Thanks for drawing me

di Prandaman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Presa di coscienza ***
Capitolo 2: *** Il peso della verità ***
Capitolo 3: *** Una vita con una dimensione in più ***
Capitolo 4: *** Destini incrociati ***
Capitolo 5: *** Un'inattesa piega degli eventi ***
Capitolo 6: *** Il Bello e la Bestia ***
Capitolo 7: *** Amico o Nemico? ***
Capitolo 8: *** Need for speed ***
Capitolo 9: *** Insoliti sospetti ***
Capitolo 10: *** nella tela del ragno d'inchiostro ***
Capitolo 11: *** Cambio di rotta ***
Capitolo 12: *** Al cospetto della Luna ***
Capitolo 13: *** Il cuoco dai mille talenti ***
Capitolo 14: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Presa di coscienza ***


Come nella maggior parte delle storie che vi vengono raccontate fin da piccoli, tutto ebbe inizio con una grande luce, una fonte abbagliante ma calda che investì il viso e mi destò da un lungo sonno; irritata da quella sveglia inusuale, deglutii un paio di volte, introducendo nella mia bocca uno sgradevole sapore di metallo.

I muscoli pigri ed intorpiditi facevano una strenua resistenza pur di non abbandonare la loro posizione; mi sembrava di essere una statua vivente, costretta all'immobilità totale e senza possibilità di fare nulla se non percepire un continuo e vibrante ronzio attorno alla sottoscritta, quasi fossi circondata da uno strano macchinario intento a lavorare.

"D-dove sono?"

Furono i primi suoni che uscirono dalla bocca non più sigillata; un ampio respiro seguì subito dopo e l'aria finalmente poteva riempirmi i polmoni assetati di ossigeno come dopo una gara di apnea.

Le mie parole non ricevettero alcun responso, ma gli occhi oramai si stavano abituando all'ambiente circostante e potei con lentezza socchiudere le palpebre e scrutare gli oggetti avvolti dalla luce che iniziavano a prendere una forma a me più famigliare.

Abbassai lo sguardo e scoprii di essere seduta sullo scomodo bracciolo di un divano arancione piuttosto pacchiano a gambe incrociate, una posa ed un giaciglio assai atipici per prendere sonno.

L'arredo era posizionato al centro di un vasto salone addobbato a festa con un 'atmosfera che richiamava senza ombra di dubbio il Natale, tra cui l'immancabile albero pieno di aghi che mi pungevano la schiena.

"Come sono finita qui?" chiesi rivolgendomi più che altro a me stessa, stavolta con voce vibrante e preoccupata, un attimo prima di accorgermi che non ero sola: una miriade di persone, animali e strani esseri era sparsa per l'intera stanza , tutti amichevolmente vicini ed inerti come se ci conoscessimo da una vita .

Mi accorsi solo in quel momento del cagnolino sotto ai miei piedi, una minuscola e graziosa creatura silenziosa che si trovava la coda schiacciata dalla sottoscritta: d'instinto alzai frettolosamente gli stivali ,perdendo quel poco di equilibrio che ancora mi teneva verticale.

Con la delicatezza di un sacco di patate scaraventato nella stiva di una nave, caddi rovinosamente sull'appuntito albero natalizio che non vedeva l'ora di eseguire un'agopuntura d'emergenza su di me.

Nonostante il dolore provocato da 3 pesanti addobbi natalizi sulla fronte,riuscì a spostare quell'ammasso diabolico di aghi ed armi non convenzionali dal petto, maledicendo l'inventore di questa assurda festività.

Mi rialzai con la medesima grazia di un ubriaco in preda ai fumi del vino, scoprendo che quei visi sconosciuti che non mi degnavano di uno sguardo erano privi di vita: manichini perfettamente scolpiti nella carne ma senza luce nei loro occhi, bambole perfette che sorridevano fra loro come in una fotografia.

I tentativi di svegliare Jessie dal suo torpore furono futili e non produssero alcun risultato, neppure quando, presa dal nervosismo, la rovesciai contro il tavolino; inutile descrivere la fatica di rimetterla al proprio "posto": per essere un soprammobile a forma di bambola, pesava da morire.

Ero abbandonata in quell'inferno dall'aspetto placido quanto inquietante: In che luogo mi trovato? Ero vittima di un rapimento?

Qual era l’identità di queste persone, specie quella sorta di fantasmino demoniaco attaccato all'albero che per pochi centimetri non mi cadde addosso come un masso?

Domande che ronzavano come mosche impazzite dentro la mente sempre più confusa ed offuscata, ero un topolino rinchiuso in un labirinto immenso dove non riuscivo a scorgere l'uscita.

Provai a scappare fuori dalla casa verso l'esterno, ma dopo un paio di metri la terra si interrompeva nel nulla, solo cielo terso sia in alto che sotto di me come se un camminassi su un immenso specchio.

Galleggiavo sopra un mare invisibile, una gabbia le cui sbarre si perdevano nel vuoto infinito che circondava la casa natalizia.

L'inquietudine si trasformò in vera paura e cominciai a tremare mentre i miei nervi stavano cedendo: ero sempre stata una persona positiva e solare, ma di fronte a questo spettacolo, non riuscivo a fare altro che cadere in ginocchio ed incrociare le braccia davanti a me con forza alla ricerca di un qualche senso di protezione.

Ero sola, ero dannatamente sola. Desiderai con tutto il cuore che qualcuno mi svegliasse, che Jessie in quell' istante scrollasse le mie spalle appoggiate sul letto della Artemide per informarmi che l'ultimo biscotto al cioccolato se l'era finito lei...

Non saprei dire per quanto rimasi in quella posizione, in quel mondo tutto sembrava immutabile, sia il tempo che lo spazio.

So solo che ad un certo punto la paura smise di comandarmi, qualcosa in me stava cambiando e l'orgoglio erose spazio alla paura facendo tornare la ragione.

"Alzati, alzati " ripetei per spronarmi; con i muscoli che fremevano per spostarsi da quella posa tutt'altro che comoda, riuscii a sconfiggere la gravità ed a superare quel momento di

follia ,inspirando un paio di volte ad occhi chiusi per tentare di calmarmi .

Ritornai di nuovo dentro l'inquietante casa ,alla ricerca di nuovi indizi o di una via di fuga; con neanche troppa cura, buttai per terra le statue dal divano e controllai attentamente i due divani ed i loro precedente fruitori: nulla e stesso risultato ottenni con il resto della mobilia e dei presenti.

Sempre più decisa a non arrendermi, mi diressi verso la parte opposta dell'ambiente, la zona più spoglia ma inesplorata del locale ,fino a che non vidi una strana luce azzurra attraversarmi il braccio destro.

Allertata da ciò, mi arrestai, incuriosita da quella scarica elettrica che non aveva provocato alcun dolore.

Arretrando la mano e riporgendola in avanti, scoprii che il fenomeno si ripeteva, quasi esistesse un'impercettibile barriera o soglia con cui venivo in contatto se provavo ad avanzare.

Che fosse la via d'uscita per quell'incubo? Ero un pò titubante, per cui provai prima con un paio di oggetti legati ad un filo, che lanciai e recuperai senza problemi.

Non rimaneva che fare un tentativo: presi un ampio respiro e mi buttai attraverso il portale, venendo risucchiata da quella strana luce che mi attirò a se senza violenza; ebbi la sensazione di varcare una specie di canale luminoso dai colori sgargianti, un caleidoscopio policromatico  che da un ambiente buio mi proiettò verso un'altra grande luce.

I miei sensi si appannarono per qualche secondo, ma stavolta il risveglio fu decisamente più repentino e meno fastidioso.

Mi ritrovai catapultata in un'altra stanza, stavolta più piccola e fortunatamente non a tema festoso: una ragazza si stava riposando sopra un letto attaccato alla parete opposta: strano a dirsi, ma fui sollevata nello scoprire che il suo petto si abbassava e si alzava con il respiro, non era un manichino.

Le pareti del locale erano ricoperte  dai grandi foto di persone dalle più svariate etnie e situazioni, ed alcuni di essi mi sembrava proprio di averli incontrati nell'altra dimensione.

Forse è quella donna l'artefice del mio incubo pensai mentre cercavo altri indizi per confermare quella teoria, anche se la donna dormiente non assomigliava proprio ad un odioso carceriere.

Girai lo sguardo in cerca di risposte, scorgendo solo un sacco di oggetti futuristici dalle più svariate forme e materiali, quasi fosse la bottega di un inventore.

Il tavolo era ricoperto di fogli e parecchi strumenti per disegnare e poco distante da esso notai una sottile scatola lucente dall'aspetto misterioso che sembrava proiettare foto. Riconobbi il ronzio che sentivo durante il mio primo risveglio, era in qualche modo collegata al rapimento?

La guardai incuriosita e quello che ammirai mi trafisse d'improvviso il petto come un giavellotto :

Attraverso il freddo vetro di quella finestrella senza pareti riconobbi la casa-prigione da dove ero fuggita.

Ero ancora troppa confusa per capirlo, ma quello fu il primo momento in cui presi coscienza di me ed attraversai la Barriera Azzurra.





Character della fan fiction © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
Artwork © Tenaga 2015
Tenaga Gallery on DeviantArt

Character in the artwork
Da sinistra verso destra: Eidan (Floriana Paolacci) Mortinfamia (Martina Andrea Batelli) Nathan, Juliet e Sky (il robottino) da "Project Sun" (Aaron Leonardi/Valeria Tenaga Romanazzi) Rio da "Homosaurus" (Flaminia Spinelli) Logan da "l'ira dei quattro" (Aaron Leonardi) Eeri Lian (Ilaria Catalani) Gabriel (Federico Cataldi) Angelina e Damiano da "Sacro/Profano" (Mirka Andolfo) Robin da "Hood's Tale" (Ilaria Ticino) Gerda da "La Regina delle Nevi" ( Ilenia Gennari) Jessie, Tenaga da "Hunters J" (Valeria Tenaga Romanazzi) Luna (Diana Mercolini) Xavier, Gwen da "Antithesis" (Jessica Marino) Hadez da "Hadez" (Ilaria Catalani/Silvia Tidei) Maverick (Marzio Misita) Tanae da "Sheridan/Hunters J" (Valeria Tenaga Romanazzi) Rogan da "Dim Glow" (Cristina Guidetti) Lucjan da "La Regina delle Nevi" (Ilenia Gennari) Edgar da "Hysteria" (Eleonora Bruni) Allen (Silvia Tidei) Mortimer (Eleonora Bruni) Seshira (Elisa SanVito) Nicholas da "Racers" (Sara Fabrizi) Elemirr e Alamirr da "Galena Guard" (Salvatore Pascarella) Alexander da "Hunters J" (Valeria Tenaga Romanazzi) Kiba, Asia, Sally, Oreste, Rei, Lili, special guest i personaggi di Federica di Meo. Kieran e Norah fuori dalla finestra (da "Sheridans/Hunters J") Kapu, Teru, Lex e Kyros da "Wild Fangs" (Valeria Tenaga Romanazzi)

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Capitolo 2
*** Il peso della verità ***


Paura, rabbia, ansia, frustrazione... una tempesta di emozioni fra di loro contrastanti si era abbattuta sulla mia isola e non riuscivo a trovare un punto a cui aggrapparmi per non rischiare di essere travolta.

Chi era quella donna per me? E chi ero io? Da dove venivo e perchè mi ero svegliata dentro una scatola su cui spiccava prepotentemente il simbolo di un frutto mangiucchiato?

L’occhio, senza più la ragione a controllarne i movimenti, si posò su un pezzo di carta gialla quadrata appiccicata sullo schermo che  riportava la seguente frase scritta a penna: “Rifinire le bozze di Hunters J entro il 4 Gennaio. Ultimare artwork-regalo per JeJe”.

“S-Sei una pittrice?” chiesi a voce bassa a me stessa, lanciando uno sguardo verso la figura dormiente che ancora non si era accorta della mia presenza; sentii crescere in me il desiderio di correre verso di lei e svegliarla a scossoni finchè non avesse confessato ogni cosa,finchè non avesse saziato la mia fame di verità ma il poco buon senso che rimaneva in me suggerì di andare cauta con la sconosciuta: la donna non si era ancora rivelata una minaccia e dovevo approfittarne per raccogliere informazioni e poter scovare le bugie che mi avrebbe potuto propinare.

Spostai le mie esplorazioni sulla scrivania e mi addentrai in quel mondo di carta e cancelleria alla ricerca di una risposta; allontanai dalla mia vista un paio di grandi opuscoli dai colori sgargianti per ritrovarmi fra le mani un mio ritratto a matita blu mentre sorridevo.

L’inquietudine crebbe come un’onda durante la propria corsa verso il lido, un flutto che inevitabilmente si infranse con furia quando mi accordi che ,oltre a quel foglio , gran parte della sua “produzione artistica” aveva come soggetto la sottoscritta o i miei amici più cari.

 

Mi stava spiando? Era una pazza ossessionata di me? Con quali capacità sovrumane era riuscita ad imprigionarmi?

 

Strinsi il foglio fino a contorcelo in una palletta minuscola che lasciai cadere sul pavimento della stanza; avrei voluto gridare e strappare ogni pezzo di carta presente nella stanza, senonchè un rumore di serrature aperte mi investì le orecchie.

Riconobbi il respiro di un animale ed i passi di una figura leggera che era appena entrata nell’abitazione, il complice?

“Sveglia pigrona, sono tornata a casa!” urlò con fare deciso una voce femminile, mentre la creatura con più zampe trottò in mia direzione.

Ad improvviso la bestiola cominciò ad abbaiare con trasporto, agitando energicamente le zampe sulla porta che scricchiolava rumorosamente sotto i potenti colpi : aveva percepito il mio odore.

Una goccia di sudore mi attraversò il viso mentre la “bella addormentata” si stava destando per il casino, biascicando qualche parole di rimprovero al cane che soprannominò “Kiba”; allungò una delle mani sul comodino, muovendolo alla cieca a destra e a sinistra, forse per cercare gli occhiali riposti sull’altro estremo.

 

Il panico si impadronì di me , lasciando il posto ad una Tenaga insicura ed fragile a me sconosciuta ; tra due fuochi ed impreparata sul da farsi, optai per una “coraggiosa” ritirata, attraversando nuovamente la Barriera Azzurra proprio mentre il pomello della porta girava su se stesso.

Ripiombai così nell’odiato mondo natalizio dove ogni elemento è immutabile, ricomponendomi nella medesima e scomoda posizione che occupavo prima del risveglio e rimandendo in impassibile silenzio nell’attesa che le acque si calmassero.

I secondi trascorrevano con una lentezza esasperante  mentre il cuore batteva con così tanta insistenza che ebbi il timore che stesse per uscire dal petto e nascondersi a sua volta dietro qualche manichino, eppure non successe nulla e nessuno intruso varcò la soglia invisibile della mia cella.

Solo quando gli attimi accumulati poterono definirsi minuti,  cominciai a udire un fastidioso rumore metallico che si aggiungeva al ronzio di sottofondo ed intravidi con la coda dell’occhio che si stavano formando in aria delle strane nuvole bianche con delle scritte al loro interno.

E fu così che, da ignara osservatrice, nacque dentro di me un tremendo sospetto, un male che crebbe di intensità ad ogni improvviso cambio di tonalità degli altri modelli o modifica.

Trasformarmi in una statua con il sorriso falso scolpito sul viso  era il veleno più amaro che avessi mai dovuto ingoiare e persi persino il conto di quante volte supplicai il cielo che lo ”il misterioso ed invisible tocco” non mi sfiorasse.

Fortunatamente qualcuno o qualcosa doveva aver risposto alla mia preghiera e l’inarvertibile mano del maga smise di intervenire poco dopo senza alcuna conseguenza per la sottoscritta.

Trascorso altro tempo ,anche il ronzio della scatola si ridusse notevolmente così come la luce ambientale, costringendomi a dilatare le pupille per riuscire ancora a scorgere qualcosa.L’oscurità aveva inghiottito ed uniformato ogni manichino della stanza, regalando un aspetto ancora più spettrale alle mia prigione addobbata a festa.

Che avesse definitivamente spento l’orribile aggeggio? Qualunque fosse la verità, approfittai delle tenebre e mi alzai dal divano,stirandomi i muscoli delle braccia verso il cielo che ringraziarono per quel breve momento di sollievo.

“Si torna all’inferno” pensai raggiungendo la barriera che sembrò ancora agibile ed illuminò l’intera area con il suo lampo celeste che avvolgeva il braccio.

Forse era meglio premunirsi in qualche modo ma non vi era nulla da poter utilizzare come arma nella casa , tranne  l’agopunturista a forma di albero che esclusi categoricamente visti i nostri trascorsi burrascosi.

Riaffrontai l’arcano mezzo di trasporto e mi ritrovai nella medesima stanza dell’altra volta, seppur ricoperta dal manto della notte; nessun’anima in giro, ad accompagnarmi solo i rintocchi di una sveglia dalla forma stravagante posta sul comodino.

Con la mente finalmente sgombera dalla paura, compresi che mi trovavano nella camera da letto di una donna apparentemente normale, a parte certa paccottiglia che non riuscì ad comprendere il significato.

Nulla faceva pensare che la donna occhialuta avesse intenzioni malevoli ad imprigionarmi, anzi, sembrava proprio che non si aspettasse un mio risveglio.

Non riuscivo proprio a trovare la chiave di lettura, il tassello del mosaico che avrebbe spiegato la faccenda o forse, con il senno di poi, non volevo .

Incurante di lasciare indizi, chiusi a chiave la stanza e cominciai a perlustrare ogni anfratto della camera, spulciando non so quanti libri,album o letture. Il mio primo pensiero era che, escludendo propositi malvagi, fosse una sorta di artista interessata così tanto alla mia ciurma da volerne fare un soggetto per qualche rivista per ragazzi.

Eppure era una spiegazione che lasciava l’amaro in bocca e non spiegava la miriade di disegni perfettamente dettagliati, alcuni recanti avvenimenti che riguardavano il mio clan e che praticamente nessuno conosceva.

Le ricerche continuarono imperterrite per almeno una mezz’ora, finchè non esplorai con rassegnazione uno strano scatolone opportunamente nascosto sotto il letto; a parte solite ciasfusaglie, mi colpì uno strano quaderno ad anelli ricolmo di fogli ed appunti.

La copertina era abbastanza anonima ma recava un titolo più che emblematico: “Storia di HuntersJ”; quel nome inglese ricorreva costantemente nei fogli ed era giunto il momento di darli un senso.

Mi diressi alla scrivania con il mio prezioso carico , ma l’oscurità impediva ogni mi tentativo di arrivare alla verità.

Nonostante il sangue di lupo che scorreva nella vene mi garantiva una vista più che discreta, fui costretta a cercare un accendino, una lampada ad olio o chissà quale altra diavoleria per illuminare il testo.Nulla di tutto questo sfiorò le mie dita, chiedendomi come diavolo facesse quella donna a vivere senza tali strumenti.

“Almeno fosse accesa la scatola luminosa…” commentai frustrata mentre buttavo per terra ogni elemento scartato dalla mia esplorazione; la Fortuna , forse impietosita dalla mia storia, decise di condurre le mani su una strana pulsantiera che, dopo una lieve pressione del polpastrello , accese una strana sfera di sottile vetro con del metallo al suo interno che, resosi incandescente, irradiò di luce il mobile e tutto quello che vi era appoggiato sopra.

Incuriosita, da quella tecnologia che rasentava la magia, toccai l’oggetto trasparente che, in tutta risposta, mi scaldò il dito al punto che lo ritirai immediatamente prima che si bruciasse.

 

“Bah, meglio le classiche lampade, fanno una luce più calda e non ti ingannano così, ma ora torniamo a noi…” commentai prima di aprire il volume.

 

Erano note che risalivano molto in la negli anni, quasi fosse il diario di un’adolescente, ma i suoi appunti mi agitarono fin da subito.

Un brivido  percorse la schiena ed il sospetto che nacque nella mia mente durante la mia prigionia prese sempre più corpo ad ogni pagina che svoltavo;  tutta la mia vita e quella dei miei conoscenti era lì, con una miriade di modifiche, aggiunte e cancellazioni ad arricchire il mosaico.

Senza parlare dei disegni, uno sterminato insieme di bozze e sketch sempre più raffinati e precisi ad ogni capitolo che sfogliavo fino a convergere all’ultimo e definitivo paragrafo, quello che mi conduceva all’ultima rivelazione che non volevo accettare.

“Final outfit e concept definitivo di Tenaga” , un titolo le cui parole rimarranno scolpite nella memoria per sempre; quando spostai l’ultimo foglia di carta che mi separava dal disegno , fu come trovarsi di fronte ad uno specchio di carta, una Tenaga riflessa perfettamente in ogni particolare,sfumatura o difetto, ad esclusione del sorriso che non era minimamente accennato sulla sottoscritta.

 

“Sono un fumetto…”  fu la definitiva risposta a tutte le mie domande precedenti.Le mani scivolarono sulla carta senza che questa oppose resistenza. Finalmente avevo trovato il tassello mancante, ma a quale prezzo?

 

“Era tutto finto,la mia vita...i miei amici...la mia famiglia…tutto...”  sentenziai mentre iniziavo a rendermi conto delle conseguenze: non ero una persona vera, ma solo il frutto della mente di una disegnatrice, una marionetta fatta di inchiostro deposta su carta che era riuscita a scappare non so come dal giogo del burattinaio prendendo coscienza.

E le persone che amavo? La burbera Jessie con Alex dal mordente facile, la solare Chloe, l’integerrimo Jaded e le continue frecciatine di quel porco amabile di Yakov? Tutte inesistenti come la sottoscritta qualche ora prima, dei semplici disegni su carta o dentro la scatola luminosa erano le sole cose che mi rimanevano di loro.

Un enorme voragine si propagò nel cuore, mentre mi rendevo conto che la mia esistenza non era altro che un copione pieno di avvenimenti per renderlo vendibile e più interessante ad un “pubblico”.

 

Fu la goccia che fece traboccare il mio vaso, rompendo l’ultimo sigillo che teneva ancora insieme la mia stabilità.

 

“sono un f*****o fumetto!” gridai in preda alla rabbia più isteria: il vuoto che sentivo andava riempito con qualcosa e l’ira sembrava il modo più veloce per colmarlo; stracciai i fogli ad uno ad uno a gran velocità , agitando compulsivamente le mani davanti a me al pari di un cane che scavava una fossa e lasciando dietro di me un tappeto di carta intrisi delle speranze della mia autrice.

Quando la carta finì, scaraventai l’album contro la parete opposta, con una forza tale che si ruppe a metà. Ancora non sazia di distruzione, rovesciai il tavolo per terra ed una valanga di libri e soprammobili invase la stanza, rendendola un autentico pantano.

 

La Tenaga furiosa si acquietò finalmente, lasciando spazio ad una Sheridan dal cuore di cristallo ormai in frantumi: non mi importava di venire scoperta, volevo solo qualcosa che facesse svanire quel dolore, quella morsa che mi stringeva la gola quasi al soffocamento.

Cominciai a piangere, coprendomi il viso con entrambi le mani quasi a volerle fermare, ma neppure una diga in cemento avrebbe potuto arginare lo sgorgare di quelle lacrime.

 

Il mio mondo , qualunque fosse, era crollando su di me.

 
Note: Character Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: (Soul Sacrifice OST) Hope and Future on the Same Page (Instrumental)

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Capitolo 3
*** Una vita con una dimensione in più ***


Con il viso levigato dalle lacrime ed un principio di disidratazione che seccava la gola, rimasi con la schiena appoggiata al tavolo rovesciato della camera per non so quanto tempo, circondata dalle cianfrusaglie della mia “autrice”; a farmi compagnia solo il ronzio della lampada capovolta alla mia destra che illuminava scarsamente la stanza dove probabilmente ero nata. La confusione attorno a me rifletteva il caos che covavo dentro la testa, dove picchiettava con insistenza un’unica domanda:

“Cosa devo fare?”

La Tenaga che conoscevo, anzi no, la Tenaga descritta in quel maledetto fumetto che credevo essere io, non si sarebbe mai abbattuta ed avrebbe già trovato una soluzione; la sottoscritta sembrava invece esserne una vaga imitazione, al punto che forse la vera domanda a cui rispondere prima di ogni altra cosa era “Chi sono io?”.

Trascorsi così gran parte della notte più lunga della mia vita , per non dire la prima: ogni tanto lanciavo un’occhiata verso la porta intonsa come un prigioniero in attesa che le guardie aprissero la cella per portarlo al patibolo ma nessuno venne a reclamare il mio capo. Corrosa dal tarlo del dubbio, fui presa alla sprovvista quando sentì lo stomaco brontolare nervosamente: sapevo bene che quello stimolo che provavo si chiamasse fame, ma era la prima volta che la percepivo su di me, una sensazione di vuoto dentro la pancia , l’intestino che sembrava attorciarsi come un serpente lamentandosi della propria misera.Nella realtà da dove provenivo nulla di tutto questo mi aveva sfiorato, per cui cominciai ad ipotizzare che al di là della Barriera Azzurra certi impulsi erano inesistenti od ovattati, una blanda tesi senza fondamento che comunque suscitò un minimo di curiosità.Quando il groviglio sullo stomaco sembrò inestricabile, decisi di porvi definitivamente rimedio e , indolenzita da quella ennesima postura tutt’altro che gradevole, spostai il baricentro verso le gambe e chiesi alle ginocchia di piegarsi, le quali accettarono di ubbidire con riluttanza.

Nonostante l’insopportabile formicolio per la prolungata sosta rendeva goffa la mia camminata, riuscì in qualche modo a raggiungere la porta della camera chiusa in precedenza. Rigirai nuovamente la chiave nella serratura dorata ed attraversai la soglia , catapultandomi in una piccolo ma grazioso salotto con una cucina ad angolo: l’arredo era un pò troppo futuristico e freddo per i miei gusti, ma apprezzai la pulizia ed il pungente profumo di limone che mascherava l’inconfondibile odore del metallo che violava il mio olfatto.

Un armadio squadrato e rumoroso nell’angolo sembrava nascondere dentro di se del cibo, ma l’odiato materiale di cui era composto mi faceva desistere dal toccare la maniglia; ripiegai perciò su un paio di strane brioche poste su un tavolino bianco e ricoperte da una sostanza trasparente simile al vetro ma fragile come fogli che bisognava ogni volta scartare.

Il primo tentativo di aprire la confezione si risolse con un panino dolce praticamente sfracellato fra le mie mani, ma ancora perfettamente mangiabile: una marmellata di fragole troppo dolce sfiorò il palato, ma i miei organi interni in preda agli spasmi da fame non erano altrettanti schizzinosi e purtroppo il tenebroso appartamento non sembrava ospitare della fauna da cacciare per cui dovetti accontentarmi.Le altre merende uscirono più o meno indenni dall’assalto, risultando alla fin fine una piacevole distrazione per lo stomaco.
La questione della sete risultò meno ostica ed optai per la fresca acqua del rubinetto vicino,  raccogliendo il prezioso materiale con le mani giunte e snobbando i bicchieri di vetro posti ad asciugare sopra un panno.

Quel breve momento di ristoro fu un vero toccasana per la sottoscritta: appagati i bisogni primari, la  mente poteva tornare alle  questioni filosofiche con maggiore vigore e lucentezza , ritrovando una vitalità che diradava il velo del dubbio dai miei occhi appannati.

“Non posso ancora affermare se questa “vita” che ho ricevuto è più un dono od una condanna, ma non posso arrendermi alla depressione o all’accidia...” commentai a voce bassa ,girovagando per la stanza e circumnavigando una poltrona in pelle in discrete condizioni che sfiorai con le dita.

“...e se quella donna è riuscita davvero a risvegliarmi, potrebbe esserci la possibilità che possa rifarlo con Jessie e compagnia” fu la conclusione che raggiunsi mentre completai il mio breve tragitto fra quel mobilio così sgargiante, quel barlume di speranza che uscì dalla mia bocca era debole, flebile come una candela in una giornata di vento, ma sufficiente a darmi una direzione da seguire nel buio che mi circondava. Che fosse davvero quello il motivo della mia presa di coscienza? Ora che conoscevo la verità sulla mia origine, non avevo intenzione di sprecare l’opportunità di poter gestire davvero la  vita secondo i miei desideri e non quelli di nessun altro. Certo, conoscendo l’impulsività di Jessie, avrei dovuto nascondere la nostra autrice prima che lei potesse ringraziarla con del piombo come era sua consuetudine, ma era un rischio che dovevo e volevo correre.

La ragazza con gli occhiali probabilmente non sarebbe più tornata fino al giorno dopo per cui ne approfittai per scoprire di più sul suo conto:dopo svariati ed inutile tentativi di accendere l’arcana scatola luminosa con il simbolo della mela arrivando persino agli schiaffi,spulciai la sua libreria alla ricerca di indizi, finchè non scovai un fumetto cartaceo che raccontava la mia storia.Girai velocemente le pagine,trovando la presentazione dell’autrice, Valeria R. , che utilizzava il mio nome come soprannome.

“Che fantasia…” borbottai infastidita da questo ennesimo legame, irritazione che mutò in sorpresa quando notai un bagliore azzurrino sui polpastrelli di entrambe le mani: riconobbi il medesimo fenomento della Barriera Azzurra, lo stesso impulso elettrico indolore che stava avvolgendo il braccio richiamandomi a se dall’altra dimensione. Tuttavia l’energia mutò colorazione assumendo una tonalità più scura e sinistra, per poi avvinghiarsi con decisione agli arti e tentare di trascinarmi verso quelle vignette come dei pescatori che avevano preso all’amo un grosso pesce. Combattei con tutta me stessa per non lasciarmi sopraffare da quella forza incomprensibile e richiudere il volume con entrambi i palmi: fu una fatica non indifferente, un fenomeno che avrei esplorato volentieri se non avessi avuto il dubbio che sarebbe stato un viaggio a senso unico. Forse la mia era solo una preoccupazione inutile e senza fondamento ma ebbi l’impressione di trovarmi di fronte ad un pozzo profondo su cui mi stavo pericolosamente sporgendo: dovevo essere sicura che sarei riuscita a tornare in quella realtà prima di affrontare un’odissea simile.

Ne volevo sapere sempre di più, ma la stanchezza cominciava a farsi sentire ed il mio crollo psicologico aveva consumato ogni  energia alla stregua di una maratona; arrotolai il fumetto HuntersJ per infilarlo in tasca e mi diressi verso la scatola luminosa da cui ero fuggita, riattraversando il portale che oramai stava diventando quasi un’abitudine.

Il mondo natalizio avvolto dall’oscurità era rimasto intonso dalla mia ultima visita, con il suo fastidioso esercito di manichini che sorrideva senza motivo; la sensazione di spossatezza si affievolì, ma il bisogno di riposarmi era ancora forte e non avevo più la forza di oppormi ad essa. Certo, sarei potuta rimanere nel mondo di Valeria, ma non me la sentivo di lasciare incustoditi i corpi dei miei affetti ,specie se vi era la remota possibilità che anche loro si potessero risvegliare di li a poco.

Ritornai nei pressi del divano pacchiano e con molta delicatezza rimossi gran parte dei pupazzi di carne, ad esclusione della capricciosa Jessie e di mia sorella Tanae, che collocai nei due posti laterali.

Forse era solo uno scherzo della mia mente ancora intontita dallo shock , ma i loro corpi sembravano trasmettere una lieve sensazione di calore, come se dentro quei gusci perfettamente scolpiti si celasse una scintilla di vita desiderosa di uscire; qualunque fosse la verità, gli strinsi a me e mi addormentai fra le loro braccia inermi, facendo la promessa che quell’abbraccio un giorno sarebbe stato ricambiato da loro stesse...

La notte non portò alcun sogno, ma i consigli che ricevetti furono preziosi e permisero di affrontare la giornata successiva con più tranquillità: non avrei rivelato subito la mia condizione a Valeria, bensì avrei tenuto un profilo basso per un paio di giorni , approfittando  di ogni momento libero per studiare attentamente la “creatrice” e la nuova realtà che si celava oltre la Barriera azzurra. Ero ben conscia della difficotà dell’impresa che mi ero prefissata ma non potevo concedermi il lusso di sprecare una simile occasione per colpa dell’impazienza.

Frettolosamente ritornai nel Nuovo Mondo e rimisi in ordine quella camera infernale, nascondendo i rifiuti o pezzi frantumati nella scatola sotto il letto; conclusa la mia incursione, tornai nel mio rifugio attendendo il ritorno della fumettista che rincasò di li a poco. Valeria riaccese il marchingegno dal ronzio insopportabile e dopo qualche minuto iniziai a perdere coscienza, sentendomi sempre più distaccata dalla mia parte materiale come se stessi vivendo un esperienza extracorporea. Chiusi gli occhi e percepii lo sgretolamento del corpo come se si stesse trasformando in sabbia, un pulviscolo di Tenaga che sprofondò nel pavimento spostandosi verso un luogo a me sconosciuto; il tempo di un battito di ciglia ed ecco che la mia anima si ricompose in un altro luogo, in un altro artwork.

Mentirei se dicessi che trovai naturale recitare la parte del manichino mentre lei mi disegnava su una nuova tavola dentro il marchingegno elettronico che scoprii chiamarsi “Mac”, ma se era quello il prezzo da pagare per non sparire e poter riabbracciare i miei amici, avrei ingoiato il rospo. Provai per la prima volta la piacevole esperienza di essere disegnata , sentivo la delicata pennellata della mano invisibile sul mio corpo, come una piuma che solleticava il collo con lievi tocchi , ed ogni passata di colore mi regalava una sensazione fredda e rinfrescante come tingere le mani dentro una bacinella d'acqua; stavolta l’opera non prevedeva comprimari, ma solo la sottoscritta in piedi ed in una posa plastica e dinamica, circondata da un desolante spazio monocromatico  il cui grigiore si estendeva all’infinito ed oltre: senza punti di riferimento o variazioni nella tonalità, sembrava che il corpo galleggiasse sul nulla, come se fossi stata completamente immersa in un mare di cemento intangibile; sentivo che i capelli avevano qualcosa di strano,forse più corti , ma finchè era occupata a ritoccarmi preferì non muovermi ed  evitare di generare sospetti.

Solo quando la luce di Mac inevitabilmente si affievolì perchè la scatola luminosa andava a riposarsi,uscii dalla mia posizione e partii alla scoperta del Nuovo Mondo. L’ostacolo del cane inizialmente mi allertò non poco, ma quella povera bestiola di nome Kiba che la prima volta sembrò minacciosa, si rivelò invece un grande e socievole giocherellone, accogliendo il mio sorriso ad ogni visita con il più dolce e simpatico dei musetti.

Durante le assenze della fumettista, mi costrinsi a leggere svariati fumetti e riviste trovate nella stanza, scoprendo l’esistenza di meraviglie tecnologiche come gli aerei, le macchine trainate senza il vapore ed un misterioso oggetto psuedo-virtuale chiamato Internet usato per comunicare con persone lontane; tentai di arginare il mio cuore ferito con la sete di conoscenza, dando sfogo alla curiosità in fibrillazione da tutte quelle stranezze così impensabili.

Dopo un paio di giorni,il desiderio di liberare il cuore da questo peso e rivelarmi a Valeria si rafforzò al punto da diventare insopportabile; ottimista e fiduciosa che tutto sarebbe andato per il meglio,stabilii l’ora fatidica subito dopo cena,ancora ignara che qualcuno aveva altri piani per me... 


Note:
Character Tenaga & Artwork © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: DRAG-ON DRAGOON 3 OST - Kuroi Uta -black song- (International)

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Capitolo 4
*** Destini incrociati ***


Poche scatti di lancette mi separavano dalla libertà, giusto il tempo di resistere per un’ illustrazione, il mio ultimo lascito al mondo dell’arte.

La scelta di Valeria ricadde su un crossover, un artwork assieme al protagonista del fumetto di una sua collega; si chiamava Xavier Della Volpe Nera,un farabutto criminale apparentemente senza scrupoli o coscienza. Quel poco che sapevo sul suo conto l'avevo appreso dal relativo comic che avevo scovato nella libreria durante le mie incursioni notturne: un paio di disegni addirittura ci rappresentavano come una coppia assai affiatata, intenta a scambiarci affettuosi carezze con una preoccupante penuria di vestiti addosso. Sinceramente mi sembrava  una relazione poco plausibile, almeno dal punto di vista caratteriale: nulla da ridire sul look da macho dalla battuta pronta che non sarebbe mai andato fuori moda.

Ancora una volta, appena la fumettista concluse la bozza, la mia anima si sgretolò e si ricompose in un nuovo angusto mondo dentro Mac. La posa non prevedeva gli occhi aperti, per cui dovetti basarmi sugli altri sensi acuiti dalla cecità per indagare sul soggetto che veniva raffigurato; dapprima sentii i polpastrelli sfiorare la morbida pelle dell’ “amante”, le cui mani cingevano le mie in una delicata stretta; poi fu il turno della fronte ,solleticata dai suoi ciuffi senza controllo che per poco non mi tradivano.

Era la prima volta che venivo disegnata così a contatto con un altro manichino e l’elegante tratto di Valeria dava corpo a sensazioni ancora più calde e piacevoli del solito: l’autrice stava dando tutta se stessa a tracciare i nostri lineamenti ed io riuscivo nitidamente a percepire la determinazione mentre schiacciava la penna sulla tavola plasticosa  come se la stessi osservando da dietro la schiena; ad amplificare i sentimenti ci pensò un sottofondo musicale eseguito con il piano che rimbombava attorno a noi, probabilmente generato da Mac ed usato dall’autrice come fonte ispiratrice.

L’emozione e l'irrequietudine nel passo che stavo per fare mi rendeva assai agitata, perciò la fumettista dovette più volte rifinire la schiena, accollando probabilmente la colpa dell'incertezza del tratto alla sua persona ed ad un calo di potassio.

Avevo immaginato più volte la reazione della mia creatrice se all’improvviso mi fossi rivelata a lei, facendomi solleticare dall’idea di farli venire un infarto e riprendermi una piccola quanto significante rivincita ma non me la sentivo di interrompere il suo piccolo capolavoro; decisi di premiare la sua fatica e continuai a recitare la parte della brava e silente modella finchè non l’avesse ultimato.
 

Quando la pazienza stava per esaurirsi, ecco che il tedioso ronzio di Mac si affievolì, mentre la luce che invano tentare di attraversare le mie palpebre si ridusse drasticamente: probabilmente era uscita a fare la spesa,l’occasione perfetta per sgranchirsi le gambe prima del grande evento.

Avrei colto immediatamente l’opportunità se non avessi percepito una strana quanto preoccupante sensazione tra le dita, una delicata morsa che stringeva a se le mie mani. A rendere il momento ancora più inquietante ci pensarono le orecchie, attraversate da parole inaspettate che ruppero il silenzio dell’ambiente.

 

"Finalmente , quella li non si voleva più levare dalle palle! Anche se devo dire che ha fatto un lavoro grandioso, sembra proprio vera...mmm tanto vale fare un tentativo"

 

Turbata da quelle sensazioni, aprii gli occhi , giusto in tempo per scorgere il viso di Xavier sul quello della sottoscritta: le distanze fra le nostre guance erano completamente azzerate, arrivando a sfregarsi con improvvisa passione, mentre le labbra era state sigillate da un bacio inaspettato.

Non saprei dire se ero più sconvolta dell'aver scoperto che non ero la sola vivente o da quel momento di dolcezza appena rubato, sta di fatto che anche l'uomo schiuse le proprie palpebre per poi scrutare la scintilla vitale nelle mie pupille da mezza-lupa.

 

La sua curiosità era stata ripagata con gli interessi e per la sorpresa ritrasse il viso , portandosi alla perfetta distanza per ricevere la ricompensa che si meritava: la mia mano aperta atterrò sul viso di Xavier in una frazione di secondo, producendo un pesante tonfo che sembrò quasi rimbombare per tutto il disegno. Il pistolero dal bacio facile ritrovò il proprio bel musetto da dongiovanni sul freddo pavimento dello sfondo che, seppur invisibile, non doveva avergli regalato sensazioni piacevoli.

 

Un 'espressione di dolore si dipinse sul suo volto, mentre si copriva l'evidente rossore della faccia con un palmo:

"M-ma tu sei viva!" chiese turbato e con tono tutt’altro che amichevole.

"E tu sei un porco!" incalzai incrociando le braccia avanti a me e trafiggendolo con lo sguardo; aveva scelto la donna sbagliata per sfogare le sue pulsazioni e si doveva persino ritenere fortunato: ci fosse stata Jessie al mio posto, si sarebbe ritrovato anche qualche buco in più per andare in bagno.

L’uomo ascoltò in silenzio la mia risposta,sfregandosi il livido con la mano come se un lieve massaggio gli potesse portare sollievo. Presosi qualche secondo per elaborare la situazione, si fece sfuggire una fragorosa risata, quasi la notizia lo divertisse; si alzò in piedi con molta lentezza e si sistemò la camicia bordeaux in modo molto  signorile ,facendo sparire le varie pieghe che si erano formate sulla camicia.

"Molto interessante, questo spiega la strana sensazione che sentivo durante sta rottura di crossover. Be, almeno è un conforto sapere di non essere l'unico con un cervello acceso da queste parti, è così noioso far finta di dover conversare con questi manichini quando disegnano le strisce" commentò prima di compiere un passo nella mia direzione, ricolmando la distanza che fino a pochi secondi fa ci separava.

 

"Permettimi di porgere le mie scuse per poter ricominciare da capo. Sono Xavier Della Volpe Nera, ma immagino che questo lo sapessi già" disse avanzando la mano in segno di riconciliazione.

 

Ero titubante se accettare o no la proposta di pace da parte di un lestofante; certo,non sembrava minimamente pentito del suo approccio,  ma  ,vuoi per la mia innata fiducia nel prossimo, vuoi per la solitudine di quei giorni che covavo nel cuore, decisi temporaneamente di metterci una pietra sopra e ricambiai con un semplice "Va bene" ed un veloce scambio di convenevoli.

 

Il dongiovanni si compiacque per la sua vittoria e sfoggiò un cenno di sorriso :"Perfetto, ora che è tutto chiarito, direi che possiamo andare a fare un giro la fuori, no? A meno che tu non voglia rimanere qui e continuare il discorso da dove l'abbiamo interrotto: devo dire che le tue sono le labbra più morbide che abbia mai avuto l'onore di baciare."

Il braccio destro fremeva per concederli un bis, quando un urlò di donna interruppe ogni mio desiderio di vendetta: Xavier rimase spaesato da quel suono ma io sapevo benissimo a chi apparteneva,in quei giorni l’avevo imparato a conoscere come se fosse una di famiglia.

“Valeria!!!” risposi in preda alla preoccupazione.

Instintivamente corsi in direzione della soglia invisibile ed oltrapassai la Barriera Azzurra senza dare alla Ragione il tempo di elaborare un piano.

A nulla servì il tentativo del ladro di bloccarmi, non distolsi lo sguardo dal mio obiettivo e varcai il portale per ripiombare nella casa della mia autrice, che nonostante il dolore che inconsapevolmente mi aveva provocato, era la cosa che di più in quel mondo si avvicinava ad un’amica.

 


Note:
Character : Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
Xavier © Jessica Marino

Artwork :Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: Aerosmith - Rag Doll

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Capitolo 5
*** Un'inattesa piega degli eventi ***


Quando mi materializzai nella camera di Valeria, non scorsi nulla di preoccupante ,ogni prezioso fumetto e suppellettile era maniacamente appoggiato nella sua ben studiata posizione, un museo personale completamente intonso , escludendo ovviamente il letto ricoperto dai peli di Kiba e la scrivania tappezzata da uno spesso strato di fogli e sketch.

Nulla faceva presagire il peggio, fino a che non udii provenire dall’altra stanza un fastidioso rumore di vetri infranti e mobili rovesciati; in ultimo, lo straziante guaito del Border Collie che mi pugnalò il cuore.

Corsi verso la porta, appoggiando la mano sulla maniglia che si fece incredibilmente rigida: che fosse un malintenzionato che tentava un colpo? No, una malsana e claustrafobica sensazione di pericolo sembrava voler avvertire il mio sangue di lupo,al punto che dovetti ricorrere a tutto il mio autocontrollo per abbassare il pomello ed oltrepassare la soglia.

La prima cosa che percepii fu il il fastidioso calpestio delle mie scarpe sui cocci e sui rimasugli  distrutti di quello che un tempo era il soggiorno di casa, un caos infernale composto da legno,plastica e vetro come se vi fosse passato un uragano. Prima che potessi girare lo sguardo , scorsi il povero Kiba sfrecciarmi davanti agli occhi e scontrarsi rovinosamente contro un quadro attaccato alla parete , fracassandolo in una miriade di frammenti che piovvero sul pavimento logoro e si unirono al mare di rifiuti. Il tempo sembrò volersi fermare per aumentare il disagio mentre scorgevo il cane scivolare lungo il muro privo di coscienza ed accasciarsi sul freddo drappo di schegge.

Andando contro ogni istinto di sopravvivenza, mi fiondai verso il mio amico a quattro zampe per controllare le sue condizioni: una brutta ferita sulla zampa destra stava iniziando a macchiare le piastrelle e le mie mani e non bisognava essere un veterinario per capire che avesse bisogno di cure con una certa urgenza.

Fu allora che l’angoscia mutò in risentimento: i muscoli delle braccia e del petto si irrigidirono come se avessi addosso un’armatura , il cuore cominciò a pompare una quantità sempre maggiore di sangue irrorando una violenta sensazione di calore per tutto il corpo e digrignai i canini per sfogare la mia frustrazione; l’organismo era pronto all’azione, per cui poteri rivolgere le dovute attenzioni alla persona che aveva appena firmato la propria condanna a morte.

 

Sfortunatamente l’artefice di tanta distruzione non era propriamente un classificabile come “umano”: dalla parte opposta del salone spiccava un ammasso di liquame nero come la pece  , vagamente assomigliante ad un uomo, con un largo e slanciato torace, quattro arti piuttosto tozzi e gocciolanti ed un principio di testa. Il fluido si agitava e scivolava su se stessa senza fermarsi e dopo pochi secondi la sostanza simile all'inchiostro si sfaldava e si ricomponeva, quasi si sforzasse continuamente per assumere quei lineamenti così instabili.

La massa oscura era completamente indefinita lungo tutto il corpo, come se un immenso mantello svolazzante della stessa sfumatura della notte lo avvolgesse, a parte una strana coda che gli fuoriusciva dalla parte posteriore ed una sorta di esteso occhio rosso che occupava la parte superiore del capo.

 

La grottesca creatura sembrava avere percepito la mia presenza ma non si dimostrò subito ostile, quasi fosse intenta a studiarmi per capire se potessi risultare una minaccia;  circondata da un nero e molliccio tentacolo che avrei potuto definire “braccio destro”, vi era Valeria, priva di sensi ma apparentemente incolume.

 

Lasciala andare, mostro schifoso che non sei altro!” gli urlai contro con voce minacciosa amplificata dalla rabbia ,eppure la bestia non rispose in alcun modo, limitandosi a strisciare un passo davanti a me e lasciando colare la propria bava color ebano sulle piastrelle rosate.

Purtroppo la mia autrice nell’illustrazione mi aveva disegnato disarmata, perciò dovetti recuperare un pò di lucidità ed arrangiarmi con quello che riuscivo a trovare nella stanza: presi un enorme pezzo affusolato di vetro appartenuta alla finestra andata in frantumi ed avvolsi un lato di essa con uno straccio per pavimenti che stavo schiacciando con i piedi, costruendo il più irregolare ed improvvisato dei pugnali ma sufficientemente tagliente per risultare abbastanza pericoloso.

Raccolsi da terra anche la gamba rotta di una sedia di legno, probabilmente uno strumento per offendere assai scadente come il materiale di cui era composta, ma non potevo pretendere che la mia autrice conservasse un arsenale di armi accanto alla porta di casa per cacciare via i piazzisti insistenti.

Lo scontro era inevitabile e con il corpo pronto a scattare, non mi sarei concessa il lusso di perdere il vantaggio dell’iniziativa: curvai la schiena in avanti abbassando nel frattempo le gambe per raccogliere le energie ed eseguì uno scatto contro l'obiettivo con la medesima determinazione di una madre che difende i cuccioli.

Questa volta la creatura ruppe la propria immobilità e  puntò il suo “braccio” libero verso la sottoscritta, mentre le liquamose dita si allungarono e cominciarono a muoversi di vita propria, come fruste di serpenti desiderose di iniettare il loro carico di veleno.

Le protuberanze cercarono di afferrarmi,ma fu sufficiente deviare verso destra ponendo quel che rimaneva del divano fra me e lui per evitare la stretta dei tentacoli e mutare il destino funesto. Ripresi la mia corsa e quando con un ultimo scatto giunsi al suo cospetto, ruotai il bastone verso il nemico e colpì la protuberanza superiore del bestione su quello che sarebbe stata la posizione della tempia destra con tutta la forza che avevo accumulato.

L'ebano mostro piegò innaturalmente il corpo verso il lato opposto senza opporre particolare resistenza, regalandomi un'occasione unica per chiudere celermente la partita: due sferzate veloci con la mazza improvvisata mi permisero di abbassare ulteriormente la testa della creatura, per cui ne approfittai ed affondai il pugnale improvvisato nell'occhio rosso per almeno una decina di centimetri, producendo un fiotto di sangue o cosa diavolo altro fosse che si sparse per la stanza.

L’essere agitò velocemente la propria mole in preda alle convulsioni e si schiantò contro la parete vicina facendo crollare una libreria per poi accasciarsi per terra e sfaldarsi come un gelato lasciato riposare sotto il sole estivo.

Concluso il suo scopo, la collera scemava di intensità, permettendomi di lasciar cadere le improvvisate armi sul pavimento per andare ad occuparmi della mia creatrice; liberai Valeria dall’inchiostro rimastole addosso e la feci sdraiare sul malconcio divano: non aveva ancora ripreso coscienza ma un ampio sorriso mi attraversò la faccia quando capii che respirava con regolarità e , tolto qualche graffio, era in buone condizioni.

Non era decisamente il tipo di serata che mi ero immaginata di passare con lei,ma tutto sembrava essersi risolto nei migliori dei modi, almeno finchè non mi girai alla ricerca di qualcosa per medicare quei pochi graffi:  dalla pozzanghera immonda si inalzò un lungo ed robusto braccio grondante di melma, un ammasso colante di materia scura a forma di maglio che si scagliò in direzione del mio petto.

Ebbi a malapena il tempo di incrociare le mani davanti a me un istante prima che che la pressante arma di inchiostro tentasse di schiacciarmi la gabbia toracia, la cui primordiale forza mi proiettò lontano da lui come un bambino con un giocattolo che lo aveva stufato; ci pensò il muro a frenare il mio volo , usando la medesima delicatezza che aveva riservato al mio amico Kiba. La morsa del dolore mi cinse le mani e la schiena, accompagnata dall’orrenda sensazione che qualcosa si fosse rotto in me; i denti digrignati strozzarono in parte l’urlo che emise la mia bocca, un attimo prima di atterrare su quella superficie di piastrelle ricoperte di cocci che dovevano essere imparentate con gli aghi dell’albero del mondo natalizio visto che mi regalarono emozioni simili.

 

Perdonami Kiba, ho fallito, non sono riuscito a proteggere chi amavi, sono stato inutil...” fu il mio ultimo pensiero prima di perdere coscienza su quel letto da fachiro improvvisato, mentre il mostro si ricomponeva nuovamente  e si trascinava verso Valeria...

 

Non saprei quantificare per quanto tempo rimasi nel limbo dell’oblio,ricordo solo che a svegliarmi fu il disgustoso rumore del fluido nero che si faceva strada tra i rifiuti dalle più svariate forme e materiali, un blob che pareva essere ritornato sulla scena del crimine per concludere l’opera.

Aprii gli occhi per constatare che non vi era più traccia delle mia autrice sul divano,la conferma definitiva della mia sconfitta. Tentai di afferrare il pugnale di vetro che era caduto accanto al povero Border Collie ancora fuori gioco ma il mostro di china si dimostrò reattivo e mi alzò per il collo dal pavimento afferrandolo in una stretta mortale. Provai a fuggire con uno strattone ma l'unico risultato fu di farlo infuriare ed aumentare la pressione della sua propaggine sul giugulare, bloccandolo anche il poco afflusso di ossigeno che ancora passava a fatica.

Senza più aria a disposizione, la vista iniziò lentamente ad offuscarsi ed a non percepire più i colori, mentre la strenue resistenza che opponevo con le mani era destinata ad un tragico epigolo.

E fu proprio in quelll’istante, quando stavo per arrendermi all'inevitabile, che udii il frastuono di una confusa esplosione alla mia sinistra, ovatta dalle mie orecchie malfunzionanti;un secondo suono simile al precedente mi confermò che era uno sparo, accentuato dall’ insopportabile odore della polvere bruciata mescolata al metallo che detestavo fin da piccola.

Fortunatamente il secondo colpo ottenne il risultato sperato ed il tentacolo venne distrutto nell’impatto, sfaldandone la struttura.

Nuovamente l'aria era libera di circolare dentro i polmoni ed irrorare i miei organi assetati di ossigeno, provocandomi dei violenti colpi di tosse che mi costrinsero ad inginocchiarmi; appena recuperai un minimo di lucentezza, mi allontanai goffamente dall'immondo essere prima che potesse nuovamente improgionarmi nella sua stretta.

Non nascosi la sorpresa quando scrutai gli occhi del mio salvatore, il suo sorrisetto beffardo e strafottente come se avesse tutto sotto controllo: Non mi importa cosa diavolo tu sia, ma stai lontano da quella donna: l'ho addocchiata prima io e non sono il tipo da arrendermi per un misero schiaffo” rispose Xavier in tono provocatorio senza distogliere la canna fumante del revolver dal mostro; dopo aver concluso la sua patetica scena da eroe di serie B, pose le  attenzioni su di me a controllare come stessi, o almeno così speravo.

Perdona il ritardo ma erano andato a recuperare la mia  fumante polizza sulla vita e te sei partita allo sbaraglio prima che potessi avvertiti. Comunque puoi stare tranquilla, sistemata la faccenda,sarai libera di ricompensarmi come desideri ” ribattè quasi fosse certo di come sarebbero andate le cose: era un mascalzone ma non uno sprovveduto alle prime armi, quello ne ero sicura.

Mi limitai a raggiungerlo , andando nel frattempo a controllare il povero Kiba li vicino che non si era ancora alzato: non potei farlo altro che tamponare il graffio con quello che mi capitava, nonostante il dolore al collo ed alla schiena che non accennava a diminuire.

Il dongiovanni strinse con forza il calcio della pistola e puntò la bocca di fuoco contro l’occhio del bestione , il cui braccio mozzato venne riassorbito da una delle gambe mentre un altro arto si stava rigenerando per sostituire la perdita.

Vediamo di concludere la faccenda in pochi secondi, ho una donna da viziare e non ci serve un terzo incomodo...” commentò prima di girare il cane dell'arma.



Note:
Character : Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
Xavier © Jessica Marino

Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: Requiem for a dream

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Capitolo 6
*** Il Bello e la Bestia ***


L’archetipo del maschio alfa e la Bestia si erano fossilizzati sulle rispettive posizioni, studiando ognuno in silenzio il proprio avversario con lo sguardo: due occhi neri vispi e pungenti che sfidavano un grande ellisse color sangue bramoso di morte.

Come due bombe innescate e pronte ad esplodere, mancava solo una scintilla per accendere le miccie, occasione offerta dal povero Kiba che iniziò a riprendere coscienza di se ed emise un lungo guaito.

Ricevuto il via, l’ammasso di liquame immondo diresse contro il malfattore i suoi bracci tentacolari d’ebano, le cui pseudo-dita si animarono ancora una volta come trasudanti fruste .

Fortunatamente l’arma di Xavier era più veloce di qualunque inchiostro indemoniato e l’incastonato organo scarlatto della creatura era un bersaglio naturale fin troppo semplice per il pistolero talentuoso: ogni colpo esploso dalla canna fumante non deviò dall’obiettivo che gli era stato indicato dal padrone, infrangendo il mostruoso iride in una miriade di rivoltanti frammenti maleodoranti; i lunghi artigli della bestia senza più una spinta si lasciarono trascinare dalla gravità a pochi centimetri dal viso dell’uomo, mentre il corpo si liquefava su se stesso  sprofondando in una pozza scura come se fosse stato catturato dalle sabbie mobili.

La sfida si concluse in una manciata di secondi, con il tamburo del revolver che girava a vuoto , il tintinnio dei bossoli che si unirono al ciarpame sottostante ed  il sorriso compiaciuto del Dongiovanni:

“Mi sei costato ben 6 proiettili, ma ne è valsa la pena...”

“Attento,anche prima il mostro sembrava morto, ma ritorna in vita dopo pochissimo!” urlai per metterlo in guardia, mentre Kiba cercò di alzarsi sulle proprie zampe ma il tremore delle gambe mi anticipò che avrebbe fallito per cui lo sostenni con un abbraccio prima che ricascasse sul pavimento.

“Non sforzarti ,non sei in condizioni” gli risposi con dolcezza accarezzandoli la testa mentre finivo la bendatura d’emergenza con gli stracci che riuscivo a recuperare : strappai un paio di lunghe striscie rettangolari con le quale tamponai grossolanamente le ferite; le parole umane in qualche modo dovevano aver fatto breccia nel mio amico , perciò smise di compiere altri tentativi e si affidò interamente alla sottoscritta.

“Fanculo, questa non ci voleva...se quello che dici corrisponde al vero ,è meglio tagliare la corda prima possibile” consigliò il ladro mentre inseriva nuovi proiettili nel tamburo dell’arma e tirava indietro il cane per risparmiare tempo.

Il lago di inchiostro, fino in quel momento completamente inerme, cominciò ad incresparsi in superficie come se fosse mosso da una brezza impercettibile ; lentamente il minuscolo moto ondoso cresceva di intensità: si stava ridestando.

Il tempo degli indugi era agli sgoccioli, occorreva prendere una decisione; se anche io e Xavier avessimo tentato di oltrepassare la Barriera e fossimo scappati dentro Mac, non avremmo mai potuto avere la sicurezza che la bestia non ci avrebbe inseguito, senza contare che distruggendo la scatola luminosa,solo il cielo era alla conoscenza di cosa ci avrebbe riservato il destino.

E Kiba? Non ero riuscita a salvare la mia autrice, ma non avrei permesso alla Bestia di portarmi via anche lui,l’ unica famiglia rimasta; avrei difeso il suo ed il mio diritto a vivere con ogni fibra del corpo, una promessa che strappai a me stessa e sigillai con un bacio sulla fronte del Border Collie.

“Scendiamo le scale,presto!” risposi all’uomo mentre stringevo con maggior vigore il mio paziente per poi alzarlo da terra e portarmelo in braccio: sentire i suoi mugugnii mentre lo sollevavo fu un male doloroso ma necessario.

“Sei matta? Lascia quel sacco di pulci che ci rallenterà e basta!” incalzò il furfante innervosito dalle mia uscita, ma neppure l’ attraente quanto pervertito salvatore mi avrebbe fatto desistere.

“Mi spiace Xavier,ma non abbandonerò Kiba al suo destino! Tu sei libero di non seguirmi in questa follia e prendere la strada che preferisci…” conclusi con tono fermo e deciso, prima di dirigermi verso la porta di casa e spalancare l’uscio socchiuso con un calcio.

La pesante anta sbattè contro la parete adiacente, il cui rumore rieccheggiò all’interno del condominio come il rombo di un tuono poco distante; a ciò seguirono urli e svariati rumori metallici, probabilmente gli abitanti del stabile che venivano ad indagare.

 

“Per tutti gli dei, non siamo manco andati a letto una volta e già mi rompi le scatole come la più acida delle ex? Ma cosa ti passerà per il cervell…” urlò il ladro alle mie spalle;  non terminò la sua lamentela che percepimmo entrambi un improvviso rumore di liquido in agitazione, al pari di un uomo che fuorisciva dal mare dopo una nuotata  . La ragione suggeriva che quel suono fosse prodotto dal nostro demone che tentava di risorgere dal suo giaciglio di rifiuti, ma prima che potessi confermare visivamente, il frastuono di due esplosioni di proiettili ravvicinati ed assordanti acquietarono la Bestia che ripiombò nel suo non eterno riposo. 

“E tu smettila di rompere i coglioni che non è giornata!” proferì il criminale prima di oltrepassare anche lui la soglia ed inseguirmi lungo la mia verticosa discesa per la tromba della scale, raggiungendo la sottoscritta al piano seguente.

Ad un tratto uno dei portoni che dovevamo attraversare si aprì , permettendo il suo ingresso di un alto e magro anziano che, armato di una scopa abbracciata manco fosse un fucile, inveiva senza freni contro di noi additandoci come criminali.

La reazione di Xavier non si fece attendere e puntò l’arma contro la testa dell’ottuagenari accompagnate con  una fragorosa quanto malefica risata.

“Rapina in corso ! Vecchio, se non vuoi che ti faccia un nuovo buco per respirare in fronte, richiudi subito!”

Il pensionato era visibilmente innervosito e spaventato dalla minaccia e ritornò immediatamente dentro la propria abitazione serrando il portone mentre una stridula voce di donna proveniente dall’interno dell’appartamento urlava “Chiama la polizia, Gennaro!".

Non saprei dire se il suo fosse un gesto di cortesia per non coinvolgere altri innocenti o solo un modo sbrigativo per non sprecare tempo o proiettili, ma il diavolo che avevo in corpo non mi permetta di fare ulteriori indagini o supposizioni: con  Kiba fra le braccia che non smetteva di tremare, scesi a perdifiato i 6 piani di scale balzando a gruppo di tre  gradini alla volta.

Arrivato all’agoniato piano terra,la strada si biforcava ai lati,conducendo a due larghe ed opposte entrate in vetro che si affacciavano su vie diverse e apparentemente parallele . Tutto quell'ambiente così estraneo mi disorientava non poco e non mi ero ancora ripresa del tutto dal tentativo di strangolamento , con il fiato che si faceva sempre più irregolare e svariate gocce di sudore che mi colavano sul viso.

“A destra” gridò Xavier ,seguendo chissà quale logica prima di sorpassarmi con un salto per poi atterrare impacciatamente sul piastrellato producendo un gran chiasso.

Seguii la sua proposta e ci dirigemmo verso l’ampio portone che ci divideva dalla libertà, ma il Fato aveva in serbo nuovi colpi di scena e scoprimmo ,a malincuore , che le due ante erano bloccate,forse saldate fra loro per un motivo a noi ignaro.

Un cartello giallo attacco malamente all’ entrata sembrava voler esaudire le nostra legittima curiosità:

"La serratura è rotta,in attesa di riparazione, si prega di usare l’ altro portone.

Ci scusiamo per il disagio.

firmato

l'amministratore XXXXX"

Tentai di sfondare con un paio di calcio ben assestati, ma l’uscita pareva invalicabile ed i vetri si limitarono a vibrare nervosamente.

La delusione che provai fu solo superata dal mio desiderio di aver fra le mani l ‘artefice del messaggio per ringraziarlo della cortesia con una bella ginocchiata dove non batte il sole ed evitare al mondo che potesse malauguratamente proliferare. Ingoiato l’amaro boccone, girammo la schiena per scappare nell’opposta direzione senonchè una colata di materia scura ci sbarrò la strada: dalla tromba delle scale infatti cadeva dal cielo una cascata di denso catrame nero che provocò un tonfo così pesante che le porte tremarono per lo spostamento d’aria.

 

“Il figlio di pu***na si è buttato per raggiungerci: deve aver preso la cosa sul personale…” commentò il belloccio bloccando la mia corsa distendeno il proprio braccio davanti a me: la pozza corvina occupava l’intera zona centrale del corridoio, tentare una sortita ora che era cosciente era un azzardo che rasentava la follia.

“Fanculo, non morirò in un simile postaccio! Preparati “dolcezza”, sistemo un’ultima volta il blob eppoi corriamo verso l’esterno”

disse Xavier, con particolare enfasi sul complimento che mi rivolse con l’ovvio intento di stuzzicarmi; prima che potessi risponderli a tono, tirò fuori dalla borsa una seconda pistola, leggermente più futuristica e moderna del classico revolver e dall’impugnatura in legno pregiato. Dopo aver tolto la sicura alla nuova entrata, posò lo sguardo sulla sua prima arma, rivolgendole parole come se potesse capire.

“Blackfox, lo sai che non mi piacciono le cose a tre, ma ho bisogno di tutta la potenza di fuoco possibile, anche a costo di spendere un capitale in munizioni, immagino che tu possa capire…”.

Mentre mi pentivo di essermi affidata  ad un matto che parlava con un pezzo di odioso metallo, la creatura iniziò a risorgere dal proprio giaciglio, ma in quesgo frangente assunse una forma pressochè  sferica ,senza nessun ellisse rosso od altro dettaglio.

“Dai su, mostrati bestiaccia!” provocò Xavier stringendo le due bocche di fuoco pronte a rispondere, ma l’ombra d’inchiostro si limitò a scagliare un tentacolo contro di noi a grande velocità.

Sia io che il dongiovannni optammo per schivare la lama oscura, che ci oltrepassò e si conficcò nella porta alle nostre spalle con la facilità di un coltello caldo sul burro; insoddisfatto del risultato, il Bestione inchiostrato inviò nuovamente altri arpioni affilati , proteggendo il suo prezioso punto debole all’interno di quel mappamondo gocciolante.

Iniziammo a danzare convulsamente in ogni possibile direzione per  eludere quella pioggia incessante di attacchi, mentre le propagini rimaste nell’aria rendevano sempre più difficile muoversi: qualunque fosse la strategia del demone inchiostrato, non avremmo potuto evitare in eterno il confronto ed il peso di Kiba affaticava sempre di più le mie gambe.

“O la va o la spacca,andiamo!” sentenziò Xavier senza perdersi d’animo e cominciò a dare sfogo alla propria abilità di cecchino, puntando e distruggendo quel dedalo di fili neri che era preferibile non sfiorare; ogni pallottola colpì chirurgicamente le protuberanze , aprendoci uno stretto quando vitale varco verso la tanta agoniata uscita.

Dando a fondo ad ogni energia che rimaneva nei quadricipiti oramai immersi di acido lattico, mi fiondai a testa bassa nella stretta via di fuga, concludendo la corsa con una scivolata che produsse un assordante fischio ma mi permise di evitare gli ultimi tentacoli.

Il mio compare non fu altrettanto fortunato ed inciampò su una di quelle corde che,percepita la vibrazione,si avvolse sulla gamba e lo incatenò  facendolo rovesciare a terra ; nel frattempo nuove bracci fuoriuscirono dal globo per arpionarsi agli altri arti e bloccare ogni reazione.

Quelle protuberanze sembravano appartenere ad un calamaro affamato che aveva finalmente catturato il succoso pesce , mentre la sfera cominciò a sfaldarsi per assumere nuova forma.

Stavolta il corpo della bestia addottò dei lineamenti più umani: ancora grondante di materia scura a cui non piaceva tanta immobilità, potei comunque riconoscere un principio di muscolatura sul petto e sugli arti , con delle proporzioni decisamente più realistiche; da distanza chiunque avrebbe potuto scambiarlo per una persona normale, ad esclusione della testa che, ancora piuttosto grezza e dalla forma conica senza alcun collo, non presentava più il solito organo sensoriale rosso,bensì una vistosa apertura orizzontale che si schiuse davanti a me.

 

"I---inutile....f-fuggire.....voi... m-morirete..." disse con voce bassa e soffocata dall’inchiostro che vi colava dentro.

Un brivido di terrore mi percorse la schiena al suono di quelle parole , un tremore amplificato da quello del Border Collie che non riusciva più a trattenere i propri mugugnii.

Il tempo sembrò nuovamente rallentare nella mia testa, mentre mi veniva proposta l’ennesimo dilemma da risolvere: scappare con Kiba verso l'esterno o tentare di liberare il Dongiovanni  dal mostro di china in versione parlante nonostante le mie condizioni?

Il demone della tentazione continuava a suggerirmi la fuga ma una parte di me si chiedeva come avrei potuto abbandonare il pistolero dopo che mi aveva salvato da morte certa. Solo il cielo sapeva quanto doveva aver combattuto contro se stesso ed il proprio istinto per convincersi a venire in mio soccorso...

No, o tutti o nessuno pensai mentre poggiai Kiba in un angolo prima di lanciarmi contro la bestia; Xavier inutilmente tentava di svincolare almeno un braccio per usare il proprio revolver  ma i neri fili del marionettista controllavano i suoi movimenti, per cui era solo fatica sprecata.

Pronta per il mio ultimo e disperato tentativo, dovetti arrestare la corsa quando i miei sensi sviluppati percepirono uno strano ronzio avvicinarsi.

Un altra minaccia? Di male in peggio...

Note:
Character : Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
Xavier © Jessica Marino

Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: KISS MY LIPS remix

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Capitolo 7
*** Amico o Nemico? ***


Il rumore aumentava di intensità in un continuo e rombante crescendo, arrivando a coprire i lamenti Xavier ed il fruscìo dell’inchiostro sul pavimento.

L’insopportabile ronzio dietro di me si stava avvicinando con sempre più foga, accompagnata da una luce abbagliante che attraversava i vetri trasparenti e si proiettava direttamente sulla sottoscritta, al punto che dovetti coprirmi con la mano per riuscire ad osservare la sorgente.

“ma quella sembra proprio …” proferii prima di scorgere il pericolo e spostarmi lateralmente per sicurezza, mentre una grande massa oscura entrò con prepotenza in scena, scaraventandosi contro il portone che non riuscì a resistere all’urto e dovette lasciarsi trasportare da quella forza inumana: una marea di vetro,metallo e cartaccia invase l’atrio e venne assorbita dal manto immondo della Bestia, che distolse le attenzioni dalle vecchie prede per affrontare la nuova minaccia.

Ma quella roboante forza motrice non tentennò di fronte ad una simile creatura e si precipitò a tutta furia contro il ventre liquido del demone d’inchiostro, che si attaccò al cofano del mezzo incapace di reagire prontamente. Le protuberanze fissate nelle pareti ed i tentacoli che imprigionavano Xavier seguirono il destino del padrone e vennero estirpate dalla loro posizioni come tiranti di un tendone da circo in balia dell’uragano.

La corsa della macchina non conobbe ostacoli e trasportò lo sgradevole passeggero fino ai pressi della seconda entrata, quando la mole oscura si infranse contro i vetri condannandolo ad una probabile morte per schiacciamento: il corpo del mostro non sopportò la pressione e si sfaldò spargendosi per l’area e macchiando l’intera parete con la medesima e violenta logica di un gavettone di vernice su una parete immacolata, con eccezione di una porzione del torace e della testa che emise un lungo grido in preda al delirio.

Sfruttai il caos generato da quella incursione per liberare il pistolero dalle ultime frustre che ancora lo stritolavano con un paio di calcio ben piazzati all’altezza del petto di lui: un sospiro di sollievo dipinto si dipinse sul mio volto quando scoprii che le sue condizioni erano più che discrete, a parte qualche graffio sul collo e sulle braccia che non intaccavano l'aspetto da macho di cui era molto orgoglioso.

“Porca troia, stavolta pensavo che fosse davvero finita: lassù qualcuno mi deve amare parecchio, ed in fondo non potrebbe essere altrimenti” commentò dando sfogo alla sua inarrestabile favella da vero gentiluomo e dandomi conferma del buon stato di salute; gli porsi la mano che accettò senza tentennamenti e lo alzai dal freddo pavimento , il cui disordine alimentato dai nuovi calcinacci richiamava pesantemente il povero appartamento di Tenaga.

“Leviamoci dalle scatole prima che sia troppo tardi!” propose l’uomo mentre si scrollava di dosso gli ultimi detriti e i pezzi di vetro che osavano insozzare la sua camicia bordeaux non più impeccabile.

“Non ancora, dobbiamo capire se siamo di fronte ad un nemico o ad un alleato” risposi a bruciapelo  prima di udire il rumore della portiera dell’auto sportiva che si affacciava nel fatiscente atrio , circostanza che catturò completamente la mia attenzione : la suspence mi gelò il sangue ed irrigidì i miei muscoli, rendendomi tesa come una studentessa che con impazienza prega silente che la maestra non estragga il proprio nome dal registro per un interrogazione.

Chi sarebbe sceso da quel mezzo? Una nuova minaccia, un alleato o cos’altro? Di fronte alla piega che avevano preso gli eventi nell’ultima ora, mi sarei potuta aspettare l’inimmaginabile; deglutii vistosamente mentre focalizzavo i lineamenti dell'ombra straniera che abbandonava l'oscurità dell'abitacolo per mostrarsi a noi...

Quasi rimasi delusa nel constatare quanto sembrasse normale l’uomo che scese dal mezzo: un’elegante figura dai lunghi capelli biondi raccolti sotto un elegante basco verde spento e due grandi occhi azzurri che gli donavano un'aria signorile ; mentre il guidatore costeggiava la carrozzeria dell’auto per raggiungere il demone ferito, i nostri sguardi si incrociarono ,trasmettendomi una piacevole sensazione di dolcezza che si amplificò quando accennò anche un sorriso amichevole, spazzando via dalla mia mente la maggior parte dubbi sulla sua buonafede.

Terminato quel breve frangente di poesia fra noi, tornò a porre le proprie attenzioni verso il nemico comune e lo raggiunse in un paio di passi , infilando nel frattempo la mano all’interno del giubbotto in pelle di camoscio alla ricerca di qualcosa Il demone di inchiostro continuava ad urlare e tentava di spingere lontano da se l’infernale lamiera dal petto liquamoso con quello che gli rimaneva del braccio sinistro, ma quando capì che erano uno sforzo invano, sfogò la propria rabbia battendo ripetutamente l'arto sopra il cofano come un immondo maglio.

“Ora sai anche parlare? Quand’è che smetterai di evolverti e ci onorerai con la tua dipartita?” disse con tono severo il misterioso forestiero, parole dure ed affilate come coltelli come si ci aspetterebbe da un avversario di vecchia data.

La creatura interruppe i propri lamenti e ruotò la protuberanza che gli fungeva da testa in direzione del suo aggressore ,inquadrandolo per qualche attimo giusto il tempo di riconoscere quel viso ed emettere una singola parola con voce flebile

"Jeeeeeeeeenkinsssssss!".

"Per te Signor J.,mostro!" rispose infastidito  , tirando fuori dal proprio vestiario uno strano oggetto futuristico i cui lineamenti richiamavano una sorta di telecomando scuro con due antenne minuscole e parallele che fuoriuscivano dalla sommità; all’improvviso un lampo di luce azzurra attraversò i due elettrodi, una misteriosa e violenta forza elettrica che il biondo risolve senza esitazione contro il petto del mostro china: una scarica simile ad un fulmine attraversò il demone d'inchiostro , che lanciò un'insopportabile grido in preda a degli spasmi violenti senza alcun controllo. Quella convulsa danza macabra si concluse con il suo corpo completamente scomposto in una poltiglia nera che ricopriva il portone oramai ridotto a brandelli.

La figura tuttavia non parve contenta del risultato e si mise a ispezionare l' arma elettrica concludendo con un “Si è già scaricata? Questa non ci voleva…”.

Nonostante si fosse rivelato un aiuto prezioso,l’espressione di Xavier tradiva una grande diffidenza nei confronti dello sconosciuto, con la mano destra saldamente attaccata al calcio di Blackfox ricaricata per l’occasione.

“Chi diavolo sei ?” chiese seccamente il furfante andando subito al dunque; nonostante il minaccioso sguardo del ladro dagli occhi sottili e malfidati, il nostro salvatore non si scompose e porse un sorriso cordiale e apparentemente sincero.

“Un alleato, un amico, un semplice soccorritore di passaggio...posso essere tante cose, assumere molteplici ruoli, dipende solo da voi…” incalzò tornando nuovamente accanto alla portiera con passo molto leggero, quasi avesse fretta ma non volesse darlo a vedere. 
“Comunque sarei ben lieto di esaudire ogni vostra curiosità una volta abbandonato questo luogo,prima che Ink possa resuscitare e rovinare la festa” rispose prima di rientrare velocemente nella vettura senza attendere una qualche nostra reazione. L’essere ignorato sembrò ferire il suo orgoglio da maschio alfa ed alimentare i sospetti del furfante nei riguardi dello straniero ; una palpabile tensione che poteva esplodere in qualunque momento si instaurò unilateralmente fra i due maschi, ma calmare certi bollori non aveva la precedenza sulla salute del Border Collie, per cui ritornai a prendermi cura del mio amico che mi osservava dalla scomoda posizione con i suoi occhi color nocciola carichi di sofferenza .

“Va tutto bene, Kiba, ora possiamo andarcene” gli sussurrai all’orecchio prima di ristringerlo nuovamente a me, impregnando il naso con il suo odore inconfondibile.

Il misterioso Jenkins accese il roboante motore  della macchina e con un paio di repentine manovre da professionista virò il muso del proprio mezzo nella direzione opposta nonostante il poco spazio a disposizione; l’auto compì un breve scatto generando un fastidioso ed acuto stridio fra le gomme ed il pavimento un tempo lucido per poi terminare la  corsa giusto a pochi centimetri da noi ; il guidatore abbassò il vetro del passeggero anteriore che ci separava e rilanciò l’ennesimo sorriso cordiale , riprendendo il discorso da dove l’aveva abbandonato:

“Il tempo gioca a vostro sfavore ed il cane che vi portate appresso sembra abbia bisogno di un veterinario; posso concedervi il mio aiuto, ma dovete fidarvi: prendere o lasciare”.

“Spiacente, ho imparato a non fidarmi degli sconosciuti dal sorriso facile... Coraggio piccola, andiamocene ora che il biondino ci ha gentilmente aperto l’uscita...” concluse stizzito Xavier; ottenuta la mia attenzione, il dongiovanni compì qualche passo in direzione della soglia non più ostruita da alcun portone vetrato , ruotando la schiena per controllare che lo seguissimi : “Allora?”.

Ma la mia mente aveva già preso un’altra decisione; in realtà non furono le sue parole a convincermi, bensì lo sguardo: se era vero che gli occhi erano lo specchio dell’anima, quei gioielli azzurri incastonati su un angelico viso dovevano appartenere ad una persona schietta e gentile; per quanto mi sforzassi di individuare segni di incertezza o falsità, quei fari lucenti erano più trasparenti dell’acqua cristallina che può bagnarti i piedi in una spiaggia tropicale incontaminata. Ed anche se la mia errata valutazione fosse un mero inganno da parte della mia ingenuità,con il mio amico a quattro zampe in quelle condizioni in un mondo a me sconosciuto oltre la soglia della casa di Valeria,l’unica scelta era solo una.

“Io vado con lui”

“Stai scherzando? Sto dandy da rivista ed il blob sembrano nemici affiatati,che si scannino fra loro senza coinvolgerci, possiamo fare a meno del loro mezzo”

“Noi forse si,ma Kiba...ha urgente bisogno di un dottore, ed io...io non posso permettermi di perdere anche lui! Cerca di capirmi...” .

Conclusa la mia spiegazione, liberai dalla mia stretta sul paziente la mano destra per cercare di aprire la portiera del passeggero anteriore,operazione che completai con estrema fatica a causa dell’odiato metallo, la cui ruvida superficie mi risucchiava le poche energie rimaste; un profumo di pelle impregnava l’aria dell’abitacolo lussuoso: i sedili e gran parte degli interni erano finemente rivestiti dal lucente materiale color beige, in contrasto con la console del guidatore moderna piene di strane lucette colorante, pulsanti ed indicatori futuristici dai più svariati e misteriosi usi; un eccessivo sfoggio di ricchezza per un mezzo di trasporto non a vapore...

Il biondo guidatore fu lieto della mia scelta e mi aiutò ad agganciare una cinta di sicurezza per proteggere me ed il mio caro dagli eventuali scossoni, purtroppo non potei dire lo stesso di Xavier, che non sembrò entusiasta della mia iniziativa.

“Ma perchè ...perchè continuo a perdere tempo con te???” fu la sua signorile risposta; aggrottò le sopracciglia e pronunciò a denti stretti parole incomprensibili ma di cui era facile intuire il significato. Sembrava sul punto di andarsene a piedi quando rimase imbambolato a fissare qualcosa dietro la macchina, uno spettacolo che doveva in qualche modo averlo convinto a rimettere in discussione ogni cosa: si fiondò direttamente sulla portiera dietro e dopo aver aperta si buttò dentro urlando al biondo “Dannazioni, parti subito! La cosa si è ridestata!”.

Cercai invano di incrociare la figura demoniaca nello specchio laterale del mezzo ma Jenkins non mi diede il tempo di focalizzare e schiacciò il pedale dell’acceleratore con tutto il peso del proprio corpo, facendo sbalzare l’auto in avanti in una rocambolesca partenza degna di un film.

Un fastidioso odore di gomma bruciata e fumo da combustione circondò la vettura mentre si proiettava oltre il portone compiendo un lieve balzo superando un paio di gradini. Ma l’euforia di essere scampati al pericolo durò non più di un paio di secondi, giusto il tempo per far gridare a Xavier “la fottuta cosa si è attaccata alla carrozzeria!!!”.

Girai lo sguardo e fui costretta a confermare la versione del dongiovanni,proprio un attimo prima di essere sfiorata da uno degli artigli del mostro che cercava nuovi appigli sul nostro mezzo per la fuga infrangendo il lunotto posteriore; la mia fortuna fu che la forza di quegli attacchi sembrava essere scemata e non riusci ad oltrepassare mio sedile.

Il ladro imbracciò le proprie armi e cominciò a sparare verso i tentacoli sporgendosi dalla portiera per tentare di sbrigliare l’auto dalla liquamosa stretta del predatore d’inchiostro : “Hai visto cosa succede a non darmi ragione, Tesoro mio???”.

L’espressione di Jenkins in volto si fece più scura ma infondeva ancora una certa sicurezza, come se fosse abituato a simile situazioni:

“Allacciatevi le cinture, è giunto il momento di liberarsi della zavorra”.

Avevamo cambiato location, ma nella dura lotta che avevamo ingattiato con la Bestia, la nostra vita era ancora la posta in palio...

Note:

Character : Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga" (http://www.tenagacomics.com/)

Xavier © Jessica Marino (www.antithesis-comic.com)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/) 



Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: The Ark - Let Your Body Decide

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Capitolo 8
*** Need for speed ***


Nonostante il danno riportato sul cofano, la macchina procedeva spedita nella notte più buia, interrotta solo da un qualche insegna al neon che ronzava rumorosamente sopra i negozi chiusi e dai lampioni logori la cui illuminazione andava via e tornava ad intervalli irregolari. Quel mondo appariva così freddo e senza vita attraverso i finestrini del mezzo,solo immensi palazzoni simili a caserme dai colori spenti e strade asfaltate, ogni tanto accompagnate da qualche striminzito albero che sembrava reclamare pietosamente un pò di cura ed amore.

Ero talmente persa in quell’universo così distante e misterioso dal mio che dovettero intervenire i frastuoni delle bocche di fuoco di Xavier per ridestarmi da quel sogno ad occhi aperti e farmi riemergere nella drammatica realtà.

“E molla la presa, stramaledetto pongo demoniaco! Con tutti questi proiettili che mi fai spendere, mi toccherà concedermi a tutte le donne di questa città!” commentò irritato l’amato furfante mentre ricaricava l’arma moderna con una sola mano e contemporaneamente elargiva piombo con BlackFox: nonostante la vettura sfrecciasse a gran velocità nel traffico serale, il dongiovanni muoveva elegantemente le pistole  come un giocoliere circense ,con l’unica differenza che stavolta c’era in gioco qualcosa di più degli applausi del pubblico.

“Ehi,damerino... vai più piano che per poco non mi facevi sbagliare!” si lamentò fregandose dell’etichetta, accompagnando il tutto con una pioggia di bossoli dorati che stava ricoprendo gli interni lussuosi ed immacolati della vettura; il lunotto posteriore che separava noi dalla Bestia si faceva ad ogni scontro sempre più frastagliato e fragile, dando così la possibilità all’aria esterna di penetrare e donarci il suo gelido carico di ossigeno.

“Spiacente, ma se rallento e do possibilità ad Ink di attaccarci, il conto dell’armaiolo sarà l’ultimissimo dei nostri problemi” rispose Jenkins senza distogliere lo sguardo dagli ostacoli che si fraponnevano sulla strada: per nostra fortuna le vie parevano pressocchè deserte , tranne  qualche pedone che scappava allarmato dal rumore delle nostre armi e sporadiche scatole di latta che ci evitavano come se fossimo portatori di peste.

Immersi le mie attenzioni nello specchio laterale alla destra per studiare il nostro indemoniato avversario che inutilmente si celava nell’ombra : un ammasso di inchiostro di forma cilindrica ancorato con perseveranza alla carrozzeria tramite una serie di arpioni che lanciava contro il mezzo; il corpo aerodinamico e stretto gli permetteva di surfare agilmente sul fiume di catrame riducendo al minimo il consumo di materia oscura che inevitabilmente per attrito si staccava da lui .

Nonostante le incredibili performance di Xavier, la liquamosa creatura riusciva sempre a sostituire i tentacoli perduti con nuove funi color ebano, facendoci sprecare preziose munizioni e danneggiando la macchina un pezzo alla volta; per quanto avremmo potuto continuare con quel balletto fra preda e cacciatore? Il dubbio della sconfitta cominciava ad insuinarsi nella mia mente, contaminando i pensieri di una negatività che non mi apparteneva.

“Non riesce proprio a distruggere tutte le sue protuberanze? Questo modello di porsche ha il motore posteriore e se riesce a danneggiarlo, saremo alla sua mercè” chiese il gentiluomo osservando il suo interlocutore dallo specchio retrovisore.

“E secondo te cosa sto cercando di fare??? Invece di fare domande superflue, perchè non dai una mano? Tipo lanciare la palla di pelo o te stesso contro il demone: magari vi trova deliziosi e ci lascia in pace…” contraccambiò il ladro ,sentendosi punto nell’orgoglio.

“Non preoccupatevi, è quello che ho intenzione di fare durante la prossima curva: reggetevi che si inizierà a ballare..” replicò un determinato Jenkins , accelerando nel breve rettilineo che ci separava da un tornante.

In quella zona della città la periferia concedeva spazio a  fatiscenti quartieri industriali apparentemente abbadonati da chissà quanto tempo; uno di questi edifici sorgeva in prossimità della svolta successiva, un parallelepipedo di cemento anonimo le cui uniche decorazioni e tonalità di colore provenivano da sgargianti graffiti che simboleggiavano la più cupa rabbia giovanile.

L’elegante guidatore descrisse una traiettoria volutamente sul bordo esterno della curva , frenando e  ruotando il volante solo nell’ultimo tratto: la grande maestria gli permise di non perdere il controllo del mezzo e di trasformare l’auto stessa in una impropria quanto efficace fionda di metallo, che proiettò il passeggero abusivo contro la solida parete. La mole informe tentò invano di rallentare la propria corsa con esiti assai deludenti , costretta ad un incontro ravvicinato con la costruzione che non oppose resitenza e si lasciò oltrepassare : la creatura emise un stridio assordante ,  mentre i calcinacci venivano incorporato nell’intruglio oscuro.

Il rovescio della medaglia fu la fastidiosa sensazione che provai nel sentire lo stomaco pressato contro il morbido sedile, nulla se paragonato al destino di  Xavier che , incurante del consiglio come un fiero maschio alfa, si ritrovò il muso catapultato contro il vetro della portiera laterale.

“...ora so come si sente una maracas…” commentò mentre il biondino riprendeva la sua folle corsa verso il nuovo ostacolo su cui far schiantare il nostro inseguitore.

Ma i ripetuti tentativi non sortirono l’effetto sperato e l’ostinazione della Bestia non pareva minimamente scalfita , al contrario della nostra faretra sempre più bisognosa di nuove frecce : eseguita l’ennesima  e rocambolesca manovra, persino l’irriducibile dongiovanni mostrava i primi segni di arrendevolezza.

“Se il tuo scopo era farmi rivoltare lo stomaco, continua pure, altrimenti meglio che la smetti perchè non serve assolutamente a nulla...”.

Era davvero così? Il nostro era un accadimento terapeutico per un paziente oramai deceduto? Lo sconforto di quelle parole fu pari solo alla mia rabbia per non poter essere d’aiuto, per essere relegata a ruolo di spettatrice mentre gli altri si sforzavano per migliorare il proprio destino, un ritornello che oramai mi ronzava nella testa peggio di un tormentone estivo. Il guidatore dai lineamenti nobili si fece silenzioso , ma la sua espressione quasi distaccata faceva presumere che la  mente stava elaborando un piano.

“Temo non ci sia altra scelta…” proferì a se stesso , imboccando una traversa per fuggire velocemente verso una zona più disabitata; concluso il suo flusso di pensieri, spostò il braccio destro verso la mia parte di abitacolo, puntando con l’indice l'area del cruscotto che si affacciava davanti alla sottoscritta.

“Signorina, potrebbe gentilmente aprirmi il portaoggetti e prendermi il contenitore cilindrico che vi è dentro?” chiese con tono deciso e gentile nonostante la situaziona tragica.

“C-certo” risposi prima di spostare le mani sulla console, esplorando con le dita la superficie plastica nera alla ricerca di un qualche pulsante o meccanismo.

Dopo qualche goffo tentativo, riuscì ad aprire il misterioso cassetto ed ad afferrare lo strumento descritto da Jenkins, un ergonomico cilindro grigiastro assai pesante che sembrava contenere sabbia a giudicare dalle vibrazioni.Lo porsi al diretto interessato, ricevendo in cambio il solito sorriso.

“Cosa è?” chiesi.

“Una bomba artigianale con detonatore a tempo…”.

Gli assordanti spari non impedirono a Xavier di udire le parole del dandy, una rivelazione che fece andare su di giri il ladro sentendosi così obbligato a dire la sua:

“E cosa aspettavi a tirarla fuori? Un invito scritto blob a bombardarlo?”.

“Perchè è un prototipo non ancora testato e con il suo elevato potere esplosivo , c’è un' alta probabilità che possa coinvolgere anche noi...”  .

Una risposta che però non sembrò soddisfare il pistolero:

“Chi se ne frega degli effetti collaterali! Qua ho solo due caricatori, se gli diamo altro tempo abbiamo il 100% di probabilità che ci afferri!” .

A quelle parole il dandy sembrò in difficoltà su come controbattere e dopo essersi preso qualche altro secondo per valutare altre chance, scosse la testa come gesto di rassegnazione a quella decisione.

“D’accordo… fammi guadagnare solo abbastanza tempo da raggiungere un luogo totalmente disabitato, non voglio coinvolgere nessuno”

“E con cosa lo fermo, con i confetti? …Fai quello che vuoi, ma sbrigati!” concluse categoricamente prima di colpire un tentacolo che cercava di oltrepassare il lunotto.

Ma anche la creatura sembrava aver optato per un cambio di strategia e smise all’improvviso di gettare nuovi arpioni contro di noi; da li a poco, iniziò ad affiorare dal centro del surf un’ unica grande protuberanza , che lentamente assunse la forma di un muscoloso braccio umano; quando la colonna d’inchiostro raggiunse i 4 metri di altezza ,fermò la sua corsa in cielo come si stesse preparando a colpire.

“Sta per attaccare!” urlò il ladro tentando  di rallentare la discesa del maglio sopra di noi, ma l’ombra dell’arma melmosa ci sovrastava e non sembrava esistere proiettile abbastanza potente da arrestarlo. Jenkins osservò tutta la scena dallo specchietto laterale, reagendo celermente con una virata  e  spostando l’auto pochi attimi prima che avvenisse l’inevitabile impatto.

Una grossa cicatrice si formò sul manto stradale, che si scompose in una nube di frammenti lanciata a gran velocità contro carrozzeria; il motore fu risparmiato dai detriti ma l’onda d’urto ci travolse in pieno scuotendo il nostro mezzo che rimase in carreggiata solo per merito del guidatore.

“Ultimo giro, ora o mai più...” furono le parole del belloccio, mentre faceva scivolare per terra la sua arma futuristica scarica ed infilava l’unico carichino che gli possedeva ancora dentro il revolver oramai bollente.

Proprio in quel frangente, un minuscolo arpione si insinuò furbescamente nell’abitacolo sprovvisto di difese: all’uomo non rimase altro che buttarsi di lato schiacciandosi contro il mio sedile, mentre il tentacolo senza più ostacoli raggiunse la schiena di Jenkins.

I riflessi del gentiluomo gli permisero di spostarsi giusto in tempo per evitare di essere trapassato dalla lame oscura, ma nel trambusto la protuberanza colpì una delle sommità della bomba.

Attimi di terrore mentre istintivamente coprii  Kiba con le mani per proteggerlo dalla deflagrazione; tuttavia la sorte sembrava girare dalla nostra parte ed il pericolo venne scongiurato, con le mie orecchie violentate di nuovo dall’atroce rumore e tanfo della polvere da sparo generate da Xavier per annientare l’intruso d’inchiostro.

Raccolsi il cilindro con molta delicatezza, scorgendo la spaccatura prodotta dall’arpione che sembrava aver danneggiato solo degli strani meccanismi posti in cima.

“Dannazione, ha distrutto il meccanismo di innesco…” commentò il gentiluomo ; tutto pareva perduto ma l’adrenalina che avevo in circolo aguzzò l’ingegno e girai lo sguardo verso il pistolero alfa che goffamente cercava di rialzarsi.

“Xavier, hai ancora qualche proiettile?”

“Tre, tesoro mio. Poi mi toccherà combatterlo a sputi”

“Ok, io gli lancerò contro la bomba, tu cerca di colpirla e preghiamo che si attivi”

“Un bersaglio mobile in queste condizioni? Mi servirà una motivazione, che ne dici di una ricompensa se ci riesco?”.

La pretesa dell’uomo mi lascio interdetta per qualche secondo, incredula sulla piega che stavano prendendo il discorso.

“Ma...ma ti sembra il momento di chiedere simili cose?”

“E’ sempre il momento per un ottima affare, eppoi che ti costa promettere? Se va tutto per il meglio, si tratta di un piccolo prezzo per aver salva la vita, se va male...be, non ti tocca sganciare nulla.Allora?”.

Forse era solo uno scherzo, forse un gioco psicologico per autoconvincersi a dare il meglio, in tutti i casi non rimaneva che accettare quell’assurdità e chiudere la partita prima che fosse troppo tardi.

“....Va bene ma vedi di non farmene pentire”

“Tesoro, son un professionista: nessuna donna è andata via da me insoddisfatta“.

Rimossi velocemente dalla mia mente la sua ultima frase e cercai di aprire il vetro della portiera, operazione che mi risultò difficoltosa ma superai comunque schiacciando i pulsanti un pò a caso.

Non potendo alzarmi perchè bloccata da Kiba, dovetti solo fare affidamento al vetro laterale, sperando che riuscissi nell’impresa al primo colpo. A complicare il tutto vi era l’agoniato metallo celato dentro l’ordigno: l’invisibile nemico mi risucchiava lentamente le energie dal braccio come una sansuisuga assetata.

Feci un lungo respiro ad occhi chiusi per raccogliere la concentrazione ed isolare la mente da ogni preoccupazione possibile: non eravamo in una macchina inseguito da un mostro in pericolo di vita, c’ero solo io , un palla ed un canestro dietro di me.

Quando mi sentii pronta, alzai le palpebre, avvertii Xavier con un cenno e lanciai il cilindro dietro la vettura con un veloce movimento del braccio, facendo descrivere alla bomba una traiettoria parabolica contro il bersaglio con una precisione degna di lode.

Il primo colpo sfiorò l’obiettivo conficcandosi nel grande arto d’inchiostro; una seconda pallottola lo mancò vistosamente facendomi assaporare l’amaro gusto della sconfitta; ma quando l’ordigno rimbalzò sulla melma scavalcandolo, l’ultima nostra possibilità si trasformò in un centro perfetto.

Ancora una volta il tempo parve rallentare: dapprima un lampo arancione ricoprì la bomba, generando una grande nuvola di fumo grigio chi  espanse per la strada; lunghe nubi nere cariche di pulviscolo e calore attraversarono la Bestia che, allertata dalla minaccia, cercò di chiamare a se quanta più materia oscura possibile.

Il fumo fece posto a nuove deflagrazioni ed esplosioni accecanti dai colori sempre più forti che occupavano sempre più spazio ed illuminavano a giorno tutto il quartiere. L’onda di fuoco avvolse il demone che invano generò uno scudo per proteggersi, ma la fiamma della giustizia ardeva con troppa forza ed in men che non si dica inghiottì l’ombra scura che venne consumata come un fiammifero nel cammino.

Ma prima che potessi festeggiare, vidi la scena abbassarsi improvvisamente dal vetro che usavo per scrutare ; ci misi un istante a capire che in realtà era la parte posteriore dell’auto ad alzarsi a causa dell’onda d’aria prodotta, un effetto collaterale che rappresentava il prezzo da pagare.

Il tempo tornò a scorrere normalmente, mentre la vettura rotolò un paio di volte davanti a se: l’unica cosa che ricordo di qeuei frangenti furono i pezzi di vetri che arrivarono sulle braccia ed il rumore del cruscotto che si accartociava sull’asfalto...

Quando ripresi coscienza,dovetti prima di tutto sputare un paio di volte davanti a me per togliermi un saporaccio di metallo e sangue che mi impastava la bocca: il respiro era irregolare, la gola bruciava da morire e l’insopportabile dolore dei graffi scavati dalla schegge sembrava coprire gran parte del corpo come tatuaggi non voluti.

Ma ero viva, una meravigliosa notizia che non riuscivo ancora a focalizzare perchè ancora sotto stress; dapprima percepì il folto pelo di Kiba, malridotto ma tenacemente attacco alla vita come la sottoscritta; sciolsi la mia stretta di lui permettendogli di respirare con maggiore libertà: lo accarezzai un paio di volte come premio per essere dimostrato un vero campione.

Con il passare del tempo, lo sguardo della coscienza si allargava sempre di più, coinvolgendo il guidatore al mio fianco che sembrava nelle medesime condizioni; girai il malandato collo verso di lui, raccogliendo un pò di fiato per chiederli come stava, ma , vuoi per il principio di mal di testa o il trauma cranico che evidente inquinava ancora i miei pensieri,l’unica frase che proferì la mia bocca fu di tutt’altra natura.

“M-Mi spiace per la tua... macchina…”

mi sorpresi di quanto fosse inopportuno quel commento, ma Jenkins rispose con un sorriso reso ancora più splendente dal viso sporco e stette al gioco: “Non si preoccupi Signorina Tenaga... avevo già intenzione di cambiare gli interni perchè mi avevano stufato...”.

Una risata generale rieccheggiò dentro la scatoletta metallico che aveva visto giorni migliori, interrotta dai lamenti del ladro sdraiato malamente sul sedile posteriore come una marionetta scoordinata senza più fili.

“Xa...Xavier?” chiesi pregando che mi rispondesse.

“Fan...fanculo che botta… mi sto ingoiand-oo…. il polmone che h-ha tentato la fuga…” la sua voce spezzata ma presente mi fece tirare un sospiro di sollievo.

“A parte ciò, come ti senti?”

“S-Sazio...”

Il suo commento mi provocò l’ennesima e dolorosa risata, con i muscoli facciali che a fatica acconsentirono alla mia manifestazione di gioia; nel frattempo Jenkins volse il suo sguardo verso il cratere lasciato dalla bomba, una gigantesca voragine distante una ventina di metri da noi: nel mare di fumo che ancora usciva dalla terra non vi era traccia del mostro, un silenzio interrotto solo dai rumori di sirene che preannunciavano l’arrivo dei soccorsi.

Il gentiluomo non perse tempo e cercò di accendere il mezzo mezzo distrutto, riuscendo nell’intento al terzo tentativo .“La macchina è mezza malconcia come noi, ma straordinariamente pare ancora in grado di muoversi ed il motore riesce ad accendersi, direi che nonostante le peripezie, siamo stati abbastanza fortunati…” concluse con un sorriso a 32 denti.

“Fortunati????FORTUNATI???? Già,  datemi un.. biglietto della lotteria che con ...tutta la buona sorte che ci gira ho voglia di fare i miliardi” rispose sarcastico il mitico pistolero cercando di ricomporsi sul sedile.


Ora mi toccava ricompensarlo, cavoli...

つづく

Note:
Character : Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
(http://www.tenagacomics.com/)

Xavier © Jessica Marino (www.antithesis-comic.com)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/)

Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: Nightwish - ELAN

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Capitolo 9
*** Insoliti sospetti ***


Nonostante le condizioni disastrose della scatola di latta, riuscimmo a continuare il nostro viaggio verso l’agognato dottore per Kiba;  senza più alcun vetro integro a proteggerci dalla fredda aria invernale, la temperatura si abbassò drasticamente dentro l’abitacolo, amplificato dal metallo della carcassa che ci imprigionava: chiesi ad un malconcio Xavier di passarmi un indumento logoro accatastato dentro la tasca di una delle portiere; malgrado un paio di borbottii, l’uomo eseguì il compito e potei usare quello straccetto per coprire al meglio il mio compagno animale che stava pericolosamente varcando la soglia dell’incoscienza.

 

“Fai tutto quello che è in tuo potere per far andare veloce questa diavoleria!” sollecitai a Jenkins senza distogliere le attenzioni dal Border Collie che si stava spegnendo fra le  braccia.

“...certamente…” fu la risposta che ricevetti, mentre l’auto malridotta faceva a cadere un pioggia di detriti sulla strada a causa dell’accelerazione: come un moderno Pollicino, lasciavamo sul grigio asfalto di quel mondo  l’inequivocabile segno del nostro passaggio, una striscia discontinua di pezzi che pareva impossibile arginare.

 

“..La prossima volta altro che prendere un passaggio in macchina, vado a piedi che si rischia meno come pedone…” si lamentò con se stesso il furfante dalla lingua biforcuta mentre estraeva dagli arti superiori alcune schegge di vetro: il suo tentativo di ravvivare la conversazione si infranse come una scialuppa sugli scogli e tra noi piombò un glaciale silenzio, ognuno troppo indaffarato ad ordinare mentalmente i propri pensieri dopo il trambusto di prima.

L’irreale situazione non durò che una manciata di minuti,così immersa dalle preoccupazioni da accorgermi solo all’ultimo che la macchina stava lentamente rallentando, posizionandosi a lato di una strada alberata poco trafficata .

La ruota anteriore destra riuscì goffamente a scavalcare il marciapiede, ma le inevitabili vibrazioni che ne seguirono fecero sganciare il cerchione,che compì la sua breve fuga fino a scontrarsi con il palazzo adiacente; da quello che rimaneva del mio sportello il panorama era ostruito da un condominio popolare il cui pianterreno era occupato in gran parte da una lunga vetrata; una luce splendente filtrava dalle finestre nonostante le morbide tende bianche tentassero di nascondere ogni dettaglio al loro interno. A suddividere il muro trasparente in due ci pensò una bassa rampa di gradini scuri culminanti con un’entrata semplice ma dal respiro moderno.

“Ospedale Veterinario” furono le prime parole che riuscì a leggere sopra una larga insegna posta prepotentemente sull’edificio , due termini sufficienti per capire che eravamo giunti a destinazione.

Il motore dell’auto sportiva smise finalmente di girare e con lui fuori dai giochi, si interruppe il fastidioso ronzio che mi celava i suoni della metropoli: una natura inospitale e gelida che regalava alle mie orecchie un silenzio spezzato solo da un rumore di sirene lontane e dal rimbombo di passi di una coppietta poco distante.

 

“Eccoci, ma prima di uscire è meglio che mi dia una raccomandazione” proferì Jepkins, curvando la schiena e cercandomi con lo sguardo; quando i nostri visi furono perfettamente allineati l’uno davanti all’altro, continuò a discorrere:

 

“Cercate di essere discreti: i vostri lineamenti gentili vi permetteranno di confondervi fra la gente, ma gli umani più attenti possono rimanere perplessi dalla particolare tonalità della vostra pelle e ed insospettirsi dalle vostre sembianze decisamente originali. Richiamare su di noi troppa attenzione non farebbe rendere ogni cosa decisamente più complicata perciò copritevi al meglio e mantenete un profilo basso”.

Raggelai quando udii il termine “umani”, come se a noi competesse di più una parola negativa come diversi o mostri; Xavier invece non sembrò particolarmente colpito e rispose d’instinto senza troppi complimenti.

“Si mamma,metteremo il cappotto ,così eviteremo anche che il freddo ci faccia venire il raffreddore“ . Terminata la sua frase, aprì la portiera e fuoriuscì dalla vettura infischiandosi beatamente di ogni avvertimento.

Senza più lo scocciatore fra i piedi, il misterioso gentiluomo poteva concentrarsi solo su di me : si sfilò la giacca di dosso e con un veloce movimento delle braccia me la mise sopra come fosse un mantello.

“Mi spiace di non aver di meglio da offrire” si scusò con un sorriso dal candore angelico; imbarazzata ma felice di quel gesto ,aggiustai l’indumento con un paio di movimenti delle spalle.

“Il fatto che tu mi abbia donato tutto quello che potevi non fa che aumentare l’importante del gesto, grazie…” conclusi prima di aprire anche io lo sportello che produsse un irritante stridio.

 

“Vado a procurarmi un nuovo mezzo, ci vediamo tra mezz’ora nel vicolo qui dietro. Se ti servono dei soldi, la tasca destra contiene del denaro” .

“D’accordo,a dopo,Signor J.” commentai nel momento in cui il vento notturno aumentò di intensità come se si divertisse a solleticare con il proprio carico di gelo le mie stanche membra di Sheridan.

“La prego, mi chiami Jenkins, o Jen” proferì il gentiluomo accendendo il motore della scatoletta di metallo.

“Allora a dopo,Jen...” conclusi con un cenno mentre mi allontanavo  dalla vettura ammaccata; non potevo celare una certa simpatia per quella figura affascinante e misteriosa e forse fu questo feeling a spingere il macho a rivolgermi la sua domanda:

 

“Come puoi fidarti così di un uomo di cui non sai nulla?”

Mai risposta fu più semplice: “Potrei la stessa dire cosa di te, seguo il mio istinto e devo dire che la prima volta ha funzionato”

“Solo fortuna Dolcezza...a proposito di uomini senza scrupoli, ci sarebbe la questione della ricompensa, per cui...” .

 

Il tempismo perfettamente sbagliato di Xavier stava facendo ribollire il mio sangue di Sheridan e crescere il desiderio di sbattere il suo muso contro la vetrata per pulire la macchia di unto che mi stava fissando, ma ingoiai il rospo e cercai di sbrigare velocemente quella scocciatura.

“..d’accordo” fu l’unica frase che pronuncia prima di avvicinare il mio viso al suo e baciarlo sulla guancia ad occhi chiusi, un momento di folle tenerezza davanti ad un luogo dove si combatteva la morte.

Il pistolero rimase esterrefatto dalla mia iniziativa, una sorpresa che si trasformò in irritazione quando la porta automatica della struttura magicamente traslò al mio passaggio .

“Mi prendi in giro? Siamo in Italia,in sto cavolo di stivale  è così che si salutano la persone che nemmeno si conoscono!”

“Xav, sono una scozzese perciò parsimoniosa di effusioni: se desideri una ricompensa più corposa, ti converrà fare qualcosa di più che del semplice tiro a segno. Ora devo andare...” mi congedai con tono quasi distaccato dettato dall’urgenza.

Le offuscate parole che l’uomo proferii alle mie spalle passarono in secondo piano quando vidi un’infermiera venirmi incontro preoccupata dal misterioso carico che portavo tra le braccia.

 

“La prego , il mio amico è gravemente ferito, ha urgente bisogno di cure!”.

La giovane donna dai capelli corvini si avvicinò per esaminare le condizioni di Kiba, spostando gli stracci delicatamente e scoperchiando la brutta ferita alla zampa che emanava un odore sgradevole.

 

“Venga con me, non c’è tempo da perdere!” rispose indicandomi una barella alta con delle rotelle su cui appoggiare il paziente; un guaito flebile come un sussurro uscì dal tenero musetto sporco del cane che accarezzarai e pulii con un panno trovato lì vicino.

Una seconda figura femminile si premunì di trasportare la portantina dentro la sala operativa, ma non ebbi nemmeno il tempo di seguire il mio unico vero familiare che venni prelevata da un altro camice bianco che cominciò a farmi domande su quello che era successo : risposi al questionario inventandomi un’aggressione da parte di ignoti che sembrò blandamente plausibile . Sbrigata la scocciatura, provai ad intrufolarmi verso il capezzale di Kiba ma i dottori preferirono farmi accomodare nella sala d’attesa.

A nulla valsero le mie lamentele, arrivando sul punto di sfiorare un diverbio fisico con un robusto inserviente, ma mi fermai in tempo per il bene del mio fratellino bianco e nero, che attualmente lottava tra la vita e la morte sotto i ferri di qualche chirurgo.

Non so per quanto rimasi in quella prigione candida e pulita senza sbarre,  fu un’agonia senza tempo, una sofferenza scandita dal rumore di lancette dell’orologio a muro; i minuti parevano interminabili, durante le quali la mente dipingeva scenari funesti: e se non avessimo fatto in tempo? Se tutta quella corsa fosse risultata inutile? Più respingevo quei pensieri e più ritornavano in auge e monopolizzavano il mio giudizio.

Finalmente un dottore venne a ragguagliarmi sulla sorte del mio Kiba: era fuori pericolo, piuttosto malconcio ma la prognosi aveva assunto tinte meno fosche di quelle che si aspettavano; d’impulso gli strinsi la mano con entrambi i palmi ed inizia a scuotere gli arti dalla felicità, interrompendo  il mio gesto d’euforia quando mi accorsi dell’imbarazzante sguardo del dottore. L’uomo si ricompose e mi consigliò di andare a riempire un pò di scartoffie per il ricovero perchè il paziente sarebbe dovuto rimanere almeno un paio di giorni sotto osservazione ,per poi svanire in quel dedalo bianco di stanze e corridoio bianchi.

Sollevata dalla notizia, girovagai per la sala immacolata come una trottola impazzita fino a che non posai le mani su uno futuristico parallelepipedo pieno di bottoni colorati; alla ricerca di qualunque stimolo che dare sfogo alla mia gioia , gli schiacciai tutti come un bambino di fronte ad un giocattolo da testare, fino a che non udii un ronzio provenire da una scatola poco distante, una sorta di Mac ma più voluminoso; a poco a poco lo schermo cominciò ad accendersi ed a trasmettere immagini e video come faceva lo strumento di Valeria.

Che fosse uno di quegli aggeggi che la gente chiamava Televisione? Mi sedetti cercando di studiare l’arcaico oggetto che mostrava frammenti di quel mondo così assurdo e distante dal mio.

Fotogrammi in movimento si palesarono davanti a me, i cui personaggi rappresentati prendevano vita quasi stessimo vivendo un sogno senza alcuna logica: era come poter scrutare attraverso una finestra che si affacciava in una miriade di universi totalmente disgiunti ed indipendenti l’uno dall’altro, intercambiabili grazie a quell’aggeggio plasticoso e puzzolente che tenevo fra le mani con l’attenzione che si riserva ad una reliquia.

Viaggiando senza uno scopo preciso fra quei canali multidimensionali, l’occhio mi cadde in uno strano programma , un video in cui una sagoma di pianeta tipo la Terra girava su se stessa dentro una galassia con il medesima colore del mare , accompagnata da un breve concerto di tromboni che rendevano ancora più pomposa ed importante l’introduzione.

Una grande scritta bianca si balena al centro della scena:

“Tele...giornale...” lessi a voce alta cercando di capire cosa diavolo fosse; di li a poco, la finestra si spostò su un uomo ben vestito seduto dietro una scrivania lucente senza alcun suppellettile,  una persona che sembrava proprio attendere la nostra presenza prima di pronunciare il suo discorso:

“Buonasera a tutti dal telegiornale di …, in apertura c’è l’orribile fatto di cronaca che da più di un mese sta tenendo sul fiato sospeso buona parte della popolazione...”.

 

Dedussi che quello fosse lo strumento usato per informare la gente sugli avvenimenti che capitavano nella loro nazione; mi lasciai catturate completamente dalla trasmissione al pari di un’ape alla viste di un prelibato fiore.

 

“Questa scia di rapimenti sembra proprio non avere ancora una conclusione, ma pare ci siano importanti sviluppi da parte delle autorità competenti, ci comunicano infatti che esiste un’identikit preliminare di uno dei responsabili di questi crimini: con il benestare dell’arma dei Carabinieri, ve lo mostreremo in anteprima”.

Incuriosita dalla situazione,protesi a schiena in avanti e focalizzai la mia attenzione su quella figura di uomo disegnata a matita che la televisione esibiva: quando finalmente riuscii a collegare quei lineamenti famigliari all’uomo che qualche minuto mi aveva salvata, fu come se il mondo mi crollasse addosso per l’ennesima volta.

Lasciai che la gravità prendesse possesso del telecomando e lo attirasse con forza contro il pavimento, facendo fuoriuscire un paio di lucenti cilindri di nauseante metallo che scivolarono sotto il divano.

Non ci potevo credere, doveva esserci stata un ‘incomprensione, , uno scambio di persona, qualsiasi cosa...

Il conduttore di quella surreale tragedia nel frattempo diede la parola ad un altro uomo: una figura elegante ma che esprimeva anche forza e sicurezza, con capelli corti brizzolati e due occhi scuri dallo sguardo intenso che sembravano trapassare lo schermo per fiondarsi sullo spettatore.

Il lungo cappotto scuro , la barba incolta ed il portamento signorile gli donavano più anni di quelli che in realtà si portava, un giovane militare che neppure la pioggia sembrava riuscire a disturbare.

“Maresciallo Aaron Leonardi, lei è stato appena nominato responsabile delle indagini su questo spinoso caso, ha qualcosa da dire agli italiani , qualche consiglio?”

L’uomo non tradì alcuna emozione, si spostò verso il microfono e rispose con tono deciso alla domanda:

“Di non preoccuparsi in alcun modo, cattureremo i colpevole di questi scempi e gli assicureremo alla Giustizia. Per velocizzare le operazioni, esorto i miei concittadini a mantenere la calma e collaborare con le autorità inviandoci le loro segnalazioni .Ora se vuole scusarmi, ho un’importante riunione a cui partecipare…” concluse prima di allontanarsi dalle telecamera cun l’agilità di un ‘anguilla  nel suo ambiente naturale, evitando eventuali altre questioni da parte dei giornalisti e sparendo nell’androne di un palazzo adiacente.

Qualunque cosa seguii quel collegamento, non aveva più importanza per me: spiacevoli quando pericolosi dubbi si stavano schiudendo nella mia mente, avevo assolutamente bisogno di sentirmi con Xavier per parlare dell’accaduto. Mi alzai in fretta e mi allontanai dall’area relax, scoprendo per mia fortuna che il pistolero era proprio a pochi metri da me, intendo a “colloquiare” con una giovane donna alla reception dell’Ospedale.

Non rimasi stupita dal tentativo di approccio del dongiovanni: la ragazza sembrava poco più che ventenne, ma possedeva un fisico a dir poco invidiabile e con sfrontatezza lo sfoggiava in un striminzito vestito sportivo aderente che non lasciava nulla all’immaginazione.

A concludere il tutto ci pensava un balcone esplosivo e due occhi glaciali tipiche delle bellezze dell’Est europa; quando mi avvicinai abbastanza da capire la natura dei loro discorsi, compresi che stava raccontando le sue ultime disavventure:

“...c’era questo povero cucciolo di Border Collie ferito sotto i loro piedi mentre ridevano ed io, come profondo amante degli animali, non potevo accettare una simile barbarie, per cui mi sono lanciato e ho lottato con le unghie e con i denti per salvarlo…” descrisse il furfante dando particolarmente enfasi alla storiella che si stava inventando per commuovere la ragazza; non potei fare a meno di scrutarlo infastidita mentre si spacciava per eroe senza macchina e paura, un rancore alimentato dal menefreghismo che aveva sempre riservato al mio amico a quattro zampe.

Quando finalmente si accorse della mia presenza, cercò di correre ai ripari ed anticipò ogni reazione dando sfogo alla sua favella agile.

“Ciao, Cuginetta, tutto bene con il nostro Kiba? Si riprenderà?” concludendo la sua frase con un espressione del tipo “Non mi rovinare la sceneggiata”.

Purtroppo per lui la mia vendetta sarebbe piombata sulla sua prosperosa preda come un falco sul topolino.

“Tutto bene, dicono che si riprenderà presto; nel frattempo mi ha chiamato la Giulia, voleva chiederti se poi eri andato a prendere gli antibiotici per vostra figlia”.

La donna sembrò sorpresa e diede corpo alla propria perplessità : “Non mi avevi detto di avere una bambina”

“Ed anche di una bella coppia di gemelli, Giulia è già al sesto mese: nonostante l’aria da macho, il mio cuginetto è un bravissimo padre…” incalzai prima che potesse reagire: restituirgli pan per focaccia regalava un piacevole retrogusto in bocca alle parole che mi uscivano.

Conclusi il contrattacco con una fraterna pacca sulle spalle ed un sorriso complice, tracciando un profondo solco fra noi e l’attraente straniera, che ricolma di disagio, battè in ritirata sfruttando una proverbiale telefonata al centralino.

“ehm, devo rispondere,è stato un piacere conoscerti, Xavier”

“Anche per me…” proferì uno sconfortato Xavier, prima di girarsi su di me con tutta la frustrazione accumulata mentre gli distruggevo i suoi piani di conquista.

“Si può sapere che problema hai? Prima mi rifili un due di picche e dopo mi fai una scenetta di gelosia per rovinarmi la piazza? Tesoro, la pasticceria non rimane mica aperta tutta la notte per seguire i tuoi capricci! Decidit...” non  gli feci finire la frase che gli avvinghiai il braccio dietro al collo fingendo un momento di tenerezza, ma il mio viso che si avvicinava al suo orecchio destro aveva una motivazione decisamente meno romantico.

“Ti devo parlare, vieni con me…” sussurrai per attirare la sua attenzione ed evitare che i presenti si allarmassero: certe rivelazioni erano meglio tenercele per noi.

Lo sguardo del mio interlocutore tradiva una certa diffidenza ,ma non ci volle molto che si trasformasse nell’ennesima occasione per lanciare il proprio amo:

“Mah si certo, ora si dice ‘parlare’”.

Incurante della sua uscita, mi aggrappai al suo braccio e lo trascinai nel corridoio adiacente, trovando purtroppo come unica stanza libera il bagno delle persone portatrici di handicap,controllando prima che nessuno ci osservasse.

Chiusi la porta dietro di noi girando la chiave attaccata alla serratura immacolata,convinta di aver preso le giuste precauzioni.

“Però, avevo immaginato che quel viso angelico nascondesse una personalità intraprendente , ma non così ‘tragressiva’: il tesorino diventa una ragazzaccia”.

La sua convinzione che fossi minimamente interessata all’articolo era più granitica di una statua classica, covai un grande piacere nel smontare la sua libido per riportarlo alla triste realtà da “uomo con la bocca asciutta” .

Lo ragguagliai sul programma che avevo visto in TV e sui dubbi che si stavano facendo strada in me; il pistolero metabolizò silenziosamente la notizia senza apparente reazione e quando conclusi , assunse un’aria stizzita,non saprei se mosso più dalla scoperta o dal mancato e breve momento di intimità con cui sperava di salvarsi la serata.

 

“Che ti sia d’esempio: non sempre il nemico del mio nemico è tuo amico!”

 

Non potei fare altro che annuire e continuare a parlare : “Perchè è venuto a salvarci e come faceva a sapere dove eravamo? Senza contare che mi ha chiamato per nome e cognome, sembra proprio che sappia molto sul nostro conto…”

 

“Hai tante domande... direi che è giunto di porgerle direttamente all’interessato e spero per lui che le risposte siano convincenti” concluse Xavier riaprendo la porta e lasciandomi passare per prima con insolita gentilezza: Zeus solo sapeva cosa passava in quella testolina dai capelli sbarazzini, ma non avevo tempo di indagare; riattraversammo l’atrio e lasciammo la struttura per costeggiare il marciapiede bagnato ed umidito da della pioggerellina sottile come nebbia, che regalava a noi pensierosi qualche piacevole gioco di luce.

Nei pressi dell’angolo che si affacciava sul vicolo feci a segno al mio compare di fermarsi perchè riconobbi la voce di Jen che sembrava discutere da solo o forse stava comunicando con qualcuno tramite chissà quale diavoleria moderna.

 

“...Tra massimo una mezz’ora dovremmo essere li… si, sono in due stavolta….come? Vuoi pensarci tu a darli il caloroso benvenuto come si conviene?... d’accordo basta che non combini un casino come l’ultima volta che dopo ho dovuto pulire io il disastro che avevi lasciato, Ciao...”.


Entrambi le mani strinsero con frustrazione la giacca-mantello ancora tiepida che portava il suo odore; possibile che fossi stata così cieca? No, il mio istinto non mi aveva mai tradito, ma avevo bisogno di fare finalmente chiarezza per cui mi fiondai nella via per affrontare il nobiluomo...

Note:
Character : Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
(http://www.tenagacomics.com/)

Xavier © Jessica Marino (www.antithesis-comic.com)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/)

Aaron Leonardi ©Aaron Leonardi

Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: Emeli Sandé - Read All About It

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Capitolo 10
*** nella tela del ragno d'inchiostro ***


Neppure la candida luce della luna riusciva a farla da padrone in quell’angolo buio della metropoli; una fitta nube bianca emessa da sgangerati tombini ricopriva la stretta via che costeggiava l’ambulatorio, pochi metri quadrati lasciati al degrado ed in netto contrasto con la prestigiosa struttura ospedaliera.
Mi addentrai dentro l’area con un unico pensiero che martellava la mia testa incessamente come un picchio ostinato: chi è davvero Jenkins, chi è davvero Jenkins..
Fissai con lo sguardo l’oggetto delle mie preoccupazioni a pochi metri da me, appoggiato con la schiena sopra la carrozzeria di un’altra vettura sportiva color cobalto che pareva appena uscita dal concessionario. Recava nelle sue mani un elegante ombrello scuro dal manico pregiato ed un altro strano oggetto metallico con un vetro luminoso adagiato all’orecchio destro.

Lo sconosciuto dai modi gentili raccolse le mie attenzioni e mi donò in cambio un sorriso, uno splendido biglietto da visita che purtroppo non faceva altro che alimentare i sospetti su di lui.

“Ben arrivati! Scusate il ritardo, purtroppo ho impiegato più del previsto a farla partire:non sarà una maserati, ma svolgerà egregiamente il suo dovere. Tutto bene con il povero Kiba?” chiese con la grazia di un nobile e l’affabilità di un vecchio amico.

Cercai di dare un ordine ai miei pensieri agitati e mi spronai a mantenere un minimo di distacco, quasi in preparazione alle eventuali sorprese che avrebbe potuto servire l’uomo; mi avvicinai alla figura a rilento, combattendo l’istinto di sfiorare il misterioso e lucente bagagliaio della macchina composto in parte dall’odioso metallo che mi indeboliva: che fosse rubata? Facevo sempre più fatica ad inquadrare il portatore di quegli occhi castani che mi scrutavano con perplessità ma non volevo lasciare che il tarlo del dubbio mi divorasse la poca ragione che ancora disponevo.

“Si riprenderà presto, ha solo bisogno di un pò di riposo…” risposi incrociando per una frazione di attimo le sue pupille e rischiarando la gola per la prossima frase che avrebbe potuto recidere i nostri rapporti.

“Jen... dobbiamo parlare; ti abbiamo dato fiducia ed accettato la tua proposta senza fare domande; ma ora che nessuno ci minaccia più, devi rispettare la tua parte di accordo e dare una risposta ai nostri timori…” incalzai con voce lenta e ferma, per poi ridurre ulteriormente le distanze fra noi di un altro paio di passi.

Il biondino si fece scuro in volto e sembrò capire che quel cambio di atteggiamento nei propri riguardi nascondeva qualche motivazione tutt’altro che superficiale.

“Mi sembra giust…” furono le poche sillabe che riuscì a proferire prima di essere bloccato da Xavier, che fiondò le  lunghe mani sul colletto della camicia del gentiluomo , circondando il sottile collo per poi spingerlo con decisione contro l’umida parete in cemento dell’edificio.

“Xavier! Ma cosa diavolo ti è preso ??” chiesi con tono, irritata dal suo gesto improvviso; il macho dalla lingua sciolta non si degnò di volgermi il viso ma tentò di darmi una spiegazione senza lasciare la presa sulla propria preda.

“Sei troppo diplomatica, Ten: con questi elegantoni dalla puzza sotto il naso è meglio essere diretti e passare subito ai fatti” . Il suo chiarimento non riusciva a giustificare una simile esuberanza ma pareva troppo tardi per arginare il flusso di testosterone che circolava nel dongiovanni, quasi contento di avere finalmente individuato una scusa per attaccare briga.

“Come facevi a sapere che avevamo bisogno di aiuto? Perchè ci hai salvato? E soprattutto, perchè la polizia di sto cavolo di paese di mafiosi e mandolieri ti cerca per dei rapimenti? Avanti ,confessa e non essere avido di dettagli...” chiese con arrogante sicurezza, avvicinando a se l’interlocutore  di una decina di centimetri per poi nuovamente schiacciarlo addosso al muro.

Nonostante l’intimidazione,Jenkins si sforzò di mantenere un atteggiamento innocuo e provò ad abbassare i toni prendendo la faccenda sul ridere.

“Ehehehe,piano..piano, capisco che a nessuno piace aspettare ma mi sembra una reazione un pò troppo brusca per un paio di minuti di ritardo!”.

Ma il suo sforzo risultò vano , parole inutili lasciate cadere nel cassetto; perseverante nella sua strategia di evitare il fallimento, il dandy continuò il proprio approccio amichevole, focalizzandosi specialmente sul ladro che pareva sempre più agitato:

“Scherzi a parte, credevo che avervi salvato la vita fosse una motivazione sufficiente per godere della vostra stima, devo aver commesso un piccolo errore di valutazione,ehehe”.

Questa volta il discorso di Jenkins ottenne un risultato, seppur opposto a quello che sperava l’uomo : il furfante iniziò a spingere in alto la figura elegante, quasi fosse intenzionato a strangolarla, mentre il suo sguardo si impregnava di una follia fino a quel momento sconosciuta.

“Basta cazzate, ora mi stai facendo arrabbiare...” rispose uno Xavier a dir poco irritato: nelle sue parole non traspariva la consueta ironia o la solita trafottenza adolescenziale, era come se uno sconosciuto fosse sceso tra noi prendendo il posto del criminoso ladro di baci.

L’istinto che apparteneva alla mia anima selvaggia avvertiva l’inequivocabile profumo del pericolo, una sensazione di malessere ed insidia che proveniva dal tenebroso compagno di avventura che riconoscevo oramai a fatica.

“Sono stanco, pieno di dolorosi lividi e con un principio di commozione celebrale che mi avvelena la mente ed intorpidisce tutti i muscoli del collo! Non ho la benchè minima voglia di sopportare ancora i tuoi giri di parole e quei sorrisetti falsi da piazzista!! Non ci saranno altri avvertimenti damerino, da quattro soldi : o svuoti il sacco o ti userò direttamente come sacco di boxe e con la carne ammorbidita dai cazzotti, sono più che sicuro che la tua lingua sarà più sciolta di un’anguilla...” gli urlò in faccia, un interrogatorio che si stava trasformando in volontà di esecuzione, dando l’impressione che stesse semplicemente imbastendo un processo-farsa per poi consumare la propria vendetta.

“Ora basta, ti è andato di volta il cervello? Non c’è bisogno di ricorrere a tutta questa violenza!” rimproverai prima di appoggiare la mano sulla sua spalla per trascinarlo a me e bloccare i suoi scellerati propositi; tuttavia quello che ricevetti fu una scrollata di spalle ed uno sguardo iniettato di rabbia che ancora adesso faccio fatica a dimenticare.

“Non provare a difenderlo Ten, o ce ne sarà anche per te!” proferì con tono minaccioso. Tutta la vicenda stava diventando un incubo ad occhi aperti, al punto che mi chiedevo chi fosse davvero il mio nemico tra i due contendenti.

Il biondo rimase anche lui sorpreso dalla situazione, ma ben presto mutò l’espressione in  rassegnazione, possibile che avesse accettato il proprio destino?

“Eh così siamo arrivato a questo punto? Come desiderate, parlerò, ma prima di tutto...”.

I castani occhi del fu-Xavier ritornarono sulla propria preda stretta nella morsa del boa stritolatore, chiedendo con curiosità :

“ma prima…?”

Un sorriso si dipinse sui delicati lineamenti dell’uomo, mentre un fulmineo quanto chirurgico fendente eseguito con la mano destra si piantò all’altezza dello sterno del dongiovanni.

Il colpo non fu particolarmente violentò, ma fu sufficiente per far retrocedere il suo avversario, mentre il trauma fece chiudere per un  breve istante l’esofago: l’organismo di Xavier reagì d’impulso a quello stimolò e gli procurò un prevedibile attacco di tosse, facendo pericolosamente chiudere gli occhi e dando occasione a Jenkins di proseguire l’offesa.

Il nobiluomo appoggiò il palmo della propria mano sinistra sulla spalla più vicina del pistolero, mentre la sua compare avvolgeva il polso del il medesimo braccio del fuorilegge, formando così una solida presa; senza più ostacoli,non li rimase che portare in avanti la gamba sinistra, appoggiarla dietro il polpaccio nemico e farli perdere l’equilibrio  con una semplice rotazione del corpo.

Una leggera pressione e il furfante dai capelli corvini si ritrovò con la schiena dentro un pozzanghera nascosta dall’ombra della macchina in evidente difficoltà.

“...vediamo di sistemare ciò che ti affligge” concluse prima di calarsi sopra il petto di lui, bloccando gli arti del furibondo ladro con il peso di un piede ed un braccio; l’istinto di sopravvivenza sovvercchiò la ragione ed infilai la punta del piede sotto un lungo frammento di legno che feci sobbalzare in’aria con sufficiente altezza per poterlo raccogliere ad usare come arma.

Puntai la parte più appuntita all’altezza della giugulare di Jenkins che sembrava decisamente quello più pericoloso e sul punto di prendersi una sorta di rivincita.

“Lady Ten, penso di sapere il motivo dell’aggressività improvvisa del nostro amico; la prego di lasciarmi controllare  prima che sia troppo tardi. Abbia fiducia in me ancora una volta e , se non sarà soddisfatta del risultato, potrà affondare la sua arma su di me...” rispose mentre il furfante si contorceva come un pesce sulla barca del pescatore alla ricerca di un modo per tornare in acqua.

“Ti ammazzo lurido pinguino da salotto!! Aiutami Tenaaaa!” urlò Xavier inferocito dall’inversione dei ruoli.

Cosa fare? Di chi fidarsi? Il tremore della mano rispecchiava l’incertezza sul da farsi; entrambi gli uomini mi avevano salvato la vita e dimostrato di meritarsi la mia fiducia, ma il tempo dei compromessi era oramai scaduto: il volto era rigato dal sudore freddo che scaturiva dalla situazione, una folle decisione che mai avrei pensato di prendere. Feci un lungo sospiro , rallentai i batti cardiaci e optai per la soluzione che avrebbe sparso meno sangue possibile. 

“Mi dispiace, ma lo devo fare per il tuo bene...” conclusi a voce bassa mentre abbandonavo l’arma che ritornò a diventare parte integrante del fatiscente vicolo; il furfante non prese bene il mio “tradimento” e cominciò ad inveire: parole immonde e non riportabili su carta vennero pronunciate dalla sua bocca, mentre Jenkins mi ringraziò con un lieve gesto del capo; oramai non potevo più tornare indietro, per cui aiutai il complice a fermare le braccia dell’adirato ladro che non riuscirono ad opporsi ai miei muscoli ben allenati.

Con le mani finalmente libere, il gentiluomo iniziò ad esplorare il corpo del prigioniero come uno scrupoloso medico.“Deve essere da qualche parte…” risposi fra se e se mentre consumavo le mie poche energie rimaste per frenare ogni controffensiva dall’indemoniato essere.

Qualunque fosse l’oggetto della sua ricerca, parve proprio che la scoprì nei dintorni del colletto della camicia bordeaux, portando alla luce una misteriosa macchia scura posizionata proprio sulla cervice.

Era come se una porzione esigua di pelle fosse stata tinta da dell’ inchiostro, una chiazza nera tendente al violaceo grande poco più di una moneta con varie e minuscole ramificazioni sottili come capelli che lentamente  si espandevano nella carne al pari di radici di un albero e secondo uno schema che richiamava la tela di un ragno .

“E’ proprio Velenochina...maledetto Ink...” sentenziò il giovane, quasi digrignando i denti dalla preoccupazione.

“E’ grave?” chiesi con voce apparentemente calma e decisa, non riuscendo a trattenere un' espressione intrinsa di angoscia quando ricevetti la risposta.

“Si, ma se non la beccavamo adesso sarebbe stato infinitamente peggio; vada nel portabagagli posteriore della macchina, dentro vi è una zaino rosso; nella tasca superiore si trovano un paio di cilindretti bianchi con dentro una siringa , me li porti, presto” . Alla sollecitazione risposi con pronta solerzia e compì uno scatto verso il mezzo parcheggiato alla ricerca della medicina.

Non cedetti alla certezza neppure di fronte al mio arci-nemico lucente, sollevando quel coperchio metallico senza pensarci e perlustrando il caotico scomparto riempito di cianfrusaglie per scovare il maledetto bagaglio.

L’entropia che avvolgeva lo scomparto rallentò non poco le indagini e Xavier , reso ancora più furioso dalla mia infedeltà, si dimenava con sempre più violenza, al punto che quelle convulsioni innaturali gli permisero di liberare uno dei membri dalla presa marziale del suo aguzzino e scaraventare il nobiluomo contro la parete colpendolo con un pugno sulla mascella.

Proprio durante il medesimo frangente, riuscì finalmente a raccogliere uno dei cilindri bianchi, sfilando il prezioso contenuto ed stringendolo a me come fosse un pugnale; quando mi resi conto della malaugurata piega degli eventi, diedi a fondo ad ogni singolo briciolo di energia o carboidrato che ancora alimentava i miei quadricipiti e ritornai indietro, allontando il furfante dal biondino con un calcio laterale all’altezza del fianco un attimo prima che gli piombasse addosso imbracciando un sasso.

L’iracondo ruzzolò un paio di metri, ritornando in ginocchio in un baleno come se fosse stata solo una brezza marina a farlo spostare; per evitare contrattacchi, mi posizionai proprio in mezzo ai due, con alle spalle il povero dandy che si rialzava a fatica per l’attacco ricevuto.

“Grazie...i-il veleno sta mostrando i suoi primi effetti…”

“Che si fa? Dove bisogna piantare sto coso senza punta? Come funziona?” chiesi ansimando per lo sforzo; oramai mi scorreva più acido lattico che sangue nelle vene e non vi era parte del corpo che non mi dolesse in qualche modo: e pensare che qualche ora prima l’unica preoccupazione che avevo era non traumatizzare o far svenire Valeria con la mia rivelazione.

“E’ una siringa senza ago...lo appoggi sulla pelle e schiacci... basta che sia vicina alla parte interessata per fargli effetto…” disse riprendendo fiato.

Mentre noi facevamo fatica a recuperare un pò le forze, l’irriducibile macho in versione oscura si rialzò come se nulla fosse accaduto.

“Un vero spreco che una bella donna come te sia una ****** traditrice: avremmo potuto fare grandi cose assieme...” provocò uno Xavier meno furioso ma decisamente pericoloso: i suoi movimenti si fecero più veloci e scattosi, come se un burattinaio invisibile ed alle prime armi lo muovesse e gli ordinasse di raccogliere un tubo di ferro arrugginito . Equipaggiatosi a dovere, si preparò a partire all’attacco, osservandomi con quei suoi occhi diventati completamente neri come il carbone.

Desiderosa di porre fine velocemente a questa cagnara, feci cenno con la mano libera di farsi avanti:

“Sei ancora in tempo per ricevere il bis se lo vuoi, eppoi è da maleducati far attendere una donna...” contraccambiai a parole, un’istigazione che raccolse i suoi frutti quando scattò in mia direzione descrivendo un fendente laterale. Ma la sua migliorata velocità e preparazione al corpo a corpo non era paragonabile alla mia e giocai di iniziativa, andandogli incontro e bloccando il polso con una spazzata del mio braccio sgombero di strumenti. Appoggiai l’altro arto dietro al collo di lui e lo feci avvicinare a me, portandolo alla distanza giusta per una ginocchiata nei suoi preziosi gioielli che sembrava così ansioso di mostrarmi.

Frantumate le “noccioline”, una morsa di dolore avvolse il malcapitato , così frastornato che si disarmò da solo e si abbandonò  alla mia mercè. Con la schiena abbassata ed il collo pronunciato sul davanti, non mi rimase che voltarmi in sua direzione e pugnalare la zona infetta con la siringa, iniettando la strana sostanza gialla proprio sopra la macchina scura.
Il furfante cominciò a barcollare peggio di un ubriacone in preda ai fumi dell'alcol, coprendosi la macchina scura con le mani come se servisse a rallentare il farmaco; la confusione aumentò finchè non perse l'equilibrio e scivolò adosso alla carrozzeria della potente vettura, pulendo la splendida fiancata con le sue eleganti basette.
"E' tutto finito? Ora sto malanno è stato sconfitto?" chiesi poggiando la spalla contro la parete per la stanchezza, avevo raggiunto il mio limite.
"Vorrei tanto poterle dire di si ma dal Velenochina...." Jenkins si prese una pausa e continuò "...in realtà non si può guarire...".

Fu come ricevere una pallottola in pieno petto...
  


  Note:
Character : Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
(http://www.tenagacomics.com/)

Xavier © Jessica Marino (www.antithesis-comic.com)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/)

Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: Take It Out On Me

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Capitolo 11
*** Cambio di rotta ***


Altra macchina, altro giro; raccolsi quello che rimaneva del pistolero privo di sensi e lo portai con me sul sedile posteriore della vettura per poterlo controllare meglio; il baciatore furioso non riusciva proprio a stare in equilibrio e scivolava su di me come un sacco di patate che indossava un elegante gilet,fui perciò costretta a farlo sdraiare con la testa sopra le mie gambe: trovai la situazione un pò imbarazzante ma l’esiguo spazio giocava a nostro sfavore ed il mezzo sorriso accennato dal malato sembrava un segno del proprio gradimento, almeno per lui.

“Tempo dieci minuti e saremo arrivati al rifugio: cercate di resistere” mi rispose un premuroso Jenkins intento a consolare ed a regolare lo specchio retrovisore per mantenere un contatto visivo con noi; terminati i preparativi, accese il roboante motore e si immerse nuovamente per quel dedalo lastricato di umido asfalto che soffocava la madre terra. Un pezzo del mio cuore rimase accanto a Kiba nella clinica, che continuai a scrutare fino a che le sue luci non si amalgamarono con i colori della notte generando una confusa politiglia dalle indistinguibili sfumature.

Quando persi il contatto con la mia famiglia, potei concentrare le attenzioni sul paziente, un lestofante della peggior specie ma verso cui non riuscivo a provare odio; afferrai un panno che avevo rubato dal bagagliaio e cominciai a pulire il viso ,restituendo un pò di dolcezza a quella faccia martoriata da fatica e graffi quasi quanto la mia.

“Non devi preoccuparti Xavier, arrivati a casa allevieremo il dolore…” pronunciai al ferito nella speranza che quelle parole potessero davvero lenire le sofferenze; analizzai la macchia d’inchiostro dietro al collo , constatando con sollievo che quell’infida schifezza aveva smesso di crescere, ancora narcotizzata dalla medicina. Ripoggiai la nuca sulle mie cosce e continuai a discorrere, dando corpo e voce ai pensieri che ronzavano dentro :

“Troverò una cura per il male che ti affligge, salveremo Valeria e prenderemo la nostra dose di giustizia contro quel bestione malcresciuto, questa è la mia promessa...”.

Conclusi il discorso nel medesimo momento in cui terminai di medicarlo e rimasi a guardarlo per qualche istante : era la seconda volta che lo scrutavo così da vicino e finalmente la sua espressione non trasmetteva più la diffidenza o negatività che lo caratterizzava; le mie dita seguivano fedeli le linee e gli appena visibili solchi lasciati dalle ferite che non ero riuscita a far sparire, imperfezioni che però non intaccavano la sua bellezza; l’immaginazione mi stava trasportando in torbidi situazioni mentali che  trovai a dir poco fuori luogo ed imbarazzanti , per cui cercai di scacciarli dalla testa scrollando il capo un paio di volte.   

Il gentiluomo non rimase in disparte e si insinuò nel mio soliloquio con la grazia di un grande oratore: “Non potrei essere più d’accordo, Tenaga, la sua determinazione e sicurezza è per me fonte di ispirazione”.

“Determinata dici? Forse sono solo stufa di prendere calci, di lasciarmi sopraffare dagli eventi, di essere solo una spettatrice mentre tutto va a rotoli. La mia testa confusa è ancora piena di domande, ma qualunque sia la verità che si cela dietro me ,te e quel bestione, devo trovare la forza di reagire a questi imprevisti, anche solo con un sorriso”.

Alzai dolorosamente gli zigomi per mostrare un espressione felice, quasi nella speranza che bastasse ciò per infondermi un pò di coraggio ed ottimismo di cui sentivo la mancanza;incrociai di nuovo l’interesse dell’autista attraverso il freddo specchio, attenzioni che si concretizzarono in un complimento inaspettato.

“Raramente ho visto un sorriso così dolce e rincuorante,son davvero contento di aver fatto la sua conoscenza, Tenaga” commentò con un tono di voce pacato e lusinghiero, parole che ebbero effetto e mi fecero arrossire non sapendo come gestire la situazione.

Ancora una volta a sbrogliarmi da quel momento di tensione ci pensò il dongiovanni, il quale stava recuperando coscienza e muoveva il capo circoscritto dalle mie mani.

“Come stai?” gli dissi quando finalmente le sue pupille si abituarono all’ombra dell’abitacolo e si focalizzarono sulle mie.

“H-ho a-avuto giornate migliori…” si limitò a proferire , quasi volesse risparmiare fiato per quello che stava per riferire al gentiluomo.

“E-e tu ,vedi di stare alla larga che...che l’ho vista prima io...ho la precedenza” .

“Precedenza? Non sono mica un cartello stradale!” risposi di getto mescolando frustrazione e gioia: la prima perchè mi considerava di sua proprietà, la seconda perchè era tornato lo Xavier di un tempo.

Jenkins si mise a ridere senza freni, appoggiando una mano sul petto quasi cercasse di contenersi.

“Lieto di rivederla nuovamente battagliero fra noi,le amorevoli cure della nostra amica in comune devono avere un nonsochè di miracoloso”.

Terminato il piacevole sfogo, l’uomo cercò di ritrovare la serietà di un tempo.

“Avremo bisogno della vostra forza così come voi della nostra, un mutuo scambio di aiuti per portare a compimento i rispettivi obiettivi che sono accomunabili se non identici”.

L’arzigogolata ed ermetica frase del biondino non diminuì l’entropia che covavo dentro di me: “Non ho capito,cosa intendi?” chiesi .

“Condividiamo il medesimo destino perchè anche io, al pari di lei e del qui presente Xavier, sono stato privato della mia creatrice, strappattami dalla medesima creatura che ha cercato di ucciderci.”

Anche se assunsi un espressione di stupore, mentirei se dicessi che non me l’aspettavo: il suo viscerale odio per il melmoso essere mi aveva già messo in allarme in qualche modo.
Mentre il gentiluomo cercava in se le parole per proseguire con il suo discorso, il mezzo abbandonò la zona urbana per imboccare una via di campagna poco battuta: la scatoletta metallica che ci imprigionava sfrecciava elegante fra le curve ed i vari lavori in corso che restringevano la carreggiata con eleganza, trasformando il nostro viaggio in una gimkana notturna.

“La mia prima intenzione era salvare Valeria dal demone di inchiostro, ma sono arrivato a crimine compiuto e questo non fa che aggiungere un anello alla catena di rimorsi e colpe che son costretto a trascinarmi: mi dispiace Ten, spero che riuscirai a perdonarmi...”.

Le sue scuse sembravano sincere ed il linguaggio forbito un mero orpello per celare lo sconforto che provava.

“L-lascia stare,senza di te non saremmo manco qua a sentire le tue parole; siamo noi a doverti ringraziare…” risposi.

“i-i miei ringraziamenti per averci fatto quasi uccidere in macchina arriveranno un pò in ritardo...sai...le poste sono lente da queste parti..” contrattaccò il furfante  con la grazia di un elefante in una cristalleria.

“Sei proprio insensibile! Ma non ti spiace nemmeno per la tua autrice? Hai capito che Jessica, ciò che più si avvicina ad una madre, è stata rapita? ” incalzai infastidita dal suo menefreghismo.

“E-Embe? Ho già i miei problemi ...tra cui uno stramaledetto coso che mi sta uccidendo...c-ci manca solo che mi debba preoccupare per una che mi ha trattato come un bambolotto da copertina per anni solo per vendere un fumetto e farsi un nome … E dovresti fare altrettanto te, ora che non abbiamo più padroni, siamo liberi ed agire come vogliamo”.

Forse vi era un fondo di verità tra le parole di Xavier, ma era una visione degli eventi troppo nichilista e negativa sia per la nuova me che per la vecchia Tenaga dalla quale avevo ereditato l'aspetto.

“Cosa mi tocca sentire, le possibilità sono tre:  sei ancora sotto l’effetto del marchio , sei dannatamente serio o il tuo è un pessimo scherzo, in tutti i casi, mi sa che ti ho colpito troppo piano e ti sei appena giocato il mio supporto perchè per me sei guarito…” replicai prima di rialzarlo frettolosamente dalle mie gambe ed appoggiare la sua schiena contro il sedile.

L’unica reazione del ferito fu un espressione di finto rammarico ed uno stringato commento “Peccato, ci stavo prendengo gusto…”.

“Siamo arrivati” interruppe Jenkins prima di uscire da una vorticosa curva circondata da grandi alberi senza più foglie: ritornato il rettilineo, si intravvedeva un largo cancello dalle solide sbarre cerulee che prepotentemente si affacciava sulla strada, accompagnato da alti muri di cinta.

“Benvenuti nella vostra nuova casa,almeno per questa sera” proferì l’uomo premendo il pulsante di un minuscolo telecomando posizionato sul cruscotto; la pesante entrata ubbidì al comando del padrone e si animò, traslando rumorosamente fino a nascondersi dietro una delle pareti.

L’auto ricominciò la propria corsa a passo moderato, addentrandosi dentro un giardino apparentemente ben curato ma senza alcuna illuminazione; solo con la luce dei propri fari, ci addentrammo nella proprietà, giungendo fin sotto i piedi di una splendida villa di campagna a due piani dai mattoni rossi, trovando poi riparo sotto una tettoia di legno che sembrava costruita apposta per ripararci dalla pioggia che stava ricominciando a cadere dal cielo.

“Però, è il covo più grazioso che abbia mai visto: mio caro dandy, hai uno strano concetto di profilo basso” commentò Xavier con una sonora risata che gli provocò successivamente dolore;senti il bisogno di ribattere :  “Preferivi un bunker sotterraneo o una grotta dietro una cascata? Io la trovo fantastica,anche se devo dire che mi andrebbe bene anche una balla di fieno ed un ombrello,ora ho solo bisogno di dormire…”  .

“Comprendo il suo stupore ,Xavier, ma uno dei miei compari era ferito e ci serviva un posto sicuro per recuperare le forze non troppo distante; questa villa sequestrata alla Mafia era la candidata migliore” disse l’elegante guidatore spegnendo il mezzo.

Senza più il disturbatore di metallo, una miriade di suoni della natura sprima offocati ritornarono a farci compagnia,andando quasi a tempo con il tichettio della pioggia; quando aprimmo le portiere,fummo invece avvolti da profumi dolciastri provenienti dall’abitazione , in contrasto con il forte odore dell’erba bagnata.

“Ferito? Stai parlando della persona con cui parlavi prima attraverso lo strano telecomando?” esclamai incuriosita.

“Esattamente,Tenaga: è ancora in convalescenza, ma ci teneva lo stesso a dare il suo benvenuto: non dovete preoccuparvi, lascerò che siano i vostri occhi a scoprirlo” concluse.

“Dopo una serata del genere, dubito che possa esistere qualcosa a questo mondo che possa ancora stupirmi…” esclamò il pistolero dopo essere uscito dal mezzo : si mise a camminare goffamente fino alla soglia dell’entrata poco distante, per poi poggiare le spalle sulla parete della casa mezzo esausto.

Giunti tutti e tre davanti al fatidico portone della villa, il nostro olfatto ed udito vennero investiti da piacevoli sensazioni che trasmettevano tepore famigliare e presagivano gradite sorprese; la mano di Jenkins si posò sulla maniglia argentea, ma prima di spalancare a noi il suo mondo, come ultima gentilezza, si voltò, tolse il basco dal proprio capo ed eseguì un lieve inchino.

“Lasciate che sia il primo a darvi il benvenuto tra queste mura, con la speranza che questi diventi la vostra nuova casa,prego”.

Contraccambiai il suo gesto e senza indugi ed un pò infreddoliti, oltrepassammo la soglia dell’abitazione addentrandoci in un grosso ed accogliente ambiente familiare, un’immensa sala dalla mobilia di legno rustica e vissuta. Ma ciò che attirò di più la mia attenzione fu scoprire l’identità del compagno di Jepkins che si trovava al centro del locale: era un triceratopo dalle scaglie arancioni e bianche issato sulle zampe posteriori e vestito con un lungo grembiule bianco ed un cappello da cuoco che ovviamente erano troppo striminziti per la taglia che portava.

Due grandi e vispi occhi dalle iridi dorate erano intente a preparare la cena a tempo di musica, spegnendo ed accendendo i fuochi e spostando le pietanze da una pentola all’altra; ogni gesto sembrava scandito da una melodia proveniente da due casse nere collegate ad un marchingegno elettronico pieno di lucine colorate ad intermittenza.

La preistorica creatura dalle lunghe corna ebane non percepì la nostra presenza e continuò danzare nello spazio di lavoro seguendo una bizzarra quanto ipnotica coreografia che sembrava studiata a tavolino; ad un certo punto cominciò a cantare il ritornello della canzone e si sincronizzò con il cantante maschile della canzone in un goffo duetto , agitando il posteriore con la medesima bravura di una ballerina professionista.

“A giudicare dal tuo sguardo,mi sa che ti sbagliavi alla grande” commentai divertita lanciando un’occhiata al tenebroso mercenario.

“Non avrei mai pensato di dirlo ma comincio a tifare per il velenochina...” rispose Xavier prima di coprirsi il viso con la mano nella speranza di poter dimenticare quello che si era indelebilmente impresso nella memoria; io invece trovato lo spettacolo esilarante e cominciai a ridere di gusto, soprattutto perchè avevo riconosciuto il polivalente artista.

“What is love? Babe don’t hurt me, Ba...” disse la creatura prima di accorgersi che lo stavamo osservando , rimanendo sbigottito mentre teneva in mano due padelle irrorate di olio che friggevano delle succulenti verdure : l' irreale silenzio che si intaurò venne interrotto dall’applauso di Jepkins che fece le presentazioni:

“Eh così avete conosciuto Hildeg , il nostro mago dei fornelli con licenza di ballo!”.

La contentezza che provavo fu così improvvisa che dovetti cingermi la pancia con entrambe le braccia rischiando quasi di soffocare dalle risate; impiegai una decina di secondi prima di riprendere il controllo del mio corpo,asciugandomi una lacrimuccia che stava per scendere.

“Sei uno dei protagonisti in Homosaurus vero? Ho letto un vostro fumetto ed i nostri autori sono molto amici.Io sono Tenaga” pronunciai per rompere il ghiaccio fra di noi.

Il dinosauro tirò fuori un contagioso sorriso, posò il proprio armamentario culinario e mi venne incontro per accogliermi con un grande e asfissiante abbraccio.

“Ten, anche se è la prima volta che ci vediamo, vi conosco molto bene: sono contento e grato che siate riusciti a salvarvi...”.

Il corpulento cuoco non sembrava imbarazzato a mostrare affetto, ma dovetti interrompere quel momento di euforia per evitare di collassare sul pavimento.

“Koff,Koff,P-piacere mio, ma...p-potresti allentare un pò?... N-Non respiro!!!”.

“Perdonami, faccio ancora fatica a controllare la forza muscolare: è stata una convalescenza molto complicata,ehhehe”  disse prima di liberarmi dalla sua prigione; rimasi incredula per come fosse riuscito a mettermi pressione nonostante non sembrasse una montagna di muscoli, ma il cervello dovette lasciare spazio ai polmoni che ringraziarono lo straniero immettendo più aria possibile. 
Tornata a respirare, mi limitai ad offrirli una rigorosa stretta ,che sancì la nascita di un nuovo legame, un tassello da aggiungere al mosaico della mia vita che pian piano stavo ricostruendo.

“Io invece son Xavier, piacere” proferì il pistolero dai capelli corvini con apparente distacco: chissà se avrebbe salutato con la medesima freddezza se fosse stata una prosperosa bellezza…
Terminate le presentazioni, il Signor J.si introdusse nel colloquio per fare una domanda al proprio compagno “Ah proposito, dove è la tua aiutante?”.
Hildeg alzò le braccia in segno di rassegnazione, rispondendo con tono arrendevole “Si stava annoiando, perciò l’ho spedita a fare l’inventario in magazzino, forse è il caso di dare una controllata”.

Jen aveva un’altra compagna ? Il futuro riservava ancora molte sorprese, ma ancora non sapevo quanto la prossima avrebbe cambiato la mia vita...

Note:
Character : Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga"
(http://www.tenagacomics.com/)

Xavier © Jessica Marino (www.antithesis-comic.com)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/)

Hildeg © Flaminia Spinelli(https://www.facebook.com/saurus.comic)

Soundtrack del capitolo mentre veniva scritta: What is Love - Haddaway

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Capitolo 12
*** Al cospetto della Luna ***


Xavier propose un cenno di sorriso e commentò la notizia con ritrovato vigore, probabilmente dovuto alla scoperta che la prossima presentazione riguardava un’esponente di sesso femminile.

“Un damerino, un dinosauro cuoco-ballerino che sembra uscito da un talent show… se il livello è questo, come minimo il prossimo deve essere una vampira-androide asiatica che suona il sax,ehehhe” proferì il furfante colpito da una miracolosa guarigione,almeno a giudicare dall’andatura più sicura.

“Va bene tutto, purchè sia più simpatica di te, e fortunatamente non è un requisito così alto da soddisfare” gli risposi mentre ricambiavo il suo sguardo con altrettanta tenacia.

 

Jenkins pareva trovare molto divertente il nostro continuo battibeccare ed alzò gli zigomi per mostrarci l’arcata dei suoi splendidi ed immacolati denti .“Su su, non siate impazienti: la vostra curiosità sarà presto ripagata; nel frattempo lasciamo tutto nelle sapienti mani di Hildeg, chef provetto con un sua personale e discutibile interpretazione del concetto di ‘cena leggera’”.

il triceratopo si sentì chiamato in causa e  rispose: “Boss, sei proprio un brontolone: mi sono contenuto stavolta e pulisco tutto io, promesso! Datemi dieci minuti per caramellizzare la cipolla e potremo andare in scena” .

Il forzuto cuoco poi si trincerò dietro l’alto muro di batterie di pentole che proteggevano le leccornie che cercavano di attirarci con le loro invitanti fragranze .

Ma la sete di conoscenza superava la fame delle carni ed entrambi seguimmo l’elegante biondino per tutto il salone centrale, oltrepassando una uscita secondaria che divideva la zona giorno dalla dispensa.

Il gentiluomo ne approfittò per farci da paciere ed illustrarci le meraviglie celate nelle stanze che si affacciavano sul lungo corridoio.

“...le camere da letto son nel piano di sopra accessibili da questa porta,  mentre usiamo lo studio situato qua vicino come dispensa e magazzino per armi e scorte alimentari...”.

Il breve tour guidato da Jenkins si interruppe dietro una doppia anta foderata di pregiato legno scuro dalle venature eleganti, una ricca presentazione per un locale solo adibito allo stoccaggio; fece pressione su entrambe le maniglie e spalancò davanti a noi il suo ricco contenuto che proteggeva.

“lasciate che vi presenti la vostra nuova compagna, la simpaticiss...” pronunciò il biondino interrompendosi quando il suo sguardo si addentrò dentro quel montuoso paesaggio composto da scatole, suppellettili, coperte e svariato materiale distribuito senza ordine logico.

In mezzo a quel caotico mondo dai colori spenti, vidi affiorare una candida fanciulla come una stella incollata su un firmamento spoglio : sdraiata su un’amaca celeste issata tra due pilastri, riposava beata una ragazza nel fiore degli anni; dapprima posai le mie attenzioni sulle grandi e lunghe orecchie nere da coniglio che gli spuntavano timidamente dal capo , all’apparenza così morbide e delicate che il richiamo ad accarezzarle era irresistibile; entrambi gli occhi sognanti erano incorniciati da un velo di nero , in netto contrasto con i suoi capelli a caschetto bianchi tendenti all’argento vivo. Più scrutavo la figura abbracciata al Dio Morfeo e più mi rendevo conto che anche il vestiario portava il segno di questa stravagante bicromia.

Provai un grande senso di dolcezza nell’osservare i suoi delicati lineamenti ed arrivai quasi a considerare un delitto doverla svegliare dal sonno.

“Passiamo tra dieci minuti?” fu il mio appello scherzoso , ma il gentleman mi appostrofò con uno sguardo quasi cortese mentre si addentrava fino al capezzale della creatura.

 

“Luna, non ti era stato chiesto di fare l’inventario?” chiese Jepkins sussurrandole in direzione delle orecchie senza alcun tono di rimprovero; quest’ultime, come attente guardiane si direzionarono immediatamente verso l’uomo al pari di banderuole sfiorate dal vento.

La ragazza si destò controvoglia ed alzò la schiena dal giaciglio  con una lentezza esasperante, quasi sentisse fatica a combattere la gravità e senza accorgersi della nostra presenza.

“Sei tu Jeppetto…? Ma io ho fatto quello che mi avete detto e mi sono messa a contare ...una scatola...due scatole...tre scatol....ZZZZZZZZZZZ” non terminò  la frase che cadde nuovamente tra le pieghe della sua vellutata amaca , come se un invisibile dardo gli avesse iniettato del potente sonnifero.

L’irritazione di Xavier era palpabile nell’aria , una sensazione di fastidio e voglia di sfogarsi così manifesta che fu per lui impossibile non intervenire.

“Lasciate fare a me, quando bisogna far alzare un dormiglione cronico, è importante seguire una regola basilare: mai risvegli bruschi” proferì il pistolero chiedendo al biondo di farli spazio. Arrivato in prossimità della figura appisolata, si prese qualche secondo per studiare la svogliata magazziniera e valutare l’approccio.

“Cosa hai intenzione di fare?” domandai non ricevendo alcuna risposta in cambio: era diventata una moda non considerare la mia opinione?

Conclusa l’analisi , si piegò in avanti e protese il corpo nei pressi del viso, quasi volesse riprovare la strategia del suo predecessore.

In realtà il suo bersaglio si trovava più in alto rispetto al corpo della coniglietta e ,con un fulmineo movimento delle dita, sganciò il gancio di sicurezza della corda che legava l’amaca al pilastro, facendo letteralmente crollare il giaciglio per terra.

Nonostante l’atterraggio ammorbidito da un paio di scatole di cereali, la ragazza si alzò immediatamente e cominciò a saltare per la stanza ,fasciandosi la testa con entrambe le mani e senza trattenere le lamentele per il principio di bernocolo che affermava di sentire.

“Ahia, ahia,ahia” proverì una voce squillante che cercava conforto tra le braccia di Jenkins, il quale non potè fare altro che ridimensionare l’accaduto ed accarezzare il capo della compagna con la medesima delicatezza che si conviene ad una figlia o ad un animaletto domestico.

“Su su Luna, non è niente” disse per calmare la fanciulla; sebbene ebbi l’impressione che la ragazza enfatizasse molto la situazione per scatenare empatia,non fui altrettanto diplomatica e mi scagliai contro l’imbecille dal gilet elegante : “Ma ti sei bevuto il cervello???” .

L’uomo si limitò a guardare entrambi facendo spallucce e giustificandosi con un “Mai stato uno che segue le regole, persino quelle che mi invento”.

Ignorai la tua strafottenza da bambino viziato e mi diressi verso la povera creatura quel tanto che bastò per avere un contatto visivo e le sue attenzioni.

“Va tutto bene piccola mia? Perdona il nostro Xavier, qualche minuto fa ho dovuto schiacciarli il cervello che porta sotto la cintura e non si è ancora ripreso del tutto”.

 

Ora gli occhi della coniglietta, non più inumiditi dalle lacrime, erano spalancati esu di me, due scintillanti gioielli che esploravano la mia figura con avida curiosità alla stregua di un predatore. D’un tratto tutto il trambusto di prima passò in secondo piano e la giovane si avvicinò a passi lenti e ponderati, non distogliendo lo squardo per studiarne le mie reazioni;  cercai di smorzare il disagio che provavo presentandomi per prima.

“Ciao Luna, mi chiamo Tenaga ed è un vero piacere fare la tua conoscenza”.

Le sue delicate protuberanze auditive erano puntate nella giusta direzione eppure il mio saluto non sembrava aver sortito alcun effetto; arrivando a supporre che provasse del timore nei miei riguardi , decisi perciò di compiere un secondo tentativo.

“Non devi avere paura di…” non terminai la frase che mi ritrovai il suo dolce musetto contro la guancia, mentre le braccia color latte mi cingevano le spalle come se fossimo amiche che finalmente si reincontravano dove tempo immemore. Restai paralizzata di fronte ad un “attacco” così fulmineo, spiazzata  mentre il suo mento liscio come seta accarezzava i miei zigomi con movimenti circolari senza accennare di voler smettere.

“Che bello, finalmente ho una sorellona!” commentò chiudendo gli occhi come se volesse assaporare quell’attimo; la sua esternazione faceva nascere in me qualche domanda ma risposi lo stesso al suo gesto con altrettanta dolcezza, rimanendo in quella posizione per almeno una decina di secondi.

Quando riprese coscienza di se,la fanciulla sciolse il soffocante abbraccio e raccolse le mie mani nelle sue per stringerle a se con decisione, diventando così la prigioniera di un’euforico coniglio che non smetteva di sorridere.

“Scusa , mi sono lasciata prendere dal momento, di solito non sono così , almeno credo! E’ fantastico poter conoscere un’altra donna...non che Dino  ed il Principe siano antipatici...anzi...sono amici fantastici, è che ogni tanto vorrei … parlare di argomenti più femminili e quei due non sono sono proprio “adatti”...Che bello, che bello!Dobbiamo festeggiare , hai fame? Abbiamo una bella torta di fragole che porta il tuo nome se lo vuoi,a meno che non sei allergica al latte!Se lo sei dimmelo subito sennò la finisco io, qua si lamentano tutti che sono una mangiona ma non è vero….E’ solo che sono un estimatrice dei dolci e Dino è così bravo che...blablablabla”

Al terzo periodo del discorso senza pause persi completamente il senso e non mi rimase che annuire con la testa e lasciarla continuare : la mente e la lingua di Luna parevano correre ad un altro livello di rispetto al mio e stava mitragliando una così grande  miriade di pensieri e parole che il cervello si arrese, andando in blackout e regalandomi un principio di emicrania ed una bella cesta carica di vertigini.

Dovetti poggiare la mano su uno dei pilastri per non perdere l’equilibrio, mascherando il tutto dietro ad un sorriso.

 

“...L-la tua felicità è a dir poco ...t-travolgente,eheheh” furono le uniche cose che riuscì a dire prima del mio silente collasso mentale.

Anche Xavier subì l’effetto tramortente di quella parlantina sciolta e poggiò la mano sul tamburo della propria arma quasi a controllare che si fosse ancora e se fosse pronta all’occasione.

“Fatemi indovinare, stasera si mangia coniglio?” sussurrò in maniera scherzosa ma non troppo a Jepkins, che gli rispose negativamente ma divertito con un cenno del capo.

“E tu chi sei?” chiese la fanciulla che aveva cambiato bersaglio, donandomi qualche prezioso secondo di riposo.

L’uomo non si scompose e si limitò ad esaurire la curiosità di Luna con un sorrisetto amaro e controvoglia,quasi fosse una scocciatura.

“Sono Xavier, un amico di Tenaga, molto piacere”.

La coniglietta sgusciò fuori dal mio raggio d’azione come la più lesta degli escapologi e si portò a meno di un metro da lui, facendo un lieve inchino di cortesia ed accompagnando il saluto con un gesto della mano destra.

“Lieta di conoscerti ,Xanon, no..Xantes...neppure, Xaxa! Ma che… troppo difficile per me”.

La ragazza si fece pensierosa ed incrocio la braccia davanti a se perdendosi nei meandri della sua contorta mente ”Mmm, meglio trovarti un soprannome più facile ed idoneo. Vediamo un pò…”.

“Ti ringrazio ma i nomignoli non mi piacciono, puoi semplicemente chiamarmi Xa …” provò ad incalzare il lestofante nel cercare di correre i ripari, ma l’espressione della coniglietta fecero supporre che lo stava completamente ignorando.

 

“Ci sono!Ti chiamerò Iena,hai un sorrisino beffardo che mi ricorda quell’animale ” urlò battendo il pugno destro sull’altra mano in segno di vittoria.

“Stai scherzando? Cambia subito” sbottò l’uomo contrariato.

“Non ti piace Iena? Mmm, sei un pò brontolone, che ne dici di Musone?”

“Che ne dici se ti regalassi un buono omaggio per passare alla prossima reincarnazione da consumarsi subito?” disse d’impulso Xavier; solo dopo aver riferito, sembrò accorgersi di essere stato scortese con una ragazzina e, in maniera del tutto inaspettata per un simile egocentrico menefreghista, tentò di rimediare ed abbozzò un timido sorriso: “Ehm,intendevo dire che penso che tu possa trovare di meglio”

“Hai ragione Musone è che quando dormo meno di 14 ore, la mia creatività ne risente. Ma sei proprio sicuro che Iena non ti piaccia?”

Fu li che notai la vena sulla fronte di Xavier ingrossarsi, il respiro farsi pesante ed i suoi occhi diventare sottili : il vulcano stava per eruttare.

 

“Questo è troppo!!! Stasera mi son beccato uno schiaffo da Tenaga  come anticipo per averla salvata, siam dovuti scappare da uno stramaledettissimo mostro di inchiostro che per poco non ci massacrava, ho avuto un incontro ravvicinato con il tettuccio di una macchina ribaltata, son stato nuovamente pestato da lei anche se non ero in me , ho scoperto che il pongo demoniaco mi ha attacco il velenodiosolosacosa ed ora mi tocca finire in bellezza in questa sperduta villa a fare una gara di soprannomi con una coniglietta?? Nella mia vita precedente dovevo come minimo essere un dittatore spietato perchè qua ho così tanto Karma negativo da smaltire che potrei impacchettarlo e venderlo su Internet!!!”. Parole sprezzanti e violente che fecero svanire lo splendido sorriso dal volto angelico di Luna ed abbassare lo sguardo al povero Jepkins che sembrava occupato a non far affiorare nella propria mente spiacevoli ricordi.

 

“Hai finito di dare un spettacolo  o c’è altro che vorresti dire per traumatizzare una povera ragazza che nulla c’entra con tutto questo ?” chiesi con tono perentorio poggiando la mano sulla spalla al piacione dalla lingua sibillante: volevo davvero credere che fosse ancora sotto l’effetto del marchio, perchè in caso contrario avrei preso provvedimenti, e stavolta non se la sarebbe cavata con lo schiaccianoci…

“No no,per oggi sono a posto...” mi rispose riabbassando i toni e cercando i miei occhi con un espressione apparentemente dispiaciuta: finalmente lo stress che covava dentro di se aveva trovato un modo per sfogarsi, seppur nel peggiore dei momenti.

“Velenochina…” ripete fra se e se incredula la giovane coniglietta senza deviare lo sguardo dal dongiovanni, compiendo un paio di passi nella sua direzione ,spiazzata  e sbigottita da quella rivelazione pesante come un macigno.

La reazione della giovane creatura fu altrettanto sorprendente e si mise ad abbracciare Xavier come fece con la sottoscritta, ma stavolta lasciandosi trasportare da un sentimento diverso dalla gioia seppure altrettanto forte.

“Mi dispiace Xavinuccio…” pronunciò mentre affogava la guancia sulle pieghe camicia bordeaux ed ancorava la propria presa dietro le di lui spalle grazie alle sue affusolate dita.

Il pistolero rimase interrotto con le braccia ancora aperte sul davanti, forse stupefatto di sentire quel corpo caldo contro il proprio nonostante le parole intrise di astio che aveva scagliato: quella ragazza ,così genuina ed allegra , era fin troppo lontana dalle sue corde, una scena imprevedibile come scorgere una bambina che abbracciava un burbero anziano appena conosciuto.

Luna interruppe quel quadretto così stravagante staccandosi dal petto del giovane quel tanto che bastava per poter guardare in faccia il furfante ed esclamare:

“Qualunque cosa succeda, noi non ti dimenticheremo, eri così una brava persona...” .Concluse asciugandosi una piccola lacrimuccia con la mano senza rinunciare alla presa con l'altra.

L’espressione di Xavier passò dalla sorpresa alla rassegnazione quando cercò di trovare le parole giuste per ricambiare.

“...guarda che non sono ancora morto...”

Ma Luna sembrò non dare peso alla reazione di lui e continuò a parlare di furfante al passato ; “Certo, ci eravamo conosciuti da poco e l’inizio non era stato dei migliori,ma nonostante il poco tempo trascorso assieme, eravamo diventati grandi amici”.

“Ripeto, non sono trapassato…” disse con tono sempre più deciso.

“E’ così forte la mancanza che mi pare quasi di poterlo toccare in questo momento…” gli disse accarezzandoli la scapola con la mano rimasta impigliata nel vestito elegante del pistolero.

“Oh perdiana!” commentò Xavier prima di appoggiare i palmi sulle spalle della coniglietta ed avvicinando il viso al suo per evitare fraintendimenti.

Le due pupille si osservavano a pochi centimetri l’uno dall’altro,l’innocente ragazzina sfidava il pervertito criminale senza scrupoli.

“Hai qualche problemi di vista coniglietta dei miei stivali? Non mangi abbastanza carote? Io sono qui e sono vivo e vegeto, capito? E per tutti gli dei dell’Olimpo, non vi libererete facilmente di me!”

La fanciulla sorrise amaramente, piegò il viso di lato quel tanto che bastava per sfiorarli la mano con il mento e toccò la guancia di Xavier con un movimento dolce dei polpastrelli .

“Ti stavo solo prendendo in giro... ma volevo solo farti sapere in qualche modo che non sei più solo e che sono e rimarrò tua amica,qualunque cosa succederà da ora in avanti…”.

 

Non riuscivo ancora a capire quali sentimenti o pensieri si nascondevano dietro ad una simile risposta, ma ebbi la sensazione che quel discorso era intriso di pura sincerità, qualcosa che neppure il pistolero si sarebbe mai potuto immaginare.
 “Ma tu… tu... sei fuori di testa” fu il saggio e ponderato commento del brillante furfante, un’ idiozia che venne definitivamente cestinata dalle parole di Jenkins:

 

“No ,Xavier, lei è semplicemente la nostra Luna”

 

Note:

Character :

Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga" (http://www.tenagacomics.com/)

Xavier  © Jessica Marino (www.antithesis-comic.com)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/)

Hildeg   © Flaminia Spinelli(https://www.facebook.com/saurus.comic)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/)

Luna     © Diana Mercolini(https://www.facebook.com/diana.mercolini)


Soundtrack del capitolo mentre veniva scritto: 05: I Burn (Yellow Trailer) - RWBY Volume 1 OST (Jeff Williams feat. Casey Lee Williams)

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Capitolo 13
*** Il cuoco dai mille talenti ***


Il coniglio dai capelli argentei gongolava per la stanza, agitando le braccia verso il cielo ed eseguendo una buffa ed improvvisata coreografia: quel corpo traboccante di euforia aveva trovato nella danza una valvola di sfogo ed a noi non rimaneva che assistere a quella scheggia impazzita che tentava di coinvolgerci dentro la sua follia.

Quando si sentì soddisfatta ed iniziarono a comparire i primi sintomi dell’affatticamento, concluse il ballo con una giravolta e strinse la mani dietro di se , posa ideale per sfoggiare un radioso sorriso ad occhi socchiusi.

“Una sorellona ed un fratello brontolone ...che bei regali che mi hai fatto Jeppetto!! Tutto questo è perchè sono stato molto buona?”

 

Il gentiluomo ricambiò con la medesima gioia ed il di lui sguardo si addolcì al pari di un padre che scrutava con orgoglio la propria prole.

“Ancora una volta hai scoperto il mio piano, brava Luna; ora potresti raggiungere Hildeg? Vorrei scambiare qualche parola in tranquillità con i nostri ospiti per chiarire meglio le regole della casa”.

 

La fanciulla scosse la testa in segno di disappunto ma senza modificare l’ espressione solare che indossava.

“Na na...  mi spiace Principe, ma non ci devono essere segreti fra noi e nulla al mondo riuscirà a smuovermi da qui!”.

 

La ferrea presa di posizione non durò che un paio di secondi, il tempo che impiegò il cuoco ad esclamare semplicemente un “A tavolaaaaaa” : udita l’ultima sillaba, la ragazza volò verso l’uscita con una rapidità tale che neppure la propria ombra sembrava stargli dietro e scomparve, lasciandoci i capelli scompigliati dall’onda di pressione ed un irreale momento di silenzio.

Passai le mani fra le ciocche arruffate per ricompormi e diressi le mie attenzioni sul biondo padrone di casa per nulla sorpreso da quel turbine dalle fattezze di donna.

“Però, mi sa che ha qualcuno ha una discreta fame!” commentai per riempire in qualche modo l’imbarazzante assenza di suoni.

Un veloce scambio di sorrisi sigillò la complicità che si stava restaurando fra di noi, una sincronia che non aveva bisogno di parole per essere espressa. Non rimaneva che controllare come se la cavava l’altro compare:

“ E tu che pensi Xavier?”

Ma nessuno rispose all’ appello.

“Xavier?”

Stupita dalla mancanza di borbottii o lamentele, frugai per la dispensa disordinata alla ricerca della “Iena”, scovando la sua figura malconcia sotto una montagna di barattoli lucenti di zuppa ammaccati quanto lui.

“..M-Ma cosa diavolo è stato? Q-qualcuno ha preso il numero di targa del pirata della strada?” chiese l’uomo ancora intontito dalla caduta.

“E’ semplicemente il  karma che si sta riequilibrando, ti serve una mano?? ” proferii mentre gli porgevo il palmo per aiutarlo a rialzarsi: chi lo dice che devono essere sempre i cavalieri maschi a prestare soccorso alle donne in difficoltà?

Ma l’orgoglioso moretto rifiutò il supporto con un cenno del braccio.

“No,grazie… posso fare a meno della badante: dannazione, mi sento come se fossi protagonista di una storia in cui l’autore mi odia cal punto da farmi capitare solo un infinito elenco di cose spiacevoli...”.

“Mmm,ipotesi interessante, oppure è solo un autore invidioso perchè sei in mia compagnia, ahahahaha” dissi prima di iniziare a ridere da sola con trasporto, finchè non percepii una fitta di dolore a livello dello stomaco: le ferite che celavo sotto i vestiti si stavano coalizzando contro di me , strozzando la sensazione di fame e stanchezza che mi stavano divorando.

 

“Se volete accomodarvi in sala…” ci propose Jenkins spalancando la porta, l’unico ostacolo  al mare di fragranze e suoni di pentole che da qualche tempo scalciava e graffiava il legno per farsi aprire: non era mai esistito un tentativo di corruzione così subdolo ma piacevole.

 

“Costernato damerino, ma un rottame nelle mie condizioni ha solo bisogno di un bicchiere d’acqua per le pillole, un letto caldo e , se non è troppo disturbo, che questa splendida donna mi facesse un pò di compagnia …” incalzò Xavier mentre scagliava su di me un sorriso intriso di malizia : qualunque fosse l’arcaico motivo che si nascondeva dietro quel gesto, non riuscì a coglierne il significato per cui mi limitai ad alzare le spalle ed a rispondere con la solita franchezza:

“Condivido la necessità di un po’ di sano riposo ma non immaginavo che un furfante grande e grosso come te potesse avesse paura di rimanere solo in cameretta al buio, ahahah” .

All’ennesima risata in solitaria corrispose un’altra stilettata di dolore nel costato, una sofferenza resa più lieve dalla reazione del padrone di casa che sembrava averci preso in simpatia.

 

“Ahahaha,sono davvero contento di aver fatto la vostra conoscenza, avete portato un pò di buon umore dentro una casa altrimenti molto spenta; comunque sono costretto ad insistere, promettendovi gradite sorprese che non vi faranno assolutamente pentire di aver ritardato il meritato riposo”.

“...mi sembri un piazzista che vuole rifirarci l’ennesimo bidone,mah” farfugliò il pistolero dai capelli corvini che sembrava molto diffidente, eppure la curiosità mi convinse a dare una chance al nostro gentile benefattore,per cui tentai di portare anche il “musone” dalla mia parte cingendoli la spalla destra eppoi  catturando il suo sguardo,lasciando che solo una ventina di centimetri ci separasse l’uno dall’altro.

“Coraggio Xav, resisti ancora qualche minuto eppoi ,ti do la mia parola, ti accompagno in camera e controllo che non ci siano mostri nell’armadio o sotto il letto!”.

L’uomo rimase inizialmente colpito dalla mia iniziativa, ma il cambio di espressione che ne seguí faceva intendere che aveva trovato qualcosa di interessante nella mia offerta, più di quanto avessi mai immaginato:

“Senza contare quelli che si infilano tra le lenzuola ,la mi sa che dovrò darti una mano perchè sono molto difficili da scovare”.

 

“Allora è deciso,si parte!” tuonai completando un passo verso la tanto agognata meta, con l’unico ostacolo da sormomentare rappresentato dalla slanciata figura di Jenkins, il cui sorriso si acquietò improvvisamente per far spazio ad un volto più serio.

 

“Ci sarebbe un ultima cosa: vi raccomando di  non fare alcuna menzione o cenno ai motivi del nostro incontro, al mostro di China od al veleno in presenza di Luna: lei non deve essere coinvolta”.

 

“sei proprio un bacchettone: prima ci obblighi a seguirti, poi ci ordini di mantenere un basso profilo ed ora non possiamo manco discutere dell accaduto...E se ci sfuggisse per sbaglio qualche parolina?” concluse Iena in tono provocatorio, quasi volesse scoprire cosa si celasse dietro l’uomo gentile.

 

Jen non si fece scomporre dalla sfida lanciata e continuò a scrutarci con le sue pupille spente dall’assenza di alcuna gioia.

“Sono sicuro che non siete così irresponsabili da compiere una simile gaffe , ma nel remoto caso succedesse…. Sarei costretto a prendere provvedimenti assai spiacevoli” .

 

“Non ti devi preoccupare di noi, nessuno tradirà la tua fiducia” risposi d’impulso, interrompendo quel siparietto assai poco gradito. La personalità a noi quasi ostile sembrò acquietarsi e come un acquazzone estivo, piombò con la medesima velocità con cui scomparve, dando di nuovo il comando al lato gentile che pareva tirare un sospiro di sollievo.

“Vi ringrazio, non sapete quanto conti per me; bene, direi che possiamo andare, vi anticipo un pò per fermare Luna prima che finisca tutto”.

 

Il padrone di casa si immerse nell’oscurità del corridoio, lasciando nuovamente soli me e Xavier, che non seppe trattenersi dal commentare una volta che il biondino non fosse più a portata d’orecchio:

 

“Però... anche il damerino sembra possedere un lato oscuro…mi sa che il tuo principe non è così azzurro come vuole farci credere,eheheheh“.

“Penso che abbia le sue buone ragioni per chiedercelo, il suo legame con Luna sembra autentico e molto profondo,quasi fosse una figlia da proteggere”.

“Bah, magari alla fine si scopre che è davvero sangue del suo sangue, potrebbe essere un tipo strano che ha una strana passione amorose per le conigliette eppoi…. Bim bum bam ecco una prole mista e bizzarra”.

 

Non potrei trattenere uno sguardo di sdegno per una battutaccia così fuori luogo, un’offesa che mi colpiva sul personale.

“Smettila un pò di essere così scortese, eppoi cosa hai contro i mezzo-sangue? Non so sei hai notato, ma pure io sono parte di una “prole mista” conclusi enfatizzando con disprezzo le ultime due parole.

 

“Ah, giusto…comunque nelle mie condizioni è normale compiere qualche errore ,no? Se ho esagerato ...be ... ti chiedo scusa”.

 

La sua ammissione di colpa fu un fulmine a ciel sereno, l’evidente sintomo che Xavier non era davvero in se ed aveva urgente bisogno di cure; decisi di non infierire più e rimasi diplomatica nella speranza che rimanesse più collaborativo.

“Cerca solo di essere più gentile ed amichevole,ti chiedo solo questo”.

Un cenno di approvazione del moretto e potemmo finalmente incamminarci verso la sala da pranzo; mi lasciai guidare dal profumo di carne e spezie che filtrava dalla porta,invitante come il canto di una sirena.

Rimosso l 'ultimo ostacolo, potemmo finalmente immergere gli occhi in quell'incontro mondo di prelibatezze: la lunga tavola in noce era letteralmente ricoperta da vassoi argentei e zuppiere ricolme di ogni ben di dio,dalle portate di carne impregnate di sugo scuro e denso a vorticose torte glassate con i colori sgargianti che richiamavano la primavera.

I profumi dei piatti così variegati erano così intensi e penetranti che persino l’aria sovrastante pareva commestibile e riusciva a placare l’appetito anche solo inspirandola. Un cenno del Principe e mi sedetti accanto a Luna, sempre più nervosa ed in preda agli spasmi per la  fame di fronte a quel banchetto lussureggiante.

Hildeg non aveva ancora concluso le proprie portate e quando posò davanti a lei una teglia recante una torta di carote, un fiume di bava attraversò il viso angelico della ragazza lunatica, che prontamente deviò lontano da se con un veloce passaggio della mano.

“Ora possiamo?ora posso????” chiese in piena agitazione.

“No Luna, mi sono dimenticato di completare ancora un antipasto prima che sia tutto pronto, eppoi l’onore di iniziare si riserva per primi ai nostri graditi ospiti” sentenziò il cuoco preistorico con tono stanco ma deciso: la creatura era una maschera di sudore,con le braccia ed il petto impiastricciati con ogni possibile ingrediente che esisteva al mondo; solo Zeus sapeva quante ore aveva consumato fra quei fornelli a preparare questo banchetto reale,un accoglienza che mi imbarazzava non poco.

“Su, su, muoviti a sedere Iena che ho fame!”

“Luna, un pò di contegno per favore” rimproverò Jenkins con tono paterno.

La coniglietta sbuffò, incrociando le braccia davanti a se e battendo la punta del piede sopra il pavimento furiosamente con sempre maggiore velocità; quando il triceratopo tornò ad occuparsi della ultima sua creazione, la fanciulla approfittò della distrazione per accaparrarsi una fetta del dolce proibito , ma il breve tragitto del bottino verso le labbra affamate fu interrotta dal lancio di un cucchiaio di legno proprio sulle nocche.

Lo sguardo tagliente di Hildeg e l’elevato numero di posate che teneva a mò di artigli fra le mani spaventarono Luna al punto che rimise la porzione rubata al posto che gli competeva, spostando delicatamente la crema per coprire persino i tagli.

Il mio stomaco borbottava come un anziano che criticava un cantiere aperto davanti alla propria casa, ma evitai di seguire l’esempio della coniglietta e rimasi in cordiale silenzio mentre attendevo il permesso per cominciare.

Ringraziai il cielo che le posate non erano in odioso metallo, anche se l’appetito era tale che mi sarei tuffata su quell’orgia di cibo fregandomene del bon ton ,  dopo giorni e giorni di dieta a base di merendine e quello che trovavo di commestibile dentro la casa di Valeria.

“Non è meraviglioso poter cenare in compagnia,Luna?” chiese un amorevole Jen per rincuorare la fanciulla che si massaggiava le dita come un animale ferito.

“Certo Jeppetto, un pò meno ricevere cucchiaiate a tradimento da Dino”

“Non arriverei a tanto se tu mi ascoltassi una buona volta , ma sei testarda peggio di un mulo” ribattè il preistorico chef prima di servirci la prima di una interminabile serie di delizie.

Con l’eleganza di un cameriere da ristorante, l’immensa figura muscolosa passò accanto a noi a passi leggiadri, porgendoci un piatto recante una fetta tostata  di pane con sopra una marmellata arancione e densa che invitava ad assaggiarla con il dito.

“Prima di iniziare il nostro percorso culinario, è consigliabile prepararvi le papille con questa leggera bruschetta alla marmellata di pesca : purtroppo non sono riuscito a completare tutte le portate che avevo iniziato, ma per stasera almeno non moriremo di fame”

 

“Fame? Qua al massimo si rischia di andarsene per il troppo cibo!” dissi mentre scrutavo confusa l’antipasto : è la prima volta che partivo con un dolce, ma lo sguardo amichevole di Hildeg che sembrava aspettare un giudizio mi spronava a non perdere troppo tempo.

“A-allora io vado…” commentai prima di prendere in mano la pietanza per inserirla delicatamente nella bocca , sentendomi osservata dagli altri conviviali che mettevano alla prova la mia timidezza.

Cominciai a gustare con lentezza lo stravagante stuzzichino, deliziandomi della dolcezza non eccessiva della confettura aromattizzata con spezie che non conoscevo.

“E’ veramente buono! Questa marmellata mi…” .

Tentai di completare di frase, ma la mente si era come paralizzata, congelata all’improvviso mentre la vista si annebbiava e tutto quello attorno a me si scioglieva verso il basso come pioggia.

Ero immersa nell’oscurità ma non avevo paura, come se fossi a mio agio e sapessi inconsciamente cosa stava succedendo.

Dapprima udii una dolce cantilena, sinuose note che risvegliavano nuovamente il mio corpo intorpidito ; aprii gli occhi e mi trovai in un ambiente completamente diverso: era una capanna in legno piuttosto grezza, sulle cui pareti erano appese una miriade di oggetti e souvenir che mi erano stranamente familiari; la tiritera riempiva l’aria danzando assieme ai profumi della frutta che ribolliva dentro un vaso in terracotta posto al centro della stanza sopra un fuoco; la marmellata borbottava energica sospinta dal lento e deciso movimento vorticoso di un cucchiaio di legno.

Erano semplici sillabe senza alcun senso, ma la voce che li dava corpo li librava con sentimento al punto che sembrava impossibile non rimanere amaliati.

La bellezza della figura davanti a me aveva iniziato a sfiorire da qualche anno, ma l’eleganza con cui le dita affusolate raccoglievano gli ultimi pezzi di frutta per farli ricongiungere ai loro fratelli le conferivano un fascino senza tempo.

Sentivo che in qualche modo conoscevo quella figura di spalle, ma non riuscivo a trovare il collegamento che ci univa; perplessa, scrutai in giro finchè non incrociai la figura di una ragazzina: aveva dei bellissimo capelli rossi a caschetto, un vestito in cuoio senza maniche e dei tatuaggi a forma di zanne sugli zigomi.

Conoscevo fin troppo bene qui lineamenti e rimasi ancora più sconvolta quando scoprì che la creatura copiava perfettamente i miei movimenti perchè quello che osservavo era un grande specchio.

Notai che nella mano recava un morbido oggetto rotondo, il medesimo che mi trovai nel palmo: era una splendida pesca appena morsicata, il cui succo zuccherino fuoriusciva sia dalla “ferita” che dalla mia bocca.

 

“Allora è buona la pesca? L’ho raccolta io stessa per te” disse la donna senza volto, che  continuava a mescolare la marmellata canticchiando quelle inconfondibili note.

 

“...Màiri?” fu il nome che proferii mentre avevo finalmente riconosciuto quella vecchia amica.

“Che c’è tesoro mio? Dimmi pure…” disse dando conferma al mio sospetto.

“Io...io...io ...ti v…” farfugliai sillabe incomprensibili mentre nuovamente quel mondo davanti a me svanì in una bolla di sapone per poi farmi ripiombare nella realtà che stavo vivendo, con gli sguardi estasiati di Hildeg ed Jenkins che mi riaccolsero con un semplice: 

 

“Bentornata Tenaga, come è stato il viaggio?”.

 
Il gentiluomo aveva promesso sorprese e così fu.

CONTINUA….

Character :

Tenaga © Valeria Romanazzi alias "Tenaga" (http://www.tenagacomics.com/)

Xavier  © Jessica Marino (www.antithesis-comic.com)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/)

Hildeg   © Flaminia Spinelli(https://www.facebook.com/saurus.comic)

Jenkins ©Nyesis (http://www.nyesis.net/)

Luna     © Diana Mercolini(https://www.facebook.com/diana.mercolini)


Soundtrack del capitolo mentre veniva scritto: 05:  Invincible by SimBi

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 5 ***


Fece un ampio respiro ed i polmoni tornarono ad allagarsi e chiudersi con regolarità; le palpebre, non più sigillate, si schiudevano svogliate mentre la luce dell'ambiente con prepotenza sradicava le tenebre in cui si era svegliato Garen.

Un ticchettio regolare tamburellava i timpani, un rumore di macchinari e roba elettronica che sembrava provenire nelle vicinanze; la bocca era impastata e si percepiva un retrogusto amaro e sabbioso, eppure non si sentiva assetato. Delle figure sfocate iniziarono a girargli attorno, un confuso sciame di bianche macchie che lo toccava e parlava confusamente fra di loro.

"D-dove..." proferì il demaciano prima di fermarsi per un bruciore alla gola.

"E' al sicuro, non si sforzi" riferì una voce asettica e femminile che proveniva dalla persona più vicina ed esile del gruppo.

Il corpo si destava dal torpore man a mano che passava il tempo e con esso Garen riscoprì il dolore, forti fitte ovunque che bruciavano la carne ad ogni respiro eppure lo facevano sentire vivo. Era sopravvissuto.

"Presto, raddoppiate l' antidolorifico!" udì in quella confusione di suoni.

Un ragazzo dai capelli scuri gli fece indossare una maschera per respirare meglio, mentre un corpulento inserviente, senza alcuna particolare delicatezza, iniettò nel braccio uno strano liquido bianco con una vistosa siringa; la medicina gli provocò un fremito che si espanse in ogni muscolo dell'uomo fino a congelarli il cervello, alleviando nel frattempo gran parte della sofferenza lungo il tragitto. Poi la pace dei sensi e si riaddormentò di nuovo...

Passarono un paio di giorni lenti e noiosi, scanditi solo dai trattamenti ospedalieri che il demaciano fu costretto a subire per rimarginare le ferite che ancora marchiavano la pelle; non ricevette alcuna visita da parte di conoscenti e nessuno gli voleva dare informazioni su quello che stava succedendo; le richieste del debilitato Garen di poter contattare la propria famiglia furono tutte ignorate, quasi fosse un prigioniero senza alcun diritto.

Eppure era quasi sicuro di trovarsi a Demacia: la loro cadenza dialettale, i loro gesti, persino il modo di vestire sotto gli anonimi camici raccontavano dettagli sulle loro origini. La struttura era ben pulita e si intravvedevano persino decorazioni costose per la camera, troppo persino per gli alti standard demaciani. Tutto sembrava avvolto nel mistero e le grandi finestre dai vetri opachi non davano punti di riferimento; passarono altri 12 estenuanti ore in assoluto silenzio, quando finalmente udì un suono familiare.

"Ti trovo bene, Garen" salutò una voce femminile e decisa; al contempo fece il suo ingresso nella stanza una donna elegante e raffinata: i lunghi capelli platino cadevano sul vestito blu in pura seta che ne esalta il corpo longilineo. Possedeva i medesimi occhi celesti dell'uomo, eppure erano così taglienti e severi che sembravano due lame azzurre pronte a trafiggere chi osava contraddirla.

"Z-Zia Tianna?" chiese l'uomo perplesso.

"Mi riconosci pure: direi che anche la memoria è salva..." proferì la signora accennando un lieve sorriso; si avvicinò al letto del nipote e senza esitazione prese la cartella clinica del paziente, leggendo le ultime righe dei documenti forse alla ricerca di novità. Il robusto condottiero alzò la schiena con lentezza, cercando di assumere una posa più dignitosa ed un minimo di contegno di fronte al parente.

"Dove mi trovo???Dove è Lux??? Che è successo? " 

La Crownguard non si scompose e dopo aver poggiato sul tavolino i fogli, squadrò il ferito dall'alto della sua posizione: l'espressione si fece più cupa e minacciosa.

 "Ti rendi conto di quello che avete combinato? Il fatto che tu sia vivo è un autentico miracolo, in ospedale stavano già firmando le carte per il medico legale." La voce sembrava calma, eppure Garen riusciva a percepire la frustrazione dal suo sguardo accusatorio: si stava trattenendo. La signora prese una sedia bianca lì vicino e la spostò accanto al giaciglio, sedendosi con eleganza.

"Vuoi delle risposte? Prima dimmi cosa è successo e  forse dopo darò un senso alle tue domande...."

Lady Tianna si schiarì la voce ed incrociò le braccia davanti a se in attesa di sapere quello che voleva.

"Non ho tutto il giorno, perciò muoviti" rincarò l'altolocato parente: Garen ebbe l'impressione che la sua interlocutrice avesse già un'idea degli avvenimenti, probabilmente da interrogatori precedenti, forse voleva solo testare la sua fedeltà?
Si sentiva in trappola e non sapendo come uscirne decise, a malincuore, di ubbidire al comando; raccontò ogni dettaglio della giornata senza tralasciare alcun particolare, neppure gli ultimi ricordi nel parcheggio che potevano sembrare assurdi ma che il comandante dell'Avanguardia Indomita ascoltò con grande interesse.

"...e mi sono risvegliato qui..." si concluse il resoconto. La donna fece una breve pausa, assimilando le informazioni e rimuginando fra se e se come se stesse decidendo quanto potesse rivelare al proprio nipote.

"Sei nella struttura ospedaliera dell'Avanguardia: sei stato trasferito perchè solo qua abbiamo a disposizione cure alternative che nel tuo caso han fatto la differenza...Lux è al sicuro a casa assieme a tua madre ed è sotto stretta sorveglianza, così come il resto della tua combriccola di giustizieri improvvisati..." proferì tutto d'un fiato, scrivendosi alcuni appunti su un taccuino tascabile che portava nella borsa: nonostante la tecnologia, la zia trovava ancora irresistibili ed affidabili i vecchi metodi.

Garen invece rimase sorpreso dalla durezza delle sue parole, si chiedeva il motivo di quel trattamento "P-perchè tutto questo? Son io il colpevole di questo casino, gli altri son stati coinvolti per causa mia, non c'è bisogno di starli addosso...se qualcuno deve pagare, è giusto che puniate solo me"

Lady Tianna non si scompose ed incalzò subito l'uomo:  "Che la colpa ricadrà sulle tue mani è fuori discussione... ma per inseguire la tua folle impresa, hai coinvolto anche Jarvan e Fiora: hai la minima idea di quello che succederebbe se i noxiani venissero a sapere che gli eredi delle casate più importanti di Demacia han iniziato una rissa in casa loro?? Senza contare Lux..."

"Ma..Ma che c'entra Lux..?" chiese timidamente il ferito.

"Garen, tua sorella mi ha raccontato tutto e tu hai confermato la più terribile delle mie paure: puoi minimizzare quanto vuoi, far finta di nulla, ma la verità è una sola...Lux ha una...." smise di parlare, abbassando lo sguardo come se il peso delle parola che stava per dire gli provocasse sofferenza; riprese fiato e continuò "...maledizione... questa cosa può distruggerci se trapelasse ai piani alti..."

La mente nell'uomo cadde nel baratro nella disperazione senza trovare alcun appiglio a cui ancorarsi : fino a quel momento aveva giustificato tutto come un'allucinazione, un parto folle della mente che aveva cercato di rimuovere dalla propria memoria, nell'illusoria convinzione che se non ne parlava, sarebbe finito nel dimenticatoio.

"N-No...n-no...m-ma non può essere! S-sono solo fantasie! Mi sono ..sbagliato, in fondo ero quasi morto, giusto? Dimmi che è uno scherzo zia, dimmi che quelle... sono solo superstizioni, vero? VERO?..." chiese supplicando l'uomo senza più certezze, tuttavia quello che ricevette fu solo un silenzio che valeva più di mille parole;  l'aria si fece pesante e Garen quasi non riusciva a respirare, trattenendo a malapena il suo cuore dall'affogare in quell'invisibile mare di confusione e paura; non riusciva persino a pronunciare la parola magia, gli sembrava un'autentica eresia; non poteva ne voleva crederci, ma era consapevole che la sua parente non gli avrebbe mai mentito su una questione simile; se quello che Lady Tianna non aveva smentito corrispondeva a verità, allora tutto gli sforzi che avevano compiuto per salvare Lux non erano serviti, avevano solo ritardato la sua condanna; quest'ultimo pensiero lo faceva sudare e dentro di se cercava motivi per sminuire la portata del proprio errore.

"E-e' impossibile! T-tuttavia, se anche fosse, come potranno mai scoprirlo? E-erano pochi e..."

La Crownguard interruppe il nipote con decisione:   "Come puoi esserne sicuro?" rinfacciò la donna mentre sfogliava il taccuino per mostrarli una pagina che conteneva un disegno a matita.

"Questo è il tatuaggio che Xin ha riconosciuto su quei maledetti che avete aggredito, sai a chi appartiene? Ad una famiglia minore, che però fa capo al Clan più influente di Noxus!".  Brividi non di freddo attraversarono la schiena di Garen, eppure sua zia non aveva ancora concluso e senza interrompere il contatto visivo, continuò gli affondi verbali:

"Inoltre, la ragazza con cui vi siete scontrati nel parcheggio non è una scappata di casa, è Katarina Du Couteau, primogenita di Marcus Du Couteau: assassino, mafioso, trafficante di droga, di armi, di essere umani  e membro del Consiglio dei tre...non basterebbe un'enciclopedia per riassumere la sua attività criminale. Voi avete toccato la famiglia del nostro più acerrimo oppositore, non poteva avere casus belli migliore per dichiarare una faida..."

Furono parole lapidarie che si abbatterono sul giovane tuttavia Garen non riusciva più ad accettare quelle accuse: il pensiero di doversi sentire ancora in colpa per aver salvato la sorella dalle grinfie di quei assassini lo riempiva di una rabbia quasi animalesca, stringendo le lenzuola pulite fino quasi a strapparle. "D'accordo, ho sbagliato!! E cosa avrei dovuto fare allora??? Abbandonare Lux per timore delle ritorsioni? Chiamare la polizia di Demacia che non ha giurisdizione in quel postaccio ? Telefonare alle autorità di Noxus per avvertire del pericolo che correva una demaciana? Non avrebbero fatto nulla o peggio! Accetterò ogni conseguenza, sapendo che lei è comunque salva a casa  zia..."

Lady Tianna ascoltò lo sfogo per intero senza fiatare e celando ogni emozione: era come se si fosse aspettata una simile risposta ed avesse lasciato che la frustrazione del ragazzo esplodesse in attesa di riportarlo a più miti consigli.

"È tardi per ragionare sull'errore commesso e non ci servirà a nulla rimuginarsi sopra. Rammenta solo che ogni scelta ha delle conseguenze, Garen: non hai più 12 anni, non puoi giocare a fare l'eroe; sei un CrownGuard, abbiamo delle responsabilità verso la comunità e la nostra famiglia..."

Per la donna la sentenza era oramai scritta e si alzó lentamente dalla sedia prima di pronunciare il verdetto.

"Adesso devo andare: mi toccare andare al consiglio e cercare di rimediare al casino che avete combinato; dopo con Jarvan III decideremo anche la condanna per ognuno di voi: fino ad allora, sarai confinato ai domiciliari, una volta uscito da qui."

Garen iniziò a calmarsi e divenne finalmente conscio del problema che aveva creato, eppure non aveva trovato altra soluzione percorribile se non le armi; forse Lady Tianna sarebbe riuscita con la diplomazia? Non sapeva cosa pensare, ma non voleva che lasciasse la stanza senza prima porgerle delle scuse.

"Zia, mi spiace di aver messo nei guai te e la famiglia: se non c'è modo che possa rimediare al danno, accetterò che mi disconosciate come CrownGuard e che venga condannato in prigione o all'esilio..."  .

L'uomo non seppe mai se fossero state le sue parole o solo i sentimenti della parente, ma all'improvviso Lady  Tianna fece  velocemente retromarcia ed abbracciò il nipote con trasporto, sfiorando la guancia ed incurante che la preziosa camicia si sgualcisse per quell' inconsueto gesto; l'uomo rimase sorpreso da una simile iniziativa, dimostrazioni d'affetto che la zia aveva sempre elargito con il contagocce e solo quando era un bambino.

"Sei stato ingenuo ed uno stupido...sei proprio come lui... hai ereditato la forza di tuo padre ma questo coraggio che sfiora l'avventatezza è tutta dello zio...non puoi sfuggire dal tuo destino, tu sei un CrownGuard fino dentro alle ossa e lo sarai per sempre...".

Aveva ricevuto decine di trattamenti per curare le ferite ma gli bastò quell'unico abbraccio per sanare le cicatrici dell'anima: sentiva il suo calore passarli attraverso la pelle liscia nonostante gli anni, era come se la mente, assetata di pace, fosse riuscita a trovare un'oasi da cui abbeverarsi.
Il gesto non durò che pochi secondi, giusto il tempo Perché Tianna si ripigliasse e tornasse in posizione eretta, non nascondendo un piccolo imbarazzo per quel gesto decisamente poco ordinario.

"R-Riposati nipote, domani mattina ti riporto a casa e continueremo il discorso"

"Grazie zia" concluse Garen con un ampio sorriso.

Lady Tianna uscì dalla stanza a piccoli passi, richiudendo la porta dietro di sé prima di infilarsi nel corridoio alla propria destra; in pochissimo tempo raggiunse un elegante terrazzo che dava sul cortile interno; la giornata era ancora splendida ed il sole faceva risplendere i tetti dorati del complesso. Nonostante la bellezza del panorama, la Crownguard preferì non perdere tempo e tirò fuori un telefono dalla borsa, digitando con pochi tasti il numero che doveva chiamare. La mano libera era saldamente appoggiata alla balaustra, mentre lo sguardo si perdeva tra le file dei sottoposti che si esercitavano nella piazzetta sottostante.

"...Esatto, è come temevamo... dobbiamo giocare d'anticipo ed eliminare ogni traccia prima che lo scopra..." disse scura in viso: il tono e la freddezza delle sue parole non lasciavano spazio a dubbi: era tornata l'implacabile calcolatrice che i suoi nemici temevano.

"...Confermo la tua missione: devi far sparire la testimone, il tuo obiettivo è Katarina Du Coteau." 

 

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