Share your horizon with mine

di L S Blackrose
(/viewuser.php?uid=667346)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Rising sun ***
Capitolo 3: *** Away from the sun ***
Capitolo 4: *** Don't let the sun go down on me ***
Capitolo 5: *** EXTRA - Brighter than the sun ***
Capitolo 6: *** EXTRA - Walking on sunshine ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





Image and video hosting by TinyPic




We all live under the same sky, but we don't all have the same horizon

                                    ( Konrad Adenauer)

 




A Giulia, che condivide il mio orizzonte

 






 

Prologo

 



 

Non ho mai creduto ai colpi di fulmine.

Esistono solo nei libri, non nella realtà.

Nelle fiabe il principe incontra la principessa e capisce al primo sguardo che non potrà più fare a meno di lei. Non conosce nemmeno il suo nome, però dentro di sé sa perfettamente che è lei la donna che il fato gli ha riservato.

La sola persona che vorrà accanto per il resto della vita. L'unica regina del suo cuore.

'Nessun ostacolo può separare due cuori che si cercano', diceva sempre mia madre.

Io non ho mai creduto a queste sciocchezze. Sono un tipo razionale, pragmatico. Di certo non romantico.

Non ho mai creduto a tutti quei discorsi sulle anime gemelle.

Non credevo nemmeno nel destino.

 

Avevo torto, ora lo so.

Perché l'amore non si cerca.

L'amore ti trova.

 

E alla fine ha trovato anche me.

 

 

 

 








 

- - - - - - - - - - - - - - - -

 

Ciao a tutti!
Piccola premessa: questa sarà una breve storia collegata a 'Burn in my frozen heart like a dancing flame'. I personaggi sono gli stessi, sia gli originali che quelli già presenti in Divergent. Avevo la trama in testa da un po', e alla fine mi sono decisa a pubblicarla.

Mi sono chiesta: e se Zelda non avesse scelto gli Intrepidi? Se la sua famiglia fosse stata unita e l'avesse amata, lei non avrebbe cambiato fazione. Ma avrebbe trovato la sua anima gemella, ovvero Eric?

Sono molto affezionata a questa coppia, perciò ho dato libero sfogo al mio lato romantico. Sarà una storia breve ma intensa, una sorta di fiaba moderna ;)

Contesto: Eric è sempre Capofazione, solo che ha 21 anni, mentre Zelda ne ha quasi 20 e frequenta l'università nel quartiere degli Eruditi. Gli altri particolari verranno svelati nella storia...spero di non aver dimenticato nulla.

Il titolo l'ho scelto mentre ascoltavo una canzone dei Simple Plan (Jet Lag), un verso diceva 'I wanna share your horizon' e mi ha colpito.

Spero che il prologo vi sia piaciuto e vi abbia incuriosito. Gli altri capitoli sono in fase di revisione, li posterò tutti entro fine mese.

Un bacio, a presto

Lizz

 

p.s. nel prologo non è specificato il nome della voce narrante perché vale sia per Eric che per Zelda ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rising sun ***


 

Capitolo 1

 

- Rising sun -


 


 

Shine into my darkness
no one's gone bring me down
you are my rising sun

(Tolmachevy Sisters)



 

 

Eric

 

Questo è uno dei pochi giorni dell'anno in cui sono felice di avere James come collega.

Sono seduto su una delle barelle posizionate ai lati del corridoio dell'ospedale, sopra un ruvido lenzuolo bianco. I due infermieri occhialuti che ci hanno accolti all'entrata hanno tentato di farmi sdraiare, ma un mio sguardo è bastato a farli desistere.

Nessuno può permettersi di dirmi cosa fare. Men che meno costringermi a restarmene immobile come un invalido. Ho solo un proiettile piantato nella spalla, nulla di allarmante. Normale amministrazione Intrepida.

Tengo il braccio sinistro, quello ferito, il più fermo possibile, mentre osservo con divertimento James inveire contro la segretaria seduta dietro al bancone. «Nessun dottore disponibile? Come sarebbe a dire che non c'è nessun dottore disponibile?! Questo è un fottuto ospedale!» ringhia, battendo entrambi i pugni sul piano di marmo lucido. I portapenne traballano, alcuni fogli cadono a terra.

La donna, un'Erudita di mezza età, sussulta e balbetta frasi sconnesse.

James impreca nuovamente. «Non so che farmene delle sue scuse!» sbraita, puntandole un dito contro. «Il mio collega è ferito gravemente! Ha urgente bisogno di un dottore, perciò si dia da fare!».

Trattengo un ghigno. Dubito che questa sceneggiata sia dovuta a semplice preoccupazione per la mia salute.
James detesta gli Eruditi, punto. Ogni scusa è buona per attaccar briga con uno di loro, che sia uomo, bambino o questa distinta signora con i capelli grigi raccolti sulla nuca.

Io sono abbastanza tranquillo, nonostante abbia il braccio ricoperto di sangue. Se sono ancora vivo significa che nessuna arteria è stata compromessa. L'unica cosa che mi preoccupa è la prognosi: per quanti giorni dovrò restare qui, circondato da tutti questi cervelloni fastidiosi? La sola vista dei loro abiti blu e bianchi mi dà la nausea. Mi ricordano come sarei potuto diventare se non avessi cambiato fazione.

«Allora?!» tuona James, in tono aspro, parandosi a due centimetri dal viso della segretaria. Lei lo fissa impaurita da dietro le spesse lenti degli occhiali. «Ha idea di chi le sta davanti? Preghi che il mio collega non muoia, o la riterrò direttamente responsabile!».

Roteo gli occhi. Mettere in difficoltà questi ipocriti scienziati sarà anche il suo passatempo preferito, ma adesso sta esagerando.

Morire per un colpo di pistola? Ma per chi mi ha preso?
Devo forse ricordargli che sono io quello che ha vinto un combattimento con entrambe le spalle slogate?

Sto per farglielo notare, ma vengo anticipato da una voce femminile piuttosto irritata.

«Che diamine succede qui? Vi si sente urlare fino in fondo al reparto».

James si volta di scatto, probabilmente per aggredire verbalmente anche la nuova arrivata che ha osato interromperlo, ma non emette fiato. Boccheggia e smette all'istante di agitarsi.

Seguo il suo sguardo, incuriosito.

Una ragazza sta camminando verso di noi a passo di carica, il camice bianco mezzo aperto che le si avvolge intorno ai fianchi. È minuta, ma, a giudicare da quello che riesco a intravedere sotto al tessuto candido, ha tutte le curve al posto giusto.

I folti capelli neri sono legati in un'alta coda di cavallo: alcuni ciuffi sfuggiti all'acconciatura le solleticano la fronte e ricadono sulle sopracciglia corrucciate.

Sposto lo sguardo qualche centimetro più in basso e rimango catturato dal colore particolare dei suoi occhi, al momento impegnati a fulminare James. Ambrati e dalla forma allungata, sembrano due fiamme guizzanti. Man mano che la ragazza si avvicina a noi riesco a scorgervi alcune sfumature più calde, quasi dorate.

Anche il suo viso è particolare: lievemente appuntito, dagli zigomi alti, la fa apparire austera come una di quelle principesse medievali che si trovano dipinte nei libri di storia. Le sue labbra in particolare calamitano la mia attenzione: sono carnose, invitanti. Fatte per essere baciate.

Ora capisco perché James è rimasto a bocca aperta.

Lei si posiziona davanti al mio collega e lo squadra da capo a piedi con disapprovazione, le mani sui fianchi. James non sembra aver superato l'esame, visto che quegli occhi di fuoco si riducono a fessura non appena si posano sui tatuaggi che gli ornano il braccio destro dalla spalla al gomito.

Senza perderlo di vista, la ragazza fa un cenno alla donna dietro al bancone. «Tutto bene, Helen?».
L'Erudita dai capelli grigi annuisce, il viso percorso da un lampo di sollievo.

James corruga la fronte, scrutando la giovane a sua volta. Abituato com'è a mettersi in mostra e a catturare l'attenzione femminile al primo sguardo, sentirsi bellamente ignorato - mi correggo, disprezzato - da una ragazza così carina deve essere davvero frustrante per lui.

Perché sì, lei è davvero carina. O meglio, è bella.
Di una bellezza segreta e misteriosa che mi fa venir voglia di scioglierle i capelli e passarci le dita in mezzo …

Scuoto la testa per cancellare quello strano pensiero.
Che mi prende?

Se inizio a vaneggiare, significa che la ferita potrebbe essere più grave di quanto pensassi.

Mi schiarisco la voce per richiamare l'attenzione del trio.
La ragazza si gira subito verso di me. I nostri occhi si incontrano per qualche istante, mi ritrovo a trattenere il fiato.

Avevo ragione, è davvero carina.

«Accidenti» sbotta, quando il suo sguardo si posa sulla mia spalla sanguinante.
In un attimo è volata al mio fianco e sta esaminando con cipiglio critico la ferita parzialmente coperta dalla manica della maglietta.

Sentire le sue mani su di me mi sta eccitando più del dovuto. Il mio cuore sembra impazzito, rimbalza da una parte all'altra del petto.

«Com'è successo?» chiede, mentre mi afferra il polso. Sembra assorta, le sue labbra si muovono appena, come se stesse parlando tra sé.

Faccio per rispondere, ma poi mi accorgo che non si era rivolta a me.
Sta guardando James.
E la cosa mi provoca non poco fastidio.

Lui scrolla le spalle. «Stavamo facendo un'esercitazione. Una matricola ha preso male la mira e il risultato è quello» spiega alla svelta, indicandomi.
Il suo tono si è fatto più morbido, più seducente, tutto il contrario di quello usato in precedenza per mettere alle strette la segretaria. Vuole fare colpo, ma ho la netta sensazione che stavolta farà un buco nell'acqua.

La ragazza gli lancia un'occhiata penetrante e, - miracolo! -, lo fa zittire. L’espressione accattivante svanisce dal suo viso non appena lei apre bocca. «Tipico di voi Intrepidi» dichiara, con aria di sufficienza. «Incoscienti».

Estrae una piccola torcia dalla tasca del camice e me la punta prima in un occhio, poi nell'altro. «Battito accelerato. Possibile stato di shock. Deve essere medicato il prima possibile, bisogna estrarre il proiettile». La voce è controllata, non mostra segni di panico alla vista del sangue che sta inzuppando il lenzuolo della barella.

Sembra a suo agio, come se affrontasse situazioni come questa tutti i giorni.
Possibile? Avrà sì e no, diciannove anni!
Preme una mano sulla ferita, strappandomi un gemito. Alcune gocce di sangue le macchiano il camice, ma lei non sembra curarsene.

Perché finalmente mi sta guardando. E sorride con fare rassicurante. «Una reazione, non ci speravo più. Allora anche il temibile Capofazione Eric sente il dolore come tutte le persone normali» sentenzia, in tono allegro, come se avesse appena fatto la scoperta del secolo.

La gelo con lo sguardo.
Inutile, non mi sta più prestando attenzione.
Questa ragazza è sfuggente come il vento.

«Helen, come mai i due Capifazione sono ancora qui? Dovrebbero già essere stati assegnati ad un medico» prosegue, senza mollare la presa su di me.

Starmi così vicino non sembra turbarla più di tanto. Le sue gambe sono appiccicate alle mie, devo fare uno sforzo tremendo per non aprire le ginocchia e avvolgerla col mio corpo.

No, non va assolutamente bene. Non è da me fare certi pensieri.
Dovrei immaginare di portarmela a letto,
non desiderare di abbracciarla come un orsacchiotto! Cioè, a dir la verità, sto immaginando entrambe le cose … ma che diavolo ho oggi?!

La segretaria chiamata Helen si abbassa gli occhiali sul naso. «Ho già chiamato ogni dottore disponibile, ma c'è stata un'emergenza nel quartiere dei Candidi e l'ospedale al momento è a corto di personale … ». Digita qualcosa sullo schermo del computer, poi scuote la testa. «Niente da fare, signorina. Suo padre e i suoi fratelli sono irreperibili. Non ci resta che aspett … ».

«Non osi pronunciare quella parola!» esplode James, gettando le braccia in aria in preda all'esasperazione. «Siamo stanchi di aspettare! Il mio collega sta … ».

« … perdendo la pazienza» mugugno io, facendo sorridere la ragazza.

L'ho già detto che è davvero carina?

«Ci penso io» decreta lei, troncando all'istante il battibecco tra James e la segretaria.

Helen ha l'aria combattuta. «Non metto in dubbio le sue capacità, signorina, ma non è autorizzata a … ».

«Si tratta di un'emergenza. E non è la prima volta che mi occupo di un caso del genere».

La donna tentenna. «Ma qui c'è di mezzo un Capofazione. Se qualcosa va storto, gli Intrepidi ci faranno causa. Conosce le regole dell'ospedale: una tirocinante non può intervenire senza l'autorizzazione del suo supervisore e … ».

«L'autorizzo io».

La ragazza, Helen e James si voltano verso di me all'unisono.

La segretaria è incredula. «Signore, forse non mi sono spiegata … ».

«Ho capito perfettamente» replico, in tono freddo.

Lancio una lunga occhiata alla ragazza.
Lei non batte ciglio, la sua espressione resta indecifrabile. Neanche una minima traccia di indecisione o timore. E’ sicura di sé. Basta questo a farmi decidere. «Non mi importa se non è laureata o specializzata. Lei va benissimo». Non può neanche immaginare quanto.

James fa una smorfia seccata, ma non obietta. Nei suoi occhi azzurri scorgo un'emozione molto simile all'invidia.
Penso che si lascerebbe sparare volentieri, pur di essere medicato da lei.

«Ce la fa a camminare?» mi chiede Occhi di Fuoco a bruciapelo.

Perché mi sta dando del 'lei'? Mi fa sentire vecchio.
Glielo dico mentre mi alzo a fatica dalla barella. Lei ride. E io mi sento stranamente euforico.

Dove sei stata nascosta per tutto questo tempo?

Lasciamo James accanto al bancone a firmare inutili scartoffie e ci inoltriamo nel labirinto dei corridoi dell'ospedale. Lei procede a testa alta, salutando con un cenno tutte le persone che incrociamo.

Dopo pochi passi mi prende a braccetto. So che l'ha fatto perché teme mi possa accasciare a terra da un momento all'altro, ma non posso impedire alla mia mente di formulare pensieri decisamente poco casti.

Da quant'è che non faccio sesso? L'astinenza mi sta giocando brutti scherzi.

La ragazza probabilmente avverte la tensione dei miei muscoli, perché mi guarda con la coda dell'occhio e accelera l’andatura.
E mi passa un braccio attorno alla vita.

Non devo pensare. Non devo pensare. Non devo pensare.

Troppo tardi.
L'ho immaginata nel mio letto.

Sono fottuto.

Perché so che questa fantasticheria mi perseguiterà finché non mi deciderò a realizzarla.
E, francamente, non ho speranze di realizzarla.

Doppiamente fottuto.

Sibilo un'imprecazione tra i denti.
Credo venga interpretata come un lamento di dolore, perché mi ritrovo dentro una stanza e seduto su un letto senza capire come ci sia finito.
Lei si muove veloce. Apre tutti gli scomparti degli armadietti allineati lungo la parete e getta sul tavolo bende, disinfettante, batuffoli di cotone e … strumenti chirurgici dall'aspetto poco amichevole.

Deglutisco. Sono già stato ricoverato diverse volte in ospedale, per differenti motivi.
Ossa rotte, articolazioni distorte, ferite da taglio. Ho già sperimentato l'estrazione di un proiettile: un anno fa un iniziato particolarmente zelante si era lasciato prendere la mano, ferendomi alla caviglia. La punizione che gli ho inflitto fa ancora rabbrividire chiunque fosse presente.

Non ho paura di sentire dolore. Solo, non voglio farmi vedere debole di fronte a lei!
Ho una reputazione da difendere.

Mi rendo conto solo ora di non conoscere il suo nome.
Che faccio, glielo chiedo?
La mia bocca decide per me. «Come ti chiami?».

Lei alza gli occhi dalla lunga pinza che sta disinfettando e mi guarda con stupore. «Tu … non sai chi sono?» domanda, come se le avessi appena chiesto se il ghiaccio è freddo.

Alzo la spalla sana. «Dovrei?».

La ragazza fa un sorriso tirato. «Sono Zelda. Zelda Blackburn».

Mi sento stupido. Anzi, idiota. Sono un'idiota.

«Capisco» bofonchio a disagio, e le strappo un sorriso. Uno vero, stavolta.

«Mi fa piacere sapere che esiste ancora qualcuno che ignora la mia esistenza. La mia famiglia è anche troppo famosa». Fa una pausa e sospira. «Al contrario dei miei fratelli, io non amo molto stare al centro dell'attenzione. A volte vorrei solo … nascondermi».

Inclino la testa da un lato. «Con un cognome come il tuo, deve essere difficile».

Annuisce e stringe le labbra. Forse si sta pentendo di essersi lasciata sfuggire quella confessione.
Conosco la fama della famiglia Blackburn: padre e figli, tutti dottori di successo. Non sapevo dell'esistenza di una figlia.

E che figlia!

Lei mi volta le spalle per sciacquarsi le mani. Alza le maniche del camice e si insapona gli avambracci fino ai gomiti con scrupolosità. «Quello che ho detto prima è vero. Non per vantarmi, ma ho già estratto dei proiettili». Prende una salvietta e si asciuga velocemente. «Non avrei mai accettato di medicarti se non fossi stata assolutamente certa di esserne in grado. Adesso sei sotto la mia responsabilità».

Mi scocca un'occhiata furba e afferra un paio di forbici.
Ok, lo ammetto, ora ho paura.

La mia espressione la fa ridacchiare.
Non sono mai riuscito a far ridere una ragazza in vita mia - non sono certo il tipo che se ne va in giro a raccontare barzellette! -, eppure con lei non devo sforzarmi.

Devo considerarla una cosa positiva?

Zelda Blackburn si avvicina a me facendo schioccare minacciosamente le forbici.
Ho la netta impressione che lo faccia apposta, sta cercando di mettermi in soggezione.

Se sapesse che basta un suo sguardo a mettere fuori uso il mio cervello...

Mi concentro sul ticchettio delle lame, preparandomi al dolore ...

… che non arriva.

Lancio un'occhiata alla mia spalla e tiro un sospiro di sollievo: la ragazza sta solamente tagliando via la manica della mia maglia. Sfila delicatamente il pezzo di stoffa, tenendolo sollevato con le dita, ben attenta a non toccare il foro del proiettile. Lo getta nel cestino e prende una bottiglietta dal tavolo. Faccio in tempo a leggere l'etichetta: semplice disinfettante. Lo spruzza sulla ferita, sento solo un lieve bruciore.

Zelda si sposta per afferrare un paio di guanti in lattice. Li infila rapidamente, guardandomi fisso negli occhi.
Ho la gola secca. Non ho mai provato un'attrazione del genere per nessuna ragazza.
Sto seriamente rischiando di andare in iperventilazione.

Per l'amor del cielo, Eric, riprenditi.

Lei accenna un sorriso. «Bene, procediamo».
Si sporge sullo scaffale per recuperare una siringa e un tubicino contenente un liquido trasparente.

«No» esclamo, la voce roca. Me la schiarisco con un colpo di tosse. «Niente anestetico». L'ultima cosa di cui ho bisogno in questo momento è di rilassarmi. Devo rimanere padrone di me stesso. Altrimenti rischio sul serio di saltarle addosso.

Lei inarca un sopracciglio con aria dubbiosa. Poi rimette a posto la siringa e la sostituisce con le pinze che mi avevano terrorizzato in precedenza. «Come desideri». Si posiziona davanti a me, mi prende la mano destra ... e la posa sul suo fianco.

Infarto. Sono ad un passo dall'infarto.

«Non devi muoverti. Se il dolore si fa insopportabile, stringi e io mi fermerò all'istante. Tutto chiaro?». Le sue iridi mi scrutano da sotto la fitta cortina di ciglia.

Annuisco e distolgo lo sguardo, puntandolo sulla lampada al neon appesa al soffitto.
Mi concentro sulla respirazione, per tenere sotto controllo l'agitazione che mi provoca la vicinanza di Zelda. Il suo profumo minaccia di mandare in fumo tutti i miei buoni propositi: la pelle del suo collo è all'altezza delle mie labbra, dovrei solo chinarmi leggermente in avanti per …

Digrigno i denti. La fitta di dolore mi ha colto impreparato, mentre fantasticavo di passare la lingua sulle vene che si intravedono sulla gola della ragazza.
Non è proprio il momento giusto per formulare pensieri da maniaco pervertito.
Dannazione a me.

Sento le pinze entrare a contatto con la mia pelle e dilatare i lembi della ferita. Mi sfugge un mugolio e d'istinto avvolgo il braccio attorno alla vita di Zelda.
Cerco di convincermi che si sia trattato di un riflesso involontario.
Non volevo assolutamente far avvicinare di più i nostri corpi. Proprio no.

Se inizio a mentire a me stesso significa che la situazione è più grave di quanto pensassi.

L'Erudita non mostra segni di imbarazzo. Ovvio, è un aspirante medico, è abituata al contatto con i pazienti.
Fantastico, ora sono perfino geloso di tutti quelli che possono vederla e toccarla tutti i giorni.

Ma perché qualcuno non mi dà una botta in testa e la facciamo finita?

Serro le labbra e trattengo un altro gemito.
Zelda sorride e mi mostra il proiettile intrappolato tra le pinze. «La parte dolorosa è finita. Ora ti rimetto in sesto». Mi fa l'occhiolino e si districa delicatamente dalla mia presa per recuperare l'occorrente dal tavolo.

Questa ragazza è parecchio strana.
Primo: non porta gli occhiali. Qui li indossano tutti, anche senza averne realmente bisogno. Forse credono di apparire più intelligenti. E' uno dei motivi per cui ho abbandonato questa fazione: detesto l’ipocrisia degli Eruditi.
Secondo: trovarsi faccia a faccia con me non la rende nervosa. Di solito le ragazze non hanno nemmeno il coraggio di guardarmi negli occhi, figuriamoci parlarmi. Il mio aspetto non la intimorisce come dovrebbe.

La osservo di sottecchi mentre mi mette i punti: è tranquilla, canticchia sottovoce tra sé. Sembra lontana, persa in un mondo tutto suo. Sicuramente per lei sarò l'ennesimo Intrepido da curare, uno dei tanti pazienti anonimi dell'ospedale.

Mi acciglio.
Non lo accetto.
Non voglio essere solo un paziente da tagliuzzare e poi ricucire.
Voglio che si ricordi di me quando me ne sarò andato. Voglio che pensi a me almeno un decimo di quanto io penserò a lei.

Aspetto che finisca di avvolgere la benda attorno la mia spalla. Fa un piccolo nodo e sorride, soddisfatta del proprio lavoro.
Non appena accenna ad allontanarsi, le circondo i fianchi con il braccio sano e affondo il viso nell'incavo del suo collo. Lei si irrigidisce all'istante. «Grazie» soffio sulla sua pelle, e mi compiaccio di sentirla rabbrividire.

Allora non le sono totalmente indifferente.
Buono a sapersi. Il mio ego ruggisce d'orgoglio.

Sfioro con le labbra il contorno della sua mascella, risalendo verso il mento, fino a trovare la sua bocca.
E la bacio.
La bacio come ho sognato di fare da quando l'ho vista avanzare fiera come una regina in quel corridoio. Chiudo gli occhi e mi lascio sommergere dall'attrazione che mi spinge verso di lei come un'onda. Imprevedibile e incontrollabile.

So perfettamente che è un errore, ma non me ne importa nulla. Voglio solo assaggiare le sue labbra, gustarmi il loro sapore. Sono morbide, dolci … il loro ricordo mi perseguiterà a vita, ne sono certo. Meglio approfittare finché posso.

Impiego solo pochi secondi a realizzare che lei non mi sta respingendo. Il ceffone che mi aspettavo non arriva.
Zelda non oppone resistenza, ma nemmeno ricambia il bacio. E' perfettamente immobile, rigida come una statua. Mi allontano di pochi centimetri e apro gli occhi.

I suoi mi stanno fissando come se volessero trafiggermi, affilati come pugnali forgiati nell'ambra più pura. Scintillano di furia a stento repressa.

«Hai finito?» sibila, a denti stretti. Non capisco se il rossore sul suo viso sia dovuto alla rabbia o all'imbarazzo. «Non so come funzioni tra voi Intrepidi, ma ti ricordo che qui siamo nel mio quartiere. Ed esigo un minimo di rispetto anche da un Capofazione».

Stringe i pugni e si sposta di lato. «Evita di fare movimenti bruschi nei prossimi giorni, altrimenti la ferita rischia di riaprirsi. Ti consiglio assoluto riposo almeno fino a domani». Nonostante sia arrabbiata, parla in tono deciso e professionale. Non mi guarda, fissa un punto poco sopra la mia spalla. Poi indica la porta con un gesto secco. «Manderò qualcuno a controllare i punti. Ora fuori di qui».

No.

Non volevo finisse così. Non volevo irritarla, non era questo il mio scopo.
Volevo solo che … si accorgesse di me.

Forse sono stato troppo precipitoso, ho dato retta all'istinto e non ho preso in considerazione le possibili conseguenze delle mie azioni.

Cosa pensavo, di riuscire a conquistarla con un bacio? Che un mio bacio l'avrebbe condotta dritta tra le mie braccia?

Sono stato parecchio arrogante. Lei non è certo il tipo di donna con cui sono abituato ad uscire. Non è espansiva e disinibita come le Intrepide che si siedono di fianco a me in mensa solo per sbavare sui miei bicipiti e che mi guardano come se volessero strapparmi i vestiti a morsi.

Faccio un respiro profondo e mi alzo dal lettino. Una fitta di dolore mi fa stringere i denti. La vista mi si offusca per un istante e barcollo.

«Lo sapevo. Avrei dovuto fare di testa mia» mormora Zelda tra sé, mentre posa una mano sul mio braccio sano per stabilizzarmi. Scuote la testa e mi dà una leggera spinta per farmi tornare seduto sulla brandina.

Recupera l'anestetico dallo scaffale e tuffa la siringa nel liquido. Preme lo stantuffo per eliminare le bolle d'aria e mi conficca l'ago nel collo come se fosse un pugnale. Senza un briciolo di delicatezza.

Vendicativa la ragazza, eh? Mmm, la cosa si fa interessante.

Non emetto un fiato. Sono completamente in balia del fuoco racchiuso negli occhi di Zelda. Stregato, ipnotizzato.
Dei puntini bianchi lampeggiano nel mio campo visivo. Un lieve torpore si impossessa delle mie membra, le fitte che mi squarciavano il braccio sono sparite.
Batto le palpebre alcune volte, fatico a tenere gli occhi aperti.

Zelda appoggia una mano sul mio petto - l'altra tiene fermo il braccio ferito - e mi fa sdraiare. È riuscita dove i due infermieri hanno fallito: mi ritrovo steso su un lettino d'ospedale come un povero cretino.

Lei è anche troppo brava a farmi cedere. Se ci fosse stato un altro medico al suo posto, me ne sarei già andato da un pezzo, con o senza antidolorifico.
Se sono ancora qui, è solo perché non voglio allontanarmi da lei. Dal tocco delle sue mani, dal suo profumo speziato, dal suo corpo sinuoso.

Mi hai veramente fulminato. Sei pericolosa, piccola.

I miei occhi si chiudono contro la mia volontà. Avrei preferito continuare a godermi la vicinanza di Zelda: una volta uscito dall'ospedale, le possibilità di incontrarla di nuovo sono praticamente nulle.
Avverto una fitta al petto, ma questa volta il dolore non ha niente a che fare con la ferita alla spalla.

Quanto vorrei baciarti ancora...

Non so se l'ho detto ad alta voce o solo pensato. L'anestetico sta facendo effetto, sto lentamente perdendo conoscenza.

Un attimo prima di sprofondare nell'oblio avverto davvero delle labbra premere sulle mie.
Morbide, calde … le labbra di Zelda.

Sono costretto a ricredermi: le matricole non sono così inutili.

Sia ringraziato quel proiettile.










- - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Ciao gente! Sono tornata col primo capitolo effettivo della nuova storia ;)
Volevo pubblicarlo domani (in occasione del compleanno del nostro amato Jai), ma ho deciso di anticipare per impegni vari...
Fatemi sapere che ne pensate! Ci tengo veramente, non deludetemi ;)
Ringrazio le persone che hanno messo la storia tra le seguite/preferite: il vostro sostegno è impagabile!! Grazie di cuore *.*
A presto,
Lizz

p.s. vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove domani posterò una sorpresa, sempre in onore di Jai ;)

https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966





















 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Away from the sun ***




 

Capitolo 2

 

- Away from the sun -


 


 

'Cause now again I've found myself
So far down, away from the sun
That shines into the darkest place

(3 Doors Down)




 

Zelda

 

 

Ho delle occhiaie spaventose.

Stamattina sono quasi scoppiata a piangere quando mi sono guardata allo specchio. La notte scorsa non ho chiuso occhio, ero troppo tesa.
Tutto per colpa di quella richiesta assurda.

Maledetto lui e chi lo ha nominato Capofazione!
Ho pregato mio padre in cinque lingue diverse, ma non c'è stato verso di fargli cambiare idea.
Non si contesta un ordine impartito da un leader, non importa a quale fazione appartenga.

Quindi eccomi qui, davanti all'entrata della residenza degli Intrepidi.

Stringo tra le dita l'autorizzazione firmata da Jeanine in persona e osservo con le sopracciglia corrugate le pareti esterne del palazzo di vetro.
Non ho mai messo piede nei territori rivendicati dalle altre fazioni: sono sempre rimasta nel mio quartiere, quello degli Eruditi. E' il luogo a cui appartengo, la mia casa.

Perché avrei dovuto allontanarmi?

Una mano si posa delicatamente sulla mia spalla. «Tutto bene, sorellina?».
Volto la testa e incrocio gli occhi verdi di Damien. Mio fratello mi sorride con fare rassicurante. «Sei pallida. Non avrai paura di qualche Intrepido tatuato, vero?».

Stringo le labbra. «Io non ho paura» dichiaro, risoluta. «Men che meno di un manipolo di individui che si divertono a piantarsi pezzi di metallo nel corpo e provano un piacere perverso nel prendersi a pugni a vicenda».

Ho parlato a raffica, come faccio sempre quando sono nervosa.
Damien lo sa, mi conosce bene. Infatti continua a sorridere, condiscendente.

Calma, Zelda. Non ti stai avviando al patibolo, devi solo togliere dei punti di sutura.

Se solo riuscissi a catalogare quel Capofazione come un paziente qualsiasi...
Scaccio il pensiero prima ancora di concluderlo.

Alzo il mento e comincio a camminare verso le porte scorrevoli del palazzo, seguita a poca distanza da Damien.
Un Intrepido ci viene incontro non appena attraversiamo la soglia: ha corti capelli castani e penetranti occhi blu.

So chi è.
E' Tobias Eaton, ex Abnegante, ora istruttore. Figlio di Marcus Eaton, il capo del governo.
Dietro il suo corpo massiccio scorgo un'altra persona, una ragazza minuta dai lunghi capelli biondi. Sono entrambi vestiti interamente di nero, incutono timore.

La ragazza mi sorride. La prendo subito in simpatia. «Tu devi essere Zelda Blackburn. Ti stavamo aspettando. Io sono Tris». Fa un cenno col capo verso l'altro Intrepido. «E lui è Quattro». Dallo sguardo complice che si scambiano si capisce che tra loro c'è un legame profondo.

Che strana coppia.

Tobias, anzi Quattro, squadra mio fratello da capo a piedi con un sopracciglio inarcato. «E tu chi saresti?». Più che ostile, il suo è un tono di sufficienza.
Damien si schiarisce la voce. «Sono suo fratello. Damien Blackburn».

La sua mano tesa viene ignorata da entrambi gli Intrepidi.
Quattro incrocia le braccia, mettendo bene in mostra i muscoli. «Non sei autorizzato ad entrare» decreta, lapidario. «Abbiamo ricevuto istruzioni precise».
Tende la mano e io gli allungo il foglio firmato dalla mia Capofazione. Annuisce e mi fa segno di seguirlo.

Scocco un'occhiata interdetta a Damien.
Non voglio che mi lasci sola nella tana del nemico.

Lui sembra percepire la mia agitazione. Non è difficile, visto che sono rigida come un cavo d'acciaio. Mi tremano perfino le gambe.

Mio fratello mi dà una piccola spinta alla base della schiena. «Forza, vai. Non temere, ti aspetto qui». Il suo sorriso mi scalda come un raggio di sole in piena estate. «E se qualcuno si azzarda ad allungare le mani, usa le tue conoscenze mediche per fargli più male possibile».

Alzo gli occhi al cielo. Sicuramente qualcuno allungherà le mani.
E so già di chi si tratta.

Biondo, spalle larghe, braccia tatuate.
In una parola, Eric.

Fra poco lo rivedrò. Rivedrò quell'arrogante ragazzo che ha osato infestare i miei sogni per tutta la settimana. E di certo non potrò fargli male, visto che sono qui in veste di medico apposta per prendermi cura di lui.

Ogni volta che ripenso al suo bacio sento le labbra bruciare.
Non scorderò mai quel giorno.

Né il colore incredibile dei suoi occhi: grigio argento, come il cielo durante una feroce tempesta.
Né la scintilla d'elettricità che è corsa tra noi mentre lo toccavo. Se chiudo gli occhi riesco perfino a percepire il suo respiro sul collo, il suo odore di cuoio e metallo, proprio come se fosse ancora vicino a me.

Mi riscuoto dalle mie fantasticherie e mi affretto a tenere il passo dell'Intrepido che mi fa da guida.
Quattro non è molto amichevole: non sorride, non accenna a fare conversazione, non mi guarda nemmeno. Procede nel corridoio a passo di marcia, sono quasi costretta a correre per non rimanere indietro.

Ci inoltriamo nel cuore della residenza, procedendo su rampe di scale intagliate nella roccia. Man mano che scendiamo di livello, il mio cuore raddoppia i battiti.

Sono stata una stupida.
Non avrei dovuto baciarlo a mia volta.

Il fatto è che … volevo farlo. Non mi sono soffermata a pensare, ho semplicemente seguito l'istinto. Non è da me: io sono sempre stata estremamente razionale. Prima di prendere una decisione pondero tutte le possibili conseguenze, sia i punti negativi che quelli positivi, e solo dopo un'attenta analisi agisco.

Ma come potevo resistergli?
Quanto vorrei baciarti ancora, aveva mormorato al confine tra sogno e veglia. E, mandando al diavolo la mia peculiare razionalità, ho esaudito il suo desiderio.

Non che mi sia dispiaciuto, quello no.
Ho dovuto faticare molto per non ricambiare il suo bacio: dopo l'iniziale sorpresa, avrei voluto circondargli il collo con le braccia e attirarlo a me, sentire il suo corpo premere contro il mio.

Ma l'indignazione ha prevalso sull'attrazione.
Per quanto un ragazzo mi possa piacere, non accetto che mi si manchi di rispetto. Ha calpestato la mia dignità, mi sono sentita insultata come donna e come medico.

Se ci fossimo trovati al di fuori dell'ospedale, avrei potuto passare sopra all'orgoglio e ricambiare le sue attenzioni.
Ma lì i nostri ruoli erano molto ben definiti.
Lui era un mio paziente e le regole etiche parlano chiaro: nessuna interazione personale tra medico e paziente. Il mio preciso dovere è curare il prossimo senza lasciarmi coinvolgere troppo.

E lui mi ha coinvolto anche più del lecito.

Conosco i tipi come lui: troppo abituati ad essere obbediti ciecamente, considerano tutti dei subordinati e non accettano rifiuti. Credono di poter comandare ovunque vadano, senza tenere in conto sentimenti e pensieri altrui.
Beh, mi dispiace, ma io non sono un oggetto.

E nemmeno una di quelle ragazze che cadono ai piedi del primo fusto che vedono.

Eric è affascinante, non lo metto in dubbio nemmeno per un secondo. E' un bel ragazzo e ha una personalità magnetica che mi attrae come una calamita, ma farà meglio a mantenere le distanze d'ora in poi.

Non sono disposta a tollerare di nuovo i suoi modi arroganti e quel suo atteggiamento da 'faccio quel che voglio, con o senza il tuo permesso'. Deve imparare che non tutto gli è concesso. O inizierò a pensare che abbia più tatuaggi che cervello.

Sono esattamente un passo dietro Quattro, quando lui si blocca di colpo.
Mi fermo a mia volta in mezzo al tunnel di pietra e trattengo il respiro.

Siamo già arrivati? Oh, no, non sono ancora pronta psicologicamente per trovarmi faccia a faccia con Eric!

Sento già le guance avvampare. Devo ritrovare al più presto una briciola di autocontrollo se voglio uscire di qui indenne.
Mi sporgo oltre le spalle di Quattro per avere un'idea di cosa mi aspetta, ma vedo solo buio. E una ragazza appoggiata alla parete.

Ha i capelli castani, rasati da un lato e lunghi dall'altro. Due file di piercing adornano le sue orecchie e gli occhi chiari sono contornati da una spessa linea nera.

Sta abbottonando in fretta la camicetta nera che la fascia come una seconda pelle, i lineamenti del viso contratti.
Fa un cenno verso l'Intrepido che mi precede. «Quattro», lo saluta e poi si accorge di me. Le sue labbra si storcono in una smorfia non appena mette a fuoco i miei vestiti azzurri e la mia valigetta di pelle scura. «Non sei un po' troppo giovane per essere un dottore?» mi apostrofa, in tono velenoso.

Rimango spiazzata e deglutisco, a disagio. «Ehm, io non … ». Cerco di trovare qualcosa di sensato da dire, ma non è facile dato che lei continua a fissarmi come se volesse incenerirmi con lo sguardo.

Che le ho fatto?

«Cosa ci fai qui, Kelly?» esordisce Quattro, mettendo fine al mio patetico tentativo di replica.

Lei scrolla le spalle. «Niente. Mi aveva chiamata Eric, ma a quanto pare ora ha qualcosa di meglio da fare». Mi scocca un'altra occhiata al vetriolo, prima di allontanarsi sbattendo rabbiosamente le scarpe sul pavimento di roccia.

Quattro scuote la testa. «Non prendertela, è fatta così».
Si fa da parte e allunga un braccio per indicarmi la porta in fondo al corridoio. «Quella è la stanza di Eric. Vi lascio soli. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Resto qui fuori».

Ho smesso di ascoltarlo dopo quel 'vi lascio soli'.

Ma è pazzo?

Sono tentata di aggrapparmi con le unghie alla sua maglietta, supplicandolo di entrare con me. Mi fido a malapena di me stessa in presenza di Eric, figuriamoci se mi fido di quel Capofazione!

Quattro non ha idea della situazione in cui mi sta cacciando. Mi sento come un agnello che sta per essere gettato nella fossa dei leoni.

«D-d'accordo» balbetto, stritolando tra le dita la valigetta col kit di pronto soccorso. Avanzo fino alla spessa porta d'acciaio e faccio un respiro profondo per calmarmi.
Non funziona.
Costringo la mia mano ad alzarsi e busso con le nocche sul freddo metallo.

Dall'interno giunge un grugnito, poi qualcuno spalanca la soglia di botto. «Kelly, mi sembrava di averti detto di … » ruggisce Eric, prima di accorgersi dell'errore.

Beh, la similitudine con i leoni non era così campata in aria, dopotutto.

Il Capofazione rimane impalato a fissarmi. Ha gli occhi sbarrati come se si fosse appena imbattuto in un alieno.
Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse. «Mi sembri in forma» dico, tanto per rompere il ghiaccio. Sposto il peso da un piede all'altro ed evito di guardarlo direttamente negli occhi.

Lui si riprende dallo stato di shock quel tanto che basta per invitarmi ad entrare.

La sua stanza è grande, ma arredata in modo semplice. Essenziale è la parola giusta: pochi mobili, nessun quadro o fotografia alle pareti, tutto ordinato in modo meticoloso.
Non sono sorpresa, rispecchia molto bene il carattere del proprietario.

Appoggio la valigetta di pelle sulla scrivania accanto al letto.

Eric si siede sul materasso e mi fissa a lungo in silenzio. Indossa solo un paio di jeans neri sdruciti. La vista del suo torace nudo mi distrae parecchio, perciò mi affretto a voltargli le spalle. Rovisto nella borsa senza uno scopo preciso. «Allora, come va la ferita?» chiedo, in tono abbastanza composto.

Lo sento sospirare. «Ho sopportato di peggio».

«Sei rimasto a riposo per qualche giorno come ti avevo consigliato?» domando, mentre recupero il necessario per togliere i punti. Faccio una pausa e poi aggiungo: «E con riposo non intendo quello che stavi facendo pochi minuti prima che entrassi».

Un silenzio attonito segue le mie parole.
Mi giro lentamente per osservare l'espressione del Capofazione. Lui mi guarda perplesso, la fronte corrucciata. «A cosa ti riferisci?».

Faccio un gesto vago con la mano. «Alla ragazza che ho incontrato qui fuori. Aveva la camicia mezza aperta e alcuni bottoni mancavano all'appello».
La mia espressione deve essere eloquente, perché Eric fa un ghigno divertito.
«Non è come sembra. Hai frainteso» afferma con convinzione. Sembra quasi che voglia giustificarsi con me.
Ci casco solo per un momento. «Potrei anche crederti … se non avessi i pantaloni slacciati» ribatto, puntando gli occhi sulla cerniera dei suoi jeans.

Cattiva idea.

Sento che sto per arrossire, quindi distolgo lo sguardo prima che si accorga del mio imbarazzo.
Eric si lascia scappare un'imprecazione e richiude in fretta bottone e lampo. Pare anche più a disagio di me.

Scuoto la testa e mi avvicino a lui con lentezza calcolata.
È solo un paziente, solo un paziente, ripeto tra me, nel vano tentativo di calmare i battiti accelerati del mio cuore.

Tolgo la benda dal suo braccio ed esamino attentamente la ferita. Si è rimarginata quasi del tutto: le nuove medicine sperimentali fanno miracoli. Non rimarrà nemmeno la più sottile cicatrice.
Soddisfatta, procedo con la rimozione dei punti.

Eric non dice niente. Non muove nemmeno un muscolo, sembra scolpito nella pietra da quant'è immobile.

Oggi niente aggressioni in programma?
Accidenti a me, perché ho avvertito una fitta di delusione a quel pensiero?

Lui si limita a fissarmi, mettendomi ancora più in agitazione. Dopo due minuti esplodo. «La vuoi piantare di guardarmi in quel modo?» esclamo, le guance che scottano.
I suoi occhi puntati su di me mi fanno sentire fragile, vulnerabile. Come se fossero in grado di leggermi dentro. Detesto questa sensazione.

Eric non mostra alcuna emozione. «Perché, come ti starei guardando?» indaga, in tono volutamente indifferente. Attende educatamente la mia risposta, un sorrisetto di sfida dipinto sulle labbra.

Indietreggio di qualche passo, mettendo un po' di distanza fra noi. Mi sembra di non riuscire a respirare. «Io … ecco … come … come se volessi spogliarmi!».

Oddio, no, non posso averlo detto sul serio.

Mi mordo un labbro, desidero ardentemente sparire il più lontano possibile.
Avrei fatto meglio a pregare Quattro di non abbandonarmi nelle grinfie del Capofazione. Sapevo che mi sarei cacciata nei guai. Maledetta la mia boccaccia.

Eric ha perso il cipiglio distaccato. Ora sorride apertamente. «Ma davvero? Era così evidente?» chiede, in tono perfidamente divertito. «Perdonami. Cercherò di mascherare meglio i miei pensieri d'ora in poi».

Non so se strozzarlo a mani nude, o soffocarlo di baci.
Ardua scelta.

In ogni caso lo metterei a tacere. È pericoloso quando apre bocca: quasi quasi lo preferivo quando mi fissava in silenzio.

Mi aggiusto i capelli, tirando dietro le orecchie i ciuffi sfuggiti all'acconciatura. Cerco di ritrovare un briciolo di professionalità. «La ferita è a posto, non dovrebbe più darti problemi. Se senti fastidi o bruciore è normale».

Eric inclina il capo e mi lancia uno strano sguardo. «Quindi adesso posso fare qualsiasi cosa? Non è necessario che rimanga a riposo, giusto?».

Il suo tono pieno di sottintesi non mi piace per nulla. Mi chiedo dove voglia arrivare. «Beh, no. Puoi tranquillamente tornare a lanciare coltelli, gettarti dai treni, e qualsiasi altra cosa facciate voi Intrepidi nel tempo libero».

Il Capofazione sorride. E' il sorriso famelico di un lupo che sa perfettamente di avere la preda in pugno. «Buono a sapersi» mormora, un attimo prima di afferrare il colletto della mia camicetta per attirarmi a sé.

Prima che possa protestare, mi ritrovo imprigionata tra le sue ginocchia. Lui mi circonda la vita con un braccio, proprio come ha fatto quel giorno all'ospedale. Con l'altra mano afferra la matita che tiene fermo il mio chignon e la sfila delicatamente.

«Che ti salta in testa?» strillo, provando a districarmi dalla sua presa.
Impossibile, ha molti più muscoli di me.

I capelli mi ricadono liberi sulle spalle e lui li osserva incantato, come un bambino che vede le stelle per la prima volta. Immerge le dita tra le mie ciocche e mi massaggia la nuca con i polpastrelli.
Trasalisco. Il suo tocco è piacevole, mi fa venire la pelle d'oca sulle braccia.

No, no, non va bene.

«Eric, lasciami» ordino con voce tremante.
Lui non mi dà retta e si avvicina ulteriormente. Le sue labbra sono a due centimetri dalle mie. «Mi piace come pronunci il mio nome. Dillo di nuovo».

Non lasciarti tentare.

«Mollami, o giuro che mi metto a urlare».
«Accomodati, piccola. Tanto nessuno ti sentirà».

Non lasciarti intimorire.

«Dico sul serio, Eric. Credimi, tu non vuoi vedermi veramente arrabbiata... ».
«Oh, invece sì. Dovevi vederti quando ti ho baciata. I tuoi occhi mandavano lampi, eri uno spettacolo».

Non lasciarti distrarre.

Non …

Oh, al diavolo.

Mi aggrappo al suo collo con entrambe le braccia e affondo le labbra nelle sue, già socchiuse. Se è sorpreso, non lo dà a vedere. Anzi, mugugna d'approvazione. «Quasi non ci speravo più» riesce a sussurrare, prima che la mia lingua lo metta a tacere una volta per tutte.
Da impaziente, il bacio si fa via via più lento, più sensuale.

Eric si sdraia all'indietro sul letto, trascinandomi con sé. Appoggio un palmo sul suo petto nudo, il contatto fa sobbalzare entrambi.
E mi riscuote dal torpore.

Che diamine sto facendo?!

Balzo in piedi come una molla, il respiro affannoso e i pensieri fuori controllo. Mi porto le mani al viso: ho la pelle bollente. «No, no, no. Non doveva succedere di nuovo» sbotto, sull'orlo di una crisi isterica.
Chiudo gli occhi per ritrovare la concentrazione.

Non ho mai provato niente del genere per nessun ragazzo. Sono uscita con alcuni compagni dell'università, con due di loro è durata anche per qualche mese. Ma accanto a loro non mi sentivo confusa, né agitata, né elettrica come quando sono con Eric.

Perché adesso? Perché lui? Cos'ha lui in più degli altri?

Eric si rimette seduto e protende una mano verso di me. «Zelda … » inizia a dire, ma io lo zittisco con un'occhiata furente.

«Basta, ne ho avuto abbastanza!» grido, puntandogli un dito contro. Riverso tutta la mia frustrazione su di lui: le notti insonni di certo non mi aiutano a essere diplomatica. «Prima di incontrarti avevo tutto sotto controllo. Pensavo unicamente alla carriera, ai miei studi. Voglio diventare pediatra, sai? Mi piacciono molto i bambini, ho sempre desiderato specializzarmi in quel ramo della medicina...».

Sto divagando. Prendo un bel respiro e inchiodo Eric con il mio miglior sguardo minaccioso. «E poi arrivi tu! Piombi in quell'ospedale come un meteorite … e mi baci … e … metti in discussione tutte le mie convinzioni! Io non voglio complicazioni, la mia vita mi va bene così com'è». Scuoto la testa. «Perché mi hai fatto questo? Cosa vuoi da me?».

La mia voce si incrina. So cosa vuole da me, l'ho sentito mentre gli stavo sdraiata addosso sul letto. Probabilmente mi vede come una sfida, una novità rispetto alle ragazze Intrepide di cui si circonda abitualmente.
Questo pensiero mi colpisce come un pugno nello stomaco. Per lui è solo un gioco, nulla di importante. Un semplice passatempo per combattere la noia.

Stupida illusa. Che ti aspettavi? E poi nemmeno tu vuoi un fidanzato, quindi dov'è il problema?

Digrigno i denti. «I nostri rapporti finiscono qui. Rimani nella tua fazione e scordati per sempre di me. Dimentica la mia esistenza, tanto non ci rivedremo mai più».

«No».

Sgrano gli occhi al suono di quella sillaba.
Lo sguardo di Eric è tranquillo. Nessun segno di imbarazzo o irritazione nelle sue iridi grigie.

«Come?» farfuglio, non sapendo come interpretare quel rifiuto categorico.

Lui allunga la mano verso il mio polso. Fa scorrere un dito sulla mia pelle, senza perdermi di vista. Ho le vertigini: mi sento come se stessi in bilico sul bordo di un cornicione a trenta metri d'altezza.

Eric gioca distrattamente con un bottone della mia camicetta. «Quando ti ho vista venire verso di me in quel corridoio d'ospedale, credevo di avere le allucinazioni. E' stato come veder sorgere il sole dopo un mese ininterrotto di pioggia». Corruga le sopracciglia come se lui per primo fosse sorpreso delle parole che gli sono appena uscite di bocca. «Mi hai colpito. Non avrei dovuto aggredirti in quel modo, lo so, ma in quel momento l'unico pensiero che riuscivo a formulare era che dovevo baciarti. Dovevo baciarti, ad ogni costo, o l'avrei rimpianto a vita».

La sua espressione si fa assente. Guida la mia mano sul suo petto e la posiziona a sinistra, esattamente sopra al suo cuore. «Lo senti?» chiede, ed è ovviamente una domanda retorica perché è impossibile non avvertire i battiti frenetici di quel piccolo muscolo che pulsa sotto pelle.

Gli occhi di Eric si fanno più luminosi, brillano nella penombra come due diamanti. «Nemmeno io volevo che accadesse. Sono sempre bastato a me stesso, non ho mai avuto bisogno di nessuno. Le ragazze con cui sono stato in passato non contavano poi molto: sono stato sincero con loro fin dall'inizio, non le ho mai illuse». Tace per qualche istante e stringe forte la mia mano tra le sue. «Ma nessuna di loro … non ho mai desiderato nessuna come desidero te». Mi bacia le nocche, il metallo dei suoi piercing lascia una scia bruciante sulla mia pelle. «Ti sogno, ti penso in continuazione ... Ogni volta che chiudo gli occhi vedo il tuo viso, come se fosse inciso a fuoco dentro le mie palpebre. Anche prima, con Kelly … non è successo nulla. Cioè, ho provato a … insomma … », fa una smorfia e si gratta la guancia, «però non la vedevo nemmeno». Punta i suoi occhi d'argento nei miei. «Mi hai veramente abbagliato, mio piccolo raggio di sole».

Trattengo il fiato.
Tutto mi aspettavo, tranne una confessione del genere.

Il tono di Eric è deciso, ma anche tenero, e di certo non sta fingendo. Lavoro ogni giorno con i bambini, ormai sono ferrata nel riconoscere quando qualcuno mente.

E lui non lo sta facendo.
I suoi occhi comunicano tutte le emozioni che tenta di tenere nascoste dentro di sé. «Resta con me. Non andartene, Zelda».

Una lacrima fa capolino tra le mie ciglia.

Mi aggrappo ad Eric come se fosse la mia ancora, la mia unica speranza di salvezza in un oceano in tempesta. «Eric, noi … io … non posso. Apparteniamo a fazioni diverse. I nostri orizzonti, i nostri ideali sono … opposti». Faccio un sorriso amaro. «E poi … non ci conosciamo nemmeno. Tra noi c'è solamente una forte attrazione, niente di più. Non facciamone un dramma. Vedrai, ti scorderai in fretta di me».

Lui scuote la testa. «Sappiamo entrambi che non è vero». Il suo tono è sconfortato, abbattuto. Sa che ho ragione: non potrà mai esserci nulla tra noi.
Mi sento come se il mio cuore fosse sul punto di sbriciolarsi.

Devo andarmene da qui.

Lascio una carezza sulla guancia del Capofazione, mi imprimo i suoi lineamenti spigolosi nella memoria. «Non rendermi le cose ancora più difficili» mormoro, sfiorando il suo zigomo con il pollice. «Non cercarmi, non tentare di incontrarmi di nuovo. Questo è un addio, Eric».

Lo bacio con disperazione.
E' davvero possibile innamorarsi di una persona senza riserve, in così poco tempo?

Non lo so.
So solo che questo sentimento che sta nascendo in me è potente e pericoloso.
E devo soffocarlo prima che mi distrugga.

Eric non accenna a mollare la presa su di me. Mi abbraccia convulsamente, lo sento tremare. «No, mi rifiuto di … ».
Si interrompe per emettere un acuto gemito di dolore. Si porta una mano alla spalla e mi guarda rabbioso.

Ho fatto l'unica cosa che sapevo l'avrebbe costretto a lasciarmi andare: gli ho piantato le unghie nel braccio, proprio accanto alla ferita.

Con uno slancio laterale afferro la valigetta e corro verso la porta. La spalanco e vedo il profilo di Quattro stagliarsi in controluce nel tunnel.
Esito solo un istante.

Getto un'ultima occhiata all'Intrepido che ormai possiede il mio cuore.

«Addio, Eric».












- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Alt! Calma!
Mettete giù quei pomodori, la storia non è finita ;)
Chi mi conosce sa che detesto i finali tragici, quindi ... vi lascio con la suspence!! Muahahaha
Prossimo aggiornamento previsto per mercoledì!
Attendo come sempre i vostri commenti e vi aspetto nella mia pagina Facebook (
https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=bookmarks)

Grazie a chi ha recensito finora (risponderò al più presto a tutti)! ;)
Baci,
Lizz

p.s. nel prossimo capitolo, un Eric come non lo avete mai visto xD





 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Don't let the sun go down on me ***




 

Capitolo 3

 

- Don't let the sun go down on me -

 

 

 

 

The sun itself sees not till heaven clears

(W. Shakespeare)

 

 

(Un mese dopo)

 

 

Zelda

 

 

Appoggio i gomiti sul tavolo e osservo accigliata il mazzo di fiori collocato in un vaso di cristallo a poca distanza dal mio viso.
Gigli. Dei maledetti gigli dorati.

Faccio un lungo sospiro esasperato.
Prima le orchidee, poi le rose e adesso i gigli. Una cosa sola accomuna tutti i mazzi di fiori che mi sono stati recapitati al reparto da tre settimane a questa parte: i petali.

Tutti della stessa sfumatura dorata, color del sole.

Non è difficile intuire chi me li abbia donati.
Sento ancora la sua voce bisbigliarmi all'orecchio.

Mi hai veramente abbagliato, mio piccolo raggio di sole.

Quindi, dopo aver squadrato con disapprovazione i gigli per almeno cinque minuti, riservo loro la stessa sorte toccata ai mazzi che li hanno preceduti: li cestino senza alcuna pietà.

Un'infermiera che passa davanti alla mia scrivania proprio in quel momento mi fa l'occhiolino e sorride divertita. «Di nuovo l'ammiratore misterioso, Zelda?».
Annuisco con aria afflitta. Lei scoppia a ridere e mi fa un cenno di saluto prima di sparire dietro la doppia porta che conduce al reparto di chirurgia.

Ormai il mio corteggiatore segreto ed io siamo famosi. Nell'ospedale mi indicano tutti quando mi vedono passare: sono diventata una specie di celebrità.
E io odio stare al centro dell'attenzione.

Ho sentito i commenti più svariati: tutti cercano di risolvere il mistero e di svelare l'identità del mio ammiratore. L'unico vero indizio consiste nel biglietto scritto a mano infilato al centro di ogni composizione floreale.
Nessun nome, solo quattro parole vergate in una calligrafia sottile, verticale e appuntita.

Mio raggio di sole.

Ho rivelato questo piccolo particolare soltanto ai miei familiari, per prevenire altri pettegolezzi. Mio padre non si è scomposto più di tanto: ha solo ribadito che per qualsiasi problema posso contare su di lui.
Quanto vorrei che i miei fratelli avessero ereditato anche solo una milionesima parte della sua discrezione. Loro non mi hanno dato tregua un solo istante dalla prima comparsa dei fiori. I loro commenti sarcastici mi ronzano ancora nelle orecchie.

Ma chi è quel pazzo che spende soldi per te?”.

Clark non si smentisce mai.

Raggio di sole? Pure poetico, il tizio”.

L'ironia di Jarod è più pungente di una lama affilata.

D'ora in poi ti terrò sotto stretta sorveglianza. Potrebbe trattarsi di un maniaco”.

Alfred, paranoico per natura.

L'unico che si è astenuto dalle prese in giro è Damien. Ha guardato i fiori di sfuggita, limitandosi a sorridere con l'aria di chi la sa lunga.
La sua mancanza di reazione non mi ha sorpreso. Lui era con me quando sono uscita quasi in lacrime dalla stanza di Eric. Avrà collegato le due cose, è sempre stato il più intuitivo della famiglia. Fortunatamente, da ragazzo saggio qual è, ha tenuto i dettagli per sé.
Gliene sono grata.

Butto un'occhiata alle foglie dei gigli che sbucano dal sacco della spazzatura e mi copro il viso con le mani.
Una persecuzione. Ecco cos'è.

Gli avevo intimato di sparire per sempre dalla mia vita. Mi sembrava di essere stata chiara. E di certo non l'avevo fatto per farlo soffrire.

Era semplicemente la soluzione migliore per entrambi. Lui è un Capofazione, io una semplice studentessa … anche se avessi accettato di rimanere nella sua fazione, che ne sarebbe stato di me?

Io, tra gli Intrepidi? Ma stiamo scherzando?

D'accordo, da alcuni anni è stata approvata una legge che consente il trasferimento da una fazione all'altra senza problemi. Ma una volta presa la decisione, l'effetto è immediato e definitivo. Non si può tornare indietro.
Quella norma, approvata e sottoscritta da tutti i Capifazione della città, dà una seconda possibilità di Scelta. A sedici anni, si sa, nessuno ha le idee chiare su cosa vorrebbe diventare, su quale strada intraprendere.

Sollevo le sopracciglia di scatto.
Beh, in verità, io sì.

Volevo studiare, diplomarmi e, successivamente, laurearmi in medicina.
E lo voglio tutt'ora.
Con la stessa intensità con cui voglio Eric.

Mi sfugge un lamento. Le due cose sono inconciliabili.
Eric non prenderebbe nemmeno in considerazione l'idea di cambiare fazione. È un leader, non getterebbe mai al vento un incarico del genere, tutto quel potere. E poi, la residenza sotterranea degli Intrepidi, piena di pistole e coltelli, è il suo habitat naturale.

Quindi, in conclusione, quella che dovrebbe trasferirsi sarei io.
Io, che devo ancora terminare il primo anno di università. Certo, una volta conclusi gli studi potrei tranquillamente esercitare la mia professione in qualsiasi fazione...

Ma lui sarebbe disposto ad aspettarmi?

Mi sporgo in avanti e affondo la testa tra le braccia conserte. Mi sto perdendo in mille congetture, in mille fantasie che non si realizzeranno mai.
E' solo un'attrazione momentanea, mi ripeto. Punto e stop.

Non può trattarsi di amore vero, non ci conosciamo nemmeno, santo cielo! Non ho mai creduto ai colpi di fulmine, quindi non vedo proprio perché ora …

«Ciao, raggio di sole».

Vi prego, ditemi che ho solo immaginato quella voce terribilmente familiare.

Alzo il capo di pochi millimetri, per sbirciare cautamente tra le pieghe del camice.
No, nessun errore.

È proprio il mio persecutore, in carne e ossa. E muscoli. Tanti muscoli.

Eric torreggia su di me, un sorrisetto impertinente sul volto. I suoi occhi saettano da me al cestino di fianco al tavolo. Fa una smorfia e si massaggia la mascella, con aria meditabonda. «Mmm. Devo interpretarlo come un no?». Nel suo tono roco percepisco una vena di sarcasmo.

Mi metto dritta sulla sedia, ostentando indifferenza. «E di grazia, qual era la domanda?».

Eric sfoggia il suo celebre ghigno arrogante. Punta entrambi i palmi sul tavolo e avvicina pericolosamente il viso al mio.
Vorrei ritrarmi, ma sono paralizzata. Completamente in balia del suo sguardo d'acciaio.

«C'è una cosa che devi sapere di me: sono dannatamente testardo. Quando mi fisso su qualcosa, non c'è verso di farmi cambiare idea. Sono disposto a tutto pur di raggiungere i miei obiettivi, a usare qualsiasi mezzo per ottenere ciò che voglio». Il suo sorrisetto vacilla per un attimo. «Non sarà certo un rifiuto a farmi desistere».

Mi passo le dita tra i capelli e chiudo gli occhi per ritrovare un briciolo di lucidità. «Eric, te l'ho già detto. Quello che proviamo l'uno per l'altra è semplice attrazione fisica. Non facciamone una tragedia, cerchiamo di pensare razionalmente. Col tempo … ».

«Stronzate!» ringhia, facendomi sobbalzare. «Non ti azzardare a dire che passerà. E non osare nemmeno dirmi cosa dovrei o non dovrei provare per te!». Con due falcate ha fatto il giro della scrivania e si è piazzato di fronte a me. Mi prende il viso tra le mani, obbligandomi a guardarlo dritto negli occhi. «Non trattarmi come se fossi stupido. E fammi un favore: smettila di negare l'evidenza».
Chiudo le palpebre quando appoggia le labbra sulla mia fronte. «Ho riflettuto. Ci ho pensato e ripensato tutti i giorni, da quando ti ho vista l'ultima volta. E non è cambiato assolutamente nulla». Fa un sospiro secco. «Credevo di impazzire. Non facevo che chiedermi dove fossi, cosa stessi facendo, ma soprattutto con chi fossi». Si blocca e torna a fissarmi. «Anche questa notte non ho fatto altro che pensare a te».

Lo dice in tono burbero, suona come un'accusa. E mi fa sorridere. «Sai, se avessi pronunciato la stessa frase in modo diverso saresti potuto apparire quasi romantico» lo punzecchio, mentre faccio scivolare le mani sul suo torace.

Lui rimane spiazzato, forse non si aspettava che cedessi così in fretta. Probabilmente era convinto di dover insistere per ore, fino a portarmi a cedere per l'esasperazione.

Mi addolcisco all'istante: i muri che avevo eretto per tenerlo a distanza crollano uno dopo l'altro.
La sua sincerità è disarmante.

Eric accenna un sorriso. «Non ho intenzione di continuare così, un mese è stato più che sufficiente». Il suo sguardo si accende. «Ti voglio, va bene? Voglio vederti, voglio toccarti, voglio sentirti vicina. E se pensi che il mio scopo sia portarti a letto per poi scaricarti, sei una povera illusa. Non ti libererai tanto facilmente di me, Zelda Blackburn».

Il suo tono intimidatorio è quasi comico.
Non ha bisogno di convincermi perché mi tiene in pugno.

E' bastato un suo sguardo a rubarmi il cuore.

Intreccio le dita alle sue e gli lancio un'occhiata maliziosa da sotto le ciglia. «Cos'è, una minaccia?».

Eric ride piano tra sé. «No», soffia sulle mie labbra. «E' una promessa».













- - - - - - - - - - - - - - - - - -

Ecco qui l'ultimo capitolo della storia!!

Che ne pensate? Vi è piaciuto Eric in versione corteggiatore insistente? xD
Forse in futuro posterò un capitolo extra, con qualche episodio della loro vita insieme...ma è ancora da decidere ;)
Aspetto i vostri commenti ... miei piccoli raggi di sole.
Baci,
Lizz

p.s. il titolo del capitolo si rifà all'omonima canzone di George Michael ;)


 

 

 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** EXTRA - Brighter than the sun ***


 Extra

- Brighter than the sun -



 


 

Oh, this is how it starts, lightning strikes the heart
It goes off like a gun, brighter than the sun
Oh, we could be the stars, falling from the sky
Shining how we want, brighter than the sun


(Colbie Caillat)

 

 

 

 

Eric

 

La folla di studenti che esce dall'università è decisamente monocromatica.

I miei occhi si perdono in quel mare blu e bianco, saettando da una persona all'altra, alla ricerca di una ragazza in particolare. Non appena la individuo, il mio corpo si tende automaticamente in avanti, come se non potesse resistere un secondo di più lontano da lei.
Con un sospiro che sa di sconfitta, incrocio le braccia e appoggio la schiena al muro che delimita il confine del parco, poco distante dai cancelli dell'ateneo.

Sono trascorsi quasi tre anni dal nostro primo incontro, eppure ogni volta che la vedo provo le stesse emozioni di quando l'ho osservata avanzare verso di me in quel corridoio d'ospedale.
Eccitazione, sorpresa, confusione.

È questo l'effetto che Zelda Blackburn ha su di me. La cosa ancora più strana è che la sua influenza aumenta di giorno in giorno, invece di diminuire. Ormai mi ritrovo a cercarla sempre più spesso, arrivo perfino a spostare i miei turni con quelli di James pur di rimanere con lei il più a lungo possibile.

Un ridicolo bamboccio innamorato, ecco cosa sono diventato.

Seguo con lo sguardo la chioma corvina che si sta facendo largo tra la marea di gente che sgomita per uscire dai cancelli.
Zelda indossa una gonna azzurra che le arriva appena sopra al ginocchio e una camicetta bianca aderente, abbottonata fino al collo. Tra le braccia stringe la giacca blu notte della divisa e alcuni volumi consunti, dall'aspetto pesante.

Rimango immobile a fissarla, mentre chiacchiera con un gruppetto di ragazze. Ride a qualche battuta, si passa una mano tra i capelli, tira una gomitata scherzosa ad una delle amiche.

È bellissima. Ed è mia, aggiungo mentalmente nel scorgere le occhiate insistenti che le lanciano i ragazzi nel passarle accanto. Alcuni tentano di attirare la sua attenzione scoccandole dei sorrisi provocanti, ma lei continua a discutere e gesticolare come se niente fosse. Non li degna di uno sguardo, non li calcola nemmeno.

Raddrizzo la schiena e rispondo con un sorriso di sfida agli sguardi stupiti e intimoriti degli studenti che mi vengono incontro: la maggior parte si sofferma più sulla pistola appesa alla mia cintura o sui miei abiti color della notte, che sul mio volto.
Di sicuro si stanno chiedendo cosa ci fa un Capofazione Intrepido nel quartiere degli Eruditi, di giorno e senza scorta. Il sorriso da predatore che si forma sulle mie labbra fa letteralmente scappare il gruppetto di universitari occhialuti che si era fermato a fissarmi a bocca aperta.

Ho in mente una bella sorpresa per la mia ragazza.

Tento di riprendere la mia solita aria composta e imperturbabile. Non ottengo il risultato sperato: il mio sorriso diventa sempre più ampio man mano che Zelda avanza verso di me. Sono talmente concentrato su di lei che mi accorgo con qualche secondo di ritardo che qualcuno mi sta rivolgendo la parola.

«Buongiorno, Eric» mi saluta Alicia, con un lieve cenno del capo.

Ha le braccia cariche di libri da cui spuntano foglietti e post-it colorati e una borsa a tracolla. Si scosta i capelli dalla faccia con uno sbuffo e mi sorride furbescamente. «Zelda non mi aveva detto che saresti venuto. Le stai facendo una sorpresa? Che carino».

Alzo gli occhi al cielo. Questa biondina tutto pepe, oltre ad essere la migliore amica della mia ragazza, è anche la persona più vivace e cocciuta che mi sia mai capitato di incontrare. Non si lascia intimidire facilmente, nemmeno da una delle mie occhiatacce che fanno indietreggiare anche il più agguerrito degli Intrepidi. Lei e Zelda si assomigliano, da questo punto di vista.

«Ti avverto, Alicia» le intimo, inchiodandola con uno sguardo truce. «Definiscimi un'altra volta 'carino' e io ti ...».

Lei mi interrompe a metà frase facendo un gesto con la mano, come se stesse scacciando una zanzara molesta. «Sì, sì, d'accordo. Niente smancerie, né paroline dolci. Ho afferrato il concetto». Si sporge verso di me, gli occhi che luccicano. «Allora, che mi dici del tuo amico? Gli hai parlato di me come ti avevo chiesto? Dimmi di sì!».

La mia espressione bellicosa non sortisce l'effetto sperato perché continua a tartassarmi di domande finché non cedo. Questo è uno dei momenti in cui capisco perché lei e Zelda vanno così d'accordo. Sono entrambe esasperanti all'ennesima potenza, ma è impossibile resistere al loro fascino.

Alicia saltella da un piede all'altro, guardandomi con gli occhi spalancati e imploranti. Scommetto che se non avesse le braccia occupate si sarebbe già aggrappata alle mie spalle per scuotermi. Non posso trattenere un ghigno divertito. «Te l'avevo promesso, no?» replico, in tono severo. «Tieni» Prendo dalla tasca un biglietto ripiegato in quattro e glielo porgo.

Lei quasi me lo strappa di mano. Sostiene i libri con un solo braccio e si porta il foglietto al petto come se fosse un tesoro di inestimabile valore. «Non so come ringraziarti» cinguetta, accennando una mezza piroetta. La guardo come se fosse un Pacifico intento a propormi di ballare il girotondo con una corona di fiori in testa. «Grazie, grazie, grazie! Sei il migliore! Se non fossi tu, probabilmente ti abbraccerei!».

Inarco un sopracciglio. «Tu provaci e io ti … ».

Anche questa minaccia cade a vuoto. Alicia mi blocca di nuovo prima che possa concluderla. «E' inutile che provi a spaventarmi, tanto non mi fai paura. E poi sono troppo felice! Grazie, Eric. Sapevo che sarebbe tornato utile avere un Intrepido come amico! Finalmente potrò chiedere a William di uscire!».

Sto per chiarire che noi due siamo ben lontani dall'essere amici, quando avverto un profumo familiare che mi fa perdere il filo del discorso. Non sento più la voce eccitata di Alicia, né il chiacchiericcio degli studenti che mi superano diretti verso il parco. I miei sensi si focalizzano interamente sulla ragazza immobile ad un metro da me.

«Eric?».

Zelda batte le palpebre e rimane a fissarmi come se avesse visto un fantasma. Le sue amiche non sono da meno: alcune sgranano gli occhi alla vista dei miei tatuaggi, mentre le altre si scambiano occhiate perplesse.

Non posso dar loro torto: non sono in molti a sapere che Zelda ed io ci frequentiamo, abbiamo fatto molta attenzione in questi anni. Di solito ci incontriamo al parco, o in camera sua. Sono diventato molto bravo ad arrampicarmi senza fare il minimo rumore.

Ora però è arrivato il momento di far sapere a tutti che stiamo insieme.
Sono stanco di nascondermi.

Perciò le vado incontro e le tolgo i libri di mano, come farebbe ogni bravo fidanzato. «Ciao, piccola» mormoro, sfiorandole la guancia con le labbra. «Com'è andato l'esame?».

Zelda pare a corto di parole, ma Alicia si affretta a correre in suo soccorso. «Ha preso il massimo, ovviamente» esclama, dandole di gomito. Poi richiama l'attenzione del gruppetto di Erudite che mi stanno ancora fissando basite. «Cosa sono quelle facce? Non avete mai visto un Intrepido? Avanti, lasciamo soli i due piccioncini».

Detto questo, ficca i libri nella tracolla e prende a braccetto le compagne, trascinandole in direzione della fermata dell'autobus. Alcune si voltano per lanciarci rapidi sguardi dubbiosi finché non spariscono dietro ad una fitta siepe.

Zelda mi si avvicina, esitante, come se si aspettasse di vedermi svanire nel nulla da un istante all'altro. «Io … non me l'aspettavo. Cosa ci fai qui?».

Mi acciglio leggermente. «Volevo solo farti una sorpresa. Ma forse non è stata una grande idea, vista la tua reazione».

Per tutta risposta, lei mi circonda la vita con le braccia. La sento sospirare, col viso appoggiato al mio petto. «Non dire assurdità. Sono felice di vederti». Strofina la guancia sulla mia maglia e fa un altro respiro profondo. «Lo sai che hai un profumo buonissimo?».

«E' inutile che provi a distrarmi. Sono ancora arrabbiato per la tua gelida accoglienza» borbotto, ma mi smentisco subito, visto che il mio tono offeso risulta falso anche alle mie stesse orecchie. Le passo il braccio libero dai libri attorno ai fianchi e lei ridacchia.

«Scusa, davvero. È che mi sembrava che avessimo stabilito di non farci vedere assieme in pubblico prima di aver … ». Si blocca e si stacca da me per incrociare i miei occhi. «Oh no», dice soltanto, e nella sua voce si avverte chiaramente una nota di panico.

«Oh sì» ribatto con un ghigno, godendomi la sua espressione frastornata. «Sono stato invitato a cena da tuo fratello in persona. Ed era evidente che non avrebbe accettato rifiuti».

Zelda mugugna qualcosa di molto simile ad un'imprecazione prima di nascondere il viso nell'incavo del mio braccio. «E sentiamo. Quale dei miei quattro adorati fratelli ha avuto questo spirito d'iniziativa?».

Il tono acido con cui pronuncia la parola 'adorati' mi fa scoppiare a ridere. Zelda può fingere di prendersela quanto vuole, ma sappiamo entrambi che non riesce a restare arrabbiata con i suoi fratelli per più di un minuto. La trattano come una principessa, sarebbero disposti a difenderla da chiunque e, cosa più importante, hanno tenuto la bocca chiusa sulle nostre scappatelle per tutto questo tempo senza pretendere nulla in cambio.

«Non pensavo che Damien fosse così coraggioso» ammetto, mentre, ancora abbracciati, iniziamo a camminare, diretti verso il bosco di tigli che si scorge all'orizzonte. «Si è presentato davanti alla Residenza ed è rimasto lì fermo a braccia incrociate finché Max non si è impietosito e l'ha fatto entrare».
Evito di specificare che l'abbiamo lasciato fuori per circa due ore, in piedi, sotto il cocente sole di luglio. Zelda non sopporta il modo d'agire degli Intrepidi e diventa una belva se solo qualcuno di noi osa torcere un capello a Damien, che è indubbiamente il suo fratello preferito. «Ha detto che è stufo di coprirci e che si aspetta che, dopo tre anni, mettiamo la testa a posto e facciamo le cose come si deve». Giro la testa di lato per guardarla. I raggi rossicci del tramonto le sfiorano i capelli e rendono i suoi occhi brillanti come cristalli d'ambra. «E a dirla tutta, anche mia madre vorrebbe conoscerti», concludo, facendo spallucce.

Zelda sussulta. «Le hai parlato di me?» chiede, esterrefatta.

Il mio sorriso colpevole la fa agitare ancora di più. «Sai che abbiamo riallacciato i rapporti da poco. Mia madre mi riempie di domande ogni volta che vado a trovarli. La settimana scorsa si è perfino messa in testa di presentarmi una ragazza! Non potevo continuare a mentire, quindi ho fatto il tuo nome». Sorrido, nel ricordare l'espressione raggiante di mia madre e quella stranamente compiaciuta di mio padre.

Zelda mi lancia un'occhiata penetrante. «Non ho nulla in contrario. Anzi, mi fa molto piacere che tu voglia presentarmi alla tua famiglia. Il problema è la mia, di famiglia» sbotta, a denti stretti. «Ho paura che ti facciano scappare a gambe levate».

Aumento la stretta attorno ai suoi fianchi. «Dimentichi chi sono. Io non scappo mai, di certo non davanti ad un gruppetto di innocui Eruditi».

«Innocui?!» strilla lei, la voce resa acuta dall'ansia. «Fidati, i miei famigliari sono tutt'altro che innocui. Oltre ad essere iperprotettivi, sono anche programmati per odiare qualunque maschio si azzardi a starmi troppo vicino». Rabbrividisce leggermente. «Ho portato solo un ragazzo a cena a casa mia e non è durato nemmeno fino al dolce. Non voglio che succeda anche con te».

Mi fermo in mezzo al sentiero di ghiaia che si inoltra nel bosco e lascio cadere i libri a terra, ignorando le proteste di Zelda.
Le afferro il mento, obbligandola a guardarmi negli occhi. «Senti, non importa quanto tentino di mettermi in imbarazzo o mi offendano. Non è per loro che lo faccio, ma per noi. Non possiamo continuare a vederci in segreto. Prima o poi dovremo affrontare il problema delle presentazioni ufficiali».

Zelda apre bocca, probabilmente per contraddirmi, ma non gliene lascio il tempo. Premo le labbra sulle sue e, come ogni volta, mi sorprendo di quanto questo semplice contatto riesca a farmi perdere il contatto col mondo che mi circonda.
Esiste solo Zelda, il suo corpo premuto contro il mio, i suoi capelli intrecciati tra le mie dita, i troppi strati di vestiti che mi impediscono di toccare la sua pelle morbida.

«Sei sleale» mormora lei quando separo la bocca dalla sua per posarla sul suo collo. Le bacio la pelle dietro l'orecchio, godendomi i suoi gemiti di piacere.
«Ormai dovresti aver capito che non gioco mai secondo le regole» ribatto, mentre con una mano sfilo i primi bottoni della sua camicetta. Scosto il colletto immacolato per baciarle l'incavo della gola.

Zelda mi asseconda, gettando la testa all'indietro. Ha gli occhi chiusi e il respiro accelerato. Sento le pulsazioni del suo cuore sotto la lingua. «Eric, stiamo dando spettacolo» mi ammonisce, anche se non accenna a mollare la presa sui miei fianchi.

Allargo la stoffa della camicia fino a scoprire un altro pezzo di pelle. «Tranquilla. Non c'è nessuno». Passo la lingua sulla sua clavicola e lei infila le mani sotto la mia maglia, accarezzandomi la schiena con i polpastrelli.

«A dire il vero, qualcuno c'è» tuona una voce per niente amichevole alle nostre spalle.

Nell'udirla, Zelda cerca di farsi piccola piccola tra le mie braccia.
Le passo le dita tra i capelli per rassicurarla e volto appena il capo per guardare in faccia colui che ha osato disturbarci.

Damien ci fissa con disapprovazione, gli occhi ridotti a fessura e le sopracciglia aggrottate. «Mi dispiace interrompere l'idillio, ma ci tengo a farvi presente che siamo in un luogo pubblico» dice, ostentando un tono saccente e ironico. «Per quello che avete in mente di fare, forse sarebbe meglio affittare una camera».

Zelda, rossa in volto, si stacca da me quanto basta per fulminare il fratello con un'occhiataccia. «Lo terremo presente, grazie» replica, facendogli concorrenza in quanto a sarcasmo.

Damien affonda le mani nelle tasche della giacca e mi squadra da capo a piedi. «Non avrai intenzione di presentarti a cena vestito così, vero?» domanda, accennando alla fondina della pistola e al mio gilet di pelle.

Zelda si china per raccogliere i libri che avevo lasciato cadere, per poi gettarli di malagrazia tra le braccia del fratello. «Eric sta benissimo così. Non cambierà certo per far piacere a te» dichiara in tono risoluto, fronteggiandolo con aria battagliera.

Damien non cede di un millimetro. «Rischiamo di far fare un infarto a nostro padre».

«Tu sei un cardiochirurgo, lo rimetterai in sesto in men che non si dica».

«Zelda, sii ragionevole…».

«Eric è il mio ragazzo. A me piace così com'è. Non gli chiederò mai di fingere di essere una persona diversa di fronte alla mia famiglia!».

Mi decido ad intervenire prima che la situazione precipiti. Poso una mano sulla schiena di Zelda per invitarla a calmarsi. «Non c'è problema, piccola» le soffio all'orecchio. Poi alzo la voce per farmi udire anche dall'altro Erudito. «Damien non ha tutti i torti. Voglio dare una buona impressione a vostro padre».

I due Blackburn si scambiano un'occhiata fiammeggiante, ma alla fine è Zelda ad uscirne sconfitta. «Va bene. Andiamo a casa, adesso. Damien ti presterà qualcosa da indossare» bofonchia, a denti stretti.
Mi prende a braccetto e camminiamo in silenzio fino al cancello della villa, seguiti a poca distanza da Damien.

E' la prima volta che entro nella proprietà dei Blackburn in maniera ufficiale. Di solito attendo il crepuscolo per infiltrarmi dal cancelletto sul retro e poi scalare il pergolato fino al balcone su cui si affaccia la camera di Zelda. Ormai so perfettamente quando andarla a trovare senza correre rischi, tra i quali quello di imbattermi in qualcuno dei suoi famigliari.

Damien ci precede e ci fa strada nell'atrio luminoso, dove i mobili di solido mogano si intonano perfettamente al colore dorato della tappezzeria e alle stampe color pergamena appese alle pareti.

Zelda mi guida in soggiorno e mi invita ad accomodarmi, mentre Damien torna dalla cucina con due vassoi, uno su ciascun braccio, su cui sono appoggiate alcune birre, delle lattine di succhi di frutta e stuzzichini vari. «Non conosco i tuoi gusti, quindi se preferisci qualcos'altro non farti problemi a chiedere». Mi piazza davanti un bicchiere e adagia i vassoi sul tavolino di vetro di fronte al divano su cui sono seduto.

Mi sento un po' a disagio. Non sono abituato a questi modi cortesi, tipici degli Eruditi. Mi pare strano non udire parolacce e insulti scherzosi inseriti qua e là nella conversazione. Ringrazio Damien con un cenno e afferro una delle birre.
Incredibilmente, Zelda mi imita. Suo fratello ed io le lanciamo la medesima occhiata sconvolta.

Lei ci ignora. Prima di appoggiare le labbra al collo della bottiglia, alza la birra verso di noi come se volesse invitarci a brindare. «Scusate, ma temo di aver bisogno di un po' di alcol per sopravvivere alle prossime ore» proclama, e, sotto lo sguardo incredulo di Damien, beve un lungo sorso di birra.

È la prima volta che la vedo bere qualcosa che non sia strettamente analcolico. Devo ammettere che trovo la cosa estremamente eccitante: in questo momento assomiglia più ad un'Intrepida che ad una di quelle Erudite occhialute che stazionano perennemente in biblioteca.
Non posso far altro che approvare questo gesto di ribellione.

Damien non sembra pensarla allo stesso modo, perché continua a scuotere la testa come se cercasse di dimenticare la scena a cui ha appena assistito. Prima di imboccare le scale che conducono al piano di sopra, mi punta un dito contro. «Stai avendo una pessima influenza su di lei» mi accusa, sorridendo suo malgrado.

Mi stringo nelle spalle, tenendo gli occhi fissi sulla mia ragazza, che ha finito di bere e si sta mordendo il labbro inferiore con aria pensierosa. Si siede sul bracciolo del divano e accavalla le gambe. «Sei ancora in tempo per dartela a gambe» sussurra con fare cospiratorio, dandomi un colpetto col gomito.

Protendo un braccio e la tiro verso di me, facendola accomodare sulle mie ginocchia. «Zelda, in che lingua devo dirtelo? Io voglio conoscere la tua famiglia».

«Allora sei più pazzo di quanto credessi» bofonchia lei, con la testa sulla mia spalla. «Mio padre ti sommergerà di domande indiscrete e i miei fratelli gli daranno man forte. Faranno di tutto per metterti a disagio».

«Non sono certo il tipo che si lascia intimidire» affermo, muovendo il palmo della mano su e giù lungo la sua schiena. So come farla rilassare, conosco a memoria il suo corpo e i suoi punti sensibili. Zelda si accoccola meglio contro di me, dalla gola le esce un mormorio d'apprezzamento. «E dubito che riescano a mettermi in imbarazzo. Se non c'è riuscito James in tutti questi anni, nessun altro può sperare di batterlo, o fare di meglio. O peggio, dipende dai punti di vista».

Lei ridacchia. «Devo ancora capire perché te la prendi sempre con James. A me sta simpatico. È divertente e mi fa sempre un sacco di complimenti».

«Ecco, questa è una delle cose che non sopporto di lui. Deve piantarla di provarci con la mia ragazza».

Zelda mi bacia una guancia. «Tanto è solo fatica sprecata. Tu sei mille volte più affascinante. E hai anche più muscoli».

Inarco ironicamente un sopracciglio. «Sono contento che tu mi voglia solo per il mio corpo. La mia attività cerebrale non rientra nella lista delle cose che ti piacciono di me?».

«Di quale attività cerebrale stai parlando?» domanda Zelda, con un'espressione esageratamente confusa e innocente.

Sorrido, mettendo bene in mostra i denti. «Questo non lo dovevi dire, piccola».

Con una rapida mossa, la getto di schiena sul divano e porto le mani ai lati del suo viso per sovrastarla col mio corpo senza pesarle addosso.
Lei ride. È la prima vera risata che riesco a strapparle da quando le ho esposto il programma della serata. Mi ritengo soddisfatto.

La bacio senza fretta, giocando con le sue labbra finché lei non mi circonda il collo con le braccia per approfondire il contatto. Mi passa le dita tra i capelli e allarga le ginocchia per invitarmi a stendermi completamente su di lei. Le sollevo la gonna sulle cosce e sto quasi per slacciare del tutto la camicetta, quando le mie orecchie captano un rumore che non ha niente a che fare con i nostri gemiti e con il fruscio dei nostri corpi che strusciano uno sull'altro.

Quello che ho sentito era il rumore di una porta che sbatteva …

«Mio Dio, che schifo».

… e questa è l'unica voce che speravo di non udire fino all'ora di cena.

Sollevo il viso dal collo di Zelda per affrontare il Blackburn che mi intimidisce più di tutti. Non il capofamiglia, bensì il maggiore dei figli.
Alfred.

Non so perché, ma in sua presenza mi sento sempre fragile e inadeguato. I suoi occhi sono la cosa che più mi inquieta: quelli di Zelda sono rassicuranti e dolci, mentre quelli di Alfred, della stessa identica sfumatura, riescono a trasmettere una sensazione di gelo nonostante il colore caldo dell'iride. Ed è sempre stato così, fin dalla prima volta che l'ho incontrato.

Tuttavia non intendo fargli capire quanto mi costi continuare a fissarlo dritto in faccia.
Rimaniamo immobili a scambiarci sguardi di sfida finché lui non fa un sorriso storto e porta le mani ai fianchi. «Mi avete fatto passare l'appetito» commenta, arricciando il naso. «Dove diamine si è cacciato Damien? Gli avevo detto di controllarvi, sapevo che sarebbe andata a finire così». Chiama il fratello a gran voce.

Dal piano di sopra proviene una risposta svogliata. «Non rompere, Al. Mi sto facendo la doccia».

Il sorriso di Alfred diventa malefico. «Vieni, presto! Lo stanno facendo sul divano!» strilla, con lo stesso tono orripilato di una ragazzina finita per sbaglio su una spiaggia frequentata esclusivamente da nudisti.

Zelda gli rifila un'occhiata stizzita e richiude in fretta i bottoni che ero riuscito a sfilare dalle asole. «Alfred, sei un idiota» sibila.

Da sopra le nostre teste giunge una fantasiosa sequela di imprecazioni. Due secondi dopo, Damien scende a perdifiato le rampe di scale e piomba in soggiorno come una furia, con solo i boxer addosso. I suoi occhi verdi saettano esasperati da me a Zelda. «Voi due!» ruggisce. «Vi voglio almeno ad un metro di distanza fino a stasera. Mi aspettavo più buonsenso da te, sorellina. Pensa se invece di Alfred fosse entrato nostro padre!».

Zelda si alza di scatto dal divano, i pugni stretti lungo i fianchi. «Non accetto la predica da uno che si presenta davanti ad un ospite in mutande!» esclama, facendo avvampare il fratello. Poi si rivolge ad Alfred, che se ne sta placidamente appoggiato al muro con un sorriso sornione sulle labbra. «E nemmeno da te, che non ti sei mai fatto problemi ad amoreggiare con qualche svampita in nostra presenza!».

Alfred alza le mani in segno di resa. «Calmiamoci tutti, okay?». Attende qualche istante prima di continuare. Forse si aspettava che protestassimo, ma sia io che gli altri Blackburn rimaniamo in silenzio. «Bene. Allora, mancano due ore alla fatidica cena» ci fa presente, mentre la sua espressione viene attraversata da un lampo di puro divertimento. «Ora, sappiamo tutti che l'unico su cui devi far colpo è nostro padre» dichiara, guardandomi fisso. «Zelda ti adora già, Damien ti sopporta ed io … beh, diciamo che ti tollero».

«Detto da lui è una grande dimostrazione d'affetto» si affretta a specificare Zelda, che ha perso l'aria aggressiva e osserva il fratello con gratitudine.

Alfred si stringe nelle spalle. «Poteva andarci peggio. Almeno non è uno di quegli idioti che si divertono a scatenare risse nei bar, o un Pacifico che passa l'intera giornata a ballare nei campi».

«Non esagerare con i complimenti, o mi farai arrossire» commento a mezza voce, mentre mi alzo a mia volta dal divano per fronteggiare i due fratelli, di parecchi centimetri più bassi di me.

Damien si schiarisce la voce. «Jarod e Clark non ti conoscono, ma loro non sono un problema. E' sufficiente un'occhiata di Zelda per metterli in riga». Rivolge un sorrisetto alla sorella che ammicca in risposta. «Per quanto riguarda nostro padre, non c'è molto da dire. Lo avrai visto girare per l'ospedale, no? Quindi sai che è il classico Erudito che non vede di buon occhio i trasfazione».

Zelda fa per dire qualcosa, ma lo sguardo severo di Damien la fa desistere. «Lo sai che è vero. Eric ha lasciato la nostra fazione: anche se ora è un leader, agli occhi di nostro padre rimane comunque un trasfazione. Te lo dico per aiutarti a prepararti, insisterà parecchio su questo punto».

Incrocio le braccia e alzo il mento in segno di sfida. «Saprò cavarmela».

Alfred approva con un cenno del capo. «Questo è l'atteggiamento giusto. Adesso dividiamoci i compiti» annuncia, sfregandosi le mani come se stesse esponendo un piano d'assalto. «Mentre io preparo la cena, voi pensate a rendervi presentabili». Indugia con gli occhi sulle gambe nude di Damien, sulla gonna stropicciata di Zelda e sui miei stivali borchiati. «Damien ti troverà qualcosa da indossare. Clark è il più robusto di noi, dovreste avere più o meno la stessa taglia». Ci fa segno di sbrigarci prima di sparire in cucina.

Mentre saliamo la scalinata che porta alle camere da letto, mi avvicino a Zelda per bisbigliarle all'orecchio: «Credi sia saggio fidarsi della cucina di Alfred?».

Lei sorride. «Ma certo. Il risotto al cianuro è il suo piatto forte. Per non parlare della zuppa al vetriolo». Quando nota la mia espressione atterrita, il suo sorriso si allarga. «Tranquillo, l'importante è che non vai a raccontare in giro che adora stare ai fornelli. In quel caso sì che dovresti temere un tentativo di avvelenamento. Alfred è estremamente vendicativo».

«Lo terrò a mente» mormoro, non del tutto rassicurato dalle sue parole.

Damien mi tiene aperta la porta del bagno. «Vado ad ispezionare l'armadio di Clark. Ti conviene approfittare dell'assenza dei miei fratelli per farti una doccia».

Mi viene spontaneo provocarlo. «Solo se Zelda la fa con me» dico, abbracciando la diretta interessata e scoccandole un languido bacio, a cui lei risponde senza farsi pregare.

Damien alza gli occhi al cielo. «Mi spiace deluderti, ma Zelda ha il privilegio di avere un bagno tutto per sé». Vedendo che non accenniamo a staccarci, ci divide a forza e spedisce la sorella nella sua stanza. «Tenete a cuccia gli ormoni, altrimenti mi vedrò costretto a chiudervi a chiave in due camere separate».

Zelda mi manda un bacio prima di barricarsi nella propria stanza. Damien aspetta di vedermi entrare nel bagno, per poi imboccare una scala in fondo al corridoio che di sicuro conduce in soffitta.

Mi faccio una doccia rapida e, dopo aver raccolto i miei vestiti, esco dal bagno con un asciugamano avvolto attorno ai fianchi. Sono tentato di fare irruzione nella camera di Zelda, tanto per indispettire Damien, ma l'Erudito in questione mi sta già piantonando appoggiato allo stipite della porta posta accanto a quella della sorella.
Nel tempo che ho impiegato a lavarmi, lui si è vestito di tutto punto: ha perfino i gemelli in bella mostra sui polsini della camicia e i capelli ordinati, pettinati all'indietro.

Probabilmente intuisce le mie vere intenzioni, perché scuote la testa con aria ironica. «Niente da fare. Scordati di Zelda per la prossima mezz'ora». Mi precede in quella che presumo sia la sua stanza e mi indica i vestiti appesi sulla poltrona vicina al letto. «Forse ti staranno un po' stretti. Provali. Io vado a cercare una cravatta decente in camera di Jarod» bofonchia tra sé, prima di sparire di nuovo in corridoio.

Butto l'asciugamano sul letto e infilo in fretta un paio di boxer neri. Almeno qualcosa del mio colore preferito. Osservo con cipiglio assassino la camicia bianca e il completo blu scuro a poca distanza da me. Con un sospiro rassegnato, mi accingo ad indossare i pantaloni con la riga laterale.

Cosa non si fa per amore.

Non avrei mai pensato di arrivare a formulare un pensiero del genere, ma è la pura verità. C'è un motivo se ho accettato di obbedire ad una schiera di spilungoni dai capelli neri e non ho ancora tentato di appenderli al lampadario a testa in giù.

Frugo nella tasca dei miei pantaloni da Intrepido ed estraggo un sacchetto di velluto scuro, chiuso all'estremità da un fiocco di raso bianco. Me l'ha dato mia madre l'ultima volta che l'ho vista. Avevo buttato quasi per caso qualche accenno a Zelda e alla sua intenzione di cambiare fazione per restare con me, ma mia madre ha reagito come se le avessi detto che stavo per diventare padre. Mi ha consegnato questo sacchetto con gli occhi lucidi e le mani che le tremavano per l'emozione. Fai le cose come si deve, mi ha sussurrato.

Ed è per seguire il suo consiglio che sono qui questa sera.

Sto mettendo da parte l'orgoglio che contraddistingue tutti i Capifazione degli Intrepidi in favore di un comportamento più da Erudito. Ho vissuto per sedici anni nella fazione di Zelda, quindi so quello che faccio. Conosco il loro modo di fare, cosa si aspettano da un membro effettivo, le regole non scritte da rispettare.
Non mi è concesso sbagliare, un errore potrebbe costarmi caro. E se Fergus Blackburn non dovesse ritenermi degno della figlia minore, farò tutto quello che posso per fargli cambiare idea. Userò ogni mezzo per dimostrare che tengo davvero a lei, che non riesco nemmeno a contemplare ad un futuro senza Zelda.

Metto in tasca il sacchetto e mi allaccio la cintura. I pantaloni sono piuttosto stretti, ma non mi lamento.
Sto finendo di abbottonare la camicia, quando qualcuno spalanca una porticina nascosta dietro la libreria. Non so se essere più stupito per l'esistenza di quel passaggio segreto, o per la visione che ne emerge.

Zelda mi fissa ad occhi sbarrati, coperta solo da un asciugamano che le arriva poco più su del ginocchio. Mi squadra da capo a piedi con attenzione, poi scocca un'occhiata timorosa alla porta principale. «Dov'è Damien?» chiede, superandomi per sbirciare dal buco della serratura.

«Ha detto qualcosa a proposito di una cravatta» replico, senza smettere di guardarla con desiderio. I suoi capelli sciolti creano un forte contrasto con il candore dell'asciugamano e la pelle umida delle braccia e delle spalle è una tentazione troppo forte, mi è fisicamente impossibile resistervi.

Zelda sorride con aria compiaciuta. «Perfetto, vuol dire che sta rovistando nell'armadio di Jarod. E ci impiegherà molto tempo, visto che è il più disordinato della famiglia». Si gira verso di me e nei suoi occhi scorgo la stessa passione che brucia nei miei. Prima di venirmi incontro, si premura di chiudere la porta a chiave. «Non l'avrei mai detto, ma sei davvero sexy vestito da Erudito. Soprattutto con una camicia aderente come questa».

«Se ti piace così tanto, me ne farò regalare una da Damien» mormoro, mentre indietreggio verso il letto. «Sai, comincia a starmi simpatico».

Zelda si siede accanto a me sul materasso e mi accarezza il viso, indugiando sui piercing al labbro e al sopracciglio e sulla linea dei tatuaggi che mi adornano il collo. «Voglio che tu sappia una cosa» esordisce, dopo avermi dato un bacio a fior di labbra. Ha lo sguardo talmente serio che per un attimo temo che stia per darmi una cattiva notizia. «Puoi travestirti da Erudito, da Pacifico o da Intrepido finché vuoi, ma ai miei occhi rimarrai sempre Eric. Eric e basta. E chi se ne importa a quale fazione appartieni».

Se non l'amassi già disperatamente, sarei caduto ai suoi piedi dopo questa frase.
Ho sempre desiderato trovare qualcuno che mi accettasse per quello che sono, non per il mio ruolo all'interno della fazione. Le ragazze che frequentavo prima di imbattermi in Zelda erano più interessate al mio lavoro che a me personalmente: era il potere, l'aura di mistero e di pericolo che circonda tutti i leader ad attirarle.

Zelda, invece, ha messo in chiaro fin da subito quel che pensava di noi Intrepidi: per lei eravamo un manipolo di incoscienti, con più tatuaggi che cervello. Non è stato semplice conquistarla, mi ha quasi portato sull'orlo della disperazione, ma alla fine, insistendo, sono riuscito a farla capitolare. C'è voluto un po', ma ne valeva la pena.

Mi sarei pure fatto sparare di nuovo, se fosse servito allo scopo.

Stando attento a non sgualcire gli abiti avuti in prestito, l'abbraccio stretta e le scocco baci ovunque, su ogni centimetro di pelle su cui riesco ad arrivare. Lei mi apre la camicia e fa scorrere le mani dalle mie spalle fino agli addominali. Mi sfugge un ansito abbastanza rumoroso, che Zelda mette a tacere con un bacio più lungo degli altri.

«Non possiamo fare granché ora» sussurra, con le labbra premute contro il mio orecchio. «Ma ci rifaremo dopo cena. La mia finestra è sempre aperta per te». La sua voce seducente mi provoca un brivido. Riprendo a baciarle il collo, ma vengo interrotto quasi subito.

Qualcuno sta colpendo ripetutamente il legno massiccio della porta.
Qualcuno di nome Damien.
Qualcuno che imparerà presto cosa comporta ostacolare i miei desideri.

Zelda sguscia via dal mio abbraccio e, premendo un'ultima volta le labbra sulle mie, mi lascia di nuovo solo nella stanza.
Prendo un profondo respiro e mi ricompongo prima di aprire la porta. Mi ritrovo di fronte un Erudito piuttosto arrabbiato. Damien entra a grandi passi in camera e si guarda attorno con gli occhi stretti, come se fosse un investigatore sulla scena del crimine. «Come mai hai chiuso a chiave?» domanda, con cipiglio sospettoso.

Mi stringo nelle spalle. «Questione di privacy. Sono un tipo timido». Faccio fatica a rimanere serio mentre lo dico, perché nulla suona più falso di un aggettivo come 'timido' associato a me.

Infatti Damien non perde l'aria scettica, ma decide di passare oltre. «Ho trovato questa. Si intona al colore del completo. E anche a quello dei tuoi occhi». Mi lancia una cravatta grigio piombo, mentre un sorriso divertito fa capolino sul suo volto. «A Zelda piacerà».

 

*

 

Mi sento … ingessato.

Questi vestiti sono così stretti che mi sembra di soffocare. Mi allento il nodo della cravatta e osservo attentamente il mio riflesso allo specchio. I tatuaggi quasi non si notano, nascosti parzialmente dal colletto della camicia. La giacca blu notte mi tira sulle spalle, devo ricordarmi di muovere le braccia il meno possibile.

Dopo aver dato un ultimo colpo di pettine ai miei capelli, esco titubante dalla stanza. Damien e Alfred mi attendono in corridoio ed esaminano con aria critica il mio aspetto. Il sorriso che si scambiano mi comunica che ho superato la prova. Non so se esserne felice. Per quanto mi riguarda, preferivo la mia giacca di pelle.

Alfred si allontana nel corridoio senza proferire parola e Damien fa un cenno col capo verso la camera di Zelda. «Va da lei. E' già vestita» mi avverte, e percepisco la velata minaccia racchiusa tra quelle parole. Guai a te se vedo anche solo un bottone fuori posto.

Gli sorrido in maniera arrogante e spalanco la porta della camera di Zelda senza bussare. La voce maligna di Damien mi raggiunge prima che l'uscio si chiuda del tutto: «Nostro padre sarà qui a momenti …».

Zelda è seduta davanti allo specchio della toeletta. Mi dedica un breve sorriso prima di tornare a truccarsi.
Prendo posto sul letto e rimango ad osservarla in silenzio. Il vestito che indossa è quasi dello stesso colore del mio completo, di un blu tendente al viola. É senza spalline, con una scollatura abbastanza profonda che non riesco a fissare senza deglutire rumorosamente. Mi schiarisco la voce e allento ancora un po' la cravatta: mi sento improvvisamente accaldato.

«Come mai così elegante?» domando, tanto per distogliere l'attenzione dalle sue curve invitanti. «Credevo di essere io a dovermi mettere in tiro, non tu».

Zelda sistema alcune forcine tra i capelli, acconciati in una spessa treccia che le ricade su una spalla, e poi mi rivolge un sorriso scaltro. «Oh, ho solo pensato che ti servisse qualche distrazione durante la cena».

Sgrano gli occhi e resto a fissarla quasi a bocca aperta mentre si alza e infila un paio di scarpe col tacco a spillo. Fa una giravolta per farsi ammirare da ogni angolazione. Non indossa gioielli, ad eccezione di due piccoli cerchi d'argento alle orecchie, e non ha esagerato col trucco: solo un tocco di colore sugli zigomi e una linea nera attorno agli occhi. E l'immancabile burrocacao alla fragola, il suo preferito.

So che sta aspettando un qualche commento da parte mia, ma ho la gola secca. Più la guardo, più mi sembra di soffocare sotto i vari strati di vestiti.

Il sorriso di Zelda è diventato un ghigno. Si avvicina a me e mi prende le mani, posandole delicatamente sui suoi fianchi. La sua voce diventa un sussurro. «Così ogni volta che mi guarderai, ricorderai esattamente il motivo per cui ti stai sottoponendo a questa lenta tortura».

«Un incentivo, insomma» riesco ad articolare, in tono roco. Abbasso per un istante gli occhi sulla scollatura e sulle gambe lasciate scoperte dalla stoffa aderente del vestito. «Non avrei potuto chiedere di meglio. Con te vicino, perfino la cucina di Alfred mi sembrerà commestibile».

Zelda scoppia a ridere. «Proprio non ti fidi di lui, eh?».

Le sistemo un ciuffo di capelli dietro le orecchie. «E' più forte di me. Alfred mi sta antipatico a pelle. Invece Damien non è così male. Mi diverto a farlo arrabbiare».

«Sono entrambi dalla nostra parte. Mi sono confidata con loro proprio perché so che sono i più affidabili della famiglia. Credimi, faranno il possibile per sostenere la nostra causa». Lo sguardo di Zelda riesce a calmare i miei nervi tesi meglio di un lungo massaggio. Mi bacia teneramente la fronte e mi invita ad alzarmi. «Avanti, si entra in scena».

La seguo giù per le scale, entusiasta come un condannato a morte che sta per essere condotto alla forca.

Andiamo, Eric. Devi dare il massimo. Il tuo futuro dipende da questa fottuta cena.

Raddrizzo le spalle e tento di darmi un contegno prima di entrare in soggiorno ...

… nel quale mi attendono cinque Blackburn schierati in fila come un plotone di esecuzione.
La sensazione di soffocamento si fa più pronunciata: mi pare di avere un cappio avvolto attorno al collo.

Forse avrei fatto meglio a presentarmi armato.










 

* * *






 

 

«Dai, non è andata così male».

Scocco un'occhiata scettica alla mia ragazza. «Se lo dici tu … ».

Stiamo camminando fianco a fianco in direzione dell'ospedale, dove Zelda deve recarsi per il tirocinio pomeridiano. Rivolgo un'occhiata torva all'edificio verniciato di azzurro e respiro profondamente, preparandomi psicologicamente a quello che sto per fare.

Zelda non ha tutti i torti: la cena non è andata poi così male.
Ma poteva sicuramente andare meglio.

I commenti pungenti dei fratelli Blackburn mi ronzano ancora nelle orecchie.
Dopo aver fatto la conoscenza di Clark e Jarod, ho iniziato a rivalutare Alfred.

Zelda mi pizzica un fianco. «Oh, andiamo. Non sarai ancora arrabbiato per quella battuta sui tuoi tatuaggi, vero?». Scuote la testa. «Te l'avevo detto che Jarod è particolare. Ha fatto del sarcasmo la sua ragione di vita. Non sai quante frecciatine mi sono dovuta sorbire quando tu ti divertivi a trasformare il mio reparto in una serra».

Basta quell'allusione a far addolcire la mia espressione tetra. «Allora anche Jarod ha i suoi lati positivi. Non sai quanto mi ha ferito vederti gettare i miei regali nella spazzatura», confesso, portando teatralmente una mano al cuore. «Ma se lo sento di nuovo paragonare i miei tatuaggi ad un codice a barre, gli dimostrerò che la mia bravura nel lancio dei coltelli non è solo una leggenda».

Zelda scoppia a ridere. «Se te lo dico, non mi credi».

«Cosa?».

«Jarod mi ha fatto promettere di non farne parola con nessuno». Si guarda attorno, come se temesse di veder spuntare il fratello da una siepe da un momento all'altro. «Ha sempre desiderato un tatuaggio. Gli piace molto disegnare, non fa che riempire il suo album di schizzi a carboncino».

Mi massaggio la mascella, pensieroso. «Se lo aiutassi a realizzare questo suo sogno, credi la pianterebbe di guardarmi con quell'aria di sufficienza che mi fa venire voglia di prenderlo a pugni?».

Zelda conferma con un cenno. «Diventeresti il suo idolo».

«Allora consideralo già fatto».

A quella risposta, lei mi lancia uno strano sguardo. «Tu stai tramando qualcosa» mi accusa, sventolandomi un dito davanti al naso. «In questo periodo sei troppo calmo, troppo gentile. Devo preoccuparmi?».

«Mi sto solo comportando da gentiluomo» mi difendo, sapendo benissimo quanto quella parola stoni con il mio aspetto da soldato, con tanto di pistola alla cintura e coltello infilato nello stivale. Faccio finta di non notare l'occhiata ironica di Zelda. «Però hai ragione. La cena non è andata malissimo, ad un certo punto mi sono perfino divertito. Per esempio quando sei corsa in mia difesa, dicendo ai tuoi fratelli che è una fortuna che io abbia cambiato fazione, altrimenti nessuna ragazza li avrebbe mai degnati di uno sguardo».

Lei si ferma a poca distanza dall'entrata dell'ospedale e si solleva in punta di piedi per avvolgermi le braccia attorno al collo. «Beh, non stavo scherzando. Eri veramente uno schianto con quella camicia addosso».

«Pensavo di esserlo senza».

Zelda ridacchia. «Soprattutto senza. Ma quel completo da Erudito ti donava. Mi sono dovuta trattenere parecchio per non saltarti addosso nel bel mezzo della cena».

Storco le labbra in una smorfia. «Lo stesso vale per me. Quel tuo vestitino era di gran lunga più allettante della crostata alle fragole. E tu sai quanto adori quel dolce».

«Certo. L'avevo preparato appositamente per te».

Struscia il naso contro la mia guancia, i suoi capelli mi solleticano il collo. D'un tratto, la sento irrigidirsi.
Prima che possa chiederle il motivo, lei solleva il viso per incrociare i miei occhi. «So che hai detto di voler recitare la parte del gentiluomo, ma ti dispiacerebbe tirare fuori il cattivo ragazzo che c'è in te solo per qualche minuto? Sta arrivando Oliver Owens, un idiota che ha tentato di baciarmi la settimana scorsa».

Che cosa?! Ma io lo uccido.

Zelda mi impedisce di voltarmi per vedere di chi si tratti.

In ogni caso, è un Erudito morto.

Le stringo le braccia attorno alla vita, sollevandola da terra per portare i nostri volti alla stessa altezza e la bacio con passione, senza trattenermi. D'abitudine evito di dare spettacolo in pubblico, specialmente se si tratta di questo tipo di effusioni, ma per scoraggiare certi imbecilli non mi faccio scrupoli. Zelda è la mia donna. Non esiste che qualcuno si azzardi a toccarla senza il suo permesso.

Il nostro bacio mozzafiato dura parecchio. Quando ci stacchiamo ansimiamo entrambi ed è solo dopo averla rimessa a terra che mi accorgo che attorno a noi c'è un silenzio innaturale. Gli studenti, i pazienti e anche qualche dottore ci stanno fissando con gli occhi fuori dalle orbite.
Sto per dire a quel pubblico inaspettato di pensare agli affari propri, ma vengo anticipato da una voce familiare.

«Che avete tutti da starvene impalati come baccalà?» esclama allegramente Alicia. «Mai visto due che si baciano?».

Agita una mano per salutarci. Indossa già il camice e ha i capelli stretti in una crocchia sulla nuca. La folla si disperde lentamente, rimaniamo solo noi tre davanti alla rampa che conduce nell'ingresso della struttura. «Wow, che bacio, ragazzi» commenta, facendosi aria con una mano. «Avete alzato la temperatura di almeno trenta gradi».

Zelda nasconde le guance in fiamme dietro ai folti capelli neri. «Ora sarà meglio che vada. Ci vediamo dopo». Mi saluta con un casto bacio sulla guancia, prima di sparire al di là delle porte scorrevoli. Alicia mi fa l'occhiolino e la segue a ruota.

Resto immobile a fissare il mio riflesso.

Sii coraggioso, Eric, mi ripeto per almeno tre volte, finché non mi decido ad entrare a mia volta nell'ospedale.

 

*

 

La voce del dottor Blackburn giunge attraverso la spessa porta di legno dello studio. «Avanti».

Entro con circospezione. Lui non pare stupito di vedermi, anzi accenna un lieve sorriso.

I suoi occhi, così simili a quelli di Zelda, mi disorientano per un attimo. Dovrei esserci abituato, visto che tutti i Blackburn, tranne Damien, hanno ereditato quel tratto somatico dal capofamiglia. Eppure ogni volta che incrocio quelle iridi color dell'ambra provo un tuffo al cuore.

Il dottore appoggia i gomiti sulla scrivania e unisce i polpastrelli davanti al viso. «Non mi aspettavo una tua visita, giovanotto. Cosa ti porta qui?».

Credo sia l'unica persona capace di apostrofarmi con il termine 'giovanotto' senza farlo suonare come una presa in giro. Fergus Blackburn non perde mai la calma, né la postura autorevole che lo contraddistingue. Ha un autocontrollo formidabile e un modo di fissare la gente che incute soggezione.

Zelda è la sua degna erede.

Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse. «Come avrà di certo capito, non sono il tipo che indugia e gira attorno alle questioni importanti. Andrò dritto al punto, anche se credo che lei abbia intuito il motivo che mi ha spinto a venire qui oggi».
Lo vedo accennare un assenso, per cui proseguo col discorso che mi sono preparato. «Sono qui per comunicarle che sposerò sua figlia».

Di certo non si può dire che tu non sia schietto, Eric.

Il sarcasmo della mia voce interiore è pienamente giustificato. Forse avrei dovuto andarci più piano.
A giudicare dallo sguardo che mi riserva il dottore, lo pensa anche lui.

Tuttavia la sua espressione non vacilla. Mi fissa per almeno un minuto prima di tornare a parlare. «Quindi, cosa mi stai chiedendo? Di darti il mio permesso?».

La sua mancanza di ostilità mi lascia perplesso. Credevo che, dopo un'ammissione del genere, avrebbe perlomeno tentato di infilzarmi col tagliacarte. «Sono uno dei leader Intrepidi. Noi non chiediamo il permesso». Accenno un ghigno, ma torno serio in fretta. «Vorrei solo che non mi … ostacolasse».

Lui apre bocca, ma lo zittisco con un cenno della mano. «So cosa sta per dire» sbotto, guardandolo con la mia migliore espressione risoluta. «Se avesse potuto scegliere, scommetto che avrebbe voluto un Erudito accanto a sua figlia. Mi ha fatto capire perfettamente che non stima molto i trasfazione, ma vorrei che provasse a mettersi nei miei panni». Respiro a fondo e mi alzo in piedi. Ragiono meglio quando mi muovo. «Io amo Zelda. Credo di essermi innamorato di lei a prima vista. Non avevo mai incontrato qualcuno che riuscisse a tenermi testa come fa lei: ha fatto di tutto per respingermi, per tenermi lontano, per farmi credere che quello che provavamo era destinato a spegnersi in breve tempo. Invece è accaduto l'opposto. Ho resistito solo un mese senza vederla, poi mi sono fatto in quattro per avvicinarla. Le assicuro che non è stato affatto facile conquistare la sua fiducia». Faccio una breve pausa per mettere ordine tra le idee. «Prima di Zelda, non avrei mai accettato di correre dietro ad una donna. Né di fare un discorso del genere davanti a qualcuno. Se arrivo ad umiliare il mio orgoglio in questo modo, è solo perché sono pazzo di sua figlia e desidero farlo capire anche a lei, dottor Blackburn».

Lui non batte ciglio. Stringe appena le palpebre dietro le lenti degli occhiali. «Apprezzo la tua sincerità. Una qualità rara tra gli Intrepidi. Non mi stupisco che ti abbiamo promosso a Capofazione nonostante la tua giovane età». Il suo sguardo si distende. «Ora, perché non ti siedi? Ho anch'io qualcosa da dire e gradirei che mi ascoltassi. Possibilmente senza consumare il tappeto».

Mi accomodo sulla poltrona con la schiena rigida e le spalle contratte.
Il dottore ride sotto i baffi, come se trovasse la mia agitazione estremamente comica. «Ho sentito spesso parlare di te, Eric Coulter. E mentirei se dicessi che sei esattamente il ragazzo che vorrei per Zelda. Oltre ad essere un Intrepido, trasfazione per di più, sei anche irascibile, dispotico, sprezzante e perfino brutale con i tuoi subordinati».

Mi sta facendo a pezzi. Mi sento più piccolo ad ogni aggettivo che gli esce di bocca.

Eppure, invece di spedirmi fuori a calci come mi aspettavo, sorride tranquillamente. «Ma vedo come guardi mia figlia» ammette, in tono più leggero. Corrugo la fronte, non sapendo come interpretare quel commento.

Fergus Blackburn distoglie lo sguardo da me per posarlo su una fotografia appesa alla parete. «Nella mia vita ho amato una sola donna più di Zelda. Eleanor, mia moglie. Sono sicuro che mia figlia te ne avrà parlato».

Annuisco, osservando rapito la coppia sorridente nella fotografia. Eleanor è la copia esatta di Zelda, tranne per il colore degli occhi.

«Mia figlia ha preso la bellezza da sua madre, ma il carattere l'ha ereditato da me», dichiara, con aria compiaciuta. «Siamo persone riservate, non esterniamo molto i nostri sentimenti, evitiamo di esagerare con le dimostrazioni d'affetto. Ma il nostro amore dura per sempre». Fa un sospiro secco. «Ho tenuto d'occhio Zelda sin da quando il primo mazzo di fiori è arrivato all'ospedale. Girava voce si trattasse di un ammiratore, ma bastava guardarla in faccia per capire che era molto di più. Anno dopo anno, diventava sempre più radiosa. Non l'ho mai vista sorridere tanto come in questi ultimi tempi. All'inizio stentavo a credere che fosse merito tuo, ma poi mi sono dovuto rassegnare all'evidenza».

Impiego pochi secondi a fare due più due. «Lei sapeva di noi già prima dell'altra sera» esclamo, quasi in tono d'accusa.

Ed io che mi sono abbigliato in quel modo stupido solo per evitargli un infarto!

«Giovanotto» mi ammonisce il dottore, con un lampo scherzoso negli occhi. «Sarò anche vecchio, ma ti assicuro che non sono cieco. Né tanto meno stupido».

Blackburn batte Coulter 2 a 0.

Abbasso gli occhi sulle mie mani. «Quindi lei approva?».

Lui fa un gesto vago. «La felicità e il benessere di mia figlia sono più importanti di quello che penso io. Tu saprai proteggerla molto meglio di uno qualunque degli Eruditi».

Intuisco che allude alla mia posizione ai vertici della fazione. Perciò dà per scontato che Zelda accetti di seguirmi tra gli Intrepidi.
Quel pensiero mi spiazza.

Torno ad incrociare lo sguardo del dottore. Non so cosa veda nei miei occhi, ma perde all'improvviso l'atteggiamento distaccato e inarca un sopracciglio.

«Mi creda, dottor Blackburn. Se esistesse un'altra possibilità, non chiederei mai a Zelda di scegliere tra la sua famiglia e me. Aspetterò che concluda gli studi per chiederle di sposarmi: diventare pediatra è il suo sogno, non ho intenzione di interferire. Nel frattempo magari si stancherà di me e troverà qualcuno che la meriti davvero».

Il solo pensiero di lei con un altro equivale ad un pugnale rovente conficcato nel cuore, ma saprei disposto a farmi da parte se questo volesse dire vederla veramente felice. Certo, dopo aver provato con ogni mezzo, lecito o meno, a convincerla a tornare da me.

Il dottore sembra più scioccato ora di quando gli ho brutalmente comunicato che sua figlia diventerà mia moglie, con o senza il consenso dei suoi famigliari.
«L'ami sul serio» mormora, e ho l'impressione che i suoi occhi si siano fatti lucidi.

Prego che sia solo il riflesso delle lenti: potrà anche essere il mio futuro suocero, ma non ho certo intenzione di offrirgli una spalla su cui piangere.

Mi sono già giocato la reputazione l'altra sera a casa Blackburn. Meglio limitare i danni.

«Voglio che tu mi prometta una cosa, Eric».

Rialzo di scatto lo sguardo. È la prima volta che il dottore mi chiama per nome.

«Devi giurarmi che non mi impedirai di vedere mia figlia. Né che escluderai i suoi fratelli dalla vostra vita. Se accetterai, avrai la mia benedizione». Allunga una mano verso di me, il palmo rivolto all'insù.

Non esito nemmeno per un istante. Gliela stringo senza perdere il contatto visivo. «Ha la mia parola».









 

 

- - - - - - - - - - - - - -

Ciao a tutti! Come anticipato, ecco il primo dei capitoli extra (il prossimo e ultimo lo posterò il mese prossimo, tempo permettendo).

É un po' lungo, spero non vi siate annoiati.
Che ne pensate di Eric in versione 'fidanzato perfetto'?
Mi sa che è inutile che si sforzi, tanto sembrerebbe aggressivo anche travestito da Pacifico xD

Però è diventato più maturo, che ne dite? Meno irascibile e più riflessivo, un pò come Max ;)

Qui vediamo anche Alicia, un personaggio che mi è dispiaciuto abbandonare nella storia principale (magari salterà fuori in corso d'opera, mai detta l'ultima parola!).

Aspetto i vostri commenti e ringrazio tutti quelli che hanno messo le mie storie tra le preferite/seguite/ricordate: un bacio grande!
Grazie per il vostro sostegno!

A presto,

Lizz

 

p.s. vi lascio come al solito il link della mia pagina Facebook, utile mezzo per comunicare con voi e tenervi informati sugli aggiornamenti → https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=aymt_homepage_panel

 

 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** EXTRA - Walking on sunshine ***


cap

 Extra

- Walking on sunshine -





Here I stand, staring at the sun
You're not there, but we share the same one

One thing's true just like you
There's only one

(Mika)





Eric



Sono le sedici in punto e lei è in ritardo.

Inarco le sopracciglia, scrutando corrucciato la facciata dell'ospedale come se la ritenessi direttamente responsabile della mancanza di puntualità della mia ragazza – e del mio consequente nervosismo.

Sbuffo e incrocio le braccia, spostando lo sguardo verso l'alto. Il chiarore del sole mi abbaglia per un istante, finché non mi affretto ad indietreggiare per nascondermi nell'ombra dell'albero più vicino. Una volta al riparo tra le fronde, mi lascio andare ad un breve sospiro sconsolato. L'unica debolezza che sono disposto a concedermi, nonostante l'ansia che mi paralizza i muscoli e il sudore che mi imperla il viso. E, curiosamente, non per via del caldo che, sebbene sia soltanto metà giugno, è calato come una cappa sulla città, trasformando ogni singolo edificio privo di impianto di condizionamento in una serra.

No, il mio non è altro che patetico, inutile e fastidioso sudore freddo. Se non mi fossi esercitato in tutti questi anni a mantenere un gelido autocontrollo anche nelle situazioni più rischiose e insidiose, probabilmente in questo momento starei sfogando la mia agitazione tirando pugni alla cieca contro il tronco di quest'indifesa betulla, sola testimone del mio conflitto interiore, nonché unico bersaglio disponibile ed innocente destinatario delle mie occhiate truci.

Perché sono le sedici e ventidue e lei non è ancora uscita da quel dannato ospedale.

Digrigno i denti e mi sforzo di scrollare i muscoli irrigiditi di gambe e spalle. Muovo qualche passo attorno ai cespugli, calpestando con ferocia le erbacce e strappando con maligna soddisfazione alcuni tralci di edera dai rametti sporgenti di un giovane acero. Il tutto pare smorzare, anche se di poco, la mia irritazione. Ma l'ennesima occhiata al quadrante dell'orologio che tengo perennemente al polso mi fa imprecare a mezza voce.

Giuro che se tra un minuto non la vedo varcare quella porta, io …

Mi blocco a metà del pensiero, perché all'entrata dell'edificio è effettivamente comparso un piccolo gruppo di Eruditi.

Scendono composti la scalinata di pietra, i camici bianchi in spalla. Alcuni tengono dei libri sottobraccio, altri un blocco per appunti sopra la testa per riparare il viso dai micidiali raggi solari. Passo in rassegna ogni persona fino a trovare la ragione della mia scampagnata nel quartiere dei cervelloni.

Una sensazione di dejà-vu mi provoca una fitta alla nuca. Un paio di anni fa, in questo identico luogo, ho persuaso la mia recalcitrante ragazza a non opporsi al mio desiderio di conoscere il mio futuro suocero. E i miei quattro simpatici e amorevoli cognati, non dimentichiamoli. Ripenso alla fatidica cena e mi sfugge una smorfia tra l'ironico e l'esasperato.

C'è qualcosa che non farei per assicurarmi la felicità di Zelda?

La guardo avanzare con sicurezza lungo il viale, voltarsi appena per rivolgere un ultimo saluto ai colleghi e riportare quasi all'istante l'attenzione su di me. Il suo sorriso mi abbaglia più del sole; sento nitidamente una goccia di sudore scorrere lungo la spina dorsale e reprimo un brivido quando un refolo di vento fresco mi frustra la schiena.

Mi passo nervosamente una mano tra i capelli, leggermente più lunghi rispetto al solito. Il fatto che sia diventato riluttante a farli accorciare in questi ultimi anni testimonia quanto profonda sia diventata l'influenza di Zelda nella mia vita. Che ci posso fare? Sentire le sue dita intrecciarsi alle ciocche appena sopra la nuca mi piace da impazzire.

La mia ragazza percorre gli ultimi metri quasi correndo e infine mi getta le braccia al collo, baciandomi con impeto tale da provocarmi un livido. Dopo essermi ripreso dalla sorpresa, la stringo a me, rispondendo con ardore al suo assalto, incurante degli sguardi curiosi dei medici che ci passano accanto diretti al chiosco poco distante.

Quando mi decido ad allentare l'abbraccio, per permettere ad entrambi di riprendere fiato, noto che lei non ha la minima intenzione di lasciarmi andare. Strofina la guancia contro la mia come un gattino alla ricerca di coccole.

Sposto le mani alla base della sua schiena, facendo scorrere i pollici sul pezzetto di pelle tra il bordo della gonna e l'orlo inferiore della camicetta azzurra. «Tutto questo entusiasmo mi fa dedurre che tu abbia avuto una bella giornata» mormoro soavemente contro il suo orecchio.

Zelda si tira indietro e mi sorride, raggiante. «Oh, sì. Una delle più belle dell'ultimo periodo. Specialmente perché sapevo che ti avrei trovato qui ad aspettarmi». Mi dà un altro bacio a fior di labbra, che accetto più che volentieri.

«Adulatrice» borbotto a mezza voce.

Lei risponde battendo le ciglia con fare civettuolo. «Ma è la verità. Non vedevo l'ora di vederti. Da quando hai deciso di lasciarti crescere barba e capelli, sei diventato semplicemente irresistibile».

Un ghigno compiaciuto mi solca le labbra nell'udire quest'affermazione. «Questa valanga di complimenti mi sta facendo insospettire. Non stai per comunicarmi qualche brutta notizia, vero piccola?».

Invece di ridere come mi aspettavo facesse, Zelda arrossisce. «Ma no. Che vai a pensare!» esclama, liberandosi gentilmente dal mio abbraccio e sistemandosi i vestiti spiegazzati. Dopo aver fatto un respiro profondo, torna a guardarmi. «Allora, dove si va? Sbaglio, o avevi detto che avevi una sorpresa per me?».

La sua reazione alla mia domanda e la leggera nota di nervosismo nel suo tono mi fanno inarcare un sopracciglio. Inizio a nutrire dei sospetti, ma li accantono quasi subito: ho altro a cui pensare al momento. In cima alla lista il contenuto della tasca destra dei miei pantaloni, che sembra scottare a contatto con la pelle della coscia.

Mi schiarisco la voce, tentando senza successo di apparire disinvolto. «Lo vedrai. Andiamo».

Prendo Zelda per mano e inizio a fare strada lungo il sentiero che costeggia il parco. Sono troppo nervoso per portare avanti una conversazione: mi limito ad annuire, mentre lei si lancia nel racconto di come il team di chirurghi del suo reparto sia riuscito a ridare la vista ad un bambino rimasto gravemente ferito durante un incendio.

Anche se questa notizia non è nuova per me, la ascolto con attenzione. Durante una delle nostre ultime chiacchierate, il dottor Blackburn non la smetteva di tessere le lodi di sua figlia, di come la diagnosi di Zelda si fosse dimostrata azzeccata e avesse contribuito in modo rilevante alla buona riuscita dell'intervento. Il caso non era di sua competenza, ma lei ha talmente insistito per visitare il bambino che nessuno ha avuto il coraggio di opporsi. La cosa divertente è che lei non fa accenno alla propria partecipazione mentre mi descrive i vari passaggi dell'operazione. Troppo modesta, come sempre.

Le si illuminano gli occhi quando parla del bambino. «Dovevi vederlo, Eric. Era così carino. In parte è colpa sua se ho ritardato tanto. Non voleva lasciarmi andare, continuava a chiedere di me. Ho dovuto aspettare che il sedativo facesse effetto, prima di sgattaiolare fuori dalla sua stanza».

Inclino il capo e le rivolgo un sorrisetto. «Se stai cercando di farmi ingelosire … beh, sappi che sta funzionando alla grande».

«Eric, non essere ridicolo» mi rimprovera lei, mordendosi le labbra per non ridere.

Scuoto la testa, fingendomi indispettito. «Come se non dovessi già preoccuparmi dei tuoi colleghi uomini. Ora ci si mette pure un bambino». Mollo la sua mano e le passo un braccio attorno la vita. «Basta che mi distragga un attimo e subito qualcuno cerca di provarci con te. E' parecchio seccante».

Zelda mi passa una mano sulla schiena, come per tranquillizzarmi. «Non ricominciare. Quante volte abbiamo discusso di questa cosa?».

Ci penso su per un paio di secondi. «Nell'ultimo mese, almeno una quindicina».

«Hai tenuto il conto?».

Alzo le spalle con noncuranza. «Non proprio. Diciamo che ho la mia personale lista nera su cui appunto i nomi dei tuoi ammiratori …».

«Eric ...» mi ammonisce lei, in tono contrariato.

«Tranquilla. Sto scherzando» mi affretto a ribattere, prima che prenda sul serio le mie parole.

Sarebbe tragico se scoprisse che sto dicendo la verità e che ho minacciato almeno cinque dei suoi colleghi di morte violenta. A mia discolpa va aggiunto che i medici in questione stavano parlando di lei - e, più precisamente di quello che avrebbero voluto fare con lei - in modo non propriamente rispettoso. Pensare alle loro battute volgari mi fa ancora fremere dalla rabbia.

Zelda apre bocca, sicuramente per ribattere a tono, ma io prevengo qualsiasi rimprovero abbia in mente indicando il cartello davanti a noi. «Eccoci arrivati. Questa è la prima tappa».

Lei osserva per alcuni istanti il segnale di pericolo e la recinzione arrugginita che costeggia i binari. La sua espressione inquieta mi fa ghignare. «Pronta per un piccolo tour nella tua futura fazione?».


* * *



Zelda



«Oh no. No, no, no», ripeto come un disco rotto, muovendo qualche passo indietro nell'erba secca. «Sei pazzo? Io lì sopra non ci salgo!».

Eric mi osserva con cipiglio condiscendente, tipico dell'insegnate che ha a che fare con un alunno particolarmente indisciplinato.

Incrocia le braccia muscolose, piazzandosi tra me e la ferrovia decadente. «Andiamo, Zelda, non fare la bambina. Prima o poi dovrai superare la tua fobia dei treni. Vuoi diventare un'Intrepida, me l'hai detto tu stessa. Mi sbaglio?». I suoi occhi diventano scuri come nubi che preannunciano tempesta, la sua mascella si irrigidisce. «Hai forse cambiato idea?».

Mi stringo le braccia attorno al busto e abbasso lo sguardo a terra. Dentro di me è in atto una disputa tra la metà che mi incita a scappare e quella che mi spinge tra le braccia di Eric. Come d'abitudine, vince il lato che tifa per il Capofazione.

Mi sfugge un sospiro rassegnato. «Non è così, lo sai. Sai cosa provo per te. I miei sentimenti non sono cambiati, ma …». Mi interrompo e riporto gli occhi nei suoi. «Devi anche capire che non è facile per me. Abbandonare la mia famiglia, la mia casa, lasciare tutto per ricominciare una nuova vita in una fazione che conosco a malapena». Inspiro brevemente e do un calcio ad una lattina scheggiata, mandandola a cozzare contro il cartello che invita a non attraversare i binari. «Per te è facile. Tu hai scelto di diventare un Intrepido perché era la tua natura, la tua ambizione. Io, invece, diventerò un'Intrepida solamente per non perderti, per rimanerti accanto».

Sulle labbra mi compare un sorriso di scherno. «Sembra che in tutta questa situazione l'unica a perdere qualcosa sia io, mentre tu non ti smuovi di un millimetro. Come reagiresti se ti chiedessi di rinunciare alla tua posizione di Capofazione per me? Di ritornare nella tua vecchia fazione, di toglierti tutti i tuoi adorati piercing e di coprire i tatuaggi?». Il mio tono si abbassa verso la fine della domanda, diventando cupo.

Ed io, cosa ci guadagno? Questa richiesta non pronunciata ad alta voce pare galleggiare sopra di noi come un cattivo presagio.

Eric non ha mosso un muscolo dall'inizio del mio monologo. Se ne sta immobile come uno dei pali che sostengono i tralicci dell'alta tensione, scuro in volto e con gli occhi socchiusi puntati verso il cielo. Quando li riporta su di me, scorgo una fiammata di determinazione divampare nelle sue iridi color mercurio liquido.

Copre la breve distanza che ci separa con un solo passo e prende le mie mani tra le sue. «Guardami» scandisce lentamente, come se non lo stessi già fissando imbambolata. Porta le mie mani ai lati del suo viso e intreccia le dita alle mie. «Permettimi di ricordarti i lati positivi della scelta che ti accingi a compiere. E a cosa rinunceresti se decidessi di lasciarmi».

Senza perdere il contatto visivo, struscia la guancia contro il palmo della mia mano. L'accenno di barba mi pizzica la pelle, trasmettendomi una piacevole scossa che si propaga fino alla piega del gomito. Eric inclina il capo e posa un bacio prima sulle mie dita, per poi far scorrere le labbra sul mio polso, dove mi lascia un leggero morso.

Non vale. Non è leale, vorrei protestare, ma riesco solo a boccheggiare. Lui conosce ogni mio punto debole, sa quali mezzi usare per persuadermi. Dopo tutti questi anni, ha un metodo più che collaudato. Il suo fascino da bello e dannato è un'arma che non esita a usare per farmi cedere e, detto tra noi, gli riesce anche troppo facile.

Eppure il modo in cui mi sta baciando adesso mi lascia lievemente interdetta. È come se stesse davvero cercando di convincermi a non abbandonarlo, come se temesse che potrei veramente tirarmi indietro. Come se avesse preso davvero sul serio la mia provocazione e fosse disposto a farmi cambiare idea a qualsiasi costo.

In realtà, l'idea di lasciarlo non mi è mai neanche passata per la mente: gli ho detto quelle cose spinta dall'incertezza e dalla paura dell'ignoto. Come una bambina in vena di capricci.

Eric mi tiene stretta a sé in modo convulso. Rispondo con altrettanta passione ai suoi baci, muovendo il corpo al ritmo del suo e rabbrividendo di piacere al tocco delle sue mani.

Non finirò mai di stupirmi del potere che questo ragazzo esercita su di me, di come la mia intera persona finisca per gravitare attorno a lui come un satellite. Come un suo semplice abbraccio mi faccia sentire a casa, al sicuro.

Oh, Eric.

Le sue mani si contraggono sui miei fianchi e un sussurro spezzato accompagna la discesa delle sue labbra sul mio collo. «Non lasciarmi, Zelda. Per favore, resta con me».

L'incertezza che avverto nella sua voce fa sciogliere quel minimo di reticenza che ancora albergava dentro di me. Se qualcuno ci vedesse in questo momento, probabilmente penserebbe di avere le allucinazioni: l'impavido Capofazione intento a supplicare, forse per la prima volta nella propria vita, e la fredda ed inflessibile dottoressa Blackburn commossa fino alle lacrime, quando nessuno è mai riuscito a farla piangere.

Beh, con l'ovvia eccezione dell'Intrepido sopracitato. E dire che aspettavo con trepidazione questo pomeriggio per rivelargli che ...

Tirando su col naso in maniera davvero poco femminile, sciolgo la stretta di Eric e mi passo freneticamente le mani sul viso, per cancellare le prove della mia momentanea debolezza. Lui sgrana gli occhi alla vista delle lacrime che mi scorrono sulle guance. «Io … cosa …».

Lo blocco con un gesto. «Non è niente, non è niente. Accidenti, adesso mi sarà colato tutto il trucco. Così imparo ad impiastricciami con l'eyeliner solo perché tu dici sempre che mette in risalto i miei occhi …».

Eric mi guarda tra lo stupito e il divertito. Passa un pollice sul mio zigomo per togliere uno sbuffo di nero e fa per dire qualcosa, ma viene fermato dall'indice che gli premo sulle labbra.

Gli sorrido con tutta la dolcezza di cui sono capace e lui si irrigidisce. «Credo che tu mi abbia fraintesa. Non ho intenzione di mollarti, nemmeno per sogno. Sono solo … terrorizzata da ciò che mi aspetta. Tutto qui». Mi stringo nelle spalle con aria contrita. «Forse volevo solo essere rassicurata. E magari coccolata un po'».

Dopo un lungo sospiro di sollievo, Eric mi sfiora la fronte con le labbra. «Per un attimo ho creduto che ci avessi ripensato. Che fosse troppo per te. E non avrei potuto biasimarti». Rimane un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo tra sé. «Sono contento che non sia così, anche se tutto questo parlare ci ha fatto perdere uno dei pochi treni che percorrono questa tratta». Si passa una mano tra i capelli e poi la infila in tasca. «Volevo che fosse tutto perfetto, avevo pianificato tutto nei minimi dettagli, ma … al diavolo, ora o mai più».

Detto ciò, estrae un piccolo sacchetto di raso dalla suddetta tasca e, sotto il mio sguardo sconvolto, appoggia un ginocchio a terra.

«Oh, accidenti» esclamo, portandomi una mano alla bocca. «Ti prego, dimmi che non lo stai facendo veramente!».

Il mio ragazzo alza gli occhi al cielo con aria afflitta. «Per una volta, una sola, puoi far finta di comportarti come una fidanzata normale? Ti prometto che dopo oggi non tenterò più un approccio romantico con te, ma voglio che questo momento sia speciale. Perciò, per quanto mi senta un perfetto cretino in questa posizione, farò le cose come da tradizione e tu mi reggerai il gioco. Vedilo come un risarcimento per aver buttato nella spazzatura tutti i miei mazzi di fiori per un mese intero».

Senza volerlo, scoppio a ridere. «Ancora con quella storia? Sono passati più di quattro anni, Eric!». Lo sguardo di fuoco che mi lancia vale più di mille risposte, quindi mi affretto ad alzare le mani per stabilire una tregua. «Oh, va bene. D'accordo. Fa quello che devi».

Lui mi scocca un'altra occhiataccia, prima di schiarirsi la voce. Apre con delicatezza il cordoncino del sacchetto ed estrae un anello. Lo tiene tra pollice e indice, alzandolo davanti agli occhi e osservandolo come se si trattasse di una preziosa reliquia. «Sai da quanto tempo lo porto con me?». La sua è una domanda retorica, ma mi lascia ugualmente di stucco. «Quasi tre anni. Me l'ha donato mia madre la prima volta che le ho parlato di te». Un velo di rosa si espande sui suoi zigomi mentre me lo confessa. Per tutta risposta, il mio cuore comincia a martellare contro la gabbia toracica come se stesse cercando di sfondarla. «Credo avesse capito cosa tu rappresentassi per me, già allora. E poi l'ho portato con me quando i tuoi fratelli mi hanno invitato a cena. E quando ho chiesto la tua mano a tuo padre. A quanto pare mi ha portato fortuna, perciò non l'ho più tolto dalla tasca».

Lo interrompo, sforzandomi di mascherare lo shock. «Tu … hai chiesto la mia mano? E quando l'avresti fatto?».

Eric fa spallucce. Anche lui si finge più calmo di quanto in realtà non sia. «Il giorno dopo aver conosciuto la tua famiglia» afferma con sicurezza, senza battere ciglio.

Sbarro gli occhi. Vorrei chiedergli perché ha atteso tutti questi anni a farmi la proposta, ma il groppo che ho in gola mi permette a malapena di respirare.

Lui però intuisce i miei pensieri. «Ho aspettato che terminassi l'università, che realizzassi il tuo sogno di diventare pediatra. E volevo che mi conoscessi bene, ogni lato del mio carattere. Ti ho dato il tempo di mandarmi al diavolo, ma non l'hai fatto. Certo, abbiamo discusso, litigato furiosamente …».

«Adesso non tirare fuori la storia del vaso. Se avessi davvero voluto colpirti, l'avrei fatto. E te lo saresti meritato. Mi hai ...».

Eric mi fa segno di tacere. «Abbiamo avuto i nostri alti e bassi, come ogni coppia che si rispetti. E nonostante tutto, siamo ancora insieme. Perciò …». Si schiarisce la voce con un colpo di tosse e mi porge l'anello. Osservo affascinata il luccichio della pietra al centro della fascetta d'oro, un piccolo zaffiro circondato da minuscoli brillanti. «Zelda Blackburn. Sei l'unica persona al mondo che può permettersi di insultarmi rimanendo impunita, l'unica davanti alla quale sia disposto ad inchinarmi. L'unica per me».

Eric ha un'espressione talmente vulnerabile da farmi salire di nuovo le lacrime agli occhi. Maledetti ormoni.

Lui mi prende la mano e con uno strattone non proprio gentile mi trascina accanto a sé. Il mio sguardo saetta dall'anello alle iridi grigie del Capofazione. «Sposami, Zelda».

Anche se quelle due parole suonano più come un ordine che come una normale domanda, mi provocano comunque un tuffo al cuore. Stringo con forza la sua mano, esortandolo ad alzarsi in piedi. Sebbene abbia le guance rigate di lacrime, il sorriso che mi spunta sulle labbra è talmente ampio da causarmi una fitta agli zigomi. «E' stato il discorso più romantico che tu mi abbia mai fatto. Eppure hai dimenticato un piccolo particolare».

Mi godo per un breve istante l'espressione raggelata del mio fidanzato, prima di continuare. «Hai chiesto la mia mano a mio padre, ma ti sei dimenticato di chiederla alla persona più importante di tutte». Dopo un profondo respiro, intreccio le dita alle sue e appoggio entrambe le nostre mani sul mio ventre.

Nelle iridi di Eric la confusione viene sostituita da un lampo di comprensione. Socchiude le labbra in una muta domanda e io annuisco, arrossendo leggermente.

«Da … da quanto lo sai?». La sua voce è roca per l'emozione mentre le sue dita si muovono sulla mia pancia con delicatezza, quasi reverenza.

Mi asciugo una lacrima con il dorso della mano libera. «Qualche settimana. Ne ho avuto la conferma stamattina». Il sorriso incredulo di Eric riflette il mio. Abbasso gli occhi sulle nostre mani unite, poi li riporto sull'anello adagiato nel palmo del Capofazione. «Beh, non credo che lui, o lei, si offenderà se risponderò io per tutti e due». Mi alzo in punta di piedi per avvicinare le nostre labbra. «Ti amo, Eric. E ti sposerò».

«Il prima possibile» aggiunge prontamente lui, circondandomi con le braccia e alzandomi da terra in una mezza piroetta. Il suo sorriso è anche più aperto del mio, gli illumina l'intero viso. Se non fosse altamente improbabile, sarei pronta ad affermare di aver intravisto un luccichio sospetto nei suoi occhi. Eppure quando mi infila l'anello all'anulare, la sua presa è sicura e forte come sempre. Neanche una vaga traccia di tremore.

Il bacio che segue è infinitamente dolce, lento, traboccante di sentimenti che non si possono esprimere a parole. Mi sembra di avere i muscoli molli come burro, mi sciolgo letteralmente tra le braccia del mio futuro marito.

Marito. Oddio.

Forse un giorno riuscirò ad associare questo epiteto ad Eric. Forse, ma ne dubito.

Un fischio mi giunge alle orecchie. Un rumore che non ha nulla a che fare col rimbombo del mio cuore e col sibilo dei nostri respiri accelerati.

Interrompo il bacio e mi volto giusto in tempo per vedere un capannello di persone farsi largo tra i cespugli alle nostre spalle.

Mio padre e Alicia sono i primi della fila: hanno entrambi gli occhi rossi e un fazzoletto appallottolato in mano. I miei fratelli, a qualche passo di distanza, sembrano un gruppo di tifosi intenti ad assistere alla vittoria della squadra del cuore: Damien e Clark applaudono animatamente, fischiando e lanciandosi in acclamazioni che mi fanno avvampare come un bel peperone maturo. Alfred e Jarod mantengono una posa più composta, ma hanno stampato in faccia lo stesso identico sorriso allusivo.

Eric ed io ci scambiamo un'occhiata terrificata. «Dici che hanno sentito tutto?» sbotto, a mezza voce. «Come hanno fatto a sapere dove trovarci? E' opera tua?».

Lui digrigna i denti, assomigliando in modo impressionante ad una tigre pronta ad azzannare chiunque sia stato tanto idiota da stuzzicarla. «Certo che no. Devono averci seguiti. Anche perché l'unico a conoscenza dei miei piani per oggi era James ...». Socchiude gli occhi e sibila un'imprecazione. «Brutto bastardo. Gli avevo intimato di non lasciarsi sfuggire una sillaba, invece deve averlo detto a William, che a sua volta …».

«… l'ha riferito ad Alicia» completo io, con un sospiro sconfitto. «In questa città nessuno è capace di pensare agli affari propri».

Incurante della presenza dei miei famigliari, Eric fa scorrere le mani lungo la curva dei miei fianchi e poi più giù, verso le cosce. «Sono sicuro che non hanno sentito quel che ci siamo detti. Altrimenti tuo padre avrebbe già cercato di farmi fuori».

Il suo ragionamento non fa una piega. «Meglio così. Voglio tenere la notizia per noi almeno fino al matrimonio». Inclino la testa, gettandogli un'occhiata maliziosa. «Se non ti dispiace, vorrei continuare quello che stavamo facendo quando quegli inopportuni impiccioni ci hanno interrotti. Tu che dici?».

Eric mi prende alla lettera. Un attimo prima di incollare le labbra alle mie, per darmi un bacio che di sicuro scandalizzerà irrimediabilmente i miei consanguinei, le incurva in un ghigno perfido. «Dico che hai assolutamente ragione, piccola».









- - - - - - - - - - - - - - - - - - -


Ciao a tutti! No, non sono defunta. Ho solo avuto un brutto periodo e zero voglia di scrivere. 

Aggiornerò anche l'altra storia quanto prima, non preoccupatevi. Grazie a chi continua a recensire/seguire le mie storie, ho davvero bisogno del vostro sostegno.

Per quanto riguarda questa, è ufficialmente terminata. Inizialmente avevo pensato di scrivere anche del matrimonio, ma poi mi sembrava troppo e ho lasciato perdere. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, attendo speranzosa i vostri commenti!


Un bacio, a presto

Lizz


p.s. risponderò alle recensioni non appena potrò. Un grazie enorme a chi ha trovato il tempo per lasciarmi anche poche righe. Apprezzo ugualmente, vi adoro!















Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3055800