Se il caso ci mette lo zampino non è detto che si tratti di un gatto

di topoleone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** bellezza in bicicletta ***
Capitolo 2: *** Addio al nubilato con sorpresa ***
Capitolo 3: *** Tutta colpa dell'ipocondria ***
Capitolo 4: *** Armare, amare, disarmare ***
Capitolo 5: *** In punta di piedi ***
Capitolo 6: *** Dedicato a te ***



Capitolo 1
*** bellezza in bicicletta ***


Prologo

A volte mi faccio paura da sola; e per questo aspetto, purtroppo, ho preso molto da mio padre. Ci sono dei momenti in cui, io e il mio vecchio, crediamo di aver elaborato quasi delle barzellette che in realtà sono delle freddure micidiali e spesso senza senso, che capiamo solo noi. Questione di DNA?
Comunque sia…Questa raccolta di OS non è composta da storielle su felini ed altri animali; semplicemente mi andava di mettere un titolo “non sense” per una serie di incontri improbabili, una sorta di primi appuntamenti voluti dal caso.
Questa raccolta nasce con me che torno a casa in bici da lavoro e ripenso a mio padre che qualche anno fa fece un incidente proprio in bici, a causa di una siepe che oscurava la visuale, a lui ed all’altro ciclista che procedeva contromano. Niente feriti e bici illese. Passa il tempo, ma questo ricordo non svanisce; così ho cominciato a ricamarci su, senza però avere un input per farne una long, che non fosse scontata, e così eccoci qui.
La OS che ha dato vita a questo delirio è ovviamente la n. 1, anche se non è la mia preferita. Spero quindi che questo insieme di parole vi faccia passare qualche minuto spensierato, come ha accompagnato me nei miei ritorni a casa in bicicletta. E spero che questa lettura possa invogliarvi a scrivere qualche recensione e, magari a continuare a leggere le altre ff che mi diverto e diletto a concepire nei momenti più strani della mia vita. Grazie in anticipo, a chi, anche solo di striscio si imbatterà in questo scritto.
P.S: per comodità ho scelto un rating giallo perché in alcune OS che comporranno la serie potrebbero svilupparsi situazioni particolari, come ad esempio nella n. 2 “addio al nubilato con sorpresa”. Forse più avanti ci sarà qualcosa di più “disinibito”, ma in caso vi avviso per tempo ; )
T.

Capitolo 1: bellezza in bicicletta

A Mila piaceva passare le estati nel Paese natale dei suoi genitori, era la sua via di fuga dai canyon di grattacieli che componevano lo skyline tanto adorato da tutte le sue amiche italiane.
È proprio vero che non si è mai contenti di ciò che si ha.
A Mila i soldi non mancavano ed organizzare due viaggi all’anno per raggiungere la bisnonna Adele non era di certo un problema. Quindi perché negarsi la magia nel natale aretino e le corse in bicicletta in estate? Adorava l’Italia, anche se non aveva ancora esplorato il resto di quella singolare penisola, ma avendo solo 19 anni era certa che le occasioni non sarebbero mancate. Per ora si accontentava di imprimere nella sua mente tutti i profumi della sua meravigliosa toscana.
Era un venerdì mattina del 22 luglio e le strade erano semideserte.
Mila era un’amante delle bici ma, anche se oltreoceano seguiva le tappe dei vari tour europei, le prove di mountain bike ed un anno si era iscritta anche ad un velodromo per provare quello sport, non era di certo la sua professione. Le sue colleghe le invidiavano la capacità di non aver messo su una muscolatura spropositata con tutti i kilometri che macinava. Metabolismo? Fortuna? Sta di fatto che la sportiva Mila era una modella richiestissima, anche se non faceva parte del gotha delle “super”: fisico tonico e sano, asciutta e non magrissima, di altezza media e con rotondità apprezzabili.
Quel giorno aveva deciso di non ripercorrere la tanto adorata ciclovia dell’Arno che l’avrebbe impegnata troppo e stava invece per affrontare in tranquillità i poco meno di 50 km che da Ponte alla Nave l’avrebbero portata poco distante dal lago di Chiusi. Si accingeva a lasciare la provinciale alle spalle*, un ultimo attraversamento pedonale e poi avrebbe raggiunto l’ingresso della ciclabile. Successe tutto in pochi secondi, il suo passaggio veloce allo scattare dell’arancione che di lì a poso avrebbe impedito il transito di bici e pedoni, la macchina che le suonava a torto il clacson e che dalla fretta di proseguire la sua corsa l’aveva scansata di striscio, mentre lei sfrecciava in salvo dall’altra parte della carreggiata. Aveva rallentato istintivamente nei pressi della siepe, ma non era di certo immobile quando dovette frenare bruscamente per l’uscita improvvisa di un podista, che ignaro di tutto, ed anche lui in torto, correva spensierato con tanto di i-pod a palla e cuffiette alle orecchie. Anche se l’adrenalina in circolo doveva averle acuito i sensi, non riuscì per due volte di seguito ad evitare l’impatto. Qualche escoriazione per entrambi, molte profusissime scuse in inglese da parte del ragazzo e una valanga di insolenze in un impeccabile italiano da parte di lei (un altro vantaggio dell’esser madrelingua e di aver la doppia cittadinanza) e Mila riprese la sua corsa nonostante i graffi e stabilì il suo record personale percorrendo tutto il tragitto in poco più di quattro ore. Il ragazzo dal canto suo, la vide rimontare in sella e sfrecciare via e l’unico pensiero che in quel momento riuscì ad afferrare al volo a tempo della musica che gli ronzava nelle orecchie (you are beautiful di James Blunt) fu che quello splendore in bicicletta doveva essere per forza di cose una delle Furie. Non aveva capito nulla degli insulti che gli aveva urlato contro, ma era certo che di insulti si trattasse.
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- Ciao nonna Adele, sono arrivata proprio ora, grazie per gli auguri – cellulare incastrato tra orecchio e spalla, Mila era in netta difficoltà con la manovra di parcheggio e per di più in un posto riservato che era riuscita ad accaparrarsi per buona pace dell’altro furibondo automobilista, solo perché l’aveva superato a gran velocità.
La verità è che era già in ritardo per il servizio e non poteva perder tempo, né a rispondere a tono all’automobilista incazzato, né per preoccuparsi dell’agente che minaccioso si stava avvicinando alla sua bellissima z4 e che lei aveva visto riflesso nello specchietto lato passeggero. Scese dall’auto, già pronta a scattare verso la porta d’ingresso, elegante sui suoi tacchi a spillo e in una mise da donna in carriera (ci teneva a fare bella figura con il suo agente).
- Signorina prima che sparisca dai radar, favorisca patente e libretto –
- Scusi dice a me?! – cercava di far finta di nulla, ma lui non ci sarebbe cascato, l’aveva vista e l’avrebbe sanzionata per le tre infrazioni commesse. L’agente le si avvicinò e si tolse casco e occhiali. Accidenti era pure un bel ragazzo. Così per educazione anche Mila si tolse gli occhiali.
– Senta non so cos’ha visto, ma non andavo così veloce e poi la sposto subito di lì, mi servono solo 5 minuti.-
- E il telefonino? Non mi dica che in quella borsetta minuscola non ci stava un paio di auricolari o che non le hanno insegnato ad attivare il blue tooth? – la stava prendendo in giro? Eppure sembrava serio.
- E va bene, non ho tempo da perdere mi dica quanto le devo. 50? 200? – a spanne doveva aver commesso un peccatuccio veniale in confronto a cosa succedeva ogni 15 minuti in quella metropoli.
- In realtà dovrebbe cortesemente accompagnarmi alla centrale – la ragazza sembrava basita e lui non riuscì a trattenere un ghigno che le fece quasi perdere le staffe.
- Agente non è affatto divertente, sono di fretta e non mi sembra di aver ucciso nessuno, quindi mi faccia la cortesia di farmi pagare questa multa o di illuminarmi su quale infrazione di troppo io abbia mai commesso, come le dicevo vado di fretta. –
- Oltraggio a pubblico ufficiale. – lapidario – A questo punto dovrei leggerle i suoi diritti…. Vuole chiamare ora il suo avvocato? – la brunetta era sconvolta. Boccheggiava in cerca delle parole adatte. Ed era furente. Per il giovane agente invece quella mattina monotona si stava trasformando in una di quelle giornate divertenti. Quasi meglio di una partita a golf con suo migliore amico.
- Senta agente, vuole un autografo? Una foto ricordo? Sono su candid camera? No perché mi sono dimenticata di registrare la nostra conversazione, ma sono sicura di non averle mancato di rispetto. –
Intanto il giovane in divisa scriveva appunti sulla sua cartelletta. E terminato ciò le porse il foglio mentre lei estraeva il portafogli. 4 infrazioni. La multa era l’aspetto più ridicolo della faccenda, con tutto quello che guadagnava in un giorno avrebbe sì e no dovuto rinunciare ad un paio di scarpe, ma la sua fedina penale immacolata non poteva esser intaccata, ne avrebbe risentito anche il suo lavoro. Stava pensando a questo quando il ragazzo le suggerì di spostare immediatamente l’auto a meno che non volesse un raddoppio di sanzione e la rimozione forzata nei famosi 5 minuti di sua assenza. Ma lei era ferma sulla nota in fondo al foglio relativa alle offese a pubblico ufficiale. Era bastata una parola, una città legata ad un ricordo: Arezzo.
- Figlio di puttana, allora sei tu quel decerebrato che mi ha tagliato la strada. Cretino che non sei altro, ho rischiato di spezzarmi un braccio o lussarmi una spalla o la distorsione alla caviglia. –
- Felice di aver dato un senso alle tue parole. Ora se vuoi seguirmi in centrale. – il giovane se la rideva e lei era scioccata. Era caduta nel suo tranello ed ora aveva sul serio aggredito, anche se solo verbalmente, un agente. Era mortificata. Estrasse il cellulare.
- Ha deciso di chiamare il suo avvocato? – merda quello si stava divertendo a prenderla in giro! Ma lei l’avvocato non l’avrebbe chiamato, sperava di risolvere tutto senza ricorrere alla legge. Ma doveva chiedere al suo agente di posticipare l’incontro. Fortunatamente anche l’altra modella aveva un contrattempo e rinviarono al giorno successivo. Purché non l’avessero sbattuta al fresco…
- Devo spostare comunque la macchina? – il ragazzo non riuscì più a trattenersi e cominciò a ridere. Mila pensò per un istante che avrebbe passato volentieri una notte in cella pur di continuare a vederlo sorridere. Poi si diede mentalmente della cretina per aver solo pensato ad una cosa del genere. Lui invece pensava che quel gioco fosse durato abbastanza e che non poteva trattenere oltre quella cittadina. L’accompagnò verso l’auto come se volesse darle ad intendere di seguirlo. Ma appena la ragazza si mise al volante le fece segno di abbassare il finestrino.
- Facciamo così, se lei sposta l’auto, mi promette di non infrangere più il codice della strada e mi permette di invitarla a cena per scusarmi di averle tagliato la strada con la mia corsa mattutina, farò finta di non aver sentito nulla. – E le fece cadere sul sedile del passeggero la doppia copia della sua multa. Quel ragazzo avrebbe passato un brutto quarto d’ora col suo capo quella sera. Mila sorrise leggendo ciò che l’agente aveva scribacchiato in velocità e se ne andò.

Salvatore Ristorante Italiano – Seattle (WA) ore 20.50

Ormai aveva la certezza che non sarebbe venuta. Il ritardo era davvero troppo grande, anche per una modella. Peccato, gli sarebbe piaciuto conoscerla e vedere se quel poco che aveva intuito di lei fosse sufficiente per provarci spudoratamente. In fondo non poteva fidarsi del gossip che la voleva single e contemporaneamente legata ad almeno cinque diverse celebrità nello stesso momento. Fece cenno al cameriere che gli portasse il conto dei due calici di rosso che aveva centellinato nell’attesa e si avviò verso l’ingresso. In quel momento una mano affusolata richiamò l’attenzione del capo cameriere, mentre la padrona di quell’impeccabile manicure borbottava frasi incomprensibili in una lingua sconosciuta. Quella voce, quel cipiglio non l’avrebbe dimenticato mai.
- Signorina Mila va di fretta anche stasera? Ancora problemi con la giustizia? – i loro sguardi si incrociarono, lei arrossì senza motivo. Lui sorrise anche con gli occhi  - Perché in tal caso potrei mettere una buona parola per lei – e le strizzò l’occhio. Mila si ripromise che quando fosse riuscita a riprendere l’uso della parola e l’articolazione della mandibola gli avrebbe proposto di proseguire quella serata il più a lungo possibile. E se quell’emozione generata da quel primo sguardo non la ingannava, la prossima volta ad Arezzo avrebbe comperato un tandem oppure in valigia avrebbe aggiunto un altro paio di auricolari. Di certo l’indomani avrebbe raccontato a nonna Adele che nel suo cuore c’era spazio per un nuovo inizio.

Note finali:
* mi perdonino le lettrici aretine, non sono del posto; ho un amore viscerale per la Toscana, ma ancora non ho affrontato la ciclovia di cui parlo. Prima o poi ci andrò, dalle foto che ho intravisto in rete dev’essere un percorso bellissimo. Ovviamente ho aggiunto un paio di elementi che differiscono dalla realtà, per poter adattare il luogo alla storia. ; )

 

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Capitolo 2
*** Addio al nubilato con sorpresa ***


Note: tendente all'arancione...

Addio al nubilato con sorpresa


- Ci siete tutte? – un coro di sì arrivò alle orecchie della quasi sposina e un’orda di ragazze entrò nel locale. Tradizione vuole che gli addii al celibato, prevedano trovate sempre più goliardiche, a partire dagli spogliarelli o dal mangiare cibo dal corpo nudo di una donna. Peggio accade, talvolta, se la festa trash – fetish viene organizzata da donne. La prima tappa di quella serata sarebbe stata in discoteca. Maddi, non era di certo una Maddalena di nome e di fatto, ma apprezzava di più le feste meno appariscenti, un brindisi sobrio tra amici, o il soffermarsi per strada e vedere un povero cristo con una palla al piede, o appeso ad una croce, travestito o deriso, ma sempre con un minimo di gusto.
La sposina, alticcia ormai da un pezzo, stava dando spettacolo a centro pista, ma lumaconi e arrapati venivano tenuti a bada dalla di bianco vestita festeggiata e dalle agguerrite comari, della serie “rifatevi gli occhi, ma giù le mani, dalla mia farfallina”.
Maddi le guardava dal privè, ma sempre con un occhio al cercapersone. Era sveglia da 20 ore e tuttora in reperibilità. Doveva quindi risparmiare le energie sperando di tuffarsi presto nel suo letto a due piazze. Alle due ricevette un messaggio dal primario che le chiedeva di anticipare la visita del Sig. Barbieri era un caso interessante per la specializzanda e voleva che lei prendesse parte al consulto.
Maddi adorava il suo lavoro, anche se non era stato facile spiegare a suo papà e sua nonna il perché avesse scelto di specializzarsi in urologia. Al culmine di un discorso che l’aveva particolarmente innervosita, durante il primo pranzo di Natale da laureata, aveva lasciato tutti i parenti di stucco illuminandoli sui suoi futuri progetti lavorativi.
- Mi spiegate perché un uomo può ravanare indisturbato tra le gambe di una donna e viene pure portato in palmo di mano e una donna non può fare altrettanto con i fichi secchi che penzolano dalle gambe di voialtri uomini? - Che ridicolo, solo perché era una donna non poteva guadagnarsi il rispetto nel trattare con pazienti esclusivamente maschi?
Il dottor Mantovani poi adorava la sua specializzanda, mai una volta era arrossita di fronte ad un uomo nudo, nemmeno di fronte ad apparati riproduttivi degni di nota. Lei sempre diligentemente segnava i dati sulle cartelle, osservava il suo superiore, condivideva i pareri e, guidata da lui, provava ad interagire direttamente con il paziente. La presenza di Maddi in reparto aveva portato ad un aumento della popolazione maschile di malati immaginari, tra i 20 e i 45 anni, ma il primario capita al volo la situazione provvedeva personalmente a far smammare i mosconi, riportando alla normale amministrazione il reparto del San Raffaele.
Sicché Maddi sorseggiando l’ennesimo caffè ristretto della serata, scatenando le proteste delle amiche e la derisione del barman, controllò l’ora. Da programma entro pochi minuti tutte le sposine in sala avrebbero ricevuto una sorpresa. Dopo di che ognuna a casa propria o a proseguire la festa altrove. Maddi sperava di riuscire a godersi almeno 3 ore di sonno prima di tornare in reparto.
Di colpo la musica assordante lasciò il posto ad un jingle allegro che accompagnò l’ingresso in sala di 3 torte gigantesche. Maddi sapeva cosa sarebbe uscito da quel catafalco, tutte lo sapevano, ma nonostante ciò erano in trepidante attesa di vivere l’istante in cui quel cotanto e sconosciuto pezzo di manzo avrebbe sfondato la sommità della torta, buttando in aria le finte candeline, reggendo tra le mani una torta vera e promettendo balli sfrenati a colpi di strip. Caterina trascinò l’amica che era rimasta in disparte per quasi tutta la festa verso la pista, proprio mentre volavano in aria le candeline di plastilina, ovviamente di forma fallica, una delle quali dopo un percorso rocambolesco andò a conficcarsi proprio tra i capelli mossi di Maddi. Alla luce del giorno sarebbe passata inosservata, ma con le luci che ne riflettevano i colori fluo Maddi era diventata un bersaglio per le sue amiche che a turno si avvicinavano dimostrandole quanto ormai fossero sbronze.
- certo che Maddi c’hai sempre il cazzo per la testa – e giù a ridere. Tanto che a forza di ripetere le stesse frasi la ragazza si tastò i capelli fino a ritrovarsi tra le mani un morbido fallo di dimensioni tascabili. Che assurda situazione.
Ancora col piccolo gingillo in mano si sentì strattonare, questa volta da Katia che la agganciò per i fianchi obbligandola a fare un trenino che girava attorno allo statuario “toy boy” mentre lui sculettava a tempo di musica. E mentre si accingevano a fare il terzo giro della pista Katia le alitò nell’orecchio i suoi pensieri più perversi al retrogusto di cosmopolitan.
- Che hai visto quanto è bono lo spogliarellista che ci è capitato? Gli altri due messi assieme non valgono nemmeno la pena di fargli una sega. Maddi, ma hai visto che addominali? E guardagli il pacco. Potrei venire solo guardandoglielo-
Maddi non era solita confidarsi così apertamente con le amiche, non era di certo pudica, ma non le piacevano le esternazioni così esplicite, soprattutto in bocca ad una donna. Unica eccezione quello che poteva succedere in camera da letto con il proprio partner, lì tutto era lecito…o quasi…
Intanto il bel manzo dispensava sorrisi e baci a tutte le presenti e, forse, si prendeva troppe confidenze con la sposa. Visto che le comari non intervenivano più, si fece avanti lei e gli bussò sulla spalla muscolosa
- Ehi bell’imbusto fossi in te non importunerei la sposina -
- Finalmente ho il piacere di conoscerti; questo cambio programma non mi dispiace. Accomodati baby –

Ed ammiccando, le fece segno di tastare il suo ampio torace. Maddi pensò che quel tizio era a dir poco disgustoso e che il suo bel faccino e tutto l’insieme veniva deturpato da quei modi a dir poco volgari.
- Non hai capito bello, se vuoi accontentare qualcuna, lì c’è la mia amica Katia che ti ha messo gli occhi addosso, ma fammi il favore di usare questo-
E gli mise in mano un preservativo.
Passato il momentaneo sbalordimento Stefano, il bel manzo e per gli amici Ste’, pensò che quella ragazza provenisse da un altro mondo. Era abituato a sguardi lascivi e corpi che si muovevano come anguille su di lui. E se da un lato gli faceva piacere essere apprezzato, perché voleva dire essere chiamato più spesso degli altri, dall’altro gli davano fastidio certe situazioni, ma quella era la prima volta che una ragazza lo rifiutava apertamente pregandolo di usare con altre dei metodi contraccettivi.
L’indomani Maddi si ritrovò assonnatissima in attesa del paziente che aveva spostato l’appuntamento, nonostante fossero le 11 del mattino.
- Maddalena, sei pronta? – e in quel momento le fu annunciato il Signor Barbieri, un paziente di 32 anni, maschio caucasico con probabile malattia venerea. A lei toccava la parte di anamnesi e le analisi del sangue ed i tamponi. Il primario intanto avrebbe fatto un giro in corsia.
- Prego si accomodi– posò la penna e tese la mano di fronte a sé sollevando il capo.
- dio che imbarazzo – Ste’ si aspettava un uomo di cinquant’anni non di certo una ragazzina; soprattutto non quella ragazzina. Merda, se avesse saputo che faceva parte dell’addio al nubilato della sera prima non si sarebbe presentato all’appuntamento. Decise comunque di provare a darsi un tono, quanto meno per salvare le apparenze e rispose a tutte le domande in modo neutro, nonostante la ragazza di fronte a sé non riuscisse a mascherare delle espressioni del viso alquanto scettiche. Come se non credesse alle sue parole.
- Bene Stefano, la lascio al primario. Le faremo avere il referto a breve – e sparì con le due provette di sangue. La visita col primario fu meno imbarazzante ed alquanto scrupolosa, lui si spostava in base alle richieste del medico, cercando di immaginare come avrebbe reagito se al suo posto ci fosse stata la specializzanda. L’aveva notata già la sera prima sotto i riflessi della strobo e alla luce del sole, nonostante un velo di occhiaie dovute ai recenti bagordi, l’aveva trovata incantevole. Nulla di volgarmente appariscente come altre ragazze che aveva notato nel suo gruppo. Anzi sembrava quasi acerba nelle forme di quel camice, ma da quel poco che aveva visto in discoteca, sapeva che nonostante il corpo minuto ed un vestito poco appariscente quella era l’unica ragazza che l’aveva distratto, seppur momentaneamente da Lisa. Lisa…
Fu a quel punto che rientrò l’assistente del primario con il referto. E il verdetto fu: candida. Non sapendone nulla, come la maggior parte della popolazione maschile, chiese se fosse qualcosa di grave e quando lei gli rivolse uno sguardo eloquente dicendogli che si trattava di una malattia venerea, strabuzzò gli occhi e chiese ulteriori spiegazioni.
Rapporti occasionali con partner affetti, utilizzo di sanitari non adeguatamente igienizzati… certo doveva chiedere ai suoi amici. Non c’era altra spiegazione. Lo disse anche a Maddalena quando il primario uscì un attimo dalla stanza.
- Mi scusi signor Barbieri, ma dopo ieri sera potrei mettere in dubbio quanto mi ha descritto nella sua anamnesi- merda era la prima volta che le sfuggiva un commento personale, oltretutto per nulla professionale nei confronti di un paziente. E lui se ne risentì.
- Senta non so che idea si sia fatta di me, ma sono felicemente fidanzato da 5 anni e non intrattengo le clienti nel modo che lei pensa.-
Perfetto aveva di fronte un maschio della peggiore specie. Rientrato il dottore fu spiegato al paziente che stavano conducendo degli altri accertamenti, ma che non era nulla di grave. Gli diedero anche i farmaci da prendere e gli fecero promettere di non avere assolutamente rapporti con la sua fidanzata né con altri eventuali partner occasionali per un mese. Si sarebbero rivisti per un controllo a tempo debito. Uscito il paziente i due medici si consultarono; Maddi scrisse una parola sulla cartella del paziente e il primario confermò i suoi sospetti: sifilide.
Un mese dopo, al controllo il paziente risultava guarito. Per precauzione fissarono un altro appuntamento per puro scrupolo. Maddalena mantenne un freddo distacco e Stefano non accennò alla loro precedente nonché unica discussione.

Nel frattempo arrivò il giorno del matrimonio di Sara sua sorella. Maddi aveva appena lasciato il novello sposino al quale aveva fatto da comare a fare i dovuti convenevoli ed approfittò di parlare alla sorella; con suo stupore infatti ad un certo punto della cerimonia si era accorta della presenza di Stefano Barbieri in chiesa e voleva sapere il perché.
- mmhhh Maddi che dimostra interesse per qualcuno che non faccia parte del cast di Grey’s anatomy, E.R. o scrubs? Strano, in discoteca non mi parevi interessata a lui. Comunque ti posso assicurare che è un tipo esclusivamente monogamo. –
Che trauma scoprire che Stefano era stato compagno di università di Sara anche se per un beve periodo, prima che lei abbandonasse gli studi. Quell’informazione poi aveva messo in moto altri pensieri e supposizioni.
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Al controllo successivo il primario le fece prelevare un altro campione di sangue per testare un nuovo marker quasi istantaneo. Il paziente giurava di essere stato attento e di avere avuto solo rapporti con la propria partner. Ma il marker era chiaro, o la cura aveva inspiegabilmente fallito o la malattia si era ripresentata. Chiamò il primario e gli mostrò l’esito, poi gli confidò che nonostante le fredde apparenze conosceva il ragazzo e voleva avere un colloquio privato, il superiore acconsentì. Rientrata nella stanza si schiarì quindi la voce e lui colse immediatamente il suo sguardo strano.
- dottoressa qualcosa non va? – dio com’era distaccata e professionale.
- Credo di doverti delle scuse Stefano. Non mi sono comportata nel modo corretto e ho messo in dubbio la tua parola. – merda come inizio non prometteva nulla di buono.
- Maddalena sto morendo? -
- Maddi. I mei amici mi chiamano Maddi e, no non stai morendo. Ma dovrai rifare il ciclo di cure. –
Stefano apprezzava il modo garbato in cui lei gli aveva fornito la risposta ai suoi dubbi. Se stava ancora male doveva chiamare una sola persona. Si scusò con Maddalena e senza uscire dalla stanza telefonò alla persona nella quale aveva riposto per anni la sua fiducia.
- Lisa…- Maddalena uscì per non ascoltare, ma in corridoio sentì comunque qualche stralcio di conversazione quando lui perdeva la pazienza. Rientrò quando intuì che il ragazzo aveva interrotto i rapporti telefonici e relazionali con tale Lisa.
- Maddi – Stefano la guardava in quel momento con sguardo triste e perso e lei si sentì spingere da una forza invisibile verso il ragazzo; osò posargli una mano sulla spalla mentre lui la supplicava – guariscimi.-
- L’ho già fatto una volta, sta’ tranquillo. -

- L’ho lasciata. – Maddi non era nata per fare la psicologa, non dispensava mai consigli, ma per Stefano fece un eccezione.
- Mi dispiace aver giudicato il tuo lavoro, il tuo modo di fare e di vivere. Non ne avevo il diritto. Mi dispiace che sia finita, ma meglio ora che con un anello al dito, dico io. -
Il ragazzo si alzò dalla sedia e si diresse verso l’uscita.
- Stefano. Ci vediamo al controllo, tra un mese. – lui tornò sui suoi passi cercando di prender tempo, spinto da un’urgenza improvvisa.
- scrivimelo su un foglio potrei dimenticarmene. – e mentre lei scriveva diligentemente lui prese una decisione avventata, appena lei si voltò per porgergli il foglietto le depositò un bacio veloce sulle labbra e volò via. Come l’avrebbe trovata di lì ad un mese?

 
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A Maddi sudavano le mani, ancora pochi minuti e avrebbe dovuto controllare le condizioni di Stefano. Il primario le aveva lasciato l’incombenza a causa di un contrattempo in famiglia, tanto “non era nulla di diverso rispetto alle altre due visite che aveva condotto lei stessa in precedenza”. Il problema è che prima non aveva mai pensato a Stefano, se non come paziente, ma dopo quel quasi bacio era impaziente di capire se il ragazzo si aspettasse dell’altro da lei. In quel momento Stefano fu annunciato. Lui entrò, lei si alzò e gli porse la mano.
- Credevo che fossimo orami in confidenza – giusto che scema. Si schiarì la voce.
- Come ti senti? – avrebbe voluto chiedergli di Lisa.
- Bene e tu? -
- Se permetti le domande le faccio io-
si sentiva tremendamente in imbarazzo.
- va bene dottoressa- il ragazzo sorrideva – mi accomodo sul lettino? – improvvisamente l’ambiente si fece rovente. Merda, non aveva pensato che avrebbe dovuto controllare anche “quello”. Forse poteva chiamare Betty, l’infermiera sessantenne.
- puoi rimanere vestito per ora, ti faccio i controlli con il marker- quando le sue dita sfiorarono l’avambraccio muscoloso, sulla pelle di Stefano si formarono tanti piccoli brividi. Entrambi se ne accorsero, ma Maddi proseguì fino all’estrazione dell’ago – torno subito. -
Solo pochi minuti e tornò sorridente – direi che sei guarito. Hai notato macchie strane, prurito, fastidi durante la minzione? -
- non lo so potresti controllare? –
aveva cercato di rimandare il più possibile; la verità è che temeva quel momento perché sperava di fargli un certo effetto ed allo stesso tempo non riusciva a vederlo più come un paziente. In più sentiva che Stefano si stava un po’ burlando di lei; sicuramente aveva notato il suo momentaneo imbarazzo.
- ok. Spogliati – merda, come poteva mantenere la professionalità se si stava eccitando così e senza ancora averlo visto nudo? Ma il ragazzo si alzò dal lettino e le andò incontro. E senza preavviso la baciò con un intensità tale da farle girare la testa.
- Maddi, non credo di poter sopportare che mi visiti senza perdere il controllo. -
- proviamoci –
e lo guardò con dolcezza. Stefano si sentiva in paradiso. Per ora non lo aveva respinto. Ora il problema era evitare di sconvolgerla visto che appena ricevuto l’ordine di spogliarsi aveva sentito montare l’erezione.
- Maddi non ci riesco, so che forse mi coprirò di ridicolo, ma sappi che in questo momento l’unica cosa che ho in mente sei tu che mi stai per toccare e.. - non lo lasciò finire e senza badare a ciò che vedeva controllò ogni piega più e più volte a caccia di possibili segnali di infezioni cutanee.

– mi devo preoccupare? - Stefano ad occhi chiusi aspettava che la tortura finisse; sentì appena scattare la serratura della porta. Sentì forte il profumo di lei salirgli alle narici e invadergli la testa, inebriante. Il tocco leggero delle sue mani lo fece eccitare all’inverosimile. E sempre ad occhi chiusi aspettava che il sogno finisse.
- Mi vuoi? – diretta ed emozionata.
- sì – trepidante.
- ti fidi di me? – speranzosa.
- sì – sicuro e determinato, senza traccia di dubbio. Maddi non l’avrebbe mai tradito.
- eccomi – e le sue mani cominciarono ad esplorarlo a fondo, non più quelle del medico, ma quelle di una passionale amante, fino a che incapace di resistere gli sussurrò nell’orecchio tutti i suoi desideri e i loro occhi si incatenarono in una muta promessa di amore.
Quella visita fece subire un ritardo negli appuntamenti a seguire, ma Maddi pensò che, per una volta, gli altri avrebbero potuto tranquillamente aspettare.

 

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Capitolo 3
*** Tutta colpa dell'ipocondria ***


Capitolo 3: tutta colpa dell’ipocondria


Adoro mio fratello, un po’ meno l’ipocondria di mia cognata Roberta. Ciononostante non sono in grado di dirle di no, quando mi manda messaggi dove mi supplica di “fare un salto” in farmacia, a prenderle, a suo dire, lo stretto necessario per sopravvivere.
Credo che se esistessero i punti fedeltà per gli acquisti in farmacia, mia cognata riuscirebbe a portarsi a casa tutti i premi. Grazie a lei, si può dire che conosca ormai tutte le farmacie di zona e, dopo un giro completo di confronto prezzi ed offerte, posso affermare con certezza che, la farmacia centrale, quella che si trova giusto dietro l’angolo dove lavoro, è la migliore.
Purtroppo oggi il ciclo mi si è presentato con due giorni di anticipo e, con il cambio borsa, ho dimenticato di portarmi dietro il mio unico rimedio contro il dolore, capace di placare i crampi alla pancia. Così mi trovo costretta ad uscire di corsa dal centro estetico, lasciando un cartello con su scritto “torno subito” che oscilla, sperando di non trovare una fila chilometrica al mio ritorno. Ma ne dubito, visto che lavoro solo su appuntamento.
La fortuna è dalla mia parte, ho solo tre persone davanti a me. Faccio finta di essere morbosamente interessata al ripiano dei cerotti, ma in realtà sto solo cercando di non farmi cogliere in flagrante a guardare il nuovo farmacista. Appena entrata ho avuto un tuffo al cuore e sono partiti i filmini mentali di me che gli domando quale sia il rimedio migliore per tutte le malattie immaginarie di mia cognata e di lui che, amorevolmente, mi dà consigli, eccetera, eccetera, eccetera….
Quando me lo immagino anche chiedermi di sposarmi, scatta il mio numero e, con delusione, mi incammino verso la dottoressa Elisabetta, una mia cliente, pensando a quanto sia buffo che ci si conosca solo per i rispettivi “acquisti”; raggiungo il bancone un po’ accaldata, in testa ho ancora il farmacista biondo che mi ha chiesto di sposarlo, ma cerco di scacciare il pensiero pensando a quando Elisabetta mi chiederà di farle la cera sotto le ascelle.
“Buongiorno Denise, si sente bene?” In quel momento ricordo anche dei crampi che mi stanno attanagliando, che poi è il motivo per cui sono qui.
Mentre Elisabetta prende dal reparto omeopatico una maxi confezione di meofluid[1], sento il nuovo farmacista che sta servendo la Signora Clara, un’attempata vedova, amica di mia nonna, e mi trovo a grondare di invidia per il solo motivo che lui non sta servendo me!
Esco portandomi dietro una scia di quel profumo antisettico, tipico delle farmacie, per tornare a quello degli olii da massaggio e cere, contenta di poter lavorare senza dovermi tenere una mano sulla pancia per tutto il giorno e con una crisalide nello stomaco.
E così passano sotto le mie mani, come succede ormai da 5 anni, gambe e braccia di donne ed uomini di ogni età. Alle 17 entra Federico, il belloccio che ha pagato per un ciclo di lampade. Per pochi minuti manca l’ingresso di una delle mie due migliori amiche Martina; chissà perché, ma me li immagino molto bene assieme. Io e Marty, assieme ad Ilaria, formiamo dagli anni delle medie un trio indissolubile. La nostra amicizia non è stata scalfita nemmeno dalle tempeste ormonali dell’adolescenza e, nonostante le nostre scelte ci abbiano portato a percorrere tre strade totalmente diverse, siamo unite più che mai. Domani sera ci troveremo per il nostro consueto “aperi-donne”. Ogni settimana ne facciamo uno a tema e domani l’argomento di discussione sarà l’appuntamento di Martina e Loris, del quale giusto in questo momento la diretta interessata mi sta fornendo alcuni dettagli, mentre le sto eliminando i pochi peli, dalle gambe chilometriche che si ritrova.
“Danny potresti depilarmi anche lì?” detesto quando mi si fanno richieste dell’ultimo secondo mentre ho già l’olio post cera sulle mani,  anche se arrivano dalle mie più care amiche. Così provo a farla desistere.
“Mi sembra di averti fatto già più che sgambata”, Martina si sposta il tanga per verificare e scuote la testa.
“Toglili tutti”. A quel punto mi tocca chiederle che intenzioni abbia per quella sera e lei parte per la tangente.
“Ricordi vero cosa è successo quando ho usato le strisce a casa? Altro che sesso sfrenato, la sera ero piena di bolle! Ho dovuto fingere di aver il ciclo in anticipo, Mirko non mi ha creduto e ci siamo lasciati”.
Con Loris è solo al terzo appuntamento, ma capisco che per lei sia importante essere impeccabile, nel caso la serata termini tra le lenzuola e pare che Loris apprezzi l’assenza totale di peli.
“Giurami che la mia farfallina sarà perfetta”. Rido, c’è ancora qualcuno che la chiama così?
“Sono pronta a scommettere che passerà l’esame a pieni voti”.
“E se lui non mi volesse?” Ci penso su; sarebbe un pazzo a rifiutare una come Martina, dopo il terzo appuntamento.
“naaaaa, non è scemo”.
“Ci scommetteresti?” Non ho mai amato le scommesse, ma siccome mi sento sicura dell’esito accetto.
Il nostro tacito accordo delle scommesse tra donne prevede che lo scotto da pagare, venga deciso durante l’aperi-donne successivo.
Siccome so che Martina non ha una soglia del dolore molto elevata, anche se non me lo ha mai detto e cerca di fare la dura (lo vedo da come le sudano le mani e da come stritola la sottile canotta che indossa, ad ogni strappo) cerco di tenerla impegnata raccontandole del mio ciclo in anticipo, che mi ha fatto incontrare il nuovo farmacista.
“Descrivimelo”. Ci penso un po’ su; non credo di essere in grado di rendergli giustizia, non sono brava a descrivere l’aspetto fisico delle persone, così intanto che spalmo una scia di cera su un ciuffetto di peli castani, per la prima volta in vita mia, utilizzo il gioco preferito di Ila e Marty: “direi che potremmo posizionarlo al grado 9 della scala MildRED”.
“auuuuuuu” Martina si lascia scappare un urletto/gemito/fischio.
“Danny! Dobbiamo vederlo. Un 9 sulla scala non lo raggiunge nemmeno Loris.”
La scala MildRED altro non è che l’acronimo dei nomi Martina, ILaria e Denise, ideata dalla mente perversa dell’allora sedicenne Ilaria e che descrive il grado di “fighitudine”, se così si può dire, dell’altro sesso. Un nove equivale a mutande fradice al primo appuntamento.
La sera mi concedo un film sul divano, bevendo tisana e aspettando che i crampi alla pancia mi lascino in pace. Nessun messaggio da parte di Martina (starà facendo faville con Loris!), così come anche da parte di Ilaria che però, tra le tre, è quella che ultimamente è un po’ assente, presa com’è dalla nascita del primo figlio. Gianmarco ha solo 5 mesi, ma promette già un 10 sulla nostra folle scala, ma forse noi siamo troppo di parte…
L’indomani mi ritrovo impaziente, ad aspettare che si facciano le 19. Per fortuna, tra ricostruzione unghie, massaggi linfodrenanti, pulizie del viso e cere, arriva presto l’ora della chiusura. Il bello di lavorare in un centro estetico tutto mio è che quando chiudo la porta, posso dedicarmi un po’ a me stessa, rendermi presentabile per la serata, anche se so che non concluderò nulla. Diciamo che all’età di vent’anni la mia gestione dei rapporti con gli uomini rasenta la tristezza più assoluta, fatta eccezione per i famigliari stretti.
Tra i dolori del ciclo e il fatto che quest’estate non sono potuta andare in ferie, per via del mutuo per il centro, mi vedo riflessa nella parete a specchio e mi viene quasi da piangere, sembro un fantasma. Meglio fare 10 minuti di doccia solare e prendere un po’ di colore, prima di uscire con le mie amiche. Esco poi dal centro su due trampoli tacco 15, che mi aiutano a compensare l’ingiustizia di madre natura, fasciata da un soprabito leggero, che nasconde il mio ultimo acquisto che mi tiene scoperta buona parte delle gambe. Insomma, sarò anche sola, ma mi piace se qualcuno mi guarda, anche se uscire con Martina è un po’ come dichiarare subito la propria sconfitta. Lei è…qualcosa che non si può descrivere. È alta, bionda e intelligente, simpatica, ha una quarta naturalissima e soda e un fisico tonico, che non ha bisogno nemmeno di mantenere con assurdi sforzi in palestra. Io al contrario sono piccola, tipicamente mediterranea, anche se sono ben proporzionata e devo fare assolutamente attività fisica, se non voglio che i pochi addominali che ho, spariscano affogati nelle vaschette di gelato, di cui proprio non riesco a fare a meno.
Mi accorgo che qualcosa non va appena entrata al caffè di Gigi, dove abbiamo deciso di passare la nostra ora in compagnia, perché Martina sta bevendo un mojito, cosa che succede solo quando è “depressa”. Forse Loris ha fatto cilecca?
Appena mi vedono Ila scuote la testa e Marty mi punta il dito contro e mi intima “you lose!” (vecchi trascorsi a sfidarci a Mortal Kombat e Street fighter contro i rispettivi fratelli e cugini).
Comincio a sentirmi nervosa, chissà cosa sta mulinando in quella sua folle testolina. Decido di stemperare la tensione prendendo uno spriz, ma non faccio a tempo a mandare giù il secondo sorso, che la mia amica parte ad inveire contro Loris che non l’ha nemmeno toccata, che non capisce dove ha sbagliato e che se lo avesse saputo, avrebbe tenuto la sua patatina alla mohicana, che a lei piace di più. Il tutto si fa più confuso proprio mentre sto deglutendo e lei spara una cosa che non mi sarei mai aspettata: “pagherai andando in farmacia per comprare profilattici e vaselina”
Lo spriz finisce tutto nebulizzato sul decolté di Ilaria, che per fortuna è abituata ai rigurgiti di Gian e che non si scompone più di tanto.
“Ma sei scema?” io non vado dal mio farmacista con quella richiesta folle.
“Puoi sempre affidarti alla fortuna, in fondo un numero potrebbe sempre salvarti la vita”. Sono spacciata!
Così la mattina dopo mi presento in pausa pranzo fuori dalla farmacia; faccio un bel respiro ed entro. Ho il numero 10 e sono in 4 dietro il bancone, conto e riconto. In un folle, quanto improbabile, gioco di statistica le possibilità che il mio numero capiti proprio a lui sono 1:3. Non so come sono arrivata a questa soluzione, visto che odio la matematica, ma voglio essere ottimista e, infatti, si illumina il display col mio numero. Mi incammino verso Elisabetta, ma mentre mi avvicino, mi fa segno che il suo turno è finito e che posso andare dal suo collega. Mi giro e mi cade la mascella, mi è toccato il farmacista gnocco.
Stringo spasmodicamente la confezione da 26 profilattici e mi chiedo mentalmente, come riuscirò a farmi dare anche la vaselina, che (lui non lo sa) Martina userà per il tatuaggio che si farà fare in settimana e non per altri scopi. Così cerco di pensare, velocemente, a quali medicinali sono già nel mio armadietto e comincio a snocciolare al farmacista cinque analgesici diversi, almeno integrerò quelli che mancano. Sono patetica, ma spero di confondergli le idee quanto basta per non sembrare una dalle tendenze vagamente perverse.
Alla fine, vedo sul bancone una serie di medicinali dall’accostamento improbabile; lui non batte ciglio e molto professionalmente passa i codici a barre sul prezziario. Ci siamo; prima che chiuda il conto poso la confezione viola e gli chiedo la vaselina. E lui non riesce a nascondere un accenno di sorriso, che lo rende ancora più affascinante. Io sprofondo nella vergogna più assoluta, ringraziando però la sua capacità di mantenere la voce neutra. Pago una cifra esorbitante ed esco con la mia borsa della “spesa”.
Voglio che Martina sappia che mi sono appena resa ridicola e che non entrerò mai più in questa farmacia. Voglio che veda la mia faccia, così mentre mi chiudo a chiave nel mio piccolo centro, le inoltro una videochiamata infuocata. Lei ride come una pazza.


Non voglio più pensare a quegli occhi così verdi che mi hanno guardata per un istante, mentre lui mi diceva “in cosa posso servirla” quando, invece che lattice imbustato, avrei voluto solo rubargli un bacio, per vedere se quelle labbra carnose avrebbero mantenuto una promessa inespressa. Annego nel mio affogato al cioccolato, aspettando le mie amiche. Dalla scommessa, ahimè persa, sono passati 10 giorni.
Di solito Ilaria è quella che arriva tardi, ma stasera batte Martina con un anticipo di 15 minuti. Qualcosa non va, me lo sento e infatti, prima che possa prepararmi psicologicamente a qualunque sia la notizia bomba, la mia amica sbotta: “Danny ho bisogno di un favore”.
Per lei farei qualsiasi cosa.
“Mi  serve un test”. Capisco subito dove vuole arrivare.
“Ila, manda Andrea, vai in un altro paese, ma ti prego non chiedermelo”.
“Andiamo Danny, ti conoscono tutti e sanno che…” certo tutti sanno che sono la figlia responsabile dei  professori Corso, che il test sarebbe stato per la cognata, perché nessuno mi vedeva uscire con un ragazzo da mesi.
“Sai che questo ti costerà molto, vero?”
Ilaria lavora come modellista per una importante boutique, da tempo sa che aspetto che un tubino esca dalla produzione, per andare a rovistare nei cestoni dell’outlet, ma guarda caso, si tratta di un classico intramontabile e continua a costare più di trecento euro.
“Ci arrivi a 150?” sorrido felice. Me lo farò regalare a Natale dalla mia famiglia.
Nel frattempo arriva Martina, che ignara della presunta gravidanza di Ila (mi dovrò portar dietro anche il fardello di questo pesante segreto) ci racconta che ha scaricato Loris e che sta uscendo con un nostro vecchio compagno di classe, tornato da poco dall’Australia. Cerco di partecipare con domande alla “indovina chi?”, ma la mia mente sta già navigando altrove. Potrei sempre andare in un’altra farmacia. Ma più mi allontano da casae più penseranno che nascondo qualcosa. Quindi alla fine non mi resta che sperare che la sorte non si accanisca nuovamente contro di me.
Cambio le carte in tavola, se la prima volta a pranzo è andata male, all’orario di apertura potrebbe andarmi meglio. La sera prima la farmacia centrale aveva il turno di notte ed è l’unica che fa pure orario continuato. Andandoci alle 8.30,  farò anche in tempo a fare la seconda colazione al bar e poi aprire il centro. Il display è ancora spento.
Mi avvicino al bancone e domando se c’è nessuno; vedo un camice svolazzare. Ti prego, tu che sei lassù da qualche parte, fa’ che non sia lui.
Poi la sua testa bionda fa capolino da dietro la porta, che affaccia sul magazzino. Si spinge gli occhiali sul naso, porta i segni di una notte in bianco, ma è ugualmente da 9 ed io mi sento già avvampare.
“Scusami, stavo sistemando l’inventario” non so come, ma è passato a darmi del tu. Cosa dovrei fare? Mi appello al fatto che è un uomo e che forse, il sonno gli impedirà di collegare la marca all’oggetto.
“Una confezione da due di Clerblu[2], per favore”.
Lui efficiente come lo ricordo, batte qualcosa al pc e si dirige in magazzino, mentre conto mentalmente i secondi tamburellando le unghie sul bancone, sperando che sia così veloce da non leggere sulla confezione a cosa serve il Clerblu.
So già quanto costa, l’ho già comprato per mia cognata quattro mesi fa, quindi poso sul bancone i soldi contati, saluto in fretta ed esco, senza avere il coraggio di guardarlo in faccia. Voglio solo seppellirmi.
Lo voglio ancor di più quando Ilaria, mi chiama due ore dopo, per informarmi che le è arrivato il ciclo.
Cerco di non pensare a cosa può pensare lui di me, magari con tutta la gente che vede, mi sto facendo i soliti filmini. Io sono decisamente una da pippe mentali. Così mi alieno dietro a baffetti e sopracciglia da sfoltire e ai gossip da centro estetico.
Alle 17, puntuale come sempre, entra il belloccio che sta facendo il suo ciclo di lampade. Di solito quando finisce mi saluta senza aspettare che io esca per congedarlo. Tanto ha già messo a calendario tutti e 10 i suoi appuntamenti. Tutti i giovedì alle 17. Mi fa strano quindi sentire che mi chiama.
“Sì?”
“Mi chiedevo se posso cedere il mio abbonamento”. È la prima volta che mi fanno questa richiesta.
“Se preferisce spostare qualche lampada, è libero di farlo quando vuole”.
“Sì, mia sorella mi ha spiegato come funziona  (intanto io cerco di capire quale delle mie clienti gli somiglia) ma sto per partire per una trasferta di 6 mesi a Sharm e credo che non mi servirà integrare la mia abbronzatura”.
“Magnifico” che invidia, lui a Sharm mentre io, tra qualche mese, sarò impantanata nella nebbia invernale, del nord Italia.
“Ho già avvisato un mio amico, gli va bene confermare i miei appuntamenti.”
“Posso segnare il nome?” di solito mi preparo una scheda per ogni cliente.
“Metta pure Gigli”.
E così avrò un Gigli al posto di un banalissimo Rossi.
Sono ancora così mortificata per le mie recenti figure di merda col bel farmacista che, per la prima volta, da quando la conosco, quella sera riesco a dire di no a mia cognata. Mi rifiuto categoricamente di passare in farmacia. Ho capito che la sorte non è dalla mia parte in questo periodo. Ormai ho paura anche solo di chiedergli della tachipirina, figurati se mi arrischio a comprar le supposte che servono a Roberta. Sarebbe il massimo che si ricordasse cosa ho preso in queste ultime settimane.
Giuro a me stessa di non mettere più piede là dentro finché ci sarà lui.
Ma evidentemente, non ho il diritto di scegliere in questa vita perché giovedì alle 17 in punto, sento il rumore delle perline in plastica che dividono le cabine del centro dall’ingresso. Certo che questo Gigli poteva anche chiamarmi, invece di farmi spaventare! E se fosse stato un maniaco?
Mi affaccio e mi cade la mascella, non è possibile Gigli è Davide il farmacista (lo confesso, cercando di non guardarlo in faccia avevo messo a fuoco, molto bene il suo tesserino, appuntato al camice immacolato). Anche lui sembra sorpreso di vedermi. Se non altro non dovrò giustificargli i miei acquisti. Se non che, forse si sente lui in debito di una spiegazione, che però gli voglio evitare. Così lo blocco, prima che parta col suo discorso, visto che sembra in imbarazzo e io ho l’animo da crocerossina.
“Il suo amico mi ha detto che le cede l’abbonamento, venga che le mostro come funziona”
Gli fornisco le pattine in carta, gli dico che può usare la crema di protezione che stimolerà la melanina e gli faccio vedere come accendere la doccia. Se ha caldo potrà tenere il portellone aperto, tanto non entrerò nella stanza finché lui non esce. Lo vedo titubante così me ne esco con una frase delle mie: “veda di non entrare vestito” e lo faccio ridere e, dio, mi perdo in quel sorriso.
“Certo, lo farò appena lei uscirà” ogni altra aggiunta da parte mia sarebbe umiliante, così lo lascio solo e scappo in bagno, dove lo specchio mi dice che sono in condizioni pietose. Fermo il mio film mentale, proprio quando il mio cervello imposta un assurdo “rewind” e mi fa rivivere le poche volte in cui l’ho visto: ero in tuta, trasandata, con le mollette nei capelli? Ora sono accaldata e sembro uscita da una pessima sit-com di casalinghe in menopausa.
Cerco si sistemarmi un po’ e Martina mi sorprende mentre mi rinfresco il viso. Ringrazio il fatto che l’aria della doccia solare tenga compagnia a Davide Gigli, che non sentirà nulla di ciò che diciamo.
“Stai bene Danny?”
“No. Si vede?”
“Sei rossa e hai gli occhi lucidi” perfetto sembro febbricitante.
“Il farmacista” - Martina mi guarda in attesa - è nella doccia”.
“Noooo! Veramenteeee? Posso vederlo?”
“No!” quasi urlo. Lei ride.
“Sei messa male. Lui ti piace troppo”. Decisamente.
“Non c’è problema, visto che devo essergli sembrata una squilibrata, da quando ho messo piede per la prima volta in farmacia”
Mentre le faccio un peeling facciale, ripercorro i nostri fugaci quanto devastanti incontri, fino alla mia battuta finale di quella sera. Martina non riesce a star seria. Così mentre cerca di calmarsi le strappo per vendetta i peli dell’inguine.
Non mi accorgo che dalla cabina non giunge più il rumore del getto d’aria, quindi sussulto quando sento Davide che richiama la mia attenzione.
Alzo in miei occhiali da riposo sulla testa e lo raggiungo.
“Senta” lo blocco.
“Mi chiamo Denise”
“Senti Denise” - ed è tornato al tu - credi che con 4 lampade il mio colore cambierà?”
“Difficile dirlo la sua pelle è bianca, ma d’altra parte non intensificherei le lampade. Mi sembra non sia nemmeno abituato a prendere il sole” avrò esagerato? Mi tranquillizza il fatto che mi stia sorridendo.
“Quindi Federico sta buttando via i suoi soldi. Alla prossima” e se ne va sorridendo.
Torno da Martina che sproloquia sul fatto che Davide ha una voce da “sturbo” e che, appena esce di qui, andrà in farmacia a prendere delle compresse per il mal di testa. Vorrei dirle di non farlo. Se Davide la vede, cadrà inesorabilmente ai suoi piedi. Nessuno resiste al fascino di Martina. Ma desisto, tanto io non avrò ai il coraggio di parlargli di nuovo.
Meno di due ore dopo, la MildRED chat in whatsapp è bollentissima. Ilaria sta tartassando Marty per sapere del farmacista, che per entrambe è diventato il “mio farmacista”. Martina dice che, nonostante la carta degli occhi dolci alla Bambi, lui non si è minimamente scomposto, tanto che sta dubitando, quanto meno del fatto che sia libero.
Per quello che ne so io, potrebbe essere fidanzato, o divorziato, la fede all’anulare non l’ho vista. In compenso mi sono chiesta più volte il significato dell’anello a fascia che porta al dito medio, ma non lo vado di certo a dire alle mie amiche. Sto cercando di mantenere un basso profilo e non far capire loro quanto grossa sia la sbandata che ho preso per quel tipo. Ilaria è convinta che dovrei sfruttare le prossime tre lampade per conoscerlo meglio. Ma quando le due propongono di fare un’altra scommessa, le saluto, spengo quell’infernale smartphone e vado a finire un’altra vasca di gelato. A smaltire le calorie ci penserò nei prossimi giorni.
E così la mia vita continua in un crescendo d’ansia fino al giovedì successivo, quando lo vedo entrare.
Fa i suoi 15 minuti, si riveste in silenzio e mi aspetta alla cassa. È diverso dal suo amico. Mi saluta e se ne va.
Guardo la sua schiena e il suo bel culo uscire dal mio negozio e ricomincio a respirare normalmente e a vivere la mia settimana. Forse ho bisogno di uscire e trovare un uomo su cui sfogare la mia frustrazione sessuale. Invece continuo con la mia routine e comincio pure a sognarmelo di notte. Potrei proporgli un pacchetto benessere, chiedendogli di barattarlo con una serata in sua compagnia? Mi dà l’impressione di essere un tipo interessante, dietro quegli occhi verdi così intensi ed espressivi.
Il terzo giovedì, terminata la sua doccia, lo saluto per prima.
“Allora arrivederci a giovedì prossimo”.
“Denise, prima che mi tocchi prenotare una ceretta integrale per aver perso una scommessa, e ti giuro che di mia spontanea iniziativa non ne farei mai una, mi chiedo se ti andrebbe di prendere un aperitivo assieme una di queste sere”.
Dopo un attimo di sbigottimento iniziale, mi rendo conto che mi ha appena invitata fuori. Dopo 5 secondi però, metto a fuoco la frase intera. Quello che mi ferisce è la parola “scommessa”. Vorrei dargli uno schiaffo, perché mi ritengo offesa, ma ancora una volta il mio spirito da crocerossina masochista prevale; odio gli uomini glabri e so che la ceretta per loro è una sofferenza estrema. Quindi accetto, ma voglio togliergli subito quel “peso” e gli dico che sono libera solo quella sera.
Mezz’ora dopo entrano, a sorpresa, Ilaria con Gian nell’ovetto. Solo per lei e per il primo anno di vita del pupo, abbiamo concordato che può presentarsi quando vuole e se sono libera la riporto ad un livello di femminilità accettabile, per suo marito Andrea.
Per tutta l’ora successiva parliamo di Davide; inorridisco quando mi accorgo che arriverò in ritardo all’appuntamento.
Fortunatamente il bar si trova solo ad un chilometro dal centro e spero solo che lui non sia già andato via. Parcheggio lo scooter, cercando di non perdere l’equilibrio; nonostante il ritardo mi sono cambiata, ho tolto le mollette e acconciato i capelli in un semi raccolto disordinato, ma con stile, e indosso dei leggings in pizzo nero con una maxi maglia oro, che mette in risalto i miei occhi.
Davide è ancora al bancone, credo che il mio ampio ritardo lo abbia innervosito, perché sta battendo forsennatamente il tappo corona di una birra sul bancone di legno. Gli batto su una spalla e quando mi vede sembra rilassarsi.
“Credevo mi avessi dato buca”
“Te lo saresti meritato” ovviamente non ci arriva, così gli faccio capire, senza farglielo pesare troppo, che non è stato carino farmi sapere che il motivo per cui sono lì con lui è pere evitare di fargli perdere una scommessa. Gentilmente mi accompagna ad un tavolino.
“E così credi che non ti avrei mai invitata fuori, di mia spontanea iniziativa.” Un’affermazione. Annuisco.
“E sentiamo, se fossi tu il farmacista e una bella ragazza si presentasse da te chiedendoti profilattici, vaselina e due test di gravidanza, avresti il coraggio di invitarla fuori o penseresti di essere un pazzo masochista e votato a ricevere un secco rifiuto?”
Lui pensa che io sia bella. E, merda! Lui si ricorda tutto quello che ho preso?! Se non altro non ha idea che avrei potuto chiedergli anche le supposte.  Lo guardo e tutto ciò che riesco a fare è alzare le spalle e stringermi le ginocchia. Così lui prosegue.
“Federico mi ha detto che al centro estetico c’era una ragazza molto carina, che dovevo assolutamente conoscere perché, secondo lui, dovevo assolutamente provarci. Diciamo che si è rotto le balle di avere un amico single che, per di più, gli fa la morale quando esce e torna a casa con una tipa diversa alla settimana. Così, con la scusa del trasferimento, mi ha dato il suo abbonamento. Non potevo credere che fossi tu quella ragazza.”
Lo guardo. Lui mi sorride.
“Quando ti ho vista entrare in farmacia ho sperato di avere la fortuna di servirti, per aver una possibilità di conversare e magari capire qualcosa di te, ma dopo i nostri due “incontri” ho pensato che non fosse il caso di insistere. Però poi è subentrato l’orgoglio di non poter perdere la scommessa, visto che odio gli uomini che si depilano e Fede ha giocato sporco; così eccoci qui. E mi dispiace; immagino il tuo ragazzo non sia contento”. Lui pensa che io abbia un ragazzo.
“Tra l’altro prendi qualcosa di analcolico?” e pensa che io sia incinta!
Lo guardo inorridita. Lui travisa.
“Scusa non sono affari miei”.
“Non sono incinta”.
“Oh mi dispiace” gli dispiace?! Prendo un respiro.
“Forse è meglio che ti spieghi. Anche se sembrerà assurdo e strano, il test era per una mia amica; per quanto riguarda i primi acquisti , erano per un’altra mia amica, che mi ha obbligata a comprarli proprio nella vostra farmacia. Federico non è l’unico che ama le scommesse e io ho perso la mia”.
Così gli spiego di Martina: ovviamente lui si ricorda di lei.
“Mi sfugge solo il motivo dell’obbligo ad acquistare quelle cose da noi, visto che avrebbe potuto servirti chiunque”
Però, appena termina la frase, sembra colto da un’improvvisa illuminazione e mi sorride.
“Devo proprio dirtelo?” Annuisce serio. Vorrei seppellirmi, ma lui ha detto che sono molto carina. E parlare con lui mi viene così facile. Così decido di sputtanarmi definitivamente.
“Diciamo che ho detto a Martina che lì ci lavora un tipo da 9…solo che poi, dopo aver collezionato due figure di merda colossali, più quella al centro, ci ho rinunciato. Insomma mi hai visto nelle peggiori condizioni, ti sarò sembrata una pervertita. E non negare che hai pensato fossi pure incinta.” Mi prendo la testa tra le mani.
“Ho solo pensato che fossi molto carina, ed ora rettifico, sei bellissima ed interessante.” Mi sciolgo e così si liquefano anche i miei freni inibitori.
“Ti andrebbe di proseguire a cena?”
“Valgo ancora un nove?” Glielo dico o no?
“Beh il 9 sulla scala MildRED non è il 9 scolastico” So di aver scatenato la sua curiosità, ma nonostante la serata semplicemente fantastica e il bacio della buonanotte più dolce che io abbia mai ricevuto, non gli svelo nulla. Mentre mi butto a letto valuto se convertire il 9 in 10.
I giorni successivi ci vediamo sempre, o a pranzo o per un caffè, o perché passiamo la serata assieme. Non so se devo contarli come appuntamenti, in tal caso siamo ben oltre il terzo e comincio a faticare a tenere le mani a posto. Giovedì dopo la sua lampada ci diamo appuntamento direttamente al centro. Quando finirà il turno passerà a prendermi e poi andremo fuori. Questa volta cinema. Non vedo l’ora di essere nel buio della sala per sentire l’elettricità aleggiare tra noi.
Mi ha mandato un messaggio, faccio due rapidi conti ed ho tutto il tempo per farmi una lampada veloce, una doccia e cambiarmi. Alle 19 il centro è chiuso al pubblico, così gli ho dato le seconde chiavi in modo che se non rispondo subito, possa aprire ed aspettarmi.
Si spegne la luce e così anche il getto d’aria, apro il portello e urlo “Davide! - oddio sono nuda! - girati” lui si gira e vedo i suoi occhi riflessi nella parete a specchio.
“Girati!”
“Di nuovo?” lui sorride, mentre io sto letteralmente morendo di vergogna. Appena si gira mi tuffo tra le sue braccia in cerca di nascondermi, senza pensare che sono unta di crema e che gli macchierò la camicia.
“Sei in anticipo e, scusami”
“Forse dovrei io chiedere scusa a te, anche se ciò che ho visto va ben oltre ciò che avevo sperato per questa serata” Lo guardo. È molto più alto di me, nonostante il piatto della doccia sia altro da terra dieci centimetri. Ma non sono quelli i dettagli importanti: lui mi sta sorridendo.
“Mi passeresti l’asciugamano, per favore?”
“Devo proprio?” mi bacia e quel nove se lo merita tutto, ma non posso dirglielo ora.
“Puzzo di pollo bruciato, vorrei che avessi un ricordo migliore della nostra prima volta” ci guardiamo per un tempo indefinito; poi faccio tutto di corsa, anche se è lui ad essere in anticipo. E la serata vola; e non ricordo nemmeno  che film abbiamo visto. Devo proprio salutarlo?
“Ti va di salire da me?” Non ho il coraggio di parlare, così gli stringo la mano e spero che capisca la risposta dai miei occhi. Intanto cerco di domare il mio cuore ribelle.
Non arriviamo alla fine del bicchiere di vino bianco con cui abbiamo brindato, perché ci stiamo divorando di baci, le mie mani, le sue mani, le sue gambe tra le mie. Sto annegando di piacere e ancora non siamo arrivati in camera da letto.
“Sei da dieci” Non posso credere di averlo detto. Lui mi guarda e ride.
“Saprò mai cosa significa quel dieci?” Non voglio arrivare sul suo letto, voglio farlo lì in salotto, ovunque lui decida di volermi.
“Mi allontano leggermente da lui e abbasso le culotte in pizzo, il suo sguardo  è impagabile. Gliele passo in modo che possa capire come mi ha ridotta solo baciandomi. Comincia a capire.
“Giusto per capirci, questo è un 9”. L’ho incuriosito.
Mi avvicino, solo un uomo che sa dare piacere potrebbe capire il significato dei miei gesti. Gli prendo una mano e la poso sul mio petto dove può sentire i battiti accelerati del mio cuore in tumulto, mentre prendo l’altra e lo accompagno dritto al centro del mio piacere, che sta pulsando in mezzo alle gambe. Basterebbe una lieve pressione per farmi esplodere.
“E questo è un 10”. E lo leggo nei suoi occhi che ha capito. Lui ha capito. Ma resta fermo così, mentre mi bacia, ancora e ancora, mentre le sue dita si bagnano i me.
“Anche tu ti meriti un bel dieci allora”. E piano si sfila i boxer e finalmente non so come, mi ritrovo a sentirlo completamente dentro di me.
“Davide…”
“Denise…”

 
 
[1] Nome di medicinale inventato per non fare pubblicità.
[2] L’apparente errore è voluto.

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Capitolo 4
*** Armare, amare, disarmare ***


Capitolo 4: armare, amare e disarmare


Caspar era inferocito, non era possibile che un ragazzino australiano gli avesse soffiato il lavoro, eppure Jerry era stato chiaro alla riunione di quella sera, il suo progetto era arrivato secondo, anche se di poco a quello di Riley Anderson. E avrebbe dovuto metter da parte il suo orgoglio ferito ed obbedire ad un ragazzino di appena 24 anni. Lui che aveva 20 anni di esperienza alle spalle e che aveva diretto lavori di ristrutturazione di ville di senatori, restauri della New York Public Library, del Metropolitan Museum, di decine di ospedali sparsi per il Paese e che ogni tanto veniva contattato dai produttori di exteme makehover. Lui scalzato da uno sconosciuto.
Caspar non era un tipo violento, ma in quel momento avrebbe tanto voluto frantumare il bicchiere di scotch che stritolava oramai da qualche minuto. Le nocche sempre più bianche e quasi prive di circolazione. Ingollò il liquido ambrato e ordinò il terzo bicchiere da quando era entrato.
A notte fonda, rimasto solo nel locale, mentre la barista cominciava a riordinare Caspar non si reggeva più in piedi, era sbronzo, ma ancora semi cosciente. La testa gli doleva un po’, ma tra i fumi dell’alcol riemergeva ancora il pensiero che l’indomani avrebbe dovuto partecipare alla riunione di presentazione del progetto di quel Riley. Nemmeno lo conosceva e già l’odiava. In più non avrebbero visto il signorino fino ad inizio lavori. Nemmeno si degnava di conoscere la sua nuova squadra.
- Stiamo per chiudere, ti chiamo un taxi? – la barista, lo stava invitando a lasciare il locale.
- un ultimo giro bellezza – lei alzò infastidita un sopracciglio, forse era lesbica? Le donne che aveva avuto erano sempre state concordi nel fatto che fosse uno stronzo insensibile, ma pur sempre affascinate. In realtà non aveva mai dato modo a nessuna di rimanere nel suo letto tanto da sapere che a sedici anni era diventato padre e la sua ragazza era scappata perché un muratore non avrebbe potuto garantirle una degna vita. Così si era impegnato giorno e notte rischiando la vita in cantieri poco sicuri, sfidando la legge di gravità, lavorando appeso ad una corda sospeso nel vuoto a 45 metri di altezza, fino ad ottenere i meriti che lo avevano portato ad essere uno dei migliori capocantiere in circolazione.
- sarebbe il settimo scotch o il quarto Zacapa, oppure vorresti concludere come hai iniziato con un semplice demi-sec? – Caspar fischiò ammirato.
- certo che come nuova barista te la cavi alla grande! -
- ho solo un’ottima memoria e comunque sto solo facendo un favore ad un’amica –
Caspar ci aveva provato, era sul punto di crollare, fisicamente, ma sentiva montare lacrime di rabbia ed ora voleva soltanto vomitare su quella ragazza tutti i suoi problemi. Approfittò quindi del fatto che lei lo stesse invitando a dirgli il perché di quel “portfolio alcolico”. Non lo aspettava nessuna a casa? Aveva forse perso il lavoro? L’amico l’aveva tradito?
- sei per caso un psicanalista in vacanza? – La ragazza rise.
- per carità. E non tentare nemmeno la carta della modella. Sono una semplice ragazza che adora girare il mondo e che si fermerà qui giusto per qualche mese. Nessun legame ufficiale, niente famiglia. Solo io e non sai quanto mi diverta vivere questa vita. – mentre lei parlava si era sentito invidioso di tanta spensieratezza – ed ora spara, come mai non vuoi levare le tende da questo sgabello? -
- è una storia lunga, non saprei da dove partire -
- comincia da un punto qualsiasi vedrai che poi non sarà così difficile. –
e infatti fu semplicissimo. Bastarono tre semplici parole per far sgorgare tutto l’odio represso.
- Odio Riley Anderson – la ragazza annuì invitandolo a proseguire – non ho mai odiato così tanto un uomo come in questo momento, lo odio più della donna che si è portata via mia figlia. Lo odio perché non è possibile che un ragazzino si porti via il mio lavoro di un anno. -
- Continua. –
Lo fece sfogare, tanto che pochi minuti bastarono per cancellare dalla sua mente la rabbia che lo aveva condotto lì. Si alzò barcollante dirigendosi verso l’uscita. E prima di sparire ringraziò la sua confidente-per-una-sera/non-psicanalista-ma-ascoltatrice-paziente.
- A proposito, scusa per lo sfogo, se volessi ringraziarti, diciamo domani sera, di chi dovrei chiedere? – la ragazza lo guardò col solito sopracciglio alzato; quel tipo non ci sapeva proprio fare poveretto.
- Samantha, ma se chiedi di Sam farai prima. Domani è la mia ultima sera qui. – lo disse nel caso in cui si fosse fatto strane idee sul suo conto. Lei non era disponibile per nessuno, tanto meno per lui.
La giornata successiva impegnò duramente i nervi di Caspar; finalmente il capo illustrava il progetto di Anderson e assegnava i vari compiti. Lui avrebbe dovuto coordinare i lavori in base alle direttive dello stesso Riley? No, non avrebbe mai accettato di diventare il cagnolino di quel fantoccio. E non vedeva l’ora di trovarsi faccia a faccia col pivello per rendergli la vita un inferno. Dopo due ore di riunione gli era chiaro che il ragazzino aveva del potenziale, ma che il suo progetto non era da meno. Aveva perso con onore, Riley doveva aver vinto perché aveva delle conoscenze con il committente o lavorava con un team di arredatori d’interni. Aveva fatto infatti degli schizzi di tutto l’arredamento. Caspar rosicava, perché nel suo progetto mancavano quei dettagli, lui era portato per i lavori pesanti, sapeva consigliare senza indugi su quante e quali prese disporre in ogni stanza, aveva occhio per le misure quasi al millimetro e senza ausilio di metri e cordelle o filo a piombo, ma non era in grado di pensare anche all’arredamento.
L’indomani avrebbe potuto sfogare le sue ire sul pivellino, ma ancora per quella sera aveva bisogno di parlare con Sam.
- Meglio oggi? – sembrava deriderlo.
- Per niente, ma non voglio ubriacarmi o domani potrei far inavvertitamente del male a qualcuno. -
- Che succede domani? –
si doveva essere dimenticata del suo sfogo forse. Così l’aggiornò sugli sviluppi.
- E così pensi che solo perché questo tizio ha presentato un progetto migliore del tuo, debba essere un raccomandato?! – scoppiò a ridere, ma per Caspar non c’era nulla di divertente.
- Si vede che non te ne intendi di cantieri. Andiamo Sam, chi pensa alla forma del divano e al colore della carta da parati? Sembra che si sia studiato i gusti del committente. Non posso fare nomi, ma è una stellina pop piena di soldi. Noi uomini possiamo al massimo arrivare a pensare che voi donne usiate 4 piastre per capelli contemporaneamente, che vogliate la filodiffusione che si attiva tirando lo sciacquone, ma non arriviamo a farvi uno schizzo delle tende in taffeta! -
- Per essere un uomo (lo disse sarcasticamente) te ne intendi di tende- Caspar si grattò la testa giustificandosi
- Mia madre cambia tende ogni mese per quelle sono un esperto, ma per il resto mi affido a Trisha una collega designer – e sorrise timidamente.
Dopo due ore passate ad osservare la bionda servire al banco gli avventori e respingere tutte le più o meno esplicite avances, la salutò col cenno di una mano e se ne tornò a casa. La sveglia era puntata alle 4: i lavori dovevano iniziare in fretta e procedere alla velocità della luce. La stellina esigente voleva inaugurare la casa nuova con un mega party entro i successivi due mesi.
Alle 5 del mattino la squadra era pronta, la zona era stata già recintata sotto la direzione di Caspar ed ora attendevano qualcuno per procedere. Di Riley nemmeno l’ombra. Dopo un’ora sotto il sole videro arrivare una limo aldilà della rete arancione. Ne smontarono due donne. Una in tacchi a spillo saltellava tra una zolla cercando di evitare le buche, l’altra più sportiva sembrava conoscere la zona. Forse era la segretaria che Jerry doveva mandare assieme alla committente.
Varcata la cancellata, e messe a fuoco le visitatrici Caspar presentò i ragazzi. La ragazzina annuiva, la sua accompagnatrice invece non fiatava, cappellino con frontino calato sugli occhi per ripararla dal sole già alto. La pop star li salutò:
- ho molte aspettative per questo progetto , buon lavoro – i ragazzi si congedarono chi si stappandosi una birra in attesa di ordini, chi andando dietro ad un cespuglio per pisciare. Anche Caspar li stava raggiungendo quando si sentì chiamare dalla presunta segretaria. La guardò in attesa, poi gli crollò il mondo addosso quando si tolse il cappellino e una cascata di capelli biondi come il grano ricaddero sulle spalle nude.
- Sam? – lei gli si avvicinò, maliarda - che ci fai qui? – gli allungò la mano pronta a stringergliela in una ferrea presa.
- Riley Samantha Anderson, piacere. Ed ora saresti così gentile da presentarmi alla squadra? – se esisteva l’inferno lui ci era caduto dentro con tutti e due i piedi. E da lì non sarebbe più riemerso.
Un ammutolito Caspar eseguì alla lettera tutti gli ordini della sua superiore. Tra lo scetticismo generale, a fine serata i ragazzi se ne andarono lasciando un cantiere pulito ed ordinato, cosa mai successa prima. Rimanevano solo Il capocantiere Sam Riley e il suo vice, Caspar.
- Domani mattina voglio un rapporto dettagliato su quanto tempo impiega ciascuno dei ragazzi a fare il proprio lavoro. Ho bisogno che le fondamenta siano finite prima che arrivi la prossima perturbazione – quindi avevano 3 giorni per gettare 500 metri quadri di fondamenta; quella ragazzina non lasciava nulla al caso.
- è tutto? – stava per andarsene. Non l’avrebbe mai ammesso, ma i 24 anni di quella ragazza valevano quanto i suoi vent’anni di esperienza sul campo.
- Ti andrebbe uno scotch? – come poteva soprassedere a tutti gli insulti che le aveva seppur involontariamente riservato negli ultimi due giorni?
- no, ma credo di doverti delle scuse. – lei gli intimò di guardarla negli occhi se proprio ci teneva ad avere un dialogo con lei.
- Caspar, non so cosa ti abbia detto Jerry – effettivamente non gli aveva detto nulla di personale – ma ho accettato il progetto perché adoro le sfide e mi era stato detto che avrei sfidato il più bravo capocantiere in circolazione oltreoceano. Volevo conoscerlo, volevo scontrarmi ancora una volta con uomini rudi che pensano che una donna non sia brava a fare questo mestiere.-
- … -
- fammi finire. Prima che mi insultassi al bar, ho capito che ci metti il cuore nel tuo lavoro, non sei come gli altri che si vantano delle loro opere. E oggi me ne hai dato la conferma. Sai stare al tuo posto, non interferisci e non sei un tipo vendicativo.
- Non sono tagliato per fare il secondo a nessuno . -
- Lo so ed è per questo che ho parlato a Jerry e lascio la squadra. –
Caspar la guardò sbalordito. – Porterai avanti il mio progetto. Congratulazioni capocantiere Lee -. E si avviò verso il cancello.
- Aspetta Sam! E guardami negli occhi -
- …-
- Dimmi perché lo stai facendo. -
- Perché non sono tagliata per fare il secondo a nessuno –
Caspar sorrise. Quella ragazzina gli avrebbe dato del filo da torcere. Si inginocchiò ai suoi piedi.
- Riley Samantha Anderson, depongo l’ascia di guerra e prometto che eseguirò quasi tutti i tuoi ordini, che se qualcosa non mi sembra perfetto te lo verrò a dire e che non metterò bocca sulle tende in seta, a patto che tu non diventi dispotica e che ogni tanto a fine giornata ti faccia una bevuta in compagnia. È stato un duro colpo anche per i ragazzi trovarsi una “modella” australiana a dirigerli.
Sam alzò un sopracciglio; decisamente quel ragazzo aveva bisogno di un corso accelerato. Era uno schianto, ma non era proprio in grado di flirtare. E in due mesi l’avrebbe reso dipendente da lei in cantiere così come in qualunque altro posto avesse voluto portarla. Perché sotto la corazza da uomo temprato dalla fatica non ci si poteva sbagliare: Caspar era solo, come lei; aveva sofferto più di lei, era in gamba quanto lei. E insieme potevano formare una squadra perfetta.



 

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Capitolo 5
*** In punta di piedi ***


5. In punta di piedi

Nota: questa storia vede intrecciarsi le vite di alcuni personaggi che parlano lingue differenti. Inizialmente avevo pensato di evidenziare con colori differenti i dialoghi che si svolgevano in una lingua diversa dall’italiano. Poi ho pensato che, in alcuni punti, ci sarebbe stato un arcobaleno di colori. Così ho trovato questa soluzione: quando i dialoghi dovrebbero essere scritti in inglese o russo, in parentesi quadra è indicata la lingua usata dai personaggi.



Lo sconcerto di Gaia, non era ancora passato e non era bastata la telefonata alla cugina Eleonora per capire esattamente il perché di quella scelta. Fu ben felice quindi di condividere i suoi dubbi con la sua migliore amica Benedetta, quando se la ritrovò nello stesso spogliatoio, di quel centro sportivo, a lei sconosciuto e lontano centinaia di chilometri da casa, mentre si cambiavano per una dura sessione di allenamenti.

“Sinceramente Benni, non so che passa nella testa di mia cugina. E poi non ha nemmeno avuto la buona creanza di darmi due dritte sul poveretto che dovrà allenarsi con me; così ho perso un’intera notte a cercare vita morte e miracoli su Pavel Kuzovkov[1]. Lo sai che ha un fratello di nome Pavlov e una sorella di nome Paulina? E per fortuna che sono solo in tre altrimenti credo che i loro genitori avrebbero continuato a trovare ogni possibile variante del nome Paolo! - quando la situazione le sfuggiva di mano Gaia cominciava a parlare a ruota libera, senza filtri - tra l’altro è proprio vero: pare che i ballerini più belli siano tutti gay”.

Vedendo che la sua amica non interveniva in quello che ormai era diventato un vero e proprio monologo, la ragazza alzò la testa da dentro il borsone nel quale stava rovistando per trovare il suo cambio e notò lo sguardo basito di Benedetta che, silenziosamente, le faceva cenno di non aggiungere altro. Il che poteva voler dire solo una cosa: Pavel Kuzovkov si trovava in quella stessa stanza. Ed era proprio dietro di lei!
Cercando di salvare il salvabile la ragazza si girò e porse la mano al ragazzone biondo che la guardava con fare accigliato.

[in inglese]
“Piacere Gheia”
ecco forse se avesse deciso di non dire nulla sarebbe stato meglio.
“Tu devi essere la ragazza che Eleonora ha mandato in sostituzione di Katrina.”
“E tu devi essere Pavel, il mio partner. Quando cominciamo?”
“Domani alle 6.30 se per te non è troppo presto. Questa è la chiave.”

Detto ciò Pavel si girò per andarsene; il ragazzo fu però trattenuto da Dimitri, proprio sulla soglia dello spogliatoio, mentre Gaia si lasciava sfuggire un commento acido, pensando di essere ormai rimasta da sola.

[in italiano]
“Crede forse che sia stupida, che non sia puntuale e non me ne freghi un cazzo del loro spettacolo? Ok Mr simpatia a domani”. 

Tirò su gli scaldamuscoli mentre Pavel si lasciava alle spalle la stanza con un ghigno stampato in faccia.
Il ragazzo che lo stava poco prima abbracciando, gli domandò a cosa stesse pensando, ma lui fece spallucce e se ne andarono.

Quella sera, sola nel silenzio del miniappartamento che la direzione le aveva prestato ad uso gratuito e per tutto il mese successivo, una Gaia combattuta si chiedeva se chiamare la cugina e tartassarla ancora di domande, oppure se affidarsi all’istinto dell’amata parente, come le aveva suggerito l’amica Benni. Eleonora[2] doveva essere proprio un Etoile stimata, nella quale la direzione riponeva la propria incondizionata fiducia, se avevano accettato quell’azzardo. Quindi forse non doveva continuare a cercare un motivo in quella scelta, ma cogliere quella sfida per crescere. Così dopo una doccia rinfrescante e un pasto frugale, ma ben bilanciato, decise di approfondire la sua conoscenza col borioso Mr Kuzovkov. Non voleva di certo arrivare impreparata, l’indomani, al successivo incontro col potenziale nemico e di gaffe ne aveva già collezionata una di colossale. Che fosse gay non era certo un segreto, viste le foto nelle riviste di gossip e quelle che circolavano in rete, ma dal punto di vista professionale non aveva mai approfondito le sue informazioni sul mondo della danza classica, da quando aveva tolto le punte per dedicarsi anima e corpo ad un miscuglio di moderno, jazz, street e pop. A Gaia piaceva fondere diversi stili, rompendo gli schemi rigidi che non le si addicevano più. Lei era esplosiva, non poteva ingessarsi tra pece e nastrini, bustini, tulle, chiffon e calzamaglie. Eppure ci era finita dentro fino al collo.
Collegò il suo portatile al modernissimo schermo LCD che faceva bella mostra di sé nel salottino e navigò tra centinaia di file, fino a trovarne uno di 10 minuti sul Kuzovkov che le interessava.
Dopo la terza visione dello stesso pezzo, decise di cercare altro materiale. Si era fatta un’idea abbastanza precisa del biondino borioso: doveva essere una delle primedonne più richieste, assieme al fratello. Dopo 4 ore sapeva tutto ciò che le interessava sui 3 fratelli russi ed era pronta per andare a letto, dove si addormentò con un pensiero ingombrante: trovare un punto d’incontro con Pavel e portare a termine la coreografia che ancora nessuno le aveva fatto vedere.
La sveglia suonò perentoria 3 ore dopo e alle 5.00 Gaia era già fuori dal centro, solitaria nelle luci pallide del mattino, determinata a far ricredere il suo nuovo partner. Lei era una tosta, non arrivava mai in ritardo ad un allenamento e Pavel avrebbe dovuto riconoscerle almeno quello: la determinazione e la capacità di accettare le sfide più grandi.
Cominciò con un riscaldamento aerobico per portare i muscoli alla giusta temperatura e poi li sciolse alla sbarra, parlando col suo riflesso. Di lì ad un’ora sarebbe cominciato il suo tormento.
Nel frattempo un meditabondo Pavel, accompagnato dal “gemello” Pavlov e dal fido Dimitri entrò nella struttura sportiva, senza usare la seconda chiave; era strano che Boris si fosse dimenticato di chiudere a fine turno, lasciando per di più lo stereo acceso. I tre si cambiarono in silenzio, ancora assonnati, ma Pavel uscì per primo diretto verso la sala grande da dove proveniva il baccano, lasciando i due ex amanti a risolvere qualcosa che avevano in sospeso. I primi tempi non era stato facile, per nessuno di loro, vedere pagine e pagine di giornale dedicate al presunto triangolo tra i due fratelli ed il loro migliore amico, ma pur di continuare a ballare a quei livelli, poteva accettare quel fastidioso compromesso, impartito dal gossip più becero.
Fu dalle vetrate a specchio della sala che vide Gaia, intenta a scrutarsi con occhio critico nello specchio e prendere un respiro. Pavel si sedette sul primo gradone del piccolo spalto riservato ai tecnici, che volevano osservare gli allenamenti senza distrarre i ballerini. Di certo la ragazza non conosceva quel centro, essendo straniera ed estranea a quel mondo. E Pavel voleva capire con chi aveva a che fare. Non era infatti riuscito ad estorcere molte informazioni alla sua amica Eleonora.
Così cominciò ad analizzare ogni singolo movimento di quella ragazzina. Se non altro era flessuosa e coordinata. Dopo un tempo imprecisato, Gaia fece partire un cd di musica con sonorità decisamente più classiche, non sapendo che fosse proprio la base di “quella coreografia”, che avrebbe di lì a poco imparato a memoria. Improvvisò tutti i passi e le figure che aveva orami smesso di fare da 5 anni, mentre un nervoso Pavel si alzò pronto per andare a fermare quello scempio. Ma la mano del fratello si posò sulla sua spalla.

[in russo]
“Non ha ancora finito”.
Pavel lo guardò scrutando i suoi stessi occhi di ghiaccio in cerca di una risposta, ma ricevette solo un’occhiata del fratello, di solo 11 mesi più grande di lui, che pure tutti scambiavano per suo gemello. Forse quegli 11 mesi erano sufficienti per rendere Pavlov più saggio di lui? Si sedette di nuovo, questa volta in compagnia dei due ragazzi, mentre Gaia dall’altra parte della superficie specchiata diceva al suo riflesso

[in italiano]
“Inutile girarci attorno”.
Pavel si trovò con quattro occhi puntati addosso e due voci che all’unisono gli chiesero

[in russo]
“che ha detto?”
“Credo che non voglia fare le pirouette, ma non ha molto senso. Chiederò ad Ele, più tardi”

Meno di due minuti dopo Gaia strinse i pugni ed imprecò urlando allo specchio “ma chi vuoi prendere in giro?”
Di nuovo due teste si puntarono verso Pavel.
“Credo che stia capendo che non è adeguata per il ruolo”
Ma in quel momento Gaia riprese a ballare e questa volta abbandonò la coreografia classica, lasciando che la mente le suggerisse i passi e creò qualcosa di nuovo che affascinò Pavel, tanto da pensare che era stato uno stupido a non avei mai accompagnato Dimitri a teatro a vedere qualche esibizione della compagnia di moderno. In quel momento Gaia era così sensuale e perfetta che Pavel fece fatica a imbrigliare i pensieri che di colpo gli turbinavano nel cervello. Erano bastate poche note a farlo vacillare. Ecco, era decisamente fottuto: tutti i suoi propositi di rendere la vita di quella ragazza un inferno, erano già svaniti in fumo.
Senza rivolgersi ad uno dei due in particolare disse solo “chiama Katrina” e si avviò verso la sala, mentre Gaia rispondeva al telefono che stava creando interferenza con lo stereo.

[in italiano]
“Ele alla buon’ora”

“Sei già in palestra?”
“Lo sai come sono fatta. Piuttosto, una volta per tutte, mi dici perché hai deciso che non ci fosse nessuna ballerina più adatta di me?”

Attratta da una macchia di nero che faceva a pugni col suo campo visivo parziale – in quel momento stava guardandosi le punte dei piedi già fasciate – chiuse in fretta la conversazione con la cugina.

[in inglese]
“Ciao.”
“Ciao, sei in anticipo”
“Anche tu.”

L’orologio sopra la porta indicava le 6.15.
Gaia gli rivolse un sorriso timido; Pavel aveva uno sguardo indecifrabile.

“Spero non ti dispiaccia se ho già fatto il riscaldamento”
“Direi che quello che ho visto finora mi è sembrato appena sufficiente. Da quanto non usi le punte?”
“5 anni.”
Era imbarazzata; sapeva che per uno come lui doveva essere come aver bestemmiato in chiesa.
“Suderai sangue con me”
E non lo diceva così per dire. Di certo però non lo disse come avrebbe fatto appena il giorno addietro; non c’era traccia di ironia o spocchiosità. Sembrava quasi triste.
“Ne sono consapevole”
“Meglio così. Ora ti lascio a Katrina. Poi faremo una prova su qualche presa”.


Come richiamata da un segnale silenzioso, entrò Katrina, una mora alta un metro e ottanta, che comunque accanto al metro e novanta di Pavel sembrava una fatina, con un tutore al ginocchio destro ed uno alla spalla sinistra. Dai video che aveva visto durante la notte, Gaia si ricordò del viso perfetto di quella ragazza. Doveva esser la partner abituale di Pavel. I due erano così affiatati che bastava si guardassero negli occhi per comunicare.
Si divisero l’ampio spazio in due metà e cominciarono ad allenarsi assieme, ciascuno per la propria parte, Pavel con un lungo ed estenuante riscaldamento alla sbarra e Gaia ad imparare i primi passi della sconosciuta coreografia.
Poco prima di pranzo Katrina li fece avvicinare.
“ok, provate con la prima presa” Era un duro impatto, ma se non acquistavano la reciproca fiducia non avrebbero mai potuto portare a termine il pezzo, in quei tempi così stretti.
Gaia chiese dove doveva posizionarsi. Poi Katrina fece partire la musica e Pavel prese la rincorsa. Successe tutto in una frazione di attimi. Ma la presa, anche se non perfettamente, riuscì al primo tentativo.
“Bene, di nuovo” Forse potevano farcela a farla diventare un cigno.

Gli allenamenti ripresero a ritmi serrati anche nel pomeriggio. Alla sera i tre ballerini si salutarono e ognuno tornò alle proprie case, Pavel sempre sotto braccio a Dimitri. Continuò così per tutta la prima settimana. Poi Katrina decise che era ora di farle indossare le punte e, per i successivi 7 giorni, ogni sera Gaia si medicò le ferite. Non c’era tregua, non una sosta. Il tempo stringeva.
La terza settimana Katrina li abbandonò per tornare alle sue sedute intensive di fisioterapia, ormai Gaia era quasi padrona della coreografia e Pavel poteva gestirsela da solo. Dovevano solo provare i passi allo sfinimento per essere due macchine perfette.
Sudati e sfiniti, dopo l’ennesima intensa giornata di prove, i due ragazzi si guardarono negli occhi e assentirono. L’unico momento in cui non stavano assieme era la notte e la vicinanza aveva portato anche per loro due, la capacità di capirsi al volo. Gaia fece partire la musica e ripeterono per l’ultima volta la presa più difficile. Pavel la rimise a terra come se avesse tenuto in aria, per 10 secondi buoni, una piuma e Gaia gli strinse la mano con fare scherzoso.
“Complimenti Pav”
Gli mostrò la lingua e si girò per correre agli spogliatoi. L’ultimo ad arrivare avrebbe pagato la pizza quella sera.
Gaia sperava di batterlo sul tempo, avendo quel minimo vantaggio, ma il ragazzo più prestante di lei, la superò con due falcate, le diede una leggera pacca sul fondoschiena e si fermò proprio all’ingresso degli spogliatoi, occupando tutto il lume della porta. Gaia non riuscì a fermarsi e gli piombò addosso con i suoi 52 kg di peso. Alzò lo sguardo, cercando i suoi occhi per scusarsi, e lo vide ridere.

[in italiano]
“Sai Pav, è una fortuna che non ti piacciano le ragazze; in quel caso sarebbe tutto più difficile”

Il ragazzo sollevò un sopracciglio e le chiese di ripetere ciò che aveva detto in inglese.
“Pav, penso proprio che tu sia un ballerino formidabile”
“Questo non cambia le cose signorina, stasera paghi pegno”.


A Gaia non piacevano gli spogliatoi in comune, non voleva ricevere sguardi e attenzioni da nessuno; eppure in quei giorni qualcosa era cambiato e l’unica persona da cui avrebbe voluto ricevere qualcosa era lì vicino a lei e non era minimamente interessata alla sua persona.
Tolte le punte non riuscì a trattenere un gemito. Nonostante tutte le precauzioni, le medicazioni e le attenzioni, faceva un male cane.
“Fa’ vedere”
Pavel la fece sedere sulla panca, poi si mise a cavalcioni e le prese le gambe, fino ad avere i piedi di lei sulle sue cosce. Guardò le ferite, poi prese dalla borsa l’acqua borica, il cotone, la pomata e cominciò a massaggiarle i piedi. Gaia non trattenne le lacrime. Faceva male e le mani di Pavel, per quanto delicate non riuscivano a lenire il tormento alle sue dita. In quel momento avrebbe preferito farsele amputare.
“Grazie”
Quell’inaspettata intimità la fece tremare. L’imbarazzo momentaneo di Gaia, che già pensava a come ristabilire le dovute distanze, fu spezzato da Pavel, che inaspettatamente declinò l’invito a cena, adducendo la scusa che Dimitri era passato a prenderlo. E Gaia tornò a casa da sola. In alcuni momenti invidiava il rapporto che c’era tra i due atleti. Alcuni giorni, più di altri, cominciava a pesarle il fatto di non avere un compagno ad aspettarla a casa.
Provò a chiamare Eleonora, ma la cugina, a quanto pareva, era già impegnata in un’altra conversazione.

[Eleonora in Italiano, Pavel in inglese]
“che mi racconti allora? Come vi sentite ad una settimana dall’evento?”
“c’è ancora da lavorare, ma devo ammettere che Gaia è una brava partner.”
“solo brava?! Non devi dirmi altro?!”
“che dovrei dirti?! Ok, hai ragione, si impegna sempre al massimo e con passione e mi dispiace che non abbia deciso di continuare col classico”

All’altro capo del telefono Eleonora alzò gli occhi al cielo e si massaggiò il pancione.
“Sai Pav dovresti essere sincero con Dimitri, lo stai prendendo in giro.”
“Ele, sono stato abbastanza chiaro con lui, sa che non potrò mai dargli quello che vuole.”
“Allora perché non ti decidi a dare una smentita?”
“Perché mi va bene così”
“Non so perché, ma non ti credo.”

I due si salutarono poco dopo.
Inesorabilmente arrivò la fatidica serata. Gaia era agitatissima e continuava a guardare Dimitri che parlava con Pavel. Quando il moro si accorse degli sguardi di lei, lasciò libero il primo ballerino che subito le andò incontro.

[in italiano]
“oddio Pavel, non sai quanto avrei bisogno di un Dimitri in questo momento”
non si era accorta di avergli parlato in italiano.

[in inglese ]
“Non hai invitato il tuo ragazzo? Un parente? In sala, comunque, c’è tua cugina”
“Lasciamo perdere Pavel. In questo momento avrei bisogno di un abbraccio. Me la sto facendo sotto. E se sbaglio tutto?”

Gaia era veramente agitata. E Pavel era stupito dal fatto che avesse ammesso di non esser legata a nessuno. Istintivamente l’abbracciò e le diede un bacio sui capelli, raccolti in uno stretto chignon.

[in italiano]
“Grazie, questo è molto più di quanto mi aspettassi da te.”

Il ragazzo alzò un sopracciglio, di nuovo aveva parlato in italiano.

[in inglese]
“Non capisco”
“Meglio così credimi; è meglio per la mia autostima”

A quel punto Pavel la osservò in ogni minimo dettaglio. Non era più nervosa; sembrava triste e combattuta.
“Vuoi dirmi cosa c’è che non va?”
“Credo che ci riuscirei solo in italiano”
“Va bene, magari ti aiuta a pensare meglio”

Gaia prese un profondo respiro e poi lo disse di getto.
“Sto cercando, con tutte le mie forze, di trovarti qualche difetto e non ci riesco, sto cercando disperatamente di non vederti, di non sentire le tue mani su di me. Sto impazzendo Pavel, sono giorni che vorrei che tu mi vedessi come una ragazza normale. Mi sono innamorata di te e non so come uscirne. Capisci?”
Pavel parve ascoltarla attentamente, poi la prese per mano; dovevano entrare in scena. Ballarono al meglio delle loro possibilità. Ci furono scrosci interminabili di applausi. Dovevano fare solo quella coreografia e quando il sipario si rialzò, lasciando che le luci in sala li accecassero, il primo ballerino si chinò fino all’orecchio della sua temporanea prima ballerina sussurrandole, in un italiano un po’ stentato, tre parole che la sconvolsero:
“Non sono gay”
E Gaia scomparve. Nessuno si accorse che non si trattava di una temporanea assenza, finché la direzione, cercandola dappertutto, non avvisò Pavel che la sua partner non si trovava da nessuna parte.
In quel mese, lavorando più di 12 ore al giorno assieme, Pavel aveva imparato a conoscerla bene. Sapeva quindi dove andare ed infatti, la trovò oltre quegli stessi specchi, attraverso i quali aveva capito che in fondo quella ragazza di vent’anni non gli era del tutto indifferente.
Pavel ci aveva messo tre settimane e 4 giorni a capire perché Eleonora avesse mandato lei e non una delle colleghe che già conosceva e, con le quali aveva già lavorato, almeno una volta nella sua carriera. Ma in tutto quel tempo non aveva capito che l’étoile l’aveva fatto anche per un altro motivo. Il ragazzo credeva infatti che Gaia fosse irraggiungibile e non che fosse sola, come lui.
In quel momento la vide danzare la loro musica, stravolgendo la coreografia che avevano appena eseguito e spogliandola di ogni classicismo. Era di una sensualità incredibile, nonostante il trucco sbavato da sudore e lacrime e non perché fosse quasi nuda. Gaia piangeva, ballando, sulle note di una musica straziante che gli stava scuotendo il cuore.
La raggiunse in sala e la strinse piano, facendola girare e chiedendole il premesso, con gli occhi, di poter ballare con lei.
Lei non lo negò, ma comunque si fermò.

[in inglese]
“Che ci fai qui?”
“Ti stanno cercando”
“Ho sentito il bisogno di andarmene”
“è per quello che ti ho detto?”
“Vuoi la versione ufficiale?”
“Vorrei la verità”
“e cosa cambierebbe?”

[in italianoon accento russo molto marcato]
“Molto, visto che mi sono innamorato di te”

Gaia puntò i suoi occhi color nocciola negli occhi ghiaccio di lui.

[in inglese]
“Non ho bisogno della pietà di nessuno
- poi ripensò alle parole di Pavel - tu parli italiano?!”
“Un po’. Lo capisco ma lo parlo poco, per lo più con Ele”
Gaia si sentì allora tradita ed umiliata. Quanti dei suoi discorsi aveva capito? Quante risate dovevano essersi fatti lui e Dimitri alle sue spalle.
“Vorrei che te ne andassi”
“Non posso.”
“Vattene Pavel. Voglio stare da sola”

Il ragazzo le prese delicatamente il mento, fino a sollevarle il capo e ad incontrare gli occhi di lei ancora umidi
“Hai capito quello che ti ho detto prima?”
Gaia sostenne a malapena quegli occhi, così vivi e furiosi
“Lo dici solo perché ti faccio pena. Ma domani, quando sarò andata via, tornerai da Dimitri o da qualche altro tuo amico”
“Forse non sono stato abbastanza chiaro”
e si chinò sulla sua bocca, senza chiederle il permesso, aspettando che lei si decidesse a farlo entrare. Gaia, presa alla sprovvista, pensò che tanto valeva approfittare di quell’unica occasione che avrebbe avuto e si lasciò esplorare ed esplorò, a sua volta, quella bocca che tanto aveva desiderato, negli ultimi giorni.
Pavel credeva di aver convinto la ragazza, ma al termine di quel bacio appassionato non la vide sorridere.
“Perché sei triste?”
“Perché vorrei baciarti ancora, ma è meglio di no”

Come poteva non accorgersi dell’effetto che gli faceva? Come poteva dubitare ancora delle sue intenzioni? L’unica cosa che venne in mente al giovane primo ballerino, fu quella di farle capire i propri sentimenti, usando il corpo.
“Gaia vorresti ballare ancora con me, ora?”
Tanto valeva concedersi anche l’ultimo ballo.
“Ad una condizione però, che non debba usare le punte”
“Non chiedo di meglio”

Per la prima volta non seguirono una coreografia prestabilita; Pavel la lasciò danzare, tenendosi in disparte, seppur seguendola e muovendosi di tanto in tanto a ritmo con lei, verso la fine lei gli corse incontro per esser presa al volo e le sue mani salde si ancorarono ai fianchi di lei. La depositò con leggerezza, ma tenendola schiacciata al suo petto finché lei non si accorse del fatto che il ragazzo non fosse solo accaldato a causa del ballo.
“Ora lo senti? - Gaia lo guardò con un imbarazzato calore che le imporporava le guance - Credevo che non ci fosse posto per me nel tuo cuore. E credevo, fino ad un mese fa, di non esser pronto ad accettare il fatto che potesse esistere qualcuno che sopportasse il fatto che giro per il mondo, che non ho una casa fissa e che spesso dedico più tempo alla danza che alle persone. Poi Ele ti ha mandata da me e all’inizio è stato facile. La copertura di Dimitri mi aiutava ad evitarti al di fuori della palestra. Ma poi siamo diventati amici e da lì il passo è stato breve. Non l’ho potuto evitare.”
“Pav…”
Gaia non trovava le parole per non sembrare stupida o affrettata, ma lo desiderava così tanto da sentirsi incompleta e vuota senza. Un vuoto che doveva colmare in quell’istante. Così gli allacciò le braccia al collo. Ormai erano entrati così in sintonia che lui si muoveva in risposta, come richiamato da muti segnali.
Avvinghiatasi con le gambe ai suoi fianchi, Gaia cominciò a muoversi lentamente facendo premere la sua erezione tra la sue cosce. Pavel non riuscì a contenere un gemito di piacere. Le loro bocche si scontrarono di nuovo fino a che i loro sensi si annebbiarono. Dopo un tempo indefinito, Pavel si ritrovò ad accarezzare la schiena nuda di lei, posata sul suo petto. Come erano arrivati su quella panca? Si ricordava a sprazzi di come l’aveva presa con passione su ogni superficie di quello spogliatoio.
“Gaia”
“mhhhh??”
“credo che non dovresti tornare in Italia.”
“mhhh?”
la ragazza stava ancora ascoltando il battito accelerato del cuore di lui
“credo che dovresti trasferirti qui. O quanto meno accettare che nei prossimi mesi sarò io a trasferirmi da te”
Non poteva credere che tutto quello stesse capitando a lei. Forse era prematuro quel discorso; lui sarebbe scappato a gambe levate.
“mmmmhhhh”

[in italiano]
“ti prego dimmi qualcosa che abbia una senso”
il cuore di Pavel era in subbuglio e lei lo auscultava attentamente.
“mi piace conversare con te, così. Sto imparando molte cose - Pavel la scostò leggermente per guardarla negli occhi – se ti dico una cosa mi prometti che sarai sincero e mi concederai un piacere?”
Qualsiasi cosa gli avesse chiesto glielo avrebbe dato, purchè non fosse sparita dalla sua vita.
“ok”
“Ti amo” E Pavel non resistette e la strinse più forte, premendo sul suo bacino e facendole sentire quanto ancora la desiderasse, ma Gaia gli fece capire che non era ancora il momento di amarsi di nuovo e posò nuovamente il capo sul suo immenso torace. Il cuore di Pavel martellava furioso, come un’altra parte di lui, che in qualche modo l’autocontrollo di ferro del ragazzo, era riuscito a tenere a bada in quelle ultime settimane.

[in inglese]
“cosa volevi sapere?”
“perché Dimitri?”

Pavel ripensò a come era nata la necessità di difendersi dalle possibili delusioni di cuore; pensò a Katrina, alle numerose, Victoria, Angelique, Naia, che aveva conosciuto e che con lui volevano solo primeggiare. Pensò alle fan che volevano strappargli i vestiti di dosso dopo ogni spettacolo. Alla scappatoia che aveva preso, nel vedere che Pavlov e Dimitri ed altre coppie di amici potevano continuare la propria vita senza particolari problemi. Così alla rottura tra il fratello e Dimitri era subentrato lui. La stampa ci era andata a nozze, Dimitri aveva trovato un aiuto per uscire da un periodo di depressione e lui aveva chiuso con la competizione femminile.
Gaia lo ascoltava in silenzio e sorrise quando alla fine lui le sussurrò nuovamente la sua speranza nell’averla ancora lì l’indomani. Tornò a posare l’orecchio sul quel perfetto torace; il cuore di Pavel era in attesa di una risposta.
“cosa dirà Katrina?”
“se ne farà una ragione
- Pavel cominciava ad intuire che Gaia fosse spaventata da quella novità – la direzione voleva parlarti, è per questo che mi hanno mandato a cercarti. So che vogliono proporti di entrare nella compagnia di moderno”
Gaia lo guardò incredula, per la sua carriera sarebbe stata la svolta che sognava da quando era piccola.
“Pav, ho bisogno di sentirtelo dire ancora una volta, in tutte le lingue che conosci”
“Sono innamorato di te”
Ora potevano riprendere a consumare ogni superficie disponibile, incapaci di trattenere oltre la passione
“e mi insegnerai il russo?”
La fantasia di Pavel ormai viaggiava in là di anni; vedeva chiaramente lui e Gaia per mano, lei che aspettava il loro quarto figlio e che faceva la spesa con sua madre, conversando amabilmente.
“se domani sopravvivrai all’ira di Katrina penseremo anche a quello; ma ora lascia che io possa recuperare ogni secondo in cui ho dovuto starti distante”.
 

 
 
[1] Il cognome si riferisce ad Oleg, autore del cartone animato Masha e Orso, che in famiglia adoriamo : )
[2] Non me ne voglia quell’Eleonora famosa che ho citato. Non la conosco e non ne conosco parenti e amici. È solo un prestanome che mi ha evitato di allungare la storia con spiegazioni lunghe e descrizioni noiose. ; )

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Capitolo 6
*** Dedicato a te ***


Note: diciamo solo che gli amori di Julia prendono spunto dalla vita reale e che disseminati in qua e in là ci sono altri dettagli autobiografici. Mi sono divertita a lanciare questi strani “coriandoli di vissuto” e devo dire che mi è piaciuto raccontarmi tra le righe, di solito non lo faccio e scrivo di personaggi che non hanno legami col mio passato o il mio modo di essere.
 
6. Dedicato a te

Credo nel destino e credo quindi che le coincidenze siano dei segnali che ci dovrebbero mettere sull’attenti, che qualcosa sta per cambiare la nostra vita. Con questo non dico che una debba concedersi al primo tizio che passa solo perché gli piace la sua stessa tonalità di blu, ma quando incontri per tre volte lo stesso tizio in tre posti diversi, in una metropoli come questa, forse è meglio ‘prender provvedimenti’.
Questa filosofia spicciola sul destino mi accompagna da quando a quindici anni ho avuto la mia prima delusione d’amore. Ero così contenta di aver dato il mio primo bacio, nonostante entrambi avessimo la bocca appiccicosa perché avevamo appena mangiato una fetta d’anguria dolcissima (la più dolce anguria di tutta la mia vita) e dal fatto che poco dopo mi avesse mandato una cartolina dalla Russia (da quel momento Dalla Russia con amore è diventato il mio film preferito, anche se detesto James Bond), che mi sono schiantata di fronte alla realtà, che a quindici anni non è possibile trovare l’amore della tua vita, visto che 15 giorni dopo il primo bacio lui mi disse: “mi dispiace, ma tendo ad innamorarmi facilmente, è meglio che non ti faccia soffrire”.       
Peggio però capitò pochi mesi fa, quando il mio Principe Azzurro (in realtà era pieno di difetti, ma io lo amavo così tanto da lasciarmi inzerbinare sempre più di frequente) dopo averlo pure supplicato di mollarmi, perché avevo intuito che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di farlo, mi disse “la mia testa mi dice che dovrei stare con te, ma il cuore no”.   
Dopo due mesi passati tra dispnee, aritmie e travasi di bile, ho metabolizzato il tutto e sono giunta al punto che nemmeno sette anni d’amore erano sufficienti per assicurarmi di avere trovato il famoso ‘eterno amore’. Ma le delusioni non mi hanno mai fatto dubitare del fatto che da qualche parte nel mondo c’è qualcuno che non aspetta altro che trovarmi. Non lo immagino sospirante ad un balcone, ma piuttosto intento a vivere la sua vita incompleta. Forse ora sta andando semplicemente a lavorare, proprio come me.
Solo che cercarlo non servirà a farmelo trovare prima, io non credo al ‘chi cerca trova’, penso piuttosto che ‘più lo cerchi e meno arriva’, ecco perché mi sono rifiutata di andare agli speed date che mi proponevano le mie amiche. Il mio ‘ + 1’ da invitare ad un matrimonio potrebbe essere ovunque, ecco perché sto attenta, pronta a cogliere eventuali segnali.    
Non serve sapere altro se non che ho venticinque anni, sono single e sono pronta per innamorarmi di nuovo. Tra l’altro è estate e i miei ormoni sono tutti in bikini, pronti a farsi baciare dal sole; forse è per questo che, incrociando gli occhi di uno sconosciuto il mio ipotalamo ha sciolto le briglie proponendomi scenari degni dei romanzetti rosa che leggo avidamente, ahimè non soltanto sotto l’ombrellone. Ah, non che sia rilevante, ma se ve lo state chiedendo il mio nome è Julia.
 
Ricordo benissimo quel giorno e non perché fosse appena l’altro ieri. Era un giorno come tanti altri e stavo tornando a casa dopo aver fatto visita a mia nonna, un’arzilla vedova di novant’anni che però ha deciso di trasferirsi in una casa per anziani, concedendosi il lusso di conoscere ben quattro pretendenti tra i settanta e i novanta che le regalano ogni giorno mazzolini di fiori e scatole di cioccolatini (quasi quasi la supplico di prendermi come coinquilina!).              
Era un giorno come tanti altri, ma l’unico in cui per pochi secondi persi la metro. Nel vedere l’ultimo vagone sfrecciarmi ad un palmo dal naso (si fa per dire) incrociai un paio occhi grigi, o meglio io lo vidi, mentre lui aveva lo sguardo perso nel vuoto. In quel preciso momento mi trovai risucchiata dentro una specie di sliding doors dove, da perfetta eroina riuscivo a saltare nel vuoto senza sfracellarmi, per poi forzare il portellone del vagone ed entrare senza che nessuno mi scambiasse per una pazza; avanzavo come la principessa più figa nel mio vestito, che nel frattempo era passato da un semplice paio di short in jeans e camicetta in sangallo ad un sofisticato abito di Missoni in seta ed una inspiegabile (anche per Piero Angela) brezza che mi faceva svolazzare i lunghissimi capelli, anch’essi trasformati dalla mia fantasia, fino a trovare il posto dove sedeva lo sconosciuto dagli occhi grigi, che percependo subito la mia presenza e sfoderando un sorriso smagliante mi faceva squagliare con un “ehi splendida, ti stavo aspettando”.
Confesso che per i due giorni successivi sono uscita qualche minuto prima del solito dalla stanza di nonna ed ho aspettato e volontariamente perso la metro per vedere se lui fosse ancora su quel vagone; ho assecondato la mia momentanea follia perdendo anche la metro successiva per scrupolo, ma niente. Che si diceva prima?! Esatto, se lo cerchi non arriva…   
Anche volendo però non potrei comunque dimenticarmi di lui, perché oggi ho rivisto quegli stessi occhi grigi e non in un vagone della metro.     
Lo cercavo alla metro e invece sono letteralmente congelata sul posto quando ho visto i suoi occhi incrociare di sfuggita i miei mentre attraversavamo la strada sulle stesse strisce pedonali. Ho distolto subito lo sguardo, ma avrei voluto assecondare il mio cervello che già elaborava uno scenario idilliaco dove le nostre spalle si sfioravano, facendomi perdere l’equilibrio precario sulle mie zeppe, mentre la sua stretta forte, ma allo stesso tempo delicata, mi salvava da una caduta rovinosa sull’asfalto bollente.
E invece per la seconda volta l’ho visto passarmi accanto, senza avere la possibilità o la sfacciataggine di fermarlo.

§§§

“Mi spieghi perché siamo qui davanti al terzo drink a parlare di uno sconosciuto quando hai Lele che ti sbava dietro da anni?”             
Un’altra cosa che mi rende diversa dalle protagoniste dei romanzi e delle commedie rosa americane è che la mia migliore amica non è mia madre, non è mia sorella (perché sono figlia unica) e nemmeno uno strafigo gay. La mia migliore amica, quella che sta aspettando da me una risposta alla sua domanda, ha 45 anni ed è sposata, ha due figli maggiorenni ed è la madrina di battesimo del mio ex, ma è la persona più simile a me che abbia mai conosciuto, nonostante i venti anni che ci dividono sulla Carta d’Identità.                

“Forse perché Lele non mi attizza è una valida giustificazione?”
“Potresti uscirci assieme e dargli almeno una possibilità; magari al di fuori del contesto lavorativo scopri che ti piace” invece ho come l’impressione che lo farei soltanto illudere e ubriacarmi per riuscire a baciarlo e poi pentirmene farebbe male ad entrambi.
“Roby, questo è fuori discussione.”
“Allora appendi un cartello con scritto WANTED in giro per la città come ne Il magico mondo di Amelie e vedi se ‘ occhi grigi’ ti risponde” qui il mio cervello si attiva frenetico, ma lo spengo forzatamente, sarebbe troppo patetico, o forse no?!
“Ci penso, promesso.”
“Bene, fammi sapere come va” e mi lascia così, davanti al quarto bicchiere (questa volta di acqua e menta) per tornarsene dalla sua bellissima famiglia. A me invece non resta che far due passi, cercando di vedere una stella cadente in mezzo a tutto questo inquinamento luminoso e poi seppellire nell’oblio di una sana dormita quegli occhi grigi. Ovviamente il mio cervello non vedeva l’ora che la mia coscienza si assopisse per alimentare la malsana idea di Roby. Così dopo una notte tormentata mi preparo a fare una cosa che mai avrei pensato di poter concepire.
Un’altra cosa che non posso assolutamente fare a meno di dire è che amo la musica; ho un debole per grammofono e quarantacinque giri, ma per comodità mi accontento di ascoltare la radio, (purché sia solo la mia radio preferita).         
Oggi in particolare attendo con impazienza che ripetano il numero per le dediche. Lo digito velocemente e premo invio. Cavolo non posso credere di averlo fatto davvero, ho inviato ai miei miti un messaggio e non so nemmeno se lo prenderanno in considerazione.

§§§

24 ore su 24, i deejay e collaboratori i vari si ‘passavano il microfono’ dalle diverse postazioni per tener compagnia a radioascoltatori di tutte le età. Il clima era così cordiale e genuino da far pensare che più che uno studio si trattasse di uno studentato; dove anche gli speaker cinquantenni mantenevano una vocalità da giovanotti era facile identificarsi e Julia adorava quell’emittente: ne scaricava i podcast, ascoltava almeno quattro trasmissioni al giorno e a volte cercava qualche video dei suoi beniamini anche su youtube. Non era una fanatica, ma conosceva i volti di tutti e un suo sogno nel cassetto era quello di conoscere Cuoricina che allietava la sua giornata dalle 6.30 alle 8.00 del mattino, leggendo le dediche degli ascoltatori.
 
“Oggi paste per tutti raga, da domani saranno cazzacci vostri, io me ne starò spaparanzata sul divano in attesa di scodellare il mio secondo moccioso”. Paola, più conosciuta con lo pseudonimo di Cuoricina, non si faceva mettere i piedi in testa dagli uomini che la circondavano. Per sopravvivere al testosterone dilagante nello studio, essendo la pioniera del gentil sesso in quella radio, aveva adottato delle contromisure che la facevano assomigliare molto ad uno scaricatore di porto, tatuaggi compresi, ma in fondo in fondo, forse ancora un po’ più in fondo, conservava un animo romantico.
“Beh goditela perché tra cinque mesi sarai di nuovo qui” a Gee Jay, al secolo Giacomo Iannetti, piaceva ricordare alla sua partner in radio, nonché compagna di vita, che la pacchia sarebbe finita presto. Da tempo avevano vagliato le possibili soluzioni e sostituzioni ed erano giunti alla conclusione che il programma sarebbe proseguito anche senza lei, mantenendo così inalterato il palinsesto, sperando che gli ascoltatori apprezzassero gli sforzi di rimpiazzare, seppur temporaneamente, la loro adorata Cuoricina con altri validi elementi emergenti.
“Senti stronzo, non ricordarmi che quando tornerò avrò gli occhi pesti e sbaglierò a leggere perché starò crollando dal sonno. Dovresti pagarmi il doppio per avermi ingravidata a quarantatré anni. Non potevi andare in andropausa anticipata?” l’uomo le cinse le spalle e le baciò la folta massa di capelli ossigenati.
“Dai leggi questo” e puntò il dito a casaccio sulla lista di messaggi che le avevano stampato dalla redazione.
Al segnale concordato del “in onda raga” Paola maledisse mentalmente il suo Gee Jay, che le aveva soffiato dietro l’orecchio facendole il solletico e cercò di restare seria per rivolgersi al suo pubblico.
“Buongiorno cuoricine e cuoricini all’ascolto, c’è tanto amore nell’aria torrida di Milano oggi. Abbiamo una prima dedica per Loris da parte di Chicca che gli dice ‘ben svegliato cucciolo, ti amo tanto, tra qualche mese saremo in tre’. Auguri ragazzi, continuate a ripopolare il mondo di tanti altri cuoricini, mi raccomando” e fece segno a Maurizio di far partire il brano richiesto.
Paola scorse in velocità le stampe in cerca di qualcosa che le ispirasse qualcuna delle battute sagaci che la contraddistinguevano dalle speaker delle radio concorrenti, visto che il messaggio di prima le aveva fatto venire un conato di vomito da quanto era zuccheroso. Purtroppo i tre minuti e mezzo di canzone stavano già per finire e lei non riusciva a trovare nulla di particolare tra un ‘ciao occhi grigi, spero di rivederti oggi’ o un ‘smettila di farti le pugnette Dennis’ o ancora un ‘mi dedico una canzone perché, alla faccia vostra ora vado in ferie’, così optò per un ‘ai nostri deejay concorrenti, un saluto dalla redazione di Radio Amamidipiù’.
Julia controllò per tutto il tempo del tragitto casa-lavoro l’orologio della sua auto. Quando però partì lo stacchetto musicale che anticipava l’inizio di un’altra trasmissione spense la radio e pensò che l’aver deciso di dar ascolto a Roby era stata l’idea più stupida della sua vita. Poi si avviò verso la piazza imitando sottovoce la sua speaker preferita ‘ed ora cuoricine e cuoricini il messaggio della nostra amica anonima per un misterioso uomo dagli occhi grigi: ovunque tu sia, buongiorno, spero di rivederti oggi’ e si mise a canticchiare la canzone che avrebbe voluto dedicargli.
Perché tra tutti i messaggi avrebbe dovuto leggere proprio il mio? E posto che l’avesse letto chi mi dice che ‘occhi grigi’ ascoltasse la trasmissione? Potrebbe esser sordo, non avere la radio, o semplicemente essere a letto con la sua fidanzata. Semplicemente non era destino ed io sono una stupida sentimentale.
Quado poco fa, scendendo dalla macchina, ho scritto a Roby quello che ho fatto e ciò che ovviamente non è successo, si è complimentata con me per l’iniziativa e mi ha risposto che, se non altro, avevo fatto un tentativo.

§§§

Mentre Julia avanzava nell’open space della redazione che le aveva appena rinnovato il contratto per altri due anni, dall’altra parte della città un tizio di nome Simone buttava nel trita documenti le stampe che non servivano più a Cuoricina. Non era un impiegato della redazione e detestava avere un microfono in mano, ma adorava lavorare in radio e di questo doveva ringraziare principalmente suo cognato Gee Jay. Si badi bene che il ragazzo non era il classico raccomandato, ma sapeva benissimo che se non fosse stato per la buona parola del cognato sarebbe rimasto un umile ‘scopino’ per molto più tempo. Invece dal suo arrivo in radio, in pochi mesi, aveva dimostrato a tutti di essere professionale e bravo, tanto da coprir più ruoli; a volte faceva da assistente, altre scriveva battute, altre ancora sfruttava il suo recente passato di deejay alle feste studentesche ed eventi privati, per supplire alle incontinenze dei colleghi che nei momenti più impensati dovevano correre al gabinetto o durante le loro improrogabili pause sigarette a metà diretta. Quello che più gli dava soddisfazione era però parlare con i colleghi e ideare nuovi programmi da mandare in onda.        
Tra tutti, il programma della sua sorellastra era uno di quelli che capiva di meno, non che lei non fosse brava, anzi, è che non capiva proprio la necessità di far sapere al mondo che qualcuno stava pensando a qualcun’altro. Sopportava i social network solo per esigenze di lavoro, anche se gli piaceva  il grado di interazione che consentivano di creare con gli ascoltatori. Sfortunatamente Gee Jay e Paola avevano avuto da ridire su questo suo modo di pensare e quindi ora si trovava nella spinosa situazione di dover assecondare il volere dei suoi ‘superiori’, che lo avrebbero costretto a trovare un’utilità in quel programma, non solo occupandosi di cestinare le liste di messaggi, ma soprattutto affiancando Bianca, la sostituta di Cuoricina, passandole qualche battuta in tempo reale, tra una canzone e l’altra. Purtroppo gli altri colleghi erano tutti impegnati tra dirette dai parchi acquatici, serate in discoteca ed i rispettivi programmi radiofonici ed era giunto il momento di “introdurre in società” alcune nuove leve. E Bianca era una delle più promettenti. Aveva una voce suadente ed era spigliata, anche se troppo giovane e acerba per quel tipo di esperienza. Aveva buoni spunti, ma le mancava la battuta facile, cosa che invece non mancava a Simone. Peccato che lui ritenesse di avere una voce da corvo e continuasse a rifiutarsi di prendere in mano un microfono.           
Il primo scoglio che l’indomani Bianca avrebbe dovuto affrontare era quello di informare gli ignari ascoltatori che Cuoricina sarebbe presto diventata madre e che lei aveva l’arduo compito di sostituirla, seppur temporaneamente.
 
È passato un giorno da quando ho spedito il messaggio con la mia dedica e sto di nuovo percorrendo la strada verso la redazione. Come molte altre persone ho anch’io i miei rituali e quando il meccanismo si inceppa può voler soltanto dire che la giornata andrà sicuramente di merda. È quello che penso quando accendo la radio e sento la voce di un’estranea. Ma dove diavolo è Cuoricina?
La puntata è iniziata da almeno dieci minuti e in 1 ora e venti, il tempo che mi serve per spostarmi da casa a lavoro, devo capire il perché di questo inaspettato ‘ammutinamento’. E non chiedetemi perché abbia accettato un lavoro lontano da casa o perché ancora non prenda un appartamento più vicino all’ufficio. Risparmiatemi le ovvietà. Siete proprio così curiosi?! E va bene, la redazione per cui lavoro ha due sedi e per ora sto coprendo un posto in quella nei pressi di Como, è una situazione temporanea e non mi posso permettere di pagare il mutuo e un affitto. Coi mezzi pubblici impiegherei più di due ore ad arrivarci e visto che ho un auto a metano, questa era la soluzione migliore. In più non lavoro sempre in ufficio quindi, per ora, va bene così.
Ma torniamo a quella che sarà di sicuro una giornata di merda. Chi è questa tizia che sta parlando? Tra Adolfo da Catania e Mariuccia da Empoli, passando per Kekko da Camogli e Alberta da Forlì in un mix di tracce dai sound estremamente diversi tra loro, riesco a capire che, la tizia che sta parlando è una tale Bianca e che sostituisce la mia adorata Cuoricina perché OHMIODDIO sta per partorire. Lì il mio cervello attacca con un ‘e se partorisce lei a quarantatré anni tu a venticinque sei ampiamente in tempo per trovarti quanto meno un surrogato che ti metta almeno incinta’. Ma quando inizia una giornata di merda non c’è mezza mela che tenga, vedo soltanto torsoli e il mio romanticismo precipita in una iperbole discendente. I messaggi di oggi mi sembrano tutti inutili, anche se Bianca cerca di fare battute carine. In certi momenti mi sembra quasi ci riesca, in altri invece non mi sembra minimamente all’altezza di Cuoricina. Ma non potevano trovare nessun altro di meglio?!
Arrivo in ufficio con l’umore di un Giove pronto ad incenerire chiunque ostacoli il suo passaggio. Vorrei urlare ‘non guardatemi potrei rompere uno specchio soltanto col pensiero’ e solo perché la sua voce non mi ha accompagnata fin qui. Sarò pure superstiziosa, ma ahimè le mie infauste, quanto nebulose, previsioni si stanno già verificando. Il caporedattore mi ha passato una pila di articoli da revisionare, lo stagista ha rotto il fotocopiatore dimenticandosi di togliere le graffette ad una dispensa. L’aria condizionata mi ha fatto venire i crampi allo stomaco e Mr Gossip, al secolo Eugenio Genio (che fantasia eh? Un po’ come Guido Guidi e Cavalcante Cavalcanti…) si sta avvicinando alla mia scrivania.   
Mr Gossip è qui da soli tre mesi in più di me, ma si comporta come un dispotico capetto, forse perché anagraficamente ha circa dieci anni più di me. Non perde occasione per cercare di screditarmi e questo lo fa regredire a comportamenti che nemmeno bambini di dieci anni adottano più. Ma forse se faccio finta di non vederlo capirà che è meglio non provocarmi oggi.
“Ehi Julia”
“ciao Eugenio” brava scema è così che fai finta di non vederlo?
“Hai un minuto?” vorrei dirgli che per lui non ho nemmeno un secondo…
“No, scusami sono molto impegnata” il che è vero e per enfatizzare gli mostro la pila di fogli che mi ha dato il capo.
“Ok in tal caso ti lascio in pace” bastardo, lo sa che sono curiosa, soprattutto se vedo delle ‘bozze ad uso interno’ sventolare allegate a delle foto di gossip, che invece cestinerei senza nemmeno guardare.
“Va bene, ma posso concederti solo un minuto” e lui mi sommerge di informazioni, su una tizia dello spettacolo che esce con un tizio sposato che la cornifica a sua volta con una modella, che……al diavolo io odio i gossip! E sto per chiedergli di ripetere la storia e farmi capire cosa mai possa dirgli io, che di paparazzate non so nulla, quando lui mi passa la foto.
Lei la riconosco subito, perché è un volto noto dello showbiz e perché la vedo spesso in televisione, diciamo che statisticamente è impossibile non vederla almeno una volta al giorno. Sembra che guardi l’obiettivo, ma so che probabilmente il freelance assoldato dalla redazione, proprio per immortalarla, doveva essere appostato ad almeno 30 metri di distanza. Ne sto analizzando i particolari quando il mio cervello parte per le sue elucubrazioni: dove è stata scattata la foto? Era da sola? E cerco al di fuori del primo piano le mie risposte ed è lì, proprio al limite della sfocatura che lo vedo, o meglio li vedo. Appena dietro di lei, eppure talmente nitidi che sembra buchino la carta lucida. La prospettiva non mi permette di cogliere altri particolari, le sopracciglia sono parzialmente coperte dalla montatura degli occhiali da vista, non si vede la fine del naso né la bocca perché c’è la spalla della tizia che me li copre, ma accidenti quello è Occhi grigi!
Intanto Mr Gossip sta ancora parlando. Sarà pure maleducato ma è proprio ora di interromperlo!
“E’ questo il tizio che la cornifica?” cerco di non fargli capire che per me quella è l’unica informazione di vitale importanza.
“No e di certo non è uno del giro. Non so chi sia, forse un ignaro passante” e così depenno dalla mia lista in stile Indovina chi? che il mio ‘Occhi grigi’ sia un vip. Tanto meglio, non potrei mai stare con uno che lavora nel mondo dello spettacolo.
“Dove è stata scattata?”
“Ieri pomeriggio vicino a Porta Venezia, ma a te che te ne frega? Io ho bisogno di sapere se puoi agganciarla e chiederle un appuntamento per conto mio” cosa?!
“E perché mai?” per contro lui mi guarda come se fossi una povera imbecille.
“Perché la mia fama mi precede, baby e se i VIP mi vedono in giro sanno che sono in cerca di scoop” ovverosia tutti sanno che sei una merda d’uomo e che non ti fai problemi a sputtanare il tuo prossimo, vorrei dirgli, ma meglio non esternare i miei pensieri con gente come Mr Gossip.
“Mhhhhh, vorrei tanto, ma ho da fare” e gli mostro di nuovo le mie scartoffie da correggere. Però, per la prima volta nella giornata penso che non sia totalmente una giornata di merda. L’unico problema ora è che Mr Gossip si sta portando via la sua cartellina e io vorrei tanto avere la foto di Occhi grigi. Come posso fare?
In pausa pranzo decido di sfoderare le mie discutibilissime doti da seduttrice facendo gli occhi dolci allo stagista.
“Federico mi faresti un piacere?” confido sul fatto che essendo riuscito a distruggere una fotocopiatrice “smart” sia anche abbastanza stupido da non capire che non mi sto comportando in modo del tutto professionale.
“Se posso, volentieri” ecco il se posso, potremmo trasformarlo in un sì certo ad ogni costo? Ancora una volta tengo per me i miei pensieri
“Hai presente Eugenio Genio? Ora non c’è, ma mi ha chiesto di dargli una mano con un lavoro; potresti farmi una copia della cartellina celeste, che si trova sulla sua scrivania, per favore?”
“Per che ora ti serve?” magari per adesso?!
“Appena finisci di mangiare e prima che lui torni così non gli farò perdere tempo” cerco di sembrare angelica, ma in realtà un pensiero maligno mi saetta in mente….e ricordati di togliere le graffette!
Per fortuna l’impresa riesce con successo, con mio enorme sollievo Mr Gossip non sembra essersi accorto che lo stagista non ha rimesso la cartellina nell’esatta posizione in cui era. Ora Occhi grigi si trova sotto il mio tappetino del mouse e sto aspettando il momento migliore per scansionare la foto e per vedere se riesco ad ingrandire l’immagine. Ok sono malata, molto malata, tanto malata da poter entrare in terapia. Ma cavolo quella è la terza volta che mi imbatto in quegli occhi grigi!
 
§§§
“Ehi Roby ti va di vederci stasera?”        
“Non posso cara, a meno che non venga tu da noi. Ho Giangi con la febbre e sai che con tre uomini in casa non puoi star sicura nemmeno se gli lasci come unico compito quello di metter su una pasta in bianco.”
Roby mi fa ridere. No non ne ho idea, ma dai suoi racconti pare impossibile che il genere maschile riesca a fare alcunché senza una donna al proprio fianco.        
Ovviamente la sua proposta mi va bene, perché devo farle assolutamente conoscere Occhi grigi
Roby mi guarda in modo strano, ma non dice nulla.       
Alla fine il te si è trasformato in una cena e in un altro te, dopo cena. Ed è durante il secondo te che ho deciso di farle vedere la foto. Non ho avuto tempo di ritoccarla e quindi ho pensato bene di annerire la faccia dell’ignara celebrità con un indelebile nero, dopo aver passato uno strato di bianchetto sul retro del foglio. Così ho preservato la privacy dell’ignara paparazzata, anche se non ho dubbi che Roby si porterebbe il segreto nella tomba.
“Sembra carino” solo carino Roby?! Mi guarda sorniona. Malefica, vuole stanarmi.
“A me piacciono i suoi occhi; guardalo, sembra stia pensando a qualcuno che gli manca.”
“E magari quel qualcuno vorresti essere tu?” mi sento arrossire.
“No, ma non riesco a smettere di pensare che l’ho visto tre volte, non so chi sia, ma quegli occhi mi dicono un milione di cose diverse” ok sono pazza.
“Tipo?”
“Tipo che è solo, ma che comunque è in pace con se stesso, che è un tipo in gamba ed instancabile…..”
“Anche a letto?” L’ha detto sul serio?!
“Roby, ma che dici? Oh non ti si può dir nulla. Maliziosa e malpensante”. E lei ride di me! E a me non resta che ridere con lei; le strappo ‘Occhi grigi’ dalle mani e faccio finta di andarmene. Soltanto che poi guardo l’ora e mi rendo conto che con lei il tempo è volato ed è proprio ora di andare a casa!
 
“Ehi Simo, grazie per le battute, ci sono momenti in cui non saprei proprio che pesci pigliare, senza il tuo aiuto. Come fai a trovare sempre il lato buffo ed ironico delle cose?”      
Bianca era veramente grata al collega per l’aiuto, ma in due settimane di lavoro assieme non era riuscita a farlo sbottonare più di tanto. Sembrava insensibile al suo fascino eppure lei era una che faceva girare la testa a molti uomini, sia in radio che per strada.
“Di nulla è un piacere” ed era vero, gli piaceva scrivere per gli altri.
“Senti, ti andrebbe di uscire una di queste sere, giusto per conoscerci un po’ meglio?” ed ecco finalmente svelato il motivo di quella conversazione inutile. Era riuscito a far uscire allo scoperto Bianca, l’algida radiofonica che cominciava a far invaghire molti ascoltatori che avevano fatto schizzare le visualizzazioni di alcun video del loro sito alle stelle. In quei giorni aveva avuto la possibilità di osservarla bene e sì, se la sarebbe portata a letto molto volentieri. La ragazza era proprio il suo tipo, alta e flessuosa come una modella, capello scuro liscissimo, curve al posto giusto. Simpatica quanto basta. C’era solo un dettaglio, lui non era uno dal grilletto facile. Non che il suo curriculum amoroso fosse immacolato, di cazzate ne aveva combinate anche lui, ma farsi Bianca non era nei suoi programmi, anche perché piaceva al suo amico Alberto.
“Ok, ma solo come amici” meglio mettere subito in chiaro la situazione.
“Non dirmi che anche tu sei gay” perché era la prima cosa a cui tutti pensavano quando diceva di non volersi scopare nessuna?
“Non lo sono e, al momento, vorrei restare un etero felicemente single”.        
Per fortuna dopo quello scambio di battute infelici la conversazione tornò su binari più stabili, o quasi…
“Ma ti sei mai innamorato?”
“Sì e puntualmente sono stato fregato” come dimenticare l’ultima storia, finita con Sonia che gli dava il benservito dopo averlo cornificato più e più volte nientemeno che col suo patrigno?
“Quindi non credi più nell’amore?” quanto diavolo mancava prima della diretta?
“Certo, anche se non credo in molte cose legate all’amore.”
“Tipo?”
“Tipo questa trasmissione che comincia tra… tre due uno, in onda!” salvato da una spia luminosa o come si dice più spesso, salvato in corner!
Per un attimo Simone si immaginò come sarebbe stato avere una relazione con una collega. Sarebbe stato semplice capirsi e sincronizzarsi, non avrebbe dovuto temere di esser sfruttato per la sua immagine, per quanto lui non fosse uno dei volti noti, ma a casa avrebbero sempre parlato di lavoro, si sarebbero incrociati sempre per gli stessi corridoi. Forse si sarebbe stufato prima. Non escludeva comunque che un giorno sarebbe potuto succedere, mentre l’unica certezza a cui era giunto è che mai sarebbe andato con una giornalista. Ogni volta che se ne presentava una in radio non faceva che vedere donne in tailleur, tirate e truccate tanto da non far capire quali fossero i veri connotati e tutte con una cadenza lagnosa e petulante, tutte con lo stesso foglio di domande banali da rivolgere agli ospiti che lasciavano le varie dirette e pronte ad intervistare i deejay per qualche articolo riempitivo di settimanali inutili.
Puntualmente scrisse le battute per la collega, rise nei fuori onda per alcuni messaggi assurdi e continuò le sue giornate, come sempre. Fino a che non giunse la notizia.               
Simone era su di giri; era infatti nata la sua prima nipotastra, Paola aveva partorito una splendida bimba di 3,9 kg alle 10 di quella mattina e mentre Gee Jay faceva la spola tra casa e ospedale lui aveva pensato di fare una mega festa a sorpresa, per il neo papà, proprio in redazione. Sapeva infatti che sarebbe passato lì, di nuovo, verso le dieci di sera. Così dopo cena andò nel suo centro commerciale preferito, quello col banco pasticceria sempre rifornito e riempì due carrelli di stuzzichini e dolciumi vari, bibite alcoliche e in bottiglia per tutti i gusti. Era così eccitato che a malapena si accorse dei prodotti in offerta e digitò per due volte il pin del bancomat perché l’emozione glielo aveva fatto inserire sbagliato. Se si sentiva così solo per la nascita di sua nipote, cosa sarebbe successo se mai fosse diventato padre? Ma forse, più probabilmente sarebbe rimasto single a vita. A 29 anni ci era già arrivato in fondo e non sentiva la mancanza di una compagna.
La festa per dare a Letizia il benvenuto in questo pazzo mondo fu memorabile. E Simone rimase sveglio per festeggiare con tutti i colleghi. Così si ritrovò alle 6 del mattino seguente ad allungare una tazzina di caffè a Bianca, perfetta ed impeccabile nel suo trucco, mentre lui sfoggiava due occhi rossi degni di uno strafatto.
“Vediamo se riesci a connettere anche oggi zietto”. Ma Bianca sembrava essersi ambientata e per la prima volta si stava destreggiando sufficientemente bene da sola; la voce suadente poi copriva alcuni momenti un po’ zoppicanti. Così a fine trasmissione Simone era pronto per fiondarsi verso casa, peccato che Bianca sembrasse seriamente intenzionata a non mollarlo.
“Ehi Simo, lo so che stai crollando dal sonno, ma volevo fare una puntata speciale domani o dopo domani, o quando vuoi.”
“Perché?”
“Speravo che, nonostante il sonno me lo chiedessi. Vedi in questi giorni mi sono letta tutti i messaggi che non abbiamo mandato in onda. Guardandoli singolarmente non dicono nulla, ma giorno dopo giorno sentivo che c’era qualcosa che mi sfuggiva. E quindi li ho riletti e mi sono accorta che c’è un’ascoltatrice che ogni giorno dedica una canzone diversa ad un tizio che non conosce.”
“Perché domani non leggi semplicemente il suo messaggio, così si mette il cuore in pace?”
“Perché sarebbe carino farla venire qui e conoscere la sua storia e perché facendo una ricerca a ritroso ho scoperto che il primo messaggio è di due mesi fa. Ok so che pensi che mi sto integrando degnamente nel ruolo di Cuoricina2, ma tu leggi i messaggi e poi mi dici che ne pensi, ok?”
“Ok” in quel momento era meglio far credere a Bianca che avrebbe preso in considerazione la cosa. Certo che se Bianca non lo stava deliberatamente prendendo in giro ce n’era di gente strana in giro!
Dopo aver dormito dieci ore di fila decise che era giunto il momento di prendere in mano i fogli che Bianca gli aveva lasciato. Fortunatamente la ragazza aveva stampato solo i messaggi di una ‘Anonima’ qualsiasi.
Il primo messaggio era molto stringato, poi per molti giorni Anonima si era limitata soltanto a dedicargli una canzone, fino al messaggio di quella mattina: Ieri sera poco prima dell’orario di chiusura ho visto ‘Occhi grigi’ al supermercato. Mi ha quasi investita con due enormi carrelli per la spesa colmi di salatini e dolci. Non so se è il tuo compleanno, in caso auguri.”
E il foglio gli cadde di mano. Quante possibilità potevano esserci di essere proprio lui il tizio dagli occhi grigi? Corse in bagno a scrutare le sue iridi. Ma come gli era passato in mente di poter credere a una stronzata così assurda? Lui aveva gli occhi di un colore indefinito che virava tra l’azzurro e il verde salvia , a seconda dell’umore, ma grigi non li aveva mai visti. Eppure la coincidenza del supermercato gli aveva messo i brividi, anche perché la tizia aveva citato proprio quel supermercato e non uno degli altri venti presenti in zona.
Doveva assecondare Bianca o limitarsi a farle leggere il successivo messaggio di Anonima, se mai fosse arrivato?
Poi, preso da curiosità andò a vedere la lista di canzoni dedicate, alla quale non aveva minimamente prestato attenzione, sicuro di trovarvi qualche ballata di Bryan Adams o altre canzoni da diabete: fatta eccezione per la prima canzone, sembrava che Anonima fosse una donna di mezza età. Ora capiva perché i suoi messaggi venivano cestinati, senza batter ciglio, quella radio non trasmetteva Battiato, De Gregori, Equipe ’84 e Nomadi. Certo le canzoni erano belle e rappresentavano la storia della musica italiana, ma la loro emittente era orientata verso altri repertori. Avrebbe avuto più speranze se avesse perseverato nel richiedere Boys of summer.
Quindi no, non avrebbe appoggiato l’idea di Bianca. E no, non voleva sapere chi fosse quella donna, ma soprattutto no, non era lui il tizio dei messaggi.
L’indomani Bianca lo tramortì insistendo che era un’idea bellissima e che proprio lui che era così creativo doveva cogliere quell’occasione di dare ai radioascoltatori qualcosa di nuovo in assenza della loro Cuoricina. Ma Simone restò fermo sulla sua decisione.
Fatto sta che tre mattine più tardi Bianca gli mise sul tavolo la stampa di due messaggi, entrambi di Anonima e Simone capì che quella più ‘vecchia’ era un fake. Capì anche che ‘Occhi grigi’ era proprio lui perché non era possibile che si trattasse solo di un’altra coincidenza. Anonima l’aveva notato montare in bicicletta di fronte alla casa di riposo per anziani, che si trovava giusto di fronte a casa dei suoi genitori e questa volta si era presa la briga di osservarlo bene: canotta bianca e baggy scuri, sandali da frate, tatuaggio sul malleolo destro. La canzone che gli dedicava era, ancora una volta, Boys of summer cover degli Atari e chiudeva con un p.s. che recitava ‘dopo 4 volte che ti incontro mi sembra doveroso presentarmi. Ciao Occhi grigi, io sono Julia’.
Simone era completamente spiazzato. Una tale Julia, probabilmente sua concittadina? studentessa in Erasmus o turista in ferie? di età comunque indefinita, ma molto probabilmente non superiore ai trentacinque[1] anni, gli aveva dedicato la sua canzone preferita, che faceva da colonna sonora alle sua estati. Non chiedeva di incontrarlo, nonostante fosse lampante che avesse preso inspiegabilmente una cotta per lui. Ed era chiaro che non fosse una che bazzicasse molto in rete, altrimenti avrebbe visto una delle loro puntate registrate e caricate su youtube, dove si vedevano lui e Bianca sfottersi nei fuori onda. E fu in quel momento che prese La decisione.

Ripiegò il foglio che gli aveva passato la collega e glielo mise in mano.
“Bianca immagino che questo voglia dire che sei ancora dell’idea di invitarla qui” la ragazza assentì e Simone fece finta di soppesare bene la proposta della collega, giusto per tenerla ancora un po’ sulle spine, anche se in realtà quello intrappolato in un roseto di agonia in quel momento era proprio lui.

“Ok manda in onda il suo messaggio ed invitala”.
Bianca era raggiante, alzò il pollice in segno affermativo e parlò agli ascoltatori.
Erano le 7 del mattino e Julia aveva appena messo in moto, ma mollò troppo presto la frizione e l’auto si spense qualche centimetro più avanti, nel parcheggio, sfiorando la muretta di cemento.
“Cazzo l’hanno letto”.
Le mani le tremavano, ma dovette stringere il volante per ritrovare la stabilità non appena sentì l’invito di Bianca: Care cuoricine e cuoricini all’ascolto, la nostra Anonima ci ha lasciato un nome e noi siamo curiosi di farvi conoscere una storia che ha il sapore di estate. Ma non vogliamo svelarvi nulla. Quindi informiamo la nostra amica, sperando sia in ascolto, che a breve verrà contattata dalla nostra segreteria. Speriamo di averti con noi. Ed ora per il suo misterioso ‘Occhi grigi’ arriva Boys of summer, quindi scatenatevi!”

Mi tremano ancora le mani, riuscirò ad arrivare in ufficio senza seminare morti per strada? Mi serve un consiglio di Roby. Rischio sul serio un incidente cercando l’auricolare, così ci rinuncio e metto in viva voce.
“Roby, gli ho scritto di nuovo e oggi l’hanno letto!”

“Beneeeeee” perché mi sembra impacciata?

“Mi hanno invitata in radio, non so i dettagli, ma a breve mi chiameranno. Cosa devo fare?” Mi accorgo che ho parlato a mitraglietta. Dio, quando sono diventata così patetica?

“Direi che è il caso che ci vai cara”

“Ma io non voglio vederlo. Ho il terrore di incontrarlo.”

“Julia, calmati. Stai correndo troppo. Se ti chiedono di andare vacci subito così non avranno modo di rintracciare lui, nel caso mandino un appello per Occhi grigi. Anche se mi sembra una follia visto che hai preso una sbandata colossale”.

“E tale deve rimanere. E se apre bocca e mi fa cader le braccia? Peggio se risultasse essere interessante ,ma pensasse che sono un cesso?”

“Intanto che tu scleri il tuo telefono è occupato, amòr. Calamti e ci aggiorniamo dopo, quando saprai qualche dettaglio in più”.
Nel frattempo in Radio…
“L’avete trovata?” Simone non sapeva se voler conoscere Julia o meno. L’avrebbe riconosciuto lì in radio? Avrebbe dovuto vestirsi come lei diceva nel messaggio, rendendo evidente anche a Bianca ciò che aveva scoperto?

“No, ha il telefono occupato e ho bisogno di ciccare.”

“Vai ti sostituisco io”

“Sei un tesoro” e Lauretta gli scoccò un bacio sulla guancia, non sapendo che Simone sperava lei accettasse quel suo invito velato a lasciargli la postazione.
Per sua fortuna la linea risultò libera al primo tentativo.

“Pronto?”

“Salve parlo con Julia?”

“Sì sono io.”
“Bene. Ti abbiamo trovata. Eri in ascolto?”

“Certo, vi ascolto tutti i giorni, più volte al giorno, a dir la verità. Ah auguri a Gee Jay per la bimba” Simone intanto registrava ogni respiro della ragazza all’altro capo, la voce che tremava dall’emozione, il tono allegro, la risata squillante e naturale, nonostante l’apparente disagio.

“Ti andrebbe di essere ospite di Bianca in trasmissione?”

“Veramente non ne sono sicura. Mi piacerebbe un sacco, ma non voglio che facciate nessuna carrambata.” Simone rimase interdetto.

“Allora perché dedicare una canzone ad uno sconosciuto se non volevi che ti riconoscesse e si mettesse in contatto con te?” La sentì respirare un po’ in affanno, come se stesse soppesando le parole.

“Ehi, ma tu sei uno psicologo o un centralinista?” Simone rise a quella sua uscita buffa.

“Bella questa! No, sono solo curioso.”

“Beh e io non voglio dire ad uno sconosciuto dettagli della mia vita privata, a meno che non sia il mio nuovo psicanalista”. Di nuovo lo fece ridere.

“Allora lo consideriamo un no?” perché la cosa gli dispiacesse così tanto non se lo sapeva spiegare.

“Scherzi?! E quando mi ricapita di poter entrare in radio! Basta che non facciate nulla per cercarlo. Se si fa vivo lui va bene, ma altrimenti no.”

“Non dirmi che sei una di quelle che crede nel destino” quella tipa cominciava a sembrargli un po’ svalvolata.

“Certo che sei un centralinista curioso tu. Non so nemmeno il tuo nome e ti dovrei  raccontare i miei pensieri più intimi?”

“Touché. Dimmi quando ti andrebbe di passare da noi. Come credo tu sappia siamo in diretta tutti i giorni”

“Domani”. E domani sia. Simone chiuse la telefonata, lasciando Julia nella più totale confusione.
 
Quella notte Julia non dormì. E alle cinque del mattino aveva già rivoltato l’armadio cercando di decidersi su come vestirsi.
Alla fine, visto che il caldo torrido perseverava, optò per una t-shirt verde militare quasi senza maniche, e pantaloni in cotone bianco e leggerissimo, anche se lunghi e un infradito floreale. Nell’insieme sembrava quasi uno stile hip hop casual.
“Ok Julia, andiamo. Sii te stessa. Non morderanno!” e partì.
 
§§§

Simone
Lavoro qui da quattro anni e con molti colleghi ho un rapporto di amicizia, nonostante loro siano volti e voci mentre io stia dietro le quinte, per così dire. Ma ci sono cose di me che non sanno. Tipo, quanti di loro sanno che ho tatuato il mio segno zodiacale all’interno della caviglia? È così in basso che sta sotto i calzini e di solito qui vengo sempre coi pantaloni lunghi. Se ci becchiamo in qualche locale di certo non ci vado in canotta e nessuno di loro credo sappia quante sfumature possono raggiungere le mie iridi, cazzo, fino a poco tempo fa non lo sapevo nemmeno io! Stamattina mi sono guardato allo specchio e per la prima volta i miei occhi erano grigi. È successo per la prima volta mentre pensavo alla voce di quella sconosciuta, Julia, guardandomi allo specchio. Che strano.
Non voglio spaventarla, visto che sembra non voler conoscermi, ma vorrei comunque che capisse l’identità di ‘Occhi grigi’, se non altro si metterà il cuore in pace. In fondo non sono un tipo misterioso e nemmeno così affascinante, come lei sembra credere. Indosso solo i pantaloni che ha citato nel messaggio, tanto ce ne saranno a migliaia in giro di ragazzi che ne hanno un paio di uguale. Di solito porto una fascetta in testa per tirare indietro i ricci. Oggi invece li lascio liberi. Sembro quasi un altro. Metto anche gli occhiali da sole con le lenti color seppia, cosa che faccio raramente, ma che non stupirebbe troppo i miei colleghi. Sì, così può andare.


“Ehi Simo ti sei fatto bello per la nostra ospite?” io che mi imbarazzo di rado mi sento andare la saliva di traverso.

“Che cazzona che sei Bianca, no semplicemente dopo questa diretta ho un appuntamento” mi è uscita la prima balla a caso e lei non ha mangiato la foglia.

“Alle otto del mattino?!”

“Mica dev’essere per forza con una donna” perfetto, sembra che oggi qualcuno mi abbia donato la capacità di infinocchiarmi da solo…

“Hai deciso di fare coming out per caso?” mi sta chiaramente prendendo in giro; sto per risponderle quando Lauretta si affaccia in studio.

“Ehi raga è appena arrivata la vostra ospite” e per me è arrivato il momento di eclissarmi e guardarla dall’altra stanza o da dietro il paravento. Mi sto cacando sotto senza un motivo. Figurarsi se mi riconosce. Di che colore ho gli occhi? Vorrei correre in bagno a guardami nello specchio, così tanto per esser sicuro che siano di nuovo verdi.

“Simo non ti fermi?” Giuro che se continua così la uccido.

“Comincia tu, io arrivo tra poco, Gee mi ha chiesto di raggiungerlo per un’urgenza.” Sì, sono un codardo.
Esco e le nostre spalle si sfiorano, se lei cerca la magia io non sento nulla. Sento solo il rapido contatto tra i miei muscoli e la sua pelle, ma mi fermo curioso ad ascoltare dietro la porta l’inizio dei loro convenevoli.
“Ciao Jiulia, ben arrivata, io sono Bianca”

“Ciao, piacere di conoscerti; adoro questo programma.”

“Posso farti qualche domanda quando saremo in onda? Cose molto tranquille, sì insomma cose così, cosa fai nella vita, e cose così insomma” forse dovrei scriverle qualche battuta che non preveda le parole ‘cose così insomma’.

“Certo. Lui non c’è però, vero?” chissà perché ne è così ossessionata.
Mi allontano da lì per non essere scoperto da altri colleghi ad origliare, quando invece dovrei esser dentro con le due ragazze e cerco Gee Jay, che ovviamente non mi stava aspettando. Llo trovo in magazzino, mentre con altri deejay sta facendo un inventario e decidendo quali mix e che strumentazione vada cambiata. Una specie di pulizie estive qui in radio.
Una cosa simpatica che Gee Jay ha fortemente voluto è che siamo in filodiffusione, così i capi possono controllare le dirette in ogni momento, da qualsiasi stanza, semplicemente accendendo o spegnendo un interruttore. Quindi in questo momento è come se Bianca e Julia fossero in mezzo a noi.
“Perché non sei di sopra ad aiutare Bianca?” e che gli dico a mio cognato?

“Non ne ha bisogno e io invece dovevo andare in bagno.” Forse è il caso che mi iscriva ad un corso accelerato in ballologia avanzata  perché, è ormai assodato, non so mentire.

“Allora hai sbagliato stanza” e ride come se avesse capito chissà cosa.
Intanto sentiamo le risposte di Julia che non sapeva che qualcun altro scrivesse ad ‘Occhi grigi tutti’ i giorni. Dai dettagli forniti dal fake, sospetta sia una sua amica. Ride; ha una bella risata. E noi ci fermiamo ad ascoltarla.
“Pensate anche voi che abbia una voce da radio? Cari miei, ve lo dico io, questa è sesso puro.”
Per la seconda volta la saliva mi va di traverso. Sentire mio cognato fare certi apprezzamenti sulla mia spasimante mi dà fastidio. Ehi, un attimo che diavolo vado a pensare? Mia?!
Bianca le chiede perché non mi voglia incontrare e come abbia fatto a registrare i dettagli del ragazzo che sfrecciava in bicicletta.
“Hai presente quando il tempo si congela? O meglio tu percepisci il tempo in maniera diversa dagli altri. Ecco a me è successo così. Mi è capitato altre volte, ma questa volta forse mi sono impegnata per ricordare tutto quello che riuscivo a cogliere. Sai potrò sembrare pazza, ma ho visto uno sconosciuto per quattro volte in due mesi in una città che ha milioni di abitanti, in posti sempre diversi. così l’ultima volta ho pensato che fosse il caso di studiarlo meglio. Poi non chiedermi perché non lo voglia incontrare, visto che sono ossessionata dai suoi occhi, ma forse è così che deve andare”. Qui confesso che ho perso il filo perché Gee mi sta osservando. Ho la bocca sporca di marmellata?
“Simo tu non hai un tatuaggio sulla caviglia?” oh no, zitto, zitto.
Scuoto la testa e lui sorride sornione. Per fortuna gli altri non ci danno retta, sembrano pendere dalle labbra delle due donne che stiamo ascoltando. Dio sembriamo un branco di vitelli in amore[2]
“Fila di sopra se non vuoi che ti licenzi” e ride, il coglione. Ma se mi minaccia non posso che eseguire i suoi ordini e torno di sopra, giusto nel fuori onda. Devo essere spigliato, devo essere spigliato; lei non mi interessa e io posso riuscire ad essere credibile. Ma soprattutto lei non è nessuno e non immagina che sia io.
“Ehi Simo ti eri perso?”

“Mi spiace, mi hanno trattenuto. Tu devi essere Julia. Piacere io sono Simone hai parlato con me ieri” Bianca alza un sopracciglio. Le si legge in faccia la curiosità, ma la anticipo.
“Come sta andando qui?”

“Credo bene. Tu che dici Bianca? In fondo sei tu la padrona di casa” la ragazza avrebbe dei tempi buoni per un programma in coppia, magari con me. Oh no, no, no ma che vado a pensare? Certo che è molto carina, minuta, circa una trentina di centimetri più bassa di me. Ma ha un viso dolcissimo. Rimango un po’ sbalordito dal fatto che non rientra minimamente nei canoni di ‘quelle che mi farei’.
“Senti Simo, potresti continuare tu? Tra venti secondi iniziamo e mi scappa tantissimo” come se non sapessi che lo sta facendo apposta.

“Ti porto un pannolone Bia, sai che io non parlo al mic” Julia sorride. Perché ride? Non è una barzelletta io mi rifiuto categoricamente di parlare. Così mi fiondo in regia e butto su un'altra traccia, lasciando sbalordito Mauro.
Bianca è in bagno, spero torni entro i prossimi tre minuti. Intanto ammazzo il tempo.
“Quindi che lavoro fai?”

“Giornalista di cronaca” ti prego non dirmi cronaca rosa, potrei vomitare, ma lei non mi fornisce altri dettagli -  mentre tu lavori in radio ma vorresti recitare in un film muto?” simpatica la tipa.
“In un certo senso. Diciamo che non mi piace la mia voce e adoro fare altro.”

“Peccato, hai una bella voce” se non fosse così ingenua crederei che stesse flirtando. E di sicuro non ha la faccia da giornalista. In quello torna Bianca.

“Simo sei proprio un cacasotto” Julia ride e per la prima volta i nostri occhi si incontrano e il suo sorriso si spegne. Non è possibile che mi abbia scoperto. Ma il suo corpo lancia inconfondibili segnali di voler andarsene.

“Quanto manca, avrei un impegno tra mezz’ora” bugiarda. Le risponde Bianca.

“Tranquilla tra cinque minuti ti lasciamo andare.” Ci avvisano che siamo di nuovo in onda e Bianca le fa ancora poche domande.

“Bene Julia, ti ringraziamo di essere passata da noi oggi. Vuoi mandare un saluto a qualcuno? Vuoi mandare un messaggio ad ‘Occhi grigi’?” Mi guarda di sfuggita, per poi fissarsi le mani e poi Bianca. Giuro che ora sono io quello che vorrebbe fuggire da questa stanza.

“No nessun messaggio. È stata quella che si può dire una favola estiva per i vostri ascoltatori. Il sole ti abbaglia, crea miraggi.” Non è allegra come prima. E poi che cazzo vuol dire? Le favole hanno sempre un lieto fine, mentre qui non c’è nulla di felice.

“E allora vi va se mettiamo su una canzone tutta estiva?” Bianca taglia di brutto facendo segno di partire col pezzo.
E siamo fuori onda.

“Tutto bene Julia?” Anche Bianca si è accorta che qualcosa è cambiato.

“Sì grazie, sono stata magnificamente” bugiarda, almeno per questi ultimi minuti; sembra un’altra persona.

“Simo l’accompagni tu?” ok così magari vedo di capire il perché di questo repentino cambio di umore.
Ma scendendo le scale mi rendo conto di non saper cosa dire e percepisco nitidamente un muro di imbarazzo tra di noi. È lei che prima di sparire dietro l’angolo mi chiede
“Hai un tatuaggio sulla caviglia?” Alzo le spalle a mo’ di scusa, in realtà mi sento come un Giuda. Ci salutiamo cordialmente e me ne torno alla mia placida vita. Io non credo nel destino. Se vorrò una ragazza me ne andrò in un locale, come ho sempre fatto, a rimorchiare.
 
A casa di Roby intanto il cellulare cominciò a vibrare incontrollato sulla pila di libri di cucina già aperti, mentre la padrona di casa cercava una nuova ricetta da provare.
“Roby non l’hai fatto sul serio vero?!” Roberta era consapevole che quel momento sarebbe arrivato, aveva cambiato stazione radio solo per sentire la sua amica e, scoperto l’altarino, aspettava quella telefonata, sperando che le ire di Julia passassero in fretta.

“In effetti credo di averlo fatto”. Si stupì di non sentire l’amica sbraitare, visto che era molto sensibile alla propria privacy. Ma si stupì ancor di più quando la sentì ridere. Peccato che non fosse una risata di quelle che ti strappano un sorriso di rimando.

“Ehi tutto bene?” ancora qualche secondo di troppo d’attesa.

“Sì, è stato divertente; un bel gioco estivo, che è finito”.

“E’ successo qualcosa Juls?” Roby ne era certa.

“No, la radio è bellissima e loro sono stati stupendi, ma mi sono accorta che ho sbagliato strategia, tutto qui. Forse la prossima volta che vorrò conoscere qualcuno non aspetterò di incontrarlo per caso.”
Roby decise di non approfondire, anche se intuiva che l’amica fosse turbata profondamente.
Dopo quel giorno Julia non incontrò più Simone, anche se ripercorse un’ultima volta i posti in cui l’aveva incrociato negli stessi orari, confermando la sua teoria del ‘se lo cerchi non arriva’.


Se Julia era tornata alla sua vita normale, senza apparenti rimpianti, in radio invece Simone stava vivendo un momento alquanto singolare. Era passato un mese esatto dalla puntata con Julia, era tornato nei posti in cui lei aveva detto di averlo visto, più volte, ma della ragazza nemmeno l’ombra. La cosa lo infastidiva e frustrava, tanto più perché inspiegabilmente sentiva di aver lasciato andare via una persona speciale. O forse l’inaspettato annuncio della seconda gravidanza di sua sorella, dopo che era appena ritornata in radio, lo stava rendendo più sensibile?!
Quel giorno stava tornando in radio dopo aver pranzato a casa dei suoi, ma prima doveva fermarsi dal ferramenta e nel negozio di assistenza dove sua madre aveva portato a far riparare il telefonino. Per fortuna c’erano solo due persone in attesa. Abbastanza però da obbligarlo ad ascoltare una trasmissione radio concorrente che detestava. Quattro ragazzini sparavano minchiate a raffica. Ma chi gli aveva dato il permesso di fare un programma del genere e soprattutto chi cavolo aveva il coraggio di ascoltarli? Aveva già i nervi a fior di pelle, ma per fortuna si aggiunse un terzo commesso e poté raggiungere presto il bancone. Nemmeno il tempo di fare la sua richiesta che le casse spararono fuori una canzone di certo non in linea col programma, ma che gli fece venire un brivido: la sua Boys of summer. Forse era un messaggio dall’alto?
No, lui non credeva a quelle cose; eppure si trovò ad agire d’impulso ed uscì dal negozio con una scatola in più, già concentrato in un febbricitante schiacciar di tasti. Non ci credeva di star facendo una cosa del genere, non lui.
 
Il giorno dopo in radio – Simone
Mi trovo a scherzare assieme a Cuoricina e Bianca, quando Gee entra portandole un te caldo.
“Non ti basteranno tutti i te del mondo a ripagare quello che hai fatto al mio utero.” Ridiamo della situazione, contro ogni probabilità tra otto mesi diventeranno di nuovo genitori.

“Vorrà dire che per natale ci faremo sterilizzare tutti e due, Cuoricina mia.”
Li osservo; sono perfetti insieme, due cavalli pazzi che si sono trovati. Approfitto dell’ilarità generale per far cadere distrattamente il blocco appunti sotto al tavolo. Sono pronto da ieri, così mi chino in fretta e premo invio. Non passano più di cinque secondi che riemergo col mio blocco, la penna e il telefono in tasca. Controllo l’altro cellulare che ho lasciato sul tavolo. Sarò anche patetico, ma ora ho un alibi di ferro. Se è destino Cuoricina leggerà il mio messaggio.
Cosa farò poi, proprio non lo so.
Bianca va a prendere il foglio fresco di stampa
“Dai Gee a te l’onore di sceglierne uno” mi sento come nei secondi che precedono l’orale agli esami di matura. Gee non sembra leggere i messaggi, visto che troppo rapidamente punta il dito sul foglio.

“Questo, è bello lungo, qualche imbecille dovrà farsi perdonare qualcosa.”
Oh merda, non ho pensato che il fattore lunghezza potesse cambiar le carte in tavola e condizionare la sua scelta.
Non so come spiegarlo, ma forse il destino esiste sul serio, perché di solito il programma non va così. Mia sorella è in preda alla nausea, Bianca l’ha accompagnata in bagno e mi trovo solo con la luce che lampeggia. Ironia della sorte sarò io a leggere niente meno che il mio messaggio. Ma non c’è nulla di più giusto.
“Buongiorno cuoricine e cuoricini all’ascolto, oggi è un giorno strano qui in radio, sarete felici di sapere che Cuoricina è in preda alle nausee. Eh già, altra cicogna in arrivo qui in radio. Quindi sopportatemi perché dovrete sentire la mia voce soltanto per i prossimi dieci minuti.” In quello trona Bianca e le passo il microfono speranzoso di poter voltar faccia al mio beffardo destino. Vediamo se posso contrastarlo. Bianca che ormai è diventata molto brava a far da spalla si riprende il microfono, ma solo per dire agli ascoltatori
“Non trovate che Simo abbia una voce sexy? Forza cuoricine inondateci di messaggi per lui. Intanto lo mettiamo alla prova con la prima dedica” ecco, ho perso. Spero non mi tremi la voce. Nessuno sa quanto di me ci sia in queste parole.

“Ok Bianca, ecco la prima dedica: Ehi, sono uno stronzo… – ma che succede oggi? Gee ha riaccompagnato dentro mia sorella, siamo in onda e tutti ridono. Interrompo la lettura anche se non stacchiamo dalla diretta e continuiamo a microfoni accesi– ehi raga ma che è?”

“Sembrava una confessione Simo, scusateci tutti, ma oggi c’è simpatia nell’aria” comincio ad odiare seriamente il duo Bianca&Paola.

“Ricomincio: . Ehi, sono uno stronzo, uno stronzo che non credeva nel destino; non so spiegarmelo, ma è da un mese che non ti vedo ed è un mese che mi manchi anche se non ti conosco e..mi sono innamorato di te. Ti ho cercata nei volti dei passanti, ma più ti cerco e più mi convinco che non ti troverò. Spero che abbia trovato due occhi che ti sappiano amare come meriti.” Poi continuo mentalmente, peccato che non siano i mei e faccio partire Apologize, mentre nel fuori onda le due donne mi guardano intensamente. Sono in imbarazzo, non vorrei che avessero capito.

“Wow e poi dici di avere una voce orribile, Simo tu sei hot!” sorrido impacciato, odio la mia voce.

“Non riuscirai a comprarmi Bianca. Ora se posso torno alle mie faccende”. A fine trasmissione le due complici mi sventolano sotto il naso un foglio pieno zeppo di messaggi, a quanto pare per me! Ed io pateticamente cerco il suo nome tra le righe. Ma, ovviamente, non lo trovo. Finisco il turno e uscito in strada mi guardo intorno. Ma cosa speravo, di vederla lì in trepidante attesa? Eppure per due giorni esco da lavoro e la cerco tra la folla. Ma niente, la mia metro è passata e io dovevo tirare il freno invece di aspettare l’ultima fermata.

 
§§§

Due giorni fa sono scesa dall’auto con le gambe che non mi reggevano. Ho avuto la peggior giornata della mia vita in ufficio perché mi tornava in mente quel messaggio. Anche il capo se ne è accorto, così mi ha obbligata a prendermi qualche giorno di ferie, pensando stessi covando una qualche forma virale, motivo per cui ora sono qui che attendo. Attesa che mi fa capire che sono irrimediabilmente caduta in uno stato di deficienza, visto che potrei star qui per ore. Sono quasi tentata di suonare il campanello e invece, continuo ad aspettare. Sono quasi le nove del mattino. E poi lo vedo.
Dio com’è bello coi capelli tirati indietro, altissimo e fasciato nei suoi abiti casual e pronto ad andarsene in sella alla sua bici. Ora o mai più Juls. Mi avvicino.
“Ehi Occhi grigi” lui si gira e mi sorride, anche se è chiaramente spaventato dal mio agguato.

“Ciao Julia, che sorpresa” lo vedo che è sorpreso; però dopo quell’attimo di stordimento iniziale, ora sembra piacevolmente sorpreso.

“Già - sto per vomitare dall’agitazione - ho sentito il tuo messaggio, ma non sono riuscita a passare prima.”

“Credo siano stati i due giorni peggiori della mia vita” wow questa è una dichiarazione in piena regola e io mi sento attratta da lui, siamo vicini, ma ancora distanti.

“E quindi ora che si fa?”
 
“Sono già sfacciatamente fortunato che tu sia venuta, ma credi che possa sperare di poterti dare un bacio?” Lei è qui, ha sentito il mio messaggio ed è qui. Questo può voler dire solo una cosa. Mi avvicino e le prendo le mani fino a farle incontrare i miei fianchi, l’attiro a me e mi rendo conto che è così piccola da poterla racchiudere in un abbraccio. Le mie mani vorrebbero scendere, ma credo che la strada non sia il posto migliore per cedere alla passione, così le prendo il viso e mentre mi piego per raggiungerla, lei si alza sulle punte dei piedi e le nostre labbra si sfiorano. Mi trattengo.
 
Non posso credere che sto per baciare uno sconosciuto; uno sconosciuto che mi pare di conoscere da una vita. Sento il suo respiro caldo sulle mie labbra. Voglio di più. E in risposta sento la sua lingua che mi accarezza e non posso che approfondire il bacio, pensando che questo è il primo ricordo che conserverò di lui. Mi ricordo anche che siamo su un marciapiede e che forse è meglio darmi un po’ di contegno.
Anche se è stato solo un bacio, mi è difficile staccarmi da lui, anche perché pare non volermi lasciar andare.
Lo guardo negli occhi dopo aver riguadagnato mezzo metro di spazio.
“Alla fine ce l’hai o no un tatuaggio sulla caviglia?” lui si gratta il capo imbarazzato. In risposta solleva il bordo dei pantaloni fino a scoprire un complicato tribale: non ci credo!
“Incredibile, è anche il mio segno zodiacale”.
Mi giro di schiena e sollevo i capelli scoprendone uno di simile.
 
Non ci posso credere forse devo cominciare seriamente a credere nel destino e nella storia delle conchiglie e delle mezze mele.
“Non dirmi che sei nata anche tu l’otto!” sarebbe troppo assurdo; ma lei scuote la testa e mi mostra 4 dita. Quattro è metà dell’otto, vorrà mica dire che ho trovato proprio la mia metà? Ok, devo farmi vedere da uno bravo, ma non ci posso far nulla. Da quando l’ho vista sento il cuore che rimbomba nel petto. La bacio di nuovo fino a dover riprender fiato.

“Conosci la leggenda dei pesci? “ Mi fa segno di sì con la testa e io riprendo a baciarla finché non sentiamo strombazzare un clacson. Gee mi saluta dall’abitacolo. Chissà se si immaginava un finale del genere.
Julia mi guarda, ha le labbra un po’ irritate dalla mia barba lunga di due giorni.

“Ora hai gli occhi grigi” sorrido, non ci posso far nulla. Lei mi fa sorridere e mi rendo conto che prima di incontrarla la mia vita era un po’ più vuota, anche se non lo sospettavo minimamente.

“Ti accompagno alla macchina?”

“Ehm, in verità sono qui in bici” e me la indica dall’altra parte della strada. Con queste premesse rischio di chiederle di sposarmi già stasera.

“Ti andrebbe di fare un giro?”

“Solo dopo un altro bacio”

“Con piacere piccola”.
 

IL MITO DEI PESCI
 
Il mito greco è associato ad Afrodite e al figlio Eros, inseguiti dal mostro Tifone (il vento impetuoso del sud) durante la lotta per la supremazia tra Dei e Titani (Titonomachia).
Tifone, figlio di Gea (la madre terra) e Tartaro (il dio dell'oltretomba, destinato ai malvagi), era un mostro dalle 100 teste, dalle cui bocche e occhi uscivano fiamme devastanti. Seguendo il volere della madre Gea, egli volle far guerra agli dei dell'Olimpo, ma Pan avvisò gli dei e poi si trasformò, gettandosi nel fiume, in pesce-capra, come rappresentato nella costellazione del Capricorno. Anche Afrodite e suo figlio cercarono di salvarsi e, per sfuggirgli, si tramutarono in pesci e nuotarono lontano dopo essersi legati per la coda in modo da non separarsi e perdersi nella corrente.
(Tratto da: Miti e leggende del Mondo greco-romano di N.Terzaghi Ed. G. D'Anna; Dizionario mitologico Ed. Dami)

 
 
[1] Diciamo che è un’elucubrazione di Simone basata sulla canzone degli Atari, molto conosciuta dai miei coetanei ; )
[2] Citrazione da 7 spose per 7 fratelli

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