1946

di summers001
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


"Dove sono?" chiese Daryl aprendo gli occhi. La luce era forte, bianca, gli costrinse a chiudere gli occhi di nuovo.
"In un ospedale da campo. Devo sapere a chi inviare le medagliette che hai al collo." disse una donna velocemente, pareva indaffarata e Daryl riusciva a sentire altri passi ed il vociare di altre persone tutt'attorno a lui. Che cazzo stava dicendo? Le medagliette, la luce... La testa scoppiava e non riusciva più a sentire le gambe e le mani.
"Solo nell'eventualità." la sentì aggiungere e non capiva se voleva essere confortante o previdente, se stava morendo oppure no. Un rombo lontano scosse il mondo. Daryl tentò di alzarsi ed aprì gli occhi di nuovo. La donna, anzi la ragazza, lunghi capelli biondi che le oscillavano dietro la nuca legati in alto in una coda, lo tenne giù con una mano e non le ci volle molta forza per rimetterlo al tappeto. Era vestita di bianco e celeste, aveva un cappello con una croce rossa al centro. La vide solo di profilo, lei s'era girata nella direzione del botto. La croce era solo una linea rossa confusa. Una bomba forse, un'altra. C'era il sole che si mischiava con la polvere e si riflettava sui vestiti e sui capelli di lei che pareva avvolta da una luce fumosa e bianca. Era infinitamente debole e crollò all'indietro sul cuscino.
"Allora?" chiese di nuovo quella che pensò essere l'infermiera.
Daryl tentò di allungare le dita di una mano e portarsele al collo, dove s'aspettava di trovare la catenella. Lei gli prese la mano a metà strada e gliela riabbassò. Non ce la faceva neanche ad incazzarsi. "Tienile." e la voce gli uscì bassa. "Nell'eventualità." sussurrò poi.
"Nell'eventualità." confermò lei e Daryl se la immaginò sorridere.
Il mondo scomparve di nuovo.

Quando si svegliò di nuovo aveva la faccia spiaccicata nella polvere grigia e nelle macerie. Aprì gli occhi e riconobbe la sua mano a pochi centimetri dal viso. Provò a muoverla. Cazzo, che fortuna. La strinse a pugno e piantò i palmi nel terreno. Riuscì a sollevarsi sulle ginocchia e sentì allora anche le gambe. Aveva tutto. Tentò di alzarsi in piedi ed arrancò. Si tenne la testa tra con una mano e sentì liquido ed appiccicoso spalmati sulla fronte e nei capelli. Sangue rappreso. C'era puzza di fumo tutto attorno, e legno bruciato e carne bruciata e polvere da sparo. Quando aprì gli occhi sapeva già cosa aspettarsi. Era solo, circondato dai cadaveri, un'immagine a cui negli ultimi mesi s'era quasi abituato. Al contrario di quello che ti dicono, prima o poi ti abitui alla morte.
Cominciò a guardarne un paio, per curiosità più che per cercare qualcuno. Frugò nelle tasche in alcuni casi, recuperò una pistola, tanto quelli non se ne facevano più niente. Faceva tutto schifo, ma tanto ormai s'era abituato anche a quello. Il sangue, la carne e la polvere si erano versati ed appiccicati a terra in un'unica poltiglia. C'erano siringhe di vetro rotte, cocci di mattoni. Non sapeva dove cazzo doveva mettere i piedi. Non si riusciva a vedere oltre un metro. Persino il cielo era sommerso dalla polvere, Daryl si sentiva come in una cupola polverosa. Non riusciva a respirare. Entrava nelle larici, ma non costringeva a tossire. Daryl non tossiva. Ne sentiva però il sapore persino sulla lingua. Sputò a terra. Mise i piedi su qualcosa, si spostò e controllò. Vide una pistola, carica, forse due o tre colpi non ne era sicuro e la raccolse.
Una ragazza urlò da qualche parte. Giusto in tempo. Aveva ancora una voce mista di innocenza e giovinezza. La voce sembrava richiamare qualcosa alla memoria malandata come un déjà vu. Avanzò di qualche passo e riuscì a distinguere anche la voce di un uomo, un tedesco, che le urlava contro. Non sapeva un cazzo di tedesco. Non ci voleva però un genio per capire che non le stava facendo una carezza.
La ragazza urlò di nuovo. Daryl corse per quanto potesse e se ne riscoprì capace. Si avvicinò ai suoni. Lei arrancava ed indietreggiava distesa sul terriccio. Si sporcava i vestiti ed i capelli. Strinse gli occhi e vide quella coda bionda e la tuta da infermiera bianca e celeste. Il tedesco, un soldato, stava in piedi con una mano alla cintura dei pantaloni, che s'avvicinava e slacciava. Lei arrancava e si spostava.
Daryl prese la mira e l'uomo cadde a terra, con un proiettile nel cranio. Cadde addosso alla ragazza che urlò di nuovo.
Il rumore dello sparo doveva però essersi sentito fin lontano ed a parte lo scricchiolio della calcestruzzo sotto i piedi non si sentiva volare una mosca. Daryl sapeva che doveva scappare. Si sentiva piuttosto confidente e fiducioso verso le sue gambe di nuovo. Allungò una mano alla ragazza senza neanche pensarci, perché lui era così, aveva pensato negli ultimi mesi, lui le salvava le persone. La biondina afferrò la mano di lui ed era fredda e polverosa. La polvere s'appiccicò al sangue che Daryl s'era trascinato dalla fronte alla mano. Cominciarono a correre e correre. Si diressero verso il bosco e non si guarono indietro neanche una volta. Si tennero quanto meno visibili possibile, cercando di restare al centro senza passare sui bordi della foresta. Daryl abbassava la testa ad ogni spiraglio di sole che passava tra i rami, per non lasciar vedere neanche le ombre o i riflessi di lontano. Sperò che la ragazza lo notasse e facesse lo stesso. Le foglie autunnali coprivano come un manto tutto il terreno. Era impossibile non calpestarle, non fare rumore. Diversi rami gli si erano schiantati sulla fronte nella corsa. Aveva mangiato numerosi moscerini e gli animali che s'aggiravano nella foresta scappavano nelle direzioni opposte. La natura era diventata silenziosa attorno a loro e tra gli alberi rimbombavano i loro passi.
Quando si fermarono avevano la milza ed il fegato in gola. Il cuore pulsava a grandi gittate nel collo, in testa, fin dentro al cervello sentivano quel tum-tum stanco e potente. Fortuna volle che il sole a novembre tramonta a metà pomeriggio e di notte le guerre non si combattono. L'erba, gli alberi, gli insetti stavano perdendo a poco a poco colore per virare al nero. Daryl pensò che era il momento ideale per continuare a fuggire. Pensò che doveva arrivare in una zona protetta. E lei? Daryl si guardò indietro e la vide recuperare fiato, piegata in avanti con le mani sulle ginocchia. Sarebbe potuta venire se l'avesse seguito senza fiatare. Andare dove?
"Dove siamo?" chiese lui.
La ragazza fu sorpresa dalla voce di lui. Quando erano al campo aveva spiccicato qualche parola, aveva una voce talmente bassa che pensò fosse colpa della pallottola che aveva preso o del sangue che aveva perso. Era stato uno dei primi pazienti che aveva avuto. Non aveva mai visto colare così tanto sangue e non sapeva se fosse normale o no. Un medico le aveva solo schiacciato le mani con una pezza asciutta sulla ferita per farle fermare l'emorragia. Avrebbe voluto chiedere quanto sangue può perdere una persona prima di...
"Germania. Foresta nera. Mille-novecento-quaran..." cominciò a spiegare lei. Si ricordò di non avergli risposto quando gliel'aveva chiesto come prima cosa quando l'aveva svegliato. Non volle rispondergli allora perché non voleva che il suo ultimo pensiero volasse alla guerra, qualora non si fosse più risvegliato.
"Sì, sì, quello me lo ricordo." rispose lui scontroso e frettoloso. Sarebbero potuti passare tramite la foresta e raggiungere la Francia allora. Da lì cercare gli alleati. O forse era meglio evitarli. Non voleva essere trascinato di nuovo in guerra e lui sapeva che l'avrebbero fatto: l'america potrebbe ammazzare persino gli americani pur di vincere. Non c'era tempo per riposare, ma pensò che se proprio doveva sarebbe stato meglio farlo nella prima serata e muoversi di notte e di giorno. Sperò tanto che la ragazza avesse retto. Si guardò in giro, sulle foglie, tra i rami, sul terreno. Cercò l'incavo di un albero in cui avrebbe potuto sistemare lei e farla restar comoda per quanto possibile.
La ragazza era rimasta ferma a guardarlo ed aspettava. Stava in piedi un po' indecisa. Si sentiva di impaccio, mentre lui si muoveva pratico all'aperto. La ragazza era cresciuta in una fattoria e per quanto questa potesse essere lontano dalla città, aveva sempre vissuto con tutti gli agi e tutti i comfort che aveva potuto desiderare. E lui, invece?
"Perché sei qui, Daryl?" chiese lei a bruciapelo. Furono le prime parole che gli rivolse. Daryl sobbalzò a sentire il suo nome. Si ricordò di quello che credeva un sogno e della targhetta. Si guardò il petto ed era ancora appesa al collo.
"...Incastrato." mugugnò. Lo disse a bassa voce e confuse le lettere all'inizio. Non era esattamente il momento per i convenevoli e nemmeno gli interessavano, a dirla tutta.
"Mi dispiace per te."
Daryl rispose con un verso. Che gliene fregava.
"Io ho scelto di venire." cominciò a raccontare la biondina "Stavano arruolando persone nella mia scuola, ho detto loro di avere ventun anni."
Che idiota, pensò subito Daryl. Considerò come facesse a trovarsi bloccato nel nulla, non sapeva ancora bene dove in una foresta, con una ragazzina e per di più idiota. Le probabilità di sopravvivenza s'abbassavano. Non poteva farle da baby sitter. Se gli andava bene sarebbe morta presto, liberandolo da quel peso.
"Sono venuta a cercare mio padre e mia sorella." concluse alla fine quella.
L'idea che Daryl aveva di lei cambiò allora all'istante. Preoccupata, ma coraggiosa. Stupida comunque. "Chi è tuo padre?" chiese continuando a spostare piante e foglie sane ed ammassarle in due giacigli.
"Hershel Greene. Era nel corpo di pace. Lo conosci?" chiese lei con un filo di speranza. La ragazza attese e lo guardò. Rimase sospesa in eterno. Pensò di chiamarlo per costringerlo a girarsi. Poi pensò che lei sapeva il suo nome, ma lui non il suo. Allora allungò la mano, sperando di richiamare la sua attenzione. "Io sono Beth."
Daryl si fermò un attimo e sospirò. Si chiese se ci fosse un modo gentile di dirlo. "E' morto."
"Oh." fece lei e guardò subito in basso, considerando il fatto. Non che non l'avesse mai fatto da prima. "Allora dovrò cercare Maggie." pensò ad alta voce lei. Tirò su col naso, strinse le labbra per non piangere. Non era tempo per piangere.
Daryl pensò che era impossibile ritrovarla, che non ci sarebbe mai riuscita, che l'unica cosa che quella stupida avrebbe dovuto fare era restare a casa ed aspettare. Stupida, impulsiva, coraggiosa: un mix di qualità che l'avrebbe portata a farsi uccidere.
"Tu non hai nessuno?" chiese Beth. Si sentiva petulante e fastidiosa. Sentiva però ancheil silenzio che lui lasciava cadere come ingombrante, fastidioso. Sapeva che se avesse dovuto venire a capo della situazione avrebbe dovuto farlo con lui, che era impossibile da sola. E per di più non aveva considerato neanche per un attimo l'idea di lasciare andare un altro essere umano.
Daryl indicò un punto nell'erba, le foglie accatastate, il ramo ricurvo. Avrebbe potuto essere comodo. Si passò una mano sulla bocca e sul naso ed incrociò le braccia aspettando. Lei guardò prima quel giaciglio poi lui, poi di nuovo a terra e di nuovo lui. "Grazie." disse lei confusa a voce bassa, sentendosi quasi un po' a disagio. Lui le fece segno con la testa e si sedette poi con la schiena contro un tronco duro e nodoso quasi di fronte a lei. Scelse il più scomodo per restar sveglio a sorvergliare. Rimase zitto, a suo agio, nel silenzio. Nel silenzio poteva ignorare il resto, lì c'erano solo i suoi pensieri che gli avrebbero ricordato secondo dopo secondo che se s'aspettava una cosa brutta quella succedeva. E s'abituava e prendeva confidenza già da allora. E non volle parlare a quella ragazza perché non esisteva, non sarebbe più esistita presto.
Beth non aggiunse più una parola. Chiuse gli occhi con un po' di timore, sapendo che si sarebbe risvegliata presa dal panico sognando il rumore dei fucili.


 



Angolo dell'autrice
Salve a tutti!
Seconda mia ff su TWD, come promesso sono tornata ;D Sarà una ff breve però, pochi capitoli, credo 3 o 4 non saprei. Non ho voluto selezionare né "romantico", "sentimentale" o "drammatico" tra i generi per non lasciare una possibile idea sul finale. 
Spero che nonostante la morte di Beth, la ship ed il fandom non siano morti con lei ;) e fasemose coraggio!
Commenti? Continuo? Vi ispira? 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Quando Beth si risvegliò era ancora notte fonda. Aveva i capelli impigliati nel tronco di un albero, la schiena a pezzi, le cosce congelate sul terreno freddo. Scosse la testa e si richiuse nelle spalle prima di aprire gli occhi. Vide Daryl in piedi di profilo, nascosto dietro un albero. Si sporse lievemente e cercò di ascoltare. Sentì dei rumori distanti: passi, voci che parlavano tedesco e ridevano ogni tanto. C'era lo scoppiettiò di un fuoco, voci che diventano sempre più numerose. Erano incitati, fomentati e parevano appena usciti da un pub tutti ubriachi, mentre il resto di loro bruciava cadaveri nei campi di concentramento. Beth alzò gli occhi disgustata verso Daryl. Lui le fece segno con un dito sul naso di non parlare o far rumore. Lei recepì il messaggio e si irrigì, rimanendo assolutamente ferma e di pietra, mentre solo il suo petto si alzava coi respiri.
Daryl aveva passato la vita a star fermo e rigido: prima tra i boschi per cacciare, poi negli ultimi due anni di guerra, dal 1942 al '45. Conosceva l'arte della pazienza. Quando era più giovane il padre, tra uno schiaffo e l'altro se non peggio, gli diceva sempre che sarebbe potuto andare a pesca. Merle sbuffava solo. Merle non avrebbe potuto.
Beth invece non aveva mai vissuto un attimo della sua vita nascosta. Beth era impulsiva. Faceva scelte stupide, come rispondere per prima ad un appello a scuola e finire così interrogata. O scelte stupide più recenti. Respirava di bocca perché sapeva che col naso umidiccio avrebbe fatto più rumore. Stava scomoda e voleva così tanto muoversi e cambiar posizione almeno, solo per un attimo, ma non lo fece.
Ci sono così tante cose che possono infastidire una persona e che si allontanano però con un gesto della mano: una goccia di sudore lungo la tempia; un insetto che camina sulle braccia; la punta di un ramoscello piegato per terra che punge contro la maglietta di semplice cotone; un capello che cade davanti agli occhi, in bocca Se ognuna di queste cose si fosse presentata contemporaneamente resistere una sola volta, per soli due minuti, sarebbe stato facile. Invece quelle una dopo l'altra martoriavano i due. Beth cominciava per di più a sentire la gola secca.
Passò un'eternità prima che quelli se ne andarono a causa di un ordine radio. Daryl calcolò che potevano essere intorno alle cinque ore, considerando i movimenti del sole ed il colore del cielo e delle nuvole. Daryl non era ancora convinto di potersi muovere. Se fosse stato uno di loro ed avesse sentito qualcosa sarebbe tornato indietro a controllare. In più non sapeva dire con certezza che direzione avessero preso. Doveva dargli un po' di vantaggio per speare di non incontrarli di nuovo. Daryl sarebbe rimasto fermo ad aspettare almeno un'altra oretta.
Beth non sopportava più quell'agonia. L'esasperazione cresceva ogni volta che non poteva grattarsi il dorso del naso o il fianco. Quando era sull'aereo che l'aveva portata in Europa, il primo che aveva preso in tutta la sua vita, s'era fatta un piano: avrebbe cercato prima suo padre e poi, vivo o morto, avrebbe cercato sua sorella. Maggie era di qualche anno più grande di lei, molto più bella e molto più intelligente. Maggie aveva chiesto una borsa di studio a Parigi e Parigi gliel'aveva data. Beth era certa che Maggie fino ad allora sarebbe sopravvissuta, suo padre no. Quando Beth si fermava ad aspettare e pensare, ragionava sulle probabilità che sua sorella fosse morta. La statistica non era dalla sua parte e si faceva prendere dalla fretta di sapere. Incolpò Daryl, ancora imbambolato dietro un albero ad aspettare, mentre sua sorella era magari in pericolo chissà dove. Si pulì finalmente le mani dalla terra, scrollandosela dal palmo e strusciandosele sui pantaloni. Allungò le gambe e sentì le ginocchia trovare finalmente sollievo. Non aveva mai creduto che un'articolazione potesse dolore tanto. Si alzò in piedi e finalmente anche la sua schiena ed il sedere tornarono a respirare. Se le facevano male i muscoli non poteva correre, pensò. Rimase ferma qualche secondo, poi decise di muoversi finalmente. Pensava che non aveva tempo da perdere intanto, per cui se era in grado di camminare sarebbe stato sufficiente.
"Dove vai?" chiese lui ancora fermo, stupito dalla sua presa d'iniziativa.
"Se ne sono andati." rispose lei fredda. Si guardò in giro e cercò qualcosa che le potesse essere utile. Raccolse dei sassi più o meno grandi. Meglio che niente.
"Dove vai?" chiese quindi di nuovo lui insistendo, sperando che il punto le fosse chiaro.
"A cercare mia sorella. Te l'avevo detto." disse Beth riempendosi le tasche.
"Tu non vai da nessuna parte." La voce di lui s'era fatta risoluta e non gliel'avrebbe mai lasciata passare. Abbandonò finalmente la sua posizione e s'avvicinò a lei, prendendole un polso con la mano. Era la prima volta, oltre a quella mano che le aveva dato all'inizio, che la toccava. Con le dita riusciva a circondare tutto il polso ed era sicuro che se avesse stretto un po' di più gliel'avrebbe spezzato.
"Cosa?" chiese lei incredula guardandosi il braccio "Fermami." Cominciò a strattonarsi e divincolarsi, troppo orgogliosa per usare l'altra mano e spingerlo via. "Lasciami!" urlò poi, quando i suoi tentativi si rivelarono vani.
Quello che Daryl sentì furono le urla di una bambina viziata. Stese le dita ed aprì la mano. Le sue grida gli avevano dato al cervello e non perché avrebbero potuto scoprilo. "Potrebbe essere morta. " le urlò allora lui, cattivo solo per farle del male, farle pensare che la sua cara sorellina fosse morta.
Beth combatté contro l'impulso di massaggiarsi il polso. Pensò che non l'avrebbe mai fatto davanti a lui. "Potrebbe essere nascosta da qualche parte." Beth era convinta che Maggie fosse viva o almeno doveva sperarci. La speranza era tutto quello che della sua famiglia ormai le era rimasto.
"E come hai intenzione di fare allora?" chiese lui "Eh?" rincarò la dose, per farla sentire stupida, per farla stare buona, perché solo quello Daryl sapeva fare, solo questo aveva imparato da suo padre e da suo fratello. Camminava e parola per parola la spingeva contro un muro.
"Troverò un modo." rispose lei non intimorita. Lo spinse via e si liberò. Si guardò a destra ed a sinistra, cercando di ricordare da dove veniva, dove fosse la Germania e quale fosse la strada più vicina per la Francia. Riconobbe il sentiero che avevano marcato coi passi all'andata e s'avviò nella direzione opposta.
Daryl espirò spazientito dal naso e strinse i denti. Controllò che la pistola che aveva recuperato all'andata fosse incastrata nella cintura e con la sicura e la seguì. "Sto cercando di tenerti viva, non ci arrivi?" provò con un altro approccio, parlandole alle spalle.
Beth si fermò e girò il viso appena. "Non ne ho bisogno. Posso farlo da sola." non che gli avesse chiesto mai il suo aiuto. Quando era partita però non s'era mai immaginata di dover sopravvivere da sola nei boschi. Nel pomeriggio precedente avere quell'uomo, di cui non sapeva niente, con lei le aveva dato però un certo senso di sicurezza, di cui s'era fatta forza e che sperava di poter coltivare anche da sola. "Se mi vuoi aiutare, va bene. Altrimenti va' per la tua strada."
Daryl si arrese. "Dove?"
Beth nascose un sorriso. Riprese contegno e prima cercò di ritrovare la sua voce risoluta di prima, poi decise che non aveva senso e cercò allora di sembrargli solo spontanea. "Parigi." si voltò ed aveva le mani nelle mani davanti al petto. La risposta le uscì solo profondamente ritardata e s'imbarazzò per un attimo, chiedendosi lui cosa avesse pensato allora di lei.
Daryl sospirò. Guardò la tuta bianca e blu ormai diventata color marroncino terriccio.
L'entusiasmo di Beth scemò aspettando una risposta da parte di lui. Si rigirò e s'avviò per ricominciare a camminare.
Daryl la seguì a passo svelto fino ad arrivarle accanto. Allungò una mano e la fermò. Lei si girò e rivide nel suo profilo la donna luminosa dai capelli biondi che gli aveva salvato la vita. Abbassò subito la mano. "Se siamo in pericolo si fa a modo mio. Siamo d'accordo?"
"D'accordo!" disse lei sorridendo.

 

Daryl camminava in silenzio. Teneva una mano alta per allontanare le foglie che piovevano dagli alberi sopra la testa. S'erano fatte ormai gialle ed era quasi tempo che cadessero. Sperò di arrivare nella Parigi liberata in pochi giorni. Presto non sarebbe più stato possibile nascondersi tra gli alberi. Beth sentiva invece un certo disagio in quel silenzio. Beth odiava il silenzio, perché la costringeva a pensare e quando pensava, lo faceva per sua sorella. Teneva la testa bassa, guardava i suoi piedi evitare le foglie camminando, passare solo sul terreno morbido, come aveva fatto le poche volte che era stata in città sulle striscie pedonali, evitando il catrame nero e saltellando solo su quello bianco. Cercò di non attirare però l'attenzione di lui. Ogni tanto alzava la testa per controllare se lui la stesse guardando, ma Daryl non la guardava mai.
La pancia le brontolava sonoramente da un po' quando il sole si fece alto nel cielo. Daryl la sentì e fu la prima volta che si girò verso di lei. Beth abbassò lo sguardo imbarazzata.
"Da quanto tempo non mangi?" chiese lui.
Beth scrollò le spalle. Non aveva tenuto il conto, ma doveva essere dalla mattina precedente. S'era svegliata in una tenda da campo molto presto, prima di ogni altro, affinché chi era insieme in quella missione non pensasse a lei come ad una bambina. Aveva raccolto un tozzo di pane che s'era conservata dalla sera prima, sciolto del latte in polvere in un bicchiere con l'acqua ed affondato poi quattro biscotti ormai rinsecchiti che s'era portata dietro da casa. Quando suonò la sirena aveva a malapena finito di bere: una serie di soldati erano stati colpiti di primo mattino da una bomba, solo alcuni parevano illesi e tanto valeva concentrarsi su quelli. A Beth venne affidato un solo soldato con un'ustione superificiale lungo il fianco destro, che dovette tamponare e coprire, ed una ferita da taglio lungo la testa, che a tratti Daryl ancora si toccava.
"Tu?" chiese Beth di rimando, con la certezza che era lui quello più affamato dei due.
Daryl sospirò. Due sere prima, in trincea, la solita razione di pane e carne in scatola e le vitamine che l'esercito forniva ai suoi soldati. Aveva consumato quella insulsa cena da solo in un angolo sulla sua branda, pensando a suo fratello Merle. Daryl grugnì. "Ti cerco qualcosa."
Beth sorrise. Saltò fuori che Daryl sapeva cacciare. Beth cercò di seguirlo all'inizio, poi si ricordò di quando suo padre le diceva da bambina di stare lontana se non avesse voluto spaventare gli animali. Trovò uno spazio a cerchio abbastanza ampio, circondato da radici sporgenti di alberi. Raccolse alcuni rametti e li agitò. Quando una sottile riga di fumo cominciò ad uscire, soffiò piano ed alimentò il fuocherello che aveva creato con delle foglie, con il quale ci avrebbe bollito l'acqua. Quando Daryl tornò con un coniglio un'oretta dopo rimase sorpreso prima, poi si ricordò che quella era una cosa che sapevano fare anche i bambini.
Dormirono fuori anche quella notte, tra gli alberi. Daryl riuscì a chiudere occhio nel primo pomeriggio solo per un paio d'ore mentre Beth stava di guardia, con la promessa che l'avrebbe svegliato al minimo rumore che avesse sentito. Beth lo guardava dormire e pensava che i suoi capelli erano troppo lunghi e gli nascondevano gli occhi. Sembrava stanco e triste. Sembrava solo e ferito. Sentiva già un certo senso di attaccamento verso di lui. Era l'unica persona che aveva, forse l'ultima che avrebbe mai visto se non fosse riuscita nel suo intento. Era persino gentile a volte a modo suo. Beth sorrise.
Quando più tardi lui si svegliò erano passate solo poche ore. Non riusciva a dormire, non come si dovrebbe. Si alzò e si stiracchiò. Le disse di schiacciarsi un pisolino. Lei protestò all'inizio, lui la prese per le spalle e la costrinse a terra e solo allora lei s'arrese. Era calato ormai il sole e con esso il calduccio si diradava. Faceva un freddo che arrivava fino alle ossa. Beth sognò di essere sulla neve, come il natale di diversi anni prima quando sua madre era viva. Quando si svegliò aveva le maniche lunghe di cotone arrotolate fino agli avambracci e sulla pelle era cosparsa di terra che la scaldava, di certo non ce l'aveva messa lei. Alzò gli occhi e vide Daryl. Pensò di sorridergli come per ringraziarlo, ma lui neanche la guardava. Era così impegnato e pensieroso. Teneva tra le mani qualcosa di scintillante, una catena lunga e un pendaglio piatto come quelli che portava anche lui al collo. Una medaglietta pensò lei. Quando Daryl s'accorse che era sveglia, rificcò tutto dentro una tasca dei pantaloni, lungo le cosce, incrociò le braccia e con gli occhi la spiò di nascosto. Beth sorrise. Più tardi, tra la notte e l'alba ricominciarono il loro viaggio verso Parigi.

 

Verso mezzogiorno il sole s'era fatto alto. Il calduccio bruciava sulla pelle, sfrigolava col sudore appiccicato ai vestiti. Beth non aveva intenzione di lamentarsene, non dopo il freddo che aveva provato quella notte. Gli stivali marroni s'era sporcati di fango ed erba verde spiaccicata. Teneva gli occhi alti e seguiva i capelli dell'uomo, che guidava quella spedizione e le camminava davanti. Daryl teneva sempre le mani lungo i fianchi. Sfiorava camminando con la mano destra la pistola, appesa nella cintura, e con la sinistra un coltello che ricordava avesse già appeso la prima volta che lo vide. Ricordò di non riuscire a stringere bene la fasciatura per il manico dell'arma che gli sporgeva lungo il fianco. Rammentò di aver pensato di toglierglielo e poi che se si fosse svegliato ne avrebbe avuto bisogno e se fosse stata lei ad averne avuto bisogno sapevano dove trovarlo. D'improvviso sentirono un gran vociare, proiettili e tanti piedi che correvano. Cinque o sei paia di stivali colpivano la terra secca, sbriciolavano le foglie, le teste colpivano rami sottili secchi e li spezzavano, lasciando che quello dietro li schiacciasse sotto i piedi. Coprivano rumori più leggeri di scarpe in corsa. Daryl entrò subito in allarme e s'avvicinò a Beth. La costrinse ad accucciarsi in basso con una mano sulla spalla mentre, forzandola a piegare le ginocchia, mentre lei allungava la vista cercando di scorgere qualcosa. Dovette tenerla giù con forza.
I rumori s'avvicinavano. Qualcuno urlava in tedesco. Altri strillavano di paura ed erano più numerosi dei primi. Erano molto più numerosi. Parlavano chi francese, chi italiano. Beth si creò uno spiraglio tra le foglie con le dita. Daryl gliele abbassò, poi cercò di guardare lui stesso da quel buco: una serie di persone, non più persone ma stampelle pensò lui, vestite di bianco e nero a strisce correvano ed arrancavano. Se ne perdeva uno ad ogni passo. Chi cadeva non si rialzava, gli altri scappavano avanti. I tedeschi erano troppo vicini e dopo poco le uniformi nere fecero capolino. Stavano in piedi, in tre di loro, tutti composti. Un cappello a nascondere i capelli biondi. Per quanto potessero sembrare calmi il loro parlare pareva sempre come un urlo arrabbiato. Uno di loro fece segno ad un altro di alzare il fucile e puntarlo lontano. Quello sparò verso il primo in corsa. Beth spalancò gli occhi. Il soldato colpì il secondo. Quell'altro affianco a lui guardava e s'era quasi annoiato. Gli tolse l'arma da mano e cominciò a tirare proiettili alla rinfusa, di continuo. I corpi cadevano uno dietro l'altro, come tanti birilli.
"Oh mio d.." cominciò quasi urlando. Daryl ebbe paura e le siggillò la bocca con una mano. Beth si ribellava contro di lui, respirava a forza, strillava contro la sua mano. Gli occhi le si erano fatti rossi e premevano quasi contro le palpebre per uscire. Ribolliva di rabbia e di sgomento. Lui le fece segno di far silenzio. Beth non poteva. Chiuse gli occhi e cercò di non guardare. Il fucile trombava ancora. La mano di Daryl le stava togliendo l'ossigeno e Beth si sentiva come soffocare. Cercò di respirare col naso. Inspira ed espira. Quando sembrava calma Daryl la lasciò. Continuarono a guardare. Le pallottole affondavano nei corpi e ne uscivano e si affondavano con forza nel terreno. Polvere e terra rampillavano dal suolo. Come se i proiettili avessero attraversato il burro, non persone.
Beth non poteva stare a guardare. Si ricordò della pistola che Daryl aveva sul fianco. Mentre lui osservava tutto, si avvicinò e gliela sottrasse. S'alzò in piedi e cominciò a puntare. Fu così veloce che lui neanche se ne rese conto. La vide solo puntare ad un certo punto alla testa di quel biondino che prima di tutti aveva dato l'ordine e stava uccidendo senza sporcarsi le mani. Quello il più bastardo tra tutti. Intanto gli altri stavano sparando a quelli a terra.
Daryl la prese per il polso, pensò quasi di spezzarglielo. Le tolse la pistola di mano, attento a non farle scivolare il dito sul grilletto, afferrandola con le cinque dita. I tedeschi avevano finito. Non c'era più bisogno di tenerla ferma. E forse non avrebbe voluto. Che si facesse scoprire quella puttana.
Nel boschetto scese di nuovo il silenzio. Come se niente fosse successo. I tre soldati se ne andarono via ridendo. Uno di loro indicava un punto lontano, con le dita faceva segno di una pistola ed uno sparo e rise di nuovo.
Beth corse lungo quella striscia nera, bianca e rossa di cadaveri. Era la prima volta che li vedeva. Scheletrici, avevano la pelle che cadeva dalle ossa come un lenzuolo. Gli occhi erano ancora aperti, con l'espressione della paura cucita sulla faccia, infossati nelle orbite, cerchiati di un nero. Nelle bocche aperte non c'erano denti, le lingue parevano enormi tra la pelle e le ossa. Tutti uguali, come le loro divise. Erano ammucchiati uno sopra all'altro, come una discarica, come spazzatura, come carne da macello in un mattatoio. Il sangue che scorreva dalle ferite macchiava le uniformi e s'ingrandiva e cancellava la trama a strisce: la morte cancella tutto.
Ad un tratto qualcosa si mosse. Beth balzò quasi spaventata. Si girò e vide una mano sollevarsi e cercare di afferrare qualcosa. Beth si precipitò e la prese. Ebbe paura di spezzargliela, ebbe paura di essere stata troppo brusca, ebbe paura di avergli fatto male e non lo meritava.
Un uomo, senza capelli, senza barba, senza consistenza cominciò a parlare. "Fred...do.". Aveva gli occhi vitrei, le labbra secche, la pelle grigia e gialla che quasi se ne veniva via sotto le dita.
"Sì!" rispose lei frettolosa. "Sì, sì, ma guarda, guarda," ed indica verso l'alto con un dito. Aspetto che quello guardasse verso l'alto. L'uomo strizzò gli occhi per vedere meglio. La luce doveva essere troppo forte per lui, pensò. "Sono gelsomini invernali. Sono gialli e bianchi e... Sono bellissimi, non trovi?" Non ebbe il coraggio di riguardare verso di lui. Continuò ad ammirare i fiori, mentre due lacrime le cadevano solitarie lungo le guancie.
L'uomo fece sì con la testa senza emettere un suono. Anche Daryl, che si stava tenendo in disparte, ammirò il paesaggio. Aveva le mani nelle tasche, a disagio. Cercava di evitare lo sguardo di lei a tutti i costi, ma lei non sembrava neanche vederlo.
Beth si fece coraggio ed abbassò gli occhi. L'uomo sorrideva di un sorriso stentato che gli restituiva però un po' di quella umanità persa. "E' tutto okay, è tutto okay," cominciò lei sforzandosi di sorridere insieme a lui "sei a casa ora." Pensò che quelle erano le parole che lei si fosse voluta sentir dire. Si pulì con una mano le lacrime che aveva promesso di non versare più. Le si appiccicò terra e polvere sul viso. Voleva guardare verso il basso, ma un impulso primordiale di paura la fece desistere. Il labbro le tremava. Strinse meglio la mano dell'uomo, si risistemò sulle ginocchia ed abbassò lo sguardo.
"Sei un angelo?" chiese quello. Le sue dita si mossero a scatto un'ultima volta, un movimento improvviso ma estremamente lento.
"I-io n..." balbettò Beth, prima di accorgersi che quello era morto.
Beth tremava dalla rabbia. Strinse la mano di quell'uomo, fino a quando non sentì qualcosa fare crack, allora la mollò spaventata. S'allontanò arrancando al suolo, con le mani appiccicate sulla terra a sporcarsi di marrone e rosso. Si accorse solo allora dell'odore ferroso del sangue e putrido della pelle di quelle persone. Erano già morti. Stavano già morendo, prima ancora di essere sparati. Eppure camminavano, correvano, scappavano, volevano vivere. Beth arrivò ad un albero e s'aggrappò alla corteccia. Sentì un senso di nausea risalirle dalla pancia fino alla gola e all'improvviso bile ed acido mischiarsi nell'esofago, premerle contro l'ugola e la lingua prima di uscire. Si sentì soffocare mentre vomitava. Voleva ansimare e prendere aria. Quello ad Atlanta non gliel'avevano detto. Non le avevano detto cosa succedeva, non credeva fosse vero, non poteva all'ora, all'epoca, a casa. Il resto del mondo non lo sapeva. Se l'avesse saputo, pensava, avrebbe fatto qualcosa.
Aveva visto una pubblicità al cinema una volta, due anni prima, a quindici anni: campi di lavoro, così li chiamavano. Le persone ridevano, leggevano i giornali, i bambini giocavano, avevano cibo a sufficienza. Quella volta rimase sorpresa dal buon cuore allora di quelle persone, nonostante si stesse chiedendo perché quelli non potessero restare nelle proprie case. Sentì mormorii in quella sala quella sera. Suo padre si alzò, le mise una mano sulla spalla raccomandandole di restare lì seduta e raggiunse altri uomini col quale cominciò a discutere vivacemente ed insieme uscirono fuori. A metà di quel film in bianco e nero, Hershel ricomparve sorridendole e le chiese cosa s'era perso. Beth gli raccontò la trama.
Il resto del mondo preferiva non sapere, come quella stupida quindicenne.
Ansimò, urlò e poi si pulì le lacrime.
Daryl le si avvicinò e le porse un pezzo di stoffa che teneva in una delle tasche, la manica di una maglia vecchia, marrone e lanugginosa. Beth alzò gli occhi quando se lo sentì vicino. I suoi occhi corsero da quell'offerta a lui che neanche la guardava. Beth afferrò quella cosa, si alzò piano fino ad essergli davanti e poi la gettò via. Strinse i pugni per trattenersi, mentre tremava. Guardò un attimo in basso per trattenere le lacrime e poi urlò di nuovo.
Si scaraventò verso Daryl coi pugni in alto battendoglielo sul petto, costringendolo ad indietreggiare e trovare un equilibrio. "Perché l'hai fatto?" gli urlò contro "Perché, perché, perché?"
Daryl capiva a cosa lei si stesse riferendo. La prima volta che gli era successo reagì allo stesso modo: rabbia. Davanti a tanta morte ci si può solo arrabbiare. La lasciò sfogarsi. Tenne la testa voltata di lato, perché sapeva che lei l'avrebbe odiato, perché s'era nascosto, perché l'aveva costretta a nascondersi. Le urla, la puzza, il suono dei proiettili aveva fatto male anche a lui.
"Avrei potuto fare qualcosa.", "Avremmo potuto fare qualcosa.", "Dovevamo aiutarli." erano le continue prediche di lei. Si lagnava e piangeva e quella disperazione era insopportabile, perché gli ricordava che lui ci aveva quasi fatto l'abitudine, perché aveva pensato tempo prima di doverci fare l'abitudine per sopravvivere. Si sentì un po' meno un essere umano. Ma non avremmo potuto, pensò invece Daryl. Se l'avessimo fatto... Ed allora tornava a galla l'uomo a cui non fregava niente se non sopravvivere, quello con cui si copriva la faccia. Pensò di nuovo che il coraggio e l'impulsività di lei l'avrebbero portata a farsi uccidere. "Dovresti ringranziarmi." bisbigliò. Sperò che dirlo gli avrebbe fatto sopprimere quella sensazione, quella così familiare che l'accompagnava quando vomitava le prime volte che aveva visto quello schifo; sperò che lo facesse rientrare in quei suoi vecchi stracci nel quale si era identificato negli ultimi mesi, nell'ultimo anno, perché faceva meno male così, perché era così che aveva imparato a sopravvivere da solo.
"Tu sei come loro!! Sei uno di loro!!" Urlò Beth. Stringeva i pugni lungo i fianchi e quando non parlava si forzava di trattenere le lacrime, forse pensando che lui non le meritasse. No, non era un essere umano come lei.
"Cosa ti hanno promesso?" Urlò Beth di nuovo. Si era ricordata di quella famosa volta a scuola, dove ai professori dicevano che se fossero partiti sarebbero ritornati in patria con delle promozioni ed un aumento; agli studenti maggiorenni che sarebbero stati rispettati, pagati; alle ragazze che avrebbero trovato marito tra i soldati. Perché la guerra unisce gli americani, aveva borbottato stupidamente quel giorno, facendo il versetto. "Soldi? La libertà vigilata?" Si chiese cosa ad uno come Daryl, uno su cui aveva visto tanti tatuaggi sulla pelle, che non era più vent'enne da almeno quindici anni, che era senza famiglia ed aveva addosso più cicatrici di tutti i soldati messi insieme, l'esercito aveva promesso per concedergli di servire il paese. Recitò quello stupido slogan a memoria. Voglio te per l'esercito degli Stati Uniti. Quello aumentava ancora di più il disgusto che provava. Sentì di nuovo il vomito pizzicarle la bocca dello stomaco e poi la gola. Beth lo ingoiò giù di nuovo.
Daryl aveva ricominciato a camminare verso quello che sperava essere Parigi quando la sentì accusatoria, si bloccò e si girò a guardarla. Rimase fermo un attimo immenso. Quando si riebbe sbuffò. "Tu non sai niente di me." Si chiese cosa di lui l'aveva portata a quella conclusione. Si chiuse sulla difensiva e la etichettò come la ragazza che non aveva capito niente. Riusciva a piangere un mucchio di persone con cui non aveva mai parlato, ma era pronta a giudicare chi le stava salvando la vita.
"E tu di me!" rispose Beth, non sapendo esattamente cosa significasse. Ragionava in maniera frenetica. Aveva il filo del discorso pronto all'inizio, ma l'aveva perso parlando, piangendo ed urlando."Loro sono morti!"
"So che hai una sorella morta. Ed un padre." Disse lui parlandole da sopra e provò ad allontanarsi di nuovo, ma lei restava impantanata sul posto, terrorizzata forse al pensiero di lasciare quei cadaveri da soli. A Daryl non fregava più un cazzo di Beth. Lei era uno dei porci che l'avevano bastonato come un cane per tutta la vita, uno di quelli con cui aveva imparato a fare la faccia da duro per farsi rispettare, come suo fratello Merle gli aveva insegnato. Il pensiero di Merle fece di nuovo capolino nella sua testa.
"E' viva." La voce di lei fu ferma per una volta. Nessun piagnucolio o labbro tremolante. Maggie era viva. E lo diceva come la gente come lei dice che è pronta la cena. Quella certezza e quelle speranze così forti erano cosa rara ed un po' forse quello ebbe la forza o la gentilezza di calmare la rabbia di Daryl.
"Non se è come te." Provò ancora a stuzzicarla, perché se avesse vacillato, se si fosse commosso solo un attimo, sarebbe crollato e l'aveva visto fare così tante volte e aveva visto morire per vacillamenti, che non s'era mai neanche permesso. L'odore nauseabondo pareva farsi però sempre più esigente di essere sentito anche per lui.
"Ce l'avrei potuta fare, li avrei salvati." Beth era più calma. Era stato il pensiero di sua sorella ad agire su di lei, il pensiero che tutto quello aveva uno scopo.
"Ti saresti fatta uccidere." considerò solo veloce lui.
"E allora? Qual'è il punto di vivere così?"
Daryl strinse i pugni ma servì a poco. Quella puzza. Quella puzza era troppo forte. Diede un calcio ad un albero. Una pioggia di foglie cadde dai rami secchi e coprì il terriccio ed i corpi che ancora stavano accanto a loro. Per tutto quel tempo Daryl aveva cercato di allontanarsi da quei morti, da tutta quella morte. Era il suo modo di farcela: ignorare, sorpassare, fingersi freddo. Daryl, che era ancora fermo in quel posto che puzzava, non poté più ignorare e li guardò. Dall'alto dei suoi stivali ebbe le vertigini. Loro avrebbero dato gli ultimi denti o l'ultima pagnotta per uno solo dei giorni come i suoi. "Non puoi essere seria.". Alla fine tutta quella morte riuscì a sopraffarlo.
"Lo sono, io non voglio..." cominciò Beth e ricordò alla fine il discorso che aveva voluto fare fin dall'inizio. Era cosciente dei rischi, era consapevole delle conseguenze, ma se c'era una sola cosa che suo padre gli aveva insegnato era che... Si fermò quando sentì un singhiozzo. Si girò verso Daryl e lo vide appoggiato con l'avambraccio ad un albero, la fronte sul pugno chiuso, l'altra mano appesa alla spalla. Aveva il viso contratto, le guance chiuse e strizzate con le palpebre, forse qualche lacrima che non riusciva a vedere. Beth si avvicinò cercando di capire.
"Non posso perdere chiunque. Mio fratello... lui..."
Aveva perso un fratello. Aveva perso un fratello, probabilmente in guerra. Daryl non riusciva a raccontarlo, non riusciva a dirlo nemmeno. Beth gli si avvicinò senza pensarci e l'abbracciò. Poggiò la testa sulla sua schiena, senza fregarsene che era sudato o sporco o tutt'e due, e strinse le mani attorno alla sua vita. Daryl si sentì libero di piangere per la prima volta dacché Merle era morto. Beth mosse i pollici in movimenti circolari sulla sua pancia, come per aiutarlo a cacciar via tutto quel dolore. Non lasciò neanche un filo d'aria tra i loro corpi e si agganciò ferma come una roccia. Poggiò le labbra e la punta del naso su quello spicchio di pelle che riusciva a raggiungere sulla nuca di lui tra i capelli scuri. Sentì le sue spalle fare sopra e sotto dai singhiozzi ed allora cominciò ad oscillare cullandolo.
Rimase alla fine ferma con lui fino a quando non fu il tramonto ed i piedi di entrambi dolevano e furono obbligati a camminare di nuovo.

 

Furono investiti da una strana ed irreale quiete. Nessuno dei due parlò lungo il tragitto. Daryl a tratti alzava lo sguardo e sbirciava verso di lei, che invece teneva le mani attorno alle spalle a ripararsi. La luce arancione del sole, filtrata dai rami e dalle foglie, colorata di quel gusto quasi invernale, le faceva splendere i capelli e gli mostrava il profilo della donna che aveva visto la prima volta che s'era svegliato, l'angelo a cui stupidamente aveva pensato. Erano solo occhiate fugaci però e s'assicurò che lei non lo notasse, tornando a guardare a terra e verso i tronchi.
Beth era stanca e si sarebbe fermata ovunque per riposare. Aveva cominciato a puntare da almeno un chilometro uno spioncino di luce biancastra, che aveva pensato potesse forse venire da una vallata in mezzo a quella foresta. Aveva ragionato sul perché potesse essere più sicura quella di un mucchio di alberi prima di proporlo, così da fornire un movente al loro strappo alla regola degli orari, senza doversi mostrare pigra o stanca. Pensando e pensando arrivò fin là e quello che vide la convinse ancor di più a piantar le tende per la notte, senza che avesse importanza quello che lui avrebbe pensato di lei, avventata o non.
Una casupola di legno stava al centro di un prato erboso. Gli alberi del boschetto nel quale si trovavano lo circondavano completamente. Avevano ancora un pizzico del loro naturale vigore foliaceo, diversi da quelli ruvidi che parevano stuzzicadenti che avevano fatto loro da letto. Daryl si guardò attorno pensando che semmai avessero dovuto, fuggire sarebbe stato come muoversi con un tiro al bersaglio appeso alla schiena.
Beth affrettò il passo. Voleva arrivare lì prima che poteva, stare al caldo magari, dormire su un letto o una poltrona. "Potremmo fermarci qui?" chiese prima con esitazione poi con più decisione completando la frase.
Daryl guardò la baracca. Ne aveva viste centinaia come quella. Era sicuro che se fosse entrato e avesse guardato sotto il tappeto ci avrebbe trovato un buco per nascondere qualcuno. Non aveva le fondamenta, esattamente come quella in cui era cresciuto, esattamente come quella dove avrebbe nascosto persone in fuga.
"No, faremmo la fine del topo." disse lui. Daryl si girò verso di lei e vide l'espressione di Beth farsi delusa. "Restiamo fuori." propose, anche se pareva anche a lui una fin troppo magra consolazione.
Beth fece sì con la testa ed abbandonò ogni speranza. Pensò che l'aveva tenuta viva fino ad allora, che aveva tenuto vivo anche sé stesso e che quindi si doveva fidare e fare a modo suo. E poi aveva promesso. Alzò gli occhi verso di lui: stava cercando rametti di legno, tastandoli, assicurandosi che non fossero bagnati, probabilmente per accendere un fuoco. Pochi minuti dopo erano stesi con la schiena contro il terriccio, a riscaldarsi almeno su quel lato, mentre col fianco erano rivolti verso il fuoco. Beth aveva infilato le mani sotto alla schiena per non senir freddo, Daryl invece le teneva nelle tasche deli suoi pantaloni color mimetico. Ogni tanto si sentiva rumore di brontolii di stomaco.
Daryl non sapeva cosa dirle. Guardava in alto e pensava alle stelle. Poi si girava verso di lei e guardava lei alla luce della fiamma e tornava di nuovo alle stesse.
"Il cielo è così pulito." disse lei rompendo il silenzio "Vorrei che mio padre potesse vederlo." Lui si girò a guardarla mentre lei teneva ancora gli occhi verso l'alto "Avrebbe detto che è un dono del Signore, che tutto questo è solo una prova, per ammetterci tutti nel suo mondo."
"Ci credi?" chiese lui. Si portò un braccio sotto alla testa, facendolo a cuscino. S'era agitato in realtà per la confidenza che lei gli aveva fatto. Nessuno gliene aveva mai fatte. Non sapeva come comportarsi. Sentì solo il bisogno di muoversi ed agitarsi e contemporaneamente non farglielo notare ed essere discreto.
"Questo mondo non mi dispiace." drispose piano lei. Non distoglieva gli occhi dal cielo ed era così persa. Era bella persino, con quel suo profilo sognante, l'ingenuità che il mondo aveva conservato tutta concentrata nei suoi occhi.
"Uh-uh" annuì lui, non saendo esattamente cosa dire.
"Ci sono ancora cose che valgano la pena."
Daryl sospirò. Non ne era poi così sicuro.
Daryl continuò a guardare su con lei. "Era a mio fratello che avevano promesso soldi e la libertà"
Lei lo osservò allora interrogativa prima, poi intuì il resto, ma voleva sentirlo. Daryl si rigirò e si trovò con gli occhi di Beth incastrati nei suoi. Capiva che lei voleva sapere di più. Aveva sul viso quell'espressione tra la curiosità e la pietà con cui le persone non-come-lui lo guardavano di continuo.
"Merle... Lui spacciava, si drogava, qualcosa giusto per tirarsi su. A volte me la faceva provare. Salta fuori questo grande affare e non vuole farselo scappare. Dice che è la nostra occasione per lasciare quel posto di merda e che ci saremmo visti a mezzanotte in stazione. Alle undici mi trovo la polizia a casa, alle undici e mezzo l'esercito."
Beth stava per aprire le labbra, respirare prima di parlare, ma ogni tentantivo le morì in gola quando sentì dei passi familiari di scarponi che aveva imparato ad odiare e parole, tante parole, in una lingua che come quegli stivali odiava più di ogni altra cosa al mondo. Beth si rizzò in piedi, in sincronia con quel brivido che le saliva da dietro la schiena fin sotto alla testa, sul collo. Daryl si alzò prima ancora di guardarsi attorno. Calpestò il fuoco che era rimasto e cercò il braccio di Beth per afferrarlo, ma lei era per fortuna già corsa avanti, in quel che rimaneva del boschetto spoglio di foglie e verde.
I soldati tedeschi si avvicinavano, ridevano e chiacchieravano. Un sospiro di sopresa uscì dalle bocche di due di loro, mentre un terzo fischiò come se avesse davanti una bella donna. S'affrettarono ed andarono verso il casolare, proprio come Beth aveva fatto poco più di un'ora prima. E volevano entrare. Proprio come lei voleva entrare. Ed entrarono. Lasciarono ad uno ad uno i fucili davanti all'ingresso, appoggiandoli in equilibrio alla ben e meglio alle pareti di legno.
Respiravano piano nascosti tra i rami. Daryl le fece segno con una mano di star ferma, con un dito poi le indicò prima quelli dentro, poi loro fuori ed il bosco. Voleva aspettare che fossero entrati, che non li vedessero, per poi fuggire. Beth fece sì con la testa. Riaggiustò le scarpe al suolo pensando di dover essere pronta a scappare. Col ginocchiò finì dentro una pozza di fango ed erba. Guardò la terra salirle ed espandersi anche in quel punto sopra alla gamba dei pantaloni bianchi di cotone. Strinse coi pugni dei sottili ciuffi d'erba e poi li mollò, ricordandosi di doversi tenere pronta. Pronta, pronta, pronta.
Finalmente anche l'ultimo entrò. Erano in cinque e proprio il quinto prima di salire le scalette poggiò un fucile contro la parete, lontano dagli altri e corse dentro. Daryl sapeva che quello significava che l'ultimo sarebbe uscito fuori di nuovo di lì a poco per stare di guardia.
Uno scricchiolio partì dalle assi che sostenevano il tutto senza le fondamenta.
Beth pensò: la fine del topo.
"Daryl, tuo fratello." cominciò lei agitandosi, forse per il freddo, forse per l'eccitazione dell'idea che le era appena venuta, oscillando sopra e sotto col busto "Ti manca, vero?" gli chiese girandosi verso di lui con voce curiosamente elettrizzata. Daryl non l'aveva mai detto, ma Beth aveva capito com'era morto e perché lui continuasse a ripeterle che Maggie non ce l'avrebbe potuta fare.
Daryl la guardò, le sembrava quello il momento? Prima le lanciò uno sguardo confuso, poi si girò verso il boschetto aspettando che lei facesse lo stesso per correre via. Lei lo bloccò con una mano sul braccio. Strinse la manica della maglioncino grigio ormai infeltrito. Daryl alzò gli occhi dalla sua mano a lei e scrollò le spalle, dandole così risposta.
"Dovremmo fare qualcosa." suggerì allora lei.
"Cioè?"
Beth sorrise.

 

Beth seguiva Daryl, cercando di imitare il suo passo furtivo, camminandogli dietro sulle punte dei piedi. Daryl afferrò uno dei tanti fucili poggiati al muro di legno della cascina. Lo strinse tra le mani, sentendone di nuovo tutto il peso sulle braccia fino ai polsi. Passò un dito sul metallo freddo. Sorrise pensando a quelli, talmente stupidi, da essersi chiusi in un angolo senza i loro armamenti. Li sentì ridere tra di loro. Beth cercò di smuoverne uno anche lei, ma la fretta le fece urtare con la canna di uno anche quello direttamente affianco e si fermò per non lasciar cadere tutto. Daryl si girò verso di lei in tempo per vedere tutto, lo prese e glielo porse in mano. Beth allora con l'altra ne afferrò anche un altro, questa volta con più decisione. Sorrise a Daryl che le fece un cenno d'assenso. Se li caricarono tutti appendendoseli al collo ed alle spalle, raggiunsero il punto giusto del prato d'erba non troppo lontano né troppo vicino alle finestre. Beth sorrideva. Alzò una canna in aria con le dita puntate sul grilletto e guardò verso Daryl, che aprì fuoco dopo il suo invito. Il cielo calmo e blu scuro si riempì di proiettili e brevi scintille, la notte da silenziosa si fece rumorosa di spari mentre il terreno attutiva il tintinnio dei proiettili che ricadevano.
Sentirono immediatamente rumore provenire da dentro la cascina. Le risa erano finite, adesso qualcuno urlava di un imperioso tedesco.
"Attenzione là dentro!" strillò Beth e lasciò che altri colpi le facessero da eco e richiamassero di nuovo l'attenzione. Daryl la guardò e notò che lei proprio non riusciva a togliersi quel sorriso dalla faccia.
Una finestra sbattè, mandando in pezzi il vetro, calpestrato e sfracellato sotto gli stivali degli uomini che erano ormai affacciati a meno di venti metri di distanza.
"Vaffanculo!" urlò lei. Daryl sparò altri colpi in aria.
Beth lasciò che il fucile le ricadesse addosso, se lo lanciò dietro la schiena, mentre Daryl s'era voltato e la tirava via. E si allontanarono e sorridevano sotto i baffi, a volte guardandosi e ridendo tra di loro.

Ci sono ancora cose che valgano la pena.

 



Angolo dell'autrice
Salve a tutti! 
Chi mi conosce da altri fandom sa che passo la vita sociale di efp a giustificarmi di ritardi e ritardi. Sono qui ora a giustificarmi dopo un mese e venti giorni anche per questa storia, nonostante siate a seguirla meno di una manciata. 
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, che vi stia piacendo la storia in generale. Avevo deciso di farne solo 3 capitoli, ma sono stata investita da un lampo di idee tant'è probabile che la continui. Ma poi si vedrà.
Per il resto vi invito a lasciarmi una recensione, qualunque cosa dovesse esserci sono pronta a fare modifiche. 
Con affetto ed a presto! :*

Ps. il carattere va bene?

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Beth aveva deciso che per la sua missione non sarebbe stata necessaria una sola arma. Beth decise che la sua era una missione di pace. Ed in più non avrebbe mai sparato a qualcuno. Daryl in realtà avrebbe voluto portarsele con sé. Forse non le avrebbe usate, ma non gli andava di sfidare la sorte. Che diamine se le portava dietro da prima di tutto quel casino! Ma Beth lanciò via le armi provenienti dall'ultima incursione in un torrete, prima che lui se ne rendesse conto. Daryl non s'arrabbiò però. Del resto aveva ancora la sua da parte. Guardò uscire le bollicine dalla canna dei fucili fino ad andare a fondo. Pensò che la natura avrebbe pulito quel disastro. Prima o poi.
Beth si girò e guardò verso di lui invitandolo a fare lo stesso, ma lui non fece altro che nascondere la sua arma nella cintura dei suoi pantaloni, tra l'unifore mimetica e la pelle. Il metallo freddo sapeva come di casa per lui. Era normale, lo teneva fermo nella realtà. Serviva una buona dose di realtà accanto all'umanità e agli ideali di Beth. Gli ricordava così tanto suo padre, quello di lei. Era fatto della stessa pasta. Ed era stato un problema per l'esercito americano. Da qualche parte aveva sentito che gli alleati stavano vincendo, il maggiore Greene però non era d'accordo, credeva che non ci fossero vincitori, ma solo vinti in una guerra, in qualunque schieramento. Dopo che Merle se n'era andato, aveva capito cosa intendeva quell'uomo saggio.
Quando ripresero a camminare era ancora notte. Faceva freddo e stavano sfruttando i passi uno dopo l'altro per riscaldarsi. Come aveva deciso prima: di notte si cammina, di giorno si riposa. Il paesaggio era sempre uguale, sempre lo stesso. A tratti incrociavano alberi ed erba bruciata da almeno qualche giorno. Quello era consolante, significava che i tedeschi di lì, magari quel gruppo che avevano già incrociato, erano già passati e non avevano motivo di passarci di nuovo. Rari erano invece gli animali. Piano piano i morsi della fame e della sete si facevano sentire. S'erano portati dietro da quel gruppo di imbecilli uno zaino. Quando l'avevano aperto ci avevano trovato dentro cibo da trincea, una bottiglia di plastica vuota ed una scatola di latta. Avevano poi ripreso a camminare, saggiamente pensando di conservare tutto per il giorno successivo.
"Quanto credi che manchi fino a Parigi?" chiese lei risvegliandolo dai suoi pensieri. Era accanto a lui e cercava di mantenere il passo, ma a fatica.
"Uhm?"
"Quanto credi che manchi fino a Parigi?"
La guardò mentre parlava. Non si fermava, non si fermava mai e continuava a camminare. Si chiese se non fosse stanca. Lui lo era, ma non gliel'avrebbe detto. Come poteva non esserlo lei? Cercò di fare mente locale: dove potevano essere loro, dov'era Parigi, se ricordava dove fossero i prossimi accampamenti degli alleati. Forse c'era proprio un gruppo che avanzava dalla costa. Non l'avrebbe detto a Beth però. Guardò il cielo. Una serie di uccelli si dirigevano verso nord, forse proprio verso il mare. Decise di fidarsi della natura e prese come direzione nord-ovest: verso Parigi e verso il mare. L'avrebbe portata dov'era un plotone che poteva aiutarla e portarla a riparo, nel frattempo però sarebbe scappato per non essere riarruolato. Magari sarebbe rimasto in Europa. Magari un giorno sarebbe potuto tornare in america. Ma cosa gliene fotteva? Ormai non aveva più niente né là né da un'altra parte.
"Qualche giorno." Le rispose. Cercava di risparmiare parole e fiato. La bocca era così asciutta, la lingua così secca ed ad ogni parola o spiffero d'aria che entrava era un monito alla sete. Cominciò a tastare il suolo. Era umidiccio, ma per la notte. Non credeva che ci fossero corsi d'acqua nei paraggi. Il cielo invece era fin troppo pulito. Sperò che lei presto o tardi si lamentasse, che volesse fermarsi, ma stando alle posizioni della luna, era da più di due ore che non lo faceva. Cocciuta. Cocciuta e stupida.
Alle sette di mattina Beth e Daryl erano umidi di ruggiada e di sudore. Tuttavia non avevano ancora bevuto una goccia d'acqua. Saggiamente anche Beth aveva tenuto chiusa la bocca. Le uniche parole che aveva pronunciato le avevano fatto male come tanti piccoli coltelli alla gola. Non c'era più neanche saliva da ingoiare. La sete fece dimenticare loro di non aver affatto dormito addirittura.
"Daryl." lo chiamò lei e si fermò indietro stremata. Si lanciò a terra perché proprio non ce la faceva. Pensava che sarebbe venuto il caldo da un momento all'altro e che era meglio dormire. Sistemarono come al solito due giacigli. Daryl la lasciò dormire. La coprì con delle foglie, le nascose i capelli e la tuta bianca e la nascose come meglio poteva, mentre lei dormiva come un sasso. Si scoprì ad accarezzarle la coda bionda. Quando se ne rese conto la lasciò andare quasi spaventato. S'imbarcò a cercare acqua. Strizzò la ruggiada dalle foglie, a volte alle pozzanghere e mise a bollire il tutto. La scatola di latta era piena d'acqua calda. Quando si raffreddò ne bevve la metà. Sapeva di schifo. Sperò che non gli venisse il colera o qualcosa. Semmai fosse successo avrebbe potuto avvisare Beth di non berla. Continuava a preoccuparsi per lei in quel modo strano. Passò le ore a guardarla respirare. A volte s'agitava e si chiedeva se non stesse sognando suo padre o sua sorella.
Quando il sole cominciò a cadere verso occidente, Daryl svegliò Beth. Intanto non aveva vomitato, non aveva cagato, e poté darle quel mezzo bicchiere d'acqua. Lei ringraziò e gli sorrise. Gli disse "Grazie", qualcosa a cui non era abituato. Lei era gentile con lui. Ragionandoci lo era sempre stata in quei giorni. Pensò anche che la conosceva da pochi giorni.
Senza molte parole, sempre per risparmiarle, si accucciò e dormì per un paio d'ore. Quando si svegliò Beth era là e sorrideva. Stringeva le sue cose e sorrideva. Pareva pronta ad alzarsi e camminare di nuovo. Daryl aveva di nuovo la bocca secca. Sbadigliò solo un attimo, si stirò la schiena e le spalle e si alzò. La vide imitarlo e sbadigliare anche lei. Aveva letto da qualche parte che lo sbadiglio era contagioso. Come una peste, pensò.
"Andiamo." disse solo cominciando a guardarsi attorno per decidere una direzione.
"Di qua!" fece lei. E lo stupì. Ricordava la direzione che avevano preso fino ad allora. Daryl la seguì. Si guardò indietro per accertarsi davvero che quella fosse la direzione giusta.
Ripresero quindi a camminare. Daryl era più lento. S'era stancato parecchio, non riusciva più a mantenere il ritmo, ma teneva duro. Beth lo vedeva, era addirittura più veloce e riusciva a camminare addirittura più veloce. Si sentì in colpa. Lo stava trascinando in un viaggio impossibile. Sperava che almeno, nel momento in cui avesse ritrovato la sorella, l'idea di aver riunito due persone o addirittura salvato una vita, la sua, Daryl avrebbe pensato che ne era valsa la pena. E poi? E dopo? C0sa avrebbe fatto Daryl? Se ne sarebbe andato? L'avrebbe perso per sempre? Non l'avrebbe rivisto mai più?
"Che farai dopo, Daryl?"
"Umpf."
Beth capì che neanche lui lo sapeva. Possibile che non lo sapesse? Forse non s'aspettava di tornare a casa? Credeva che quella fosse la sua ultima missione? Sarebbe stata l'ultima persona con cui lui parlava nella sua testa? Era triste. Non poteva non avere speranza di sopravvivere alla guerra. "Daryl," cominciò lei "torneremo a casa. E troveremo mia sorella." Beth si sentiva piena di speranza e di nuovo pensò che aiutare Maggie l'avrebbe fatto sentire utile. Gli sorrise perché pensò che di sorrisi non ne avesse visti tanti e che la speranza ed il sorriso insieme possano sembrare più veritieri.
Daryl mugugnò un "Certo." poco convinto, tanto per darle il contentino. Il sorriso di Beth si affievolì, ma non riusciva a toglierglielo dalla faccia. Ce l'avrebbero fatta. Ce l'avrebbero fatta, lo sapeva benissimo. Poteva essere ottimista per entrambi!
Continuavano a camminare e piano piano la vegetazione cambiava con loro. Era ancora vuota. Solo qualche topo ed uno scoiattolo ogni tanto. Le foglie delle piante cambiavano, si facevano più larghe. Erano alberi da frutto, ma ovviamente di frutti neanche l'ombra. Poi trovarono i pini. Erano scomparse le ceneri ed un'odore di salsedine impregnava il verde degli alberi ed il marrone della terra. C'era persino muschio. L'umidità aumentava e così anche il caldo. Per la prima volta di notte faceva caldo. Addirittura troppo. Era quasi l'alba e per fortuna si stava facendo giorno, cioè avrebbero potuto riposare.
I piedi di Beth bruciavano quasi, si sentiva le piante dei piedi durissime ed i polpacci erano a fuoco, ma non demordeva. Il cervello dopo un po' soffriva per la carenza di zuccheri. Era uno zombi che camminava, le mancavano solo le braccia in avanti, appese come una marionetta. Oscillava e sudava freddo, la vista era offuscata. Si afflosciò un attimo a terra. Solo un attimino, per riposare. Cercò di ricordare quello che aveva imparato in quel giorno e mezzo: pressione bassa, glicemia, un infarto. No, ma che sciocchezza. In qualunque caso fermarsi a terra l'avrebbe aiutata.
Daryl continuava a camminare avanti. Piano, molto piano. Era molto stanco anche lui. Non la sentì cadere a terra. Ad un certo punto si girò a controllare e lei non c'era più. Pensò "maledizione!", perché sarebbe dovuto tornare indietro, fare qualche passo in più, camminare cento metri in più e proprio non ce la faceva. Prese fiato e camminò in direzione opposta, perché a correre proprio non ce la faceva. Ritrovò Beth distesa sul muschio con gli occhi aperti che guardava verso la finestra di cielo che si apriva tra i rami verdi degli alberi. Crollò allora e si distese accanto a lei. Guardarono il cielo e le stelle che scomparivano. Non avevano il coraggio di mangiare e sprecare altre energie.
"Daryl." disse ad un certo punto Beth. Voleva dirgli che aveva fame, troppa, che non ce la faceva, che avrebbero dovuto fermarsi forse un po' più a lungo del solito, cercare da mangiare, che forse non avrebbe fatto storie se lui avesse ammazzato qualche animale per cucinarlo.
"Lo so." disse lui. Ed aveva fame, fame anche lui, forse addirittura più di lei. Ricordava che quando era ancora in America, prima che tutto quello cominciasse, mangiava tantissimo. Era capace di fare fuori due o tre piatti di pasta alla volta. Avrebbe voluto così tanto un piatto di spaghetti. Maledetta Beth, era lei che per prima gli aveva fatto pensare agli spaghetti, anzi a casa sua: la sua poltrona, il suo materasso, la sua casa... Dov'è che lei abitava? Erano così distanti? Gliel'aveva mai detto? Si girò verso di lei ed era ancora con la stessa espressione a guardare il vuoto. Si chiese se a volte lei si girasse. Pensò che era stato bello conoscerla, che era bello aver fatto quell'esperienza prima di morire. Era sicuro che se l'avesse riconsegnata all'esercito, lei sarebbe tornata a casa, lui sarebbe stato inviato di nuovo in guerra e sarebbe morto. Decise che nel momento in cui sarebbe morto avrebbe pensato a lei nello stesso modo in cui l'aveva vista per la prima volta: eterea, sicura di se, che si prendeva cura di lui e lo accompagnava verso la vita o verso la morte.
Dopo un po' Daryl si rialzò. Si guardò attorno e vide una casupola di legno con la porta chiusa e le finestre sprangate. Eccolo il posto perfetto per dormire! Eccola una poltrona o un letto di fieno, comodo, comodissimo come niente! Sapeva che erano vicini alla desinazione e tanto valeva dormire un'ultima ultimissima volta. Si alzò facendo leva con le mani su un ginocchio per la stanchezza, tirò fuori la pistola dai pantaloni, tolse la sicura e alzò l'arma tenendo pronto il dito sul grilletto. Beth s'alzò a sedere di soprassalto e lo seguì.
Era un fienile, forse ci entravano solo due cavalli. I campi attorno non erano coltivati, ma avrebbero dovuto esserlo. Il fienile pareva abbandonato, ma nessuno dei due si fidava. A Beth non piaceva tenere un'arma, come aveva già lasciato capire. Avrebbe preferito addirittura camminare oltre e cercare un altro posto piuttosto che alzare un'arma e sparare per ferire, o ancora peggio uccidere. Si mise le mani nelle tasche e cercò le pietre che aveva raccolto qualche giorno prima da terra per difendersi. Daryl la vide. Pensò che fosse stupida davvero a credere di potersi salvare con quelle. Raccolse una spranga di legno da terra, davanti al fienile, facendo meno rumore possibile e gliela mise in mano. Almeno si sarebbe potuta difendere se qualcuno le fosse arrivato vicino. Si ripromise che non sarebbe dovuto succedere.
Quando entrò c'era un ampio spazio vuoto e molta paglia. Il posto era pieno di polvere, ma non puzzava come ci si aspetterebbe che un fienile puzzi. Di lato c'erano due porte a metà altezza, per i cavalli. Daryl cominciò dall'ultima. Ci diede un calcio e la spalancò e con grande sorpresa c'era qualcuno nascosto. Era un vecchio dai capelli lunghi sulle spalle ed un cappello di lana in testa.
"Alzati!"
"Wer zum Teufel bist du?" urlò quello.
"Alzati!" urlò Daryl di nuovo. Abbassò la pistola ed entrò in quella stanzina. Vide che il vecchio teneva un fucile dietro. Lo prese per il braccio e poi sentì Beth urlare il suo nome.
"Daryl!"
Lui si girò e non poteva lasciare quello. Fece tardi e quando la vide di nuovo stava suonando quella spranga di legno sulla testa di un altro tizio, questa volta più giovane, coi capelli neri. E quello cadde a terra ed il vecchio urlò di nuovo.
"Sohn! Sohn! Sohn!"
Daryl rimase colpito da lei, da Beth. Lasciò andare quello ed acchiappò il fucile. Fece finta di niente. Cercò gli occhi di lei che sorrideva soddisfatta di sé stessa e badava poco a quello che le stava succedendo attorno. Allora lui guardò verso il vecchio e l'altro, padre e figlio pensò.
"Andatevene!" disse ed il vecchio acchiappò l'altro per la spalla, che tenendosi la testa si alzò e se ne andò. Daryl li guardò andare via.
"Se ti distrai, ti salvo io. Non sei da solo in tutto questo." sentì dire da lei che ancora sorrideva. Sorrideva sempre quella ragazza, durante la guerra, la fame, la sete. Tutto. E l'aveva difeso addirittura. Avrebbe dovuto dire grazie? Lei lo faceva quando lui l'aiutava?
"Pff." fece solo.
"Non ti fidi?"
Daryl non rispose. Credette che lei stesse scherzando. Quando si girò verso Beth la vide però estremamente seria, senza un minimo sorriso sul viso. Allora si fece serio anche lui e continuò a guardare dritto. Credette di capire qualcosa in quell'istante. Credette che una specie di rivelazione mistica fosse nei paraggi, che ci fosse un pensiero nell'aria che necessitasse di essere afferrato, come una parola che non ricordi, che è sulla punta della lingua. Non seppe dire se aveva capito oppure no, o cosa aveva capito. Sapeva solo che c'era qualcosa.
Decise di non pensarci e si guardò attorno. Chiuse tutto e sigillò il posto dall'interno. Prese confidenza con le balle di fieno che sarebbero diventate il suo nuovo giaciglio per un po', con il secchio in cui c'era acqua che pensò di riscaldare, con le assi di legno con cui avrebbe ulteriormente barricato l'ingresso. Quando vide delle scatolette di carne in una di quelle stanzine pensò di aver trovato il paradiso e di poter passare quello che gli rimaneva della vita in quel posto. Chiamò Beth a cui brillarono gli occhi. Si precipitò su una di quelle, quattro in totale, e cercò di aprirla con le unghie.
"Aspetta." fece lui. Gliela tolse da mano e la guardò. Ne prese un'altra. Sulla latta erano disegnati pezzi di carne e carote. Decise che quello spettava a lei. Era più buono e più nutriente, a lei sarebbe servito di più. Non era per farle un favore, era razionale farlo, logico. Certo avrebbe potuto pensare anche che poteva tenersi il migliore come ultimo pasto, ma no. Era meglio darlo a lei. Sfilò il coltello dagli stivali e gliel'aprì e poi gliela passò.
"Grazie." disse Beth un po' sorpresa.
Grazie. Lei lo diceva allora. Avrebbe dovuto dirle grazie anche lui allora quando l'aveva aiutato. Si pentì e sperò che fosse capitata un'altra occasione in cui avrebbe potuto farlo.
Mangiarono in silenzio, s'abbuffarono per la verità, inghiottendo anche aria che risalì poi. Pensarono anche ad aprire le ultime due scatolette. Beth pensò che quando avrebbero ripreso a camminare le sarebbero pesate nelle tasche o sulle spalle e che quindi era meglio finirle. Ma sapeva che si stava raccontando solo scuse e che era la fame a farle pensare quelle cose. Prese un respiro e si disse che le avrebbero mangiate quando si sarebbero svegliati, come se fosse una colazione. Tuttavia si sentiva meglio, decisamente meglio.
Era mattino, la luce era gialla ed azzurrina quando alla meno peggio lei preparò due lettini di paglia. Accatastò due masse gialle, una più grande, l'altra un po' meno. Preparò persino dei cuscini e si raccomandò di coprirsi bene coi vestiti per non sentire prurito durante il sonno. Daryl intanto aveva raccolto legnetti per accendere un fuoco e riscaldò l'acqua. Quando ebbe finito in una delle due camerette (o camere per cavalli) trovò lei, stesa sul suo lettino arrangiato.
"Grazie." disse lui. Era la sua occasione. Era stato perfetto. Lei scrollò le spalle e sorrise. "C'è acqua di là." fece lui indicando dietro.
"Oh!" fece lei sorpresa ed allegra. Si alzò e corse a bere. Lui la guardò mentre s'abbassava e raccoglieva l'acqua, mentre se la portava alla bocca e leccarsi le labbra soddisfatta per non perderne neanche una goccia. Daryl pensò al sesso, un pensiero che non gli gingillava in testa da un bel po', forse da prima di arruolarsi, forse da quando Merle l'aveva coinvolto e l'aspettava in ansia a casa. Pensò a Beth e pensò al sesso. Cominciò a fare caldo e guardò a terra.
"Tutto ok?" chiese lei.
"Hm-hm." fece lui e non ebbe il coraggio di guardarla. Si nascose dietro al bicchiere. Fece finta di bere senza farlo per davvero, doveva conservarla per davvero quell'acqua. Ma non poteva ancora guardarla. Si sedette per terra attorno al secchio, lei lo imitò e si sedette dal lato opposto. Era come una cena di famiglia. Beth avrebbe dovuto dormire, come quando era ancora una bambina a casa e voleva restare sveglia insieme a tutti gli altri adulti piuttosto che andare a letto. Suo padre le diceva che in effetti non le era mai piaciuto dormire, neanche quando di anni non ne aveva neanche uno. Le mancava suo padre. Non si era concessa tanto di pensare a lui. Non quanto avrebbe voluto.
"A casa," cominciò lei e si fermò, forse pensando a casa sua "cantavo e suonavo. Ho un piano. Il mio papà diceva che dovevo farlo nelle chiese, per la messa." Ricordò a voce alta stringendo il bicchiere. "Vorrei averlo fatto per lui." Confessò mentre una lacrima le scorreva sulla guancia ed un singhiozzo le scappò dalle labbra insieme alle parole.
Daryl strinse il suo bicchiere. Avrebbe voluto avere la sensibilità di capire cosa fare. "Fallo ora." disse solo.
"Come?" Chiese Beth, credendo quasi sicuramente di aver capito male, mentre s'asciugava con i polsi e con le mani la faccia.
"Canta ora." rispose Daryl.
Beth alzò lo sguardo e guardò lui. Daryl la fissava. La fissava e respirava. Era serio. Forse avrebbe dovuto sentirsi imbarazzata, ma no, non ci riusciva. Forse era lui quello imbarazzato che dopo pochi secondi doveva affaccendarsi per forza. Si alzò e si preparò un giaciglio. Si distese, allungò le gambe e piegò un braccio dietro la testa ed aspettò. Voleva davvero che cantasse allora. Beth allora si appoggiò alla parete di legno, posò il bicchiere a terra, pensò ad una canzone e la intonò. Non cantò della guerra, né della libertà, del nazionalismo e della speranza. Avevano sentito fin troppe canzoni del genere e fin troppe non erano neanche lontanamente vicine alla realtà. Cantò una canzone che parlava d'amore e di sorrisi, della speranza di restare insieme per sempre e vedersi invecchiare. Daryl s'addormentò così, quasi sognando quella canzone, immaginandosi i due della canzone, con una sensazione quasi di sicurezza. Per un po' la morte se lo dimenticò.

 Nel pomeriggio, facevano ancora male le gambe di entrambi. In più avevano sentito degli elicotteri volare. Non potevano uscire, non per farsi trovare. Beth aveva deciso che, sebbene ogni minuto fosse importante, Maggie sarebbe sopravvisuta altre due ore se ce l'aveva fatta fino ad allora. Il rischio di non trovarla assolutamente era maggiore del rischio di trovarla morta. Rimasero nascosti allora. Le finestre erano già chiuse e non ci fu bisogno di sprangarsi dentro ulteriormente.
Stavano allora seduti insieme, sempre attorno al secchio, come la mattina precedente. A volte lei si schiariva la voce, a volte lo faceva lui.
"Vuoi mangiare?" chiese lei.
"Prima di camminare." rispose lui.
Beth ricominciò allora a guardarsi le scarpe ed i vestiti bianchi. Avrebbe voluto togliersi le scarpe. Quand'era stata l'ultima volta che s'era tolta le scarpe? E quando quella in cui l'aveva fatto lui? Pensò di dirlo ad alta voce. O di commentare le sue scarpe. Ma che pensiero stupido sarebbe sembrato?
"Le ho suonate di santa ragione a quello ieri, vero?" disse allora. Forse da quello avrebbe spiccicato qualche parola.
"Sei stata brava, ma hai lasciato un punto scoperto." disse. Erano comunque più parole di quante Beth se ne aspettasse ed in più le davano la possibilità di fargli un'altra domanda.
"Punto scoperto?" chiese curiosa.
"Tenevi le braccia troppo alte."
A Beth venne un'idea. S'alzò e, nascondendo un sorriso serrandosi le labbra dentro la bocca, riprese quel bastone che lui le aveva dato in mano il giorno prima e lo impugnò. Si mise davanti a lui che stava ancora seduto a terra. La sua faccia le arrivava alla pancia.
"Fammi vedere!" disse lei ed alzò il bastone e fece finta di colpirlo, proprio come aveva fatto l'ultima volta, ma convinta di fermarsi prima che quel coso gli arrivasse in testa. Senza neanche impegnarsi tanto, Daryl invece alzò la mano, fermò l'arma improvvisata e con l'altra le diede un colpetto sulla pancia con la punta delle dita.
"Oh!" fece lei delusa "Cavolo!"
Daryl si alzò e le andò vicino. Le prese una mano e la sistemò meglio su quell'affare. Le girò attorno e le si mise dietro. Manovrandola come un burattino, dalle spalle di lei, molto vicino, troppo vicino, le prese l'altra mano e sistemò anche quell'altra. Le si mosse dietro, facendole provare un paio di colpi sotto la guida di lui. Su e giù, su e giù. Da lì riusciva a sentire l'odore di terra che aveva tra i capelli, il sudore sulla pelle e pensò di nuovo al sesso. Si allontanò subito da lei allarmato, si sistemò i pantaloni e tornò a sedersi.
"Ok, attento!" s'annunciò lei senza rendersi conto di niente. Riprovò quelle mosse che lui le aveva insegnato, dovette chinarsi di più però perché il suo avversario era seduto e non era facile da colpire come il soffio di vento di prima. Daryl tentò di difendersi con le mani, ma lei era stata veloce e lo colpì sul petto vicino alla spalla. Fece l'errore di emettere un fiato e contorcere la faccia.
"Oh dio!" fece lei allarmata, attenta a non urlare. Buttò il bastone per terra e si inginocchiò vicino a lui. "Scusa, non volevo, non volevo, ti ho fatto male?"
Parlava senza sosta, non gli stava neanche dando il tempo di dirle che stava bene. "Sto bene."
"Scusa, scusa! Dove ti fa male?" continuò lei.
"Sto bene!" fece lui afferrandole le mani che gli stava agitando davanti alla faccia.
"Fiu!" disse lei, si rilassò e sorrise, con le mani incastrate ancora. Aveva un sorriso che stonava con tutto il resto, con la guerra con il mondo. Daryl pensò che se l'avesse vista o conosciuta in un altro posto, un altro tempo, non l'avrebbe trovata interessante. Era quel contrasto a renderla speciale: trovare la forza di sorridere quando negli altri la forza non c'è più. Lui invece era come gli altri. Daryl si sentiva come gli altri. Anzi era peggio degli altri. In realtà non si ricordava di aver sorriso molto anche prima. Aveva voglia di sorridere con lei. E lo fece, sorrise solo. E allora quello di lei si allargò, splendeva sotto la luce della sole che filtravano tra le tegole di legno, coi raggi bianchi e gialli che le colpivano la pelle lucida ed umida, le labbra sottili, i denti bianchi.
I rumori dal cielo s'erano fatti più intensi. Pareva quasi che quegli aerei volessero atterrargli sulle teste. Daryl lasciò le mani di Beth e s'alzò un po' per arrivare con gli occhi alle finestra sprangate. Sperava di poter vedere qualcosa tra un'asse e l'altra, ma il legno era troppo rovinato e sfilacciato e gli ostruiva la vista. Cacciò il coltellino dallo stivale e lo infilò tra un'asse e l'altra per cercare di liberare la visuale. Se lo riportò a posto e spiò di nuovo. Pareva non esserci niente. Ma il vento era forte, l'erba era in subbuglio ed era sicuro che venisse dall'aereo che gli stava sopra.
Poi lo sentì.
Bang.
Sordo, unico, letale.
Veniva da dietro di lui. Si tastò la pancia ed il petto. Non l'aveva colpito. Si girò dietro, cercando Beth, contento di essere vivo per la prima volta in vita sua, per dirle di stendersi a terra, nascondersi e non uscire per niente al mondo. Ma il mondo crollò appena la vide. Velocemente, inaspettatamente, come il proiettile.
Beth era in piedi. Gli occhi aperti, quasi si chiudevano. Immobile come una statua di pietra bianca, macchiata di rosso.
Bang.
Un altro proiettile questa volta lontano, lontano da lei. Beth agitò la mano ed indicò verso terra, incapace di parlare. Cominciò ad affannare ma ancora non si muoveva, ancora non cadeva.
Bang.
Anche quest'altro li mancò, ma svegliò Daryl che le corse addosso, ignorando il consiglio di lei e la protesse con la sua schiena.
"No.."
Daryl allora la sollevò per stringerla meglio. Sì, invece.
La prese di peso e corse nell'altra stanzetta che pareva più lontana dai colpi. Il movimento le fece sobbalzare la carne attorno alla pallottola. Ma Beth non si lamentò. Ed allora cominciò il dolore, quello vero. Sentiva come se tutto il suo corpo fosse attorno a quel buco gigantesco nella sua spalla, come se tutto bruciasse e premesse, come se non avesse nient'altro che quel buco al posto di una testa, delle gambe... Strinse gli occhi, disgrignò i denti, trattenne qualche lacrima di dolore, ma non si lamentò mai. Immaginava il metallo freddo e rugginoso del proiettile che le aveva colpito il fianco, scavare nella carne, sporcarsi del suo sangue e incastrarsi nelle viscere morbide. Ricordava il panno bianco che aveva tenuto addosso a lui la prima volta che lo vide, prima ancora di chiedergli il nome. Ricordava la velocità con il quale s'era imbevuto di rosso, ricordava le linee curve del sangue avanzare sulla stoffa, bagnarle la mano, sporcargliea e appiccicargliela. Beth non riusciva più a vedere niente. Voleva accasciarsi a terra e se non si sarebbe mai svegliata, tanto male.
Daryl la sistemò su un letto morbido di paglia, mentre una serie di altre pallottole bucavano il legno più in alto delle loro teste. Non appena la posò, Beth tentò di alzarsi. Puntò a terra il palmo della mano del lato sano, spinse più che poteva e cercò di piegare gli addominali. Qualcosa di caldo e appiccicoso le scendeva sul braccio. Daryl la spinse di nuovo giù, si tolse la maglia e se la arrotolò attorno ad una mano. Rimase con addosso una canotta bianca, mentre tentava di rigirare la stoffa che s'era procurato per tamponare. Cercò e ricercò acqua da qualche parte con gli occhi, senza però trovare niente. Sapeva che si sarebbe infettata. Si guardò addosso e vide il coltello infilato negli stivali.
Le disse di tenere premuto sulla ferita, si girò dandole la schiena e s'armamentò cercando di non farle capire. Afferrò il coltello e l'accendino dai pantaloni e cercò di riscaldarci la lama dell'arma. Avrebbe fatto male, continuava a pensare. Le avrebbe fatto male.
Beth cominciava a capire sempre meno di quel che succedeva. Teneva debolmente quel misto di lana e poliestere sulla sua spalla, si guardava attorno ma era tutto sfocato e pensò che era così che vedeva forse la gente senza gli occhiali. Un pensiero folle, infantile. Si girò e vide l'uomo di spalle. Come faceva una bambina a trovarsi in quella situazione? Pensò che sarebbe morta, che non avrebbe mai trovato sua sorella. Pensò a come avrebbe dovuto fare per farglielo sapere. Pensò che nessuno l'avrebbe mai avvertita. Guardava la schiena di Daryl e non si sentiva più respirare. Allungò una mano, quella buona forse, oppure l'altra? Il dolore era così forte che non sapeva neanche da dove veniva. Voleva un po' di contatto umano prima di andarsene. Mise una mano sulla schiena di Daryl che sembrò nemmeno considerarla. Era irregolare, rigata, aveva quelle cicatrici che continuavano sotto la maglietta, ricordò. Non gli aveva mai chiesto cos'erano. O se esistevano, se tutto esisteva. Pensò che qualunque cosa poteva essere frutto della sua immaginazione. Persino Daryl che si girava verso di lei, i capelli sudati appiccicati al viso, bello lo stesso. Aveva ancora le sue targhette appese al collo. Le venne in mente quello che gli aveva detto allora, quella prima volta.
"Daryl," sospirò lei mentre lui si avvicinava e le toglieva quel tampone di emergenza "nell'eventualità..."
"Nessuna cazzo di eventualità." la interruppe lui e con la mano e la lama premette sulla ferita. Pensò di dirgli grazie o ti voglio bene o che era bello da guardare. Tutto quello che le uscì fu però un urlo disumano. Un dolore tremendo, ancora più forte di quello di prima, le venne dalla spalla e da tutta quella che era la pelle che pensava di non sentire più, quella pelle attorno al buco che era tutto il suo corpo. Sentì odore di carne bruciata e capì che era la sua. Sbatté i palmi a terra e tutto intorno. Afferrò qualcosa di quadrangolare, piccolo, caldo e metallico. Ci si agrappò e lo strinse nel pugno come ci si aggrappa alla vita. Vomitò senza neanche girare la testa di lato.
C'erano suoni in lontananza, suoni che le ricordavano le poche volte che era andata in città. Voci, persone. Parlavano inglese. Era una piccola speranza e si appese a quella. Mollò la presa su qualunque cosa fosse e cadde all'indietro. Non riuscì mai a ricordare il momento preciso in cui s'addormentò. 



 



Angolo dell'autrice
E dopo anni, secoli di attesa, eccomi di nuovo qua!! Lo so che in questa sezione non mi segue nessuno, che ho solo 3 commenti, che la mia storia è così così, ma nel rispetto a quei due/tre che hanno commentato, ho deciso di recente di continuare la storia. 
Ci sono stati momenti in cui ho avuto da fare, momenti in cui semplicemente non mi andava di scrivere e pubblicare per non avere una delusione. Ma dato che ne sono la regina eccomi qua :) 
Questa storia a me piace davvero e per farvi capire davvero quanto, sono sicura al 100% che diventerà una serie. Il prossimo è l'epilogo di poche pagine, poi vorrei continuarla con una one/two-shots e vedere che ne esce strada facendo. 
Se a qualcuno fosse piaciuta la storia, il capitolo, o anche se avesse fatto schifo, potete farmelo sapere qui sotto. Sono un'amante delle critiche, quindi qualora ci fossero imprecisioni, obbrobbri di qualsiasi genere, vi ringrazio anticipatamente della notifica ^^
Al prossimo-ultimo-manonultimoultimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Epilogo ***


Beth non aveva dormito quella notte. Si era alzata e aveva camminato avanti e indietro dall'angolo cucina al letto nel suo monolocale. Si era sciacquata la faccia, aveva provato a tenersi le lenzuola solo sulle gambe o fino alle spalle, aveva bevuto un centinaio di bicchieri d'acqua. Aveva lo stomaco sotto sopra, si teneva la pancia e guardava il soffitto. Alle sei del mattino aveva finalmente deciso che se non si fosse alzata subito avrebbe fatto tardi. Era una giornata troppo importante per potersela perdere.
Era dicembre del 1946 e faceva freddo. Era passato più di un anno da quando suo padre era partito e Maggie non era tornata; ancora meno di un anno da quando a scuola qualcuno arruolò ragazze dell'ultimo anno come infermiera e lei s'era imbucata di nascosto mentendo; ancora meno da quando si era trovata in mezzo alla guerra. S'era ferita, poi l'avevano salvata. Non si ricordava bene come, s'era soltato svegliata in un ospedale a Londra, con gente che non ne sapeva niente di lei. Le avevano detto che c'era stato un bombardamento in Germania tra le sue trincee, e quello se lo ricordava, e che poi l'avevano ritrovata in Francia. Nessuno le parlò mai del soldato che era con lei. Nessuno l'aveva visto.
Quando tornò in America, Beth era vuota. Non si parlava dei morti. Non si parlava dei campi di concentramento, dei morti, delle tute a strisce bianche e nere, dei numeri al posto dei nomi. Tutto quello che erano capaci di dire era che l'America aveva sconfitto la Germania. Quando tornò in America inoltre Beth era senza casa. Quando Hershel Greene era morto, un paio di soldati ed una salma arrivarono a casa Greene trovandola vuota. Maggie Greene e Beth Greene erano disperse. La casa fu allora rivenduta, come molte altre all'epoca. Beth si trasferì ad Atlanta. Un giorno aprì il piccolo pacchetto di carta con dentro le sue poche cose che le avevano restituito a Londra, trovò arrotolati, spiegati e sporchi i vestiti da infermiera di trincea, gli stivali infangati, quelli che voleva tanto togliersi quando era in viaggio e poi qualcosa tintinnò sul pavimento. Beth raccolse le medagliette militari che erano cadute, le rigirò e lesse "Daryl Dixon". Non se lo ricordava il suo cognome. Doveva avergliele infilate in tasca prima di fuggire. O morire. O chissà. Beth se le riguardava e rigirava in mano ogni mattina. In quella mattina da quelle targhette cercava però qualcosa di più. Coraggio, forse.
Raccolse un cappello ed una sciarpa bianchi. Nascose il mento, le labbra e la punta del naso nella lana quando uscì di casa. Il freddo era pungente. Raggiunse la piazza del comune e lo trovò ancora chiuso. Un'altra decine di persone era lì in attesa al freddo, infagottati come lei ed in piedi nelle loro scarpe lucide sui gradoni del grande edificio o appoggiati alle possenti colonne doriche ai due lati della porta, persone come lei che stavano aspettando di poter ritrovare qualcuno.
Beth incrociò le braccia per nascondere le mani e si strinse nelle spalle e nel cappotto. S'appoggiò al muretto bianco ed aspettò.
Diversi minuti dopo un uomo sulla sessantina con un pappilon che gli stringeva le rughe del collo ed una giacca marrone s'avvicinò al portone dell'ingresso principale. Beth alzò gli occhi ed attraverso i vetri lo notò allungare la mano e finalmente riaprire. Diverse teste risorsero dalla lunga attesa, un vociare silenzioso si faceva sempre più nitido. Beth sentì l'ansia salirle dallo stomaco e morirle sul gruppo di saliva che si fermò in gola, dietro la lingua, e dovette faticare per ingoiare. I piedi congelati si staccarono dal pavimento e s'avviò con intollerabile lentezza verso l'ingresso.
Si trovò di fronte ad un atrio enorme, coi soffitti così alti e tondi che pareva quasi gonfio. Al centro c'erano tre file lunghe di bacheche di legno, riempite di fogli e colonne e inchiostro e nomi. Accellerò il passo con le mani davanti per non cadere. I nomi dei superstiti erano posti in ordine alfabetico uno sotto l'altro. Beth cercò sua sorella sotto la lettera G e la M. Provò anche con il nome di Glenn, G ed R, ma non trovò niente e si sentì delusa. Passò poi con più paura su altri fogli dove invece c'erano i nomi dei morti riconosciuti. Accanto ad alcune colonne c'erano delle foto che parevano essere disegni a matita o carboncino. Li lesse velocemente uno ad uno e le si alleggerì il cuore quando, se non altro, non trovò di nuovo i loro nomi.
Ripercorse tutte le colonne una ad una, sperando di trovarli nella prima. Magari i loro nomi erano finiti nell'ordine sbagliato, magari avevano confuso qualche iniziale o i nomi erano scritti male, magari poteva riconoscere i nomi di quelli che li conoscevano. Ma ancora niente.
Si sentì sconfitta, ma non perse le speranze. Ci sarebbero stati altri annunci. Forse dovevano ancora rimpatriare. Forse erano ancora nascosti ed avevano paura ad uscire. Forse erano in viaggio come semplici civili o forse erano scappati via dall'Europa da prima che la guerra la dividesse.
La sala s'era riempita di un vociare, di urla di gioia, altre di dolore. Alcuni urlavano e piangevano. Non poteva restare là. Alzò solo un'ultima volta la testa e vide due abbracciarsi e saltellare e sorrise. Abbassò la testa e s'allontanò così verso l'uscita, ricominciando a nascondersi nella lana bianca. Mise le mani in tasca e chiuse gli occhi. Non voleva piangere, non voleva piangere più.
Riusciva a vedere piedi di persone salire frettolose quei gradini. Pensò a quanto dovessero essere alte certe persone per avere dei piedi così lunghi. Cominciò a pensare ai volti di queste persone, ad immaginarsi come potevano essere.
Una mano le si posò sulla schiena e la fece sobbalzare. "Beth." disse una voce.
Beth spalancò gli occhi sorpresa. Avrebbe riconosciuto quella voce ovunque e si chiese se fosse vero o stesse sognando. La mano le scivolò piano piano via, lasciando uno stampo di aria fredda dietro la schiena. Si girò di scatto per vederlo, sorpresa, felice, su di giri.
"Daryl!" 

 




Angolo dell'autrice
Bon jour, vi ricordate di me? Ho aggiornato solo ieri ed ora aggiorno di nuovo, ebbene sì, perché sono cattiva e vi voglio male mhuahua!
Parlerò al vuoto probabilmente, ma voglio dire al vuoto la verità: sono partita con questa storia con grandi aspettative sotto dicembre (e sì mi ricordo che stavo preparando l'albero di natale quando ho cominciato!), avevo in testa questa storia che poteva essere grandiosa, che poteva far rivivere quei famosi due episodi della stagione e che allo stesso tempo fosse diversa e uguale, che contenesse dolcezza, fiducia, disperazione e coraggio (insomma quei due episodi), e poi? E poi niente l'affluenza è stata un "pochino" scarsa (considerando quante schifezze - senza offesa - ci sono in giro e hanno molti più commenti della mia). Me ne sono data un po' la colpa, pensando che in effetti la mia idea e il mio lavoro non coincidessero. E quindi alla fine l'ho lasciata un po' stare, pensando invece ad altre ff che ho scritto e che sono più seguite. Alla fine quando ho avuto più tempo, mi sono detta amen a me piace, io continuo. Ed ho continuato ed ora eccomi qua. E poi ad una persona è piaciuta, quindi beh è giusto aggiornare per quella persona :) 
Detto questo, io continuo a continuare ed a breve farò di questa storia una serie mhuahuahuahua!! 
Ora chiudo che è più lungo il sproloquio che la ff. Me piace parlà! XD 
A presto e grazie a chi è arrivato fin qui :)

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