You Kissed Back di Aleki77 (/viewuser.php?uid=36538)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Alone in the city ***
Capitolo 2: *** Primo Capitolo - Second time ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo - Third time ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo – Appearances ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo – Broken Heart ***
Capitolo 6: *** Quinto capitolo – Queen of Clubs ***
Capitolo 7: *** Sesto capitolo – Revenge ***
Capitolo 8: *** Settimo capitolo – Effect ***
Capitolo 9: *** Ottavo capitolo – Lie or … ***
Capitolo 10: *** Nono capitolo – … true ***
Capitolo 11: *** Decimo capitolo – Contacts ***
Capitolo 12: *** Undicesimo capitolo – Opposite Mirror ***
Capitolo 13: *** Dodicesimo capitolo – Dark Affair ***
Capitolo 14: *** Tredicesimo capitolo – I know! ***
Capitolo 15: *** Quattordicesimo capitolo – Black ***
Capitolo 16: *** Quindicesimo capitolo – Not over! ***
Capitolo 17: *** Sedicesimo capitolo – Back ***
Capitolo 18: *** Diciassettesimo capitolo – Silence and Talkativeness ***
Capitolo 19: *** Diciottesimo capitolo – Brain teaser ***
Capitolo 20: *** Diciannovesimo capitolo – Thieves ***
Capitolo 21: *** Ventesimo capitolo – The other side ***
Capitolo 1 *** Prologo - Alone in the city ***
YKB - Prologo - Alone in the city
Eccomi qui ancora una volta con una nuova storia. Sono felice che Amnesia
vi si piaciuta, spero che vi possa interessare anche questa!
You Kissed Back
Prologo – Alone in the City
La strada era buia
e il freddo di quella metà di novembre era pungente. Una donna bionda, appena
scesa da un’auto, fece rapidamente i gradini di uno stabile in stile vittoriano
da poco ristrutturato. Spinse il portoncino con forza ed entrò scomparendo
nell’antro buio. Erano già le due del mattino a Princeton e lei sembrava essere
l’unico segno di vita in quella città dall’aspetto vagamente spettrale.
La donna cercò la
chiave di scorta sotto il portaombrelli ed entrò in un appartamento disordinato
e dai mobili spaiati. Vide all’ultimo minuto un borsone e rischiò di
inciamparvi. Si maledisse mentalmente per non aver acceso la luce, ma sperava
ardentemente che lui stesse dormendo, non era dell’umore adatto per fare
conversazione, la giornata era stata ben più lunga di quello che aveva
previsto.
Entrò in camera
silenziosamente, si spogliò e decise che per una sera poteva andare a letto
senza struccarsi, afferrò dal proprio cassetto una maglietta e un paio di
pantaloncini e si stese accanto a lui.
“E’ tardi.” –
Mormorò lui.
“Mi spiace.” –
Bisbigliò lei sistemandosi sotto le calde coperte. – “Aveva bisogno di
parlare.” – Con tono dolce e rassicurante aggiunse. – “Torna a dormire.”
“Che ti doveva
dire che ti ha impegnato dalle cinque di oggi pomeriggio.” – Con la voce di uno
ormai sveglio.
Lei sbuffò un
pochino e affondò il volto nel cuscino. – “House ha baciato Cuddy.” – Mentre la
voce usciva soffocata e poco convinta.
“E questo ha
mandato in crisi Wilson?” – Mentre la curiosità lo spinse a indagare più a
fondo.
“Già. Ora non ho
voglia di parlarne, possiamo tornare a dormire?” – Mentre la voce della donna
cominciava a essere leggermente alterata da un nervosismo di fondo che cercava
di non far trapelare.
“Che importa a
Wilson se Cuddy e House si sono baciati?” – Lui ci pensò un momento e poi si
mise a sedere sul letto. – “Sempre che la cosa non interessi a te.”
“Posso benissimo
vivere senza sapere nulla della vita sentimentale di House, anzi, meno ne so e meglio
è.” – Disse notevolmente scocciata mentre si metteva a sedere con un movimento
grezzo e brusco.
“Appunto!” – Lui
si voltò verso di lei. – “Cameron, sei ancora interessata a lui?”
A quel punto la
donna accese la luce. – “Che ti prende? Sono nel tuo letto, non nel suo! Perché
dovrebbe sconvolgermi tanto se House e Cuddy si sono baciati? A questo punto mi
viene da chiedermi se sei tu quello interessato a Cuddy … oppure a House.” –
Cercando di rendere la pariglia, ma usando un humour poco gradito al suo
compagno di letto. – “Stavo scherzando!” – Con tono condiscendente. – “Ho
bisogno di dormire, ti prego.”
Il biondo
australiano la fissò con rabbia e interruppe quelle dolci moine. – “Non dire
cavolate. Sei tu quella che l’anno scorso è andata a dire davanti alle
telecamere che ami House.” – Mostrando più gelosia di quella mostrata in
quell’occasione.
La donna sbuffò e
uscì dal letto.
“Dove vai?” –
Chiese lui sorpreso dal comportamento di Cameron.
“Vado a casa mia
Chase, vado a cercare di dormire almeno tre ore prima che inizi il mio lungo
turno.” – Esasperata.
“Bene!” – Disse
arrabbiato.
“Bene.” – Disse la
donna mentre arraffava i propri abiti dove li aveva lasciati cadere. – “Ci
sentiamo.” – Disse un attimo prima di scomparire nel soggiorno.
Il rumore di
qualcosa che si rovesciava seguito subito da un’imprecazione fece preoccupare
il ragazzo che stava per scendere dal letto, quando la sua voce lo raggiunse. –
“E non lasciare in giro la borsa della palestra. Uno ci si può ammazzare!”
Poco dopo la porta
si richiuse con più forza del necessario e Chase si ritrovò nuovamente solo a
meditare su quanto era appena accaduto: combattere contro un fantasma sembra
essere più facile che avere a che fare con il suo vecchio capo.
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--- fine del prologo ---
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Capitolo 2 *** Primo Capitolo - Second time ***
YKB - Primo capitolo - Second Time
Primo capitolo – Second Time
Era ormai diventata
un’abitudine scendere al pronto soccorso a una certa ora del giorno. A volte
era per cercare un nuovo paziente, altre per soddisfare un’insana curiosità,
altre ancora per disturbare chiunque gli capitasse a tiro, ma sempre più spesso
era per poterla osservare nel suo nuovo ambiente. Chiamarlo nuovo era un
eufemismo, lei era lì da più di un anno e mezzo e quindi non lo era più da un
pezzo, ma rispetto ai tre anni e mezzo passati al secondo piano, quel lasso di
tempo sembrava appena il volo di una farfalla, per ora.
Lei non lo notava,
anche se era più probabile che avesse scelto di ignorarlo di proposito e questo
lo stimolava nella sua ricerca del perché. Lei sembrava aver sviluppato
un’indipendenza e un’autonomia fuori dal comune eppure House sentiva che c’era
qualcosa di sbagliato in tutto questo, primo fra tutti la sua ostinazione a
voler mantenere le distanze, cosa che in passato non era mai avvenuto, almeno
non così platealmente.
“Mi stai evitando!”
– Gli disse lui affrontandola a viso aperto e senza avere alle spalle un
dialogo che potesse giustificare tale frase.
“Cosa?” – Alzando
gli occhi dall’ennesima cartella che stava compilando.
“Ho detto che mi
stai evitando.” – Con fare deciso e poco incline a lasciar correre.
“Non so di cosa
stai parlando.” – Mentre spostava una ciocca di capelli dietro all’orecchio
destro.
“Ti stai toccando
i capelli, sei nervosa.” – Ribatté lui sempre più risoluto, forte della sua
sempre veritiera interpretazione del linguaggio del corpo.
Lei lo fissò
con’espressione contrita. – “Adesso non posso più nemmeno sistemarmi una ciocca
di capelli che mi da fastidio?”
“Non ti dava
fastidio prima di parlare con me.” – Battendo sull’incudine con la perseveranza
di Thor.
Lei accasciò le
spalle. – “Hai ragione House, il mondo gira attorno a te. Io sono assolutamente
imbarazzata dalla tua presenza e sto facendo di tutto per evitarti.” – Mentre
buttava gli occhi al cielo manifestando tutta la sua frustrazione per
quell’inutile conversazione.
Lui giocò un poco
con il suo bastone, non riusciva più a tenere testa a una Cameron così o per
riuscirvi doveva umiliarla nei peggiori dei modi.
Lei raccolse le
sue cartelle, ne fece un mucchio ordinato e con quelle si diresse in un’altra
stanza.
“Dove vai?” –
Cercando di starle dietro con il suo miglior passo claudicante.
Lei si fermò un
attimo per osservarlo. – “Vado ad archiviare le cartelle dell’ultima settimana,
cosa che ogni tanto dovresti fare anche tu.” – Riprendendo la propria strada.
Lui la seguì, non
soddisfatto delle risposte che aveva avuto. – “Potresti farlo tu, anche
l’ultima volta hai fatto un ottimo lavoro.” – Mentre un sorriso arrogantemente
provocante gli si disegnava in volto.
Lei sbuffò un poco
e ignorandolo iniziò ad archiviare i faldoni che aveva portato con sé. –
“Dovresti convincere Cuddy ad assumerti una segretaria.” – Lei si voltò di
scatto verso di lui. – “Non io però.” – Precisò, anticipando la sua prossima
mossa.
Il piccolo
archivio del pronto soccorso era immerso nella penombra e nel silenzio. Lui si
avvicinò a lei strofinandosi il volto, sembrava che dovesse farle un discorso
importante. – “Non ti manco giusto?”
Lei non comprese
le sue intenzioni e quindi si limitò ad annuire in silenzio.
“Ma ti manca il
lavoro che facevi in diagnostica.” – Come se stesse riepilogando i fatti di cui
era a conoscenza.
Lei annuì nuovamente,
ma non riusciva a seguire il ragionamento dell’uomo che aveva davanti.
“Se tornassi
avresti ancora il tuo posto e magari riavresti i tuoi vecchi privilegi, come
fare il caffè e sistemare posta e mail.” – Lui ridusse ancora gli spazi tra
loro. – “So che adori ficcanasare nei miei cassetti.” – Ricordando con un
sorriso sghembo il fatto che lei sapesse dove teneva i porno.
Lei fece un
impercettibile passo indietro, ma lo schedario le impedì di farne ancora. – “In
realtà sei tu quello cui piace intromettersi negli affari degli altri. Io ho un
concetto piuttosto elevato di privacy che tu ovviamente non sembri possedere.”
Lui sorrise un
poco, lei aveva ragione perfino ora. Ridusse maggiormente lo spazio, non sapeva
esattamente che cosa aveva intenzione di fare, ma una soluzione estrema gli si
stava delineando nella mente.
Lei spalancò gli
occhi quando comprese che non aveva via d’uscita. – “Che cosa stai facendo
House?”
Lui le chiuse come
in una morsa il mento, mentre con la mano del bastone le afferrò un fianco e
dal suo metro e novanta si chinò su di lei. – “Prendo esempio da te.” –
Sussurrò un poco.
Il caldo respirò
la investì in pieno e dei brividi le si diffusero in tutto il corpo.
Quando le labbra
di lui arrivarono su quelle di lei il tempo rallentò la sua corsa. Ogni cellula
epiteliale registrò quel contatto che sembrava divenire sempre più profondo e
intenso. Quando la lingua di lui le sfiorò le labbra, senza rendersene conto Allison
si ritrovò ad aprire le labbra per ospitarlo perpetuamente dentro di sé.
Irrazionalmente Cameron si ritrovò a cingergli la vita e a trarlo più vicino,
aveva bisogno del suo calore, e la sua mente si rifiutò di elaborare qualsiasi
concetto che non fosse il bisogno immediato di averlo.
Lui aveva fatto
scivolare una mano sulla nuca della donna e, senza troppa gentilezza, si spinse
ancora più in profondità.
Entrambi sembravano
voler finire dentro l’altro. Il bacio si fece via via sempre più intenso fino a
quando il bisogno di ossigeno li costrinse a staccarsi.
Si fissarono negli
occhi come due pugili prima del prossimo mach, mentre pesantemente cercavano di
incamerare aria.
Cameron lo fissò
con gli occhi spalancanti ed ebbe bisogno di qualche secondo per comprendere cosa
fosse successo e, anche allora, la sua mente sembrò rallentata. Provò a dargli
uno schiaffo, ma lui anticipò questa sua mossa bloccandole il polso con un rapido
movimento della mano sinistra.
“Ah-Ah! Non si fa
così!” – Mentre un sorriso malvagio gli disegnava in volto, sapeva di essere in
vantaggio e non voleva cedere di un millimetro. – “Tu hai risposto! Non
negare!”
L’espressione di
Cameron fu di puro terrore, solamente in quell’istante si rese realmente conto
di ciò che era successo tra di loro e per un istante tornò a essere la bambina
ingenua e indifesa dei primi tempi in cui aveva lavorato per lui.
Sbatte le palpebre
più volte fino a quando una frase, apparsa chissà da dove, sembrò l’ideale per trarla
d’impaccio dal pasticcio in cui si era cacciata. – “Volevo che sapessi che cosa
si prova quando ci si prende gioco di qualcuno.” – Con la sua migliore aria da
donna vissuta.
Lui socchiuse un
poco gli occhi, come per osservarla meglio. – “Si certo! Ed io sono Babbo
Natale.”
Lei cercò di
spostarsi per riprendere il controllo della situazione, ma lui le afferrò entrambi
i polsi bloccandola nuovamente contro l’archivio. – “Non si può fare in due lo
stesso gioco.” – Le sussurrò in un orecchio, sfiorandole la pelle con le
labbra. – “A preso dottoressa Cameron.” – Mentre il suo respiro arrivava sulle
labbra di lei.
Lui se ne andò lasciandola
sola con ancora le braccia sopra la testa. Lentamente i rumori tornarono a
raggiungere le sue orecchie e pian piano abbassò le braccia. Socchiuse per un
attimo gli occhi e ricordò le labbra di lui sulle proprie.
Seguendo l’istinto
si toccò le labbra.
Lui era riuscito
nuovamente a sconvolgerla e gli erano bastati meno di cinque minuti.
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--- fine primo capitolo ---
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Capitolo 3 *** Secondo capitolo - Third time ***
YKB - Secondo capitolo – Third Time
Secondo capitolo – Third Time
Aveva trascorso la
serata precedente nel silenzio più assoluto mentre nella sua mente si scatenava
un secondo Vietnam, ma non era venuta a capo di niente. In realtà una
risoluzione era stata votata all’unanimità da cuore e mente: andare a parlargli
ed era qui che le cose si erano schierate su due fronti diversi. Il cuore
voleva chiedergli il motivo di quel gesto tanto ardito e così insolito per lui,
mentre la mente voleva chiedergli categoricamente di non provarci mai più,
aveva già sofferto a sufficienza a causa di quel misantropo bastardo figlio di
puttana e non voleva ripetere l’esperienza, ma soprattutto aveva una relazione
con Chase, la prima veramente importante dopo la morte di quel lui cui, anche
dopo dieci anni, non riusciva ad
attribuire un nome.
Cameron si
presentò al lavoro con profonde occhiaie e per quanto cercasse di prestare
attenzione ai pazienti, tutto sembrava sfuggirle dalla mente. Sembrava che ogni
malattia, parola, sguardo o tocco la riconducesse inesorabilmente a lui.
Ingollò una
quantità esagerata di caffè senza ottenere alcun risultato, avevo perfino
provato un espresso ristretto, ma tutto quello che era aveva ottenuto erano
state delle fastidiose e incontrollabili palpitazioni, che avevano aumentato la
sua ansiosa irritazione.
Alla fine della
mattinata si arrese, andando a chiudersi nello studio per compilare delle cartelle,
ma non aveva arretrati e come se non bastasse, i suoi colleghi, avendo preso
esempio da lei, non lasciavano nulla in sospeso: tutti ambivano al premio
produttività extra che il decano di medicina aveva promesso. Sconfitta dal suo
stesso sistema, Cameron stremata, appoggiò il capo alla scrivania, tutto
sembrava remarle contro.
Si alzò di scatto:
aveva deciso che un pranzo all’aria aperta non le avrebbe certo nociuto e vista
la brezza autunnale che spirava da nord, non avrebbe avuto compagnia. Rovistò
nel frigorifero di reparto cercando la propria insalata di pollo che si era
preparata la sera precedete, ma sembrava essere scomparsa assieme al
contenitore. – “Ma dove diavolo l’ho messa?” – Sospirò frustrata.
Un’infermiera, che
stava tornando dalla sua pausa pranzo, vide la giovane dottoressa inginocchiata
davanti al frigorifero che osservava contenitore per contenitore, etichetta per
etichetta. – “Ci sono problemi dottoressa?”
Cameron sussultò,
si girò lentamente sorridendo. – “Probabilmente sto manifestando precocemente i
sintomi dell’Alzheimer! Ero convinta di essermi portata il pranzo, ma a quanto
pare devo averlo lasciato a casa.”
L’infermiera
sorrise comprensiva. – “Succede!” – Sorridendo bonariamente. – “Mi hanno dato
un messaggio da riferirle.” – Disse incerta, come se la cosa la preoccupasse
alquanto. Attese che Cameron si voltasse e poi continuò. – “Mentre tornavo ho
incrociato il dottor House.” – Sospirando pesantemente, mentre l’espressione
dell’altra donna accucciata davanti al frigo divenne di pietra. – “Mi ha detto di
dirle che l’insalata di pollo la preferisce senza pomodorini.” – Affastellando
le parole.
Il volto di
Cameron divenne scarlatto per la rabbia, ora gliela avrebbe pagata cara. Lasciò
rapidamente la sala sosta mentre l’infermiera allibita si stava chiedendo se la
brava e paziente dottoressa Cameron fosse per caso impazzita o se un vecchio
chiacchiericcio avesse delle fondamenta solide.
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Le tende erano
tirate, segno che voleva stare da solo, ma a lei non importò. Spalancò la porta
e si ritrovò nello studio del diagnosta. Fece vagare lo sguardo per tutta la
stanza, ma lui non c’era.
Sulla scrivania,
in bella vista, troneggiava la sua insalata di pollo mangiata a metà con tutti
i pomodorini raccolti su di un lato. Cameron non sapeva se essere arrabbiata o
sollevata, ci aveva impiegato oltre un’ora per ricreare la ricetta segreta che
sua nonna le aveva pazientemente insegnato molti anni prima. Senza guardarsi
attorno si sedette alla scrivania e mentre stava per portarsi la forchetta alla
bocca, il pensiero di essere caduta in una trappola le sfiorò la mente, ma
decise di ignorare quella sensazione e prese a mangiare con gusto.
“Lo sai che
forchettata dopo forchettata è come se stessi continuando a baciarmi?”
La voce le arrivò
alle spalle facendole andare di traverso il suo gustoso pranzo. Iniziò a
tossire fino a diventare paonazza in volto. House le diede delle forti pacche
sulla schiena per far trovare al cibo la giusta direzione. – “Non muoio dalla
voglia di farti la manovra di Heimlich, ma se proprio insisti …”
Cameron ebbe
bisogno di qualche minuto per recuperare la sua abituale compostezza e
probabilmente anche di un bicchiere d’acqua che al momento mancava. Individuò
però, nelle mani di House, un grande bicchiere, qualsiasi cosa fosse, ne aveva
bisogno. Glielo strappò e succhiò dalla cannuccia con forza quello che si
rivelò essere la disgustosamente dolce Cherry Cola.
“Ancora! Ma allora
è un’abitudine!” – Disse House mentre osservava la donna che succhiava
avidamente. – “Ti arrabbi se ti bacio, ma non ti fai scrupoli a scambiare
continuamente fluidi corporei con me.”
“Saliva House,
solo saliva, non farla più grande di quello che è!” – Mentre riprendeva a
respirare normalmente.
“Ma così la
sminuisci! La saliva contiene ptialina, mucina, albumina, globuline, acqua e
naturalmente DNA, quindi ogni volta che ci baciamo, che utilizziamo le stesse
posate e cannucce un po’ di me finisce dentro di te e viceversa.” – Con fare
saccente, godendo di aver trovato il modo di farla andare da lui senza doverle
dire ancora una volta che le mancava.
“Per fortuna è una
parte infinitesimale.” – Lei si alzò e lo affrontò apertamente. – “E per la
cronaca ci siamo baciati solo due volte, da come ne parli sembra che pomiciamo
dalla mattina alla sera.”
“A questo possiamo
porre rimedio!” – Mentre uno sguardo diabolico gli si dipinse in volto.
Ancora una volta
si chinò su di lei e velocemente l’afferrò per la vita mentre incollava le
proprie labbra a quelle di lei. Cameron oppose resistenza, serrandole fortemente
e spostando il capo a destra e a sinistra, ma inesorabilmente il suo corpo
prese il sopravvento sulla propria volontà e in pochi istanti si ritrovò a
rispondergli con la stessa ardente bramosia che pensava di aver sepolto nella
profondità del suo stesso essere.
Oddio no! Non di nuovo! – Pensò Cameron frustrata.
Per quanto
cercasse di fermarsi, le proprie labbra, la propria lingua, le proprie mani, il
proprio bacino, si muovevano contro il suo stesso volere. Aderì maggiormente a
lui mentre dei gemiti lussuriosi fuoriuscivano dalle gole di entrambi. Cameron
strinse gli occhi e ordinò al proprio corpo di fermarsi, ma sembrava
impossibile. A un tratto lei percepì chiaramente la sua mascolinità ampliarsi
contro il proprio addome e una rabbia impetuosa le crebbe dentro. Allison
ordinò nuovamente al proprio corpo di fermarsi e finalmente quello obbedì. S’irrigidì
per un momento e poi scagliò una ginocchiata vigorosa contro l’inguine di
House: lui non poteva permettersi di trattarla come una delle sue tante puttane.
“Non riprovarci
mai più!” – Gli ordinò staccandosi da lui mentre gli occhi lanciavano saette
rabbiose per tutta la stanza.
Lui si ritrovò
piegato in due, con le mani all’inguine e con un dolore così forte che lo
accecò istantaneamente, mentre una lacrima insubordinata gli rigava il volto.
Il suo cervello andò in tilt e l’unica cosa in grado di registrare fu quel
terrificante dolore che dalle gonadi si propagò come un incendio per tutto il
suo corpo. Nonostante ansimasse violentemente e che per un istante i suoi occhi
fossero stati incapaci di vedere, riuscì a notare quanto lei fosse bella anche con
quell’espressione furiosa
Cameron fece
qualche passo verso la liberà, ma il suo insano principio da crocerossina la
costrinse a rimanere nella stanza, ovviamente a debita distanza.
Qualche minuto
dopo House riaprì gli occhi e fu la prima cosa che vide. – “Prima ci stai e poi
cerchi di distruggermi i gioielli di famiglia? Sei impazzita?”
“Se io sono
impazzita?” – Chiese lei alzando la voce mentre il volto s’imporporava. – “Tu
sei quello impazzito! I tuoi neuroni si devono essere bruciati per il troppo
Vicodin! Non puoi andare in giro a baciare la gente come e quando ti pare,
soprattutto se questa ti dice di no!”
“Non mi risulta di
aver baciato chiunque, ricordo solo te in effetti.” – Con rinnovato sarcasmo,
il fatto di affrontarla gli stava permettendo di dimenticare il dolore, o almeno
di relegarlo in secondo piano.
“Probabilmente il
Vicodin ti sta facendo più male del solito poiché sembri aver dimenticato di
aver baciato Cuddy meno di quindici giorni fa.” – Con voce secca e rabbiosa. Lo
squadrò dall’alto in basso e lesse la sorpresa sul suo volto e in quell’istante
si pentì di quello che aveva detto.
Lui la guardò
irato, ancora una volta Wilson era il gazzettino del pettegolezzo. – “Tu non
sai un bel niente!”
“E’ possibile! Ma
ora so perché non ti sei comportato come il solito con Cuddy mentre avevamo in
cura Stewart.” – Con rinnovato vigore. Pensò che ormai il danno era fatto e
tanto valeva arrivare fino in fondo alla questione.
“Stewart? E chi è?”
– Le chiese perplesso.
“L’agorafobico.” –
Prese fiato. – “Sei stato così remissivo con lei che quasi non ti riconoscevo,
ora con me che farai? Mi umilierai davanti al mondo più di quanto non abbia
fatto la settimana scorsa?” – Mentre ricordava quanto era riuscito a farla
sentire colpevole per il peggioramento del paziente.
Lui la guardò
rabbioso, lui aveva ragione e lei torto. Lei era solo quella guidata da quello
stupido senso di giustizia etica, mentre era lui quello geniale. – “Sei tu
l’idiota che va a svegliare un paziente pronto per un intervento chirurgico e
sei sempre tu quella che l’ha defibrillato quando avevamo l’opportunità di
portarlo in ospedale! Certo che ti umilierò davanti agli altri, sei ancora così
… debole.” – Il disgusto fu palese nel tono della voce e lei ebbe la sensazione
di essere appena stata pugnalata.
Cameron respirò a
fondo e cercò di incanalare la sua rabbia nei migliori dei modi. – “Io ho
rispettato i suoi voleri, cosa che non hai fatto tu. Ti sei conquistato la sua
fiducia e quando si è affidato completamente a te, lo hai tradito nei peggiori
dei modi.”
“Stai parlando di
me o di te? Perché certamente ricordo almeno un episodio che ti si addice
perfettamente.” – Non riuscendo più a fermare quella spirale fatta di stoccate
e di umiliazioni che si stavano riversando addosso.
“Pensavo che
stessi morendo e volevo trovare un’altra spiegazione.” – Colpita che per la
prima volta lui parlasse di quel bacio che anni prima lei gli aveva rubato e
poi che era sembrato cadere nel dimenticatoio. Fece un profondo respiro e si
chiese se lui lo avesse vissuto così, come un tradimento.
“Santa Cameron che
predica bene e razzola male: io non avevo chiesto il tuo aiuto. Se io avessi voluto
morire, me lo avresti dovuto lasciar fare.” – Ribattendo sul principio di
autodeterminazione tanto caro alla donna.
“Benissimo! Ora so
cosa fare nell’eventualità ti fosse diagnosticato un tumore cerebrale.” – Lei
lo aveva fatto per non vedere un altro uomo della sua vita strappato in quella
maniera misera e dolorosa, ma lui sembrava non tener conto dei suoi sentimenti
eppure c’erano state delle volte che le era sembrato che lui la capisse come
mai nessuno aveva fatto prima, ma quello era successo prima che le cose tra
loro precipitassero. Mise una mano sulla maniglia della porta, ma un attimo
prima di uscire si fermò e si voltò verso di lui. – “Io sono andata avanti e mi
sono costruita una vita, vedi di fare lo stesso o almeno lasciami in pace.” –
Conscia che quel bacio dato a tradimento aveva cambiato tutto tra di loro.
“Già, certo, bella
vita con capelli flosci, del resto sembrate la coppia perfetta delle
pubblicità. Che cosa c’è di più bello?” – Con del sarcasmo che trasudava di
cattiveria.
Con un ultimo
sguardo di rimprovero lei lasciò la stanza, andarsene da diagnostica era
probabilmente la scelta migliore e peggiore che avesse mai fatto nella sua
vita. Con le mani stirò le pieghe che si erano formate sul camice e andò alla
ricerca di Chase, aveva molto di cui farsi perdonare.
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--- fine secondo capitolo ---
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Capitolo 4 *** Terzo capitolo – Appearances ***
YKB - Terzo capitolo – Appearances
Terzo capitolo – Appearances
Quella era una
buona giornata per il dottor Wilson. Aveva terminato il giro visite e nessuno
dei suoi pazienti era peggiorato, e questo lo aveva reso di buon umore. Il
fatto poi, che nessuno gli avesse fatto stupidi scherzi o che non gli avesse
rubato il pranzo, lo aveva ulteriormente migliorato. Passò davanti allo studio
del suo collega e amico dottor House e come d’abitudine diede un’occhiata al
suo interno; invece di trovarlo stravaccato sulla propria reclinabile, questi
era in piedi, piegato in avanti e con le mani portate all’inguine. L’insolita
situazione lo portò a entrare.
“Hei! Tutto bene?”
– Chiese preoccupato.
Il diagnosta
sollevò gli occhi e lo guardò irato. – “Un crampo alla coscia.” – Mugugnò.
Lui lo guardò
perplesso. – “Sono passati molti anni da quando studiai sul Gray’s ma mi sembra
di ricordare che la coscia sia più in basso.”
House mormorò
qualcosa d’incomprensibile e cercò di raggiungere la scrivania, ma quella sembrava
troppo lontana. Desiderò ardentemente il flacone arancione posto vicino alla
tastiera, ma per averlo sarebbe dovuto arrivarci giacché non aveva il dono
della telecinesi. – “Dammi il Vicodin.” – Disse secco sapendo che era l’unica
soluzione possibile.
Guidato dal suo
istinto Wilson lo prese, fece per consegnarglielo, ma all’ultimo istante
ritrasse la mano. – “Hai di nuovo problemi a urinare?”
“NOOO!” – Urlò
esasperato il diagnosta buttandosi letteralmente contro l’amico. – “Dammi quel
dannato Vicodin.”
Riuscì ad
afferrarlo e con mani tremanti svitò il tappo. Fece scivolare due compresse
sulla mano, ma non contento ne aggiunse un’altra. Wilson cercò di bloccarlo, ma
House fu più veloce cacciandole in fondo alla gola con fare esperto.
“Hei! Ma sono troppe
tutte in un colpo!” – Stupito da quel comportamento che non vedeva più da
qualche tempo.
“Fatti gli affari
tuoi. Dolore mio, cura mia!” – Riuscendo a fare qualche piccolo movimento in
più.
“Già ma sono io
che ti faccio le prescrizioni oppure …” – Mentre in volto gli compariva un
sorriso malizioso. – “… puoi andare da Cuddy e con la scusa di una ricetta, le
puoi chiedere di uscire.” – Insistendo ancora una volta su quell’argomento.
“Scordatelo.” –
Disse arrancando verso la propria poltrona. – “A proposito, smetti di fare
gossip su me e Cuddy, non vedo proprio perché devi andare in giro a sbandierare
gli affari miei.”
Wilson lo guardò
perplesso per un attimo solo e poi seppe chi era stato in quella stanza e
probabilmente anche chi gli aveva procurato tutto quell’insolito dolore:
Cameron. – “Avevo bisogno di confrontarmi con una persona che ti conoscesse
bene quanto me e che mi aiutasse a districare la matassa dei casini che
combini.” – Disse giustificandosi, mentre si chiedeva perché la donna avesse
infranto quella piccola promessa che gli aveva fatto qualche giorno prima.
“Capisco di essere
il centro dell'universo, ma perché dovete parlarle di me? Io pensavo che v’incontraste per spazzolarvi i
capelli a vicenda e a spettegolare sui vostri amici del gruppo di mutuo aiuto
dei vedovi impenitenti.” – Mentre rabbia e disgusto si mescolavano nel tono
della voce.
Lo sguardo di
Wilson si fece scuro e tutto il suo corpo s’irrigidì. Una frazione di secondo
dopo, House seppe di aver detto la più grossa cavolata della sua vita, ma
ovviamente non poteva scusarsi, non era da lui. – “Dai Jimmy ti perdono, vieni
a bere una birra da me questa sera e ti faccio vedere il nuovo canale della pay
tv che ho fregato al mio vicino.”
L’oncologo non
accolse l’invito e gli girò le spalle per andarsene, ma quando fu sulla porta
lo guardò ancora una volta. – “Non incasinarle la vita ancora una volta, lei
ora sta bene con Chase.”
House ebbe voglia
di replicare, ma lo sguardo duro che Wilson gli lanciò un attimo prima di
lasciare la stanza lo fece desistere. Si accomodò meglio sulla poltrona e buttò
indietro il capo. – “Wilson è felice, Cuddy è felice, Cameron è felice, persino
capelli flosci è felice, allora io?” – Mormorò alla stanza vuota che non gli
rispose.
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“Allora, come mai
sei giù come un cane bastonato?” – Chiese il moro neurologo al compare che gli
si sedette di fianco con un tonfo.
Il chirurgo si
passò una mano tra i biondi capelli e sospirò. – “Cameron.” – Mormorò scontento
come se quell’unica parola potesse spiegare ogni cosa.
“Che ha fatto?” –
Ripiegando il giornale perché aveva tutta l’aria di una chiacchierata di
quelle.
“Si è arrabbiata
con me ed è da un paio di giorni che mi evita.” – La pelle del divano
scricchiolò scontenta sotto il suo peso. Buttò il capo indietro e sbuffò. – “Puff,
proprio ora che le cose avevano cominciato a farsi serie.” – Mormorò più a se
stesso che a Foreman.
“Che le hai
combinato?” – Mentre un largo sorriso gli si disegnò in volto, era proprio una
di quelle.
“Ma niente.” –
Disse un po’ imbarazzato. – “Il solito … sai House e il fatto che è sempre tra
i piedi.”
“Lui vuole che
torni nel team, penso che non abbia ancora digerito le sue dimissioni, al
contrario delle nostre.” – Sorvolando sul piccolo particolare che il biondo
australiano era stato licenziato in tronco. Foreman si passò una mano sulla
testa e assunse un’aria comprensiva. – “Continua a dire ai ragazzi che non sono
alla sua altezza e poi appena lei è a portata di voce la umilia, è proprio uno
strano modo di chiederle di tornare in squadra.”
Chase sospirò. –
“Tu pensi che tra loro ci sia stato qualcosa?” – Chiese a bruciapelo liberando
ancora una volta quel fastidioso sospetto.
“Hei amico, se non
lo sai tu, io di certo non lo so.” – Tirandosi subito fuori per paura di
restarci scottato, sapeva che era pericoloso interessarsi degli affari di
House, ma in qualche maniera sapeva che Cameron poteva esserlo molto di più.
“Ciao ragazzi, su
chi state spettegolando?” – Chiese Cameron comparendo improvvisamente davanti
ai ragazzi.
Foreman ridacchiò
nervosamente. – “Sempre il solito direi. Stavamo scommettendo su chi House
minaccerà di licenziare la prossima volta.” – Utilizzando ancora una volta
quella vecchia scusa sempre attuale.
Chase sembrò
imbarazzato per un attimo. – “Già, stavamo pensando a Kutner, ultimante Taub è
il suo lacchè personale e Tredici … beh lei è Tredici.” – Ridacchiando.
Cameron rise e
lanciò un’occhiata verso Foreman. – “Giù in pronto soccorso mi sono arrivate
delle voci.”
“E sarebbero?” –
Chiese curioso il neurologo.
“Che c’è un
feeling tra te e Hadley.” – Con l’espressione dell’ovvietà.
Il chirurgo si
voltò verso l’amico. – “E non mi dici nulla? Che amico sei?”
Foreman buttò gli
occhi al cielo. – “Siete peggio di due ragazzini.” – Disse alzandosi dal
divano. – “Ci vediamo.” – Allontanandosi da loro con grandi falcate.
“Quelle voci erano
vere?” – Chiese Chase.
Cameron sorrise. –
“Dal suo comportamento direi proprio di sì.”
Finalmente si
guardarono negli occhi ed entrambi cercarono delle parole di scuse che non
vennero.
“Sta sera vieni da
me?” – Chiese lei timidamente.
“Sì, certo.” –
Disse lui con un sorriso felice. – “Ci vediamo più tardi, ora devo andare in
sala operatoria.”
Si salutarono con
dei cenni delle mani ed entrambi tornarono nel proprio dipartimento.
----------------
“Hei! Ciao!”
Cameron alzò gli
occhi dai fogli che stava compilando e un largo sorriso si disegnò in volto. –
“Ciao Wilson, come stai?”
“Stavo bene … fino
a un paio di ore fa.” – L’espressione crucciata e preoccupata della donna lo
spinse a continuare. – “Potrei sapere perché lui sa che tu sai?” – Parlando in
quello strano codice che era più di House che proprio.
Lei sbuffò e ruotò
gli occhi. – “Mi spiace, ma mi ha talmente tanto indispettito che ho detto la
prima cosa che gli avrebbe male, subito dopo c’erano Stacy e la gamba.”
E in quel momento
l’oncologo comprese che tra loro doveva essere successo qualcosa di serio. – “Che
ti ha fatto perché tu reagissi così? Di solito sei molto equilibrata.”
“Oh il solito con
l’aggiunta di un po’ di cattiveria extra.” – Fortunatamente Wilson non era un
rilevatore di bugie e lei aveva almeno imparato un po’ a mentire al resto del
mondo, oltre tre anni di tirocinio sotto House erano serviti almeno a questo.
“Deve aver detto
qualcosa di veramente cattivo.” – Cercando di estorcerle la verità.
O fatto di qualcosa di molto bello con
cattive intenzioni. –
Pensò Cameron. – “Già, ma non mi va di parlarne oppure potrei tornare in
versione cattiva.” – Con un sorriso dolcemente malizioso.
Wilson ridacchiò a
quella prospettiva, in tanti anni poteva dire di aver visto Allison Cameron
arrabbiata raramente e solitamente questa rabbia era rivolta contro House. Un
brivido gli percorse la schiena e ricordò quando anni prima la sua furia era
stata rivolta verso di lui e Cuddy e decise che non era il caso di insistere. –
“Ok, forse è meglio di no, l’importante è che tu non cominci ad
assomigliargli.”
Lei rise
rilassandosi per la prima volta in due giorni. – “Fino a quando non mi vedrai
con un barattolo di Vicodin in una mano e nell’altra un bastone saprai di
essere salvo.”
L’espressione
dell’oncologo fu impagabile: terrore puro. – “Hai già assunto un po’ del suo
contorto senso dello humour, ma sappi che non ti prescriverò il Vicodin.”
“Dottoressa
Cameron!” – Disse un’infermiera. – “E’ in arrivo la vittima di un incidente
stradale.”
“Ci vediamo
Wilson, mi spiace di averti creato problemi con House.” – Indossando i guanti
in lattice e dirigendosi verso le porte automatiche.
“Anche questo è
tipico di House.” – Le disse come colto da una folgorazione.
“Che cosa?” –
Chiese lei perplessa mentre continuava la propria strada.
“Nascondersi
dietro ai pazienti.” – Sorridendole comprensivo.
Lei gli diede un
ultimo sorriso e girò l’angolo nascondendosi alla vista dell’oncologo, che
rimase a guardare quel punto ancora per qualche istante. Quella conversazione
gli aveva appena confermato quello che sospettava. – “Chissà che è successo per
farla arrabbiare tanto da costringerla a dargli una ginocchiata all’inguine?” –
Bisbigliò a un mucchio di cartelle abbandonate.
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--- fine terzo capitolo ----
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Capitolo 5 *** Quarto capitolo – Broken Heart ***
YKB - 5 - Broken heart
Quarto capitolo – Broken Heart
Gli ultimi giorni
di novembre stavano mantenendo tutte le promesse di neve e gelo che aveva solamente
fatto assaggiare all’inizio del mese. Il gelo era arrivato quasi
improvvisamente dopo alcune insolite giornate assolate e ovviamente la neve
l’aveva seguito da lì a poco. Gli echi del giorno del ringraziamento si erano
ormai spenti e la facevano da padrone le vetrine addobbate come il più grande
dei Natali nonostante la recessione più nera che gli Stati Uniti stessero
vivendo dalla fine della seconda guerra mondiale. La parola d’ordine sembrava
essere divenuta: svendite, svendite, svendite. Su ogni vetrina campeggiava la stessa
scritta, quasi che tutti volessero dimenticare l’imminente festività. Il vento
fece rotolare via una povera ghirlanda malconcia, lasciandola posarsi delicatamente
al centro di una strada vuota e silenziosa.
Improvvisamente il
suono stridente delle sirene bitonali di un’ambulanza squarciò il silenzio
delle cinque del mattino in una Princeton ancora addormentata, per poi
spegnersi con un lamento sgraziato una volta davanti al pronto soccorso delle
PPTH.
Due ragazzi, che
sembravano aver appena finito il liceo, scaricarono una barella con sopra un
uomo preda di fortissimi dolori.
Una bionda
dottoressa, vincendo la stanchezza di un lungo turno lavorativo, affiancò la
barella. – “Ragguagliatemi.” – Disse con voce ferma.
“Maschio di quarantanove
anni, dolore al petto improvviso insorto a riposo, sudorazione algida e profusa.
Pressione 190 su 110, polso aritmico. Il tracciato mostra un’anomalia del
complesso QRS.” – Disse uno dei ragazzi con tono colmo di eccitazione, doveva
essere uno dei suoi primi giri vista la baldanza, che a quell’ora del mattino,
ancora lo animava.
“Sono la
dottoressa Allison Cameron e lei è al PPTH, come si chiama signore?” – Disse
con tono gentile rivolgendosi al paziente.
L’uomo dal volto
esangue, che si teneva il petto con entrambe le mani, sollevò gli occhi e la
guardò con i suoi incredibili occhi azzurri. – “Lei è bellissima.” – Sussurrò a
mezza voce.
Forse fu per il
complimento imprevisto oppure per quegli occhi azzurri che le ricordarono
quelli di un’altra persona e lei si sentì avvampare. – “Grazie.” – Mormorò
impacciata. – “Posso sapere il suo nome?” – Con una tranquillità che sembrava
fuori posto in quel caos che è un pronto soccorso.
Nonostante il
sorriso ostentato, Cameron percepì la sofferenza dell’uomo. – “Mi chiamo Patrick Highlands.” – Si passò una mano dalle lunghe
dita tra i capelli rossastri, screziati da un timido grigio sulle tempie, rendendolo
ancora più interessante.
Era la prima volta
dopo molto tempo che un uomo riusciva ad affascinarla solamente con uno sguardo
e con poche parole e quello che lo aveva fatto in precedenza le aveva spezzato
il cuore più e più volte. Un operatore sbadatamente colpì Cameron a un fianco riportandola
bruscamente sulla terra. – “Soffre di patologie cardiache signor Highlands?” –
Cercando di tornare professionale.
“Mi chiami pure
Patrick, dottoressa Cameron, e no, è la prima volta che provo questo dolore
insopportabile al petto.” – Mentre una smorfia di dolore rovinò per un istante
i suoi bei lineamenti maschili.
Ebbe la tentazione
di dirgli di chiamarla Allison, ma non lo fece perché l’etica e la necessità di
mantenere un comportamento professionale la frenarono. – “Bene Patrick, ora un’infermiera
le farà subito un prelievo di sangue per controllare gli enzimi cardiaci,
mentre io le farò un ecocardiogramma e lei mi racconterà la sua storia medica.”
– Guardandolo con un dolce sorriso.
“Con vero
piacere.” – Disse l’uomo mentre impercettibilmente si rilassava: ora si sentiva
al sicuro.
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Cameron ingollò la
terza tazza di caffè e sperò che fosse solo la stanchezza a non permetterle di
cogliere segni d’infarto del miocardio, perché se non erano realmente presenti il
signor Patrick Highlands era nei guai.
Controllò
nuovamente le immagini scattate durante l’ecografia e il tracciato
elettrocardiografico, ma non sembravano esserci i tipici segni di un infarto.
Anche gli enzimi cardiaci avevano dato esito negativo. Cameron si alzò in piedi
per sgranchirsi un poco le gambe. Si premette le tempie con le dita, qualcosa
le sfuggiva, ma cosa?
Controllò
rapidamente l’ora e pregò che lui non fosse già arrivato, erano settimane che
si evitavano intenzionalmente e sapeva di non essere nelle condizioni migliori
per affrontarlo. Si guardò allo specchio e decise che, prima di andare in
diagnostica, aveva bisogno di passare per lo spogliatoio. Una volta dentro si fece
rapidamente una doccia e sostituì la divisa rosa con una pulita. Una rapida
spazzolata alla fluente chioma bionda e fece per uscire, ma all’ultimo istante
tornò indietro scegliendo di indossare anche il suo camice bianco:
professionale, doveva essere professionale.
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“Maledizione a
lui.” – Bisbigliò dando un’occhiata veloce allo studio. – “Quando vorresti che
non ci fosse lui è puntuale.” – Cameron respirò a fondo e si fece coraggio. –
“Buon giorno.” – Disse con voce squillante mentre con larghe falcate si
avvicinava alla scrivania. – “Ho un caso per te.”
Lui la guardò
stranito. Aveva profonde occhiaie e gli occhi arrossati, sembrava aver dormito
sulla poltrona o forse aveva ecceduto con il Vicodin, probabilmente entrambe. –
“Che vuoi?” – Le chiese brusco.
Lei s’irrigidì e
comprese immediatamente che non sarebbe stato facile ottenere qualcosa con lui
in quello stato. – “Ti ho portato un caso, uno di quelli che ti piacciono
tanto.” – Cercando di far leva sul suo lato curioso e amante dei puzzle.
“Non m’interessa.”
– Ribatté secco distogliendo lo sguardo da lei, quelle morbide labbra
sembravano una provocazione troppo grande per lui che ancora una volta ebbe
l’impressione di poterne saggiare il gusto e la consistenza. – “Arrangiati.” –
Sbottò nervoso. – “Non fai più parte di questo team, quindi non pensare di
poter venire a chiedere favori solo perché hai un bel fondoschiena.”
La donna s’irritò
notevolmente, sapeva che non sarebbe stato facile, ma non aveva certamente
previsto di essere investita da tanto rancore. Fece un paio di passi indietro,
quasi a volersi distanziare. – “Non ho mai ottenuto nulla perché ho un bel
fondoschiena, ho lavorato sodo e tutto quello che ho avuto lo devo solo a me
stessa.”
Lui fece una
risata quasi isterica. – “Errore!” – Disse alzandosi in piedi quasi a voler
sentirsi superiore. – “Io ti ho assunta proprio per il tuo bel fondoschiena,
nient’altro.”
Fu la volta di
Cameron ad arrabbiarsi e a provare un’ondata di disgusto per l’uomo che aveva
davanti. – “Fantastico, allora immagino che continui a dirmi che ti manco
perché non vedi più il mio splendido culo.” – Usando intenzionalmente quel
termine volgare per provocarlo maggiormente.
Lui rise davanti
alla determinazione che aveva scorto brillare negli occhi di lei. – “Baci tua
madre con quella bocca Cameron?”
L’ira di lei non
si era per nulla acquietata, ma sbottò fuori con maggiore rabbia. – “Dovresti
controllare meglio le tue fonti House … io non… ” – Il viso esprimeva sdegno e
rabbia, ma soprattutto delusione. Voleva aggiungere qualcosa, ma si trattenne,
non voleva dargli ancora una volta qualcosa per rafforzare quell’immagine
distorta che mentalmente si era creato. A grandi passi uscì dallo studio
sbattendo la porta con forza, tanto da far uscire di corsa Wilson nel
corridoio.
House boccheggiò,
certe cose di lei gli erano rimaste oscure, ma da qualche parte sapeva di aver
visto una foto della piccola Cameron con una donna a lei molto somigliante e
aveva dato per scontato che fosse la madre, o questo o Allison Cameron era un
mistero che si faceva ogni giorno più grande.
Wilson con
un’espressione contrita entrò nello studio. – “Che succede? Che lei hai fatto
questa volta?”
Il diagnosta si
sedette nuovamente sulla sua poltrona girevole e guardò fuori con sguardo
assente. - “Le ho fatto un complimento.” – Del resto era in parte vero, se
fosse stato estrapolato dal contesto, ovviamente.
“Sì, certo, un
complimento! Qual è la donna che diventa una delle furie dopo aver ricevuto un
complimento? – Wilson gli si avvicinò e anche lui notò i segni di disfacimento
presenti sull’amico. – “Se vuoi andare a fondo, fallo! Nessuno ti fermerà, ma
non portare altre persone con te, soprattutto non lei.”
Rimasero in
silenzio per alcuni minuti, vicini ma lontani di spirito.
“E’ per questo che
te ne sei andato? Perché non trascinassi a fondo anche te?” – Chiese House in
un sussurro, maledicendo quella cosa che lo pungolava dentro cui non voleva attribuire
un nome.
Wilson non
rispose, si limitò a dargli un’affettuosa pacca sulla spalla, per poi uscire in
silenzio da quello studio.
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Capitolo 6 *** Quinto capitolo – Queen of Clubs ***
YKB - Quinto capitolo – Queen of Clubs
Quinto capitolo – Queen of Clubs**
**Nel poker corrisponde a quella che noi chiamiamo regina di fiori ;)
Cameron osservò da
lontano il proprio paziente e rimpianse il proprio comportamento con House, se
fosse stata più remissiva, se avesse messo da parte un po’ di quello stupido
orgoglio, se fosse stata ancora una volta al suo gioco, se … le cose sarebbero
state diverse e non avrebbe dovuto imbottire il paziente di beta bloccanti e
nitroglicerina con esito pressoché scarso.
Si picchiettò
insoddisfatta il labbro inferiore e sospirò ancora una volta, aveva bisogno di
un’idea e al più presto.
Qualcosa o
qualcuno la distrasse dai propri pensieri costringendola a guardarsi attorno.
Proprio in quel momento la dottoressa Hadley comparve nel corridoio e l’idea
tanto attesa si formò nella mente di Cameron.
------------
“Hei, ciao
Foreman.”
Il neurologo alzò
gli occhi dal marasma di libri posti davanti a lui e un largo sorriso gli si
dipinse in volto. – “Ciao Cameron, come va?”
Lei roteò gli
occhi, gesto che da solo fece capire al suo interlocutore che non andava poi
così bene. – “Ho bisogno di una mano.” – Disse lei sventolandogli davanti una
cartellina.
Foreman timoroso
la prese e iniziò a sfogliarla. – “Perché l’hai portata a me e non a House,
sembra più sul suo stile un caso del genere.” – Guardandola negli occhi.
Lei sbuffò
sonoramente. – “L’ho fatto, ma ha rifiutato.”
“Lo hai interrotto
mentre vedeva le soap o mentre batteva il suo record personale con quel nuovo giochino?
Una volta eri tu quella attenta a queste cose.” – Prendendola un poco in giro.
“No … niente di
tutto ciò … diciamo che … abbiamo … vedute differenti. È stato più cattivo del
solito oppure io meno disponibile, ci siamo urlati addosso ed io me ne sono
andata.” – Riassumendo brevemente l’incontro cercando di evitare di dare troppo
peso alla cosa.
Foreman la guardò
stupito. – “Tu che urli addosso a House? Perché mi perdo sempre le cose
divertenti della vita.” – Sospirò con finto rammarico.
“Eric!” – Disse
indignata. – “Io ho bisogno di una mano, sul serio! Il dolore è regredito solo
di un paio di punti e i beta bloccanti non fanno il loro lavoro.” – Sospirò torturandosi
un’unghia con i denti. – “Lui sta morendo ed io non so proprio che cosa
inventarmi.” – Gli disse cercando di instaurare un sincero contatto visivo. –
“Ho bisogno sul serio di una mano.”
L’espressione del
neurologo si fece seria. – “Non posso prendere casi Cameron, stiamo per partire
con i trailer clinici ed io sono in ritardo per preparare la presentazione per
la commissione etica, non posso aiutarti, mi spiace.” – Mentre la sua faccia
esprimeva un sincero rammarico ricordando che quando era stato nel bisogno lui
aveva ricevuto aiuto da lei e da Chase.
La delusione sul
volto della donna fu evidente. – “Si accettano idee e suggerimenti.” – Mentre
stringeva tra le dita la cartella. Tutti i pazienti per lei erano importanti,
ma quello la spingeva a combattere più duramente del solito e ancora non sapeva
perché.
“Fai scendere in
campo la regina di fiori!” – Disse Foreman con un’espressione furba.
Il volto di
Cameron s’illuminò. – “Giusto! La regina di fiori!” – Si alzò di corsa e andò
verso la porta. Un attimo prima di uscire si voltò e gli sorrise. – “Grazie,
sei un amico.”
--------------
Quel giorno la
dottoressa Cuddy era pensierosa, non tanto perché le cose nel suo amato
ospedale andassero male, anzi, ma perché la sua vita privata aveva intrapreso
una piega inaspettata dopo tanti mesi di silenziosi preparativi. Aveva perso la
sua Joy proprio quando si era convinta che fosse finalmente sua, uno dei suoi
migliori amici l’aveva baciata in una maniera tutt’altro che amichevole e
l’altro suo amico le aveva fatto la confessione che desiderava da qualche anno
o giù di lì, salvo poi ritrattare tutto quando lei gli aveva chiesto se stava
agendo per dare una sveglia a quell’altro amico che aveva incasinato le cose.
Sbuffò
rumorosamente.
Per essere una che
non aveva tempo per intrattenere seriamente delle relazioni sociali stabili,
aveva un bel casino attorno a sé.
Avrebbe dovuto
mettere le cose a posto senza contare su quei due.
Diede una rapida
occhiata alle prospettive di spesa per quell’anno e le confrontò con quelle
dall’anno precedente: incremento delle spese dell’8,3%, incremento del
fatturato del 12,1% e incremento delle donazioni del 10,9%. Anche quell’anno il
PPTH era salvo e non doveva far affidamento sui finanziamenti pubblici che
erano instabili e generalmente insufficienti.
Con la punta del
piede si diede una piccola spinta e si trovò a guardare la neve che aveva
ricoperto le piccole aiuole di violette. Chiuse gli occhi e per un istante
riuscì a immaginare l'aspetto che avrebbero avuto in primavera: vivaci macchie
multicolori che si piegavano dolcemente nella brezza.
Un groppo violento
e improvviso le serrò la trachea costringendola a spalancare occhi e bocca per
cercare di incamerare aria: quello sarebbe stato il primo Natale della sua Joy
e non lo avrebbero passato assieme.
Le lacrime
spinsero per uscire, ma ancora una volta le ricacciò indietro: la vita sembrava
avercela con lei, non sarebbe mai diventata madre, tanto meno di quella bambina
che per qualche ora aveva stretto al petto facendola finalmente sentire
completa.
Un leggero bussare
alla porta la riportò sulla terra. – “Avanti.” – Disse distratta senza nemmeno
prendersi la briga di voltarsi verso la porta, aveva bisogno di un altro
istante per ricomporsi.
“Buon giorno
dottoressa Cuddy.” – Disse una voce femminile nota. – “Avrei bisogno del suo
aiuto.”
Il decano di
medicina fece ruotare la propria poltrona e si trovò davanti Cameron, uno dei
medici che prometteva di lasciare un segno, anche se la sua compassione a volte
era un ostacolo non indifferente. – “Che posso fare per te?” – Mentre la voce
indicava che aveva ripreso il controllo di sé, almeno esteriormente.
“Ho un problema
con House.” – Disse torcendosi le mani una con l’altra mostrando tutta la sua
frustrazione.
Cuddy alzò
significativamente un sopraciglio e si permise di osservare la donna davanti a
sé. Il camice rosa, il sovra camice bianco e i capelli stretti in una coda
mortificavano la sua bellezza, eppure quello sguardo fiero e quelle labbra
rosate erano ancora il segno del suo potenziale di femme fatale, anche se
sapevano entrambe che non lo avrebbe mai sfruttato. – “E chi non l’ha?” –
Mantenendo uno sguardo serio e posato.
Cameron fece un
altro paio di passi verso la grande scrivania, mentre sul viso le si leggeva la
determinazione, una caratteristica che aveva sviluppato lavorando anni per
House. – “Ho un paziente che ha bisogno di lui, ma … per risentimento personale
… diciamo … ha rifiutato il caso.”
“E tu vieni da
me?” – Chiese Cuddy perplessa sapendo bene l’ascendente che la donna, almeno in
passato, aveva avuto su House.
“Non posso
permettere che un uomo muoia perché lui è arrabbiato con me. Se gli chiedessi
tu di occuparsi del caso sbufferebbe, imbroglierebbe, farebbe l’offeso, ma alla
fine farebbe quanto chiesto, mentre io non ho le tue stesse risorse.” – Lo
disse tutto d’un fiato, quasi che l’avesse imparato a memoria.
Il decano sbuffò,
avere a che fare con House nei suoi giorni migliori era impegnativo, avere a
che fare con un House con arrabbiato era davvero molto difficile, avere a che
fare con un House sfuggente e arrabbiato era presso che impossibile. – “Non penso
di avere grandi chance in questo momento.” – Ripensando a quello stupido bacio
che l’aveva mandata in confusione in uno dei peggiori momenti della propria
vita.
“Allora il signor
Patrick Highlands morirà.” – Cameron sapeva che attribuire un nome e un cognome
al proprio paziente equivaleva a una chance perché lo faceva uscire
dall’anonimato generico, il suo prossimo passo, se fosse stato necessario,
sarebbe stato quello di mostrarglielo, cose queste, che con House non
funzionavano quasi mai.
Cuddy spalancò gli
occhi e boccheggiò. – “Patrick Highlands delle Highlands acciaierie riunite? Patrick
Highlands dello studio Highlands e soci? Patrick Highlands della finanziaria
Highlands? Quel Patrick
Highlands?”
Il labbro
inferiore di Cameron tremò un poco, era tentata di mentire, sapeva che se
avesse detto di sì, nemmeno un nuovo diluvio universale avrebbe impedito a
Cuddy di costringere House a prendere il caso, ma decise di essere sincera. –
“Non lo so.” – Ammise con un sussurro. – “E’ arrivato questa mattina alle cinque
e non ha mai detto di essere uno importante.”
L’espressione di
Cuddy per un istante divenne assente, la donna stava cercando di ricordare
quale faccia avesse questo super miliardario. – “Com’è?” – Chiese quasi
sovrappensiero.
“Capelli rossi,
occhi azzurri, sulla cinquantina … molto, molto gentile.” – Disse Cameron
cercando di condensare in poche parole tutto quello che aveva notato,
tralasciando il particolare del fascino eccezionale che aveva fatto presa su di
lei.
“Un sorriso affascinante?”
– Mostrando che anche lei non era rimasta immune dal sorriso aperto e gioviale
di quell’uomo.
“Uno tra i più
belli.” – Ammise Cameron mentre la speranza tornava vibrante.
Cuddy inspirò ed
espirò profondamente. – “Va bene Cameron, il tuo caso è appena diventato
ufficialmente di House.”
“T’illustro i
segni e sintomi.” – Disse la giovane donna, avvicinandosi alla scrivania per
mostrarle la cartella.
Il decano di
medicina la guardò sorpresa. – “Il caso è ancora tuo, lavorerai tu con House e
il suo team.”
“Ma … ma …” –
Balbettò Cameron. – “Forse è meglio di no.”
Cuddy si spostò
una ciocca di capelli dietro l’orecchio. – “Ho bisogno di qualcuno di qualcuno
di cui mi fido per tenere sotto controllo la situazione, con Foreman e Hadley
occupati con i trial, non mi sento per nulla tranquilla con solo Taub e Kutner,
House riesce a manipolare le persone come e quando vuole, soprattutto loro due,
ho bisogno di qualcuno che gli si opponga e che gli tenga testa. Non voglio che
il signor Highlands sia mandato in arresto cardiaco perché House una mattina si
sveglia e ha deciso che fare il dottor Frankenstein sia il suo sogno della sua
vita. Inoltre non ho nessuna intenzione di richiamare Stacy perché si occupi
nuovamente delle nostre cause legali, ma se lui farà casini, non potrò fare
altrimenti.” – Disse Cuddy sfoggiando tutta la sua autorità. Aveva citato Stacy
solamente per dire un nome a caso di un avvocato conosciuto da entrambe, ma il
sussulto di Cameron raccontò una storia diversa mettendo Cuddy sul chi va là istantaneamente.
Che la giovane dottoressa avesse ancora una cotta per House? Forse avrebbe dovuto
indagare con discrezione.
“Io non so se sia
una buona idea.” – Sussurrò diventando bianca come un lenzuolo.
“E’ House che non
vuole più avere a che fare con te o sei tu che non vuoi più avere a che fare
con lui?” – Mentre i suoi sospetti si allargavano.
“Entrambe le cose
penso.” – Mentre le umide mani gelate strisciarono nervosamente sulla cartella.
Cuddy la osservò
attentamente e prese la sua decisione. – “Se vuoi il mio aiuto, queste sono le
mie condizioni.” – Mostrando qual lato che l’aveva resa un’amministratrice così
efficace ed efficiente.
“Ok.” – Sussurrò
Cameron rialzando la testa verso la donna mentre le lanciava uno sguardo fiero.
Il decano di
medicina si sentì orgogliosa della giovane e si chiese che cosa House temesse
di più: un incontro con Cameron o con se stessa?
-----------
--- fine quinto capitolo ---
Grazie a tutti per i commenti!
Aleki
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Capitolo 7 *** Sesto capitolo – Revenge ***
YKB - Sesto capitolo – Revenge
Sesto capitolo – Revenge
Aveva cercato un
sound che non avesse niente a che fare con il proprio umore, ma alla fine la
scelta era caduta su una musica cattiva e arrabbiata qual era Zero degli
Smashing Pumpkins. Questa sua scelta aveva costretto il team al completo ad
andare a guardare che cosa avesse scatenato il suo malumore, ma l’unica cosa
che ne aveva ricavato erano state occhiatacce e mugugni indistinti.
House, seduto
sulla sua poltroncina girevole, guardava fuori dalla finestra mentre un
sentimento rabbioso gli cresceva dentro. Avrebbe potuto perdonarle quella
dolorosa ginocchiata all’inguine, ma non il fatto che lei si credesse migliore
di lui. Lei era andata avanti e lui no e questo per lei sembrava fare la
differenza.
In un momento di
rabbia scagliò la sua palla oracolo contro una parete che per uno strano gioco
del destino non si ruppe come avrebbe desiderato.
Con gesto di
stizza l’uomo alzò per camminare.
Fece un paio di
passi nervosi, quando la gamba destra improvvisamente cedette, si era
dimenticato per un istante di essere zoppo e in quei dieci anni non era mai
accaduto.
Si aggrappò con
forza alla scrivania per non cadere rovinosamente a terra e maledisse se stesso
per la propria goffaggine. Si buttò sulla poltroncina e dopo aver aperto con
violenza il flacone arancio, ingoiò un paio di Vicodin sperando che facessero
effetto nel tempo più breve possibile.
Rabbiosamente si
strofinò la gamba, ma mentre compiva quel gesto ormai automatico, si chiese se
valesse realmente la pena di soffrire tanto per rimanere comunque un invalido.
Istintivamente
collegò quel dolore a dei volti di donna: Stacy, colei che aveva lasciato
sciancato nel corpo e nei sentimenti, Cuddy che aveva cercato di dare il meglio
di sé, ma nonostante tutto aveva fallito in entrambe le occasioni e Cameron, la
donna dalle mille potenzialità e proprio per questo la più pericolosa, lei era quella
che aveva il potere di distruggerlo e di farlo sentire invincibile allo stesso
tempo.
Ingoiò un altro
Vicodin, lui non era fatto per soffrire, nemmeno quando si trattava di avere la
possibilità di essere felice.
“House.” – Disse
brusca una voce femminile a lui nota mentre la musica s’interrompeva senza preavviso.
L’uomo, fermato durante
le sue meditazioni, sfoggiò il suo lato sarcastico. – “Sei qui per un altro
round Cuddy?” – Con un colpetto del piede fece girare la poltrona. – “Sei
insaziabile, prima nel tuo studio, ora …” – S’interruppe non appena vide che
nella stanza era entrata anche Cameron. – “Ti ho insegnato io a correre da
mammina?” – Con una nota di disgusto nella voce.
“No, tu mi hai
insegnato a fare l’impossibile per il mio paziente … il come invece l’ho scelto
io, hai sempre detto che bisogna essere creativi.” – Con voce sdegnosa, ma con
un pizzico di derisione.
“Perché non vuoi
occuparti di questo caso?” – Chiese il decano di medicina con voce autoritaria
mettendo fine a quel piccolo battibecco.
“Perché mi piacere
fare i capricci, mammina!” – Disse House con voce lagnosa.
“Ottimo!” – Disse
Cuddy passeggiando avanti e indietro per lo studio. – “Giacché fare i capricci
è una tua specialità potrai continuare a farli mentre segui questo caso.” –
Gettandogli il file sulla scrivania dopo averlo quasi strappato dalle mani di
Cameron.
“La cosa non mi
passa nemmeno per l’anticamera del cervello!” – Si alzò di scatto, dimenticando
il dolore che fino un attimo prima lo aveva reso più invalido di quanto fosse
realmente.
“La cosa bella di quest’ospedale
è che quello che dico io è legge e non deve essere discussa.” – Guardandolo
negli occhi mentre lo sfidava a contraddirla. La donna si voltò leggermente
verso Cameron. – “Se hai problemi sai dov’è il mio studio, ma mi affido molto alla
tua creatività!” – Con un sorriso beffardo in volto.
Sia House sia
Cameron guardarono il decano di medicina uscire mentre il silenzio impregnò la
stanza.
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“Che succede?” –
Chiese il biondo australiano entrando nel grande studio di diagnostica. – “Chi
è che gli ha fatto saltare la mosca al naso?” – Guardando le tende chiuse
mentre un certo sorriso beffardo comparve sul volto di Chase.
Foreman alzò gli
occhi dal laptop su cui stava digitando freneticamente e ruotò gli occhi. – “E
chi lo sa? Oggi butta così, prima rifiuta un caso di Cameron e poi si mette a
fare il lagnoso.” – Il moro neurologo strinse le spalle in segno di
rassegnazione. – “E’ fatto così, lo sai.”
“Che c’entra
Cameron?” – Con curioso sospetto.
“Ha un paziente
con una grave aritmia che non riesce ad assestare, gli ha chiesto una mano e
lui ha fatto il prezioso, routine insomma.”
Chase si rilassò
un poco. – “Ecco perché è così rilassante fare il chirurgo: non ho a che fare
con House se non in casi eccezionali.”
“Felice che ti
abbia licenziato?” – Chiese Foreman curioso.
“La cosa migliore
che lui abbia potuto fare per me.” – Con un sorriso rilassato.
“Che cosa ha
interrotto quel bordello?” – Chiese Wilson affacciandosi alla porta.
Foreman e Chase
teserò l’orecchio e percepirono solamente delle voci attutite e indistinte
arrivare dallo studio vicino. – “Starà guardando una soap!” – Disse Foreman
liquidando in fretta la faccenda.
“Speriamo.” –
Sussurrò Wilson. – “Come mai da queste parti?” – Chiese al giovane chirurgo.
“Mi trovavo a
passare.” – Rispose il ragazzo. – “Come vanno le cose a te?”
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“Non pensare di
aver vinto.” – Disse House guardando rabbiosamente la donna a centro del
proprio studio.
“Ti occuperai del
caso?” – Chiese lei sfidandolo con il tono della voce.
“Mi hai
costretto.” – Disse quasi rassegnato.
“Allora ho già
vinto, è tutto quello che volevo.” – Si studiarono in silenzio per qualche
istante. – “So che mi renderai le cose difficili, ma so anche che quando ti
occupi di un caso lo fai fino in fondo, quindi ho ottenuto ciò che volevo fin
dall’inizio.” – Alzando il mento fiera.
Lui ridusse in
maniera pericolosa lo spazio tra di loro, ma lei non gli diede la soddisfazione
di vederla indietreggiare. Il respiro di entrambi accelerò e, senza che
avessero fatto nessuno sforzo, si ritrovarono ansimanti.
“Tu mi vuoi.” –
Mentre un sorriso diabolico gli si disegnò in volto.
Lei fu costretta a
deglutire più volte prima di rispondere. – “Nei tuoi sogni.” – Mentre le parole
le uscivano più ferme di quanto fossero nella sua mente.
“Nei tuoi
certamente.” – Ribatté lui sicuro che lei stesse per cedere in una maniera o
nell’altra.
“Hai un concetto
troppo elevato di te stesso.” – Cercando disperatamente di non guardare quelle
labbra invitanti e saporite che le parlavano.
“E questo ti
piace!” – Provocò lui mentre l’elettricità cresceva tra loro.
Cameron non
permise che l’invitante calore del corpo di lui la distraesse. – “Se mi
piacesse come pensi, perché sto con Robert?” – Cercando di usare il nome del
ragazzo come un magico scudo che la proteggesse da quell’insana tentazione che
l’uomo era.
Questo fu troppo
per House, che fu tentato di metterle le mani addosso e di mostrarle quale
mostruoso errore stesse facendo con quello sbarbatello, invece di seguire il
suo istinto primordiale si leccò le labbra e rimase a guardarla. – “E da quando
lui è abbastanza danneggiato per te?”
Lei se l’era
aspettata questa domanda e immediatamente rispose. – “Sei tu che mi hai
appiccicato l’etichetta di crocerossina, ma non è tutto bianco o nero come
sembra.” – Disse con voce bassa e roca, quasi che fosse una provocazione
sensuale.
Quel tono di voce
seducente e ammaliatore stava per farlo cedere ancora una volta, così si scansò
in fretta e prese la cartella del paziente. – “Ti piace crederlo, ma sai anche
tu che non è così.” – Detto questo si precipitò nel grande studio, mentre
Cameron rimase immobile, quasi che fosse stata incollata al pavimento. Pian
piano riprese a respirare normalmente e in fine l’incantesimo si ruppe potendo
nuovamente muoversi.
“Che ci fai qui
canguro? Il tuo habitat naturale non era diventato la chirurgia?” – Chiese con
arrogante strafottenza House.
Non appena sentì
quelle parole Cameron si lanciò nello studio per cercare di fermare la
catastrofe che il suo sesto senso le disse essere imminente.
Chase e gli altri presenti
nella stanza lo guardarono con aria di sufficienza, tutti sapevano che quella
era solo una cattiveria standard per il famoso diagnosta.
“Mi trovavo a
passare.” – Disse il ragazzo riportando gli occhi su delle parole crociate che
aveva trovato orfane.
Un ghigno malefico
si disegnò sul volto di House. – “Adesso capisco perché hai voluto Cameron come
la tua ragazza: bacia divinamente, meglio di una professionista!”
E il sangue di
tutti i presenti smise di fluire.
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Capitolo 8 *** Settimo capitolo – Effect ***
YKB - Settimo capitolo – Effect
Settimo capitolo – Effect
Un ghigno malefico
si disegnò sul volto di House. – “Adesso capisco perché hai voluto Cameron come
la tua ragazza: bacia divinamente, meglio di una professionista!”
Chase, rosso in
viso, schizzò in piedi, pronto a pararsi davanti ad House il quale continuò
imperterrito nel suo racconto. – “E poi fa quella cosa con la lingua contro il
palato … mmm …” – L’uomo chiuse gli occhi e sembrò riassaporare quel loro primo
bacio. – “… davvero perfetto.” – Disse in un sussurro come trasecolato.
Le nocche di
Foreman mutarono colore tanto che le mani vennero strette e la bocca di Wilson
si spalancò così spropositatamente che l’articolazione mandibolare sembrò
essersi dislocata.
“Tu invece devi
baciare veramente male House perché non lo ricordo, oppure, cosa più probabile,
deve essere successo solo nei tuoi sogni.” – Disse Cameron comparendo alla sue
spalle mentre sfoggiava la sua aria più innocente e leggermente scocciata, come
in passato aveva sempre fatto in occasioni simili.
Gli ex paperi
fecero scorrere lo sguardo dapprima sull’uomo e quindi sulla donna che stava
dissimulando con maestria la propria ansia e finalmente tornarono a respirare:
era solo una battuta, una delle tante. Wilson invece si prese del tempo per
osservarli, notò la rigidezza delle spalle di lei e lo sguardo più scontroso
del solito di lui: qualcosa doveva essere successo e si stava anche facendo
un’idea del quando.
“Sì come no … e
quando …” – Cercò di continuare House sfidandola con lo sguardo.
“La tua squadra
dov’è?” – Lo interruppe Cameron lanciandogli un’occhiataccia furiosa, mentre
dava le spalle a Chase e a Foreman. – “Abbiamo un caso.” – Cercando di mettere
fine a quella vendetta che poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio. Aveva
accuratamente evitato il contatto visivo con il proprio ragazzo poiché sapeva
che se l’avesse guardata negli occhi lui vi avrebbe letto la propria colpa.
House la provocò
con lo sguardo, ma notando la presenza di Wilson, decise, per il momento, di
desistere, se c’era qualcuno in quella stanza in grado di sapere se stava
mentendo quello era proprio l’oncologo. – “Dovresti conoscere il numero del
loro cerca persona meglio di me poiché corrono da te ogni volta che hanno un
problema.” – Andando a sedersi proprio davanti alla lavagna.
Cameron sbuffò
lievemente, ma dentro di sé era felice che almeno in quella circostanza
l’argomento fosse stato messo a tacere. Lanciò un timido sorriso a Chase e
quindi distolse rapidamente lo sguardo per concentrarsi sul telefono mentre
componeva velocemente i numeri dei loro cerca persone. Appoggiò esausta il
proprio volto sulle mani e respirò a fondo: la giornata sembrava infinita e lei
non vedeva un letto da oltre ventiquattro ore.
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House fece
scrocchiare le vertebre del collo mentre guardava ancora una volta la lavagna:
- Dolore retro sternale insorto
improvvisamente
- Alterazione del complesso QRS
- Sudorazione algida
- Resistenza ai beta bloccanti
- Ipertensione arteriosa
Tutto faceva
pensare a un infarto, ma gli esami strumentali lo negavano e avendo dalla loro
la scienza, dovevano aver ragione. Senza una ragione precisa si mise a pensare
a Cameron e all’orgoglio rabbioso che gli aveva dimostrato quel pomeriggio. Si
passò una mano sulle labbra cercando di cancellare ancora una volte il dolce
sapere della sua bocca, ma senza esito. Per un istante rivisse il loro primo
bacio, in quell’occasione aveva avuto paura che lei avesse scoperto quei
sentimenti che lui si ostinava a nascondere anche a se stesso, ma lei aveva ben
altri intenti e stranamente questo lo aveva deluso nel peggiore dei modi. Quel
dolce sapore si era poi mischiato a rabbia, invidia, gelosia, delusione e
quando se n’era andata aveva pensato di riappropriarsi della propria vita, ma
lei era tornata e tutto era precipitato ancora una volta.
“Caso interessante
o pensieri opprimenti?” – Chiese una voce maschile alle sue spalle.
House alzò gli
occhi e si ritrovò a fissare l’amico appoggiato allo stipite del suo studio. –
“Caso moderatamente interessante.” – Disse tornando a guardare la lavagna.
“Poiché ci hai
impiegato oltre cinque minuti ad accorgerti della mia presenza sono più
propenso a dire che tu abbia dei pensieri opprimenti!” – Camminando per la
stanza quasi con il timore di rompere il fragile equilibrio che si era
instaurato tra loro dopo il ritorno di Wilson al PPTH.
Il diagnosta
sbuffò insoddisfatto. – “Smettila di fare lo psicologo occasionale! Trovati una
donna e falla diventare la quarta signora Wilson!” – Si pentì un attimo dopo
che quelle parole ebbero lasciato le proprie labbra, ma il danno ormai era
fatto, come sempre. La morte di Amber aveva alterato le loro dinamiche e,
nonostante fosse passato qualche tempo, non avevano ancora trovato un nuovo
assetto.
“Sei tu quello che
dovresti chiedere a Cuddy di uscire.” – Ritornando su quel vecchio discorso
ancora una volta, ignorando il discorso sarcastico e superficiale dell’amico. –
“Oppure dovresti chiederlo a Cameron, anche se ci sono buone possibilità che
lei ti dia un’altra ginocchiata all’inguine.” – Con lo sguardo di chi sta
mettendo insieme i pezzi del puzzle più difficile della propria vita.
“Che c’entra
Cameron ora? Lei non sta con il canguro britannico oppure è nuovamente sulla
piazza?” – Chiese con finto disinteresse mentre con gli occhi divorava la
bianca lavagna quasi che su di essa potesse comparire come per incanto la
risposta al suo quesito clinico.
“Dunque è stata
lei sul serio a colpirti un paio di settimane fa.” – Cercando di far quadrare i
conti.
“Questo non l’ho
mai detto.” – Voltandosi di scatto verso Wilson che attendeva quella reazione
con un ghigno compiaciuto sul volto. – “E togliti quell’espressione saputa
dalla faccia! Non è come pensi!” – Con aria sarcastica e un poco indignata.
“Che dovrei
pensare?” – Chiese perplesso. Poi come se fosse stato colpito da una folgore
capì. – “Cristo Santo! Dio Santo! Tu…! Tu… tu!!” – Disse puntandogli contro un
dito. – “Tu l’hai baciata sul serio!” – Disse Wilson quasi urlando.
“Non pensi che continuando
a dire il nome di Dio invano finirai all’inferno?” – Mentre si concentrava sul
proprio flacone di Vicodin.
“Sono ebreo.” –
Accantonando immediatamente quell’elemento di disturbo. – “Tu l’hai baciata sul
serio e non me lo hai detto! Quante altre donne hai baciato e non me lo hai
detto?”
“Emily Channely,
Jessica Arper, Jane Sullyvan e ovviamente la tua prima moglie!” – Contando
sulla punta delle dita. – “Di che tipo di baci mi stai chiedendo? Perché ne ho
baciate molte altre in zone non convenzionali!” – Con un sorriso arrogante
mentre con i denti rompeva un’amara compressa.
“Si certo, le tue
fidanzatine delle elementari e le prostitute non contano, inoltre dubito
sinceramente che la mia prima ex moglie ti si sia avvicinata abbastanza perché
tu potessi anche solo sfiorarla con un dito, ti ha sempre considerato la
personificazione del male. Io sto parlando di Allison Cameron e Lisa Cuddy.
Perché ti sei messa a baciarle e soprattutto perché proprio ora?”
“Conta che ho
sognato di scoparmi Amber mentre era in rianimazione sospesa?” – Mentre lo
sguardo diventava cattivo.
“Non serve
inventare bugie per deviare il discorso. Perché hai baciato Allison Cameron?” –
Ignorando quella pugnalata ben assestata.
“Perché è la moda
del momento, non lo sai? Bacia le dottoresse con cui lavori e incasinati la
vita più che mai!” – House si alzò in piedi e un ghigno gli si delineò in
volto. – “Come, non lo conosci? Pensavo che tu fossi il re di questo sport.” –
S’incamminò verso la porta lasciando l’altro uomo senza parole.
“Hei! Ma dove stai
andando?” – Chiese Wilson sorpreso da quell’uscita fuori copione.
“A vedere perché
questo ometto irlandese è così interessante per le donne del PPTH!” – Detto
questo si dileguò nel corridoio affollato.
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Capitolo 9 *** Ottavo capitolo – Lie or … ***
YKB - Ottavo capitolo – Lie or …
Ottavo capitolo – Lie or …
Gli odori della
caffetteria raggiunsero Cameron anche in quello sperduto corridoio laterale,
ricordandole che erano passate molte ore dal suo ultimo pasto. Distrattamente
controllò l’ora e seppe di dover rimandare ancora una volta. Aumentò la
velocità del passo e cercò di ignorare i cattivi pensieri che da quella mattina
non sembravano voler altro che rincorrerla. Quello che aveva fatto House
l’aveva spiazzata completamente e ora non sapeva più come comportarsi con lui,
per non parlare poi di Chase. Che avrebbe dovuto dirgli questa volta? La frase “non
sono affari tuoi” l’aveva già usata e nonostante allora la sua scelta di non
dare spiegazioni era stata supportata dal fatto che si basava su premesse
errate, ora le cose erano diverse, ma soprattutto si erano complicate. Non gli
andava di mentirgli, sapeva che non era una cosa sana in un rapporto, ma del
resto lo aveva già fatto omettendo nel suo racconto della giornata di quei baci
che House le aveva rubato, ma poi erano stati veramente rubati?
Camminava così spedita
e immersa nei propri pensieri che non si accorse che qualcuno la stava
chiamando fino a quando non fu afferrata per un polso.
“Hei! Sei su
Venere?” – Chiese Chase facendo divenire la presa una delicata carezza.
Lei si riscosse e
un sorriso sincero prese vita sul volto di Cameron. – “In un’altra galassia a
dire il vero.” – Mentre cercava di scacciare dalla propria mente certe
piacevoli sensazioni, che facevano sentire la sua colpa ancora più grande.
“Brutto caso o sei
solo sotto l’influenza malefica di uno zoppo bastardo?” – Mentre dal tono della
voce filtrava quella preoccupazione che era sempre presente quando lei si
avvicinava troppo a House.
Lei sospirò
afflitta scegliendo di asserire la verità. – “Entrambi in effetti, ma
soprattutto House.” – Mentre la sua omissione le pesava sull’anima come il più
grande dei macigni.
“Mi si è fermato
il cuore quando ha fatto quell’uscita sul tuo modo di baciare.” – Disse tutto
d’un fiato sorprendendosi di riuscire a parlarne con così tanta scioltezza.
Lei lo fissò
disorientata mentre le labbra si aprirono non facendo uscire alcun suono.
“Ma poi mi sono
ricordato che è soltanto House e che gli piace giocare con la nostra mente.” –
Mentre il suo sorriso più fiducioso gli si tracciava sulle labbra.
“Già.” – Balbettò
lei. – “Vuole solo vedere le nostre reazioni, nient’altro.” – Lo disse con un
sorriso tirato e con l’ansia nel cuore. – “Ho fatto mettere il paziente sotto
nitroglicerina e per ora sembra stabile. Mi sono accordata con i ragazzi per
fare un cateterismo cardiaco e un’angiografia, vediamo se ha ragione Kutner con
la sua teoria della malformazione congenita.” – Deviando completamente il
discorso da quello che sembrava avere il potere di distruggere quella fragile
felicità che si era costruita con tanta fatica.
“Non ne sembri
convinta.” – Replicò il ragazzo già dimentico del resto del problema.
“Avrebbe avuto
altri segni o sintomi, invece è stato sano come un pesce fino al mese scorso
quando sono cominciate delle cefalee fastidiose, ma che aveva associato allo
stress.” – Replicò la donna cercando di mantenere la conversazione entro
l’ambito medico.
“Potrebbero essere
state dovute all’ipertensione.” – Mentre lo sguardo si faceva pensieroso.
“Infatti, è
proprio quello che sospetto, ma House non lo ha nemmeno considerato un sintomo
perché non costanti e non particolarmente intense, ha stabilito che ha bisogno
di un paio di occhiali e basta.” – Sbuffando visibilmente irritata.
“Il genio ha
parlato.” – Disse Chase con fare sarcastico mentre entrambi iniziarono ridacchiare
del loro ex mentore.
In quell’istante
il cercapersone del chirurgo si attivò interrompendo la loro piccola risata. –
“Devo andare.” – Senza lasciarle il tempo di reagire Chase le sfiorò le labbra
in un delicato quanto inusuale bacio.
Cameron rimase ferma
immobile nel corridoio e, mentre i passi del proprio ragazzo si allontanavano, il
terrore prese a scorrere liquido nelle sue vene. Prima che la sua mente fosse
riuscita ad analizzare compiutamente quel contatto, il suo corpo si era
irrigidito per la frazione di un millesimo di secondo e aveva odiato quel gesto
tanto gentile quanto spontaneo. Appoggiò
la schiena contro il muro ed ebbe la certezza che il mondo stesse per finire
perché non riusciva più a comprendere quale fosse il sopra e quale il sotto. Un
senso di nausea e vertigine la costrinsero a sedersi sul freddo pavimento. –
“Dio, che ho fatto?” – Si chiese mordendosi forte il labbro inferiore. –
“Faccio proprio schifo!” – Lacrime nervose minacciarono di scivolare sugli
zigomi, ma l’orgoglio e il suo senso del dovere vinsero anche sulle sue
strazianti sensazioni. Probabilmente non era poi quella brava persona che tutti
credevano, ma era ancora un medico, un bravo medico, e aveva del lavoro da
fare.
Con piglio deciso
si rimise in piedi e riprese la direzione da cui era venuta scomparendo dietro
al primo angolo.
----------------
L’uomo strizzò gli
occhi, sapeva che il dolore ci sarebbe stato, ma nonostante questo, non era
riuscito a mascherarlo come aveva sperato.
“Mi spiace per il
disagio.” – Disse la giovane dottoressa con il volto parzialmente coperto da
una mascherina di carta. – “Il peggio è passato.” – Cercando di sembrare
rassicurante.
L’uomo dai
penetranti occhi azzurri le afferrò una mano. – “Grazie.” – Disse con un
sorriso timido che sembrava contrastare con la fiducia di sé che riusciva a
emanare con la sua sola presenza.
Cameron si sentì
avvampare, ma non distolse né lo sguardo né la mano. – “Il dottor Taub sta per
arrivare al suo cuore.” – Portando per un istante lo sguardo sul collega.
Il monitor aveva
mostrato loro tutto il percorso fatto dal catetere e ora si trovavano in prossimità
dell’atrio sinistro.
Kutner
si sporse
un poco per guardare meglio. – “Nessun segno di stenosi o
d’insufficienza
valvolare.” – Sussurrò. – “Qui non
c’è nulla!” – Disse frustrato. –
“House non
la finirà più di insultarmi.” – Mentre
scoraggiato sbuffava.
“La frazione di
eiezione è entro la norma. Questo è un cuore sano.” – Disse il chirurgo mentre
un lampo di divertimento apparve negli occhi. – “Ora esco dall’atrio del cuore
e mi posiziono sull’ingresso dell’arteria coronaria di sinistra.”
“Chi è House?” –
Chiese curioso il paziente.
“E’ il suo
medico.” – Bisbigliò Cameron leggermente a disagio.
“Pensavo fosse lei
il mio medico.” – Disse confuso il paziente.
Lei sorrise un
poco. – “Lo sono ancora.” – Prese un lungo respiro cercando di scegliere al
meglio le parole. – “Diciamo che gli ho richiesto una consulenza su larga
scala.”
I due giovani
colleghi trattennero a stento una risata, ma entrambi sapevano che non era il
caso di far sapere al paziente i loro piccoli grandi drammi personali.
“Il dottor House è
il miglior diagnosta del paese, sono certa che riuscirà a capire che quello che
la fa star male.” – Aggiunse Cameron con orgoglio e fiducia fuori dal comune
per zittire le risatine trattenute appena.
“Lo deve
rispettare molto.” – Senza mai distogliere lo sguardo.
“Sì, molto.” –
Mentre una luce di pura venerazione le si accendeva in volto.
“Pronto a sparare
il liquido di contrasto.” – Interruppe Taub. – “Via!”
E con quella
parola Kutner spinse a fondo lo stantuffo della siringa. – “Iniettato.”
“Ho bisogno che
faccia dei respiri profondi signor Highlands.” – Chiese con voce ferma il
chirurgo.
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Capitolo 10 *** Nono capitolo – … true ***
YKB - Nono capitolo – … true?
Nono capitolo – … true?
Non si era perso
in istante di quell’angiografia e ancora non capiva che cosa avesse di tanto
speciale quell’ometto. Aveva avuto un moto di disappunto quando il paziente
aveva stretto la mano di Cameron, ma prontamente aveva scacciato quella
fastidiosa sensazione concentrandosi invece sul monitor che, nonostante la
lontananza, riusciva a vedere e a interpretare le immagini che vi comparivano.
Il liquido di contrasto era entrato nel circolo coronarico, ma ancora non
c’erano segni di anormalità.
Spostò lo sguardo
per un instante e come se fosse un pezzo di metallo si ritrovò a fissare
Cameron, la propria calamita. Lo sguardo di lei era calmo e confortante, quasi
che si trovasse su di un altro pianeta. Gli occhi avevano assunto
quell’espressione delicata e rassicurante che raramente era stata riservata a
lui e di certo non negli ultimi tempi, che si era fatta sempre più spesso rabbiosa
e ostile per poi divenire una muta rassegnazione.
Percepì che
qualcosa non andava proprio dallo sguardo di lei. Con foga spalancò la porta
giusto in tempo per sentire la sua voce.
“Signor Highland!
Signor Highland! Non svenga! Cerchi di stare sveglio!” – Ma nonostante le
parole di Cameron tutto fu inutile. – “Arresto respiratorio! Kutner inietta un
grammo d’idrocortisone. Taub esci con quella sonda.” – Ordinò imperiosa mentre
si metteva a capo di quel team improvvisato.
“Non le dare
retta!” – Urlò House mettendosi in mezzo. – “Voglio questo esame terminato, non
voglio punti ciechi! Fai la coronaria di destra!” – Shoccando tutti i presenti.
– “Sei sordo Taub?”
“Smettila House! È
allergico al mezzo di contrasto! Dobbiamo interrompere.” – Disse Cameron cercando
riportare tutti sulla retta via.
“Proprio perché è
allergico non potremo ripeterlo, quindi finiamo questo esame.” – Sfidandola a
contraddirlo.
Taub rimase
incerto a guardarli senza sapere che fare.
House gli strappò
di mano il catetere. – “Sei licenziato!” – Mentre mandava avanti la sonda.
Se gli sguardi
potessero uccidere House sarebbe diventato un mucchietto insignificante di
polvere in un istante.
Cameron iniettò
l’adrenalina e subito dopo prese a ventilare il paziente con il pallone auto
espansibile. – “Kutner, inizia il massaggio cardiaco, non ce ne facciamo nulla
di una diagnosi senza paziente.” – Disse secca mentre continuava le sue manovre
rianimatorie.
“Niente!
Qui non
c’è niente.” – Disse il diagnosta sfilando il
catetere. – “Ora l’esame è finito!”
– Dando a Cameron una lunga ed espressiva occhiataccia.
Buttò a terra gli
strumenti e uscì in corridoio, mentre già stava pensando
a dove indirizzare le
prossime indagini diagnostiche.
Il battito
cardiaco finalmente tornò forte e regolare dopo ben due minuti di rianimazione.
Cameron abbandonò gli strumenti sul carrello d’emergenza e fece per uscire.
“E noi che
facciamo?” – Chiese Taub quasi intimorito.
“Portatelo in
rianimazione.” – Disse stancamente la donna come se tutte le sue energie
l’avessero abbandonata. Si voltò ancora una volta verso di loro. – “Chiamate
Foreman e fategli un elettroencefalogramma, vediamo se è rimasto ancora
qualcosa da salvare.”
------------
Camminò svelta per
il lungo corridoio brulicante di esseri viventi che per una volta nella vita
ignorò intenzionalmente. La rabbia le stava crescendo dentro come un’edera
infestante che non le permetteva di ragionare lucidamente.
Chiuse sbattendo
la porta dello studio di lui e gli si piazzò davanti mentre con gli occhi
cercavano di annichilirlo. – “Tu non puoi ammazzare un paziente solo per
dimostrare agli altri che hanno torto e tu ragione!” – Sibilò rabbiosa.
“E tu non puoi
sperare che basti tenergli la mano per farlo guarire.” – Lui era rimasto
sbigottito vedendola entrare, ma in pochi attimi era riuscito a scagliarle
contro tutta la cattiveria che possedeva. – “Non ho fatto niente di diverso da
quello che mi hai già visto fare in passato, non capisco tutta questa rabbia …
oppure lui è uno di quei casi pietosi che ti piacciono tanto e che ti fanno
sentire meglio la sera se gli elargisci un po’ di quella tua inutile
compassione?”
Lei sbatté gli
occhi stupita da quelle parole, ma non glie avrebbe dato la soddisfazione di
vederla indietreggiare. Si strappò di dosso cuffia e mascherina che ancora
indossava. – “E’ questo che pensi di me? Che io poi mi sento meglio se
elargisco un po’ di compassione?” – La voce le tremava leggermente, ma gli
occhi rimasero asciutti. – “Allora tu di me non hai capito proprio nulla.”
Si fissarono in
silenzio per alcuni istanti, senza che nessuno desse segno di cedere.
“Anche se mi
fisserai per un anno intero non potrai mai leggermi nella mente.” – Mentre un
ghigno divertito gli attraversò il volto.
“Non ne ho
bisogno.” – Rispose Cameron sicura di sé. – “In questo momento stai cercando un
modo per farmi uscire dal tuo studio e sentirti ancora una volta certo delle
scelte che hai fatto in passato.” – Mentre con lo sguardo lo sfidava a
sostenere il contrario.
Lui sussultò come
colpito, ma l’istante successivo aveva nuovamente assunto la sua solita
espressione. – “Mi sottovaluti. Io non ho bisogno di conferme per sapere che le
mie scelte sono state quelle giuste.”
“E allora perché
mi hai ripetutamente baciato? Non era questo che volevi dimostrare a me, ma
soprattutto a te stesso?” – Dando finalmente voce ai propri pensieri e
sensazioni.
“Tu hai risposto
al bacio.” – L’accusò nuovamente.
“Anche tu e
nonostante questo hai fatto ogni cosa in tuo potere per cercare di farti odiare
da me, perché se ti avessi odiato a sufficienza ti sarei stata abbastanza
lontana per non farti sentire ancora una volta un miserabile.” – Dimostrandogli
ancora una volta che aveva appreso ogni lezione possibile dal maestro.
“Tu non sei il
centro del mondo.” – Sentendosi sempre più irritato dal fatto che lei non
stesse cedendo di un solo millimetro.
“Nemmeno tu.” –
Portando le mani ai fianchi nella sua tipica posizione di sfida.
Si fissarono a
lungo inebriati dalla vicinanza dell’altro.
House strinse
forte le labbra tra loro come a cercare di resistere a quella dolce provocazione
che erano quelle di lei.
L’odore di lui
raggiunse le narici di Cameron che non poté far altro che assaporarlo mentre
cercava di mostrare la più bellicosa delle sue espressioni.
House, con un
movimento improvviso e inconsueto, balzò in avanti e afferrandola per le
spalle, la trasse a sé per baciarla ancora una volta.
Per un lungo
istante lei rimase passiva, come stordita, ma non appena i propri neuroni
ripresero a funzionare lottò contro l’uomo che ancora una volta voleva entrarle
nella mente e nel cuore. Lo afferrò per la giacca e cercò di toglierselo di
dosso, ma lui era troppo forte. Cercò di divincolarsi, ma sembrava avere una
stretta di acciaio. Cercò di ignorare quelle labbra affamante che banchettavano
con le proprie perché sapeva che se ne avesse registrato la presenza avrebbe
ceduto a quella saporita tentazione.
E poi, come se
qualcuno avesse acceso un interruttore, si ritrovò a rispondergli nella maniera
più appassionata che avesse mai provato. Aumentò la presa sulla giacca e lo
fece aderire maggiormente al proprio corpo e lui non poté far altro che
portarla in quell'universo parallelo dove giusto e sbagliato non esistono.
Un botto
improvviso mise fine a tutto quello.
Cameron e House si
voltarono verso la porta e lo videro. Chase era come spaventato. Rimase
immobile a fissarli come se fossero alieni appena scesi dalla nave madre.
Lei si sciolse da
quello che rimaneva dall’abbraccio di House e fece un paio di passi verso di
lui. – “Robert … io …”
Ma il ragazzo
fuggì come una lepre spaventata e a Cameron non rimase che cercare di
raggiungerlo.
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Capitolo 11 *** Decimo capitolo – Contacts ***
YKB - Decimo capitolo – Contacts
Decimo capitolo – Contacts
“Visto che il
rosso è ancora vivo e Foreman ci assicura che i suoi neuroni sono in forma,
sentiamo che altro avete da proporre.” – Disse il diagnosta mentre lanciava
sulla scrivania un pennarello che impertinente rotolò fino a Cameron.
House si era
presentato in ufficio solo a metà mattina e di questo Cameron era stata grata,
infatti, aveva potuto così lavorare un paio di ore in pronto soccorso per farla
illudere, anche se per poco, che la propria vita era quella di sempre.
Nervosamente accompagnò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e represse la
tentazione di guardarlo come invece lui stava apertamente facendo. Dedicò
invece tutta la propria attenzione al pennarello che era giunto fino a lei e
questo si rivelò essere un fatale errore perché si ritrovò a immaginare delle
sensazioni proibite, in assoluto contrasto con il proprio umore.
Morbide labbra pungenti e mani esigenti
dominarono i suoi pensieri portandola in Land
of Enchantament.
Inconsciamente
esalò un delicato e struggente sospiro che non passò inosservato.
“Dottoressa
Cameron è con noi oppure è nella terra dei canguri?” – Disse una voce rude
penetrando nel suo mondo incantato.
Quelle parole
brusche la riportarono alla realtà. Alzò gli occhi e vide che tutti la stavano
fissando. In un’altra occasione, in un altro tempo, probabilmente sarebbe
arrossita e avrebbe iniziato a balbettare sciocche scuse, ma non ora che era
sopravvissuta alla dura scuola di House. Con sicurezza afferrò il pennarello e
si alzò in piedi mettendosi proprio tra la lavagna e il suo ex capo. – “Penso
che dovremmo fargli una scintigrafia.” – Come se non avesse fatto altro che
pensare a quell’esame.
“E perché staresti
pensando a un tumore?” – Disse House perplesso socchiudendo gli occhi come per
poterla osservare meglio.
Lei si morse per
un attimo il labbro inferiore e poi sfoggiò la sua aria più professionale. -
“Intuizione.”
“E di grazia, la
tua intuizione non dice anche dove dovremmo guardare?” – Con fare strafottente
e arrogante.
Lei lo sfidò con
lo sguardo, ma quel briciolo di passione che l’aveva animata passò e si trovò
inerte. – “No.” – Sussurrò sconfitta. – “Non ancora.”
“Molto bene! Fino
a quando non avremo notizie più precise dalle sensazioni … ah pardon … dalle
intuizioni della dottoressa Cameron voglio che sottoponiate il paziente a un
test da sforzo, voglio vedere quel cuore pompare come si deve.” – Mettendo
enfasi nell’ultima frase.
“Ma ha avuto un
arresto cardiaco proprio ieri! E’ un’idiozia sottoporlo a un test del genere,
rischierebbe la vita!” – Disse Foreman inorridito.
“Ma tu non stavi
giocando a fare lo scienziato pazzo?” – Guardandolo con disapprovazione. – “Beh
continua a farlo e stai lontano dai miei pazienti.”
“Ma è un rischio
inutile!” – Sbottò Taub contrariato.
“Inutile? Parole
tue se non erro: questo è un cuore sano! Con l’ipertensione con cui si ritrova
com’è possibile che cuore e vasi non abbiano alcun segno di lesioni? Ha perfino
il colesterolo entro la norma. Da dove arriva questa ipertensione?” – Dando più
spiegazioni di quelle che riteneva che il suo team avesse bisogno.
Tutti si
ammutolirono non riuscendo ad andare contro la ferrea logica del diagnosta.
“E se fosse un
tumore surrenalico?” – Propose Cameron riscuotendosi dal torpore in cui era
caduta poco prima. – “Tutti i sintomi rientrerebbero nel quadro.” – Ancora una
volta guidata da un’ispirazione del momento.
House la osservò
come colpito dalle sue parole. – “Ancora intuito?”
“No, solo
conoscenza e logica!” – Ribatté lei.
Lui soppesò quelle
parole per un istante e dopo aver giocherellato con il proprio bastone, parlò.
– “Fategli un TAC alle surreni, ma voglio ancora quel test da sforzo.” –
Mediando quel colpo di genio della sua ex subordinata con la propria
testardaggine.
“Non sono
d’accordo.” – Disse Foreman.
“Hei! Prenditela
con la bionda, è lei che insiste per il tumore!” – Disse scocciato mentre si
dileguava nel proprio studio.
Nessuno si mosse
dalle proprie posizioni e si guardarono come instupiditi: nessuno aveva capito
che cosa dovesse essere fatto per primo.
“Parlo armeno?” –
Disse House ricomparendo nel grande studio. – “Tac e test da sforzo. Non mi
sembra poi tanto difficile.” – Disse sbuffando. Vedendo che ancora nessuno si
muoveva sbatté più volte il bastone al suolo. – “Avete meno di tre anni e vi
devo accompagnare in bagno per mano?”
In pochi attimi
tutti scattarono in piedi e, quasi accalcandosi alla porta, cercarono di
uscire.
Solo Cameron si
attardò per recuperare la cartella del paziente. Lei alzò lo sguardo e incontrò
quello freddo e distante di lui. Come tante volte era successo in passato, gli
sguardi divennero coesi, trasmettendosi più di quanto fossero mai stati
disposti a comunicarsi con le parole.
Senza preavviso
alcuno il diagnosta spezzò quel sottile legame voltando il capo e l’immunologa
sembrò come scottata da quel gesto riportandola immediatamente alla realtà.
House tornò a
voltare il capo verso la donna giusto in tempo per vederla lasciare la stanza
in silenzio.
Frugò nervosamente
in tasca fino a quando le dita toccarono il familiare flacone arancione. Lo
estrasse e dopo averne ascoltato il suono, si fece scivolare sul palmo due
bianche compresse che, con un solo movimento, cacciò infondo alla gola, pronto
a percepire i benefici effetti, ma cercando di dimenticare quelli collaterali.
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Il classico odore
di ospedale si era miscelato con il buon odore di una costosa colonia maschile,
rendendo quasi surreale l’ingresso di Cameron in quella buia stanza.
“Chi è?” –
Sussurrò una voce maschile leggermente roca.
“Sono la
dottoressa Cameron signor Highlands, posso entrare?” – Chiese quasi intimorita da
quella insolita accoglienza.
“Oh si, naturalmente.
Mi scusi per il buio, ma così riesco a pensare meglio.” – Mentre cercava di
assumere la posizione seduta.
Cameron fece
qualche passo dentro la stanza e per un istante prese in considerazione l’idea
di accendere la luce, ma la scartò immediatamente. Si avvicinò al letto e,
strizzando leggermente gli occhi, cercò di mettere a fuoco il suo
interlocutore. – “Che c’è che la preoccupa? Mi hanno detto che non vuole fare
né la TAC né il test da sforzo.”
“Sì, è vero.” –
Assentì lui mentre le spalle e le braccia s'irrigidivano.
“Come mai?” –
Chiese con il suo tono più gentile.
Lui accese il
piccolo neon posizionato sopra la testata del letto e si permise di osservarla,
ponderando la risposta. – “Non penso che sia il caso che io giochi ancora con i
liquidi di contrasto dopo quello che è successo ieri e di certo, anche se non
sono un medico, penso che sia piuttosto pericoloso sottopormi a un test che ha
buone probabilità di farmi ripetere le performance di ieri.”
Cameron sorrise
comprensiva. – “Ha ragione signor Highlands, solo che riteniamo che questi
esami siano fondamentali per poter avere una diagnosi e curarla nel miglior
modo possibile.”
“Non c’è altro
modo per ottenere gli stessi risultati?” – Chiese pratico.
L’immunologa
tacque pensierosa per qualche istante, fino a quando un’idea accettabile le si
presentò. – “Che ne dice di una risonanza magnetica? Non è necessario il
liquido di contrasto e dovrebbe poterci permettere di vedere le stesse cose
della TAC, ma è un esame nettamente più costoso.”
“Il prezzo non è
un problema.” – Sussurrò incerto, quasi che fosse una colpa essere ricco.
Strinse le lenzuola di cotone tra le dita e dopo qualche attimo alzò lo sguardo
verso di lei. – “E per quanto riguarda il test da sforzo?” – Mentre il dubbio
permeava ancora la sua voce.
“Nel caso la
risonanza dovesse risultare negativa, il test da sforzo è l’unico esame che
potrebbe permetterci di farci capire cos’è che manda in tilt il suo sistema
cardio-circolatorio.”
L’uomo la guardò
perplesso, non ancora sicuro della risposta che doveva dare.
Lei gli sorrise in
maniera incoraggiante e guidata dall’istinto gli strinse la mano. – “Si fidi
signor Highlands, le sto facendo una buona proposta.”
A quel contatto
inatteso, lui si irrigidì un poco, ma l’istante successivo si abbandonò a quel
tiepido calore che emanava la donna. – “D’accordo, ma spero che la risonanza
mostri qualcosa di … interessante.” – Non trovando il coraggio di dare un nome
a quella cosa che lo faceva star male. – “… non salgo su una bicicletta da
quando avevo 19 anni.” – Mentre un sorriso lievemente imbarazzato rischiarava i
suoi lineamenti.
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Capitolo 12 *** Undicesimo capitolo – Opposite Mirror ***
ykb - Undicesimo capitolo – Opposite Mirror
Undicesimo capitolo – Opposite Mirror
Era rimasto a
lungo nel suo studio, ma un senso d’irrequietezza si era impossessato di lui
rendendolo smanioso di ottenere nuove informazioni circa il caso e non solo. In
realtà sapeva benissimo che era quel “non solo” a innervosirlo, ma cercò di
seppellirlo sotto una montagna d’informazioni mediche.
Spense il
televisore e iniziò a giocare con la sua palla sovradimensionata. Ogni volta
che la teneva tra le mani lo riportava indietro nel passato, il peso e le
dimensioni gli ricordavano la leadership indiscussa che il lacrosse aveva
portato nella sua adolescenza e quell’apparenza normalità che prima non era
nemmeno riuscito ad aspirare. A differenza di molte persone poteva dire di aver
avuto un’adolescenza felice o almeno molto di più di quello che era ora. Si
abbandonò contro lo schienale della poltroncina e vecchi ricordi fluirono nella
sua mente. Il primo bacio, la prima pomiciata seria, il primo imbroglio, la
prima vittoria, la prima birra, la prima volta … i suoi ricordi di quel periodo
ancora luccicavano, ma vivere nel passato non era salutare e Gregory House lo
sapeva bene.
Strofinò
rabbiosamente la gamba, quei ricordi non facevano per uno sciancato misantropo
figlio di puttana!
Lasciò rotolare a
terra la palla e si alzò dal suo anonimo scranno. Controllò l’ora mentre gli
ultimi rimasugli di quella vita esaltante scivolarono via. Osservò pensieroso
la lavagna e ancora una volta si chiese che fine avessero fatto i suoi
tirapiedi.
Si ritrovò a
osservare la calligrafia decisa di Foreman e quella arrotondata di Cameron,
forse, se fosse stato più gentile, lei sarebbe tornata, del resto non sarebbe
stato nemmeno poi così impossibile far tornare anche il canguro e mettere da
parte quei tre che uscivano puntualmente sconfitti ogni volta che si scontravano
con la sua ex squadra.
Si sedette alla
scrivania cercando di scindere quell’insolito attacco di nostalgia dal bisogno
di avere una diagnosi. Con l’impugnatura del bastone si picchiettò leggermente
la fronte: sapeva che era grave rimpiangere Cameron, soprattutto per come si
erano messe le cose negli ultimi giorni, ma certamente era ancora più grave
sentire la mancanza del canguro. Si alzò di scatto e cercò una superficie
riflettente, che Wilson lo avesse messo ancora una volta sotto antidepressivi?
Il vetro della
finestra gli restituì l’immagine di un uomo amareggiato, sconfitto e miserabile
e per questo seppe che nessuno, se non se stesso, lo stava drogando e quindi
tutto era nella norma.
Si guardò attorno
cercando un segno di vita, ma non c’era nessuno oltre a se stesso. – “Se
Maometto non va alla montagna, allora la montagna andrà da Maometto.” –
Sussurrò tra sé e sé.
In pochi attimi
imboccò il giusto corridoio e si ritrovò davanti ad una scena per lui insolita
che lo riportò indietro nel tempo. Una ragazza dai lunghi capelli castani con
il viso pulito guardava avidamente che cosa avveniva nella stanza di un
paziente. Controllò il numero e quasi con rammarico costatò che era proprio la
stanza del galletto irlandese che si era guadagnato slealmente il modo di
essere sulla sua preziosa lavagna. Fece un altro paio di passi e finalmente
poté guardare dentro. Cameron e il galletto parlavano senza sosta, ridendo
anche e questo gli provocò una strana sensazione alla bocca dello stomaco che
lo portò a parlare quasi senza rendersene conto. – “Sente sempre il bisogno di
consolare tutti.” – Disse ad alta voce più per rassicurare se stesso che la giovane
ragazza che con lui guardava la scena.
“Scusi?” – Disse
la giovane distogliendo per un attimo appena lo sguardo da quella stanza.
House fece un
cenno con una mano come a voler cancellare quello che aveva appena detto. –
“Chi sei?” – Socchiudendo gli occhi per poterla osservare meglio.
“Sono l’assistente
… ex assistente del signor Highland.” – Si lasciò sfuggire dalle labbra prima
che potesse fermare quella vecchia abitudine dura a morire. – “E lei è?” –
Chiese prendendosi finalmente il tempo per osservare il proprio interlocutore.
“Uno di
passaggio.” – Disse l’uomo con un sorriso strafottente sul volto.
“Certo ed io sono
la rediviva principessa Diana.” – Disse la donna facendo trasparire tutto il
suo insano sarcasmo. – “Cinico, maleducato, zoppo con bastone …” – Sussurrò
come per cercare di imprimere nella propria mente l’aspetto dell’uomo.
House sussultò
impercettibilmente come se quelle parole lo avessero colpito nell’animo. –
“Decisamente sai fare dei ritratti affascinanti ma scontati.” – Mentre gli
balzava alla vista una vera d’oro all’anulare della mano sinistra della donna.
– “Fedifraga e innamorata del suo ex datore di lavoro.”
“Vedo che anche tu
hai un certo ritmo per i complimenti.” – Disse buttandosi una lunga ciocca di
capelli alle spalle. – “In realtà stavo solo verificando che il ritratto che mi
è stato fatto di te corrisponde pienamente.”
“Dunque io sono
svantaggiato.” – Squadrandola da capo a piedi. – “Oltre ovviamente a sapere che
tradiresti tuo marito pur di stare con lui.” – Dando un cenno veloce verso la
stanza.
Le spalle di lei
s’irrigidirono per un istante. – “Si so chi è lei dottor House.” – Strinse al
petto le braccia come a difendersi. – “Sono Irene Daler.” – Sussurrò senza
guardarlo in volto.
“Bell’anagramma.”
– Disse lui, ma poi rimase in silenzio guardando la scena che si svolgeva sotto
i loro occhi.
Cameron buttava
indietro la testa e rideva rilassata come non ricordava di averla mai vista
prima, mentre lui era più posato, ma certamente non aveva il volto contratto
per il dolore come invece gli avevano costantemente riferito.
“Io vorrò Patrick,
ma tu vuoi lei.” – Disse Irene con uno sguardo determinato in volto.
“Potevo averla ma
non l’ho voluta.” – Con aria divertita e saccente.
La donna si voltò
lentamente verso il diagnosta. – “Avrebbero dovuto darti la pena di morte.” –
Sussurrò quasi impercettibilmente.
E per un istante
House ebbe un dejà vu.
L’allegra
conversazione che si svolgeva nella stanza 221 s’interruppe senza preavviso e
Cameron estrasse il cellulare dalla tasca.
“Faremmo meglio
entrare.” – Disse il diagnosta cercando di dimenticare tutta la conversazione
che aveva intrattenuto con la bella sconosciuta.
“Già, sa tanto da
stalker stare qui a guardare.” – Mentre le labbra diventavano un’unica riga
rosata.
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“Ho parlato con
gli altri colleghi, saranno qui tra qualche minuto per portarti in risonanza.”
– Cameron, durante quella lunga conversazione, aveva abbandonato il tono di
leggero distacco che usava solitamente con i pazienti e la confidenza con cui
l’uno si rivolgeva all’altro li aveva certamente messi più a suo agio.
“Grazie Allison,
ti sono infinitamente riconoscente.” – Disse allungando una mano per toccarla
ancora una volta. – “La risonanza è sicuramente meglio.”
Il delicato
fruscio della porta interruppe quella tranquilla discussione facendoli voltare
contemporaneamente verso l’ingresso.
Istantaneamente le
mani di entrambi fecero un balzo all’indietro, mentre i legittimi proprietari
si ritrovarono a giustificare mentalmente un momento d’imbarazzo non previsto.
“Risonanza? Io
avevo ordinato una TAC.” – Cercando di ignorare quelle mani unite che
sembravano raccontarla più lunga di quella che era realmente. – “Da quand’è che
tu sai meglio di me quello che serve per i pazienti?” – Mentre House batteva
scocciato il suo bastone per terra cercando di far apparire tutto normale.
Cameron scattò in
piedi e stava per rispondere quasi indignata quando una voce di donna la
interruppe.
“Ciao Patrick.” –
Facendosi avanti per entrare nel cono di luce.
Patrick alzò lo
sguardo stupito sulla donna. – “Ciao Irene.” – E fu tutto quello che disse.
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Capitolo 13 *** Dodicesimo capitolo – Dark Affair ***
ykb - Dodicesimo capitolo – Dark Affair
Dodicesimo capitolo – Dark Affair
“Che ci fai qui?”
– Disse brusco, mentre i modi gentili e affabili avuti fino a quel momento
scomparvero, mentre tutto il corpo gli s’irrigidiva.
“Ero di
passaggio.” – Disse Irene con un sorriso leggermente malinconico mentre
nervosamente faceva ruotare la fede nuziale.
“New York non è
dietro l’angolo.” – Sbuffando leggermente sull’ovvietà dell’unica cosa che gli
era venuta in mente.
“Non è nemmeno in
capo al mondo e poi le vecchie abitudini sono vecchie a morire.” – Fece un paio
di passi nervosi per la stanza. – “Se vuoi me ne vado.” – Disse dandogli la
chance di farla uscire ancora una volta dalla sua vita.
Cameron si sentì
di troppo in quella conversazione che aveva del tutto l’aria di essere privata.
Si schiarì la voce e dopo aver ottenuto la loro attenzione, sorrise dolcemente.
– “Vado a vedere perché ci mettono tanto.” – Incamminandosi verso la porta, ma
poi si bloccò come colta da un pensiero. – “Tu non dovevi espormi le tue
lamentele?” – Chiese al diagnosta che si era quasi mimetizzato nella penombra.
“Possiamo fare
dopo.” – Disse scuotendo una mano davanti al proprio viso. – “Questa è meglio
di una soap.” – Afferrò una sedia e si mise a sedere. – “Prego, continuate
pure.” – Si frugò in tasca, ma non trovò nulla di commestibile oltre ovviamente
del proprio Vicodin. – “Ah Cameron, quando torni portami delle M&M’s.” –
Come se fosse al cinema e lei una delle tante hostess.
Cameron scocciata
ruotò gli occhi e fece per prenderlo per un polso, ma Irene la interruppe. –
“Mi sembra una buona idea che voi rimaniate, così poi la dottoressa Cameron
potrà ascoltare le mie brillanti deduzioni su …”
Non riuscì nemmeno
a terminare la frase che fu House a trascinare Cameron fuori dalla stanza
mentre borbottava improperi a destra e a manca.
“House, basta.” –
Disse Cameron liberando il proprio polso dalla mano dell’uomo. – “Ho da fare!”
– Cercando una facile via di fuga.
“Così non volevi parlare
con me per spiegarmi le tue azioni, ma solo per lasciare i Tristano e Isotta
dei tempi nostri a parlare tra loro.” – Come se solo in quel momento avesse
preso in considerazione quell’idea.
“Non sono affari
che ci riguardano.” – Guardandolo con quell’espressione ostile che riservava a
lui soltanto.
Lui si strofinò la
barba in maniera pensosa e cercò di scrollarsi di dosso quello sguardo. – “Allora
parliamo di qualcosa che ci riguarda: perché hai sostituito la TAC che ho
richiesto personalmente con una risonanza?” – Sfidandola a essere ancora più
arrabbiata.
“Non voleva più
avere a che fare con i liquidi di contrasto e non posso dargli torto dopo
quello che è successo ieri.” – Mentre impercettibilmente faceva un passo verso
di lui.
“Tu non avevi il
diritto di farlo, sono ancora io quello che comanda!” – Sporgendosi in avanti
come a voler sottolineare il suo dominio.
Lei non
indietreggiò, anzi, si spinse ancora un poco più avanti. – “Ed è qui che
sbagli! Io non sono più una tua subordinata, ma una tua pari, quindi le mie
decisioni valgono quanto le tue. Se ho voglia di farti giocare a fare Dio, lo
faccio, ma se mi sembra che tu stia esagerando ho il compito di frenarti e in
ogni caso sostituire una TAC con una risonanza poiché lui può permetterselo non
mi sembra poi così grave!”
“È un mio
paziente!” – Alzando la voce di un paio di toni.
“E’ anche mio!” –
Disse portando le mani ai fianchi con rabbia mentre la voce le diventava
leggermente stridula a causa del nervosismo che le ribolliva dentro.
“Tu non mi fai
paura.” – Mentre quel gesto così abituale lo riportava indietro di anni.
“Non ne era mia
intenzione.” – Girò i tacchi e scomparve velocemente dalla sua vista.
“Dannazione!” –
Sbottò House mentre al contempo picchiava il bastone contro il muro. – “Dannazione!”
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“Perché qui?
Perché ora?” – Chiese Patrick mentre affondava le dita nelle coperte.
Lei gli si sedette
a poca distanza. – “E quando altrimenti? Al tuo funerale?”
Lui s’irrigidì
notevolmente. – “Non sono ancora morto.”
Lei sorrise. –
“Per fortuna.” – Si passò una mano nei capelli scuri e sospirò lievemente. –
“Ho preso informazioni su questo dottor House e nonostante sia uno stronzo
senza cuore dicono che sia il migliore, ma … non finisci sulla sua scrivania se
non stai rischiando la pelle.” – Mentre il suo colorito diventava leggermente
ceruleo.
“Già … lo so.” –
Sospirò profondamente e chiuse gli occhi. – “Irene … io …” – Tutte le parole
che aveva sempre pensato di dirle una volta che se la fosse ritrovata
nuovamente davanti sparirono come risucchiate in un buco nero.
Lei gli sfiorò le
dita con le proprie. – “Sì, lo so …” – Sbatté rapidamente gli occhi per
scacciare quelle lacrime che volevano tracciarle i contorni degli zigomi. – “Mi
manchi anche tu.”
Si guardarono
negli occhi e tutto il dolore di quegli anni di separazione tornò a farsi vivo.
Il fruscio della
porta li interruppe inaspettatamente.
“Pronto per fare
un giro in risonanza?” – Chiese allegro Kutner. – “La dottoressa Cameron ci ha
detto che preferisce questo esame.”
“Sì, infatti.” –
Rompendo quel flebile contatto fatto di pelle e di ricordi che stava
condividendo con la donna.
Taub li osservò
per un istante. – “Può venire anche lei signora se vuole.”
Un rapido scambio
di occhiate tra i due e Irene sorrise. – “Sì, vengo volentieri.”
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“Che ne pensi?” –
Chiese Taub al compare.
“Cameron potrebbe
avere ragione, un tumore del surrene spiega molte cose.” – Mentre attivava la
scansione.
“No, non sto
parlando di quello, è probabile che Cameron abbia ragione, ma con House non è
mai detta l’ultima parola. Stavo pensando all’affare torbido del signor
Highland con quella bella donna qui fuori.”
“Affare torbido?
Che intendi? A me sembrano perfettamente affiatati.” – Con voce disinteressata
e poco convinta.
“E questo non ti
sembra strano? Lui è single e lei ha una bella vera nuziale che risplende
sull’anulare sinistro.” – Mentre con un dito scandiva un ritmo immaginario.
Kutner si voltò di
colpo. – “Ma ne sei sicuro?”
“Riconosco lontano
un miglio un affare torbido.” – Con un sorriso che la diceva lunga.
“Già,
perché tu
sei l’esperto …” – Tornò con il volto
verso il monitor. – “Qui non c’è nulla salvo
che non sia più piccolo di un millimetro che allora non darebbe
sintomi.”
“Che ti avevo
detto? House 1, Cameron 0!” – Come se anche quel risultato fosse scontato.
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Capitolo 14 *** Tredicesimo capitolo – I know! ***
ykb - Tredicesimo capitolo – I know!
Tredicesimo capitolo – I know!
“Hai un istante?”
– Chiese Foreman affacciandosi allo studio di Cuddy.
La donna alzò gli
occhi dai resoconti che stava pazientemente compilando. – “In che ti posso essere
utile?” – Sfoggiando la sua tipica disponibilità.
Il neurologo si
schiarì la voce e fece qualche passo verso la scrivania del decano di medicina.
– “Forse sarò un nuovo Flatcher Christian, ma penso che tu debba fermare
House.”
“Non sono certa di
ricordare correttamente la storia, ma il comandante Bligh fu giudicato
innocente.” – Mentre un sopraciglio si alzava in maniera interrogativa.
“Già, ma tutti
sentirono solo la sua versione.” – Disse Foreman a disagio. Rimase per un
istante a testa bassa come timoroso della scelta che stava per fare, ma poi
sostenne lo sguardo inquisitorio della donna. – “Vuole sottoporre il signor
Highland a un test da sforzo ed io non sono d’accordo.” – Sospirò e poi riprese
il discorso che si era preparato mentalmente. – “Questo test potrebbe essergli
più fatale dalla malattia sconosciuta di cui è affetto.”
Cuddy si torse
nervosamente le mani. – “E Cameron che dice?”
“È stata lei a
convincere il paziente a firmare il modulo del consenso informato.” – Lo disse
in fretta affastellando le parole sentendo ben più la colpa nel tradire la
collega che il capo.
---------
Chiuse lentamente
il cellulare e buttò indietro il capo. Le cose non stavano andando come avrebbe
voluto. Fece scivolare in tasca il telefono e, con la sua solita camminata in
tre tempi, si diresse verso il suo studio. Distrattamente buttò l’occhio in
sala conferenza e la vide. Si era seduta alla sua vecchia scrivania e giocava
svogliatamente con una matita mentre lo sguardo era perso nel vuoto.
Lui batté il
proprio bastone a terra e lei si riscosse guardandolo fisso negli occhi senza
timore.
“Chi dei due lo
dice che la mia idea del tumore al surrene era campata per aria?” – Chiese
Cameron precedendolo nel discorso che sapeva che lui aveva sulla punta della
lingua.
Lui sbuffò un
poco. – “Non era esattamente campato in aria, caso mai era banale.” – Lo disse
con un sorriso che sembrava quasi un armistizio.
“Ha firmato il
consenso per il test da sforzo.” – Alzandosi per mostrarglielo. – “Ma ero
davvero convinta che non servisse.”
Con un gesto della
mano lui cancellò i suoi scrupoli. – “E’ necessario, fai predisporre le cose.”
“Se gli facessimo
una Pet-Scan al cuore forse …” – Propose lei incerta, sapendo benissimo che
tutto era inutile.
Lui spalancò gli
occhi. – “Non sperare di cavartela continuando a posticipare l’inevitabile. Fai
pedalare quel dannato irlandese.” – Mentre il tono della voce tornava ancora
una volta aspro e rabbioso.
“Non ci pensare
nemmeno lontanamente!” – Disse Cuddy facendo il suo ingresso trionfale seguita
da Foreman. – “Tu non metterai quell’uomo su una cyclette.”
Lui ruotò gli
occhi innervosito. – “Hai sentito Cameron? Niente pedali per il miliardario.” –
Guardò Foreman mentre un lampo di rabbia e astuzia gli attraversò lo sguardo. –
“Mettilo su un tapis roulant e fallo correre!”
“Se la vita del
paziente è in pericolo io …” – Cuddy cercando di soffocare sul nascere ogni
proposta rischiosa.
“E’ stato
accuratamente informato dei rischi e ha firmato uno dei moduli che ami tanto.”
– Mentre il diagnosta fissava il decano di medicina negli occhi.
“Conoscendoti lo
avrai minacciato dicendogli probabilmente non avrebbe visto il tramonto di
domani.” – Lei sbuffò un poco cercando di trovare un cavillo plausibile per
stoppare House.
Lui fece un cenno
con il capo. – “In effetti, potrei avergli detto una cosa del genere se
l’avessi informato io, ma poiché è stata Santa Cameron, protettrice dell’etica
e della morale del PPTH, tutto è stato fatto secondo le regole!”
Cameron lo guardò
indignata e tentò di parlare. – “In che lingua te lo devo dire che …”
Cuddy però la
interruppe frettolosamente. – “Posso elencarti almeno dieci casi in cui hai
usato Cameron per strappare un consenso che altrimenti non avresti mai avuto.”
Lo sguardo furioso
dell’immunologa si riversò verso il decano di medicina. – “Mi fai un grosso
torto nel considerarmi un galoppino di House, non lo sono più da un pezzo e
sono orgogliosa di questa mia scelta.”
“Le abitudini sono
dure a morire.” – Sbottò Cuddy distratta mentre non toglieva di dosso gli occhi
da House. Quando si rese conto di quello che aveva detto cercò con lo sguardo
la giovane donna e vide un’espressione shoccata. – “Io … mi spiace Cameron, non
intendevo dirlo.” – Rammaricata di dove stava portando quella conversazione.
Cameron chiuse gli
occhi e respirò profondamente. – “Forse non intendevi dirlo, ma è quello che
pensi.” – Strinse i pugni innervosita. Aveva fatto molto per la propria
autostima, ma certamente era ancora importante quello che il suo capo pensava
di lei. – “Siccome la mia opinione non conta, vado a fare qualcosa di utile
come farmi una doccia.” – Afferrò la propria borsa, e dopo aver lanciato
un’occhiata truce agli occupanti dello studio, uscì innervosita.
“Cameron,
aspetta.” – Disse Foreman cercando di rincorrere la collega. – “Cameron!”
“Devo dire che hai
un talento naturale per farli scappare a gambe levate! Io ci ho impiegato più
di tre anni, tu meno di cinque minuti. Complimenti, penso che sia un record
anche per te.” – Disse il diagnosta mentre si buttava scompostamente sulla propria
reclinabile.
Cuddy s’irrigidì,
non pensava sul serio quello che aveva appena detto a Cameron, o meglio, lo
pensava solamente quando la vedeva sminuirsi come medico e come donna, ma
certamente non era una cosa che pensava costantemente. – “Già e probabilmente
tu sai tirare fuori il meglio dalle persone.”
“Ho fatto di loro
i medici che sono oggi e so per certo che sono i migliori che hai nel tuo
staff, quindi sì, ho tirato fuori il meglio che ognuno di loro poteva dare.” –
Disse con non curanza mentre studiava il flacone di Vicodin che magicamente gli
era apparso tra le mani.
“Erano già i
migliori o non li avresti scelti.” – Ribatté lei sicura.
“Erano solamente i
potenzialmente migliori, senza la giusta direzione sarebbero stati solo tre
medici tra tanti. Una mediocrità insomma.” – Mentre subito dopo sgranocchiava
una compressa di Vicodin.
“Mi fa piacere
sentire che ritieni di essere il migliore in tutto quello che fai!” – Mentre
nervosamente batteva la punta della scarpa contro la moquette.
Lui stese le mani
in avanti e finse di suonare una melodia che risuonava solo nella sua testa. –
“Non sarò Rachmaninov, ma nella medicina … hei! Sono Gregory House!”
“La modestia
vicino a te scompare!” – Disse sarcastica.
Si alzò in piedi e
la fronteggiò a distanza ravvicinata. – “Sei qui perché non riesci a tenere le
mani fuori dal mio splendido corpo o perché vuoi farmi conoscere la tua
disapprovazione, perché se è il secondo caso allora te ne puoi andare perché ho
un bellissimo modulo con tanto di firma originale!”
Cuddy fece un
passo verso di lui. – “Modulo che può essere stralciato in qualsiasi momento se
il paziente non è stato correttamente informato.”
Lui si protese
verso di lei. – “Non è stato costretto con la forza e sono certo che gli sono
stati spiegati chiaramente rischi e benefici.”
“Tu dubiti di
tutto e di tutti, perché non questo?” – Lei gli si avvicinò ancora di un palmo.
– “Perché è stata Cameron a farglielo firmare?” – Mentre un’insolita vampata di
gelosia la avvolse.
“Sì, proprio
perché è stata Cameron.” – Mentre una nota di orgoglio gli risuonava nella
voce.
“E immagino che
lei non possa sbagliare o imbrogliarti vero?” – Socchiudendo gli occhi per
studiare le sue reazioni.
“Non su questa
cosa, nemmeno se ne andasse della sua vita stessa. La conosco! Come so che il
canguro è un ruffiano di prima categoria, come so che Foreman venderebbe
l’anima al diavolo pur di essere il capo e come so che tu saresti disposta a
cancellare qualsiasi cosa pur di affermare il tuo senso materno, anche il tuo
prezioso PPTH.”
Lei per un istante
accusò il colpo, ma un lampo di comprensione le attraversò lo sguardo. –
“Capisco!” – Disse calma. – “Tu non riuscivi a essere felice per me
nell’adozione perché ti saresti sentito abbandonato.” – Lo sguardo di lui si
fece un attimo serio e lei lo prese come un invito a continuare. – “Tu vuoi
avere una relazione con me!” – Lo accusò mentre nello sguardo si accendeva un’inattesa
luce di speranza.
House rimase in
silenzio per qualche istante come a ponderare la cosa. – “Se parli di sesso,
sesso, sesso, indicami la strada di casa baby, ma se parli di una relazione
seria…” – Lui chiuse la distanza tra loro. Il torace di House quasi premette
contro quello di Cuddy, che sembrava pendere dalle sue labbra. – “… Dio me ne
liberi e scampi! NO! Non voglio una relazione con te!” – Sbottò tutto d’un
fiato facendo un passo indietro.
Cuddy sbatté le
palpebre confusa, come se non fosse riuscita a comprendere quello che gli aveva
detto.
Lui, senza
guardarla ulteriormente, afferrò il proprio bastone e uscì dallo studio.
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“Cameron!
Aspetta!” – Disse ancora una volta il neurologo.
La donna si voltò
con aria scocciata. – “Mi seguirai anche sotto la doccia?”
Lo sguardo di Foreman
rimase serio e imperturbabile. – “Mi spiace Cameron, ma dovevo farlo.”
“Bene, lo hai
fatto.” – Con uno sguardo freddo e distante. – “Ora se non ti dispiace ho
proprio bisogno di una doccia.” – Riprendendo la propria strada verso lo
spogliatoio.
“Ho agito secondo
coscienza!” – Disse lui ancora per giustificare il proprio tradimento.
Lei si voltò di
scatto. – “Coscienza Foreman? Tu?” – Cameron aveva voglia di ridergli in
faccia, ma i muscoli del viso non collaborarono tanto erano contratti.
“Sì Cameron!
Secondo coscienza e se non passassi il tuo tempo a baciarti con House sapresti
che ho ragione. Lui ha sempre annebbiato il tuo giudizio.” – Mentre cercava
ogni modo per difendere la propria scelta.
Quel poco di
colore che ancora rimaneva sul volto di Cameron scivolò via. – “Così te l’ha
detto.” – Sussurrò più a se stessa che al neurologo.
“Ieri sera mi ha
chiesto di andare a bere assieme a lui … onestamente penso che questa mattina
non ricordi metà delle cose che mi ha detto, ma era ancora piuttosto lucido
quando ha cominciato a raccontarmi quello che aveva visto e quello che gli hai
detto.”
Cameron fece un
paio di passi indietro e appoggiò la schiena contro il muro. – “Sì, posso
immaginare che cosa ti abbia detto.” – Mentre le forze la abbandonavano.
“Devi tirarti
fuori da questo caso, non sei abbastanza obiettiva.” – Cercando di far forza
sul suo punto debole.
L’orgoglio che
fino a un attimo prima era scomparso, tornò a pompare vigoroso nelle vene della
donna. – “Le mie relazioni interpersonali con Chase e House non influiscono sul
mio operato! Non hanno mai influito nonostante tutti vi siate fissati che io
non sono in grado di essere alla vostra altezza.” – Si staccò dal muro e fece
un paio di passi verso il collega. – “Forse non sono come te nella gestione
delle emozioni …” – Gli puntò un dito contro il torace. – “… ma non devi mai e
poi mai mettere in dubbio la mia professionalità, perché proprio tu dovresti
essere il primo a sapere che nonostante le nostre divergenze di vedute, per me
prima di tutto viene il paziente.” – Rimase a fissarlo ansante e rabbiosa.
Foreman trattene
il fiato, non si era aspettato una reazione del genere da lei.
Cameron rimase
ancora per qualche istante a fissarlo, poi, senza preavviso, riprese la propria
strada e scomparve negli spogliatoi femminili.
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Capitolo 15 *** Quattordicesimo capitolo – Black ***
YKB - Quattordicesimo capitolo – Black
Quattordicesimo capitolo – Black
Wilson aveva
appena comunicato una notizia infausta al signor Drachen e il suo umore non era
certamente gioioso.
Distrattamente
guardò nello studio dell’amico, gli era venuta la strana voglia di fargli la
morale per una questione qualsiasi, del resto era facile trovare House in
fallo, ma, invece di vedere il diagnosta che giocava con la sua palla
sovradimensionata, vide Cuddy. Era in piedi, ferma immobile, come se un
maleficio l’avesse resa di pietra. Guardava avanti senza vedere e il respiro
era tanto lieve che quasi non si notava l’escursione toracica.
L’oncologo non ci
pensò un istante ed entrò in quell’ufficio stranamente più gelido del solito.
“Lisa, che ti
succede?” – Scegliendo istintivamente di usare il suo primo nome.
Lei non ebbe
nessuna reazione.
Wilson allora
toccò gentilmente la spalla della donna e quella si sciolse in lacrime
silenziose.
Guidato dal suo
grande cuore, l’oncologo la abbracciò stringendola piano al petto mentre con
una mano dava dei delicati colpetti alla schiena. Lo sguardo di Wilson era
smarrito eppure quello che stava facendo sembrava esattamente ciò di cui aveva
bisogno la donna: un posto caldo e confortevole che non giudicasse il proprio
momento di debolezza.
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L’acqua calda
scorreva gentile sul suo corpo portando con sé almeno una parte di quella
malefica tensione che non le permetteva di affrontare con serenità il lavoro.
Appoggiò il capo al muro piastrellato e lasciò i pensieri vorticare liberi
nella propria mente.
Stare con lui le
aveva dato quel genere di stabilità e tranquillità che aveva sempre invidiato a
tante altre coppie, eppure … Dio come si era sentita viva baciando House.
Strinse i pugni
fino a conficcare le unghie nei palmi, doveva dimenticare, ma come?
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“Cominci con un
ritmo lento e tranquillo.” – Disse la giovane dottoressa Hadley. – “Tra circa
un minuto comincerà a percepire una certa resistenza come se fosse in salita.”
Il signor Patrick
Highland, coperto di ogni sorta di cavi, pedalava adagio su una cyclette
tecnologica. – “Dov’è la dottoressa Cameron?” – Chiese l’uomo impacciato.
Uno sguardo
imbarazzato corse tra Kutner e Taub che fu notato da Irene, normalmente non
sarebbe stata ammessa in quel laboratorio di fisiopatologia, ma i suoi grandi
occhi verdi sembravano essere il miglior passepartout
del mondo.
Hadley fece
scorrere le dita tra i capelli e con un sorriso ammaliante entrò nel campo
visivo del loro paziente che ancora attendeva una risposta. – “La dottoressa
era impegnata, ci raggiungerà per la lettura dei risultati.” – “Premette un
tasto vicino a un monitor e il bracciale dello sfigmomanometro iniziò a
gonfiarsi. – “Si rilassi signor Highland e cerchi di non parlare, a breve
percepirà un aumento della resistenza.
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In qualche modo
era riuscito a pilotare Lisa fino al proprio studio, ma ancora non sapeva che
cos’era successo, o meglio, sapeva che c’entrava House e che probabilmente
aveva a che fare con quella cosa dei sentimenti che il diagnosta aveva
accantonato tempo prima, ma non riusciva proprio a immaginare che cosa avesse
potuto scatenare nel decano di medicina tanto dolore da renderla quasi apatica.
“Se non mi dici
che succede come ti posso aiutare?” – Chiese Wilson in un disperato tentativo
di estorcerle la verità.
La donna aumentò
la presa sulla camicia dell’uomo, quasi che ne dipendesse la propria vita, ma
non proferì verbo.
I sussulti si
erano placati, ma il bisogno impellente di essere stretta in un caldo e
comprensivo abbraccio erano ancora presenti.
“Se devo fargli la
ramanzina ho bisogno di un appiglio da cui iniziare.” – Propose ancora
l’oncologo.
Un sorriso blando
comparve sul volto di Cuddy. – “Ha solo detto la verità, niente di più.” – Con
un incerto filo di voce.
“Lui ci gioca con
la verità e riesce sempre a fargli dire quello che vuole senza mai tenere conto
di quanto dolore provoca nelle persone.” – Sussurrò perplesso mentre continuava
delle carezze ritmate sulla schiena della donna.
Cuddy lo guardò
finalmente negli occhi e si accorse che lui provava pena per lei. Si staccò
dall’abbraccio dell’uomo e si rannicchiò nell’angolo più lontano, non voleva
che qualcuno avesse pena di lei.
Wilson rimase
quasi shoccato da quel comportamento, ma saggiamente non disse nulla, si limitò
ad attendere che lei dicesse qualcosa.
Lei abbassò lo
sguardo e si mise a giocare distrattamente con le proprie unghie, era cosciente
dell’attesa di lui, ma per Lisa era troppo difficile ammettere quella cosa che
negava anche nel silenzio della propria coscienza.
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House entrò nello
spazioso laboratorio, ma non fece nulla per farsi notare, solo un cenno del
capo verso Kutner che stava per rompere il monotono ronzio della cyclette.
“Come andiamo
signor Highland?” – Chiese Taub mentre segnava su un modulo l’ultima pressione
rilevata.
Con un cenno del
capo l’uomo fece capire di potercela fare ancora.
“Deve cercare di
avvisarci circa un minuto prima del suo esaurimento fisico.” – Disse Taub ponendo
l’accento ancora una volta quella particolare condizione. – “Sta andando molto
bene.”
Nonostante il
boccaglio che serrava tra i denti, Patrick riuscì a inviare un sorriso
rassicurante verso Irene che sembrava sempre più tesa.
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Cameron si tamponò
il corpo con un grande telo da bagno bianco e poi si sedette sulla panca di
legno appoggiando il capo al muro. Si sentiva stremata nonostante avesse sempre
ritenuto la doccia rigenerante, ma per giornate simili un lungo bagno sarebbe
stato il vero tocca sana.
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Lisa si abbracciò
le ginocchia e vi appoggiò sopra la fronte. – “Mi sono illusa.” – Sussurrò
talmente tanto piano che Wilson pensò di esserselo immaginato. – “In queste
settimane mi sono cullata nell’idea che House poteva essere quello giusto per
me.” – Aggiunse piano mentre cercava di ignorare un pungente imbarazzo che le
premeva nello stomaco.
Wilson fece per
parlare, per dirle quanto giusta fosse quell’impressione, che non c’era nulla
di male nel pensare che House potesse essere quello giusto per lei, ma un
tragico sospiro lo fece desistere.
“Lo avevo
immaginato come padre dei miei figli.” – Esorcizzando finalmente quel sogno
proibito. – “Nonostante tutto io penso che sarebbe bravo sul serio con i
bambini.” – Cercando di giustificare quella fantasia che per settimane aveva
tenuto segreta. – “Quando … quando lei … quella ragazza … si è ripresa la mia
Joy, il mio cuore si è rotto, ma quel bacio improvviso ha alimentato una
speranza impossibile.” – Un lungo sospiro la interruppe. – “Ho cercato di
razionalizzare la cosa, ci ho provato sul serio, ma tutti quei discorsi sul
provare a cercare di avere una relazione con lui, mi hanno fatto perdere la
lucidità necessaria per sapere che era semplicemente impossibile.” – Le spalle
si alzarono e abbassarono con lentezza e profondità. Lisa voltò il capo verso
Wilson e un amaro sorriso le tirò gli angoli delle labbra. – “Patetico vero?”
L’oncologo era
rimasto in silenzio, quasi impietrito. Dentro di sé sentiva la colpa per
quell’incitamento con cui aveva spronato Cuddy ad avere una relazione con
House, dall’altra il suo cuore martellava furioso perché House aveva rifiutato
ancora una volta una persona tanto bella e tanto sincera. – “Mi spiace.” –
Bisbigliò colpevole.
Lei allungò una
mano per stringere quella di Wilson. – “Non hai fatto niente di male, hai solo
pensato alla felicità di due persone a te care.”
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Una pedalata, un’altra
ancora e poi un’altra. Ormai il rombo del proprio sangue nelle orecchie gli
impediva di sentire che cosa stava dicendo quella dottoressa magra dai capelli
castani di cui non ricordava il nome. Una pedalata, un’altra ancora e poi
un’altra. La testa gli girava e non riusciva più a mettere a fuoco quello che
lo circondava. Che cosa gli aveva detto il piccoletto con quel grande naso? Non
riusciva a ricordarlo. In testa gli era rimasto solo un ordine e quello gli
diceva di pedalare senza fermarsi. Il sangue pompava veloce e poi il nero lo
avvolse.
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Capitolo 16 *** Quindicesimo capitolo – Not over! ***
YKB - Quindicesimo capitolo – Not over!
Quindicesimo capitolo – Not over!
Il cercapersone suonava senza sosta da oltre un minuto, ma
Cameron, assorta com’era nei propri pensieri, lo sentì
solamente quando ormai il fastidioso e prolungato bip andò a
smorzarsi. Stancamente si alzò dalla panca per afferrare quel
piccolo oggetto rettangolare e, mentre annoiata leggeva il messaggio,
il suo viso sbiancò. In fretta si rivestì e, con ancora i
capelli bagnati che gocciolavano sul camice, uscì di corsa dallo
spogliatoio.
Premette con insistenza sul tasto di chiamata dell’ascensore, ma
quello rimaneva ostinatamente spento. Cameron dunque prese le scale di
volata e involontariamente andò a sbattere contro Foreman e
Chase che con calma le percorrevano all’inverso.
“Scusa!” – Disse in fretta la donna prima ancora di elaborare chi si fosse trovata davanti.
“Dove vai così di corsa?” – Le chiese il
neurologo preoccupato dall’espressione che la collega aveva
stampata in volto.
La donna voltò il capo verso di loro e istintivamente prese le
mani di entrambi. – “Ho bisogno di voi.” –
Trascinandoli giù con lei. – “Patrick è
collassato.” – E questo bastò ai due giovani medici.
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Le labbra di Irene era una pallida linea rosata che spiccava sul volto
candido. La posizione delle spalle e il tremore delle mani erano indice
della paura provata quando aveva visto Patrick, il suo Patrick,
crollare con un tonfo sul pavimento di linoleum. Si sforzò di
ascoltare che cosa le stava dicendo il moro neurologo, ma tutto le
sfuggiva dalla mente.
“Pensiamo che abbia avuto un TIA, ma per esserne sicuri dobbiamo
attendere ventiquattro ore.” – Stava dicendo Foreman per
l’ennesima volta.
Cameron vide lo smarrimento sul volto della donna e intervenne. –
“Pensiamo che sia benigno; tutti i sintomi dovrebbero scomparire
in meno di ventiquattro ore.”
La donna fece un rapido cenno con il capo, ma un pensiero inquietante
le attraversò la mente. – “E se non fosse
così?”
“La risonanza è pulita.” – Disse Foreman.
– “Sono per questo certo che sia transitorio, ma per
sicurezza lo abbiamo messo sotto eparina e abbiamo aumentato il
dosaggio della nitroglicerina.”
La donna guardò nella stanza di Patrick e tremò ancora di
più. – “Sembra così fragile e
indifeso.” – Sussurrò con un filo di voce. –
“E lui non lo è mai.”
Dolcemente Cameron allungò una mano e la posò su quella
di Irene. – “Andrà tutto bene.” –
Prendendo chissà dove quella convinzione.
Irene la guardò come se fosse la prima volta che la vedeva e
scattò indietro scansandosi da quel gentile contatto. –
“E’ colpa sua se lui è ridotto così! È
stata lei a estorcergli il consenso!” – Gridò come
impazzita tanto da far fare un passo indietro a una stupita Cameron.
– “Lei gli deve stare lontano! Non voglio che più
che lei e quel pazzo del suo ex capo vi occupiate ancora di
Patrick!”
Cameron sbatté gli occhi ripetutamente cercando di comprendere
quello che le stava dicendo, e quando la comprensione la raggiunse fece
ancora un paio di passi indietro come spaventata. – “Io ...
io …” – Balbettò incapace di parlare.
Foreman, nonostante fosse contrario a quell’esame, entrò
nel campo visivo della donna e cercò di difendere l’amica
e la collega. – “Il signor Highland è stato
correttamente informato dei rischi di questo esame e l’ictus
è uno di questi. Nessuno qui ha costretto qualcuno a fare
qualcosa contro la propria volontà.”
Il labbro inferiore di Irene tremò. – “Non vi voglio
attorno a lui!” – Disse nervosa mentre si precipitava nella
stanza dell’uomo.
Cameron cercò di seguirla, ma Foreman la fermò. – “Lasciala sbollire, è solo spaventata.”
“Lo so ma …” – Guardò nella stanza di
Patrick e vide una scena a lei tanto familiare quanto dolorosa: la
donna si era seduta affianco all’uomo privo di coscienza
tenendogli la mano. – “Si hai ragione.” – E in
fretta si allontanò lasciando Foreman solo e allibito da quel
repentino cambio di umore.
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Nervosa e tremante, con ancora quella scena in testa, Cameron
riempì la propria borsa con gli appunti che aveva portato dal
pronto soccorso. Doveva andarsene da lì. Forse la cosa migliore
era spiegare la situazione a Cuddy e chiedere qualche giorno di ferie.
Si morsicò ripetutamente il labbro inferiore e poi scosse il
capo, andarsene non era mai una buona soluzione, le sarebbe bastato
rimanere confinata nel “suo” pronto soccorso per i
successivi tre mesi e forse tutto quel dolore sarebbe scomparso.
“Che stai facendo?” – Chiese House che già da un po’ la stava osservando.
Lei alzò colpevole gli occhi e lo guardò in volto.
– “Vado a casa, ci è stato tolto il caso.”
– Con voce ferma e orgogliosa.
“E molli così?” – Chiese lui avvicinandosi.
– “Te ne vai solo perché un test rischioso, per il
quale era stato correttamente informato, ha prodotto uno degli effetti
collaterali?”
“No!” – Disse socchiudendo gli occhi. –
“Mi è stato chiesto di non occuparmi più del caso e
sto semplicemente rispettando la volontà del paziente.”
“Non mi sono state comunicate delle informazioni? Il galletto si
è svegliato e non mi è stato detto?” – Chiese
dubbioso come se cadesse dalle nuvole mentre le sue parole trasudavano
di sarcasmo.
Cameron scosse il capo incerta. – “No, ma …”
“Non mi risulta che il galletto abbia autorizzato qualcuno a
parlare al posto suo, o sbaglio?” – Mentre si faceva
più vicino.
“No.” – Disse Cameron torturandosi il labbro
inferiore per l’indecisione. Quando lo percepì più
vicino, alzò la testa orgogliosa. – “Ma lei sa
meglio di chiunque altro che cosa lui vorrebbe.”
“No! Perdio!” - Lui sbatté con violenza il proprio
bastone sul tavolo facendola sussultare. – “Lei non lo
sa!” – Camminò minaccioso verso di lei. –
“Tu immagini, pensi, presumi di sapere quello che lui vorrebbe,
ma non puoi trasferire i tuoi sentimenti su quella coppia infelice! Tu
non hai minimamente idea di che cosa lui voglia perché se anche
fossi tu la sua donna non saresti dentro la sua testa!” –
Facendosi sotto minaccioso.
“La sua testa è fuori uso e poiché non possiamo
entrarvi a forza lei è la migliore risorsa che abbiamo!”
– Ribatté lei mentre inconsciamente alzava il tono della
voce.
“Non è la stessa cosa! Non esistono due persone che creano
esattamente l'identico pensiero e se talvolta accade è solo
frutto del caso!” – Mentre il tono della sua voce diventava
più forte e profondo.
“E tu non trasferire la tua fallimentare relazione con Stacy su
di loro, non tutti sono pronti a imbrogliarti appena chiudi gli
occhi!” – Sapendo perfettamente di entrare in un campo
minato.
Per un istante lui fu sorpreso da tanto ostinato coraggio, ma questo lo
costrinse a mettere in capo le armi pesanti. – “E tu non
trasferire la tua fallimentare relazione con Chase su di loro
perché non tutti sono come dei cuccioli abbandonati bisognosi di
affetto.”
“Chase non è un cucciolo e lascialo fuori da questa
storia.” – Mentre il viso le si arrossava e la voce le si
faceva roca.
“Certo che è un cucciolo! Dopo che ha praticamente visto che ti stavo sbattendo
contro la parete del mio studio è ancora pronto a scusarti per
le tue mancanze verso di lui e ad accoglierti nel suo letto!”
– Mentre il respiro gli si faceva breve e rumoroso.
“No!” – Disse Cameron cercando di riprendere il
controllo di se stessa. – “Non è un cucciolo.”
– Ripeté con voce forte e sicura. – “Lui
è un uomo forte e sicuro di sé, e non ha certo bisogno
che io parli per lui.” – Riprendendo a infilare con foga
dei fogli nella propria borsa.
“Tu non lo hai mai baciato come hai fatto con me e questo
dovrebbe dire qualcosa sia a lui sia a te!” – Non volendo
lasciare l’osso di cui aveva appena assaporato il gusto.
“Già.” – Sussurrò.
A quell’affermazione lui la guardò sconvolto.
Sbatté rapidamente le ciglia e cercò di comprendere che
cosa Cameron avesse voluto sott’intendere. –
“Cosa?”
Lei alzò coraggiosa lo sguardo su di lui e lo affronto. – “Ho detto che hai ragione: io non ti ho ancora superato.” – Disse mentre un lungo e tremulo espiro le sfuggì dalle labbra.
Lui non riuscì a dire nulla, si limitò a guardarla come spaventato.
Lei attese una reazione da parte sua che non venne. –
“Già, proprio come pensavo.” – Afferrò
la propria borsa e fece per uscire dallo studio, ma lui si mise in
mezzo ostacolandola.
Cameron s’irrigidì e bruscamente. - “Anche da me hai avuto la tua libbra di carne! Ora che altro vuoi?”
“Che intendi dire?” – Chiese timoroso.
Lei lo guardò sorpresa che non avesse riconosciuto la citazione.
– “Il mercante di Venezia?” – Mentre dentro di
sé si propagava un senso di sollievo. – “Non hai
fatto Shakespeare al liceo?” – Mentre un timido sorriso le
incurvava le labbra.
“So tutto dell’ebreo Shylock che vuole una libbra di carne
di Antonio in caso di mancato pagamento, ma certamente non sono qui per
discutere della filosofia della vendetta con te!” – Mentre
come annoiato le sventolava una mano sotto il naso. – “Io
voglio sapere che intendi dire con quel ‘non ti ho superato’”.
Lei lo fulminò con lo sguardo e prese in considerazione
l’idea di tergiversare, ma lo sguardo inquisitorio di lui la face
desistere. – “Io e Chase ci siamo lasciati.” –
Sussurrò. – “Ora che mi hai reso una miserabile, tu
lo sei meno?”
Lui sbatté ripetutamente le palpebre e la guardò confuso.
Si leccò le labbra e fece scivolare la mano
sull’impugnatura del bastone. – “No.” –
Sussurrò.
“Fantastico! Nemmeno io!” – Cameron si riuscì
a liberarsi e in fretta lasciò lo studio senza guardarsi
indietro.
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--- fine quindicesimo capitolo ----
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Capitolo 17 *** Sedicesimo capitolo – Back ***
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Sedicesimo capitolo – Back
“Che ne dite di una mal formazione congenita?” –
Chiese Taub fissando intensamente la lavagna ricoperta di scritte quasi
illeggibili.
“Si più preciso, una mal formazione vuol dire tutto o
niente.” – Disse Foreman annoiato senza alzare gli occhi
dall’ultimo numero del BMJ. A volte si sentiva come un maestro
dell’asilo che si limitava a sottolineare cose ovvie e a
controllare che i “bambini” non si facessero male.
“Forse dovremmo andarlo a cercare!” – Propose Kutner
mentre si agitava sulla sedia come se si sentisse a disagio.
Il neurologo posò sul tavolo la rivista e alzò gli occhi
mentre faceva uscire un lungo e modulato sospiro. –
“Verrà quando ne avrà voglia.”
Hadley lo guardò socchiudendo gli occhi. – “Non
è mai in ritardo quando ha un caso.” – Quando vide
Taub aprire la bocca per dar voce alla solita polemica che sapeva aver
sulla punta della lingua, si corresse. – “Mai così
in ritardo intendevo dire!”
“Arriverà!” – Disse Foreman sicuro di se stesso.
“Se fosse una malattia familiare?” – Propose ancora
Taub cercando di ignorare la piccola conversazione che si era svolta
sotto i suoi occhi.
“E’ passato mezzogiorno!” – Ribatté
Kutner. – “Forse gli è successo qualc-”
“Successo qualcosa a chi?” – Chiese House entrando in
scena come se fosse una battuta del Re Lear. – “Se la
lavagna è ancora occupata vuol dire che è ancora vivo.
Aggiornatemi!”
“E’ stazionario.” – Disse Foreman con la sua
solita aria professionale cercando di irritare più del dovuto il
proprio capo, sapeva quanto poteva diventare fastidioso e lui voleva
evitare di trovarsi impegolato in sbalzi di umore improvvisi e insulti
pungenti, non era pagato abbastanza da subire anche quello. –
“Al momento è sedato per evitargli degli sbalzi di
pressori che potrebbero rivelarsi ancora pericolosi, ma per quanto
superficialmente io abbia potuto visitarlo, i segni neurologici
indicano che è in remissione.”
Inizialmente il diagnosta osservò la lavagna non curandosi dei
presenti, ma poi gli occhi iniziarono a vagare per la stanza e
percepì una mancanza. Foreman continuava a parlare, ma il
diagnosta cominciò a cercare la fonte del suo disagio. –
“Dov’è Cameron? Non è forse un suo paziente
il rosso?”
Gli assistenti si guardarono tra loro con un misto di sorpresa e
d’imbarazzo. – “Sta lavorando al pronto
soccorso.” – Disse Foreman rompendo quel momento di
silenzio, anche questo faceva parte del suo ingrato compito.
“E perché mai? Il paziente ha già una diagnosi ed
io sono ancora qui che mi scervello inutilmente?” – Mentre
il bastone picchiava contro la moquette in maniera incalzante.
Il neurologo si strofinò la fronte, avrebbe dovuto chiedere a
Cuddy un aumento, ma prima di qualsiasi altra cosa aveva bisogno di
un’aspirina. – “Penso che abbia a che fare con la
richiesta della signorina Daler.”
House ruotò gli occhi scocciato e la sua bocca si contorse in
mosse irripetibili, segno che stava riflettendo su una situazione
spiacevole.
“Potrebbe avere l’anomalia di Ebstein!” –
Propose Taub cercando di rendere professionale quella discussione ai
suoi occhi inutile.
“Impossibile!” – Sbottò House senza aggiungere
alcuna spiegazione. Lanciò il proprio zaino nel suo studio e
velocemente si diresse in corridoio, destinazione sconosciuta.
“Perché impossibile?” – Chiese Taub contrito
che la sua proposta fosse stata liquidata in meno di un secondo.
Foreman sospirò e ruotò gli occhi quasi scocciato, mentre
una battuta Housiana gli si formava sulla punta della lingua. –
“In quale classificazione è racchiusa l’anomalia di
Ebstein?”
Kutner e Taub si guardarono perplessi.
“In quella delle cianotizzanti.” – Rispose sicura Hadley.
“Appunto!” – Sottolineò Foreman.
Un ahh corale di comprensione raggiunse le orecchie del neurologo che
riprese in mano la propria rivista augurandosi che idee ben più
brillanti si formassero nella mente dei propri colleghi.
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“Nancy per cortesia, cerca di posizionare un ago cannula alla
signora Weiss e poi falla accompagnare in radiologia per quella tac con
il contrasto, il dottor Swans la attende tra una mezz’ora.”
Cameron si stava destreggiando tra un paziente e l’altro come al
suo solito eppure, nonostante cercasse di non darlo a vedere, una certa
malinconia aleggiava nel suo animo. Se qualcuno fosse riuscito a
intravvedere quale stato d’animo si celava dietro a gesti
modulati e sorrisi gentili, avrebbe attribuito il tutto alla brusca
interruzione della sua relazione con un certo chirurgo australiano, ma
in realtà quella era solo una parte di ciò che la
affliggeva.
La giovane dottoressa afferrò un’altra cartella e, dopo
averla letta per qualche istante, si preparò ad andare in
astanteria, ma una mano dalle lunghe dita aveva ben altri
piani per lei.
La cartella le fu strappata di mano e lei si guardò attorno
disorientata. Quando lo vide sbatté rapidamente le palpebre per
la sorpresa. Non si aspettava di trovarselo davanti in quel modo, ancor
meno dopo quello che si erano detti il giorno prima.
“Hai bisogno di fosforo?” – Chiese una profonda voce maschile.
“Cosa?” – Chiese ancor più sconcertata dalla sua domanda che dalla sua stessa presenza in quel luogo.
“Assumi abbastanza fosforo Cameron?” – Chiese lui
quasi scocciato che lei non lo avesse seguito nei suoi contorti
ragionamenti. – “Penso che tu abbia problemi di
memoria.” – Le lanciò una delle sue occhiate
sarcastiche ma poi continuò. – “Forse hai bisogno di
incontrare un neurologo e guarda caso ne ho uno nulla facente proprio
nel mio studio!”
Cameron cercò di scansarsi, ma lui glielo impedì
ripetendo lo stesso gesto costringendola ad appoggiare le spalle al
muro. Entrambi cercavano di controllare la propria frequenza
respiratoria, ma con scarso successo. Ogni volta che si rendevano conto
di essere nello spazio dell’altro una crescente tensione li
sconquassava e tutto diventava frenetico.
“House!” – Disse lei scocciata, una volta compreso
dove voleva andare a parare. – “Non ho tempo di giocare, ho
da fare e molto anche.” – Mentre con gesto vago della
mano indicava il pronto soccorso e il via vai di gente che lo animava.
Negli occhi di lei House lesse la sfida, pensò che fosse rivolta a lui, ma non aveva idea di quanto si sbagliasse.
Lui le lanciò un’occhiata irritata. –
“Già! Infatti, hai una diagnosi da portare a
termine.”
Lei scosse il capo quasi rassegnata. – “No, io sono stata
allontanata dal caso e quindi ora ho ben altro da fare!” –
Cercando ancora una volta di superarlo, ma lui le si parò
dinanzi nuovamente e Cameron desistette: per andarsene avrebbe dovuto,
nel minore dei casi, strusciare un braccio contro quello di lui e lei
voleva evitare questo contatto a tutti i costi.
“È qui che sbagli!” – Mentre si appoggiava
più pesantemente del solido al bastone. – “Lei non
aveva l’autorità per chiederti una cosa del genere, ergo
il caso è ancora ben saldo nelle nostre mani.” –
Mentre un sorriso furbo gli si disegnava in volto. –
“Altrimenti perché di sopra ho ancora i bambini che
giocano con i pennarelli colorati?”
Lei non poté trattenere un sorriso che le rischiarò i
lineamenti. – “Non penso che sia una buona idea.”
“Ci dovevi pensare prima di andare a supplicare la latteria
ambulante!” – Sapeva che stava per cedere, gli bastava
ancora poco. – “Su Cameron! Alza il tuo bel di dietro e
fila in diagnostica, non vorrai che Foreman sia costretto a fare il
babysitter invece dello scienziato pazzo?”
Cameron aveva tremendamente la voglia di dirgli che lo avrebbe fatto
immediatamente, ma possedeva ancora un po’ di amor proprio.
Scosse il capo e rapidamente lo superò strusciandosi contro di
lui. – “Ho un lavoro da fare quaggiù, sono certa che
tu e il tuo team possiate cavarvela egregiamente.” – Mentre
mentalmente si dava una pacca sulla spalla per non averlo sbattuto
contro il muro per poi baciarlo avidamente.
“So che muori dalla voglia di giocare con i miei pennarelli,
quindi dimmi di sì e facciamola finita! Non è andata un
gran bene l’ultima volta che sono venuto a supplicarti.”
– Mentre con nonchalance le ricordava una certa catastrofica cena.
Lei girò il busto verso di lui mentre un sorriso soddisfatto le
danzava in volto. – “Avrei dovuto chiedere un aumento di
stipendio, non una cena.”
“Ormai è tardi, non dipendi più dal mio
dipartimento!” – Mentre la guardava con un sorriso
divertito e leggermente sarcastico.
“Appunto!” – Mentre un sorriso rilassato si disegnava sul volto di Cameron.
Si guardarono negli occhi incapaci di proseguire in quella piccola
schermaglia, troppo e in troppo poco tempo era stato portato alla luce.
“Scusi, è lei la dottoressa Allison Cameron?”
– E quelle parole ruppero nuovamente l’equilibrio cosmico
appena raggiunto.
Cameron stava per rispondere quando House si fece avanti. –
“Non le hanno mai insegnato a non interrompere due persone che
parlano tra di loro?” – Mentre dava un’occhiata
critica alla donna che li aveva disturbati.
La donna fece per rispondere, ma Cameron cercò di correre ai
ripari prima che si scatenasse la tempesta perfetta. –
“Sì, sono io! In cosa posso esserle utile?” –
Mentre la guardava con il suo sorriso più disponibile.
“Ma tu non impari mai?” – Chiese House stizzito
ignorando la donna. – “Mi hanno sparato l’altra
volta!”
“Già e tu avevi indicato me!” – Ruotando gli
occhi irritata, poi tornò a rivolgere uno sguardo gentile alla
donna che aveva davanti. – “Dicevamo?”
“Mi spiace!” – Disse la donna tendendo un plico
ripiegato tre volte su se stesso. Si voltò quindi verso House.
– “Lei deve essere il dottor House.” – Disse
tendendogli un plico uguale. – “E per lei non mi
spiace!”
House e Cameron guardarono sconcertati il loro piccolo plico azzurro e poi la donna che in silenzio si allontanava.
“Che cos’è?” – Chiese Cameron aprendolo
in fretta. Scorse velocemente il testo e poi alzò lo sguardo
verso il diagnosta. – “E’ un ordine restrittivo: non
possiamo avvicinarci a Patrick!” – Mentre stupore e paura
trasparivano dalla sua voce.
“Non dirmi che questo è il tuo primo ordine restrittivo?
Brava Cameron! Sono orgoglioso di te! Dovremmo festeggiare!”
– Con espressione strafottente e divertita. – “Penso
che grazie a questo l’avvocato di Cuddy mi regalerà un
nuovo tostapane!”
“E ora che facciamo?” – Chiese lei confusa.
“Non eri tu quella che non volevi tornare? Beh! Direi che questo
pezzo di carta risolve i tuoi problemi!” – Sventolandole
l’ordinanza sotto il naso.
Cameron ormai non lo ascoltava più. – “Cuddy! Abbiamo bisogno di Cuddy!”
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---- fine capitolo sedicesimo---
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Grazie per i commenti ;) e scusate per la lentezza esasperante con cui
sto preocedento ma sono veramente impegnata oltre che poco ispirata!
Scusate ancora.
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Capitolo 18 *** Diciassettesimo capitolo – Silence and Talkativeness ***
Diciassettesimo capitolo – Silence and Talkativeness
Diciassettesimo capitolo – Silence and Talkativeness
“… non dovrai interferire assolutamente con il tuo team in
questi giorni di transizione e quindi, per non lasciarti nulla facente,
ho pensato che potrai occupare il tuo abbondante tempo libero stando in
clinica.” – Cuddy camminava avanti e indietro per il suo
studio mentre cercava di spiegare a due increduli medici le basi
dell’accordo che aveva stipulato con il legale della parte
avversa.
House si alzò di scatto e iniziò a gesticolare
furiosamente. – “Passi pure che mi togli un caso! Non
m’interessa!” – Si avvicinò alla donna con
aria furiosa. – “Ma non puoi tenermi lontano dal mio
ufficio per lasciare Foreman a giocare al dottore! Che si trovi un
altro posto lui! Io c’ero prima!”
“Oh avanti House! Non metterti a fare i capricci come un bambino,
puoi portare con te i tuoi giocattoli!” – Disse Cuddy
irritata. Sospirò pesantemente cercando di ritrovare la sua
abituale calma e compostezza. – “Ti avevo espressamente
invitata a non fare quel test e tu non mi hai dato retta e queste sono
solo le conseguenze, prima le accetti e prima riusciremo ad andare
avanti con questa faccenda!” – Mentre il tono di voce nelle
ultime sillabe rischiò di divenire stridulo.
Lui si voltò di scatto verso la ragazza in rosa che se ne stava
silenziosa in un angolo. – “E tu non dici nulla? È
della tua etica che si sta discutendo!” – Gesticolando
furiosamente per mettere enfasi nelle sue parole.
Lei alzò il capo e lo fissò con occhi vacui come se
guardasse oltre di lui. – “Ho fatto il mio lavoro con
coscienza.” – Bisbigliò con voce sconfitta.
House ruotò gli occhi indispettito. – “Sì, certo Santa Cameron! La tua coscienza!”
“House, lasciala in pace!” – Disse Cuddy intromettendosi in quella piccola discussione quasi privata.
Cameron scattò in piedi e si spostò una ciocca di capelli
che era sfuggita al fermaglio. – “Ha ragione lui: la mia
coscienza non basta.” – Si guardò attorno per un
istante e poi con lunghe falcate si diresse verso la porta. –
“Vado a parlare con Irene!” – Convinta che quella
fosse la sua unica chance.
“Cosa?” – Cuddy la guardò frastornata. –
“No, aspetta!” – Mettendosi sulla strada della
giovane donna. – “Non puoi andarci!” –
Allungò una mano verso la donna cercando di fermarla. –
“Non puoi avvicinarti alla stanza del paziente e lei non esce
davvero mai da quella stanza.”
La giovane dottoressa la guardò un attimo confusa, ma poi si
fece coraggio e cercò una strategia per portare a termine il suo
piano. – “La farò uscire con una scusa!”
– Lanciando un malinconico sorriso verso House.
“È una buona idea.” – Disse il diagnosta come
se il compiere una qualunque azione lo rasserenasse per un fioco
istante.
“No! Assolutamente no!” – Disse Cuddy risoluta.
– “E’ stata molto esplicita: chiunque voglia parlare
con lei, lo deve fare tramite il suo avvocato.”
House guardò scocciato il decano di medicina. – “Per
andare in bagno ora dovremo fare domanda in carta bollata?”
– Attingendo dal suo vasto repertorio sarcastico.
“Vi posso far incontrare l’avvocato, ma non ho nessuna
intenzione di spendere un centesimo per cavarvi dai guai!”
– Cercando di trovare una mediazione accettabile per tutti.
Cameron e House si scambiarono un’occhiata significativa e in
silenzio sembrarono trovare un’intesa. – “Va bene,
per ora ci basta.” – Disse Cameron.
Le spalle del diagnosta vennero scosse da un lungo brivido. – “Detesto gli avvocati!”
-------------
Da quando Cuddy li aveva lasciati soli nel suo studio erano già
trascorsi oltre cinque minuti e uno scomodo silenzio era sceso tra
loro. Cameron si alzò di scatto dirigendosi verso una finestra e
House fece magicamente comparire tra le proprie dita una PSP. I suoni
del giochetto elettronico furono accolti dalla giovane dottoressa come
una benedizione, se il silenzio fosse durato ancora probabilmente si
sarebbe messa a urlare tutta la sua frustrazione e una cosa del genere
non era suo carattere.
Riprese a guardare fuori dalla finestra e ricordò quello che
soleva dirle sua madre: “Saprai che è quello giusto quando
anche in silenzio vi troverete a vostro agio.” Lei scosse il capo
vigorosamente e cercò di scacciare quel pensiero. Lo sapeva da
tempo che lui non era quello giusto per lei perché non
l’avrebbe resa felice eppure non poteva far a meno di volerlo. Lo
guardò di soppiatto e rise di se stessa; negli ultimi cinque
anni lo aveva considerato come la sua malattia personale da cui non
c’era cura se non inutili palliativi, ma ora stava rischiando che
l’infezione si propagasse come un incendio in tutto il suo corpo
eppure dentro di sé lo sentì come un rischio calcolato
che andava affrontato secondo la regola di “O la va o la
spacca”.
“Che pensi che ci dirà?” – Chiese continuando a guardare fuori.
Lui mugugnò indispettito e subito dopo la musichetta di game
over riempì la stanza. – “Mi hai distratto!”
– Ruggì il diagnosta.
Si guardarono per un istante che fu colmo d’imbarazzo, che lui fu
pronto a spazzar via con una battuta. – “E’ un
avvocato!” – Ruotando gli occhi come se con quelle tre
parole avesse chiarito il concetto.
Cameron ridacchiò e sentì la tensione abbandonarle le
spalle. – “Già, è per questo che te lo
chiedo, sei tu quello esperto di questi colloqui.”
Lui scartò un lecca-lecca alla fragola e le mostrò una
faccia buffa. – “Di solito io sono quello in un angolo che
si ascolta l’ultimo album dei Green Day.”
“Oh certo! Avrei dovuto immaginarlo.” – Si
allontanò dalla finestra e si sedette sul divanetto a poca
distanza da lui. – “Ne hai uno per me?” –
Chiese tendendo una mano.
Lo sguardo che lui le lanciò fu un miscuglio di orrore, sorpresa
e compiacimento. – “Non sei preoccupata che ti possa venire
una carie?” – Mentre tirava fuori dal taschino un
lecca-lecca rosso.
“Mi lavo sempre i denti prima di andare a dormire.” – Sfilandoglielo dalle mani senza ringraziarlo.
“Una brava ragazzina insomma!” – Disse lui disgustato.
Lei fece spallucce e s’infilò il lecca-lecca in bocca.
– “Adoro le fragole.” – Gli lanciò uno
sguardo angelico e poi si sistemò una ciocca di capelli dietro
alle orecchie.
“Quand’è che tornerai bruna?” – Mentre cambiava il settaggio della propria PSP.
“Pesavo che ti piacesse il mio look da prostituta.” – Mentre un sorriso soddisfatto le si disegnava in volto.
“Pensavo che festeggiassi ogni tuo cambiamento di status
cambiando colore.” – Alzando per un attimo gli occhi dal
giochino.
Lei lo guardò confusa, ma poi una luce di comprensione le si
accese negli occhi. – “Oh quello!” –
Sprofondò un poco di più nel divano e lasciò che
un leggero sospiro vagasse per la stanza. – “Non l’ho
ancora elaborato.”
Lui finse nuovamente di concentrarsi sulla propria PSP. –
“Ti ha lasciato lui suppongo.” – Mentre traspariva
tutto il suo nervosismo da come muoveva il ginocchio sinistro. –
“E’ più facile, meno senso di colpa, meno
…”
“L’ho lasciato io.” – Senza permettergli di finire la frase.
House alzò di scatto gli occhi verso Cameron e
un’espressione sbigottita gli si dipinse in volto. –
“Oh!” – Fu tutto quello che riuscì a dire,
mentre una valanga di domande lo investirono.
Senza preavviso la porta dello studio si aprì e la voce di Cuddy annunciò che non erano più soli.
Cameron scattò in piedi e fece scivolare nel taschino dello srub il lecca-lecca.
“Prego da questa parte.” – Disse Cuddy facendo
entrare un uomo biondo sui trentacinque anni. – “Le
presento la dottoressa Cameron e il dottor House signor Highland.”
A quel nome sia Cameron sia House non poterono far a meno di scrutare l’uomo che avevano davanti.
“Molto piacere.” – Disse tendendo la mano nella direzione di Cameron. – “Godfrey Highland.”
La giovane dottoressa gli strinse la mano con professionalità. – “Allison Cameron.”
Il giovane avvocato tese la mano verso House che lo ignorò
platealmente aumentando il volume del suo giochetto spara-spara.
Cuddy buttò gli occhi al cielo ma si riprese in fretta. –
“Il signor Highland è l’avvocato personale del
signor Patrick Highland.”
“Vedo che questo paese continua a reggersi sul nepotismo.” – Disse House senza realmente distrarsi.
L’avvocato rise. – “In effetti, ha ragione dottor
House, l’essere cugino di Patrick mi ha permesso di avere un
ufficio d’angolo con una comoda poltrona di pelle.”
“E il nome lo hanno trovato su un almanacco del 1800 immagino.” – Alzando finalmente lo sguardo.
“Questa è più facile!” – Disse ridendo.
– “Un’ala della biblioteca di Princeton era
intitolata a mio nonno e quindi i miei si sono solo assicurati che
fosse ben chiaro a rettori e a professori che il mio cognome non era
frutto del caso.”
“Un raccomandato dunque!” – Mentre con lo sguardo si
soffermava su dei dettagli apparentemente inutili come la piega dei
pantaloni.
“Ovvio!” – Mentre la sfida gli ardeva negli occhi.
“Mi spiace …” – Disse Cuddy cercando di
trovare ancora una volta le parole per giustificare il suo miglior
diagnosta e suo peggior dipendente.
“Non importa.” – Disse scuotendo una mano. – “Irene mi aveva avvisato.”
“Dunque conosce bene quella pazza.” – Disse House
mentre di nascosto Cuddy cercava con gesti disperati di fermarlo.
“Lo spero bene! Irene è mia moglie.” – Sorridendo amabilmente.
E l’ufficio piombò nel silenzio.
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--- continua .... spero ... ho decisamente perso l'ispirazione ... mi spiace ... spero sia lei a venirmi a cercare! ---
Grazie a tutti per avermi seguito fin qui!
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Capitolo 19 *** Diciottesimo capitolo – Brain teaser ***
YKB - Diciottesimo capitolo – Brain teaser
Diciottesimo capitolo – Brain teaser
Il silenzio era rotto solamente da dei respiri leggeri e affrettati.
L’uomo rise spezzando la tensione. – “In effetti, avrei dovuto
immaginare che Irene non vi avesse detto che oltre ad essere l’avvocato
di Patrick sono anche suo marito.” – Con un rapido movimento della mano
spostò i capelli a lato. – “Prevedibile.” – Mentre il sorriso con cui
era entrato sembrava sempre più indelebile.
“Parentele con canguri britannici?” – Chiese House come se non potesse
trattenersi dall’insultarlo. – “Più la conosco e più me ne ricorda uno.”
Lo sguardo di Cameron fu di gelo puro, ma il diagnosta continuò
imperterrito. - “Come funziona la vostra re…” – Ma Cuddy lo interruppe
bruscamente interponendosi fra i due uomini.
“Penso che sia il momento migliore per superare la fase delle
presentazioni e proseguire con il caso.” – Indicando i comodi divani
del suo studio.
“Vorremmo che fosse ritirato l’ordine restrittivo.” – Cominciò Cameron.
– “Il signor Highland si è rivolto a noi affinché la sua malattia
avesse un nome e possibilmente una cura.”
“Infatti.” – Disse il giovane avvocato. – “Ma voi non avete rispettato questo patto e ora è in pericolo di vita.”
“Non è esatto.” – La voce roca di House distolse il giovane avvocato
dal guardare con troppo interesse le curve di Cuddy. – “Il TIA che ha
avuto non mette in pericolo la sua vita e direi che è sufficiente
svegliarlo per sapere con esattezza quali sono le sue condizioni oltre
che le sue volontà naturalmente.” – Si passò il bastone da una mano
all’altra quasi che fosse un giocoliere. – “Il TIA è solamente un nuovo
sintomo che ci indica la direzione in cui indagare.” – Vedendo che
l’avvocato meditava, decise di spingere oltre la sua fortuna. –
“Abbiamo un neurologo nulla facente di sopra, facciamo in modo che si
guadagni lo stipendio valutando da sveglio il galletto irlandese.”
“Su questo sono assolutamente contrario.” – Mentre il volto dell’uomo
s’indurì per una frazione di secondo. – “Niente stress, questo è quello
che mi è stato raccomandato da ogni medico cui io mi sia rivolto.”
“Ma così non si potrà valutare le sue condizioni neurologiche!” –
Esclamò una Cameron preoccupata. – “Era a conoscenza dei rischi del
test da sforzo. Io stesso glieli ho spiegati e mi sono assicurata che
li comprendesse, mantenerlo inutilmente in quello stato può solo
ritardare la diagnosi e accelerare un possibile decesso a causa di
quella patologia ignota di cui è affetto!” – Mentre la preoccupazione
la faceva diventare logorroica. – “La medicina basata sulle evidenze
dice chiaramente che è necessario far riprendere il prima possibile
ogni attività fisica, psichica e sociale per evitare che …”
“Si dice anche che ci sono dei casi particolari per cui è necessario prendere una strada diversa!” – Ribatté convinto l’uomo.
“Ci rivolgeremo a un tribunale.” – Disse Cuddy intervenendo in quella discussione che si stava animando.
“È nelle vostre possibilità!” – Si alzò dal divanetto per dirigersi
verso la porta. – “È stato un piacere.” – Mentre afferrava la maniglia
della porta.
“Ci guadagna di più se resta in vita o se muore?” – Chiese House a brucia pelo.
“Come scusi?” – Mentre sul volto dell’avvocato si dipingeva
un’espressione confusa che però durò meno di un millesimo di secondo.
“Se dovesse morire, chi erediterebbe?” – Mentre un’espressione alla Sherlock Holmes apparve sul volto di House.
L’avvocato rise divertito. – “Mi spiace, non siamo in un romanzo di
Aghata Christy e lei non ha appena scoperto il colpevole!” – Mentre
allentava la presa dalla maniglia della porta. – “Attualmente, tutto il
patrimonio finirebbe controllato da un gruppo di azionisti, io
controllerei solamente un 5% dell’intero pacchetto.” – Si ravviò i
biondi capelli. – “Me la passo notevolmente meglio ora!” – Esclamò
ridendo. – “Ricevo regolarmente una commissione del 20%.” – Detto
questo uscì dallo studio, lasciando gli altri sbigottiti.
“Non è stata una grande idea quella di accusarlo.” – Disse Cuddy
sprofondando nella poltroncina. – “Penso che mi arriverà anche una
denuncia per calunnie!”
“È solo un pomposo idiota che crede che con un po’ di soldi possa fare il bello e il cattivo tempo!” – Disse acidamente House.
“In effetti, è proprio così!” – House e Cameron si voltarono verso una
Cuddy sconsolata, che continuò. – “Ho chiesto un’udienza, ma non sono
riuscita ad averla prima del prossimo fine settimana e per allora sarà
tutto inutile.” – Scuotendo il capo.
“Ha corrotto dei cancellieri?” – Chiese inorridita Cameron.
“Cancellieri, giudici, pubblici ministeri … tutti … e probabilmente non
ha nemmeno dovuto elargire mazzette, con il suo nome può ottenere
praticamente qualsiasi cosa.”
“Fantastico!” – Esclamò House. – “Quindi, come lo risolviamo questo rompicapo irlandese?”
to be continued
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Capitolo 20 *** Diciannovesimo capitolo – Thieves ***
YKB - Diciannovesimo capitolo – Thieves
Diciannovesimo capitolo – Thieves
“Sei sicuro che non finiremo nei guai?” – Chiese in un sussurro un’ansiosa voce femminile nel fitto buio.
“Certo che ci metteremo nei guai se tu continui a parlare invece di
lavorare!” – Rispose bruscamente una voce maschile. – “Zitta e cerca!”
– Mentre la luce di una torcia elettrica creava un tenue cono di luce.
Rapidamente le due figure frugarono in ogni cassetto, raccoglitore e cartella presente nel grande studio.
“Puff!” – Sbuffò irritato l’uomo. – “Rubare in casa propria! Questo è
il colmo!” – Fece per accendere la luce delle lampade, ma la donna lo
bloccò per un polso, spingendolo poi contro una libreria.
“Arriva qualcuno!” – Bisbigliò lei, spegnendo propria torcia.
Il rumore di passi quasi rimbombò per i corridoi vuoti del PPTH. Delle
voci gioviali e poco accorte si sovrapposero ai respiri affannosi dei
due nascosti nell’ombra.
“Dove passerai il Natale?”
“Da mia suocera nel Maine.” – Con voce afflitta. – “L’anno prossima supplicherò di poter lavorare.”
“Ti cederei volentieri il mio turno di quest’anno, ma non penso di
essere abbastanza coraggioso da affrontare l’ira di tua moglie.” –
Entrambe le guardie notturne risero divertite, ma un rumore alla loro
destra li rese vigili e tesi come corde di un violino.
“Che è stato Gas?” – Bisbigliò il più giovane dei due.
“Non so.” – Replicò in un soffio quello più corpulento. – “Viene da
diagnostica!” – Indicando la porta di vetro su cui era stampato il nome
del più controverso medico del PPTH.
“Brrr … quel posto mi da i brividi … come quell’House!”
“Pensavo fosse il laboratorio di patologia umana a darti i brividi!” – Ridacchiò brevemente Gas.
“Questo di più!” – Mentre cercava il coraggio per affrontare l’ignoto.
Si avvicinarono circospetti alle porte, mentre le due figure nascoste nell’ombra si strinsero un poco più vicini.
“Hei! Scusate!” – Disse una voce femminile alle spalle dei due guardiani notturni. – “Potete darmi una mano?”
Gli uomini si girarono velocemente, mentre istintivamente le mani andarono alle loro armi. – “Si?” – Chiese quello più anziano.
“Abbiamo un problema con un paio di senza tetto: si sono rifugiati nei
bagni di questo piano e ora abbiamo bisogno di una mano per farli
uscire per metterli sul taxi che li porterà al centro notturno di Mann
street.”
I guardiani notturni si scambiano un’occhiata titubante, diedero un
veloce sguardo dentro lo studio attraverso il vetro e, non vedendo
nulla di sospetto, si diressero nel luogo dove maggiormente c’era
bisogno del loro intervento. I ladri erano momentaneamente salvi.
Le due persone nascoste nell’ombra tirarono un udibilissimo sospiro di
sollievo, ma entrambi sembrarono restii a tornare a compiere il proprio
lavoro illecito.
“House.” – Bisbigliò la donna. – “Togli quella mano dal mio seno!” – Con voce scocciata.
“Seno?” – Chiese lui allibito. Accese la torcia e osservò il volto
illuminato di Cameron e poi il torace. – “In effetti, lì dovrebbe
esserci un tuo seno.” – Staccò la mano quasi arrossendo, ma in pochi
attimi riprese la baldanza di sempre. – “E’ facile confondersi, sei
piatta come una tavola!”
Cameron non riuscì nemmeno a mugugnare qualcosa che lui si staccò
rapidamente da lei per ricominciare la propria ispezione. – “Dovremmo
avere tutto!” – Disse qualche minuto dopo. – “Andiamo alla bat-caverna
Robin!” – Mentre un sorriso diabolico gli distorceva i lineamenti.
Cameron ruotò gli occhi, ma prontamente lo seguì, non aveva nessuna
intenzione di spiegare alle guardie notturne che cosa stavano facendo
lì e ancor meno di dover affrontare Cuddy dopo che era stata così
esplicita nei loro confronti.
to be continued
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Capitolo 21 *** Ventesimo capitolo – The other side ***
Ventesimo capitolo – The other sideVentesimo capitolo – The other side
“C’è qualcosa d’interessante?” – Chiese House mentre faceva roteare il proprio bastone.
“Niente di diverso da quello che già sapevamo.” – Rispose Cameron alzando gli occhi dai fogli che stava consultando.
La donna era seduta sul tappeto di fronte al caminetto di House mentre
scartabellava ogni referto che riportava il nome del loro paziente.
“Ok, facciamo il punto della situazione!” – Disse subito dopo aver
ingoiato l’ultimo sorso del liquore di cui si era generosamente servito
appena tornato a casa.
“Ipertensione resistente ai comuni beta bloccanti, sudorazione profusa,
dolore toracico, saltuarie cefalee e come ultimo un attacco ischemico
transitorio.” – Elencò la dottoressa togliendosi gli occhiali da
lettura.
House cercò una superficie comoda per scrivere, ma decise che il
proprio divano non era adatto a divenire la nuova lavagna, così scivolò
in avanti con il sedere assumendo una posizione molto bislacca. Chiuse
gli occhi ed elencò nuovamente i sintomi. – “Cefalea, dolore toracico,
sudorazione, ipertensione …”
“E TIA.” – Aggiunse Cameron come per aiutarlo a ricordare.
Lui scosse il capo. – “Lasciamo da parte il TIA, ci fa solo confusione
ed è solamente un sintomo secondario. Dobbiamo concentrarci sulla
sequenzialità dei sintomi.”
Cameron buttò indietro il capo e sbadigliò sonoramente per poi
arrossire un poco. – “Scusa.” – Bisbigliò. – “Non vedo un letto da
molto, troppo tempo.”
Lui ruotò gli occhi. – “Così non mi servi.” – Mentre apriva gli occhi e
la guardava in sottecchi. – “Di là c’è il mio letto, usalo pure, ma
vedi di non sbavare sui cuscini! Ho cambiato le lenzuola solamente la
settimana scorsa!”
Il sopraciglio destro di Cameron si arcuò pericolosamente. – “Passo.” –
Disse prima di sbadigliare nuovamente. – “Non sono dell’umore adatto
per dormire su delle lenzuola cosparse di liquidi organici altrui!” –
Mentre una smorfia disgustata le si dipingeva in volto.
Il diagnosta non poté fare a meno di sorridere nel vedere
quell’espressione così insolita per la composta e professionale
dottoressa Cameron. – “Sai.” – Con un sorriso sornione. – “Dormo sempre
dallo stesso lato.” – Vedendo nella donna uno sguardo perplesso
continuò. – “Per capitare sul lato pulito devi solo lanciare in aria
una monetina e sperare che la fortuna sia con te … o no?!!” –
Divertendosi a provocarla.
“Non solo sicura che il gioco valga la candela.” – Disse Cameron poco
convinta. – “Probabilmente il lato sporco è quello nascosto e ho come
l’impressione che non sia vero che tu dorma da un solo lato.”
L’espressione scherzosa di House venne sostituita con una assolutamente
seria e concentrata . – “Cos’è che hai detto?” – Sporgendosi in avanti,
verso la donna.
Cameron si sentì in imbarazzo, non pensava di averlo offeso per così poco.
“Cameron, ripeti quello che hai detto!” – Disse nuovamente.
“Che ho come l’impressione che non sia vero che tu dorma da un solo lato?” – Titubante.
“No! L’altra!” – Disse perentorio il diagnosta.
“Che probabilmente il lato sporco è quello nascosto?” – Sussurrando a mezza voce sempre più dubbiosa.
Il diagnosta scattò in piedi e si diresse verso la propria libreria.
Scorse velocemente i titoli dei testi presenti e poi, con
un’espressione compiaciuta ne afferrò uno.
Cameron lo guardò affascinata. – “Che c’è di così interessante in quel
trattato di oncologia cardiaca?” – Mentre la curiosità le permeava la
voce.
“Tu avevi detto che poteva essere un tumore surrenalico, giusto?” – Lei
fece un piccolo cenno con il capo e questo lui lo considerò un invito a
continuare. – “Ma le sue surreni erano pulite.” – La scrutò dall’alto
della sua altezza e quindi proseguì. – “Conosci la regola del 10 nel
feocromocitoma?”
“Si, certo.” – Disse Cameron e vedendo che lui non proseguiva decise di
esporla. – “Nei 10% dei casi può essere familiare, bilaterale, maligno,
pediatrico, senza ipertensione e … ed extra surrenalico.” – Mentre
scandiva le ultime parole come se avesse compreso.
“Esattamente!” – Uno sguardo di intesa corse tra i due.
“Ma dove può essere? La vescica non ha problemi e il suo cuore e i
grossi vasi sono puliti!” – Mentre il dubbio affiorava nella voce di
Cameron.
“E’ proprio per questo che sto consultando questo vecchio tomo che
Wilson lasciò qui dopo il suo ultimo divorzio.” – Mentre la certezza
della diagnosi gli si leggeva in volto. – “E’ su una parete cardiaca,
ma all’esterno del cuore.”
Cameron scosse il capo. – “Non può essere, ho fatto un’ecografica e non
ho rilevato anomalie e tu hai fatto un cateterismo cardiaco.” – Quasi
delusa che la diagnosi le sfuggisse ancora, ma dopo aver guardato il
diagnosta l’ottimismo tornò nel suo sguardo. – “Ma con l’ecografia ho
potuto vederne solo un lato!”
“Esattamente!” – Rispose lui.
“Adesso dobbiamo solamente provare la nostra teoria e con un prelievo
per dosare la dopamina e la norepinefrina e una PET scan per vedere il
tumore e quindi farlo rimuovere.” – Mentre l’entusiasmo era pressoché
palpabile nella voce della dottoressa. – “Dobbiamo solo convincere
Foreman a fare questi test e il signor Highland starà bene!”
“Già! Sarà facile come rubare una caramella a un bambino diabetico!” – Mentre con un grugnito mostrava la sua perplessità.
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