One story, many stories.

di callingonsatellites
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Lost in London ***
Capitolo 3: *** A new and a old face. ***
Capitolo 4: *** Hey , do not you know , we have just begun ***
Capitolo 5: *** Green hair! ***
Capitolo 6: *** Questions (pt. 1) ***
Capitolo 7: *** Questions pt.2 ***
Capitolo 8: *** Disappeared! ***
Capitolo 9: *** Relax moment ***
Capitolo 10: *** Violin ***
Capitolo 11: *** There are just some little troubles. ***
Capitolo 12: *** Interval ***
Capitolo 13: *** Runaways ***
Capitolo 14: *** Meet me to your freind's house ***
Capitolo 15: *** Can I drive you home, can I crash into your life? ***
Capitolo 16: *** Did you no wrong! ***
Capitolo 17: *** We return on troubles! ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Click.
 
Click.
 
Click.
 
Un “click” che assomiglia più a un “crash”, a dire il vero. Kenny lo aveva sempre pensato, da quando aveva iniziato a lavorare con le macchine fotografiche. Dunque, crash.
 
Crash.
 
-Perfetto, abbiamo finito. Potete andare- Axel congedò i quattro ragazzi semplicemente, senza troppi convenevoli. Axel era il suo migliore amico, nonché il suo migliore collega. Era lui a fare le foto, di solito, lei era più brava al computer, quando bisognava svilupparle e ritoccarle. E si divertiva un mondo. Secondo Kenny la cosa più importante quando si faceva il proprio lavoro era divertirsi. Almeno per lei.
 
-Tieni. Adesso se non ti spiace io vado, che ho un appuntamento con Jasmine, e Dio solo sa cosa mi fa se arrivo in ritardo … - fece Axel consegnandole la scheda contenente le foto, e dopo aver salutato in fretta tutti i ragazzi dello studio, infilò la porta.
 
Kenny si sedette alla scrivania, raggiante. Quindi appoggiò un fumetto vicino al computer, non leggeva mai al lavoro, ma non sapeva perché quel piccolo libro appoggiato sulla scrivania le dava sicurezza. Aprì il pc, trasferì le foto, aprì il programma e affondò completamente nel suo lavoro.
 
 
*
 
 
-Hakushaku To Yousei?- chiese una voce da dietro la scrivania. Kenny fece un salto sulla sedia.
 
-Chi … cosa …- farfugliò alzando lo sguardo dal computer. Il ragazzo magro, i capelli corvini tirati indietro, gli occhi nocciola pesantemente truccati, e alcuni piercing sul viso, lo stesso  che compariva nella foto sul computer la guardava con un’espressione a metà fra l’incuriosito, l’impaziente e il seccato. Affascinante. E teneva in mano il suo manga.
 
-Le piacciono i manga?- chiese il ragazzo.
 
-Sì, molto. Se non le dispiace, potrebbe metterlo giù?
 
-Piacciono molto anche a me. Leggo fumetti giapponesi da quando avevo … sette o otto anni. Non si direbbe, vero?- domandò ironico. –Qual è il suo preferito?
 
Kenny si trovò colta alla sprovvista. Non si aspettava domande del genere.
 
-E’ … è sempre stato Sailor Moon. Ma da quando ho letto Hakushaku To Yousei non posso più dire la stessa cosa. Lo so, è un po’ infantile, ma i manga da “adulti” non mi piacciono chissà che.
 
-Bah, non direi infantile.
 
-E il suo preferito, se posso chiederlo, qual è?
 
Il ragazzo la guardò sollevando un sopracciglio, con la stessa espressione seccata di prima.
 
-Dragon Ball- disse, senza cambiare espressione.
 
-… parla sul serio?- Kenny fermò una risata per miracolo.
 
-Sì, parlo sul serio. Non mi fraintenda, ho letto un sacco di fumetti giapponesi, di tutti i generi, anche neri. Ma Dragon Ball è sempre stato il mio preferito, è stato il primo che ho letto e non ho mai cambiato da allora.
 
-E’ per questo che fino a un paio di anni fa si divertiva a copiare i capelli al protagnoista?- chiese Kenny, riabbassando gli occhi sullo schermo.
 
-Divertente … comunque no, mi dispiace. E poi erano quattro anni fa- ammise lui sorridendo.
 
-Doveva vedere la sua faccia quando sono entrato.-disse cambiando argomento.- Era così concentrata sul lavoro che non mi ha nemmeno sentito entrare. E dire che non mi sono certo impegnato ad essere silenzioso. Cosa sta facendo di così divertente?
 
-Il mio lavoro, perché me lo chiede? Cosa credeva che stessi facendo?
 
-Curiosità. Piuttosto … lo sa che lei è l’unica persona rimasta in tutto lo studio?
 
Kenny si stupì. L’unica? Davvero?
 
-Beh, non proprio l’unica, a quanto pare. Lei cosa ci fa ancora qui?
 
-Passo il tempo. Ma scusi … sono le otto e mezza, non conosco le sue abitudini, ma so che un normale essere umano a quest’ora senza aver mangiato niente sia schiattando dalla fame.
 
-E lei come sa che io non ho mangiato niente?
 
-Non ho visto cibo entrare o uscire dal suo ufficio, quindi a meno che lei non abbia divorato selvaggiamente un povero uccellino che passava fuori dalla finestra …
 
-Ma che cavolo sta dicendo? … comunque sì, sto morendo di fame ora che ci penso. Io esco. Arrivederci signor Kaulitz …
 
-Hei, non penserà di lasciarmi qui da solo? Vengo con lei, se permette … miss?
 
-Kenny Campbell.
 
-Suona inglese … e comunque, com’è che si chiama?
 
-Kenny.
 
-No, il nome vero, intendo. Dai, Kenny Campbell suona così male!
 
Kenny inarcò un sopracciglio.
 
-Io mi chiamo Kenny. Punto. Che le piaccia o no!
 
-Questo mi lascia intendere che lei non sia chiama Kenny. Allora, mi dice il suo vero nome?
 
-Uff … mi chiamo Anniejade. Anniejade Campbell.
 
-Ma è un bellissimo nome! Molto teatrale.
 
-Non è vero, è un nome terribilmente lungo e noioso. Quindi non si azzardi a chiamarmi così.
 
-Va bene Kennyjade?
 
Kenny fece una smorfia interrogativa.
 
-Ehm … se ci tiene.
 
Nel frattempo erano usciti dallo studio. Kenny si diresse verso la fermata del taxi, ma Bill la fermò prima.
 
-Negativo, signorina, oggi lei è nelle mie mani. La porto in un posticino niente male, permette?
 
“Nelle sue mani? Ma come si permette …” pensò la ragazza, ma il cervello, nel vedere il sorriso del Kaulitz, le disse di lasciar perdere.
 
-E va bene. Ma voglio essere a casa per le dieci e …
 
-Perfetto! Veloce, prima che si riempia di gente!- la interruppe Bill prendendola a braccetto e facendola salire in macchina.
 
-Ma chi le ha insegnato a trattare una donna, scusi?- chiese lei, facendo la finta offesa.
 
-Bigfoot. Perché, si capisce?- rispose a tono lui, facendo un sorriso galante e mettendo in moto.
 
-Sì, si capisce.-finì Kenny, ridendo.

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Capitolo 2
*** Lost in London ***


Kenny si svegliò. L’altoparlante aveva appena avvertito dell’atterraggio avvenuto, e quasi tutti i passeggeri erano già scesi. Si alzò, raccattando le sue cose in fretta, non aveva certo voglia di rimanere sull’aereo.
 
Passò un’ora alla dogana, che le controllò ogni singola valigia, senza risparmiare nemmeno le buste per gli obbiettivi, o, peggio, la biancheria intima. Manco fosse stata una spacciatrice giamaicana.
 
Appena uscita dall’aeroporto,si diresse verso la fermata del taxi. Squillò il cellulare. Diede un’occhiata al mittente: B;). La faccina che faceva l’occhiolino l’aveva pretesa lui fino allo sfinimento, e alla fine Kenny gliela aveva concessa. Sorrise, premette il tasto verde, portò il cellulare all’orecchio.
 
-Pronto?
 
-Sì, anche io sono pronto.
 
-Spiritoso.
 
-Sì, sono anche quello. Com’è andato il viaggio?
 
-Beh, ho dormito tutto il tempo. Alla dogana mi hanno tenuto un’ora per controllare tutto, manco fossi venuta dall’Olanda o che so io.
 
-…non mi dirai mica che ti hanno anche lasciato passare?
 
-Purtroppo sì, invece.
 
-Ci fossi stato io, là, ti avrei rimandato indietro.
 
-Posso sapere il motivo?- chiese scherzosa.
 
-Uff, nessuno pensa mai ad un povero Antiprincipe Azzurro che si dispera sapendo che la sua bella è persa da qualche parte nella lontana Londra, a lavorare con chissà quale losco individuo.
 
-Ma sentilo. E comunque da quando sono “la tua bella”?
 
-Da quando io sono “il tuo Antiprincipe”.
 
-“Principe” non suonava abbastanza oscuro per te?
 
-Ma come mi conosci bene! Adesso vado, principessa. Bye bye, baci.
 
-Sì, anche a te, ciao.
 
Kenny guardò il cellulare, vide la schermata della chiamata scomparire e al suo posto apparire il registro.
 
-Mi sento invadere da un’incredibile senso di tristezza- disse come se stesse parlando al cellulare, guadagnandosi occhiatacce dalla gente intorno.
 
--
 
Era seduta nel taxi, che si dirigeva verso l’appartamento che aveva affittato per quel mesetto che avrebbe dovuto rimanere a Londra. A dire il vero un mese era anche un po’ troppo, ma non le andava di andava di litigare con la proprietaria per tirare le somme giuste.
Salì la scalinata, bussò alla porta e si fece consegnare le chiavi; quindi, una volta entrata in quella che sarebbe stata casa sua per le prossime tre settimane abbondanti, si buttò semplicemente sul divano, senza nemmeno stare troppo a guardarsi intorno.
Accese il televisore, la proprietaria le aveva assicurato che prendeva tutti i canali, quindi non avrebbe avuto grossi problemi. Accese sul canale musicale, e comparve il video di una vecchia canzone, di quattro ragazzi che saltavano da un elicottero accompagnati da una voce malinconica che cantava di venti e tempeste.
 
-Ma và a quel paese!- sbraitò semplicemente Kenny, lanciando il telecomando e coprendosi la faccia con un cuscino.
 
--
 
Quella notte dormì poco, e male. Il pensiero di essere sola, in una città grande come Londra … ma soprattutto la consapevolezza che non le sarebbe bastato girarsi per vederlo al suo fianco. Era completamente sola. Lo era anche prima di conoscere Bill, ma allora non le pesava, stava bene con se e se stessa. Ora, invece, si sentiva un macigno dentro. A farle compagnia aveva solo il fumetto giapponese dal nome impronunciabile, a cui era così affezionata. Non aveva molto da fare, aprì alla prima, anzi, all’ultima pagina, e iniziò a leggere.
Prese sonno solo mezz’ora dopo l’una di notte. Appoggiò il manga al comodino, spense la luce e si infilò sotto le coperte.
 
“Meglio che mi metta a dormire, oppure domani la figura della vampira la faccio io” pensò Kenny, vedendosi già, il giorno dopo, pallida come un cencio e con due occhiaie da far invidia ai fattoni del sabato sera.
 
Ciao Aliens!! Eccomi con il primo capitolo ... premetto che non scriverò poemi, saranno capitoli piuttosto corti.
Detto questo ringrazio un'infinità _MartyK_ e Sommerfugl che hanno recensito il prologo, e tutti coloro che hanno letto senza recensire. Baci a tutti, ci sentiamo al prossimo capitolo! :* Happy_Moon^^

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Capitolo 3
*** A new and a old face. ***


Quella mattina Kenny uscì presto. Era una specie di zombie, come aveva previsto, ma nulla che non si potesse sistemare con un po’ di fondotinta. Si era fermata a fare colazione in una pasticceria a caso, e le avevano servito un cappuccino annacquato. Almeno ne aveva una da cancellare dalla lista.
Spinse la porta dello studio dove avrebbe lavorato per le due settimane seguenti, e venne subito accolta da una donnina bassa, vestita di blu, con una grossa spilla di perle appuntata sulla giacca.
 
-Buongiorno cara, lei deve essere la signorina Kenny Campbell … -iniziò rovistando in un pacco di fogli. –Piacere, sono la signora Brown. Sono la segretaria della signorina Gabelson, direttrice dello studio … ecco … solo un attimo …
 
Finalmente riuscì a prendere il foglio che cercava.
 
-Ecco, questo è il suo contratto. Firmi qui, qui e … qui.
 
Kenny fissò il foglio, poi la donna, poi di nuovo il foglio.
 
  • … potrei avere una penna, e magari un tavolo su cui appoggiarmi?
 
La segretaria la guardò come se avesse parlato in giapponese.
 
-Oh, ma certo!! Vada pure alla scrivania che vede lì nell’angolo, quando ha finito mi segua- detto questo, la signora Brown si allontanò velocemente, urlando qualcosa a un ragazzo, doveva essere un qualche collaboratore.
 
Kenny diede una letta veloce, poi piazzò un paio di firme scarabocchiate e andò dietro alla donna. Arrivarono in una stanza enorme, piena di gente che andava avanti e indietro, grossi uomini che trasportavano fari, e ragazze altissime che camminavano su tacchi più simili a trampoli che altro, parlottando fra loro. Scorse poi un grumo di persone, principalmente ragazzi sui vent’anni, che si spintonavano agitando i cellulari. Dato che era praticamente impossibile riuscire a scorgere chi fosse in mezzo alla folla, decise di aspettare che il gruppo si dissolvesse.
Nel frattempo decise di iniziare ad esaminare lo studio in sé, confrontò le diverse luci che aveva a disposizione, e ogni tanto dava un occhio al lavoro degli altri fotografi. Avevano quasi tutti finito, quindi avrebbe avuto lo studio intero a disposizione.
Aveva sistemato e controllato tutto quello che poteva sistemare e controllare, e non era ancora arrivato nessuno. Si appoggiò al muro, e iniziò a dondolarsi avanti e indietro fissando l’orologio.
Fece scorrere lo sguardo sulle persone rimaste nello studio. Improvvisamente si bloccò guardando un ragazzo dal sorriso sghembo piuttosto familiare. Chi era quello? … un cugino, un vicino di banco, un chi diamine era? Visto da lontano non sarebbe mai riuscita a identificarlo, fece per avvicinarsi, ma venne distratta dall’ingresso di qualcuno. Un ragazzo sui venticinque, sarà stato alto un metro e novanta. Meno. Non sorrideva, ma ciò non penalizzava affatto il viso spigoloso che sembrava fatto apposta per fare il personaggio tenebroso che lo aveva reso famoso.
Kenny si avvicinò, e gli porse la mano.
 
-Piacere, Kenny Campbell.
 
-Oh, salve. Immagino mi conosca già … prima che me lo chieda lei, vuole una foto?
 
-Gliene farò già abbastanza io, non crede?
 
Robert rimase interdetto. Di solito ogni creatura femminile che fosse sotto la trentina gli chiedeva una foto con le lacrime agli occhi.
 
-Comunque no, non mi è mai piaciuto Twilight.
 
-Ma come?- scherzò lui. –A tutte piace Twilight! O almeno, alla maggior parte.
 
-Ok, dai, lo ammetto, adoro la scena in cui Bella sta per crepare di freddo e Edward non ci può fare un bel niente perché è un ghiacciolo che cammina.
 
-Lei è una di quelle che si divertono con le mie fail, signorina?- esclamò lui, scherzando.
 
-Esattamente! Mi consideri comunque una sua fan. Ora se si vuole accomodare davanti al telo bianco mi fa un piacere.
 
Ed ecco che ricominciavano i crash. Uno, due, tre scatti, cambi posa, quattro, cinque, sei, cambi posa. No, questa la rifacciamo. Si metta così, si metta colà. Perfetto, sette, otto, nove.
 
C’è chi lo giudicherebbe un lavoro noioso, ma per Kenny era oro. Grazie al suo lavoro viaggiava, conosceva persone, conosceva bellissime persone, si innamorava, era felice, poi però doveva partire e … strizzò gli occhi, e li riaprì di scatto. Non pensare a lui, non pensare. Non puoi distrarti adesso. A casa avrai tutto il tempo di piangere e …
 
-Scusate, torno subito.
 
Si alzò immediatamente e volò letteralmente fuori dalla stanza, senza permettere a nessuno di replicare. E camminando, anzi quasi correndo, a testa bassa, la vista appannata dalle lacrime, e, era sicura, il viso rigato di mascara, alla ricerca di un bagno, si scontrò contro qualcosa di caldo.
 
--
 
Ancora mi chiedo cosa ci faccio a Londra. ‘Sto posto, grigio dove piove dalla mattina alla sera, pieno di gente incazzata col mondo, non fa per me. Sono qui con i ragazzi della band, dovevamo fare un paio di concerti, e perché no?, l’ennesimo Photoshop!, che felicità.
Ho finito giusto cinque minuti fa di sorridere come un coglione alla fotocamera, ero sceso giusto per andare in bagno, adesso stavo andando a salutare la ragazza che mi aveva fatto le foto, così me ne potevo andare. Pregustavo già la mattinata di cazzeggio che mi aspettava, prima del pomeriggio di prove su prove.
Appunto dicevo, sono nel corridoio che cammino canticchiando con la testa fra le nuvole, quando sento una “cosa” sbattermi addosso. Guardo davanti a me, vedo una ragazza piuttosto nana, con la faccia nascosta dai lunghissimi capelli rossi, che si scuoteva tutta, come se stesse singhiozzando.
Sto giusto per chiederle se sta bene, quando scosta i capelli e rivela il viso guardandomi come se fossi un fantasma. Dio del cielo.
 
--
 
Fissò per mezzo secondo il ragazzo con cui si era appena scontrata.
 
“Non è possibile”.
 
-FUENTES!
 
-CAMPBELL!
 
-COSA CAVOLO FAI QUI?!
 
-POTREI FARTI LA STESSA FOTTUTA DOMANDA!
 
Kenny gli saltò addosso. Era un secolo che non si appendeva al collo del suo “fratellone”.
 
 
Hey! Sono un casino in ritardo. Lo so. E sono anche sadica, perché per vedere cosa succede dopo dovete aspettare il prossimo capitolo!>:D SO anche che è parecchio breve, ma avevo voglia di aggiornare, eeee mi farò perdonare. Non mi va di spoilerare, ma vedrò comunque di non metterci un secolo come questa volta!!  D: Come al solito ringrazio all’infinito _MartyK_ che recensisce tuttotutto, e per chi non conoscesse Vic Fuentes, fate un salto a cercare i Pierce The Veil! :) Se ve lo state chiedendo, sì, ci saranno altri personaggi famosi oltre ai due che ho introdotto oggi, per questa storia mi sento molto crossover.
E boh niente! Baci a tutti, popolo Alien!      Happy_Moon^^

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Capitolo 4
*** Hey , do not you know , we have just begun ***


 
Era arrivata la pausa pranzo, e prima di riprendere la nostra protagonista si era concessa un caffè al bar al piano di sotto.
 
-Allora, com’è che sei qui?- chiese a Vic, seduto al suo fianco.
 
-Bah, eravamo qua in tour. Sai com’è, paese che vai, equipe fotografica che trovi- rispose lui, ingurgitando il rimanente di una lattina di qualche cosa.
 
-Ma spiegami … io non ti vedo da quando sono partita da casa mia la prima volta?
 
-Esattamente. Credo. Non lo so- Kenny e Vic abitavano vicini, nelle periferie di San Diego. Lei era lì con sua madre, visto che suo padre era tornato in Gran Bretagna dopo un litigio. Erano ancora sposati i suoi, ma probabilmente non si erano più visti, per quel che ne sapeva lei.
Il ragazzo aveva sette anni in più di lei, ciò significa che quando Kenny, a soli sette anni doveva andare a scuola da sola, il simpatico quattordicenne della porta accanto si offriva di accompagnarla lungo la strada, visto che la scuola elementare era vicino alla sua fermata dell’autobus. E non solo: Vic era anche il suo babysitter-aiuto compiti ufficiale, in pratica il suo (non)fratello maggiore di sette anni.
 
-E tu invece cosa fai qua? Sei tornata da tuo padre?
 
-Negativo. Ci lavoro, per questo mese. Con quel bellimbusto che hai visto lì.
 
-Dipende, di quale bellimbusto parli?
 
-Di quello meno scemo.
 
-Simpatico modo di classificare le persone!- fece finta di complimentarsi il ragazzo. –Se non lo conosci nemmeno.
 
Ci fu un attimo di silenzio, prima che Vic se ne tornasse fuori con un “Comunque non ho ancora capito di chi stai parlando”.
 
-Aspetta … guardalo là- Kenny indicò un televisore all’interno del bar su cui era comparsa la pubblicità di Twilight.
 
-Ah, il pallido assetato di sangue! Ho capito. Ma scusa, è vero che gli mettono il rossetto?
 
-Non lo so e non lo voglio sapere. Chiediglielo- gli rispose Kenny bevendo l’ultimo sorso di caffè.
 
-Ma ho di meglio da fare, sai?
 
-E allora vivi nell’ignoto di questa co…- si bloccò vedendo una notizia comparsa in prima pagina al telegiornale. Una giovane ragazza veniva arrestata per truffa a chissà cosa, e si vedeva chiaramente che lei non aveva nemmeno idea di che cosa fosse successo.
 
-Ma … ma io la conosco quella- mormorò Kenny assottigliando gli occhi. –Abitava … no … era la una mia compagna di classe. Sì, forse era anche la mia vicina di banco. Strano- disse prima di alzarsi. Raccolse la borsa, e si avviò velocemente verso l’uscita.
 
-E … e io scusa?! Ma chi ti ha insegnato l’educazione? Scommetto che vuole anche che le paghi il caffè- sbuffò Vic prima di alzarsi anche lui, correre a pagare e andarle dietro.
 
--
 
Bene bene bene. Iniziamo alla grande. Eh eh eh, tu non lo sai cara, ma presto il giro si restringerà sempre di più intorno a te … sono già riuscita a intercettare tutte le tue conoscenze.
Una sagoma indefinita nel semibuio della stanza ghignava di fronte al notiziario.
E non risparmierò nemmeno il tuo fidanzato, cara.
Sbatté una porta. La figura sussultò, spense in fretta e furia il televisore e aprì il libro che aveva accanto a sé alla prima pagina che capitava.
 
-Hei nerd- la salutò il ragazzo appena entrato lanciandole addosso uno zaino strapieno.
 
-Ouff- sbuffò la figura, presa in pieno stomaco dallo spigolo di un libro.
E appena sarò abbastanza ricca manderò via di casa anche te, stupido fratello disgraziato.
 
 
--
 
 
Los Angeles, sette della sera, la luce arancione del tramonto infiamma tutta la città.
Bill aprì il suo portatile, e si mise a cazzeggiare su Facebook. Stava giusto leggendo le notifiche torturandosi un piercing, quando entrò suo fratello che con la sua solita grazia aveva annunciato al mondo di essere arrivato a casa. Sbattendo la porta, con il rischio di fracassare le serrature.
 
-Guarda che se rompi la porta la paghi tu- lo “salutò” Bill, senza alzare lo sguardo.
 
-Certo Bibi, con i tuoi soldi- gli rispose Tom, dirigendosi verso il frigo.
 
-Almeno cerca di non finire le birre.
 
-Perché, tu bevi, anche?- lo provocò il rasta, che poi tanto più rasta non era. 
 
-Guarda che ti annego con tutte le treccine.
 
-Sì, ti voglio bene anche io- gli fece Tom, stampandogli un bacino appiccicoso sulla guancia.
 
-Che schifo.
 
-Ma guarda che mi offendo- mise il finto broncio aprendosi una lattina.
 
-E offenditi pure caro mio, sei adulto e vaccinato, non sono affari miei.
 
-Lo dico alla mamma.
 
-Le telefonate inter-oceaniche costano …
 
-Esiste la parola inter-oceaniche?
 
-Certo, l’ho detta io adesso, quindi esiste- ammise con semplicità il moro, dandosi delle finte arie.
 
Tom iniziò a girare per la casa con la lattina in mano cantando ‘oh happy day …’, e questo fece capire che la ‘conversazione’, per quanto intelligente fosse, era finita. Bill si concentrò su una notizia che aveva incrociato sul web, per caso.
 
-‘Uomo ritrovato in uno sgabuzzino di un palazzo abbandonato, in stato confusionale, non ricorda nulla. La sua identità è ancora in accertamento’. Se la foto non è fatta male e se io non sono diventato cieco, sto tizio lo conosco- mormorò, fissando la foto dell’uomo. –Sembra tipo … un vicino. O qualcosa di simile. Non ne ho idea. Tom! Chi è sto tipo?
 
Nessuna risposta. Solo canzoncine da gospel interpretate in maniera terrificante.
 
-Thomas Kaulitz. Dio solo sa quando diventerai una persona utile.
 
-Hey Bill! Sai che hanno trovato il tizio che abita qua vicino in uno sgabuzzino in stato confusionale?- se ne venne fuori Tom qualche minuto dopo.
 
-Giust’appunto.
 
-Era quello che ci tagliava la siepe. Una volta l’ho anche invitato a bere una birra, di ricordi? Ou, mi stai ascoltando?
 
-Sì ti sto ascoltando. Ho visto anche io. Strano.
 
-Vado a farmi una doccia. Oh happyy daaayy …
 
-Tom smettila!
 
 
Aeò, salve. Vi prego non discutiamo su QUANTO TEMPO E’ PASSATO DALL’ULTIMO CAPITOLO, direi si stendere un velo pietoso sulla faccenda. Come avrete visto ho modificato un po’ qualche cosa, semplicemente perché non avevo la più pallida idea di come andare avanti.
Meno male che esistono i colpi di genio! Fortunatamente, essendo ai primi capitoli non ho dovuto modificare quelli precedenti. Vi avverto che potrebbe rivelarsi intricata. Spero vi sia piaciuto questo capitolo! Ci sentiamo prestuooohh =O
Ringrazio tutti quelli che mi lasceranno una recensione anche piccina piccina, in particolare _MartyK_ che me ne lascia sempre una. Ho finito di rompere! Me ne vado.
                                                                     Chiaio  X)           Happy_Moon^^

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Capitolo 5
*** Green hair! ***


 
Albeggiava, il sole dava un’ombra chiara sulla perenne nebbiolina che offuscava Londra. Le prime auto iniziavano a circolare, le prime persone iniziavano a camminare frettolosamente per i marciapiedi polverosi.
Dall’appartamentino, Kenny bighellonava con il portatile, un clacson troppo vicino l’aveva svegliata  e non riusciva più a dormire. Sul tavolo erano ancora sparse le diapositive del giorno prima, avevano finito di asciugarsi nella camera oscura quel pomeriggio ma qualche deficiente aveva fatto entrare della luce e così si erano rovinate. Ergo: quella mattina avrebbe dovuto ricominciare daccapo tutto il lavoro con Robert.
E così, stava a deprimersi nella prospettiva di un’altra noiosa giornata di lavoro, quando sentì alcuni colpi alla finestra.
Si alzò lentamente, cercando di fare il meno rumore possibile, e si avviò verso la finestra “incriminata”. Rimase in ascolto qualche altro istante, i colpi erano cessati e stava per lasciar perdere; ma, come succede sempre, un altro colpo la fece inquietare ancora di più. Allungò una mano verso un cassetto lì vicino. Non si fidava, aveva imparato a non fidarsi. Altri colpi. Spalancò la finestra, puntò la pistola sulla strada sottostante.
 
-Chi è?!- urlò. Per tutta risposta, una testa di capelli neri e verde lime rivolse il proprio sguardo azzurro ghiaccio verso la finestra.
 
-Jade!- esclamò la ragazzina, dall’alto dei suoi centosessanta centimetri.
 
Kenny abbassò l’arma, incredula. Ma era mai possibile?!... doveva essere la città di Londra, che magari aveva questo potere di ricongiungere le persone.
 
-Am’?
 
La ragazzina in basso, sorrise.
 
-Come diavolo hai fatto a trovarmi?- domandò Kenny, più a sé stessa che alla ragazzina. –Vieni su, avanti.
 
-Col cavolo, vieni tu giù.
 
Sbuffò. Non aveva voglia di fare tre piani di scale, ma d’altronde doveva capire cosa ci faceva una ragazzina di … quanti anni doveva avere, ora? Se dall’ultima volta erano passati più o meno tre anni, adesso doveva averne quattordici o quindici. Dunque, cosa ci faceva una ragazzina di quindici anni alle tre del mattino in una strada di Londra a importunare la gente?
Nel frattempo era scesa dalle scale, avvolta in una giacca presa a caso.
Aprì il cancelletto, e trovò la ragazza seduta sul bordo del marciapiede, con lo sguardo assorto.
 
-Beh, che ci fai qui?- domandò. Lei sembrò riscuotersi.
 
-Ti avevo vista in città. Ho chiesto in giro, e alla fine ti ho trovato- fece una piccola pausa, fissando gli occhi verdi e severi che aveva davanti. –Non sembro averti svegliato.
 
-No, infatti. Non dormivo. Tu, piuttosto?! Dovresti essere a casa tua. O sbaglio?
 
-Sbagli. Non c’è nessuno a casa mia. Mia zia è via per lavoro.
 
-E i tuoi?
 
La ragazzina la fissò per qualche secondo.
 
-Ah, giusto. Separati da dieci anni. Non me lo ricorderò mai, devi rassegnarti.
 
Risero entrambi.
 
-Cosa fai a Londra?
 
-Lavoro, che dici?
 
-Ah. E che fai?
 
Kenny attese un attimo. Sapeva che appena avrebbe pronunciato quel nome Amanda sarebbe saltata come una molla in un impeto di ciuffi verdi. Le rivolse un sorrisetto ambiguo.
 
-…dunque?- chiese di nuovo Amanda.
 
Kenny fece un profondo sospiro, guardò la strada di fronte a sé, chiuse gli occhi e buttò la testa all’indietro. Sapeva che quell’atteggiamento la faceva impazzire. Faceva impazzire chiunque.
 
-Che cavolo, parli o no?!
 
Dopo qualche secondo, Kenny recitò:
 
-“I don’t need a knight in a shiny armor, I want my vampire in a shiny Volvo”.
 
Amanda ci mise qualche istante, durante i quali fissava Kenny con gli occhi a palla.
 
-Tu non parli sul serio.
 
-Oh sì, invece.
 
#
 
Alla fine aveva deciso di raggiungere lo studio a piedi, con Amanda che continuava ad agitarsi come una nevrotica e riempirla di domande, alle quali lei, pazientemente, rispondeva, una dopo l’altra.
Arrivarono di fronte allo studio, Kenny aprì la porta.
 
-No, Am, non brilla veramente sotto il sole … ma che cavolo di domanda era?
 
L’altra le rifilò un altro interrogativo, senza nemmeno rispondere.
 
Quando arrivarono al piano di sopra, Kenny aveva ufficialmente il mal di testa, inoltre un sacco di persone la stavano fissando, facendo passare lo sguardo fra lei e la fan girl in crisi mistica al suo fianco.
 
-Senti, ora io devo lavorare, quindi tu fai meglio a scendere- ordinò interrompendo il flusso di parole.
 
-Ma come? Non me lo fai nemmeno incontrare?
 
-Sopravvivrai comunque!
 
-Ma…
 
-Guarda che ti faccio portare giù dai buttafuori …
 
Troppo tardi. Robert le stava fissando da qualche metro di distanza, probabilmente partito con l’intenzione di salutare la fotografa, ma fermato alla vista della ragazzina che lo fissava in adorazione, e che rischiava seriamente di cadere per terra.
Rise, quella scena non gli era per niente nuova.
-Ma tu non dovesti andare a scuola?
 
Per tutta risposta, Amanda si limitò a spalancare gli occhi ancora di più. Potevano uscire dalle orbite da un momento all’altro.
 
-Coraggio, staccati che qui abbiamo da fare- tentò di smuoverla Kenny, inutilmente. Amanda era una statua di sale. –Chiamo tuo papà.
 
Più o meno nell’istante in cui sentì la parola ‘papà’, Amanda si riscosse, schizzò giù dalle scale e in un lampo era fuori dall’edificio.
 
-Cosa è successo?- chiese l’attore, che nel frattempo aveva smesso di ridere.
 
-La parola ‘papà’ fa questo effetto. Se te lo stai chiedendo, no, non è una ragazzina normale.
 
-Da quando mi dai del tu?
 
-Ti dà fastidio?
 
-Assolutamente. Io sono il Sommo Robert Pattinson, esigo almeno che mi dai del voi. Posso scatenarti addosso il mio esercito di fan da un momento all’altro.
 
-D’accordo vostra altezza, si accomodi che dobbiamo ricominciare da capo.
 
-Come mai?
 
-Qualche idiota ha rovinato gli scatti mentre si asciugavano.
 
-Usi ancora quel metodo?...
 
-Facciamo sempre una copia cartacea! Non ho capito perché, ma mi dicono sempre di fare la copia cartacea.
 
-Tipi strani. Come si chiama il tuo capo?
 
-Taci un secondo così posso farti la benedettissima foto?
 
#
 
Finirono con le fotografie più o meno all’ora di pranzo. Robert si offrì di accompagnarla fuori, dove trovarono Vic che gironzolava. Alla fine lui se ne andò per un impegno, così Kenny e Bassotto Fuentes si ritrovarono nel bar del giorno prima, a mangiare panini e discutere sul senso della vita.
 
-Non è giusto che certe persone siano così alte, mi fanno sentire basso.
 
-Allora dovresti dire che non è giusto che tu sia così basso.
 
-Stavo per dirlo.
 
-Deciditi!
 
-Ma se non mi lasci parlare …-vennero interrotti dal telegiornale, che dava notizia della scomparsa di un quarantenne nella zona di Southampton.
 
-Quello lo conoscevo- rifletté Kenny. –No, stavolta sono sicura. Quell’uomo io lo conosco.
 
-Ma scusa, com’è che al telegiornale adesso parlano sempre di gente che conosci?
 
-Non lo so, Vic. Tu hai qualche idea?
 
Il cantante rimase zitto a fissare dinanzi a sé.
 
-No, non ho idee- disse poi.
 
-Beh, è tardi, sarà meglio che ci muoviamo.
 
-E dove andiamo?
 
-Non saprei- si fermò un attimo a riflettere. –A proposito, Mike come sta?
 
-In questo momento, credo che stia in salotto, stravaccato con qualcosa di molto grasso in mano, che guarda la tv. Quindi, direi bene.
 
#
 
-Thomas! Dov’è la lacca?
 
-Non lo so, Bibi. Io non uso mai la lacca!
 
-Beh, io l’ho appoggiata qui e non c’è più!
 
-L’avrà mangiata il gatto.
 
-Non abbiamo un gatto!
 
Tom scoppiò a ridere. –Sei assurdo, Bill. Ma secondo te i gatti mangiano le bottiglie di lacca?- ecco, questo era un esempio dei discorsi senza capo né coda che ogni tanto scoppiavano fra i gemelli, e facevano impazzire mamma Kaulitz.
 
-Non ho mai detto che i gatti mangiano …
 
Il dibattito venne interrotto dallo squillo del cellulare.
 
-Pronto?- Tom alzò la cornetta.
 
-Hey americani!
 
-Georg! Cristo quant’è che non ti sento?
 
-Una settimana Tom. E’ passata solo una settimana dall’ultima volta che vi abbiamo chiamato.
 
-Ah, scusa. Beh, che c’è?
 
-Niente, diciamo solo che Gustav sta impazzendo perché qualcuno minaccia di morte un suo amico d’infanzia.
 
-Uh?!- Tom strabuzzò gli occhi.
 
-Ne hanno parlato al telegiornale, forse da voi non è arrivata la notizia … beh sai che lui ci tiene agli amici, e in questo momento sta facendo a tutti una testa quadrata. L’avrà chiamato quindici volte in due ore!
 
-Ok, ho capito. Volete passare per di qua?
 
-No, vi teniamo aggiornati da qui. Non sentite anche voi uno strano … presentimento?
 
Tom si accese una sigaretta.
 
-Del tipo?
 
-Come se … qualcuno ci stesse tenendo d’occhio.
 
-Beh, siamo star internazionali Georg, direi che è abbastanza normale che qualcuno ci tenga d’occhio.
 
-Mah … non saprei. Io direi di stare attenti.
 
-Beh, se hai voglia di fare la guardia fallo per quattro. Ci sentiamo, vecchio- tirò una boccata di fumo, e la fece evaporare nell’aria.
 
-Ciao bello, salutami Bill- terminò Georg, e chiuse la telefonata.
 
 
 
Yup, popolo Alien. Eeeeed ecco fresco fresco il nuovo capitolo, su ragionevole richiesta di Marty, meno male che c’era lei se no passavano altri due mesi prima che mi decidessi a scrivere questo benedetto capitolo. Sapete com’è, il Cazzeggio ha sempre la meglio.
Uhummm, tornando seri (non lo siamo mai stati!!! :D LOL), ringrazio chiunque lascerà una recensioncina. E adesso vi saluto, che … che … che niente, vi saluto e basta.
Baciiiii :***         Happy_Moon^^(inizio a chiedermi se questo nick abbia un senso preciso. In effetti l’ho scelto a caso in piena crisi da nickname. Capita anche a voi?? Non sapete che nickname mettere e ne mettete uno a caso. A me sempre D: )
Ciaoooooooooooo :DDDDDDD

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Capitolo 6
*** Questions (pt. 1) ***


 
Domenica, giorno libero. Kenny e Amanda stavano passeggiando per le vie trafficate di Londra, assieme a Robert, incontrato per ‘caso’ sotto casa sua.
 
-E quindi, quel ragazzo bassetto è un tuo amico?- chiese lui, riferendosi a Vic, che aveva incrociato più volte gironzolando nello studio.
 
-Beh, sì, diciamo che Vic- calcò bene il nome, visto che era già la quinta volta che Robert lo chiamava ‘ragazzo bassetto’. –è un po’ il mio fratello maggiore. Vivevamo vicini, a San Francisco. Ma … dimmi qualcosa di te, piuttosto! …
 
Il ragazzo alzò le sopracciglia. Parve pensarci un attimo, poi fece il Sorriso Sghembo, famoso per avere atterrato milioni di adolescenti nel mondo, e si rivolse alla rossa:
-Dipende da cosa vuoi sapere!
 
Kenny sbuffò.
-Non so! Dimmi qualcosa della tua vita privata …
 
-Ah! Allora tieni la telecamera nascosta! Mi dispiace, niente interviste- tagliò corto, sempre ridendo, e riportando lo sguardo alla strada.
 
-Perché ho come l’impressione che andando avanti così mi starai antipatico?
 
-Ah! Non sapevo che avessimo intenzione di rivederci- esclamò lui.
 
Kenny lo guardò basita, con la mascella cadente e gli occhi che uscivano dalle orbite.
-Io. Sono. Occupata.
 
Robert la fissò sbattendo le palpebre. Ci mise un attimo ad arrivare a cosa aveva capito lei. Quindi scoppiò a ridere.
 
-Allora un giorno dovrai presentarmi il tuo ragazzo, cara!
 
Kenny arrossì e distolse lo sguardo, imbarazzata dalla propria pessima figura.
-No- rispose semplicemente.
 
-Ok, allora indovino io. Bianco o nero?
 
-NO!
 
-Ok, mettiamo sia bianco. Colore di capelli?
 
-Ma …
 
-Altezza?
 
Questa volta Kenny ci pensò un attimo prima di rispondere.
-Più di te. Ti supera di un pezzo.
 
‘Ammesso che sia ancora il mio ragazzo’ pensò tra sé e sé.
 
#
 
-Tom! Inetto fratello, vieni qui- fu il richiamo mistico che giunse dal bagno.
 
-Verrò quando la smetterai di darmi appellativi senza senso.
 
-Cosa può essere uno che scambia il barattolo dello zucchero con quello del sale, se non inetto?
 
Tom sbuffò. Andava avanti da qualche giorno con quella storia: perché proprio quel giorno disgraziato in cui Tom scambiava i vasetti, Bill doveva decidere che era ora di mettere in mostra le proprie doti culinarie, con il risultato di una bistecca (una semplicissima bistecca!) che sapeva di caramello? Non vi dico la faccia che avevano fatto nell'assaggiare quella roba.  
-Uffa. Arrivo- si alzò e si diresse al bagno. –Cosa c’è?
 
Il fratello gli si piazzò davanti, mostrando tutti i suoi bei sei centimetri in più.
-Si vedono le occhiaie?- chiese, spalancando gli occhioni a palla.
 
-No, Bill, non si vedono- farfugliò il maggiore senza dare veramente troppa attenzione alle occhiaie del fratello, che, ovviamente se ne accorse.
 
-Guardami! Mi si vedono le occhiaie?- quasi urlò isterico Bill, avvicinandosi al gemello.
 
La distanza tra le loro facce era di un mezzo centimetro più o meno, abbastanza perché Tom potesse accorgersi dei solchi viola che spiccavano sotto gli occhi da panda del gemello.
 
-Ma che hai fatto? Ti hanno preso a pugni?
 
Bill si allontanò, sospirando.
-No. Non ho dormito, Tomi. Capisci che quando uno non dorme gli vengono le occhiaie?
 
-Sì, Bibi, lo so. Perché non  hai dormito?
 
-Ho un brutto presentimento. Ma brutto tanto, anche.
 
-Del tipo?
 
-Non so. Vedremo che succede … ti sei vestito decentemente?
 
-Io sono pronto da più o meno mezz’ora, sei tu che perdi tempo col fondotinta.
 
-Io. Non. Perdo. Tempo- scandì Bill, ricominciando a spennellarsi sotto agli occhi.
 
-Peserà più il fondotinta che ti sei messo che il resto del tuo corpo.
 
-Elementare, Watson.
 
Tom lo guardò stranito.
-Tu sei strano.
 
Il moro posò finalmente tubetto e pennello, quindi si girò verso il suo gemello.
Lo fissò qualche istante, per poi scoppiare in una risata rumorosa.
-Come se non mi conoscessi! HA HA HA- continuò a ridere buttando la testa all’indietro.
 
Nel frattempo Tom non aveva cambiato posizione.
-Sì. Sì, è normale. Convinciti che tuo fratello è normale, Tom, e vivi tranquillo nella tua illusione.
 
Si girò dunque verso la porta, e uscì dal bagno scuotendo la testa.
 
#
 
-CHE COSA?!?!?
 
La figura si abbassò di più sullo schermo. Digrignò i denti.
 
-Ah, e così hai anche il coraggio di farti degli amici!- sibilò malefica al computer.
-Benissimo- disse, compiaciuta. –Un bersaglio in più.
 
Salvò il fotogramma dalla registrazione della telecamera che stava guardando, stampando successivamente l’immagine.
Appese la foto ad una bacheca con una puntina verde.
Si allontanò dalla parete di alcuni passi. Prese una mano nell’altra, e le portò all’altezza del torace. Si aggiustò gli occhiali, dunque tornò a guardare la bacheca, già con sei foto appese, più quella nuova, alcune cartine di diverse città del mondo, e liste di nomi, tutte fermate da puntine, verdi, gialle, o rosse.
Rise, rise compiaciuta del proprio lavoro. Certo che le riusciva proprio bene.
Dunque fissò lo sguardo sull’ultima foto appesa.
-Dovrò approfondire su di te, ora, amico mio- ghignò, per poi uscire dalla stanza, chiudendo la porta a chiave.
 
 
Hey Aliens!! Sono tornata :D
So che non è esageratamente lungo come capitolo, (anzi, sono proprio quattro righe), ma dovevo assolutamente aggiornare (questione di vita o di morte!!! D=) , così ho deciso di dividere il capitolo in due parti (ciò significa che la seconda parte uscirà tipo domani, o dopodomani. Lo so che è un ragionamento idiota, ma avevo voglia di aggiornare oggi Eeeeeeeee ci tenevo a ringraziare un milione di miliardi di volte tutti coloro che leggeranno e recensiranno (e che hanno letto e recensito)!!!!!! Grazie mille a Marty che recensisce sempre e anche ai lettori silenziosi(mi piacerebbe sentire un vostro commentino sula storia ... :))Vi adorooo :*
Baciiiiiii!!!         Happy_Moon^^
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Questions pt.2 ***


-Lo so io!!! Robert, lo so io chi è il suo fidanzato!!- saltò su Amanda, che era rimasta zitta tutto il tempo, probamente a fissare in silenzio la faccia dell’attore.
 
-Taci- la ammonì Kenny, fra una domanda e l’altra.
 
-Ah, sì? Allora tienilo a mente, e dimmi se indovino … comunque, non mi hai ancora detto … colore di capelli?
 
-Non ti interessa!
 
-Eddai, Jeddy, ci stiamo divertendo!- si lamentò la ragazzina.
 
Kenny sbuffò sonoramente, per far capire quanto le venisse a noia questo loro ‘divertirsi’. Poi si rivolse a Robert, al suo fianco: lei, in quanto nana, doveva alzare di un pezzo la testa, per guardarlo negli occhi.
 
-Nero corvino.
 
-Alleluia! Dunque, prossima domanda … colore degli occhi?
 
-Scusa, ma potrebbe anche essere il postino, che ne sai tu del suo colore di occhi?
 
-Beh, tu non credi, ma conosco bene i postini londinesi!- ammise soddisfatto.
 
Kenny frenò l’istinto di spararsi in quel momento. –Questo. Non. È. Divertente!- si lamentò senza badare troppo alla gente che la fissava male.
 
-Ehi, tesoro contieniti- le sussurrò infatti all’orecchio Robert, ammiccando alle persone intorno a loro. Se la stava visibilmente spassando come un matto.
 
A questo punto, la voglia di spararsi era superata … ora Kenny si sarebbe volentieri buttata da un burrone con un fondo di rocce molto appuntite e dolorose.
 
-Ribadisco ciò che avevo detto prima: andando avanti così mi starai antipatico sul serio!
 
-E tu non vuoi che succeda questo, vero?
 
-Credimi, lo faccio per la tua incolumità e per la mia fedina penale.
 
-Dicevo, prossima domanda, colore degli occhi?-  domandò Robert, riallacciandosi alla sua ‘indagine’.
 
-Uffa, non possiamo cambiare discorso?
 
-BENISSIMO! Prima lettera del nome?- trillò entusiasta.
 
-Io non arriverò viva a casa- mormorò Kenny, più a se stessa che agli altri due.
 
-Con quel gruppo di maniache che ci fissano pronte a correrci dietro, direi di no- fece notare Amanda, indicando con la testa una manciata di ragazze scandalizzate all’altro lato della strada, sicuramente fan di Robert che non avrebbero atteso molto prima di lanciarsi (urlanti) all’inseguimento.
 
-Dunque, esperto, che si fa in questi casi?- domandò Kenny in tono risentito.
 
-O-ok, diciamo che ti sei presa la tua piccola vendetta. Iniziate a camminare velocemente … - le rispose Robert, con gli occhi spalancati e i sudori freddi di chi sa che sta per succedere qualcosa di poco buono; iniziando ad accelerare il passo. - … e infilatevi nel primo negozio che capita a tiro!! … - concluse correndo, verso mete indefinite, con il gruppo di fan girl che ormai si erano lanciate all’inseguimento.
 
Si fiondarono dentro un negozio di cianfrusaglie cinesi giusto in tempo prima di essere investiti.
Quando ebbe abbastanza fiato per parlare, Kenny si espresse nei suoi dubbi più arcani:
-Ma non è che potevi correre via solo tu e noi ti aspettavamo fuori?
 
-Si vede che ci tieni proprio tanto a non lasciarmi solo!- ribatté lui lamentoso.
 
-Scusa, ma non sono abituata a scappare dalle fan girl per conto di qualcuno che conosco appena- si difese lei, sfoderando una bella espressione di superiorità.
 
-Strano …- sussurrò Amanda, a testa bassa, per poi beccarsi un mezzo scappellotto sulla nuca, accompagnato da uno ‘shh’ che tentava di non farsi sentire.
 
 
-Voi compra?- fece una vocina acuta da dietro il bancone, appartenente al titolare del negozio, di cui i tre non si erano nemmeno accorti.
 
Kenny e Robert si guardarono terrorizzati. Non sapevano se era meglio cadere nelle grinfie di un commerciante cinese o in quelle delle ragazze arrapate. Probabilmente la prima.
 
#
 
Uscirono dal negozio (meglio definirlo ‘baracca’) circa un’ora dopo, stremati, con due borse piene di salvadanai a forma di gattini di vetro con una zampa alzata.
Si sedettero al bordo del marciapiede, e rimasero tutti e tre fermi lì a guardare le auto passare.
Ad un certo punto, Amanda si alzò e annunciò che era abbastanza tardi ed era meglio che lei si facesse vedere a casa sua, così anche gli altri due decisero che era meglio andare.
Si salutarono stancamente, dicendosi che si sarebbero visti il giorno dopo; come fanno i ragazzi stanchi appena usciti da scuola.
 
#
 
Quella sera, quando Kenny entrò a casa, dopo essersi fermata a mangiare un trancio di pizza (avrebbe volentieri mangiato cinese, in un giorno come un altro, ma quella sera non le andava proprio), si accorse improvvisamente di un particolare: per una volta non aveva pensato a lui. Sarà stato il potere mistico della fuga da fan girls, oppure l’esasperazione da negozio cinese, o semplicemente il fatto si aver passato del tempo con una persona che … non glielo ricordasse. Una persona nuova, che non fosse collegata al passato … questa prospettiva la affascinava, forse avrebbe potuto pensarci su, a proposito di quel ‘a domani’ che le era venuto spontaneo rivolgere a Robert. Forse poteva ricavarci qualcosa, dalla conoscenza con quell’odiosamente curioso, impertinente, movimentato individuo. Forse poteva starle simpatico.
Forse.
All’improvviso un pensiero tenebroso le attraversò la mente, forse proveniente da qualche parte del suo subconscio malato dalla lontananza: sbarrò gli occhi come se avesse visto un fantasma, e scosse la testa per cacciarlo via.
Non l’avrebbe sostituito, no. Era fuori discussione … avrebbe solo aspettato di rivederlo, come promesso, tempo prima, sotto la chiara luce della luna, mista agli abbaglianti lampeggi di un aereo in partenza.
Che poi, come le saltavano alla testa certe cose?! Lo conosceva appena, magari non lo avrebbe mai rivisto. Anche se le dispiaceva la prospettiva di non rivedere Robert, si stava bene in sua compagnia.
Basta, troppo pensare fa male alla testa: tagliò i suoi rimuginamenti accendendo la tv, che era già sintonizzata sul canale musicale … che trasmetteva una vecchia canzone … con … un elicottero, e … quattro tizi … no, aspetta …
 
-Ok, questa è ufficialmente una persecuzione- si lamentò con la tv, cambiando canale in fretta. Lezione di vita: mai accendere la tv sulla radiovisione se si ha bisogno di scacciare i pensieri. Che poi non avevano nient’altro da trasmettere? …
 
 
Wooooooh ragga! Come va la vita? Ecco, ho pubblicato due pezzetti piccolini che andavano insieme, a dire il vero. Magari potremo attaccarli in un unico capitolo, già che ci siamo. Boh, vedremo.
 Bene, direi baci a tutti quelli che leggeranno e recensiranno!!! Ciaoooo :*** Lisa^^
 *note di fine capitolo senza troppo senso*

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Capitolo 8
*** Disappeared! ***


 
-CHE COSA??!!
 
I gemelli erano appena tornati a casa, dalla lunga festa alla quale erano stati invitati, con tanto di stuzzichini alla giapponese, luci strobo e ragazze decisamente troppo scosciate.
E beh, la bella sorpresa che i due si erano beccati al ritorno, con orrore di Bill, era che … la costosa auto di quest’ultimo, fino a poco prima al sicuro nel garage praticamente blindato, era sparita. Puff. Nel nulla. Come se non ci fosse mai stata.
Il bello era che doveva essere un grande esperto come ladro, dato che il portone era perfettamente chiuso e intatto, e non c’erano segni di scassinamento o forzatura.
 
-Bill … calmati … avrà avuto una copia del telecomando, o qualcosa del genere …
 
-NON ME NE FREGA UN CAZZO DI COME HA FATTO AD APRIRE!!! LA MIA MACCHINA!!!!!- urlava scandalizzato il moro da più di cinque minuti. Un supplizio per le povere orecchie semi addormentate del chitarrista, che ancora non aveva messo a fuoco l’accaduto, troppo preso dal pensiero di quel paio di gambe … yum … che tacchi vertiginosi …
 
-THOMAS KAULITZ!! SEI SULLA TERRA O NO??!- le urla del fratello lo riscossero per l’ennesima volta dal dolce sogno in cui stava sprofondando. Ok, forse era meglio dire qualcosa di intelligente per farlo calmare, poi ci avrebbe pensato il giorno dopo … no, cavolo, stava già chiamando la polizia. E non finiva mai di urlare! Dio, ma quanta cavolo di voce aveva quel cristiano in corpo? …
 
-Pronto. Rispondi porco ******!!
 
-Bill … calmati …
 
-PRONTO!! Sono Bill Kaulitz. Sì, quello lì- nota: con quello lì non si riferisce a ‘il famoso cantante dei Tokio Hotel’, ma all’ubriaco senza speranze trovato in un vialetto che predicava cose sagge, qualche mese prima.
-è sparita la mia auto. HO DETTO CHE E’ PARITA LA MIA AUTO! No, non mi calmo. Voglio che qualcuno venga qui e subito! Prendete le impronte digitali, le tracce di che ne so io, e tutte quelle cose da poliziotti! Rivoglio la mia macchina.
 
Tom lo fissava incrucciato. Raramente vedeva suo fratello così agitato … no, non era vero, Bill era così almeno una volta a settimana. Trovava sempre un motivo per inviperirsi, soprattutto negli ultimi tempi. Chissà che diavolo aveva. Gli ricordava una casalinga isterica col ciclo. Avrebbe voluto dirglielo, ma era meglio di no.
Il vocalist continuò a insultare il povero agente al telefono finché, probabilmente usando qualche magica parola calmante, il poliziotto riuscì a calmarlo. Mise giù, accigliato, e rimase qualche secondo a fissare il cellulare, con aria … mistica.
 
-Dunque?- si azzardò a chiedere Tom. Se ne pentì immediatamente. Bill alzò la testa lentamente, e altrettanto lentamente volse lo sguardo al gemello. Impassibile.
 
-Arrivano- esclamò poi, allegro, per poi voltarsi e saltellare allegramente verso la porta d’ingresso, fischiettando qualche canzone.
 
‘Ancora mi chiedo se mio fratello sia normale’ pensò Tom, stile ‘diario di bordo’.
‘Tsk, che domande. Bill non è normale. Lui è una razza a parte’ concluse il suo genio arcano, arrivando all’idea che il fratello appartenesse a una razza differente dagli Homo Sapiens Sapiens.
 
Due minuti dopo, una volante era arrivata alla casa dei Kaulitz, con tanto di sirena accesa.
Chissà quanta gente, che prima dormiva, si sarebbe ritrovata a porconare in quel momento la stramaledetta volante che per motivi astrusi si era fermata davanti alla casa dei due ‘crucchi anormali – soprattutto quello alto’.
 
-Buonasera- salutò allegro Bill l’agente che scendeva dall’auto.
 
-Ehm … buo-buonasera- replicò quello, intimorito dal moro come un bambino dalla maestra più lunatica della scuola.
 
-Siamo partiti per una festa alle 19:00 in punto, con l’auto di mio fratello. E siamo tornati circa dieci minuti fa, alle 02:45 … a grandi linee. Non abbiamo ricevuto messaggi dall’allarme di casa né da quello del portone del garage, come sarebbe dovuto accadere in caso di scasso o intrusione … - o era meglio dire, pensò Tom, di ‘sfioramento del portone del garage o ingresso senza disattivare l’allarme del povero Thomas Kaulitz’. –Non è stato spostato nulla, e anche il portone era perfettamente chiuso. Tutto come era stato lasciato, a parte la mia auto, che è scomparsa nel nulla.
 
‘Puf’ avrebbe aggiunto volentieri Tom.
 
-Uhm … capisco- mormorò timoroso l’agente, mentre scribacchiava su un blocchetto nascondendo il viso imbarazzato sotto il cappello, per tentare di darsi un’aria professionale. –Arriveremo domattina per eventuali controlli … nel frattempo, vi chiediamo di non entrare nel garage, e di lasciare tutto così com’è …
 
Alzò lo sguardo verso Bill, probabilmente attendendo l’ennesima sfuriata. Quest’ultimo, invece, si limitò a sorridere con tutti e trentadue i denti, sparaflashando tutto il vicinato con il suo smalto perfettamente sbiancato e facendo svenire un’agente … donna, come ti capisco.
-Perfetto. Grazie mille. Arrivederci- si limitò ad aggiungere, prima di sfoderare un altro smagliante sorriso e sbattersi dietro la porta di casa, lasciando fuori agenti, volanti e soprattutto suo fratello.
 
-Ma … scusi, lei che lo conosce- fece un agente a Tom, ancora in trance vicino alla porta. –è normale che faccia tutto questo casino e pretendere l’impossibile per poi mollare tutto così, come se nulla fosse?
 
-Uh? Ah? … ahem… sì. Voglio dire, sì, è … è normale. Nel senso, è normale il comportamento, non lui. Bill non è normale.
 
Il poliziotto lo guardò dubbioso. Molto probabilmente erano matti tutt’e due. Chissà quei poveri martiri di bassista e batterista, che spesso ci passavano giorni interi assieme.
-Uhm … certo. Beh, arrivederci. Buonanotte, signor Kaulitz- lo salutò, per poi rimontare nella volante con gli altri agenti.
 
#
 
Suonano alla porta. DRRRRRRIIIIIIIIIIIINNNNNNNNNN!!!!!!!!!!
 
-Ma porco … - Kenny si svegliò di soprassalto, non cadendo dal letto per un pelo. Si sporse verso la finestra, con la persiana alzata, quel poco che bastava per intravedere il cancelletto, dove due persone stavano aspettando.
 
-Ma che diavolo … oh, non dirmi che mi ha preso sul serio.
 
Si avvicinò per assicurarsi di aver visto bene: una ragazzina bassa, dai capelli neri e verdi, e un tizio alto … parecchio alto, che la fissava sorridendo, e salutava con la mano.
 
-Oh porca … - i maiali le andavano a genio, quel giorno. Infilò un cardigan di lana, giusto per non farsi vedere in pigiama, e scese le scale, fino a raggiungere il cancelletto dove i due la stavano aspettando.
 
-Buongiorno!- salutò allegra Amanda.
 
-Cosa diamine ci fate voi due qui? … -mormorò assonnata Kenny … il suo muso assonnato e imbronciato, abbinato ai capelli spettinati e al pigiama con le pantofolone, faceva un simpatico contrasto con le facce allegre e sorridenti dei due, ben vestiti e tirati a lucido.
 
-Avevi detto ‘a domani’- le ricordò Robert. –Abbiamo mantenuto l’impegno.
 
Ma che diavolo … lei scherzava. No, non scherzava, ma insomma, le era venuto spontaneo. Non ci aveva pensato.
 
-L’ho portato qua io- chiarì Amanda, come per esonerare la sua divinità terrestre da eventuali sgridate. Che comunque la povera Kenny, non del tutto cosciente, si sarebbe limitata a sostituire con delle occhiatacce malformate.
 
-Lasciate almeno che mi infili qualcosa di decente- sussurrò, cercando di tenere un tono di voce decente, per poi fare dietro-front verso l’ingresso del condominio, per dirigersi verso la propria stanza. Gli altri due, ovviamente, le andarono dietro.
 
Si infilò velocemente nella propria camera, chiudendo la porta. Quando uscì, un paio di minuti dopo, Amanda e Robert erano in cucina, uno seduto al tavolo e l’altra arrampicata sulla dispensa, che mangiavano biscotti e Nutella.
-Ma … ehi, voi due!! Chi vi ha dato il permesso di finirmi la colazione?!
 
-Ah. Pensavo avessi intenzione si fermarti fuori- disse Robert, con due biscotti interi in bocca, prima di prenderne un terzo.
 
-Sì. Robert voleva portarti da Starbucks- fece Amanda, dal profondo della dispensa. –Ma quanta Nutella hai qua dentro?!


-La domanda giusta è: quanta Nutella mi rimarrà prima che voi due mi finiate la dispensa?
 
-Coraggio miei prodi! Leviamo le ancore, che il bar più diffuso del mondo ci attende- affermò Robert, mandando giù l’ultimo biscottone.
 
-Ehi, vacci piano con quelli, saranno almeno 100 calorie all’uno- lo avvertì Kenny.
 
Ci mancò poco che l’attore si soffocasse con un biscotto. –Che cosa?! Ma … che diavolo c’è dentro?!- si lamentò stridulo, quando fu riuscito a mandarlo giù.
 
-Li ho fatti io- ammise Kenny, sorridendo.
 
-Ah. Inizio a pensare che tu sia un’amante delle cose extracaloriche.
 
Kenny si avvicinò alla porta d’ingresso, afferrò la giacca e l’infilò:
-Mah, diciamo pure ‘metabolismo veloce’-  disse semplicemente, prima di uscire con i due al proprio seguito.
 
#
 
La solita penombra della stanza nascondeva la solita figura inquietante. L’unica fonte di illuminazione era un cono di luce proveniente da una lampada da studio, orientata in un punto di una scrivania troppo piena di fogli disordinati.
Su un tavolino basso, poco più in là, alcuni grossi libri, tutti dello stesso spessore e copertina, erano disposti a ventaglio, in ordine di data, la quale faceva bella mostra di sé sulla copertina frontale.
Uno, in particolare, l’ultimo dei cinque libri, era aperto su una pagina centrale: circa una ventina di foto, riconducibili a ragazzi del quinto anno di liceo, erano attaccate alla pagina, sotto la scritta ‘studenti migliori dell’anno’. Era una specie di classifica … migliori sportivi, migliori artisti, migliori scrittori, attori, ballerini, ricercatori ... in quella pagina, in particolare, erano classificati secondo chi otteneva i voti più alti nelle materie di studio. Spesso, le foto si ripetevano … in quasi tutte le materie, però, la foto in prima posizione era la stessa: una ragazza dal volto serio e brufoloso di un’accanita studente, gli occhi appuntiti schermati da un paio di grossi occhiali fuori moda. I capelli color miele erano legati in una coda bassa, che spuntava sulla spalla destra, coperta da un maglioncino smanicato sopra una camicia azzurrina.
Le uniche due materie in cui la foto della bionda non spiccava in prima posizione erano educazione fisica e italiano, nella sezione di ‘produzione scritta’. Nella prima lo studente migliore era un ragazzotto moro, abbronzato e muscoloso, con la tipica espressione da surfista californiano. Nella seconda, invece, la studente che aveva la media migliore era una ragazza piuttosto minuta, il volto a goccia rovesciata, su cui spiccava un ampio sorriso, gli occhi erano come due specchi verdi in cui si rifletteva la spensieratezza e la spontaneità di una ragazza di quinta liceo, con il carattere forse un po’ rimasto fermo alla spericolatezza delle scuole medie.
Il caschetto di capelli rossi circondava dolcemente il viso, lasciando intravedere il collo lungo e candido, che spuntava dal colletto di una camicia a quadretti verdi e blu, che davano ancora più risalto alla capigliatura tizianesca.
 
-Solo in una cosa sei riuscita a superarmi … - sibilò malefica la figura. –Ma sarà la prima e ultima, te lo prometto.
Chiuse di scatto l’annuario.
-Vedrai, quando a nessuno interesserà più di una poveraccia dalla vita rovinata, vantarti dei tuoi bei temi non ti aiuterà più a salvarti la pelle- concluse con un ghigno malefico, spegnendo la luce da tavolo e uscendo dalla stanza.
Sulla bacheca, la foto della stessa ragazza era contrassegnata da una puntina rossa.
 
 
Yooooooooo genteeeeeeeeee :DDDDDDDD
Qui parla Happy_Moon, che ha aggiornato per miracolo, scusate l’ora D: chiedo venia se non è granché cosa, si è rivelato un pomeriggio impegnativo. Ma non stiamo a parlare dei miei drammi personali, piuttosto, adesso sapete un po’ di più sul nostro criminale pazzoide!! Anzi, sulla nostra criminale pazzoide. Guardate che i secchioni sono vendicativi, eh. Quindi trattate bene i secchioni (parla la semi-secchia di 2^C). :P
Orbene! Un bacio, un abbraccio e un biscottino (anzi, un biscottone ipercalorico di Kenny) a tutti quelli che leggeranno e recensiranno. Adesso vado a mettermi il pigiamino. :3 Bacini baciosi! :****              Lisa^^

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Capitolo 9
*** Relax moment ***


 
 
Tic, tac. Tic, tac, fa l’orologio appeso al muro.
I camerieri girano per i tavoli vuoti, portando i piatti da lavare, o le tazzine del caffè ordinate da quelle poche persone rimaste.
Il tempo passa … e Vic non ha altro da fare che fischiettare il motivetto dell’ultima canzone del concerto della sera prima.
Mike lo aveva guardato con gli occhi quadrati, quando la mattina si era alzato pimpante dal letto ed era corso fuori senza fare troppi cerimoniali; di solito era abitudine di gruppo rimanere a letto almeno fino alle 11:00 dopo i concerti, che finivano sempre la sera tardi … beh, oddio, non che fossero i concerti in sé a finire tardi, non quanto i festini che imbastivano su dopo. Eh, avete capito tutto voi.
E maledetta quella volta che Tony aveva portato la vodka pesca e limone. Ne avevano bevuta a bicchieroni, mentre quello li guardava sghignazzando, prima di decidersi a dire loro che non stavano affatto bevendo tè freddo. L’alcol era celato bene … oppure erano loro che erano già rimbambiti da prima. Sì, decisamente la seconda.
Sbuffò.
Le lancette intanto continuavano con il loro fastidiosissimo ed inesorabile tic-tac.
 …. Che fasssstidio!!!! …
 
All’improvviso una specie di uragano di centosessantacinque centimetri entrò di corsa nel locale, sbatacchiando le porte  e facendo tintinnare tutti i gingilli appesi al bancone.
 
-Ehi, finalmente!- salutò Vic sorridendo. L’uragano, ora più simile ad una persona, si voltò dalla sua parte, studiandolo per qualche secondo, prima di decidersi che forse era meglio sedersi e mettere fine alla sua entrata trionfale.
 
-Uffa- sbuffò Kenny, accomodandosi al tavolo del vocalist. –Odio i bus londinesi. Troppa gente che deve scendere e salire … e così arrivano sempre in ritardo.
 
-Beh, devi essere tu a beccare quelli sbagliati, io li trovo di gran lunga migliori a quelli del resto del mondo.
 
Lei lo guardò di sottecchi. –Ma sentilo.
 
-Che c’è? Ho detto qualcosa di sbagliato?- chiese Vic, alzando le sopracciglia.
 
-Aaarrghh! No, no, non è colpa tua. È solo che … è incredibilmente stressante- si lamentò Kenny, arruffandosi i lunghi capelli rossi, per poi cercare di dar loro una posa decente.
 
-Cosa, di  preciso?
 
Sbuffò per la seconda volta. –Niente. Ordiniamo? Ho bisogno di un espresso.
#
 
La cameriera arrivò con i caffè qualche minuto dopo.
 
-Nespresso. What else?
 
-Come scusa?- lo apostrofò Kenny, con la tazzina a mezz’aria.
 
-Ho detto … - Vic si sistemò sulla sedia, e sfoderò la sua migliore espressione da George Clooney. –Nespresso, what else?
 
-Voi messicani avete qualcosa di strano … - bofonchiò lei, sorseggiando il caffè.
 
-Gahahahh! Mi dispiace, ma devo spegnere le tue speranze di aver detto una cosa giusta per una volta nella tua vita. I messicani sono assolutamente normali.
 
-Tanto si sa che qui quella che dice le cose intelligenti sono io …
 
Vic si stravaccò sulla sedia, alzando le sopracciglia. –Ti piacerebbe, eh?
 
Kenny lo scrutò da sopra la ceramica bianca della tazzina.
E finalmente, dall’inizio della giornata, si lasciò andare ad una risata.
 
-Eh? Visto, zio Vic fa sempre tornare il sorriso- gongolò soddisfatto lui.
 
-Non dirmi che era il tuo obbiettivo fin dall’inizio? Hai tessuto trame malefiche per giungere a questo?
 
-Ma sentila! Si da le arie da detective.
 
-Scherzi? Io sono la miglior detective che puoi trovare nel giro di dieci miglia.
 
-Ah, perché, le forze di polizia si ritrovano tutte a dieci miglia da Londra a cena?
 
-Ha. Ha. Ha. Bella battuta, davvero- borbottò Kenny, alzando la tazzina verso di lui.
 
-Comunque- Vic si raddrizzò sulla seduta, per guardarla bene in faccia. –Che avevi prima? Qualche problema?
 
Kenny sospirò, passandosi una mano in fronte. –Diciamo che … è stata una mattinata stressante. Quei due matti mi hanno sballottata avanti e indietro per Londra, manco avessimo avuto una bomba a orologeria che sarebbe scoppiata se non avessimo fatto il giro della città in tre minuti e mezzo- 'e il bello è che non sono affatto loro il problema più grosso' pensò fra sè e sè, ma non lo disse.
 
-Ah. Wow! Da quand’è che fai paragoni così … contorti?
 
-Io SONO contorta. Sono un gomitolo malriuscito. Sono come i fili delle cuffiette dopo un giorno che le tieni in tasca.
 
-Ah. Capisco. E chi sarebbero ‘quei due’?
 
-Oh, non ti ho detto niente?
 
Vic scosse la testa, guardandola fisso.
 
- Beh, semplicemente Robert e una ragazzina che conosco.
 
-Robert. Chi è Robert?
 
-Robert! Robert Pattinson!
 
Vic continuava a guardarla fisso. Segno che non aveva capito.
 
-Oddio, Vic, Robert Pattinson, l’hai visto anche tu, era nello studio. Dai, quello di cui abbiamo parlato l’altro giorno!
 
No. Vic non si ricordava.
 
Kenny sospirò, ruotando gli occhi al cielo.
-Quello che probabilmente in Twilight ha il rossetto.
 
Il vocalist si illuminò:
-Aaaahhh! Sìììì! Ma certo, ho capito. E da quand’è che lo frequenti?
 
-Mah, ci eravamo visti in giro ieri, e questa mattina si sono ripresentati sotto casa mia. Per poco non mi finivano la Nutella.
 
-Uhm, interessante … devo considerarlo probabile cognato?
 
Un sonoro schiaffone risuonò nella sala del bar-ristorante.
 
-AHIA, CAZZO! Mi hai fatto male- piagnucolava Vic, un secondo dopo, con una mano sopra la manata rossa che aveva sulla guancia. Ma che bel gioco di parole.
 
-Io non frequento nessuno, comunque. Casomai, ho qualche conoscenza non troppo gradita nella città di Londra.
 
-Ah. Non è simpatico?
 
-Bah, dipende dai punti di vista. Diciamo che … che niente, se un giorno ti capitasse di incontrarlo verificherai da solo.
 
-A-haaa … non è un bel segno, questo, sai?- la prese in giro.
 
-Vic, uno schiaffone stampato sulla faccia è molto chic, ma vuoi mettere averne due?- fece civettuola Kenny.
 
-No no, grazie, ho sentito dire che la simmetria non è più di moda- ribatté lui, sorridendo in modo piuttosto ebete.
 
-Ah, peccato, davvero. Secondo me ti stava bene.
 
All’improvviso una sirena della polizia trillò nella sala.
Tutti i pochi presenti nel bar trasalirono, voltandosi in più direzioni e chiedendosi cosa stesse succedendo.
 
… tutti tranne il suddetto vocalist messicano, che passò dal rosso fragola al viola melanzana in qualche secondo, prima di girarsi e recuperare il cellulare nella tasca della giacca, voltandosi poi verso la sala per rassicurare clienti e camerieri terrorizzati.
 
-Eh … scusate gente, è  … è il mio cellulare, si tratta di mio fratello, non è successo niente …
 
Tutti tirarono un sospiro di sollievo, e si rigirarono, tornando agli affari propri.
Dopo essere tornato ad un colore normale, Vic si girò verso Kenny … che rideva come una matta.
 
-E-hem …
 
-Dai! Non ci posso credere! Tu hai una sirena della polizia come suoneria del cellulare?! …
 
-Sì.
 
-Cioè … seriamente?! …
 
-Sì. Sì, seriamente. Adesso scusa, ma se non rispondo quelli mi fanno il culo quadrato. Pronto?
 
Rimase qualche minuto al cellulare, mentre Kenny continuava a ridere.
 
-Sì. Arrivo. Ok- buttò giù, per poi tornare a lei.
 
-Ma fa così tanto ridere? ! …
 
-Scusa, lo so, è che nulla mi diverte più delle figuracce e dei fallimenti della gente.
 
Vic era perplesso. Ma si limitò a sorridere, e spettinarle i capelli affettuosamente.
-Senti, adesso devo andare. Scusa, ma mi chiamano … ci sentiamo, eh? Tanto sono qui per tutta la settimana, se ti va …
 
Vic fece il segno del telefono, come dire 'chiamami', per poi alzarsi e infilarsi la giacca.
 
-Certo, contaci. Ti romperò ancora le scatole, prima che tu te ne vada, stanne certo!
 
Entrambi si avviarono all’uscita, dopo aver pagato quei due miseri caffè che sapevano di filtro usato.
 
 
 
Yooooo genteeeeeee!!!!!! Come state? Io seduta :D
Bien, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto … chiedo subito venia se da qualche parte mancano le H, ma il Suddetto Tasto, sulla mia tastiera, è un po’ andato, e può essere che me ne sia scappata qualcuna … D:
E beh, niente. Ringrazio tutte le anime che passeranno, recensendo o meno, dalla mia storiella carina cicciosa pucciosa eee ci sentiamo presto :****
Baciotti <3           Happy_Moon, che vorrebbe cambiare il proprio nick in ‘bleeding little blue boy’ ma non sa se tutte le lettere ci stanno :* [non gliene fregava a nessuno] 
 Lisa^^

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Capitolo 10
*** Violin ***


Bill fissava la parete vuota di fronte a sé. Era in una specie di meditazione silenziosa da tutto il giorno, Tom lo sapeva che stava covando qualcosa.
Provò a passargli davanti un paio di volte, fingendo di dover andare a prendere qualcosa nel frigo, ma l’espressione del moro non era cambiata di un millimetro.
Ad un certo punto, stufo di stare a guardare quella statua di cera che era diventato suo fratello, prese il cellulare, e iniziò a spiluccare Facebook svogliatamente.
 
-Che ne pensi?
 
La voce cristallina di Bill lo riscosse. Fissò il moro per qualche istante, certo che fosse stato lui a parlare.
Bill lo fissava a sua volta, con i grandi occhi da panda spalancati.
 
-Cosa ne penso di cosa?- chiese Tom cautamente.
 
-Di questo- rispose pazientemente Bill.
 
-Di questo COSA?
 
-Tom, abbassa gli occhi di quarantacinque gradi.
 
Il rasta fissò il fratello interrogativo. Cosa voleva dire ‘abbassa gli occhi di quarantacinque gradi’? Che ne sapeva lui della temperatura dei suoi occhi?!


-Tom, non fare ragionamenti stupidi da cui si potrebbero trarre battute pessime. Ti ho chiesto di abbassare lo sguardo sul tavolo, non è difficile.
 
-AH- adesso era chiaro. Doveva solo guardare in basso. Ma suo fratello, mai esprimersi in lingua umana, eh, mai.
 
In effetti sul tavolo c’era un foglio tutto scarabocchiato di parole, scritte con almeno tre penne diverse in tre momenti diversi; piene di tagli e scarabocchi per coprire gli errori. I suoi appunti della terza media erano meglio.
 
-Cos’è?- chiese, incuriosito.
 
Bill roteò gli occhi verso l’alto, alzandosi. Diede uno sguardo veloce al piccolo specchio appeso alla parete, e si ravviò i capelli corvini. Dunque, decise di tornare a degnare suo fratello della sua attenzione.
 
-Leggi Tom. Leggi e l’illuminazione scenderà dal cielo- gli disse, saggiamente. Quindi si diresse con la sua andatura ondeggiante verso l’appendiabiti alla porta d’ingresso, infilò il un cappotto a caso e spalancò la porta. –Vado a farmi gli occhi. Fai il bravo, torno subito.
 
Tom nel frattempo era rimasto con la carta in mano, a fissare Bill con la bocca aperta degna di una trota bollita.
 
-Ma … ehi! Chi ti ha dato il permesso di prendere le MIE scarpe, lurido essere spregevole!- si lamentò, avendo notato solo in quel momento che le sneakers bianche e nere che solitamente stavano alla base dell’attaccapanni erano scomparse.
 
-Brutto … - stava per mormorare qualche cosa di poco educato, quando lo sguardo gli cadde sul tappeto del salotto, a pochi metri dal tavolo della cucina. –Ah. Sì, giusto. Scusa!
 
Le povere sneakers giacevano in mezzo al salotto, abbandonate a sé stesse, libere di emanare la loro fragranza in tutta la casa. Normale, del resto, visto che quel giorno Bill non le aveva messe a posto dopo che il chitarrista le aveva mollate in giro per casa; appena tornato dal commissariato di polizia.
In breve, quello che gli sbirri erano riusciti a capire dalla sera prima quando avevano denunciato la sparizione dell’audi nera, era che il ladro era molto abile ed era riuscito a eludere il sistema di sicurezza con grande maestria, quindi molto probabilmente aveva una copia del telecomando dell’allarme e del portellone del garage, oppure era in grado di entrare nel loro sistema; il che ci porta a pensare che possa essere un abile hacker.
Tutto ciò, sotto l’oscura e pressante presenza di Bill, che stressava i poliziotti peggio di un dittatore; quindi bisogna dire che hanno fatto proprio un bel lavoro. Tutti fanno un bel lavoro se c’è Bill a stressare la vita, impegnarsi al massimo viene spontaneo a tutte le persone che hanno un cervello abbastanza progredito da capire che se non ci si dà sotto si potrebbe venire paralizzati da una mossa ninja in meno di tre nanosecondi, l’esatto tempo che serve a Bill per tirare un coppino bello forte.
E Tom lo sapeva; se non stava attento mentre suonava e magari sbagliava qualche accordo gliene arrivavano, da quell’arpia di suo fratello. L’aveva soprannominato Coppinator, altro che ich bin humanoid.
Eppure lo sentiva, che c’era qualcosa di strano, nell’aria. E lo sentiva anche Bill. Tutto lo diceva, c’era qualcosa sotto … sotto cosa, poi?
Scosse la testa.
Troppi presentimenti. Si lasciava suggestionare.
 
Prese in mano la scartoffia che gli aveva dato Bill …
 
‘Ommadonna’ fu il suo unico pensiero, non appena si rese conto che leggere quei geroglifici sarebbe stato impossibile. Letteralmente impossibile.
 
#
-piccola nota: se state ascoltando musica, vi consiglio di leggere da qui in poi ascoltando la canzone segnata dall’asterisco(Radioactive, Imagine Dragons), menzionerò anche il video, quindi se vi va di guardarlo °-°  ancora meglio se si tratta della versione dei Pentatonix ft. Lindsey Stirling. Scuso il disturbo e grazie dell’attenzione :* -
 
Aveva salutato Vic da circa cinque minuti, adesso stava camminando per le stradine di Londra, si era persa nei viottoli fra un isolato e l’altro, nei vicoli maleodoranti imbucati fra i grandi edifici di mattoni.
In teoria sarebbe dovuta tornare a casa, ossia all’appartamento, ma aveva deciso di fare il giro largo … e giro largo, significava che avrebbe vagabondato per la città come una barbona prima di decidere di cercare di capire quanto distante fosse da casa.
Dunque, Kenny stava camminando. Fischiettava un motivetto degli Imagine Dragons*, Radioactive.
L’atmosfera era molto simile a quella del video, i quartieri malfamati pieni di tipi loschi. Ci mancavano solo i peluche robotizzati che facevano la lotta. Pensò al suo vecchio Flop, il cane di peluche che abbaiava se schiacciavi un bottoncino sulla pancia: glielo aveva regalato una zia per Natale, quando aveva circa cinque anni, nel lontano 1995 … era terribilmente inquietante. O almeno, all’inizio era anche carino, ma dopo un anno passato a giocarci (lanciarlo, tirarlo di qua e di là … ) quello che era rimasto di lui era uno scheletro di plastica parzialmente coperto da una pelliccetta sintetica, che emetteva un suono abbastanza raccapricciante. Un anno ci aveva giocato, poi era rimasto lì, abbandonato sullo scaffale perché troppo inquietante. Chissà se sua madre ce l’aveva ancora. No, probabilmente l’aveva buttato via credendolo un apparecchio assatanato.
 
Dopo un po’, verso il calare della sera, era arrivata alla periferia della città, in uno di quei quartieri costruiti per essere tutti grigi e tutti uguali, ma diventati con il tempo un museo per generazioni di writers, con polipi viola che estendevano i loro tentacoli fra le finestre, bambine more e imbronciate che facevano la linguaccia, lunghe frecce multicolore arrampicate fra i muretti e scritte, scritte di ogni genere che decoravano lo smorto grigiore dei sobborghi dimenticati dalla gente con abbastanza soldi per comprarsi una casa decente.
In una di quelle case vivevano Amanda e sua madre. O almeno, Amanda ci viveva, sua madre ci bivaccava, quando non era in giro, tra una sigaretta e una bottiglia.
 
‘Non è neppure tanto tardi’ pensò ‘una scappatina non credo faccia male’.
 
Girò fra gli edifici identici, percorrendo i vialetti a scacchiera, finché non trovò una casa, uguale identica a tutte le altre, ma con una grossa balena dipinta sulla facciata anteriore, e suonò il campanello di quella direttamente alla sua destra.
La balena era un ottimo punto di riferimento, in effetti. Casa con la balena, a destra, casa di Amanda. Facile.
Aprì proprio la ragazzina, pochi secondi dopo.
 
-Ciao Am- salutò Kenny entrando.
 
-Come mai qui?- chiese incuriosita Amanda, chiudendo dietro di loro la porta.
 
-Passavo, e pensandoci era un po’ che non mi facevo vedere da queste parti …
 
-Hai fatto bene. Sono qua da sola da due giorni.
 
-Tua mamma si è persa? … - domandò Kenny sarcastica. Non c’era molto da scherzare sul fatto che una minorenne rimanga sola in un quartiere di periferia dimenticato dal mondo, direte voi; ma quella minorenne e quel quartiere erano un altro discorso.
Kenny non conosceva persona più autonoma e responsabile di Amanda. Sette anni passati con un padre violento e depresso, altri dieci sola con una madre altrettanto depressa e inesistente, il tutto in un luogo dimenticato da polizia, assistenti sociali e quant’altro. Se quella ragazzina aveva una famiglia, non era sicuramente in quella casa.
Infatti era tutto fuori: le sue mamme, le sue zie, i suoi papà e i suoi fratellini e fratelloni erano tutti gli abitanti del quartiere; tutti residenti in quel buco da anni, tutti legati dai tentacoli del polipo, erano tutta una famiglia.  Non c’è cosa più bella di avere dieci ‘mamme’ da cui andare, quando la tua non ti consola perché ti ha mollato il ragazzo; di avere venti ‘nonne’ che possono insegnarti a cucinare quando la tua non l’hai mai vista; di avere numerosi ‘papà’ disponibili a darti uno strappo a scuola, quando il tuo non pronuncia il tuo nome da anni.
 
-E’ probabile. Potrebbe essere rimasta incagliata con la macchina. Magari ha chiamato il carro attrezzi e si è fatta il meccanico. È possibile.
 
Salirono una rampa di scale, fino al piano superiore dove stava la zona giorno.
 
-Che cucini di buono?- un odorino invitante invase Kenny mentre entrava in cucina.
 
Amanda si avvicinò al piano cottura, dove una pentola gorgogliava, e sollevò il coperchio. –Omelette!
 
La rossa si avvicinò incuriosita. –Sul serio? Ma cosa ci hai messo dentro?
 
La ragazzina riappoggiò il coperchio, nascondendo l’omelette. –Segreto di nonna Gilde!- rispose, facendole l’occhiolino.
 
Gilde era la miglior cuoca dell’isolato. Una volta Kenny aveva avuto l’onore di assaggiare uno dei suoi mirabolanti piatti … era una maga di spezie, condimenti, sughetti e brodi. Quando andavi da lei, potevi chiudere gli occhi e mangiare una forchettata di pollo saporitissimo, per poi scoprire che era un pezzo di tofu abilmente condito. Eccezionale.
 
-Ah, ecco. Mi pareva strano che un’omelette potesse profumare così tanto.
 
-Ti fermi?- chiese Amanda, fissando i suoi occhioni ghiaccio in quelli smeraldo di Kenny. –Ne ho fatta per due, ma mia mamma, a naso, non arriva.
 
-Beh, se proprio non hai nessuno a cui smerciarla! … - rispose lei, ridendo.
 
-Così vediamo se indovini tutti gli ingredienti.
 
-Certo! Allora, uova …
 
-Seh, seh- fece la mora, allontanandosi dai fornelli. –complimenti, davvero un grande intuito.
 
-Modestamente, lo so, grazie!- esclamò Kenny, sghignazzando e dirigendosi verso il salottino.
 
Appoggiata vicino alla base della stufa c’era una borsa nera, dall’aspetto vecchio e polveroso.
 
-Oh … ce l’hai ancora- mormorò Kenny, abbassandosi e accarezzando il tessuto ruvido.
Sollevò una parte della borsa, scoprendo un’altra custodia, questa in cuoio nero e lucido, tenuto perfettamente, protetto dal panno.
 
-Cosa? … ah, sì- fece Amanda, avvicinandosi. –Non l’ho mai messo via. Mi moriva il cuore a chiuderlo in un armadio … e poi non ho mai smesso di suonarlo. Neanche un giorno.
 
-Sul serio? … - mormorò, fra il commosso e l’ammirato Kenny, tirando fuori la preziosa custodia di cuoio e aprendo i gancetti dorati. La parte superiore scivolò liscia sui piccoli cardini lucidi, scoprendo un violino magnificamente tenuto.
L’abete rosso, lucidato meglio di un mobile, riluceva alla debole luce proveniente dalla cucina. Sembrava un cucciolo appena svegliato, che aspettava solo il suo padrone per giocare con lui.
Lo tirò fuori dalla custodia, accarezzando il legno. Esaminò le corde, l’archetto, e pizzicò le corde per saggiarne il suono.
Era praticamente irresistibile: con il consenso silenzioso di Amanda, Kenny appoggiò lo strumento fra il collo e la spalla, prese l’archetto e lo fece scorrere sulle corde, piano.
Seguì quel motivetto che aveva in testa, Radioactive, costruito con dedizione, una nota alla volta, proprio sulle corde di quel violino, una sera d’estate.
Amanda riconobbe subito le prime note, e iniziò a cantare .. il piccolo duetto continuò così, scivolando sulle onde della musica, la voce che cadeva da una nota all’altra, in un canto malinconico, le parole degli esclusi, di coloro che dopo attacchi e battaglie si risvegliano nella cenere, aprono gli occhi e si tolgono la ruggine, si alzano e lentamente riprendono forma, riiniziano a funzionare, camminando dietro alle bandiere di una rivoluzione, sicuri anche nell’apocalisse. Uomini radioattivi, respirano sostanze chimiche e si riaccendono come vecchi orologi … perché il sole non è morto, non ancora.
 
I’m waking up, I feel it in my bones       
Enough to make my systems blow                 
Welcome to the new age, to the new age
Welcome to the new age, to the new age
I’m radioactive, radioactive 
I’m radioactive, radioactive 
 
La musica viaggia, sulle onde invisibili del suono, si propaga nella stanza, in tutta la casa, esce dalla finestra aperta, un violino e una voce che cantano di un disastro piano si estendono su Londra, penetrando nella foschia della sera, scivolando sul Tamigi, invadendo le case, entrando nella mente delle persone, riempiendo tutto, dalla fogna più buia alla camera della Regina.
 
E poi la musica finisce. Kenny posa l’archetto, la magia si spezza, l’incanto smette.
Nessuno parla. Le due ragazze si guardano negli occhi, senza vedersi, una viaggia nelle memorie e le parole di una vita difficile.
L’altra non ha bisogno di parole. Come non c’era bisogno di parole poco prima. Come non erano servite parole quella sera lontana, incrociando quegli occhi incantati.
 
 
Weiii!! Ciao guys :D
Scusate l'ora tarda ... Premetto che il capitolo non è stato riletto, segnalatemi eventuali errori. °-° Ho incentrato la seconda parte del capitolo su una canzone, Radioactive degli Imagine Dragons (quanto stimo questa band @.@), la canzone è molto bella, soprattutto la versione a violino dei Pentatonix con Lindsey Stirling *ti adoro Lindsey* … so che la canzone è uscita nel 2012, e qui siamo un anno indietro, ma ho voluto prendermi questa piccola licenza d’autore. :3
Bien, spero che il capitolo vi sia piaciuto!! Ora perdonatemi ma fuggo.
Bye byeeeeeee baciiii :**********        Lisa^^
 

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Capitolo 11
*** There are just some little troubles. ***


Ah, adesso Dio solo sa quanto dormo non appena butto la testa sul cuscino!
 
I Pierce The Veil erano appena tornati dal concerto che si era tenuto quella sera in un qualche stadio londinese di cui erano troppo sfiniti per ricordare il nome. Era stata una serata … dipende dai punti di vista: fumosa, dato che le macchine del fumo si erano inceppate e avevano fatto troppa nebbia (anche se ai fan non era sembrato un grosso problema, anzi urlavano ancora di più); strana, quando un ragazzo si era avvicinato a Vic nel dopo-concerto, si era messo a suonare il banjo e alla fine glielo aveva regalato con tanto di autografo (“Adesso IO do a te il mio autografo” gli aveva detto); ma ugualmente mitica come ogni live … la musica, le grida dei fan, le emozioni che altalenavano legate alle note schitarrate e ribattute con potenza dal quartetto; avevano reso come al solito quella notte londinese annebbiata dalla foschia anche in estate una serata indimenticabile per ogni singola anima presente nello stadio.
Ma come al solito, adesso erano troppo stanchi per reggersi in piedi ancora quindici secondi.
 
-Accendi la luce, magari?- esordì Jaime nei confronti di Tony, che armeggiava con l’interruttore da almeno un minuto.
 
-Appunto, magari- commentò quest’ultimo, dato che quel maledetto pezzo di plastica non sembrava voler collaborare.
 
-AAARGH! Dà qua- venne fuori Fuentes 2*, scansando il chitarrista e azionando l’interruttore.
Scusate, volevo dire ‘con l’intento di azionare l’interruttore ma senza riuscirci’.
 
In effetti, dopo numerosi tentativi della band di accendere qualsiasi apparecchio elettrico della stanza d’hotel dove erano alloggiati, erano ancora al buio.
 
-A naso è saltata la corrente.
 
-Già.
 
-Merda.
 
-E adesso?- si lamentò Tony, che non ci vedeva più dalla stanchezza. O dalla fame. Dipende.
 
-Vedi se qualche domestico è ancora in giro- prese il controllo Fuentes 1, ordinando al fratello minore; che obbedì senza troppe pretese. In fondo si trattava di andare a dormire, non aveva voglia di evocare i suoi diritti di fratello minore.
 
-A mezzanotte passata? … non credo- rimuginò fra sé e sé il chitarrista.
 
-Beh, voglio dire, quando ci sono i Pierce The Veil la gente fa eccezioni alla routine. È il minimo.
 
-Tranne se si tratta di maggiordomi che non conoscono altra composizione musicale che non appartenga a qualche maestro dell’ottocento.
 
-Smettila di fare il gufo, Jaime.
 
-E se non arriva nessuno? Io sono realista! Come farebbe questo gruppo se non ci fossi io a pensare alla praticità?- brontolò il bassista.
 
-Meglio se taci, sono troppo stanco per pensare a rispondere alle tue insinuazioni- lo zittì General Fuentes 1.
 
Qualche minuto dopo tornò Mike, con una cameriera che aveva l’aspetto di essere stata interrotta nel mezzo di un bel sogno.
Armeggiò un po’ con il quadro elettrico, giocherellò un po’ con gli interruttori, e alla fine decretò che per la povera elettricità, nella stanza 206, non c’era più niente da fare. Avrebbero dovuto aspettare un elettricista il giorno dopo.
 
-Ma io non voglio dormire al buio … - si lagnò Vic, uscendo dal suo stato di Caporal Maggiore.
 
-Nemmeno io- confermò Jaime.
 
-Idem- fece Mike scuotendo la testa.
 
-Immagino di essere l’unico a dover ancora confermare … - mormorò Tony, fissando la cameriera, che ricambiava con uno sguardo piuttosto assente.
-Già. Nemmeno io vado a letto senza elettricità- decretò quindi alla fine, continuando a guardare la cameriera senza vederla.
 
-Bene, quindi dove andiamo?- domandò pratico Jaime.
 
-In un’altra stanza!- annunciò Tony continuando a mantenere lo sguardo sulla donnetta, in cerca di un qualsiasi segno di vita.
 
Quest’ultima fece spallucce, aprendo con una delle tante chiavi che teneva appese alla cintura infilata di fretta la porta della stanza accanto.
Non appena entrarono, la prima cosa che i quattro fecero fu lanciarsi verso un interruttore. Zero.
Provarono con altre tre stanze, ma l’elettricità sembrava fuggire lontano da loro.
 
Alla fine si ritrovarono, dato il categorico rifiuto di dormire senza luce, in mezzo alla strada a notte fonda, più morti che vivi dopo un concerto e due ore a girare come deficienti in cerca di un posto dove dormire.
 
-Ho un’idea!- venne fuori alla fine Caporal Fuentes 1, prendendo in mano il cellulare.
Frugò nella rubrica in cerca del numero che gli serviva, poi portò il telefonino all’orecchio.
 
Dopo un paio di squilli, una voce assonnata ma non troppo rispose:
-Brondo? …
 
-Campbell! Ma che brava ragazza! Sempre disponibile … ti ho svegliato per caso?
 
-No … credimi, stavo qua a deprimermi con telefilm e gelato.
 
-Ah, bello! Cosa stai guardando?
 
-Non lo so. Ci sono dei tizi sanguinanti … ma tutto sommato è carino …
 
-Non stai guardando Walking Dead, vero? …
 
-Uhm … boh. Tu che fai?
 
-Sono in mezzo alla strada con i miei colleghi, dato che nel nostro hotel sembra essere partita l’elettricità e siamo tutti terrorizzati all’idea di dormire senza luce.
 
-…ma non è la stessa cosa? …
 
-NO.
 
-Ah. Ma … quindi mi stai dicendo che vorreste venire da me? … non so se ho spazio per altre quattro persone.
 
-Ma tu hai una cosa … il divano letto, tesoro.
 
-…e tu come lo sai?...
 
Il bassista-vocalist proruppe in una risata sadica. –Io so tutto, piccola.
 
#
 
(Fuentes 1*: il gruppo dei Pierce The Veil è composto da quattro loschi figuri, un bassista di nome Jaime Preciado, un chitarrista di nome Tony Perry, e due fratelli, Mike Fuentes (batterista) e Vic, bassista-chitarrista-vocalist (insomma fa tutto lui), di cui Vic è il maggiore. Giuro che è l’ultima volta che parliamo così a lungo di un fandom esterno, giuro sul mio cd di Scream … è che mi serviva °-°)
 
La mattina dopo erano tutti attorno al tavolo. Alla fine non avevano dormito un cavolo, a parte Jaime che non aveva resistito al divano così tremendamente invitante.
Erano rimasti tutto il tempo a parlottare di questo e di quello, e la notte era passata piuttosto velocemente.
 
-Beh … non posso offrirvi granché di colazione- rimuginò Kenny perlustrando la dispensa. –L’altro giorno sono passati quei due avvoltoi che mi hanno fatto fuori tutto.
 
-Chi? … - venne fuori il bell’addormentato, riemerso finalmente dalle braccia di Morfeo.
 
-Ah, tranquilla, ce ne andiamo- prese posizione il Caporale, prendendo su Jaime & compagni. –Direi che abbiamo disturbato abbastanza.
 
-Boh … come vi pare- bofonchiò Kenny per tutta risposta.
 
-Bene … grazie dell’ospitalità!- cinguettò il vocalist, spingendo i compagni e l’assonnato bassista fuori dalla porta. –Magari più tardi ci sentiamo- terminò, prima di togliere il disturbo.
 
Kenny rimase davanti alla finestra, scostando la tendina, a guardare quei quattro elementi che si allontanavano, probabilmente diretti in qualche posto dove potessero servire loro un caffè triplo.
Non le dava fastidio ricevere visite in piena notte. O perlomeno, per quella volta non le aveva dato fastidio. Sarà stato per i numerosi pensieri che le frullavano nella testa o per la probabile indigestione da gelato che aveva conseguito nei giorni precedenti, tutta sola lei, il divano e Titanic sulla tv.
Di cui non aveva seguito il minimo istante probabilmente, dalla seconda in cui era ripartito in poi. Era troppo occupata a essere depressa. Ormai non vedeva neanche più il viso angelico di Leonardo Di Caprio con Kate Winslet che si sporgeva da qualcosa come 300 metri sopra il mare, rischiando una bella spanciata solo per dire ‘sto volando Jack’; anzi vedeva al posto di lei una ragazza bassetta e rossa di capelli riconducibile a sé stessa e al posto di lui il suo bell’antiprincipe dark.
 
Argh! Solo pensare a Bill le faceva venire il singhiozzo. Si ricordava di sua mamma, che le diceva che acqua e limone facevano passare il singhiozzo. E giù a spremere limoni.
Alla fine, il salotto della temporanea casa Campbell era un tripudio di scatole di gelato, cucchiai sparsi in giro, bicchieri vuoti e bucce di limone.
Quasi quasi le era venuta la tentazione di chiamarlo al telefono, ma era riuscita a trattenersi, per evitare di cacciarlo nei guai. In fondo, anche un paio di imprecazioni suonavano meravigliose con la sua voce di miele e fuoco, anche attraverso il microfono del cellulare.
Ma era comunque meglio non fare guai, e Kenny era rimasta abbastanza lucida da attenersi a questa regola.
 
#
 
Bill camminava per le strade di LA, marcando il suolo con le sue sneakers a zeppa alta; e scandagliando l’ambiente circostante con il suo sguardo bruno. Ogni tanto gli piaceva abbassare gli occhiali da sole e lanciare un’occhiata a qualcuno, uomo donna cane o porco che fosse, giusto per vedere la reazione che hanno le persone normali ad un paio di fiamme marroni infinitamente profonde che ti si piantano addosso anche solo per un millisecondo. Alcune ragazze erano rimaste immobili, trucidate sul posto, boccheggiando … quei momenti in cui si sentiva tremendamente Tom-style. Non gli piaceva il modo in cui suo fratello atterrava le ragazze ogni tanto, quando giravano in pubblico, lo considerava poco pulito. Ma ogni tanto ci stava.
Non aveva una meta precisa, si stava dirigendo dove i suoi piedi lo portavano.
E i suoi piedi, quel giorno, lo portarono in quel bell’outlet di Diesel, dove tutto costava tanto e lui si fermava spesso.
Non appena fu entrato, abbassò gli occhiali e studiò per qualche secondo la sala, dove uomini e donne, a fianco di commessi vari, trotterellavano indisturbati fra le corsie, provando questo, saggiando il tessuto dell’altro, camminando di qua e di là per vedere se il numero di scarpe faceva al caso loro.
Quindi, rialzò i Raiban neri, fece un bel sorriso compiaciuto e si diresse ancheggiando sulle sue belle zeppe da dieci centimetri verso un espositore di jeans.
 
Stava allegramente analizzando le varie paia di pantaloni che si trovava di fronte, ne aveva pure provati un paio (consapevole del fatto che almeno un paio di ragazze/ragazzi stavano sbavando da alcuni minuti nell’osservare la grazia ed eleganza con cui quell’essere celestiale macchiato di inchiostro si muoveva a destra e sinistra esaminandosi innocentemente nello specchio del camerino), ed era piuttosto soddisfatto.
Adesso si stava dirigendo verso il reparto camicie, dove aveva già adocchiato qualcosa di interessante.
Il predatore stava dirigendosi inesorabilmente e con passo felpato verso la preda, immobile, imprigionata sul paletto dell’espositore dall’appendino, che non aspettava altro che finire nelle grinfie nero laccato del vocalist; quando un fracasso di vetri rotti e urla interruppero il documentario di scienza naturale sulla legge naturale del Bill E Camicia (Predatore E Preda era superato, ormai).
Alcuni individui nerovestiti, dal volto coperto e armati fino ai denti irruppero nell’outlet, degnamente accolti da urla e strilli vari: ordinarono a tutti di buttarsi a terra, senza troppi riguardi e con un leggero accento anglosassone, così parve a Bill mentre si appiattiva contro lo specchio, calmissimo.
Erano circa cinque o sei, due di loro si lanciarono addosso alla cassa, minacciando la commessa per farsi dare gli incassi, mentre gli altri tre perlustravano attentamente il negozio, controllando ogni angolo e ogni singola persona.
Bill, nel frattempo, stava facendo scivolare lentamente la tenda davanti a sé, in modo da esserne nascosto ma lasciandosi uno spiraglio per avere una minima visuale della scena. Maledetto quel giorno in cui aveva deciso che non serviva portarsi la magnum sempre appresso. Il suo pensiero andò alla pistola, in quel momento abbandonata nel primo cassetto del comodino vicino al suo letto.
Eppure, gli sembrava che i rapinatori non fossero troppo interessati agli incassi del giorno quanto alle persone distese a terra. Maledetta la sua curiosità, e lo scintillio del piercing sul suo sopracciglio; in breve uno dei tizi lo beccò.
 
-Hei tu! Vieni fuori se non vuoi che ti riduco ad uno scolapasta- lo intimò il tizio, puntando il fucile verso il camerino in cui si era nascosto Bill.
 
Quest’ultimo sbuffò rumorosamente, scostò la tenda e venne fuori dal camerino con le mani in alto. –Posso almeno allacciarmi i pantaloni? Sa, non è molto decoroso ... – disse uscendo.
 
-Taci, checca!- gli gridò di rimando il tipo, avvicinandosi.
 
-Oddio, so di non essere il tipico tedesco grosso e barbuto, ma non esageriamo- borbottò Bill al rapinatore, che per farlo stare zitto si avvicinò ancora con il fucile puntato.
 
-Avanti, muoviti- lo chiamò uno degli altri, dopo aver nascosto nella borsa i soldi.
 
-Arrivo- fece quello, quindi si girò verso Bill. Lo scrutò per qualche secondo, poi decise di impallottolargli un braccio.
 
-AH! MA SEI RINCOGLIONITO?!- urlò il vocalist, tenendosi l’avambraccio ferito, che gli stava macchiando si sangue i jeans che non aveva nemmeno ancora comprato.
 
Il rapinatore non rispose, ma si defilò con i suoi compagni, giusto in tempo prima dell’arrivo della polizia.
 
#
 
-CAZZO! Fai piano- era da mezz’ora che strillettava in quel modo e si sentiva immensamente checca, ma che cavolo, una pallottola in un braccio fa male.
 
-Stia fermo- lo pregava la povera paramedica, mentre tentava di tirare fuori il proiettile.
 
-…Bill, ma mi spieghi perché in mille milioni di negozi che ci sono a Los Angeles devi trovarti proprio in quello in cui dei maniaci decidono di fare una rapina?!- sbraitava nel frattempo suo fratello, accorso sul posto dopo che Bill lo aveva chiamato al telefono. “Senti, Tomi, non è che potresti venire? … sai, provavo dei jeans quando entrano dei tizi armati e uno mi spara in un braccio”. No, scherzavo, non gli aveva detto così. In verità Tom aveva sentito le sirene, e dato che non aveva niente da fare aveva deciso di seguirle e aveva trovato  … quello che aveva trovato, ovvero un sacco di commesse terrorizzate, una coppia di ragazzi emofobici che vomitavano in un vicolo e suo fratello che strillava come un bambino con un braccio pieno di sangue.
-E perché fra decine di persone presenti nel fottuto negozio- continuò, sottolineando le parole ‘fottuto negozio’. –devi farti impallinare proprio tu?!- in realtà sapeva benissimo che Bill non possedeva il controllo del tempo e delle menti umane e quindi non era colpa sua, ma era preoccupato, e la sua preoccupazione nei confronti della sua strana metà sfociava in questo modo.
 
-Avrei volentieri detto al tipo di sparare a qualcun altro, ma evidentemente non gli andava! …
 
-Uffffffffffffffff …. –Tom sbuffò per la quintordicesima volta, maledicendo se stesso per aver lasciato suo fratello andare in giro da solo. In quel momento si ricordò delle raccomandazioni della mamma, che gli diceva sempre di stare attento a Bill, che non si cacciasse nei guai, che i bulli non lo prendessero di mira, che gli alcolizzati in discoteca non lo scambiassero per una bella ragazza, eccetera eccetera. Ma le raccomandazioni non comprendevano ‘attento che qualcuno non gli pianti una pallottola in un braccio mentre va a fare shopping’.
 
-ARGH- fu l’ultimo, si spera, lamento di Bill quando finalmente la paramedica riuscì a estrarre il proiettile e a fasciare l’avambraccio.
 
-…tutto a posto?- gli chiese premuroso, da bravo fratello maggiore di ben dieci minuti.
 
-Più o meno- sussurrò il vocalist a denti stretti. Tom lo strinse in un abbraccio, e in quel momento, nonostante i dieci centimetri che li differenziavano in altezza, Bill tornò il ragazzino che piangeva fra le braccia di suo fratello dopo che un prepotente gli aveva tirato un calcio negli stinchi e lo aveva fatto cadere.
 
-Dai, adesso andiamo a casa e magari dopo andiamo dalla polizia, ok?- continuò con voce calma e rassicurante.
 
-Che palle. Non voglio avere di nuovo a che fare con quei bradipi in divisa, non si può fare a meno? Tanto il negozio ha già sporto denuncia.
 
Ecco che tornava il solito Bill. Lamentoso, noioso, furbo come una fottuta volpe, di un grado cerebrale che l’intelligenza da uomo tedesco medio qual’era Tom non riusciva a interpretare del tutto.
Il povero chitarrista sbuffò per la quintorquintesima volta, e si apprestò a portarsi a casa quel coso che era suo fratello, che ora gli avrebbe anche scassato le scatole per la benedetta ferita al braccio, che avrebbe usato più di una volta come scusa per non spolverare la benedetta credenza. Che era comunque perennemente impolverata.
 
 
Heiiii :D
Lo so che mi ucciderete per quello che la mia mente contorta ha fatto al povero Bill, ma sappiate che … è solo l’inizio >:D da qui in avanti aumentiamo il grado di ‘azione’. 8)
Vi avviso, in questa storia (molto probabilmente lo avevate già capito ma non importa) il nostro antipricipe dark è molto primadonna, quindi Non Si Farà Mai Aiutare Da Nessuno. Nessuno che non abbia una mente abbastanza sviluppata per servire qualcosa al nostro amabile vocalist :* dunque non fatevelo sembrare strano. ç-ç
We scream! We shout! We are the fallen angels! … :D no, fandom sbagliato. Scusate, sto fangirlando le canzoni che manda l’mp3. (sì, io scrivo ff sui Tokio Hotel ascoltando la compilation delle Best Songs dei Black Veil Brides. Sì, credeteci *-* )
E bene, spero che questo capitolo vi sia piaciuto almeno un pochino, e vediamo se nel prossimo ha voglia di uscire anche il vampirone figo (gli avevo concesso un po’ di vacanza 8P ) … momento spoiler finito :D
Baci bellissime/bellissimi/esseri umani/alieni/fallen angels/asdkgliggh !!! ci sentiamo nel prossimo capitolo. :*              Lisa^^
 

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Capitolo 12
*** Interval ***


-Ma … allora dove dovremmo passare i prossimi tre giorni?- strillò Vic isterico nel telefono. A quanto sembrava l’hotel dove stavano alloggiando aveva subito un brutto guaio alla rete di cavi dell’elettricità. In poche parole, dovevano trovarsi un altro posto dove stare.
 
-Beh … in fondo, basta trovare un altro hotel, non ci vuole tanto- rifletteva Tony, con un dito sul mento.
 
-TACI, MORTALE!
 
-Ha sempre queste crisi quando non dorme? … - domandò Kenny all’ennesima sfuriata nervosa del vocalist.
 
-Boh- risposero in coro chitarrista e bassista facendo spallucce.
 
-E tu? Sei suo fratello, in teoria lo conosci un po’ meglio- chiese allora la ragazza rivolgendosi a Mike. Che stava smanettando con il cellulare, quindi non aveva capito niente.
 
-Uh?- appunto.
 
-Lasciamo perdere. Piuttosto … - la rossa si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa da dire. Ma a quanto pare i muri interni di un fast food londinese piuttosto malmesso all’ora di pranzo non erano di grande ispirazione.
 
-AAARRGHHHH! …- nel frattempo, il cantante non era ancora uscito dalla crisi mistica.
 
-Per favore, iniettategli del cloroformio- l’isterismo di Vic aveva reso isterico anche Jaime. Come se uno non bastasse.
 
-Scusa, non avevi detto che la stanza in parte alla tua si è liberata da poco tempo?- Tony era l’unico che in quel momento si era rivelato d’aiuto.
 
-E’ vero! Beh, non so se vi faccia piacere un appartamentino di centro Londra … dovreste servirvi da soli, non ci sono camerieri, e poi …
 
A quel punto tutti e quattro i Pierce The Veil di voltarono verso Kenny.
-Ma secondo te noi abbiamo bisogno di essere serviti? …- fece Mike alzando gli occhi dal cellulare.
 
-Oddio … non lo so.
 
-HA! Noi siamo ottime donne di casa, scherzi?!
 
-Ah. Bene. Voglio proprio vedere! …
 
-Tu ridi- intervenne Jaime –ma noi abbiamo passato una settimana a Capo Nord totalmente autosufficienti.
 
-Jaime … eravamo in un igloo e una famiglia di pescatori Inuit ci offriva il pesce. Non serviva fare niente- intervenne Tony.
 
-Beh, insomma! È già una gran cosa, eh!
 
-Sì … sì. Sì, hai ragione- mormorò Tony, battendogli una mano sulle spalle.
 
Toc. Toc. Toc.
Toctoc. Toctoc. Toctoc.
Toctocotocotocotocotocotocotocotocotocotoc!!!!
 
-Ehi, vacci piano, gli rompi la schiena!- disse Kenny a Tony.
 
-Ma io sono fermo!
 
-Ma allora … - la rossa si voltò verso la finestra alla propria destra.
-Oh. No. Ancora.
 
Ebbenesì, una nana dalla capigliatura variopinta e uno stallone con la mascella quadrata le facevano ‘ciao’ con la mano dall’altra parte del vetro.
 
-Ragazzi, torno subito.
 
Si alzò dal tavolo e uscì dal locale, andando incontro ai due strani individui.
 
-…non pensate di avermi importunato abbastanza? …- chiese stancamente.
 
-No- risposero in coro e perfettamente sorridenti Amanda e Robert.
 
-Sai cosa mi stupisce?- si rivolse a Robert. –Che una persona adulta, famosa e credo piuttosto impegnata come te si trattenga qui per seguire una ragazzina in giro per la città a disturbare le persone.
 
Forse quello di Kenny doveva essere un rimprovero, a giudicare con lo sguardo serio che stava rivolgendo all’attore.
Ma ovviamente esistono persone tremendamente furbe che riescono a fregarti in ogni caso.
 
-Ma io abito qui. E non sono assolutamente impegnato- affermò pacato, con un sorriso da schiaffi allargato sulla faccia. Poi aggiunse:
 –Ti prego, smettila di guardarmi con cotanto odio o potrei morire dissanguato per tutte le torture che mi stai infliggendo con la tua immaginazione in questo momento. 
 
-Sai una cosa?- insinuò Kenny stringendo i pugni e facendo il broncio.
 
-No.
 
La ragazza fece cadere mollemente le braccia sui fianchi e assunse un’espressione stanca. –Odio quando parlo con una persona troppo intelligente per poterla battere a parole. E questo mi è accaduto solo due volte.
 
-HA! Lo sapevo- Robert e Amanda si diedero il cinque e si misero a ballare schiena contro schiena. Sì, in mezzo al marciapiede pieno di gente.
 
Kenny intanto li fissava perplessa.
-Quando scoprirò cosa avete voi due darò una festa, ci inviterò un sacco di tedeschi e offrirò birra gratis a tutti.
 
-Tedeschi? Cosa centrano i tedeschi?- ripeté Robert fissandola interrogativo.
 
-Niente … niente, lascia perdere- brutta mossa. Non si era abituata a sentir Certe Parole dagli altri. Certo, era intelligente anche lei a ripeterle per prima. Tentò di mettere sotto chiave il fiume di immagini che le stava invadendo la mente …
 
-Ah … lo so io- si infilò Amanda con un’espressione infida.
 
-No! .. giuro, niente … era per dire, insomma, dai …
 
-Centra con il suo ragazzo! Lo si vede dalla faccia che fai! Fai sempre così quando si tocca quel tasto dolente!


-NON E’ VERO!
 
-E’ vero …- osservò Robert, per poi lanciare uno sguardo complice ad Amanda. Sorrisero maleficamente: avevano trovato un altro pretesto per romperle le scatole.
 
… quello che entrò nel fast food poco dopo, era un terzetto composto da una nana afflitta, un’altra nana e un ragazzotto che la punzecchiavano al suo seguito.
 
-…ragazzi, vi presento la mia rovina: Robert e Amanda. Robert, Amanda, vi presento i Pierce The Veil.
 
#
 
… il mondo doveva ancora capire dove Bill Kaulitz prendesse tutta la sua energia.
 
-Bill … ti prego … stai fermo ALMENO un’ora, per piacere! …
 
-Ma che palle, sono stufo di stare a casa! Voglio uscire, Tom.
 
-Sei impossibile, degenere creatura che non sei altro. Ti rendi conto che meno di due ore fa un rapinatore armato di fucile ti ha impallinato un avambraccio? E adesso tu non sei capace di vivere nei duecento metri quadrati di abitazione che possediamo e vuoi andare in giro per le strade?!
 
-Sì.
 
-In ogni caso, vengo con te. Figuriamoci se ti lascio scorrazzare per una città del genere da SOLO- improvvisamente per Tom Los Angeles era diventata alla pari di un buco di criminali. Eh, l’istinto fraterno.
 
-Evviva.
 
Beh, c’è da dire che non appena misero piede fuori di casa, Bill attaccò a blaterare.
 
-Sai Tomi, ero uscito per trovare l’ispirazione; insomma è un po’ che non scriviamo una canzone, io ci ho provato prima- ‘Ah’ pensò Tom ‘quell’insieme di geroglifici era una canzone?’ –ma non so cosa, qualcosa mi mancava … sai, le grandi città americane sono così piene di gente, di VITA, di colori e rumori …- un automobilista infuriato strombazzò il clacson, come per sottolineare le parole del moro, quando si vide passare davanti la coppia di strani esseri da noi definiti Kaulitz, senza assolutamente che si preoccupassero di guardare a destra o sinistra. - … da qualche parte ci sarebbe dovuta essere qualche idea! Di sicuro, sapevo che la genialata era dietro l’angolo. Basta trovarla, Tom, basta trovarla- ‘Oh, bene, adesso iniziamo con la filosofia’ si disse di nuovo il povero chitarrista. Forza, Tom, sei tutti noi. –Certo che però anche tu potresti impegnarti a fare qualcosa, eh! Io ci provo anche a scrivere, ma tu proprio non fai niente dalla mattina alla sera! Non hai mai niente in mente per il nuovo album? Insomma, qualcosa dobbiamo pur offrire al mondo, Tom, siamo i Tokio Hotel; non possiamo tradire i nostri fan all’appena quinto album!- ‘Ah, è colpa mia adesso’-secondo me è passato già troppo tempo. Insomma, l’ultimo disco è uscito già due anni fa!- ‘Già?!’ Tom si doveva ancora abituare alla vita da rockstar in pausa, non poteva sopportare insinuazioni del genere.
Bill continuò per un po’ con altre perle filosofiche, mentre i loro piedi macinavano metri, decametri, ettometri e chilometri.
-…non credi, Tomi?- chiese poi al gemello, che era stato molto attento ai suoi discorsi.
 
- Ahm? … sì, sì, Bill, hai ragione.
 
Il moro annuì, e continuò con i suoi discorsi sullo stato delle balenottere azzurre in Kenya.
Nel frattempo, Tom si guardava intorno. In effetti Bill aveva ragione, le città americane erano così piene di movimento.
Così piene di movimento che non si accorse dei clacson allarmati e delle grida delle persone: il suo criceto entrò in allarme solo quando uno stridore di gomme invase la strada. Un fascio argentato si stava avvicinando velocemente e pericolosamente ad un punto vicino a loro.
 
-BILL, SPOSTATI!- gridò, interrompendo le riflessioni del fratello e spingendolo in mezzo ad un’aiuola che si trovava a pochi metri da loro, buttandocisi addosso a sua volta.
Tutto accadde in fretta: le sirene si udirono in lontananza, un sacco di persone urlavano e un cartoccio fumante color grigio metallizzato giaceva fra i vetri rotti di una vetrina di profumi.
 
-Che diavolo è successo? …- mormorò Bill, alzando la testa dalla nuvoletta di gigli profumati che gli aveva fatto da cuscino.
 
-Non ne ho idea. So solo che è meglio levarsi di torno- fece Tom alzandosi frettolosamente da sopra di lui e tirandolo su per una mano.
 
-Ma…- cercò di protestare il vocalist, ma venne trascinato via dal fratello.
 
-Ho detto che è meglio se ce ne andiamo- tagliò corto Tom, non gli era mai piaciuto trovarsi in luoghi pieni di persone scandalizzate e uomini in divisa che tentano di tenerle calme. Ed era già la seconda volta in meno di quattro ore.
 
#
 
-Siamo una calamita per guai- mormorava sconsolato Bill, mentre si allontanavano velocemente dal luogo dove qualche ubricone non li aveva spiattellati su un muro per un soffio.
 
-Dai, è stata una coincidenza …- lo rassicurava Tom, che in realtà la pensava esattamente come lui.
 
-Voglio la mamma- certo che non la smetteva di lamentarsi. Già Tom non era campione di pazienza, in più doveva sopportare le lagne di suo fratello. Eh no.
Eppure … certo che non era una brutta idea la sua …
 
-Hei Bill- lo chiamò Tom, fiero della sua idea geniale.
 
-Eh?
 
-Ti va di prenderci una vacanza?
 
-Cosa intendi?...
 
-Torniamo a Mag. Solo per un po’, poi facciamo rientro qua. Che dici?- il chitarrista guardava speranzoso il moro; in attesa che alzasse la testa, lo guardasse sorridendo e con quella particolare luce negli occhi che compariva quando condividevano un’idea; e gli dicesse ‘Cavolo! Che idea!’ … e infatti Bill alzò il capo e lo fissò negli occhi:
 
-Che cavolo stai dicendo, Thomas? Io ho un album da comporre! Canzoni da scrivere! E poi ci sono così tanti centri commerciali americani che non hanno ancora avuto l’onore di accogliermi! Non possiamo mica evitare i nostri doveri così- esclamò risoluto, guardando il fratello come se avesse detto le peggiori bestemmie.
 
‘Come non detto’.
 
 
 
Povero Tom, mi fa pena! A voi non fa pena? … non gliene va bene una! Ma d’altronde se si sa un gemello come Bill bisogna aspettarselo. Bene, dato che non ho voglia di aggiungere altro, vi mollerò crudelmente senza nemmeno uno dei miei saggi monologhi. Ciao.                    
… daiiii, non sono così cattiva! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, nonostante sia un po' più breve del solito (ma don't worratevi, aggiornerò uno di questi giorni. Forse. Se non mi sparo prima) e anche se le mie tempistiche di scrittura superano in lentezza quelle di un triceratopo in letargo. Belli, i triceratopi!! Vero?! :D
  OK, vado. Ciaooooooooo :P Lisa^^

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Capitolo 13
*** Runaways ***


Giorno dopo.
Ogni traccia di vitalità era scomparsa dalla vita dei gemelli Kaulitz: in pratica, si erano alzati alle undici e mezza ed erano seduti sul divano da allora. Tom con la birra in una mano e il telecomando nell’altra, che faceva zapping da un canale all’altro senza fermarsi su niente; Bill che smanettava sul pc (probabilmente dalle undici e quaranta, ovvero quando si erano seduti sul divano, non aveva mai staccato gli occhi dallo schermo).
Tom si lasciò sfuggire uno sbadiglio, al che decise di accendere la tv sul canale musicale, giusto per fare un po’ di rumore di sottofondo, e mettersi lungo disteso sul divano, per pisolare.
Bisogna dire che in meno di qualche secondo si ritrovò in una posa scomposta sul pavimento, senza aver capito di preciso come ci fosse arrivato.
Bill continuava a tenere lo sguardo sul pc, solo sembrava un po’ stizzito. Al che Tom fu così bravo da capire che il fratello lo aveva scalciato giù dato che nel distendersi gli aveva messo i piedi sotto il naso.
Biascicò qualcosa a proposito di quanto fosse scomodo il pavimento senza tappeto, e che avrebbe dovuto tirarlo fuori dalla lavatrice (probabilmente non avrebbe dovuto mettere il tappeto in lavatrice, ma c’era una brutta macchia di salsa al pomodoro mista ad unto delle patatine fritte, dal giorno in cui aveva mangiato la pizza senza piatto; e gli faceva abbastanza schifo da non volersi interrogare sul come lavarlo), e si trascinò fino al corridoio, riuscì miracolosamente ad alzarsi in piedi e a raggiungere a passo di zombie il bagno. Aprì l’acqua della doccia, lanciò i vestiti a casaccio e si infilò sotto il getto senza curarsi di cercare il sapone.
 
#
 
-Biiiiiiiiiiiiiiill …
 
Un mugugno lagnoso raggiunse il vocalist, ancora intento a scribacchiare file word sul suo bel notebook. A naso, era suo fratello che aveva bisogno del sapone.
 
-Arrivo. Un attimo- rispose con voce piatta. Tom avrebbe dovuto aspettare più o meno una mezz’ora, che era lo standard di ‘un attimo’ di suo fratello. Più o meno come le ragazze.
 
-Ma io ne ho bisogno adesso.
 
-Mettiti a giocare a tris sul vetro appannato, non so cosa dirti.
 
-Ma … devo giocare da solo?
 
-Sì! Credimi, è un buon metodo per mettere alla prova te stesso e i collegamenti nervosi del tuo cervello- gli consigliò Bill.
 
-Ma … io non ho il cervello con molti collegamenti nervosi. Non sono una donna! …
 
-Preparati nel caso prima o poi dovessi diventarlo!
 
-IL SAPONE?
 
-Ecco, fare il sapone è un tipico lavoro da donna! Vedi che l’utilità si trova sempre?
 
Al che, il chitarrista decise che era troppo. Chiuse l’acqua, si mise un asciugamano in vita e si avviò gocciolante verso il salotto.
 
-Pensi che farai qualcosa di concreto oggi o ti limiterai a chiacchierare?- domandò stizzito al fratello.
 
-HA!- sbottò quello, alzando per un attimo la testa dal computer con un sorriso compiaciuto. –Era il mio scopo. Vedi, ora che sei uscito dalla doccia puoi benissimo prenderti il sapone da solo- concluse, come il cattivo del film che svela tutto il suo piano malvagio prima di uccidere il supereroe caduto nella trappola.
 
A Tom non restò altro che tornare in bagno, amaramente sconfitto, e prendersi la benedetta saponetta da solo.
 
Bill, invece, avrebbe voluto mettersi a piangere, e meno male che aveva avuto un pretesto per essere maligno con qualcuno e fare la voce grossa per soffocare il magone, perché altrimenti suo fratello lo avrebbe scoperto. Lui lo scopriva sempre … o quasi. Diciamo solo quando aveva voglia di farsi scoprire. E in quel momento non ne aveva proprio.
Chiuse in fretta il notebook e lo ripose sul cuscino di fianco a lui senza curarsi di metterlo sotto carica, si alzò e infilò scarpe e giacca al volo, e infilò la porta. Non prese nemmeno gli occhiali da sole.
 
#
 
Tutti e sette erano seduti intorno ad uno dei tavoli rotondi del Paco’s, un ristorantino messicano imbucato in un vicoletto londinese non troppo messo male.
Il giorno prima avevano fatto appena in tempo a conoscere i nuovi arrivati che erano subito stati chiamati all’appello da un fastidioso agente. Così si erano dati appuntamento il giorno dopo a ‘Quel posticino carino dove si mangia bene’, a detta di Mike, con la raccomandazione per Kenny di ‘portare anche i suoi amici strambi’.
Quindi, i nostri sette cavalieri si trovavano intorno alla tavola rotonda, aspettando che arrivasse il cameriere.
 
-Ma quindi … tu cos’è che fai?- chiese Jaime addentando un grissino.
 
-Sono un attore- rispose Robert, pazientemente, per la quinta volta.
 
-E che film fai?- continuò il bassista sgranocchiando il grissino.
 
-Beh … presumo che avrai sentito parlare di Twilight- iniziò l’Attore, sorridendo un poco.
 
Jaime si fermò un attimo, fissandolo con uno sguardo interrogativo.
-Quella cosa da adolescenti aizzate e depresse che è uscita adesso, giusto Tony? No, è che mi confondo- tornò al suo grissino, che era praticamente finito.
 
Tony non rispose, nascondendo il suo colorito pomodoro maturo dietro al taco sorridente in copertina al menù.
 
-Beh … in fondo basta arrivarci- biascicò Robert, con un sorrisino trattenuto.
 
Kenny mandò un’occhiata ad Amanda, che si stava raccomandando che il tavolo non scappasse tenendolo molto forte; mordendosi le labbra e fissando il bassista come se volesse fargli un esorcismo.
 
-Allora ho capito- disse Jaime prendendo il suo taco dal vassoio della cameriera e continuando a mangiare.
 
Briiiiiip.
 
-Oh, scusate, è il mio cellulare- Kenny si alzò allontanandosi verso il bancone; premette il tasto verde e portò il cellulare all’orecchio, fulminando con lo sguardo Mike, che stava allungando pericolosamente la mano verso il suo taco.
 
-Pronto?
 
-Annejade, caaaaraa!- una voce squillante rispose dall’altra parte del telefono. Kenny inorridì alzando gli occhi al cielo.
 
-Rose. Buongiorno … - mormorò sconsolata. Rose era, diciamo, la sua ‘agente’: per dirla velocemente, lei sapeva sempre dove Kenny e il suo bel set di obbiettivi dovevano andare. Ma Rose era anche di più: chiacchierona, impertinente, guastafeste, petulante, ficcanaso, e una delle poche persone che, conoscendo il suo vero nome, la chiamava ‘Annejade’. Ma non ‘Annejade’ come lo direbbe una persona comune, ma una cosa come ‘ENNIEGGEEIIIDDD’ con tanti punti esclamativi.
 
-Ma buongiorno, caaara. Come si sta a Londra?
 
-Benissimo … - ‘finché non mi hai chiamato’ pensò fra sé, e ci mancò poco che non lo disse.
 
-Oh, allora mi dispiace ma devo proprio dirti che devi alzare le ancore … - ‘No, aspetta, COSA?’
-Ma certo … per andare dove?
 
-Spero non sia un problema dirti che dopodomani devi essere ad Amburgo, al numero 18 della Lilienstraße, ad Amburgo. Ti ho già prenotato il volo, domattina devi essere in aeroporto, arriverai ad Amburgo per mezzogiorno, Alex ti aspetterà lì fuori e ti porterà all’hotel e per il pomeriggio avrete tutto il tempo per preparare i vostri aggeggi … dopodomani alle dieci in punto vi aspetto all’indirizzo precedentemente indica …
 
-CALMA. Rose, non ti sto dietro. Perché dobbiamo essere ad Amburgo?- Kenny stava andando nel pallone. Un altro magnifico pregio di Rose era quello di saperti fare tutta l’agenda della tua vita in quindici secondi e mezzo, con la conseguenza di finire nel pallone completo e avere una gran voglia di spararti un colpo e farla finita.
 
-First Women ha fissato un’intervista con la famosa cantautrice tedesca Nena; e noi siamo stati chiamati per il servizio fotografico. Sai, hanno visto le foto che abbiamo fatto con i Tokio Hotel per Vogue poco tempo fa, e stavano rosicando d’invidia! In confronto i loro fotografucoli del cavolo sono pulci con una polaroid! …
 
-Ok. Ho capito. E QUANDO è stata decisa questa cosa?
 
-Mah, più o meno mi hanno chiamato una mezz’ora fa.
 
-AH- certo che le riviste non si fanno problemi a proposito dell’Avvertire Per Tempo.
 
-Dunque, capito tutto, tesoro?- cinguettò Rose dall’altra parte del telefono. Kenny quasi la vedeva sfarfallare le ciglia con la manina sotto il mento grasso e pendente con il suo sorrisino da bambolina di porcellana.
 
-Ssssssssì. Sì. Tutto chiaro … - mormorò sconsolata Kenny. Bene, periodo di riposo finito. Si torna al lavoro.
-Heeeeeeeeeeeeeeeyyyyyyyyyy, cos’è questo muso lungo?- domandò sorridente Vic vedendola arrivare. Beh, almeno lui era uscito dalla sua crisi nevrotica.
 
-Ragazzi, domani devo levare le ancore- sbuffò depressissima la rossa, lasciandosi cadere a sacco di patate sul barile adibito a sedia, davanti al suo taco ormai tiepido.
 
Ci fu un coro di OOOOOOOOHHHHHHHHH sconsolati, e tutte le facce si allungarono di un chilometro.
 
-E perché mai?- domandò Tony con gli occhi a palla.
 
-Lavoro- Kenny posò lo sguardo sul taco, iniziando a nutrire un certo interesse per la piadina.
 
-AH- fecero tutti insieme, per poi seguire con un –TI CAPISCO.
 
-Adesso non ci pensare, e perditi nei meandri del Taco- mormorò con fare mistico Jaime, e tutti i Pierce The Vei, da bravi messicani, annuirono con fare esperto.
 
-Già- sospirò Kenny prendendo in mano la piadina. –In fondo, che ci perdo?
 
Conficcò compiaciuta i denti nella pasta,  facendo colare mezza salsa sul piatto e l’altra metà sulle sue maniche.
 
#
 
La mattina dopo, erano venuti tutti a salutarla. Che carini.
 
Amanda si appiccicò alla sua felpa e non si staccò fino a che non fu gentilmente invitata a farlo, lasciando comunque macchie nere sulla stoffa in corrispondenza dei suoi occhioni truccati.
I Pierce The Veil si lasciarono andare ad un abbraccione di gruppo, e ad una penosa esibizione di un coro lagnoso che ricevette occhiatacce da tutto l’aeroporto.
Robert invece si limitò a rimanere indietro e a rivolgere uno die suoi sguardi furbi accompagnato da sorriso sghembo, e una nozione di saggezza del tipo: -Mi raccomando, guardati bene intorno- . Kenny non aveva capito a cosa si riferisse, ma probabilmente non sapeva solo cosa dire e aveva sparato una cosa a caso.
Dovette salire sull’aereo convincendo i suoi piedi con qualche triste escamotage, del tipo Muoviti che a bordo ci sono i panini caldi.
 
Veder rimpicciolire la città sotto di sè fino a farla sembrare solo una fotografia panoramica, e poi vederla sparire sotto la coltre delle nuvole era triste. In fondo era bella Londra. Di certe cose ti accorgi solo quando te ne vai.
Aveva deciso di non truccarsi perché era una emotiva (ce ne eravamo accorti) e forse avrebbe pianto. Aveva ritrovato i suoi amici, e adesso doveva andarsene per andare in un posto che le ricordava terribilmente persone a cui avrebbe preferito non pensare.
Beh, saggia decisione.
 
 
 
WOooooooooooooooooooooooooooooooooooOOOOOOOOOOOOOO guis!! Scusate innanzitutto l'ora, ma ho avuto un acceso dibattito con word e l'html, cose del tipo 'lingue che si impostano a caso' e 'righe che escono dalla pagina'. Ma ce l'ho fatta. Eeeevvvaaaii. B)
Che cosa triste, verooooooo????????? TToTT ma non pensate che la combriccola sparirà dalla storia, perché BEH NON SARA’ COSI’.
Adesso devo scappare!! Baci spero il capitolo vi sia piaciuto!!
PS. L’indirizzo di Nena e la rivista sono inventate. LOL.  :D                    Lisa^^

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Capitolo 14
*** Meet me to your freind's house ***


Scusate per la probabile indecenza di questo capitolo. Ho come la sensazione che faccia schifo. Partiamo bene eh? x'D
buona lettura. :')
 
-Toooooooooooooom!
 
Bill entrò in un turbine di cappotti firmati Prada  e capelli spettinati (momento raro, da segnare in agenda).
 
Tom, in compenso, era stravaccato sul divano con la bava alla bocca che dormicchiava. La tv era ancora accesa sul canale musicale, da prima. L’arrivo del fratello lo sconvolse.
 
-ARGH! TERREMOTO! INCENDIO! COSA SUCCEDE?! BILL! MAMMA! BABBO NATALE! RENNE!
 
Sciaff.
 
-Ahi. Perché mi devi tirare ceffoni?!
 
-Perché suonano bene. Ascoltami! Devo dirti una cosa importante …
 
-Di cosa si tratta? … - tirò uno sbadiglio degno di nota, e si stiracchiò stile gatto pigro.
 
-Ho bisogno di una consulenza. Prepara le valigie, partiamo.
 
Qualcosa nella mente di Tom gli disse che avrebbe dovuto conoscere cosa significava quell’affermazione. Ma quel giorno il povero criceto, annegato nelle treccine umide, non ce la faceva proprio.
-…per dove?...
 
Nel tempo in cui Tom articolava la domanda nella sua testa e successivamente nella bocca, Bill aveva già una valigia pronta. UNA SOLA! Non sapeva se era più strano il fatto che fosse una valigia (e non il solito minimo di cinque bauli da cinquanta litri) oppure che avesse già fatto. Di solito l’annuncio di dover partire per qualche posto mandava Bill in panico, e bisognava dirglielo almeno una settimana prima perché avesse il tempo di andare in panico, smaltire il panico, rendersi conto che doveva scegliere una quantità limitata di cose da portar via, scegliere le suddette cose, infilarle in valigia, riaprire le valigie per controllare di aver messo tutto, andare in panico per paura di perdere qualcosa in viaggio, riprendersi da questo panico, fare fuori cinque scatole di gelato depresso, e poi (forse) era pronto.
Insomma, doveva esserci qualcosa di particolare nell’aria.
 
-Tom, muovi il tuo criceto handicap- cinguettò nervosamente il vocalist. –e vedrai che ci arrivi.
 
I gemelli si fissarono: le pupille iridescenti e cariche di energia a fatica tenuta sotto controllo, fusa nel nervosismo di Bill; contro le biglie di vetro nocciola di Tom, che riflettevano l’unico desiderio di dormire profondamente con una cannuccia a disposizione che pescasse da una lattina senza fondo di birra.
 
-Ad Amburgo, Tom. Andiamo ad Amburgo.
 
-Come mai? …
 
-Perché ho bisogno di una consulenza.
 
-Da chi? …
 
-Da un’amica. Allora, sei pronto?!
 
-NO!
 
-Beh, hai tutto il tempo. Domani in piedi alle cinque!- batté le mani un paio di volte, contento, e poi trotterellò verso la cucina lasciando il cappotto sul bordo del divano.
 
-Che perfido- sussurrò Tom. Aveva messo il capo firmato proprio lì  così che non potesse ridistendercisi sopra (aveva già avuto esperienze di capi costosi spiegazzati a causa sua … quando il fratello lo aveva scoperto … beh, diciamo che chi era abbastanza intelligente e non coinvolto aveva fatto la buona cosa di allontanarsi). Che bastardo.
 
#
 
Era passata qualche oretta, e l’aereo era atterrato.
Alla fine Kenny si era messa a pisolare, quindi non si era nemmeno accorta dell’arrivo in Germania. I passeggeri erano scesi, anzi alcuni stavano pure salendo per il volo successivo.
Si alzò velocemente sbuffando. Ok che lei non riusciva proprio a stare sveglia in aereo, ma le hostess erano proprio delle grosse str … abilianti persone, a lasciarla là. Così magari si sarebbe svegliata in Congo.
 
-Grazie per aver scelto la nostra compagnia!- la salutò sorridente una ragazza all’uscita dell’aeroporto. A dire il vero Kenny non aveva nemmeno idea di che compagnia avesse scelto. Aveva solo preso l’aereo che le aveva indicato Rose.
Passeggiò per un po’ per le strade principali della città, poi si fermò in una panchina sotto un albero, in quella che sembrava una tranquilla piazzetta verde.
 
-Ok, molto bene … - sussurrò in tedesco. Era meglio iniziare ad allenarsi; sebbene avrebbe avuto pochissimo a che fare con persone del posto, in fondo doveva solo andare in posti stabiliti e fare quello che avrebbe dovuto. Poi poteva anche tornare a Londra, oppure andare a trovare i suoi in Australia, oppure andare in un posto qualsiasi, come Parigi, Madrid, Milano. Erano tutte città carine e relativamente vicine. Oppure avrebbe semplicemente svolto il prossimo compito assegnatole, seguendo Alex e gli altri ragazzi in giro per il mondo a immortalare visi di celebrità per poi andare nel primo bar a disposizione a mangiare un panino sudicio d’olio in compagnia.
Aprì la piccola mappa della città che aveva fregato all’aeroporto, e diede una veloce occhiata. Non doveva camminare molto prima di incrociare Alex, anche se avrebbe potuto semplicemente chiamarlo e farsi venire a prendere.
 
Briiiiiiiiiiiiip.
 
Come non detto.
 
-Pronto, Kenny?
 
-Parli del diavolo, spuntano le corna!
 
-Pensavi a me?
 
-Certo, cioccolatino zuccheroso, io penso sempre a te- fece Kenny maliziosa.
 
-Oh, ma che dolce. Dove sei?
 
-Boh … in una piazza. Ci sono degli alberi.
 
-Wow. Penso di poterti trovare. Curiosità, di che colore è la tua maglia?
 
-V-verde … perché?!
 
-No, è che sai … ho già trovato un paio di rosse nane come te, mi sono avvicinato e le ho salutate per poi scoprire che erano delle sconosciute, e non mi va di fare altre figure di merda.
 
-HA HA HA! Che stupido. E quelle cosa ti hanno detto?
 
-Perlopiù si sono limitate a guardarmi come fossi un maniaco, poi una mi ha inseguito con lo spray urticante, ma niente di serio.
 
-Vaaa beneee … allora stai arrivando?
 
-Sì, sono in macchina.
 
-Ok, ci sentiamo dopo. Se non mi trovi chiamami … attento a non confonderti, eh! Mi servi sano per dopo! …
 
-Ha ha ha … molto spiritosa.
 
#
 
-Maledizione, Bill, era proprio necessario portare anche me?!
 
-Smettila di lamentarti. E muoviti con quella dannata valigia, che perdiamo l’aereo!
 
Non aveva nemmeno scuse per incolpare Bill della pesantezza della valigia, perché quella volta aveva preso davvero poca roba. Anche per i suoi standard.
 
-Uff- sbuffò Bill, sedendosi pesantemente sul sedile dell’aereo. Tom arrivò qualche minuto dopo, paonazzo. Forse avrebbe dovuto fare a meno di prendere tutti quei maglioni pesanti. Ok che i suoi ultimi ricordi di Amburgo erano di una landa ghiacciata con pinguini che passeggiavano tranquilli a braccetto di orsi polari; ma erano passati alcuni anni. Ed era piena estate.
 
-Scusi?- il moro diteggiò una hostess per richiamare la sua attenzione. Che non serviva, visto che metà personale femminile dell’aereo era posizionato ai piedi del vocalist, sbavante e con gli occhioni a cuore scintillanti. –Un caffè, grazie. Decaffeinato, con latte di soia.
 
-Bill, ma che senso ha il caffè decaffeinato? …
 
-E’ come il latte senza lattosio, Tom.
 
-Esiste il latte senza lattosio? …
 
-Sì, e anche il caffè decaffeinato.
 
Tom sbatté le palpebre qualche paio di volte, cercando di capire come potesse essere possibile un paradosso del genere.
 
-Uff- sbuffò di nuovo il vocalist. –Ci vorrà come minimo un giorno di viaggio. Aiuto.
 
-Hai fretta?
 
-Abbastanza.
 
Il punto alla fine della parola era abbastanza percepibile alle orecchie esperte di Tom. Significava: non parliamo più. E sinceramente il chitarrista ne era abbastanza contento, visto che non aveva proprio voglia di parlare.
 
#
 
Atterrarono in Germania alle sette del mattino (e buon jet lag a tutti), e in meno di due ore erano ad Amburgo.
 
-Bene, adesso quali sono i tuoi piani?- domandò ironico Tom, trascinando (e imprecando) la sua valigia con le rotelle.
 
-Ci dividiamo. Tu cerchi un hotel- spiegò Bill, guardandosi intorno attraverso gli occhiali da sole (molto utili con la giornata nuvolosa), tenendo in una mano la mini valigia che si era preparato, e sistemandosi i capelli con l’altra. Il foulard svolazzante era l’ultimo tocco: la First Lady è arrivata.
 
-E tu scusa?- chiese di nuovo Tom … scusate, il facchino stupido della First Lady.
 
-Io vado.
 
-Vai dove? …
 
-A cercare la mia consulenza!
 
A quel punto Tom mollò la valigia. Chinò il capo. Chiuse gli occhi. Fece un profondo respiro.
Poi scattò con il capo verso il punto dove stava il fratello …
 
-Senti Bill, io ne ho abbastanza dei tuoi enigmi, ok che sono solo un ventenne tedesco medio con un discreto quoziente intellettivo mentre tu sei una belva oscura uscita dal più remoto subconscio della natura*, ma cerca di spiegarti ogni tanto, sono pur sempre più grande di …
 
… non ho detto che guardò il fratello, ho detto solo che guardò il punto in cui stava. Perché era sparito. Come suo solito.
 
… e la mascella di Tom? Beh, è caduta per terra, accompagnata dal suo umore, la sua autostima, la sua pazienza, la sua benevolenza verso quello schizzo della natura eccetera eccetera eccetera …
 
#
*Olè, per chi ha dato un’occhiata a Google oggi, 6 maggio, saprà che si celebrano i 160 anni dalla nascita del signor Sigmund Freud! Facciamo un piccolo festeggiamento in tema con la psicoanalisi e il subconscio in generale ;)
#
 
-Buongiorno, carissimi!- la squillante voce della cantante accolse i due fotografi e il giornalista.
 
Alex si era già fiondato dentro a imbastire luci sul soffitto, mentre il giornalista conversava con Nena. Kenny si fermò un attimo sulla soglia ad ammirare l’ingresso della casa: era di un bel color crema, con le tendine bianche alle finestre e dei piccoli dipinti tutti di uguali dimensioni appesi alle pareti, raffiguranti lo stesso paesaggio, probabilmente una veduta sulla pianura tedesca, nelle diverse stagioni.
Lo spazio nel soggiorno era organizzato benissimo: due divani e un paio di poltrone, disposti intorno ad un tappeto rettangolare, il camino chiaro su una parete e numerose finestre che facevano entrare un sacco di luce.
Si riscosse dalla sua trance, era il momento di lavorare. Afferrò trousse e pennello e fece per avvicinarsi alla donna; ma vide perfettamente che non serviva: era meglio truccata Nena in quel momento di quanto Kenny avesse mai fatto nella sua vita. Nascose immediatamente tutto nella borsa, non aveva voglia di fare figuracce, men che meno in quel momento, di fronte ad una cantante di fama internazionale.
Nel frattempo il giornalista e la donna si erano accomodati nel salottino, e avevano già incominciato a chiacchierare, con Nena che gesticolava sorridente e l’altro che registrava (gli appunti erano passati di moda … ).
Alex era affaccendato a fare primi piani a destra e sinistra, cosa che non sembrava disturbare affatto la cantante, si vede che ci era abituata. Kenny invece stava armeggiando con il computer, tenendo d’occhio il collega, in caso avesse avuto bisogno d’aiuto.
Ad un certo punto si sentì un gran fracasso, come se qualcuno fosse entrato di botto dalla delicata porta in vetro e legno che li aveva accolti, e avesse levato un gran vento in tutto il piano terra: tutte le tende si erano sollevate.
I quattro sollevarono lo sguardo scattando preoccupati verso l’ingresso: la prima ad identificare il soggetto fu proprio Nena:
 
-Tesoooooooooorooooooooo!- strillò scattando in piedi e portandosi le mani al petto emozionata. Nel frattempo gli altri due uomini si scambiavano sguardi interrogativi. Alex ci provò a chiedere a Kenny, ma era … inagibile.
Nel senso che si era paralizzata, bianca come un cencio e dura come una statua, con gli occhi fuori dalle orbite e la mascella per terra.
Stesso si poteva dire per quella specie di coso alto un metro e novanta, in equilibrio su un paio di platform vertiginose, con foulard e giacca pendenti, occhiali da sole appesi per un pelo alla punta del naso e capelli spettinati all’ennesima potenza.
 
-Tu?
 
-Tu?!
 
 
Raga non avete idea di come sia in questo momento: mi sta bruciando tutto il condotto digerente, c’ho le mani che tremano e fra un po’ mi ricoverano per crisi epilettica.
VOI NO?! xD
… sul serio, al pensiero che stavo scrivendo QUESTO capitolo andavo in panico. Panico fangirloso. Che è una roba brutta. D:
Innanzitutto scusate per l’immenserrimo ritardo, avevo questo capitolo iniziato da lunedì (e siamo a sabato), e veramente non riuscivo mai a cazzo finirlo. Sono troppo piena di roba da fare, e poi sono scansafatiche di mio. L’anno prossimo col cazzo che mi imbuco le settimane in sta maniera. Ben dai, l’anno è quasi finito, siamo fuori dal tunnel-el-el-el del divertimento-o-o-oh. (?)
OOOOkkk, hope you liked the capitolo, e un grazie a chi legge e recensisce ogni volta con tanta pazienza :)
 Vadoh. Baci bellissime renne :***          Lisa^^

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Capitolo 15
*** Can I drive you home, can I crash into your life? ***


Il ragazzo girò immediatamente sui tacchi e si richiuse dietro la porta.
Kenny mollò la luce che stava sistemando e si fiondò dalla porta sul retro.
Fecero tutto il giro della casa, finché praticamente non si scontrarono sotto un romantico ciliegio in fiore, in gran contrasto con il loro aspetto da fuggitivi di Alcatraz che incontrano la civiltà dopo anni di convivenza con le mosche della propria cella.
 
-Che diavolo ci fai tu qui- esclamarono all’unisono.
 
-E’ il mio lavoro. Devo girare parecchio, sai?
 
-Da quanto diamine è che non ci sentiamo?
 
-Da quando mi hai chiamato in aeroporto.
 
A quel punto almeno lui sembrò tornare sulla Terra.
Dopo un attimo di estasi, fece un ampio sorriso e si sbatté una mano sulla fronte. Poi cominciò a ridere come un malato mentale.
 
 
-…cos’hai da ridere?...
 
Riuscì a smettere solo dopo qualche minuto.
 
-Aaaahh … niente, niente. Sai, credo di essere diventato mentalmente instabile in questi ultimi tempi- ammise continuando a sorridere e guardarsi in giro, come la Regina Bianca nel suo bel castello di gentilezza e sorrisi.
 
-E … come mai?- chiese Kenny sinceramente curiosa. A questo punto facevano una bella accoppiata stile Tim Burton.
 
Finalmente Bill si degnò di riabbassare lo sguardo sulla ragazza sotto di lui. Sì, letteralmente sotto. C’era un’abbondante differenza di altezza fra i due.
 
-Niente, niente. Adesso va tutto bene.
 
-Hey! Ragazzi, siete lì?- la voce di Alex arrivò lontana, come da un altro pianeta, alle orecchie di Kenny. Come se la stessero chiamando da dietro un vetro doppio antiproiettile; come se stessero cercando di scuoterla da un coma vegetativo irreversibile. Come se il mondo fuori dalla circonferenza di petali caduti dal ciliegio che accoglieva lei e il ragazzo lì davanti non esistesse, e fosse solo una galassia gelatinosa senza forme di vita pluricellulari.
 
Invece, a quanto pare, quando si girò per rispondere, Bill ci sentiva benissimo. Ecco una capacità che lei non aveva, che la sua mente spartana e rudimentale da semplice umana non poteva supportare. Bill era come il centralino, come un cellulare nuovo, passava facilmente da un programma all’altro senza fare una piega. La sua antenna di ultima generazione riceveva subito tutte le chiamate. Se gli interessava, tasto verde. Altrimenti, rosso.
Si chiese se un’antenna così sensibile non potesse essere una debolezza per uno come lui. Perché Kenny se lo ricordava testardo ma fragile, sensibile. Qualsiasi goccia avrebbe potuto far traboccare il vaso. Come il Cappellaio Matto, interpretato con tutti i suoi riccioli rossi dal genio di Johnny Depp. Bill non era diverso. Solo un po’ più elegante. Se mai le fosse capitato di incontrare l’attore, gli avrebbe parlato di Bill, li avrebbe fatti incontrare, magari per un caffè macchiato da Starbucks. Avrebbero fatto sicuramente amicizia.
 
-Hey, Ken ci sei?
 
-ARGH!- il colpo di cuore che prese era degno di un colpo di defibrillatore mal funzionante. –Cosa … che succede?
 
-Ah, niente. Dovremmo solo finire un’intervista.
 
-Oh … giusto.
 
Ancora inebetita seguì Alex fino al salottino dal quale era uscita come una furia poco prima, attratta come l’ago di una bussola da un campo magnetico irresistibile che la trascinava sempre più vicino al ragazzo moro, che la costringeva  a seguirlo ovunque, sotto il suo incantesimo. Avrebbe attraversato anche l’Inferno, se questo significava poter tenere stretta quella mano dalla manicure perfetta. Ma non per piacere personale. Per pura necessità. Se non l’avesse fatto sarebbe morta. Male, anche.
E in quel momento non era nemmeno riuscita a sfiorarla, quella mano perfetta. E questo non era bene.
 
-E’ strana, oggi. Di solito mi picchia se la chiamo Ken, perché è come il fidanzato di Barbie- sentiva ancora le voci lontane. Un po’ più vicine di prima, però.
 
-Non lo so, è tanto che non ci vediamo- Bill rispondeva vago e frivolo alle domande, il sorriso civettuolo era percepibile nel suo tono di voce. Sembrava veramente un malato mentale.
 
-Uhm … capisco- la conversazione terminò lì, e per l’ora seguente nessuno aprì bocca – se non, ovviamente, Nena e il giornalista.
Una volta che quest’ultimo ebbe tolto il disturbo, finalmente la donna si rivolse a Bill, che era rimasto in disparte a fissare le pieghe nelle tende.
-Allora, tesoro! Qual buon vento ti porta qui?- trillò allegra, mentre metteva la teiera sui fornelli per il tè.
 
-Oh, sapessi- rispose stanco lui, accomodandosi sulla poltrona con le mani dietro la testa. –Le città americani sono belle, certo, ma dopo un po’…- arricciò il naso, come se l’aria non fosse buona. –L’aria si fa pesante. Insomma, tutta quella gente. Ci sono troppe ragazze scosciate e troppi ragazzi a petto nudo.
 
-Beh, non siete lontani dal mare.
 
-Lo so, ma per Dio, non riesco ad uscire a fare una passeggiata con mio fratello- proseguì lamentoso. –Senza doverlo trattenere dall’avvicinare qualche ragazza. Ok che per il momento è single, però … un po’ di decenza!
 
-Come ti capisco. Come sta, a proposito, il piccolo Tomi?- chiese ancora lei, con lo stesso tono con cui una zia chiederebbe del nipotino-non-più-tanto-piccolino.
 
-Se la cava- fece Bill con aria di sufficienza, per poi riprendere il suo discorso. –Poi, abbiamo rischiato di finire sotto una macchina più di una volta –spesso per colpa di Tom, ma anche per tutti gli ubriaconi che girano in auto in pieno giorno-, e mi è anche capitato di capitare in mezzo ad una rapina, con tanto di delinquenti in fucile e passamontagna!- quasi strillò, tormentandosi le mani.
 
-Oh cielo- fece stupita la cantante porgendogli una tazza di tè. Poi si girò verso Kenny, chiedendole se ne voleva una anche lei.
 
-Ehm … grazie- sussurrò lei, come se non volesse disturbare la loro conversazione.
 
A questo punto Bill si animò, quasi rovesciando la bevanda sul pregiato tappeto indiano del salotto. –Ah, Neni, sai che lei è inglese?! A dire il vero viveva in Australia, però pensa che figo avere origini inglesi! Prendere tutti i giorni il tè alle cinque, uscire a caccia di volpi, poi quei bellissimi autobus rossi, e tutti quei prati verdi!...- iniziò a sciorinare tutte le ‘meraviglie’ inglesi, strillando come una bimba in un negozio di giocattoli nella sezione ‘Barbie’.
 
-Ma è fantastico, cara! Sul serio?
 
-Oh … beh, sì … -ammise Kenny arrossendo. Di questo passe sarebbe diventata un peperone, poi una prugna.
 
-E dimmi, con il tuo lavoro giri il mondo, dico bene?- chiese ancora la cantante, sedendosi sul divano vicino a lei.
 
-Uhm … sì, io … non credo di essere l’unica qui dentro-riuscì a formulare senza fare gaffe. Miracolo.
 
Al che i due cantanti scoppiarono in un’allegra risata. –Hai proprio ragione, tesoro. Mi piace questa ragazza! È attenta.
 
Kenny borbottò un ‘grazie’, ma venne sovrastata dalla voce del moro che ricominciava a strillare su quanto fosse noioso passare ore e ore chiuso nel tourbus vicino a Gustav che dormiva.
Solo dopo un po’ Kenny si accorse che era rimasta da sola. Alex era sparito. Evidentemente le aveva detto che andava, e lei non aveva sentito.
Come al solito.
Sbuffò, e buttò la testa all’indietro, fissando il soffitto.
Silenzio.
 
-Uhm?- mugugnò alzando la testa: entrambi la stavano fissando divertiti. –Che … che succede?
 
Bill indicò la finestra dietro di lei. Kenny si girò, e vide il suo collega che picchettava sul vetro e la chiamava invano.
-Pensi di venire o stai lì tutto il pomeriggio?- riuscì a sentire, da dietro il vetro.
 
‘Starei qui volentieri, a dire il vero’. –Arrivo. Non ti avevo sentito- si alzò a malincuore, e si avvicinò alla porta.
Le sembrò di sentire un ‘Mah, me ne ero accorto’.
 
Una volta fuori dalla casa, Alex le venne incontro, piuttosto perplesso.
-Sembravi sulle nuvole. Che ha quel tipo? Si vedeva che pendevi dalle sue labbra. Per non parlare di come siete schizzati fuori tutti e due quando vi siete visti in faccia- disse divertito.
 
-Se mi lasci parlare ti spiego.
 
-Ti ascolto!
 
-… non sono affari tuoi!- annunciò a braccia aperte.
 
-Lo sapevo che avresti risposto così. Io ti conosco troppo bene, potrei essere tuo fratello- borbottò l’altro.
 
-Meno male che non lo sei, invece.
 
-Grazie, vedo che mi vuoi bene!
 
-Certo, per questo è meglio che non siamo fratelli. Per la tua salute- fece Kenny, per poi aggiungere, di fronte alla faccia perplessa dell’altro: -Mentale.
 
-AH- mugugnò lui. La conversazione si chiuse lì, ma prima di arrivare in auto ci voleva ancora un po’ di passeggiata.
Accanto ad una siepe, che separava il marciapiede dai giardini delle case private, per la precisione.
Una siepe che … parlava?
 
-Pssst. Kenny, sono io- fece … la siepe?
 
-Chi diamine … -meno male che Alex era distratto, altrimenti l’avrebbe presa veramente per matta. Le foglie si scostarono un pochino, e ne emerse un occhione nero e spalancato, con un piercing scintillante.
 
-Bill?
 
-Esatto!
 
-Ma … stai camminando nel giardino di qualcuno, magari?- si preoccupò Kenny.
 
-Sì, precisamente.
 
-Sai che se questi crucchi ti vedono come minimo ti infilano qualche proiettile in …
 
-Shh, li conosco i miei connazionali, e fidati che per la maggior parte a quest’ora sono al lavoro.
 
Kenny volle aggiungere qualcosa, ma venne interrotta di nuovo da Bill La Siepe.
 
-Volevo solo dirti …- lasciò la frase in sospeso, come alla ricerca delle parole. Nel frattempo, continuavano a camminare.
 
-…dirmi?
 
-Che non mi aspettavo di trovarti … proprio qui. Insomma, ero andato da Susanne proprio perché mi mancavi. E avevo bisogno di parlare con qualcuno … ma nessuno sa di te … me … noi … insomma, hai capito- spiegò piano.
 
-Perché ovviamente io ero sicura che ti avrei incontrato qui. Non volevo venire in Germania proprio perché avevo paura che mi facesse pensare a … come mi sento mielosa. Mi verrà il diabete- si lamentò lei.
 
Bill-Siepe rise.
-Tu e il tuo ribrezzo per il romanticismo.
 
-Anche tu hai le tue difficoltà a dire certe cose senza vomitare, eh?
 
-Quanto mi conosci bene! Nessuno mi conosce così bene. Nemmeno Tom, lui ci ha rinunciato a capire uno come me. Pensa che io sia matto- continuò la siepe.
 
Nel frattempo erano arrivati all’auto, e Alex stava tranquillamente salendo al posto del guidatore.
-Ma tu … -fece per dire Kenny, ma il motore era già acceso, e Alex le faceva segno di entrare.
 
-Io?...
 
-Tu … - era paralizzata nel cercare di parlare con Bill senza insospettire Alex che la fissava perplesso.
 
-Io cosa?
 
-Tu chiamami e poi ne parliamo con calma- tagliò corto Kenny, per poi infilarsi in macchina, tutta sorridente.
 
-Ma! … oh, maledizione- si lamentò Bill dietro la siepe.
 
-WOF!- fece il pastore tedesco (più simile ad un puledro che ad un cane) del giardino verso Bill.
 
-Cazz- imprecò il vocalist, per poi avvicinarsi pianissimo al cane.
-Ciao, bellezza … come stai?- gli chiese, mettendo in atto tutte le sue capacità di sussurratore agli animali.
Come risposta ottenne un ‘WOF’ più convinto.
 
-Oh, al diavolo, cane. Adesso me ne vado.
 
Quello si mise ad abbaiare più forte, per richiamare i padroni …
 
-Oh merda- imprecò di nuovo: Bill riuscì a zampettare fuori dal giardino prima di beccarsi un proiettile in posti non desiderati; ma i padroni del cane ebbero un gran daffare a liberare le mascelle del puledrone da una cintura firmata Just Cavalli che gli si era inspiegabilmente attorcigliata in modo frettoloso attorno al muso e alle zampe anteriori.
 

Ok, si lo so, avrei dovuto aggiornare tipo … una settimana fa, lo so, lo so. Adesso vado ad incatenarmi in piazza per ricevere qualche bella frustata, così potete sfogare tutta la vostra rabbia su di me … ma nooo, dai che mi volete bene…
Mondo: no, ti odiamo a sangue perché aggiorni ogni morte di papa. Quindi vai a farti frustare.
Afferrato! Non c’è problema, vado a sbattere violentemente la testa su uno spigolo.
Nel frattempo, se qualche buon’anima vuole lasciare una recensioncina, anche piccina piccina, farebbe una bella opera di carità a questa povera pseudo scrittrice infedele.
Vi voglio tanto bene. Baci :************                       Lisa^^

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Capitolo 16
*** Did you no wrong! ***


(applauso per il titolo a caso-canzone dei Sex Pistols che stavo ascoltando :D yeee)
 
Bene people! Oggi vi regalo un EasterEgg (SI’, anche se non è Pasqua) sulla demenza assoluta dei nostri quattro amiconi giappogermanici. Quindi preparatevi con i popcorn e ringraziatemi per lo spoiler :D
 
-Quindi … mi stai dicendo che lo stallone sarebbe il tipo del servizio di Vogue?
 
Kenny e Alex avevano deciso di passare la serata a mangiare hot dog seduti su una panchina in un parco in parte alla strada.
 
-Mh-hm- annuì lei con la bocca piena.
 
-Ma … e cosa ci faceva a casa di … Nena?
 
-E’ la fua cantante pfefevita da quando efa piccolo.
 
-Ok, ma io non irrompo all’improvviso a casa di Madonna perché è la mia cantante preferita.
 
A Kenny andò quasi il boccone di traverso. –Pensavo ti fosse passata la febbre da Madonna!
 
-Annejade Campbell, io seguo Madonna da quando sono stato in grado di camminare.
 
-Il brutto di essere cresciuto senza uomini in casa.
 
-Lascia perdere e rispondi alla mia domanda!
 
-No, coso, ovvio che no- riprese lei. –Ma lui è un cantante di fama internazionale piuttosto bravo nell’ottenere quello che vuole.
 
-E questo cosa c’entra?
 
-C’entra che … che un giorno le ha chiesto un autografo, poi una foto e sono diventati amici per sempre!! Che cazzo ne so i …
 
-Ma bon jour garçons! Mi posso aggregare alla conversazione?
 
I due si girarono di scatto, in modo che il terzo arrivato si trovasse davanti due cosi, infagottati nelle felpe perché di sera ad Amburgo all’ombra fa schifosamente freddo, con gli occhi spalancati e le labbra sporche di maionese.
 
… ma facciamo un passo indietro.
 
#
 
Dopo essere riuscito a scappare dal cortile, il nostro amato vocalist si diresse con la sua andatura ballonzolante verso il centro, in cerca di qualche negozio Prada dove comprarsi una sostituta alla cintura persa.
E fu proprio ballonzolando che incrociò un duetto piuttosto ambiguo, gironzolante per le strade della città in sella ad un’improbabile Vespa giallo limone, che si urlava a vicenda nonostante fossero a pochi centimetri l’uno dall’altro.
 
-Dovevi girare a destra! No, ho detto destra! Occristo, ma mi ascolti quando parlo?
 
-Ci sto provando! Non ho scelto io questo catorcio più rumoroso di un motopic, diamine!
 
-Almeno rallenta!
 
-EEEHHH?!
 
-Rallenta ho detto! … CRISTODDIO, FERMATI!
 
-Ma che problemi hai?!
 
-Non vedi che c’era qualcuno in mezzo alla strada?! …
 
-Non è colpa mia se con questo casco non ci stanno gli occhiali! …
 
-La smetti di scaricarmi tutte le colpe del mondo?! Inizia a chiamarmi Pandora, già che ci sei! …
 
-Pandoro? Che cazzo c’entra il Pandoro? …
 
… e avanti così. Bill cercò di richiamare la loro attenzione, ma a quanto pare erano troppo impegnati a litigare. Non aveva grossi problemi a seguirli a piedi, dato che il motorino, a forza di partire e fermarsi, andava avanti pressoché a passo di lumaca con l’artrite.
 
-Ragazzi? …
 
-Ma non ce la fai a schiacciare quell’accelleratore?
 
-Se mi stai appiccicato in quel modo non riesco nemmeno a guidare, fra un po’ …
 
-Ragazzi …
 
-E che palle, basta rompere!- urlarono i due in coro, voltandosi verso il cantante.
 
-No, aspetta. EH?
 
-Ciao ragazzi. Pensavo foste a Mag.
 
-Bill, che cazzo ci fai in Germania, ad Amburgo, in mezzo alla STRADA?
 
-Beh, vi siete visti voi? Un ubriaco fatto di ecstasy guiderebbe meglio. Ma poi, se è lecito chiedere … perché una Vespa gialla? Insomma, Gus, se proprio dovevi comprarti una moto …
 
-Non l’ho scelta io. L’ha presa Georg al noleggio.
 
-E a cosa vi serve una Vespa a noleggio, se posso sapere?
 
-Lunga storia. Piuttosto tu perché non sei a svuotare boutique a Los Angeles?
 
-Avevo voglia di una vacanza.
 
-Una vacanza dalla vacanza? …
 
-Uhm, sì.
 
-Ti sei portato dietro anche tuo fratello per caso?
 
-Uffa, però, sempre tutti a chiedere di Tom. Nessuno che ogni tanto si interessi solo a me. Non è giusto. Il mondo è ingiusto! Scommetto che è solo perché sono…
 
-Sì, sì Bill, lo penso anche io. Allora, dove hai mollato il bro?
 
-In aeroporto. Credo sia ancora a dormire sulle valigie come un barbone. Beh, magari gli hanno anche lasciato qualche verdone …
 
-Per curiosità, cosa facevate prima di venire qui?
 
-Guardavamo la tv deprimendoci sul divano. Perché?
 
Il bassista scosse la testa. –Nah, per sapere. Coraggio, Sali che andiamo a prendere il pelandrone.
 
-Ma … in tre? Insomma, ragazzi, siete sicuri che non sia pericol- due paia di braccia lo tirarono sul motorino prima che potesse aggiungere altro, e poi partirono sgommando verso l’aeroporto.
 
#
 
-Bene, signori, se avete un motivo coi fiocchi per cui siete seduti in tre su una Vespa pensata per un solo passeggero, con uno di voi senza casco e un’andatura a zigzag alla velocità di ottanta chilometri orari, forse non vi metto una multa.
 
-Una motivazione c’è!- se ne uscì Bill da dietro la schiena di Georg. Avvicinò pericolosamente la faccia a quella dell’agente che li aveva fermati a pochi chilometri dall’aeroporto.
 
-La ascolto.
 
-Ma lei è proprio tonto se non l’ha capito. Non posso mettere il casco! Altrimenti mi rovinerei il trucco. Ma lei ha solo la vaga idea di quando mi ci voglia per imbastire su un make-up del genere?! E poi andiamo, per spostarmi mi servono come minimo due guardie del corpo. Sa, il mio eccessivo splendore suscita spesso comportamenti selvaggi nella gente che mi sta intorno.
 
-Ovvio. E mi spiega perché il suo splendore non lo porta in giro su una bella limousine, invece che invadere le strade a bordo di una Vespa giallo limone?!
 
-Quella è colpa di Georg- strillarono Bill e Gustav in coro. –L’ha scelta lui!
 
L’agente spostò lo sguardo sul diretto interessato; che provò un grande desiderio di sparire sotto terra.
 
-Cos’ha da dire a sua discolpa, sceglitore della Vespa?
 
-Io … voglio un avvocato.
 
-Mh- mugugnò l’agente, lasciando in pace Georg e scribacchiando sul blocchetto per le multe. –Per il momento le serviranno solo ottanta euro per la multa- borbottò sventolandogli il foglietto davanti alla faccia.
 
-Ma … è colpa mia adesso? …
 
-Certo, Ge. È sempre colpa tua- intervenì mieloso il vocalist, rivolgendo una sfarfallata di ciglia al bassista sull’orlo della crisi di pianto.
 
Nel frattempo Gustav fece levare di torno l’agente e i suoi soldi “sporchi della sofferenza delle altre persone” (con l’aggiunta di una faccia indignata).
 
-Bene, adesso che si fa?- chiese poi, volgendosi verso gli altri due.
 
-Mi pare ovvio. Riprendiamo la strada- affermò Bill inforcando gli occhiali da sole.
 
-Sì, certo, così ci facciamo ribeccare e buttiamo via un altro centone.
 
-Hai altre idee?
 
-Sì- intervenne Georg. –Gustav riporta questa cosa indietro e prendiamo un taxi.
 
-EH?! NO! Col cavolo! La riporti tu, casomai! Mica l’ho scelta io.
 
-Ma tu la sai guidare.
 
Il batterista sbuffò rumorosamente, per poi risalire in sella al motorino.
 
-Un giorno mi spiegherete perché- disse il vocalist, fissando Gustav che cercava di far ripartire il motore porconando.
 
-Un giorno- asserì Georg.
 
-Maaaa … è tanto lontano dove l’avete presa?
 
-Un po’. Avremo i nostri venti minuti da aspettare.
 
-Ma non stiamo meno a lasciarla qui, scusa?
 
-Ma sei matto?- strillò Georg. –Quello del noleggio mi strozza, come minimo.
 
-Gli hai lasciato documenti?
 
-Uhm … no- mugugnò pensieroso.
 
-E allora!
 
… sì, esatto. Mollarono la povera Vespa sul marciapiede, appoggiata ad un cipresso mal cresciuto, e se ne andarono allegri verso l’aeroporto in taxi.
 
#
 
Insomma, in breve, recuperato il chitarrista … come? Oh, certo. Parliamo di come “recuperarono il chitarrista”.
 
-Bene, adesso basta solo sperare che Tom non si sia mosso da dov’era- annunciò Bill aggiustandosi la giacca con aria da film americano di serie D.
 
-E tu ti ricordi dov’era, giusto?- fece Georg avvicinandosi in modo un po’ meno teatrale.
 
-Certo … - il terzetto si avviò verso le porte scorrevoli dell’aeroporto. -… che no!
 
-Quindi il piano quale sarebbe?
 
-Beh, questo: fate quello che faccio io- mormorò lapidario il vocalist. Per poi raggiungere in quattro falcate una hostess con un megafono in mano -probabilmente il microfono dell’aeroporto era stato danneggiato. Ci si arrangia come si può, no?-, strapparglielo e annunciare, dopo essersi arrampicato agilmente in cima ad una scala mobile:
 
-TOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOMMMMM? SVEEEGLIA CAAAARO, SONO IO E SONO VENUTO A PRENDERTI CON I G&G … SIAMO QUI ALL’INGRESSOOOOO! ALZA QUEL TUO CULETTO DA NEONATO E MUOOOVITI, TESOOROOO!
 
-Ah … e noi dovremmo fare quello che fa lui?- mormorò intanto Georg al compare, rimasto a basso a fissare l’amico che strillava cose oscene davanti ad un sacco di gente.
 
-Certo … però devi fare finta che stia semplicemente guardando, cercando di nascondersi il più possibile dalle persone che lo circondano. Muoviti, Geo, fai quello che fa lui- rispose il batterista, rimasto in silenzio fino a quel momento.
 
-Gus-Gus, i tuoi piani di spionaggio fanno pena.
 
-Lo so. Idea migliore?
 
Il bassista scosse la testa.
 
-Allora fai come dico io.
 
… il fantomatico e ricercato Tom venne fuori dopo cinque minuti buoni che Bill strillava nel megafono; barcollando, messo peggio di un barbone insonne, con due bagagli alla mano e tanta voglia di tirare quattro porconi di quelli seri.
 
-Bill, si può sapere che cazzo stai facendo lì sopra?- chiese, con la voce roca di sonno.
 
-OH! TI HO TROVATO. SAI, TI STAVAMO CERCANDO. APPENA IN TEMPO PRIMA CHE LA SECURITY MI SBATTA DENTRO, GRAZIE, TOMI. ADESSO SCENDO. MUOVITI, I G&G TI STANNO ASPETTANDO FUORI. IN TEORIA.
 
Il chitarrista scosse la testa. Impossibile riuscire a capire cosa ci fosse nella mente di suo fratello, meglio obbedire e non farlo arrabbiare.
Si diresse in silenzio verso l’uscita, incurante sotto gli occhi di tutti che lo squadravano peggio di un criminale diretto al patibolo; seguito a ruota dal fratello che nel frattempo era scivolato giù dalle scale, aveva ri-mollato il megafono in mano alla scioccata hostess ed era sfuggito per un pelo agli omoni della sicurezza infilandosi in mezzo alle camicie sudaticce e i distintivi consumati.
Insomma, se volete un quadro della situazione, avevamo un quartetto piuttosto discutibile –un batterista imbambolato, un bassista agitato con l’aspetto di  un ex-testimonial di Pantene, un barbone sonnolento con la faccia da fattone e uno stallone androgino probabilmente cacciato dalla passerella a calci perché considerato non comportalmente idoneo ad un pubblico criticante-, spiaccicato sul divanetto posteriore di un taxi amburghese che urlava indicazioni a destra e manca al tassista mentre decideva dove andare.
 
Alla fine, vennero scaricati dietro un albero.
 
-Bene- borbottò Tom spolverandosi la felpona. –Adesso cosa avresti intenzione di fare, mister Sveglio Le Persone Nel Bel Mezzo Di Sogni Paradisiaci Perché Devo Fare La Diva In Centro Ad Amburgo?
 
-Io direi di cercare un ristorante, ho fame- soggiunse immancabile Gustav.
 
-Io voglio solo sedermi- si lamentò esausto Georg.
 
-Bene!- esclamò Bill con l’aria di quello che sta per mettersi a dare ordini. –Quel chiosco di hot dog è perfetto per mangiare- urlò indicando un carretto da cui saliva una puzza di fritto e wurstel. –Laggiù c’è una panchina- disse poi spostando il dito inguantato, smaltato e inanellato (assieme a cui si muovevano con una sorprendente sincronizzazione le teste dei tre musicisti) verso un parco. -… e io ho una persona con cui parlare!
Detto questo, svolazzò verso una panchina occupata da due ragazzi stretti nelle loro felpe –tsè, stranieri … mai abbastanza preparati per il clima tedesco!- con due hot dog colanti di salsa in mano.
 
#
 
-Bill?
 
-Lo stallone?
 
-Io?
 
I tre si squadrarono per un attimo perplessi.
 
-Ok, ricominciamo.
 
-Sì, direi di sì.
 
-Ok, allora: Ciao ragazzi!
 
-Bill!- esclamarono i due mangiatori di hot dog in coro, esibendo una bella espressione entusiasta.
 
-Parlavate di me?
 
-Come fai a saperlo?- chiese Alex.
 
-Tsk, innocente ragazzo … - Bill e Kenny scossero la testa. –Lui sa tutto. Sempre e comunque.
 
-Ah. E come fa?
 
-Come sarebbe a dire “Come fa”?!- fece scioccato Bill. –Io sono Bill Kaulitz! Insomma … lo splendore corporale e cerebrale, la meraviglia assoluta, il sogno proibito di ogni creatura! Io sono IO!- snocciolò, indicandosi e facendo svariate giravolte.
 
-Capito?!- fece –seria- Kenny. Alex li fissava perplesso.
 
-Uhm … sì.
 
-Bene!- esclamò il vocalist battendo le mani soddisfatte, per poi sedersi vicino alla rossa. Anzi, distendendosi letteralmente sopra di lei. –Cosa hai fatto negli ultimi due mesi senza di me?- chiese lagnoso, guardandosi le unghie.
 
-Beh, io … - Kenny di fermò a pensare, osservando il cielo mentre gli grattava la testa a mo’ di micio viziato. –Niente che non fosse la normale routine. Ho fatto foto, photoshoppato le foto che avevo fatto, inviato i servizi alle varie riviste, conosciuto gente … - il pensiero andò alla faccia quadrata di Robert che si divorava la Nutella rimasta in dispensa. –Fatto colazione in giro in compagnia di gente poco affidabile.
 
-Tipo?
 
-Tipo vecchi amici … -questa volta pensò ai quattro criminali travestiti da musicisti hardcore che invadevano casa sua alle due di notte perché la loro camera d’hotel era rimasta senza luce. –E attori a caso.
 
-Eh? Che genere di attori a caso?- chiese il vocalist facendo la faccia da geloso.
 
-Attori a caso- ribadì Kenny fingendosi risoluta. –‘Scolta, non dirmi che non ti sei fatto nessuno in questi due mesi perché non ci credo.
 
-Uhm- fece Bill tornando alle unghie.
 
-Ecco, vedi? Comunque stai tranquillo. È solo un attore a caso.
 
I due stavano facendo l’allegra coppietta in viaggio romantico indisturbati; quando la Terza Presenza –ossia il povero e dimenticato Alex- sentì il bisogno di manifestarsi e far notare la sua esistenza.
 
-Scusate, ragazzi …- intervenne timidamente alzando una mano. –Se volete, io … posso spostarmi un po’ più in là, ecco …
 
-Ah, nessun problema, fai come ti pare- fece Bill con la più sfrenata aria da Regina Della Sfacciataggine agitando una mano.
A quel punto, Alex sentì ufficialmente il bisogno di alzare il posteriore e portarlo lontano da quel coso lamentoso che lo metteva in soggezione e finirsi il suo hot dog in pace.
 
Quando si fu allontanato, Kenny chiese:
-Ma non ti preoccupa Alex? Insomma, siamo sempre insieme. Io mi preoccuperei se tu avessi una ragazza sempre appiccicata.
 
-Ma Alex non ti è sempre appiccicato- iniziò il vocalist, con l’aria dello Sherlock Holmes che sta per snocciolare tutte le sue intuizioni genialoidi. –E’ solo un tuo collega, oltre che tuo amico da un pezzo. Non siete mai andati l’oltre tirarvi le patatine fritte al fastfood. Inoltre lui è fidanzato, ed è anche … - si interruppe un attimo per pensare, per poi aggiungere in modo ancora più sfacciato e lamentoso di prima: -troppo timido, volubile e impressionabile. Troppo scemo per una come te.
 
-Oooohh- fece ammirata Kenny, molto simile ad una bambina che guarda i fuochi d’artificio mentre fa i grattini in testa al suo gatto super-intelligente. –Ma graazie, lo considero un complimento.
 
-Oh, non c’è di che- rimasero un attimo in silenzio, facendo calare l’atmosfera ad un livello quasi romantico. Gli aceri che filtravano la luce della sera, le coppiette che passeggiavano strette uno nell’altro, gli uccellini che cantavano e qualche foglia che volteggiava piano prima di appoggiarsi dolcemente a terra, Gustav che tirava un ruttone e Tom che insultava le persone poco dietro di loro … se fossero andati avanti così la situazione sarebbe potuta degenerare in fretta: credevano di non ritrovarsi, o di ritrovarsi in modo sbagliato. Come se dopo il breve tempo di “calma dopo la tempesta” seguente al loro incontro qualcosa fosse potuto cambiare, qualche pezzo potesse essersi riincastrato in modo sbagliato, qualche carta avesse potuto piegarsi e far cadere tutto il castello. Una paura tremenda che fremeva nella testa di tutti e due: ma a quanto pareva, lì sotto la luce arancione del tramonto ad Amburgo, con le siepi parlanti, i cani ringhianti e i ciliegi e gli aceri, nulla era cambiato. Ogni pezzo era al posto giusto. Sarebbero potuti rimanere lì per sempre, fregarsene del mondo esterno e vivere soli nel loro piccolo e perfetto universo; lui che cantava le sue canzoni e che elencava le sue teorie di vita e lei che gli grattava la testa piano, annuendo a quelle teorie che era forse l’unica sulla Terra e nell’Universo in grado di capire. Perfetto, non avevano bisogno di nient’altro e nessun’altro … sarebbero rimasti lì per sempre e si sarebbero trasformati in una statua di granito rosa, o in un olivo come nei miti greci. Perfetto e per sempre. -… e poi scusa, tu ti preoccupi del rapporto tra me e Georg? Prova ad analizzare la situazione … è la stessa cosa.
 
-Uhm, sì. Domanda stupida. Scusa tanto.
 
-Oh, niente.
 
Yea guys. Lo so, lo so che vi state chiedendo dov’è finito il nostro simpatico psicopatico nascosto che trama tentando di accoppare i nostri simpatici amiconi. Tranquilli, non è andato in ferie, presto –forse anche nel prossimo capitolo- lo vedremo ricomparire. Gehehhehe. Preparatevi al peggio, people! >:D Ma intanto godetevi questa pillola di romanticismo mieloso e fatevi un bel giro in spiaggia. Mi raccomando la CREMA SOLARE, non vorrei mai che faceste la fine dei poveri emo pallidini come me che per un giorno in piscina di bruciano faccia, spalle e decolleté. Mi sto spellando come un pollo al forno.
… a proposito di spiaggia e polli al forno, volevo avvisare il gentile pubblico leggente (?) che a partire da venerdì –dopodomani- fino a lunedì 25 –quindi, se non ho sbagliato i calcoli, non il prossimo ma quello dopo- sono in giro a prendere il sole. Evviva. Ciò significa che riavrò il contatto con il popolo di EFP a partire da lunedì 25. Dunque, spero di riuscire ad aggiornare anche You Can Remember prima di partire, e se no … eh, ciccia, vi tocca aspettare un po’. Ma credo di potercela fare. *forse*
Ps. Oggi ho conosciuto la mia Terza Sorella Alien. Un applauso al mio angioletto custode che ogni tanto pensa a me. ^3^
… bene, ciancio alle bande! Saluti, bacini, occhiali da sole e renne felici a tutti coloro che leggeranno e lasceranno un commentino simpatico! :***** Baci dalla vostra cariiiiiissssssssima                 Lisa :D

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Capitolo 17
*** We return on troubles! ***


Tamburellò sui tasti del computer, mangiucchiandosi un’unghia.
Ghignò, emozionata, e sfarfallò gli occhi da dietro gli spessi occhiali. Se fosse stata quel genere di persona che dubita di sé stessa, avrebbe faticato a credere che il suo piano stava davvero funzionando. Ma, appunto, non era quel tipo di persona: sapeva perfettamente che sarebbe arrivata ai suoi scopi, e non le servivano la fisica o l’algebra per capirlo. Le bastava la semplice conoscenza della fragilità e dell’ingenuità della mente umana.
 
-Muoviti, Cristo, ho fame- abbaiò una voce dall’altra parte dello stretto appartamento.
 
-Cucinati una pasta o vai in un fast food- rispose, abbassando lo schermo del portatile. –Sei adulto e vaccinato e non hai nessun bisogno di una mammina a farti la badante- strillò, per poi tornare a ciò che stava facendo.
 
Il ragazzo sbuffò, nervoso, e si avviò verso la porta d’uscita. Si fermò vicino al divano, e sbirciò lo schermo del pc.
-Che diamine fai, che sei sempre dietro a quel benedetto computer?- chiese, disinteressato.
 
-Nulla che ti riguardi- tagliò corto lei, senza spostare lo guardo.
 
Lui sbuffò ancora, poi uscì sbattendo la porta. Quando i suoi passi pesanti non si udirono più scendere le scale, lei si rilassò.
-Stupido bambinone- sibilò, tornando alle registrazioni delle telecamere.
 
#
 
-Ma quindi … voi due avete una specie di trasmittente che dice ‘sono qui’, o un cartello luminoso invisibile agli altri esseri umani per localizzarvi a vicenda?- chiese Tom, da dietro il terzo panino unto.
 
-Semplice coincidenza- trillò Kenny, dal basso del suo metro e sessanta.
 
-Semplice deduzione- mormorò Bill, dall’alto del suo metro e novanta.
 
Tom li fissò entrambi, continuando a masticare, perplesso.
 
-Scusate, ma io non ho ancora capito … lei cosa faceva qui?- intervenne Gustav, da dietro il sesto panino unto.
 
-Allora, lei era venuta a trovare una zia … no, aspetta, doveva fare qualcosa!, per una zia … - ipotizzò Georg, da dietro la seconda birra. –No, forse mi sbaglio. Non c’entravano zie?- Kenny scosse la testa. –Non c’entravano zie. Oook, almeno abbiamo ristretto il cerchio. Lei era venuta peeeer … - si mise un dito sul mento, e volse lo sguardo al cielo, pensoso.
 
-Senti Ge, qui quello bravo a fare deduzioni sono io, ok? Meglio se non perdi altro tempo coni tuoi tentativi- gli disse Bill sporgendosi sopra il tavolino bisunto e semi coperto di foglie che avevano trovato in mezzo ad una siepe vicino alla panchina.
 
-Uffa, ma che palle! È tutto il giorno che parla di deduzioni, Cristo, che cazzo ha?- si lamentò Gustav.
 
-La nuova stagione di Sherlock Holmes- disse Tom, unendosi a Georg nel ‘duetto dei martiri che guardano le nuvole’. –Ha ritirato fuori tutti i librozzi arcaici che gli aveva regalato la prof di letteratura delle medie. Non ci crederesti se ti dico che durante il viaggio in aereo blaterava su vita morte e miracoli di ogni singola hostess che passava, dicendo che ‘dalla pettinatura sfatta si capisce che’, e ‘dai muscoli pompati delle gambe è chiaro che’, eccetera eccetera eccetera … quando io volevo solo godermi un po’ di sane panoramiche sui davanzali imperiosi delle assistenti di volo- si lagnò, perdendosi in chissà quale visione molto poco martirica di camicette scollate e cose del genere.
 
-Insomma, io non ho ancora capito perché lei era qui- bofonchiò il bassista, scolando anche l’ultimo rimasuglio di birra.
 
-Lavoro. Dovevamo occuparci del servizio fotografico per conto di una rivista tedesca … - iniziò a spiegare Kenny.
 
-Intervistavano Nena- aggiunse Bill, guardandosi le unghie.
 
-AH- fecero i tre musicisti in coro. –Non era difficile da spiegare.
 
Rimasero in silenzio per un po’, intenti ognuno dei suoi pensieri … o panini unti, dipende dal punto di vista.
 
-Ma voi due perché avete lasciato Los Angeles?- venne fuori Gustav ad un certo punto.
 
-Avevo bisogno di una vacanza- ammise noncurante Bill, stravaccandosi sulla sedia.
 
-Io invece ho bisogno di un altro hot d… - iniziò Tom, alzandosi.
 
-Tu non hai bisogno di niente, anzi se continuerai così ingrasserai e diventerai un grosso barilotto con le treccine e non ti farò più entrare in casa- ribatté Bill afferrandolo per una treccina.
 
-Non è vero! Io faccio un sacco di esercizio!- protestò il chitarrista.
 
-Sì, che non va oltre lo scopare pesantemente ragazze che non conosci nel mio bellissimo letto!
 
-Il tuo letto è più grande e comodo del mio, ok? Te la sei cercata!
 
 
-Il mio letto è più grande del tuo perché tu ti lamentavi del fatto che in inverno ti ci voleva un sacco di tempo a scaldarlo tutto, e la coperta in più non la volevi! Così mi sono preso io la piazza e mezza- lo ammonì mamma-Bill, senza smettere di tirarlo per la treccina.
 
-Ma …
 
-Niente ma. E adesso fai tre giri di tutto il quartiere, o stai buono e seduto.
 
-Uffa! Mi sono rotto le palle di stare seduto.
 
-Che ne direste di dirigerci tutti verso l’accogliente salotto dell’attico di Georg?- propose il batterista ad un certo punto.
 
-COSA?! No no no no, nel mio attico non ci venite- saltò su il diretto interessato. –Insomma, voglio dire … la signorina può anche entrare … ma voi tre proprio no- si corresse subito dopo.
 
-Senti Ge- latrò Bill in risposta. –Se mi dici che Gus non è mai venuto da te non ci credo, primo; che Tom non è proprio pulito concordo, secondo; io al contrario sono più educato e ordinato di te, terzo; e quarto, cosa più importante, la “signorina” è la mia ragazza e quindi non viene entra da sola da nessuna parte. Non con te, almeno.
 
-Incredibile ragazzi, spero che qualcuno abbia registrato questo momento- disse Gustav. –Bill Kaulitz che dice “è la mia ragazza”, signori, è una cosa per cui i giornali pagherebbero, eh!
 
-Anche il solo fatto che Bill Kaulitz abbia una ragazza fa già scalpore di suo … io stesso non ci avrei scommesso- concordò Georg, ricevendo in risposta una bella manata con tanto di anelli, che dopo essere passata dalla sua faccia terminò sulla guancia paffuta e budinosa del batterista con un sonoro ‘ciac’.
 
-AH!- si lamentarono in coro i due.
 
-Così imparate a dubitare del vostro cantante!- si giustificò il moro.
 
-A dubitare del fatto che tu sia etero?- intervenne Kenny a quel punto.
 
-ARGH! Non rivolgermi mai più quella parolaccia!
 
I quattro si scambiarono uno sguardo sconsolato, scuotendo la testa e alzandosi per andare in questo benedetto attico.
 
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-Allora? Come procede il tuo ‘fantomatico piano’?- la canzonò il ragazzo, rientrato da poco dalla solita nottata passata in giro.
 
-Và a scopare la tua puttana in camera e non mi dare fastidio- ringhiò lei in risposta, sempre nascosta nel semibuio del salotto, solo la montatura degli occhiali e la punta aguzza del naso erano visibili alla luce del computer.
 
Il ragazzo ridacchiò, e si chiuse nella sua stanza, sbattendo la porta.
 
-Stupido bambino- sibilò, volgendo lo sguardo alla porta, solo quando fu sicura che non l’avrebbe vista. Erano passati solo una trentina di secondi da quando la porta si era chiusa, ma lei conosceva abbastanza suo fratello da sapere che a quel punto era già crollato scompostamente in qualche posa da ubriaco, e passeggiava nel mondo dei sogni da cui non si sarebbe scollato per un bel po’.
Erano rimasti soli, nella loro grande casa di periferia, dopo la morte della mamma. Lei, la ragazzina con l’espressione corrucciata e gli occhialoni che portava sempre bei voti dalla scuola, l’orgoglio di mamma e papà; e lui, il fratellone scanzonato, che non faceva altro che farsi espellere da questo e quell’istituto, fumare in camera, bighellonare in città con i suoi amici e pitturare i muri con le bombolette.
Max era bravissimo a disegnare, e lei non l’avrebbe mai ammesso. Era invidiosa di suo fratello. Non perché avesse carisma, un bel fisico e un arsenale vastissimo di modi per farsi piacere alle ragazze; perché la sua vita fosse infinitamente più interessante e vera della sua; o perché, al contrario di lei che sapeva solo parafrasare poemi e fare velocemente i calcoli; avesse quel talento innato di rendere bello qualsiasi rudere su cui avesse fatto scorrere la sua bomboletta.  Max era un ragazzo d’arte, un genio innato e incompreso dalla società, stampava i suoi pensieri sui muri e se li portava dietro in prigione, quando lo pescavano con le mani nella marmellata. Lo rimandavano fuori dopo un po’, credendo che fosse solo un  giovanotto pazzo e chiacchierone.
Insomma, erano rimasti da soli, nella grande casa di campagna. Max aveva già diciotto anni, quindi aveva tutti i diritti legali di restare solo con sua sorella, ma graffitare i muri in città non portava soldi a casa, e lei aveva le rette della scuola da pagare; così i giorni di solitudine della grande casa durarono ben poco: certo il compenso che ne ricavarono vendendola fu ben elevato, e ci avrebbero campato per anni, ci stavano ancora vivendo. Un amico di Max aveva rimediato loro un appartamentino minuscolo in centro, proprio sopra il pub dove il più grande si incontrava con gli amici per pianificare altri “colpi” in giro per la città. So cosa pensate, no, non era un ladro. Colpo era il loro modo figo di dire che avrebbero pastrocchiato qualche muro. La luce non serviva quasi mai, l’acqua tantomeno, l’affitto non lo pagavano ed entrambi mangiavano poco. Così i due ragazzi della grande casa di campagna vivevano da soli nell’appartamentino del centro città, e lei, sedicenne, si faceva tutta la città in motorino per andare a scuola.
Da quando erano arrivati lì non avevano fatto altro che dedicarsi a due differenti attività: Max era sempre fuori, a dipingere. Lei era sempre dentro, a criptare codici, ingaggiare matti assetati di sangue e guardare registrazioni di telecamere: era riuscita a diventare ben più di una semplice hacker, qualsiasi cosa dotato di indirizzo IP non aveva un singolo segreto per lei. Ma non le interessavano le offerte allettanti dei criminali in giro per la città e oltre, lei aveva un obbiettivo preciso e non sarebbe stata soddisfatta finché non l’avrebbe portato a termine. Non sapeva cosa avrebbe fatto dopo, forse sarebbe entrata in qualche industria informatica o cose del genere, per il momento non la riguardava.
Dalla camera a fianco si sentì un colpo. Lei posò il portatile sul posto vuoto di fianco al suo, e si alzò, facendo scricchiolare tutte le ossa delle gambe. L’attività fisica non era il suo must. Si diresse a passi lenti verso la stanza, e aprì la porta. Il corpo di Max si estendeva in tutti i suoi centonovanta centimetri fra il letto e il pavimento, ancora completamente vestito e abbondantemente ronfante. Sospirò, e lo spostò sopra il materasso, poi gli tolse le scarpe e lo coprì con una coperta. Non gli avrebbe fatto né caldo né freddo la mattina dopo, quando sarebbe tornato a sputarle addosso parole acide prima di uscire, delle sue attenzioni, ma non poteva farci niente. In fondo, anche dopo che il suo fantomatico piano si fosse portato a termine, oltre ad un grosso vuoto dentro, non le sarebbe altro rimasto altro che Max.
 
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-Come sarebbe a dire che non possiamo salire?!
 
Erano bloccati alla hall del palazzo dove si trovava casa di Georg: perché in fondo, anche se l’appartamento che dovevano raggiungere era il più alto e fighetto di tutto il complesso, dovevano raggiungerlo con l’ascensore, come tutti i comuni mortali (non era ancora stato approvato l’elicottero che portava i residenti al loro attico supercostoso ogni giorno); ma quel giorno sembrava essere contro di loro.
 
-L’ascensore è bloccato! Né io né voi possiamo farci niente, purtroppo- tentava di giustificarsi il povero portiere, facendosi sempre più piccolo sotto l’imponente figura di Lady Bill che strillava come se l’attico che non potevano raggiungere fosse casa sua.
 
-Bill, possiamo usare le scale … - propose Kenny, tentando di farlo ragionare.
 
-Io? Sulle scale? Ma cosa hai bevuto questa mattina?! Spari troppe cazzate oggi, tesoro!- sospirò preoccupato, per poi tornare ad accanirsi sul portiere.
 
-Però è strano. Sono quattro anni che vivo qui e non ci sono mai stati problemi- rimuginò il padrone di casa.
 
-Gli ascensori si bloccano, Geo, non è “strano”. Sono cose che capitano- mugugnò Tom, che era palesemente stufo di tutti quei detective.
 
-Giuro che è la prima volta che capita da quando abbiamo inaugurato il palazzo, signore, nessuno ha idea di cosa possa essere successo!- strillò il portiere, che era corso a nascondersi dietro al bancone per paura del cantante. –Domani arriveranno quelli della manutenzione che cercheranno di capire cos’è successo, ok?! …
 
Bill si arrese, sbuffando. –Non mi chiami mai più “signore”. Signori sono i sessantenni sovrappeso con la giacca e la camicia inamidata, e io non faccio parte di questa categoria- sibilò, prima di mollare definitivamente la sua posizione.
 
-Come dovrei rivolgermi a lui, allora? … - sussurrò terrorizzato il portiere a Tom, cercando di non farsi sentire da Bill.
 
-Di solito vuole essere chiamato “Altezza”, “Lady”, “Senpai” e cose del genere. Lei faccia semplicemente a meno di chiamarlo- borbottò il chitarrista in risposta, per poi tirargli una solidale pacca sulla spalla.
 
-Che vi avevo detto? Questo non è il posto da “problemi di manutenzione”.
 
-Georg, smetti di farti paranoie- lo zittì Tom iniziando a salire le scale.
 
-Spero tu abbia il frigo pieno, piuttosto, perché quando avremo finito questa rampa di scale avrò fame.
 
-Tu hai fame in ogni caso, Gus.
 
Bill e Kenny si accodarono agli altri.
-Solo io ho la sensazione di avere un po’ il mondo contro ultimamente?- gli chiese Kenny.
 
-Ah, fidati, no- rispose lui, guardandosi intorno seccato.
 
-Ho come il presentimento che accadrà qualcosa di … non troppo piacevole, sai?
 
-Davvero? Io ne ho la conferma.
 
-Cosa intendi?
 
Svoltarono la prima rampa, e Gustav iniziò a lamentarsi per la fame.
 
-Intendo che sono scampato ad una rapina e ad un incidente più o meno lo stesso giorno- spiegò Bill con indifferenza. –Per non parlare della maniaca che mi stava inseguendo fuori dal bagno in aeroporto …
 
-Sicuro che non sia stata una tua fan?- chiese Kenny ancora, senza essere apparentemente preoccupata per la sorte del suo fidanzato scampato alla morte un paio di volte.
 
-Nah, le fan hanno un modo tutto loro di inseguirti. Questa era proprio psicopatica. Non ne ho parlato a Tom, le ho semplicemente spaccato un ombrello in testa … e non uno qualsiasi! Il mio bellissimo ombrello di Gucci- piagnucolò.
 
-Tranquillo, compreremo un altro ombrello. Ma … credi che qualcuno stia cercando di farti fuori?
 
-E perché qualcuno dovrebbe volermi far fuori? Insomma, guarda!- e si indicò dalla testa ai piedi, scandalizzato, facendo una piroetta. –Sono troppo splendido per diventare un cadavere.
 
-Questo non lo metto in dubbio ma … - venne interrotto dal sospiro di Tom, che si abbatteva più morto che vivo sul portoncino d’ingresso, finalmente raggiunto dopo tanta fatica.
 
-Spostati, coglione, che devo aprire la porta- grugnì Georg, armeggiando con le chiavi. Quando finalmente ebbe infilato quella giusta, fece scattare la serratura e aprì la porta. E sarebbe anche entrato, se dall’altra parte non si fosse trovato un uomo di età indefinita, vestito con una tutina bianca scintillante in stile ‘80, con un paio di occhiali da sole giganteschi e un cappello a cilindro che gli nascondeva la faccia; che sarebbe stato anche carino in una sfilata a tema disco se non avesse puntato un revolver brillantinato dritto in mezzo alla fronte del bassista.
 
-Non una parola- mormorò lapidario, in un tono che era in forte contrasto con i brillantini verde acido della giacca. –E portate il culo dentro, tutti e cinque.
 
 
 
BLBLBLBLBLBLBLBL CIAOOOO, innanzitutto mi inchino infinite volte per chiedervi perdono del secolo e mezzo che è passato dall’ultimo aggiornamento di questa storiaaaaaa, spero che almeno vi stia piacendo. D: chiedo particolarmente venia alla Marty, che nell'ultima recenisione che mi ha lasciato qui non le ho nemmeno risposto. L' Alien-sistah era un'animatrice del mio grest, baby. Eh, sì, evidentemente nel mio paesino inculato al mondo siamo in due-pseudo quattro *esulta*
Ebbene sì, vi ho dato una panoramica un po’ più meglio (italiano correggiato 4 life) sulla maniaca killer, così almeno sappiamo con chi avremo a che fare! Mi piace inventare storie tristi di famiglie tristi.
L’abbigliamento del mio infiltrato! Non lo trovate stupendo?!?!?! È il frutto di una prolungata esposizione a Dani California dei Red Hot Chili Peppers, se vi interessa saperlo.
E niente, baci e caldi e rossi peperoncini a tutti! :D  Al prossimo capitolo :** che spero uscirà prima del quarto millennio :*
Ps. Avete fatto un giro nella nuova storia che ho pubblicato in collaborazione con la Charlie? (Un Punk Perso A Hollywood) NO? Bene, andate. Ci sarà da divertirsi, parecchio molto. : ))))))                        Lisa^^

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