te lo concederò mai. Ti è andata male, maritino mio». Lo prendo in giro, colpendolo con un leggero pugno sullo stomaco. «Non è ancora giunto il momento di liberarti di me».
«Mi è andata male anche stavolta», esclama aprendo la porta di casa. Mi mette una mano dietro la schiena, spingendomi delicatamente all’esterno.
«Ti andrà sempre male, puoi starne certo». Questa volta voglio essere io ad avere l’ultima parola e credo che anche lui lo abbia capito, ridacchia senza commentare questa mia ultima provocazione. Ho sposato un uomo davvero intelligente.
Una volta davanti la piscina, comincio a tremare come una foglia all’idea di dovermi mettere a mollo. Ma chi me l’ha fatto a venire qui! Non ce la posso fare! Forse riesco ancora a fare dietro front, rubare la macchina a mio marito e correre come una pazza fino a casa. Marco, però, deve aver letto le mie intenzioni dalla mia espressione spaurita. Mi avvolge il busto con le braccia o almeno ci prova vista la mia circonferenza.
«So che cosa vorresti fare, Flounder. Ti prometto che non ti succederà niente, sarò al tuo fianco in ogni istante». Mi rassicura posandomi poi un delicato bacio sulle labbra.
So benissimo che non mi lascerebbe mai dai sola con la mia paura, ma non è che mi passi così da un momento all’altro. Fa scivolare la sua mano nella mia, le nostre dita si intrecciano immediatamente.
«Prendi un bel respiro».
Io eseguo e muovo un passo verso l’interno di quel posto infernale. Chi ha inventato la piscina non aveva proprio altro di meglio da fare in quel momento!
Mi chiudo nello spogliatoio e sono quasi tentata di rimanerci fino alla fine della lezione. Credo che Marco verrebbe a prendermi di peso e mi trascinerebbe dentro l’acqua. Una strana fitta al ventre mi tramortisce. I piccolini stanno scalciando alla grande. Sarà un chiaro segno del destino? Magari nemmeno loro vogliono che io vada in piscina e percepiscono tutta la mia angoscia.
Raggiungo mio marito che mi sta aspettando impaziente.
«Pensavo che volessi rimanere chiusa lì dentro tutto il giorno». Mi prende in giro con un sorrisetto sghembo.
Gli mostro la lingua.
Un ragazzo giovane viene nella nostra direzione e si ferma proprio davanti a noi.
«Ciao Marco, ciao Serena», saluta lui gioviale.
«Ciao Riccardo». Mio marito gli posa una mano sulla spalla stringendola appena.
È un compagno di squadra di Marco, l’ho visto molte volte durante le partite e le uscite di gruppo, ma non ci ho mai parlato più di tanto. Sinceramente credevo che sarebbe stato qualcun altro a fare il corso, non un ragazzo di poco più di vent’anni. Spero di essere in buone mani, altrimenti Marco farà una brutta fine.
«Tuo marito ha insistito che ti seguissi io fuori dagli orari normali dei corsi, così da essere soli. Mi ha raccontato della tua paura dell’acqua, tranquilla, non c’è nulla da temere». Mi spiega Riccardo con semplicità e con un perenne sorriso sulle labbra.
Loro fanno presto a parlare! La parola tranquilla non esiste nel mio vocabolario quando c’è di mezzo una pozza d’acqua qualsiasi. Vorrei tanto mettermi a brontolare, ma decido di rimanermene in silenzio e maledirli tra me e me.
«Sentito? Parola di esperto», commenta Marco divertito.
La tentazione di colpirlo allo stinco con un calcio è tanta, ma una nuova fitta al ventre mi fa stringere i denti. I due uomini si stanno già dirigendo verso la vasca, non si accorgono di nulla. Mi sento meglio in un attimo e li raggiungo lentamente, tenendo una mano su un fianco e l’altra sul ventre, massaggiandolo delicatamente.
Amori miei, fate i bravi. Già non è un momento felice, se ci mettete anche del vostro, non ne verrò fuori intera oggi.
Mi siedo sul bordo della vasca con l’aiuto di mio marito: lui è già in acqua e mi afferra per i fianchi, facendomi scendere delicatamente. Metto i piedi in ammollo e la sensazione è davvero piacevole, un po’ meno non appena mi fa entrare anche con il corpo. Mi sfugge un gridolino isterico, Marco ridacchia senza ritegno. Lo guardo in malo modo e lui smette immediatamente, scusandosi con una bacio sulle labbra. Crede davvero di cavarsela con così poco? Ha capito davvero male, a casa gliela farò pagare, può starne certo.
«Cominciamo? Sei pronta?», domanda Riccardo con un sorriso rassicurante. Stanno proprio cercando di indorarmi la pillola, ma io non ci casco, non mi fregano mica.
«Sono nata pronta», borbotto fingendomi sicura di me.
Non vedo l’ora che finisca questa tortura. Riccardo mi spiega che cosa dovrei fare e io cerco, maldestramente, di imitare i suoi movimenti. Peccato che io sia negata in qualsiasi cosa che abbia a che fare con la ginnastica e anche questi semplici movimenti siano complessi per la sottoscritta. Mi attacco al bordo della piscina cercando di rimanere a galla. Le mie gambe si allungano, ma ho come la sensazione di affondare, perciò comincio a dimenarmi come una pazza, colpendo Riccardo sui suoi gioielli di famiglia.
Si porta le mani sul punto colpito.
«Amore, se continui di questo passo, Riccardo non potrà più procreare», commenta Marco dopo aver dato un secondo calcio, ancora più forte, al suo amico.
«Scusa, non l’ho fatto apposta», esclamo portandomi un attimo dopo una mano alla bocca per la vergogna. Mi viene quasi da piangere per la figura da scema che ho appena fatto.
«Beh, spero bene che tu non l’abbia fatto apposta», aggiunge mio marito ridendo come un pazzo.
Riccardo ha perso il sorriso dopo questo attentato alla sua virilità, come biasimarlo, poveretto.
Una nuova fitta mi fa stringere i denti, il dolore sembra più forte di prima.
«Che succede, amore?». Marco si incupisce improvvisamente, non c’è più alcun segno di ilarità sul suo volto.
«Una fitta tremenda», rispondo chiedendogli silenziosamente una mano per sedermi sul bordo vasca.
«Credi che». Lascia la frase in sospeso, cominciando ad agitarsi come un pazzo.
Chiudo gli occhi, quando vengo assalita da un’altra fitta.
«Credo che i nostri figli abbiano intenzione di nascere proprio ora». Riesco a dire a fatica.
È arrivato il momento e io ho una paura folle. 
 
 
 
*Note dell'autrice*
Finalmente abbiamo i nomi dei gemellini! Vi piacciono? Lo so, questa volta ho messo un nome in onore di qualcuno e non parlo di Massimiliano. Chi mi conosce bene sa a cosa mi riferisco :) Mi sembrava doveroso farlo dopo tutto quello che lui fa per me. Abbiamo anche scoperto che cosa fosse il regalo di Anita. Un album porta foto serve sempre, soprattutto in certi momenti tanto importanti. E così Serena ha cominciato il corso pre parto… direi che lo ha anche già terminato. I gemelli sono in arrivo, siete pronti? A martedì prossimo! Un grazie immenso a tutti!
Un bacione, Ire.

Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 22
*** Doppio fiocco azzurro ***



 
 

Capitolo Ventidue

Doppio fiocco azzurro



 
Carico Serena in macchina e parto via quasi sgommando. Ho già avvertito il suo ginecologo, ci sta aspettando in ospedale. Non è un po’ presto per i gemelli? Serena è appena entrata nella trentaduesima settimana. So che può succedere che nascano così presto, ma non vorrei che nascessero con dei problemi.
«Amore, ti prego, datti una calmata», brontola mia moglie al mio fianco.
Calmarmi? Come faccio a calmarmi se i nostri figli hanno deciso di venire al mondo prima del previsto!
«Non sappiamo nemmeno se siano delle vere e proprie contrazioni. Magari sono solo i piccoli che mi stanno prendendo a calci. Avranno un ottimo futuro come calciatori, secondo me». Cerca di rassicurarmi in ogni modo, ma sto per andare in iper ventilazione. Di solito è Serena ad avere queste crisi di panico, non io.
Inspiro, espiro, inspiro, espiro.
No, non funziona! Sono nervoso come prima, non è cambiato proprio nulla. Che palle!
«Marco, ti supplico, togli il piede da quel cazzo di acceleratore!». Serena sembra furiosa e io eseguo immediatamente il suo ordine, prima di venire picchiato qui in macchina.
«Grazie», dice lei non appena il tachimetro segna nuovamente i cinquanta chilometri orari. In effetti stavo correndo un po’ troppo per essere in centro. È più forte di me, voglio arrivare in ospedale il prima possibile. Devo sapere se i piccoli stanno bene, se Serena starà bene. Tutti si preoccupano per come staranno loro, ma nessuno si preoccupa di come si sente il marito e padre dei pargoli. Il sottoscritto se la sta facendo addosso e se non ottiene al più presto informazioni rassicuranti sullo stato di salute dei suoi tre amori più grandi, farà una strage, non c’è santo che tenga!
«E smettila di farti un sacco di paranoie. Ti conosco bene, sappilo e so benissimo quello che stai pensando. Se fossi pronta a partorire, non credi che me ne accorgerei? Ho solo avuto qualche sporadica fitta, le contrazioni vere e proprie sono un’altra cosa», continua lei senza darmi tregua.
Vorrei dirle di smetterla di rassicurarmi, sta solo peggiorando la situazione, ma non vorrei essere brusco con lei, non se lo merita e non ha alcuna colpa. Sono solo io che sono completamente e irrimediabilmente nel panico e non so nemmeno come venirne fuori. Forse ho bisogno di una bella dose di tranquillante, la quantità che normalmente danno ai cavalli dovrebbe bastarmi.
«Finché il tuo ginecologo non mi dice qualcosa di rassicurante, io non mi calmerò». Alla fine esco dal mio mutismo non voluto ed esterno il mio pensiero all’amore della mia vita, la quale mi dà una manata sul coppino con il rischio di farmi anche sbandare.
«Se non lo farai con le buone, ti aiuterò io con le cattive. Ti tramortirò fino a farti perdere i sensi», bofonchia lei incrociando le mani sopra il suo ventre sporgente.
«Ho sposato una donna violenta. Non eri così prima del matrimonio. Sei davvero sicura che non posso richiedere l’annullamento?», brontolo massaggiandomi il collo con una mano, tenendo l’altra saldamente sul volante. Mancano pochi metri all’ospedale e vorrei arrivarci tutto intero.
«Quante volte devo ripetertelo? Ormai non puoi più fare un bel niente, caro mio. Dovrai sopportarmi così come sono e ti assicuro che con il tempo potrò solo peggiorare».
La osservo di sottecchi e sta sorridendo mentre dice queste parole. So che mi sta prendendo in giro e che vorrebbe che tornassi a scherzare, ma proprio non ce la faccio in questo momento, sono troppo agitato.
Lascio mia moglie all’ingresso dell’ospedale e parcheggio la macchina nel primo posto libero che trovo, raggiungendola di corsa un istante dopo. La prendo per mano e la trascino all’interno. Il mio passo è più veloce del suo e per farmelo capire, mi strattona con violenza, strappandomi quasi il braccio. Okay, va bene, devo darmi una calmata o ne uscirò in tanti piccoli pezzi.
Il dottor Sansone ci raggiunge velocemente e fa sistemare Serena su una sedia a rotelle.
«Che cosa senti di preciso?», chiede a mia moglie mentre viene accompagnata in una stanza. La borsa con le sue cose era già pronta da un pezzo in macchina, ma l’ho completamente dimenticata nel bagagliaio. La recupererò dopo, prima devo sapere.
«È da oggi pomeriggio che sento delle forti fitte qui». Indica il punto con la mano e lui annuisce.
«Adesso diamo una bella controllata». La rassicura con un sorriso.
Io li seguo senza dire una sola parola, perso in mille pensieri catastrofici.
Una volta sistemata su un lettino, il medico scopre il ventre di Serena, controllando con la sonda la situazione dei nostri diavoletti. Oggi non sono proprio degli angioletti, mi stanno facendo diventare i capelli bianchi per lo spavento.
«Allora», comincia il dottor Sansone controllando bene il monitor mentre continua a spostare la sonda da una parte all’altra per vedere ogni angolazione. «Questi giovanotti sono già in posizione. La cosa positiva è che uno di loro è cefalico e l’altro ha assunto comunque una buona posizione. È possibile effettuare un parto naturale, se te la senti. Direi che è un’ottima cosa. Ti permetterà di riprenderti più in fretta, Serena. Sempre meglio evitare un cesareo se c’è la possibilità».
«Stanno per nascere ora?», chiedo ingenuamente. Voglio chiarezza. Ho capito che sono già pronti per uscire e sono girati nella posizione ideale. Quello che non capisco è se sia già giunto quel momento.
«Tranquilli, non hanno poi così fretta di uscire. Non sono ancora pronti. Serena avrà bisogno di assoluto riposo da qui in poi, i piccoli potrebbero arrivare quando meno ce lo aspettiamo», dice l’uomo sempre con quel sorriso rassicurante.
«Quindi stanno tutti bene?», domando passandomi nervosamente una mano sulla fronte, sto perfino tremando.
«Stanno tutti benissimo, Marco», risponde guardandomi attentamente e accigliandosi un po’. «Credo che sia tu quello che non sta troppo bene. Siediti qui».
Mi accompagna in un angolo dove si trova una sedia e mi fa sedere. Prende lo stetoscopio che tiene al collo, chiedendomi di sbottarmi la camicia. Ausculta il mio cuore, non che serva a molto: sento benissimo che batte fin troppo forte. Tutta questa agitazione mi ha fatto venire la tachicardia.
«Direi che hai bisogno di tranquillizzarti un po’. Vai a casa con tua moglie e rilassatevi. Sta andando tutto benissimo, i vostri figli stanno bene e Serena va alla grande. Non hai alcun motivo di preoccupazione», posa una mano sulla mia spalla e si allontana per parlare con un’infermiera.
La donna si allontana per qualche istante, tornando poi con un bicchiere di plastica e una compressa.
«Tenga, la farà stare meglio», dice lei con sguardo comprensivo. Chissà quanti padri agitati avranno visto negli anni. Spero davvero di non svenire quando arriverà il momento del parto, non me lo perdonerei mai.
La ringrazio educatamente e mando giù tutto d’un fiato. Spero davvero che faccia presto effetto, non sono mai stato tanto agitato in tutta la mia vita.  Il dottor Sansone sta parlando con Serena e lei sorride contenta. Vederla così tranquilla è piacevole, in fin dei conti è lei che deve dare alla luce i nostri bambini. Non dovrei essere così nervoso, devo essere forte per lei. Non ha bisogno di un uomo nel panico, non se ne fa proprio nulla. Devo essere forte per lei e supportarla in questo momento delicato della sua vita, delle nostre vite. Fra pochissimo arriveranno i piccoli e tutto cambierà dal giorno alla notte, ne sono più che consapevole. La gioia per aver dato la vita a due bambini, però, sarà immensa e credo che tutta la fatica, l’ansia, la paura di non essere dei bravi genitori e tutto quello che ne consegue passeranno in secondo piano. Saranno loro il centro del nostro universo e faremo di tutto per dare loro una vita dignitosa, piena d’amore. Insieme possiamo farcela.
Quando comincio a sentirmi meglio, mi alzo, raggiungendo Serena.
«Andiamo a casa?», le chiedo accarezzandole una guancia con il dorso della mano.
«Certo, torniamo a casa, amore», risponde lei afferrando la mia mano e baciandola teneramente.
Da questo momento, i nostri figli possono nascere da un giorno all’altro e noi saremo pronti ad accoglierli a braccia aperte.
Mi sento molto meglio dopo aver mandato giù quella pastiglietta, chissà che cos’era. Spero non fosse niente di illegale, altrimenti se mi fermano per un controllo durante la strada, potrebbero ritirarmi pure la patente. Non mi sembra davvero il caso.
Una volta arrivati davanti casa, trovo la macchina di mia sorella Lucrezia davanti al cancello. Lo apro con il telecomando, in modo tale che possa entrare nel vialetto. Parcheggio accanto alla sua auto. Daniele scende di corsa e apre la portiera alla sua zietta preferita. Da quando ha cominciato la scuola non lo vediamo più tanto spesso e manca molto a Serena, quei due hanno davvero un legame speciale.
«Zia, zia, ho preso nove in matematica!», urla lo squaletto prendendo la mano di mia moglie e aiutandola a scendere dalla macchina. Serena è ancora un po’ dolorante e ha davvero bisogno di mettersi comoda.
«Davvero? Ma sei un piccolo genio!», esclama lei portandosi una mano alla bocca per esagerare con lo stupore. «Vieni, entriamo in casa così mi racconti tutto».
I due si dirigono verso la porta e spariscono in fretta all’interno. Io rimango un attimo fuori con mia sorella.
«Come sta?», chiede abbracciandomi e baciandomi poi la guancia.
«Ha avuto qualche strana fitta oggi in piscina al corso pre parto e l’ho portata immediatamente in ospedale. Lei e i gemelli stanno bene. Il suo ginecologo ha detto che sono già in posizione corretta, dobbiamo solo aspettare che siano pronti a nascere», le racconto con tranquillità. Mi sento davvero molto meglio ora e riesco perfino a pensare normalmente.
«Sarà un parto naturale allora», dice Lucrezia massaggiandomi il braccio. Penso abbia percepito quanto fossi spaventato.
«Se tutto va bene, sì. Non manca molto, sorellina».
Lei mi prende il viso tra le mani, sorridendomi dolcemente. «Sarai un padre meraviglioso, non metterlo mai in dubbio».
Mi prende sotto braccio, trascinandomi in casa. Serena è seduta comodamente sul divano, mentre nostro nipote gesticola vistosamente in piedi davanti a lei. Le sta raccontando tutte le sue prodezze scolastiche e mia moglie è orgogliosa di lui, si vede chiaramente.
«Ha voluto a tutti i costi venire a trovarvi, voleva raccontare alla sua zia preferita che aveva preso nove in matematica. Non gli è passata la cotta per la tua donna». Ridacchia lei dandomi una leggera gomitata sulle costole.
«Fra qualche anno comincerò a preoccuparmi, potrebbe perfino cercare di rubarmela». Mi aggrego alla sua risata passandole un braccio intorno alle spalle.
Ho davvero una famiglia meravigliosa, sono un uomo molto fortunato.
«Se poi ha preso dallo zio, spezzerà milioni di cuori quando crescerà», aggiungo osservandolo mentre abbraccia maldestramente mia moglie. Fa un po’ fatica ora che è parecchio tonda, ma si comporta benissimo con lei, sa che non può fare certe cose.
«Cucciolo, senti, i tuoi cuginetti stanno scalciando». Serena afferra la mano di Daniele e se la porta sul ventre. Lui per un istante sembra confuso, ma il suo volto si illumina con un sorriso stupendo non appena sente qualcosa.
«È vero. Sono proprio i miei cuginetti che colpiscono così forte?», chiede guardando il pancione della zia.
«Eh sì, sono proprio loro. Sentono la tua presenza e sono felici, stanno giocando con te», gli dice con dolcezza, passandogli le dita fra i capelli scompigliati.
«Non vedo l’ora di mostrare a Max e Simone tutte le mie macchinine. Due sono già pronte per loro, devo solo chiedere alla mamma di incartarle».
Serena si commuove a quelle parole. «Davvero hai fatto questo per loro?».
«Certo, sono i miei cuginetti e sono sicuro che diventeremo grandi amici», risponde con decisione avvolgendo il pancione della zia con le braccia, come se potesse abbracciare i nostri figli.
«Vedremo se dirà la stessa cosa una volta cresciuti, magari mentre litigano per la stessa donna», borbotta mia sorella al mio fianco.
Alzo gli occhi al soffitto. Non sono di certo cose a cui pensare in questo momento.
«Come sei pessimista», le dico osservandola con la coda dell’occhio.
«Può succedere tutto nella vita. Andiamo Dani, papà ci aspetta a casa per cena con tua sorella». Batte le mani per attirare l’attenzione del figlio e lui sbuffa baciando la guancia di Serena nel passare.
Li accompagno alla porta e li saluto con la mano quando escono dal cancello. Raggiungo mia moglie sul divano e mi rilasso accanto a lei.
«Stai meglio?», domanda posando la mano sul mio braccio, carezzandolo delicatamente.
«Sì, sto meglio, molto. Mi sono spaventato tanto, non lo nego», rispondo appoggiando la testa sulla sua spalla e stringendomi a lei.
«È normale preoccuparsi, amore. Ora cerchiamo di riposarci, ci aspetteranno giorni pieni di stress, con la paura che possano nascere all’improvviso», mormora passandomi un braccio lungo le spalle e carezzandomi i capelli.
«Lo so, ma noi saremo pronti».
Ne sono certo.
 
°°°
 
Mi sono addormentata sul divano, come al solito. Questa volta, però, Luca ha fatto lo stesso: sta ronfando beatamente con la testa a penzoloni, gli manca solo la bolla al naso come nei cartoni animati. Mi allungo per prendere il cellulare sopra il tavolino, cercando di fare piano. Non vorrei perdere questa occasione succulenta di fargli una foto a tradimento in una situazione tanto divertente. Potrei usarla come arma di ricatto in un momento di bisogno. Una fitta improvvisa mi toglie il fiato. In queste ultime due settimane mi era capitato di avere ancora queste strane fitte, ma il dottor Sansone mi aveva sempre rassicurato, dicendomi che non era ancora arrivato il momento di partorire. Un’altra fitta mi stordisce, facendomi stringere i denti. Prendo dei respiri profondi e mi sento meglio.
Decido di desistere per quanto riguarda la foto, mi alzo a fatica dai cuscini e vado in bagno. Ultimamente mi sembra di essere diventata incontinente. Prima, guardando un film comico, me la sono quasi fatta addosso e non è stato affatto divertente. Vedo delle strane perdite che non ho mai avuto prima. Non mi si staranno mica rompendo le acque proprio ora? Non c’è nemmeno Marco a casa, è ancora al lavoro. C’è solo la mia babysitter, ma se gli dicessi quello che sta succedendo, andrebbe nel panico. Ho ancora il telefono in mano, così decido di fare una chiamata.
«Stella, posso parlarti un secondo?», chiedo quando la mia migliore amica risponde con voce squillante.
«Certo, tesoro. Che succede?». Il suo tono cambia in meno di un secondo, sono riuscita a preoccuparla senza volerlo.
«Credo che mi si siano rotte le acque, ma non ne sono certa», le spiego sedendomi sul bordo della vasca da bagno.
«Hai tanta perdita di liquidi?», domanda con dolcezza.
«No, non è molto. Per questo non so se sia altro», rispondo passandomi nervosamente una mano sulla fronte. Se solo Marco fosse qui. Non mi va di disturbarlo al lavoro, magari non è nulla.
«Fai così, avevo letto questo trucco quando stavo aspettando Eleonora. Indossa un assorbente, se in mezzora si bagna molto, vuol dire che è ora di andare in ospedale perché i cuccioli stanno per nascere». La tranquillità che la mia amica riesce a donarmi anche dall’altra parte della linea è indescrivibile.
«Ora ci provo», le dico in un sospiro. «Grazie Stella».
«Tienimi aggiornata».
Ci salutiamo e poso il telefono sopra il lavandino, recupero un assorbente dal mobiletto, indossandolo immediatamente. Non posso rimanere qui seduta sulla vasca per mezzora, aspettando il verdetto. Vado nella stanza dei piccoli, mi siedo sulla sedia a dondolo, chiudendo gli occhi e cercando di rilassarmi.
«Stai bene cucciola?». Luca mi raggiunge, assonnato e spettinato.
Sono indecisa su cosa rispondergli. Non vorrei allarmarlo, ma allo stesso tempo non voglio mentirgli.
«Forse mi si sono rotte le acque, però non ne sono certa. Ho chiamato Stella e mi ha detto di fare una prova. Se dovesse succedere, te la senti di portarmi in ospedale?».
Luca si muove nervosamente sul posto, spostando il peso da un piede all’altro. «Vorresti dirmi che forse i miei nipotini stanno per nascere?».
Annuisco. «Te la senti?».
Lo ripeto ancora una volta, per essere certa di poter contare su di lui, altrimenti dovrò chiamare al volo Marco. Aspetterò di sapere se si sono rotte davvero, prima di contattare mio marito. Mi potrà raggiungere in ospedale. Una nuova contrazione mi fa stringere i denti, ma cerco di nasconderla per non preoccupare Luca. Non sono ancora così regolari, ma non mancherà molto. Posso dire quasi con certezza che il travaglio è iniziato.
«Certo che me la sento. Non devi neanche chiedermelo». Si inginocchia davanti a me, prendendomi entrambe le mani. «Sai che puoi sempre contare su di me. E poi io sarò il loro zio preferito, mi conosceranno fin dal loro primo vagito».
Ridacchio buttando la testa all’indietro. «Ti conoscono già, stai tranquillo. Senti come si muovono quando ti sentono parlare».
Luca posa la mano sul mio ventre e uno dei due angioletti, scalcia davvero forte. Il mio migliore amico si emoziona, i suoi occhi diventano improvvisamente lucidi.
«Non vedo l’ora di tenerli tutti e due in braccio, soprattutto il mio figlioccio. Massimiliano è un po’ troppo lungo per i miei gusti. Credo che diventerà immediatamente Max. Solo se avrò il vostro permesso, ovviamente». Mi guarda con occhi imploranti.
«Lo chiamiamo già anche noi così», commento ridendo.
«Beh, allora tanto vale che lo chiamiate Max anche all’anagrafe», esclama lui divertito.
«Ci penseremo su». Gli soffio un bacio e lui si mette di nuovo in piedi, baciandomi la fronte.
«Ti voglio un bene dell’anima», mormora ancora con la bocca premuta sulla mia fronte.
«Io te ne voglio di più, tesoro mio», gli dico chiudendo gli occhi e godendomi le attenzioni del mio migliore amico. «È arrivato il momento di controllare».
Luca si stacca da me e mi aiuta ad alzarmi, accompagnandomi in bagno senza allontanarsi di un passo da me. Mi aspetta fuori dalla porta come una brava guardia del corpo e io ispeziono l’assorbente. Bene, direi che questi due monelli hanno deciso di nascere oggi dodici febbraio. Prendo il telefono che ho lasciato sopra il lavandino e chiamo mio marito.
«Amore, tutto bene?», chiede già in agitazione.
«È ora», rispondo stringendo i denti. Sono cominciate le contrazioni proprio in questo istante. Non potevano aspettare mezzo secondo che finivo la telefonata?
«Ti vengo a prendere subito», esclama lui.
«C’è qui Luca, raggiungimi in ospedale», gli dico con decisione. Non ha senso perdere tempo in questo modo.
«Avverto il dottor Sansone. Ci vediamo tra poco. Andrà tutto alla perfezione, Flounder». Mi rassicura prima di terminare la chiamata.
Raggiungo Luca lentamente. I dolori sono davvero molto forti e non riesco nemmeno a ragionare.
Il mio migliore amico capisce al volo la situazione, recupera la mia borsa e le chiavi della macchina, prendendomi sotto braccio. Mi accompagna alla sua macchina, mantenendo la calma o almeno finge di essere tranquillo. La cosa essenziale è che non mi metta ulteriore ansia, non ne ho proprio bisogno in questo momento.
«Non partorirai nella mia macchina, vero?». Luca si assicura che i gemelli rimangano ancora un po’ dentro il mio utero.
«Magari se ti dai una mossa non li farò nascere qui sul tuo sedile». Lo prendo in giro chiudendo gli occhi e massaggiando il mio ventre, le fitte si stanno facendo sempre più dolorose e frequenti.
«Giusto, meglio muoversi», esclama il mio migliore amico partendo alla volta dell’ospedale. Spero guiderà un po’ più veloce del solito, questa posizione non è proprio comodissima. Fortunatamente sembra leggermi nel pensiero e venti minuti dopo, siamo davanti il nosocomio. Marco arriva quasi in contemporanea, abbandonando la sua macchina davanti e chiedendo a Luca di parcheggiargliela. Il mio migliore amico obbedisce senza fiatare.
«Ho fatto il prima possibile», dice baciandomi le labbra e accompagnandomi dentro, dove un’infermiera mi accoglie immediatamente con una sedia a rotelle.
Il dottor Sansone è pronto a ricevermi in una stanza.
«Adesso controlliamo la situazione. Sono già cominciate le contrazioni?», chiede posandomi una mano sul braccio.
«Sì, mi vengono ogni venti minuti, credo». Non è che sono stata lì a guardare il minuto, però bene o male dovrebbe essere questa la tempistica.
«Adesso ti teniamo monitorata e vediamo sul da farsi. Comunque le contrazione dovranno diventare ravvicinate, con la distanza inferiore ai cinque minuti. Ora non ci resta che aspettare». Mi sorride cercando di rassicurarmi.
Non so come mai, ma mi sento stranamente tranquilla. Pensavo che sarei stata tremendamente nervosa e agitata, invece sono rilassata. Forse è merito dei miei piccoli: ho una voglia assurda di vederli e di stringerli a me. Saranno due bambini meravigliosi, ne sono certa.
Marco mi accarezza dolcemente i capelli, con le labbra curvate in un sorriso. Sicuramente è lui quello più nervoso in questa stanza, riesco a leggerlo dai suoi movimenti.
«Andrà tutto bene». Lo rassicuro afferrando la sua mano e portandomela alla bocca. Ne bacio il palmo, posandomela poi sulla guancia. Sono davvero felice che faremo questa esperienza insieme. Avere Marco al mio fianco è rassicurante, se fossi stata da sola, sarebbe stato un disastro. Ho davvero bisogno di lui, avrò sempre bisogno di lui.
«Hai questo brutto vizio di dirmelo. Non sai che dovrei essere io a rassicurare te? Spetta al marito prendersi cura della moglie», borbotta lui fingendosi risentito.
«Però è la moglie che partorisce i suoi figli». Lo prendo in giro io bonariamente. «E tu hai voluto esagerare come al solito, non ne hai voluti due nel tempo, tutti in una sola volta. Tanto sono io che devo farli uscire da qui».
Indico il punto con la mano prima di scoppiare a ridere. La sua faccia sgomenta è troppo divertente. Secondo me non si è davvero reso conto di cosa lo aspetterà con questo parto. Meglio che rimanga nell’ignoranza.
Ecco qui una nuova fitta che mi stordisce! Sarà una giornata lunga e faticosa, ma so che alla fine mi dimenticherò di tutto lo sforzo e mi rimarranno solo dei bellissimi ricordi. Le successive ore sono un susseguirsi di contrazioni e di dolori assurdi: i nostri piccoli hanno proprio voglia di venire al mondo. Marco mi tiene la mano tutto il tempo, spostandomi i capelli ogni volta che mi finiscono sul viso. Non credo di aver mai sudato e faticato tanto in tutta la mia vita. Seguo le istruzioni del dottor Sansone e dell’ostetrica che mi seguono attimo per attimo.
Una gioia incommensurabile si impadronisce di me, non appena sento il vagito del primo nato dei nostri figli: benvenuto al mondo Max. Lacrime di felicità cominciano a scendere lungo il mio viso.
«Sei stata bravissima, amore», dice Marco emozionato da morire.
«Ultimi sforzi, Serena. Dobbiamo far uscire anche il secondo giovanotto». Il dottor Sansone mi strizza l’occhio e io riesco solo ad annuire. Comincio ad essere davvero stanca, ma Simone deve raggiungere suo fratello. Comincio a spingere nuovamente, pronta a dare alla luce l’altro cucciolo. Tre minuti più tardi, Simone emette il suo primo vagito e ora scoppio in lacrime a più non posso.
Sono stremata, ma, allo stesso tempo, sono la donna più felice al mondo. Marco ha le lacrime agli occhi per la contentezza.
«Sono bellissimi, amore mio. Hai dato la vita a due bambini stupendi, i nostri bambini. Non hai nemmeno idea di quanto ti amo». Incolla le labbra alle mie, baciandomi dolcemente. Le nostre lacrime si mescolano tra loro, siamo incapaci di dire altro, l’emozione è troppo grande.
Due infermiere mi stanno portando i miei figli e io ho già le braccia protese verso di loro. Li adagiano uno alla mia destra e uno alla mia sinistra. Sono così piccoli, ma sono anche così belli. I miei amori bellissimi. Li bacio a turno sulla fronte, felice come non mai. Marco sfiora le loro guance con i polpastrelli, li tocca appena, delicatamente. Osservo la sua espressione e non credo di averlo mai visto tanto emozionato, nemmeno il giorno delle nostre nozze. Lo so che non sarò bella in questo istante, sarò distrutta e piena di chiazze, ma voglio farlo lo stesso.
«Mi faresti una foto con loro?», gli chiedo sommessamente. Ho una sete assurda e sono a corto di forza.
«Certo», risponde lui estraendo il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni. Ci scatta una decina di foto e so per certo che fra poco le spedirà a chiunque, orgoglioso di essere diventato padre.
«Devi riposare ora». Il dottor Sansone appare nuovamente accanto a me. Anche lui sembra parecchio stanco, è stata una faticaccia per tutti questo parto.
«Anche lei», commento ridacchiando.
«Sì, hai ragione, ne ho bisogno anch’io», esclama ridendo. «Brava, Serena, sei stata davvero bravissima».
Mi portano in quella che sarà la mia stanza per i prossimi giorni e mi addormento già durante il trasporto. Non ho resistito, avevo davvero bisogno di chiudere gli occhi e dormire un po’.  Non è stata una giornata tranquilla, ma sono contenta che tutto sia andato per il verso giusto. I nostri piccoli stanno bene, io sono stremata ma passerà, Marco è stato presente ogni istante: non avrei potuto chiedere di meglio. Sono una donna, una moglie e una mamma fortunata. Non avrei mai pensato che avere dei figli sarebbe stata un’emozione tanto grande. So che non si nasce madre, ma farò di tutto per essere un punto di riferimento per Max e Simone, li amerò incondizionatamente fino alla fine dei miei giorni. Farò tutto in mio possesso per dare loro la vita che si meritano. Marco sarà un padre fantastico, non l’ho nemmeno mai messo in dubbio. Le sue paure sono infondate, perché è un uomo e un compagno speciale. Sarà premuroso con loro come lo è sempre stato con me, li amerà sopra ogni cosa e li proteggerà da tutto e tutti. La nostra squadra si è allargata e io non posso che esserne orgogliosa. Non vedo l’ora di presentare a tutti i nostri figli.
 
 
 
*Note dell'autrice*
Bene, bene, bene… i due cuccioli sono finalmente nati. Posso dire che questo capitolo è stato un vero parto anche per me. Non avendo mai provato certe emozioni, è stato davvero complicato cercare di rendere tutto “reale”… spero di esserci riuscita in qualche modo e spero di avervi emozionato. Come ho già accennato nel mio gruppo, il prossimo capitolo sarà quello conclusivo. So che molti di voi non ne saranno felici, ma è giunto il momento di salutare Marco & Serena. Non sarà un addio, in qualche modo li ritroveremo ancora… non credo di essere in grado di liberarmi del tutto di loro, sono parte di me. Detto questo, vi aspetto martedì prossimo per la conclusione di questa storia che tanto ho amato. Grazie infinite a tutti voi che mi avete seguito con moltissimo affetto.
Un bacione, Ire.


Vi aspetto nel mio gruppo se vi va:

Bijouttina e i suoi vaneggiamenti

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Capitolo 23
*** Grandi festeggiamenti ***



 
 

Capitolo Ventotré

Grandi festeggiamenti



 
Sei mesi, sei intensi e bellissimi mesi sono già passati da quando Serena ha dato alla luce i nostri due figli. Max e Simone stanno crescendo a vista d’occhio e diventano ogni giorno più belli. Lo so, io sono di parte, sono i miei cuccioli e saranno sempre meravigliosi ai miei occhi. Simone è quello più tranquillo e pacifico dei due, non fa altro che dormire e mangiare. Massimiliano, invece, si sveglia un sacco di volte la notte in cerca della mamma per la sua razione di latte. Entrambi pesavano due chili e duecento grammi alla nascita - grammo più, grammo meno - ora sono dei vitellini: Simone pesa nove chili, Max nove e mezzo.
Ogni mattina, quando mi guardo allo specchio, quasi mi spavento per le perenni occhiaie. Non sono abituato a dormire così poco e mi alzo sempre con mia moglie durante la notte, per darle una mano. Normalmente mentre sfama uno dei due, io mi coccolo l’altro. Devo dire che non mi pesa affatto, ne risento solo la mattina quando devo alzarmi per andare a lavorare. Mentre sono via, c’è sempre qualcuno qui con Serena per aiutarla a fare tutto. Si è ripresa bene dopo il parto, senza alcuna conseguenza e ha già smaltito quasi tutti i chili extra che aveva preso durante la gravidanza, è stata davvero brava.
«Mi dai una mano a cambiare i mostriciattoli?». Serena appare in camera come una furia, tutta spettinata e non ancora vestita, indossa ancora il pigiama.
«Lo sai che non sei ancora pronta?». La osservo divertito e lei arriccia le labbra, rilasciandole con uno schiocco.
«Certo che lo, ma qualcuno deve sfamare le belve e tu non puoi certamente farlo. Il compito ingrato spetta a me e ora devono essere cambiati. Dai, paparino, muovi quel tuo bel culetto sodo e cambia il pannolino a Max». Mi schiaffeggia il sedere, trascinandomi poi per un braccio e portandomi nella stanza dei piccoli, dove mi aspetta questo compito ingrato.
«Perché devo cambiare sempre io quel puzzone?», domando preparandomi ad andare in apnea finché non avrò rimosso il pannolino incriminato. Per fortuna sono allenato a stare in acqua e riesco a non respirare per un tempo prolungato. Okay, ammetto di aver perso un po’ di allenamento, ma non me la cavo proprio così male e normalmente riesco ad uscire indenne da questa tortura. Amo i miei figli, farei qualsiasi cosa per loro, ma il cambio del pannolino lo eviterei volentieri! Non posso sottrarmi però, è mio compito di bravo padre fare anche quello che non mi piace.
«Proprio perché è puzzone. Mi dispiace, ma l’angioletto spetta a me». Prende in braccio Simone, baciandogli la punta del naso. Lui emette dei gridolini entusiasti, sorridendo come un pazzo. È già il cocco della sua mamma, si vede chiaramente.
Max comincia ad agitarsi nel suo lettino, borbottando come un pazzo. Credo che abbia preso il mio caratteraccio.
«Sì, ho capito, non serve che ti lamenti in questo modo». Una volta tra le mie braccia mi sorride contento. «Volevi anche tu le attenzioni di qualcuno, vero? La tua mamma ha un debole per quel ruffiano di tuo fratello, ma c’è il tuo papà a farti sentire speciale».
Serena scuote la testa divertita, mentre cambia con mano esperta il pannolino di Simone. Max mi osserva accigliato, forse non crede che io sia bravo quanto lei a fare il cambio di quell’arma di distruzione di massa. Le farò vedere che giochiamo ad armi pari, o quasi. Prendo un bel respiro e parto ben deciso a trionfare. Max, però non è di grande aiuto: una volta tolto il pannolino puzzolente e buttato nell’apposito cestino, ha la brillante idea di farmi la pipì sulla camicia pulita appena indossata, prendendomi pure in giro ridendo soddisfatto.
«Ehi, maialino, non si fanno queste cose al tuo papà». Gli punto un dito contro, minacciandolo bonariamente. «Guarda che ti metto in castigo fino ai vent’anni».
Max, in tutta risposta, protende le manine verso di me, continuando a sorridere felice.
«C’è anche un altro ruffiano qui dentro», commento osservando con la coda dell’occhio Serena che ha già terminato di cambiare e sistemare Simone.
«Ti serve una mano, amore? Ti vedo un po’ in difficoltà». Mi prende in giro mia moglie con un sorrisetto divertito sulle labbra.
«Posso farcela», rispondo estraendo una manciata di salviette deumidificate. «Io e Max abbiamo un discorso in sospeso».
Lui si mette una mano in bocca, guardandoci attentamente. Dopo un attimo in cui sembra concentrato in qualcosa, emette una sonora puzzetta. Serena scoppia a ridere come una pazza.
«Certo che la fama del puzzone non te la toglierà proprio nessuno», dico a mio figlio, scuotendo la testa rassegnato. «Vedi di cambiare atteggiamento quando ti troverai una ragazza, altrimenti non ti vorrà nessuno e dovremmo tenerti in casa. Sai, non vorrei averti tra i piedi tutto il tempo. La tua mamma ed io vorremmo anche fare cose che tu e tuo fratello non dovrete mai sapere».
Max mi osserva con attenzione, sembra fare attenzione a ogni mia singola parola. Infatti mi risponde, borbottando qualche suono simile ad un vero discorso. Mio figlio mi sta rispondendo a tono e non sembra molto felice della mia ramanzina.
«Avete finito di litigare voi due?», domanda Serena divertita.
«Tuo figlio ha un brutto carattere». Le faccio notare con un angolo della bocca sollevato all’insù.
«Mi sto proprio domandando da chi avrà mai preso». Bacia la fronte di Simone che sorride più che mai e poi, rivolgendosi a lui, aggiunge: «Tuo fratello è l’esatta copia in miniatura di tuo papà. Non fare caso a loro, tu hai preso tutto dalla tua mamma e sarai un bambino adorabile. Tuo fratello sarà un brontolone, ma credo che tu lo abbia già capito, vero cucciolino mio?».
«Smettila di traviare nostro figlio». La ammonisco prima di baciarla a tradimento sulle labbra. «Bambini, tappatevi gli occhi, sto per pomiciare con la vostra bellissima mamma».
Lei ridacchia sulla mia bocca, ma non si sottrae all’approfondimento di quel bacio, anzi, è proprio lei a ricominciare quando sto per smettere.
«Peccato che non ci sia il tempo per andare oltre», mormoro ancora con gli occhi chiusi, un sospiro sfugge al mio controllo. «Dobbiamo essere in chiesa tra un’ora ed è esattamente il tempo che ti servirà per renderti presentabile».
«Ehi! Screanzato che non sei altro!», sbotta Serena sculacciandomi ancora una volta.
«Se non la smetti di sculacciarmi, dovrò cominciare a pensare che vuoi provare qualcosa di strano durante la nostra intimità». La prendo in giro con un sorrisetto sghembo sulle labbra.
Lei si finge risentita. «La prossima volta ti prendo a calci».
«Magari qualcuno potrebbe trovare eccitante anche quello», continuo imperterrito per la mia strada.
«Bambini, chiudete gli occhi. Sto per pestare a sangue vostro padre e non vorrei traumatizzarvi», borbotta Serena in direzione dei nostri figli.
Simone, che si trova ancora tra le sue braccia, nasconde il viso contro il suo collo.
«Ha già capito tutto», commenta lei scoppiando a ridere.
I nostri figli sono molto intelligenti, niente da dire. Max attira nuovamente la mia attenzione, brontolando più che mai. Ha ragione, povero, l’ho lasciato con il sederino al vento.
«Scusami cucciolo, il tuo papà è partito per la tangente, scordandosi di metterti il pannolino pulito». Riparo immediatamente e lo cambio, per la gioia di tutti. Finalmente mio figlio torna a sorridermi felice.
«Scusami ancora piccolino». Lo prendo in braccio, baciandogli la fronte. Lui emette dei suoni entusiasti. Per fortuna mi vuole ancora bene.
«Gli uomini della mia vita», esclama Serena con gli occhi lucidi. «Vi amo tutti così tanto».
«E noi amiamo te, bellissima mammina». Le bacio teneramente le labbra. Amerò questa donna fino alla fine del tempo.
«Ora vatti a preparare che poi devo mettermi una nuova camicia. A Max questa non piaceva e me l’ha dimostrato chiaramente», dico ridacchiando.
«In effetti ne hai di più belle nell’armadio». Infierisce la mia donna con un sorrisetto furbo. Non si stancherà mai di prendermi in giro e io la amo da impazzire anche per questo.
Cinquanta minuti più tardi siamo pronti per salire sulla nostra nuova auto. Va bene, ormai ha già qualche mese, non è più nuovissima. Alla fine sono riuscito a vendere la mia bambina a un single incallito che vive qui in zona. Ogni tanto la vedo sfrecciare lungo la tangenziale e a me vengono le lacrime agli occhi. Non è tanto per la macchina in sé, è più per il valore affettivo: ho conosciuto Serena grazie a lei. Ora abbiamo una station, i nostri figli hanno la priorità assoluta e avevamo bisogno di un’auto spaziosa per caricare tutte le loro cose. La carrozzina doppia è parecchio ingombrante. Lorenzo ha smesso da un po’ di prendermi in giro su questo argomento, probabilmente perché ho minacciato di spifferare a Stella che ogni tanto fuma ancora qualche sigaretta. Non vorrebbe mai che lei lo scoprisse, altrimenti gli taglierebbe i connotati. Sembra tanto dolce e timidina, ma usa il pugno di ferro con il suo uomo e fa decisamente bene, secondo me. Lorenzo aveva davvero bisogno di qualcuno che lo tenesse a bada e lo mettesse in riga. Stella è perfetta a questo scopo e si amano, non poteva andare meglio al mio socio.
Quando arriviamo davanti alla chiesa, gli invitati sono già tutti presenti.
«Dov’è il mio figlioccio?». Luca arriva di corsa, rubandomi Max dalle mani. «Oggi è il gran giorno, amorino mio, sarò il tuo punto di riferimento fino alla fine dei nostri giorni».
In effetti non so se sia un bene o un male, ma dall’espressione felice di mio figlio, direi che è soddisfatto della scelta fatta. Mi ritrovo a sorridere quando Luca gli bacia ripetutamente la guancia e Max lancia degli urletti divertiti.
Anche Lorenzo fa la sua apparizione, rubando Simone dalle braccia di Serena: non vuole di certo essere da meno.
«Tu, invece, diventerai un grande rubacuori come lo zio. Lo capisco da questa facciotta d’angelo. L’importante è che stai alla larga da mia figlia. Dillo anche a tuo fratello, ho già avuto una certa premonizione e non vorrei mai che diventasse realtà. Non voglio usare misure estreme con voi, ma se sarà necessario, non mi tirerò indietro. Nessun maschio, tanto meno voi, può toccare la mia principessa». Osserva Simone attentamente, scoppiando a ridere un istante dopo. «Era così concentrato mentre gli parlavo. Pensate che mi abbia capito?».
«Credo che lo scopriremo fra qualche anno, quando a tua figlia cresceranno le tette». È Luca a rispondere e il mio socio lo fulmina con lo sguardo.
«Non parlare in questo modo della mia bambina», sibila a denti stretti, fulminandolo con lo sguardo.
«Come sei suscettibile», sbuffa Luca concentrandosi nuovamente sul suo figlioccio. «Max, quest’altro tuo zio è parecchio scontroso. Tu vieni da me quando hai bisogno di aiuto, lascia perdere lui, è capace di rifarti i connotati se gli girano le scatole».
«Bambini, smettetela. I nostri figli hanno solo sei mesi. Potete riprendere questo discorso quando avranno quindici anni e gli ormoni a palla». Mi intrometto mettendo fine a questo insulso scambio di battute altamente fuori luogo. Oggi è un giorno importante per i nostri figli, saranno battezzati e siamo pronti a festeggiare in grande con le nostre famiglie e amici. Sono presenti proprio tutti oggi, nessuno ha pensato di darci buca, anche perché ce lo saremmo legati al dito.
È una giornata caldissima. Forse non è stato il massimo scegliere di farlo ad agosto, ma ne abbiamo approfittato visto che i nostri amici sono tutti in ferie in questo periodo e possiamo fare le ore piccole senza l’obbligo di doverci alzare prestissimo domani mattina. Anche le Cantine Rossini sono chiuse per una settimana intera, poi io me ne tornerò a fare qualcosa, mentre la mia squadra farà a rotazione un’altra settimana, meritatissima.
Tiziano sta venendo nella nostra direzione, lo abbraccio felice.
«Grazie dell’invito, Marco», mi dice con una leggera stretta sul braccio.
«Non potevi mancare». Lo rassicuro con un sorriso. Una donna bionda, più o meno della sua età, e due ragazzi ci stanno raggiungendo.
«Questa è la mia famiglia». Me li presenta uno a uno orgoglioso. La moglie mi abbraccia di slancio, sorprendendomi.
«Grazie per aver ridato il lavoro a mio marito». Ha gli occhi lucidi e sta trattenendo le lacrime.
«L’azienda non sarebbe stata la stessa senza Tiziano». Ed è la verità, abbiamo bisogno di lui. Il bamboccio aveva obbligato mio padre a licenziarlo, ma dopo il loro arresto, l’ho ripreso subito con noi. È un elemento importante e non mi sarei mai liberato di lui. Ho risistemato le cose e gli ho anche pagato i suoi giorni di assenza forzata, come se fossero state delle ferie programmate. Lui e la sua famiglia non avrebbero mai dovuto rimetterci a causa di quei bastardi. Un pezzo per volta sto facendo tornare l’azienda di mio nonno al suo vecchio splendore. Il periodo non è dei migliori, ma sono certo che riusciremo a mantenere vivo il buon nome di famiglia, anche nelle generazioni future. Max e Simone potranno avere un ruolo importante in tutto questo, se solo se la sentissero una volta cresciuti. Nemmeno io volevo avere a che fare con tutto questo, ma se non fosse stato per la caparbietà di mio padre, a quest’ora io non sarei qui a raccontare tutto questo. Probabilmente le Cantine Rossini non sarebbero nemmeno più esistite. Mio padre è così orgoglioso di me che ha voluto perfino dedicarmi una partita di spumante in edizione limitata a mia insaputa. Tutte quelle bottiglie numerate sono andate a ruba e io mi sono commosso come non mai. Sono l’orgoglio della mia famiglia, non potrei essere più felice di così.
Osservo mia moglie sorridente, i miei bambini sani e coccolati da tutti, rendendomi conto che non cambierei la mia vita con quella di nessun altro al mondo.  La mia è semplicemente perfetta.
 
°°°
 
I nostri cuccioli sembrano davvero dei principini con quei vestiti da cerimonia che mia madre ha tanto voluto regalarci per l’occasione. Sinceramente non ero molto convinta, ma alla fine ho dovuto ricredermi e sono davvero bellissimi. La cerimonia in chiesa è andata benissimo, Max e Simone sono stati davvero molto bravi, non hanno pianto e sono stati tranquillissimi tutto il tempo. Avevo un po’ paura che Max facesse i capricci, ma a quanto pare le mie raccomandazioni sono servite e il mio piccolino mi ha davvero reso orgogliosa di lui. Sono una mamma molto fortunata, anche se questi primi sei mesi con loro non sono stati di certo una passeggiata. C’è stato davvero il rischio che andassi in depressione post parto, ma avevo l’affetto e la presenza di tutti i miei cari, che non mi hanno mai lasciata sola un solo istante. Sono un aiuto prezioso per me, per Marco e per la nostra famiglia. Mi sento davvero bene, sono felice di come sta andando la mia vita. Non potrei davvero chiedere di meglio.
Siamo tutti a festeggiare nella villa dei Rossini. I miei suoceri hanno insistito per far festa da loro, lo spazio di certo non manca. In estate è comunque tutto più semplice, è stato un po’ più complicato per il nostro matrimonio in dicembre, anche se è andato tutto alla perfezione. Ora non sono più ingombrante, mi sento più leggera senza questi due nanerottoli dentro di me, ma sono anche molto più felice. Simone è sulle mie ginocchia, lo faccio saltellare piano e lui ridacchia contento; ha sempre il sorriso sulle labbra e guardarlo ti dà davvero una sensazione di pace. Max, invece, è un po’ più musone e dico sempre che ha preso tutto da suo padre, è Marco in miniatura, per questo è semplicemente perfetto. Entrambi i miei figli lo sono.
«Posso coccolare un po’ mio nipote?». Mio fratello Ale si siede accanto a me e ha già le braccia protese verso Simone.
«Solo se farai il bravo», gli dico dandogli una leggera spallata.
«Io sono sempre bravissimo», borbotta chiudendo e aprendo ripetutamente i palmi delle mani, impaziente di rubare uno dei miei figli.
«No, non è vero, non mi hai ancora fatto diventare zia». Gli metto il broncio, cedendo poi e consegnandogli il mio bambino.
«Ci stiamo lavorando, Sere». Ale mi sorride e io gli passo un braccio intorno al collo, baciandogli la guancia.
«Perché non me lo hai mai detto?», chiedo raggiante.
«Diciamo che non volevo che nostra madre si facesse troppe illusioni. Magari non ci riusciamo, che ne sappiamo», risponde sistemando Simone sulle sue ginocchia e riprendendo a farlo saltellare come stavo facendo io qualche istante fa. Mio figlio ride felice, emettendo dei gridolini.
«Anche noi ci abbiamo messo un po’ e poi sono arrivati loro. Vedrai che andrà tutto bene, fratellino. L’importante è non perdere mai la speranza». Poso la testa sulla sua spalla e lui sospira.
«Continueremo a provarci, magari avremo anche noi la fortuna di diventare genitori».
Non tutti sono fortunati o sfortunati come Stella e Lorenzo. Loro non avevano di certo previsto l’arrivo di Eleonora, ma ora sono una delle coppie più belle che abbia mai conosciuto. Sono come il giorno e la notte, forse è per questo che insieme fanno scintille. La mia figlioccia sta crescendo a vista d’occhio, ha solo otto mesi in più rispetto ai miei due bambini, fra poco saranno anche in grado di giocare insieme. Ho come l’impressione che Lorenzo stia spingendo Stella a provare per il secondo figlio, anche lui vorrebbe un maschietto e non lo nasconde. Stella è stata vaga l’ultima volta che l’ho chiesto, secondo me mi sta nascondendo qualcosa. Un giorno o l’altro lo scoprirò. Si parla del diavolo…
«Sere, hai tempo un secondo? Marica ha bisogno di un consulto». Stella si guarda intorno preoccupata, mordendosi nervosamente le unghie.
«Un consulto? Le hai detto che non siamo dei medici?». La butto sul ridere, ma la mia migliore amica non coglie la mia sottile ironia e così decido di alzarmi.
«Mi raccomando, se comincia a infilarsi la mano in bocca e a guardarti con gli occhietti da cucciolo, vuol dire che la sta facendo e dovrai cambiarlo. Troverai tutto il necessario nella borsa appesa qui alla sedia». Istruisco mio fratello prima di andare. Non ha fatto in tempo ad obiettare, mi ero già allontanata. Se vuole diventare padre, è meglio che cominci a fare pratica.
Lungo il percorso, afferro il braccio di Luca e lo trascino con me. Borbotta qualcosa di indecifrabile, ma quando si accorge quel è la nostra destinazione ammutolisce. Marica sta camminando su e giù in un angolo ombroso della tenuta. Ci saranno cinquanta gradi al sole oggi, all’ombra quarantacinque, sto soffrendo fisicamente.
Non ho la più pallida idea di che cosa voglia dirci la nostra amica, ma dalla sua espressione non deve essere qualcosa di bello, sembra sull’orlo di una crisi di pianto. Quando siamo ad un passo da lei, ci raggiunge di corsa, desiderosa di un abbraccio di gruppo che non facciamo da un po’.
«Che succede, tesorino nostro?». È Luca a rompere il ghiaccio, tenendola stretta fra le proprie braccia, dopo essersi staccata da tutti noi.
«Ho preso una decisione difficile, ma dovevo farlo, per me stessa», comincia Marica in un sospiro. Riemerge dal petto di Luca, guardando me e Stella a turno.
«Mi trasferisco in Francia».
Lancia la bomba senza preavviso, stupendoci del tutto. Non avrei mai creduto che avrebbe fatto una cosa tanto assurda e, soprattutto, non ne aveva mai parlato con noi.
«Perché te ne vai?», chiede il mio migliore amico con gli occhi lucidi.
Penso di aver bisogno di sedermi. Trovo un ceppo di legno poco più in là e mi lascio cadere senza pensarci due volte. Mi faccio aria con la mano, ma con questo caldo tropicale non funziona molto.
«Devo capire che cosa voglio davvero fare della mia vita e per farlo devo cambiare aria. In Costa Azzurra vivono degli zii, mi ospiteranno loro. Mi hanno anche già offerto un lavoro nel loro negozio. Starò bene, ragazzi, e non sarà per sempre. Diciamo che ho bisogno di prendermi un anno sabbatico». Ci spiega con le lacrime agli occhi. «La cosa più difficile sarà separarmi da tutti voi. Siete tutto per me e mi mancherete da morire. Ci sentiremo ogni giorno, ve lo prometto, ma vi prego, lasciatemi partire. Ho bisogno del vostro appoggio, ho bisogno che voi mi capiate».
Stella la abbraccia di slancio, facendola barcollare vistosamente. Luca si unisce subito a loro. Manco solo io, che in questo momento sono in un mare di lacrime. Marica non può andarsene, non può lasciarci così! Non deve essere stata una decisione facile per lei, sono la sua migliore amica, devo appoggiarla in ogni sua scelta, glielo devo. Mi alzo a fatica e mi aggrego a loro, ora siamo in quattro a piangere come dei cretini.
Dal giorno del mio matrimonio, Marica e Michele hanno provato a stare insieme, ci hanno provato davvero, ma ormai Marica era cambiata, entrambi lo erano e il loro rapporto non poteva più essere ricucito. Michele si è comportato da vero uomo e l’ha lasciata libera, ha capito che la Marica di cui lui era innamorato ormai non esisteva più. Forse questa pausa da tutto e tutti può solo farle bene, ma è comunque difficile lasciarla andare. Non eravamo mai stati separati tanto a lungo.
«Ora, però, andiamo a festeggiare. Questi due angioletti si meritano tutta l’allegria e l’amore possibile». Marica ci lascia andare, sorridendo a tutti noi. «Grazie di tutto».
Non deve ringraziarci, siamo qui per lei, come lo siamo sempre stati e come lo saremo in futuro. Potremo sempre contare l’uno sull’altro, questo non cambierà mai.
Torniamo da tutti gli altri e vengo subito intercettata da Marco, deve aver notato la mia espressione sconvolta. Mi attira contro il suo petto, carezzandomi amorevolmente la schiena.
«Che succede, amore mio?», domanda posandomi un bacio tra i capelli.
«Marica si trasferisce, ma ti racconterò tutto con calma. Non ora, adesso dobbiamo solo pensare ai nostri figli», rispondo in un sospiro.
«Va bene, volevo solo essere certo che stessi bene». Mi prende il viso tra le mani, sfiorando le mie labbra con le sue.
«Starò bene». Lo rassicuro con un sorriso mesto.
Comincio a sentirmi un po’ meglio dopo un paio di bicchieri di vino e dopo aver constatato che Marica, dopo la sua confessione, sembra davvero rilassata e felice. Un cambiamento potrebbe farle davvero bene, io me lo auguro con tutto il cuore. I miei figli sono entusiasti di essere al centro dell’attenzione, non che gli altri giorni non lo siano. Max è in braccio a mio padre e gli sta tirando la barba, lasciata crescere a dismisura in questi ultimi tempi per l’immensa gioia di mia madre. Per poco non la sento gridare fino a casa nostra. Sarà la crisi di mezza età di mio padre, non ho molte spiegazioni.
Simone, invece, si trova tra le braccia di mio suocero e sta dialogando amabilmente con lui attraverso dei gridolini e borbottii che sembrano davvero delle parole. È davvero meraviglioso vedere quanto i miei figli siano circondati da persone che li amano a dismisura. Non saranno mai soli, qualunque cosa accada.
Mia madre e mia suocera stanno chiacchierando tra loro davanti a un bicchiere di bollicine, le mie cognate, Vera compresa, si sono unite alla conversazione. Più in là i loro mariti stanno parlando di calcio con Giorgio, mio fratello e Alex. È divertente vedere questa separazione tra uomini e donne, gossip contro calcio. Seduti in un angolo ci sono Paolo e Sara, stanno tubando come dei perfetti piccioncini. Sono ufficialmente una coppia ormai da qualche mese e sono davvero belli insieme. Sono felice che Sara abbia fatto breccia nel cuore di Paolo. In qualche modo mi sentivo in colpa quando aveva una cotta per me. So benissimo che non era colpa mia, ma mi dispiaceva vederlo triste a causa mia. Ora lo vedo sempre sorridente, Sara gli ha dato tutto quello di cui aveva bisogno. È bello vederli così affiatati e innamorati. Secondo me quei due hanno intenzioni serie e vedrò presto la mia Saretta con un anello al dito. Do al massimo sei mesi a Paolo per fare questo grande passo. Avevo scommesso su di loro come coppia, adesso lo rifaccio sulla durata del loro amore, io ci credo.
Sono tutti contenti oggi, questa giornata tra amici è stata davvero un successo. Se non fosse stato per la notizia della partenza di Marica, sarebbe stata addirittura perfetta.
«Sai una cosa, amore?». Mi volto verso Marco che è seduto al mio fianco, lui mi rivolge un sorriso dolce, mentre aspetta che io continui a parlare. Afferro la sua mano e mi metto a giocare con le sue dita, rigirando la fede che tiene al suo anulare.
«Se tornassi indietro nel tempo, rifarei tutto da capo. Non cambierei una sola virgola».
«Righeresti ancora la mia macchina?», chiede lui stuzzicandomi.
«Probabilmente non la righerei soltanto, la bozzerei perfino, pur di conoscere te», rispondo ridacchiando. La smorfia che si è formata sul suo viso al solo pensiero di bozzare la sua auto è troppo divertente.
«Potresti perfino prendermi direttamente sotto, poi avresti tutta la mia attenzione», esclama divertito.
«In effetti a questo non ci avevo pensato. Se tornassi indietro, ti prenderei sotto in retro e poi ti farei la respirazione bocca a bocca per farti riprendere». Lo prendo in giro io cercando di rimanere seria.
«Non lo faresti, avresti infierito, prendendomi sotto anche con la marcia inserita. Vorrei ricordarti che, tue testuali parole, ti stavo sulle palle. Dubito fortemente che mi avresti fatto la respirazione bocca a bocca». Inarca un sopracciglio e mi fissa con le labbra arricciate.
Mi stringo nelle spalle. «Sì, forse hai ragione. Tu e quella tua macchina da sborone».
Mio marito mi mostra la lingua. «Per fortuna che sono riuscito a conquistarti, altrimenti non saremmo mai arrivati fino a qui. Siamo felicemente sposati e abbiamo due bambini meravigliosi. Lo avresti mai immaginato?».
«Sinceramente no. Non lo avrei mai lontanamente immaginato, ma sono contenta che sia successo perché non sono mai stata più felice di così in tutta la mia vita». Poso le labbra sulle sue, baciandolo dolcemente.
«Sa, signora Rossini, sono talmente felice con lei, talmente appagato e soddisfatto, che avrei una richiesta da farle. So che è presto, so che non è facile, so che potrà sembrarle parecchio ardito, ma».
Gli dico di tagliare corto con un gesto della mano, la sta tirando un po’ troppo per le lunghe e io sto morendo dalla voglia di sapere che cosa ha in mente.
«Com’è impaziente, signora Rossini».
«La pazienza non è mai stato il mio forte», commento schioccando la lingua.
«Come se non lo sapessi», dice lui sbuffando con fare annoiato.
«Dai, taglia corto, Shark», sbotto con impazienza. «Sputa il rospo».
«L’hai voluto tu, Flounder! Vorrei tanto provare a fare una femminuccia».
Spalanco poco elegantemente la bocca, sconvolta da questo suo pensiero. Non mi sarei mai aspettata una tale richiesta da parte sua dopo così poco tempo dalla nascita dei nostri cuccioli.
«Non ti bastano i due diavoletti?», chiedo ancora parecchio sorpresa.
«Certo che mi bastano, ma se arrivasse anche una bambina, ne sarei soltanto felice. Dicono sempre che le bimbe sono le cocche di papà e, sinceramente, vorrei tanto essere il preferito di qualcuno». Mi mette perfino il broncio per impietosirmi maggiormente.
«Non fare la commedia con me, sei già il preferito di qualcuno. Sei il mio preferito, non basta?». Mi fingo infastidita dalla sua insinuazione e lui, in tutta risposta, accentua il broncio, aggiungendoci pure uno sguardo da cagnolino bastonato.
«Sai che cosa intendo». Provo ancora una volta.
Io alzo gli occhi al cielo limpido, non c’è nemmeno una nuvola.
«Ci penserò», rispondo alla fine, incrociando le braccia al petto.
«Grazie amore». Mi bacia ripetutamente le labbra, felice.
Di una cosa sono certa: amerò quest’uomo fino alla fine dei miei giorni. I nostri genitori ci riportano i nostri figli, che accogliamo con dei sorrisi sinceri. Sono i bambini più belli al mondo. Max afferra una ciocca dei miei capelli, tirandoli con forza. Simone cerca di parlare con il suo papà. Li riempiamo di baci, di attenzioni e loro ci dimostrano tutto il loro amore. Siamo dei genitori molto fortunati e io sono orgogliosa dei miei piccoli. Ogni giorno fanno dei nuovi progressi e sarà tutto ancora più magico quando sentirò la parola mamma uscire dalle loro labbra, sarà un’emozione indescrivibile, ne sono certa. Osservo i miei bimbi sorridenti e quasi mi commuovo, loro due sono il nostro miracolo, la nostra vita. Mio marito ha ragione, non sarà per niente semplice, ma si vive una volta sola.
Marco mi rivolge uno sguardo implorante e a me non resta altro che annuire nella sua direzione. Con lui sono pronta a rischiare ancora una volta e altre mille ancora, la cosa essenziale è farlo insieme.
 
 
 
 
*Note dell'autrice*
Ed eccoci arrivati alla fine di questa avventura. Spero di non aver tralasciato nulla, anche se probabilmente qualcosa mi sarà sfuggito ugualmente. Mi auguro che il finale sia stato di vostro gradimento e soprattutto degno di questa storia che ho tanto amato. So che tanti di voi sono già disperati, ma questo non è un addio per Marco e Serena. Ho altri progetti in mente, anche se loro non saranno i protagonisti, non mancheranno certamente. Ho intenzione di aggiungere dei nuovi capitoli a “Un amore di avvocato”, facendolo diventare il terzo romanzo de “La serie del rischio”. Il passo successivo sarà “Rischiamo insieme”, tutto incentrato su Luca che tanto amo. Ho in programma anche un quinto e ultimo romanzo, non ha ancora un titolo, ma la trama è tutta nella mia mente e sarà ambientato vent’anni dopo. I protagonisti saranno i loro figli e vedremo come saranno cambiate le vite dei nostri Marco, Serena e compagnia bella. Detto questo, il mio è soltanto un arrivederci, non un addio. Finché non avrò pronto qualche capitolo su Lollo, continuerò ad aggiornare “Una semplice coincidenza”, è una storia a cui tengo davvero molto e sarei davvero felice se le darete una possibilità come alcune di voi stanno già facendo.
Alcune di voi mi hanno chiesto se avrei fatto il cartaceo de “Il mio rischio più bello”, certamente è nei miei progetti. Mi ci vorrà un po’ per revisionare la storia, ma vorrei tanto pubblicarlo per febbraio. Vi terrò comunque aggiornati.
Vi ringrazio davvero immensamente per avermi seguito fin qui con affetto e spero di ritrovarci presto con Lollo. Se volete sempre essere aggiornati sui progressi, potete entrare nel mio gruppo su facebook, mettere un like sulla mia pagina ufficiale oppure seguirmi su wattpad cliccando su follow. Grazie davvero di cuore per le belle parole che ogni giorno mi regalate.
A presto,
Ire. 


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