In memoriam

di Nymeria90
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettere da lontano ***
Capitolo 2: *** Magia ***
Capitolo 3: *** L'intrusa ***
Capitolo 4: *** Cadi o vola ***
Capitolo 5: *** La sposa del Creatore ***
Capitolo 6: *** Fratelli e sorelle ***
Capitolo 7: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 8: *** La maga e il templare ***



Capitolo 1
*** Lettere da lontano ***


L'ho già scritto negli avvertimenti, ma ci tengo a precisare che in questa storia ci sono spoiler dell'ultimo DLC di DAI; perciò chi non l'avesse giocato farebbe meglio a non proseguire la lettura.


 
PROLOGO

 

Ser Carver Hawke a Varric Tethras, visconte di Kirkwall
 
9:44 era del Drago, Orlais
 
Varric,
 
Mi è giunta voce che sei stato eletto visconte di Kirkwall. Non può essere vero, nessuno sano di mente metterebbe una città nelle tue mani. Immagino sia uno dei tuoi ennesimi, stupidi, scherzi … oppure no. E’ una cosa così demente che potrebbe anche essere vera. D’altronde il mondo sembra essere impazzito un’altra volta. Qunari fuori controllo (di nuovo!), elfi che spariscono e altre diavolerie simili. Come se quello squarcio nel cielo non avesse fatto abbastanza danni.
Hai notizie di mia sorella? Scommetto che se c’è qualche guaio in vista ci si butterà dentro. Sia mai che un qualche “Inquisitore” le rubi la scena.
Ripensandoci: anche se hai sue notizie non dirmelo, m’irriterebbe e basta.
Fai finta di non aver mai ricevuto questa lettera.
 
Ser Carver
 
 
 
Varric Tethras a ser Carver Hawke
 
9:44 era del Drago, Skyhold
Junior,
 
Se non volevi che rispondessi alla lettera bastava non mandarmela. Sarei tentato di non scriverti nient’altro e lasciarti divorare dalla curiosità, ma questo è uno dei rari casi in cui non riesco a tenere a freno la lingua o meglio … la penna!
Ti ringrazio per le splendide parole che hai rivolto alla mia persona, come al solito la tua gentilezza è pari solo alla tua arguzia.
Come puoi immaginare vedendo il sigillo della busta (anche se, conoscendoti, dubito che ci saresti arrivato da solo) il tuo più grande desiderio si è avverato: io, Varric Tethras, sono il nuovo visconte di Kirkwall! Non è meravigliosamente grottesco?
Ah, lascia stare, certe raffinatezze sono sprecate con te.
Per la cronaca: sono stato eletto più di un anno fa. In che buco sperduto ti sei cacciato per averlo saputo solo ora?
Vedo che scrivi da Orlais e che ti firmi ancora come un templare: lo sai, vero, che il tuo ordine è stato sciolto, “ser” Carver?
Cosa ci fai nell’Orlais, Junior? Di quale folle stai seguendo gli ordini?
Mi incuriosiscono i fatti strani cui mi accennavi: Qunari, elfi … da quando i templari si interessano a qualcosa che non siano i maghi?
Non ho notizie di tua sorella da … quasi un anno ormai. Dannazione, non mi ero accorto fosse passato così tanto tempo!
L’ultima volta che l’ho vista è stato al mio ritorno da Orlais, dopo i casini del Sacro Concilio (casini in cui, stranamente, non era coinvolta: deve fare attenzione o perderà il tocco!), mi ha aiutato a governare Kirkwall per qualche tempo, ma sai meglio di me com’è fatta: la normalità non fa per lei. Un giorno, semplicemente, è scomparsa. Non me la sono presa più di tanto, ormai ci sono abituato.
Non preoccuparti per Hawke, Junior, in un modo o nell’altro se la cava sempre.
Cerca di non farti ammazzare,
 
Varric
 
 
Ser Carver Hawke a Varric Tethras
 
 
9:44 era del Drago, Orlais
 
 
Nano,
 
Io non mi preoccupo per lei! E non chiamarmi Junior, sai che lo detesto!
Volevo solo assicurarmi che se ne stesse buona e tranquilla a Kirkwall, senza cercare di distruggere il mondo un’altra volta. Mi aveva dato la sua parola che non avrebbe attirato nuove sciagure sulla nostra famiglia. Pazzo io ad essermi fidato di lei.
Mia sorella è un’artista nell’infrangere le promesse. Come dici tu: dovrei esserci abituato.
Quante volte ancora mi rinfaccerai di essere stato agli ordini di Meredith? Non ho forse riparato a quell’errore aiutandovi a sconfiggerla?
Era la donna ad essere sbagliata, non l’ordine che fingeva di servire … ma la tua Inquisitrice ha ben pensato di distruggere ciò che non riusciva a capire … che cosa ti fa credere che quella maga sia migliore di Meredith? Anche lei dispone di un potere che non può controllare.
Ma non voglio discutere di questo con te. Non capiresti, come al solito. A te piacciono le “leggende”.
Non posso scendere nei dettagli: ti dirò solo che il mio gruppo si è distaccato dall’ordine non appena abbiamo sospettato che tra le nostre fila circolava lyrium rosso. Siamo quasi tutti reduci di Kirkwall e abbiamo subito compreso che Lucius era la versione maschile di Meredith. Siamo rimasti in disparte ad osservare la tua inquisizione crescere e salvare la situazione. Quando è stata eletta la nuova divina ci siamo fatti avanti. La divina Victoria ci ha riammessi in seno alla chiesa, non senza riserve, e siamo stati incorporati tra i Cercatori. A guidarci, ora, è Cassandra Pentahgast.
Non lo sapevi, Varric? Strano, gira voce che siate grandi amici.
Al momento ci troviamo in una zona remota dell’Orlais, lontana dalle grandi città. Accadono cose strane, i dalish sono scomparsi senza lasciare traccia. C’è di mezzo la magia. Magia potente. È l’unica cosa che posso dirti, Varric.
Speravo che mia sorella fosse a Kirkwall, lontano da tutto questo. Ora mi convinco che è coinvolta in qualche modo. Lei e il suo dannato elfo.
Ho letto che sei a Skyhold. Perché non chiedi delucidazioni alla tua Inquisitrice? È una maga anche lei … volenti o nolenti siamo sempre costretti ad affidarci a poteri che non comprendiamo e fidarci dell’onestà di chi lo possiede.
Ma la fiducia è un lusso che non possiamo più permetterci, Varric. Non dopo Anders.
Non so più cosa pensare: gli ultimi dieci anni sono stati un inferno. E ancora non se ne vede la fine.
Vorrei solo … vorrei solo che tutto questo finisse. Vorrei … vorrei riavere la mia famiglia, Varric. Vorrei riavere le mie sorelle.
Bethany mi manca, ma ho accettato la sua morte. Mi rimane un’unica sorella ancora viva ma in lei non è rimasto niente della ragazzina con cui sono cresciuto.
La Campionessa di Kirkwall è un’estranea per me. Una creatura mitologica che esiste solo nelle leggende.
Io rivoglio indietro Etain, la mia cocciuta sorella maggiore.
È chiedere troppo?
Non so nemmeno perché lo sto dicendo a te. Forse perché sei l’unica persona che mi è rimasta.
 
Carver
 
P.s. Ancora non riesco a realizzare che sei il visconte di Kirkwall! Io …ah, lascia stare.


 
Varric Tethras a ser Carver Hawke
 
9:44 era del Drago, Skyhold
 
Carver (notare l’impegno),
 
Il tuo scatto di rabbia in occasione della mia ultima missiva mi ha lasciato senza fiato dall’emozione e iniziare la lettera con “nano” è stato un vero tocco di classe! Ah, quanti ricordi ha richiamato alla mia mente!
Vedo che la tua innata propensione verso il melodramma è rimasta immutata.
Ma ora ammettilo: sei preoccupato per tua sorella.
È normale. Anch’io mi preoccupavo per Bartrand, e, concorderai anche tu, era un fratello decisamente peggiore di Hawke.
Ma non divaghiamo: pensare a Bartrand non migliorerà di certo la mia giornata.
Una cosa voglio che tu sappia: Hawke tiene a te tanto quanto tu tieni a lei.
Non ti ha dimenticato. Ma so che le parole non ti convinceranno, non le mie, almeno.
Credo sia arrivato il momento che tu riceva la tua eredità.
Hawke me l’affidò prima che partisse per la fortezza dei Custodi Grigi, nel lontano Nord. Non so se l’hai saputo: Hawke compì una missione insieme all’Inquisitrice, io ero con loro. Ovviamente andò tutto storto e finimmo intrappolati nell’Oblio. Quella volta credetti davvero che non ce l’avremmo fatta. Ci salvammo solo perché il comandante dei Custodi si sacrificò per noi. Credo che, per la prima volta, tua sorella abbia avuto paura di morire.
Immagino che questo l’abbia fatta riflettere sulle sue mancanze, soprattutto nei tuoi confronti. Mi ha affidato quest’oggetto perché io te lo consegnassi, cito testualmente “al momento opportuno”. Quel momento, secondo la mia modesta opinione, è arrivato.
Come dici tu, il mondo sta precipitando nel caos un’altra volta; la fortuna non sarà sempre dalla nostra parte ed è meglio concludere tutto ciò che è rimasto in sospeso.
Non sei d’accordo?
Vorrei spedirti subito la tua eredità ma non posso. È rimasta a Kirkwall.
Ti chiedo di pazientare qualche settimana.
Qualunque cosa succeda, Carver, sappi che puoi fidarti di me e di Hawke. Se anche è coinvolta in questa faccenda, e non credo, non farebbe mai nulla che possa nuocerti. Lo hia già visto accadere: a Kirkwall.
Ciò che mi hai scritto sulla tua missione mi preoccupa: ne ho parlato con l’Inquisitrice (è una di noi Carver, a prescindere dalle sue origini!) e condivide la mia angoscia.
Per quanto riguarda la missione che stai affrontando e tutto il resto … beh spero che Cassandra sappia quello che fa. Dico solo questo.
Stai attento, Junior, dico sul serio.
 
Varric
 
 
Ser Carver Hawke a Varric Tethras
 
 
9:44 era del Drago, Orlais
 
Varric,
 
Di cosa stai parlando? Quale eredità?
Non fare il misterioso con me: sai che non lo sopporto.
Penserò a quello che mi hai detto, anche se sono sicuro che tu abbia ragione. Tu confondi le persone con i personaggi delle tue storielle. Hai idealizzato mia sorella e ora stai facendo lo stesso con l’Inquisitrice.
Nella vita reale le cose vanno diversamente e le persone, la maggior parte delle volte, sono deludenti. Soprattutto gli eroi.
Guardati le spalle, Varric, non puoi mai sapere chi sarà il prossimo amico a tradirti.
 
Carver
 

 
Varric Tethras a ser Carver Hawke
 
9:44 era del Drago, Kirkwall
 
Carver,
 
Sono di nuovo a casa. È stato un lungo viaggio, ma sono felice di essere tornato: mi mancava l’Impiccato. Anche se ora che sono visconte è tutto molto meno divertente. Vinco sempre quando gioco a Grazia Malevola contro le mie guardie o i soliti ubriaconi dell’impiccato. Sospetto che mi lascino vincere. Come se questo potesse farmi piacere …
Ricordi come ce la spassavamo? Con Isabela che non perdeva occasione di stuzzicarti e Hawke che si ubriacava e iniziava a cantare a squarciagola. Chi avrebbe mai pensato che sarebbe finita così? Ci siamo dispersi come foglie nella tempesta … l’unico che sento regolarmente, oltre a te, è Sebastian, il perfettissimo Principe di Porto Brullo. Pensa te che fortuna.
Sto divagando. Peggio: sto diventando sentimentale.
Forse hai ragione tu. Forse sono solo un vecchio nano nostalgico che si commuove ricordando il passato. Ma non hai bisogno di mettermi in guardia dal mondo reale, Junior. Ho vissuto anch’io la mia dose di tradimenti. Sono stato abbandonato nelle Vie Profonde dal mio stesso fratello, ricordi?
Fidati: non mi farò ingannare un’altra volta.
Per quanto riguarda tua sorella conosco bene le sue debolezze. Lei è una donna prima che una leggenda. E certe volte è stata meravigliosamente deludente. Per questo merita di essere ricordata. Ma lascerò che sia tu a giudicare. Finalmente potrai conoscerla come non hai mai potuto, o voluto, fare.
L’eredità di cui ti parlavo è il suo diario.
Deve averlo iniziato quando è fuggita da Kirkwall, subito dopo la battaglia con Meredith. Credo che quello scontro l’abbia segnata profondamente, più di quanto ammetta lei stessa.
Immagino che scrivere le sia servito per rimettere insieme i cocci della sua esistenza e accettare quello che ha fatto.
Ti allego il diario alla lettera, assieme alle mie annotazioni personali. Ovviamente l’ho letto. Non ho potuto resistere, ma sono certo che Hawke lo sapesse quando me l’ha affidato.
Non volevo manometterlo, ma quando ho iniziato a leggerlo era come se Hawke mi stesse parlando e sai quanto adoro interromperla!
Pensavo di conoscere bene tua sorella, ma il diario mi ha mostrato una Hawke sconosciuta, molto più fragile di quanto immaginassi. Credo che sorprenderà anche te.
Abbi cura di te Junior,
 
Varric
 





N.A.

Questo è il mio esordio nella sezione dedicata a Dragon Age, fino ad oggi le mie ff riguardavano solo il mondo di Mass Effect: abbiate pietà di una new entry!

Lo spunto per iniziare questa storia è venuto da una lettura che sto facendo in questo momento, la cui impostazione è quella che ho deciso di proporre in questa mia storia; spero di essere all'altezza di questa mio progetto.
Mi scuso in anticipo per le date: non sono mai riuscita a raccapezzarmi con la cronologia di DA. In linea di massima lo scambio epistolare tra Varric e Carver avviene dopo gli avvenimenti del DLC L'Intruso.

Grazie a tutti quelli che sono arrivati fin qui, spero non rimpiangerte il tempo speso a leggere le mie righe ...

Alla prossima!

 

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Capitolo 2
*** Magia ***


   
Il diario di Etain Hawke
 
Ho lasciato Kirkwall una settimana fa e non mi manca per niente.
Non è mai stata casa mia, nonostante tutto quello che ho fatto dimostri il contrario: sono la Campionessa di una città che non riesco ad amare.
Ho salvato Kirkwall due volte, ma nel mio intimo desidero vederla bruciare, assieme a tutti i suoi abitanti.
Immagino che se lo dicessi ad alta voce nessuno ne sarebbe sorpreso, nemmeno quegli sciocchi che mi diedero le chiavi della città dopo che uccisi l’arishock.
Per questo li detesto: non si aspettano altro da una maga. Negli ultimi tempi mi sembrava quasi di percepire i loro pensieri: non si chiedevano “se” sarei diventata un abominio, ma “quando”.
Dovrei essere abituata a quegli sguardi, dopotutto ci convivo da tutta la vita.
Fino ad oggi li ho tollerati, ma mi rendo conto che presto inizierò ad odiarli (o forse è già accaduto).
Non posso permettere che quel sentimento si impossessi di me:  l’odio è la pala con cui i maghi si scavano la fossa.
Dovevo andarmene. O avrei fatto la fine di Orsino.
Mi chiedo cosa direbbe Fenris se leggesse queste parole.
Forse anche lui, come tutti gli altri, non ne sarebbe sorpreso. Ha sempre avuto paura di me.
Non dovrei pensare queste cose, non dopo quello che ha fatto per me. Ha aiutato i maghi a ribellarsi, ha donato loro libertà. Mi ha aiutato a realizzare il suo peggiore incubo.
Mi ama. Mi ama più di quanto abbia mai odiato Danarius e la magia.
E io mi detesto per averlo costretto ad aiutarmi nella mia follia.
Sta dormendo mentre io imbratto questi fogli di pensieri inconcludenti. Invidio i suoi sonni senza sogni, privo di tentazioni e paura.
Una volta, non tanto tempo fa, Fenris mi ha domandato quale fosse il mio primo ricordo. Ho scrollato le spalle e ho evitato la sua domanda con una battuta.
Fenris non ha insistito, percependo il mio stato d’animo.
Ma ormai il danno è stato fatto: se posso evitare di parlarne non è altrettanto facile evitare di pensarci.
Qual è il mio primo ricordo? Qualunque cosa sia non è piacevole.
Sono giorni che ci rimugino sopra e, alla fine, mi è tornato in mente: il mio primo ricordo è un sogno.
 
Alberi e cespugli: una foresta nell’oscurità. Una bambina corre ferendosi coi rovi (sono io?), non sa dove sta andando.
Freddo. Un freddo che stringe il cuore in una morsa, che si aggrappa alle gambe e le rende pesanti come piombo. Freddo che gela il respiro nella gola.
Sussurri. Chiamano la bambina per nome (è Hawke il nome che gridano o stanno semplicemente gemendo?).
Non so chi parla. Sono voci che non distinguo; non so se sono uomini, donne o altro. Non so cosa vogliono: è rabbia, tristezza o dolore quello che sento?
Nel sogno la bambina che forse sono io cerca di scappare.
Ma è buio e freddo e lei non sa dove andare.
Il buio l’acceca, il freddo la paralizza, la paura l’annienta.
E all’improvviso capisce che il fuoco (FUOCO!) è l’unica cosa che può salvarla.
Non c’è una logica dietro questo pensiero, nessun ragionamento: solo istinto.
Comincia a bramare, a desiderare ad invocare il fuoco. L’idea del fuoco è sufficiente a scacciare l’incertezza e si accorge di odiare quella paura che le ha gelato il respiro e paralizzato le membra.
Non è più spaventata: è furiosa.
Un solo pensiero e all’improvviso le fiamme iniziano a divampare in quel bosco che non è più un bosco: è solo cenere. E il fuoco s’innalza, incontrollabile, feroce, famelico. Inghiotte tutto, anche la bambina.
Non importa, è felice: ha sconfitto la paura.
 
Mi svegliai di soprassalto: la mia casa era in fiamme.
Fu così che scoprii di essere una maga.
Avevo all’incirca tre anni e i ricordi di quel giorno sono confusi. Ricordo il calore delle fiamme che divoravano il mio letto. Ricordo il fumo che mi faceva lacrimare gli occhi e la voce di mio padre che mi chiamava.
So di non avere avuto paura, come nel sogno. Il fuoco era mio amico, anche se avevo i capelli in fiamme e i vestiti che bruciavano. Ricordo l’odore della mia carne che cuoceva e lo sfrigolio del sangue che bolliva. Non provavo alcun dolore.
Mio padre mi salvò da quell’inferno, gettandosi tra le fiamme protetto solo da uno scudo magico. Riuscì a portarmi fuori ma la parte sinistra del mio corpo era gravemente ustionata. I capelli non c’erano più.
Anni dopo mio padre mi raccontò che a terrorizzarlo non erano state le mie ustioni o le fiamme che inghiottivano la casa: sapeva di potermi curare (cosa che fece egregiamente: mi rimangono solo lievi cicatrici su una gamba) e di poter costruire una nuova casa. A spaventarlo fu il gelo che emanava il mio corpo ustionato.
Era come se tutto il mio calore, la mia essenza vitale, mi fosse stato risucchiato via e nessun fuoco, per quanto grande e famelico, sembrava in grado di riscaldarmi.
In seguito, quando fui abbastanza grande per spiegare il mio sogno e capirne il significato, mi padre mi spiegò che quella notte un demone era venuto a farmi visita facendo leva sulla mia più grande debolezza: l’ira.
Non so perché il demone non s’impossessò di me: mi ero abbandonata a lui con tutta me stessa. Forse si accorse che ero troppo giovane e debole: una preda ben poco appetibile. O forse temette di morire insieme a me, nel rogo che avevamo appiccato, e mi abbandonò al mio destino.
Non so cos’accadde; so solo che quel giorno la mia vita cambiò per sempre.
All’epoca abitavamo da qualche parte nella contea di Amaranthine, dopo la distruzione della casa i miei genitori decisero che sarebbe stato meglio trasferirsi da un’altra parte e, non appena fui abbastanza in forze per viaggiare, partimmo, diretti a Redcliffe. Per i miei genitori era l’ennesima partenza: mio padre non si fidava a rimanere troppo a lungo nello stesso posto. Per me fu l’inizio di un’esistenza che, ben presto, iniziai a detestare.
Eravamo dei mostri e dovevamo nasconderci.
 
Varric
 
Un giorno qualcuno dovrà spiegarmi la logica di tutto ciò. Come potevano pensare che i loro continui spostamenti e i comportamenti evasivi non destassero sospetti? E poi perché rintanarsi in sperduti villaggi dove si conoscono tutti e l’arrivo di forestieri è un evento da segnare negli annali? Una delle regole del ladro è di nascondersi dove tutti possono vederti, metterti in piena luce mentre gli altri ti cercano tra le ombre. Sarebbero dovuti andare ad abitare accanto a una caserma di templari. Chi cercherebbe un eretico lì? Invece si comportavano esattamente come nel più classico dei drammi sui maghi fuggiaschi. Mancava solo che si mettessero un cartello intorno al collo con scritto “NON sono un mago”!
Anche un nug penserebbe che c’è qualcosa di losco in un uomo che scappa dopo che gli si è incendiata la casa … d’altronde cos’altro potrei aspettarmi dalla famiglia Hawke?
 
Hawke
 
Ho pochi ricordi della nostra permanenza a Redcliffe. La casa che mio padre aveva comprato per pochi soldi a un contadino mezzo matto era piccola e piena di spifferi. A zio Gamlen sarebbe piaciuta molto. Era distante dal centro abitato, su un’altura che dominava il castello. Da lassù si poteva vedere il lago che rifletteva le pendici rosse delle colline che davano il nome al villaggio.
Poco distante dalla casa c’era un mulino abbandonato. Mi piaceva trascorrervi i pomeriggi, quando non ero insieme a mio padre che cercava d’insegnarmi cose che non riuscivo a capire. Lui parlava di magia, incantesimi e oblio. Io sapevo solo che, quando mi arrabbiavo o ero molto felice, le mie mani diventavano calde e le cose intorno a me iniziavano a bruciare. Non scatenai più un inferno di fiamme come avevo fatto la notte del mio debutto nel mondo della magia, tuttavia non ero in grado di controllare i miei poteri. Motivo per cui i miei contatti con il mondo esterno furono limitati ai miei genitori e ai topi che popolavano il mulino.
Osservavo il mondo degli uomini dall’alto della mia collina, come una piccola eremita di cui nessuno conosceva l’esistenza.  
Non ero scontenta, affatto. Non avevo bisogno di amici o compagni di gioco: avevo la magia e riempiva le mie giornate come nessun essere di carne ed ossa avrebbe mai potuto fare. Non percepivo nessun pericolo in essa: per me, all’epoca, era solo una cosa divertente e strana che mi permetteva di trascorrere molte ore con mio padre. Solo io e lui, senza la mamma e questo … questo mi riempiva di gioia.
Il rapporto con mia madre è sempre stato … difficile. E in parte penso che dipese da una conversazione che sentii, per caso, pochi giorni dopo il nostro arrivo a Redcliffe, quando ero ancora convalescente.
Grazie alle cure magiche di mio padre le mie ferite guarivano in fretta, ma il dolore delle ustioni era insopportabile. Per calmarmi mio padre mi dava da bere una brodaglia infame (ora so che si trattava di un decotto di radice elfica e funghi delle profondità, molto utile, soprattutto quando ti trovi faccia a faccia con un drago!) che faceva diminuire il dolore ma mi lasciava un po’ stordita. Io dormivo in cucina, in un piccolo pagliericcio vicino al fuoco (nonostante tutto non ne avevo paura e mai ne ho avuta), ricordo il fumo che impregnava l’aria e il caldo soffocante. Sudavo e avevo sete, così mi alzai barcollando per raggiungere la caraffa d’acqua appoggiata sul tavolo e, attraverso i vetri sporchi e fessurati della finestra, vidi i miei genitori seduti su un ceppo poco distante dalla casa. Ricordo che, nell’aria fredda dell’inverno, il fiato di mio padre si condensava in bianche nuvolette. Mi avvicinai alla finestra , forse per chiamarli e dir loro di rientrare, e qualche parola giunse fino a me.
È pericolosa … non può controllarli …
Di chi stava parlando mia madre? Chi era pericoloso?
Accostai il viso alla finestra e la socchiusi leggermente.
- Non ci sono più stati incidenti da quella sera, nostra figlia è forte: sa dominare il suo potere.- di me. Stavano parlando di me.
- Nostra figlia ha tre anni e non ha idea di che cosa le stia accadendo! Per lei è solo un gioco, una cosa buffa che riesce a fare con il pensiero! Ma tu sai bene che potrebbe perdere il controllo da un momento all’altro!-
- Credi che non lo sappia, Leandra? Ero bambino anch’io quando sono comparsi i miei poteri, ma con l’aiuto di altri maghi ho saputo controllarli e dominarli. Etain ha me. Non le serve altro.- la voce di mio padre tremava. Pensai che fosse per il freddo, oggi so che tremava di paura.
- La bambina ha tre anni! Sai anche tu che non è normale. I poteri magici si manifestano attorno ai nove anni lei è …- vidi che si nascondeva il viso tra le mani. All’epoca non mi chiesi perché non pronunciava mai il mio nome, ora non posso fare a meno di domandarmi se era un modo per non affezionarsi a me.
- … la parola che stai cercando è “abominio”.- sibilò mio padre con voce gelida, molto diversa da quella che ero abituata a sentire.
- Malcom, ti prego, non attribuirmi parole che sai non pronuncerei mai. Un’incognita. È questa la parola che cercavo.- mia madre si sporse verso di lui e gli strinse una mano, provai una fitta di gelosia – Non puoi gestire qualcosa che non conosci, Malcom. Avevamo messo in conto che potesse essere una maga … ma questo, questo è troppo per noi. Cos’accadrà se dovesse perdere il controllo un’altra volta? Cosa farai se un demone …?-
- Cosa stai cercando di dirmi, Leandra?-
- Tu sei un uomo adulto, hai fatto le tue scelte e sei consapevole dei rischi che corri, così come lo sono io. Ma lei è solo una bambina: una bambina in balia di forze che non può controllare e che noi non siamo in grado di arginare. Non possiamo aiutarla, Malcom!-
Mio padre si alzò di scatto e io mi abbassai in fretta, per paura che mi scorgesse dietro la finestra. Quando lo sentii urlare temetti che ce l’avesse con me, poi mi accorsi che le sue parole erano rivolte verso la donna seduta di fronte a lui.
- Il Circolo? Tu vorresti mandarla al Circolo!-
- Abbassa la voce, ti prego.- azzardai un’occhiatina e vidi che anche mia madre si era alzata, il viso bagnato di lacrime – Malcom, ascoltami. So come la pensi, ne abbiamo parlato tante volte, e sono d’accordo con te. Ma tu sei un mago adulto, responsabile … lei è una bambina di tre anni con un potere troppo grande. È pericolosa, lo capisci?! Per noi e per se stessa …- avrei voluto tapparmi le orecchie e mettermi a gridare. Ma ero come pietrificata. Non capivo pienamente il senso di quella discussione, ma una cosa mi era chiara: mia madre aveva paura di me e voleva mandarmi via.
- Non potremo più vederla Leandra, sarebbe come se non fosse mai esistita! È tua figlia e tu vorresti gettarla in pasto a quelle belve? Non hai idea di che cosa accade nel Circolo …-
- Non deve andare per forza come dici tu. Non tutti i Circoli sono terribili come quelli dove sei stato tu. Ci sono templari onorevoli, lo sai meglio di me: quel Carver ti ha aiutato o sbaglio? Potrebbe essere la cosa migliore per lei e per tutti noi. Un tempo potevamo permetterci di pensare soltanto al suo benessere. Ora non più.- la vidi ergersi in tutta la sua statura, bella e autoritaria come immaginavo dovesse essere una regina. Ne rimasi abbagliata. – Sono incinta, Malcom.-
Vidi mio padre rattrappirsi, come schiacciato da un peso enorme, che non riusciva più a sostenere. Temetti di vederlo cadere al suolo e non rialzarsi più.
In parte fu ciò che fece: si prostrò in ginocchio e prese le mani di mia madre tra le sue appoggiandovi sopra la fronte.
- Se la porteremo al Circolo la trasformeranno in un’adepta della Calma. Non vorranno correre rischi, non con una maga così giovane. Nessuno, nemmeno il templare più ragionevole di questo mondo, riuscirebbe a impedirlo. Piuttosto che riservarle un simile destino, Leandra, la ucciderei con le mie mani. È questo che vuoi?-
Mia madre vacillò e la vidi esitare.
Oggi, ripensando a quel momento, so di averla perdonata per le parole che pronunciò quel giorno. Comprendo la sua paura.
Ma non posso perdonare quell’ esitazione: quei secondi spesi a considerare la mia morte.
Alla fine cadde in ginocchio davanti a mio padre – No, Malcom, non voglio questo. Promettimi che non la perderai d’occhio e che non esiterai se dovesse accadere il peggio. Non lo chiedo per me, ma per il figlio che porto in grembo: prometti che proteggerai questa famiglia, anche da tua figlia.-
Lui l’abbracciò e io mi sentii avvizzire, come l’erba bruciata dal troppo sole – Te lo prometto, amore mio. Vedrai, andrà tutto bene.-
Mi scostai dalla finestra e tornai al mio pagliericcio. Il cuore mi batteva forte. Mi strinsi le coperte attorno al corpo e piansi.
 
Varric
 
Il legame tra Hawke e Leandra mi ha sempre incuriosito. Si volevano bene, era evidente, ma erano a disagio l’una in presenza dell’altra. Credo che, dopo la morte di Malcom, l’unica cosa che avessero in comune fosse l’affetto che nutrivano per i gemelli e, dopo la perdita di Bethany, il loro unico legame fu Carver. Si contendevano il ragazzo come due cani si contendono l’osso.
Quando anche lui se ne andò divennero due sconosciute che abitavano nella stessa casa.
Poi accadde ciò che accadde, Leandra morì e Hawke cominciò a comportarsi come se sua madre non fosse mai esistita. Non entrò più nella sua camera e smise di nominarla. Pensavo che ciò fosse dovuto al fatto che si sentisse in colpa per non essere riuscita a salvarla e che il solo pensiero della madre le fosse insopportabile. Ora mi rendo conto che la ragione di quella “damnatio memoriae” era molto più profonda.

Hawke la stava punendo.
E, onestamente, non posso biasimarla.

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Capitolo 3
*** L'intrusa ***


Hawke
 
Mia madre partorì due bei gemelli, un maschio e una femmina, in una calda giornata d’estate. Ricordo le braccia di mio padre strette attorno al mio corpo mentre sedevamo, in attesa di qualcosa che io non comprendevo, davanti all’uscio di casa.
Dall’interno giungevano i gemiti di mia madre e le parole di incoraggiamento della levatrice del villaggio.
Sentivo il cuore di mio padre battere frenetico contro la mia schiena e, sbirciando il suo viso, notai quanto fosse pallido e preoccupato.
O forse sono ricordi che appartengono solo alla mia immaginazione.
Io ero troppo piccola per accorgermi della sua paura. So solo che mi stringeva ed era la sensazione più bella del mondo.
Non m’importava del dolore di mia madre o di quello che succedeva al di là della porta chiusa. In quel momento lui era solo mio ed era l’unica cosa che desideravo.
Non provai mai più una simile felicità.
La nascita di Bethany e Carver cambiò la mia vita quanto l’aveva fatto il manifestarsi dei miei poteri magici: fu un dono entusiasmante e inaspettato ma anche una di fastidiosa intrusione.
S’impossessarono di tutto ciò che era stato mio.
Per la prima volta divenni gelosa di mia madre e cominciai a desiderare che le attenzioni che riservava loro fossero rivolte anche a me. Tuttavia era una gelosia passeggera che non influenzava più di tanto i miei sentimenti per i gemelli. Ogni volta che mia madre si ricordava di me, per farmi fare tutte quelle cose noiose che i bambini detestano, desideravo che uno dei due iniziasse a piangere cosicché potesse dimenticarsi nuovamente di me.
Con mio padre fu diverso.
Non lo ammise mai e se ora fosse qui a leggere le mie parole sono certa che si arrabbierebbe, ma sono altrettanto sicura che la nascita di Carver rappresentò per lui il momento di massima felicità nella sua vita.
Era uno uomo fuori dall’ordinario e nel crescerci non fece mai distinzione tra i suoi figli.
Ci amava per come eravamo.
Ma con Carver ebbe fin da subito una complicità che io e Bethany potevamo solo osservare.
Anni fa Carver mi rinfacciò tutte quelle ore che io Beth trascorrevamo con nostro padre, ad imparare come gestire i nostri poteri. Ne era geloso: sentiva di essere un intruso in una famiglia di maghi. In parte aveva ragione: io Beth passavamo con papà intere giornate, spesso interminabili. Ma non erano momenti felici.
Noi eravamo motivo di dolore e preoccupazione per i nostri genitori. Abbiamo reso le loro vite più complicate di quanto già non fossero. Non è vittimismo, ma semplice realismo.
Eravamo pericolose e in pericolo, e papà sapeva bene cosa significasse essere un mago: una maledetta benedizione, così chiamava la magia.
Il tempo trascorso con noi era dedicato alla salvaguardia delle nostre vite.
Con Carver era diverso. L’unico figlio maschio, l’unico che non rischiava di trasformarsi in un mostro davanti ai suoi occhi: insieme erano spensierati e felici.
Ogni tanto, raramente a sentire Carver ma troppo spesso per i miei gusti, partivano per le loro giornate “tra maschi” e mi lasciavano con Beth e la mamma, a cucinare, pregare e cucire.
Ero l’intrusa: troppo femmina per stare coi maschi e troppo maschiaccio per avere un posto nel complicato universo femminile.
E così, anche se avevo dei fratelli con cui condividere l’infanzia, rimasi sempre la piccola eremita della collina che osservava da lontano la vita degli altri.
Mi misi in disparte a guardare l’evolversi di quella famiglia che per molti anni non considerai mia.
Da bambini, finché Beth non sviluppò i suoi poteri, i gemelli erano inseparabili. E anche in seguito il legame che li univa era, ed è tuttora, per me incomprensibile.
Il mio rapporto con Carver fu, fin dal principio, di rivalità.
Io la primogenita, lui l’unico maschio: ci combattemmo come due galli in un pollaio. Il premio in palio era l’affetto di papà.
Era impossibile non andare d’accordo con Beth. Lei era la persona più dolce e altruista che io abbia mai conosciuto. Ma l’unica cosa che avevamo in comune era la magia e la odiava.
Io rappresentavo tutto ciò che lei temeva: non amava stare sola con me, la mettevo a disagio. Invece con Carver si sentiva normale. Con lui poteva dimenticare che dietro il Velo del mondo erano in agguato i mostri.
Anche lei, come papà, riversò su di me quel rigetto che avevano nei confronti di loro stessi.
Il loro rifugio era la normalità: la mamma e Carver erano il loro porto sicuro.
Io ero la tempesta.
E lo fui. Lo fui davvero.
 
Varric
 
Chi avrebbe mai pensato, guardando il sorriso di Hawke, che in lei si celasse tanta malinconia?
Magia: la esibiva come un gioiello. Non avevo mai incontrato una maga così fiera della sua condizione. Nemmeno il biondino ne era altrettanto orgoglioso.
Arroganza, strafottenza, sarcasmo: mi sono fatto ingannare come uno sciocco qualunque.
Era tutto fumo quello che ci gettava negli occhi.
Non riuscivo a spiegarmi come Fenris riuscisse non solo a tollerarla, ma persino ad amarla.
Ora comprendo: è stata la prima persona, e probabilmente l’unica, a vedere ciò che si celava dietro l’armatura scintillante della Campionessa di Kirkwall.
E ciò che ha visto era il riflesso di se stesso.
 
Hawke
 
Dopo la nascita dei gemelli mi isolai, convinta che mamma e papà preferissero trascorrere il tempo con i nuovi arrivati piuttosto che con me.
Ora comprendo le difficoltà che dovettero affrontare in quel periodo e mi vergogno per aver reso la loro vita ancora più complicata.
Non eravamo ricchi, non avevamo amici o parenti che ci aiutassero e il Ferelden è una terra dura, inospitale.
Per una famiglia umile come la nostra mantenere tre figli significava fare enormi sacrifici; ma la povertà era il minore dei nostri problemi: eravamo dei fuorilegge sempre braccati, costretti a vivere nascosti.
Mamma odiava quella vita, ma per amor nostro, e di papà, si costrinse a mostrarsi felice. Non la vidi mai vacillare, nemmeno quando giunse notizia che i suoi genitori erano morti.
Era una donna forte e, nonostante le nostre divergenze, ho sempre ammirato il suo coraggio.
All’epoca, tuttavia, ero solo una bambina e queste cose non ero in grado di capirle. L’unica cosa che sapevo era che quei fagottini urlanti mi avevano tolto tutto, anche il sonno: li detestavo.
I miei poteri si fecero instabili e cominciai a perdere il controllo sempre più spesso.
Inconsciamente credo che lo facessi apposta: sapevo che era il solo modo per farmi notare.
In otto anni fummo costretti a trasferirci almeno una volta all’anno. Ero una piccola selvaggia piena di cattiveria.
Il nostro arrivo a Lothering coincise con uno dei periodi più difficili della nostra vita.
I gemelli avevano circa otto anni e, per il grande sollievo dei miei genitori, non mostravano segni di poteri magici. Erano normali e questo non faceva che acuire la mia solitudine: andavano nella piccola scuola del villaggio, frequentavano la chiesa, avevano amici e compagni di gioco.
Io avevo solo papà.
Un tempo mi sarebbe bastato. Ma avevo dodici anni e nessun amico: quella vita solitaria iniziava a starmi stretta come mai prima.
La verità è che provavo un’invidia bruciante per i gemelli.
Invidiavo le loro giornate passate al villaggio, la complicità con mia madre, i sorrisi sollevati che mio padre non riusciva a nascondere quando li guardava giocare. E, forse più di ogni altra cosa, invidiavo il legame che avevano.
Invidia: un sentimento che mai avrei pensato di provare e che invece mi divorava dall’interno.
Non giunsi mai a rinnegare i miei poteri magici: li amavo troppo. Al contrario cominciai a chiedermi perché, io che ero così superiore a loro, ero costretta a vivere nascosta.
Le ore che trascorrevo con mio padre per imparare a gestire la magia persero l’incanto del passato e divennero solo una sequela infinita di divieti e ammonizioni.
“La magia deve servire l’uomo, non dominarlo”. Quante volte mi fu ripetuta quella frase?
Non ne ho mai messo in dubbio il contenuto, ma la forma … inconsciamente quel servilismo ecclesiastico già mi faceva infuriare.
“Servire”: detestai quella parola non appena la sentii.
Fu così che, come ogni adolescente che si rispetti, cominciai a ribellarmi agli insegnamenti di mio padre.
Con lui mi comportavo da diligente apprendista ma quando rimanevo sola, libera di errare tra i boschi, cominciai a sperimentare, spingendomi oltre confini che ora so che non avrei mai dovuto varcare.
Ma ero giovane e potente, talmente potente che non riuscivo a capacitarmi del perché fossi tanto infelice: fu allora che compresi che, se volevo qualcosa, dovevo prendermelo.
Fu durante uno dei miei esperimenti con la magia (se non sbaglio stavo cercando di camminare sull’acqua) che feci l’incontro più strano della mia vita.
Ero in piedi sul bordo di un piccolo stagno che rifletteva placido le fronde degli alberi e pensavo a come creare una piccola barriera tra i miei piedi e la superficie dell’acqua, abbastanza forte da sostenere il mio peso ma non tale da mutare la consistenza dell’acqua.
Il primo tentativo fallì e, mentre imprecavo scuotendo i piedi zuppi, notai una persona che mi fissava, dall’altro lato dello stagno.
Per un istante pensai fosse Bethany, poi mi accorsi che la ragazzina gracile che mi osservava da lontano era più vecchia di mia sorella e decisamente più alta.
I nostri sguardi si incrociarono: aveva gli occhi gialli, come quelli di un gatto, ne fui immediatamente conquistata.
Se fu turbata dal fatto che l’avessi scoperta non lo diede a vedere. L’espressione del viso solenne rimase immutata e, dopo qualche istante passato a fissarci, si alzò, venendomi incontro.
Anche il suo modo di camminare sembrava quello di un gatto. I piedi nudi non facevano alcun rumore sul terreno umido del bosco.
Vestiva con pelli di animale e sembrava bisognosa di un bel bagno caldo: i capelli neri come le ali di un corvo erano incrostati di fango ed era coperta di polvere e terriccio.
Eppure, nonostante tutto, la trovai bellissima.
Era un’abitante della foresta e la osservai avvicinarsi con lo stesso stupore che avrei provato se, al suo posto, ci fosse stato un cervo o una lepre.
Non osavo muovermi o respirare per paura che, al primo movimento brusco, scappasse via.
Quando fu abbastanza vicina da toccarmi sorrise.
Da quel momento diventammo inseparabili.
 
Varric
 
Perché non sono sorpreso nel leggere queste parole?
Morrigan è legata all’Eroe del Ferelden e ha aiutato l’Inquisitrice a sconfiggere Corypehus. Mi chiedevo come mai non avesse mai avuto nulla a che fare con Hawke.
Ecco la risposta alla mia domanda.
Mi domando che cos’altro abbia in serbo per noi quella strega. Noi ci siamo sempre preoccupati di Flemeth, ma il mio intuito mi suggerisce che la figlia è molto più pericolosa.

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Capitolo 4
*** Cadi o vola ***


Hawke
 
Non seppi mai il nome della mia misteriosa amica o le sue origini.
Non chiesi perché vagava sola nel bosco o fosse così portata per la magia.
Non volevo farlo per paura che non avesse risposte. Ancora oggi non so se fosse reale o immaginaria.
Chiunque fosse, qualunque cosa fosse, i suoi insegnamenti furono reali. Terribilmente reali.
- Non devi avere paura di ciò che sei in grado di fare.- mi diceva, con quella voce profonda che mal si addiceva al suo aspetto infantile – Un mago che ha paura è un mago morto. Il segreto non è evitare i demoni, ma fare in modo di non aver bisogno di loro.- sorrideva ogni volta che diceva quelle parole come se fosse a conoscenza di misteriose e oscure verità. Era pericolosa come i demoni di cui parlava e io cedetti alle sue lusinghe, perché non ero in grado di fare a meno di lei.
- La magia è ovunque, intorno a noi.- disse un giorno, mentre c’inerpicavamo sul fianco di una collina. In cima ad essa c’era qualcosa che voleva mostrarmi – Ti sei mai chiesta perché i dalish non hanno bisogno di lyrium? Quella stupida sostanza è stata introdotta dalla chiesa perché i maghi ne divenissero dipendenti. E questo li ha indotti a dimenticare.- una folata di vento fece ondeggiare il mantello di pelliccia che portava attorno alle spalle, rise e i suoi occhi scintillarono. Si fermò, invitandomi con un semplice gesto della mano a fare lo stesso – Chiudi gli occhi e ascolta: la terra gronda potere. Talmente tanto che potremmo utilizzarlo per sollevare le montagne.-
Chiusi gli occhi e, per alcuni secondi, non sentii nulla.
Solo il vento e lo stormire delle foglie.
- Io non …- iniziai. Volevo dirle che non capivo ciò che voleva insegnarmi ma le parole mi si bloccarono in gola: avevo torto!
Attraverso le palpebre serrate vedevo il vento scivolare lungo i contorni delle cose: si avvolgeva attorno ai tronchi degli alberi, danzava con le foglie, sfiorava i nostri corpi.
Uno stormo di uccelli passò sopra le nostre teste e il battito frenetico delle loro piccole ali si propagò attraverso il mio corpo come un’onda di energia.
Sentivo il sangue fluirmi nelle venne in sincronia con l’acqua che scorreva nel ruscello.
- Le tue energie sono limitate, ma quelle della natura sono infinite. Basta un pensiero e saranno tue!-
Allargai le braccia, divaricai le dita e furono mie.
L’energia risalì il mio corpo come una scarica di elettricità, i capelli mi si rizzarono sulla nuca e sentii le vene gonfiarsi e palpitare; per un istante, un terribile istante, pensai che non sarei riuscita a contenerla e sarei esplosa in un bagliore accecante.
- Liberala!- urlò la mia misteriosa istruttrice.
E, ancora una volta, obbedii.
Mi impossessai del vento, imbrigliandolo ai miei comandi, lo feci danzare sulle mie dita e correre rasente il terreno. Sollevai macigni come giocattoli e trasformai il ruscello in una cascata con il semplice gesto di una mano.
Poi, all’improvviso, i sassi ricaddero, il vento si liberò e l’acqua tornò a scorrere come prima. Mi accasciai al suolo, sfinita, e mi accorsi con orrore che l’erba attorno a me era avvizzita.
Guardai spaventata la mia maestra: il vento le agitò i capelli e, per un momento, il suo viso scomparve, poi mi fu davanti, oscura e bellissima – La magia ha sempre un prezzo.- mi ricordò – E il prezzo è sempre la vita. Se avessi fatto quello che hai fatto usando le tue sole forze saresti morta, usando le energie degli alberi hai ucciso loro.-
M’indicò un enorme pino rinsecchito che non avevo ancora notato.
Mi sentii incredibilmente in colpa.
- Il nostro limite non è ciò che possiamo fare: noi possiamo fare tutto. Il nostro limite è il prezzo che siamo disposte a pagare.- i suoi occhi incontrarono i miei – I maghi del Circolo l’hanno dimenticato: non si può creare senza distruggere. La magia ti costringe a fare sempre una scelta di vita e di morte. Ma loro hanno smesso di scegliere e si comportano come se il loro potere fosse scontato.- mi tese una mano e io l’afferrai per rialzarmi – Ogni volta che usi la magia, ragazzina, devi chiederti se ne vale la pena.-
Mai insegnamento mi è stato più prezioso. Nel corso degli anni ho visto persone usare la magia per le cose più futili; il lyrium ha reso i maghi pigri e viziati. Sono convinti di essere onnipotenti.
Quando i Circoli sono caduti, quando i legami con la chiesa si sono interrotti, quando non hanno più avuto il lyrium e i templari, si sono accorti che le loro energie erano tragicamente insufficienti per compiere ciò che volevano compiere.
E così alcuni sono morti, prosciugati dai loro stessi incantesimi. I più istruiti hanno attinto alla natura, prosciugando fiumi e disseccando foreste, indifferenti allo scempio che compivano. Gli spregiudicati hanno iniziato ad uccidere alimentando col sangue la loro sete di potere. E poi ci sono stati gli sciocchi: quelli che hanno creduto alle promesse dei demoni.
Nessuno si è accorto che la soluzione era semplice: non abusare del proprio potere.
Avrei voluto essere abbastanza intelligente da comprendere quelle parole nell’istante stesso in cui le udii. Forse le cose sarebbero andate diversamente. O forse no.
Quel giorno ho appreso due importanti lezioni: una di vita e una di morte.
 
Arrivate in cima alla collina quella stramba creatura, che forse era umana o forse no, mostrò ciò per cui avevamo intrapreso la faticosa arrampicata: una tomba, con strane rune incise sulla lapide.
- Questa tomba è stata maledetta.- mi spiegò – Sottoterra giace un guerriero cui è stato negato l’eterno riposo. Sconfiggendolo spezzeremo la maledizione, ma potrebbe anche darsi che sarà lui a uccidere noi. Da sola non potevo affrontarlo, ma insieme siamo forti abbastanza da distruggerlo-
La guardai, stranita – Perché dovremmo farlo?-
Sorrise – Perché non dovremmo? –
Feci un verso scettico – Hai appena detto che la magia non va usata a sproposito: beh, io non intendo usarla per un tuo capriccio.-
Rise. Una risata roca che mi fece accapponare la pelle.
- Messa nel sacco dai miei stessi insegnamenti.- ammiccò – La verità è che mia madre mi ha chiesto di portarle il suo cuore.-
Era la prima volta che accennava a un suo genitore, ma non sembrava felice di parlarne e preferii non insistere. Se avesse voluto me ne avrebbe parlato lei.
- Tua madre ti ha chiesto di affrontare un mostro nel bel mezzo della foresta? Da sola?- domandai cercando di non sembrare troppo scandalizzata.
Il suo sguardo mi rivelò che pensava fossi una sciocca – Come posso dimostrarle di essere all’altezza dei suoi insegnamenti, altrimenti?-
Non seppi cosa replicare. Aveva ragione, certo, ma anche terribilmente torto.
La logica del suo ragionamento era inattaccabile, ma aveva un’incolmabile lacuna: non prendeva in considerazione l’amore di un genitore verso un figlio.
Scrollai le spalle – Ogni cosa ha un prezzo, giusto? Immagino che questo sia quello per i tuoi insegnamenti.- commentai, amaramente.
Gli occhi gialli scintillarono nel volto pallido incorniciato dai capelli neri. Rabbrividii mentre lei rispondeva, con voce ardente: – Vedrai: ci divertiremo un mondo.-
Fu così che affrontai il mio primo Revenant.
Si trattò del mio battesimo del sangue.
Non avevo mai combattuto prima di quel momento, ma nell’istante in cui il guerriero decomposto uscì dalla tomba seppi che non avrei voluto fare altro nella mia vita.
Ero nata per quello.
Eravamo in sintonia perfetta: ci battevamo come se non avessimo mai fatto altro.
Tramutai in pratica tutti gli insegnamenti teorici di mio padre e padroneggiai abilmente le abilità appena apprese.
Eppre, nonostante tutto, il mostro ci mise in difficoltà. Riuscì a ferirci entrambe, facendo vacillare le nostre sicurezze; ma la mia maestra non era giunta allo scontro impreparata e, dalle nostre ferite, trasse nuova forza.
Una forza oscura e malsana che mi turbava e attraeva insieme: magia del sangue.
L’oscurità calò sulla cima della collina e osservai la mia misteriosa compagna scagliarsi sul guerriero con terribile audacia. Più ferite subiva più diveniva forte; il mostro sembrò rattrappirsi e disseccarsi, la sua spada perdeva mordente e i colpi inferti non raggiungevano il bersaglio. Infine si disintegrò.
La forza che l’aveva sostenuta fino a quel momento l’abbandonò e la potente strega che aveva affrontato un guerriero cadavere tornò a essere la magra e dinoccolata ragazzina che avevo sorpreso a spiarmi in riva a uno stagno.
Si afflosciò al suolo, esanime.
Mi trascinai fino a lei, la mano premuta sul fianco sanguinante: aveva più ferite di quante riuscissi a contarne e capii che, se non avessi fatto qualcosa, sarebbe morta in pochi istanti.
Sapevo ciò che dovevo fare e non riuscii a trattenere una risata amara.
“Ecco il motivo del tuo insegnamento”, pensai.
Eppure non avrei dovuto esserne sorpresa: era stata proprio lei a dirmi che ogni cosa aveva un prezzo.
Un prezzo che, evidentemente, ero disposta a pagare.
Sacrificai molta della vita della collina per salvarle la sua vita. Le piante avvizzirono davanti ai miei occhi e intorno a me lunghe crepe si aprirono nel terreno. Un senso di nausea mi assalì mentre realizzavo l’enormità di quel sacrificio.
Ricordo ogni filo d’erba che bruciava, l’agonia degli alberi che sfiorivano e l’energia che fluiva in me per riversarsi in lei.
Quando si riprese eravamo circondate da una foresta annerita e accartocciata su se stessa: una collina arida e brulla da cui la vita era scomparsa.
Si guardò intorno e, per la prima volta, la vidi turbata.
Evitò il mio sguardo e si rimise in piedi – Mi dispiace.- mormorò.
Non risposi. Non ce n’era bisogno.
La osservai muovere qualche passo incerto fino ai resti del nostro nemico, s’inginocchiò tra i frammenti sanguinolenti e putridi frugando con mani esperte.
La vidi sollevare qualcosa di viscido e nerastro: il cuore del mostro.
Con una smorfia di disgusto lo infilò nella sacca che portava alla cintura.
- Spero ne sia valsa la pena.- sibilò. Si rialzò chinando il capo nella mia direzione – Ho un debito con te.-
Aveva ragione. Era in debito e sapevo già come volevo essere ripagata.
Attingere alla forza vitale della natura mi disgustava. Mi sentivo una ladra di vita.
Ma esisteva un’altra forza, l’avevo appena vista in azione, una forza che potevo attingere da me stessa senza sottrarre vita ad altri esseri viventi.
Nella mia innocenza pensavo che quella magia fosse meno assassina di quella appena usata.
Attingere dalla propria forza vitale … come può essere sbagliato?
- Insegnami.- fu l’unica cosa che dissi. Non c’era bisogno di altre parole.
Lei capì. E accettò.
 
Fu così che iniziò il mio viaggio in un mondo oscuro e solitario, un viaggio che mi portò a danzare coi demoni e la perdizione.
“Maleficarum” è la parola usata dalla Chiesa per indicare ciò che divenni. E, per alcuni mesi, lo fui davvero.
Ripensare a quei giorni mi raggela. Mi spinsi così vicino al bordo dell’abisso che ancora oggi mi domando come feci a non farmi trascinare nel baratro.
Fortuna, abilità o forse qualcos’altro?
La mia misteriosa maestra m’insegnò a tenermi in equilibrio tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Socchiuse la porta della corruzione, mi permise di sbirciare al suo interno e mi lasciò libera di scegliere da che parte stare.
Vidi ciò che non avrei mai dovuto vedere e lo rifiutai.
Non rimpiango quel periodo di demoni e sangue: fu il mio Tormento e lo superai.
Mi venne offerta la tentazione suprema: il potere di cambiare il mio mondo e plasmarlo al mio volere. Resistetti.
Mio padre m’insegnò la magia nella sua forma più pura e umile, lei mi mostrò il lato oscuro e corrotto.
Quegli insegnamenti mi hanno trasformato nella maga che sono ora e non ho intenzione di rinnegarli.
Ho conosciuto il male e l’ho rifiutato, ciò mi rende immune alla tentazione.
Dal quel momento non ho più avuto paura della mia magia o dei demoni che mi corteggiano di notte.
Ho scelto di non essere una Maleficarum.
Il fallimento dei Circoli è stato proprio questo: hanno rinchiuso i maghi in una torre d’avorio, privandoli della libertà di scelta.
Paura e ignoranza sono più pericolosi di avidità e ambizione.
La maggior parte degli abomini di Kirkwall furono maghi che, in preda al terrore, cercarono rifugio nei demoni. E quando capirono l’enormità del loro errore era troppo tardi.
Conoscere il proprio lato oscuro è l’unico modo per dominarlo e sconfiggerlo.
“Solo cadendo puoi scoprire se sei in grado di volare”: mai parole furono più veritiere, anche se a pronunciarle fu una vecchia capace di trasformasi in un drago.
 
Varric
 
Magia del sangue. Ho sempre sospettato che la conoscesse meglio di quanto ci dicesse. La odiava troppo. Di quell’odio che solo qualcuno che ne ha subito il fascino può comprendere. Nessuno meglio di me può capirlo: il lyrium rosso ha avuto quell’effetto su di me.
Credo che ogni mago in un determinato momento della sua vita venga attratto dalla magia del sangue. Chi lo nega è un bugiardo o, peggio, un Maleficarum.
Qualcuno sostiene che la magia non è relegabile al semplice concetto di “buono o cattivo”: esiste, questo è quanto. Buono o cattivo è l’uso che ne viene fatto.
Non sono in grado di schierarmi da una parte. Non so se questo sia vero oppure no. So solo quello che provo, e ciò che provo è diffidenza. Nei confronti dei maghi e della magia.
Non mi reputo una persona superstiziosa e in generale non amo dare giudizi, affrettati o ponderati che siano.
Ma coi maghi ho sempre avuto difficoltà a mantenere la mia leggendaria imperturbabilità. È difficile non preoccuparsi per ciò che sono in grado di fare ed è stupido sottovalutare i rischi cui sono quotidianamente esposti.
Anders e Merill sono, o sono stati, sinceramente miei amici; ma in loro compagnia, inconsciamente, avevo paura. Paura di ciò che avrebbero potuto fare in preda a terrore, rabbia o angoscia. Io, se perdo il controllo, posso spaccare un naso o devastare una bettola puzzolente. Loro possono squarciare il Velo, liberare i demoni e scatenare un olocausto di fuoco su una città intera.
Con Hawke è stato diverso, fin dal primo istante.
Era pericolosa e imprevedibile, a volte persino crudele, eppure non ho mai avuto paura di lei. Mi correggo: non ho mai avito paura di lei in quanto maga.
Io so che, di tutte le persone che abitano questo mondo, lei mai diverrà un abominio.
È difficile, persino per me, descrivere a parole una simile, assoluta, certezza.
Si tratta di una verità imprescindibile: il cielo è azzurro, l’acqua è bagnata, il fuoco brucia e Hawke non diverrà mai un abominio.
Se un giorno Hawke deciderà di distruggere il mondo lo farà in piena coscienza, senza nessun demone a suggerirle il da farsi.
E anche questa è una certezza.
 
Hawke
 
Poi, così come era arrivata, la mia amica scomparve.
E io quasi non me ne accorsi: fu come svegliarsi, una mattina, e scoprire di non aver più paura del buio.
Non avevo più bisogno di lei: la mia educazione, la mia crescita, era conclusa.
Ero una maga e avevo scelto che genere di maga sarei stata.
Mi lasciai alle spalle i sussurri dei demoni e l’odore del sangue: non era la via che faceva per me.
Mi riavvicinai agli insegnamenti di mio padre con un entusiasmo e una consapevolezza che mai avevo conosciuto.
Lui parve non accorgersi del mio cambiamento, eppure, alla luce di recenti scoperte, mi domando se lui non abbia sempre saputo  quello che accadeva attorno e dentro di me.
Anche lui, come me, ha affrontato il suo Tormento nel sangue e nell’oscurità?
Il disinteresse di cui l’ho accusato per anni non era, forse, una prova che dovevo superare?
Non ho risposte e non le avrò mai.
So solo che tornai indietro e lo trovai ad aspettarmi, come se sapesse che, alla fine, avrei scelto lui.
Non ci fu bisogno di parole o minacce o avvertimenti.
La mia ribellione si era conclusa. Ero pronta a ricostruire ciò che avevo distrutto.
Avevo scelto di essere come lui: un’eretica. Ma un’eretica buona. Libera, ma con le mie regole.
Una mattina andai a cercarlo, lo trovai seduto davanti a casa, intento a fumare la pipa: il suo unico vizio. Mi sedetti al suo fianco, solenne come solo una ragazzina di dodici anni è in grado di essere,sincera come non lo sono mai più stata.
- Mi dispiace per le cose cattive che ho detto e fatto in questi anni. - esordii – Avevo bisogno di capire che cosa sono. Ora l’ho capito e non voglio essere nemica di questa famiglia. Non voglio essere quello che le persone credono che potrei essere. Io sono meglio di così e non m’importa se la gente lo capisce oppure no. Importa solo quello che penso io e quello che pensate voi. – tenevo lo sguardo fisso sulle mie mani intrecciate, avevo paura di incrociare i suoi occhi: li sentivo su di me severi ma giusti – Non spaventerò più la mamma e i bambini: da oggi li proteggerò. Sempre. È una promessa papà.-
Fu così orgoglioso di me quel giorno.
Mi strinse a sé con tutta la forza che aveva. Le ossa mi dolevano ma non dissi nulla: me le sarei fatte frantumare piuttosto che sciogliermi da quell’abbraccio.
Da quel giorno impiegai tutte le mie energie nell’adempimento di quella promessa.
Non sono riuscita a mantenerla. Ho fallito.
Spero che papà mi possa perdonare perché io non riesco a farlo.

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Capitolo 5
*** La sposa del Creatore ***


Hawke
 
Mantenni la parola data a mio padre e tornai ad essere la ragazzina spensierata che ero stata prima della nascita dei gemelli.
O, almeno, fu quello che tentai di essere.
I miei genitori cominciarono a considerarmi affidabile e, sempre più spesso, mi ritrovai a dover far da balia ai gemelli. Fu allora che il mio rapporto con Beth e Carver iniziò a crescere fino a diventare … beh quello che è diventato.
Li accompagnavo alla scuola del villaggio e iniziai ad accostarmi ad un mondo che, fino ad allora, avevo potuto osservare solo da lontano.
Dopo la solitudine delle foreste persino l’infima mondanità di Lothering mi intimidiva.
Le chiacchiere, le risate, i balli: per me erano cose nuove, sconosciute ed eccitanti. Più di una volta feci la figura della sciocca, anche se all’epoca nemmeno me ne accorgevo: non avevo idea di come ci si comportasse in compagnia di altre persone.
Le strette di mano, i saluti, i sorrisi e i cenni del capo … tutto ciò mi era estraneo e misterioso. Con mia grande vergogna dovetti accettare che fossero i gemelli, di tre anni più giovani di me, ad istruirmi sui misteri della vita sociale.
Assieme a loro entrai in una chiesa per la prima volta.
Era un giorno era freddo e nebbioso. Il sole era solo una macchia tonda e abbagliante che risplendeva stancamente dietro uno strato di nubi biancastre. L’intero villaggio sembrava cristallizzato in un eterno crepuscolo.
Le torce sfolgoravano davanti alle porte delle case e le fiamme ondeggiavano al nostro passaggio silenzioso. Carver ci precedeva di qualche passo con il mantello drappeggiato sulle spalle che si allargava come se stesse per spiccare il volo. In quel momento intravidi il guerriero che sarebbe stato.
Io e Beth lo seguimmo docilmente fino ai gradini della chiesa che salì con una sicurezza che non gli apparteneva: mi accorsi con una punta di disagio che quel luogo gli era più famigliare della nostra stessa casa.
Esitai mentre il mio giovane fratello apriva i battenti di quel luogo misterioso e sacro.
La chiesa di Lothering era un edificio squallido e spartano ma i miei occhi si rifiutarono di vedere le assi inchiodate malamente e i dipinti scrostati. Quel luogo era per me un miraggio, irradiava pace e serenità e io mi domandavo se fosse reale o solo un frutto della mia immaginazione. Era davvero il luogo benevolo che i miei fratello mi avevano descritto oppure i miei peccati mi avrebbero condannata a morte atroce appena varcata la sacra soglia?
Avevo paura. Una paura diversa da ogni altra cosa mai provata: non era l’angoscia dei sogni o il terrore suscitato dai demoni.
Era una sensazione più sottile e strisciante: era il fremito di fronte ad un ignoto meraviglioso e il terrore che mi fosse precluso.
Bethany fece scivolare la sua piccola mano nella mia. La sua pelle era calda e viva; quel gesto mi commosse e m’imbarazzò: la mia piccola sorella sentiva la mia paura e cercava di proteggermi.
Le rivolsi un sorriso incerto e feci il primo passo.
Varcai la soglia socchiudendo gli occhi, aspettandomi da un momento all’altro qualcosa di terribile. Mi stringevo a Beth come ad uno scudo che mi avrebbe protetto da ogni male.
Non accadde nulla.
Mi lasciai sfuggire una risatina nervosa che riecheggiò tra le navate vuote e, finalmente, cominciai a guardarmi intorno, gli occhi sgranati dalla meraviglia.
I pilastri della navata erano di legno chiaro, levigato dal lungo uso; le torce splendevano fioche negli angoli, fendendo l’oscurità con i loro aloni caldi e fumosi.
Sembrava di essere in una grotta. Una grotta meravigliosamente calda e accogliente che infondeva un senso di armoniosa tranquillità. In quel luogo le paure del mondo esterne diventavano solo echi di luoghi lontani e impalpabili.
Abbandonai la mano di mia sorella: non c’era più nulla di cui aver paura.
Seguii Carver lungo la navata, avvicinandomi all’altare di nuda pietra che giaceva, ignorato, ai piedi della statua di una donna, splendida e austera.
Pensai che non potesse esistere nulla di più straordinario di quell’effige fiera e maestosa; alzai timidamente lo sguardo sul viso senza tempo che mi sovrastava, benevolo. La statua non aveva lineamenti precisi eppure, nelle ombre che si riflettevano sulla pietra levigata, potevo scorgere un volto che assomigliava al mio.
Desiderai avvicinarmi al bacile che la donna di pietra teneva tra le mani: volevo sentire il calore della fiamma che vi splendeva dentro, irradiando l’altare dei colori del tramonto. Non osai farlo per paura di disturbare le quattro giovani donne raccolte ai suoi piedi. Erano abbigliate in arancione, un arancione che pareva parte di quella fiamma che splendeva sopra le loro teste abbassate.
Mi voltai verso Beth, per chiederle chi fossero quelle donne, ma lei si portò un piccolo dito alle labbra e mi spinse silenziosamente verso le panche dove si era inginocchiato nostro fratello.
Presi posto accanto a lui e attesi.
Non dovetti pazientare a lungo. Ben presto la chiesa iniziò a riempirsi di uomini e donne silenziosi e solenni che presero posto sulle panche accanto a noi.
Provai una vaga sensazione di angoscia quando udii i portali dell’ingresso chiudersi con un tonfo sordo: per un istante mi sentii intrappolata.
Ma il senso di oppressione svanì non appena le donne si alzarono e, i visi illuminati dalla luce della fiamma, iniziarono a salmodiare una melodia struggente. Lacrime di commozione mi scesero lungo le guancie mentre ascoltavo il Canto della Luce e scoprivo le tribolazioni della donna di pietra che, finalmente, aveva un nome: Andraste.
Quel giorno m’innamorai: di Andraste, del Creatore, del Canto della luce e della Chiesa.
Col tempo l’innamoramento si è trasformato in diffidenza e, come troppe volte accade anche con le persone, la diffidenza è diventata odio.
Tutto ciò che più mi commuoveva ora mi disgusta eppure non posso rinnegare i sentimenti provati quel giorno: Andraste si presentò a me come una madre misericordiosa presso cui potevo finalmente trovare comprensione e conforto. Nel periodo più confuso della mia vita la chiesa fu il mio rifugio dai tormenti terreni.
Scoprirne la vera natura fu il tradimento più grande che io abbia mai dovuto affrontare.
In quel grigio pomeriggio autunnale, tuttavia, i dubbi religiosi erano ben lontani dalla mia mente. Quel giorno avevo occhi solo per la fiamma, abbagliante, di Andraste e orecchie unicamente per quel meraviglioso canto che, da secoli, veniva tramandato ad imperitura memoria.
Credetti nel Creatore? Una ragazzina di dodici anni è facile da ingannare. Soprattutto se non ha mai potuto fare altro che sognare un mondo inesistente.
La Città Dorata, un amore divino tanto forte da trasformare una donna in un dio, un Canto che parla di rinascita e luce … come potevo non rimanerne affascinata? Io che conoscevo meglio il mondo dei sogni che quello reale ...
I racconti della chiesa sembrava unire quei mondi in un unico, familiare, disegno e mi sentii in pace, per la prima volta nella mia vita.
 
Varric
 
La ragazzina devota e innamorata del divino in seguito divenne una delle più agguerrite oppositrici della Chiesa e del culto di Andraste che io abbia mai conosciuto.
Da Andrastiano, seppur moderato e non praticante, la sua ostilità nei confronti della sposa del Creatore mi ha sempre lasciato interdetto. Per Hawke non era una questione di credere o non credere nella profetessa e nel suo sposo. Per lei la loro esistenza era relativa. La verità era che, dal profondo del cuore, li detestava.
Ricordo una discussione con Sebastian. Lui si ostinava a volerle provare l’esistenza di Andraste e del Creatore. Lei lo interruppe, con quel suo sorriso disarmante: “Non è la loro esistenza che metto in dubbio, Sebastian. Ciò che non tollero è il loro operato. Se le parole della tua Chiesa sono vere, se loro sono reali come me e te e le loro azioni sono effettivamente quelle che crediamo di conoscere allora hanno tutto il mio disprezzo. Io non ho nessuna intenzione di venerare delle simili divinità.”
Tutti la guardammo come se la vedessimo per la prima volta. Sebastian la fissava con occhi sgranati. Sono certo che si aspettasse di vedere un fulmine colpirla in testa da un momento all’altro.
Ma, come tante altre volte, il Creatore non si scomodò.
Eravamo sconvolti da una simile blasfemia eppure, nel profondo del nostro essere, ammirammo il suo coraggio per aver sfidato il Creatore ed essere sopravvissuta.
 
Hawke
 
Fu sempre a Lothering che m’imbattei per la prima volta nell’ordine dei templari.
Sentendo i racconti dei miei genitori mi ero immaginata delle specie di orchi che rapivano i giovani maghi per portarli in un luogo di tormento e dannazione, invece i soldati che mi trovai davanti erano … magnifici.
Il fulgore delle loro armature, con la spada di Andraste impressa sul petto, le sottovesti porpora con ricami d’oro, l’elmo severo che celava completamente il viso lasciando solo intuire gli occhi che brillavano dietro la feritoia sottile: non avevo mai visto nulla di più maestoso.
Invece di averne paura ne rimasi affascinata.
Sapevo che erano pericolosi e non erano solo gli avvertimenti di mio padre a suggerirmelo: lo sentivo nel sangue ma, come accade per tutte le cose proibite, ne ero irrimediabilmente attratta.
Erano i miei demoni del mondo reale.
Cominciai a recarmi al villaggio anche quando non ve ne era motivo. Mi arrampicavo sul tetto di una casa che si affacciava sul piazzale della chiesa e lì rimanevo, per ore, seduta a guardare quegli uomini che erano miei nemici.
Erano i guerrieri di Andraste e io, assurdamente, desideravo essere una di loro.
Si è mai sentito di un paradosso più grande? Una maga che voleva essere un templare …
All’epoca non capivo, o forse non volevo capire, che quell’universo di cui disperatamente desideravo far parte mi condannava solo per l’oltraggio di essere nata.
La mia magia è la prova che io sono dannata dal loro Creatore e dalla sua sposa.
Il motivo della mia punizione? Nessuno ha mai saputo rispondere a questa domanda.
Sono una maga e tanto basta.
Se solo l’avessi capito subito mi sarei risparmiata molte sofferenze.
Ma ero cieca a ciò che non volevo vedere. Il mio inganno nei confronti dei templari ingannava anche me.
Ero un’eretica che bramava la chiesa.
Mia madre rimase piacevolmente sorpresa da questa mia fervente conversione e insisteva perché accompagnassi lei e i gemelli ad ogni funzione e che imparassi a memoria il Canto della Luce. Papà osservava in disparte, silenzioso: mi guardava recitare le preghiere con occhio attento e ora so che aspettava il momento in cui io capissi le parole che ripetevo a pappagallo. Voleva sapere che cos’avrei fatto una volta capito ciò che la chiesa pensava di quelli come noi.
Purtroppo non lo seppe mai.
Ironicamente il primo colpo sferrato contro il mio fervore religioso lo vibrò Bethany, la mia devota sorella.
Una mattina, mentre dormivo raggomitolata sul mio pagliericcio, sentii una mano scuotermi la spalla. Pensando fosse mia madre che veniva a svegliarmi risposi con un mugugno svogliato, cercando di allontanare quella presa fastidiosa.
- Etain.- sussurrò al mio orecchio una vocetta impaurita – Etain sveglia, sono io: Beth.-
Risposi senza nemmeno aprire gli occhi – Lasciami in pace, voglio dormire!-
Tolse la mano dalla mia spalla ma sentivo la sua presenza ancora lì, accanto al mio pagliericcio. Il russare di Carver riempiva la piccola stanza che condividevamo.
Gli occhi di Beth fissi sulla mia nuca mi resero impossibile riaddormentarmi.
Mi girai svogliatamente, socchiudendo appena gli occhi – Si può sapere che vuoi?-
Sotto il caschetto di capelli neri la sua espressione era seria, si stropicciava le mani nervosamente e gli occhi castani non riuscivano a fissarsi nei miei – Ho … ho un problema, Etain.- mormorò a voce tanto bassa che a stento riuscii a capirla.
In un primo momento pensai si trattasse del manifestarsi di un problema che, inevitabilmente, prima o poi si abbatte su tutte le donne.
Io avevo quattordici anni e Beth unidici; solo pochi mesi prima ero stata colpita da quella sciagura femminile e mia madre mi aveva rivelato i misteri di quel segreto così gelosamente custodito.
Immaginai che Beth fosse semplicemente più precoce di me.
- Parla con la mamma.- borbottai – Lei può aiutarti meglio di me.-
Beth impallidì – Ma tu sei … io pensavo … la mamma non è …-
In quel momento vidi che il palmo della sua mano brillava.
Bethany non era appena diventata donna. Era diventata una maga.
Mi rizzai a sedere, improvvisamente sveglia e attenta – Beth ma questa è … magia!- le rivolsi un sorriso radioso – Oh Beth: è meraviglioso!- feci per abbracciarla ma lei scivolò di lato, gli occhi sgranati come quelli di un animale braccato.
- Come faccio a mandarla via?- sussurrò.
Rimasi di sasso. Quella richiesta non aveva senso per me e, ancora oggi, faccio fatica a concepirla.
- Mandarla via? Ma Beth questo è un dono meraviglioso!-
- Un dono?- squittì con voce acuta – Un dono di chi?-
- Del Creatore!- esclamai in tutta la mia ignoranza.
Bethany mi guardò con aria stranita. Al contrario di me, che mi soffermavo solo sulle belle parole e le gradevoli melodie, lei era andata oltre la forma sgargiante del Canto della Luce e, tra le righe, aveva estrapolato quel messaggio che io mi rifiutavo di vedere.
- Etain …- lanciò un’occhiata fuggevole a Carver per controllare che fosse ancora profondamente addormentato – La magia non è un dono, ma una punizione. Il Creatore ci ha punite per i peccati di nostro padre.-
Ammutolii: una punizione? I peccati di nostro padre?
Quelle parole si rifiutarono di prendere forma nella mia mente e rivolsi a Bethany uno sguardo pieno di compassione.
- Beth, cosa dici? Con la magia puoi guarire i malati e accendere un fuoco nella neve, puoi scacciare le tenebre e far sgorgare l’acqua nel deserto … come potrebbe essere una punizione?-
Fece una smorfia – I maghi hanno ucciso Andraste e corrotto la Città Dorata. Hanno creato il Flagello che un giorno distruggerà il Thedas.- deglutì, chiudendo gli occhi e congiungendo le mani, come se stesse pregando o chiedendo perdono - La magia non è una punizione: è il male incarnato. Papà si è rifiutato di piegarsi al volere del Creatore e per questo Lui lo ha punito tramite noi.-
Sbattei piano le palpebre, cercando di autoconvincermi che parlava in quel modo per paura. Eppure … doveva aver studiato il Canto della Luce molto bene per imparare cose che io a malapena ricordavo di aver udito.
Dov’era il passaggio in cui si diceva che tutti i mali del mondo erano opera della magia? Doveva essermi sfuggito … o forse … mi accigliai incrociando le braccia al petto.
- Non ricordo di aver mai letto nulla del genere, Beth. Te lo stai inventando.-
Lei sbuffò – Perché credi che la chiesa ci perseguiti?-
La sua aria saccente cominciava a irritarmi, dopotutto ero io la sorella maggiore.
Un grugnito dall’altra parte della stanza ci ricordò la presenza di Carver che fece capolino da sotto le coperte sbadigliando e stropicciandosi gli occhi – Vi sembra il momento di mettervi a discutere di teologia? Io voglio dormire!-
Aprii la bocca, forse per comunicare anche a lui quella che era, a mio avviso, una meravigliosa notizia. Bethany intercettò il mio sguardo e scosse piano la testa, il viso stravolto dall’angoscia.
- Scusa. Torna a dormire.- borbottai, mentre mia sorella mi trascinava fuori dalla stanza.
Quell’inusuale complicità avrebbe potuto destare sospetti in una persona più sensibile di Carver, ma lui si limitò a scrollare le spalle e rimettersi a dormire.
Bethany mi trascinò nel prato davanti alla casa, apparentemente incurante di trovarsi a piedi nudi nell’erba irrigidita dalla brina.
- Non devi dirlo a nessuno!- m’intimò, puntandomi un dito contro. Notai una raggelante somiglianza con mia madre. O forse era il freddo a farmi rabbrividire.
- È un po’ difficile mantenere segreta una cosa del genere, Beth.-
Mi guardò male – Tu lo fai da sempre.-
- Non con voi.- obiettai subito – Un conto è mentire a degli estranei, un conto farlo con la propria famiglia.- distolsi lo sguardo, colpita da un pensiero improvviso: avevo mentito in passato quando mi ero lasciata attrarre dalla magia proibita. Ma questo Bethany non poteva saperlo. E mai l’avrebbe saputo.
- Non c’è nulla di cui tu debba vergognarti. Nessuno ti amerà di meno perché sei una maga.-
Si stropicciò le mani, prima di lanciarmi un’occhiata di sottecchi - Ma tutti avranno paura di me e li sentirò sussurrare alle mie spalle.-
Per la prima volta sentii il peso della mia “anormalità”. Ero stata gelosa dei gemelli, talvolta avevo invidiato la loro quotidianità, ma non avevo mai pensato di essere oggetto di sussurri da parte loro e della mamma.
Improvvisamente mi accorsi che, per tutta la vita, mi avevano osservata. Non con l’amorevole sguardo di madre o fratello, ma con quello indagatore di un carceriere.
La mia esistenza minacciava la loro.
Non avevo diritto di biasimarli, lo so oggi come lo sapevo allora.
Avevo fatto tutto ciò che era in mio potere per rendere le loro vite un inferno.
Ero abbastanza matura da comprendere che avevano tutte le ragioni del mondo per detestarmi: sarei stata in grado di affrontare le loro accuse e chiedere perdono per il male che avevo fatto e avrei potuto fare. Ma quelle accuse non erano mai giunte e io, sciocca, avevo creduto nella loro inesistenza. Credevo di avere il loro perdono incondizionato, perché ero figlia e sorella.
Ma quel silenzio, che avevo scambiato per amorevole pazienza, era in realtà solo vigliaccheria. Potevo affrontare accuse e lamentele, ma il silenzio astioso, quello, mi era intollerabile. Tacevano per paura, non per amore.
Alzai lo sguardo su Beth, che rabbrividiva di freddo e angoscia in una notte senza stelle dell’inverno Fereldiano. Mi guardava come se potessi tirare fuori dal cilindro la soluzione a tutti i suoi problemi: era terrorizzata all’idea che la mamma e Carver dicessero di lei quello che fino al giorno prima anche lei aveva pensato di me.
Non temeva la magia in sé, d’altronde come avrebbe potuto? Non la conosceva. Aveva paura di quello che rappresentava agli occhi degli altri: la prova inconfutabile dell’odio del Creatore.
Strinsi le palpebre, improvvisamente insensibile al freddo.
- Non puoi cambiare ciò che sei, sorella. Puoi metterti a piangere, battere i piedi in terra e gridare con tutto il fiato che hai in corpo, ma sei una maga e lo sarai sempre.- il mio fiato si condensava in nuvolette bianche rendendo quelle parole ancora più reali – Puoi mentire, dissimulare, ingannare ma non servirà a niente; se, come dici tu, è il Creatore a punirci, credi che gli importi di quello che provi? La magia fa parte di te, come il sangue e le ossa: non te ne puoi disfare, non puoi gettarla via. Fattene una ragione, Bethany.-
Le voltai le spalle e tornai in casa, lasciandola sola a tremare nell’oscurità della notte.
Mi sarei dovuta comportare diversamente? Probabilmente sì, non mi comportai come una sorella amorevole. D’altronde non l’ho mai fatto.

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Capitolo 6
*** Fratelli e sorelle ***


Hawke
 
Il segreto di Bethany non restò tale per molto tempo. Per una maga non istruita è difficile, se non impossibile, nascondere i propri poteri.
In quell’occasione mi comportai come la sciocca ragazzina che ero.
Non svelai il suo segreto a nostro padre ma non feci nulla per aiutarla in quei pochi, ma difficili, giorni. Mi comportai come se nulla fosse cambiato, come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi. Ero nel torto e, peggio ancora, sapevo di esserlo.
Non m’interessava: ero arrabbiata con una bambina di undici anni perché le biasimavo una mancanza di coraggio che era identica alla mia.
Nelle parole di Bethany avevo sentito quello che volevo sentire.
Non misi mai in discussione le conclusioni cui ero giunta, ovvero che mia madre e i miei fratelli complottassero alle mie spalle, per il semplice fatto che volevo che fosse vero.
È imbarazzante ammetterlo, ma se non lo facessi sarei ancora quella ragazzina che usava le debolezze degli altri per giustificare le proprie.
Io avevo mentito, ingannando mio padre e tradendo la sua fiducia, avevo messo deliberatamente in pericolo la mia famiglia coi miei esperimenti con la magia del sangue e non avevo avuto il coraggio di confessare le mie colpe.
Così volevo credere che la loro presunta malvagità avesse il potere di annullare la mia.
Se loro mi avevano ingannato, allora le mie malefatte avevano una giustificazione.
Vedevo gli sforzi, immani, che Bethany compiva per nascondere la sua magia al resto della famiglia e mi compiacevo all’idea che accadesse proprio a lei: la dolce, adorabile, onesta Bethany che mentiva e ingannava esattamente come avevo fatto io.
“Non è migliore di me”, pensavo nella mia meschina gelosia e nel frattempo aspettavo con trepidazione il momento in cui tutti i nodi fossero venuti al pettine.
La mia attenzione era puntata tutta su mia madre: la aspettavo al varco.
Quando la sua devota figlioletta si fosse mostrata per quello che era, una maga, che cos’avrebbe fatto?
In cuor mio speravo ne fosse disgustata. Non perché volevo che Beth soffrisse o che la nostra famiglia si distruggesse, ero troppo egoista per comprendere le implicazioni di quel mio desiderio inespresso.
Volevo la prova che mia madre fosse una stronza, una razzista: volevo che rinnegasse Bethany e la sua magia e io sarei stata lì, col dito puntato contro la sua debolezza, svergognandola davanti a nostro padre.
E allora tutte le mie cattiverie sarebbero state giustificate e io avrei potuto dire “Te l’avevo detto, papà: mio odia, non me l’ero solo immaginata. Quando ero così cattiva con lei, avevo ragione.”
Volevo la prova che fosse lei la rovina della famiglia, non io.
Con grande vergogna devo confessare che desideravo il suo posto.
Bramavo la devozione adorante dei gemelli e l’amore incondizionato di mio padre.
Nel mio piccolo regno Leandra era La rivale e io mi auguravo che scomparisse, perché ero migliore di lei e tutti dovevano riconoscerlo.
Così lasciai mia sorella in balia di forze che non era in grado di dominare e, di nuovo, misi in pericolo la mia famiglia. Fortunatamente mio padre scoprì i talenti di Beth prima che lo facessero i templari o che un demone s’impossessasse di lei.
Ricordo le sue lacrime e quelle di Beth. Ricordo il modo in cui l’abbracciò dicendole che si sarebbe preso cura di lei, che non avrebbe più dovuto passare quello che aveva passato, che non sarebbe più stata sola.
Fu in quel momento che cominciai a rendermi conto di ciò che avevo fatto: Bethany era venuta da me e io le avevo voltato le spalle. Mi aveva chiesto aiuto e glielo avevo negato.
Scacciai scacciare quella verità fastidiosa, che mi feriva.
Mentre loro si abbracciavano, osservavo i non maghi della mia famiglia e pensavo: “Ora Carver le dirà che è un mostro e la mamma indietreggerà inorridita: avrò la mia vittoria. Sarà la dimostrazione che ho sempre avuto ragione.”
Ma Leandra era una madre migliore di quanto meritassi e Carver, mi duole ammetterlo, si dimostrò più maturo di quanto io potessi anche solo sperare di essere.
Il mio fratellino fece una smorfia, appoggiò una grande mano sulla spalla di Beth e la rassicurò dicendole che nulla sarebbe cambiato.
- Se sono riuscito a gestire due sorelle, potrò gestire anche due maghe.- borbottò a metà tra il serio e lo scherzoso.
La reazione di Carver fece vacillare le mie certezze, quella di mia madre diede loro il colpo di grazia.
All’inizio parve sul punto di scoppiare in lacrime, poi si riebbe e piegò le labbra nel sorriso più dolce che avessi mai visto. Si portò una mano al cuore e attirò Beth a sé, stringendola forte e sussurrandole all’orecchio che era la sua bambina ed era fiera del suo coraggio.
Mi sentii sprofondare: il problema non era la magia, non era mia madre, non era Carver. Il problema ero solo io.
Io con il mio egoismo, le mie debolezze, le mie paranoie.
Io che mi credevo così superiore agli altri e invece ero piccola e misera.
Cercavo di screditare gli altri per non ammettere che il solo ostacolo tra me e loro era la mia vanità.
La magia era il mio alibi: il lasciapassare per fare e dire tutto quello che volevo, senza riguardi per nessuno tranne che per me stessa.
Avevo attribuito alla magia l’unico potere che non aveva: quello di definirmi come persona.
Avevo abbandonato Beth non perché mi sentivo discriminata per via dei miei poteri magici, quella era una patetica scusa, ma perché ero una piccola, insignificante creatura piena d’invidia.
La magia era il paravento dietro cui mi nascondevo, era la giustificazione a tutto ciò che non andava nella mia vita: ero sola perché ero una maga; litigavo con Carver perché ero una maga; offendevo mia madre perché ero una maga; mentivo a mio padre perché ero una maga … scoprire la verità fu un pugno nello stomaco.
Non era la magia a rendermi diversa da Bethany.
Mia madre e Carver preferivano trascorrere il loro tempo con Beth piuttosto che con me perché lei era dolce e gentile mentre io ero arrogante e vanesia.
Era il mio carattere ad allontanarli, non i miei talenti sovrannaturali.
Capirlo fu difficile, accettarlo ancora di più: sono fiera di me, per aver avuto il coraggio di affrontare la realtà, senza negarla o nascondermi.
Fu il mio rito di passaggio: quel giorno gettai via l’orgoglio come avrei fatto con un mantello di lana nel giorno più caldo dell’estate. Smisi di essere una bambina e diventai grande.
Non feci scenate. Non piansi. Non abbracciai tutti. Non era da me.
Mi limitai ad andare da Beth; le sfiorai la mano e le sorrisi, sussurrando un “ mi dispiace” che udì solo lei. Sapevo che mi avrebbe perdonata.
Lo faceva sempre.
 
Varric
 
E lo facevamo anche noi. Hawke è sempre stata una persona difficile, lunatica, e, se anche si è addolcito, il suo carattere non è cambiato nel corso degli anni. C’è molto della Campionessa che ho conosciuto nella ragazzina che lei stessa ha così efficacemente descritto.
Le sue prese di posizione a favore dei maghi, spesso assolutamente folli, sovente mi hanno lasciato perplesso: prendeva tutto sul personale, come se criticare un eretico significasse criticare lei. Più di una volta mi sono chiesto chi fosse il più esaltato tra lei e Anders. Ma il biondino aveva almeno l’alibi di uno spirito della Giustizia dentro di sé. Non che questo lo giustifichi. Nulla potrà mai giustificarlo.
Ma Hawke … lei è diversa: crede ciecamente in tutto quello che fa e si convince, anche negando l’evidenza, di essere nel giusto. Finché non ci sbatte contro. Come con Anders.
Ognuno di noi ha avuto dei buoni motivi per odiarla. In suo nome abbiamo compiuto azioni che ci ripugnavano. Eppure siamo sempre rimasti al suo fianco, non l’abbiamo mai abbandonata anche se a volte molti di noi avrebbero voluto farlo. Perché?
Perché sapeva come chiederci scusa.
Un filosofo esprimerebbe questo concetto molto meglio di quanto sto facendo io. Ma io non sono un filosofo: sono solo un nano che racconta delle storie.
  
Hawke
 
E così eravamo diventati tre eretici. Io, Bethany e papà trascorrevamo molto tempo insieme, ad esercitarci con la magia.
Papà era un maestro paziente: adoravo quelle giornate passate noi tre insieme. La mia padronanza della magia era ottima, se non perfetta; secondo papà il mio dono era straorinario: ero in grado di compiere facilmente incantesimi che mettevano in difficoltà la maggior parte dei maghi adulti.
Mi domando cos’avrebbe detto vedendo ciò che era in grado di compiere la misteriosa e selvaggia maestra che, qualche anno prima, mi aveva insegnato i segreti della magia del sangue.
Probabilmente ne sarebbe stato inorridito. O forse no. Papà condannava la magia del sangue, esattamente come la condanno io oggi, ma questo non significa che non l’avesse mai praticata. Invecchiando mi accorgo di diventare sempre più simile a lui e mi domando se in gioventù non abbia compiuto i miei stessi errori. È un pensiero rassicurante, che tranquillizza la mia coscienza: guardando l’uomo meraviglioso che è diventato non posso che essere fiera di assomigliarli, anche solo in parte.
Malcom Hawke è la persona migliore che io abbia mai conosciuto e non lo dico perché era mio padre: lui amava questo mondo, sinceramente, senza retorica, e desiderava vederlo in pace. Ringrazio il destino per avergli risparmiato l’orrore di questa guerra. Non avrebbe sopportato di vedere ciò che i maghi e i templari stanno facendo a questa nostra bella terra.
Lui amava la vita e amava noi.
Aveva un umorismo sottile, tagliente ma mai offensivo: sapeva come farci ridere anche nei momenti più disperati e non prendeva mai nulla troppo sul serio. Diceva che era troppo impegnato a godersi le meraviglie del mondo per preoccuparsi delle sciocchezze degli uomini.
Non aveva solo qualità, è ovvio: era un casinista, mamma diceva che si perdeva in un bicchier d’acqua. La verità è che si distraeva facilmente: faceva mille progetti e non ne portava mai a termine uno. Il suo pressapochismo faceva imbestialire tutti, tranne me. Tra di noi c’era una sintonia perfetta, ci capivamo anche solo con uno sguardo: non lo dico per presunzione o per sminuire il suo legame coi miei fratelli, la mia è una semplice constatazione. Eravamo simili in tutto, anche nel nostro approccio alla magia di cui comprendevamo la pericolosità senza esserne spaventati. La rispettavamo, come lo scalatore rispetta la montagna: sapevamo che un giorno avrebbe potuto ucciderci e questo rendeva la nostra avventura ancora più affascinante.
Per Bethany, invece, era tutto molto più difficile: finché è stata in vita era terrorizzata dalla magia. Col senno di poi sono costretta ad ammettere che, per lei, il Circolo sarebbe stato la cosa migliore.
Bethany odiava vivere nella menzogna: mentire alle amiche, ai vicini di casa, alle sacerdotesse … a me veniva naturale, per lei era una tortura.
Il senso di colpa ha condizionato tutta la sua vita e nessuno di noi era in grado di aiutarla, di certo non io.
Eppure, nonostante tutto, quel periodo fu quello di maggiore complicità tra noi due e ho uno splendido ricordo di quei momenti passati insieme. È stato traumatico scoprire, dopo la morte di nostro padre, che invece lei li odiava.
Odiava quei momenti in cui eravamo solo maghi.
Inevitabilmente più si avvicinava a me e alla magia, più si allontanava da Carver.
Per la prima volta c’era qualcosa a dividerli. Automaticamente a Carver venne precluso un aspetto importante della vita di Beth. È difficile per me descrivere il loro rapporto: erano diversi come il giorno e la notte ma senza l’uno non poteva esistere l’altro. Si dice che l’uomo nasca incompleto, alla perenne ricerca della sua metà perfetta: Craver e Beth non dovettero cercare a lungo la loro metà anzi, non dovettero cercarla affatto. Pensavo che nulla avrebbe mai potuto separarli. Come tante altre volte mi sbagliavo. Il loro allontanamento fu impercettibile, ma inesorabile.
E così, inevitabilmente, Carver incominciò a diventare me.
Al pari dei demoni che le incarnano gelosia e invidia, che io avevo sconfitto, trovarono un’altra vittima da avvelenare.
Tutto ciò che era stato suo divenne mio e la nostra rivalità, prima appena accennata, esplose con tutta la sua devastante potenza.
Iniziammo a farci la guerra, una guerra non dichiarata ma sanguinosa che ci ha lasciato molte ferite, senza mai cessare realmente.
Forse un giorno riusciremo a perdonarci per tutto il male che ci siamo fatti, tuttavia quel giorno non è oggi.
Non fraintendetemi: morirei per mio fratello, ma non chiedetemi di vivere con lui.
 
Varric
 
Forse era destino che si concludesse nel modo in cui si è conclusa. La loro rivalità è stata consacrata dalle loro scelte: maga e templare.
La lotta fratricida è sintomo della corruzione di questo mondo: io e Bartrand, Fenris e sua sorella … sembra che il tradimento dei fratelli sia destinato a perseguitarci.
È facile puntare il dito contro una delle due parti e schierarsi per essa, eppure sembra non esserci risposta alla fatidica domanda: chi è stato il primo a tradire?
Che cosa trasforma l’affetto in rivalità, la rivalità in odio e l’odio in tradimento?
Di chi è la colpa?
Forse non esiste una colpa. Forse esistono solo occasioni mancate e tempo sprecato … ah, ma di chi stai parlando, nano? Carver non è Bartrand e Hawke non è te. Quando è giunto il momento di combattersi, la maga e il templare hanno deposto le armi. Tu puoi dire lo stesso?
 
 
 
 
 



Nota
 
Mi scuso per l’imperdonabile ritardo. Vorrei avere una scusa valida per giustificarmi: purtroppo non si è trattato di un rapimento alieno ma di una banale, quanto totale, mancanza di ispirazione. Spero di essermi rimessa in carreggiata e mi scuso per l’improvvisa assenza. Grazie per la pazienza, a presto!

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Capitolo 7
*** Una visita inaspettata ***


Hawke
 
Sto divagando. O meglio: sto prendendo tempo.
Quando ho iniziato questo diario pensavo di poter omettere o addirittura cancellare certi eventi della mia vita. Mi ero convinta che sarebbe bastato non scriverli per renderli inesistenti.
Purtroppo non basta desiderare che qualcosa non sia mai accaduto per farlo scomparire. Mi sono ripromessa di essere onesta in questo mio resoconto e pensavo di esserlo mentre imbrattavo d’inchiostro queste pagine, parlando di magia del sangue, invidie e dispetti. Chiunque stia leggendo, arrivato a questo punto, dirà: il peggio è passato, cosa può aver fatto ancora? La tentazione di rispondere “niente” è tanto forte che persino io, che mi reputo immune alle lusinghe, rischio di capitolare.
Sarebbe ironico, non credete, cedere proprio ora?
Mi sono sempre vantata di essere, a mio modo, incorruttibile. Non mi sono mai fatta comprare, né dall’oro né dalle promesse.
È la parte migliore di me, forse l’unica rimasta. Mentire adesso significherebbe sacrificare anche quello: l’ultimo angolo incontaminato della mia anima.
Un sacrificio che non ho intenzione di compiere.
Ora che ho preso la mia decisione sono impaziente di riprendere il mio racconto, consapevole che quando sarà finito io non sarò più la stessa, né ai miei occhi né a quelli di chi mi sta leggendo.
 
Gli anni della mia adolescenza trascorsero in relativa tranquillità. Lothering era una cittadina accogliente e tranquilla: ci integrammo così bene in quel piccolo villaggio di contadini che pensammo davvero di aver trovato una casa dalla quale non saremmo più dovuti fuggire.
Per la prima volta da quando ho memoria ci sentivamo “normali”.
Bethany e Carver continuarono a frequentare la scuola del villaggio e io, di tanto in tanto, li accompagnavo; ogni volta mi sorprendevo nel constatare quanto ben integrati fossero. Avevano amici e le persone per strada rivolgevano loro cenni di amichevole saluto. Erano popolari, anche se per i motivi opposti: erano i gemelli della foresta ed erano simpatici a tutti. Con me era diverso: ero una tizia strana, scontrosa e sarcastica, che ogni tanto compariva nelle strade del villaggio. Nessuno mi era ostile ma, di certo, nessuno mi era amico.
La cosa non mi turbava. Non ho mai desiderato essere al centro dell’attenzione … essere il Campione di una città non era certo il mio sogno, anche se alla fine è andata così. L’unica cosa che desideravo era essere lasciata in pace. Non ho mai temuto la solitudine, anzi per me è la cosa che più assomiglia alla normalità. Quell’epoca è stata probabilmente la più “normale della mia vita”: eravamo persone normali che vivevano una vita normale.
Mia madre, lentamente, tornò alla vita: cominciò ad avere delle amiche e a trascorrere il tempo fuori casa. Con questo non voglio dire che la vita di Lothering fosse mondana o intellettualmente stimolante: non aveva nulla a che vedere con il mondo che si era lasciata alle spalle, a Kirkwall. A Lothering non c’erano ricevimenti, balli in maschera o circoli letterari, ma rispetto all’isolamento angoscioso cui era stata costretta fino ad allora anche le poche, banali, chiacchiere con la vicina erano un ritorno alla vita.
Giorno dopo giorno cominciammo a diventare parte della comunità.
Papà era benvoluto nel villaggio per le sue doti di guaritore; non esercitava la magia, non era così folle, ma la sua conoscenza della piante, dell’erboristeria e dell’anatomia umana lo rendevano la persona più preparata della zona in fatto a questioni mediche.
In un mondo popolato di ciarlatani una persona abile e affidabile era una vera benedizioni per i rozzi contadini di un piccolo villaggio sperduto nel nulla.
Certi giorni c’era la fila davanti alla porta di casa e papà non negava il suo aiuto a nessuno: preparava impacchi per la febbre e fasciava le ferite, assisteva le partorienti e confortava gli anziani intimoriti dalla morte.
La nostra esistenza procedeva senza troppi scossoni: conducevamo una vita tranquilla all’interno della quale io, Beth e papà, ritagliavamo qualche momento da dedicare alla magia, nella solitaria sicurezza della foresta.
Poi, un giorno, il destino bussò alla nostra porta scegliendo come portavoce un templare.
Ero sola in casa quel pomeriggio: papà era andato a caccia con Carver mentre la mamma e Beth erano in visita da una vicina. Non ricordo più il motivo per cui non le avevo accompagnate. Probabilmente non avevo voglia di trascorrere il mio pomeriggio ad ascoltare discorsi noiosi e banali.
Non era raro, in quegli ultimi anni, che ricevessimo visite inaspettate. Da quando papà era guaritore capitava spesso che la gente piombasse a casa nostra negli orari più insoliti. Ci eravamo abituati, motivo per cui non tenevamo in casa oggetti o libri che potessero svelare il nostro segreto. Avevamo imparato ad essere cauti invece che spaventati.
Così il frenetico bussare alla porta che interruppe la mia lettura di un romanzo rivaninao particolarmente intrigante non m’impensierì più di tanto. Andai alla porta più scocciata che preoccupata e l’aprii con malcelata irritazione: fu con sommo stupore che, invece dell’ipocondriaco del villaggio, mi ritrovai davanti due templari in armatura completa. Lo sbalordimento fu tale che m’impedì di farmi prendere dal panico. E questo fu la mia salvezza.
- Avete bisogno di aiuto?- domandai meccanicamente. Con la mente completamente annebbiata le mie labbra si mossero automaticamente, sfoderando la domanda che rivolgevo a chiunque si presentasse davanti alla nostra casa.
Se fossi stata più lucida probabilmente li avrei attaccati e sarei morta.
I due guerrieri di fronte a me non avevano nulla di umano: erano spaventosi esseri di metallo che mi fissavano dall’oscurità della feritoia nell’elmo. Poi uno dei due parlò e la voce di donna che uscì da quell’ammasso di metallo ebbe il potere di rassicurarmi: c’era un essere umano, dunque, sotto quell’armatura.
- Il mio compagno è ferito.- esordì la donna di metallo – Potete fare qualcosa per aiutarlo?-
Solo in quel momento mi accorsi che il secondo templare si reggeva a fatica e sarebbe crollato a terra se la sua compagna non l’avesse tenuto saldamente per la cintola. L’armatura era visibilmente ammaccata e infossata sul petto, immaginai che soffrisse terribilmente, ma non si lamentava.
Il buon senso mi diceva di lasciar stare: mio padre era lontano e io non potevo aiutarli. Mi sarei dispiaciuta e poi avrei detto loro di cercare aiuto da qualche altra parte perché io non ero una guaritrice.
Aprii la bocca, per dire quelle esatte parole, invece dalle mie labbra uscì qualcosa di completamente diverso – Entrate.- mormorai, facendomi da parte – Mio padre non è in casa, ma sarà qui presto, nel frattempo posso darci un’occhiata io.-
Fu così che due templari entrarono nella casa di tre eretici in fuga dalla chiesa.
Il ferito camminava a fatica, appoggiandosi alla compagna e, quando indicai il pagliericcio dove mio padre visitava i malati, vi si accasciò sopra con un gemito di dolore.
Guardando quei due guerrieri di Andraste troneggiare nelle stesse stanze dove io, di tanto in tanto, mi dilettavo a sollevare oggetti con la mente mi fece provare un fremito. Era paura, certo, ma non solo. Ero confusa e preoccupata ma, più di ogni altra cosa, ero elettrizzata. L’idea che due templari si fossero affidati a me senza sapere chi o cosa fossi mi fece sentire … potente. I miei più grandi nemici, gli orchi della mia infanzia, erano lì davanti ai miei occhi, vulnerabili e inermi … sarebbe bastato il guizzo di un pensiero e li avrei sopraffatti: sapevo di poterlo fare.
E, forse, era mio dovere farlo.
Se li avessi uccisi sarebbero stati due templari in meno a darci la caccia.
Mentirei se negassi di averci pensato; fu ben più di pensiero vagabondo: per alcuni secondi presi in seria considerazione la possibilità di far loro del male.
Poi mi vergognai di quel mio impulso assassino: erano solo due persone che mi avevano chiesto aiuto e io li ripagavo immaginando la loro morte.
Papà si sarebbe vergognato di me.
Allontanai la Maleficarum che era in me e mi chinai sul templare ferito chiedendo alla donna cos’era successo. Lei si tolse l’elmo, svelando un viso piatto sotto un ispido cespuglio di capelli biondi. Non era una donna attraente ma aveva un aspetto rassicurante, che ispirava fiducia.
- Eravamo sulle tracce di alcuni maghi fuggiaschi, nelle Selve. Doveva essere una semplice ricognizione, niente di pericoloso. La pista era ormai fredda e la nostra era più un’esercitazione che una caccia vera e propria.- m’irrigidii impercettibilmente, ma mascherai la mia tensione versando del distillato alcolico in una bacinella dove poi immersi le mani, per pulirle come, più volte, avevo visto fare da mio padre. La templare proseguì il suo racconto, ignara dell’effetto che faceva su di me – Ad un certo punto è sbucato un orso: una bestia enorme, apparsa dal nulla. Si è avventata su di noi con furia omicida: sono riuscita a respingerlo, ferendolo lievemente. Si è dileguato nella foresta ma ormai il danno era fatto.- sospirò, guardando il soldato adagiato sul pagliericcio. Non si muoveva più: probabilmente era svenuto – La bestia ha colpito Eric con una zampata, se non fosse stato per l’armatura l’avrebbe sventrato.-
Annuii, fingendo di seguire il suo discorso: in realtà stavo pensando alla mia misteriosa amica della foresta. Era una metamorfa, l’avevo visto con i miei occhi: sapeva trasformarsi in lupo e in un ragno gigante, per quel che ne sapevo poteva mutarsi anche in un orso. Non sarebbe stata la prima volta che aggrediva dei templari assumendo le sembianze di una belva …
Sperai che non fosse ferita gravemente.
- Bisogna togliergli l’armatura.- borbottai, cercando di dare alla mia voce un tono sicuro.
Mentre la donna armeggiava coi lacci della corazza io sfilai l’elmo dal volto del templare.
Mi ero aspettata di scorgere i lineamenti maturi e i capelli brizzolati di un uomo di mezza età, invece il viso che mi trovai davanti era quello di un ragazzo poco più vecchio di me.
Era un giovane grazioso, anche se non sono certa che questo aggettivo sia positivo nella descrizione di un uomo. Il templare che giaceva svenuto sul mio pagliericcio aveva la docile bellezza dei bambini: le guance rosee e lisce avevano ancora le rotondità dell’infanzia, i capelli castani gli scendevano in riccioli ribelli sulla fronte sudata e il naso era aggraziato come quello di una fanciulla.
Fu proprio quel suo aspetto delicato, innocente, che mi colpì. Mi ero sempre raffigurata i templari come uomini duri, dalla pelle rovinata, gli occhi sospettosi e i modi brutali: guerrieri pieni di cicatrici e cattive intenzioni. Trovarmi davanti questo ragazzino vestito da soldato mi spiazzò. Era questo il nemico che dovevo combattere? Era lui il guerriero da cui continuavo a fuggire?
Sotto quell’elmo mi ero imbattuta in un viso che ricordava il mio.
La nemesi della mia esistenza era solo un ragazzo col viso lungo e la fossetta sul mento.
- È grave?- la voce della donna mi strappò dai miei pensieri.
Con fatica distolsi lo sguardo dai lineamenti delicati del mio primo paziente e lo spostai sul torace che, spogliato dall’imponente armatura, appariva grottescamente smilzo. Mi chiesi come facesse a sopportare il peso di tutto quel metallo.
Constatai con sollievo che non c’era sangue sulla tunica di lino e l’alzai con delicatezza. Dalla cintola al petto la pelle del giovane templare era violacea, quasi nera e quando gli tastai il costato gemette riscuotendosi dal torpore dell’incoscienza. Avvicinai l’orecchio al suo petto e ascoltai attentamente il suo respiro.
- Morirò?-
Sobbalzai al suono di quella voce flebile e sconosciuta, mi raddrizzai con veemenza, sentendo le mie guance diventare di brace, incrociai lo sguardo confuso del mio paziente e mi sentii sprofondare: improvvisamente mi rendevo conto di essere inginocchiata accanto ad un ragazzo seminudo, con le mani appoggiate sul suo petto. Mai prima di allora mi ero trovata così vicina ad un uomo che non fosse mio padre o mio fratello. Presa dal mio ruolo di “medico” non ci avevo pensato e mi ero approcciata a lui come ad un oggetto inanimato, ma ora che l’oggetto in questione era sveglio e parlante mi rendevo conto che la sua carne era calda al tocco e il suo cuore palpitava frenetico sotto il mio palmo.
Ritrassi bruscamente le mani e mi alzai, cercando di darmi un tono professionale – Io non sono un’esperta: il guaritore è mio padre. Ma credo di potervi tranquillizzare: è solo una brutta botta, nulla di più. Hai alcune costole rotte e una brutta contusione sul torace, ma non hai problemi a respirare e non ci sono emorragie interne.- sorrisi cercando di rasserenare l’atmosfera – Tuttavia vi consiglio di aspettare mio padre per essere certi che non ci sia niente di grave.-
La guerriera bionda si alzò a sua volta, per la prima volta notai la spada che le tintinnava al fianco. Mi domandai quanti maghi avesse trapassato con la lama d’acciaio: fui attraversata da un’ondata d’odio così forte che mi si annebbiò la vista.
Quando tornai padrona dei miei sensi vidi che la donna mi stava parlando, apparentemente ignara del mio momentaneo raptus.
- Bene, se non è grave posso tornare in caserma: gli altri si staranno preoccupando.- stava dicendo mentre raccoglieva il suo elmo da templare – Eric rimarrà qui fino all’arrivo di vostro padre.- i toni gentili di poco prima erano scomparsi, per lasciare il posto alla rigida marzialità di una persona abituata a comandare.
La guardai negli occhi e seppi di non potermi tirare indietro: Eric sarebbe rimasto a casa nostra fino a nuovo ordine.
Un templare in una casa di maghi.
Sforzai le labbra in un sorriso – Naturalmente. Veglieremo su di lui.-
- Tornerò domani a vedere come sta.- e con queste parole si congedò.
Mentre la osservavo allontanarsi nel lungo crepuscolo di quella giornata d’estate non riuscii a reprimere un brivido di pura estasi: avevo ingannato il mio nemico.
Pensai al ragazzo sdraiato sul pagliericcio di casa mia e sorrisi, questa volta senza alcuno sforzo: lui era mio e ne avrei fatto ciò che volevo.
 
Varric
 
 
Quante volte ho visto quel sorriso. Metteva i brividi. Era il sorriso di una persona disposta a qualunque crimine pur di raggiungere il suo obiettivo. Chi non la conosceva si lasciava ingannare dalla sua aria spensierata e cordiale. Le bastava sfoderare quel sorriso per convincere chiunque (pirati, schiavisti, templari o maleficarum) di aver trovato in lei la più grande alleata di sempre.
Li costringeva ad abbassare la guardia, li ingannava con tale raffinata dolcezza che anche noi, che conoscevamo la sua vera natura, di tanto in tanto tremavamo all’idea che avesse davvero cambiato schieramento. Poi, non appena il nemico di turno era completamente ammaliato da quella ragazza dai capelli di fuoco, si trasformava nel peggior incubo di qualunque essere umano. Mi sono sempre domandato che cosa l’abbia resa così indecifrabile.
Immagino che presto avrò la mia risposta.

 
 
 



N.A.

Non so se è rimasto qualcuno a seguire questa storia, è passato così tanto tempo dalla mia ultima pubblicazione che ormai non ha quasi più senso scusarsi, anche se è quello che intendo fare: chiedo perdono per aver abbandonato questa storia e, purtroppo, non posso garantire che la porterò a termine. Facendo ordine nel mio computer ho trovato il file della storia e, con mio enorme stupore, ho scoperto che avevo scritto alcune pagine mai pubblicate, perciò (mentre la mia mano indugiava sul tasto Elimina) ho deciso che, siccome il materiale non era poi così scadente come pensavo, era un peccato non postare anche questi capitoli. Se ce ne saranno altri oppure no rimane un mistero anche per me, vedremo come andrà! Nel frattempo ringrazio chi è arrivato a leggere fino a qui e mi scuso con tutti i lettori che ho abbandonato.

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Capitolo 8
*** La maga e il templare ***


Hawke
 
Mentre richiudevo la porta e pensavo al mio “paziente” inerme nell’altra stanza, elencai nella mia mente tutta una sfilza di ottime ragioni che avrebbero giustificato una mia azione violenta nei suoi confronti. Avrei persino potuto motivare la sua morte agli occhi dei suoi compagni templari e, chissà, forse persino di mio padre.
Non ero una guaritrice, l’avevo subito messo in chiaro, e la mia diagnosi era assolutamente superficiale. Se aveva un’emorragia interna, cosa che non avevo completamente escluso, non c’era nulla che potessi fare per salvarlo; se invece la mia diagnosi era corretta avrei potuto facilmente, con un guizzo del pensiero, provocargliene una. Chi avrebbe mai scoperto che ero stata io a causarla e non l’orso? La mia sola colpa sarebbe stata una diagnosi sbagliata.
Ero fisicamente in grado di ucciderlo e sapevo di doverlo fare perché era un templare ed era mio nemico. Ma era anche un ragazzo con la faccia allungata e grandi occhi scuri pieni di paura.
Non aveva fatto niente per meritare il mio odio e, onestamente, non avevo alcun motivo reale per detestare i templari. Ero cresciuta scappando dalla loro ombra ma ogni volta che mi ero imbattuta in uno di loro, come quel pomeriggio, non erano mai stato altro che gentili con quella che per loro era una semplice ragazza di campagna.
All’epoca in me convivevano due persone diverse: la maga e la giovane donna. Per la maga i templari erano una minaccia da eliminare, per la donna dei semplici guerrieri che non le avevano mai fatto nulla di male.
Ma tutte le mie elucubrazioni filosofiche sfumarono quando entrai nella stanza e vidi che stava cercando di alzarsi. Corsi da lui, non per fargli del male, ma per aiutarlo. Fu in quel momento che capii che non ero in grado di uccidere per un ideale. Non ancora.
- Non devi muoverti.- lo rimproverai – Non sappiamo ancora se sei fuori pericolo.-
Lui impallidì – Ma tu hai detto …-
- Io ho detto quello che penso che tu abbia. Ma non sono un medico.- gli appoggiai una mano sulla spalla e lo costrinsi a sdraiarsi di nuovo – Dovrai avere pazienza finché non torna mio padre.-
Il ragazzo sospirò – Credi che sarò il primo templare ucciso da un orso? Non è una morte di cui essere fieri.- sembrava più avvilito che spaventato.
Presi una fiasca di vino e gliela porsi – Esistono morti di cui si può andare fieri?-
Lui bevve un lungo sorso – Quelle che diventano leggenda. Quelle degli eroi morti per combattere il male.- mi porse la fiasca che mi portai alle labbra. Il vino era acidulo e caldo, eppure mi parve delizioso.
- E tu per quale atto eroico vorresti essere ricordato?-
Non lo sapeva, ma dalla sua risposta dipendeva la sua vita.
In nostri sguardi s’incrociarono: aveva gli occhi di un uomo buono, non ancora corrotto dai mali del mondo.
- Per aver salvato delle vite. Per aver compiuto il mio dovere. Per aver protetto gli indifesi da quello che c’è là fuori.-
Abbassai lo sguardo sulle mie mani – Cosa c’è là fuori di così terribile, giovane templare?-
Lo sentii sospirare – Gli uomini.-
Lo fissai, piena di stupore: non era la risposta che mi ero aspettata, ma mi piaceva. Mi piaceva molto.
Era la risposta che avrei dato io.
Gli sorrisi e questa volta sinceramente, senza doppi fini o oscure intenzioni da mascherare. Mi stava simpatico quel ragazzo dalla faccia allungata che indossava un’armatura di cui, all’improvviso, non mi importava più nulla.
- Non ci siamo ancora presentati a dovere.- sussurrai, sentendo un insolito calore salirmi al viso.
Lui mi porse una mano e sorrise. Un sorriso che lo faceva sembrare più maturo, più uomo – Ser Eric Darnley.-
Ricambiai la sua stretta: era energica e decisa – Etain Hawke.-
- Grazie.- mormorò lui, lasciandosi andare sui cuscini.
- Per cosa?-
- Per avermi aiutato anche se non eri tenuta a farlo. Per esserti presa cura di me, anche se non sapevi come fare. Non lo dimenticherò.-
Arrossii e mi alzai. Provavo più vergogna che imbarazzo. Lui non sapeva le orribili cose che avevo pensato mentre io, purtroppo, non potevo cancellarle.
- Non ho fatto nulla per cui tu debba ringraziarmi.- andai alla finestra e chiusi le imposte, sprofondando la stanza in una penombra illuminata solo dal flebile bagliore di una candela consumata – Cerca di riposare Eric.-
- Sei preoccupata per me?- nella sua voce percepii una lieve sorpresa.
Mi avvicinai alla porta e alzai lo sguardo – Sì. Desidero il tuo bene, Eric Darnely.- mi stupii nel rendermi conto che era la verità: non volevo che lui morisse – Sei una bella persona, questo mondo ha bisogno di te.-
Lo pensavo davvero: il mondo aveva bisogno di lui.
E anch’io.
 
Varric
 
Non c’è nulla di più paradossale dell’amore tra un mago e un templare, eppure lo vedo accadere continuamente. Penso a Cullen e all’Inquisitrice. Un uomo che ha visto il peggio della magia e una donna che ha subito le più atroci umiliazioni dai templari. Li ho visti odiarsi intensamente e poi amarsi perdutamente.
Ma non è un amore su cui scriverei un romanzo. Non uno a lieto fine.
 
Hawke
 
Lo stupore di mio padre nel trovarsi un templare in casa fu smisurato. Non riusciva a capacitarsi che, proprio io, avessi aperto le porte del nostro regno al nemico di sempre. Mi resi conto quel giorno che lui aveva temuto, fin dalla mia prima scintilla magica, che io fossi esattamente il tipo di persona che, per un istante, avevo rischiato di essere: un’assassina. Ma ero ancora ingenua e innocente come una bambina. Non conoscevo il male anche se l’avevo corteggiato da vicino.
Passata l’iniziale sorpresa Malcom Hawke si comportò come sapevo si sarebbe comportato: si prese cura di quel templare che ai suoi occhi era solo un ragazzo. Mi fece persino i complimenti perché la mia diagnosi era corretta e per aver mantenuto la calma in un frangente così delicato.
Il più turbato dalla presenza del templare fu Carver: non riusciva a capire perché dessimo asilo all’incubo della nostra infanzia.
- Questo ci porterà solo sventura - mi disse la mattina successiva mentre eravamo fuori a raccogliere legna - Aprendo la nostra casa ai templari hai condannato la nostra famiglia.-
Risi delle sue paure, mi presi gioco di lui - Che pericolo corriamo con un così prode spadaccino a vegliare su di noi?- lo provocai, stuzzicandolo proprio laddove sapevo che gli faceva più male: nelle ore passate a esercitarsi con uno stecco di legno, alla disperata ricerca di un talento con cui distinguersi per sfuggire all’ombra, soffocante, delle sue sorelle maghe.
Carver non mi rispose, si limitò a lanciarmi un’occhiata di fuoco e rientrare in casa, le braccia cariche di pezzi di legno.
Attraverso la porta socchiusa intravidi Eric muovere i primi passi, sorvegliato dall’occhio attento di mio padre; i nostri sguardi s’incrociarono per un istante: io sentii le ginocchia cedermi e i ciocchi di legno appena raccolti mi sfuggirono dalle mani mentre tentavo un goffo saluto.
Fino a quel momento non sapevo cosa fosse l’amore.
Avevo letto qualcosa nei libri, avevo sentito mia madre parlarne ridacchiando con le sue amiche, ma nessuna parola né scritta né orale mi aveva preparata alla burrasca che sconvolse la mia anima solitaria.
A diciotto anni ero ancora inesperta e goffa come una bambina qualunque. D’altronde non avevo mai avuto occasione di confrontarmi da vicino con altri esseri umani prima dell’arrivo di Eric.
Non conoscevo quel ragazzo, non sapevo nulla di lui: se fosse permaloso o facile al perdono, irascibile o mansueto, arrogante o modesto. Non m’interessava. Sapevo solo che quando incontravo il suo sguardo, anche solo per un istante, il resto del mondo diventava sfocato e non c’erano più maghi e templari, non c’erano più i miei fratelli, non c’era più lo sguardo indagatore di mia madre puntato su di me. C’era solo quel ragazzo e la gentilezza del suo sguardo.
Quanto può essere stupido l’amore? Quante cose sciocche si compiono in suo nome?

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