Memorie Dei Rinnegati-La Cerca Dei Sogni.

di Akita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tre Anime. ***
Capitolo 2: *** Vento e Gelo. ***
Capitolo 3: *** Tu non mi avrai. ***
Capitolo 4: *** Apri lo scrigno. ***
Capitolo 5: *** Lampi. ***
Capitolo 6: *** Una vittoria era troppo poco. ***
Capitolo 7: *** La verità più importante. ***
Capitolo 8: *** Foglie morte al vento. ***
Capitolo 9: *** In trappola. ***
Capitolo 10: *** Mentre tutto andava a rotoli... ***
Capitolo 11: *** D'argilla. ***
Capitolo 12: *** Nel peggiore dei modi possibili. ***
Capitolo 13: *** Non ho mai voluto. ***
Capitolo 14: *** In viaggio. ***
Capitolo 15: *** Pensieri intelligenti alla luce della luna. ***
Capitolo 16: *** E che succede, qui? ***
Capitolo 17: *** Un amico ritrovato! ***
Capitolo 18: *** Giorni grigio topo? ***
Capitolo 19: *** Certe complesse dinamiche. ***
Capitolo 20: *** Le altrui speranze. ***
Capitolo 21: *** Nuvole sulla nostra patria. ***
Capitolo 22: *** Nonostante tutti questi misteri. ***
Capitolo 23: *** Cose che furono. ***
Capitolo 24: *** In pace con il mondo. ***
Capitolo 25: *** A Ritroso. ***
Capitolo 26: *** Cominciava davvero bene! ***
Capitolo 27: *** Tanto, di più non può succedere. ***
Capitolo 28: *** Dalla parte dei buoni. ***
Capitolo 29: *** Rimanere a galla. ***
Capitolo 30: *** Tentativi di fuga. ***
Capitolo 31: *** Io lo ammazzo! ***
Capitolo 32: *** Quali guai per noi? ***
Capitolo 33: *** Non tremate! ***
Capitolo 34: *** Le mie risposte. ***
Capitolo 35: *** Nessuna via di scampo. ***
Capitolo 36: *** Qualcosa si muove nel buio. ***
Capitolo 37: *** Carne da macello? ***
Capitolo 38: *** Un po' di severità. ***
Capitolo 39: *** C'è troppo che non va! ***
Capitolo 40: *** Tutto a posto! ***
Capitolo 41: *** Nient'altro che una bambina. ***
Capitolo 42: *** Ed il tempo fugge. ***
Capitolo 43: *** Per scacciare i fantasmi. ***
Capitolo 44: *** Il tempo che fugge. ***
Capitolo 45: *** Oh...questo raffredda un po' la serata. ***
Capitolo 46: *** Il valore della compagnia. ***
Capitolo 47: *** Le buone vecchie abitudini. ***
Capitolo 48: *** Questo piano fa acqua da tutte le parti. ***
Capitolo 49: *** Molte cose stavano per cambiare. ***
Capitolo 50: *** Scatole di sardine. ***
Capitolo 51: *** Come si saluta un diario? ***
Capitolo 52: *** Meglio volanti. Si, senza alcun dubbio. ***
Capitolo 53: *** Galleggi come fil di ferro. ***
Capitolo 54: *** Una giornata finita male... ***
Capitolo 55: *** Viaggiare è una bruttissima cosa. ***
Capitolo 56: *** Sconfiggere le paure? (parte prima) ***
Capitolo 57: *** ...ed un'altra conclusa peggio. ***
Capitolo 58: *** Sconfiggere le paure? (parte seconda, o ***
Capitolo 59: *** Voglio solo un po' di coccole. ***
Capitolo 60: *** Sconfiggere le paure? (parte terza, ovvero ocme rovinare la giornata a tutti. Specialmente a me) ***
Capitolo 61: *** Oggi invece sono felice! ***
Capitolo 62: *** Soffocare istinti bellicosi. ***
Capitolo 63: *** Tu guarda un po' che schifosa situazione. ***
Capitolo 64: *** A questo punto mi si può anche chiamare veggente. ***
Capitolo 65: *** La mia fervida immaginazione mi fa vedere cose molto, molto strane. ***
Capitolo 66: *** Che bella giornata, oggi! ***
Capitolo 67: *** Cambio di panorama. ***
Capitolo 68: *** Grossi guai in arrivo. ***
Capitolo 69: *** Ops. ***
Capitolo 70: *** Questione di umiltà. ***
Capitolo 71: *** Qualcuno mi faccia uscire di qui! ***
Capitolo 72: *** Ombre. ***
Capitolo 73: *** Basta! ***
Capitolo 74: *** Tra due fuochi. ***
Capitolo 75: *** Nessuno di noi deve morire. ***
Capitolo 76: *** In terra grigia. ***
Capitolo 77: *** Guai in vista. ***
Capitolo 78: *** Essere un eroe. ***
Capitolo 79: *** Che razza di benvenuto. ***
Capitolo 80: *** Quanto mi chiamo Nilyan Nemys. Accidenti. ***
Capitolo 81: *** Accidentaccio. ***
Capitolo 82: *** Sotto i migliori auspici. ***
Capitolo 83: *** Mille aghi sulla mia pelle. ***
Capitolo 84: *** Va' dove ti porta la fame. ***
Capitolo 85: *** La seconda tappa. ***
Capitolo 86: *** Punto critico. ***
Capitolo 87: *** So che lui sa. ***
Capitolo 88: *** Cosa dobbiamo aspettarci? ***
Capitolo 89: *** Sto ferma, ed aspetto. ***
Capitolo 90: *** Col cavolo. ***



Capitolo 1
*** Tre Anime. ***


Scrivere

Ta-dan!

Credevate di esservi liberati di me, eh? Eh? Eh?

Nah nah, non si sottovaluta Akita così xD

Oh, basta, la smetto.

Ma ci tengo a presentarvi la seconda parte delle Memorie dei Rinnegati:

La Cerca dei Sogni.

Vi prometto un bel groviglio di serpi, un bel gomitolo da sciogliere xD

Tuttavia, ci tengo a precisare qualche piccola cosa.

Troverete dei cambiamenti, nell’ambientazione quanto nelle persone a descriverla.

Oltre Lsyn, più in là si aggiungeranno altre due voci narranti, in prima persona, che per ora non vi confiderò, tanto per farvi morire un po’ dalla curiosità.

È una sfida, per me, una cosa nuova.

Si aggiungerà qualche piccolo elemento di modernità, ma prometto di non uscirmene con cose assurde, che nemmeno mi piacciono molto.

Quindi, vedrete sempre, sebbene in minor misura, cavalli e spade xD

 

Prima ancora di cominciare (ebbene si, sono galvanizzata dal nuovo inizio xD di nuovo si riprende, a stramazzare dietro le parole xD), inchinatevi tutti al cospetto di Carlos Olivera! xD

È lui che, dalla fine ad oggi, mi sta dando il pungolo per cominciare al più presto.

Sue, sono come al solito le valanghe inafferrabili d’idee, che, chissà come mai (!), riescono sempre bene xD

Allungano il brodo in maniera sopraffina xD

Nemmeno si comincia, e già ho un grosso debito con lui xD

Ah, vediamo cosa ne pensi xD

Grazie J

 

E voi, altri fantasmagorici o meno lettori, mi seguirete in questa nuova avventura (riusciranno i nostri eroi…ebbene si, mi sto friggendo il cervello xD)?

Io lo speroJ

Buona lettura, e benvenuti al Nuovo Inferno xD

 

Akita.

 

 

 

 

 

Scrivere. Di nuovo. Scrivere. Solo per il gusto di farlo.

Mi sembra strano riprendere, ora, in mano vecchie pagine ingiallite, testimoni di un passato che, forse, è quello che è, finalmente. Passato. Un’ombra ci è passata vicino, a noi tutti, un’ombra che da sempre ha allungato la sua mano adunca sul nostro amato mondo, e sempre lo farà.

Un’ombra che non è mai passata.

Ed è forse per questo che io, Lsyn Amarto, mi chino di nuovo su pile di fogli, e riprendo una furiosa missione.

Forse è per questo che io, un tempo Spia del Regno, elfa dallo spiccato senso della razza, ricca e piena di affetti, un tempo devastata pellegrina sfregiata, per colpa di un incidente premeditato e di una finta sparizione, di un elfo che amava e che credeva tutta un’altra persona, un tempo disperata Ch’argon di Uruk, vuota d’ideali e di affetti, ho deciso di riprendere in mano penna e calamaio e passare di nuovo notti insonni, al lume di una sola, fedele candela.

Forse è per questo, per l’urgenza di raccontare ciò che un tempo fu, ciò che minaccia di ripetersi ad ogni giro della ruota del tempo, la tessitrice che trama un sudario sempre uguale a se stesso.

Buffo.

Ho già raccontato ciò che mi successe in pochi mesi, quel cambio radicale del mio universo, a cui se ne aggiunsero molti altri, raccontato a nessuno, ad uno, a tutti, una storia che può essere di chiunque e solo mia.

L’ ho già raccontato, tutto quello che mi successe, che mi spinse a ritirarmi in una socievole pace, in una stasi, in attesa che il mio momento giungesse.

Come poi effettivamente fu.

Sono diversa dall’elfa che si stese, un pomeriggio d’autunno, su un letto che un tempo non era sua, declamando al vuoto ed al passato di essere tornata.

Diversa, da quell’elfa che mescolava affetto, compassione e disperazione.

Posso dire, ora, che il processo che mi ha portato ad essere ciò che effettivamente sono è finalmente completo.

Lentamente, durante ciò che successe, ciò di cui ora parlerò, trovai il coraggio per alzare la testa, e sbeffeggiare il destino con una linguaccia.

Non ho più rimpianti, ed i dolori passati, i ricordi di persone che c’erano, e non ci sono più, sono meno cocenti.

C’è sempre, ancora, di tanto in tanto, la sofferenza, gli incubi vengono a tormentarmi.

Rivedo ancora quell’attimo in cui la mia spada si conficcò nel corpo del mio amato Chekaril, quel Principe che idolatravo, ed avevo cercato per tanti, tanti anni.

Rivedo ancora l’attimo in cui il respiro del mio amato fratello, quel Tijorn dai profondi occhi grigi, si fermò, stroncato da un male inaspettato e terribile, stroncato da qualcosa che si poteva evitare.

Risento ancora le suppliche disperate di Akita.

Così come risento mille volte gli strilli sofferenti di Nemys.

Eppure, ogni istinto di vendetta, ogni fuoco ardente si è ormai spento, in me.

Dopo tutto questo tempo, sono contenta di vivere.

Verissimo, sono cambiate tante cose, e nuovi problemi si sono andati ad aggiungere ai vecchi.

Qualcosa di buono è rimasto, tuttavia, da tutto questo lutto, da tutto questo male.

Tutto questo dolore, ora lo capisco, non è stato inutile.

C’è stato un motivo per cui ora noi siamo vivi, vegeti e relativamente sereni, ed io ne voglio parlare.

Voglio testimoniare, testimoniare cosa che furono, ferite del passato che stentano a stare buone, pezzi che il destino ha sparso per il mondo, e si è divertito a nascondere, ciò che successe dopo quel periodo che culminò con una giovane e vecchia elfa dalle ciocche bianche, impegnata a guarirsi e curare bambini non suoi.

Diamine, i bambini.

Sapete, da quel giorno in cui apposi l’ultima parola alle mie dolorose confessioni sono ormai passati circa centoquarantasei anni, ed essi sono ormai adulti, giovani adulti che si affacciano allegri alla vita. Tempo lungo per decidersi a riprendere in mano le redini della propria esistenza, vero?

Dei, solo a pensarci mi viene da ridere.

Sono sempre la solita, vecchia, mucca tradizionalista.

Per noi elfi, è tutto più lento. La vita stessa si svolge con ritmi assurdamente dilatati.

Di cose ne sono cambiate, in tutti questi anni. Ma io sono rimasta pressoché identica.

La stessa elfa bassa, drammaticamente piccina, mingherlina, dai lunghi capelli, un tempo neri, ora striati di bianco e grigio, monito perenne agli orrori da me subiti, dagli stessi occhi scurissimi, dagli stessi abiti, dello stesso, significativo colore. La stessa creatura impossibile.

Dallo stesso corpo per metà ridotto ad un terrificante ammasso di cicatrici, segni che faceva di tutto per nascondere, facendo finta di essere serena con quella voce di tomba. O almeno, così fu.

Ora sono diversa, mi sento diversa.

Ma non sto scrivendo per parlare di me, tutt’altro. O meglio, voglio credere così.

Tutto cominciò come sempre.

La vita che mi attornia era, all’inizio, sempre la stessa.

Ero sempre la Ch’argon di Uruk, legata allo stesso regno da un vincolo indissolubile.

Ero sempre l’amica di Isnark, a cui ho inflitto due cicatrici perpendicolari che tanto paiono l’iniziale del mio nome.

Riempivo sempre scartoffie ogni pomeriggio.

Ero sempre legata da un vincolo d’indissolubile amicizia ai miei tre giganti, il timido Capouille, il fiero Benagi e l’austero Zipherias, lo zoppo, gelosissimo Zipherias. Lui trasaliva ancora quando mi vedeva in confidenza con uno sconosciuto.

Il Regno era sempre in mano a Lainay, la madre asfissiante di un povero Kamarducil a cui non era permesso nemmeno di  fare un passo al di fuori del castello di Galinne.

 Il Regno si estendeva sempre per buona metà del continente.

Gli umani erano sempre trattati come bestie.

Torturati, uccisi, seviziati. La loro elfica sovrana trovava sempre un nuovo modo per giocare con i suoi cuccioli.

Si diceva che qualcuno di loro fosse entrato nelle sue grazie, qualche umano che vivesse nella fastosa corte della Città dell’oro, ma io tendevo a non credere a quelle dicerie.

Non riuscivo a pensare Lainay, quella sovrana che con tanta cecità avevo seguito, con tanta dedizione, per poi essere crudelmente torturata da lei stessa, gentile con degli orecchie-tonde.

Lei i mortali li torturava di persona. Li uccideva di persona.

Beh, cose come quelle erano la norma, ormai, e nemmeno io mi scomponevo.

La guerra era sempre una silente minaccia.

Poco tempo fa, tuttavia, era ancora in mera potenza. A parte qualche innocua scaramuccia, niente di che.

Eravamo tuttavia in stato di massima allerta.

Non è bello essere circondati da un regno che vuole prendere il territorio con ogni pretesto, sempre sulla difensiva.

Gli altri regni sedicenti liberi avevano mani e piedi legati.

La resistenza continuava, labile e sotterranea.

Eravamo tutti oppressi da una potenza troppo potente.

Tuttavia, la nostra vita ancora continuava.

Roxen, Chekaril, Manolìa, Nysha, Machin e Nilyan sono tutti cresciuti sani e belli, perfetti.

Vivono, ora, con mio enorme dispiacere, tutti a Kyradon.

Ero rimasta praticamente sola con Amarto e Dae nella casetta di Sharilar.

Tuttavia, non ci rimanevo tutta la giornata, a rimembrare cose passate.

Ero sempre in attività, ed a casa ci tornavo solo di sera.

Tutta la giornata la spendevo con i miei protetti.

Tutti i piccoli sono tanto cambiati, da quando erano bambini innocenti.

Nilyan si è fatta una bella giovane. Assomiglia in un modo impressionante sia alla madre che al padre, con quegli arruffati capelli bianchi e gli occhi azzurri, la pelle olivastra, la corporatura alta e snella e i tratti rapaci, ma ha un carattere che è tutto particolare.

E’ di  dolce pepe,  da capo a piedi. Sono fiera di averla allevata così indipendente.

È testarda, un vero e proprio muro quando serve, e fa quello che vuole e decide lei. Ma è tenerissima, di una dolcezza straordinaria, sempre quieta ed un po’ con la testa fra le nuvole. È l’unica capace di far ragionare le teste calde come mio nipote. Mi vuole un bene immenso, a me come a tutti i personaggi che l’hanno accompagnata dall’infanzia. Ma a me di più. È come se fossi sua madre. Ed io di questo sono fiera.

E’ un pericolo, tuttavia, per se stessa, lo devo ammettere. Da una certa età in poi ha cominciato, un tratto degno della sua natura non esattamente elfica, a manifestare un prepotente e potenzialmente devastante potere magico. La prima volta che  cominciò ad usare la magia fu per me un colpo. Quel giorno mi rovinò un’intera collezione di piatti, presa dal panico di vederli galleggiare. Benagi deve avere ancora lo strano segno che gli lasciò uno di questi, che aveva cominciato a rimbalzare dappertutto, senza rompersi. Da allora, si allena ogni giorno con maghi e sacerdoti, e sembra migliorare. Non bisogna metterla sotto pressione, però, perché la sua forza rischia di erompere e travolgerla, come un fiume in piena. Vederla impazzire sarebbe per me qualcosa di troppo terribile. Non riuscirei a sopportare una cosa del genere.

All’epoca, Nilyan, la piccola Nilyan, che avevo stretto a me quando aveva la febbre, con cui avevo giocato, che avevo allenato ed allevato, a cui le avevo date di santa ragione quando commetteva qualche marachella di troppo, era ancora Principessa, una principessa senza ambizioni di divenire Regina. Non ne aveva la minima intenzione, per inciso. Amava la sua bella vita, piena di allenamenti e di studio. Non si poneva domande, e guardava fiduciosa il futuro, con una speranza tipica dei giovani.

Il suo è un ciondolo semplice ed elaborato, ricavato da uno dei due Cuori che rubai a quei Celestiali che uccisi. Li ho fatti fondere, creando tutte piccole opere d’arte, regalando a cinque dei sei piccoli soli un ricordo della loro infanzia, come Amarto fece con me, al compimento del centesimo anno.

Anche il mio nipotino è cresciuto. Il mio Machin, il mio tesoro. Le aspettative che avevamo di lui da piccolo si sono tutte compiutamente realizzate.

È divenuto un giovane davvero bello, che assomiglia in modo inquietante al mio defunto e carissimo fratello, al mio Tijorn.

Per questo, mi è ancora più caro.

Quando vedo i suoi occhi, grigi e profondi, mi sembra, ora come un tempo, di fissare lui ritornato a vivere.

Ma c’è anche Akita, in quei tratti che fanno cadere ai suoi piedi tante elfe, quelle poverine di cui lui non si avvede minimamente.

Ha strani capelli leggermente ondulati, di un biondo rossiccio, con sfumature aranciate e rosse, una pelle di alabastro, che si arrossa in un attimo, nell’altezza ed in quella falsa magrezza.

Mio nipote era ed è ufficialmente un’inguaribile testa calda. Un istrione, un buffone, un pazzo scatenato, in tutti i sensi. Terribile, sempre sorridente, pronto allo scherzo ed al riso, alla battuta, volatile, un vortice in cui si affogava, inafferrabile, imprevedibile. Aveva ereditato la natura leggermente infantile della madre, la pazienza e la dolcezza estrema del padre, il senso di responsabilità. Ogni tanto tira fuori una serietà niente male. Un guazzabuglio incredibile, un lago di cui è difficile scorgere il fondo. È ancora uno delle persone più difficili da comprendere, per me. Pensava sempre a quello che faceva, anche se faceva finta di non accorgersene. Cercava sempre di stupire. Ma si pentiva quando esagerava. È legato tuttora ad un tenero legame di amicizia, di fratellanza, con Nilyan. Sono quasi gemelli, quei due. Durante l’infanzia sembravano me e Tijorn, con ruoli invertiti. Mi sembra tanto di rivedere me, in mio nipote. Stessa ingenuità travestita da durezza. Stessa inguaribile mania di agire prima di pensare.

Io, però, non avevo la sua libertà di scelta. Gliel’ho dovuto ricordare ben più di una volta.

Beh, d’accordo che gli davo massima possibilità di fare tutto, ma quando era troppo era troppo e basta. Appena adulto, non appena staccatosi dal sicuro nido familiare, aveva manifestato il sincero apprezzamento per un gruppo di attori di un teatrino che era andato a visitare chissà quando. Dopo poco, mi era giunta la notizia che lui, il mio Machin, si era arruolato in quel gruppo, in quella marmaglia, prima come aiuto, ma riscuotendo in seguito molto successo. E lui che non mi aveva detto nulla! Beh, sapeva cosa ne pensavo a proposito. Avevo rabbrividito. Attore. Zipherias può dirmi quanto vuole che i tempi sono cambiati, che sono troppo all’antica, ma io non ci posso fare niente. Mi hanno sempre insegnato che l’attore è uno dei mestieri più depravati e socialmente degradanti di tutti, e non ho mai mollato la linea. Non era affatto decoroso che il nipote della Ch’argon si fosse impegolato con una compagnia di quel genere. Sono andata a prenderlo, quella volta, per le orecchie, letteralmente. Gli ho fatto una lavata di testa che non si dimenticherà, credo, mai più. Doveva ricordarsi che quelli erano tempi di guerra, e non c’era bisogno di futili saltimbanchi. In tempo di pace, beh, penso che non avrei saputo dire di no al mio piccolo mascalzone, ma ora era troppo pericoloso quel mestiere. In caso fossimo stati attaccati, un attore non poteva far nulla. Solo subire, essere maltrattato, essere picchiato. Andava bene come passatempo. Ma come lavoro no. Non dopo tanti anni passati ad insegnargli l’uso delle armi, ad insegnargli la vera vita. Non dopo che io avevo sofferto. Non dopo che i suoi genitori erano morti per lui. Machin aveva capito, aveva capito le mie ragioni. Dopo avermi dato della capra per un bel po’, lo ammetto. Ed era arrivato ad una via di mezzo niente male. Si era arruolato nelle guardie della principessa, una scelta scontata e piacevole, che gli permetteva di stare accanto alla sua sorellina putativa, e, intanto, faceva qualche parte negli spettacoli. L’ho visto recitare, un girono, di nascosto. Lui non lo sa ancora. È bravo. Ama davvero fare ciò che fa. Ed io voglio bene lui come ad un figlio. Quando lo vedo, mi verrebbe di fare la ruota come un pavone. È perfetto così com’è.

 Nonostante questi minuscoli screzi, il rapporto tra me e mio nipote è profondissimo. Lui adorava ed adora ancora me. Come quand’era piccolo, è un po’ geloso di me. Mi tratta come una madre, chiedendomi consigli, chiedendomi riparo, conforto, ed ottenendolo. Ogni tanto si può dimenticare di dirmi qualcosa, come in quella faccenda del teatro, ma di solito mi sta a sentire. Il mio dolce, piccolo mascalzone. Lo reputerò sempre un po’ figlio mio, lo so, nonostante abbia voluto che lui si chiami Machin Tijorn. In fondo l’ho allevato. È sangue del mio sangue. Sacrificherei per lui la mia stessa anima, come per tutti i miei piccoli. Le ho regalato un ciondolo uguale a quello di Nilyan. Lui non lo porta mai, ma so che è sempre in una tasca. Temo sia divenuto il suo portafortuna.

L’altra scelta strana l’ha fatta Chekaril, com’era prevedibile. Devo dire che per lui non ho strepitato così tanto. Il suo mestiere è a me inviso per ragioni tutte personali. È divenuto un Guaritore. Dei, è stranissimo vederlo al Lazzaretto, quel giovane serio e dolcissimo, vestito con la divisa, sempre indaffarato, con lo sguardo pacato e sereno. Mi crede ancora sua zia. Porta i capelli lunghissimi. Non penso si sia dimenticato di ciò che gli fece Lainay. Anche lui è un bel giovanotto, e, se non fosse per gli occhi di quel verde strabiliante, di quei colori del bosco, sarebbe uguale al padre, a quel Chekaril che io ho ammazzato.  Il carattere è, tuttavia, diversissimo. Non ho mai incontrato una persona più fedele, timida e chiacchierona di lui. È solare, una solarità meno sfolgorante di quella di Machin, più tranquilla. È il perfetto pantofolaio, un tranquillo e pacioso Guaritore, sempre sereno, con un sorriso gentile sulle labbra. Penso che non lascerà mai, mai, mai, la sua Miobashin. Quando mi disse di essersi innamorato di quell’elfa, un’elfa paffuta e bassina, Guaritrice come lui, dai riccioli ramati e dallo sguardo ingenuo, penso che mi sia venuto un colpo.  Il mio Chekaril…innamorato pazzo. Il mio Chekaril… quel bambino che mi assordava con le sue chiacchiere… che mi veniva a dare per primo il buongiorno, lottando con tutti, e spesso svegliandosi prima per farlo… innamorato. Devo essere stata sotto shock per chissà quanto. Non me l’aspettavo. Pian piano, ho imparato però ad apprezzare la compagna del mio dolce tesoro. È perfetta per lui. Una tosta, sotto il velo di dolcezza. Peggio di Nilyan. Spesso era lei a prendere per le orecchie me, quando andavo da lei, implorandola di procurarmi un po’ di sonnifero forte. Me lo impediva sempre. Mi diceva che non serviva, che il miglior tranquillante era la pace interiore, qualcosa che dovevo cercare e non ricevere. Aveva ragione. Da quel giorno ho rivalutato totalmente quell’elfa energica e materna. Quelle volte in cui mi capita di andare al Lazzaretto corro sempre da lei. Avevo la netta impressione che quei due, ora che le cose sono cambiate, stessero per risolvere qualcosa che a me sicuramente non sarebbe piaciuto, ma che non avrei mai e poi mai osteggiato per nulla al mondo. Non voglio altro che vedere il mio piccino felice. Benché sia più alto di me di un bel po’, continuerò a reputarlo parte di me, ancora quel bambino che, la prima volta che vide la neve, era corso ad assaggiarla per vedere che sapore avesse, ed era rimasto deluso dal fatto che non fosse dolce, che non fosse fatta di zucchero come aveva sempre immaginato. Il suo è il ciondolo più semplice. Lui non ama le cose troppo elaborate.

Roxen, mia figlia, mi preoccupava un po’. Da buona sorella maggiore, protettiva nei confronti del fratellastro come un cane da guardia, si era arruolata nel corpo delle Guardie del Lazzaretto. Avevo l’impressione che fosse anche per un altro motivo, qualcosa che mi rimaneva oscuro, ma non avevo mai indagato. Erano, quelli, affari della mia piccina. Quando sarebbe venuto il momento, mi avrebbe raccontato tutto. Ne ero certa. Non le avevo ancora detto di essere sua madre. Non trovavo mai il coraggio, benché di occasioni ce ne fossero state molte. Un sacco di volte lei si stupiva del fatto che noi ci assomigliassimo come gocce d’acqua. Ed era, beh, fatta eccezione, fortunatamente l’altezza e gli occhi, verissimo. Crescendo, era divenuta bellissima, di una bellezza diversa da quella di Nilyan, molto più appariscente, cosa che lei tende a sottolineare sempre, cosa che m’inquieta. Quando accarezzavo i suoi ricci corvini mi pareva di accarezzare i miei, un tempo. Come Machin assomigliava fisicamente a Tijorn, lei era come me. Tuttavia, a differenza di mio nipote, c’era qualcosa della vecchia Lsyn che m’intimoriva. Rivedevo me in lei, la mia stessa oscurità, la testardaggine cupa e quasi diabolica, la stessa aura di cinico calcolo, di tracotanza, di ambiguità. Ero in continuo allarme. Lei, come mi aveva sputato più di una volta, non si sarebbe mai venduta al Regno, a quella che le aveva rasato i capelli e picchiata, ma non era nemmeno legata ciecamente ad Uruk, come me. Era libera, come il vento. Assecondava solo i vincoli di affetto che la tenevano legata a me, a Chekaril, ma a Nilyan soprattutto. Se solo questi fossero venuti a mancare, allora lei si sarebbe reputata a diritto cittadina del mondo, ed avrebbe girovagato. Ogni volta che mi parlava così mi spezzava il cuore. Rivedevo in maniera troppo netta me ed i miei errori. La vedevo, spaventata, agire come me prima che un Principe venisse a rubarmi il cuore. Se stessa era  usata  da lei come uno dei numeri nell’immenso algoritmo che era la sua vita. Non avrebbe esitato, né lo fece più di una volta, a mettere in gioco il suo stesso corpo per ottenere quello che desiderava. Era abilissima ad incantare poveri generali, o altri elfi di rango, per favori di vario tipo. Era un genio a simulare l’amore. Eppure, era sempre e perennemente insoddisfatta, come se qualcosa la rodesse dall’interno. Non ho mai, mai capito cosa avesse veramente, la mia povera cucciola. Mi piacerebbe domandarlo, ma non posso. Ogni volta che provo ad affrontare l’argomento mi aggredisce, feroce. Ho deciso di lasciar perdere, perlomeno fino a quando non si sentirà pronta a confidarsi con me. Ma questo cruccio è una spina nel mio cuore. A lei ho regalato il ciondolo e la collanina che una volta fu del padre, quello che io gli regalai credendo che lui mi amasse. Marto l’ha vista, ma non ha fatto parola. Lo adoro per questo. Mi fa piacere vederlo al suo collo sempre. Ciò significa che lei mi vuole bene, almeno un po’, dietro quella scorza durissima che usa per proteggersi da chissà cosa.

Manolìa è una speranza ormai persa. Sta sempre lì, rinchiusa nella biblioteca, emula sognante di Akita, la filosofia fatta elfa. Qualche volta bisogna ricordarle di bere e mangiare, tanto è presa dal suo mondo di carta. Libri, mappe, vecchie  leggende: sta per superare il vecchio Yufrek, in quanto a conoscenze. Ogni tanto la dovevo prendere io dalla torre per le orecchie, tanto per non farle fare addosso uno strato di polvere spesso un dito, ricordarle che i capelli, oltre che puliti, andavano anche pettinati, tanto per non far fare il nido ai topi, ricordarle che, no, le macchie d’inchiostro secche addosso non sono decenti per una giovane bella come lei. Sarebbe stata carina, se solo non si fosse ostinata a vestirsi come capitava, ad andare in giro con il naso per aria per vedere le stelle. È graziosa, esile, nella norma, un’elfa gradevole e dal carattere forse svampito, ma simpatico. Le ho regalato un bel ciondolo appariscente, tanto per darle una nota di colore. Temo che l’abbia usato come segnalibro, o se lo sia dimenticato chissà dove. Ma non la biasimo per questo, non dopo quello che la sorella ha fatto, a lei come a tutti noi, provocando l’ennesima ferita.

Non sapevo dove Nysha fosse finita. Sapevo che abitava a Kyradon, ma non sapevo cosa facesse, né come, né dove. Né la volevo cercare. Da quando si era fatta un po’ più grande, non faceva altro che litigare con me, in rotta per ogni minima cosa, scorbutica, cattiva. Ci eravamo separate con astio, lei che mi aveva inveito contro con tutta la cattiveria possibile ed immaginabile, io che, alla fine, seccata, l’avevo cacciata di casa, con la morte nel cuore. Mi ha fatto malissimo, vederla andarsene senza salutare nessuno, senza nemmeno accettare il mio regalo, che era ancora lì, in un piccolo cofanetto che avevo nascosto, in attesa di un’epifania che forse non sarebbe arrivata mai. Penso che non mi abbia perdonato il fatto di aver lasciato morire il suo amato Maestro. Ma lei dovrebbe sapere che non è stata colpa mia. Io non ho mai voluto la morte di Tijorn. Fa ancora male, a me soprattutto. Ma lei non l’hai mai voluto capire. Ruppe i contatti con tutti. È un grande dolore. La gemella ci soffre ancora, tanto. Ho cercato di starle vicina come ho potuto. Lei si è rintanata nel conforto della pergamena, distaccandosi dal mondo. Soffro, per lei e per tutti. La mia piccina. Le mie piccine.

Dal punto di vista della nostra vita, molte cose sono cambiate.

Accidenti, sono quasi centocinquanta anni, e la vita è continuata.

Sebbene la crisi e la guerra ci attanagliassero con artigli appuntiti, la fantasia degli umani, la loro testardaggine, ed il nostro ingegno, benché separati, hanno combinato grandi cose.

La tecnologia sta continuamente facendo passi da gigante, senza peraltro intaccare l’aspetto esterno delle cose, o almeno così è per noi.

La nostra è basata essenzialmente sul rispetto di ciò che è in sé la natura, della sua sostanza intrinseca, ed usando la magia che, almeno in minima parte, scorre in noi.

Quindi abbiamo inventato tante piccole cose per semplificarci l’esistenza, che scorre sempre, apparentemente, identica. Ad un osservatore umano gli elfi potrebbero apparire uguali. Ma nulla è più diverso dal periodo della mia infanzia.

Non mi piace particolarmente, lo so, ma non per questo sono infelice.

Una nuova illuminazione perenne non cambia la vita.

Gli umani sono, in questo campo, né più indietro, né più avanti di noi. Usano la magia, ma in maniera molto più aggressiva e distruttiva.

Mi spaventa quasi, il loro uso della scienza.

Ma, in questo senso, dopo quello che ho visto… nulla mi spaventa più.

Manterrò valori e tradizioni degni di una vecchia bacucca, a sono un’elfa. È nella mia natura tendere ad innovare mantenendo il vecchio, in modo che tutto si sposi.

È un modo più sano, per me, di vivere.

Devo dire, però, che sono poco contenta degli sviluppi delle armi.

Benissimo, come animali da soma o per spostarsi si usano ancora cavalli, ma orrendi mostri metallici alimentati da magia, invenzione tutta umana, sono padroni della guerra, armi che funzionavano in modo tutto diverso dalle buone, vecchie spade.

Ma questo era appannaggio solo dei soldati, e nemmeno di tutti.

Quelle tecnologia erano ancora in prova: molto della battaglia, per fortuna, era ancora basata sul corpo a corpo classico.

Addirittura, la maggioranza della plebe era quasi all’oscuro di tutti quei cambiamenti, beandosi dei minimi avanzamenti che arrivavano loro.

Ma io sapevo.

Sapevo, e più passava il tempo, più m’inquietavo.

Sapevo, perché ero Ch’argon.

Sapevo, perché da un po’ di tempo ero l’eminenza grigia di un gruppo di soldati volontari che spiavano il nemico.

Sapevo, perché riempivo scartoffie ogni giorno.

Sapevo, perché Isnark mi parlava.

Più di una volta ero rimasta così sconvolta da non dormire la notte.

In quel periodo di cui ora parlerò, dove si giocò il tutto per tutto, dopo un lungo periodo di relativa calma, da entrambe le parti si era registrata un’impressionante corsa agli armamenti. Dopo decenni di pace, Lainay stava cominciando a stuzzicare sia noi che i regni umani. Loro soprattutto. Si erano verificate piccole scaramucce che non presagivano nulla di buono, e noi cominciavamo a temere. Eravamo piuttosto arretrati quanto ad armi. Dovevamo procurarci nuovi e consistenti aiuti. Ogni girono che passava, vedevo una guerra che per tanto tempo si era evitata avvicinarsi, ed ero sempre più nervosa. Isnark condivideva i miei timori. Da un po’ di tempo i dispacci che arrivavano da Galinne non erano amichevoli. S’imponeva una neutralità forzata, un completo disarmo delle truppe, cose così. Il sovrano di Uruk era sempre meno fiducioso. Ogni volta che lo andavo a trovare sembrava volermi dire qualcosa, senza riuscire a parlare.

Ecco. Uruk aveva mani e piedi legati.

Il popolo non era contento, oh no.

Nemmeno noi, per inciso.

Eravamo tutti un po’ più frustrati.

Arrivava sempre meno cibo. I poveri aumentavano.

Si stavano formando nuove strane sette religiose.

È in questo clima di tensione che comincia la mia storia, ciò che seguirà.

È da questo momento d’incertezza che Lsyn Amarto cominciò a ritornare, lentamente, una creatura vivente.

Di nuovo la mia penna tremerà, eppure io sorriderò a riportare ciò che successe in quel periodo così breve rispetto ai cinquant’anni che mi ci vollero per capire che la mia esistenza era solo finzione.

Se solo temessi di rovinare tutto il mio scritto, aggiungere un bel per fortuna, scritto anche in maiuscolo, tanto per sottolineare l’evento.

Eppure, strano, non fui solo io a raggiungere la pace interiore.

Tre anime, altre due anime come la mia, cominciarono a perseguire la lunga strada che porta alla realizzazione di una vita compiuta.

Fummo tre anime a trovare di nuovo noi stessi.

Ed a sfidare il caso ad una partita a dadi.

Una rivincita, un’illuminazione ed un destino che si compì.

Tre anime, strettamente intrecciate e strettamente divise da un percorso parallelo, eppure sovrapposto.

Un cammino tortuoso, eppure dannatamente soddisfacente.

E la mia vita ha inizio quando tutto sembrava tramontare.

Ed al mio tramonto seguì un’alba, della stessa persona diversa.

Che la cerca dei sogni abbia inizio.

 

Persegui. Il tuo Scopo Ultimo. Fino alla Fine.

 

 

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Capitolo 2
*** Vento e Gelo. ***


Importante, per ciò che fu, fu ciò che successe un giorno che, all’apparenza, era cominciato come gli altri

Importante, per ciò che fu, fu ciò che successe un giorno che, all’apparenza, era cominciato come gli altri.

O meglio, non del tutto.

Era un bel giorno d’inverno inoltrato, lo ricordo ancora.

Accidenti. In realtà non è proprio così. Quello che mi portò ad un nuovo viaggio fu qualcosa che si svolse in più tempo. Mi rendo conto che, in realtà, non c’è un giorno in cui iniziò tutto. Diciamo che, da quel momento, cominciarono a svelarsi molte cose.

Faceva un freddo cane, e, anche se non c’era neve, quell’anno, si era messo un vento fastidioso che detestavo. Convivo benissimo con la pioggia, adoro il gelo e la neve. Ma il vento no.  Il vento non fa altro che scompigliarmi i capelli, gonfiandoli, ed insinuarsi dappertutto, gelandomi anche quando ero ben vestita contro il freddo. Come tutti i giorni della mia solita, monotona vita solitaria, mi ero svegliata non appena l’alba si era alzata. Sentivo, come ogni giorno, Amarto e Dae parlottare da dentro. Loro due si svegliavano molto, molto prima di me. Ero di cattivo umore. Ero sempre di cattivo umore quando c’era quel vento, che faceva tremare le imposte della casa come durante un terremoto. Avevo mugugnato, tirandomi fino al naso le coperte. Era ancora tutto buio nella mia camera, e non vedevo in modo egregio. Ma, solo la vista dell’ombra di tutti i documenti, carte, mappe e cartacce varie, bastava per gettarmi nello sconforto più nero. Odiavo le scartoffie. Le ho sempre detestate, no? Quella era la parte noiosa di tutto il mio mestiere di Ch’argon. Di solito, era divertente. Quel giorno, inoltre, avevo un motivo in più per non volermi svegliare. Da qualche giorno ci era giunta notizia di un gruppo di briganti che stavano devastando il confine sud di Uruk, banditi elfi che mettevano tutto a ferro e fuoco, e, a quanto pareva, stranamente ben equipaggiati, e ben addestrati. Anche se non portavano nessun insegna, tutti noi sapevamo benissimo che quelli erano tutt’altro che semplici criminali. Un piffero, briganti. Eravamo più che sicuri che si trattasse di uomini di Galinne mascherati. Non era la prima volta che accadeva. Sapevamo che il grande Regno non voleva altro che una scusa per assaltarci, assalirci ed inglobarci. Il più segreto desiderio di Lainay era quello di divorare anche quello sputo di terra che era il Matriarcato. Eravamo elfi, e tanto bastava. Non le riusciva concepibile, a quanto pareva, che creature della stessa razza e dello stesso sangue, un manipolo d’idealisti dalle orecchie come le sue, dalla stessa vita lunga, cercassero di sfuggire alle sue mani ingorde. Era impensabile che, aiutata dai mercanti Insathi, che erano divenuti una risorsa davvero enorme, una nazione commerciasse sottobanco con gli umani, che avesse relazioni quantomeno tiepide con loro. Impossibile, che esistesse qualcuno libero di pensare, di gridare il proprio disappunto per quella vita. Già era tanto che si limitasse a ficcare il naso negli affari di Fiya e di tutti i regni, da cui gli elfi erano stati espulsi, una mossa davvero sciocca. Lei si era approfittata immediatamente di quel calo di popolarità, di quell’arrivo di mercanti e ricchi tutti della nostra razza. Aveva confiscato le case ai nobili umani, espropriando le loro ricchezze, riducendoli in miseria. Tutto quello era andato in regalo agli esuli. Il Regno aveva una casta di potenti al potere che era fedelissima ad una regina che non faceva altro che, per loro, del bene. Chi era contro quell’orribile regime non aveva che due possibilità: sparire o essere ucciso.

La Regina aveva fatto in fretta a mettere a tacere ogni dissenso. Tanto per far stare buoni gli umani dei regni liberi, aveva concesso loro qualche città, tutte bene distanti dalle altre, ma le persecuzioni rimanevano. Mentre mi alzavo, mugugnando ed avvolgendomi in un qualcosa di più pesante, riflettei. Eravamo in una posizione davvero pericolosa, sul filo di un rasoio. Accerchiati da uno dei regni più potenti mai visti sulla faccia della nostra terra. Il più grande. Il più pericoloso, senza dubbio. Eppure, gli elfi che facevano parte di Normar amavano tutta quella nuova, inaspettata ricchezza. Il popolo era cinico. Una macchina di morte. Ad essi bastavano nuove case, nuove terre da coltivare, nuovo cibo, nuovi intrattenimenti. Poco contava che essi fossero terribili combattimenti tra morti di fame che vendevano la propria abilità con le armi per lottare, o altre perversità del genere. Agli elfi piaceva vedere gli uomini sgozzarsi tra di loro.

La mia natura di Ch’argon odiava queste cose. Io stessa odiavo tutto quello che stava accadendo. L’impressione che Uruk fosse davvero in una situazione critica l’avevo avuta, più di una volta. Avevo ricevuto lettere minatorie che mi avevano spaventato, dopo anni di silenzio. Avevo paura. Non volevo morire. Avevo troppe cose da fare. Le Spie erano tornate a ronzare nel castello. Eravamo stati costretti ad istituire un comando speciale per stanarle, di cui io ero a capo. Tutti volontari, ovviamente, legati solamente dalla promessa di stare in silenzio. Se solo avessero voluto togliersi da quel giro, lo avrebbero fatto senza problemi, a condizione di non rivelare nulla sui nostri obiettivi. Avevo così ripreso almeno un po’ il mio vecchio mestiere di Spia. Certo, non era vincolante e gravoso come il mio precedente, ma mi riempiva d’inquietudine. Sembrava che il destino volesse ricondurmi a ciò che facevo prima. Io mi ero rifiutata di cedere alla smania dell’assassina. Quelle volte che avevo trovato Spie a palazzo le avevo consegnate in altre mani. A volte avevo riconosciuto in loro vecchi colleghi. Era straziante. Straziante sentirmi chiamare cagna maledetta, traditrice, da gente con cui avevo condiviso la casa. Se solo avessero saputo quale bestia stavano servendo. Se solo avessero saputo cosa ero stata costretta a subire. A volte avevo cercato di parlar loro. Ma, in tutta risposta, come reazione più gentile mi era arrivato uno sputo dritto in faccia.  Io non reagivo. Provavo enorme pena per quelle persone, destinate ad essere cacciate da Uruk in modo infamante. Isnark, per fortuna, aveva capito il mio dolore, anche se non l’avevo mai confessato. Mi aveva sollevato dall’agire direttamente. Il mio sarebbe stato lavoro di pianificazione. Scartoffie, insomma. Non ho mai amato le carte come allora. Da quel momento, nonostante il mio nuovo ruolo rimanesse gelosamente segreto, lettere minatorie si erano andate a confondere con strane lettere cifrate, lettere che non ho mai più ritrovato. Pazienza. Era un mistero che non mi atterriva né m’incuriosiva. Dovunque finissero, sicuramente nessuno di estraneo me le rubava. Avevo i miei metodi per beccare i ladri, io. Metodi di solito parecchio dolorosi. Bah. Cominciai a vestirmi, assorta. Quel giorno, io ed Isnark avremmo dovuto parlare. Le grane erano vicine. Una nuova, stupida, battaglia era pronta per scoppiare. Era una questione di giorni. Non ero quello che si dice contenta. Odiavo dover combattere.

Insomma, non ci andavo per niente pazza, ma vi ero costretta. Diamine, ero la Ch’argon, avevo una dignità da mantenere. Ero costretta a partecipare alle scaramucce che ad intervalli regolari sorgevano tra noi ed i fantomatici briganti, piccole battaglie, che, di solito, finivano senza troppi morti o feriti. Erano però sfiancanti. Non si sapeva mai dove avrebbero attaccato la prossima volta, e le guardie ai confini spesso non riuscivano a frenarle. Combattere mi seccava moltissimo. Non so, dopo tutto il sangue versato in tanti anni di vita come Ombra, mi ripugnava fare del male a gente pagata per darci fastidio. Quella volta ero più irritata del solito. Non ce la facevo proprio più. Ero stanca. Mi dispiaceva enormemente quella guerra. dei, com’era strano. Duecento anni prima avrei dato un orecchio per dare un paio di fendenti. Ero cambiata. Tantissimo. Il mio spirito era mutato. Mi stavo trasformando in un grasso botolo piagnucoloso. Un altro po’ e mi sarei rinchiusa in casa a fare l’uncinetto con Dae. Io, Lsyn Amarto, la grande Ombra, che per anni aveva terrorizzato elfi e uomini! Mormorando bestemmie contro il mondo intero, mentre cercavo uno stivale che si era ficcato chissà dove, cominciai anche a sentirmi preoccupata. Quella volta avrebbe partecipato anche Machin. Rabbrividivo al solo pensiero. Lui era entusiasta del nuovo ruolo. Non vedeva l’ora, detto esattamente con le sue parole, di pugnare gli  infami felloni. Penso che il teatro gli abbia fatto davvero male. Insomma. Io, comunque, ero un po’ meno contenta. Ero all’erta peggio di un cane da guardia. Machin in battaglia. L’avevo allenato io, di persona, ma comunque tremavo al solo pensiero di vedere il suo viso ilare coprirsi con un elmo non da cerimoniale, le sue mani sottili sporcarsi di sangue. Il mio nipotino era eccitato come un bambino davanti ad un regalo enorme, di fronte a quella nuova avventura. Beh. Era giovane, lo capivo. Non aveva ancora imparato a preoccuparsi ad ogni cosa, non aveva ancora visto la morte in faccia. Era ancora abituato a vivere senza domandarsi del domani, al momento, con il solo pensiero il ricordarsi a memoria la battute per il solo spettacolo al mese a cui poteva partecipare, oppure come renderci la vita un inferno, cacciandosi in guai assurdi. Un paio di volte ero stata costretta a trattarlo come un bambino, ma lo capivo. Alla sua età io ammazzavo già, impunemente, spiavo già, ma lo stesso avevo la testa calda, anzi, bollente. Mi piaceva cacciarmi in nuove avventure, e nulla mi mandava più in visibilio di un bello scontro in campo aperto. Beh. In fondo ero io quella che un tempo era tacciata continuamente di avventatezza estrema, e che ora non faceva un passo senza pensarci prima mille e mille volte. Machin avrebbe imparato ben presto l’ironia terribile della vita. Sarebbe cresciuto anche lui. Intanto io ero preoccupata. Moltissimo. Se solo si fosse fatto un graffio sarei stata capace di mettere a soqquadro il Regno intero. Se solo si fosse fatto anche un livido da niente, avrei strozzato Lainay con le mie stesse mani. E guai a chi mi avrebbe ostacolata!

Appena vestita, mi guardai intorno, cercando di scacciare le nuvole scure che si erano addensate ai limiti della mia mente, e che minacciavano di rovinarmi la colazione e la giornata. Filtrava più luce dalle imposte ululanti, e riuscivo a vedermi intorno. Feci una smorfia irritata. Quella che un tempo era l’ordinata camera di Tijorn era divenuta una discarica. Un tempo era tutto impilato con cura maniacale, quando c’erano ancora i piccoli in casa. Un tempo, rifacevo sempre il letto, piegavo sempre i miei abiti tutti dello stesso colore. Mi ero lasciata andare, troppo. Da quando anche Nilyan aveva deciso di preferire il castello ad una casetta isolata dove una zia asfissiante le impediva anche di fare un passo, le cose erano peggiorate. Anche da giovane non ero nota per il mio amore per l’ordine, ma ora superava tutto i limiti della decenza. Lo specchio era sommerso sotto i panni sporchi. La scrivania non aveva né una fine, né un inizio. Era una missione suicida il sedersi per scrivere. Non dovevo rifare il letto da forse una settimana. Mugugnai, insoddisfatta. Stavo davvero scadendo. Mi facevo schifo da sola. Beh, pazienza. Sbuffai. Che giornata sgradevole. Quel giorno Isnark mi aspettava. Bisognava concertare tutto, dalla disposizione agli armamenti, eccetera. Beh, almeno era una scusa in più per vedere Roxen, Manolìa, Machin, Chekaril e Nilyan. Non che non fossi loro dietro un giorno si e l’altro pure, ma era bello avere una scusa per ronzare loro intorno. Potevano reputarmi appiccicosa come miele, ma almeno mi sopportavano. Anzi. Machin adorava quando io mi sorbivo in  anteprima i suoi monologhi. Un paio di volte l’avevo anche aiutato con la parte. Mi rendeva fiera, quello che facevo. Almeno, quel pomeriggio mi sarei divertita un po’. Feci per andarmene, e mi avviai alla porta.

Avvertii, ad un certo punto, un cambiamento repentino. La temperatura della stanza scese vertiginosamente. Mi bloccai. Che diavolo stava succedendo? Ad un certo punto, sentii più freddo. Un freddo strano. Entrava nelle ossa, un gelo che immobilizzava, neve nell’aria, respiro di demone. Mi parve di essere nel gelido nord del Regno. Si: mi ricordava quelle volte in cui ero andata in quelle lande desolate, coperte costantemente dalla neve crudele o da una steppa triste, da elfi strani ed incredibilmente primitivi, dalla vita orribile in un inverno perenne. Mi fermai. Accidenti. Dovevo aver chiuso male le finestre. Se solo si fossero aperte con un colpo di vento, avrebbero seminato il caos. Contemporaneamente, mi resi conto di una cosa. Non sentivo nessun rumore. Amarto e Dae, di solito molto ciarlieri la mattina, tacevano. Anche le imposte avevano smesso di cigolare ed ululare. C’era una quiete spettrale. Cominciai a sentirmi agitata, senza nemmeno avere un motivo plausibile. Qualcosa mi diceva che dovevo stare all’erta. Ma che cosa stava accadendo? Sembravo stare in un tempo sospeso, senza alcun senso apparente. Dei. Cercavo di ripetermi che non c’era nulla da temere. Invano. Sentivo il mio cuore battere, ticchettare come un orologio irregolare dietro le mie costole. Il gelo penetrò più a fondo nelle mie povere ossa. Inspirai, e feci una smorfia. Una lama di ghiaccio mi aveva trafitto il petto. Strano. Fino a poco tempo prima, la stanza era stata tiepida. Sentii la pelle d’oca sulle braccia, la mia pallidissima cute divenire tutta a puntini. Mi resi conto i star tremando leggermente. C’era qualcosa che non andava, decisamente. Dovevo avvisare Amarto. Ma, di lì a poco, anche quel pensiero mi si cancellò dalla mia mente. Dovevo fare qualcosa. Non ricordavo cosa. Avevo l’urgenza di fuggire. Ma dove? Gettai il fiato tutto d’un botto. Davanti mi si creò una perlacea nuvoletta di vapore. Rimasi a fissare la porta, come ipnotizzata, a mezz’aria, a mezzo di un passo. Ero anch’io congelata. Non ero io a comandare il tempo. Sentii, improvvisa, una voce. Mi si strinse il cuore. In quel tono c’erano mille voci. In quel tono c’erano mille dolori. In quel tono c’era il morso gelido del ghiaccio. “Guarda Indietro”. Sentii dire. Ebbi l’impressione che quella strana voce mi chiamasse. Quella voce non umana, quella voce d’oltretomba. Di nuovo, inspirai. E di nuovo una staffilata mi straziò le carni. Sentii, improvviso, il bisogno di girarmi. Cercai di lottare contro quel terribile imperativo, con tutt4 le mie forze, invano. Invano. Mi ritrovai, senza nemmeno sapere come ,a fissare una figura stranamente evanescente. Sembrava un elfo, ma nulla era chiaro del suo aspetto. Qualcosa sembrava ostacolare la mia visione, come un velo davanti agli occhi. L’immagine sembrava lampeggiare. Solo il viso era leggermente più chiaro. Sobbalzai. Ebbi un lampo fugace di due occhi che mi fissavano, da un altro mondo. l’essenza del ghiaccio. L’essenza del Nord. Lo spirito stesso del freddissimo, misterioso Nord era venuto a cercarmi, in quelle sembianze confuse e vuote. Calò il buio. Nulla era chiaro, se non la figura incomprensibile di quella creatura. Di nuovo, espirai. Ma sembravo non avere più un corpo, ormai. Nulla sembrava aver più importanza. “Guarda Indietro”. Ripeté quella figura. Ebbi la netta impressione che stessa chiamando me. Come se avessi sempre avuto quel nome.

Un tonfo. Sobbalzai, con uno squittio improvviso. Mi sembrò di emergere da un fiume tumultuoso e ghiacciato. Mi sembrò come se Becco Aguzzo mi avesse di nuovo salvata da quel lago in cui ero caduta malamente, quel tuffo che mi portò ad una polmonite, ed ad un Principe che ballava con un’elfa dall’abito rosso. Tirai il fiato come se fosse la prima volta. Sbattei le palpebre, perplessa. Ero nella mia stanza. La luce era tornata. Faceva di nuovo ragionevolmente caldo. Si stava bene. Quel gelo delle ossa non c’era più, come se non fosse mai esistito.  Ero esattamente nella posizione di prima. Dalla cucina mi arrivavano le voci querule ed allegre del Maestro e della compagna. Non c’era traccia di quella creatura impossibile appena comparsa davanti ai miei occhi, quella creatura coperta da un velo inesistente, come se non fosse mai esistita. Feci un passo indietro. Il cuore rullava come un tamburo impazzito. “oh, dei…”. Mormorai, con una voce che non sembrava la mia. Perfetto. Ora avevo anche le allucinazioni. Mi sentii avvolgere da un panico irrazionale. Perché accidenti avevo così paura? Perché, se avessi potuto, mi sarei nascosta in un posto ben affollato senza farmi più vedere? Non ragionai ulteriormente, sulla strana cosa che mi era capitata. Mi fiondai fuori, nel corridoio illuminato dalla luce cruda e debole del primo sole invernale. Respiravo come se avessi corso per chilometri e chilometri. Avevo paura. Cominciai ad avviarmi verso la camera dove c’erano i miei cari guardandomi continuamente indietro, come se vedessi spuntare quel tipo dietro di me con un coltello in mano. Avevo irragionevolmente terrore. Però mi ero accorta che la finestra sembrava chiusa in modo diverso da come l’avevo lasciata io.

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Capitolo 3
*** Tu non mi avrai. ***


Fuggii in modo vigliacco, lo so, dalla mia camera

Fuggii in modo vigliacco, lo so, dalla mia camera. Ma avevo una paura terribile, un sentore d’irrazionale che non mi piaceva. Odio l’irrazionale. E’ così illogico e…illogico, ecco. Di sovrannaturale. Ed io, infima formica su una terra gigante ed ostile, non sopportavo quando le cose esulavano dalla mia comprensione. Mi sarebbe piaciuta una vera vita normale, da perfetta zia premurosa. Ormai quella guerra mi stava nauseando terribilmente. Mi nauseava sentire notizie terrificanti su nuove persecuzioni, nuovi villaggi, per dirla con il linguaggio assurdo dei documenti, sfollati, su nuove contese, detestavo partecipare a quelle scaramucce durante le quali non si faceva altro che morire. Eppure dovevo. Ero la Ch’argon di Uruk, la creatura di cui Isnark si fidava di più, la consigliera del sovrano. Dovevo combattere. Dovevo difendere la patria alla quale ero legata fino alla morte. Dovevo essere una guida. Ma io ero stanca dei doveri. Avrei accolto la pace come la più bella delle liberazioni. Avrei accolto anche la monotonia delle giornate tranquille, senza il terrore di vedere qualche araldo di sventura, giungere per avvisarci di nuove, terribili battaglie, giornate in cui tutti ci saremmo sentiti liberi. Non avevo mai sperato come in quel periodo sulla morte di Lainay, sulla liberazione dalle sue catene di follia. Non la odiavo come una volta, e quello era vero, però cominciavo a trovare noioso e disgustoso, sempre di più, il suo modo di fare. Insomma: mi faceva pietà. Una pietà immensa. Povera, povera folle. Con tante terre a sua disposizione, con tante promesse di fare la sua Galinne la più bella tra le città, si dedicava, compiaciuta, ad incredibili bagni di sangue. Il figlio, ne ero sicura, non era così. Per quanto matta come una cavalla imbizzarrita, Lainay sapeva essere una brava madre. Inoltre,  Kamarducil era giovane, e malleabile. Non sarebbe stato difficile farlo capitolare, costringerlo ad arretrare. Bastava solo, per dirla con un eufemismo che avrebbe reso Machin fiero di me, mettergli la pulce nell’orecchio. Il problema era raggiungerlo. Non avevo mai visto un apparato di protezione come quello che c’era ai comandi della Regina in tutta la mia ormai lunga esistenza. Fare una rivoluzione, manco a parlarne. Erano capaci di beccare un dissidente anche solo grazie ad una mezza parola, bisbigliata per caso. Un suicidio mandare qualcuno all’interno dei ranghi nemici per spiare. Solo i più bravi, le contro spie meno visibili, potevano sfiorare il castello. Andare in giro per i quattro angoli del Regno predicando pace e benessere, impossibile. L’ultima volta che qualcuno ci aveva provato ci era stato recapitato un suo dito, per minaccia. Poi, più nulla. Bene. Penso che sia un esempio abbastanza calzante per far capire, anche alla stessa me, l’entità delle situazione in cui ci trovavamo.

Faci colazione in modo distratto, prestando un orecchio solo a tutte le chiacchiere allegre del mio Maestro e della balia. Quei due erano rimasti esattamente identici a come lo erano anni prima, assurdamente uguali. È la stranezza di essere elfo. Dopo più di cento anni per loro il tempo era come se non fosse mai passato.  Erano vecchi, placidi vecchietti che non facevano altro che stare in casa a mangiar nocciole e castagne, ma ancora vivaci, cosa peraltro normale. Dae sarebbe stata capace di buttarmi a terra con uno spintone, se solo l’avesse voluto. Ma loro volevano quella vita senza scossoni. La cosa mi riempiva di gioia. Almeno loro, almeno loro ad essere il mio pilastro in una vita senza più tempio. Mi piaceva stare con loro, stare in silenzio ad ascoltarli. Loro non mi mettevano mai in mezzo nei loro dialoghi,  a meno che non fossi io a voler partecipare. Non interferivano mai quando mi vedevano come quel giorno, assorta e di malumore. Quella strana apparizione  mi aveva turbata. Continuavo a rivederla davanti. La personificazione del ghiaccio, del freddo, della neve terribile che cade lì dove il terreno non è mai marrone. Avevo avuto un fugace lampo del suo aspetto, e non corrispondeva a nessuno di mia conoscenza. Insomma. Nessuno di conosciuto nella mia vita aveva i capelli celesti. Celesti, poi. Ridicolo, praticamente assurdo. Ero sempre più convinta che qualcuno mi stessa facendo uno scherzo di cattivissimo gusto. Se solo l’avessi beccato… ah, che cosa gli avrei fatto. Magari era solo Machin che si era truccato, con una parrucca in testa, aiutato da quella testarda di Nilyan, l’unica tra di noi capace di fare un incantesimo di quella portata. Misi in conto di andarli a trovare, per scoprire un po’ di più. Di solito mia nipote sapeva mentire quanto un bicchiere  di acqua di fonte. L’amico era un bugiardo nato, e a poco mi sarebbe giovato tartassarlo di domande. Avrebbe trovato una scusa perfettamente plausibile. Insomma. Dovevo andare al castello lo stesso, meglio fare una capatina giustificata da loro. Tanto, lì sicuramente li avrei trovati insieme. Lui era una Guardia, lei la principessa. Poi, di solito, la mattina Nilyan lo aiutava con la sua parte. Quindi sicuramente sarebbero stati insieme. Uscii fuori un po’ più rassicurata, salutando con maggiore entusiasmo i miei due vecchi, che si assicurarono che io fossi ben coperta. Sapevano che, per qualche girono o forse più, non mi avrebbero vista. Odiavano quel fatto, il fatto che io dovessi andare in guerra. furono più premurosi del solito. Amarto mi costrinse, addirittura, a prendere il fastidioso, caldissimo mantello di qualche pelliccia fulva e morbida. Io non l’avrei voluto, perché mi prudeva, e mi andavano i peli nel naso, ma ero stata costretta da un’occhiataccia più gelida del gelo stesso. mi ero diretta, imprecando per il vento terribile, infagottandomi in quel coso che svolazzava come delle ali pelose e giganti, verso la nostra piccola stalla.  Mi ero convinta che tutto quello accadutomi in quei momenti non fosse stato altro che un’allucinazione, o un giochetto dei cugini tempesta. Certamente quella bizzarra apparizione era un loro scherzo. Li avrei puniti a dovere, e tutto sarebbe finito. Chissà che risate si stavano facendo alle mie spalle! Ero morta di paura, stecchita. Accidenti, non erano cose belle da fare appena svegli. Beh, io non ero impressionabile, ma lo stesso mi era venuto un bel colpo. Cominciai a preparare la mia giovane cavalcatura per il viaggio, stracca e senza voglia alcuna. Non avevo fretta, ed avevo freddo. Era una giornata sgradevole. Il cavallo, quella bestia grigia ed irsuta che mi avevano regalato qualche anno prima, perché stanchi di vedermi fare ogni giorno interminabili viaggi a piedi, visto che Nina era morta anni prima, e non mi ero decisa, finché i piccoli c’erano ancora, a scegliere una cavalcatura nuova, sembrava ancora più riottoso di me. Era un bell’animale, mansueto e di bassa statura, adatto a me. Un po’ freddoloso, vero, e per niente adatto alla guerra, ma perfetto per i viaggi. Il nome l’aveva deciso Machin. Quell’elfo con poco senso dell’umorismo aveva scelto Nano. Aveva detto che andava d’accordo con me perché anch’io ero nana, salvo poi scappare ridacchiando quando l’avevo fulminato con uno sguardo. Intanto avevo tenuto quel nome. Saltai su Nano di malumore. Quella volta mi avrebbe sentito. Oh, se mi avrebbe sentito. L’avrei appeso per le orecchie, lui e la sua cugina. Mi diressi a buona andatura verso il castello di Kyradon, fantasticando. Rabbrividii quando sentii di nuovo quel gelo poco familiare, che non c’entrava con il vento freddo. Il cavallo sbuffò, nervoso, e scosse il capo. Percepiva qualcosa anche lui. Sentii il mondo farsi, d’improvviso, ostile. Come se gli alberi dello stretto sentiero che stavo percorrendo si stessero protendendo verso di me, ad artigli tesi. Ebbi una fugace visione di una pianura battuta dal gelo, e di slitte portate da cani. Mi parve di sentire il loro latrato, ed una voce che mi bisbigliava qualcosa d’incomprensibile nell’orecchio. Accelerai, aggrottando le sopracciglia, presa dalla fifa. Le sensazioni estranee scomparvero d’incanto, ed al gelo del grande nord si sostituì l’ululare del vento. Accidenti, quei due stavano davvero esagerando. Mi strinsi in quell’assurdo mantello borbottando. Così infagottata, ero davvero ridicola.

Raggiunsi kyradon in poco tempo, assorta. Avevo passato tutto il viaggio a guardarmi indietro, preoccupata, come se fossi sotto pericolo d’attacco. Avevo tenuto così stretta l’impugnatura della spada da farmi i segni della filigrana d’argento. Ero entrata così nella caotica, bianca città, con un senso sollievo. Ero andata nel castello per una via secondaria, che si snodava per un piccolo parco, quel giorno immerso nella nebbia. Avevo lasciato Nano alle cure dello stalliere, ed avevo così proseguito a piedi. Amavo quel posto, sempre, perennemente coperto di caligine a quell’ora. Non ci veniva mai nessuno, e potevo camminare indisturbata, senza quegli irritanti saluti o bisbigli rispettosi che sentivo al mio passaggio. Un tempo mi faceva molto piacere sentire il rispetto trasudare dalle parole dei miei sottoposti, oppure solo dalle guardie. Era il segno che ero stata, con il mio sacrificio, finalmente accettata. Ora i commenti su come fossi abile e coraggiosa mi davano molto fastidio. Volevo solo essere lasciata in pace, niente di più, niente di meno. Percorsi i metri che mi separavano dalla porta lottando con il mantello che minacciava di gonfiarsi e di portarmi via. Accidenti ad Amarto ed alla sua testardaggine. Conosceva il mio odio nei confronti di quel coso. Eppure, quando faceva freddo, mi costringeva ad indossarlo. Che noia. Oltrepassai il portone di ferro battuto benedicendo l’assenza di vento degli interni. Salutai le guardie con deferenza e rispetto, ma una con un occhiolino. In fondo, Zipherias era sempre Zipherias. Se l’avessi ignorato mi avrebbe staccato la testa dal collo.

La prima mia tappa, fu da Isnark. Il mio amico, un tempo mortale nemico, era praticamente assorbito del tutto dalla preparazione della battaglia, nel suo piccolo studio. Identico al passato anche lui. Forse un po’ più sereno, forse più malinconico, ma sempre lui. Era immerso in una piccola riunione con i generali, niente di speciale, solo piccoli ritocchi della vigilia, e sembrava non aver dormito. Mi accolse con cordialità e sollievo, come se fosse davvero contento di vedermi, come se non ce la facesse più. In quei giorni soprattutto lui era più strano del solito. Si lamentava di non riuscire a dormire bene, di essere perseguitato da cattivi sogni, sempre gli stessi. Quando gli chiedevo delucidazioni, lui si zittiva. Poi mi confessava che c’era una voce che gli parlava, urgentemente. Gli era sembrato il vellutato tono di Nemys, della compagna, come se lo stesso sgridando. Di cosa, non mi era dato sapere. Odiavo Isnark quando faceva così, lo odiavo davvero. Era misterioso. Sicuramente, per cose inutili. Chissà quale stupido segreto di coppia mi stava celando. Ma lui era fatto così. Volerlo cambiare era praticamente una stupidaggine. Non ci sarei mai riuscita. Non appena mi vide, non appena li salutai tutti, Isnark si alzò di scatto. “scusatemi un attimo, ma ho da parlare con la Ch’argon di questioni importanti”. Disse, verso la piccola riunione, con solennità. I generali, elfi duri e silenziosi, annuirono, senza guardarmi. Oh, com’erano antipatici. Li fulminai. Odiavo ciascuno di loro. Erano terribilmente tronfi, sempre a camminare lì con quell’andatura che sembrava gli avessero infilato una scopa nel sedere. Bah. Sempre con quell’aria di salvatori del mondo intero. Il sovrano di Uruk condivideva questo mio punto di vista, ma era più paziente, e li sopportava, quanto poteva, almeno. Era lui ad impedirmi di esplodere e dire tutto quello che pensavo di loro. Alle sue parole, nascosi, lì davanti, a stento un sogghigno. Avevamo fatto più volte quel giochetto. Quelle questioni importanti erano normalmente un modo educato per svignarsela. Anche per il sovrano di Uruk veniva il momento di riposarsi. Uscimmo, compassati, dalla stanza. Non salutai nessuno, di quei leoncini superbi ed incapaci. Non appena chiuse la porta, Isnark si tolse la maschera di compostezza che aveva avuto fino a quel momento. ridacchiai. Era distrutto. Se solo avesse potuto, si sarebbe addormentato lì, sul pavimento. “nottata lunga, eh?”. Domandai, scherzosa. Erano cambiati in un modo assurdo, i rapporti tra me e lui. Il nostro non era un rapporto come quello tra Capouille, Zipherias e me, stretto ormai molto, ma almeno parlavamo e scherzavamo come persone civili, senza insultarci. Non avevo più paura, quando lui si avvicinava di scatto. Lui non mi chiamava più parassita, salvo qualche volta, quando era particolarmente in vena di giocare. Avevo visto un lato di Isnark che non avrei mai immaginato potesse esistere. Mi piaceva stare con lui, e lo trovavo gradevole. Mi piaceva quando lui scherzava, mi piaceva vedere che la morte della compagna non se l’era portato via. Ma di quello dovevo ringraziare solo la figlia, la luce dei suoi occhi. Il mio amico grugnì, passandosi una mano davanti agli occhi. “non immagini nemmeno quanto”. Gemette, alzando gli occhi al cielo. Sorrisi anch’io. Era buffo, tanto. Anche se gli argomenti trattati non potevano essere più seri. “mi hanno ammorbato tutto il tempo per la questione dei rifornimenti, Lsyn, ti rendi conto? Ore intere a discutere di tagli di carne!”. La sua veemenza mi fece scoppiare a ridere. Si, era vero: quei generali erano davvero insopportabili. Non capivo perché lui si ostinasse a tenerli lì. Verissimo, erano veterani ed erano davvero bravi, ma c’era sicuramente gente più brava di loro, e meno petulante. Tuttavia, odiai quelle parole. Un’altra battaglia era vicina. Mi sentii afferrare dall’inquietudine. Odiavo scendere in guerra, impugnare la mia spada ed essere oppressa da un’armatura. Non mi sentivo più fatta per quel genere di cose. Ne avevo abbastanza. Tra di noi scese un attimo di silenzio meditativo. Odiavo quei momenti. Così, ripresi timidamente la parola. “dobbiamo proprio, Isnark?”. Domandai, cauta, mentre ci avviavamo per il corridoio. Tremai quando il mio amico mi rivolse un’occhiata gelida. Sapevo che non dovevo arrischiarmi a dire una cosa del genere. Era davvero pericoloso. Un paio di volte mi aveva urlato dietro. Non mi piaceva che mi urlassero dietro. “Lsyn, sai come la penso a proposito”. Disse, gelido, aumentando il passo, con voce fredda, distogliendo lo sguardo scuro. Fui costretta a trotterellargli dietro. Maledette gambe lunghe. Come avrei voluto anche un pezzetto in più di altezza. Un poco. Poco solo. Rischiavo d’inciampare nel mio stesso mantello, se avessimo continuato così. “ma non c’è altra scelta?”. Chiesi, un po’ affannata. Dei. Quella era una scena che si ripeteva spesso, ad ogni attacco. Io imploravo che si trovasse una soluzione diversa. Il sovrano che ripeteva che non potevamo far altro che lottare in attesa di soccombere. Ma era strano. Avevo, senza motivo alcuno, sempre di più l’impressione che Isnark mi stesse nascondendo qualcosa. Era un sospetto vago, ma c’era. Non riuscivo a capire il perché. Era stupido da parte mia. Non c’era alternativa a quella guerra infinita, e lo sapevamo tutti. Uccidere, o essere uccisi. Straziante ma vero. La nostra era una battaglia persa in partenza. Eravamo solo un formicaio nella tana di un drago dormiente. Cercavamo di non irritarlo per non farci distruggere. Potevamo solo sopravvivere, nient’altro. Però qualcosa mi diceva che Isnark stesse omettendo qualcosa. Era una stranissima sensazione, che non riusciva ad andare via. Non c’era modo per evitare quella carneficina. Nessun modo. Erano, sicuramente solo mie impressioni. Come da copione, vidi Isnark chiudere gli occhi, ed abbassare il viso. Ci fu un attimo di silenzio. “conosci la mia risposta”. Mormorò, senza guardarmi. Ed era vero. Era inutile sperare. Inutile credere in un futuro migliore. La morte c’era, da qualche parte, la distruzione. C’era, ignota, ancora immersa in quella nebbia che aveva accolto il mio arrivo. Potevamo rimandare il suo arrivo. Ma non eliminarlo. Dovevamo morire. Ciascuno di noi, nel suo intimo, lo sapeva. Mi sentii invadere da un dolore immenso. Povera Nilyan. Povero Machin, e poveri tutti. Avrei voluto una vita lunga e felice, per loro. Era l’unico ideale che mi rimaneva, quello. Non volevo vedermelo strappato brutalmente. Avrei continuato stupidamente a sperare. Per un attimo, ma solo per un attimo, risentii quel terribile freddo, e quella voce. “Guarda Indietro”. Mi sussurrò quella sensazione evanescente, una voce fatta di mille toni. Mi bloccai subito, in mezzo al corridoio. Oh no. Non di nuovo. Tutto sparì, poi riapparve immediatamente. Ritornai all'istante alla realtà. Una serva che stava passando mi squadrò con aria curiosa. Deglutii. Eh no, ora basta. Non potevo andare avanti così. Il panico mi stava sopraffacendo. Sentii il cuore battere come un tamburo, e lo stomaco contorcersi. Per un attimo, tutto andò fuori fuoco. Sentii, nel corridoio quasi vuoto, un altro po’ i passi di Isnark, poi anche quelli si fermarono. Deglutii di nuovo. Non riuscivo a muovermi, a scrollarmi di dosso l’impressione di nuotare nella melassa. Come se il mondo viaggiasse in modo più lento di me. Risentii i latrati lontani dei cani. “Lsyn?”.  Di nuovo una voce, che mi chiamava. Ma quella era ben più umana, e vicina. Sbattei le palpebre. Gli echi impalpabili fuggirono via. Mi sentii di nuovo viva e cosciente. Il mondo prese a vivere di nuovo. Mi ritrovai di fronte Isnark, che mi fissava, preoccupato. Aveva una strana espressione in viso. Lo guardai forse un po’ stupidamente. Riuscivo difficilmente a fare mente locale. “Lsyn, tutto bene? Hai una faccia orribile…”. Sbattei di nuovo le palpebre, stordita. Poi mi sentii attraversare da  un fiotto di bollente rabbia. Eh no. Machin e Nilyan stavano davvero esagerando con questi scherzi. Era diventato inquietante. Mi stavano sempre di più convincendo della mia pazzia. O ero pazza, o ero pazza. Ringhiai. A quei due avrebbe aspettato una punizione immane. Li avrei costretti a lavare i piatti, ad aiutare Yufrek a spolverare la biblioteca, non so. Quello che sapevo era che non si giocava con me così. Mi scostai da Isnark, con un balzo. “va tutto benissimo”. Dissi, con una strana voce cupa. Lui mi guardò come se stessi andando fuori di testa. Non capiva che io temevo proprio quello. “solo che devo andare a fare una chiacchierata con Machin e tua figlia. Stanno esagerando, davvero”. Sul volto del sovrano comparve un’espressione di totale comprensione. Altre volte quei due mi avevano combinato tiri di quel genere. Davvero, mi facevano morire di paura. Una volta Nilyan aveva creato un’illusione tale da farci credere che Machin si fosse ferito gravemente. Mi ero sentita così male che mi avevano dovuta portare al Lazzaretto. Da allora non si erano più azzardati, anche per il ricordo che la bastonata solenne che ne seguì, certamente ben più che cocente nelle loro giovani menti. Sicuramente, se fossi andata in quel momento da loro, li avrei beccati in flagrante. Mh, se mi avessero sentita. “allora mi sa che devi andare, Lsyn”. Disse lui, sorridendo. “approfitterò di questi momenti di svago per farmi qualche ora di sonno”. Il sorriso di allargò ancora di più. “sicuramente i generali non sentiranno la mia mancanza…”. Ghignai. Ogni scusa era buona per fuggire via da quella massa di pavoni boriosi. Ci salutammo così con allegria. Io ero ancora molto arrabbiata. Proseguii verso le stanze di Machin, il luogo dove sicuramente li avrei trovati, furiosa come un treno. Mi avrebbero sentiti, oh si!

Camminai a testa bassa, ringhiante, veloce, verso gli appartamenti di mio nipote, un luogo tranquillo ed isolato. Accidenti, stavolta mi avrebbero sentita. Era troppo. Era davvero troppo. Accidenti, quei due erano ormai adulti, e si comportavano come bambini. Era assurdo. Non crescevano mai. Mi res conto subito, non appena mi avvicinai alla sua porta di legno scuro, che qualcosa nella mia supposizione non andava. Sentii dei tonfi, e delle risate. Alzai gli occhi al cielo. Lì c’era sempre cagnara. Era un motivo per il quale le stanze di mio nipote erano così isolate. Ghignai di nuovo. Ah, se li avrei beccati. Stavolta non avevano scampo. Sicuramente non si aspettavano che io sarei piombata lì, furtiva come una Spia. Fu facile aprire la porta, manometterla, e sgattaiolare dentro, nel piccolo ingresso. Nessuno mi sentì. Richiusi la porta, discretamente. C’erano più persone nel piccolo soggiorno, lo sentivo. Mi accovacciai davanti alla porta. Cercai di sbirciare nella serratura, pronta ad entrare al minimo segno di sospetto. Quello che vidi mi riempì di timore, timore per me stessa. Riuscivo a vedere Roxen, stravaccata comodamente su una sedia, l’aria annoiata stampata sul bel viso, che indossava un bel completo da viaggio di pelle marrone, ed aveva i capelli legati. Lei era venuta in battaglia con me, più di una volta. Era brava. Non temevo per lei. Lei non temeva per se stessa, inoltre. Poi sbuffai, a metà tra il preoccupato ed il divertito. Avevo del tutto sbagliato. Come al solito, avevo dubitato delle persone sbagliate. Nilyan e Machin erano bel lontani dal congiurare uno scherzo di pessimo gusto nei miei confronti. Ma erano sempre i soliti. Quella volta dovevano stare provando a duellare, o qualcosa del genere. Intravedevo mia nipote, i lineamenti felini illuminati dalla gioia, tutta scompigliata, i capelli bianchi gonfi e sparati in ogni direzione, con una spada di legno tra le mani, puntare a qualcuno fuori dal mio campo visivo. Lei non avrebbe potuto combattere. Preferivamo tenerla lontana da ogni fonte di turbamento. Per lei poteva essere pericoloso. La sua magia avrebbe potuto svegliarsi, e lei impazzire. Preferivamo tutti evitare una simile eventualità. Sospirai. Ora che ero arrivata lì dovevo annunciarmi. Non ne avevo la minima voglia. Avevo sentito un freddo dell’anima, quando mi ero accorta che loro non c’entravano niente con le mie allucinazioni. Cominciai a sentirmi inquieta. Di cosa si trattava, allora? Chi diavolo mi stava tormentando? O forse ero io a dare i numeri? Deglutii. “vile marrano, sadico fellone, combatti!”. Ruggì la voce profonda di mio nipote, entusiasta, la voce che ancora assomigliava a quella di mio fratello, tanto che mi faceva venire i brividi. Beh. Almeno c’erano loro. Mi morsi il labbro. Ero pentita di averli accusati subito. Ero stata cattiva. Sentii la risata argentina di Nilyan, e Roxen sbuffare. “smettila, Machin”. Disse, con quella voce un po’ strascicata, tanto scocciata. “così ti rendi ridicolo”. Sempre a fare così, mia figlia. Faceva la seriosa, la donna di mondo. che poi con i suoi cari non le riusciva era un’altra cosa. Mi alzai, e mi scrollai la polvere dagli abiti. Com’erano belli, e simpatici. Così ingenui. Giocavano ancora. Ben presto lui avrebbe compreso cosa fosse il vero sangue. Lo sapevamo tutti. Non volevo strappargli la sua felicità. Ero triste, per quello. “il cavaliere abbandona il campo di pugna?”. Domandò la voce del mio biondo nipote, tutta contenta. Scossi il capo. Non sarebbe cambiato mai. Era adorabile, in tutto il suo candore. “il cavaliere getta la spugna? Allora, miei prodi, all’attacco!”. Un urlo. Un tonfo. Poi, altre risate. Sentii quella volta anche il timbro pastoso di Roxen. Mi apprestai a bussare, dipingendomi un sorriso sul volto, un sorriso quanto mai falso. Sentivo di non appartenere alle risate di quella stanza, alla loro gioia da giovani. Io ero stanca. E per di più pazza. La prospettiva mi faceva paura. Ma chi accidenti era a darmi fastidio? La mia mente o altro? Oh, no. Sobbalzai. In risposta, ecco il freddo e gli echi lontani. “sai sempre chi sono, Guarda Indietro”. Di nuovo quella voce, che sembrava uno spiffero di vento proveniente da una catacomba. Gelo. Vento. Freddo. I suoni si smorzarono, i suoi dei giochi dei miei protetti. Ah. Il cuore frullò come un uccellino spaventato in gabbia. Gemetti debolmente, e mi morsi il labbro. Sentii qualcuno accanto a me. Non osai girarmi. Qualcosa mi sfiorò l’orecchio. “parleremo presto, Guarda Indietro. Ma ora il Futuro ti aspetta”. Stavolta ringhiai. Eh, no. Chiunque fosse, sarebbe dovuto correre a miglia e miglia da me. In caso contrario, l’avrei ammazzato. Mi stava facendo morire di paura. Oh, basta. Dovevo correre dai miei cari, in compagnia. Lui non mi avrebbe più dato fastidio. “ti sbagli”. Dissi, al vuoto, con una strana voce sottile. “tu non mi avrai, mai”. Non potevo tentennare. Allontanando con un gesto infastidito tutto il freddo ed il rumore, aprii la porta, mente la vita riprendeva a scorrere, come se non fosse passato un secondo, e la strana, inquietante presenza scomparve, e mi bloccai subito. Avevo di fronte uno degli spettacoli più strani mai visti in vita mia. Non so davvero cosa impedì alla mia bocca di staccarsi. Quella volta avevano davvero superato ogni limite!

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Capitolo 4
*** Apri lo scrigno. ***


Mi ritrovai davanti ad uno spettacolo solito quanto ridicolo, con tre paia d’occhi addosso

Mi ritrovai davanti ad uno spettacolo solito quanto ridicolo, con tre paia d’occhi addosso. Tutti e tre rimasero a mezz’aria. Piombò un silenzio mortale. Ecco. Avrebbero fatto bene a stare zitti. Per un attimo, fui troppo stupita per essere arrabbiata. Oh, no, non di nuovo. Machin doveva aver dato fondo a tutta la sua inventiva. Quell’elfo era un pazzo esagitato. Assomigliava moltissimo fisicamente a mio fratello, era vero, ma il carattere non era esattamente il suo. Primo, Tijorn non era così disordinato. La stanza era un caos totale. Libri buttati dappertutto, i cuscini del divanetto completamente rivoltati o a terra, uno dei quali strappato, piume, segni evidenti di un combattimento piuttosto serrato. Una lampada a terra, infranta, una costosissima lampada! Sospirai ed alzai gli occhi al cielo, quando vidi i miei tre piccoli. Secondo, mio fratello non avrebbe mai e poi mai fatto a quell’età una cosa del genere. D’accordo, noi eravamo costretti a crescere a tappe forzate, con degno maestro l’omicidio ed il tradimento, ma quando era troppo era troppo. Accidenti, avrebbero dovuto essere giovani adulti! Più il tempo passava, e più mi pareva che stessero peggiorando terribilmente. Machin era in piedi sulla scrivania, vestito del suo colore preferito, il blu, con un mano quello che mi pareva essere lo scheletro di un’altra lampada. Sobbalzai. Soldi al vento. Io non tenevo tanto a quelle cose, ma…oh. Erano soldi! Buttati così, per un gioco! Era infantile e stupido. Sgranai gli occhi quando vidi meglio i miei nipotini. Se avessero potuto cascarmi le braccia, lo avrebbero fatto. Sentii un pizzico di rabbia, mescolata allo stupore. Al peggio non c’era mai fine. Soprattutto quando si parlava di quei terremoti. Il biondo figlio di Akita, e Nilyan avevano entrambi piume nei capelli. Machin una fascia in testa, ed un atteggiamento da condottiero. La lampada era brandita a mo’ di spada, in alto sulla sua testa. Lui mi fissava con i suoi grandi occhi grigi, come se avesse visto un fantasma. Sapeva di dovermi temere. Lo guardai malissimo. Lui arrossì, e nascose la sua arma dietro la schiena, con aria colpevole. Tra Roxen e Nilyan doveva essere stata ingaggiata da poco una lotta con i cuscini. Mia figlia era quasi caduta a terra, mentre Nilyan la sovrastava, trionfante. Entrambe si misero sull’attenti. Sul volto di Roxen si dipinse un grandissimo sorriso, tanto enorme quanto falso. Mia nipote guardava il soffitto, ed aveva lasciato cadere l’arma del delitto, con fare innocente. “ehi, zia”. Salutò mia figlia, leggermente pallida. Era raro vederla così spensierata. Di solito era tutta concentrata per uno dei suoi soliti obiettivi, o terribilmente di malumore. Era bello vedere il suo volto, di solito sempre tenuto basso, illuminato dalla gioia. Alla rabbia impotente si sostituì la rassegnazione. Ed anche tenerezza. Divenne improvvisamente difficile tenere quel cipiglio. Erano fatti così, ed io adoravo vedere quella vita. Erano ancora piccoli. Non volevo togliergli quel piacere, il piacere del gioco, che io mi ero levata troppo presto. Il giorno dopo Roxen e Machin sarebbero partiti per una battaglia, che chissà come sarebbe finita. Uno dei due, con mio enorme orrore, avrebbe potuto ferirsi. Per mio nipote sarebbe stato il primo contatto con una realtà che  era troppo brutta per una persona come lui, la realtà che l’aveva reso orfano di padre e madre, la realtà che li aveva uccisi con i suoi artigli crudeli. Una vocina, poi, mi ricordò una piccola cosa. Non potevo sgridarli per i disordine, io, che vivevo in una camera che era un accampamento. Proprio io non potevo parlare. Perciò, su quel punto ero piuttosto lassista. Disordinata io, disordinati loro.  certo, parecchie volte li avevo rimproverati per una cosa che non rimproveravo a me stessa. Quella però, non era la volta. Non mi sfuggì l’occhiata che Machin e Nilyan si scambiarono, un’occhiata spaventata. Era buffo, troppo buffo. Ricordai a me stessa che non dovevo ridere, o avrei mandato a monte tutti i miei propositi di severità. Ma erano troppo divertenti Roxen sembrava tutta intenta a cercare di riparare il danno. “non ti aspettavamo, ehm, così presto”. Ovvio. Io a quell’ora di solito o dormivo o preparavo i piani di battaglia con Capouille ed Isnark. Loro avevano tutto il tempo di scatenarsi, per poi mettere a posto. Mi sfuggì un sorrisetto quando sentii, un bisbiglio perfettamente udibile dietro di me, la voce mortificata di Machin. “eppure io l’avevo chiusa a chiave, la porta…”. Mia figlia indirizzò ad un qualcuno dietro le mie spalle un’occhiataccia.  Il mio sorriso di allargò. Buffi. Mi sentivo quasi in colpa per aver interrotto quel loro momento di spensieratezza. La maschera di serietà andò a sgretolarsi pian piano, d a nulla valsero i miei tentativi di ricomporla. Machin conosceva la mia abilità ad entrare soprattutto nei posti chiusi a chiave. Avrebbe dovuto pensarci. L’avevo fatto altre volte, per coglierlo in flagrante magari durante i suoi furti. Loro avevano ben più di una ragione per aver paura di me. Ero dolce e buona con loro, ma quando esageravano diventavo una tigre. Dovevano imparare il valore delle cose. Però, per quella volta, decisi di lasciargliela passare. Mi sarebbe dispiaciuto rovinare un momento di felicità insieme quando un massacro era così vicino. Mi sarei aggiunta a loro, se avessi potuto. Beh. Il sorriso divenne un ghigno, e sentii il caldo divertimento calmarmi lo stomaco. Benedetti piccini. Riuscivano a farmi dimenticare ogni dolore, ogni preoccupazione. E poi, non era detto che io non potevo giocare un po’. Anzi. Però meglio farli cuocere un altro po’ nel loro brodo. “a quanto pare, sono venuta un po’ prima”. Dissi, cercando di sembrare secca e contrariata. La recita mi riuscì abbastanza bene. Vidi, sul volto di mia figlia, passare un guizzo di panico puro. Sbiancò ancora di più, e guardò, supplichevole, qualcuno dietro di me. “mi sa di aver fatto bene…non credete?”. La paura di Roxen si trasformò in terrore puro. Ero famosa per le mie punizioni inflessibili. Sentii dei rumori. “zia Lalla!”. Esclamò qualcuno da qualche parte dietro di me. Machin. Oh. Come, come odiavo quel soprannome. Ancora non si era tolto il vizio di chiamarmi in quel modo orrendo. Mi girai, e, immediatamente, venni travolta da un elfo supplichevole, una forza della natura. Rinculai di qualche passo, ed andai a sbattere contro Roxen. Gemito disperato. Di solito quello non era il modo per ammorbidirmi. Normalmente, quelle esplosioni anomale di affetto non facevano altro che farmi irritare ancora di più. Ma quel girono ero di umore molto tenero. Uf. La stretta era così forte da soffocarmi. Non vedevo altro che bizzarri capelli aranciati e piume. “no, no, ti prego, non punirci, non punirci, ti supplico!”. La voce del mio nipotino era più addolorata del solito. O era tutta una messinscena, cosa di cui dubitavo sempre meno, o davvero l’angoscia aveva contagiato anche lui. Sentii un distinto idiota provenire dalle parti di Nilyan. Alzai gli occhi al cielo, o almeno nel punto dove credevo ci fosse. Era un inguaribile ruffiano. Era capace anche di scoppiare in lacrime, il tutto mentre prendeva in giro. C’era un motivo per il quale ero fiera della sua carriera di attore, no? Sentii la sua voce farsi sempre più incrinata. Di solito, vero, le mie punizioni lo gettavano nel panico più puro, ma una reazione così spropositata era anormale. “farò tutto quello che dici, tutto quello che vuoi, ma non punirci! Io ti voglio tanto bene!”. Nascosi un sorriso dietro un cipiglio severissimo. Feci per scostarmi. Lui obbedì immediatamente, e cadde in ginocchio. Respirai finalmente in piena libertà. Ah, che sollievo. Fare la zia a quelle tempeste era davvero un mestiere difficile. Mi guardai brevemente intorno. Nilyan aveva già imboccato la via dell’uscita, prontissima per una fuga tattica, ma si bloccò quando mi vide fissarla, feroce. Roxen aveva le mani nei capelli. Feci passare un attimo, in cui mi gustai tutto il loro infantile terrore. Oh, com’erano dolci, e simpatici. Oh. Li avrei protetti a costo della mia stessa vita. Assunsi poi un’aria casuale. “visto che siete adulti, ormai…”. Cominciai, guardando in su. La preoccupazione si tagliava con il coltello. Era divertente. Machin alzò di scatto il viso, scostandosi i bei capelli ondulati, con quel gesto rapace tipico di mio fratello. Vidi lampeggiare nei suoi occhi chiari la speranza. Nascosta poi dietro un sapiente velo preoccupato. Sospirai. Credere in un suo pentimento vero era impossibile.“potrei anche decidere di far finta di non aver visto nulla. Però dovete darmi un motivo per farvi perdonare”. Sul viso della mia nipotina si dipinse una certa aria furba che conoscevo. Lei si avvicinò, con un grande sorriso. “ma come, zia…”. Disse, con la sua solita aria angelica. Non ci cascavo. La fissai, con sospetto. Quella lì era capace di far spuntare chissà che conigli dal suo cilindro, far credere vittima una volpe in un pollaio. “domani Roxen e Machin devono partire, e tu ci dici sempre che la guerra è pericolosa! E se succede qualcosa? E se vengono feriti? Come giocheremo ancora? Non vuoi lasciarci un po’ d’infanzia?”. Ah! Sobbalzai, presa di sorpresa. Guardai la piccola figlia della mia Rinnegata, scandalizzata. Quello era un modo vile di ritorcere le mie parole contro di me stessa! Avevo detto così quando avevo scoperto che Machin avrebbe partecipato a quella piccola campagna. Brutta piccola canaglia! La guardai storto, ed il suo sorriso si allargò. Poi ridacchiai. La tensione si allentò in un attimo. Machin saltò su come un lampo, felice come una pecora scampata al macello. Ben presto, non so come, non so perché, ci ritrovammo a ridere tutti. Alzai in alto le mani, arrendendomi. D’accordo. Erano troppo adorabili. “va bene, va bene, avete vinto voi!”. Dissi, sempre tra le risate. Oh. Tutta la mia preoccupazione era lontana. Era bello stare con quei piccoli. Mi faceva bene. Decisi una cosa. Era tempo di fare un po’ sul serio. Si fece spazio in me un’idea grandiosa. “su, forza, mettete a posto questo porcile”. Dissi poi, dopo un po’ di risate, con aria più seria. Si guardarono tutti con aria annoiata. Sbattei un piede a terra. Non c’era tempo da perdere. Ci fu un attimo di silenzio. Li squadrai tutti e tre, critica. Nessuno aveva capito, nemmeno l’acuto Machin. Bene. “se fate presto, andiamo un po’ ad allenarci insieme…”. Proposi, con aria casuale. “vi va?”. In tutta risposta, fui travolta da tre elfi entusiasti, tre turbini che cercavano di mettere, solerti, un po’ in ordine quel caos primigenio. Nessuno di loro si fece pregare. Beh. Sapevo come farmi amare, senza dubbio. Ridacchiando, diedi una mano anch’io. In fondo, non ero così una cattiva tutrice, no?

Passai tutta la mattina a combattere con Nilyan, Roxen e Machin, insegnando, a loro due soprattutto, come s’impugnavano in maniera migliore le loro armi. Mio nipote aveva ereditato l’agile stocco di mio fratello, che lui teneva come una reliquia. Io gli avevo sempre parlato di quanto fosse bravi, grandi e buoni i suoi genitori, ma lui aveva una preferenza netta per la figura mitologica del padre, quel padre che era morto per lui, che io avevo fatto di tutto per far sembrare un eroe. Quando gli avevo regalato, quando avevo capito che il suo desiderio di dare una mano in battaglia non era una cosa stupida, quell’arma, ero stata abbracciata con veemenza, e, per la prima volta, avevo visto lacrime genuine sul volto di Machin. Sapevo quanto valesse quella spada, per lui. Quand’era piccolo passava ore ed ore ad osservarla, contemplarla, sul camino dove era appesa, e mi pregava di lasciargliela toccare. In fondo, sotto la sua scorza gioconda, il mio piccino era fragile, tanto, tanto serio e fragile. Da quando avevo deciso quel nobile regalo, lui s’impegnava mille volte più di prima a combattere. Era diventato abbastanza bravo. Quel giorno tuttavia, lo riuscii come al solito a mettere a tappeto. Lui la prese bene, come al solito. Sapeva perdere. Quando poi ero io a sconfiggerlo, la prendeva come una lezione. Era una cosa buona che il suo orgoglio non fosse esagerato. Soprattutto perché io, nel tentativo di fargli bruciare di meno la sconfitta, gli ero piombata addosso, cominciando a fargli il solletico. Da lì era nata una battaglia epica. Mi ero divertita moltissimo. Avevamo poi ripreso a combattere. Non avevo più nulla da insegnare a mia figlia. Roxen mi rendeva fiera. Era nata con una spada in mano, la sua bella arma che le avevo regalato io, uno dei tanti, utili regali. Era silenziosa e letale, perfetta. Bravissima. Cercai, poi, di dare una mano a Nilyan. Lei, la diplomazia furba fatta elfa,  non amava particolarmente la battaglia. Era necessaria, ma lei l’adorava solo come parentesi di gioco con l’amato gemello/cugino. Le armi, poi, non erano il suo campo. Non ci sapeva fare. Combatteva, infatti, solo con piccoli incantesimi. In quello era brava, ed era anche scaltra. Dei tre, fu l’unica a disarmarmi, con una semplice illusione. Con loro, avevo dimenticato quelle allucinazioni del mattino. Eravamo rientrati, di primo pomeriggio, stanchi e felici. Avevamo mangiato insieme, poi ognuno si era ritirato nelle proprie stanze. Dovevamo, purtroppo, prepararci per l’indomani. Nessuno aveva messo in mezzo quell’argomento. A nessuno, in fondo, piaceva. Cercai di mantenere, io, gli ultimi scampoli di luce per il tempo che mi rimaneva. Ma già avevo cominciato ad incupirmi. Entro qualche giorno, ed avrei rivisto il sangue scorrere, abbondante come un fiume in piena. Avrei di nuovo visto i morti, i feriti, il dolore. E, quella volta, ci sarebbe stato anche Machin da proteggere. L’idealista, il sognatore, l’attore sempre di buonumore. Lui era il più eccitato dalla cosa. Era andato, saltellando, nel suo appartamento, per prepararsi. Roxen mi comprendeva. Anche lei era preoccupata per il suo adorato amico. Ci eravamo guardate, madre e figlia. Avevamo capito ciò che albergava nell’animo dell’altra. Ma non avevamo parlato. Li avevo lasciati, tutti, con un senso di rimpianto. Non mi andava di rimanere sola. Avevo paura di nuovo di quelle strane allucinazioni, ma, soprattutto, mi ripugnava dovermi conciliare di nuovo con l’idea della battaglia. Arrivata nelle mie camere, quel luogo che era sede di tanti ricordi, avevo, a mente vuota, fatto dapprima un bagno, poi avevo preso a compilare di malavoglia alcuni documenti che sarebbero serviti in mia assenza. Cercai di posticipare quanto più possibile l’incombenza più sgradita. A metà pomeriggio, mi ero trovata senza nulla da fare. Mugugnando, mi ero decisa. Odiavo farlo. Ogni volta che arrivava una battaglia, era sempre la stessa, identica storia. Dei, lo odiavo. Avevo tirato fuori, da un armadio apposito, che tenevo ben lontano dal mio sguardo, la leggerissima armatura che indossavo in battaglia. Avevo sparpagliato tutti i pezzi sul letto, poi ero rimasta a guardarli, sconfortata. Dei. Dei, come odiavo doverlo fare. Odiavo quel peso sulle spalle, quell’ammasso di metallo cigolante, che m’impacciava nei movimenti. Ero rimasta a fissare l’elmo, quell’elmo che su un lato portava impresso lo stemma di Uruk, come se fosse il mio nemico. Mormorando bestemmie, poi, contro me stessa e la mia lentezza, avevo cominciato a controllare il tutto,  sistemandolo in modo che non mi tradisse. Quella mia consuetudine mi era nemica. Almeno, mi svuotava la mente. La svuotava, e la distoglieva da tutti i brutti pensieri. Dovevo sbrigarmi. Quella notte dovevo dormire. Avevo riposto tutto in una sorta di bisaccia, che, come al solito mi sarei fatta portare da Zipherias, molto più forte di me, e, inoltre, a cavallo, fino a quando non sarei stata costretta ad indossarla, e poi, altra piccola borsa in mano, avevo reperito tutte le cose che mi sarebbero servite in quel breve ed antipatico viaggio. Ah. Giorni al freddo ed al gelo, insieme ad una brigata perennemente di malumore, senza un letto comodo, né un bagno caldo. Oh. Odiavo le campagne anche per quello. Mi lamentai, con me stessa, dando fondo a tutta la riserva di bestemmie. Dannazione. Non volevo che Machin  partecipasse a quelle cose. Una battaglia era brutta. Nessuno doveva anche solo pensare di ferirlo. Non volevo vederlo immergere la spada nel sangue altrui. Non mi andava di vederlo sofferente, magari per una brutta ferita. Non volevo vedere Chekaril incombere su di lui, per salvargli la vita. E se poi fossi morta io? Chi si sarebbe preso cura di loro? La prospettiva m’inquietava. Ero così rimasta tutto il pomeriggio ad organizzare le ultime cose per il viaggio, mettendo tutto a posto, depressa e pensierosa. A differenza della mia camera a Sharilar, le mie stanze a Kyradon, dove recitavo la parte della responsabile Ch’argon erano ordinate e pulite. Beh, sfido io, con uno stuolo di silenziose servette dietro. Io proprio non ero. Fosse stato per me, il caos da Machin non sarebbe stato nulla.

Era tardo pomeriggio, quando accadde. Io avevo dimenticato tutto quello che mi era accaduto la mattina, ormai, ed ero in piena attività. Non avevo più sentito nulla, né latrati, né voci ultraterrene, e mi ero calmata. Avevo reputato quello che mi era successo frutto di una mente addormentata e sonnacchiosa. Davvero a me il risveglio provocava allucinazioni estreme. Bah. Avevo quindi catalogato il tutto come una delle mie stranezze, ed ero ormai tranquilla. Non dovevo preoccuparmi. Non ero matta. Ero solo un po’ sotto stress. In fondo era normale. Le battaglie mi scombussolavano un po’. Ero anche preoccupata per Machin, figuriamoci, poi, come potevo reagire. Non c’era tempo per rimanere a pensare sulle cose della giornata. La luce se ne stava velocemente andando, ed era quasi il tramonto. Nella luce arancione del sole morente, mi ero dedicata alla disperata ricerca di una borraccia che si rifiutava ostinatamente di spuntare. Ero arrabbiata per quel fatto. Quell’oggetto mi sarebbe servito, accidenti! Dovevo trovarlo! Avevo messo sottosopra la stanza nella  ricerca. Avevo perfino rivoltato il letto, visto sotto. Niente.     Ah, accidenti. Avevo cominciato a bestemmiare, senza posa. Quest’ultimo tiro le domestiche me l’avrebbero pagato, oh si. Mi sarei fatta sentire. E se poi me l’avessero rubato! Altro che battaglia, poi! Avrebbero capito quanto terrificante potesse essere Lsyn Amarto. Dopo un po’, finalmente, avevo visto l’oggetto delle mie ricerche, con grande gioia. Era su una bassa mensola. Mi sarei messa in punta di piedi per raggiungerlo, e basta. Avevo esultato. Bene. Dopo di quello, avrei finito  l’inventario di tutte le cose utili, e mi sarei potuta rilassare. Magari leggendo qualcosa, facendo un bel bagno caldo. Mi sarebbe mancato, moltissimo. Il giorno dopo saremmo dovuti partire molto presto, e non ci sarebbe stato tempo. Oppure avrei fatto una bella chiacchierata con Yufrek. Mi sarebbe mancato, quel vecchio bisbetico e colto. Magari ci sarebbe stata anche Manolìa. Volevo salutarla. Anche lei, la mia piccina tra le nuvole, mi sarebbe mancata tanto. Quel girono non ero andata proprio a parlarle. Magari sarebbe anche uscita un po’. Avremmo fatto una bella e lunga passeggiata insieme, per i giardini, oppure magari per Kyradon, se fossi riuscita a convincerla. In caso contrario, beh, avremmo almeno chiacchierato un po’. Magari avrei raggruppato tutta la brigata, per una bella rimpatriata d’arrivederci. Esorcizzare un po’ la paura, la paura che uno di noi fosse venuto a mancare. Avevo trovato quell’idea splendida, e, dopo aver recuperato la borraccia e messa al suo posto, mi ero subito girata verso la porta, avviandomi per metterla in pratica. Se solo Manolìa si fosse rifiutata l’avrei trascinata per le orecchie. Non ebbi il tempo di fare perfettamente niente. Ad un certo punto, piombò un buio denso come pece. Sobbalzai. C’era una nuvola? Strano. Il cielo era stato limpido fino ad un momento prima. C’era stata una luce gagliarda. Cominciai a sentirmi agitata. No, accidenti. Non vedevo assolutamente niente. Un’eclissi, forse, improvvisa? Evento ben strano. Un prodigio? Ancora di meno? Una trappola? Cominciai a sentire una strana oppressione. E poi ricominciò il gelo di quella mattina. Un gelo strano, mille volte più intenso, che penetrava in ogni fibra del mio essere, che congelava la mia anima, imprigionandola in una sottile rete trasparente. Boccheggiai. No: quella cosa che stava accadendo non aveva nulla di normale. Cominciai a muovermi. Ma era come se non avessi la percezione degli arti. Come se non li avessi proprio. Come se fossi solo un’Essenza. Era una sensazione affine a quella del Piano, ma enormemente più inquietante. Gemetti quando mi resi conto che quelle sensazioni stavano ricominciando. Di nuovo il vago rumore di slitte, latrati di cani, ululare di lupi, vento freddo. Grida di persone. La cosa non si fermò. Ad un certo punto, con mio enorme sgomento, in un battito di ciglia, mi ritrovai di fronte ad uno spettacolo ben strano. Una pianura. Una pianura immensa, battuta dalla neve, oppressa da un cielo azzurro cupo. In lontananza, vedevo il profilo di alte montagne, candide, rossicce ed azzurrine. Sentivo rumori di vita attorno a me. Eppure, niente. Non esisteva nulla. Faceva un freddo terribile, tremendo. Il panico s’impadronì di me. Ero paralizzata, paralizzata da qualcosa, dallo stesso terribile freddo. Dei. Ero impazzita. Stavo impazzendo. Un attimo prima ero nella mia camera inondata di sole. Ora ero lì, in un posto mai visto prima. Era la mia mente a partorire simili cose? Cosa stava succedendo? Dei. Ero pazza, sicuro. Ad un certo punto, sentii qualcuno dietro di me. Il freddo divenne più intenso. Benvenuta, Guarda Indietro. Disse una voce, la voce strana, immateriale, echeggiante, che mi aveva ossessionata quella mattina. Una forza molto più grande di me mi costrinse, improvvisamente, a girarmi. Quel nome mi sembrò potente come un ordine. Cercai e cercai di oppormi, di gridare, di distogliere lo sguardo. Ma fu tutto inutile. Mi ritrovai a fissare una creatura di sogno, senza volerlo. Era la stessa che avevo intravisto quel girono. Ma ora la vedevo, chiaramente. Sobbalzai di terrore. A poca distanza da me, avviluppato in un mantello di lino leggero, bianco, a piedi nudi, c’era quello che mi pareva uno spirito sotto forma di elfo. Tremai, e feci per parlare. Ma nessun suono seguì la mia intenzione. Osservai quella figura d’incubo, la personificazione stessa del ghiaccio. Era come una statua di ghiaccio animata da una forza innaturale. Folti capelli lisci, celesti, attorniavano un viso scavato, livido, di un biancore che sfociava nel violetto, un colorito da cadavere. Le labbra sottili erano completamente viola, esangui. Quella creatura aveva grandi occhi, di un azzurro quasi bianco, occhi che, non so come descriverlo, sembravano guardare il mondo e scorgervi dentro qualcosa in più. Occhi vuoti e pieni allo stesso tempo. Gli occhi di un veggente, di un agonizzante, di un poeta pazzo, di un profeta. Occhi sgranati, fissi e mobili. Occhi assorti, acuti, saggi. L’essere sembrò e non sembrò guardarmi. All’apparenza fissava un punto poco al di sopra della mia spalla ,am mi sentivo i suoi occhi addosso. Sembrava non avvertire freddo. Eppure quello che vedevo di lui era di una magrezza impressionante. Ad un certo punto, mi sentii come sbloccare. Seppi, non so come, di poter parlare. “chi sei?”. Domandai. Almeno la mia voce era rimasta uguale. Ed anche i miei abiti, il mio viola da Ch’argon. Era una bella cosa saperlo. L’essere non cambiò espressione. Non è importante, mia piccola Guarda Indietro. Disse la voce. Le labbra di quello spirito si aprirono come se avessero volontà propria. Un giorno lo saprai. Mi sentii inquieta, non so perché. Non riuscivo a capire cosa significasse. L’essere si spostò lievemente, un guizzo. Io ebbi i suoi occhi direttamente addosso. Mi sembrò di non avere segreti, per lui. “perché mi assilli? Cosa vuoi da me?”. Dissi, con voce leggermente più stridula. Senza fare rumore, il giovane si avvicinò a me. I capelli si mossero come mossi da un vento inesistente. Volevo staccarmi, correre via. Ma qualcosa mi ancorava al suolo. Ho scelto te, Guarda Indietro, perché sei l’unica capace di portare il Messaggio che non si porta. Sussurrò l’essere, allungando la mano verso di me. Volevo ritrarmi, ma non riuscii a farlo. Non lo feci nemmeno quando lui posò la mano sul mio cuore. Sentii una fitta tremenda, come se avessi il sangue ghiacciato, come se mi stessero torturando con coltelli di ghiaccio. Gemetti. Lui non si mosse, il suo viso si avvicinò pericolosamente al mio. Sentii una zaffata di un profumo simile a quello di un bosco pieno di neve. Egli fu ad un soffio dal mio orecchio. Di nuovo quel sussurro mortale. Sentii un moto di ripulsa. Eravamo appiccicati l’uno all’altro. Mi sembrava di stringere una colonna di ghiaccio. Era una sensazione orribile. Eppure, non potevo allontanarmi. Ricorda, Guarda Indietro dal cuore forte, non tutte le cose sono come sembrano. Quelle parole, orribili, stavano scavando a fondo in me. Non riuscivo a capirle, erano incomprensibili ,ma parevano forgiarsi nella mia mente, ancorarsi con artigli dolorosi. Ascolta le mie parole, perché non mi ripeto. Che siano in te come il più aguzzo dei pungoli. Ci avviciniamo ad un rapido tramonto, ad una rapida notte che scende con le sue ali scure. Chi non si muove verrà avvolto, verrà divorato da cupidi avvoltoi. Correre. Bisogna correre e correre ai ripari. Ma ripari che non riparino, ma che cambino. C’è tanto sangue nuovo. Quella creatura conficcò le dita nel mio braccio, e posò le labbra sulla mia guancia. Mi sentii sempre più male. L’oppressione al petto si fece insostenibile. Lui riprese a parlare. L’inverno scorreva in me. Era assurdo, assurdo quello che stava dicendo. Non aveva senso. Cercai di divincolarmi. Ma ero prigioniera nel ghiaccio. Tanto sangue nuovo, e tu lo sai. Tanto sangue nuovo da versare. La primavera porta anche gli agnelli, ma anche gli uccelli migrano. È inverno in primavera. Guarda Indietro, guarda le rondini. Il tuo destino è legato ad esse, segui il loro esempio che esempio non è. Le labbra gelide dello spirito corsero dalla guancia alla fronte. Sentii una fitta di dolore. Respirai, affannata. Era orribile. Orribile. Di nuovo, altre parole che si sedimentavano in me con la forza di un masso, di una valanga. Hai un compito, elfa, un compito che anni fa ti fu donato dal destino. Parole dure, quelle. Le labbra premettero sulla mia fronte, imperiose, quasi dolorose. Rabbrividii. Volevo andare a casa. Volevo tornare dai miei cari. Non è ancora tempo di giocare. Ma presto giocherai. Rammenta, Guarda Indietro, che tutti nascondono un piccolo segreto. Ma alcuni più di tutti. Lì dove non si può entrare c’è uno scrigno. Questo scrigno si schiude con una chiave sola.. In questo scrigno c’è un segreto. In questo segreto ce n’è un altro. Un quest’altro segreto c’è un’altra chiave. Quella chiave apre lo scrigno. Ma fai finta che non ti abbia detto nulla, perché le cose verranno da sé. Eh? Ma che stava blaterando, il pazzo? Sbatte le palpebre. A quella vista spettrale si sovrappose la mia camera inondata dal sole. Il dolore si fece più forte. “cosa mi vuoi dire?”. Domandai, mentre la presa sul mio cuore diveniva più forte. La creatura si staccò un po’ da me, per guardarmi e non guardarmi con quegli occhi che fissavano l’aldilà. Il dolore divenne insopportabile. Feci per gridare. Ma non ci riuscii. Io l’ho visto. Mi disse semplicemente lui. Poi il suo viso immoto divenne una maschera di tristezza. Lascia andare, quando devi. Non sei solo tu che devi ritrovare la strada persa. C’è chi la trova e chi la ritrova. E mi raccomando. Apri quello scrigno. Dentro quello scrigno c’è una leggenda. Guarda Indietro, la leggenda è legata con una catena. Togli la catena alla leggenda. Scatena la leggenda, fai in modo che essa si possa librare nei cieli. Ci fu un attimo di silenzio. Poi il tipo parve riscuotersi. Il dolore aumentò ancora. Mi torsi. Sentii di essere nella mia camera. Lo spettacolo tutto si affievolì. Piana, neve, suoni, montagne, tutto scomparve. Fummo soli, io e lo spirito, nel vuoto cosmico. Mi giunsero altre parole dall’essere che si manteneva a me, che teneva il mio cuore, che me lo stringeva, che mi trasformava in ghiaccio il sangue, i sogni, le speranze, la stessa felicità. Ma ora, Guarda Indietro, riposa. Un’altra pausa. Di nuovo, quella maschera di tristezza sul volto senza tempo del pallido spettro. Mi dispiace. Ma il tuo tempo non è ancora giunto. Non è ancora arrivato il momento di sguainare i tuoi artigli. Fu un lampo. Sentii la presa sul mio cuore serrarsi. Ed un dolore, un dolore come avevo raramente provato in vita mia, si propagò in ogni fibra del mio essere. Urlai, un urlo straziante, disumano. Era una tortura. La mia stessa anima era straziata. Ad un certo punto, anche la creatura scomparve. Ma il dolore rimase, persistente. Urlai di nuovo, fino a farmi dolere la gola, nella speranza che il tormento fuggisse via da me. Ma non passò. Mi sentii, all’improvviso, catapultata di nuovo dove ero arrivata. Ebbi un lampo. Una stanza da letto inondata dal sole di ultimo pomeriggio, riscaldata da un allegro camino. Ritornai ad essere me. Mi guardai stolidamente attorno, presa dalla tortura. E poi mi sentii cadere. Un ginocchio batté contro qualcosa. Ma io avevo già chiuso gli occhi, scivolando in un oblio opprimente e gelido come le lande desolate che avevo appena lasciato. Di nuovo, per l’ultima volta, ascoltai l’eco vago di cani, lupi e tempeste. E la voce, quella voce orribile e disumana, che mi sussurrava di rondini, scrigni e segreti, senza che io ci capissi nulla. Parole che, in me, erano impresse come a fuoco, e dolevano, sfrigolavano. Sentii, ad un tratto, di nuovo la presenza appiccicosa dello strano spirito. Attenta, Guarda Indietro, perché la strada è lunga per le rondini che vogliono arrivare a casa. Mi ammonì, severo. Ma poi un’altra ondata di dolore cancellò tutto. Mi dibattei, e urlai. Poi, non capii più nulla.

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Capitolo 5
*** Lampi. ***


Furono giorni, secoli, millenni, ere intere, in cui fui incosciente, prigioniera di un labirinto impossibile

Furono giorni, secoli, millenni, ere intere, in cui fui incosciente, prigioniera di un labirinto impossibile. Sembrò passare un attimo ed una vita dal momento in cui caddi fino al mio risveglio. È difficile districare quel gomitolo che diventa il tempo in simili situazioni, quasi come se non si capisse dove inizia e dove finisce l’agonia. Mi parve di viaggiare mille e mille volte, e di rimanere ferma, immobile, al tempo stesso, in luoghi familiari e sconosciuti, tra persone nuove e vecchie, sempre lo stesso contesto, o contesti diversi, allucinazioni, sogni e realtà. Camminavo, mi muovevo, ma una forza sconosciuta mi riportava indietro da dove ero partita. E chiudevo gli occhi su quel mondo fantastico e reale. Come se, ogni volta, qualcosa mi riportasse indietro, mi dicesse che non era il momento giusto. Come se esistessi, ma nello stesso tempo fossi altro da me, fossi solo un ospite in un corpo nemico o straniero. Un viaggio vertiginoso, assurdo. Brevi lampi a cui non riuscii a dare un senso, che mi scorrevano rapidi davanti al mio sguardo, con molta più velocità di quanto le parole possano descrivere.

Un bivacco. Notte. Un freddo pungente mi stava gelando il naso. Intravedevo ombre attorno a me, ombre senza viso. Eppure di ognuna mi sembrava di conoscere il nome, che sfuggiva ostinatamente ogni volta che cercavo di focalizzarvi il pensiero su. Ma provavo un amore soverchiante per ciascuna di esse, come se io da una vita li conoscessi, ed essi da una vita conoscessero me. Il mio sguardo etereo si andò a posare su una di quelle sagome. Mi pareva di riconoscere il viso, ma esso era irrimediabilmente sfocato nei miei ricordi. “detesto questo gelo”. Disse. Conoscevo anche quel timbro. Ma era una conoscenza vaga ed indefinita come la nebbia mattutina. Se solo la sua voce mi avesse ricordato qualcosa! Era come se fosse lì, l’identità di quel senza nome, dietro di me, inafferrabile. “e detesto il fatto che ci siamo persi. Perché devo venire con voi?”.

Mi sembrò di essere spinta via da una mano gigante e nemica, rude e spicciola. La scena cambiò.

 Ero a cavallo. Qualcosa mi tratteneva. Mi pareva di essere nelle colline meridionali di quello che era stato una volta l’Impero, un luogo che avevo attraversato per giungere a Scmen. Gli zoccoli della mia cavalcatura erano immersi in una vegetazione dal colore indefinito. Era una bella giornata, e mi sembrava primavera. Nella mia mente scorrevano pensieri che non riuscivo a comprendere, quasi come se parlassi un’altra lingua. Ero una marionetta senza volontà e con coscienza. Suoni di voci sconosciute ed ostili intorno a me. Mi girai. Avvertivo quello strano fastidio, ancora. Intravidi una persona che mi guardava, una persona che non avevo mai visto.

Di nuovo quella mano ostile. Di nuovo mi trovai in un contesto strano quanto estraneo.

Ero in una stanza riccamente decorata. Potevo distinguere ogni minuscolo dettaglio, dalle tende rosse e ricamate, al soffitto alto, dai mobili raffinati e di colore chiaro. Perderei ore ed ore solo a descrivere quella stanza. Era comunque evidentemente di proprietà di una persona di lignaggio molto alto, di un nobile. Non riconoscevo la fattura delle cose. Non era elfica. Guardavo quello che mi pareva un uomo, al di là di uno spesso tavolo di legno, di cui distinguevo ogni venatura. Mi sembrava Paòl, il vecchio marinaio che mi aveva portato in quell’isola dove sarebbe poi cambiata la mia vita. Strano. Paòl doveva essere morto da un bel pezzo. Poi non avrebbe mai indossato quegli abiti scoloriti e di una strana stoffa grigia e pesante, né aveva avuto quell’aria distinta e la barba squadrata. Un corvo si posò sulla spalla dell’uomo. Mi squadrava. Sentivo qualcun altro accanto a me. Quel contatto, stranamente, mi rassicurava. Ero molto a disagio mentre venivo scrutata da un paio di occhi scuri e calcolatori.

Ancora, la mano intervenne, per prendermi per la collottola e portarmi via, in un altro momento senza capo né coda.

Osservavo dall’alto. Percepivo il contatto con una balaustra fredda di metallo. Sotto di me, una città bianca. Attorno, alberi di limone, quei frutti tanto orribili che non crescevano dalle nostre parti. Mi attorniava una pace, una serenità incredibile. Stavo bene. Una leggera brezza mi portava profumo di mare e di terra. Desiderai in modo ardente di fermarmi, per godermi quella vita. Sentivo strani rumori sotto di me, ferri in movimento e musica, e le risate beffarde dei gabbiani. Qualcuno, d’improvviso, mi si avvicinò. Non mi girai. Ero tranquilla, felice, quasi. Sentii lo spostamento d’aria, poi un paio di braccia mi cinsero. Mi abbandonai senza timore in quell’abbraccio. Era bella quella fiducia totale.

Le successive scene cambiarono così rapidamente da farmi girare la testa.

Junielle appoggiata allo stipite di una porta, una donna di capelli ed occhi chiari, un bambino dalla pelle color ocra scuro che mi guardava, il mare, una sorta di campo di battaglia, il volto di una vecchia, dalle orecchie che mi sembravano fatte di piume, un cielo in cui sapevo che stava avvenendo qualcosa che attendevo. Di nuovo quella creatura, quello spirito, che mi guardava nel buio.

Persegui il tuo Scopo Ultimo. Fino alla fine.

Aprii gli occhi di scatto, e feci per alzarmi, per liberarmi da quelle catene che mi tenevano ancorata ad un mondo di fantasia. Qualcuno, qualcosa mi stava trattenendo. Qualcuno mi manteneva gambe e braccia in una morsa fatale. Cercai di dibattermi. Non riuscivo a capire dove fossi, né chi fossi. Era un altro sogno, quello? Oppure mi ero finalmente svegliata? Ero Lsyn, o ero uno dei personaggi dei miei sogni? Ero sana o pazza? Che diavolo mi era successo? Una fitta all’altezza del cuore mi mozzò il fiato, e mi tolse ogni energia. D’accordo. Quello non era un sogno. Il dolore era troppo vivido, e reale. Ricaddi nel letto. Qualcuno prese ad accarezzarmi la testa, come per farmi stare tranquilla. La presa su mani e braccia non si era allentata, però. Mi aspettavo quasi che la forza occulta mi trascinasse, come un’onda, di nuovo in un altro mondo, ma non fu così. Ben presto, ancora ottenebrata dal dolore sordo che mi attanagliava il petto, presi a ragionare. Ero a pancia in su, e stavo osservando un brutto soffitto bianco. Sicuramente quella non poteva essere la mia stanza. Quella non era la mia stanza e basta. Non possedevo abbastanza energie per girarmi, ma sentii qualcuno parlare accanto a me. Voci familiari, così ben conosciute che non mi sembrava nemmeno degno girarmi per vedere i possessori. Sembravano tutti parecchio preoccupati. Dannazione. La mia mante era solidamente ancorata in un mare di lanugine, ed il pensare mi risultava incredibilmente difficile. Ero avvolta da morbide coperte. Accidenti, mi sentivo uno schifo. Non c’era osso che non mi dolesse terribilmente. E poi quel dolore al petto, come se avessi il cuore trafitto in mille pezzi di ghiaccio…un momento. Aprii un po’ meglio gli occhi. Quell’apparizione…quel tipo, quello spettro…mi aveva afferrato il cuore. Che mi avesse voluto uccidere? Ma allora? Non riuscivo a capire. C’era qualcosa che non quadrava. Girai stancamente lo sguardo. Non riuscivo a fare di più. Chissà quanto tempo era passato. Sperai non molto. Sperai che ci fosse ancora tempo per andare in battaglia. Non volevo, assolutamente, lasciare Machin e Roxen soli. Mia figlia non poteva stare dietro quel turbine di mio nipote, specialmente in una battaglia. Volente o nolente, acciaccata o meno, dovevo andare. Dovevo alzarmi. Sentivo però le gambe debolissime, come fatte di burro. Ero debole come un gattino. Mi ritrovai davanti la figura pallida della piccola Nilyan. La mia dolce nipotina era tanto preoccupata, gli occhi blu lucidi e stanchi. Era completamente avvolta in una pelliccia scura, e mi era molto vicina. Sorrise lievemente quando mi vide sveglia. La pressione diminuì. Una lacrima cadde sul suo viso dolce. Solo una, ma abbastanza per farmi sentire più male di quanto mi sentissi già. Provai a sorridere, non so con quale esito. Avevo la faccia completamente paralizzata, come se fosse stata per ore immersa nel tuorlo d’uovo. Perfetto. Era tutto a posto. Dopo quello che mi era successo, quello strano accadimento, ero viva, ero ancora, fortunatamente, tra i vivi. Cercai di aprire la bocca, più secca ed arida del deserto. Avvertivo uno strano sapore metallico, disgustoso, che mi faceva voglia di liberarmene al più presto. Lo riconobbi subito. Sapore di carne cruda, di quelle volte che io e Dae sbagliavamo a cuocere la carne. Era sangue. Mi spaventai leggermente. Da dove veniva? Io non mi ero ferita. Ero solo…già. Che accidenti mi era successo? Dove ero finita? Quanto tempo era passato? Ricordavo di essere caduta, di aver urlato tanto. Poi il buio, e quegli strani incubi.  Provai a parlare. Mi uscì una strana voce soffocata. Avrei voluto dire alla mia piccina di non preoccuparsi. Ero sveglia, quel bastardo non mi aveva fatto niente. Chissà se l’avevano beccato, poi. Sicuramente le mie urla non erano rimaste inascoltate. Chiunque fosse quel tipo, di sicuro qualcuno doveva averlo visto. Non doveva piangere. Avrei pianto con lei, sennò. Dov’era Machin? Dov’era Roxen? Dov’erano i miei mattacchioni preferiti? Stavano tutti bene? Avrei voluto rassicurare tutti quelli che erano lì. Avrei voluto dire che li volevo tanto bene e non volevo temessero per me. Mi uscì invece tutt’altra cosa. Osservando la figura turbata della piccina, dissi una delle mie solite cose strane, del tutto fuori luogo. “toglietemi le mani di dosso…”. Sibilai, mentre il dolore mi tormentava, ritornando atroce. Digrignai i denti. La testa, per un attimo, vorticò. Accidenti, com’ero debole. Qualunque cosa fosse successa, mi aveva davvero dato un bel colpo. L’atmosfera in quella strana stanza dai colori chiari cambiò subito. Sembrò alleggerirsi di molto, perdere quella cupezza di prima. Finalmente la pressione diminuì fino a scomparire del tutto. Sospirai di soddisfazione. Era un sollievo che non mi tenessero così crudelmente. Odiavo essere trattenuta, odiavo le catene. Vidi, sul volto di Nilyan, comparire un tremulo sorriso, che si allargò sempre di più, fino a scoprire i suoi piccoli denti candidi. Le cercai di sorridere di rimando. Niente, avevo il viso fuori uso. “ciao, zia…”. Mormorò lei, tanto preoccupata come non l’avevo mai vista in vita mia. Mi fece tenerezza. Su. Ero viva. Sentii una carezza in testa. Probabilmente non poteva abbracciarmi. Fui grata che non l’avesse fatto. Mi sentivo già troppo male, stordita e dolorante. Ci fu un breve momento di silenzio. Ne approfittai per guardarmi velocemente attorno. Dovevo essere, quasi sicuramente, nel Lazzaretto di Kyradon. Conoscevo quelle stanze semplici e deprimenti. Era giorno, ma le tende erano tirate. Accidenti, ce n’era, di gente, con me. Oltre la mia piccola, c’erano anche Dae, che ancora teneva una mano su un mio piede, le labbra serrate, divenute sottilissime, Amarto, all’altro lato, che tratteneva l’altro, assente, la paffuta Miobashin, di solito sempre sorridente ma ora con una brutta espressione in viso, che m’inquietò, come se volesse uccidere qualcuno, all’altro fianco, insieme a Manolìa, pallida come uno straccio appena lavato, quasi grigia. Aveva una macchia d’inchiostro sul naso. Erano tutte persone che non sarebbero dovute partire. Strano. Dov’era Zipherias? Ed Isnark? Benagi, Capouille? Chekaril, che se solo mi fossi sentita male sarebbe corso da me? Il mio Machin, con cui avevo giocato…avevo giocato quando? La mattina prima? Un mese fa? Mio nipote, che tanto mi voleva bene. E Roxen, la mia figlia arrabbiata con il mondo intero, che avrebbe volentieri preso a calci come una palla, per chissà quale arcano motivo? Un momento. ebbi un lampo. Un motivo. Un solo motivo. No…era impossibile. C’era solo una spiegazione a quell’assenza. Mi sentii invadere dalla preoccupazione. La guerra. era strano che fossero tutti lì, quelli che non partivano, mai. E se… guardai la Guaritrice con preoccupazione, poi ritornai con lo sguardo a Nilyan, che aveva le sopracciglia aggrottate in una smorfia. Sentii il mio respiro accelerare. Oh, dei, oh, no. non poteva essere come stavo pensando. Non ero stupida. Però…no, non poteva essere. Non potevo pensarlo. Non potevo pensare che Isnark avesse lasciato partire il mio sprovveduto nipotino in una battaglia. E se fossero morti? E se nessuno mi diceva niente per quel motivo? Mi sentii male. Ma quanto tempo ero rimasta priva di sensi? Per un attimo, io e mia nipote ci fissammo. Poi aprii la bocca, parlando a stento. “cos’è successo? La battaglia…”. Nilyan alzò gli occhi al cielo, poi guardo qualcuno oltre di me. Deglutii, e la mia voce si spense nel vuoto, in un mormorio. Quel senso di gelo che non aveva niente a che fare con il mio malessere si fece strada in me. Deglutii di nuovo. Sentivo un insistente groppo in gola, che doleva. Ci fu un attimo di silenzio. “da quanto sono qui?”. Mi arrischiai poi a domandare. Quasi non volevo saperlo, ma mi sarebbe stato d’aiuto. Machin. Il mio nipotino. Mi pareva strano che non fosse qui, molto strano. Di solito, bastava un piccolo mio malore per farlo andare in panico. No, stava bene. Sicuramente. Era tutto a posto. Magari stava solo dormendo di là. Ci fu un attimo di silenzio tombale. Nilyan sorrise in modo strano, sospetto. Non mi piacque quel sorriso. Aveva qualcosa da nascondere. La conoscevo troppo bene. Ero troppo debole, sfortunatamente, per far valere la mia autorità. “non preoccuparti di questo, zietta…”. Mormorò lei, con una voce strana, guardando chissà chi. Sentii sprofondarmi il cuore. La situazione non mi piaceva, per niente. Certo che mi preoccupavo! Se solo fossero già partiti, per me raggiungerli era impossibile. Machin sarebbe stato solo protetto da Roxen, e basta. Io cercai di muovermi, seccata. Doveva, assolutamente, obbedirmi. Dovevo sapere. Una fitta m’impedì ogni movimento, e rimasi ferma. Digrignai i denti. Oh. Quel dolore era insopportabile. Quel brutto figlio di una cagna me l’avrebbe pagata, amaramente. A proposito. “lo avete preso?”. Domandai, a bruciapelo, ora colma solo di odio cieco. Ah. Se solo mi fosse capitato tra le mani, ne avrei fatto polpette. Ah, l’avrei ucciso con le mie stesse mani. Non prima di farlo soffrire a lungo. “avete preso quel maledetto bastardo?”. Le mie parole dure, benché deboli, sembrrono cogliere di sorpresa Nilyan. Mi guardò come se fossi pazza. Divenne un pochino più pallida. Di nuovo, percepii la tensione sommergere quella piccola camera. Attimo di silenzio. “ma di chi parli, zia Lsyn?”. Sussurrò Nilyan, spaventata. La guardai negli occhi, sorpresa. Sobbalzai un po’. Come di chi stavo parlando? Era così chiaro…quel tipo che mi aveva ossessionata per tutto il giorno, che poi mi aveva fatto del male… non era abbastanza chiaro, quello? Non ero abbastanza chiara? La fissai male. “come di chi parlo?”. Ringhiai, impaziente, cercando di muovermi, la presa sulla testa divenne più forte. Qualcuno mi tenne ferma. Cerai inutilmente di divincolarmi. Poi guardai mia nipote, irritata. Bene. A quanto pare nessuno lì voleva darmi risposte chiare. Non dovevo preoccuparmi, non era successo nulla… ma perché mi stavano trattando così, come se fossi una pazza sul punto di esplodere? Io non ero pazza. A ragione, ero arrabbiata. Qualcuno mi aveva fatto deliberatamente del male. “di …quello. Quel tipo dai capelli blu! Lo avete preso, si o no?”. Oh, dei, come sembravano assurde le mie parole. Capelli blu. Oh, ora si che sembravo pazza. Non esistevano capelli blu. Neri con riflessi blu, certo, anche se erano rari. Ma celesti proprio no. Ma era vero….io l’avevo visto! Capelli lisci e celesti. Celesti! Per un momento, non riuscii a capire. Nilyan sembrava non sapere che pesci prendere, e guardava alternativamente me e qualcuno dietro di me, probabilmente Miobashin. Era terrorizzata, povera bambina mia. Terrorizzata da me. Cadde un silenzio mortale. Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, davvero. Ero troppo debole per vedere, per importarmi delle lacrime che scintillavano agli angoli degli occhi della mia piccina. Provavo troppo dolore, e stavo perdendo decisamente la pazienza. Il dolore e la stanchezza mi facevano impazzire lievemente. Li stavo trattando male. Ma non m’importava. Lì nessuno mi voleva ascoltare! Nessuno aveva risposto alle mie domande! In più, ora si prendevano anche gioco di me! Perfetto, davvero perfetto. Di nuovo, mi divincolai, e di nuovo il dolore mi dissuase dal muovermi ancora. Chiusi gli occhi, deliberatamente. Ah. Non volevo guardare nessuno. Nessuno! Nessuno era degno di essere guardato da me. Non sapevo nemmeno cosa mi fosse successo. O meglio: sapevo chi fosse ad avermi procurato quel dolore, ma non sapevo perché. “voi vi state prendendo gioco di me”. Mugolai, afflitta. Ah, com’era doloroso pensarci su. Ero tagliata fuori dal mondo. Fuori da tutto. Non sapevo nemmeno quanto tempo era passato dalla vigilia della battaglia. Non sapevo nemmeno se preoccuparmi o no. “non so quello che accade!”. Ancora attimo di silenzio. Socchiusi leggermente un occhio per osservare le reazioni. Niente. Sembravano tutti pietrificati al loro posto. Miobashin fu la prima a reagire. È sempre stata una persona non incline ad andarci per il sottile. Non mi sono mai stupita della sua amicizia con Dae. Parlò, forse con un tono più brusco del solito. “apri gli occhi”. Ordinò, con una voce brusca che raramente le avevo sentito. Obbedii mio malgrado. Mi ritrovai a fissare il suo volto scuro, oscurato dalla rabbia, e dalla preoccupazione. Lei mi puntò un dito contro. Fui tentata di farle una linguaccia. Stupida Guaritrice saccente. “allora”. Cominciò, prendendo fiato per una cantata colossale, con un tono che presagiva tempesta. Nel mio disagio, ne fui intimorita. “te lo dicevo sempre, o no, che non devi esagerare? Hai visto cosa hai combinato? Osi anche sgridarci dopo che ti sei quasi ammazzata?”. La guardai come se fosse lei la matta. Io che avevo fatto? Io, tentare il suicidio? Di nuovo? No, una volta mi bastava. Proprio in quel momento, poi! Io, esagerare? E per fare cosa? Che avevo fatto? Oltre alla rabbia si aggiunse il disorientamento. Non capivo. Non riuscivo a capire. La guardai con, mi sa, un’espressione confusa. La mia difesa fu debole, spossata. “ma…io non ho fatto niente…”. Pigolai, intimidita, un pulcino bagnato. Quell’elfa, benché più giovane di me, era capace di mettermi in riga in un modo straordinario. Ecco, era il colmo. Accusata per qualcosa che non avevo fatto. Era ingiusto. Molto ingiusto. La Guaritrice, dopo un attimo di sbandamento, sembrò gonfiare le piume, una chioccia arrabbiata. Sprofondai nel letto. Mi sentivo ferita. Io non avevo fatto niente. Ero debole, così debole…qualcuno mi aveva fatto del male…lei perché mi accusava? Che avevo fatto? Ero caduta  terra, presa da un dolore terribile. Ero sicurissima di aver visto quel tipo. Erano ormai anni che non prendevo nemmeno più una camomilla. Non ero malata, non ero pazza. O forse si? La rabbia nei miei confronti così si spiegava. Però non tutte quelle stranissime visioni. Erano così reali. Così vere. Che stessi impazzendo davvero? L’ipotesi mi spaventava. Avevo tante cose da fare, tante persone da proteggere ancora. I miei nipoti erano giovani. Dovevo salvarli da ogni male. Lainay era ancora sul trono. Non l’avevo ancora vista mangiare l’amara polvere che avevo inghiottito io. Non avevo fatto ancora un sacco di cose. Ascoltai, mortificata, la filippica di Miobashin. “niente?”. Domandò, pallidissima di rabbia, quasi ruggendo. Cercai attorno a me occhiate amiche. Ma nessuno mi guardava. Nemmeno Nilyan, che sembrava offesa con me. Sentii un’improvvisa voglia di piangere. Dov’erano i miei cari? Volevo solo un po’ di pace. Sentivo ancora tanto dolore. Il cuore voleva scoppiarmi. “come niente? Sei stata quasi due settimane priva di conoscenza, sei contenta, ora? Ti sei avvelenata, idiota!”. Accolsi tutte le notizie con un sobbalzo, e guardai io l’elfa come se lei fosse pazza. Io? Avvelenarmi? Ma che, mi credeva ancora ferita nel corpo e nell’anima come tanti anni prima? Mi sentii terribilmente addolorata. Mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo. Poi riflettei. Due settimane. La battaglia doveva essere in pieno svolgimento. Pregai che Machin stesse bene. Io non avevo potuto proteggerlo. Beh, da un lato era meglio che non fosse qui. Stavo già sconvolgendo la piccina. Mi sentii molto triste. Era davvero brutto che non si fidassero di me. “ ma io non ho fatto niente!”. Esclamai, con una strana voce sofferente. Guardai Miobashin, implorante. Volevo solo un po’ di calma, volevo riposarmi. Mi sentivo ancora male, molto male. E non avevo fatto nulla. Non volevo essere trattata in quel modo. Avevo visto davvero quell’elfo, o quell’uomo, quel tipo dai capelli celesti, insomma. Mi aveva parlato davvero. Qualcosa nel mio tono fece calmare, stranamente, la Guaritrice. Lei mi guardò, interrogativa. Con la coda dell’occhio vidi anche Nilyan girarsi verso di me. Continuai. Dovevo approfittare di quel nuovo credito che mi era stato donato. “stavo andando da Manolìa… poi si è fatto buio, ed è comparso un tipo con i capelli blu…”. Oh. Davvero non sapevo spiegarmi come si deve. Ma ero stanca, ancora stordita, il petto mi faceva un male da impazzire. Vidi la rabbia, però, scomparire lentamente del volto di Miobashin. Sostituita dall’incredulità, poi dalla preoccupazione. Nilyan riprese ad accarezzarmi i capelli. Amarto mi strinse la caviglia, come per farmi sapere che era lì, vicino a me. Era un bene che mi stessero credendo tutti. “poi…ho sentito un dolore terribile…”. Era meglio evitare di parlare di ciò che aveva detto quel tipo. Era troppo strano ,e mi avrebbero creduta più matta ancora. Ed io non avevo più la forza per combattere. L’elfa mi si avvicinò, più comprensiva, ora. Ed anche terribilmente pallida. Io continuai, la voce che sfumava quasi nell’isteria. “è stato lui a farmi del male!”. Miobashin sorrise in un modo strano, comprensivo. Poi mi strinse la mano. Fui contenta che avesse capito. “Lsyn…”. Cominciò poi. Il suo tono era ben diverso da quello di prima, molto più tranquillo, quasi pacato, come se stesse parlando con una bambina. “non c’era nessuno, nella tua camera….Zipherias ti ha sentito urlare e ti ha soccorso…”. Zipherias. Povero amico mio. “lui era molto vicino, e nessuno è uscito… le finestre erano chiuse”. Di nuovo, lei sembrò molto a disagio, poi mi guardò con pietà. Com’era diversa da prima. Come se mi compiangesse. Cominciai a sentire una vaga inquietudine. Era davvero strano, e strana quella tenerezza. “quello che ti è successo, beh… se mi dici di non essere stata tu…”. Un sospiro. La guardai, in modo strano. Avevo avuto solo allucinazioni? Ma allora perché era tutto così nitido? Era strano. Avevo avuto altre volte allucinazioni da delirio, e non me le ero mai ricordate con tanta chiarezza. Ricordavo anche le sensazioni. La cosa m’inquietava. Non volevo impazzire. E lei era troppo conciliante. Non era da lei. Miobashin continuò, sommessa. “temo che qualcuno abbia voluto avvelenarti, Lsyn. Non c’era nessun tipo con i capelli blu. Hai avuto un’allucinazione. Capita”.

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Capitolo 6
*** Una vittoria era troppo poco. ***


Per tutta la settimana rimanente che passai al Lazzaretto, riprendendomi da quello che tutti consideravano un tentativo di avvelenamento mal riuscito, fui sommersa dall’inquietudine, da interrogativi che non potevo né riuscivo a risolvere

Ora lo so che mi ammazzerete (cioè, errata corrige, mi ammazzerai, visto che qui ci dev’essere solo una persona che legge .__. Ma facciamo finta di essere ottimiste, su!), soprattutto alla fine.

Mi strangolerete, mi strangolerai.

Insomma.

Annuncio forse poco piacevole (per voi xD).

Devo lasciare questa storia per una settimana.

La spiegazione, è che me ne vado a Londra xD

Finalmente siamo riusciti ad organizzare questa “piccola” gita xD

Insomma, torno la mezzanotte tra il 13 ed il 14, quindi penso che sabato prossimo dovrei aggiornare.

Auguratemi “buon viaggio, Akita” U____U

xD

Tenetevi forte, mi raccomando!

Ah, una piccola nota.

Non lasciate che questo capitolo vi tragga in inganno.

Con questo, butto la pietra e nascondo la mano.

E non vogliatemi morta, perché poi non saprete come finirà la storia xD

A presto, e grazie a (al solo che <_<) chi commentaJ!!

Akita

 

 

Per tutta la settimana rimanente che passai al Lazzaretto, riprendendomi da quello che tutti consideravano un tentativo di avvelenamento mal riuscito, fui sommersa dall’inquietudine, da interrogativi che non potevo né riuscivo a risolvere. Avevo riso in faccia alla povera Miobashin quando aveva cercato di spiegarmi che non avevo visto nulla di reale. Poi mi ero accorta che non aveva tutti i torti. Mi ero presa dapprima per pazza, poi per idiota. Davvero. Un tipo dai capelli celesti. Celesti! Ma che mi passava per la testa? Perché dovevo considerarlo reale? Forse quei suoni della stessa mattina mi avevano condizionata. Era probabile che stessi male già da allora, e che non lo sapessi. Ora, c’erano cose molto più importanti da capire. Prima cosa. Ero stata davvero avvelenata? E se si, quando? Da chi?  Era un enigma. Allora davvero tutto quello che mi era accaduto era un mera fantasia. Cercai di farmene una ragione. Eppure…eppure era stato  così reale! E, dannazione, io non potevo essere stata avvelenata! Come, come avrebbero potuto fare? Ciò che avevo mangiato con Machin e Nilyan? Impossibile. Soprattutto il cibo della principessa era fin troppo controllato. Eravamo sempre in stato di allerta, in quel senso. Poi, che avevo fatto? L’armatura? No, no. Qualcosa contenuto in quella borraccia che non trovavo? Possibile. Fui assalita dall’apprensione. In fondo, io non ricordavo di averla messa lì. Cominciai ad essere ossessionata da quel pensiero. Avevo fatto caso, forse, al fatto che dentro, la borraccia aveva un colore strano, insolito, che io avevo attribuito alla muffa? Non era la prima volta che tentavano di assassinarmi. Strano, però. Quella non era una tattica da Spie, o almeno, non era tipica del vecchio ordinamento. Chissà quante cose erano cambiate, lì, a Galinne. Ripensai al mio vecchio mondo con strana nostalgia. Lì, almeno, ero io ad uccidere. Non ero abituata a fare la vittima. Comunque quell’idea mi turbava. La borraccia. Il veleno. Mi venne un pensiero improvviso, che feci in fretta a sopprimere prima che potesse dipanare le sue spire come una vipera arrabbiata. Ritenni opportuno rendere pubbliche le mie elucubrazioni.  Quando ne parlai con una Guardia che era venuta a cercare di far chiarezza, facendomi delle domande gentili, quella fu considerata l’ipotesi più plausibile, da subito. Si cominciò ad indagare. Con mio grande terrore, ben presto scoprii che la mia supposizione aveva fondamento. Qualcuno aveva messo un raro e letale veleno vegetale all’interno della borraccia, veleno che, se ingerito, provocava una morte lentissima e dolorosa. Era una fortuna che io, prudentemente, notando che l’oggetto era un po’ impolverato, l’avessi immerso nell’acqua. Ero venuta solo parzialmente in contatto con quell’orribile roba, un’esposizione indiretta che mi aveva causato quel tremendo malessere. Era stata una grande fortuna, soprattutto perché un antidoto era efficace solo in quell’eventualità. Se solo avessi bevuto da lì, in battaglia o altrove, sarei morta senza possibilità di appello. Tuttavia, quella scoperta mi diede a pensare. Era stato un attacco diretto. Chiunque fosse stato, puntava a me e me soltanto, voleva danneggiare me. Era stato un tipo di tentato omicidio molto sottile. Doveva sapere della mia abitudine di non lasciare che gli altri toccassero le mie cose. Aveva avuto quindi il tempo di spiarmi.  Davvero, non conoscevo nessuno che potesse essere un possibile traditore. Gli unici ad essere entrati in casa mia o nella mia stanza erano davvero pochi, oppure Guaritori che davvero non potevano entrare in quella storia. Chiunque non fosse nella mia strettissima cerchia di conoscenti, doveva portare verso di me grande rispetto. In fondo, ero la Ch’argon. Insomma, nessuno aveva il permesso di chiedermi qualcosa, almeno che non fossi io a volerla dare. Le ipotesi erano solo due. L’avvelenatore doveva essere un buon osservatore. Oppure una persona che mi conosceva bene. Beh. Immaginare Amarto tutto ghignante, intento ad intingere una borraccia nel veleno, con ogni cautela, era un’ipotesi così ridicola che mi fece ridere fino alle lacrime. Avevano voluto colpire la Ch’argon. Ma perché? Chi ero io? Che importanza avevo? Certo, ero stata una Spia, ed avevo tradito molte volte, ma ormai tutte le Guardie sapevano come stanare gli scarafaggi. Era stato creato un corpo apposito. Ormai io mi occupavo solo di mettere in ordine le cose, di scartoffie, insomma. La mia perdita non avrebbe destabilizzato il Matriarcato, solo creato un vuoto in molti cuori, o almeno speravo. Ero solo consigliere di Isnark, nient’altro. Quell’elfo, tanto, era testardo peggio di un mulo, e raramente mi stava a sentire, tranne quando proprio ero costretta a prenderlo per le orecchie. Lui era un buon monarca anche senza la mia guida. Ognuno lo sapeva, ed io più di tutti. Ero Ch’argon. E allora? Non facevo nulla, né creavo benessere per Uruk. Il mio compito era di guidare un ottimo re. Perché quindi non era stata colpita Nilyan, plasmata da me e da lui, già astuta come una donnola? Lei era la principessa, molto più importante di me, un’elfa che il popolo considerava di ascendenza quasi divina. Ero una combattente svogliata, non un’eroina. Avevo un carisma pari a zero. Ogni volta che parlavo alla folla mi stupivo di non far addormentare sul posto gli astanti, davvero. Allora, quindi? Che volevano da me, la mediocrità fatta persona? Passai addirittura una notte insonne a vagliare ogni cosa, ogni possibilità, mentre le indagini per scoprire il colpevole si facevano via via che non si trovava più serrate. Dubitavo che trovassero il tentato omicida. Dopotutto, era passato un bel po’ di tempo. Se solo fosse stata una Spia…beh, a quell’ora sarebbe stata già al sicuro a casa sua. Gli umani? Certo, certo. Come avrebbero fatto a passare quel lembo di terra che faceva parte del Regno? Qualche minoranza razziale? Bah. Un Tengu mi avrebbe direttamente ficcato uno dei suoi scettri con i fulmini dietro la schiena, e tanti saluti. Quelle creature non ci vanno tanto per il sottile. Gli Insat consideravano l’assassino come un abominevole pratica, tutta della gente inferiore come noi. Gli Inu…beh, i nostri docili uomini cane si facevano i loro tranquilli fatti nei pochi, sparuti villaggi presenti nel Matriarcato. A loro bastava essere protetti, a noi bastava che pagassero le tasse. Quelle volte che ne avevo visto uno mi erano parsi totalmente inadatti al combattimento. Immaginare uno di loro intrufolarsi in un castello ben sorvegliato, aveva più o meno la valenza di un Insat stanziale. E allora? Accidenti, chi poteva essere? Non era una tattica da elfi, né da umani, né da qualunque altra razza. Chi era allora il matto che aveva tentato di avvelenarmi? Era un labirinto senza uscita. Com’era ovvio, nessuno trovò niente. Solo una vaga testimonianza di una cameriera, che aveva visto un tipo strano, dai lunghi capelli scuri, aggirarsi attorno ai miei appartamenti qualche giorno prima del mio malessere, troppo poco per poter identificare un colpevole. Il fatto venne archiviato, la sorveglianza raddoppiata. Un tipo. Lunghi capelli. Scuri, o almeno così pareva alla giovane. Quell’ultima notizia mi colmò di panico puro. Possibile che fosse quel tipo dai capelli celesti che avevo…beh, che mi pareva di aver visto? Era stata, quella, un’allucinazione, o davvero quel tipo esisteva? Quella creatura misteriosa era lui, o qualcun altro, di ben più terribile, ben più incomprensibile? Le strane visioni avute la mattina prima di sentirmi male erano dovute al veleno? Mi ero immaginata tutto? Stavo già male prima? L’assassino doveva essere un bravo illusionista per poter concertare tutto quello. Ecco. I pensieri che avevo voluto sopprimere in quel tempo tornarono prepotentemente a galla, per torturarmi. Dannazione. Non ne potevo parlarne a nessuno. Quando Nilyan mi chiedeva cosa avessi, notando quanto fossi silenziosa, dovevo stare in silenzio, bruciata dal fuoco della preoccupazione, e sorridere, dicendo che ero solo stanca. Ma io ormai non riuscivo quasi a dormire. C’era quel terribile tarlo che mi stava rodendo, sempre più  a fondo. C’erano troppe cose che non andavano. Mi assalì un bizzarro senso di stordimento. Quella volta non fu più possibile tenere a bada i miei pensieri. No, perché io non avevo detto la verità. Non ero stata completamente sincera con me stessa. Io conoscevo quello stile. L’avevo visto tante volte all’opera, e l’avevo apprezzato per il mistero che si portava dietro, per la zizzania che seminava. Lì dove io ero il fuoco, un pugnale nel cuore o uno strangolamento con qualche laccio, una persona era stata il ghiaccio, un tralcio di edera che soffoca ed è graziosa. Una tecnica elegante e lievemente scenica che poco aveva a che fare con i miei metodi classici, a volte spicci, per quanto progettati bene. Quando ancora eravamo entrambi ad uccidere, la differenza tra noi due era interessante. Tra me, che odiavo mettermi in mostra, C’era una persona che aveva, o almeno aveva avuto, uno stile simile di omicidio. Osservazione, osservazione maniacale del soggetto. Illusioni, allucinazioni, visioni strane. Poi, il colpo finale. Veleno di origine vegetale, nascosto bene, invisibile e letale. Sempre lo stesso modo di agire, perfettamente riconoscibile per chi sapesse riconoscere, praticamente una firma. E tutto era dovuto alla natura! Erbe. Vegetali! Tecniche da eccelso erborista. Maschere su maschere su maschere. Mille maschere. Mille Maschere. C’era un motivo per cui chiamavano mio fratello così, ben più di un motivo. Egli nascondeva ben più di una sfaccettatura del suo carattere, alcune delle quali non esattamente piacevoli, anzi, nettamente sgradevoli. Tijorn era complesso, un mare troppo profondo, sconvolto da correnti intime ed impossibili da rintracciare, difficile da comprendere. La sua oscurità, quel suo lato del carattere così contorto, ossessivo, che a volte un pochino mi spaventava, era così diversa dalla mia crudeltà manifesta. Ricordavo ancora fin troppo bene l’assurda perfezione dei suoi piani, ingranaggi che si univano alla perfezione, curati anche nei minimi dettagli. Differente, disumanamente differente dal mio modo un po’ grossolano e spesso avventato di agire, sopperendo alle mie lacune con l’inventiva. Perché io perdevo in un attimo la pazienza. Lui mai, cauto e perfetto come la tela di un ragno. Ma Tijorn, lui, se non fosse stato per quel profondo senso dell’onore, e quell’idiosincrasia per l’omicidio che aveva, sarebbe stato la vera punta di diamante delle Spie. Avrebbe oscurato anche me, che facevo dell’omicidio brutale e spiccio, senza sceneggiate, il mio modo d’essere. Lui sarebbe stato un soggetto davvero pericoloso. Io lo sapevo. Ero forse l’unica a conoscerlo davvero. Sapevo che quello che mi era successo ricalcava in maniera inquietante il modo classico di agire del mio stupidone preferito. Ma era impossibile, davvero la cosa più impossibile di tutte. Mi diedi della sciocca, della cretina. Ma l’inquieto freddo non se ne andò. Dannazione. I morti non risorgono. Avevo visto morire Tijorn, il mio caro fratello maggiore. Avevo visto il suo respiro fermarsi. L’avevo visto bruciare! Avevo seppellito le ceneri sue e quelle di Akita. E poi, perché mi avrebbe voluto uccidere? In tutta la sua imperscrutabilità, non aveva mai mostrato rabbia o odio nei miei confronti. Lui non era bravo a mentirmi. Io lo scoprivo anche solo da un’occhiata. Come avrebbe potuto volere uccidere la sua cara sorellina? A me, la sua Nanetta? Lui, che mi aveva lasciato una lettera così piena di affetto? Lui, che mi proteggeva fin dall’infanzia, che mi curava e sosteneva quando mi lasciavo trasportare dall’imprudenza e crollavo? Che gli avevo fatto di male? Lo andavo a trovare, sempre. Poi gli spiriti non esistevano. O forse si? Chi avevo visto morire? C’era stato uno scambio? Impossibile, davvero impossibile. Tijorn era morto, e tanto bastava. Defunto. Erano quasi centocinquanta anni che ci aveva lasciato, aveva lasciato me, aveva lasciato anche suo figlio. Cercai dunque una spiegazione più razionale. Arrivai, dunque, ad una conclusione che mi fece davvero andare fuori di testa. Doveva per forza essere così. Si spiegavano un bel po’ di cose. Dovevo rassicurarmi, e smettere di pensare alle probabilità più assurde. Non dovevo lasciarmi trasportare dalla foga. C’era qualcuno che si prendeva ancora una volta gioco di me. Qualcuno che copiava l’ultima persona al mondo da copiare, che imitava il suo stile per i suoi turpi obiettivi. In fondo, c’era una persona da poter accusare. C’era qualcuno che conosceva bene il suo Maestro, con cui era stato a contatto per sessant’anni. Aveva avuto sicuramente tutto il tempo di imparare molto sul mio carissimo stupidone. Nysha. Era stata sua allieva per tanto tempo. A quel pensiero, m’invase la rabbia. Quell’elfa era stupida. Era oltraggioso che avesse deciso, lei, che avevo amato come figlia mia, che avevo allevato, di uccidermi, di tradirci tutti. Perché, poi? Un misero regolamento di conti? O c’era qualcosa di più, sotto? Qualcosa non quadrava, ostinatamente. Qualcosa non mi quadrava. Era un pungolo, un continuo pungolo, che mi dava fastidio. Chiesi, ad un certo punto, alle Guardie addirittura di cercarla, cercare quella giovane che un tempo era una bambina vivace, e di cui non avevo più notizie da anni, ormai. Si scavò da cima a fondo a Kyradon. Niente. La mia nipote sembrava sparita nel nulla. La cosa mi gettò nel sospetto più nero. Ma poi, ebbi altro a cui pensare. Qualcosa che cominciò quando, nel periodo della mia tormentata convalescenza, ci arrivarono notizie dell’armata in rientro.

Il primo segno di vita dopo quasi un mese ci arrivò da una lettera di Isnark. Io ero da poco stata dimessa dal Lazzaretto, ma ero rimasta al castello, con Amarto e Dae. Ancora non ce la facevo, ancora ero indebolita da quel dannato veleno, ancora avevo bisogno di assistenza e riposo. Avevo passato tutto quel tempo a preoccuparmi. Sapevo quanto fosse difficile scrivere in quelle battaglie, quanto fosse impossibile, quasi. Quel lasso di tempo era normale, ma io ero torturata. Da quando stavo meglio, il mio pensiero fisso era andato a Machin e Roxen, coinvolti senza di me. Il mio biondo nipotino mi spaventava. Mi spaventava il fatto che quello fosse il suo primo vero contatto con la crudeltà degli altri, la crudeltà di una guerra. Lui, così delicato e sognatore, quello capace di far divenire un gioco la vita, quello capace di vedere il bello in tutto. Stava affrontando tutto quello senza di me, senza il mio fondamentale aiuto. Io c’ero passata tante volte nei massacri, avevo visto tante volte la sadica natura mortale. Ormai non mi spaventavo più. C’era solo Roxen, mia figlia, quell’elfa cinica e spesso brutale, che sicuramente non aveva pazienza per un novellino. Chissà, forse Capouille, Benagi e Zipherias lo avrebbero appoggiato, consolandolo quando necessario, ma loro non erano me. Non erano la zia che l’aveva cresciuto, alternando una solenne lavata di capo ad un’affettuosa carezza. Maledissi per l’ennesima volta quell’idiota che mi aveva avvelenata. Non avrebbe potuto scegliere momento migliore. Oh, se solo Machin si fosse fatto un graffietto! Avrei preso a morsi Isnark, davvero. Quell’imprudente di Isnark, che mi aveva detto che era fondamentale che mio nipote facesse quell’esperienza. Quando, aspramente, presa dalla rabbia, avevo ribattuto, asserendo che lui non avrebbe mai mandato al macello sua figlia, che per lei quello non era necessario, lui aveva avuto la faccia tosta di asserire che Nilyan era una signorina, una principessa. Allora avevo cominciato a gridare. Che razza di risposta era quella? Non ero forse un’elfa anch’io? Non avevo forse ucciso più di Isnark? Nonostante ciò, facevo parte della popolazione che avrebbe dovuto portare la gonna. A quel punto, il mio amico mi aveva guardato. Poi aveva aggiunto che non potevo dire la stessa cosa. Io ero credibile nel mio ruolo di donna quanto un drago in gonnella. Si, proprio così. Aveva detto proprio così. Un drago in gonnella. Io, un drago in gonnella. Per poco non gli ero saltata alla gola. Lui non si era mosso, con espressione seria. Poi aveva detto che implorare era inutile. Se lui voleva fare così, tanto bastava. Il sovrano non poteva impedire che un suddito aiutasse la patria. Era stata la classica goccia che fa traboccare il vaso. A quel punto, tanto per rimarcare la mia finezza tutta femminile, me n’ero andata ringhiando bestemmie irripetibili e sbattendo la porta. Niente. Testardo come un mulo. Se avessi battuto la sua testa contro il muro avrei demolito una casa. Mio nipote avrebbe partecipato. E Machin era pure tutto contento! Insomma, mio nipote! Avrebbe dovuto odiare la battaglia, a rigor di logica. Va bene, di logico non c’era nulla in quel pazzo, però almeno avevo sperato di ricondurlo a ragionare. Niente. Stavo portando all’esaurimento tutti, specialmente Nilyan, che era sempre con me. Alla fine mi confidò che anche lei era in ansia per il suo caro compagno di giochi e cugino, ma che sapeva che tutto sarebbe andato bene. Machin sarebbe uscito vivo da una tana di orsi affamati. Forse avrebbe lui stordito i nemici a furia di chiacchiere. L’immagine che mi si creò in mente mi fece sorridere.  Tuttavia, non mi sentii per niente meglio. Da quando ero capace di alzarmi, andavo sempre a chiedere notizie di una lettera. Lettera che non arrivava mai. La cosa mi stava gettando in un baratro di panico. Perché? Perché non arrivava nulla, nemmeno una notizia su come fosse andato tutto? Perché mi dovevano torturare tanto? Quando, finalmente, una mattina, mia nipote era corsa, tutta contenta, da me, con una carta in mano, ero stata invasa da un sollievo così profondo che ero scoppiata in lacrime. Finalmente, notizie. Quando mi ero calmata, avevo cominciato a leggere. Decisamente, rimasi perplessa. Rimanemmo perplesse. Qualcosa doveva essere andato storto. Prima di tutto, Nilyan mi riferì che il messaggero era lacero e sfinito, coperto di lividi e ferite. Non era una lettera normale, quanto piuttosto un ammasso censurato di notizie. Il sovrano di Kyradon mi annunciava che era andato tutto bene, i briganti erano stati cacciati, ma che c’erano state alcune perdite. Poi aggiungeva che la situazione stava rapidamente volgendo al peggio, notando che c’erano anche degli umani nelle schiere dei presunti briganti elfi. Molti maghi, che avevano fatto strage. Detto questo, faceva una breve nota sulla presenza specialmente di uno di quelli, di razza sconosciuta perché irriconoscibile, che aveva dato prova di notevole pericolosità. Un rigo solo era dedicato a me. Isnark mi rassicurava. Roxen e Machin erano vivi entrambi. Vivi, solo vivi. Non mi disse nulla sul loro stato di salute. La cosa cominciò a preoccuparmi. Dopo di quello, l’elfo mi diceva di dovermi assolutamente parlare, perché purtroppo non poteva più farne a meno, che la situazione era ormai troppo compromessa, che bisognava tagliare la testa al toro. Poi nient’altro. Solo la certezza che entro un giorno sarebbero arrivati, preceduti dai feriti.

Kyradon si riempì d’attesa. La notizia dell’arrivo dell’esercito si era rapidamente diffusa, ed ora tutti aspettavano l’arrivo dei loro cari, o del messaggero di sventura. Io e Nilyan eravamo impazienti. La mia piccina non vedeva l’ora di rivedere il padre e gli amici. Io, non vedevo l’ora di intercettare Machin e farlo parlare un po’, vedere quanto fosse profonda la sua frustrazione. Poteva darsi che non fosse stato toccato dall’orrore, o  che fosse stato annichilito da esso. Sinceramente, non lo sapevo. Ed allora, non potevo far altro che aspettare, guardando continuamente fuori, seduta tranquillamente vicino al camino, con Amarto, Dae, Miobashin e Nilyan ad aspettare con me. La Guaritrice si era unita a noi per esasperazione. Benché i feriti arrivassero sempre in netto anticipo rispetto all’esercito, accompagnati da alcune Guardie del Lazzaretto e Guardie, che si occupavano di messaggeri per le famiglie, lei non ce la faceva ad aspettare il suo Chekaril da sola. Certo, sapeva che lui sarebbe stato praticamente illeso, comunque fosse andata la battaglia, intoccabile, era lo stesso preoccupata. Da un po’ di tempo il codice non scritto che vietava agli eserciti di uccidere o prendere prigionieri i Guaritori veniva ignorato un po’ troppo spesso. Così, con la scusa che doveva controllare la mia salute, le era sempre con noi. La maggior parte delle volte eravamo io e lei a fare da vedette, sbirciando nervose la strada in salita. Nilyan era troppo sicura di sé, troppo spensierata per temere il peggio, troppo fiduciosa. Amarto e Dae erano abbastanza tranquilli. In fondo, per loro, importava che quei due fossero vivi. Io mi torcevo le mani. Vivi?  Era troppo poco. Illesi mi avrebbe tranquillizzata. D’accordo. Tutte la frasi del sovrano erano troppo bizzarre. Insomma, quella lettera era decisamente strana, punto. Di solito Isnark si dilungava, aggiungendo intere parti dolci e scherzose per il suo cucciolo. Spesso faceva scrivere anche me, con il risultato che la lettera diveniva lunga e pesante. Quella volta no, niente. Era stato molto stringato, cosa strana per lui, troppo misterioso, poco attento ai particolari. Nessuna dichiarazione di affetto per la figlia. Nemmeno quasi un saluto. Niente ironia. Niente lamentele su quanto fosse dannatamente antipatico l’andare in guerra, quanto odiasse quella situazione, quanto sfinisse quel lento logorio. No, quella lettera era fredda, formale, insolita per lui. Non aveva nemmeno espresso il suo cordoglio per i morti. Di solito pochi, inoltre. Anche Miobashin condivideva la mia inquietudine. Trovava anche lei strana quella cosa. Cos’era successo di così brutto? Che volevano dire quelle parole smozzicate, tirate a forza? Quell’attesa uccideva entrambe. Una vittoria era troppo poco. Avrei voluto tanto mettermi a cavallo e raggiungere l’armata in rientro. Ma non potevo. Se facevo qualche sforzo in più, ancora il respiro mi si mozzava, e mi girava la testa. Così, l’unica cosa che potevamo fare era aspettare. Ed aspettavamo.

Per fortuna, da un lato, quell’agonia non durò molto. Era sera quando, d’improvviso, sentimmo qualcuno bussare la porta. Stavamo quasi per andare a dormire. Ci aveva incuriositi, tutti, lo strano andirivieni di fiaccole e luci per le strade, ma avevamo cercato di non farci troppo caso. Tuttavia, anche Nilyan si era preoccupata. Nessuno di noi aveva visto una cosa simile. Allora, ci limitavamo ad aspettare in silenzio. No, decisamente il tutto era innaturale, incomprensibile, assurdo. Non c’era mai stato una caos così dopo una battaglia. Dovevano essere arrivati i carri dei feriti. La cosa m’inquietò ancora di più. Allora, cosa diavolo era successo? Ci avevano anticipato qualcosa, ma mai una cosa del genere. Avevo paura. Strage in che senso? Che voleva dire Isnark? Quanti, quanti erano rimasti feriti? Eravamo così preoccupati che andare a letto era diventato una sorta di calmante. Ci eravamo tutti accampati da me, uniti per darci forza. I due vecchi erano andati a dormire da un bel pezzo. Eravamo rimaste noi tre, a farci forza. La prima ad alzarsi ero stata io. “credo sia ora di andare”. Mormorai, tra le nuvole, mentre chiudevo sotto al naso di una cupa e tremante Miobashin la tenda. Nilyan mi guardò. Era stranamente pallida. Cascava dal sonno, si vedeva. Mi sembrava tanto una bambina, che si forza a stare sveglia per non perdersi una festa. Mi faceva una grande pietà. Chissà, forse aspettava il padre, per poterlo salutare, o forse aspettava i cugini, chissà. Quel rumore ci aveva fatte sobbalzare. Erano tutte e due schizzate in piedi, ed io avevo sobbalzato. Una nuvola aveva improvvisamente oscurato il mio cuore. Chi era? Chi veniva a darci fastidio? Chi veniva? Un messaggero di prossima sventura? Oppure un semplice cameriere? Ci eravamo guardate. A mia nipote era passata tutta la stanchezza, ed era vigile. Miobashin si trasformò. Fu la più rapida a reagire. Schizzò verso la porta, con un mugolio inarticolato. Nilyan mi prese la mano, tremante. Io la guardai e cercai di sorriderle, rassicurante, nonostante avessi il cuore in gola e lo stomaco in fiamme. Feci un respiro profondo. D’accordo, non era successo nulla. Non era morto nessuno. Stavano tutti bene, tutti a posto. Era Machin. Machin con un sorriso sornione, o Roxen con la sua aria insoddisfatta. Sicuro. Erano venuti prima per rassicurarci. Magari era Capouille, che ci veniva a dire che stavano tutti bene. Magari Zipherias, che era corso prima da noi, come faceva spesso. Oppure solo il solito cameriere curioso e intempestivo. Speravo ardentemente fosse così, o davvero non avrei saputo che fare. Guardai la Guaritrice incespicare con un senso di ansia pura. Nilyan era bianca come un cencio. Povera piccola. Decisamente, le cose stavano davvero peggiorando. Di solito, lei non si preoccupava troppo. Le avevano insegnato a non farlo. E lei, così ottimista, non era mai sembrata sul punto di scoppiare in lacrime. Lei vedeva sempre il lato positivo di ogni cosa, sempre. Era come Machin. Non era mai capitato che ci accogliesse dopo una battaglia con quel muso lungo. Di solito era tutta felice di rivederci, tutta saltellante, un’esplosione di gioia. Doveva essere la mancanza del cugino ad incupirla. Di solito era lui l’unico capace di sdrammatizzare un po’ la situazione. Io non ero capace di scherzarci su. Ero troppo tesa, troppo impegnata a preoccuparmi per gli altri. Insomma, una bella atmosfera da funerale. Finalmente, senza nemmeno parlare, Miobashin aprì la porta. Lanciò un gridolino inarticolato, e si buttò subito a peso morto tra le braccia di qualcuno. Mi sentii invadere da un terribile presentimento. C’era solo una persona capace di sciogliere quell’elfa. Una sola. Alzai lo sguardo, piena di paura. Trovai la conferma, lì, di tutti i miei timori. Sulla soglia c’erano Isnark e Chekaril. Mi sentii male, sull’orlo delle lacrime. Dov’era Machin? Dov’era Roxen? Tutti e due sembravano avere una faccia scura, ed erano entrambi stanchi. Isnark aveva un braccio bendato, probabilmente rotto, sostenuto da una benda. Tutti i suoi abiti erano infangati.  Chekaril era più scarmigliato del solito, la barba bionda lasciata un po’ incolta, e mormorava parole rassicuranti mentre stringeva la sua compagna singhiozzante a sé. Avevano entrambi l’aria di due reduci. Nilyan guardò il padre, stupefatta. Io mi sentii sprofondare il cuore, e mi morsi il labbro per non gridare. Tutto troppo strano. Mancavano due componenti essenziali alla mia vita. “papà…”. Sussurrò mia nipote, lasciandomi la mano. Il suo viso s’illuminò leggermente. Lei adorava il padre. Isnark sorrise leggermente, un sorriso che non investì gli occhi. “papà!”. Poi, senza preavviso, si slanciò per il poco spazio che ci separava, e corse tra le braccia del padre. Lui la strinse con il braccio buono. Però continuò a guardare me, ancora immobile. Senza sorridere e senza mormorare saluti affettuosi alla dolce figlia. Mi sentii terribilmente male.  No, quello non era Isnark, quello non era il suo solito comportamento. Mi appoggiai alla sedia per non cadere. Sentivo la testa girata al contrario. Machin. Lui si sarebbe lanciato da noi come un calamita verso il ferro. Non c’era. Pessimo segno. Roxen. Nonostante tutto, io ero sempre la prima che lei veniva a salutare. Non l’aveva fatto. No. i miei bambini. I miei pulcini! Osservai l’elfo tenere sua figlia per un po’, dolcemente, mentre lei si era aggrappata a lui, completamente. Ci fu un lungo attimo di silenzio. Io ed Isnark continuammo a guardarci. Poi lui scostò Nilyan da sé. Lei gli rimase vicina. Guardò per un attimo oltre di lui, e sembrò confusa di non vedere nessuno. Non doveva aver capito. Isnark sospirò, poi si strinse nelle spalle. Chekaril lo guardò, e strinse più forse Miobashin. E poi disse una frase, due frasi. Le ultime frasi che avrei voluto mai sentire in vita mia. “coraggio”. Disse, con aria un po’ lugubre. “non è successo nulla di grave. Ma dovete venire con noi”.

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Capitolo 7
*** La verità più importante. ***


A quelle parole, tremai e boccheggiai, tenendomi alla sedia come se fosse l’unico appiglio per non farmi crollare

Ta-dan!

Rieccomi, riecco la vostra carissima (eh?) Akita, pronta con un altro capitoletto etto etto.

Finalmente tornata da Londra, una città che, se non fosse per i prezzi, lo smog e l’inglese, sarebbe così piacevole come dimora xD (parla la francofila incallita)

Insomma. Ecco a voi (voi? Ma chi legge La Cerca Dei Sogni? Chi, dannazione? O.o qui commenta solo uno O.o) il capitolo numero 7.

Enjoy it (ho imparato un po’ d’inglese!!).

Alla prossima!

Akita.

 

 

 

A quelle parole, tremai e boccheggiai, tenendomi alla sedia come se fosse l’unico appiglio per non farmi crollare. Stavo male, malissimo. Machin, Roxen. Cosa era successo, ai miei piccoli? Ai miei dolci cuccioli? Perché non erano lì? Quanto grave era la situazione? Chi aveva osato sfiorare i pulcini, i miei pulcini, anche solo con un dito? Chi era il colpevole? Quale bastardo? L’avrei strozzato con le mie stesse mani, fatto a pezzi anche con le sole unghie. Maledetto, bastardo! Sentii la bile salire su e giù, ballando una danza movimentata con il mio stomaco, e, per un attimo, non vidi più nulla. Giuro, non ero mai stata così incline alla violenza da anni. Da quando Tijorn era morto, da quando Nemys si era sacrificata, non avevo sentito una tale empito ribollente di vendetta focosa. Prendersela con due giovani elfi! Prendersela con il mio nipotino, che tanto amava la vita! D’accordo, d’accordo. Guardando il vuoto, il ghiaccio sulle guance, cercai di tirare un respiro più profondo. Erano stati loro a voler combattere. Mio nipote mi aveva supplicato in ginocchio. Roxen aveva fatto di testa sua e basta, e me l’ero trovata nel battaglione senza che sapessi nulla. Insomma, erano loro a voler combattere contro l’Impero, quella Lainay che mi aveva rubato la vita, l’esistenza, la dignità, che mi aveva ridotto ad una lumaca strisciante per buona parte della mia vita. Mi guardai attorno, smarrita. Intercettai lo sguardo di Nilyan, di Isnark e di Chekaril, che considerava il piccolo figlio di Tijorn come un fratello minore. Furono i loro occhi a calmarmi, soprattutto quelli della piccina, di quella che per me sarebbe rimasta per sempre la bambina allegra dai capelli arruffati di un tempo, che si divertiva a tirare la criniera alla povera, vecchia Nina. Cercai di darmi un contegno, di essere una guida per quella dolce elfa. Era troppo piccola, troppo poco allenata a quelle torture psichiche. Verissimo, all’età sua io avevo già visto la gente morire, avevo già ucciso a sangue freddo, sapevo mentire, rubare, usare, senza scrupoli. Ero adulta. Ma la mia giovinezza non era mai esistita. Ero stata costretta a passare, da un’infanzia dorata, felice e solitaria, ad un ambiente ostile dove più crudele ed infido eri, meglio sapevi sfruttare te stessa e ciò che ti circondava, meglio te la cavavi. Non volevo che entrasse nel mondo dei grandi con quella veemenza, come ero stata costretta a farlo io. Davvero, forse li proteggevo troppo, ma dovevo farlo. Forse erano più forti di quanto pensassi, ma io li conoscevo bene. Sperai ardentemente che Machin non fosse rimasto irrimediabilmente distrutto, nello spirito, soprattutto. Roxen se la sapeva cavare benone, ma mio nipote no. Nilyan nemmeno. Se solo la principessa avesse visto suo cugino annientato, diverso da come lo aveva lasciato, magari ridotto a creatura fredda, disincantata, o a ferito inguaribile, avrebbe finito per distruggersi anche lei. Il legame che li univa, un legame cementato dalla vaghissima, inesistente parentela, che loro sapevano autentica, e dalla consapevolezza di essere entrambi orfani, di essere stati cresciuti dalla stessa persona, era troppo forte. Erano come gemelli. Se uno soffriva, soffriva anche l’altro. Cercai di darmi, dunque, un contegno. Io dovevo essere il suo bastone. Dovevo prepararmi, da persona adulta com’ero, ad ogni eventualità. Io dovevo guidare tutti verso una guarigione completa. Dovevo sollevare Machin dall’angoscia, curarlo in caso fosse rimasto ferito. Consolare Nilyan. Non volevo che vedesse me angosciata, e soffrisse di rimando. Già doveva essere abbastanza difficile. Inoltre, non dovevo assolutamente turbarla troppo. Se avesse visto me crollare, si sarebbe spaventata molto, ed avrebbe potuto usare, senza controllo, una porzione esagerata di quel potere spaventoso ereditato dalla madre, che il suo corpo mortale non riusciva a reggere. Avrebbe potuto annientarsi, annientare il suo senno. Già in quei giorni era stata messa troppo sotto torchio. Mi sentii in colpa, per quello. Nella mia infermità, non ci avevo pensato, non avevo pensato alla sua sofferenza. Non dovevamo esagerare, con lei. Era pericoloso, ed io non volevo vederla impazzire. Per lei, il risveglio non doveva essere brusco. Non era giusto. Il risveglio dall’età dei giochi, dei passatempi. Per un attimo, odiai me stessa. Ero stata io, l’imprudente, a non capire che non andava qualcosa in quella borraccia, a lasciarla lì dov’era. Se solo non mi fossi lasciata prendere dalla foga e dai pensieri, molto probabilmente sarei stata anch’io in battaglia, pronta a difendere mio nipote da ogni bruttura, pronta a squartare con i denti chiunque si fosse avvicinato a lui ed a mia figlia. Invece no. Ero rimasta a letto, prostrata da un bastardo che non si era trovato, che si era voluto fingere mio fratello, senza riuscirci peraltro, perché lui non mi avrebbe mai uccisa. M’invase la frustrazione. Era sempre così. Quando non c’ero, capitavano le cose più brutte. Quando abbassavo la guardia, ecco che accadeva il peggio. Trassi un altro profondo respiro. M’invase la pena. Nilyan, la mia dolce, piccola, principessa, aveva capito. Era pallida come un cencio sotto la pelle olivastra,, e tremava leggermente. Aveva l’espressione di un cagnolino bastonato senza motivo, i grandi occhi inondati di lacrime, desolati e sperduti. Si strinse la padre, che la cinse dolcemente con un braccio, con un sorriso dolce, che, in qualche modo, mi rassicurò. Poi guardò me. “vi ho detto che non c’è nulla di cui preoccuparsi, state tranquille”. Disse, mentre stringeva la figlia traumatizzata. Lo guardai, scettica. Vidi un fondo di verità in quegli occhi scuri. Ma non mi rassicurai. C’era qualcosa di nascosto. Provai puro dolore per lei, che non meritava tutto quello. Né lei, né Machin. A loro due erano state già strappate troppe cose prima che si rendessero conto di quanto fossero importanti. Non avevo mai raccontato a mio nipote che Akita si era rifiutata di prenderlo in braccio, appena nato, perché il suo unico desiderio era di morire, di lasciarlo. Nilyan non conosceva il sacrificio enorme che la madre era stata costretta a fare per farla vivere, per donarle la sua vita preziosa. Roxen…lei non sapeva della fine ingloriosa di suo padre, né conosceva l’identità dell’assassino che, un giorno ormai lontano, aveva conficcato una spada in corpo al delicato Principe di Galinne. Per lei era stato un orribile ed intempestivo incidente con il fuoco a portare via la sua infanzia. Io ero la salvatrice. Io. Non sapeva la reale identità di sua madre. Avevo taciuto loro tante, tante cose, per proteggerli da un mondo che mi aveva ridotto lo spirito in pezzi, ed il corpo per metà mostruoso. Erano innocenti. L’innocenza della gioventù, innocenza bruscamente terminata, una sveglia crudele, come se  avessero tolto le calde coperte dove dormivano per svegliarli, esponendoli ad una stanza gelida per il freddo invernale, come facevo io quando erano piccoli e non volevano alzarsi dal letto. Ed io non c’ero. Non c’ero, a proteggere Machin. Non c’ero stata. Quel pensiero fece più male di tutti, e quel pensiero mi tormentò a lungo. Lasciai vagare lo sguardo verso Chekaril. Anche lui mi guardava, implorante. Anche dentro di lui brillava la colpa. Un terribile senso di colpa. Compresi lui, meglio. Io e lui ci comprendevamo sempre, al volo. Ma io lo perdonavo. Lui non entrava nei campi di battaglia. Gli era vietato. Doveva, da Guaritore, stare ai margini, accettando i feriti che gli venivano portati. Suo compito era di riparare i danni già fatti, non di prevenirli. Poco importava che non ci fosse riuscito. Quello, in quel caso, era compito mio. Isnark riprese a parlare. “Machin è quasi illeso, a parte una lieve scottatura ad una mano”. Annunciò, con voce sepolcrale. Non so perché, ma quel tono mi gettò nel panico. Cos’era successo che mi stava venendo taciuto? Che avevano fatto, di non fisico, al mio dolcissimo e pazzo nipote? E mia figlia? Temetti quello che stava per dire. “Roxen ha impedito che  succedesse di peggio. Lui era stato aggredito da una…creatura. Sembrava umana, ma ancora non ne abbiamo una prova certa”. Chiuse gli occhi. Mi sentii invadere dalla rabbia. Le cose stavano peggiorando. Lo avvertivo, lo avvertivo in ogni sua parola. La cosa mi disgustava. Uomini che combattevano con elfi contro altri elfi. Inaudito. Uomini che combattevano per il Giglio Bianco, per il loro oppressore. “era uno stregone. Machin è riuscito a evitare il peggio giusto in tempo, ma è stato disarmato e buttato a terra. La sua spada gli è stata sottratta”. Oh, no. Sentii un’ondata di panico puro. Sapevo quanto lui amasse quell’arma. Lo stocco del padre, quella spada che lui ammirava ogni santo giorno, affascinato, che m’implorava di tenere in mano. La sua reliquia preferita. Lui non sapeva quante vite innocenti erano state recise da quel metallo. Non sapeva il passato dei suoi genitori, dei suoi parenti. Per lui, il padre era un eroe, i genitori erano eroi, che si erano sacrificati per lui, per fargli vivere una vita serena. Quante cose non dette, quante altre, taciute. Io gli avevo raccontato, per tutta la sua esistenza, bugie su bugie, per coprire il mio stesso passato. Gli avevo detto che avevamo tutti sbagliato tanto, ma poi ci eravamo avveduti. Gli avevo raccontato di una vita di Maestro d’Armi, e della sua sorella vagabonda. Per lui, Tijorn ed Akita si erano conosciuti in un’accademia. Io mi ero ferita in un incendio. Manolìa ed Amarto mi reggevano il gioco. La prima era orfana, adottata da mio fratello con la gemella, il secondo era il nostro vero padre, mio, di Tijorn, Nemys, ed addirittura di Aevo. Nessuno dei piccoli conosceva la verità.  Insomma, ero ben lungi da dir loro che ero stata una Spia. Che la cicatrice di Isnark era stata opera mia. Che io l’avevo quasi ammazzato. Che ero stata complice di tanti orribili omicidi, di tanti altri misfatti terribili. Quella spada avrebbe sempre rappresentato per il mio piccolo il padre, e solo lui. Era speciale. Come per me la spada di Eiron, quella meravigliosa arma a cui ero fortemente legata, quella spada bagnata dal mio stesso sangue, purificata da esso. Quella perdita lo avrebbe sicuramente ferito oltre ogni dire. Mi sentii invadere dall’urgenza. Dovevo raggiungere mio nipote. Subito. Immediatamente. Dovevo guarirlo, vedere quanto fossero profonde le sue ferite, e rimediare. “quel tipo stava per ucciderlo con la sua stessa spada”. Il racconto di Isnark era asciutto, scarno, ma solo gli dei sapevano quanto sofferenza doveva provare a narrare. Lo capivo, lo capivo benissimo. Povero piccino mio. Doveva essere distrutto. La spada del padre, trafugata e rivolta contro di lui. Perché nessuno l’aveva aiutato, a parte Roxen? Perché Isnark non si era lanciato in suo soccorso? L’aveva promesso, mi aveva giurato che non gli sarebbe successo nulla di male! Guardai male lo strano e stanco elfo, che mi fissò, tormentato. “non ho potuto fare niente, Lsyn”. Mi disse, stringendo forte forte la piccola figlia. Guardai la principessa. Stava piangendo in silenzio. Feci per avvicinarmi. Lei si divincolò dal padre, che la lasciò andare docilmente, e mi si gettò addosso, singhiozzando. Lei cercava sempre me in certe situazioni. Barcollai sul suo peso, ma poi affondai il mio viso nei suoi profumati capelli e le mormorai qualcosa di rassicurante, restituendole la stretta. Io cercai di calmarla, accarezzandole il capo, fungendo da quella madre che lei non aveva mai avuto, di cui ero un misero surrogato. Pregai silenziosamente Nemys di perdonarmi per quello che stavo facendo. Io mi sentivo sempre in colpa, per quello. Le avevo, in un certo senso, rubato la figlia. Lei era morta per metterla al mondo. io non avrei mai potuto sostituirla. Di nuovo, fissai in modo cattivo Isnark. Lui non stava facendo un bel niente per migliorare la situazione. Non avrebbe dovuto dire quello di fronte alla piccola. Sapeva quanto fosse delicata, fragile, quanto fosse facile distruggerla. Lui sembrava più smarrito di me. Probabilmente, aveva pensato di fare un’opera buona rassicurandoci. Stava gettandoci nella nera disperazione. “avevo un braccio rotto, ero stato esonerato dal combattimento… comprendi, Lsyn!”. La sua voce si ruppe, e la maschera da lui creata si sgretolò. Vidi la disperazione sul suo viso. Vidi l’abbattimento. “non potevamo aiutare nessuno. Eravamo in svantaggio. E’ stato…orribile. È stato un massacro! Nessuno è rimasto illeso, dannazione! Nessuno! Ci hanno fregati! C’era qualcuno di molto potente, lì! Abbiamo vinto, ma solo gli dei sanno a che prezzo!”. Subito dopo queste parole si zittì, arrossendo leggermente, forse per essersi reso conto di aver alzato un po’ troppo la voce, con il respiro accelerato, affannato. Non avevo mai visto così il sovrano di Kyradon così arrabbiato con se stesso. Così frustrato. Come se, sotto sotto, la possibilità di una netta vittoria ci fosse. Come se lui fosse stanco di qualcosa. Qualcosa nascosto troppo bene nei meandri della sua mente. Io lo conoscevo bene, e sapevo che, se avessero fatto tutto il possibile per vincere, non mi avrebbe aggredito in quel modo. Anzi: sarebbe stato solenne ma allegro, soddisfatto per aver ricacciato un’ennesima volta via i banditi, o presunti tali. Forse era solo la disperazione di non essere potuto intervenire che lo gettava così nello sconforto. O forse c’era altro. Non sapevo, né lo seppi fino a molto tempo dopo, quando fui sbattuta in una cella buia senza la minima idea del perchè. Ci fu un lunghissimo attimo di silenzio. L’apprensione per i miei protetti aumentò a dismisura. Guardai Chekaril, implorante. Cos’era successo a mia figlia? In che modo era stata ferita? Mormorando altre paroline dolci all’orecchio di mia nipote, cercai affannosamente una risposta, una falena prigioniera che batte le ali sempre più piano, sempre più piano. Fu il Guaritore, ancora abbracciato alla pietrificata compagna, a parlare. “Roxen si è intromessa giusto in tempo”. Disse, con voce amara, scuotendo il capo. “giusto in tempo, prima che quel tipo colpisse Machin. Hanno duellato per un po’. Poi, lei è stata sconfitta. Ha ricevuto un bello squarcio sul fianco, ma ha ferito gravemente la creatura, lo stregone, che è scappato. Questo ha permesso ad Uruk di vincere”. Notai a stento la soddisfazione del mio figliastro. Fremetti di rabbia. Ma allora non c’era proprio nessuno? Nessuno li aveva aiutati? Parlai con una voce ringhiosa. I miei amici me l’avrebbero pagata. Erano mucchi di parole buoni a nulla. “Zipherias? Benagi e Capouille?”. Mormorai, arrabbiata. Alla faccia delle loro belle parole! Lo difendo io di quei, lo difendo io di lì e blablabla vari, ma nessuno si era mosso. Chekaril si strinse nelle spalle. Fu Isnark a parlare. “Zipherias è rimasto ferito….quel tipo si era accanito contro di lui”. Sussurrò, sommesso. “Capouille e Benagi, beh….erano oberati. Eravamo già decimati, Lsyn, e quel tipo ci stava provocando grossi vuoti. Roxen ci ha salvati tutti”. Vidi rosso per un secondo. Rabbia, rabbia pura. Brutto maledetto. Chiunque fosse, l’avrei ammazzato. Ma come si permetteva? Come si permetteva di ferire il mio migliore amico, di accanirsi contro di lui? Come si permetteva di rubare la spada di mio fratello, che io avevo regalato a Machin? Come si permetteva, di ferirlo così a fondo? Come si permetteva di toccare mia figlia con quello stocco che non era degno di portare, anche solo di sfiorare?  Come si permetteva di averla ferita? Dovevo ringraziare mia figlia. Magari le avrei regalato una bella collana, qualcosa di costoso che lei amava tanto. Magari avrei cercato di mettere a posto quello che non andava nella sua vita. Certo, chissà ora quanto era soddisfatta di aver compiuto quell’impresa, tutta tronfia malgrado le ferite, ma io sapevo che l’insoddisfazione rimaneva, feccia di un vino buono sedimentata e pronta ad allappare le gengive nel momento migliore. Magari l’avrei fatta sollevare un po’ dal suo incarico, ed avremmo passato un po’ di tempo assieme. Era il miglior modo per stare un po’ con la mia piccina, che io stessa avevo messo al mondo. Mi sarei fatta perdonare per tacergli la verità più importante, quella che lei non doveva sapere, né lo avrebbe dovuto sapere, mai. Mi sentii ribollire di rabbia. Maledetta Lainay. Trovava sempre il modo per colpirmi. Chiunque fosse stato quello stregone, poi, davvero me l’avrebbe pagata. Magia o no, anche se io avevo poco più magia di una saliera, e lui era il contrario di me, gliel’avrei fatta pagare. Gli avrei strappato gli attributi, a quel bastardo. Cavato gli occhi. Rubare lo stocco di Tijorn! Quell’arma così importante per il mio piccolo! Ferire mia figlia, poi! Senza più parlare, feci un passo in avanti, trascinandomi Nilyan. “andiamo”. Mugugnai, offuscata dalla rabbia. Ero rabbiosa, rabbiosa davvero. Andai, spedita, verso il Lazzaretto, a piedi. Devo aver urtato qualcuno. La strada era gremita di gente. Nessuno, malgrado la vittoria, era felice. Vidi pochi reduci in uniforme, la maggior parte feriti leggeri. Kyradon era un formicaio disturbato. Fiaccole andavano avanti ed indietro, e c’era parecchia gente come me che si dirigeva al Lazzaretto. Vidi parecchia gente che conoscevo. La vecchia moglie di un veterano con cui parlavo spesso, il figlio di quel soldato che l’ultima volta che avevo combattuto mi aveva salvato la vita. Tutta gente comune, che si divideva in due ali quando passavamo, con deferenza mormorando saluti rispettosi. Ma tutti erano sconvolti, chi più e chi meno. Tutti, come me, si dirigevano al Lazzaretto Nilyan mi seguiva, tanto tenera e preoccupata. Aveva ancora gli occhi pieni di lacrime, e mi teneva una mano, che io stringevo forte. Dietro di me, Chekaril e Miobashin, ancora le due parti staccate di uno stesso corpo. Avanti, Isnark, che, curvo, mi faceva spazio. Intanto, ci raccontò come e cosa era successo, cosa aveva scatenato tutto quello. All’inizio, era sembrata una zuffa come tante. Soliti soldati travestiti da banditi, facili da sgominare. Le prime fasi, nonostante i tempo avverso, erano andate a meraviglia. Machin non era rimasto affatto turbato dal sangue, e sembrava reagire bene. Era stato per lungo tempo l’anima dell’esercito, con le sue pantomime improvvisate, con le battute che sollevavano l’umore più nero del cielo temporalesco che per giorni li aveva afflitti, l’unico a non deprimersi nei lunghi appostamenti nel fango. Qualcosa, però, sembrava andare storto. A posto di ritirarsi come al solito, il manipolo di soldati era rimasto coraggiosamente al loro posto. Un giorno, la sorpresa. Le vedette avevano avvistato, nell’accampamento, forze fresche, accompagnate da uno strano tipo pallido, dai lineamenti delicati e felini, orecchie e capelli coperte da un turbante azzurro, il corpo nascosto da  un lungo mantello dello stesso colore, a cavallo di un agile destriero scuro drappeggiato con delle insegne che assomigliavano vagamente a quelle di Normar, non a caso. Tutti sembravano temere quella figura, temerla ed amarla. Da quel momento erano cominciati i guai. Fin da subito, si erano resi conto che quella creatura spaventosa era uno stregone.  Gli bastava camminare pigramente per il campo di battaglia, magicamente protetto dagli attacchi, per annientare le inesistenti difese magiche di Uruk. Non avevamo nell’esercito un mago potente, e le nostre armi non erano poi così avanzate, anzi. Avevano cominciato a retrocedere. Il primo giorno era stato ferito Zipherias, sbalzato via dalla sua cavalcatura impazzita misteriosamente, lo stesso modo in cui si era ferito Isnark. La lotta aveva cominciato a farsi più serrata. Machin, però, fino all’ultimo giorno, non aveva perduto il suo ottimismo. Confidava in loro, nell’esercito di cui era fiero di far parte.  Confidava in una soluzione. Avrebbe voluto che io fossi lì, per vedere che era davvero bravo, che non dovevo temere per lui. Gli ero mancata tanto. Mi metteva sempre in mezzo, in ogni discorso. Il penultimo giorno di battaglia era successo quel guaio. Da allora, lo stregone con il turbante non si era fatto vedere. Avevano ripreso vantaggio, ed avevano vinto. Tuttavia, Machin era rimasto distrutto dal furto. Era rimasto sempre con quell’aria incupita, senza più parlare, cavalcando mestamente, o facendo compagnia alla ferita cugina. Spesso ripeteva di non essere degno, e che avevo ragione a preoccuparmi, perché era un inutile inetto. Poi aggiungeva che suo padre si sarebbe vergognato tanto di lui. Nessuno sapeva che fare, come impedire che sprofondasse nella tristezza. Diamine. Quelle cose succedevano spesso. Suo padre sarebbe stato fiero di lui, avrebbe fatto la ruota come un pavone, e così sua madre. Me li potevo sentire nelle orecchie. Il nostro piccino coraggioso ha cercato di suonarle ad uno stregone. Ha perso una spada. Pazienza. Imparerà meglio e gliene prenderemo un’altra più bella. Era solo una vecchia spada, dopotutto. Forse Tijorn avrebbe fatto una battuta, forse Akita gli avrebbe probabilmente tirato le orecchie per essersi buttato in guerra, ma sarebbe stata orgogliosa, orgogliosa di aver avuto un figlio capace di non indietreggiare davanti nemmeno ad uno stregone, cosa che lei avrebbe fatto prontamente. Lei se la sarebbe squagliata in un lampo. Non era certo scema, lei. Maledissi il destino che li aveva portati via così presto. Era ora di fare una bella chiacchierata con mio nipote. Lui aveva davvero mitizzato le figure fin troppo fallibili dei suoi genitori. Era colpa mia, e lo sapevo. Avevo sbagliato. Strano rendersene conto. Io li avevo dipinti come eroi, come grandi personalità, quando non era stato vero. Il problema che io li vedevo così. Idolatravo i loro spettri. Avevo celato la verità più importante. La loro umanità. Il fatto che Tijorn avesse paura del suo sangue, che odiasse vedere scorrere quello degli altri. Il fatto che Akita fosse un pavido topastro, molte volte. Lui doveva concepire i suoi defunti genitori come dei, come faceva. Per non parlare del valore affettivo di quell’arma per il piccolo. Forse temeva che io mi arrabbiassi. Sapeva quanto amassi la figura di mio fratello. In realtà, ero solo felice di saperlo vivo, solo quello. Volevo che stesse bene, non che soffrisse irrimediabilmente, non che si deprimesse. Non era giusto. Dovevo parlare con lui. Dovevo parlargli. Dovevo riportargli Nilyan, che era tanto preoccupata, dovevo rivederlo ridere, fare scherzi e dispetti. Forse, con mio grande sollievo, quell’esperienza sarebbe servita da deterrente per altre campagne. Magari lui avrebbe odiato la guerra. Gli avrei forgiato una spada uguale. Gli avrei regalato qualche altra cosa del padre, magari qualche gioiello della madre, oppure un coltello che Tijorn amava perché maneggevole. Magari il suo libro preferito. Gli avrei impedito di muoversi da casa mia per un mese, coccolandolo e colmandolo di attenzioni. Gli avrei parlato, raccontandogli di tutti i piccoli difetti che anche i suoi genitori avevano, per fargli capire che nessuno è un dio. Gli sarei stata vicina. Gli avrei pure permesso di fare l’attore a tempo pieno, se solo quello gli fosse servito a riprendersi! Avrei fatto di tutto, e Nilyan, lo sapevo, mi avrebbe aiutata. Mi sentivo sicura di poterlo recuperare. Lui non era solo, né lo sarebbe mai stato. Fui veloce a raggiungere il Lazzaretto. La situazione era davvero terribile. I Guaritori erano prossimi ad esaurirsi, ed erano venuti rinforzi da altre parti di Uruk, addirittura. Non c’era più un posto libero. Nel Lazzaretto, di solito tranquillo, c’era un andirivieni caotico, che mi faceva drizzare i capelli e venire la pelle d’oca. Gente moriva, gente peggiorava e migliorava. Pochissimi feriti leggeri. I parenti sembravano tutti fantasmi mal assortiti, dalle espressioni  vuote. Tremai. Non avevo mai visto tanto dolore in una sola volta in vita mia, tanto dolore altrui, tanta disperazione. Isnark fu costretto a lasciarci subito, ed a sgattaiolare per non essere intercettato da persone disperate. Io e Nilyan fummo costrette, con Chekaril e Miobashin, ad entrare da un’uscita secondaria. Al momento del commiato, l’elfo dai capelli bianchi di avvicinò a me, abbassandosi sul mio orecchio. “mi dispiace”. Disse. Poi mi guardò fisso. Sembrava terribilmente serio, spaventato, triste. “dopo ti devo parlare”. Aggiunse. Io, perplessa, annuii. Non sapevo ancora che quell’argomento mi avrebbe cambiato del tutto la vita, di nuovo. Tra l’altro, a mia insaputa. Liquidai, presa dalla preoccupazione, il sovrano di Kyradon in un momento. Poi, corremmo tutti verso l’isolata stanza dove avevano messo Roxen e Zipherias. Ero troppo cieca per vedere l’espressione colpevole sul viso ascetico del mio amico, ed interpretarla.

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Capitolo 8
*** Foglie morte al vento. ***


Mi scuso infinitamente per l’abnorme ritardo

Mi scuso infinitamente per l’abnorme ritardo!!!

Accidenti, purtroppo la scuola sta mietendo le sue vittime. Tra le quali io .__.

Ditemi una cosa: azzecco soggetto-verbo-complemento oggetto quando scrivo? .__.

No, poi mi vengono i dubbi .__.

Sto già normalmente facendo fatica a seguire… ma vabbé xD

Insomma, ho un brutto presentimento, ma non lo dico per paura di realizzarlo.

Magari lunedì riesco ad aggiornare, ma proprio non so.

Giovedì ho la simulazione di terza prova: sono a piedi.

Perdonatemi altri ritardi!

A presto, e ciao a tuttiJ

Akita

 

 

Poco prima di entrare, Nilyan mi prese una mano, la mano piena di cicatrici, e la strinse forte. Ricambiai, distrattamente. Non feci quasi caso alla sua espressione. Ero troppo concentrata a guardare il pavimento. Eppure prima non era stato così. Avevo cominciato a camminare, tutto sommato serena, chiedendomi cosa diavolo volesse dire Isnark con quel “ti voglio parlare”. C’era qualcosa sotto, che non capivo. Beh, cercai di accantonare quel problema. Era l’ultimo dei miei pensieri, in quel momento, benché avrebbe dovuto avere un posto d’onore. All’inizio avevo preso ad osservare minuziosamente ciò che succedeva, per farmi un idea, forse poco delicata, su cosa fosse successo davvero. Era una mia abitudine, controllare quanti e quali feriti ci fossero, fare un giro, parlando ad uno, confortando l’altro, qualcosa che nulla aveva a che fare con i miei obblighi di Ch’argon. L’avevo fatto sempre, nelle battaglie a cui avevo assistito e partecipato, ed i Guaritori c’erano abituati. Da quando erano cominciate quelle scaramucce avevo preso a non sopportare il dolore che infestava le case di tutti, e volevo, a mio modo, alleviare un po’ quel disagio. La ragione era una, solo una, e molto semplice. Comprendevo bene cosa volesse dire assistere un ferito. Lo sapevo fin troppo bene. Non c’era bisogno di fare tanti misteri: non sarei stata sincera con me stessa, altrimenti. Odiavo vedere altra gente nelle condizioni in cui era stato mio fratello, persone soffrire come lui. Mi sentivo oppressa, rivedevo, nella mia mente, cose di cui avrei fatto volentieri a meno. Quello che era successo con Tijorn mi aveva segnato, in quel senso, in meglio. Dopo tutte le disgrazie che mi erano toccate ero divenuta più sensibile ai dolori che mi circondavano. Cosa insensata, che a volte mi faceva ridere se ci pensavo troppo a lungo, se riflettevo sull’assurdità di ciò che ero divenuta con il tempo, per me, l’egoista. Ma forse ero ancora tale. Forse, in me, operava un altro tipo di egoismo, il peggiore. Beh, non l’ho mai saputo. È una cosa che mi confonde. Quello che so è che quella volta non riuscii a vedere nessuno, dopo le prime cose che avevo visto. C’era una tale disperazione nell’aria da essere quasi tangibile. Nella piccola corsa furtiva, che avevamo fatto per arrivare dai miei amici, l’ansia aveva finito per fare capolino peggio di prima. Nel guardarmi intorno, tutta la sicurezza che avevo posseduto, sul fatto di poter salvare Machin da quell’abisso che gli si era spalancato sotto i piedi, che gli rapiva la felicità, era andata scemando progressivamente. Mi si era stretto il cuore. L’orrore era cominciato dapprima lento, ma poi era divenuto così forte che mi nascosi il volto tirandomi il cappuccio del mantello fin dove possibile, ignorando i mormorii e le voci sporadiche che mi chiamavano. Avrei tanto voluto essere invisibile. La tinta del mio abito mi rendeva una fiaccola accesa nel buio pesto. Accidenti. Un nero uniforme no, eh? Dei, quanto mi mancava la mia presunta invisibilità. Quanto mi mancava indossare un colore scelto da me, non imposto. Insomma, nessuno si veste di porpora da capo a piedi, no? Nessuno è così poco sano di mente, a parte un Ch’argon. Anche la mia statura era piuttosto indicativa, peraltro, ma questo lo lascio stare. Insomma. Le prime volte che avevo sentito il mio nome, mi ero voltata docilmente, ed avevo conversato brevemente. Quello che ero stata costretta a subire mi aveva fatto passare la voglia di continuare. No. Non sopportavo quel dolore. Per me era troppo. Davvero, quella volta era stata peggiore delle altre. A nulla era servito il coraggio di mia figlia. Ce le avevano suonate, come si suol dire, con i fiocchi. Le porte della stanze erano tutte chiuse, e c’era silenzio, ma dalla tanta gente che passava avevo capito cosa in realtà si celava sotto quella calma. Avevo incontrato tante espressioni assenti, tanti volti di fantasmi, tutti uguali. Quel paio di persone che conoscevo, e che avevo incrociato, non si erano nemmeno voltate al mio saluto. Mi erano passati accanto, senza riconoscermi. Incoscienti. Completamente perse in un loro mondo. Tremavo, nel vedere la gente così vuota, così demoralizzata. Mi sembrava stranamente familiare, e tanto distante al tempo stesso. Percepivo quasi come se un muro invisibile mi separasse da quella sofferenza. Ero completamente fuori da quel mondo. Non avevo partecipato alla battaglia. Non avevo sofferto con loro. Ero irrimediabilmente estranea, o almeno mi sentivo così. O forse quell’ambiente ricordava certe cose che era meglio dimenticare. Forse li comprendevo fin troppo bene, e rifuggivo quella comprensione. Gli occhi di quella gente mi avevano riempita di una tale orrore che avevo cominciato a rattrappirmi, aspettando con ansia il momento in cui sarei stata al sicuro da quel silenzio tombale, funereo. Il silenzio di una sconfitta, non di una vittoria, o di una vittoria a caro prezzo. Pesava più di un sudario, e mi torturava. Avevo preso a camminare rapidamente, a testa bassa, superando quasi Chekaril che doveva guidarci. Ci eravamo scambiati uno sguardo fugace. In quella occasioni, il suo volto tanto simile al padre mi appariva spettrale. Se non fosse stato per gli occhi verdi avrei creduto in un’allucinazione. Come Machin aveva qualche atteggiamento inconsapevole del padre, anche Chekaril, forse molto più consapevolmente, copiava quello che per lungo tempo si era chiamato Krish, prendendo di lui quello che aveva voluto che i figli e gli abitanti di Gerinti vedessero. Ed io, anche per quello, sapevo che gli stava passando per la testa. Sapevo quanto fosse preoccupato, e quanto sollevato di rivedere la sua Miobashin. Sapevo quanto temesse per Machin, quanto fosse dispiaciuto per quello che era successo. Ma poi avevo preso a fissare il pavimento, concentrandomi sul rumore dei miei passi per non soffermarmi su qualche pensiero molesto. Decisamente non sopportavo la sofferenza. Almeno, non quella. Non quando sapevo che tra quegli spettri c’era anche mio nipote.

La stanza dove avevano messo Roxen era in un’ala vicina al giardino, al tranquillo orto dove si coltivavano anche erbe medicinali, quell’angolo dove tanta gente andava a passeggiare solo per stare un po’ tranquilli, io per prima. L’unica, ariosa, finestra che c’era in quella camera sobria dava direttamente sul chiostro. Non volava una mosca. Era tutto così calmo, e sarebbe stato piacevole, se quella pace non avesse saputo anche di morte, di sconfitta incombente. Perché, in fondo, quello era il pensiero. Odiavo quel fatto, quella guerra sotterranea, non detta né resa ufficiale, ma solo sviluppatasi in quegli anni in brevi scaramucce, che infastidivano noi e gli umani. Eravamo tutti completamente d’accordo sul fatto che quello fosse solo un granello della forza distruttiva che Lainay era capace di sprigionare, solo una piccola preparazione. Un banco di prova per qualcosa di più grande che si stava costruendo in gran segreto. Avevamo vinto, ma quello che era stato capace di fare quello stregone mi faceva rabbrividire. E c’erano anche parecchi interrogativi, su di lui. Insomma. Perché nascondersi? Un turbante, poi! Che aveva di strano? Cose di quel genere erano tipiche degli umani del deserto, o degli incomprensibili Insat. Sicuramente uno di loro non poteva essere. Un nomade non ha quella pelle chiara che mi hanno descritto. Quindi, c’era solo una cosa, poteva essere una cosa soltanto. Quella creatura si nascondeva, nascondeva la sua identità. Chissà per quale motivo. Lainay aveva qualche asso nella manica. La battaglia era stata solo una prova. Abbastanza per intimorirci, tuttavia. Eravamo tutti stati costretti ad abbassare le orecchie. Anche uno sciocco lo avrebbe percepito. Tutto quello aveva adombrato il mio iniziale ottimismo di fondo, lo aveva annullato. Rimaneva solo ansia, ora, e la presa di coscienza che era tutto peggio ogni volta. Non c’era un modo per stare in pace, non c’era. Eravamo costretti a subire, senza trovare la forza di ribellarci attivamente, senza la forza di risvegliare i ribelli dormienti. Beh, io non avevo mai fatto niente, e la ribelle che era in me forse non c’era mai stata veramente, ma Isnark e compari si. Avevano creato Uruk dal nulla, con sangue e sudore. Davvero, il loro orgoglio riposava sotto coltri soffocanti, ormai. La gente fiera di una volta non esisteva. Anche lo stesso sovrano si accontentava, più che altro, di sopravvivere, di crescere la sua bambina, che ancora non si era bene resa conto di ciò che significava per quel paese. Nilyan, la più grande speranza per Uruk, cosa che odiavo, non si era ancora resa conto di cosa fosse. Cercavo d’importarmi di quel fatto. Redarguivo il mio amico per la sua passività, per il fatto che Uruk stesse, sempre di più, sprofondando nell’immobilismo decadente più puro. Ma i miei rimproveri erano sempre fiacchi. La cosa non riusciva a tangermi davvero. Non mi ha mai davvero interessato l’indipendenza di un popolo, se non quella legata al mio essere Ch’argon. Avrei fomentato una ribellione in caso di occupazione, solo per quello, solo perché ero spinta a farlo. Ma in quel momento, quando avevo possibilità di scegliere cosa fare, non volevo muovermi. Avrei difeso la mia patria, ma di essa davvero poco m’importava. Se non fossi stata Ch’argon, molto probabilmente mi sarei definitivamente ritirata con i miei affetti, lontana da qualsiasi guerra. Affari troppo grandi per me, troppo contorti per la mia mediocre esistenza. Io volevo solo una vita tranquilla, niente più, niente meno. Solo stare in santa pace con gli altri, senza essere infastidita. Avevo sviluppato, con gli anni, un’idiosincrasia per quei giochi sporchi, e non volevo parteciparvi. Ci tenevo a rimanere pulita, quel poco di pulito che mi restava. Volevo solo stare con i miei cari. Aiutarli quando necessario, come c’era bisogno di me in quel momento. Nilyan mi era venuta in soccorso inconsapevolmente con quella stretta di mano, interrompendo il flusso di amarissimi pensieri. L’avevo guardata. Aveva evidentemente paura. Era pallida, spaventata, intimorita, come se davvero non sapesse come affrontare quella brutta situazione. Le avevo sorriso, mentre in me si faceva strada la tenerezza. La mia piccina. In fondo non aveva mai assaporato davvero il frutto dell’età adulta. L’avevo protetta, com’era giusto che fosse. Giurai a me stessa di farlo ancora, ed ancora. Non doveva soffrire. Cercai quindi di essere più presente, per lei. Dovevo dimenticare di tutti i fantasmi che erano tornati a bussare alla mia porta. Avevamo tutte e due fissato Chekaril, che ci precedeva, ed aveva quasi aperto la porta di legno scuro che ci separava dai nostri parenti ed amici. Lui scosse il capo, una volta, ancora vicino a Miobashin, che guardava avanti a sé, piuttosto turbata. Era raro vedere quell’elfa in quello stato. “una cosa”. Disse, fissandoci con serietà estrema. Lo guardai, interrogativa. Che voleva da me? Mi scambiai un rapido sguardo con un’altrettanto perplessa Nilyan. Dei, come avrei voluto sapere cosa le passava per la mente! Lei era capace di nascondere i suoi veri sentimenti sotto ogni maschera. La invidiavo tanto. “portate via da qui quanto prima è possibile Machin. Non sopporto di vederlo in quel modo”. Sobbalzai. Chekaril sembrava così frustrato. Lui voleva bene a mio nipote come ad un fratello minore, ed era terribile vedere la rabbia sui suoi lineamenti abituati alla calma da Guaritore. Perfino Miobashin lo fissò, intenerita. Il figlio del Principe di Galinne strinse le labbra. Mi fece una pena immensa. Doveva essere stato difficile, per lui, vedere il nostro pazzo preferito deprimersi, abbattersi, senza sorridere. Quelle parole mi riempirono quasi non di speranza, ma di decisione. Non mi sentivo pronta per sollevare gli animi degli altri, ma almeno potevo provare. Lui era il figlio di Tijorn. L’avevo allevato io, io ero stata la prima a prenderlo in braccio. Avevo promesso di proteggerlo. Vidi la stessa determinazione sul volto di Nilyan. Mi sentii al sicuro. Era tanto forte, la mia cucciola. Mi avrebbe aiutata. Non sarei mai stata sola. Poi c’era Amarto, c’era Dae. Eravamo una famiglia, in fondo. Per quanto sgangherata, eravamo una famiglia. La cosa mi rassicurava. Cercai di sorridere. Difficile, quando l’unica cosa che volevo era quella di precipitarmi dentro e coccolare figlia e nipote. Vidi il volto del Guaritore illuminarsi debolmente. “solo voi due siete capaci di dargli una mossa”. Disse, laconico, prima di aprire la porta. Sorrisi lievemente, e mi sentii lusingata. No, in fondo non ero stata una cattiva tutrice. No, proprio no, se pensavano che avrei potuto salvare mio nipote da quella sofferenza, il mio fragile nipotino. Cercai di frenare l’istinto che diceva di buttarmi a peso morto in quella stanza. Dovevo essere dignitosa: non sapevo se oltre a Roxen ci fosse qualcun altro. Strinsi così forte la mano di mia nipote, che restituì la presa. Poi ci guardammo. Leggevo in lei la forza di reagire, quella forza che io non possedevo più. All’istante, mi fidai di lei. Lei era la degna figlia di Nemys, dopotutto. Considerarla ancora come la bambina spensierata di un tempo era riduttivo. Era adulta, ormai, o almeno lo era quasi. In fondo, non sapevo tutto sulla sua vita. Salutai Chekaril con un cenno, che era anche di ringraziamento: sapevo che non sarebbe entrato. Il cuore, mio malgrado, prese a battermi come un tamburo. Cercai di ignorarlo. Era adulta anch’io, diamine! Per un momento, desiderai follemente di ritornare bambina. Volevo stare un po’ senza pensieri. Tutte quelle preoccupazioni rischiavano di uccidermi, eh. Contando anche che Isnark doveva parlarmi, e, con quella faccia da funerale che aveva mentre lo diceva, non si prospettava nulla di buono… beh. D nuovo, cercai di ignorare la curiosità crescente. Machin aspettava. Così, portandomi dietro mia nipote, feci un passo in avanti, oltrepassando la porta con preoccupazione.

 Mi ritrovai in una bella camera calda, orientata in modo da essere inondata di sole tutto il giorno, ne ero certa. La porta si chiuse silenziosamente dietro di noi. Mi scambiai una rapida occhiata con Nilyan e mi guardai attorno. Era nei colori sobri e calmi da Lazzaretto, quelli che odiavo, anche se, per certi versi, era lontana dalla impersonalità di certe camere più vicine al cuore dell’edificio, quelle riservate ai feriti o malati gravi. Da un certo punto di vista era una fortuna che Roxen fosse stata messa lì, lontana. Certo, per raggiungerla dovevo farmi una passeggiata per corridoi infestati dalla morte, perché dal giardino si poteva solo uscire, ma almeno quello stava a significare che non si trattava di una cosa seria. La cosa mi rinfrancava. Sarei impazzita se solo fosse successo qualcosa di davvero grave. C’erano due letti, entrambi occupati. Quello più vicino alla porta da un’elfa sconosciuta, sola, apparentemente addormentata, dalla testa bendata, che non diede segni di vita per tutto il tempo che fui lì. Il secondo, vicino alla finestra…beh. Come al solito, quando succedeva qualcosa a qualcuno, tutto il clan si muoveva in gruppo. Solita solfa. C’era un bel po’ di gente lì, per gli standard del Lazzaretto. Nessuno aveva notato il nostro arrivo. Tutti confabulavano. C’era Capouille, seduto comodamente ai piedi del letto, con una strana aria spaesata. Mi preparai mentalmente ad una caterva di scuse incomprensibili. Roxen, la mia piccina, pallida, la testa sostenuta da alcuni cuscini, ma dall’aria molto tronfia, ferocemente soddisfatta, che guardava il mio amico come a volerlo sfidare. Mi sentii sollevata. Stava bene. Se era capace di fare quelle occhiate assassine allora poteva muovere il mondo. Stava bene. Tirai un sospiro di sollievo. C’era Zipherias seduto con le spalle al muro, le bende bianche che gli fasciavano il busto appena visibili sotto la camicia, con una certa aria esasperata che conoscevo bene. Sapevo anche a cosa era dovuta. Condividevo in pieno la sua esasperazione. Mia figlia stava esagerando davvero. Vero, Capouille era un suo amico, e l’aveva vista crescere, ma certe volte sembrava dimenticare che lui era più grande, quasi uno zio per lei. Stare tra quei due poteva essere parecchio sgradevole, a volte. Erano tanto buoni amici, ma alcune volte parevano volersi scannare. Accanto, un gomitolo vivente, un cucciolo abbandonato, dall’aria cupa. Machin. Povero, piccolo Machin. Lui fu il primo a vederci. Alzò il viso, con quel movimento rapace così tipico di Tijorn, forse percependo qualche movimento. Feci involontariamente un passo in avanti, e sorrisi, impacciata. Sentii una coltellata di dolore trafiggermi il cuore. Oh, povero cucciolo. Gli occhi erano asciutti, ma rossi ed appannati. Doveva aver pianto di nascosto. Era completamente sconvolto, sperduto. Strano che un furto lo avesse destabilizzato in quella maniera. Chissà che colpo all’autostima doveva essere stato, vedersi rubare la spada dell’amatissimo padre mai conosciuto. In fondo, mio nipote è sempre stato tanto fragile, lo ripeterò in eterno. Si alzò di scatto appena ci vide. Nilyan si liberò dalla mia presa. Mi voltai verso di lei, agitata. La vidi sorridere, sperduta. Guardava fissamente il cugino. Sembrava non voler credere ai suoi occhi. Calò il silenzio, un attimo solo. Abbastanza per farmi morire. Mi guardarono tutti. Ah. Perché accidenti Roxen aveva fatto una faccia che sembrava mi volesse uccidere? Che avevo combinato? Perché Zipherias aveva assottigliato gli occhi? Che avevo fatto di male? Non riuscivo a capire. Mi assalì la confusione. “ma tu guarda un po’ chi si vede…”. Disse la Guardia, ad alta voce, con aria sorniona. Ci guardò in un modo strano, a me specialmente. In un modo freddo, gelido. Quello sguardo non mi piacque. Mi sentii enormemente a disagio. No. davvero non capivo. Io non avevo fatto nulla di male. Nulla. Guardai mio nipote, come in cerca di un’ancora di salvataggio. Mi fissava anche lui. Nei suoi occhi grigi non vidi più l’allegria spensierata. Vidi tante ferite. Vidi rabbia. Quel dolore toccò anche me. Era il dolore di qualcuno che capisce, per la prima volta, come il mondo è fatto veramente. Capii in un lampo cosa avesse voluto dire Chekaril con quel “non sopporto di vederlo così”. Aveva ragione. Un Machin normale si sarebbe già lanciato verso di noi a braccia aperte, buttandoci a terra. Ma era fermo lì, immobile, e ci scrutava. Vidi Nilyan fare un passo, esitante, e poi fermarsi. Lui non si mosse. Non la guardò quasi. Fissava ancora il punto dove c’era stata lei l’attimo prima. Ci guardammo, sperdute. Lei fissò poi Zipherias, che le sorrise leggermente. Mi sentii in un certo senso sollevata. Ce l’avevano solo con me. Per cosa, non riuscivo a capirlo. Guardai Capouille. Era l’unico a non mostrare ostilità nei miei confronti. Sorrise anche lui, sereno. “chi…chi…chi no…non m-muore si ri-rive…rivede, Zi…Zi…Zi…”. Tirò un gran respiro, e s’interruppe per riprendere il filo. Sorrisi lievemente. Almeno, lui era rimasto normale. Se solo l’avessi sentito parlare normalmente mi sarebbe venuto un colpo. “Zipherias!”. Concluse soddisfatto, con una grande smorfia. Chi non muore si rivede. Chissà perché, mi sentii a disagio. Bah. Proprio non li capivo, a quelli lì. Erano una massa incomprensibile di elfi arrabbiati. Dopo quel tentativo di prendere parola, piombò di nuovo il silenzio. Un silenzio pesante. Mi sentivo gli occhi di tutti addosso. Possibile? Ma che cosa avevo fatto? Che avevo combinato di male? Fissai mia figlia in cerca di aiuto. Quella cosa aveva tutta l’aria di un rimprovero. Ma io che avevo fatto? Lei sbuffò, infastidita. “non capisci, eh?”. Esclamò, buttando la testa indietro, sul cuscino. Nilyan, accanto a me, fece una smorfia strana. Dal suo sguardo nemmeno lei aveva compreso cosa stava accadendo, e perché. Mi strinsi nelle spalle. Il mio sguardo era calamitato su Machin, solo su Machin. Era immobile, pietrificato, ed ancora ci guardava, vacuo, completamente privo di vita. In realtà non m’importava, di niente. Non fino a quando mio nipote era in quello stato. Scossi il capo. Mio nipote. Lui, che faceva scherzi, che era da sempre la peste, un demonio incarnato, un folletto, non doveva stare così. Di nuovo cadde il silenzio. Ma ormai non mi toccava più. Ero solo concentrata sul mio nipotino. Poco importava che gli altri ce l’avessero con me per un motivo che non c’era. Io non avevo fatto niente di male, no? Loro non c’erano nemmeno stati, in quei giorni. Accidenti. Isnark poteva anche riferirmi della situazione! Forse gli era del tutto passato di mente. Sembrava pensare a tutt’altro, quando lo avevo visto. Magari più tardi avrei parlato loro. Non in quel momento. C’era Machin che aveva bisogno di me. Gli altri potevano benissimo farne a meno. Tutti sembravano però di un’altra opinione. Zipherias fece una faccia strana. Roxen ringhiò sommessamente, irritata. Il silenzio si fece più teso. “non hai proprio niente da dirci, zia?”. Mugugnò mia figlia, senza più guardarmi. Sentivo la disapprovazione nella sua voce. Dire qualcosa? E cosa? Ma non riuscivo ad applicarmi al problema in maniera decente. Non riuscivo proprio a capire. Non quando Machin  mi fissava con gli occhi vitrei di un pupazzo abbandonato. Beh. Da teso, il silenzio si fece molto pesante. Dovevo dire loro qualcosa? E cosa? Quanto mi erano mancati? Che ero fiera di loro? Beh, certe cose potevano aspettare. Loro non erano stati colpiti come il mio nipotino. In tempi normali quel comportamento mi avrebbe ferita, molto. Ma, in quel momento, non riuscivo proprio ad essere obiettiva. Devo dire che fu Nilyan a risolvere l’arcano. Mia nipote infatti, ad un certo punto, sobbalzò, come punta da una vespa. La guardai, interrogativa. Sembrava aver capito qualcosa. Era tanto addolorata, povera piccola mia. Scosse il capo, esasperata. “zia non ha cercato di uccidersi”. Disse, semplicemente, candida, una vena d’impazienza nella voce. Spalancai gli occhi. Oh, accidenti! In fondo, loro non c’erano stati quando avevamo scoperto ciò che era successo. Nessuno di loro sapeva niente. Beh, pazienza. “è stata avvelenata. Siete stupidi, e dei grandi testoni! La zia non ha fatto niente, oh!”. Pestò poi, tanto per sottolineare la frase, un piede in terra, arrabbiata. Sorrisi debolmente, completamente assente. La mia piccina sapeva come farsi sentire. Sentii con un orecchio solo le esclamazioni stupite di tutti. E non guardai nessuno. Fissavo solo mio nipote. Lui sembrò svegliarsi leggermente, a quella notizia. Sbatté gli occhi. Una, due volte. Tirai un respiro profondo. Dovevo farlo. Dovevo parlare. Non sembrava muoversi né reagire, il mio piccolo. Ero completamente impreparata, disarmata, contro quella terribile cosa che era accaduta. “Machin…”. Dissi, con una voce che mi uscì rassicurante, dolcissima, come se volessi rassicurarlo dopo un brutto sogno. Che tenerezza, come mi faceva tenerezza. Mi sentii lievemente in colpa, per quello che avevo fatto. La sua vita era passata nella bambagia, protetto contro ogni eventualità. Io avevo voluto che fosse così per timore potesse succedere qualcosa. Ma ora era colpa mia se dopo una stupidaggine del genere lui si sentiva così. Era solo colpa mia. Ero stata troppo mamma chioccia. Cercai di sorridere. Al diavolo tutti. Al diavolo le domande che sembravano pormi. Erano solo foglie morte al vento. Lui mi guardò, sperduto, un bimbo in una selva nera. Qualcosa nella mia voce sembrò smuoverlo, improvvisamente. Sembrò riemergere da un abisso profondo. Qualcosa di simile ad un sorriso di dipinse sulle sue labbra spente. Qualcosa scattò, all’improvviso. Poi lui, travolgendo Zipherias, che gli indirizzò una bestemmia poco ripetibile quando inciampò sulla gamba zoppa, si lanciò, com’era stato sempre suo solito, verso me e Nilyan, soffocandoci in un abbraccio spaccaossa. Ricambiai la stretta, carezzandogli i capelli, sollevata. Mi sentii ancora meglio quando mi accorsi dei suoi singhiozzi silenziosi. Almeno, finalmente, una reazione normale.

Dopo i primi abbracci, la cugina, la mia nipotina, ci aveva praticamente cacciati via dalla stanza. Mi aveva guardato, ed aveva mimato un qualcosa che io avevo interpretato come. “parlaci”. Avevo sentito bofonchiare mia figlia, e mi ero lievemente sentita in colpa. Alla faccia dei buoni propositi! L’avevo praticamente ignorata, non le avevo proprio parlato. In fondo, era lei la ferita. Misi in conto, dopo aver calmato mio nipote , di andare da lei e farmi perdonare di quella terribile scortesia. Diamine, lei era mia figlia, dopotutto! Beh, doveva capire. C’era qualcuno più ferito di lei. Ancora tra le braccia un commosso Machin, mentre sentivo le prime lacrime scorrere anche a me, avevo guardato, supplichevole, mia nipote. Non mi poteva accompagnare? Non mi sentivo realmente pronta per quella chiacchierata. Lei, benché molto scossa, mi aveva sorriso, come per rassicurarmi, e poi ci aveva spinti fuori. Sapeva che io ero davvero l’unica capace di sollevare lo spirito di quel pazzo di mio nipote. Sapeva che lei non ci sarebbe mai riuscita. Un po’ trascinando, un po’ trascinata, avevo cominciato ad andare vero l’uscita, verso i giardini, mentre Machin continuava a piangere, come se si fosse sbloccato. Lo tenni stretto, benché fosse molto più alto di me e facessi difficoltà a camminare, mormorandogli parole dolci, frasi fatte apposta per lui. Avevo cercato di non farmi vedere mentre piangevo anch’io. Dovevo essere forte per lui. Se non fossi stata così piena di dolore, avrei adorato quell’abbraccio sincero. Di solito mio nipote era troppo concentrato a fare il buffone, per coccolare una vecchia zia esigente. L’avevo portato, pian piano, nel giardino, che era deserto a quell’ora, facendo attenzione a dove mettevo i piedi. Ero riuscita a farlo smettere di piangere dopo un po’, a forza di zucchero. Così, ci eravamo seduti su uno dei tanti blocchi di pietra. Era una bella serata, tranquilla, serena. Non si sentiva un rumore. Faceva anche piuttosto freddo. Ma non m’importava. Lui rimase ancora per un po’ abbracciato con me, tirando su con il naso. Oh, dei. Come mi faceva pena. Mi bruciava l’anima, quel dolore terribile. Mi vergognai come una ladra. Ecco, così avevo tenuto il figlio di mio fratello, che avevo giurato di proteggere. Tijorn si era sacrificato per lui, ed io avevo combinato quel guaio. Perché non mi ero opposta più aspramente? Perché non avevo vantato la mia autorità di zia? Oh, Machin, perdonami. Era stato un mio grande sbaglio, quello di permettergli di andare allo sbando. Troppo tardi per i sensi di colpa. Non mi rimaneva che mettere una toppa lì dove c’era la falla. Avevo sbagliato, avevo sbagliato in tutto. Mi sentii incredibilmente sconfitta. Ma poi, fu solo un momento. Bene, ora mio nipote soffriva, credeva di non essere sicuramente all’altezza dei grandi. Era ora di svegliarlo dai suoi sogni di deità. Tutti sbagliavano. Beh. Se solo gli avessi raccontato di una sola cosa della mia vita, avrebbe capito subito. Ma non potevo. Io celavo troppi segreti. Mi morsi le labbra, e distrattamente, cominciai a battere la mano sulla sua spalla, ancora tenendolo stretto. Povero cucciolo mio. Cercai di non piangere. Dovevo dominarmi. Dopo, mi sarei potuta sfogare a dovere, magari con Dae. Finalmente, dopo altri singhiozzi, il mio piccolo si era scostato, e mi aveva guardata. Gli avevo sorriso, anche se non volevo far altro che piangere con lui. Gli avevo carezzato una guancia umida, anche se dentro stavo male. “su, cucciolo…non piangere…”. Mi ero pentita subito di averlo chiamato cucciolo. Lui odiava quel soprannome. Non sembro essersene accorto, e mi guardò, completamente abbattuto, un cagnolino bastonato. Deglutii, mentre in me esplodeva qualcosa di gelido. Oh, tesoro. Perché avevo permesso che accadesse tutto quello? Perché non potevo andare indietro e rimediare a quegli errori? Ero stata, come ogni volta, una perdente. Strinsi i denti al solo pensiero. Avevo sbagliato come sempre. Non c’era mai niente in cui riuscissi bene. Ero solo una mediocre creatura, buona solo a dare aria ai denti. Ci fu un lungo attimo di silenzio. Il mio piccolo dagli occhi grigi sembrò raccogliere le idee. Non lo interruppi. Non dovevo forzarlo. Quello, almeno, lo sapevo. Mi sentii travolgere dall’amarezza. Eppure lo sapevo. Sapevo quanto lui fosse fragile. Lo conoscevo, lo conoscevo bene. Eppure, non avevo fatto niente. Mi ero semplicemente affidata al fatto che ci sarei stata io in battaglia, cosa che non era avvenuta. Ero stata fiduciosa delle mie capacità. Era successo quello. Gli carezzai un braccio, come a chiedere perdono per tutto quello che non gli avevo fatto. Per tutti gli errori che avevo commesso. Lui deglutì. Sembrò poi prendere coraggio. Mi guardò, disperato. Povero piccolo mio. Ero tanto in colpa. “zia Lalla…mi perdoni?”. Disse poi, con una vocina sommessa che non sembrava la sua, guardando in basso. “avevi ragione tu. Io non ero pronto…sono stato tanto stupido…e…”. Lo zittii,  abbracciandolo. Povero nipotino mio. Povero cucciolo. Cucciolo mio. Mi sentivo come una madre. Io ero una madre, per lui. Perdonarlo? Per cosa? Per essere se stesso? Lui era stato un eroe. Doveva vantarsi di aver tentato di sconfiggere uno stregone, poco importa se non c’era riuscito. “ero così in pensiero per te”. Confessai, mentre lo tenevo stretto. “non ho nulla di cui perdonarti”. Ed era vero. Casomai, era lui che doveva perdonare me. Perdonarmi, perché non le ero stata vicino come meritava, perché l avevo soffocato. Sentii un altro singhiozzo. “invece si”. Sussurrò lui, aggrappandosi a me, disperato, con voce spezzata. Mi fece tanta, tanta pena. Ero proprio stupidissima. L’avevo trasformato in una creatura ferita, quando avrei dovuto semplicemente farlo diventare un elfo forte. Avevo fallito. Come sempre. “hanno preso…hanno preso la spada di papà. Lo sai…lo sai che Roxen è stata ferita con quella, vero?”. Lui tirò su con il naso, tanto triste. Feci per parlare, ma lui me lo impedì. Decisi di lasciarlo sfogare. “io ho permesso che accadesse…che accadesse quello. Oh. Sono stato scemo. Che penserebbero di me papà e mamma? Vergognarsi di me sarebbe troppo poco!”. Accidenti. Proprio quello non doveva dirlo. Mi staccai, per guardarlo in faccia, seria. Lui sembrava sperduto, desolato, in cerca di una risposta. Gli cercai di sorridere. Oh, destino maledetto! Perché gli aveva rubato, rapito Akita e Tijorn così presto? Perché? Non sarebbe successo niente se fossero stati ancora vivi. Avrei probabilmente dovuto frenare mio fratello con una botta in testa per impedirgli di andare difilato ad ammazzare lo stregone nel modo più subdolo e doloroso che conosceva, ma almeno Machin sarebbe cresciuto in maniera sana. Non con il culto dei suoi genitori, di cui, a suo parere, non si sarebbe mai sentito all’altezza. Gli presi il mento, e feci si che lui mi guardasse. Alla luce debole della luna e delle fiaccole era bianco e scintillante di lacrime. Gli occhi erano due buchi neri. “ascoltami, Machin, tesoro mio”. Cominciai, con un sorriso dolce, e le lacrime che pungevano agli angoli degli occhi. “tuo padre e tua madre sarebbero fieri di te. Hai avuto tanto coraggio…non pensare che loro avrebbero fatto come te, eh! Tua madre sarebbe fuggita in un lampo. Oltre alla spada gli avrebbe lasciato volentieri anche l’armatura ed un pedaggio in oro, pur di salvarsi la pelle!”. Vidi un pallido sorriso farsi strada sul suo volto. Pallidissimo, ma che mi ridiede fiducia. “sai, loro erano elfi, come me e te. Loro sbagliavano. Tutti sbagliano. Siamo mortali. Tuo padre, sai, da piccolo aveva paura del buio. Tanta paura che, quando c’erano i temporali, si copriva la testa con un cuscino e cominciava a singhiozzare. Tua madre invece…beh…temo che avesse paura un po’ di tutto. Io e lei litigavamo sempre, da giovani”. Sorrisi, all’ondata di ricordi che affioravano. Tante cose belle. Quando il passato era ancora vivo, e si poteva sperare. “io e lei ci facevamo spesso i dispetti. E lo sai che io non so nuotare, vero?”. Machin fece una faccia strana, quasi stupita, e poi ridacchiò. Poi tirò di nuovo su con il naso. Ci fu un attimo di pausa, mentre lui cercava di calmarsi. “se lo prendo, quello lì…”. Mormorò, una rabbia insolita nella sua voce. “ne faccio spezzatino!”. Bene. cominciai a sentirmi meglio. Quello era un segno di miglioramento. Quel vago sorriso furbo. Quei lampi ironici. D’un tratto, tutto cambiò di nuovo. Di nuovo, l’espressione cambiò in tristezza, e gli occhi si riempirono di lacrime. “come vorrei averli qui, zia…”. Mi confidò, stringendomi forte. Mi sentii un vuoto allo stomaco. Tijorn. Akita. Avrei voluto tanto che fossero qui, anche io. Era colpa mia se erano morti, tutti e due. Io non avevo vigilato. Io non mi ero sacrificata. Ero tutto fumo e niente arrosto. “perché? Perché sono morti? È colpa mia?”.

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Capitolo 9
*** In trappola. ***


Mi ci volle tutta la mia buona volontà per far ragionare mio nipote, e per non sciogliermi in lacrime davanti a lui

Mi ci volle tutta la mia buona volontà per far ragionare mio nipote, e per non sciogliermi in lacrime davanti a lui. Quell’insensata ammissione, di una colpa che non c’era, mi aveva fatto lo stesso effetto di una secchiata di acqua gelida. Era semplicemente assurdo. Accusarsi della morte di Tijorn, di Akita! Allora quello pensava? Quello pensava, di lui? Di essere la colpa della morte dei genitori? E, soprattutto, ero stata io a dargli quell’impressione? Avevo sbagliato a soprassedere sul perché di quella mancanza orribile? Qualcuno gli aveva detto qualche cosa fuori posto? Gli avevo inconsciamente imputato la morte di Akita? Avevo detto qualcosa che non andava, qualche volta? Machin aveva interpretato qualche mio comportamento errato? Aveva dato una sua spiegazione alla mia sporadica severità? Mi sentii assalire da un’inquietudine tremenda. Una sensazione che non mi piaceva. Come se qualcosa mi dicesse che era solo ed esclusivamente colpa mia, e quel pensiero non se ne andò per un bel po’ di tempo. Che avevo fatto, cosa avevo combinato al mio povero piccolo? Quando, soprattutto? Quando gli avevo messo quel dubbio atroce in testa? Era solo una cosa dettata dalla disperazione, o lui davvero lo pensava? Avevo sbagliato a non raccontagli nulla, ad eludere la domanda quando lui mi chiedeva perché non avesse genitori? Aveva per caso interpretato male il fatto che io consolassi ripetutamente Nilyan quando si chiedeva della madre, quando si tormentava, cosa che per lui non facevo? Possibile. Tijorn ed Akita erano ancora una ferita aperta, che aveva bisogno solo di essere sfiorata per sanguinare ancora, ed ancora, in eterno. Mi ero fatta una ragione della morte di Nemys: avevo avuto più tempo per prepararmi, ed il fatto che qualcosa di lei ancora rimanesse aiutava molto. Non ero mai obiettiva su mio fratello e sulla compagna, mai. Non lo ero mai stata con Machin. Avevo sbagliato ad agire in quel modo idiota, lo sapevo, ormai. Chissà: mio nipote sicuramente non era uno sciocco, e percepiva abbastanza bene i cambi d’umore. Sebbene io avessi cercato di non darlo a vedere, lui doveva aver captato quanto fossi triste in determinate situazioni, quando cadeva il compleanno di uno dei suoi genitori, l’anniversario della morte di Tijorn, o anche il suo stesso compleanno, che, per me, coincideva con una terribile perdita. Io cercavo di essere, in quelle occasioni, allegra, almeno quando erano nei paraggi i piccoli, ma lui doveva aver capito. E fatto chissà quale collegamento, poi! Chissà quanti tormenti che si era fatto, chissà quanti bocconi amari aveva ingoiato senza dire nulla! Chissà se e quando mi aveva seguito, quando andavo nel luogo dove avevo seppellito l’urna in un lontano inverno, vedendomi davvero per com’ero in quel momento, la disperazione pura! Quanto, quanto, quanto avevo sbagliato. Quelle parole davvero, mi fecero fermare il cuore per un attimo. Avevo sbagliato, ad essere la zia che ero? Dove avevo sbagliato? Non riuscivo a capire, insistentemente. Proprio mi era precluso. E non potevo nemmeno chiederlo a qualcuno, lì stava il bello. Forse Amarto, dovevo sincerarmi urgentemente che Amarto non avesse detto qualcosa di troppo in sua presenza, non avesse spifferato qualcosa. In quel caso ero davvero nei guai. Il mio vecchio Maestro poteva, certe volte, essere davvero rimbambito. Contavo sulla presenza di Dae, che, almeno, avrebbe saputo dare una risposta esauriente a quel bambino ferito. Per poco non mi fece perdere quel poco di autocontrollo che avevo racimolato, tutte quelle parole. Dei, presi davvero ad odiarmi. Forse troppo bruscamente, presi il viso di mio nipote e lo guardai fisso negli occhi lacrimosi. “colpa tua?”. Ringhiai, stupefatta ed oltraggiata. Chi osava? Chi aveva osato mettergli in testa una cosa del genere? Ero stata io? Machin sobbalzò, preso di sorpresa, ed io mi morsi il labbro inferiore. Davvero un’ottima consolatrice, Lsyn. Davvero brava. Continuai, cercando di moderare i termini. Tentai di sorridere, invano. Temo che mi venne fuori solo una smorfia scioccata. Ma io davvero, non riuscivo a capire più nulla. Colpa di Machin? Si, gli asini volano, piuttosto. “chi ti ha detto così?”. Mi risposi da sola, nella mia mente, mentre guardavo l’espressione vuota del piccolo. Ero stata sicuramente io. Avevo sbagliato in qualcosa, qualcosa che non ricordavo di aver fatto. Dei, se solo si fosse chiarito al momento, quel terribile equivoco! Chissà che tarlo era stato, per il mio spensierato cucciolo, chissà quanto lo aveva roso, togliendogli sonno e felicità! Ero io, sempre io a sbagliare tutto. Sempre io, a vivere sulle nuvole, pensando che gli altri siano cretini come me, ciechi come talpe, incapaci di vedere al di là del proprio naso. Che emerita idiota. Per una volta, gli occhi di Machin non mi dissero nulla. Erano vuoti, senza rabbia e senz’odio, senza verità o menzogna. Impenetrabili. Impossibile stabilire addirittura se fossero così per nascondermi qualcosa, o solo perché non aveva la forza di provare sentimenti di alcun tipo. Lui tirò su con il naso, guardandomi fisso, franco, aperto. “nessuno”. Mormorò, triste. Certo, come no. Ero sciocca, ma fino ad un certo punto. Fui sul punto di torchiarlo, di insistere, ed aprii la bocca. Contemporaneamente, qualcosa mi bloccò. No. Non potevo, non quando lui era in quello stato pietoso. Aveva bisogno di qualche gironi, per riprendersi. Dopo, io e lui avremmo fatto una bella chiacchierata. Era troppo importante, per me, sapere cosa non andasse in lui. Non potevo lasciarlo soffrire. Mi limitai così ad abbracciarlo, il cuore in pezzi. “Machin”. Iniziai, dolcemente. Lui mi tenne stretta, forte, come per aggrapparsi a me. Povero piccolo mio. Non era giusto. Non era giusto che, per i miei errori, altri dovessero soffrire. Era sempre stato così. Non pagavo mai, io, per la mia stupidità “ciò che ha ucciso i tuoi genitori è stata solo una fatalità, un’orribile fatalità”. La mia incoscienza, la nostra speranza. Uno spirito ed un’elfa vestita d’oro. Il dolore, il dolore di esistere. “tu non hai nessuna colpa, anzi. È merito tuo, se tua madre non si è uccisa subito dopo la morte di tuo padre. Le hai allungato la vita, e, se non fossi stata così stupida, lei sarebbe ancora qui”. Così poco attenta a certi segnali, così spensierata e presa dal mio egoismo, dal mio lutto idiota. Avrei potuto parlare con Dae, l’avrei fatta visitare più approfonditamente. L’avremmo trascinata fuori dalla fossa che si stava scavando con le sue mani. Ci sarebbero state tante cose da fare, ma io non avevo fatto nessuna di queste. Avevo lasciato che il mondo scorresse accanto a me, senza farmi sfiorare. Isolata, un bozzolo in un fiume impetuoso, estranea al resto del mondo. Avevo già pagato per quello che era successo. Ma ora no. Non riuscivo a sopportare quell’ulteriore colpo. Ah, chiunque fosse stato a far soffrire tanto Machin, davvero, l’avrei ucciso con le mie stesse mani. Non avrei permesso che nessuno lo toccasse, quel bastardo. Solo io potevo ammazzarlo. Io! Machin non disse nulla. Si limitò solo a tirare su con il naso, di nuovo. Lo cullai per un po’, carezzandogli i capelli. Poi lui mormorò qualcosa. “ti voglio bene, zia”. Poche parole, che mi fecero salire il cuore in gola. Sentii le lacrime pizzicarmi gli angoli degli occhi. Cercai di fare finta di niente. Ehi, cosa, mi ero davvero rammollita in tutti quegli anni? Accidenti, come odiavo quelle cose. Quelle scenette melense. Quelle…oh. Erano cose antipatiche e basta. Mi facevano venir voglia di sotterrarmi una volta per tutte. Oh, certo, mi facevano tanto piacere gli abbracci, la sensazione di essere amata. Ma quelle parole lì mi commuovevano e mi mettevano troppo a disagio. Non volevo sentirmi dire di essere voluta bene. Io non facevo niente, anzi. Non mi meritavo quell’affetto. Era colpa mia se lui era conciato così. Gli battei una mano sulla spalla, e poi mi districai, velocemente, con un sorriso che proprio non aveva voglia di trasformarsi nell’espressione piena di dolcezza e benevolenza solita, e che era, piuttosto, una smorfia stentata. Bene. Si stava davvero, davvero, facendo tardi. Dovevo anche andare a parlare con Isnark. Sicuramente, mi stava aspettando. Dovevo fare dormire un po’ Machin. Sembrava davvero distrutto, anche se quella chiacchierata doveva sicuramente avergli fatto bene. Era presto per dirlo, ma io ero sicura che il giorno dopo sarebbe stato meglio. In più, dovevo dormire anch’io. L’indomani mi aspettava Roxen, mi aspettavano mille cose da fare. Dovevo andare a trovare urgentemente mia figlia. Scusarmi per averla ignorata prima. Stare un po’ con lei, chiacchierare, e magari, trovare una soluzione alla sua frustrazione perenne. “su, coraggio”. Dissi, alzandomi. Vidi un pallido sorriso farsi strada sul volto di mio nipote. “a nanna. Stai dormendo in piedi. Oggi vieni da me. Non voglio vederti solo”. Se solo Amarto, alla sua età, avesse cercato di parlarmi in quel modo, molto probabilmente avrei cominciato a litigare. Dannazione, ero adulta e consapevole. All’età di Machin sapevo già come uccidere a sangue freddo, come ingannare e tradire. Avevo fatto ognuna di quelle tre cose. Bugie, omicidi, trappole. La perdita della mia spada sarebbe servita a farmi infuriare a morte, e basta. Poi mi sarei comprata una nuova arma, e la cosa sarebbe finita lì. Beh. La cosa sarebbe stata un po’ improbabile: io agivo solo nell’ombra. A lui invece piaceva tanto essere trattato un po’ ancora come un bambino, o, almeno, mi dava quell’impressione. Rabbrividii. No: lui non doveva sapere mai e poi mai cos’ero stata. Non gliel’avevo mai raccontato, né l’avrei mai fatto. Nessuno dei bambini doveva conoscere il mio passato torbido. Lui fece un sorriso. Il primo sorriso vero, che mi rese più leggero il cuore. Mi prese sottobraccio. Un comportamento tipico di lui. Tipico di lui quando era più di buonumore. La cosa mi fece star meglio. Dovevo avergli detto qualcosa che lo aveva un po’ calmato. Machin, quel lago profondo, quell’elfo semplice e misterioso al tempo stesso. “allora andiamo”. Disse, con voce più ferma, asciugandosi le ultime lacrime con l’altra mano. Fui contenta di averlo fatto guarire almeno un po’. Il resto sarebbe stata solo questione di tempo. L’importante era tenerlo bene ed al sicuro, in compagnia per un po’. Ne ero sicura. Poi tutto sarebbe andato al proprio posto in un lampo. Nel giro di qualche mese ci sarebbe stato di nuovo tra i piedi una peste indomabile. Non mandarlo in altre missioni suicide. Beh, sarebbe stato facile: per qualche tempo i banditi non sarebbero più tornati. Mi sentivo relativamente al sicuro. Devo dire, non ho mai contato bene l’ascendenza tutta materna in quel maledetto caprone, la testardaggine e l’inclinazione a fare tutto di testa propria. Soprattutto, di nascosto. Machin sarebbe stato capace di farmi una sorpresa. La più grande, e la più orribile. Orribile, per una zia orsa com’ero io. Orribile, perché troppo tardi per ripararvi. Fu così che, con vera, idiota, sicurezza, mi avviai verso il castello con Machin, che si guardava attorno come se fosse la prima, o l’ultima, volta, che vedesse tutte quelle cose a noi consuete.

Quando aprii la porta del mio piccolo appartamento nel castello, trovai Amarto e Dae ad aspettarci, seduti vicino alla porta, nervosi. Qualcuno doveva averli svegliati ed avvisati, e sicuramente mi stavano aspettando. Quando ci videro arrivare sobbalzarono. Amarto era tanto pallido, mentre Dae aveva un certo sguardo che mi faceva venire voglia di scappare via. L’anziana elfa si alzò di scatto quando ci vide entrare. Io e Machin non avevamo parlato più, ma io avevo visto l’espressione del mio nipotino schiarirsi un po’, come se lui stesse mettendo pace in se stesso, mentre camminavamo. L’avevo sentito mormorare qualcosa che aveva a che fare con la spada, ma lui non mi aveva risposto quando lo avevo sollecitato a parlarmene ad alta voce. Avevo fatto finta di niente. Non era proprio il momento di insistere. Kyradon, a quell’ora anche per noi tarda, era davvero deserta. Era buio, buio pesto, e fu un miracolo se nessuno ci attaccò, nessun ladro. Beh, almeno loro hanno rispetto per me. I ladri di razza elfica hanno un enorme senso dell’onore, superiore a molti soldati di mia conoscenza. Ladri di classe, ma pur sempre ladri. Per fortuna la bianca città sacra non era pericolosa da quel punto di vista. Comunque, man mano che era passato il tempo ero andata tranquillizzandomi. In fondo mio nipote era davvero, davvero forte. Si sarebbe ripreso presto. Avrebbe covato atroce vendetta per un po’. Poi se ne sarebbe dimenticato. Un giorno, quando io gli avrei chiesto della spada, lui si sarebbe scrollato nelle spalle e avrebbe detto che si, quella era una mancanza che bruciava ancora, ma non aveva senso riprendersela. Correre dietro ad una creatura sconosciuta solo per una fatto di orgoglio. No, lui non era fatto così. Beh, almeno mi pareva. In camera, era stato lui a lanciarsi verso i due vecchi, ed abbracciarli con dolcezza. Dae mi aveva fissato, riconoscente, mentre abbracciava il suo caro piccolo, che aveva visto nascere. Mi ero dimenata, a disagio. Io non avevo fatto nulla. Amarto mi aveva chiesto all’istante di Roxen. Aveva un vero e proprio debole per mia figlia: lui sapeva chi fosse lei, in realtà. Gliel’avevo raccontato, pur omettendo che fine avesse fatto il padre. Lui aveva esultato. Aveva sofferto tanto, quando mi era stata strappata dalle braccia, quando mi aveva vista a terra per quello scippo terribile. Non si era nemmeno chiesto chi fosse il padre, e perché mi fossi portata appresso un altro bambino, dal nome pesante. Per tutto quel tempo lui l’aveva colmata di attenzioni, coprendomi quando si trattava di dover parlare di Aevo. Sebbene cercasse di essere imparziale, non ci riusciva mai. In fondo, Roxen aveva un legame davvero profondo con il nonno. L’avevo subito, quindi, rassicurato sul suo stato di salute. Lei non aveva nulla di grave, solo un brutto taglio che sarebbe guarito presto. Già stava bene: mi aveva aggredita appena ero entrata. Il Maestro aveva riso a quel fatto, e poi si era lasciato abbracciare da Machin, che pure amava in maniera folle. Il figlio di Tijorn, del suo amato Tijorn. Poi gli aveva tirato le orecchie, e l’aveva sgridato. Non doveva essere così triste, perché di cose del genere ne capitavano. Non doveva piangere. Non doveva sentirsi in colpa. Il padre ne aveva combinate di peggiori, con quella, testuali parole, “diabolica canaglia di tua zia”. Aveva perso ben più di una spada, e, da piccolo, veniva punito un giorno si e l’altro pure, spesso per guai in cui era stato trascinato da me. Da adulto la storia non era cambiata. L’avevo messo nei guai più di una volta. L’avevo ucciso, ma questa era una mia considerazione dolorosa. Machin era stato ad ascoltare con un sorriso quasi sereno. Chissà cosa si celava dietro. Gli occhi non erano del tutto pacati. C’era ben più di una nuvola dentro, e qualcuna minacciava di scoppiare in un temporale pazzesco. Mi finsi scandalizzata, quando in realtà non ero che divertita. Allora mi ero unita alla rimpatriata dei ricordi. Passammo poco a rammentarci della vita passata, ricordi che facevano male a tutti, ma che dovevamo rivangare per far star bene una persona importante. Dae non smise un attimo di coccolare il nostro protetto, fino a quando, proprio come un bambino, lui non si addormentò di botto, sulla sua spalla. Era sfinito. Sentii una grande tenerezza per quel piccolo, appena adulto. Era ancora tanto giovane, dovevo ricordarmelo. Sarebbe venuto il momento di crescere anche per lui, ma non volevo ancora pensarci. Io ero cresciuta così in fretta, così prima. Avevano forzato le tappe, con me come con mio fratello, come con Akita. Crescere, per divenire assassini di professione, bugiardi nati, ladri della peggior specie, traditori. Approfittai di quel momento per eclissarmi. Pregai Amarto e Dae di non muoversi da lì, perché avevo bisogno di loro. non per lungo tempo, almeno. Acconsentirono senza farmi domande. Sarei tornata presto, lo sapevo. A quell’ora, Isnark era sicuramente molto più stanco di me, che potevo reggere per un altro po’, qualunque cosa mi avesse voluto chiedere. Pazienza, avrei dovuto dormire nello studio. La cosa davvero non m’importava. L’unica cosa davvero degna di nota era il benessere del mio dolce nipotino, che doveva guarire quelle ferite tanto profonde. Sbadigliando, mi avviai verso il posto dove sicuramente il sovrano mi stava aspettando, il suo studio. Che noia. Chissà cosa accidenti voleva da me. Qualche servizio importante, oppure, qualche compito del tipo che si affida agli araldi. Ero la Ch’argon, ero la più affidabile per certe cose. A volte mi era capitato di dover andare nei regni umani, sempre nei regni umani, a fungere da messaggera, io, Capouille e Zipherias, un trio del tutto fidato. Compiti assurdi, consegnare messaggi stupidi, accordi commerciali o altro. Dei rapporti con Galinne non mi occupavo io, ma sapevo che la sostanza era sempre la stessa. Era uno dei compiti più inutili e gravosi. Odiavo espormi in quel modo, al vento, al gelo, eccetera. Un viaggio idiota, a vanvera, per parlare di carovane di Insathi e cose simili. Qualche volta giorni di viaggio per parlare di cibi esotici, o fiori. Litigare, spesso. Assurdo, davvero assurdo. Qualche volta avevo sollecitato Isnark a farsi buoni quei regni, in caso di attacco con Galinne. Gli umani erano utili, come amici. Lui mi aveva risposto malissimo. Mi aveva intimato di farmi gli affari miei, perché lui sapeva quello che faceva. Era impossibile allearsi, perché i documenti venivano controllati da Galinne, alla dogana del piccolo pezzo di terra che avremmo dovuto passare, che eravamo costretti a passare. Accidenti, ma proprio era cretino, vero? Non c’era un modo per ingannarli? Diamine, io, la Spia, ne conoscevo a iosa! Niente, l’elfo era sordo ad ogni mia richiesta. Erano solo innocenti accordi commerciali, necessari per fare andare avanti il paese. Anche il Regno faceva così, nello stesso modo. Ero quindi, a volte, costretta ad abbandonare la mia pace casalinga, ed avventurarmi in scomodi viaggi. Avevo del tutto perso l’abitudine ai disagi di giorni di peregrinazione, e bofonchiavo sempre quando dovevo partire. Giorni senza comodità, in compagnia di un burbero elfo scuro, che faceva invidia ad un cadavere in quanto a loquacità, e di un altro che non era capace di spiccicare due parole in croce senza farle tremolare come budini. Sicuro, quella volta  non si sarebbe discostata dalle altre. Isnark mi avrebbe fatto centomila moine, e poi mi avrebbe rifilato il colpo alla schiena. Ecco, quello proprio non era il momento. Machin aveva bisogno di me, davvero. Si prospettavano mesi duri, ed io non volevo essere di nuovo assente, non come per la battaglia. Odiavo quelle situazioni. Ancora non sapevo tutto quello che sarebbe capitato! Altrimenti, altro che rifiutarsi! Di nuovo, in trappola. Davvero non ero capace di starne fuori. Venivano a me come calamitate. Perfetto.

Ignorando le guardie, che mi fissarono come fossi impazzita d’un tratto, che pure erano avvezze ai miei comportamenti poco nobili e diplomatici, irruppi nello studio del sovrano di Kyradon come una furia, senza bussare, sbattendo la porta. Mi ritrovai in una bella stanza piena di libri, dalla scrivania di legno scuro, leggermente tarlata, bene illuminata da fonti che non vedevo, come ormai era tipico nel castello. Ero infuriata. No, quella volta non mi avrebbe fregata! Io volevo stare con i miei piccoli, basta. Niente viaggi assurdamente inutili. Trovai Isnark seduto comodamente sulla sedia al di là della scrivania, con in mano qualcosa di lucente e bianco. Eh, no. Non mi freghi. Si doveva essere riposato un po’, e sistemato. Sembrava molto meno vinto, molto più fiducioso, chissà perché. “ehi, Lsyn!”. Disse, con insolita e sospetta cordialità. Lo guardai male. Ottenni solo un sorriso più largo e affettuoso. Maledetto bastardo. Qualche volta mi veniva voglia di sputargli in un occhio, solo per vedere che faccia avrebbe fatto. Probabilmente mi avrebbe scompigliato i capelli. Isnark era terribilmente e scioccamente benevolo quando voleva qualcosa. “pensavo non saresti più venuta…Machin sta meglio? Su, siediti… non stare lì impalata…”. Oh, si, decisamente sospetto. Il favore che mi avrebbe chiesto doveva essere maledettamente grosso. Un viaggio lungo, probabilmente. Non sapevo nemmeno quanto. Quelle cerimonie erano più che mai…sospette, ecco. Di solito era molto più rude. Mi faceva un cenno e basta. Sprofondai nella poltrona, arrabbiata nera. “non mi freghi”. Ringhiai, incrociando le braccia. Lui non si scompose. “prego?”. Disse, sempre sorridendo. Eh, no. Non doveva fare lo gnorri. Soprattutto non quando aveva una lettera che nelle sue intenzioni, doveva essere nascosta. Mi trattenni giusto in tempo, per non prenderlo per i capelli. “ho detto che non mi freghi”. Ruminai, uccidendolo con lo sguardo. “che devo fare? Che diavolo vuoi da me?”. Tali erano cambiate le cose, tra noi due. Ora potevo permettermi di trattarlo un po’ male. Lui sapeva come la pensavo. E poi, quando gli servivo, diventava tutto miele e zucchero. Beh, almeno il sorriso si sgretolò, diventando un’espressione di disappunto. Amavo farlo. “speravo che ci cascassi”. Disse poi, alzando gli occhi al cielo. Come no: erano anni che non ci cascavo più, e lui lo sapeva. Era solo una sceneggiata tra noi due. Un copione già scritto. Poi mise, con il suo solito fare sbrigativo, una busta sottile sulla scrivania. La guardai. Non era sigillata. Perfetto. Avrei potuto leggere. Lo facevo sempre ma, a meno che non fossero codici, non trovavo mai nulla d’interessante. “solita roba, problemi con le carovane Insathi”. Disse, con fare professionale. Era sempre così. Lo guardai male. Lui non sembrò accorgersene. “devi andare a Fiya, recarti alla capitale”. Sobbalzai, stavolta presa nettamente di sorpresa. Cosa? Come, quando, perché? Con quella guerra, con quel caino? Io, lì? Sgranai gli occhi, presa alla sprovvista. Oh accidenti, oh accidenti. Non volevo andare in quel posto! Non in quel posto! Fino a quel momento avevo sempre evitato di finire lì, avevo sempre supplicato Isnark di non mandarmi. C’erano troppi ricordi sepolti in quei posti. Ricordi di un bel passato, ricordi di persone. Ricordi di un torneo, ricordi di un duello, ricordi di un uomo che mi aveva stravolto in due occasioni la mia vita. Quello che gli umani consideravano un eroe, ma che io avevo conosciuto, e che avevo trovato più umano di tutti, umano tra gli umani. Regis. Eh no. Prima cosa. Non potevo recarmi in quel covo di ribelli sediziosi, perché per me era pericoloso. Secondo, non volevo rivedere una città già visitata in altri periodi della mia vita. Mi alzai in piedi. “ma tu sei pazzo, ma pazzo davvero!”. Esclamai, guardandolo come se fosse ammattito d’un tratto. Lui non sembrò mutare espressione. Poi mi guardò, supplichevole. “ma che ti costa? È solo un messaggio commerciale, stupido… non dovrai stare a lungo lì”. Come no. Il viaggio era anche lungo, e faticoso. Mugugnai. No. Non volevo andarci! Isnark sorrise. “non voglio!”. Mi lamentai. Accidenti, mi stavo comportando come una bambina. Ma tanto sapevo che lui l’aveva già vinta. Non potevo disobbedirgli. Non mi era permesso. “invece devi”. Mormorò lui, allungando la lettera verso di me. “nessuno ti farà del male. Lo prometto”. Certo, ed i gatti abbaiano, certamente. Brutto maledetto. In trappola, di nuovo. Accidenti, come odiavo certe cose! Sbuffai. Non poteva mandarmi in viaggio, non me! Beh, lo stava facendo. Ed io come sempre ci cascavo come una scema. Davvero perfetto. Lamentarsi era proprio inutile. Ecco, dovevo ritornare a rivangare storie perdute per colpa sua. Ah, come odiavo quella situazione. Ringhiai. Ma lui sogghignava: sapeva di averla vinta. Con un grugnito ben poco collaborativi, afferrai la busta incriminata, e me la ficcai in una tasca interna. “sei crudele, Isnark”. Asserii, aggrottando le sopracciglia. Davvero. Crudele, e cattivo. Non volevo vedere la patria d’adozione di una creatura che per la mia vita era stata fondamentale, per la mia rinascita. Lui sorrise ancora di più. Un sorriso del tutto suo, vero, sincero. Il solito sorriso furbo. “lo so. Per questo mando te…”. Mi guardò con aria angelica. Poi si alzò anche lui. Mi guardò, con serietà. “ora vai. Domani ti darò maggiori informazioni. Ma comincia a prepararti: partirai, con il tuo gruppo, tra poco”. Strinsi i pugni, ed arretrai di un passo. “sai che un giorno ti picchierò, vero?”. Io ed il sovrano di Uruk ci amavamo di un amore tenero e fraterno. Davvero. L’avrei fatto nero. Ma tu guarda. Usata come araldo, io, una Ch’argon da poco rimessasi da un brutto tentativo di avvelenamento ero oltraggiata, mi sentivo volgarmente usata. Oh. Insomma, va bene, era esagerato. Reagivo in modo esagerato. Ma era tutto così assurdo. Tutto a mia insaputa. Aveva fatto senza che io sapessi niente. Nello stesso tempo, mi sentii presa dalla smania. Non vedevo l’ora di leggere, per vedere se qualcosa si stava smuovendo. Il sorriso di Isnark si stirò in un ghigno. “non vedo l’ora”. Ringhiai di nuovo, a quell’aria strafottente. In trappola, di nuovo. Dei, quanto mi seccava quella faccenda!

 

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Capitolo 10
*** Mentre tutto andava a rotoli... ***


Uscii dalla porta con una voglia terribile di fare fuori qualcuno

Uscii dalla porta con una voglia terribile di fare fuori qualcuno. Non salutai nemmeno il cordiale sovrano di Kyradon. Durante le nostre ultime battute il suo sorriso mi era parso un po’ tirato, ma ero così arrabbiata da non farci caso, quasi. All’uscita, guardai le due Guardie così male che una di loro indietreggiò. Davvero, se solo ne avessi avuto l’occasione, avrei ammazzato il primo che osava infastidirmi. Peccato non potere: ero davvero fuori di me. Un giorno avrei fatto al mio caro amico uno di quegli scherzetti… avrebbe imparato a darmi fastidio. Ma che pensava Isnark, che fossi un piccione viaggiatore? Che andassi docilmente da un angolo all’altro di quello schifoso continente, magari scodinzolando? Ma chi si credeva di essere? Una vocina fastidiosa mi ricordò che io non mi ero opposta a quella decisione. Insomma, di solito, io ed Isnark bisticciavamo per ore prima di arrivare ad un accordo soddisfacente per entrambi. Quella volta, niente. Doveva essere la stanchezza, eh si. Sicuramente la stanchezza. L’indomani sarei andata da lui ed avrei cercato di strappargli qualche promessa, cose del genere. Non nego che in me c’era anche una certa dose di curiosità. Chissà come era cambiata la capitale di Fiya, chissà. Kyradon era rimasta quasi simile ad anni prima, e così Galinne, in conformità alle regole della nostra razza di  non stravolgere quello che c’è già, quando si deve cambiare qualcosa. Niente cambi radicali: noi elfi non eravamo fatti per essere sbattuti qui e là come foglie morte in autunno. Eravamo troppo longevi per mutamenti bruschi, troppo conservatori delle nostre tradizioni. Lo siamo ancora. Sono stata abbastanza a lungo in luoghi dove le cose sono completamente diverse per rendermene conto. Diamine, gli umani sono estremamente più versatili e dinamici di noi, vecchi bacucchi in eterno! Può non essere un pregio, ma, se devono cambiare, lo fanno senza pensarci troppo a lungo. Cercano di sfruttare al meglio la loro effimera vita. Chissà cosa succederebbe se un uomo vivesse a lungo quanto un elfo. Probabilmente stravolgerebbe il mondo. Cosa a cui io, da buona appartenente della mia razza, sono contraria. C’era un bel po’ di curiosità. Quando l’avevo visitata, tanti anni prima che mi pareva un sogno, Qerin non si discostava molto dalle nostre grandi città. Si diceva che nella patria di adozione di Regis le cose ad essere cambiate fossero molte, e che, con la magia, si fossero fatti miracoli. Non negavo che c’era un bel po’ di curiosità. Però mi dispiaceva in maniera assurda di lasciare Machin solo, a casa, a tormentarsi in attesa del mio arrivo. Per fortuna, almeno, non avrei matematicamente potuto morire durante il viaggio. Tra tutti, gli ambasciatori erano intoccabili come i Guaritori. Farli partire era un affare serio, ma, una volta in viaggio, si poteva stare sicuri di tornare. Era una grossa fortuna. Ormai ero in trappola, e, per quanto me ne lamentassi, non potevo farci niente. Magari avrei potuto chiedere a Isnark di portarlo con me. Rabbrividii: no, come soluzione proprio non mi piaceva. Amarto e Dae si sarebbero dovuti arrangiare senza di me. Non potevo portare Machin, né Nilyan. Era troppo pericoloso. Come al solito, fui assalita dalla curiosità. Chissà quale Guardia mi avrebbe affibbiato, quel demente. Zipherias e Capouille, probabilmente, o Zipherias e Benagi, o Capouille e Benagi. Uno dei tre sarebbe stato sicuro. Propendevo per Zipherias: Isnark sembrava divertirsi come un matto a metterci insieme. Ero molto curiosa, benché, la prospettiva di viaggiare per giorni sullo stolido Nano, in compagnia di qualche morto vivente, non mi piacesse parecchio. Cominciai, poi, a farmi piani. In un modo e nell’altro, volente e nolente, sarei stata costretta a partire, quindi, meglio non partire impreparati. Avrei saputo presto quando dovermi mettere in moto. Cosa portare? Che clima era, lì, a sud? Sicuramente molto più caldo, lì la primavera doveva essere alle sue prime battute. Avrei dovuto smettere di portare i miei soliti abiti viola. La cosa non mi poteva procurare che sollievo: la veste di Ch’argon era impossibile da portare in un viaggio lungo. Avrei sbandierato la mia appartenenza al Porporato in un altro modo, sicuramente. Arrivai, presa da mille pensieri, molto più calma nelle mie stanza. Bussai con discrezione: non volevo svegliare Machin, che stava sicuramente ronfando alla grande. Non volevo dargli quella brutta notizia così presto. Mi venne ad aprire Dae, che vide immediatamente la mia faccia, che, molto probabilmente, non doveva essere delle più rassicuranti. “dove devi andare, stavolta?”. Domandò, mentre si spostava di lato per farmi passare. Entrai in punta di piedi. La luce era stata smorzata: Amarto e Machin dormivano tranquilli. Sorrisi. Per fortuna che c’era il Maestro. Avrebbe fatto di tutto per suo nipote, lo avrebbe protetto da ogni male e da ogni persona cattiva intenzionata a destabilizzare la sua pace. Ero sicura che, al mio ritorno, avrei trovato il mio pazzo guarito, con una nuova arma da brandire, ad accogliermi con una stanza sottosopra. Mi concessi addirittura il privilegio di sorridere. “Qerin”. Borbottai, pensierosa. La vecchia elfa aggrottò le sopracciglia. “bel servizio che ti ha fatto Isnark”. Commentò, asciutta, prima di chiudere la porta. Mi trovai ad assentire. Ero completamente d’accordo con lei ed assentii in silenzio. Accidenti, non ero preparata a finire in quel covo di ribelli. Io non facevo mai quei viaggi lunghi. Erano anni che non viaggiavo più di una settimana. Chissà perché aveva mandato me: Isnark teneva rapporti con Fiya, ma aveva sempre evitato di farmi andare lì, anche perché, con i bambini piccoli, non potevo assentarmi troppo a lungo. Forse era per quel motivo che dovevo andare: Nilyan era capace di badare a se stessa, ormai. Oppure, per non farmi scoprire chissà cosa. Sicuramente, in quella lettera c’era scritto qualche grande segreto. M’invase l’entusiasmo febbrile di un’infante. Non ci avevo pensato: Isnark poteva essersi deciso. Poteva aver capito che, senza aiuti, non si andava da nessuna parte. La cosa mi rendeva felice: finalmente mi avrebbe ascoltata. Augurando frettolosamente la buonanotte alla vecchia balia, mi ritirai nel mio studio. Almeno, quello era rimasto identico ad anni ed anni prima, addirittura lampada ad olio compresa. Certe volte ero davvero un’idiota conservatrice, una vecchia stupida. Un tempo avrei fatto salti mortali per accaparrarmi qualcosa di bello, particolare, per rinnovare quell’ammasso di tarme, ma ora non m’interessava più. Non avevo proprio voglia di cambiare, non ne avevo la forza. Finché durava, era bello. Il risultato di anni di negligenza si vedeva, eccome. Ormai non si capiva più niente, o quasi. Io ero la sola a comprendere il senso di quell’ammasso di fogli sulla mia vecchia scrivania. Li spostai di malagrazia, ed accesi la lampada ad olio, sedendomi sulla comoda poltrona, che scricchiolò in maniera tale da farmi schizzare quasi in piedi. Poi estrassi la lettere, ed, uccidendomi come sempre gli occhi, cominciai a leggere avidamente. Sicuro, qualcosa si era mosso. Ero entusiasta. Per una volta, Isnark aveva fatto un passo del tutto giusto.

 Ben presto il mio entusiasmo scemò. Mutò in noia mortale. Stavo quasi per addormentarmi su quell’importantissimo documento. Scritte nell’ordinata grafia, squadrata, monotona e regolare, del sovrano di Kyradon, con impresso il sigillo, c’erano, nel tono formale e pomposo della cerimonia, scritte tante e tante sciocchezze da far cadere la mascella ad una statua per il tedio. Ecco, quello lì non cambiava mai. Io avevo voglia di dirgli di cambiare, di spronarlo a fare un piccolo colpo di testa, ma lui nulla. Testardo come un mulo. Parole e parole su un carico di grano, qualcosa a che fare con gli Insathi, accordi commerciali che per me non significavano nulla: avevo chiesto di stare lontana da quelle cose incomprensibili.   Avevo sperato in una piccola fiammella di ribellione. Niente. Orgoglio patriottico in misura tale da non accendere nemmeno un fiammifero. Metà fiammifero. Caprone idiota. Rimasi, frustrata, a rimuginare per un po’ di tempo. Saltai sulla sedia quando mi resi conto che, beh, Isnark non poteva usare codici cifrati o roba del genere. Quella lettera, al confine con il Regno, sarebbe stato letta dai doganieri. Era un documento innegabilmente pericoloso, compromettente. Quindi, a meno che quel linguaggio volutamente noioso non fosse un codice tutto speciale, ci doveva essere qualcosa sotto. Rimasi per un po’ assorta. Qual era il modo migliore per nascondere una cosa? Cosa avrei fatto io, per nascondere cose importanti? Non dovevo perdere la speranza: sicuramente Isnark non avrebbe disilluso le mie speranze. Fui assalita da un’altra, flebile ondata di allegria, che scemò ben presto. Cominciai ad indagare. Invano. Inutile. Dovevo arrendermi all’evidenza. Non c’era nulla che potesse indicarmi la presenza di qualche sotterranea attività ribelle di cui io non ero a conoscenza. Certamente, il capo dei sediziosi di Uruk, che avevano liberato regioni intere dal giogo del Regno, si era molto rammollito, negli anni. Non pensavo potesse accadere una cosa simile. Ne avevo provate davvero di tutte, tutti i trucchi da Spia che conoscevano, che non erano pochi. Niente: dubitavo che Isnark potesse fregarmi fino a quel punto. Dubitavo proprio. Com’ero intelligente, proprio. Avevo provato ogni santo modo, ma non c’era stato nulla da fare. Quel foglio si era dimostrato ben poco collaborativo da quel punto di vista. Avevo cercato un margine slabbrato nella lettera, che poteva nascondere un documento segreto, visto nella busta, cercato in ogni angolo, bruciacchiato persino il margine superiore di busta e lettera, per metterle sopra una fonte di luce. Niente. Era tutto rimasto uguale a prima. Dopo aver ricercato con metodi molto meno ortodossi, rinunciai. Con la bocca amara, ed un senso di sconfitta, misi la carta al suo posto, e la ficcai in un cassetto, nell’attesa del momento in cui avrei dovuto prenderla. Ma non me ne sentivo per niente contenta. A conti fatti, quello sarebbe stato uno dei soliti viaggi monotoni, mentre tutto andava a rotoli, facendo finta che non esistesse una pazza scatenata sul trono di uno dei regni più grandi e pericolosi della storia. Come se non fossimo sul punto di essere schiacciati tutti come formiche. Com’era frustrante. A quel punto avrei fatto venire con me Nilyan. Sarebbe stata molto più al sicuro che da sola, a Kyradon. Tanto, non potevano toccarci perché eravamo ambasciatori. Non potevano farci esattamente nulla. Il viaggio non conteneva pericoli all’arrivo. Anche Machin, magari, sarebbe potuto venire. Avrei parlato l’indomani con Isnark. Era arrivata l’ora di riposare un po’. Mi accoccolai sulla poltrona, chiudendo gli occhi, delusa ed amareggiata. Certe cose non cambiano mai.

Finì che il discorso con il sovrano venne posticipato ad una settimana dopo, circa. Avevamo entrambi troppo da fare: io come Ch’argon, rimettendo a posto scartoffie ignorate da me per lungo tempo, lui invece come guida del popolo in lutto. Quella battaglia era costata molto. Per giorni si respirò un’aria pesante, a Kyradon. Per fortuna, Machin si riprese, e bene. Ogni tanto pareva covare qualcosa, e sogghignava in un modo strano, quando sembrava che non lo guardassimo, quasi inquietante, un sorriso che era quasi un mostrare i denti al mondo. Per il resto, dopo il risveglio, di primo pomeriggio, mi era parso molto rasserenato. Mi aveva abbracciata, e mi aveva aiutato a compilare delle cose, un’incombenza che mi risparmiava spesso. Aveva fatto il buffone, come se non fosse successo niente. Anche gli occhi mi parevano quasi normali. Poi ci aveva raggiunti Nilyan, tutta contenta, vispa come un cucciolo. Avevo abbandonato i miei propositi di ordine. Non parlai a nessuno dei due, fino all’ultimo momento, della missione. Avevo così passato qualche tempo in pace assoluta, mentre Nilyan coccolava il cugino, portandolo di qua e di là come se fosse il suo pupazzo preferito, mentre confabulavano di chissà cosa, tutti impegnati. Poi mi decisi ad andare da Roxen, anche spinta da mia nipote, che mi aveva assicurato gaiamente che mia figlia era molto, molto offesa dal fatto che non l’avevo nemmeno curata un po’. Mi ero precipitata così al Lazzaretto, portando un bel mantello di velluto rosso come dono, la prima cosa che mi era capitata sottomano. Avevo rubato, d’accordo. Cioè, non è rubare, prendere con il permesso di mia nipote, no? Non potevo perdere tempo, ecco. Avevo trovato la mia dolce cucciola seduta sul letto, già più colorita della sera prima, sola nella stanza vuota, in compagnia di uno di quelli che lei chiamava amici, ma che amici non erano esattamente. Mi ero sentita enormemente a disagio quando l’avevo visto lì. Io e Roxen avevamo discusso a lungo sulle sue scelte sentimentali, ma non ne avevo cavato un ragno dal buco. Lei era un’elfa libera, e poteva fare quello che voleva. Era adulta, matura e responsabile. Non avevo obiettato: tra tutti, lei e Chekaril erano quelli più consapevoli. Sembravano più vecchi della loro età. Avevo deciso di fidarmi. In fondo, alla sua età io ero uguale: grande bastarda approfittatrice. Impossibile, però, reprimere un moto di imbarazzo. Non riuscii a fare a meno di pensare che quell’elfo, evidentemente un nobile, o una persona chiaramente potente e facoltosa, che si alzò di scatto dalla sedia che occupava, quando mi vide, ancora più pieno di confusione di me, e se ne andò quasi subito, doveva essere più anziano di me. Quel giorno io e mia figlia litigammo selvaggiamente, come, più o meno, facevamo sempre, quando lei stava bene. Io le rimproveravo il fatto di approfittarsi volgarmente di poveri stupidi, lei, invece, era rimasta tanto ferita dal mio comportamento. Ero corsa da Machin senza nemmeno chiedere se stesse bene. Un po’ difficile, quando lei mi sputava addosso colpe che non avevo. Poi io, sempre in tono duro, le avevo detto che non serviva sapere come lei stesse, perché lei era la migliore, e se la sarebbe cavata sempre. Machin non era forte come lei. Lei mi rispose bruscamente che lo sapeva, e per quello lo aveva protetto. Poi i suoi occhi viola si erano illuminati di gioia. Io mi sedetti comodamente sulla sedia lasciata libera dall’ameba caduta nella trappola di quell’astuta donnola di mia figlia. Il clima era cambiato di botto. Era sempre così: in quello, io e lei eravamo troppo uguali. Perciò litigavamo sempre. Roxen aveva smesso i panni della dura, e si era accasciata sui cuscini. Glieli avevo sistemati dolcemente. Poi le avevo donato una carezza. Sembrava tanto provata, povera piccola mia. Io e lei, due facce di una persona staccata a metà, madre e figlia senza che lei lo sapesse, ci guardammo. “che mi hai portato?”. Disse lei, curiosa, tentando di sbirciare la palla in cui avevo ridotto il mantello. L’avevo srotolata, fiera. Per fortuna che Nilyan non aveva mai messo una cosa del genere. Lei ne fu contenta. Pi alzò un braccio, tronfia, mostrandomi un braccialetto di argento e piccole gemme rosse, chissà, rubini. Aveva detto che tutti i regali ora erano sul rosso. S’intonavano tutti. Era adorabile, completamente soddisfatta, anche se sul bracciale, sicuramente un regalo di quel tipo, avrei avuto qualcosa da ridire. Non avevo resistito. Era troppo, troppo adorabile. L’avevo abbracciata con impeto, e lei mi aveva ricambiata. Le avevo mormorato che mi era mancata tanto, e che dubitare di lei era follia. Lei mi aveva risposto che non sembrava che pensasi davvero quelle cose. Poi avevamo riso. La mia dolce figlia. Ci amavamo nonostante il nostro carattere. Due capre. Lei mi assomigliava tanto, assomigliava tanto ad una certa, vecchia Lsyn, fissata con i begli abiti, i bei gioielli, il suo aspetto. Aveva, certo, una certa vena calcolatrice che a me era sempre difettata, e sembrava capace di vendere suo fratello per qualcosa di bello, come non era mai stata mia quella rabbia insoddisfatta, come se ci fosse qualcosa che non andasse bene nella sua vita, ma eravamo tutte e due testarde come muli, egoiste e poco collaborative. Avevamo passato un pomeriggio a chiacchierare placidamente. Lei si era fatta raccontare tutto quello che era successo, ed era rimasta indignata da quel tentativo di avvelenamento, incredula che potesse essere Nysha la mandante di tutto quello. Non voleva pensare che la bambina con la quale giocava sempre mi aveva ridotto in quello stato. Lei era stata una delle prime a vedermi, ed era rimasta sconvolta. Ero quasi stata soffocata dal mio stesso sangue. Ero rimasta ore immobile, fredda e rigida come un cadavere. Smettemmo presto di parlare di quella cosa. Ad un certo punto, a noi si unì anche Zipherias, che, con un paio di costole rotte ed altre incrinate, era di fronte, e si annoiava a morte. Avevo dovuto ripetere la storia. Se non fosse stato per Nilyan, molto probabilmente l’incredibile elfo mi avrebbe ammazzata. Aveva pensato che io avessi tentato di suicidarmi, per chissà quale motivo che nessuno aveva notato. Era stato molto male, per quello. Rassicurai entrambi. Pensai tra me e me che una volta bastava. Non mi sarei portata mai più volontariamente vicino alla morte. Nessuno dei due conosceva i miei precedenti, per fortuna. Roxen credeva ancora io fossi stata attaccata, in quella locanda. Non si era mai posta domande, per fortuna.

Per gli altri giorni, loro divennero il mio punto di riferimento. La mattina stavo con Machin e Nilyan, a volte con Chekaril e Manolìa, la sognante, assente Manolìa, mentre il pomeriggio raggiungevo mia figlia e Zipherias, fino a quando lei non si mise in piedi. Ogni pomeriggio, invariabilmente, trovavo uno dei suoi amici lì. Spesso se ne andavano nel vedermi, intimoriti, ma un paio di volte rimasero per scambiare qualche parola con me. Erano esseri noiosi, ripetitivi e pieni di boria, ma, almeno, molto ricchi. Roxen sapeva scegliere. Non era sciocca. Quando poi lei tornò a casa, carica di doni e tutta allegra, nella sua comoda casa vicino il castello, presi a passare molto tempo lì. Spesso erano con me Capouille, Nilyan e Zipherias. Machin era, in quei giorni, molto occupato per chissà che affari. Era molto tempo in compagnia di Chekaril. Chissà cosa gli passava per la testolina bacata che si ritrovava. Sicuramente qualcosa di strano. Avevo chiesto a Nilyan chiarimenti, ma lei si era scrollata nelle spalle, dicendo che non sapeva nulla. Fu in quel modo che seppi i miei compagni di viaggio, con mia grande gioia. Venne infatti, un pomeriggio, anche Isnark, che mi spiegò tutto, spiegando tutto anche ai giovani. Sarei partita quando sia Zipherias che Roxen si fossero ristabiliti per bene. Loro, insieme a Capouille e, con grande dolore del padre ma con grande gioia nostra, Nilyan. Era ora che la piccina vedesse un po’ il mondo, soprattutto in una missione facile come quella. Poi il sovrano, mesto, ci diede un’altra notizia un po’ meno gaia. C’era un pazzo, anzi due, che volevano tentare l’impossibile. Avremmo dovuto,  per un certo periodo, dare un piccolo passaggio a due idioti vanagloriosi che volevano seminare un po’ di zizzania per il Regno. Era stato trovato il modo per eludere almeno parzialmente le guardie. La cosa mi diede dolore. Povere creature. Non sapevano cosa li aspettava. Sarebbero sicuramente morte. Ero tanto triste per loro, ma, a dire il vero, non m’importava tanto. L’avevano voluto loro. quella sera ci riunimmo tutti, per festeggiare un po’. Machin sembrò prendere bene il tutto. Non fece scenate, anzi, fu contento per la cugina. Mi sentii soddisfatta. Tutto era pronto. Era tutto in discesa, ora, dovevo solo cominciare a prepararmi per estenuanti trattative economiche. Beh, ero proprio candida e tranquilla. Ancora non sapevo cosa mi avrebbe riservato, quel destino bastardo! Ancora non sapevo, che razza di sorprese, e, soprattutto, che razza di viaggio!

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Capitolo 11
*** D'argilla. ***


Ho detto destino bastardo per caso

Ho detto destino bastardo per caso? Davvero sono uscite dalla mia penna, dalla mia mano, dalla mia mente, quelle parole? Oh, no, non dovrei dire così. sono stata ingiusta e crudele. E’ un insulto al destino. Casomai sarebbe più appropriato definire bastardo una creatura molto più tangibile, che fece tutto nel peggiore dei modi possibili. Ma arriveremo presto, al modo in cui scoprii di essere stata gabbata e tradita. Lo racconterò ben presto.

Ovviamente, quella sera, non intuii nulla.  Tutto sommato, non c’era nulla da intuire. Eravamo tutti tranquilli, un gruppo di amici che si approfittavano di uno degli ultimi momenti di quiete insieme, prima di un lungo viaggio. Ma cosa avevo da sospettare, eh? O nessuno sapeva, o nessuno me lo voleva dire. Non so, forse sono stata troppo cieca, forse…forse… non ne ho la minima idea. Non ho la minima idea del perché, del motivo per cui non scoprii gli altarini. Diamine, il fatto di essere stata una volta una Spia mi riempie di vergogna: non sono nemmeno più capace di risolvere nemmeno un enigma di provincia come quello! Ma come diavolo avevo fatto a divenire una dei Cani più vicini alla regina? Come avevo fatto ad essere temuta? Come, io, la creatura alla quale potevano mettere una cosa sotto il naso senza che lei se ne accorgesse! Due erano le spiegazioni: o mi ero rammollita, e molto, o ero sempre stata un po’ tarda. Propendevo per la seconda. Le missioni perfettamente riuscite potevano essere frutto di fortuna, o di stoltezza altrui, o forse tutte e due le cose. Di sicuro, io, furba, non sono mai stata. Senza scrupoli si, crudele eccome, contorta anche,  ma non ho mai brillato per astuzia. O forse gli altri si sono fatti più intelligenti di me, chissà. Comunque, sono stata beffata. In tutta la serata, non mi accorsi di niente. Rimasi in compagnia dei miei nipoti e protetti, tutti tranne Nysha, e dei miei amici, Isnark e Chekaril esclusi, che erano via per affari loro, una sera intera, senza che nessuno mi dicesse niente. Ci divertimmo, mentre Machin dava fondo a tutto il suo repertorio di follie assurde, e chiacchierammo, tutto qui. Una serata nomale. Io litigai per l’ennesima volta con Roxen, perché trattava malissimo Capouille, che subiva stoicamente, Zipherias calmò le acque con una sola parola. Io e mia figlia ci guardammo in cagnesco per un po’, e poi ridemmo insieme ad una battuta di mio nipote, stando, da quel momento in poi, attaccate come per una corda. Io le chiesi se le dispiaceva stare via per un po’, lei mi disse semplicemente che aveva plagiato un paio di generali affinché si fidassero di lei, e la proponessero come valida recluta per farmi da guardia. Dicendo quello, era tutta contenta, sorridente come di fronte ad uno dei costosi oggettini che le piacevano tanto. Beh. C’era qualcosa che non andava, in quella scusa, perfino una mente tarda come la mia era capace di accorgersene. Decisamente c’era qualcosa di strano in tutto quell’entusiasmo: di solito, quando io le avevo chiesto di accompagnarmi, si era sempre rifiutata con qualche scusa. Proprio non riuscivo a capire. Desistetti quasi subito. Ad un’occhiata superficiale, Roxen mi sembrava serena ed allegra, del tutto bendisposta a passare un bel viaggio con me, e la compagnia. La guardai con sospetto, ma lei sorrise ancora di più. No, non me la contava giusta. O stava cercando di farsi perdonare qualcosa, o mi stava semplicemente turlupinando come faceva con i suoi amichetti potenti. Negli anni era divenuta parecchio esperta nel mentire. Era stata così anche da piccola, con una naturale tendenza alla bugia, alla ribellione sotterranea. Avrei dovuto imparare da lei: non sono mai stata così sottile. Oh, ero brava ad impersonare altre persone, ero sempre stata un’attrice discreta, ma non facevo mai tanti giri per arrivare ad una cosa, quanti ne faceva lei. Bah. Quell’elfa era un mistero. Per il resto, fu piacevole stare in mezzo agli affetti più cari. Dava un senso di calore, di protezione, che chissà quando avrei potuto provare nuovamente. Guardai Nilyan e Machin fare un po’ i pazzi, e mi resi conto, con immediatezza brutale, che la piccola principessa ci avrebbe seguiti. Era così strano: la bambina che, fino a qualche tempo prima, pestava i piedi a terra, piangendo, quando me ne andavo, sarebbe venuta con me. Avrebbe finalmente visto un po’ il mondo, osservato la vita oltre il bosco di Sharilar, oltre il castello dove tutti la viziavano. Per la prima volta, sarebbe dovuta rimanere al freddo fuori, continuando a camminare, a cavalcare, mentre si gelano i piedi, senza la prospettiva di una camera calda e di un bagno bollente, di un po’ di ristoro. Ringraziai chissà chi che l’inverno fosse quasi finito. Non avevo voglia di sentire Nilyan nelle orecchie, ero già abbastanza di malumore in quei viaggi senza senso. Per un attimo, mi sentii anche piena di spavento. Come avrebbe reagito a tutte quelle novità? Sarebbe, verissimo, stata sempre in mezzo alla sua famiglia, ma lei non era mai stata maltrattata dagli ufficiali dei confini, messi lì apposta per fare la ruota, i pavoni. Non aveva mai subito, non era mai stata costretta a chiudere il becco ed andare avanti. Temetti, quella sera, per il suo potere. Un minimo sgarro era capace di farla esplodere. Lei aveva imparato a controllarsi, ma quelle erano situazioni tanto nuove. Mi sentivo in ansia come una madre, da quel punto di vista. Quella maledizione che si portava dietro la limitava, tanto, la rendeva una bambola fragile da proteggere. Sapevo quanto odiasse quel fatto. Maledii Nemys, silenziosamente. Uno dei motivi per il quale aveva voluto un bambino, era stato quello di potergli trasmettere tutta la sua impressionante eredità di creatura che di elfo aveva solo l’aspetto. Le sue speranze erano andate infrante, tutte. Sua figlia non era come lei, era solo una povera creatura vivente. Quel potere spaventoso rendeva Nilyan solo più vulnerabile, era solo un’ulteriore limitazione alla sua libertà. Lei stava male anche solo usando un piccolo incantesimo, perdeva il controllo in un attimo. Avevamo cercato gente esperta, più esperta degli inetti sacerdoti di Uruk, ma la nostra ricerca era stata vana. E mia nipote era cresciuta nel costante terrore che le succedesse qualcosa, come se non bastasse la sua posizione. Le responsabilità per le sue esili spalle erano troppe. Io ero tanto preoccupata. Quella magia tanto decantata era divenuta fonte di spavento per Nilyan stessa. Non serviva a nessuno, solo a negarle certe cose. Non avrebbe mai salvato un popolo, non avrebbe mai aiutato dei disperati. L’avrebbe solo fatta soffrire, io ne ero certa. Quella che sarebbe dovuta essere l’arma di liberazione definitiva per Uruk, e non solo, era divenuta una zavorra troppo pesante. Temevo che mia nipote, prima o poi, andasse a fondo. Era stata dura impedire alla piccola di sfruttare quel timore che noi, a volte avevamo di lei, anche se lei stessa era terrorizzata dalle cose brutte che le accadevano di tanto in tanto. Per fortuna che lei aveva capito fin troppo presto a temere quei giochetti che sembravano riuscirle tanto facili, ma che erano sempre seguiti da un fatto strano, e poi, da febbre alta ed altre pessime sorprese di quel tipo. Ma il problema principale era un altro. Non eravamo solo noi a provocare quegli scoppi improvvisi: a volte sembrava accadere tutto per sbaglio, da solo, ad una minima sollecitazione. C’era da aspettarsi una crisi da un momento all’altro, e mi pareva molto strano che Isnark, senza il mio zampino, l’avesse mandata con noi, allegramente in giro per terre selvagge. Noi, tutti quanti emerite cime di rapa per quanto riguardava la magia, incapaci di aiutarla in casi estremi. Persino Zipherias, il più capace, era poco meno, o meglio, molto meno, di mediocre. L’ultima volta che c’era stata un’esplosione di magia, era stato per un litigio, proprio per colpa del padre, quello se lo sarebbe dovuto ricordare fin troppo bene. Una delle solite scaramucce. Nilyan moriva dalla voglia di vedere uno degli spettacoli del cugino, Isnark l’aveva impedito. Una cosa che, normalmente, non avrebbe provocato altro che malumore, un paio di discussioni, poi il mio intervento, e lei sarebbe venuta con me di nascosto, come prassi. Da quello che mi ha poi raccontato uno scioccato Isnark, nel bel mezzo della tutto sommato calma discussione, si era schiantato senza motivo apparente un ripiano della libreria del suo studio, poi le luci, tutte, si erano spente, nella camera. Nilyan era divenuta intoccabile. Incapace di anche solo parlare, muoversi, attaccava, in vari modi, tutti coloro che osavano toccarla. Il corpo la difendeva, ma lei non se ne rendeva conto. Al mio povero, protettivo, amico era venuto un colpo. C’era voluto l’intervento di un paio di sacerdoti per calmarla. Lei era stata male per giorni, mentre io ed il padre ci rodevamo dal terrore che potesse accaderle qualcosa. Avevo quasi ammazzato Isnark quando mi avevano avvertita della cosa, salvo poi scoprire che lui era rimasto basito quanto me. Pensandoci un po’, come poi feci, è facile prevedere quando la magia è sul punto di scaricarsi da sola. C’è sempre stata una cosa comune: malumore. Nei giorni precedenti a quel brutto fatto, la mia piccina era stata stranamente arrabbiata e dura, una copia in chiave minore di Roxen, cosa insolita per il suo volto sempre con quel sorriso furbetto. Da quel giorno ero divenuta ipersensibile ai suoi cambi d’umore, molto attenta a chiacchierare tranquillamente o rimproverare con ragione, fermandomi quando le reazioni mi sembravano esagerate. Avevo preso il vizio di spiare ogni suo passo, ansiosamente, nell’attesa del giorno in cui lei fosse stata immusonita e facile al pianto. In quel momento, guardarla era d’obbligo. Non mi sembrava per niente triste, con mio enorme sollievo. Sembrava del tutto su di giri all’idea di venire con la sua zietta e gli amici. Faceva festa con il cugino, con Machin, improvvisando tutto quello che veniva loro in mente. Il fatto che mio nipote fosse anch’egli un po’ troppo allegro, come se avesse bevuto del vino, non era di buon auspicio. Avevo dovuto fermarli dal duellare con le posate, mentre Dae li aveva beccati giusto in tempo per evitare uno scherzo piuttosto cattivo ai danni del povero Zipherias. Ma la cosa mi piacque. Adoravo vedere Machin così di buon umore, i miei nipoti così allegri. Almeno, il piccolo era guarito da quell’orribile sgarbo, o così mi sembrava. Il pomeriggio lo avevo visto, un po’  troppo malinconico per i miei gusti, guardarsi allo specchio, tastandosi il viso. Era un comportamento normale ammirarsi, per lui, così vanesio, ma non con quell’aria di condannato a morte. Quando gli avevo chiesto cosa non andasse, preoccupata che ricadesse nella sua tristezza, mi aveva risposto, sconsolato, di essere troppo pallido, troppo carino, troppo giovane. Aveva posto un’insistenza esagerata sull’ultima parte del discorso, cosa che mi aveva insospettito. Come se lui stesse cercando di farmi capire una cosa essenziale. Gli avevo domandato cosa davvero non andasse. Lui mi aveva guardato strano, ed aveva ripetuto le stesse cose, con ben poco entusiasmo. Mi era parso ancora più strano, ma ero stata costretta a fare finta di niente, per non turbarlo troppo. Forse era solo triste del fatto che io sarei stata costretta a partire, stando lontana da lui per tanto tempo. Preferivo non esagerare: ero una zia molto mamma chioccia, ma i miei piccoli avevano anche gli affari loro. Avevo cercato di non sembrare troppo asfissiante, e mi ero semplicemente limitata a scompigliargli i capelli, prima di andare per i fatti miei. Quell’infelicità sembrava scomparsa, per fortuna. Machin mi sembrava essere il solito pazzo scatenato di sempre.  Era una grossa fortuna. Non avrei potuto fare nulla se fosse sprofondato di nuovo nell’inquietudine. Sapevo che Amarto e Dae avrebbero vegliato su di lui, e quello mi rassicurava molto. Cercai di godermi quella che, secondo i miei calcoli, sarebbe stata l’ultima cena insieme per un bel po’ di tempo: nei gironi che sarebbero venuti sarei stata troppo impegnata a preparare i bagagli, concertare cose con Isnark, visto che dovevamo dare un passaggio a quei due matti, approfittando di quella scarsa collaborazione che c’era tra umani ed elfi, e, soprattutto, insegnare a Nilyan come prepararsi, dove andare, e cose varie. Trovare i miei abiti da viaggio, che non vedevo l’ora d’indossare di nuovo. Speravo che almeno quelli non fossero avvelenati: per fortuna avevo fatto controllare. Procurarmi una nuova borraccia. Tutte piccole cose poco piacevoli.  Preferii quindi dimenticare ogni problema fino alla mattina seguente, ogni interrogativo, e fare finta che Nilyan non fosse  una creatura potenzialmente pericolosa, Machin solo un bambino triste, entrambi ancora fragili e modellabili come argilla. Preferii pensare che fosse tutto a posto, che i miei piccini non fossero creature importanti, dal nome troppo pesante da portare. Sperai che nessuno si approfittasse della presenza della principessa nel gruppo. Era una fortuna che fossimo intoccabili, una vera fortuna. In caso contrario, non avrei saputo proprio che pesci prendere. Mi confortai: per fortuna, si trattava di una missione fin troppo semplice. Ecco, fin troppo semplice. Machin era al sicuro, a Kyradon, Nilyan con me, con Zipherias, con Capouille, con Roxen, che, sotto le sue vesti di arrivista senza scrupoli, era una combattente davvero niente male. Non c’erano battaglie previste. Non ci sarebbero state scosse. Ah, era meraviglioso. Beh, sicuramente non mi faceva piacere il fatto di avere un sovrano che era divenuto un pupazzo senza nerbo, impegnato esclusivamente a sopravvivere, ma, il fatto che non fosse uno dei soliti viaggi pieni di colpi di scena mi rassicurava. Avevo troppo a lungo viaggiato senza una meta, oppure con la sfortuna come mia compagna. Era l’ora di un po’ di tranquillità.

Come previsto, passai la seguente settimana a preparare il mio tranquillo viaggio. Recuperai tutte le cose da portare, mi presi un po’ a capelli con Zipherias, il portatore dell’inutile, feci un po’ di coccole a Machin, che sarebbe rimasto con Chekaril e Manolìa, consultai mappe su mappe con Capouille, chiesi miliardi di volte ad Isnark perché sorridesse con quella faccia da condannato a morte, perché stringesse la figlia così strettamente, sempre più espansivo, ricevendo sempre un “sono preoccupato” come risposta, preparandomi, firmando documenti su documenti per la mia assenza, sperando che non succedesse nulla di grave. Mio nipote tornò ad abitare nel castello, nel suo appartamento da Guardia. Io tornai a Sharilar per recuperare qualche oggetto utile e per mettere un po’ d’ordine in quella stalla che era la mia camera. Nascosi accuratamente certe cose scritte di mio pugno che dovevano rimanere celate. Non potevo raccontare a nessuno il mio passato, né potevo far leggere il mio diario di una tragedia ad una Dae, per esempio. Quelle cose erano per me, solo per me. Nessuno doveva sapere di chi fosse figlia Roxen, o chi avesse ucciso il Principe di Galinne. Lo infilai in un cassetto della scrivania, cauta, facendo attenzione a non disperdere nulla. Poi lessi per l’ultima volta la lettera che Tijorn mi aveva scritto prima che scappassimo, prima che lui fosse ferito, quella ferita che lo avrebbe portato alla morte. Come mi mancava mio fratello. Come avrei voluto fosse lì, a vedere i progressi del piccolo, a vedere me, che, pian piano, riemergevo da quella fossa che mi ero scavata con le mie stesse mani. Dopo un po’, avemmo l’idea chiara di cosa fare, e dove andare. Saremmo partiti la mattina presto, quando l’alba non era ancora spuntata, noi del vero gruppo di ambasciatori. Avremmo poi dovuto incrociarci con i pazzi, diretti nel Regno, in una piccola città del Nord estremo, in cerca di un contatto, per dirigerci al confine, passare e poi salutarli, forse per sempre. Isnark mi aveva spiegato che aveva un nuovo modo. Il contatto era un Guaritore, o finto tale, uno stregone, almeno. I due contatti si sarebbero spacciati per Guaritori anch’essi, a tutti gli effetti. Avrebbero avuto anche un documento che li attestava come tali, e l’abbigliamento tipico. Avevano seguito un breve corso per apprendere almeno le basi. Era una copertura perfetta, ma io rimanevo inquieta. Se solo avessero scoperto gli altarini, allora per quei tipi sarebbero stati guai, guai seri. Sperai per loro, gli idealisti, che tutto sarebbe andato benissimo, sperai che non si facessero notare troppo. Ma poi, mi disinteressai della cosa. Io non conoscevo quegli elfi di sicuro. Perché preoccuparsi per loro? Avevano voluto loro tutto quello. Sapevano cosa succedeva a coloro che venivano beccati. Tanti non erano più tornati da quel viaggio assurdo. Poveri cari. Mi chiesi se avessero una famiglia, dei figli, o se fossero giovani. L’avrei saputo presto: quei due mi facevano una pena immensa. Ma poi smisi di pensare a tutto quello. Così si avvicinò il giorno del viaggio. La sera prima, andai da Machin a salutarlo. Con lui c’era Chekaril, e anche Manolìa, per mia fortuna, che, almeno, non sarei stata costretta a salire nei meandri della biblioteca per scovare quel topo. Vidi tutti e tre stranamente tesi. Machin si muoveva a scatti, come sotto l’effetto di chissà cosa. Gli brillavano gli occhi. Mi salutò prendendomi quasi in braccio, e disse che mi voleva bene. ricambiai con trasporto. Sapevo che gli sarei mancata. Ero andata via da loro con un senso di tristezza. Chissà per quanto non li avrei rivisti.

La mattina dopo, mentre ancora tutto era calmo, di notte, sgattaiolai fuori dalla mia camera, una bisaccia piena sulle spalle, per raggiungere Nilyan e gli altri nelle stalle. Avevo finalmente smesso quegli orribili abiti viola, preferendo ad essi un completo comodo da viaggio, verde, con un bel mantello marrone e largo, liso e consunto. Avevo nascosto, come simbolo di appartenenza alla mia casta terribile, la stella, le cicatrici da Ch’argon, sotto una benda viola, come facevo sempre. Avevo preso, esultando, la spada, ed avevo legato i miei capelli ricci. Libertà, finalmente. Niente più scartoffie. Amavo quella parte del viaggio. Tanto valeva vederla in positivo. Non so perché, ma la prospettiva del viaggio mi esaltava. Ero proprio curiosa di conoscere, di sapere cosa fosse successo agli umani in tutto quel tempo. Come percepivano Regis, se qualcuno ricordava ancora le sue gesta. Avevo messo, al sicuro, la lettera in una tasca interna, con tutti gli altri documenti, compresi i due nomi dei poveri stupidi, nomi che non conoscevo. Certo, era una cosa brutta e noiosa, ma non sarei riscuota a passare senza quella lì, ed era importante, dopotutto. In tempi di pace sarebbe stata una questione di vita o di morte. Prendendo Nilyan, che si era recata dal padre, una trottola impazzita vestita degli stessi colori miei, e lasciandomi dare da Isnark, un mesto Isnark, che mi abbracciò addirittura, minacciandomi nell’orecchio che, se non fossi stata attenta alla figlia, mi avrebbe tagliato le orecchie, lo stendardo di Uruk da mostrare all’arrivo, nella pompa del ricevimento ufficiale, arrivai finalmente alla stalla. Erano tutti pronti: Zipherias, in sella al nuovo cavallo, dello stesso colore dei tanti che aveva avuto, anche dallo stesso nome e stessa grandezza, che ci salutò con aria leggermente stordita, un assonnato Capouille che sembrava sul punto di cadere dalla sua cavalcatura baia, abbracciato alla sua bisaccia, Roxen, fiera ed imponente sulla cavalla bianca che le avevamo regalato noi, che ci soffiò un bacio quando ci vide, ed un sorriso. Saltai in groppa al mio piccolo, insignificante, irsuto, docile, Nano, rimpiangendo i tempi di Nina, in cui, almeno, ero alla stesa statura degli altri. Quel mostriciattolo pacioso era davvero ridicolo, ridicolo per una come me. D’accordo, ero bassa, piccolina, una nana in fondo. Però non potevano darmi quello che era quasi un cavalluccio per bambini, no! Un ronzino placido. Quello era il mio povero cavallo. Ero però troppo allegra per fare caso alla mia, ennesima, drammatica, mancanza di altezza. Incitai, impaziente, mia nipote a salire sull’agile cavallo scuro che le aveva regalato il padre, e fui io la prima a mettermi in moto, diretta verso la meta dell’appuntamento, al passo. C’era tanto tempo: nessuno ci correva dietro. Una nuova, tranquilla, avventura. Come mi piacevano i viaggi senza scosse…e quanto mi sbagliavo!

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Capitolo 12
*** Nel peggiore dei modi possibili. ***


Nella penombra placida dell’alba, cominciammo ad avviarci verso il boschetto dove avremmo incontrato i nostri due passeggeri

Nella penombra placida dell’alba, cominciammo ad avviarci verso il boschetto dove avremmo incontrato i nostri due passeggeri. Sapevo che non saremmo arrivati prima della tarda mattinata, così mi misi comoda, cavalcando senza fretta. Tutti avevano la stessa andatura, pigra, anche assonnata. Muoversi rapidamente era una sciocchezza: la vera parte brutta sarebbe stata nel Regno, quando, oltre a non sapere la strada, avremmo dovuto correre, per evitare il più possibile brutte sorprese. Non si poteva mai sapere. Attraversammo Kyradon per viuzze secondarie, senza fare rumore, sperando di non incontrare nessuno. Non avevamo voglia di vedere gente che potesse fare congetture, benché quell’atteggiamento potesse sembrare anomalo. Beh, ci spiassero pure: non avevamo niente da nascondere. La cosa più nascosta e proibita che avevo nelle tasche erano delle ottime gallette che dovevo aver sgraffignato dalle cucine del castello, non vista. Se solo avessero voluto spiare quanti biscotti avessi, leggere un trattato soporifero su scambi commerciali, documenti e documenti vari,  facessero pure. Certo, avevo anche i nominativi falsi di quei due pazzi che ci avrebbero seguiti, per poi entrare la fortuna nel Regno, ma cosa capisce una Spia di due nomi su un pezzo di carta che sembrava strappato da un libro? Dicevano tanto i comunissimi nomi Liam e Flanner, come no, i nomi più diffusi in tutto il Regno, due nomi che, a mio parere, davano già l’etichetta di Guaritore. Forse i dolci mi avrebbero messa seriamente nei guai con qualcuno a caso, ma proprio a caso, della nostra compagnia, che si portava la legalità e l’onestà al guinzaglio, e non sopportava la mia sporadica golosità, ma non erano cose vietate nel Regno. Contrabbando di biscotti: la cosa era divertente. Ah, ero proprio scaduta, ma tanto. Un tempo io e l’illegalità, i documenti segreti, le armi, i veleni, andavamo a braccetto. Quasi mi mancavano quei periodi, anche se non rimpiangevo un bel po’ di cose. Cercai di smettere di pensare, e concentrarmi. Anche se sopportavo bene le levatacce, rischiavo di addormentarmi. E dopo chi avrebbe sentito i miei compagni, con quale pazienza? Uscimmo dalla città che il sole stava per sorgere, immergendoci tutti in una nebbiolina color argento ed oro, lì dove i primi, timidi, raggi, andavano a colpire la terra che sonnecchiava. Avevamo scelto bene il tragitto: le imposte delle case incrociate erano tutte chiuse, e, per strada, nemmeno un cane randagio si faceva vedere. Mi era parso di sentire, ad un certo momento, uno scalpitio di zoccoli che non erano quelli dei nostri cavalli, ma era stata un’impressione fuggevole e momentanea. Così improvvisamente svanita da farmi pensare di aver immaginato tutto, e farmi scuotere la testa come un cane bagnato. Eh, no, non volevo più allucinazioni. Mi bastava aver visto un tipo mezzo mummificato con i capelli blu. Ancora non ci potevo pensare. Capelli blu. Turchesi, azzurrini. Ah, quando la mia mente si scatenava. Per fortuna, nessun fenomeno anomalo si era più presentato, e mi ero un po’ rilassata. Mi ero guardata attorno: eravamo dal lato interno della città, appena usciti dalle mura. Davanti a noi si stagliava la piana che avremmo dovuto attraversare, la strada sterrata nella brughiera, e poi il sottobosco. C’era troppa nebbia per vedere oltre. Sbuffai. Come al solito, mi ero rintanata nel fondo della fila. Il più vicino a me era Zipherias, che cavalcava in silenzio, non una novità, per lui. Poi Nilyan, a cui sembravano aver ficcato un fulmine in corpo. Era tutta contenta, eccitata al massimo dall’idea di andare in viaggio. Era la prima volta della sua vita. La prima volta, che usciva da Uruk. Ogni tanto mi lanciava occhiate strane, quasi nervose, come se non sapesse cosa fare e dove andare. Le avevo sorriso un paio di volte, e lei mi aveva fatto una linguaccia in risposta. Roxen era avanti con Capouille, e lo stava riempiendo di chiacchiere. Aveva del tutto dimenticato il malumore della sera precedente, e cianciava allegramente, con la sua bella voce melodiosa. Sembrava essersi tolta un peso, una maschera, un qualcosa di molto ingombrante o pesante da dosso, forse la sua stessa reputazione, e l’idea che doveva dare di sé agli altri. Ah, quell’elfa com’era lunatica, imprevedibile come il tempo primaverile. Specialmente con quel povero elfo. Cosa aveva fatto di tanto male per meritarsi quell’atteggiamento incomprensibile? Un giorno lo trattava come uno straccio, in un modo che davvero mi faceva venire voglia di prenderla per le orecchie e farle implorare scusa in ginocchio, l’altro cicalava e cicalava con lui, di tutto, come se fosse suo fratello gemello. Sospettai che quella volta, almeno, fosse per tenerlo sveglio: davvero il disgraziato non si teneva in piedi, o meglio, a cavallo. Aveva, un paio di volte, ondeggiato pericolosamente, e temevo di vederlo, da un momento all’altro, penzolare dalla sella,  addormentato  di gusto. Eppure Capouille era sempre stato piuttosto mattiniero. Doveva aver fatto tardi a preparare le ultime cose. Ogni tanto gli capitava, specialmente quando i genitori erano in giro. Mi scrollai nelle spalle. Qualunque cosa fosse successa, non erano affari miei. Non mi dovevo immischiare. A me importava solo non dover assistere ad una figura estremamente infamante per il mio povero amico dai capelli rossi, che già era abbastanza canzonato per quel brutto difetto di linguaggio che aveva. Gli unici a far finta di niente eravamo noi, a parte Roxen, che ogni tanto lo punzecchiava ancora sulla sua balbuzie, quando le girava male. Ma lo stesso lui si sarebbe sentito molto ferito di essere visto in un momento di debolezza e mia figlia, con tutti i suoi difetti, lo sapeva. A volte Capouille mi faceva pietà. Di nuovo, mi scrollai nelle spalle. Non doveva fare tenerezza a me, la sfortuna per eccellenza. Il pensiero m’incupì, e mi lasciai ad andare a pensieri che non avevano nulla a che fare con il bel paesaggio montano, vivo e vibrante, che mi si stagliava davanti. Ad un certo punto, mentre percorrevamo tranquillamente, senza scossoni, il sentiero, diretti al bosco che si profilava già all’orizzonte, mentre il sole si levava in tutto il suo splendore, Zipherias rallentò, per accostarsi alla mia minuscola cavalcatura. Mi vergognai, quanto più è umanamente possibile. Il drago e la pulce, ecco cosa sembravamo. Non è difficile dare i ruoli. Aveva voglia di dirmi che non era così terribile, che non ero così minuscola. Me lo ripetevano tutti, da quando la statura era divenuta una vera e propria fissazione. E quando mai non lo è stata, per me?  Io mi sentivo terribilmente a disagio, così piccina, così bassa rispetto alla norma. Contando anche che la statura umana, anche, era cresciuta in quegli anni, che gli umani erano più alti, alcuni quasi quanto un elfo…ero divenuta universalmente minuta. Forse un Inu mi avrebbe considerata ancora normale. Anche loro era piccolini. Ma mai quanto me. Cerca di non importarmi della cosa. Feci finta di niente, e guardai il mio amico, che ricambiò il mio sguardo. Di solito, non si abbassava al livello dei comuni mortali solo per un po’ di compagnia. La Guardia voleva sempre qualcosa da noi, quando si avvicinava. Era un comportamento sopportabile nel castello, ma in viaggio diveniva snervante. Beh, pazienza, era fatto così. Difficile spezzare la sua corazza di cinica indifferenza, anche se, di solito, guardarlo negli occhi, in quelle pozze dorate, rivelava ogni suo pensiero, per quanto lui cercasse di nasconderlo. Lui mi sembrava un po’ ansioso, troppo. La cosa mi parve sospetta, e strinsi gli occhi. Ebbi l’impressione che mi si nascondesse qualcosa. Cercai di scacciare questa sensazione quasi subito. Ovviamente mi sbagliavo, mi stavo sbagliando. Ero una vecchia paranoica che nascondeva i biscotti nelle tasche interne del mantello. Che lui l’avesse scoperto? Il pensiero proprio non mi entusiasmava. Se solo Zipherias mi avesse scoperto a mangiare quelle gallette l’avrei pagata cara. Una litigata, probabilmente. Non mi andava di discutere con lui, che, nonostante i suoi difetti, era un mio amico carissimo, ma non sopportavo che mi si dicesse cosa fare o cosa non fare. Che poi l’indirizzo reale di quei dolci fosse Isnark non me ne poteva importare meno, anzi. A volte quell’elfo era terribilmente noioso. Pedante. Un po’ di sale e pepe nella vita erano essenziali. Ecco, ora si spiegavano molte cose. Non mi stupivo che Machin e Nilyan fossero venuti su così intemperanti. Con una tutrice come me, che li accompagnava nelle sortite notturne in dispensa, salvo poi punirli severamente in caso di una macchia di marmellata sui vestiti, era più che normale. Ancora dovevo scoprire la vera portata della loro disobbedienza. Cercai quindi di darmi un contegno. Mi misi più dritta. Zipherias sorrise leggermente. Era un bel sorriso, che lo illuminava tutto, illuminava quella pelle scura, nera come carbone, sui cui gli occhi scintillavano in maniera così particolare. Detestavo quando si comportava così. “non hai bisogno di sembrare più alta”. Mugugnò lui, allargando di più il suo ghigno. Tutto l’affetto nei suoi confronti svanì di colpo. Lo guardai malissimo. Lui non fece una piega. Era abituato a non reagire. Facendo l’abile gnorri, guardò in avanti. Ancora, nelle orecchie, il monologo infinito di Roxen, le risposte strascicate di Capouille. “sembra che oggi la piccina sia di buon umore, eh?”. Come odiavo quel comportamento. Era chiaro come acqua di fonte che quello lì mi stava nascondendo qualcosa, o voleva dirmi un paio di cose. Lo guardai, lasciando che l’abile Nano seguisse le orme degli altri, già ormai vicini al boschetto. Sentii la curiosità montare. Ah, tra poco avremmo dovuto fermarci per aspettare i due idealisti, i due pazzi. Ancora non avevo capito che sorpresa mi aspettava. Comunque, ero di malumore. Non mi piaceva vedere la gente che andava tranquillamente ad ammazzarsi. Si sapeva quanto fosse difficile, impossibile, tornare indietro. Avevano trovato un nuovo modo per scampare ai controlli, ma non mi fidavo di esso. Era sempre una contraffazione, e quelli lì erano fin troppo abili a scovare un bugiardo. Speravo solo non incappassero nelle manine di fata di Jalim. Altro che dito mozzato, poi.  Perciò, reagii di malagrazia verso quel poveretto che, chissà, non voleva far altro che avvertirmi. “che vuoi?”. Domandai, guardandolo in cagnesco. Era sempre così, tra noi due. Mai un discorso tranquillo. Davvero quell’elfo era capace di farmi andare fuori dai gangheri. Il suo sguardo s’indurì. “volevo solo starti un po’ vicino”. Asserì, scrollandosi nelle spalle. “Capouille è assediato da Roxen e Nilyan è una molla tesa. Mi annoio da solo”. Certo, come no. E allora quello sguardo sfuggente di mia nipote era un caso. Guardai la Guardia, maggiormente in allarme. Lui non sembrò farci caso, e si chiuse nel suo mutismo solito. Zipherias, il mio caro Zipherias, non si annoiava mai da solo: casomai, era la compagnia a mandarlo in catalessi. In tutti i nostri viaggi aveva cavalcato con la testa altrove, spesso in silenzio, sorridendo di tanto in tanto. Ma che diavolo succedeva? Non erano i miei soliti compagni, che mi lasciavano in pace alla fine del corteo, a fantasticare per cavoli miei. Mi sentii, stranamente, oppressa. Protetta. Non era mai successo. C’era qualcosa di strano: la mia mente lo registrò in un attimo. C’era qualcosa di nascosto che non era ancora venuto a galla. La cosa mi pareva, ogni secondo che passava, più sospetta. C’era qualcosa di terribile in giro. Anche Nilyan rallentò, sempre tutta allegra. Ma io ero in allarme. Qualcosa si era smosso, avevo sentito un battito mancare, ed una scarica di agitazione. Accidenti. O avevano scoperto dei biscotti, o qualcosa non andava. Che mi stessero per dare la vera lettera? Che quella che proteggevo fosse solo un pretesto? Ebbi un lieve palpito di speranza. Oppure poteva essere una cosa stupida, sciocca. Il mio amico era noto per agitarsi per una piccolissima cosa. Nilyan non mi sembrava tanto nervosa. Agitata si, ma in senso buono. O forse io lo intendevo come tale. In silenzio, entrammo nel boschetto. Larici, sottobosco vario, castagni. Pochi abeti. Tipico di Uruk, di Sharilar. Prendemmo il sentiero. Mi guardai indietro. Non volevo essere seguita. Niente. Dietro di noi, il vuoto. Nessuno ci seguiva. Mi permisi di essere più calma. Nessuno avrebbe scoperto nulla. Non dovevo essere sciocca. Trasportavamo traditori con noi, li avremmo trasportati a breve. Ci avrebbero raggiunti, lo sapevo, tra poco. Era pericoloso, lo sapevo. Il bosco era chiassoso ma tranquillo, quel caos che solo chi abita di diritto in quei luoghi può fare, solo i piccoli animali che si davano la sveglia. Cominciammo l’ultima parte del percorso affiancati, noi tre. La parlantina di Roxen si era arrestata, e ora lei camminava accanto a Capouille, concentrata. Tra di noi cadde il silenzio, un silenzio che mi riempì d’inquietudine. Decisamente, preferivo tutto com’era prima, calmo, pacioso, non di quella calma creata a forza. Qualcosa non andava, qualcosa stava per accadere. Mi spiegai che prima o poi l’avrei scoperto, e probabilmente era tutto dovuto all’arrivo dei due prossimi suicidi. Non era una cosa allegra, in fondo. Avrei scoperto tutto nel peggiore dei modi possibile. Dopo un po’, anche il sorriso onnipresente della piccola svanì, trasformatosi in una smorfia piena di attesa. Il cuore prese a battermi più forte. Mi sentii contagiata da quel nervosismo. Avevo una strana impressione, come se non sapessi qualcosa che avrei dovuto sapere. Come se mi si stesse per nascondere una cosa di essenziale. Arrivammo così, tesi su un filo sottile, al punto dell’incontro. Una parte del sentiero sterrato che si allargava, diveniva quasi tondo, nel bel mezzo del bosco, carezzato anch’esso dai raggi del sole che si faceva sempre più alto e luminoso, trionfante. Ci fermammo. Mi sentii invadere dall’ansia. Avrei visto finalmente i matti. Chissà, magari li conoscevo. Sinceramente, non era affar mio quello di doverli persuadere a non andare. Potevano benissimo seguirci fino a Qerin, rimanere lì e non avere il coraggio di andare alla morte. Io quello lo permettevo. Era permesso, quando non c’era speranza. Quando era inutile sperare ancora, quando era vietato, quando gli elementi non c’erano. Poveri giovani scemi. Ci preparammo dunque ad accoglierli: io in testa, la Ch’argon e messa di Uruk, Zipherias alla sinistra e Nilyan alla destra. Tirai un bel respiro, profondo, e guardai i miei compagni. Entrambi fissavano me. Ricambiai il loro sguardo, perplessa. Decisamente strano. La sensazione di non aver capito qualcosa si fece molto più intensa. Feci per parlare, per rintuzzare quello strano comportamento, quando, all’improvviso, sentimmo uno scalpitare lieve di zoccoli, zoccoli e  tintinnio di campanelle. Deglutii ,mentre di nuovo il cuore faceva le bizze. D’accordo, perfetto, stavano arrivando. Mi dimenticai di quello che dovevo dire ai miei amici. Mi concentrai su come impedire ai due di andare a morire. Ancora non sapevo come le parole mi sarebbero sgorgate dal cuore. Ben presto, le figure di due alti giovani a cavallo si profilarono sul sentiero illuminato dalla luce sbadigliante del primo mattino. Due tipi che più Guaritori non si poteva. Cavalcavano due ronzini particolarmente male in arnese, inadatti completamente alla guerra, o al trotto, bestie da viaggio e da lavoro, del tipo rozzo e pesante affine a quello dei cavalli da tiro. Finimenti semplici, ornati di campanelle sporadiche, per farsi sentire e per far capire cosa fossero. Legati dietro, pacchi, pacchetti e bisacce in misura assurda, tipico di un Guaritore itinerante. Chiunque fossero, la sceneggiata la sapevano fare. Entrambi erano vestiti come appartenenti alla casta che dicevano di essere. Uno con un bel mantello bianco, e abiti grigi, l’altro completamente grigio sporco, per denotare, forse, il suo rango inferiore. I cappucci erano alzati, e non vidi, al momento, i loro visi. Ebbi la rapida visione di capelli scuri, e di una pelle abbronzata, ustionata dal sole. Mi allungai su Nano. Ero curiosa. Non avevo mai visto persone simili. Chissà, magari erano stupidi studenti, pivelli di infimo ordine. Aspettai che si avvicinassero. Anche loro ci videro, e rallentarono di molto, per quanto già andassero lenti. Ci scambiammo uno sguardo veloce. Il silenzio, d’improvviso, si fece più teso. Non riuscii a capire il perché. Cercai di sorridere, di darmi un atteggiamento cordiale. Difficile, quando avevo un elfo a fianco che mi guardava come se stessi per svenire da un momento all’altro. “ben arrivati”. Dissi, mentre si fermavano vicino a noi. Mi uscì una stranissima voce strozzata. Avevo percepito, anch’io, la grande addormentata, che c’era qualcosa di molto strano in giro. Avevo avuto un lampo di occhi che mi parevano familiari. Un colore…beh, avevo già visto da qualche parte, quel verde boschivo. Erano simili agli occhi di Chekaril. molto simili, se non identici. Ebbi una fitta d’inquietudine. Continuai a parlare. “se, per favore, vi toglieste i cappucci per farvi identificare, ci fareste…”. I due non mi fecero continuare. Non mi fecero mai continuare. Perché io non ebbi la forza di farlo. Capii  il perché di tutta quell’agitazione. A posto delle ultime parole mi sfuggì uno squittio senza senso. Mi sentii qualcosa in gola. Qualcosa in petto, che impediva di farmi respirare. Un grande dolore che non capivo dove iniziasse e dove finisse. La ragione di quell’orribile reazione erano loro. i due venturi suicidi. All’apparenza erano due giovani dalla faccia afflitta. Due calmi Guaritori, dalla pelle scura e dai capelli morbidi e castani. Era un trucco. Nessuno dei due aveva una carnagione così, né i capelli.  Ma, per me, che li conoscevo fin troppo bene, non traevano in inganno minimamente. Anche la forma del viso era sommariamente mutata. Ma gli occhi no. Gli occhi erano i loro. Non c’è unguento capace di cambiare un colore di occhi. Ehi, davvero, era un camuffamento perfetto. Un albiti perfetto. Tanto, uno di loro era anche Guaritore, per davvero! Per poco non risi all’assurdità della cosa, ma mi sentivo troppo male per farlo. Sentivo l’acido persino nelle narici. L’oppressione si fece più forte, il dolore più acuto ed intenso. Mi torturava. Sentii qualcuno mantenermi un braccio. Ma io mi divincolai. Maledetti. Bastardi! Come potevano permettere quello? Come? Due innocenti, due bambini, mandati al macello! Due…oh, due dei miei pulcini! I miei cuccioli! Perché si, avrei dovuto capirlo, io, la cieca. Avrei dovuto capirlo dall’umore di Miobashin, dalle strane occhiate tra i cugini, dalle riunioni segrete alle quali non partecipavo mai. Pensavo fossero tutte sciocchezze. Pensavo non ci fosse nulla di che preoccuparsi! E invece, eccomi lì, mezza morta su un cavallo, ad osservare due paia di occhi. Gli occhi di Aevo, e gli occhi di Tijorn, che mi fissavano, attraverso il tempo. Non ero stata abbastanza brava. Machin e Chekaril avevano deciso di morire. Non c’era cosa peggiore di quella. E chi, chi, dannazione, stava pigolando in quella maniera? Ero io, per caso? Ma ne avevo ben donde. Anni di amore buttati al vento. Il mio piccolino, che avevo giurato di proteggere! Che avrebbe pensato Akita, di me? Dovevo fallire fino a quel punto?

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Capitolo 13
*** Non ho mai voluto. ***


Quella era l’ennesima volta, l’ennesima in cui ho sentito il dolore accanto a me in quel modo, come un vecchio amante che non si decide a lasciarti

Quella era l’ennesima volta, l’ennesima in cui ho sentito il dolore accanto a me in quel modo, come un vecchio amante che non si decide a lasciarti. Conoscevo quella sensazione di pena desolata. L’avevo provata tante, tante volte. Quando scoprivo l’ennesimo tradimento del Principe, quando lui mi aveva schiaffeggiata, quando non aveva degnato Roxen di uno sguardo, salvo poi rubarmela senza tanti complimenti. Quando avevo visto il mio nuovo volto per la prima volta, il mio corpo diviso tra pienezza ed orribile incomprensibilità. Quando avevo scoperto che tutta la mia vita era stata nient’altro che un enorme inganno. Quando avevo ammazzato Chekaril, il padre di quel giovane idiota che ora mi stava davanti, quando avevo gioito ficcando una spada in corpo alla sua innocente moglie. Quando avevo visto il respiro di Tijorn fermarsi per sempre, quando mi ero voltata verso Akita e l’avevo vista fissare il soffitto, senza più vederlo. Quando avevo scoperto che anche Nemys mi avrebbe presto lasciata. Quei dolori, ferite nascoste che ancora non si decidevano a guarire, e che, forse, non sarebbero guarite mai. Ma quella volta era diverso, c’era qualcosa di diametralmente opposto in quelle staffilate che mi straziavano. La sensazione di non poter far nulla, di totale immobilità, mi aveva afferrata. La sensazione che qualcosa fosse irrimediabilmente naufragato, il sentore di avere le mani completamente legate. Come essere prigionieri in una stanza vuota e scura, che qualcuno aveva chiuso a chiave, come girarvi intorno alla ricerca di una libertà impossibile. Un uccellino impazzito in una gabbia troppo piccola per lui. Il destino di quei piccoli che avevo giurato di proteggere mi era sfuggito di mano. Avevo sbagliato in qualcosa di fondamentale. Ma cosa? Che avevo taciuto, per fare di quei due simili idealisti? Non si erano resi conto, loro, di quanto quel colpo di testa avrebbe potuto essere fatale? Non mi avevano vista, visto il relitto in cui ero stata trasformata, non si erano resi conto che la mia era solo una facciata che avevo tirato su per non turbarli? O era proprio quello, il problema? Loro avevano capito l’entità della mia pena? Era per quello che partivano, per vendicare me ed il loro passato? Avevo sbagliato, a non dire a Chekaril di chi fosse davvero padre, del perché assomigliasse così tanto al Principe del Regno? Avevo sbagliato, nel proteggere Machin dalla terribile verità, da ogni cosa che potesse ricordargli la morte dei genitori, che potesse scatenare domande inopportune? Era stato per quello. Ne ero sicura. Qualcuno aveva cantato con loro, li aveva bruscamente risvegliati da quell’esilio dorato in cui li avevo reclusi per troppo affetto. Fosse stato per me, non avrebbero mai saputo niente. Invece, ecco quello che era successo. Fallimento totale di ogni mia speranza. Due dei miei pulcini mandati a morire. E la sola parola che mi frullava, in quegli attimi, in una testa sconvolta era perché. Perché, accidenti? Perché Isnark aveva permesso tutto quello? Perché? Perché nessuno mi aveva preparata? Quel maledetto si fidava del nuovo modo per fuggire, oppure, semplicemente, quello era un modo per ferirmi? Perché aveva mandato proprio quei due giovani? Due giovani! Perché non aveva mandato uno dei suoi coriacei soldati? Perché? Perché dovevo soffrire tanto? Perché il figlio di Tijorn ed Akita, perché proprio lui, lui e Chekaril, perchè quel bambino che avevo rapito da Gerinti, che mi ero portata attraverso tutto il continente, che avevo salvato da una fine infamante, che avevo cresciuto facendo di tutto per assomigliare ad una madre, perché loro? Perché quei due, a cui avevo dedicato una bella fetta della mia vita? Perché non si erano rifiutati? Mi sentivo completamente inerme, inerme ed impotente, come se mi avessero tagliato gambe e braccia, cavato gli occhi, mozzato la lingua. Penavo di tutto. Al sacrificio del padre di Machin. Tijorn era morto perché il figlio vivesse in pace. E ora proprio quel piccolo andava a sacrificarsi! Andava lì, nella tana dei lupi! Non si rendeva conto? Io non gli avevo mai raccontato di come fossero stati terribili i mesi passati con Akita, le notti in cui mi svegliavo cercando di non urlare per non spaventare nessuno, quando sognavo Tijorn, quel grido che aveva seguito quella ferita mortale. Rivedevo ancora nella mente il volto pallido, reso ancora più mortale dagli abiti neri, della mia amica, di quegli occhi azzurri in cui non brillava un barlume solo di vita, nemmeno quando aveva visto il figlio. Ma lui non lo sapeva. Non sapeva che la madre non l’aveva nemmeno voluto sfiorare, così presa dalla fretta di morire. Avevo taciuto loro delle cose che forse sarebbe stato importante raccontare, per instillare dentro quei cuori sciocchi un po’ di paura e buonsenso. Estirpare loro ogni briciola d’intraprendenza e speranza, perché non si poteva sperare, perché ormai era tutto già perduto. Ma era giusto, era giusto quello che dicevo? Avrei davvero voluto trasformare i piccini in topolini spaventati, in vili? Davvero avrei voluto plasmarli come avevano plasmato me, punendomi, terrorizzandomi, picchiandomi quando osavo troppo, quando osavo alzare un po’ la testa? No, così avrei tradito tutte le mie promesse. Loro dovevano crescere sani. Però ecco, avevo sortito quell’effetto. Fallimento generale. Una dei miei protetti era scappata, e forse aveva tentato di ammazzarmi per il puro gusto di farlo. L’altra si era rifugiata nel suo mondo di carta e sogni, e ne era prigioniera felice. Una era un’arrivista perennemente insoddisfatta, che usava il mondo come una palla da prendere a calci quando si ha voglia. L’altra era costretta a rimanere in una campana di vetro per non impazzire. E quei due, quei due che avevo cercato di rendere liberi, indipendenti, a cui non avevo rubato nulla, a cui avevo permesso tutto, perché ero troppo buona? Quelli a cui avevo permesso di sbagliare? Avevano deciso di morire, di andare in una tana di lupi affamati. Nessuno dei miei piccoli si era salvato. Avevo fallito miseramente, come per ogni cosa che facevo. Avevo cercato di fare bene, ma non ci ero riuscita. Avevo tentato di allevare persone indipendenti e sane. Dalla mia fucina erano usciti oggetti monchi, fragili, storti. E tutto quello, per colpa mia. I morti avrebbero dovuto vergognarsi di me. La seconda reazione fu la rabbia, il secondo sentimento che provai, bollente come pece. Come osavano, quei due, lanciarsi nel vuoto in quella maniera? Come? Come osavano fare una cosa che, loro sapevano, mi avrebbe provocato tanto dolore, tanta pena? Io ero stata la loro tutrice, io ero l’unica a vantare su di loro un’autorità. Avrei impedito che proseguissero il viaggio. Li avrei rimandati indietro. Li avrei costretti a venire con me. Tutto, ma non quella cosa, quel viaggio proibito. Non era così che si guarivano le ferite, non era cercando una chimera. No. Avrei impedito loro di fuggire la vita. Io, che di certe cose avevo una dolorosa esperienza, che loro non conoscevano. Isnark non mi aveva detto niente. Non aveva fatto nulla per impedire tutto quello. L’avrebbe pagata fin troppo cara. L’avrebbe pagata, quel bastardo. Che, mi voleva ferire così? Aveva finto un’amicizia in tutti quegli anni, solo per poi vendicarsi? Si stava vendicando di me? Cercai, ancora in groppa al mio piccolo Nano, immobilizzata, senza più riuscire a vedere nulla, il mondo un confuso ammasso di colori, di dire qualcosa. No. Non sarebbero andati. Sarei tornata ed avrei posticipato la partenza per quello. Avrei preso Isnark a calci. Li avrei rinchiusi da qualche parte. Miobashin mi avrebbe sicuramente aiutata. Miobashin era dalla mia parte. Ma non riuscivo a fare nulla. Non trovavo un filo logico ai miei pensieri. Ero divenuta tutto dolore, indignazione, risentimento, odio, rabbia, ma, soprattutto, angoscia. Tristezza. Non potevo aver fallito anche in questo! Non potevo! Non potevo essere stata così idiota, così fallimentare, così stupida! Non accorgersi di niente, di niente, mentre un delitto si stava consumando sotto il mio viso! I miei bambini! Che gli saltava per la testa? Cosa? Quale assurdo grillo? Sentivo ancora quell’insistente pigolio nelle orecchie. Mi faceva male la gola, ma non capivo perché. Qualcuno, un paio di mani sicure, mi presero per le spalle. Conoscevo quella stretta, ma non la riuscivo ad identificare. Era una stretta rassicurante, amica, forte. Una spalla su cui abbattersi, su cui piangere. Qualcuno a cui aggrapparmi, debole bambina com’ero, per uscire da quel brutto sogno. Mi sentii sollevare da cavallo. Non opposi resistenza. Volevo che qualche persona si prendesse la mia responsabilità. Qualcuno poi mi strinse, un abbraccio che offriva consolazione, senza compatire. Mi arresi senza lottare, lasciando che qualcuno mi confortasse, cercasse di confortarmi, di tenermi a galla. Non volute, per niente desiderate, vennero le lacrime. Odiavo piangere davanti ai miei piccoli, l’ho sempre odiato, odiavo mostrami così debole. Loro non dovevano vedermi così, soffrire come un cane. Non avrei dovuto piangere. Ma non potevo farne a meno. No, non quando era successa una cosa del genere. Non quando non sapevo cosa pensare di me, del mondo, di tutto. Non quando tutti i miei sogni, le mie illusioni, erano volati al vento, disperdendosi come terra asciutta, come sabbia, come polvere. Sentii la gola ed il petto squassati da singhiozzi laceranti, che quasi non mi facevano respirare, che rendevano ogni respiro difficoltoso come se fossi sott’acqua. Stavo dando spettacolo, ne ero pienamente cosciente. Ma non m’importava. Non riusciva ad importarmi, nulla era importante, se non quei due che intendevano morire. Io che avevo mandato loro a morire. Era tutta colpa mia. Mia, e della mia incapacità. Del mio desiderio assoluto di proteggerli, che aveva finito, più che altro, di fare del male. Avevo sbagliato, non ero degna, non ero giusta. Ero puramente colpevole. Non sapevo, in quel momento, da dove stessero provenendo quei lamenti sommessi, troppo stanchi per avere una forza, per essere dovutamente disperati, o chi fosse ad accarezzarmi leggermente la testa, a tenermi come se fossi una reliquia, un oggetto fragile. Non ne avevo la minima idea, né lo volevo sapere. Tutto quello che sapevo è che, entro qualche giorno, avrei perso altri due dei miei pulcini. Avrei perso ciò che mi rimaneva di Tijorn. Perso per sempre, morto. Non li avrei mai più visti, e di loro non avrei avuto nemmeno la consolazione delle ceneri. Avrei perso quel po’ di fiducia in me stessa che mi era rimasta. Perché, accidenti, tutto doveva essere sempre così maledettamente difficile?

Dopo aver passato la mia solita parentesi di sconsolato vittimismo, asserendo che era tutta colpa mia, ripetutamente, mentre sentivo più persone strette intorno a me, cominciai a calmarmi. No , calmarmi non era la parola giusta per descrivere quella rabbia furiosa ed accecante che m’invase all’improvviso. Rabbia, contro l’ingiustizia del mondo. Rabbia, perché dei mocciosi che non sapevano dove fosse di casa il dolore si permettevano di riservarsi un posto tra gli eroi o i caduti. Rabbia, perché non potevo farci niente. Perché mi sentivo inutile. Perché avevano tutti deciso senza di me. Perché nessuno di loro due conosceva la vera sofferenza. Loro non avrebbero dovuto soffrire. Erano ancora troppo piccini, Machin soprattutto. Cosa diavolo gli era saltato in mente? Sicuro, ero sicura, quel furto gli aveva sconvolto la mente. Cosa voleva fare, vendicarsi? Vendicarsi per una stupida spada rubata, vanificando tutti gli sforzi che il padre aveva fatto per proteggerlo, per farlo addirittura nascere? Lui non sapeva, non si era mai resto conto, di cosa sarebbe potuto essere se non ci fosse stato lui. Non gli avevo mai raccontato di essere figlio, nipote, di Spie. Che la sua anima sarebbe dovuta appartenere al Regno. Che sarebbe dovuto diventare una macchina senza sentimenti e senza scrupoli. Ecco, non si doveva vergognare di quello. Si doveva vergognare di stare sputando sopra il sacrificio del padre. Lui non sapeva  perché fossero morti i suoi genitori. Non l’aveva mai saputo. Cercai di smettere di singhiozzare. Fu facile: la rabbia mi stava possedendo, stava affilando i suoi artigli. Li avrei rimandati a casa a calci. Lì Miobashin avrebbe fatto quello che non potevo fare. Povera Guaritrice. Chekaril era degno figlio di suo padre, a lasciarla così. Mi divincolai dalla stretta dolce, rabbiosa. La testa mi pulsava, capivo poco e niente, ma dovevo affrontare quella situazione. Bene, si sarebbe risolta in pochi istanti. L’avrei risolta subito. Chi mi stava stringendo mi lasciò subito. Doveva essere Zipherias. Ne ebbi conferma quando aprii gli occhi, e me lo vidi vicino. Solo Zipherias era l’unico capace di capirmi in certi frangenti. L’unico che aveva il coraggio di toccarmi quando ero triste, di abbracciarmi, di consolarmi. Quando facevo così innervosivo troppo Capouille, troppo sensibile ai cambi d’umore, mentre il mio amico dalla pelle scura,  benché normalmente fosse odioso, mi capiva e mi offriva il suo aiuto, il suo appoggio, rimanendo sempre calmo, un’ancora in un mare in tempesta. Era l’unico su cui potessi contare davvero. Respirai profondamente. Ero seduta, e tutti mi erano attorno. Nilyan aveva uno sguardo orribilmente colpevole, mentre Roxen guardava in basso, lievemente rossa. Capouille non doveva avercela fatta a vedermi in quella situazione. Zipherias incombeva accano a me, pronto ad intervenire di nuovo. Ma a me non importava, non importava minimamente. Rabbia e disperazione facevano da padrone incontrastate in me. Mi ritrovai a fissare il volto mutato di Chekaril e Machin, che erano inginocchiati accanto a me. Chekaril evitava accuratamente di fissarmi, colpevole, rosso come un pomodoro, mentre mio nipote era in una posizione strana, fiera ed eretta. I suoi occhi grigi mi guardavano con una certa aria di sfida che mi fece venir voglia di prenderlo a schiaffi. Così onorava il padre, eh? Dalle mie labbra uscì un gorgoglio. Era brutto, pessimo, a sentirsi. Ma non importava. Un altro po’ e l’avrei picchiato. Strinsi i pugni per non colpirlo. Furiosa, feci l’unica cosa sensata che mi riusciva. Scattai in piedi di botto, senza smettere di guardare Machin e Chekaril. Loro si alzarono con me. Ci guardammo per un po’. “potete pure tornare indietro”. Dissi, con una voce che mi uscì miracolosamente calma. Machin aggrottò le sopracciglia, mentre Chekaril prese insistentemente a guardare il terreno. “tornare indietro, zia Lalla?”. Domandò mio nipote, come se avessi detto un’assurdità, con una voce che implorava sfida. Mi stava sfidando, stava sfidando la mia autorità. “e perché dovremmo?”. Non ressi più alla rabbia acuta che mi stringeva le viscere. Tijorn era morto per quel marmocchio viziato. La colpa era mia, solo mia. Ero io a dover pagare per lui. Ma non ce la feci. Nonostante avessi cercato di non farlo, la mano partì da sola. Schiaffeggiai Machin, con tutta la forza che avevo, su una guancia. Mio nipote raggelò, cosa che mi fece infuriare ancora di più. Si toccò la guancia rossa, sbalordito. Sembrava non capire cosa non andasse. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Fu un crescendo, un litigio vero e proprio, furioso. “non osare mai più rivolgerti così a me!”. Esclamai, con una voce che si alzava di tono ad ogni sillaba. Mi ritrovai ad urlare come un’ossessa, il tono incrinato, spezzato, rotto in mille pezzi. Machin sembrò farsi più piccolo ad ogni parola che gli sputavo. Chekaril non alzò mai lo sguardo. “voi due tornate indietro! Non ho la minima intenzione di mandarvi a morire!”. Sentii le lacrime scorrere ancora, offuscarmi la vista, ma non me ne importava. Ecco cosa avevo fatto del figlio di Akita e Tijorn. Un eroe senza senno. Un pazzo, un bambino. Dovevo vergognarmi di quello che avevo fatto, del danno terribile arrecato a quella povera creatura. Tesi un dito verso un nipote scandalizzato, sbalordito, meravigliato, sempre meno comprensivo ad ogni minuto che passava. “che intendete fare, eh? È così che onori tuo padre? È così che onori il suo sacrificio, Machin? Mio fratello è morto per te, per proteggere te, idiota senza senno che non sei altro! È così che lo ripaghi? Fai proprio bene, fai pure!”. Machin mi aveva guardato strano. Strinse le labbra, e gli occhi, guardandomi, freddo. Non sembrava quasi lui. In un attimo, mentre io riprendevo fiato, lui mi rispose. “a dire il vero”. Asserì, guardandomi storto. “mio padre è morto perché sono stati stupidi. Anche tu lo sei stata”. Boccheggiai, colpita dritta al cuore. Come osava? Come osava dirmi una cosa del genere? Come osava? Rinfacciarmi delle cose? Chi gli aveva raccontato certe cose che dovevano rimanere nascoste? Chi, accidenti? Repressi la voglia matta di schiaffeggiarlo ancora, e l guardai, istupidita. Lui fece una smorfia. Non pensavo che in lui potesse covare tanta cattiveria. “cosa credi, che me ne sarei stato buono buono, mentre tu evitavi di parlarmi dei miei genitori, mettendoti al loro posto?”. Sibilò, freddo. Chekaril gli sussurrò qualcosa, e gli mise una mano sulla spalla. Lui se la scrollò di dosso, e continuò a fissarmi, con odio. Io, mettermi al loro posto? Ah, il dolore m’invase. Era quasi troppo, per me. Mi morsi le labbra per non cominciare a singhiozzare. Il mio nipotino. Ero colpita al cuore. “ho parlato con Isnark, in questi giorni, e lui mi ha detto quello che tu non hai mai voluto dirmi”. Scattai subito, in allarme, sobbalzai. Ahi. Le cose non si mettevano bene. chissà cosa diavolo aveva detto quell’idiota al mio piccolo. “perché non mi hai mai detto che è stato il Regno ad uccidere mio padre? Perché non mi hai mai detto che c’eri anche tu, e che non sei riuscita a fare niente, che non hai voluto fare niente?”. Quelle parole andarono a scavare in ferite, dubbi atroci che avevo fatto di tutto per ignorare. Avevo ucciso io Tijorn, si. Sentii vari sussurri spaventati dietro di me. Erano bugie, tutte bugie! No. Quella era la verità. Non avevo mosso un dito per salvare mio fratello. Ero una vile. Isnark aveva ragione. Mi sentii morire dentro. Deglutii, ma sembravo non avere nemmeno più la lingua. Nemmeno più un briciolo di fiato. Mi abbracciai, come se avessi freddo. Era l’unico modo per non andare in pezzi. Per non ricordare la antiche colpe. Lasciai che Machin continuasse, velenoso, veritiero. “perciò io e Chekaril andiamo. Non faremo niente di particolare. Isnark ci ha detto solo di saggiare l’umore del popolo, ed una copertura di Guaritore è perfetta. Non faremo niente di pericoloso. Sarò al sicuro”. Cercai il fiato per parlare. Forse anche Machin aveva capito di essersi spinto troppo oltre. Alla sfida si era sostituita una certa apprensione. Mi guardava, e sembrava pronto ad abbracciarmi, se solo io gliel’avessi permesso. “al sicuro?...”. Era una vocina che non era la mia, quella, appena un soffio. Mi faceva troppo male alzare ancora la voce, mi strinsi più forte. Non c’era nemmeno la forza di piangere ancora. Il senso di colpa prese a rodermi, quel senso di colpa che facevo di tutto per dimenticare. Era orribile, un verme nel cuore che mangiava tutto. Ero stata io. Io, a fare tutto. Tutta colpa mia. Gli altri questo pensavano di me. Ero un’idiota. Sbagliavo, in tutto. Dovevo avere gli occhi fuori dalle orbite. “viaggerete per il Regno…al sicuro? Mi vedi, Machin? E tu, Chekaril? Vedete il mio viso? Sentite la mia voce? È stata la regina Lainay a farmi questo”. Cadde un silenzio di piombo. Machin mi guardava, testardo. Chekaril sembrava colpevole. Conoscevo quello sguardo. Era lo stesso del padre. Mi rivolsi proprio a lui. Forse sarei riuscita a fare cambiare idea a quei due muli. “tu, cucciolo mio, te la ricordi Lainay, vero?”. Vidi Chekaril rabbrividire visibilmente. Non gli oh mai chiesto cosa fosse successo in quel tempo in cui fu con la sorella nelle sue mani. Potevo immaginarlo dalle sue reazioni, però. Mi sentii una vile nel cercare così di turlupinarli. “ti ricordi quello che ti ha fatto? Volete mettervi davvero contro di lei, entrando nei suoi domini senza autorizzazione?”. Chekaril non alzò nemmeno la testa. Annuì guardando il terreno, di nuovo. Non aveva il coraggio di guardarmi. Machin s’intromise. Aveva però l’aria di aver capito ben poco. Era però inferocito, praticamente. “non importa, zia”. Disse, feroce, guardandomi di nuovo con sfida. Sfida che io non raccolsi. Ero troppo stordita dalle sue parole. Era colpa mia se Tijorn era morto. Io non avevo fatto niente quando quel coso aveva puntato l’aculeo. Avrei potuto fargli da scudo. Invece no. ero rimasta a terra. Non mi ero mossa. “non voglio rimanere per sempre nella bambagia. Non voglio essere sempre quello protetto, il bambino fragile, il cucciolo. Voglio fare qualcosa, sia pure una stupidaggine. Voglio che papà sia fiero di me. Io voglio…”. S’interruppe a metà di una frase, e guardò, intimorito, qualcuno dietro di me. Mi sentii qualcuno accanto, che mi passò una mano sulle spalle, come a calmarmi. Non mi mossi. Non ne avevo la forza. Avevo preso a fissare un punto, un punto solo. Gli occhi di mio nipote, tanto uguali a quelli di un fratello che non avevo salvato. Ed ero stata io. Era colpa mia. Deglutii di nuovo. Mi sentivo sull’orlo delle lacrime, di nuovo. “ora basta”. Zipherias, la sua voce calma e profonda. Provai un empito di gratitudine verso il mio gigante amico. Mi stava levando da una situazione che mi stava soffocando come una trappola, che mi stava uccidendo. “potete fare quello che volete. Vostra zia è solo preoccupata. Su, ora andiamo”. Nonostante quelle mani gentili mi spingessero verso i cavalli, io non mi mossi. Non riuscivo a muovermi, schiodare lo sguardo da mio nipote. Lui doveva essersi reso conto di aver detto qualcosa di profondamente sbagliato. Era giusto, invece. Mi aveva solo fatto tanto male, ricordare certe cose che ero riuscita a seppellire. Lui mi guardò, perplesso. Fece per allungare le mani verso di me, forse per abbracciarmi, ma io mi addossai al mio amico. Mi resi conto di tremare come se facesse un freddo gelido. Mi resi conto di piangere silenziosamente. Non me m’ero accorta, fino a quando le guance non avevano preso a prudere. “io…io…non ho m-mai c-cercato di so-sostituirmi ai tuoi geni….genitori”. Era quella la mia voce? Una voce sottile, monocorde, che balbettava come Capouille. “io volevo solo…volevo solo crescervi bene…volevo solo….non sbagliare come in tutto…”. Era vero. Ma io avevo fallito, anche in questo. Vidi qualcosa di simile all’orrore negli occhi di mio nipote. Mi guardava, mortificato. L’atmosfera si stava distendendo poco a poco. Ero io l’unica ferita della situazione. Sarebbero partiti con noi. Sarebbero morti. Ne ero sicura. Zipherias mi abbracciò, un abbraccio avvolgente, che voleva darmi tepore. Ma non lo ricambiai. Avevo ancora davanti lo sguardo feroce del mio piccolo, che mi aveva rinfacciato tante cose. E che aveva ragione. “su, andiamo dai…”. Quel tono incoraggiante non mi trasse in inganno, né mi consolò. Se solo avessi sciolto l’abbraccio, mi sarei sfracellata in decine di milioni di pezzi. Ne ero sicura. Non servivano a nulla le parole. Perché io mi sentivo come se avessi volgarmente tradito il mondo. tradito mio nipote, tradito mio fratello. Tijorn aveva pregato di proteggere Machin, che io lo proteggessi. Avevo finito per devastare ancora di più la situazione. Ero capace solo di portare rovina, e questo lo sapevo. Sperai solo che non mi odiasse. Era troppo tardi per cambiare le cose. Ed io avevo sbagliato tutto.

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Capitolo 14
*** In viaggio. ***


Passò qualche giorno da me vissuto come un vegetale deambulante, più o meno

Passò qualche giorno da me vissuto come un vegetale deambulante, più o meno. Ciò che aveva detto Machin su di me era così terribilmente vero, così azzeccato, e lui non se n’era nemmeno accorto. Aveva detto tutto quello, sicuramente, solo per ferirmi, come faceva altre volte, solo per zittirmi, per non essere rimproverato ancora, perché sapeva che la ragione era dalla parte della mia. Aveva centrato il bersaglio. Quella volta era andato decisamente troppo oltre: Machin aveva innescato una serie di tormenti terrificanti, domande a cui non sapevo dare una risposta. Il pensiero di essere la ragione della morte di Tijorn mi atterriva: rivedevo ancora il volto di mio fratello, che mi rimproverava o sorrideva con gentilezza. Rivedevo ancora il momento fatale, quello in cui un mostro orrendo aveva decretato silenziosamente la fine di una delle migliori persone mai incontrate in vita mia, quell’elfo che mi aveva lasciato da curare tre nipoti, uno meno obbediente e più viziato dell’altro, ciascuno dei quali aveva provveduto a spezzarmi per bene il cuore. In fondo la persona da odiare ero io: io avevo piantato male il seme buono. Se solo mio fratello fosse stato vivo, Machin non si sarebbe mosso da casa sua. Soffrivo tanto al pensiero di vederlo andare via. Eppure, eppure, eppure. Era forse vero, ciò che lui mi aveva rinfacciato? Avevo forse io tentato di sostituirmi ai loro legittimi genitori, rovinando tutto? Ero davvero io la causa del mio fallimento? E dove, dove avevo sbagliato? Non riuscivo a capire, e più mi tormentavo, più mi sembrava che il gomitolo diventasse contorto. Non capivo nulla. L’unica cosa che mi tingeva davvero, in quel momento, era il fatto che due dei miei adorati pulcini si stavano avviando al macello. Io non potevo fare nulla per impedirlo. Era già tutto deciso. Già, era decisamente l’ora di darsi una svegliata solenne: non era più il tempo di crogiolarsi nelle sicurezza di aver allevato infanti felici. Nessuno di loro era più un bambino ingenuo, da riuscire a calmare con caramelle e coccole. Oh no. Erano quasi adulti ormai, o adulti del tutto. Nella mia smania di protezione avevo causato più danni che altro. Quella era la mia colpa. O ce n’erano altre? O avevo mancato in qualcosa? Chi lo sapeva. Sicuramente, quel tarlo mi rodeva fin dalle fondamenta, minando la mia sicurezza. Quella sicurezza fragile, che mi ero costruita su poche certezze, pericolante e rachitica. Ero, allora, una persona fragile, troppo fragile. Avevo cercato di vivere un’esistenza che non era la mia. Io non ero felice quando m’immolavo, mi sacrificavo per gli altri, e non vedevo risultati decenti. Non sono mai stata la persona generosa che agisce senza doppi fini, capace di passare oltre gli sgarbi. Sono sempre stata troppo egoista, ed il non trovare un angolino per me in tutti quegli anni, a voler vestire un abito che non era il mio, ero andata male, ed ero caduta. La mia vita si fondava su qualcosa di diverso. Ma cosa? Tutto ciò che avevo mai voluto era la tranquillità. L’avevo forse ricercata nei modi sbagliati, chissà, fatto sta che non mi sentivo tanto felice. In quei giorni particolarmente. Perché nessuno potrebbe capire il mio dolore, se non una persona legata mani e piedi, vedendo due delle persone più importanti al mondo immolarsi per un’idea che era solo retorica da salotto. Solo una stupidaggine, che io stessa avevo permesso. Il dolore aveva scavato una piaga profonda dentro di me, che c’era sempre stata ma che io avevo sempre deliberatamente ignorato. Ero come Amarto, avevo fatto la sua stessa fine, creatura ferita e schiacciata da ricordi troppo grandi, che cerca di dimenticare finendo sempre per peggiorare le cose. Il Maestro sicuramente non si sentiva fiero di aver allevato una fallita come me, ma questo non mi dava fastidio. Potevo essere tutto, m’importava solamente che non si toccassero i miei piccoli. Ed era proprio quello che stava succedendo. Stavano crescendo, e cominciavano a vedersi le prime storture, il vero carattere. Ed erano tutti dei ribelli da cima a fondo. Non ero tanto fiera della cosa, per niente. Beh, pazienza. Avevo la tetra certezza che ci sarebbero arrivati da soli, avrebbero dovuto capire da soli la sofferenza. Io ci avevo provato. Ottimo modo per lavarsi le mani, no?

Certo, il viaggio non fu dei più piacevoli, anzi. La perfetta missione riposante era andata a farsi friggere del tutto. Il primo giorno, iniziato così bene, passò in un silenzio mortale. Tutti sembravano arrabbiati con tutti. Roxen con Chekaril, Machin più o meno con me o con Zipherias, non capivo, che a sua volta ce l’aveva con tutti e due per avermi conciato in quel modo. Gli unici a non entrare in niente erano Capouille e Nilyan, che parevano due pulcini sorpresi senza la chioccia. La mia povera nipote non sapeva assolutamente che partito prendere, e si era schierata dalla parte dei neutrali, come ultima scelta, in attesa che la tempesta passasse, scelta saggia che avrei condiviso anch’io, se non fossi stata coinvolta nella cosa. La Guardia del Lazzaretto era semplicemente troppo pavida per prendere una posizione chiara, e quel nervosismo la infastidiva troppo. Ci eravamo apprestati ad attraversare il bosco, di malumore. Zipherias era l’unico che sembrava importarsi di me, o forse gli altri non sapevano come comportarsi nello stato in cui versavo. Ero praticamente rimasta pietrificata dalle parole di mio nipote. Mi sembrava di non potermi muovere, di essere legata da lacci neri d’orrore. Il mio amico era l’unico ad essere venuto in mio soccorso. Non mi aveva tentato di dire nessuna parolina consolante, nessuna cosa dolce, perché sapeva che l’avrei mandato a quel paese in modo parecchio brutale. Era stato in silenzio, ma aveva fatto tante piccole cose. Primo, non mi aveva mai lasciata, né mi aveva persa d’occhio. Non si fidava di lasciarmi a cavallo da sola, né io mi fidavo di me stessa. In quella situazione ero capace di cadere o perdermi molto facilmente. Aveva quindi legato Nano al suo paziente cavallo, e mi aveva scaricata senza smancerie, ma con premura infinita, dietro di lui. Apprezzavo quel comodo nascondiglio. Mi ero accoccolata contro di lui, fingendo che nulla esistesse, nemmeno il mondo. Volevo essere lasciata in pace, e così lui fece, offrendomi la sua compagnia senza essere asfissiante, aspettando che io fossi pronta per parlargli. Adoravo quel modo di fare. Tra tutti i rimasti in vita, lui era l’unico capace di calmarmi e darmi un po’ di sicurezza. Non mi sarei mai fatta una ragione di quella partenza, ma almeno potevo evitare la distruzione completa, grazie al mio enorme amico dagli occhi d’oro. Era l’unico capace di comprendere la vera sofferenza, l’unico che avesse dei fantasmi con i quali fare i conti. Era una cosa che ci accomunava, nonostante di solito lui fosse la Guardia ed io la ladra. Lui il ligio esecutore delle regole, noioso come un trattato di non belligeranza, ed io l’allegra rompiscatole, che delle regole se ne fregava altamente. Spesso eravamo agli antipodi, e per questo ci accapigliavamo, ma lui mi era troppo prezioso: lui mi comprendeva fin troppo bene. Se non ci fosse stato lui, chissà come avrei fatto. Mi lasciò pensare in pace, tormentarmi in pace, pronto a prendermi per i capelli non appena l’abisso fosse divenuto troppo profondo. Seconda cosa, tenne lontani tutti, almeno i primi due giorni, quelli davvero peggiori. L’unico a zittire la gente quando tentava di parlarmi, quando voleva una risposta da me ai loro quesiti. Ma loro non potevano sapere che io mi sarei rifiutata di rispondergli: facevo sempre così. penso di non aver parlato per quattro o cinque giorni. Il motivo era semplice: il mio dolore, la mia rabbia, erano troppo profondi. Se solo l’avessi fatto, da me sarebbero uscite implorazioni o bestemmie, forse tutte e due. Se solo non mi fossi dominata, avrei ammazzato a forza di schiaffi mio nipote, per quell’insolenza di decidere della sua vita. Ero troppo assorta nelle mie recriminazioni piene di rancore verso me stessa. Troppo assorta a piangere in silenzio il fallimento di tutte le mie speranze, ma per prima cosa il fallimento di me come zia. Come tutrice. Il tradimento ennesimo di mio fratello. Beh, ero sicura che Machin si stesse rodendo il fegato, vedendomi così triste, e mi sembrava strano che non fosse venuto già da me per scusarsi, per trovare una toppa alla falla enorme che aveva aperto nel mio battello di carta. Da quand’era piccolo, appena vedeva spuntare mezza lacrima sui miei occhi si precipitava a vedere chi fosse stato, anche solo quando si trattava del freddo intenso che mi faceva inumidire gli occhi. L’aveva fatto, quand’era infante, ed io avevo riso tanto da farmi venire i crampi alla pancia. Perciò mi sembrava strano. Fosse stato per lui, penso che sarebbe corso già il primo momento ad implorare perdono, a dirmi che non si sarebbe cacciato nei guai, e che l’avrebbe fatto per me, che sarebbe stato già a casa prima di me. Aveva un ottimo deterrente. Avevo un ottimo cane da guardia. Il primo giorno non me ne accorsi. Ero troppo impegnata a nascondermi dietro di lui, in uno stato d’animo che oserei definire prostrato, se come aggettivo non fosse riduttivo. Ero rimasta così profondamente addolorata dalle parole velenose di Machin che non riuscivo a crederci, stordita in maniera totale. Quel girono agii davvero come un automa. Non ricordo nemmeno cosa ho fatto. Fu Zipherias ad aiutarmi, credo. Il secondo giorno già stavo meglio. Non ero pronta ad affrontare un bel niente, ma almeno potevo cavalcare, muovermi, pensare più lucidamente, raccogliere i pezzi del naufragio, vedere cosa ne era rimasto. Zipherias non mi permise di cavalcare da sola, e tenne sempre lui le briglie, come se fossi una bambina idiota. Da un lato gliene fui davvero grata, perché mi stava permettendo di pensare senza dovermi guardare attorno, lasciarmi sprofondare nella tristezza e nei ricordi in santa pace. Dall’altro mi dava fastidio perché era asfissiante. Ogni pensiero negativo sul mio amico sparì quando vidi che c’era un terzo motivo. Machin mi ronzava sempre attorno. Era sempre lì, a cavalcare nei paraggi. Svelto come una lepre nell’avvicinarsi ed altrettanto rapido a squagliarsela quando la Guardia gli rivolgeva quelle terrificanti occhiate assassine che lo rendevano tanto famoso, anche perché lui non era tipo da minacciare a vuoto. Così fece fino a poco prima la partenza di mio nipote. Di questo, gli sono immensamente grata.

Per qualche giorno, come mi sembra di aver detto, mi rifiutai di parlare, fosse pure per chiedere qualcosa. Oh, gesto davvero poco signorile, e che aveva qualcosa di infantile che mi affascinava tanto, ma ero costretta a farlo. Davvero, sennò avrei cominciato a piangere e disperarmi come una bambina, ed avevo ancora un briciolo di dignità da conservare. Mi limitai così a rodere in silenzio, pensando a Tijorn, rivivendo continuamente quando l’avevo visto essere colpito, mi rodevo perché non ero stata capace di salvarlo. Era brutto pensarlo che forse era davvero così. Erano anni che tentavano di mettermi in testa il contrario, e nessuno ci era mai riuscito. Ero rimasta in silenzio quando Nilyan, che aveva il brutto compito di tenere il piede in due scarpe, mi parlava, fino a quando non aveva desistito, vedendo la mia scarsa collaborazione. Machin e Chekaril si erano raggrumati in un angolino ,e non si muovevano di lì. Sul volto del figlio del Principe c’era un’espressione perennemente accigliata, contrariata. Anche lui, il paciere, parlava poco. Mi chiesi cosa si agitasse nella sua testolina. Perché avesse accettato di accompagnare mio nipote. Forse per affetto, forse per un velato desiderio di vendetta. In fondo io non conoscevo l’esatta entità dei danni che la Regina gli aveva procurato, a lui come a mia figlia. Ricordavo bene, però, quei quattro giorni in cui i Guaritori li costrinsero a riposo, tanto terribili erano i maltrattamenti ricevuti. Roxen, invece, aveva ripreso a stare con Capouille, ed era l’unica a parlare, a sfogare la sua ira. Mia figlia, se solo avesse potuto, avrebbe ammazzato suo fratello con uno stuzzicadenti. Pian piano, la situazione andò a migliorare. Più andava avanti il viaggio, più la tensione per  il distacco cresceva. Quindi, non c’era spazio per la rabbia. Bel miglioramento. Io ripresi la parola, sdegnosamente, di punto in bianco, cominciando a sciorinare una sceltissima sequela di maledizioni contro Machin, il mondo, Isnark, che prima o poi sarebbe morto per mano mia, quel bastardo doppiogiochista, Lainay che non si faceva mai gli affari suoi e quel cretino misterioso che aveva fregato la spada a mio nipote, che fece impallidire chi mi stava vicino, e scoppiare a ridere Nilyan. Ma io mi tenni accanto a Zipherias, come una belva diffidente, e non guardai nessuno. Lui capì l’antifona, capì che niente era cambiato in me, mi ero solo decisa a darmi una mossa, ma non avevo ancora voglia di confrontarmi con quel traditore di Machin Tijorn, e si tenne nei paraggi. Lui cercava sempre di contattarmi, cercava di fare battute di spirito che mi facessero ridere, ma non sortiva altro che qualche occhiata cattiva da parte mia. Lo vedevo piuttosto disperato, su questo punto di vista. Lui mi voleva davvero bene, ma ero troppo ferita per ammetterlo. Troppo ferita dalle sue parole che avevano un fondo di verità. Passarono quindi giorni, e giorni, e giorni, scanditi solo dall’alternarsi di luce e buio. Non ho la minima idea di quanto tempo ci mettemmo per arrivare alla dogana. Non avevo la forza per pensarvi, né per pensare ad altro. Non avevo la forza per fare assolutamente niente. A volte, quando stavo proprio male, lasciavo che Zipherias tenesse le briglie di Nano, o che mi abbracciasse. Amavo quell’abbraccio e quella fiducia totale. Era l’unico, lui, che potesse ispirarmi una cosa così. Passammo quindi, in un clima tremendo di malumore, il confine tra Uruk ed il Regno, in una giornata limpida e fredda. Una zona vuota, una brughiera piena di sterpaglia, collinosa e brulla, in cui era impossibile vedere qualcuno prima di vedertelo spuntare davanti. Alzammo lo stendardo bianco, e quello di Uruk. Chekaril e Machin si tesero tanto, e anch’io. Sperai che la copertura tenesse. Dopo un po’, ci fermarono due elfi dal volto annoiato, e ci fecero qualche domanda. Io guadagnai un po’ di quella dignità che dovevo avere, e risposi. Ero io il capo della spedizione, d’altronde. Una di quelle due persone mi guardò, con un brillio ironico negli occhi, quando mi sollevai la manica per far vedere la benda viola. L’altro sorrise. Sentii una fitta di disagio nel guardarli. Cercai di essere calma ed impassibile, serena come un lago estivo, ma non penso mi riuscì. Nel Regno la voce mi tremava sempre un po’. Non so perché ma avevo perennemente paura di vedermi piombare Jalim tra capo e collo. Sentivo il suo fiato addosso, e mi veniva una pelle d’oca che odiavo. Mi concentrai su quelle che mi parevano semplici guardie. Non li conoscevo, ma loro conoscevano me. Non li avevo mai visti, ma la mia fama di traditrice doveva essere arrivata anche a loro. Poi, nessuno dei due me la contava giusta. Erano vestiti in modo poco appariscente, in una maniera che indica solo un tipo di persone, le Spie. Dovevano essere miei compari, che avevano fatto la mia scelta inversa. Ci portarono, per controlli di routine, in un caseggiato di semplice legno. Lì ci accolsero, oltre alle altre, due vere guardie, che si premurarono di leggere la lettera, analizzarla in ogni modo possibile e perquisire i nostri piccoli bagagli, divertendosi nel metterli in disordine. Una di loro prese a motteggiare rudemente Nilyan, con frecciatine ironiche che, la vedevo, la turbavano tanto. Zipherias risolse il tutto andandosi mollemente a piazzare vicino a lei, prendendola sottobraccio con fare amichevole. Nessuno osò più dare fastidio alla Principessa. Il mio gigantesco amico intimoriva un po’ tutti. Anch’io fui preda di risolini e battute comprensibili solo da me, ma che mi mettevano tanto a disagio. Mi stavano rinfacciando il mio passato di Ombra. Non volevo che qualcuno dei piccoli mangiasse la foglia sulla mia precedente identità. Quei bastardi sembravano divertirsi un mondo. Quando ci lasciarono andare, contrariati per non aver trovato nulla di sospetto, fui immensamente sollevata di aver passato un simile esame. Non tutti erano della mia stessa opinione: perfino Capouille sembrava molto alterato. Lo sentii parlare senza mangiarsi una sillaba, cattivo segno. Di solito, quando faceva così era perché la sua parte da timido balbuziente si era nascosta in un angolino, per fare spazio ad un’altra persona, e la cosa non mi piaceva. Nilyan, una volta che fummo lontani da quell’orrendo caseggiato, cominciò a piangere, a singhiozzi, disperata. Era rimasta tanto colpita dalla loro cattiveria, lei, sempre così dolce. Non capiva perché ce l’avessero con lei, con noi. Non avevamo fatto nulla di male, no? Non eravamo cattivi. la mia piccola mi fece una pena tale che dimenticai le mie ferite, il mio dolore. Fui la prima a correre verso di lei, di slancio, abbracciandola, consolandola, parlandole dolcemente e dicendo che nessuno era cattivo, era il loro mestiere essere così diffidenti e scorbutici. Feci di tutto per farle spuntare un piccolo sorriso sulle sue labbra, e poi le scompigliai i capelli. Mi parve di vedere, per un attimo, Zipherias alzare gli occhi al cielo, sospirando sollevato. Non importava del mio dolore, della mia pena. Non quando loro soffrivano. Quell’accadimento mi fece mettere nella giusta prospettiva parecchie cose. D’accordo, ero arrabbiata, tanto arrabbiata. Ma non potevo fare la bambina. Me ne sarei pentita per il resto della mia vita. Cercai, così, di essere come sempre. Ripresi a parlare con Chekaril, e con Roxen, e con tutti gli altri. Solo Machin, con mio dolore, non accettò l’esca. Mi guardava, timido, desolato, incerto su come fare un passo, un uccellino senza nido che quasi mi faceva ridere. Bene, non era il tempo per lagnarsi addosso. Ero adulta, ormai, dovevo anche dimostrarlo. Un giorno di viaggio, in mezzo ad un bosco, mentre faceva uno di quei freddi gelidi che entravano nelle ossa e lì facevano la tana, discussi seriamente con Chekaril del perché si fosse imbarcato in quella situazione sgradevole. Lui non fece altro che alzarsi nelle spalle, e poi mi guardò, serio. “è perché mi ricordo di Lainay”. Mormorò, rabbrividendo di nuovo. Negli occhi verdi gli passò un’espressione terrorizzata, che si affrettò a nascondere, ma che non mi sfuggì. Mi ricordò tanto il bambino che era stato. Allungai una mano in cerca della sua. Lui me la strinse spasmodicamente. Era tanto dolce. Gli carezzai il dorso della mano con le dita, cercando di essere consolante. Povero piccolo mio. Lui riprese a parlare, pacato e semplice come sempre. “i lividi scompaiono, ma i ricordi fanno più male, e sono per sempre”. Scossi la testa: sapevo fin troppo bene cosa voleva dire. Fare i conti con il passato non è sempre semplice. Lui scosse il capo, e sorrise. “Miobashin voleva farmi tagliare i capelli, ma non ho voluto”. Tenerezza, tenerezza gli passò di nuovo negli occhi. Poi, di nuovo, il verde s’incupì. “una sola volta mi sono stati tagliati, e mi basta”. Strinsi le labbra. Il ricordo della sua testa rasata ancora a volte infestava i miei pensieri. Da allora lui odiava farsi toccare i capelli. Maledetta Regina. Le ferite da lei lasciate erano troppo profonde per un Guaritore. “io non volevo mettermi in mezzo, ma non ho scelta”. Parole, parole mortalmente serie, che mi ricordarono tanti miei pensieri. Non avere scelta. Era vero. Un sorriso disperato gli si formò sul viso. “solo gli dei sanno la vita che vorrei….ma io non posso averla, zia. Non quando quella bastarda ha fatto presto a distruggere tutto di me. Fino a quando non sarà morta su quello schifoso trono, io continuerò a combattere, sia pure con una missione stupida come questa”. Condividevo in pieno le sue parole. Anche a me Lainay aveva distrutto un bel po’ di cose, infanzia per prima cosa, innocenza per seconda. Gli strinsi forte la mano che tenevo. “vedete di tornare tutti interi”. Gli dissi solamente. Non potevo oppormi, non dopo quelle parole che mi facevano male. Dovevo conciliarmi con l’idea che sarebbero stati lontani, sul filo del rasoio. “Miobashin mi farebbe a pezzi, in caso contrario”. Lui rise, un riso liberatorio, ed io sorrisi. Poi lui mi lasciò la mano, e spronò la sua cavalcatura in avanti. Io lo guardai affiancarsi a Machin, che voltò la testa bionda verso di me. Ci guardammo, poi lui distolse prontamente lo sguardo. Feci per avvicinarmi, ma poi cambiai idea. C’era un momento più consono per agire, per riappacificarmi. Troppo tardi, ma almeno in tempo per evitare di lasciargli un brutto ricordo, per non essergli di peso. Cominciai dunque ad aspettare.

Con mio grande dolore, non dovetti aspettare molto. Dopo un paio di giorni, una sera, lugubre, Chekaril ci disse che la mattina dopo sarebbero partiti. Era ormai tempo di lasciarci. Erano abbastanza all’interno del Regno per farlo. La notizia scompaginò le carte in tavola, e produsse lo stesso effetto di una freccia in uno stormo in volo. Zipherias s’irrigidì, e mi guardò. Io mi limitai a fissare il tutto, sibillina, sorniona, perché sapevo già che fare. Dovevo mettermi l’anima in pace, e volevo farlo nel miglior modo possibile. Vidi un lampo di sospetto negli occhi gialli, da gatto, del mio amico, ma che scomparve presto. Capouille era sobbalzato, ed aveva lasciato cadere a terra la sua cena, senza accorgersene minimamente. Nilyan si era precipitata ad abbracciare il cugino, Machin, standole attaccata saldamente, senza l’aria di volerlo lasciare, mentre Roxen ebbe la reazione più strana. Guardò il fratello, stordita, per un attimo, poi cominciò a piangere disperatamente. Mi sentii male, ma non intervenni. Lei era troppo simile a me, e sapevo che se mi fossi messa in mezzo avrebbe avuto una razione violenta. Non avevo mai visto mia figlia in quello stato. Feci per avvicinarmi, desolata, ma Chekaril ed un redivivo Capouille furono più lesti di me. Si affrettarono a riempire di coccole la poverina, almeno fino a quando lei non prese a schiaffi il mio amico balbuziente, minacciò di picchiare anche Chekaril, e poi si buttò a corpo morto tra le sue braccia, chiedendo perdono ad un’interdetta Guardia del Lazzaretto. Capouille, ad occhi sgranati, si guardò attorno senza sapere che fare. Ah, certe volte mia figlia era davvero terribilmente lunatica, c’era poco da dire. Soffocai un sorriso dietro una mano. Poi tenni d’occhio Nilyan e Machin. I due ebbero un rapido scambio di battute, poi la mia Principessa lasciò il caro amico. Non aveva pianto, nemmeno lei. Tutti e due sembravano spensierati, sicuri di rivedersi. Quella scena mi ridiede un po’ di fiducia. Forse non tutto era perso, forse sperare non era vano. Machin, ad un certo punto, forse spaesato ed infastidito dal chiasso che Roxen stava producendo, preda di chissà che pensieri, si alzò, e sembrò allontanarsi dal gruppo, verso la boscaglia che ci circondava. Mi saltò il cuore in gola. Era l’occasione giusta per far pace con il mio piccolo tesoro. Così, mi alzai in silenzio anch’io, zitta per non farmi scoprire. Mi sentii gli occhi di Zipherias addosso, ma nessuno disse nulla. Seguii così, alla luce debole della luna a metà, mio nipote che camminava in silenzio, le mani nelle tasche, sguardo rivolto a terra. Sembrava ben diverso dal solito pazzo che era, il mio Machin. Mi fece una tenerezza immensa. No: avevo sbagliato a prendermela così con lui. Lui sarebbe sopravvissuto. Era quello che dovevo sperare.

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Capitolo 15
*** Pensieri intelligenti alla luce della luna. ***


Cosa crede, che io sia scemo

Con fiero orgoglio, annuncio che questo capitolo non sarà narrato da Lsyn.

Ebbene, entra in gioco il secondo narratore, ovvero Machin.

Da questo in poi, fino all’entrata del terzo narratore, che sarà una sorpresa, si procederà con un capitolo di Machin, due di Lsyn.

Devo dire che questo è stato un vero e proprio combattimento. Non ero più abituata a scrivere al maschile, e spesso ho sbagliato.

Non esitate a dirmi “ehi, Akita, a Machin hai dato del femminile in più di un’occasione!”.

Se c’è qualche errore, non temete. È più che voluto.

Ho tentato di usare un altro stile, usando il presente, come se stesse tutto accadendo in questo momento.

Cosa ne pensate?

Meglio questo o come faccio parlare Lsyn?

Accetto suggerimenti e consigli.

 

A presto, buona Pasqua se domani non aggiorno (cosa che non credo X°D domani voglio aggiornare…)! J

Akita

 

 

Cosa crede, che io sia scemo? Secondo lei io non ho capito. Certo, lei che è stata tutta la giornata con quella faccia da gatto che sta per mangiare un topo particolarmente grasso e succulento. Lei che non ha parlato per giorni, a parte scelte maledizioni verso la mia radiosa e regale identità. Tsè, come se potesse infangarla! Ed io secondo lei non capisco, non l’ho visto, il suo sguardo dolce. Secondo me lei non si è ancora accorta di non riuscire a farla franca, non con me. Non che lei sappia mentire agli altri: riesce sempre a tradirsi in qualche modo. Ecco, per tutta la serata mi ha seguito con lo sguardo, muovendosi ad ogni mio passo. Poteva anche essere per il modo in cui quell’idiota di mio cugino ha rivelato la notizia della nostra partenza, però non penso proprio, lei ha già dato la sua quota di lacrime. Insomma, idiota di mio cugino. Diamine, è Chekaril, è un noiosissimo Guaritore delle suole delle mie scarpe! Però scemo non è, tanto che si è stato zitto mentre io mi sono messo nei guai con zia Lalla. Come sempre. Ora sicuramente mi sta seguendo, chissà, magari mi parlerà. Che bello, non vedo l’ora. Bene, cammino alla luce della luna con le mani in tasca. Ma che atmosfera, romantica da far cariare i denti! Ora, devo fare dei bei pensieri intelligenti. Devo essere intelligente, perché così deve andare. Insomma, non devono mancare pensieri intelligenti alla luce della luna, sarebbe come una ciliegina senza una torta. O una torta senza ciliegina? Insomma, insomma, magari per capire qualcosa potrei farmi delle domande anch’io, come le fanno tutti, tanto per assicurarmi di avere un cervello bello in caldo da qualche parte, e non un affascinante tortino da carne dalla forma strana. Mh. Un tortino di carne. Buono, come quelli che fa Dae di tanto in tanto, quando la zia non c’è, lei che a sentire solo l’odore di carne cotta fa una smorfia e comincia a borbottare come una teiera sbeccata, con quella spolverata di spezie… ah, non sarebbe male avere una cosa del genere come cervello. Almeno serve a qualcosa, cioè si mangia. Temo di aver perso il filo. Mi sono concentrato sul tortino di carne ed ho già dimenticato perché ho paragonato il cervello ad una delizia del genere. Ah, dov’ero? Stavo dicendo qualcosa, avevo intenzione di fare qualcosa? Vediamo. Sto camminando senza un perché, per allontanarmi da quel piagnisteo che è il nostro accampamento, con quell’altra squilibrata di Roxen che mi è sempre sembrata in gravidanza perenne, tanto è lunatica, che prima picchia quel senza nerbo di Capouille e poi cerca di farsi abbracciare da lui. Bah, donne. Si, perfetto, fin qui ci siamo. È notte, perfetto, me ne rendo conto, fa un freddo cane, so che il mio naso si spellerà e sento che zia Lalla mi sta seguendo. Non mi giro perché tanto so che appena mi fermerò lei si avvicinerà. Non vedo l’ora, mi mancano le sue coccole, però voglio fare un po’ il duro, non so nemmeno io il perché . Mi mancherà tanto, in viaggio. Già mi manca, lei e il suo sorriso pieno di misteri mai svelati. Ah, si, esattamente! Ci sono, l’arcano è svelato! Zia Lalla! Le domande! Io devo farmi delle domande. Altrimenti la mia testa finirà per raggrinzirsi come un fico seccato al sole, come mi dice sempre Amarto, il nonno. Ah, le domande. Le domande, Mach, le domande! Si, ecco. Non sono idiota anch’io, che sono partito senza farle sapere niente, che mi sono presentato di punto in bianco, così, il principino delle favole sul suo unicorno blu? No, la mia non è idiozia. No, per niente. Si potrebbe chiamarlo cattivo senso organizzativo. Insomma, io volevo dirglielo. Volevo rivelarle che me ne sarei andato allegramente a zonzo per il Regno in barba a quella barbuta barbosa della Regina. Ovvio. È mia zia. Solo che mi sono dimenticato, ecco. Mi è proprio passato di mente. Tra le mille cose da fare…da organizzare…e poi c’era Nilyan che mi chiedeva un piccolo aiuto…la zia sempre occupata con tutte quelle carte…quel maledetto di Zipherias che le ronza sempre intorno, quasi come se lei fosse una malata senza speranza, ed io non lo sopporto quando mi ruba la zia….oh, d’accordo. Va bene, lo ammetto, lo ammetto! Che vuoi, vocina maledetta? Cosa sei, la coscienza? Allora sei proprio una carogna! Lo ammetto, lo ululo alla luna come un lupo sbronzo? Mai, però posso dirlo a te, tanto nessuno mi ascolta. Sono un idiota. Ho fatto finta di nulla, credendo che poi si risolvesse tutto con un colpo di spugna. Insomma, mi pare ovvio che poi lei abbia fatto tutta quella sceneggiata. Che poi quel maledetto che mi guardava con quella faccia come se mi volesse picchiare! Io, me, la mia superba e richiestissima persona! Davvero, mi fissava come se volesse mettermi le mani addosso! Io ho una fifa blu di quel tipo, ho davvero visto i sorci verdi, turchini, gialli, di tutti i colori dell’arcobaleno, accidenti. Una sua mano dev’essere più o meno quanto la mia testa. Mi va bene che a picchiarmi sia zia Lalla. Lei è piccolina, sebbene ci vada giù pesante e mi lasci una magnifica impronta sulla guancia, a volte. Però ho sempre l’impressione che, con un colpo, Zipherias mi possa uccidere e farmi scavare automaticamente la fossa in cui seppellirmi. Comodo, però. Si risparmia in badili. Però, a me è parso esagerato. Non devo certo andare a farmi eroicamente bruciare al rogo, eroe dei mille mondi o giù di lì. Niente missione eroica, niente sacrificio. Sono troppo giovane per morire, e troppo carino. Soprattutto troppo carino: sacrificandomi priverei le belle elfette di Kyradon di un bel paesaggio da ammirare. Non che non abbia paura. Se potessi mi farei sotto. È solo che so che non succederà niente. Nessuno si è accorto di noi, nessuno ci ha seguiti. Ho solo intenzione di fare quattro passi nel vicinato, un paio di sberleffi, un sasso alla finestra e poi via, di corsa, verso casa. Nessuno si accorgerà di noi, nessuno serberà il nostro ricordo dopo il nostro passaggio. Magari potrò regolare un pochino i conti con quel salsicciotto intabarrato di uno stregone, che mi ha fregato la spada di papà. Se lo becco non mi farò sfuggire l’occasione. Tutto sommato, che c’è di male nel farsi un giretto per il Regno? Solo un bel viaggio. Oh, va bene. Mi sono spaventato quando ho visto la reazione di zia Lalla. Temevo che le stesse per venire un attacco, una cosa del genere, come quando ho fatto finta di essere ferito, da piccino, temevo di doverla portare al Lazzaretto. Non lo so perché se l’è presa tanto. Ha messo in mezzo papà e mamma. Non so perché, ma li mette sempre, in mezzo, quando non vuole che faccia qualcosa. Allora io mi sono arrabbiato, e forse ho fatto male. Non doveva parlarmi di papà e mamma. Non doveva usarli come uno spaventapasseri per i corvi. Allora le ho risposto male, le ho detto tante cose cattive. Allora si che sono stato un idiota. Forse Zipherias doveva picchiarmi. Ho combinato un casino grande come il mondo. A volte non so cosa passi per la testa della zia. L’ho ferita, e tanto. Ho subito capito che c’era qualcosa che non andava. A posto di arrabbiarsi di più, come sempre, lei mi guardava come se non mi vedesse davvero. Si era abbracciata come se avesse freddo, ed ha cominciato a piangere. Mi ha fatto tanta pena, mi sono sentito tanto in colpa che sento ancora la colpa. Aveva gli occhi fissi, ma non guardava niente. A volte ho come l’impressione di non sapere niente sulla zia. Mi ha sempre raccontato cose belle su papà e mamma, ma mai su di lei. Ha sempre tagliato corto. Vorrei tanto capire cosa non vada. Forse le manca ancora il fratello, come manca a me. Ma tanto io non l’ho mai conosciuto. È stata sempre lei che mi ha curato, io sono orfano, e non lo dico per vantarmi. Va bene, ogni tanto lo faccio, per farmi bello, ma non lo faccio per davvero, voglio solo fare colpo su una nuova attrice. Devo avere altre armi oltre ai miei occhioni, no? La zia è molto più anziana di me. È stata sempre vicina, molto vicina ai miei genitori. Non sono idiota, ho capito subito che l’avevo fatta davvero grossa, di aver detto una scempiaggine assurda. Così ripagavo l’elfa che mi ha allevato con tanto amore? Io mi volevo subito far perdonare, ma quel cavolo arrostito di Zipherias me l’ha impedito, abbrancandola con un dei suoi tentacoli e conducendola via da me. Lo odio. Lo odio, perché crede di sapere cosa sia meglio per lei, mentre non sa niente, come me. Non sono stupido, so che nessuno al castello conosce davvero zia Lalla, e so che a lei questo fa tanto male, perché io tanto non sono stupido. Avrei potuto subito andare ad abbracciarla e dire che mi dispiaceva tanto. Però sono stato bloccato da quel coso-tutto-muscoli-non-un-solo-grammo-di-buonsenso-in-testa, e lei è stata così per tanti giorni, immobile come un cespo d’insalata, senza nemmeno poterle spiegare che tutto sarebbe andato bene, e tutto per colpa sua, perché quell’idiota se la portava appresso come una cagnetta domestica. E poi io mi vergogno da morire. Che faccio, vado vicino a lei e le dico zia Lalla, mi dispiace dopo che lei sembrava sul punto di morire di dolore? Accidenti, come odio questi pensieri! Sono peggio delle mosche cavalline, mi ronzano in testa mordendo e facendo prudere quella ragione che forse non c’è e quella coscienza che si diverte tanto alle mie spalle. Non mi piace essere triste, per niente. Non mi piace, come non mi piace vedere qualcuno piangere, perché mi intristisce. E non mi piace essere triste, quel magone in gola come se avessi mangiato una mela tutta intera. Che poi, che strano pensiero. Strana metafora davvero, Machin. Come si fa ad ingoiare una mela tutta intera? Ah, è geniale. Davvero, ho sempre saputo di essere un genio, nessuno mi può battere. Nemmeno gli stregoni che rubano spade altrui. È che lui aveva un’arma in più, io no. Io sono solo un povero, malridotto, attore, che si guadagna da vivere il pane  mettendo in scena tutta la sua ardente figura. Eh si, anche se non ce ne sono,di attori più belli di me, anche se la mia figura illumina il palco di luce propria. Uh, va bene, faccio ridere le mosche. Eh? Eh? Le mosche? Le mosche non ridono. Le mosche ronzano. Allora faccio ronzare le mosche che ridono. Perfetto. Oh, è squallida. Davvero, è squallida, sto perdendo colpi. Sono soddisfatto di ciò che ho pensato, anche se non lo ricordo più. Ah, c’è qualcosa che mi ronza alle spalle. Una mosca che mi vuole parlare. Ora vado avanti… avanti un altro po’… crac croc ma che diavolo ho calpestato? Noci, rami? Che diavolo c’è sotto i miei piedi, che danza è mai questa? Sono ossa? Che poi mi sente, oh dei, sono cretino perché io ci vedo di notte, io sono un elfo no, ovviamente e che cammino in punta di piedi?… Tanto valeva dire ehi, sono qui! Come se lei non mi avesse già individuato, peggio di un falco quella lì…  Basta. Non ce la faccio più. Sono completamente seccato, il che non vuol dire che mi raggrinzisco. Sto sentendo il fruscio di passi dietro di me sarà da un bel po’ di tempo. Mi sembra di avere quattro zampe, o di aver dietro un’ombra piuttosto rumorosa. È snervante. Ed io, insomma, non vedo l’ora di farmi abbracciare dalla zietta. Non lo confesserei nemmeno sotto tortura, ma mi piace da impazzire quando lei mi coccola, ed è tra le cose che mi mancano di lei. Mi piace quando mi pettina i capelli, o quando mi racconta la sua giornata, quando fa di tutto per farmi felice. Mi sfugge un sorriso se ci penso. In fondo, non mi mancano tanto mamma e papà. Non può succedere. No, non quando ho la tutrice migliore che si possa avere. L’unica che mi sgrida per il disordine e poi finisce per aumentare il caos di circa il doppio, fino a quando il nonno non viene e prende per le orecchie un po’ tutti. Tranne Nilyan perché lei scappa prima. Voglio essere abbracciato, voglio che lei mi raggiunga. Così ci chiariamo, vedrò lei più felice e sarò felice anch’io. Per tanto tempo non ci vedremo. D’accordo, un altro paio di passi e mi fermo…un altro…ecco. Sono fermo, impalato come un cretino in mezzo al bosco. Guardo per aria, magari, se mi fingo interessato da qualcosa la zia non capirà che l’ho sentita. Il fruscio si fa meno percettibile, subito. Accidenti, la zia mi fa paura quando mi piomba addosso, silenziosa come un barbagianni. So che lo farà, ci prova quasi gusto. A volte è più bambina di me. Cerco di concentrarmi sulla bella notte d’inverno, e guardo il cielo. Machin, concentrati. Devi guardare il cielo e fare finta che ti piace. Non puoi metterti in ginocchio implorando perdono come fai sempre. Adulto, Machin, devi sembrare adulto. Altrimenti zia Lalla non si fiderà mai di te. Ecco qui. La sento subito vicina. Per la miseria, ma cosa diavolo faceva prima di diventare Ch’argon, la ballerina? Una piuma sul terreno avrebbe fatto più rumore. E certo che lei non fa intermezzi. Subito, niente vie di mezzo, non esistono, per lei. Cerco di non sorridere finalmente è qui con me, la mia zietta. Mi mancava così tanto. “erano giorni che non vedevo la luna”. Dice lei. Boh, chissà che intende, con quel brontolio sordo e ringhioso che è la sua voce, quella voce che è sempre rimasta uguale, da quando ero piccino. A me però non importa, è bello solo che sia con me, che mi abbia già perdonato. Lei è sempre stata così. Io la guardo. Non posso fingermi sorpreso. Lei mi sta sorridendo, e ricambia il mio sguardo. Sembra così stanca. Oh, sto cominciando a sentire il rimorso, ed io odio il rimorso. L’ho trattata così male, ha un’aria così sbattuta! Basta, non posso resistere. Non sono mica un cosino senza cuore, io, io voglio bene alla mia zia Lalla. D’accordo, mi trovo abbracciato stretto a lei, ma, d’accordo, va tutto bene, lei mi sta ricambiando. Non si sta scostando né mi sta riempiendo di bestemmie. No, non poteva essere una ballerina. Di sicuro una ballerina non è così poco fine, e poi, dannazione, come si sarebbe potuta procurare tutte quelle bruttissime cicatrici? Ma a me che importa di lei? Quello che veramente è importante è che ora sia qui con me. Mi ricambia e mi coccola. Ah, mi piace questa sensazione, la sensazione di essere amato. Mi mancava: Chekaril non mi coccola. Sento il cuore che mi si gonfia, mi si fa enorme, come se io fossi il mondo ed il mondo fosse me. Forse nessuna madre è meglio di lei. Magari mia mamma non mi avrebbe mai abbracciato come lei. Lei è la migliore, anche se è piccolina, bassina, e mi sgrida sempre. Ma io so che non ce l’ha mai davvero con me. “ti voglio bene, zia, tu mi perdoni, vero?”. Non mi ero nemmeno reso conto di avere parlato. Non erano programmate, queste parole. Non volevo che uscissero. Beh, almeno spero che non abbia inteso questa frase come uno dei miei tentativi di ruffianeria! Beh, tanto vale essere sincero, e continuare. Magari così lei mi perdona più in fretta. Ho una strana voce. Triste, penso. “non intendevo dire quelle cose…io volevo solo farti stare zitta”. Ahi, Machin, non proseguire, è meglio. Ti stai confessando troppo. Zia Lalla è capace di darti uno schiaffo. Vabbè, poi mi avrebbe abbracciato. Non mi avrebbe mica ucciso come se mi avesse colpito Zipherias. La zia è sempre troppo buona di cuore. “tu non ti sei mai sostituita a mamma e papà. Tu sei sempre unica”. Bene, capita l’antifona? Non fare più la vittima perché poi io sto male. Odio quando tu fai la vittima, lo odio. Insomma, un po’ di carattere lo hai, no? E allora non fare la vittima. Va bene, sei stata sfregiata, hai avuto chissà che torti, sono morti papà, la mamma, e poi anche la mamma di Nilyan, però tu sei viva. Sei con noi. E noi non ti bastiamo? Perché ogni tanto fai quella faccia tanto triste? Perché quando guardi Roxen ti torci le mani come se fossero in fiamme? Perché quando è il mio compleanno sei la meno felice, e spesso e volentieri ti chiudi in camera con la scusa del mal di testa? Che ti ho fatto? Sono nato? Non volevi che io nascessi? E allora perché mi hai curato così bene, perché non mi hai abbandonato? Perché quando è il giorno della morte di papà sembra che sei morta anche tu? Perché sembra sempre che tu sia lì per commettere qualche sciocchezza? Perché hai cominciato a scrivere, e non la finisci più? Perché sembri così infelice? Tutte queste domande mi fanno tanto, tanto male. Odio questa sensazione, così come odio lo sguardo doloroso che mi hai appena lanciato. A volte vorrei scuoterti, zia. Scuotere quelle spalle sottili che hai, magari riesco a svegliarti. Mi fa una rabbia, vederti così giù, vederti scivolare in un baratro. Come se tu non avessi forza, come se tu indossassi una maschera. Roxen e Chekaril mi hanno raccontato che quando li hai conosciuti indossavi una maschera, ma poi l’hai rotta. Forse ora la maschera è dentro, e tu non te ne sei mai accorta. Quando la romperai? Non avrai mica paura delle cicatrici che ti porti dentro? Sono così brutte? Eppure nessuno ha più paura di te da quando ti sei rivelata, sono sicuro che tutti ti capirebbero se cominciassi a farti vedere per quello che sei davvero. Sono sicuro che tu facevi più paura prima, quando nascondevi tutte quelle brutte cicatrici, quando le portavi senza dignità, come una colpa. Eppure non mi sembri così brutta. Hai dei begli occhi neri neri, dei capelli ricci e morbidi, un po’ imbiancati, forse perché hai penato troppo. È solo una metà del tuo viso rovinata, ma, quando mi guardi, ora, penso che non c’è niente di sbagliato in quelle cicatrici che ti sfigurano. L’altra parte della tua faccia, del tuo corpo intero, perché io so che anche il braccio, la mano, la gamba, sono sani, perfetti, normali. È ciò che è successo, è uno sbaglio passato. Non c’è niente di male nell’aver sbagliato prima, no? ora tutti l’hanno perdonata. Magari soffrirà un po’ nel togliere la maschera, ma poi starà meglio, io ne sono sicuro, sicurissimo. Io la guardo e sorrido. Lei mi sta ancora abbracciando. Cerca di ricambiare il mio sorriso, ma o vedo che sta ancora tanto male. Povera zia. È tanto fragile. Sono stato davvero cattivo a farle tutto quello. Lei mi sembrava così felice, prima. Soddisfatta, almeno. Non mi sarei dovuto far rubare la spada. Dovevo stare più attento. Lei mi guarda e poi mi carezza la guancia che mi ha colpito qualche giorno fa. Sembra chiedere lei perdono a me. “in realtà hai ragione, piccolo mio”. Eh? Ragione? Certo, e Nilyan è una dolce bambina. La guardo secondo me come se fosse pazza. Lei mi da un buffetto. Detesto quando fa la vittima, l’ho già pensato eh? E lo ripeterò. Zia Lalla non impara mai. “non posso tarparti le ali…sono sicura che  ti salverai la pellaccia”. Sono tentato di fare degli scongiuri. Accidenti, mi sembra più che altro una maledizione. Io ho tutte le intenzioni di questo mondo di tornare. Non mi sono nemmeno innamorato davvero, non ho nemmeno visto zia ad una mia rappresentazione, non ho mai salvato una vita… non ho mai visto nemmeno uno straccio di umano! Dovevo fare tutte quelle cose. Sicuro. Lei continua. “ho paura, Machin, io sono ansiosa per voi due”. Mi confessa, stringendosi forte forte a me. Certe volte sembro io lo zio, e lei la mia nipotina. Forte. Oh oh. Mi sembra che lei stia piangendo. Oh, per tutti gli dei di questo mondo…come accidenti odio i piagnistei! Accidenti come odio sentire gli altri disperarsi! E poi perché vengono le lacrime anche a me, oh. Piango anch’io. Non mi piace piangere. Sembro sempre debole, a me piace ridere. Piace scherzare. Cerco una battuta, ma non me ne viene nessuna. Mi prudono le guance. Sono sicuro che qualche lacrimuccia la sto versando anch’io. Una battuta, Machin, una battuta idiota! Svelto pensa! Pensa, testa di rapa che non sei altro! Non faccio altro che stringerla forte. “mi mancherai tanto, cucciolo mio. Perdonami se non ho avuto fiducia in te”. Oh dei, ora lei chiede perdono a me. Tra poco il mio cavallo volerà. Sono sicuro che quando tornerò all’accampamento gli vedrò appiccicate un bel paio di alucce di libellula. Dei come odio queste cose. Finiscono sempre tutte uguali. Colpa mia, no colpa mia, tanti saluti baci baci. Mi viene voglia di chiudere lì e di fuggire al buio. Ma poi le farei troppo male, e lei ha bisogno di me, io non devo essere ancora più cattivo. Sono sicuro che Nilyan e Zipherias la aiuteranno a guarire un po’. Anche Capouille, quando non è impegnato a farsi maltrattare da Roxen. Come se lui fosse il suo schiavo! Ma cosa, quei due hanno una tresca? Fosse così la zia gli girerebbe la testa al contrario. E mi sembra un po’ strano che quella donnina allegra di Roxen abbia provato interesse per un verme come Capouille. Di solito adora gli elfi più anziani solo quando sono più anziani, ricchi da spolpare. Chi la capisce è bravo. Poi magari quando torna si sfogherà su Isnark, non mi dispiacerebbe se lei lo picchiasse un po’. A volte sembra buttare discredito sulla mia zietta, sembra volermi fare capire una cosa che non può dire. A me non interessa. Non deve interessarmi. Accidenti, sono curioso come un furetto, ma chissenefrega. Devo tradire zia Lalla? No, mai, io sono il suo adorato nipotino. La abbraccio forte, la mia zia, la mia cara migliore amica, con tutti i suoi difetti ed i suoi pregi, con tutte le sue lacrime da portare. “non ti preoccupare perché tanto io faccio prima di te”. Mormoro, e la stringo forte, più forte di lei, così si sente al sicuro. Così smette di singhiozzare debolmente, come se fosse stanca di piangere. “sputo un attimo nell’occhio di Lainay e torno. In fondo sono un mite Guaritore”. Chissà perché questa risposta la fa ridere tanto. Ride, ride, come una pazza, allegra, come se avessi detto la cosa più divertente al mondo. Non capisco. Però la cosa mi fa sorridere, e sorrido anch’io. Bene. Ora va meglio, va molto meglio. Lei sembra che si stia calmando un po’. Si stacca dal mio abbraccio, e mi guarda con il viso ancora pieno di lacrime. Però non piange più, la cosa mi riempie di sollievo istantaneo. Mi guarda e sorride dolcemente. “il mio nipotino, piccolo Machin”. Mh. Amo quando mi chiama così. Mi rotolerei dalla felicità se potessi. “vedi di non combinare guai. Chekaril non ti sopporterebbe se sei troppo vivace”. Combinare guai, io? Mi sento offeso! Io non combino guai! Io creare opere d’arte, vere e proprie opere d’arte! E non è colpa mia se Chekaril è un maledetto pantofolaio troppo serio, a cui manca solo il rotolino di lardo per essere un perfetto Guaritore! Le faccio una linguaccia, e lei ridacchia. Ho la mezza idea di combinare uno di quegli scherzetti a quell’altro lì… uh, che scherzetto gli si profila all’orizzonte. Si pentirà di essere un mite elfo, anche se poi so che finiremo per prenderci a botte come sempre. Amore tra cugini. Tanto so che vinco io. Lui non le sa dare, prende solamente. E poi si lamenta se gli faccio troppo male. Ben gli sta, a questo punto. È lui che attacca me. Bene, zia Lalla ora è calma, si accoccola contro di me, ed è così tenera. “tuo padre sarebbe così fiero di te…”. Oh. Cominciavo ad essere stanco di quel complimento, ma ogni volta mi faceva venire un coccolone. Vuol dire che io sono uguale a mio padre. Non posso fare  meno di sorridere. A me però manca il suo fegato. Fosse stato per me, altro che sacrificio. Sarei fuggito a gambe levate implorando mamma, e al diavolo tutti. La abbraccio brevemente, poi sorrido. Non so che dire, né che pensare. Mi ha spiazzato. “forse è meglio andare, zia, è tanto tardi ed io devo partire presto”. Accidenti, come odio quando fa così. Ha abbassato lo sguardo e lo tiene piantato a terra senza guardarmi. Io la cerco di prendere sottobraccio. Lei è troppo bassa per me, ma farò un piccolo sacrificio. Non risponde, ma si sta facendo mollemente trascinare, accettando in silenzio la mia scelta. Sa che non ci sono più cose da dire. Sa che è inutile. Ce ne andiamo così per la via del ritorno come due innamorati, in silenzio, vicini. Chissà quando la rivedrò, ma spero presto. L’accampamento è buio,  tutti dormono. Perfino Roxen accoccolata tra Capouille ed il fratello. Ma io so che Chekaril non sta dormendo. Chiedo mentalmente perdono alla zia, ma non parlo. So che questo lei non me lo perdonerà. Devo partire in silenzio. Aspetterò solo che lei si addormenti. Poi Chekaril si alzerà ed andremo via, via, lontani, verso il Nord. Non riesco a reprimere l’entusiasmo. Chissà, magari troverò i draghi. Conoscerò tutte quelle popolazioni strane, primitive, del grande Nord. Avrò tante belle avventure. Poi tornerò a casa dalla zia, e sarò un eroe anch’io. La cosa mi piace tanto. Così le auguro la buonanotte, la faccio stendere su quel mucchio di pellicce che è stato il suo lettino per tanti giorni, e le do un bel bacio sulla guancia, così se lo porterà fino a quando non sarò a portata per farmi coccolare un altro po’. Lei ridacchia, e, dopo poco, si addormenta. Sembra più serena, più felice. So che guarirà, che sarà felice. Anche senza di me. Magari senza i suoi piccoli da proteggere proteggerà se stessa. Però mi mancherà, tanto. Chissà, chissà cosa le succederà, quali avventure aspettano entrambi! saremo diversi quando ci ritroveremo? Non lo so. Non mi alzo. Non so, ma non riesco ad essere entusiasta, non più, almeno. Forse non ho voglia di crescere, chissà. Vorrei rimanere per sempre il nipotino, il cucciolo. Mi piace essere protetto, che devo dire. E viaggiare giorni e giorni con un essere che non ha il minimo senso dell’umorismo non mi affascina poi tanto. Anzi, mi sento lievemente depresso. Il che è un miracolo per me. Si dovrebbe festeggiare ogni volta che sono triste. Magari così mi risollevo un po’ lo spirito. Ecco, è ora. Sento dei leggeri rumori, poi qualcuno mi sfiora una spalla. Non mi giro, so che è Chekaril. Mi esce un sospiro. Mi sento triste. Mi mancheranno tutti. Anche Zipherias, che rompe tanto le scatole. “d’accordo, andiamo”. Mi alzo, e bofonchio. Mio cugino mi guarda, e scuote il capo. Fisso per l’ultima volta zia. Non si è accorta che la stiamo per lasciare. Nessuno se n’è accorto. Sbuffo, in silenzio, e prendo le mie cose. Ho preparato tutto, Nilyan mi ha aiutato. Come adoro quella mia cuginetta. È come una sorellina per me. Spero solo che non le verrà nessuna crisi senza di me. Zia Lalla sta malissimo quando Nilyan non si sente bene, e ci vuole qualcuno che le risollevi il morale. Non che lo butti più giù, come fa quella palla al piede di Zipherias. Mi rialzo e mi volto verso Chekaril. Sogghigno. Ehilà. Mi è appena venuta in mente una cosa geniale. “lo sai che stai ingrassando, Che?”. Gli dico, mentre ci avviamo ai cavalli. So che a lui da tanto fastidio. Ci tiene, al suo aspetto fisico. Elfo vanitoso. Beh, parlo proprio io, che passo ore a specchiarmi. Ma io sono bello di fatto. Non è una constatazione. “Miobashin ti ingozza, o sei incinto e non ce lo dici?”. Immediato è lo schiaffo sulla nuca, ridacchio un po’. Non c’è nulla di meglio di questo per risollevare lo spirito, no no. come mi diverte vedere quell’espressione esasperata sul suo visino delicato. Ah, com’è sempre serio. È noioso. Non si può vivere una vita senza pepe. Non c’è gusto. Così continuo, mentre salgo a cavallo, su quella bestiola pazzerella come me che mi ha regalato Nilyan. “dimmi un po’, il padre chi è?”. Mio cugino alza gli occhi al cielo, a cavallo pure lui. “temo che sarà un lungo, lungo viaggio…”. Borbotta, più che altro a se stesso. Io sogghigno. A quanto pare ancora non ha visto il peggio! Questo è solo l’inizio!

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Capitolo 16
*** E che succede, qui? ***


Auguro velocemente buona Pasqua a tutti voi, ed alle vostre famiglie

Auguro velocemente buona Pasqua a tutti voi, ed alle vostre famiglie.

Mi raccomando, non mangiate troppo X°D

Divertitevi con questo insulso capitolo, e comprendete che, seppure non sembri esserci niente, dovete leggere tra le righe.

Butto la pietra, nascondo la mano, con questo.

A presto!

Akita.

 

 

Si potrebbe chiamarmi in ogni modo, traditrice, voltafaccia e mille altri modi succulenti di dire, ma non idiota. Sapevo perfettamente, ne ero sicura, che Machin se ne sarebbe andato una volta che io mi fossi addormentata. Così fu. Non ero certo scema come pensava Machin, che mi aveva trattata tutto il tempo che eravamo stati insieme come un gioiello raro e prezioso, il ruffiano. Avevo interpretato bene il suo affetto esagerato. Non mi ero sbagliata, e perciò non fu un colpo, per me, non vederli al risveglio. Non vedere i miei due marmocchi biondi, così ben camuffati, non vedere Machin che faceva il buffone, Chekaril tentare di ricondurlo alla ragione, per poi fallire miseramente, e cominciare una piccola rissa con i fiocchi. Sentii, quando vidi i volti turbati dei miei compagni di viaggio, e quando sentii Zipherias annunciarmi cautamente che i due se n’erano andati nella notte, solo una fitta di autentico dolore, che poi si trasformò in qualcosa di più sordo e sopportabile, cioè un sentimento d’attesa che mitigava la preoccupazione. Avrei tanto voluto un metodo per comunicare all’istante con loro, senza paura di essere beccati, avrei tanto voluto potermi mettere in contatto con quei due in ogni momento. Chissà se esiste qualcosa che lo può fare. Ormai non mi stupisco più di niente, e, se qualcuno mi dicesse che si, esiste, penso che non mi smuoverei più di tanto. Mi misi un po’ a pensare. Ero stranamente calma, l’unica, insieme a Nilyan, a non avere un muso lungo o non cambiare umore ad ogni battito di ciglia, cosa che sembrò fare felice Zipherias. La situazione, tuttavia, non era delle più rosee. Non li avrei rivisti per molto, molto tempo. Riuscii ad essere calma, a rimanere calma, a quel pensiero. Accidenti, non potevo essere sempre la solita pessimista. Isnark non avrebbe mai mandato in una missione pericolosa il figlio di Tijorn, dovevo ragionarci su. Lui aveva rispettato profondamente il padre. Sicuramente aveva preso tutte le precauzioni per fare sembrare la sua identità di Guaritore vera. Magari Chekaril lo avrebbe presentato come un non più tanto giovane Tirocinante, ugualmente intoccabile,  come un collega un po’ goffo. Sicuramente gli aveva dato delle lezioni. Sicuro, era tutto a posto. Dovevo sperare in meglio, sarei morta se avessi continuato a preoccuparmi in quel modo. In fondo, chi mi diceva che sarebbero morti, quei due? Chi diavolo me lo assicurava? Solo la mia coscienza, che non voleva dire il destino, il mondo, il caso. In fondo io ero stata sicura di fuggire sana e salva con tutta la mia famiglia dal Regno, cosa che non era avvenuta. Come andavano le cose, di lì ad un mese, sarei stata di nuovo con tutti i miei piccini, finalmente un po’ tranquilla. Avrei provveduto a strigliare per bene il sovrano di Kyradon, però. Maledetto incosciente. Se lo meritava…ed io non sapevo nemmeno quanto! Ancora non ne ero cosciente, ma sarebbe venuto il momento in cui non avrei saputo se uccidere quel bastardo doppiogiochista pieno di segreti di Isnark oppure ringraziarlo strisciando. Ma arriveremo a quel punto a tempo debito. In quel momento potevo solo dire di soffrire in silenzio. Poi non è che soffrivo tanto. Ero solo preoccupata, come una buona zia deve essere. Machin mi aveva assicurato che sarebbe tornato sano e salvo. E poi aveva una copertura eccellente di Guaritore: nessuno ci aveva mai pensato. I Guaritori erano spiriti liberi, meglio dei menestrelli girovaghi. Potevano andare dove desideravano, diventare Guaritori itineranti oppure stabilirsi in un Lazzaretto. Era una vita tranquilla. Persino in battaglia chiunque esibisse prove certe di essere Tirocinante o Guaritore aveva salva la vita. Non potevano combattere se non per ovvie ragioni di autodifesa, né erano fatti per il combattimento, ma nessuno li toccava, perciò non avevano motivo di portare armi, coltelli a parte. Non era strano che Chekaril si fosse infilato in quella missione. Lui, il pantofolaio per eccellenza. Sicuramente lui ci sapeva fare con  le cure  e cose varie, e nessuno avrebbe potuto toccarlo, anche se l’avessero riconosciuto. Era un Guaritore, nemmeno Jalim avrebbe messo le sue mani sudice addosso ad uno di essi. Avevano tutti troppo rispetto di quelle figure. Era perfetto, tutto perfetto. Impossibile trovare, d’altronde,  le prove che Machin non fosse un Guaritore. Sicuramente Isnark aveva nascosto tutto, trasformando una Guardia operativa ed un attore narcisista in un mite agnellino. Il sovrano di Kyradon non era mica sciocco. Sapeva che, se Machin fosse tornato anche solo con un graffio, io l’avrei ammazzato. In qualche modo possibilmente molto doloroso, penso. Quindi, potevo stare tutto sommato tranquilla. La spiccata somiglianza con mio fratello poteva tranquillamente passare inosservata, così mescolata a colori e tratti che non c’entravano nulla con Tijorn Amarto. Erano gli occhi a preoccuparmi. Non tanto quelli di Chekaril: il suo camuffamento funzionava abbastanza bene, come anche gli occhi verdi. Ma le stupende iridi grigie di Machin non passavano certamente inosservate. Chiunque avesse conosciuto Tijorn abbastanza bene avrebbe potuto capire l’identità di quel giovane misterioso. Quella era indubbiamente la cosa che m’inquietava di più. Confidai nel buonsenso dei miei nipoti: non potevo fare altrimenti.

Il resto del viaggio si presentò praticamente vuoto di avvenimenti. Tutti erano di umore nero, meno me e Nilyan, le due ad avere uno straccio di speranza, e tutti non vedevano l’ora di arrivare, come succede sempre nei lunghi viaggi. Passammo molti posti che mi erano familiari, e che m procurarono un terribile groppo alla gola: avevo visto quelle cose quando ero andata a Scmen, avevo percorso lo stesso tragitto. Cercai di non farvi caso. Non era cambiato molto; erano sempre territori ben poco abitati, e l’aggressività del Regno li aveva ulteriormente svuotati. Il clima, man mano che scendevamo, cominciò a farsi, con mio enorme fastidio, molto più caldo. Tuttavia, non parlavo. Non potevo dire nulla. In fondo poi, non era così male. Erano bei posti, peccato che mi ricordavano tante cose. L’unica che aveva sempre da lamentarsi era Roxen. Da quando il fratello se n’era andato era divenuta praticamente insopportabile, e, se lo dico io, penso che sia indicativa come cosa. Già normalmente mia figlia non è mai stata molto gradevole, urticante e spinosa come un istrice arrabbiato, ma ora si stava arrivando ad un punto assurdo. Aveva preso a lamentarsi di tutto. Del clima, che non le piaceva,  che eravamo troppo lenti, poi troppo veloci, che il cavallo era indocile, i capelli non stavano al loro posto, Capouille era un idiota, che Capouille non la stava mai a sentire, che non vedeva l’ora di tornare a casa, che c’era un buco nel suo mantello, e così via. Era una macchina per le lamentele. Persino il mio paziente amico con i capelli rossi era arrivato ad un punto di non ritorno, e stava cominciando ad evitarla il più possibile. Fui io che misi fine alla cosa. Una sera, mentre stavamo mangiando tutti calmi accanto al fuoco, con il pretesto di un soffio di vento lei prese a lamentarsi come al solito, rintanata nel suo cantuccio, la mia bambina viziata. E pensare che io era uno dei pochi momenti che mi sentivo più serena. Nilyan mi aveva fatto ridere, ed aveva insistito per farsi pettinare i capelli, il che mi aveva rilassata. Ero incredibilmente a mio agio, cosa strana in quei giorni. “fa freddo, accidenti!”. Imprecò lei improvvisamente, nel silenzio, spezzandolo come un colpo improvviso di cannone. Zipherias alzò gli occhi al cielo e borbottò. Capouille fece finta di niente. Nilyan fece una smorfia di disappunto. Non so perché, ma io, per un momento, mi sentii invadere dal gelo. Quella scena aveva un che di familiare, di ineffabile. Era come se l’avessi già vissuta in qualche momento della mia vita. Quella sensazione svanì presto, sostituita dal fastidio. Spesso e volentieri Roxen era insopportabile. Eppure non faceva freddo. Era solo una notte frizzante, niente più. Avevamo di peggio da noi. “detesto questo gelo. Entra nelle ossa. Perché devo venire con voi?”. Scacciando il senso incombente di familiarità, la rabbia prese il sopravvento. Guardai mia figlia con astio. Lei sembrò farsi più piccolina. “è stata una tua scelta”. Borbottai, guardando il fuoco. “poi conosci la via di casa. Vattene, se vuoi”. Ci fu un momento di silenzio tombale. Non riuscii a non notare la soddisfazione segreta sul volto di Capouille. Mia figlia gelò per un attimo, poi stette in silenzio e non parlò per il resto della serata, con nostro grande sollievo. Da quel giorno cercò di essere più gentile, e nessuno di noi la sentì più borbottare. Non riuscii a non sentirmi soddisfatta. Amavo quella quiete. Così si svolse la penultima parte del nostro viaggio, quella che avrebbe dovuto portarci fino ai confini di Fiya, dove ci avrebbe  atteso un nuovo controllo. Confidavo segretamente nel fatto che le due dogane non fossero in contatto tra di loro, vista la scarsa amicizia tra Regno e Fiya. Se fosse successo un intoppo, addio ambasciatori. Carcere, di filato. Poi Isnark avrebbe avuto il suo bel daffare per liberarci. Devo dire, la prospettiva di finire tra la sbarre un pochino m’inquietava era possibile, era una cosa possibile, e quello bastava a mettermi addosso un vaga paura, un verme strisciante sulla mia pelle. Un’altra cosa che decisamente non mi piaceva era il fatto di dover tornare in un luogo che mi avrebbe irrimediabilmente ricordato cose che era meglio serbare da una parte, far finta che non fossero mai esistite. Beh, non potevo dimenticare Regis, non potevo dimenticare tutto quello che era stato per me. Sapevo che da quelle parti lo consideravano un eroe. Non so perché, ma la cosa mi provocava un misto di divertimento, e, ahimè, gelosia. Quello, che era stato un uomo come gli altri, che aveva amato, odiato, avuto paura, tremato, che veniva preso da sconforto e disperazione come tutti. Che era solo carico di un mistero in più. Quell’uomo, che  aveva stretta e baciata, sollevata in uno dei momenti più bui della mia esistenza, era divenuto mero segnacolo. Ridicolo. Eh, accidenti, com’ero gelosa. Rodevo di gelosia. Loro potevano ricordarlo. Io, se solo avessi accennato di ciò che ancora mi ricordava Regis, sarei stata presa in giro. Quando ci pensavo mi facevo schifo da sola. Non potevo agire in quel modo, accidenti. Regis era morto. Morto. Defunto, cenere, polvere, tanti saluti e via. Io ero ancora viva. La cosa non sapevo se giudicarla positiva o meno. Comunque. Non potevo rodermi pensando ad un morto, e basta. Certo mi sarebbe piaciuto un altro viaggio nel tempo… anche se poi davvero avrei dovuto trattenere a stento Zipherias dal picchiarlo. Di nuovo, ecco il turbamento. Cosa diavolo entrava Zipherias con tutto quello? Sicuramente  nulla, stavo facendo pensieri che non avevano senso. Cercai di  concentrarmi disperatamente su un’altra cosa. Mi sentivo incuriosita. Eh si, si vociferava che Fiya fosse molto, molto cambiata, specialmente la capitale, Qerin. Si diceva che niente del genere fosse mai esistito. Grazie alla magia, tutti avevano luce perenne nelle loro case, senza candele. Potevano spostarsi, cosa incredibile, senza cavalli. Avevano armi molto diverse, e quella era una delle ragioni per cui il Regno non aveva ancora inglobato quelle terre nei suoi possedimenti. La magia aveva fatto miracoli. Anche se tendevo a considerare molte di quelle cose come mere dicerie, ero curiosa. Avevo lasciato Qerin come un mucchio di rovine fumanti. Ricordavo ancora l’attacco di quei maledetti cosi, che da un lato aveva reso Regis mio amico, dall’altro aveva distrutto una così bella città in un attimo. Io c’ero stata, avevo combattuto anch’io. Chissà, magari si ricordavano ancora di me. Dunque, fremevo. Gli ultimi giorni furono per me i peggiori. Costellati, tra l’altro, da strani accadimenti. Mi pareva, ma non solo a me, di essere continuamente spiata. Non riuscivamo a capire, ma avevamo come la sensazione di essere attesi. Avevamo sentito spesso strani rumori dietro di noi, ma ogni volta che ci giravamo non c’era nulla. Avevamo preso quasi a correre, incuranti del tempo bello e limpido, o  del bel paesaggio pieno di alberi che cominciavano già a ricoprirsi di gemme. Mi sentivo spiata. Mi sentivo spiata e, non so perché, la cosa non mi piaceva. Per fortuna, una volta che fummo abbastanza vicini al confine, tutti questi strani segnali scomparvero. Nessuno di noi, però, si sentiva più tranquillo. Io non avevo dimenticato quelle due Spie che mi avevano osservata con un risolino sardonico tra le labbra.

Nell’attraversare quella terra di nessuno che precede le mura di Fiya, cominciai a sentirmi impaziente. Ero curiosa di vedere gli umani ed i loro cambiamenti. Sono sempre così pieni di sorprese, vivaci come infanti. Per il momento non incontravamo nessuna  ronda, e la cosa ci pareva strana. Tuttavia, ce ne approfittammo. Cominciammo ad esporre il nostro stendardo con cura maniacale, quasi disperata. Ancora niente. Io mi permisi di oziare in pensieri dolci ed amari al tempo stesso. duecento anni prima circa era tutto così diverso. Non c’era quell’aria tesa, che sapeva un po’ di morte. Da Fiya entravano ed uscivano creature di tutte le razze, non c’era quella pace vigile di quei tempi. Era vera pace, allora. Ricordo che, per entrare, non avevo dovuto far altro che presentare un documento falso ad una guardia assonnata, e asserire che partecipavo al torneo. Quell’uomo si era risvegliato dal suo torpore, ed era parso entusiasta. Aveva cominciato a farmi un mucchio di domande a cui, allora, avevo risposto infastidita, e mi aveva addirittura invitato a cena, invito che avevo rifiutato con sdegno. All’epoca odiavo ancora la razza umana. Nessuno odiava nessuno, i commerci erano ancora liberi e fiorenti. Ora tutta quella pace era come morta. Era tutto vuoto, morto, in quell’angolo di terra. Rivedevo, con la coda dell’occhio, quella che Fiya era stata, e mi veniva un groppo in gola. Ecco il risultato dei desideri di una matta. Confini chiusi. Mura protettive. Terre di nessuno. Gli umani odiavano gli elfi e viceversa. Profughi. Miseria. Sentivo una vera e propria sofferenza nel ricordare il passato. Un tempo non era stato così. Un tempo andava tutto bene. Maledetta Lainay. Aveva rovinato tutto. La guerra aveva rovinato tutto. E noi continuavamo a viaggiare, immersi nell’erba alta, in silenzio, in un silenzio che sapeva di morte, di passato, un silenzio che lamentava giorni che non c’erano più, e che non ci sarebbero stati mai.

Finalmente, quando ormai eravamo vicini alle bianche mura impenetrabili ed alte, che avevano segnato per gironi il nostro orizzonte, snervati dalla mancanza di reazioni,  un rumore di zoccoli che non era il nostro ci disse che qualcuno si stava avvicinando. Tutti si guardarono. Sentii, per un attimo, il cuore balzarmi in gola. Non riuscivo a capire perché, ma ero molto nervosa. Non ero stata beccata a fare niente di male, anzi, il mio viaggio era lecito, ma non potevo non essere molto, molto nervosa. Era sempre così. Io, Zipherias e Capouille ci guardammo. Guardai Nilyan, che era quella che si preoccupava meno di tutti, anzi: sembrava quasi euforica. Ruppi io il silenzio che da giorni permaneva nella nostra depressa compagnia. “in posizione, non voglio lamentele o confusioni”. Dissi, parole che mi sembrarono colpi di sassi alla finestra. Erano secche, dure, nervose. Fulminai Roxen con lo sguardo, la mia povera figlia, che sembrò farsi piccina piccina, e si mise in retroguardia, rossa come un pomodoro. Da quando l’avevo rimbrottata sembrava umile ed obbediente come un cagnolino, ma a volte notavo un certo lampo iroso nel suo sguardo, che mi faceva sorridere. Non cambiava mai. Sempre frustrata, sempre insoddisfatta di tutto. Zipherias mi porse lo stendardo di Uruk, che io brandii con fare annoiato, insieme ad una umile bandiera bianca, probabilmente, come pensai con malizia, ricavata da uno straccio da cucina, come si evinceva da un paio di macchie sospette che avevano l’aria di essere vino. Certo che come compagnia eravamo piuttosto arrangiati: ma quello era più che comprensibile, soprattutto quando l’organizzatore era Capouille. Poi, il mio grosso amico mi si mise a fianco, superbo sul suo cavallo nero. Io mi sentii oltremodo ridicola sul mio minuscolo Nano, irsuto e docile ronzino, non ero degna di portare lo stendardo. Diedi tutto di nuovo al mio amico, che mi fissò con aria strana. Io tentai di sorridere. Forse ero un po’ rossa in viso. Mi sistemai, cercando di darmi un’aria un po’ più dignitosa. Accidenti, era difficile. Avrei voluto sprofondare, davvero. Capouille, poi, si mise accanto a Nilyan, tutta emozionata, ed una Roxen un po’ giù di tono si posizionò dietro a tutto, con un broncio che arrivava a terra. Di nuovo, mi passai una mano tra i capelli. D’accordo, ero fin troppo nervosa. Nervosa senza sapere il perché. Rimanemmo fermi, immobili, attendendo che ci raggiungessero. Finalmente, gli uomini ci raggiunsero. Erano una decina di soldati, abbigliati con abiti molto strani, dai colori del bosco, di un materiale che non mi sembrava di aver mai visto. Non mi sembravano armati, e la cosa m’insospettì. Insomma, non m’insospettì. Avevo però l’impressione che non tutto fosse come pareva. I cavalli, anche ad un occhio poco clinico come il mio, sembravano troppo poco tonici e pigri, non cavalli da guerra. Parevano un po’ nervosi, come se non fossero abituati ad essere cavalcati. Quel manipolo di strani umani, inoltre, che sembrò sorgere dalla terra, tanto si mimetizzava bene con l’ambiente, non aveva l’atteggiamento del cavaliere. Insomma: mi ricordavano in misura minore quei soldati strani che avevano accompagnato Regis. Sacchi di patate. Mi guardai con Zipherias. Anche lui sembrava piuttosto sull’attenti. Quella mi sembrava tutta, più che altro, una sceneggiata. Come se non volessero farci vedere qualcosa. Finalmente, quegli strani tipi ci furono vicini. Cominciarono a rallentare anche loro, poi si fermarono a poca distanza da noi. Li guardai meglio. Sembravano giovani, tutti alti, tutti miseramente uguali, stretti in quelle divise tutte tagliate e cucite a loro misura. Mi sentii molto a disagio. Un po’ come una nonna in mezzo a tanti nipotini piccoli. Mi sentii irrimediabilmente anziana. È una sensazione che mi afferra spesso, con gli umani. Ci fu un momento in cui tutti guardarono tutti. Nilyan si mosse come un’anguilla, in sella. Era tutta contenta. Sorrideva guardando gli umani. Sbirciava per vedere le loro orecchie, per vedere se riusciva a guardarle. Io ero molto meno contenta. Ora si giocava il tutto per il tutto. Ero sicura che il Regno e Fiya non comunicassero tra di loro, ma la prudenza non è mai troppa. Aspettai con angoscia che qualcosa si smuovesse. Finalmente, uno degli umani si fece avanti. Era un giovanotto, alto e smilzo, quello che stava a cavallo meglio di tutte quelle facce di bronzo. Non aveva nulla di particolare. Faccia normale, una carnagione un po’ scurita dal sole, occhi scuri e capelli castani e scompigliati. Stava sull’attenti, ed aveva una mano in tasca. Non aveva nulla di particolare. Eppure mi colpì con la violenza di un ramo in faccia. Sobbalzai in sella, tanto da far sbuffare Nano. Perché, accidenti, quel tipo mi era così maledettamente familiare? Perché mi sembrava di averlo visto già da qualche parte? Lo guardai male. Tutta quella familiarità non mi serbava nulla di buono. Eppure si, aveva qualcosa che mi sfuggiva, una componente ineffabile che davvero non capivo. Qualcosa in me lo riconosceva, qualcosa che destava un bel po’ di disagio in me. Guardai il tipo con diffidenza, che si avvicinava a noi due, rivolgendosi a Zipherias. Io, intanto, mi alzai la manica della veste, mettendo in mostra la benda viola. Nessuno se ne accorse. “chi siete? Dove andate?”. Domandò quello, una voce giovanile ed allarmata, dal forte accento, rivolto al mio amico, credendo che fosse lui il capo. Cercava di parlare la lingua franca usata da umani ed elfi, ma non gli riusciva tanto bene. Lo capivo a stento. Mi feci avanti io, indispettita. Solo perché ero piccolina, non dovevano pensare che non fossi indispensabile. In un attimo, negli occhi scuri e familiari del ragazzo vidi passare confusione, riconoscimento e poi divertimento. Mi sentii infastidita. Che voleva da me, quel tipo? Ero bassa? Va bene. Sentii ridacchiare qualcuno. Cercai disperatamente di non arrossire. La situazione era strana. Ed io ero nervosa. Rovistai disperatamente nelle mie tasche, in cerca della lettera. Quando la trovai, sospirai di sollievo. “sono Ch’argon di Uruk, e vengo a portare questa lettera ai sovrani”. Dissi, con una vocina che mi pareva timida ed intimorita, mentre continuavo a chiedermi dove diavolo avessi incontrato quel tipastro. Erano parole normali, normalissime, ma ridicole nella mia bocca. Ancora risatine avanti a me. Fui tentata di guardare male quei tipi. Ma non mi fidavo: l’apparenza non conta. Seguii così il protocollo, e tesi a quell’umano la lettera tutta sgualcita. “siamo ambasciatori”. L’umano sorrise, un sorriso che si sovrappose per un istante ad un altro, gettandomi nella più nera confusione. E poi successe una cosa strana, stranissima, qualcosa di cui ancora mi chiedo il motivo. Qualcosa che mi gettò nel sospetto. “grazie, Lsyn”. Disse il ragazzo, sorridendo, come se non si fosse reso conto di nulla, prendendo la lettera dalle mie mani con grazia, come se mi avesse conosciuto da sempre. Sobbalzai, come punta da una vespa. Mi sentii divenire bianca bianca. Eh? Il mio nome in bocca a quel tipo, che, peraltro, non sembrava essersi reso conto esattamente di nulla, e leggeva la lettera con calma serafica? E che stava succedendo? Perché perfetti sconosciuti conoscevano il mio nome? E perché sentivo che in quello non c’era nulla di sbagliato? Ma cosa accidenti stava succedendo? Fissai Zipherias, interdetta. Ma quello che mi restituì lo sguardo fu un elfo confuso come e più di me. C’era qualcosa di strano. Avessi capito cosa…

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Capitolo 17
*** Un amico ritrovato! ***


Da quel momento in poi, mandai allegramente al diavolo il protocollo

Da quel momento in poi, mandai allegramente al diavolo il protocollo. Mi serviva perfettamente a nulla. Ci facevo le frittelle, con l’educazione, dopo che quel tipo mai visto prima, ma che mi pareva di conoscere da sempre, mi aveva chiamato per nome. Per nome! Insomma, accidenti, è normale? No, è praticamente assurdo. Quel tipo era un ragazzino, secondo il mio metro di giudizio. Era tanto se sorpassava i venti anni umani. Io non andavo a Fiya esattamente da duecento anni, forse di più. Quel tipo proprio non era un elfo. Aveva lo sguardo ingenuo tipico dell’umano, ed avrei scommesso la parte sana del mio viso sulle sue orecchie tonde tonde. Non l’avevo mai visto, ne ero sicura, più che sicura, mai visto in vita mia. Tutto sommato, erano circa venti anni che non mi muovevo da Uruk, e ad Uruk ci sono ben pochi umani, nessuno dei quali aveva una seppur minima somiglianza con il volto pulito, indurito dal suo mestiere di soldato, di quel tipo. Eppure, avevo la netta impressione di averlo già visto. Come se fosse un vecchio amico, che un lungo viaggio ha impedito di vedere. Un amico ritrovato. Davvero, davvero, assurdo. C’era qualcosa d’insistentemente familiare in ogni gesto di quel marmocchio. Scossi la testa come un cane bagnato. D’accordo, l’unica spiegazione era che stavo impazzendo. La vecchiaia stava prendendo il sopravvento. Eppure ero così giovane! Non una ragazzina, ormai, per gli elfi, ma non potevo essere tacciata di anzianità, proprio no. Ero nell’età in cui le giovani di buona famiglia si sposano, tutto qui. Il che fa capire molto sulle abitudini un po’ accelerate delle Spie. Bene, chiunque fosse stata mia madre di sangue mi doveva parecchie spiegazioni. Non era giusto che io soffrissi di allucinazioni con ancora tutti quegli anni da vivere! Non volevo certamente diventare lo zimbello di tutti. Già era abbastanza vergognoso desiderare di sprofondare ogni volta che mi trovavo in mezzo alla folla e dovevo mettermi in punta di piedi per ogni minima cosa. Era già abbastanza imbarazzante essere una sorta di ragno al di sotto della media, per di più a metà sfigurato. Le risatine che avevo sentito erano segnale più che indicativo su ciò che gli altri pensavano di me. Avrei voluto avere almeno il mio abito da Ch’argon per darmi un po’ di contegno. Perciò, non riuscii a non dare una certa meravigliata disperazione alle mie parole, quando mi rivolsi a quel tipo. Soprattutto perché avevo l’impressione che Zipherias, di lì a poco, sarebbe scoppiato. Sembrava imperturbabile, ma un certo luccichio irritato negli occhi preannunciava grossi guai. Per me, mica per il ragazzo. Da quando Regis se n’era andato quell’elfo era divenuto, possibilmente, due volte più protettivo di prima, il che era tutto dire. Quindi, mi affrettai. Non avevo la minima voglia di litigare con il mio amico. “come mi hai chiamata, scusa?”. Domandai, un tono che tutto era fuorché pacata meraviglia. Al diavolo il voi, voi un corno. L signorino mi doveva più di una spiegazione. Sentii altre risatine, il che mi riempì di ulteriore ira. Non era possibile che qualcuno conoscesse il mio nome! Alla faccia della segretezza assoluta ed assurda! Avrei dovuto essere, per tutti, la Ch’argon, e basta! Invece, ecco qui il regime di accurata segretezza di quel cretino di Isnark. Facevo bene a preoccuparmi per Machin e Chekaril: qui un tipo sconosciuto, un umano sprovveduto appena caduto dal nido, mi chiamava per nome. Per nome. No-me. Quello che proprio doveva nascondere. Non mi sarei stupita se mi avesse chiamata Spia del Regno. Non più, almeno. Il tipo sobbalzò, preso di sorpresa, e mi guardò in modo strano, lasciando stare la lettera. Di nuovo, ecco quella terribile sensazione, quando lo guardai fisso negli occhi castani. Familiarità. Accidenti, sembrava che avessi il suo nome sulla punta della lingua, ma che non mi venisse. Un amico perduto da tempo. Ecco, quella sensazione continuava a darmi. Forse lui lesse lo stupore nei miei occhi, perché parve molto smarrito. Ecco una situazione decisamente assurda. Nessuno di noi sapeva che fare. Finalmente, lui si decise a parlare. “come…come ti ho chiamato?”. Nella sua voce c’era solo un bambino preso di sorpresa a mangiare la marmellata. Bene, almeno aveva mandato alle ortiche l’educazione. Mi sembrava normale, però, rivolgermi a lui in quel modo. Non c’era imbarazzo. Come se fossi abituata a dare agli umani del tu, ed a ricevere confidenza. Avanti a me, sussurri. Mi arrischiai a guardare per un attimo gli umani. Sembravano tutti parecchio divertiti dalla situazione. Un paio leggermente a disagio. Mi furono immediatamente simpatici. In un attimo, riguadagnai la mia compostezza. Fulminai con un’occhiata che voleva essere severa il giovane, che soppresse un sorriso. Tuttavia, negli occhi scuri c’era molto stupore, meraviglia. Sembrava non sapere che pensare. Cominciai a registrare i suoi lineamenti. Per caso li avevo già visti da qualche parte, magari stemperati in quelli di un suo fantomatico antenato? Non riuscivo a ricordare. Niente in quel tipo mi suggeriva un umano già visto. Era, più che altro, una sensazione vaga, lontana, un qualcosa che premesse per farsi vedere, ma non ci riuscisse. Era disarmante. Non sapevo più che pensare. Magari era un elfo in incognito. Oppure un umano modificato da qualche incantesimo. Eppure la confusione sul suo viso mi diceva che non era possibile. Perciò, fui un po’ più dolce quando gli risposi, quasi comprensiva. Comprendevo me, che ero mezza pazza, dovevo per forza comprendere pure lui. “mi hai chiamata per nome”. La mia risposta tranquilla, per quanto era possibile in quel frangente assurdo, scatenò una serie di reazioni a catena in quel viso pulito ed onesto. Tra le tante, pura incredulità. Poi mi prese per pazza. Ero sicura che mi stesse prendendo per pazza. Mah, continuava insistentemente a ricordarmi qualcuno. Bah. Magari era il figlio di qualche umano intravisto chissà dove, chissà quanto tempo prima. Probabile che fosse così. Dovevo stare tranquilla: non era nulla di che. E poi, era così divertente quell’espressione di stupore stolido su quel viso. “io non ho detto niente”. Sembrò mettersi sulla difesa, il signorino, una cosa che mi divertì da morire. Aveva una faccia che doveva essere peggio della mia. Tutto un programma. Ci fissavamo come due idioti, in un silenzio tombale. Anche quei cretini degli uomini si erano zittiti, ed ora erano tutti impazienti, in attesa che qualcosa si muovesse. Sicuramente non era una cosa buona stare in mezzo all’erba alta così, in attesa che qualcuno ci colpisse, gioendo di un bersaglio così semplice. Dei, che situazione strana. Beh, tra l’altro fu la meno strana di quelle che seguirono, tuttavia. Sbirciai dalla parte di Zipherias. Lui sembrava sospettoso, ma almeno un po’ più rassicurato. Cercai di rincarare la dose, per pararmi le spalle. “invece si: mi hai chiamata Lsyn”. A quelle parole, sul volto del mio interlocutore passò il fastidio. Mi sembrò di avere esagerato, e sentii una fitta di disagio. Forse avevo davvero esagerato. Come sempre, insomma. “se l’ho detto, non me lo ricordo”. Disse, adottando un modo molto più spiccio che mi sembrò più naturale. Distolse il suo sguardo dal mio, e percorse tutta la compagnia. Si soffermò per un attimo su Nilyan, stupito da chissà cosa, poi guardò Roxen con sospetto, ed un sorrisino. Mi restituì infine la lettera, evitando il contatto con me. Mi sembrò oltremodo irritante. Mi voleva nascondere qualcosa, oh si. Sicuro, o io ero paranoica, cosa di cui ero altrettanto sicura.  “ora seguiteci”. Mamma mia, che accoglienza calorosa da parte di quello che sembrava il capo. Di solito non eravamo certamente accolti in pompa magna, ma nemmeno a pesci in faccia, diciamo la verità. Sembravamo intrusi. Accidenti, eravamo ambasciatori di un regno lontano, e, tra l’altro, tra di noi c’era anche l’erede al trono, l’unica erede al trono, del suddetto Regno. Un po’ più di rispetto, quindi. Sembravano detestarci. Un branco di lupi in un pollaio, più o meno.  Ma che avevamo fatto? Non eravamo certamente messaggeri del Regno. Eravamo Uruk, una nazione almeno più neutrale delle altre, vittima come le altre di Lainay. Bah. Se solo non avessimo avuto la protezione di ambasciatori mi sa che saremmo stati giustiziati solo per le nostre orecchie a punta. Gli altri umani, senza abbandonare la loro aria sorniona e rilassata, ci circondarono. Loro non sembravano tanto maldisposti nei nostri confronti: forse il fatto che eravamo ambasciatori aiutava. Nilyan prese a guardarli apertamente, trepidante. Poi ci scambiammo uno sguardo, e lei sorrise. Poi fece una domanda sommessa, che non intesi, al cavaliere umano che le era accanto, che mi pareva donna, sulla trentina di anni, dai capelli chiari. Lei dapprima fece una certa faccia stupita, poi sorrise e si rilassò subito, pensando probabilmente di avere di fronte nient’altro che una bambina, nonostante quella bambina avesse quasi il triplo dei suoi anni. Poi si scostò una ciocca chiara dal viso, lasciando intravedere le orecchie. Scossi il capo, e mi girai, mentre prendevamo a muoverci lentamente, ancora a stendardo spiegato. Zipherias cavalcava vicino, quasi appiccicato a me, guardandosi attorno con una strana aria. I due umani che ci stavano accanto si guardarono, guardarono me, poi scoppiarono a ridere. Sembravano tutti piuttosto rilassati. Sentivo, dietro, gli squittii allegri della mia entusiasta nipote. A quelle risate  arrossii furiosamente, ed abbassai il capo. Probabilmente stavano prendendo in giro me, e la differenza che c’era tra Lsyn Amarto e Zipherias. Era imbarazzante: sapevo che, una volta scesi da cavallo, sarebbe stato molto peggio. Mi guardai attorno. Quei soldati sembravano tutti abbastanza tranquilli. La donna aveva preso a parlare con Nilyan, conversazione stentata a causa della cattiva conoscenza della lingua franca da parte della giovane umana. Verteva sulle orecchie, ne ero quasi sicura. L’unico a non essersi amalgamato con noi era proprio il loro capo, quel giovane che tanto mi ricordava qualcuno di già visto. Cavalcava avanti, ritto in sella, come se non ci fossimo. Qualcosa mi disse però, che era piuttosto seccato, quasi agitato. Accidenti se mi ricordava qualcuno, quel modo freddo di fare. Dignitoso, aggiungerei. Lo guardai. Mah, stavo impazzendo. Magari mi ero immaginata tutto.

Cavalcando per un po’ insieme, nell’erba alta ci rendemmo conto che era praticamente inutile continuare a temere l’uno dall’altro. Non potevamo fare del male a nessuno. Poi, quegli umani sembravano avere una certa sicurezza che noi eravamo inermi. Eravamo più veloci, eccetera, ma loro sembravano avere qualcosa che noi non avevamo. La Principessa aveva già rotto il ghiaccio con quella gentile ragazza, ora toccava agli altri. Perfino a me fecero una gentile domanda, su come fosse stato il viaggio. L’unico a non darci per niente corda era il loro comandante, quel tipo molto giovane. Camminava avanti, e non sembrava avere particolarmente in amicizia la nostra razza. Beh, me ne feci una ragione. Anche se sentivo l’irresistibile quanto incomprensibile desiderio di andargli vicino e cominciare a parlare, riprendere un discorso interrotto anni prima, non mi azzardai. Non avevo voglia di essere mandata al diavolo. Camminammo così tra l’erba alta, avvicinandoci sempre di più alle alte mura umane, una costruzione solida e bianca, dall’aria imprendibile, dalle strette feritoie. Con mia grande sorpresa, non andammo dritti, verso la grande porta di ferro, ma andammo verso sinistra, verso una porticina più piccola. Come se non volessero farci vedere qualcosa, come se stessero volontariamente evitando di farsi vedere con noi. Era strano. Mi sentivo spiata, e la cosa era inquietante. Mi metteva un’inquietudine addosso che non mi piaceva per niente. Non c’erano torrette, ma io ero sicura che qualcuno ci stava guardando. Come volevasi dimostrare, appena il giovane si avvicinò un po’ di più ad una piccola porta di un materiale che mi sembrava un misto tra ferro e legno, ci fu uno scambio rapidissimo ed incomprensibile, perché nella loro roca lingua, tra il tipo ed una voce di qualcuno che a me era invisibile. Dopo un po’, pochissimo, la robusta porta si aprì, lasciando intravedere un cortile deserto. Entrammo due a due. Quando fummo tutti dentro, la porta si richiuse di schianto. Sobbalzai. Non so perché, ma ero sempre più nervosa, man mano che il tempo passava. Mi sembrava quasi una trappola. Mi addossai a Zipherias, in cerca di conforto. Lui mi guardò stranamente, come se stessi impazzendo. In effetti, non c’era nulla di strano. Eravamo in un cortile dal pavimento sterrato, terra battuta tante e tante volte, dietro di noi le mura solide, avanti a noi un caseggiato, con quelle che mi sembravano le stalle a fianco. Eppure c’era qualcosa che non andava. Era tutto troppo tranquillo, tutto come falso. Tutto troppo pulito. Non si sentivano rumori, nitriti di cavalli. Niente. Piuttosto, avvertivo strane vibrazioni che mi mettevano leggermente in allarme, perché non ne comprendevo la causa. Non vedevo nulla oltre quel posto. Che fosse una trappola? Che stessero per ucciderci? Oh, sperai di no. Mi guardai ansiosamente intorno. Gli umani, a differenza mia, sembravano tutti a loro agio. Tutti rilassati, come se comprendessero di essere ormai a casa. L’unico che non aveva cambiato espressione era proprio il capitano, che ancora ci guardava come se fossimo nemici, ancora mi guardava come se fossi uno strano mostro, ancora sembrava turbato e smarrito. Lui ebbe un veloce scambio di battute con la ragazza che aveva parlato con Nilyan per tutto il tempo. Poi si rivolse a noi. “potete scendere da cavallo”. Disse, secco, duro. Una persona abituata all’obbedienza, soprattutto molto infastidita dalla nostra intrusione. Mi chiesi vagamente cosa gli avessimo fatto di così male. “i bagagli ve li porteranno loro, dopo. Dovete seguirmi”. Alzai gli occhi al cielo, ed obbedii, come tutti. Zipherias arrotolò con fare dignitoso lo stendardo di Uruk, ma lasciò, saggiamente, la…beh, lo straccio macchiato, perché non me la sento di chiamarla bandiera bianca, in mano. Quando misi piede a terra, sentii alcuni risolini derisori dietro di me. Perfino il giovane si lasciò sfuggire una smorfia allegra. Arrossii per l’ennesima volta. Ero così tremendamente inadeguata. Ero la più piccola: perfino gli umani erano alti quanto gli elfi. O meglio, alti come tutti tranne Zipherias. Lui ancora svettava. Beato lui. Cercai di calmarmi. Non mi sembrava che ci stessero per uccidere. Per sicurezza, mi affiancai a Nilyan. Almeno volevo proteggerla. Dovevo proteggerla, avevo il compito di farlo da quando era nata. Così, cominciammo, un po’ traballanti per via delle molte ore a cavallo, ad avviarci verso la porticina che ci stava di fronte, accompagnati dalla ragazza e dal giovane, lasciando tutto nelle mani dei divertiti umani, che rimasero tutti lì. Mi sentii piuttosto nervosa. Il mio viaggio tra gli umani stava avendo inizio.

In realtà non volevano ucciderci. No, per niente. Entrammo tutti, un po’ stipati, obbedienti, in quello che i sembrava uno studio. C’era qualcosa di strano, oggetti nascosti da scatoloni, un mucchio di ferro dalla forma di…non so cosa, dai tanti rotondi neri su, che non avevo mai visto in vita mia, un armadio di ferro, pile e pile di fogli. Polvere che ci fece starnutire. Nessuna finestra due porte, una che dava ancora di fronte, l’altra, più piccola, al lato. Seduta dietro una scrivania, l’unica cosa familiare in quel luogo spoglio, senza finestre, tutto di legno, c’era  una donna anziana con una strana uniforme blu, di un bel materiale compatto. Una donna dall’aria severa. Fissandomi con aria professionale, cominciò, parlando senza il minimo accento, a chiedermi le solite, noiose, formalità. Chi eravamo, che volevamo, dove dovevamo andare. Volle vedere la lettera, poi parlò a lungo con i due ragazzi. Io mi scambiai un’occhiata annoiata con Roxen, che si guardava attorno senza interesse. A lei gli umani non piacevano particolarmente. Erano troppo….beh, vivevano poco, per il suo giudizio. Creature poco interessanti. Mi trattenni dallo sbadigliare. Finiva tutto così. Un paio di giorni al confine, il tempo di avvisare i regnanti del nostro arrivo e dell’avere la conferma che si stava attendendo un’ambasciata straniera, poi ci avrebbero scortati al castello. Era stato così nelle mie altre missioni. Quella non fece eccezioni. Rivolgendosi a me con la sua parlata pacata, la signora mi avvisò che avrebbero comunicato al più presto il nostro arrivo alla regina, ma che bisognava aspettare qualche giorno, in cui ci avrebbero ospitati. Sarebbe stata questione di poco. Poi consegnò a me e Zipherias due chiavi arrugginite, e si voltò, scribacchiando qualcosa su un foglio, di spalle a noi, senza più interessarsi. Il colloquio era finito. Ma che bello. Mi sentii un po’ più sollevata. Perfetto, ora bisognava solo attendere. Tutto si sarebbe svolto in poco tempo, sarebbe andato tutto a posto. Poi sarei tornata a casa, una cosa che non vedevo l’ora di fare. Da un certo punto di vista, mi sentivo delusa. Era ovvio, palese, lapalissiano, che ci stessero nascondendo qualcosa, ma a me non sembrava che fossero cambiate molte cose. Forse negli abiti, nelle armi, che non avevo ancora visto, ma tutto mi sembrava normale. Dovevo ancora vedere Qerin, mi dissi. Quello era solo un avamposto ovviamente reso antico per la vicinanza con il Regno, potevo scommetterci. Non bisognava dare l’impressione di essere troppo avanzati. Il nemico era sempre in agguato. E poi dovevo ricordarmi una cosa: non avevano requisito le nostre armi. La cosa era indicativa: non ci temevano. Strinsi la chiave fredda, che sapeva di ruggine. Mah. La spiegazione non mi convinceva. Un altro po’ consideravano nemici anche noi. Uscimmo dalla porta più grande. Ci trovammo in un grande spiazzo, un cortile dalla forma quadrata, attorniato da un casermone che seguiva la sua forma, un grosso caseggiato quadrato dall’aria funzionale e basta. Al centro del cortile, una statua in bronzo scuro, una statua di quello che mi pareva un uomo, a cui, in un primo momento, non feci attenzione. Mi concentrai più che altro su quello che avevo intorno. Attorno al cortile di ghiaia c’era un portico. Tutto imbiancato, dai colori che davano fastidio alla luce del sole. Non c’era nessuno. Era tutto deserto in una maniera terrificante, spettrale. Mi era parso d’intravedere, un paio di volte, un luccichio di metallo, in alto, ma quando avevo tentato di vedere meglio non avevo visto nulla. Solo un raro baluginio che mi metteva molto in allarme, di tanto in tanto. La cosa mi gettava una gran fifa addosso. Mi sentivo spiata. Ancora. Quelle vibrazioni. Nessuno, oltre noi, sembrava rendersene conto. Fummo solo noi a guardarci a disagio. Oltre il tetto chiaro di quell’edificio, diviso apparentemente in due ali, intravedevo dei pali con dei fili su. Mi sembravano attaccapanni, per magari asciugare i vestiti, ma non c’era niente attaccato. Era come una stazione fantasma. Non c’era nessuno, nessun rumore. Guardai le finestre chiuse, il porticato deserto, da cui, ad ogni lato, si alzavano due scalinate contrapposte, guardai poi tutti. I due umani sembrava che ci stessero lasciando il tempo per abituarci. Ci guardarono, ma non sembravano ostili. Facemmo qualche passo in avanti, smarriti. Era tutto così freddo, impersonale. L’unica cosa che dava un po’ più di vita era quella statua di cui non riuscivo a scorgere i lineamenti, poggiata fieramente su un piedistallo di marmo, che sembrava guardare tutti dall’alto in basso, spocchiosa. La trovai leggermente minacciosa. Però, ero incuriosita, chissà chi era quel tipo. Uno dei loro soldatacci di sicuro. Vestiva alla maniera di Fiya…beh, duecento anni prima, era armato con un arco a tracolla e con una spada che sembrava lì lì per sguainare. Sorrisi. Che ingenuità. Mi avvicinai un po’ di più, cercando di farmi schermo con una mano per osservare meglio. Mah, ancora non riuscivo a vedere. Sentii cigolare una porta, rumore che mi fece sobbalzare nel silenzio mortale di quel luogo. Sospirai quando vidi gli altri umani che ci avevano accompagnato raggiungerci, con in mano i nostri bagagli. Mi venne quasi voglia di ridere. Ero troppo nervosa: dovevo stare calma. Guardai per un attimo, il tipo a me tanto familiare. Sembrava leggermente più rilassato, ma non aveva perso la sua aria di velata ostilità nei nostri confronti. Osservai poi Nilyan, che zampettava attorno al cortile con aria curiosa, seguita da un’annoiata Roxen e da Capouille. Zipherias era accanto a me, ed osservava la statua con aria misteriosamente vigile. Finalmente, un umano ironico venne a darmi il mio leggero fagotto, di cui mi appropriai con sollievo. Lo strinsi. Lì dentro c’erano un paio di cose piuttosto utili. Il ragazzino che mi aveva chiamato per nome prese poi la parola, spiccio, secco. “le due ali dell’edificio sono divise in maschile e femminile, e vedete di non mescolarvi”. Disse, fissandosi le unghie, come se non esistessimo. Mh, che odio. Com’era spocchioso, odioso, freddo, poco interessante, idiota, pieno di pregiudizi, e mille e mille e mille altri epiteti meno carini. Sentii un grande fastidio attraversarmi la spina dorsale. Un bel pugno gliel’avrei dato, se solo avessi potuto. “vedrete poi cosa fare. Ora seguite me e Rosie”. Voltandosi, senza aspettare che lo seguissimo, accompagnato dalla giovane bionda, che ci aspettò, cominciò ad avviarsi verso una scala comune. Lo seguii borbottando. Che noia. Com’era noioso, com’erano noiosi tutti quei vincoli. Cominciammo ad avviarci tutti, un po’ restii a dividerci. Sbuffai. Almeno, farci vedere un po’ più di cose. Era tutto un mistero, quel luogo. Di malumore, lanciai un’ultima occhiata distratta a quella statua misteriosa. Chissà chi…chissà chi… Oh, accidenti. Rischiai d’inciampare e finire naso a terra. Ti riconosco, ora! Ma che diavolo avevano combinato? Sentii una voglia matta di ridere. Non mi resi nemmeno conto di essermi fermata, completamente pietrificata. Non me ne resi conto, almeno fino a quando Zipherias, con una strana espressione in viso, non mi aveva tirato una manica. Avevo guardato tutti con una faccia, secondo me, strana. Ero praticamente incredula. Ma come diavolo avevano conciato Regis, il mio Regis? Perché, si, era lui. Potevo mettere una mano sul fuoco. Ero sicura! Ma si rendevano conto di quello che avevano fatto? Non avevo mai, mai visto, un’espressione così…antipatica, così presuntuosa, arrogante, sul viso del giovane umano che avevo conosciuto. Così tronfia, sicura di sé. Mi sembrava che stesse per fare un passo in avanti e schiacciare tutti. Che cos’era, un idolo da adorare? Gli facevano offerte votive, per caso? A quell’uomo, che tutto era meno un dio? Ma che diavolo ci faceva conciato così, lassù? Ma chi era l’esecutore di quella statua di così cattivo gusto? Il mio Regis! Oltre al danno, anche la beffa! Non solo dovevo andare lì, nella sua patria, me lo dovevo pure sorbire in quello stato! Era…era un sacrilegio, accidenti! Ma chi credevano che fosse, un eroe? Insomma, era scandaloso! Era comico! E quella cosa lì in un luogo pubblico! Sentii borbottare Zipherias. Qualcosa mi disse che lui aveva già capito. Ma io ero troppo furiosa per farci caso. Dovevano togliere da lì quel mostriciattolo! Se solo Regis si fosse visto così, mi sa che si sarebbe fatto una grassa risata. Io lo conoscevo, lo avevo conosciuto, e proprio non era così. pochi avevano conosciuto Regis come l’ho conosciuto io, da queste parti. Ecco che la scorza di fuori era esasperata. Ridicolo. Mh, che rabbia che mi faceva. Intanto, si erano fermati tutti. Tutti si erano fermati, ed ora il giovane mi guardava impaziente, ed un po’ stranito. Non doveva aver capito. Io mi girai verso di lui. Era l’unico che poteva darmi risposte. “e quella cosa chi è?”. Domandai, con un tono incredulo di voce, che mi pareva un po’ isterico. Incrociai lo sguardo perplesso di Nilyan, e quello allarmato di Roxen. Il giovane mi si avvicinò un po’, raggiungendomi. Sembrava a metà tra il seccato ed il meravigliato. Guardò in su anche lui. “come chi è?”. Mi domandò, educatamente interessato e meravigliato, rivolgendosi a me come se fossi scema. “strano che tu non lo conosca. È Regis”. Oh accidenti, ma erano cretini? Ma che mi credevano una poppante? Io l’avevo conosciuto, Regis. L’avevo amato, accidenti. L’avevo…oh, maledizione, sicuramente l’avevo conosciuto, e anche bene. Che rabbia. Che…non sapevo nemmeno cosa pensare di quella brutta copia di quell’uomo. “certo che lo conosco, genio!”. Accidenti come era arrabbiata la mia voce. Guardai il giovane come se fosse stato lui il colpevole di quell’orribile sfregio ai miei ricordi dolci. Gliela facevo io, la statua. Sicuramente io lo ricordavo molto meglio di loro. non mi resi nemmeno conto dell’espressione offesa del giovane, tanto ero fuori di me. “intendo dire che ci fa lassù! Lassù conciato in quel modo!”. Silenzio di tomba. Nello sguardo del ragazzo passarono meraviglia e rabbia. “ma lui… lui è il nostro eroe”. Disse, tra il fiero ed il debole. Mi mossi come per scacciare una mosca molesta. Eroe un accidente. Se lo coccolavano bene, il loro eroe. Trasformandolo in un mostriciattolo con la puzza sotto il naso. Ah, che rabbia. Il mio Regis, sfregiato in quel modo barbaro. Mi sarei messa a piangere, se solo non fosse stato ridicolo. Il tipo continuò. “ha salvato Fiya. È il protettore del nostro regno!”. Accidenti come lo trattavano bene, il protettore del regno! Ma che sfregio, che scandalo assurdo! Era orribile! Non resistetti. Nonostante il buonsenso mi ingiungesse di non fare quello che avevo in mente di fare, cominciai a ridere come una cretina. Risi, risi e risi come una pazza, risate isteriche, ignorando i mormorii da alveare disturbato e lo sguardo sempre più affilato del giovane. “protettore….del vostro regno!”. Dissi, mentre ancora ridevo, ignorando la freddezza del tipo, che mi guardava come se mi volesse uccidere. “ma vi rendete conto di come l’avete conciato? Io non proteggerei un regno nemmeno pagata se facessero un obbrobrio del genere in mio onore!”. Il mormorio diventò un ronzio furioso, a quelle parole. Decisamente avevo toccato un tasto che era meglio non toccare. Il giovane sembrò arrabbiarsi come non mai. Sembrò lì lì dal saltarmi al collo ed ammazzarmi. Per un attimo temetti per la mia salute. Ma poi ero troppo arrabbiata. Inutile fare gli offesi: quella cosa era terrificante. Non era Regis, non aveva il suo sguardo dolce, freddo ed ironico al tempo stesso. poi lui sembrò controllarsi, e ringhiò qualcosa, che ripeté un’altra volta tanto era risultata incomprensibile. “tu che ne sai?”. Mormorò, rabbioso. Fui tentata dal ridergli in faccia un’altra volta. Io…che ne sapevo. Che ne sapevo io! Che ne sapevo! Se solo avessero saputo come conoscevo Regis….come l’avevo conosciuto, quanto a fondo…ah, altro che rispetto, poi. Che gelosia. Che rabbia. Loro avevano Regis, e si permettevano di trattarlo in quel modo! Il loro eroe! Alla faccia dell’eroe! Non mi resi quasi conto che si stava preparando un linciaggio nei miei confronti. Che tutti i militari che ci avevano raggiunti mi fissavano con le mani minacciosamente in tasca. Io ero troppo arrabbiata per capire che mi stavano per fare le scarpe. “che ne so, moccioso? Che ne so?”. Urlai, rabbiosa, sputando quasi in faccia a quel povero ragazzo, arrabbiato quanto me per gli insulti che stavo rivolgendo alla statua. “ma non ti passa nemmeno per l’anticamera della mente che io potrei aver conosciuto il vostro eroe? Potrei averlo sfidato, potrei averci parlato?”. Nella rabbia, vidi lo stupore passare sul viso giovane del tipo. Sembrò indispettirsi. Indispettirsi, lui! Chi doveva indispettirsi, dei due! Calpestare Regis, in quel modo! Assurdo. Quella non era una statua. Era una presa per i fondelli! Che rabbia, che gelosia. Il mio Regis. Il mio umano preferito, la mia primadonna. Se solo si fosse visto, avrebbe cominciato a ridere. “io ho conosciuto Regis, lo sai?”. Mugugnai, cercando di non dare addosso al poverino. “e lui non era così! lui era un uomo come gli altri, soffriva, aveva paura, amava!”. Già. Ah, i ricordi, come facevano male. Mi avevano rapito Regis, e ne avevano fatto un pagliaccio. Che rabbia. Mi sentivo defraudata. “non aveva quell’espressione arrogante!”. Mai vista sul suo viso, anche quando mi sfidava. Lui non era mai arrogante. Lui capiva i propri limiti. Lui tacciava me, a ragione, di arroganza. Mi preparai per la parte più cattiva della mia filippica. Ci furono sussurri, mormorii, tutti ben poco amichevoli. Ero in pericolo, e non me n’ero ancora accorta. “e, sai che ti dico?”. Brontolai, all’indirizzo del povero ragazzo, incerto se ammazzarmi o picchiarmi solamente. “questa statua non è Regis! È un oltraggio alla morale pubbl…mpf”. Ehi! Qualcuno, qualcuno probabilmente di molto forte, mi aveva messo una mano davanti la bocca. Mi divincolai. Maledetto, lasciami, lasciami dire ciò che penso sulle loro opere d’arte! Rabbia a parte, oggi sono grata al santo che mi fermò, ovvero il solito Zipherias, molto più forte di me. Mi sa che impedì il mio feroce linciaggio. Non mi ero accorta che cominciavano ad avvicinarsi con fare feroce. Se non fosse stato per lui, mi sa che sarei morta in qualche brutto modo, alla faccia dell’intoccabilità. Cercai di prendere a calci il mio enorme amico, senza risultato. Voglio dire ciò che penso! Voglio esprimere il mio giudizio! Siamo o non siamo in un paese civile? Accidenti. Cercai addirittura di prendere a morsi la mano robusta del mio amico, ma lui non mollò. Mi prese in braccio e, spettacolo mi sa ridicolo, mi trascinò all’interno del porticato. Lì mi aspettavano tutti, rintanati nelle scale con aria un po’ intimorita, con Rosie, la donna bionda, l’unica che pareva non essersi scomposta. Lei si strinse nelle spalle. “a quanto pare dovremo dare un calcio al protocollo…un ulteriore calcio al protocollo”. Si corresse, ridacchiando. Poi mi guardò con un’aria strana. Mi allarmai, e lasciai perdere la rissa intentata al mio amico. Sembrava quasi aver capito perché me l’ero presa tanto per quella statua. Sembrava aver intuito i miei sentimenti. quella donna ebbe il potere di raffreddarmi. Smisi di urlare bestemmie a tutto spiano, soffocate dalla grossa mano del mio amico, e mi calmai. Lui sbuffò, ma non si mosse. Mi guardai attorno. Aleggiava un silenzio mortale. Nilyan era pallida come un cadavere, morta di paura. Capouille mi fissava ad occhi sgranati. Roxen scuoteva il capo, irritata. Doveva essere successo qualcosa di grave di cui non mi ero accorta. La donna, calma, continuò a parlarmi. “meglio se la trascini fino alla stanza assegnata…è capace di andare lì e continuare a dire la sua!”. Rosie ridacchiò, completamente a suo agio, allegra. Poi mi fissò con uno sguardo che mi mise il freddo addosso. Aveva capito, la maledetta, aveva capito. La fulminai con lo sguardo. Lei mi fece l’occhiolino. Così, cominciammo a salire le scale, fino ad arrivare ad un pianerottolo con varie porte di legno scuro e pesante, tutte uguali. In una di quelle, requisendomi la chiave che ancora stringevo come un’inutile arma, la donna ci fece entrare. Era una stanza da letto con tre brande, per noi, molto semplice, con un’altra porticina ed una finestra, che dava, forse, sul cortile. Lì Zipherias mi lasciò, senza parlare, imprecando sottovoce. Senza dire nulla, mi precipitai come una furia verso la finestra. Ecco, come avevo previsto c’era il cortile sotto. C’erano tutti i soldati che ci avevano accompagnati, che si erano riuniti in crocchio, e confabulavano, irritati. Un più arrabbiato dell’altro. Ma fu la statua ad arrabbiarmi. Ecco, la nostra stanza dava direttamente sul viso pomposo del loro Regis. Oltre al danno, la beffa! Che rabbia!

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Capitolo 18
*** Giorni grigio topo? ***


Dei, che noia

Dei, che noia. Che noia assurda, monotona, lancinante. Che noia. È peggio delle lezioni della zia. Davvero. Peggio, molto peggio, delle generazioni di sovrani da imparare a memoria. Peggio delle cataste di date. Questa gita si sta trasformando in una catasta di date! Insomma, io immaginavo che i viaggi fossero pieni di colpi di scena. Del genere inseguimenti, nuove scoperte, grandi avventure e grandi amori… grandi amori poi, non credo che si possa combinare niente con Chekaril, la sola idea mi mette una di quelle tristezze addosso….perchè poi, insomma, non è che mio cugino corrisponda pedissequamente all’idea della mia elfa dei sogni… beh, siamo all’inizio. Siamo solo all’inizio, cioè, stiamo viaggiando solamente da qualche giorno. Non so quanti, ho deciso di non tenere il conto, e preferisco non pensarci. Non voglio avere nostalgia, preferisco pensare che sia questione di uno o due giorni. Beh, so solo che stiamo all’inizio. Per fortuna. Come si stanno mettendo le cose, sono convinto che le cose non faranno altro che peggiorare. Sarò seppellito in un mare di sbadigli. Che ottimismo. Questi giorni grigio topo stanno uccidendo la mia fantasia. Beh, la compagnia di un Guaritore che mi strapazza l’animo sui vari tipi di erbe curative non aiuta. Belladonna elleboro bla bla bla. Pure ora sta cominciando, cioè, continua, altro che cominciare! Continua, sono giorni che si sveglia con il pensiero fisso di istruirmi alla Guarigione! Cosa, io, ti paio un aspirante Guaritore? Ti sembro un pacioso elfo destinato ad ingrassare precocemente, una botte che cammina? Così mi offendo da solo. Eh, proprio no. Non sono pacioso, decisamente non è un difetto che ho. Difficile trovarmi un difetto, no? Ho un bel viso da preservare, decisamente bello, a detta di tutti, ma specialmente mia. La mia è una magnificenza da conservare, non da rovinare con manicaretti. Non troverò mai la mia anima gemella, così. Non che m’importi, visto che devo solo scegliere tra le tante stupide elfette che mi adocchiano a Kyradon, però, insomma, dire di essere in cerca dell’anima gemella è più carino, anche se non si ha l’intenzione di farlo. Aiuta a piacere. Un mestiere di Guaritore, poi, non mi aiuta per niente a farmi piacere alla gente. Io devo essere popolare, come farei, senza folle adoranti? Guarda me. Sono assolutamente richiesto dovunque. Solo l’elfo più famoso di Kyradon! Guarda lui. Guardalo, tutto compreso nel suo ruolo, che gesticola con la mano libera mentre mi spiega chissà che cosa! Ma guardalo! Tutto contento, lui, che per farlo partire ci volevano i cannoni! Tutto soddisfatto. Ecco, si capisce il perché. Quello lì, non ha amici, punto. Vita sociale, zero. Ma non è come la zia Lalla, che non ha amici perché è sinceramente asociale, misantropa per buona metà dissociata, temo, perché, semplice, non ha mai niente da fare, è passivo! Passano giorni e giorni, e cosa hai fatto, Chekaril? No, niente, sono solo stato un po’ con Miobashin. Non ho incontrato proprio nessuno. Non me ne stupisco. Cioè, prima davvero non capivo perché solo quella rompiscatole gli stesse appresso. Ora ho capito perché tutti lo evitano: Chekaril è una noia mortale. Un pugnale ficcato in petto non potrebbe fare più danni di lui, anzi, in questo momento un pugnale mi piacerebbe, così almeno lo farei stare zitto. E questo così, ricordi Machin, vero, testone, ricorda, non sbagliare, se sbagli ci beccano e dopo passiamo un mare di guai, si deve fare solo in questo modo, no, non così, stupido, vedi, non ti ricordi, ed io vorrei in maniera pazzesca una deliziosa torta ai lamponi. Lamponi. Ah, non vedo l’ora che arrivi la primavera. Non faccio altro che pensarci, in questi giorni. I lamponi mi mancano quasi più di zia Lalla e Nilyan, il che è tutto dire. Poi ho fame. In questi giorni non ho fatto altro che mangiare gallette, gallette, gallette, gallette, gallette, gallette e formaggio. Poi formaggio, formaggio, formaggio, formaggio, formaggio e gallette. Acqua, formaggio e gallette. Acqua, gallette e formaggio. Formaggio, gallette ed acqua, e così via. Insomma, vivande varie ed allegre. Insomma, non voglio di certo piatti elaborati e raffinati. Ma un po’ di carne affumicata… solo perché gli fa schifo la carne, identico a quella noia della zia, lui, pieno di vizi fino alla punta dei capelli, non c’è carne! Eh, potevo portarmela io. Certo, coscienza, e dove la mettevo, a contatto con il mio delicato cuoricino?  Nelle bisacce non posso mettere un pezzetto minuscolo di carne che quello comincia subito a borbottare e sacramentar perché gli appesta il pranzo! Ma insomma, è possibile una piattezza del genere? Poi, sempre lo stesso formaggio. Uguale, sputato, identico, questo coso informe dal colore giallo spento, duro come una roccia salata. Nemmeno un po’ di scelta, sono obbligato, mangiare, solo quello, o morire! Ed io non posso deperire, non posso rovinare il mio fantastico viso, già mi sono visto ed ho la faccia di uno spettro che ha fumato dell’oppio per sbaglio! Al prossimo viaggio, davvero, non sarà questo sputo d’elfo che ho accanto a prendere da mangiare. Intendiamoci, sono rovinato! Tra poco mi usciranno gli incisivi da ratto!  Ora capisco perché questi giorni sono grigio topo. Oh, no, ma da dove mi vengono queste battute? La compagnia di questa sorta di difetto vegetante mi fa molto del male. Annulla il mio fascino, la mia fin troppo fantastica vitalità. Dovrebbe essere il contrario, dovrei essere io ad influenzare lui! Invece no, qui la piattezza sta raggiungendo livelli tanto storici che tra poco cominceremo ad affossarci! Davvero, sul serio, la cosa è grave, gravissima, ho assolutamente bisogno di compagnia stimolante, sia pure un’ochetta starnazzante da stuzzicare un po’.  Per fortuna che c’è un villaggio all’orizzonte, o almeno quello mi pare, quella sorta di cumulo in lontananza. È la mia ancora di salvezza, benedette siano le famiglie prolifiche che l’hanno costruito! Però, accidenti, è lontano. Saranno decenni o secoli che stiamo percorrendo questa stramaledetta brughiera, sottobosco, come accidenti si chiama, senza un albero, erba stecchita, tutta uguale, monotona, niente colori, nemmeno uno, ed ancora sembriamo al punto di partenza! Solo verde, verde, verde, verde, verde, collina, salire, scendere, montagne lontane, boschi lontani, verde, verde, verde, e poi, forse, un pochino di marrone. Siamo fuori dal mondo. E’ una fortuna aver trovato un sentiero. Almeno non giriamo in tondo come abbiamo fatto fino ad ora. Non dev’essere battuto da parecchio, però. Spero che porti al villaggio lontano. Mi piacerebbe un vero letto, qualcosa di carne da mangiare, sia pure una zampetta di passerotto, accidenti, qualcosa che sia diverso dall’incredibile scelta dei nostri pasti, un po’ di compagnia divertente, pure un falegname sbronzo da prendere un po’ in giro. Non ci spero troppo. Tra me e lui non so chi è messo meglio. Nessuno di noi due ha la seppur minima idea di dove diavolo siamo. Il genio qui accanto a me ha l’inconsueto dono di saper leggere le mappe al contrario anche quando sono dritte. Ed io, non potevo aiutarlo? Accidenti, è un pensiero che mi ammorba, da giorni! Devo dire, non m’interessa particolarmente. Finché c’è da mangiare non sono preoccupato. Insomma, ma che ce ne frega del tempo?! Abbiamo un tempo prefissato? No! Ci stiamo facendo un bel viaggio, via, da tutti, dagli obblighi, via tutto, borsa in spalla e avanti! Nessuno ci ha dato una missione. Vai lì e vedi che si dice, ha detto Isnark. Che poi dobbiamo raggiungere un villaggio vicino Zakadi e poi il Nord non ha importanza. L’importante è che ci arriviamo, non come. Devo dire, forse era meglio che un aiutino ce lo davo. Questo paesaggio così vuoto è inquietante. Non si sente nulla, non sto sentendo nulla. Solo il fischio del vento, gli zoccoli dei cavalli, i loro sbuffi. Ed un rumore incessante in lontananza. Cos’è, cosa può essere? Ah, certo, sono le parole di Chekaril. sta parlando, chissà che dice. Anche loro, poveri cuccioli, sono annoiati. Vedi loro sono i migliori interlocutori. Mi capiscono sempre. Vedi, se ora io do un buffetto al collo di Gatto, lui mi capisce. Vedi, l’ho fatto, lui non si è nemmeno mosso. Ha continuato a camminare, imperterrito. Il mio Gatto che è sempre così vivace! Quelle mosca di Chekaril deve stargli molto sulle scatole, anche a lui. Il suo ronzio sta disturbando questa quiete spettrale che ci attornia. Davvero, se non fosse per lui potrei anche fare un pensiero normale. Forse avrei anche paura. Ma è lui che mi fa uscire fuori strada! Insomma, se mi concentrassi….ora mi concentro…mi sto concentrando…ecco. Lui mi distrae! E Machin di lì, e Machin di qui, mi stai ascoltando, ed io a dirgli sempre si, chissà che diavolo sta dicendo! Fa freddo, il freddo mi sta mordendo le mani. Non le sento più. Se stringo un altro po’ le briglie mi rimarranno i segni. Mi fa male dappertutto, non sono abituato a cavalcare per tanto tempo. La sera mi sembra sempre di essermi sedimentato sulla sella. E poi, questo paesaggio mi mette troppa fifa addosso. La gente si potrebbe nascondere nell’erba alta e non essere vista. È uno scherzo interessante da fare, nascondersi per poi saltare all’improvviso, ma lo farei se ci fosse Nilyan. Non c’è gusto a fare certe cose con Chekaril. E’ troppo serio. No, accidenti, più andiamo avanti, meno la cosa mi piace. Io e Chekaril siamo così visibili, sui nostri cavalli, che, se ci volessero colpire, saremmo davvero delle ottime prede. Per fortuna che indossiamo gli abiti dei Guaritori. Per fortuna, poi. Questi cosi sono scomodi, mi tirano da tutte le parti. Non sono abituato a questi abiti noiosi. Una briciola di colore, no. Non si può. È sacrilegio, non sia mai, infangare con un gingillo i sobri e solenni abiti del Guaritore! Insomma, non che io non li rispetti. Non li detesto come la zia, accidenti, non penso siano mangiapane a tradimento, quando sono stato in battaglia con Roxen erano tanto gentili, seppure stessero crollando dal sonno, dalla fatica di giorni di lavoro. Sorridevano sempre, benché in più di uno ci fosse la disperazione negli occhi, benché mio cugino stesso sembrava sul punto di stramazzare, benché abbia egli stesso curato la sorella. A volte lo ammiro profondamente. A volte, ma non ora. Ora mi stanno sul gozzo un po’ tutti, non riuscirei a sopportare nemmeno zia o nonno, ne sono sicuro. Non sono un riccio antipatico, ehi. È solo che Chekaril si preoccupa troppo, e questa copertura mi sta troppo stretta. Non avrei viaggiato, forse, se non avessi avuto voglia di vedere il mondo oltre Kyradon e Sharilar. Ah, a chi la voglio dare a bere. Voglio far finta di essere un eroe come mamma e papà. Voglio far finta di essere una persona speciale. Voglio raggiungere quel bastardo che mi ha rubato la spada e gonfiargli la faccia a furia di bot…l’ho pensato? L’ho pensato davvero. Lo sto pensando ancora! Uh, sarebbe bello. Pam, pam, e poi vediamo a chi vuoi fare male, maledetto. Quando ho visto Roxen colpita dalla mia, la mia spada, la spada di mio padre, accidenti….davvero, pensavo di morire anch’io. Non mi sono mai sentito così male. In fondo mia cugina non è male, per niente. Le voglio bene, quando non fa la preziosa, o quando non la vedo con uno dei suoi amici. Pensavo che fosse morta. Ho una voglia di metterlo a testa in giù in un burrone solo per quello… No, no, non lo penso davvero. Io sono per la pace. È tutta immaginazione. Sono solo molto stanco, molto spossato, molto molto insomma. Non sto pensando una cosa del genere. Uh, va bene, coscienza! Hai ragione, va bene? Ci penso, ci sto pensando, voglio spaccare la faccia a quel figlio di una cagna! Oh dei del mare. Davvero la mancanza di compagnia non mi fa bene. È davvero fastidioso. I cavalli scalpitano, il vento fischia, un uccellino nemmeno a parlarne, perché poi se lo vedessi mi farei uscire le ali solo per catturarlo e mandar giù qualcosa che non sia formaggio, accidenti, c’è solo questa verdura dal sapore schifoso, io ho provato ma non si mangia, Chekaril continua a parlare da solo di chissà quale cosa che dovrei far finta di ricordare, ed io parlo da solo. Fantastico. Non che non l’abbia mai fatto. Parlare da solo è un ottimo esercizio per affinare le mie già eccellenti abilità oratorie. È che, insomma, la cosa mi preoccupa. Di solito mi do sempre, sempre ragione. Basta, basta, basta, basta! Non devo pensare. Non. Devo. Pensare. Mi sento stanco. Muoio di stanchezza. Dormirei volentieri in sella ma non posso…non posso proprio…cadrei, dopo chi se lo sente a quello lì! Speriamo, davvero, che quel villaggio sia vicino, vicinissimo. Lo vedo meglio, è un bell’agglomerato di casine,  oh che carine, tutte in legno, sembra così adorabilmente primitivo. Tutte uguali, legno, stradine così graziose, mi sembra una torta. Una torta. Una torta… oh no. Concentrati Machin, guarda il villaggio e non sbavare. Ah, mi è chiaro che la strada seguita porta lì. Il sentiero sembra già più percorso, vedo qualche campo già. Non c’è nessuno, è inverno, è brutto tempo, un tempo che fa schifo, nuvole che sembrano opprimere come un mostro gigante, non piove ma l’aria è tanto umida, oh, entra nelle narici che è una bellezza, è giorni che fa così, e questa è anche un’altra ragione per cui questi giorni sono grigio topo. Questo villaggio è l’ideale. Davvero, anche se sembra un insieme casuale di case tutte uguali. Senza nemmeno un ordine. Almeno Sharilar è più popolosa ed ordinata. Davvero, è una ripetitività assurda. Primitiva. Ehi, aspetta un attimo… ho in mente una cosa. Ho sempre saputo di essere un genio, modestamente. “Chekaril!”. Sii, è geniale, degno di una persona come me. Sono il migliore! Almeno così smette di cianciare su cose che non capisco. Mi annoia. Lui mi sta guardando. Non capisco cosa pensa, né m’importa davvero. Mi sento parecchio di malumore. Il bello è che non lo vedo nemmeno io. Non mi sembra. Cioè, dovrei essere di malumore. Non lo sono. O non lo sembro. Non lo so. Ah, silenzio benedetto. Le mie orecchie ringraziano. Ora è il mio turno di parlare. Io dico cose più intelligenti, ah. “senti qui: le vedi quelle case?”. Accidenti che faccia strana che ha fatto. Beh, non lo biasimo. Abbiamo il villaggio praticamente di fronte. È sempre più vicino. Sii, quello che ho in mente è straordinariamente azzeccato. “mi sembrerebbe strano il contrario”. Bella risposta, grazie, signor senso dell’umorismo. Mi stai parlando come se fossi un cretino. La cosa mi da fastidio un attimo. Solo un attimo però. Ancora un altro attimo…bene, ora posso smettere di essere infastidito. Perché provavo fastidio, poi? Non lo ricordo più. Beh, pazienza, viviamo nell’attimo. Non ricordo nemmeno più perché lo sto guardando male, povero cugino mio. Ora sorrido, lo sento. La cosa che devo dire è troppo importante. Sto indicando le case. Ecco, grande gesto circolare…presento il mio genio! Tra poco si mangerà bene! oh, vero. Non me n’ero accorto. Era un pensiero che mi era sfuggito di mente. Devo aver pensato a qualcosa di simile prima, però mi sfugge. Oggi niente formaggio. Chekaril dev’essere triste, con quella faccia da folletto ripescato nella gola di un drago. Chissà da quanto non si pettina. Ha pure un po’ di barba, sembra un reduce. No no no, non è per niente bello da vedere. D’accordo, siamo in viaggio, ma trascurarsi in quel modo è solo assurdo. Anch’io sono in viaggio, ma io non mi trascuro. Mi pettino sempre, mi sistemo, faccio in modo che anche quell’ombra di barba che ho abbia un suo fascino. Ma io sono fascino vivente. Con me non c’è storia. Non si può paragonarmi ad un Guaritore succube della compagna. Ah, cuginastro mio. Sono sicuro che il mio genio non lo capisce. Lui non lo capisce quasi mai. Sono tentato di non dire nulla. Però, tenerlo per me è sprecato. Non posso nemmeno urlarlo al vento, sarebbe inutile. Almeno Chekaril ascolta. Il vento passa, basta. Oh, ferma, Machin. Me ne sto andando troppo via con i pensieri. Finirò per dimenticare quello che volevo dire. Poi il mondo si priverà di una mia perla di saggezza, e dopo come faremo, tutti noi? Allora parlo. Insomma, devo parlare. Lui mi sta guardando come se stessi impazzendo. “ah, beh”. Ricomponiamoci, Machin. Ecco, perfetto. Ora so cosa e come dirlo. “vedi il villaggio? Vedi com’è? Primitivo. Ripetitivo. Una schifezza, insomma. Quindi, senti qui: il villaggio è una primititivitezza! Che ne dici, eh? Non è fantastico?”. Ah, come odio quando fa così. Rotea gli occhi e scuote il capo. Lo sta facendo ora. Si, il signor umorismo, quello capace di scambiare una battuta per un cespo di lattuga. E non posso nemmeno parlargli! Almeno l’ho zittito, ma mi facesse la grazia di fare uscire qualcosa da quella boccuccia che ha! Lui ce l’ha una bocca, non gli serve mica per prendere aria! Lui non mi sta nemmeno rispondendo. Non lo fa! Non si degna! Molto probabilmente perché non sa che dire. È troppo inferiore al mio senso della genialità. Io sono troppo intelligente. È davvero incredibile quanto la mia finezza arrivi a livelli squisiti. Ho inventato una parola, me ne rendo conto? Ovvio che me ne rendo conto. Altrimenti non mi glorificherei. Degno di gloria: io sono degno di gloria. Mi pare ovvio. Non mi resta che piangere, davvero. Come odio la sua faccia saputa….davvero. Ora ho una voglia matta di sputargli in un occhio, magari tutti e due. Beh, cucciolo, ti devi calmare. Insomma, mi devo calmare. Zia Lalla me lo dice sempre. Dei, quanto pagherei solo per vederla mezza volta! Mi manca tanto, lei, l’eterna disadattata. La disadattata che mi riempie di coccole, però. La mia unica famiglia. No, basta, non posso diventare triste. Ho appena inventato una parola meravigliosa. Primititivitezza. È perfetta per descrivere la nostra situazione. Voglio qualcosa da mettere sotto i denti di decente, voglio un po’ di compagnia decente! Voglio tutto che sia decente! Per fortuna che c’è quel villaggio. Sebbene piccolo, non mi sembra che prometta tanto male. Su, un altro po’…

Certo, come no. Non promette male. È peggio! Cioè, davvero, è tremendo. Non lo penso da elfo viziato come sono. Non ho voglia di scherzare. È come se il silenzio tra me e Chekaril si fosse congelato. Mi sento stranamente serio, da quando siamo entrati ed abbiamo lasciato quel viottolo sperduto in mezzo alla campagna. C’è qualcosa di strano nell’aria. Qualcosa che non mi convince. Non lo so, è strano. Di solito i villaggi non sono così morti. Primo, non abbiamo ancora incontrato nessuno. La cosa mi mette una sensazione brutta addosso, che mi striscia sulla pelle come tanti insetti. Nessuno, davvero. Le porte sono tutte chiuse, sbarrate, non c’è una luce, fuori. Le tende tutte tirate. Ehi! Ho appena visto una faccia apparire. Sembra una bambina, è piccola. Tutta bianca. Però è subito scomparsa, nemmeno il tempo di girarmi verso Chekaril.  sparita in casa. Ho l’impressione che abbiano tutti paura di noi. Beh, mi pare una fortuna che siamo Guaritori…o beh, almeno Chekaril lo è. Accidenti che aria di morte c’è nel Regno! Mi aspettavo un po’ più di vita. In fondo gli elfi se la passano alla grande, da quanto ho capito. Loro sono i vincitori di una guerra, cose così. eppure qui sembrano tutti spaventati come conigli. Qui è tutto brutto, tanto brutto. Le vie sono strette, le casupole basse, guarda lì, quasi non hanno una finestra. Vedo Chekaril, sembra molto ansioso. Il tetto è in paglia, sempre in paglia. Nemmeno a casa, a Sharilar, abbiamo un tetto così. è tutto più decente da noi. A cavallo lo posso quasi toccare, se mi sporgessi un po’ lo afferrerei. Non ci sono rumori, né carri, né cani, né cavalli. Ho sentito solo, un paio di volte, il gracchiare di corvi. È spettrale. Non mi piace, sento la pelle d’oca. Mi sembra quasi strano che nessuno ci sia già, che nessuno ci spii. Quest’aria sa di agguato. Sto stringendo qualcosa. Mi sento meravigliato, abbasso lo sguardo, ora. Non me n’ero accorto, fino ad ora. Ho stretto il mio pugnale. L’ho stretto forte senza rendermene conto. Ora guardo Chekaril. Mi sembra naturale. Lui è un po’ il mio punto di riferimento. Anche lui sembra stranito, parecchio allarmato.

 Stiamo facendo per la seconda volta il giro del villaggio. È piccolo. La prospettiva di trovare una buona locanda, cibo e compagnia, mi sembra sfumata. Devo dire, non m’importa poi tanto. Non quando c’è quest’aria che puzza di morte. Non mi piace, lo ripeto. Non riesco a pensare. Non mi vengono pensieri. È brutto così, ma fino ad ora non ho fatto altro che guardarmi intorno. Anche Gatto è preoccupato, lo avverto. Sbuffa tanto da quando siamo entrati qui. In inverno è tutto così brutto, qui? Perfino a Sharilar c’è più vita. A Sharilar d’inverno ci sono poche cose da fare. Però le persone girano in strada. Accidenti, è pomeriggio. C’è ancora abbastanza luce. Tutti mi sembrano asserragliati nelle proprie abitazioni come topi nelle tane. Non mi piace, sono inquieto anch’io. Ecco, vedo finalmente una cosa nuova. Mi sembra tanto un’insegna. È così lontano il momento in cui ho scherzato con mio cugino! Ora mi sto stringendo addosso a lui, mi sto attaccando. Ma ho paura. Sento il cuore battere forte. Non ho mai avuto così paura. La situazione è innaturale, è strana. Va bene, sono un gran fifone. Do un colpo di gomito a Chekaril. Lui sta sobbalzando, sembra che io l’abbia svegliato da un incubo. Mi guarda, e mi sembra grato. Non riesco a parlare. Vorrei dirgli, guarda, un’insegna, ma riesco solo a fargli un gesto. Gli faccio solo un gesto. Accidenti, non ho pensieri. Non riesco a pensare. È brutto, come avere sete o fame. Lui sembra avermi capito. Ci avviciniamo un altro po’. Ora è chiaro che è una locanda non mi sento sollevato, è tutto spettrale come tutto. Non ci sono vetri, non da questa parte. Non si vede dentro. C’è un’insegna senza nome, solo con impressa su quella che mi pare una piuma. La porta è socchiusa. Sembra quasi una sfida. Eh? Cos’è questo fruscio? Mi giro, subito. Il cuore mi batte a mille. Accidenti, sto guardando mio cugino come se fosse impazzito. Ma sarà impazzito, ne sono sicuro. È smontato da cavallo, e mi porge le redini. Oh, oh. Che ha in mente? Lui mi fa segno di aspettare, poi si avvicina. Non posso far altro che stringere le briglie del suo cavallo e guardarlo. Mi vorrei muovere, ma c’è qualcosa che mi paralizza. Va bene, ho una gran paura. Non mi sono mai trovato in una situazione del genere, però. Siamo perduti. Ora ci uccideranno. Forse aveva ragione la zia. Forse dovevo rimanere a casa. Almeno a Kyradon c’è più vita. Però senza di lei non mi sarei trovato. Senza lei, Nilyan, Roxen, Chekaril, la mia vita sarebbe stata vuota. Ci sarebbe stato solo il nonno e Dae, ma un vecchio cieco ed una vecchia balia non sono una compagnia bella. Ah, Chekaril! sta entrando lì! E se ci sono tutti assassini? E se gli fanno tanto male? E se poi acchiappano pure me? Vorrei gridare, vorrei urlare, non andare, non andare, ma mi sembra poco opportuno. Il cuore è in gola. Mi da’ l’impressione di poterlo ingoiare da un momento all’altro. È brutto. Lo vedo scomparire per la porta come inghiottito. Ho paura… Non mi piace stare solo… Chekaril ora non lo vedrò più eh no sono troppo giovane per morire poi chi la sente zia Lalla sta passando un secolo sicuramente è stato ucciso poi toccherà a me accidenti dov’è finito ci sono i banditi lì sono sicuro come quelli di cui parlava la zia oppure ci hanno beccati no non è possibile siamo ben camuffati nessuno ci ha mai visti così accidenti non ho nemmeno i capelli biondi sono morti tutti magari lì dentro ci sono solo cadaveri oh che cosa brutta da pensare magari è solo d’inverno che è così accidenti per tutti gli dei del mare non so nemmeno io cosa sto pensando però mi sento molto nervoso sarà quest’aria così morta questo gracchiare maledetto di corvi come mi da’ fastidio mi piacerebbe avere un arco e farli fuori tutti poi così vediamo il cra cra accidenti passano secoli mi sarò fatto vecchio da quanto tempo è entrato quell’altro cretino.* Ah, la porta si apre! Del tutto. Ecco, ecco qui, sta uscendo qualcuno! Stringo le redini fino a farmi male. Mi fa male la mano, addirittura. Accidenti. Oh. La paura se ne va così come è comparsa. Accidenti, mi sento freddo e debole. Guarda un po’, non è morto. Ma tu guarda. È Chekaril, guarda un po’. Sembra molto sollevato. C’è con lui un elfo smilzo, dalla faccia franca, abbronzata, un contadino. Mi guarda per un attimo. Lo guardo anch’io. Indossa un grembiule bianco sopra degli abiti malmessi, accidenti, è decisamente malconcio, se è l’oste andiamo bene. Io volevo mangiare, non mi sembra che lì ci sia prosperità. Accidenti, mi brontola lo stomaco! Reclamo cibo! Cibo decente, ma pure un po’ di verdura! Ecco, mio cugino mi sta facendo un cenno. Lo guardo, smetto di guardare il tipo che non sembra far caso a me. Sembra un po’ infelice, povero caro. Accidenti, ha fatto prendere una di quelle paure a noi che gli credo. Gli farò ingoiare una scopa se succede qualcosa di strano durante la nostra permanenza. Non lo so, ma sto pensando al fatto che posso sembrare un giovane Guaritore. Magari mi chiedono di curare una cosa in cambio dell’ospitalità. Uh, curare, a me! Forse era meglio ascoltare quell’impiastro di mio cugino quando cicalava. Spero che il dio dell’organizzazione si sia portato dei soldi, o proprio non so come fare. Insomma, io me li sono dimenticati. Li ho proprio dimenticati. Va bene, vado a scrocco. “scendi”. Ordina Chekaril, guardandomi con un sorriso. Sembra estremamente sollevato. Lo sono anch’io. “questo gentile signore si occuperà dei cavalli e dei bagagli”. Ehi, e se poi ce li ruba? Oh, no, stupido, ai Guaritori non si ruba. Ai Guaritori non si fa niente. Mi sento meglio. Magari poi non mi uccidono. Va bene, scendo da Gatto. Magari c’è qualcosa di buono da mangiare, per me.

 

*no, non sono impazzita tutt’a un tratto. È un piccolo esperimento. Volevo vedere se ci riuscivo. Poi mi sembrava davvero azzeccato per il momento, non credete?

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Capitolo 19
*** Certe complesse dinamiche. ***


Beh, che ero rabbiosa era dire poco

Alla faccia del non volere lamentele o confusioni, come avevo detto, ironia della sorte, poco prima! Io avevo stuzzicato un vespaio impazzito! Ma avevo ragione. Tutto quello era inammissibile! Beh, che ero rabbiosa era dire poco. Furiosa anche. Pazza di gelosia, credo, per gran parte. Accidenti, gli umani erano dinamici, versatili eccetera, quanto vogliono sbandierare le loro incredibili conoscenze, ma avevano un gusto estetico ed un rispetto pari a una papera monca.  Era inammissibile, assurdo, non potevano aver combinato un simile scempio del loro eroe nazionale! Ma anche i nostri eroi nazionali non avevano un trattamento ridicolo come quello! Beh, d’accordo, è vero che spesso i nostri eroi nazionali sono o ancora vivi o  c’è qualcuno che ricorda ancora com’erano in realtà. Ma non costruivamo statue assurde come quella, intendiamoci, in luoghi pubblici. Terribile, di bronzo di bassa qualità. Di bassa qualità! Era un’eresia! Esposta al pubblico ludibrio! Ma anche Regis in persona avrebbe avuto da ridire! Non penso che gli facesse molto piacere essere considerato un grande eroe, mitizzato in quel modo. Ma anche se fosse tornato inavvertitamente dal passato non avrebbe potuto far altro che farsi sotterrare dalla vergogna di vedere la sua faccia conciata in quel modo! Da quel punto di vista, allora, era una fortuna…ah, anche per lui oltre che per me, che lui fosse piombato cinquant’anni in avanti, ma da noi, da noi elfi. Che almeno siamo una razza con un po’ di senso del decoro. Solo una pazza megalomane come Lainay, e nemmeno lei, tanto sarebbe la portata scandalosa del suo gesto, avrebbe potuto farsi erigere una statua in pubblico, con il rischio di venire presa in giro. Ah, certo, noi abbiamo le nostre statue. Ma non in una piazza, mai in mezzo alla gente che può sempre trovare da ridire. Biblioteche, castelli, uffici, luoghi di culto e edifici di questo genere: è più dignitoso per l’oggetto ed il luogo. Inoltre, sempre con il consenso di colui che dev’essere raffigurato, o di qualcuno che l’ha conosciuto abbastanza bene per sapere fino a che punto gli scultori si potessero spingere.  Mai, mai, una scultura fatta alla cieca. Alla cieca! Così, per sentito dire. Seguendo la stessa logica, se avessi un po’ di buonsenso per tenere uno scalpello in mano, potrei fare una statua della loro regina sul modello di una caricatura. Poi voglio vedere come si sarebbero lamentati! Cercai di allontanare un pensiero maligno. Se fosse stato un altro raffigurato in quel modo ridicolo, non avrei detto niente né addotto pretesti di nessun genere, per arrabbiarmi. Avrei semplicemente fatto una considerazione sulla stranezza degli umani, sulle loro consuetudini barbare, sul fatto che, per quanto fossero avanzati, rimanessero sempre, fondamentalmente, al punto di partenza, che la loro breve vita non gli consentisse di migliorare sé stessi e la propria razza, ed avrei finito con il mio solito, silenzioso, panegirico della mia razza. Quello che mi bruciava davvero era tutt’altro. Insomma, quella persona lì rappresentata così grossolanamente era qualcuno che io avevo conosciuto. Non era un umano incontrato a caso per la via, che avevo amato ed odiato, verso cui tuttora non so come rapportarmi, come confrontarmi con il suo ricordo, le memorie indefinibili e complesse che porto di lui. Era un mio…beh, non so come descriverlo. Amico è troppo poco, è solo una minima parte. E io e Regis proprio da amici non ci siamo separati. Non trovo la parola giusta per descrivere anche ciò che provavo nei suoi confronti, perché la situazione tra me e lui, in qualunque occasione si fosse verificata, non si era mai risolta del tutto in un modo o nell’altro. Era rimasta vaga, indefinibile, impalpabile e solubile nell’aria. Rimpiangevo pesantemente, rimpiango tuttora, di non averlo potuto avere più tempo con me. Di non aver mai approfondito il perché ci sentissimo tanto attratti e respinti a vicenda, dal perché tutto quello che facevamo era un avvicinarsi incredibilmente e poi allontanarci subito dopo, come se non appartenessimo agli stessi mondi, come se dovessimo tenerci in eterno separati, un dolce appetitoso al di là di una vetrina che c’è ma non si vede, e che te lo rende impossibile da raggiungere pienamente. Tutti nostri incontri sono stati fugaci, frammentari, un libro di cui si sono perdute delle pagine. E quello che davvero dovevamo dirci non l’abbiamo mai detto. Non ci siamo interrogati mai davvero su quello che successe in quei fortunati due giorni in cui ci piombò tra capo e collo. Rimaneva lì, una relazione pendente, un pendolo che oscilla, un vicolo cieco, qualcosa che non conduceva né avrebbe mai condotto da nessuna parte. Perciò, ero gelosa da morire di quei bambini. Loro l’avevano tenuto con loro per tanti anni, lo avevano conosciuto così bene, e l’avevano denigrato con un mostro simile. Un mostro che, per gioco beffardo del destino, dava giusto sulla nostra stanzetta, quel semplicissimo ambiente che dividevo con mia figlia e mia nipote. Sarei stata costretta a sorbirmi quella versione maldestra del mio umano preferito per tutto il tempo che saremmo rimasti lì che, come presumevo non a torto, non sarebbe stato inferiore ai cinque giorni. Diamine, ce ne sono di pratiche da sbrigare per far entrare degli elfi in un territorio umano, e viceversa! Quando gli umani entravano da noi era, per me, un dramma completo. Carte su carte da compilare, cose e cose da organizzare con il resto della cricca delle scartoffie, come l’ho sempre chiamata io. Notti passate a leggere e firmare. Mi fanno male gli occhi al ricordo. E poi, come avevo l’impressione netta, c’erano parecchie cose da nascondere. Quelle vibrazioni di cui non mi sarei mai spiegata la causa, per prima cosa. Le loro armi. Il fatto che non ci fosse nessuno anche se avevo l’impressione che quella base fosse abitata, come se ci avessero raggiunti in un momento in cui erano tutti altrove, in modo da poter essere avvisati che avrebbero dovuto assumere un altro comportamento al ritorno. Presumevo che in città, quella fantastica città di cui si favoleggiava tanto, che destava così tanto interesse perché impossibile da raggiungere, avremmo percorso strade che avrebbero poco denotato il cambiamento,. Eravamo trattati come nemici, e questo mi dava doppiamente fastidio, anche se lo capivo. Non ci eravamo schierati con l’Impero come ci avevano chiesto, in guerra. Ma loro non conoscevano ciò che si celava dietro, ed è un errore mortale giudicare quando non si conosce del tutto. Beh, già era cominciato tutto da poco, già gli umani ci avevano sfiorati, e già avevo un paio di cose di cui lamentarmi. Eravamo trattati come cani, un altro po’. Oltre Rosie, nessuno aveva simpatia per noi. Va bene, lo ammetto, lo ammetto. Ci avevano accolti con cordialità e chi era la capra che aveva rovinato tutto? Un’elfa di nome Lsyn Amarto, Ch’argon di Uruk. Nomi su nomi su nomi, nient’altro che etichette per individuare una sola elfa stupida, uno strano sputo di carne strepitante e gelosa che chiamavo io. Mi sentii lievemente in colpa: sperai di non aver compromesso la situazione degli altri. Che odiassero me, beh, mi poteva pure andare bene, non m’importava più di tanto, erano solo umani ed io l’unico essere umano mai davvero amato era quello che loro deprecavano così schifosamente. Ma che odiassero Nilyan, o Capouille, era assurdo al punto di sfiorare il ridicolo. Sfiorare un elfo che era arrossito mortalmente quando gli avevano chiesto il nome, che era stato tutto il tempo, all’arrivo, rannicchiato sul suo cavallo, attirandosi gli sguardi pieni di affetto ironico di un paio di soldati. Non quella giovane elfa che aveva rintronato Rosie di chiacchiere sulle orecchie, le punte, le non punte. Eravamo stati simpatici a tutti tranne che a quel tipo, il capitano, il comandante, boh, quello che era. Temevo che ora tutti gli dessero ragioni sull’impossibilità degli elfi. Temevo  anche di aver compromesso il nostro viaggio, e, soprattutto, quello di Nilyan. Non volevo si facesse idee cattive sugli umani. Lei doveva reputarli simpatici, doveva. Almeno…beh, molto diversi da lei, difficili da interpretare. Un po’ immaturi in eterno, dalla vita breve, dalle idee diverse, più lenti a pensare, più rapidi ad inventare e connettere pratica con teoria. Più audaci, più fantasiosi, più idealisti, molto meno attaccati alla tradizione, ma molto più legati indissolubilmente alla loro natura, molto più, da questo punto di vista, piantati sulla solida terra. Eravamo sempre due razze simili, cugine da molti punti di vista. Quindi, speravo non li prendesse in odio come loro tenevano in odio noi, i misteriosi, conservatori, chiusi, indecifrabili, cinici, disincantati, diffidenti, cervellotici, elfi. Beh, quella volta ero però troppo arrabbiata. Adocchiai, quando la porta si chiuse, la branda che dava di spalle alla finestra, e mi ci sedetti sopra, imbronciata, godendomi una bella vista della parete intonacata di bianco. Roxen sbuffò, e si sedette anche lei sul letto, lontano da me. Nilyan invece mi venne vicino, intimidita forse dalla mia sfuriata, e si accoccolò contro di me. Mi girai verso di lei, e guardai il suo volto pallido, forse reso tale dalla paura. Mi resi conto che dovevano essere, quei tipi, a pochi passi dal darmi addosso e farmi molto del male. Zipherias era intervenuto giusto in tempo. Così, fui capace di calmare un po’ i miei pensieri tumultuosi. Forse la mia era stata una cattiva idea. E non forse. Era stata una cattiva idea, e basta. Sentii un vago senso di colpa, nei loro confronti. Sicuramente tutti si stavano chiedendo il motivo del mio comportamento, e Zipherias si stava lamentando con Capouille del fatto che io davo troppa importanza ad uno sciocco umano. Ora lui doveva essere sicuramente un po’ fuori dai gangheri. Ma mai quanto quello strano, giovane umano, che mi aveva accolta chiamandomi per nome. Mi era sembrato mi volesse mangiare viva. Come, accidenti, se gli avessi offeso un parente o un caro amico. Bah, gli umani sono proprio strani. Io non avrei voluto per parente quel coso lì, quella brutta copia di Regis. Cercai dunque di sorridere alla mia piccola nipote. Lei sorrise a sua volta, turbata, poi mi porse il mio fagotto, quello in cui portavo praticamente tutto, timida timida. Lo accettai, chiedendomi silenziosamente perché accidenti dovessi rovinare sempre tutto. Lei doveva avere avuto molta paura. Roxen mi voleva morta, sicuramente. Il silenzio che c’era tra noi non  diceva nulla di buono. Mi trattenni dall’abbracciare la mia Nilyan. Avrei solo peggiorato le cose. Però le ero grata, grata di avermi fatto interrompere il flusso di miei pensieri, di avermi raffreddata, e molto. Aspettai dunque in silenzio che la tempesta, che percepivo addensarsi sulla mia testa, esplodesse. Rimasi a guardare la parete per un bel po’. Mi trattenni giusto in tempo dal parlare. E cosa le avrei raccontato? Che io avevo conosciuto quell’umano? Che l’avevo amato, e che forse amavo ancora? Beh, era una cosa complessa da dire, da pensare, un po’ tutto. Ero inquieta da quel punto di vista. Dovevo trovarmi un alibi, e alla svelta. Sperai che cascassero alla solita scusa del caro amico, del compagno d’armi, perché altrimenti non me la sarei cavata con poco. Mi sarei dovuta stare zitta tutte le volte che rimproveravo a mia figlia le sue avventure con elfi più anziani di lei. Quello che avevo fatto io era molto peggio. Si sarebbero sentite autorizzate a fare altrettanto, ed io non volevo assolutamente una storia complicata da parte loro. Mi bastavano le mie, di magagne. Non mi sarebbe per niente piaciuta la prospettiva di avere un umano o peggio un mezzelfo, che mi scorrazzava allegramente intorno. Cominciai così a supplicare chissà cosa di mandarmela buona. Bene, il momento si avvicinava. Fui la prima a fissare Roxen, prima ancora che lei si girasse, per reclamare la mia attenzione. Era rabbiosa: non ci vedeva più dalla rabbia. “perché devi sempre rovinare tutto?”. Sibilò, amara. Se avesse potuto, avrebbe pestato un piede a terra. Ah, quanto era simile alla mamma. Mi sentii fiera di avere messo al mondo un simile tesoro. Era adorabile quando faceva così. Non mi sentii parecchio ferita dalle sue parole. Qualcosa mi diceva che non aveva tutti i torti. Avevo proprio esagerato. Riuscii a mantenere la calma. Aspettai che la prima botta passasse. Nilyan, per un attimo, si tese, forse ricordando la mia reazione nel vedere Machin, ma, non appena notò che io ero tranquilla, si rilassò, e si accoccolò contro la mia spalla. Roxen la fulminò con uno sguardo. Ero sicura che avrebbe voluto farlo anche lei, ma l’orgoglio glielo impediva. Magari dopo l’avrei zittita con un abbraccio. Mi sembrava un ottimo espediente per chiuderle il becco. Di sicuro si sarebbe sciolta, ed io sarei scampata ad una confessione scomoda ed imbarazzante. La mia tigre continuò, imperterrita. “e così in battaglia…e così anche qui! Ma hai visto com’erano arrabbiati? Eppure sembravano averci presi così in simpatia!”. Sorrisi al suo gesticolare animato. Era così tenera. Così tenera, ancora doveva capire certe complesse dinamiche che esistevano nella mia vita. Non le avrebbe, d’altronde, capite mai. Non avrebbe mai conosciuto Ombra, mai. Non doveva, era troppo pericoloso. Mi avrebbero odiata tutti. Tutti i miei pulcini, che avevo allevato con immensa fatica. Non dovevano scoprire il mio passato piano di sangue. “ma che accidenti ti è venuto? Quello lì è il loro eroe!”. Alla faccia dell’eroe. Storsi la bocca, ma non risposi. Avevo già detto abbastanza, e non volevo tradirmi con qualche parole avventata, troppo. Ci fu un attimo di silenzio. Poi fu Nilyan a guardarmi, curiosa. Lei sembrava essere quasi in grado di superare lo spavento. Sembrava riguadagnare colore. Roxen era ancora cadaverica. Doveva aver avuto molta paura, anche se non l’avrebbe confessato nemmeno sotto tortura. Lei mi sorrise, incerta. Le scompigliai i capelli. Roxen mi guardò in tralice, poi incrociò le braccia. In quanto a gelosia aveva preso da me. “ma tu, zia”. Cominciò lei, guardandomi franca e dritta, con quegli occhi azzurri che mi ricordavano tanto Nemys, che scavavano a fondo quanto i suoi, acqua di fonte di cui si scorgeva sempre il fondo. “hai conosciuto davvero quel tipo, quel Regis?”. Mi venne da sorridere, e lottai duramente per non cadere in qualche atteggiamento che avrebbe potuto far sospettare loro qualcosa. Sorrisi, però. Non potevo certamente dirle che l’aveva vista letteralmente nascere. Avrei scatenato una serie di domande a cui non mi sentivo in grado di rispondere. Optai rapidamente per la risposta più semplice. “certo, tesoro”. Asserii, beandomi delle espressioni sconcertate che apparvero sui loro volti innocenti, o tutto sommato tali. Troncai ogni domanda con una risposta pacata e concisa. “ho avuto il piacere di sconfiggerlo e di parlarci più di un paio di volte”. Certo, certamente, sicuro. L’avevo sconfitto, come no. La prima volta che aveva avuto il dubbio privilegio di lottare con lui me n’ero uscita con un bel taglio sul fianco, la seconda volta l’avevo battuto ma ero stata ferita da armi sconosciute….e piuttosto dolorose. Ma beh, dovevo pure infiorettare un po’ la realtà. Mi pareva molto, molto lecito. In fondo loro non ne sapevano nulla. Io ero la loro zia, non potevo confessare di essere stata presa, tutte le volte che mi ero confrontata con lui, per una palla goffa, avevo fatto la figura della sfigata. Beh, per me è fare brutta figura tutto quello che contiene in sé la sconfitta. E non potevo dire di essere stata battuta da un umano e dai suoi aiuti, anche se la seconda volta era stato un confronto sleale, oh si. Lui non poteva avere aiuti, io non ne avevo a mia disposizione. Beh, pazienza, avevo ancora tutte le cicatrici dello scontro, erano tutto sommato un bel ricordo. E l’avrei perdonato mille e mille volte per le ferite che mi aveva inflitto. La prima volta non potevamo fare a meno di darcele di santa ragione, la seconda volta ero stata io a cominciare, al solito mio. Quella era però una bugia bianca, non volevo fare del male a nessuno. Solo vantarmi un po’. Alle loro richieste di chiarimenti mi trovai a rispondere brevemente, seccamente, come se non fossimo stati altro che compagni d’armi un po’ rivali, un po’ complici. Dopo un po’, la sequela di domande che un paio di volte mi avevano messa un po’ in imbarazzo, nonostante non ce ne fosse motivo alcuno, finì, con mio grande sollievo. Grazie a quelle due, la rabbia si era del tutto dissolta. Mi sentii in grado di agire senza prendere a calci nulla, mi bastava solo non guardare la finestra. La prima cosa che feci fu saltare al collo di mia figlia, che accolse con sorpresa gradita tutte quelle attenzioni. In realtà le piaceva essere strapazzata, ma faceva la dura. Mi mandò a quel paese un paio di volte, non proprio finemente, devo dirlo. Poi, decisi di ritornare, come purtroppo dovevo fare, ad essere Ch’argon in tutto e per tutto. Quello voleva dire tornare ad indossare i miei monotoni ed antipatici abiti porpora. Lo dovevo fare: ero in territorio non più neutro, ero dagli umani. Dovevo darmi un pizzico di dignità. Mi avrebbe seccato molto portare il cappuccio abbassato, divenire impersonale e fredda, cosa impossibile dopo quella sfuriata, agli occhi degli altri, però dovevo. Era un passo del protocollo che non potevo evitare. Beh, almeno per un po’ non sarei dovuta uscire. Temevo che mi avrebbero presa a bastonate se solo avessi presentato una porzione del mio naso fuori.

Mugugnando, andai a cambiarmi d’abito. Odiai dovere indossare di nuovo quella robaccia viola, era larga e scomoda, ed era anche più leggera dei miei adorati abiti da viaggio. Borbottai per tutto il tempo poi raggiunsi Roxen e Nilyan, che chiacchieravano dolcemente. Mia figlia guardava fuori, mentre la mia cara nipote era stravaccata sul letto pensai bene di imitarla, tanto per non guardare la testa di quella brutta imitazione di un’imitazione di Regis, che ancora mi faceva salire il sangue alla testa se la guardavo. Passò un po’ di tempo così, nel nulla totale, un nulla rilassato. Era bello sentirsi relativamente al sicuro. Tutti quei giorni di viaggio avevo avuto una paura matta di essere beccata dalle Spie, che non andavano per il sottile. Era bello, starsene lì senza pensieri, come se non avessimo dovuto affrontare, di lì a pochi gironi, un’altra parte del viaggio, e fossimo in mezzo ad una tana di lupi ostili. Beh, intanto più di riposare e chiacchierare non potevamo fare. Proibito uscire fuori: non conoscevamo la strada, e penso che non sarebbero andati per il sottile se ci fossimo persi ed avremmo visto dove non dovevamo. E poi, almeno, ascoltando quelle due potevo togliermi dalla testa Regis, e Machin, e Chekaril. Avevo paura per quei due. Erano nel bel mezzo del Regno, chissà cosa stavano facendo in quel momento. Sicuramente Machin aveva accolto con entusiasmo il viaggio, e chissà in quali strampalate avventure al suo stile gli erano capitate. Immaginai che mi fosse grato, o almeno lo sarebbe stato se avesse scoperto come l’avevo salvato dall’esaurimento per cibo orribile. Ero stata io a cambiare le provviste, magari l’aveva capito. Doveva comprendere bene suo cugino, e sapeva che non andava proprio pazzo per molte cose. Chekaril, che era peggio di me in quanto a vizi, avrebbe ficcato le cose più disgustose e senza sapore del mondo, che l’avrebbero fatto capitolare per fame. Avevo messo allora l’unica cosa che ero sicura gli piacesse, un tipo di formaggio duro e salato nei cui confronti nessuno dei due faceva mai storie. Era un po’ monotono, ma mio nipote sopportava bene la monotonia, non si sarebbe lamentato. Era di certo troppo assorbito dai suoi nuovi compiti. Chissà se erano già finiti in qualche villaggio, chissà cosa avevano visto! Ero sicura che si stesse divertendo, molto. Non poteva che piacergli la vista di nuove cose. Sicuro. Però, ero un po’ preoccupata. Il Regno covava un sacco d’insidie. Sperai solo che non avessero incontrato brutte sorprese. Con quei pensieri mi lasciai cullare verso un sonno leggero. Un po’ ne avevo bisogno. In fondo non dormivo bene da un po’.

Mi risvegliai quando sentii mia figlia parlottare con voce acuta. Saltai su in un lampo, prima che me ne rendessi conto. Mi ritrovai seduta sul letto senza nemmeno capire perché. Guardai, confusa, prima la stanza, poi la finestra. Sentivo dei rumori che provenivano dal basso. Parlottii, risate. Sia Roxen che Nilyan si erano sporte, interessate in modo incredibile, dalla finestra, e parlottavano tra loro. Le guardai, interdetta. Erano interessate a qualcosa che non avevo intenzione di andare a vedere. C’era la statua vicino. Mi parve più logico chiamare qualcuna delle due. “ehi!”. Esclama, ancora seduta, assonnata, sul letto, un po’ stordita, dalla voce roca. Odiavo svegliarmi così di botto. L detestavo profondamente. “che succede, piccole?”. La mia voce fece girare almeno Roxen, che sorrise brevemente. Nilyan invece sembrava ipnotizzata dallo spettacolo in basso, quale che fosse. Non m’interessava. O meglio, m’interessava eccome, ma c’era la statua in mezzo e non avevo intenzione di rovinarmi l’umore, ora che avevo raggiunto una certa calma. Mia figlia fece un gesto verso l’esterno. Sembrava interessata. “passa un po’ di gente giù, tutti umani”. Ah. Era quella la novità? Non mi pareva così grande. Poi mi tesi. Accidenti, la base sembrava semideserta quando eravamo arrivati. Semideserta. Non si sentiva alcun rumore, a parte quelle strane vibrazioni, che non sentii più fino al giorno dopo. Dove erano finiti tutti? Nessuno si era fatto vedere. Boh, forse erano andati in ricognizione, poteva accadere. O lavoravano da qualche altra parte. In fondo quello che avevamo visto doveva essere solo una minima parte del tutto. Sentii un moto di curiosità, che repressi all’istante. C’era la statua lì, mi sarei rovinata l’umore. Mi scrollai quindi nelle spalle, benché morissi dalla voglia di vedere giù. “beh, non è importante. Dovevano stare in allenamento prima. Ora sono tornati”. Logico, ovvio. Non dovevo morire dalla voglia di sporgermi e fare congetture, anche perché avrei rischiato il linciaggio. Appena finii di dire quelle parole, sentimmo bussare alla porta. Sobbalzammo tutte e tre. Nilyan ritirò la testa, e guardò tutta preoccupata la porta. Roxen mi fissò quasi fossi un serpente velenoso. Io mi alzai velocemente il cappuccio in testa. Dovevo darmi un certo contegno, che fino a quel momento mi era mancato, in presenza di umani. Ma forse erano solo Capouille e Zipherias. Avrei gioito nel vederli. Quell’affare di rimanere staccati mi piaceva poco. Ero abituata a trovare le mie due Guardie preferite subito, senza problemi. Era seccante quel fatto. Passai un attimo di tensione. Magari era qualcuno che era venuto a prendermi per portarmi a fare una lavata solenne di capo, o peggio. Qualcuno che mi voleva picchiare. Fui così più prudente del solito, cosa strana per me. “chi è?”. Domandai, mettendomi davanti a Roxen e Nilyan, che mi guardarono entrambe interdette. La risposta mi rilassò. Era la voce di Rosie, la sua voce gentile. “sono Rosie, sono venuta a portarvi delle cose, visto che sarebbe meglio per voi non uscire”. Disse lei, allegra, squillante, per nulla turbata. Ammiravo quella giovane. Era stata capace di non sentirsi accusata da un’elfa piombata dal nulla, pronta ad accusare i loro idoli. Mi sembrava proprio una persona simpatica. “niente paura. Mi aprite ora, vero?”.

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Capitolo 20
*** Le altrui speranze. ***


Quando aprii la porta, prudentemente, cacciando la sola testa incappucciata fuori per ulteriore sicurezza, vidi che nessuno aveva tentato di fregarci

Quando aprii la porta, prudentemente, cacciando la sola testa incappucciata fuori per ulteriore sicurezza, vidi che nessuno aveva tentato di fregarci. Quello di un agguato era stato un pensiero che aveva succeduto di un attimo le parole gentili della ragazza. Si, va bene, non mi fido né mi fiderò mai, sono paranoica. Ma vorrei vedere chiunque altro cacciato fino alla punta dei capelli in una situazione pericolosa e drammatica com’era la nostra. Cacciato, poi. Ero stata io che avevo combinato tutto quel casino, cominciando a strepitare allegramente davanti al loro simulacro divino...ops, statua votiva. Facilissimo che qualche buon imitatore mi stesse prendendo in giro, solo per il gusto di prendermi a pugni. Non capivo. Avevo solo espresso le mie idee. Se come avevano rappresentato Regis non mi andava non erano affari loro. Io ero liberissima di esporre la mia opinione in qualunque maniera da me desiderata. Eravamo o no in un paese civile? Era assurdo tutto quell’attaccamento ad un coso di bronzo che non si muoveva e non parlava. Certo non sarebbe sceso dal piedistallo e non li avrebbe aiutati. Regis era bello e sepolto da qualche parte remota, erano ormai duecento anni, era umano. Doveva essere più che polvere, e non era un pensiero molto carino da fare. Di certo non sarebbe resuscitato per muoversi ed aiutare un popolo che lo prendeva in giro con quelle fantomatiche opere d’arte. Io di sicuro non l’avrei fatto, ma nemmeno pagata oro, nemmeno se mi avessero offerto l’immortalità. Oppure, se solo esistesse la reincarnazione, l’avrei fatto solo per il gusto di prendere a calci qualcuno per gli sfregi fatta alla mia lodevole vita passata. Lodevole, come no. Certamente. Ma a chi la volevo dare a bere? La mia esistenza era stata lodevole quanto quella di un criminale qualsiasi, un tagliaborse dell’alta aristocrazia, talmente signorile da far invidia ad uno scaricatore di porto. Ciò però non precludeva che se avessero fatto uno scempio alla mia immagine fino a quel punto sarei risorta dal nulla e li avrei presi a bastonate tutti quanti. Ah, com’ero femminile. Isnark aveva ragione a chiamarmi drago in gonnella. Poi non mi dovevo spaventare, se avevo fatto crescere, nel mio allevamento, teste calde come Machin o ribelli come Roxen. Dovetti scacciare a viva forza quei pensieri. Mi stavo amareggiando da sola, contando tutti i miei fallimenti. La rabbia ricominciava a ribollire, a schiumare, tra un po’  sarei esplosa. Magari, dopo essermi assicurata che la piattola che aveva bussato era davvero lei, sentito quello che voleva dirmi, ed averla scacciata in qualche modo possibilmente mieloso e gentile, come proprio non mi andava insomma, mi sarei ficcata a letto ed avrei fatto il possibile per sedare la mia ira. Magari evitando di guardare la statua, e quello che ne concerneva. Maledissi per la prima volta lo scarso bisogno di sonno di noi elfi. Era pomeriggio, appena pomeriggio inoltrato, e c’era ancora abbastanza luce. Ridicolo, ridicolo davvero, mettersi in punizione volontariamente. Il bello è che non avevo nemmeno sonno. Pazienza. L’unica buona cosa da fare e mettersi faccia al muro e conversare allegramente con le mie piccole. Magari Nilyan, che era così contenta, mi avrebbe risollevato lo spirito. Dovevo solo vedere che voleva quella rompiscatole di umana, poi avrei potuto fare tutto quello che volevo. Cautamente, mi affacciai. La prudenza non era mai troppa: avevo, poco prima, denigrato l’idolo nazionale. Ve bene, ero in torto marcio. Non è bello distruggere le altrui speranze. Aprii la porta, sentendo vari bisbigli. Rosie sembrava non essere sola. C’era qualcun altro, una voce femminile. Una donna come lei, forse. Sperai con forze che non fossero venuti per picchiarmi: c’erano delle innocenti, dentro. Non volevo che Nilyan si turbasse. Mi preparai dunque al peggio. Magari avrei aperto la porta e sarei stata uccisa all’istante. Non mi sarei per niente stupita da quel fatto. Eppure l’umana non mi era sembrata tanto cattiva. Era stata così gentile con mia nipote, perfino con mia figlia, che era sempre scorbutica come una capra digiuna da giorni. Magari era stata costretta dai suoi superiori. Oh, che almeno non avessero ucciso le mie due piccole. Quello avrei pregato, subito aperto. Così, aprii uno spiraglio, facendomi coraggio, e misi la testa, solo la testa, fuori. Mi ritrovai davanti Rosie, accompagnata da un’altra giovane, forse della sua età o forse un po’ più piccola, dai lineamenti delicati, capelli fulvi legati in una coda ordinata ed occhi scuri, una bella spruzzata di lentiggini sul naso, un aristocratico nasino all’insù che accentuava quell’aria antipatica che aveva. La prima, la nostra chiara e paciosa amica, dalla faccia larga e franca, sorrideva, l’altra no. Sembrava essere stata trascinata a viva forza lì, per chissà quale motivo. Aveva una faccia imbronciata che mi ricordava tanto Roxen quando non le portavano un regalo che le piaceva il giorno del suo compleanno. Vestivano tutte e due abiti blu, anonimi, senza insegne né stemmi, di cui peraltro non avrei capito un tubo. Rosie era a mani libere, l’altra portava delle cose probabilmente destinate a noi. La prima sorrise quando mi vide, ancora di più. L’altra mi guardò con un’aria molto strana, cosa che mi mise profondamente a disagio. Sgranò gli occhi nel fissarmi la faccia, una cosa che m’irritò tanto. Eppure, non doveva essersi molto scomposta: la sua compagna doveva averla avvisata che qualcosa non andava in me, delle mie cicatrici. Accidenti, però, era sempre difficile da digerire. Ero abituata a passare inosservata. Erano passati tanti anni da che avevo smesso di portare la maschera, ma ancora era brutto quando mi guardavano come se fossi un po’ un’attrazione da fiera. La prima volta che ero andata in viaggio come ambasciatrice era stata dura, affrontare quel timore che si spandeva quando entravo io, quell’imbarazzo. A Kyradon mi conoscevano ormai tutti, e tutti sapevano che trattarmi con i guanti non era la scelta migliore da fare. Quando entravo improvvisamente in una stanza non c’era mai un attimo di silenzio e poi una cordialità innaturale nei miei confronti, che mi faceva venire incredibilmente voglia di fuggire e rintanarmi in un angolo sperduto. Nel piccolo regno in cui mi aveva mandato Isnark invece, nessuno sapeva come trattarmi. Avevo personalmente supplicato il sovrano di guardarmi in faccia quando mi parlava, di guardare almeno i miei occhi, perché mi metteva a disagio essere ignorata. Almeno, lui era stato tanto sincero da ammettere che semplicemente non ci riusciva: aveva paura, lui, quel povero ragazzo sperduto, di offendermi a morte con una curiosità eccessiva. Io ero stata costretta a dire che era stato un brutto incidente, ma ormai era acqua passata e non mi dava più fastidio, quando invece stavo morendo dentro, in silenzio. Era terribile. Terribile essere costretta ad avere un volto orrendo come il mio. Non l’avevo mai avvertito ad Uruk, per il semplice fatto che mi conoscevano di fama, e poi avevo fatto presto a farmi amare. Fuori invece era sempre brutto quando mi facevano segno, passandosi una mano sul viso, di farsi spiegare cos’era successo esattamente, ed io dovevo raccontare una bugia. Un solo giorno, un solo giorno con il mio viso bello di una volta, o anche meno! Quanto avrei voluto passare inosservata un giorno, un giorno solo, avere un volto quantomeno accettabile, andare in giro per vie sconosciuta senza timore di vedere la gente fermarsi e bisbigliare pietosamente al mio passaggio! Quando Roxen si lamentava di non essere perfetta, quando era un po’ più piccina, ero sempre riuscita a farla smettere di piagnucolare solamente mettendoci davanti ad uno specchio, indicando lei, così bella, la pelle liscia, pulita, perfetta, e poi me, o almeno, l’involucro che era rimasto di Lsyn Amarto. Aveva imparato presto a volersi bene. non avrei accettato in ogni caso il contrario. Non poteva denigrarsi, quando non aveva altro che poche cicatrici da portare fieramente, e non un monito perenne degli errori madornali di una vita passata a sbagliare. Ero rimasta così male, la prima volta, che avevo pensato seriamente di farmi fare un’altra maschera, perché non avevo più il coraggi odi farmi vedere nemmeno da Zipherias, nemmeno da Capouille. Strano ma vero, era stato lui a darmi una bella svegliata, il mio dolce amico balbuziente. Mi aveva detto, con calma serafica, che se solo mi fosse venuta la strana idea di coprire il mio bel viso di nuovo avrebbe personalmente distrutto tutte le maschere che mi sarei fatta fare. Mi aveva praticamente minacciata. Avevo desistito, però era rimasta la piccola ferita dolorosa. Perciò, quando vidi quello sguardo stupito, feci in fretta ad abbassare lo sguardo per prima, a non volere sfidare. Non ne avevo nemmeno la forza, tra l’altro. Preferii non guardare in viso nessun delle due. Probabilmente Rosie e gli altri erano stati avvisati che qualcosa non andava nell’aspetto della Ch’argon, perciò non avevano fatto una piega quando mi avevano vista. Mi rilassai, ed aprii del tutto la porta. Tanto nell’anonimo corridoio non passava nessuno, era deserto. Dovevano averci messe in un’ala in disuso al momento. Nilyan, incuriosita, mi si avvicinò e sbirciò le due con curiosità scientifica. Roxen non si fece nemmeno vedere. Passai un momento di terribile imbarazzo quando la ragazza sconosciuta , non appena mi vide del tutto, distolse lo sguardo e represse una risata, dovuta molto probabilmente alla mia statura penosa. Ecco, quella era un’altra cosa che mi dava fastidio. Ma i dileggi erano pressoché quotidiani anche ad Uruk, perciò non me ne diedi per inteso. Rosie ridacchiò, poi pestò il piede alla povera ragazza, che sobbalzò e la guardò male. Alla fine, tutte e due guardarono me, rimasta interdetta dopo quel balletto. Assurdo, direi. La nostra amica fu la prima a riprendersi. “abbiamo disturbato?”. Domandò gentilmente, con un bel sorriso. Io feci un segno di diniego. No. Eravamo tutte sveglie, in fondo. Lei sorrise ancora di più. “allora possiamo entrare? Devo spiegarvi un paio di cose, e preferirei stare comoda”. Ridacchiò di nuovo, mentre una strana smorfia passava sul volto della compagna. Io, ancora senza parlare, feci loro spazio. Ero stupita. Possibile che fossero così immature? No, non sarei mai riuscita a prendere la vita come loro. Beh, in fondo avevamo più di quattrocento anni di differenza. Non erano noccioline. Oppure, c’era qualcosa che mi sfuggiva. Avevo la netta sensazione di non aver afferrato tutto il discorso, chissà perché. Le due entrarono senza tanti complimenti, ed io chiusi subito la porta dopo la loro entrata, leggermente stordita. Non ero abituata agli umani, troppo difficili da seguire, troppo vispi. Era peggio di mia nipote. Machin li avrebbe battuti, però. Nulla era capace di far fronte al mio scatenato cucciolo. Rosie si avvicinò subito ad un letto,e ci si sedette sopra, l’amica prese il tempo di squadrare Nilyan e Roxen, accomodata a gambe incrociate sul suo letto, con aria di sufficienza che parve indispettire mia figlia, prima di prendere posto accanto all’altra umana, posando accanto a sé le cose, un mucchio bianco ed informe di quelle che mi parevano coperte. Da fuori  veniva il brusio sommesso delle persone che passavano di tanto in tanto. Mi sedetti accanto a mia figlia, e Nilyan ci seguì. Era elettrizzata. Guardò l’altra umana con curiosità estrema, anche buffa. Si guadagnò nient’altro che un’occhiataccia annoiata. Decisi che quella donna mi stava antipatica. Che diamine voleva da noi? Chi era, una convinta assertrice della superiorità della sua razza? Stupida gallina giovane. Doveva avere tanti pregiudizi quanti capelli. “come mai questi abiti?”. Domandò la bionda nostra amica, indicandomi. Sospettai che quello fosse un modo pietoso per cominciare la conversazione. Nilyan era troppo occupata a spiarle per fare da mediatrice decente. Roxen non l’avrebbe fatto nemmeno sotto tortura. Rimanevo io, che ero sul punto di scoppiare sul posto tanto ero irritata. Avevo fatto in modo da non guardare la finestra. Rosie se n’era accorta ed aveva sorriso leggermente. Non mi era piaciuto per niente, quel sorrisino. Come se lei avesse capito qualcosa. Non mi piaceva come prospettiva: proprio non mi metteva a mio agio. Mi costrinsi a sorridere benché non ne avessi la minima voglia. Accidenti, lei non conosceva cosa fosse un Ch’argon? Probabilmente no. Quello era un rito proibito, andato in disuso da secoli, caduto nell’oblio. Ben pochi, ormai, appartenevano ad un ordine obsoleto e pericoloso come quello del Porporato. Ehi, a dirlo sembrava molto più interessante. In realtà non aveva granché di fascino. Non me ne interessavo molto, di quelle cose, anche se ero proprio curiosa di incontrare qualche pazzo disposto a provocarsi gli stessi, dolorosi marchi che avevo io sul braccio.  Ci voleva un bel fegato. O l’acqua alla gola, probabilmente. Non conoscevano quindi, le tradizioni che probabilmente si erano mantenute solo nei nostri territori. In fondo, Uruk è la terra più conservatrice di tutte, lo si è sempre saputo. Uruk e vecchie consuetudini vanno a braccetto. Cercai di non essere troppo condiscendente. Non volevo sembrare spocchiosa come quell’altra umana. “sono vecchie consuetudini”. Spiegai, brevemente. Non avevo voglia di parlare molto. “è perché sono Ch’argon”. La mia pacata risposta non sembrò soddisfare le due. La sconosciuta alzò il viso al cielo, esasperata. L’altra le rivolse un’occhiataccia. Decisamente non mi stava simpatica. Chi si credeva di essere? Finalmente, la principessa si decise a scendere dal suo letto di rose. Mi guardò brevemente, quella giovane, con aria annoiata. “cos’è…Ch’argon? È un sacerdote?”. Domandò, con una voce strascicata, dall’accento pesante, querula, come se mi stesse sfidando. A quella domanda anche Rosie gelò. Mi sorpresi che la temperatura della stanza non si fosse abbassata. Guardò male la persona che aveva parlato. Anche Roxen lo fece. Lei alzò appena un sopracciglio, senza scomporsi minimamente. Nilyan sobbalzò leggermente, poi guardò interdetta le sue interlocutrici. Rosie era mortificata. Decisamente, per quanto paradossale possa sembrare, l’unica ad essere relativamente calma ero io. In fondo, a pensarci bene, non potevo andare più in là come rabbia. E poi avevo già la risposta pronta, o meglio, un modo per irritare quella spocchiosa ancora di più. Feci semplicemente un gesto di diniego. Basta. Chiusi la bocca. Ci fu un momento di silenzio teso. La ragazza sembrò inviperirsi un po’. Sicuramente non se l’aspettava. Fece una strana smorfia, un broncio particolare. Io mi sentii soddisfatta di quello che avevo provocato. Diplomazia, diplomazia. Ero soddisfatta di me stessa. Raramente l’avevo avuta così vinta. Lei bofonchiò, di malumore. “detesto quando voi elfi parlate per enigmi. Ho sentito dire che lo fate sempre. È irritante, davvero, nessuno se ne rende conto?”. Accidenti, quel tono lamentoso come mi dava fastidio. Mi faceva venir voglia di prenderla e sbatterla da qualche parte, possibilmente in uno sgabuzzino dalle pareti ricoperte di aghi pungenti. Mi ricordava la vecchia Akita, quando le veniva voglia di darmi fastidio. In più, quella lì aveva l’aria di una che di pregiudizi vive. Non mi piacevano le sue parole. Mi davano una strana impressione, di stupido vittimismo che mi faceva salire il sangue alla testa. Roxen scattò, un attimo, per poi fermarsi subito dopo. Nilyan la guardò in modo strano. Probabilmente non si era aspettata una persona del genere, così antipatica. Io rimasi in silenzio. Ora volevo solo che se ne andassero. Non per la diplomatica Rosie, ma non avevo il coraggio di lottare, né la forza. Anche perché, se l’avessi fatto, non avrei fatto altro che buttarla da giù, quella reginetta. La nostra amica, mortificata davvero, serrò le labbra nel vedere la nostra reazione. Probabilmente stava facendo salti mortali per metterci d’accordo tutti. Poi sembrò prendere una risoluzione. “Scarlett, perché non mi aspetti giù?”. Domandò, con un tono gentile che aveva un certo sottofondo di ordine. Saggia ragazza. Sapeva forse, aveva intuito che ero lì lì dal saltarle addosso e squartarla con le mie stesse mani. E pensare che ero troppo stanca per essere arrabbiata. La giovane sembrava stare aspettando una cosa del genere. Sorrise, finalmente soddisfatta. “con piacere”. Sibilò, guardandoci con astio evidente. Poi girò i tacchi, e se ne andò sbattendo la porta. Tirai un sospiro di sollievo. Mai, mai, durante le mie missioni, avevo incontrato gente così maleducata. Chissà perché ce l’aveva con noi. Certo, in quei periodi tesi era fin troppo comprensibile, ma sempre non faceva molto piacere vedere quell’accoglienza. Mi aveva snervata completamente, con quelle poche parole. Così, quando la nostra amica fece per scusarsi, abbandonando la sua aria severa e prendendone un’altra mortificata, adducendo come scuse che la sua compagna detestava gli elfi ed era tanto giovane, che le avevano ammazzato lo zio preferito in una scaramuccia casuale e che da quel momento era diventata più irritabile di un riccio svegliatosi troppo presto dal letargo. Liquidai la questione con un gesto annoiato. Ero scocciata, non avevo voglia di lottare. Volevo solo nascondermi da qualche parte, e dormire un po’. Solo che Rosie era di tutt’altro avviso. Dopo averci avvisate che ci aveva portato delle coperte e qualcosa da mangiare, perché era meglio se per un paio di giorni non ci facevamo vedere, cosa che mi face fare un paragone mentale tra quello che avevo io fatto a loro e Scarlett a noi, e dopo averci assicurata che sarebbe venuta il giorno dopo, si mise un po’ a chiacchierare con Nilyan. Sembrava che le due si piacessero molto. Reputai la cosa come positiva. Ci disse che avremmo dovuto aspettare qualche giorno per partire, e che lei sarebbe venuta con noi, al seguito di quel ragazzo che mi aveva chiamata per nome, che, a quanto pareva, si chiamava Faldio, ed era luogotenente. Loro ci avrebbero scortati fino a Qerin. Accolsi la notizia con vaga inquietudine. Non mi andava di rivedere quel tipo, mi metteva in soggezione. Da quando mi aveva chiamata per nome, un’aura di mistero insondabile lo attorniava. Faldio. Non era un nome da me conosciuto, non lo conoscevo. Ma perché mi era così familiare, perché mi sembrava di conoscerlo? Non lo so tuttora, la cosa un po’ mi spaventa. Rosie aggiunse che beh, era normale che lui fosse un po’ freddo con noi, lo era spesso con gli elfi. Semplicemente la cosa non poteva far altro che darmi un fastidio enorme. Tutti freddi con noi, noi dovevamo essere buoni ed educati con loro. Mi era capitato di dover assistere al contrario, ma era più che raro. Solo gli elfi del Regno avevano la cresta alzata. Proprio per questo noi non ci dovevamo mettere in mostra, dovevamo essere umili. Dopo altre chiacchiere vane, Rosie si rivolse direttamente a me. Aveva cianciato con Nilyan che no, non potevamo vedere Capouille e Zipherias, che almeno per un paio di giorni doveva essere come se non esistessimo. Mi sentii male all’idea di non vedere i miei amici. Già mi mancavano. Lei si sarebbe occupata di tutto, era lei che si era presa l’incarico, con un suo commilitone, di curarsi di noi. Aveva portato con sé Scarlett solo per vedere le sue reazioni. Non aveva pensato fosse così maleducata. Quella cosa sembrava averla davvero turbata, poverina. Nilyan la rassicurò che non ce l’eravamo presa. Lo disse guardando me, poi, vedendo che io non sembravo reagire in alcun modo, prese la mia apatia per assenso, e disse che eravamo superiori a tutto. Fu contraddetta all’istante da uno sbuffo di Roxen. Al che risero tutti, tranne me, che mi costrinsi a sorridere. Non avevo voglia. Non mi veniva la minima allegria. Avrei tanto voluto essere a casa, rintanarmi da sola da qualche parte e scrivere, scrivere, scrivere. Ne sentivo molto il bisogno. Stare tranquilla, in silenzio, anche solo a riflettere. Tutto l’ardore di poco prima sembrava essere svanito. La rabbia l’aveva risucchiato tutto. Continuai ad ascoltare le loro chiacchiere con un orecchio solo, a metà assopita, seduta comodamente tra le mie piccine. L’umana ci spiegò che, quando si fossero abituati a noi, ci avrebbe fatto fare una passeggiata per parti che potevamo visitare, magari ci avrebbe fatto conoscere altri umani, simpatici però, quella volta. Riuscii a sorridere pure io. Poi, lei mi guardò. Mi sentii gelare dentro. Eccola. Voleva qualcosa da me. “ma dimmi…”. Chiese, con aria casuale. Avevamo buttato il protocollo in un angolo della stanza, a calci. A nessuno importava davvero, inoltre. Quella era stata per l’umana una sorpresa gradita. Non si aspettava che fossimo così cordiali ed aperti. Io comunque gelai. Avevo fatto a meno di entrare nel discorso, anche se avevo avuto l’impressione che quel momento stesse per avvicinarsi sempre più. Infatti, fu così. maledizione, tutte a me. “ma quindi è vero che hai conosciuto Regis?”. Mi guardò in un modo tale che mi fece immaginare che avesse capito qualcosa che non doveva essere per nulla palese. Mi sentii avvampare leggermente, e distolsi lo sguardo, facendolo cadere a terra. Poi, in un lampo, mi ricordai delle piccole che mi guardavano. Che avrebbero pensato di me? Mi riscossi. Sorrisi, ed alzai il capo, guardando la dolce umana dritta in faccia, anche se morivo di vergogna. Aveva una certa aria saputa. Le raccontai più o meno la stessa storia che avevo detto alle mie piccole. Lei sorrise di nuovo e si scrollò nelle spalle. “ah, sai perché”. Disse lei, con aria casuale. Poi mi guardò per un attimo e sogghignò. Feci finta di non avere inteso. Ma che diavolo?... era come se sapesse qualcosa. Come se non le fossi del tutto sconosciuta. Non sembrava essersi scomposta più di tanto quando le avevo detto la mia età, e non mi aveva fatto domane per le cicatrici. Bah, strano. Non era normale, per niente. “quella statua non piace nemmeno a me. Raccontano di Regis che  non aveva mai quell’espressione. Ma sai com’è, il tempo passa. Ora, si è fatto tardi, devo andare. Tornerò domani”. La guardai male mentre si congedava. Oh si, c’era qualcosa che non sapevo e non capivo. Ma cosa?

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Capitolo 21
*** Nuvole sulla nostra patria. ***


Ahh

Ahh. Finalmente. Siamo dentro, è un bell’ambiente, dopotutto, riscaldato da un bel camino acceso. Da fuori mi sembrava peggio. Almeno siamo al coperto, lontani da quel cielo che sembra un coperchio, e da quel cra cra di corvi che mi fa venire voglia di cercare arco e frecce e farmi un pollo fai da te. C’è qualche avventore, ma, uh, non mi sembrano così felici. Ce ne sono un paio che proprio fanno spavento! Ma mangeranno mai? Uh, che occhiaie! Uh, magri come chiodi, hanno un boccale vuoto davanti e guardano il fondo. Interessante, mi verrebbe voglia di chiedergli cosa ci sia di così importante nel fondo del boccale, magari la fatina della birra, ma non oso avvicinarmi. Non ho voglia di trovarmi il naso rotto da uno sbronzo che non si rende conto di quello che fa. Con il naso storto non starei bene, me lo sento. Mamma mia, che aria che tira! Cioè, l’aria non ha odore, e non tira, però c’è un’atmosfera da gelare un vulcano. Che facce appese! Spero solo che non siamo capitati dopo un funerale, o prima. È sempre noioso vedere certe funzioni; io non ne ho voglia. Se Chekaril vuole rifarsi un po’ gli occhi con un feretro, io non critico i suoi gusti, ma io non ho la minima voglia di presentarmi ad un funerale di uno sconosciuto. È rispetto? Rispetto di che, del morto, che non mi sembra che se ne freghi tanto? Ah, mi piacerebbe tanto vedere un morto alzare la testa a dire grazie per il rispetto, ma il rispetto non si mangia, e poi stecchirsi di nuovo, sarebbe interessante. E poi scusa, almeno conosci le persone a cui porgi le condoglianza, ma in questo caso no. che diavolo dici? Ah, buonasera, signorina, ma come piange bene, i vostri occhi sono meravigliosi rossi e gonfi come otri pieni di acqua, sprizzano fascino da ogni parte, ah, a proposito, condoglianze per vostro nonno, mi dispiace. Ah, era vostro marito? Beh, poco male, vi portate bene gli anni, non sembrate così vecchia. Che poi io già ai funerali di persone conosciute non partecipo. Che utilità c’è, qualcuno me lo può dire? Chekaril mi rimprovera ogni santa volta che succede una cosa simile, ma io non ce la faccio. Mi imbarazza da matti essere l’unico a non avere una faccia da Scene di morte, piagnistei vari, ma che piangi, tanto è morto, non ti sente, hai voglia di sfogarti, finisci solo per sembrare una ranocchia dagli occhi rossi, e cortei ululanti dietro ad un pezzetto di carne non li faccio. Ma poi, perché si corre dietro un morto? Insomma, non si ci fa niente con un morto. Non ti può rispondere si, sto bene, che diavolo ti piangi, ora sono morto e tanti saluti. Va bene, io ti rispetto e ti seppellisco o ti riduco in ceneri puzzolenti perché metti il caso che mi venga voglia di provare una gamba di defunto non ti posso raggiungere, ma non piango per te. Non mi serve a niente. Accidenti, è quello che è morto che dovrebbe piangere, mica noi che siamo vivi, che respiriamo, che ancora possiamo saltellare in questo mondo? Per di più, l’unico corteo al quale mi piacerebbe partecipare in questo momento è il tragitto che una bistecca bella cotta fa dalla cucina al tavolo. È pur sempre un corteo funebre, ehi. La bistecca è carne morta. Fa un po’ senso pensarlo, visto che non mi entusiasma partecipare ad un banchetto di carne di qualche mio simile, non sono certo un cannibale, anche se però potrebbe essere interessante, farei fuori  quello che mi ha rubato la spada e poi mangerei il suo cervello. O forse prima gli mangio il cervello e poi lo uccido. Ho perso il filo dei pensieri. Ah, si, il funerale. Insomma, per dirla con un eufemismo che ci azzecca a pennello, guarda un po’ il caso o la mia genialità, sto facendo i conti senza l’oste. L’oste poi. Questo tipo immusonito e malmesso che mi sembra l’oste, ecco, che ne ha l’aria. Certo non deve tirare una bella aria, qui, eh. Beh, insomma, ma chi ci verrebbe in questa topaia? Gli unici due che mi sembrano aver preso qualcosa paiono in preda ad una di quelle sbornie tristi da fare paura. Non toccherò una goccia di alcol, primo , perché se zia Lalla lo venisse casualmente a sapere mi staccherebbe le ciglia una ad una, oh dei, non posso essere così condizionato da mia zia, davvero è grave, poi, cosa più importante, la sbornia triste è anche un mio problema, e non ho nessuna voglia di cominciare a singhiozzare di essere un buono a nulla, preda dei fumi dell’alcol, sia chiaro. Quando la zia mi ha beccato a Kyradon, una volta, avrei preferito morire. Ero stato trascinato, su! Certo, in una taverna non vado certo a bere succo di frutta, non è così, Machin? Sono un elfo adulto, so moderarmi, però un paio di volte le altre Guardie mi hanno trascinato, un pochino ancora Machin, su, non fare storie, e certo, potevo rifiutare ma poi sembrava brutto, ed era così buona quella birra….fatto sta che ricordo poco di quello che ho combinato. Me lo ricordo, eh, però, poi non è finita tanto bene, mi sono trovato a casa della zia con mio enorme terrore, senza potere nemmeno spiegare a Dae, che mi faceva compagnia perché al momento, per fortuna, la zia non c’era, perché accidenti fossi piombato da lei ad un orario che pure per noi elfi è assurdo, piangendo e singhiozzando, chiedendo disperatamente perché fossi così dannatamente carino, che non era giusto, era un complotto. E mi ricordo anche la solenne lavata di capo che una zia Lalla infuriata mi aveva fatto, che poi pure il nonno si era messo in mezzo, e mi avevano punito. Però è così allettante la birra. Così…così buona, schiumosa, deliziosa, sopraffina! Però come quelli non mi voglio ridurre. Ehi ehi ehi dove stiamo andando? Dentro ovviamente, ah, vicino al caminetto, ne ho bisogno, mi sento tutto indolenzito per via della lunga cavalcata, mi sa che cammino a gambe spalancate come se me le tirassero da tutti e due i lati, e mi serve un po’ di comodità non m sembra così male la panca, si certo non è un cuscino di piume, però almeno non si muove. Ohi, occhio, qui c’è qualcosa che non mi quadra. Certo, siamo vicino al caminetto, io sono contento di questo, Chekaril fa bene a promettere una lauta mancia a quel tipo che mi sembra subito più allegro, ma tu guarda un po’ che volgare mercante, anche se un po’ di quei soldi che ho adocchiato mi servirebbero, il mio costume di scena va in pezzi, ci sono quei tizi vicino, però me ne farò una ragione. Tanto ci guardano per un attimo, poi tornano a concentrarsi sui loro boccali vuoti. Ah, poverini, sbronzi marci. Oh accidenti quel cretino di scheletro oste ambulante è proprio un cretino, se mi permetto la ridondanza! Ci ha messi proprio accanto a quei tipi! Ecco non mi piacciono. Hanno guardato tutti e due con più interesse. Ho fatto finta di non interessarmi a loro, però ogni tanto lo sguardo lo butto. È inquietante: mi sento il loro sempre addosso. Vorrei gridare, ehi, non sono un’elfa, ma mi sembra fuori luogo. Non ho tratti femminili, io. Sono un bel giovane valente. Ah, il contatto con il legno duro è un piacere, almeno non è un cavallo che può divertirsi da un momento all’altro a sbalzarti di sella. Ah, e mi sono pure seduto di spalle a quei due tipi che ci guardano, ah. Chekaril è di fronte a loro, li guarda. Non mi sembra così contento. Ma lui forse non è contento perché l’oste, che ha parlato tutto il tempo con lui, mi pare, gli ha detto che le verdure di questi tempi non ci sono. E quando mai, nel villaggio più sperduto del mondo! Però ah, ho vinto io. Carne, carne, qualcosa con il brodo, buono. Ora lui si deve abbassare, lui, che non è come la zia che ha i vizi, ma che detesta proprio l’idea di mangiare cadaveri, che, per inciso, non piace nemmeno a me, però quando sono cotti ci posso fare un pensierino, strano, ho come l’impressione di avere già pensato una cosa del genere, però non ricordo, me lo dice sempre il nonno che ho bisogno di concentrarmi ma proprio non ci riesco, vedi, ho già perso il filo. Che ambiente legnoso. Tutto legno. Forti, le venature del tavolo hanno qualcosa di profondamente poetico. Sono poetiche, illuminate dalla luce…dalla luce, vediamo un po’…sfolgorante no, non va bene, diavolo, sono solo due braci messe in croce,  illuminante, si, delle fiamme. È così comodo, anche se Chekaril sembra di tutt’altro avviso. È bello sedersi su una simpaticissima e sorridente panca, che mi guarda sfarfallando le ciglia come quando qualcuna delle nostre attrici deve fare la parte dell’ochetta senza cervell…  le panche non hanno le ciglia. Fondamentale, vedi, non c’è logica senza rigore, ed io, in questo momento , sono il rigore fatto creatura divina. Vedi, mi metto anche meglio, dritto, posa militaresca che mi annoia tanto perché dopo fa un male cane e da fastidio se sto troppo tempo rigido come un baccalà salato, anche se Chekaril mi sta guardando strano. Ma lui non può sapere cosa si agita nei miei pensieri. Per fortuna: non capirebbe la mia genialità, poi mi toccherebbe prenderlo a botte e non potrei medicarlo, dopo capirebbe che dei suoi sproloqui proprio non ho capito nulla, cioè, ho sentito solo Machin devi e sono stato attaccato da una malattia che mi ha reso temporaneamente sordo. Solo io mi comprendo, oh, povero elfo sperduto! Inutile provare le migliori e più adatte battute, nella tua testa non funzionano, Machin, sei troppo furbo. Tu le capisci subito. Mi sembra già molto strano che non l’abbia già resa pubblica, ma in questo ambiente mortifero mi sembrerebbe di sprecare la mia comicità. Vedi, alla comicità deve sempre andare sottobraccio l’accortezza. Ed io sono sempre accorto: sono l’accortezza fatta vivente, fatta dio…oh, elfo. Ma il nome di elfo mi sembra riduttivo per un prodigio della natura come me. Mi viene voglia di parlare con Chekaril, ma il camino è così piacevole, e mi rende così meravigliosamente sonnolento. Tiepido, sento la gamba come se mi si fosse buttato addosso un grosso gatto caldo. Perfetto, questa è vita. Cibo pronto, calore ed un posto dove dormire. Niente viaggi al limite del possibile, anche se darei un occhio per potermi portare la mia casa dietro, perché se non fosse per i disagi sarei sempre in viaggio. Chissà, forse un girono qualcuno inventerà il modo. Ora voglio solo mangiare, poi andarmi a rifugiare in quella che spero sia una stanza almeno vivibile. Vedremo dal cibo. Nemmeno Chekaril mi sembra così collaborativo. Si bea del calore, anche lui, lui che ce l’ha di spalle ed è molto meglio, se non fosse per quei due che ci fanno sentire tanto a disagio. Chissà, magari sono gli unici abitanti di questo posto maledetto dagli dei. A quanto pare questo villaggio non ha nemmeno nome. È solo un infimo sputo di case. Perfetto. Ma che vuoi, il Regno è il Regno. Non mi piace il mio primo incontro con questa realtà. M’intristisce. Beh, pazienza. Certo che mio cugino ha uno sguardo proprio strano. Sembra studiare qualcosa che io non poso guardare, sembra…boh, stranito, perplesso. Vorrei chiedere cos’abbia, ma ho come la vaga impressione che c’entrino quei due tipi che non vedo bene. Mi viene da chiedergli cosa c’è, ma lui mi fa un gesto stizzito, e continua a guardarli, sospettoso. Ehi, non lo fare, cuginastro della malora. Sono ubriachi, potrebbero prendersela a male, l’unica cosa da fare in certi casi è starsene per i fatti propri. Ma il santo ha mai frequentato un’osteria? No, certo che no, non quei luoghi di peccato dove un Guaritore non può mettere piede senza essere deriso! Se ha la faccia da fesso non è colpa mia, ma accusi i suoi genitori, suo padre, specialmente, visto che mi ha riempito le orecchie del fatto che ha preso da suo padre, eccetera, eccetera, eccetera, fino alla fine del mondo o alla fine sua per mano mia. Chiunque fosse quel povero scemo, di sicuro doveva essere anche tocco, ma tanto, per aver dato vita ad un prodigio della piattezza del genere. D’accordo, sono cattivo, coscienza. Sto diventando cattivo, ma ci vuole, vorrei dargli un calcio ma lui si scansa, il maledetto, e mi fa un’occhiataccia. Ehi, io dovrei guardare male te! Oh, non vedo l’ora che venga il cibo, almeno occupo la mia attenzione con qualcos’altro. Ho voglia di parlare, ma non da solo. E poi, via, di filato, nella mia stanza, mi caccio da qualche parte e buonanotte, arrivederci e grazie, mi dedico a qualcosa di più interessante, come magari….come magari… però sono tentato…un pochino di birra o vino non fanno così male… un po’ solo… magari rubo qualche soldo da quel borsello pieno, tanto lui non se ne accorge, e scendo un po’ giù. Poi vediamo se non movimentiamo la serata, almeno vedere…oh, io ho un’idea migliore. Non ho mai visto Chekaril un po’ fuori di testa, lui, sempre misurato, corretto, educato, fedele…ah. Se solo gli avessi messo qualcosa nell’acqua… lui è astemio come la zia… mi divertirei tanto…oppure fargli solo uno scherzetto, tipo mettergli gli scarafaggi nel letto… già me lo immagino, non è divertente, Machin, per te no, ma per me si, Chekaril, ehi, non mi picchiare, vedi che ti concio nero, in realtà il più grande sono io, e poi lo concio nero come promesso. Ci butteranno fuori, ma almeno mi sono divertito un po’. Dunque, quando arriva questo cibo, che sta facendo il tipo, sta cacciando, va a finire che ci butta sul tavolo un’anatra morta e ci dice, bene, ora cucinatela voi, io non ho voglia, arrivederci e grazie. Sento rumori di sedie spostate. Uh, finalmente quei due tipi sbronzi se ne stanno andando. Però sono teso, mi sento una strana tensione addosso. Spero solo che non ci prendano di ira, perché scollarsi da dosso un ubriaco è dura. Tattica, Machin, ora mi guardo le unghie. Chekaril mi sta dando un calci. Ahi, un altro ancora! Ma che gli prende? Un altro! Lo guardo. Ora lo pesto, se non la smette d’infastidirmi. Sto facendo il bravo! Però non mi piace il suo sguardo. Allarmato, quasi. Fa un cenno. Guarda in su, guarda in su, guarda in su. Guarda in su? Beh, non mi costa nulla farlo, non posso certo essere pietrificato. Ahh!  Chi sono questi? Ora che vogliono da noi? Sono loro, sono loro, i due sbronzi che ci vengono a picchiare! Ora si vendicheranno di quelle occhiate che gli faceva Chekaril, lo so. Che gliene frega che siamo Guaritori, loro sono sbronzi marci! Uh mamma, come sono brutti. Hanno le barbe lunghe e i capelli e gli occhi scuri, non li vedo bene, però si, ehi, sono simili ,saranno fratelli, uno mi sembra più vecchio. Ci guardano. “ohi!”. Accidenti, che dolore al ginocchio terribile! Mi sa che devo essere saltato. Rimpiango solo di aver detto quel verso sconosciuto di dolore. Tò, l’oste non s’è nemmeno affacciato. Secondo me ci sta cucinando una delle sue mani. No, tipi, io non voglio morire! Ma perché mi guardano così strano? Dei, sento il cuore che batte come un tamburo. Chekaril mi fa una strana occhiata. Boh, non mi sembrano così armati da cattive intenzioni. Staremo a vedere. “vi abbiamo spaventato?”. Domanda uno di quelli, il più basso, con voce roca. Ehi, faccio un bel respiro. Allarme passato. Non mi sembra sbronzo, anzi, è tanto pacato ed educato. Bene, mi piace ufficialmente. Mi sta simpatico. L’altro lo fulmina con un’occhiata, ma non sembra farci caso. Spaventare, poi. Tsk. Spaventare me, Machin Tijorn, l’eroe senza macchia e senza paura! Figuriamoci. Spaventare me è come vedere un drago che balla il saltarello. Certamente. “no, no”. Devo essere io a parlare, e ho battuto quello spirito di patata di mio cugino sul tempo. Lui mi guarda e sorride. Vorrei chiedermi perché. Ma non lo faccio, solo per non dargli soddisfazione, tiè. Intanto però accidenti, il ginocchio fa male, devo aver preso una bella botta. Ma non devo dare nell’occhio, ovviamente, poi potrebbero pensare che abbiamo paura. Io non ero quello a pensare che fossero sbronzi no no. Ho subito capito che erano solo un po’ infelici. Era Chekaril quello che pensava male. Io ho un sesto senso, sempre. “ponderavamo”. Eh si, sono stato solo colto di sorpresa. Quello annuisce. “allora ci possiamo sedere”. Certo, come no. tanto c’è posto, magari sono compagnia un po’ più vitale di Chekaril, che non mi sembra così bendisposto verso di loro, anche se fa loro un cenno. Prendono posto accanto a noi. Odorano di legna tagliata e grasso di animale, e non mi piace. Li guardo un po’ meglio, magari me li ricordo. Eh si, sono proprio simili. Stessi capelli aggrovigliati, stessa aria da funerale o da becchino senza lavoro, faccia simile, stessi occhi. Uno ha qualche filo bianco nei capelli, l’altro invece, quello che ci ha parlato, sembra giovane. Dannazione. Non mi sembrano tanto elfi, però, me ne rendo conto solo ora. Hanno tutta l’aria degli umani, anche perché…accidenti, non riesco a capire la loro età. E loro ci stanno scrutando con altrettanta curiosità. Non mi piace questo silenzio. Non fa niente che sono orecchie tonde, io non ho pregiudizi contro di loro, mi basta che siano divertenti, i topastri. Però loro non lo sono, quindi immediatamente mi sento diffidente. Per fortuna il tavolo è grande. Almeno abbastanza. L’altro parla. Ha una brutta voce, non mi piace, è troppo roca. Mi ricorda quasi quella di zia Lalla, ma lui non ha giustificazioni, e diffido. Zia Lalla almeno ha quella brutta voce perché quello che le ha lasciato le cicatrici le ha anche rovinato la voce. Però lui non ha cicatrici. È sano come un pesce, anche se depresso come una vallata. “siete Guaritori, vero?”. Oh, ehm. A dire il vero non so distinguere un abete da un pino, una benda da un lenzuolo, però potremmo fare finta che io lo so. Vedo che Chekaril annuisce. Poi punta il dito verso di me. “lui è ancora Tirocinante, mi fa da aiutante”. Ehi! Mi sento in imbarazzo. Come aiutante? Io il suo? Casomai è il contrario! Io comando lui, io mi posso permettere di comandare lui! Appena lo becco al sicuro lo gonfio di botte. Lo faccio diventare una salsiccia umana, lo uccido. Io aiutante a lui. Ma se lui si è dovuto far trascinare per i capelli in questa missione! Ah, che fastidio. Nessuno si può permettere di chiamarmi aiutante, oh. C’è una pausa. Poi mio cugino sorride. Loro non sembrano aver capito che c’è un inghippo. Avrebbero dovuto capirlo solo guardando me. Su non ho la faccia da lecchino aiutante. Ho la faccia da condottiero. Ed io ho tutte le qualità per esserlo, coraggio per prima cosa, poi fascino. Il fascino traspira da me, si evince da ogni particolare! Ah, umani scemi. “io sono Liam, lui è Flanner”. Su, sorridi Machin, imprimiti una bella smorfia sciocca e vai avanti, fai il fesso. Sennò Chekaril ti costringe a guarire qualcosa, e poi chi e lo sente. Loro due annuiscono. “io sono Lunsch”. Annuncia il più anziano. Che bello, che fierezza. Bah. Non vorrei essere umano nemmeno se mi pagassero. Hanno troppi peli. Vivono troppo poco, dopo non potrei vedere nemmeno un accidenti. Della vita non si vede nulla in meno di cento anni! E poi, che nomi. Privi di qualunque grazia. “lui invece è mio figlio, Poldo*”. Eh? Ho capito bene, le mie magnifiche orecchie hanno inteso alla perfezione? Poldo? Ma cosa, stava bene quando gli ha dato questo nome? Poldo? Poldo? Poldo? Che roba è, si mangia? Oh, Machin, non ridere, non devi ridere! Faccio finta di starnutire, è il modo migliore anche in scena per dissimulare. Per fortuna sono un attore! Mi sto scompisciando! E quelli che hanno un’aria così mortalmente seria! Poldo, oh dei, Poldo! Mi sa che quell’uomo era sotto effetto dell’oppio, ne sono sicuro. Cioè, Poldo! Ma quel non ha mai tentato un parricidio per quel nome? Guardo Chekaril, e guarda un po’, anche lui nasconde un sorriso. Lui però è bravo, non lo lascia vedere. Spero che quei due non se ne siano accorti, supplico in ginocchio perché sia così. in realtà non mi sembrano così irritati. Sembrano presi da ben altri pensieri. Passa un po’ di tempo in silenzio, poi Lunsch riprende la parola. Che noia, questi discorsi. “da dove venite? Siete elfi di dove?”. Non mi piace quest’interrogatorio. Ma che, ha paura che siamo Spie? Quei bastardi non prendono le sembianze di Guaritori, mai. La zia, che qualcosa sa, me l’ha sempre spiegato. Ci sono mansioni per le quali tutti hanno rispetto. E perciò ho pensato a questa copertura, no? Sono o non sono un genio? Aspetto la ola, aspetto che mi divinizzino solo. Solo imbecilli come un tipo che ha chiamato un povero bambino Poldo non può capirlo. Preferisco che sia Chekaril a rispondere. Abbiamo programmato tutto, ma sempre meglio che sia un vero Guaritore a parlare. Non voglio essere imprudente. “veniamo da Zakadi. Stiamo viaggiando un po’”. Non è anormale che due o più Guaritori si mettano a diventare itineranti. Spesso succede, quando non c’è un posto sicuro dove stare, o in guerra. Mi fido di lui. Non conosco quella città, ma lui mi dice che ci è stato. Mi fido. Posso sempre far finta di essere timido. Loro sembrano rilassarsi. Sento un rumore, sono già girato, nemmeno il tempo di pensarlo, che genio. Evviva, ecco il momento! L’oste arriva con due piatti in mano, che fumano, fumano, fumano. Belli loro, piccolini miei. Tanto lo so che finirò per mangiare anche la parte di Chekaril, e la cosa mi piace. Ah, che malagrazia. Ci ha sbattuto i piatti davanti, una specie di brodo denso con pezzi sparsi di carne e verdure, tutto sfilacciato. Non ha un’aria bella, mai in questo momento mangerei un castello intero, tanto ho voglia di qualcosa di diverso. Mi dirigo subito sul cibo, poi chissenefrega, metto la testa nel piatto e buonanotte. Almeno le porzioni sono abbondanti. Vedo Chekaril che fa lo schifiltoso. Ma su, non è male. Sorbisce il brodo con tutta calma, dignitoso come un principe. Che, è di discendenza reale? Quanto mi da fastidio quando fa così, il signore dell’universo. È proprio antipatico. Intanto parla con i due tipi, io non ne ho proprio voglia, e li rimango ad ascoltare. Il cibo è buono. Meglio di così si muore. Però, il tortino di carne di Dae…quello si che mi manca. Il tortino, e le storie della zia, lei che è sempre magra come un scheletro, e zia che capitola e mugugna, alla fine un pranzo o una cena tranquilli. Poi Nilyan che viene e ci fa tante feste. Tutto è così diverso. “siete solo voi ad abitare qui?”. Domanda educatamente Chekaril, sorbendo ancora il brodo con classe infinita. Penso che quei due si stiano sentendo a disagio. Questo mi interessa. In fondo non h ancora visto nessuno. Poldo scuote il capo. beh, io non smetto di mangiare, però. Ho ancora un bel pezzo di carne gustosa da assaporare. Ah, carne, amore mio. Da quanto non ti vedevo, da quanto. Ti ho tradito per il formaggio, ma il mio cuore è sempre tuo. Sarò il tuo marito fedele. “una ventina, tra elfi ed umani”. Dice, scuotendo il capo come morso da una tarantola. Ventina. Praticamente nessuno. Che bellezza. Che squallido villaggio sperduto dagli dei. “quando vi abbiamo visto venire pensavamo a chissà cosa, e ci siamo chiusi dentro. In questi tempi non si può mai sapere, stanno cominciando a circolare voci strane”. A questo punto devo smettere di mangiare. Strane voci? Mi sento posseduto da una strana curiosità. “che genere di voci?”. Domando anch’io. Ho il pieno diritto di farlo, ma Chekaril mi sta guardando male, e anche Lunsch. Eh, io sono più vecchio di lui. Mi fa strano pensarlo, io sembro ancora un bambino. Poldo si stringe nelle spalle. Sembra non sapere bene. In fondo siamo in un piccolo villaggio. “il cugino di Rolf il Guercio è andato in un grande posto, una grande città”. Che risposta, come mi ha bellamente risposto, ignorando forse inconsciamente che io proprio un tipo di nome Rolf, perdipiù cieco da un occhio, non lo conosco. Per fortuna quello lì è disponibile a parlare, almeno questo è un vantaggio. In fondo ci stiamo inoltrando in territorio nemico. Che spiegazione, poi. Magnifica. Almeno ha confidenza. Il nostro aspetto di Guaritori sembra aver sortito il suo effetto, almeno su Poldo. Il padre ci fissa ancora con sospetto. “dice che da un po’ di tempo le tasse di quella sporca regina elfa stanno aumentando, e che aumenteranno anche a noi”. Ah, il vantaggio di vivere ad Uruk. Non sono mai stato così fiero di essere un uruki, mai come in questo esatto momento. Ah, le nostre tasse sono giuste, tiè. “poi da un po’ gli elfi si comportano strano. Da noi sono sempre uguali, non ci facciamo niente, però mi ha detto che uno di loro l’ha buttato per strada e non ha chiesto scusa, anzi”. Ooh, ma che eresia! Povero piccolino, povero campagnolo. Venisse a Kyradon… eh, Kyradon è bella ma la gente è maleducata, no, forse sei tu che sei inadatto a vivere in città. Povero campagnolo, mi fa pietà. “ha detto poi che non ci sono più uomini, e nemmeno elfi maschi, sembrano scomparsi tutti, e che c’è poco da mangiare. Tutti sembrano di cattivo umore”. Ah, questa notizia mi piace di meno. Non mi piace quando non si vedono uomini o elfi in giro. Potrebbe significare qualcosa di poco positivo. Riprendo a mangiare. Almeno m’impedisce di vedere la faccia poco rassicurante di Chekaril. Spero che non stiano cominciando una battaglia ad Uruk. Vedo nuvole sulla nostra patria. Mi sento preoccupato. Spero che Isnark se la sappia cavare. Vorrei tanto che fossero tutti al sicuro. Non mi piacciono certe cose. Ad un’occhiata del padre, Poldo si zittisce dal suo monologo. Finiamo il nostro pasto in silenzio. Da un po’ di tempo, chissà perché, la carne ha preso sapore di cenere. Dobbiamo assolutamente vedere nelle grandi città cosa diavolo succede. Mi sentirò al sicuro solo quando saprò che Uruk è in pace, neutrale. Il Regno è cattivo. Il Regno ha ucciso i miei genitori, avrà sicuramente fatto del male alla zia Lalla. Chekaril, ogni volta che si parla di Lainay, impallidisce, e non mi vuole mai dire perché abbia così paura di lei. Poi ho visto il suo esercito. Ci sono anche uomini lì, e tutti sembrano pronti a tutto. Non mi piace. Uruk è…beh, non mi sono mai trovato a fare pensieri così seri, ma Uruk è sguarnita. Per fortuna che Nilyan si trova a Fiya. Almeno c’è uno stato che la protegge in caso di disfatta. Mi dispiace per Isnark, tanto, però. Se morisse, sua figlia starebbe tanto male, e anche per me non sarebbe una cosa bella, in fondo gli voglio bene, è stato un po’ uno zio, anche se ogni tanto faceva l’antipatico, e sembra avere in scarsa simpatia zia Lalla. Mi vorrei sentire più sicuro. Ah, quanto darei ora per essere a casa. Magari scapperemo con i documenti falsi a Fiya, se succedesse qualcosa. Spero di no, però. Finisco di mangiare. Ecco, ora anche Chekaril. Ha lasciato tutta la carne lì, mi farebbe gola se non avessi lo stomaco irrimediabilmente chiuso. Ci guardiamo. Anche lui è preoccupato. C’è un altro attimo di silenzio. Poi Lunsch parla. Si tende verso di noi. Che vuole ora? Non quello che temo, spero. Se fosse così sarebbe il degno fine giornata. “visto che voi siete Guaritori…”. Comincia, con l’aria di un che ha aspettato che si sciogliesse il ghiaccio prima di chiedere, maledetto opportunista. “noi avremmo bisogno di voi. Non è che potreste seguirci?”. Ecco, ci mancava solo questa! E come odio vedere quello scintillio fanatico negli occhi di Chekaril. benvenuto, Machin, nel suo elemento. Ma non nel mio. Non potevo essere una Guardia di scorta, no, eh? E ora mi tocca anche questo!

 

*mi spiace, ma non ho resistito a chiamare un personaggio Poldo X°D

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Capitolo 22
*** Nonostante tutti questi misteri. ***


Per fortuna non restammo tanto, in quella base sperduta ed ostile, immersa nella vegetazione silenziosa e in bilico tra due mondi e due confini, tra due modi di pensare

Per fortuna non restammo tanto, in quella base sperduta ed ostile, immersa nella vegetazione silenziosa e in bilico tra due mondi e due confini, tra due modi di pensare. Tre giorni, sufficienti per farmi desiderare ardentemente la compagnia di Isnark e di tutta la banda dei generali con la puzza sotto al naso, il che è tutto dire. Sono troppo vecchia per essere a mio agio tra gli umani: ho sempre la sgradevole impressione di essere un pollo costretto in un nido di pulcini. Mi sento terribilmente fuori posto, e quella volta non fece eccezione. Ero quella più silenziosa, a pranzo, quando mangiavamo assieme alle nostre guide, e qualche altro soldato indiscreto, in un ambiente spazioso pieno di persone che ci squadravano dalla testa ai piedi. Odiavo quella curiosità, mi sembrava fuori luogo. L’unica a fare domande, in fondo, tra di noi, era solo mia nipote. Qualche volta avevo sentito qualcuno chiamarci pezzi di ghiaccio viventi, ma non era colpa nostra se conoscevamo già la loro razza, se nella nostra lunga vita ci aveva permesso di venirvi a contatto più di una volta. Roxen ancora stava abbastanza bene tra di loro, benché a volte storcesse il naso di fronte a comportamenti a dir poco rozzi, come l’abitudine di uno dei soldati che fecero amicizia con noi di assestare una bella pacca sulla spalla come saluto, mentre Capouille e Zipherias la pensavano esattamente come me, anche se dissimulavano bene con un a cortesia di facciata. Il mio amico balbuziente era molto nervoso, teso come una corda di violino, e si costringeva a rimanere in silenzio, preso dal terribile imbarazzo che il suo piccolo difetto gli procurava, mentre nessuno e nessuna cosa sembravano poter toccare il secondo, che nemmeno se lo supplicavano sorrideva. Nilyan era l’unica abbastanza piccola per non avvertire il divario enorme che sorgeva tra di noi. Aveva molti anni in più anche rispetto all’umano più vecchio del mondo, ma era ancora, fondamentalmente, una bambina. Era lei quella che in tutto il periodo a contatto con soli umani faceva da mediatrice tra noi più anziani e i giovani e chiassosi umani. Ancora nessuno di noi riusciva ad abituarsi ai loro ritmi, soprattutto di notte, quando noi eravamo ancora svegli e loro quasi tutti addormentati. A Kyradon si sentiva la vita vagare per le strade fino a quando il cielo non diveniva nero come la pece. Il bello era che senza compagnia umana  non potevamo nemmeno uscire dalle nostre camere: la sera quindi era un mortorio, e morivamo dalla noia. Una sera, una coraggiosa Rosie, la nostra guida che aveva preso a benvolere mia nipote tentò, affascinata dalle nostre abitudini diverse, e, per loro, stranissime, inusuali perché era la prima volta che molti di loro vedevano un elfo, addirittura, perché erano state rare le fughe della nostra razza dal neonato Regno, anzi, di stare sveglia fino a tardi, fino alle nostre ore normali. La povera ragazza crollò quando per noi non era nemmeno un’ora lontanamente tarda, povera piccola. In quel periodo da noi passato lì, ogni astio che si era venuto a creare  dopo il mio comportamento avventato e rabbioso svanì , si sciolse come neve al sole. La stessa prima mattina passata lì Rosie ci venne a dare il lieto annuncio che potevamo scendere, che l’atmosfera si era un po’ raffreddata. Quindi, la seguimmo, evitando apposta alcuni ambienti, tra i quali, cosa che mi parve fatta apposta, lo spiazzo dove campeggiava l’orribile statua di Regis, in un ampio ambiente, già affollato da alcuni umani, uomini e donne, tutti vestiti di blu, che mangiavano tranquillamente, una scena senza nulla di particolare che valga la pena di descrivere. Si girarono tutti, cosa praticamente scontata, e mi sentii i loro sguardi addosso fino a quando non mi rifugiai in quello che sarebbe stato il nostro angolino, un posto un po’ più appartato. Lì c’erano già Capouille e Zipherias, accompagnati da un uomo tarchiato dai cortissimi capelli castani e dalla mascella forte, che disse, con quel terribile accento che si mangiava una sillaba si e una no, di chiamarsi Hector. Noi elfi ci salutammo con il sollievo di chi è abituato a vedersi in ogni momento e non si vede per un po’ di tempo. Roxen saltò quasi al collo di Capouille, Zipherias scompigliò affettuosamente i capelli a Nilyan e poi mi fece un occhiolino. Anche i due umani si erano salutati come vecchi amici, e sembravano piuttosto in confidenza. Passammo la mattina con loro due, che non avevano altri compiti che quello d’impedire che ci ficcassimo nei guai e vedessimo dove non dovevamo vedere, cosa che mi sembrava molto più importante. C’erano tante cose che secondo me ci stavano tenendo nascoste. Primo, trovavamo sempre i piatti pronti, e nessuno sapeva dove li prendessero, secondo, le strane vibrazioni, che cominciavano a tarda mattinata per finire il pomeriggio. Terzo, perché si accendessero le luci alla solita ora, benché per noi fosse superfluo, quarto, a cosa servissero quei pali con attaccati su dei fili, e dove fossero le lampade, le candele, insomma, da dove venisse quella luce! Avevo rivoluzionato la stanza in cerca della fonte di luce, ma non mi era stato possibile individuarla. Era ben nascosta. Poi, non capivo perché non sembrassero esserci guardie, o perché fino a pomeriggio non ci fosse un’anima viva. Però, nonostante tutti questi misteri, gli umani erano gradevoli. Ci fecero almeno compagnia. Hector era simpatico, nonostante capisse ben poco della lingua franca da noi usata, e si servisse, dopo le prime figuracce, di Rosie per comunicare con noi. Si stava bene con loro due, che sembravano amici. Eppure, non mi sentivo mai a mio agio. L’uomo aveva la sgradevole abitudine, appunto, di salutare con una sonora pacca sulla spalla, e di ridere troppo fragorosamente, la giovane  era ingenua al punto tale, un paio di volte, da disarmare anche Nilyan, il che è tutto dire. Le barriere linguistiche erano le più difficili da sormontare. A colazione avevo chiesto all’uomo di passarmi una brocca, e lui, in tutta risposta, aveva risposto che i capelli se li era tagliati perché gli davano fastidio. Si era bloccato quando aveva sentito Rosie ridere come una matta, e visto me con uno sguardo più che stranito in viso. Poi, avevano alcuni pregiudizi, forse inconsci, che non piacevano a nessuno di noi. Rosie aveva criticato sottilmente la nostra mancanza di certe istituzioni, quali il matrimonio, ci aveva chiesti quale fosse il vincolo religioso che ci teneva svegli fino a tardi, e aveva insinuato un paio di volte, senza farlo apposta, che noi condividevamo le idee terribili di Lainay. Si era scusata, arrossendo in maniera terribile, quando si era accorta delle nostre espressioni, quando l’avevo incenerita con lo sguardo e replicato qualcosa sull’ottusità umana. Eravamo pur sempre due mondi contrapposti, paralleli, che possono vivere a fianco, ma mai mescolati. Perfino Nilyan, nonostante la sua affabilità e curiosità, qualche volta si trovava incerta su cosa dire. A volte noi offendevamo loro senza accorgersene, loro facevano la stessa cosa. Ci perdonavamo a vicenda: a lungo gli elfi avevano fatto a meno degli umani, e viceversa. Ebbi l’impressione che stessero sprofondando dall’imbarazzo quando  mi era capitato di svelare la mia età, ed Hector, d’istinto, aveva replicato con una risata, prima di rendersi conto che aveva a che fare con un’elfa. Poi ero stata io a passare un paio di brutti momenti, e lo stesso per Roxen, mentre Capouille era in uno stato di vergogna perenne, povero caro. Zipherias…beh, ci sarebbe voluto non so che per smuoverlo dal suo stato di calma perenne. Era il più lontano di tutti, il più difficile da raggiungere, la vetta più alta per quei poveri ragazzini. Perfino per noi a volte diveniva un affare di stato il farlo scendere dalle sue nuvole gelide. Il suo passato da Rinnegato gli ha plasmato un carattere già placido in precedenza, trasformandolo in un’impenetrabilità che gli invidio. La cosa terribile, è che non c’era nemmeno nulla da fare. Girammo un po’, ma non mi feci mai un’idea chiara sulla planimetria  del luogo. Ebbi la sempre più netta impressione che volessero nasconderci qualcosa. Facemmo una capatina anche alle stalle, e trovai il mio Nano ben curato, cosa che mi rinfrancò. Però era strano che, oltre qualche ronzino che avevamo visto in precedenza, non ci fossero altre che le nostre cavalcature. Era come se ci stessero aspettando, come se quella fosse stata una pantomima già provata per noi. Incontrammo qualche umano, la maggior parte dei quali c’ignorò, un paio ci guardarono con sfida, altri, quelli che ci avevano accompagnati lì, addirittura ci salutarono. L’episodio della statua era stato accantonato, mi dissero. C’era ancora qualcuno che mi avrebbe preferita in cenere, ma non erano più la maggioranza. Molti mi capivano: era dura dover accettare la nostra età, ma, appena compreso quello, veniva tutto più facile. Fu con evidente gioia che accogliemmo l’ora del pranzo. Da un po’, esaurite le prime domande, eravamo rimasti a guardarci, diffidenti, due branchi di lupi che si studiano, sospettosi, a vicenda. Il pomeriggio eravamo stati lasciati soli, o meglio, ci eravamo allontanate da Zipherias e Capouille ed ognuno era tornato nelle sue camere. Era stato tremendamente noioso dover ascoltare le lamentele di Roxen per la rozzezza umana, per la loro maleducazione. Poi Nilyan l’aveva zittita, aggiungendo che però anche noi avevamo offeso loro, e che proprio eravamo diversi. Poi si era lanciata in tutte le considerazioni che aveva tirato da quel primo giorno, fino a farmi scoppiare le orecchie. Avevo accolto la cena con sollievo. Era stato già diverso. Oltre a Hector e Rosie, a noi si aggiunsero altri due uomini, un tipo smilzo e chiaro, di nome Jan, ed una ragazza dalla pelle olivastra che disse di chiamarsi Kuini.  Erano più simpatici, almeno la ragazza, che conosceva davvero bene la lingua franca, ed aveva uno spirito arguto. Il suo compare era silenzioso, ombroso, e le uniche volte che aveva preso la parola ci aveva spiazzati tutti con osservazioni ciniche e terribilmente veritiere, inusuali per un uomo. Sembrava un grande intellettuale: quando parlava, lo faceva con voce pacata, sussurrata, senza inflessioni o accento. Con loro  avevamo preso confidenza con il genere umano. Le giornate si erano susseguite tutte uguali. Gli episodi imbarazzanti si erano ridotti, fino a scomparire, soprattutto grazie alle ragazze, le più rapide a reagire a quelle che consideravano stranezze razziali. Venni a sapere che non eravamo tanto distanti da Qerin, che la città si era ingrandita molto, soprattutto negli ultimi decenni, che Hector, Kuini, Jan, Rosie e Scarlett, l’ultima con nostro grande fastidio, facevano parte, con altri quattro giovani, dello stesso gruppo, capitanato da quel tipo che mi aveva chiamato per nome, Faldio, e che ci avrebbero scortati loro fino alla città. Il loro turno era ormai finito, ai confini, con enorme sollievo da parte loro, perché non ce la facevano più, che l’atmosfera nelle caserme era divenuta irrespirabile per l’aria tesa che c’era, e si preparavano tutti a tornare a casa, dalle loro famiglie. Non ne vedevano l’ora. Nilyan si era fatta amare un po’ da tutti, seguita a ruota da Capouille, che faceva tenerezza. La loro affabilità aveva conquistato. Al vertice dei più odiati c’erano invece Roxen e Zipherias. Il secondo perché non aveva mostrato emozioni se non per noi, asserendo che era inutile legarsi alla vita delle foglie, breve e sostituibile, peraltro in mezzo a loro, facendo seguire un paio di minuti di silenzio gelato, la seconda perché era praticamente impossibile, acida come un limone appena spremuto. Non so cosa pensassero di me. Penso che mi rispettassero un po’ tutti, ma intimorivo, per il mio aspetto, i miei silenzi prolungati. Jan, Kuini e Rosie, inoltre, sembravano capirmi un po’…beh, troppo bene. Come se avessero già sentito parlare di me da qualcuno. Appena aveva notato i miei abiti il primo mi aveva scrutato per buona mezz’ora, lo sguardo impenetrabile, mentre la seconda si era fatta una bella risata, poi si era rivolta a Rosie ed aveva detto, scatenando un’altra cascata di risate da parte loro, che. “non mi stupisco”. Era strano. Mi sentivo in imbarazzo quando parlavo così. quando in genere chiedevo cosa volessero dire ricevevo, in tutta risposta, un sorriso impertinente o un “ma non lo sai?”, seguito da un silenzio più eloquente di mille parole. La situazione mi sfuggiva, ma facevo finta di non rendermene conto. Quello che più si infastidiva a quelle battute era Zipherias, che mi rimproverava di non reagire con più decisione, di essere sempre così maledettamente ambigua. Avremmo litigato in una situazione normale, ma non potevamo farlo. Finalmente, una sera, venne l’ordine di partire. Rosie ci venne a prendere, dopo cena, con aria trepidante. Era vestita con abiti che sembravano imbottiti, ed aveva strane armi a tracolla. Mi ricordarono alla lontana, molto alla lontana, quelle che avevo visto tanto tempo prima, ed erano a metà anche con i moschetti che da un po’ giravano ad Uruk, armi di cui mi ero sempre rifiutata di apprendere l’utilizzo. Le considero troppo pericolose e poco soddisfacenti in un combattimento, e anche troppo dolorose se beccano pure solo di striscio. Comunque, prendendo tutti i nostri scarsi averi, seguimmo la nostra giovane amica, nel silenzio della sera, fino ad un altro spiazzo, dove ci attendevano, già a cavallo, i nostri nuovi amici e gli altri del loro battaglione, tutti di cattivissimo umore. Vidi anche Faldio, il più lontano da tutti, che ci fissò con aria di sufficienza, lui, che sembrava ancora avercela a morte con noi per l’affare della statua, o che forse non sopportava gli elfi, e Scarlett, a fianco di una ragazza dai capelli scuri che squadrò Capouille dalla testa ai piedi, schifata, che si teneva a cavallo molto malamente. Qualcuno borbottò nella loro lingua, un altro lo zittì. Non appena salimmo a cavallo, fummo circondati da alcuni uomini annoiati. Erano tutti abbigliati alla stessa maniera. Fui contenta di poter cavalcare, finalmente, dopo seppur pochi gironi di totale inerzia. Non ero abituata ad una vita che era quasi paragonabile a quella di una prigioniera. Così, ci mettemmo in marcia, in silenzio, alla luce della luna.

Il viaggio in sé, che durò quasi due settimane, non pose particolari problemi: è quasi inutile stare a descrivere gli accadimenti. Posso solo dire che ci sciogliemmo, e molto, specialmente, con nostro stupore, Faldio nei confronti di Nilyan. Cavalcavamo tutto il giorno, a parte brevi soste in cui gli umani si sgranchivano le gambe. Sembravano proprio per niente abituati a cavalcare. Poveri polli impacciati. Avevamo cavalcato sui sentieri, senza incontrare particolari resistenze, o persone strane, immersi nella natura dolce e già in primavera di Fiya. A volte i contadini che passavano ci fissavano con enorme stupore, e, al passaggio di noi elfi, borbottavano con astio, ma più di questo non successe nulla. Nilyan, in quella brigata di umani poco collaborativi e parecchio arrabbiati chissà per cosa, aveva riscosso molto successo. Era felice, e le piaceva la compagnia di persone che le facevano tante domande. Alla fine anche il gelido Faldio, che non mi aveva più guardato nemmeno per caso, e parlava poco di suo, era stato costretto a soccombere alla sua simpatia. Era stata l’unica capace di amalgamarsi con gli umani, e ne ero contenta. Mi faceva molto meno piacere il fatto che si allontanasse da me, e che io dovessi faticare per tenerla d’occhio, ma in fondo non importava. Nessuno lì era armato seppure dalla minima intenzione di farle del male. Altre amicizie a dir poco strane erano nate tra Jan e Zipherias, che proprio si trovavano sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguardava il carattere, se amicizia si può parlare quella nata tra due misantropi diffidenti ed amareggiati. Hector si divertiva un mondo a far parlare Capouille, mentre quella ragazza scura che avevo intravisto all’andata, Miniel, teneva testa a mia figlia in quanto a malizia, ed era divenuta abitudine quella di punzecchiarsi con battutacce che comprendevano solo loro la maggior parte delle volte. Ero rimasta solo io a diffidare degli uomini. Mi capitava di chiacchierare un po’ con Rosie, ma poi, tutta la mia giornata trascorreva nel silenzio. Non mi veniva voglia. Non trovavo argomenti per quei bambini. Mi sembravano tutti troppo allegri per i miei gusti. Mi faceva male essere ignorata, ma sapevo che nessuno lo faceva perché non mi amava più. Anzi, ero contenta di vedere mia nipote destreggiarsi così abilmente con una razza mai vista prima, lei, cresciuta nella bambagia. Ad un certo punto, Nilyan stessa se n’era accorta, si era accorta del mio progressivo allontanamento, lei per prima. Aveva preso a farmi compagnia, tentando di coinvolgermi, con scarsi risultati. Io non trovavo la forza. Pensavo a Qerin, m’interrogavo sui suoi cambiamenti. Cos’era successo in duecento anni alla città? Quali spazi che conoscevo avrei ritrovato? Quante volte avrei sentito il familiare strappo che mi riportava indietro, quando ancora ero tutto sommato felice? Ero curiosa. Si favoleggiava di Qerin: coloro che ne ritornavano mi avevano parlato di cose inaudite che il genio umano aveva creato. Progresso: avevo bisogno di vedere che i nostri cugini non si erano lasciati andare dopo che il giglio bianco era arrivato alle loro porte. Erano passati tanti, tanti anni. Nemmeno una generazione per noi elfi, innumerevoli per gli umani. Duecento anni non sono pochi, non credo lo siano per loro. Ero davvero, davvero curiosa, perciò, avevo preso a stare in silenzio, e pensare solo, fantasticando. Morale della favola, dopo le prime volte, che le erano costate sguardi benevoli della truppa, a lei, la piccina così dolce e pestifera al tempo stesso, Nilyan, che mi conosceva abbastanza bene, aveva desistito, ed aveva ripreso a fare sfoggio di sé tra gli umani. Mi ero sentita segretamente fiera di lei. Era bellissima, un bocciolo, la mia cara nipote, che era quasi come una figlia per me. Mi piaceva vederla così pimpante. Ero pronta ad agire in caso di strani squilibri di umore, ma ero fiduciosa. La parte più difficile era superata. Passarono così i giorni. La parte più difficile di tutto il viaggio era sempre la sera, quando gli umani crollavano nel nostro piccolo accampamento, e noi rimanevamo svegli, finalmente liberi di parlare, di esprimerci, finalmente libera, Nilyan, di rifugiarsi accanto a me, Roxen di farsi spazzolare i capelli, almeno fino a quando qualcuno degli umani ci intimava di “smettere di cinguettare”, un modo carino che usavano per definire la nostra lingua, cinguettio, e per dirci che loro volevano dormire. Le prime volte che l’avevano ascoltata, quasi per caso, avevano tutti un po’ sorriso. Era così diversa dalla loro, dura e roca, talvolta dai suoni brutali. Non mi piaceva, né la comprendevo. Dava pure un brutto accento, mentre la nostra ammorbidiva tanto le parole. Almeno, io la pensavo così. comunque, a quell’implorazione, di solito noi reagivamo abbassando la voce e nient’altro. Non era colpa nostra se loro erano umani. Li rispettavamo, ma loro dovevano rispettare noi. Fosse stato per noi elfi, ogni giorno di cavalcata sarebbe durato qualcosa in più, ma i poveri soldati sembravano sempre sfiniti, perfino Faldio, che crollava in un attimo, nemmeno se svenisse. Non sopportavano i cavalli, il loro odore a cui noi eravamo avvezzi, il movimento che faceva sempre doler loro i muscoli delle gambe. Si lamentavano di non poter andare più velocemente a Qerin, perché avevamo bisogno di ambientarci pian piano. Poi però si zittivano se qualcuno domandava loro perché, o rispondevano male. Un paio di volte avevano usato Scarlett come arma, pena un intentato terribile incidente diplomatico con un soldato morto a causa di una giovane elfa dagli occhi viola che era saltata, una sera, al collo della giovane e l’avrebbe ammazzata se non fosse stato per l’intervento di Faldio. A parte questi piccoli incidenti di convivenza, baruffe e musi vari, familiarizzammo un po’ con quei giovani, sempre più allegri man mano che ci avvicinavamo alla città. A volte cantavano, addirittura, tutti contenti di ritornare a casa. Erano entrati in confidenza con noi, e la cosa mi faceva piacere, era bello vedere che una convivenza era sempre possibile. Ormai, tutti davano del tu a Nilyan, e lei faceva altrettanto con loro. Lei aveva perfino fatto uno scherzo, una cosa stupida, che fece saltare la sfortunata vittima di turno. La cavia era stata, manco a dirlo, Scarlett, a cui lei aveva infilato, nella sua borsa, un paio di insetti scovati chissà dove. Avevamo riso tutti come cretini, umani ed elfi. A me piacevano i giochi di mia nipote, in fondo. Era una bambina, e faceva tanta tenerezza. Ben presto, però, smisi di ridere. Ci avvicinammo sempre di più alla città, Qerin. Ero inquieta. Duecento anni prima, lì, c’era solo vegetazione. Ora già c’erano i primi piccoli agglomerati di case, e quello che avevo visto mi sconcertava. Niente pali con fili, per fortuna, lì sembravano ancora usare metodi ortodossi, come la magia, le lampade magiche. Gli umani che avevamo incontrato erano vestiti in modo strano. Erano di solito borghesi o piccoli nobili di campagna, vestiti con abiti che mi parevano proprio strani. Parevano strani un po’ a tutti. Erano troppo stretti…strani, insomma. Avevamo incrociato, per strada, uno strampalato veicolo con una ruota*, guidato da un uomo con una sorta di giacca nera, che, al nostro passaggio, si era ironicamente tolto il cappello nero a forma di cilindro. Poi si era ripreso a muovere. Sembrava che quell’aggeggio andasse a pedali. L’avevamo seguito con lo sguardo, smarriti dalla novità, mentre i nostri compagni umani sogghignavano. Quelle cose non c’erano a Kyradon. Pian piano, la vegetazione era andata a diradarsi, seguita da case sempre più strette l’una all’altra, e sempre più povere, piccoli villaggi che preludevano ad una più grande novità, la città madre. Ci ero rimasta di stucco. Era praticamente impossibile! Insomma, non potevano essersi ingranditi fino a quel punto, era assurdo! La gente che vedevo sembrava andare avanti come piccole formiche, e non far caso a noi. C’erano ancora sporadiche carrozze trainate da cavalli. Ma, quando ci eravamo fatti ospitare in una catapecchia per la notte, eravamo, noi elfi, stati accolti con tanto stupore maniacale, noi, il fenomeno di baraccone, che i soldati ci avevano fatto la guardia, addirittura, allontanando i curiosi. La voce si era poi sparsa, con nostro grande disagio. Molti di quelli che incrociavamo sbirciavano verso di noi, qualcuno bisbigliava. Nilyan riprese a starmi vicina, sempre più insicura. Noi eravamo inquieti, molto. Un paio di volte, di notte, io e Zipherias eravamo rimasti a parlare e scambiarci opinioni, e lui la pensava come me. Era tutto cambiato, fin troppo. Non si trovava in mezzo a quegli abiti estranei, quelle cose strane che ogni tanto spuntavano, e i soldati gli parevano strani, Faldio in particolare. Aveva preso a fischiettare tra sé e sé, tutto allegro, ed era sempre più di buonumore. Nessuno faceva eccezione. Sembravano mancare da casa da un bel po’ di tempo. Facevano quasi tenerezza. Il terzultimo girono di viaggio, poi, ci fu la mazzata iniziale di una grande serie di sorprese, che ancora mi lascia con la penna a mezz’aria e uno sguardo beota. Stavamo cavalcando sull’acciottolato di una piccola città, sempre più a disagio man mano che andavamo avanti. Ero rimasta ustionata dai volti, colori, suoni troppo forti, cose che non mi piacevano se confrontate ai luoghi ovattati in cui ero cresciuta. Tutto troppo frenetico. Avevo preso ad abituarmi agli abiti, o quei cosi con una ruota sola, che mi domandavo come diavolo si ci stesse in equilibrio, doveva essere una grande impresa, che vedevo sempre più spesso. Comunque, quell’ambiente mi feriva occhi, orecchie. Era invivibile, terribile. Non si ci poteva abitare davvero. Volevo fuggire, ed il calmo Zipherias con me. Comunque, cavalcavamo tranquillamente quando sentimmo uno strano rumore, come un sibilo, farsi sempre più vicino. Gli umani sorrisero. Non capii il perché. Ero troppo disorientata, poi, per farci caso. Mi faceva male la testa. “ehi, per favore, voi, fate largo!”. Intimò una voce anziana ed arrogante, molto vicina a noi. Credetti all’inizio fosse una carrozza normale, ed obbedii con gli altri, docilmente, stordita ed infelice. Preferivo la vecchia Qerin, anche se non ci eravamo nemmeno arrivati. Ma già presagivo il peggio. Avevo alzato la testa per vedere chi stesse passando, ed ero rimasta così immobile che, come dopo mi raccontarono, cedettero che mi stesse venendo un attacco di qualche genere. Perché, si, insomma, dietro era una semplice carrozza, normale, un po’ pacchiana, forse. C’era il cocchiere, un uomo anziano, tranquillissimo. Certo, un cocchiere, ma…oh dei, no, basta. È così assurdo che temo di essere impazzita. Mi vergogno, mi vergogno da matti anche solo a scriverlo. Mi prenderanno, i posteri, per pazza. Perché, oh, no, non ce a faccio. Non ce la faccio! Insomma, chi diavolo mi crederebbe se dico che avanti non c’era il cavallo? Ecco, l’ho detto. C’era solo una scatolina senza pareti ai lati, in cui si vedeva una palla trasparente e pulsante, e nient’altro**. Niente…niente cavallo. Ed i soldati sembravano tutti intenti a sghignazzare, io li sentivo! La identificai immediatamente come fonte di magia. Però…oh, insomma. Mi sono vista sfilare davanti questa cosa! Quella cosa, quella cosa contro natura! Mi è passata sotto il naso, ecco, proseguendo tronfia la sua camminata. Oh…ecco. Quand’è che mi annunceranno che sono impazzita veramente? No, io quella cosa non l’ho vista. Ciò che seguì quell’allucinazione, perché di allucinazione si doveva trattare, è solo il frutto di una mente squilibrata. Mi sto immaginando tutto. È tutto nella mia testa!

*ma come diavolo si chiama quel coso, velocipede? Mi sfugge… aiuto!

**questo è solo l’inizio, vi avverto X°D

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Capitolo 23
*** Cose che furono. ***


In quell’esatto momento compresi esattamente che l’isolamento e la guerra non sono le strategie migliori per generare un progresso generalizzato

In quell’esatto momento compresi esattamente che l’isolamento e la guerra non sono le strategie migliori per generare un progresso generalizzato. Insomma, per farla breve, ad Uruk….eravamo a piedi, in tutti i sensi. Massimo massimo a cavallo, se proprio vogliamo esagerare. La chiusura che aveva seguito la vittoria di Lainay era andata a nostro discapito, eccome. Noi, gli elfi, la razza più intelligente su quel continente… ferma, stop. Cancello tutto quello che ho scritto finora. Noi elfi siamo così incredibilmente folcloristici, o almeno lo eravamo. Benedico tutto quello che successe in seguito, lo benedirò milioni e milioni di volte. Perché, accidenti, rimanere così indietro rispetto a loro…insomma, noi avevamo viaggiato giorni e giorni a cavallo. A cavallo! Mentre loro viaggiavano in quel modo, che doveva essere quattro o cinque volte più veloce, e soprattutto comodo. Ora si spiegavano un bel po’ di cose. I cavalli nervosi, intrattabili, poco abituati ad essere cavalcati, grassi, come messi lì solo per bellezza, gli sbuffi che avevano seguito il viaggio, le lamentele. Ci credo! In poche parole, avrebbero potuto comodamente viaggiare su uno di quei cosi, che sicuramente, sicuramente, c’erano anche alla base, ma non l’avevano fatto, probabilmente per rispetto nei nostri confronti. Rispetto! Ero grata a quei ragazzini. In fondo, su, non ce l’avevo mai avuta con loro: erano solo troppo diversi da me,  troppo immaturi. Alla faccia dell’immaturità: stavamo facendo la figura di primitivi! Ma pure negli abiti, anche solo negli abiti c’era una differenza enorme. Non tanto nelle uniformi dei soldati, che più o meno erano simili a quelle che un tempo avevo visto, e nemmeno negli abiti dei popolani, che pure mi davano a pensare con quelle camicie e gonne, e pantaloni, tutti uguali, sebbene di colori diversi, ma quanto in quei nobili che avevamo incontrato, anche nel cocchiere. Mai visto in vita mia quei cappelli a forma di cilindro, oppure bassi e schiacciati con un nastrino che correva intorno, oppure ancora con una strana forma di tortino. Oppure così terribilmente ornati, pieni di piume ed orpelli che avevano fatto ridere Nilyan fino alle lacrime. Mai viste le giacche maschili, che si chiudevano sotto, oppure lunghe, mai vista quell’impressionante omogeneità di colore. E le donne! Insomma, non si poteva vedere. Un paio che avevo intravisto erano vestita in maniera decente, che non aveva tanto di diverso dalla nostra. Avevo visto alcune, invece, assecondare un concetto di eleganza che non capivo. I vestiti femminili erano più vari e colorati di quelli maschili, fino ad ora visti di tinte che non superavano il marrone chiaro. Si andava da quelli simili ai nostri, alle gonne che scendevano in maniera naturale, fino ad abiti che rasentavano un concetto per me indistinguibile dal ridicolo. Donne, in maggioranza nobili di una certa età, che mi sembravano tanto torte semoventi, qualche volta armate di una scollatura così terribile da scandalizzare anche me, che non ci ero mai andata tanto per il sottile. M’impressionava. Non mi parevano cose fatte a mano. L’aria sapeva…non lo so, però mi soffocava. C’erano troppi rumori, ero confusa, ed i miei compagni non sembravano da meno. Ancora in avvicinamento a Qerin, ci eravamo stretti l’uno all’altro come pulcini spaventati. Mia nipote si guardava intorno con uno sguardo a metà tra il divertito, l’estasiato e lo spaventato. Chissà cosa pensava: quando le avevo domandato cosa pensasse di tutto quello, mi aveva risposto con un mugugno incomprensibile. Comunque, anch’io avevo decisamente abbandonato la mia aria di superiorità, di stanchezza, di amarezza. Non c la facevo a tenere un cipiglio da Ch’argon, accidenti, era impossibile in quella situazione ridicola! Un po’ come se mi avessero detto. “da oggi, Lsyn, cammina a testa in giù”. E poco ci mancava. Entro un attimo avrei cominciato a ridere come una pazza e rotolarmi a terra. Non ci potevo credere. Non ci potevo credere! Era questo il risultato di anni ed anni di completo isolamento, con un nemico alle porte? Accidenti, ma pure noi eravamo nella stessa barca loro, e non avevamo stravolto il mondo! beh, la nostra situazione era diversa. Avevamo non il Regno, ma il nucleo centrale di esso a poco dalla nostra capitale. Lainay ci accerchiava, e, per quanto potessero essere profondi i nostri controlli, era facile che qualcosa ci sfuggisse. Lì la situazione era per certi versi migliore: c’era solo un confine da proteggere. Le differenze tra Uruk, molto probabilmente il territorio messo peggio in quanto a tecnologie avanzate, e Fiya, quella Fiya, la Fiya della capitale, dove più si vedevano i cambiamenti di duecento e passa anni, c’erano, eccome. Beh, la Fiya che conoscevo io era una città ferita e fumante, e niente corrispondeva ormai alla mia memoria. Che fine avevano fatto le mura, i vecchi edifici? Era tutto estraneo in una maniera grottesca. Ecco, ecco quello che ci avevano impedito di vedere, quelle cose, quegli aggeggi, le differenze! Per fortuna, o il nostro primo contatto con quella realtà ci avrebbe fatti dare di matto. Almeno, la base era stata un cuscinetto sufficiente ad attutire le prime scosse alla nostra sicurezza. Mi sentivo quasi male, presa completamente di sorpresa, ferita nel mio punto più debole, disarmata e fragile. Tante cose non le riuscivo a capire, tanti modi di fare. Mi sentivo girare la testa, gettata in un mondo di cui non conoscevo che le basi da cui era partito. Essere elfo è dura, tanto dura. Rimanere uguale mentre il mondo cambia, essere costretto ad affacciarti a realtà che scorrono mille volte più velocemente della tua. Duecento anni non sono pochi quanto cinquanta. E per gli umani sono entrambi tantissimo. È questo il brutto da sopportare.

Ci unimmo, lasciato l’ultimo villaggio che ruota intorno alla capitale, alla folla varia che percorreva una grande strada ordinata, che collegava a Qerin. Già vedevamo all’orizzonte, per niente lontane, le prime case dell’abitato. La città era diventata enorme, mostruosa, gigantesca. Non la riconoscevo più. Mi venivano i brividi a guardarla, e cominciai, così, a fissare in terra, scansandomi ogni volta che quegli aggeggi si facevano strada nella gente a piedi, o su un assurdo carro, che pareva così fuori luogo in quel contesto da farmi ridere e piangere al tempo stesso. Quando l’avevamo visto per la prima volta passare, la nostra reazione era stata molto varia. Nel vedere le nostre facce, gli umani avevano preso a ridere, tutti, indistintamente. Anche il serioso Faldio rideva, fino alle lacrime. Non capii cosa ci fosse di tanto divertente. Mi sentivo come se mi avessero privato all’improvviso della terra da sotto i piedi. Nilyan si era guardata intorno, spaesata, anche lei. Poi sorrise, dopo un attimo. Al disorientamento si sostituì l’entusiasmo. Si girò un attimo verso di me, probabilmente per dirmi una cosa, ma poi desistette. Non dovevo avere un’espressione parecchio contenta, né io, né i miei compagni più anziani. Vero, non eravamo per niente vecchi, ma non avevamo più la capacità di accettare tutto, il cambiamento violento ci faceva male. Forse un elfo allevato in maniera differente più o meno non avrebbe avuto problemi, ma, almeno io, mi sentivo molto più vecchia della mia età ancora verde. Eravamo elfi cresciuti in guerra, e non è una circostanza che è favorevole, come avevamo visto in quella città fantastica. E lei, giovanissima e pronta a tutto, sapeva, sapeva che in certi momenti ci doveva lasciare stare. Si rivolse allora a Roxen, che aveva gli occhi praticamente al di fuori delle orbite ed aveva guardato gli umani con aria tale da generare un’altra salva di risate incontenibili, cinguettando, eccitatissima, un piccolo canarino in una gabbietta nuova. Mia figlia l’aveva guardata, stranita, poi aveva risposto a monosillabi, insufficienti per calmare mia nipote. Gli umani le avevano guardate con indulgenza. Roxen ancora seguiva quel mostro con lo sguardo, con l’aria di chi ha visto un dente di gallina. Noi eravamo quelli messi peggio. In fondo loro due erano abbastanza piccole per accettare la novità. Noi no. Avevamo vissuto per troppo tempo in un ambiente completamente diverso. Capouille, che era il più giovane di noi tre, aveva circa quattrocento anni. Zipherias, beh, non voglio pensare a lui, che di tempo ne ha vissuto molto di più. Da parte mia, dire che ero disorientata è poco. Non c’era più nulla attorno a me. Sentivo di essere su una capocchia di spillo, un solo movimento e sarei caduta. Era un bene che l’attrito con quel mondo così strano fosse avvenuto in quel modo, perché, se non ci avessero protetti alla caserma al confine, non so come ce la saremmo cavata. Quella cosa che si muoveva senza l’ausilio di cavalli mi aveva fatto venire i brividi. Gli umani, quelli che un tempo disprezzavo tanto, quelli che avevo considerato sempre un po’ immaturi, erano capaci, combinando la magia con l’ingegno, di costruire cose simili. Non osavo pensare i loro passi in avanti in campo bellico. Mi spaventava. Ero come su un baratro, pronta a caderci dentro. Disorientata, smarrita, sentivo il magone bloccarmi il respiro mi aggrappai alle redini di Nano per non cadere. Mi sembrò di vedere, vagamente, Capouille teso, il volto fisso nel punto in cui era passato quel nuovo aggeggio, un’espressione terribile, che non gli avevo mai visto, traumatizzata, le labbra bianche e tese, dignitoso come poche volte in vita sua, e Zipherias, pallido sotto la pelle scura, piegato in due sul proprio cavallo, che, nervoso, aveva tirato le orecchie all’indietro, e scalpitava. Era troppo anche per lui, che era sempre calmo, imperturbabile. Ma quelle erano cose che avrebbero smosso anche una statua. Tirai su con il naso. Mi veniva da piangere. Non era giusto. Non era giusto, che loro fossero andati così avanti, e noi, no, fermi per sempre. Non poteva essere possibile. Quelle cose, che noi avremmo potuto fare, e che non avevamo fatto! Ciò che non avevamo potuto fare, ciò che le ambizioni di una sola persona, che sicuramente non era al punto nostro, al punto di Uruk, l’unica nazione ad essere rimasta quasi fedele a se stessa, con cambiamenti minimi che non avevano completamente stravolto…tutto. Lì gli umani senza memoria avevano operato il miracolo. Ma dov’erano le vecchie mura? Dove i vecchi edifici? Dove, il ricordo di quello che non si deve dimenticare? Dove, la storia? Tutto ciò che calpestavamo era nuovo, anche i volti erano nuovi, quelli di un popolo senza più memoria. Loro potevano dimenticare, gli umani dalla vita breve. Potevano anche distruggere e cambiare tutto. Ma per un elfo, abituato a conservare il vecchio, per non dimenticare gli errori, per non ripeterli, è cosa impossibile. Non vedevo più quello che era stato una volta. Mi assalì, violento, il senso delle cose che furono. Era stato, comunque, un contraccolpo troppo brusco. Ma non volevo essere guardata da tutti. I soldati, che avevano ripreso a percorrere, di ottimo umore, la strada, già cominciavano a notare come le reazioni fossero differenti, tra Roxen, che si era ripresa e mostrava solo curiosità, e si guardava attorno, naso per aria, Nilyan, praticamente fuori di sé nel vedere una cosa nuova come quella, che cicalava senza sosta con una paziente Rosie, e noi, silenziosi come tombe. Ci eravamo guardati, io, Capouille e Zipherias, ed ognuno aveva letto negli occhi dell’altro  l’inquietudine. C’erano lacrime negli occhi del mio amico dai capelli rossi. Ognuno pensava le stesse cose. Poi ci eravamo scostati, ed avevamo guardato avanti. Non era per niente il caso di farci vedere così vulnerabili, l’orgoglio ce lo impediva. Ma avevamo preso a cavalcare vicini, dandoci  supporto a vicenda. Dovevamo tenere fuori dalla nostra malinconia Roxen e Nilyan. Raramente avevo visto mia figlia così entusiasta, indicare alla cugina prima una cosa poi l’altra, e non volevo rovinare quel momento. Mi abbassai il cappuccio, gettato sulla testa fino a quel momento piuttosto negligentemente, fino al naso. Non volevo che fossero i miei pensieri pubblici, visibili al mondo intero. Gettata da Isnark in un realtà ostile ed estranea. Sentii, forte come non mai, la nostalgia di casa. Di Amarto, Dae, la loro compagnia, delle giornate passate a riempire documenti di firme, della mia camera in perenne disordine, delle lampade magiche, della vita silenziosa di Kyradon. Lì c’era tanto rumore. Sentivamo parlare le persone che incontravamo, sferragliare quei cosi che passavano sempre più spesso, ed altri rumori che ci erano poco familiari. Volevo disperatamente andarmene. Volevo un po’ di quiete. Qualcuno dei soldati si girò verso di noi, forse perplesso dalla nostra apparente mancanza di sensazioni. Ma tutti si girarono dopo poco, qualcuno arrossì anche. Nessuno parlò, nessuno trovò il coraggio per farlo, nemmeno la sfacciata Scarlett. Era un momento non esattamente bellissimo, e certe volte gli umani non possono capire. Solo ignorare, e parlare con chi ancora è alla propria portata. Ma da quel momento fummo giudicati, tutti, con rispetto nuovo, con la novità di chi si accorge che dietro un pazzo si nasconde un filosofo.

Pian piano, a quello stato d’animo affine alla disperazione, si era sostituita la curiosità. Difficile, molto difficile, inoltre, il non essere curiosi di fronte ad un mondo così vecchio e così nuovo al tempo stesso. non si può essere disperati per sempre no? E poi, non potevo rovinarmi un viaggio così interessante. Non ero una vecchia bacucca abile solo a piangersi addosso. Avevo così alzato l sguardo, sempre meno triste più ci addentravamo nella città, e mi ero avvicinata a Nilyan, accerchiata premurosamente dai componenti del gruppo di soldati a cui si era più legata, e Roxen, che le era vicino ma non parlava. Mi avevano accolta con un sorriso, le mie due piccole, e mia nipote mi aveva rivolto la parola. Mia figlia, invece, occhieggiava gli abiti che più le piacevano in cerca di una sicura ispirazione. Eravamo entrati a Qerin, o almeno quella che ci avevano indicata come tale. Io non ricordavo fosse così grande, né ricordavo tutti quegli edifici. Edifici strani, poi. Alti, come da noi raramente si facevano, dai colori che andavano dal rosso mattone al grigio nerastro. I soldati si erano stretti, protettivi, attorno a noi. La gente che passava non sembrava molto ricca. Erano forse in maggioranza operai, o chissà cos’altro. Qualcuno ci aveva guardati, con sbalordimento. Avevo quasi ridacchiato a quel pensiero. Dovevamo essere ben strani agli occhi di quella gente. Creature a cavallo, dai modi di fare strani, abiti inusuali, facce che non sembravano per niente umane, senza tempo alcuno. Beh, non è colpa nostra se non invecchiamo come loro. avevo preso, alla fine, a sbirciare anch’io, dapprima timidamente, poi mi ero fatta sempre più audace, giungendo a togliermi quasi il cappuccio per vedere meglio. All’inizio non ci fu tanto da vedere. Squallida periferia, più disordinata della Qerin che ricordavo, un po’ più caotica. Però, un punto a favore, non si erano dimenticati le vecchie proporzioni, le vie larghe e luminose, punteggiate da lampioni a magia che nessuno sembrava toccare. C’erano, strano, abitudine strana, abiti appesi fuori le finestre, ad asciugare, un’abitudine che noi elfi non abbiamo che in estate inoltrata, per il clima e la scarsa luce che c’impedisce di farlo. Un paio di volte avevamo assistito al buffo spettacolo delle persone che si chiamavano,  litigavano anche, da una finestra all’altra. Bah, abitudini umane. Dopo un po’, ci eravamo rilassati, più o men, tutti, ed i soldati erano tornati a canticchiare. Mancava poco alla meta finale, ed io mi sentivo incredibilmente felice. In fondo, sarei tornata a Kyradon in massimo un’altra metà mese, un mese, esagerando. Benissimo. Un noioso accordo fatto, tutti allegri ed in pace, e basta così. Avevo visto fin troppo, in quel mondo che andava al contrario. Quindi, una settimana, forse anche meno, nel palazzo dei regnanti, che si trovava, almeno nei miei ricordi, proprio a Qerin, e poi di ritorno in una realtà che mi era più familiare, una realtà che amavo. Avrei atteso poi Machin, e Chekaril, e finalmente le nostre vite si sarebbero svolte come prima. Forse con un’ammaccatura in più da parte di un certo Isnark, che si meritava una solenne bastonatura, come se fosse un infante. Inutile dire che tutte le mie speranze furono a breve disattese. Ma ci arriveremo fin troppo presto, a quel momento. Man mano che andavamo avanti, lo scenario cambiava. La gente mutava, le abitazioni si facevano più basse e distanziate, qualcuna con un balcone, le strade larghe e con parti rialzate dove le persone camminavano tranquille, le persone più distinte, abbigliate con abiti inusuali quanto molto, molto belli. Ancora altra gente su quei cosi con una ruota. Come li aveva chiamati, Faldio, in un impeto di generosità da cicerone? Velocipedi? Velocirri? Quelli, insomma. I cosi con una ruota, che procedevano con un’inquietante andatura a zigzag. Vidi un gruppo di ragazze, di età varia, cicalare e guardare nella nostra direzione. Poi addossarsi ad una casa e ridacchiare. Un paio indicarono i poveri Capouille e Zipherias, che camminavano con la testa in avanti, fieri quanto terribilmente in imbarazzo. Qualche umano sogghignò apertamente. Faldio represse a stento una risata. Rosie gli diede una gomitata che lo fece tossire. Su, un po’ di curiosità è normale. Roxen guardò con interesse uno degli abiti, indossato da una ragazzina come le altre. Era molto carino, ma non l’avrei mai indossato. Bianco con disegni blu, lasciava scoperte le spalle ed aveva le maniche a sbuffo. Mi chiesi vagamente perché fosse così gonfio sotto, così terribilmente ingombrante. In vita c’era un lezioso fiocchetto azzurro, come anche sulle maniche, ed in testa alla malcapitata analizzata da mia figlia un cappellino a falde larghe, sempre bianco e blu, legato da un nastro sotto il mento. Mi parve di vedere dei guanti bianchi ed, in mano, un ombrellino dello stesso colore, ma lo ritenni impossibile. Non c’era pioggia. Proprio non mi piaceva. Troppo…non so, troppo chiaro, sfacciato. Lezioso. Con mio grande terrore, vidi luccicare lo sguardo di mia figlia. Oh no, quello proprio no. vero, Roxen aveva strani gusti in fatto di vestiario, ma quello era troppo. Doveva costare un occhio della testa! Figuriamoci, a lei non sarebbe importato minimamente. Maledissi le spiccate somiglianze tra me e lei. Sperai che non s’innamorasse di un cigno e finisse proprio come me. Lei sorrise, smagliante. “adoro questo posto”. Asserì, fissando ancora con sguardo da predatrice i materiali pregiati di quell’abito, sogghignando, secondo me, all’idea di potersene fare confezionare uno uguale. Sicuramente sarebbe stata speciale, a Kyradon, l’unica ad avere una cosa così. ah. Scossi la testa, ed entrambe riprendemmo normalmente a cavalcare. Quando lei mi chiese se gli stesse bene fui evasiva. Non riuscii a confessarle che quella poverina mi sembrava una torta confezionata per un giorno di festa. Bah, strane proprio, quelle umane. Nemmeno pagata mi sarei messa un cappellino pieno di orpelli come quello, anche se da giovane avrei fatto pazzie per uno simile. Beh, pazienza….dovevo mettermi in testa che le cose cambiano. Vedemmo passare anche, e questo ci stupì tanto, ma non come le prime volte, una sorta di….oh, non so come spiegarlo. Davanti c’era sempre quella scatolina senza pareti, ma dietro c’erano più carrozze. Faceva un fracasso infernale, e correva a velocità per noi pazzesca. Le persone non sembravano importarsi tanto di quello che accadeva. Sembrava uno spettacolo usuale. La seguimmo tutti con lo sguardo. Poi Nilyan si girò verso Faldio. I due si trovavano molto d’accordo. L’umano sembrava gradire la presenza della mia deliziosa nipotina, come tutti, e la trovava simpatica. Era l’unica tra noi con cui parlava. “che roba era?” a che serve?”. Domandò lei, vivacemente, indicando verso la coda di quel coso traballante che spariva in una curva. Faldio sorrise, furbescamente. Tesi le orecchie, curiosa. Era proprio una cosa stramba. “traducendolo potrebbe essere chiamato carrozza pubblica, ma non rende bene”. cosa? A che serviva? Mi veniva voglia di chiederlo, ma proprio non potevo. Quell’umano non mi sembrava proprio ben disposto nei miei confronti. Fui costretta a sentire senza poter domandare. Una grande seccatura spiare. “serve a trasportare le persone che pagano da un luogo all’altro, secondo tragitti prestabiliti. Geniale, vero?”. Ah, umano vanitoso. Scossi il capo mentre Nilyan annuiva. Poi guardai il cielo, facendo finta di niente. Respira, Lsyn, respira, e non ridergli in faccia. Beh, almeno era cambiato qualcosa. Eravamo sulla nave, tanto valeva navigare. E c’erano tante cose da vedere, troppo. Cominciava un po’ a girarmi la testa, ma continuai ad andare avanti. Sorrisi verso Roxen, che già aveva adocchiato un altro abito da copiare. Forse questo viaggio non avrebbe fatto solo del male.

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Capitolo 24
*** In pace con il mondo. ***


Certo, certo, poi io ti seguo

Avviso minuscolo: non so quanto regolari saranno i miei aggiornamenti, d’ora in poi.

Purtroppo, l’esame si fa sempre più vicino, ed i professori sempre più cattivelli, almeno alcuni, ma lascio perdere.

Quindi, probabilmente l’unico aggiornamento che potrò fare è la settimana prossima, sabato prossimo, e lo spero ardentemente, e si proseguirà a questo ritmo, e forse più lentamente ancoraL.

Spero solo che finisca presto questo periodo, sono troppo stanca ed oggi ho rischiato di finire come Machin (lo vedrete X°D)…cioè…sono finita come Machin, diciamo.

Un’altra cosa.

Non lasciatevi ingannare dalla falsità di questo capitolo.

Non sono riuscita a scriverlo come sempre, ma…

Beh, vi lascio alla lettura.

A prestoJ!

Akita

 

Certo, certo, poi io ti seguo. Seguirti, certo. A fare che, per inciso? Ad ammirare la bellezza della tua casa? Io guarisco? Si, certo, faresti prima ad avvelenarti. Io, Machin, grande guerriero ed attore affermato, sogno per metà popolazione femminile di Uruk e incubo per l’altra? Io seguo te, umano pulcioso. Si si, aspettami, faccio un giro strisciando per il Regno e poi torno, distribuire miracoli è il mio pane quotidiano. Ti seguo per andare a tenere la manina ad un malato, ma ci pensi?  Pensare, certo, chi, che sembro solo un meraviglioso tipo biondo immerso nei propri pensieri. Poi io, guarire, tsk. Certo, sono un dio, ma non elargisco doni al primo che capita….mi serve l’occasione giusta, mi sembra logico. Ma non ne posso fare a meno, di pensare, eh, di essere un dio è cosa naturale, è eredità, sono l’unica persona con la quale al momento si può parlare di cose davvero serie, di affari di stato come questi. Modestamente, io sono solamente un genio. Non voglio vantarmi di avere qualità che non ho. Che sacrosantissimo schifo stare qua. Se solo la zia mi sentisse parlare in questo modo…beh, Machin, ti riempirebbe di bastonate, anche se qualche volta lei, lei, lei, quella che si reputa una dolce elfa che non fa niente di male, così vittima lei e portata a piangersi addosso per un nonnulla, dici buh e quella comincia a singhiozzare, a volte mi da’ proprio fastidio, oppure ti riempie di bestemmie tanto da essere capace di far impallidire anche me, che sono tanto amico delle osteri… eh, no, ferma io sono una Guardia modello. Non ho mai fatto una cosa del genere. Io sono come l’asino qui accanto, che non ha nemmeno quel nome sul vocabolario. Osterie, e cosa sono? No, spiacente, non le conosco. Uh, ma che schifo. Sono sicuro che questo tipo ha le pulci mi sta guardando perché mi sono scostato ma non posso farne a meno. Se le attaccasse a me sarebbe la fine. Ho una dignità da proteggere! L’ho visto grattarsi, non ti ricordi Machin, vedi, ecco ,si sta grattando di nuovo! Che schifo. Altro che contadini, un altro po’ questi due mi sembrano due reduci. Ma ho la faccia da Guaritore, sinceramente? Sinceramente, pulce di nome Poldo, guarda, mi sto rivolgendo a te perché sei una persona intelligente, anche se non sai che nella mia testa ti sto parlando e che hai una testa. Ti sembro simile a quell’ameba che mi sta di fianco? No, Machin, non di certo, tu sei sempre il migliore, tu sei un cavallo di ben altra razza. Grazie caro, sono sempre stato cosciente delle mie infinite capacità. Mi fido, ne sono sicuro, quanto è vero che non ho mai paura di niente. Quand’è stata l’ultima volta che ho avuto paura? Mai, vedi, io sono un cavaliere senza macchia e senza paura! Shh, coscienza, shh. Preferirei non ricordare che il ginocchio fa ancora male, prego. E chissenefrega che pulsa, a me no sicuramente. E poi dai, non è stato un momento di terrore. Sono solo stato colto di sorpresa, non credi? Oh dei, io sto parlando da solo. Me ne stupisco, davvero, Machin, stupisciti di te, forza. Beh, non è difficile, io sono stupore vivente, irresistibile ed irripetibile. Sono arrivato fino a questo punto, finirò come uno di quei vecchi matti attorniati da mici che cianciano al vento, oppure quando a zia Lalla gira male? Possa cadere il mondo, di certo non mi voglio ridurre come lei, ridotta a uno straccio! Io, Machin Tijorn, valente portatore dell’eredità di Tijorn Amarto, non mi ridurrò mai così, sono troppo bello ed innocente per fare una fine così. vedi, vedi la mia aria docile e buona come un cavallo bianco, di quelli grassi. Grasso. Ehi, io non so nemmeno cosa significa quella parola, io sono agile e scattante come uno di quei gattacci rognosi che incontro per strada, nemmeno il tempo di prendere una pietra che già si sono volatilizzati. Uh che noia, no ti prego, non voglio andare da loro, in una stanza tutta buia e puzzolente con chissà quale malato in mezzo, oppure mi toccherà assistere a qualcosa di brutto. Su, dai, un po’ fanno schifo quelle brutte ferite suppuranti, mi tolgono il fiato. Ed io sono troppo bello per il brutto. Su, ma io non sono un Guaritore, io ho bisogno di divertirmi! Ma pure di fare un sonno come si deve, ma pure qualsiasi altra cosa, basta che non mi faccia andare con lui. Certo, Machin, credici. Dovrai seguirlo come un cagnolino e cretino, Chekaril, chiudi quella boccaccia. Stai guardando i due umanoidi con un’aria come se ti stessero mettendo quintali di formaggio davanti, di quello che ti piace perché è scialbo come te, davanti poi, e ti dicessero prendi, Chekaril, è tutto tuo, ti regalerò tutto il formaggio del mondo. Pietoso. Ho un cugino che è interessante quanto una pietra che entra nelle scarpe quando non puoi toglierla. Cioè, io poi lo eviterei pure, ma primo sono in viaggio con lui e pure se ha il senso dell’orientamento di un fico secco poi non mi ricordo più sai senza di me non avrebbe amici. Io gli illumino la giornata, lui morirebbe senza di me! Tutti morirebbero senza di me, il mondo si spegnerebbe senza di me. Questa è un’altra cosa di cui sono fermamente sicuro, almeno a zia Lalla un piccolo infarto le verrebbe, non prima di aver ammazzato Isnark, facendogli scontare tutte le sue pene. Calcio a Chekaril, Machin. Ma guarda, guarda come fissa tutto ringalluzzito! Che fai, eh, ti ricordi che servi a qualcosa, certo, come no, ti stanno sfruttando solo. Tu guarda un po’ come fa il saputello. Tutto tronfio, gonfio come un tacchino…però su, penso positivo, mi è tornata la fame e non ho la minima voglia di rubare quella carne che Chekaril ha vanamente torturato, povera piccola, non conoscerà mai le mie mascelle regali, magari questi tizi pure se sembrano boscaioli morti di fame hanno qualcosa di buono. Poi qualcosa ci offriranno pure, non è mica cortese lasciare dei guaritori a mani vuote. Ehi accidenti, quel bastardo ha spostato la gamba ma guardalo non lo credevo così furbo. È stato furbo, mi venga un colpo. Sarà la mia grande influenza benefica. Però ha ancora troppo la faccia da bravo elfo. Chissà, un colpo ben assestato potrebbe cambiargli i connotati. Su, non essere così feroce, Machin, in fondo è solo un stupido Guaritore, tu non lo sei e questo è già a tuo vantaggio. Tu sentilo, come parla. Che fastidio. Mi strozzerò da solo prima o poi, e poi strozzerò lui. Oh, ho ancora fame. Ti prego, genio, sii cauto. io…oh, ma che abbiamo da temere? Siamo Guaritori. Devo ancora abituarmi ad essere considerato come intoccabili. Sono primitivi e buzzurri potrebbero farci del male, e forse nemmeno quelli. E poi Lunsch e Poldo non mi sembrano così cattivi. Sembrano pure speranzosi. Chissà, magari sono solo poveri che chissà che gli succede, cose così. Vedremo, vedremo. Un po’ sono curioso, lo ammetto. Mi piace vedere mio cugino quando è all’opera. Sembra diverso dal topo di fogna che è di norma. “di che si tratta?”. Nemmeno così, dire, si, noi veniamo. Dritto al punto, complimenti. Degno proprio di te. Loro due si guardano per un attimo. Poi è il grande che parla. Si stringe nelle spalle, sembra un po’ triste. “è mia sorella, da un po’ sembra strana”. Strana. Tutti gli umani sono strani. “il Guaritore del villaggio ci ha detti che non è niente, che è vecchia, però lei vede sempre meno. Cioè, non è che vogliamo disturbare, però…”. No, non disturbate. Siete solo piombati tra capo e collo dopo un lungo viaggio, e questo è niente. Vi perdono, fratelli miei. Fosse per me avrei già detto ve lo scordate ed avrei levato le tende da un bel po’. Col corno che li aiuto. Magari quando Chekaril li aiuta con qualche scusa mi rintano dea qualche parte e faccio un bel pisolino. Non ci vede bene. Ma tu guarda che bruttezza. Non darei nemmeno un’unghia della mia incomparabile essenza per farvi del bene, voi che non sapete la classe dove sta. Non ci vede bene, la cura la conosco io: sottoporla alla mia vista. Riguadagnerebbe la salute in un attimo, io sono la panacea universale per ogni male, la mia bellezza guarisce. “sapete, voi siete elfi, non capitano spesso Guaritori da Zakadi….e potreste vedere cos’ha, non vorrei che gli elfi nella prossima visita la prendessero… non vi prenderà molto tempo…”. Vedo, Chekaril lo ha zittito con un gesto. Lo sto guardando e lui guarda me. Penso di sapere che sta pensando, è lì, dietro i suoi occhioni verdi. E secondo me è la stessa cosa che sto pensando io. Gli elfi la verrebbero a prendere, la visita? Ho l’impressione che ci sia qualcosa che mi stia sfuggendo. In fondo non sappiamo molto del Regno. Ci sono cose che non sappiamo. “se gli elfi vengono?”. Domanda, quasi casualmente. I due umani si sono guardati in modo strano. È come se pensassero da dove vengono questi. Ma ehi, noi abbiamo viaggiato molto. Non lo so, mi sta invadendo una strana sensazione. Come se avessimo fatto qualcosa di sbagliato. Sono certo, qualcosa di sbagliato è accaduto. Ho questa netta sensazione. Ma non posso fare a meno di chiedermi cosa significhi visita. Dalle loro facce non mi sembra qualcosa di buono, anche se non riesco a capire perché. Devo sentire per andare più a fondo. Poi Lunsch ci guarda male. “ma da dove venite?”. Da Uruk, perché? Ah, noi siamo elfi di Zakadi. Zakadi è una grande città composta prevalentemente da….oh, perfetto, mi ricordo tutto. Passerei ad un esame accurato. Bravo Machin, la tua memoria di attore aiuta. Che noia, questo tono aggressivo. Ehi calma, piccino, noi mica ti facciamo qualcosa. “la visita accidenti, voi la chiamereste forse in modo diverso…quando gli elfi si vengono a prendere i malati umani per fare spazio a loro, no?”. Eh…sento uno strano gelo, e non riesco neppure a capire che sto pensando. A che sto pensando? Mi sto dibattendo come se non sapessi cosa fare. Ho l’impressione di sapere di cosa stia parlando, però c’è qualcosa che mi sfugge. E devo pure far finta di capire, come sta facendo Chekaril ora. Però lui mi guarda. La faccia che ha non mi piace. Ah che pena stare in silenzio. In questo momento vorrei solo parlare, fare domande su domande e sai, coscienza, io non posso. Devo stare zitto fermo e buono da bravo bambino. Non mi piace questa situazione. Forse era meglio andare con la zia, magari mi sarei divertito di più, almeno sarei stato con una grande compagnia ed avrei potuto fregiarmi del nome che mia madre mi ha dato. Voglio Nilyan, voglio zia Lalla, il nonno e Dae. Ma pure Zipherias, con cui a volte mi piace parlare su, devo essere sincero, a volte è bravo, ma solo a volte. Voglio tornare ad essere Machin, non certo Flanner, che poi questo nome non mi piace, ma pazienza, è comune tra gli elfi del Regno. Voglio parlare! Voglio chiedere perché, sono stanco di queste maschere. Però non ci posso fare niente. L’ho voluto io, mi sta bene. Che noia. Non poter parlare. Ho l’impressione però di sapere che vogliono dire. Insomma, lo sappiamo che Lainay non ci va tanto per il sottile, e gli umani le servono in forze e non malati, perché loro se li fa fritti. Lo so, perché zia Lalla mi ha sempre raccontato di quello che si dice del Regno. Ho un po’ paura. Anche Chekaril sembra irrequieto. Lui sicuramente ha un’idea più chiara su quello che succede ai malati, qui. Poi, che gli potrebbero fare? Niente, sono cittadini. Al massimo li fanno guarire. O no? su, Machin, non facciamoci illusioni. Lo sappiamo che c’è gente che non li ama, gli umani. Cioè, a me nemmeno piacciono particolarmente, ma non ho niente contro di loro, semplicemente sono brutti. Sono solo gusti estetici che non si discutono, vero, Machin caro? Ed i miei gusti estetici si sa, sono i migliori. Invece loro sono cattivi. Chissà perché, poi. Io non ci vedo nessuna utilità. Mi chiedo, poi non hanno paura di una rivoluzione? Non hanno il terrore di vedere tutti rivoltarsi contro di loro? Forse sono troppo forti, ma io non credo. Sono solo stupidi. Sono sicuro di questo. Ah, sai, è strano, non mi da più tanto fastidio che Chekaril stia accettando. Mi sono pure alzato con lui. In fondo, poverini, sono solo buoni umani. Solo due poverini. Allora lo sto seguendo, mio cugino, mentre lui segue i due umani, che sembrano tanto più sollevati. Non lo so, però c’è qualcosa che non mi piace. Ho sempre l’impressione che mi sfugga qualcosa. Bah, vedremo. Di certo questi due scemi non sono cattivi. Noi siamo Guaritori, e poi qualcuno se ne dovrebbe pure accorgere, tra noi due. Quindi, siamo al sicuro.

Mi sento molto a disagio. Sono a disagio. Siamo in questa casetta ed io vorrei morire o fuggire da qualche parte. Accidenti, non ho mai visto una cosa così. è una baracca. Guarda lì….le finestre cadono a pezzi. Anche Chekaril sembra molto stupito. Siamo arrivati a cavallo qui, e quando ci siamo fermati qui davanti lui aveva una faccia….che ha ancora adesso credo. Fortuna che ha qualcosa da fare! Io no invece. Sono qui in questa casa buttato da una parte e non so proprio che fare. Per fortuna il mio cuginetto ha capito che io non so fare nulla. Mi sta chiedendo la borsa con aria sconfitta. Io gliela passo, e cerco…su Machin, sorridi. Almeno non ha detto niente. Lunsch è andato in una stanzetta. Poldo ci sorride, e sembra più contento. Forse è contento che noi abbiamo accettato di aiutarli. In fondo avremmo potuto non farlo, siamo sempre elfi. Ah, che noia, ora mio cugino è dentro ed io sono rimasto solo come un cane in un soggiorno che è terribile. C’è un camino, delle poltrone tutte rotte, delle sedie ed un tavolo rozzo e basta, che bello, vero? È una casa spoglia questa, guarda un po’, Machin, cade a pezzi. Mi chiedo come abbiano fatto in inverno quando c’era la neve. Me lo chiedo proprio. Uh, come odio questo tizio dal nome di cane, che mi guarda come se fosse davvero felice che io sono lì. Che bellezza. Mi sa che ci metterà un po’ di tempo, Chekaril, ed io intanto non posso fare niente. Lui mi ha detto che qui devo rimanere, ed è un ordine. Che noia, nemmeno farmi un po’ vedere cosa e come fa. Ha avuto addirittura il coraggio di dire che io non ero abbastanza esperto per capire cose del genere. Senti lui. Così mi offende, io, il grande Machin. Il grande Machin che si annoia da morire. Non c’è nemmeno una finestra. Sto soffocando. Questa stanza è invasa dal fumo, è fumosa, tra poco dovrò farmi aria o correre via per non svenire. Fa pure caldo. Ho gli abiti troppo caldi per questa stanza. Come vorrei essere rimasto nella topaia che abbiamo lasciato, che almeno era accogliente. Tanto lo stesso non posso fare un accidente, che bello. Tanto valeva rifugiarmi nella mia stanza e pisolare un po’. Se non fosse scortese lo farei anche ora: quando dormo il tempo passa veloce, almeno. Che scoperta. Sono fiero di me. Ah, come odio Poldo. Ha quel sorriso che mi viene voglia di prenderlo a schiaffi. “un po’ di tè?”. Oh…d’accordo, mi rimangio quello che ho pensato. Che gentile. Avrà una faccia da cavolo lessato però è gentile. Bravo, bravo, orecchie tonde con la barba che ti fa sembrare anni più vecchio, il padre di tuo padre. Mi viene voglia di gridare a Lunsch di là, così, ehi, fai attenzione, potresti fare a breve un funerale, tanto mi sento allegro. Magari di sicuro si finirà a parlare di nulla, però almeno un po’ di tè ce l’hanno, e me ne danno un po’. Tanto non mi costa nulla dire di si. Ah, almeno il camino è acceso. Che bella, quella poltrona lì vicino al camino. Così accogliente….quasi quasi… un pensierino lo farei….tanto nessuno mi guarda… Poldo è saltellato via...ma chissenefrega. Mi siedo, tanto le altre sedie ci sono per Poldo. Tanto poi nel soggiorno sono solo. Lui è di lì, da qualche parte, lo sento trafficare. Poi sento le voci di Chekaril, Lunsch e di una vecchia, forse, ma è una voce femminile, di questo sono sicuro. Ah, che bello. La sedia…ah, non è proprio comodissima, ma almeno mi posso spaparanzare. Ah, che bello, ora sto bene. Alla faccia della classe, mio Machin diletto. Penso che zia mi ammazzerebbe se mi vedesse così, però…lei non è qui, giusto? Allora faccio quello che voglio io, ah. Non sembra ma sono un elfo adulto… o perlomeno… sommando l’età mentale e quella fisica non si direbbe… Che bello, quasi mi viene sonno. Come sei poetico, fuoco mio. Vedi, tu e le venature del legno andreste d’accordo. Machin, sei tu che sei poetico, non c’è niente da fare. Sono un genio e tanto mi basta. Ah, spero che Chekaril non faccia in fretta. Sto bene dove sto, non mi viene voglia di alzarmi. Ma tanto so che per com’è lui avrò tempo per bere due tazze…o tazzine…di tè. Per i santi dei, non ho mai visto tanta povertà. Guarda lì…davvero, non credevo che gli umani se la passassero così male. Non lo credevo, ma guarda che situazione schifosa. Dai, mi sembra quasi una casa abbandonata! Che pessimo gusto estetico. Anche un pezzo di stoffa colorata andrebbe bene. Per esempio, una finestra ci starebbe a pennello in questa stanza. E che costa, scusa? Fai un buco nel muro, lo copri con qualcosa e via. Non è elegante, però almeno non succede quello che succede d’inverno, il fumo, no? Il buco c’è, ma è una cappa, e che noia. Dei, non è che poi la casa prende fuoco? Se lo facesse…dov’è l’uscita? Ah si, ricordo. Chissenefrega di mio cugino: io mi salverò la pelle! Poi comincerò a sentire i rimorsi, mi dispererò, già mi ci vedo accanto alla casa in fiamme, e poi deciderò un gesto eroico, e salverò tutti, mi vedo entrare in casa e salvare mio cugino. Quello no, proprio no. Mo, magari si. Magari… lo faccio penare un po’. Così lui mi sarà grato per l’eternità, oh, Machin, ti sono debitore, mi hai salvato la vita. E poi lo racconterà a Miobashin, che pure mi terrà in considerazione, e Roxen, che abbasserà la cresta….quasi quasi do fuoco alla casa. Però poi mi farebbero pietà quegli umani senza casa, magari li lascio morire o li porto con me ad Uruk. Ah, zia Lalla aveva ragione, gli umani non hanno senso estetico per niente. Anche se ci rifletto bene lei è disordinata e si veste sempre con gli stessi colori pallosi. Beh, pazienza, nessuno potrà rivaleggiare con il mio senso estetico. Ma si sbriga, Poldo? Che noia, un po’ di tè! Già m’immagino a tazza calda tra le mani, bello, poi magari un paio di chiacchiere innocenti. Si, mi piace. Ottime prospettive per un pomeriggio finito alla grande. Chekaril nel suo elemento ed io coccolato e vezzeggiato, com’è giusto che sia. Ah, eccolo lì, il tipo, che porta due tazze con una grazia da fare invidia ad un marinaio ubriaco, davvero. Attent… no, non ci credo. Ah, altra postilla. Gli umani sono sporchi. Di sicuro io da quella cosa che ha versato tutto e non se n’è importato non ci bevo, non io. Figurati. Ah, mi sta porgendo l’altra prima di sedersi e versarne un altro po’ della sua. Finalmente una reazione normale, una bestemmia. Deve scottare, eh? Strano tè, dev’essere qualche variante più povera, probabilmente, però non dico mai no a qualcosa di caldo. Che tazza brutta. Beh, non mi potevo aspettare niente di meglio. mi devo arrangiare. Beh, sempre meglio quello che niente, non bevevo del tè caldo da tantissimo tempo. Ah, com’è bello e caldo. Ha uno strano sapore, un po’ amaro. Mai provato, però…pensandoci bene mi piace. Buono. Ne bevo un altro sorso. Poldo mi imita. Che tranquillità. Posso far finta di non essere in una bettola sporca. Devo. “da quanto siete in viaggio?”. Ah….non ne ho la minima idea? Davvero. Ah…come mi tranquillizza il tè caldo d’inverno. Mi fa sentire in pace con il mondo. su, Una bugia, Machin. Non è difficile. Sorridi, su, fai il cordiale. Poi non è difficile, lui mi ha dato questo tè così buono. “un paio di settimane”. Ah, che piacere risentire la mia voce. È così….stanca, però. Magari dopo dormo un po’. Mi sento le palpebre pesanti. Il caldo mi avvolge come una coperta troppo pesante. Però è piacevole, tanto…no, non devo chiudere gli occhi. Accidenti….come odio il camino… su, non devo fare brutte figure con l’umano…però…ho sonno. Mi piacerebbe tanto dormire, sarebbe così bello. Poldo, vai via. Voglio solo riposare, tanto non mi potrà far del male. Nessuno mi potrà toccare. “è il primo villaggio…che incontriamo”. Ah, accidenti, che sbadiglio. Strano, non è che non dormo da un po’ anzi. Beh, sarà il calore, forse sarebbe bene allontanarmi un po’. Però mi sento il corpo così pesante. No, non ho voglia di muovermi. Non ci riuscirei. Accidenti, le palpebre calano. Sforzati, Machin, non puoi addormentarti così…lotta, forza! Mi sento così stanco….potrei dormire per millenni. A me il caldo fa male….fa male. Vedo Poldo che annuisce, ma in realtà che dovrebbe importarmi? La testa mi pesa, sento un cerchio enorme attorno…bevo un altro po’ di tè, un bel sorso. Mi devo distrarre, è poco educato addormentarsi di fronte ad un estraneo. È più freddo, ed ha un sapore ancora migliore. Ne berrei a quantità incredibili, mi piace. Ma che stavo pensando? Non mi ricordo. È così strano… accidenti, devo riaprire gli occhi. Non me ne rendo nemmeno conto di chiuderli. Ecco, bevi un altro po’, Machin. Magari ti distrai. Ma ho così sonno….non mi può fare male dormire un po’…potrei scusarmi con Poldo, dopo…il cado mi rilassa sempre… un po’ troppo….un po’… troppo…

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Capitolo 25
*** A Ritroso. ***


A ritroso, percorremmo verso il centro le piccole strade che ci avrebbero sicuramente portati al castello

A ritroso, percorremmo verso il centro le piccole strade che ci avrebbero sicuramente portati al castello. Difficile fu, per me, non unirsi all’entusiasmo generale. Diciamo che, dopo un po’, vedere le mie due piccole che confabulavano e s’indicavano a vicenda delle cose eliminò gli ultimi residui di riluttanza, di dolore, di smarrimento. Ebbi il coraggio di guardare con occhio più smaliziato quello che c’era intorno a me. Stavamo percorrendo una zona davvero tranquilla, sicuramente prettamente residenziale. Le case, man mano che andavamo avanti, si erano fatte sempre più basse. In quel posto non si trattava di grandi ville, sicuramente, ma erano tutte ben curate, e, soprattutto, silenziose. Molte avevano un giardino, e c’era più verde. Gli alberi, tra l’altro, fiancheggiavano la strada, e c’erano piccole zone verdi. Immaginai che in estate dovesse essere davvero piacevole fare una passeggiata lì. Quelle carrozze tutte insieme erano scomparse, insieme alla folla vociante, con nostro enorme sollievo. Rimanevano quella specie di carrozze….beh, chiamiamole solitarie, che percorrevano con sussiego le vie più larghe. C’era poca gente in giro. La maggioranza, qualche volta in compagnia di soldati, era abbigliata in un modo ancora diverso, sempre più fine ed elegante, un gusto che si avvicinava molto di più al mio, che avevo cominciato ad interessarmi sul serio. Non ci degnavano nemmeno di uno sguardo, facendo finta che non esistessimo. Ci eravamo sentiti molto più a nostro agio, per quanto potesse sembrare strano. Ad un certo punto, mi ero arrischiata anche a parlare con qualcuno dei soldati. Avevo scelto Rosie, che mi era sempre sembrata la più disponibile di tutti a parlare. Molti dei suoi commilitoni non mi avevano per niente in simpatia, nonostante io non avessi nemmeno parlato con loro. Ce n’era una, dai capelli castani e l’aria lievemente pazzoide, che sarebbe andata davvero d’accordo con Machin, che si era presentata con un querulo michiamosuzannemachiamatemisusie esattamente così, senza prendere fiato, che ce l’aveva con me. Ma proprio aveva preso di mira me, per un misterioso motivo. Solo perché mi ero intestardita a chiamarla con il suo nome intero, immagino. Il loro simpaticissimo superiore, oh, così simpatico e dolce, Faldio, mi dava la netta impressione che mi volesse morta in qualche modo possibilmente doloroso. Oh, solo perché me l’ero presa con la cattiva imitazione di Regis che avevano fatto. Ma non era colpa mia, era il loro senso estetico che aveva del pietoso! Hector, l’altro che mi dava l’impressione di bonarietà, aveva una padronanza della lingua franca a dir poco pietosa. Rischiavo di chiedergli se stesse bene e ricevere in risposta un “no, non hai uno scarafaggio in testa”. Possibile. Mi rimaneva, come ultimo porto sicuro, solo Rosie. Con lei, sol con lei, avrei potuto parlare di Qerin. Un po’ mi faceva male, non aver ancora visto tutto quello che era esistito tanti anni prima. Magari qualche rudere ancora rimaneva, e mi sarebbe piaciuto andare a visitarlo. Un vecchio abitato. Forse anche dove avevo lottato, in quell’ormai antico torneo. Chissà se loro ancora ricordavano quello che un tempo era stato. Mi venne voglia di parlare un po’ con quella bionda e dolce giovane proprio di questo, anche se lei aveva sempre una certa aria saputa nei miei confronti che non mi piaceva. Forse sarebbe venuto il momento in cui avrei capito il perché. Ora dovevo solo sciogliere il ghiaccio. Tanto, le piccine erano al sicuro. Roxen si era lanciata in una descrizione accurata delle modifiche che avrebbe apportato ai suoi abiti preferiti, e di quelli che avrebbe ordinato a Kyradon. La povera Nilyan, con cui dovevo lottare più o meno ad ogni occasione ufficiale per farle indossare la gonna, era costretta a subirsi mille e mille cose che non le interessavano minimamente. Già cominciava ad occhieggiare Capouille e Zipherias, che si tenevano saggiamente in disparte. Mi avvicinai così alla mia sfortunata interlocutrice. Lei sembrò lievemente stupita nel vedermi a lei vicina. Feci finta di guardarmi intorno. C’erano belle case intonacate di bianco, tutte uguali, dai piccoli giardini. Finsi di essere mortalmente interessata ad una bimbetta umana che giocava con un cagnolino minuscolo. Poi guardai uno spiazzo verde e ben curato. Mi decisi, infine, a prendere la parola. Rosie non era certo stupida. “non cambiate un sacco di cose”. Dissi, solamente, parole laconiche ma cordiali, girandomi verso di lei. Sorrise. Quel gesto m’insospettì. Sembrava sapere davvero un po’ tropo. C’era qualcosa che mi stava nascondendo. Cosa, non ne avevo la minima idea. Era anche lievemente irritante, ed imbarazzante. Era dura, per me, non sentirmi a disagio già normalmente. Quando si ci mettevano pure con quegli sguardi da so-qualcosa-che-tu-non-sai, allora era terribile. “è un po’ che non vieni a Qerin, vero?”. Si decise a domandare, con una domanda che mi sembrava più che altro di circostanza, forzata come se lei volesse dire qualcosa di diverso. Non me ne preoccupai. Almeno, il ghiaccio era stato rotto. Rosie aveva la straordinaria capacità di non farmi sentire accusata per la mia razza. Così annuii, perfettamente immedesimata nei miei panni di dolce e buona elfa. Volevo qualcosa, ma dovevo raggiungerlo con la massima lentezza possibile. Non ero nella condizione di poter fare richieste improvvise, dovevo essere educata. Poi, da un po’ lo spettacolo che si dispiegava davanti ai miei occhi non aveva nulla di così particolare. I lampioni c’erano anche a Kyradon, non erano una novità assoluta. Non eravamo così indietro con i tempi. Falsa illusione, beh, ma dovevo far finta di avere qualcosa a cui appoggiarmi. “saranno quasi duecento anni”. Ridacchiai quando vidi l’espressione incredula della mia interlocutrice, ed annuii. “duecento anni?”. Lei scosse la testa, come un cane bagnato. “accidenti, è tanto!”. Non tanto, non tanto. Forse per lei, per tutti gli umani, ma per me non era un lasso di tempo incredibilmente lungo. Beh, gli umani crescevano in fretta. Tante piccole formiche, avevano bisogno di vedere cambiare il loro formicaio prima di morire. Mi facevano tanta tenerezza. A volte crescere velocemente porta a fare tanti errori. Sorrisi con pacatezza ah, aveva un gusto speciale, l’essere superiori in qualcosa a qualcuno che mi aveva fatto mangiare la polvere. “per voi si”. Ma a chi la volevo dare a bere, io? In duecento anni avevo avuto più stravolgimenti io che un qualunque umano in venti anni di vita. Forse. Credo. Beh, non sono mai stata umana, e non ho la minima voglia di esserlo. Mi sono troppo care le mie poche ore di sonno a notte. Ci fu un attimo di silenzio. Bene. Sospirai. Ora o mai più. “è rimasto qualcosa della vecchia città, Rosie?”. Ero quasi implorante nel chiederlo, tanto che fu lei a sorridere comprensiva. Era troppo importante per me. Avevo bisogno di aggrapparmi a qualche ricordo. Lei annuì, ed io mi sentii più tranquilla, non so perché. Ameno, mi dissi, non avevano stravolto tutto. Per me sarebbe stato un dolore troppo grande. Ho bisogno di sentirmi aggrappata a qualcosa di conosciuto, come tutti gli elfi. “qualche vecchio edificio, la vecchia caserma, l’arena…una parte del palazzo... l’ultima cerchia di mura… molto è stato buttato giù per fare spazio ad edifici più sicuri, ma troverai molte cose che conosci già”. Le sue parole mi rincuorarono, e sorrisi un po’. Almeno tutto non era stato rivoltato come un calzino. Avrei dovuto ringraziarla per quelle bellissime nuove. Lei ricambiò il mio sorriso. “e tra quanto arriveremo…dove dobbiamo arrivare?”. Il suo sorriso si allargò. Ci fu un attimo di stranissimo silenzio. “guarda in avanti”. Mi consigliò lei, infine. Le obbedii e sorrisi tra me e me, deliziata. Ecco qui qualcosa di più familiare. Ci ero passata mille e mille volte per quel posto. Eravamo arrivati nei pressi di quelle che un tempo erano state le mura più interne, e che ora delimitavano la Qerin storica da quella nuova. Mura bianche, normali, simili a quelle di Kyradon, che mi sembravano incredibilmente più note di tutto quello incontrato finora. A quell’ora non c’era nessuno in giro. Le porte, quelle che un tempo erano state perennemente aperte, erano chiuse, serrate. C’era qualche soldato, apparentemente disarmato ed abbigliato con quegli strani abiti blu, sia a guardia della porta che sopra le mura, uno spettacolo molto più simile ai nostri, e che non mi provocò grande sconcerto. Non mi preoccupavo delle armi finché non fossero state rivolte contro di noi. Guardai la mia interlocutrice con un sorriso, e poi mi avvicinai di nuovo a Roxen, Nilyan, Capouille e Zipherias. Finalmente, l’ultima parte del nostro viaggio stava per finire. Avremmo consegnato la lettera al sovrano, avrebbe risposto ed avremmo percorso, entro la prossima settimana, il viaggio al contrario, verso casa. Non ne vedevo l’ora. Quel posto mi era troppo estraneo. Mi resi conto, all’improvviso, che i militari, vedendoci a cavallo, spettacolo sicuramente molto insolito, si erano tesi. Faldio si fece avanti, mettendosi bene in vista, e gli altri soldati si misero attorno a noi, quasi per proteggerci. Certo, vedere spuntare degli elfi direttamente venuti, un altro po’, da un’epoca diametralmente opposta alla loro, doveva essere un grosso motivo di confusione. Vedere persone conosciute era fondamentale per non farci ammazzare. Io, tra l’altro, non avevo la minima intenzione di lasciarmi uccidere. Non so, aevo ancora un bel po’ di cose da fare. Vedere il mio Machin perdutamente innamorato di qualche elfa, magari. Oppure vedere….vediamo un po’… ah si, vedere schiattare una certa Regina matta. Tanto lei era più grande di me. Non la odiavo più in modo cieco, come prima, ma certo non la idolatravo. Non quando per ordine suo ero rimasta sfigurata in quel modo orribile, tanto che uno dei soldati mi aveva chiesto se per caso tra i miei passatempi ci fosse anche l’arrostirmi. Inoltre avevo pensato all’inizio fosse un errore simile a quelli di Hector, di linguaggio, ma quando avevo chiesto di ripetere e lui mi aveva replicato con la massima serietà, mentre gli altri scuotevano la testa. Per un attimo avevo immaginato mi stesse prendendo in giro, ma era troppo compunto. Lo avevo guardato in modo strano, e lui  aveva spiegato che no, non c’era niente di male se lo facevo. Di gente strana ne esiste sulla terra, eccome. A quel punto mi ero girata verso le persone in cerca di un aiuto. Un bel po’ di loro avevano riso. Era stato piuttosto imbarazzante. Suzanne si era  precipitata verso di lui con il serio intento di picchiarlo, povero caro. Beh, comunque, non m’interessava morire. E nemmeno arrostirmi. Qualunque cosa dicessero gli umani strani, non avevo passatempi dannosi. Ci fermammo a poca distanza dal portone. Faldio andò avanti, con Rosie. I due scesero da cavallo, e cominciarono a confabulare con il soldato che li aveva intercettati, che sembrava conoscerli. Fu, più che altro, un piacevole scambio di idee. Mi sentii un po’ nervosa. Non mi piaceva essere così dipendente dagli umani. Fremevo dalla voglia di fare come a Kyradon, andarmene su e giù impunemente per la città, intoccabile. Ovunque andassi le porte erano aperte. Mi ero abituata forse un po’ troppo male. Dopo un po’ i due tornarono, con una faccia schiarita che mi piacque molto. “perfetto, tutto a posto”. Nilyan si strinse nelle spalle come se l’avesse sempre saputo. Beh, almeno lei faceva tutto facile, beata lei. Prendeva tutto come un gioco. Non l’avrebbe fatto se fosse venuta altre volte con noi. Io non avevo potuto fare a meno di ricordare il tentato linciaggio la prima volta che eravamo andati in missione, io Capouille e Zipherias. Ci eravamo guardati. Poi, il mi amico dalla pelle scura aveva preso la bandiera bianca. Così, per sicurezza. Non è bello scappare con la coda tra le gambe nel bel mezzo di una violenta tempesta di pietre. A quelle parole ci rilassammo. “però, da qui in poi, procediamo solo io e Rosie, con loro. Non possiamo fare troppo rumore. Meglio che ve ne torniate a casa, no?”. Un mormorio soddisfatto percorse i soldati che ci stavano accanto. Un paio scesero già da cavallo, impazienti, probabilmente, di liberarsene. Non vidi mai soldati più lesti ad eseguire un ordine. Ci salutarono quasi con fretta. Scarlett scomparve quasi immediatamente. Molti di loro fecero le feste a Nilyan, Suzanne osò salutare Roxen in modo amichevole, ricevendo una battutaccia acida che la fece ridere a crepapelle, mentre Hector salutò il malcapitato Capouille con un colpo così forte alla schiena che lui cominciò a tossire, tanto che credetti stesse soffocando, il che gli  valse un “non ti strozzare, elfo delicatino”, ed un’occhiataccia. Io e Zipherias fummo quasi ignorati. Il mio amico metteva troppo in soggezione, io ero universalmente antipatica. Però era bella, l’atmosfera che si creava in quel piccolo nugolo di umani senza memoria. Molto di meno mi piacque quando l’ultimo a levare le tende, il sornione Jan, scomparve per le vie, e rimanemmo soli con i due umani. Così, i cancelli furono aperti. Finalmente, ecco la vera Qerin.

Quella che un tempo era stata una grande città ora era solo la zona più ricca di tutte, il che la diceva lunga sulle dimensioni dell’attuale Qerin. C’erano molte cose che non corrispondevano per niente alla mia memoria. Case, vie alberate, grandi parchi verdi, che fiancheggiavano la strada, delimitati da alti cancelli in ferro battuto, ed aperti sulla strada da cancelli enormi ed eleganti, zone mai viste in vita mia. Se prima c’era poca gente, ora chi passava mi faceva sentire irrimediabilmente una stracciona. Non ci potevo fare nulla, ero reduce da un bel po’ di giorni di viaggio. Però, vedere gli umani che passavano, tutti irrimediabilmente ricchi, sfarzosi e pomposi, non mi piaceva. Quello sembrava un altro mondo, staccato dalla vivace città che avevamo visto prima. Lì sicuramente risiedevano grandi aristocratici e dignitari di corte, gente che, insomma, valeva qualcosa. Le vie erano linde, larghe, e raramente passava una di quelle vetture che avevamo visto, per non parlare delle carrozze pubbliche, di cui non si vedeva nemmeno l’ombra. Ma se prima non erano state altro che miseri scatoloni di legno, ora erano di gran lunga più sfarzose, ornate di orpelli che sicuramente avevano tutto tranne che una funzione utile al movimento. Immancabilmente, attrassero, come per magia, Roxen, che mi chiese, speranzosa, se ci fosse mai la possibilità di portare una di quelle cose a Kyradon. Sicuramente, dopo, avrebbe fatto una grande figura negli ambienti che normalmente frequentava. Rimase delusa quando le risposi che probabilmente certe cose dovevano rimanere segrete, se nessuno da noi sapeva nulla su di esse.  Scossi il capo. Mia figlia non aveva in testa altro che non fosse l’ascesa sociale. Probabilmente si sentiva a disagio, per essere figlia di contadini. Se solo avesse scoperto le sue vere origini, chi fosse in realtà Krish, e chi fosse sua madre… beh, non volevo pensarci. Mi ero guardata intorno, incantata. Ah, ora si ragionava. Lì la gente a cavallo, uomini e donne, era più frequente, e non davamo molto nell’occhio. Si trattava sicuramente di nobili a passeggio, visto che indossavano abiti in pelle, sicuramente di una comodità incredibile, ma che non avevo mai visto. Erano tutti agghindati e lindi, e ci guardarono quasi con disgusto, il che aveva spinto un irritato Zipherias  a rendere nuovamente visibili gli stendardi. Per mia gratificazione enorme, c’era ancora qualcosa che conoscevo. Qualche casa non mi pareva molto nuova, ed un parco c’era già alla mia epoca. Avevamo così percorso vie e viuzze, ordinate e squadrate come il resto della città, con un senso di agio crescente. Le case erano anche più simili alle nostre, begli abitati eleganti e dall’aria distinta. Un po’ ci sentivamo a casa. Allora, mi ero sentita di nuovo capace di riprendere quel discorso con Rosie, prima troncato a metà. Spronai Nano e mi portai in testa al gruppo, dove cavalcavano, per farci strada, Faldio e Rosie. L’ultima mi sorrise e rallentò, forse per lasciare che la raggiungessi. L’uomo alzò gli occhi al cielo, esasperato, poi si allontanò un po’ da noi. Per dispetto, chissà, si avvicinò a Roxen e Nilyan, l’unica che gli dava un po’ di corda, ma venne bloccato da qualcosa. Sbuffò, poi si strinse nelle spalle, e si accodò a Zipherias, che lo guardò in maniera strana. Lo guardai un attimo con irritazione, ma poi lasciai perdere. Se si voleva fare condizionare, tanto meglio. Io sorrisi all’umana. “ora va molto meglio”. asserii, contenta. Lei rise. Beh, almeno non c’erano cose strane. Anche lei si sarebbe trovata a disagio a Kyradon, dove le luci restavano accese e la gente in mezzo le strade fino ad orari che per loro erano impossibili. Dopo un ulteriore attimo di silenzi, presi di nuovo la parola. Com’era simpatica, quell’umana. Almeno, non mi pareva così cattiva nei miei confronti. Un po’ ironica, misteriosamente ironica, ma mi comprendeva abbastanza bene. ora, però, dovevo togliermi un paio di dubbi. Certo, conoscevo la situazione a Fiya, ma dovevo avere un giudizio da un abitante. Sapevo chi fosse ormai al potere, e che Fiya fosse come il nostro sistema, matriarcale. Ma non sapevo come fosse l’attuale regina, Lilliagrin. A Kyradon giravano voci, e lei ci aveva dato grane un paio di volte, ma niente di più. Avevo bisogno di sapere qualcosa per rapportarmi in maniera positiva ad una persona di rango più elevato. Magari sarei venuta a sapere che la giudicavano una tiranna incompetente, ma io ero sempre mortalmente curiosa su quelle cose. In fondo, ero io a dover insegnare a mia nipote cosa significa regnare. Un giorno Isnark non ci sarebbe stato più. Spero il più tardi possibile. “Rosie, com’è la vostra regina?”. Chiesi, senza preamboli alcuni. “ti piace?”. Un’espressione confusa passò sul volto allegro della mia franca amica e seppi, in un attimo, che non avrei avuto risposta. Sembrò, per un attimo, rimanere spiazzata, allarmata. Quell’atteggiamento fu per me quasi un’indicazione. Ebbi l’impressione che non amasse molto Lilliagrin, chissà come mai. Non mi pareva una cattiva sovrana, anzi. Da quello che avevo visto, Qerin filava parecchio bene. Beh, tra un po’ l’avrei vista. Avrei tirato le mie conclusioni, da me, totalmente da me. “non è molto anziana”. Disse lei, chiudendosi poi in un silenzio repentino che non mi piacque molto. E che razza di risposta era, quella? Si guardò un attimo indietro, quasi temesse di essere spiata, poi sembrò rilassarsi. Mi sorrise, un sorriso strano, quasi supplichevole. Decisi di desistere. C’era qualcosa che non andava.  Cosa, beh, l’avrei scoperto ben presto. Si diceva che Lilliagrin fosse un po’ matta, lo ammetto. Un paio di volte ci aveva apertamente minacciati, quando eravamo costretti ad assecondare Lainay e le sue brame pazze. Beh, eravamo ben messi, noi di Uruk, vero? Circondate da due pazze. Però entrambi i regni funzionavano più o meno bene. Fiya, soprattutto, mi dava un’impressione di ben gestito, il che mi faceva sorridere e borbottare per l’arretratezza di Uruk. Ecco, ora però ero curiosa di conoscere questa misteriosa persona. Sicuramente ci avrebbe riservato ben più di una sorpresa. Ma sarebbe stata tutta moine come ogni regnante, figuriamoci se avessi capito come in realtà fosse. Perciò volevo farmi raccontare qualcosa da Rosie. Perfetto, avevo ricevuto un “non è troppo anziana” come risposta. Quello lo sapevo anch’io. Certamente mi ricordavo quando era salita al trono!Non capivo perché Rosie avesse guardato all’indietro. Quello era molto strano. Come se temesse qualcuno….ma chi?

 Percorremmo in silenzio l’ultimo tratto che ci separava dal palazzo reale. Ad un certo punto, notai che le case cominciavano a diradarsi. Le vie erano più ampie, e non c’era nessuno in giro. Io avevo rinunciato a parlare con Rosie, e mi ero mescolata ai miei compagni di viaggio. Faldio aveva ripreso, soddisfatto, il posto che gli spettava. Sembrava stranamente e vagamente più felice, cosa  di cui non riuscii ad immaginare il motivo. Beh, probabilmente perché io mi ero tolta da mezzo ed avevo desistito, sicuro. Non m’importava. Finalmente, arrivammo di fronte ad un alto cancello, di elaborato ferro battuto, che separava la strada da un giardino alberato, con un viale in mezzo. Molto bello, devo ammetterlo, molto curato. In lontananza, intravedevo una grande costruzione, dal tetto piatto, molto elegante. Si ripeté la scena di prima. Faldio, molto meno sicuro di ciò che stava facendo, si avvicinò al cancello, piantonato da due soldati per ogni lato, un cancello con intarsiato su lo stemma del regno. Noi attendemmo, come sempre, con pazienza. Beh, era inutile scalpitare a quel momento del viaggio. Però, sospirai di sollievo quando ci aprirono, con enorme riluttanza, probabilmente spinti solo dal vedere gli stendardi che il saggio Zipherias aveva messo bene in vista. Bene, ora si trattava solo di dare una lettera e tornare indietro. Il mio unico pensiero, in quei momenti, fu, bizzarro il pensarlo, la speranza di poter avere un momento prima di presentarsi alla regina, o chiunque fosse venuto in sua vece. Avevamo tutti l’aria di…beh, di persone che hanno viaggiato per un po’. Non era bello presentarsi così davanti a persone di rango. L’altissima principessa di Uruk, Nilyan, figlia di due eroi e grande speranza e guida per tutto il mondo elfico, aveva i capelli tutti fuori posto e più di un buco sul mantello. Non era proprio il caso, davvero, di arrivare conciati in quel modo. Prevedevo una meravigliosa analisi critica da parte di una misteriosa Lilliagrin. Bene, ero desiderosa di conoscerla, davvero. Chissà, magari era anche una brava persona…

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Capitolo 26
*** Cominciava davvero bene! ***


I ben poco avventuroso percorso che dal cancello ci portò ad un’entrata evidentemente secondaria, non ebbe nulla di particolare

Il ben poco avventuroso percorso che dal cancello ci portò ad un’entrata evidentemente secondaria, non ebbe nulla di particolare. Venimmo scortati, oltre che da Faldio e Rosie, il primo sempre più nervoso, che tamburellava insistentemente le dita sulla sella, la seconda quasi seccata, anche da una delle guardie del cancello, un tipo magro ed ostile, che, appena qualcuno di noi si muoveva, saltava, allarmato, e metteva una mano alla cintura. Quel tragitto mi diede la netta impressione di come e cosa pensassero di noi elfi, della nostra razza. L’odio provato dagli umani non era stato parecchio avvertibile, prima. Nella base di confine, probabilmente, si erano quasi abituati ad avere a che fare con sporadici ambasciatori, o con altri elfi che tentavano di entrare a Fiya, mentre per strada le orecchie non si vedevano, né i nostri visi per loro imperscrutabili. Ora però, benché filtrata dall’onnipresente cortesia, l’ostilità che veniva provata nei nostri confronti era più che percepibile. Io mi sentivo ben poco benvenuta. Al cancello avevano voluto vedere la lettera, sospettosi, ed avevamo passato un bel po’ di tempo ad aspettare facessero tutti i controlli del caso. Molti umani non erano per niente abituati ai nostri colori, per loro insoliti, ai capelli chiarissimi di Nilyan, gli occhi di Roxen e quelli di Zipherias. Per di più, il mio viso aveva turbato qualcuno, in una maniera che mi dava fastidio. Nessuno, dico nessuno, aveva il coraggio di guardarmi negli occhi. Mi ero ormai abituata alla squadra di Faldio, quella che mi dava l’aria di una grande famiglia, e che un po’ si era affezionata a me, sebbene non mi sopportasse. Almeno, se dovevano mandarmi a quel paese, lo facevano guardandomi, non evitando la mia presenza come se avessi la peste. Era terribile, essere trattata come le sfigurata che ero. Mi faceva sentire ancora più brutta. Mi ero affiancata a Zipherias, in testa, che portava gli stendardi, con un senso di abbattimento totale. Non sarebbe cambiato mai nulla? Ecco qui. Non mi aspettavo sicuramente un trattamento da re, ma nemmeno quella diffidenza parossistica. Con noi c’era la principessa, un po’ in incognito ed in un modo puramente informale, ma mi sembrava quasi che fosse trattata come un essere senza alcuna importanza anche, del tutto innocentemente, dai soldati che avevano fatto tanto rapidamente amicizia con lei… troppo rapidamente. Forse Nilyan poteva non essersene accorta, ma io, che ero molto più smaliziata di lei, comprendevo fin troppo bene che, nel suo caso, non era stato proprio, o almeno solo, un caso di simpatia reciproca. Il rispetto per la sua figura era assente. Ecco, avevo l’impressione che lì considerassero Uruk, il regno che ha dato avvio alla vera e propria resistenza contro Lainay, come un semplice staterello marginale. Si sentivano quindi in diritto di trattare mia nipote e me stessa, la Ch’argon, con estrema confidenza, che a me non piaceva. Molto probabilmente la nostra situazione incerta, un po’ grigia, destava i sospetti di molti. E questo mi addolorava. Purtroppo non potevamo fare altrimenti, non potevamo far altro che cercare di non farci nemica Lainay, e, nello stesso tempo, non attirarci l’avversione degli umani. Un regno con una neutralità forzata che non piaceva a nessuno, ma a cui eravamo costretti. Eravamo deboli, e coscienti di esserlo. Per fortuna, almeno, c’era un po’ di cortesia. Non era una parola sconosciuta. Se solo avessero osato rivolgermi una parola sgarbata, per come ero innervosita da quello che avevo visto, penso che sarei saltata da cavallo per dare una lezione definitiva al maleducato che aveva avuto l'audacia di rompere il protocollo. Ironia della sorte, vero? Io, colei che conosceva le regole solo quando le girava bene, che teneva solamente al rispetto della propria persona, del proprio ruolo e di quello dei suoi cari, venivo così scandalizzata al pensiero di un insulto. Ma non era quello il problema, la fonte del mio turbamento. Detestavo quella superiorità apparente dei polli che mi stavano intorno, almeno di quelli che avevo visto fino a quel momento. E poi detestavo di essere giudicata come un fenomeno da baraccone. Non era colpa mia, il mio viso. Non l’avevo voluto io, io ero nemica dei loro nemici proprio per quello. È che non lo capivano. Al cancello avevano mormorato qualcosa, ed io avevo capito che parlavano di me. Mi ero irritata al punto tale che mi ero voltata, e li avevo gratificati di un’occhiata tale da farli girare immediatamente in un’altra direzione. Poi il soldato che ci accompagnava ci guardava in modo troppo sfacciatamente tronfio, come se lui avesse la formula segreta dell’elisir dell’immortalità, e noi i poveri cugini di campagna venuti ad elemosinarne un po’. Mi veniva voglia di prenderlo per le orecchie e dargli una bella scrollata, come facevo quando Roxen era più piccola e cominciava a sfidare la mia autorità, il momento più terribile di tutta la nostra convivenza insieme, visto che io, destino beffardo, ero stata tacciata da lei, più volte, di non essere sua madre, e, dunque, nella sua testa, di non poter fare niente su di lei. Avrei voluto puntualizzare, tanto. Però l’unica cosa che riuscivo a fare era quella. Ed in quel momento dovevo trattenermi dal farlo contro quel povero bambino. Sospirai, ed andai avanti. Quello potevo fare. Che bello. Mi sarebbe venuto un buco allo stomaco grande come il mondo. e la cosa bella, inoltre, era un’altra: io mi ero aspettata di essere ricevuta in una maniera migliore, almeno da una grande regno come quello. Perfino in un piccolo feudo montano l’accoglienza era stata più calorosa!

Fino alle stalle, scostate dall’ala principale, fummo accompagnati da Faldio e Rosie. Mi sentii sollevata quando quel giovane umano ci salutò, assicurandoci che tra poco sarebbe venuto qualcuno per portarci dentro, e fummo lasciati nelle mani di persone che s’interessavano solo alle nostre cavalcature. Scendemmo tutti con sollievo. Ah, cominciavo a sentire la mancanza di qualcosa di solido sotto i piedi. Ero completamente anchilosata. Sarebbe stato bello potersi riposare un po’, ma sapevo che, almeno per un’altra manciata di ore, non ne avrei avuto la possibilità. Mi guardai un po’ attorno. Eravamo arrivati proprio sotto l’edificio del palazzo. Non era proprio come lo ricordavo. Alla meravigliosa costruzione di secoli prima avevano aggiunto e tolto qualcosa. L’effetto non era per niente sgradevole, anzi. Avevo adocchiato, passeggiando per il viale principale, un paio di posti in cui mi sarebbe piaciuto andare a curiosare. Misi in conto di farlo, una volta libera, magari portando con me mia figlia, che amava come me i piccoli angoli tranquilli, dove si poteva chiacchierare in pace. In fondo io e Roxen andavamo parecchio d’accordo. Lei non era cambiata molto dalla bambina che era stata una volta. Già, mia figlia. Sembrava entusiasta, lei, invece. L’avevo sentita elogiare il posto in cui eravamo diretti, che era, per lei, almeno un “baluardo di civiltà”. Nilyan, povera nipotina mia, non ce la faceva più. Approfittando della discesa dalle nostre cavalcature, immediatamente prese in custodia dagli stallieri, che almeno sapevano come fare il proprio lavoro, si era rifugiata accanto a me, prendendomi una mano e lasciando che la sua entusiasta interlocutrice si impadronisse di Capouille, che mi guardò in modo tale che dovetti lottare per non ridere. Ormai liberi da tutti gli impicci, anche di quei bagagli che ci avrebbero portato in seguito, almeno speravo intatti e non messi in disordine assoluto come poteva essere arguibile, dopo una perquisizione accurata, guardammo Faldio e Rosie. O meglio…solo Rosie. Approfittando probabilmente della piccola confusione che si era generata quando Nano, al solito, aveva preso a fare storie, recalcitrando nervoso, esattamente nel momento in cui io stavo per scendere, provocando una scena che aveva ben poco di dignitoso, era…beh, era scomparso. Scomparso? Guardai Rosie, interdetta. Che fine aveva fatto Faldio? Andarsene, senza neppure salutarci, o almeno degnarci di un cenno? E poi, cos’era quella faccia circospetta della nostra, fino a quel momento, guida? Perché mi sembrava così terribilmente a disagio? Strinsi gli occhi. C’era qualcosa di parecchio insolito in quel comportamento. Qualcuno, qui, non me la contava giusta. Probabilmente, anche gli altri se ne accorsero. Mi guardai un attimo con Zipherias. Lui sembrava, più che altro, un po’ perplesso. Strano che una persona come Faldio fosse sparita in quel modo. Non mi pareva corretto, per niente. Tra l’altro, mi stupiva, molto. Che aveva da fare per scappare senza cavallo, rimanendo, tra l’altro, nel castello? No, non me la contava giusta, per niente. Stupido da parte mia pensarlo, però era così. C’era qualcosa che non andava. Che avevano da nascondere? Sperai che Rosie spesse qualcosa, ma, a giudicare dal suo viso imbarazzato, non ci avrebbe detto nulla, nemmeno sotto tortura. Era complice, sicuramente, di cosa, non sapevo. Ma tanto valeva provare. Certo che gli umani erano proprio strani, eh. Sparire senza un motivo. Bah. “Rosie, dov’è Faldio?”. Fui io a domandare, il più candidamente possibile. Ma bruciavo dalla curiosità. Non era un modo ortodosso di comportarsi, proprio no. E tutti erano troppo pieni di segreti, poi. Detestavo quando mi nascondevano le cose, e lo detesto tuttora. La giovane si strinse nelle spalle. “a fare una passeggiata, suppongo”. Si, certo, e lo diceva con quello sguardo stranamente vagante e le guance ardenti, rosse come tizzoni. Non ero nata ieri, intendiamoci bene. Che doveva fare, in questa misteriosa passeggiata? Sperai solo che non fossimo coinvolti in qualche intrigo di stato. La cosa mia avrebbe seccato enormemente, anche perché la nostra presenza lì avrebbe potuto essere compromettente per Uruk. Inoltre la nostra permanenza sarebbe stata enormemente allungata, in quel posto bello, calmo, tranquillo, ma che non amavo. Quindi, l’occhiataccia che rivolsi a Rosie aveva un significato tutto particolare. Non so come la interpretò lei, probabilmente, spero, un rimprovero. Già. Lei non amava la regina, Faldio spariva all’improvviso. Qualcosa mi diceva che c’era qualcosa sotto. La nostra guida arrossì furiosamente, ma non accolse la mia sfida. Si strinse nelle spalle. “non abbiamo spesso l’occasione di gironzolare per i giardini del castello…appena ci raggiungerà il dignitario che vi deve accompagnare, penso andrò anch’io…”. Certo, lo diceva con quell’aria casuale. Non era per niente brava a mentire. Nilyan mi diede di gomito, poi scosse il capo. Pessima bugiarda. Beh, ognuno aveva i propri segreti, basta che non coinvolgessero poveri innocenti quali eravamo noi. Feci per parlare, per rimproverarla verbalmente, quando il suono di qualcuno che si raschiava la gola ci fece girare tutti. Un uomo ci stava fissando. Sembrava piuttosto anziano, quasi senza capelli a parte un’aureola rimastagli sulla nuca, ed aveva una barba un po’ lunga, ma curata. Chioma e barba completamente candide. Era vestito in uno dei modi insoliti visti fino a quel momento, ma con i colori del regno, bianco e blu. Sembrava una persona piuttosto distinta. Probabilmente, un dignitario di corte, uno scrivano, o cose del genere. Non era molto ostile. Mi pareva più che altro curioso. Ci fu un attimo di silenzio. “siete voi, gli elfi, vero?”. Odiavo la voce degli anziani umani. È…vecchia, ecco. Cigola come molle arrugginite. Annuimmo tutti. L’umano sembrò soddisfatto, e poi, finalmente, ci fece un cenno, che non seppi se interpretare come un segno di saluto o l’ordine di seguirlo. Mi fissai con Zipherias, di nuovo. Lui la pensava esattamente come me. Eravamo trattati…un po’ come se fossimo troppo a casa. Il tentativo di metterci a nostro agio non reggeva per niente. Nemmeno un inchino. Formalità zero. Cominciava a preoccuparmi, quel modo di fare. L’accordo cominciava bene. “allora dovete seguirmi”. Ah bene. cominciava dunque una parte del nostro viaggio che era fondamentale, almeno per Isnark. Non sapevo cosa ci fosse di davvero importante in uno stupido accordo commerciale, ma dovevo fidarmi. Però mi dava un fastidio pazzesco, quel comportamento così irrispettoso. Nemmeno un saluto. Per i soldati mi faceva piacere, ma quando era troppo…era troppo. Non eravamo stupidi qualunque, intendiamoci. Salutai Rosie di malumore, e mi abbassai il cappuccio per bene, in modo da non rendere visibile per intero il mio volto. Cominciava bene davvero. Segreti, poco rispetto, incompetenza. Non eravamo stati mai trattati così male. Ero offesa, mortalmente offesa. Il bello, è che sapevo di non poter dire niente. Prigioniera tra due fuochi. Ora capivo perché mai nessuno voleva andare a Fiya!

Seguimmo in silenzio il vecchio, che ci ignorò bellamente. Cominciai a pensare che fosse un servo mascherato da alto funzionario. Era troppo sicuro di sé, troppo stolidamente abbarbicato alla sua posizione. Eravamo trattati…non so. Presi troppo sottogamba per essere ambasciatori. Come se non si importassero realmente di tutto quello, o come se ci fosse qualcosa di stranamente fuori posto. E, si, io avevo l’impressione che qualcosa di strano si stesse svolgendo proprio sotto i nostri occhi. Insomma, lo dico chiaramente: entrammo da una porticina che mi sembrava più che secondaria segreta, e percorremmo tutte scale e scalinate anguste, buie, e ben poco lussuose. Labirinti di pietra così scarsamente illuminati che nemmeno noi vedevamo bene. il dignitario, ad un certo punto, fu costretto ad accendere una torcia. Erano luoghi umidi, talmente spogli che mi parve inverosimile. Poi, salendo una ripida scala a chiocciola, mi resi conto di una cosa. Quelli erano passaggi segreti: ne avevamo anche noi di simili, ad Uruk. Quella mossa stranissima mi confuse un po’. Insomma, eravamo ambasciatori! Cos’era tutto quel segreto? Che problemi c’erano? Non ci volevano alla corte? La nostra presenza era sgradita? Di solito, gli incontri si svolgevano nella sala del trono. Non tanto in pompa magna, ma eravamo ben accolti. Quella segretezza mi dava a pensare. L’odio nei nostri confronti li rendeva così ostili? O forse c’era altro? Beh, di documenti segreti nemmeno a parlarne. Avevo cercato io di carpire un qualcosa che non c’era, di persona. Quindi, l’unica possibilità era che ci stessero umiliando apposta. Che bello. Guardai male il povero dignitario che ci faceva strada. Lui non se ne accorse per fortuna: il mio sguardo era ben celato. Mi aveva fissato con curiosità, quando mi aveva scorta, e gli davo ragione. Non è normale vedere un’elfa vestita intermanete di un interessante sacco viola, bassa e tutta rattrappita, in mezzo a baldi giovani ed orgogliose guardie. Aveva subito distolto lo sguardo quando avevo alzato un po’ il mio, rendendo parzialmente visibile il viso. Lo avevo visto impallidire. Per una volta, mi ero sentita soddisfatta. Amavo quando mi lasciavano in pace. Così, con affanno, avevamo percorso le scale e gli angusti corridoi, in silenzio. Dopo un po’, eravamo arrivati ad una serie di porticine, che davano su misteriose stanze. Il nostro accompagnatore ci fermò, e ci requisì le spade. Le mise amorevolmente appoggiate al muro, un gesto che mi stupì in modo positivo.  Poi il vecchio sorrise, e aprì una porta, apparentemente a caso. Poi la tenne aperta, e ci guardò. “prego, entrate”. Disse, con maggiore educazione, il che mi fece aggrottare le sopracciglia. No: decisamente gli umani non erano normali. Prima ci ignoravano. Poi ci guardavano con aria allegra e deferente. Mah, io non li capivo. Erano più mutevoli del tempo in marzo. Io fui la prima a mettere piede in una saletta deliziosa, rettangolare, dalle ampie finestre, piena di luce. Una camera che mi pareva un salotto, dai divani coperti di velluto blu e bianco, dalle pareti rese blu da materiale che mi sembrava seta damascata, dalla libreria di legno scuro, lo stesso colore di una scrivania posta in una angolo, e della sedia lussuosa. C’era anche un caminetto, con su un orologio che mi fece sorridere, l’unica fonte di rumore in quella quiete. Bene, ora quel soggiorno aumentava di qualche punto. Almeno eravamo trattati bene, ed avevamo la possibilità di riposare un po’. Sarebbe stato troppo, rimanere in piedi come bimbi cattivi, un colpo troppo grande. Non appena fummo entrati tutti, guardandoci intorno con curiosità, il vecchio ci seguì. Ci fece un piccolo inchino. Lo fissai, piena di scetticismo. Bah, proprio non capivo. Chissà a cosa era dovuto quel cambio di atteggiamento. “mettetevi pure comodi”. Disse, avvicinandosi ad un’altra porta. “io vado a chiamare la regina. Arriverà tra poco”. On un altro sorriso, sparì dalla porta, chiudendola con uno scatto. Ci guardammo tutti. Interdetti, confusi. Strano che le guardie non aspettassero fuori. Beh, non mi lamentavo. Almeno eravamo tutti insieme. “umani!”. Ecco, la solita Roxen. Subito si svegliava e si riprendeva. La guardai male mentre saltava su uno dei comodi divani, e si stravaccava tranquillamente. Alla faccia della dama elegante. “sono tutti pazzi!”. Nilyan quasi la buttò giù, mentre si faceva spazio anche lei, con uno spintone. “almeno ci hanno portati in un bel posto!”. Esclamò, mettendosi pure lei comoda. “dai, Rox, guarda il lato positivo….almeno non ti siedi su un cavallo!”. Ridacchiarono entrambe.  Le guardai storto. Non eravamo a casa nostra, e loro si stavano comportando male. Però non mi pareva una cattiva idea, quella di sedersi. Così, mi misi comoda su un altro divano, imitata da un Capouille intimidito, e da Zipherias, che mi si mise vicino. Con una mano, andai a prendere la lettera che Isnark mi aveva affidato. Per fortuna, era ancora in buone condizioni. La strinsi, sistemandomi mantello e capelli con l’altra mano. Poi mi misi bene il cappuccio, in modo da essere riconoscibile ma non ben visibile. “datevi una calmata”. Brontolai, facendole mugugnare di cattivo umore. “e sistematevi. Sembrate due reduci”. Ottenni un successo a metà. Mia figlia schizzò con uno squittio, pettinandosi i capelli con le mani e togliendosi un’immaginaria polvere dagli abiti, i più ordinati di tutti, mentre costrinsi mia nipote a forza di occhiate gelide. Sbuffando, lei si passò un paio di volte la mano tra i capelli, peggiorando la situazione, e poi si mise più dritta. Alzai gli occhi al cielo. Nilyan non cambiava mai. La compagnia del cugino le faceva molto male. Sperai solo di non fare brutta figura. In quella, la porta si aprì dolcemente. Alzai lo sguardo. Accompagnata dal vecchio entrò, come una nuvola scura in un cielo sereno, la regina Lilliagrin. La guardai, interdetta. Non avevo mai visto una persona con un’aria più amara, funerea. Un’aria che mi metteva i brividi. Non era una donna molto anziana, tra i suoi capelli nerissimi e lisci, raccolti in una crocchia ordinata, non c’erano che alcuni fili bianchi. Era di media altezza, molto magra, avviluppata in un abito di un rosso così scuro da sembrare nero. Il portamento, rigido, altero, compassato, mi dava l’impressione di una maschera. Già, e lo stesso era per il volto pallido ed un po’ affilato, perennemente contratto, che aveva una stranissima espressione, come se la proprietaria fosse sul punto di piangere, e per gli occhi, terribilmente duri, persi in un mondo che avrebbe fatto troppa paura scoprire. Niente gingilli. Niente gioielli. Sentii un brivido che repressi presto. Quella donna era tutto un programma, solo a vederla. Sembrava capace di far smuovere una montagna con una sola parola. Una persona abituata a farsi obbedire, dalla dignità quasi marziale. Non c’era benevolenza. Non c’era pietà. Solo incredibile amarezza in quello sguardo scuro. La sentii stranamente vicina, così, all’improvviso. Quella persona nascondeva più che mostrare, ne ero sicura. Però non poteva che mettermi una sorta di timore reverenziale addosso. A volte ci sono persone che non si possono far a meno di rispettare. Lilliagrin era una di quelle. Lei ci guardò, ad uno ad uno, analizzandoci come se fossimo topi o scarafaggi. La porta si chiuse da sé, senza che nessuno la fermasse, con un tonfo sonoro. “benvenuti”. Disse lei, con una voce così stranamente dolce che mi fece sobbalzare. Una musica che mai mi sarei aspettata da quel cane infernale. Capii in un lampo il timore di Rosie. Nessuno di noi si alzò. Nessuno di noi si inchinò. Una piccola vendetta, per un comportamento che fino a quel momento aveva avuto dello scortese. Solo un cenno della testa, qualcuno di noi. Ma rimanemmo seduti. “mia signora”. Fui io a salutare. Ero io la referente. Lilliagrin mi fissò come se mi volesse trafiggere con lo sguardo. Si avvicinò a me, accompagnata a ruota dal dignitario. Deglutii. Non posso farne a meno: quando sono di fronte a qualcuno più forte di me mi sento terribilmente a disagio. Vorrei fuggire. Però non abbassai lo sguardo. Rimasi, nascosta, a guardare quella donna negli occhi finché non fu lei ad abbassare i suoi. Lei si fermò giusto vicino a me, con un passo lento, elegante, dritto, ma che aveva del falso e del mascherato come tutta la sua figura. “alzatevi”. Un ordine, solo una parola, sussurrata con quella voce misteriosamente flautata. Scattai in piedi ancor prima di potermene accorgere. “siete la Ch’argon di Uruk, vero?”. Annuii, guardandola sempre. Lei m’ignorò di bella posta. Tese una mano, ben curata e con un anello istoriato al dito. Dei, com’era antipatica. Le posai la lettera, lentamente. Ah, finalmente mi liberavo da quel groppone. Lei fece una cosa strana. La tese, senza nemmeno leggerla, al suo dignitario, che la prese con deferenza e corse fuori. Lo seguii silenziosamente, rimettendomi seduta, mentre la regina si accomodava accanto alla scrivania. Che strano. Quel procedimento mi dava l’impressione di un protocollo segreto. Strano, davvero strano. Guardammo la regina, seduta in modo da essere visibile a tutti. Per un po’, rimanemmo in silenzio. Poi lei aprì la bocca, dignitosa come sempre. “come va la vita ad Uruk?”. Domandò, l’aria di qualcuno al quale stiano tirando a forza le parole di bocca, un torturato. Non guardava nessuno in particolare. Nilyan fece una linguaccia, non vista. Io sorrisi. “come sempre, mia signora”. Risposi, cercando di sembrare seria. Ma Nilyan, non vista, si stava esibendo in un’altra serie di boccacce, che le valsero una gomitata tra le costole. Era una noia, essere la referente. Lilliagrin fece una strana smorfia. “non mi chiamate mia signora”. Disse, arricciando il naso all’insù, un gesto che la fece apparire improvvisamente più giovane di anni. “non sono la vostra regina”. Oh bene. Allora ti do anche del tu e ti invito ad una festa? Assurda. Quella dama era assurda. Come tutti gli umani, del resto. E che tono, poi. Quasi felice… umana razzista. A proposito. Dov’era finito il dignitario? Io annuii. “come volete”. Fui costretta ad abbassare il capo, umile. Come odiavo certe cose. Isnark proprio si divertiva a mettermi nei guai. Le altre chiacchiere che scambiammo non avevano nulla di particolare. Lilliagrin s’informò sul tempo, sulla qualità del nostro viaggio, se eravamo stanchi, tutte domande di cortesia fatte con una freddezza incredibile. Ebbi la netta impressione che per lei non fossimo più importanti di scarafaggi. Come se lei vivesse in un’altra dimensione, che poco aveva di terreno. Mi faceva quasi pietà. C’era qualcosa di nascosto, in quel comportamento così severo da essere fasullo. E fasullo era, modellato come una maschera per nascondere chissà che tratti. Dopo un po’, ricadde il silenzio. Nessuno si preoccupò di riempirlo con parole vuote: era meglio così. due mondi a confronto si possono scontrare se non si ci sta attenti. Passai il tempo ad annoiarmi. Potevo solo guardare la regina, e lo feci, con discrezione. Sembrava aver bisogno di una bella dormita, o forse era così di natura. Le labbra erano contratte in una maniera artificiosa, stirate in una dimostrazione di estremo dolore. Oh mamma. Mi strinsi nelle spalle. Che noia, quella tipa. Vivere con lei doveva essere una barba mortale. Mi chiesi come facessero i suoi figli. Che carattere. Vivere con lei: nemmeno morta. Capivo bene perché a Rosie non piacesse. Difficile amare una mazza di scopa. Ebbi l’impressione che non vedessero l’ora di vederla schiattare. Chissà, forse la futura regina era meglio. Ma è sempre meglio, fino a quando non c’è qualcos’altro in cui sperare, una novità più bella. Aspettammo un po’. Finalmente, la porta si aprì, di botto. Entrò lo stesso vecchio di prima, in mano la lettera aperta, con un’aria decisamente strana, come se avesse il mal di mare. Insieme a lui, entrarono un paio di guardie, che ci fissarono con ostilità malcelata. Io mi mossi, a disagio. Avevo un pessimo presentimento. Ma n, non poteva essere. Isnark non scriveva offese o minacce: non era il tipo. Prevedevo di dovermi scusare per qualcosa, e bene. sperai non fosse nulla di grave. Guardai il funzionario. Lui restituì il mio sguardo. Alla cortesia si era sostituita un’incredulità ostile. Me ne chiesi il motivo. Che aveva combinato Isnark, in che guaio aveva cacciato me e sua figlia? Scese un silenzio gelido, mentre l’uomo si avvicinava alla sua signora, piegandosi verso di lei, e confabulando nella loro lingua. Vidi una strana espressione passare per il volto di Lilliagrin, dopo un po’. Sorpresa. Confusione. Sospetto. Rabbia. Rabbia, rabbia assoluta, che mi fece domandare cosa fosse successo. Lei impallidì ancora di più, e ci guardò, con le narici dilatate. Mi venne la pelle d’oca. Che stava succedendo? Scese un silenzio mortale. Poi lei, irata, quasi urlando, sventolò la lettera. Non capii. Erano solo accordi commerciali. Non c’era ragione di arrabbiarsi tanto. “come? Come? Come?”. Ululò lei, balzando in piedi, lo sguardo di una belva feroce che mi fece tremare da capo a piedi, un cambio di umore così repentino che mi fece sobbalzare.  Cosa… mi sembrava di essere sballottata da un vortice. Io non avevo fatto nulla di male. Sembrava andare tutto bene. non capivo nulla di quello che stava accadendo. Tutto era precipitato troppo in fretta. “come vi permettete? Come osate, come sapete?”. Sapere? Osare? Cosa? Non…non capivo. Fissai i miei compagni di viaggio. Tutti avevano più o meno lo sguardo che dovevo avere io. Completamente sperduto, un cane che viene bastonato all’improvviso. Che razza di guaio avevamo causato? Che aveva combinato quel demente? Nessuno sapeva nulla. Che diavolo voleva dire? No, non lo fare! Li tese un dito verso di noi. Uno solo. E quasi mi strozzai con la mia stessa saliva, impallidendo mortalmente. Che diavolo stava succedendo? Questa volta io avrei ammazzato sul serio Isnark. “guardie! Prendeteli!”.

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Capitolo 27
*** Tanto, di più non può succedere. ***


Ah

Ah. Peggio di questo non può andare, che razza di sveglia! Dolore, la testa sembra volersi staccare dal corpo, perché accidenti, darei di tutto per fermare questo pulsare. Fa freddo, un freddo cane, dove è finito il fuoco? Non riesco a capire. Gli occhi mi pesano come due macigni. Su, alzati, Machin, non è buona educazione rimanere così. però…insomma. Sento qualcosa di diverso. C’è qualcosa che non va. Vediamo, cosa ricordo come ultima cosa? Ero seduto davanti ad un fuoco una bella tazza di tè caldo tra le mani, comodo e sonnolento. Oh mamma, ora mi sembra di stare steso, e fa proprio freddo. Accidenti, che figuraccia, vorrei morire qui, ora. Magari quell’anima pia di Poldo mi ha portato in qualche stanza. Devo essermi addormentato. Oh per tutti gli dei, ho fatto una pessima figura. Chekaril mi ammazzerà. Dei, non mi voglio alzare. Su, Machin, un po’ di ottimismo. Sorridi. Mi sento tutti i muscoli indolenziti. Avrò dormito in una posizione strana, capita. Spero sia ancora a cercare un rimedio alla cecità di quella tipa, il cuginetto. Sennò, sono fregato. Sono fregato davvero. Devo escogitare un modo per scusarmi in modo degno di me. Non è bello addormentarsi di colpo su una poltrona. Soprattutto da parte mia, che rimango Machin, il divino Machin, anche sotto mentite spoglie. Però l’essenza è quella, quella di un essere celestiale. Cioè poi sarebbe pure lecito ma devo pure fare una bella figura pure. Ma da dove viene questo mal di testa? È infernale. Se si potesse mi staccherei la testa a morsi. Non riesco a pensare, accidentaccio. Se provo a muovermi poi è peggio. Ho appena strizzato le palpebre e mi sento come travolto da una carica di cavalleria. Accidenti, non mi è mai successo. Beh, pazienza. Mi vorrei alzare, ma mi sento pigro…su, un altro po’ di sonno non mi potrà fare…male? Ah, attacco, mi stanno attaccando da tutti i fronti! Insetto? E che cos’è? Acqua? Oh, ancora! E ancora, altro che passarsi una mano sulla faccia, qui dopo mi ci vorrà un panno asciutto per ripulirmi! Che diavolo intendono fare? Che schifo, ma chi mi sta svegliando?  In faccia? Ma è brutto tempo, è inverno, fa freddo, che vogliono, farmi prendere un malanno? Mi becco una polmonite e muoio? E dopo come farà Kyradon senza la sua attrazione che la rende degna dell’appellativo di bella che ha?Cosa sono queste gocce in faccia? Chi diavolo si sta permettendo? Ah, si sposta pure, il genio. Ehi, non si fa acchiappare! Maledetto, se ti becco….ah! magari è solo Poldo che mi vuole avvisare che il cuginastro ha quasi finito. In fondo è un bravo ragazzo, mi ha messo in comodità, per quanto possa essere comodo un materasso che assomiglia ad un pavimento freddo e duro. Poi ci credo, Lunsch ha quell’aria da funerale per un preciso motivo, mi sa. Dormire così è un inferno. Non vedo l’ora di tornare alla locanda. Un posto decente. Beh, se non mi alzo non ci tornerò mai. “va bene, va bene…”. ah, come adoro….cosa succede? Mi sento i piedi strani. Quasi come…bloccati. No, ora c’è qualcosa che non va. Smetto subito di stiracchiarmi, e guardo in su. Ero a pancia in su, sto guardando un interessante soffitto un po’ bruciacchiato, o forse fuori è scuro. Ma c’è una finestra? È buio in un modo incredibile. Ah! Ancora, maledetta goccia! Nemmeno fossimo in una caver…oh dei. Poldo non c’è. Non è lui a buttarmi l’acqua in faccia. Cioè, non lo vedo in giro. L’acqua viene da su, come se il soffitto fosse umido. Ragionamento, ragiona, Machin. Soffitto umido, fa un freddo cane. Il mio materasso è duro e pieno di sporgenze, e sembra terra nuda. Mi sento i piedi imprigionati… mah, magari è solo un incubo…no, perfetto, non è un incubo. Sento un freddo che non è dovuto a fuori. Ma che succede? Ora che mi sono alzato posso vedere tutto meglio. Ho i piedi… ho i piedi legati. Legati, assicurati con una corda ad una pietra che vedo, e che è troppo lontana da raggiungere. Mi muovo ancora. Dannazione, non riesco a liberarmi. Ma insomma, che scherzo è questo? Io sono un Guaritore! Me lo diceva zia Lalla, me lo diceva di rimanere a casa. Gente senza dei, lei così li chiamava, ed aveva pure ragione! Che vogliono fare a noi, che male non facciamo? Ma tu guarda un po’, sono steso a terra! Questa non sembra una caverna, è una caverna! Guarda lì, le pareti sono pietra scabra, ed io ho dormito sui sassi! Sui sassi, ma ci rendiamo conto? E legato come un salame. Bel senso dell’umorismo degli umani! Ripagano bene quelli che sono venuti ad aiutarli! E poi dai, come accidenti ho fatto a non rendermi conto di essere portato da una comoda poltrona a questa topaia? Su, siamo seri, io non ho un sonno proprio pesante. Ma si può sapere che scherzo è questo? Chekaril ha voluto vendicarsi? Ahi, accidenti, se mi muovo ancora mi fanno un male pazzesco le caviglie. Spero che qualcuno mi venga a liberare presto. Io lo so, è stata un’idea di quel matto. Poi chiama pazzo ma, ma ce ne rendiamo conto? Poi alla faccia della rissa. Lo ammazzo con le mie mani, quel cuginastro Guaritore. Lui e quelle orecchie tonde e puzzolenti! E non riesco nemmeno a saltellare, ma poteva stringere un po’ meno, se me la voleva far pagare di essermi addormentato! Lo so che è scortese, ma non ho potuto farne a meno. Ero stanco, anche se prima non mi sentivo così, e mi pare quindi molto strano, ma posso pure pensarlo come un colpo di sonno imprevisto, a volte capitano, a me piace dormire. Tanto di più non può succedere. Siamo Guaritori, cioè, almeno io sembro tale, ed abbiamo un aspetto diverso, sebbene io abbia strepitato per farmi almeno affascinante. Non possono averci beccato, poi, perché solo Isnark che sa della nostra missione, oltre alla famiglia. Ma a proposito, il verme che fine ha fatto? Dov’è Chekaril? Se mi guardo attorno c’è solo buio. Potevano pure lasciarmi una fiaccola. Quest’ambiente mi mette una fifa addosso da non crederci. Voglio mio cugino. Va bene, lo scherzo è durato fin troppo a lungo. Ora voglio andare via. Voglio vedere la luce del sole. Va bene, ho pagato. Accidenti, non riesco a gridarlo. Mi sento così stanco che dormirei ancora volentieri. Voglio tornare a casa non mi piacciono che mi si facciano questi scherzi e non sono per niente disposto a continuare così Isnark mandi pure altra gente ma io me ne torno ad Uruk dove almeno non c’è nessuno dall’umorismo così perverso da mettermi in catene legato come un salame che poi che ho fatto mi sono solo addormentato non credo che abbia tanto colpa io. Ma Chekaril dov’è? Ah, chi c’è dietro di me? Non mi fate venire certi colpi. Non riesco a girarmi bene, mi gira ancora troppo la testa. “complimenti”. Può essere solo quello di Chekaril un tono così scocciato, iroso. Tsk. Complimenti di che? Lo so di essere fin troppo meraviglioso. Va bene, va bene. Mi sono addormentato quando non dovevo. Ho fatto la figura del cretino. Ora mi libera, vero? Cugino, cuginetto caro ora è vero che mi liberi e mi porti fuori alla luce e all’aria pura? Qui l’aria sa di umido. Ah, finalmente lo riesco a vedere. Strano, chi gli ha fatto quel bozzo in testa? Che, gli hanno dato una mazza in fronte? Non che non se la meriti, però non sta affatto bene. Sembra un ragazzo di strada così, non sta bene per un Guaritore, o almeno quello dice lui, io di solito mi trovo in gironi che ho un bozzo in testa un giorno e tre quello successivo, ma in fondo non è colpa mia, sono gli altri che mi stuzzicano, poi non hanno nulla da lamentarsi. E poi sta seduto come me. Seduto, insomma, in una posizione strana. Mamma mia come mi guarda male come sa avessi fatto qualcosa di male. Ma io non ho fatto nulla di male. Siamo Guaritori, sicuramente nessuno si approfitta di noi. Bella storia, però. Ora mi sistemo meglio così io e quello lì con quella faccia scura parliamo. Ma come? No, non posso crederci. No… non c’è alcuna logica. Pure lui è legato come me. Ma cosa, è pazzo? O c’è qualcosa sotto? Non capisco. C’è qualcosa che non mi riesce di comprendere. Qui sono tutti matti come cavalli. Tutto questo non mi sembra normale. Ah, mi sento improvvisamente di malumore. La testa fa male e non ho voglia di pensare. “complimenti di che?”. Mamma mia che faccia brutta che sta facendo. Siamo pure abbastanza vicini, mi sa che tra un po’ mi salta addosso e mi ammazza. Mi sposterei, ma sono legato troppo strettamente. Maledetto al tipo che ha tanto buonumore da combinare questa casino. “io ora che ho fatto?”. Uh , che faccia che ha fatto! Davvero, sembra aver preso proprio una brutta caduta per conciarsi in quel modo. E da come si sta tormentando le mani penso che mi voglia strozzare. Forse è meglio strisciare un po’ all’indietro. Davvero mi sembra pronto ad ammazzare. Ammazzare me. “io ti uccido…”. Che brontolio, complimenti. Tu uccidere me? E perché? Che diavolo ho fatto? Mi sono addormentato? Ho bevuto tè? Ma era solo tè, accidenti, solo esclusivamente tè! Va bene che di solito il tè mi sveglia e divento arzillo come una cavalletta se ne bevo troppo, ma tu mi offendi se dici che mi vuoi ammazzare. Ho solo dormito! Siamo solo Guaritori, calma, non ci faranno niente di male. E poi io sono innocente. Candido ed innocente come un bambino. E sicuramente non sono stato io quello che è voluto andare ad aiutare due uomini. Ora mi viene un dubbio mortale. Non è che quei due ci nascondono qualcosa? Bravo Machin, che genio che sei. Ora però vorrei gentilmente sapere per quale motivo mi trovo le gambe insaccate in quel modo. Non è educato nei confronti di chi viene a darci una mano. “tu uccidere me?”. Già. Tu uccidere me? Chi è stato ad incominciare tutto questo? Accidenti, come mi irrita, lui. Ora sono io a desiderare di picchiarlo. Mamma mia. Mi sembra più vicino. E molto più arrabbiato. Mi chiedo, che male c’è ad addormentarsi? Nessuno. Quindi stia zitto, o gli do uno di quegli schiaffi da farlo stare per sempre al suo posto. O si spiega o lo faccio. Davvero, non scherzo. “certo che si, io ti ammazzo, figlio cretino di due cretini!”. Ehi, eh no.  ora sei cattivo. Solo perché hai conosciuto mamma e papà non ti puoi permettere di giudicarli. I miei genitori non si toccano, non davanti a me, chiaro? Tu guarda questo galletto pomposo. Oh se rimpiangerà questo momento. Ora lo lascio parlare e poi lo pesto ben bene. Così imparerà a stare al suo posto. Devo farmi forza. Devo capire in che situazione ci siamo cacciati. “ma che ti salta in mente, accettare qualcosa da loro? Siamo finiti in una trappola, ti rendi conto? Quella tipa non aveva niente, niente! Ci hanno attirati, e tu accetti da bere da loro come un gonzo!”. “tu non chiamarmi gonzo!”. Eh, questo è troppo. Ora lo picchio. Colpa mia, ma tu sentilo! Siamo o non siamo, beh, fingo di esserne uno io per puntualizzare, Guaritori? Io non dovrei fidarmi della gente? E poi chi ha accettato l’incarico? Forse lui non se ne ricorda. Fosse stato per me saremmo belli e comodi nella nostra cara stanza alla locanda. E poi, perché imprigionarci? Su, un po’ di logica. Logica, su, figuriamoci. Ecco, ora qualcosa fila. Mi hanno addormentato! Che genio che sono. Chissà che roba c’era in quel tè. Mi sa che mi hanno drogato. Cretini loro, perché il protocollo impedisce di toccare i Guaritori, e dovranno lasciarci andare. Almeno, lo spero. Nessuno è tanto idiota da prendere un Guaritore. Perfino dei paesani ignoranti come quei due lo sapranno di certo. Che rabbia. Chekaril non ha capito un tubo, lui, che si crede così superiore. Superiore, poi. Vedo. “chi è stato ad accettare l’incarico? Io no di certo! E poi perché non mi dovevo fidare? Non siamo Guaritori, che possono farci di male?”. Bene. Finalmente l’ho zittito, ne sono soddisfatto bravo piccino, incrocia le braccia e fai il muso.  È meglio, fidati, stai zitto. Bene, ora c’è silenzio. Questo incompetente, ma come si permette? Lui è il primo a fidarsi degli altri! Ma tu guarda, faccio un piccolo errore io e casca il mondo, come sempre! Machin di qui, Machin di là, e poi dovrebbe ricordare che i guai si fanno in due. Questo cretino. Cretino, cretino, cretino. Perché non mi sono scelto un compagno di viaggio più acuto di lui? Certo, perché non lo sono io. Potevo accorgermi di quel sapore strano? Potevo fare solo finta di bere. E poi è ovvio che Poldo era così imbranato, mi pare normale, non ha bevuto perché così non si addormentava! Ma siamo stati due idioti. Ora basta solo aspettare perché la situazione si risolva. Confido nella nostra identità intoccabile. Uh, lui sembra parecchio irritato, direi, per usare un eufemismo. Dovrebbe calmarsi. Non lo perdono io. Ha chiamato i miei cretini. Detesto quando lo fanno. So che sono modi di dire ma non posso farci nulla. Te lo ricordi, Machin? L’ultima volta che te l’hanno detto hai fatto vedere i sorci verdi a quel maledetto che ci aveva provato. “poco importa. Tu però mi hai lasciato solo. Io non so combattere, ricordi? Non ho forza fisica”. E questo ti brucia, cugino, io ne sono sicuro. Almeno un po’ ti sei calmato. Ma tu guarda un po’. Che rabbia. Mi sento capace di distruggerlo. Per fortuna che sono legato, altrimenti sai che casino.  “forse questo è il mio primo viaggio?”. Ah, finalmente ho colpito nel segno. Ma certo. Io mica le so certe dinamiche! È la prima volta che metto piede fuori da Uruk, dove tutti mi servono e riveriscono. Lì mica ci imprigionano senza motivo, scusa? Lui mi sembra più colorato ora, magari è arrossito. Bene, ha abbassato quella faccia brutta che ha. Oh. Però…però…no, non riesco più ad essere arrabbiato. È troppo scemo. È un grasso scemo e stupido Guaritore di campagna. Mi fa una grossa pena. E poi siamo nei guai, grossi guai. Va bene, la colpa ce l’ho anche io. Però ora mi viene da piangere, mi sento di nuovo pieno di dolori. Voglio assolutamente sapere perché ce l’hanno così con noi. Forse perché siamo più ricchi? Ci hanno derubati? Possibile, anche se sarebbe davvero meschino. Siamo Guaritori, in fondo. Tanto, non possono mica ucciderci. Almeno lo spero. Magari è stato un equivoco, non ci siamo capiti. In fondo loro parlavano una lingua degli elfi molto stentata, come se a stento la conoscessero. Uh. Però gli voglio bene, voglio bene a quel Guaritore cicciuto di mio cugino. Bene. “ora però c’è una cosa importante da pensare”. Bene, sta dicendo una cosa sensata, finalmente. “come diavolo usciamo da qui?”. Eh…questa è una bella domanda. Io non ne ho minimamente idea. Magari bisogna parlare con Lunsch o Poldo. Ahi. Se mi stringo nelle spalle mi fa tutto male. Chissà che roba era quel tè. Mi ha dato proprio una bella botta. E anche Chekaril con quel bozzolo sembra ben messo. Chissà che gli hanno fatto. Magari domandare non fa mai male, vero, Machin? Certo, verissimo. “Chekaril, che ti hanno fatto?”. Lui alza gli occhi al cielo quando indico il suo viso. Le ha prese bene. molto bene. ora quasi mi dispiace. In fondo non voglio il suo male. È solo lui che a volte è proprio scemo. “sono uscito dalla stanza e ti ho visto dormire. Per giunta quella vecchia mi sembrava che non avesse nulla. Quando ti ho visto ho cercato di svegliarti, perché dovevamo andare. Qualcuno mi ha toccato la spalla, mi sono girato, ed ho ricevuto un colpo in testa. Tutto qui”. Alla faccia della forza fisica di prima. E che c’entrava, poi? Mica ci resisteva. Chissà che gli hanno dato in faccia. Qualcosa di bello grosso per fargli un segno del genere. Eh, che rumore è? Dei che paura. Mi giro verso una luce che è appena apparsa. Una porta si chiude e sbatte. Mamma mia, che atmosfera. Da brivido. Così come abbiamo cominciato finiamo. Che strani pensieri, rido quasi a pensarli! Qualcuno scende. Non mi sembra uno dei due uomini. Ora aspetto, e vedo chi è. Sono curioso. Ma tu guarda un po’. Una vecchia signora che porta una lampada. Chekaril vedo che si muove a disagio. A disagio? Questa è una fortuna! Finalmente possiamo spiegarci. Magari così ci liberiamo. Mi alzerei se potessi. Lei si sta avvicinando a noi. È tranquilla, almeno questo. Mamma. Ha degli strani occhi azzurri. Chiari, proprio chiari, sembrano pezzi di ghiaccio. E ora che la vedo bene non mi sembra tanto vecchia. Ha dei capelli strani, molto chiari, sembrano quasi azzurrini, ed un’espressione quasi persa. Bene, porta un sacco. Perfetto, Machin, sicuramente lei è una persona molto più civile. Ora devo parlare. Magari lei capisce. “egregia signora”. Cominciare così è il miglior modo. So a meraviglia il comportamento da adottare per ammorbidire qualcuno. La scuola di zia Lalla ha funzionato. Mi sento sicuro di me. Ora lei ci capirà e ci libererà. “forse non avevate capito, ma noi siamo Guaritori. Ben lungi dall’insinuare una vostra incapacità, ma non vi pare un po’ troppo, ignorare un protocollo che funziona solo per vostro esclusivo e disinteressato benessere? Capiamo benissimo il vostro desiderio di farci sentire a nostro agio, ma mi duole annunciare che non condividiamo quest’idea di benvenuto!”. Ehi, che orazione. Sono un genio. Mi sento un genio. Ehi, perché lei non ci risponde? Si è fermata davanti a me, ed ha alzato il lumino. Ora mi guarda. Mamma, ho paura. Non riesco a guardarla. In lei c’è qualcosa di spaventoso. Che strana vecchia. Mi mette una fifa del diavolo. Sta scuotendo la testa, lei. Però non guarda né me né Chekaril. il suo sguardo sembra perduto nel vuoto, in ere ghiacciate che non potrò mai conoscere. È umana, questa? A me non sembra molto. Devo giocare un’ultima carta. Non mi piace quello che sta succedendo. “ma su signora!”. No, voce, non tremare. Oh, ora va meglio. Sto tremando come un pulcino. Ho paura, lo ammetto. Mi addosserei a mio cugino se non fosse così poco decoroso e non potessi. “che possiamo farvi noi, siamo Guaritori! Che utilità abbiamo?”. Accidenti, che armi di persuasione. Eppure lei non sembra reagire. Tu guarda. Non mi guarda nemmeno. Non sembra sentirmi. Mamma, non mi sembra viva. No, lei non è viva. Ma che situazione abbiamo beccato? Certo, ce le andiamo proprio a cercare. Voglio casa. Voglio fuggire, tornare ad Uruk. Decisamente qui c’è qualcuno che gioca sporco. “o noi nessuna, ma a loro si”. Ho i brividi. È una voce in cui c’è la neve, una voce che ha mille timbri e nessuno. Maschile, femminile, non capisco. “siete stati scelti, e dal Sacrificio non si fugge. Noi siamo solo mezzi, e voi i mezzi seguirete. I Signori aspettano”. Ho l’impressione che siamo finiti in un grosso guaio, eh? Ho capito solo la parola sacrificio. E proprio non mi piace. Col cavolo che mangerò quel pane che ci sta tendendo questo spirito! Tra l’altro, non ho fame. Mi sta venendo voglia di piangere. Perché non sono rimasto a casa?

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Capitolo 28
*** Dalla parte dei buoni. ***


“eh

“eh?”. Intelligente, davvero intelligente, la mia subitanea risposta a quelle parole che mi fecero seriamente pensare che quella donna stesse davvero male. Ma insomma, non era un frangente in cui l’intelligenza mi poteva venire in aiuto. Ero completamente presa di sorpresa. Saltai addirittura in piedi. Arrestati? E che avevamo fatto, cosa? Guardai l’arrabbiatissima Lilliagrin, ancora con il volto teso, livido, le narici tese e le labbra serrate, che mi fissava a sua volta, fissava tutti con quegli occhi che parevano cani rabbiosi in un pozzo buio. Ecco, io non avevo la minima idea di quello che stava dicendo. Avevo l’impressione che quello fosse uno scherzo di pessimo gusto, o che lei fosse una squilibrata della peggior specie. Magari quelle guardie, uscendo, ci avrebbero liberati spiegando che non potevano farci niente, che lei era proprio pazza. Non capivo, non capivo per niente! Su, diciamolo in modo chiaro e tondo, loro non potevano avere mezzi per rintracciare documenti celati molto diversi dai nostri. Per quanto potessero essere andati avanti, dai, era assurdo pensare che quelle menti contorte potessero avere qualcosa che noi non avevamo. Che Isnark aveva. No, proprio no, quel caprone non era capace di fare un tiro mancino del genere.  Si, ci doveva essere un malinteso. Altrimenti non mi spiegavo quell’esplosione di rabbia. Isnark doveva aver pestato i piedi a quell’umana inavvertitamente. Allora, tanto per spiegarci, c’era sua figlia lì. Nilyan, il suo piccolo tesoro, il suo dolce sogno,  la sua buffona, e tutti gli epiteti più sdolcinati e mielosi che potessero esistere sulla faccia di questo continente e che lui usava regolarmente, solo per farla fuggire in un luogo imprecisato. Nilyan, la figlia del suo unico amore, del suo grande amore, che si era sacrificata per quel sogno, che se solo avesse scoperto quello che stava succedendo in quel momento l’avrebbe strangolato, e sul serio. Nilyan, una Nemys con la pelle olivastra e lo sguardo furbo, una Nemys molto, molto più casinista. Per dirla con parole povere, non avrebbe sacrificato il suo unico erede. Per di più, con lei se ne sarebbero andati pure una valente Guardia, suo antico amico, tra l’altro, due Guardie del Lazzaretto, proprio quelle da trattare con i guanti, perché l’indipendenza dei Guaritori è sempre arma a doppio taglio, e, non ultima ma ultimissima, nella scala degli affetti e, a quanto pareva da quello che stava accadendo, anche dell’importanza tra i consiglieri, c’ero io. Ed io, questo era poco ma sicuro, non avevo la minima voglia di venir presa. Presa, poi. Che ci avrebbero fatto? Sbatterci da qualche parte, in un’umida prigione che chissà che malanni ci poteva fare venire? Va bene che noi elfi siamo più resistenti a molte malattie, la maggior parte, e ad alcune siamo immuni, ma in una prigione umida no. si è mai visto un gruppo di ambasciatori accolto in quel modo? Essere cacciati via, si, era infamante ma almeno non ci costringeva a languire chissà dove. E, per come vedevo Lilliagrin, era più che possibile che ci ammazzasse, se solo non avessimo dalla nostra l’immunità. Per fortuna. Saremmo già morti, altrimenti. Io avrei ammazzato Isnark. Perché non mi parlava quando scriveva le lettere? Perché quella testa di legno non chiedeva un consiglio a chi sapeva qualcosa in più sugli umani? A me non era parsa così offensiva la lettera, forse un po’ noiosa, quella si. E poi non mi spiegavo tante cose. Magari c’era stato solo un malinteso. Magari il funzionario non aveva compreso bene. Magari non conosceva bene la lingua franca. Lo guardai male, e lui ricambiò il mio sguardo con tanta ostilità che mi fece pensare mille cose. Magari quel tipo stava facendo una cosa: quella era una trappola. Era stato pagato da Lainay per combinare quel casino. Guardai le due guardie. Una aveva parlato nell’orecchio dell’altra, che si stava dileguando, sicuramente in cerca di rinforzi. Eravamo troppi, per giunta, per niente stupidi. Non potevano ucciderci, e noi potevamo difenderci. Per non contare che Zipherias non era esattamente un tappo, e non si faceva nessuno scrupolo quando si dava fastidio a me o a Nilyan. E nemmeno Capouille, in tutta la sua timidezza, scherzava. Quando si arrabbiava era una belva. Quando si arrabbiava. Il problema era che in quel momento era tutt’altro che minimamente irato, così impietrito sul divano da apparire un soprammobile, e avrei scommesso che, se gli avessi parlato, lui mi avrebbe risposto con un mucchio di sillabe senza senso. Per fortuna che potevamo contare su un valente aiuto, anzi due. Zipherias era pronto per saltare ed avrei giurato che sarebbe stato capace di farsi ammazzare pur di difendere la sua principessa. Roxen, beh, dove poteva esercitare un po’ la sua arte di picchiare, lì era presente. Non di rado l’avevo vista accapigliarsi per un nonnulla. Lo sguardo che rivolgeva alla regina era così di fuoco che fui sorpresa di non vedere del fumo uscire dai suoi abiti.  Nilyan, invece, mi preoccupava. La guardai, ed andai a mettermi davanti. Mi guardai con il mio amico dagli occhi d’oro. Se solo le fosse venuto il capriccio di svegliare i suoi poteri saremmo stati finiti. Lei sarebbe stata finita. Dovevamo evitarlo ad ogni costo. Giudicai la sola guardia al momento presente. Non era molto giovane. Ci guardava male, ed in una mano aveva uno strano aggeggio, una sorta di cubo allungato, con un piccolo buco sul lato che mi stava di fronte. Almeno, quello vedevo. Era possibile sopraffarla, poi fuggire nei passaggi segreti e sperare nella buona sorte. Prima, però, sempre meglio argomentare. Alzai le mani, arrendevole. Maledetto tipo lì, che mi guardava come se fossi una vipera piombata sulla sua torta. Ci aveva fatto lasciare le armi. Non so, non mi sentivo sicura senza qualcosa di offensivo addosso. Rimpiansi i miei vecchi tempi di Spia. Almeno, c’era stato qualcosa di positivo. Oltre al mio aspetto sano, ma quello era molto marginale, mi ricordavo sempre di portare coltellini e cose del genere nascosti negli abiti. Piccole armi da lancio, cosette sempre utili per un’elfa che viveva nel costante timore di essere beccata. Avevo dimenticato quelle sane, buonissime abitudini. Ora le rimpiangevo. Avrei voluto anche un solo minuscolo pugnale, una punta di freccia, per aggredire. La regina mi era così vicina, ed era così disarmata. Un obiettivo goloso, se solo avessi avuto modo di realizzare i miei pensieri. La stanza, poi, era ideale per fuggire. Difetti da Spia. Guardavo sempre queste cose. Trecento anni non si cancellano. Cercai di sorridere, conciliante. Dentro di me si stava svolgendo una tempesta. Nilyan. Roxen. Dovevo fare in modo di proteggerle. Non dovevano assolutamente essere toccate. Mia nipote, poi, era doppiamente delicata. Una sollecitazione tropo forte e lei sarebbe potuta esplodere. Facile capire che non sapevo assolutamente come fare, e cosa pensare. Dovevo avere una vaga somiglianza con quei pesci che, appena pescati, vengono buttati sulla terra. La stessa aria intelligente. Sputata, proprio. “io…non so di che state parlando, e…”. “taci!”. Lilliagrin quasi mi sputò in faccia, tanto era vicina. Troncò il mio discorso urlando, digrignando i denti, del tutto fuori di sé. “non sei in condizioni di dire alcunché!”. Ah, ora passava al tu. Le cose si stavano mettendo male. Quella era pazza. Era pazza davvero. Ma che, erano trattati così gli elfi che venivano? Alla faccia degli ambasciatori… era da un po’ che nessuno voleva venire, ed ora capivo il perché. Quell’infimo traditore di Isnark. Brutto maledetto, l’avrei ammazzato. Davvero, avrebbe fatto una bruttissima fine. Mandarci in quel vespaio impazzito, con sua figlia al seguito! E mi aveva detto che non era niente di che mi chiesi se fosse stato un protocollo segreto. Che cosa sarebbe successo in quel caso, ci avrebbero mandati di fronte ad un plotone di esecuzione? Erano tutti pazzi, lì dentro, Roxen aveva ragione. Insomma, da quando eravamo arrivati a Qerin non c’era stata una cosa nella norma. Prima quei così lì, i cosi insipidi….velocipidi o velocipedi. Quelli con una ruota. Poi gli abiti. Poi quella carrozza senza cavalli. Poi le carrozze tutte insieme. Tutto quel progresso aveva fatto male. Alla testa delle persone, ovviamente. In un castello, mai, mai, eravamo stati accolti così. il più strano era stato un vecchio re che un po’ conosceva gli elfi, ma che aveva un confuso le stirpi e, soprattutto, la geografia. Convinto che venissimo dal nord, povero vecchio demente, rimasto sul trono per pura formalità mentre il figlio governava davvero, aveva fatto preparare per noi tutta un’accoglienza che ci aveva provocato parecchio imbarazzo. Eravamo stati costretti a mangiare per tutto il tempo carne quasi cruda, ed altre schifezze del genere. Rabbrividisco ancora al ricordo. Però, mai come quel tempo. Di solito ci accoglievano nella sala del trono, quando proprio non potevano in qualche sala adibita a questo tipo di colloqui. Non eravamo certo accolti in pompa magna, ma mai fatti passare per un corridoio segreto, arrampicandoci come topi. Quella Lilliagrin era proprio matta. Chissà la sua erede com’era. Speravo non come lei. Beh, altrimenti, per fortuna, almeno, gli umani avevano vita breve. Quella tizia ragionava al contrario. Ma sai com’era. Magari ci avrebbero portati, più che nelle segrete, nelle nostre stanze, al comodo. Per come ragionava quella tipa. Magari se fosse stata una lettera segreta saremmo stati ricevuti con mille moine. Bah. Provai un grande disprezzo, quel giorno, per la razza umana, incomprensibile e stupida. Non sapevo proprio che pensare. Speravo solo che non venissero strane idee a Nilyan. Guardai la donna. Non accennava proprio a calmarsi, forse una botta in testa le avrebbe fatto bene. Chissà che faccia feci, povera me, povera Lsyn, solita idiota indefessa ed indiscussa. Quasi lei si slanciò su di me. Ebbi, per un attimo, paura. Non capivo. Che le avevo fatto di male? Mi sentii piccola piccola. Più piccola di tutte le volte che mi ero rimpicciolita per la vergogna. Diamine, avevo dimenticato come si faceva a nascondere i propri sentimenti dietro un viso impassibile. E quella reazione mi fece un po’ paura. “non osare guardarmi così!”. Gridò infatti lei, un ringhio che quasi mi fece andare a finire contro mia nipote. Abbassai immediatamente lo sguardo, ed arrossii. Oh dei. Dovevo evitare certe cose. Tutti sobbalzammo a sentire quella voce isterica. Oh dei. Eravamo in grossi guai. Io e Zipherias ci scambiammo un’occhiata perplesse. Lui non immaginava neppure cosa stava succedendo. E nemmeno io se era per quello. La Ch’argon sembrava una bambina capitata lì per caso. Se Isnark aveva fatto qualcosa che non doveva fare davvero se le sarebbe passata brutta. Feci, involontariamente un passo all’indietro. Lilliagrin si spostò. Nello stesso momento, quell’umano prima sparito tornò con quattro compagni. Avevano tutti in mano quell’aggeggio della sesta guardia. Non capivo, non capivo assolutamente cosa fosse. Però, il fatto che lo brandissero tutti quanti con così tanta alterigia mi fece pensare che non fosse un oggettino così delicato come avevo pensato prima. Sottovalutare la potenza delle armi dei tipi era follia. Tremai. Non volevo finire ancora nei guai. Non ne avevo la minima voglia. Per cosa, poi? Non ne avevo la minima idea. Ora mi stavo arrabbiando. Ero innocente. Feci un gesto a tutti. Era meglio, però che restassimo calmi. Per me era un’impresa, ma ci avrei provato. Già cominciavo a ribollire. Era un’ingiustizia. Noi eravamo dalla parte dei buoni. Brutti bastardi. Erano matti, ma proprio matti. Ci fu un attimo di silenzio. Poi la regina Lilliagrin sorrise, con soddisfazione, e si mise da parte. La guardai di sottecchi, timorosa di un’altra sgridata. Lei quasi non fece caso a noi. Fece solo un gesto verso le guardie, che avanzarono cautamente. “ora alzatevi tutti…seguiteci”. Disse quello che era rimasto, che sembrava il più anziano. Nessuno si mosse. Tutti eravamo troppo sorpresi. Qualcosa mi diceva che lì non si scherzava. Altro che pazzia. Subodorai un complotto. Poi mi dimenticai quasi di tutto quando fui arraffata, le mani legate, da un tipo che era poco più che un ragazzino, e stringeva la sua arma come se fosse una reliquia. Lui mi guardò con ira. Decisi di parlare un po’ ai miei compagni. “niente sciocchezze”. Sussurrai, passando alla nostra lingua, che nessuno avrebbe capito. Se stavamo calmi, nessuno ci avrebbe fatto del male. Forse, una volta calmatasi Lilliagrin, ci avrebbero liberati e cacciati a pedate ad Uruk. Sempre meglio di morire. Io non ne avevo la minima voglia. Sperai che mi avessero sentiti. Non potevo girarmi per controllare. In fondo, le guardie non furono così cattive. Si limitarono a fare il proprio dovere. Una volta immobilizzati tutti, uscimmo da dove eravamo entrati, adeguatamente resi inermi. Sentivo qualcuno litigare dentro, a bassa voce, parole confuse che sparirono ben presto dietro una porta chiusa, ma non vi feci caso. Fui docile. Dovevo esserlo, anche se dentro morivo di rabbia, di paura. Era una situazione nuova quella, una situazione totalmente nuova. Magari ne saremmo usciti presto. Il tempo di comunicare con Uruk. Il tempo di rendersi conto che noi eravamo solo poveri ambasciatori. La regina sicuramente doveva tenerne conto. Magari non ci avrebbero nemmeno trattati male. Lo speravo, almeno. Era terribile non potersi ribellare. Io trattenevo a stento il bisogno di correre via. Non mi piaceva essere così trascinata. Sperai che nessuno si facesse prendere dal panico. Tra di noi c’erano persone che non avevano mai affrontato situazioni del genere. Guardai le guardie che ci accompagnavano. Non mi sembravamo parecchio cattive. Certo, avevano una certa aria professionale, e non avrebbero esitato ad ucciderci con quelle armi se solo avessimo tentato di scappare o ribellarci, ma furono gentili. Nilyan quasi inciampò per le scale, per colpa di un soldato, che chiese anche scusa. Proprio strano. Non sembravano avercela con noi. Solo averci leggermente in antipatia, ma quello era normale. Percorremmo così la via a ritroso, prendendo poi un altro corridoio, più buio, e scendendo, prima in basso, poi per un lungo corridoi illuminato da torce che facevano molto vecchio stile, se non fossero state chiaramente alimentata a magia, dal soffitto curvo e basso, tanto che Zipherias camminava con parecchia attenzione. Camminammo, in silenzio. Di tanto in tanto incontrammo delle guardie, che ci squadrarono con meraviglia palese. Però nessuno parlava. Meglio. dal canto mio non avevo la minima voglia di lottare. Soffrivo da pazzi, ma non potevo darlo a vedere.  era inammissibile, inammissibile che trattassero ambasciatori così! ma non potevo dirlo. Fosse stato per me avrei cominciato a bestemmiare fino a fare arrossire un marinaio come sempre, ma non potevo lasciarmi andare alla rabbia che imperversava in me. Ero adulta. C’era Nilyan da calmare. Nilyan doveva rimanere calma. Non l’avevo vista piuttosto turbata, solo molto spaesata. Le avevo fatto segno di stare calma e tranquilla. Poi avevo bisbigliato che tutto sarebbe andato bene, che non potevano ucciderci. Lei era parsa tranquillizzarsi. Si era fatta trascinare docilmente. Roxen, un po’, mi preoccupava. Un paio di volte si era divincolata, e mi aveva fissata con uno sguardo che mi aveva fatto temere il peggio. Era sperduta. Sperduta, e mi chiedeva aiuto. Mi sentii male di non poter correre da mia figlia, la mia bimba. C’erano cose che lei non sopportava, ed io lo sapevo. Lei si vergognava ad ammetterlo, ma era molto fragile. Aveva paura di parecchie cose. Topi, che sicuramente c’erano, essere legata e buio, in quest’ordine. Se poi ci avessero divisi non sapevo come fare. Se c’ero io o Capouille riuscivamo a calmarla, ma da sola lei non usciva mai da quegli attacchi di panico. Sperai che cominciasse a desiderare di fuggire dopo che quei tipi armati si fossero dileguati. Dopo un po’, quel lungo corridoio cominciò a biforcarsi. Ai lati, piccole porte di metallo che mi fecero pensare che Isnark non vi sarebbe mai potuto entrare. Celle. Sperai che entrassimo in due. Altrimenti, Roxen da sola avrebbe cominciato a dare di matto, povera piccina mia. Non volevo che la colpissero. Doveva fare molto male. Per un po’, tutto sembrò filare abbastanza liscio. Percorremmo questi corridoi, in cui le guardie si moltiplicavano, e che presto ci fecero perdere il senso del tempo e dello spazio, in silenzio. La mia guardia mi faceva temere il peggio. Un paio di volte mi aveva ficcato quell’arma fredda tra le scapole, facendomi tremare. Avevo paura. Che diavolo avevamo fatto? Eravamo solo poveri, stupidi elfi. Ora però dovevo stare tranquilla. Tutto sarebbe andato bene.  sembrava così, all’inizio. Poi ad un certo punto, il solito intoppo. Con mia grande fortuna si avverò quello che mia avrei voluto si avverasse. La guardia che portava Roxen si fermò, e cominciò a parlottare con le altre. Sembrava che dovesse rimanere lì. Mi tesi, oh no. Ci guardammo tutti con spavento. No, le celle erano singole. Avevo avuto la mia risposta in un modo che non mi piaceva. Cominciai a guardare la mia piccola. Mia figlia sarebbe stata sola. Temo che quello fu troppo per lei. Non l’accuso di nulla, lo so che quando si ha paura, non si può fare nulla. E lei era tanto bambina, ancora. Io la vedevo così. da sola, in mezzo a sconosciuti, poi, non sarebbe mai riuscita a stare calma. Aveva bisogno di me, di Nilyan almeno. Lei deglutì, e divenne bianca come una lastra di marmo tombale, di un bianco quasi grigio. Mi fissò con certi occhi che mi fecero morire in silenzio. La mia bimba, il mio ranocchio. Lei, spavalda e dura, provava terrore come tutti. Non potevo rimproverarle di avere paura del buio, non io che non sapevo nuotare. Lei non sapeva che io sapevo. Ma avevo vissuto troppo a lungo con lei per non notare certe cose. Cominciai a spaventarmi anch’io. Le feci segno di stare calma,ma non so se m’intese o mi vide. Fatto sta che, quando noi cominciammo a muoverci senza di lei, e lei a percorrere un’altra strada, mia figlia cominciò a strillare. Disse qualcosa che non riuscii ad afferrare, ma c’era il mio nome. Poi cercò di divincolarsi, e morse addirittura la mano alla guardia che aveva cominciato a tenerla strettamente. L’uomo ebbe una sola scelta. Lui, per dovere, doveva solo ferirla. Così fece, con quell’arma che mi sarebbe divenuta familiare. Il secondo strillo che mi giunse, giunse al mio cuore spezzato, era di dolore. Poi Roxen, mia figlia, si lasciò trasportare dolcemente, senza che capissi cosa fosse successo. Mi sentii istantaneamente invadere dalla furia. Non posso essere biasimata. Nessuno di loro lo sapeva, ma io ero sua madre. Tutte le madri amano le figlie, accidenti! Avevano toccato la mia bambina. La mia. Le avevano fatto del male. Per un istante, non ragionai più. Maledetti. Dovevo raggiungere Roxen. Solo per vedere se era tutto a posto! Con uno scatto, riuscii a liberarmi dall’uomo che mi tratteneva, quel ragazzino fissato con la sua arma. Dovevo raggiungere Roxen. Dovevo, povera piccina. Che idiota che fui. Fui davvero stupida. Ma io sentivo il cuore battermi forte. Sentivo un dolore quasi fisico prendermi. Non ne avevano il diritto. Non avevano il diritto, assolutamente, di farci del male, a noi, poveri elfi. Soprattutto non a lei. Non quella che mi era stata strappata così rudemente dalle braccia quando ancora era in fasce, e che mi chiamava zia. Non quella che non sapeva chi io fossi davvero. Non quella a cui avevo ammazzato il padre. Non quella che avevo fatto picchiare da Lainay. Io avevo permesso tutto quello. Ora non potevo permettere che Roxen soffrisse! Era una rompiscatole? Era sempre nei guai anche lei? Beh, poco importava. Era mia figlia. Ed io ero cieca a tutti i suoi difetti. Aveva paura anche lei, lei era mortale, fatta di carne e sangue come tutti! Ero rabbiosa. Non potevano farle del male, era proibito! Almeno, che mi facessero stare con lei. Le avrei fatto compagnia, ‘avrei consolata. Roxen era ferita. Dovevo raggiungerla, non potevo fare finta di nulla! Ecco, quel non ragionare, quei pensieri, mi costarono molto, molto cari. Non feci nemmeno due passi. Sentii degli strilli, delle parole concitate, mentre ancora osservavo il piccolo corridoio dove era sparita mia figlia, decisa a seguirla contro anche una montagna, sentendomi forte da poter abbattere un toro con un pugno tanto ero furiosa, perché avevano toccato la mia bimba, uno dei miei pulcini. Poi qualcuno mi strinse forte a sé, una stretta per niente affettuosa. Mi divincolai, completamente dimentica della mia cautela e della mia posizione pericolosa. Bastardo! Come osava, come osava frapporsi tra me e lei? Che non si permettesse di…all’improvviso, non pensai più. Non avrei potuto. Sentii qualcosa di molto freddo sulla pancia. Poi qualcosa sembrò sfuggirmi. Il mondo trasformarsi e capovolgersi, ed un fuoco appiccarsi dove prima c’era freddo. Il buio si confuse in un turbine. Mi sentii quasi morire. Annegata. Soffocata. Stavano ferendo anche me? Poi, non mi chiesi più nulla. Tutto si dissolse in un dolore senza fine. Un dolore lontano, mai provato, eppure familiare. Una vecchia sensazione. Poi, buio. Le fiaccole si spensero tutte, ed io non capii più nulla di quello che mi circondava.

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Capitolo 29
*** Rimanere a galla. ***


Mi sembrò di riemergere, all’improvviso, nel bel mezzo di un mare in tempesta

Mi sembrò di riemergere, all’improvviso, nel bel mezzo di un mare in tempesta. Ero con la testa fuori dall’acqua, ma sbattuta da onde enormi. Per un momento, rimasi in bilico tra coscienza ed incoscienza, indecisa tra le due. Non riuscivo a collegare bene i fili di ciò che era venuto e ciò che stava succedendo in quel momento. Ero stanca. Quella sensazione di enorme malessere era molto diminuita, quell’orrendo bruciore che aveva seguito quel freddo, ma avevo una strana impressione. Non capivo. L’incertezza, in me, faceva da padrona: non capivo. Stavo male, o stavo bene? Il dolore acuto era scomparso, quella sensazione così simile ad un’ustione non si faceva sentire. Il punto dove quello strano cubo mi aveva colpito era insensibile, come se io non avessi quella parte del corpo. Non la sentivo, basta. Avvertivo una bizzarra sensazione d’intorpidimento, di stordimento totale, che mi ottundeva i sensi e la percezione di dov’ero e chi ero, cos’ero, cosa stavo facendo. Non mi rendevo conto: ero seduta, in piedi, mi stavano portando in braccio o camminavo con le mie gambe? Occhi aperti, occhi chiusi? Ero sorretta da qualcuno? Non faceva la minima differenza. Qualcosa non funzionava. Avevo la netta impressione che qualcosa stesse sfuggendo, ma non capivo cosa. Il mondo mi pareva strano, un insieme di pezzi sparsi di cui io non riuscivo a trovare la chiave. E poi avevo freddo, un freddo gelido, che non era quello dei sotterranei. Però non riusciva ad importarmi. Sentivo uno strano ronzio, che non riusciva ad intaccare la calma, la mia calma. Perché io ero calma. Non mi pareva buono muoversi. Avevo come l’impressione di avere fatto qualcosa che non dovevo fare, e che tutto quello fosse una meritata punizione. Mi meritavo quell’atroce sofferenza, che sofferenza non era. Era qualcos’altro. Provavo una ridda di sentimenti che non riuscivo a districare. Un nugolo di cui era impossibile venire a capo. Ricordarsi chi ero. Non aveva importanza. Dov’ero. In realtà non mi era mai importato davvero. C’era solo quella sensazione, come se dovessi stringere fotte qualcosa per non farlo andare via.  Volevo muovermi, ma la stanchezza torpida aveva preso il sopravvento. Ero avvinta da catene molto più forti di me. Era strano. Non avevo mai provato tutto quello. Era come se mi stessi allontanando inesorabilmente da qualcosa, come se mi avessero rubato dalle braccia di una madre. Sentivo il petto oppresso da un macigno. E c’era quel gelo, quell’abbraccio che mi sembrava essere venuto direttamente dal ghiaccio. Tentacoli freddi si dipanavano attorno a me. Cercai di fare un debole gesto per liberarmene. Qualcuno, d’improvviso, mi scosse violentemente, trascinandomi. Sobbalzai. Quel gesto ebbe il potere di riportarmi un po’ alla vita. Eppure, c’era qualcosa che continuava a non andare. Non ero consapevole di avere un corpo. Qualcosa mi mancava, qualcosa di fondamentale. Mi avevano mezzo a testa in giù, mi avevano buttato in aria, o a mare. Quello non era il mio elemento. Cominciai a sentire vari rumori. Non riuscivo a capire cosa fossero, però. Persone che parlavano, sussurravano quasi, in una lingua che mi era familiare e allo stesso tempo no, come se la sapessi parlare, ma avessi dimenticato i principi base da molto tempo. Come se fossi precipitata da una grande altezza, mi sentii di nuovo catapultare nel mio piccolo corpo. Risentii tutto ciò che mi era familiare, e mi resi conto di essere trascinata da qualcuno di molto forte. Capii di avere braccia, e mani, e gambe. Ma era come se, allo stesso tempo, non li sentissi. Come se tutto quello mi fosse fondamentalmente estraneo, come se non fossi più davvero io in quel corpo. C’era un punto, vicino alla pancia, che mi pareva strano. Un fianco che prudeva, e che dava una strana sensazione, come se fosse un’enorme e larga ferita. Provai a toccarmi lì, per vedere se ci fosse sangue, ma i miei muscoli si rifiutarono di obbedire. E poi, non mi dava quella sensazione. Era come se non ci dovesse stare e basta, quella sensazione. Non era una ferita vera e propria. Non faceva nemmeno male. Dei, che stava succedendo? Volevo aprire gli occhi, ricordavo che era successa una cosa davvero brutta, ma mi sfuggiva.  Provai ad aprire gli occhi, ma non ricordavo nemmeno se li avessi o se fossi cieca. Poi, di nuovo sentii delle voci. Quei rumori mi aiutarono a prendere pian piano di nuovo coscienza, e non perdermi del tutto, per fortuna. Voci maschili, soprattutto, più alte. C’erano echi dappertutto. Alcuni sussurri, di gran lunga più familiari, che mi diedero un bizzarro senso di calore. Erano però stranamente lontani, come se ci stessimo allontanando. Voci dure più alte, poi silenzio. Quei sussurri. Era per quelli che io avevo sempre lottato. Con la forza di una martellata, finalmente, quello che dovevo ricordare tornò finalmente a galla. Con esso, un bel dolore cocente. Mi morsi il labbro per non gemere. Si, ricordavo di essere in mano ad umani che tutto volevano tranne il mio benessere. Però faceva male. Mi ricordò quel breve attimo di coscienza, dopo essere stata colpita da quella trappola che mi aveva lasciato metà corpo sfigurato, quell’unico momento di cui serberò per sempre il ricordo raccapricciante. Partiva, quella volta, da un punto piccolo e determinato, un minuscolo uncino di ferro conficcato nel mio corpo. Ebbi un lampo. Io. Avevo un’identità. Lsyn, ero Lsyn. Una madre che era andata istintivamente incontro a sua figlia in difficoltà, e che si era immersa in un bel pasticcio. Il mio ranocchio, piccola Roxen che aveva paura come qualsiasi altra creatura vivente. Roxen era stata colpita. Era stata colpita e in quel momento doveva stare male. Mi rimproverai aspramente. Non avrei dovuto reagire in quel modo. Avevo mandato all’aria i miei propositi di proteggere anche Nilyan. Beh, non avevo potuto salvare capra e cavoli. In breve avevo perso capra e cavoli, ma non ci volevo pensare. Avevo combinato un bel guaio. Sperai che nessun altro si fosse fatto male. Riuscii, finalmente, a riaprire gli occhi. Si, ero nel sotterraneo. Quel giovane che sicuramente mi aveva colpito mi stava trascinando, e borbottava insieme ad un altro compagno. Cercai di girarmi, ma il dolore mi dissuase dal muovermi ancora. Se provavo a muovermi il fiato mi mancava troppo, e quel punto che mi faceva male pulsava. Però non sentivo nessuno dietro di me. Né passi, né sussurri. Mi sentii una freccia nel cuore quando pensai che anch’io dovevo essermi allontanata dal gruppo. Maledetto Isnark: avrei voluto vederlo in quella schifosa situazione. Sperai che tutto si risolvesse per il meglio. Non mi piaceva pensare di dover stare lontana da tutti per un lasso indeterminato di tempo. Eravamo ambasciatori, accidenti! Alla faccia dell’accoglienza perfetta! Dovevo uscire di lì subito! Ero Ch’argon, ero l’anima del Matriarcato, un’anima il sui sovrano non consultava per decisione di vita o di morte! La prospettiva di marcire in una prigione stantia era poco entusiasmante. Sperai che quella testa cornuta si muovesse in tempo. E, si, sperai anche che quel dolore svanisse presto. Era davvero insopportabile. Non mi pareva di essere ferita a morte, il punto che mi faceva più male era troppo piccolo. E poi non avevo mai provato una sensazione simile. Non era né veleno né un coltello, né qualcosa di incandescente, o qualche arma da me conosciuta. Semplicemente era qualcosa che mi colpiva troppo a fondo. Strana sensazione. Provavo il bisogno incredibile di tastarmi per assicurarmi che non stesse uscendo sangue. Se si, allora ero in un bel guaio. Non riuscivo ad allontanare del tutto la paura per un’infezione. Lo spettro che aveva colto Tijorn, che me l’aveva portato via proprio quando tutto sembrava essersi messo a posto, incombeva sempre su di me. Quando vedo un po’ di sangue ed un graffio comincio ad andare più in ansia del dovuto. L’avevo fatto anche quando i bambini erano piccoli, e, maldestramente, si ferivano fin troppo spesso. Spesso quello che mi serviva per svegliarmi dal terrore era un bel colpo forte  una scrollata. Ma ero rimasta ferita troppo a fondo per ignorare. Sperai quindi che la mia pelle non fosse stata scalfita. Se quella morte si era portata Tijorn in un Lazzaretto, io, che ero in una prigione, che avrei dovuto fare? E Roxen? Sicuramente anche lei era stata colpita da qualcosa simile a quello che mi aveva fatto del male. Cercai di tastarmi il fianco, ma avevo le mani legate. Qualcuno mi mantenne stretta, più stretta ancora.  Richiusi gli occhi. Dei, faceva male e non dava tregua. Ancora, quella sensazione di gelo immenso. Era fastidioso. Cercai di camminare con le mie gambe. Le sentivo strusciare, le vedevo strusciare a terra senza alcun riguardo. Almeno portarmi in braccio no? Costava troppa fatica sollevare un’elfa smilza e bassa, per un ragazzone come quello? Che rispetto per la mia figura. Mi sarei fatta male, andando avanti in quel modo. Niente. Non riuscii a muovermi. Quello che mi invase fu invece una stanchezza tremenda. Provai a muovere il piede. Niente. Ecco, ora avevo il diritto di sentirmi un po’ più preoccupata. Che diavolo mi avevano fatto? Paralizzata? Avrebbe avuto conseguenze permanenti? Provai a muovere il braccio. Perfetto, quello, benché bloccato dall’uomo, era ben funzionante.  Cercai di trovare una spiegazione logica a tutto quello, ma mi costava fatica ed i pensieri scorrevano troppo lenti. Magari era solo temporaneo, in modo da non farmi scappare. L’importante era che lì non provavo dolore. Solo al fianco dove mi avevano colpito, e basta. Poi avevo solo freddo, ed una strana oppressione al petto, che m’impediva di respirare come volevo. Il resto delle sensazioni, quello scivolamento continuo, come se il mondo corresse ed io rimanessi ferma, quell’allontanarsi di cose che non vedevo e capivo, era imputabile alla stanchezza, poco ma sicuro. Però, mi sentivo triste. I miei cari. Nilyan, Roxen. Anche Zipherias e Capouille. Tutti saremmo stati lontani l’uno dall’altro. Temetti per mia nipote. Almeno, potevo stare con lei. Se lei avesse avuto una crisi lì, non so chi l’avrebbe salvata. Magari, vedendo quella creatura irraggiungibile e pericolosa che diveniva, immersa in una sorta di sonno simile a quello di un sonnambulo, quella creatura mossa dai fili invisibili della magia e basta, senza alcuna volontà, gli umani l’avrebbero ammazzata, o ferita come avevano fatto con me. Sperai dunque che tutto tornasse come prima. Che almeno ci cacciassero. Però, dovevamo stare insieme. Insieme ce l’avremmo fatta, tutti. Da sola io mi sentivo…sola. Meschina. Era difficile convivere, per me, con quella che ero, e con tutti i miei errori. Difficile mettere d’accordo le tante me. La compagnia me le faceva dimenticare, mi rendeva un’altra. Io non volevo tornare la vecchia Lsyn, quell’elfa che aveva tentato di suicidarsi. Non volevo che ciò che rimaneva di Ombra, quegli scampoli dell’antica Spia che ero stata, tornasse a galla. Non volevo che l’antico dolore che mi mangiava il cuore rialzasse di nuovo la testa, ed annusasse l’aria, per tornare padrone di me. L’avevo messo a tacere, mai uccidendolo definitivamente, per quasi duecento anni. Non volevo che la resa dei conti arrivasse proprio in quel momento. In caso contrario, io sarei stata distrutta. Di zia Lalla non sarebbe rimasto altro che il nome. Dovevo combattere. Combattere, e sperare che quella situazione si risolvesse presto. Ma mi sentivo troppo stanca. Volevo solo riposare un po’.

Finalmente, arrivammo in quella che doveva essere la mia cella. Avevo perso del tutto l’orientamento. Dove ci trovavamo? Era un corridoio uguale a tutti gli altri. Potevo essere benissimo tornata indietro. Potevo essere vicino all’entrata, chi lo sa. La guardia che accompagnava il ragazzo che mi portava aprì la porta. Non mi curai di vedere. Di malagrazia, l’umano mi buttò dentro un locale buio ed angusto, umido come niente di visto in vita mia, spoglio, a parte un pagliericcio, per niente pulito. Senza importarsi, o forse senza rendersi conto, che io non mi tenevo in piedi, che le mie gambe non rispondevano più, mi lasciò andare, spingendomi dentro, dopo avermi slegato le mani. Caddi a terra, sulla pietra gelida, mentre l’uscio si chiudeva dietro di me, bruscamente, lasciandomi in una penombra infelice. Rumore di chiavistelli. Non c’era luce, a parte quella che filtrava dallo spioncino rettangolare della porta. Nemmeno una finestra: era opprimente. L’aria sapeva di muffa. Mi lasciai sfuggire un gemito quando rovinai a terra. Dolore. Accidenti. Il pavimento era quasi bagnato. Mi sarei presa un malanno se fossi rimasta lì. Cercai di rimettermi in piedi. Nulla. Il corpo a stento mi rispondeva, dalla ferita in giù era come se non lo avessi. Mi sentii afferrare dal panico. Il respiro mi si mozzò. Era troppo! Ma che diavolo mi avevano fatto? Freddo. Avevo molto freddo. La testa prese a girare e pulsare. In quel momento, dimenticai tutto, tranne quel lurido lettuccio che mi si stagliava davanti, nemmeno troppo lontano. Potevo raggiungerlo. Di norma non mi sarei nemmeno avvicinata a quel mucchio di stracci sporchi, ma sinceramente, molto meglio quello che la pietra fredda. Io già non mi sentivo parecchio bene! Avrei aspettato lì che i postumi di quel colpo svanissero. Mi sarei riposata un po’. Poi avrei trovato una soluzione a quel problema. Chissà, la guardia magari mi avrebbe dato retta. Presi a muovermi nell’unico modo che mi era possibile in quel momento. Strisciando. Strisciando, muovendomi con la sola forza delle braccia. Ben poco dignitoso per una Ch’argon! Eppure, potevo fare solo quello. Era una tortura, ma dovevo ignorarlo. Ben presto, anzi, subito, mi ritrovai con il fiato corto. Non avevo fatto altri che due piccoli movimenti, eppure mi sembrava di aver corso per ore. Le orecchie presero a fischiarmi, e quella che doveva essere una ferita a bruciare terribilmente. Cercai di ignorare quella sensazione. Non riuscivo a respirare. Boccheggiavo come un pesce fuor d’acqua. Diamine, mi avevano colpito per bene. Sperai solo fosse solo un attimo. Non vedevo l’ora di recuperare la funzionalità degli arti, e la forza che sentivo scemare ad ogni minuto. Raggiunsi l’obiettivo quando ormai ero al limite. Mi rannicchiai, respirando a fatica, con un senso di nausea e calore che erano tutto fuorché piacevoli. La testa martellava, e così anche il fianco. Le orecchie ronzavano come vespe arrabbiate, e non c’era abbastanza aria per respirare. Tutto mi opprimeva. Chissà, rimasi così per un bel po’ di tempo, con una gran voglia di schizzare via, bere un bel bicchiere d’acqua o semplicemente addormentarmi, troppo smaniosa per fare di tutto. Dopo un po’, alla sete si sostituì un bruciore alla gola persistente e fastidioso, l’oppressione ritornò sopportabile ed il respiro di calmò. Avevo caldo, e freddo allo stesso tempo. Mi guardai, ora più lucida, per un attimo attorno. Mamma mia, che cuccia. Mi trovavo una stanza che anch’io, piccola com’ero, trovavo soffocante. Un uomo o un elfo abbastanza alto ci sarebbero entrati a stento. Immaginai Zipherias stipato lì dentro e sorrisi. Poi cancellai immediatamente il sorriso dalle mie labbra secche. Zipherias era lì. Lui avrebbe provato un dolore terrificante, e lo sapevo. L’umidità non gli faceva bene, e, probabilmente, una posizione in cui sarebbe stato costretto per la piccolezza della cella gli avrebbe fatto passare i peggiori tormenti. Povero amico mio. La gamba l’avrebbe fatto impazzire di sicuro. Sospirai di nuovo, poi cercai di muovermi, io che potevo. Niente. Le gambe non davano segno di migliorare. E che mal di gola! Ma era il fianco quello che faceva più male. Era una tortura in piena regola mi sovvenne del mio timore. Con una mano, andai a tastare il punto che mi faceva male. Lo trovai per niente sensibile, ma non c’era traccia alcuna di una ferita. Lo sfiorai, e mi sembrò di trovarlo asciutto, senza sangue. Sorrisi un po’. Magari quel colpo mi aveva solo stordito e basta. Ben presto sarei tornata normale. Alzai la mano per sincerarmi delle mie supposizioni. Sfregai il pollice sulle due dita che lo seguivano, ma non mi sembravano umide. Ottimo. Solo che c’era qualcosa di strano. Percepivo in maniera molto bizzarra le mie mani. Ruvide. Mi sembravano calde, ma se le toccavo percepivo freddo. Erano anch’esse ben poco sensibili, come se si fossero gonfiate. Tra l’altro, stavano cominciando a formicolare. Le alzai in controluce. Che strano fenomeno. La pietra le aveva forse irritate? Sobbalzai, e mi lasciai sfuggire un singhiozzo ,quando vidi cosa stava succedendo. Le punte delle dita avevano un colore strano. Erano livide, come se fossi in montagna, come se avessi freddo, come se lì non ci fosse più sangue. Oh dei, cosa diamine stava succedendo? Tentai di mettermi seduta. La paura mi afferrò, violenta e crudele. Sentii girare follemente la testa. Capii che non sarei riuscita a muovermi da lì. Dei, dei, dei. Che cosa stava succedendo alle mie mani? Cominciai a provare di nuovo sonno. Sonno…forse quello mi avrebbe fatto bene. Scivolai, me misera, nell’ombra.

Doveva essere notte quando riuscii a svegliarmi. La gola mi doleva, riarsa, bollente. Mi sentivo tutta intorpidita. Il gelo era salito, inondandomi ventre e braccia. Ormai non sentivo più nemmeno quel punto che prima mi faceva male, affogato com’era in un indolenzimento generale. Era come se mi fossi rotolata per ore nella neve. La nausea era peggiorata, il senso di oppressione diventato una lama nel petto. Tentai di muovermi. Nulla rispose ai miei comandi. Per tutti gli dei, che stava succedendo? Solo la testa mi obbediva. Mi guardai attorno, frenetica. Che mi avevano fatto? Perché mi sentivo così? Cosa mi stava provocando quel colpo ricevuto? Quale arma diabolica era? Ero stata avvelenata? Oh no, non quello. Provai a gridare aiuto ma non penso che lo feci. Nessun suono uscì dalla mia gola. Avevo dimenticato come si faceva.

Ecco, quella sensazione di fuga stava aumentando. Cosa, cosa fuggiva? Ero sempre più lontana, lontana da un nucleo a cui dovevo essere strettamente avvinta. Ma cosa dicevo, cosa pensavo? Mi sembrò di essere in balia delle onde. Tutto mi girava intorno, ed era anche piuttosto buffo. La testa era leggera leggera. Vuota come un guscio di noce senza noce dentro.

Faceva un caldo terrificante. Poi ancora freddo, e caldo ancora. Di nuovo, ero sprofondata in un’apatica situazione di limbo. Cosciente, non cosciente. Cosciente, incosciente. Di nuovo, non capivo se avevo gli occhi chiusi o aperti. Quello che però sapevo, era che stavo male. Il respiro era sempre più difficile. Mi era difficile respirare. Maledissi silenziosamente quello che mi avevano fatto, qualunque cosa fosse. Avevano danneggiato qualcosa in me così a fondo da farmi sentire così. ogni giorno, speravo che scemasse, che tutto migliorasse. Ma poi, dimenticai anche di chiedermi quello. Dimenticai tutto quando iniziò di nuovo il dolore.

Era un dolore diverso. Una lama che mi correva lungo tutta la schiena, che mi scuoteva con brividi tremendi. Presi a trovare insopportabile il pagliericcio in cui avevo trovato rifugio. In un breve attimo di lucidità mi ritrovai sul pavimento, senza sapere come ci ero arrivata. Cercai di muovermi, ma non ci riuscivo. Vidi una brocca d’acqua. Acqua. Mi parve di raggiungerla, ma poi la vidi capovolgersi. Sentii l’acqua fredda lambirmi il viso. Era piacevole. Mi umettai le labbra. Non seppi se l’avevo fatto o meno. Stavo completamente perdendo ogni contatto con la realtà del mondo.

Sprofondai in un abisso grigio e nero. Nuvole chiare mi ostruivano la vista, se provavo a guardare. La mente divagava. Non ricordo esattamente nulla di quel periodo. Solo la sensazione che il mondo si stesse lentamente capovolgendo, che tutto vivesse oltre di me, che io non facessi più davvero parte di quel mondo. I miei compagni, i miei cari, si ridussero ad ombre nella mia mente. Non riuscivo a pensare più a loro. a volte il dolore tornava, ogni volta peggio. Sembrava recidere qualcosa in me, con fitte che mi avrebbero fatta urlare. Maledetti umani. Solo loro erano capaci di escogitare quelle torture.

Ad un certo punto, imprecisato, qualcosa cambiò. Sentii qualcuno, qualcosa, toccarmi, una strana sensazione. Qualcuno mi scuoteva, però non sentivo le sue mani che mi stringevano. Ah. Era solo un sogno? Miei dei, magari stavo urlando come un’ossessa. Cercai di aprire gli occhi, ma non vi riuscivo. Sentii una voce lontana, parlare in una lingua svelta ed un po’ roca, e poi, probabilmente, rivolgersi a me, in tono brusco. “tu, forza, sveglia…”. Mi sembrava che mi stesse dicendo quello, ma non capivo. Provai a rispondergli. Ero sveglia, lo sentivo, quasi lo capivo anche. Volevo solo essere libera. Riposare, un bel letto. Un bicchiere d’acqua. Magari lui sarebbe riuscito in quel miracolo. Io volevo solo quello. Pausa. Di nuovo uno scossone. “sveglia, su!”. Nuova pausa. Poi la voce, meno sicura, si fece sentire. “ehi, elfa…”. Chiamava me? Ero un’elfa? Oh, non lo ricordavo più. Era spiacevole quel suono. Mi feriva. “apri gli occhi….niente scherzi…”. Poi di nuovo quella lingua. Qualcosa premette sulle mie labbra. Qualcosa di freddo, di profumato, un odore pungente. Mandai giù senza nemmeno accorgermene. Acqua. Acqua? Qualcosa di bollente mi invase la gola, lo stomaco, il petto. Qualcosa di bollente. Mi bruciavano! Dannazione, quale altra tortura si erano inventati per me? Mi venne da tossire. Cercai di sputare tutto. Riuscii, però, ad aprire gli occhi, senza accorgermene nemmeno. Qualcuno sibilò. Lame di luce mi ferirono la vista. Richiusi subito gli occhi, e boccheggiai. Il dolore alla gola era peggiorato. Sentii un vago uggiolio roco. Di nuovo quella voce. Sembrava stesse bestemmiando. Dal tono mi pareva così. Qualcuno mi prese la mano. Cercai di sfuggire al tocco, non ricordavo perché. Altri sussurri sconosciuti. Poi mi sembrò di essere sollevata. Mi mancò il terreno da sotto la schiena. Quest’ultima protestò con una nuova lama di dolore. Cercai di urlare, ma non vi riuscivo. Nascosi in una parte buia e morbida il viso. La luce mi faceva troppo male. Di nuovo freddo. Avevo molto freddo. Sentivo voci, suoni. Movimenti, calore. Qualcosa scivolò nuovamente via.

Passai un momento interminabile in quel limbo. Poi, qualcosa mi parve che fosse cambiato. Sentivo la luce non più come un fastidio. Ero poggiata su qualcosa di molto morbido. La schiena non mi faceva più malissimo come prima. Di nuovo, qualcosa si posò sulle mie labbra. Non sentii l’odore di prima, e ritenni opportuno bere. Quella volta sembrava qualcosa di meglio. Era fresco, e placò un po’ quel dolore assurdo. Mi fece bene. Dopo un po’, tutto sembrò girare meno, l’intorpidimento diminuì. Lsyn. Eccomi, di nuovo mi ricordavo. Ero Lsyn Amarto. Prigioniera di Fiya. Che ironia. Cercai di aprire gli occhi. Avevo la vista offuscata. Di fronte a me, però, una donna dall’aria amara, che mi occupava del tutto la vista. Non stavo così male da non poter riconoscere Lilliagrin. Sospirai, e mi feci male per farlo. Forse, forse, la tanto agognata libertà stava arrivando. Cercai di rimanere cosciente mentre guardavo la regina di Fiya. “penso che ti piacerebbe salvarti la vita, la tua e quella dei tuoi amichetti, vero?”. Disse la donna, ben poco dolcemente, sorridendo con un’aria che le sarebbe valsa il mio odio perenne se solo fossi stata bene. Ma io la capii a stento. Dovevo rimanere vigile e cosciente. Non ero in condizioni di fare di più. Mi limitai ad annuire. Bello, salvarmi la vita. Non era una cattiva cosa. Lei sorrise ancora di più, soddisfatta. Poi, nel mio campo visivo offuscato sventolò un pezzo di carta, sul quale campeggiavano tanti segni di uno strano azzurrino. “però, sarei lieta se tu mi donassi qualche risposta in cambio. Che ne sapete, voi?”.

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Capitolo 30
*** Tentativi di fuga. ***


Sigh

Salve a tutti!

Ehi, oltre a complimentarmi con voi tutti, perché si, abbiamo raggiunto il record minimo di tre letture in una settimana del capitolo, e se qui non fosse per…beh, mi sa solo uno o due (io ci spero!!) fedelissimi, nessuno lo leggerebbe, e proprio questo non mi fa venire voglia di scrivere, e questa prendetela non so se come una minaccia o una liberazione.

Bah.

Passo intanto ai ringraziamenti veloci, solo perché sono in vena di ringraziare.

Primo, Carlos Olivera, perché, anche solo per sorbirsi questa storia che a quanto pare nessuno sorbisce, si merita una palma d’oro.

Poi Selly…che spero stia seguendo.

E boh.

Ah, ho scritto questo piccolo avviso per avvertirvi di una cosa.

Si certo, avvertire chi?

Insomma, o voi ammiratori della grammatica perfetta, essendo questo un immaginario discorso che Machin fa a se stesso non stupitevi di niente.

A presto!

Akita

 

 

 

 

Sigh. Che cretino. Io, Machin, infinocchiato in questa maniera! Io, il divino figlio di un eroe, ho fatto la figura del pollo. Cretino cretino cretino cretino. Spero che Nilyan questo non lo sappia mai, ma quale Nilyan, qui mi sa che non la vedrò più. Niente più Nilyan né zia Lalla, e niente nonno e Dae, e i suoi tortini, e Roxen che si lamenta, e Chekaril che sbuffa, e Capouille che balbetta, e Zipherias che rompe le scatole…no, ferma, non puoi pensare a loro. Lo diceva la zia. È vero, non dovevamo andare. Però, che colpa c’ho, io? Che ho fatto? Accettare, da buon Guaritore, un po’ di tè. Chekaril pensa che io sono idiota, ma io non lo sono, insomma, io ho solo accettato un po’ di tè, mi pare ovvio farlo, siamo Guaritori, non ci possono colpire. Ma chi sono questi pazzi, poi? Quella tipa mi fa paura. Per fortuna se ne sta andando. Ha uno sguardo come se non ci fosse davvero. Mi sembra un fantasma, anche se io non ne ho mai visto uno. Una volta Nilyan ha fatto uno scherzo al papà, a zio Isnark, e ha fatto finta di essere un fantasma, però mi ricordo che mica faceva quello sguardo! Mica mi sembrava che facesse quella faccia da incubo e da signora del ghiaccio, eh. Cioè, davvero, c’ha un’espressione proprio strana. Fa invidia ad un cadavere, come quelli che stavano in battaglia, che schifo santissimo. Non mi fanno paura i morti, sono morti tanto, però accidenti, quella lì aveva una brutta facce, e magari è un coso resuscitato. Beh, poco ci manca. Ma a chi ci daranno in pasto? Chi ci papperà? Ci papperanno, oppure ci combineranno qualche altro tiro mancino? Perché ci hanno presi? Non capisco, ho paura e non voglio capire. Va bene, io, Machin Tijorn, ho paura. Ammesso, lo confesso, va bene? Muoio dalla paura. Ho un bel groppo in gola, mi sento proprio una voglia di piangere tremenda. Io non ho fatto niente! Perché mi devono fare del male? E poi non è utile, certo che no. Se ci vogliono vendere da noi non ricavano niente, almeno questo un po’ mi rassicura. Devono essere proprio caproni per credere di riuscire a piazzare due Guaritori! Cioè, anche nel mio aspetto camuffato sono appena adulto, ma lo vedono? Non sono un elfo responsabile né lo voglio essere d’altronde, e non sono un bambino. Non sono certo un bambino, uno di quelli che fanno tanto gola ai mercanti di schiavi, perché rimangono per un tempo molto lungo piccini e fanno tanta tenerezza, e non sono neppure valido dal punto di vista lavorativo! Sono Guaritor…ehi, un momento. Io non sono Guaritore! Chekaril è Guaritore, io non lo sono mica. Io sono in realtà una Guardia, e secondo me chi è un po’ esperto secondo me se ne accorge subito subito. Non sono certo abituato a maneggiare salvia e timo, che tra l’altro servono pure per cucinare, oh, ho anche fame ma non ho voglia di mangiare quel pane chissà che c’è dentro mi sa altro sonnifero ed io ho già combinato abbastanza guai con quella tazza maledetta. E insomma, sono un soldato. Allora, io combatto. Combatto, chiaro? Se mi guardo ho anche i calli sulle mani. E poi, su, diciamocelo chiaro, non ho il fisico moscio di Chekaril. E allora si, io potrei valere qualcosa. Ma io mica c’ho voglia di fare la guardia a qualche riccone con le orecchie tonde, l’unico a cui voglio fare la guardia è mia cugina, che se la toccano guai a loro. Magari poi racconto la storia di aver lasciato. Ma chi se la berrebbe, cioè, io ho la faccia da Guaritore? Su, non scherziamo, io non ho quell’espressione professionale e controllata. E poi, quando il camuffamento andrà via? Che fare se siamo schiavi? E se poi ci separano? A questo non ci voglio pensare, ritrovare mio cugino sarebbe poi impossibile. Ed io non lo voglio mettere nei guai. Io gli voglio bene. Che situazione….mi prenderei la testa tra le mani se non fosse il momento. E che rabbia, tra l’altro. Tanto io lo so che diventeremo schiavi di qualcuno, spero almeno un elfo perché se no sarebbe proprio troppo, il colmo. Ma io non ho voglia di servire, ma io non servo certo nessuno, io servo Uruk perché io sono un uruki e basta, se non di nascita io mi sento così, anche se io mica sono di sangue uruki. Perché poi c’è Nilyan, zia Lalla, zio Isnark… e perché poi il Regno mi ha rubato i miei genitori, ed io perciò non sono uruki, perché loro non lo erano, anche loro come la zia venivano da Galinne, e la stirpe è quella. Ma io sono uruki. E perciò non voglio servire nessuno di loro, nessun altro elfo. Ma i conti non tornano, però. Cioè, non penso che i mercanti pigliano i Guaritori. Vorrei uccidere qualcuno, così, solo per sfizio mio, personale. A proposito di uccidere…oh, Machin, prevedo guai. Mamma mia, che faccia ha Chekaril. Non l’ho mai visto digrignare i denti come ora. Farebbe invidia a un lupo. Bum, non ha certo delicatezza questa signorina, ha sbattuto la porta no accidenti non te ne andare che qui ho l’impressione che un certo Guaritore mi voglia morto. Non voglio prendermi a pugni con lui, non è ora. O forse si? Però è interessante. Almeno così mi diverto un po’. Qui non c’è nulla da fare, così smetto di pensare alla faccia di zia Lalla, che mi ucciderebbe se mi sapesse in questa situazione. Di sicuro lei non è mica prigioniera! Cioè, lei ce l’ha il senno, non come me. Sicuro come la morte che ora come ora  se ne sta bella con Nilyan e quei tre rompiscatole bella in qualche sala a godersi un bel pranzo da re, come la invidio. O una bella cena? Chissà, chissà che ore sono lì. Oh per tutti gli dei, non posso guardare Chekaril. prevedo una bella rissa. Non voglio….oh, non ne vedo l’ora. Ho bisogno anch’io di prendermela con qualcuno, altrimenti scoppio. Che faccia. Eh. Fa invidia alla tipa fantasma del ghiaccio, lui! Livido livido, guarda un po’. Ma tanto lo sa che è più debole. Lo sa che è una schiappa. Pure con le gambe legate lo ridurrò in bricioline, oh si! Stupido Guaritore. Mica fa il lottatore di professione, proprio no. E’ solo un Guaritore col fisico moscio. E poi è inutile che se ne lamenta. Il migliore qui dentro sono io anche se ho accettato del tè sconosciuto. Voglio andare a casa. Voglio casa. Povero cugino mio, non lo devo odiare. Sarei arrabbiato tanto anch’io se avessi lasciato il mio amore, senza poi poterlo rivedere. Mi sa che è a Miobashin che Chekaril sta pensando. A volte quel tipo c’ha una fissazione per lei davvero assurda. Io non lo capisco. Non è diverso dal rimpiangere zia Lalla, Dae o Nilyan. Mio cugino certo non a loro pensa sempre! Detesto queste melensaggini. Non hanno senso alcuno. Per staccarlo da Miobashin quando ce ne siamo andati ce n’è voluta. Spero di non diventare anch’io così. Da un certo punto di vista è meglio che sia andata a finire così piuttosto che colà. Oh, però. Non voglio pensare di non poter rivedere qualcuno, nessuno, insomma, sono prigioniero, mi fa stare troppo male. Non vorrei pensare e basta, sarebbe così bello. Sto male se penso al grande guaio in cui ci siamo cacciati. Non voglio diventare schiavo. E se pi mi libero, chi lo va a cercare Chekaril? Chi sa dov’è? Miobashin mi ammazzerebbe se tornassi solo… “idiota!”. Mamma mia che voce. Però mi fa bene che ora si decide a parlare, interrompe i miei pensieri. Che raucedine. Ma come mi arrabbia. Mi irrita. Io, idiota? Che, secondo lui non lo so? Mi vuole far sentire ancora più male. Quanto è vero che questa è la volta che lo stendo. Lo faccio nero, tanto non abbiamo certo niente da perdere. Siamo prigionieri, scappare nemmeno a provarci, che bello. Perfetto, ora voglio solo provocarlo un po’. Tanto poi comincerà lui. No. non voglio ricordarmi che zia Lalla ogni volta che ci accapigliavamo da piccini, e anche da grandi ci picchiava lei e poi ci costringeva a lavare i panni insieme o a studiare tanto. Non voglio ricordare. Non rivedrò più zia Lalla. Vorrei piangere, ma non posso. Chekaril mi prenderebbe per matto. Non ho mai pianto davanti a lui né mai lo farò. Non sono una femminuccia. Papà non avrebbe mai fatto così, non sarebbe mai cascato in una trappola così stupidina, e nemmeno il padre di Chekaril. Siamo due stupidi.  Troppo piccini. Ed io che mi sono lanciato in questa missione a peso morto! Beh, pazienza, deve finire tutto in bene. Sicuro, succederà così. Forse se ci prendiamo a botte è meglio. Magari rinsaviamo un po’. Io lo so che mio cugino sta male. Si sta torcendo le mani. Chissà che pensa. Cose belle no sicuramente. Mi vergogno tanto di chiamarmi Machin Tijorn. Non mi sento parecchio degno di questo nome, ora. Ma su Machin, pensa in bene. Tu sei sempre stato il migliore, perché non dovresti uscire anche ora da questo pasticcio? Morto o storto ne uscirò, io sono il migliore in tutto! Spero solo che Chekaril non ci vada in mezzo come la sorella, ma non penso. Farò di tutto per non staccarmi da mio cugino. Non per altro, ma Miobashin picchia piuttosto duro. Ora però io sono quello a picchiar duro. E prevedo proprio una bella rissa con i fiocchi. Che bello. Farei crocchiare le dita. Però poi lui capisce che ho capito. Non lo faccio. Mi devo trattenere. “davvero?”. Ah, un tono strafottente è quello ce ci vuole. Io lo so che lo sto usando, eh. Lo so che prima o poi mi salta addosso, quello lì. Oh, ha provato. Ci ha provato! Mamma mia, ogni giorno che passa diventa più debole. Però ha una faccia. È pallido come un cadavere.  Quello è di solito un così calmo Guaritore, così spiritoso e gentil, perché ha ricevuto il modesto insegnamento del suo cugino minore! Mi fa paura quando è così. So che se solo fosse un po’ più forte mi stenderebbe come un matterello fa con la pasta. Io non sono mica un omaccione tipo Benagi. Io sono piccolino, sono più mingherlino di lui, però sono più alto quasi. Però lui ha attaccato. Sono sicuro che mi voleva fare del male. Quando fa così non ci va per il sottile. Perché poi Chekaril è un lago falso ghiacciato. Sembra buono e pacioso però sotto sotto ha degli artigli che fanno invidia alla sorella. Quindi piano, Machin, già sono legato e non possiamo soffrire troppo. Poi magari, ehi, possiamo fuggire. Un po’ ha colpito bene, però è legato come me. Perciò mi sa che lo slancio non l’ha avuto per fortuna. Se no, altro che buffetto. “che fai, mi colpisci?”. Si, se lo provoco un altro po’ mi attacca. Bene, ho voglia di un po’ di guerra. Lo strozzo, io, a quello. Però poi non ci è di aiuto. Lo metto solo al suo posto, perché io qui comando io,  e poi pensiamo ad una strategia per squagliarcela quando a casa da piccoli abbiamo giocato all’evasione Chekaril era sempre il più bravo a fuggire. Mi metteva sempre nel sacco. Chissà perché io facevo sempre la guardia e nessuno mi voleva nel loro gruppo. Chi lo sa. “vedi, non sai nemmeno come farmi un graf…ehi!”. Accidenti, non capisco più niente. Dov’è l’alto e dove il basso? Sono stato aggredito a sorpresa, non vale! Ahia, così fa male. Maledetto, ora lo faccio vedere io, vediamo un po’ chi comanda brutto maledetto ah, ora non ti piace più attaccarmi, ora vediamo, ti piglio i capelli così smetti di fare storia, no guarda continua, ahi, non mi copiare maledetto per fortuna per te che ho i piedi legati sennò ti facevo vedere le stelle, ahi, qui mi sa che mi sta uscendo il sangue, che schifo, sangue in bocca, ecco, ho restituito il colpo con gli interessi, così poi vediamo. Ah ecco, cosa, si è stancato? Di già? Eh io lo so, sono il padrone del mondo. Lo tengo per i capelli così si sta fermo. Ah, finalmente. Mi guarda male, però. Accidenti, mi fa male la faccia. Però io a lui l’ho combinato per bene. Ha un bell’occhio nero ed il labbro butta sangue che è una meraviglia. Lui mi ha solo dato un bel pugno, il resto sono sciocchezze. Però ora ci voleva. Sono pronto ad affrontare il mondo…anche se penso che Chekaril non mi parlerà per un bel po’. Peccato. Beh, sicuramente mi vorrà aiutare per scappare. Due teste sono meglio di una. “bene, ora possiamo parlare sul serio?”. Che strano, io parlare sul serio. Però dopo una piccola rissa non fa male. Mi sarebbe piaciuto scambiare un paio di colpi in più, ma non posso farci niente se lui è debole. L’ho già messo a terra. Ora si deve solo stare zitto ed obbedire. Però accidenti, gli ho fatto un bel po’ male. Un po’ do colpa la sento, però solo adesso. Spero che non si è arrabbiato troppo. Dovrebbe sentirsi umiliato, lui. Battuto dal cuginetto più piccino. Battuto ma proprio battuto. Prova pure a divincolarti, ma non ce la fai. Ah, sono stanco di questo sguardo cattivo. Lo sai che io sono il più forte. Qui comando io! Ah. Però quando lui mi guarda male non posso fare a meno di sentirmi in colpa. Bisogna rimediare a questa situazione, subito. Noi siamo elfi, contro umani ,e siamo perfettamente capaci di svignarcela senza dare troppo nell’occhio. Non voglio sapere che ci aspetta dopo. Magari se gli facessi la proposta oscena di tornarcene ad Uruk? Tanto Isnark non ci dirà nulla, lo sa che era pericoloso. Poi magari manda qualcun altro, ma io lo so che Chekaril è preoccupato da morire per Miobashin. Io lo sono per la mia pelle. Tanto lo so che zia Lalla è al sicuro. “che ne dici di trovare un modo per darcela a gambe?”. Bene, ora lo continuo a mantenere ma pochino pochino.  Mi sono già spostato. Lui mi guarda ancora male. Io sono sicuro che quella mente geniale un metodo ha già trovato. Anche due secondo me. Come lo adoro quando stringe gli occhi. “non so se odiarti o no”. Sibila. Però è tranquillo, almeno. Posso togliergli le mani di dosso. Ecco, io mi risistemo. Assassino. Mi ha tagliato l’interno della guancia. Alla faccia del Guaritore. Ora vedo come se le guarisce quelle ferite, ha. Mi sa che gli usciranno un bel po’ di lividi. Sono contento. Ora sono più tranquillo. Accidenti però quanto sanguina. Le labbra sono un bel po’ complicate da ferire, però poi è gratificante. Accidenti, che impazienza. Non vedo l’ora di scoprire che ha pensato. Lui è sempre un genio. Sono sicuro che da qui ce ne usciamo. “allora?”. Come è bello quando lo vedo alzare gli occhi al cielo. Vuol dire che non ha fretta, quindi un’idea ce l’ha. Che bello. “non vuoi tornare da Miobashin?”. Ahahah. Ha fatto di nuovo una faccia buffa, guardalo un po’. Che mimica straordinaria, davvero. Però mi stupisce. Non vuole tornare da Miobashin? Poi mi sembra che qui non è sicuro. Se dobbiamo stare in guerra meglio accanto a chi ci vuole bene che da soli. Guarda un po’ come si tampona in fretta il sangue. Ora mi sa che gli è venuta una di quelle voglie di parlare!

Siamo in viaggio da quattro giorni. Abbiamo un piano, ma abbiamo bisogno di tempo par attuarlo. Stasera. Mamma mia come sto comodo. Ci hanno messo sui nostri cavalli, legati. Siamo salami, davvero, è orribile stare giornate così. Mi dispiace dover lasciare Gatto in mezzo a questi bruti, però purtroppo non posso farne a meno. Anche perché stare legato così non mi piace. Non vedo l’ora che venga stasera. Potremo scappare. Abbiamo viaggiato tutto il tempo verso nord, mi sa, una direzione fissa, come se sanno dove andare. C’è Lunsch che porta me, avanti a cavallo, e Poldo che porta Chekaril, che ch’a proprio una brutta aria. Davanti c’è quella strana signora dagli occhi di fantasma. Per fortuna che sto normale. Il girono dopo la rissa davvero non potevamo parlare. Per fortuna che l’umana ci ha aiutati. Però questo modo di fare mi spaventa. Insomma, come se davvero dovessimo essere belli per essere venduti. La cosa non mi piace. Ora sto bene, ma mi sento molto inquieto. Mi sono guardato con Chekaril e lui sta come me. Mi ha perdonato delle botte. Anche a lui ha fatto bene. Ora mi sento fiducioso. Il piano di Chekaril è perfetto, tanto quei due dormono come sassi. Non mi sembrano proprio adatti per essere due rapitori o mercanti di schiavi. La donna li comanda, sono proprio contadini ingenui. Sembrano aver scampato un gran pericolo. Mi preoccupa un po’ la donna, però se facciamo piano lei sicuro non si sveglia. Poi magari un bel colpo e tutto va a posto. Accidenti, che noia. Questi due non fanno altro che cantare, cantare, cantare. Sono proprio allegri. Appunto, hanno scampato qualche bel pericolo. Magari sono schiavi che per non essere fatti schiavi devono trovare schiavi. Forse così. Però non credo. Cioè, nessuno ragiona così. O forse sono solo un po’ scemi. Che noia, rompono le scatole con questa canzoncina. È la loro preferita senza dubbio. Ha quel ritmo noioso, a me non piace proprio. E poi loro sono stonati, e la loro lingua è troppo dura. Ha suoni tipo tutte acca, mi sembra che abbiano il catarro in gola. Io non la capisco. Vorrei chiedere a Chekaril che stanno dicendo ma è troppo lontano, lui sa parlare il dialetto degli umani. Ci hanno legati mani e piedi. Sarà dura scappare. Però Chekaril è stato intelligente. Quei cretini ci hanno dato nella prigione sotterranea dei bicchieri tipo vetro, poveri sciocchi. Ci hanno guardato, vero, però siamo riusciti a fregare un paio di schegge quando un bicchiere è caduto. Ho un bel taglio sulla mano, però… ecco, ci siamo riusciti. Ora è quasi sera. Io e lui siamo riusciti, ogni notte, e rompere un po’ le corde. Poi abbiamo fatto in modo da sembrare che sia tutto a posto. Loro non hanno sospettato di nulla. Sono troppo scemi. C’è solo la donna che ci guarda come se già sapesse, però non ci faccio caso. È solo una donna. Ergo, più debole di noi due messi insieme. Un bel paio di colpi e via. Tanto ci danno da mangiare e non ci drogano. È perfetto. Sono proprio novellini. Si sentono al sicuro. Come se noi fossimo stupidissimi  Guaritori! Ecco, ora scendiamo da cavallo. Ci mettono schiena e schiena, sento vicino Chekaril buono buono come sempre, lui mica ha parlato durante tutto questo tempo. È rimasto buono e pacioso. Come me. Pensano che ci siamo arresi, ha, ancora non lo sanno il bel giochetto che gli si prepara! Loro preparano il campo, e noi ci guardiamo. Lui fa un cenno. È oggi la sera. Finalmente! Non vedo l’ora di tornare a casa. Mi piacerebbe che ci fossero tutti, però, pazienza. Andrò un’altra volta a cercare quel ladro. Forse lui verrà da me, ma io, da lui mai! Mica ci voglio tornare in questo covo di matti, fossi matto io!

È notte e tutti dormono. Ci hanno dato da mangiare come sempre, una bella zuppa calda che fa bene perché comincia a fare più freddo e si, è brutto così, e poi si sono messi a canticchiare, Poldo e Lunsch. Come sono allegri, loro. parlano tra di loro come se quell’aria di funerale non fosse mai esistita. La donna non si unita a loro.  è sempre così, né allegra né triste, come se non conoscesse quei sentimenti. Si è stesa vicino a noi ed ha preso a dormire. Questo non mi piace. Lei è troppo vicina. Ora i due tipi sono vicini al fuoco ma dall’altro lato, sarà facile andare via. Ora noi abbiamo fatto finta di addormentarci. Loro dormono tutti. Chekaril salta su. “pronto?”. Io annuisco. È una fortuna che ho un cugino così abile per fortuna che da piccoli giocavamo a queste cose. Lui si liberava sempre e me la faceva da sotto il naso. Libero anche le gambe…ah, che bella sensazione. Ora io e lui siamo liberi. Io posso essere scemo scemo ma Chekaril no. Lui è fino proprio! Non erano corde troppo strette, almeno erano gentili, però facevano lo stesso male. Per fortuna che ogni tanto ci permettevano di camminare, perché se no a camminare non avremmo mai potuto, eh. In punta di piedi, Machin, ora alzati come ha fatto lui. Che gesto è quello? E che me ne frega della roba. Io voglio solo scappare. Ecco, almeno ha capito. Finalmente. Via, sciò, filare! La donna non se n’è accorta, vero? No, è immobile. Poldo e Lunsch manco a parlarne, ronfano e russano, beati loro, sono giorni che non dormo bene, io ho bisogno almeno di una pelliccia per dormire, sulla terra fa freddo e non mi vorrei mica beccarmi una polmonite e morire. Ah ah, addio Poldo e Lunsch e donna strana. Ci si rivede a mai più. Silenzio Machin, shh. Dopo esulti. Guarda Chekaril com’è furtivo, tu sembri un nano ubriaco e pieno di ferraglia addosso. Guarda la donna, no, non è sveglia, ora si è grattata l naso ma dorme ancora. Pazienza, abbiamo perso praticamente tutto. Pazienza, pazienza, pazienza. Cacceremo per mangiare. Mi dispiace, Gatto. Non so che fine farai, ma già mi manchi. Nilyan mi ammazzerà quando lo verrà a sapere che ti ho abbandonato. Mi fa male lasciarlo, mi viene voglia di accarezzarlo ma non posso. Ecco, è il momento, ecco il gesto. Un passo e poi un altro. Un altro e poi possiamo andare più veloci, tanto siamo elfi e chi ci raggiunge più? Un momento. Cos’è questo fruscio? Questo rumore? Ah! Oh, cos’è sul mio piede? Cos’è questa cosa gelata? Anche Chekaril si è fermato, oh! Cosa ci tocca le caviglie? Cos’è questo che non vedo? Abbasso lo sguardo, oh, qualcosa mi stringe, ma cos’è, non riesco a muovermi. E poi fa freddo. Non faceva così freddo un attimo fa. Brr. Quasi mi gela più il gelo che la…la cosa. Mi sto guardando attorno. La donna? Ma la donna è sveglia, per caso? E ci tiene per le caviglie? Come ha fatto a fare uno scatto del genere? Oh dei. Non posso crederci. Ecco, è solo una donna, e se mi  muovo…no, ahi. Ora fa male. Anche Chekaril tira. E la guarda con paura. Mamma che sguardo. Non la voglio guardare. È come se vedessi cose che non mi piacciono .ecco, lo dicevo io che non c’era da fidarsi. Accidenti, lei non ci può fare niente. Però sembra abbastanza forte per tenerci tutti e due. E poi è come se fossi incollato alla terra. Non capisco. Lei sta alzando una mano e muove il dito, allora cos’è che mi sta tenendo il piede? Perché lei sorride? Muove il dito avanti ed indietro, adesso mi sa che siamo proprio nei guai. Fallito. Non voglio morire, ora. Che brutto sorriso che ha. “no no”. e lo so che è no, non mi potrei muovere nemmeno volendo, ora ho freddo dappertutto. È terribile. Mi sa che la tipa usa la magia. Se no non si spiega. Dei, mi dispiace. Io non voglio diventare schiavo! No, Machin, non puoi piangere. Non davanti a loro. “che credete di fare? Di qui non si scappa!”. E me ne sono accorto. Sento Chekaril mormorare sottovoce qualcosa. Lo guardo e lui mi guarda con una faccia morta. Ora siamo proprio nei guai. Spero solo che non ci uccidano. Questo freddo basta.

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Capitolo 31
*** Io lo ammazzo! ***


Eh

Eh? Che ne so di cosa? Stavo troppo male. Poco capivo di quello che diceva quella tipina. La vedevo e non la vedevo. Spariva e non spariva, riappariva e scompariva. Qualunque cosa mi avessero fatto, l’avevano fatta proprio bene. Mi sentivo malissimo. Mi aveva investito un mostro. Non praticamente prostrata come prima, ma quella sensazione atroce di scivolamento non cessava di essere presente. Quei dolori orrendi. Quella sensazione di aver mangiato una pietra grossa quanto quelle del castello di Uruk. Salvare la vita a me? A me non importava tanto, ma ricordavo vagamente che Roxen era stata ferita. Figuriamoci, se io fossi morta non sarebbe importato davvero a nessuno, ciascuno dei miei parenti ed amici poteva fare a meno di me e non avevo un compagno né l’avrei mai avuto, ma mia figlia era intoccabile. In quel momento ricordavo di avere sentito un suo urlo, di avere visto qualcuno colpirla, ma non ricordavo benissimo. Sperai solo che fosse un sogno. In caso contrario, avrei fatto di tutto, a scatola chiusa. Tutto, pur di salvarle la vita. Tutto, pur di riprendere Nilyan e Roxen. Se fossi arrivata troppo tardi avrei ucciso Lilliagrin. Mia figlia non doveva sopportare quello strazio. No, proprio no. E stavo così  tutto, pur di far smettere quella tortura atroce. Le avrei detto pure che rubavo i biscotti dalla ripensa del castello. Mi bastava vedere salvi i miei cari e smettere di soffrire. Lilliagrin doveva saperlo, quello. Lei non era di certo una persona senza sentimenti, o lo speravo, almeno. “salva i miei amici…”. Ecco, solo quello era importante. Oh, avevo sonno. Ancora, dovevo dormire. Risentivo ancora il mio corpo formicolare. Ero stanca. Il dolore diminuiva pian piano. Però continuavo a soffrire, ad allontanarmi da quel nido, a tirare una corda che prima o poi si sarebbe spezzata. Come se stessero attentando ad un legame troppo profondo. Non so esattamente di cosa si trattasse. So solo che era molto brutto. Ci fu un attimo di silenzio. La regina mi guardò, stranita, impaziente, ancora un po’ irritata. Che bello, un po’ di quiete. Ringraziai Lilliagrin in mente. Ora era più gentile. Almeno stavo su qualcosa di morbido e caldo. Forse era un divano, ma non m’importava. Richiusi gli occhi. Qualcuno mi scrollò. Ehi, che gentilezza. Rozza regina di un paese di contadini. Costretta a riaprire gli occhi. Stavo male. Che fretta c’era, che fretta aveva quell’umana? Non poteva aspettare che ci riprendessimo, per poi fare il suo interrogatorio? Non lo so. Era scortese, molto scortese. Mi ritrovai di nuovo a fissare la regina, ora più vicina a me. Nei suoi occhi sembrava che brillassero bagliori feroci. Vedevo tutto offuscato, ma, almeno, non mi faceva male niente più. Il dolore era quasi assorbito da una sensazione benefica di calore. Mi parve, per un attimo, di riuscire a muovere le gambe. Ci provai. Si, stavo meglio. nel mio cuore esultai. Non sapevo cosa mi avessero fatto, ma mi stava facendo bene. Dalla mia felicità mi staccò brutalmente Lilliagrin. La sentii che mi prendeva per l’abito, e mi ritrovai a fissare il suo viso pallido e feroce da più vicino. “tu non capisci”. Ringhiò. Mi faceva paura. Che fosse impazzita tutto d’un tratto? Perché non mi lasciava in pace? Dormire. Feci per richiudere gli occhi ma lei me lo impedì. Bel modo di trattare un ambasciatore, quello. “o parli o non curiamo nessuno. Che sapete voi? Che ne sapete?”. Matta. Era matta dalla testa ai piedi. Io non sapevo nulla. Che razza di situazione. "sapere...cosa?". Mugolai, stancamente. Quella era proprio matta. Non capivo. Sapere che? Certo quegli stupidi accordi economici non potevano celare nulla di diverso da trattative così noiose da far cadere la mascella per il troppo sbadigliare. Isnark era tutto matto come un cavallo. Poteva pure evitare di mandarmi. Se solo fosse successo qualcosa a sua figlia mi avrebbe uccisa. Dovevo tornare sana e salva. Lilliagrin sospirò, ed alzò gli occhi al cielo. Poi mi sentii conficcare qualcosa in quel punto che mi avevano colpito. Era qualcosa di orribile, parecchio appuntito. E faceva, tra l’altro, un male cane. M’irrigidii e boccheggiai. Ora mi torturavano pure? Che bello. Gli umani sono una manica di imbecilli. Avevano violato chissà quanti accordi. Oh, avrei detto tutto. Tutto davvero. Anche che ero stata Ombra. Anche che avevo un passato da Spia. Ma io di ne non sapevo nulla. Per inciso, non c’era scritto nulla su quella lettera. Nulla di male. E se fosse stato un documento segreto, cosa diavolo sarebbe successo? Probabilmente ci avrebbero uccisi su due piedi. Roxen. Non mi sarei mai perdonata nulla se le fosse successo qualcosa. Pian piano, quel dolore orribile scemò, sostituito da una piacevole frescura, un senso di benessere. Quel nido lontano sembro improvvisamente avvicinarsi ,e la mia mente non vacillò più. La vista si fece, d’un tratto, più chiara. Quella bella sensazione eliminò i dolori, si trasmise a gambe e braccia….e mi rese più consapevole del bel guaio in cui ci eravamo cacciati. Avevo forse detto qualcosa di sbagliato? Fatto intendere per errore qualcosa che non sapevo. Mi assalì la disperazione. Guardai la severa Lilliagrin. Lei ricambiò il mio sguardo ora più limpido, e poi mi sentii tirare su. Mi ritrovai nella stessa camera da cui era partito tutto, seduta su uno dei divanetti. Posai la testa sullo schienale. Mi faceva male se cercavo di tenerla alzata. La regina umana era in piedi di fronte a me, in mano una lettera dall’inchiostro azzurrino. Era il tramonto di chissà che giorno. Roxen. Mi venne un improvviso desiderio di piangere. La donna mi guardò stancamente. Poi prese una sedia e si sedette, in modo da guardarmi bene in viso. Era completamente esasperata. “quindi tu non sai nulla davvero. Allora è tutto vero”. Sospirò, scuotendo il capo e guardando quel pezzo di carta, prendendosi la testa fra le mani. Mi sembrò per un attimo molto stanca, distrutta, angosciata. Poi il suo contegno di ripristinò. Ma la curiosità era stata innescata. Sapere che? Di nuovo. Ma si poteva sapere che stava accadendo? Roxen, Nilyan, Zipherias, Capouille. Se solo fosse successo qualcosa a loro non so come avrei reagito. Mi sentii invadere dalla disperazione. Mia figlia, mia figlia stava male. Lei non faceva nemmeno nulla! Lei voleva sapere quello che io non sapevo. Terribile. Tiranna! Volevo gridarglielo in faccia. Ma forse la mia espressione bastava, perché lei scosse il capo, sempre con il solito contegno duro. Per un attimo, intravidi un lampo di pietà nei suoi occhi scuri, sostituito subito dall’indignazione per un oltraggio immaginario. “non guardarmi così, Ch’argon”. Mi rimproverò, fulminandomi. Sostenni il suo sguardo. Non si toccavano i miei affetti. “so che stai pensando, a chi. Ma non temere, ho detto una bugia. I tuoi amici sono stati liberati e  si stanno prendendo cura di loro”. Il sollievo m’invase come acqua calda. Tutti stavano bene. Tutti sarebbero stati bene. Ah, almeno quello. Poi io potevo morire. E mi sembrava che quel momento non fosse poi così lontano. Lei mi avrebbe uccisa. Feci per ringraziarla così, di getto, ma lei mi bloccò con uno sguardo gelido. “siete ambasciatori, dopotutto, e vi è dovuta l’immunità”. Disse, con un tono che mi sapeva di sincero rimpianto. Rabbrividii. Se solo fossi stata un’elfa piombata lì per caso non me ne sarei uscita viva. “non sapevamo l’effetto che quell’arma ha su di voi. Avrebbe dovuto solo stordirvi per un po’. A noi umani fa quest’effetto”. Alla faccia. Alzai gli occhi al cielo. Chissà che principio muoveva quel coso che mi aveva colpito. Forse non sapevano che umani ed elfi viaggiano su binari diversi, e quello che va bene ad uno non va bene all’altro? Stupido. Un comportamento proprio stupido. Chiunque lo sapeva, ad Uruk e nel Regno. Che anni di isolamento avessero fatto del male? Certo non è bello prendersela con degli innocenti in quel modo. La regina riprese a parlare, dignitosa come sempre. Non mi diede mai l’impressione di volersi scusare, come se quello che aveva fatto fosse stato giusto. Certo, come no. E noi che avevamo fatto? Perché ci faceva così del male? Ero sicura che era solo perché quella tipa aveva del sadismo da vendere, solo per quello. Maledetta bastarda. E soprattutto, non poteva scusarmi e lasciarmi riposare? Mi sentivo stanchissima. Volevo dormire, solo dormire. Uno schiaffo in faccia mia riportò alla realtà. Sobbalzai. Lilliagrin si risistemò, e mi guardò, tra l’annoiato e l’ansioso. “no, Lsyn Amarto, sono spiacente di doverti torturare in queste condizioni, ma ti devo parlare”. Parlare di che, di quanto fosse idiota? Che mi doveva dire? Mi guardava come se non rimpiangesse affatto quello che stava facendo, come se ci fosse qualcosa di molto importante sotto. Com’era odiosa, davvero. Io non avevo fatto nulla a lei. Avevo la coscienza pulita. Isnark pure. Quel topastro non poteva avere abbastanza senno per fare qualcosa che non fosse proteggere sua figlia, proteggere il regno, tiranneggiarmi. E poi c’era Lilliagrin. L’umana pazza. Sentii un empito improvviso di rabbia. Lasciarmi stare, no? A quanto pareva doveva divertirsi nel vedermi conciata in quel modo. Cercai di parlare. Finalmente riuscii ad articolare delle parole comprensibili. Le parole, però, mi uscivano con sofferenza. Parlavo a stento, le parole soffocate. Sentivo una grande oppressione mentre lo facevo. “e ditemi, regina”. Cominciai, sussurrando, con voce volutamente provocatoria. Riuscii ad alzare un po’ il capo ed a guardarla meglio. “che c’è di tanto urgente di cui discutere, vi premono tanto gli affari?”. Il fiato mi si mozzò all’improvviso. Brutta sporca avara. Mi guardava con un fare sornione che era terribile. Mi sarebbe piaciuto molto darle un pugno in faccia. Peccato, non potevo farlo. Riuscii, dopo un po’, a continuare sotto quello sguardo che mi metteva a disagio. “e ditemi, che ci guadagnerei io a parlarne? Non potete lasciarmi stare? Vi ricordo che la colpa delle mie condizioni è delle vostre guardie, non delle mie”. Per un attimo, non appena ebbi finito di parlare, vidi la rabbia addensarsi negli occhi della donna, tanto che temetti il peggio. Temetti che mi lasciasse morire. Poi, un sorriso sottile si dipinse sul suo volto pallido, e lei sembrò non essersi offesa alle mie palesi provocazioni. Senza parlare, lei alzò, in modo che fosse a me visibile, una boccetta dal becco aguzzo, piena di un liquido ambrato, ed una lettera, quella lettera che a me parve, per un attimo, familiare. Beh, io non avevo portato nulla scritto con inchiostro azzurrino. “in quanto al guadagnarci qualcosa”. Cominciò lei, con l’aria di un gatto che si prepara a balzare su un topo, un’aria che non mi piacque per niente. Ebbi l’impressione di essere in suo pugno. “ho qui l’unica cosa che può ridarti la salute. Preferisci morire, tu o la tua guardia che sembra tua parente?”. Che bastarda! Mi mossi, a disagio, no, quello no. Non doveva toccarci. Non potevo morire, non ora. Ero costretta ad obbedirle. La cosa poco mi piaceva. Era un oltraggio, un vero e proprio oltraggio. Rimpiansi di essere in cattiva salute. Ora lei avrebbe voluto il mondo. La prospettiva di una chiacchierata con quella matta non mi piaceva. Il suo sorriso si allargò un po’ di più. “in quanto alle ragioni…”. Mi buttò in grembo, di malagrazia, la lettera. Sentii un improvviso lampo di magia, di qualcosa di magico. Feci in fretta a prendere quel pezzo di carta. Non riuscivo a sopportarlo. Mi dava fastidio. Alzai la lettera alla luce. Ignorai le punte delle dita nere, le mani livide. Se mi avevano detto che sarei guarita, mi potevo fidare. Inoltre, mi facevano un po’ paura. Proprio, non mi piacevano, per niente. Erano inquietanti. All’improvviso, gelai. Io conoscevo quella scrittura. Era Isnark, senza alcun dubbio. Quella era una lettera segreta. Come diavolo aveva fatto? Girai per un attimo la lettera nelle mie mani. Sul retro, il vecchio inchiostro nero. Accidenti, non era stupido il mio amico. Mi assalì una ventata di calore, che non seppi interpretare come rabbia o come allegria. Bravo, Isnark. Mi aveva celato una cosa importante. Però, almeno faceva qualcosa. Lui aveva sicuramente le sue ragioni. Quello non toglieva che l’avrei ammazzato. Quello che era scritto in quelle parole era costato quasi la vita a me e a Roxen. Non gliel’avrei perdonato. Lilliagrin sogghignò quando mi vide probabilmente stupefatta. “leggi quella lettera, leggi. Ti si chiariranno molte cose”. Guardai la regina, stranita. Che voleva? Leggere? Oh, quello subito. Ero curiosa di sapere cosa ci fosse scritto. Bravo Isnark. Aveva trovato un metodo per comunicare con Fiya senza essere beccato, mi sapeva. Era un peccato che me l’avesse taciuto. Che temeva da me? Temeva che fossi ancora la solita parassita? Cercando di tenere fermo il foglio, che ondeggiava nelle mie mani tremanti e malferme, cominciai a leggere quella caterva di lettere azzurre. Provai un improvvisa voglia di uccidere un certo elfo.

 

Lilliagrin.

Io ti conosco, Lilliagrin.

E' da quando eri una giovane regina che ricevi queste lettere da me. Vent'anni.

Eri così piccola... così ingenua.... il tempo cambia, vero?

Lilliagrin, io ti ho fatto un sacco di favori.

Ma cominciamo dall’inizio.

La situazione nel Regno dovrebbe essere tranquilla.

Proprio come mi hai detto tu  -e questo è stato un buon consiglio- ho mandato due spie in vesti di Guaritori.

Devo ringraziarti per questo suggerimento. Mi fido di loro due, e so che grazie al loro aiuto potremmo cavare un ragno dal buco.

Non ricevo rapporti da loro, come mi pare ovvio, ma alla prima novità ti farò sapere cosa si aggira nella mente di Lainay.

Spero che questa lettera non cada nelle mani sbagliate, o davvero potrei mettere nei guai l'ambasciatrice che ti manderò, e che ora ti è davanti.

Non è la solita, fai attenzione.

Spero sia come te la descrivo, altrimenti uccidila immediatamente.

Un'elfa piccina, metà viso sfregiato. Sono cicatrici da ustione, non domandarle mai la loro origine.

E' vestita di porpora, è la mia Ch'argon.

Con loro, c'è anche mia figlia. La riconoscerai subito, temo. Mi assomiglia. Vedi di trattarla bene. E’ la mia unica erede, e ciò che rimane della mia compagna.

Il popolo la ama, quindi, cosa potrebbe succedere se tu la toccassi?

Non vorresti farti nemici anche gli uruki, vero?

Anche tu hai una bambina, Lilliagrin.

Una bella bambina, ha quasi diciannove anni e si chiama Ellyn.

Come faccio a saperlo?

Sicuramente te lo domanderai, mi pare normale.

Dev’essere simpatica, mi dicono abbia un bel viso dolce. Peccato che sia un po’ fragile, peccato che sia così umana.

Sbaglio o è l’unica femmina? Hai solo un altro figlio maschio che non può prendere il potere in un sistema matriarcale, vero?

Anche lei è la tua unica erede.

Ciò che tu farai a Nilyan si rifletterà su di lei.

Pensaci, mia cara regina.

Sei umana, potreste essere così avanzati ma fallire così miseramente. Potremmo essere arrivati dove tu non immagini.

Pensaci, prima di fare del male alla mia, di bambina.

Ti supplico, non fare leggere questa lettera a nessuno, e giurami solennemente che Lsyn Amarto, la mia Ch'argon, non verrà toccata,

tanto meno la mia piccola, e gli altri componenti del loro gruppo.

Loro sono del tutto all'oscuro dei miei piani. Non vendicarti su di loro, sono innocenti.

Potrei arrabbiarmi un po’ se succedesse qualcosa.

Lilliagrin, la mia posizione è delicata.

Sono circondato dal Regno. Tu conosci quella bestia.

Uruk è un povero paese di montagna, e tu lo sai. Sono anni che comunichiamo in questo modo, e non hai mancato di farmelo notare.

Passiamo al dunque, che ne dici?

Per fartela breve, so cose che non dovrei sapere, sai?

Cose che, a rigor di logica, solo tu dovresti sapere.

Tu sai, però, io ho avuto i miei canali di comunicazione preferenziali.

In sostanza, io so.

So un bel po’ di cose.

Ti ho in pugno.

Tu pensi di essere così superiore, cara, ma ho qualcosa che non potresti rifiutare.

Intendo approfittare di questa conoscenza, questo è il punto.

Conosco un nome.

Atlantis.

Ti sembra un bel nome, vero?

Mi piace come suona in bocca.

Sa di vittoria.

Sa…di progresso. Progresso mostruoso.

Suona bene. Suonerebbe bene per un'isola.

Una falsa leggenda. Perché io, stanne sicura, non casco in certe trappole.

Mi ricordo ancora di Regis. Accidenti, ne ha combinate un bel po’, vero?

Mai, mai avrei voluto farti comprendere che il tuo più grande segreto è condiviso da me, un elfo, ma, purtroppo, non ho altra scelta.

So che non potremmo farlo, ma questa è una cosa vantaggiosa.

Pensa ai vantaggi, pensa ai bei pascoli del Regno.

Ci sono solo vantaggi da tutte le parti.

Pensa, Lainay detronizzata. Sarebbe molto bello, vero?

Difficile, senza il loro aiuto.

La situazione sta rapidamente precipitando, qui. Forse nel tuo idillio dorato nessuno se n’è accorto, ma si addensano nuvole sul nostro capo.

Lilliagrin, Lainay sta cominciando a fare strane mosse. L'ultima volta che il Regno ci ha attaccati ho previsto per un attimo il peggio.

Anche lei ha amici potenti, e noi dobbiamo rispondere a tono. Nessuno potrebbe resistere ad Atlantis, pensa a quanti vantaggi potresti ricavare da un accordo con loro!

E se poi il Regno ci distruggesse? Non potresti intervenire da noi, siamo troppo lontani.

Non vorresti privarti di un tuo alleato fondamentale, vero?

Vorresti che tutti i documenti della biblioteca di Kyradon, che, non mentire, ti sono serviti fin troppe volte, cadessero in quelle mani?

Non avrei mai, mai, voluto chiedertelo. Non questo. So la tua reazione, e so le restrizioni e le regole. Le conosco.

Però, ho bisogno di quell'aiuto. Noi tutti ne abbiamo bisogno.

Deplori la mia situazione? Pensaci, Lilliagrin.

Sono schiacciato da un drago inferocito. Questo drago, senza di noi ,attaccherà anche te.

Sarete più forti, ma loro sono di più, molti di più.

Gli altri regni non intendono aiutarci.

Da anni sono in contatto con tutti i regnanti, e mai ho visto tanta ostilità nei miei confronti, e nei confronti dei miei ambasciatori.

Sono tutti asserragliati nel loro panico, penso che anche tu te ne sia accorta.

Non vogliono più collaborare con noi. Qualcuno ha dato segni di simpatia per Lainay.

Pensano di salire sul carro del vincitore, non si rendono conto che pericolo gli si prospetta davanti!

Lilliagrin, ho un presentimento, anzi, una certezza. Ci sarà un attacco.

Stai attenta, perchè è prossimo, e non si fermerà davanti a nulla.

Abbiamo bisogno di Atlantis. Non schiacceremo mai questo scarafaggio, senza di loro.

In ultima istanza, ricordati di una cosa: io so benissimo come raggiungere Atlantis.

Ti domandi come, per caso?

Anch’io ho i miei segreti.

Sarebbe comodo riferire qualcosa a qualche altro goloso per assicurarsi l'immunità, vero?

Il Regno pagherebbe oro per avere un'arma in più contro di voi.

Io posso dargliela.

Pensaci due volte prima di rifiutare questa proposta, Lilliagrin.

Non volevo finire con una minaccia, ma ci sono costretto.

Gli eventi mi costringono ad essere feroce, devo giocare la mia ultima carta per proteggere il mio popolo.

Manda qualcuno nell’isola, ti ascolteranno.

Non importa chi, anche qualcuno dei miei, ti permetto di usarli, l’importante è che non muoiano.

In cambio di questo, ti concedo di tenerli ostaggi quanto vuoi, con la sola clausola di trattarli bene.

Fino a quando la situazione non si sarà calmata, sono tutti tuoi.

La mia è una dimostrazione di fiducia.

Permetto di farti tenere prigioniera la principessa, mia figlia, ti rendi conto?

La mia bambina, la Ch’argon, le anime del mio regno.

Spiegale tutto, lei vorrà uccidermi ma capirà.

È una persona molto intelligente.

Lilliagrin, questo continente è sull'orlo di un'altra catastrofe.

Permetterai che succeda?

Quel drago che dormiva sul mucchio di oro si sta svegliando.

E la cosa non mi piace.

Attenta ad ogni soffio di vento, Lilliagrin. Attenta a tua figlia.

Preserva Fiya dal cambiamento radicale. Ricordatevi che da soli non si va da nessuna parte.

Ed ascoltami.

Un continente intero non può andare in mano ad una pazza.

Che la sorte ti protegga;

 

                 Isnark.

 

La lettera, all’improvviso, mi sfuggì di mano. Cadde a terra, con un lieve fruscio. Non me ne importò, per niente. Sentii uno strano malessere che non aveva nulla a che fare con il fisico. Accidenti. Strinsi le mani. Una triste rabbia impotente mi invase. Non volevo crederci. Non potevo crederci. Ero stata… ero stata venduta. Venduta, io e Nilyan. Ma Isnark stava bene? Provai un’improvvisa voglia di raggiungerlo e farlo pentire di tutto quello che aveva fatto. Questo è tradimento! Tradita, ero stata tradita! Lui intratteneva da anni relazioni con i paesi vicini e non lo sapevo? Non l’avevo mai saputo! Ero così che mi ripagava della mia servitù? Bastardo. Dannazione, eravamo amici da quando Nilyan era nata! Ero la sua Ch’argon! Perché? Perché non mi parlava mai di quelle cose? Perché mi aveva tenuto nascosto tutto quello? Ero scandalizzata. Mi aveva mandato anni nei regni vicini con la convinzione di farmi portare degli stupidi accordi economici! Ecco perché era roba così noiosa! Ecco perché venivamo sempre accolti con un po’ di mistero! Ecco perché quell’accoglienza ostile nel castello, tutti quei movimenti per impedire che fossimo visti! Ma si rendeva conto di cosa aveva scritto? Assurdo! Aveva minacciato la regina di Fiya! E poi ci credevo che ci avevano buttati in prigione! Era scandaloso! Io l’avrei ucciso, l’avrei ucciso! Insomma, sacrificare sua figlia! La figlia di Nemys! Lei l’avrebbe ucciso, io ne ero sicura, se fosse stata ancora viva. Gli avrebbe impedito di fare quelle stupidaggini! Gli avrebbe torto il collo. Come si permetteva? Era questo il suo amore paterno? E non era da escludersi che l’avrei fatto io. Io l’avrei ucciso! Tutto quello, per cosa? Una leggenda. Atlantis, tsk. Una città sorta su un’isola che…com’era? Si era allontanata dal continente perché le persone lì erano troppo sagge. Mero spauracchio per bambini. Stupidate. Era strana la reazione della regina Lilliagrin. Però, ci credevo. Dopo tutte quelle minacce a vuoto anche io avrei dato un po’ di matto. Però…e se fosse stato vero? E se davvero Atlantis fosse esistita? Ah, stavo impazzendo pure io. Cretinate. Guardai la regina, tornata l’essere gelato di sempre, tesa sulla sua sedia, dignitosa. Ero mortificata. Chissà da dove aveva preso quelle stupidate, quell’idiota! Ed io che facevo la figura dell’ignorante totale! Io, che di Atlantis sapevo poco o nulla! Io, il braccio destro del regnante! Che vergogna. Avrei preferito sprofondare giù in qualche abisso, forse di nuovo nella prigione. Dormire, per non pensare. Dei, quel demente ci aveva buttati in un baratro tremendo. Mi sarei morsa le mani. Era meglio se avessi rifiuto. Mi sarei attirata le sue ire, ma almeno sarei stata al sicuro.“mia signora…non so cosa gli sia preso…”. Mormorai, con una strana vocetta servile. Non mi ero mai sentita così umile. Ma io mi vergognavo da morire. Isnark stava impazzendo, mi sembrava. Al ritorno l’avrei ammazzato davvero. Mi stava facendo fare una figuraccia terribile. Che vergogna. Che vergogna. Sarei diventata tutta rossa se avessi avuto la forza necessaria. “non so da dove abbia preso quella storia…e perché vi abbia creduto…io…”. Lilliagrin, con un gesto annoiato, mi interruppe. Poi sorrise. Un sorriso storto che mi fece venire i brividi. Smisi di parlare. Ebbi improvvisamente paura di quello che stava per dire. Quasi ebbi voglia di tapparmi le orecchie, ma non lo feci. Forse sarebbe stato meglio. “non continuare, Lsyn”. Disse, con un gesto spiccio ed una risata malvagia. Poi sorrise ancora, un cattivissimo sorriso. “so che non sai. Potrei dissuaderti dal credere…ma non lo farò”. Sorrise di nuovo. Un gatto che balza su un povero topolino. Mi sentii un vuoto enorme nello stomaco. “perché sai, ci ho pensato, e sono arrivata ad una soluzione. Mi duole dirti che Atlantis non è una leggenda”.

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Capitolo 32
*** Quali guai per noi? ***


A quelle parole, temo che guardai la regina come se davanti a me ci fosse un mostro con cento tentacoli pronto a divorarmi

A quelle parole, temo che guardai la regina come se davanti a me ci fosse un mostro con cento tentacoli pronto a divorarmi.  D’accordo, stavo delirando. Quello era tutto un sogno. Ora mi sarei svegliata nella cella, ed avrei scoperto di stare ancora male, o che tutto quello era stato solo un sogno dovuto a qualche cosa che mi avevano fatto. Per forza. Niente di tutto quello era reale. Era tutto nella mia testa. No, non per niente ma tutto quello non aveva senso. O stavo impazzendo io, o Lilliagrin stava dando di matto, ma sul serio. Atlantis che esisteva davvero, come no. tanto per il gusto di puntualizzare, ma come diavolo faceva ad esistere una città lontana dal continente, così lontana da non apparire in nessuna mappa? E su, era impossibile. Atlantis: circolavano leggende così assurde su quella città! Si diceva, ma questa era pura diceria che io consideravo la peggiore sciocchezza di tutte, che fosse stata fondata dai discepoli di Regis. Certo, sicuro. Ne avevo conosciuto uno, piccolo sciocco ragazzino, e pensarlo in certi frangenti mi faceva ridere fino alle lacrime. Un bambino, un altro po’. Ma se non era capace di difendere nemmeno se stesso! Capace di fondare una città mitica, certo, come no. A quel punto mi dicevano che Machin poteva divenire un guerriero serio, e poi era finita. Esistevano, tra l’altro, ben poche notizie di Atlantis. Ne avevo sentito parlare si e no un paio di volte, di quella città fantasma. Un appunto, su un paio di libri, una nota sulla sparizione misteriosa di alcuni eminenti luminari della nostra razza qualche tempo dopo la mia partenza per un vagabondaggio che sarebbe durato cinquant’anni e che mi avrebbe estraniato dal mondo,  accadimento mai davvero risolto, cenni sull’esistenza probabile, sulla leggenda, di una mitica città nascosta su un’isola irraggiungibile e nascosta, poi più nulla. Conoscevo qualche libro in cui se ne parlava più distintamente, ma basta. Tutti concordavano che si trattasse di una leggenda pura e vera, e basta. E ora quell’umana con la faccia da funerale mi veniva allegramente a dire che davvero esisteva. Si, certo. Poi mi avrebbe detto che i draghi erano vivi e reali, che la gente può reincarnarsi e che esistono gli dei. Su forza. Sono pronta a qualsiasi cosa. Dovetti farmi forza per non riderle in faccia. Povera credulona mia. Il peggio era che Isnark credeva anche lui! Davvero, quell’elfo mi scendeva di parecchi punti nella scala della considerazione. Un sovrano, un padre di famiglia, che credeva in quelle storielle da bambini! Ero davvero stupita, ed è dire poco. Quell’idiota aveva mandato una lettera che un altro po’ era una minaccia bella e buona, tutto quello per un pugno di mosche. Aveva fatto ferire me e Roxen, ci aveva fatti buttare in una prigione buia ed umida, per niente. Era davvero antipatico pensarlo. Solo per quello, al mio ritorno, l’avrei ucciso. Quello che non quadrava era però altro. Allora, quella razione così generale alla lettera era bizzarra. O erano tutti una manica di idioti teste di legno, o qualcosa non quadrava. Ma io mi rifiutavo di credere a quell’eventualità. Insomma, se solo ci fosse stata qualche notizia attendibile su Atlantis sentita da Isnark, io ne sarei stata sicuramente messa al corrente in meno di un attimo. Ero la Ch’argon, Isnark non poteva fidarsi così poco di me. Io ci mettevo anima a corpo in quello che facevo. Va bene, ero venuta a far parte del Porporato per ragioni meramente egoistiche, solo per proteggere me e la mia famiglia, ma ero pur sempre un’eminenza, ero importante. Se poi quell’idiota si fosse mantenuto quel segreto per chissà quanti anni non era affar mio. O meglio. era affare mio, visto che in quel momento chi era nei guai non era proprio lui. Maledetto. Ma un po’ di gentilezza no? Ci aveva mandati in un vespaio. E poi dai! Tenerci come ostaggi! Sua figlia lontana da lui, era inconcepibile! Ma che pensava, quell’idiota? Perché voleva allontanarla? Quel tipo stava davvero male, ma sul serio. Chissà che si aggirava in quella testa bacata di sua proprietà. Minacciare la principessa, poi. Che magnifica arma a doppio taglio. O Isnark era un cretino o c’era qualcosa che non sapevo. Che tutto quello fosse un linguaggio in codice? Che ci fosse qualcos’altro di cui io non ero al corrente? Quello mi avrebbe ferito più di ogni altra cosa. Avrei torto il collo a quell’elfo idiota, l’avrei ficcato a testa in giù in una tana di topi arrabbiati, facendo entrare la testa a forza! Davvero, me l’avrebbe pagata. Mi sarei fatta prestare una sola di quelle armi terribili a forma di cubo e poi l’avrei usata contro di lui. Solo perché sapesse cosa significava agonizzare come avevo fatto io per tutto quel tempo. Ora, problema. Bisognava fare ragionare una certa regina matta, più matta del mio sovrano. Nei guai per nulla. Quella si che era una cosa degna di me. Tipico di Lsyn Amarto, ficcarsi nelle storia più assurde. Ci ero ricascata. Di nuovo prigioniera nelle trame sconosciute dei sovrani. Lo sapevo io che dovevo rifiutare! Ma perché avevo deciso di diventare Ch’argon? Perché non avevo avuto altra scelta che quella? Fosse stato ancora vivo Tijorn… se lui non fosse morto non sarebbe successo nulla di quello che era successo. Io non mi sarei vestita di porpora. Machin non sarebbe partito per una missione troppo pericolosa per lui. Io avrei solo svolto la funzione di seconda madre per Nilyan, e basta. Mi sarei fatta amare in altri modi, non sacrificando me stessa per far stare bene gli altri! Se Tijorn fosse stato vivo, non sarei partita, e Roxen non sarebbe stata colpita dalla stessa arma che aveva colpito me, né Nilyan avrebbe rischiato in quel modo una crisi impossibile da gestire. Se Tijorn fosse stato vivo, non sarei stata così infelice. Mi mancava, il mio stupidone. Mi mancava pure la sua incredibile stupidità, la sua mania di fare l’eroe. Senza di lui ero finita in quel vespaio gigante. Saremmo stati tutti più felici con lui, tutti molto meglio, tutti con quel tassello che ci mancava sempre. Da sola non ce la potevo mai fare. Non potevo vivere davvero, sola. Finivo sempre in quelle situazioni assurde. Mi riscosse dai miei pensieri, che stavano prendendo una piega sempre più mesta, un’altra fitta di dolore e calore nel punto dove ero stata ferita, che poi si trasformò di nuovo in quella sensazione di benessere che mi schiarì la mente, e la liberò dalle ragnatele. Ora mi sentivo solo immensamente stanca. Avrei voluto solo dormire, riposarmi. Tornare a casa, dal Maestro e da Dae. Tornare dalla mia Manolìa che era tutta sola, povera piccina, e che chissà come si stava riducendo senza qualcuno che le dicesse che i capelli si dovevano lavare e che no, passare tutta la notte in bianco per leggere un nuovo manoscritto ed uccidersi gli occhi alla luce di una lampada, seguendo una scrittura minuscola, tutto quello non le faceva per niente bene, e che sarebbe diventata cieca a lungo andare. Peccato non poterlo fare. Ero ostaggio, ostaggio! Tra l’altro, di una pazza che mi guardava con un’ostilità da fare invidia ad una vipera alla quale hanno pestato le coda. Rabbrividii. Che razza di guaio. Spiegarle poi che era caduta in una trappola….o forse che io ero caduta in una trappola…beh…ora volevo solo spiegazioni. Poi avrei visto se si trattava delle elucubrazioni di una matta o se c’era un fondo di verità. Io non volevo pensare a quell’eventualità. Se solo una di quelle cose dette da Isnark fosse stata reale…non solo ero nei guai. O meglio, essere nei guai era la migliore delle ipotesi. “allora, Lsyn Amarto?”. Domandò lei, con aria ostile, vicinissima a me. Deglutii. Mi stava guardando dritta nell’anima con quegli occhi castani, così freddi. Non mi piaceva averla così vicina. “mi stai ascoltando?”. Deglutii di nuovo. O avevo perso qualche passaggio mentre riflettevo, o quella lì era pazza sul serio, cosa di cui dubitavo sempre meno. Feci un debole segno di diniego. Sperai che mi capisse. Non ero nella mia forma migliore su, era meglio che se ne rendesse conto. Lei sbuffò, ed io mi feci piccola piccola, più di quanto mi era consentito. Lei si allontanò da me, con mio enorme sollievo, e spostò la sedia più vicino, per fissarmi giusto negli occhi. “ho detto che Atlantis esiste davvero”. Affermò, con una convinzione che mi turbò. Lei ci credeva davvero. Possibile che fosse così? No, mi stavo sbagliando. Ero suggestionata e debole. Sicuramente tutto era nient’altro che una stupida montatura per farmi credere chissà cosa. Bene, dovevo andarci piano. Se quella era pazza allora un’altra eternità di prigione non me la levava nessuno. Dovevo andarci piano, pianissimo. “mia signora…”. Cominciai, mettendomi un po’ più comoda. Sarebbe stato bello un bel letto caldo, qualcosa da mangiare, ma non potevo avere ancora quello che desideravo. Magari se le avessi detto quello che voleva sentirsi mi avrebbe lasciata in pace. “ma…Atlantis è solo una leggenda. Come potete essere sicura delle vostre parole?”. La reazione di Lilliagrin mi fece pensare per la prima volta che lei non fosse davvero matta. Rimase tranquilla, alle mie parole. Anzi, sogghignò con aria di compatimento quando parlai. Si rivolse a me come fossi nient’altro che una bambina. Lei, l’umana, a me, l’elfa. Che irritante atteggiamento saccente. Deglutii di nuovo. Quella storia stava prendendo una brutta piega. Se Atlantis fosse davvero esistita, come, poi, pregare un aiuto? Dai, impossibile.  Era assurdo pensarlo. Un’utopia. Impossibile raggiungerla. Bah, lì erano tutti pazzi. Ma perché nessuno mi diceva mai niente? Era davvero una cosa seccante. “mia cara Lsyn, mi stupisce che tu non abbia mai letto niente che parli seriamente di Atlantis…”. Disse, con una voce stranamente dolce, ed uno strano luccichio negli occhi, che interpretai come ironia. “ce ne sono un paio di davvero famosi…”. Sobbalzai. No, quello era del tutto impossibile, un libro che parlava di Atlantis. Si, sicuro, si stava sbagliando. Niente di tutto quello era reale. Provai un’incredibile voglia di ridere, ridere per non piangere. Ero stata gettata in un luogo di cui non conoscevo le regole, e mi sentivo completamente paralizzata. Forse era una sensazione di malessere dovuta a ciò che mi avevano fatto, ed io ci speravo, molto. Mi sovvenne improvvisamente una cosa. C’era stato un libro che era girato per casa mia anni prima, quando Nilyan era ancora piccola. Le insegnavo a leggere su pagine a caso. Era stata l’ultima pagina a risvegliare in me la voglia di riesumare scrivendo le mie passate sventure. Lo ricordavo come se fosse stato ieri. Era un libro troppo difficile per la piccolina, che non capiva assolutamente nulla degli stralci che le avevo permesso di leggere. Ricordavo perfettamente si essermi rifiutata di vedere quel coso, perché si parlava di Regis. Io non volevo sentir parlare di lui. Poi era successa una cosa strana. Da un giorno all’altro, quel libro era sparito dalla circolazione. Inutile cercarlo. L’avevo fatto, e con me Nilyan, che non vedeva l’ora di leggerlo tutto perché aveva imparato a leggere speditamente, ma niente. Dopo qualche giorno era successa tutta una catena di fatti bizzarri. Quando mi vedeva Isnark sogghignava, e l’aveva fatto per un bel po’, e quando gli domandavo cosa avesse lui ridacchiava, irritandomi a morte. Zipherias per buoni dieci giorni si era rifiutato di rivolgermi la parola, sdegnoso. Quando gli avevo chiesto perché lui aveva sorriso e tutto era tornato alla normalità in poco tempo. Erano sparite delle pagine di quello che io stavo scrivendo. Non erano molto importanti, per fortuna, ma quella cosa mi aveva fatto andare così in allarme che mi ero dimenticata di tutto. Mi ero sentita bizzarramente osservata, chissà come mai. Non sono mai riuscita a venire a capo di quel mistero, davvero. Insomma, quel libro era scomparso, e non l’avevo trovato più. Pensai che si fosse perso nei meandri della mia scrivania, in mezzo a scartoffie varie. Lo reputo tuttora una fortuna. Non so perché, ma ho sempre il velato sentore che si parli di me da qualche parte. Così si spiegherebbero un bel po’ di cose. Io, comunque, mi limitai a sorridere vagamente, benché tremassi dentro. Non riuscivo a capire bene dove volesse andare a parare quell’altra. Lei sospirò, scuotendo il capo, poi si alzò, e si diresse verso la libreria di legno scuro. La osservai perplessa quando la vidi estrarre dei fogli e delle carte varie da alcuni libri, e poi tornare verso di me. Che cos’erano? La vidi con autentico terrore, porgermi quelle carte. Sembrava enormemente più sicura di sé. “la prospettiva che nessuno oltre Isnark sappia della veridicità di certi libri mi rassicura”. La guardai, perplessa. Che voleva che facessi? Lei alzò gli occhi al cielo. “dobbiamo parlare, Lsyn, ma prima prendi questi fogli. Li studierai nella tua convalescenza, ti saranno utili. Vedi non farli vedere a nessuno, e questo è un ordine”. Obbedii, tremante.  Non potevo fare altrimenti. Erano scritti nella lingua franca, perfettamente leggibili. Diedi una rapidissima scorsa. Sembravano documenti ufficiali. Guardai Lilliagrin sempre più confusa. Non capivo, proprio non capivo. Non riuscivo a comprendere cosa volesse dire tutto quello. Feci rapidamente sparire quei fogli, come lei mi aveva ordinato, nei meandri dei miei abiti. Meglio obbedire a quell’altra. Non so, ma avevo una brutta sensazione. Se solo ci fosse stato qualcuno con me. Detestavo quella sensazione di solitudine. Volevo consultarmi con qualcuno. Non potevo parlare di quello che sarebbe stato scritto su quei fogli. Era un gran dolore. Di solito parlavo sempre dei miei problemi agli altri. Avevo imparato che stare in silenzio è inutile e troppo doloroso. Tacere quindi mi irritava, soprattutto quando per colpa di qualcuno che aveva taciuto la verità più importante eravamo stati costretti in quel guaio. Ostaggi. La parola mi riempiva ancora di orrore. Eravamo alla mercé degli umani. Io volevo solo tornare a casa, nella tranquillità di Kyradon, senza più essere costretta a stare in un mondo che non capivo e che mi faceva venire il mal di testa, un mondo in cui ero stata accolta a calci nel didietro, come un cane randagio. Guardai la regina mente si sedeva di nuovo, e congiungeva le mani in grembo con fare innocente. Le si era stampata in viso una bizzarra aria casuale. “devi sapere, Lsyn, che siamo in contatto con Atlantis da un bel po’ di tempo”. Disse lei, facendomi sobbalzare. No, non ci credevo. Sicuro, stavo ancora delirando. Era tutto frutto della mia mente affaticata. Sicuro. Non ci credevo. Si, mi sarei svegliata ed avrei scoperto che era tutto un sogno. Isnark maledetto. L’avrei ammazzato, io, a quel bastardo. Alla faccia della missione tranquilla. L’avrei mandato a leccare gli stivali della regina di persona, per farsi scusare. Ci aveva ficcati in un vespaio. Cretino. Si, poi io credevo a quella tipa. Si, meglio annuire e poi farsi i fatti propri. Certo, Atlantis esisteva, certo, certo. Domani Lilliagrin se ne sarebbe dimenticata. Era pazza, no? ma nessuno aveva mai pensato a destituirla in favore di qualcuno più sano di mente? Ah, che pensieri. ero divenuta davvero cieca e sorda in tutto quel tempo. Avevo dimenticato cosa significa pensare davvero. E decisamente in quel momento mi scapparono le cose più semplici. Ma pazienza, tutto verrà a tempo debito. La lasciai parlare aspettando che finisse. Avrei detto sempre di si, e poi me ne sarei andata a dormire, almeno ci avrebbero curati e tutto sarebbe andato al suo posto. Poi si, ce ne saremmo andati e tutto sarebbe finito nel dimenticatoio. Si, certo. Finsi un’espressione sorpresa. In realtà non me ne importava che poco. Avevo la testa da tutt’altra parte. Ed ero convinta, lo giuro, che quella stesse farneticando. Mah. Era tutto nella sua testa. Pazza malata. Annuii. Che fosse andata avanti il più presto possibile. Certo, credere in un’isola fantasma non faceva bene, per niente. Bah. “da quando è stata fondata, in effetti…ogni mese, mando due o tre ambasciatori, sempre diversi, per prendere notizie… sai che loro non possono mostrarsi a noi, vero?”. Sobbalzai lievemente. Accidenti, qualcosa mi suonava in modo piuttosto strambo. Mandava gli ambasciatori? Non potevano mostrarsi? Ecco, ora cominciavo seriamente a dubitare di me stessa. Mi sembrò, per un attimo, di stare in bilico su un baratro nero. La pazza potevo essere benissimo io. Ma mi sembrava un’idea troppo mostruosa quella di accettare l’esistenza di Atlantis. Non riuscivo ancora a fare pace con quell’idea. Insomma, io qualcosa conoscevo di quella leggenda. Si diceva fosse una città incredibilmente progredita, come nessuna mia esistita sulla faccia di quel continente. Che esistessero nascosti in collaborazione  solamente…oh, dei. Con il sovrano di Fiya. In collaborazione con il sovrano di Fiya. Qualcosa tornava. Sentii i brividi addosso. Oh. No, era tutto falso. Si dovevo convincermene. L’idea era troppo grande, al contrario. Si diceva che dopo molti anni sarebbero venuti per trasformarci in un posto migliore. Le avevo prese per fandonie. Ora non ne ero più tanto sicura, non in quel momento. Ecco, ero io a credere di essere pazza. Magari…magari tutto quello che mi avveniva raccontato era la verità. Quanti misteri, quanti da svelare. Non capivo tra l’altro perché me ne stesse parlando così diffusamente. Se era così segreto perché farmi partecipe di tutte quelle cose? Insomma, la luce trionfante negli occhi della donna mi sembrava indicativa. Soprattutto, Isnark non avrebbe mai creduto ad una storiella per infanti. Quella era la cosa peggiore. Deglutii di nuovo. No, non era decisamente il momento per approfondire la questione. Magari capivo male perché stavo ancora male…magari. E, a dire la verità, quel malessere e la sensazione di scivolare via non erano per niente assenti. Ancora le sentivo, come se quello che mi stesse propinando non fosse altro che un palliativo. Dovevo leggere quei documenti. Allora, forse avrei capito meglio. Molto probabilmente Lilliagrin comprese il mio atteggiamento. Sorrise dolcemente. Quel sorriso non mi piacque. I suoi occhi scintillarono di una strana luce. Sentii, per un attimo, la testa girare, e socchiusi gli occhi. “forse non è il momento adatto per parlarne bene…”. Sussurrò, accondiscendente. Eh no, non me la contava giusta. C’era qualcosa che non andava. Prima mi era sembrata allegra e tronfia, ora era sospettosamente dolce. Non mi piaceva, decisamente no. Sentii una strana sensazione. C’era qualcosa sotto. Anche i suoi occhi erano imperscrutabili. Sembrava solo preoccupata per un’ambasciatrice malata. Stava organizzando qualcosa. “promettimi che leggerai, poi ne parleremo quando ti sentirai meglio. Chiamo qualcuno che ti porti nell’infermeria dai tuoi amici, d’accordo?”. Dei, che strano comportamento. Stava liquidando in maniera preoccupante la questione. Però, magari era tutta mia immaginazione. Forse era davvero meglio essere curata per bene. Annuii leggermente. Volevo rivedere Roxen e riposare. Rivedere Zipherias e Nilyan, e Capouille, ed assicurarmi che stessero tutti bene. sentire ancora la loro calda e familiare presenza, la migliore delle medicine. Su, poteva essere che quel comportamento fosse dettato da una reale preoccupazione. Magari si stava addolcendo perché aveva capito che io ero una povera innocente. Poteva essere benissimo così. Lilliagrin, allora, con un grande sorriso da gatto in caccia, batté le mani. Immediatamente entrò una guardia. La regina fece un cenno verso di me. “porta questa elfa in infermeria, dici che ha bisogno delle stesse cure di quell’altra”. Ordinò, in tono spiccio, mettendosi in piedi. “vedi di non farle del male, o provvederò a punirti severamente”. La guardia scattò, e si avvicinò a me, evidentemente perplessa. Lo ero anch’io. Prima tentava di ammazzarmi e poi mi trattava come un principessa? Che c’era sotto? Quel comportamento mi sapeva di strano, e non ci voleva un ingegno acuto per capirlo. No, qualcosa mi era nascosto. C’era qualcosa di strano nel tono della donna. Ironico, forse. Perchè mi trattava così bene? era incomprensibile. Di certo non era per premura personale. Poteva darsi che le minacce di Isnark avessero avuto il loro effetto. Sperai fosse così. bene, ora era il momento di fare l’educata. Guardandomi come se fossi un’aliena, la guardia mi aiutò a mettermi in piedi, e, quando vide che non riuscivo a camminare e che mi tremavano pazzamente le gambe, mi sostenne. Io mi girai verso Lilliagrin, che, sorniona, assisteva alla scena. Aveva ancora quello strano sorriso impresso sul volto. “vi ringrazio, mia signora…”. Sussurrai, verso di lei, chinando il capo a mo’ di inchino, mentre ci avviavamo verso l’uscita segreta che avevamo usato tante volte. Davvero, ora dovevo esserle grata. Stava salvando la vita di tutti noi. Dopo averci quasi ammazzati, ma questo doveva contare poco nell’ambiente della diplomazia. “non so come ripagare questa generosità…”. La donna, con un sorriso ancora più ampio, quasi un sogghigno, fece un gesto. “no, Lsyn, non dirlo neppure”. Disse, con una vocina flautata che proprio non era la sua. Sentii un breve brivido di freddo. C’era qualcosa che non andava. “troveremo un modo per sdebitarti…”. Tutta quella sollecitudine mi puzzava di marcio. Fissai Lilliagrin mentre passavo per la porta. Lei mi sorrise ancora di più, falsa come il peccato, mostrando i denti. Poi agitò la mano, lentamente, in segno di saluto. Dopo di quello, la porta si chiuse, ed io fui dolcemente trascinata per una strada mai percorsa da una guardia che non sapeva che pensare, e mi guardava stranamente. Quel gesto mi insospettì più di ogni altro. Non era dalla Lilliagrin che avevo visto fino a quel momento essere così allegra. Che si stava generando nella sua mente? Quali guai per noi?

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Capitolo 33
*** Non tremate! ***


Fa freddo

Fa freddo. Ora ne sono sicuro, questo è il nord. Sono triste, forse è questa la sensazione della tristezza, questo sciroppo denso in cui ti dibatti. È brutto, non mi piace. Mi sento in trappola come un uccellino in gabbia. È da un po’ che non mi viene voglia di pensare a quello che è successo qualche giorno fa. Però ci devo pensare, ce l’avevamo quasi fatta, eravamo quasi liberi! Ora Uruk chissà quanto è lontana. In questi giorni abbiamo percorso pezzi che non ho mai visto in vita mia, pezzi di boschi, e poi tutto è diventato strano, morto, e fa un freddo che mi gela nelle ossa. Vorrei parlare con Chekaril, ma ora è troppo lontano. Uffa, da quanto tempo è che non gli parlo? Sembrano passati solo pochi secondi. O forse pochi secoli, non ne sono sicuro. Che fallimento, sono un fallimento totale. Insomma, ce l’avevamo quasi fatta. Mi fa sentire idiota, il fatto di essere stato fregato da una donna. Quella tipa proprio ha qualcosa di strano, ma tu guardala, ci fissa come se stesse giocando con noi. Vorrei tanto sapere come si chiama, giusto per indirizzarle meglio maledizioni. Ma guarda, cadi da cavallo, ora subito, spezzati il collo e muori. Non lo fa, guarda, ma io lo so non sono una grande mago. Ora! Ora! Ora! Ora! Niente, oh, è dura di comprendonio. Ora! E poi ho le braccia bloccate. Ahi, mi si stanno gelando. Da quando siamo fuggiti mica potevano metterci corde normali. Secondo me quella è una strega, perché non vedo corde che mi stringono le mani però ci sono, non le muovo, non le muovo, ancora ed ancora. Stregaccia gatta morta e resuscitata. Cadi. Ora! Niente, nemmeno ondeggia. Vediamo un po’, magari mi esce un potere magico nuovo che nessuno poteva sapere che io possedevo…poss…come si dice? Possededessi o possederessi? Chissà. Dovevo stare un po’ più attento quando zia e nonno mi spiegavano la grammatica. Beh ma pazienza tanto mica è qui che mi ascolta vorrei che ci fossero no Machin pensa alla magia che poi potrebbe scapparti tu sei un grande mago e non lasciarti prendere dalla nostalgia. Vediamo un po’. Ti ordino di cadere! No, non va. Giù da cavallo! Ah, dev’essere molto forte.  Ma io lo sono sicuramente di più. Ora cadrai da cavallo e ti spezzerai il collo, è Machin Tijorn che te lo predice. Ah! E poi è inutile che mi guardate strano. Non ho le mani, non posso muovermi, devo pure prendere una posa da mago. Brr, che freddo. Se mi guardo attorno c’è neve, c’è solo neve, mi sta deprimendo. Per fortuna che ho una pelliccia che mi hanno dato, ceto non vogliono che stiamo male. Ora ne sono sicuro, sono mercanti di schiavi. Se no non  avevano da perdere niente a tenerci bene. quando Chekaril ha tossito perché gli era andato storto un boccone di zuppa gli sono stati addosso in un attimo, manco fosse una polmonite. Ma poi ci credo che non ci guardavano bene. ci hanno fregati che è una meraviglia. Ma dove ci stanno portando? Da quando abbiamo provato a scappare quanti giorni sono che viaggiamo? Devo averlo già pensato, mi sta ossessionando, forse è meglio che non ci penso perché non me lo ricordo molto bene. che paesaggio strano. È questo il Nord? Zia a volte me ne raccontava, ma non sapevo che fosse questa noia e facesse un freddo boia. C’è sempre vento, vento, vento, vento, ed il naso un altro po’ mi si staccherà. Buffo, poi vediamo come mi vendono. Uh, immaginiamoci un mercato di schiavi qui. Non c’è proprio nulla. Gli alberi sono tutti spogli, o almeno, quei gruppi di alberi che incontriamo. Non ci sono sentieri, ora la tipa che deve morire è di fronte a tutti e ci guida. C’è solo una barbosa pianura immensa e piena di neve. Cioè, a me la neve piace, ma questo spettacolo è inquietante. È bello l’inverno a Kyradon o Sharilar, ma qui è terribile. Vedo solo in lontananza delle montagne. Almeno loro mi danno il senso dello spazio, se no ho l’impressione di guardare sempre le stese cose. Che noia, non cambia di una virgola. Povero Gatto, ha freddo anche lui. Spero solo che non muoia, perché povero piccino, è un regalo di Nilyan ed io voglio tanto bene a mia cugina. Trema, povero cavalluccio. È un brutto spettacolo, mi sento scoperto. Voglio le montagne, voglio un bosco, uno solo. Qui ci sono solo gruppetti di alberi magri. E poi sono sommersi dalla neve, è un panorama deprimente è tutto bianco che noia. Ogni tanto poi ho visto passare dei branchi di animali strani, brutti proprio, sembrano cervi ma hanno il muso di un vecchio con le labbra gonfie e poi hanno la pelliccia grigia. Niente villaggi. Potremmo scappare, se solo avessimo corde normali. Mi guardo con Chekaril, ora lui è più vicino. È preoccupato, si vede. Ma dove stiamo andando? Non c’è un’anima viva. Ecco, come ora si sente solo qualche volta un ululato. Devono essere lupi. Oh, non mi piace. A Sharilar mica ce ne sono, qui mi sa tanti. Guarda un po’ che colore strano ha il cielo. Il sole è strano, dev’essere quasi ora di pappa, bene, ho una fame pazzesca e magari ci danno qualcosa di caldo, però è basso come se fosse il tramonto. Però ha un colore strano, è quasi rosso ed è basso basso, così basso basso che mica fa luce, e non fa tanta luce e non è caldo, è come se fosse morto, questa è terra antica, beh, ci sono abituato, ma anche gli inverni peggiori di Uruk qui sembrano passeggiate, ma mica ad Uruk non c’è sole, il sole è bianco non rosso in inverno, è bello. È bello ad Uruk quando c’è la neve, che nostalgia, e quella luce, e lo sciroppo bollente nelle palle di neve, e la cioccolata calda ed il camino, e le battaglie nella neve e le coperte ed i bei pranzi…ho fame. Pollo arrosto con tutte quelle salsine e poi i dolci pieni di burro e poi e poi e poi la panna, la panna, montagne di panna su una bella tazza di cioccolata, mica di quel tè da vecchi che prende il nonno e zia Lalla. Io lo so che il tè piaceva tanto a papà, ma io voglio la cioccolata, che poi zia Lalla non lo sa ma io e Nilyan ogni tanto ci mettiamo dentro un po’ di liquore, nel tè il liquore è brutto ma nella cioccolata ce ne sono un paio che sono ottimi, e se lo sapesse ci ucciderebbe ma tanto mica lei lo sa anche se preferirei che lo sapesse perché è meglio un suo scapaccione che questo guaio oh si che Miobashin mi ammazzerà un giorno me la farà passare nera ma tanto nessuno saprà più di noi povera elfa chissà quanto soffrirà mio cugino mi sa che sta pensando la stessa cosa guarda un po’ come è depresso Chekaril ora mi sento in colpa per aver bevuto quel tè so che stava pensando di accasarsi con lei me l’ha raccontato se solo usciamo vivi da questa situazione a zia Lalla verrà un colpo enorme magari se implorassimo di essere liberati dai nostri padroni potremmo pure cavarcela ma chi vuoi che ci prenda qui se non un mucchio di barbari magari pure finiamo come agnelli magari ci mangiano spero non con la cioccolata e la panna sennò sai che beffa. Mi manca tanto, tutto. Ti ricordi quando hai fatto il dispetto a cosa lì, Roxen? Che bello, vorrei versarle la cioccolata sul vestito ancora una volta. Mi diverto tanto ad Uruk, lì ci sono tutti i miei amici. È deprimente invece qui, come si fa a vivere non lo so. Anche il cielo sembra piatto. Che brutto azzurro, cupo e opprimente. Perché sono qui, si, è grazie a quella brutta stregaccia ma ora morirà io ne sono sicuro uno due tre schiatta ora immediatamente ma che diavolo non lo fa oh si lo farà presto, nessuno ha mai detto che Machin Tijorn non è un mago, io sarò il più potente di tutti, ma Chekaril, non guardarmi strano spero solo di non star facendo smorfie, oh santissime cosce di pollo ho la bocca aperta. No, Machin, non arrossire, tanto lui lo sa come sono. Ah Gatto rabbrividisce povero animale. Povero cavallino mio. Per fortuna ci stiamo fermando. Forse tutti e due mangeremo.

 

Ieri Gatto è morto.  Il mio cavallino, ci piango se penso, ma non voglio piangere perché fa troppo freddo e mi si gelano le lacrime non è bello essere prigionieri, non voglio essere prigioniero, non voglio essere venduto in questo posto dimenticato dal mondo. Ora la mia cuginetta mi ammazza, come mi ammazza se la chiamo Ninì. Il mio amico, si, gliela farò pagare a quella lì, ora è morto e mica lo hanno seppellito lo hanno lasciato così a terra nella neve poi se lo mangeranno i lupi cattivi povero cavallo che mi ha regalato Nilyan era così bello e così piccino e così divertente era pure intelligente mica come Poldo che mica piange io sono l’unico a piangere era un mio amico quel cavallo pure se era un cavallo. Che poi ci ero pure in groppa camminavamo e poi è caduto con me addosso. Mi sono fatto male. La stregaccia è corsa subito da me e mi ha guarito in un attimo. Faceva tanto male, mi sa che mi ero rotto qualcosa. Ora sto benissimo. Vedi, mi vogliono vendere. Ed hanno ucciso Gatto. Cattivi. Anche il cavallo di Chekaril è morto, è stramazzato, fa troppo freddo per loro, ora siamo insieme a Poldo e Lunsch che cavalcano bestioni a pelo lungo non mi piace stare vicino a loro tra l’altro puzzano, non che io sia meglio di loro ma pazienza io sono migliore in tutto e quello è solo un piccolo peccato dovuto alla contingenza. Contingenza, bella parola. Che noia, nessuno mi parla. Mi sento sempre più triste. Le montagne sono almeno molto vicine, penso che oggi arriveremo. Ma dove? Che cosa succederà? Ho paura? No, non sono spaventato, affatto. Io, impaurito? Ma che scherziamo? Io sono un eroe e come tale mi devo comportare. Ho solo un gran freddo, non è bello stare in giro con questo gelo, e che poi più andiamo verso le montagne e più è forte. Qualche giorno fa abbiamo visto i lupi. Che lupi strani, non sono mica grigi come da noi, sono tutti bianchi e magri magri. Mi fanno un po’ paura ma tanto lo so che non si avvicineranno e poi c’è quella strega che voglio morta. Oggi ho visto la mia pelle. Sta cominciando a scolorire. Tra un po’ diventerà di nuovo pallida. Chekaril ha quasi i capelli biondi. La donna se n’è accorta ed ha pure sorriso perciò non sembra che le importi poi tanto chi siamo. Almeno quello. Per fortuna non sono agenti del Regno, quello almeno. Il regno, poi. Mica Galinne sta tanto a Nord, è poco più su di Kyradon e mi sa che hanno lo stesso clima. Questo è proprio nord nord nord. Nord con i fiocchi e contro fiocchi. Che puzza però. Poldo è proprio poco fine. Siamo quasi vicino le montagne. Che strano. Sono a picco, proprio ripide, spero che non ci saliremo su perché pure i cavalli che ci sono rimasti non stanno tanto bene. Ora c’è tanta ombra peggio del solito. Che freddo cane ho freddo troppo freddo per fortuna che abbiamo le pellicce. Che strano. La neve è poca, il terreno è di colore chiaro, smorto. Le montagne sembrano toccare il cielo, non le guardo o mi verranno le vertigini. Ma dove diavolo ci sta portando quella tipa? Ora costeggiamo le montagne e camminiamo. Povero Gatto, come vorrei averlo qui. Ma secondo me sempre sarebbe morto. Poi l’avrebbero mangiato perché figurati che se ne fanno di un bel cavallino come quello. Ora, bene, dimmi un po’ come diavolo possono venderci qui. Non c’è anima viva e non ci sono sentieri. Mah, sono tutti pazzi. Davvero, non c’è ani…oh. Questa proprio non me l’aspettavo. Per tutti i calzini di questo mondo. cosa diavolo è? Nella montagna c’è un buco da cui proviene aria caldissima, che bello, è davvero piacevole, tu guarda, è anche profumata. Ha un odore stupendo, sembrano fiori. Dev’essere una caverna, ma ha il terreno in discesa, entrerà dentro la montagna, magari in miniere giganti di diamanti e smeraldi e rubini. Che bellezza. Magari ci mettono a lavorare lì, non sarebbe poi tanto male se l’aria è così bella e profumata e dolce come miele. Ora fa anche più caldo. La donna la vedo, sorride e ci sta facendo andare più veloce. Magari questa è la sua casa. Che ci vogliono vendere qui? Oh, tu guarda. Ci sono delle case intorno alla grotta. Non c’è anima viva, però la cosa mi fa sperare in meglio. Chissà, magari ci tratteranno bene. beh, ora però ci ha fatto scendere da cavallo. Fa un gesto strano verso i due uomini, che ci guardano con una faccia strana e scuotono la testa, addolorati. Ah accidenti questo mi piace meno. Ora se ne stanno andando. Chissà che hanno di nascosto. Lo vorrei tanto sapere, ma poi mi sa che lo saprò presto. Ora voglio solo un bel bagno caldo. Ah che bello, io e Chekaril stiamo andando verso una casetta. Sembra tutto vuoto e silenzioso, c’è solo il vento caldo che viene dalla caverna. Non ci sono alberi né fiori solo case che si mimetizzano con l’ambiente. Che noia vorrei solo vedere un albero mezzo albero al massimo. Mi manca Gatto. Magari se la passa meglio lui di me, povero cavallino. Non credo, nella neve spolpato dai lupi. Che schifo. Ah, bello. La donna non parla ma ci ha portati in una casa. Ha una sola stanza. C’è un camino acceso. Caldo, che bello. Ci sono anche due sedie. Ora ci guarda. “aspettate qui, da bravi”. Dice, sciogliendoci finalmente quei legacci invisibili. Ah, che bello. Sono libero. Guardo Chekaril. Lui è poco contento, però almeno lieto di essere stato liberato, anche lui. “ora vi porterò da mangiare”. Ehi, non male come accoglienza. La donna sembra lieta. Se ne va saltellando un altro po’. Ma dov’è finita la sua eterea presenza? Chekaril mi guarda. Io guardo lui. È proprio stranito. “che fine ci faranno fare?”. Scuoto il capo, mica lo so, bello. Ne so quanto te. Solo che non mi sembra la loro una cattiva accoglienza, tutt’altro. Ora mi siedo. Non voglio essere scocciato da te. Tanto non ho paura. No, proprio no.

Ah, ora va meglio, molto meglio. Chiunque avesse detto che ci trattavano male deve proprio aver sbagliato. Starei qui secoli. Ora va molto meglio. Ci hanno fatto mangiare, un’ennesima zuppa con la carne dentro che era una delizia per il palato e poi pure uno strano dolce caldo con del miele su, chissà da dove l’hanno preso il miele. Poi però ci hanno separati ed io ho ancora un po’ di paura per fortuna che è stato per poco subito poi siamo tornati insieme. Però che bello, abbiamo fatto un bagno caldo e profumato in quel momento soli. Bello, finalmente non puzzo più, sono pulito e bello e sistemato e perfetto com’è mio diritto. Ora si, ci hanno dato dei vestiti tutti uguali a me e a lui. Ora siamo insieme almeno questo mi conforta. Se lo vedo ha le stesse cose mie. Abiti azzurri e pesanti da morire. Siamo nella stessa stanza calda della prima volta. Lui non mi parla perché non lo so. Guarda solo fuori, ora mi ha scocciato che lagna che è dai è una bella avventura non tutti i mali vengono per nuocere. Che bello, ho visto fauna interessante. La gente c’è ma non si fa vedere. ho visto solo quelli che ogni tanto venivano da me. Molto interessante. Qui le elfe non sono mica tutte come la donna cadavere, mica no. Ne ho vista una niente male, altro che posti senza vita! Aveva dei bei capelli normali, biondi, e proprio un bel viso tondo tondo e non era niente male, fare un po’ lo sciocco con lei mi sarebbe piaciuto. Lei mi ha guardato e ridacchiava, si, lo so di essere il migliore ed il più bello percepiva il mio incredibile fascino. Poi ha guardato Chekaril ed ha ridacchiato allora io ho pensato che dovevamo avere qualcosa fuori posto. Poi boh, non era così. allora doveva essere un po’ pazzerella ma fa niente, era proprio una gran bella vista. A stomaco pieno ora si può ragionare.  Ah, ora sto proprio meglio. spero che non ci succederà niente di brutto. Chissà che fine faremo. Ogni secondo che passa mi fa pensare sempre di meno che saremo schiavi. Gli schiavi non si trattano in questa maniera. Le cose che indossiamo sono di buona qualità. La donna strana non l’abbiamo più vista per fortuna. È sparita. Brutta cosa antipatica, spero sia caduta da cavallo e si sia rotta il collo. Ora aspettiamo non so cosa. Mi sto annoiando. Chekaril non parla, ci ho pure provato ma risponde a monosillabi, ma che noia avrà nostalgia della sua compagna, mamma mia che depressione. Spero di non diventare così io quando mi innamorerò. Ma io sono migliore di Chekaril. io sono sempre migliore. Magari siamo schiavi del villaggio. Pazienza, almeno siamo insieme e possiamo fuggire insieme.  Non è una cosa così cattiva. “dai Chekaril, guarda tutto in modo positivo!”. Dai su, siamo a stomaco pieno, lavati, puliti, sistemati, al calduccio, coccolati, che vorremmo di più dalla vita? “non ci hanno fatto niente!”. Chekaril sbuffa. “per ora”. Ma come per ora, uccellaccio del malaugurio? Certo eh, porti proprio sfiga.  Ma davvero, stiamo così…aah! E che cos’è? La porta si apre chi è, cosa vogliono da noi? Che lui avesse portato sfortuna, se è così l’ammazzo… Sarà la donna misteriosa? Sarà un altro elfo? Oh santissimo santo, c’era qualcosa nel cibo che mi provoca serie allucinazioni. Ma guarda! Ma davvero! Strizzo gli occhi. No, è ancora lì. Oh. Oh, dei. Ma che sto vedendo? Ma è vero o no? Ahahah. Che roba è? Com’è buffa! È un’elfa, carina lei, ha i capelli neri come la notte ed un’aria misteriosa. È magra e così alta e così carina. Che razza di abito, grigio e lungo, tutto strappato, sembra vecchio di secoli, e poi pure una pelliccia spelacchiata, caspita che senso della moda. Ha in mano un bastone con tante campanelle attaccate e tanti nastrini. Mi sa che non si lava e pettina i capelli da un po’, ha tutta pittura in faccia che forma tante linee, che strano. E poi ha un grosso ciondolo a forma di testa di serpente sul collo, accompagnato da molti altri che secondo me sono fatti con strisce di tessuto colorato. Ah, oh ora schiatto. Ora schiatto. Ora schiatto, ma sul serio. Ma che cos’è? Mi domando cosa accidenti ci facciano delle corna tipo quelle di quegli animali simili a cervi sulla sua testa. Che aria da matta che ha. Ha lo stesso colore degli occhi di zia Lalla, neri neri però mica è matta mia zia. Zia Lalla sono sicuro che avrebbe riso come una pazza se fosse qui si sarebbe divertita tanto. Mi dice sempre che nel nord ci sono tante superstizioni e dei che cambiano da un villaggio all’altro. Ma non pensavo fino a questo punto. Insomma, questa c’ha corna attaccate in testa ed una pelliccia secondo me di orso. Che roba primitiva. Strana, tra l’altro. La porta si chiude. Vedo Chekaril che la guarda in modo strano. Lei ci dona uno sguardo di fuoco. O almeno è così. E’ difficile darsi un contegno quando si è conciati così. magari ai suoi compari può provocare timore ma per me è solo ridicola non ho mai visto qualcuno conciato in quel modo. “tremate voi, eretici!”. Tuona lei, con una voce roca e proprio brutta. Oh, mi viene da ridere, non ci posso fare nulla. È ridicola. Ha alzato le mani e scuote il bastone. Dei non ho mai visto nulla di più ridicolo. Chekaril ha una faccia strana. Tra poco scoppierà pure lui. Questo sarebbe un tentativo di spaventarci? Incredibile davvero. Una tipa che strilla con le mani al cielo. “tremate, ed inchinatevi ai signori del Nord, i nostri padroni!”. Eh? Ah si, si, davvero? I loro dei sono i signori del nord. Che roba strana. Un nome più normale no? oh no, non fatemi ridere. Lei ci sta guardando con una faccia….sembra proprio stupita che noi non siamo strisciati al suo cospetto. Ha abbassato lo scettro e sta facendo un broncio delizioso. Che carina. Se non fosse bardata in quel modo sarebbe proprio una bella elfa. Peccato che si conci così. ma chi le dice di fare quello? Sarà una sacerdotessa. Ma a Kyradon le sacerdotesse mica si vestono in quel modo. Sono fini e alla moda. E non si mettono palchi di corna in testa, soprattutto. Lei assottiglia gli occhi scuri. È proprio carina. Se solo si pettinasse e si togliesse quelle cose sarebbe perfetta. “tremate, eretici!”. Tuona di nuovo, ripetendo gli stessi gesti. Com’è teatrale. Proprio è disperata che non ci riesce a spaventarci. Ma è troppo ridicola bardata in quel modo. Oh, io non ce la faccio più. No, Machin, non ridere, non ridere non…tutto inutile. Sento Chekaril che ride con me. Oh, è ridicolo, è proprio ridicolo. È tutta strana! Ora che vogliono farci? Perché quella si rovina così? Le corna in testa…oh, è troppo. Ahahah, mi fa male la pancia dal troppo ridere. Ahahah. Ahahah. Ahahah. È troppo. D’accordo, basta, mi fermo. Perfetto, ci sono quasi ce l’ho quasi fatta. Ora sorriso, mi ha messo di buonumore. Chekaril sta piangendo dalle risate. Mi guarda e sbuffa per trattenere le risate. Mi devo mordere il labbro altrimenti mi farà ridere di nuovo. La tipa ci sta guardando. Le pendono le braccia e ci guarda annoiata. Ha di nuovo il broncio. “d’accordo, perfetto, non tremate”. Dice, allungando le braccia verso di noi come per proteggersi, finalmente in tono normale. Sembra migliore così. “ora però venite con me, su”. Eh? Venire con te? Non so perché, ma la voglia di ridere mi è improvvisamente scomparsa. E perché la dovremmo seguire? Cosa vuole da noi?

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Capitolo 34
*** Le mie risposte. ***


Sbuffai, stiracchiandomi beata sul letto

Piccola comunicazione di servizio:

questa sarà, imprevisti non contati, l’ultimo aggiornamento infrasettimanale fino ad almeno metà luglio.

Procederò di sabato in sabato, e forse, perdonatemi, qualcosa salterò.

Motivo?

Gli esami di maturità incombono. Stavolta, perdonatemiJ!

Oggi non ho studiato, ergo vi ho fatto un piccolo regaloJ

Ma temo che sarà l’ultimo, dopodiché per aggiornamenti quasi giornalieri dovrete aspettare la fine degli esami.

Colgo l’occasione per salutare chi mi legge, chi commenta (in particolare Carlos Olivera, ormai storico fedeleJJ in bocca al lupo per giovedì, ovvero domani XD), e chi guarda il capitolo e si scoccia.

Beh, io vado.

A, forse, sabato.

Ciao!

Akita.

 

Sbuffai, stiracchiandomi beata sul letto. Finalmente, ci stavano trattando con il rispetto dovuto al nostro rango. Finalmente, niente carcere e sensazione di malessere puro. Io però ancora non capivo quei fogli segreti. Era tutto proprio strano, parole su parole, che mi mettevano una vertigine spaventosa addosso. Guardai male la piccola mappa che stavo studiando.  Fui per un attimo tentata di buttare a terra i fogli che stavo leggendo, ma non mi potevo alzare, e chi li avrebbe presi? Tutto quello non aveva per niente senso. Davvero, da quando mi sentivo meglio ed ero stata capace di ragionare per bene, da quando mi avevano trasferita in un piccolo posto tutto per me, di dimensioni molto più che modeste ma comodo, e che non dava sulla città ma su tutto il giardino interno, avevo cominciato a leggere quei fogli che Lilliagrin mi aveva dato. Dapprima ero stata entusiasta. Allora Atlantis esisteva davvero! Era davvero strano conciliarmi con quell’idea, ed ancora più strano era dover tacere tutto ai miei amici, ma una volta passata la sorpresa avevo cominciato a rifletterci su. Isnark, in caso di sanità mentale, beninteso, aveva fatto un bel colpaccio. Minacciare Lilliagrin in quel modo e metterci in quel vespaio non erano state delle buone idee. Ancora provavo il non tanto flebile desiderio di stringere le mie mani attorno ad un collo di re uruki, ma più ragionavo più pensavo che mettere spalle al muro la regina di Fiya era stata un’idea vincente, un’ottima idea davvero. A parte che Lilliagrin era antipatica quanto una spina in un piede, ma chiedere un aiuto in certe situazioni era perfetto.. Se tutto era come ne parlavano i documenti, che pure erano piuttosto vaghi, quella era un’enorme arma contro Lainay. Avevamo la vittoria assicurata.  Dopo un po’, però,  avevo sentito la testa girare. Qualcosa non mi tornava insistentemente. Tutto quello era impossibile, semplice. Perché accidenti mi aveva dato quella roba? Io, elfa per giunta, che poco c’entravo con tutto quello? Che voleva Lilliagrin da Lsyn Amarto, malcapitata di turno? Perché dovevo leggere e non fare vedere a nessuno? Perché mi stava dando tante informazioni? A me che servivano, me le mangiavo? Era tutto proprio strano. La sensazione incombente d’irrealtà e guai per noi si era intensificata. Atlantis. Strano pensarvi. Quei documenti avevano tutta l’aria di essere ufficiali, non so se mi spiego bene. Roba di quelle che vanno nei plichi segreti. Erano documenti per niente di dominio pubblico. Ero pronta a scommettere un braccio che la popolazione di Fiya intera non conoscesse quanto me l’argomento. Proprio quello mi inquietava. Ora sapevo troppo. Non si spiegava. Forse Lilliagrin aveva voluto convincere me, la scettica, ma allora non capivo la segretezza di cui erano state ammantate quelle letture. Dovevo mettere tutto via quando entrava qualcuno, ed un paio di volte, soprattutto quando si annunciava uno dei miei amici senza nemmeno bussare, avevo fatto così di fretta che qualcosa mi era scivolato da qualche parte e non l’avevo più trovato. Oh, bene, ora io credevo in Atlantis, quanto possa credere una persona che non abbia visto con i propri occhi. Certo, ma mi sembrava esagerato darmi la piantina della città principale, le zone, eccetera, il modo in cui arrivarci, il tragitto. Il tragitto, soprattutto, comportava a mettermi un bel po’ di nausea addosso. Mare, tutto mare. Tutta nave, per giorni e giorni. Non invidiavo gli ambasciatori che di tanto in tanto si recavano lì. Mare, isole su isole. Sentivo lo stomaco girarsi e rigirarsi al solo pensiero. Ero spesso tentata di bruciare tutto. Ma a che diavolo mi serviva quella roba? Doveva interrogarmi, per caso, mi  stava insegnando qualcosa? Sentivo un grosso fastidio, anche perché mentire ai propri cari non è mai una cosa bella. Era stato meraviglioso, un sorso di acqua fresca nel deserto a mezzogiorno, il rivederli. Ero rimasta, trascinata dalla guardia, lucida abbastanza a lungo per dire che andava tutto bene, e che ero viva. Tutti si erano preoccupati moltissimo. Nilyan, povera piccina mia, appena ero arrivata in infermeria, un luogo luminoso ed ampio, si era precipitata da me ed aveva cominciato a singhiozzare disperatamente, stringendomi forte. Non ero riuscita a calmarla, non ce la facevo. Ero troppo debole per fare qualsiasi cosa, non riuscivo nemmeno ad abbracciarla. Finché ero stata seduta su quel divano tutto era andato a meraviglia, ma ora sentivo tutto girare e tremare. Qualcuno ebbe la grazia di spostarla e di farmi un po’ respirare, ed io mi trovai di fronte i miei due cari giganti, Zipherias e Capouille, il primo con un’aria terrificante ma che tentava di darsi un contegno, il secondo un po’ più che imbestialito. Quando ero stata un po’ meglio per ascoltarli, quando mi avevano steso sul letto e tutto aveva preso a girare meno, mi avevano detto, o almeno, il mio amico dai capelli rossi mi aveva detto, che nessuno aveva dato loro notizie che anch’io stavo bene. Li avevano portati tutti in blocco lì senza una parola, tutti presi da Roxen, semplicemente nei guai come lo ero io, e da Nilyan, che era stata trattata con i guanti da quando erano usciti. Loro due erano stati del tutto ignorati, nonostante Zipherias fosse tormentato dalla gamba che era stato costretto a tenere immobile per giorni ed ora non lo reggeva tanto bene. Per quanto potessero chiedere, le guardie non parlavano di me, nessuno parlava di me fino a quando non mi avevano vista arrivare. Nessuno sapeva nulla, ed avevano cominciato a sospettare che fossi morta. Roxen ci era andata vicinissima. A me avevano cominciato a dare qualcosa, la regina aveva avuto quella premura per farsi ascoltare, ma a Roxen no, e l’avevano vista come ero stata io. Chiesi subito di lei. Era, per fortuna, nelle stesse mie condizioni. Mi sentii rassicurata. Stavano tutti bene. poco prima che mi addormentassi Nilyan mi chiese che fine avessi fatto. Fui costretta a risponderle di essere stata costretta a scusarmi con Lilliagrin, perché c’era stato un errore di comprensione da parte del suo secondo ed il testo non era chiaro. Strinsi le carte segrete involontariamente, vedendo la faccia poco convinta dei miei cari. Nessuno di loro l’aveva davvero bevuta. Fu una fortuna essere presi dal sonno misericordioso. Almeno, ora che eravamo tutti al sicuro, potevo stare tranquilla che non sarebbe successo nulla di grave. Eravamo tutti insieme. Solo quello contava davvero, il resto poteva attendere anche millenni.

Era una fortuna che, una volta che io e Roxen ci eravamo ristabilite quel poco che non implicava la presenza di uno dei loro Guaritori che non si chiamano così ma che sono lo stesso costantemente fissa attorno a noi, grazie a quella robaccia affine a quello che mi aveva dato la regina, ma di colore più scuro e dagli effetti molto più dolorosi, ci avessero portati in camere singole, un piano più su. Cosa migliore era stata la ripresa rapida. Quella roba faceva miracoli. Ero sicura che entro un giorno avrei potuto camminare un po’. Finalmente, avevo potuto gettarmi anima e corpo su quei documenti pomposi. Avevo capito ben poco, tuttavia, quelle poche notizie mi lasciavano interdetta. Era troppo strano che mi lasciasse conoscere tutto quello. Erano passati solo pochi giorni da quello strano colloquio, e già mi stavo domandando perché accidenti avesse voluto parlare con me. Che scopo aveva? Non so, non ne avevo la minima idea. Non ci arrivai. Per un certo periodo di tempo, sospettai che qualcuno dei miei amici avesse capito che avevo qualcosa da nascondere. Forse Nilyan, tallonata a vista da una vecchia governante che la assillava, a detta sua, oppure Roxen, che tanto sciocca non era e quando Capouille l’aveva trascinata da me, oltre a scusarsi milioni di volte per il guaio in cui mi aveva cacciata si era guardata ben bene attorno. La cosa mi aveva inquietato un po’ troppo. Nessuno doveva sapere anche in minima parte ciò che mi avevano dato. Per quale oscura ragione non sapevo, ma comunque tutto quello doveva rimanere severamente nascosto. Devo aver pensato all’assurdità della cosa, o forse non ci ho fatto cosa, non so. Devo dire, m’importava ben poco. Sicuramente Lilliagrin voleva qualcosa da me. Oppure era una pazza della peggior specie, roba che a Roxen faceva un baffo. Ma non credevo. Quell’umana era furba come una volpe. Ci stava trattando con i guanti di seta. Per Nilyan la capivo, dopo tutte quelle minacce ricevute mi sembrava piuttosto ovvio che si fosse finalmente decisa a trattarla come un membro di una casa reale straniera. Ero solamente felice quando lei mi annunciava che si, stava benissimo, che era tallonata da una vecchia umana che le faceva compagnia, che no, non si sentiva sola, era sorvegliata abbastanza ed era tutto comodo e stava bene, e che le permettevano di uscire fuori, e che la trattavano con un sorriso sulle labbra. Avevo accolto con sollievo i suoi sorrisi. Temere qualcosa dopo quello che ci era successo era d’obbligo. La sua testolina delicata era stata messa alla prova: mi reputavo fortunata che ne fosse uscita indenne, con la ferma convinzione che tutto quello fosse stato originato da un malinteso, e che non contava nulla a parte un po’ di inconvenienti. Già non vedeva l’ora di tornare indietro, impaziente di rivedere il suo papà. Ero contenta di vederla così a suo agio. Si era ripresa benissimo, ed aveva fatto ben presto a dimenticare. Dopo i primi momenti di sconforto aveva preso a tranquillizzarsi. Allora, che lei fosse trattata bene mi riempiva di felicità, ma che anche Zipherias, o Capouille fossero trattati non come Guardie ma come alti dignitari di corte mi dava a pensare. Lilliagrin doveva aver preso un po’ troppo sul serio l’avvertimento di Isnark, o tramava qualcosa al di fuori della mia portata. Io e Roxen, le malate, eravamo continuamente assillate, curate, ci chiedevano notizie sulla nostra salute, ci imbottivano di quella roba scura che mi faceva torcere dal dolore per diversi minuti, ma che era l’unica cosa capace di guarirci. Ancora non ho capito cosa diavolo fosse quella stramaledetta arma, cosa ci avesse provocato. Idioti, usare roba sconosciuta su una razza sconosciuta. Va bene, elfi ed uomini sono cugini, ma non di certo fratelli! Alla faccia dell’arma stordente: un altro po’ e ci ammazzavano. Ancora oggi, mi è rimasto uno strano segno, a malapena visibile, quasi un livido, all’altezza del punto colpito, e se lo tocco sento uno strano freddo. Lo stesso è per Roxen. Decisamente ci avevano colpito bene. Inutile poi che facessero buon viso a cattivo gioco! Avevo preso a desiderare ardentemente la compagnia invadente di Rosie e compagnia. Ma pure Scarlett, anche Suzanne o Jan, qualcuno di loro, insomma. Loro erano sinceri, a volte sgradevoli, ma sinceri. Erano una compagnia molto più gradevole di quegli esseri così antipatici, che prima ci avevano trattati malissimo, poi sorridevano, tutti coccole ed attenzioni.  Roxen lo odiava. Era stata capace di mettersi in piedi molto prima di me. Su questo è sempre stata parecchio spicciola e poco propensa a rimanere in un letto a lamentarsi, il mio mestiere preferito. Quando io ancora ero prostrata da quella ferita, lei già caracollava intorno spargendo maledizioni a chiunque osasse toccarla. Ce l’aveva davvero con quei tipi. Quel trattamento atroce temo che non se lo fosse aspettato. Mia figlia era piuttosto suscettibile riguardo a certe cose. Aveva mandato a quel paese un innocente medico, e per poco una servetta che la aiutava non si era beccata una scarpa in testa. Era peggio di un lupo in gabbia. Beh, io la capivo perfettamente. Gli interrogativi sollevati da quei documenti erano troppi. Per non contare il fatto che ci trattavano in maniera ora troppo servile, che c’era qualcosa sotto, e senza ricordare lo strano sorriso ed il saluto di Lilliagrin quando mi avevano portato in infermeria.  Risultato: mi sentivo nervosa, tanto nervosa che persino Zipherias si era accorto che qualcosa non andava. Il problema era che io dovevo fingere che andasse tutto bene, dunque potevo imprecare solo quando ero da sola. Ero impaziente, fin troppo. Quella aveva promesso che mi avrebbe chiarito le idee!Ma quando mi avrebbe chiamata Lilliagrin? Cosa voleva da me? Perché lei sapeva come sdebitarmi? Che intendeva? Non riuscivi a capire, e, più il tempo passava, più mi veniva il dubbio che tutto quello che mi era successo fosse stata una pagliacciata. Anche se non mi spiegavo la collaborazione di Isnark: lui così serio, combinare uno scherzo del genere? Fu ancora più terribile quando finii i documenti. All’inquietudine si sostituì l’ansia vera e propria. Ero così disperata che finii per imparare a memoria un bel po’ di cose. Addirittura cominciai a ricordare le date di tutti gli ambasciatori, cosa che mi inquietava. Certamente Atlantis doveva essere un bel vedere. Non ci tenevo molto ad andare, però: già Fiya mi aveva sconvolto, e molto, con tutti i suoi cambiamenti. Potevo solo tremare, nell’immaginare gli oggetti che avevano attirato l’attenzione ed impaurito quelle persone. Sembravano tutti in subbuglio, a parlarne. Se solo avessi visto Atlantis, sarei morta dalla vergogna e dal dolore di vedere un mondo così diverso e così impossibile da raggiungere. Era meglio che non li vedessi, mai. Ah si, ed avevo un’altra domanda da fare alla regina: quando ci lasciava andare? Insomma, noi non le servivamo proprio a nulla. No, perché avevo assolutamente bisogno di vedere un certo Isnark, anche solo per tirargli il collo. In quanto a pazzia era degnamente accompagnato. Non era normale, non una persona che aveva sbraitato e ci aveva mandati in cella per una cosa che non avevamo fatto, e che nessuno sapeva. Gli umani proprio non li capivo. Roxen era una quieta vecchietta in confronto a loro! allora, dovevo e volevo sapere il perché di una documentazione così accurata. Era strano, metterla nelle mie mani. Finalmente, un giorno, mi vidi piombare in camera, di sera, un ragazzino, una guardia. Io, che ancora non riuscivo ad alzarmi e che mi sentivo ancora piuttosto debole, lo guardai, incuriosita, quando entrò, rosso di vergogna, di timidezza. Povero ragazzo. “siete Lsyn Amarto, vero?”. Cercò di darsi un’aria professionale, ma non gli riuscì molto, non con quella faccia color rubino. Io annuii leggermente. Il cuore, per un attimo, mi balzò in gola, e sentii uno strano sollievo. Ah, finalmente. Finalmente, avrei potuto fare tutte le domande che volevo. Stavo fremendo. Mi sentii sorridere. Almeno , molte cose mi sarebbero state chiarite. Volevo sapere perché stavo conoscendo troppo. Non prevedevo nulla di buono, comunque. Lilliagrin mi deva l’impressione di essere davvero imprevedibile. Come al solito, la vocina  malefica dentro di me aveva ragione.

Quella sera riuscii almeno a farmi trascinare, da quel giovane che mi diede il braccio e mi portò come se fossi stata sua nonna, una cosa che mi diede tanto fastidio che l’avrei preso a calci se avessi potuto. Il ragazzo cercò di parlarmi, sorridendo imbarazzato, ma la conversazione morì dopo poco. Io ero concentrata su una sola cosa. Avevo preso tutti i documenti, e volevo farmi spiegare tutto. Quella volta non sarebbe scappata, nulla sarebbe scappato. O quello o davvero mi sarei arrabbiata. Volevo capire perché mi avesse fatto sapere che Atlantis era un’isola tanto lontana, che si raggiungeva in due tappe, e che era abitata dai discendenti di umani, elfi, Inu, Tengu ed Insathi, fuggiti dal continente due secoli prima, che era governata da senatori e militari che eleggevano un loro capo, e tutte cose di quel genere che mi facevano sentire una formica in un enorme labirinto. Io, Lsyn Amarto, perché dovevo sapere tutte quelle cose? Cosa c’era sotto? Perché si, io ero convinta che c’era qualcosa sotto, del tutto convinta. Non ci sarebbe stata tutta quella segretezza, altrimenti. Oppure, Lilliagrin era matta. Cosa di cui, francamente, non dubitavo. Quella volta fui fatta entrare, usando sempre gli immancabili passaggi segreti, in un’altra stanza, una sorta di salottino privato. Gli arredi erano più confortevoli, più chiari, e sembrava essere un’altra ala del castello. C’erano più finestre, che si affacciavano sulla città ora illuminata a giorno, ed era rischiarata dalla solita luce di cui non reperivo la fonte. Mi disgustò vedere che i colori dominanti erano sul rosa dorato e pastello. Colori stranamente che non reputavo per  la regina. Mi sembrava assurdo, quel legno chiaro, quei colori dolci e luminosi, per quella presenza incattivita e mesta. Addirittura, cosa che mi sconvolse, c’era un tavolino. Un tavolino di legno chiaro ed intarsiato, due vere poltrone morbide e foderate di rosa. Rosa! Assurdo. Ma la cosa più assurda di tutte era un’altra: un vassoio d’argento sul tavolino, un bricco e due tazze. Due tazze con i fiorellini su. Lilliagrin non era il tipo. No, non poteva essere. Non quella donna così inquietante! O mi aveva fregato o era a lutto per qualcuno. Non poteva essere una persona così. oppure era matta. Quei fiorellini mi sconvolgevano davvero. Lei era lì. Non era vestita dei suoi soliti, sobri abiti neri, che tanto le invidiavo, ma di color malva, tenue e leggero. Un colore che decisamente non le stava bene addosso. Contenta lei, contenti tutti. Mi aspettava, con uno strano sorriso in volto. Quella fu la cosa che mi piacque meno di tutte. Un grosso gatto che aspetta il topo. In alternativa, una ranocchia che punta una mosca. La mosca ero io. Non mi piaceva il paragone. Strinsi forte i documenti. La guardia chinò la testa quanto è più umanamente possibile, biascicando saluti stentati, io invece le feci un cenno rispettoso ed un “buonasera, regina Lilliagrin”, al quale lei mi rispose con un educato cenno, ed un sorriso ancora più largo. In un attimo, anche la guardia sparì, dopo avermi fatta accomodare su una delle poltrone, in cui sprofondai. Mi ritrovai di fronte gli occhi scuri e sornioni di Lilliagrin. Ci fu un momento di agitata attesa. Finalmente, la resa dei conti era arrivata. Mi sentii improvvisamente a disagio. Non mi piaceva quello sguardo addosso, scava troppo a fondo. La regina sorrise ancora di più, dolce come miele. Non mi convinse, non mi convinse per niente. Mi mossi, a disagio. La sensazione di essere nei guai fino al collo si fece sempre più intensa. Finalmente, lei ruppe il silenzio. Più dolce di quella la sua voce non poteva essere.  Lei posò una mano sul bricco, guardandomi bonaria, come se fossi una sua cara amica. “allora, Lsyn, come ti senti?”. Mi domandò, con voce davvero poco convincente, dolce ed appiccicosa. Rabbrividii. No, non mi suonava per niente bene. Mi sentivo costretta a giocare un gioco non mio. Dovevo però farlo. Era meglio andarci piano con quella signora. Lei non era materna. I suoi occhi erano freddi e calcolatori. Lei continuò, premurosa. “ti vedo molto meglio. Un po’ di tisana? Ti farebbe bene…”. fui costretta a sorridere, ed annuire leggermente. Per prima cosa, non mi affascinava per niente l’idea di dover prendere in mano una di quelle tazze dell’orrore tutta fiorellini e leziosità. Nemmeno Akita era stata così esagerata, lei, che aveva la passione delle cose di pessimo gusto. Per seconda cosa, non avevo la seppur minima voglia di accettare qualcosa da lei. Potevo benissimo essere avvelenata. Ci andai perciò davvero piano. Aspettai lei prima di bere, ed il primo sorso lo mandai giù con cautela. Fui invasa dal sollievo quasi all’istante quando sentii il gusto. Non c’era nulla di strano. Era una tisana di erbe molto conosciuta anche da noi, né più né meno. Lì non c’era nulla di nascosto. Mi sentii più sicura. Ora si poteva dialogare in pace. Lilliagrin di nuovo sorrise al di sopra della sua tazza. “hai letto i documenti, vero?”. Alla sua domanda piena di sollecitudine annuii, prudente. Non si poteva mai sapere. “si, regina”. Mandai giù un sorso di tisana. Non mi piaceva molto, non mi era mai piaciuta, ma trovavo scortese rifiutarla dopo averla accettata. Lei sorrise ancora di più. “ed hai capito tutto, vero?”. Quella domanda mi mise in allarme. A dire la verità mi intimorì anche il lampo trionfante e quasi crudele nei suoi occhi, ma tendevo ad ignorarlo. Magari era stata mia immaginazione. Bene, ora avrei parlato. Dovevo assolutamente capirci qualcosa. Non mi ero dannata giorni e gironi inutilmente. Posai così i documenti sul tavolino. Lei li prese con grazia da uccello predatore. “a dire la verità…”. Esitai, quando lei mi fissò con educata curiosità. Un serpente ed un topolino. Il topolino ero io. “non ho capito alcune cose. Come mai devo sapere tutte quelle nozioni? Perché?”. Ci fu un lungo attimo di silenzio, che mi face impazzire leggermente. Il sorriso sulla bocca di Lilliagrin si allargò ancora di più. Mi stava facendo davvero spazientire. “tra due settimana gli ambasciatori torneranno da lì”. Disse, semplicemente, mandando giù un’altra sorsata di tisana. Poi sorrise, smagliante. “vorresti dei biscotti?”. Dovetti reprimere un ringhio rabbioso. Ma cosa credeva che io ero, cretina? Che mi voleva dire, che cos’erano quelle parole smozzicate? Ora stavo davvero perdendo la pazienza. Sbattei la tazza sul tavolo con forza, tanto che lei sobbalzò e mi guardò male, per una volta tornata ad essere la solita Lilliagrin. Ma io non ero più disposta a temporeggiare. Volevo le mie risposte, e subito. Non ero più disposta a farmi trattare come una bambina. Decisi di mandare ogni cautela alle ortiche. “ora basta, Lilliagrin”. Non m’importava, non m’importava se l’avessi mancata di rispetto. Lei non aveva rispetto di me, io non avevo rispetto di lei, semplice. “non sono più disposta ad essere trattata in questa maniera! Perché stai giocando con me? Cosa diavolo vuoi?”. Alla rabbia appena compara sul suo volto si sostituì un’espressione neutra e calcolatrice. Di nuovo sulle sue labbra si dipinse un sorriso un po’ cattivo. “semplice, Lsyn…”. Sussurrò, posando la tazza e facendomi un cenno sornione. “io ho bisogno di te”. Mi assalì uno strano sentore. I guai erano più vicini, molto più vicini. La guardai, interdetta. Se aveva bisogno di me era per una cosa. Oh, io non intendevo fare nulla, per niente. Prima che riuscissi a dire una parola lei mi zittì con un gesto. Quando parlò lo fece con la solita voce gelida. “ringrazia gli dei a cui credi che non vi abbia mandati a morte”. Sibilò, mentre il sorriso diveniva un ringhio. “e sai che ti dico? Tu scopri le carte, io scopro le carte. Voglio te, Lsyn, un’elfa come te mi farebbe comodo”. Quella brutalità, insensibilità, mi gettò nello sconcerto. Che accidenti voleva da me? Oh, io da lì non mi muovevo, mi ammazzassero pure. Comodo, io. Piuttosto l’avrei presa a morsi. E poi non capivo. O meglio, non volevo capire. Era meglio non farlo. Ero sicura che se ci avessi provato sarei finita di nuovo nei guai, ancora una volta. Poi, volevo che fosse lei a parlare. Magari potevo appigliarmi a qualcosa. Così, feci la gnorri. “perché vi farei comodo, signora?”. Domandai, ritornando al solito tono sommesso ed educato. Lilliagrin sorrise, compiaciuta, un terribile sorriso. “mia cara Ch’argon, Isnark me l’ha permesso”. Cominciò, come a volermi dire una cosa che non capivo, e mettere le mani avanti prima di cadere. Non avevo messo in mezzo Isnark. Non un elfo che volevo morto. Cominciavo però a capire. Provai un’intensa voglia di fuggire via. Lungi da me. Col cavolo che avrei accettato. Se lo sognava di notte. Quella lì era matta come un cavallo, e anche di più. “gli ambasciatori stanno tornando da Atlantis. C’è bisogno di nuove persone. Chi, meglio di te, può andare lì per qualche tempo?”. Il sorriso si trasformò in un ghigno. Ah. e questo voleva da me? Col cavolo. Io ero un’elfa libera e potevo fare quello che volevo. Provai un’incredibile voglia di piangere a dirotto. No, non volevo. Non potevano farmelo fare. Io ero innocente, io non avevo fatto nulla di male. Perché non mandavano Lainay? Lei si che era cattiva. E come avrei tenuto d’occhio Nilyan? Sarei andata tutta sola? No, no, no. non se e parlava nemmeno. Lei parve intuire i miei pensieri,m e scosse il capo, soddisfatta. “no, Lsyn, non te lo sto chiedendo. Te lo sto ordinando”.

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Capitolo 35
*** Nessuna via di scampo. ***


“no

“no!”. Fu quella la prima reazione che ebbi, quell’urlo rabbioso. Davvero confortante. Ero fuori di me, davvero. Cosa voleva da me? Ma stava scherzando? Dove mi voleva mandare? Trattare me, la Ch’argon di Uruk, come una dei leccapiedi che la servivano? Un ordine. Un ordine! Se lo poteva anche dimenticare. Ero completamente e del tutto sconvolta. Era questo che Lilliagrin voleva da me? Quella tale mancanza di rispetto? Aveva interpretato così il suggerimento che Isnark le aveva dato, sicuramente per farla stare buona? Ricordavo ancora benissimo le sue parole. Poteva mandare noi come ambasciatori. Cosa, eravamo sotto il comando di quella lì, irascibile e lunatica peggio di mia figlia? Eravamo volgari umani? Abitavamo a Fiya? No, niente di tutto quello. Ebbi un sussulto di orgoglio. Non ero legata alle parole del sovrano di Uruk. Io non lo servivo!  Mi ero legata certamente  al Matriarcato, e non a lui. In quegli anni avrei potuto assassinarlo in qualsiasi momento da me desiderato, purché trovassi un migliore reggente in attesa che mia nipote prendesse il trono. Certo, gli sarei piombata addosso da un momento all’altro e sarei stata malmenata da un elfo arrabbiato nero, com’era già successo in un tempo che sembrava appartenente ad un’altra vita. Se pure avessi voluto mi ero tanto rammollita che all’idea di andare ed uccidere qualcuno a sangue freddo mi tremavano le gambe e piagnucolavo, alla faccia della grande Spia, e decisamente la guerra non era il mio ambiente preferito, come non lo erano la politica, il mio mestiere di Ch’argon, gli affari di stato, e tutto quello in cui di norma ero invischiata. Per fare la somma, dei miei sproloqui, grazie al mio essere Ch’argon ero virtualmente libera. Io non gli ero fedele. Allora, per tutti i mucchi di calzini sporchi, perché mi ero fatta mettere i piedi in testa, era proprio il caso di dirlo, tutte quelle volte? Bella domanda. Comunque io ad Atlantis non ci mettevo piede nemmeno se era questione di vita o di morte del mondo intero. Ma si immaginavano? Era un sacco di tempo! Cioè, se avevo capito bene avrei dovuto lasciare per mesi, e ripeto, e lo riscrivo, mesi, tutti i miei amici, i miei cari? Che avrei detto loro? Che avrebbe detto Roxen? Come faceva Nilyan senza di me? Come avrebbe fatto? Mia figlia non aveva certo la pazienza per starle addosso come facevo io. E come la mettevano con la promessa che avevo fatto a Nemys? Anche solo per quello non avrei mai fatto una cosa del genere.  Nilyan era mia. Mia! E nessuno oltre me la conosceva abbastanza bene da frenarla quando esagerava. Roxen e nilyan insieme erano una sorta di arma molto pericolosa. Senza un cane da guardia come potevo esserlo io rischiavano di combinare disastri, ero sicura. E non importava un fico secco che fossero adulte, tutti i cuccioli che avevo allevato avevano il senso della responsabilità di una serratura. Bastava pensare a machin. Pensai in un lampo a lui. Chissà in che guaio si stava cacciando, in che guaio aveva cacciato l’unico esponente mentalmente sano della mia famigliola. E Capouille, e Zipherias? Come potevo lasciarli? Non ero indispensabile, se fossi morta ad Uruk ne avrebbero sofferto ma non troppo. Si poteva vivere benissimo senza di me; anzi, era sicuramente meglio. Ma lì, a Fiya? Con me in pericolo costante e loro in balia di un’isterica irrequieta e una creatura che poteva esplodere da un momento all’altro senza il minimo preavviso? Mi venne un’idea. E se mi avessero seguita tutti, e se anche quest’avventura l’avessimo trascorsa insieme? Mi assalì un senso di nausea immediato. No, non era il caso. Io dovevo proteggerli, non fare felice me stessa. No, non potevo portarli con me. O non andavo o li lasciavo lì. Non potevo chiedere questo alla mia principessa. Era meglio se l’avessi lasciata lì, in mezzo agli agi di una corte che l’avrebbe coccolata, non portarla con me in chissà che buco. E poi, chi diceva che io volevo andare? Nemmeno in stato di putrefazione avrei obbedito a quell’ordine strampalato.  Che Isnark pensasse ciò che desiderava. Io ero la Ch’argon e non ero sua serva. Potevo fare tutto quello che volevo. Io avevo sacrificato anche la mia indipendenza alla mia famiglia, e tutte le volte che avevo accettato di fare qualcosa era stato per loro. Encomiabile spirito di sacrificio! Tutto quello mi confortava come un letto di spine. Mi ero ficcata in un guaio grosso come una casa. Tipico, tipico di Lsyn Amarto, che ascolta la sua testa solo quando la frittata è già fatta! Non dovevo accettare di portare quella lettera. Ah, che fastidio che provai. Perché non dovevo fare il mio dovere, perché mi dovevo rifiutare di fare un bel viaggio semplice solo perché ad aspettarci c’era una pazza e nessuno ci diceva la verità? Ma noi cosa c’entravamo in tutto quello? Che c’entravamo con una regina umana, un regno umano, un’isola sconosciuta e del tutto fantomatica, di cui non mi sarei sentita pronta ad accettare l’esistenza finché non me l’avessero fatta vedere? pochissimo. Vero, un attacco di Lainay non era cosa per niente auspicabile, ma, da quanto ne sapevo, almeno una parte del nostro territorio era al sicuro da qualsiasi brama nemica. Uruk, più o meno, poteva essere parzialmente salvata. C’erano mille altri modi per scampare alla catastrofe. Ma poi, perché proprio me? Io ne avevo già passate abbastanza, o sbaglio? Perché non si firma un contratto dopo certi accadimenti, che assicura una vita tranquilla fino alla morte? Mi venne in mente un’altra cosa, e per poco non saltai via dalla sedia come un gatto spaventato. Isola. Atlantis era un’isola. Un’isola tanto, tanto lontana. Per andare lì si ci arrivava in nave. Per mare. Mi venne un lampo di una vecchia carretta cigolante, di un capitano che teneva in tasca aringhe affumicate e un viaggio che mi aveva segnata nel profondo. Eh no, quella volta non ci cascavo. Isola per isola. Ma cosa, ce l’avevano con me? Chi avevo offeso nella mia lunga vita? Tutta quella storia mi suonava insistentemente familiare.  Ma si mettevano tutti d’accordo? Quello era un complotto. Qualcuno mi voleva seriamente male. Dopo quel pensiero, di chissà quanto tempo a bordo di una nave che non potevo lasciare in nessun modo, la mia voglia restante di sacrificio andò decisamente a farsi friggere. Guardai Lilliagrin, che alla mia esclamazione disperata aveva sollevato educatamente un sopracciglio. Sul volto le era comparso un sorrisino sgradevole, che mi fece scendere il cuore nello stomaco. “no?”. Domandò, imperturbabile, con un sussurro divertito, guardandomi al di sopra della tazza. Ricambiai il suo sguardo con astio. Io non ero di nessuno. Un po’ tardi per rendersene conto, vero? Beh, dovevo arrangiarmi con quello che avevo. Non intendevo lasciare i miei cari. Che mi avessero pure tenuta mesi in cella. Un viaggio in nave da sola no, per favore.  “non ti è chiaro che non è una richiesta, ma…”. Ah no, non intendevo sopportare oltre. Fui tentata di distruggere la tazza orribile che mi aveva dato. Ma poi conclusi che era meglio non esagerare. Provai d alzarmi per darmi più contegno, visto che, bassa com’ero, dovevo dare un po’ l’impressione di una bambina nello studio del padre su quelle poltrone dallo schienale alto, ammettendo che un padre sia così pazzo da foderare tutto di rosa e fiorellini. Ero rabbiosa. Io ero libera. Nessuno mi poteva dire cosa fare. Nessuno poteva toccare i miei pulcini, i miei amici. La bloccai, così, ottenendo anche un sussulto ed uno sguardo carico di sorpresa. Mi sentii fiera delle mie parole rabbiose. “io sono Ch’argon e sono libera!”. Esclamai, trattenendomi dall’urlare per non attirare l’attenzione delle guardie, mentre in me la rabbia, e la consapevolezza venata di soddisfazione per tener testa a quella morta deambulante, imperversavano allegre. “servo solo Uruk, non Isnark né tanto meno te. Tu non mi farai fare niente!”. Rovinai un po’ l’effetto di decisione con le ultime parole e con il gesto che ne seguì, visto che incrociai le braccia come una bambina capricciosa, e pestai il piede a terra. Non era un comportamento degno di una Ch’argon, però faceva scena ed aiutava a sfogare un po’ l’ira che avevo dentro. Io i piedi in testa non me li facevo mettere, non da quell’umana. Potevo fare di tutto ma non quello, quello era vietato. Lilliagrin non sembrò scomporsi. Cadde un silenzio sornione, mentre lei finiva la sua tisana e mi sorrideva, ironica. Il mio stomaco si torse in modi che non avevo mai reputato possibili. Mi parve che lei avesse il coltello dalla parte del manico. Volevo piangere, sul serio. Sentii le lacrime pizzicarmi agli angoli degli occhi, ma le ricacciai indietro. Perché? Perché così volgarmente tradita? Perché Isnark aveva fatto tutto di nascosto? Perché mi aveva celato quelle cose? Quante altre notizie aveva passato sotto silenzio? Allora non si fidava davvero di me? Mi credeva ancora la defunta Ombra? Potevo davvero cancellare, stendere un velo su quella che ero stata oppure il mio terribile passato che rinnegavo sarebbe rimasto per sempre lì, una macchia sul muro? Perché nessuno si fidava più di me? Perché tutti quelli che si fidavano davvero di me, pur conoscendomi, erano morti o non mi volevano più vedere? facevo bene a nascondere a tutti certe cose. Machin, Nilyan, Chekaril e Roxen non sapevano assolutamente nulla su di me. Mi duole dire che avevo taciuto molte cose, avevo mentito anche a Capouille e Zipherias. Benagi era troppo astuto, troppo vicino ad Isnark per essere davvero mio amico. Nessuno dei due cari elfi mi conosceva davvero. Nessuno sapeva a cosa fossero dovuti metà dei miei incubi più orrendi. Chi aveva trovato il coraggio di confessare loro l’assassinio con cui avevo macchiato le mie mani già sporche di sangue? Chi aveva potuto a dire a Zipherias che avevo ucciso due Guardie come lui? Chi poteva confessare che Roxen era mia figlia, e chi ne era il padre? Mantenevo troppi segreti, e questo, pur facendomi talmente male che a volte a stento riusciva sopportabile, era necessario. Ma era quando mi vedevo catapultata in situazioni al limite dell’assurdo come quelle che mi chiedevo perché dovessi mentire per non essere schifosamente sola, perché non avessi avuto una vita limpida. Già che accettassero il mio passato da Spia era molto. Finalmente, la regina riprese a parlare. “oh…peccato”. Disse, con voce flautata ed uno sguardo innocente, che rivolse al cielo come falsamente rassegnato. Socchiusi gli occhi, e mi agitai. Accidenti, questa stava preparando qualche cattivo colpo ai miei danni. Sentii il cuore mancare qualche battito e lo stomaco contrarsi di nuovo. Presi in mano la tazza, tanto per fare qualcosa.  “pensavo che tu volessi davvero bene ai tuoi compari… beh, allora vorrà dire che manderò al posto tuo qualcuno di loro… magari l’elfa dai capelli scuri…”. Sentii, da qualche parte, la tazza cadere dalle mie mani, ed infrangersi a terra. Pensai vagamente a quanti soldi avessi buttato. Ma in quel momento non poteva fregarmene di meno. Oh, no. Non quello. Assolutamente non quello. Roxen. Non poteva farlo. Era vietato! Lei era mia figlia. Come si permetteva di mandarla così al macello al posto mio? Mi sentii malissimo. Ero in trappola, in un’orribile trappola. Ancora. Non poteva sempre andare a finire così, cribbio. Che idiota. Se casomai fossi tornata Isnark sarebbe morto davvero. Mi stava costringendo ad una scelta fin troppo dolorosa. Me, o Roxen. Quella era una scelta obbligata. Ma io non volevo andare, non potevano costringermi in quel modo barbaro! Umani ,sempre umani. Ne ho incontrato pochi, nella mia vita, che non fossero meschini. No, non potevo credere a Lilliagrin. Magari stava fingendo. Come al solito, il mio corpo reagì prima della mia testa. “non puoi farlo!”. Mi sentii esclamare, guardando una regina sorridente, per nulla scomposta dalla caduta della tazza. Il suo sorriso divenne un ghigno soddisfatto. Lei si lisciò l’abito color malva. Lurida serpe. “oh…si che posso farlo…”. Disse, sorridendo verso di me, come se stesse parlando del tempo. Sospirai di nuovo e cercai di non lasciarmi prendere dalla disperazione. Sicuramente c’era una scappatoia, c’era sempre. Lei continuò a parlare. “Isnark me l’ha permesso, ed io voglio usare almeno uno di voi come ambasciatore. Ne trarrete grandissimi benefici, te lo posso assicurare”. Non me ne fregava dei benefici. Io volevo rimanere a casa. Volevo rimanere con i miei cari. Non volevo stare sola. Sola stavo troppo male. Non poteva farmi quello. Mi avrebbe uccisa. Cercai di obbiettare, ma lei me lo impedì con un gesto. “non parlare, Lsyn”. Ringhiò, fattasi improvvisamente feroce, guardandomi male. Tese un dito verso di me, minacciosa. Sembrava tutta un’altra persona rispetto a quella che mi aveva accolto. La gemella cattiva. Ma forse quella buona era solo una farsa. Tipico. Lei e Lainay sarebbero andate davvero d’accordo. “devi sapere, Atlantis al momento è in una situazione particolare”. Agitò il dito verso di me, ed il ringhio si trasformò in una smorfia stranamente soddisfatta. “a quanto pare dalle ultime notizie che ci hanno raggiunti,  il senatore supremo attuale è in rotta con il generale dell’esercito. Bisogna approfittare di questo buco nel loro governo”. Ancora di più il suo volto si stese. Mi disgustò moltissimo. Non poteva lasciarli in pace? E lasciare me, soprattutto? Non volevo abbandonare la sicura terra. Non volevo lasciare i miei cari per tanto tempo. Da sola non vivevo. Da sola non potevo farcela. “siete fortunati. Agirete in una situazione del tutto propizia…”. Sentii il disgusto crescere, e molto probabilmente feci una smorfia, perché vidi il sorriso di Lilliagrin trasformarsi, da divertito a beffardo. Detestavo le infime ragioni di stato. Agirete, poi. Sbaglio o ero solo io a dover partire? Agivo solo io. Con chi mi voleva mandare, con me stessa? Avevo una doppia personalità? Se dovevo proprio andare, perché ero stata vilmente intrappolata, che non si mettessero in mezzo in cose in cui non entravano. Loro erano solo i mandanti, cosa avrei fatto poi era affar mio. Ritenni opportuno fare partecipe di quelle mie riflessioni, almeno, solo per punzecchiarla. “siete? Agirete?”. Domandai, con fare ironico, tendendomi verso di lei. Lilliagrin aggrottò le sopracciglia, perplessa. Non doveva aver capito. Bene. una sola occasione per zittirla mi era sufficiente. Lei mi aveva ferito già abbastanza. Erano quasi centocinquanta anni che non agivo da sola. Dopo tutto quel tempo… tutte le spalle su cui appoggiarsi sarebbero venute a mancare, dopo…dopo tanto. Era quasi incredibile. Ancora non riuscivo ad accettarlo. Dovevo farmene una ragione. Non vedevo nessuna via di scampo alla strada che dovevo percorrere. Già tremavo. Non volevo! Volevo stare con i miei cari! Perché dovevo finire sempre nei guai? Non era giusto. Dovevo reclamare. Non era come avevo creduto che fosse. “io sarò sola, Lilliagrin. Io agirò. Io sarò fortunata…se tutto andrà bene”. La regina sorrise. Poi ritirò il dito che aveva teso. Sospirai di sollievo. Averlo davanti agli occhi era inquietante. Non mi piacque il suo sguardo. Temetti per me, e per gli altri. “oh…questo non te l’ho detto, vero. Che sciocca!”. Si colpì con una mano la fronte, con fare del tutto falso, teatrale. Poi sorrise, ancora più malevolmente. “non credere che andrai sola…spiacente di deludere le tue aspettative di eroina, ma la tradizione vuole che tre sono gli ambasciatori…e tre saranno. Se amici tuoi o miei servitori non importa”. Il sorriso si allargò ancora di più. “sta a te scegliere”. Evviva. Che grande possibilità di scelta. Tuttavia, quella cosa mi rinfrancava. Se proprio dovevo andare al macello, avrei potuto farlo con qualcuno. Magari mi sarei portata dietro Nilyan. Almeno la più delicata dei tre sarebbe rimasta con me. Ma Lilliagrin non aveva finito. Con un sorriso ancora più grande, confutò allegramente tutti i miei piani. “a me importa che non sia la principessina...è troppo pericoloso farle fare questo viaggio”. Sogghignò, in modo tale che temetti per la mia piccola Nilyan. No. Non poteva rimanere sola. Accidenti. Sicuramente non volevo stare con degli umani sconosciuti. Meglio qualcuno dei miei. Ma chi? Chi poteva rimanere con la mia fragile nipotina? Dovevo decidere. Quella bastarda si divertiva un sacco a torturarmi, secondo me. Tanto, ma proprio tanto. “lei rimarrà qui….con noi”. A quelle parole seguì un lungo silenzio da parte mia. Digrignai i denti per non bestemmiare, e cercai di controllare la rabbia che stava cominciando a fuoriuscire dalla pentola del mio controllo. Nilyan come ostaggio. E chi mi assicurava che, una volta partita io, non l’avessero rinchiusa di nuovo in prigione? Ah no. Mi serviva qualcuno di molto tosto come guardia. Io avevo bisogno di compagnia, ma non potevo pensare solo alla mia persona. Mi faceva un male immenso immaginare che io e la mia nipotina, per la prima volta in tutta la sua vita, saremmo state separate. Mi sembrava di tradirla. Quello era il dolore più grande. Faceva davvero male il solo pensiero. Era una tortura. Non era giusto, non era per niente giusto. Lilliagrin sicuramente non avrebbe mai fatto quello alla figlia. O forse si? Da quella persona potevo aspettarmi di tutto. Cercai di calmarmi. La mia voce uscì incredibilmente distorta dalla rabbia, mentre io chiedevo una delle tante cose che mi stavano a cuore quel momento. “tra quanto….potrò farti sapere la mia scelta?”. Dissi, tra i denti, in un modo che sembrò divertire oltremodo  la mia interlocutrice. Lei inclinò la testa, ancora sorridendo. “ti farò sapere la data del tuo viaggio qualche giorno prima, tra un paio di settimane. Allora mi comunicherai la tua scelta…”. Mi sentii sollevata. Potevo cercare il coraggio di dare quella notizia.  In quella, un orologio che non vedevo suonò l’ora. Nove piccoli colpi. La regina sussultò lievemente, poi parve oltremodo lieta di quell’interruzione. “oh cielo…è già così tardi?”. Disse, tornando ai modi leggiadri di prima, senza negarmi un sorriso sarcastico. “sarebbe meglio che tu andassi, Lsyn, è tardi…chiamo subito la guardia, ti riporterà nelle tue stanze!”. Non potevo fare nulla per evitare che lei battesse le mani per richiamare il giovane che mi aveva portata lì. Guardai male quella schifosa temporeggiatrice stava evitando il confronto. Io avevo mille domande da fare, ma lei le stava evitando. Quanto sarebbe durato il viaggio? Era sicuro che non sarei morta? Avrei avuto l’immunità che mi spettava? Le auguravo tutti i mali del mondo, davvero. Lei rispose al mio sguardo con fare falsamente dolce. “mi raccomando, amica mia…dormi bene”. Mi augurò, mentre con lo sguardo chiedeva al destino di piantarmi un’ascia tra capo e collo. Penso che le rivolsi un’occhiata molto simile alla sua. Che amore. Sprizzava da tutti i pori. Io le risposi mentre mi facevo sostenere dalla giovane guardia. “che la notte vi porti ottimi sogni, regina Lilliagrin…”. Oh dei, speravo che facesse uno di quegli incubi da saltare sul letto e non dormire più. Quello che vidi nello sguardo della regina mi sorprese. Al dileggio si sostituì una stranissima espressione triste. Per un attimo, vidi un’altra persona seduta al suo posto. Una ragazzina strizzata in un abito troppo piccolo per lei, che la imprigionava. Immediatamente, quell’espressione scomparve. Mi chiesi vagamente cosa avessi visto in lei, mentre percorrevamo la strada a ritroso. Ma poi affondai di nuovo nello sconforto. Un viaggio in nave. Mi serviva Zipherias, assolutamente. Desideravo la sua compagnia. Era l’unico che sapesse come trattarmi quando avevo paura. Avevo un matto bisogno di lui. Ma poi? Lasciare Capouille solo con Nilyan? Era fuori discussione. Quell’elfo era un imbranato totale. Portare Capouille e Roxen e lasciare Zipherias con Nilyan, lui, che sapeva come combatter contro le sue crisi? No, non si poteva per niente fare. Non avevo la minima intenzione di passare mesi e mesi sola con loro due. Portare Capouille e Zipherias? Penso di aver detto che le ragazze insieme sono un’arma pericolosa. Non sapevo assolutamente che fare. Mi tormentavo. Sapevo che quel pensiero non mi avrebbe fatto dormire, quella notte. Mi sentivo davvero di malumore. Non avevo voglia di fare nulla e pensare a nulla. Incastrata davvero. Bravissima Lsyn, sei un genio, devo farti i complimenti. Mi sedetti sul letto, sconfortata, pensando a come fossi sfortunata ed idiota. Idiota soprattutto. Immaginai al modo più doloroso per ammazzare Isnark. Pensai a mille cose, sempre più abbattuta. Come avrei potuto dire ai miei amici che ci saremmo dovuti staccare? Lasciare due di loro sarebbe stato troppo doloroso. Altri due in meno. Come e dove avrei trovato il coraggio? Entro due settimane dovevo decidermi  a parlare. Primo, non mi potevano vedere sparire da un giorno all’altro. Secondo, io non avevo la seppur minima intenzione di finire con degli sconosciuti, per mesi. Decidere, dovevo decidere. Quella scelta era fin troppo dolorosa. Mi riscosse dai miei pensieri qualcuno che bussava alla porta. Poi si aprì, senza preavviso. Seppi già chi era. Solo i miei amici potevano entrare in quel modo. A quell’ora lo facevano sempre. Eravamo, spesso, gli unici svegli. Sapevo già cosa volevano. Un bel giro per i castello. Avevo sempre voluto ma non potuto accettare, ed ora che potevo alzarmi non volevo farlo. Fino a quel momento erano stati da me, ma ora non potevo più fingere debolezza.  Dall’uscio aperto fece capolino la testa sorridente di Zipherias, seguita poi dalla faccia da volpe che la sa lunga di Nilyan. Sentii Roxen borbottare. Doveva esserci sicuramente anche Capouille. Per una volta, la loro vista non mi procurò gioia. Mi sentii invadere dall’ansia. “toc toc! Si può, vero?”. Fece il mio amico dagli occhi d’oro, entrato già a mezzo. Mia nipote si era già intromessa, a suo agio. Erano tutti un po’ su di giri, da quando ci avevano fatti uscire. Soprattutto Zipherias, chissà poi perché. Io annuii. Non riuscivo a guardare nessuno di loro in faccia. Cercai di farmi coraggio. Ci fu un momento di silenzio. Poi di nuovo la voce del mio amico, più esitante. “Lsyn? Tutto bene?”. Domandò, una vena di preoccupazione nella bella voce profonda, mentre mi sentivo il suo sguardo addosso. Ah, accidenti. Non dovevo farli preoccupare. Alzai lo sguardo di scatto. Cercai di mimare l’espressione di una persona un po’ stanca ma fondamentalmente allegra, come ero stata in quei giorni. Tutti mi guardavano con ansia.  Chissà cosa si aspettavano da me, quale cambiamento d’umore. Sembrarono distendersi quando videro il mio volto. Probabilmente, stavo riuscendo a fingere. Stavo migliorando nella recitazione. Accidenti. Il loro era uno splendido tempismo, però. Non potevo sentirmi peggio. Imitai un sorriso, poi feci un occhiolino a Nilyan, che sorrise, un vero sorriso, che mi scaldò il cuore per un attimo. “si…si, sto bene”. Risposi, sorridendo anche all’indirizzo del mio amico, che mi si avvicinò zoppicando, fino a sovrastarmi, benevolo. Lui mi tese una mano. “allora ce la fai a tenerti in piedi o dobbiamo rimanere ancora tappati qui come topi?”. Una provocazione del genere mi avrebbe fatto ridere. Annuii, guardandolo con preoccupazione. Sperai solo che non intendesse trascinarmi lui. La gamba gli faceva ancora male. Lui fece un gesto, poi mi tese ancora la mano. Roxen saltellò, appoggiata a Capouille, che sembrava piuttosto contento di non dover sopportare i suoi lamenti. “ma… Zipherias…”. Cercai di obbiettare, debolmente. Non me la sentivo di giocare e divertirmi con loro. non ero dell’umore adatto. Lui parve non capire il mio tentativo di resistenza. Fece una faccia un po’ offesa. “dai, Lsyn, la gamba sta benissimo!”. Per fortuna aveva frainteso. Beh, non potevo dir loro di no, ora. Avrei dovuto fingere un po’. Forse era meglio così. Non potevo dire tutto proprio ora. Guardando le loro facce contente non potevo. “non fare l’uccellaccio del malaugurio, è una bellissima nottata, tutta per noi. Andiamo, su!”. Sospirai guardando il suo volto lieto. Guardai Roxen, debole ma felice, Capouille, che mi guardava, l’unico forse a non essere cascato del tutto nella mia imitazione, troppo acuto per farlo, e poi Nilyan trepidante. Non potevo fare la preziosa. Non potevo sprecare quelli che avrebbero potuto essere gli ultimi momenti di pace. Sarebbe stato difficile scegliere chi di loro mi avrebbe seguita.  Zipherias mi tirò su, allegro. Incrociai il mio sguardo con il mio amico dai capelli rossi. Temetti, per un attimo, che lui avesse capito tutto. Il suo sguardo era acuto. Vidi la tristezza nel fondo degli occhi verdi. Poi lui sorrise, e tutto volò via. Cercai di dimenticare quella sera orribile. Ora, dovevo solo stare un po’ in compagnia dei miei cari. Tanto, ero sicura che non ci fosse nessuno. Saremmo andati in qualche bel luogo, e chiacchierare. Tutti dormivano. Ci avviammo fuori. Almeno una volta, niente passaggi segreti. Eravamo tutti stanchi di quel clima di segretezza. Cominciammo a bighellonare, io sostenuta da uno Zipherias che non so come si tenesse insieme, dopo tutto quel tempo che non aveva fatto altro che lamentarsi dei dolori. Eravamo senza meta. Ancora una volta guardai mia nipote. Lasciarla sarebbe stato uno strazio.

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Capitolo 36
*** Qualcosa si muove nel buio. ***


È ufficiale: ho paura

Buonasera a tutti!

Rieccomi, dopo una pausa enorme, con questo capitolo ricco di sorprese.

Vi starete sicuramente chiedendo come mai io abbia aggiornato proprio oggi.

Oggi, la vigilia dell’esame di maturità.

Non dovrei studiare?

Ah… non voglio pensarci. Non voglio assolutamente pensarci.

Oggi però mi andava di scrivere e non di studiare.

Anche perché, come ulteriore molla per farmi mandare all’aria i libri, oggi mi sono stati comunicati i risultati dell’esame Delf B2.

Avevo voglia di festeggiare il mio 85! JJJ

Va beh, ora vi lascio al capitolo, augurando, a chi legge ed ha l’esame come me, in bocca al lupo.

Un saluto particolare, come sempre, va a Carlos Olivera, e a Selly, che spero legga! J

A presto (beh, devo annunciarvi un’altra pausa… ma non temete, tornerò! J).

Akita

 

È ufficiale: ho paura. Lo sapevo, io lo sapevo, sono un idiota, sono un cretino non dovevo farmi prendere dalla smania e finire in questa missione del diavolo. Darei la mia anima pur di fuggire da qui!  Idiota idiota idiota idiota! Ma insomma, perché l’ho fatto? Per una spada? Al diavolo la spada di papà e tutto il resto, che il suo spirito mi perdoni! Tanto io lo so che mica papà si metteva in guai come questi. Papà sapeva combattere mica come me e poi sapeva di certo fuggire e poi non avrebbe fatto quello che ho fatto io Chekaril ha proprio ragione ora sono anch’io a darmi dello scemo. Scemo. Io, scemo, sono io, lo scemo, scemo Machin Tijorn, indegno figlio di un indegno padre! Scemo! Guarda qui in che situazione ti sei andato a ficcare, tu e quell’altro addormentato di tuo cugino! Perché ho seguito quel delizioso bocconcino fin qui? Perché non mi sono stato fermo e buono, ma perché non siamo scappati? No, Machin Tijorn, tu pensavi ad una sola cosa, hai pure fatto i complimenti a quella lì! Perché, io mi domando? Perché? Ma zia Lalla dov’è quando serve? È sempre tra i piedi quando non deve e di certo lei non lo sa che il suo piccino sta per essere sacrificato a chissà che dio! Ora sarà sicuramente bella e lontana, al sicuro in un palazzo amico, bella servita e riverita dalla regina in persona voglio andare da lei voglio la zia! E noi invece qui. Scemo, Machin. Mi chiedo perché ho accettato. Perché dico io perché cioè, Chekaril è pallido come un morto per vederlo in questo stato devo scavare nella memoria quando ancora eravamo piccini non è mai stato impressionabile lui però quando facevamo gli scherzi lui aveva paura ah come siamo stati cattivi. Basta. Ah, ma guardati intorno! Guarda dove la tua mente suprema ti ha portato! Ehi, coscienza, non è colpa mia, io mica ho colpe no, si che ne hai, hai accettato il tè quel tè doveva essere una droga sicuramente ma non è colpa mia se sono gli altri cattivi gli altri cattivi si ma tu sei scemo si è vero. Scemo! Guarda un po’! Perché, accidenti? Voglio piangere. Mi siedo qui per terra, sulla terra umida e piango. Voglio farlo ma so che se sopravviviamo Chekaril me la farà pagare. Fa freddo, ho un freddo cane. Ho paura, d’accordo. Sono un bambino, un bambino scemo! Sicuramente mamma e papà mi vorrebbero strozzare ora, mi avrebbero strozzato se fossero ancora vivi. Ma io credo che tra poco li ritrovo, oh si. Insomma perché ci hanno trascinati una combriccola di matti fino a qui? Perché sembra una grande festa? Insomma, perché siamo scesi nella caverna? Insomma, è vero che ci sono oltre alla tipa cornuta tanti altri sacerdoti ma non potremmo scappare. Scappare, ah. Ritrovare la strada in questo labirinto è impossibile! Hai visto Machin? Visto quel dedalo di corridoi scavati nella pietra che hai incontrato, tutti bui ed illuminati solo da qualche fiaccola? Abbiamo percorso un percorso non percorribile da chi non percorre molte volte lo stesso percorso. Io mica conosco la strada. Chekaril è confuso come me. Mi ha camminato tanto appiccicato che tra un po’ cadevamo. Accidenti si spostasse un po’ beh almeno mi tiene caldo, qui fa un freddo che chissà che se ne accorgono ma che vogliono accorgersi guarda un po’ che pellicce che hanno beati loro me ne ruberei una ma poi lo so che sarei atterrato. Mi gira la testa, ho perso il senso dell’orientamento. Chekaril maledizione lavati gli ho dato una gomitata forse così si rende conto che si deve levare maledetto bestione dal cervello di gallina. È ancora fiocinato a me come un salmone ad un altro salmone quando li pescano nel fiume. Almeno non siamo legati. Questa è una grande cosa. Però non so, ho l’impressione che non possiamo scappare. Però poi…Machin, io non credo che poi ci sacrificano. Non possono, io sono troppo bello, ho stregato tutti io lo so. Almeno, non c’è nessun altare. Accidentaccio. Ehi, mi sono fermato di botto, ma perché spingi? Ammiravo. Accidenti scolpire nella pietra tutto questo dev’essere stato un bel problema. Wah, che grande sala. Oh, piano, non guardare in aria che perdi l’equilibrio. Accidenti però com’è buia. C’è solo qualche fiaccola. Usando ancora le fiaccole questi, ma che tenerezza. Oh…oh…oh! Per tutti gli altari sacrificali per tutti oh non s per cosa ma siamo fritti. Fritti con il lardo ed il burro. Accidenti ho la pelle d’oca. Sbaglio o sto fissando…cos’è, la riproduzione del loro dio? Che diavolo c’entra a fare un cranio gigante di serpente? Perché è appiccicato alla parete? E perché  ci sono due posti enormi e piatti sotto, e perché ci sono le scale per arrivarvi? Cos’è questo scherzo? Che significa? Oh dei, dei santissimi e maledetti in che guaio ci siamo cacciati? Accidenti, Chekaril si sta stringendo a me come se volesse fondersi con la mia persona. O sono io che mi sto stringendo a lui? Non lo so, so solo che ho una gran fifa. Ci siamo fermati proprio sotto quella specie di scale. Quella testa di serpente è proprio minacciosa. Ha anche le corna, torte su se stesse come…come quelle delle capre, quasi. Non capisco. Non ho mai visto un serpente con le corna. E nemmeno un serpente tanto grande, per inciso. Brr, ho i brividi. Un coso di quel genere mi farebbe morire d’infarto sul posto. Quei cosi viscidi e freddi che solo a toccarli mi da l’impressione…oh, basta, o mi verranno i conati di vomito. Che schifo supremo, i serpenti viscidi e le lucertole…brr. Basta, mi sta venendo la pelle d’oca. Brr….vedermi di fronte uno di quei così…la testa è grande quanto me. Però gli scultori devono essere gravi. Che strano dio. Io non adorerei mai un cranio. Un cranio con le corna, poi. Quelle cose mi danno l’impressione di… oh, devono essere appuntite! Ahh! Oh accidenti santi chi sta gridando in modo così acuto? Ahh, aiuto, all’arme, ci attaccano da dove? Ahi. Chi mi sta stringendo la mano? E perché io e Chekaril tra un po’ ci saltiamo in braccio a vicenda dalla paura? Lui ha una faccia…ma la devo avere anch’io così…chi?...ah oh eh….ah. Maledetti tipastri. Dopo averci condotti per gallerie e gallerie che non vedremo più la luce del sole nemmeno a pagarla, dopo averci portato in un posto così gelido che il fiato un altro po’ non diventa ghiaccio ci fanno pure saltare di paura. Chekaril ha la faccia di uno che sta per picchiare qualcuno. È meglio se mi sposto o questo mi aggredisce meglio di no poi sai che figura? Ma io mi domando perché siamo qui. Cioè, io proprio me lo chiedo. Ci stanno perforando le orecchie a forza di urla che poi c’è pure l’eco, ma che, dobbiamo guardarli ed ammirarli? Oh si bellissimi, avete le facce di qualcuno che urla. State urlando davvero? Ah, io credevo che questo fischio persistente nelle orecchie non fosse altro che la mia immaginazione che mi gioca brutti scherzi. Guarda, se ci hanno fatto venire qui solo perché dobbiamo guardare o assumerci la carica di sacerdoti io ammazzerò qualcuno. Abbiamo girato mezzo Regno per niente! Siamo finiti in mezzo al ghiaccio per niente! Ma che casino superbo. Comincio ad avere mal di testa accidentaccio. Io ammazzerò qualcuno prima o poi. Ma guardala quella tipa cornuta, è in testa a tutto e grida più degli altri! Ma chissà, magari è una preghiera. Però da’ fastidio ma proprio tanto. Forse Chekaril capisce qualcosa. Lui le ha studiate, le lingue. Meglio chiedere forse capirò qualcosa. Però devo far finta di nulla, va beh, tanto qui nessuno se ne accorge sono tutti impegnati a gridare. Però mette paura eh. Gente che si batte il petto e urla con la testa per aria. Fa un po’ paura. A me fa proprio impressione. Non ho capito. Ma noi che si stiamo a fare qui? Boh, forse mio cugino lo sa, anche se non credo visto che è perplesso e dolorante come me. Povere orecchie. “Chekaril, ma tu ci capisci qualcosa?”. Spero che abbia sentito il mio sussurro. Uffa. Che peccato, oh. Mi sarebbe piaciuto che il mio cugino Guaritore conoscesse qualcosa. Però no, dice di no. che peccato. Se ci fosse qui Manolìa sicuramente ci saprebbe dire per filo e per segno quello che sta succedendo. Accidenti, perché sento un nodo di tensione nello stomaco? Le urla si fanno più alte e sento pure gente che ride ma qui sono tutti pazzi ma poi che cosa stanno elogiando a forza di strilli un teschio scolpito di serpente gigante con corna? E poi dimmi un po’, sentiamo, ma perché dovrebbero adorarlo? E poi c’è buio. Cioè io non capisco tutta questa scena. Perché rapirci? Siamo in disparte come se non importassimo nulla. Beh, se provassi a scappar…oh, niente da fare. Due tipi vicini a noi si sono voltati…brr. Ho i brividi. Che occhiata che mi hanno fatto. Era infiammata. Gelida poi. Comincio di nuovo ad avere paura. Oh ecco, finalmente. Che sollievo. Gli strilli sono cessati. Guarda, la ragazza cornuta sta salendo le scale. Oh oh oh oh oh, cos’è che spinge e che tira chi spinge chi ci porta? Chi spinge, perché ci stanno spingendo? No no no voi non vorreste portarci lì su! Non ci provare no non farlo no vi supplico sono troppo giovane per morire oh ora ci sacrificheranno ma la mano di Chekaril dov’è accidenti non stringere così mi fai male idiota no accidenti ci stanno trascinando accidenti siamo lì su accidenti accidenti! No, tu non lo farai, accidenti sono più forti di me non c’è niente da fare. Voglio urlare, ma non ci riesco, ci stanno bendando la bocca no perché! A Chekaril brillano gli occhi e non penso per la gioia beato lui che riesce a trattenersi. Che razza di situazione, e tutto per colpa mia! Lo diceva zia Lalla che non possiamo andare a zonzo per il Regno! Siamo bambini! Guarda in che casino ci siamo ficcati. Papà non lo avrebbe mai fatto. Papà era troppo intelligente per farlo sicuramente non si sarebbe trovato lì, su una specie di palco sotto un teschio gigante in compagnia di una tipa con le corna di un cervo. Oh no, cosa fai no, perché, queste sono corde! No, niente, non ci riesco, oh, non voglio piangere ma secondo me sto piangendo no, io non voglio morire sono troppo giovane e troppo carino ma non incanto e non faccio pena? Maledizione a Poldo e Lunsch, io li dovevo uccidere quei due maiali. Ora sono legato come un salame. Mani e piedi. Non posso muovermi. Chekaril non è più vicino a me. Ci hanno messi tutti e due sopra a quella specie di posti piatti e siamo ai lati della tipa. Ecco, ora conoscerò finalmente i miei genitori. Non mi piace come pensiero perché so che non saranno fieri di me. Oh, non voglio sapere quando zia scoprirà che siamo morti. Oh mi dispiace mi dispiace tanto. Nilyan soffrirà, e anche zia Lalla, zia Lalla tantissimo. So che l’ho tradita, io l’ho tradita e non ho mantenuto la promessa. Mi viene da piangere. Ora morirò. Spero che dopo ci sia qualcosa così magari la proteggo con papà. Che idiota. Non avrei mai, mai dovuto bere quel tè. Mai. Troppo tardi per pensarlo, eh, Machin Tijorn. Superbo idiota. Oh, ora guardo la folla che è tutta allegra e l’uscita. L’uscita. Sono debole non sono mica come gli eroi delle favole io sono solo un bambino solo gli eroi potrebbero liberarsi da questa situazione papà l’avrebbe fatto non sarebbe qui. Zipherias mi ammazzerebbe e pure zio Isnark. Oh povero me. Povero Chekaril. Lo so che pensa a Miobashin. Mi dispiace tanto….oh. ora la tipa sta parlando…credo. Che brutta lingua è così diversa dalla nostra. Dev’essere un dialetto perché capisco qualcosa. Poco però. Perché mette in mezzo questi signori del Nord? Ma chi diavolo sono, gli spiriti a cui noi ci andremo ad aggiungere? Strano però, non sento accenni al sacrificio. Si, magari è detto con un eufemismo che non ho capito. Oh cavolo cavolo cavolo cavolo. Niente, non mi riesce proprio di liberarmi no no no, quello che vedo è un coltello guarda, l’ha tolto da una manica ed è un coltello triangolare oh per tutti gli dei no, ora ci ucciderà oh no. Voglio piangere anzi non voglio sto già piangendo! Perché devo dire addio a tutti, eh? Ma chi lo dice che devo dire addio a tutti? Oh accidenti. Non voglio, non voglio! Non voglio morir…oh. No, non ho visto bene. La tipa si è alzata una manica? E perché è così piena di cicatrici? E perché non si avvicina a noi…oh no. Oh poverina. Deve fare male. Il coltello allora serviva a questo? Ma perché ci hanno legati? Cioè, si è fatta un taglio lungo quanto il coltello e chissà quanto profondo ma cosa, è cretina? Ma sentila, la folla ruggisce. Che idioti. Ma noi a che serviamo? Peccato che la vedo di spalle. Non deve avere un grande faccia. Vorrei Chekaril qui ma non riesco a muovermi. Mh? Vedo che sta succedendo qualcosa. Sento un rumore strano…come…oh dei cos’è questo? Perché tutto ruota e si muove? Cos’è questa sensazione strana? Come se ci stessimo muovendo. Oh no. Questa non è una sensazione. Ci siamo muovendo davvero. Davvero ci muoviamo… accidenti, ho paura. Ho paura! Andremo a sbattere nella pietra! Stiamo ruotando davvero! La folla si sta spostando o forse ci muoviamo noi! Chiudo gli occhi è meglio. ora sbatteremo nella pietra ora sbattiamo ora ora ora, ora in questo esatto momento ci muoviamo ed i rumori di festa diventano meno forti ora si ora sbatterò e ci spiaccicheremo ma dove ci stanno portando perché a che serviamo ora? Oh…ora sbattiamo ora. Che strano. Sento che la pietra ha smesso di vibrare. Non c’è più nessun suono. Rimango ancora con gli occhi chiusi che è meglio. non voglio vedere. Sento uno strano sbuffo. C’è qualcuno vicino a me. Apro gli occhi…ah! La tipa! Con il coltello vicino a me! Se provo ad urlare non ci riesco. Non riesco a muovermi! Ecco, ci siamo,  ha alzato il coltello raccomando la mia anima a tutti gli dei! Machin idiota chiudi gli occhi! Paura paura paura non preoccupare è un colpo e via non sentirai niente. Ecco, sento un sibilo e poi….mh? Mi sento più libero. Molto più libero. Sono morto? Mh. Se riapro gli occhi…mh. No. sono vivo. Ma allora perché non sento dolore? Ma cosa mi è successo, perché riesco a muovermi? La tipa mi sta guardando. Mi guarda e poi allunga una mano verso di me. Ho la bocca libera. Ha un’aria diversa questa elfa. È stanca e dolorante, e proprio triste. Mh, non sono morto allora? Provo a muovermi…oh. Mi ha liberato. Allora quella del sacrificio era una farsa? Ora ci libererà? Ahaaa, mi sento felice. Sono felice felice felice! Vedi, era tutta una farsa. Ora mi chiedo perché quei due ci hanno beccati. “su, idiota, alzati”. Ehi. Come si permette? Questa tipa non ha la voce brutta che aveva prima. Un po’ stanca però, dura. Ah, che bello, libertà. Ha ancora le corna in testa. Oh, ora sono in piedi. Che strano. La sala è uguale a prima. Forse ci sono più fiaccole e non c’è gente. Chissà dove siamo finiti. “e comunque mi chiamo Machin. Non idiota”. Che carina. Non è per niente male. Se solo levasse quelle corna…si, è proprio bella. Ha un bel graffio che sanguina. Non sembra accorgersene. Gli sono grato. Ci ha liberati. Lei si sta chinando per aiutare Chekaril. “ma idioti dovete essere per essere caduti nella trappola di quei due cafoni”. Ehi, cos’è questa insinuazione? Oh miei dei. Chekaril si è alzato e mi guarda male. Mi sento arrossire. No, Machin…accidenti. Va bene, mi vergogno. Mi vergogno come un ladro. Ho sbagliato, ho sbagliato, va bene. ho sbagliato. Forse è meglio che mi scuso. “ma non è colpa mia! Insomma, non sono stato io!”. Boccaccia mia, che dice sempre i contrario di tutto. Mica intendevo quello. Oh, non voglio rimanere assolutamente solo con Chekaril. Si sta crocchiando le dita. Immagino che voglia darmi una bella lezione ora che siamo al sicuro. Brr. Non l’ho mai visto tanto arrabbiato. Dov’è la zia che mi protegge? Guardo la ragazza. Poverina, lei è proprio stanca morta. Si preme la ferita e poi si è finalmente levata le corna. È un’elfa come noi. Non ci guarda nemmeno. Sembra presa da tutt’altre cose. Com’è carina. Ha un fisico niente male ed un volto carino. Ha i capelli della zia Lalla però sono lisci, e gli occhi più chiari di lei. Ed è anche più alta e giovane giovane. Non lo so, ma mi sento in dovere di ringraziarla. Almeno ci ha liberati. Che vergogna. Non farò mai parola a nessuno di questa disavventura. Io preso all’amo come un pesciolino. Io, Machin Tijorn, la grande Guardia! Bene, Chekaril mi precede. Ha un sorriso gentile verso questa tipa. Verso me solo occhiatacce assassine! Non è giusto, per niente. “grazie per averci liberati. Come ti chiami?”. La ragazza lo sta guardando strano, con diffidenza. Che strano. Ha uno sguardo allarmato. “Hypia”. Che vocina interdetta. Hypia. Bel nome. Oh bene, ora dobbiamo proprio andare, la festa è finita ed andiamo tutti in pace. Andiamo a casa, ora voglio tornare sul serio. Magari ci potrà dare qualcosa lei. Cibo, abiti pesanti. Tanto non penso che Uruk sia lontano. Mi avvicino a Chekaril. Cauto, almeno. Mi guarda male però non fa niente. Bravo giovane. “allora, Hypia, nostra amica…cosa ne dici di lasciarci andare?”. Bene, ora è finito tutto. Che strani riti però. Lo sguardo della ragazza si fa ancora più spaesato. Perché ci guarda così? non mi piace. Lei si volta per un attimo verso il tunnel. Non c’è nulla, ho visto anch’io. Solo fruscii di topi, o mi sembrano tali. Non importano molto. Poi lei sorride dolcemente. “non posso”. Come? E perché lo dici così sorridendo? Sento improvvisamente freddo. Molto freddo. Io e Chekaril ci guardiamo. È pazza. È davvero pazza. Perché non ucciderci se non ci vuole morti? Scuoto il capo. Questo è assurdo. Quella tipa dev’essere pazza, ma pazza sul serio. A che serviamo ora? Bah. “non possiamo?”. Com’è educato Chekaril, sempre con quel sorriso di Guaritore sul viso. Vorrei aver imparato pure io. Sicuro non ho la sua faccia. Sicuro io ho l’espressione stranita dei suoi occhi. Sento freddo quando Hypia sorride. Sembra sempre che ci vorrebbe mangiare. Sembra tanto stanca. Scuote il capo. “non ve l’ha detto, credo…”. Cosa? Cosa ci dovevano dire? Ho voglia di nuovo di piangere. Non possiamo finire da un guaio all’altro. Non mi piace quello sguardo pieno di pietà e sufficienza. Quella voce morbida. Mi fa venire freddo e le lacrime agli occhi. Ho di nuovo paura e tanta. Mi guardo con Chekaril di nuovo. No, non mi vuole più morto. È solo che questa situazione è tanto brutta. Almeno non sono solo. C’è almeno lui. Voglio zia Lalla. Voglio la zia, il nonno. Voglio che questo sia solo un brutto incubo. Non posso essere nella realtà così sciocco, io. Io sono intelligente, quanto è vero che mi chiamo Machin Tijorn. È solo un’illusione questa. Niente di tutto questo è reale. Ora mi sveglio e scoprirò di essere a casa con zia Lalla che mi scuote perché sto gridando. Si, dev’essere così. non c’è altra spiegazione. Allora la vorrei, perché non è normale trovarsi sottoterra in balia di una tipa che guarda strano, di una sacerdotessa che fino ad un istante prima aveva corna di cervo addosso ed ora ha un taglio sul braccio che sanguina. Hypia, perché esiti? Cosa ci devi dire? Mi preparo alla botta. No, ho l’impressione che non siamo liberi. Magari dobbiamo solo pagare. Farei di tutto per liberarmi. “vedete… Poldo e Lunsch avevano fatto una cosa molto cattiva”. Difficile immaginarsi quei due tipi cattivi. Magari avevano rotto qualcosa. E noi dovevamo pagare. Bella roba. “e quindi dovevano essere puniti. Ma hanno deciso di…provare….a cercare un sostituto. Si può fare, è stata una loro scelta”. Eh? Sono scandalizzato, assolutamente e completamente scandalizzato. E insomma, noi dovevamo beccarci la punizione? Ma noi che avevamo fatto? Bella roba quella. Che ci aspettava? Un’ammenda? Frustate? Guardo Hypia che non si è mossa. Ci guarda con espressione un po’ colpevole. Espressione che ad un certo punto si tinge di ironia. “non pensavo che riuscissero nel loro intento. A quanto pare non sono così stupidi…o hanno trovato qualcuno più idiota di loro”. Sento Chekaril sobbalzare. Meglio non girarmi. So che mi sta trafiggendo con lo sguardo. Sento caldo, molto caldo. Bastarda. Lei ridacchia un po’. Ti faccio ridacchiare io, brutta maledetta. A chi chiami idiota, scusa? A me? Ma mi hai visto? Cioè, hai visto l’insieme di pregi che sono? Osi anche chiamarmi idiota? Ma non mi guardi? Non sospiri? Ah, giovani senza senso estetico. Non accettano la mia genialità. Però è ingiusto. Questo è un metodo per niente democratico. Nemmeno Lainay farebbe una cosa del genere. Mi sento tra due fuochi. Un’elfa che mi sta prendendo silenziosamente in giro ed un elfo che mi vuole morto. Povero me. Nessuno mi capisce. Ora, io non intendo prendermi le frustate di nessuno, sia chiaro. Sono troppo bello per essere deturpato. Chiaro questo. “sia chiaro che io non mi prendo la punizione di nessuno!”. C’è silenzio e poi un altro fruscio. E poi…cos’è questo brontolio? Sobbalzo. Cos’è questo rumore? Che sta succedendo? Ancora silenzio. Hypia ha chiuso gli occhi. Mi domando perché. Voi siete caduti nella trappola, giovani elfi. Una voce, una voce che non ho mai sentito. Una voce roca, che riverbera mille volte nella caverna. È una voce di maschio. È tanto profonda. Sobbalzo. Chi c’è con noi? Chi altro c’è? Oh… miei dei. Qualcosa si muove nel buio. C’è qualcosa nel buio. Qualcosa di grosso, di molto grosso. Ho la pelle d’oca. Ho freddo. Ho paura. Mi trovo ancora addossato a Chekaril. ma so che lui non mi vuole. È tanto arrabbiato con me. Dovete pagare la vostra colpa. Sento…mi sento il petto oppresso da un grande peso. Non riesco a respirare. Non riesco a respirare. C’è un altro fruscio. E poi qualcosa compare dal tunnel. Oh…non posso…ditemi che non è vero. Ditemi che sto sognando. Ditemi che quello che sto vedendo non è reale! È impossibile! Sto sognando! Sono impazzito! Sento Chekaril sobbalzare, e poi sibilare tra i denti. Sto sognando. È impossibile. Ho il cuore che batte come impazzito. Lo sento premere come se volesse uscire. Voglio scappare. Voglio morire. Non è possibile. Sto sognando. Voglio piangere. Tutti…oh. È…è…mi sento girare la testa. Lo vedo, non è un’allucinazione. Mi do un pizzico sul braccio. Dolore. Hypia? No, lei è…boh, immobile. Congelata e sembra non respirare. Guardo in alto perché non è possibile che… niente, non è cambiato niente. No, non è nemmeno un sogno. Eppure zia diceva che erano tutte.. no. Non ditemi che i signori del Nord…no, sto impazzendo. Mi hanno drogato. Non è un…un…no, un’allucinazione non può riempire con la sua mole tutta la caverna gigante, no? non ci può guardare così, no? Allora. Sto guardando un enorme muso triangolare ricoperto di pelliccia soffice e bianca come la neve. Sul muso c’è una criniera nera e lunga, che continua fino penso alla coda. E poi la criniera è anche sulla guance. Questo muso ha un paio di corna come le capre. Come il teschio…solo che…sono…strane. Sembrano di diamante. Oh….brividi. Solo che questo ci sta guardando ed è vivo. Ha gli occhi azzurri, che paiono umani. Solo che hanno la pupilla come quella dei serpenti. E sono enormi. Grossi quasi quanto me. Questo… guardo in basso. Oh dei. D’accordo. Ci sono le ali come quelle dei pipistrelli però bianche e traslucide. Poi…c’è la pelliccia bianca…le zampe…le vedo…la coda…no. mi gira di nuovo la testa. Sto per svenire. D’accordo, mi stropiccio gli occhi. Non può essere. Oh. Sto guardando ancora un muso severo. Sento Chekaril indietreggiare. Vorrei imitarlo. Sono completamente bloccato. Ho…non mi sento più i piedi. Ho paura. Tremo come un bambino cattivo di fronte alla maestra. Ho la bocca secca. Ho paura. Perché…no. Non sto guardando un drago. Un drago non esiste e punto. Ma allora perché lo sto guardando? Che droga c’era nel cibo?

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Capitolo 37
*** Carne da macello? ***


Quella fu la notte più brutta di tutte

Salvesalve!

Un bel capitolo per festeggiare la terza prova, l’infamona, e per aspettare il 10, giorno del mio orale. Ho trovato la forza di aggiornare, evviva! J

Un saluto velocissimo a chi legge, in particolare a Carlos Olivera, che legge, segue, commenta e suggerisce (XD), ed un grande baci oa tutti!

A presto!

Akita.

 

Quella fu la notte più brutta di tutte. Bene, dovevo dire a tutti loro che qualcuno avrebbe dovuto seguirmi e qualcuno no, che la loro zia, la loro amica, la loro guida, se ne sarebbe andata per un po’. Facilissimo a dirsi, occupa pochissimo spazio, vero? Ironia, com’è deliziosamente ironico! Ero disperata, ed è dire poco. Vero, avevo passato ben di peggio, ma la prospettiva di non poter proteggere mia nipote e chi sarebbe rimasto con loro mi tormentava. Quando dare la bella notizia? In quel momento no, erano troppo allegri, davvero troppo di buonumore. Perfino Roxen ridacchiava e sorrideva senza mettersi a sbraitare contro qualcuno all’improvviso, solo perché la sua testa le diceva così. non potevo rompere la loro felicità in mille pezzi. Mi sarei goduta quella serata anch’io se tutto fosse stato normale. Era una notte così bella. Potevo muovermi, avevo i miei cari accanto, eravamo tutti sani e salvi. Cosa volere di più dalla vita. Maledissi Lilliagrin e le sue idee. Mi aveva ficcata in un vespaio. Era poco consolante sapere di essere un’ambasciatrice, per questo intoccabile se Atlantis seguiva le nostre regole, ovviamente. Non penso che a qualcuno farebbe piacere sentirsi dire di portare o metà della combriccola e lasciarne metà a terra o dover andare sola tra sconosciuti. Come fare? Come decidere? Come, come, poter dire ai miei amici, a mia figlia, a mia nipote, che ci saremmo dovuti dividere? Con quale tatto? Ero completamente e solamente angosciata. Avevo ripromesso a me stessa di stare tranquilla, almeno per quel giorno, di dimenticare la brutta notizia di cui prima o poi sarei stata latrice. Non ci riuscivo, non ci riuscivo e non ci riuscivo. Concentrarmi stava diventando davvero cosa proibita, mantenere una facciata di dolcezza, il mio solito carattere, era diventato più o meno come avere Machin tranquillo. Non riuscivo a parlare, a giocare come facevano loro, sollevati per essere usciti da una situazione orribile, non riuscivo a pensare positivo. Dovevo avere una faccia orribile. Se n’era accorto perfino Capouille, che mi aveva stretto una mano d’improvviso, quando ero persa nei miei pensieri, facendomi saltare, con un’espressione triste che non mi piacque molto. Ma io mi torturavo, presa com’ero da teoremi, ipotesi, congetture, piani che mi parevano tutti a vicolo cieco. Mi sentivo una falena intrappolata nella pece. Era una scelta terribile. E se qualcuno si fosse offeso? E se Nilyan avesse avuto un attacco per quella notizia? Insomma, per tutta la sua vita mi aveva avuta accanto, pronta a proteggerla e guidarla. Ce l’avrebbe fatta senza di me? No, io non potevo andare ad Atlantis. Ma perché mi ero buttata in quella missione stupida? Non potevo stare lontana dai miei piccini. Se non c’ero io potevano capitare cose brutte senza che potessi fare niente. Non volevo che accadesse qualcosa alla mia dolce nipotina, tanto allegra. La osservavo zampettare per il luogo dove ci eravamo diretti, un angolino del giardino dove nessuno poteva darci fastidio, incantevole a vedersi, vicino ad un gruppo di alberi che mi sembravano vagamente di ciliegio, o forse altri alberi da frutta, ancora quasi spogli, e soffrivo enormemente. Avevo promesso a Nemys di tenerla d’occhio, di proteggerla. Come avrei fatto? Forse esageravo a tenerla in quel modo? Forse era adulta? Adulta o non adulta, era troppo pericoloso metterla in mani sconosciute. Una minima cosa, un minimo comportamento che in una corte estranea non sapevano di non dover tenere e mia nipote sarebbe esplosa. Lo temevo, lo sapevo. Certo, non giovava proteggerla così, in una campana di cristallo, ma potevo giurare che chiunque avesse visto anche solo una crisi di Nilyan sarebbe stato d’accordo con me. Non era ad Uruk, con un padre accanto, con Dae, con un seguito che conosceva esattamente tutte le regole, con tutti che sapevano che la principessa non si turba altrimenti rischia di impazzire, per sempre, e addio salvezza del Matriarcato! Ma dannazione, perché non potevo portarla con me? Lei sarebbe stata felice ed al sicuro. E perché Nemys aveva voluto dare tutti quei poteri a mia nipote? Non che fossi contraria a fare la mamma chioccia. Fin da quando erano tutti piccoli era un altro po’ un dramma quando qualcuno di loro si sbucciava un ginocchio. Beh, alla faccia del mio apprendistato con Amarto, che ci lasciava liberi a pascolare, come diceva lui, salvo poi prenderci a bastonate, me e Tijorn, quando combinavamo qualche guaio irreparabile, cosa non tanto rara. Dovevamo curarci e lavarci da soli, molto più indipendenti di come lo erano stati i miei protetti. Eravamo piccole Spie, nonostante il Maestro ci volesse bene come se fossimo figli suoi. Però… in breve, quella non era la compagnia adatta da spezzare. Eravamo tutti troppo indispensabili a calmare i bollenti spiriti di ognuno di noi. Ah, ma perché mi ero portata dietro Roxen e Nilyan, la pazza lunatica che non mi sarei fidata di lasciare sola nemmeno pagata, e la mia fragilissima nipotina, che nonostante il suo carattere forte era troppo pericolosa? Perché non mi ero portata solo Capouille e Zipherias? Ah, che idiota! Perché Isnark, che si, avrei ucciso, non mi aveva avvertita che la mia missione poteva diventare un po’ più complessa? Avrei portato solo le mie due Guardie preferite. Tutti e tre eravamo perfetti, ognuno equilibrava l’altro. Ora, Capouille era l’unico capace di domare quella cavalla imbizzarrita di mia figlia, Zipherias, quando io non c’ero, era molto abile a tranquillizzare, lui, così calmo, mia nipote. Come privarle del loro supporto? Come potevo allontanarmi da loro impunemente, tutrice snaturata? Io, che non avevo mai detto a Roxen il mio vero ruolo! Io che avevo fatto da madre a Nilyan! Andare da sola? Io, per mare? Ancora una volta per mare da sola, in balia di onde e chissà quali mostri? Io, per mesi lontana da tutti in mezzo a sconosciuti? In mezzo ad umani, tra l’altro? In un’ambasciata umana io, unica elfa? Mi volevano morta, per caso? Mi volevano fare impazzire di nuovo? Era anche questione di egoismo, ma la realtà era che non ero più Ombra, indipendente, lupo solitario, superba. Avevo paura. Agire da sola mi mozzava il fiato. Non potevo fare nulla da sola, avrei combinato dei guai terribili! Non bastavano i miei cinquant’anni di viaggi come esempio? Avevo condannato metà della mia famiglia agendo come una sconsiderata! Io avevo ucciso Tijorn, per quanto me ne potessero dire! No, non potevo stare da sola. Avevo bisogno di qualcuno! Ma di chi? Portare Capouille e Zipherias? Sarebbe stato bello, bellissimo. Avere un calmante vivo e vegeto a portata di mano era sempre utile. E poi Zipherias era il solo che più o meno mi aveva capita pur senza conoscermi del tutto. Mi vergogno da matti a dirlo, ma era il solo a conoscenza del fatto che non sapessi nuotare e che avessi paura dell’acqua. L’avevo detto a Machin, ma certo lui non era lì! E nessuno degli altri lo sapeva, nemmeno il caro Capouille. Lui sarebbe stato proprio contento di cambiare un po’ aria, lontano da Roxen che gli scaricava sempre la sua rabbia addosso, approfittando della sua pazienza infinita, della sua bonarietà., forse… lasciando Zipherias con Roxen e Nilyan…mi venne un brivido. Il mio amico era tanto tranquillo, ma non aveva la bontà dell’amico. Troppo severo, troppo rigoroso ed esigente, del tipo che pazienta ma poi scoppia. Non proprio adatto per calmare il fuoco che mi figlia covava dentro. In un certo senso, quei due erano troppo simili. Rischiavano di prendersi a capelli: litigavano sempre, al castello. Zipherias la evitava, per quanto era possibile. E allora portare Zipherias? Non che la cosa non mi facesse piacere…anzi. Era bello avere accanto quel grande elfo, mi piaceva fin troppo. Era strano avere quel legame con lui, e anche con Capouille. Con Tijorn era stato diverso. Lui, il mio stupidone che tanto piangevo, era mio fratello, era il mio migliore amico, era me stessa. Agivo in simbiosi con lui. Non avevo mai avuto altri amici all’infuori di lui e Junielle, quando ero Spia. Con gli altri parlavo, vero, ma tutti mi temevano troppo: ero potente, e facevo paura. Ma Junielle era mezzelfa, sanguemisto,  e c’era stato sempre quel muro tra di noi. Loro erano…erano amici. Né più, né meno. Era strano. Non potevo parlare di tutto con loro, non potevo stare in silenzio. Non mi avrebbero perdonato ogni sbaglio, non mi conoscevano per come ero, non mi avevano visto, piccola elfa, giocare nei boschi, né giovane, imparare ad uccidere. Non sapevano perché accidenti mi torcessi le mani quando Roxen piangeva Aevo. Non conoscevano la storia di Chekaril. ma erano amici. Mi volevano bene. Che strano. Sarebbe stato bello avere Zipherias accanto: entrambi sapevamo cosa volesse dire essere a lutto. Ma non potevo lasciare Capouille tra Roxen e Nilyan. Lui era troppo permissivo. Non osavo pensare cosa avrei potuto trovare al mio ritorno…se fossi tornata, ovviamente. Avevo anche paura di quello. Morire. Che brutta cosa da pensare. Proprio in quel momento non ci voleva. Meglio scacciare via quel pensiero, allora. Scacciarlo via e far finta di non avervi mai pensato. Oppure portare Roxen con me, lasciare i due con Nilyan? Oppure…una voce mi scosse dai miei pensieri. Cercai di svegliarmi dal mio torpore. Eravamo tutti seduti su delle pietre, in quell’angolo di giardino a ridosso del castello che era completamente nell’ala opposta alla nostra, quell’ala ricoperta da robusti rami di edera ed immersa nel buio. Tutti dormivano. Era tutto tranquillissimo lì. Non sapevo nemmeno come ci fossimo arrivati, e cosa avessimo fatto. Mi ritrovai vicino Nilyan, che mi si accoccolò accanto, tutta contenta. Aveva passato tutto il tempo avanti ed indietro con Roxen. Doveva essersi rotolata nell’erba. Mi sembrava una cattiva imitazione di un cespuglio. Le passai un braccio attorno alle spalle con fare meccanico. Una fitta di puro dolore mi scosse nell’intimo. Cercai di sorridere per non fare veder la mia pena. Povera nipotina mia. Come avrebbe fatto senza di me? Come avrei potuto proteggerla? Accidenti, come odiavo i sensi di colpa. La mia piccola si appoggiò con la testa alla mia spalla, e mi guardò attraverso i suoi arruffati capelli chiarissimi. “tutto a posto, zietta?”. Mi domandò, dolcissima, stringendosi ancora di più a me. Io cercai di non fare trasparire i miei pensieri. Si, forse andare sola non sarebbe stato male. Almeno loro sarebbero stati tutti insieme. Non dovevo essere così sfiduciata dalle mie capacità. In fondo non dovevo far altro che andare lì, convincere un paio di stupidi e tornare. Niente di difficilissimo. “ti vedo un po’ stanca…stai bene?”. io annuii, e cercai di sorridere. Le accarezzai il viso. Sangue del sangue di Nemys. Accidenti, stavo tradendo la mia Rinnegata in un modo ben poco dignitoso. Sentii un’altra fitta di dolore. Accanto a me si sedette Zipherias. In un attimo, senza che sapessi come e perché. Eravamo tutti insieme. Tutti che incombevano su di me. Erano un po’ minacciosi. Sentii una fitta di disagio. Mi venne voglia di alzarmi, ma poi mi ricordai che non ero abbastanza forte e mi frenai giusto in tempo. Non volevo rovinare addosso a qualcuno. Mi sentii terribilmente studiata. Ebbi l’impressione che stessero leggendo dentro di me i miei segreti. Deglutii e cercai di sorridere. Dovevo mostrarmi più serena, o avrebbero sospettato di me. “davvero, Lsyn…”. S’intromise il mio amico dagli occhi d’oro, mettendomi un mano sull’altra spalla, tenendola gentilmente. Sembrava proprio preoccupato. Lo guardai e cercai di sorridere. Non c’era cascato. Era troppo intelligente. “hai una brutta faccia, sei pallida. Non parli da un po’. Forse abbiamo tirato un po’ la corda…”. Sobbalzai. Accidenti, no. Non volevo tornare dentro… proprio no! Era ancora presto, e non sentivo sonno. Dovevo darmi un contegno. Contegno, Lsyn. Guardati attorno. Guarda quel bel frutteto e Qerin di notte che è illuminata come a festa… guarda il prato che è verde e che illuminato da qualche lanterna ad olio, tanto per dare un tocco favoloso a tutto. Guarda tutti che ti sono attorno e ti guardano angosciati. Anche Roxen era angosciata. Io amo mia figlia, non l’ho mai detto? Dovevano essere tanto preoccupati per me. Ma che cari. Sentii una sensazione di calore all’altezza del cuore. Erano tutti con me. I miei amici che mi amavano. Fu così che riuscii a fare uscire un sorriso quantomeno passabile rivolto al mio amico. Lui mi guardava con occhio clinico. Quando faceva così mi dava i brividi. Sembrava che conoscesse tutto di me, che conoscesse ogni centimetro di me a memoria. “sto benissimo, non vi preoccupate…. È ancora presto, cosa rientriamo a fare?”. Era vero. Già era stato abbastanza difficile convincere le guardie per il castello a farci passare. Era stata dura far capire loro che noi non potevamo stare a letto alla loro ora. Era stato abbastanza complicato farci dare il permesso. Dovevo stare tranquilla. Sarebbe venuto l’indomani per pensare. Non potevo far pesare a tutti la mia tortura. Non dovevano sacrificarsi loro. io non mi sentivo debole. Potevo resistere benissimo. Era bello stare con loro. Non potevo privarmi di una cosa di cui avrei fatto a meno per tanto tempo. Quel pensiero mi fece stringere ancora più forte mia nipote, che rispose alla mia stretta soffocante allo stesso modo, aggrappandosi a me. Roxen mi fissò con aria annoiata e sarcastica. Glielo leggevo negli occhi, non mi credeva. Mi faceva sentire incredibilmente a disagio. “si, certo, come no, stai bene”. Annuì, con il tono di chi sta facendo un piacere ad un amico sul letto di morte. Sentii una fitta di fastidio. Poi la guardai meglio. Uhm, forse era davvero meglio tornare. Lei era quella stanca. Si teneva a Capouille e sembrava lì lì per addormentarsi. “ma io sono stanca, perciò tutti vogliono farmi un piacere, vero, ragazzi?”. Nilyan annuì freneticamente, mettendosi dritta e sciogliendo il mio abbraccio. Zipherias chinò solennemente il capo, un cenno di assenso, e Capouille sorrise. Li guardai male. Maledetti traditori, tutti d’accordo. Avrei dovuto fingere meglio. Però si, la salute di mia figlia veniva prima di me. Forse era meglio andare a dormire: sarei riuscita a dimenticare per un po’ la scelta terribile che mi aspettava. Sospirai allora, e mi feci trascinare su da mia nipote. In un baleno eravamo tutti in piedi, pronti per tornare e litigare con le guardie. “va bene, va bene…andiamo allora…”. Sospirai, appoggiandomi a Nilyan per un po’ di aiuto. Ci avviammo tranquilli, in silenzio, nella quiete del giardino. Si, forse il sonno fonte d’oblio mi avrebbe fatto bene. Non era bello sentirmi così straziata.

 Cominciammo a ripercorrere, così, il tragitto al contrario. Ci addossammo al castello, a quell’ala immersa nel buio e coperta dall’edera, in silenzio per non svegliare nessuno, come avevamo fatto all’andata. Non ricordavo esattamente cosa avevamo fatto in quel periodo nel giardino, ero troppo presa da me stessa, ma ero sicura che un umano insonne avrebbe sentito ben più di un incomprensibile cinguettio quando eravamo sui sassi. Ma ora dovevamo andare in silenzio. Era questione di puro rispetto per chiunque fosse stato il dormiente. Non potevamo tagliare per i giardino perché non conoscevamo la strada. Andare sotto i muri era l’unico modo per ritrovare la strada in un giardino immenso e deserto. Mi godetti la vicinanza di tutti i miei cari. Nilyan, che mi teneva stretta ed era contenta, Zipherias, che sentivo camminare vicino come un cane da guardia, pronto a sorreggermi se fossi caduta, tutti e tre in religioso silenzio, perché i cuori parlavano più delle bocche, Capouille e Roxen, che erano un po’ più discosti, avanti a me, e discutevano sottovoce di chissà cosa. In fondo, era una bella vita. Su, non potevo lamentarmi. C’era chi volevo bene. Erano tutti diversi, i miei amici, però tutti speciali. Non potevo fare a meno di nessuno di loro. Scossi la testa quando Roxen cercò di liberarsi dalla stretta di Capouille. Sempre indipendente, lei. Sempre dalla testa dura come il ferro. “ti ho detto che riesco a tenermi in piedi accidenti!”. Sibilò lei, abbastanza ad alta voce perché io la sentissi. Ecco, doveva litigare con Capouille per questo, ecco il miglior modo per rovinare la serata. Mi pareva strano che mia figlia fosse stata fino a quel momento tranquilla. Alzai gli occhi al cielo e poi guardai un’esasperata Nilyan. Era sempre la solita. Capouille borbottò qualcosa, decisamente al limite della sopportazione. Infine, irritato, lasciò andare la sua amica, che fece qualche passo barcollante in avanti. Ci fermammo. Capouille si tese, pronto ad afferrarla in caso di caduta. Poi si girò a braccia aperte verso di noi. Aveva una faccia molto più che stufa. Ci guardò, arrogante. “visto?”. Mugugnò, facendo la linguaccia penso a tutti noi. Si girò e fece un altro passettino esitante. Poi si girò di nuovo, e mise le mani sui fianchi, guardandoci con aria tronfia. “sto in piedi! Visto che avevi torto ad essere così…ah!”. Mia figlia gridò, mentre qualcosa di grosso e scuro piombava improvvisamente dal cielo, accompagnato da qualche ramo e foglia, travolgendola. Sobbalzai. Agguato, assassinio! Chi ci attaccava, chi ci feriva? Feci per accorrere verso mia figlia, ma poi mi trovai bloccata. Nilyan fece quasi per fuggire, poi si ricordò di me. Zipherias pose mano al fodero della spada, prima di ricordarsi che era ancora nelle mani degli umani. Capouille si lanciò verso un ammasso brulicante. Ma che diavolo? Più in ritardo, perché più lenti, ci avvicinammo anche noi. Sentii il cuore in gola. No, a Roxen non doveva succedere niente. Se solo qualche mostro l’avesse aggredita avrei ucciso Lilliagrin con le mie mani. Sentii quasi cadermi le braccia quando ci avvicinammo abbastanza per vedere. Ero stupefatta. Mi ritrovai a fissare, attonita, un groviglio di braccia e gambe difficilmente districabile. Qualcuno era caduto…un momento, ferma, stop. Qualcuno era caduto dal cielo? Mi guardai con Zipherias, che aveva l’espressione che dovevo avere probabilmente io, un po’ frastornata, e poi entrambi guardammo verso l’alto. Sentii Nilyan ridacchiare, un risolino che divenne poi incontrollabile. Ma che diavolo stava succedendo? Avevo il cuore in gola dallo spavento. Guardai verso l’alto. Una finestra era aperta, e dei rami di edera penzolavano, strappati da una scivolata non proprio tempestiva. Qualcuno… era fuggito? Ma che stava succedendo? Chi diavolo era il cretino che aveva travolto mia figlia, che a stento si teneva in piedi? Guardai finalmente la scena del delitto. La mia piccolina si era già rialzata, incolume, ed ora osservava, appoggiata a Capouille, la persona che le aveva fatto quello sgarbo. La guardai anch’io. Doveva essere una domestica. Aveva la loro livrea scura, con lo stemma di Fiya cucito su, la loro stessa, identica, aria dolcissima. Doveva essere poco più di una ragazzina, una giovane se la mia conoscenza delle età umane non erra, piccina, anche se non certo quanto me, e mingherlina. Non c’era nulla di particolare in lei, nei colori indistinguibili nella notte, a parte una certa aria così mite, sul volto lasciato libero dai capelli, che mi veniva voglia di sorriderle. Era mortificata, povera piccina. Mi faceva una pena immensa. Guardava Roxen, mortificata. Sicuramente era una delle domestiche della notte che se la stava svignando. Una scansafatiche, eh? Povera cucciola. Mi faceva una tenerezza immensa. Doveva essere letale quanto un cucciolo di gatto, o cane. La ragazzina fece un piccolo sorrisino all’indirizzo di mia figlia. No, no. Quello non era il miglior modo per rabbonirla. Povera piccola servetta. Non sapeva ancora cosa l’aspettava. Mi girai verso di lei, e provai un vago senso di allarme. Era livida di rabbia, con uno sguardo assassino negli occhi ed i denti digrignati. Giudicai una fortuna che non stesse al suo meglio. Se fosse stata bene l’avrebbe fatta a pezzi solo per averla sfiorata. Figuriamoci poi piombarle addosso! Mi scambiai uno sguardo allarmato con Zipherias. Nilyan aveva smesso di ridacchiare. Guardai la giovane umana. Un altro po’ aveva le lacrime agli occhi. Era chiaro che era lungi dal farlo apposta. Sentii una fitta di simpatia per lei. Beh, in fondo non aveva fatto nulla di male. Me la sarei svignata anch’io al suo posto, con un superiore come la madre. Nessuno si era fatto male. Era tutto a posto. Ma mia figlia sembrava di tutt’altro avviso. “e allora?”. Ringhiò, guardando la giovane come se volesse avventarsi contro di lei. La domestica si fece piccola piccola, intrecciando le mani dietro la schiena e guardandosi furtivamente intorno. Poi tornò a fissare Roxen, nera di rabbia. “mi dispiace signorina…”. Disse, con un filo di voce, evidentemente intimorita, abbassando il volto. “non volevo farlo apposta…sono caduta…io…”. Il suo monologo balbettante fu interrotto dal ringhiare non tanto sommesso di mia figlia. Lei quasi urlò, perfettamente udibile, l’accento sempre più marcato man mano che aumentava la rabbia. Socchiusi gli occhi. Ci mancava solo questa. Oh oh. Mi venne voglia di proteggere quella povera umana. Non sapeva ancora a cosa stava andando incontro. Povera piccina. Se la cosa fosse degenerata l’avrei protetta io. Mi ricordava tanto Nilyan quando era di umore dolce, il che non accadeva proprio spesso. Mi era così simpatica, con quel viso a cuore pieno di innocenza giovanile, quell’innocenza che noi vediamo solo nei bambini e che negli umani perdura più a lungo, quell’innocenza che forse io non avevo avuto mai. “tu tu tu!”. Mi sembrò che Capouille non stesse più sorreggendo mia figlia, ma la stesse trattenendo. Era pallido come un morto. Capii ben presto perché. Roxen si stringeva un lembo del suo abito semplicissimo, probabilmente laceratosi durante l’impatto con la giovane o con il suolo. Mi sentii ghiacciare le guance. Oh no. Toccate tutto, ma non i vestiti di mia figlia. Erano come suoi amici! Deglutii, e l’impulso di proteggere la ragazzina si fece più forte. Roxen le avrebbe tagliato la testa per quello. L’avrebbe gettata in pasto alla regina. “ti rendi conto di cosa hai fatto, buona a nulla? Ti rendi conto?”. Socchiusi gli occhi quando lei alzò ancora di più la voce. Così avrebbe svegliato tutto i castello. Capouille tentò di bisbigliarle qualcosa di calmante, ma lei gli diede una gomitata sul volto. Il labbro gli sanguinò per un po’ dopo di quello. Il mio amico sembrò incredibilmente offeso da quel gesto. Ma non la lasciò. Semplicemente, con un braccio mantenne mia figlia e con l’altra mano si andò a tamponare il sangue che usciva copioso. Roxen sembrava lì lì per avventarsi sulla piccola e strapparle tutti i capelli, o farle comunque molto male. Se si fosse liberata  avrebbe dovuto vedersela con me. Non permettevo mai che si alzassero le mani contro le domestiche. Quando l’aveva fatto, ad Uruk nel castello, in mia presenza, me l’aveva pagato. L’avevo presa per le orecchie e le avevo dato una bella strigliata. Sperai che si ricordasse della lezione. Mi sembrava, però, così irritata che avrebbe sgozzato un drago a mani nude. Mai toccare gli abiti di Roxen, mai, a meno di non voler morire in modo molto doloroso. La piccola tentò un’ultima difesa disperata. “ma…io…”. Fece, quasi in lacrime, guardandosi intorno come in cerca di aiuto, un uccellino preso in gabbia, desolata. Mia figlia non la lasciò finire. La investì di un nuovo torrente di rabbia. “ma tu niente, pezzente!”. Urlò, abbaiandole contro tutta la sua rabbia. Zipherias mormorò, scandalizzato. Non tollerava che si chiamassero così le domestiche. E, a dire la verità, anch’io, che non c’ero mai andata per il sottile, cominciavo a provare un lieve senso di vergogna. Povere serve. In casa di Roxen doveva essere un inferno. “mi hai strappato il vestito, sai cosa significa, morta di fame? Che volevi fare, miserabile, scappare? Aspetta che lo sappiano i tuoi superiori e poi vedrai come ti piacerebbe aver guardato giù prima di scendere! Qual è il tuo nome?”. Sbaglio o avevo visto un lieve sguardo impaurito negli occhi della giovane? Sbaglio o per un attimo c’era stato il panico, subito sostituito dalla falsa sicurezza e dal dolore? La voglia di proteggerla raddoppiò. Poco ma sicuro, Roxen non avrebbe fatto nulla. Gliel’avrei impedito con tutta me stessa. La piccola abbassò lo sguardo, caparbia, e non rispose. Brava piccola. Così doveva fare contro quella testa calda che si credeva la regina del mondo. roxen non sembrava pensarla come me. Capouille ebbe il suo bel daffare per non lasciare andare l’amica, che si divincolò, presa sicuramente da una delle sue manie omicide. “che fai, cane rognoso, non rispondi?”. Ululò, completamente fuori di sé. Era così carina mia figlia. Ma quando si arrabbiava era una furia. La odiavo vedere così. Quella piccola sicuramente non l’aveva fatto apposta. Era solo cascata, tutto lì. Nessuno si era fatto male. Un po’ comprendevo anche la mia piccola, che, poverina, era stata maltrattata da quando era arrivata lì, però stava davvero esagerando. Perfino Nilyan era scandalizzata, completamente scandalizzata. Beh, lei di solito con le domestiche ci faceva amicizia. Me ne ricordo una, che è ancora lì, con la quale lei fa le nottate intere a cianciare e cianciare e ridacchiare. Sono grandi amiche. Probabilmente se fosse caduta su di lei la cosa sarebbe finita in una gigantesca risata. Sarebbe stato meglio così. “il tuo nome, demente, il tuo nome!”. In quel drammatico momento di quella gazzarra, in cui fui sicura che la giovane sarebbe scoppiata in singhiozzi di lì a poco, povera bambina, una luce di sopra si accese, ed una figura fece capolino dalla finestra aperta. Sospirai. Non sapevo se essere felice o no. Chissà chi diavolo avevamo svegliato. Sperai non la regina. In quel caso, la piccola domestica sarebbe stata davvero fritta. Ci fu un momento di silenzio. “oh, no…”. Sussurrò la ragazzina, alzando gli occhi al cielo, con aria colpevole. La imitai. Tra la luce delle lampade accese all’interno della camera si stagliava una figura di anziana, una donna ben più che abbondante, con un viso delicato e materno ed una lunga treccia grigia. Aveva ancora la camicia da notte…ed un’assurda cuffietta intesta, che mi fece sgranare gli occhi quando la vidi. Umani. Dovevamo averla tirata giù dal letto. La vecchia sembrò completamente stupefatta. Poi strinse le labbra. “principessa Ellyn, cosa diamine fate laggiù?”. Abbaiò, con voce severa. Le mie guance, da fredde che erano, divennero gelide. Sentii girarmi la testa. E penso che sarei svenuta se un miracolo non mi avesse sostenuta. Guardai meglio la ragazzina. Ma cosa diavolo ci faceva, vestita da domestica? Ora che notavo…alla luce c’era una certa somiglianza con la regina, anche se la piccola aveva la carnagione più colorita, e occhi e capelli più chiari, di un morbido nocciola. Sentii Nilyan gemere e trattenere il fiato. Ma Roxen era la più comica. Guardava la ragazzina immobile, con la stessa aria di una alla quale hanno appena tirato un secchio di acqua addosso. Ma non potevo biasimarla, mi sentivo così anch’io. Principessa. Ellyn. E come l’aveva chiamata mia figlia? Pezzente? Demente? Morta di fame? La testa  mi girò di nuovo, e mi aggrappai a Nilyan per non cadere. Oh per tutti gli dei. Eravamo fritti, ma fritti davvero. Con una madre come la sua, non potevo sperare in bene. a quel punto ci avrebbero torturati, altro che mandarmi ad Atlantis. Ma perché? I guai non arrivano mai soli? Perché non era caduta addosso a Zipherias così tranquillo? Ma perché doveva fuggire proprio quando stavamo passando noi? Ma perché doveva fuggire, tra l’altro a quell’ora? Voglia di liberta? Vestita da domestica poi. Che figuraccia! Morti. Saremmo morti, morti e punto. Morti davvero. Maledizione. Io avrei ammazzato Roxen, ma davvero. Per una volta avrebbe abbassato la cresta, e perbene. Ellyn, così dolce e gentile, sorrise in modo colpevole alla vecchia, che doveva essere chissà, la sua governante, forse. “ma Peggy, dai!”. Obiettò, mettendo il broncio, interdetta per essere stata beccata durante la fuga. Non sembrava per nulla essere toccata dagli insulti di mia figlia. E ci credevo. Con tutto quel potere in mano ci avrebbe atto sputare l’anima. Avevamo insultato…l’erede al trono di Fiya. Quello non era un incidente diplomatico. Era un disastro! La vecchia scosse il capo, severa. La cuffietta gli scivolò un po’ sulla fronte ampia. “niente dai, signorina. Vi avevo detto che oggi no! La finirete mai di sparire appena abbasso la guardia?”. Fece, stringendo ancora di più le labbra. Mh, quella bimba mi ricordava un po’ troppo Nilyan. Sperai che avesse la sua stessa dolcezza e non avesse preso la vena sadica della madre. Altrimenti, eravamo morti, ma morti sul serio. La principessa parve a disagio, ed abbassò lo sguardo. “lo sapete che vostra madre è ancora in giro, oggi. Potreste mettermi nei guai se vi scoprono!”. Ellyn sporse ancora di più il labbro inferiore, ma poi sembrò capitolare. Gelo. Io non sentivo altro che gelo. Oh, poveri noi. Morti, carne da macello. “scusa Peggy, non lo faccio più!”. Disse infine, contrita. La vecchia parve addolcirsi. “su forza leprotta, salite…”. In quel momento, parve accorgersi di noi, ancora stretti intorno a lei. Sobbalzai. Oh oh. Ecco. Entro poco eravamo morti. Si si, proprio si.  “principessa, è tutto a posto con queste persone?”. Domandò verso la ragazzina, guardandoci con astio. Rabbrividii e strinsi mia nipote. Oh miei dei eravamo fritti, morti e sepolti. “ho sentito dei rumori, prima. Sono stati loro, per caso? Vi hanno fatto del male? Devo chiamare le guardie?”. Oh, ecco. La nostra fine. Morti, saremmo morti tutti. Eravamo tutti torturati. Deglutii, mentre lottavo per non cadere come una pera cotta. Guardai Roxen. Quella sull’orlo delle lacrime ora era lei. Si era fatta in un angolino, addossandosi ad un  Capouille mezzo morto di paura. Ellyn ci guardò tutti. Poi sorrise. Oh accidenti. Se era come la madre…morti tutti. Lei scrollò le spalle, fissandoci con un’aria furbetta, ma non arrabbiata. Specialmente, Roxen fu la ricevente di uno sguardo giocoso. Non  sembrava essersi arrabbiata, la piccina. Sembrava più che altro un po’ seccata di essere stata beccata. Eh, ci credevo. Doveva essere uno spirito libero senz’altro. Se ci avesse risparmiati sarei strisciata verso di lei in ginocchio per leccarle gli stivaletti. Lei ci fece un occhiolino. “no, Peggy, non ti preoccupare. Li ho solo spaventati!”. Perché mi sentivo così debole all’improvviso? Cos’era, quell’immediato sollievo? Accidenti, l’avevamo scampata grossa. Nilyan si afflosciò un po’. Sentii Zipherias sospirare di sollievo. Fulminai Roxen, pallida e quasi sul punto di piangere, con un’occhiata assassina come le sue. Quella volta mi avrebbe sentito. L’avrebbe piantata di essere così arrogante, una volta e per tutte!

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Capitolo 38
*** Un po' di severità. ***


Sospirai di nuovo, presa da un misto di sollievo e rabbia

Capitoletto senza pretese, scritto solo per completare quello che è successo nell’altro capitolo.

Approfondisce solo un po’ la psicologia di alcuni personaggi, per il resto non penso ci sia molto da direJ

Al prossimo aggiornamento, saluti a chi (chi XD) commenta… (Carlos Olivera, ma ti pareva, guarda un po’ XD) e baci a tutti, perché oggi vi voglio bene solo perché non ho studiato.

A presto;

Akita.

 

 

Sospirai di nuovo, presa da un misto di sollievo e rabbia. Alla paura terribile che aveva seguito l’angosciante rivelazione di aver liberamente insultato l’erede al trono di Fiya si era sostituita la furia, che cominciava già a bollire a fuoco lento. Oh, una volta soli sarei esplosa, altroché. Ah, Roxen me l’avrebbe pagata, e pure tanto. Ma chi si credeva di essere? Se pure quella ragazzina non fosse stata la principessa, come osava rivolgersi a lei in quel modo? Come si permetteva di essere così arrogante? Oh, io le avrei fatto passare la voglia di tenere la cresta alzata una volta e per tutte. Aveva davvero superato il limite consentito. Come madre e come tutrice non ero per niente disposta ad accettare di più. Mia figlia aveva urgentemente bisogno di una lezione, tanto per ridefinire un po’ i ruoli. E va bene, potevo passare sul fatto che turlupinasse liberamente elfi ricchi e soli, spesso e quasi sempre più grandi di lei, per tornaconto personale. In fondo non era una pratica a me del tutto sconosciuta, e, prima di conoscere Chekaril, ne avevo fatte di peggiori. Potevo far finta di nulla e sorvolare sul suo caratteraccio viziato. Era mia figlia e le volevo bene per com’era. Era un regalo dal cielo, il fatto che l’avessi con me e che non fosse una Spia. La sua compagnia era la cosa più preziosa di questo mondo. Un tesoro enorme: non sarei mai stata capace di dimenticare la sofferenza che era stata doverla lasciare a pochi mesi, per ritrovarla già bambina, inconsapevole del legame che ci univa. Potevo tollerare i suoi imprevedibili sbalzi d’umore, ed il fatto che maltrattasse Capouille. Non si lamentava lui, chi ero io per mettermi nei loro affari? Andava bene anche il fatto che ogni tanto mi rispondesse in modo brusco, e che fosse un po’ insolente. Poteva benissimo trattare male le sue cameriere personali, ma non doveva azzardarsi a comportarsi, in un luogo in cui eravamo poco più che ospiti sgraditi, come se fosse la padrona. Se solo avesse saputo, lei, tutti gli sforzi e sacrifici che ero stata costretta a fare per garantirle quella libertà, tutti i compromessi! Non era lei quella che era stata costretta a strisciare al cospetto di Lilliagrin. Non era lei quella che doveva andare in un luogo di cui non si conosceva altro che poche storielle! Di certo non era lei quella che doveva badare ad una nipote pericolosa per se stessa, e non era lei quella straziata da una scelta che avrebbe portato con sé, inevitabilmente, grossi problemi e tensioni tra di noi. Lei era sempre vissuta come una principessa, servita e riverita nel suo mondo di fiaba. Oh, non intendevo negarle nulla di quanto le davo, ma doveva rendersi conto che quella boria poteva costarle caro. Ed io non volevo di nuovo vederla soffrire, né volevo vederla a letto, né volevo che qualcun altro si sacrificasse per lei. Doveva imparare almeno cosa significasse essere umili. Non strisciare, quello no, non permettevo nemmeno a me di farlo, ma doveva ricordarsi che non era a casa, e non tutti avevano la pazienza di quella dolce umana. Quindi, mi preparai mentalmente per una bella ramanzina. L’avrei trattata come una bambina se fosse stato necessario. La guardai. Era rossa di vergogna, le guance accese per la terribile figura che aveva fatto e ci aveva fatto fare, ma non sembrava pentita. Guardava Ellyn senza il minimo accenno di scusa, con sfida, come se il suo unico scudo fosse il suo rango. Mai mettersi tra mia figlia ed i suoi abiti. La principessa, invece, ci guardò tutti con molto interesse. Peggy si era zittita, una volta che lei l’aveva rassicurata, ed attendeva che risalisse, per andare a dormire. La piccina non aveva perso il suo sguardo vivace. Sembrava leggermente interdetta, come se non tutto fosse andato secondo i suoi piani, ma non sembrava avercela con noi, anzi. Era decisamente incuriosita dal nostro aspetto. Chissà, doveva essere la prima sua volta a contatto con degli elfi. Sentii una lievissima fitta di disagio nello stomaco. Dovevamo scusarci. Dovevo scusarmi. Il capo della banda ero io. Avrei tirato le orecchie a mia figlia in un momento più idoneo. Mi toccava, lì, appoggiata a mia nipote, l’erede al trono di un regno marginale come poteva esserlo Uruk, esprimere il mio dispiacere per un simile disguido. Non ne ero esattamente felice. Mi sentii arrossire incredibilmente. Che vergogna. Perché mi dovevo sempre piegare io e mai gli altri? Accidenti, ora capivo da dove venisse tutto quell’assurdo orgoglio di Roxen. Da me non aveva preso solo l’aspetto fisico. Ma mia figlia non poteva starsi zitta, quella capra? Stava costringendo me, me, che non avevo fatto nulla e non avrei mai fatto quella scenata lì, perché tutti quegli anni mi avevano insegnato a stare al mio posto e che non ero una dea, a scusarmi al posto suo. Lei non l’avrebbe mai e poi mai fatto. Toccava a me. Accidenti, era peggio che scendere in ginocchio delle scale cosparse di chiodi. Oh, se le avrei tirato le orecchie, a quel muro! Altro che a punta poi, dopo la ripassata che le avrei fatto avrebbe potuto stenderci i panni ad asciugare. Ah, che rabbia. Mai una cosa dritta. Però, dovevo ritenerci fortunati che Ellyn non fosse come la madre. Fisicamente un po’ le assomigliava, vero, non troppo, ma caratterialmente doveva essere al suo opposto. Se ci fosse stata Lilliagrin, lì, ero certa che saremmo stati acchiappati dalle guardie e portati nella sala delle torture, senza pietà. Questo non  aiutava a strisciare però. Odiavo comportarmi come una serva. Che rottura di scatole, l’etichetta. Così, fermai Ellyn prima che potesse parlare lei. Mi districai dall’abbraccio di Nilyan. Sentii, dietro di me, Zipherias tendersi, nervoso. Sentii un lieve moto di stizza. Ehi, non ero debole. Accidenti, io riuscivo a stare in piedi. Non erano previste altre violente cadute dall’alto, no? Feci così un esitante passo in avanti. Fu più difficile del previsto. Ero stanca, oltraggiosamente stanca. Maledetta Lilliagrin e tutte le sue diavolerie. Guardai così la giovane negli occhi, imitando un leggero inchino. Era tutto quello che mi riusciva. Ero troppo debole davvero. Lei sorrise, gioviale, e s’inchinò a sua volta, quasi per prendermi dolcemente in giro. Dovetti trattenermi per non arrossire di nuovo come una sciocca. Che vergogna. Roxen me l’avrebbe pagata davvero, quella volta. “perdonateci, principessa, per la scortesia che abbiamo mostrato nei vostri confronti..”. Mormorai, umilmente, abbassando il capo. Mi torsi le mani. Accidenti. Avrei preferito mille volte rimanere nell’ombra. Mi sentivo brutta, sporca, io, così piena di cicatrici. Sicuramente la piccina si era chiesta, nella sua innocenza, cosa diamine avessi fatto. Mi vergognavo anche per quello. Non ero esattamente carina. Per una principessa dovevo essere una compagnia quasi disdicevole. La pezzente ero io, cresciuta in un bosco, allevata come traditrice, servitrice di Lainay. Quel marchio mi sarebbe rimasto per sempre addosso. La principessa mi interruppe con un suono scocciato che aveva ben poco di regale. Quella cosa mi indusse ad alzare il capo. Più il tempo passava, più Ellyn mi ricordava Nilyan….anche se la mia nipotina non era così bonaria. La ragazza mi guardava, allegra. Poi scoppiò in una breve risata, facendo un gesto con la mano, come a voler dire che non era importante. Mi sentii più sollevata. Era adorabile. Difficile non volerle bene. Ero sicura che tutti andassero pazzi di lei. Sembrava una ragazzina come le altre, non certo una principessa boriosa. Che carina. Mi sentii quasi autorizzata a parlarle con più familiarità. Non dovevo dimenticare il rispetto, ma quella piccola mi faceva molta tenerezza. Impossibile trovarla antipatica. Guardai brevemente mia figlia. Beh, lei doveva essere nella sparuta minoranza che non la sopportava. La guardava, nauseata. Probabilmente, doveva ritenerla solo una bambina troppo innocente, che non sa come va il mondo. Era quello un altro atteggiamento che mi irritava, di mia figlia. Lei non sapeva nulla. Nulla di nulla. Eppure, si atteggiava a donna di mondo. Lei del mondo non aveva visto ancora una briciola. Prima Gerinti, poi Uruk. Se si esclude le terribili settimane passate con Lainay e Jalim, giorni di cui sicuramente portava ancora le cicatrici, sul fisico e non, lei ed i fratello avevano passato tutta la loro vita immersi in una bolla di pace. Forse certi segni sono troppo profondi per essere cancellati. L’avevo imparato a mie spese. Ellyn sorrise di nuovo. “no, per favore, non scusatevi…”. Si schermì, ripetendo quel gesto. Poi si girò verso Roxen, che la guardava come una vipera guarda un topolino ignaro. Nel suo tono non udii mai traccia di derisione, a parte una bonaria presa in giro che non voleva assolutamente offendere nessuno. Nel solo atteggiamento di mia figlia vidi invece tutto il disprezzo che provava verso la nostra interlocutrice. “in fondo sono stata io a cadervi addosso. Mi potreste mai perdonare per avervi strappato il vestito, signorina?”. Roxen fece un gesto di stizza evidente, e strinse il lembo strappato del suddetto abito spasmodicamente, come per trattenersi dall’urlare di rabbia. Vidi Capouille, ancora pallido come un cencio, trattenerla più forte. Aveva il colletto della sua camicia sporco di sangue, ed il labbro si stava gonfiando. Eppure lui sembrava non essersela minimamente presa. Era incredibile. Dopo un attimo, la mia cara bambina si degnò di risponderle. Lo fece con tono pacato, che covava un grande scherno. Lo giudicai un enorme atto di scortesia. Che idiota arrogante. Si credeva la regina? A volte avevo l’impressione che pensasse che tutto il mondo fosse ai suoi piedi. Bene, era arrivato il tempo di svegliarla un po’. “certamente, vostra altezza”. Rispose, digrignando i denti, scandendo ogni sillaba, caricandola in modo pazzesco di derisione. Mi prudevano le mani. Entro pochi minuti l’avrei schiaffeggiata. Forse così imparava a stare al suo posto ed abbassare la testa quando doveva. Tutti avevano un limite di sopportazione. Vidi, con panico, per un attimo il sorriso di Ellyn vacillare, a quelle parole. Non doveva esserle piaciuto, quel falso servilismo. Certo, quando mia figlia ci si metteva era terribile. Ci fu un attimo di silenzio. Mi sentii come se mi avessero tolto un macigno dal cuore, quando l’espressione dell’umana tornò normale. Vidi un lampo furbetto nei suoi occhi scuri. Poi sentii lo sbuffo annoiato di Peggy, lì su. Non doveva essere bello stare in camicia da notte al freddo. La principessa roteò gli occhi, annoiata. Poi tornò a rivolgersi a me. Sembrava trovarmi la più disponibile, o forse aveva capito che io ero la referente di tutti, chissà. “ora io vado…però vorrei incontrarvi di nuovo”. Asserì, sorridente, quasi speranzosa. Mi sentii per un attimo perplessa.  Che? Incontrarci di nuovo? Ritrovare Roxen? Certo quella povera bimba non doveva stare molto bene con la testa. Insomma, non è da sani di mente voler fare amicizia dopo un primo incontro così brusco. Mia figlia l’aveva chiamata pezzente e morta di fame. Lei reagiva così. Se l’avesse chiamata figlia di una cagna l’avrebbe nominata duchessa, per caso? Si vedeva che la madre l’aveva influenzata: erano entrambe più matte del tempo in primavera. Una saltava per un nonnulla, l’altra ragionava al contrario. Ero stupefatta. Che tipa strana, questa Ellyn. Io sicuramente avrei girato alla larga da persona che mi chiamavano pezzente, di sicuro. Beh, oppure le avrei attaccate. Se fossi stata io al posto della principessa non avrei esitato a togliermi qualche sfizio. Per un attimo, sospettai di Ellyn. E se quella non fosse stata altro che una montatura? E se eravamo davvero nei guai? Cercai di ignorare quella vocina malefica. Non mi faceva bene diffidare di tutti. “incontrarci, principessa?”. Domandai, esitante, perplessa, mentre lei già si avvicinava al muro di edera per scalarlo di nuovo. Lei mi guardò, speranzosa, gli occhi scintillanti, ed annuì. “tutti quanti. È la prima volta che vedo un elfo… e mi piacerebbe parlare con voi”. Fu, stavolta, il suo turno di arrossire terribilmente, e di non guardarci. Sentii un moto subitaneo di tenerezza. Com’era carina, e dolce. Non m sembrava così cattiva. Sicuramente, non covava malizia. Era troppo bambina per farlo. Era ancora piccola. Mi faceva una grande dolcezza. Lei poi si girò verso di me, un piede già assicurato ai rami robusti. Le scintillavano gli occhi di aspettativa, di felicità. “domani a colazione, si? Mi fareste compagnia, voi tutti?”. Fui tentata di rifiutare. Poteva starci anche Lilliagrin. Non mi piaceva molto quell’invito. Sentii Roxen borbottare. Non ero molto propensa anch’io a dare corda a quella giovane umana. Poteva essere un trucco. Per un attimo, quasi rifiutai. Ma poi, qualcosa mi disse che sarebbe stato piuttosto scortese e pericoloso rifiutare. Non potevo tacciare mia figlia di arroganza e poi comportarmi al suo stesso modo. Mi costrinsi così ad annuire, e ripetere lo stesso inchino. Ellyn esultò brevemente, contenta, ma poi, dopo l’ennesimo richiamo della sua governante, mugugnando cominciò ad arrampicarsi su. Roxen mi guardò male. Non era per niente propensa ad andare da una persona che non stimava. Bene, sarebbe stata in prima fila con me, e l’avrei costretta a chiederle scusa strisciando in ginocchio. Restituii così il suo sguardo, sempre più furiosa, riprendendo la mia precedente rabbia. Ora basta. Attesi che la finestra si chiudesse, che Ellyn sparisse. Poi mi sentii autorizzata a riprendere il mio ruolo di madre. Era ora di un po’ di severità. Ora Roxen me l’avrebbe pagata. Mi misi le mani sui fianchi. Ah, se non si fosse imparata ora.  La mia piccina impallidì leggermente quando vide il mio volto, e si fece piccola piccola. Tuttavia, il suo sguardo non perse la solita lucentezza da falco. Ero sicura che mi aspettava una bella litigata con i fiocchi. Ma l’avrei fatta capitolare, oh si. L’indomani l’erede al trono di Fiya avrebbe trovato, a fare colazione con lei, un docile agnellino a posto del toro infuriato che l’aveva caricata la sera prima. Mi preparai. Non ci volle molto. Sentivo la rabbia vibrare in me. Se solo avessi lacerato il sottile velo che mi separava da essa sarei esplosa davvero. Non ero più disposta a tollerare quella prepotenza. “sbaglio o qui abbiamo bisogno di una leggera precisazione dei ruoli?”. Sibilai, incattivita. Mia figlia strinse gli occhi, gli occhi del padre, e si divincolò da Capouille. Ci trovammo così faccia a faccia, a scontrarci come due gatte arrabbiate, studiandoci. “ma davvero?”. Domandò lei, con palese fare di sfida, sorridendo leggermente, tanto da infastidirmi fino a farmi pensare che si, quella notte, dopo tanto tempo, l’avrei picchiata. Se quello fosse servito a metterle un po’ di sale in zucca l’avrei fatto, anche se dopo sarei stata male io. Ma non importava. Non poteva comportarsi da padrona in casa altrui. Così annuii, rabbiosa. “smettila di fare la gnorri, Roxen”. Le ringhiai in faccia, tanto che lei si scostò leggermente, senza smettere di guardarmi con aria annoiata, la solita aria superba. Era odiosa, davvero odiosa, quando faceva così. Mi veniva voglia di prenderla per i capelli e darle una bastonata solenne. Ah, se non gliel’avrei fatta pagare. Sentii i mormorii degli altri. Chissà cosa stavano dicendo. Continuai a guardare mia figlia negli occhi. Doveva abbassarli. Era lei che doveva rispettare me. Io ero sua madre. Anche se lei non lo sapeva, ero sua madre. “stai mancando di rispetto a tutti, qui. Ti rendi conto che non siamo a casa?”. Le sue labbra fremettero di rabbia mentre lei le stringeva spasmodicamente. Lei fece uno scatto con il viso, come se volesse andarsene. Gli occhi bruciavano di rabbia sfrontata. Ah, come mi assomigliava. Come assomigliava ad una perduta me. “lo so benissimo che non siamo a casa!”. Sbottò lei, fremente. Ah, era di fuoco, la mia piccola elfa. Covava un incendio in lei. “e io faccio quello che voglio! Tu non sei mica mia madre!”. Fu troppo. Era davvero troppo. Non volevo sentire di più! Quella era una mancanza di rispetto totale! Non si doveva permettere! Il mio corpo agì prima della mia testa. La schiaffeggiai, con forza. Ah, se avesse saputo la verità…lei, la mia piccola bambina… la mia piccola…sentii una lieve fitta, una sola. Lei non sapeva nulla, lei piangeva una madre morta. Faceva un male terribile, tenerle tutte quelle cose rigorosamente nascoste. Avrei voluto urlare che si, io ero la madre, ma non potevo. Non potevo! Ero meschina. Non potevo comportarmi come un essere superiore, io, la donna dei segreti. Che dolore, che male. Fu come se avessi schiaffeggiato me stessa. Raramente mi ero permessa di mettere le mani addosso a mia figlia. Non ne avevo mai il coraggio. Mi sentii quasi in colpa. Roxen si portò una mano al volto, stupefatta. Cadde il silenzio. Lei mi guardò, sbattendo gli occhi, incredula. Sentii una nuova fitta di senso di colpa. Ero incredula anch’io. Cercai di giustificarmi. Oh, se lo meritava. Anche se non mi piaceva picchiare qualcuno che era già stato picchiato in abbondanza da una persona che odiavo, avevo dovuto farlo. Aveva osato troppo. Era andata troppo in là. Ma allora perché mi sentivo così male? Perché avevo voglia di scusarmi ed abbracciarla? Ah, io viziavo troppo i miei protetti. Non ero abbastanza severa, ero troppo buona con loro. un’altra fitta di dolore, quando i suoi occhi chiari si riempirono di lacrime. In fondo, lei non lo faceva apposta. Era solo un suo modo di comportarsi. Potevamo anche parlare civilmente, potevo anche farle capire senza ricorrere alla violenza. Ed ecco com’era andata a finire. Con degli schiaffi. Oh, di solito non mi facevo remore ad usare quei metodi, che erano stati usati abbondantemente con me, ma con Roxen e Chekaril ci ero sempre andata molto piano. L’avevo sempre fatto. Sapevo e ricordavo fin troppo bene quanto fossero rimasti colpiti da quello che era successo nell’Altrove. Detestavo profondamente alzare le mani su di loro. Mia figlia mi aveva sempre raccontato che ancora sognava di notte Jalim e la sua crudeltà. Chekaril non voleva mai tagliarsi i capelli, ci rimaneva malissimo se vi era costretto. Fui tentata di fare un passo indietro, e di scusarmi, oppure di abbracciare la mia piccola. Il suo sguardo di fuoco però mi dissuadeva dal fare anche solo un passo. Ancora lei si massaggiava la guancia. “maledetta…”. Bisbigliò, abbastanza forte perché la udissi, guardandomi con astio. Mi sentii per un attimo un verme. Ero un verme. Sapevo che non la dovevo toccare e l’avevo fatto. Avevo anch’io le mie colpe, ora. Pian piano, la sua voce andò tingendosi di sarcasmo. “cosa c’è, lo sai che hai sbagliato, eh? Ma certo, ti piacerebbe fare da mammina a tutti… fare la moralista quando non sei altro che una perdente!”. Accidenti, non sapevo che le parole potessero colpire così a fondo. Faceva male, oh se faceva male. In più, c’era la consapevolezza che avevo sbagliato. In fondo, in quello che diceva mia figlia c’era un fondo di verità. C’era sempre stato. La mia rabbiosa bambina, il mio ranocchio. Oh, mi sarebbe piaciuto così tanto dirle che io ero la madre. Ma così mi avrebbe detestata ancora di più. In fondo io l’avevo abbandonata. Non avrebbe mai capito lo strazio che da quel giorno mi accompagnava sempre, la cicatrice che era il ricordo di quando me l’avevano presa dalle braccia, qualcosa che lei non avrebbe potuto mai ricordare. Perciò, non mi arrabbiai. Si, era giusto che si sfogasse. Era sempre così. poi sarebbe tornato tutto normale, sarei riuscita a farmi perdonare in qualche modo. Così rimasi ad osservare, piangendo dentro, senza fare nulla, il volto livido di rabbia di mia figlia. Della mia bellissima piccola. “e sai che ti dico? Lo vuoi proprio sapere?”. Mi domandò, mentre delle lacrime le scendevano sulle guance, e lei tremava leggermente. Avrei voluto tanto abbracciarla, ma sapevo che non me l’avrebbe mai, mai permesso. La mia Roxen. “me ne vado. Non ti voglio più vedere!”. Oh, tipico. Lo diceva un giorno si ed un giorno no, sempre quando la combinavamo grossa. Poi, dopo un po’, a volte poche ore, e qualcuna di noi due si avvicinava all’altra, improvvisamente di umore coccoloso. Finiva sempre così. Sicuramente ci sarebbe stato un modo per farmi perdonare. Non era irreparabile quello che era successo. Io e lei litigavamo sempre, e, per quanto potessi sentirmi male in quel momento, in un modo o nell’altro avremmo finito, nel giro di pochissimo tempo, ad andare di nuovo d’amore e d’accordo. Eravamo fatte così, due capre. La guardai così allontanarsi, barcollante, senza reagire. Dovevo dominarmi, dominare il dolore. Saremmo tutti tornati nelle nostre stanze e dopo avrei raggiunto la mia piccola, per farmi perdonare. Non andò esattamente come avevo previsto. Il solito guastafeste, tipico, agì prima di me. Ovviamente, senza il mio consenso. Vidi un braccio entrare improvvisamente nel mio campo visivo, ed agguantare la mia bambina per un braccio, quasi torcendoglielo. Roxen urlò, e, debole com’era, cadde in ginocchio. Venne mantenuta solo dal barbaro che aveva osato acchiapparla in quel modo, probabilmente pensando di fare del bene. Sentii il cuore in gola. Io lo sapevo chi era! Brutto idiota, ma cosa, si mangiava il proprio cervello come spuntino? Ancora non aveva capito? Ma certo, sempre il solito, lui, il cavaliere senza macchia che credeva di fare sempre del bene. Odiai, in quell’attimo, Zipherias. Lo odiai davvero. Non doveva azzardarsi. Non doveva proprio. Aveva fatto un grosso passo falso. Se voleva litigare con me, quello era il modo. Ferire la mia bimba, la mia piccina. Era proibito. “chiedi immediatamente scusa!”. Ma ancora non sapeva relazionarsi con Roxen? Ancora non sapeva che era tutto fumo e niente arrosto, con me? Che cosa l’aveva colpito? Io quel braccio gliel’avrei staccato a morsi! Come si permetteva di toccarla? Con che confidenza? Era il padre, per caso? No, solo uno sconosciuto che non sapeva che lei fosse mia figlia! Ah no. Quello no. Roxen non si tocca. Aveva sbagliato ma non si tocca per niente. Mi girai verso il mio amico, che teneva mia figlia come se fosse un animaletto, con aria estremamente severa. Era così piccina, mia figlia. Così indifesa. Era caduta e stava singhiozzando. Doveva averle fatto male. Non doveva fare così. Prima che potessi ragionare, mi ritrovai in ginocchio, vicino la mia piccina. “idiota, lasciala! Lasciala immediatamente!”. Esclamai, stringendo forte mia figlia, e guardando Zipherias. Lo volevo uccidere. Lo volevo davvero uccidere. Lui mi obbedì immediatamente. Nei suoi occhi passò una strana espressione mortificata. Sentii avvicinarsi gli altri. Oh, doveva essersi fatta male. Si era fatta male la mia piccina? Tanto? Stava singhiozzando. Ma perché non mi stavo mai zitta? Ma con che diritto si era azzardato a toccarla? Dopo un po’ di resistenza, Roxen si accasciò contro di me, singhiozzando, stringendomi forte, sperduta, una bambina che non sa che fare. In fondo mia figlia era quello, era solo quello. Le accarezzai la testa, mormorandole cose che ora non ricordo. Mi venne una voglia impellente di castrare il mio amico. Qualcosa, comunque, di molto doloroso. Lo guardai. Era davvero desolato. Ma non importava. Si era azzardato a fare una cosa proibita. “con che diritto, eh? Con che diritto?”. Abbaiai contro di lui, rabbiosa. Si: lo odiavo. Aveva chiuso con me, una volta e per tutte. Aveva fatto una cosa che non doveva fare davvero. Aveva toccato Roxen. Lui lo sapeva, sapeva che lei, lei proprio, non si doveva toccare. Lui sapeva che quando litigavamo doveva stare al suo posto. E invece no! No, sempre lui, senza macchia e senza paura, credendo di mettere tutto a posto, aveva finito per fare chissà che guaio. Strinsi ancora più forte la mia piccola al solo pensiero. Mi faceva una rabbia immensa, davvero. Lui , nonostante tutta la sua mole, sembrò farsi piccolo piccolo sotto il mio sguardo. “Lsyn..”. Tentò di dire, esitante. Era pallido sotto la sua carnagione tanto scura. Io lo bloccai subito, con un gesto ed un sibilo. Poi tornai a coccolare Roxen, incurante di tutto attorno a me. Doveva smetterla di piangere. Non accettavo scuse da lui. Non le avrei mai accettate, davvero mai. Ma come si permetteva? Che diritto? Con che diritto l’aveva fatto? Ma che diavolo, doveva sempre rovinare tutto, lui? Credeva che io fossi così idiota da non sapermi rapportare ai miei bambini? Oh, che inenarrabile gomitolo da sciogliere. Che grosso, grasso, casino. Alla faccia della bella passeggiata tranquilla! Basta, ora volevo solo tornare dentro, con mia figlia, e calmarla un po’. Non era bello stare seduti sul terreno, e faceva pure freddo. Tentai di alzarmi, ma né io né lei eravamo abbastanza forti per farlo. Poi Roxen si era totalmente abbandonata tra le mie braccia, e singhiozzava ancora. Quando Nilyan, accorsa verso di noi, ci aiutò a rimetterci in piedi, lei si addossò a me, terrorizzata, guardando Zipherias come se fosse un mostro. Lui ci squadrò con aria colpevole. Aveva proprio una bruttissima espressione. Io lo fulminai con lo sguardo, fino a quando lui non fu costretto ad abbassare il suo, tormentato. Troppo tardi, il danno era fatto. Aveva toccato mia figlia, e fatto del male a me in quel modo. Non si poteva rimediare. Non c’era un rimedio. In quel clima non proprio amichevole, tornammo dentro, io e Roxen aiutate da Nilyan. Cacciai tutti quando rientrammo nella mia camera, e rimasi sola con la mia piccola. Calmare il suo pianto fu un bruttissimo affare, che fece male anche me. Dopo avermi sputato incredibili bestemmie che mi fecero ammirare la sua enorme inventiva, la mia piccola si calmò, per fortuna. Dopo un po’, un tempo passato in silenzio, lei si addormentò, fortunatamente, pacificata. Io non riuscii a fare altrettanto. Quella notte piansi anch’io. Con che coraggio li avrei lasciati?

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Capitolo 39
*** C'è troppo che non va! ***


Mi domando ripetutamente perché accidenti io stia vivendo tutto questo

Mi domando ripetutamente perché accidenti io stia vivendo tutto questo. Ma davvero mi sta succedendo? Davvero sono qui, o è tutta un’allucinazione? Ho voglia di ridere, una gran voglia di ridere, ma penso che se rido mi succederà qualcosa. Magari questo coso mi mangerà. Si, sicuro, è tutto un sogno. Ora mi sveglierò e mi troverò nella mia camera, o da zia Lalla. Magari si sono solo sbronzo. A questo punto non mi voglio svegliare. Zia mi avrà beccato, ed è la fine davvero. Però, accidenti non riesco a respirare. Mi sento debole. Ed ho il cuore in gola. Bleah che brutte immagini che mi sono venute alla mente mi chiedo perché devo pensare certe cose. No, ma è tutto a posto, è tutto nella mia testa. Sicuro. Sto immaginando tutto e tutto e tutto. Ora mi pizzico il braccio e…ahi. fa male. Oh diavolo, ora mi verranno i lividi, ma…oh. Mi sono fatto male. Ora…no, un momento, aspetta. Chiudi, apri gli occhi bravo Machin. No. Il coso è sempre lì. Non sono mica…scemo, ecco. Quello è un drago, per tutte le pappe reali del regno! E ora? Chi ci salverà, cosa succederà? Si, io leggo tanto sui draghi, si, però non credevo fossero così. è…oh ho voglia di scappare. Minaccioso, minaccia cattivo. Si, è cattivo. Lo so, lo so, ci guarda e tra poco ci mangerà. Mi sento….a disagio, ecco. No, perché mi guardi così, idiota? Draghetto mio, io non faccio mica niente di male, eh, sono solo un povero elfo. Tu sei tanto più grande e grosso di me. Io non ti faccio male, non ho nemmeno più le armi. Devo piangere. Posso? O forse sto piangendo già? Boh, spero di no. non mi va di fare certe figure davanti a tutti. Per fortuna che c’è Chekaril qui con me magari sceglie lui per pri…ma che sto pensando? No, ferma, stop. Ma io non sono coraggioso, io non sono mica una Guardia. La Guardia è lui, io sono solo un povero cavaliere…cioè, guaritore, senza macchia e senza paur…innocente, ecco. Ma perché penso queste cose? Vergogna Machin, vergognati. Ehi, coscienza, ho paura, ma tanta paura non posso farci a meno di pensare a queste cose ehi non ho nemmeno duecento anni ascoltami prendi seppia, cioè Hypia quella lì insomma con le corna in mano ed un’aria proprio stanca si lei è la vittima vedi non si fa male si è già fatta male con il coltello vedi io non mi farei mai del male da solo. Poco coraggioso? Poco coraggioso io? Ma come ti permetti? Chi sei tu per dirmi una cosa del genere? Senti, chiudi quel becco no aspetta sto impazzendo parlo da solo. E non dirmi che sono scemo, shh, zitta tu coscienza zitta ti dico! Ma perché io che ho fatto? Mi sono fidato di quelli, dici? Ma scusa, erano…cioè….sembravano scemi….mica potevo sapere  che quei due che sembravano avere l’intelligenza di un vaso da notte ci mettessero nel sacco. L’avrei dovuto capire? Si certo, come no. E poi scusa, non l’ha capito nemmeno Chekaril, che se non smette di stringermi la mano lo uccido qui e ora e poi lo do al coso lucertoloso da mangiare e poi lo dovevo capire io? Ma io non sono mica andato più in là di Uruk, eh. Cioè sono uscito dalla zona tra Kyradon e Sharilar per la guerra e basta io non ho mica viaggiato come la zia Lalla che sembra conoscere metà continente come se avesse viaggiato in lungo e largo per anni e anni e anni che poi mica ci credo io avrà solo studiato bene. machin, dimmi tu un po’ come ne usciamo ora! Voglio piangere, però non lo faccio che poi do soddisfazione a quella maledetta seppia. Cioè Hypia. Mi devo ricordare il suo nome, altrimenti poi vedi, farò una figura terribile. Hypia, Hypia, Hypia. Ma poi che importa? Ora ci mangeranno. Ma….ma zia mi diceva sempre che “no, tesoro mio, i draghi non esistono. Avranno visto un giorno qualche lucertola fuori misura ed avranno detto di aver combattuto un mostro. Tendiamo sempre ad esagerare le cose” con quella faccia condiscendente e dolce! Ma io ora la vorrei vedere, qui, di fronte a me, di fronte a questo mostro! Ma proprio glielo vorrei sbattere davanti, a quell’altra! I draghi non esistono. I draghi non esistono! Guarda qui in che guaio ci siamo cacciati…cioè, mi sono ficcato…cioè ecco io…e poi è inutile pensare che papà non sarebbe mai finito in un guaio del genere. Ci credo! Mica papà  si è mai trovato di fronte a mostri grandi volte e volte in più di lui! Lui è morto per una ferita, non di certo perché un coso del genere se lo voleva pappare e se l’è pappato, a meno che la zia non mi ha raccontato altre bugie. Vedi, ho…io! No, non voglio morire io….oh, Chekaril, accidenti, preferirei essere picchiato mille volte da lui piuttosto che finire come mangime per draghi. E poi ma lui ha parlato? Cioè insomma io non pensavo che fossero cosi intelligenti cioè lo si dice in giro ma io pensavo accidenti sono lucertole malcresciute non possono mica parlare invece ecco, parlano. Brr la terra trema. Coscienza stammi vicina che qui voglio scappare ma poi dove? Cioè, dietro di me è pietre, e l’unico passaggio è occupato dal drago. Lui da lì è venuto insomma. Insomma siamo fritti. Ecco, lui si è fatto vicino e si è seduto. Ci guarda e poi guarda Hypia. Accidenti, mi fa male la pancia dalla paura. Che dentoni che ha. La seppiolina sorride. Lei mica sembra spaventata lei, si avvicina al drago come se fosse suo amico ma guardala un po’. E mica sembra quella di prima eh non si muove mica come una primitiva eh era tutta una messinscena eh mi sa. Ahi. Mi giro verso Chekaril. Perché mi ha dato una gomitata? Accidenti com’è bianco. Mi guarda e sembra un sudario di un cadavere. “dimmi che mi hai dato qualcosa di strano”. Che voce che ha lui. È…boh. Sta guardando il drago come se…beh. Come se non esistesse. Non posso negare che ho la tentazione di negare tutto anch’io. Solo che lo vedo insomma. Queste non sono droghe. Io non riesco a parlare. Ho un nodo in gola. No proprio non ci riesco. Lui mi guarda che faccia da pazzo che ha ma secondo me devo averla pure io. Qui gli unici due tranquilli sono Hypia e la lucertola. Guarda quell’elfa come si è avvicinata tranquilla. Ha fegato ma in fondo mica devono sacrificare lei. Guarda com’è rilassata ha buttato le corna di cervo all’aria e si avvicina tranquilla sembra una normale elfa però è proprio carina si. Posso permettermi questi pensieri tanto sto per morire si. “come sei drammatico, Ezelarto”. Eh? Il drago ha un nome? Ezelarto? E che nome è? E poi come si permette di ragionare con lui? Insomma lui è un drago lei un’elfa. Sono di due razze proprio diverse e poi lui è brutto. E poi lui ci sta per mangiare a noi due elfi eh. Siamo la stessa razza! Yuhu? Ma te ne accorgi? Hypia, dolce tesoro pan di zucchero ci guardi? Cioè ci vuoi degnare di spiegare qualcosa? Qui è tutto molto brutto eh. Non penso proprio che le piacerebbe stare con noi. Ma io non voglio morire. Ho un’infinità di cose da fare. Devo ancora crescere eh, lo dice sempre zia che io sono piccino, e poi anche Zipherias ogni tanto mi da del bambino anche se non mi sembra che lui mi voglia fare un complimento ma pazienza vivrei anche senza. Cioè. Io vorrei rivederli eh. Vorrei rivedere mia cugina. Anche Roxen e anche Miobashin. Posso scommettere che Chekaril pensa solo a loro due si proprio si. Ma oh. Voglio scappare. No dai, non ci mangiare, io sono tutto pelle e ossa. No eh, e non guardarci con quegli occhi mezzi umani e mezzi no eh. Azzurri come il ghiaccio brrr mi mettono freddo. Ezelarto, che nome. Guarda Hypia con…boh. Forse affetto chissà. Io non lo capisco sembra avere sempre un’espressione molto minacciosa. Cioè… ahhh! Perché lei si è lanciata contro di quel coso? Guarda oh che orrore guarda ma guarda cioè sul serio ora la pappa ma la pappa tutta ma cioè come si è permessa di abbracciare quel coso enorme guarda abbraccia solo una zampa ma guarda ora lo mangerà ora lo mangerà ma no ringhia no era tanto carina ma io non capisco ora tutto si tutto è al contrario oh ma io non capisco perché ma mica mi sembra tanto crudele ma si perché deve mangiare noi. Ma guarda quella lucertola pelosa che sta con il muso tutto raccolto vicino all’elfa ma guardalo mica le vuole bene, chissà perché fa così mica ha il volto di un cagnolino peloso lui. Sarai stanca. Ma guarda come sembra affettuoso è normale lei ha portato qui noi ora lui ci papperà e saranno tutti felici e contenti. Ma tu guarda Hypia tutta contenta che butta qualcosa a terra chissà cos’è e scuote la testa tutta sorridente! Ehi, ma non è giusto. Loro sono contenti e noi no. Loro sono amici. E noi? Noi siamo il pranzo. Bell’acutezza Machin, complimenti. Ma tu guarda come parla lui. Non credevo che riuscissero a parlare i draghi. Mi sbagliavo eh. Proprio si. “no, Ezelarto, ora è tutto a posto. Quelli lì hanno avuto il loro sacrificio”. Ah oh eh. Ih. Ehm…si. Ora voglio sparire. Sacrificio? No ti prego ti supplico io voglio vivere sono ancora troppo giovane per tirare le cuoia e poi no la zia piangerà tanto e oh io piangerò di più dai io non voglio mica morire io ho paura si dai non mi mangiare no non sembri cattivo almeno sembri ragionante.  No no no no ti prego non guardarci così Ezelarto ti chiami vero non alzarti no! Guarda è enorme…si sta avvicinando verso di noi. Un passo e un altro un passo e un altro. Un passo. Un altro. Sento che Chekaril trema. Forse tremo anch’io. No no io non voglio morire io sono carino dolce innocente no non mi mangiare non mi mangiare perché sei così vicino no no non voglio essere mangiato. Almeno con me c’è Chekaril e almeno quella bocca è grande. Un morso e via. Finirà tutto e non sentirò nulla. Miei dei che stupido sono stato. Ho accettato quella cosa maledette se l’avessi fatto io…oh, com’è vicino questo drago. È una lucertola davvero. Brr. Una lucertola. Io ho paura delle lucertole. Sono viscide.  Ahh che orrore! Non ce la faccio più. “no! no dai ti prego!”. Sono in ginocchio ma non so come ci sono arrivato. Il drago mi guarda strano. Sigh, credo che singhiozzo.  Sigh, sigh, sigh. Ho paura. Vorrei qui zia Lalla. Sono sicuro che lei avrebbe saputo come mediare. Io sono lo sciocco che non so fare niente. “non ci mangiare! Ti do tutto l’oro che ho ma facci tornare a casa!”. Che strano rumore. Che silenzio. Ora ci mangia ora ci mangia ora ci mangia ora ci mangia ora ci mangia ora…chiudo gli occhi. Almeno così non lo vedrò e morirò subito. Che cosa brutta morire. Non potrò nemmeno più fare la corte a qualche bella elfa. Nemmeno fare niente, sigh. Uno sbuffo. Eh? Cosa sono questi rumori? Eh…nessuno ci mangia. Ora forse posso alzare lo sguardo. Ma…ma chi ride? Che sta facendo il drago? Questo rumore gorgogliante mi pare una risata. E poi anche Hypia sta ridendo. Ma perché ora mi sento bene? ma vuol dire che non ci mangiano? Mi sento…oh, più caldo. Ecco ,forse allora non ci mangiano. Però mi domando perché ci abbiano portati lì. Ora capisco perché quegli idioti umani sono riusciti a catturarli. Ringhia il drago, che voce strana che ha non riesco a capire se è felice o rabbioso, e si gira verso forse Hypia, non la vedo. Non lo sanno, vero? Eh…oh. Sento…sollievo. Sono sollevato. Non ci mangiano. Magari quella era tutta una farsa. Magari poi siamo liberi. Mi guardo meglio attorno. Ho tutta la visuale oscurata da questo drago accidenti, è enorme. Tutto peloso. Però…oh, un drago. Ed io pensavo che non esistessero. È fantastico! I draghi esistono davvero! E non mi paiono nemmeno cattivi come li immaginano in certe storie, proprio no. magari riuscirò a farmelo amico. Poi ce ne andremo. Guardo Chekaril. E’ in ginocchio anche lui e sembra leggermente…uh, l’ho visto così solo dopo che l’avevo sfidato ad una gara di corsa.. inebetito, ecco. Povero cuginetto mio. Non gli fa bene, al suo animo da pantofolaio. Ma che bello. Ora sono felice ed il modo è bello posso scoprire mille altre cose. Ora ce ne andremo da qui e dritto ad Uruk, non voglio sentire ragioni. Guardala, Hypia. Zampetta tutta tranquilla verso di noi, e si avvicina alla zampa del drago, che mi sembra quella di un gatto proprio. Però non è male lei. Ora ha il trucco tutto sciolto, tutti quei segnacci se ne stanno andando, ed è proprio carina. Decisamente si. Lei guarda Ezelarto. “non ne ho avuto occasione… non pensavo fossero così terrorizzati”. Ma guarda, guarda come si scusa con la faccia contrita. Il drago ride di nuovo. No come no, eravamo anzi, felicissimi di non sapere a cosa andavamo incontro. Certo. Ora sono contento però. Non so che faremo ma sono più felice. Tutto è meglio del morire. “allora non moriremo, vero?”. Ohi, ora mi sento preso in giro. Hypia e Ezelarto ridono di nuovo. Ma come è divertente, proprio si. Sono proprio allegri. Poi il drago mi sta guardando. Ora hanno smesso di ridere. Accidenti come mi da fastidio questo sguardo addosso. È inquietante. No, no… non morirete. Non ce n’è bisogno. Ah, sollievo, suonano le campane e cinguettano gli uccellini. Ora mi sento più al sicuro. Magari ora ci lasciando andare. Ora parlo e m facci spiegare tutto. Ma poi Chekaril mi blocca prima…ehi, ma io devo parlare! Non è giusto. Ah mamma che faccia che ha. Sembra piuttosto incattivito. È ancora in ginocchio. Beh lo sono pure io ma mi sento abbastanza forte per mettermi in piedi. Anche se non ne ho il coraggio. Il drago mi fa un po’ paura. Non voglio muovermi con il suo sguardo addosso. “ma allora perché? Perché tutta questa sceneggiata? Che siamo stati catturati a fare?”. Beh, ha ragione, davvero, anche se non riesco a capire da dove trovi tutta quella rabbia per urlare in faccia ad un drago enorme. Probabilmente il pensiero di Miobashin o la paura passata. Io lo dico, mio cugino è scemo. Oh cavolo. Il drago ringhia, guarda che dentoni. Mi faccio piccolo piccolo così magari non mi vede. Accidenti ho paura. Ho più paura di prima. Però non sembra arrabbiato lui solo infastidito. Hypia gli accarezza la zampa e poi ci sta guardando. C’è silenzio. Oh, ora ci mangeranno lo so. Ho di nuovo paura. Però quell’elfa m sembra strana. Quasi triste. Come se ci compatisse. Lei fa un passo in avanti ora. È vicina a noi e si inginocchia con noi. Decisamente è una bella piccina. E si. Dev’essere triste per qualche motivo. Sento il drago muoversi. Ah! No, d’accordo, si è solo seduto. Non ci guarda nemmeno più. Sembra aspettare chissà cosa. Devo guardare di nuovo Hypia. Che begli occhi scuri. Però come sono tristi. Si sembra proprio compatirci. “siete al posto di Poldo e Lunsch. Ora loro dovevano essere dove siete voi”. Ora lei mi ha messo una mano sul volto. È fredda, ma è bella. Ha fatto la stessa cosa con Chekaril. sembra indecisa. Oh, io sento freddo. C’è qualcosa che non va, l’ho capito. Ma allora non ci lasceranno andare? La prospettiva è ancora peggiore. Non voglio essere prigioniero di nuovo. No, io voglio andare a casa con Chekaril e farmi perdonare per essere stato sciocco. Ma che situazione assurda. Non trovo nemmeno la forza di parlare. Sono troppo debole e stanco. Avrei quasi preferito farmi mangiare. Così è brutto. È un tormento. “loro erano cacciatori….e avevano fatto qualcosa di brutto, di molto brutto, ai draghi”. Che sorriso mesto. Sembra proprio triste, ora ne sono certo. Sembra quasi sul punto di piangere. Però non capisco. Che cosa di brutto? C’è qualcosa che non ha raccontato. Però non ho il coraggio di chiedere. Voglio solo sapere quale sarà la nostra pena. Noi non abbiamo fatto nulla, non è giusto. Paghiamo per qualcuno che ora è libero. È profondamente sbagliato. Ora li vorrei acchiappare e dar loro una bella lezione. Così imparano. Mi sento triste pure io. Non è giusto. Io voglio vivere, non morire di certo. Ecco, lei sta continuando, guardandoci a turno, partecipando con noi alla nostra curiosità sempre più afflitta. Perfetto. Voglio capire. “sapete avrebbero dovuto pagare, ma conoscevano le loro regole, e perciò hanno chiesto tre mesi per andare a cercare dei sostituti”. Pausa. Ah, ecco a cosa servivamo. Sostituti. La parola fa male. Non è giusto, non è per niente giusto. Che stupido io ad accettare. Maledetti bastardi. Voglio piangere davvero ora. Questo è un guaio ancora più grosso e non so proprio come uscirne. Ecco, ora lei ha chiuso gli occhi, però sta riprendendo a parlare.  “se ce l’avessero fatta sarebbero stati liberi. Non credevamo ci riuscissero… non credevamo riuscissero a farla franca...”. Ah che bello. Allora io sono lo scemo che ci è cascato. E che…beh. Ora non sappiamo che dobbiamo fare. Ora sono triste. Di nuovo prigioniero. Ma che bello. Proprio bellissimo. Però ci sono troppi…boh, punti bui. Insomma, non dev’essere nulla di tanto carino da fare. Insomma, Hypia sembra tristissima. E c’è un brutto silenzio. Guardo coso… il lucertolone. Lui non ci guarda. Sta aspettando. Non sembra che gliene importi tanto. Che bestia strana. Ma non è giusto. I draghi sono proprio ingiusti. Ho voglia di gridarlo ma poi potrei farmi male o fare del male a Chekaril così. Non siamo in una bella posizione. Però ora devo chiedere.  Non mi piace quello sguardo tormentato. “ma che dobbiamo fare? Cosa c’entriamo, noi?”. Ecco. Hypia sorride. Non mi piace il suo sguardo però. È sempre gelido.  Guardo Chekaril. è concentrato. Sembra molto perplesso. E lo sono anch’io. C’è troppo che non va. Lei ci toglie le mani dalle guance. Poi ce le tende. “troveremo qualcosa da farvi fare”. Dice, evasiva. Eh no. Non mi piace proprio. I misteri si infittiscono. E la cosa non mi piace. Non mi piace proprio. Guardo sempre Chekaril. Lui guarda me. Poi stringe le labbra e gli occhi. È ancora meno convinto di me. Che strano. I suoi occhi, l’ambiente, il suo tono falsamente allegro. Più di una cosa non ci è stata detta. Ma boh, ora non mi sembra che ci siano vie di scampo. Ora sicuramente riusciremo a fuggire. Lo spero, perché non voglio che mi sia fatto qualcosa che non mi piace. Non voglio fare il servetto, quello proprio no. “ora su, alzatevi. Dobbiamo andare”. Mi viene voglia di non farlo, di non obbedirle. Ma c’è il drago. Lui sta ringhiando leggermente e sottolinea proprio bene la cosa. Mi viene paura. D’accordo, d’accordo, ti seguirò. Però poi fuggiremo, vero, Chekaril?

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Capitolo 40
*** Tutto a posto! ***


Ah, dannazione, ero sempre la solita

Ah, dannazione, ero sempre la solita. Dovevo sempre cacciarmi in guai più grossi di me, grossi il doppio o il triplo di me. Cosa non difficile, però…ah. Odiavo litigare con i miei amici, lo odiavo proprio tanto. Non passò nemmeno un’ora, che io già mi sentivo in colpa per aver trattato Zipherias in quel modo così scortese. Zipherias, il mio amico. Zipherias, quello che mi capiva più di tutti, quello che mi aveva assistito nei miei momenti peggiori, quello che sapeva cosa volesse dire perdere una persona amata, quello che era sempre con me, il mio gigante preferito che era rimasto scioccato dal fatto che io non sapessi nuotare. Lui, l’incubo dei miei cuccioli, perché era sempre lì ad intervenire quando io non intervenivo. Era sempre lì a sgridare anche me, quando si accorgeva che stavo insegnando ai piccini qualcosa di ben poco ortodosso, come che no, rubare quando se ne ha bisogno non è reato, oppure come scassinare una porta ben chiusa, in genere tutte cose che per una Spia sarebbero state normali, ma per una principessa e la sua piccola corte di parenti lo erano molto meno. Era lui il moralista, che interveniva quando ero troppo debole per farlo, la spalla che mi offriva quando capiva che non ce l’avrei mai fatta a camminare da sola. In fondo, su, non l’aveva fatto con cattiveria. Lui non era mai cattivo. Troppo severo, forse, decisamente intransigente nell’educazione dei più piccoli, ma era buono, mai manesco. Magari, mi dissi con senso di colpa sempre più acuto, un ago bollente nelle carni, Roxen aveva fatto tutta scena. In fondo, lui non aveva mai, mai messo seriamente le mani addosso ai piccoli, aveva il cuore troppo tenero, ed a volte ero io stessa a rimproverargli questo comportamento! Ah, Roxen, Roxen. Era una vera furbastra, lei, sapeva come ridurre la mia capacità ragionante in pappa. Sbagliavo o l’aveva fatto altre volte? Un gridolino di dolore ed attirava immediatamente la mia attenzione, bastava che spremesse un paio di lacrime di pentimento per commuovermi. Sempre così. Non ci potevo fare niente, quando cercavo di fare la madre dura ed irremovibile non ci riuscivo mai. Figuriamoci, con tutti i segreti e le cose non dette che avevo mi sentivo immediatamente in colpa quando mi rinfacciavano qualcosa. Ah, che cosa terribile. Non avrei dovuto assolutamente farlo, avevo decisamente sbagliato. Non avevo ragionato, ecco tutto. Non riuscivo a stare ferma. Pensavo, pensavo, pensavo, ed intanto comminavo, appoggiandomi quando mi girava la testa. Guardavo Roxen, che non mi sembrava piuttosto turbata da quell’accadimento e dormiva saporitamente, e mi tormentavo. Non riuscivo a dormire. Ci avevo provato, ma ero subito balzata in piedi quando mi era tornata in mente l’espressione mortificata del mio amico, ed avevo preso il mio giro senza fine. Avevo provato a mettermi a leggere, ma niente. Leggevo due righe e poi cominciavo a fantasticare. Accidenti, quell’altro si stava sicuramente martoriando quanto me. Dovevo scusarmi il più presto possibile. Il giorno dopo sarei andata da lui, strisciando, ed avrei supplicato di farmi perdonare Ma… ehi, ma perché? Ecco che tornava l’orgoglio. Ma chi gli aveva detto di intervenire? Lui conosceva Roxen, perché doveva arrabbiarsi tanto quando mi mancava di rispetto? Io conoscevo i miei polli, sapevo che lei sarebbe venuta da me con la coda fra le gambe del giro di un’ora, a fare le fusa per farsi perdonare della sua cattiveria, colmandomi di attenzioni. Tante volte avevamo litigato, e sempre era andata a finire in quel modo. Perché quell’idiota si era intromesso? Conosceva Roxen, sapeva com’era fatta, sapeva quanto diamine fosse volubile, sapeva che  Sempre lì, il paladino delle cause perse. Lui e le sue mani dovevano stare bene e ferme. Era una Guardia? E che continuasse a guardare e non rompesse le scatole a me ed ai miei propositi, perdinci! Ma lui ci conosceva! Che era stata quella rabbia idiota? Vedermi mancare di rispetto? Beh, per lui non doveva essere una grande cosa quella che Roxen aveva detto. Lui non sapeva che…beh, che in effetti io ero la madre di quella pazza scatenata. Non lo sapeva nessuno, in effetti, a parte Amarto , forse Dae e Isnark, che stupido non era mai stato. Ma Capouille e Zipherias conoscevano, di me, solo la versione ufficiale. Però, accidentaccio, perché mi sentivo così in colpa per avergli urlato tutte quelle cose cattive? Ero stata imprudente, ecco.  Beh, non sarei stata Lsyn Amarto se non lo fossi stata. C’era anche Nilyan lì! E se fosse rimasta turbata eccessivamente? E se l’avessi  spaventata così tanto da favorire una  delle sue tremende esplosioni di potere? Dei, tutto, ma non quello. Quello proprio no. Rabbrividii. Ecco, se Zipherias si fosse stato al suo posto niente di tutto quello sarebbe successo! Ma con che diritto l’aveva fatto? Ma perché io non ero stata più tranquilla? Su, magari non le aveva fatto niente, solo un piccolo buffetto. Sicuramente ero stata più violenta io con quel ceffone. Sulla guancia di Roxen  si stava allungando un bel livido, lo vedevo. Non era un bello spettacolo. Quella mattina avrei dovuto sorbirmi i suoi strilli nel vedersi il suo faccino deturpato così orribilmente, anche se sapevo che non avrebbe fatto  troppe storie, non con me, a metà sfigurata, nelle vicinanze. Non mi sembrava dolorante, invece, alla spalla. Dormiva proprio su quella, senza smorfie, tranquillissima e paciosa. Ah, maledizione. Mi sentivo tormentata, spaccata a metà. Ad un certo punto, quasi verso addirittura l’alba, presi l’improvvisa decisione di andare dal mio amico. Basta! La sua faccia addolorata mi stava privando del sonno. Io avevo bisogno di dormire. Anche mezz’ora, o sarei crollata. Che andassero a quel paese il mio orgoglio e tutti i suoi derivati. Ne avrei parlato con il mio amico, ed avremmo capito dove avevamo sbagliato. Forse avevo sbagliato anch’io. Forse, ero stata esagerata. Forse, ero caduta nella trappola di quella donnola di mia figlia.  Forse, forse, forse. Troppi forse. Mi sentivo abbastanza forte per andare da sola. Feci attenzione così a non svegliare la mia piccina, e mi diressi verso quella che ritenevo la camera di Zipherias. Si, dovevo chiarire. Un po’ di umiltà, forza Lsyn. Occhi bassi e sguardo contrito. Ero ancora in tempo per riparare il tutto. Io avevo bisogno di Zipherias. Avevo bisogno del mio amico gigante, del suo aiuto, di tutto ciò che era lui. Mi dava fastidio l’idea di vederlo soffrire.

Ero appena arrivata alla fine del corridoio, quasi vicina alla sua stanza, o almeno quella che speravo essere tale, quando venni presa da una forte vergogna. No, non riuscivo ad averne assolutamente il coraggio. Con che faccia di bronzo mi sarei presentata lì? Si, perfetto, mi dispiace Zipherias e finiva tutto? No, lui non era Tijorn. Non era mio fratello, troppo buono con me per arrabbiarsi davvero. Non era come Tijorn, che sopportava praticamente tutto sapendo che sarei tornata da lui per scusarmi. Non aveva la pazienza di mio fratello, e non aveva vissuto con me trecento anni. Insomma, non potevo rimproverare Roxen e comportarmi come lei. Dopo aver bistrattato il mio amico in quella maniera mi permettevo pure di andare da lui, l’innocente? Oh no, no, no. Proprio no. Fui presa da un timore improvviso. Zipherias non mi avrebbe mai perdonata. Mai. Che stupida che ero. Proprio idiota, al massimo livello. E poi, chi diavolo mi diceva che avevo sbagliato pure io? Ah, no. Niente, nessuno mi diceva che ero nel giusto, ma nemmeno il contrario. E poi non mi potevo catapultare da lui a quell’orario assurdo. Insomma, era quasi l’alba. Il castello già cominciava ad illuminarsi della debole luce grigia del primo mattino. A quell’ora lui dormiva. Che confidenza avevo, con lui, da fare come se fosse mio fratello? Di persone come mio fratello non ce n’erano più, e lui era morto, incenerito e sepolto. Non potevo arrogarmi certi diritti che non avevo più, non ci sarebbe mai stato nessuno a fare da toppa su una perdita che bruciava ancora. Non potevo comportarmi con i miei amici come se fossero sempre lì, pronti ad abbracciarmi di nuovo quando mi decidevo a scusarmi. Così mi bloccai, la mano già chiusa a pugno, pronta per bussare alla porta. Indietreggiai di un passo, improvvisamente piena di vergogna. Ma cosa stavo facendo? Mi rendevo conto? Di quelle cose se ne poteva parlare ad un orario decente. Non sapevo se lui stesse dormendo o no. Magari era pure tranquillo. Magari in fondo non ero certo la sua migliore amica. Erano amici e basta. Magari…oh, maledetta Roxen! Perché dovevo farmi commuovere sempre? Mi aveva intortata per bene, lo faceva sempre. Sempre io Lsyn, la stupida mucca pazza. Sempre ehi! Mi ritrassi. Sentii improvvisamente un fiotto di calore sulle guance. A costo di fare la smorfiosa il giorno seguente avrei fatto pace con Zipherias. Non potevo farlo ora, non era per niente educato. E poi sarei stata cattiva. E poi mi sentivo troppo a disagio. E poi…poi…poi. Ah! Basta. Avrei fatto un altro giro, e poi a nanna. Congiunsi le mani al petto, come se mi fossi scottata, e trottai avanti, guardando sempre la porta. Avevo una matta voglia di tornare indietro. Non mi piacevano, quelle situazioni sospese. Ah, come mi sarebbe piaciuto, dare una lezione definitiva a quell’altra idiota di mia figlia. A quel punto, tra l’altro, la scelta di chi portarmi sarebbe stata il doppio difficile. Allora, avrei voluto avere con me Zipherias, ma non sapevo se mi avrebbe perdonato quello sgarbo. Non avevo la minima intenzione di portarmi Roxen, perché ero sicura che mi avrebbe fatto fare una figura come quella fatta con la principessa, se non peggio. Non potevo stare da sola con Capouille, perché mi snervava a lungo andare. Qualcuno avrebbe dovuto fare qualcosa per quella sua balbuzie. Negli ultimi tempi era addirittura peggiorata, rendendo il suo eloquio a volte, sinceramente, incomprensibile. Il risultato era che quel poveretto, che si vergognava, stava in silenzio due volte più del solito. Per non parlare della tirannia che subiva da parte di mia figlia. Non sapevo proprio che fare. Come scusarsi con il mio amico? Insomma, non era un affare parecchio tranquillo. Ecco io…mi vergognavo troppo. Non ho la minima idea di come ci arrivai, ma arrivai alla fine di un corridoio in cui non ero mai stata era molto simile a quello da cui ero arrivata, a parte un po’ più di cura negli arredamenti.  Candele, qualche statuina sui dei mobili, vasi di fiori, belle lampade ad olio. Una zona che non era stata riservata a noi. Ops. Bene, forse era meglio fare qualche passo indietro, tornare nella mia stanza e stare buona buona cercando di prendere sonno. Camminare a farsi prendere dai pensieri non era una cosa molto bella. Poi mi era tornato un po’ il coraggio. Sarei andata da Zipherias. Si, dovevo farlo. Cominciai dunque ad indietreggiare.  Mi girai per andare via, quando urtai qualcosa, un tavolino con sopra un bel vaso di fiori profumati ed una statuina di un uomo seduto.  Sobbalzai, e mi girai di scatto. “oh no..”. Bisbigliai, quando vidi il tavolino a tre gambe, di buon legno scuro e dalla foggia delicata, oscillare, il vaso inclinarsi e la statuina pendere pericolosamente. Dannazione, no. “non farlo!”. Cercai di salvare capra e cavoli. Non mi riuscì tanto bene. Oh no. Niente guai. Se mi avessero beccata non so che figura ci avrei fatto. Non mi sembrava un vaso molto costoso, ma sicuramente una famiglia normale di Kyradon da quell’oggetto avrebbe ricavato di che mangiare per un anno. Con un piede impedii dunque che il delicato tavolino si andasse a schiantare per terra, e con le mani afferrai il vaso, prima che cadesse, e la delicata, piccola statua di porcellana chiara. Accidenti, che disastro! Mi sentii battere forte il cuore. Fortuna, non era successo niente. Solo un paio di gocce d’acqua e qualche fiore a terra, ma niente era andato in pezzi. Sospirai di sollievo. Uff. Non era successo niente, su. Respirai profondamente un paio di volte, per calmarmi. Bene, ora avrei rimesso tutto a posto e quell’acqua sarebbe stata magari imputata ad una domestica un po’ sbadata. Sollevai delicatamente il vaso e la statuina, e, ancora il piede teso, misi il vaso sottobraccio e tenni la statua in mano. Con l’altra mano, andai a sistemare il tavolo. Respirai ancora, per calmarmi. Pericolo evitato. Mi ricomposi, e mi accinsi a rimettere tutto a posto. Per prima cosa presi il vaso, e lo rimisi al suo posto. Poi, la statuina ancora in mano, mi abbassai per prendere i fiori. Mossa fatale. Avevo dimenticato di essere ancora parecchio deboluccia.  Mentre mi rialzavo, sentii la testa girare. Urtai di nuovo il tavolino, ma non me ne accorsi. Vidi, per un attimo, tutto grigio. Accidenti, forse era meglio ce non mi fossi arrischiata a fare quella gita fuori programma. Mi misi seduta, e chiusi gli occhi. Quando il mondo smise di vorticare aprii gli occhi. Ghiacciai. Il vaso, quel bel vaso decorato, era a terra. Tutta l’acqua si era sparsa per il corridoio, ed i fiori erano ormai rovinati. Ma la fonte del mio orrore era un’altra. Di quel meraviglioso oggetto non erano rimasti altro che frammenti.  Frammenti….tutti frammenti. Del vaso non era più riconoscibile nemmeno un pezzo. Avevo distrutto il cibo di una famiglia normale di Kyradon! Avevo distrutto un vaso di Fiya! Oh dannazione! Idiota! Il primo gesto che feci fu quello di guardarmi intorno. Mi aspettai di vedere accorrere gente, ma lì non c’era nessuno. Ora mi avrebbero scoperta. Che vergogna, per Lsyn Amarto, essere beccata in quel modo! Noi elfi non avevamo il permesso di girare per il castello! E poi, come sarebbe stato giudicato il mio gesto? Sarei stata presa per una Spia? Sarei finita di nuovo in cella? Mi avrebbero di nuovo torturata con quell’affare? Oh no. Deglutii, e mi guardai attorno. Mi parve di sentire dei passi. Non ci fu debolezza che tenne, quella volta. Schizzai in piedi, e, senza più curarmi di nulla, mi diressi verso la strada che avevo percorso, e che portava nei luoghi in cui potevo stare, correndo, guardandomi di tanto in tanto indietro. Dovevo nascondermi. Oh dei, quella era decisamente una giornata no. Prima una regina mi dava una notizia orribile, poi litigavo con Roxen, poi litigavo con Zipherias, ed infine anche quello! Cosa mi aspettava in più? Quella giornata era destinata a migliorare o no?

Ero quasi arrivata nelle mia stanza, quando mi calmai relativamente. Mi resi conto di non essere seguita da nessuno, e, respirando affannosamente, la testa che mi girava, mi fermai per riprendere fiato e per non farmi sembrare un’idiota. Almeno, se Roxen fosse stata sveglia, avrei potuto giustificare il mio giro dicendo che avevo bisogno di pensare un po’. Ma era ancora molto presto. La mia passeggiata non era stata molto lunga. Bene, molto meglio. avrei dormito un po’. Pian piano ,riuscii a calmarmi, e fu allora che mi accorsi di essere praticamente fradicia, e, cosa peggiore, di avere ancora la statuetta in mano. Sobbalzai quando me ne resi conto, e la guardai. Non era un oggetto molto raffinato. A differenza di come mi era sembrato a primo acchito, non era porcellana. Un materiale che sinceramente non riuscivo a decifrare, ma dall’uguale consistenza e raffinatezza.  Accidenti, che idiota. Ora? Come tornavo lì. Mi guardai intorno, poi guardai di nuovo quella statua piccina, leggera. Doveva raffigurare un uomo seduto, pensieroso, dall’atteggiamento malinconico, occhi e capelli scuri com’era tipico a Fiya. Sorrisi. Non erano riusciti molto bene nel loro intento di raffigurazione, sicuramente impediti dalle dimensioni. Passai un dito sul viso colorato. Certo che non ci sapevano davvero fare, con le statue, gli umani. Erano dei geni, ma chiunque fosse stato il modello per quella piccola opera non doveva essere stato fedelmente rappresentato. Due statue avevo visto di uomini, quella e quell’obbrobrio che voleva dare una seppur minima idea di quello che era stato Regis, finendo per combinare un guaio. Scossi la testa. Ah, il ricordo di quella stupida e tronfia statua ancora mi faceva salire la bile in gola. Avevano rappresentato il mio stupido umano preferito in un mero pallone gonfiato. A lui non sarebbe piaciuta una cosa del genere. Sentii una vera fitta di vergogna. A dire la verità, non sarebbe stato per niente contento del mio comportamento fino a quel momento, per niente. Chissà che mi avrebbe detto. Molto probabilmente una ramanzina con i fiocchi. Non si ci comporta così, e bla bla bla, e Zipherias stava facendo del bene, eccetera. Alla fine sicuramente mi avrebbe fatta sentire un verme, peggio di quanto stavo in quel momento. Si, va bene, avevo sbagliato, e allora? Quella mattina, a colazione con Ellyn, mi sarei fatta perdonare. Eppure mi sentivo vagamente in colpa per non essere andata subito da lui. Com’ero vile. Probabilmente Regis mi avrebbe…beh, temo che mi avrebbe presa per le orecchie e portata da lui. Non ci andava mica tanto per il sottile. Mi mossi, a disagio. Quel tizio sapeva come farmi morire di vergogna anche da morto! Ma che diamine di potere aveva, per avere tanta influenza su di me? Accidenti. Mi vergognavo come un ladra. Solo il pensare al suo sguardo quando facevo qualcosa che proprio non andava mi faceva venire voglia di tornare indietro con il tempo e prenderlo a calci. Poi però sorrisi. Che potere aveva avuto su di me, quel mero umano, che potere aveva ancora. Avrei dovuto far conoscere una persona così anche a Roxen, magari l’avrebbe messa in riga. Dopo…quanto tempo era che l’avevo visto per l’ultima volta, quando era stata l’ultima volta che mi aveva aiutato ad aprire gli occhi, ad andare avanti? Quasi un secolo e mezzo? Si, l’età di Nilyan. Sorrisi ancora di più nel ricordare quei momenti. Chissà che avrebbe detto la mia bambina, se le avessi confessato che a vederla nascere c’era stato anche un eroe che era sparito cinquant’anni prima dalla faccia della nostra terra. Ah, che idiota, Regis. Riusciva ad averla vinta sempre, su di me, anche su una testa dura come me, sempre. Come diavolo faceva, pure da morto? Forse era perché mi mancava tanto. Era stato così importante per me, e per lui c’era sempre stato un posto speciale, mai definito davvero, nei miei pensieri. Mi aveva insegnato una marea di cose. Primo, che non dovevo essere avventata. Secondo, che ero fortunata ad avere tante persone attorno, che non ero mai sola. Insegnamenti prontamente disattesi ed ignorati, però almeno mi sentivo in colpa quando sbagliavo. Prima di lui non mi rendevo nemmeno conto di sbagliare. Tutte le volte che ci eravamo visti mi aveva lasciato qualcosa, uno scampolo di luce, un po’ di speranza, o il modo per essere migliore. Mi aveva aiutata a cambiare, a diventare la persona che ero. Era stato il mio conforto in cinquanta lunghissimi anni di solitudine assoluta, rotta solamente da qualche sporadico  contatto desolato. La mia ancora, in un momento in cui tutti quelli che mi conoscevano da sempre sparirono. E dire che lo detestavo, all’inizio, quella primadonna. E dire che avevo desiderato, più di una volta, di vederlo morto…. Beh, puntualmente ero stata presa allegramente a botte. Poi ne ero uscita come una persona migliore. Un paio di volte la nostra era stata una collaborazione fortuita, tra identità quasi avversarie. Altre volte… beh, evitai di pensare a com’era finita tra di noi. Altrimenti mi sarei persa in ricordi inutili ed il giorno mi avrebbe sorpreso appoggiata ad un muro, con aria ebete ed in mano una statua rubata per sbaglio. Era proprio ora di andare a letto. Guardai ancora una volta l’oggetto che portavo con me. Chissà se era possibile fare con Roxen la stessa cosa che era stata fatta con me. A forza di battermi Regis mi aveva messo un po’ di giudizio in corpo, mi aveva insegnato che era possibile vivere, per cercare un senso alla mia esistenza. Chissà, se fosse esistita una persona così anche per mia figlia avremmo potuto avere una Roxen molto migliore. Decisamente migliore. Ma chi era tanto speciale da poterlo fare, da sopportare l’isteria continua di quella lunatica? Nemmeno Capouille ci riusciva, c’era bisogno proprio di un pezzo di pane! Sobbalzai quando mi venne in mente una scena. Fu come se mi avesse trafitto un raggio di luce. Ma certo! Ero arrivata ad una soluzione! Mi venne da ridere. Un’elfa urlante, colma di odio, ed una piccola, giovane umana gentile, che la guardava con pazienza. Ellyn. Lei, era lei l’unica capace di avere un dialogo con quella pazza! Magari chissà, sarebbe stato possibile mutare quell’odio profondo che mia figlia provava per lei in ammirazione. Ma certo! Diamine, c’era riuscito un umano con il quale me l’ero date di santa ragione, lui un eroe, io una Spia malvagia… per una principessa dolce come lo zucchero cambiare una Guardia del Lazzaretto era un gioco da ragazzi. E poi, c’era pure Nilyan ad aiutare  quell’umana. Quelle due mi parevano anime affini, di sicuro sarebbero diventate grandi amiche. Avrebbero fatto amicizia in un lampo. E sicuramente quell’umana l’avrebbe tenuta buona, con la sua pazienza! Benedissi l’esatto attimo in cui Ellyn era…beh, direi piombata dal cielo. I miei guai erano finiti! Grazie a lei, potevo andare ad Atlantis tranquilla. Avevo trovato i miei compagni. Dovevo solo parlarle, magari, chiarire la situazione, escogitare con lei un piano. Ero sicura che, in quel modo, Nilyan non avrebbe sentito troppo la mia mancanza e Roxen avrebbe auto la lezione che si meritava. Magari, l’avrei trovata al mio ritorno docile come un agnellino, tutta miele e sorrisi. Una stima un po’ troppo ottimistica, ma si poteva fare, accidenti. Anche vederla meno superficiale, meno arrabbiata con se stessa ed il mondo che la circondava andava bene. Anche vederla leggermente meno arrogante sarebbe stato perfetto. Ma si! Roxen mi avrebbe ammazzata, a lei sicuramente non sarebbe piaciuto per niente, ma poco importava. Se ne sarebbe fatta una ragione. Sentii un’ondata di entusiasmo farsi strada in me. Era autenticamente e semplicemente perfetto. Guardai la statuina, e battei leggermente la mano sul suo capo, sorridendo. E brava la mia goffaggine. E bravo Regis, che, con tutte le umiliazioni che mi aveva inflitto, ancora poteva darmi qualche lezione. E qualche soluzione, si. Brava me, si, brava me! Mi sentii con il cuore più leggero. Andavano solo sistemate un paio di cose, e dopo, lasciare le mie piccine non sarebbe stato più uno strazio così totale. Avrei avuto una persona di cui fidarmi, e poi, magari, avrei portato con me Zipherias. Bastava solo…beh, fare pace con lui. Cosa più facile a dirsi che a farsi. Non sapevo quanto lui fosse orgoglioso. Non litigavo mai, con lui. Io sicuramente non avrei fatto il primo passo, proprio no. Arrossii. Ero proprio una bimba capricciosa, proprio. E, quanto ad orgoglio, non mi batteva nessuno. Beh, pazienza. Ma come dire a quella testa dura che mi dispiaceva, e che gli volevo bene? Come diavolo avrei fatto.  Che vergogna. Sospirai. Dovevo vedere quanto lui ce l’avesse con me. Avrei visto il giorno dopo. Tanto, entro un paio d’ore ci avrebbero chiamato per andare a colazione da Ellyn. Non vedevo l’ora, avrei potuto parlare con tutti e scusarmi della mia esagerazione. E poi, c’era anche un altro motivo: Ellyn stessa. Ero curiosa di conoscere fino in fondo quella piccina, di vedere se davvero era come mi era sembrato. Ero curiosa. Sperai solo di non vedere altre tazze a fiorellini. Quelle che avevo avuto la sfortuna di usare erano latrici di brutti ricordi. Beh, dovevo osservare per bene quella piccola. Sarebbe stata fondamentale per le mie cucciole. Sperai solo che avesse pazienza. Beh, mi era sembrato così. Io a tutte quelle ingiurie avrei risposto con un “torturatele”.  Lei ci aveva invitati a colazione. Beh, umani strani. Però, mi dovevo fare un’ora almeno di sonno. Non era decente presentarsi da una principessa in condizioni pietose. Mi misi ben dritta, e sospirai. Finalmente, avevo trovato una soluzione ai miei problemi. Era tutto di nuovo perfetto. Bene, e ora a nanna. Guardai per un attimo, con preoccupazione, la statuina che avevo in mano. Che farne? Si sarebbero accorti del furto? Poi scrollai le spalle. Beh, si fregavano. Statua più statua meno, ora era mia. L’avevo salvata dalla distruzione, e l’avevo portata con me. Aveva aiutato a pensare. E poi, chi avrebbe pensato a me come ladra? Al massimo una domestica sarebbe stata incolpata. Beh, mi dispiaceva per lei, mi vergognavo di quello che stavo pensando, ma io non avevo la minima intenzione di mollare il maltolto. L’avrei nascosta e portata, in seguito, a casa, ad Uruk. Tanto come ricordino. Ehi, loro mi avevano preso tante cose, non potevo prendere io qualcosa? Non era vietato, no? sorrisi, e poi intascai, con delicatezza, il piccolo furto. Era solo una statuina, non faceva niente di male. E poi non era nemmeno bella. Io potevo rubare ed avevo rubato. E poi non era nemmeno rubare. Era solo…salvare, ecco. Che grande tutrice che ero. Mi stupivo sempre meno di avere allevato una manica di delinquenti potenziali. Tornai, più allegra, nella mia stanza, dove Roxen dormiva ancora. Misi la statua nella mia borsa, e crollai a letto. Ora avrei potuto dormire più tranquilla. Entro poco tutto si sarebbe messo a posto.

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Capitolo 41
*** Nient'altro che una bambina. ***


Mi svegliò, dopo quello che sembrò solo un attimo, qualcuno che bussava alla porta

Mi svegliò, dopo quello che sembrò solo un attimo, qualcuno che bussava alla porta. Mugugnai, ben poco propensa a muovermi. Uffa. Accidenti, avevo cominciato a sperare che quello di Ellyn fosse stato solo un modo per rabbonirci. A quanto pare la piccola principessa teneva fede alle sue promesse. Strisciai, completamente di malavoglia, in piedi, dal divanetto in cui ero sprofondata, avendo il letto occupato da quell’adorabile capretta che era mia figlia, che ancora non si era accorta di nulla, e cercai di fare mente locale. Mi sentivo un po’ confusa. Avevo dormito pochissimo pure per me. Un tempo non sarebbe stato un problema, c’erano stati giorni in cui quasi non dormivo, ma non ero più la stessa persona. Mi ero proprio accomodata sugli allori, ed avevo dimenticato molte cose che, tutto sommato, mi erano utili. Che vecchio ronzino che ero diventata! Beh, pazienza, non avevo perduto abitudini molto importanti. In cambio avevo guadagnato una statuetta, un giro per parti del castello che non avrei mai visto, e, soprattutto, tante idee molto preziose. Finalmente sapevo che fare, cosa fin troppo rara per me. Quindi, la sveglia intempestiva non mi suonava tanto sgradita. Quando poi pensavo a cosa mi aspettava, non potevo che essere doppiamente curiosa. Una colazione con una principessa straniera: il solo pensiero mi riempiva di imbarazzo. Non ero mai stata così a contatto con un’umana di così alto rango. Al massimo mi era capitata una cena, tra le cose più vergognose mai vissute in vita mia. Il problema è che non ero abituata al fasto e alla pompa regale degli umani: anche con Lainay era stato diverso. Beh, i nostri incontri erano sempre stati segnati dalla segretezza, e tutte le volte che avevo partecipato a qualche festa lei non c’era mai. Ad Uruk, invece, era tutto estremamente semplice. Isnark, nato e cresciuto in una famiglia umile, odiava i fasti di corte, e cercava di sottrarsi il più possibile. In più, era anche mio amico. Nilyan, la principessa…beh, l’avevo praticamente allevata io, per metà nel castello, per metà in una casetta isolata in mezzo al bosco. Dunque, quella volta che mi capitava di confrontarmi con cene o pranzi ufficiali per me era un  vero dramma. Finivo sempre  rigida come uno stoccafisso a fissare il vuoto,, senza toccare niente. Un gesto di ulteriore scortesia che generava l’antipatia di molti. Quella colazione era generatrice di agitazione anche per altri motivi. Avrei visto Zipherias, e cercato di scusarmi con lui. Ero così nervosa che, solo pensando a quello che sarebbe accaduto di lì a breve, il sonno mi scomparve per incanto. Andai dunque ad aprire molto più sveglia di quanto immaginassi. Mi trovai di fronte un uomo mai visto in vita mia, probabilmente un domestico o un’ennesima guardia, che mi fece un breve inchino. Gli risposi, come se lui fosse qualcuno di grado pari al mio, senza sapere nemmeno cosa stessi facendo. Lui mi guardò, confuso, ed io arrossii. Cominciavamo davvero bene. come al solito, dovevo essere sempre parecchio idiota. Guardai meglio il mio interlocutore. Doveva essere una persona piuttosto anziana, credo, dall’aria severa e dai baffi imponenti, tagliati secondo la moda di quel posto. Vestiva solennemente la livrea del castello. Cercai di sorridere, ma non so quanto fui credibile. Lui si schiarì la gola. “buongiorno. Siete attesi il più presto possibile nel salottino privato della principessa Ellyn”. Annunciò, mettendosi un po’ più dritto, senza perdermi d’occhio, scrutandomi con aria parecchio critica. Lo guardai. In tutta risposta, lui fece un sorrisetto tirato. Poi mi guardò apertamente in faccia, scrutando, con enorme mio imbarazzo, ogni cicatrice. Mi venne voglia di coprirmi il viso. “io ho l’ordine di accompagnarvi”. Rispose alla mia domanda muta, stringendosi nelle spalle. Ehi, cos’era quella confidenza? Lui continuò a guardarmi, curioso. Accolsi quello sguardo con antipatia, ed un tuffo al cuore. D’accordo, il momento era arrivato. Ma che aveva da guardare quello, con la sua aria da galletto del pollaio? Cos’era quel comportamento? Si sentiva in diritto di giudicarmi come una sua amica o una parente solo per un inchino? Cominciavamo bene. bene. entro poco avrei scoperto com’era davvero questa giovane umana. Ero molto curiosa, senza alcun dubbio. Non avevo mai partecipato ad una colazione con un…beh, principessa. Sarebbe stato qualcosa di ufficiale, per cui dovevo tenere il volto coperto? Oppure no? Accidenti, rischiavo di fare una pessima figura in ogni senso. Quella mattina sarebbe stata, potenzialmente, generatrice di piccoli incidenti diplomatici. Mi ripromisi di tenere a cuccia Roxen. Dovevo tenerlo bene a mente: mia figlia non trovava simpatica Ellyn, e rischiavo di vederla cominciare a fare battutine acide ad ogni piè sospinto. Sicuramente, dopo quello che era successo la notte, doveva essere più piena di veleno di una vipera affamata. Quindi, dovevo tenerla vicina e sperare di riuscire a tapparle la bocca prima di combinare un altro guaio. Certo, Ellyn non era come la madre, già l’avevamo visto dal fatto che non ci aveva sbattuti di nuovo in cella per quella scortesia nei suoi confronti, ma la pazienza ha sempre un limite. Dovevo anche stare attenta a Nilyan. Confidavo nell’educazione di Capouille e Zipherias, ma dovevo stare attenta che mia nipote non combinasse qualcosa di strano. Mi domandavo come avrebbero fatto, una volta che ci fossimo staccate. Preferii non pensarci. Infine, dovevo stare attenta a me stessa. Sbuffai, e guardai male il povero, anziano, umano, che mi ricambiò un’occhiata perplessa. Come detestavo la diplomazia. “si…un momento e arriviamo tutti…”. Senza nemmeno attendere la sua risposta, gli chiusi educatamente la porta in faccia. Poi mi girai verso mia nipote, che ancora ronfava alla grossa. Dovevo svegliarla, il che sottintendeva lotte atroci e musi lunghi. La giornata cominciava molto bene, senza dubbio. Ero di umore nero.

Riacchiappare Roxen dal mondo dei sogni era sempre piuttosto difficile. Alla fine, a forza di scuoterla e chiamarla, riuscii a svegliarla. Mia figlia era molto più nervosa di me, molto. La trovai più riottosa del solito. Aveva i capelli tutti scompigliati, la faccia da un lato segnata dal livido che le aveva lasciato il mio schiaffo, e gli occhi gonfi. Una pessima cera. L’umore ancora peggio. Quando le spiegai che dovevamo andare da Ellyn mi guardò male, e mormorò qualcosa che fu stroncato dalla mia occhiataccia. “no tesoro, tu non hai capito”. La bloccai, quando lei fece per lamentarsi e mise il broncio. Voleva essere testarda come un mulo? Aveva trovato pane per i suoi denti. Le sventolai un dito davanti alla faccia. Non intendevo litigare con lei. Lei doveva obbedire, punto e basta. Non avevo la minima voglia di mettermi a discutere, non quando il mio stesso morale virava circa sotto lo zero. Io ero la madre, lei la figlia. La principessa aveva invitato tutti, e nessuno poteva sottrarsi. Sarebbe stato scortese. Le parlai con voce dolce e conciliante, ma ferma, come se fosse ancora piccola. Sapevo quanto lei lo detestasse, e lo usavo a mio favore. Ci cascava sempre. “dobbiamo andare. Non facciamo figuracce. Ora tu vai a prepararti velocemente e poi farai la brava bambina, vero?”. Roxen digrignò i denti, con mia enorme soddisfazione. Vidi un lampo indignato passarle negli occhi chiari, e repressi un sorriso. Lei, da che era seduta scompostamente, comportandosi come una malata, si mise ben dritta. Bene. Ottenevo sempre quella reazione. Sapevo come ottenerla. Mantenni la calma. Quando mantenevo la calma la riuscivo ad avere sempre vinta, su di lei. Quella volta non fece eccezione. “non trattarmi come una bambina!”. Sibilò lei, guardandomi storto. Mi sentii invadere dal divertimento e dalla soddisfazione. La via per la vittoria era spianata. Povera piccina. Non imparava mai, mai, mai. Doveva essere la centesima volta che usavo quel trucco con lei, e la toccavo tanto nell’orgoglio che lei ci cascava sempre. Non sopportava che io fossi più grande di lei, e non sopportava gli ordini imposti. Così la fregavo. Mi lasciai dunque scappare un sorrisetto di scherno. L’avevo in pugno. “dimostrami che non lo sei, allora”. Dissi, ancora sorridendo, senza alzare minimamente la voce.  Da quel momento in poi la via fu praticamente spianata. Lei cercò di commuovermi in ogni modo possibile.  Mi disse che ero un’insensibile, che lei non stava bene, che non potevo farle una cosa così cattiva, che non poteva andare con noi, che non c’entrava niente, ma alla fine l’ebbi vinta io. Mi bastò, in silenzio indicare la posta, sempre sorridendo, benché dentro di me fremessi dalla voglia di darle uno schiaffo, a quella bimba viziata. “fai presto”. Le dissi, allargando di più il sorriso. Lei s’interruppe a metà del suo monologo, e poi, dopo avermi guardato malissimo, si alzò, ringhiando. Senza salutarmi, se ne andò, sbattendo la porta. Mi sentii soddisfatta. Sarebbe stata la prima a farsi vedere, bella e agghindata come suo solito. Roxen faceva tanto la dura, ma io sapevo come trattarla. Ed ero più testarda di lei, soprattutto. Il sorriso, non appena lei se ne fu andata, continuando a ripetere bestemmie ben poco educate sottovoce, scomparve in un attimo. Mi guardai intorno cupamente. Era ora che anch’io mi preparassi. Che noia, che noia assurda.

Alla fine, quando fui pronta, decisi di tenere il volto scoperto, nonostante tutto. Non sapevo se Ellyn mi avesse visto bene in faccia, quella notte. Se mi avesse vista, beh, risparmiavo ai suoi occhi di ragazza la muta testimonianza che la mia vita non era così bella come la sua. In caso contrario, le volevo evitare di vedere le mie cicatrici. Attiravano troppo l’attenzione. Quell’innocente non doveva assolutamente notare la mia bruttezza. Non ne avevo il coraggio. Abbassai il cappuccio quanto più possibile, per non farmi vedere, e poi uscii timidamente. Ero tornata la Ch’argon di Uruk. Era un sollievo e, nel contempo, un peso. Non potevo fare a meno delle maschere. Non appena uscii, trovai già tutti alla fine del corridoio, ovvero vicinissimi alla mia porta, ad aspettarmi, tutti stretti attorno al domestico, che mi sembrava leggermente intimorito, minuscolo com’era tra Capouille e Zipherias. Il mio amico dai capelli rossi aveva un’espressione a dir poco inviperita, che non si schiarì nemmeno quando mi vide. Aveva il labbro inferiore gonfio e spaccato. Doveva ancora essere arrabbiato per quello che era successo la notte. Deglutii, presa da un improvviso nervosismo, quando vidi invece il mio caro Zipherias. Accidenti, mi avrebbe perdonata per l’inammissibile comportamento che avevo avuto nei suoi confronti? Da quanto mi sembrava, la situazione non era critica. Sembrava, piuttosto, che lui volesse scusarsi con me. Mi guardò di sottecchi, poi sorrise timidamente ed alzò, esitante, una mano in segno di saluto, riabbassandola subito. Provai un sollievo immediato. Mi sembrò un bambinone, e provai un’improvvisa tenerezza, che scacciò via l’ansia. Ah, la mia Guardia preferita era sempre la stessa. Riusciva mai ad arrabbiarsi sul serio? Perfino con Roxen sembrava che si fosse messo tutto a posto. Bene, le cose mi sembravano più facili del previsto. Scusarsi con lui sarebbe stato un gioco da ragazzi. Così gli risposi con un gran sorriso, ed andai accanto a lui, che mi guardò, e sospirò di sollievo. Doveva aver capito l’antifona. Mi riservai di parlargli, più tardi. Dietro di me c’era Nilyan, a cui riservai un’occhiata di rimprovero. Sembrava pronta per una gita a cavallo ,tanto era poco elegante. Mi chiesi distrattamente da quanto non si fosse pettinata i capelli. Si era limitata a stringerli in una coda arruffata. Semplicissima come sempre. Eppure, lei era l’erede al trono di Uruk. Dovevo tenerla un po’ più sott’occhio. Non poteva comportarsi sempre così. Dopo mi avrebbe sentita. Lei, completamente elettrizzata, si limitò a farmi una linguaccia, ed un cenno giocoso ed impertinente verso Zipherias. Alzai gli occhi al cielo. Sempre lei, la solita. Roxen si era preparata alla velocità della luce, per niente disposta ad essere sciatta, come al solito,  anche se aveva lasciato il brutto livido sulla guancia, sicuramente apposta, e tentava di fare la ruffiana con Capouille, senza esito, cosa molto strana. Quando lei tentava di abbracciarlo lui la scostava senza nemmeno guardarla. Accidenti, doveva essere parecchio arrabbiato con lei per non darle corda. La mia piccina era completamente mortificata. Se avesse potuto credo che avrebbe fatto le fusa. Beh, se lo meritava, dopo tutti i maltrattamenti che gli aveva fatto subire. Finalmente, ci mettemmo in moto, seguendo, timidi come pulcini dietro la chioccia, il pomposo domestico. Per una volta, data l’ora, ci muovemmo all’esterno. Salimmo più in alto, fin quasi gli ultimi piani del castello, fino ad arrivare ad un breve corridoio molto luminoso, dalle poche stanze. Il domestico si avvicinò ad una, e bussò alla porta. Attendemmo tranquillamente che ci aprissero. Ecco, arrivò il nervosismo, di nuovo. Ci sarebbe stata Lilliagrin? A quella prospettiva mi venne voglia di fuggire. No, rivedere quella spettrale regina sarebbe stato troppo per il mio povero cuore. E se poi avesse messo in mezzo qualcosa sul mio viaggio? Come spiegarlo ai miei amici? Rabbrividii di orrore. No, proprio no, non quando le cose sembravano essersi messe al loro posto. Prima che la porta si aprisse, cercai istintivamente protezione avvicinandomi ancora di più a Zipherias. Lui mi guardò, interrogativo, ma poi non si scostò, probabilmente intuendo la mia tensione, attribuendola a chissà cosa. Addirittura, per un breve attimo mi prese sottobraccio. Sotto il cappuccio, sorrisi. Era bello sapere di poter contare sempre sul mio amico. Ed io lo avevo trattato così male! Ero stata stupida, impulsiva come sempre. Mi ripromisi di fare una bella chiacchierata con lui. Finalmente, dopo poco, la porta si aprì, e comparve la gigantesca figura di Peggy, che ci scrutò con aria critica. I due confabularono per un po’, poi il domestico si scostò, e noi, accalcati uno contro l’altro, incerti sul da farsi, entrammo. Mi guardai attorno, con curiosità. Che tipo era quella ragazzina? Mi aspettavo un tripudio di rosa e leziosità varie, come la madre, ma quello che vidi mi sorprese. Eravamo in un ambiente simile a quello del salottino di Lilliagrin, ma estremamente più semplice e funzionale, e più grande ed arioso. Dalle pareti al pavimento, agli arredi, tutto era sui toni del giallo, più o meno morbido, il che dava una certa aria allegra all’ambiente. La maggior parte delle finestre erano aperte. Al centro della stanza era stato fatto spazio per un tavolo piuttosto grande, dalla forma circolare, coperto da una tovaglia bianca, e varie tazze, tazzine, bricchi, piattini in argento e semplicissima porcellana bianca. Sospirai. Niente pompa regale. Quella piccola mi stava facendo un sacco di sorprese piuttosto piacevoli. Mi sembrava, la sua, una normale colazione informale da Nilyan o Isnark. Cose che conoscevo, insomma. La piccola Ellyn era già seduta. Era finalmente abbigliata in modo più consono al suo rango, con abiti dai colori chiari, ed aveva i capelli sciolti. Ci guardava, con gli occhi scintillanti, e sembrava lì lì per saltare via dalla sedia, tanto era contenta di vederci. Gongolava, non in quel modo calcolatore ed un po’ derisorio della madre, ma semplicemente piena dell’entusiasmo che hanno sempre i giovani umani. Accidenti, per fortuna Lilliagrin non si vedeva da nessuna parte. Contai le sedie, e sospirai di sollievo. Eravamo solo noi. Impacciati, poco sicuri su quello che stavamo facendo, salutammo tutti con un inchino, anche Roxen, controvoglia, meno Nilyan, di pari rango, che si limitò, con mio enorme fastidio, ad agitare la mano in segno di saluto. Mi venne voglia di strozzarla, e le diedi una gomitata, che lei evitò elegantemente. Cos’era quella confidenza? Peggy la guardò, scandalizzata, ed io feci in fretta ad arrossire. Accidenti, che imbarazzo. Come l’avrebbe presa la piccola principessa? Ellyn sorrise ancora di più, e rispose al saluto informale di mia nipote, con entusiasmo, forse contenta che lei l’avesse trattata con tanta familiarità. Poi si alzò, e si inchinò a sua volta, graziosamente. Cominciò poi, un po’ impacciata dall’abito semplice ma a cui, probabilmente, non era abituata, ad avvicinarsi a noi. “buongiorno!”. Esclamò lei, con voce squillante, tutta contenta. Le rispondemmo con un mormorio indistinto, intriso di rispetto, tranne Roxen, che strinse le labbra e si rifiutò di parlare, e Nilyan, che le rispose con sicurezza sfrontata. Io abbassai automaticamente ancora di più il cappuccio, per nascondermi, e poi guardai Capouille e Zipherias. Entrambi avevano lo sguardo basso, ed il primo era addirittura arrossito per l’imbarazzo. Mi concessi di osservare meglio la piccola principessa. Aveva colori molto diversi dalla madre, anche se le assomigliava leggermente, anche alla luce del sole, ed il naso pieno di lentiggini. Non aveva l’aria impertinente di mia nipote, ma qualcosa mi spinse ad accomunarle. Fui certa che sarebbero diventate grandi amiche. Con Roxen non ne ero molto sicura, ma non si poteva mai dire. Tanto sarebbe stata costretta ad una lunga convivenza forzata con quella ragazzina. Lei si ci parò davanti. Parve leggermente intimidita, per un attimo, poi cercò di sorridere. “bene, noi non ci siamo presentati a dovere, vero?”. Domandò, allegra. Senza aspettarsi una risposta, tese immediatamente una mano verso Capouille, proprio lui per primo, che la guardò completamente stupefatto. Io cercai di reprimere il riso. Il mio amico dai capelli rossi era diventato viola. Strinse la mano della giovane principessa quasi tremando. Sentii Roxen borbottare qualcosa. Io invece mi sentii invadere da una piacevole sensazione di calore e sorpresa. Strana principessa, Ellyn. Insomma, mai trovato in vita mia qualcuno di più dolce, nemmeno Nilyan. Pensai per un doloroso attimo a Nemys, ma il paragone non era del tutto esatto. Quella bimba non aveva la saggezza della mia Rinnegata, né il contegno. Era…beh, era piccola. Era umana. Era candida. Ma come diavolo aveva fatto Lilliagrin ad allevare una simile creaturina adorabile ed innocente, lei, che era viscida come una serpe? A meno che quella bimba non fosse abilissima a celare i propri pensieri, avevo appena incontrato la creatura più gentile di questo mondo. beh, sicuramente o era gentile o una furbastra. Sapeva che, una volta diventata regina, la collaborazione e l’amicizia con Uruk sarebbero state fondamentali. Forse la sua dolcezza non era del tutto disinteressata, chissà. O forse ero io troppo cinica. Non potevo farne a meno. Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio. Lei strinse vigorosamente la mano al mio povero amico, completamente spiazzato. “io sono Ellyn. Tu invece come ti chiami?”. Ci vollero forse cinque minuti buoni prima che Capouille riuscisse a dire poche parole, quasi incomprensibili, per il suo balbettio e per il labbro gonfio che gli impediva di parlare correttamente. La principessa ripeté la scena, quasi identica, con tutti noi. Zipherias fu un po’ più serio e galante, io cercai di tenderle la mano sinistra, con sua enorme sorpresa. Lei cercò di sbirciare, curiosa, nel mio cappuccio, per vedere cosa avessi da nascondere, ma io mi sottrassi ad ogni sguardo. Si, molto probabilmente non mi aveva vista, prima. Roxen fu decisamente scostante, rispondendole quasi a monosillabi quando lei le chiese, preoccupata, se fosse stata la caduta a provocarle quel brutto livido. Mia figlia, almeno, si tenne nei limiti dell’educazione. Sapeva che in caso contrario si sarebbe meritata ben più di uno schiaffo. Nilyan, irrimediabilmente buffona ed estroversa, fu più calorosa. Ellyn fu sorpresa nel sentire il suo nome. Non se l’era aspettato, che una principessa come lei se ne andasse in giro impunemente. Mia nipote gonfiò il petto, tutta fiera, e disse che c’ero io, sua zia, a proteggerla. Mi sentii un po’ troppo sotto gli sguardi altrui. Mi abbassai ancora di più il cappuccio. Subito dopo, Ellyn, un turbine di entusiasmo, prese Nilyan, e, con suo enorme disgusto, Roxen, sottobraccio, e le trascinò accanto a sé. Poi ci disse che potevamo sederci. Io mi posizionai accanto a mia figlia, attenta ad ogni suo piccolo movimento, allarmata dalla sua espressione assassina. Zipherias si strinse accanto a me, senza mollarmi un secondo. Ci sistemammo, pieni ancora di imbarazzo, in silenzio. Ci fu un attimo di pausa. Eravamo tutti troppo vergognosi per fare qualsiasi cosa. Poi Ellyn si guardò attorno. Il suo sorriso si indebolì. Parve un po’ delusa. “su, forza…servitevi pure…”. Disse, incerta, guardandoci come in attesa di qualcosa. “…non è una colazione di vostro gradimento?”. Subito ci affrettammo a fare cenni di diniego, e borbottare che andava tutto bene. poi ci fu un altro momento di pausa. Nilyan si guardò attorno. Poi sbuffò, scocciata. Come al solito, fu lei la prima a rompere il ghiaccio. Allungò la mano verso un biscottino, e lo prese senza fare storie. Da quel momento i poi, l’atmosfera si rilassò leggermente, ed i sorriso tornò sul volto di Ellyn. Io mi allungai per prendere il bricco del tè, ma Zipherias mi precedette, afferrandolo a versandolo prima a me. Alzai lo sguardo verso di lui, che mi guardava, speranzoso. Gli sorrisi, sperando che vedesse il mio viso, e poi mimai un grazie con le labbra. Lui sorrise a sua volta, tutto contento. Continuò a fare così per tutto il tempo. Ridicolo e tenero al tempo stesso. mi ripromisi di intercettarlo dopo, e portarlo magari a fare una passeggiata. Dovevo scusarmi con lui. Pian piano, cominciò un’imbarazzata conversazione. Le premesse non furono molto positive. L’umana si rivolse a Roxen. “vero che mi perdoni per quello che è successo stanotte, vero Roxen?”. Le chiese, con una bella faccia tosta. O faceva la gnorri apposta o non aveva capito che tipo era mia figlia. Tesi, sotto il tavolo, una mano verso di lei e le pizzicai il braccio, prima che lei addirittura rispondesse. Tanto così, per ammonimento. Lei nascose la smorfia seguente di dolore con un sorriso molto poco convincente. I suoi occhi mandavano scintille. “non intendevo farlo apposta…ti ho fatto molto male?”. Il sorriso della mia piccola tigre si trasformò in un ghigno cattivo, un mostrare di denti. Vidi un lampo di furbizia passare negli occhi scuri di Ellyn. Nascosi un sorriso dentro la mia tazza. Accidenti, non era sciocca. Lo stava facendo apposta. Speravo che avesse capito di star giocando con il fuoco. “si…si, certo…signorina”. Pose parecchia enfasi sull’ultima parola, pronunciandola come se si stesse rivolgendo ad una domestica. La pizzicai più forte, tanto che lei sobbalzò. Ellyn non parve accorgersene, e batté allegramente le mani tra loro. “allora è tutto dimenticato!”. In risposta, non ebbe altro che silenzio ed un sorrisetto smorfioso. Ci fu al altro po’ di silenzio. Poi fu sempre Ellyn a parlare. Cominciò a chiederci di come fosse andato il viaggio, di come ci trovassimo a Qerin, e via dicendo. Approfittò di un paio di paroline di Nilyan sulla stranezza della città per asfissiarci di domande su Uruk, sulla nostra vita. Molto spesso, ero io l’interlocutrice principale, o Nilyan. Raramente Zipherias prendeva parola, Capouille era ancora scioccato dalla stretta di mano. Roxen, invece, si era chiusa in un silenzio capriccioso, e non aveva toccato niente, cosa molto scortese. Ad una mia occhiataccia, aveva preso un biscottino, rigirandolo in mano e guardandolo con aria schifata. Poi aveva visto la mia faccia e si era decisa a fare colazione, in un lampo. Passò pochissimo tempo. “devo dire che siete molto simpatici!”. Esclamò Ellyn, con aria di approvazione, che non aveva fatto altro che parlare, fosse confabulare con Nilyan, fosse parlare con me o punzecchiare qualcuno, del tutto innocentemente. “cosa ne direste di diventare miei amici?”. La guardai, stupefatta. Ci fu un momento di silenzio, tanto lungo che il sorriso della principessa si spense. Per un attimo, credetti seriamente che ci stesse prendendo in giro. Poi la guardai meglio. I suoi occhi brillavano di speranza. Poverina. Immaginai che, con una madre come la sua, fosse una persona molto sola, e triste. Non doveva esserle sembrato vero avere delle persone a colazione, qualcuno diverso da Peggy che le parlava! Sicuramente si era lasciata prendere un po’ troppo dall’entusiasmo. Ma dovevamo assecondarla. In fondo era una brava piccina, mi piaceva. Poi dovevo lasciare lì Nilyan e Roxen. Inoltre, la prossima regina sarebbe stata lei. Per simpatia e per calcolo era ottimo stringere amicizia con lei. Vidi mia nipote annuire, poi, con forza, decisa, e mia figlia fare una smorfia, nascondendola dietro la tazza. Capouille e Zipherias si guardarono un momento, poi guardarono me, in attesa di una reazione. Io feci un cenno di assenso. “come volete voi, principessa”. Sul volto di Ellyn si dipinse una strana smorfia, come se avesse mangiato del limone. “non darmi del voi, Lsyn”. Disse, facendo un gesto infastidito. “mi fai sentire troppo vecchia. Io sono Ellyn, solo Ellyn. E questo vale per voi tutti: siamo o non siamo amici?”. La guardai, seriamente. Si, era proprio piccola. Nient’altro che una bambina. Non potevo sorprendermi di quel comportamento un po’ fuori dagli schemi. Doveva avere appena superato l’adolescenza. Forse non si rendeva nemmeno conto dei suoi gesti, o forse era una gran calcolatrice. Non riuscivo a capirla. Mi costrinsi, così, a sorridere. Bah, gli umani erano incomprensibili. “va bene, principes…”. Mi interruppi quando lei mi rivolse un’occhiata degna della madre, e sorrisi ancora di più. Accidenti, va bene. “Ellyn”. Lei sorrise, e parve molto soddisfatta. Poi si lanciò a chiacchierare, ancora. Man mano, l’atmosfera divenne sempre più amichevole. La piccola fece di tutto per farci sentire a nostro agio. Tutti, tranne Roxen, ci cascarono. Fosse o no una trappola, Ellyn era decisamente dolce. Ahi, poverina. Chissà come sarebbe stata, una volta sul trono. Non riuscivo a farmi un’idea chiara di lei. Beh, che strana persona. Probabile che Lilliagrin non la sopportasse averla tra i piedi. Accidenti, che vita grama, la sua. Ma aveva o non aveva qualcuno accanto a lei? Qualcuno che le voleva bene, chissà.  Mi rimisi ad ascoltare la conversazione. Fino a quel momento avevo partecipato poco. “…e dimmi, Nilyan”. Stava dicendo Ellyn, tutta interessata, chiacchierando con quella che doveva starle più simpatica di noi tutti, proseguendo un discorso cominciato chissà quanto prima. “con chi siete arrivati fino a Qerin?”. Nilyan fece per un attimo mente locale, e poi alzò le spalle, girando dello zucchero nel latte. Doveva essere la terza o quarta zolletta. La guardai storto, ma lei non si accorse del mio sguardo. Tutto quel dolce le faceva male. “mh…un gruppo di soldati”. Rispose lei, tranquilla, assaggiando il latte e poi, con una smorfia, mettendo un’altra zolletta dentro. “a capo c’era…come si chiamava? Un tipo simpatico…occhi scuri… sempre serio, però è bravo…capelli si, tutti sparati in aria. Non li pettina mai credo”. Negli occhi della principessa umana passò un’espressione di riconoscimento, e lei sembrò riempirsi di entusiasmo. “ma allora conoscete Faldio!”. Mi girai verso di lei, perplessa. Anche lei lo conosceva? Che strano. Come faceva a conoscerlo? E che entusiasmo. Doveva trovarlo proprio simpatico. Proprio lui, con il quale mi stavo prendendo a botte. “lo conosci, Ellyn?”. Domandai, inserendomi nella conversazione. L’espressione della ragazza, con mio enorme sospetto, cambiò con una velocità impressionante. Lei mi sembrò una bambina colta in flagrante a rubare la marmellata di nascosto. Sul suo visetto pallido comparvero sgradevoli macchie rosse. Lei deglutì, improvvisamente nervosa. Poi sorrise, in un modo che non mi convinse, e cominciò a tormentarsi una ciocca di capelli. No, proprio non capivo. C’era qualcosa che non andava. Che strano, quell’entusiasmo e quella reazione. Bah, probabilmente quell’insipido giovane era il suo eroe, niente di più, niente di meno. Non c’era di che allarmarsi tanto. Era una reazione spropositata. Di più non poteva sicuramente essere. Impossibile che i due si conoscessero di persona. Lei mi guardò, deglutendo di nuovo. “beh…si…”. Disse, imbarazzata, rigirandosi tra le mani la sua tazza, sempre più in difficoltà. “l’ho visto un paio di volte, e…”. Beh, forse aveva inclinato un po’ troppo la tazza. Vidi Peggy scattare prima che mi potessi rendere conto della situazione. Lei saltò quando il tè ancora tiepido le finì tutto sul vestito. Seguì un po’ di confusione. Con Peggy che procurava stracci ed un’imbarazzata Ellyn che tentava di riparare il danno al suo bel vestito. Ah, ottimo cambio di argomento, quello! Bah, chissà perché tutto quell’imbarazzo. Beh, non m’importava e non erano affari miei. Ritenni che non fosse nulla di importante, e dimenticai l’accaduto. Quella piccola era troppo emotiva. Doveva calmarsi un po’. Davvero, sicuramente un po’ di contegno l’avrebbe trasformata in una persona migliore. Si era appena calmata la confusione derivata dall’incidente, con scuse varie, mentre Ellyn si era fatta piccola piccola dalla vergogna, quando intervenne un altro elemento perturbatore di una calma precaria. Si era appena istaurata di nuovo la pace, e la principessa aveva intavolato un nuovo discorso sugli elfi, domandando a Nilyan il perché del suo insolito colore dei capelli. Avevano preso a discorrere delle nostre usanze, sotto lo sguardo sornione di mia figlia, che quando Ellyn si era rovesciata il tè addosso aveva sorriso apertamente, ghignando e trattenendo un’aperta risata. Ad un certo punto, sentimmo dei passi. Chi era a quell’ora? Non avevo nemmeno finito di domandarlo, quando la porta si spalancò, ed entrò un ragazzo alto e smilzo, dai capelli molto scuri, a testa bassa su una risma di fogli. La piccola si interruppe, e mugugnò, scuotendo il capo, ed alzando gli occhi al cielo. Io sobbalzai. Accidenti. Ma chi era a quell’ora da entrare cos? Temetti per un attimo che ci fossero dei problemi. “Ellyn! Ellyn!”. Esclamò, correndo verso di noi, incespicando. “non immaginerai mai…”. Credo che notò subito la presenza di gente. Alzò lo sguardo, ed arrossì terribilmente, chiudendo la bocca. Era un giovane uomo, di qualche anno più grande di Ellyn. Lo guardai con sospetto. Quei lineamenti mi ricordavano una certa persona. Quegli occhi scuri, quell’aria perennemente sbattuta. Quello era lo sguardo di Lilliagrin. Tu guarda. Riunione in famiglia, mi sembrava. Ma erano, per caso, tutti uguali lì dentro? Si differenziavano solo per i colori?

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Capitolo 42
*** Ed il tempo fugge. ***


Dai, su

Dai, su. In fondo non è così male. Non siamo andati malissimo. Certo, sicuramente ho fatto colpo, sono stato sicuramente io a dare una mano per questo trattamento da dei, ma su questo non c’era assolutamente dubbio. Vedi, i draghi hanno giudizio, molto più di mio cugino, questo è sicuro. Non credevo di dire così, ma l’ho detto. I draghi sono creature intelligenti. Per riconoscere la mia superiorità rispetto ad un normale elfo, eh, hanno un buongusto notevole, no? Ma io mi domando perché sono giorni che quell’idiota si sta lamentando. Siamo in un bel posto, non fa freddo, siamo bene rifocillati e riveriti, ma che vogliamo di più dalla vita? E Chekaril si lamenta, uf, ma come farò a sopportarlo? Come faccio, mi dico io? Vedi, io sono paziente. Sono bello, paziente, generoso. Soprattutto bello, quello non smetterò di dirò, e sono modesto. Sono perfetto! E comincia, e siamo in un guaio, e come ce ne andremo, e così, e colà e siamo prigionieri, ma chi diavolo è il genio che te l’ha detto? Insomma, ti sembriamo prigionieri? I prigionieri hanno un bel letto caldo? Cibo? Beh, libertà proprio no, ma almeno quasi libertà? Guarda, se tutti i prigionieri fossero così…. ahi, io mi sarei fatto catturare da anni! Ma guarda, cioè, guardaci. Siamo in una stanza tutta per noi ,e ti sembra una cella, no è quasi una stanza di un castello, mi sembra proprio una stanza di un castello! Non fa freddo anche se non ci sono camini non ho mai avuto freddo qui nonostante sembra che ci sia ghiaccio dappertutto, ed i letti sono morbidi. Vedi, mi stiracchio su un letto bello grande. Mammamia, che faccia da funerale che ha Chekaril. Ma dai, ci chiedono pure cosa vogliamo mangiare, c’è pure della verdura e lui fa quel muso! Io lo dico, io cugino è un idiota, e se lo dico io non è un’opinione ma certezza. Chekaril dannazione, non sai assolutamente acchiappare le occasioni e godertele. Sai solo lamentarti e cosa diranno a casa, e cosa lì e cosa là e che palle che sei, fammelo proprio dire. È mio cugino, ci vivo da quando sono nato con lui no? Ma insomma, che si guardi un po’ attorno. Non c’è cosa più bella di dove siamo, mi domando perché quei polli di Poldo e Lunsch abbiano cercato di evitare questa pena. Chissà che hanno fatto i cretini. secondo me rubare della carne. Cose stupide. Ma loro erano stupidi. Non sanno cosa si perdono. Non c’è nulla di male in questa punizione! Che fessi. Che si sono persi. Ma che si stanno perdendo, spersi chissà dove in mezzo alla neve ed a persone che hanno tutte le rotelle fuori posto! Ma insomma, siamo trattati con i guanti. Non vediamo mai nemmeno i draghi, e non è una cosa meravigliosa questa? Cioè, non che non li vediamo, insomma, siamo in mezzo ai draghi, ma quelli che vediamo sono simpatici almeno. L’unica cosa negativa è che siamo sottoterra, brutta cosa questa! Anche se, devo dire, non sembra. È tutto molto luminoso, quaggiù, chissà poi perché. Ed è bello. Insomma, non mi sembrava così quando siamo scesi con il drago e Hypia. Cavoli se avevo paura, ma ora sono calmo e tranquillo anzi mi sento pure molto felice perché in fondo non è un’avventura andata male questa. Certo eh che solo a Machin Tijorn e Chekaril Krish poteva accadere una cosa del genere! Ah, chissà che dirà zia quando le dico che siamo stati ospitati dai draghi, lei non ci crederà chissà Nilyan come mi invidia! Secondo me comunque questa della prigionia è tutta una farsa, te lo dico Machin, ci hanno messo una paura addosso solo perché dovevano far contenti quegli elfi primitivi e stupidi. Vorrei reclamare ma a chi, qui non ho ancora capito come funziona, qui mica ci lasciano uscire, alla porta ci sono delle guardie che mi sembrano elfi però non parlano mai e sembrano statue di sale Ora però stiamo tranquilli. Chissà dove siamo. Me lo chiedo da un po’, è proprio strano.  Credo, comunque, che siamo in una caverna, una grotta molto giù, perchè ci abbiamo messo un po’ di tempo per arrivare. Dove siamo noi sembra quasi un atrio, non ha colonne ed ha un soffitto…boh, chi lo sa se ce l’ha il soffitto, io quando guardo in alto mi gira la testa. Ci sono rimasto di sale quando l’ho visto, eh, è proprio bello, si. Qui è tutto bello. Non credevo che i draghi potessero fare cose così, sono proprio degli ingegneri altro che Kyradon io lo dico allo zio, assumi un drago come ingegnere e costruisci qualcosa, si, me lo devo ricordare che mi sarà grato, davvero, quando mi guardo attorno non credo a quello che vedo. E’ tutto bianco bianco ed azzurrino, sembra tutto fatto di ghiaccio ma non penso che è ghiaccio perché pure se la temperatura è tiepida  non si scioglie, sarà magia, chissà, io non riesco a percepire niente, strano perché di solito sono sensibile chissà perché poi come farebbero con i loro artigli i draghi a costruire quelle cose? Cioè, guarda per esempio quella colonnina,  Machin, mi sembra ghiaccio, però quando l’ho assaggiata non lo era non sapeva di acqua e mica si è sciolta e poi si riscalda subito. Ehi, mica sembrava tutto così magnifico da lassù, da quella caverna buia e brutta, certo che i draghi li prendono proprio per scemi a quegli elfi, ah ah ah.  Poi non credo che finisca qui, perché oltre all’altro io ho visto un corridoio dall’altra parte non so dove porta, e poi delle porte. E noi siamo proprio in una delle porte, trattati come principi, ma questo a Chekaril non va bene. Insomma, siamo circondati dalle leggende, da tutte cose bellissime, e mi sembra di sognare! Non ci potevano trattare meglio, eh si sono rimasti folgorati letteralmente dalla mia bellezza accecante si vede che io son fuori dagli schemi perfino per un elfo, mai nessun prigioniero è mai stato trattato così. ma Chekaril deve stare fuori dagli schemi, questo scemo. E si lamenta, si lamenta, si lamenta. Guarda, si sta pure lamentando ora! Senti un po’, ma che hai da borbottare? Guarda che dai proprio fastidio. Ma smettila e sorridi un po’ alla vita che vedi ci sta sorridendo ! Ora gli tiro qualcosa addosso se non la smette. Se lo merita proprio, questo uccellaccio del malaugurio.  E pure se non rispondo e mi faccio i fatti miei, niente lui continua. Ma non è contento della situazione attuale? Preferirebbe stare bello ed in cella? Se vuole io parlo con gli altri. Tanto non sempre siamo soli, eh. Ma guarda come si torce le mani lui. Com’è nervoso. Ma che pensa, che sono cattivi i draghi? Ma che, fino ad ora sono stati gentilissimi. Si sono visti poco, vero, però sono stati gentili a trattarci così. secondo me se dicessimo che vogliamo andare ci stendono pure un tappeto rosso. “io me lo sento, Machin, c’è qualcosa di strano in tutto questo!”. Mmh, che noia che è! È la millesima volta che mi ripete la stessa cosa, ormai posso ripeterla a memoria, recitarla con lo stesso tono. Ma dimmi, che ci trovi di strano in questa accoglienza? Che ci trovi di brutto nello stare stravaccati tutto il giorno senza fare niente? Certo, è brutto, non ci danno da leggere o altro, ma, come si suol dire, l’ozio è il migliore dei vizi, certamente. Delle virtù, io direi. Non posso prendere sul serio quella palla di mio cugino, su. Sarei paranoico, ed io sono troppo intelligente per essere paranoico ma l’ho detto che sono intelligente non mi ricordo mah comunque non finirò mai di ripetermelo e ripeterlo io sono intelligente e questo è un dato di fatto il paranoico è sempre Chekaril che vede imbrogli lì dove non ce ne stanno e quando ci imbrogliano ci casca con tutte le scarpe. Ecco, questo non mi era venuto in mente fino ad ora. Ah ah.  Si, è nervoso e nervoso e poi guardalo, è stravaccato sul suo letto come io sono sul mio. Alla faccia del nervosismo. “guarda, sarei propenso a darti ragione”. Oh, ma tu guarda come si gira tutto speranzoso! Ma non la sente l’ironia? No, perché lui è stupido, l’ho sempre detto che è un Guaritore molto stupido. Io invece sono intelligente. Ah, spero mi picchi di nuovo. Ho voglia di fargli capire chi è il più forte, qui. Che femminuccia che è Chekaril. Cioè, la zia è più intrepida di lui, e pure Nilyan, e pure Dae… e io sono sicuro che anche mamma non sarebbe fuggita, anche se la zia dice sempre il contrario, ed io non le credo, ma sono tutte più coraggiose di Chekaril che starnazza come un’ochetta impaurita. Che strazio. Di petto, uomo, prendila di petto! Vedi me, esempio lampante di coraggio virile? Prendi esempio da me, vedi come sono calmo? Eh? Cos’è questa vocina nella mia testa? Chi mi ricorda che volevo scappare vicino la locanda? Chi è il vile marrano e fellone che si inventa queste cose? Tu, sempre tu, vile voce della coscienza! Fatti sotto, avanti! Fermo, Machin. Stai andando un po’ troppo in là. Riprendi il filo del discorso che quel cretino di guarda…beh, come un cretino, cioè come quello che è e punto. “le tue capacità investigative sono davvero notevoli. In fondo, cosa ci potevano fare Poldo e Lunsch?”. Ecco, quella è vera prigionia. Stare a darsele di santa ragione in una cantina buia, fetida e fredda. Ora abbiamo un bel bagno caldo, abbiamo l’acqua calda, e vestiti nuovi. Ma tu hai visto questi vestiti? Vero, sembriamo due principini del ghiaccio, ma è di moda. E poi sono…perfetti. Abbiamo pure una pelliccia tutta bianca, come fa regale. Uffa, ma guarda che faccia fa. Ma hai ingoiato una vespa viva per caso? Che palle che sei, proprio palloso e poco divertente. Uh, guarda, ha l’aria di qualcuno che mi sta per attaccare. Ora i attacca, ora mi attacca…dai su vieni, inutile ammasso di lardo e scienza, vediamo che sai fare che noi abbiamo lasciato qualcosa in sospeso eh? Oh no. Invece niente. Ma tu guarda che espressione da vittima che faaaa… no, mi viene da piangere. Davvero. Buono a nulla. Sei solo un buono a nulla. “ma scusa, non ti pare strano che ci trattino così bene?”. Che rottura di scatole che sei. Questa domanda me l’hai già fatta, lo sai o non lo sai, cretino? No, ho già usato troppe volte cretino, mi pare. Non ricordo bene ma devo usare qualche sinonimo. Idiota forse. E petulante. Ma guarda, continua. Sempre lo stesso copione, che fastidio immenso. “guardati attorno! Un altro po’ nemmeno a casa siamo trattati così!”. Allora, ameba primitiva che non sei altro? I draghi sono creature superiori. Capiscono il vero valore delle cose. Che noi a che sei, zitto e goditi la vacanza, che poi torniamo ad Uruk e lo zio ci ammazza, ma almeno portiamo interessanti testimonianze sull’esistenza dei draghi, si si. Che noia che sei. Ma perché non viene qualcuno di interessante? Magari Hypia. È un po’ che non la vedo, mi piacerebbe incontrarla di nuovo, soprattutto quando si veste bene e sta senza roba strana tipo corna o pittura addosso. E’ un bel vedere. “semplice: i draghi sono creature intelligenti”. Ah, che bello. La mia risposta sembra averlo completamente zittito. Beato silenzio, beato riposo ,anche se non sto facendo altro che riposare da qualche giorno. Da un certo punto di vista è noioso, ma che me ne frega? Poi dovremo viaggiare per tornare a casa, meglio approfittare di un letto decente finché ci siamo. Oh! Si sente un toc toc divino! Ah, ora si che mi sento più felice. Chi bussa mai alla porta? Oh, che bello. Qualcuno sta venendo a farci visita. Ora così non sono costretto ad ascoltarmi questa lagna con il broncio che ora proprio ha un comportamento che mi ricorda proprio una certa personcina antipatica si si si vede proprio che Roxen è sua sorella sono proprio simili e lui poi pensa è anche più piccolo non si può vantare di essere grande e blablabla con me io sono più piccolo ma vuoi mettere la mia intelligenza con la sua non scherziamo per favore e non confondiamo la lana non lavorata con la seta, la seta più fina e colorata, che sarei ovviamente io su questo proprio non ho dubbi. Ah ma si muove o no ad entrare? E Chekaril tutto che s’innervosisce, ma mica siamo tra nemici! Qui sono tutti gentili forse troppo come se si volessero scusare del loro comportamento fino a poco fa beh io ci scommetto dovrebbero pagarci oro per la nostra presenza ma che dici Machin ma fammi il favore sei proprio uscito di testa. Oh, ma guarda chi sta entrando! E come è contenta lei, la nostra bella seppiolina! Mi piace quando sorride. È solare. È diversa da quella specie di strega che avevamo visto, proprio diversa. Si, sembra proprio annoiata dal suo ruolo. Qui invece sembra tanto tanto felice. E poi si veste sempre di colori chiari, le sta proprio bene quel bel vestito color avorio che ha ora, certamente. E poi è ordinata, ha i capelli ben raccolti, è elegante. Mi sembrava così primitiva! Per fortuna che c’è lei. Sono contento quando la vedo. Lei è intelligente e poi ci viene a trovare spesso. Sembra proprio che le stiamo simpatici, proprio si! Io sono contento di questo. Mi dispiacerà lasciarla quando ce ne andremo! Lei ci sorride sempre, scherza sempre con noi. Ci dice sempre le novità. Parla con noi. Chissà chi è. Ancora non ho capito che ci fa qui. Ci ha detto una volta che non è una prigioniera e poi ha sorriso però mi sembrava triste. Poi però non mi ha detto altro. Chissà chi è. Io sono davvero davvero curioso. Chissà che ci fa lei, elfa in mezzo ai draghi. Lei non ce lo vuole mai dire. Io gliel’ho chiesto. Beh, pazienza, magari un giorno ce lo dirà. Ehi, oggi mi sembra proprio su di giri. Contenta, chissà perché. Guarda un po’ come ci parla, non si è mai comportata così, di solito è sempre molto composta lei. Perfino Chekaril è stupito. Ma a lui Hypia sta simpatica, lo so. Quando ci viene a trovare lui sorride sempre. Spero solo non gli piaccia. Poi dovrei sentirmi io Miobashin. Ma non credo, quell’elfo è troppo prevedibile e fedele. Probabilmente la trova una compagnia molto piacevole. Ci ha raccontato dei draghi del Nord, che abitano nelle caverne e sono i signori degli spiriti ed escono fuori solo quando non c’è la luna e perciò sembrano quasi degli dei alle persone che abitano lì e perciò lei deve fare la sacerdotessa e deve far finta di fare sacrifici quando in realtà non ha mai versato una goccia di sangue, nemmeno il suo perché è tutta una finzione, e deve fare tutto questo perché è una dei pochi elfi che stanno lì e quando lo dice sembra pure triste chissà perché e quando noi lo domandiamo dice che non è niente mah è proprio strana. Però oggi non è triste, è tutta allegra. “come mai così allegra, oggi?”. Bravo, Chekaril, bravo, così la zittisci e buonanotte non le caviamo più una sillaba. Ehi no. Ehi, ottimo, sembra proprio allegra, che bello sono contento. Sembra aver trovato una soluzione ad un problema, chi lo sa perchè. Vedi, ora ci guarda tutti e due. Che bello sguardo furbetto. Mi piace, mi sembra Nilyan o zia Lalla quando è molto di buonumore, ossia quasi mai. “una mia amica vi vuole conoscere!”. Oh che bello, ora capisco perché è allegra. Di solito  quando dice così conosciamo sempre persone simpatiche. Persone poi fermo Machin. Qui di elfi ce ne sono pochissimi, mica li ho mai visti. Sol draghi. Sono più piccini di Ezelarto, tanto più piccini anche se sempre più grandi di un cavallo si, e poi a volte hanno le corna più piccoline. Devono essere cuccioli probabilmente, anche se cuccioli non li chiamerei, perché mi sembra che volino già. Sono simpaticissimi ed a me piace stare in mezzo a quei suoi amici. Non ci ha mai presentato un drago adulto. Solo Ezelarto che non ci ha mai parlato, ci trattava come formichine, eh. I draghi adulti sono antipatici e basta. Che bello, qualcosa da fare, mi stavo annoiando anche se non è mai noiosa la vita, quando sono Machin Tijorn, unico ed inimitabile. Beh, almeno lì c’era qualcuno che ci parlava. Senza di lei saremmo stati soli, sai che noia stare io e Chekaril, sempre. Terribile. Chissà perché tutti sono così diffidenti con noi, tranne Hypia che è brava, invece. Allora, ora sono contento. Magari conosciamo qualcuno di altrettanto simpatico. Allora andiamo su che sono curioso! Hypia senti come ridacchia. Le sto simpaticissimo questo lo so. Non so perché mi sento sempre un po’ stupido quando lei ridacchia così. Però mi piace. È bello quando lei ride. Di solito è sempre molto stanca e ci fa un favore quando viene da noi.

Ecco, ora finalmente siamo usciti da questa bella camera che chissà perché non possiamo mai lasciare da soli, secondo me perché hanno paura che ci perdiamo. Come sono gentili. Ah, che bello. Ogni volta che vedo l’atrio gigante sorriso sempre, è bello e basta. Faccio la linguaccia alle due guardie, tanto so come va a finire, ecco, sempre lo stesso. Mamma mia, sono creature asfittiche davvero. Mica si sono mosse. Non hanno nemmeno fatto una smorfia che sia una. Niente. Sembrano gemelli, guarda. Pallide pallide, sembrano morte. Hanno pure i capelli bianchi e gli occhi azzurri come quella vecchia bastarda che ci ha portati qui chissà che fine ha fatto le auguro ogni male. Schifo, saranno magari i suoi fratelli, che orrore mamma mia.  Beh, almeno ce ne stiamo andando via. Saperle appollaiate vicino la porta dove siamo noi non mi piace. Ecco, andiamo come al solito nell’atrio…di solito è vuoto, deserto, chissà come mai e chissà dove sono i draghi… forse più giù, chissà… o forse più su non si capisce bene… ah, che bello, un po’ d’aria. Era un po’ che Hypia non si faceva vedere chissà poi come mai. Magari stava scegliendo il prossimo amichetto da presentarci. Ah, eccolo lì. Eccola lì, forse. Dev’essere un drago femmina, ha le corna dritte dritte e piccole perché è un cucciolo, però per il resto è una copia in miniatura di Ezelarto tanto sembrano tutti uguali. Si, è un cucciolo, anche se è enorme. Beh, pazienza, sarà sicuramente simpatica, si lo dico a prescindere perché non ho voglia di essere pappato. Guarda come ci guarda interessata. Non parla subito, è seduta e aspetta che noi le andiamo vicino, la pigra. Hypia è proprio contenta. Quando ci presenta i suoi amici è contenta, chissà perché. Accidenti, stare vicino ad un drago mi intimorisce sempre. Vedo Chekaril che deve avere la stessa faccia mia. In fondo un drago m sembra capace di mangiarmi in un boccone, sempre. Strano che parlino. Li rende ancora più strani. E poi con quegli artigli…brr, non riesco mai a guardarli, è più forte di me, ho un po’ paura. Se c’è una cosa positiva di questo carosello è il fatto di uscire dalla camera. Devo parlare con Hypia. Chissà quando ce ne faranno andare. Quando ho sollevato l’argomento lei ci ha detto di non preoccuparci. Mah. Mi fido di lei. Spero che andremo via presto. “tesoro mio, ti presento Machin e Chekaril!”. Ah, come odio presentarmi ad un drago. Devo sempre inchinarmi e borbottare elogi. Come sono vanitosi. Proprio non si fa. E poi dovrebbero abbassarsi al mio cospetto. Io sono più bello di loro. Beh, almeno così Hypia è contenta. Mi piace quando sorride ed è allegra. “ragazzi, questa è Schnepscybilie!”. Bene Machin, borbotta qualcosa di incomprensibile magari lo prende per un elogio. Ma che razza di nome che ha questo drago. Hanno tutti nomi strani, loro.  Soprattutto i più piccini. Mah, i gusti sono gusti.  Io però questo non lo imparerò mai. Sch…Shwe… boh. La chiamerò potente e sublime drago, tanto a loro piace essere leccati un po’. Se c’è una cosa che ho imparato è quella. Dopo che ho chiamato un cucciolo grande drago sono balzato in cima alle liste di gradimento di tutti. Dei piccoli, almeno. Non mi azzarderò mai ad osare con un adulto. Mi mangia in un boccone. Accidenti che silenzio. La guardo…uhm. Lei guarda noi. Chissà che sta pensando, non la riesco a capire. Non fanno le smorfie come noi i draghi, sono impenetrabili. Hypia sembra speranzosa. Gli occhi le scintillano. Chissà poi come mai.  M’intimorisce quella creatura. È troppo strana e diversa da me. Non dev’essere una grande compagnia. Moscia, i draghi sono mosci. Siete voi i conteni… starnuto. Che strano. Altro starnuto. Andiamo bene, spero che non mi attacchi strane malattie. Vedo che Hypia la guarda male. Secondo me è malata, che schifo. I contenti di essere qui? Accidenti non sono mai scattato così repentinamente, mai, almeno fino a quando non sono qui. Il timore di essere pappato aiuta, credimi Machin, molto. Da quando sono qui obbedisco come fa sempre…boh, nessuno di noi obbedisce sempre a zia Lalla. Nemmeno Chekaril, il che è tutto dire. Sembra soddisfatta dai nostri si, almeno questo. I piccoli sono facili da accontentare. Sono ancora inesperti. Che strano silenzio che è sceso. Il drago sembra…boh, strano. Incerto. Sceppippì, o come si chiama. Gorgoglio. Poi lei si gira verso Hypia. Com’è pallida. Poverina, se non sta bene la aiuto io. Io le voglio bene. Ci penso, Hypia. Eh? Chissà di che stanno parlando. Qui c’è qualcosa che mi sfugge. Non ho la minima idea di quello che stanno dicendo, ed ho visto la faccia di Chekaril e mi sa che nemmeno lui ha capito molto. Vedo lei che annuisce, e sembra un po’ delusa. Dammi un po’ di tempo. Che strana espressione ha Hypia. Non mi piace. È…angustiata. Ma che ci nasconde? Mah, qualcosa continua a sfuggirmi qui. Proprio non capisco. Mah chissà che vogliono dire. Cose da draghi. A me importa di stare fuori dalla mia camera. Basta che non ci coinvolgano in nulla. “in fretta, però, ti prego”. Accidenti come sembra delusa Hypia. Mi guardo con Chekaril. anche lui sembra perplesso. Mah. Spero solo di non essere coinvolto in un complotto. Sarebbe terribile scoprire che anche tra i draghi esistono cose del genere. Ora si, voglio tornare in camera. “ne ho ancora pochi, ed il tempo fugge”.

 

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Capitolo 43
*** Per scacciare i fantasmi. ***


Ebbi l’impressione che stessimo per conoscere un altro membro della famiglia reale

Ebbi l’impressione che stessimo per conoscere un altro membro della famiglia reale. Membro al momento impalato vicino al tavolo, con una faccia piuttosto imbarazzata. Ci fu un attimo di silenzio. Ci guardammo furtivamente tra di noi. Questa colazione ci stava riservando ben troppe sorprese. Però, questa Ellyn. Mi piaceva. Spontanea, una qualità molto rara da trovare, tanto tra gli elfi quanto tra gli umani. Soprattutto tra gli ultimi. Avranno meno tempo per farsi perdonare dai nemici, chissà. Loro corrono sempre. Il tipo arrossì furiosamente, probabilmente chissà, imbarazzato dalla figura che aveva fatto precipitandosi così violentemente nella camera della sorella, o forse era timido di natura. “ehm…scusate…”. Disse lui, guardandosi in giro con imbarazzo e con evidente stupore, squadrandoci uno per uno discretamente. Ma io sono un genio a rilevare le occhiate altrui. Ho passato una vita intera a evitarli per un motivo o l’altro. E lui sembrava incredibilmente esitante. Se nessuno l’avesse notato sarebbe probabilmente fuggito a gambe levate. Guardai di sottecchi Ellyn. Lei aveva sorriso, accondiscendente. Più che contenta sembrava ora entusiasta, come una bimba davanti ad un regalo. “Guaren, che stupido che sei, vieni qui!”. Esclamò lei, facendo un cenno entusiasta verso il ragazzo. Chissà chi era un membro della famiglia può darsi. Dall’affetto con cui lo guardava doveva esserle anche piuttosto vicino. Un cugino, magari. O un fratello: i due si assomigliavano davvero tanto, benché Ellyn non avesse quell’aria sbattuta ed annoiata anche quando sorrideva. Lui si avvicinò, timoroso, guardandoci con sorpresa, come se non si aspettasse di vedere noi, degli elfi, a colazione con la principessa. “Peggy, prendi una sedia! Muoviti, muoviti!”. Mi stupii che la piccola non fosse già saltata dalla sedia come se avesse le molle. Scossi la testa quando lei saltò in piedi immediatamente dopo, prendendo sottobraccio l’uomo. Era una bambina, una bambina che ancora doveva imparare una buona parte del protocollo. Però era bello essere trattati così. Isnark non era così gentile, Nemys nemmeno, Lainay non ne parliamo proprio. Ma loro erano, in fondo, elfi, come me. E penso che qualche secolo di vita non aiuti la spensieratezza. A me però piaceva essere trattata così, un po’ come un anziano a cui i bambini danno confidenza. E lei era particolarmente bambina. Perfino quel giovane, che doveva essere di qualche anno più grande di lei, mi sembrava molto più consapevole. E anche gli altri umani. In fondo non avevano molto di differenza. Venti o trenta anni non cambiano poi tanto la vita. Ma forse sto ragionando con una mente d’elfo. Bah, non sono mai riuscita ad inquadrare perfettamente le età umane. Mi confondo sempre. Comunque, quella volta mi limitai a sorridere e scuotere il capo. Peggy saltò immediatamente via, obbedendo subito all’ordine allegro della principessa, scomparendo oltre una porta che dava chissà dove. Ellyn ci guardò, fiera, come se fosse davvero contenta di averci tutti lì. Poi si rivolse al giovane. “questi sono gli elfi di Uruk, visto?”. Il giovane annuì, distratto. Stava guardando, incuriosito, il mio abbigliamento. Doveva essere qualcosa di piuttosto inusuale per quei tempi, da loro, vedere qualcuno conciato in quel modo. Io mi strinsi nelle spalle, ed evitai di rendere manifesto il fatto che mi ero accorta del suo sguardo. Non mi piaceva averlo addosso, mi sapeva quasi di sospetto o riconoscimento, ma pazienza. Ormai ci avevo fatto l’abitudine. La piccola principessa ci indicò uno per uno, un gesto che reputai un po’  incoscientemente scortese, presentandoci. Ma Ellyn aveva infranto ogni regola dell’impomatato galateo delle corti così tante volte che quell’infrazione, da minima, diveniva davvero infima. Che sollievo. Era bello non doversi attendere a scrupolosi e rigidi scemi di convenienza ed educazione. Odiose ipocrisie, che almeno in quel frangente potevamo tranquillamente mandare all’aria. Divertente, però. Io mi lamentavo delle mancanti regole di cortesia, io, che ad Uruk non ne rispettavo nemmeno una! Quasi risi quando me ne ricordai. Ma no, non sarebbe stato cortese. E poi sarei stata presa per pazza. Quello proprio non mi andava. Dopo aver finito l’indice dei nostri nomi, Ellyn sorrise, mentre Peggy tornava con una sedia. Il giovane non si sedette. Parve attendere qualcosa, forse di poterci salutare di persona, chi lo sa. “ragazzi, questo è invece Guaren”. Disse la principessa, stringendo ancora più forte il braccio del giovane e guardandolo con affetto. Lui le sorrise, e poi scosse il capo. “mio fratello…”. Aha. Quindi parlavamo con  qualcuno di rango piuttosto alto, quello che sarebbe potuto essere al trono se la linea di ascendenza non fosse stata prettamente femminile, l’erede al trono se non fosse esistita una certa predilezione per l’ereditarietà femminile in tutta Fiya. Nonostante ciò, qualcuno abbastanza in alto, molto più di tutti noi Nilyan esclusa. Che noia, essere costretti ai saluti.  Beh, ancora pazienza. Ci alzammo tutti in piedi, profondendoci in saluti ed inchini. Tutti meno Nilyan, che aveva salutato ma senza inchinarsi, guardando l’uomo con un bel sorriso allegro. Non aveva la minima intenzione di farsi mettere i piedi addosso, non Nilyan, quella creatura che dovevo rincorrere per il bosco quando dovevo farle fare qualcosa che non le piaceva. Non le dissi nulla. Lei poteva permetterselo. Guaren, cortesemente, come aveva fatto la sorella, si presentò con ognuno di noi. A differenza di Ellyn, tuttavia, indovinò misteriosamente, forse per intuito, forse perché quell’arrivo non era stato casuale, o forse perché già sapeva di noi, chissà, l’ordine di rango, che la sorella aveva tranquillamente ignorato, spiazzando il povero Capouille, abituato ad essere tra gli ultimi ad essere salutato. Prima Nilyan, poi me, poi Roxen, che sembrò decisamente lusingata dell’essere stata presa in considerazione prima di Zipherias, al quale fece, non tanto di nascosto, un sorrisetto di sufficienza che mi fece prudere le mani, poi il mio amico gigante, ed infine Capouille, che aveva trovato, in tutto quel tempo, il coraggio sufficiente per presentarsi senza balbettare troppo. Dopodiché, tranquillamente, si sedette con noi, a fianco della sorella. Era molto diverso da lei. Molto più adulto, consapevole e cortese, soprattutto. Non l’ho mai sentito darci del tu, mai. Volle sapere qualcosa su di noi, si informò, ma non era eccessivamente curioso. Sembrava avere un’insolita conoscenza della nostra cultura, che a volte mi sorprese. Raramente avevo visto un umano, di solito superficiali e viziati da pregiudizi su di noi, più informato di lui. Doveva aver studiato da qualche nostro testo tradotto. Sembrava piuttosto interessato alla nostra vita. Cercò anche, ad un certo punto, di intavolare una discussione nella nostra lingua, ma il risultato fu talmente pietoso da dissuaderlo dal continuare, dopo la prima occhiata perplessa e la risatina poco simpatica di Roxen, al quale si era malauguratamente rivolto. Una persona parecchio pacata, gentilissima, silenziosa. Mi domandai più volte come accidenti facessero ad essere figli di quell’essere maledetto che era Lilliagrin, con quella sua carica cattiva e quell’aria da funerale. E soprattutto con le sue tazze con i fiorellini. Quando mai si è detto tale madre tale figlio? Quelle due creature erano adorabili, ognuno a suo modo, certo, ma erano ugualmente gradevoli. Non conoscevo il loro padre, non l’avevo mai visto: chissà, forse era stato proprio lui a dare quell’impronta benevola a quei due piccoli umani. Dopo un po’, tempo che volò misteriosamente, venne l’ora dei saluti: Ellyn doveva studiare, e Guaren molto probabilmente andare a letto. Aveva passato la notte completamente insonne per studiare con il suo maestro una costellazione, ed era completamente distrutto. Passammo un momento di imbarazzo totale quando i due parlarono, senza capire quale fosse la ragione, delle misteriose urla che entrambi avevano sentito provenire dal giardino, quella notte, molto tardi. Arrossii, e mi coprii ancora di più il viso con il cappuccio. Poi guardai gli altri di sfuggita. Di tutti l’unico a mostrare segni di imbarazzo era Capouille, oltre allo sguardo sornione, da gatto che ha mangiato il topo di nascosto, di Nilyan. Accidenti, non credevo si fosse sentito così tanto. Fu un sollievo quando, dopo vari saluti, e la richiesta di Ellyn di tornare il giorno successivo, a cui noi acconsentimmo, tutti contenti tranne Roxen, che borbottò, scontenta, prima che le pestassi il piede con forza, uscimmo da quella camera, e fummo accompagnati al nostro piano. Man mano che scendevamo, cominciai a sentirmi sempre più nervosa, di nuovo. Non avevo certo dimenticato il mio proposito. Era qualcosa di troppo urgente. Dovevo far pace con Zipherias. Era stato tutto un terribile equivoco, ed io avevo esagerato, come al solito. Poi non era difficile ricordarsene, non quando la persona con cui mi dovevo chiarire mi ronzava intorno con grande solerzia, aspettando il momento giusto per scusarsi di qualcosa che non aveva fatto. Era un comportamento a dir poco irritante, a cui dovevo assolutamente porre fine. Mi saltò il cuore in gola quando il domestico ci lasciò ed ognuno cominciò ad avviarsi in direzioni diverse, chi fuori, chi nella propria camera. Quel momento era perfetto. Tirai un respiro profondo, e mi feci coraggio. Su, coraggio, Lsyn. Per tutto il tempo della colazione, accidenti, avevamo fatto a gara per essere carini con l’altro. Quando non arrivavo a qualcosa era sempre lui a passarmela, ed altrettanto facevo io. Era un continuo scusarsi a vicenda. Ad un certo punto addirittura Nilyan ci aveva guardati annoiata, mimando il gesto di un’impiccagione quando aveva capito che la stavo guardando. Bene, in quell’atmosfera di forzata pace e serenità non sarebbe stato difficile ritornare alla vecchia armonia, no? Lo speravo fortemente. Zipherias mi era davvero troppo caro. Tenevo a lui molto, nonostante a volte fosse davvero asfissiante, geloso, e chi ne ha più ne metta. Ma ognuno ha i suoi difetti, no? Cercai di convincermi che non sarebbe stato difficile porre fine a quello stupido litigio, e mi affrettai a cercare il mio amico con lo sguardo. Un bel giro in giardino sarebbe stato l’ideale. Non l’avevo mai visto alla luce del sole. E poi era un luogo in cui facilmente si potevano trovare angoli tranquilli. Niente di meglio, insomma. Non mi fu difficile trovare Zipherias. Ridacchiai quando lo vidi. Eravamo rimasti praticamente solo io e lui in corridoio, e ci stavamo guardando con aria da idioti, come in fondo eravamo, da bambini. Il mio amico, gigantesco, solenne a volte, qualche volta apertamente intimidatorio, mi fissava incerto, torcendosi le mani, guardandomi, a disagio nei suoi stessi panni. Mi sentii invadere dal sollievo. Lui doveva aver avuto la mia stessa idea. Tentai di sorridergli, e mi tolsi il cappuccio. Ci fu un attimo di silenzio tombale. Poi entrambi cominciammo a parlare, fermandoci subito dopo. Lo guardai storto. Che stupido giochetto idiota. Eravamo adulti e consapevoli o sbagliavo? Mi sentii intimamente infastidita. Non potevamo comportarci come bambini. Soprattutto non lui, che non aveva nulla da scusarsi. Ah, ma basta. Era ora di farla finita con quell’idiozia. Non ero per niente sicura, tuttavia. Insomma, Zipherias non era Tijorn. Non mi poteva perdonare per tutto, no? bene, era ora di smetterla con tutti quei litigi tra noi due, che scattavano per una minima cosa. Beh, di solito me lo ripromettevo sempre. Poi ci cascavo invariabilmente la volta successiva. Ma non ero io. Il fatto era che era lui l’antipatico. Ecco, ci stavo ricascando ancora. Tentai così di interrompere il flusso di pensieri che mi avrebbe portata a voltargli le spalle e chiudergli la porta della mia stanza in faccia. A volte Capouille mi dava della bambina, chissà perché. Mi costrinsi a sorridere. Accidenti, odiavo scusarmi. Lo odiavo davvero. Ma quella volta dovevo. Era colpa mia se si era creata quella situazione orribile, colpa della mia impulsività. Quel pensiero bastò a tramutare il mio ghigno falso in un vero sorriso, gesto che parve sciogliere leggermente il mio gigantesco amico, che sorrise a sua volta e sembrò rilassarsi. Ah, al bando le ciance. Dovevo parlare, dire qualcosa, perché non era di certo costruttivo stare a fissarci come due stupidi. Mi sentii improvvisamente insicura. Non sapevo assolutamente che dire. Che imbarazzo. “mi scusi?”. Ma si, ma certo. Quella volta non riuscii ad impedirmi di arrossire furiosamente. Sentii un calore incredibile sulle guance. Di tutte le frasi che potevo inventare avevo scelto la più banale. Che cosa grandiosa. Non potevo dire qualcosa di molto più….insomma, intelligente? Bah, l’importante era scusarsi. Già era strano che lo facessi io, figuriamoci poi, dovevo pure faticare per inventare qualcosa di scenografico? No, bastava quello. E poi veniva dal cuore. Più o meno. Tanto lui non era stupido, mi avrebbe capita immediatamente. Zipherias sorrise, ed alzò gli occhi al cielo. “dovresti scusarmi tu”. Come odiavo quando mi guardava così, parlandomi dolcemente, come se fossi una belva pericolosa. Che idiozia. Scusarlo, io. E lui che aveva fatto? Niente. Ero io la stupida, quella che cascava sempre nelle trappole astute della figlia. Ero  io l’impulsiva. Io che, quella volta, cosa assurda per me, dovevo scusarmi. Lui era innocente. Lui era il mio amico. Non riuscii a fare a meno di sentire un’ondata di vero e proprio sollievo farsi strada in me. Non potevo stare senza l’amicizia di una persona preziosa come lui. Lui era uno dei pochi che mi rimanevano, ormai, di quelli che non mi guardavano come una zia severa, un surrogato della mamma, e non come semplicemente un’amica. A lui mi potevo sempre appoggiare, e lui mi capiva. Litigare, anche se ci capitava praticamente un giorno si e l’altro forse, era sempre brutto. Non potevo sapere quanto lui mi sopportasse, non lo capivo. Comprendere quando era troppo mi era sempre complicato. E lui di certo non era Tijorn. Di certo non era la creatura paziente sempre pronta a perdonarmi. Perciò, feci un gesto seccato, pentendomene subito dopo. Cercai di non essere troppo sbrigativa. Se lo avessi indispettito sarebbe stata la fine. Un nuovo litigio. No, non mi andava proprio. “non dirlo nemmeno”. Gli risposi, guardandolo fisso. Accidenti, non feci a meno di sorridere. Non ci riuscii. Semplicemente Zipherias era troppo tenero quando voleva farsi scusare, quando cercava il perdono. Lui era troppo buono, davvero. Come poter pensare che aveva fatto del male a Roxen? Lui le voleva bene, nonostante non sopportasse i suoi difetti, gli dispiaceva sempre da morire quando a lei succedeva qualcosa di male. In fondo, lui l’aveva vista quando eravamo arrivati, un gruppo di naufraghi, di anime sperdute, sapeva benissimo cosa avesse passato, lei ed il povero fratello. Impossibile che le avesse fatto male di proposito. Mi vergognai enormemente, in quel momento. Ero sempre la solita stupida. “tu non hai fatto nulla. Ho sbagliato io”. Sul volto di Zipherias passò una smorfia di disapprovazione, ma lui non parlò. Era evidente che non c’era più nulla da dire. Ci sorridemmo, brevemente, in silenzio. Rimanemmo per un po’ così, senza parlare. Ah, mi sentivo più leggera. Era bello sapere che c’era ancora lui, e ci sarebbe stato, almeno fino alla litigata successiva.  Dovevo stare in silenzio. Sbaglio o lui doveva venire ad Atlantis con me? Allora, meglio evitare altre litigate. Io volevo Zipherias con me. Era indispensabile. Non sapevo perché, ma mi era indispensabile. Litigi a parte era l’unico dal quale mi sarei potuta lamentare di stare su una nave. Almeno quello. Mh. Forse però era meglio stare un po’ insieme. Chiacchierare un po’ sarebbe stato magnifico per  ristabilire definitivamente la pace tra di noi. “cosa ne dici di andare a farci un giro? È ancora presto”. Proposi, timidamente. Mi aspettavo ,a dire la verità, un rifiuto. In fondo ci eravamo appena…beh, quasi riappacificati. Non sono mai riuscita a parlare chiaramente con lui. Bene, un bel giro per il giardino. Rilassante, tranquillo, tra amici. Non c’era niente di meglio di quello per smettere di pensare ad Atlantis ed a tutti i guai che erano da corollario a quel viaggio. Vidi Zipherias sorridere, ed in me sospirai di sollievo. Non mi andava di torturarmi da sola nella mia camera o in giro. Avevo bisogno della compagnia di qualcuno a cui volevo bene. “ci sto”. Accettò semplicemente, scrollando le spalle. Ci avviammo, così, fianco a fianco, senza più parlare, verso i giardini. Una presenza per scacciare i fantasmi. Ne avevo troppo bisogno.

Non ci ritirammo che il primo pomeriggio. Avevamo preso a gironzolare tranquillamente per il giardino assolato, parlando o stando semplicemente in silenzio. Era bello avere qualcuno accanto, lontani da tutto e tutti. Spesso me ne dimenticavo, così presa da scartoffie e famiglia da diventare praticamente sempre irraggiungibile, o troppo impegnata. Se poi quel qualcuno era un amico prezioso come Zipherias, era doppiamente bello. Non avevamo incontrato quasi nessuno, a parte qualche umano, probabilmente qualche appartenente alla corte, che ci aveva guardati con curiosità, e, a volte, spavento. Avevo trovato di che ridere dopo un bel po’ di tempo, quelli che mi parevano secoli. Il tempo era volato. Ci eravamo sistemati poi in un punto un po’ discosto, una sorta di minuscolo laghetto, una simpatica pozzanghera circondata da canne palustri troppo ordinate per dare l’impressione di selvatichezza, un punto calmo, dove la gente raramente passava, ed eravamo rimasti lì senza fare assolutamente niente. Zipherias aveva provato a scusarsi di nuovo, ma io l’avevo quasi preso a sassate, molto diplomaticamente. A quell’incidente erano seguiti buoni dieci minuti di silenzio tombale, tanto che avevo temuto di avere di nuovo compromesso la situazione. Poi avevamo ripreso a parlare normalmente, una cosa di cui fui immensamente grata. Mi ero data della cretina ed avevo tenuto, per il resto del tempo, un comportamento impeccabile e gentile. Avevamo chiacchierato un po’ di tutto. Di Machin, che nessuno dei due si perdonava di aver lasciato andare così allegramente in giro per un Regno infido, di Roxen che doveva darsi una calmata, della stessa Ellyn, che aveva colpito incredibilmente il mio amico, e di mille altre cose poco importanti. Zipherias ancora si chiedeva del perché del comportamento assurdo di Lilliagrin. Non la sopportava, semplicemente, e l’astio era aumentato da quando l’aveva fatto rinchiudere per giorni in una cella minuscola per una colpa molto stupida. Ancora sapeva che il disguido fosse avvenuto per un errore di traduzione. Mi limitai ad annuire con la morte nel cuore. In realtà quella pazza aveva ben più di un motivo per farci fuori. Ma non parlai, angustiata. Non era quello il momento di svelare certe cose. Come odiavo tenere i segreti agli amici. Non era un comportamento giusto, per niente. Avevo fatto di tutto per cambiare argomento, per dimenticare. Non ci era voluto molto, per fortuna. Avevamo di che parlare. Dopo un po’, attimi passati in una dimensione senza tempo, ore che sembravano secondi, ci accorgemmo dell’ora. Era davvero un po’ tardi. Sicuramente più d’uno si stava chiedendo che fine avessimo fatto. Beh, non avevamo spesso l’occasione per chiacchierare così a lungo. Certo, avremmo avuto fin troppo tempo nella nave, ma io non contavo tanto sulla mia capacità di giudizio, quando si parlava di un viaggio in mare, soprattutto così lungo. Probabilmente avrei finito per rimanere a piagnucolare da qualche parte come un cane spaventato. Mettendo in conto il fatto che soffrivo atrocemente di mal di mare…beh, non credevo ci sarebbero state molte opportunità di tranquilla conversazione come in quel momento, beatamente sulla terraferma, seduti sull’erba, lontani dal mondo intero, facendo finta che non fossimo in un luogo estraneo e spesso ostile. Tutto sommato ero felice. Era stata una bella mattinata. Almeno, non ero rimasta ad angustiarmi nella mia camera, aspettando la sera per rivedermi con qualcuno e smettere di pensare. Adoravo quei fuori programma. Avevamo così deciso di tornare. Era molto tardi. Ad un certo punto, era capitato qualcosa di stranissimo. Stavamo percorrendo una sorta di piccolo boschetto, vicino al punto in cui c’eravamo fermati, in silenzio, quando avevamo sentito un rumore. Eravamo scattati entrambi, abituati ad anni ed anni di attenzione estrema, dimenticando di essere in un posto più che sicuro. Io, specialmente, abituata a viaggiare, saltai. Io ed il mio amico ci eravamo guardati intorno, in cerca della fonte di quello strano fruscio. Non era che qualcuno ci stava seguendo? Sperai che non fosse così. Sarebbe stato alquanto sgradevole scoprire che qualcuno ci spiava, nonostante non facessimo niente di male. Un’ennesima dimostrazione di scarsa fiducia. La cosa non mi piaceva. In silenzio, continuammo a camminare. Di nuovo, quel fruscio. Ah no. ora mi arrabbiavo. Non era possibile, assolutamente. Un comportamento così non era ammissibile. Ora l’avrebbero pagata, chiunque ci stesse seguendo. Avevo raccattato, senza parlare, un’ennesima pietra, sotto lo sguardo esasperato di Zipherias, del parere che non bisognava immischiarsi in qualunque cosa stessero facendo, e che quello era il loro territorio, ed avevano il potere di fare tutto, lì. Percorsi, in silenzio, la strada a ritroso, senza farmi seguire dal mio amico. Una sola pietrata, una sola, e la persona misteriosa avrebbe imparato a stare al suo posto. Non avevo armi per risultare più minacciosa, ma una pietruzza in testa non gliel’avrebbe tolta nessuno, alla spia. Accidenti, volevo solo stare un po’ in pace con un amico, non si poteva? Era vietato? Distruggevamo il posto? Sciocchezze. Volevamo solo un po’ di pace che di solito ci era negata, nient’altro. Ero infastidita. Molto infastidita. Ah, una bella pietra era la soluzione migliore. Non avevo un’ottima mira ma l’importante era intimidire. Arrivai dunque, quatta quatta, di nuovo nei pressi della piccola pozzanghera, seguendo gli sporadici fruscii. Ero rimasta immobile, in silenzio, per un tempo che mi era parso fin troppo dilatato, attenta ad ogni minimo rumore, aspettando. Molto stupido da parte mia, sola con una pietra. Avrei potuto essere ridotta al silenzio in un batter d’occhio. Non era difficilissimo. Ero stupida, ma non potevo fare a meno di esserlo e sembrarlo. Beh, sperai ardentemente di non essere presa. Non sarebbe stato bello rimanere disarmata. Raccattai un’altra pietra per sicurezza, e pregai che la mia silenziosità non mi avesse fatta beccare ed individuare. Ad un certo punto, un fruscio, nei pressi dell’improbabile canneto. Sussultai. Aha, eccoti qui! D’istinto, gettai alla cieca una pietra. Mossa stupida, ma non potevo farne a meno. Capii subito di avere centrato il bersaglio, chissà dove. “ahia!”. Un gemito, seguito da fruscii ed una sequela di imprecazioni. Poi, il nulla. Stranamente, dopo aver sentito quella voce, non mi sentii soddisfatta del mio operato.  Al contrario. Gelai. Ma…ma…ma… no, no, impossibile. Mi avvicinai al canneto con un senso di perplessità e preoccupazione incombente. Lì non c’era nessuno, a parte una serie di leggeri impronte confuse, ma prima…beh, idiota dirlo, ma prima qualcuno c’era stato. E la voce mi aveva…beh, inquietato. Insomma, mi sembrava di conoscerla. Ma possibile? Come diavolo…? Sicuramente mi ero sbagliata. Magari avevo colpito qualche animale strano. Ma…no, c’era qualcosa che non andava. Tornai da Zipherias a mani vuote, ma a testa piena. Gli dissi che era uno scoiattolo, venendo irrimediabilmente presa in giro, ma io ero sicura che non era nessun animale. Qualcuno era stato lì, lì, in quel canneto. Ed io quella voce…quella voce…ma possibile? Perché accidenti ci doveva seguire? E poi che c’entrava? Che c’entrava lì? Si, perché la voce che avevo sentito assomigliava incredibilmente a quella di un umano che avevo già incontrato. Che mi aveva chiamata per nome senza conoscermi. Forse…ecco perché mi conosceva. Possibile che fosse una spia? Faldio? Oppure? Che diavolo l’avrebbe potuto spingere fino al castello? Che c’entrava lui? E poi, spiava così maldestramente? Che c’entrava? Che c’entrava Faldio lì? Era un agente della regina? Un assassino? Un traditore? Accidenti, che guaio. Sperai con tutto il cuore di essermi sbagliata. Lo speravo ardentemente. In caso contrario, non sapevo che pensare. Era un bel grosso guaio. Ma che bella novità!

 

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Capitolo 44
*** Il tempo che fugge. ***


Ben presto, quel futile problema crollò in fondo alla lista dei miei pensieri

Ma buonasera!

Permettete che metta le mani avanti prima di tutto, e vi faccia un piccolo avviso: questo è un capitolo di stallo.

Non avevo la minima idea su come raccordare i precedenti con i successivi. Né idee, né predisposizione mentale, né voglia.

Questo capitolo è praticamente necessario =.=

Non succede niente ma altrimenti avrei dovuto combinare un disastro peggiore, o non aggiornare =.=

Godetevi questo capitolo, come no XD

A domani!

Akita

 

Ben presto, quel futile problema crollò in fondo alla lista dei miei pensieri. Dopo un po’, me ne dimenticai totalmente: ben altri furono i problemi. Per un po’, tuttavia, fui assorbita da quello strano interrogativo. Ma che accidenti ci faceva Faldio lì? Bene, avevo visto….no, colpito, Faldio, nel giardino, con una pietra. Lui aveva detto ahi ed era scappato. Tutto abbastanza lineare, se non fosse stato per il fatto che quel ragazzo era nascosto in un canneto. Nascosto, poi. Magari voleva solo stare un po’ in pace. Vero che il giardino reale non era aperto a tutti, ma lui non era un popolano. Non mi era parso di ascendenza aristocratica, ma è anche vero che per me ogni umano è un po’ rozzo, e pochissimi se ne salvano. Magari aveva avuto un permesso, che io gli avevo prontamente rovinato. Non dev’essere bello essere presi a sassate quando si cerca di stare un po’ tranquilli. Mi sentivo anche un po’ in colpa.  Non era meglio andargli vicino a redarguirlo per averci fatto prendere una paura incredibile? Ma poi? La voce che avevo sentito era stata la sua o no? Mi ero sbagliata? Non mi ero sbagliata? Quante domande. Bene, se il mio fosse stato un errore sicuramente il mio avvicinamento avrebbe potuto avere conseguenze disastrose. Di sicuro non l’avrei passata molto liscia, e la prospettiva proprio non mi piaceva. Quindi, meglio aver preso a sassata da uno sconosciuto che finire magari colpita di nuovo da qualche arma mai vista in vita mia. Con gli estranei meglio andarci piano, soprattutto con degli estranei presi di sorpresa. Ma questo sollevava molti altri interrogativi. Quella persona era lì apposta per noi? Qualcuno ci seguiva? Perché  poi? Insomma, non era una situazione in cui sarebbero potuti uscire segreti di stato. Ero in giro con un amico e chiacchieravo, cosa che mi dava doppiamente fastidio. Non rimanevo spesso sola con Zipherias, o con Capouille, e non ammettevo assolutamente intrusioni quando potevo permettermi di abbassare la guardai e passare qualche ora tranquilla con quelle poche persone che mi erano rimaste amiche. Lilliagrin aveva mandato qualche spia per verificare quanto i miei compagni conoscevano della missione? Assurdo. Una mossa del genere me la sarei aspettata da quella cagna di Lainay, non da una regina che sulla carta era nostra alleata. Mah, non mi fidavo completamente di quella lumaca con la passione per le tazze a fiorellini, ma non potevo sospettare così di lei. Quel pensiero, nel paio di giorni che seguirono, mi rese piuttosto guardinga. Scattavo ad ogni minima cosa, e più volte fui costretta a ricordarmi di vecchi trucchi da Spia per sorprendere un fantomatico spione. A vuoto. Non vidi mai movimenti sospetti, gente che ci seguiva o cose del genere. Un paio di volte avevo terrorizzato qualche innocuo domestico, spuntando all’improvviso di notte, ma non avevo incontrato altra anima viva. Avevo così smesso con le mie indagini, dandomi dell’idiota. In tutto quello, il senso di colpa rimaneva. Avevo preso a sassate chissà chi, insomma, non era una cosa carina! Un povero innocente era stato colpito mentre si faceva i fatti suoi. Non era per niente divertente. Qualcuno lì mi voleva sicuramente morta. Cominciai a guardare meglio le persone che mi stavano attorno. Magari qualcuno aveva un bel bozzo sulla fronte o altri lividi piuttosto visibili. In quel caso sarei andata da quella persona implorando perdono in ginocchio. Che vergogna. Nessuno che vidi in quei gironi aveva nulla. Niente. Alla fine, desistetti. Non aveva senso proseguire in ricerche a vuoto. Ben presto, però, mi dimenticai anche di quello. Il motivo era uno, e molto importante: si avvicinava la data in cui avrei dovuto riferire alla regina umana la mia scelta dei compagni. I compagni nella mia testa li avevo. Nella mia testa. Sicuro non sapevo. Di conseguenza, dovevo avvisare i miei compagni. Non sarebbe stato per niente bello dire a Zipherias o Capouille, due giorni prima della partenza, che li aspettava un bel viaggio  in una città sconosciuta, da raggiungere rigorosamente per mare. Quindi, mi dovevano anche sopportare per chissà quanto tempo. Loro, però, non erano un gran problema: mia figlia e mia nipote avrebbero sofferto nel vedersi abbandonare a quel modo dalla loro zietta. La prospettiva di dover annunciare una mia prossima sparizione, forse per mesi, a Nilyan e Roxen, mi angustiava. Non mi piaceva saperle sole. Mia figlia era troppo impulsiva, mia nipote sarebbe stata una meraviglia, lei, forte come una roccia, se solo non avesse avuto il piccolo problema di rischiare di rimanerci secca per colpa della propria magia quasi impossibile da domare. Soprattutto la mia piccola bambina mi preoccupava. Non sembrava stare molto bene tra gli umani: si lamentava del posto, del giro di amicizie che cominciavamo a farci, le mancava Kyradon. Era tanto viziata, la mia cucciola, ma nel mio istinto leggermente deviato di madre non potevo che pensare alla sua sofferenza. Per me, inoltre, era difficile lasciarla. L’avevo trovata con tanta difficoltà! Lei mi preoccupava per quello. Poi, c’era il problema di mia nipote. Mia nipote era praticamente nel suo elemento, lei, l’amica di tutti, ma non l’avevo mai lasciata senza protezione. Isnark mi avrebbe ammazzata. Si, lui ammazzare me, dopo che mi aveva combinato tutti quei tiri mancini! Maledetto elfo idiota. Mi aveva messa nei guai, e con me i miei amici e parenti. Per fortuna c’era Ellyn. Strano pensarlo, ma avevo trovato una soluzione decente ai miei guai. Era un grosso, enorme vantaggio l’averla come amica, o almeno come alleata. Era una persona così dolce, così solare, sensibile, ed ero sicura che avrebbe aiutato Nilyan in ogni modo possibile, e condotto quella ribelle di mia figlia a più miti consigli. Era impossibile non volerle bene. Ci riempiva di attenzioni quando eravamo con lei, e spesso ci aveva invitati altre volte oltre alla colazione. Avevamo dunque saputo molto di più su di lei. Era una piccola umana estremamente sola. Se non fosse stato per il fratello e la domestica, quella giovane sarebbe rimasta completamente isolata dal resto della famiglia. Non ci parlò molto dei suoi rapporti con i genitori, era parecchio restia a farlo, ma quel poco che ci disse mi fece capire ben più di una cosa. Ellyn soffriva, e tantissimo. Il padre suo e di Guaren, un vecchio alto ufficiale dell’esercito, era quasi innamorato del figlio maschio. Con grande disappunto di quel giovane dotato solo per la musica, il cielo ed i libri, il re lo vedeva come l’unico capace di prendere le redini dell’esercito, una volta morto lui. Ignorava la figlia femmina, benché quando si vedevano fosse molto cortese con lei. Cortesia del tutto falsa: quando veniva ora di fare regali, il più piccolo era sempre il suo. E poi non c’era mai. Guaren era coccolato dal padre, e lo vedeva molto spesso, ma la principessa no. La madre quasi la odiava. Per un motivo sconosciuto trattava Ellyn ed il fratello con durezza estrema, come se fossero sottoposti, dando loro ordini su ordini e basta, e nemmeno una briciola di affetto. D’altra parte Lilliagrin odiava un po’ tutti, chissà perché. Il rapporto tra lei ed il marito era praticamente inesistente: la loro unione non era altro che di convenienza, e tra loro non c’era neanche rispetto. Nella sua infanzia Ellyn aveva potuto contare solo sul fratello maggiore, l’unico che la proteggesse davvero, e sulla governante, la sola figura materna della sua vita, le braccia in cui rifugiarsi quando la regina la schiaffeggiava perché rideva troppo. Non riuscivo a credere che Ellyn, quella creatura così innocente, fosse riuscita a sopravvivere in quell’atmosfera terribile. Il mio rispetto per lei crebbe molto. Non era così debole come sembrava. Il nostro arrivo era stato, ad ogni modo, una benedizione. La piccola principessa aveva trovato in noi degli interlocutori ideali, noi, che la trattavamo gentilmente, Roxen a parte che rimaneva sempre nei limiti della cortesia, noi, che alla fine avevamo finito per innamorarci dell’innocente umana. Mi sembrava tanto una creatura tanto delicata, da proteggere, benché non fosse per niente così e più di una volta ne avevamo avuto una prova. Bastava vedere come e quanto si opponeva perfino alla madre, quando qualcosa non le andava molto giù. Lei mi voleva molto bene. Mi ripeteva più volte che le sarebbe tanto piaciuto avere una zia, che magari l’avrebbe trattata come io trattavo Nilyan e Roxen, ma che la madre era figlia unica. Forse un po’ invidiava Nilyan per essere così sommersa dagli affetti, ma non lo diede mai a vedere. Che persona strana era, Ellyn. Mi aveva supplicato di togliermi il cappuccio. Quando io mi ero rifiutata, la piccola, ingenua umana mi aveva guardata con un’aria che mi aveva ricordato Nilyan, per poi dirmi con assoluta calma che si vedeva tranquillamente la mia faccia, e che a lei non importava. Mi ero quindi scoperta la testa, e, dalla sua reazione sconvolta, capii che mi aveva evidentemente presa per i fondelli, in modo da soddisfare la sua curiosità. Quell’incidente venne superato presto: lei non mi evitò per la mia faccia, benché a volte la sorprendessi a guardarmi con aria stupita. Ma lei voleva bene a tutti noi. Era del tutto incapace di odiare, perfino Roxen, perfino quando lei si dotava del sarcasmo più pungente per tentare di ferirla. Quando mia figlia diceva qualcosa di cattivo la principessa non si scomponeva mai: rideva e cominciava a prendersi in giro, con notevole ironia. Ma la ragione dell’amore verso Ellyn, almeno da parte mia, era un’altra: lei e mia nipote andavano d’amore e d’accordo. Avevano trovato ognuna un’amica nell’altra. Nilyan aveva preso addirittura a frequentare molto più spesso di noi  la principessa, e più di una volta a colazione rimanevano per un po’ a confabulare e ridacchiare tra loro, cosa che infastidiva pazzamente Roxen, che credo fosse gelosa della cugina. In un certo senso quel legame mi aveva sorpreso. Da parte di mia nipote me l’aspettavo: lei era disposta a fare amicizia con chiunque le desse un po’ di corda. A casa, probabilmente, metà della servitù le dava del tu e l’altra metà la adorava per il modo informale in cui li trattava. Il padre qualche volta la rimproverava, ma lei, ruffiana astuta come sempre, lo riduceva al silenzio. Il suo comportamento era sicuramente dettato da una certa propensione a ribellarsi solo per il gusto di farlo, ma il buon cuore c’era. Solo che mia nipote non si comportava da bambina un po’ sciocca come a volte appariva Ellyn. La piccola umana era molto più ingenua di Nilyan, cresciuta tra Machin, Roxen e me. Poi, la principessa di Fiya non aveva gli anni della nuova amica, e non era smaliziata come lei, nonostante la sua vita non fosse mai stata facile. Nonostante tutto, lo sbocciare di quell’amicizia mi aveva sorpresa. Sicuramente Ellyn non vedeva l’ora di farsi nuovi amici: non si accorgeva della differenza di età, e, chissà, non doveva aver pensato che, mentre lei sarebbe cresciuta ad invecchiata, la sua nuova, carissima amica sarebbe rimasta pressoché identica, nel cuore della giovinezza. Speravo però che quel legame fosse ben duraturo. In fondo, quelle due avevano in comune ben più di una cosa: il fatto di non uscire mai dal proprio guscio, per esempio. Nilyan era raramente uscita da Kyradon o da Sharilar, perché tutti temevamo per lei, Ellyn non aveva mai messo piede fuori da Qerin, cosa che diveniva lampante quando ci chiedeva, piena di entusiasmo, se la vita da noi fosse così come era descritta nei libri. Tutte e due erano persone affettuose, tutte e due protette. Anime affini. Immaginavo già Isnark fregarsi le mani alla notizia che la futura regina di Fiya e l’erede al trono di Uruk erano divenute amiche per la pelle! L’unica ad opporsi a quella nuova amicizia, del resto, era Roxen. Tutti noi amavamo Ellyn, la adoravamo per il modo in cui ci trattava, ma mia figlia no. Per lei era solo un’umana. Che smacco vedere quindi la sua Nilyan così in confidenza con lei, per lei così sdolcinata e falsa!  Lei era abituata ad avere la cugina tutta per sé, una sorellina minore da coccolare, un’amica con cui confidarsi. Vederla aprire un po’ più seriamente del normale il suo cerchio di amicizie la irritava profondamente, soprattutto se l’amica era un’umana come Ellyn, che non riusciva a digerire. Beh, l’avrebbe digerita ben presto. Povera Roxen. Che tiro che le stavo per combinare! Speravo che non mi odiasse per quello. Bene, però mi dovevo decidere a dire qualcosa. Non potevo rimanere per sempre così, no? sicuramente dovevo parlare. Ma posticipavo, e posticipavo, e posticipavo, perché non avevo il coraggio di parlare. Ed il tempo passava, con mia enorme angoscia. Presi così una decisione. Non potevo dire tutto a tutti, subito. Dovevo, assolutamente, parlare con Capouille e Zipherias, almeno loro per primi. Non sopportavo più che mi chiedessero quando avremmo potuto tornare a casa. Non aveva senso. Non potevo tentennare oltre, anche se non sapevo assolutamente come dire loro che li avevo scelti per un viaggio con me, e che ci saremmo dovuti allontanare dalle piccole. Però ero stanca della mia indecisione. Dovevo parlare, assolutamente. Dovevo liberarmi da quel fardello che mi adombrava le giornate. Dovevo almeno parlare con loro. Poi, insieme, ne avremmo discusso con le piccole. Così, finalmente, tre giorni dopo la prima colazione con Ellyn, dopo appunto l’ennesima mattina passata con la giovane umana, mi decisi a rapire i miei due amici, e convincerli a seguirmi una volta e per tutte. Mi fidavo di loro. Solo loro potevano seguirmi, no? L’occasione era perfetta. Roxen era tornata a dormire, dicendo che aveva una brutta faccia e aveva bisogno di riposo, ottima scusa per andare a mettersi in castigo da sola, mentre Nilyan era rimasta da Ellyn, per finire un’appassionante dissertazione su solo gli dei sanno che argomento. Probabilmente Nilyan si stava tenendo informata sui pettegolezzi di corte, un argomento che la interessava da sempre, perché era un’ottima maniera per trovare spunti per scherzi ed acri prese in giro. Mi ero trovata sola con Capouille e Zipherias,  ed avevo colto la palla al balzo. Avevo trascinato i miei due stupiti amici in giardino, senza parlare, prendendoli letteralmente per mano, e portandoli con me. Loro non avevano opposto resistenza: si stavano domandando per l’appunto cosa fare. Mi dispiaceva interrompere così la loro spensieratezza. Li avevo fatti sedere su una panchina, in un angolo un po’ appartato, ed avevo tirato un profondissimo respiro. Ecco, ora che il momento era venuto il coraggio mi mancava. Non sapevo assolutamente come affrontare la spinosa questione. Mi avrebbero davvero ammazzata, quei due. Era inammissibile che io me ne uscissi con una richiesta come quella. Rimanemmo per un po’ in silenzio. Ecco, le gambe mi tremavano. Non riuscivo a parlare. Mi passò avanti, un lampo, l’immagine soddisfatta di Lilliagrin. Mi venne in mente che se loro non avessero accettato avrei dovuto farmi il viaggio con degli umani.  Che tristezza, che assoluta tristezza. Quanto mi dispiaceva. Per Nilyan, per Roxen, ma soprattutto per loro. Loro, condannati senza saperlo! Ecco, ora non sapevo come parlare. Mi trovai davanti due elfi perplessi, e non seppi come e cosa dire. C’erano tante cose di cui parlare. Ma io non sapevo come cominciare! Seguitemi? Dovete seguirmi? Vi voglio bene? no, non andava per niente bene. dobbiamo andare ad Atlantis? Sapete cos’è Atlantis? Vi devo dire una cosa? No, nemmeno. Accidenti. Provai ad aprire la bocca un paio di volte, ma non ci riuscii.  Guardai l’espressione interrogativa di Capouille, la strana occhiata che mi rivolse Zipherias, e, dentro di me, piansi a dirotto. Non era giusto. Non potevamo essere così schiavi, prigionieri di un’umana. Dopo poco, mi vergognai. Li stavo tenendo lì, guardandoli in silenzio. Loro erano molto perplessi, lo vedevo. Poveri amici miei. Vecchia stupida mucca, muoviti! Mi assalì la fretta. Dovevo parlare. Dovevo, ma era così difficile. Provai ad aprire la bocca una o due volte. Poi rimasi un po’ in silenzio. Come dire la brutta novità? Come parlare? Non riuscivo assolutamente a trovare un modo per annunciare quella notizia orribile. Che tormento. Feci un respiro profondo. Ah, a come mi sarebbe venuto. L’importante era parlare, e basta. “io parto”. Dissi, d’un fiato, mordendomi poi il labbro dopo aver parlato. Di tutte le cose me n’ero uscita con la più banale. Ehi, accidenti, che originalità. Io ero un genio. Davvero. Che idiota. Non potevo dirlo in modo migliore? Arrossii, mentre i miei due amici sobbalzavano per la sorpresa. Di sicuro non era una cosa che si aspettavano che io dicessi. Mi sentii allora piccola, piccola come un pulcino. Come potevo credere che loro mi seguissero ciecamente e fedelmente, come avrebbe fatto Tijorn, che di me si fidava più di chiunque altro? Loro mi avrebbero mandato a quel paese. Era una cosa innaturale, quella che chiedevo da loro. ma non era colpa mia. Non l’avevo deciso io. Io non avevo potere sulla mia stessa vita. Deglutii. Avevo un disperato bisogno di piangere. Non mi piaceva, sentirmi così prigioniera. “co-come?”. Domandò Capouille, dopo un silenzio che sembrò infinito. Mi guardava, senza capire. Cercai lo sguardo di Zipherias. Impenetrabile, come sempre. Mi chiesi come diavolo facesse. Beato lui. Lui non aprì bocca. Fece un cenno, come per chiedermi di continuare. Sentii un groppo in gola. Avrei voluto tanto farmi abbracciare da lui. Sentire che c’era, che avevo qualcuno di forte accanto a me. Che pensiero stupido. Lui non poteva farci niente, il nemico ero io, il nemico di me stessa. Ma io sentivo ostilità. Sentivo tutto ostile, accanto e attorno a me. Ma dentro di me era peggio. Era dentro di me il problema. Loro non c’entravano nulla. Perché dovevo chiedere loro una cosa del genere? Perché loro si dovevano sacrificare? Io dovevo partire. Ma solo io. Io. Loro non c’entravano nulla. No. mi assalì un assurdo senso di nausea e vuoto. No. Non potevo partire senza qualcuno di loro. Non potevo andare sola in un mondo ostile. Ero un’egoista! Si, un’egoista, ma non potevo farne a meno! Non sapevo agire senza qualcuno a tenermi la mano! Non ne ero in grado! Non potevo farlo! Stupido, eh? Che vecchia mucca che ero. Non sapevo come fare. Non sapevo che fare. Mi torsi le mani. Come odiavo quel tormento. Perché non potevo stare in pace? Tranquilla, con i miei affetti ed i miei amici? Trovare me stessa mi era impossibile in tutto quel casino! Maledetta Lilliagrin. Era sempre così. noi, più deboli, mangiati dai più grandi. Era fortemente ingiusto. Isnark avrebbe dovuto almeno avvertirci. Era stato sleale, molto sleale. Beh, l’avrebbe pagata, al ritorno. Se fossimo tornati. Fossimo? Il pensiero di essere la responsabile della morte si qualcun altro mi mozzò il fiato. Mi corressi. Se fossi tornata. I miei amici non sarebbero entrati in alcuna bega. Loro, i miei due cari amici. Capouille e Zipherias, che mi guardavano senza capire. Deglutii di nuovo. Mi pizzicavano gli occhi. “io parto”. Ripetei. Oh accidenti. Vidi il mondo annegare in un turbinio di colori. Qualcosa di bagnato mi scese sulle guance. Oh no. non volevo piangere. Era stato più forte di me. Che emerita imbecille. Mi sarei picchiata da sola. La vita tranquilla mi aveva rammollita proprio tanto. “io devo. Io l’ho promesso…io…”. Era troppa, quella sofferenza che per giorni avevo tenuto per me. La sofferenza di dover dare una notizia e non sapere come darla. Ero debole. Ero troppo debole per resistere. Non riuscii a frenare il primo singhiozzo, che mi mozzò il fiato. E nemmeno il secondo. E il terzo, e il quarto. Mi ritrovai a singhiozzare disperatamente senza nemmeno sapere perché e cosa mi stesse succedendo. Ma da quando in qua mi ero trasformata in una vecchia dama sensibile e svenevole?                                                                                                                                                            

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Capitolo 45
*** Oh...questo raffredda un po' la serata. ***


Toc toc mh

Toc toc  mh? Cos’è? Toc toc? È la porta? Chi è che bussa chi è a quest’ora? Toc toc ancora! Ma io sto dormendo! Il principe dorme, chiudi il becco su. Ma lasciami stare dai zia Lalla… è ancora presto perché mi svegli… sei una bruta brutta e cattiva… sei peggio di un drago…ah, si, accidenti noi siamo dai draghi. Vero, si. Però ora lasciami dormire. Toc toc toc eh no, non ancora mi sta perforando il cervello poi devi pagarlo a peso di oro eh idiota io sto dormendo! Ma cos’è questa fretta? Cioè io da poco sono andato a dormire e toc toc toc toc va bene, va bene, vengo ad aprirti. Ma non è umano, non è civile! Che diamine vogliono da noi? Dobbiamo guardare un altro di quei riti orribili e tutti falsi perché i draghi prendono in giro le persone? Un drago ha deciso che questa è l’ora di presentarsi? Insomma, io stavo dormendo! E guarda quell’altro idiota di Chekaril, non si muove e non si muove! Ha fatto alzare me! Me, ma ci rendiamo conto? Io ho bisogno di dormire, altrimenti poi invecchio precocemente, e non ho nemmeno duecento anni, intendiamoci bene! Lui che dovrebbe essere un Guaritore sempre pronto ad ogni evenienza dorme pacificamente, guardalo, il piccolo Chekaril. Guarda un po’, russa pure. E ci credo che poi la mia pelle si rovina. Non dormo mai bene da quando sono in viaggio. Ma chi diavolo me l’ha fatto fare, senti? La spada di papà se ne vada a quel paese, io voglio tornare a casa! Beata solitudine del mio piccolo alloggio a Kyradon. Lì se c’è gente è gente che dico io, persone interessanti e divertenti. Non certo un cugino pesante. Quando torniamo farò in modo di farlo soffrire in qualunque modo guarda dico a Miobashin di tenerlo sempre sveglio con qualunque metodo le venga in mente altrimenti vengo io e gli sbatto in faccia del ghiaccio ad intervalli regolari ma tu guarda a quest’ora svegliarsi io svegliarmi non sono certo come i vecchi di casa che dormono pochissimo io sono giovane io amo dormire perché non ho la minima intenzione di sembrare un cadavere ambulante perché io sono bello e basta penso che questo si sia capito no anche se non è mai male ripeterlo sempre perché poi la gente se lo dimentica. Mhh come mi scoccia andare ad aprire questa porta ora chiunque sia lo riempio di bestemmie insomma non solo ci ficcano in una grotta ma poi pure ci svegliano che tortura bella è mai questa…ahhhh!! Attacco attacco qualcuno ci attacca oh ho qualcosa addosso ah che cos’è non vedo più niente ahi accidenti dove sono inciampato cos’è non riesco a levarla accidenti maledizione qui qualcuno ci attacca lo sapevo io che non poteva andare tutto così troppo liscio ma non era Chekaril shh zitto ma ora dove sono oh io non respiro che cos’è questa cosa che ho addosso è un mostro aiuto mi uccideranno mi uccideranno mi uccideranno e poi moriremo io e Chekaril ma perché quell’idiota non si sveglia ha i sonno più pensante di un sasso nemmeno una catastrofe lo smuoverebbe accidenti… ah, libertà, ci vedo, ci vedo, perfetto, tutto a posto. Eh? Che ci fa Hypia qui? Perché è vestita di nero? È un brutto colore non le sta bene addosso. E perché mi fa segno di stare zitto? Che succede? Perché ha in mano quelle cose? Maledetta lei, però. Poteva pure stare un po’ più tranquilla. Mi ha fatto prendere uno spavento enorme, mi ha tolto cento anni di vita,a me, l’elfo più bello del mondo. Poteva pure evitare di buttare….di quello insomma io mi sono spaventato. E guarda sorride pure con quella faccia da volpe che ha lei maledetta. “nervosetto?”. Mh, bastarda, ora vedi che ti picchio. Sei una femmina ma non importa di solito Nilyan picchia più forte di me quando si decide quindi non conta ma tu guarda anzi sai una cosa ti impacchetto con Chekaril e ti spedisco da Lainay a calci. Mi ha svegliato, mi butta addosso chissà che per non farmi urlare e poi ride pure però è strano non mi sembra che ride come sempre. Insomma è un po’…nervosa. Si, è molto nervosa. Non capisco perché insomma non è che siamo in un territorio nemico siamo tra amici giusto no? e tu guarda ma tu guarda mio cugino non si è nemmeno svegliato! Non mi piace l’atmosfera che si sta creando. Hypia è nervosa. Non capisco perché però è nervosa accidenti se lo è. Non mi piace, è una cosa che proprio non va, c’è qualcosa di molto strano in mezzo anche se non capisco cosa davvero insomma non c’è niente di male. Ma accidenti fortuna che mi sono svegliato io altrimenti guarda non si muove nemmeno. Io nervosetto poi? Ma tu guarda ehi bella vedi con chi stai parlando no. Io sono troppo un genio per spaventarmi. La guardo male ma lei non si muove. Si, è inquieta. Non capisco perché. “no, solo preso di sorpresa”. Eh ci credo idiota mi hai fatto prendere un coccolone davvero povero me povero Machin ma non vedi come sono bello eh cara tu non capisci nulla dell’arte. Guarda, che strano, non sorride nemmeno lei. Di solito è sempre frizzante Hypia. Oggi no che strano. Subito ha smesso di sorridere. Strano ,sento uno strano freddo che strano. Proprio non va proprio no eh. C’è proprio qualcosa che non va ora vedremo di che si tratta spero no qualcosa di grave. “sveglia il suo compagno”. Che strano sguardo che le è passato si è guardata intorno con proprio uno strano sguardo strano sguardo boh chissà che significa boh io non ne ho la minima idea eh svegliare Chekaril beh in bocca al lupo no lo dovrei svegliare io alla faccia ma come ci riuscirò eh io non ne ho la minima idea magari se lei mi aiutasse io…no non ha la faccia di una che aiuta ora ha in mano proprio strane cose chissà che roba è io non lo so non lo so però non mi piace non mi piace proprio eh e per non piacere a me vuol dire che sono fuori da ogni canone estetico. Ehi ma io non accetto nessun ordine da nessuno ma sei proprio una dispotica cattiva però peccato sei così carina. Va beh se mi guardi così forse un favore te lo faccio dai mi sembri quasi implorare su va beh anche se la vedo difficile svegliare Chekaril è un bel casino. Ehi, ma come si chiamava? Liam o Flanner? Chi era Liam e chi Flanner? Boh io non me lo ricordo quasi più. Accidenti accidenti…vediamo… va beh, pazienza, lo scuoto e così rimediamo a tutto. Muoviti ameba in forma di elfo muoviti alga dalle orecchie a punta su svegliati e apri quegli occhietti a cuoricino che hai su forza muoviti tu Guaritore dei miei stivali e apri quegli occhi non mi costringere a fare cose di cui potresti lamentarti ma che stai borbottando no tesoro io non sono Miobashin non sono la tua amata elfa sono Machin e sono molto più bello oh ma no non mettermi le mani addosso idiota che non sei altri muoviti io non sono la tua compagna accidentaccio a me ora lo prendo per le orecchie e lo trascino fuori da questo diavolo di letto ma tu guarda borbotta e si sta girando pure dall’altra parte! Eh no. Questo no. Ma come farà quando di notte c’è un’emergenza, gli suonano una tromba nell’orecchio? O un bastone in testa? Io non ho nessuno dei due, che devo fare, farti prendere a testate il muro? Muoviti, idiota c’è Hypia qui! Ah, ecco. Ecco, apre gli occhi. Benvenuto sulla terra. Bentornato. Dimmi un po’, da come mi guardi penso che tu abbia lasciato i senno nel mondo dei sogni ma ti devi svegliare c’è Hypia che me l’ha detto. Ah, ma tu guarda mi guarda e non capisce. Che idiota è peggio di un cane scemo. Ah, povero me, con chi mi è toccato andare in giro per i quattro angoli del Regno. Guardo Hypia accidenti non sembra avere pazienza come al solito sembra proprio nervosa. Ah no, basta devo andare veloce. Oh, la mano si è mossa da sola. Oh cavolo. Machin lasciatelo dire sei uno scemo. Hai schiaffeggiato tuo cugino. Schiaffeggiato Chekaril che dormiva. A questo punto vai nell’armadio di Roxen e strappale tutti i vestiti mandandole un biglietto con un lembo di ciascuno ed ottieni lo stesso effetto. Forse non è stata un’ottima idea dare uno schiaffo a Chekaril. no, proprio no. machin, lasciami dire che sei un idiota proprio. Ora mi ammazza. Sto assistendo ad un incredibile spettacolo di risveglio di un morto. Sta risorgendo dalla tomba, accidenti, ruggito e gorgoglio incluso. E si alza, finalmente! Oh oh, levati da qui che questo ti attacca no non è stata per niente una buona idea Chekaril arrabbiato non è mai molto simpatico. Mamma che faccia che ha. “c’è Hypia! C’è Hypia qui!”. No, non l’ho fatto apposta non volevo svegliarti così davvero ti amo Chekaril davvero ma tanto ma non mi fare male io sono piccolo io sono un innocente piccolo elfo. Ecco mettiamo le mani avanti così magari si ferma e non mi guarda con quella faccia assassina. Ma io che ho fatto di male? Niente, io obbedisco sempre io sono un bravo bambino. Ecco, guarda, ora si guarda attorno e non mi sembra poi così tanto arrabbiato. Accidenti che brutta faccia ha Hypia. Sembra sempre più piena di fretta. Un altro po’ e piange guarda. Guarda, non fa nemmeno parlare Chekaril e si mette un dito davanti la bocca. Chissà che vuole. Chissà perché è qui con noi. Che silenzio che è sceso. Non mi piace questo silenzio mi sa di brutto. Hypia mi sembra zia Lalla quando c’è qualcosa che non va e lei ci deve dire qualcosa di cattivo, una brutta notizia. Ecco, è uguale. Guarda, si torce pure le mani come lei. Chekaril ecco, ha una faccia normale ora. Deve aver visto qualcosa di strano in Hypia. È così calmo, ora, è tutto così calmo. Non mi piace, c’è qualcosa che non va però non capisco cosa. Spero solo non quel fatto del complotto. Se noi ci finiamo in mezzo io quella la ammazzo. “prendete questi”. Che voce di tomba, complimenti. Mh, ma cos’è che mi ha buttato? Che ho preso? È morbido e duro, sembra un mantello…è un mantello infatti. Bello, forte. È tutto nero, sembreremo ombre al buio. Che strano. Perché ce l’ha dato? Non capisco. E…oh, tu guarda. Un coltello. Abbiamo una cintura con un coltello e un fodero. Che strano… che strana arma. Bella, però. Io e Chekaril ne abbiamo una uguale solo che sono sicuro che lui mica la sa usare no. Un altro po’ è lunga quanto il mio braccio solo la lama, è quasi uno spadino, però è forte. Mi piace. Ha la lama tutta disegnata ed è curva che sembra una fiamma. E poi l’impugnatura è nera. Forte! Un’arma da assassino. Sono un assassino, fortissimo! Beh, però…che strano. C’è qualcosa che non va l’ho già detto, però credo che debba tenerlo bene in mente. Insomma, lei sa che noi siamo Guaritori. E perché ci ha dato questa roba? Non capisco proprio. Guardo Chekaril e lui ha la stessa faccia mia. Hypia è infelice, è proprio tanto infelice. No, non capisco. “che succede, Hypia?”. Già, Chekaril, questa è la domanda giusta. Perché ci ha regalato queste cose? E perché…oh no. No  ti prego tesoro, no. Mi fa male quando piangi. No, non farti uscire quelle lacrimucce, no, commuovi anche me. Sigh. Che tristezza che mi fai. Come sei triste, seppiolina mia, e a me mica piace. Come è brutto. No, dai, non piangere. Su, ora ti vengo a consolare e tutto finisce perché io sono un mago nel consolare gli altri e la mia presenza guarisce da ogni male. Ehi, ingrata, e mi guarda pure male perché ho fatto un passo perché le volevo andare a consolare! Ma va’ nella spazzatura va’ e fatti una casa dentro! Ma tu guarda. Tsk. Sono offeso, e molto. Col cavolo che ti consolo. Col cavolo. Ma tu guarda. Ingrata. Ti odio, perfetto. Ora la odio. Ma tu guardala come si asciuga le lacrime e ci guarda con quegli occhioni falsi. “dovete andare via, subito”. Cosa? Ma stai scherzando? Andare via? Via? Via? Via? Oh beh! Evviva! E questa è una cattiva notizia? Tu questa la chiami una cattiva notizia? Tesoro, io ti bacerei qui ed ora, ti sposerei se esistesse il matrimonio come tra gli umani! Insomma, A casa, a casa! A dormire in pace, a Kyradon, con gli altri! E cos’è questa faccia? Perché ci guardi così triste? Guarda Chekaril. Ha un sorriso che va da un orecchio all’altro. Sicuramente sta pensando a Miobashin. Però accidenti…  sei proprio scema, lasciatelo dire. Non è un orario decente questo. Potevi dircelo anche domani mattina, così eri anche più calma e non piangevi. Mi hai svegliato che io ho fatto un salto incredibile. Niente fretta, dunque. Ci hai fatti saltare, accidenti. “non potevi dircelo domani mattina?”. Mi dispiace che ho questa faccia brutta insomma potevo pure dormire tranquillo non è bello essere svegliati a quest’ora. Oh, che palle. Oh no dai su per favore non è decente fare così dai smettila coraggio. Ma guardala, piange di nuovo. A singhiozzi, ma ci rendiamo conto? Ma è questo decente? No, non mi fai tenerezza. Lo so che ti mancheremo però dai evita questi piagnistei a me non piace propri quando la gente piange ma su perché piangi ti prometto che rimarremo in contatto con te promesso davvero. Eh, Chekaril mi guarda pure storto. Ma io che ne sapevo che piangeva di nuovo? Che è così piagnucolona? Che noia. È proprio noiosa. Quasi quasi non mi piace più. Cioè, non che prima mi piacesse, piano, però ora non è nemmeno dotata di un po’ di fascino con quella faccia molle e rossa rossa. Insomma, a me non piacciono queste cose, solo la zia le può fare, la zia e forse Nilyan, ma gli altri no. Perché poi mi prendono in giro, che idioti. La credevo più intelligente questa Hypia. Tsk, infima creatura, inchinati di fronte all’incarnazione del sole! Vedi, ora tornerò a casa e dirò a zio Isnark che davvero esistono i draghi nelle caverne del Nord e che sono pur intelligenti me gli elfi che stanno con loro no tanto che ti svegliano di notte per dirti che puoi andare via. Oh, anche Chekaril si annoia con questi piagnistei. E fa pure segno di no. Eh, che palle. “non posso!”. Come non puoi? Ma allora sei sciocca? Vuoi vedere che ci ami davvero? Ma allora vieni con noi no? nella nostra compagnia mi farebbe tanto piacere un bel bocconcino come te. Lascia questi rettili a sangue freddo e unisciti con noi, viaggia con noi che poi noi siamo anche simpatici non credi? Altrimenti non ti mancheremo così. Oh si, ora mi sentirò elogiare in ogni modo possibile. Sono coraggiosamente pronto ad ogni elogio. Io lo so, incanto tutti con il mio fascino assoluto. “mi piacerebbe lasciarvi dormire, ma se lo faccio voi domani mattina morirete!”.  Eh? Dannazione, dannazione. Machin, ricordati di respirare. Oh, questo raffredda un po’ la serata. Ehhhh… insomma….no, questa non l’ho capita. Per domani? Morire? Oh. Che silenzio che è sceso. Sento un po’ freddo. Ci trattano così…e poi… morti. Ci uccidono. È questo che dobbiamo fare qui? Non ci credo. No, non ci credo. Morire? Ma noi che abbiamo fatto di male? Cioè siamo stati fregati da dei cretini di umani e poi? No, non capisco. Io non posso morire, ma ci rendiamo conto? Uccidere me? Ma io sono troppo bello non avrebbero mai il coraggio di farlo intendiamoci bene! Ma io lo dicevo che c’era qualcosa di strano, io lo dicevo sempre, era l’altro me che si fidava. In fondo questi draghi sono un’altra razza non si può mai sapere. E nessuno ce lo diceva? Allora si io voglio un bene da matti ad Hypia. Insomma, io non voglio morire io sono troppo giovane e troppo carino per morire. Ma allora via via via via! Subito immediatamente cosa aspettiamo? Andremo via subito davvero ed io qui non ci metto più piede l’alloggio è stato straordinario e anche il vitto ma io non ci tengo a pagare, è un po’ esoso come prezzo me ne vado di soppiatto grazie per il soggiorno! Ma allora Hypia io ti amo davvero ci stai salvando! Ti amo! Ma questi sono pazzi! Ma sono pazzi sul serio! Tutti tranne te, io l’ho sempre saputo che tu seri la migliore! Morire? Noi? Io? Machin Tijorn morto? No, tu non ti permetterai mai e poi mai. Morire? E perché poi ci trattavano così bene? allora proprio i draghi non stanno bene. E gli ambasciatori stranieri che fine farebbero? Gli danno un trono ed una corona? Mah, che strano. Però…ehhh, non so. Non so però la faccia di Hypia proprio non mi piace. È disperata. Ma che rabbia! Dircelo all’ultimo momento eh? Ma grazie. Non ci potevi fare fuggire prima? Magari appena siamo arrivati ci lasciavi andare? Qualcosa di più intelligente no eh? Idiota!  Accidenti, mi tremano le gambe. No, io non voglio morire. Non dev’essere poi così bello morire proprio no. Non voglio fare la stessa fine dei miei genitori. Mi piacerebbe vedere mamma e papà ma sicuramente non in quel modo. Accidenti Chekaril com’è bianco. Ma lo devo essere pure io. Non è una bella notizia. In questo caso…fuggiamo, no? e chissenefrega di tutti i nostri oggetti e qualcosa d’altro siamo vestiti e tanto importa andate tutti a quel paese io vado via poi se tu vuoi rimanere prego. Ecco, sto deglutendo e ciò vuol dire che tra poco mi metto a piangere o non siamo ridicoli Machin. Tra poco mi metterò ad urlare e ciò va meglio. “morti?”. Che domanda brillante, Chekaril. Davvero. Sei un genio io l’ho sempre detto. Io intanto mi metto già il mantello, casomai fuggiamo in fretta perché sono più intelligente di te questo è sicuro. Via, in fretta. Vedi, io sono intelligente tu no. È troppo lungo per me accidenti davvero. Mi nasconde tutto. Ma forse è proprio per questo. È meglio che sotto mantengo questi abiti qui. Sono caldi. Ecco, sento troppo caldo ma non fa niente. Quando sarò fuori se sarò fuori farà molto freddo. Accidenti. Io non voglio morire. Sono troppo giovane. Troppo carino. E grazie però. Poteva dircelo prima. Ecco, mi sono pure allacciato la cintura con lo spadino ed è tutto a posto. Chekaril è ancora imbambolato come un cretino Vedi, Hypia annuisce. Ora capisco perché piange. Piangerei anch’io. Ma io ti amo, tu lo devi sapere. Ci stai salvando la vita. Magari te ne vieni pure con noi. Che bella prospettiva. Mi piaci, tesoro. Mi piaci molto. Chi mi salva la vita è in debito con me, di certo.“prendete tutto, in fretta. Non c’è tempo! Vi spiego strada facendo. Dovete andarvene di qui, subito!”. E grazie, tesoro. Di corsa che me ne vado!

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Capitolo 46
*** Il valore della compagnia. ***


Devo dire la verità, confutai quasi immediatamente la domanda che mi ero fatta

Devo dire la verità, confutai quasi immediatamente la domanda che mi ero fatta. No, non ero esattamente diventata una dama troppo sensibile. No, proprio no. Potevo fare concorrenza ad una belva arrabbiata o a Roxen. Ora capivo da chi avesse preso. Me ne accorsi quando cercai di liberarmi da due amici molto buoni in modo non proprio gentile. Ma poi la disperazione prese il sopravvento. Ma io mi domandavo, perché, accidenti a me ed al mondo intero, perché dovevo sempre ficcarmi in guai troppo grossi di me? Ma perché Isnark non si era stato fermo con le mani? Doveva sempre fare le cose di nascosto lui. Non si fidava mai! Cosa credeva, che io fossi ancora Ombra, o non si era accorto che ero leggermente cambiata? La sua vita era fatta di calcoli complessi oppure lui provava almeno un po’ di affetto, non chiedevo tanto, per l’elfa che anche per farsi perdonare da lui si era legata ad un regno con cui non aveva mai avuto a che fare, e che, tra l’altro, gli obbediva anche quando non era tenuta a farlo, perché a differenza sua, probabilmente, io avevo finito per affezionarmi al padre di mia nipote.  Bella sorpresa che mi aveva fatto! Ed io che credevo che sarebbe stata una missione da nulla! Ma si rendeva conto di quello, Isnark? Mi aveva gettata in un branco di lupi affamati, ed avevo come corazza una camicia da notte e come arma un sassolino. Ma si rendeva conto di quello che aveva fatto? Ma cosa aveva in mente? E mi aveva pure permesso di portare sua figlia, la sua amatissima Nilyan, ciò che gli rimaneva di Nemys! Lui, che sapeva assolutamente tutto di Lilliagrin, che si poteva permettere di minacciarla in quel modo! Ma cosa, era pazzo? Come aveva potuto? Allora non amava davvero la sua bambina, allora era tutta finzione? In che razza di mostro si era trasformato dopo la morte della compagna? Era rimasto così selvaggiamente colpito da quel lutto da non riuscire più a difendersi? Era finito come Lainay? La prospettiva mi atterriva, e molto. Se era così, ero costretta, e sul serio, ad intervenire. Non avrei mai e poi mai voluto farlo, fosse stato per me sarei sparita e basta, ma ero Ch’argon, ed al solo pensiero che qualcosa in Uruk non andava il braccio su cui mi ero inflitta quelle ferite antiche formicolava. E allora avrei dovuto ribellarmi ad ogni imposizione ed andare a fare quello che dovevo fare. Uccidere Isnark e mettere Nilyan sul trono. La catastrofe affettiva che ne sarebbe derivata sarebbe stata terribile, e cercai di non pensarvi o avrei finito per stare troppo male. Ma era impossibile. Su, pensando logicamente, è possibile che nessuno si accorga di un cambiamento così radicale? D’accordo che io non ero esattamente sveglia, e anche se stavo appresso a quell’idiota ed a sua figlia da tempo immemorabile potevo non essermi accorta di niente, ma esistevano persone molto più acute di me che con il sovrano di Uruk passavano molto più tempo. Benagi? Zipherias, o Capouille, lui, che era estremamente sensibile agli sbalzi d’umore altrui, e fin troppo ricettivo? Nessuno? Isnark era stato così astuto da far cascare tutti in una rete troppo complessa? O stavo diventando paranoica? Forse c’era qualcosa che non sapevo? Qualcos’altro? Ancora? Su, Isnark non mi era mai sembrato una creatura senza cuore. Si era notevolmente incupito dalla morte della compagna, non era più quell’elfo un po’ ingenuo in cerca di vendetta che avevo conosciuto un tempo, verissimo. Però bastava vederlo in compagnia di Nilyan per vedergli gli occhi scintillare dalla gioia. Mi bastava ricordarlo ai tempi della prima crisi di sua figlia, di come avesse sofferto, mi bastava rammentare anche solo il giorno in cui l’avevo visto seduto in mezzo ad oggetti appartenuti a Nemys spuntati da chissà dove, così sconfortato che ero intervenuta, tantissimi altri episodi come quello e non potevo assolutamente reputarlo una creatura senza sentimenti. Paragonarlo a Lainay era una follia. Ma allora? Perché? Perché mi aveva  gettata in quel guaio senza dirmi nulla, approfittando della mia sostanziale fiducia in lui? Perché aveva permesso al suo tesoro di venire con me? Lui lo sapeva, altroché, ne ero perfettamente convinta, sapeva che le sue parole contenevano la forza di un uragano. Praticamente ci aveva donati alla regina di Fiya su un piatto d’argento. Era stato lui a dare l’idea a Lilliagrin di mandare qualcuno di noi, forse magari una Ch’argon su cui mettere sempre l’accento e descriverla, strano, molto strano, ed era stata sua l’idea di far prendere a Lilliagrin sua figlia prigioniera. No, c’era qualcosa che non andava. Altri segreti. Accidenti come odiavo quelle cose! Ma cosa costava sprecare una parola, anche una sola, per dirmi che qualcuno stava tentando di fregarci? Ma chi, soprattutto? Mah, Isnark era tutto strano. Se fossi tornata io e lui ne avremmo parlato. Era un problema troppo grosso per essere ignorato. Ma ora ne dovevo parlare con i miei due amici. Almeno forse loro si erano resi conto di qualcosa. Forse loro erano stati più intelligenti di me. Più acuti di me. Non ci voleva tanto. Cercai di calmarmi, di rispondere almeno ad una delle domande ansiose che mi sentivo rivolte, ma non riuscivo mai nel mio intento. Mai.  Riuscii solo ad appoggiarmi alla spalla di qualcuno, non capivo nemmeno chi, e sfogare le lacrime di rabbia che avevo represse per tutto quel tempo, per quei giorni. Io non ce la facevo più. Ma accidenti, mi volevano male. Quale parte del voglio vivere una vita tranquilla era stata fraintesa? Chi aveva capito una cosa per un’altra? Ah, maledetto il caso che mi aveva fatto nascere Spia. Maledetta me, che ero caduta nelle trappola che mi avevano teso in tutta la mia vita. Ero stupida. Proprio stupida. Non sarei cambiata mai mai mai e poi mai. Dopo un po’ di tempo passato ad commiserarmi così ridicolamente, beh, almeno così la penso a posteriori, riuscii a darmi dell’idiota in modo così convincente da calmarmi. Tirai per un po’ su col naso, ma poi fui in grado di guardare Capouille e Zipherias in modo decente, senza farmi prendere da sbalzi d’umore improvvisi. Cari, carissimi elfi. Se non ci fossero stati loro, come  e dove sarei andata a finire? Dopo la morte di Tijorn chi, oltre loro, poteva sopportarmi? Tanto valeva sparire dalla faccia delle terra, o confessare a tutti quello che avevo fatto, specialmente a certe persone care che di me non sapevano nulla. Loro, invece, erano preoccupati. Tanto. Dovevano avermi trascinata sulla panchina e avevano cercato di consolarmi con tutte le parole che venivano loro in mente. Ma io lo vedevo, erano sconvolti e parecchio allarmati, anche se cercavano di dissimulare il loro sconcerto. Non doveva avere parecchio senso quello che io stavo dicendo loro. Io parto. Si poteva intendere in mille modi. Sicuramente non avevano la minima idea di quello che ci si prospettava. Per loro, fino a pochissimo tempo prima sconosciuto. Poteva significare che li avrei abbandonati per sempre, che avevo una missione pericolosa da fare, quest’ultima ipotesi non tanto lontana dalla verità, oppure che li avrei lasciati perché non mi sopportavo più, oppure che c’era altro che non andava. Capouille era parecchio teso, molto probabilmente innervosito dalla mia reazione, ed aveva le labbra tese come sempre quando era ad un passo dall’esplodere per qualche motivo. Zipherias mi sembrava tutto sommato calmo, ma non me la dava a bere. Sapevo di averlo più o meno sconvolto. Deglutii. Eco, dovevo spiegarmi. Non potevo tenerli così sulle spine. “avete per caso notato qualcosa di strano in Isnark negli ultimi tempi?”. Bella domanda con cui avevo iniziato. Ma dovevo farla. Mi premeva tropo. Ero sicura che, in condizioni normali, il sovrano di Uruk non ci avrebbe messo in quel guaio assurdo, non ci avrebbe di sicuro costretti ad un viaggio fuori programma in un luogo che non conoscevamo e che io temevo. O forse no? non potevo esserne sicura. Il mio amico mi spaventava dopo tutto quello che era successo. Mi doveva fin troppe spiegazioni. Vidi i miei due cari elfi guardarsi, completamente perplessi, e poi guardare me, interdetti. Zipherias si strinse nelle spalle, scuotendo il capo, mentre Capouille, dopo una pausa, mi chiese il perché. Ed allora i digrignai i denti, sentendo riaffiorare un po’ di quel dolore che ero riuscita a dominare fino a quel momento. “perché il vostro sovrano è un idiota, ecco perché”. Ringhiai, guardando avanti a me. Rimasi per un altro po’ in silenzio, ruminando la mia rabbia per lui, per Lilliagrin, per il mondo intero, per me, per quel viaggio, per i segreti  troppo importanti per essere segreti, e sputai un paio di bestemmie. Maledizione. I miei due amici rimasero in silenzio. Sapevano che in certe situazioni era meglio lasciarmi stare e farmi sbollire la rabbia. Dopo un po’, riuscii a raccogliere in modo sufficiente le idee. Cominciai a parlare. Nessuno riuscì più a fermarmi. Nemmeno io mi sentivo capace di bloccare quel flusso rabbioso e doloroso di parole, nascoste per giorni, che ora riuscivano a trovare uno sfogo. Finalmente. Dissi tutto. Non tenni nascosto nulla. Non ne avevo più la forza. Nemmeno il fatto di avere una paura, terrore, più che altro, immensa dell’acqua, e di non riuscire a concepire un lungo viaggio a mare, tanto che strappai a Capouille un’esclamazione soffocata di stupore, che gli valse una gomitata da parte di Zipherias ed un’occhiata di fuoco da parte mia, che lo fece diventare piccino piccino.  Raccontai loro del motivo per cui Lilliagrin ci aveva imprigionati, del perché di quel trattamento barbaro, cosa che provocò un silenzio tombale, bestemmiai un po’ contro Isnark,  mi lamentai perché non mi sentivo abbastanza presa sul serio, accidenti, descrissi anche accuratamente quelle maledette tazzine a motivi floreali che mi perseguitavano, e anche il fatto che Nilyan era al sicuro con Ellyn! Anche il fatto che avevo rubato una statuina! In poche parole, confessai. Confessai tutto, come non avevo mai fatto con i miei due cari amici. Parlai, senza fermarmi, chissà per quanto. Mi fece bene. dopo un po’, fu come se avessi esaurito tutto, tutte le forze, tutta la rabbia, tutte le parole. Tutto. Non c’era più niente da dire. E mi sentii piena di vergogna. Accidenti, avevo detto un mucchio di cose stupide. Ma non potevo più andare indietro. Non potevo più tornare e rimangiarmi tutto come se niente fosse stato. Dovevo averli sconvolti, quasi. Mi sentii arrossire, e guardai timidamente i miei amici. Loro stavano in silenzio, pietrificati, e non mi guardavano. Dovevo aver detto troppe cose in poco tempo. Non era facile accettare notizie che avevano richiesto, almeno a me, esempio non brillante di razza elfica, quasi una settimana. Però era bello. Era meravigliosa, quella sensazione di vuoto assoluto, quel rendersi conto di aver detto tutto quello che c’era da dire. Rendeva quel peso che mi portavo dietro più leggero. Condivisione: gran bella cosa. Chissà chi era stato il genio da inventarla. Empatia. Se non altro, mi sentivo meglio. non mi piaceva l’idea di aver messo un sacco di pensieri in testa ai miei amici, però era necessario. Non avrei mai potuto cominciare con Nilyan o Roxen. Sarebbe stato peggio. Avevo in quel momento degli alleati: non sarebbe stato difficile parlarne alla ragazze, almeno, non quanto era stato parlare con loro. Sentii un’ondata di gratitudine verso quei due grandissimi elfi. Non mi avevano criticata. Erano rimasti ad ascoltare in silenzio, senza obiettare. Ora, però… si presentava un altro problema. Io avevo confessato loro che qualcuno mi avrebbe dovuta seguire, o altrimenti i miei compagni sarebbero stati umani, ed io non riuscivo a stare troppo con la maggioranza degli umani, troppo chiassosi ed ingenui. Ma…avevano capito? Insomma, avevano capito che stavo chiedendo loro si seguirmi fedelmente come due cagnolini da guardia? Non lo sapevo. E quell’attesa mi caricava di ansietà. Scrutai i loro volti, ansiosa. Quello di Zipherias era quasi impassibile, come sempre. Invidiai la sua capacità di controllarsi nelle situazioni più gravi. Capouille, invece, era nervoso. I suoi occhi verdi saettavano di qua e di là, e lui si umettava le labbra, inquieto. Feci per parlare. Ma fu il mio stesso amico dai capelli rossi a bloccarmi con un gesto. Io attesi. Non potevo fare altro. Ero…svuotata. Non riuscivo a provare niente. Niente, se non aspettativa. Sarei parsa un po’ arida, ma nulla mi avrebbe impedito ora di andare in fondo. Avevo cominciato, e non potevo smettere. Era troppo dolce, il gesto egoista di lasciarsi andare, di scaricare su altrui spalle un orribile fardello. Era arrivato il momento della verità. Ed io non volevo che andasse sprecato. Potevo aspettare che loro digerissero la quantità enorme di informazioni che avevo fornito. Ero una grandissima calcolatrice, e me ne vergognai pazzamente, ma non potevo farne a meno. Mi ero fatta i miei scrupoli, era già abbastanza aver sofferto per tutto quel tempo. Non potevo fare la martire, non era per niente nel mio carattere. Avevo troppo bisogno di loro. deglutii. Ero un po’ nervosa. Dovevo stare ferma e padrona della situazione. In ballo c’era il mio prossimo futuro. Che strano. Vediamola dal lato positivo: avevo almeno piani per le vacanze. Anche se proprio non mi sembravano tali, ma pazienza. Dopo un po’, Zipherias mi guardò, stranamente calmo. Ma vidi un certo lampo di freddezza attraversargli gli occhi. Quello sguardo ebbe il potere di farmi sentire una bambina di fronte ad un genitore cattivo. Rabbrividii, poi fui afferrata dal fastidio. Ehi, ma come si permetteva? Chi era per guardarmi così? Ma guardasse così la sua compagna e non me, per favore. Risposi a quello sguardo con ira, prima di rendermi conto che quel gesto poteva costarmi caro. Tramutai quindi il mio sguardo odioso in uno conciliante. Amore e pace, Lsyn. Amore e pace e bene. respirai a fondo. Ecco, ora potevo amare tutte le creature del mondo di un amore casto e puro. Zipherias mi guardò in modo strano. “quindi Atlantis esiste davvero?”. Mi domandò, con una strana voce, che per un attimo mi parve leggermente tremante. Il mio amico tradì per un attimo il suo sconcerto, con un’espressione che mi ricordava quando voleva scusarsi con me. Mi sentii tremendamente in colpa. Li stavo mettendo al corrente di grandi segreti. Beh, non potevo tenere tutto per me. Il senso di colpa scomparve, con mio enorme sollievo. Annuii quindi con solennità, e vidi tutta una serie di espressioni indecifrabili apparire sul volto del mio amico, che annuì in risposta. “ah”. Passammo un altro po’ di tempo a guardare il nulla. Io non ebbi più il coraggio di guardare nessuno dei due. Non quando non mi parlavano. Accidenti, che idiota che ero. Il senso di colpa ritornò, molto più forte di prima. Capouille sospirò. Il silenzio si fece più teso, e denso. Ecco, ecco che arriva. La definitiva confessione. Guardai il mio amico dai capelli rossi. Guardava oltre la mia spalla, forse Zipherias, ed aveva ancora le labbra tese. Quando però si accorse che lo osservavo, mi guardò e sorrise. Un sorriso molto strano. Non riuscii a decifrare nemmeno quello. “se c’è una cosa che non capisco, Lsyn…”. Mi disse, senza incespicare nemmeno una volta. Ahi. Brutto segno. Voleva dire che o era arrabbiato o stava pensando a qualcosa di parecchio importante, che assorbiva lo stato di agitazione perenne in cui viveva, il suo mondo sempre febbricitante. C’era qualcosa di molto importante. Doveva aver capito qualcosa o tutto. Non tutti erano scemi come me. “perché non ne hai parlato di fronte a tutti?”. Per un attimo, lo vidi evitare il mio sguardo, e guardare di nuovo  oltre la mia spalla. Man mano che proseguiva, la sua calma si sgretolò in mille pezzi. Rassicurata, vidi affiorare di nuovo il mio solito amico confuso. Bene, la cosa non era così grave. Non era troppo arrabbiato, comunque. O troppo preso dalle sue riflessioni.  “cioè…beh, insomma io… p-perché tu… i-i-insomma, sce-sce-scegliere no-no-no…”. Sobbalzai quando sentii qualcuno posarmi un braccio sulle spalle, ed un viso accanto al mio orecchio, poi vidi, con la coda dell’occhio, delle treccine. Zipherias era arrivato in soccorso dell’amico sempre più impantanato nelle sue stesse parole, completamente incapace di proseguire, reso tale dal nervosismo, forse, quel povero Capouille che parlava con voce sempre più acuta, e sempre più rosso. Il mio amico si zittì, grato. Quel gesto, però, ebbe il potere di inquietarmi ancora di più. Qualcosa decisamente non andava. Quei due avevano capito, altroché se avevano capito. Non erano per niente stupidi. Mi rilassai. Da come si stavano comportando non sembravano così irritati. Il mio amico non mi avrebbe toccata. C’era qualcosa di incredibilmente bello in quell’abbraccio così delicato. Mi piaceva. Mi rassicurava. Lui c’era. Sempre. “quello che  ti volevamo dire…”. Sussurrò lui, abbastanza vicino al mio orecchio, un sussurro accogliente, rassicurante. Quasi scherzoso. Bene. mi piaceva il modo in cui stavano prendendo la notizia. Andate a morte con gran classe, complimenti. Al posto loro io avrei strepitato stupidaggini varie. Molto egoista da parte mia. Ma questo si sapeva già. “è che non è normale per te questo comportamento”. Zipherias ridacchiò debolmente, sarcastico, una risata a cui fece eco lo squittio nervoso di Capouille. Bene, lui era tornato normale. Potevo dunque sperare in un perdono, un’accettazione, insomma, un modo per non fare fallire il mio piano. “portarci qui di nascosto…non dirlo a Nilyan…come mai quest’improvvisa prudenza?”. Mi sentii arrossire tremendamente, e Zipherias ridacchiò ancora di più. La stretta sulle mia spalle si fece più salda, come ad evitare che io mi divincolassi. Ma io non ne avevo la minima intenzione. Tutto quello mi piaceva. Era bello avere degli amici come lui…loro. Già, loro. MI ricordavano tanto Tijorn…no. Non dovevo pensare a lui. Era meglio di no. Lui non c’era più, e non poteva tormentarmi. Non risposi. Quella era senza dubbio una domanda retorica. Tuttavia mi sentii invadere dalla vergogna. Oh, che tesori che mi erano capitati. Non potevo chiedere loro di fare quella cosa per me. Era troppo. “non posso chiedervi di fare niente”. Mi sentii mormorare, senza averlo voluto. Era vero. Mi sentii sollevata dall’averlo detto. Quel senso di colpa stava diventando oppressivo. Non ero capace di fare l’arrivista senza scrupoli. Non potevo. “non sono nelle condizioni di poterlo fare”. Una risata, profonda e pastosa, del mio enorme amico. Poi un’altra, più nervosa, più acuta, che sembrava che mi prendesse in giro, dalla parte di Capouille. Fui io a farmi piccola piccola. Fu il mio turno di sentirmi un’idiota. Si, perché quelle risate amichevoli mi suonavano strane. Avevano un suono strano. Definitivo, non saprei spiegarlo altrimenti. Avevano un sapore di decisione già presa, in comune accordo, che io non avevo percepito prima. Mi sentii saltare il cuore in gola. Quale decisione? Cosa avrebbero deciso? Cercai di liberarmi dall’abbracci odi Zipherias. Non vi riuscii. Cominciai a sentirmi un po’ minacciata. Ora erano loro a trattenere me. Bizzarra inversione di ruoli. “oh ma tu l’hai fatto!”. L’esclamazione di Zipherias mi arrivò come un colpo di fionda alle orecchie. Eh si. Ora la sensazione di essere presa in giro si era fatta molto, molto più forte. Sentii le guance andare in fiamme. Ero proprio idiota. Come sempre, svelavo il mio trucco prima ancora di incominciare. Il cuore cominciò a battermi più forte di prima. Loro avevano capito. Chissà che decisione avevano preso. Non osai sollevare lo sguardo per guardarli. Non ce la facevo. Non ne avevo assolutamente il coraggio. “abbiamo capito perfettamente cosa ci vuoi dire. Sei piuttosto prevedibile quando parli”. E? quale sarebbe stata la loro risposta? La loro reazione? Ebbi voglia di guardarli e distogliere lo sguardo al tempo stesso. ma non riuscivo a fare nulla. Solo a fissare le mie scarpe. Il battito del mio cuore si fece più rapido. Mi mozzava il fiato. Un altro braccio andò ad aggiungersi a quello che mi teneva stretto. Dall’altro lato, sentii Capouille. Strano. Era strano sentirsi così…bah, amata. Protetta. Ero fortunata. Ero fortunata ad avere loro. se non ci fossero stati, la mia vita sarebbe stata diversa. No, non potevano avercela con me. In fondo non  avevo detto nulla di male. Ci fu un attimo di silenzio. Poi fu il mio amico dai capelli rossi a parlare. Non tentennò nemmeno una volta. “noi verremo con te”. Cosa? Cosa? Avevo sentito bene? avevano deciso? Mi avrebbero seguita? Sarebbero stati con me? Con me, per tutto quel viaggio? Sentii il mio livello di felicità schizzare ben oltre le stelle. Non più sola. Mai più sola. Sarei stata mesi lontana da casa. Ma ora era definitivo. Loro erano con me. Mi ritrovai a guardarli senza nemmeno rendermene conto, guardare i loro visi sorridenti. Mi avevano lasciata, senza fare opposizioni come prima. Vidi i loro volti sparire e riapparire, confondersi in mille colori. Accidenti, vecchia piagnucolona che ero. Allegra, proprio. Ma…ero troppo contenta. Capouille continuò, mentre il suo sorriso si allargava. “verremo con te”. La sua voce era stranamente morbida, indecifrabile come raramente gli accadeva. Aveva anche uno strano sguardo. Lo stesso di Zipherias, in un senso. “non importa che è un lungo viaggio, ma almeno non sarai sola. Potrai sempre contare su di noi. Siamo sempre i tuoi amici no?”. Oh. Mi avrebbero seguita. Non sarei stata più sola.  Era...inconcepibile, pensarlo. Galleggiavo sulle nuvole. Mi ritrovai ad abbracciarli senza nemmeno ricordare come , ringraziandoli senza posa. Loro ricambiarono il mio abbraccio. No, quanto mi ero sbagliata. Io non ero sola. Non ero sola dopo la morte di Tijorn. C’era qualcuno con me. C’erano loro. loro erano miei amici. Com’era strano. Allora gli amici erano come i fratelli? Come…no, non sapevo come definirlo. Io non avevo mai avuto un amico. Mai, in vita mia. Mai. E ora…loro. Uno dei più grandi tesori della mia vita. Saremmo stati insieme. Mi avrebbero consolata quando avrei avuto paura, in nave, cosa che non dubitavo che sarebbe accaduta? Che strano. Un’avventura insieme. E loro si ci stavano buttando dentro. Che anime coraggiose. Ora…beh, mi sentivo come se mi avessero tolto tutto il peso dalle spalle, e preso allegramente a calci. Perché non ero più sola. Potevo fidarmi, almeno un po’, di loro. Certo, non sarei andata a dire loro di aver amato un essere odioso come Chekaril padre e che Roxen era nostra figlia, né che avevo ammazzato a colpi di spada lui e sua moglie, ma bastava così. quelli erano segreti troppo pericolosi e troppo grandi, e mi bastava quello. Dopo un po’ che stavo abbracciata con loro, sentii il bisogno di andare a fare una passeggiata. Avevo bisogno di stare un po’ sola. Bello o non bello, dovevo riflettere su quello che era accaduto. Ero troppo sulle nuvole. Dovevo calmarmi un po’. Mi staccai dunque dai miei amici, e li guardai. Zipherias raggiante per chissà quale motivo, Capouille evidentemente sollevato. “voi andate dentro?”. Li vidi annuire, sorridenti. Sorrisi anch’io. In fondo era quello che si meritavano. Oh, come li amavo. Non credevo che anche gli amici si potessero volere bene in quel modo. Era strano. Non era qualcosa che riuscivo a capire. Non lo riuscivo a definire. Mi divincolai dal loro abbraccio, e mi alzai. Bene, ora era abbastanza. Un po’ quelle effusioni mi soffocavano. Non ero abituata. Non dopo Tijorn. Non volevo essere coccolata e finire per pensare a lui, a come era sempre appiccicoso quando qualcosa non andava per il verso giusto. Loro mi lasciarono andare. Sapevano bene quando smettere, per non guastare la mia e la loro felicità. Li guardai, al settimo cielo. Avevo una compagnia. Non sarei stata più sola. Dovevo assolutamente avvertire Lilliagrin. L’avrei fatto ben presto. Poi bisognava avvertire Roxen e Nilyan. Ma quello non sarebbe stato molto difficile. Eravamo in tre. “io allora vado a farmi un giro”. Ne avevo bisogno. Avevo bisogno di gongolare un po’ da sola. Il mio metodo di persuasione faceva schifo, però almeno avevo avuto quello che desideravo. Compagnia. Loro annuirono di nuovo. Mi allontanai, quindi, salutandoli piena di felicità, senza una meta precisa. Camminavo senza sapere dove andare, ma mi bastava così, non avevo pretese né pensieri gravosi in testa. Era bello, il mondo era bello. Ero felice. Per una volta in vita mia, ero felice. Assurdamente felice.

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Capitolo 47
*** Le buone vecchie abitudini. ***


Ubriaca di felicità

Perdonooooooo ç___ç

Perdonatemi per quest’imperdonabile assenza. Il pc non partiva. Ho avuto un bel po’ di guai in questi gironi ç_ç mi scuso per il terrificante ritardo!!

Beh, a presto allora ^^ e scusatemi ancora ç_ç spero di farmi perdonare con questo capitolo!

Beh, a domani ^^

Akita

 

 

 

Ubriaca di felicità. Non so descrivere altrimenti quello che provavo, allegramente a zonzo per il giardino reale, senza nemmeno rendermi conto di dove stessi andando. Era una strana sensazione, quella di essere così felice, quella di aspettarsi un futuro non solitario, segnato magari da un viaggio che avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche su di me e su degli innocenti. Era pochissimo, magari un umano viziato non avrebbe per niente capito l’ebbrezza che provavo in quel momento, ma per me era troppo. Bisogna pure capirmi: non provavo una gioia simile…da…beh, da prima che morisse Tijorn. Forse ero stata così, con quel sorriso di cui non mi rendevo nemmeno conto sulle labbra, quando lui mi aveva detto che mi voleva ancora bene, nonostante tutto. Dopo di quello, si apriva un abisso. Poi c’erano state le responsabilità, cose per le quali mi sentivo troppo piccola, e non è bello tentare di risalire faticosamente una montagna scoscesa mantenendo persone che i sono già. Avvezza a torcermi le mani un giorno si e l’altro pure, quella sensazione mi giungeva così nuova che era come se non l’avessi mai provata. Non vi ero per niente abituata. Tutto quello che avevo passato prima apparteneva ad una vita ormai scivolata nell’oblio, perché né Ombra né Nanetta esistevano più. Vedevo quindi il mondo con occhi diversi, in un certo senso nuovi. Bello, passeggiare con quell’orribile senso di responsabilità alleviato. Perfetto, pensare che Capouille sarebbe stato con me, che Zipherias sarebbe stato con me, che…ah, viaggiavo al livello del cielo. Era una cosa piccolissima, ma bastava per sollevarmi lo spirito. Era una sensazione così antica da sembrarmi sconosciuta. Mi ero dimenticata cosa volesse dire quel tipo di felicità. Certo, riuscivo ad essere dolce con i miei piccini, allegra qualche volta, ma era un bel po’ di tempo che non brillavo per spensieratezza. Quell’esatto momento era una delle rare volte in cui mi potevo permettere di annullare la mia facoltà di pensare, e, devo proprio dirlo, il mio potere di deprimermi terribilmente. Avrei avuto compagnia. I miei amici sarebbero stati con me. Nilyan e Roxen al sicuro. Sarebbe stato molto duro dover parlar loro, dover annunciare una così brutta notizia, ma almeno c’era Ellyn. Mi sentivo al sicuro quando c’era quella ragazzina inesperta. Era abbastanza buona per rimanere calma di fronte gli sgarbi di mia figlia, abbastanza caparbia per domarla. Sveglia, in modo che fosse in sintonia con Nilyan. Dolce, perché per calmarla ci voleva qualcuno che la prendesse per il verso giusto. Era perfetta per il mio scopo, sebbene una ragazzina, o poco più, un po’ immatura. Mi preoccupava quel punto del carattere, ma poco. In fondo, mia figlia non si sarebbe mai approfittata della sua innocenza, perché, nonostante il suo caratteraccio, lei era una buona. Nilyan, beh, non credo che se ne sarebbe mai accorta, o forse, pur accorgendosene, non avrebbe dato tanto peso alla cosa. Essere cresciuta con Machin, un pazzoide con tutti i crismi, aiutava, molto, e aveva forgiato il suo carattere in un’ottima maniera. Per dirla breve, anche se se la fossero presa con me, cosa più che probabile, anche se non mi avessero parlato per un po’, ci sarebbe stata la principessa a fare ragionare quelle due teste dure. Chissà, forse, al mio ritorno, avrei trovato delle giovani elfe molto diverse. Più mature, magari. Per Roxen sarebbe stata proprio ora di darsi una bella regolata, e smetterla con i suoi capricci. Chi lo sapeva. Sicuramente mi sentivo più ottimista. Se ne bel mezzo di un’escursione, per esempio, fossi sparite, ci sarebbero stati Capouille e Zipherias per dare l’allarme. Lo stesso valeva per una miriade di varie situazioni che la mia attenzione classificava automaticamente come stupidità, mentre il buonsenso comune di cui chiaramente io ero sprovvista le riconosceva come possibilmente letali. Io ero un po’ stupidina, lo riconoscevo. Ma pazienza, pazienza davvero, quella volta. Non sarei stata sola, per una volta. Qualcuno mi avrebbe dato una mano. Ed io non potevo esserne più felice, davvero. Non mi era mai successo. Forse poter contare sugli altri non era una cosa così cattiva. Era dunque molto, molto distratta. Più che altro, non riuscivo a concentrarmi. Camminavo per inerzia, ma non sapevo dove i miei piedi mi stessero portando. Nella mia testa c’era solo il momento in cui mi avevano detto che mi avrebbero seguita. Tutti e due. Senza esitare. Senza costringerli. Sarebbero venuti con me. Con me, Lsyn Amarto. Si, era bella, quell’ebbrezza. Bello, il pensiero di non essere più sola. Straordinario, avere elfi come Capouille e Zipherias accanto. Davvero incredibile. Davvero stupendo. Nel mio giro senza senso, adocchiai un sasso in un bel punto fresco del giardino. Vi ero già stata lì. Era il piccolo laghetto circondato da alte canne palustri che avevo già visto con Zipherias. Strano essere arrivata, tra tanti posti, in quel bel luogo coperto e solitario, perfetto per nascondersi e stare un po’ in pace quando non si ha voglia di essere trovati, dove avevo passato tanto tempo con il mio amico a chiacchierare e dove avevo preso a sassate un povero sconosciuto rimasto, ahimè, fino a quel momento sconosciuto. Mi sedetti su quel comodo sasso piatto, e mi guardai intorno. Quell’ambiente sembrava sorridere con me. Strano come tutto cambi a seconda dell’umore. Che assoluta felicità. Così il mondo doveva andare. Finalmente qualcosa stava girando per il verso giusto. Quello era normale. Non la sfortuna che mi aveva eletta a sua sorella. Avevo fatto pace con un mio carissimo amico, trovato una sistemazione per mia figlia e mia nipote, stavo aspettando un viaggio che si profilava come nelle migliori aspettative. Il mondo era rosa, rosa Akita, come chiamavo quella tonalità del colore così simile alla pelle di porcello, il suo colore preferito. Finalmente qualcuno mi sorrideva. Che bello. Le cose non potevano andare meglio. ci sarebbe stato solo l’ostacolo del mare da superare, ma avrei stoicamente resistito. Dopo un po’, non so esattamente quanto, il mio entusiasmo si trasformò in un’inebriante felicità controllata. Riuscii, almeno in parte, a recuperare la ragione. Certo, ero la regina dei sentimenti miti io, eh. Non riuscivo ad essere allegra o malinconica. O tristissima o felicissima. In pratica, o depressa o entusiasta. Mi sa che avevo qualcosa che non andava. Però in fondo era bello. Cosa mi importava? Pazza o no, quale era l’importanza? Avevo degli amici,  questo era bellissimo, amici fidati. Cosa poteva andare storto? Non sarebbe stato difficile parlare con le mie piccola. Non sarei stata sola. Qualcuno mi copriva le spalle. E che copertura. Era meraviglioso, tutto meraviglioso. Il mondo aveva nuovi, inaspettati colori. Sorrisi, o forse lo facevo già. Che bello. Mi piaceva la sensazione della felicità. Era piacevolmente sconosciuta. Mi guardai un po’ attorno. Quel luogo era calmissimo, meraviglioso. Un grembo materno, impossibile essere scorti dall’esterno. Era stata proprio una fortuna trovare quella minuscola quasi palude, troppo curata per esserlo, chiaramente una sua edulcorata imitazione. Le alte e fitte canne palustri frusciavano, un suono che calmava l’anima, il laghetto era calmo, limpido, cosa assai insolita per una palude, dopotutto, e sembrava, con un po’ di immaginazione, di stare fuori dal mondo, dall’universo. Quasi come se l’esistenza cominciasse e finisse con quel luogo benedetto dalla pace. Bello. Bellissimo. La solitudine in quei momenti beati era una cosa meravigliosa. Gustare fino in fondo quel calice  di meraviglie. Bello, chiusa in una fortezza naturale, un piccolo campo di canne, ideale nascondiglio per tutti. E per quel povero caro che avevo colpito, chiunque egli fosse. Se ci pensavo in quel momento di allegria mi veniva da ridere, non mi sentivo poi tanto in colpa. Chissà chi era stato. Mi immaginavo la sua sorpresa nel vedersi colpito da un sasso! Chissà poi dove l’avevo colpito. Sperai non in qualche punto delicato. Erano già molti quelli che mi volevano morta e sepolta. Sospirai. Ah, che pace. Lì non mi sarebbe successo nulla. Lì ero al sicuro. Lì ero sola, isolata dal mondo. quello era il mio nido, e nessuno l’avrebbe violato.

Non avevo nemmeno finito di pensare quelle cose, preda della felicità di una persona che capisce improvvisamente di essere amata dai propri amici, capisce di essere molto più preziosa di quanto lei stessa avesse immaginato, che sentii un fruscio. Un rumore che non mi piacque, o che, meglio, non mi sembrava parecchio…naturale. Beh, magari era solo una serpe, ma, accidenti, eravamo in inverno. Un uccellino? Un animaletto? Oppure qualcuno che aveva avuto la mia stessa idea? Sobbalzai, presa di sorpresa, ma poi mi calmai. No, impossibile che qualcuno mi voleva fare del male. Era meglio non prendere a sassate prima del tempo. Per sicurezza, raccattai una pietra da terra, una grossa, e la strinsi forte. Se non avessi ricevuto risposta avrei attaccato, e andasse a quel paese lo sciocco sventurato che si era permesso di farmi venire quel piccolo colpo. Ero seccata. Accidenti, non potevo avere un momento per me? Un bel momento per riflettere serve a tutti, no? e accidenti, lo facevano sempre. Non solo quando c’era Zipherias, cosa che mi aveva dato doppiamente fastidio perché non dovevano permettersi di disturbarci in un momento così pacifico, ma anche quando ero lì. Misi la felicità al secondo posto. Qualcuno me l’avrebbe pagata. Mi alzai in silenzio. Altri fruscii. Ma accidenti, secondo me qual qualcuno non si era accorto della mia presenza. Faceva un bel po’ di rumore. Aprii la bocca per parlare, ma poi qualcosa mi bloccò, uno scrupolo improvviso. Chi poteva essere? Non poteva essere una spia, mandata a controllare che io non facessi niente di sconveniente e che non distruggessi la pregiatissima fauna e flora del falso luogo? Una spia sicuramente sarebbe fuggita via al minimo accenno di parola da parte mia. Strinsi forte la pietra, come a cercare una risposta. Accidenti. Parlare o no? alla fine, mi convinsi che aprire bocca era la soluzione migliore. In fondo, da un certo punto di vista, una spia non avrebbe  fatto quel rumore. Le spie sono, per l’appunto, invisibili. Ombre. A meno che Lilliagrin non fosse cretina. Proprio no, quella lì sapeva il fatto suo. Dunque, meglio avvertire il malcapitato qualunque che lì c’era qualcuno piuttosto seccato di essere stato interrotto in un momento di incredibile pace, e disposto a prendere a sassate senza problemi. Avevo un sasso e sapevo come usarlo, in pratica. Meglio però essere cauti. Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Scrutai tra le canne. Niente, erano troppo fitte. Per entrare lì ci era voluta un po’ di fatica, infatti, e guardare tra di esse era molto difficile. Vidi qualche canna muoversi in un modo che il vento non sarebbe riuscito a fare. Ecco, si, c’era qualcuno. Sobbalzai lievemente, poi mi calmai in un baleno. Dovevo mantenere i nervi saldi per mirare bene. Qualcuno stava arrivando. Ah. Beh, magari era una compagnia gradevole. Ero in vena di chiacchiere pacifiche, e non di sassate. Dovevo essere un po’ meno avventata. Mi schiarii dunque la gola. “chi è?”. Domandai, con una voce sicura che mi rese fiera di me. Il fruscio si interruppe d’improvviso. Ci furono una serie di fruscii, e poi una sorta di lamento. Altri fruscii. Eh no, novellino. Ora non mi scappava. Feci un passo in avanti ed  alzai la pietra, pronta a lanciarla. Vedevo, in quel momento, una figura appena abbozzata, ben nascosta dal canneto, e sapevo dunque dove colpire. La figura si muoveva pazzamente, come se fosse impigliata. Meglio. Mi dispiaceva terrorizzare qualcuno, ma era sempre meglio di un coltello piantato della schiena. “fatti vedere o io lancio una pietra! Sono armata!”. Silenzio mortale. I fruscii si interruppero per un tempo lunghissimo. Pensai che la persona fosse scappata, e mi preparai per un agguato. Poi ci fu un rumore di stoffa strappata. Altri fruscii. Vidi le canne muoversi pazzamente, e strinsi forte la mia pietra, ridicola arma ma sempre utile in ogni caso. Dopo un po’, finalmente, delle mani spostarono le ultime canne che ci speravano. Ed io ebbi improvvisamente la visione di un Faldio imbestialito, la camicia a brandelli, e, soprattutto, un grosso bernoccolo violaceo in fronte, che faceva un passo in avanti, ed, incespicando, si portava nella piccola radura protetta. Chiusi ed aprii gli occhi un paio di volte. oh dannazione a me e alla mia testa bacata. Era solo immaginazione? Accidenti, no. la faccia livida di rabbia del ragazzo mi era sempre davanti. Mi sovrastava. Sobbalzai, e feci istintivamente un passo all’indietro. Ecco, era lui che avevo colpito. E l’avevo pure fatto male, mi sembrava. Mi sentii arrossire. Oh cavolo. Non mi sembrava così felice. Mi guardava come se mi volesse saltare addosso e strozzare, o uccidere in qualche modo molto doloroso. Deglutii. Ecco, ora avevo io voglia di scappare. Dannato canneto. Ostacolava i movimenti in un modo assurdo. Ma on potevano mettere dei sassi a posto di quelle malinconiche aste vegetali? Non potevo scappare. Non mi piaceva il modo in cui si era invertita la situazione. Fare la parte dell’intrappolata non è mai piacevole. Sentii che il sasso mi sfuggiva di mano, ma non me ne importai. Soprattutto per la faccia di Faldio, credo. Digrignava i denti. Ringhiava. Feci un passo all’indietro. Forse mi conveniva proprio scusarmi. Oh, povera me. Sarebbe stato meglio colpire una spia. Proprio Faldio no. Proprio lui no. e dire che avevo pensato che fosse lui la spia. Mah. “tu!”. Abbaiò il giovane uomo, furioso, con uno sguardo omicida. Non lo biasimai. In fondo ci credevo. Non doveva essere divertente ricevere un sasso in fronte mentre si ci sta facendo i fatti propri. Deglutii di nuovo. Ero inerme, completamente senza forze. Il terrore mi aveva afferrato, e non mi piaceva come sensazione. Mi sembravo un cucciolo di gatto di fronte ad un mastino. E molto arrabbiato, soprattutto. Provai a sorridere. Poi mi cancellai il sorriso quando pensai che forse proprio quella non era una buonissima idea. Sarebbe stata, più che un gesto cordiale, una presa in giro. Mi indicai dunque, esitante. “io?”. Domandai, con voce molto meno sicura di prima. Volevo scappare. Sparire dalla faccia della terra. Che razza di figura. Accidenti, potevo prendere a sassate Rosie? Già quello lì non mi amava particolarmente. Quell’ultimo incidente di certo non aveva aumentato la sua stima nei miei confronti. Al contrario, mi sembrava. Oh, povera me. Faldio ringhiò, in un’ottima imitazione di un drago infuriato. Tese le mani verso di me, tanto che indietreggiai di scatto, pronta a far valere il mio nomignolo di ragnetto, deglutendo, mentre il cuore batteva impazzito, ronzando nelle orecchie. Poi, forse ricordandosi che l’omicidio di un’ambasciatrice straniera e di una razza con la quale i rapporti non erano idillici non era proprio il modo giusto di favorire la pace e la concordia, strinse i pugni ed incrociò le braccia, come per convincersi che no, Lsyn non si doveva toccare. Ma i suoi occhi non mentivano. Ardevano d’ira, e guardavano fissi nei miei. Feci presto a distogliere lo sguardo. Non volevo irritarlo ulteriormente. Ora ci voleva diplomazia e un bel po’ di doti da suadente parlatrice. Se fossi stata una qualunque non l’avrei passata liscia, per niente. Era quello il modo di trattare il gentil sesso? Accidenti, ero disposta pure a far valere la mia del tutto inesistente femminilità pur di salvarmi da un bel po’ di lividi. Ma poi giunse l’irritazione. Quello lì non poteva uccidermi. Io ero intoccabile, capito? Mi poteva fare male ma non uccidermi. Poi sarebbe stato nei guai lui. E poi io ero elfa. Ovvero, più veloce. Era un peccato che io non fossi stata più alta o alta quanto lui, perché altrimenti sarei stata incredibilmente in vantaggio. Una rissa non poteva farmi altro che bene. Faldio era ragionevole su, un bimbo ragionevole. Un buon soldato. Un uomo d’onore. Non avrebbe fatto del male ad una piccola elfa che non aveva fatto altro che stare attenta. Almeno, non troppo. Non mi avrebbe fatta tanto male. E poi si poteva sempre scappare. Un pezzetto rimasto di quella che era Ombra mi prese in giro. Rise di me, ricordandomi quella che ero. Un tempo il pensiero di una rissa, oh, mi avrebbe mandata in sollucchero. Una bella botta di vita. Si sfoga la rabbia e poi tutto ritorna a posto. Ero stata la fomentatrice di disordini, al quartier generale. Un minimo sgarbo e partivo a testa bassa, almeno con i miei pari. Spesso, sempre a dire la verità, le prendevo e anche bene, ma non covavo mai rancore. Quando ancora non ero potente i rimproveri mi arrivavano a frotte, a branchi veri e propri di carte e cartacce varie, di richiami e di lezioni di comportamento. Raggiunta ormai la ristrettissima cerchia dei seguaci più fedeli a Lainay nessuno aveva osato più dirmi niente. Quindi, avevo sfidato con mio grande e successivo dolore elfi grossi il doppio di me, perché dovevo lasciarmi intimidire da uno stupido umano? Non avrebbe fatto altro che darmi una sonora ripassata e basta. Avrebbe potuto essere anche il contrario, dopotutto. Quindi, animo, elfa. Alzai dunque il mio sguardo di scatto, andando ad incontrare quello furioso del ragazzo. Dopo aver emesso ringhi inarticolati, espressione della sua pure rabbia, il mio giovane avversario riuscì a dire qualcosa di sensato. Oh, poverino. Per caso la botta l’aveva reso stupido? Misi in conto di dirglielo, se proprio la rissa fosse stata impossibile da evitare. E forse io cercavo proprio la piccola battaglia. Era soddisfacente placare le proprie ansie in quel modo. “tu…maledetta…”. Abbaiò lui, strepitando, indicando il bel bernoccolo che la mia pietra gli aveva fatto. Beh, era colpa sua se era successo. Io di certo non stavo facendo nulla di male. Lui non sapevo. “guarda cosa hai fatto!”. Mh. Sorrisi involontariamente. Mi era venuta in mente una bella perfidia da dire. Certe volte ero proprio un genio. Beh, la giornata stava proprio volgendo a mio favore. Era cominciata nel migliore dei modi, e stava proseguendo ancora meglio. Era tanto che non mi ficcavo in qualche bel guaio come una rissa. Ero stata troppo tempo una perfetta e molto casalinga mamma chioccia. Era un po’ il momento di divertirsi. Accidenti, qualità ammirabile per un’elfa adulta, madre, tutrice e zia, cacciarsi in situazioni come quelle. Che genio che ero. Io lo dicevo sempre. Beh, era ora di pungolare un po’ quel giovane. Qualcosa mi diceva che non sarebbe stato difficile farlo scattare. Era molto arrabbiato, e di carattere non particolarmente docile. Sangue freddo, Lsyn. Sapevo che, se fossi stata calma, avrei avuto qualche possibilità in più di assestargli un paio di buoni colpi, e fosse di stenderlo. L’ira non è mai buona quando incontrollata, lo sapevo fin troppo bene. dovevo quindi rimanere calma. “ah, ma perché, ti sei fatto male?”. Stupii me stessa con il tono della mia voce, un bel po’ provocatorio. Forse anche troppo. Era pieno di veleno. Ma ne ero contenta. Su, coraggio. Lo vedevo, era davvero prossimo ad esplodere. Poi mi sarei divertita un po’. O le avrei prese, a scelta. Sparavo non la seconda opzione. Faldio mi guardò, un po’ perplesso e ironico, trattenendo evidentemente a stento la sua rabbia. Sembrava capace di farmi a pezzi .tentai di scacciare l’inquietudine. Sicuro non mi avrebbe uccisa? Non sapevo, ma lo speravo fin troppo. Fui tentata di scusarmi e strisciare in ginocchio. Ah, ma non potevo farlo. Non potevo togliermi un paio di sfizi. Sorrisi ancora di più, maligna. “eppure io credevo che lì dentro a te non ci fosse niente”. La reazione che ebbi dopo quelle parole la potrei paragonare a quella che ha un bambino dispettoso che tiri la coda ad un enorme cane feroce che dorme. Ovviamente, la cosa mi soddisfò moltissimo. Era bello anche solo punzecchiarlo. Era solo un umano arrabbiato ed accecato dall’ira. Non sapeva la che quella era una trappola. Faldio mi guardò per un attimo, interdetto. Vidi pian piano la rabbia montare, prendere possesso di lui. Lo vidi fare un passo in avanti, di scatto, il che mi fece mettere in guardia, pronta ad un attacco che non venne. Lui si bloccò, guardandomi in cagnesco, come se avesse capito qualcosa. Oh, no. Che grosso peccato. Poi il ragazzo fece un paio di respiri profondi. Si, cercava di calmarsi, il poverino. Non aveva ancora capito le mie intenzioni. Non indietreggiai. Cercai di provocarlo in ogni modo possibile. Non ho la minima idea da dove mi venne quell’istinto bellicoso. La felicità mi era andata in testa, probabilmente, un vino forte a cui non ero abituata. Che idiota. Sbatterei più che volentieri la testa contro il muro nel ricordarlo, se potessi. Faldio cercò di stare calmo, ma aveva le braccia così tese che sembrava che gli si stessero per staccare da un momento all’altro, per correre a picchiarmi. Ancora un paio di respiri profondi. Oh, dai, non sarebbe stato difficile farlo arrabbiare. Poi avrebbe vinto il più forte e lucido. “tu…mi hai… colpito la testa”. Disse, tra i denti, guardandomi come se mi volesse scannare, come si fa con i maiali nei giorni di festa. Sospirò di nuovo, guardandomi storto, irritato, tanto che mi fece sorridere. “tu…solo perchè avevi sentito un fruscio…”. Il mio sorriso si trasformò in una smorfia. Oh beh, il mio comportamento era stato più che legittimo. Ero sicura che l’avrebbe fatta anche lui, una cosa del genere. Ne ero più che sicura. Soprattutto presa di sorpresa in un momento di tranquillità precaria. E poi lui mi spiava. Ero davvero indispettita. Accidenti, io con Zipherias non facevo nulla di male, giusto? Era una gravissima mancanza di rispetto agire in quel modo davvero barbaro. Mandare Faldio, poi. Lui che ci conosceva. Assurdo. Incoerente, inoltre. Dimenticai per un attimo il proposito di rissa. Ecco, mi ero ricordata che quello era un punto da chiarire. Guardai male il rabbioso umano. “tu mi stavi spiando”. Affermai, sicura di me stessa, linciandolo con lo sguardo. Lui ebbe una strana reazione. Mi guardò, improvvisamente preso di sorpresa, come incredulo su quello che aveva appena sentito. Poi rise, una grassa risata di scherno, che mi indispettì il doppio. Ma guarda come si stava comportando. Un paio di schiaffi non glieli avrebbe negati nessuno. “spiando? Io?”. Domandò, ancora ridendo pazzamente, come per prendermi in giro. Ora era lui che mi stava provocando. Ma no, io non sarei mai cascata nella trappola. Mai. A differenza sua. Mi guardava proprio in modo cattivo. Com’era odioso. Annuii, e lui rise ancora di più. “ma cosa, non credi che io abbia di meglio da fare che spiare un’elfa come te?”. Si, lui mi stava provocando, e davvero. Altrimenti non si sarebbe spiegata la rabbia che provavo in quel momento. Un’elfa come me. Ah, gliel’avrei fatta vedere io, l’elfa. Con le stelline. Carino, però. Eravamo sul punto di ammazzarci a vicenda. Troppo simili davvero. Chissà chi era quel ragazzo. Ah, si, bisognava ricordare una cosa. Lui mi aveva chiamata per nome. La cosa non è che mi piaceva tanto. Mi sapeva di spia maldestra. Fu così che riuscii a recuperare un po’ di calma. No, non dovevo arrabbiarmi. Quel giorno era troppo bello per essere rovinato. L’avevo in pugno. O si sarebbe calmato e avrebbe confessato, o mi avrebbe picchiata. Entrambe le cose non erano male. Avevo bisogno di scaricare quella rabbia che mi si stava accumulando dentro. “dimmi perché allora conoscevi il mio nome prima di conoscere me”. Ah, ecco, ero padrona del campo. Che magnifico duello. E non stavamo nemmeno combattendo. Non vedevo l’ora di passare alle mani. Ne avevo bisogno. Era un bel po’ di tempo che non lottavo in quel modo. La vita a Kyradon e Sharilar era troppo compassata o troppo semplice. E non potevo sfidare qualcuno dei miei amici o Isnark, per il puro gusto di farlo. Erano troppo cavalieri, molto diversi da quell’umano fuori dai gangheri. Guardai, trionfante, Faldio. Avevo vinto io. Lui mi sembrò confuso. Per un attimo, si rilassò, e la rabbia scomparve dal suo volto. Mi sembrò un ragazzino qualunque, senza pretese e con tanti sogni. Lui scosse la testa, e si strinse nelle spalle. Ah accidenti. Questa non me l’aspettavo proprio. Non era una reazione…beh, normale, direi. E così anche quello rimaneva un mistero. Come mi indispettivano i misteri. Soprattutto quello. O ero scema o ero pazza…oppure non ricordavo di avere già conosciuto quel giovane, magari da bambino. Chi lo sapeva. Lui sembrava nella stessa mia barca. Non riuscivo a capire se fosse sincero o meno, ma speravo per lui che lo fosse. Ah, peccato. L’atmosfera si era rilassata in un modo incredibile, dopo quelle mie parole. Avevo proprio sbagliato. Bisognava rinfocolare l’ardore. Altrimenti la rissa me la sarei sognata. “non lo so”. Confessò lui, guardandomi con purissimo odio. Beh, tutte le speranze non erano andate perdute. Speravo proprio che quella scintilla di astio servisse per fare scoppiare un incendio coi fiocchi. “io non ti ho mai chiamata per nome…”. Ah bene, ora non ricordava nemmeno più di avermi chiamata. Pazzo…oppure bugiardo. Lo fissai, sarcastica. Si certo, che non venisse a raccontarmi quelle stupide favole. Lui mi aveva chiamata, punto e basta. Beh, quello era abbastanza per scatenare un bel diverbio. Su quello ero sicura: non avevo allucinazioni, io. “ti dico di si”. Annuii con il capo, come per sottolineare la fermezza della mia affermazione. Faldio fece uno strano scatto con la testa, come per scacciare una mosca fastidiosa. L’espressione da bambino spaesato scomparve gradualmente, sostituita dal fastidio. Oh, bene. Stavo ricominciando a recuperare il materiale per un bello scontro. Non ne vedevo l’ora. “tu sei pazza”. Asserì lui, guardandomi come se fossi una vipera. Restituii l’occhiataccia, con una matta voglia di fare una bella linguaccia e mandare al diavolo l’educazione. Sentivo che quello non se la sarebbe presa. Mi avrebbe attaccata, e allora si che mi sarebbe piaciuto. Ma mi limitai, da essere superiore qual ero, a fare un segno di diniego. Lui mi guardò storto, ed annuì. Io gli risposi facendo di nuovo cenno di no. che stupido carosello .andò anche avanti per un po’. Principalmente, credo, perché nessuno di noi due aveva idee per punzecchiare l’altro. Poi mi venne in mente una cosa. Allora, mi doveva spiegare il perché di quella strana presenza. Insomma, una creatura dotata di senno non si imbosca in un canneto. Non è logico, per un umano senza macchia come si riteneva Faldio, no? Cosa diamine nascondeva di strano, che non mi voleva dire? Sorrisi. Ecco, o quello o niente. Mi doveva ben più di una risposta. Me la doveva. Altrimenti l’avrei preso a sassate di nuovo. Non era difficile chinarsi e prendere qualche bella pietra. “io non sono pazza”. Non mi piacque sentire la mia voce venata da una sottile ombra di disprezzo. Ma era naturale. Io ero molto seccata. Volevo l’azione, accidenti, non il dialogo. Volevo una bella rissa, qui, ora e subito. Mi mancavano, le buone vecchie abitudini. Faldio mi guardò, scettico, ma io non reagii. Io ero una persona superiore. Una creatura superiore. O almeno, una creatura che sta per combinare un bel tiro mancino. Ma quello ci voleva. Mi aveva stancato, quel continuo tira e molla. “almeno non quanto una persona che si nasconde in un canneto senza motivo”. In quel momento fu Faldio che parve molto seccato. Più che seccato, a disagio. Si guardò per un attimo intorno, poi si mosse, mordicchiandosi il labbro inferiore. Mi sembrò oltremodo strano. Si, c’era qualcosa che non andava. Cosa, non sapevo dirlo. Non ne avevo la minima idea. Peccato. Non mi sembrava più così arrabbiato. Farlo infuriare di nuovo sarebbe stato molto difficile. Uffa, che noia. Io avrei voluto tanto la rissa. “fatti gli affari tuoi, Lsyn…per favore”. Mi disse lui, guardandomi di nuovo, ma stavolta senza più odio, astio, o volontà di dare fastidio. Sembrava, più che altro, solo…supplicarmi. Non saprei spiegarlo altrimenti. Mi sentii invadere dalla perplessità anch’io. Per un po’, dimenticai il proposito di far arrabbiare Faldio. Mi sembrava proprio…a disagio, si. Aveva deglutito, e continuava a guardarsi intorno. Che strano. Cosa aveva da nascondere? Forse qualcosa che riguardava me? Non credevo. Però quella era un’ottima rampa di lancio. Mi ricordai improvvisamente che voleva dare fastidio a quel giovane. Sorrisi di nuovo. “e perché dovrei farmi gli affari miei?”. Domandai, riprendendo il tono ironico di prima. Ma io ero davvero curiosa, il problema era quello. Che segreti di stato mi stava celando? Ah, ma io dovevo sapere. Se era qualcosa che interessava noi era importantissimo. Bene, l’avrei costretto a parlare. Non sarebbe stato difficile. “forse hai qualcosa da nascondermi?”. Faldio mi guardò storto di nuovo, e fece per parlare. Mi sembrò sempre più in difficoltà. Cosa stranissima. Lo vidi deglutire apertamente. Accidenti, com’ero curiosa. Non avrebbe dovuto parlare. Si era trascinato in una bella trappola, prontissima per lui. Io ero naturalmente fin troppo curiosa. Beh, se non avesse parlato avrei indagato. Dovevo scoprire cos’era che non andava. Beh, immagino che ora sia fin troppo prevedibile, questo misterioso seguito, vero? Non c’è nemmeno bisogno di dire che ebbi la risposta. Ma non da lui. Proprio in quel silenzio mortale e teso, sentimmo dei fruscii. Le canne si mossero, come se qualcuno si stesse muovendo, e a gran velocità, come se stesse correndo. Faldio impallidì mortalmente, e si lasciò sfuggire un lamento. Guardò me, poi guardò le canne, e si passò una mano nei capelli arruffati. Guardò il cielo. “no…questo no…”. gemette lui, con un’espressione disperata che proprio stava a meraviglia con il suo viso. Io lo guardai, perplessa. Beh, finalmente compagnia. Magari era una guardia. Magari uno dei miei. Chiunque fosse, beh, sicuramente avrebbe visto Faldio. Forse magari si sarebbe chiarito tutto, con mia enorme soddisfazione. Bene, allora non sbagliavo quando pensavo che lui aveva qualcosa da nascondere! Mi sentii soddisfatta. Magari era qualche soldato. Magari quell’umano era entrato di straforo. Avrei inventato qualche stupidaggine sul fatto che lui mi stava attaccando e così mi sarei vendicata di quell’attività di spionaggio che c’era nei miei confronti. Ero paranoica, vero, ma dovevo esserlo. Non mi piaceva l’idea di essere controllata. Mi metteva un brutto freddo addosso. Ma fui io a rimanere sorpresa, perché mai e poi mai mi sarei aspettata una cosa del genere. Aspettai, trepidante, che lo sconosciuto facesse la sua entrata in quel luogo. Che bello. Vendetta, atroce vendetta. Povero Faldio. Non aveva avuto le botte, che molto probabilmente avrei preso io, però niente e nessuno gli negava una bella ripassata. Beh, fui innegabilmente delusa. Si immagini la scena. Un’elfa bassina, un umano infuriato, ed una presenza sempre più vicina. Oh, sentivo la curiosità aumentare. Chissà chi era, chissà che voleva. Magari ci aveva sentiti urlare. Guardai Faldio. Lui non mi sembrava felice come me. Pietrificato è la parola esatta per spiegare il suo volto. Guardava un punto fisso, e, a ogni canna che si muoveva, impallidiva sempre di più. Ah, probabilmente sapeva che l’avrebbero beccato. Si, era di sicuro entrato di straforo. Magari mi stava spiando per conto suo o di qualcuno di estraneo. Oh si, ora era nei guai. Grossi guai per Faldio. Meschino, ma non potevo che esserne soddisfatta. Non riuscii a reprimere un grosso sorriso. Quel ragazzo era letteralmente incantato lì dal suo stesso panico. Guardava a destra e sinistra, ma non sembrava capace di fare qualcosa di molto sensato. Già, quello che nascondeva doveva essere parecchio grave. Non era da Faldio essere emotivo, fino a quel momento, almeno, se l’era cavata alla meraviglia. Mi aveva tenuto testa con grandissima eleganza. Che soddisfazione, oh, che grandissima soddisfazione. La mia allegria aumentò quando dalle canne emerse la figura sorridente di Ellyn, vestita in un modo semplice, che non dava parecchio nell’occhio, abiti scuri che quasi non sembravano adatti ad una prossima regina. Faldio gemette di nuovo, disperato, e si nascose la testa fra le mani. Io nascosi il mio ghigno dietro la mano. Due piccioni con una fava. Non c’era persona migliore di Ellyn per dirimere questa situazione assurda, e lei avrebbe conosciuto finalmente quell’eroe che idolatrava di persona. Almeno così pensavo. Lei parve stupefatta di vederci lì, insieme, faccia a faccia, più che altro tenuti a forza da un guinzaglio invisibile, due cani infuriati pronti a sbranarsi a vicenda. Io sorrisi, e feci un piccolo inchino. La mia amica. Ecco, al situazione si sarebbe sbrogliata in un attimo. Lei sorrise a vicenda. Il suo viso si illuminò di gioia. Guardò Faldio, con aria felice, senza scomporsi più di tanto alla vista della sua espressione di gnomo disperato, e poi mi guardò, con quel sorriso birichino in volto. Ci raggiunse, zampettando festosa, e si mise tra noi due. Un arbitro. Beh, perfetto. Era tutto perfetto. Mi sentii in dovere di cominciare per prima la conversazione. “buongiorno, Ellyn. In questa giornata è destino che ci si riveda più di una volta”. La salutai, educatamente, mescolando all’informalità con cui voleva essere trattata la ragazza un po’ di sana formalità della mia terra. A me sembrava più che normale salutare qualcuno in quel modo. Era la seconda volta che ci vedevamo. Era quindi giusto usare quella formula. Nello sguardo di Ellyn passò un’espressione confusa, e poi divertita, come a volermi dire quanto fossi strana. Arrossii un poco. Quello era un modo stupendo per mettermi a disagio. Lei sorrise ancora di più, gioconda e gaia, senza la minima ombra di agitazione. Poi mi rispose. “buongiorno a te, Lsyn. Come mai qui?”. Domandò, replicando con un piccolo inchino, ironica, come a volermi prendere in giro, gentilmente. Io sorrisi, poi guardai Faldio. Eh, per lui si avvicinava un brutto momento. Bruttissimo. Lui era ancora con la testa fra le mani. Si stava rifiutando di vedere, il poveretto. Ci credevo. Non era un bel momento, per lui. “io…chiarivo qualche punto controverso con Faldio, qui”. Feci un cenno verso di lui, noncurante. Ah ah ah. Vendetta! Avevo gettato l’esca, decisamente. Ma non dovevo farmene accorgere. “tu, invece? Giretto mattutino?”. Ebbi una stranissima reazione a quella domanda innocente. Stranissima, tanto che mi gettò nella confusione. Faldio emise un altro “no!”, scuotendo la testa pazzamente, e sussurrando poi qualcosa, chissà, forse preghiere. Ma da parte sua me l’aspettavo. In fondo, era nei guai. Ma Ellyn mi sorprese. Da un certo punto di vista era anche strano che Peggy non ci fosse. Molto strano. Secondo quello che conoscevo dei costumi umani la domestica doveva seguire la padrona. Bah, magari stava aspettando fuori, perché non riusciva ad entrare nel canneto. Con la sua stazza non mi sorprendeva. Quello che non capivo, tuttavia, era un’altra cosa. Perché la principessa aveva guardato in quel modo Faldio? Lo stava fissando in un modo che oserei descrivere a metà tra l’esasperato ed il compassionevole. Non avevo mai visto uno sguardo così negli occhi di quella ragazzina innocente. La cosa non mi piacque. Mi ero ficcata in un guaio molto, molto più grosso di me, vero? Accidenti. Quell’abitudine non era buona, e non moriva mai. Quanto detestavo essere messa al corrente di segreti più grandi di me. Come se fossi una botte. Ma accidenti, non avevo vino da far maturare. Guardai i due ragazzini, ed ebbi un lampo improvviso. Qualcosa mi ricordava…una mia certa esperienza. No. No eh. Tutto ma non quello. Mettetemi al corrente di qualunque cosa ma non di quella! Deglutii. Era un vizio. Davvero. Un grosso vizio. Ma lo facevano tutti o io mi stavo suggestionando un po’? Ci fu un attimo di silenzio. Poi il giovane soldato alzò la testa, il volto bianco come un cencio e del tutto disperato, e guardò Ellyn. Lei fece un passo in avanti, verso di lui, e lui scosse la testa. La ragazza pestò un piede a terra, alzò gli occhi al cielo, e gli si mise a fianco. C’era una strana complicità tra quei due. Strano. In realtà non si dovevano conoscere. Sembrava che fossero grandissimi amici. Oh, quello proprio non mi piaceva. Tutti quei gesti strani non mi piacevano. Ebbi la netta impressione di aver interrotto qualcosa. Come avevo fatto a capirlo? Beh. Di solito no, no ero così acuta, ma non potevo non esserlo quando avevo una paragone ed un’esperienza a cui rimandare quei gesti fin troppo familiari, per me. Quasi tre anni di relazione con Chekaril mi avevano insegnato fin troppe cose. E, diamine, lo ricordavo come se fosse stato il giorno prima, quante volte mi ero infilata nei luoghi più strani del castello, del giardino soprattutto, per aspettarlo! E se qualcuno mi avesse beccata, non avrei agito esattamente come Faldio, o sbaglio? Oh no, no, non questo. Pregai e pregai che non fosse così. Quella era la peggior cosa che potesse capitare a qualcuno di loro due. Si erano cacciati in una situazione terrificante. Accidenti, in quel modo tornava davvero tutto. Quella notte in cui avevamo incontrato Ellyn vestita da cameriera. Perché avrebbe dovuto scappare, se non per incontrare Faldio? Proprio Faldio, poi. E perché Faldio si era imboscato in quel canneto? Perché quando avevo nominato Faldio la principessa era scattata, piena di gioia? Perché, tornando più indietro, in quel momento ricordavo benissimo, quel tipo era sparito quando eravamo arrivati? C’era solo un motivo. Uno solo. Tremai di fronte a quella possibilità. Beh, un bel colpo per Lilliagrin, se ne fosse venuta mai a conoscenza. I due ragazzi, sotto il mio sguardo sempre più incredulo, continuarono a guardarsi. Poi Ellyn fissò con rimprovero Faldio, come impegnata in una conversazione muta, e si girò verso di me. Il soldato scosse ancora più volte la testa, terrificato, ma poi si pietrificò di nuovo, pallidissimo, quando lei lo prese sottobraccio, guardandomi, tutta felice. Lei era raggiante. Io proprio no. a quel gesto ero impallidita anch’io. Proprio non mi piaceva.  Che strano. Beh, io non l’ho mai capita. Probabilmente si fidava di me. Era proprio una bambina. O una persona particolarmente furba. O tutte e due le cose. “Lsyn, lasciami mettere in chiaro un paio di cose!”. Esclamò lei, tutta felice, guardandomi. Faldio serrò gli occhi, e si morse la lingua. Non so perché, ma sentii l’entusiasmo scemare considerevolmente. Non ero tanto contenta di vederli insieme lì. Accidenti, era meglio che mi fossi fatta i fatti miei. Molto meglio. come detestavo quei problemi. Beh, c’ero dentro. E non avrei mai osato tradirli. Mai. Non dopo Chekaril. Non dopo quel bastardo. Quella piccola bimba arrossì un po’, e rimase un po’ in silenzio, probabilmente per sistemare le idee e cercare il modo migliore per non turbarmi. Ma io ero già abbastanza turbata. Terrificata. Confusa. Non so, che razza di segreto. Che brutto segreto. “beh…sai…”. Cominciò lei, dopo un lungo silenzio, un po’ imbarazzata. Oh no. Supplicai nella mia mente che non lo dicesse. Suppliche inutili. Il suo viso si aprì in un bel sorriso. Felice, molto felice. Lei era la persona più felice del mondo, in quel momento. “ti devo dire che quando mi hai chiesto se conoscessi Faldio…non sono stata proprio sincera”. Oh. Dannazione, che cosa orrenda da dire. Terribile. Sobbalzai. Una sorta di senso di inquietudine mi afferrò. Accidenti. Brutta situazione. Amare un sottoposto porta innumerevoli guai. Quanta tenerezza, però, che mi faceva quell’idea. Anche io e Chekaril eravamo stati così puri, così innocenti, così felici? Non pensavo. Né io e né lui eravamo come Ellyn. Però era strano pensare che qualcuno, a distanza di così tanti anni, ripetesse qualcosa della nostra storia. Era quasi…orribile parola, ma era quasi romantico. La situazione era quasi invertita. Che strano parallelo. Però ero inquieta. Era una situazione troppo grande per le spalle sottili di quella piccola. Era difficile, rimanere sereni in quel nascosto rapporto. Non potevo fare a meno di guardare male Faldio. Lui mi fissava, piuttosto spaventato, come se io fossi un nobile che li avesse sorpresi mano nella mano. Era chiaro come l’acqua di fonte che non si fidava di me. Beh, io non mi fidavo di lui. Se non avesse amato Ellyn a dovere me la sarei presa, e anche molto. A me piaceva tanto quella piccola. Non volevo che soffrisse come avevo sofferto io. Era una brutta posizione, la loro. Ricattabili. Facilmente ricattabili. Che orrore. Mi schiarii dunque la gola. Chiarire era meglio. Chiarire ancora di più ancora meglio. però mi sentivo imbarazzata. Non era carino domandare certe cose a quella coppietta di piccioni allarmati. Che tenerezza. E che dolore. Avevo perso anch’io quella felicità. Sapevo cosa significava, ed era facile per me capire i loro sentimenti, stranamente più facile del solito.  Feci un gesto con la mano. “ma allora…tu…voi…”. Mi limitai a balbettare, sotto lo sguardo terrificato del povero Faldio e quello sicuro di Ellyn. Lei sapeva che di me si doveva fidare, per chissà quale motivo. Lei annuì, tutta felice. Sospirando. Strinse ancora più forte il braccio del tuo amore, ed annuì di nuovo, guardando quel povero soldato ormai divenuto statua d’orrore. Decisamente per lui le cose non si stavano mettendo bene, ma in un altro modo. A quel punto dovevo proprio scusarmi di quel bernoccolo. Non intendevo fargli del male. Avevo avuto solo paura. “noi ci amiamo, Lsyn”. La parole di Ellyn mi arrivarono violente ed inaspettate come una raffica di frecce in un agguato. Sobbalzai, e con me Faldio, che si girò di scatto e guardò, esterrefatto, la principessa. Accidenti, bella affermazione e bel coraggio che aveva avuto. Senza remore, ecco. Diretta. Brava la principessina. Finalmente i ragazzo trovò la forza di reagire. Avevo cominciato a temere qualche problema. “Ellyn...ti prego, non…”. Cominciò, con voce così bassa e sofferente che era quasi inudibile. Lui fu bloccato da uno sguardo improvvisamente duro della piccola, che strinse le labbra. “Faldio, non preoccuparti”. Asserì lei, completamente sicura di sé, senza più l’ombra di timidezza, semplicemente felice per aver confidato quel grosso segreto ad una nuova amica. Ed io sapevo quanto fosse bello scaricare e condividere un peso con altri. Almeno loro erano stati in due. Ma doveva essere comunque parecchio difficile. “lei è una brava persona, la conosco. È una nostra amica”. A quel punto, poverino, non lo biasimo, il ragazzo prese improvvisamente vita. Alzò un sopracciglio, scettico, e mi guardò, quasi con odio. A quel punto arrossii. Aveva ragione. Aveva proprio ragione a non fidarsi di me. Io con lui mi ero comportata molto male. “un’amica che lancia sassi a tradimento?”. Domandò, sarcastico, guardandomi in modo da farmi divenire viola dalla vergogna. Oh, povera me. Che vergogna. La mia bocca agì prima di Ellyn e della mia testa, che viene sempre per ultima. “mi dispiace. Avevo paura”. A quella mia uscita Faldio rise pazzamente, un riso di scherno, tanto che si attirò uno sguardo seccato da parte di Ellyn, ed uno colpevole da parte mia. Aveva ragione a reagire così. Fino a poco prima l’avevo provocato in ogni modo possibile ed immaginabile. Poi il giovane mi guardò, e stirò le labbra in un sorriso cattivo. Mi sentii piccola piccola. Accidenti. “avevi paura, eh?”. Domandò lui, con una voce bassa e minacciosa che mi fece venire la pelle d’oca. Mi guardava, pieno d’odio. Aveva fatto, involontariamente, un passo in avanti, come per proteggere Ellyn, un gesto che mi piacque moltissimo, nonostante il mio panico. Ci teneva, a lei. “bene, ora ne devi avere ancora di più. Ellyn te l’ha detto. È inutile spiegarti che se lo dirai casualmente a Lilliagrin io ti ucciderò dovunque tu sarai, vero?”. Cosa? Mi sentii stupefatta. Eh, che affermazione forte. Io? Dirlo a Lilliagrin? Mi venne da ridere. Ma nemmeno morta avrei spifferato qualcosa a qualcuno. L’amore era troppo sacro per una che per amore era rimasta sfregiata in orribile maniera. Che idiota. Era protettivo, il ragazzo. Forse troppo. Ellyn mi parve a dir poco scandalizzata dal comportamento del ragazzo. Tirò violentemente il fiato, e lo guardò senza parole, sgranando gli occhi. Faldio intercettò il suo sguardo ed arrossì, distogliendo finalmente lo sguardo da me, e posandolo a terra. “Faldio!”. Esclamò, senza fiato, stupefatta da quel comportamento. “non essere così aggressivo con la nostra amica… Lsyn non farebbe mai una cosa del genere! Vero, Lsyn?”. Guardai il volto luminoso di Ellyn. Speranzoso, non so descriverlo altrimenti. Accidenti, non era bello essere minacciata di morte in quel modo. Ma io mai avrei detto qualcosa a quella bastarda, soprattutto qualche segreto in cui era coinvolta l’adorabile figlia. Quella domanda, non sapevo perché, tuttavia, mi sapeva di minaccia. Sorrisi. No. Non avrei mai avuto la minima intenzione di fare una cosa del genere. Anzi. Non lo sapevano, ma avevano trovato una protettrice, ed un appoggio. Io li rispettavo. La loro storia doveva vivere il più possibile. Non come tra me e Chekaril. Sospirai. Era ora di rassicurarli. “beh, mi spiace, Ellyn”. Dissi, con calma, guardando le loro espressione. Ellyn speranzosa, quasi divertita, consapevole del fatto che io stessi scherzando, Faldio sempre più truce. Mamma mia, si erano trovati proprio. Fuoco e ghiaccio. “ma non ho minimamente intenzione di ripetere le brutta esperienza di una chiacchierata con tua madre. Le tazzine a fiorellini mi spaventano troppo”. Avevo scelto le parole giuste, con mio enorme sollievo. Quel momento di tensione si risolse dunque in una risata liberatoria. Perfino Faldio si lasciò andare, tranquillizzato dalla mia battuta di spirito. Continuò a guardarmi con sospetto, e penso che non mi perdonava la sassata in testa, però almeno non ebbe più tendenza omicide…almeno per quel momento. Ellyn parve liberata da un grande peso. Finalmente, le sue considerazioni avevano trovato una conferma. Di me si ci poteva fidare.. Io no. ai miei segreti se n’era aggiunto un altro, più prezioso perché on mio. Accidenti. Io odiavo i segreti. Ma perché qualcuno si era messo ad imitare me e Chekaril? Perché io dovevo sempre stare in mezzo a quelle situazioni?

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Capitolo 48
*** Questo piano fa acqua da tutte le parti. ***


Via, sciò

Via, sciò! Io, Machin, morire? Non sia mai. Ma che muoia mio cugino se tanto ci tiene, su. Io sono troppo bello e troppo carino, troppo insomma per questi infimi insetti di terra. Dovrebbero idolatrarmi e basta. Ma io proprio questi non li capisco. Non li capisco, capito? Insomma, ma perché prima ci hanno trattato da principi e poi ci uccidono? Sta’ a vedere che è tutto nell’immaginazione di Hypia. Si doveva pure scusare dell’ora tarda. Sarà stata così affascinata dalla mia persona che non ha resistito, e, insomma, è venuta da noi non appena ne ha avuto la possibilità perché si staccarsi da una persona come me lo so è dura lo dicono tutti io sono una calamita mi faccio immediatamente volere bene io lo so si sono un geni e questo basta e allora secondo me sai cosa ha fatto, si è inconsciamente avviata verso di me, perché io sono troppo bello, e poi si è accorta che era lì da noi e si è inventata una cosa. Anche se c’è qualcosa che non mi quadra: che c’entrano i mantelli e questi stupendi spadini tutti ricurvi con la mia bellezza? Allora, io non sono sicuramente più bello con un mantello a nascondermi tutto. Sicuramente una bella arma mi rende incredibilmente più virile, diverso da uno stupido Guaritore senza nerbo come è Chekaril. poi in questi luoghi strani non si sa mai. In ogni caso, insomma…meglio fuggire. Però, fuggire, bella lei. Viene calma e ci piange addosso. Ed io non dovrei essere nervoso? Sto per dare di matto, sul serio. Tra poco mi metto ad urlare, e chissenefrega alla fuga segreta! Questo non è un modo di comportarsi con degli amici portati qui mica per loro volontà eh noi siamo pure prigionieri. Prigionieri, sottolineerei innocenti. Mica abbiamo ucciso qualche drago, ammazzato le loro uova, o fatto qualcosa che a loro non va. Siamo solo stati beccati da una coppia di scemi più scemi di noi che hanno fatto qualcosa. E questa sarebbe la nostra colpa? Esserci fidati perché eravamo ufficialmente Guaritori? Ma che diamine vogliono da noi? Uno non può starsene in una locanda per i fatti suoi che subito tac ti beccano e finisci nei guai. Ma che ho fatto di male, io, povero elfo che non vuole fare altro che fare del bene alla sua patria e prendere a calci nel sedere il ladro che ha rubato la spada di papà? Ma io Chekaril la prossima volta lo lego alla sedia e faccio un cartello con su scritto Guaritori impediti si prega di rivolgersi altrove grazie! Su Machin, calma e sangue freddo, ora te ne vai con tuo cugino ed è finito tutto. Ma come faccio, dico, ad avere sangue freddo, io? Cioè, a parte che secondo me non è proprio proprio una bella notizia sentirsi dire che la mattina sarai morto, non so, congela un po’ l’atmosfera sarà forse perché sono impressionabile non so ma non sono parecchio contento, ma poi proprio questo piano non fila. Ehi, insomma, ma ci rendiamo conto di dove siamo finiti, al freddo ed al gelo? Quanto resisteremo secondo questo genio in mezzo alla neve, senza provviste? E poi su rendiamoci conto i draghi non sono stupidi ci daranno la caccia se davvero ci vogliono morti e stecchiti. E qui è tutta pianura. Loro hanno le ali, noi no di certo. Noi non abbiamo nemmeno i cavalli! E come scappiamo, a piedi? Grandioso. Grandioso davvero. Questo piano fa acqua da tutte le parti. In ogni caso è morte certa, che orribile cosa. Beh, se devo proprio morire di certo non devo dare soddisfazione ai draghi. La mia deve essere una morte eroica, da eroe qual sono. Magari, uah, pensaci Machin, in combattimento con un grosso drago, con la spada in pugno ed il cuore… mh…il cuore dove? Probabilmente alla prossima fuga o da Dae e dai suoi tortini di carne. Rovina un po’ l’atmosfera, però. Mi manca la sua cucina. Mi manca tanto…speriamo di non morire allora appena torno mi faccio fare un tortino gigante tutto per me e poi a nanna. Mah, poi ci penseremo a tempo debito. Per ora pensiamo a scappare, magari questa ha pensato anche al modo per farci sopravvivere. Lo spero. Intanto le cose non sanno andando tanto male. Se non sbaglio siamo nel corridoio in cui siamo entrati. Bene, da come si sta mettendo non mi sembra tutta una farsa. E se poi ci sta prendendo in giro? E se in realtà ci sta portando da un’altra parte? E se ci porta a morire con la scusa di liberarci? Questa cosa non mi piace. Anche Chekaril mi sa che sta pensando qualcosa di brutto, ha una faccia bianca. O forse a lui non gli piace l’idea di dover morire, chi sa. Che bello, siamo totalmente al buio. No, niente fiaccole o altrimenti se ne accorgeranno tutti che qualcosa non va ha detto Hypia. Beh, comunque lei è geniale. Insomma, ha addormentato perfino le nostre guardie, ma com’erano carine tutte buttate a terra, gli ho dato un paio di calcetti per puro sfizio e non si sono nemmeno mossi. Che bello, questo rende più realistiche le cose. Allora, qui ci sono punti troppo oscuri. Ma perché Hypia non ci parla o ci dice niente? Piange e cammina avanti a noi. Niente, non ci parla, muta come un pesce. E noi la dovremmo pure seguire, eh? E basta però. Sono stanco, e pure tanto. C’ho troppi pensieri in testa, ma lo capisce che per me è deleterio? Mi verrà mal di testa, e non ho nemmeno un bel posticino dove dormire per farmelo passare. A meno che tutto questo non sia nella testa di quell’elfa matta, saremo fuggiaschi. La cosa non mi piace. Non vorrei pensarci ma ci sto pensando, insomma…ecco noi…oh accidenti che brutta cosa pensarlo. Non sappiamo dove siamo. E come tornare? Le mappe ce le hanno requisite, ci hanno requisito tutto, praticamente, pure quelle belle cose che ci servivano per camuffarci questo mi piace molto di meno insomma rendiamoci bene conto…le radici dei miei magnifici capelli sono già rossicce.  Ed io non so come fare, accidenti a quei due idioti a quest’ora secondo me saremmo già tornati a casa con tutti gli onori, saremmo andati da quel maledetto informatore, avremmo preso quello che ci serviva e poi via, verso casa, ad aspettare zia e Ninì. Ecco, allora bisogna chiedere. Ma perché dovremmo morire? Io voglio risposte. Insomma, non posso accettare tutte queste cose a scatola chiusa. Dicessero quello che vogliono ma almeno io imparo dai miei errori. E poi so che se non lo chiedo io lo fa Chekaril. Ed io voglio essere il solo a parlare con Hypia. Dev’essere mia, lei. Mi avvicino piano…lei mica mi guarda, oh, ma come mi da’ fastidio questo comportamento. Però fa così tenerezza…piange e sembra triste. Mi fa male tanto. Ah, per fortuna che sono elfo. Con questo buio non la vedrei bene. uffa, questo è un tunnel lungo ma non mi sembrava così lungo quando siamo arrivati mah chissà quest’idiota dove ci sta portando. Però non mi piace vederla così giù. Non è giusto per una creatura come lei. Le mancheremo così tanto? Magari le scrivo quando torno a casa. Magari può venire con noi, perché no. sarebbe bellissimo. Mi piace così tanto la sua compagnia. A Chekaril credo stia un po’ antipatica però a me piace e quindi lui si deve stare e basta. Ah, ora devo parlare. Insomma, stiamo seguendo una quasi sconosciuta a scatola chiusa, così tanto per. Non mi piace. Però devo stare attento. Già è triste. Non vorrei peggiorare le cose. “senti… Hypia…”. Uh ma come mi sta guardando tutta che piange lei ecco mi da’ fastidio un po’ quando si comportano così insomma non è certo morto il cane a me è morto Gatto non il gatto che battuta e tu guarda come sono pimpante e bello, ma perché io sono di razza superiore tanto sono bello. Domanda, Machin, la domanda. Chiedi altrimenti poi ti dimentichi come sempre e lei ti sta guardando con quella faccia da cane bastonato e che palle quando fa così non mi piace punto e basta. “ma perché noi dovremmo morire? Che abbiamo fatto di male?”. Ehi, ma che ho detto di male? Ed ora pure Chekaril mi guarda male ma che bellezza. Ma scusa, io che ho fatto? Ho domandato. Sono curioso, punto e basta. Scusa, Machin, non è una cosa che mi interessa? Si certo che mi interessa eh ci sono coinvolto anche se non avrei mai voluto ma pazienza qui non chiedono il permesso. È questa che è una scema sensibile, troppo sensibile. Insomma, non è normale singhiozzare in quel modo. Non mi fare la copia di zia Lalla, per favore, che almeno lei ha un motivo per essere triste tu no sei bella amica dei draghi e cosa hai da lamentarti? Io ti ho chiesto una cosa. Sono io che devo morire, io, non tu! È noiosa. Una mocciosa quando fa così. Nemmeno io piango tanto e nemmeno Nilyan e nemmeno zia Lalla basta che non la prendi quando sta di malumore. Mh, devono proprio essere brutte notizie. Oppure boh, è pazza e forse lo sarà anche per essere amica con dei draghi. Ecco, sembra che si stia calmando. E Chekaril continua a guardarmi male. Oh, ma come è noioso quando fa così, davvero. È noioso anche lui. Che, ti piace Hypia? Eh no, tu hai Miobashin caro. E tu mi dici sempre che la ami troppo, non fare il farfallone che qui solo io lo posso fare tu sei stato preso prigioniero e ti stai. Non certo sei un donnaiolo, sei davvero troppo fesso per esserlo. Sei un romanticone, tu. Allora lasciami chiedere in pace e fatti i fatti tuoi. Ah, finalmente Hypia mi guarda. “Ezelarto te l’ha detto, su di voi si sono scaricate le colpe di quei due umani”. Ah, ma grazie della novità ed ora mi guarda anche con quella faccia stupita ed innocente te la ficcherei nel fango guarda quando fai così. io voglio sapere, ti è per caso sconosciuta questa domanda? Ma sei scema o cosa? Io devo sapere di più. Non posso fidarmi di te così. la zia me l’ha sempre detto, non fidarti degli sconosciuti. Piantala, tu, vocettina nella mia testa. Non è mai troppo tardi per imparare, capito? Come sei sarcastica e velenosa o forse sono io che sono sarcastico contro me stesso ma poi davvero non avrebbe senso dai o forse sono pazzo. Niente, da questi non ci cavi manco  una parola, ma che devo fare, costringerla, torturarla che diavolo devo fare per farmi spiegare cosa accidenti ci faccio qui e perché diamine dovrei tirare le cuoia. E grazie però. Io sono un innocente elfo che chiede notizie, ecco. Tu un’idiota iper sensibile. Allora dimmi, chi è nel torto e chi nel giusto? Mah, che stupida creatura che sei. Mi guarda colpevole, devo aver fatto una faccia strana. E no, quella risposta non mi basta più, che lo sappia. “non per niente, ma credo che tu mi capisca quando ti dico che questa situazione non è piacevole per noi”. Accidenti, io sono un genio. Ho una capacità di eloquio perfetto. Sono un genio. Però mi stupisco pure io del tono che ho usato, è proprio brutto. Severo direi. Non volevo, non l’ho fatto apposta. Almeno però lei sembra rispettarmi un po’ di più, magari lo facesse. Ah, però mi guarda colpevole magari ho smosso qualcosa dentro di lei. “quindi vorrei maggiori chiarimenti. Che cosa avevano fatto quei due?”. Bastardi. Poldo e Lunsch che ci hanno mandati in questo casino inenarrabile. Per scampare chissà cosa, poi. Si, Hypia, sospira e guarda a terra. Come odio quelle facce lì. Ipocrita che non sei altro. Non fare quella faccia che oggi sono di umore feroce. Voglio andarmene, e non so quanto questo ti sia chiaro. Andarmene. Uh mamma mia che silenzio. Bah, cammina Machin e non parlare, se non la urti è meglio, magari ci dice qualcosa di più. Ah, vedi, finalmente la apri quella boccuccia di rosa. Il mio fascino funziona sempre. Io sono un genio, niente da dire. Finalmente avrò più chiarimenti, no sai, perché vorrei sapere perché ci hanno curati bene e meglio e poi vogliono ucciderci, bah, questi draghi sono proprio strani. Lunatici, ecco. Non vorrò mai più avere a che fare con loro. Mai più avrò a che fare con i draghi. Lo prometto. Ah, finalmente parole. Non so quanto mi piaceranno, però meglio sapere che non sapere. Sospiro. Che palle con questi sospiri. Spero che la smetta presto. È melodrammatico, nel senso di patetico. Su, una cosa veloce. Già mi ricordo di questi posti, siamo vicini a quella grotta. “senti… quello che hanno fatto era abbastanza per provocare loro guai abbastanza per una vita intera”. Che voce….dura.  Affari di draghi? Fatti di draghi? Ma chissenefrega, io devo sapere!Uffa, ma io sono curioso! Non è giusto come ti stai comportando. Non è affatto giusto. Sei cattiva e stupida, ma proprio tanto. Io ho bisogno di quelle notizie. Non ho di che pensare. Non posso arrivare a casa e dire perché non sono andato dal contatto pur stando un bel po’ nel Regno, insomma, dobbiamo pure trovare una bella scusa. E non serve a niente guardare a terra con quella faccia colpevole. Io non ci casco, e nemmeno Chekaril lo vedo ora è interessato e dire che prima mi guardava male. C’è silenzio. Dai dai dai su ti prego ti prego e dai dai dai parla ti prego ti prego ti prego daii io voglio sapere! Hypia ecco, ora mi guarda. Mamma mia che brutto sguardo. È cattivo. Proprio cattivo. Sembra che si sia decisa, almeno quello. Ah, che bello. “lo sai che da noi è un reato terribile rubare o uccidere i cuccioli?”. Oh beh, non vedo come questo c’entri. Sarebbe un po’ come uccidere un bimbo io non ucciderei mai un bimbo sono troppo paffutelli e carini e simpatici ed imprevedibili. Troppo bimbi. I bimbi mica si uccidono eh si vogliono bene. Ma quel fatto che diavolo c’entra con la nostra condanna a morte? Io proprio non capisco…non riesco assolutamente a comprendere cosa c’entri. Chekaril sembra aver capito. È proprio pallido, chissà cosa c’è che non va. Ah, come odio quando si gira intorno ad un problema. Io voglio capire, niente più. Cosa ti costa essere diretta? Io sarò poco intelligente ma quando si fa così io mica capisco. Poldo e Lunsch non c’entrano proprio un tubo con questa storia. Erano troppo scemi per essere di più che contadini. “e allora?”. Ecco, ma perché mi guarda così strano? Perché si è fermata? Boh, io non lo so. Mi viene il freddo addosso quando mi si guarda così. Non mi piace proprio. Io ho chiesto. E lei guarda, mi fissa con compatimento e scuote pure la testa. Io proprio non la capisco. Non dovevamo scappare? Magari si accorgono di questa fuga. Ma pure Chekaril mi guarda in modo strano. Che ho detto di brutto? Ho fatto qualcosa che non si doveva fare? Ma io sto camminando. Imito Hypia in ogni suo movimento, non posso aver sbagliato. Allora sarò poco acuto, non lo so. Ecco, ora mi sento piuttosto di cattivo umore. Non facciamo misteri, su. Non ne ho voglia. Voglio sapere tutto questo cosa c’entra con la nostra fuga. Che silenzio. Mi sa mi sa che ho detto qualcosa che non andava. Beh, pazienza, ora scoprirò cosa. Hypia mi guarda molto male. Bah, non le conviene guardare male me, io sono troppo bello e troppo intelligente per un’infima creatura come lei. “in breve, quei due erano cacciatori di draghi. Hanno ucciso due cuccioli, e perciò dovevano...estinguersi”. Aha! Ma no, ma tu guarda! Ma davvero? Ehi, non me lo aspettavo da Poldo e da Lunsch. Cacciatori di draghi! Ma davvero! No non ci credo. Sembravano così stupidi, così scemi. E vedi un po’ hanno ammazzato due bei cuccioli. E ci credo che i draghi erano un pochino irritati. Ora tutto torna, anche la loro tristezza. Poi hanno trovato i due scemi che non hanno combinato niente e li hanno imprigionati solo perché la legge dei draghi funziona così. Bel gioco, lo scaricabarile. Davvero divertente, tranne che per noi, i poveri scemi che ci sono capitati in mezzo. Ecco, ora capisco perché ci trattavano bene. Avevano pietà di noi. Dai su i draghi non sono così cattivi. Sarei pure io un po’ arrabbiato se avessero ucciso un bambino elfo che conosco ed a cui voglio bene. Anch’io vorrei vendetta. Beh, almeno ora scappiamo. Saremo elfi morti, ma almeno ci abbiamo provato. Guardo Chekaril. chissà perché ma lui sembra non esserci cascato. La guarda diffidente. Ma perché poi? Non ne ho la minima idea. Cioè, lei ci ha detto quello che doveva dirci e basta, finisce qui. Dovevamo morire al posto loro. Mio cugino è paranoico, ma davvero. Non riesce mai a capire quando è il momento di smettere. Ecco, ora possiamo stare in silenzio. Ma niente, ora è lui a fare domande. Almeno abbiamo ripreso a trottare. Voglio andare fuori il prima possibile. “ma scusa, perché ci vuoi liberare se hanno fatto del male ai tuoi amici?”. Ecco, questa è una domanda pertinente, lo devo ammettere. Bravo Chekaril. Sarò sincero, non lo capisco nemmeno io. Insomma, Hypia è dalla parte loro. Non di certo da quella nostra. Perché ci aiuta? Qui c’è qualcosa sotto. Non è solo per simpatia, su. Impossibile che lo sia solo per quello. Strano, lei sta sorridendo. E che strano sorriso. Feroce direi, quasi. Beh, spero solo che non ci abbia presi in giro, non lo sopporterei davvero. Insomma, sarei morto e sepolto dopo, però per quell’attimo mi importa, eccome se mi importa. Lei sta continuando a camminare. Ecco, penso che siamo quasi arrivati. Tra poco ci sarà la caverna, vedo una luce. “voi non avete fatto niente”. Ecco, brava, questa è vera giustizia terrena. Si vede che sei un’elfa e non una di quelle lucertole. Però mamma mia come sei arrabbiata. Vai avanti come un treno. Sto correndo per tenerti testa, ma ti immagini? Ma brava tesoro, sei proprio brava. Ora corriamo e ce ne andiamo di qui. Sei proprio brava, io ti adoro. “e siete elfi come me. Non vale quel modo di fare”. Ma che brava, orgoglio di razza. Ah, finalmente, ora siamo già nella grotta, ero molto stanco. Certo, non me la immaginavo così piccina. E buia, tra l’altro. Tonda e tutta liscia, c’è quel posto sopraelevato su una parete, quello che gira con chissà che modo. Ecco, mi ricordo il teschio, è uguale. Mi sa che dev’essere una statua. È molto arrangiato e non mi fa più tanta paura. Prima era peggio. Beh, ci stiamo dirigendo lì. Chekaril non sembra ancora molto convinto, però. Ci credo. Lui è sempre diffidente come un gatto, davvero. A volte non lo sopporto. Però ora dobbiamo sapere tutto. Almeno si, liberi finalmente. Questa è già una grande cosa. “ma tu non passerai guai se ci liberi?”. Altra domanda intelligente. Ehi, mi stupisce. Sta diventando intelligente, gli avrò messo un po’ di senno. Che strano, non ci sta rispondendo. Siamo su quel posto sopraelevato dove è cominciato tutto. Mi sento sollevato. Per ora non ci sono stati intoppi. Però proprio mi sembra strano che quella lì…bah, silenzio. Se la guardo in faccia mica ci capisco qualcosa. È impenetrabile. Com’è antipatico. Ecco, siamo lì su come prima. Hypia sta muovendo il piede in maniera strana, chissà perché. Di nuovo sospiro. Fa tanto nobile delicata, ma io non ci casco davvero. Che scema. “può darsi, ma a me non importa”. Ah, che faccia cupa. Oh si dai, vieni con noi. Dai ti prego, magari dopo glielo dico sarebbe molto molto bello! Oh, accidenti. Il coso sta girando. Tra poco saremo fuori di qui. Questa si che è una bella notizia!

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Capitolo 49
*** Molte cose stavano per cambiare. ***


Dopo quel momento sembrò tutto ritornare al proprio posto, con mia grandissima felicità

Dopo quel momento sembrò tutto ritornare al proprio posto, con mia grandissima felicità. Lasciai Faldio ed Ellyn dopo poco. Non mi sembrava giusto stare tra di loro quando già si potevano vedere pochissime volte. Mi ero sentita un po’ in colpa quando Ellyn mi aveva detto che, da quando lui era tornato dalla sua missione al confine, durata ben tre mesi, quella era la seconda volta che riuscivano ad incontrarsi. C’era sempre stato qualcosa che non era andato per il verso giusto. Me n’ero quindi andata, rispettando la loro tacita richiesta. Fuori al canneto, seduta su una panchina non lontana, ben nascosta, c’era Peggy che filava, tranquilla, con cui mi trovai di faccia. Lei mi guardò, impallidendo improvvisamente, allarmata, ed io le sorrisi, fino a quando la cameriera non si rilassò, guardandomi sempre con un certo sospetto. Capii subito la situazione. La vecchia governante doveva fungere probabilmente da scusa e palo. Mi sentii decisamente più ottimista verso il loro futuro. Bene. A quanto pareva, c’era qualcuno che li aiutava. Non erano del tutto soli, due ragazzini in balia del caso. Probabilmente le due avevano lasciato insieme il palazzo, per non destare sospetti, la principessa e la sua governante a spasso per il giardino. Era una bella cosa. Da quando Chekaril mi aveva messo gli occhi addosso fino al momento in cui, anni dopo, avevo confessato a Tijorn e Junielle di aver ucciso l’elfo che amavo non c’erano stati aiuti. Io non mi fidavo delle mie cameriere, perché chissà quante di loro erano in casa mia per spiare ogni mio movimento e riportare ogni anomalia a chi di dovere, Chekaril… beh, figuriamoci, sotto tutte le sue scuse di certo c’era la volontà di non avere testimoni per un legame nella sua testa destinato a sciogliersi non appena trovato uno più interessante. Ma era meglio non pensarci, altrimenti mi avrebbe guastato la giornata. Almeno entrambi mi sembravano fedeli alle loro promesse. Le premesse per una tragedia accidenti, c’erano tutte, ma non avrei mai permesso che accadesse anche a loro quello che mi aveva segnata per una vita intera. Cominciai dunque a fantasticare. Come tornavano bizzarramente le cose. Chissà come si erano conosciuti. Chissà da quanto tempo. A differenza mia, Faldio aveva l’opportunità di fare carriera e divenire una persona che davvero contava, in quel mondo, e forse anche nel nostro. C’erano modi e modi , tantissimo modi, per spianargli la strada. Era molto difficile, ma non impossibile. C’erano alcuni piccoli viottoli che se allargati adeguatamente potevano divenire strade maestre. Bastava puntare sulle persone giuste, ed avrei potuto farlo. Si poteva…bastava… i tempi non erano per niente maturi, ma un elfo sa aspettare, eccome se sa aspettare. Provavo un po’ d’invidia per quei due. Diciamo molta. Quando pensavo a tutte le parole con cui il principe mi aveva ammansito, tutte le promesse mancate, le piccole bugie scoperte e le grandi rivelate ormai troppo tardi, le scuse, le piccole e grandi angherie dell’ultimo periodo, quando non era più la sua volontà ad agire, mi veniva da piangere. Quando poi confrontavo quello che era successo a me e quello che invece stava succedendo a loro la tristezza si trasformava in vero e proprio rimpianto per cose che non avrebbero potuto mai esistere. Cercai in tutti i modi di evitare pensieri che mi avrebbero avvelenata. Cercai di consolarmi con una cosa: non potevo lasciarmi andare a meste considerazioni del passato, con tutto quello che avevo da fare. Saltai su. Accidenti, Avevo un viaggio davanti a me! Atlantis mi aspettava: non potevo posticipare più tutti i miei piccoli obblighi. Dovevo dunque pensare al futuro, a quel futuro, e non a problemi che ormai non sussistevano più, svaniti nella cenere di un incendio apparentemente involontario. Dovevo farmi passare quello stato di euforia che sembrava essersi appiccicato addosso, e dovevo darmi da fare. Dovevo smettere di pensare alle rose ed ai fiori, e cominciare ad organizzarmi sul serio. C’era un viaggio da fare, per quanto non mi piacesse l’idea. Prima cosa, Lilliagrin doveva essere avvertita della mia decisione dei compagni. Poi, dovevo convincere la regina a farci procurare abiti e cose che ci avrebbero fatti passare più inosservati. Già era abbastanza la nostra razza, le nostre usanze ed il mio aspetto, ci si mettevano anche abiti piuttosto inusuali ed anacronistici già per Fiya. Maledissi tutti i blocchi e divieti che Lainay aveva imposto con furbizia anche a noi. Anche Roxen e Nilyan dovevano essere avvertite di quella separazione sempre più imminente. Bisognava organizzare, metterci a posto. Non sarebbe stato un soggiorno molto corto. Ah si: dovevo assolutamente imparare a convivere con l’idea che entro pochissimo tempo avrei passato giorni in mare aperto, progetto che mi faceva venire i brividi. Era necessario, dovevo ripetermi che era necessario. Ma solo pensandoci mi veniva il mal di mare.  Decisi quindi di tornare nella mia camera. Magari avrei cominciato a fare una piccola lista delle cose da fare. Sarebbe stata l’ideale per ricordarsi tutto. Dovevo raggiungere Zipherias e Capouille, e farmi aiutare anche da loro. In poche parole, avevo trovato come occupare la mia giornata. Almeno ero di buonumore. Quello mi avrebbe dato una spinta in più. Magari avrei cominciato dai compiti meno gradevoli. Mi diressi dunque dai miei due amici. Senza di loro non potevo fare niente. Molto idiota da parte mia, ormai troppo dipendente, ma necessario. Per tanto tempo non avrei dovuto contare solo sulla mia esistenza. In fondo ne ero anche felice.

Quel giorno passò in un lampo, e così fu per i successivi. Mi stupii di quanto stesse andando veloce il tempo, come se stesse correndo, come se stesse saltando qualcosa. I momenti volavano, e così le cose da fare. Il primo compito fu quello di avvertire la regina di Fiya della mia scelta. Eseguii quel noioso dovere lo stesso giorno dell’incontro con Faldio ed Ellyn. Ovviamente, mi portai dietro anche Capouille e Zipherias, più che altro per supporto morale, e come aiuti per non scoppiare a ridere davanti la faccia tronfia di Lilliagrin o cominciare a commentare il suo arredamento di pessimo gusto. Come la prima volta anche quell’incontro fu una bella tisana serale nella camera melensa. Quella volta la regina si era vestita, orribile dirlo, di un terrificante rosa chiaro, e le tazze erano addirittura bianche con fiori in tinta. Perfino il mio povero amico dai capelli rossi rimase scioccato a quella visione. Il composto Zipherias per poco non rise. Io, intanto, gongolavo. Se solo quella faccia di cagna avesse scoperto gli intrallazzi vari che si svolgevano sotto quel naso sempre arricciato in una smorfia di disgusto! Ero contenta in modo quasi infantile. Io la sapevo lunga. Lei no, imprigionata nella sua stessa boria, troppo fiera di essa per essere acuta. La mia gioia aumentò in maniera esponenziale quando la vidi accogliere la notizia dei miei accompagnatori con un sorrisetto gelido, e gli occhi pieni di disappunto. Li salutò con un pizzico di disprezzo, come se li considerasse esseri inferiori. Non mi infastidii. Sapevo di averle praticamente rovinato la festa, e ne ero molto fiera. Probabilmente mi aveva sottovalutata: aveva pensato, chissà quando, che io fossi troppo debole per chiedere a qualcuno dei miei di accompagnarmi, o che fossero tutti uniti, ed io il lupo solitario troppo fiero per abbassarsi a chiedere a due infime guardie. Non sapevo a chi avesse pensato per affiancarmi in tutto quel tempo, ma sicuramente sarebbe stato un umano di sua fiducia, pronto a trascrivere ogni mio segreto e debolezza, oppure qualcuno per lei scomodo, per poi ammazzarci entrambi in qualche incidente molto tempestivo. La faccia che fece quando le chiesi di procurarci degli abiti leggermente più consoni mi fece ridere, in seguito, un bel po’. Mi sembrò che avesse mangiato qualcosa di molto acido, e che le fosse rimasto in gola qualcosa. Probabilmente quella regina sarebbe stata a lutto per i successivi mesi, fino al nostro ritorno. Sicuramente era afflitta perché tre elfi non potevano importarsi molto degli affari umani. L’idea di aver mandato in fumo tutti i suoi piani mi rallegrò moltissimo, tanto che passai la serata un po’ tra le nuvole. Fu decisamente meno allegro il momento in cui fummo costretti ad annunciare la notizia della nostra imminente separazione alle due piccole. Definirlo straziante è dire poco. Ci riunimmo, la sera esattamente successiva alla nostra ufficializzazione come prossimi ambasciatori ad Atlantis, e spiegammo tutto. Fui costretta a parlare io. Non avrei mai voluto essere io a dare dolore alle mie piccole, ma fu necessario. Solo io conoscevo davvero tutta la storia. Per fortuna che, accanto a me, c’erano Capouille e Zipherias. Almeno loro erano un baluardo contro le lacrime che mi avevano minacciata dal momento in cui erano entrate nella mia stanza due giovani elfe piene di curiosità. Da sola non avrei mai resistito, e sarei crollata. Si, amavo la compagnia. Aveva troppo valore per me. Cominciai dall’inizio, dal momento in cui mi era stata letta quella lettera, il suo vero contenuto svelato a me, incredula malata, fino al girono prima, in cui il nostro viaggi era divenuto ancora più ineluttabile. Mi sentii tremendamente in colpa quando vidi le loro espressioni mutare, man mano che il discorso andava avanti. Incredulità quando le avevo comunicato dell’incredibile doppio gioco di Isnark. Soprattutto Nilyan, abituata da sempre a non scomporsi di fronte alle cose più strane, rimase molto colpita dal gesto imprevisto del suo amato papà, non riusciva a credere, all’inizio, che proprio lui avesse avuto il coraggio di fare una cosa del genere. In seguito sentenziò solennemente che sicuramente aveva avuto i suoi motivi. Roxen, al contrario, si profuse in una sequela di maledizioni e su auguri non troppo velati di una precoce morte di quello che per lei era uno zio. Quando la cugina le rispose, piccata da quel comportamento che offendeva il suo amato genitore, mia figlia reagì prendendosela anche con lei, che no, non aveva sperimentato quell’arma, lei, sempre bella al sicuro da tutto e da tutti. La situazione sarebbe degenerata in una piccola lotta, normale amministrazione per quelle due, se non le avessi richiamate all’ordine con una faccia talmente lugubre che le zittì in un attimo. Proseguendo il racconto ebbi bisogno di qualcuno accanto, tanto aumentò il mio dolore nel vedere le facce sempre più sgomente delle mie piccole. Avevamo deciso tutto precedentemente, il modo in cui parlare, per non disturbare Nilyan in qualche maniera ed indebolirla di conseguenza, i nostri gesti. Nella nostra decisione entrava anche il progetto di far parlare solo me, in solitudine, ma fui grata lo stesso quando Zipherias mi prese una mano, quando cominciai ad incespicare un po’ troppo nel racconto, troppo presa ad osservare il volto sempre più cadaverico di mia nipote e gli occhi sgranati di mia figlia. All’incredulità che aveva accolto le mie parole si sostituì, non tanto lentamente, la loro sorpresa, e poi il loro dolore. La reazione di Roxen fu tipica, impulsiva come sempre, una tempesta passeggera. Avevo già implorato Zipherias di avere nervi saldi a riguardo. In fondo di lei non mi preoccupavo tanto: era stata molte volte senza di me, e se la cavava ottimamente. In quella occasione non avrebbe avuto stuoli di cameriere ad idolatrarla ed un’alta società in cui spadroneggiare, ma sapevo che avrebbe trovato il modo per farsi conoscere. Dovevo parlarne con Ellyn: sarebbe stata lei la garante contro gli eccessi di quella matta di mia figlia. La vidi, non appena finii il racconto, guardarmi dapprima con occhi di momento in momento più colmi d’ira,  poi cominciare ad inveirmi contro, maledire me, promettere al cielo che Isnark oh si che l’avrebbe pagata, cosa per la quale mi trovava proprio d’accordo, minacciare di ritorsioni chissà chi, per poi scoppiare a piangere sulla spalla di Capouille, implorandoci di rimanere. Non le rispondemmo. Nilyan cominciava a preoccupare un po’ tutti noi. Infine anche Roxen si accorse che qualcosa proprio non andava, e smise addirittura di frignare. Di colpo divenne parecchio tesa, e si sciolse dall’abbraccio, guardando la cugina. Lei non era mai stata sola, e non era così indipendente come voleva lasciar credere. Era piccola quando l’avevo lasciata l’ultima volta, ed ero stata via molto meno tempo. Inoltre, lei aveva avuto accanto a sé gli altri suoi punti di riferimento, oltre me, Capouille e Zipherias: Machin, innanzitutto, poi il padre, che stravedeva per lei, Amarto, il suo amato nonno, Dae, le alte sacerdotesse del loro culto, che la amavano nonostante lei si divertisse a combinare loro i peggiori scherzi. Poi lei era rimasta a Kyradon, in un ambiente molto più che amico. In quel momento le premesse non c’erano. Nilyan sarebbe rimasta  sola: suo cugino era chissà dove in viaggio, a combinare non si sapeva quali disastri, suo padre era il colpevole del problema, gli altri non c’erano. Lei sicuramente voleva bene a Roxen, ma di certo mia figlia non era la creatura più sensibile con la quale confidarsi. Qerin, inoltre, non era un posto  dove la piccola veniva amata. Si trattava di una città inconcepibile dalla sua immaginazione, gigantesca, ostile e sconosciuta. Immaginavo soltanto in che modo si sentisse perduta: come se un baratro le si fosse aperto improvvisamente sotto di lei. Ci guardava, il volto fin troppo pallido, gli occhi sgranati, senza parole. Quel colpo non era stato molto facile da sopportare. Avrebbe dovuto fare conto, per la prima volta nella sua vita, con la solitudine. Nessuno sarebbe stato lì per proteggerla. Quella volta ebbi molta paura per lei. Andammo fin troppo vicini ad una di quelle crisi con i fiocchi. Nilyan, in un silenzio tombale, il volto inespressivo, perse così il controllo che qualche oggettino che le stava intorno esplose, senza alcun motivo apparente. Quando vidi quel fenomeno mi sentii mancare. Oh no, non quello e non in quel momento. Presagii il disastro, e riuscii ad avvicinarmi a lei, di scatto, prima che alzasse qualche protezione senza nemmeno accorgersene. La abbracciai, con la morte nel cuore, sussurrandole che tutto sarebbe andato bene, che il più presto possibile saremmo tornati tutti assieme. Riuscii ad evitare il pericolo: dolo un po’ mia nipote tornò in sé, e si afflosciò contro la mia spalla, singhiozzando dapprima esitante, e poi sempre più forte. Cercai, senza riuscirvi, di consolarla, con parole vuote e vane. Dopo un po’ lei si divincolò dal mio abbraccio disperato, rabbiosa, e scappò nella sua camera, chiudendosi dentro a chiave. Cercammo in tutti i modi di farci aprire, preoccupati, ma lei non rispose a nessuno dei nostri appelli. Fu solo Roxen l’unica capace di salvare la situazione. Guardandomi male cominciò a chiamare dolcemente la cugina, parlandole con tranquillità. Mi stupì, da parte sua, quell’improvvisa maturità. Era incredibile. Addirittura lei riuscì ad entrare, l’unica in quei giorni, nella camera di Nilyan. Mi promise e mi ripromise di farmi secca prima o poi, certo, ma senza di lei tutto sarebbe stato molto peggio. Per tutti i gironi che rimasero dalla nostra partenza non vidi più mia nipote, barricata nella sua stanza, un po’ indebolita da quella piccola crisi, un po’ troppo triste per vedermi. Stetti molto male per quello. La mia piccola. Che cosa avevo fatto? Implorai Nemys di perdonarmi. Beh, almeno era stato per un motivo logico. Io senso del dovere aiutò a non farmi sprofondare in chissà che abisso. Poi anche i miei due amici riuscirono, con la loro compagnia, a consolarmi un po’. C’erano, inoltre, tantissime cose da fare, e solo raramente riuscivo a pensare. Vennero preparati i nostri abiti, diversi nella foggia e nel materiale, molto più leggero perché, a quanto pareva, lì il clima era molto più mite di Fiya, ma simili nei colori, vennero organizzate molte altre piccole cose. Lilliagrin, con una smorfia addolorata in volto, ci consegnò i programmi, per insegnarci cosa fare durante quel periodo, cosa dire. Molto meno triste era la figlia, Ellyn: anche lei sapeva di Atlantis, sebbene non tutto. Nel pensare che noi avremmo viaggiato era così entusiasta che si poteva pensare che ci avrebbe seguiti di nascosto se avesse potuto. Un paio di volte ebbi il piacere di parlare sola con lei: era una compagnia piacevole. Mi promise che avrebbe tenuto d’occhio le mie piccole, e disse, ridendo, che avrebbe domato Roxen in ogni modo a lei conosciuto, che non sarebbe stato difficile. Non parlammo mai di quello che avevo visto. Faldio era proibito nelle nostre conversazioni. Di giorno in giorno cominciai, sempre di più, a rispettare la giovane ragazza: non era stupida. Dietro il velo di ingenuità si celava un carattere che sarebbe andato parecchio d’accordo con mia nipote quando era allegra. Addirittura, Ellyn mi aiutò a recuperare Nilyan. La prese di forza dalla camera, e le parlò a lungo. Chissà che cosa le disse. Fatto sta che da quel momento la vidi un po’ più spesso in giro, il muso lungo e gli occhi bassi. Non l’avevo mai vista in quello stato: non veniva nemmeno a colazione con la principessa. Con mio enorme dolore non riusciva a parlarmi, ma comunque giudicai un miglioramento il fatto che fosse riuscita a perdonare le due guardie. Sarebbe venuto il momento in cui avrebbe parlato anche a me. Doveva venire. Roxen già aveva superato la tristezza: mia figlia è davvero molto forte, lo è sempre stata. A lei le sfide piacevano: già si era ripromessa che entro il mio ritorno tutto il palazzo l’avrebbe idolatrata. Il vestito, alla moda di Fiya, che le aveva regalato Ellyn aiutava sicuramente: l’aveva accettato dalle mani della principessa in modo piuttosto sdegnoso, non tradendo il minimo sentimento verso il dono di una ragazza che ancora non le andava a genio, ma non passava momento in cui non la beccavo a contemplarlo.  Dopo una settimana da quella rivelazione, finalmente ci venne comunicata la data della partenza: gli ambasciatori precedenti erano ormai tornati, e tutto era pronto. Entro due giorni, di sera, avremmo lasciato Qerin. Ci saremmo diretti al porto su uno di quei trabiccoli, e da lì via verso Atlantis. Accolsi la notizia con estrema inquietudine. Non sapevo perché, ma avvertivo in quella data un qualcosa di definitivo. Sapevo già che quel viaggio mi avrebbe segnata, e molto. Speravo, ovviamente, in meglio. Alla notizia, dataci da una Lilliagrin due volte più mesta del solito, mi guardai a lungo con i miei amici: si, l’avevamo capito tutti. Molte cose stavano per cambiare.

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Capitolo 50
*** Scatole di sardine. ***


E, finalmente, molto più presto di quanto io stessa avessi inizialmente supposto, arrivò il fatidico giorno

E, finalmente, molto più presto di quanto io stessa avessi inizialmente supposto, arrivò il fatidico giorno. L’ora dei saluti. Avrei cominciato un altro viaggio. Per un breve attimo avrei sfiorato l’esistenza diametralmente opposta di sconosciuti. Avrei visto un’esistenza che non riuscivo ad immaginare, così lontana da Fiya, dalla stessa, arretrata, Uruk, ne ero sicura, e ne sarei rimasta soffocata. Già era difficile confrontarsi con la realtà degli umani, nel nostro stesso continente, relativamente facile da raggiungere per noi, realtà divenuta totalmente aliena da quando il malefico potere di Lainay si era infiltrato sempre di più in ogni tessuto della vita quotidiana, mettendo contro cugino contro cugino, amico contro amico. Ero rimasta abbastanza male nel vedere la grandiosa Fiya. Sicuramente il loro sviluppo era piuttosto limitato, circoscritto nei luoghi densamente popolati come Qerin, ma in confronto anche di Kyradon o Galinne… ci si rendeva conto, purtroppo, di quanto la razza elfica, la mia razza, stesse lentamente disfacendosi tra le rovine del proprio passato. Figuriamoci come mi sarei sentita che aveva terrorizzato, meravigliato, stupito, i progrediti umani! Risultato? Mi sentivo con l’acqua alla gola, metaforicamente e anche materialmente. Intendiamoci bene: io ho paura dell’acqua, no? Penso che ormai sia famosa un po’ dappertutto per la mia innocente follia. Come potevo dunque sentirmi, pensando al lungo periodo che mi aspettava? Domanda retorica, ovviamente. Se solo il mio pensiero si ci soffermava per un attimo mi veniva la pelle d’oca. Importava davvero pochissimo, in quel frangente, che non sarei stata sola. Non avevo capito, chissà, forse non me l’avevano detto apposta, non so, la durata del viaggio. Una settimana o un mese, comunque, cambiava ben poco. Già poche ore in nave mi procuravano conseguenze che andavano dal mal di mare agli attacchi di panico. Sapevo benissimo che sarebbero stati giorni interminabili di agonia. Speravo almeno che fosse una bella nave grossa, imponente, e non un agile brigantino da contrabbandieri, buono solo per la navigazione sottocosta. Altrimenti temevo che mi avrebbero fatta uscire da quel maledetto insieme di legno in un altro legno, ben diverso. E se avessimo incontrato una tempesta? La sola idea mi ossessionò talmente tanto che per i rimanenti due giorni non feci altro che sognare in tema marinaresco, più che altro incubi. Era riposante vedere che almeno temporaneamente i fantasmi che di solito soggiornavano nella mia testa erano spariti. Molto meno riposante era la presa di coscienza che ben presto quei sogni fin troppo realistici sarebbero divenuti una possibile realtà. E poi, detto molto chiaramente, chi mi assicurava la vita in mare aperto? Io avevo bisogno di rassicurazioni. Vita civile. Non ero fatta per l’acqua e l’acqua non era fatta per me. Giorni, in balia di una nave bizzosa, di onde alte metri e metri, senza una possibilità di un porto sicuro, senza poter scappare, sommersa da umani e umani ed umani. La cosa avrebbe fatto impazzire un asceta. Roba da pazzi, il mare. Forse le bestiacce che vi abitavano conoscevano le regole della buona educazione e dell’ospitalità, ma dubitavo. Rabbrividivo al solo ricordarmi dei racconti che i viaggiatori mi avevano fatto, di orribili animali grossi come mai avrei potuto immaginare, di mostri dal becco appuntito che viaggiavano sulla scia delle navi, probabilmente pronti a divorare alla prima occasione il malcapitato che fosse caduto in acqua. Un coso del genere sarebbe stato capace di inghiottirmi in un boccone. Da matti davvero. Ma trovare un posto migliore per Atlantis? Non poteva stare bella tra le montagne e la neve? Immersa in un prato lussureggiante? No! in mezzo al mare. In un’isola. E non poteva importarmi più di tanto il fatto che potessero esserci campagne e vette, in quel buco stramaledetto. Per arrivarvi si doveva attraversare il mare, e non il docile mare costiero, ma mare aperto, pieno di mostri e onde altissime. Chissà se ci saremmo arrivati, in quel posto schifoso! Ma chi mi aveva detto di obbedire ad Isnark? Chi? Sentivo una rabbia incredibile, assurda, quando vi pensavo. Mi ero intrappolata da sola. Ero un genio. Un’altra cosa che proprio mi faceva venire voglia di prendere e cominciare a sbattere la mia testa contro un muro ben solido era vedere i miei compagni di viaggio. Era snervante vedere l’entusiasmo di Zipherias, che amava il nuoto ed il mare, l’incredibile curiosità di Capouille. Quando quest’ultimo mi aveva chiesto di sorridere mi era venuta fuori un’espressione da lucertola mummificata che aveva spinto Ellyn a chiedermi se stessi bene. no, non stavo bene: io non so nuotare, il mare mi terrorizza. Dovevo andare in mare aperto in compagnia di due elfi felici. E per forza che erano allegri: tutti e due sapevano nuotare! Chi mi avrebbe sopportata? Lì erano tutti lupi di mare, marinai esperti oppure, nel caso dei miei amici, curiosi. Tutti tranne io, io, l’unica sfortunata della situazione, che non sapeva nuotare nemmeno in una bacinella! Ma non si potevano trovare metodi alternativi di viaggio? Sapevo che i draghi non esistevano, ma a dorso di uno di loro no? Catturarne uno e costringerlo a portarmi? Oppure crearlo. Tutto per scamparmi quel viaggio. E poi, mettiamo i vantaggi? Ci avremmo messo molto meno tempo, ed io non soffro di vertigini. Io soffro di mal di mare, e quando non sto bene sono irritabile. Molto irritabile. Estremamente irritabile. No eh? Niente metodi alternativi. Quando avevo chiesto ad Ellyn, mettendola sul giocoso, lei mi aveva riso in faccia a lungo. No, niente, in nave. Ma per caso il destino doveva ancor farmi scontare qualcosa o non bastava quello che avevo passato? Io non ci volevo andare, categoricamente. Mi ci ero buttata io per sbaglio, in quella avventura. Che idiota. Ingenua, candida, e poi chiamavo così Ellyn! Ma ci rendiamo conto? Mi ero costruita la fossa da sola! Ma bravo, Isnark. Aveva trovato un modo pulitissimo per farmi fuori. Maledetto ipocrita, se avessi avuto la fortuna di tornare non con altrui gambe mi avrebbe sentita. Mi sarei vendicata, e anche tanto. L’avrei annegato. Ecco, in quei due giorni si agitavano pensieri di quel genere nella mia testa. Ero divenuta asfissiante per Zipherias. Cercavo, con scarsi risultati, di parlare con lui e farmi consolare. Lui amava l’acqua, io no lo cercavo dunque per tentare di eliminare, invano, tutti i miei timori. Era inutile che mi ripetesse che non c’era nulla da temere in quegli animali, che erano tutti innocui, lui li aveva visti, che non doveva essere tanto pericoloso come lo immaginavo io, un viaggio simile. Come risposta io lo subissavo talmente di domande che infine si limitò ad annuire, senza più forze per combattere contro una me un po’ troppo paurosa. Insomma, non si profilava un periodo troppo felice, per me. Una prospettiva meravigliosa, vero? Oltre quello, c’erano molte altre cose che mi riempivano di inquietudine. Ho sempre detestato lasciare le cose a metà, i rapporti pendenti senza una soluzione, in un senso o nell’altro. Mi ha sempre disturbato la tensione che ne deriva. Bene, quei giorni furono così per me e Nilyan. Mia nipote non stava bene, affatto. Di solito era sempre da me, mi reputava come la tutrice e la madre che ho sempre tentato di essere, rideva, giocava, scherzava, combinava guai. Anche quando Machin ci aveva lasciati era stata meglio, fiduciosa di rivedere il cugino il prima possibile. Probabilmente quell’ultimo distacco era troppo, per lei, creatura naturalmente socievole, molto viziata dal punto di vista della compagnia. Che con lei ci fossero Ellyn e Roxen aiutava, ma probabilmente il pensiero di  dover contare, per la prima volta in vita sua, su se stessa e sul proprio discernimento la spaventava. Anzi: la terrorizzava, ne ero sicura. Era abbastanza matura per evitare la compagnia di una zia asfissiante. Il problema era che lei non se ne rendeva conto, e continuava a comportarsi come se fosse un po’ bambina. Il suo enorme difetto era quello. Tutte le mie peggiori prospettive si avverarono inevitabilmente. Raramente la vedevo in giro, e quando ci incrociavamo lei distoglieva lo sguardo, l’aria malinconica e ferita. Faceva lo stesso con Capouille e Zipherias. Evitava chiunque tranne Roxen ed Ellyn. Io stessa avevo consigliato alla principessa di far partecipare alla colazione solo loro due, per familiarizzare ancora di più con lei. Mia figlia, manco a dirlo, era inviperita dalla prospettiva di dover contare su quell’umana che detestava tanto, ma, da gran signora, tendeva ad ignorare la questione, o lanciare battutine acide al suo indirizzo. Un paio di volte mi aveva scandalizzata così tanto per l’insolenza che l’avevo presa per le orecchie, di impulso ,generando un caos da far paura. Nilyan, semplicemente, non se ne importava. Un po’ era sicuramente colpa di quel terribile momento in cui avevo pensato che all’orizzonte si stesse profilando un’ennesima crisi, che la lasciavano sempre leggermente intontita per qualche tempo. Ma la gran parte della colpa era da imputare a me, alla decisione non mia di ficcarmi in quel tremendo guaio. Quel pensiero mi intristiva, e molto. La mia povera nipotina stava male. La mia povera nipotina era triste. E io? Io non potevo fare niente. La mia povera nipotina mi evitava deliberatamente. Maledetta me e la mia impulsività! Perché l’avevo portata lì con me? Sarebbe stata ragionevolmente tranquilla a casa, con gli altri suo parenti ed amici ad assisterla. Lì aveva solo Roxen, che non era proprio la migliore delle compagne per lei, che odiava vestiti, gingilli, lei, troppo libera per innamorarsi o per pensare ad un legame anche solo temporaneo, lei, una bambina dallo spirito libero, lontana millenni dalle argute sofisticazioni di mia figlia. Ellyn per lei andava bene. Ma l’umana non era così vivace. Ci voleva un pazzo o una creatura non umana per tenere testa a lei. E che dire poi delle crisi? Sicuramente la principessa aveva nella sua corte un paio di maghi abili, ma l’inquietudine restava. E non volevo che mia nipote vivesse tutto quel tempo nell’amarezza di avermi lasciata così. Cercai inutilmente il pretesto per parlarle, ma lei rifuggiva sempre le mie scuse. Finalmente, arrivò il momento in cui riuscimmo a chiarire un po’ ciò che pensavamo. Ironia del destino, fu il momento esatto della mia partenza. Ce ne andammo tutti da Qerin di mattina presto, quando era ancora quasi notte, a bordo di uno di quei cosi che avevamo visto all’andata. Con noi, delle guardie. La regina Lilliagrin non si era fatta vedere, nemmeno per salutarci. Ci aveva mandato, per via interposta, altri documenti, carte da far firmare a chi di dovere, prese subito in custodia da una guardia, e nemmeno un augurio. Credo che sperasse nella nostra morte. Mi ripromisi di guardarmi bene attorno, per evitare un non tanto fortuito coltello alle spalle. Sorpresa delle sorprese, a salutarci vennero Guaren, che a quanto pare aveva ritmi un po’ invertiti di vita, tanto era pimpante e, con nostro stupore, Ellyn, così assonnata che mi stupii di non vederla cascare da un momento all’altro. Nilyan e Roxen ci accompagnavano, entrambe non particolarmente gaie. Non fu un addio proprio allegro. Sembrava che il nostro fosse un seguito di un funerale, a dire la verità. Capouille più che altro dormiva. Zipherias…beh, non so, Zipherias penso fosse l’unico sereno, entusiasta di rivedere il suo amato mare. Io avevo fisse in mente le immagini di Nilyan in preda ad una crisi e quella di un’onda gigantesca e popolata da animali feroci che sommergeva me e la mia zattera, quindi non ero per niente allegra. L’unica cosa che mi risollevava un po’ lo spirito era il pensiero di Isnark beatamente strozzato tra le mie mani. Nilyan aveva un muso che arrivava a terra, e doveva aver pianto. Roxen e le guardie erano naturalmente incarognite. A gruppi di tre entrammo in quella sorta di carrozze senza cavalli. La guardia stava su con…beh, il guidatore. Nel mio gruppo ci sarebbero dovute essere le due piccole, ma, ad un certo punto, ci fu uno scambio. Roxen sgattaiolò dai miei due amici e, di conseguenza, Zipherias fuggì via dalla sua carrozza come se a loro si fosse unita una puzzola. Mi ritrovai dunque con un indifferente amico, che ad un certo punto si addormentò o fece finta  di addormentarsi, e Nilyan, che tirava su col naso troppo frequentemente per non essere preoccupante. Ci mettemmo in moto. Se non pensavo all’assente scalpitio potevo credere di essere su una carrozza. Mi concentrai inizialmente u quel pensiero per non dare di matto e fuggire. Almeno, il nucleo magico non si avvertiva. Dovevano esserci, fortunatamente, degli schermi. Quella era una fortuna. Non potevo sentirmi male già da lì. Guardai mia nipote, muta, che ogni tanto mi guardava di sottecchi, imbarazzata. Stavamo un po’ strette, e, nonostante fossi piccolina, le nostre ginocchia cozzavano l’una con l’altra. Sentii, con enorme fastidio, la tensione crescere ed accumularsi. Sentii, ad un certo punto, il bisogno di fare qualcosa. Qualsiasi cosa. Mi bastava sbloccare quella situazione tremenda. Ero troppo nervosa. Le mie visioni apocalittiche su tempeste e mostri giganti scomparvero. Ad un certo punto, prima che accadesse, mi ero trovata a pensare a quegli orrori come se stessi cercando un rifugio, come se stessi trattenendo quelle visioni per non pensare ad altro, e per non innervosirmi. Ma dovevo essere adulta. Non potevamo comportarci come due bambine. Con il cuore a mille, provai a sorridere alla mia nipotina. Lei mi guardò, piena di astio e tristezza. Continuai a sorriderle, decisa. Qualunque cosa avrei detto quella situazione doveva risolversi. Non potevamo continuare così. “tesoro…”. Cominciai dunque, esitante, guardando l’espressione ben poco accogliente della piccola. “come ti senti? È passata?”. Povero il mio cucciolo. Lei mi guardò, e, pian piano, i suoi occhi si riempirono di lacrime. Lei strinse le labbra e tirò su col naso per arginare il pianto, troppo orgogliosa per farsi vedere da me. Aspettai, con pazienza. Non dovevo affrettarla con un mio gesto inconsulto. Avrebbe capitolato, ora che era costretta a stare con me. Non era così orgogliosa. Sapevo che se fosse riuscita a piangere senza disturbo la via per la pace sarebbe stata spianata. Guardai Zipherias. Finta o no, mi stava aiutando molto con il suo sonno. La mia piccola Ninì non avrebbe mai parlato con lui sveglio. Si vergognava troppo. Lo ringraziai mentalmente. Ritornai con lo sguardo alla mia nipotina, sempre più triste. Ad un certo punto lei tirò col naso un’altra volta, poi, dopo pochissimo, scosse il capo e scoppiò in singhiozzi silenziosi. Mi sentii invadere da un’onda di tenerezza quasi materna, che mi fece sentire colpevole per un bel po’ verso Nemys, che era riuscita a stringere sua figlia una sola volta. La abbracciai, di scatto, posando la sua testa arruffata sulla mia spalla. Lei mi abbracciò forte. Mi sentii molto meglio. Un passo verso la pace. “piccola… Nilyan, non piangere su…”. Cercai di consolarla, battendo con una mano sulla sua schiena, come se fosse bambina. Veniva anche a me da piangere. Fosse stato per me avrei portato lei a posto di Capouille. Non per niente contro il mio povero amico, ma almeno lui poteva sopportare benissimo chiunque, soprattutto una come Roxen, che almeno andava, per qualche misterioso motivo, d’accordo con lui. Ma non potevo. Ero prigioniera. La scaltrezza di un Isnark che mi aveva sorpreso ed il terrore di Lilliagrin che facessero qualcosa di brutto alla figlia mi avevano impedito di agire come volevo. “cercherò di fare presto…lo prometto…e poi tornerò, sai? Andremo a sgridare tuo padre come si deve, sei d’accordo?”. Lei, tra le lacrime, ridacchiò debolmente. Poi si strinse a me. Doveva avere molto bisogno della stretta della zia che l’aveva allevata. Troppo bisogno. Avevo terribilmente viziato mia nipote, e non solo io. Non era giusto gettarla in quel modo brutale nel mondo. Passammo un po’ di tempo in silenzio. Poi mia nipote parlò. “ma io sarò sola…”. Disse, alzando il viso verso di me, disperata. Era pallida pallida, il viso bagnato dalle lacrime che ancora scendevano copiose. Sentii una fitta di autentico dolore. La mia Ninì. Lasciai che si sfogasse, in silenzio. “tu sarai con Zipherias e Capouille… io solo con Ellyn e Roxen…io ho paura, zia”. Mia confessò lei, stringendosi di nuovo a me, rifugiandosi nel mio abbraccio. La strinsi altrettanto forte. Lei aveva bisogno di me. Chissà, magari le avrei potuto mandare delle lettere, da lì. Non sarebbe stato così male. Ma lo sapevo, mi sarebbe mancata lo stesso. Sarebbe stato poco meno che terribile. “sono sola…con chi parlerò e a chi dico quello che penso? Che faccio da sola? Perché papà non ha mandato Machin con noi?”. Eh no. Quello proprio no. Era per caso quello il suo rimpianto? Sentii una fitta di disapprovazione. Piangeva perché non c’era il cuginetto con cui fare scherzi? Lei non poteva aggrapparsi in quella maniera maniacale al cugino. Ecco dove stava il problema. Altro che solitudine. A lei mancava il cugino, in quel momento di fragilità molto di più di prima, quando c’eravamo noi a distrarla. Però un po’ la capii. Lui e lei erano un po’ come me e Tijorn. Quel matto era il suo confidente, suo fratello, il suo amico. Non sempre i suoi consigli erano sensati, ed il problema era che sempre mettevano in pratica i loro piani bislacchi, niente a che fare con quello che mi legava al mio eroe casalingo. Ma erano come noi. Un po’ le facce di una stessa persona. Accidenti, se la capivo. Mi sembrava quasi di risentire me, nelle sue parole, la Lsyn fragile e sola di una volta.  Mi sembrava di riascoltare le mie parole. Non sapevo assolutamente cosa dirle, nonostante questo. Mi trovai molto vuota di parole sagge. Cercai, mentre la coccolavo, qualcosa di disperatamente intelligente. Mi vennero fuori alcuni borbottii. Rimasi quindi a consolarla, abbracciandola e accarezzandola, l’unica cosa che potevo fare, sentendomi ridicola ed inadeguata per una tristezza che riecheggiava la mia, fino a quando non arrivammo. Quando la carrozza si fermò, agli albori del giorno, lei scattò a sedere, asciugandosi le lacrime, per non fare vedere la sua sfiducia. Tuttavia, mentre scendevamo, mi prese la mano, e non la lasciò più fino al momento dei saluti. Guardai mia figlia. Anche lei, poverina, doveva aver pianto di nascosto. Cercò per tutto il tempo di non farsene accorgere, ma era molto triste. Confidai su di lei. Lei era forte, molto di più della cugina con la mente ancora un po’ all’infanzia. La prima sensazione che mi colpì, quando scesi, fu l’odore. Acre, indefinibile, insolito per me creatura di montagna, mi riportò per un doloroso attimo, di colpo, su Gerinti, e poi sulla Serpe Nera. Acqua di mare. Il secondo, il rumore. Il respiro di una bestia possente. Mi bloccai per un attimo. Accidenti, ma eravamo così vicini al mare? Mi guardai intorno. Eravamo probabilmente in un piccolo villaggio di marinai e pescatori, sul mare, pieno di caseggiati bassi, oltre i quali si intravedevano chiglie lucenti di navi, che, almeno a come sembrava, non si discostavano tanto da quelle che ricordavo. La visuale del mare ci era bloccata dalle case, ma si sentiva. Eravamo vicinissimi al grande porto di Fiya. Lasciando che degli umani miti prendessero i nostri poveri bagagli, entrammo con le guardie in un caseggiato, come avevamo fatto all’andata. Lì le guardie passarono i documenti ad un uomo sulla scrivania, un vecchio che sapeva di sale, che li firmò e ce li restituì. Li prendemmo, li prese lo scrupoloso Capouille, come assicurazione della nostra autenticità come ambasciatori. Poi ci lasciarono un po’ soli. Venne l’ora dei mesti saluti. Lì salutai una malinconica Roxen, che assaporava l’odore a lei così familiare, lei, che era cresciuta su un’isola, e che mi confidò di voler venire con me, perché le mancavano il mare e le onde, il vento sempre presente, e poi mi congedai da Nilyan che, quella volta, scoppiò in lacrime senza più importarsi di nulla. Abbracciò Zipherias, poi Capouille, ed infine si aggrappò a me, disperatamente. Quella volta piansi anch’io. Accidenti, mi sarebbero mancate, tantissimo. Chissà quando le avrei riviste. Sperai, nel mio intimo, il più presto possibile. Ma sapevo che la mia era solo una piccola speranza, un lumicino di fronte alla fiamma divoratrice del mio viaggio. Chissà come ne sarei tornata. Se in piedi o in versione orizzontale. Non ne avevo la minima idea, ma speravo fortemente nella prima ipotesi. Dopo un po’, ci vennero a chiamare. Con la morte nel cuore, salutai le piccole, e promisi di farmi raccontare tutto al mio ritorno. E così, ebbi una piccola illuminazione. C’era un modo per sfogarsi, per Nilyan. Era stato il mio per così tanti anni che ormai lo davo per scontato. Mi aveva salvata. Mi aveva forgiata. Aveva aiutato a ritrovare un pezzetto di me. Scrivere. Un diario, perché no? Ne parlai, di sfuggita, con la mia piccolina, abbracciandola un’ultima volta, come se fosse una cosa poco importante, e poi me ne andai, scortata, io e gli altri, da altre guardie, dall’aria, più che altro, di marinai. Mi appoggiai a Zipherias per tutto il tragitto. Avevo bisogno di qualcuno che mi stringesse. Non potevo andare in pezzi un’altra volta. Il dolore era molto forte. Accidenti, se fossi stata sola non avrei resistito. Riuscii a frenare, per fortuna, il mio pianto. Ma la sensazione di assoluta tristezza non se ne andò se non dopo aver messo piede sulla nave, e d essere stata afferrata dal panico. Dopo un po’, finalmente, qualcosa mi distrasse. Finalmente, riuscii a vedere il porto. Rimasi di stucco. Davanti a me le navi, dalla più piccola barca da pesca ad una grande, di legno, nascondevano il mare. Mi guardavano, minacciose. Mi sentii molto piccola. Accidenti, una nave ha il potere di annientarti, davvero. È come una montagna. Cercai di ricordare la dimensione della Serpe Nera. Era sempre più piccola, man mano che veniva paragonata alle navi che osservavamo, percorrendo l’ampio molo, tra le navi ed altre piccole case, strette tra di loro. Mi sentii rassicurata. Almeno non sarei stata in un guscio di noce. Mi strinsi più forte ad un incantato Zipherias, che guardava in su sorridendo leggermente. Oltre al naturale timore, il terrore per l’acqua sporca di mare, sentii un’altra cosa. Curiosità. Ma la nave che ci avrebbe accompagnati lì? Dov’era? Ero curiosa, molto curiosa. Ad un certo punto, senza preavviso, svoltammo. Quello che vidi mi fece sentire molto più di male. Quella che vedevo davanti, ormeggiata di lato, era qualcosa…di strano. Scintillante e tronfia galleggiava contro ogni regola della natura…una nave. Non so descriverla altrimenti. Era…era grossa, si. Molto grossa, più di ciascun ammasso di legno che avevo visto fino a quel momento. ma…no, quello non mi sembrava legno. Il legno non scintilla come metallo, no? non avevo mai visto una cosa dalla forma più strana. Era allungata e agile. No, impossibile. Le navi non possono essere di metallo. Il ferro non galleggia. Ci fermammo, sbigottiti. Io cominciai a tremare. Eh no, quello era uno scherzo. Non quella… quella cosa. Mi guardai con i miei amici. Anche Zipherias era parecchio perplesso .eh no. Una cosa del genere andava a fondo dopo un centimetro. Pazzi. Ecco perché Lilliagrin gongolava. Ma che bastarda. Va beh, magari mi sbagliavo. Era una nave commemorativa. Non può esistere una nave…boh, scura. Dai colori scuri, grossa. E soprattutto, non di quel materiale che vedevo. Mi girai sbigottita verso un marinaio, che continuava a camminare. Lui mi guardò, indifferente. Indicai il grosso ammasso di coso, descriverlo in un’altra maniera sarebbe stato impossibile. Le immagini di un naufragio ed una cassa da morto divennero un po’ troppo persistenti nella mia testa. Io non sapevo nuotare. Ma che scherzo era quello? Oh, mi sentivo mancare. Manco morta sarei salita su una cosa del genere. “cos’è?”. Dissi, indicando l’enorme, minacciosa nave, terrificante alla luce del primo mattino. Al diavolo gli umani. Sono pazzi. Magari quello era un esperimento. Per noi. Magari affondava subito. Le ginocchia si fecero di gelatina. No, ci avrei mandato Lilliagrin su una cosa del genere. Mi venne di nuovo da piangere, ma non per la tristezza. L’umano mi guardò in modo molto strano ,come se non capisse la domanda, poi fece spallucce. “la vostra nave, no?”. Disse, con un’aria di sufficienza che mi fece gelare. Cosa? Eh no. Non potevamo partire in quel modo. Mi prendevano in giro. Gli umani erano pazzi. Sentii Zipherias sobbalzare. Dovevamo essere tanto scioccati che l’umano, da tronfio qual era, divenne compassionevole. Oh no. se lo scordavano che io entravo lì dentro. Ma se lo scordavano proprio. Ma che ci andasse quella regina lì se le piaceva! No. una nave di metallo affonda, per tutti gli dei! Quella non era una nave! Era un omicidio! Qualcosa mi frenò dal parlare. Accidenti, non potevo essere così impulsiva. Ma pensare al mio terrore ed al fatto che vedevo qualcosa che andava contro le leggi del buonsenso mi aveva resa un po’….irascibile, diciamo. Ma proprio leggermente. L’uomo sorrise, e con lui alcuni della sua banda, comprensivo. Odioso. “non vi preoccupate, non affonderà, viaggia da tantissimo tempo”. Si certo, come no, e poi io credevo proprio a te. Tu che mi parlavi con quella faccia da gatto sornione. Come no. corro entusiasta. Lo stomaco si contorse in bizzarre posizioni. Provai un acuto desiderio di raggiungere le mie piccole, ora sicuramente in viaggio verso Fiya. Non potevo morire. Ero troppo giovane accidenti. “è una buona nave da guerra”. cosa? E voleva dirmi che quei trabiccoli servivano a dar battaglia? Ma scherzava. Il paragone che trovavo più calzante per quel mostro martellato male era solo uno. Molto esotico, direi. Eh no. non sarei partita. Non lì. Piantai i piedi per terra, rifiutandomi di muovere anche quando Zipherias provò a spingermi. Ero testarda come un mulo. Non ci volevo andare e non ci volevo andare lì dentro. Era tutto uno scherzo. Un complotto. Il mio amico dagli occhi d’oro mi guardò, in cagnesco. Restituii con odio il suo sguardo. Eh no, proprio no. non era giusto e non era umano. Mi volevano tutti male, lì dentro. Tutti morta. Gli umani osservarono la scena, perplessi, poi ridendo come pazzi, per cosa ne seguì. Vorrei morire ancora, al solo ricordo. Il mio amico, mi guardò male, e mi parlò nella nostra lingua, per non essere capito. Ci bloccammo tutti. Capouille alzò gli occhi al cielo. Bello lui, fiducioso di quelli lì. “Lsyn…”. Mi ammonì lui, ringhiando e cercando di trascinarmi. Io puntai i piedi. No, da lì non mi muovevo. Volevo tornare a casa, subito. “smettila di comportarti così...mi sembri una bambina!”. Lo guardai scandalizzata a quelle parole. Ma si rendeva conto? Cioè, aveva capito dove ci volevano portare? Era assurdo. Eppure lui sapeva del mio terrore, ed era intelligente. Doveva sapere che il metallo non galleggia. Anche lui faceva quindi parte del complotto. Altrimenti non si spiegava. Osservai la cosiddetta nave, una bocca pronta ad ingoiare la mia vita, mentre il paragone si faceva sempre più vivido. Nemmeno morta sarei entrata lì dentro. Era una topaia. Una trappola. “no, Zipherias! Ma guardala!”. Strepitai, divincolandomi da lui, indicando rabbiosa la nave. In realtà tremavo di paura. Una cosa del genere in mare aperto avrebbe significato la morte, ponendo ovviamente il galleggiamento come ovvio. Paura. Terrore. Io non volevo morire. E poi, per tutti i santissimi dei, quella cosa mi sembrava un solo oggetto. “è una scatola per le sardine! Io lì, stai pure sicuro, non entrerò mai!”.

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Capitolo 51
*** Come si saluta un diario? ***


Ecco

Buonasera!

Con grande gioia annuncio che questo sarà il capitolo che introdurrà la terza narratrice.

Nilyan. Caratterizzata da… beh, si vede (si legge, per caso? Devo cambiarla?).

D’ora in poi si procederà con un capitolo a testa (ciò vuol dire che il prossimo sarà di Machin, poi di Lsyn, poi ancora di Nilyan e così via).

Gli eventi ne saranno un po’ rallentati, ma è meglio così.

Beh, buona lettura, ed a presto!

Akita

 

Ecco...

…buongiorno?

Cominciamo proprio bene. Perfetto.

Allora, io non so nemmeno come cominciare. Ma per caso si saluta un pezzo di carta, qualcuno lo sa?

Mi sento ridicola. Perché sto scrivendo? Chi mi ha convinta? Chi? Solo perché la zia mi ha detto “bella nipotina mia, scrivi che poi mi farai leggere tutto quando torno” io scrivo, obbedisco come una bella bambina.

Non è giusto. Ma perché sto scrivendo? Boh, tanto per sprecare inchiostro, immagino.

Far leggere tutto al ritorno, poi. A lei. Tsè, se lo sogna. Io dovrei farle leggere tutto, quando lei scrive di continuo e se provo a leggere qualcosa sono in punizione per una vita intera, a parte che tutto è accuratamente nascosto solo gli dei sanno dove. Questa è proprio un’ingiustizia, ma grande come un castello.

Certo che è proprio strano scrivere un diario. Io ci ho già provato, no, però non mi è mai riuscito. Anche perché Machin l’ha sempre trovato in un batter d’occhio. Odio essere presa in giro da lui. Che poi mi manca pure. Ma questo è un altro argomento, e non so se ne parlerò.

Roxen mi ha suggerito di scrivere senza pensare. Lei è un’altra. Qualche volta io penso che lei non pensa mai. Altrimenti come potrebbe essere così scema?

Però è una buona idea. Ci provo.

Va bene, comincio con qualsiasi cosa, altrimenti poi questo quaderno lo butto nel fuoco.

Ah, per inciso, tu non lo saprai. Roxen e Machin sono miei cugini. Quasi fratelli, visto che abitano con me da quando sono nata, con altri cugini, i nonni e la zia. Qualche volta anche papà e Zipherias, e Benagi (quanto mi manca quell’elfo, è l’unico con un po’ di senno a casa!) e Capouille, che poi sono amici.

Io sono orfana. Mamma è morta quando io sono nata. Il perché non mi è dato saperlo.

Ferma, non ci vuole un grande ingegno a scoprire perché (Machin mi avrebbe già presa in giro per tutta la vita per questo!!!!), sono nata, ma a volte credo che sotto ci sia un po’ un mistero.

A volte mi sento un po’ in colpa, per questo, cioè, se non fossi mai nata lei sarebbe ancora viva, oppure se avessi fatto la buona lei sarebbe sopravvissuta. Secondo me è per via del mio potere. Le ho fatto male ed è morta.

Brr, che brutta cosa. Non ci voglio pensare. Poi magari te ne racconterò.

Però strano, nessuno sembra avercela con me. Anche papà mi vuole bene, tanto tanto, anche se lui ha nascosto tutte le cose della mamma. Io poi le ho trovate, tutte, ed ho rubato qualcosa. Era bella, la mamma. Zia dice che le assomiglio, ma assomiglio anche a lei, solo che non sono così bassa e magrolina. Sfido io, era sua sorella.

La zia aveva altri fratelli, sai, però sono morti tutti. È buffo, tutti i loro figli vivono con la zia. Vivevamo, almeno, quando eravamo più piccini. Che poi non è un gran spasso, sai, anche se sembra. O meglio, lo è quando zia è di buonumore e ben sveglia e senza nulla da fare, e ci insegna come rubare in cucina senza sporcarsi. Allora lì è forte davvero.

Altre volte è un incubo. Lei è una lagna, ma una lagna tremenda. È ovvio, cerca di non farlo vedere ai suoi poveri, poveri piccoli pulcini, ma mica è tanto brava, ti dirò.

Certo non dev’essere bello rimanere sola della propria famiglia, ma nonno Amarto non è come lei.

Mamma mia, quaderno/pezzo di carta/qualsivoglia nome sceglitene uno, soprattutto quando eravamo più piccoli era terribile. Povera zia, lei cercava di far finta di niente, ma tante volte o si chiudeva nella sua stanza a scrivere, ed io la sentivo singhiozzare, lo giuro, oppure era troppo stordita dal pianto, o, temo, da qualche sonnifero che prendeva di nascosto, e si occupava di noi quasi come se non lo facesse con la testa. Poi per fortuna quando mi sono fatta più grande lei è stata meglio, e ora sta molto bene credo.  Anche se ci tratta sempre come bambini da proteggere, mah.

Cosa mi manca da dire? Non vorrei finire qui, mi pare poco quello che ho scritto.

Ah si.

Ora io non vivo con lei. Sto sempre al castello.

Ecco un’altra cosa da dire. Sono come ciliegie le cose da dire, una tira l’altra.

Non mi sono presentata!

Che elfa sono mai? Papà dice sempre che la presentazione è la carta da visita di una persona, e che sono il comportamento e l’aspetto che contano. La zia l’ha sempre contraddetto. Lei se ne infischia di queste cose. Sfido io, non ha un bel viso. Beh, è bello a metà, l’altra metà è un po’ mangiucchiata dal fuoco, direi.

Si, perché la zia è sfregiata. Un brutto incidente, credo, poverina.

A proposito del contraddire, lei e papà si punzecchiano sempre. Chissà poi perché. Sono un po’ dispettosi.

Comunque io credo a papà. Lui non ha tutte quelle cicatrici. Soprattutto, lui non bestemmia come una marinaio. La zia ogni tanto ha questo difetto. Chissà dove l’ha preso. Io non l’ho mai vista nuotare.

Così, da brava bambina educata come sono, mi presento.

Allora, io mi chiamo Nilyan Nemys (bello, le mie iniziali sono tutte e due per N, fortissimo, crea un sacco di nomi d’arte), e sono (udite udite!!!!!) l’erede al trono di Uruk, che è un paese di elfi come me, bellissimo, il più bello del mondo. E’ tra le montagne, un giorno devi venire con me a vederlo. Ci puoi passare la vita a contemplare la roccia che cambia colore con il tempo e l’ora del giorno.

A proposito. Sai cosa sono gli elfi? Abbiamo le orecchie a punta, non grosse però, ed assomigliamo agli umani. Solo che viviamo molto di più. Per il resto a me sembriamo uguali.

Sai, tra noi e gli umani non è scorso mai buon sangue. Non so perché. In questo momento mi trovo in un regno umano, Fiya, a Qerin, e ti posso dire che sono molto cortesi.

E anche intelligenti. Quando sarò regina porterò da me molte di quelle invenzioni che ho visto solo qui, così Uruk sarà più bella ancora, alla faccia del Regno dove ci sono i cattivi. Io non li ho mai visti, ma mi fido di quello che mi dicono.

Nel Regno ci sono gli elfi che odiano gli umani.

Odiano anche noi, ma questo per principio.

Lì si sono delle cose brutte. Come le Spie.

Un paio di volte la zia ne ha catturate un paio. Sapessi quante bestemmie da entrambe le parti!

Sai chi sono le Spie, vero?

Sono della specie di soldati segreti e sono terrificanti e anche assassini, addestrati per obbedire alla regina del Regno (che nomi fantasiosi).

Le odio, sono la cosa più viscida di questo mondo. Ci spiano e uccidono gente. Cosa c’è di peggio? Che orrore.

Se potessi prenderei tutte le spie e le metterei su una nave per spedirle lontano. E poi affonderei la nave quando non c’è più nessuno dentro. Così non tornano più.

Ho cominciato a scrivere  questo…diario…quaderno…coso…perché mi sento sola.

Sono a Fiya, che è lontanissima da casetta mia, con Roxen, che è mia cugina (questo mi pare di avertelo accennato). La zia è partita con Capouille e Zipherias, perché la regina di qui e papà vogliono che lei parta, verso un’isola lontanissima, come ambasciatrice. La zia è andata via, e non so quando torna. Se n’è andata ieri mattina. Sono stata male, ma ora va meglio.

Che brutta cosa vederla andarsene ed io devo rimanere sola con Roxen che, scusa se e lo dico, non è la migliore delle compagnie, è un’isterica.

Sono andata con loro per la prima volta, questo è il mio primo viaggio, di solito rimango con papà a casa. Cattivo papà, questa volta è stato cattivissimo con lei. E anche con me, la sua figlioletta. Lo sa che io senza zia Lsyn mi sento sola. Lei ha tanti tanti difetti, ma qualche volta sento che lei è la sola che mi capisce. Io parlo tanto con lei. E poi mi ha fatto da mamma. Ed è affettuosa. A me piacciono le coccole. Lei riesce a tenermi buona quando non mi sento bene.

Già, perché ogni tanto succede. E ho sentito dire che è pericoloso.

No, ascoltami, non sono malata. Nel senso, non ho una malattia. Però no, non sto bene, non sono perfetta. Quindi si potrebbe dire che sono e non sono malata?

Ecco, ora capisco com’è bello un quaderno che non parla. Ora capisco perché la zia me l’ha consigliato, di scrivere. Nessuno ti giudica. Puoi dire quello che vuoi.

Una persona già mi avrebbe guardata strana quando ho detto quelle cose. E poi sarebbe scappata.

Io non lo so perché sono malata, e non so che cosa ho. Io sto fisicamente benissimo. Non so nemmeno cosa mi succede, davvero. Non me lo ricordo mai. Un attimo prima sto facendo una cosa, magari anche bella, l’attimo dopo mi trovo a letto e mi sento malissimo.

Papà e zia mi hanno spiegato che è perché dentro di me, che grande scherzo che mi ha fatto la natura, ha un senso dell’umorismo niente male, c’è troppo potere magico, ed a volte non lo riesco a governare, sai?

Ogni tanto io mica sono scema, uso la mia magia, è un grosso vantaggio, e vedo la zia e Roxen che si dibattono perché sono inette. Permette di fare degli scherzi, ma certi scherzi, che nemmeno ti immagini.

Un paio di volte ho fatto morire di paura anche il papà. Vorrei fargli uno scherzo creando un’immagine di mamma, ma è meglio di no. Già ho visto che non era felice quando mi ha beccato con un suo ritratto in mano.

A volte poi aiuto Machin. Il mio cuginetto, il mio fratellino. Siamo cresciuti insieme, siamo quasi coetanei.

Lui è un grande. Ha una testa che i migliori cervelloni gliela invidierebbero, perché si inventa cose straordinarie. È un genio dello scherzo. Io gli voglio bene, e lo aiuto quando posso. Sempre insomma.

Anche a me piace fare scherzi. Non sono mica un angioletto. Non mi piace stare inerte ferma immobile a fare la muffa sui libri, come Chekaril che è anche mio cugino. Quindi lo aiuto con la magia.

Però a volte questa magia fa cose che io non voglio.

La prima volta che è successo ero piccola, ed ho ucciso un topolino per sbaglio, non so come. Mi sentivo triste e sono andata con Machin nel bosco vicino casa mia a giocare. Abbiamo fatto una trappola e abbiamo catturato un topolino di campagna. Com’era carino. Solo che l’ho preso in mano ed è morto all’istante. Poi sono tornata a casa per fare vedere che cos’era successo, sono entrata in casa dalla zia…e mi sono trovata a letto con la febbre alta, addirittura nel Lazzaretto. Erano passati giorni, ed io non ricordavo nulla.

Senti, io mi sento stupida. Sto facendo di tutto per evitare di pensare che sto scrivendo al nulla, o meglio, a me stessa, ma non ci riesco.

Davvero, questo fatto di scrivere un diario è una cosa profondamente idiota.

La zia me l’ha consigliato perché lei si sente meglio quando scrive, si confida. Parlare è confidarsi.

Ma bello.

Ne ho di segreti di stato da mantenere, io. Uh, hai voglia, a carrettate.

Oh accidenti, se mi beccasse Machin sarei finita. Mi prenderebbe in giro da qui alla fine dei miei giorni.

Per fortuna lui è in viaggio con Chekaril. Sono andati nel Regno. Chissà come si staranno divertendo. Io invece sono a Fiya a fare la calza. Zia è partita ieri, pensa, non l’ho nemmeno vista andare in nave, beata lei, all’avventura, sai come deve essere contenta, loro sono in viaggio…

…ed io?

Io sono qui. In un castello a fare colazione con la principessa che è tanto simpatica ma, lo ammetto, un po’ fessacchiotta, che ci ha bollato in via diretta come migliori amiche del cuore, poveretta, dev’essere proprio a corto di amicizie per dare corda a due elfe, poi passeggiata con Roxen che guarda come un uccello da preda gli abiti delle nobili (quella è pazza, è così frivola che non puoi nemmeno immaginare), poi…boh. Mi annoio.

A questo punto è meglio scrivere. Non posso fare altro. Roxen a quest’ora si ritira per il suo consueto trattamento di civetta, no, civetteria, la principessa Ellyn avrà altre cose da fare ed io mi annoio.

Di solito parlavo con la zia ma la zia non c’è. Già mi manca. Rimpiango di aver tenuto il muso per tutto quel tempo. Io voglio affetto!!!!!!!

A proposito.

Castello di Qerin, stanza da letto con studio, seduta sulla sedia della mia scrivania, diario sulla scrivania, Ora Della Noia ovvero primo pomeriggio. Tempo: soleggiato. Clima tiepido.

Questo dovrebbe starci in un diario. Anche se non sono sicura che sia il posto giusto. Non sono sicura che sia così, anche.

Beh, che si arrangiassero. Tanto nessuno lo legge questo diario.

Ah si. Un’altra cosa che dovrebbe stare nel diario è caro diario, e su questo non ci piove e non ci diluvia.

Ma insomma, è osceno. È ridicolo. Anche se questo coso non serve a nulla, accidenti, non posso chiamarti diario! Questo non invoglia la scrittura, stronca l’ispirazione, che già è poca, credimi! Scrivo a vuoto. Bella cosa. Non creo una storia, scrivo una lettera ad una persona che voglio bene….ecco.

Io ho un’idea. Non credo che ti secchi avere un nome, anzi. È un grande onore. Io poi andrò meglio a scrivere. È come avere un amico immaginario.

Io avevo un amico immaginario. Anche Machin ce l’aveva. Di solito li usavamo come pretesto per i nostri scherzi, dicendo che erano stati loro, però non attaccava mai. Di certo la zia non era scema, non lo è mai stata.

Io però con il mio ci parlavo pure, lo sai? Gli volevo molto bene. Poi alla fine l’ho dimenticato, ma forse non sarà male riesumarlo per un po’. Almeno il nome.

Vuoi essere il mio Wilhelm?

Io chiamavo così il mio amico immaginario, è un nome umano e mi piace molto. Almeno non sembrerò un’idiota che parla con un pezzo di carta. Posso sempre far finta di star mandando lettere ad un amico. Devo assolutamente convincermi di questo.

Allora,Willie, sarai mio amico, vero?

Non per essere leziosa come Ellyn, che a volte è un po’ troppo zuccherosa, ma ti conviene.

Anche perché il fuoco è lì, non mi costa nulla buttarti per incidente.

Oh accidenti ora mi butto io, nel fuoco.

Cosa diavolo ho scritto?

Senti, ho un sospetto.

La pazzia non è una malattia contagiosa, vero?

No, perché Machin è fuori come ben più di un balcone,  non vorrei che mi avesse mischiato qualche schifezza.

Sto parlando con un quaderno.

Devo dire però che è un bel quaderno, esteticamente parlando. Beh, ovvio, l’ha scelto Roxen, e quando parli di cose belle lei è la prima che te le indica ad occhi chiusi.

Per una volta le devo esserle grata, Willie. Ci sto prendendo gusto, mi diverte. Mi sento più allegra, mi sento molto meglio di prima. Prima pensavo che a scrivere cose del genere fossero solo tipe come mia cugina, che è fintamente stucchevole e tanto arrivista. Oppure come Ellyn (ho detto tutto). Però poi in fondo è bello. Chissà se pure lei chiama il suo diario in qualche modo.

Mi piacerebbe scoprirlo.

Ahahah, ho un’idea. Mentre dorme andrò a fare una capatina nella  stanza della mia cuginetta cara, così mi frego il diario.

Tanto l’ho visto anche se non so dove lo nasconde. È anche abbastanza vistoso, ha dei fiorellini su attaccati.

Me l’ha fatto vedere ieri sera (senza leggere, ovviamente!). Dice che ci scrive da anni.

È enorme, vero, pieno di fogli e cose varie.

Devo riprendermi in qualche modo, anche se non penso che sarà così carino leggere nella mente di quella matta. Però sono curiosa.

Ottimo, una botta di vita.

È un bel po’ che sono giù. Da quando zia mi ha detto che partiva per quell’isola mi sento sempre più sola. Qui non ho punti di riferimento. Papà è lontano. Zia è via. Machin anche. Anche Zipherias e Capouille. Saranno ormai in mare aperto, chissà che bello. Io sono qui con Roxen.

Ma non posso dire a lei quello che penso. Mi giudicherebbe, e lo so che un po’ lei mi giudica una bambina.

Non può dirlo lei che è ancora più immatura di me. Quando Ellyn ci è cascata in testa (perché si, stava scappando chissà dove ed è scivolata, dovrei chiederle che ci faceva lì) ha fatto una scenata ed ha anche fatto intristire la zia. Lei lo sa che non lo deve fare. La zia ci vuole bene e lo fa per noi.

Poi Roxen non è poi tanto felice. Deve stare qui senza i suoi amatissimi amici che le fanno i regalini, senza quel santo di Capouille che la sopporta, senza la zia che la coccola e senza i suoi vestiti migliori. Ah si, e, soprattutto, con Ellyn.

Lei non la sopporta. Non so perché, quella bimba è tanto carina e simpatica, mi piace parlare con lei, mi aiuta sempre. Quando ero triste e quando non volevo uscire dalla mia stanza è venuta e mi ha detto che non devo fare così, perché la zia era costretta a partire e non voleva nemmeno, che sarebbe tornata presto e che poi le cose sarebbero andate anche meglio ed io devo essere forte perché gli elfi sono forti ed io sono una principessa (che noia sta storia delle principesse, tutti doveri ed il divertimento dove sta?). Perché si, sai, Willie, noi siamo un po’ in guerra.

Dico un po’ perché ci sono pochissime battaglie. Però la situazione mi pare tesa.

Spero che non succeda mai niente, almeno finché io sono in vita.

Spero di non dover mai andare in guerra. Machin mi ha detto che un brutto affare, parecchio sanguinoso. Non so come faccia a stare lì Roxen che odia sporcarsi. Mah, quanti misteri in un solo essere.

Comunque, io le sono grata.

È una fortuna averle parlato di quello che mi ha detto la zia, al ritorno dal porto.

Io pensavo davvero che ci fosse qualcosa di male nel parlare al vuoto. Insomma, non è da persone sane di mente. Lo fa la zia, pensa un po’.

“io lo faccio da sempre”.

L’ha detto pure Roxen.

Io comincio a pensare seriamente che si tratti di una grave epidemia.

Beh, comunque lei mi ha spiegato che non c’è nulla di male a parlare con un diario. Aiuta a capire quello che si vuole davvero.

In effetti non posso darle torto. Ora capisco un po’ meglio qualcosa.

Oh beh, non tutti i mali vengono per nuocere, si dice.

Ora mi sento più allegra. Già oggi a colazione stavo meglio, anche perché Ellyn mi ha fatto ridere tanto raccontandomi quelle strane storielle umane che lei conosce benissimo.

E poi mi hanno detto che la nave è salpata correttamente e che naviga tranquilla, che il mare è piatto come un tavolo, che non c’è nessun problema.

Quindi oggi posso dirmi più felice di ieri, anche se la zia mi manca.

Chissà come fanno a saperlo, che stanno tutti bene, intendo. Loro hanno un sacco di cose strane. Ieri, per esempio, siamo andati su una carrozza che funziona a magia, senza cavalli. È geniale. Ne porterò una ad Uruk come regalo per Machin.

Poi oggi Roxen mi ha regalato te, durante la passeggiata mattutina, ricordi?

Oggi quindi è il Giorno Speciale.

A proposito di giorni.

In che giorno siamo? Su un diario si scrive. Terzo dopo la luna piena credo. Ma da quando sono qui ho perso il senso del tempo. Gli umani hanno un metodo diverso di misurare i giorni.

Ma non importa.

Comunque ti ricordi come ti ha regalato?

Chissà come ti ha reperito. A volte mi stupisce. Se lo sarà fatto dare da qualcuno. Comunque è stato un pensiero gentile. Io amo i pensieri gentili.

Ha colto proprio la palla al balzo. Io pensavo di chiedere uno di questi cosi ad Ellyn, così avevo un blocco su cui scarabocchiare quando non so cosa fare.

Lo occuperò scrivendo, pazienza.

Sei troppo bello per essere rovinato, Willie. Hai una carta così liscia, la copertina dura e tanto colorata. Mi dispiacerà sporcarti con qualche macchia d’inchiostro. Ma io tanto lo so che a te fa piacere. Sono tua amica, no?

Ovvio che lo siamo.

Strano, però, parlare con sé stessi è interessante. Si possono apprendere tante cose. Questo me lo dice sempre Capouille.

Vediamo un po’.

 

                                   Sondaggio:

                      Cosa ho imparato nel parlare con te?

Oh.

Niente, credo.

 

Willie, tu che dici, io avrò imparato qualcosa?

Troppo presto dici? Beh, sono le prime pagine. Ma che bello, allora speriamo che ci capitino tante cose belle da scrivere!

Che illusa: Nilyan, cosa pensi che possa succederti qui, rinchiusa in un castello ed asfissiata come se fossi una bambola di vetro?

Niente in potenza. Sono qui a rigirarmi i pollici mentre tutti vanno all’avventura. Qui a parlare di abiti con Roxen. Che rottura di scatole.

Chi ha inventato le damine tutte leziosità e mosse affettate? Chi, che lo ammazzo? Chi ha scritto che una principessa deve stare tutta tranquilla in un castello? Io voglio vedere il mondo, voglio girare! Ho un città che mi guarda e non posso raggiungerla! Una città fantastica! Da esplorare!

Un giorno mi maschererò e fuggirò per un po’. Ricordamelo, Willie, lo dobbiamo assolutamente fare.

Ma chissà che passa per la testa della regina. Io l’ho vista e devo dire che mi fa un po’ di ribrezzo. Mi sembra che sia stata presa da una tomba.

Ritiene come un soprammobile. Grandioso, soprattutto perché quando siamo arrivati qui ci ha sbattuti in cella senza tanti complimenti.

Cosa le ha detto su di me papà?

Ma non lo so. Devo dire che però mi annoio molto. Non ho che fare.

Oh, Willie, bussano alla porta. Ma chi sarà mai? Sarà senz’altro Roxen che mi invita a giocare a carte. Aspetta, vado a vedere. se è lei, meglio non farla aspettare.

 

Castello di Qerin…come avevo scritto? Quello di su insomma. Qualche attimo dopo che ho scritto.

Non sbagliavo. È comparsa Roxen con la sua massa di riccioli a domandarmi se volevo farle un po’ compagnia. Un classico. Bene, ora dovrò andare in tutta fretta. Credimi, ho meno entusiasmo di Chekaril quando deve combattere (Chekaril è mio cugino, fratello di Roxen, dovrei avertelo detto, è un Guaritore ed è il mio eroe, se non altro perché sopporta Machin che l’ha scelto come Vittima Prediletta, e gli vuole bene e l’ha anche seguito). D’accordo, d’accordo, vengo.

Ma io non chiedo nulla di che.

Anche solo una gita in città. Dovrei mettere a Roxen o Ellyn questo tarlo. Magari mi portano. Io non saprei a chi chiedere.

Beh, è arrivato il momento dei saluti, Willie, mi piange il cuore a lasciarti anche perché ho scoperto che sei un amico che sa…ascoltare in silenzio (rido da sola, mi sento sciocca).

Ma poi magari ti riprendo quando ho voglia. Forse stasera. Se non sarò stanca dopo aver sentito le lamentele di mia cugina su Ellyn ed il mondo che la circonda, ovviamente.

Bah.

Come si saluta un diario?

Boh, ciao, saluti da Nilyan. A dopo, credo. O domani.

È la stessa cosa.

Ciao ciao Willie!

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Capitolo 52
*** Meglio volanti. Si, senza alcun dubbio. ***


Oh

Oh. Accidenti no non ci posso credere non ci voleva ma tu guarda brutta bastarda della fortuna ci hanno beccati o forse no magari qualcuno ci aiuta. Che devo pensare? Devo essere spaventato o meno? Nemmeno il tempo di guardare fuori che bello, sapore di libertà e le stelle luminose e già ci viene smentito tutto. È finita mi credi? Guarda un po’ chi c’è là, insomma è un drago. Ma tu lo vedi non lo so insomma potrei già averlo visto ma tu credi che me ne ricordi no ovviamente sono tutti uguali come sputi qui dentro tutti serpenti con il pelo e le ali un altro po’ ah si e anche le zampe. Grosse zampe artigliate. Però quello è piccolino chissà magari è uno di quelli che mi vogliono bene. giustamente è normale chi non vorrebbe bene ad una creatura perfetta come me? Piccolo credo un cucciolo però eccolo lì tra due sacchi pieni di roba. Quello è un drago a meno che non sia un ricordino tascabile del nostro soggiorno ma non credo si muove, sbatte gli occhi e si gira e ci guarda. Ah come odio lo sguardo dei draghi, è ghiaccio. Non mi sembra tanto incattivito ma intimorisce anche me insomma è più grande di un cavallo ci si potrebbe stare due in groppa se qualcuno avesse il malaugurato coraggio di provarci ed è solo un cucciolo che mi potrebbe ammazzare come un cane fa col gatto. Però insomma è un drago accidenti sto per sentirmi male. Però Hypia mi sembra tranquilla, anzi sta sorridendo guardala lì un po’. Ma quella è pazza lo sappiamo tutti in fondo. Brr ho il freddo addosso freddo boia che fa non lo riesco assolutamente a sopportare quando si torna a casa? Ma io dico ma perché accidenti ci vogliono morti a noi così carini così bellini insomma guardate i miei occhioni non sono meravigliosi? Passi pure per Chekaril perché il Signor Monotonia lì noiosissimo e barboso sono sicuro che ora un altro po’ e se la fa addosso ma devo dire non è carino essere beccati da un drago. Magari è un’altra trappola oh no io non sopporto più le trappole non da quando quell’idiota di coso lì ci ha spediti lì. Lui e suo fratello suo padre suo fratello/padre chissà chi diavolo era ma ormai non ha più importanza. Eccome se la ha aha se lo becco di nuovo, ma Poldo o Lunsch non importa anche tutti e due…fine per quei due. Li ammazzo davvero, li porto qui infiocchettati e poi vediamo come ammazzano bene i cuccioli. Ammazzare i cuccioli, che stupidaggine ci credo erano così stupidi che sicuramente non avevano il senno e soprattutto il coraggio per affrontarne uno grosso e si sono dovuti accontentare del pesciolino piccolino che poi piccolino non mi sembra ti inghiotte a metà con un morso. Cioè insomma…oggi in questo momento il problema è proprio lì. Ho davanti, io, Machin Tijorn, per usare un gergo ottimale un esemplare di drago capace  di mangiarmi con elegante noncuranza. Insomma bisogna anche aggiungere come si diceva ah si variabili per il fatto che noi stavamo scappando e che non possiamo far finta di essere in un giro turistico con Hypia. Ma poi che orribile pensiero che ho avuto non è che questa è tutta una trappola nel senso hanno fatto finta di liberarci mentre invece tra poco ci ritroveremo in un calderone bollente con gli elfi che ci saltano attorno e sbucciano carote e patate pronti per un bello stufato di elfo per i draghi? Stufato. Mhh. Se sopravvivo dirò a Dae di farmi litri e litri di stufato tutti per me. Ne sento il bisogno. Ma ovviamente non ho certo bisogno di essere stufato, vorreste per caso sciupare tutta questa bellezza? Eresia, dico io. Guardate me valente esemplare di giovane elfo. Cioè ma se proprio dovete uccidermi non mangiatemi. Non sono grasso ho tutti muscoli sapete sono stopposo. Prendete Chekaril invece che accidenti si che è morbido! Ma se proprio mi volete morto allora imbalsamatemi e mettetemi nella sala dei trofei. Io sono un trofeo. Non commestibile si capito io non sono commestibile al massimo mettetemi come suppellettile ma poi vi prego spolveratemi spesso che io odio essere sporco. È Chekaril quello ideale con una mela in bocca non io! Ma guarda Hypia tutta soddisfatta e non sembra più cupa come prima. Dico io questa è l’ennesima presa in giro. Ora questo drago ci mangerà oppure potremmo essere i suoi schiavi tutto per colpa di Hypia che ci ha fatto credere che eravamo liberi. Ancora non capisco cosa ci facciano gli spadini ma tu immagini uno spadino contro un drago dimmi che ci fai ci gratti le unghie delle zampe? Lo usa come stuzzicadenti?  Nemmeno un graffio gli fai ne sono sicuro. Uh Chekaril bestemmia lo s lui sarebbe quello che fa la fine peggiore perché con me non può competere. Oh no ecco bravo no non muoviamoci di qui perché accidenti non ho voglia di essere divorato da un drago cioè rendiamoci conto dell’oscenità della cosa un rettile non mangia un dio. Ora mi chiedo perché Hypia ci guarda così male. Così strano più che altro. Abbiamo il diritto di essere perplessi credo insomma i draghi ci vogliono morti. Forse non le è chiaro. Forse lo ha dimenticato. Probabile. Chekaril mi guarda. Si, penserà le stesse cose mie, imitando il mio genio. No tesoro noi da qui non ci muoviamo. Magari anche fuga tattica noi siamo veloci poi magari sarà difficile scappare ad un coso volante ma si ci può provare. Magari quella è una guardia e Hypia ci ha dato quei mantelli neri che indossiamo così al buio ci confondiamo con l’ambiente e possiamo scappare meglio. però io non capisco c’è qualcosa che non va. Se era una guardia dimmi un po’ perché lei è così tranquilla perché non stiamo sgattaiolando per vie secondarie? Magari…boh non lo so anche quando io e Nilyan dovevamo scappare dalla zia che ci sorvegliava quando eravamo chiusi in camera per punizione quando avevamo combinato una marachella scappavamo di nascosto è vero che…un momento. Ora capisco. A volte Ninì ci  faceva diventare invisibili così passavamo inosservati magari è la stessa cosa. Magari siamo invisibili così il drago non ci vede. Bene, non ci avevo proprio pensato. Il drago sbuffa magari ci ha percepiti e non capisce cos’è. Faccio segno a Chekaril di stare zitto così non ci becca. Dobbiamo scappare e questa guardia è da evitare facendo silenzio. Già ci guarda troppo fissamente. Come se non fossimo invisibili. Ma senza invisibilità noi non potremmo scappare. Finalmente. Ahh ha parlato! Oh no allora mi sbagliavo allora è vero, siamo in trappola! Non siamo invisibili! Questa è una nuova trappola! Oh no non è giusto perché accidenti dobbiamo morire? Siamo troppo giovani. Abbiamo troppe cose da fare no? Ma che legge è quella dei draghi? Assurdo! Dobbiamo morire così perché abbiamo preso il posto di due colpevoli. Non è per niente giustizia, questa. Favorisce la cattiverie. E ci ucciderà. Oh sigh sigh. Mi viene da piangere. Tu, perché, seppiolina cara e bella perché ci tradisci? Che rabbia che odio ma perché fai questo e sembri pure tutta contenta? Non è giusto. Non è per niente giusto. Io sono giovane e bello e non devo morire. Che sadica che sei. Questo non è giusto. No proprio no. Ma guardala, guardala come sorride tranquilla. Anche felice. Ma io non capisco. Che tristezza a quanto pare il viaggio finisce qui. Anche Chekaril sembra triste. Non lo vedevo così giù da giorni chissà che gli sta passando per la testa. Io penso che non potrò nemmeno più salutare Ninì o zia Lalla. E nemmeno il nonno. Che brutta fine. Sarà indolore? Io voglio una morte eroica. Roteando la spada tentando di uccidere il mostro cattivo e di scappare. Magari mi sacrifico per Chekaril. o Chekaril si sacrifica per me, il che è molto meglio. tutto ma non essere cucinati. Non mi piace l’immagine di un brasato di elfo. Cioè cascare in quella trappola è stato da polli, immagina morire da polli, magari arrosto, oppure come maialini. Ma insomma! È ridicolo! Io non voglio una mela in bocca, sia chiaro. Non voglio sentire parlare di umilianti oggetti ornamentali. Sono un essere vivente io. Sono intelligente. Fin troppo direi: sono un essere superiore, e gli esseri superiori non muoiono e finiscono su un tavolo con una mela in bocca. Oh che schifo. E se tutta la carne che era nei nostri piatti era di elfi o umani? Oh mi sale la nausea accidenti no  Machin non ci pensare che ti fai solo del male magari la mangiano solo i draghi. E se Hypia partecipasse al banchetto? Magari è un drago sotto false spoglie magari è il capo di tutti. Guarda quel cucciolo, è tranquillo quando lei si avvicina. Agita solo la coda. E ci sta guardando. No, non è positivo quello. Per niente. Brr ho i brividi. Non solo di freddo anche se fa un freddo boia. Ho addirittura pensato che non veniste più. Ah come mi fa strano vedere un drago che apre la bocca. È orribile. Hanno anche una stranissima voce. Sibila e schiocca ed è quasi metallica è brutta. Molto brutta. Soprattutto ora non ha sentimento è piatta sarà per la lingua biforcuta. Ma guarda Hypia come si avvicina saltellando e ci guarda pure strani ma tu dici che fino alle fauci di quella bestiola dovrebbe esserci un tappeto rosso con rose su tanto perché essere mangiati da un drago è un onore? Ma certo poteva anche andarci molto peggio potevamo vivere. Bastarda di Hypia. “scusa, ho dovuto mettere a posto un paio di cose prima di poter venire”. Rispetto al drago come vocina è molto meglio lei ma accidenti mi vengono i brividi addosso e la pelle d’oca se penso che saremo la prossima portata di una cena da draghi ma no io non voglio morire perché il mondo è così cattivo con me nessuno mi vuole bene tutti mi odiano io sono solo un povero piccolo pulcino della zia. Ma la zia quando serve dov’è? Sono sicuro che ora ci avrebbe difesi e con lei altro che trappole lei è troppo acuta per le trappole non ci casca mai no? oh povero me io non voglio morire chissà se i cuccioli si lasciano intenerire magari faccio gli occhioni da cucciolo e tutti si innamorano del tenero elfo. Sia chiaro io voglio fuggire. Ma non posso stare come Chekaril che è rigido come un baccalà. Sarà il panico. Il drago si sistema le ali e mostra i denti ad Hypia. Accidenti che bei canini bianchissimi sicuramente si sta preparando ad attaccarci un boccone e saremo morti entrambi che brutta cosa non sapevo che ai draghi piacesse la carne umana e di elfo. Che orrore. Siamo finiti. Bene. Allora credo sia ora di finirla con questa storia. Ahhh no no no no! Si sta avvicinando! Ora ci mangerà! Mangiare me l’elfo più bello del mondo! Ora voglio scappare fatemi scappare vi prego lo giuro non ruberò più niente in dispensa e non farò più scherzi a Chekaril per almeno un secolo vi giuro farò tutto quello che volete anche pregare gli dei ed offrire loro la mia collezione di radici strane dai vi supplico io non voglio essere mangiato! A chi devo rivolgermi per fare comprendere bene questa cosa? Guarda, ma tu ti rendi conto che ora il drago ci è più vicino ed è grosso? Mi sembra, strano, di averlo già visto ma sarà un’impressione. Io non conosco nessun drago. Che cattiva che è stata Hypia. Non credevo che ci potesse trascinare in quella situazione. Bella trappola però congegnata alla perfezione. Nemmeno Chekaril si è accorto di nulla. Tu guarda è anche crollato in ginocchio. In ginocchio. Ho un’idea. Lo imito. Poi magari prego un po’. Vediamo che succede. Ai draghi piace un sacco essere adulati. Magari così si dimentica di mangiarci e ci lascia stare. No io non voglio essere mangiato ora trova un bel po’ di genio in te e dici le cose giuste Machin. “grande e possente drago, non mangiarci!”. Sii, supplica con quella vocina da cucciolo così tutto andrà bene. Lui si intenerirà. Vedi, già si è fermato e ti guarda. Chissà che sta pensando. Non mi sembrava molto affamato, però. Devo dire che ora sembra più che altro un po’ perplesso. Già, starà sicuramente cercando un nesso o una giustificazione per non mangiarci. Vedi te la do io. Io ne ho a palate. Io sono semplicemente un genio. “la vostra legge funziona così ma noi non abbiamo fatto niente! Non sai, noi non siamo commestibili! Vedi io sono stopposo! Stopposo, capisci?”. Ecco, questo si che è un argomento convincente! Non siamo buoni! Così lo convinco e ci lascia stare e così possiamo andare via. Gli elfi sono stopposi la loro carne non è buona grande drago. Mi batto anche il petto così puoi sentire vedi è duro no non va proprio non è buono. Vedi, io sono un genio. Ho fermato un gigantesco drago. Io l’ho sempre detto di essere un eroe. Chekaril non mi approva credo. Sta borbottando e si è messo le mani nei capelli. Ma è possibile tutto quello che dico non è buono per lui? Sempre a lagnarsi di quello che dico e faccio. Sta’ a vedere ora salvo la vita a tutti e due gne gne. Il fatto è che lui non approva che la mia intelligenza sia molto più avanti di lui. È invidioso. Ora guarda dico che lui è morbido così lascia andare me e non lui. Così impara. Uh…che strano. È proprio strano. Perché si è creato questo silenzio? Perché Hypia mi sta guardando così stranamente? Sembra proprio che si stia mettendo a ridere. Oh povero me. Come sono volgarmente umiliato da persone che non mi capiscono. Nessuno mi capisce. Ma io sono sicuro che il drago comprende il mio punto di vista. L’ho toccato nelle corde del suo cuore. Lui è un essere superiore. Come me. Che strano questo silenzio. Il drago pure mi sta guardando in un modo strano. Mi sembra che faccia come fanno i cani quando non capiscono. Ha stretto pure gli occhi. Ma si, starà valutando. Sono sicuro che ci lascerà andare. Silenzio. Ma…stai per caso parlando con me? Cosa? Ma sono queste domande da fare? Sentiamo, mi sta prendendo per scemo questa? Io non capisco proprio. Con quale altro drago sto parlando? Ce ne sta qualcun altro qui? Io proprio non capisco. Pensavo che fossero più intelligenti. A quanto pare mi sbagliavo, e molto. Annuisco e non ho forza per fare altro. Questo mi ha rovinato la mia stupenda filippica! Ma dov’è il melodramma? Perché nessuno applaudisce? Perché non c’è solennità ed un drago che fiero ci indica che la via è aperta? Perché nessuno capirà mai il mio valore. Si, il drago sembra proprio sconcertato ora. Si è girato verso Hypia. Ma guarda, guarda quella traditrice, sta quasi per ridere. Oh no. Ora ride, ride proprio!. Che umiliazione! E che rabbia! Ma si tratta così uno stupendo figlio di eroi come me? Ma guarda che si ci avvicina saltellando tutta contenta e soddisfatta del suo lavoro. E allora? Cosa c’è da non capire? Io proprio non so. Qui sono tutti matti. Ma davvero matti. Che umiliazione. La mia intelligenza buttata al vento. “scusatemi, scusatemi ragazzi!”. Ma guarda, che significa scusarsi? Che non ci aveva detto  che comunque andasse dovevamo morire? Che giustizia eh? E guarda come ride, quasi non si riesce a tenere in piedi. Io certe cose le odio. Soprattutto quando la mia intelligenza viene beffata. Io non voglio essere divorato. Tutto qui. Non penso che lei lo capisca. Guarda, è accanto a noi e ride. I drago la guarda ancor stranito. Sarà stupido questo. “non vi avevo detto tutto… su, alzatevi, non c’è nulla da temere. Lei è Schnepscybilie, ve la ricordate?”. Cosa? Non c’è nulla da temere? Oh accidenti. Questo che vorrebbe dire? Si, mi ricordo di Sceppippì! Speranza. Allora non saremo mangiati? Guardo Chekaril. Oh mi sta guardando male. Molto male. Oh sento molto caldo ora. Questo vorrebbe dire che ho detto tutte quelle cose…per niente. Oh santissimi dei. Sto per scoprire di aver fatto una grossa figuraccia mi sa. Oh che vergogna. Che vergogna assoluta. Mi alzo. Non ho il coraggio di guardare. Non ho assolutamente il coraggio di guardare nessuno. Ma ci rendiamo conto? Oh voglio sprofondare sottoterra. Oh voglio morire. Chi mi ha spinto a dire quelle cose? Ma ovvio è colpa di Hypia che non dice mai tutto in una volta ma ci fa prendere dei colpi terribili e poi guarda mi sciupa la bellezza. Ora la sto guardando male. Lei ride ancora di più e si schernisce con le mani. Ma guarda secondo me questo scherzetto è stato preparato. Cosa lì non mi sembra così allegra. Il drago si sta guardando intorno. Non è minimamente toccato dall’umorismo della situazione. Bene allora andiamo d’accordo e anche molto. Nemmeno io capisco il gusto di prendere in giro un genio. Hypia ora ci spiega? Ah finalmente smette di ridere. Sembra più seria. “lei ha accettato di accompagnarvi in giro per dove dovete andare”. Che strano sorriso ha. Mi fa vergognare e molto. Accidenti com’è odiosa. “non credereste di farcela da soli?”. No? Ecco, quello era un punto del piano che faceva un po’ acqua. Ora capisco ci accompagna un drago. Oh che bello! Ora si sono curioso. Un drago forte. Così saremo al sicuro. È una bellissima cosa. Però che vergogna. Abbiamo bisogno di un drago per difenderci. Accidenti potevo pensarci prima e non avrei accettato ad andare per il Regno. Si trovano davvero troppe cose strane, lo zio aveva ragione ad avvertirmi. Guardo Cosa, Sceppippì. Sembra nervosa. Molto nervosa. Agita la coda come un serpente arrabbiato. Hypia la vede e sembra meno contenta di prima. “i draghi vi daranno la caccia. Lei vi aiuterà ad evitarli”. Alla faccia del cucciolo. Forte lei. Se a quest’età sono così precoci immaginiamo da grandi. Però, ho un po’ paura. Speriamo di riuscire ad arrivare a casa sani e salvi. Sceppippì si gira verso Hypia. È ora. Lapidaria lei. Spero che non sia sempre così altrimenti sai che noia. La nostra amica sospira. Poverina non dev’essere bello pagare per noi. Spero che non la scoprano. Lei sorride ma non sembra più tanto allegra. “su, forza, prendete quei sacchi e poi salitele in groppa, vi può portare per un po’”. Che cosa? Ma sei pazza io dico? In groppa ad un drago senza redini? In volo? Ma ci vuole far cadere? È pazza. Ma è pazza. Ah, immagino Chekaril. Già sta sacramentando lui che soffre di vertigini. Però ha la faccia seria quell’elfa matta. Ehm…dobbiamo proprio? E va bene. Anche Sceppippì è…beh, seria. O sembra tale. Dovrò abituarmi alla loro mimica. Sembra sempre uguale. Non dev’essere simpatico avere qualcuno addosso. E va bene, obbedisco. Uh come sono pesanti questi cosi, c’è un bel po’ di roba dentro. Chissà cosa c’è magari ferro vedrò quando saremo via. Essere via. Ma anche su una scopa me ne andrei, io voglio vivere. Ci dobbiamo arrangiare con quello che ho. Povera Hypia guarda lì. È triste. Non dev’essere bello rimanere per lei. Le sorrido così capisce che la ringrazio. Le faccio pure ciao ciao con la mano. Guarda Chekaril che si avvicina al drago. Lei aspetta con gli occhi al cielo. Questa la capisco, è esasperata. “grazie, Hypia, per tutto quello che hai fatto. Non morire, eh!”. Mi è uscito spontaneo questo, spero che lei non muoia al posto nostro. Lei ride ma non mi sembra così allegra, e fa un gesto come se alzasse le spalle. “non mi faranno niente. Ora muoviti!”. Va bene va bene, ora me ne vado. Mi giro verso il drago. Chekaril è già su. Non lo vedo bene ma sembra verde, di già. E Sceppippì molto scocciata. Temo che ora mi stia guardando molto male. Mi gela solo con lo sguardo. Ehm, non mi viene tanta voglia di salire su. Ma devo. Non è alto. Vedi di non tirarmi il pelo, almeno tu. Beh ha ragione a non essere contenta poverina. Sarò delicato, prometto, non sono un idiota come Chekaril non temere. Guardo Hypia. Lei rimarrà qui. Ma pazienza, ha detto che non le faranno niente. Noi scappiamo. Evviva! Finalmente si torna a casa? Non sei contento, Machin? Non so perché ma mi sento triste per Hypia. Spero di rivederla ancora. Accidenti appena sono salito Chekaril mi ha stretto come se fossi la sua amate. Giù le mani di dosso! Ma poverino ha paura. Lo capisco anche se io non soffro di vertigini. Il drago di mette più dritto, e comincia a camminare verso l’uscita. Sembra un po’ di stare a cavallo solo che è un po’…molto…più grosso. Le stelle, finalmente. Si vedono le stelle. Siamo fuori. Fa un freddo cane, ma chi se ne importa? Sono felice. Quasi quasi ringrazio anche il drago che poverino ci sta portando. Non siamo leggeri. Mi sento in vena di ringraziare. “grazie anche a te, Sc…Sch…Sceppippì!”. Oh che figuraccia. Sempre io le faccio! Non l’ho fatto apposta, mi è uscito per sbaglio! No, ora non ci disarcionare ti prego. Sta in silenzio. Chekaril deve stare troppo male per sentirmi per fortuna altrimenti sai che occhiataccia. Mamma mia che vergogna. Sento di nuovo caldo. Il drago non parla mica. Mamma mia, che cosa brutta che ho detto. Ti autorizzo a farci cadere e poi mangiarci. Vedi, apre le ali, vedi? Chiudo gli occhi. Ho paura, non voglio vedere. Non voglio morire! Oh dei perdonatemi quest’ultima uscita. Vi regalo anche la collezione di ciottoli. Prego. Eh senti come sta’ calma, si vede, è un essere superiore. Mamma mia speriamo non l ostia facendo apposta. Io non voglio morire no. preferisco avere ancora gli occhi chiusi. Tra poco volerò alto! No, non mi piace come idea. Forse non è così fantastica come pensavo. Paura paura paura. Era meglio a piedi. Molto meglio. Meglio morenti o volanti? Volanti senza dubbio. Almeno lei non sembra disposta ad ucciderci. Devo ricordarmi il suo nome. E comunque, io mi chiamo Schnepscybilie. Ora state pronti e zitti. Si parte!

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Capitolo 53
*** Galleggi come fil di ferro. ***


Oh no

Oh no. Alla fine entrai lì dentro, in quel buco malefico e scatola di sardine. Eccome se ci entrai. Non fu per niente una mia scelta: se fosse stato per me Lilliagrin avrebbe potuto sbatterci tutti tranquillamente in prigione, in quel momento. Cosa mi importava? Tra morire ed essere incarcerati cosa sceglierebbe una persona sana di mente? Era assurdo pensare che io fossi d’accordo ad entrare su quell’ammasso di quello che mi sembrava metallo. Ma si è mai visto del metallo che galleggia? Un bel blocco di piombo che veleggia in acqua? No. Il piombo va a picco. Cola a picco. E così l’oro. Il bronzo. Tutti. Tutti i metalli colano invariabilmente a picco. Logico, no? E allora quale mente perversa aveva escogitato una nave che mi sembrava fatta più che palesemente di metallo? Quale ingegnere senza buonsenso e senno? Non so, ma io il senno ce l’avevo. Allora, io già avevo paura di una nave di legno, ed il legno si impregna d’acqua ma galleggia. Immaginiamoci di una nave pronta ad affondare! Ma su, nessuno era intelligente? Si è mai sentito dire “galleggi come un pezzo di piombo”? Qualcuno ha mai detto nuoti come un fil di ferro? No, mai. Per esperienza il metallo affonda. E allora che dovevo pensare? Ma come mi dovevo sentire io immaginando la futura catastrofe? Che bello scherzo che era. Partivamo e poi affondavamo in mare aperto e tutti ridevano. Peccato che si fossero dimenticati che io non sapevo nuotare! E per fortuna che la regina non lo sapeva, altrimenti mi sarei ritrovata già a mare! Quella mi voleva morta. La prova lampante era quella, una nave che galleggiava perché sicuramente mantenuta. Una volta lasciata… oplà, a mare! Mai e poi mai avrei messo un’unghia del piede lì, nemmeno morta. Ma nemmeno legata e portata lì sarei rimasta. Mai. Eppure nella mia memoria c’è vivido quel viaggio. Come mai allora? Come mai riesco a ricordare una cosa che mi rifiutavo di fare? Fu forse la famosa pietà umana che svelò lo scherzò lì nascosto? Macché. Fu Zipherias che risolse la situazione a modo suo. Molto a modo suo. Lo ripeto, se fossi stata sola sarei scappata e la cosa finiva lì. Che me ne importava del giudizio degli uomini? Dovevo andarci a cena con loro forse? No. Quindi potevo scappare. Invece il mio amico era di tutt’altro avviso. Fino a quel momento, credendo di averla vinta con la sua forza superiore alla mia, si era limitato a spingermi, guardandomi male e pregandomi con lo sguardo di evitare tutto quello che stava accadendo. Evitare? E perché? Stavo violando qualche regola di galateo fondamentale? Giravo per caso nuda urlando improperi? No, esprimevo solamente la mia volontà di vita. E poco importava che lui e quel suo amico fossero, messi insieme, meno intelligenti del mio stivale sinistro e con lo spirito di osservazione del destro! Ma non vedevano che quello era metallo e non rassicurante legno? No, fiduciosi si avviavano verso un bel bagno tra i mostri Ma si poteva sapere a me che doveva importare? Stavo per morire, insomma, e potevo ancora scegliere tra annegare e tornare a casa. Lui cosa avrebbe scelto? Ah si vero, il signorino aveva qualche speranza di vivere, al mio contrario. Ma certo, lui sapeva nuotare benissimo e quasi si trovava meglio in acqua che a terra. Peccato che io non fossi lo stesso! che intendeva fare, portarmi sulle spalle una volta in acqua? E come l’avremmo messa con le bestiacce che sicuramente abitavano lì sotto? Se lo sarebbero mangiato? Oh, mi bastava che mi portasse a terra sana e salva. Poi poteva tranquillamente schiattare. L’aveva voluto lui. Ma io no, non proprio io che ero l’unica con un po’ di senno tra quei tre. Con un po’ di giudizio, non dico tanto! Avevamo comunque ormai cominciato a dare scena, lì nel porto.  Figuriamoci, in quel momento non me ne importava, ma posso dire ora, a distanza di un po’, di vergognarmi del mio comportamento. Ma è giustificato. Avevo paura. Ero stata messa di nuovo a contatto con qualcosa che esulava dalle mie deboli competenze scientifiche, come dovevo  comportarmi, da buona elfa terrorizzata dal mare? Saltellare tutta contenta e canticchiare filastrocche? Brandire una spada, anche un bastoncino visto che la mia spada era ormai chissà dove, e proclamare fieramente che il viaggio poteva avere inizio? Sopportare stoicamente? Su, coraggio, non è mai stato da me sopportare stoicamente. Non ho lontanamente la stoffa dell’eroe, e si vede, e non canto molto bene, senza contare che non saltellavo ormai da un bel po’. Non potevo non protestare. Non potevo non fare uscire spontaneamente il mio disaccordo per i metodi di quel lungo viaggio. Qualcuno doveva pur parlare, e l’onerosa scelta era ricaduta su di me. Oppure ero io che mi ero sobbarcata quel compito eroico? Figuriamoci, chi aveva paura di nuotare? Nessuno dei marinai, ovviamente, nessuno dei miei amici, altrettanto ovviamente. Però io dovevo supportare quella minuscola minoranza di persone che ne erano spaventate, anche se a bordo c’ero solo io. Questione umanitaria, no? Si trattava pur sempre di un lungo viaggio, ecco, premesso e non concesso che la nave reggesse, ovviamente. Io ero un’ambasciatrice, la prima ambasciatrice elfa a raggiungere quel posto dimenticato dagli dei, di cui puntualmente mi sfuggiva il nome, Atlantis. Dovevo avere un trattamento di riguardo. E non essere trascinata per la cavezza come si fa con i cavalli ombrosi! Zipherias stava facendo esattamente quello. O meglio, ci provava. Tentare di non fare accorgere nessuno del mio minuscolo rifiuto e al contempo trascinarmi non erano azioni che andavano parecchio d’accordo. Mi guardava con occhi assassini, mimava qualcosa con le labbra verso di me, poi sorrideva all’indirizzo dei marinai, sempre più perplessi, e tentava di tirarmi con una mano. Niente da fare. Non ero certamente scema. Mi ero impuntata. Da lì non mi sarei mossa per niente al mondo. A terra ero al sicuro. Nella nave no. La scelta, dunque, era ovvia. Dove rimanere? Una persona sana di mente che sceglierebbe? Io, che ero sana di mente, agivo come tale. E a nulla importava nemmeno che, ad un certo punto, i nostri accompagnatori si fossero messi a ridacchiare. A me non importava. Erano sconosciuti. Tutto, pur di non partire. Ma alla fine partii. Oh si che partii. Il mio amico dagli occhi d’oro, umiliato dalle risate sempre più sonore, decise, in un baleno, di far valere la sua mente superiore. Brutto idiota. Si chinò verso di me, con un sorriso amabile, e mi guardò. Io gli restituii lo sguardo, diffidente. Aveva cambiato espressione in un momento. Prima era più cupo del cielo temporalesco. Cosa aveva in mente? Beh, almeno non tirava più. Mi si era avvicinato e mi guardava, senza dire una parola. Allora? Che voleva da me? Perché quel comportamento? Provai un palpito di speranza, subito soffocato. No, non poteva darmi ragione. Sarebbe morto prima di capitolare. Aveva qualcosa in mente. Una brutta cosa in mente. Non capii cosa stava succedendo finché non mi ritrovai a fissare il punto in cui ero stata da un punto di prospettiva piuttosto alto e bizzarro. Al momento non capii. Che cosa mi stava succedendo? Poi vidi, al mio lato, la testa del mio amico. Le risate aumentarono di volume. Un paio di mani mi serrarono  le gambe ed il busto. Guardai Capouille, ancora piuttosto stranita. Anche lui ridacchiava. Che cos’era quel divertimento nei miei confronti? Lo sdegno m’invase come fuoco. Che cosa aveva fatto? Semplice. Mi aveva preso in spalla. Io, Lsyn Amarto, caricata come un volgare sacco di sabbia! Caricata per morire! Idiota! Ma se lo ricordava di avere una testa o no? Cos’era quella confidenza? E quella si che era una figuraccia! Che intendeva fare, portami lì fin dentro la nave? Ma s’immaginava che avrebbero potuto esserci il capitano ed i suoi sottoposti per guardarci e giudicarci? E lui mi faceva arrivare così? A me, la Ch’argon? Ma si rendeva conto? Un po’ di decenza, accidenti. Non ne aveva nemmeno avuta tanta per avvisarmi del suo gesto. Ah si? Avrei fatto valere il fatto di avere un soprannome da aracnide. Avrebbe capito perché Amarto mi chiamava ragnetto.  Poi probabilmente gli avrei suonato qualcosa di piuttosto doloroso in testa, tanto per farlo rinsavire. Quello che però  non mi accorsi, era che mi stava facendo completamente dimenticare del mare. Certo, la vergogna aveva vinto, ma fu meglio così. altrimenti non sarei mai salita su quella scatoletta di sardine. “come osi!”. Strillai, dimenandomi e tirando calci a più non posso, per indebolirlo. Lui non mi rispose, e cominciò a camminare. Tentai ancora di sgusciare via, invano. Al presa era molto forte. “mettimi subito giù!”. Inutile dire che non mi ascoltò, vero? Le risate raddoppiarono di volume. Andammo avanti così, tra strepiti e risa, avviandoci verso quella che era stata la pietra dello scandalo, anzi, è forse meglio dire la nave dello scandalo. Ma che bello. Già questo viaggio, sicuramente destinato a terminare molto molto presto, cominciava nel migliore dei modi. Almeno il mio amico evitò elegantemente di farmi notare che stavamo salendo sulla passerella della nave. Ad un certo punto, tuttavia, nella mia rabbia, cominciai a rendermi conto che davvero stavamo un po’…beh, troppo in alto per Zipherias. Inoltre stavamo salendo, come arrampicandoci su una collina non ripida. Lentamente mi resi conto di una cosa. Ci ero cascata! Mi avevano giocata. Stavo salendo su quella cosa che sarebbe affondata! Guardai con orrore l’acqua al di sotto di me, che sciabordava allegramente, leccandosi la lingua al pensiero del pasto che avrebbe fatto di lì a poco. Pazzi. Umani pazzi. Mi volevano morta. Mi volevano morta! All’ira, in un lampo si sostituì un altro stato d’animo. Il panico. E quello, si ,era decisamente peggiore. Non mi accorsi di star conficcando le unghie nella spalla del mio amico fino a quando lui  non s lamentò. Non sapevo perché ma stavo improvvisamente benissimo tra le braccia di Zipherias. Una meraviglia. Ero aggrappata a qualcuno che sapeva nuotare. Cosa c’era di meglio? Mio caro amico, ma com’era caro a tenermi così.  avrebbe nuotato per me. L’importante era far finta di niente. Potevo far finta di stare in un bel bacile. Quello non era il mare. Quello non era il mare. Non era il mare, stavo solo sognando. Si, sicuramente era un delirio dovuto a quella ferita che avevo ricevuto dalle guardie con quell’arma strana. Ma se ero ferita come mai me ne ricordavo? Che strani i sogni. Proprio strani. Non aveva senso. Serrai gli occhi. Sogno o no non volevo vedere. Ero nella bocca del nemico! Io, in mare. In mare! No, mi stavo sbagliando. Niente di tutto quello era reale. Io non stavo andando su un’isola lontanissima. Impossibile, non io, io non avevo nulla a che fare con quelle cose, io di certo non ero  Io, Lsyn Amarto, che avevo paura del mare? Ha! Ora avrei aperto gli occhi e mi sarei vista tra le braccia di una guardia umana che mi stava portando in salvo. Sicuramente quella non era una nave di metallo che sarebbe affondata da un momento all’altro. Sicuramente non stavamo smettendo di camminare perché eravamo arrivati, proprio no. Aprii gli occhi. Ecco ,ora avrei visto gli arredamenti del castello o il Lazzaretto! Ecco, ecco! Mi ritrovai davanti un pezzo di metallo arrugginito, decorato dalla faccia pietosa di Capouille. No. Che strano. Non ricordavo nessun arredamento del genere. Bene. Sentii l’inquietudine farsi spazio in me. Accidenti che sogno resistente. Provai a pizzicarmi il braccio. Sobbalzai quando sentii dolore. Oh. Oh. Oh per tutti gli dei santissimi! Quella era la nave! Ero sulla nave! Davvero! Quel traditore mi aveva portato su una nave! Su quella scatoletta! Ero morta. Morta, sepolta tanto valeva che mi seppellissi già! Io, unica creatura con un po’ di senno ad aver capito che il metallo non galleggia sarei stata mangiata dai pesci e da tutti i mostri che stanno a mare e che non facevano altro che aspettarmi. Oh no. Ero davvero su una nave pazza! Non mi sarei scollata dalla spalla di Zipherias. Per nulla al mondo. Feci quanta più resistenza possibile, tanto che sentii rumore di tessuto lacerato, quando il mio amico tentò di farmi scendere. Mi aggrappai con le unghie e le dita, supplicando il mio povero amico di non lasciarmi andare per nessuna cosa al mondo, un gatto spaventato arrampicato addosso ad un dolorante malcapitato. Alla fine quasi mi dovette prendere per la collottola, stringendomi con presa sicura e facendomi voltare, mettendomi con i piedi per terra. No! No, non volevo andare giù! Non poteva! Non doveva osare! Non volevo morire! Niente da fare. Quasi subito i miei piedi toccarono una superficie solida. Guardai Zipherias, supplichevole. Su, ma perché non mi riprendeva in braccio? Non potevo sopravvivere al mare senza qualcuno che mi tenesse! Io certo non potevo nuotare! I mostri mi avrebbero mangiata subito! Ma si rendeva conto? No, lui era stupido. Mi teneva ancora, quasi secondo me aveva paura che scappassi, e mi guardava un po’ preoccupato. Che voleva da me? Perché quello sguardo stranissimo? Sembrava che stesse aspettando qualcosa? Ma cosa? Che desiderava da me? Non era stato abbastanza cattivo a mettermi con i piedi a terra e lasciarmi in balia di un destino nefasto? Lui mi fece un cenno, sempre guardandomi con quell’aria di attesa. Mi guardai brevemente intorno. Eravamo su un pontile di quello che mi pareva sempre metallo sbalzato, e stavamo guardando un’alta parete bianca. Non ebbi il coraggio di osservare oltre. Non volevo vedere il mostruoso mare intorno a noi. Chissà. Ci stavamo già muovendo? Forse io non lo sapevo ma tra pochissimo sarei morta? Immaginai la scena. Attimi di panico e terrore. Una nave improvvisamente in verticale e poi giù giù giù… sempre più giù…Allora si che avrei potuto urlare ai miei amici che io avevo ragione e loro no. Tutti però mi sembravano abbastanza tranquilli. Sicuramente facevano parte di un complotto. Oh si: tutti i marinai erano al servizio di Lilliagrin e magari anche di Lainay. Magari Isnark aveva fatto tutto quello per liberarsi di me e farmi morire facendolo credere un incidente. Era capace. Oh si. Quella si che era un’idea interessante! Dovevo farne partecipe Zipherias. Potevamo ancora scappare. “Zipherias...”. Lo chiamai, con voce da cospiratrice, chinandomi verso di lui. Vidi i primi marinai muoversi lungo quella sorta di corridoio con balaustra, e farci segno di seguirci. Notai, con la coda dell’occhio, uno scorcio dell’abisso che mi aspettava se non mi fossi mossa in tempo per evitare la catastrofe e distolsi immediatamente lo sguardo. Il tempo correva. E anche le nostre vite. Rabbrividii. Ero troppo giovane per morire. Addio, mondo crudele. Il mio amico si chinò verso di me, stranamente sollecito. Odiavo quando faceva così. Mi trattava come una bambina. Avrebbe visto com’ero intelligente. Io capivo tutto. Io avevo capito. Potevamo fuggire. Magari saltando pure in acqua, ma a chi importava? Lui sapeva nuotare ed erano due bracciate. Come avremmo fatto in mare aperto? Saremmo morti tutti? Mi sporsi verso l’orecchio del mio amico ed, in quel momento, protettore. Bisognava avvertire Capouille. Bisognava fuggire, subito. “Zipherias, questo è un complotto! Scappiamo finché siamo in tempo!”. Guardai, speranzosa, l’elfo  fissarmi, stranito. Ma si, non capiva? Ci volevano tutti male, lì dentro. Facevano parte di un complotto di stato per toglierci di mezzo. Lilliagrin aveva deciso tutto quello già in partenza. Forse anche Isnark. Magari con la collaborazione di Lainay. Sicuro, doveva essere così.  non intendevo dar soddisfazione a nessuno di loro. Dovevo spiegarglielo, in tutta fretta. Quella testa di rapa non doveva aver capito. Pazienza, l’importante sarebbe stato fuggire. “ci stanno fregando! Si sono alleati per distruggermi!”. Altrimenti perché farmi salire su una nave di ferro? Perché farmi affogare? Non c’era alcuna spiegazione. Ah, finalmente. Vidi, negli occhi chiari del mi amico, balenare un’improvvisa consapevolezza. Finalmente! Mi sentii invadere dalla contentezza, ed annuii, sorridendo. Vedeva com’era intelligente, quando voleva? Ora tutto sarebbe andato bene. non sarei più morta. Che sollievo. Via, via, di corsa, e poi al libertà. Saremmo andati a recuperare Roxen e Nilyan e dopo tornati a tutta birra ad Uruk, dove avrei scannato il re. Che bella prospettiva, mi metteva una pace addosso incredibile. Lui sorrise a sua volta, dolcemente. Ah, cosa avrei fatto senza di loro? Come sarei scappata senza Zipherias? C’era lui a proteggermi. C’era Capouille. Ora sarebbe tutto andato a posto. Da sola non ce l’avrei mai fatta. Lui mi scompigliò i capelli, ancora sorridendo. A quel gesto mi sentii invadere da un debole sospetto, che cercai di scacciare il più rapidamente possibile. Ma…non è che mi stava prendendo per scema? Non è che stava sorridendo perché mi voleva prendere in giro? All’allegria si trasformò il sospetto più nero quando vidi, nei suoi occhi, la stessa pietà e senso di aspettativa di prima. Eh no. Ma non capiva? Stavo dicendo sul serio, io. Ero lucidissima. Stavo una meraviglia. Lui guardò brevemente qualcuno al di sopra della mia spalla, serio. Poi sorrise e mi batté la mano sul braccio. Ma la sua stretta si fece più forte, come se non volesse farmi scappare. Oh no. Non potevo crederci! Faceva parte anche lui del grande complotto? Oppure non mi credeva? Molto più facile la seconda. Ero mortificata. Ma non capiva? Li stavo salvando dalla morte. Stavano rifiutando questa mano dal destino! E va bene, e va bene. Dovevamo proprio morire. “si, Lsyn, hai proprio ragione”. Ma come? E lo diceva con quel tono conciliante, come se stesse parlando ad una bambina scema o ad un cane rabbioso? Cosa credeva, che mi fosse entrata dell’acqua in testa da piccola, o che avessi preso qualche botta? Mi credeva incapace di tenere il sangue freddo nelle situazioni critiche? Tsk, allora proprio non capiva. Beh, pazienza, sperai solo che la nave affondasse prima di uscire dal porto. Almeno avremmo avuto qualche speranza di salvezza., mi afferrò un tetro senso di ineluttabilità. Non avrei mai più visto Machin, né Nilyan, né Roxen e né nessun altro dei miei cari. Tutto per colpa di uno stupido complotto. Perché tutti mi volevano morta? Devo dire, che, a posteriori, la mia reazione fu parecchio divertente. Ancora me ne vergogno, faccio fatica a parlarne. O anche ricordarne: sono leggermente ammattita, quella volta. Ma a ragione: m sembrava una delle peggiori partenze mai effettuate in vita mia. Una nave di ferro, figuriamoci. Nella mia logica non sarebbe nemmeno dovuta stare a galla, immagino poi navigare. Mah.  Preferisco mantenere quel po’ di orgoglio che mi rimane. Chissà cosa pensa Zipherias di quest’evento. Devo aver messo seriamente alla prova i suoi nervi. Ed eravamo solo alla partenza. Non osavo pensare una volta in mare. Se la nave non fosse affondata prima. Continuai a guardare, incredula, il volto dolce di Zipherias. Poverino, mi doveva reputare matta come un cavallo. Per fortuna conosceva la mia fobia. Per Capouille dovevo essere incomprensibile. “ma ora su, andiamo, ci stanno aspettando…”. Va bene, va bene. dovevo attendere stoicamente la mia morte sicura, allora. Mi lasciai mollemente trascinare,girando la faccia per non vedere l’acqua, testa a terra. Dopo pochissimo il mio corpo ricordò una cosa che la mia mente aveva volutamente rimosso. Allora non ci fu spazio per pensieri di complotto. Chi se ne importava più? E mi ricordai il terzo motivo per il quale la nave non era il mio mezzo di trasporto preferito. Mal di mare. Fino a quel momento, ancora fermi, non l’avevo captato. Ma era ormai venuto il momento. Quel leggero beccheggio, ancora quasi inavvertibile perché non eravamo ancora salpati, unito al movimento incerto del mio amico che, poverino, aveva una sola gamba buona su cui contare davvero, mi provocarono un senso di malessere che, dapprima ignorato, diventò sempre più forte, fino a farmi dimenticare tutto, fino a rendere nebulosi i contorni. Ben presto, non fui nemmeno capace di alzare la testa, pena un attacco di nausea che mi faceva benedire il fatto che a colazione non avessimo mangiato. Mi sembrava di avere un nodo di fuoco nello stomaco e lungo tutto il petto. Che sensazione orribile. Perché, perché mi ero lasciata trascinare in quel guaio? Tentai di parlare, ma non ne avevo la forza. Ben presto Zipherias mi trascinò molto agevolmente. Ho un ricordo piuttosto confuso di quello che successe dopo: il malessere aveva cancellato ed ottuso le mie capacità di memoria. Ricordo il saluto al capitano Lomillie, una donna non più giovane, l’aria formidabile, dai capelli castani ingrigiti dall’età, tenuti in una coda, e dal viso indurito da sale e fatica, leggermente addolcito da un paio di occhiali rotondi, ed ai suoi due alti ufficiali, un uomo tarchiato dai capelli arruffati e dagli enormi baffi, che lì per lì mi ricordò in maniera strana qualcuno, ed una donna probabilmente anche più anziana del capitano, dall’aria materna. Quest’ultima mi guardò a lungo quando finalmente li incontrammo, in piedi avanti ad una porta che doveva dare all’interno. Zipherias fu costretto a salutarli, perché io non potevo e non ne avevo assolutamente la forza. Volevo morire, nient’altro che morire. Smettere di sentirmi male. Non potevo fare un intero viaggio così, se fossi durata e non morta di paura o affogata prima. Fu lei a chiedere cosa non andasse. Soprattutto, perché io fossi praticamente di un morbido verdino. Sembrava così sinceramente preoccupata, strano per una persona coinvolta in un complotto per farmi morire. Ma io stavo per morire. Mi sentivo troppo male. Alla risposta lapidaria di Zipherias gli occhi dei tre si riempirono di comprensione, e fummo portati in quella che probabilmente sarebbe stata la mia stanza per tutto quel tempo. Sicuramente si erano resi conto che non sarebbe stato molto simpatico per me stare con i miei due amici. Che gentili. Chissà di chi era quel piccolo, angusto buco, probabilmente un alloggio apposta per noi. Mi ritrovai, con piacere immenso, stesa sul letto ruvido e spartano, mentre Capouille e Zipherias si sedettero ai miei lati, per farmi compagnia. Mi sentii gradualmente meglio, anche se la nausea non sparì. Se fossi rimasta così probabilmente sarei riuscita a sopravvivere per un giorno o due, naufragio permettendo. Dolci amici miei. Come li amavo. Saremmo morti insieme, prigionieri di un complotto. Ora ci avevano chiusi dentro e saremmo affogati. Mi sentivo lievemente in colpa. Li avrei fatti morire io. Zipherias mi accarezzò la fronte. L’altro, invece, mi scrutò preoccupato. “il secondo ufficiale ha ragione…”. Disse, senza balbettare, guardandosi intorno ed osservando la piccola camera dipinta di bianco, incuriosito, poi tornando a fissare me, con le sopracciglia aggrottate. Restituii stancamente il suo sguardo. Già, lui non sapeva del mio malessere né della mia paura. “sei praticamente verde. Non ti piace il mare, eh?”. Ma va. Ero su una bagnarola pronta ad affondare e darmi in pasto ai mostri, io, che non sapevo nuotare. No, io mi sentivo felicissima. Pronta a morire. Con quelle domande poteva battere Isnark in quanto acutezza, davvero. Mi spaventava. Cercai di guardarlo. Non dovevo concentrarmi sul rollio, non potevo. Altrimenti finivo come sulla nave di Paòl. Ancora mi ricordo quelle dannatissime acciughe puzzolenti. Sotto sale. Che orrore. Capouille a volte m stupiva. Era il campione dell’ovvio. Avevo delirato fino a quel momento ed ero vede. Cosa si poteva pensare? Ero stata attaccata da una malattia rara, all’improvviso? O forse avevo paura? Proprio non lo capivo. Le cose non le comprendeva se non quando non gli erano sotto il naso. Ma perché non mi lasciavano un po’ in pace? Zipherias stava diventando fastidioso con quell’aria da Guaritore. Molto fastidioso. Mi guardava come se fossi sul punto di morire. Accidenti, potevo sopravvivere senza di loro. ovviamente in caso che la nave avesse retto. Quello era molto, molto importante. “vattene e lasciatemi morire in pace…”. Gracchiai, con una voce degna del miglior agonizzante, guardandoli schifata. In quel momento non stavano facendo altro che peggiorare la situazione. Altro che consolarmi. Erano ovvi e noiosi. Io volevo solo la pace. Il mio amico dai capelli rossi sorrise, comprensivo, forse non capendo il mio comportamento. Nemmeno Zipherias aveva carpito il non velato messaggio a levare le tende e lasciarmi in pace. “dai, su, coraggio”. Sussurrò, con un tono incoraggiante, battendomi la mano sul braccio, sorridendo ancora. Lo guardai male. Non avevo voglia di quel comportamento. Volevo solo stare sola e pensare al luogo dove sarebbe stato più suggestivo seppellirmi. Chiusi gli occhi. Magari, pensando che ero addormentata mi avrebbero lasciata in pace. Sarebbe stato molto piacevole. “questo viaggio finirà presto. Non ti preoccupare, questa nave è solidissima, più tranquilli di questo non si può!”. Ora potrei tranquillamente aggiungere un della serie: le ultime parole famose. Insomma, sembrò fatto apposta, lo giuro. Quel poveretto non aveva nemmeno finito di parlare, quando una potente vibrazione ci scosse tutti, seguita da molte altre. Il beccheggio divenne improvvisamente più forte. Quello che seguirono furono scene di panico puro. Nessuno se l’aspettava. Nessuno, ovviamente, aveva capito cosa fosse. Capouille saltò immediatamente in piedi, battendo ovviamente la testa solo lui sa dove, imprecando il momento dopo. Zipherias cercò di alzarsi ma non vi riuscì. Devo proprio scrivere della mia reazione? Devo proprio? Mi vergogno immensamente a ricordare. Un altro po’ ed arrossisco addirittura. Si dava il caso che mi fossi quasi assopita, e mi fossi rilassata, dimenticando per un attimo il luogo in cui ero. Quei rumori insoliti mi fecero aprire gli occhi di botto. Il cuore mi saltò improvvisamente in gola, ed ogni malessere scomparì. Mi ritrovai seduta, a fissare Zipherias e Capouille. Pensai che stessimo per morire. Quel pensiero fu mio compagno per quegli immensi attimi di terrore. Mi sentii gridare e mi venne improvvisamente da piangere. No, io non volevo morire! Avevo un sacco di cose da fare! Non potevo! Io non sapevo nuotare, non era giusto! Sentii qualcuno che mi teneva, probabilmente il mio amico dalla pelle scura, che si guardò con il nostro compagno, che si lanciò fuori il momento dopo, con aria preoccupata, probabilmente per vedere cosa stesse succedendo. Ironia della sorte, proprio lui che aveva predicato la solidità di quella nave. Terrore. Io non volevo morire. La vita era bella. Avevo ancora tante cose da fare. Non avevo messo pace con me stessa. Che brutta cosa. Se mi avessero ascoltato, non saremmo morti. Saremmo stati incolumi  e vivi. No, eravamo prigionieri lì dentro. Chiusi e morti. Cercai di alzarmi. Zipherias, anche lui spaventato, mi mantenne. Dissi le prime cose che mi venivano in testa. Quel tremito faceva tremare anche me. O era la paura. Forse tutte e due le cose. “il terremoto!”. Urlai, passando senza accorgermene alla mia lingua madre, il cuore che batteva come impazzito, con in testa il solo pensiero di un abisso pieno di mostri con naso a becco pronti a divorarmi. “moriremo tutti!

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Capitolo 54
*** Una giornata finita male... ***


Willie

Willie, tesoro mio!

Ah, ops, dimenticavo. Che noia dover mettere queste cose. Ho voglia di scrivere. Oggi ho fatto qualcosa. Anche se…beh, ti racconterò.

Palazzo reale di Qerin, camera di Nilyan, ovvero me in persona, sedia(non occupata), tavolo e diario (ed io seduta su, si ha una vista migliore da qui), quarto giorno dopo la luna piena. Tramonto. Tempo: soleggiato. Clima: c’è un po’ di vento ma si sta bene. Qui fa più caldo di Uruk. Lì secondo me potrebbe stare la neve.

Bene, devo aver scritto tutto. Ora posso cominciare sul serio.

Ehm…dove ero arrivata? Ah, si.

 

Willie!

Mamma mia, sono tre giorni che non ti ho nemmeno parlato!

Accidenti, scusami! Scusa la mia imperdonabile assenza!

Non te la sei presa, vero?

Spero di no, ormai solo con te posso parlare. Almeno tu non rompi le scatole, sei più intelligente di mia cugina.

Cos’ha lei di male? Sapessi!

Quell’elfa è male! Da piccola le hanno sbattuto la testa su un piano di marmo, credo. Altrimenti non si spiega la sua stupidità.

Non preoccuparti. Non è accaduta una tragedia, ma… lo stesso mi sento piuttosto irritata. Tantissimo.

E perché, tu mi chiederai? Beh, provalo ad indovinare.

In questi giorni non ho fatto…indovina? Niente. Niente!

Pensavo che mia cugina fosse più avventurosa. Macché, lavarsi il viso nell’acqua gelata è la più grande delle sue pazzie.

Povera me, dov’è Machin quando serve? Dov’è la zia?

Io ho bisogno di gente con spirito di iniziativa. Non cavoli lessi.

Willie, ragionando seriamente, persino Zipherias, che è tanto prudente, ne ha di più di mia cugina.

Perfino Capouille, anche quando è in versione timida.

Quando è più concentrato poi non ne parliamo proprio!

Ellyn è completamente fuori, invece.

Le ho parlato di fare un giro di straforo in città? Oh mamma mia, eresia!

No, non si poteva, e se poi l’avesse scoperta la madre?

Sarebbe rimasta bloccata nella sua camera senza possibilità di uscire per il giardino!

…cioè, ma tu hai capito?

Non sento nemmeno il bisogno di commentare. È troppo squallido.

Avevo un’altissima opinione di Ellyn, ma, dopo questa

Io credevo che lei fosse un’anticonformista!

Era così simpatica, quando ci ha invitati la prima volta a colazione, già la vedevo perfetta per farmi da alleata…

Invece no.

Con me nessuno vuole uscire.

Roxen ormai è diventata una vecchia…. Oh, fammi stare zitta. Altrimenti le lezioni di bestemmie che la zia ci ha involontariamente dato daranno i loro frutti.

Una vecchia cavalla sciancata, ecco, così va meglio. con lei non c’è più nulla da fare.

Ci manca solo che si metta la cipria rosata, la parrucca biondo grano (con le sopracciglia nere, ovviamente) ed un neo finto sulla guancia.

Sarebbe perfetta.

Ah si, ed un vestito rosa. Non ho niente verso il rosa Willie, per carità è un colore così dolce…però…

Oltre lei c’è Ellyn. E guai ad andare contro certe regole! Altrimenti la mammina la chiuderebbe in camera e metterebbe le guardie per non fare entrare nessuno!

Mamma mia che cosa terribile essere chiuse e guardate a vista nella propria camera! Non si può proprio scappare!

Certamente è peggio di andare nelle cucine a lavare i piatti dopo un pranzo luculliano, oppure andare a pulire le stalle (punizioni che la zia ci ha puntualmente dato, a me come a Machin. Veniva pure a controllare che stessimo lavorando bene e che non ci stessero aiutando).

Molto peggio, sicuro!

Quindi mamma mia, facciamo finta di non aver detto “cosa ne dici di farci una passeggiata per Qerin, cara?”.

Per il castello non si esce e non si esce.

È vietato, si. La mammina poi la chiuderebbe dentro. E lei non potrebbe andare a visitare per la decimilionesima volta il suo schifosissimo giardino.

Il castello è zona sacra. La mammina è sacra, si si.

Ma allora? Nemmeno io dovevo uscire dal castello sola… e Willie, vuoi sapere quante volte sono fuggita nei boschi travestendomi da cavaliere? E quante volte Machin mi faceva vestire da Guardia e poi mi portava in una delle osterie da loro frequentate?

Uh, ne posso raccontare di tutti i colori. E quante volte zia ci ha beccati?

Zero. E allora sei inetta tu, scusa.

Mamma mia che rabbia! Willie, è una tragedia! Sono circondata da anziani!

Ma cos’ha di speciale il giardino, io mi chiedo?

Spuntano avvenenti giovanotti da dietro le piante e dalla terra?

La sera gli alberi si trasformano in grossi dolci?

No. E’ un giardino. Enorme, certo, siamo in un palazzo reale, ma sempre un giardino. Uno stupidissimo, schifosissimo, giardino.

Si vede che quella poveretta non è mai venuta dalle nostre parti.

Non ha mai visto i nostri boschi e le nostre montagne.

E secondo me non sa quasi cos’è un lupo o un orso. Cioè, lo sa, ma posso scommetterci il mio naso che ne ha visto solo di addomesticati. Mamma mia che terrore, quando da piccola un orso è entrato nel cortile della casetta a Sharilar!

Un orso vero. Si è mangiato un cavallo.

Quindi, che poteva dire a me, che ho bisogno di libertà?

Ho, cercato, davvero, di convincere le due vecchie comari con le buone. E anche con le cattive (ma questo l’ho potuto fare solo con Roxen, sarei pazza a minacciare l’erede al trono di Fiya).

Mi sono stufata, sai. Ad un certo punto ho finito per dire basta. Era troppo davvero. Nessuno mi voleva ascoltare.

Io non posso arrabbiarmi troppo, eh. Quindi dovevo fare quello che dicevo io. Con o senza di loro.

Avrei voluto molto non giungere a quel casino che ho combinato (mamma mia se papà mi sentisse utilizzare questo linguaggio mi taglierebbe la lingua. La zia m’incoraggerebbe a rincarare la dose, temo)…ma…

Sai, il troppo stroppia. Ad un certo punto una mente sana non può fare altro che escogitare una fuga tattica o qualcosa che rompa la monotonia.

Altrimenti, tanto vale cercare una corda.

Ci stavo pensando, ad un certo punto, ti giuro.

Davvero, ad Uruk faccio decine di cose in più. Non sono abituata a stare con le mani in mano.

Vado a fare una passeggiata a cavallo con qualcuno, leggo un libro, sto con la zia, gioco con Machin, combino guai, sto con papà,  Manolìa mi insegna a dipingere, vado a rompere l’anima a Chekaril… e questa è una giornata relativamente vuota. A volte vado nelle mie camere solo per dormire.

Anche quando c’è qualche battaglia ho da fare. Posso scappare, oppure rimango con il nonno e Dae, che mi vorrebbe insegnare a cucinare ed studiare disastri di conseguenza.

Insomma, faccio qualcosa. Mi riempio la vita.

Qui la cosa più interessante che si possa fare è guardare fuori.

Ed è già molto, figuriamoci.

Ma ci pensi? Io non accetto fare tutti i giorni le stesse cose!

E questa sarebbe vacanza? Mi sono rotta le scatole della solita giornata. E pensa Willie, come farò, siamo appena ai primi giorni.

Non sono una bimba viziata, certo, sono una principessa ma ho i miei limiti, certamente, non ho tutto, solo quasi tutto. Però…. Willie…

Voglio la zia!!!!!!

Non-ce-la-faccio-più.

Perché non mi ha portato in nave? Sai che spasso? Ma tu lo sai come si starà divertendo? E tu immagini una città diversa da Qerin? Lo immagini?

E Machin? In giro per il Regno a seminare disastri.

Qui io sono l’unica a non fare un tubo!

Era meglio darsi una mossa e svegliare questo sonnolento castello umano, vero?

Non posso combinare marachelle, perché non è educato, non posso fare alcunché senza il permesso di Lilliagrin! Ma ci rendiamo conto? Senza il permesso del morto vivente non posso muovere un dito!

E tu credi che lei sia felice di concedermi qualcosa? Nemmeno per sogno! Io sono un oggettino fragile da tenere calmo!

Quindi, ho pensato una cosa molto intelligente: se loro non vengono con me, io vado da sola.

Che poteva importarmi?

Io non posso morire qui. Sono come un cardellino, un passerotto, muoio se sto in gabbia.

Avevo bisogno di volare.

Willie, lo so che tu mi vorresti rimproverare. Ma davvero, era l’ultima spiaggia.

Ho provato a cambiare le cose al castello, ma niente.

Senti qui che ho fatto.

Ho provato a chiacchierare con una servetta che ronza da me la mattina, e non mi ha dato corda (sembra avere paura di me. Devo essere un po’ strana…ora che ci penso, non ho mai visto uomini con il mio colore di capelli). Va beh, pazienza.

Ho provato, a colazione, ad attaccare bottone con Peggy. Risultato: scarso.

Pazienza, sono stata costretta a stare tra Ellyn e Roxen, come ogni giorno. Da sole sono piacevolissime, ma insieme…beh, mia cugina non la sopporta. Tra di loro, sarò sincera, l’atmosfera non è delle più belle.

La principessa cerca di fare finta che vada tutto bene, ma è difficile essere sé stessi con un’elfa che ti tortura non appena apri bocca.

Davvero, Willie, mia cugina è estremamente sgarbata.

Per esempio oggi quella poverina le ha inavvertitamente chiesto lo zucchero, e vuoi sapere la risposta?

Quell’idiota l’ha guardata sorridendo ed ha detto. “ma cara, credevo ne avessi abbastanza. Tu sei così zuccherosa da sola che faresti venire la carie a tutta Qerin, a che ti serve il banale zucchero?”.

Ellyn non ha fatto niente. È troppo piccola e buona. Mi fa una pena immensa. Alla fine le ho passato io lo zucchero, ma lei non l’ha usato.

Immagina, quello che ti ho detto è una cosa minuscola.

Pensa, appena l’ha vista ha annunciato, in tono sinceramente preoccupato, che il vestito lilla che indossava la ingrassava.

Beh, questo di solito è un comportamento normale da parte di Roxen, che si preoccupa per l’abbigliamento di tutti, anche del mio (sigh, povera me!).

Solo che non è normale che lei lo dica sempre ad Ellyn, qualunque colore indossi.

Le ho addirittura consigliato di vestirsi ogni giorno in modo diverso, e niente, il risultato è lo stesso.

A volte mia cugina insinua con un sorrisetto che lei deve dimagrire. Molto probabilmente la vorrebbe fare morire di fame, poverina.

Però mamma mia, Ellyn ha pazienza. Non si lamenta mai, nemmeno quando è sola con me. Dice solo che Roxen ha un gran senso dell’umorismo. Spero lo dica ironicamente.

Quello che ha mia cugina nei suoi confronti è un enorme senso dell’omicidio.

Dipenderà dal fatto che lei le sia piombata addosso. Non credo che lei l’abbia perdonata di averle strappato quello stupido abito.

Comunque, di conseguenza, Peggy ha in antipatia anche me. Io che consiglio Ellyn su come fare contro Roxen! Questo è ingiusto, io che ho fatto?

Ma pazienza, un giorno capirà di sbagliare.

Lo spero, almeno. Altrimenti comincio a farle le coccole. Così vediamo se la smette.

Comunque, prima di pranzo ho tentato di scappare alla passeggiata mattutina con Roxen in quello stupido giardino, e lei si è così offesa che alla fine ho dovuto capitolare.

Non mi ha parlato per tutto il tempo, figurati, ed io mi sono annoiata il doppio.

E allora? Cosa dovevo fare, sentiamo?

Aspettare il pomeriggio morto? L’ora delle carte?

Oh, nossignore. Sarei morta prima di cena, prigioniera della monotonia.

Ho quindi deciso di agire: andare a Qerin da sola. Una bella botta di vita.

Ovviamente, non sono andata vestita da principessa, eh. Né da femmina. Non mi fido troppo.

Dovevo mascherarmi. Niente di più facile, sono magie molto semplici.

Sono so se ho fatto bene, spero di non aver innescato nulla di cattivo. A volte mi succede. Ora che ci penso un po’ mi sento inquieta.

Avrò fatto un guaio grosso? Oh no, speriamo di no.

Era solo una mutazione minima, ho solo cambiato lunghezza e colore di capelli, per non parlare  delle orecchie. Ma comunque mi sento inquieta.

Non avverto nulla, ma non c’entra. A volte capita così. E poi ho avuto una piccola crisi poco tempo fa.

Beh, intanto sono già abbastanza nei guai (perché? Ti dirò, qui mi vogliono tutti male, è un complotto di scala continentale) per conto mio, non vorrei altre magagne.

Mi sento solo arrabbiata, sto bene, per fortuna.

Comunque, ho tirato fuori gli abiti da viaggio, poi, un sacchetto di monetine che sono riuscita a sgraffignare da Roxen (che si è procurata monete umane, non so come abbia fatto) ed un pugnale.

Mi sono travestita da un bel ragazzo umano con i capelli neri e gli occhi azzurri. Di più non potevo fare. Non ho unguenti, né altro.

Vorrei la zia qui, combinerebbe delle maschere con i fiocchi, e poi mi avrebbe accompagnata.

Beh, intanto lei non è qui. Si diverte e io no.

Comunque, sono scappata per la finestra. Non è difficile, siamo al primo piano ed i muri del palazzo si possono scalare con un po’ di difficoltà, ma si ci riesce sempre.

Poi io sono un’elfa. Sono più agile di un uomo.

Ho fatto come Ellyn, sai, però non sono caduta. Per fortuna. Comunque, quello non è stato il difficile della mia missione.

Molto più complicato era andarsene senza che nessuno mi vedesse.

Ma che importava? Finalmente ero contenta, sai.

Un po’ di vita! Machin sarebbe stato fiero di me.

Ma anche lui è a divertirsi. Io no invece.

Beh, in quel momento mi sono divertita, eccome.

Ce l’ho fatta a sgattaiolare: tutte le lezioni di zia sulla fuga rapida hanno giovato, eccome! Dovrei insegnarle anche a te. Sono andata quatta quatta vicino le mura del palazzo (sono guardate a vista, sai, o almeno credo), in un posto un po’ lontanuccio dai cancelli, coperto di rampicanti.

Mi sono guardata avanti ed indietro come un ladro e oplà! Mi sono arrampicata.

Poi sono scesa e… libertà! Ero libera! Libera!

Ero così contenta, Willie, tu non lo sai! Quel palazzo mi stava dando la nausea.

Tutta l’etichetta (che noia), la noia (che noia)…la noia.

Lo so, ho fatto qualcosa di sbagliato, ma cosa vuoi che sia rispetto al soffocare dentro quel castello, dove non posso leggere nemmeno un libro perché tutti quelli che ci sono, a parte volumi di grammatica (che non sono interessanti) probabilmente del fratello di Ellyn (che sta studiando l’elfico, ma non è tanto bravo), sono scritti con l’alfabeto umano.

Nella loro lingua, ovviamente.

Tu credi che io la sappia parlare? Io mi limito alla lingua franca. Niente di più, niente di meno.

Comunque, non preoccuparti, non sono certo andata nei bassifondi. Non sono così stupida. Non voglio certo cacciarmi nei guai. Tutto quello che stavo facendo era segreto, e come tale doveva rimanere.

Meno nell’occhio davo, meno avrei corso il rischio di farmi beccare.

È un assioma che la zia ci ha sempre inculcato. Peccato che a Machin non sia mai andato giù. Lui è troppo vistoso. Troppo matto.

Mi sono limitata a gironzolare per la zona alta di Qerin, in modo da non dover passare per le guardie. Ho fatto finta di essere un giovane nobile campagnolo, un po’ bislacco.

Ho visto un sacco di cose interessanti, gli uomini sono creature affascinanti. Stupende, piene di vita. Anche se i nobili sono troppo compassati. Non sono certo come i nostri, molto più alla mano dei poveri.

Per me che facevo finta di non parlare è stato un dramma. Mi prendevano per stupida. Il vero problema era che non li capivo mica.

Ho anche comprato una cosa, anche se non è stata un ottimo acquisto.

Vendevano dei dolci stranissimi, per la strada. Rotondi, grossi, fritti, con un buco in mezzo e lo zucchero su. Sono stata incredibilmente tentata. Ci pensi? Una novità!

Sembravano così…buoni. Così…succulenti! Così nuovi! Cibo umano vero, non quella roba che ci propinano al castello, così elaborata e senza sapore.

Non potevo mangiarli. Non ci ero abituata, lo sapevo (i cibi umani non mi piacciono particolarmente, sono diversi dai nostri)…però…era troppo carino quel dolcetto a forma di O.

Mi sono avvicinata e ho fatto cenni al tipo che le vendeva, un ometto con la puzza sotto il naso, di volerne una.

Alla fine mi ha capito. Pensava probabilmente fossi pazza. Pazzo. Ahahah, adoro travestirmi. È più facile ad Uruk, però anche qui mi sono fatta una pancia di risate.

Per pagare non ti dico! Alla fine gli ho messo una manciata di monete a caso, così tante (o poche) che lui ha esclamato qualcosa, e sono filata via con un gesto sdegnoso, degno di un vero nobile umano con il marchio.

Comunque non mi è piaciuto il sapore. Era così dolce che dopo qualche boccone l’ho buttata via. Mi ha fatto passare la fame. Era nauseante. Solo se penso al sapore ho lo stomaco in rivolta.

Comunque, Willie, per dirtela tutta, ad un certo punto ho visto che si era fatto tardi. Avevo girato abbastanza.

Me ne sono andata tutta tranquilla verso il palazzo. Tanto, sapevo come tornare. Poi avevo ancora un po’ la nausea per il sapore cattivo di quel dolce. Era meglio andare a casa, no?

Ho cercato di non farmi vedere da nessuno come all’andata.

Ce l’ho fatta. Mi pare di aver visto solo una faccia conosciuta (era Faldio, il tipo che ci ha portati qui, è un umano e molto simpatico. Chissà che ci faceva lì), però sono riuscita a scappare in tempo, prima di incontrarlo.

Magari non era lui, ma non potevo sapere. Meglio andarsene, dunque.

Insomma, ce l’ho fatta ad attraversare le mura, il giardino, il corridoio. Tutto a posto.

Ero abbastanza sicura di me quando sono entrata da me.

Ma chi potevo trovare nella mia stanza se non Roxen?

Prova ad immaginare(ed immagino che tu immagini la mia faccia!).

Ero morta. Morta davvero.

Doveva essere andata da me per avvertirmi di qualcosa, o per invitarmi da lei come al solito. Ed io me ne ero dimenticata!

Che idiota, Willie. Sono stata stupidissima, volevo morire!

Dimenticarmi della monotonia! Che stupida! Ero stata beccata come una novellina, che vergogna!

All’inizio non mi ha riconosciuta, mi ero mascherata bene, ma poi mi ha vista bene in faccia…

Ma io che ho fatto di male, Willie? Niente. Non mi ero ammalata, né avevo ucciso qualcuno. Ero solo andata a fare un giro per ammazzare la monotonia. Me n’ero tornata con un po’ di malessere ed un sapore orrendo in bocca, però ero felice.

Avevo passato un pomeriggio diverso.

Roxen non sembrava essere contenta di quello che avevo fatto.

Ho i lividi  sulle orecchie, e ti ho detto tutto.

Mi ha urlato tutto quello che le veniva in mente, che ero una stupida, che non potevo scappare lì, che se mi avessero fatta del male poi chi lo diceva alla zia…e poi ho smesso di sentirla. Sempre la solita solfa: se avesse detto cavoli, rape e ravanelli il risultato sarebbe stato lo stesso.

La colpa era sua che non mi ha portata lei. Si dice: chi è causa del suo mal pianga se stesso. Ed è così, davvero.

Io non avevo fatto niente, Willie, penso che tu abbia capito che io so badare a me stessa, no?

La signorina antipatia lì invece non lo capisce. Non sono certo un’irresponsabile come Machin!

Conosco benissimo i miei limiti. Non ho fatto nulla che potesse innescare un problema.

Ho solo mangiato un dolcetto. Niente più.

Invece no, non va bene! non posso fare nulla, non posso muovere un passo perché “siamo ospiti”.

Andassero a quel paese gli ospiti, lei ed il palazzo intero con tutti gli occupanti.

Non posso fare niente senza che mi succeda qualcosa?

Mi vado forse a cercare guai come Machin, che è terribile, una fonte di disastri?

No, io sono più responsabile di lui, me lo dice anche Zipherias.

Per Roxen invece no. per Roxen sono un’idiota.

Tu non sai che rabbia che mi fa!

Ecco com’è andata a finire.

Normalità: Roxen non mi parlerà più per quattro o cinque giorni.

Novità: la qui presente Nilyan è in punizione di qui fino a quando….boh, fino a quando girerà male a Roxen, temo.

Ma come osa? Mettermi in punizione? Come fa la zia?! Lei?!

Ma su ci pensi? Io, giovane elfa, ad un’età in cui lei cominciava già ad avere la sua nomea, non posso fare nulla! Nemmeno fare un giro!

E poi, ma come si permette di agire come una sorella maggiore?

Forse crede di esserlo perché zia non c’è.

Quelle sue sembrano madre e figlia. Due tiranne dispotiche della peggior specie!

Solo che la zia è più intelligente. A posto di farmi andare sola e poi mettermi in punizione sicuramente mi avrebbe accompagnata. Scappando pure lei, probabilmente.

Mi manca troppo! Con lei sarei andata fin nei bassifondi, chissà cosa avremmo potuto combinare!

Sono sola qui, che noia.

Non vedo l’ora di tornare a casa. Se ci arrivo viva. Questa noia mi ucciderà.

Willie, ma tu ci pensi? Sono per chissà quanto in punizione.

Questo vuol dire, nell’ordine:

niente più colazione con Ellyn;

niente passeggiate nel giardino (che mi nausea);

niente partite di carte;

niente chiacchierate….

Insomma: niente che possa alleviare la mia noia, almeno un po’.

Per fortuna che ci sei tu, tesoro mio, mio amico del cuore.

Senza di te come avrei potuto fare? Sarebbe stato un vero e proprio dramma!

Almeno scrivo, scrivo e dormo. Di più non posso fare.

Sono arrabbiata, arrabbiata come tu non mi hai mai vista! Vorrei urlare!

Ma quell’idiota non sa che se mi fa arrabbiare senza motivo e poi non mi lascia una valvola di sfogo rischio?

La zia non mi avrebbe urlato contro per un sacco di tempo e poi mi avrebbe chiusa in camera. Quando lei da’ le punizioni mi fa sempre fare qualcosa. Anche spalare letame. Dice che è più fantasioso.

Senza mettere in conto che…oh, fino a questo momento non ci volevo pensare.

Spero che quella schifezza che ho mangiato non contenga roba strana.

Non mi sento particolarmente bene, accidenti.

Ho cercato di dimenticarmene, ma… oh accidenti.

Forse è meglio che me ne vada a dormire. Magari passa.

Tanto…non ho di meglio da fare.

Forse è meglio salutarci, Wilhelm. Magari poi ti dico come sto domani. Non preoccuparti, sarà perché è roba che faceva schifo tanto era dolce. Magari vado a bere un bicchiere d’acqua e vado a nanna.

Ma che sfortuna.

Io non ho fatto nulla di male e, nell’ordine, sono arrabbiata, ho avuto un ingiusto rimprovero e non mi sento molto bene.

Che giornata finita male.

Eppure era cominciata così bene!

Uffa. Questo non è proprio giusto.

Ti aggiorno domani, Willie. Non tutto è detto, magari stasera Roxen si calma e domani mi libera. Speriamo. Di solito non è mai molto costante.

Domani sarà tutta coccole. Lo spero. Altrimenti faccio la finta malata, anche se sto bene.

Spero di fingere. Chissà se aveva messo roba buona in quel dolcetto!

Speriamo ancora. Bah.

A domani. Baci dalla tua Nilyan, amico mio!

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Capitolo 55
*** Viaggiare è una bruttissima cosa. ***


Ooh, mi sento male

Ooh, mi sento male. Ooh, tra poco vomito, poco importa che siamo in alto. Ma te lo immagini, Machin? Qualcosa che cade giù dal cielo in testa ad un ignaro passante. Oh, meglio di no, è orribile pensare a questo concentrati Machin concentrati su quello che stai facendo ma che sto facendo? Quello è il bello sono in bilico su una schiena pelosa e fa un freddo boia e c’è un vento cane che potrebbe strapparmi tutti i vestiti da un momento all’altro ma te lo immagini, a quest’ora diventerei un blocco di ghiaccio. Ma chi me l’ha fatto fare di andare ad impegolarmi in una situazione schifosa del genere? Io non posso farci nulla ormai, siamo in viaggio. Non vedo l’ora di arrivare ad Uruk. E pensare che prima mi sembrava tanto una bella vacanza una stupenda avventura oh su insomma vecchio marpione che sei, siamo da due giorni in viaggio e devo aver dato fondo a tutte le riserve del mio stomaco. Tra l’altro non posso farmi la barba sarò davvero terrificante ma no non posso essere terrificante non io che sono bellissimo…. Rude. Si al massimo un po’ rude. Chekaril invece è brutto. Ha un’aria così sbattuta oh si ma ci credo lui non sopporta certe cose. L’importante è che faccia un po’ più caldo anche se sempre si muore di freddo voliamo alti ma così alti che il respiro mi è difficile. Siamo già a due giorni di volo e guarda già vedo il verde se mi spor…no, meglio di no. chiudi gli occhi chiudi in fretta. Oh, mi sento male. Oh sto per svenire. Sto cominciando a sentire un bel rimescolio e si dai almeno non ho mangiato molto. Guarda avanti, Machin, resisti, anche se vedi la testa di quella SchipShip… di quella insomma e le nuvole o beh….sto sognando ti prego non ce la faccio più non è divertente fare così! Due giorni e ci siamo fermati una sola volta, una, perché questo ammasso di peli e piume doveva bere e mangiare! Per il resto possiamo pure morire dobbiamo scappare e questo basta. Ma dov’è il divertimento? Questa cosa qui non parla, maledetta lucertola gigante, si è ammutolita da quando siamo partiti, monosillabi a parte. Cosa, le manca casetta? Sapesse quanto manca a me…. Nilyan, zia, dove siete? Sicuramente al caldo ed al sicuro ben protette. O forse in viaggio per tornare ad Uruk. Voglio sbrigarmi, voglio andare via e tornare da dove sono venuto! Resisti Machin, resisti. Il problema è che Chekaril vuole arrivare dal contatto. E perché? No, non possiamo andare da zio a mani vuote. Ci ammazzerà cosa siamo andati a fare per il Regno, una scampagnata? Almeno dobbiamo contattarlo. Bravo lui ma come si nasconde il drago? Il problema è che questa creatura con metà cervello in meno è d’accordo con lui! Che cosa ha messo in mezzo, quando ha parlato, ovviamente? L’onore, la patria, e blablabla. Questo sacrificio l’avete fatto anche per voi, immagina se non prendeste ciò che vi è stato detto di prendere, stupidissimi e maledetti documenti voglio propri vedere che contengono maledizione a tutto il mondo! Ma io voglio mangiare! Voglio un letto caldo, voglio la zia, voglio Dae, voglio il nonno, voglio Nilyan, voglio tornare a fare la Guardia e non la spia! Io non sono fatto per viaggiare, ma perché ho accettato? Per recuperare la spada di papà? Di questo passo la vedrò col cannocchiale!  Voglio casa! Resisti, Machin, resisti. Non devi vomitare. Non devi sentirti male. Oh accidenti è difficile. Chekaril è blu un altro po’. Sta cambiando colore ad una velocità impressionante. Prima era rosso dal freddo. Poi bianco. Poi verde. Non parla da un po’. Il che è strano. Se lo prendo in giro non reagisce. Ancora più strano. Si vede che stare in groppa ad un drago non gli fa bene. Ma non è bello. Ma allora no dovrebbe secondo logica rinunciare a viaggiare perché il contatto è lontano più di Uruk. Invece no, l’ordine della patria si deve tenere! Sporco Guaritore. Ma che te ne intendi tu, di patria, lascia fare a me. Per la patria è meglio la mia vita. L’amore per mio zio? L’amore? E che significa? Me lo dovrei sposare? Lungi da me certi orrori. Ci punirebbe? Col cavolo dai diremo che abbiamo avuto un intoppo. E poi mica fallimento, tsk, gli porteremmo un drago. Un esemplare di drago! Non è fantastico? Oh, mi sento male. Oh, voglio casa. Chiudi gli occhi Machin, resisti. Prima o poi dovremo toccare di nuovo terra. Anche se sarà solo per far mangiare questa lucertola, che poi è disgustoso. Gli animali li mangia un altro po’ vivi. Ma non conosci il valore della cottura? Una bella fetta di carne ben cotta no? Mi fa profondamente schifo. Mi si chiude lo stomaco. Bestiaccia primitiva. Non parla niente non reagisce ogni tanto si fa sentire ma proprio ogni tanto. Idiota. Solo quando vuole qualcosa da noi parla. È antipaticissima. Le ho chiesto il perché ci avesse accompagnati e la risposta è stato uno sbuffo ed un avevo voglia di viaggiare un po’. Poi silenzio. Grande cosa. Ed io non ho voglia di far niente che non sia tornare a casa. Io sono un dio, una creatura ultraterrena, ma lo capisce questo? Ho bisogno dei miei spazi, delle mie comodità. Stare in groppa a questa creatura non è tanto comodo ho tutte le gambe indolenzite. Che poi è preoccupata lei e ci credo per ora niente draghi in vista almeno questo ma lei sta volando e volando e ci fa addirittura dormire addosso sembra non avere bisogno di riposare quanto noi o forse boh non so. Che poi quando atterra è brusca. Mi fa salire lo stomaco in gola e la gola tra le gambe. Niente eterea creatura dell’aria, no. Quando vola sembra una gallina ubriaca, sbatte le ali che mi farà diventare sordo, quando è a terra invece distrugge tutto con la coda. Mi stava uccidendo l’idiota non sa dosare la propria forza con quelle zampe massicce che ha stupida lucertola pelosa ed alata. I draghi, re dei cieli. Scemenze. I draghi stanno al cielo quanto io sto alla bruttezza. Ovvero zero. Oppure Chekaril all’acutezza. Qui si scenderebbe sottoterra per poter misurare. Questa qui vola come se si fosse scolata non so quanto di birra o altro alcolico. Uffa. Quanto vorrei essere alla taverna, con Nilyan mascherata da Guardia, a fare baldoria con i miei compagni! Mi manca troppo. Oppure vorrei essere dalla zia, a Sharilar, a riposarmi e farmi coccolare com’è giusto che sia. Qualcuno mi deve maledire. Si, io sono un cretino. Non potevo restare al mio posto? La zia aveva ragione, oh si che aveva ragione. È troppo pericoloso per te, Machin, non ti piacerà. Siiii è vero! Siii!  Non mi piace eccome voglio casa accidenti ma se vedo giù erba erba erba ed un po’ di neve. Brr che freddo, tra poco mi congelo. Stupido animale lei ha il pelo noi no solo gli abiti che tra poco mi lasceranno tanto vento c’è. E dovrei espormi al gelo senza nulla? Oh no, per piacere, non vorrei rovinare nulla del mio aspetto, la perfezione deve essere preservata. Ma tu guarda come si stringe a me, questo idiota di Chekaril, beh beato lui che sta dietro di me la prossima volta che scendiamo col cavolo che io sto davanti mi prendo tutto il freddo e lui si copre. Lui. Noo, poi non può guardare avanti perché si sente male. E chiude gli occhi. Canta una filastrocca. Tutto, ma fatemi stare dietro, dei del cielo. Ma non potevano far crescere una poltrona su questa schiena? Non chiedo tanto, solo un pelo un po’ meno ispido, mi s’infila dappertutto e punge dei com’è scomodo. Per non parlare del gelo. Fuoco no? Siamo su un drago, in fondo. I draghi sputano fuoco. Logico. Ironia della sorte: questi animaletti viscidi non sputano proprio fuoco. E tu guarda, l’abbiamo saputo quando siamo scesi e la guardavamo. Sono draghi della neve. Il fuoco non lo sputano. Eh no, la bestia parlante qui ci ha spiegato che il loro fuoco non è fuoco. È freddo come ghiaccio. Animali del ghiaccio sputano ghiaccio. Logico. Un corno, logico. Le sputerei in un occhio se non avessi paura di finire pappato. Intanto questa qui è fredda un altro po’ come la neve. Meccanismo di difesa, ha detto. Io le appiccherei fuoco volentieri a lei ed al suo meccanismo di difesa. Arrabbiato, Machin? Irritato? Prendila con filosofia. Su, prendi un tè. Non ti resta che scegliere. Brutta gallina volante, io ti ammazzerei e ti infilerei su uno spiedo, se ce ne fosse uno abbastanza grosso! Di malumore? No, solo infreddolito. E nauseato. Indolenzito. Mi verrà il raffreddore. La febbre. Morirò. Ed il mondo come farà senza di me? Sarà impossibile, il sole si spegnerà la luna cadrà. No dai. Ma poi glielo dite voi, alla, zia, vero? Perché io non avrò il coraggio di dirle che sono morto. Un momento, sto dicendo una cosa assurda. Se sono morto non posso dirle nulla. Ah va bene. Mi sento più rassicurato. Rassicurato un fico secco! Io morirò! Io, ma siamo matti! La terra non si può privare di una creatura come me punto e basta. Ah e Chekaril mi chiede che sto borbottando? Un fico secco sto borbottando della sua testa lo voglio morto accidenti va bene? E non mi guardare così che già non mi sento bene per tutte le calze sporche dei damerini! Resisti, Machin, respira. Un bel respiro. Inspira. Espira. Su e giù e su e giù e su… smettila così sembri un idiota e tu non lo sei. Ho assoluto bisogno di tornare a casa. Ma nessuno vuole, perdindirindina! Torniamo a casa! Io non posso congelarmi! Sulla mia bellezza ci sono le firme! Non potete deturpare così un patrimonio degli elfi!

 

Chissà che giorno è oggi. Perlomeno, fa un po’ più caldo. Il drago è stanco. Può darsi che finalmente riposiamo un po’. Di draghi nessuna traccia, ottima cosa. Di altri draghi, insomma. Questo fatto inquieta pure me. A quest’ora per colpa di quei due maledetti imbecilli saremmo morti. Morti? No meglio che non ci penso se ci penso mi viene una rabbia, una rabbia che mi verrebbe voglia di strappare tutti i peli alla Cosa e spelarla per bene tanto poi non serve a nulla questa roba ispida. Che rabbia come sono di malumore oggi. Chekaril finalmente o forse per disgrazia ha smesso di lamentarsi. Era un bel po’ che lo faceva. Soffre di vertigini? Non me ne può fregar di meno, sicuro. Io mi sono abituato. Ma io sono di un’altra pasta, io sono un’altra razza di elfo. Di sangue normariano, allevato come un uruki. Cosa ci può essere di meglio di questa creatura di dubbia provenienza? Topastro di mare venuto da un’isola. Io so nuotare, ma non me ne vanto. È più che altro una perdita di tempo. Mhhh non mi fare ballonzolare non mi va ora che ho un po’ superato la nausea non vorrei rovinarti il pelo magari tu ci tieni. Drago? Signorina? Ehi tuu? Mi sentii? No sto pensando. Ma senti, io ti voglio chiedere una cosa. Ma quando scendiamo? Questa è idiota ma forte. Dev’essere stanchissima e la sento respirare forte ma non si ferma. Non è che poi precipitiamo? Ahh, non mi fare venire in mente queste immagini, Machin. Sciò. Non deve succedere nulla del genere, la mia meravigliosa presenza è meglio di un talismano. Ma forse è meglio chiedere. Magari mi sta a sentire. Come si chiamava questa? Scibiuà? Oh no. Non posso dimenticare sempre il suo nome. Ma è normale, è fuori dal mondo! Qualcosa di più ortodosso no? tutti i draghi devono avere nomi strani? Io Ezelarto me lo ricordo. Anche Hypia. Questa no. Nepilie? Lepile? No, non sono questi. Boh, ci provo. Non la chiamo per nome. Faccio prima, davvero. Ah mamma mia sono proprio di malumore.

“ehi!”.

Su dai beh almeno un po’ si è girata. Non ha una bella espressione ma si è girata. Mamma quegli occhi mi fanno venire i brividi sono troppo freddi davvero. Mi fa un po’ paura ma posso avere paura di un drago, io? No io sono l’impavido Machin.

sei stanca? Perché non riposi un po’?”.

Mhh che sguardo che mi ha fatto. Fosse per lei mi sarei già congelato, rigido come uno stoccafisso, morto. Gli sguardi possono uccidere? No, altrimenti sarei già morto da un pezzo. Grande perdita per l’umanità intera, per tutte le razze. Draghi compresi. Tant’è che mi volevano morto. Guarda tu un po’.

Dobbiamo fuggire. Non devono prendervi!

Ma va. In realtà a me piacerebbe essere ucciso, sai. Ho istinti masochisti. Ma tu, dimmi, per caso hai visto qualche bel drago svolazzare nei dintorni? Non credi che ammazzare di fatica te, e noi di conseguenza sia deleterio? Accidenti io non dormo bene da giorni e sono fortemente a disagio credimi. Sono una creatura vivente ho bisogno anche un po’ di stare tranquillo. E vedi Chekaril? vedi il mio amato cugino? Beh, amato non tanto, però non sta bene. Non si muove. È una grazia degli dei non sentirlo però un po’ mi fa pena. Pochino pochino. Lui soffre di vertigini, si. Povero piccolo cucciolo. Lo prenderei a bastonate. Ma cos’è tutta questa ferocia? È che voglio casa accidenti. Un bel camino ed un bagno caldo. C’è qualcosa di meglio? qualcuno conosce qualcosa di meglio? No, per le mutande di Lainay! Invece no. Per mio cugino, patriottico quando si tratta di doveri, eh, poi se ne strafrega di tutto e tutti è un Guaritore in fondo il dovere chiama. Il dovere! Il dovere, ha! Potrei sentirmi male dalle risate. Non ho voglia di correre altri pericoli. Mi sono ficcato io in questa situazione? È infantile lasciare i giochi quando si fanno duri? Io mi chiedo, ha mai sentito il detto quando il gioco si fa duro i duri scappano? Noi duri siamo intelligenti. Non certo eroi. Si, io credevo che fosse un viaggio di tutto riposo! Invece, nell’ordine, siamo stati fatti prigionieri, ci hanno ammazzato i cavalli, volevano ammazzare pure noi…ed ora siamo in groppa ad un drago femmina impazzito. Perfetto. Non credi che sia intelligenza quella di voler scappare? Non credi? Certo che credo. Ma qui c’è qualcuno un po’ avvelenato con la mentalità dell’eroe. Che poi sia un pusillanime come Chekaril è grave. Avrà sbattuto la testa da qualche parte.

“ lo so che non devono prenderci, tesoro!”.

Non credevo di poter fare una vocina così, mamma è odiosa davvero. Calmati Machin. Lo so che vuoi terreno solido sotto i tuoi piedi, ma non puoi prendertela con chi non ha fatto nulla. Su, coraggio. Stai calmo. Ti ascolterà di sicuro. È stanca anche lei, è piccola ed insicura. Tu sei il capo di tutti. Tu sei il più intelligente.

“però non credi che a piedi saremmo più comodi? Perché almeno non riposare un po’? potremmo trovare un villaggio!”.

Che silenzio. Ho usato la logica, no? Normalissimo. Spero che il drago stia pensando un po’. Chekaril dovrebbe ringraziarmi. Lo sto salvando da una morte atroce e terrificante. Ovvero di paura. Sono stanco di sentirlo appiccicato alla mia schiena. Nemmeno fosse la mia amante.  Davvero, non ce la faccio più. Voglio un pasto caldo e dormire comodo. Ti prego, solo un giorno. Poi potremo ripartire. Potrebbero esserci villaggi nelle vicinanze. Magari potremo comprare un cavallo. Spero solo che nelle borse ci sia qualcosa con cui mascherarci. Siamo fin troppo visibili, così. non sembriamo Guaritori, affatto.  È un po’ appariscente, il bianco. La Cosa grugnisce. Dev’essere tentata dal riposo. Ti immagini ,rettile, dormire un po’? Sarebbe bellissimo anche per te, lo so che sei stanca. E dai, ti prego, ti supplico! Poi non chiederò più nulla. Promesso. Tanto non può succederci nulla.

E va bene, hai ragione. Vada per un po’ di riposo. Non c’è motivo di essere così nervosi…  

Evviva! Evviva! Ehi, Chekaril sta risorgendo. Dai su, tra poco lo farò resuscitare definitivamente. Evviva, si tocca terra!

Chissà perché il drago non sembra contento. Si sta guardando intorno mentre scendiamo. Di draghi non ce ne sono nelle vicinanze. Sono troppo grossi per non essere visibili.

 

Ah, ora va molto meglio. Un piccolo fuoco acceso, il drago che sonnecchia e Chekaril che mangia. Questa è vita. Io sto benissimo, ora. Stomaco pieno, mi sono cambiato con qualcosa di meglio, pulito e perfetto, per quanto si possa in mezzo alla foresta. O quello che ne rimane intorno a noi. La Cosa ha distrutto più di qualche albero con la coda. Sembrava pure mortificata. Ha chiesto scusa. A chi poi, non lo so. Sembra sempre parlare con qualcuno. Con il bosco? Ma il bosco non è vivo. Solo alberi e bestiacce. O meglio, solo alberi. Qui c’è un silenzio molto strano. Sembra tutto impaurito, sarà per il drago che è atterrato. Oh, non so. A me importa aver mangiato e stare bene. Vedi, ora mi sento in pace con il mondo. Potrei pure sonnecchiare un po’. Tutti dormono, non ho nient’altro da fare. Ah no, il drago è sveglio. Sembra nervoso, chissà perché. Ora le vado vicino e le do un po’ di fastidio. L’idea mi alletta. Ma si, dormire non mi va. Chekaril è crollato. Un altro po’ e prima piangeva di gioia. L’aria non è proprio il suo elemento. Ah, ecco che lei mi guarda quando le vado vicino. Eh si, dev’essere proprio stanca, povera gioia. Ma ora? Che le dico? Forse era meglio dormire. Mi mette un po’ in soggezione. Non so assolutamente di che parlare. Del tempo? Del volo? No. di cosa si parla con un drago? Santi numi, è difficile. Non so proprio che dire. Ah si, una cosa ci sarebbe. Ottima idea, Machin.

“senti, ma tu come ti chiami?”.

Ecco, mandati bene a memoria il suo nome. Così spezzi il ghiaccio e si comincia a conversare. Mhh, sguardo terribile. Com’è antipatica. Sempre silenziosa. Chissà che le passa per la testa. Forse è troppo poco intelligente per parlare. È una noia. Io ho bisogno di compagnia stimolante. Quasi quasi è meglio dormire. Altrimenti mi deprimo. E come mi guarda strano, la signorina. Mi trafigge. Eh non è colpa mia se hai un nome strano. Promesso, lo manderò a memoria. Ma non guardarmi come se fossi un insetto. Io sono meglio di te.

Schnepscybilie.

Ah, va bene. Lo manderò a memoria. Ma come? È lunghissimo! Che idioti questi draghi. E mi ha parlato con quell’aria di sufficienza…oh, non sopporto la gente quando fa così.  cosa sei, un essere superiore? Oppure non mi capisci? Cosa c’hai di così brutto sotto il naso? No, fai il buono o altrimenti ti mangia. Pensavo che un’avventura con un drago fosse più bella. Invece che mortorio. Un bel sorriso, Machin, fingi di essere allegro. Questa lucertola mi porta nella tomba il brio. Non permetterò che accada. Io sono il migliore, no? ho un’idea. Visto che non ha rotto per niente il ghiaccio, anzi, potrei chiederle una cosa. Unisco l’utile al dilettevole. Non so come la prenderà. Incrociamo le dita. Non mangiarmi, per favore.

“posso chiamarti Nep?”

Ahh, oddio ora mi mangerà, ne sono sicuro! Mi sta guardando come se avesse visto un grosso insetto ripugnante. Non sa proprio cosa sia la bellezza, lei. Non riesce a capire nulla. Non l’ho fatto apposta, non voglio, lo giuro, ma altrimenti non ricorderò mai e poi mai il tuo nome. Nep è facile. E poi diciamolo, sei una lucertola ma sei batuffolosa. A parte il tuo caratteraccio. Non mi parli nemmeno se sotto tortura. Ecco, mi guardi con quegli occhi che non mi fanno capire nulla e muovi le ali. Ebbene? Rispondi alla mia domanda, essere superiore dei miei stivali? Che, tra l’altro, non riesco a capire la sua mimica. Sembra sempre così fredda. Come se fosse stata costretta a portarci. Non è contenta, mai. Chissà a che pensa. Non dev’essere bello andarsene via dalla casa. L’ho fatto pure io e ora non mi piace. Viaggiare è una bruttissima cosa.

Come vuoi.

Ah, mamma mia, così mi fai cadere le braccia. Come sei antipatica. Sorridi, Machin. Mi da fastidio davvero. È antipatica. Ma se non volevi seguirci, perché l’hai fatto? Tornatene a casa, va’, che è meglio per noi. Ma guarda come ronfa, quell’idiota di mio cugino. È a bocca aperta. Mh, e ora che devo dire? Non so proprio che fare. Non so proprio nulla io. La conversazione è congelata come lei. Mamma mia, non mi guarda nemmeno più. Perfetto, Nep. Sei un blocco di ghiaccio e puoi andare benissimo a quel paese. Ma che ti possano capitare le cose più brutte!

Un fruscio.

Che cos’è? Che cos’è questo rumore?

Un altro fruscio. Nep si è alzata. Guarda fisso un punto e ringhia. Chekaril si è svegliato? Si, sobbalza e si guarda intorno. Non ha un’aria intelligente. Oh no. Non mi dire che ci hanno scoperti! No, io non pensavo nulla prima, non può essere oh no ho voglia di scappare o piangere.

Un altro fruscio.

Perché le mie gambe non rispondono a ciò che dico loro di fare? Ho paura dannazione, muovetevi! Almeno sono vicino a Nep. Questa è una gran cosa.

Paura, non capisco più niente. Dove siamo?

Perché ho avuto la cattiva idea di atterrare qui? Che stupido che sono stato. Mi odieranno per sempre.

Guarda, Machin, oh dei, mi manca il respiro. Due occhi. Piccoli. Luminosi. Scuri. Che strano, non ho mai visto occhi così, ma mi fanno paura. Che cosa sono? Non mi sembra un drago. Magari sono lupi. Si, saranno sicuramente lupi un po’ ficcanaso. Coraggiosi, eh. Il drago li mangerà subito. A questo punto mi fanno pena poveri piccoli. Ma perché Nep ringhia e sbatte la coda? Ehi, non mi ammazzare eh, che io servo ancora. Però perché è nervosa? Io non capisco. Non mi sembra un drago. Non è abbastanza grosso, ecco. Però mi sento inquieto. Perfino Chekaril si è alzato. Non riesco ad andargli vicino, perché? Sono completamente pietrificato.

“ma che bello…chi abbiamo qui?”.

Un lupo non parla o sbaglio? I lupi non parlano, io di questo ne sono sicuro. Chi è allora? Cosa sono quegli occhi? Due occhi e basta? Perché brillano? E perché la voce è così strana? Perché è così…cupa e bassa? Che orrore, dove siamo finiti? In cosa siamo incappati, adesso? Oh no, io ho abbastanza guai per una vita intera. Magari è un viaggiatore. È un viaggiatore, vero? Dai su fatti vedere e calma le mie ansie. Ma perché mi sono messo in viaggio, io? Quale insano pensiero mi è venuto in mente? Mi dovrei prendere a calci da solo. Non è passata nemmeno una settimana e già siamo nei guai di nuovo! Che bel record, Machin. Complimenti. Stringi le mani da solo. Guarda Chekaril. è bianco come un lenzuolo. Non lo biasimo, ho una paura maledetta anch’io. Per dove le vie di fuga, prego? Da dove si scappa? Voglio tornare a casa! Chi mi ha messo in testa l’idea di andare via? Sia maledetto lui ed il vizio di rubare dannazione!

 

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Capitolo 56
*** Sconfiggere le paure? (parte prima) ***


E la nave

E la nave? Che fine fece mai quella sorta di scatoletta di sardine? Affondò? Morimmo tutti? No di certo. Io, che sto scrivendo per me stessa, perché non lo so, non sono di certo un fantasma. E allora? Riuscimmo a salvarci tutti? No. Quello che seguì fu semplicemente uno degli incredibili miracoli della logica. Ancora oggi non riesco a spiegare alla perfezione come una nave fatta di metallo non affondasse. Eppure avvenne quello. La nave non affondò, anzi: per un tempo che a me pare indefinito, dai contorni resi nebulosi dal malessere e dalla costante paura, viaggiammo a moderata velocità, come se avessimo un perenne vento in poppa. E quei rumori, quei rumori che mi avevano spaventato tanto? Che cosa stava mai succedendo? Un terremoto, un’onda enorme? No. niente del genere. Un falso allarme, un falsissimo allarme. Semplicemente, quella nave era un’altra invenzione diabolica degli uomini, sempre pronti a tirare fuori un nuovo coniglio dal loro cilindro senza fondo. Per farla breve, quella nave si muoveva, e, chissà, galleggiava anche, con la magia. Un po’ come quei trabiccoli che ci avevano portato al porto. Stupidità, dunque. Nulla di cui preoccuparsi. Semplice? Come no.  il problema principale era uno: nessuno ci aveva detto che quella nave non si muoveva con vele o altri sistemi conosciuti da noi. Forse si erano dimenticati, forse davvero avevano voluto farci prendere uno spavento con i fiocchi. Forse ci avevano sottovalutati. Fatto sta che ci fecero prendere un bello spavento: nessuno di noi si aspettava una cosa simile. Fummo presi del tutto alla sprovvista. Ebbe paura Zipherias, così bravo nel nuoto, perché io non dovevo? Io, che non sapevo nuotare? Che bastardi. Finii per recriminare i miei antenati, chiunque essi fossero, fino alla diciannovesima generazione prima di me. Non riesco a ricordare esattamente cosa successe dopo la mia esclamazione. Ciò che rammento bene, invece, fu il gemito di dolore di Zipherias, quando io mi aggrappai a lui con tutte le mie forze, saltandogli in braccio senza nemmeno accorgermene. Mi ritrovai saldamente avvinghiata al braccio del mio povero amico, che mi teneva gentilmente, cercando di spostarmi e di evitare che le mie unghie si conficcassero a sangue nella sua pelle. Povero, povero Zipherias. A poco o nulla gli servirono i suoi deboli tentativi di calmarmi. Ero terrorizzata, resa cieca e pazza dalla paura. Mi batteva forte il cuore, metà del mio essere pensava solamente ad una sola cosa: salvarsi. I miei pensieri fluivano in un cerchio senza possibilità di apertura. Sicuramente quella nave si era staccata dal porto. Non c’erano altre spiegazioni. Sentivo un leggero rollio, accompagnato da quel ruggito intermittente, che diveniva pian piano un riposante mormorio. Quella si, era l’acqua che entrava. Quel rumore infernale era l’acqua di mare che entrava velocemente nella nave, abbassandola sempre più, sempre più, afferrandola per avvolgerla in un abbraccio che ci avrebbe ucciso, tutti. Forse non tutti. Io di sicuro. La nave si muoveva? Dunque sarebbe affondata in brevissimo tempo. Logico, fin troppo logico. Mi aspettavo di sentire, da un momento all’altro, le grida di allarme, e poi lo sciaguattare inquietante dell’acqua che saliva. Che saliva, verso di me, pronta ad inghiottirmi. Acqua salata, piena di mostri orrendi. Volevo singhiozzare. Non esistevano parole per definire la mia stupidità. Ero finita in una situazione che era, in pratica, senza uscita alcuna. Perché dovevo sempre infilarmi nelle situazioni peggiori? Perché? Chi me lo faceva fare? Ero un’imprudente. La lungimiranza era una parola che non conoscevo! Eppure doveva essere logico, per me, che ero stata Spia, dovevo capire il modo segreto di comunicazione che Isnark usava! Non sarei stata costretta a portare quel messaggio, avrei potuto affibbiare a qualche altra anima pia quel compito. Qualcuno di non eccessivamente brillante. Ero un’idiota. Mi ero lasciata fregare come una novellina. Da quando avevo lasciato che tutte le barriere che Ombra aveva imparato a distruggere si ricomponessero? Oh, certo, non ero stata solo io la sciocca, alla dogana avevano tranquillamente lasciato passare la lettera, nonostante fosse palese che c’erano delle Spie lì, ma comunque quella leggerezza mi bruciava. Una sola, schifosissima leggerezza ed avevo rischiato di compromettere l’esistenza di molte delle persone a me più care. Mi ritrovai a rimpiangere quella che ero stata, lì, singhiozzando tra le braccia di un elfo completamente stordito, incapace di consolarmi. Isnark non l’avrebbe avuta vinta con Ombra. Mai. E come mi sentivo tradita, da quell’elfo che si professava non mio amico, ma almeno alleato! Perché l’aveva fatto? La situazione gli era sfuggita di mano? C’era qualcuno che lo dominava senza che io lo sapessi? Non aveva fatto nulla con malizia? In fondo mi voleva bene? ero incerta. Quale vocina dovevo ascoltare? Quella maligna, che mi sussurrava all’orecchio di far valere la mia autorità di Ch’argon, piantare tutti in asso ed andare a sgozzare Isnark per quel gesto evidentemente poco chiaro? Quella arrabbiata, che suggeriva di picchiarlo solamente, e di rompergli un’altra volta il braccio? Quella disperata, che piangeva la mia e l’altrui miseria? Oppure quella buona che suggeriva di lasciar perdere tutto e sopportare stoicamente? Sopportare? Io? Erano secoli che sopportavo, accidenti. Ma quello era troppo, davvero. Grande gesto di galanteria, da parte sua, quello di lasciare che io annegassi. Per fortuna che c’era Zipherias. Almeno lui, che sapeva nuotare. Era ingiusto, però. Io non volevo morire. Io volevo rivedere Nilyan, e Machin. Volevo tornare alla mia vita. Non era certo un granché, ma era pur sempre la mia vita. Era vita. Ma perché l’acqua non entrava rombando in quella minuscola trappola per topi? Stavo aspettando, quasi impaziente, di sentire e vedere ciò che stavo aspettando. Però, non sentivo nessun rumore al di fuori. Che fossero già scappati tutti? Mi strinsi più forte a Zipherias, conficcando, decisa, le unghie nel suo povero braccio. Lui non si lamentò. Non lo guardai, e non guardai niente. Serrai ancora di più gli occhi, ormai pronta. Come avremmo potuto fuggire? Saremmo annegati, che fine orrenda. Io non volevo morire. Mi veniva da piangere. Avrei fatto la fine del topo annegato. Che vergogna suprema, davvero. Il mio amico mi sussurrò qualcosa che non sentii. Ero troppo concentrata sul bizzarro mormorio che sentivo, a posto del terrificante ruggito di poco prima. Era davvero uno strano rumore. Doveva esserci un bel buco per produrre un suono del genere. Non era una gran cosa. Beh, almeno morivo amata, in compagnia dei miei amici. Mi dispiaceva solo per Machin, per il mio povero nipotino, per Nilyan, che avrebbe sofferto tanto. Per mia figlia, per Chekaril…. Manolìa, e anche Nysha, anche se mi aveva avvelenata. Per Amarto, Dae, Miobashin. In fondo, se ci pensavo, c’era la gente che mi voleva bene. il pensiero era oltremodo rassicurante. Dovevo stampare bene in mente ciascuno di quei visi nella mia immaginazione sorridenti, abbracciarli e non lasciarli più andare. Ne avevo bisogno. Per un breve attimo, pensai anche alla morte come qualcosa di buono. Non sapevo come si ci sentisse annegando, ma speravo fosse del tutto indolore. Beh, cercai di vederla da un punto di vista positivo. Avrei rivisto Tijorn ed Akita, e forse anche Nemys. Una volta morta, avrei ritrovato i miei cari perduti. Gli altri avrebbero potuto farcela benissimo senza di me, erano tanti.  Io sola, o quasi sola. Non sarebbe stato bello, morire, però forse il dopo mi avrebbe riservato qualche bella sorpresa. Chi lo sapeva. Ah, sciocchezze. Scacciai via una bella immagine di mio fratello ritrovato, irritata con la mia stupidita. Affogare non era di certo bello, proprio no. Ricordavo bene, la sensazione di andare giù, giù e ancora giù, quel torpore che t’invade mentre si cerca invano di continuare a lottare disperatamente. Non era un bel ricordo. Quello che seguiva uno scivolone accidentale sulle sponde di un lago gelato. E quello sarebbe stato ancora peggio. Che bella cosa, vedere salire pian piano l’acqua, e non poter scappare. Una cosa meravigliosa. Mi chiesi di nuovo distrattamente, quello me lo ricordo bene, il motivo di quello strano silenzio. Non c’erano urla, né sirene, né altro. Tutto era tranquillo. Perché? Mi assalì una strana sensazione. Arrischiai anche ad aprire un occhio, per fissare il pavimento, e rimasi perplessa quando lo vidi perfettamente asciutto. Il mormorio continuava, imperterrito, ad echeggiare fuori e dentro di me, ma non c’era altro. Richiusi immediatamente gli occhi quando avvertii un ennesimo rollio, che fece montare in me un disgustoso senso di nausea. Accidenti. Zipherias mi sembrava molto meno teso di prima. Mi abbracciava quasi distrattamente, e non sussurrava più cose. Dapprima mi chiesi il perché, ma poi lasciai stare. Doveva essersi rassegnato al suo destino. Mi accorsi, man mano che il tempo senza tempo passava, che anche la mia attenzione stava scemando. Più che aggrapparmi al mio amico lo stavo abbracciando, sicuramente con suo enorme sollievo. Era lo stesso bello, ero ugualmente protetta. Mi sentivo completamente al sicuro, come se nulla mi potesse toccare fin quando sarei stata con lui. Zipherias aveva un buon profumo. Davvero un buon profumo. Mi consolava. Un altro rollio cancellò tutti i pensieri più razionali che stavo cominciando a fare. Di nuovo, inaspettato, mi artigliò il panico, giocando con me, infilzandomi con le sue zampe di ghiaccio. Ah, non era giusto. Bisbigliai qualcosa che non rammento. Ecco, ora saremmo morti. L’impressione, in me, si rafforzò quando sentii la porta aprirsi. Ecco, quella era l’acqua che stava entrando. Saremmo morti, morti tutti, e non ci sarebbe stato scampo per noi. Chiesi mentalmente perdono a tutti, e mi strinsi forte a Zipherias. Sarebbe stato bello, bellissimo, andare via. Perché mi ero lasciata convincere da Isnark? Non sarei stata lì. Che stupida, ero stata proprio una stupida. Sentii vari fruscii. Ecco, l’acqua che stava entrando lentamente, appesantendo la terribile nave, e facendola sprofondare sempre più giù, tra le bestie feroci. Di nuovo, il panico cancellò tutti i pensieri. Non era bello morire. Non era bello affatto. Avevo ancora tante cose da fare, tanti obiettivi da raggiungere. Sarei finita lì. In acqua. Che fine comica, per me. Quante risate che si stavano facendo tutti alle mie spalle. Sobbalzai, quando sentii una mano premere sicura sulla mia spalla. Provai un empito di speranza. Ci stavano venendo a salvare? Tutto quello non era stato voluto? Alzai di scatto il volto. I visi calmi di Capouille e di un’umana vestita rozzamente, forse un marinaio, mi riempirono il campo visivo. Rimasi a fissarli, stordita. Incapace di capire. Perché c’era quell’umano? Ci stavano venendo a salvare? Fissai la donna, una creatura di mezza età dall’aria stanca e dai lineamenti regolari. Lei mi sorrise, pietosa. Capouille mi scrutò, attento. Mi sentii prendere il viso da una mano calda. Provai l’improvvisa voglia di scostarmi. Cos’erano tutte quelle smancerie? Bisognava scappare, o no? forse erano venuti a dirmi che potevo morire, non c’erano vie di fuga? Mi addossai a Zipherias, per ottenere conforto. Lo trovai stranamente distante. Sembrava essersi rilassato. Avevo forse visto qualcosa che non avevo notato? Chi lo sapeva. Un altro rollio mi fece venir voglia di rivoltarmi come un calzino. Magari sarebbe stato più piacevole di quel terrificante mal di mare. Capouille mi scrutò, con aria preoccupata.

“Lsyn? Tu-tut-tutto a po-posto?”.

Lo guardai stupefatta. Che cosa? Stavamo inesorabilmente affondando e lui mi chiedeva se era tutto a posto?  Tutto a posto? Ma stava scherzando, forse? Lo fissai, vacua. Capouille aveva forse qualche rotella che non girava per il verso giusto? Stavamo affondando, accidenti! Non gli era chiaro? Bisognava fuggire. Bisognava scappare, andare via, tornare a Fiya e prendere Lilliagrin per la collottola. Giudicai, comunque, la presenza del marinaio leggermente positiva. Aveva un volto piuttosto inespressivo, tuttavia vedere qualcuno che non fosse noi mi tranquillizzava. Mi folgorò un pensiero. E se fossero tutti condannati a morte, lì dentro? Accidenti, poteva anche essere. Sarebbe stato piegato lo stranissimo silenzio. Altrimenti, perché erano tutti calmi? Drogati, senza dubbio. Eravamo sicuramente ancora nel porto, inabissandoci lentamente. Ma c’era qualche possibilità di fuga, ne ero certa. Capouille era andato fuori e non era stato toccato. Giunsi alla conclusione che la fuga era possibile, eccome. Anche buttandosi in acqua. Guardai speranzosa il mio amico. Potevamo andarcene via. La morte non era un obbligo.

“dove sono le scialuppe?”.

Mi chiesi perché Capouille mi guardasse con quell’espressione così piena di pietà. Mi compiangeva? Lui? Ma cosa, era forse matto? Non riuscivo a capire. La mia era una domanda intelligente, accidenti se lo era. In una nave, sbagliavo o c’erano sistemi per andarsene? Non si chiamavano scialuppe o qualcosa del genere? Quella, almeno, era una cosa che sapevo. Nelle navi umane c’erano le scialuppe. Gli elfi, invece, molto spesso non sapevano nemmeno nuotare. Siamo gente di montagna, noi. Guardai il mio amico, sempre più confusa. Non mi sembrava spaventato. L’unica tesa, lì dentro, ero io. Che li avessero drogati? Avevano mangiato per caso qualcosa, quella mattina? La loro mente era già bella che partita? Sperai di no. non potevano lasciarmi sola in certe situazioni così delicate. Molto egoista, da parte loro. Rimasi di sasso quando Capouille sorrise gentilmente. Cos’era quel sorriso? L’inquietudine si fece spazio della mia mente. Si, era partito, ormai. Rimanevo io, l’unica sana lì dentro. L’avevano drogato. Aveva le visioni. Guardai giù. Niente, l’acqua non era ancora salita fino a noi. Lo giudicai un buon segno. Si poteva ancora scappare. Cercai di alzarmi in piedi. Un nuovo rollio mi fece sedere di schianto sulla gamba malandata di Zipherias che represse un urlo condito di bestemmie. Lo guardai, colpevole. Beh, almeno lui non mi sembrava beatamente drogato come Capouille. Mi sentii rinfrancata. Avevo un alleato. Almeno c’era lui. C’era sempre lui. Dovevo solo fare in modo che guardasse male altre persone, e non me. Non l’avevo fatto apposta. Non intendevo assolutamente fargli del male. Dei, però, come odiavo il mal di mare. Non riuscivo nemmeno a stare in piedi. Guardai di nuovo Capouille. Si, era proprio drogato. Mi fissava con un’aria così confusa che era impossibile non reputarlo ormai completamente fuso.

sci-sci-a-aluppe, Lsyn? Ma che sta-stai di-dicendo? No-noi sti-stiamo par-partendo, il ru-rumore è no-normale, di-dicono”.

Lo guardai, scettica. Dicono. Certamente. Non potevano certo affermare che entro poco saremmo morti tutti. Non era cortese. E perché aveva usato la lingua franca? Forse per farsi udire da quella gatta morta dall’aria sonnacchiosa? Che noia. Com’era antipatica. Ci stavano ostacolando, questo era chiaro. Osservai, sospettosa, la donna. Ecco, tutto mi era chiaro. Era un emissario di Lilliagrin. Ci stava facendo del male. Aveva drogato Capouille, che sembrava pacifico e serafico. Quando balbettava era sempre perché era tranquillo. Non mi piaceva. Non era una grandissima notizia: ci avevano in pugno. Guardai nuovamente in terra. Oh, io non avevo mai voluto morire. Un tentativo di suicidio mi era bastato. Volevo solo vivere. Nient’altro. Lei mi sorrise, dolcemente, poi fece un passo in avanti, ed un cenno verso il piccolo cerchio che dava in fuori, e che io avevo accuratamente evitato di osservare.

“su, guardate lì fuori…”. Lei fece un gesto, parlando con voce acuta, ma gentile. Guardò entrambi, tranquillissima. “la nave si sta muovendo. Questi rumori sono normali, fidatevi di me…”.

Certo, normali. Ero sicura che entro mezz’ora ci avrebbero dato l’ordine di levare le tende. Non ero una novellina, io. Mi preparai, serenamente, a morire. Io quello che potevo fare l’avevo fatto. Più di quello, il nulla. Si, ne ero sicura: nonostante tutto quello appena detto, la nave sarebbe affondata dopo poco. Rimasi di sasso quando Zipherias mi fece sedere sul letto, e si avvicinò alla piccola finestrella rotonda. Ancora peggio fu la sua faccia rassicurata e sempre più colma di sollievo. Bene. non bastava il mal di mare, ora nessuno mi avrebbe più ascoltata. Come sarebbe stato divertente quando ci saremmo trovati letteralmente e metaforicamente con  l’acqua alla gola!

 

In effetti, ero nel torto. La nave non affondò. Avevano ragione a stare tranquilli: per tutto il viaggio il nostro unico compagno fu il mormorio costante di chissà cosa nella pancia dell’enorme nave, ed il mare. Ben presto, anche Zipherias se ne rese conto. L’umana, Mary, aveva detto la verità. Come facessero non l’ho mai capito bene, ma gli umani erano riusciti a tenere a galla un pezzo di ferro. Accolsi ogni ora che passava con stupore crescente. Continuavamo ad andare avanti. L’acqua che mi ero aspettata mi arrivasse addosso fino a sommergermi non arrivò. Rimasi piacevolmente viva. Dopo un po’, riuscii a conciliarmi con l’idea. Mi sentii velatamente ottimista. Ottimo, non saremmo affondati. Il viaggio continuava. Potevo dunque fidarmi degli umani? Quali sorprese avevano in serbo per noi? Forse qualcosa che avrebbe fatto spiccare il volo a quella grossa botte di metallo? Più il tempo passava, più mi aspettavo nuove cose strane. Sorridevo tra me e me, pensando ad Atlantis, che mi aspettava. Forse il viaggio sarebbe risultato migliore del previsto. Inutile dire che non avevo contato, oltre al mio timore, l’onnipresente mal di mare. Passata dal sospetto, all’incredulità e poi, infine, al sollievo, tornai istantaneamente dal benessere all’oblio quando un rollio più forte fece ondeggiare le pareti, il letto, tutto attorno a me. Il tempo decelerò paurosamente. Dopo di quello ricordo un senso di nausea opprimente, e le braccia di Zipherias. Era tornato il  panico. Accompagnato da un amico, non proprio da me amato: il mal di mare.

Non è bello vivere giorni e giorni con lo stomaco sottosopra. Terribile, dover sopportare una stanza che non sta mai ferma. Presi a desiderare ardentemente la terra. Bella, solidissima, amorevole. Non come l’infido mare, padre severo ed orco. Sentivo profumo di bosco dappertutto. Odore di foglie e di terra umida. Temo di aver spaventato i miei amici più di una volta, quando chiedevo loro se sentissero quell’ineffabile aroma. Presi a desiderare uno scoglio. Uno, anche minuscolo. Cosa m’importava? Non ce la facevo più. Era troppo, troppo per me! Che mi dessero anche u sasso, ed io mi ci sarei appiccicata su con tutte le mie forze! Quando saremmo arrivati? Quando finiva quella tortura? Miei passatempi preferiti, in quei giorni che non finivano mai, erano due: bestemmiare contro Lilliagrin, Isnark e la mia stupidità, e piangere sulla spalla di qualcuno, a turno. Per il resto facevo poco, o nulla. A mangiare, a parte un po’ di pane, non se ne parlava. Non riuscivo a toccare cibo. Già quel tozzo sempre più secco ed un po’ d’acqua mi ballavano su e giù per ore, impegnati in un accanito valzer a mie spese. Perché mi ero ficcata in quella situazione? Perché? Aspettavo, aspettavo. Ben presto, non ci fu più differenza tra il giorno e la notte. Passò quello che per me fu un secolo. In quel periodo, tre furono le persone che mi stavano un po’ accanto: gli immancabili Capouille e Zipherias, sempre più preoccupati, e la povera, tranquilla e bovina Mary, il marinaio che era stato scelto per, a quanto pareva, assistere un po’ tutti, me specialmente. Era lei che rimaneva con me la sera, quando Capouille e Zipherias dovevano andare via, era lei, soprattutto, che mi spiegava qualcosa.

Trovai, finalmente, una posizione più che comoda, forse dopo un secolo o un millennio. A pancia in giù, nascondevo la mia testa sotto il cuscino. Era meglio non vedere. già era troppo, percepire quello spostamento simile ad una culla, destra e sinistra, destra e sinistra. Era meglio non pensare, evitare di ricordarsi che sotto di me c’era solo acqua, tanta tanta acqua. Mi era capitato, per sbaglio, di guardare fuori. Quello che avevo visto mi aveva sconvolta al punto tale da farmi rifugiare tra le coperte e non muovermi più per un po’. Acqua. Acqua e solo acqua. A perdita d’occhio. Non c’era più la terra. La terra non si vedeva. Avevamo lasciato Fiya, il mondo intero. Allora eravamo vicini? Stavamo per arrivare? Un giorno, presa da una folle speranza, riuscii a togliere la mia testa da sotto il cuscino. Era sera. Io e Mary, la donna umana così paziente, eravamo con Capouille e Zipherias. Era un’ora sconosciuta. Io non percepivo niente da un attimo indefinito. Forse avevo dormito. Forse no. Non ne ero sicura. Fissai, così, gli occhi dolci dell’umana. Quel giorno il rollio era meno avvertibile del solito. Il mare, maledetto sia lui, doveva essere un po’ più calmo. Era una gran cosa. Lo stomaco, almeno, poteva essere controllato più facilmente. Ma io ero lo stesso alle soglie dell’esasperazione. Quanto tempo era, che viaggiavamo? Una o due settimane? Tre mesi? Non ce la facevo più. Ero divenuta uno spettro. Non riuscivo a pensare, o fare qualsiasi cosa. Era tempo di avere qualche riferimento.

“Mary? Da quanto sono qui?”.

Mi stupì sentire la mia voce così lamentosa. Era la prima volta che parlavo…da quanto? Non lo sapevo. Stavo proprio male, era più che evidente. Capouille e Zipherias si guardarono. Poi il mio amico dai capelli rossi mi scompigliò i capelli, con un sorriso tenero. L’umana mi guardò con pietà. Quei gesti, non so perché, non mi piacquero. Era come se mi stessero nascondendo qualcosa. Ero trattata come una malata. Un rollio un po’ più marcato mi fece nascondere istintivamente la testa sotto il cuscino. Per un attimo non m’importò più di nulla. Non volevo vedere. potevo far finta di essere a terra, con un po’ di immaginazione. Si, ero malata, ma non lo sapevo. Nulla di quanto stavo vivendo era reale. Sentii, all’improvviso, una mano carezzarmi dolcemente la spalla. Qualcuno si era seduto più vicino a me, e mi teneva stretto. Non era bello, essere trattata come una bambina. Tuttavia, un po’ mi faceva piacere. Ero troppo debole per protestare. La voce di Mary, d’improvviso, si fece sentire, forzatamente dolce, ma venata da una certa preoccupazione.

“non molto… forse qualche giorno…”.

Azzardò, con voce fintamente casuale. Mi saltò il cuore in gola. Così poco? Stavamo viaggiando da così poco tempo? Beh, forse Atlantis era più vicina di quanto immaginassi. Mi sentii invadere da cieca e folle speranza. Dovevo subito, immediatamente, raggiungere terra. Altrimenti sarei morta lì, stecchita dalla paura, su quel lettuccio miserevole e duro. Beh, magari la nave era veloce. Cercai di alzare la testa. Ritenni più prudente nasconderla sotto il mio cuscino quando sentii un nuovo rollio. Casomai mi fosse caduto qualcosa in testa. Qualche oggetto venuto da chissà dove, visto che sopra di me non c’era altro che la parete.

“e quando arriviamo? Presto, vero? Vero?”.

Alle mie folli domande ci fu un attimo di silenzio. La pressione sulla mia spalla divenne sospettosamente forte, salda, un’ancora di salvataggio. Oh accidenti. Non mi piaceva quel comportamento. Dopo un po’, la voce di Mary si fece sentire, esitante.

“Lsyn…su, forza, tira la testa fuori da quel cuscino…”.

 Inutile dire che non obbedii a quell’ordine mascherato da richiesta. Se l’avessi fatto non mi rendevo responsabile di eventuali danni a persone o cose. Mi limitai a sentire la voce della donna, stringendo ancora più forte il mio morbido protettore. Serrai gli occhi. Stavo sognando, ecco. Tutto quello era solo un sogno.

“ascoltami…siamo appena all’inizio del viaggio, cara…”. Azzardò, con una vocina sempre più piccola, come temendo la mia reazione.

“vi lasceremo a metà strada, su una piattaforma abitata… ma siamo ancora  molto lontani…”.

Inutile riportare la mia reazione a quelle parole, temo. Erano, in pratica, la firma della mia condanna a morte. Siamo lontani. In altre parole, il viaggio è ancora lungo. Come se mi dicessero: nuota senza appoggio. Eh no. Lsyn Amarto non si frega! Era tutta una montatura per uccidermi!Mi vergogno troppo a ricordare, arrossisco. Ma al panico non si comanda. Cominciai, in poche parole, a dare di matto. Semplice. Non ricordo esattamente cosa dissi. So solo che mi sentii irrimediabilmente perduta, una rabbia cocente, contro me ed il mondo, m’invase, e cominciai a bestemmiare a tutto spiano, urlando. Ricordo che misi di nuovo in mezzo le scialuppe, ordinando che vi venissi messa su. Dovevo assolutamente tornare a casa. Avevo firmato un contratto falso! Parlai anche di tortura, e di metodi molto sofisticati per farla pagare ad Isnark. Zipherias mi ha detto da poco che scandalizzai la povera Mary, che aveva gli occhi che sembravano volerle schizzare fuori dalle orbite. Ricordo poi di aver dato calci a qualcuno. A chi, chissà. Poi ho implorato di voler morire. Non potevo vivere a mare, io non ero un pesce! Ero impazzita, completamente. Quelle parole avevano scatenato un’incredibile furia in me. Volevo tornare a casa! Non se ne parlava, non potevo rimanere tutto quel tempo in mare, preda della nausea! Erano tutti matti! Era un delitto! Non si poteva! Mi volevano male, molto male. All’inizio del mio scoppio di rabbia qualcuno tentò di mantenermi. Devo averlo morso. L’unica reazione che ricordo nettamente fu una frase di Mary. La donna aveva un tono estremamente scocciato. Poverina, non la biasimo.

“senti, nessuno di voi ha mai pensato ad una soluzione semplice e drastica per zittirla? Una botta in testa, magari…così si calma”.

Dopo di questo non ricordo alcunché. Qualcuno deve averle obbedito. Sapessi chi, tuttora gli restituirei il favore. Ai miei mali andò ad aggiungersi anche il mal di testa, al mio risveglio. Che cosa assurda. C’è mai cura migliore per sconfiggere le paure? Certamente. Evitarle. Questo si che fa molto bene.

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Capitolo 57
*** ...ed un'altra conclusa peggio. ***


Palazzo reale di Qerin, stravaccata sul MIO letto nella MIA stanza, perché altrove non posso assolutamente andare, non ho assolutamente idea di che giorno sia

Palazzo reale di Qerin, stravaccata sul  MIO letto nella MIA stanza, perché altrove non posso assolutamente andare,  non ho assolutamente idea di che giorno sia. Sono Nilyan, a proposito. Non va qui? Boh. Tempo stabile, è pomeriggio e fa abbastanza caldo (Ellyn dice che si crepa di freddo ma io la porterei a Kyradon, si congelerebbe). Ma le devo proprio scrivere queste cose? Mi domando a cosa servano. Non le ho viste, sul diario di Roxen. Eh, poi ti racconto.

Ehi, oggi mi sono ricordata di mettere sta roba nel posto giusto!

Evviva!!!!!!!!!!!!!!!

 

D’accordo, cominciamo.

 

Mio caro Wilhelm, Wille adorato;

è qui il canarino in gab…ops, Nilyan Nemys che ti scrive. Come al solito, non ho un’altra persona dentro di me (ci manca solo questo).

Indovina un po’? cosa starò mai facendo?

Viaggi per

Sono ancora prigioniera.

p-r-i-g-i-o-n-i-e-r-a.

Ancora poi. Stavolta sono io che mi devo dare della scema. La colpa è la mia!

Machin mi fa male, io l’ho sempre detto!

Ma cosa c’è di male in un po’ di curiosità? La curiosità uccide il gatto? Ma io non sono un gatto. Sono un’elfa. Una principessa.

Vado subito al sodo, non credi? Altrimenti poi ti scocci, ed hai pure ragione.

Il fatto è che sono nervosa, e…va beh, comincio.

No, ma senti, la mia condizione è semplicemente assurda. Ti ricordi che Roxen mi aveva chiusa in camera per quella scappatella in città?

Quella innocentissima scappatella in città. Solo perché lei è una vecchia bigotta.

Solo perché lei non avrà mai il coraggio di fare quello che ho fatto io.

Lei il coraggio ce l’ha solo quando vede un bel gioiello all’orizzonte, come premio.

Un po’ come si usa per far camminare gli asini. Con una carota.

La prossima volta le carote gliele ficco nella gola, per non dire altro se no passo un guaio se capitasse papà a leggere.

Ma tanto non succederà mai. Non deve succedere o sarò in punizione eterna.

Che noia questo galateo. Anche quando scrivo un diario devo essere la bella principessa compita.

Zia ha assolutamente ragione.

“manda tutti a quel paese Nilyan, una brava regina non si giudica da come dice una cosa, ma da quello che dice”.

Io adoro quell’elfa.

Va bene, va bene, comincio (stramaledette regole del galateo, quando sarò regina brucerò tutti i libri che ne parlano, ahahahah!).

Sono passati un po’ di giorni.

Ti ricordi che ti dicevo che a quell’asina sarebbe passata presto, quell’inutile arrabbiatura?

Benissimo, fai conto che Roxen è ancora arrabbiata. O  meglio, è di nuovo arrabbiata.

Perché? Ti chiederai perché di nuovo. Eh, ora ti racconto.

Per dovere di cronaca devono essere passati quattro o cinque giorni da quel fatto.

Come avevo previsto, sai, Roxen mi ha liberato la mattina dopo la mia stupenda fuga. Era tutta dolce, tutta di buonumore, mi ha coccolata ed accarezzata, tutta tranquilla.

Quell’elfa ha bisogno di una seria botta in testa. Magari rinsavisce.

Sul serio, io non riesco a capirla.

Prima è inviperita, poi mi abbraccia in lacrime. Poi è tutta contenta e mi sorride. Ci mancava solo facesse il girotondo cantando qualche filastrocca.

Per me quella si droga, ma con qualcosa anche di pesante.

Comunque, non importava. Mi sentivo finalmente bene, era una bella giornata, forse un po’ nuvolosa ma senza pioggia, e potevo uscire.

Ero solo un po’ deboluccia, ma quello perché devo aver dormito malissimo.

Dannato dolcetto, si dev’essere messo sullo stomaco una bellezza.

Non mangerò mai più cibo umano di origine sconosciuta.

Chissà che ci aveva messo dentro, quell’idiota.

Mai più, io dico. Mai più.

Mi sono svegliata a notte fonda con una sete ed un freddo tremendi, ed ho visto che avevo messo tutto in disordine. Ti avevo buttato a terra (povero Willie, non ti sarai mica fatto male, vero? Io non l’ho fatto apposta!), la brocca era quasi caduta dal comodino (strano, c’erano tutti i cassetti aperti) e mi ero quasi strozzata con le coperte. Ma quello era normale, le finestre erano spalancate!

A volte mi capita, queste finestre hanno una chiusura strana. Ci dev’essere stato un colpo di vento nel bel mezzo della notte, e, visto che non le avevo chiuse bene…

Beh, comunque ho provveduto. Ho messo pure il comodino davanti, così non mi facevano più scherzi di cattivo gusto, e poi me ne sono tornata a letto.

Per il resto, ho fatto proprio un bel sonno, e mi sono svegliata con una fame da lupi.

E chi vedo? O meglio, chi sento?

La porta bussa ed entra Roxen (senza nemmeno chiedere il permesso!!!) tutta allegra e leziosa, che cinguetta un po’ e poi mi intima di sbrigarmi.

Ora di colazione con Ellyn.

Aha!

Ecco perché era così allegra. Con me, intendo.

Sono sicura che quella donnola di Roxen abbia abilmente riconosciuto che una colazione da sola con Ellyn le sarebbe stata a dir poco impossibile.

Proprio non la sopporta.

Io non capisco perché.

Ellyn non ha assolutamente nulla di male. È tanto carina, tanto ingenua. Forse troppo ingenua, ma può darsi che abbia quest’impressione perché io sono elfa, e sono più vecchia di lei.

Ehi. Un momento.

Sono più vecchia di lei.

Ehi, non ci avevo mai pensato.

Oh, fa così strano pensarlo.

Willie, ti rendi conto che io e Roxen siamo più vecchie anche di Lilliagrin? Siamo più anziane di quel cadavere ambulante che osa comandarci a bacchetta?

È un paradosso interessante. Dovrei farlo presente, a quella lì. La regina, intendo.

È una persona davvero poco interessante. Noiosa e prevedibile come e più di un vaso da notte (ah, che orrore!).

Ma diventeranno tutti così, gli umani? Insomma, sono così quando invecchiano?

Crudeli, cinici e pieni di amarezza?

Dicono di guardare in faccia la realtà quando poi non fanno altro che far si che il mondo sia sempre uguale?

Guardano in faccia la realtà, certo.

Allora io non mi spiego  perché Dae o il nonno, che hanno un’età che avrà probabilmente una civiltà umana, riescono ancora a sperare.

Anche la zia, che secondo me non deve aver passato cose tanto belle, non è come Lilliagrin.

Chissà perché gli umani diventano così cupi, quando si fanno vecchi.

Ma in fondo li capisco, poverini. Non deve essere bello vivere così poco. Io se fossi stata un’umana sarei già morta.

Brr, non ci voglio pensare. Si può sapere cosa diamine si può fare in meno di cento anni di età?

Magari uno inventa una cosa ma non riesce a perfezionarla.

E magari una spazzola inventata per pulire i cani verrà usata dopo un po’ (anche questo ho notato, gli umani hanno la memoria corta. Chissà, forse così sperano di allungare la vita) non riesco nemmeno ad immaginare come.

E quindi corrono, come le formichine.

Non credi, Willie? Non hanno tempo.

Un po’ come me quando mi sveglio tardi e devo andare a lezione.

Ho poco tempo, quindi corro e faccio male quello che sto facendo.

Poi Yufrek dice che ho il colletto messo male.

O ho messo le scarpe al contrario.

Non mi sono pettinata i capelli (dice bene lui che ce li ha lisci! I miei sono difficili. Non hanno senso).

Mi sono vestita con cose che non c’entrano nulla.

Che brutta cosa, però, non avere tempo. È deprimente.

Oh, Willie. Sto dicendo cose molto intelligenti! Strano, non mi capita mai.

Sarà la mancanza di Machin a farmi ragionare. Quello lì ha influssi strani un po’ su tutti.

Non mi sorprenderei se, al ritorno, trovassi Chekaril in preda ad una crisi di nervi.

Oppure vestito allo stile di Machin.

Ovvero, senza senso.

Willie, quel pazzo è totalmente senza senso alcuno. Sfugge ad ogni tentativo di comprensione. Bisogna solo accettarlo.

Ah.

Non voglio ammetterlo, ma mio cugino mi manca da impazzire. Senza zia e Machin accidenti, la vita è più vuota.

Sfido io.

Quei due stanno andando a divertirsi allegramente alla faccia mia! Io, che in questo castello mi ucciderò o ucciderò qualcuno!

Qui, che non succede nulla, ma nulla sul serio.

Qui, che per avere una botta di vita mi devo ridurre a rubare diari. E a farmi mettere in punizione.

Ecco, l’ho detto. Ho rubato il diario di Roxen. Ma solo per un momento, uno minuscolo.

Ho letto un paio di pagine, niente di compromettente, prima che mi beccasse.

E la reazione, oh, la reazione…

Ma torniamo all’inizio, perché non capisci di sicuro niente sulla tragedia su di me abbattutasi (oh che linguaggio, sono fiera di me, molto fiera) se comincio a sproloquiare.

Ma a me piace sproloquiare, e poi io e te dobbiamo conoscerci.

Sarai il mio migliore amico, vero?

Sono sicura che sarà così. Solo tu puoi ascoltarmi e rimanere serio.

Machin è tanto caro, ma con lui non si può fare un discorso. Almeno, un discorso logico.

Comunque, cosa ti stavo dicendo?

Ah si. La mattina è venuta Roxen, tutta contenta, e mi ha trascinata da Ellyn.

Strano ma vero, ci siamo divertite un mondo.

Qui due sono le cose:

o tutte e due si sono accorte che in quel modo non potevamo andare avanti (insomma non è carino trascorrere tutti i giorni in modo uguale)….

Oppure sono io che ero esaltata dal fatto di non essere più in punizione.

Forse tutte e due le cose, non lo so.

Comunque la mia amica umana era tutta curiosa, e ha voluto assolutamente sapere cosa mai avessi fatto di così bello per Qerin.

Era così interessata, mi faceva un po’ pena.

Poverina, lei si che è un uccellino in gabbia. Solo che non lo sa. Perciò è felice.

Non la conosce mica, la libertà di cavalcare per il bosco.

Oppure la libertà di andare per la città. Poverina. Lei secondo me non l’ha mia davvero vista la città.

Come è brutto vivere così. secondo me Lilliagrin l’ha fatto apposta, a crescerla così vigliacca.

Si, è una vigliacca! Completamente e assolutamente!

Willie, come chiameresti tu una persona che fa proprio scopo vitale quello di passeggiare per un giardino? Di sparire per ore lei e Peggy, senza lasciare traccia, un pomeriggio ogni tre, sempre alla stessa ora?

Mamma mia, manco se avesse un appuntamento!

Tu come la chiameresti, una tipa così?

Prudente?

No, solo e semplicemente vigliacca. E va bene che a lei non piace farlo, è sedentaria e le piacciono sempre le stesse cose, va bene, la capisco.

Ma sai cos’è che proprio non riesco a comprendere?

È Roxen.

Lei alla zia gliene ha fatte passare di tutti i colori, te lo giuro. Quando aveva la mia età la dovevano andare a ripescare un po’ ovunque. Io ero piccolina, mica me lo ricordo, ma il fatto che spesso la ritrovassero in qualche residenza di campagna di giovani nobili inquietava fortemente la zia.

E ti pare che ha reagito, quando a colazione le ho fatto gentilmente notare che io ero andata a fare solo un giretto per i quartieri alti, tra l’altro rovinandomi la gita per un acquisto incauto?

Niente.

Si è fatta una risata ed ha detto “andiamo, Ninì, non vorrai certo mettere il broncio! È acqua passata!”.

In gola le ficco l’acqua, la prossima volta.

E non sopporto quando mi chiamano Ninì. Sembra il nome di un gatto!

Ed io non ho potuto far altro che ingoiare e stare zitta, perché se avessi parlato mi sarei rovinata l’intera giornata, perché guai a scomodare la signorina dal suo stato di grazia!

Comunque, pazienza, ho passato una bella giornata.

Un paio di volte ho sentito di nuovo il disgusto di quando ho mangiato quel dolcetto, ed avevo proprio quel sapore in bocca. Che orrore, dolciastro così da disgustare chiunque.

Però non l’ho dato a vedere. mi sembra normale, dopo aver mangiato una schifezza come quella, che io non mi senta bene.

Comunque ho passato una giornata piuttosto carina.

Sono stata con Roxen ed Ellyn, e lei ci ha portate a far vedere un’ala del palazzo sconosciuta, dove sta Guaren.

Il ragazzo era così felice di vederci!

Ha provato ancora a parlare nella nostra lingua, ma non è che ci è riuscito poi tanto bene.

Mi fa pietà, quando cerca di farsi capire da noi.

Comunque fino al pomeriggio siamo stati in giro con lui, che ci ha spiegato tante belle cose sul palazzo e sulla città (lo sapevi, Willie, che quando io non ero ancora nata Qerin era molto più piccola di oggi? Che strano), e poi ci ha divertite, perché lui sa suonare la viola (pazzesco, in questo mi batte. Io non so suonare, anche se mi vorrebbero insegnare. Ma io non voglio, mi annoia).

Guaren è molto simpatico. Ha sempre un sorriso tranquillo sul viso, si vede che è un tipo di cui ci si può fidare!

Comunque, poi, è venuto il pomeriggio.

E allora là….

Ammazzami, noia!!!!!!!!

Non sapevo proprio che fare…davvero.

Non potevo dormire, non potevo leggere…niente.

Stavo quasi per scrivere con te, ti volevo raccontare di Guaren e di tutte le cose belle che abbiamo fatto la mattina, ma poi mi annoiavo troppo.

Dovevo fare qualcosa. Sentivo tutto formicolare dentro, ero troppo piena di energia.

Lì ci voleva proprio Machin. Allora si che combinavamo una marachella con i fiocchi (però sono sola, lui si sta divertendo nel Regno).

Avevo proprio voglia di fare qualche bello scherzo.

Peccato che non sapevo a chi.

Ellyn mi fa pietà,non conosco nessuno della corte e Guaren è troppo serio.

Poi mi sono ricordata di Roxen.

A quell’ora lei riposa. Dice che fa bene alla sua pelle (bah!).

Ah-haa.

Era una preda perfetta. Davvero perfetta.

Inerme e adatta agli scherzi (nel senso che le sue reazioni sono le migliori, ah, come amo sentirla strillare!).

Comunque, sono andata da lei con l’intento di metterle qualcosa di appiccicoso nei capelli. Solo per sentirla urlare, sai (così mi faccio una bella ripassata sulle principali bestemmie).

Non avendo trovato nulla di appiccicoso ho trovato dell’inchiostro.

L’idea era una bella, davvero, volevo dipingerle il viso (un bel paio di baffoni, sai com’era bella?)…

Solo che poi ho cambiato idea.

E sai perché?

Quando sono entrata nella sua stanza (ha già provveduto a personalizzarla, maledizione, c’erano fiori dappertutto….per poco non starnutivo. Che stupida elfa che è) l’ho trovata che dormiva.

Perfetto.

Mi sono avvicinata…e… ta-dan!

Luce dei miei occhi!

Sai sulla sua scrivania cosa c’era? Sai cosa c’era, così in bella vista da invitarmi apertamente a quello che ho fatto?

Il suo diario.

Il suo diario. Capisci ora, Willie? Non potevo lasciarmi scappare un’occasione simile!

Era troppo allettante. In più, immagina, era così ben messo, così perfetto…invogliava davvero a fare quello che ho fatto.

Mi biasimi?

Certamente no. Chiunque avrebbe preso il diario (come ho fatto), si sarebbe seduto (come ho fatto), e avrebbe cominciato a leggere (come ho fatto. Sono partita da una pagina a caso).

Ne avevamo parlato, no? Non vedevo l’ora di trovare l’occasione per leggere quel diario!

Che cosa meravigliosa, stupenda, superlativa!

A dire il vero non ho capito granché di quello che ha scritto, parlava di un certo…boh, non mi ricordo il nome, e del suo naso grosso, del fatto che Roxen non volesse accettare l’idea che fosse povero e cercasse di farsi notare da lei.

Cose in stile da Roxen, insomma.

E qui….oh Willie, ho fatto un errore.

Ma non è colpa mia. Ho perso il senso del tempo, credo. Non riesco a capire cosa sia successo.

Prima mi è venuta l’idea di scarabocchiare qualche pagina, e l’ho fatto.

Non ho scritto nulla di cattivo, solo qualche ghirigoro e un commento, nemmeno acido o qualcosa del genere (difendevo il povero tipo dal naso grosso. Se ha il naso grosso non è colpa sua, poveretto).

Poi…non lo so, deve essere passato più tempo di quanto io abbia immaginato.

Ho sentito all’improvviso una mano che mi tirava un orecchio, sempre più, sempre più.

Era Roxen!

Roxen, che si era svegliata!

Quanto tempo era passato dal momento in cui avevo cominciato a scarabocchiare?

E come aveva fatto Roxen a svegliarsi ,avvicinarsi in modo da non farsi sentire?

Io ho un buon udito, l’avrei beccata di sicuro!

Ho anche abbassato il viso, e, accidenti, mi è venuto un colpo.

Il diario era zuppo di inchiostro.

Mi sono scese le braccia.

Non mi ricordo di avere fatto una cosa del genere! Sicuramente è stata Roxen, devo aver fatto un salto quando mi ha preso per le orecchie…

Quindi sarebbe stata colpa sua.

Comunque, Willie, sono stata beccata.

Quell’impiastro di mia cugina ora mi sa che rimarrà arrabbiata un po’ più a lungo del solito.

Lei ci teneva a quel diario, nemmeno fosse zeppo di segreti di stato!

Certo, mi dispiacerebbe se ti rovinassero….ma che colpa avevo io!

Lei mi ha spaventata! Mi ha fatto combinare quel disastro, idiota!

Comunque mi ha urlato dietro per un sacco di tempo. Che sono stupida, che non so badare nemmeno a me stessa e che non mi devo avvicinare più a lei…così tante cattiverie che poi ho cominciato a piangere.

Mi sento ancora triste. È ingiusto, da parte sua, fare così. Io mi sono anche scusata.

Addirittura, eh, Willie.

Un po’ mi dispiace, davvero. Non l’ho mica fatto apposta.

Mi dispiace tanto!

Lei mica mi ha sentita…mi ha chiusa dentro e ora sono giorni che sono chiu

 

Willie?

Cosa stavo scrivendo? Non riesco a ricordare molto bene.

Sono confusa, ho di nuovo il sapore dei dolcetti in bocca (che schifo) e non capisco.

Chi ha combinato tutto questo disastro?

La stanza è in un disordine caotico. Io non ho mai pensato di buttare delle cose a terra. E quando è caduta la brocca? Come mai non l’ho sentita?

Accidenti, sono proprio persa nei miei pensieri oggi. Arrabbiata, direi.

Normale, con quella stupida di Roxen che mi fa salire la bile in gola!

Oh. Scusami, aspetta un secondo.

Rieccomi.

Le finestre erano di nuovo spalancate. Domani credo che sia meglio chiamare qualcuno, è sgradevole quando succede.

Sembra una casa piena di fantasmi, ahahah!

Invece sono solo chiusure strane. Credo che qualcuno dovrebbe insegnarmi a chiuderle.

Accidenti, ci dev’essere stato un gran colpo di vento e non me ne sono accorta!

Ero proprio assorbita raccontandoti le mie disavventure (e lo sono davvero, chissà per quanto tempo quell’arpia mi terrà barricata qui dentro, ora! Temo che l’affare sia lungo da digerire, povera me).

Ovviamente, stavo scrivendo a te… però non so, mi pare strano.

Fuori è tutto calmo. Prima non faceva vento.

Mi sarò distratta scrivendo.

Però non lo so, è un po’ inquietante il fatto che ora non ci sia proprio vento.

Che davvero ci siano i fantasmi qui dentro?

Oh, comincio ad avere paura. Io non ho fatto nulla di male, perché devono venire a dare fastidio a me?

Che vadano ad infastidire Roxen, invece, che ha la coscienza sporca.

Comunque, Willie, fammi compagnia.

La stanza è in un disordine tremendo. Dovrò rimediare.

Se per caso entrasse Roxen di buonumore non vorrei rovinare tutto.

Che poi non è stata colpa mia.

Ma lei non crederebbe mai e poi mai ai fantasmi.

I fantasmi non esistono. Bah.

Io ho prove contrarie, invece.

Non posso essere stata io a combinare questo disastro. Sicuramente, è impossibile.

Ero distratta ed i fantasmi hanno messo a soqquadro tutto.

Addirittura il comodino è rovesciato!

Strano che non mi sia accorta del rumore. Davvero strano (la cosa mi sta facendo sempre più paura. Voglio la zia!).

Oh accidenti, Willie, temo di doverti lasciare un po’ prima del dovuto.

Starei ore a scrivere (accidenti, scusa!), ma temo che mi stia uscendo del sangue dal naso.

Sto già combinando un disastro con le lenzuola (Roxen mi ucciderà), non vorrei macchiarti.

Dopo metto a posto, su.

A presto.

Nilyan (fantasmi, andate via!).

 

Ps: bene, ora è tutto a posto. Mi sono guardata allo specchio, e, accidenti, sono pallida come uno straccio.

Sono uno straccio. La cosa mi sta piacendo sempre di meno. A questo punto spero che ci siano i fantasmi.

Bah, già è strano il sangue dal naso.

Sarà stato il vento, a volte capita quando ho improvvisamente più freddo del dovuto.

Spero che sia così. Altrimenti…

Willie, insomma, non posso essere stata io a combinare questo disastro!

La stanza è davvero irriconoscibile (oh, ho rotto una lampada, mi uccideranno…meglio nasconderla rapidamente). Me ne ricorderei se avessi fatto qualcosa del genere.

Bah, non è nulla di grave. Sono solo un po’ distratta, in questi ultimi giorni.

Comunque meglio cominciare a mettere a posto. Se venisse Roxen non so come farei.

Poi, non lo so, magari mi farò un riposino.

Così il tempo passa più in fretta. Oppure continuerò a scrivere, vedo dopo.

A presto, Willie, ora devo proprio scappare.

Sappi che ti voglio bene, ti bacio e ti abbraccio.

Nilyan(e ora è proprio basta!)

 

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Capitolo 58
*** Sconfiggere le paure? (parte seconda, o ***


Ancora oggi, a distanza di un po’ di tempo, mi chiedo come io abbia fatto a non rimanerci secca per la paura

Perdonatemi se salto il capitolo di Machin, ma non riesco a scriverlo.

È molto difficile, perdono!

Tornerò a parlare di Machin quando avrò trovato una soluzione adeguata al nuovo problema che gli si pone. Molto informatica, come risposta XD

Ora vi lascio al capitolo.

A presto!

Akita.

 

 

Ancora oggi, a distanza di un po’ di tempo, mi chiedo come io abbia fatto a non rimanerci secca per la paura. Già era abbastanza difficile fare i conti con un lungo viaggio in mare. Vinsi, per esempio, la nausea quasi per intercessione divina, dopo quasi una settimana. Quella fu una bella vittoria: almeno potevo gironzolare per la mia camera, perché oltre non avevo il coraggio di andare. Almeno ero più lucida, questo si, con grandissimo sollievo dei miei amici e di Mary. Il timore, comunque, rimaneva. Tremavo quando c’era il mare un po’ più grosso. A quel punto ficcare la testa sotto il cuscino, per non vedere, per evitare di scoppiare a piangere, era d’obbligo. Era andato via il mal di mare ed era tornata la dignità, almeno. Soprattutto non davo più di matto di continuo: riuscii ad ignorare quel fastidioso mormorio, che provocò a tutti e tre un mal di testa costante e sordo, che ci impediva di ragionare a dovere, il dondolio continuo di quella scatola di latta non mi faceva più strillare. Parlavo normalmente con i miei amici, e instaurai conversazioni pacifiche anche con Mary. Tuttavia, non mancarono le eccezioni. Beh, comunque nessuno ebbe la creanza di risparmiarmi spaventi vari, davvero. Oltre al mio naturale terrore, ben più che comprensibile dal momento che ero in mare e non sapevo nuotare, si aggiunsero varie piccole dimenticanze da parte dell’equipaggio, che trascurò, apposta o meno non ne sono sicura, di avvertirci di qualche piccola cosa. Inezie, minuscole negligenze, certo, che non sarebbero minimamente valse come nota di demerito in qualsiasi esercito. Per noi però erano fondamentali: forse avevano considerato come fatto secondario la nostra provenienza. Uruk non era certo al livello di Fiya, e noi elfi ne pativamo le conseguenze, sgomenti. Fatto sta che per poco  non tirai le cuoia per due o tre volte. Davvero meraviglioso. Durante quel soggiorno sgradevole in nave furono molte le occasioni in cui rischiai davvero di morire per qualche colpo al mio povero cuore. E Mary, tutte le volte, rideva come una pazza, come se quello fosse uno spettacolo buffo! Che cinismo. Ridere per le disavventure di tre poveri elfi confusi da un mondo troppo nuovo. Per loro doveva essere tutto normale, ma per noi no.

 

Per esempio, una cosa che ci provocò, o meglio, mi provocò, panico, furono dei suoni misteriosi che ogni tanto si sentivano, sempre più o meno uguali, che contribuivano puntualmente al caos generale.

Veicoli di preoccupazione, io li chiamavo. Che cosa avevano combinato con la magia quegli umani, io non sapevo.

La prima volta che fui conscia di udirli fu il giorno dopo la mia botta in testa. Dovevano esserci state altre occasioni, ma non me n’ero mai accorta, tanto che ero presa dalla paura e dal malessere. Mi ero svegliata da poco, con un enorme tamburo in testa che suonava le sue migliori canzoni. Sottovoce avevo imprecato contro la persona che aveva osato farmi del male. Accidenti, avrebbe potuto essere un po’ più delicata. Almeno, quella volta, non avevo mal di mare. L’unica nota negativa erano Capouille e Zipherias, misteriosamente malconci, davvero poco loquaci nei miei confronti. All’inizio non me ne’ero accorta, ed avevo preso a parlare con loro, cercando di mantenere un contegno. Ero la Ch’argon, e sospettavo di aver già dato fin troppo spettacolo. Dovevo essere degna del mio ruolo. Ad un certo punto, tuttavia, avevo notato un silenzio ed una stringatezza poco comune in quei due. Più che altro era Capouille che destava più perplessità da parte mia, perché raramente l’avevo visto così immusonito, ma anche lo sguardo freddo di Zipherias mi dava a pensare. Che avevo combinato di così grave? Avevo chiesto spiegazioni, ma era stato tanto ricevere in risposta un grugnito poco collaborativo. Tutti i miei tentativi di chiedere notizie, delucidazioni e cose del genere caddero nel vuoto. Accidenti, dovevano passare un girono no proprio quando io mi sentivo meglio, per grazia della forza dell’abitudine? E poi l’offesa dovevo essere io. Io non avevo certamente fatto del male a loro. Avevamo quindi deciso di stare in silenzio. O meglio, avevano deciso. Mi preoccupava quella reazione: non la capivo. Cosa avevo fatto di male? Era successo qualcosa? Non ne avevo la minima idea. Mi limitavo quindi ad osservarli, perplessa, mentre loro mi guardavano in cagnesco. Non riuscivo a capire il perché di tutti quei graffi sul braccio di Zipherias, né perché Capouille avesse una benda su una mano. Forse avevano litigato con qualcuno della ciurma? Sperai ardentemente di no. Non mi andava di dover mettere a posto delle beghe con gli umani. Non ero nella forma migliore per fare cose del genere. Interpretai dunque quegli sguardi che mi lanciavano come espressioni di colpevolezza. Mary, in quel momento, non c’era. Era ancora troppo presto per gli umani. Loro dormivano ancora. Dopo un po’, mi ero stufata di quel silenzio. Avevo cercato di chiedere scusa, ma avevo ricevuto in risposta un’alzata indifferente di spalle. Mi sentivo offesa. Io mi scusavo, qualunque cosa avessi fatto, e loro reagivano così. Ottimo davvero. Ma io ero da biasimare, per caso? Agivo secondo terrore. Non avevo altre leggi che quello. Ero in un ambiente estraneo, gettata dentro contro la mia volontà. Loro avevano deciso di accompagnarmi, potevano rifiutare tranquillamente. Non l’avevano fatto. Quello era indicativo. Di conseguenza, non potevano dire nulla. Io si. Io non sapevo nuotare. Loro invece si.

Quando sentii quei rumori era l’alba. La luce era andata ad aumentare lentamente, rendendo chiari i nostri visi. Qualunque cosa fosse successa a quei due…oh beh. Forse fu in quel momento che mi resi conto di essere stata io a picchiarli, il giorno prima. Com’ero stata violenta. Sentii, fortissimi, irresistibili, i sensi di colpa. Oh, non lo volevo fare apposta. Non ne avevo la minima intenzione. Ferire i miei amici. E perché? Avevano ragione ad essere arrabbiati. Non ero stata particolarmente gentile. Sentii il bisogno assoluto di scusarmi. Non avevo fatto una grande cosa. Come potevano stare ancora vicini all’amica che li aveva feriti in quel modo? Quei due erano assurdi. A quel punto il muso diventava il minimo che potessero fare. Quando volevo sapevo andarci giù duro, accidenti. Dovevo scusarmi. Qualunque cosa pur di farmi perdonare. Capouille e Zipherias erano le uniche due creature che mi separavano da un mondo ostile. Forse era quello ad impedire che mi mandassero al diavolo. E penso che sarebbero rimasti per tutto il tempo così, come due statue di sale, se non fosse successo un piccolo imprevisto.

Avevo appena aperto bocca quando sentii quello strano suono, un po’ lamentoso, monotono, entrava nelle orecchie, ferendole. Era terribilmente fastidioso, rimbombava nella mia povera testa. Gemetti. Oh, com’era orribile.  Era così terrificante che mi veniva voglia di coprirmi le orecchie, cosa che feci puntualmente. Era orribile! Che cosa stava succedendo? Mi sentii balzare il cuore in gola. Era per caso qualche bestiaccia? Qualche lamento di mostro? C’era un pericolo? Al solo pensiero mi sentii quasi svenire. Sicuramente non eravamo vicini alla terra. Quello voleva dire che eravamo, più o meno, spacciati. Cominciai a tremare, ma quasi non me ne accorsi. Forse c’era un problema? No, io non volevo morire. Non potevo morire. La solita ridda di pensieri estremamente allegri su bare e funerali vennero a funestarmi la mente. Divorata da pesci ed altre creature marine. Magari proprio quelle con il becco. Saltai in piedi. I miei due amici mi guardarono, estremamente perplessi. Poi si guardarono. Avevo intravisto un accenno di spavento negli occhi di Capouille, poverino. Forse pensava che io l’avrei picchiato di nuovo. Oh no, ero abbastanza lucida in quel momento. prontissima per fuggire. Certo, era strano il loro comportamento. Come se fossero abituati a quel suono. Non c’era particolare movimento, né ansia nei loro volti. Li guardai perplessa. Il suono cessò, all’improvviso. Sbattei gli occhi. Così com’era venuto….quell’orrendo rumore se n’era andato. Ora c’era silenzio. Loro continuavano a guardarmi, sempre più tesi. Sicuramente aspettavano una delle mie reazioni spropositate. Sentii, invece, una certa curiosità di cui fui compiaciuta. Certo, non potevo tremare per il panico sempre. Oh, si, avevo il cuore che frullava come un uccellino in gabbia, e non riuscivo a prendere fiato, ma no, non era per la paura. Avevo le ginocchia di burro, ma non ero spaventata. Paura? Io? Lsyn Amarto che ha paura? Giammai. Ero solo…intimorita. Si. Gli umani ne facevano, di cose strane. Aprii la bocca. Ma quella volta non fu per scusarmi. Avevo completamente dimenticato di dovermi scusare. Mi sembrava di aggirarmi in una gabbia, la mia testa si era trasformata in una gabbia. Andavo avanti ed indietro, in tondo. Non trovavo un’uscita. Che cosa era successo? Si, forse avevo avuto un po’ di paura. Ma solo poca poca. Io sono coraggiosa. Tanto. Tremavo solo perché avevo mal di testa. Solo per quello.

“che cos’era?”.

Domandai, con una voce stranamente affannata. Come mai avevo quel tono di voce, come se fossi stata terrorizzata da qualcosa? Paura, io? No, il cuore mi stava per scoppiare...per…per qualche altro motivo. Ma io non ho paura. Solo un po’ di timore: in fondo era una situazione nuova. Ed io non sapevo nuotare. Vidi i miei due amici scambiarsi un’altra occhiata veloce, poi guardarmi con circospezione, come se fossi un animale selvatico uscito dal folto del bosco. Mi sentii leggermente seccata. Non mi piaceva quando loro due facevano comunella. Come se io fossi matta. Ma io non ero matta. Oh no, affatto. Fu Zipherias, con la sua voce calma e posata, a parlarmi.

“stanno dando la sveglia, Lsyn. Lo fanno ogni giorno. Siediti e sta’ tranquilla”.

Lo guardai, a metà tra il fastidio e la sorpresa. Ma perché mi trattava come una bambina un po’ sciocca? Cosa avevo fatto di male? Siediti e sta’ tranquilla lo andava a dire a sua sorella, semmai ne avesse avuta una putativa. Ero perplessa. Tutti i giorni?  Come? Ed io non avevo sentito nulla? Mamma mia, ero stata parecchio male, molto davvero. Per fortuna che ero un po’ più calma. Mi chiesi di nuovo come diavolo avessi fatto a non accorgermene prima. Era un suono così orrendo… mi facevano ancora male le orecchie, per non parlare della testa. Seguii il consiglio del mio amico dalla pelle scura, pensierosa. Accidenti. Dovevo riprendermi. Ero proprio leggermente impazzita, eh? Un rollio mi fece ricordare il perché. Strinsi forte un lembo della coperta, ma cercai di non gridare e di non fare la pazza. I due amici mi stavano guardando. Che strano .sembravano sollevati alla mia reazione. Anche Mary, quando arrivò, dopo poco, sembrò contenta. Mi guardò con occhio clinico e poi sorrise.

a quanto pare stai riprendendo colore”.

Affermò, facendo un passo verso di me, tutta contenta. Portava una specie di busta di carta con sé. Quando avvertii l’odore mi si rivoltò lo stomaco. Qualcosa di caldo. Cibo. Oh no, non avevo la minima voglia di mangiare. Da poco mi era passata la nausea, ma proprio il mal di testa mi aveva fatto passare la fame. L’umana seguì il mio sguardo e sorrise paziente. Ora che mi vedeva così probabilmente pensava che con me si potesse ragionare.

“quella botta in testa a quanto pare ti ha fatto bene!”.

La guardai, inviperita, mentre tutti ridevano a quella battuta stupida. Avevo un mal di testa colossale per quel colpo a tradimento. Avrei volentieri ricambiato il favore a tutti e tre, se non mi fossi sentita in colpa per come avevo conciato i miei due elfi preferiti, al momento, così pazienti con me.

Quello che ebbe di positivo quell’episodio fu che sia Capouille che Zipherias mi perdonarono. Rimasero piuttosto distaccati per tutta la giornata, quasi come se attendessero la mia esplosione che non avvenne, ma quella volta fui abbastanza lucida. Per fortuna, il mal di mare mi abbandonò. Mangiai in modo decente, per una volta. Riuscii anche a scherzare. Riuscii meglio a rendermi conto della vita che si svolgeva attorno a me. E dei rumori. Quello strano si ripeté più volte. E fu sempre la stessa storia. Io che non l’avevo mai sentito, ero sempre nervosa e sorpresa, quando lo udivo. Si ripetevano sempre gli stessi gesti, innumerevoli volte in quel giorno.

Il suono.

Io saltavo in piedi, pronta a fuggire al minimo avviso di stranezze.

Mary, Capouille e Zipherias si guardavano.

Io, dentro di me, mi rassicuravo che non avevo paura. No, ero solo allarmata.

Bisognava essere sempre all’erta. Casomai Lilliagrin avesse avuto in mente di fare qualche sciocchezza…

Poi… le solite parole.

“che cos’è?”.

Qualche anima pia mi rispondeva.

“è il pranzo. Aspettate che vado a prenderlo. Sta’ tranquilla e siediti”.

Dopo un po’…

“che cos’è?”

“stiamo sicuramente attraversando un po’ di nebbia, segnaliamo la nostra presenza. Sta’ tranquilla e siediti”.

Un altro po’ ed il suono si ripeteva, senza alcuna variazione a me percepibile. Era sempre la solita paura.

“che cos’è?”

“il cambio turno, Lsyn. Sta’ tranquilla e siediti”.

Ad un certo punto, avevo raggiunto un tale punto di irritazione che cominciai a borbottare. Avevo un mal di testa indicibile, le orecchie mi fischiavano. Per giunta ero stanca di quei continui colpi al cuore…era sempre lo stesso suono! Lo stesso, identico per tutti! Era assurdo, ma assurdo davvero! Mi stavo stancando. Ero arrivata ad un punto in cui il terrore sfibrava e basta. Avrei voluto dormire. Peccato che temevo di nuovo quel suono, a strapparmi dal sonno e spaventarmi. Ero stufa di vedermi trattare come una bambina. Mi ero così rivolta a Mary.

“senti, Mary…”.

Avevo cominciato, cercando di essere il più gentile possibile. L’umana mi aveva guardata, con un accenno di pietà negli occhi. Mi veniva voglia di strozzarla. Che accettasse almeno le mie paure, cribbio. Mi fissava come si guardano gli animali imprigionati, come si guarda qualcosa di strano. Ed io non ero strana. Avevo solo paura. Ero stanca di essere trattata come una stupida, davvero stanca.

“ma perché tutti i suoni sono uguali? Insomma, non si potrebbe cambiare un po’?”.

Ecco, di nuovo quello sguardo bizzarro. Ma perché? Cosa avevo detto di male? Si erano guardati tutti e poi avevano sorriso comprensivi. Nemmeno fossi pazza. Avevo detto una cosa che aveva assolutamente senso. Mi ero stancata di farmi lacerare i nervi a morsi.

“cambiare un po’?”.

Domandò Mary, con aria un po’ perplessa. Io la guardai male, e lei mi sorrise. Oh, aveva capito benissimo quello che volevo dire. Ero seccata, moltissimo. Detestavo quando la gente faceva finta di non capire. Per quell’esatto motivo la mia voce fu più ferma del dovuto. Ero semplicemente molto, molto irritata. Zipherias lo sapeva, e scostò la sedia da vicino al mio letto. Casomai gli avessi tirato un calcio per la rabbia. Ma io non avevo voglia di essere violenta. Parlai lentamente, quasi come se stessi parlando io ad un bambino o un matto. Così non aveva scuse per dire che non aveva capito.

“si, cambiare. Suoni diversi… per esempio, campanelle a ora di cena…”.

Mi bloccai quando vidi lo sguardo ora confuso dell’umana. Eh si. Si vedeva proprio quanto era limitata. Povera giovane piccola. Mi faceva una pena immensa. Sorrisi al suo sguardo stranito. Bene, forse così aveva capito che stavo dicendo sul serio.

“…cosa? Campanelle?”.

Si, aveva capito bene. annuii, leggermente irritata. Ma forse era dura di comprendonio? Idiota? Ah, com’era difficile parlare con gli umani. Non accettavano mai le buone idee elfiche. Un po’ di cambiamento, accidenti. Bisognava sempre spiegare tutto. Non capivano nemmeno il più infimo degli esempi! Ah, com’è dura la vita.

“era per dire. Qualcosa di diverso…sembriamo sotto attacco anche quando è l’ora di cena! Questo mina i miei nervi!”.

Benissimo. Questo l’ho detto con la massima serietà possibile. Ero seria, davvero. Un po’ di varianti non sarebbe stato male. Mi avrebbe calmata un po’. Soprattutto il mio mal di testa, che non voleva proprio andarsene.

Era un’ottima idea, no?

E invece, quale fu il risultato? Cosa fece Mary?

Mi rise in faccia. Risero anche i miei amici, come se fosse una grande battuta.

Anche Capouille, che mi aveva fissata con occhi sgranati. Anche Zipherias, che si allontanava ogni momento di più, temendo che io lo picchiassi.

A quel punto io non seppi proprio cosa fare. Ero…stupefatta. Ma come, io davo un’idea del genere e loro ridavano? Inammissibile.  Mi sentii invadere dall’irritazione, e mi buttai sul letto, fingendo di non sentirmi molto bene. non risposi nemmeno più alle loro domande scherzose. Ero davvero molto, molto  arrabbiata. No, non sapevano dove fosse la creatività, creature grigie!

Ed io avevo detto una cosa molto sensata!

Come odiavo non essere presa sul serio!

 

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Capitolo 59
*** Voglio solo un po' di coccole. ***


Sono nella mia stanza da letto, nelle mie nuove camere

Sono nella mia stanza da letto, nelle mie nuove camere . Ora non posso fare altrimenti. Sento freddo ma non so fuori che tempo faccia, non voglio aprire le finestre. Sono sul mio letto e scrivo. È notte. Oggi mi sento triste.

 

Ciao, Willie.

Tu stai bene? Spero di si.

Fisicamente io sto bene, più o meno. Come potrebbe essere altrimenti?

Oggi la tua amica Nilyan è molto giù di morale. Ti domanderai senz’altro perché.

Ecco, ti sto scrivendo proprio perché te ne voglio parlare. Non me la sento di discuterne con Roxen, né con Ellyn.

Mi direbbero tante cose belle, che non devo fare cosi, eccetera, che mi troveranno delle cose da fare,  ma non capirebbero.

Si, sono annoiata, ma il problema non è lì. Voglio tornare a casa, perché almeno lì sono al sicuro da certe cose.

Vorrei tanto la zia, ma non c’è. Lei che mi capisce se n’è andata in viaggio lasciandomi in custodia, come ha fatto per il suo cavallo.

Perché mi ha lasciato? Lo sapeva che poteva succedere qualcosa del genere, se n’è andata lo stesso. Non è giusto da parte sua.

Sei rimasto solo tu, mio amico di carta. Oggi sono poetica, non credi? Il fatto è che non ho voglia di scherzare. Non ho voglia punto e basta.

Che cos’è successo?

Per dirtela breve, non posso uscire dalle mie camere. Che bello.

L’unico lato positivo di questa storia è il fatto che io e Roxen abbiamo delle nuove stanze, molto più belle e più in alto. Almeno, c’è più sole.

Ma, a dirti la verità, non ho tanta voglia di vedere la luce quando non posso uscire. Se guardo fuori mi viene una rabbia, una rabbia…

Il problema è che non posso provare rabbia. È pericoloso per me.

Così posso provare a far finta che il sole non c’è. È sempre notte. Mia cugina non lo sopporta, si lamenta, ma io non voglio aprire le finestre.

Mi sento sola, Willie, tanto. Roxen fa di tutto per tenermi allegra ma io proprio non ci riesco.

Mi sento in gabbia. La cosa più brutta di tutte è che non posso non esserlo. Sono costretta alla prigionia.

Altrimenti…non oso pensare alle conseguenze.

Il problema sta sempre lì: il mio maledetto potere.

Chissà se mamma aveva gli stessi problemi miei. Io ho preso da lei, sai, mamma era una grandissima maga.

Io ho gli stessi poteri suoi, lo dicono tutti. Sono la sua copia. Secondo me vogliono farmi piacere, ma io mi sento triste se ci penso.

Allora sono io che non sono capace

Perché mamma ci riusciva ed io no, Willie?

Cosa aveva di diverso mamma da me? Era un’elfa come me, papà dice sempre che io le assomiglio tanto, ed io ho visto i suoi ritratti, è vero.

Però io, a differenza sua, soffro ed ho tanti problemi con la magia. La magia mi fa del male. E il problema è questo!

Ogni tanto mi sento davvero in colpa. Chissà quante cose può fare il potere che ho, ed invece mi si è rivoltato contro, mi si rivolta contro sempre.

Ma non è lui, sono io che sono troppo debole per governarlo. Sono difettosa. C’è qualcosa che manca in me.

Mamma ci riusciva ed io no. Che cosa aveva in più la Matriarca Nemys della piccola, minuscola principessa Nilyan?

La forza, secondo me. Zia dice sempre che sono uno scricciolo, sarà questo.

Lei ha voglia di dirmi che mamma era speciale, che come lei non c’è più nessuno, e così via.

Io non ci credo.

Non è vero che lei era diversa da tutti.

Che cosa poteva avere in più che io non ho? Due elfi cosa hanno di diverso l’uno dall’altro?

È la forza di volontà che mi manca, Willie. Quella mamma ne aveva a palate, ed io no.

Se sol avessi un po’ più di coraggio affronterei le mie paure e domerei il mio potere.

Solo che non ce la faccio, mi sento troppo male e non resisto.

Così io, che potrei salvare tante persone e magari, chissà, fermare una guerra (così papà non rischia più la vita), divento poco più di un peso inutile.

Perché sono Principessa?

È inutile una principessa così debole. Non serve a nulla.

Ah, se mi sentisse zia, Willie, mi tirerebbe le orecchie fino a farmi piangere.

Ma lei non è qui. È partita e mi ha lasciato in custodia, come un simpatico animaletto domestico.

Sai, quando io ero più piccola le chiedevo sempre se mamma alla mia età avesse tanti problemi con la magia.

In fondo zia Lsyn e mamma erano sorelle, si volevano un mondo di bene, erano come se fossero la stessa persona in due corpi diversi.

Sai, Willie? Quando io le domandavo se anche mamma avesse avuto tanti problemi, lei sai che faceva?

Diventava bianca bianca. E poi diceva che non se lo ricordava.

Logico allora. Visto che zia non se lo ricorda vuol dire che mamma è sempre riuscita a dominarsi. Io no invece. Io sono debole.

Sto pensando cose brutte, dici? Ma è normale.

Io potrei fare grandi cose e sono barricata dentro delle stanze con mia cugina, a vergognarsi.

Senza poter uscire, ed è  meglio obbedire, altrimenti mi sentirò male di nuovo e non voglio combinare guai.

Ed io mi vergogno, sai? Mi vergogno di essere così imperfetta.

I camerieri sono tutti così dolci con me, tutti sono bravissimi.

Proprio questo mi irrita.

Che strano, eh? Io desideravo tanto quel trattamento.

Il problema è che so che non è sincero.

So che fanno così perché hanno pietà di me. Ed io non voglio pietà di nessuno. La pietà mi irrita tanto.

Vorrei essere invisibile, essere uno di quei servitori che vanno e vengono con tranquillità, tutti pronti a servirci, servire la pazza senza speranza e la principessa difettosa.

Vorrei sentirmi all’altezza del mio potere. Invece non lo sono, sono stupida.

Mi sembra di stare in una favola.

La principessa prigioniera della torre.

Solo che in questa favola la principessa si è barricata apposta. Com’è fantastico.

Ah, e poi c’è un’altra cosa.

Ho sempre quel sapore dolce in bocca, sempre. Non mi lascia mai, potrei anche lavarmi la bocca con qualcosa di molto acido ma il risultato sarebbe lo stesso.

Che bello, come sono fortunata.

E tutto questo per colpa della mia totale mancanza di controllo sul potere.

In più si ci mette la città…

Cosa c’entra la città?

Eh, la città è fondamentale! Sono barricata qui per colpa del castello, del palazzo, della città intera, satura di magia!

Ed io sono estremamente più sensibile di un normale elfo, in qualunque condizione.

Ecco, Willie, comincio dall’inizio.

Ti ricordi che ti dicevo che avevo quei vuoti di memoria? Che le finestre si aprivano? Che le cose si rompevano?

Ricordi quando mi è uscito il sangue dal naso (hai ancora le macchie, scusami)?

Benissimo, tutto quello non era opera di fantasmi dispettosi. Dovevo pensarci, i fantasmi non esistono.

È stata tutta colpa mia. Era colpa mia, del potere che s’impossessava di me. Perciò non ricordavo nulla.

Me ne sono accorta solo due giorni dopo.

Lo sai, tanto è durata la rabbia di Roxen. Due giorni.

A me in quel tempo era parso strano che le cose sparivano, oppure che si distruggevano (ho rotto tutte le lampade, Willie, tutte!)…

Soprattutto era strano che le finestre si aprissero sempre. E che mi uscisse sempre più sangue dal naso.

Una sera non riuscivo più a fermarlo. Ho dovuto usare le lenzuola. Ho avuto davvero tanta paura. Per un attimo volevo andarmene via e scappare strillando. Per fortuna poi si era messo tutto a posto. Però ho dovuto nascondere le lenzuola. Ho dormito solo con una coperta, visto che la servetta non veniva più (sarà stata Roxen ad impedirle di venire, cattiva. Le faceva mettere il pranzo e la cena vicino la porta).

Un paio di volte mi sono trovata senza sapere perché a terra.

Comunque mi sentivo sempre stanca ed avevo quel brutto sapore in bocca.

Non ti ho scritto perché la mattina dormivo fino a tardi e qui fa buio presto. Spero che mi perdoni, vero?

Poi, comunque, a Roxen è finalmente passata l’arrabbiatura.

E finalmente! Quando l’ho vista arrivare tutta sorridente ho pianto di gioia. Mi sembravano secoli che non vedevo anima viva!

Una cosa meravigliosa.

Ero felicissima. Finalmente libera!

Già immaginavo qualcosa da fare, già pensavo di andarmene in giro per il giardino e di riprendere un po’ di colore (si, Willie, sono bianca proprio. Ho bisogno di un po’ di sole, mi sa, ma non posso uscire. Capisci ora perché sono triste?).

Certo, mi dava molto fastidio che Roxen si comportasse come una mamma.

Ma chi era per fare una cosa del genere? Lei è più scapestrata di me accidenti!

Sarà stata la preoccupazione, non lo so. Per si, è proprio noiosa.

Per fortuna che negli ultimi giorni si è data una calmata.

Per forza, non ha niente da rimproverarmi, sono a letto e non ho la forza di muovermi (capisci perché sono così di cattivo umore?).

Ah, si: ho anche la febbre. Ma questo è normale quando succede qualcosa per colpa del mio potere. Non ci do poi tanta importanza, riesco a resistere bene e non è alta. Non troppo, almeno.

Certo che Roxen passa da un estremo ad un altro con facilità impressionante.

Si dev’essere presa una di quelle paure…

Non la biasimo. Non la biasimo per nulla.

Comunque, quando è arrivata da me ero troppo felice per rimproverarla di trattarmi come un’imbecille.

Non ho detto niente nemmeno quando si è guardata intorno e mi ha chiesto con aria schifata come mai ci fosse odore di dolci fritti nell’aria.

Forse temeva una mia fuga. Però non ha indagato oltre quando io le ho detto che non lo sapevo (ed è la verità).

Forse credeva che i dolci fossero stati la mia cena.

Non ha smesso di borbottare nemmeno quando mi ha vista.

Ha cominciato a blaterare sul fatto che io fossi troppo pallida, che avessi i capelli in disordine, il vestito stropicciato, e che per me non fosse buono.

Che irritazione, ti giuro!

Sai che cosa ha fatto, quell’altra lunatica?

Mi ha portato nelle sue camere e mi ha preparata!

Pettinata, truccata, colorita, mi ha prestato addirittura un suo abito!

Un suo abito, ci credi? Assurdo.

Io non la capirò mai. Non capirò mai quell’elfa. È troppo strana.

Comunque a me ha dato molto fastidio. Ma perché mi trattava così? Dopo avermi chiusa dentro, tra l’altro, in balia dei fantasmi!

Che rabbia. E mi ha fatta pure male quando mi ha districato i capelli!

Mi trattava come una bambina o una bambola. Che orrore. E che rabbia, accidenti!

Io sono un essere senziente, per tutti gli dei!

Ho cercato di far finta di nulla. Non dovevo irritare mia cugina. Assolutamente no.

Non volevo rimanere prigioniera per altri giorni.

Ora capivo cosa voleva dire Ellyn. In quel momento anche il giardino mi sembrava un’oasi di bellezza.

Avevo in mente di andare subito dopo colazione.

Non ci sono mai riuscita.

Non lo so che cosa è successo, non ne ho la minima idea. Non me lo ricordo.

So solo che siamo andate a colazione (io tutta impomatata in quel vestito, accidenti come mi andava male!), ed Ellyn ci ha accolte, felicissima. Mi ha anche abbracciata!

All’inizio era tutto normale.

Solo che ho cominciato a non sentirmi bene.

Avevo di nuovo quel sapore in bocca, sempre più forte. Avevo sempre meno fame. Ogni tanto mi girava la testa.

Poi ad un certo punto mi sono sentita soffocare.

Ho imputato tutto al vestito strano che mi aveva dato quell’altra scema di mia cugina, impegnata nelle solite frecciate velenose alla povera Ellyn.

Mi sono ripromessa di andarlo subito a togliere, dopo colazione, e di scappare in giardino.

Mi sentivo sempre più seccata. Ero impaziente. Quando finiva la colazione? Io non avevo più fame.

Avevo preso ad essere sempre più insofferente alla scena che mi era di fronte.

Com’erano insopportabili quelle due. Volevo solo andare nel giardino e stare un po’ all’aria aperta.

Ad un certo punto ho avvertito una sensazione strana. Come piccoli aghi che ogni tanto mi passavano addosso.

Facevano male, ed ho cominciato ad agitarmi. Roxen mi guardava male, ma a me non importava.

Accidenti, che aveva messo nell’abito? C’erano ancora gli aghi del sarto?

Oh accidenti, se Roxen mi aveva fatto uno scherzo l’avrei uccisa. Per davvero, e non per scherzo.

Quell’altra, poi. Lunatica e stupida. Una vera gallina (ho pensato tutto questo, Willie, questo me lo ricordo bene. Sono un mostro). Meritava di farsi tanto male.

Ad un certo punto, secondo me, Ellyn si deve essere accorta che c’era qualcosa che non andava.

Mi ha chiesto se era tutto a posto, e poi qualcosa che aveva a che fare con il cibo.

Poi Roxen le ha risposto a posto mio con una battuta cattiva.

È stata quella la miccia che mi ha fato esplodere, credo.

Mi ricordo solo che ho sentito mia cugina dire “eh, lei non ha bisogno di mangiare tanto come te, Ellyn. Sai, il panna ti ingrassa”, e poi la rabbia.

Accecante, non provavo nient’altro. Una rabbia senza motivo. Improvvisa.

Mi ricordo solo che ho cominciato ad urlare “smettila, smettila!”…

Poi, mi sono trovata a letto.

Doveva essere l’infermeria.

Mi sentivo malissimo, avevo male dappertutto e sentivo tanto freddo.

Ed ero stanca, Willie. Come se avessi corso per giorni. Non risucivo quasi a muovermi. Poi faceva troppo male.

Mi sentivo ancora soffocare, ma era una sensazione più lontana.

Ad un certo punto ho sentito qualcuno piangere. Era Roxen, che mi aveva tenuto compagnia per ben due giorni.

L’ho vista, per una volta, con i capelli non pettinati. Era pallida come un fantasma e tremava e piangeva.

Allora ho capito che cosa era successo.

Non erano mai stati i fantasmi. Prima si stava avvicinando una crisi violenta e non me n’ero accorta.

Non sono riuscita a rendermene conto, e sono esplosa all’improvviso.

Ho cominciato ad urlare, a colazione, e poi mi sono alzata.

Sono esplose varie cose prima che crollassi. Mi sono agitata un bel po’.

Ho spaventato moltissimo Ellyn. Ma il peggio è altro.

Willie, ho fatto una cosa orrenda quando non lo sapevo.

Il fatto di non essermene resa conto potrebbe essere una cosa buona, ma io mi sento lo stesso un mostro, un essere schifoso.

Ho rotto il braccio destro di Roxen, Willie.

Le ho fatto un male pazzesco.

Mi sento in colpa, amico mio. Non serve nemmeno che lei mi ha accarezzata e baciata, abbracciata dicendo che doveva accorgersene lei di quanto stessi male, c’erano molti segnali.

Non è colpa sua, lei è stata se stessa. Non ha nulla da rimproverarsi, nemmeno che è una cugina cattiva.

Roxen è sempre stata così. Le voglio bene per questo.

Sono stata io, la colpa è mia. Ma non ci voglio pensare. È troppo brutto.

Voglio solo un po’ di coccole.

E vuoi sapere perché sono barricata qui, in un piccolo appartamento lussuoso, una bella gabbietta dorata?

Perché oltre al danno, la beffa.

Sai perché la crisi è stata così violenta?

Me l’ha spiegato il medico del castello, è anche un mago e sa il fatto suo.

Non aveva mai visto casi del genere, però ha capito subito come trattarmi.

A peggiorare le cose c’è tutta la magia di cui è satura Qerin.

Tutto, dalle lampade a quei trabiccoli strani, a molti altri piccoli oggetti, funziona con la magia.

Io sono un’elfa, e gli elfi sono sensibili a certe cose. Anche se non ce ne accorgiamo, la magia ci passa attraverso.

Secondo quell’uomo io sono doppiamente e pericolosamente sensibile.

Il mio potere è troppo per me, debole ed inutile principessa. Non riesco a gestirlo.

Percepisce la magia non mia e tenta di difendersi. Per me è una battaglia estenuante.

Beh, per fortuna c’è una cosa buona. Roxen non è più cattiva con me. Ha paura di farmi del male.

Però di cose cattive ce ne sono tante.

Almeno, l’uomo ha ideato una specie di schermo per proteggermi. Isola la stanza dal resto del mondo magico.

È una bella idea, lo devo ringraziare mille volte, altrimenti dovrei fuggire ad Uruk a gambe levate, o morire qui.

Io non voglio morire.

Non mi hanno detto che posso morire, però l’ho capito. Mia cugina piangeva spesso prima dello schermo. Più del solito.

Ora non piange quasi più. Però non mi lascia mai. È tanto premurosa, le voglio bene.

È buona anche se le ho fatto del male.

Ora mi fa tutte le coccole che voglio, non mi sgrida. È una cosa bella.

Se non fosse per il mio malumore starei bene.

Qui dentro io e Roxen non possiamo usare la magia, nulla a base di magia funziona, però io mi sento molto meglio.

Sto quasi bene, se non fosse per i postumi della crisi. Almeno non mi esce più il sangue dal naso.

Ricordo anche tutto quello che faccio. Non si aprono più le finestre, e nulla cade.

Comunque non posso uscire di qui. E la cosa mi irrita tanto.

Comunque sono troppo debole per andare da qualunque parte, pure se ci riuscissero.

Beh, vedendola dal lato positivo è un gran bel posto quello in cui siamo ora io e Roxen.

Ci hanno messe insieme in un’ala un po’ più solitaria del castello.

È molto bella, da’ su una specie di laghetto circondato da un canneto.

Sarebbe una vista incantevole se avessi voglia di vedere un posto che non posso raggiungere.

Devo ringraziare Ellyn per questo regalo. Se non fosse per lei sarei ancora nel mio buco a soffrire.

Spero che mi venga a trovare presto. Un po’ mi manca.

Beh, Willie, non ti dispiace se ti lascio, vero?

Ho sonno. Voglio dormire un po’. Poi magari chiedo a Roxen di abbracciarmi un po’.

Lei assomiglia così tanto a nostra zia, sembra quasi sua figlia.

Così posso fare finta per un po’ che zia è tornata per me.

Ha saputo che sono stata male ed ha invertito subito la rotta.

Ma zia non è qui e non ci sarà mai. Non saprà nemmeno che sto male.

Lei è a viaggiare e mi ha lasciato qui.

Mi manca. Vorrei tanto parlare con lei… farmi coccolare da lei…

Ma non posso. È via e ha lasciato qui l’inutile principessa.

Dovrei farmene una ragione, eh? Invece non ci riesco, Willie.

Non ci riesco.

Beh, forse è meglio dormire. Almeno mi dimentico un po’ certe cose brutte.

Ti voglio bene, Willie. Ti abbraccio.

Nilyan.

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Capitolo 60
*** Sconfiggere le paure? (parte terza, ovvero ocme rovinare la giornata a tutti. Specialmente a me) ***


Ovviamente potevano essere quei piccoli colpi al cuore, amplificati dal comportamento dei miei compagni, che mai una volta mi presero sul serio, me, povera elfa spaventata, le uniche disavventure a me capitate su una nave

Ovviamente potevano essere quei piccoli colpi al cuore, amplificati dal comportamento dei miei compagni, che mai una volta mi presero sul serio, me, povera elfa spaventata, le uniche disavventure a me capitate su una nave?

No, certo che no.

Sono ancora convinta che tutto quello che mi capitò facesse parte di una cospirazione su larga scala, qualcosa che coinvolgesse Lainay, Isnark, Lilliagrin e chissà chi altro. Mettere alla prova me ed i miei poveri amici, che non avevano fatto altro che accompagnarmi in una missione al limite dell’assurdo. Ma quando mai io ero costretta a sobbarcarmi imprese di quel genere?

Ero partita tranquilla, con la consapevolezza che sarebbe stato un normale viaggio di rappresentanza, e per questo avevo portato persone che normalmente non c’entravano con i miei spostamenti diplomatici.

Pensavo che quello fosse, come al solito, una noiosissima gita fuori porta passata a discutere di dazi doganali.

Mi ero ritrovata dapprima in una prigione, ferita da un aggeggio misterioso, poi in una nave, io che non sapevo nuotare.

Come dovevo stare? Serafica, elettrizzata dalle novità?

Io, un elfo di ormai quasi quattrocentocinquanta anni?

Ma per favore.

Come fare cambiare idea ad un’idrofoba?

Ancora me lo sto chiedendo.

Inoltre, non era solo quello che mi spaventava.

Avevo ancora un’altra domanda: Atlantis esisteva davvero?

Tutto quello di cui ci avevano parlato era vero oppure mi ero ficcata in un altro guaio grosso come una casa?

Dopo quello che era successo con Chekaril dei complotti ne avevo piene le scatole.

Ma poi, poi ancora? Dove saremmo finiti? Dove sarebbero approdati Lsyn, Capouille e Zipherias?

E, la domanda che mi si agitava più spesso nella mente i tre sarebbero approdati?

Potevano chiamarmi sospettosa quanto volevano loro, ma io continuavo a pensare che facesse tutto parte di un complotto.

Difficile non credere che, nel giro di pochissimo tempo, i corpi di tre elfi sarebbero stati trovati a mare con una coltellata tra le spalle. 

Su, a chi mai la volevano dare a bere?

Per me ci volevano fregare. Punto. Non c’era verso di farmi cambiare idea.

Beh, logicamente c’era ben più di un metodo per farci restare secchi. Me specialmente. Io ero in una situazione molto delicata, dopotutto.

Detestavo l’acqua, non sapevo nuotare, soffrivo di mal di mare… ed ero su una nave. Da giorni. Forse settimane. Avevo ormai perso il senso del tempo.

Tutto quello, per la mia stupidaggine. Per la mia impulsività. Mi sarei mangiata le mani a grossi morsi, vecchia mucca che ero.

Insomma, per trecento schifosi anni della mia vita ero stata una Spia! Mi ero chiamata Ombra, e quel nome l’avevo sentito tante volte come sinonimo di paura!

Ero stata l’acuta e più fedele servitrice di quella cagna di Lainay,  ancora il mio nome riecheggiava con tanti significati negativi, ancora c’era qualcuno che non si fidava di me!

A quel punto, dopo quella dimostrazione di enorme ingegno, anche il più brocco dei contadini avrebbe potuto capire che avevo ormai perso gran parte della mia patina indagatrice.

Insomma, ero stata infinocchiata da Isnark, che non era un campione di acume!

Tra l’altro, in un modo che mi faceva vergognare di me stessa.

Una lettera falsa.

Idiota io e le Spie che non l’avevano capito.

Molto più idiota la cara vecchia Lsyn, comunque. Quegli elfi stavano sicuramente al sicuro, non in un buco dei topi, galleggiando su una zattera di ferro, come stavo facendo io.

Tutto ciò, per colpa di quella maledetta di Lilliagrin.

Io avevo deciso: odiavo gli umani. Oh si, li detestavo.

Odiavo Isnark. Odiavo gli elfi.  Beh, non tutti. Eccetto me e qualche altro potevano bruciare, però. Soprattutto quel re senza corona.

Insomma, era colpa sua se ero finita su una nave.

Colpa sua se per poco non tirai le cuoia.

 

Chiunque abbia vissuto in guerra ha sentito parlare, in vita sua, di esercitazioni.

Sono parte della quotidianità di un paese che si aspetta attacchi da un momento all’altro.

Sono essenziali per elaborare strategia complesse, per trovare qualcosa da fare ai poveri soldati sempre con i nervi tesi.

Lo sapevo, lo so, l’ho sempre saputo.

Diamine, sono nata a Normar, il paese con la più lunga tradizione di battaglie varie.

Sono stata una Spia. Ho vissuto in guerra praticamente quasi tutta la mia vita, dorata infanzia esclusa.

Ne ho viste di tutti i colori, durante la mia giovinezza.

Al quartier generale tantissime volte ci facevano esercitare, insegnandoci come prendere di sorpresa la gente.

Qualche volta, quando ero quasi alla fine del mio apprendistato, i maestri ci dividevano in gruppi di due o tre, noi, gli allievi più esperti, quasi prossimi a divenire Spie a tutti gli effetti, per insegnarci come distinguere una Spia, oppure come trafugare documenti.

Venivano scelti gruppi a due a due, a caso e senza che l’altro gruppo ne fosse a conoscenza, le Spie e gli altri, i poveri difensori di un pezzo di carta.

Di solito i compagni erano compagni di stanza. Inutile dire che io ero un po’ sfortunata, se non altro perché io ed il Falco non eravamo esattamente migliori amiche.

Accidenti, io ed Akita, per mia sfortuna visto che passavamo tutto il tempo a litigare anche se eravamo una buona coppia insieme, avevamo passato mesi a difendere il nostro prezioso documento dagli attacchi di uno sconosciuto, che poi risultò essere Tijorn, coadiuvato dal suo diabolico compagno di stanza.

Quella fu una delle rarissime volte in cui io fregai lui. Diventava un agnellino, il mio fratellone, quando Akita faceva un po’ la ruffiana con lui.

Quindi, ero cresciuta in un ambiente di continua tensione.

Su, non sono una stupida. È una cosa di cui anch’io mi devo rendere pienamente conto, ma non sono un’idiota e mi conosco benissimo.

Si, d’accordo. La mia non è nient’altro che una giustificazione alla mia ennesima stupidaggine.

Al solo ricordare quel vergognoso giorno mi si allappano le gengive e sento calde le orecchie.

Ma non è colpa mia. Nessuno ci aveva avvisato di nulla. Nemmeno Mary, per un eccesso di zelo.

O forse di perfidia.

Davvero, quel girono, ancora me lo ricordo, rovinai tutto a tutti.

Come rovinare la giornata nascondendosi sotto il letto.

Ovviamente, sto parlando in modo letterale. Ma lo ricordo troppo bene.

Come è normale, scelsero il momento per mettere alla prova i miei nervi e farmi impazzire addirittura prima che noi elfi ci svegliassimo.

Ovvero, a tarda notte.

Un orario impossibile per un fragilissimo essere umano, vero? Io sono ancora dell’opinione che le fecero apposta. Ci fecero morire di paura.

Insomma, non fu parecchio bello, anzi. Attimi di terrore.

Altro che terremoto… la partenza non fu nulla al confronto. Nulla, nemmeno quella cosa starnazzante che usavano per annunciare tutto.

Eppure, c’erano state le occasioni per parlare di ciò che poi ci rubò uno o due secoli di vita.

Oh si. Mary se n’era andata la sera prima, tutta tranquilla, e non ci aveva detto nulla.

Quasi come se non esistessimo, quasi come se Lsyn, Capouille e Zipherias fossero fantasmi di antichi passeggeri.

Umani razzisti. Solo perché noi eravamo elfi ci trattavano così.

La cosa bella era che non avevamo certamente voluto ficcarci in quel guaio! Non era colpa nostra.

Se non gli piaceva la nostra presenza…beh, che andassero a lamentarsi con la regina e la sua cricca. Noi non c’entravamo niente, in quella storia, eravamo povere vittime costrette dal caso.

Mi dava fastidio quel comportamento da creatura superiore.

Era semplicemente assurdo.

Beh, comunque fatto sta che ci fecero prendere un colpo di quelli terribili.

Io stavo dormendo. Ero tranquilla: Zipherias e Capouille mi avevano lasciata, ma non tremavo più di paura al suono starnazzante, né avevo più fastidi di alcun tipo.

Dopo tutti quei giorni ero riuscita ad abituarmi.

Ero stata costretta, più che altro. O quello o la morte.

Io non volevo tirare le cuoia, proprio no.

Comunque, come ogni notte, ero beatamente sola, addormentata e pacifica.

Quel giorno ero riuscita ad essere più a mio agio degli altri. Erano finiti gli attacchi di paura a quel suono strano.

Quando avevano annunciato il cambio per il turno di notte non avevo battuto ciglio.

Certo, quel rumore cacofonico sforacchiava la orecchie, ma avevo deciso di ignorarlo.

Alla solita ora, Capouille e Zipherias mi avevano lasciata, tranquillizzati.

Mi vedevano serafica. Se avessero saputo che bel tiro mancino si preparava per tutti noi!

Avevo mangiato, poi mi ero addormentata beatamente.

Ero anche riuscita a guardare fuori da quella minuscola finestrella che non si apriva, a fissare l’immensa distesa scura e minacciosa.

Mi aveva assalito la nostalgia, e la fretta.

Quando avremmo finito?

Volevo rivedere Nilyan, la mia piccola Ninì, Roxen… dovevo andare a casa ed uccidere un paio di elfi.

Dovevo riprendere Machin e Chekaril da chissà dove per le orecchie.

Quando sarebbe arrivata, la terra? Quando avremmo terminato la nostra missione?

Avevo nostalgia, strano a dirsi, di Uruk., dei suoi boschi, della neve, del freddo, delle montagne.

Lì era tutto troppo umido. La notte spesso già non riuscivo a dormire perché faceva troppo caldo. Le temperature si stavano alzando paurosamente, da qualche giorno a quella parte.

Avevo visto Mary con uno strano abito a maniche corte. Una stranezza, assurdo. Da noi fa sempre troppo freddo, basta un indumento più leggero per stare bene, d’estate.

Dopo i primi momenti di smarrimento i miei due amici si erano abituati in fretta a quella poco elegante moda umana.

Io non ci ero riuscita.

Stavo male nei miei abiti, ma non faceva mai troppo caldo per mostrare le mie braccia piene di cicatrici. Non avevo voglia di mostrare a tutti la mia stella del Ch’argon.

La buona, vecchia Kyradon mi mancava. Gli umani erano troppo chiassosi.

Mi mancava il Maestro, la sua dolcezza infinita.

Mi mancava addirittura andare a visitare la tomba di Tijorn ed Akita.

Andare sotto quei maledetti alberi, in quel piccolo giardino pieno di rose e campanelle che io avevo creato ormai anni prima, era sempre straziante, ma era più brutto ancora pensare che nessuno si sarebbe preso cura di quel luogo fino al mio ritorno.

Era diventato, col passare del tempo, il mio rifugio, un posto dove potevo ritrovare i miei amati fantasmi.

Solo lì potevo ritrovare il mio stupidone. Avevo regalato a Machin tutti  i suoi effetti personali che non erano andati distrutti col tempo.

Ero così disperata che mi mancava addirittura la noiosa vita di corte. Era bello, insieme ad Isnark, fare i dispetti ai generali.

In breve, mi mancava la mia vita. Non ero più fatta per viaggiare così a lungo.

Nel mio rovinoso peregrinare avevo trovato un luogo in cui mi erano state curate le ali che erano andate spezzate, ma ora non riuscivo più a volare.

Incatenata, per sempre, alla mia radura.

Mi ero addormentata per sfuggire alla malinconia.

Mi mancava la mia gabbia dorata. Avevo voglia di rifugiarmi sul mio trespolo familiare, e di non muovermi più da lì, uccellino nato prigioniero.

Era tutto troppo strano, ed io non ero abituata più, ormai, alle novità. E quelle erano novità troppo nuove per me.

Ero così piombata in un sonno agitato, pieno di mostri e fantasmi.

Ad un certo punto, quel suono orrendo e lamentoso  mi aveva svegliata di botto.

Ero saltata a sedere sul letto, ancora stordita, domandandomi perché diavolo stessero suonando a quell’ora.

Non era un cambio turno. Cosa stava succedendo di tanto noioso, allora? Quale falso allarme?

Il mio velo di sonno era stato squarciato da un rombo, poi un’esplosione, ed infine una potente vibrazione.

Poi un’altra, ed un’altra ancora.

Non ero così stupida e primitiva per non distinguere in quei suoni e quelle vibrazioni cose che conoscevo bene.

Mi era saltato il cuore in gola quando avevo capito cosa fosse tutta quell’agitazione.

Cannoni.

Si, cannoni, quelle armi che erano in uso ormai quasi da tempo immemorabile…

Quelle armi che avevano i pirati per abbordare.

Un’ennesima vibrazione. Esplosione.

Pirati!

Immaginai la scena. Barbari luridi che attaccavano quella poco solida bagnarola.

Emuli di Paòl e la sua ciurma pronti a tutto. Lupi di mare attirati da una grossa carcassa.

Ehi, in quella carcassa c’ero io! C’ero io, e tutti i miei amici!

Già mi vedevo, nascosta da qualche parte, poi l’arrembaggio, ed infine una prigionia lunga.

Diamine, io si che valevo come riscatto. Ero una personalità importante. Ed ero un’elfa. Gli elfi non stanno molto spesso per mare, eh. Solo il Regno, enorme, ha due minuscoli sbocchi sul mare, ed uno è tanto nordico che è ghiacciato la maggior parte del tempo. Uruk è appollaiata sulle montagne. Chissà da quanto quei bastardi ci avevano seguiti!

Cercai di scendere dal letto, presa dal panico, ma un rollio più forte degli altri mi impedì di muovermi.

Ero paralizzata.

No, io non volevo morire. Non potevo, morire in quel modo!

Cercai di urlare, ma non ce la facevo.

Oh, Capouille e Zipherias!

Il loro pensiero mi folgorò la mente. Quei due erano abbastanza idioti da mettersi nei guai, io ne ero più che sicura.

Sicuro, non vedevano l’ora di mettersi a sfidare degli energumeni che chissà che armi usavano!

Oh, poi mi assalì il senso di colpa.

Ed io? Io non devo dare una mano?

Magari avrei potuto stendere un paio di nemici, così, per aiuto.

Mi misi in piedi, titubante e spaventata.

Una nova esplosione, ancora più forte delle altre, mi fece cadere a terra.

Non so perché, ma cambiai istantaneamente idea.

Si, come no. Dare una mano.

E se poi mi avessero buttata fuoribordo?

In quel momento dimenticai totalmente ogni prospettiva di dare una mano e cose del genere.

Se la potevano scordare.

Mano, gamba, piede, testa.

Io non avrei messo piede fuori dalla mia camera. Oh no.

Ebbi una magnifica idea: mi sarei nascosta fino a quando non sarebbe finito tutto.

Poi…beh, avrei visto cosa fare.

Tremavo tutta quando mi ficcai sotto il letto, in mezzo alla polvere che mi fece starnutire, e mi nascosi ben bene.

Alla faccia dei pirati: lì nessun balordo mi avrebbe mai trovata.

Sentivo tintinnare qualcosa. Dopo un po’ mi resi conto che erano i miei denti.

Capouille, Zipherias. Loro sarebbero morti. Mi venne voglia di andarli a salvare e di fuggire insieme, ma un’altra esplosione mi dissuase.

Mi assalì il terrore. Immaginai la vecchia carretta esplodere sotto il peso dei suoi anni e dei colpi. Io sarei morta. Sarei annegata. Mi rannicchiai. No, io non volevo morire!

Perché ero stata trascinata lì? Perché?

Mi tappai le orecchie per non sentire, per far finta che tutto fosse a posto. Chiusi gli occhi, per non vedere.

Sperai improvvisamente che una palla mi centrasse, centrasse me e la mia camera, uccidendomi all’istante. Sapevo che la morte per annegamento era piuttosto lenta.

Non era giusto, morire in quel modo. Non era per niente giusto. Non avevo fatto un bel po’ di cose.

Chissà quanto rimasi in quel modo. Ad un certo punto, sentii una mano posarsi sulla mia spalla.

Ecco, qualcuno mi aveva trovata. Ero prigioniera.

Beh, potevo dare addio a Machin, a Nilyan, ai miei pulcini adorati, a tutti.

Non sarei più tornata a casa.

Cacciai un urlo ed aprii gli occhi.

Mi ritrovai davanti il volto teso di Zipherias, accoccolato a terra per guardarmi. Era entrato, ed io non me n’ero nemmeno accorta.

Era vivo, ed era salvo. Mi sentii invadere dal sollievo, e sentii, improvviso, il bisogno di farmi abbracciare da lui.

Tolsi le mani dalle orecchie. Mi stava chiamando. Feci per muovermi.

Poi, un’altra esplosione mi dissuase. Mi tesi.

Il mio amico mi sorrise, gentile. Non sembrava parecchio irritato o spaventato come me.

“Lsyn, su, forza, vieni fuori”.

Mi disse, con la sua solita voce calma, sorridendo gentilmente, un po’ in tensione, probabilmente per la sorpresa. Allora avevano trovato il modo di scappare? Potevamo fuggire? Mi invase una fuggevole gioia.

“non è nulla…è un’esercitazione. Su forza, vieni…il capitano ci vuole”.

Ah, caro Zipherias. Lui, i suoi sorrisi, quella voce profonda e calma, che erano la mia droga. Come avrei fatto a meno di qualcuno come lui?

Non so perché, ma mi sentii rassicurata. Seppure ci fossero i pirati ed il capitano ci voleva per farci fuggire… lui era vivo. E se era così calmo, era perché anche Capouille era sopravvissuto.

Accidenti, avevo avuto un’incredibile paura. L’avevo ancora.

Per un po’, mi rifiutai di muovermi. Scossi la testa all’esortazione di Zipherias. Un’esercitazione, ceto. Lsyn Amarto non si prendeva per scema.

“no! Io da qui non mi muovo!”.

Mi ero impuntata, come una bambina capricciosa. Ero nel mio rifugio e non volevo lasciarlo. Ci volle ben più di mezz’ora per trascinarmi fuori, a forza di parole mielate e rassicurazioni.

Era successo che Mary aveva, volutamente, dimenticato di avvisarci. Aveva fatto morire di paura tutti e tre.

Avevo ragione, ad odiare quella ragazza ipocrita. Era stata sollevata dal suo incarico.

Il capitano, in tutto ciò, era venuto a conoscenza di tutto, e voleva scusarsi.

Brava persona, il capitano. Doveva proprio essere una brava persona.

Alla fine, titubante, il mio amico riuscì a farmi uscire. Ero piena di polvere.

Mi ritrovai davanti Capouille, ancora un po’ pallido, ed un umano dai capelli rosso scuro, che masticava qualcosa con aria leggermente strafottente.

Almeno, era tranquillo.

Uscimmo, finalmente, dalla camera, per dirigerci ai piani più alti, dove il capitano sovrintendeva all’esercitazione.

Era una cosa normale, programmata da tempo, quell’esercitazione. Mi diedi della stupida non appena uscimmo fuori, e percorremmo i corridoi deserti e tranquilli.

Non c’era nulla di cui preoccuparsi.

Maledetta Mary. E maledetta la mia immaginazione.

Bah, pirati. I pirati non esistevano più da tempo. Io ero la cretina.

Se avessi beccato quell’umana…oh, l’avrei ammazzata.

Per poco non mi prendevo un colpo.

Stavo dormendo, accidentaccio. Anche i miei due amici erano stati strappati al sonno in un modo un po’ brusco, e sicuramente inaspettato.

Detestavo svegliarmi con il piede sbagliato. Sapevo che non sarei riuscita più a prendere sonno.

Ecco.

Come rovinare la giornata a tutti.

Specialmente a me.

Detestavo essere così impressionabile. Avevo ancora una paura maledetta.

Per tutto quel tratto non feci altro che stare appiccicata a Zipherias, senza staccarmi da lui per nessun motivo.

Avevo troppa paura. E poi era così bello, stare così…

 

 

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Capitolo 61
*** Oggi invece sono felice! ***


Giardini reali di Fiya, bella panchina al sole

Giardini reali di Fiya, bella panchina al sole. Il sole splende, il mondo è bello! È mattina. Grazie al cielo sono sola, Roxen chissà cosa è andata a combinare, è meglio che non lo sappia o finisco per impazzire dietro quella lì.

 

Oggi, Willie, la tua Nilyan è molto, molto felice.

Senz’altro ti chiederai perché.

Su, insomma, l’altro ieri sera ti ho lasciato che avevo il morale a pezzi.

E perché mai la cara Nilyan Nemys oggi è fuori nonostante tutti i divieti ed è felice perché si sente bene?

Eh-eh-eh. Eh-eh-eh-eh.

No, Willie, non pensare male!

Ti giuro, non sono scappata, lo giuro sulla testa della zia (mai sulla mia, casomai qualcuno mi prendesse troppo alla lettera…)!

Non potrei scappare, sto bene ma non riesco a stare ancora in piedi…o almeno è questo che voglio far credere a Roxen (devo far finta di essere deboluccia).

In realtà sto che è una meraviglia. Ma no, non oso scappare. Non posso usare i miei poteri.

Ma posso girare! Evviva!

Sono libera (beh, più o meno…)!

Ora capisco fin troppo bene cosa volesse dire Ellyn quando diceva che amava il giardino.

Ora piace tanto anche a me. Posso stare tranquilla e riposare.

Ah si: e sto bene. Niente cose che si rompono, che si stracciano, niente sangue dal naso…

L’unica cosa brutta è che non posso usare la magia (nel senso, non posso nemmeno toccare una lampada piena di magia, a lungo andare non so quali possano essere le conseguenze ed è meglio evitare, ma almeno nelle nostre stanze c’è finalmente una luce decente.

Cosa dici?

No, no. non ho imparato a gestire il mio potere.

Quello non lo imparerò mai temo.

Ma chissenefrega!

Sono libera, e questo mi interessa davvero!

Ora capisco perché ero di malumore.

Non era perché sono una debole elfa che non riesce a controllare un enorme potere.

Nah, non mi importa pure tanto.

Insomma, hanno trovato pure il modo per arginare le crisi, ti rendi conto?

Mi hanno fatto un regalo immenso!

Beh, l’unica cosa negativa è che sono totalmente refrattaria alla magia. Nel senso, non la avverto neppure. Non avverto più se è qualcosa di magico, e questo è di tutti gli elfi.

Ma va beh, a me non interessa. Sono isolata dal mondo magico, ma io non devo combattere, no?

Non c’è una guerra in corso.

Poi, non posso usare la magia.

Ma….diciamocelo chiaramente, Willie: chi mai l’ha voluta, questa magia?

Vedo, che so, zia Lsyn, che, ti dico, è assolutamente una frana per quanto riguarda l’uso della magia, ha meno magia di una tazza (lei si chiama, figurati, illusionista da quattro soldi). E lei vive tranquilla senza magia.

Anche a Roxen non importa.

Io me ne sto tranquilla, per i fatti miei.

Tanto…pure se dovessi camuffarmi…. Io so come fare ah-ha!

E che ti credi, che la zia non mi insegna mai niente?

Zia Lsyn è un genio, su queste cose. Dice sempre che il fratello era una erborista, lei sa fare poco più del minimo indispensabile, ma lo stesso è un genio.

Quando capirò meglio i miei limiti credo che andrò a fare un’altra, bella passeggiata per Qerin (senza dolcetti, grazie).

E stavolta ci porterò pure Roxen. Così vediamo se dice qualcosa!

Così poi mi aiuterà. Insomma, ho sempre paura di combinare qualche disastro.

Con me già hanno fatto un miracolo.

E vuoi sapere perché?

Io devo ringraziare Ellyn, la dovrei baciare (sarò per sempre sua fedelissima amica!!)…

Si è messa nelle orecchie delle teste quadrate di qui ed ha fatto fare una cosa proprio per me, proprio per farmi passeggiare dovunque senza farmi sentire male, il che è una gran cosa.

Secondo me, aveva paura di farmi scappare, proprio una gran paura. Ha-ha-ha. Lo so. Io sono la magnifica Nilyan!

No, davvero, credo che la presenza di noi elfi sia l’unica botta di vita per la sua esistenza altrimenti monotona e grigia (ehi che frase filosofica!).

Beh, povera, piccola umana. Ma ci rendiamo conto di quello che deve essere costretta a sopportare tutti i giorni?

Già essere una principessa qui è una gran noia.

C’è una formalità che soffoca. Cioè, rendiamoci ben conto, Ellyn deve dare del voi alla madre ed al padre!

…cioè, Willie, io sono completamente senza parole.

Come ha fatto a sopravvivere quella poverina? Ma te lo immagini, dare del voi a papà?

Come minimo mi prenderebbe per matta.

Accidenti, io amo essere elfa. Lo adoro. Adoro Uruk.

Almeno lì c’è una formalità che rasenta quasi lo zero, più o meno.

Intendiamoci bene, rispetto è rispetto, ma l’utilizzo di un voi a posto del tu non pregiudica la vita (si, lo so, la zia su questo non sarebbe molto d’accordo. Ma siamo tutti amici, dai!).

Che la mia cameriera a Kyradon mi chiami per nome sembra rilevante? Che mi dia del tu e sia la mia fonte preferita di pettegolezzi importa?

Cioè, per dirne una, anche Zipherias e Capouille mi danno del tu. Sono un po’ come zii, sono cresciuta anche insieme a loro.

E chi sono? Una Guardia ed una Guardia del Lazzaretto. Insomma, rendiamoci un po’ conto.

Ora mi spiego perché Ellyn è stata così contenta di stare insieme a noi.

Ringrazio papà e zia. Adoro il clima di Uruk proprio perché loro di certo non mi costringono a fare cose che non voglio.

Lei invece deve per forza dare del voi ai genitori. Non deve dare confidenza a nessuno.

Deve vestirsi con certi abiti… mamma mia, se solo li indossassi io sverrei praticamente subito.

Sono stretti. Soffocanti.

E poi non può fare nulla di bello. Non si può muovere, non può uscire, deve essere tutta bella e compita. E che palle.

Ribellarsi no, eh? Ma ci credo. Lei ha una madre di quel genere, come fare a ribellarsi? Il padre non so come sia, ma credo che, a giudicare dai suoi racconti, abbia un debole per il primogenito maschio ed ignori la futura regina. Andiamo bene…

Comunque, Ellyn è tanto brava e dolce. Si è interessata al mio problema.

Ti ricordi quando ero tutta triste, e ti ho scritto l’ultima volta?

Bene, dopo un po’ è arrivata Ellyn, e mi ha tutta abbracciata, dicendo che si era preoccupata da morire per me, che le dispiaceva che fosse successo tutto quel pandemonio, che odiava il fatto che io fossi prigioniera nella mia camera, che avrebbe trovato un rimedio, e cose così.

In fondo è stata brava, carina, ha cercato di consolarmi, sai?

Per un paio di giorni è venuta a fare colazione con noi, seguita da Peggy (io credo che lei ora abbia paura di me…insomma,  non dev’essere stato carino vedermi durante quella crisi)…

Ed indovina un po’? Da Guaren!

Si, proprio da lui! Ellyn dice che ha bisogno di un po’ di tranquillità, che è stressato dal padre che vuole da lui la perfezione assoluta.

Lui vorrebbe che il figlio fosse un genio militare, perché la guerra non è cosa da donne.

Io gli farei parlare con la zia, a questo signore. O anche solo con Roxen.

Comunque….ma scusa, ce lo vedi Guaren soldato?

Quel ragazzo potrebbe andare d’accordo con Manolìa, sul serio. Forse non te ne ho mai parlato, ma lei è mia cugina, ed è un topo di biblioteca. Per farla uscire da lì o dalla propria stanza bisogna prenderla mani e piedi e trascinarla fuori. Prima o poi diventerà cieca a furia di consumarsi gli occhi lo so.

E comunque, lui è uguale, più o meno.

Gli piace leggere, filosofare…e…studiare le costellazioni! Perciò dorme sempre di giorno.

Ah, si, sta anche cercando di imparare l’elfico.

Poverino, fa degli sforzi immani ma non credo che gli riesca bene. L’altra volta continuava a ripetermi qualcosa a proposito del letto peloso. Non credo che abbia capito bene dove sia lo sbaglio (io comunque non ho capito cosa volesse dire).

Comunque, Ellyn ha ragione. Suo fratello non ha una bella cera. Peggio del solito (ha l’espressione di uno perennemente insonne).

Cioè, spesso è venuto a colazione con noi, ma di solito era curioso. Faceva domande su domande.

Pensa, io immaginavo che mi bombardasse di domande sul perché della crisi…ed invece, Willie, è stato in silenzio tutto il tempo, fissando la sua tazza di latte come se dentro ci fosse lo specchio del futuro.

Insomma, è qualcosa di semplicemente assurdo. Anche la sorella era preoccupata per lui, lo vedeva troppo meditabondo.

Lui dice che è perché al padre è venuto in mente di farlo allenare anche a metà mattina, riducendo in modo drastico le sue ore di sonno…

Ma è troppo strano.

Insomma, non sarò un genio come Roxen a capire lo stato d’animo di qualcuno ad un primo sguardo….ma, per una volta, io e lei siamo d’accordo.

Non è stanco. È triste. Disperato.

L’ho visto anche recentemente. Quasi non mi salutava. Sembra essere in un mondo tutto suo, non proprio rose e fiori.

Chissà cosa lo preoccupa. Nessuno ne ha la minima idea. Ellyn ci dice che è perché il padre lo vuole soldato.

A lui non piace uccidere. Detesta il sangue.

Forse sarà questo, ma davvero, è troppo triste vederlo così.

Immagina quando eravamo, nella mia stanza, io, Roxen, Ellyn e Guaren.

Io depressa. Roxen ansiosa nel vedermi depressa. Guaren immerso nella sua contemplazione funebre. Ellyn pensierosa. Peggy, come al solito, in silenzio.

Ma c’era una dannata tensione nell’aria…mamma mia…

Comunque, la situazione si è andata ad allentare un po’ man mano che passavano i giorni. Ellyn si è convinta che va tutto bene, e poi io sono felice.

Ah si, ti stavo dicendo il perchè.

Comunque, ad un certo punto, una mattina ho visto Ellyn e Roxen tutte strane. Sorridevano, erano quasi…trepidanti.

Ora, Willie, io ho cominciato a sospettare qualcosa.

Un simile comportamento da Ellyn me lo aspettavo, ma Roxen…devi sapere che non sorrideva da quando è successo quel fatto. Si sentiva in colpa, chissà, era molto preoccupata per me… non mi vedeva allegra e la cosa la intristiva…

E la vedevo sorridere. Un altro po’ ed avrebbe chiamato amica Ellyn, ci scommettevo.

Dopo un po’ ho sorriso anche io! E sai perché?

Ad un certo punto, dopo colazione, Roxen mi ha detto di prepararmi perché saremmo uscite per il giardino.

Io l’ho guardata strana.

Non eravamo prigioniere di quella maledetta stanza?

Se fossi uscita non sarei morta, per caso?

Quando ho fatto notare questa minuscola incongruenza, hanno ridacchiato tutte e due come due sceme.

Giuro, non ho mai visto Roxen così…poco Roxen, ecco.

Niente mugugni scocciati, niente occhiatacce, niente di niente.

Non l’ho mai vista così allegra, nemmeno dopo che uno dei suoi amichetti le aveva regalato un abito che costava un occhio della testa, ed un altro un bellissimo ciondolo.

Davvero, mi è subito sembrato stranissimo. Che cosa stava succedendo? Soprattutto, perché mi stavano guardando tutte allegre?

Alla fine, mi è arrivata la risposta.

Avevano trovato un modo per farmi uscire.

In pratica, è una specie di scudo portatile. Forse lo stanno progettando per la battaglia, non so, comunque a me è molto utile.

È una specie di sfera grossa quanto il mio pugno (la tengo al collo, non è così pesante, stranamente, anche se ingombra un po’).

Ellyn, grazie alla sua posizione, è riuscita ad averne una.

Io le stavo saltando addosso dalla gioia! Che bello, finalmente potevo uscire!

Willie hai presente quando il tempo è grigio di prima mattina, poi arriva il vento e spazza via in un attimo le nuvole, e subito c’è il sole?

Ecco, così mi sono sentita io.

Ho capito da cosa veniva la mia tristezza. Io non sono abituata a stare senza far nulla, questo è il problema.

Così siamo uscite…e….io non sentivo nulla. Nemmeno un sussurro di magia.

Siamo state tutte e tre fuori, tutto il giorno (Ellyn aveva preparato tutto in modo tale che non vedessi la mia stanza almeno fino a tarda sera), in giardino.

Ed io mi sono sentita benissimo. Addirittura, mia cugina non ha preso in giro una volta la sua eterna, odiata, umana!

Tu che dici, da questo momento in poi riusciranno a fare amicizia? Lo spero, almeno starò tranquilla. Per ora non hanno ancora litigato. Ma è troppo presto per dire qualcosa, mia cugina è imprevedibile.

Ora voglio stare tranquilla, e spero che questa aria duri un bel po’.

Comunque, Willie, ora stai tranquillo. Sto bene.

Lo noto da Roxen. Quando ero prigioniera piangeva. Ora non piange più e mi ripete sempre che sto diventando bellissima.

Non è una cosa da lei ,si dev’essere presa uno spavento…

Dei, quanto mi dispiace di averle rotto il braccio. Non l’ho fatto apposta, e lei dice che non importa, che se lo merita, ma io mi sento in colpa.

È mia cugina, in fondo, e le voglio bene. speriamo si riprenda presto, insomma.

E spero che anche Guaren sia allegro. Quando viene a fare colazione con noi è sempre così funebre…

Ah, Willie, com’è bella l’aria pulita del giardino! Com’è bello stare tranquilli e sentire gli uccellini cinguettare e vedere il sole non da una finestra! Mi mancava, tanto. Troppo. Io non sono abituata ad essere in un castello buio e puzzolente di muffa.

Io sono cresciuta libera e sarò per sempre libera.

Beh, stare in un giardino non è del tutto libertà, ma mi accontento.

Sto solamente nel giardino, però sono protetta e non avrò crisi.

Oh, io adoro gli umani. Hanno inventato un sacco di cose utili.

Ora ci manca solo zia Lsyn e tutto sarebbe perfetto.

Quanto mi manca…

Mi manca anche Machin. Chissà dov’è quel piccolo matto!

Non vedo l’ora di riunirmi con tutti. Voglio stare in compagnia, Roxen non è tanto compagnona, sparisce una votla si e l’altra pure.

Oh, parli delle pentole…

Oh, tu guarda. Vedo Roxen arrivare, meglio che ti metta via.

Potrebbe, vedendoti, ricordarsi del piccolo incidente del diario.

Poi magari si vendicherebbe….

No, ferma, meglio non pensarci.

Oh mamma, che faccia che ha….si preannuncia tempesta, tesoro.

È pallida come uno straccio.

Chissà cosa diavolo sta succedendo.

Non credo qualcosa di bello, sarebbe troppo sperare in qualche altro miracolo.

In che guaio ci siamo ficcate, ora?

Bene, è ora di nasconderti. Non tira una bellissima aria, a giudicare da quell’espressione scioccata.

Non potevo pensare che la pace durasse a lungo…

Non con una cugina come quella lì.

Comunque, è ora di farti sparire, scusami.

Ti aggiornerò il più presto possibile, Willie, amico mio. Sento puzza di novità in arrivo.

Belle o brutte non so.

Ci sentiamo,  zucchero.

Ti voglio bene!

La tua Nilyan (oggi felice!).

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Capitolo 62
*** Soffocare istinti bellicosi. ***


Ci fermammo, dopo un po’ di cammino, davanti ad una semplicissima porta grigia

Ci fermammo, dopo un po’ di cammino, davanti ad una semplicissima porta grigia.

Eravamo probabilmente saliti un po’: c’erano state delle scale, in cui io ero prontamente inciampata all’ennesimo, fastidioso rollio.

 Era difficile stare in piedi, accidenti. Ballava tutto.

Ero riuscita a dominare il senso impellente di nausea, ma l’equilibrio ancora mi mancava un po’.

Nel nostro cammino avevamo incrociato, cosa insolita, credo, a quell’ora tarda, dei marinai che tornavano da chissà dove, con la faccia scontenta ed il passo strascicato.

Oltre quello, un silenzio mortale.

I colpi di cannone erano ormai cessati, e così le vibrazioni.

La nave procedeva tranquilla sul vasto mare.

Grazie. Dopo averci svegliati di soprassalto, averci fatto fare un salto di più o meno due o tre metri dal letto, nel mio caso sotto, dopo averci fatto venire un colpo al cuore per negligente perfidia…

Erano tutti tranquilli, sicuri di essere perdonati.

Belli loro.

Credevano di passarla liscia. Credevano che noi, ospiti in un paese straniero e per giunta non proprio amati, stessimo dolcemente al nostro posto.

Non avevano ancora fatto i conti con me. Proprio no. Con Lsyn Amarto non si scherzava.

Soprattutto quando la suddetta era lievemente irritata per una sveglia poco voluta e nettamente sgradevole.

Ero proprio infastidita da quel comportamento.

Per tutto il tragitto avevo pensato cosa dire e come reagire davanti al capitano.

Mi era venuta voglia di prendermela con il marinaio che ci camminava davanti, ma poi avevo preferito non farmi un altro nemico.

In fondo, quel tipo, Silas, non era male. Un po’ arrogante, vero, e strafottente, però riusciva tranquillamente a chiacchierare con noi usando un certo tatto.

Però quella cosa che masticava continuamente mi dava sui nervi davvero.

Mentre parlava, mentre si scusava dell’ignobile comportamento di Mary, masticava.

Mentre camminava, masticava.

Stava zitto e masticava.

Stava fermo e masticava.

 Ad un certo punto la voglia di picchiarlo era diventata impellente.

Mi ero frenata, avevo stretto le mani a pugno ed ero stata in silenzio.

Tutta quella furia doveva scatenarsi con una persona soltanto.

Il capitano Lomillie, e tutta la sua negligenza.

Un po’ tardi per scusarsi. Ci aveva fatti prendere ben più di un paio di colpi.

Ah, non vedevo l’ora di arrivare da quella lì. Lei e le sue esercitazioni  potevano benissimo andare a quel paese.

Ogni passo che facevamo mi caricavo sempre di più di nera rabbia.

Passata la paura quella era una reazione normale, no?

 Nei nostri confronti avevano adottato un comportamento del tutto irrispettoso.

Era quello il modo di trattare degli ambasciatori capitati per caso in una missione che odiavano, e che non avrebbero mai voluto fare nemmeno morti?

Eh no, proprio no.

Lomillie mi avrebbe sentita, altroché. Non ci sarebbero stati miracoli che l’avrebbero aiutata.

Ad un certo punto Zipherias si era accorto della mia probabile faccia leggermente scura.

Doveva aver capito quello che stavo rimuginando, perché, ad un certo punto, sentii  la sua mano che mi stringeva il braccio, sicura.

Mi girai verso di lui. Cosa voleva da me?

Perché mi stava guardando con quella faccia un po’ allarmata?

Strinsi gli occhi quando lo vidi sospirare. Qualcosa gli andava storto. Mi avrebbe fatto una bella ramanzina.

Ah, com’era noioso.

“Lsyn, mi raccomando…”.

Disse, con voce piena di rimprovero. Lo guardai male. Cos’è che voleva? Sempre lì a trattarmi come una bambina. Lo fulminai con uno sguardo. Non era abbastanza capace di dire la sua, ecco tutto. Molto egoista da parte sua. Che viltà. Lui scosse il capo, e la stretta divenne più forte.

“niente stupidaggini!”.

Ah, niente stupidaggini? Feci una smorfia e rimasi in silenzio. Fu la volta di Zipherias di guardarmi molto male.

Eh no, non lo sarei stata a sentire nemmeno morta.

Per lui stupidaggine significava evitare di dire la propria? Stare sotto i più potenti senza ribellarsi?

Magnifica idea, la sua.

Feci per divincolarmi dalla sua stretta, ma non riuscii a fare altro che perdere l’equilibrio già precario e rovinare addosso al mio amico dalla pelle scura.

Per il resto del percorso evitammo accuratamente di parlare.

Sembrava offeso. Molto simpatico, lui, che m’impediva di protestare in modo adeguato.

Per tutto il tragitto, comunque, rimuginai e rimuginai sulle ingiustizie compite, fino a quando non arrivammo davanti a quella squallida porta.

Una volta lì, ci accorgemmo che qualcosa o non andava o che qualcuno era di cattivo umore.

Molto di cattivo umore.

Diciamo che la mia irritazione non ero lontanamente paragonabile alla rabbia che si percepiva.

Anzi, si sentiva. Già da fuori la soglia si sentivano parole confuse, venate di irritazione.

Chiunque fosse a parlare aveva uno sgradevole tono stridulo.

Mi ritrovai a sperare che non fosse il capitano.

Se i miei presentimenti si fossero rivelati esatti…beh, non so quanto avrei potuto dare sfogo alla mia rabbia.

Molto poco, credo.

Avevo ancora l’idea fissa di essere scaraventata in mare. Non era un pericolo assente, eh.

Di pazzi ne esistevano dappertutto.

Una volta arrivati alla porta, Silas si fece avanti, e ci guardò con aria un po’ titubante.

Un nuovo strillo furioso. Accidenti, qualcosa doveva essere andato davvero storto per far infuriare il capitano così.

Mi era sembrata così dolce, quando ci eravamo imbarcati.

Vero, io in quel momento stavo così male che non sarei riuscita a distinguere un pulcino da una palla, ma comunque mi era sembrata una persona a modo.

Dall’aria un po’ spaventata del giovane dai capelli rossi e dalla mania di masticare continuamente dedussi che…beh, forse mi ero sbagliata.

Non era la prima volta: non sono mai stata granché ad indovinare i caratteri a primo acchito.

Oppure, doveva essere successo qualcosa che l’aveva infastidita.

Dopo la strana espressione intimorita sul volto di Silas comparve un sorriso sornione e furbo, lo stesso che aveva avuto per tutto il tragitto.

Ci guardò, con uno strano brillio malizioso negli occhi. Mi domandai distrattamente il perché. Quel tipo era proprio strano.

“a quanto pare”. Sussurrò con la sua voce roca e strascicata. “alla signora è andato storto qualcosa”.

Lo strano sorriso si allargò ancora di più. Mi sentii quasi intimorita, e feci quasi per addossarmi a Zipherias, per sentirmi vicina a qualcuno, quando mi ricordai, con un sobbalzo, di averci litigato poco prima.

Mi staccai con fare dignitoso, ed incrociai le braccia, senza guardare il mio amico.. Dovevo stare più attenta.

Nessuno e mai nessuno avrebbe dominato Lsyn Amarto, mai più.

Lomillie era arrabbiata?

Beh, male per lei, stressarsi significava aver mal di stomaco, io lo sapevo, visto che mi arrabbiavo spesso.

Tuttavia, non mi avrebbe frenata. C’erano molte cose da dire, e sicuramente un po’ di ostilità dall’altra parte non mi poteva frenare.

Diavolo, non potevo pensare sempre di affogare! Nessuno mi avrebbe uccisa, ero un’ambasciatrice, no?

Perciò, quando Silas aprii la porta drizzai la schiena, impettita, pronta alla mia arringa. Il capitano se la sarebbe vista con una Ch’argon infuriata, quello era poco.

Ci fu un breve silenzio, poi una voce femminile, pacata, ci intimò di entrare. Era un ordine, non una richiesta.

Venimmo fatti accomodare in una stanza resa luminosa da una finestra un po’ opaca per il sale che la impregnava, quasi vuota a parte una scrivania piena di carte ed aggeggi vari, una piccola e scarna libreria ed alcune sedie dall’aspetto funzionale, senza alcun tratto particolare.

Una stanza semplice, quasi scabra, che non attirava per nulla l’attenzione.

Seduti l’uno di fronte all’altra, separati dalla scrivania, c’erano il capitano Lomillie, dallo sguardo duro e furente, ed un uomo che riconobbi come lo stesso che ci aveva accolti insieme a lei ed alla donna anziana. Doveva essere probabilmente uno dei due ufficiali.

L’unica cosa che vedevo di lui erano gli enormi baffi. Per il resto, quell’uomo all’apparenza formidabile era a testa bassa. Stava, chissà, ricevendo una ramanzina. Qualcosa era andato storto, secondo  la prospettiva di Lomillie.

Sperai fortemente che quello non pregiudicasse la nostra tenuta sul mare. Non avevo voglia di annegare, proprio no.

La donna al di là della scrivania, semplice, di legno molto scuro, ci guardò in modo tale, che, almeno io, mi sentii istantaneamente un agnellino.

Nemmeno Lainay aveva avuto quel potere, quello sguardo capace di freddare. Accidenti.

Dovevo vendicarmi? Davvero? Non lo ricordavo. Probabilmente era solo una mia fantasia. Non avrei osato alzare la voce nemmeno sotto tortura.

Quella si che sarebbe stata ideale per essere messa sul trono. Non quel pezzo di pane di Ellyn.

La donna dai capelli racchiusi in una crocchia ci fece un cenno brusco, a cui in rispondemmo in un lampo, per poi far cenno di sederci.

Obbedimmo in un lampo.

Ribellarmi a Lomillie? Oh no. Quella donna sembrava capace di uccidermi con un cenno solo.

Mentre prendevamo posto il capitano riprese a parlare con l’uomo, usando la lingua franca, chissà, forse per far partecipi anche noi dell’umiliazione.

Appena sentii il timbro della donna rabbrividii.

Che razza di voce era quella? Stridula, sembrava il grido di una gallina che fa un uovo.

Per niente adatta al suo rango ed all’aspetto marziale che aveva. Quello squittio era…oh beh, orrendo.

Decisamente, Lomillie non era una donna molto fortunata.

Mi venne voglia di tapparmi le orecchie. Poveri noi.

“spero che alla prossima esercitazione i vostri subalterni siano meno ciechi, ufficiale”.

Cinguettò, con quella maledetta vocina isterica che martellava le orecchie, le mie povere orecchie, che fui quasi sul punto di tappare.

L’aria di disapprovazione sul viso asciutto del capitano dissuase ogni mio pensiero di movimento.

Accidenti, aveva una voce orrenda, ma sapeva come farsi rispettare.

Finché rimaneva con la bocca chiusa era un perfetto esempio di soldato e donna di mare.

Il capitano agitò quello che mi sembrò un cannocchiale, come per dare enfasi al suo discorso.

“per ora, non riuscirebbero a colpire una nave nemmeno se ce l’avessero sotto il naso!”.

Bene. probabilmente la rabbia era dovuta ad un’esercitazione un po’ fallimentare. Accidenti però. Dovevano essere molto tesi per reagire in quel modo.

L’uomo baffuto rispose a quella che non era una domanda, né un’affermazione, ma un po’ di tutte e due, con un borbottio indistinto, che non riuscii a percepire.

Quella donna infernale doveva averlo umiliato per bene prima del nostro arrivo.

Passò un po’ di tempo in silenzio, periodo in cui la tensione aumentò, sostituendo la rabbia che avevo accumulato prima, facendola svanire come neve al sole.

Mi stavo letteralmente liquefacendo su quella dannata sedia. Accidenti, quella donna sapeva come far attendere le persone.

Ad un certo punto, con uno scatto da uccello, la testa della formidabile donna si girò verso di noi. I suoi lineamenti si addolcirono, e la bocca divenne un po’ meno tesa e livida.

“di certo mi scuserete per l’imperdonabile scortesia con cui vi ho ricevuti…ma stavo parlando di un problema importante…”.

Quelle parole, dette con la massima innocenza possibile, ci fecero annuire come tre idioti forsennati, biascicando scuse incerte.

Sentii vergogna di me stessa. Dov’era finita la rabbia di prima? Eccomi a strisciare.

Ma non ne potevo fare a meno. Insomma, non era tanto bella la rabbia di quella donna l’avevo visto.

Lomillie sorrise, un sorriso compassato e per nulla caloroso. Mi chiesi vagamente se quella donna si fosse mai lasciata andare in vita sua.

Sembrava avere un bastone a posto della spina dorsale. Mi incuteva timore come mai nessuno in vita mia.

Era qualcuno abituato ad obbedire, niente e nessuno le avrebbero fatto cambiare idea.

Lomillie fu incredibilmente cortese, nonostante tutto. Ci presentò l’ufficiale, ancora umiliato dopo quella ramanzina, un certo Rufus… ah, mi sfugge il cognome, maledetta sia l’usanza umana di non mettere il nome dei genitori, credo fosse Fargento. Non lo guardai. Ero troppo piena di timore, maledizione a me, che vergogna.

Volle addirittura sapere i nostri nomi, mandandoli a memoria con diligenza ed imparando la pronuncia esatta. Fu molto dolce. Mi chiese addirittura come stessi, come mi sentissi. Ricordava di avermi vista in braccio a Zipherias, verde come una mela acerba.

Poi, soddisfatta come un uccellino a cui hanno dato qualcosa di buono da mangiare, si sistemò meglio sulla sedia. Aveva un’aria seria.

“mi devo davvero scusare per il comportamento del marinaio che vi ha tenuti fino ad ora in custodia”. Disse, con aria contrita. Non so perché ma mi sentii incredibilmente propensa a scusarla. Strisciare? Con piacere. Buffo. Ero entrata vestita con i colori di guerra e ne uscivo con la coda tra le gambe. Dei, che bellezza.

“spero che non si ripeta. Ma mi fido di Silas, ha un’ottima sensibilità”.

Io, che avevo pensato di vomitare invettive di ogni genere su quella testona di capitano, mie parole testuali, sorrisi ed annuii. Dentro di me già provvedevo a prendermi a calci per il modo in cui mi stavo comportando.

Che elfa senza nerbo.

Con la oda dell’occhio vidi Zipherias alzare un sopracciglio, guardandomi, perplesso.

Presi mentalmente nota di picchiare anche lui, dopo.

“non vi preoccupate, capitano Lomillie”. Risposi, con quello che presumevo fosse un sorriso sulle labbra. Mi vergognavo di me stessa. Alla faccia della ferocia. Ero peggio di un agnellino.

Ma sentivo di aver ragione.

Diamine, per un errore aveva umiliato il suo ufficiale! Cosa poteva mai fare con noi, ospiti?

Meglio non pensarlo.

“ora è tutto a posto. Siete molto gentile ad occuparvi di noi…”.

Mentre dicevo quelle parole dentro di me già stavo prendendo a calci la stupida idiota leccapiedi che ero.

Alla faccia dell’elfa bellicosa! Stavo strisciando come un verme.

Accidenti, una volta che fossimo usciti di lì Zipherias e Capouille mi avrebbero presa così tanto in giro che sarebbero soffocati dalle loro stesse risate.

Oh povera me, che vergogna.

Cominciai a sentire, impellente, il bisogno di andare via. Quando sarebbe finito tutto quello? Ero già stanca di sentirmi addosso lo sguardo acuto del capitano, che scavava le mie cicatrici con la vanga.

Dopo un po’ di moine e sorrisi e mossette, finalmente Lomillie ritenne di essersi lavata le mani di quel brutto affare di Mary. Con un sorriso, annunciò che avremmo fatto meglio, noi e l’ufficiale, ad andare via. Magari la sera ci avrebbe invitati a cena con lei. Sperai ardentemente di no. Non volevo essere esposta più di quanto lo fossi già al ludibrio dei miei amici.

Quello era anche troppo.

Uscii a testa bassa, per non incrociare lo sguardo dell’ufficiale e dei ragazzi. Quando uscimmo, incrociai lo sguardo divertito di Capouille e distolsi immediatamente lo sguardo.

Ci congedammo anche dall’ufficiale, ancora pallido come un morto.

Fu in quel momento che provai la stessa sensazione di quando l’avevo già visto la prima volta.

Quell’uomo assomigliava a qualcuno, nella sua voce roca, nel viso e nel corpo. Ma a chi?

Fu solo quando ci accodammo a Silas e sentii i primi bisbigli ironici rivolti a me, tali che mi fecero arrossire fino alle orecchie, che realizzai.

In quel momento, dimenticai di tutto. Come non farlo? Oh dei santissimi, non poteva essere.

L’inquietudine mi afferrò, bestia silenziosa, divorandomi da dentro.

Si, non mi sbagliavo: quell’uomo l’avevo già visto.

In sogno.

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Capitolo 63
*** Tu guarda un po' che schifosa situazione. ***


Willie

Willie!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Oh, un attimo.

Castello di Qerin. Pomeriggio. Stesso giorno di prima,solo che sono nella mia camera e Roxen è tornata nella sua, o almeno in quella nuova, ora siamo proprio trattate bene. ci sono novità in arrivo! Questo si è che è vivere accidenti, ora si che mi diverto!

Willie, Willie, Willie!!!!!

Oh, va bene, d’accordo, recupero un contegno. È inutile, non guardarmi così, ti prego. Sono elettrizzata! Lo so che non è un comportamento degno di una principessa, ma sapessi quante e quali novità ci sono in arrivo!

E non fare il muso, lo so, sei curioso. Ed io ti scriverò tutto, ma tutto davvero (tanto…chi potrà mai leggere questo diario? Nessuno sa che esisti), lo prometto sui capelli di Machin (ciò vuol dire su qualcosa di davvero prezioso –per lui, almeno).

Allora, cominciamo daccapo, che ne dici?

Ti ricordi quando ci siamo lasciati che ho detto che Roxen era molto spaventata da qualcosa, e tutta bianca?

Ecco, ora so perché. Ed è un bel perché (insomma, io sono invidiosa da impazzire, ma non lo dico. Va bene, ora ti racconto tutto!).

Comunque, ora parto immediatamente dall’inizio. Sono così piena di pensieri che quasi non riesco a scrivere, ci pensi?

Comunque, quando l’ho vista arrivare ti ho nascosto subito. Non volevo che lei ti vedesse: magari si sarebbe ricordata di una certa marachella ai danni del suo povero diario (rabbrividisco al ricordo della punizione).

E comunque mi sono preoccupata un po’ pure io. Accidenti, aveva proprio una strana faccia bianca come un cencio.

Ho cominciato ad avere paura. Che cosa era successo di brutto?

Devo dire, mi è anche saltato in mente il fatto che fosse successo qualcosa alla zia ed a Zipherias e Capouille, ed ho avuto molta paura.

Se la nave fosse affondata? So che la zia non sa nuotare. E se fosse affogata?

Poi mi è venuta in mente anche un’altra cosa.

E se fosse successo qualcosa a papà? Una guerra, magari?

Non osavo pensarvi. Sarebbe stato troppo terribile (e si che poi mi sarei strappata questo ciondolo che ho, così almeno avrei avuto libero accesso ai poteri e chi si è visto si è visto).

Ed io ero lontana da casa!

Per fortuna niente di tutto questo, accidenti. Roxen è bravissima a spaventarmi a morte. E si sorprende per così poco!

E questa è una così bella notizia, oh, io amo queste cose!

Insomma, quando quella scriteriata di mia cugina mi è venuta incontro mi si sono fatte molli le ginocchia.

Le ho pensate tutte davvero, Willie. Ma non si accorge che io sono fragile, quell’altra? Protezione o meno potrei dare di matto in qualsiasi momento.

Ti giuro, ad un certo punto ho avuto così paura che per poco non svenivo. Ho sentito il cuore battere forte forte.

Pensavo ad una guerra, accidenti. Quando ce ne siamo andati la situazione con il Regno non era poi così rosea. O ad un incidente. Ne capitano tutti i giorni!

Per fortuna che ho avuto la presenza di spirito  necessaria a nasconderti, Willie. Perché il fatto non era poi così grave come temevo.

Anzi.

Insomma…

Oh accidenti, sono così felice che non riesco quasi a parlartene!

Ecco…

Ora ho capito tantissime cose! Oh dei, è così bello vedere persone felici per l’amore.

 Anche se l’amore è una cosa appiccicosa e sdolcinata (prego che per me quel momento di andare dietro qualcuno arrivi il più tardi possibile, mi farei schifo da sola ad innamorarmi), e per niente simpatica.

Bleah. Spero di non innamorarmi mai, non mi piace come fanno i piccioncini le persone innamorate, anche se è fortissimo vederle così sulle nuvolette rosa, per dirla come direbbe la zia.

Eh? Oh no, no. Non fraintendiamo. Roxen non si è innamorata. Altrimenti quello si che sarebbe stato un lutto.

Non per me ovviamente (sai quanto me ne frega).

Ma te lo immagini il povero sfigato che si invaghirà di lei?

Ne ho profondissima compassione. Povero povero elfo sfortunato.

Dovrebbe avere una pazienza…oppure essere pratico con i matti. Forse ambedue le cose.

E allora chi mai si è innamorato?

Perché si, scusa se ho saltato qualche passaggio (oggi sono un po’ confusa, è entusiasmante parlare di novità), Roxen ha beccato una coppietta coi fiocchi.

Si! Ecco perché era tutta pallida.

Sinceramente, anche io sono rimasta molto, molto basita. Non credevo che… ah aspetta.

Partiamo dalla premessa: la coppietta di cui parlo è Faldio (ti ricordi? Quella specie di tipo che ci ha accompagnate a Qerin, è così simpatico anche se ogni tanto un po’ strano, devo avertene parlato) e…

Indovina un po’?

Dai, è facile, facilissimo davvero.

Sto parlando di…

Ellyn!

Eh si. Ellyn e Faldio si conoscono.

E non solo! Oh, sono così carini insieme…

Beh, comunque. No, mia cugina non si sbaglia. E lo sai perché?

Li ho visti anch’io. E ci ho pure parlato!

Ma cominciamo daccapo.

In breve, Roxen mi ha raggiunta e mi ha detto che doveva farmi vedere una cosa.

Ovviamente, senza aggiungere altro (molto acuto da parte sua farmi morire di paura in quel modo).

Mi ha presa per mano e mi stava trascinando via (per fortuna che ti avevo nascosto sotto la panchina, Willie, e per fortuna  soprattutto che ti ho ritrovato).

Molto intelligente. Mi ha presa e mi ha trascinata.

E pensa, quella scrofa indelicata che non è altro sai che cosa ha fatto?

Quando io le ho chiesto se fosse successo qualcosa di grave a papà o alla zia mi ha bestemmiato contro dicendomi che dovevo stare zitta e seguirla.

Allora io mi sono arrabbiata ed ho tentato di prenderla per i capelli. Volevo farle proprio male, perché non era giusto che si comportasse in quella maniera cattiva.

Lei mi ha bloccato le mani e mi ha continuato a spingere.

Allora si, sono stata un po’ più tranquilla, da quel momento, perché Roxen quando è preoccupata non fa così. Non è violenta, anzi.

Se poi le zia fosse morta di certo quella lì non sarebbe stata così stupefatta.

Sai che pianti si sarebbe fatta? Su, non scherziamo. Roxen adora la zia. È l’unico parente ad esserle rimasto, a quanto pare. Oltre noi, ovvio.

Se fosse accaduto qualcosa a papà non mi avrebbe trattata in quel modo, ma sarebbe stata gentilissima, e lo stesso per Machin (e poi ci sta pure Chekaril lì, il suo amato fratello, figuriamoci quindi).

Allora sono stata un po’ più tranquilla. Però le ho morso la mano. È stato valido, però, perché lei mi ha chiesto di starmi zitta e buona perché doveva farmi vedere una cosa.

Ha sogghignato quando me l’ha detto, in un modo che non mi piaceva, sai, Willie?

Mi ha un po’ messo in allarme. Stava covando una delle sue idee molto bastarde.

Roxen fa paura quando le salta in mente di combinarne una delle sue. Di solito fa la spia, o qualche cosa di simile. Allora l’ho seguita.

Accidenti, non era affar nostro qualunque cosa avesse scoperto. Non dovevamo assolutamente immischiarci in faccende da umani, quello zia ce l’aveva raccomandato.

Per una volta mi sono sentita d’accordo con lei. Siamo lontane da casa e non possiamo combinare guai.

Dobbiamo fare le brave, qui di certo non ci perdonano tutto, e Lilliagrin…beh…la conosciamo bene. roxen specialmente, che ha ancora quel livido freddo addosso.

Comunque, io l’ho seguita lo stesso.

Soprattutto per fermarla, sai. In caso le venissero strane idee c’ero io ad impedire combinasse guai.

Mi ha portato in una specie di canneto, dove c’era  un laghetto (è lo stesso che si vede da camera mia). La prima cosa strana che ho notato è stata… Peggy.

L’ho intravista per caso, ma subito mi ha sorpreso. Che ci faceva lì a braccia conserte, come se stesse aspettando qualcuno?

E, soprattutto, dov’era Ellyn? Lei mi aveva sempre detto che lei e la governante dovevano essere inseparabili, per ordine stesso della madre.

Che cos’era quella cosa strana? Mi sono messa subito a pensare, ma non riuscivo a capirci granché.

Ho pensato addirittura al complotto.

E invece…

Roxen mi ha trascinata fino ad una specie di radura con una palude.

E lì ci sono rimasta. Ma come?

C’erano Faldio ed Ellyn che erano seduti vicini, e si tenevano la mano. Un po’ come bambini, sai.

Ridevano e scherzavano come se si conoscessero da anni.

Insomma, Faldio ed Ellyn!

Sai, ne sono contenta. Faldio è così una brava persona….

Chissà se Lilliagrin lo sa. Non so e non penso che ne sarebbe tanto contenta.

Qui le gerarchie sono molto più forti che da noi. Sono asfissianti.

Per esempio, io potrei tranquillamente fidanzarmi con un bel soldato o una Guardia con un po’ di senno (fidanzarmi? Giammai) e papà, ovviamente conoscendo i buoni propositi (ma io non sono scema) del tipo accetterebbe.

Qui invece…mamma mia. Non si può parlare con una serva che…orrore! Delirio!

Una noia mortale, questi damerini impomatati. Farebbero impazzire un elfo qualunque.

Quindi non penso che Lilliagrin sappia qualcosa dei due. O almeno, lo spero.

Comunque se si devono nascondere un motivo c’è. E roxen voleva pure sbandierare ai quattro venti la notizia!

Dovevi vedere com’era contenta di aver trovato il modo per umiliare definitivamente Ellyn!

Eh no, allora io mi sono ribellata. Non ci stavo.

Già lei aveva a che fare con quella mamma terribile, poi doveva pure rinunciare ad un po’ di svago (ora ho capito perché ama così il giardino)…

Lei voleva addirittura correre da Lilliagrin subito, senza dire nulla a quei due!

Eh no, non ci stavo.

Ellyn è mia amica ed io voglio che sia felice! Non si tocca!

Io gliel’ho impedito. Però abbiamo fatto un bel po’ di casino.

Sai perché, Willie? Rissa ti dice niente?

Si, abbiamo cominciato a picchiarci.

Lì, nel canneto. Ho ancora il labbro spaccato (ma Roxen si è fatta più male, ha ancora il braccio fasciato e gliele ho suonate come si deve, Machin insegna).

Inutile dirlo ,abbiamo fatto un sacco di rumore. Tra bestemmie varie, ci credo.

Sai chi ci ha divise? Indovina.

Naturalmente, Faldio, con in mano un coltello lungo almeno quanto la mia mano.

Lui ci ha guardato.

Noi l’abbiamo guardato.

Poi lui ha abbassato il pugnale. Ci ha guardate in un modo che mi ha fatto venire la pelle d’oca. Quasi come se volesse fulminarci con lo sguardo. Poverino, non gli do torto.

Sai che spavento si saranno presi? Poverini…

Comunque, a salvare la situazione è stata Ellyn. È venuta da noi e ci ha domandate come fossimo arrivate lì.

Ho dovuto inventare una passeggiata, accidenti. Maledetta Roxen e la sua mania di ficcare il naso dappertutto!

Ci ha messo in un guaio…mi ha messo, meglio.

Perché Roxen vuole parlare con Lilliagrin, ed io devo impedirle di combinare qualcosa di grave.

Ora sta pisolando per fortuna, ma prima sono andata a controllare… e…

Va bene. L’ho chiusa dentro. Mi ucciderà al risveglio, lo so. Se scompaio all’improvviso quindi non temere. Mi ha ammazzata.

Comunque, siamo andate un po’ nella radura con loro. Faldio era molto seccato. Si vedeva, non si fidava molto. Ellyn invece era contenta. Avrebbe tanto voluto parlarne prima, solo che aveva un po’ paura.

E sai che cosa ho scoperto pure? Anche zia Lsyn li ha beccati. Nello stesso posto.

Allora sono proprio scemi. Se hanno visto che qualcuno era già arrivato lì perché non cambiavano luogo? Boh. Lo sapranno loro. Che scemi.

Però, brava la zia. Ho detto loro che proprio di noi e di lei si possono fidare. Noi siamo proprio contro Lilliagrin, questo dovrebbero saperlo. Ci ha messi in prigione.

Sai, sono carinissimi Ellyn e Faldio insieme.

Lei è dolce. Lui nemmeno un po’. Spinoso come un istrice, maledizione.

Ma si vogliono pure molto bene. Chissà come faranno quando saranno un po’ più grandi.

Io intanto non vedo l’ora che la regina di ora crepi. Così loro due magari possono fare qualcosa.

È proprio lei il maggiore ostacolo.

Abbiamo fatto una bella chiacchierata, sai, Willie, su di loro. è proprio lei la loro principale detrattrice. Detesta da morire Faldio.

Il tutto perché, secondo Ellyn, lui è una persona che non si lascia mettere i piedi in testa da nessuno, ed i suoi superiori devono faticare parecchio.

Per non parlare del fatto che sia partito dal nulla ed arrivato a comandare un gruppo in così poco tempo!

L’unica loro speranza, a quanto pare, sta proprio nelle capacità di Faldio. Una volta diventato più famoso potrebbe essere meno soggetto a scandali. La loro relazione potrebbe diventare almeno possibile.

Che pena che mi fanno. Se fossero vissuti da noi di sicuro non ci sarebbero stati problemi.

Non si dovrebbero nascondere per passare un’ora in compagnia. che pena che mi fanno, sono sempre così tesi!

E quello che mi sorprende è un’altra cosa….questa storia va avanti da tre anni, ormai.

Tre anni! Non sono bazzecole per gli umani. Dovevano essere quasi ragazzini (anche se Faldio è più grande di qualche anno). Che forza d’animo. Li invidio, tutti e due.

La cosa bella è che si conoscono praticamente da sempre. Faldio è cresciuto al castello con la madre, che era una Guardia della principessa. Il papà era morto in un incidente, perciò.

Da piccoli giocavano insieme e nessuno aveva da ridire!

Quando si sono fatti più grandi hanno pure tentato di dividerli ed allontanarli in ogni modo! Bella cosa però.

Sono indignata, ed è poco.

Insomma, non è un modo di comportarsi quello, è ignobile.

Non sono dello stesso rango? Bella storia.

A questo punto io dovrei essere sola, ad Uruk.

Non c’è mica un’altra principessa!

Logico, no? per gli umani no.

Finché si è bambini è tutto permesso e poi le amicizie vengono stroncate. Che cattiveria. Per fortuna che la mamma di Faldio era una brava persona e li faceva incontrare di nascosto ogni tanto.

E poi si sono innamorati. È così….bleah. Romantico.

Queste difficoltà io però non le concepisco. Erano spaventati come passeri in gabbia.

Tu guarda un po’ che schifosa situazione.

Lo è anche la mia, in fondo. Accidenti, sono in un equilibrio precario. Dovrò parlarne ad Ellyn. Magari così Roxen abbassa la cresta e diventa meno arrogante. Sarebbe molto bello. Un po’ impossibile, però…

Oh accidenti.

È tardissimo, Willie! A quest’ora mia cugina si sarà già svegliata. Oh dei, sono fritta!

Devo correre immediatamente! Mi ucciderà!

A presto Willie!

Nilyan.

 

Ps: sollievo. Tutto a posto. Quella lì dorme ancora. Meglio andare da lei però, che tra poco si sveglia ed è meglio tenerla d’occhio. Non voglio melodrammi durante il mio soggiorno. Quei due più nascosti sono e meglio è. A presto, Willie. Ti voglio bene.

 

 

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Capitolo 64
*** A questo punto mi si può anche chiamare veggente. ***


Stordita è la parola esatta per descrivermi in quell’esatto momento, già

Stordita è la parola esatta per descrivermi in quell’esatto momento, già.

Francamente, mi chiedo chi non lo sarebbe stato al mio posto.

Ma proprio a me dovevano capitare certe cose?

Non bastava finire in una nave traballante e piena di sorprese poco gradevoli quali esercitazioni non previste.

Non bastava nemmeno sapere di andare in un luogo che era più o meno una chimera fantastica, di cui circolavano solo leggende e tutto era coperto dal più stretto segreto di stato.

E non bastava essere coscienti che mai e poi mai saremmo stati benaccetti in quel mondo che ci considerava più o meno primitive e folcloristiche creature con le orecchie a punta ed una strana lunga vita, nonché con un certo numero di discrete fissazioni ed una lingua che era più o meno la stessa da qualche secolo a quella parte.

Non bastava che io fossi uscita da un colloquio con il capitano Lomillie, da cui ero entrata furente come una belva prigioniera, docile come un agnellino. Nemmeno bastavano le prese in giro dei miei amici.

Nemmeno era sufficiente il fatto che fossimo, questo di sicuro, sfigati della peggior specie: un gigante scuro ed un po’ zoppo, un simpaticissimo balbuziente ed un’elfa sfregiata e non proprio nella norma. Né nella statura e né per la mente, immagino. Elfa che, per giunta, soffriva di un’atroce fobia dell’acqua e di un disgustoso mal di mare.

Oltre quella situazione non esattamente simpatica ci si metteva anche la mia testolina a fare scherzetti!

Era troppo.

La situazione era, almeno a mio parere, poco più che assurda. Stavo guardando una creatura uscita dalla mia testa in un momento di puro delirio, giusto?

Insomma, parlando logicamente, da quando in qua ciò che si sogna si vive?

Ehi, sarebbe davvero bello. A questo punto Tijorn ed Akita sarebbero vivi, per tutte le volte che li ho sognati agire in un contesto prettamente quotidiano.

Con tutte le volte che ho sognato Chekaril farmi da zerbino, poi, avrei una collezione di tappetini…

Logico, anzi, scontato, che io fossi, in quel momento, completamente confusa. Non era possibile, e basta. La parte ragionevole di me, se mai ne è esistita una, cercava di convincermi, complicato a dirsi, che il mio fosse solo un sogno di un sogno.

Non ne ero del tutto convinta. Avevo provato anche a darmi un pizzicotto ma avevo sentito dolore.

La parte ragionevole di me si era subito affannata a cercare una spiegazione più plausibile.

Ricapitolando, stavo vedendo qualcuno visto in sogno, in un contesto che poco c’entrava con tutto quello.

Io non ero, né sono, né sono mai stata, una veggente. Ho la capacità magica di una tazzina, e l’intuito di uno sbronzo, qualità di cui ho fatto sfoggio ben più di una volta.

Eppure, a meno che quello non fosse un altro sogno, cosa di cui francamente dubitavo, io stavo vedendo, quello si, senza alcun dubbio, un uomo che nel delirio aveva un corvo in spalla.

Dei se me la ricordavo bene, quella visione, come tutte quelle che avevano seguito quel malore causatomi da un avvelenamento.

O meglio, da un presunto avvelenamento, tra l’altro ammantato del mistero più fitto. Non avevo voglia di indagare su quello che stava succedendo ma, accidenti, ce n’era abbastanza da far lavorare le Spie di Galinne per giorni e giorni e giorni.

Ero stata avvelenata in un modo che assomigliava fin troppo allo stile di una persona a me cara. Una persona morta da ormai centocinquanta anni.

Prima di tutto quello avevo avuto stranissime visioni su una creatura pallida come uno spettro, dagli occhi che guardavano l’aldilà ed i capelli…oh dei, che vergogna, dai capelli celesti, che la sanità mentale me lo conceda.

Quest’essere mi aveva riempito di parole senza capo né coda, poi alla fine mi aveva rimandato in terra a pezzi, in fin di vita.

Nel delirio avevo avuto strani sogni. Non era confortante il fatto che stessi vedendo qualcuno che di regola avrebbe dovuto essere più o meno inesistente.

Ancora peggio era il fatto che, a pensarci bene, quella non era la prima volta che un accadimento appartenente ai sogni infestava la mia realtà.

Il pensiero che già durante il viaggio avevo visto qualcosa accaduto in sogno mi gettava nello sconforto più cupo.

Era stata una cosa stupida, Roxen che si lamentava dal freddo. Si, ma… era una cosa vista in sogno.

Quello poteva essere un caso, certo. Ma la stessa persona…era inquietante.

Che quel maledetto essere dalla capigliatura impossibile mi avesse trasmesso qualche robaccia tipo preveggenza? Oh dei, sperai di no.

Di tutti i poteri quello proprio sarebbe stato il peggiore, di gran lunga. Già mi bastava la consapevolezza di aver fatto un orrendo passato. Pure i futuro e le poche speranze che mi erano rimaste mi dovevano rovinare!

Eh no, quello no. Ma il potere…che so, un po’ di magia in più mi avrebbe fatto comodo. Già da giovane non ero granché, ma dopo l’incidente, a distanza di qualche tempo soprattutto, chissà per quale motivo, la mia predisposizione agli incantesimi era diminuita di parecchio.

Difficile azzardarsi a fare qualche magia. L’ultima volta che avevo cercato di accendere una fiammella per il bricco da tè per poco non avevo appiccato un incendio.

Avevo deciso, dopo quell’incidente, di essere realistica e di non fingermi più la grande maga. Per le piccole incombenze c’erano i miei piccoli, i miei amici…insomma, gente da sfruttare per la loro magia ce n’era, dalle mie parti.

Mi mancavano un po’ quei trucchetti da Spia che un tempo avevo tanto amato, ma non ci potevo fare niente.

Il mio potere si era ritirato come una chiocciola nel suo guscio.

Non era quindi giusto che tra tutti i poteri ereditassi da quel coso il più molesto!

Preoccupata, feci una rapidissima inventiva di tutti i miei più recenti sogni.

Ne dedussi, sollevata, che quello fosse stato solo un episodio momentaneo. Era bello sapere di non essere una veggente.

Nemmeno nel più remoto futuro avrei visto Machin come una persona seria e responsabile. Potevo stare tranquilla.

Un’altra cosa che non mancai di pensare, una volta al sicuro nella mia camera, lontana dalle risatine dei miei sedicenti amici, fu quella che, se davvero tutte le cose da me sognate si sarebbero realizzate… beh, ricordavo bene certe scene.

Avrei rivisto Junielle, cosa che mi faceva particolarmente piacere. Da quando era sparita avevo preferito, per viltà e senso di colpa, di lasciarla stare. Ne aveva passate veramente di tutti i colori, e meritava di dimenticare.

Poi ricordavo quella balaustra, ed i limoni. Chissà chi mi avrebbe abbracciata.

Ricordavo tutte quelle facce sconosciute. La vecchia dalle orecchie piumate, inconfondibilmente una Tengu. La ragazza dagli occhi chiari ed il bambino color cioccolato al latte, dall’aria dolce e gli occhi scuri.

Chissà chi erano. Chissà quando e se davvero li avrei incontrati.

Beh, non era il momento di pensare a loro.

Mi ricordai, vagamente, che quella sera saremmo stati ospiti del capitano Lomillie a cena.

Da quel momento in poi un pensiero ben più mondano mi perseguitò.

Avevo fatto una figura orrenda con Capouille e Zipherias, detta molto in breve.

Ero partita come un drago infuriato, decisa a cantare a Lomillie, come un usignolo, tutti i nostri disagi.

Me n’ero uscita con un mormorio indistinto ed un “si, avete ragione, grazie del trattamento”.

Che umiliazione.

Che vergogna, per me, Lsyn Amarto, geniale Spia del Regno, poi Ch’argon di Uruk, grande rottura di scatole per il principe reggente Isnark, finire in questo modo.

Me l’avrebbero fatta pagare molto, molto cara.

Non sbagliai niente della mia predizione. A questo punto mi si può anche chiamare veggente.

Passai tutto il resto del giorno nella mia camera, in santa pace. Mi concessi anche un pisolino, tanto per stare tranquilla ed evitare di pensare, che mi aveva sempre fatto piuttosto male.

Nessuno mi venne a trovare, indizio che giudicai poco meno che pessimo. Di solito Zipherias mi ronzava sempre attorno benché rimanessimo in silenzio la maggior parte del tempo, cosa davvero costruttiva.

Anche Capouille era sempre da me, se non altro perché aveva qualcuno con cui parlare che non lo prendesse in giro per la sua balbuzie.

Il fatto che non si facessero vedere lo potevo interpretare in molti modi.

Erano arrabbiati con me: no non pensavo. Generalmente se fossero stati irritati non mi avrebbero presa così in giro.

Avevano da fare: certo, in giro per la nave c’è sempre un mucchio di cose da fare. Annegarsi in cima alla lista.

Spettegolavano ai miei danni: ecco, questa era più probabile. Mi correggo. Era l’unica sensata.

Mi preparai mentalmente alla cena di quella sera.

Quei due mi avrebbero fatto pagare ogni singola parola con le prese in giro più terribili.

Già il mio comportamento davvero non da Lsyn era stato preso di mira.

Già, dovevo vergognarmi davvero per il modo in cui mi ero comportata. Ma non ce la facevo. Quello strisciare, avevo ormai capito, era l’unica maniera per uscire vivi.

Da brava veggente non sbagliai la mia previsione di un solo particolare.

Sentii bussare alla porta verso sera. Mi preparai stoicamente a ciò che sarebbe successo.

Dire che mi presero in giro fu davvero poca cosa rispetto a ciò che realmente successe.

Durante tutta la cena, svoltasi in uno stanzino arioso, non mancarono le frecciatine, le risate e le occhiate ironiche da parte dei miei due amici, che, ogni volta che aprivo bocca, si scambiavano uno sguardo sorridente.

Presi a detestarli. Rinunciai a contare le gomitate che diedi a Zipherias dopo la quarta, quando capii che la mia ribellione silente non sarebbe valsa a nulla.

A parte quello, Lomillie si dimostrò piuttosto dolce, e simpatica, anche se con una certa vena di autoritarismo che non avevo mancato di notare al nostro primo incontro.

Ti faceva dire esattamente quello che voleva sentire, fino all’ultima parola.

Aggirava abilmente ogni ostacolo, e per poco non mi capitò di confessarle qual cosina sul mio passato, del tutto innocentemente.

Era peggio di un duello. Fui costretta a misurare le parole con estrema attenzione, stando attenta a non rivelare più del necessario.

Quel capitano poteva ricamare su una mia affermazione e tirare le sue conclusioni, generalmente corrette.

Campo minato fu, tra tutte le cose, me stessa.

Incuriosita dal mio strano abbigliamento, dal fatto che indossassi sempre lo stesso colore e  dal fatto che sembrassi appartenere ad un certo rango, Lomillie mi fece un sacco di domande sull’essere Ch’argon.

Fu estenuante.

Quella donna era maledettamente acuta. Mi pentii amaramente di avere risposto in maniera esauriente alle sue domande precedenti.

Avevo casualmente detto che il mio rango non era stata una libera scelta, e lei aveva immediatamente colto la palla al balzo, domandandomi ovviamente perché io dicessi questo.

Avevo finito per impantanarmi nelle mie stesse parole.

Avevo cercato di spicciarmi con poche parole, ma il capitano, solerte, mi aveva fatto altre domande.

Ad esempio, avevo risposto che era una storia lunga.

La pronta risposta era stata che di tempo ne avevamo, lei dormiva poco ed anche noi.

Avevo fatto di tutto e di più per evitare di dire troppo.

Non sarebbe stato piacevole, né per me e né per lei, sottolineare il mio passato non proprio pulito.

Ero stata una Spia, accidenti. E nemmeno una delle più tranquille.

Ombra ancora infestava i miei sogni ed i miei pensieri.

Non avevo mai fatto realmente il conto con il peso di un passato ingombrante.

Avevo sempre controllato le reazioni altrui, ma non mi ero mai confrontata con la Lsyn di un tempo.

Avevo finito per fuggire, senza accettare un tubo. In fondo, tutti mi accettavano per com’ero. Non per come sono stata.

A parte Nemys, chi mai, venuto a conoscenza di tutto, mi poteva perdonare? Avevo commesso un sacco di orrori, e me ne pentivo.

Più che altro rimpiangevo la mia completa solitudine.

Tijorn, Junielle, Akita ed Amarto, i miei cari, condividevano in un certo senso il mio destino dalle mani sporche di sangue.

Capouille e Zipherias… non credevo fossero a conoscenza di tutto.

Isnark sapeva, e per molte cose mi disprezzava fieramente, ancora.

Nemys era morta.

Ai miei protetti avevo nascosto tutto…tutto!

Difficile, quindi, fare i conti con me.

Durante quella cena che mi sembrò un interrogatorio, ad un certo punto, mi sentii così in difficoltà che le prese in giro e gli sfottò cessarono in un attimo.

Addirittura i miei amici cercarono di andarmi in aiuto, invano. Non capivano, forse, la causa di tutto quel disagio.

Anche Lomillie, dopo un po’, dovette accorgersi che era meglio non andare oltre, e desistette, con uno sguardo diffidente.

Era ovvio, di certo non guadagnavo la fiducia altrui con quel comportamento ritroso.

Ma era necessario. L’aria mi mancava se pensavo di dover parlare con qualcuno del mio passato.

Cercavo di convincermi che fosse morto, ma era più vivo che mai, e mi tormentava con i suoi blocchi.

Il resto della cena passò in un silenzio mortale, per me benefico.

Per quella volta riuscii a mettere tutto da parte, senza rimanere troppo a rimuginare sulla mia viltà.

Si, io ero vile. Avevo paura di me stessa. Quella che ero diventata faceva di tutto per soffocare quella che fui un tempo lontano, quella che per molti sensi sono ancora.

Ero ancora un po’ turbata, certo, ma riuscii a stare tranquilla.

Tuttavia, quel senso mortale di inquietudine non se ne andò.

Prima o poi, lo sapevo, avrei dovuto fare i conti con me stessa. Quella, per me, sarebbe stata la più grande battaglia, al confronto della quale Regno e noi diventavamo piccole formiche.

Per quel momento, fortunatamente, fu rinviata. Avemmo molte cose a cui pensare.

Troppe, per pensare a noi stessi.

 

Le prime avvisaglie che qualcosa stava cambiando si ebbero due giorni dopo quella disastrosa cena.

Zipherias e Capouille avevano ripreso a trattarmi normalmente.

Lomillie non ci aveva più chiamati, e noi non ci eravamo sicuramente fatti più vivi.

Perciò, per noi fu una sorpresa quando ci convocò nello studio della prima volta.

Era molto seria, e continuava ad armeggiare con delle carte.

Ce le consegnò dicendo poche parole, senza rispondere quasi alle nostre domande.

Ci intimò solo di non leggere quei plichi accuratamente sistemati, di non toccarli.

Ci guardammo, perplessi. Poi fummo congedati. Esaudimmo al’ordine del capitano, come storditi. Non riuscivamo a capire.

Silas sparì, senza motivo alcuno, una mattina.

I rumori sotterranei, che provenivano dal ventre della nave, si fecero più intensi, e la vibrazione regolare che scuoteva il suo scheletro di metallo aumentò.

Non potevo appoggiarmi a qualcosa che mi battevano i denti.

Cominciammo ad inquietarci.

Che cosa stava succedendo? Perché nessuno ci diceva nulla?

Provai addirittura ad attaccare bottone, io, che non avevo mai avuto intenzione di parlare a chicchessia, con i marinai che portavano i nostri pasti.

Nulla. Una tomba sarebbe stata di gran lunga più loquace.

Riprendemmo le nostre abitudini, che avevamo un po’ trascurato. Cominciammo ad essere sempre insieme. Trovavamo conforto nella presenza degli amici. Mai come in quel momento ho capito quanto sia indispensabile avere un amico accanto. Da sola non avrei retto alla tensione, che permeava tutto come un traccia oleosa.

Si avvicinava qualcosa. E presto ne avemmo la conferma.

Una sera, nella mia stanza, mentre stavamo per lasciarci per la notte, entrò un marinaio, con ordini da parte di Lomillie.

Ciò che disse  fu perentorio.

Dovevamo prepararci. Il giorno dopo saremmo arrivati al punto di ritrovo con le navi di Atlantis.

Un’altra parte del nostro viaggio stava per cominciare.

 

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Capitolo 65
*** La mia fervida immaginazione mi fa vedere cose molto, molto strane. ***


Oh povero me

Oh povero me. Povero povero me. Poveri i miei sogni buttati al vento.

Siamo morti. Morti stecchiti eh. Su questo proprio non ci piove.

Oh, per una volta consento a tutti di chiamarmi idiota. Non è possibile finire in questo modo!

Moriremo. Moriremo tutti.

Accidenti, così giovane e già devo morire.

No aspetta.

Ma io per quale arcano motivo dovrei morire, scusa? Sono ancora vivo, no? Voglio rimanerlo il più tempo possibile, questo mi pare ovvio. Uccidi Chekaril. Uccidi Chekaril ed andrà tutto bene.

Machin Tijorn invece non si tocca. Diavolo: mio padre era un eroe, mia zia la Ch’argon di Uruk ed io dovrei morire? Uccidi Chekaril, coso. Ecco ora va bene.

Suona meglio. Uccidi Chekaril non me, qualunque cosa tu sia.

Lui non è nessuno. Ha una madre dal nome così, inutile, ed un padre che nessuno ha mai conosciuto. Krish. E chi poteva mai essere questo tipo, un re?

Io mi domando una cosa accidenti.

Ad Uruk non abbiamo mai incontrato questi problemi. Ma che, tutte le cose strane si concentrano fuori?

Ma nemmeno la zia, che pure ha viaggiato molto, ha incontrato tutti questi problemi.

Siamo noi ad avere un bel po’ di sfortuna, a quanto pare.

Avevano tutti voglia di dirci i draghi non esistono!

Mica sono andati in giro come noi, eh. Solo una cosa mi sorprende: cavolo, zia ha viaggiato per tutta la sua vita, e tuttora è sempre in movimento, di malavoglia è vero, ma sempre in giro.

Mi ha sempre raccontato un mucchio di storie bellissime sui suoi viaggi.

Sugli uomini-uccello, i Tengu, che l’avevano fatta prigioniera, su regni lontani, su Fiya.

È andata pure nel Grande Nord, demoni del fuoco, si è spinta molto più in là di noi…

Eppure mai una volta ha visto un drago!

Allora, due sono le cose: siamo pazzi o molto, molto sfortunati. Ed io propenderei per la seconda.

Condita, ovviamente, da un po’ di imprudenza.

Imprudenza? Ferma Machin, no. Io non sono imprudente. Sono troppo fantastico per esserlo.

È solo che i guai mi cercano, mi cercano e mi trovano. Io sono attentissimo sempre e comunque. Nessuno può dire il contrario.

Anche Chekaril è attento, quindi non può essere altro che sfortuna.

In fondo, non è colpa nostra se ci troviamo in un boschetto con un drago delle nevi a fianco, peraltro un cucciolo, che ci ha salvati dai suoi simili, ed una creatura misteriosa di fronte.

Non è colpa nostra se siamo scappati da un luogo dove volevano ucciderci.

Oh dei mi vengono in mente tante cose orrende.

E se quegli occhi scuri che brillano al buio sono di un simile di Nep? Ci avranno trovati?

Oh miei dei, no ti prego Machin, non pensarle nemmeno cose del genere. E poi ricordati che tutti avevano occhi azzurri. O no? Oh ora non ricordo bene, oh, accidenti, scemo, ricordati!

Mi pare che avessero tutti occhi chiari. Quindi la spiegazione che mi sono data non vale.

Non ci stanno seguendo. La mia è una paura inutile. Sarà solo un’altra bestiaccia.

Un’altra bestiaccia! Ma non potevamo rimanere tranquilli?

Già abbiamo questa sottospecie di drago con un preoccupante carattere tirannico.

Che cosa ci aspetta, ora, un cavallo parlante?

A parlare parla. Quindi so già che mi devo preoccupare, e molto.

O meglio.

Sono già preoccupato.

Quindi devo solo prepararmi alla fuga. Prepararsi alla fuga, prego.

Le creature che parlano e che hanno occhi sbrilluccicosi sono le più pericolose.

Possono convincerti di volerti leccare quando poi ti divorano, ehi questa è molto intelligente da dire.

Quindi, almeno una cosa l’ho imparata. Starò diventando la persona socialmente responsabile come vuole la zia?

Oh per tutte le costine di agnello arrostite, no, per favore. Ma pensiamo ad altro. Questo drammatico interrogativo deve slittare Machin, mi dispiace. Magari quando non sarai più in pericolo di vita, eh?

Perché ora mi sembriamo in pericolo di vita.

No la cosa non mi piace.

No.

Per niente.

Preferirei essere a casa con i piedini al caldo.

Sono congelati.

Che cosa può essere che ha inquietato tanto Nep? Qualcosa di grosso sicuramente.

Molto grosso.

Mi sa che Chekaril prima o poi se la farà addosso. Più prima che poi. È più o meno color latte.

Andato a male, ovvio.

Accidenti come ci sta guardando il drago. Sembra molto allarmata, anche se non capisco mai le sue espressioni.

Sembrano tutte uguali. Beh a me sembra allarmata. Spero che sia solo una mia impressione.

Salitemi in groppa. Subito!

No, non è una mia impressione. Ho visto giusto. Nep è allarmata. Parla paure a bassa voce, quindi non vuole essere sentita da quello. Ha paura. Di cosa, poi? Mi tremano le ginocchia. Accidenti Machin, non cadere proprio ora, non è il caso.

Oh, per fortuna sono salito senza problemi. E sono anche dietro. Quel pollo di Chekaril ha avuto la brillante idea di salire in un lampo e l’ho fregato.

Ah, il grande Machin l’ha sempre vinta.

Vorrei averla vinta sempre, ed in un momento più opportuno, ma non è stato possibile.

Quindi, godiamo della vittoria.

Oh, ma che cos’è questo rumore nell’ombra? È davvero sgradevole. Sembra quasi un grugnito.

“paura, bianco cucciolo?”.

Ma tu sentila questa voce. È…divertita. Oh che antipatia. Quella di prima sarà stata una risata. Brr. Ho la pelle d’oca.

Com’è profonda. Sembra venire dalle viscere della terra.

Ehi, brava Nep. Sta scuotendo la testa. Si certo, al crederà. La sento tremare come una foglia.

Ma perché tra tutti i draghi possibili ed immaginabili ci doveva capitare proprio quello pauroso?

Diamine, ma è un drago. Una creatura enorme.

Di conseguenza non doveva avere paura.

Tra poco si ridurrà in gelatina.

Chekaril sta peggio.

Ah accidenti, mi rincresce dirlo ma mi sento l’unico sano in questa comunità.

Non so se sto tremando io o se è Nep. Ma si sarà sicuramente questo cucciolo vigliacco.

Sicuro.

No di certo. È che andiamo un po’ di fretta…e

Brr. Ancora quel grugnito. Si, sarà proprio una risata.

Accidenti ma com’è profonda. Non capisco quale creatura la possa produrre.

Viene dagli incubi. È inquietante.

Oh, va bene. Ora ho proprio paura.

Voglio la zia! Dov’è la zia?

E perché questa cretina non scappa? Muoviti, bestia!

Uffa. Voglio andare via maledizione.

“molto, molto divertente, creaturina. Non volete proprio fare un po’ di compagnia ad un vecchietto tutto solo?”.

Ma anche no, grazie. Specialmente quando il vecchietto in questione dice certe cose con una voce molto divertita.

Io proprio non mi fiderei. Sicuro ci vuole fare del male.

Ma senti come sbuffa, Nep. Si vede, è inquieta. La cosa non deve piacerle molto.

La cosa non piace molto nemmeno  a me. Questa sa tanto di trappola.

“in fondo non capita spesso che qualcuno entri nel mio territorio…”.

Ma perfetto! Siamo nel territorio di questa cosa misteriosa e non lo sapevamo!

Ora capisco perché Nep era così inquieta. Sapeva.

A questo punto potrei anche sentirmi un pochino in colpa. In fondo sono stato io a consigliare di riposare un po’.

Ehi, perché devo darmi la colpa di quello che è successo? Lei poteva anche rifiutarsi di scendere, tanto io non avrei potuto dire nulla.

A questo punto la colpa ricade su di lei. Che sia mangiata lei, dunque. Io di sicuro non c’entro niente.

Tanto lei è grande. A questo punto potremmo pure dividerci, no?

Lei rimane a fare compagnia al vecchietto e noi andiamo per i fatti nostri.

Ah brutto Machin, ma che pensi? Mi vergogno di te.

Però non sarebbe una cattivissima idea. Qui ormai ci sono boschi, la caccia sarebbe assicurata.

In un modo o nell’altro riusciremmo a sopravvivere.

Certo, eh, non ce ne può capitare una buona. Finiamo sempre nei luoghi più assurdi.

Con le creature più assurde, direi.

Accidenti, che silenzio che si è creato.  Non mi piace.

Nep si sta tendendo. Come se dovesse spiccare il volo da un momento all’altro.

Quegli occhi scuri non mi piacciono, per niente. Brillano di una luce maliziosa.

Cattiva, cattivissima.

Oh no, Nep.

Non voglio pensare che il drago stia per fare quello che penso voglia fare.

C’è una calma innaturale. La calma prima della tempesta.

Oh accidenti, io non voglio finire nei guai, proprio per niente. Voglio tornare a casa, stare tranquillo, continuare il mio placido mestiere di guardia fino alla mia morte, e basta.

Io sono un tipo pacifico, non mi piacciono gli scontri.

Tu guarda come quell’imprudente di rettile guarda quegli occhi.

È spaventata si vede. Ma, ovvio, fin troppo ovvio, sta sfidando quella creatura.

Qualunque cosa sia.

Non penso sia qualcosa di dolce e molto bello, comunque.

Non quella voce che viene dritta dritta dall’aldilà.

E se fosse un fantasma? Oh dei, non mi ci fare pensare.

Nah, impossibile. Insomma, non può avere occhi così grossi.

Sono piccoli, vero, ma non per un uomo.

Sono troppo grossi per qualunque uomo. Andrebbero bene per un grosso cavallo, credo.

Uno di quelli proprio grossi, da battaglia.

Ehi, e se quello fosse un cavallo?

Oh dei saremo proprio finiti. A cavallo, per così dire.

Insomma, un cavallo parlante non è il massimo della sanità mentale.

Oh, su, non prendiamoci per scemi. Da quando sono in viaggio ne ho viste di tutti i colori.

Non sarà un cavallo parlante a farmi paura.

Ehm…per ora mi fa più paura un prossimo scontro tra questa idiota e quell’altro, di idiota, non è più sensato?

Sono in groppa ad un drago incazzato nero.

O un drago che vuole fuggire.

Non so quanto sia appropriato, in queste circostanze.

Non so quanto sia appropriato tutto, a volerci pensare bene.

Ah!

Che succede?

Chi si è mosso, allarme!

Oh, mi gira tutto, accidenti. Che sta succedendo?

Ahi! Perché questa botta alla testa?

 

Che sta succedendo? Non capisco più nulla. Che cosa è successo?

Ahi, che mal di testa. Ahi.

Chi sono? Non capisco. Mi sembra di stare a terra…ma…c’è qualcosa che non va.

Nep? Chekaril? Che succede? Perché sento questi strani rumori, come ringhi?

Accidenti, il mostro. Ho l’impressione che Nep sia voluta scappare.

Si ma…perché sono a terra? Sicuramente questo non è il dorso di quel rettile sconsiderato.

È successo qualcosa?

Devo essere svenuto, devo aver sbattuto la testa.

Non dirmi che ci ha attaccati.

Non sono morto, vero? No, non mi sembra.

Ahi, spero solo che non sia grave. Fa un male orrendo.

Non capisco.

Ahi, forse è meglio aprire gli occhi. Capirò qualcosa, magari.

Oh accidenti, la luce mi ferisce. No, li devo tenere aperti. Devo sapere che cosa sta succedendo.

Ah, ora riesco a  vedere qualcosa. Ma che schifo di mal di testa.

Mi fa male tutto. Non credevo di avere così tante ossa in corpo, accidenti.

Devo essere caduto. Altrimenti non si spiega. Sbalzato via.

E accidenti poteva pensarci prima di fare gesti sconsiderati!

Chekaril? Ma mio cugino dov’è? Ah, eccolo lì. Ehi, mi è quasi finito addosso.

È tutto rannicchiato, deve fargli male qualcosa, ma è sveglio.

Ehi, mi vedi?

Ma perché mi sta facendo quei gesti? Non capisco. Ha in viso un certo orrore… come se mi dicesse di guardare qualcosa.

Qualcosa, che devo guardare?

Va bene, ti obbedisco, e

Oh.

Oh dei.

Stavolta abbiamo proprio avuto una sfortuna nera.

Santi dei orrendi, che cosa è quello?

Voglio scappare. Oh dei, fatemi andare via di qui e il più presto possibile!

Ma perché non riesco a muovermi!

Oh no. Sono bloccato! Posso solo muovere la testa. Mi hanno bloccato!

Oh, non voglio vedere. È troppo orribile.

È…com’era quella parola? Abominio.

È…ah, orrore.

Dei, che brutta faccia. Ha degli occhi piccolissimi e tutti neri. Un muso tutto denti, e delle corna…lunghe. Mi sembrano quelle delle capre. È tutto nero, accidenti, è una creatura demoniaca!

Muoversi, muoversi! No, niente.

Chiudo gli occhi, è meglio.

Potrebbe essere un drago? Ma i draghi non sono così brutti. Soprattutto hanno quattro zampe.

Quell’essere non ha quattro zampe. Ed ha un collo luungo. Lungo lungo lungo.

Ah, smettila di pensarci.

Ma come faccio a smetterla!

Ho un mostro a pochissimo dal naso!  Un mostro che ha bloccato me, Chekaril, e pure la nostra unica salvezza!

Io ammazzerò Nep, prima o poi. Ma è possibile?

Dalla padella alla brace. Che cosa meravigliosa.

Brr, serra gli occhi che è meglio.

Sono in un incubo, si. Sono in un incubo.

Non possiamo essere prigionieri di un mostro. È solo la mia immaginazione troppo fervida che mi fa vedere certe cose.

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Capitolo 66
*** Che bella giornata, oggi! ***


Fiya

Fiya. Palazzo reale. Ala ovest. Camera(la mia ,ovviamente) da letto, scrivania, armadio (rigorosamente vuoto, mica mi sono portata tanto io, il necessario per sopravvivere, non sono come Roxen), letto, coperte (celesti. Come sono belle), comodini e lampade, pavimento, sedia, soffitto, porta, porta, porta. Mi manca qualcosa. Ah si, me. Seduta sulla scrivania. Ah si. Finestre. È pomeriggio inoltrato, quasi sera..

Tempo ottimo, fa un caldo mortale. Ma come faranno a vivere d’estate se in inverno fa così caldo?

Ho tutte le finestre aperte.

Ellyn dice che così morirò di freddo. Non è evidentemente mai stata al nord. Lì congelerebbe?

 Ho provato a spiegarle che da noi di solito questa temperatura è della primavera inoltrata, ma non capisce. Pazienza.

Bene, ho detto tutto. Posso cominciare, ora?

Mi annoio da morire a scrivere queste cose.

Però siamo in un diario e un diario è un diario e merita la sua bella forma.

Come se lo leggesse qualcuno all’infuori di me.

Ci provassero solo…. Comunque.

 

Ciao, Willie!

Che bello, ho un sacco di cose da raccontarti. Per una volta tanto posso parlare di qualcosa, e non dei soliti quattro pettegolezzi di quartiere (o di palazzo)!

Tu come stai, intanto?

Io una meraviglia.

Quella specie di ciondolo magico che mi hanno regalato (grazie ancora, Ellyn) funziona davvero, e anche bene!

Non che io non ci credessi, solo, avevo sempre un po’ di paura, sai.

Una crisi mi fa molto male, e a me non piace stare male.

Io voglio stare bene, andare avanti ed indietro ed essere solo felice, con papà, la zia, Machin, e tutti gli altri.

Non è un desiderio cattivo.

In fondo, su sono solo una giovane elfa. Non voglio certo fare del male a qualcuno,eh.

Forse un paio di dispetti a Lilliagrin, di quelli grossi…magari come lo scherzo della parrucca che facemmo io, Machin e la zia ai danni di quel povero sacerdote.

Chissà se Lilliagrin indossa la parrucca.

Oh, già è brutta abbastanza così. Non mi ci fare, pensare, non voglio brutti sogni!

Allora oggi finalmente ho fatto una cosa bella. Sono ancora tutta contenta. Finalmente un po’ di movimento, cominciavo a temere questo mio soggiorno.

Insomma, non è il massimo del divertimento stare tutto il santo giorno a fare le stesse cose. Ne abbiamo già discusso, no?

Comunque, siamo riuscite, per fortuna, a fare qualcosa.

Ah, Willie, che giornata.

Sono così felice che non ti puoi immaginare.

Indovina perché?

Oggi siamo andate a Qerin. A Qerin!

In giro per la città, con Roxen, e, udite udite, Ellyn!

Sorpreso?

Anche io lo sono, e davvero davvero molto.

No, non ti preoccupare, non siamo fuggite. Non ho la minima voglia di ripetere una cosa del genere dopo l’ultima volta…

Visto, mi è servita, quella lezione!

Più che altro non vorrei assaggiare di nuovo quei dolcetti orribili.

Cose del genere, insomma. Mi serve, in pratica, qualcuno che conosca Qerin, per girare. Mi pare ovvio (non mi pareva così ovvio quando sono scappata, ma mica pensavo che facessero dolci così schifosi).

Visto, Willie? Sto diventando una persona seria e responsabile, un’adulta!

Quando racconterò tutto questo alla zia…

Già, povera zia. Chissà dov’è ora. Mi manca.

Va beh, non pensiamo alle cose tristi. C’è tanta felicità in questo mondo, perché pensare alle cose tristi?

Eh eh. Sto diventando anche filosofa.

Ah, l’aria nuova fortifica! Ma passiamo a noi, Willie, che ho fin troppo da raccontare.

Ieri sera, ad un certo punto (a proposito, Roxen non si è accorta di nulla. Le ho aperto la porta in tempo, per fortuna. Poi l’ho invitata a giocare a carte da me. Insomma, mi annoia a morte stare con lei, sembro una vecchia zitella, però dovevo trovarle qualcosa da fare, altrimenti  quest’ora non so che cosa sarebbe successo. Niente di bello sicuro), eravamo io e quella strampalata di mia cugina nella mia stanza.

Ce ne stavamo tranquille per conto nostro quando, ad un certo punto…

Ta dan!

Qualcuno ha bussato alla porta.

E chi poteva essere, secondo te? Dai, prova ad indovinare.

Non è difficile.

È un’umana (ma va. Siamo circondati, assediati da umani. La cosa mi piace, devo dire. Sono tutti così simpatici e vitali, mica come qualche consigliere muso lungo di papà, che non sorride nemmeno se gli fai il solletico. Ed ho provato. Io e Machin siamo finiti in punizione per un mese, per quello. Non avevamo fatto niente di male. Era solo solletico).

Lilliagrin? Oh gli dei ce ne scampino e liberino.

Quella creatura è diabolica. Ogni tanto la vedo per i corridoi, e mi saluta con un sorriso così subdolo e falso che mi verrebbe voglia di chiamarla vipera.

Vipera. Così la chiamerò qui, d’ora in poi. Tanto, nessuno legge… a parte te e me, ovviamente.

Comunque, no, non è la Vipera. Per fortuna…altrimenti non sarei così di buonumore.

Altro indizio: è giovane.

La servetta con cui ho cercato di parlare? No, poveretta, quella ragazzina è terrorizzata dalla mia crisi. Piccola, non la biasimo.

Dai, è facile!

Altro indizio: è una principessa.

Ellyn? Si, esatto!

È venuta a bussare Ellyn con Peggy, l’onnipresente Peggy.

A proposito. Da quando abbiamo scoperto il fatto di Faldio Peggy è diventata stranamente espansiva.

Parla ed è dolce, molto dolce, con noi. Con me, almeno. Ma lo ritengo normale, Roxen sta facendo di tutto davvero per farsi odiare.

Comunque, quelle due ci hanno bussato, e quando io ho aperto, ed ero molto molto sorpresa sai, di solito Ellyn non viene mai di sera, ci credi, sono stata investita da un turbine.

Non avevo mai visto Ellyn così entusiasta.

Mi ha salutato quasi senza prendere fiato. Ha quasi abbracciato anche Roxen, il che è un fatto grave.

Che diavolo era successo? Forse la madre le aveva dato in sposo Faldio? Nah, sono andata a pensare subito la cosa più stupida di tutte. Impossibile, credo.

Comunque, quando le ho chiesto come mai fosse così allegra lei si è stretta nelle spalle. E poi ha domandato se poteva cenare con noi.

Strano, stranissimo. Io e Roxen eravamo molto perplesse.

Eravamo sempre a colazione da lei, ma… a cena… di solito a quell’ora lei studia, o dorme, o legge…fa qualcosa che noi non facciamo, insomma.

Comunque, poteva essere che so, una coincidenza.

Io di certo non so che cosa si aggira nella mente di Ellyn. Non sono lì, dopotutto!

Beh, abbiamo cenato tranquille.

Poi quell’altra si è messa a temporeggiare, e temporeggiare e temporeggiare.

Ma si vedeva, stava covando qualcosa. Non sono mica così sciocca da non accorgermene!

Ad un certo punto mi sono scocciata, e le ho domandato  perché  fosse così allegra.

Lo vuoi sapere che mi ha risposto? Lo vuoi sapere proprio?

“era ora che me lo chiedessi”.

Per tutte le maledettissime oche giulive!

Non poteva temporeggiare un altro po’ eh?

Se fosse stato per noi si sarebbe fatto notte.

Quando si ha una vita superiore a quella degli umani di circa dieci volte penso che il tempo abbia una prospettiva lievemente diversa…

Roxen le ha fatto un’occhiataccia… mamma mia. Sembrava volesse mangiarsela tutta in un boccone.

Povera Ellyn, si è fatta piccola piccola.

Conosco bene gli sguardi di mia cugina, e so quanto possano essere…omicidi.

Ormai io ci sono avvezza (ehi, che bella parola. Molto ricercata. Ah, si vede, la boccata d’aria mi ha fatto bene), ma Ellyn… povera ragazza.

Roxen può essere terrificante. La capisco perfettamente.

Quando eravamo più piccina lei mi faceva sempre questo scherzetto quando voleva rubarmi qualche biscotto dal mio piatto.

Ovviamente, dopo un po’ mi sono abituata. E gliele ho fatte passare di tutti i colori, davvero, povera elfa. Ma se lo meritava.

Comunque, torniamo al mio racconto. È molto più interessante del sale che mettevo sui biscotti che davo a Roxen.

Dopo un po’ Ellyn ha cominciato a raccontare, e… sorpresa!

Oh dei, io vorrò per sempre bene a quella cara, cara ragazza.

È la mia eroina, trova sempre una soluzione a tutto! Io la adoro!

Insomma, ci ha proposto una cosa. Più che proposto…ehi. Lo sai che stava preparando tutto questo da una settimana e non ci ha detto nulla?

Praticamente, si avvicina una data molto importante: una festività in cui tutta Fiya è in festa.

Non mi chiedere che diavolo festeggino, non lo so.

Forse… il cambio di tempo? Gli equinozi?

Boh. Comunque sono tutti in festa, e preparano le loro case.

Ma la cosa importante è un’altra:

Ellyn può andare per Qerin.

Insomma, una volta o due all’anno, per tre o quattro giorni viene scarrozzata a suo piacimento, pronta a farsi un bel giro per la sua città.

E…indovina?

Quest’anno, visto che ci siamo anche noi….ci ha invitante con lei! A Qerin! In giro!

Oh dei, non credevo di essere così felice di andare in giro in vita mia. Di solito per me è normale gironzolare per Kyradon. Nessuno oserebbe torcermi un capello.

Chiunque mi avvicinasse con cattive intenzioni sarebbe linciato dalla folla inferocita. Chissà perché mi amano tanto. Sarà perché sono l’unica erede al trono.

E comunque, la mattina saremmo andate per Qerin, a fare qualcosa di bello. A girare, ad incontrare gente…

Oh! Ero al settimo cielo.

L’ho abbracciata ed ho detto che per noi andava bene, benissimo. Pure Roxen era allegra!

Ah, Willie, immagini? In giro. Stavolta no di nascosto. Stavolta saremmo andati in giro…con Ellyn!

Lei ci ha consigliato di metterci cose molto comode, perché avremmo visitato i quartieri più poveri e poi saremmo andate a fare una bella scampagnata.

Oh, non vedevo l’ora. Sarei andata anche in camicia da notte, tanto ero entusiasta.

Il tempo è passato in un lampo. Il giorno dopo siamo partiti molto presto.

Com’era carina, Ellyn. Tutta vestita di bianco e rosa molto chiaro (che è accidenti, un colore proprio da Roxen). Noi invece abbiamo messo i nostri abiti da viaggio. Semplici e comodissimi.

Chissà perché  ci hanno guardati tutti in modo strano. Non devono essere abituati a vedere vestiti di un certo tipo.

Ellyn ha detto che ci invidiava. Di solito lei è abituata, anzi, obbligata, a portare solo gonne ed abiti ingombranti, quando deve fare qualcosa in pubblico.

Ammetto che è una gran noia. Accidenti, allora un giorno io la devo invitare a Kyradon. Si divertirebbe da matti. Lì nessuno fa caso ai vestiti.

Un giorno Machin, per puro sfizio, se n’è andato in giro indossando una camicia da notte che chissà da dove aveva pescato.

Per tutto il giorno nessuno gli ha detto niente. È arrivato da zia e nemmeno lei ha fatto qualcosa, solo sollevato un sopracciglio ed intimato di cambiarsi perché era ridicolo e sembrava una ragazza. Ha scelto le parole giuste.

Non ho mai visto Machin cambiarsi con così tanto entusiasmo.

Comunque, tutta la mattina siamo state con Ellyn. Noi su una carrozza, poi seguite tutte e tre da un carro dove stavano dei piccoli, utili generi che la principessa avrebbe distribuito.

Accidenti, io non l’ho mi fatto.

È vero, è raro trovare qualcuno davvero povero da noi elfi, evitiamo che accada in ben altri modi, ma io non sono mai andata a distribuire nulla.

A volte sembrano avere troppo rispetto di me. Insomma, non mi permettono di fare amicizia con nessuno, sono tutti deferenti.

Ellyn invece oggi sembrava quasi una di loro.

Quando siamo arrivate c’era già parecchia gente, e poi si sono aggiunte molte altre persone.

Lei è uscita e tutti si sono accalcati intorno. Abbiamo anche aiutato a distribuire le cose. Solo che la gente che le prendeva da noi dopo averci ringraziato ci guardava, stupefatta.

Beh? Non abbiamo nulla di strano. Siamo elfi.

Chissà quanti ci hanno fatto delle domande, ma io non capisco la loro lingua, e loro non comprendono la nostra. Con Ellyn e la corte mi esprimo in lingua franca.

Comunque dopo un po’ la gente veniva da noi solo per guardarci. Chissà che si sono detti.

Poverini, erano tutti un po’ tristi e magri, anche se non proprio tanto.

Io ho spiato Ellyn, per vedere che faceva.

Chiacchierava con tutti e sorrideva e scherzava.

L’ho invidiata. Io con gli abitanti di Kyradon non posso fare altrettanto. Solo con la corte posso giocare, ma perché loro mi conoscono.

Dopo la mia ennesima marachella hanno preso a trattarmi come una bambina scapestrata qualunque.

Il fatto che mia zia corresse dietro a me e Machin, strillando, ha aiutato e molto.

Ma tra i  comuni cittadini no, nessuno mi conosce.

Willie, mi piacerebbe tanto essere come Ellyn. Chissà perché tutti hanno anche un po’ paura di me. Spero non  per le crisi.

Comunque, Roxen era di tutt’altro avviso.

Era arrabbiatissima. Nera, nera davvero.

Ha borbottato per tutto il tempo.

Ce l’aveva con tutti.

Con “quella massa di cani rognosi e pidocchiosi che non fanno altro che mendicare”, e questo non è vero, sono regali;

con “quella stupida che sorride come un’idiota, sembra le si sia paralizzata la faccia”, invece è carina;

con “quei leccapiedi che sorridono e fanno moine solo per avere qualcosa in più” Roxen pensa sempre male;

infine, “ma tu da che parte stai?”. Tipico.

È stata così anche durante la scampagnata, che, a parte lei, è stata piacevolissima. Non vedevo un bosco da settimane. Mi sono arrampicata su un albero, ed ho cominciato a fare un po’ la pazza.

Ellyn mi guardava. Penso che fosse il suo turno di essere invidiosa. Non sarà mai agile come un elfo. Soprattutto, non sa nemmeno cos’è vivere nei boschi. Io ho passato tutta la mia vita nel verde.

Ah, è stata una botta di vita!

Comunque, anche lì Roxen si è lamentata.

Di tutto, perdinci!

Dei ragni, del terreno nelle unghie, delle mie risate. Di tutto.

Spero solo che domani sia di buonumore. Domani la cosa le deve piacere di più, andiamo nei quartieri medio alti.

Che non abbia da lamentarsi, allora.

Quando siamo arrivate era di umore pessimo. Non mi parla da un po’.

Beh pazienza, domani al ritorno la vedrò tutta sorridente. Peccato che domani ci sia anche Lilliagrin, ma questo a me non importa.

Staremo con Ellyn. Tanto non ci capiterà nulla.

Comunque, Willie, ora ti lascio. Ho ancora un paio di cose da sbrigare, e domani mi dovrò vestire un po’ più elegante, ciò vuol dire che devo rabbonire la pazza per avere un suggerimento.

Ah, che bella giornata! Questa si che è vita!

Ti racconterò tutto domani, Willie. Vedrai, sarà tutto ancora meglio  di oggi!

Un bacio, Willie, non vedo l’ora che venga l’alba di domani (e speriamo che Roxen si calmi, non voglio che dica ancora cattiverie ad Ellyn, oggi proprio non poteva fare un passo che scatenava il suo veleno)!

Non vedo l’ora!

Un bacio Willie. Ti prometto che racconterò tutto domani.

Ciao!

La tua Doppia N.

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Capitolo 67
*** Cambio di panorama. ***


Finalmente, un giorno, la seconda parte delle nostre peregrinazioni ebbe inizio

Finalmente, un giorno, la seconda parte delle nostre peregrinazioni ebbe inizio.

Fu la fine di una parentesi e l’inizio di un’altra, un passaggio che mi parve  all’inizio quasi indolore.

Se non altro mi aveva assalito la contentezza di essermi liberata di quella nave.

L’idea di rimettere piede in terra mi faceva quasi piangere dalla gioia.

Non sapevo quanto sarebbe durata quella parentesi, quando avremmo dovuto tornare di nuovo per mare, ma in realtà non m’importava molto.

Mi ero mentalmente decisa a godere di quei giorni senza sballottamenti.

Diavolo, da quanto tempo non vedevo la terra? Da quanto non uscivo?

Bramavo un periodo senza sorprese.

Senza mal di mare, soprattutto. Non sapevo quanto sarebbe durato il viaggio da quel posto senza nome all’Atlantis vera e propria.

Già da Fiya a lì avevo sofferto abbastanza.

Volevo tirare un po’ il fiato, accidenti!

…sempre che me lo permettessero, ovviamente.

Stavo facendo i conti senza l’oste, e ben presto me ne resi perfettamente conto.

In fondo, quella terra di nessuno era un punto di contatto con Atlantis.

E noi, logicamente, non sapevamo come fosse quel posto misterioso. Dalle letture criptiche che mi aveva dato quella pazza scatenata di Lilliagrin potevo solo dedurre che quel posto non fosse Atlantis.

Carino, vero?

Eravamo completamente mandati allo sbando.

Sperai solo che la Regina di Fiya avesse almeno comunicato chi fossero i nuovi ambasciatori.

Logicamente parlando, accidenti, non era un momento d’oro per la fama degli elfi del continente.

Se quelle persone avessero visto improvvisamente degli elfi piombare dalle loro parti avrebbero pensato davvero davvero male di noi.

In caso la nave ci avesse lasciati senza ordini e lettere scritte allora la possibilità di rivedere casa era pari a zero.

Ed io, cavolo, volevo tornarci, a casa. Rivedere le montagne, Kyradon.

Ammazzare Isnark.

Sentire il fresco sulla mia pelle. Era da un pezzo che non avvertivo il freddo. Già a Fiya la temperature erano più alte di Uruk, ed io già lo sopportavo poco. Ma lì…

Lì, accidenti, faceva un caldo soffocante.

Io, costretta a stare a maniche lunghe per mio personale pudore, perché non avevo la minima voglia di sbandierare allegramente le mie cicatrici, ero praticamente sempre accaldata.

Anche Capouille sopportava male quel calore. Solo Zipherias riusciva ad adattarsi, beato lui. È sempre stato un po’ freddoloso.

Mi mancava pazzamente la neve.

Mi mancava Amarto. Mi mancava Dae. Mi mancavano tutti i miei cari lontani.

Quindi, la prospettiva di rischiare di rimanere lì non mi piacque per nulla.

Sarei morta di caldo e nostalgia.

Il giorno dello sbarco stetti particolarmente male.

Per sicurezza, detta da loro, per impedire di vedere l’esterno, secondo noi, nei giorni in cui la terra si avvicinava ci impedirono di uscire dalle nostre camere.

Quella volta non facemmo eccezione.

La nave rallentò sensibilmente. E, con il diminuire della velocità aumentavano le onde percepite.

Si ballava egregiamente.

Un toccasana per il mio stomaco sottosopra già di suo.

Poveri Capouille e Zipherias. Furono costretti a farmi da assistenti. Come odio il viaggio in mare. Lo detesto.

Penso che anche loro l’abbiano preso a schifare. Non li biasimo: ho fatto vedere loro i sorci verdi.

Ci avevano fatto preparare i nostri esigui bagagli, e avevano intimato di vestirci con anonimi abiti grigi.

Io, la Ch’argon, ero fortunatamente in viola. Non ho mai amato tanto il porpora come quella volta.

Capouille e Zipherias, imbronciati, sembravano Guaritori.

La mia era l’immortale divisa del Messo. Sia benedetta, per una volta!

L’unica cosa che aveva un po’ di diverso era lo stile degli abiti, più stretti e fortunatamente senza mantello, di una fibra che mi sembrava cotone.

Ci avevano perfino intimato di non stenderci né sederci sui letti.

Per me, malferma sulle gambe, un tormento.

Avevamo sentito il ruggito che da sempre aveva accompagnato il viaggio trasformarsi in un minuto mormorio.

Era stato l’unico sollievo. Avevamo sospirato, soddisfatti.

Era strano, quel silenzio. Davvero inusuale, per noi. Quasi mancava.

Dopo un po’ avevamo distinto voci umane venire da fuori, urla, ordini secchi.

La nave aveva rallentato e smesso di ondeggiare, con mio enorme sollievo.

Rimaneva solo un lieve rollio lento che non dava altro che un debole fastidio.

Più di quello, niente di particolare.

Dovevamo essere attraccati.

 

Se penso ancora a tutti i piccoli soprusi che ci fecero mi sento ribollire il sangue nelle vene.

Grazie a Lainay eravamo diventati terribilmente sgraditi.

Già non eravamo tanto amati dagli umani di Fiya, figuriamoci dagli abitanti di Atlantis.

Lì c’era sicuramente un miscuglio interessante di razze, l’avevo letto, ma sicuramente un elfo del continente non era amato.

Specie quando al suo posto si aspettavano degli umani.

Ci accorgemmo che qualcosa non andava quando ci fecero scendere dalla nave.

Per me almeno il gesto di allontanarmi da quella scatola di sardine fu un vero e proprio sollievo.

Ma solo quello.

Quando ci fecero salire sul ponte, me verde di nausea, gli altri due non troppo allegri e anche loro un po’ messi male, ci rendemmo conto di essere in un porto costruito in una grotta.

Non aveva niente di particolare, anzi. Solo lo spazio per fare passare la nave, un molo e basta.

L’insieme era spettrale. Non c’era nessuno, e l’ambiente era scarsamente illuminato.

Sapeva di salsedine e chiuso.

Un odore non esattamente adatto per farmi passare la nausea.

L’ambiente era sinistro, e molto.

La risacca ci assordava, e la roccia era viva, scanalata a forza dal mare.

Raggiungemmo, barcollando, Lomillie ed il tipo baffuto che mi ricordava quello visto in sogno.

Loro ci stavano aspettando. Erano circondati da casse chiuse, che chissà che contenevano.

 Il capitano ci guardò, inquieta.

Entrambi parevano piuttosto a disagio. Non mi parve di buon auspicio.

Aggrottai le sopracciglia, e mi guardai con Zipherias. Che cos’era quell’ambiente così ostile? Che altre sorprese ci aspettavano?

Lomillie tentò un sorriso, poi tese la mano verso di me, e la strinse. Quella stretta spasmodica mi trasmise tensione.

“vi auguro buona fortuna”.

Fece, guardandoci in modo strano, con quel sorriso forzato che mi rizzava i peli sulla nuca. Sembrava nervosa. In soggezione.

Strano. Non c’era nulla di particolare in quel luogo. Era un posto asettico, senza nulla. Sinistro. Cupo. Poco accogliente.

Che bella premessa. O era tutta scena o eravamo tutti nei guai.

Che diavolo era Atlantis? Un buco di fanatici?

Maledetta Lilliagrin. Promisi a me stessa che, se mai fossi riuscita ad uscire viva da lì, gliel’avrei fatta pagare. Quel posto mi metteva un po’ di fifa addosso.

Mormorai qualcosa di risposta al capitano, bofonchiando, sia per il mio stato di salute e sia per il mio umore sottoterra.

Lomillie non disse nulla, e sorrise ancora di più, in modo quasi minaccioso.

da ora in poi sarete nelle mani degli abitanti di Atlantis”.

Disse, con quello che mi parve un velo di astio nella voce. Sbaglio o non amava troppo neanche lei quel posto?

Non la biasimavo.

La donna continuò, guardando a terra.

Intanto, dietro di noi, dei marinai stavano sistemando le ultime corde. Tra poco saremmo scesi.

“noi non possiamo scendere. Dei marinai porteranno queste cose giù, poi ci vedremo quando ci sarà comunicato di tornare. Abbiamo adeguatamente informato gli abitanti di questo posto di… della vostra presenza”.

Quelle parole mi misero un po’ in ansia e mi calmarono allo stesso tempo.

Da un lato, il fatto che già avessero avvertito tutti era un buon segno. Non c’erano trappole in atto. Almeno sarebbero già stati pronti a vedere tre elfi. Non sapevo come avrebbero reagito, ma che non avessero avuto sorprese di sorta era importante.

Non volevo finire in prigione, insomma.

Dal’altro lato, pensandoci bene… saremmo stati soli.

In fondo, mi ero abituata a quegli umani, e loro si erano abituati a me e noi. Non ci guardavano nemmeno più, come se fossimo normali ambasciatori.

L’idea di dover ricominciare daccapo tutto il processo di integrazione mi seccava.

Avevo la mezza impressione che sarebbe stato doppiamente difficile amalgamarci agli abitanti di Atlantis, e nemmeno a quelli che erano lì.

In fondo noi eravamo come i parenti poveri, idea che non mancava di farmi venire voglia di spaccare qualcosa in mille pezzi.

Un’altra cosa che mi dava fastidio era il pensare alle occhiate che avrebbero riservato a me.

Quegli abiti maledetti non avevano il cappuccio, e non potevo nascondermi il viso.

Quindi, tutte le mie cicatrici erano ben in vista, pronte per essere giudicate, oggetto gustoso dei pettegolezzi.

Già immaginavo gli sguardi che mi avrebbero riservato.

Diffidenza ed ostilità nei miei confronti sarebbero raddoppiate, perché non avevo un aspetto così materno e rassicurante. Nessuno di noi tre lo aveva.

Orrore, compassione…tutti sentimenti che io odiavo sinceramente.

Ci sarebbe voluto del tempo per farli abituare a me. Per far si che Mary e Silas smettessero di guardarmi come idioti rimbambiti c’era voluto qualche giorno.

Ero quindi infastidita. Ah accidenti, che diavolo di viaggio!

Se fossi stata sola non sarei sopravvissuta un giorno. Per fortuna che c’era Capouille, che c’era Zipherias. Avevano così tanta pazienza con me.

Mi strinsi a loro, ansiosa.

Dopo di quello, Lomillie smise di parlare. Avrei voluto tanto farle delle domande, chiederle di accompagnarci, perché avevo paura di essere di nuovo catapultata in una realtà ancora diversa, ma non osavo.

Accidenti, come mi ero abituata alla nave….mal di mare permettendo, ovviamente.

Ora che era venuto il momento di lasciarla non avevo la minima voglia di farlo.

Più che altro avevo paura di quelle novità

Erano cose troppo grandi per me.

Sentii una fitta di puro panico quando vidi i marinai cominciare a sbarcare sacchi e casse, svuotando pian piano il ponte.

Chissà cosa c’era lì dentro.

Tornavano tutti a mani vuote. Non era commercio.

Regali, forse? Chissà.

Quando ci fecero segno che potevamo scendere, quasi recalcitrai.

Guardai Lomillie, implorante. Non potevamo tornare con loro?

Il ferreo capitano fece finta di non avermi inteso, e ci augurò buon viaggio. Sembrava impaziente. Fargento ci guardò con sguardo di scuse.

Fummo quasi trascinati a viva forza dalla tutto sommato ostile nave.

Scendemmo la passerella traballante completamente soli. Tutti non vedevano chiaramente l’ora di andarsene, di lasciare lì i maledetti elfi.

Mai come allora odiai l’astio che scorreva tra le nostre due razze.

Che maleducati!

Ci lasciavano completamente in balia del caso.

Non sapevamo che fare, dove andare, quando andare.

Ci stavano aspettando? Chi lo sapeva. L’unico modo per saperlo era uscire, scendere.

Come sarebbero stati? Non scommettevo gentili. Saremmo piombati in un inferno, ci scommettevo la mia testa.

Il piccolo molo d’attracco già prometteva bene in quel senso.

Io, Capouille e Zipherias scendemmo con eccessiva cautela, tutti e tre molto vicini l’uno all’altro, senza guardare avanti.

La passerella era molto scivolosa, e rischiavamo di cadere..

Non sarebbe stata una bellissima cosa. Non avevo voglia di rendermi ridicola cadendo come una pera cotta.

Traballavo, presa dal mal di mare, ma non volli essere trasportata. Avevo fatto una brutta figura all’andata… non volevo farla anche scendendo!

Ero di cattivissimo umore.

Avevo paura, paura di quella sinistra novità.

Ansia, perché non sapevo assolutamente dove stessimo andando.

Un pizzico di curiosità, perché tutto era troppo nuovo per me.

Non mi guardai attorno, intimorita. La passerella era bagnata e scivolosa, ed un passo falso avrebbe significato rompermi l’osso del collo.

Per di più ondeggiava al ritmo delle onde. Nauseante.

Pian piano, riuscii quasi ad arrivare alla fine incolume.

Dico quasi perché ovviamente tutto non poteva andare bene. Non con me.

Io porto notoriamente sfortuna.

Ero quasi scesa, quando misi un piede in fallo.

Scivolai su qualcosa di umidiccio, ed inciampai più volte, muovendomi goffamente in avanti, priva di equilibrio.

Accidenti.

Sentii il cuore frenare un paio di battiti. Ora mi sarei fatta male, e sul serio.

Lì c’era pietra viva.

Cercai in ogni modo di frenare quella che sembrava una caduta inevitabile, ma sentii l’equilibrio abbandonarmi. Accidenti, che pessima figura avevo fatto!

Ecco, mi sarei fatta molto male. Chiusi gli occhi e mi coprii la faccia per evitare il peggio.

La caduta non avvenne mai. Ero già pronta all’impatto con il suolo, e poi ad un susseguirsi di risa umane, quando due morbide mani mi presero per le  ascelle.

Rimasi un attimo perplessa.

Zipherias? Era dietro di me, sicuramente pallido come un morto.

Capouille? Si, certo, come no.

Un marinaio umano? Probabile.

Mi sentii invadere dalla gratitudine. Oh, com’era gentile!

Un umano con la testa al posto giusto, finalmente. Aprii gli occhi.

Era mio dovere ringraziarlo. Era stato così buono! Così cortese. Avrebbe potuto benissimo lasciarmi cadere, invece mi aveva presa.

Mi ritrovai a fissare un paio di zampe feline, dalla peluria dorata. Il mio cuore perse un colpo di nuovo.

Eh no. Un umano non porta quelle zampe, vero? Quelle erano zampe di Insat. Possibile che…?

“attenzione, signorina elfa!”.

Esclamò lui, con una calda voce leggermente miagolante. Eh no. Quello non era un umano.

Ecco. Innegabilmente avevo fatto una figura orrenda con un altezzoso abitante del luogo. Oh…volevo morire.

Quella persona mi mise in piedi. Mi sistemai, traballante, e poi guardai il mio salvatore, vergognandomi come una ladra. Oh accidenti.

Mi ritrovai a fissare proprio un Insat, un giovane maschio, direttamente nei suoi inquietanti occhi d’oro.

Oh cavolo. Ero quasi finita addosso a lui!

Eh no, questa non me l’avrebbero perdonata.

Bel modo di cominciare delle trattative diplomatiche.

La creatura, tuttavia, non sembrava essersela presa. Mi guardava con calma, sorridendo cordialmente con i suoi denti appuntiti. Non avevo mai visto un Insathi sorridere.

Almeno, non in quel modo e non rivolto a me.

Che strano. Sembrava molto tranquillo.

“tutto bene?”.

Domandò allegramente, senza alcuna traccia d’astio.

Annuii perplessa, e lui sorrise ancora di più.

Non capivo. Uno degli orgogliosi figli del deserto che mi parlava in quel modo, guardandomi senza stupirsi di me?

Qualcosa non quadrava.

Ero turbata. Non mi aspettavo tutto quello.

Quando sentii vicini a me Capouille e Zipherias li guardai. Anche loro si guardavano, e poi guardavano attorno, smarriti.

Lo feci anche io, desiderosa di farmi minuscola e sparire per sempre.

Non eravamo soli. Non lo eravamo mai stati, forse.

Intorno a noi, due uomini, una Tengu ed addirittura un Inu, ci guardavano.

E tutti, invariabilmente, sorridevano educatamente.

Non sapevo assolutamente che pensare. Ero frastornata. Guardai l’Insat, smarrita. Dov’era ll’odio? L’astio?

Che fine aveva fatto l’ambiente sinistro?

Lì si respirava un’aria ben più che civile.

La creatura fece un cenno verso di noi, con un sorriso.

“benvenuti, elfi del continente. Vi aspettavamo”.

Disse, con educazione impeccabile ed un sorriso cordiale.

Assurdo.

Davvero, non riuscivo a capire.

Ma dove diavolo eravamo finiti? Che cos’era tutta quella fiducia?

E perché eravamo in un ambiente così sinistro con tante persone molto cordiali?

Trappola? O…o cosa?

Una cosa era certa. Quella almeno la riuscivo a pensare.

Che strano cambio di panorama…

 

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Capitolo 68
*** Grossi guai in arrivo. ***


Camera mia e basta

Camera mia e basta.

 

Willie. Oh, Willie.

Sono arrabbiata che più arrabbiata non si può. Ti scrivo altrimenti esplodo e comincerò a picchiare Roxen.un interprete per n

Se lo merita. È sempre la solita.

Rovina sempre tutto!

Deve sempre fare la snob, la superiore, lei che è un’elfa e gli altri invece non sono nulla e bla bla bla vari.

Non smetterà mai di essere così? A questo punto spero che lei le prenda, ma sul serio. Deve imparare a stare al suo posto.

Io gliel’ho sempre detto! Stai attenta, non essere così maleducata, non siamo a casa, ma niente.

Lei continua a trattare gli altri come se fossero i suoi servi. I risultati si vedono maledizione.

Ma proprio oggi doveva succedere tutto questo?

Ah, ma io sapevo che prima o poi avremmo passato un guaio…ma non oggi.

Oggi io volevo divertirmi e basta!

Ma è mai possibile? Io qui muoio di noia, e quando succedono delle cose belle ovviamente qualcosa deve andare storto!

Figurati, oggi dovevamo andare nei quartieri di mezzo e poi, visto che in questi giorni Ellyn non deve studiare, addirittura saremmo dovuti andare ad uno spettacolo (sai che divertimento, avevano pure  ingaggiato un interprete per noi), ma, ovviamente, nessuno se l’è sentita.

E tutto questo per colpa di Roxen. Io la prenderei a pugni.

Ovviamente lei è l’unica felice! Sarà di sicuro da allenarsi. Tanto il tempo ce l’ha, è ancora pomeriggio.

Figurati, non ha nemmeno fatto il suo pisolino pomeridiano! Il che, figurati, è davvero grave.

Per fortuna almeno Ellyn starà un po’ con me, più tardi.

Ma figurati: il suo umore è peggio del mio.

Almeno io sono solo arrabbiata, lei è pure preoccupata. Mi toccherà consolarla, povera me.

E tutto questo, perché? Perché mia cugina non sa starsi mai con la bocca chiusa.

Ma forse è meglio che ti spieghi meglio il perché.

Scusa, Willie, sono parecchio confusa ed arrabbiata. Voglio solo parlare con qualcuno…

Se solo ci fosse la zia….tutto questo di sicuro non sarebbe successo. Roxen si modera quando c’è lei nei paraggi, non avrebbe mai mancato tanto di rispetto.

Altrimenti si che sarebbe stata nei guai. Molto più di ora sicuramente.

Comunque, penso che mi convenga fare un po’ il punto della situazione. Sono sicura che tu non hai capito un bel niente di quello che è successo.

Devo proprio dirtelo, Willie?

Non ho capito un tubo nemmeno io.

È tutto così confuso.

Comunque, fino a oggi nel primo pomeriggio è andato tutto alla grande.

Straordinario, mi sono divertita tanto.

L’unica pecca è stato il tempo un po’ ventoso, che ha strappato il cappellino a Lilliagrin (non ho mai riso tanto in vita mia. Sotto i baffi, ovviamente. Poi ti parlerò anche di quel cappellino. Farò gli incubi pensandoci), ed il vestito che mi ha prestato Roxen.

Perché, ovviamente, dovevamo essere più eleganti.

Non si trattava più di andare nei quartieri poveri, dovevamo dare un’idea della nostra dignità.

Che poi mi muovessi come se avessi una scopa infilata del didietro a nessuno importava.

I vestiti di Roxen mi vanno stretti.

Ed io non indosso mai roba elegante (leggi gonne e merletti vari. Ah, e corpetti. Quelli sono micidiali, tolgono il respiro. E ci credo che le dame di corte svengono così facilmente).

Al massimo cose un po’ meno lise.

Eh si: essere cresciuta in mezzo a soldati, Guardie, Guaritori, sacerdotesse in perpetua crisi mistica (e figuriamoci se vanno a pensare agli abiti quelle), un cugino non proprio sanissimo di mente, una zia prontissima a prendere a calci il primo damerino di corte che le capita sottomano, un padre che mi vede ancora come una bambina, non aiuta proprio l’eleganza.

Quindi, ogni volta che devo dare spettacolo chiedo a Roxen di prestarmi le sue cose (e guai a danneggiarle, altrimenti sono fregata), visto che non ho una gonna nel mio armadio.

E sapessi lei com’è felice di vedermi tutta in ghingheri!

Comunque, mi ha vestita con uno stupidissimo abito giallo chiaro.

Voleva vestirmi di verde, per fortuna poi si è accorta che con il mio colore di pelle rischiavo di sembrare una fava.

Avrei voluto quello celeste, ma accidenti, non mi andava. Se l’è preso Roxen.

Ho fatto due passi e sono inciampata, tanto per raccontartene una.

Insomma, la giornata è cominciata con i migliori auspici.

Comunque, ci siamo unite agli umani tutto sommato di buonumore. Roxen è sempre più contenta quando può sfoggiare la sua bellezza.

Gli  sguardi delle guardie la facevano camminare impettita come un gallo nell’aia.

Io, che sembravo un uovo andato a male,  ho fatto finta di non esistere.

Comunque, abbiamo raggiunto Ellyn e Lilliagrin.

C’era pure Guaren, sai? Sfinito come non mai, aveva una faccia da funerale.

Però è riuscito a farmi un complimento. Con Roxen preferisce non parlare da quando ha sentito come tratta la sorella.

Comunque, era insieme ad un tipo con i capelli chiari, un uomo adulto, forse anche un po’ anziano, con l’aria da cane da pastore.

Ho scoperto che è il padre di Ellyn e Guaren. Teneva una mano sulla spalla del figlio in una maniera possessiva. Mi ha guardata così male… ho avuto i brividi per un momento.

Non devono piacergli molto, gli elfi.

Certo  che tra lui e Lilliagrin i due fratelli stanno messi proprio bene.

Comunque, la principessa era proprio carina, tutta in lilla, con un bel cappellino. Era impaziente di andare (e poi ho capito il perché).

La madre aveva un cappello con dei fiori su che mi ha costretto a mordermi la lingua per tutto il tempo.

Comunque, siamo andati via tranquilli.

Fortuna volle che fossimo tutti divisi.

Noi due con i fratelli e la coppia reale a scornarsi per fatti loro (quei due si odiano, ho fatto il conto e su tutti i discorsi che hanno fatto in nostra presenza erano d’accordo su mezza cosa).

Quindi il viaggio, rigorosamente in carrozza, è stato molto piacevole.

Tuttavia, ho visto Roxen guardare male Ellyn. Era decisamente molto, molto più bella di lei.

Questo è il genere di cose che fa infuriare a morte mia cugina. Lei deve essere la migliore. Nessuno può superarla in qualcosa, altrimenti sono guai.

È stata in silenzio per tutto il tempo. Non serviva a niente parlarle.

Io mi sono preoccupata: quando lei fa così è sempre perché sta pensando a qualcosa di molto cattivo.

Comunque, poi abbiamo scoperto il perché Ellyn si fosse messa così in ghingheri, e anche molto presto.

Infatti, chi ci stava aspettando, per prenderci in custodia?

Nientemeno che Faldio e una buona metà della sua squadra!

Poi abbiamo scoperto (e questo Ellyn ce l’ha detto di nascosto. Si suppone che il fratello non sappia nulla. Comunque, era troppo addormentato per rendersi conto di qualsiasi cosa. Moriva di sonno, povero Guaren) che è stata proprio la principessa a muoversi segretamente per far si che quello accadesse.

In pratica era riuscita a far avere a quel manipolo di soldati il posto tanto ambito di scorta.

È stata aiutata addirittura dalla sorella di Faldio, che è un po’ più a contatto con scartoffie e cose varie, perchè opera non ricordo più in quale settore dell’esercito.

Non sapevo che Faldio avesse una sorella, mi ha sorpreso.

Beh, comunque, credo che la conoscerò presto. Ho questa netta impressione…

È stato davvero un piacere, però, incontrare Hector e Rosie, erano tanto contenti di vederci!

È stato un po’ meno carino incontrare Scarlett, che ci ha guardate con una sufficienza che mi ha fatto venire voglia di prenderla a schiaffi, ma comunque si sopporta.

Tanto, non osava parlare.

Erano tutti così intimoriti dalla regina!

Da Ellyn, figuriamoci. Quella ragazza ha cominciato a parlare con tutti, una volta che siamo scesi.

Scherzava pure con Faldio, tranquillissima, lei ed il fratello.

Lilliagrin invece se ne stava a guardarsi intorno, schifata, bene a distanza con il marito. Sapessi come fissava quel povero ragazzo…

Io ne sono sicura,  Willie, quella serpe sa qualcosa di loro due.

Non lo so, ho questa impressione, come se stesse aspettando un passo falso per intervenire e non fargliela passare liscia.

Per fortuna che quei due sono molto più furbi di lei.

Chissà perché ce l’ha tanto con Faldio: è così un bravo soldato!

Ma va beh, rendiamoci conto: Lilliagrin odia tutti.

Mi vuole molto bene, Faldio ovviamente, come anche Rosie ed Hector. Avevano saputo della mia crisi e tutti mi domandavano come stessi. Erano così premurosi.

L’unica a venire ignorata era Roxen.

Ovviamente, lei è spinosa come e più di un riccio, e durante il viaggio di andata li ha trattati tutti come scarpe vecchie. Logico che poi non la calcolano minimamente, quando possono.

Ho cercato di avviare una conversazione che coinvolgesse pure lei, ma è stato tutto inutile.

Devi sapere, Willie, che a Roxen non piace venire ignorata. Non ama rendere conto delle sue azioni, né prendersi le sue responsabilità.

Insomma, se ha un carattere pessimo la colpa non è certo mia.

Ovvio che poi tutti la ignorano.

E questo a lei non piace.

Mia cugina ama essere servita, riverita, amata, coccolata, ammirata (si, è molto egocentrica). Quando nessuno le rivolge la parola si sente quasi male,  è il peggior insulto che le possano fare.

Io, ti giuro, non volevo che la situazione arrivasse fino a quel punto, ma sono stata coinvolta nelle loro conversazioni, e mi sono completamente dimenticata di lei…

Ad un certo punto ho visto che ci guardava malissimo. Era un altro po’ verde di rabbia.

Ho subodorato il problema.

Roxen si stava arrabbiando.

Era sola, nessuno le parlava, ed anche io avevo preso ad ignorarla.

Tutto perché c’era Ellyn, che invece aveva tutto. Anche un vestito più bello del suo.

Questo mio cugina non lo può sopportare.

Ho cercato di chiacchierare un po’ con lei, ma il danno era stato fatto. Mi sento in colpa per non aver capito prima cosa si aggirava nella sua testa.

Lei mi ha trattata molto male, rispondendomi in malo modo, e poi ha continuato a camminare in silenzio, guardando Ellyn come se la volesse uccidere.

Io l’ho lasciata stare. È meglio fare così quando è arrabbiata.

Accidenti Willie, quanto mi rimorde la coscienza. Avrei potuto evitare tutto quello, maledizione…

Già, perché tu credi che mia cugina sia rimasta bella e buona, in silenzio?

Ad un certo punto ha cominciato con le battute acide.

Dapprima contro di me, ma io ci sono abituata e le ho risposto in modo calmo.

Poi, però, ha preso a tormentare Ellyn.

Vero, lo fa sempre, ma mai in presenza di Faldio. Sono sicura, ora si toglierà questo brutto vizio, ed è anche ora.

Ed io ho scoperto che quel ragazzo è piuttosto protettivo con la principessa.

Diciamo che quando una cosa non gli va bene si fa sentire.

Beh, all’inizio è stato zitto. Ma io lo vedevo, era arrabbiato.

Ho cercato di salvare la situazione, frenando Roxen, ma è stato inutile.

Addirittura Rosie ha cominciato a parlare con lei di abiti, insieme a Scarlett!

Quando quell’antipatica ha cominciato a parlare, cordiale, ho subito capito che c’era qualcosa di cattivo nell’aria.

Mi sono anche preoccupata, pensavo che i genitori di Ellyn se la prendessero con noi, figurati.

Immagina, non ci pensavano minimamente.

Ragazzi. Eravamo ragazzi.

No, il problema era Faldio. Era teso come una corda di violino.

A quanto pareva non doveva essere così carino quando si arrabbiava.

Non sai fino a che punto, Willie. Non sai fino  a che punto.

Roxen, comunque, idiota, non ha capito nulla, e non si è stata zitta. Io lo dico, quell’elfa è una stupida.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’ennesima insinuazione sulla linea di Ellyn, dopo che lei si era messa a parlare di caramelle e dolciumi vari.

Ad un certo punto Faldio si è girato. Aveva certi occhi di fuoco…

Si sono zittiti tutti. Ellyn si è fatta pallida come uno spettro.

C’è stato un litigio tra quelle due teste di mulo.

Lui le ha chiesto di ripetere quello che aveva detto, ed indovina mia cugina che ha fatto?

Che ha detto, piuttosto.

Ha ripetuto parola per parola, guardandolo con una faccia tutta contenta.

Ovviamente, Faldio se l’è presa. Non credo che sia così abituato ai caratteri come lei. E non ha pazienza.

Hanno cominciato a beccarsi a vicenda.

Una cosa per niente positiva: si vedeva chiaramente l’intento omicida che covava dietro le parole fredde e cordiali dell’umano, diavolo.

Ho cercato di mettere pace, ma niente. Sono stata cacciata  in malo modo.

Roxen ha insinuato che Faldio fosse un vile.

Di rimando, Faldio ha accusato Roxen di non saper combattere nemmeno con le parole. Un delirio.

Chi lo sa, sarebbe continuata così a vita, sancendo odio perenne o una bella rissa, se non si fossero intromessi i genitori di Ellyn.

O meglio, Lilliagrin.

Diamine, volevo morire quando ho sentito la sua voce!

Tutta suadente, si chiedeva cosa mai fosse quella improvvisa gazzarra.

Ha usato proprio queste parole. Improvvisa gazzarra.

Oh, ed aveva una faccia! Un gatto che si prepara a mangiare un topo, ecco tutto!

Chissà perché, poi. Aveva un sorriso viscido…

Ho capito immediatamente: giornata rovinata.

Ho avuto un pessimo presentimento quando la faccia di Faldio si è illuminata, ed ha guardato Roxen con sfida!

Quei due si sono sorrisi in un modo orribile.

E vuoi sapere che ha detto Faldio?

“questa elfa attenta all’onore della principessa, mia signora. Chiedo umilmente il permesso di sfidarla”.

Oh, Willie.

Volevo morire.

Ti pare che Lilliagrin non abbia dato il permesso? Ma era giuliva quando ha detto che certo, ci voleva qualcuno a difendere sua figlia!

Sono sicura che l’ha detto perché spera di vedere Faldio umiliato. Non lo sopporta.

E ti pare che Roxen non abbia accettato?

Quella non vedeva l’ora di menar le mani!

Dice che devono imparare chi è superiore.

Prevedo guai.

Ci sarà un duello, come lo chiamano qui, all’antica, tra due giorni.

Insomma, un tipico duello al primo sangue.

Questo è l’importante, nessuno dei due si farà male seriamente. Lo spero, almeno.

E sapessi Roxen quanto è contenta! Non vede l’ora di dimostrare che è la migliore. Si sta allenando addirittura. Le hanno restituito la spada.

Lilliagrin sembra amarla pazzamente. Le sta permettendo di allenarsi, quasi le bacerebbe le scarpe.

Io ho pianto tanto, Willie. Quasi mi schiaffeggiava, mia cugina.

Ho solo cercato di farla ragionare e mi ha umiliata davanti a tutti. Volevo morire, davvero.

Oh, ma io quasi spero di vederla perdere! È così stupido da parte sua avere accettato!

E tutto per il suo caratteraccio!

Ah, non deve averla vinta. E spero che abbia una bella batosta, così la smette di prendere in giro Ellyn.

Deve abbassare la cresta.

Oh, ecco Ellyn, Willie.

Mi sa proprio che ti devo salutare. Quella poverina è sconvolta, teme che si facciano male sul serio.

Mi dispiace tanto per lei, le abbiamo rovinato la gita. Mi devo assolutamente scusare.

Magari riprendo più tardi, oppure a domani, mio caro amico.

Ti voglio tanto bene (e viva Faldio!).

Tua Nilyan.

 

 

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Capitolo 69
*** Ops. ***


La il primo pensiero coerente che ebbi, finalmente, dopo essere rimasta a fissare, povera me, maleducatamente, quell’Insat, fu intriso di incredulità

La il primo pensiero coerente che ebbi, finalmente, dopo essere rimasta a fissare, povera me, maleducatamente, quell’Insat, fu intriso di incredulità.

Ma dove eravamo andati a finire?

Una Tengu, un Insat, un Inu e due umani che convivevano senza scornarsi?

Fermi tutti. Lì c’era qualcosa che proprio non andava.

D’accordo, è anche vero che di solito sono gli elfi a fomentare, un altro po’ per magia, l’odio razziale, ed era anche vero che fino a quel momento gli unici elfi eravamo noi, ma da noi, nel continente, di sicuro tutta quella rilassatezza non c’era.

E pensare che da noi alcuni villaggi di Tengu ammazzavano a vista gli intrusi!

Guardai l’Insat ed i suoi compagni, timorosa.

Non sembravano particolarmente ostili.

Sorridevano educatamente, senza simpatia e senza odio, e negli occhi di ognuno non c’era altro che curiosità.

Perfino l’Inu, piuttosto tarchiato e sicuramente il più anziano di tutti, non ci guardava con gli occhi di un sottomesso a forza, sguardo che mi era familiare nei suoi simili della mia terra, che sembravano sempre lì lì per sputarci in un occhio anche quando li soccorrevamo.

Cercavano tutti di non darlo a vedere, ma i loro occhi erano attirati magneticamente verso di noi. Verso di me, specialmente. Dovevano farsi una violenza immane per non confabulare tra di loro.

Li capivo. Tutta quella curiosità mi pareva naturale. Dovevamo essere i primi elfi del continente capitati lì da molto tempo.

Poco aiutava che tra quegli elfi ci fosse un gigante dalla pelle scurissima e gli occhi strani ed una nanerottola a metà sfigurata. Completamente vestita di porpora, tra l’altro.

La ciliegina sulla torta, insomma.

Cercai di reprimere il fastidio. Non mi era mai piaciuto che mi guardassero così, ma dovevo pure pensare che quello era normale per loro.

Eravamo tre elfi vestiti in modo strano, con un’espressione probabilmente buffa, goffi e provenienti da una cultura che, chissà, forse lì non esisteva più o non era mai esistita.

Dopo duecento anni le cose cambiano molto, soprattutto con un miscuglio pacifico di razze come quello.

Passato il primo attimo di spavento, realizzai una cosa.

Ero curiosa anche io.

Ad Uruk non si vedevano mai dei Tengu. L’unico ricordo che avevo dei miei amici piumati era la mia collana, il mio lasciapassare che non avevo mai usato né avrei più avuto l’occasione di usare.

Gli umani e gli Inu erano pochi, in maggioranza miseri profughi dal Regno, tristi e pieni di astio verso noi elfi.

Non ero mai capace di fare una discussione civile con loro.

Gli Insathi….oh, figuriamoci. Pieni di boria e senso di superiorità.

E poi erano vestiti in modo diverso dal nostro, strano.

Abiti di una stoffa grezza, un po’ sformati, probabilmente abiti da lavoro.

Non avevo mai visto un Insat vestito di bianco ed uno strano pantalone di tela robusta, blu, che arrivava fino al ginocchio. Che fine avevano fatto i loro arancioni e lilla?

E soprattutto, che fine avevano fatto i loro tipici capelli sciolti che sembravano avere vita a parte? La capigliatura argentea di quel ragazzo era piuttosto corta. Troppo, per la normalità degli Insathi del nostro paese.

Era inquietante vedere la cordialità verso gli estranei, di solito sentimento inesistente nel vocabolario delle tribù, scintillare negli occhi d’oro dello sconosciuto.

Almeno, la loro usanza di rimanere a piedi nudi era rimasta. Ci credo, con quelle zampe che si ritrovavano!

Se non fosse stato così mi sarei preoccupata. Avrei davvero capito di essere approdata in un mondo a parte.

La cosa non mi faceva tanto piacere. Già era stato difficile rapportarsi a Fiya.

Beh, forse esageravo un po’. Non era peggio, anzi.

Almeno lì ero partita con la consapevolezza di incontrare qualcosa di totalmente diverso da tutto quello mai visto nella mia tragicamente lunga vita.

Del regno degli umani, invece, avevo ricordi che risalivano ad un’età lontana, quando tutto era diverso. Logico che mi sentissi un po’ spaesata nel vedere tutto cambiato.

Lì dovevo invece comportarmi come se fosse tutto nuovo, un po’ come un bambino che si accinge a scoprire il mondo che lo circonda.

Dovevo fare quello che mi dicevano, ascoltare le loro spiegazioni, stupirmi, accettare le stranezze che vedevo e chiedere delucidazioni se qualcosa non mi era chiaro. Semplice.

Non tanto consolante, però.

Mi frustrava essere trattata come una bambina.

Eravamo due mondi così diversi, separati da ben duecento anni. Era normale che ci fossero notevoli differenze tra di noi.

Osservai il cordiale Insat. Sembrava essere il capo di quella combriccola ben assortita. Era questo il nostro comitato di accoglienza? Fantastico.

“benvenuti, stranieri, ad Ogis”. Ripetè, con la massima calma, probabilmente dandoci il tempo di assimilare tutte quelle stranezze. La creatura sorrise ancora di più, divertita forse da una battuta che a noi sfuggiva.

“altrimenti nota come stazione di cambio e basta”.

Mi resi conto, improvvisamente, che quell’essere parlava la lingua franca del nostro continente.

Era però…strana. Non aveva accento avvertibile.

Né quello musicale degli elfi, né quello roco degli umani, né tantomeno il miagolio degli Insathi.

Era…sterile. Indefinita. Una mescolanza di tutti e di nessuno.

Replicai al suo benvenuto con educazione, vergognosa.

La mia voce era strana davanti a lui, aveva un accento fortissimo. Capivo ora perché gli umani chiamassero cinguettio la nostra lingua.

Sembravo cinguettare. Davvero!

Per poco, non arrossii. Oh dei, che figura di nulla.

L’Insat non diede segno di volermi prendere in giro, né fu perplesso. In fondo, pensai, lì passavano gli umani, i diplomatici. Erano abituati a sentire accenti diversi.

Sicuro come la morte, sarebbe stata un’altra storia ad Atlantis.

Lì avremmo incontrato chissà quanta gente.

Cominciai a preparare mentalmente la mia scorta di senso di sopportazione paziente.

La creatura, sorridente, ci guardò senza alcuna superbia.

Fece un cenno verso di noi, un po’ brusco, continuando a sorridere comprensivo.

“Io sono Muzal, ho il compito di guidarvi dal capo. Mi seguite, per favore?”

Domandò con la sua voce pacata ed educata. Obbedimmo prontamente: dovevamo tenere bene a mente che lì non eravamo nessuno.

Lo seguimmo, stringendoci ai nostri poveri bagagli, timorosi e goffi, guardandoci attorno, perplessi.

La nostra guida ci fissò con un po’ di pietà per il nostro smarrimento.

Poi cominciò a farci strada, tranquillo.

Lasciammo le casse agli altri che erano venuti con lui, probabilmente marinai o qualcosa di simile.

Ecco, il viaggio era cominciato.

Non avevo esattamente l’entusiasmo alle stelle.

 

Muzal fu gentilissimo, un tesoro rispetto ai rozzi umani che ci avevano accompagnato fino a lì.

La sua educazione me lo rese istintivamente simpatico.

Non ci trattava con l’aria di superiorità che avevano avuto a Qerin, o sulla nave.

Il suo non era nemmeno disprezzo. Pacata cordialità ed un pizzico di indifferenza, credo.

Probabilmente il nostro arrivo non gli cambiava di molto la vita.

Era abituato a ricevere le delegazioni dal continente, e sapeva come trattare degli spaesati umani.

La curiosità proveniva sicuramente dalla nostra razza.

Durante il percorso che avevamo fatto avevamo incrociato degli elfi, come noi, vestiti degli stessi strani abiti delle persone incontrate finora.

Si erano salutati con la nostra guida con cordialità, a volte addirittura con amicizia.

Mi aveva stupito, in un angolo, la vista di due elfe, un’Inu e una ragazza, chiacchierare tranquillamente mentre andavano da chissà che parte. Come colleghi, in amicizia.

La vita, lì dentro, era variegata e tranquilla. Sembrava quasi che non conoscessero la parola tolleranza.

Lì non si sopportavano, si comprendevano. Straordinario.

Per il resto, il viaggio era stato tranquillo, senza troppe sorprese.

La nostra guida ci aveva portati attraverso una porta dello stesso colore delle rocce che la circondavano, tale da mimetizzarsi con esse.

Molto buffo. Si era fermato lì e le porte si erano aperte.

Eravamo così entrati in una specie di cubo, un montacarichi.

Ne esistevano a dozzine anche da noi, e non mi ero stupita.

La cosa strana erano una serie di pulsanti in un angolo.

Mi misi un po’ a pensare, una volta entrata lì.

C’erano dei simboli sopra. Chissà, forse numeri.

Cosa mai potevano essere? Una parte della mia testa mi diceva che premendo uno di quei numeri sicuramente saremmo stati portati nel luogo che il simbolo indicava.

Semplice ed intuitivo. Anche un idiota con un po’ di applicazione ci sarebbe arrivato.

Non appena entrammo in quella specie di minuscolo stanzino, la porta si chiuse automaticamente.

Delle luci si accesero. Chissà da dove provenivano.

Accidenti, sentivo un po’ di senso di oppressione a stare chiusa lì dentro. Un po’ mi soffocava.

Mi strinsi a Zipherias, ansiosa. Anche lui era smarrito come e forse più di me, poveretto.

Muzal ci guardò, ed il sorriso si fece più dolce.

“non c’è nulla di cui preoccuparsi”. Affermò gentilmente, guardandoci. Noi, poveri elfi spaventati, addossati ad una parete come animaletti in trappola, dovevamo apparirgli penosi. Sentii un lieve empito di vergogna.

“finirà presto. Come vi chiamate?”.

Accidenti, era stranissimo vedere tutta quell’empatia negli occhi di un Insat.

Quasi assurda, una barzelletta.

Gli rispondemmo, riluttanti. Povero Capouille. Non l’avevo mai sentito balbettare tanto. Era nervoso, e molto. Gli strinsi una mano, alla cieca, per confortarlo. Zipherias mi guardò, perplesso.

Arrossi e feci finta di nulla quando mi resi conto di aver stretto la sua mano.

Avevo fatto un piccolo errore di prospettiva.

Dannazione, quello stanzino era troppo piccolo, e noi eravamo troppo addossati l’uno all’altro.

Mi scostai leggermente, infastidita, ancora rossa come un peperone. Ops.

Ecco, ma perché dovevo stare così attaccata ai miei amici?

Non ne avevo bisogno, basta. Non sarebbe cascato il mondo, si trattava solo di un semplice montacarichi, come ne avevamo visti tanti nella nostra vita.

Muzal ci distrasse per un po’, complimentandosi per i bei nomi.

Poi mi guardò, e sorrise in un modo strano. Lo avrei chiamata curiosità sarcastica.

Lo guardai, perplessa. Mi domandai cosa mai volesse da me per guardarmi in quel modo.

“ehi…”. Disse, rivolgendosi a me, reprimendo a mezzo un sorriso. “ma il lsyn non è un liquore di bacche?”.

Sobbalzai, sorpresa, e lo guardai, scandalizzata.

Ehi, ma come osava? Lui, uno sconosciuto, che mi ricordava cosa volesse dire il mio nome?

Già detestavo abbastanza il mio nome. Poi si dovevano pure mettere gli sconosciuti!

Aprii la bocca per ribattere, piccata ed indignata. Non era proprio il caso di fare certe domande.

In quel momento, stringendosi nelle spalle e guardandoci come per scusarsi, premette uno di quei bottoni. Non ebbi il tempo di chiedermi il mio solito perché.

Sentii immediato uno strano strappo all’altezza dello stomaco, ed una sensazione come di…leggerezza.

Hai capito il furbone. Ci aveva distratti in previsione di quel momento.

Io persi l’equilibrio. Andai a finire contro il povero Zipherias.

Ops. Seconda figuraccia fatta.

Lo guardai, come per scusarmi. Era pallido sotto la carnagione scura e si appoggiava alla parete, allarmato.

Smarrita e perplessa, guardai anche Capouille. Aveva più o meno lo stesso atteggiamento.

Possibile che quella cosa li spaventasse tanto?

Non era niente di che, quella sensazione. Niente di anormale. Possibile che fossi l’unica a non smuoversi più di tanto? Io, l’isterica?

Assurdo.

Cercai di farmi notare da uno dei due, tanto per ricondurli alla ragione, ma, proprio in quel momento, con l’ennesimo strattone, il montacarichi o supposto tale si fermò, facendoci sobbalzare tutti.

Persi di nuovo l’equilibrio, ma quella volta fui abbastanza furba da non cadere.

di nuovo, le porte si aprirono magicamente.

Uscimmo tutti e quattro in un ambiente arioso. Doveva sicuramente essere ad un livello superiore rispetto alla grotta.

Aveva come colori dominanti il grigio ed il bianco, e se non fosse stato per alcune piante in vaso sarebbe apparso un ambiente un po’ impersonale.

Si trattava di un corridoio quasi deserto. Di fronte a noi, delle finestre a vetrata, enormi. Davano sul mare e sulla scogliera.

Era giorno, ma il cielo era grigio. Si preannunciava tempesta.

La cosa non mi preoccupava tanto: non ero più su una nave. Lì non potevamo di sicuro affondare.

Ci guardammo intorno, incuriositi.

Non era un posto che ci diceva granché. L’unica cosa un po’ più curiosa era un simbolo appeso al muro, accanto al montacarichi.

Doveva sicuramente essere lo stesso del bottone che aveva premuto l’Insat: avevo azzeccato.

Mi complimentai con me stessa. Per una volta non avevo fallito col mio intuito.

Muzal cominciò a percorrere il lungo corridoio. All’altro lato c’erano alcune porte, tutte chiuse.

Ad un certo punto, una vicino a noi si aprì, e ne uscì una giovane Inat.

Era vestita in modo decisamente più decente di Muzal e delle persone fino a quel momento incontrate, ed era molto più curata, i capelli, neri e lunghi, lasciati negligentemente sciolti, a formare onde, e lo sguardo sicuro.

Guardai, stupita, quella sconosciuta. Possibile che un’Inat fosse così?

Sembrava tutto tranne che sottomessa. Aveva un portamento sicuro di sé, come se fosse un maschio della sua specie.

Ehi, dov’era finito il sistema patriarcale degli Insathi?

Non che fosse un male tutto quello, anzi, però mi lasciava disorientata. E non era il momento di esserlo.

Il nostro accompagnatore si illuminò quando vide la sua simile, e si sbracciò per farsi vedere, chiamandola.

Lei si girò, e sorrise allegramente quando lo vide, avvicinandosi.

Si chiamava Glajmi, e doveva essere qualcosa come…oh beh, tipo una contabile di qualcuno.

Cosa stranissima, Muzal la trattava esattamente come un suo pari, senza quell’aria di comando che Fjodr aveva avuto nei confronti del suo Inatha.

Si presentò dolcemente, affrontando sicura i nostri guardi stupiti. Non mi sembrava per niente a disagio, al punto che si offrì di accompagnarci fino all’ufficio della persona che ci doveva accogliere, tanto doveva andare nello stesso posto.

Accidenti. Quante cose erano cambiate in tutto quel tempo?

Ce n’erano stati, di avanzamenti culturali. La cosa mi piaceva. Mi piaceva vedere un’Inat in abiti quasi maschili, rossi, camminare silenziosamente al fianco di un Insat, senza che lui le ordinasse qualcosa. Era bellissimo. Una riscossa di tutte le Anì.

Forse Atlantis non era così male come avevo pensato.

Ad un certo punto, una gomitata di distolse dai miei pensieri positivi. Mi girai, e vidi Capouille, leggermente chino verso di me, come a volermi chiedere qualcosa.

Aveva un’aria ancora spaesata. Ehi, possibile che fosse così impressionabile?

Guardai Zipherias. Anche lui era più che perplesso.

Lui, la pietra insensibile.

Accidenti, ero io ad avere qualcosa di sbagliato o loro che si erano aspettati chissà cosa in meno?

Beh, forse io ero meno a disagio perché avevo letto d Atlantis. Sicuramente era così. Poveri amici miei.

Ascoltai, paziente, quello che aveva sicuramente da dirmi.

Il mio amico dai capelli rossi parlò senza balbettare. Pessimo segno.

“secondo te…”. Disse, facendo un gesto verso il montacarichi, ancora in vista. “a cosa servivano quei simboli strani? Perché Muzal ne ha premuto uno?”.

Perplessa, esposi loro la mia teoria. Possibile che non ci fossero arrivati?

La cosa mi allarmava. I miei due amici si erano enormemente rimbambiti per farmi quella domanda. Eppure Capouille era più giovane di me. Che strano.

Mi bloccai quando vidi i loro sguardi confusi ed ironici.

“dimmi, come fai a saperlo?”. Mi chiese Zipherias, con un sorriso che voleva prendermi in giro.

Mi scaldai immediatamente, e lo fulminai con uno sguardo. Non mi ero aspettata da lui quel comportamento assolutamente ignominioso.

Quei due si stavano comportando come stupidi. Era ovvio, accidenti. Stesso simbolo, stesso posto. Logico.

“era una teoria, se non te ne sei accorto”. Sbottai, piena di veleno. Non mi piaceva che mi si prendesse per scema. Non quando io ne sapevo più di loro. Era meglio che si stessero in silenzio.

“e poi, io ho letto di Atlantis più di voi. Vi spiegherò quando saremo più tranquilli, per ora state zitti e non fateci fare figuracce”.

Non intendevo dire quelle cose un po’ cattive, brusche, ma non avevo assolutamente la minima voglia di mettermi a parlare in quel momento. Ero troppo assorbita da quello che mi stava intorno.

Il mare, visto dalla terra e attraverso un vetro, è davvero fantastico.

Vidi, ad un certo punto, un sorriso strano farsi largo sul viso di Zipherias. Ironia.

“non per rimarcare l’ovvio, Lsyn”. Disse, con voce mortalmente dolce. Lo guardai, preoccupata. Di solito, quando faceva così era perché stava per dire qualcosa di davvero cattivo. Era capace di essere davvero sgradevole, se voleva. Quando usava quel tono, o mi preoccupavo sempre. Cattiveria in arrivo. Forse un po’ me l’ero meritata.

Beh, non era colpa mia se loro erano così lenti di comprendonio.

“ma, finora, quella che ci ha fatto fare figuracce sei stata tu…”.

Sobbalzai, e lo guardai scandalizzata. Ma cosa…?

Arrossii quando mi resi conto che, ahimè, aveva ragione.

Un lampo di quando mi ero rifiutata di salire sulla nave.

Un altro di tutti i momenti in cui ero stata male e scarsamente in possesso delle mie facoltà intellettive.

La caduta di quando eravamo sbarcati.

Sentii le guance scottare, e mi sentii immediatamente piena di vergogna.

Ammettiamolo, lo dovevo ammettere.

Zipherias non aveva tutti i torti.

Abbassai lo sguardo per non fare vedere il mio colore ormai tendente al melograno, e nascosi il mio viso con i capelli.

Tirai avanti senza aggiungere altro, trotterellando dietro Glajmi e Muzal. I miei due amici ridacchiarono.

Ops. Forse dovevo pensare, prima di parlare.

 

 

 

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Capitolo 70
*** Questione di umiltà. ***


Palazzo reale di Qerin, camera mia, e tutto il blablabla che di solito c’è in questa parte, ma che ora, sai, mi annoio troppo a scriverlo

Palazzo reale di Qerin, camera mia, e tutto il blablabla che di solito c’è in questa parte, ma che ora, sai, mi annoio troppo a scriverlo. Ti posso dire però, è sera ed io sono contenta.

Soddisfatta come non mai. Ha, ora ti spiego perché. Un po’ mi sento carogna ad essere contenta, ma chi se ne importa? Quella che ha sbagliato non sono io. Questo te la dice lunga su quello che è successo.

 

Mio tesoro di un Willie;

come stai, oggi?

Io particolarmente bene.

Ellyn mi ha fatto assaggiare un dolce che mi piace e tra poco vado al teatro. Sono piuttosto contenta della giornata, si sta mettendo molto bene.

Ah, si. Oggi c’è stato il duello. Stamattina. Bello, vero? Quasi dimenticavo (si vede che sono ancora arrabbiata, mi sa)…

Comincio con il dirti che nessuno è morto.

Sono piuttosto scocciata, sono appena tornata dalle camere di Roxen altrimenti lei era sola come un cane.

Ovviamente, e chi si sorbirebbe una persona antipatica e supponente come lei?

Ma a me non importa, ecco. Che resti sola come un cane, io me ne sono andata, perché sono stufa di sopportarla.

Sono arrabbiata con Roxen.

Non le voglio più parlare. Perlomeno, finchè non si scuserà con Ellyn con me ha chiuso.

È stata sgarbata ed è una capra.

Dopo tutto quel casino di stamattina, dopo averci fatto fare una figuraccia colossale con Lilliagrin (già siamo così amate da essere in un posto particolare del suo cuore. Supponendo che ne abbia uno, naturale), dopo aver irritato Faldio oltre ogni dire, dopo avermi umiliata, si permette ancora di credersi nel giusto!

Ma naturale, io l’ho piantata in asso.

Quando è troppo è troppo.

Sono stanca di essere trattata come un’infante e una pezza per i piedi.

Mi devo sorbire tutto quello che dice, devo sopportare la sua boria, fare la paziente, solo perché la zia mi ha lasciata con lei!

Ma chi le dice che io devo essere d’accordo con lei per questo?

La persona sola non sono io.

Tanto è vero che tra poco vado a teatro (stavolta con i miei abiti e non me ne frega niente se mi guardano tutti, io sarò regina e loro no) con Ellyn, e lei rimane qui. Sola.

Come si merita!

Sto esagerando, Willie? Sono troppo cattiva, secondo te (si, ho un po’ di sensi di colpa)?

Cioè… in fondo…

Ah, non fa niente. Mi ha umiliata ed è ancora una testa dura.

Sta facendo in modo che tutti pensino male di noi elfi, che facciamo i superiori, che siamo presuntuosi e così via.

E questo a me non sta bene.

Io voglio essere amica con gli umani, in fondo siamo un po’ uguali. Siamo cugini, come me e Roxen.

In questo momento mi sento più cugina con Ellyn che con quella serpe.

Almeno la principessa non mi schiaffeggia solo perché dico la mia.

Ecco, lo sto rifacendo.

Sto raccontando tutto senza parlare della cosa più importante di oggi.

Ovvero il duello.

Comunque.

Ecco, ora te ne racconterò un po’.

Devi sapere, fino a stamattina non ho visto Roxen da nessuna parte.

L’ho cercata dappertutto, ma niente, non la riuscivo a trovare.

Quindi, ieri sono stata con Ellyn. Era tanto nervosa, piccolina. È stata dolcissima: ha fatto posticipare il giro per i quartieri alti, che ci sarà domani (ed io andrò solo per fare dispetto a Roxen che sicuramente sarà verde di invidia. Ha), ed è stata tutto il giorno con me. Aveva tanto bisogno di qualcuno vicino.

Non ha mangiato a colazione e non parlava tanto. Mi ha confessato che aveva paura che qualcuno dei due si facesse male, o che Faldio si arrabbiasse troppo.

Diceva che lui era impulsivo, e testardo. Ha. Mia cugina allora cosa, è la sua gemella?

Quando le ho fatto quest’osservazione ha riso, ma poco. Non l’ho mai, mai vista così mogia.

Poverina, mi faceva pena. Non voleva che nessuno dei due si facesse male. Figurati. Aveva paura anche per Roxen, che la tratta così male!

Diceva che quella del duello è stata un’idea sbagliata, che Faldio non doveva proporlo e Roxen accettare, perché era sicura che le cose si potessero risolvere in un altro modo.

A volte Ellyn è così ingenua che mi fa tenerezza. Io ero e sono contenta di questo duello.

Ha rimesso a posto un bel po’ di cose.

Per prima, Roxen. Deve imparare una volta e per tutte che non siamo a casa e che lei non può fare tutto quello che vuole.

Ci voleva uno scontro con un umano a farglielo capire!

È questo che mi irrita. Questo, ed il suo stupido orgoglio.

In fondo, siamo un po’ in una missione diplomatica, e dobbiamo fare bella figura.

Allora, che impressione fa una semplice Guardia che si prende tutte quelle licenze?

Su, Willie. A me non importano queste cose, non tra le più stupide che un essere umano possa inventare, ma qui la situazione è bruttissima.

Tutti odiano tutti.

Non mi piace l’odio. È noioso e rovina l’appetito. Non voglio peggiorare le cose.

A nessuno piace stare belli tranquilli in una famiglia felice?

No, ovvio che no.

Figurati.

Lilliagrin, si, la Lilliagrin che ci ha umiliate per tutto questo tempo, ci credi, si è coccolata Roxen per tutto il tempo, permettendole di allenarsi dove e con chi voleva, chiudendo un occhio su parecchie cose, le parlava come se fosse sua figlia, tutta ansiosa perché si è da poco tolta la medicazione al braccio…e questo, per cosa?

Per la posta in gioco. Perché si, ovviamente, c’era il duello e non poteva mancare una posta in gioco!

Da una parte la promessa di lasciare stare Ellyn, dall’altra invece un allontanamento di sei mesi al confine.

Faldio lontano per tutto quel tempo!

Ovvio che Lilliagrin tifava per Roxen, non vedeva l’ora di umiliare e levarsi dai piedi quel soldato, e veder soffrire sua figlia!

Gongolava all’idea. Anche il padre di Ellyn era molto soddisfatto. Si vede che c’è qualcuno di non troppo gradito alla coppia reale.

Guaren invece non era contento. Vai a capire perché, si è rifiutato di parlare. Ha solo detto che tifava per Faldio. Durante il duello è stato vicino alla sorella e mi ha aiutato a consolarla.

Nemmeno io ero così contenta. Roxen si è divertita fin troppo ad umiliare la mia amica.

Si è messa sul suo piedistallo di diamante e guai a chi la tocca!

Di certo non lo capisce che c’è gente migliore di lei, eh!

Deve sempre fare la superiore, e non lo sopporto. Mi ha fatto fare troppe figuracce.

Per questo ho tifato per Faldio.

Comunque, riprendiamo a parlare del duello.

Ho ritrovato Roxen solo il giorno dopo. Il giorno del duello, ovviamente.

È venuta da me all’alba. Pensa, io dormivo ancora.

Lì ero ancora un po’ preoccupata per lei. Lì le volevo ancora bene, e pensavo ancora che fosse solo una stupida, non una stupida idiota.

Ovviamente ero arrabbiata, ma non tanto. Mi sono arrabbiata dopo.

Ero solo contenta di averla rivista prima del duello. Lei era stata tutto il giorno prima ad allenarsi. Non voleva fare una brutta figura, non si allenava da un po’ e rischiava di stancarsi in caso quello fosse diventato un duello di resistenza.

Con quelle teste dure come partecipanti non ne dubitavo.

Comunque, vuoi proprio sapere che mi ha detto quella lì senza nome?

Non di certo mi ha chiesto se avesse fatto bene. Né scuse né altro.

“pensi che vincerò?”.

Ecco, mi ha detto proprio questo. Nemmeno entrata e mi ha detto proprio questo.

Io le ho detto che a me poco importava. Questo non le è andato proprio così bene, ed ha cominciato a fare battute velenose, dicendo che io ero stata contagiata da Ellyn, che mi stavo trasformando in una codarda e blablabla.

Già lì ho cominciato ad arrabbiarmi sul serio. Non aveva per niente il diritto di dire certe cose cattive e, tra l’altro, false.

La codarda era lei che aveva bisogno di mascherarsi dietro frecciate subdole e cattive e poi veniva dalla cugina a farsi confortare quando si sentiva sola.

Volevo dirglielo, però mi sono frenata giusto in tempo. Ho cambiato argomento, chiedendole se fosse sicura di quello che stava facendo.

In fondo, si poteva ancora rimediare a tutto quello. Scusarsi pubblicamente e basta, fare ammenda.

Si, ti pare che Roxen possa fare una cosa del genere? In pubblico?

Vedrò prima zia senza cicatrici.

Quando ho avuto il coraggio di dirglielo Roxen mi ha guardata così male che sembrava mi volesse uccidere. Come se mi guardasse da molto lontano ed io fossi il bersaglio per il suo arco.

“ovvio, no che sono sicura! Che cosa mi potrà mai fare un umano?”. Ha detto, e poi mi ha guardato ancora peggio, ed ha aggiunto una cattiveria prima che potessi parlare (avevo in mente di dirle di stare attenta perché le volevo bene, ma che non era giusto che facessimo una brutta figura come quella, che ci stavamo abbassando al livello delle bestie con quel dannato orgoglio).

Sai che ha detto?

“si vede che sei diventata proprio una codarda”.

E questo con la sua solita aria di sufficienza!

Non ci ho visto più dalla rabbia, e le ho detto quello che pensavo su di lei e sulla codardia.

Vuoi sapere che ha fatto, Willie? Mi ha dato uno schiaffo.

Mi ha schiaffeggiata!

Come si permetteva? Volevo prenderla per i capelli e strapparglieli uno ad uno, tanto mi sono arrabbiata. Ho pensato addirittura di togliermi quel ciondolo che mi protegge e lasciare che il potere mi scorresse dentro (ero tanto arrabbiata che pensavo addirittura che non importava ucciderla), ma poi ho pensato che poteva succedermi qualcosa di brutto a me ed ho lasciato perdere.

Lei mi ha guardato tutta contenta ed ha detto che ne dici delle mie frecciate subdole, Ninì? Ti piacciono?

L’ho cacciata fuori quasi a calci. Ma come osava! Come osava dirmi tutte quelle cose!

Ah, se ci fosse stata la zia Lsyn non sarebbe successo. L’avrebbe presa e umiliata davanti a tutti. Probabilmente l’avrebbe sfidata, e se ci si mette bene zia è terrificante con quella sua spada. Salta di qua e di là come un ragnetto, e chi la prende più?

Così mi è venuta un’idea.

C’era bisogno di mettere un po’ di sale in quella zucca? Benissimo.

Roxen voleva fare la superiore? Che ben venga. Volevo vedere come avrebbe fatto da sola!

Avrebbe pagato. Ho pianto tanto, Willie, sono stata tanto male per quello schiaffo…

 

Tu credi che l’abbia perdonata?

Ah, se lo scorda! Non sono Ellyn.

Fino a quando non farà marcia indietro su tutto non la perdonerò. Non le perdono quella violenza inutile.

Comunque, poi Ellyn è venuta a chiamarmi. Si è spaventata quando mi ha visto tutta sconvolta, e mi ha chiesto cosa mai fosse successo.

Quando le ho raccontato tutto ha detto che non dovevo arrabbiarmi con Roxen, che è tanto insicura.

L’ha scusata anche in quel frangente!

Io me ne sono andata di corsa. Tanto sapevo dove andare e potevo arrivarci sola (poi mi sono scusata con Ellyn. Lei voleva solo consolarmi).

Comunque, ho raggiunto il posto del duello da sola.

È una specie di arena nel palazzo, piccolina ed ovale. Come spettatori c’eravamo solo noi, la corte, gli amici di Faldio e qualche nobile dalla puzza sotto il naso.

Io sono arrivata quando c’erano ancora poche persone.

Ho preso subito posto, non avevo voglia di parlare con nessuno.

Ero in pratica in un posto speciale riservato alla regina ed ai suoi nobili, il posto da cui si vedeva meglio.

Coperto ovviamente dal sole, tanto qui pure in inverno è forte come da noi in estate.

Comunque, io ero seduta tra un posto vuoto (poi lì si è seduta Ellyn) ed una ragazza con i capelli neri neri neri, dal sorriso gentile.

Si è presentata come Sarah. Sembrava un po’ a disagio in quel posto, e non capivo perché. Mi ha chiesto perché stessi piangendo. Ero forse preoccupata per l’altra elfa?

Io le ho detto che spiacente, ma tifavo per Faldio. Lei mi ha guardato in modo strano, ma ha fatto finta di niente.

Poi  mi ha spiegato un paio di cose.

In pratica, lei è la famosa Sarah sorella di Faldio, quella che ha aiutato Ellyn a farli avere come scorta.

Sorella adottiva, però (mi chiedevo perché non si somigliassero). Era lì, in un posto di solito riservato ai nobili di altissimo rango, perché suo fratello era coinvolto nel duello e lei aveva diritto a stare con i parenti della sfidante.

Ovviamente, con me.

Poverina, la guardavano tutti malissimo. Lei faceva finta di niente, e ha parlato tutto il tempo con me, Ellyn e Guaren, ma soffriva ed era impaziente.

Poverina.

Comunque, dopo un po’ ci hanno raggiunti Ellyn e Guaren.

Io mi sono scusata con lei, e poi lei mi ha abbracciata, dicendo che tutto si sarebbe messo a posto.

Vorrei crederle. Ehi, sto diventando un bel po’ pessimista.

Comunque, pian piano tutti hanno occupato i pochi posti che c’erano disponibili.

Ho visto Hector, e Jan, Rosie, Scarlett, Kuini. C’erano tutti.

Loro hanno visto me, e mi hanno salutata da lontano. Io ho risposto loro.

Tanto, Lilliagrin ed il marito non erano ancora arrivati.

Hanno fatto un ritardo pazzesco. Probabilmente Lilliagrin è andata a salutare Roxen ed a lisciarsi per bene quella presuntuosa senza cuore.

Comunque, dopo che sono arrivati tutti zitti e buoni. Prima stavo parlando con Sarah, Guaren ed Ellyn, e tentavamo inutilmente di calmarla.

Poverina, per tutto il tempo sembrava che si fosse seduta su di un riccio. Non è stata ferma un attimo. Aveva le lacrime agli occhi, poveretta.

Di nuovo non ha mangiato, a pranzo. Se stasera digiuna davvero la prendo e le faccio un bel discorsetto.

Comunque, poi sono entrati Faldio e Roxen, dai lati opposti dell’arena.

Roxen tutta tronfia, è stata accolta dal silenzio più totale. Solo qualche sporadico applauso senza convinzione (l’unica ad applaudire tutta contenta era Lilliagrin), ed un “buu” proveniente da qualche parte dalla parte dei soldati. Sono sicura che a farlo sia stato Hector.

Credo che questo le sia andato molto storto. Guardava tutti come se li volesse uccidere.

Ha guardato anche me, ma io ho fatto finta di niente.

Ovviamente ho applaudito con entusiasmo quando è entrato Faldio, con l’aria serafica ed annoiata di una persona che deve sbrigare un servizio.

Penso che mia cugina abbia accusato il colpo per bene.

Poi è entrato un uomo armato, una guardia penso. L’arbitro.

Comunque dopo di questo Lilliagrin si è messa a spiegare tutto per bene.

Solita roba. Un duello al primo sangue con le spade, vecchia maniera. Il primo che si feriva perdeva. Niente colpi bassi, niente mani. Niente risse da osteria (e dicendo questo guardava Faldio. Penso che sia strabica: l’unica capace di fomentare uno spargimento di sangue in taverna è proprio Roxen. È il suo passatempo preferito, oltre ad accalappiare nobili ricchi).

Se qualcuno fosse stato disarmato si sarebbe fatta una pausa per permettere la completa parità (si vedeva che Lilliagrin non era contenta. Ma doveva fare per forza buon viso a cattivo gioco e sperare in un colpo di fortuna che facesse vincere Roxen).

Comunque, dopo di questo hanno iniziato.

Ovviamente, non si sono sprecati. Tutti e due decisi a far pagare all’altro ogni minima cosa.

All’inizio era Faldio in vantaggio. Naturale, Roxen ha da poco tolto le fasciature al braccio, ed è fuori allenamento. Per un soffio ha evitato un fendente che l’avrebbe fatta perdere (stavo morendo per un colpo al cuore).

Ovviamente, questo a mia cugina non credo che andasse molto bene.

Quella vipera sa perfettamente come utilizzare le debolezze degli altri a proprio vantaggio.

Ha cominciato con le sue solite  cattiverie subdole.

Ha prima cominciato a decantare le bellezze del confine, del fare la guardia lontani da chi si ama.

Poi ha preso in giro la “inutile e sciocca cavalleria di un bambino” di Faldio.

Ha continuato con le cattiverie (quelle permesse, purtroppo) con uno scopo preciso.

Fare perdere la pazienza a Faldio.

C’è riuscita pienamente.

Ad un certo punto quel poverino che aveva sopportato tutto con calma se n’è uscito con un urlo, ed ha cominciato ad aggredirla sempre più violentemente.

Ellyn si è spaventata. Conosce il suo innamorato da un bel po’, e lo sa che non è prudente farlo arrabbiare. Roxen rischiava di farsi molto male (ed io gongolavo).

Mia cugina non aspettava che questo.

Ha cominciato a rispondere a quella furia con calma, ed ha recuperato in pieno.

Per due volte gli ha fatto cadere la spada, con un sorriso pigro in viso.

Ho cominciato ad avere tanta paura, Willie.

E se lei avesse vinto? Sarebbe stata inarrestabile nella sua boria.

Avrebbe reso a tutti la vita un inferno.

A Roxen bisogna dare un limite, altrimenti è la fine.

Ellyn avrebbe sofferto. Già in quel momento era doloroso vederla, si mordeva le nocche con sguardo tormentato ogni volta che Faldio retrocedeva.

L’unica a gongolare era Lilliagrin. Un paio di volte si è girata ed ha guardato la figlia trionfante.

Bastarda.

Le ho augurato di morire nel modo più doloroso possibile, con una lunga agonia.

Comunque, dopo un po’ Faldio è caduto. Poverino, era stanco. È pure umano, non di certo come me e Roxen, che siamo più resistenti di lui.

Nell’arena, silenzio. Mi veniva da piangere. Io, Sarah ed Ellyn ci siamo stritolate le mani a vicenda.

Non potevamo parlare, altrimenti avremmo cominciato ad inveire contro Roxen con le peggiori parolacce possibili.

L’arbitro l’ha fatto rialzare, ma si vedeva, era stanco.

O almeno… così pareva.

Quell’idiota ha fatto tutta scena. Si è finto più debole per fare una trappola a Roxen.

Ovviamente, lei ci è caduta in pieno. Ad una subdola si risponde con astuzia.

Aveva imparato il trucco.

Ci ha fatti prendere un colpo.

Ad un certo punto ha cominciato ad ondeggiare. C’era un silenzio mortale nell’arena.

Roxen ha cercato di approfittarsi di uno di questi momenti, prima che cadesse. Molto sleale da parte sua, ma non mi aspettavo di meglio da quell’anima nera (forse sono troppo cattiva con lei).

È stato allora che lui l’ha fregata.

In un lampo ha parato l’affondo che stava tentando quella faccia tosta di mia cugina. Sapessi come lei l’ha guardato, sorpresa (ma eravamo sorpresi pure noi)!

È stato un lampo, Willie, non ho capito bene cosa e come sia successo.

Faldio ha battuto Roxen in un attimo. Si è approfittato dell’effetto sorpresa.

Ha parato il suo colpo, e, in quel momento di scarsa concentrazione da parte di mia cugina, l’ha ferita al fianco, un bel taglio profondo, che ha cominciato subito a sanguinare.

Il mio cuore è saltato di gioia, Willie, sapessi! Abbiamo esultato noi tre ragazze (ehi, dovrei far invitare Sarah qui, una volta tanto. Mi piacerebbe parlarle mentre i due piccioncini tubano), ed hanno esultato tutti.

Avremmo ballato tutti di gioia!

Finalmente, Roxen ha avuto la lezione che si merita. Ha!

Eravamo tutti così felici.

Tutti tranne Lilliagrin, il marito e Roxen.

Normale. Si teneva il fianco ferito, curva, e ci guardava tutti. Aveva lasciato andare la spada. Sembrava…smarrita. Come una bambina che ancora non ha capito quello che è successo attorno a lei. Un po’ faceva pena.

Faldio l’ha guardata, e le ha detto che per pietà non le avrebbe chiesto di fare le scuse pubbliche ad Ellyn (peccato. L’avrei voluta vedere così umiliata). Hanno riso tutti.

Roxen mi ha guardata. Sembrava sull’orlo delle lacrime. Si aspettava che la appoggiassi, eh!

Io le ho fatto segno che ben le stava.

Poi lei è crollata. Era una brutta ferita, dopotutto, ha continuato a sanguinare a lungo, e le hanno dovuto dare un bel po’ di punti. Ben le sta.

Comunque, è stata portata in infermeria. Poi tutti siamo andati a complimentarci con Faldio.

Gli ho detto che è stato un genio, e lui mi è sembrato un bel po’ lusingato. Sarah gli è saltata al collo, ed Ellyn…Ellyn non ha fatto niente, ma si sono guardati e si sono sorrisi.

Ero così contenta…peccato che è finito tutto quando mi hanno chiamato dall’infermeria.

Roxen era stata portata nella sua camera, ma mi cercava. Dovevo andare da lei.

L’ho fatto per pura pietà, magari non si sentiva bene e lei quando io non sto bene sto sempre da lei.

L’ho trovata boriosa ed arrogante come al solito, un po’ debole. Era a letto, ma perfettamente lucida per ringhiare al mondo. Credevo che mi avesse cercata per scusarsi, ma…

Quando sono arrivata mi ha parlato in modo sgarbato, mi ha chiamata traditrice e poi ha cominciato ad inveire contro tutti.

Contro l’arbitro venduto, contro gli umani bastardi che non conoscevano il valore, che non avrebbe chiesto perdono nemmeno su un patibolo e così via.

Ad un certo punto non l’ho nemmeno più sentita, e mi sono concentrata su altre cose.

Ad un certo punto c’è stato il silenzio.

Mia cugina mi ha presa per mano. Volevo scostarmi ma mi sono dominata.

L’ho guardata. Ho trovato un’altra persona al posto di mia cugina.

Mi sembrava un cucciolo abbandonato, sperduto, titubante. Umiliato in tutto.

Quasi si sarebbe messa a piangere.

Ho pensato, soddisfatta, che Roxen era sempre Roxen, ma che aveva sicuramente imparato la lezione, e che si sarebbe scusata.

Invece no, ovviamente.

Sai che ha detto?

“secondo te ho sbagliato così tanto?”.

Se non le avessi sentite avrei riso, a quelle parole. Che splendida barzelletta.

Ma come? Torturava Ellyn, la dolcissima Ellyn ora al di fuori di ogni pericolo (perché tra i rari pregi di mia cugina c’è il tener fede, anche di malavoglia, alle promesse), mi schiaffeggiava e poi chiedeva quelle cose?

Mi sono scostata da lei, sono stata dolce ma ferma, le ho tolto la mano dalla mia, ed ho risposto, serafica, che una codarda non poteva rispondere ad una simile domanda.

Ha, che carogna che sono! Quando voglio sono proprio cattiva. Non so perché ma sto gongolando.

Lei mi ha chiesto se ancora ce l’avessi con lei per il fatto che mi aveva offesa.

Io le ho risposto che era il suo comportamento che mi dava fastidio.

L’ha presa molto male. Non sembrava in grado di rispondere come al solito, non so perché.

Mi guardava come se in me vedesse un estraneo. Era…timorosa. Sembrava ad un passo dal piangere a dirotto e chiedermi scusa.

Non l’ha fatto. Finché non lo farà a me ed Ellyn io non le parlerò più.

Ho rincarato la dose. Le ho detto che finché non avesse imparato l’umiltà poteva anche dimenticarsi di me, e che, visto che era così superiore, non mi cercasse per rinforzare la sua autostima di codarda.

Le ho detto tutto. Che è un’anima nera, che sta avvelenando tutti, che ci sta facendo fare una pessima figura con il suo comportamento infantile, che è una vipera, una serpe, che se non ha ragione lei non dorme la notte, e pur di aver ragione ucciderebbe la sua famiglia, che non sa far altro che prendersela con i deboli ma in realtà non vale niente.

L’ho vista farsi sempre più piccola man mano che mi sfogavo.

Oh amico mio, mi sento cattiva, ed a ripensarci mi vengono davvero i sensi di colpa.

Che dici, se vado da lei e mi scuso…?

No, non posso farlo. Ho fatto una promessa con me stessa, e la devo mantenere..

Ma sto soffrendo…

Le ho detto una cosa terribile prima di andarmene. Non posso credere di essere stata così malvagia.

La zia mi ucciderebbe. È vero, lei è stata cattiva, ma era in una brutta situazione e dovevo starle accanto.

L’ho umiliata e ferita ancora di più invece.

Forse sono troppo buona, ma io le voglio bene. Roxen è sempre mia cugina, siamo cresciute insieme.

Facciamo tante cose insieme, e lei non è cattiva. Forse un po’ boriosa, arrogante, ma non è cattiva.

A volte sa essere così dolce che nemmeno immagini. Forse fa così la cattiva perché non vuole che si veda la sua bontà.

Fa il bullo perché si sente debole. In fondo ha anche lei i suoi bei fantasmi con cui combattere.

Oh, Willie, sono un essere ignobile. E poi chiamo subdola Roxen!

Ero così arrabbiata, e credo di aver esagerato davvero.

Mentre mi sfogavo mi è venuta in mente una cosa che spesso mi diceva Roxen.

Mi hanno raccontato, lei ed il fratello, di aver avuto un contatto ravvicinato con Lainay ed il suo scagnozzo preferito, Jalim (di cui si raccontano strane storie. È davvero senza sesso o finge? Chissà).

Ovviamente, non è stato per niente un bel tè con biscotti. Sono stati giorni orribili.

Ed io mi sono approfittata di questa debolezza, si! Ho fatto una cosa orribile!

Ad un certo punto mi sono allontanata verso la porta.

Mi ero stancata, e non avevo la minima voglia di litigare ancora.

Roxen ha fatto un debole gesto per trattenermi, frastornata come se le avessi dato uno schiaffo forte, ma io mi sono divincolata facilmente.

Ho aperto la porta, e mi sono girata verso di lei.

Sapevo che l’avrei uccisa con queste parole.

Le ho usate lo stesso. E ne ho gioito, sul momento. Oh, Willie…

“tu odi tanto Lainay, Roxen. Non dovresti. Dici che ti ha fatto cose orribili, ma non ti sei mai interrogata su di te? Tu sei come lei, cugina. Hai il suo stesso cuore marcio”.

Ed ho chiuso la porta.

Oh, Willie… volevo subito chiedere scusa, aprire la porta ed abbracciarla, ma non ho voluto.

So di aver sbagliato, e tanto. Sono molto cattiva a parlare di cose che non conosco.

Lainay non è famosa per andarci piano.

Devo avere ferito mia cugina come mai nessuna spada ha fatto.

Oh, Willie… sono stata io come Lainay. Le ho ferito l’anima.

E non riesco a perdonarmelo.

Lei ha sbagliato con la sua arroganza, ma io ho sbagliato quanto lei.

Intendo ancora non parlarle fino a quando  non farà un passo indietro? Ma lo farà o finiremo per odiarci tutti?

Lei mi perdonerà per queste cose cattive?

Oh, Willie, non ci voglio pensare. Lei è mia cugina. La mia adorata cugina…

Mi sento tormentata. Che devo fare?

Sono una stupida. Una vera stupida…

Oh Willie, mi stanno chiamando. Devo andare.

Spero solo che andando al teatro io mi distragga un po’.

Sempre che il pensiero di Roxen sola soletta nella sua camera non mi perseguiti.

Alla prossima, Willie, ti voglio tanto bene (e sotto sotto voglio bene anche a Roxen. Anzi. Io adoro Roxen).

 

La tua Nilyan, subdola e cattiva.

 

 

 

 

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Capitolo 71
*** Qualcuno mi faccia uscire di qui! ***


Qualcuno mi faccia uscire da qui

Qualcuno mi faccia uscire da qui! Questo è un incubo!

Svegliatemi per favore, fate qualcosa, per i denti di Lainay….che possa romperseli tutti cadendo dalle scale!

Perché, io dico? Perché?

Chi ci vuole male?

Prigioniero per la terza volta. Quasi di seguito. Questo è genio, Machin.

Ci vuole solo qualcuno di parecchio geniale per fare una cosa del genere. Insomma.

Mica la zia in tutti i suoi viaggi ha avuto questo disavventure.

Almeno, non proprio dall’inizio maledizione.

Nemmeno raggiungere la nostra prima meta. Questo zia lo faceva prima di finire nei guai.

Noi no. Dannazione.

La prima volta d’accordo, poteva pure essere che siamo stati un po’ imprudenti.

Eravamo troppo sicuri della nostra identità di Guaritori ed è tutto a posto. Siamo stati beccati.

La seconda è stata conseguenza della prima. Dei draghi ci hanno preso in custodia dopo quei cretini di umani.

Perfetto, e siamo riusciti a scappare.

Certo, abbiamo imparato dai nostri errori e così via. Non faremo mai più una stupidaggine del genere.

Ma ora?

Che razza di imprudenza abbiamo commesso per meritarci questo? Che abbiamo fatto di male, spiriti del cielo?

Ci siamo fermati per riposare e per stare tranquilli.

Un drago delle nevi, per giunta un cucciolo, e due elfi che non di certo vogliono dare problemi. Tre innocui viaggiatori.

Innocui viaggiatori per giunta distrutti.

Santo cielo, a chi diamo fastidio, eh? A quale dio la mia bellezza da fastidio?

Sicuramente a tutti gli dei esistenti. Io sono troppo bello per essere vero, o no?

Ammettiamolo tutti. Creature come me non esistono né esisteranno mai.

Sono unico al mondo. Dai miei genitori ho preso il meglio e basta.

Ma allora perché devo finire in questi guai? Accidenti.

Oh, mamma dove sei? Voglio la zia!

Accidenti, dire che siamo fregati è poco. Questo essere è…enorme.

Non deve essere un drago, non ne sono pienamente convinto.

Almeno, i draghi delle leggende, e fino ad ora quelli che ho visto non sono come quello.

Non ho mai sentito parlare di una creatura nera e viscida, con due zampe, che cammina come i pipistrelli ed ha un collo sproporzionato al resto, con gli occhi piccoli e neri, due corna lunghe e per il resto…tutti denti.

Per gli dei, devono essere affilati.

E poi i draghi non puzzano.

Quelli delle nevi sanno di neve. O meglio, non sanno perfettamente di nulla.

Sembrano esseri irreali come il ghiaccio in cui abitano. Poetica questa frase, dovrei segnarmela.

Se solo ne avessi la voglia… dannazione, perché non riesco a muovermi?

Ho la netta impressione che siamo nei guai stavolta siamo veramente morti oh salvatemi per favore vorrei la zia ma ovviamente non è qui è altrove a combinare i suoi disastri.

Questo coso puzza.

Sa di viscido, di umido.

Di morto.

Che diavolo è?

Oh signore mi viene la nausea a sentire questo orrore. Voglio piangere, ma mi devo trattenere. Non sono più un bambino o sbaglio?

Vorrei tanto dare questa dimostrazione alla zia, che pensa sempre io sia il piccolo da proteggere…ma lei non c’è. Non ci sarà mai più.

Non voglio morire. Non voglio essere nei guai di nuovo, maledizione, ne ho avuto per una vita intera.

Oh, ho paura. Vorrei tanto stare a casa, al caldo, tranquillo, con Nilyan e gli altri.

Roxen e Miobashin mi uccideranno se non le porto il loro amato Guaritore sano e salvo.

Soprattutto vivo.

Qui è un gran problema.

Sento un gran dolore alla testa…non riesco a muovermi, e c’è qualcosa di bagnato che mi scende giù giù per la fronte.

Spero non sia sangue e spero che io non sia ferito. Non voglio cicatrici né roba che si può infettare.

Papà è morto così, per una ferita infettata. Ho sempre paura che questo accada a me. Non voglio morire.

Ho ancora tanto da vedere…tanto da fare… non voglio morire qui, mangiato  da quel coso.

Vorrei toccarmi per vedere se davvero sono ferito, ma non riesco a muovermi. Sono bloccato completamente, e questo mi frustra ancora di più.

Non è giusto. Non è per niente giusta questa sfortuna che si accanisce contro di noi.

La fortuna è cieca, ma cieca forte, per non vedere questo casino.

Temo che Chekaril si sia fatto davvero male. È quasi color terra, e mi sta guardando in un modo…

No, non mi vuole del male. Sta solo soffrendo tanto.

Oh, che cosa gli sarà successo? Qualcosa di grave?

Non voglio che anche a mio cugino succeda qualcosa. Non è giusto.

E anche Nep è a terra. Cerca di alzarsi ma non ci riesce.

Ma che cosa ci avrà fatto quel coso?
che cos’è soprattutto?

Cosa ha la forza di bloccare un drago, un cucciolo ma bello consistente?

Un mostro, senza dubbio. Un incubo.

Questo è un incubo, solo che non lo so. Accidenti, perché la zia non mi sveglia?

Di solito quando faccio un incubo lei arriva subito per svegliarmi.

Maledizione!

Perché mi sono offerto per questa missione?
Io lo sapevo, ho sempre saputo che tutti quelli che vanno nel Regno non tornano più, almeno da vivi e tutti interi. Non dimenticherò quel tipo fatto a pezzi che ci mandarono. Fece scalpore e panico.

Ovviamente io mi ci sono infilato, in questa situazione.

No, non sono un bambino, sono un essere adulto, non ci succederà nulla se faremo così e così via.

Stupidaggini.

Tutto per quella spada…la spada di papà.

Zia aveva dannatamente ragione ad essere preoccupata per me. Io sono un buono a nulla.

Perché non succede mai come immagino che succeda?

Perché deve sempre andare tutto storto?

Cioè…poi a me!

Che ha fatto di male il povero Machin Tijorn?

Sono solo un piccolo bambino. Voglio solo indietro la spada di papà. Non sono venuto per fare del male.

Lasciaci andare!

Accidenti, Nep ha ancora la forza di lottare?

Almeno lei riesce a muoversi un po’.

Io sono tutto contorto e vedo solo Chekaril e loro due. Fantastico.

Forse perchè sarà più grande. È riuscita un po’ ad alzarsi, ma poi è  ricaduta.

Accidenti, deve essere spaventata sul serio. Perché, noi no?

Ah, che mal di testa. Vorrei solo stare tranquillo per un po’. Dormire, magari. Sono stanco.

Non ho quasi paura. Non lo so perché, non mi sento così spaventato.

Ho la testa così leggera…mi girà un po’, ma cosa posso farci?

Ah, spero solo di non essermi fatto così male alla testa. È l’unica cosa che mi da fastidio, questo dolore.

Dei, come mi fa schifo quella creatura. Quell’animale.

Si muove in un modo orrendo. Mi disgusta.

Sto ricominciando ad avere paura. Sento paura e non so perché.

“lascarvi andare? Perché?”. Ma tu guarda come è…viscido. Subdolo. Se la ride sotto i baffi mentre vede Nep. Povera Nep.

Poveri tutti noi. Come vorrei essere a casa al calduccio…

Sto cominciando ad avere freddo. Non mi sento più i piedi e le mani.

Stare a terra così mi ucciderà.

Morirò di polmonite e non vedrò mai più la zia, i miei amici…

No, non voglio pensarci. Non voglio pensare alla morte. Andrà tutto bene com’è andato finora.

Abbiamo avuto molta fortuna in fondo, no?

Siamo sempre usciti vivi da ogni cosa.

Usciremo vivi anche da qui. Deve essere così per forza.

Sono Machin, no? Figlio di eroi. Nulla può andare storto.

Non a me. Sono sopravvissuto finora e sopravvivrò ancora.

Io voglio tornare a casa da eroe e così sarà.

Non voglio fare come mio padre che è diventato eroe solo sacrificando se stesso, ed ha lasciato soli me e la mamma che è morta di dolore. Zia crede che questo non lo sappia, ma so un sacco di cose.

Io non voglio fare come lui e non voglio che zia Lalla soffra. Non la voglio vedere piangere come quando va alla tomba dei miei genitori. Io l’ho vista tante volte, l’ho spiata.

Non voglio che Nilyan soffra. Voglio vivere.

Oh, che mal di testa. Mi gira come una trottola. Ho la nausea, accidenti.

“non volete lasciare solo il povero, vecchio Jaunussir? Non volete farmi un po’ di compagnia?”.

Si, certo. Però perché non ci lascia andare così siamo tutti insieme davanti una tazza di tè?

Dai, ridicolo.

Non voglio essere mangiato. Non deve essere una cosa così eccitante e divertente.

Povera Nep. Deve avere una paura folle. Mi sento in colpa per averle chiesto di riposare qui. È un po’ colpa mia se siamo in questo guaio.

Accidenti, però, ha coraggio. Gli sta ringhiando contro.

Non so perché ma non credo sia una buona idea.

Che cosa ti abbiamo fatto mai di male?

Accidenti, non ho mai sentito Nep così disperata. Riconosco quello sguardo. Sta cercando di liberarsi ed ha paura.

Non riesco a muovermi ed ho freddo e mal di testa.

Vorrei tanto dormire, ma non vorrei non svegliarmi più.

Non abbiamo cattive intenzioni…siamo solo stanchi, il nostro è un lungo viaggio…abbi pietà di noi che non stavamo facendo altro che riposare!

Oh dei, che orrore. Perché sta ridendo in questo modo?

Bastardo. Queste risate sono terribilmente dolorose. Vorrei coprirmi le orecchie ma non posso.

Non posso muovermi.

Ma tu sentilo. Che cosa c’è di tanto divertente?

Si diverte tanto a vederci così vinti?

È sadico, ma sadico forte.

“pietà?”. Questa cosa non mi fa sperare in bene. Non che ci credessi, ma questa creatura non deve conoscere propriamente il significato di quella parola, a giudicare dal tono un po’ sprezzante.

Guarda un po’….non posso fare a meno di pensare che questo si sta divertendo un mondo.

La risata si è interrotta com’è iniziata. Guarda quel coso com’è vicino a Nep. È incredibilmente severo.

“ah, non giocare con me, cuccioletta. Una viverna non conosce pietà, e lo sai”.

Accidenti, che tono orrendo. Minaccioso.

Ma cos’ha detto? Come si è chiamato?

Viverna?

Non ho mai sentito questa parola.

Perfetto.

Anche un qualcosa di sconosciuto dovevamo andare a trovare.

Possibile che tutte le sfortune capitino sempre a noi?

Che bello. Ballo di gioia a questa prospettiva.

Bene. Non mi pare che la situazione si voglia risolvere pacificamente.

E ora? Non vorrà di certo mangiarci…noi non siamo buoni. Ma dai, siamo così innocenti…

Come mi infastidisce essere così inerme. Vorrei tanto prendere a bastonate quella creatura come se fosse un cane randagio.

Sono solo un povero piccolo elfo.

Questa cosa proprio non mi piace. Più il tempo passa e più mi sento piccolo ed insignificante. Vai a fare qualcosa, a quelle due montagne.

Quella creatura è più grande di Nep, però. Non come un drago adulto, ma ben ci sta.

“siete entrati nel mio territorio, e…”.

Ah! Oh per tutti gli dei santi e santissimi e per tutte le spade del mondo intero!

Che diavolo è successo?

Nep è riuscita a liberarsi! Vai! E vai!

Per fortuna che abbiamo una creatura come lei!

Sapevo che un drago non si può fare fesso. Soprattutto da una bestiaccia poco intelligente come quella.

L’ha preso di sorpresa. Dannazione però, i loro ruggiti mi fanno male alle orecchie. E accidenti, sono vicinissimi a noi. Noi non possiamo muoverci, e casomai ci schiacciassero….

Ahi. Se le stanno dando di santa ragione.

Ehi, un momento.

Fammi vedere un po’… ma si! Posso muovermi! Posso alzarmi e camminare!

Meglio andarsene di qui.

Almeno ci nascondiamo tra gli alberi, così non possiamo farci del male.

Devo alzarmi. Devo assolutamente alzarmi. La testa mi scoppia ma poco importa. Dobbiamo scappare.

La viverna, o quello che è, è troppo occupata a difendersi da Nep.

Ecco. Accidenti, mi gira la testa… no, Machin, devo essere forte.

Non devo cadere di nuovo.

Non ci vedo…ecco, ora va meglio.

Devo assolutamente prendere Chekaril. Non so cosa si sia fatto e spero che non sia nulla di grave, ma non si è ancora mosso.

Fuggite di qui!

Anche subito, Nep.

Accidenti, che brutta faccia che ha mio cugino. Si sta tenendo un braccio. Lo devo scuotere. Dobbiamo scappare. Gli grido di muoversi, e lui sta cercando di muoversi.

Ma che cosa gli succede? Diamine, sono preoccupato. Ha cercato di alzarsi ma ha gridato di dolore.

Perché? Oh dei!

Oh dei, speriamo che non gli sia successo nulla di così grave.

Mio cugino…

Oh, oh, oh! Che devo fare? Che faccio? Come possiamo scappare?

Dannazione, non credevo che i draghi potessero fare queste grida. Vorrei girarmi per vedere…

No, meglio di no.

Devo salvare la mia pelle e quella di mio cugino, non guardare due mostri enormi che si scannano.

Povera Nep. Spero solo che non si faccia così male.

Diamine, non c’è tempo!

E se prendessi Chekaril per un braccio e lo aiutassi?

Si, magari si può fare. Sbrigati, Machin.

Diamine, mi sento uno schifo.

Ma a chi importa?

Mi sono messo in questo guaio? Ora devo salvare almeno mio cugino.

L’ho convinto io a venire con me e la responsabilità di tutto quello che gli succede è completamente mia.

Fai vedere che sei degno di portare il nome di tuo padre, e quello che  tua madre ha scelto per te.

Fai vedere che sei figlio di eroi.

“ce la fai ad alzarti, Chekaril?”.

No, non ce la fa. Ha scosso la testa. E se lo dice lui che è Guaritore….

Dannazione, questo è un guaio. Se mi chino la testa mi scoppia.

Non devo svenire. Mi manca la terra da sotto i piedi.

No. Non posso farlo. Devo salvare la pelle a tutti e due. Nep se la caverà.

È più grande di noi.

Ce la posso fare….ce la posso fare…si!

Ce l’ho fatta.

Accidenti, com’è pesante. Dannazione, deve avere qualche osso rotto.

Se solo non si fosse messo davanti… no, Machin, non cadere.

È vero, ho un corpo morto quasi addosso, ma posso farcela. Una volta nella boscaglia saremo più al sicuro. Non potrà raggiungerci in mezzo agli alberi fitti.

Andiamo…un altro po’…un altro po’…

Ahi, che strillo accidenti. Un maiale sgozzato.

Su forza che ce l’abbiamo quasi fatta…

Le gambe mi tremano ma accidenti non devo mollare. Non devo mollare!

Nep sta lottando per noi.

Ma…che strano. Che cos’è questo silenzio?

Perché non c’è più nessun rumore?

Scappa, Machin. Scappa con Chekaril, aumenta il passo. No, non ce la faccio!

Su, sono quasi al sicuro… non mi potrà pi…

Ah! Aiuto!

Odore… di foglie. Sono…a terra?

Oh. Dolore. Tutto… mi fa di nuovo male…male…

“dove volete mai andare? Non potete essere così scortesi da ignorare un invito a casa mia, proprio no…”.

Una voce lontana, si spegne. Chi è?

Dolore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 72
*** Ombre. ***


Proseguimmo il cammino, tranquillamente

Proseguimmo il cammino, tranquillamente.

Io, ancora piena di vergogna, non parlai per tutto il tragitto, lasciando ai miei due amici il compito di vedersela con i due Insathi.

Non molto educato, è vero, ma non avevo particolarmente voglia di parlare.

Le parole sarcastiche di Zipherias mi avevano infastidito.

Possibile che fossi sempre io a fare la figura della sciocca?

E in nave era stato così, e ora anche lì… detestavo quelle situazioni.

Io, Lsyn Amarto, trattata come una cretina qualunque, con tanti di quei punti deboli da fare invidia ad un muro pericolante!

Ma io ero una cretina qualunque, fragile come vetro sottile. Non ero più nessuno da tempo.

Come avrei desiderato essere più forte.

Non avere tutte quelle fobie e piccole manie. Riuscire sempre ad argomentare logicamente in modo da avere ragione.

Avere un po’ più di potere nelle mie mani.

Mi sarebbe piaciuto vedere un po’ più di rispetto in chi mi accompagnava. Era un peccato non potere marcare il proprio territorio.

Una bella lezione sarebbe servita splendidamente a quei due.

Mi avevano umiliata in pubblico.

Erano pure miei amici, ma come osavano prendersi certi permessi con me?

Nominalmente ero sempre io la più alta di rango.

Ero Ch’argon.

Tante grazie.

Me lo facevo fritto, quel titolo. Serviva solo a procurarmi grane.

Se solo tutto non fosse andato com’era andato, se solo fossi stata un po’ più accorta…

Se solo fossi stata ancora Spia… ancora Ombra…

Un forte dolore al braccio mi riscosse dai miei pensieri distratti, ed io realizzai istantaneamente cosa stavo pensando.

Mi strinsi l’arto così forte, sobbalzando, che Capouille, che mi era accanto, se ne accorse, e si girò, perplesso.

Feci finta di grattarmi, ed abbassai la testa. Una nuvola nera, rabbia e delusione, cominciò ad oscurarmi.

Ringraziai la Stella che portavo, che mi ero incisa con la mia stessa spada un giorno ormai lontano.

Quando facevo di quei pensieri c’era almeno qualcosa che mi riportava sulla retta via.

Mi sentii ancora più umiliata.

Ombra era sempre lì, a tentarmi e tormentarmi.

Era come la gemella cattiva, che prendeva il posto quando non doveva.

Quando cominciavo a rievocare con nostalgia il vecchio terrore che provocavo, il potere che avevo avuto sugli altri sentivo disgusto per me stessa.

Qualcosa in me si rivoltava quando la tentazione di ritornare la pericolosa ed infida Spia che ero stata si faceva troppo forte.

Mi venivano, naturali, un sacco di domande, nessuna di queste piacevole.

Ero diventata quello che ero, Ch’argon di Uruk, zia premurosa, consigliere di Isnark, solo per pura vanità? Per dire a me stessa che ero cambiata?

Perché non avevo scelta? Perché volevo salvare me stessa  e sentirmi con la coscienza a posto, senza ulteriori fantasmi?

Era un gesto di convenienza, il mio? Un gesto di puro opportunismo parassita?

Non ero mai stata buona. Mai. Non so che significhi, non ne ho la minima idea.

Non lo sono tuttora. Non sono tra i buoni né lo sarò mai.

Tijorn, il mio fratello amato, così buono e giusto, era tra le Spie più subdole e complicate.

Qui nessuno è buono o cattivo. Non c’è bianco e nero, ma solo grigio.

Avevo scelto una tonalità più chiara per la mia nuova Lsyn, ma la vecchia non se n’era mai andata.

Non ero mai cambiata. Avevo solo nascosto tutto, di me.

Avevo creato una personalità diversa… ma questa personalità esisteva o no?

Perché l’avevo fatto, per puro spirito di sacrificio?

Non era un gesto da me.

Soprattutto…se il caso non si fosse messo contro di me, io sarei cambiata?

Avrei cambiato la mia essenza?

Oh no, sapevo che sarei rimasta la stessa Spia classista. Solo per alcune fortuite coincidenze avevo cambiato il mio modo di pensare.

Anzi, l’avevo solo mutato, nascondendo tante cose cattive.

Non avevo mai risolto nulla, solo nascosto polvere sotto il tappeto. Ne pagavo amaramente le conseguenze.

Ombra mi tentava, ogni volta più seducente. Era solo la minaccia della mia morte che incombeva in caso di tradimento a dissuadermi dal tornare la vecchia Lsyn o davvero ci credevo?

Ma credere in cosa? In che credevo fermamente?

Tentai di ignorare tutti quei pensieri.

Per gli dei, nascondevo troppe cose.

Come avrei voluto qualcuno con cui sfogarmi. Non parlavo mai di quelle cose a nessuno, semplicemente perché nessuno poteva capirmi.

Isnark, l’unico che sapeva tutto, era capace di uccidermi se gli avessi detto che Ombra mi tormentava.

Ed ero confusa. Non sapevo più in chi e cosa credere.

Avevo bisogno di parlare con qualcuno, perché rimuginare su quelle cose mi riempiva ogni volta di disperazione, e non mi portava altro che a vicoli ciechi.

E anche per questo ogni giorno ero più fragile, mi sentivo sul punto di andare nuovamente in pezzi.

Come avrei voluto che per me le cose fossero state sempre facili.

Come avrei voluto sapere fin da subito quale tonalità di grigio scegliere, senza averle provate entrambe.

Ogni giorno che passava ero più disorientata.

Ogni giorno che passava sentivo che le scelte che stavo compiendo non erano le mie.

Ma allora di chi? Perché, come, quando? Che cos’ero? Dove andavo, perché avevo scelto quelle cose?

Cercai di scacciare tutti quei pensieri in un angolo sperduto della mia mente.

Non avevo risposte a tutti quegli interrogativi, ed era meglio non farli. Stavo soffrendo inutilmente.

Notai quasi per caso l’occhiata scura che Zipherias mi rivolse.

Arrabbiata. Preoccupata.

Accidenti, chissà cosa stava pensando su di me. Sicuramente per deluso per il mio muso.

Il mio comportamento era davvero infantile.

Per quel giorno riuscii a dimenticare le domande che mi assillavano continuamente.

Trotterellai vicino a Zipherias, e cominciai a chiacchierare con lui e gli altri, come se nulla fosse successo.

Dentro di me, però, avevo una certezza.

Prima o poi tutte quelle ombre sarebbero tornate.

Al primo momento di debolezza si sarebbero riversate impietosamente nella mia testa, lasciandomi agonizzare, impigliata, in una massa di pece.

Sperai fosse il più tardi possibile.

Tanto, proprio lì potevo stare tranquilla. Mi sarebbe successo meno di niente.

Almeno lo speravo.

 

Cercai di concentrarmi su altro.

Eravamo quasi arrivati alla nostra meta, a quanto pareva.

Una semplice porta, come tutte le altre.

Chissà chi c’era, dentro.

Probabilmente il capo della struttura.

Mi affacciai, curiosa, quando Muzal mise la testa dentro per annunciarci. Solo la testa.

Niente pompa e niente sfarzo. Molto informale come cosa.

Mi piaceva.

Da noi solo io potevo entrare in quel modo nello studio di Isnark, solo io e Nilyan. Gli altri dovevano essere annunciati. Sai che noia.

Dopo una breve conversazione sottovoce, Muzal ci aprì la porta.

Entrammo tutti tranne lui e Glajmi.

Mi guardai intorno, incuriosita.

Era una stanza piccola, dai toni del grigio, ancora, sterili e funzionali. Solo il pavimento, di uno strano materiale lanoso, era colorato, di un verde scuro.

C’era una sola finestra, che dava sulla scogliera.

Dappertutto scaffali di legno scuro con documenti posati disordinatamente. Archivi, archivi ed ancora archivi. Sembrava il mio studio, se non fosse stato per i colori smorti. E l’odore, ovviamente.

Si respirava un’aria pesante di polvere.

Starnutii un paio di volte. Maledizione, ma nessuno apriva mai le finestre lì dentro? Si soffocava.

Mi guardai un altro po’ intorno.

Di fronte a noi, poveri curiosi, c’erano tre sedie dall’aspetto morbido, nere, una scrivania dello stesso colore degli scaffali, ingombra di documenti  vari e altri oggetti poco identificabili.

Al di là, una persona seduta. Ci guardava, con curiosità indifferente simile a quella di tutti.

Sobbalzai quando mi resi conto di essere di fronte ad un elfo come noi.

Aveva occhi scurissimi, e dei capelli che, alla scarsa luce, mi sembravano di un nero quasi bluastro.

Un colore che avevo visto solo pochissime volte nella mia vita.

Mi ricordò vagamente un elfo che mi credeva morta in un incendio, me, vecchietta umana.

C’erano però moltissime differenze.

Quello sconosciuto aveva capelli molto corti, un taglio regolare che non gli donava.

I suoi abiti erano come quelli di tutti, lì.

Maglia bianca e pantalone nero. Semplice.

Nonostante non ci fosse un capello bianco tra i suoi, era evidente, almeno per me, che si trattava comunque di qualcuno molto più anziano di noi.

Doveva avere più dell’età di Amarto.

Sicuramente aveva visto tantissime cose nella sua vita, la fondazione di Atlantis compresa.

Aveva una certa espressione stanca che lo rendeva immediatamente riconoscibile. Persino io, che per un umano, con quei miei maledetti capelli ormai ingrigiti, potevo sembrare la sua vecchia zia, non avevo quello sguardo.

Mi parve strano essere guardata in quel modo indifferente e cortese da un elfo come noi.

Ci fu solo un momento, in cui si soffermò su di me, ed in particolare sui miei capelli, in cui vidi un barlume di quella che mi sembrò pietà, ma poi tutto scomparve, sostituita da una certa aria professionale.

Per la prima volta toccavo con mano cosa avevano prodotto tanti anni di isolamento.

Avevo i brividi. Non era così carino.

“perdonatemi per la polvere, signori. Ho dovuto spostare un paio di cose per fare spazio alle sedie”.

La sua voce fu un colpo per tutti e tre.

Non tanto per il tono, pacato, gentile e profondo, ma per la lingua.

Ah, da quanto non sentivo qualcuno di estraneo parlare il nostro idioma!

Vidi la stessa espressione soddisfatta sul volto di Capouille e Zipherias.

Quando eravamo con gli umani sarebbe stato scortese parlare in modo incomprensibile a loro, e perciò raramente confabulavamo tra di noi, tranne quando eravamo soli.

Sentire qualcuno parlare come noi era quasi una liberazione. Un peso tolto dalle spalle.

L’anziano elfo sorrise, educatamente, e ci fece un gesto verso le tre sedie preparate per noi. Sentii un pizzico di gratitudine. Che pensiero gentile.

“sedetevi. Benvenuti tra noi”.

Obbedimmo immediatamente a quella richiesta gentile.

Provai un attimo di fastidio. Sembravamo cagnolini obbedienti. Non lo sopportavo.

L’elfo aspettò che ci sedessimo tutti, con un sorriso blando, prima di rivolgersi a noi.

“è un bel po’ di tempo che non vedo elfi del continente”.

Asserì, tranquillo, congiungendo le mani all’altezza del naso regolare.

Accidenti, aveva una padronanza di sé incredibile. Non riuscivo a capire cosa pensasse di noi. I suoi occhi scuri mi erano chiusi. Mi guardavano con indifferenza, come quelli di un grosso predatore sazio, come se non gli cambiassi la vita più di tanto.

C’era un pizzico di superiorità in quell’atteggiamento?

Non lo sapevo, ma m’infastidiva un po’. Non era carino comportarsi in quel modo con noi. Eravamo compari, della stessa razza.

“come vanno le cose, su ad Uruk?”.

Gli risposi brevemente, educata, guardandolo con tranquillità.

Ha. Avrebbe sperimentato chi era davvero il migliore a nascondere i sentimenti.

Cercai di dire il meno possibile. Quattro parole stentate, giusto per avviare un po’ la conversazione.

Lui ci chiese altre piccole cose, parlando con ognuno di noi, formale ma senza pompa.

Stavo quasi per sentirmi a mio agio, quando successe un piccolo fatto che mi turbò.

Stavamo chiacchierando, quando ci fu un attimo di silenzio.

Negli occhi dell’elfo passò un barlume dapprima di comprensione, poi di astuzia.

Mi chiesi cosa avessi detto di così male, e mi zittii. Il sorriso che mi rivolse l’elfo fu molto cordiale. A dire la verità non mi piacque per nulla.

“non siete nativa di Uruk, vero?”. Domandò lui, con la stessa aria tranquilla di prima, come se mi stesse chiedendo del tempo. Sobbalzai sulla sedia a quella domanda, e lo guardai sorpresa. Come aveva fatto a…?

Mi chiesi addirittura se avessi conosciuto nella mia vita un tipo simile. No, non mi era per nulla familiare. Ma… oh dei. Non capivo.

L’elfo sorrise in modo quasi divertito, e fece un cenno come di scuse.

“perdonate la maleducazione, ma ero curioso. Avete un accento leggermente diverso. Siete forse delle zone dell’antica Normar?”.

Mi sentii gelare. Accidenti, se era acuto. Maledetto.

Mi sentii impallidire. Accidenti, era un minuscolo particolare!

Verissimo, avevo un accento più sibilante e roco  di Capouille e Zipherias, ma era questione di sfumature.

Come aveva fatto quel tipo a capire?

Era andato spaventosamente vicino alla realtà.

Amarto in casa aveva sempre parlato con quell’accento, sebbene a Sharilar fosse diverso. Ero cresciuta così.

Tutto quello non poteva darmi fastidio. Era una piccolezza.

Qualcosa, però, mi rendeva molto inquieta.

C’era un piccolo particolare in quel sorriso cordiale che non mi piaceva.

Un certo divertimento che mi infastidiva.

Cercai di non darlo a vedere. Imbastii un sorriso falso, ed annuii.

“sono cresciuta da quelle parti”.

Asserii, asciutta, senza trapelare nulla. La voce tremò, ma solo un pochino.

Nel complesso, fui fiera di non aver lasciato trasparire la mia agitazione. Il cuore mi batteva a mille, maledizione.

Capouille mi guardò, evidentemente perplesso. Non doveva aver capito che c’era qualcosa che non andava nel tipo.

O forse me lo stavo immaginando? Era tutto nella mia testa?

Il sorriso dell’elfo si allargò, ed i miei presentimenti ebbero conferma.

“ah…capisco”. Mi rispose, con la sua solita voce tranquilla e con quel sorriso da serpente.

Non era cambiato nulla in lui…solo…

Mi guardava in un modo stranissimo. Come se…come se mi conoscesse.

Come se sapesse la mia precedente identità.

Come se riconoscesse in me Ombra.

Tremai. Quell’elfo era abbastanza anziano per ricordare i miei tempi d’oro, quando ero lo spauracchio dell’alta società, quando tutti indagavano su tutti per scoprire chi mai fosse quella persona che tanto facilmente scopriva nemici di Lainay, e altrettanto facilmente li uccideva nel buio.

Tempi in cui anche una certa Rian Askerat aveva indagato, depistando le indagini e creando paura e diffidenza tra chi uccideva e spiava sotto il nome di Ombra.

Accidenti, nessuno sapeva, però, chi io fossi!

Nessuno conosceva il mio vero nome, il viso dell’assassina e spia!

 Non potevo conoscere quel tipo. Avevo conosciuto gli alti ranghi delle Spie, ero stata tra di loro, e non l’avevo visto.

No, non era uno di noi.

Forse mi stavo immaginando tutto. Forse ero solo un po’ suggestionata dai miei pensieri di prima.

O forse no. Non riuscivo a capire.

Perché mi guardava come se sapesse molte cose su di me?

Io di certo non l’avevo mai visto.

Mah, stavo cominciando seriamente ad invecchiare. Deliravo.

Ci fu un attimo di silenzio, così lungo che cominciò a divenire imbarazzante, una cappa pesante che ci soffocava.

Io e Zipherias ci guardammo. Anche lui era piuttosto perplesso. Chissà cosa stava pensando.

Passò un po’ di tempo, forse un minuto, in silenzio.

Poi l’elfo riprese il suo sorriso indifferente. Gli occhi furbi tornarono a serrarsi al mondo.

Di colpo, eccoci tornati di fronte all’abitante tranquillo di Atlantis.

Mi sentii disorientata. Cominciavo a non capire più un tubo.

Lì erano tutti matti come cavalli.

L’elfo batté le mani. Quel suono fu così subitaneo che sobbalzammo. Nessuno di noi se lo aspettava.

Decisamente le cosa si stavano mettendo in una maniera molto, molto particolare.

“allora”. Disse il nostro interlocutore, con un sospiro stanco.

“vogliamo cominciare a parlare un po’ di quello che dovrete fare qui?”.

 

 

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Capitolo 73
*** Basta! ***


Ahi

Ahi.

Dove sono? Che cosa sta succedendo?

Fa freddo, qui, ho un freddo mortale. Non voglio morire.

…ma perché l’ho pensato?

Che cosa sta succedendo?

Ho mal di testa. Un mal di testa infernale. Come se qualcuno l’avesse riempita di fuoco.

Che avete fatto al povero Machin?

Ho freddo. Voglio tornare a casa. Dovunque sia casa.

Non riesco a ricordare casa. È tutto così sfumato.

Il nonno e Dae. Ninì. Roxen… zia Lalla…Vorrei essere rimasto con la zia…

…non riesco a fare mente locale.

È tutto uno scherzo della mia mente, ne sono sicuro.

Mi fanno male tutte le ossa. Dolore.

Non credevo di averne tante nel mio corpo. Non riesco ad aprire gli occhi.

Su, forza, Machin. Niente, non ci riesco.

Detesto lo stomaco che si strattona. No, non sono nervoso.

Concentrati su qualcosa, Machin.

No! Niente pensieri brutti. Non voglio ricordare che cosa ci è successo.

Voglio scappare. Scappare, capito! Da tutto.

Sento un dolore terribile. Non volevo svegliarmi. Non lo volevo proprio.

Abbiamo sbagliato tanto?

È tutto così lontano. Come se ci avessero drogati.

Oh mamma!

Chekaril! Nep!

La viverna…

Quel mostro! Che cosa è successo?

Sarò svenuto. Siamo suoi prigionieri?

Almeno non ci ha mangiati. Forse così possiamo scappare.

Oh! Ahi. Se la luce fa male. Almeno sono riuscito ad aprire gli occhi.

No, non ce la faccio non ci riesco. La testa…

Coraggio, Machin, ce la puoi fare. Non sei solo bellezza.

Ma la testa mi fa male. Voglio casa.

Smettila di fare il bambino che è anche colpa tua se siamo in questo pasticcio. Noi finiamo sempre in pasticci più grandi di noi si ma non è un buon motivo per piangersi addosso, capito?

Basta. Riapri gli occhi. Ora!

Vogliamo fare i bambini per sempre?

Oh. Argh! Che cosa…oh per tutti gli dei santissimi.

Ho un teschio di…di qualcosa avanti. Ho un…un…

Ferma scemo. Usa la ragione. Sembra un teschio di cavallo. Di sicuro non è né Chekaril né Nep. Non pensarlo nemmeno.

C’è puzza dappertutto. Viscido e morto.

Puzza di quell’essere.

Cerca di muoverti, Machin. Sento freddo dappertutto. Sono a terra. È terra sotto di me. Terra sopra…

C’è buio. Un buio terribile.

Ecco, un braccio e poi l’altro…non sento più niente, però vedo muoversi tutto.

È come se fossi addormentato.

Tirati su, piano... piano… oh la testa!

No, non svenire. Non ora. Non sei svenuto prima e non sverrai ora, capito?

Oh, non vedo più un tubo. Qualcuno sta fischiando nella mia testa.

Ora sverrò, me lo sento.

Mi sento debole come un gattino. Che cosa diavolo ci ha fatti quel coso?

No, Machin. Stringi i denti. Forza. Ce la fai. Non è niente di grave.

Una botta in testa, può darsi…

Si dai ne ho prese di peggiori da piccolo.

D’accordo. Ora ci vedo meglio. Ci sto vedendo meglio. Forza. Stringi i denti.

Ma su cosa ho posato le mani? Che cosa ho sotto di me?

È tutto irregolare e spigoloso.

Ah, comincio a vederci meglio.

Che cosa ho sotto?

Oh.

Ossa.

Tutte ossa…

Sono su un cimitero.

Machin, niente paura. Calmati.

Diavolo. Sono figlio di eroi, nipote di Lsyn Amarto, che è la Ch’argon di Uruk, cugino dell’erede al trono di Uruk e devo calmarmi, capito?

Non posso essere sempre il debole e cose varie.

Sono sempre Machin Tijorn. Il mio cognome non conta nulla? Ho detto che devo fare l’eroe?

E facciamo gli eroi, allora.

Ma… ho tanta paura. Vorrei essere a casa al caldo. Qui fa un freddo mortale.

Non sento mani e piedi.

Vorrei essere in una bella avventura come quelle che la zia ci raccontava.

Di quelle che finiscono sempre bene, non importa quanti pericoli accadano.

Mi sento un inetto. Di sicuro la zia non sarà mai finita nei guai come me.

Certo. E tutte quelle cicatrici?

Ha detto che è stato un incidente ed io ci credo.

Queste ossa mi fanno una paura tremenda.

Non ci vorrei pensare, ma…diventeremo anche noi così tra un po’? E tra quanto?

Machin…

Oh, Nep! Dove sei? Che strana voce. È così debole…

Che cosa le sarà successo? Oh, non voglio pensare male, non è successo nulla.

Eccola lì.

È quasi di fianco a me. Pensavo fosse più lontana, invece mi è quasi addosso.

Voglio avvicinarmi. Non so se riuscirò ad alzarmi ma non credo.

Striscerò. Oh, ce l’ho fatta. Che fatica però, mi gira tutto attorno.

Oh dei. Chekaril, Nep…

Mi sento in colpa.

Io sono l’unico illeso.

Guarda quel povero drago. È pieno di ferite. Povera amica mia…sarà antipatica e terribile e quante cose vuoi tu, però…

Quel mostro l’ha conciata proprio male.

Non l’ho mai vista con il muso a terra, tutta scomposta.

Ma che sfortuna. Non è giusto che Machin Tijorn ed i suoi compagni vadano incontro a certe cose.

Non è decisamente giusto. La fortuna non è dalla nostra parte.

Oh, povero me. Perché deve sempre succedermi una cosa del genere?

Ah, non so proprio.

Povera Nep. Sembra stanca, e debole.

Sento uno strano sentimento. Pietà, forse.

Si: ho pietà di lei.

“come ti senti?”.

Mi viene voglia di accarezzarla. So che a lei non piace, ma… oh. Lo devo fare. Sembra così debole.

È più forte di me. Ed è così triste vedere un drago ferito…

È la prima volta che le tocco il muso. È così morbido e freddo…

Non si è ritratta. Di solito lo fa sempre.

Le coccole fanno bene. Io l’ho sempre detto. Per questo mi faccio coccolare sempre da tutti. È la medicina universale.

Sono stata meglio.

Ah beh, me ne sono accorto.

Certo che quell’animale poteva anche andarci più piano, eh. Nep è un cucciolo.

Che creatura sleale. Se solo fosse stato Ezelarto, ci scommetto che  nemmeno si sarebbe fatto vedere. Bastardo.

Povera Nep. Nemmeno fa caso alle mie carezze.

Mi dispiace molto.

Dispiace molto anche a me, Neppie. Siamo nei guai, ma nei guai più seri. Ma non è colpa di nessuno.

È proprio la nostra sfiga che ci perseguita. Su, ancora carezze. Non trovo altro da dire.

Non fa niente? Oh no che fa, siamo rinchiusi in un posto strano e non sappiamo come uscire.

Dove mai saremo? Nemmeno questo. Non è una cosa molto simpatica da far presente ad un drago depresso. Probabilmente non lo sa nemmeno lei.

Perciò chiudi la bocca e sta’ buono, fesso di un Machin. Altrimenti Chekaril ti ammazzerà.

Oh. Chekaril!

Oh diavolo. Era lì, a terra, e sentiva dolore… dov’è ora? Non è morto vero?

No, se è morto non me lo perdonerò mai e poi mai.

Chi se la sente Miobashin poi? Sono nei guai, se è morto… colpa mia se è venuto anche lui. Se solo non si fosse messo davanti, se solo ci fossi stato io…basta. Non posso andare più in ansia di quanto già sono.

Non lo vedo. Dov’è? La viverna l’ha già mangiato?

Andiamo, Machin. Non puoi essere così negativo. Magari Nep l’ha visto.

“Chekaril?”. Accidenti, non volevo che la mia voce tremasse così tanto. Sono nervoso?

No guarda, sono pronto per un tè con i biscottini. In questo caso i biscottini siamo noi?

Oh. Ha spostato l’ala ed eccolo lì. Doveva averlo coperto, le ali sono sempre calde.

Oh. È steso a terra tutto raggomitolato. Non me lo dimentico mica il dolore che provava, oh. Spero solo non sia morto o che non sia qualcosa di serio.

In caso contrario le possibilità di farla franca, già poche ora, diventerebbero  nulle.

Sinceramente a me piacerebbe tornare sano e salvo a casa. Farci tornare anche mio cugino vivo sarebbe un’ottima idea. Sono preoccupato. Che cosa gli succede?

Deve essersi fatto molto male. Spero che riesca ad alzarsi.

“Chekaril?”. Perché non risponde? Oh, questa cosa non mi piace.

Ho un nodo allo stomaco, accidenti. Vorrei piangere. Rispondi, maledetto! Non riesco a venirti vicino!

Oh no, ci devo riuscire accidenti. Io non ho niente, sono l’unico illeso per gli dei. Devo sempre fare la vittima e l’insensibile? Oh no.

Quindi muoviti.

Oh, la mia testa… no, non ci devo pensare! È tutto a posto e sto benissimo. Nulla mi sta succedendo, sto bene.

D’accordo, ci sono quasi. Forza…ecco, già va meglio, visto? La testa non mi gira più. Visto? Oh, sto per cadere. No Machin. Non cadere.

Eccomi qui. Ecco, meglio seduto. Così posso anche toccare Chekaril, e vedere se è vivo.

È caldo. Uf, almeno so che non è morto. Ma è troppo caldo. Non mi piace, questo.

Ecco, se lo scuoto un po’…ah. Almeno mugugna. Sollievo.

È vivo. Ad essere vivo è vivo.

Vorrei sapere in che stato, però. Mi preoccupa. Scuotilo ancora un po’.

Ecco, si sta riprendendo. O meglio, si sta girando verso di me.

Santi numi com’è pallido. Ha certe occhiaie…

D’accordo. Non sta bene. Non sta per niente bene. Si tiene il braccio, ancora.

“come ti senti?”.

Bellissima domanda, Machin. Si direbbe che tu abbia preso una mela al posto del cervello. Straordinario.

Quello è pallido come un morto e non riesce un altro po’ a rispondermi. Mugugna ancora. Che diavolo ha?

Sicuramente nulla di bello, creatura intelligente che non sei altro.

Oh, come mi dispiace per Chekaril. Finisce sempre in guai in cui non c’entra un tubo. Mi sento in colpa per averlo portato fin qui.

Io che c’entro di più sono completamente illeso. È ingiusto.

“che hai fatto alla testa?”. Accidenti, è riuscito a parlare! Che tono. Non dovrebbe affaticarsi se si sente tanto male. Ma che vuole? La testa? Poverino, sta delirando.

Ehi, però. Qualcosa. Che ho in testa? Sembra…sembra un taglio. Sono ferito?

Accidenti. Ho la mano sporca di sangue. È un taglio. In testa. Proprio non sono illeso. Ora capisco perché mi fa male la testa.

Accidenti accidenti accidenti.

Sono stanco. Vorrei tanto la zia. La zia non avrebbe mai…

Ma la vogliamo smettere? Basta parlare della zia e di quanto lei sia stata molto più fortunata di te.

Un modo per uscire di qui deve esserci. È inutile stare a piangersi addosso o sbaglio?

Maledizione a me ed a tutto questo!

Perché doveva succedere? Ah, sono stanco di tutto questo.

Di tutti gli incidenti, le ferite, i contrattempi…

Basta!

Ops. Devo averlo detto ad alta voce. Nep mi guarda in modo strano. Che vuole, ora?

Sta pure abbassando gli occhi. Sembra….mortificata?

Mi dispiace.

Segnatelo, Machin. Temo che questo sia la prima ed ultima volta che sentirai un drago dispiacersi. E per cosa, poi? Che ha fatto di male?

Devo guardarla strano. Non capisco.

Non volevo trascinarvi fin qui…

Beh, non è stata colpa sua, per inciso. Sono stato io a chiederle di fare un riposino.

Ah, detesto quando succedono certe cose. Tutti a dispiacersi, ma nessuno è il colpevole.

Ma qui dove? Dove siamo? Dove ci ha portati la viverna?

Sono curioso. Non riesco a guardarmi intorno. Non si vede nulla.

Sotto di me ci sono solo…ossa. La cosa non è molto consolante. C’è puzza di chiuso qui. Come in una cantina.

“Nep, dove ci ha portati quella creatura?”.

Ops, mi sembra una domanda sbagliata. Non ho mai visto un drago così a disagio. Se avesse le orecchie penso che le tirerebbe indietro. Fantastico.

Perché non risponde? Non mi piace. Mi sento a disagio. Vorrei cercare la mano di Chekaril ma…lui ha senza dubbio più bisogno di me.

Sta male, soffre, e si vede. Oh, povero cugino mio…

Nella sua dispensa…a lui piace il cibo vivo.

Ah. È troppo se dico che non so che pensare?

Siamo fritti. Fritti davvero. Basta sentire la vocina piccola di Nep che…ah.

Ma è possibile, insomma? Basta.

Machin non può e non deve essere così.

Sono figlio di Tijorn Amarto ed Akita. Mia zia è Lsyn Amarto. Un’elfa che non abbassa gli occhi se la chiami sfregiata. Al massimo ti picchia. Credo.

E allora devo agire così? Perfetti sconosciuti diventano eroi ed io rimango sempre a far finta di esserlo?

Basta. Voglio che i miei genitori siano fieri di me. Voglio che mia zia si rimangi tutto quello che ha detto.

Sono un elfo adulto? Bene, lo voglio dimostrare.

Ed ora non voglio più avere paura.

Voglio scappare e scapperemo, per tutte le rape arrostite!

Non voglio che Chekaril soffra ancora. Non voglio vedere Nep così. Non voglio morire.

Guarda mio cugino. È lì e si trattiene dall’urlare. Ha bisogno lui di un Guaritore, ora. Non di una viverna.

Mi guarda e mi chiede aiuto. Nep è così abbattuta…certo che essere battuta in quel modo non deve averle fatto bene.

Ma si deve svegliare. Io voglio vivere.

Penso anche lei.

“bene, ora come facciamo a scappare?”.

Bravo Machin, vai dritto al punto.

Ah, che noia. Quel drago abbassa la testa, come se tutto fosse perduto.

Tutto è perduto? No. Siamo ancora vivi, almeno. Siamo feriti ma non importa. Possiamo ancora muoverci.

Beh, Chekaril non può muoversi. Ma questo è poco rilevante. Nep si. È solo un po’ abbattuta.

A me importa questo. E nessuno dica che Machin Tijorn è un bambino irresponsabile!

Sono stufo marcio di sentirmelo dire. Un po’ di maturità, forza.

Non ce la facciamo a scappare, Machin. Io sono solo un cucciolo, e…oh mamma sembra sul punto di pianger. I draghi piangono? Temo lo scoprirò presto. E basta, per favore. Già ho la zia tutto il tempo che si lagna. Detesto la gente che si lagna. Insomma Machin, che posso fare? Quella è una viverna adulta…

Perfetto. Pure i cuccioli con seri problemi di autostima dovevano capitarci!

Eh no, e che accidenti, basta. Sono stufo marcio di tutto questo.

Voglio vivere e così sarà capito?

E non permetterò ad una viverna di farmi la festa.

Ora basta. Basta!

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Capitolo 74
*** Tra due fuochi. ***


Mio buon Willie

Mio buon Willie!

Giorno nuovo, vita nuova. In un certo senso.

Ah, oggi mi sono divertita. Niente problemi, Faldio stava bene, nessun guaio, nessuna Roxen che mugugnava scontenta (alla fine è venuta con noi, poi ti racconto), Ellyn era felice ed era pure una bella giornata calda, come da noi ce ne sono in primavera.

Oh, ecco. Stavo proprio dimenticando una cosa.

Camera mia, sera…ma devo proprio scrivere tutta questa roba? A te interessa sapere che tempo fa (bello, si vede la luna piena), che giorno è (ho perso il conto qui misurano il tempo in modo diverso e non mi ci raccapezzo più. Per me per esempio è il secondo di luna e per loro invece è il tre di un mese. Ma che senso ha dividere tutto in mesi? Che sono poi?) e che…oh. Ho finito per scrivere tutto quello che non volevo scrivere. Forte.

Ecco. Ho completamente perso il filo di quello che ti dovevo raccontare.

Vedi, scrivere queste cose non serve a niente. Solo mi fa dimenticare perché ti sto scrivendo.

Ah si, certo.

Ora mi ricordo. Che elfa senza senso sono!

Oggi voglio raccontarti di…di…di.

Della mia giornata! Che novità, eh?

Io ti racconto sempre delle mie giornate. Sei il mio fedele amico!

Facile farsi amico un quaderno, facilissimo.

Non ti giudica, non mugugna, non fa niente, non si lamenta.

Non è certo come Roxen che è una capra dai gusti difficili.

Una di quelle pelose, grosse e massicce.

A proposito di Roxen. Cioè, io non la capisco. Ha ripreso a parlarmi. Non che ieri non mi volesse parlare, ma ti ricordi di come l’ho trattata?

Dopo averla chiamata cuore nero ed in diecimila altri modi per niente carini, dopo averla pure paragonata a Lainay, mi parla pure!

Cioè, secondo me lo fa per farmi sentire in colpa.

Se lo scorda di farmi sentire in colpa. Lei ha offeso Ellyn, mi ha schiaffeggiata ed io non lo perdono.

Ha fatto fare una figuraccia  a tutti, a noi elfi, ed io non voglio che questo accada.

Già secondo me qui non siamo molto amati, anche se non capisco perché. Così bisogna comportarsi bene, in modo che ci vedono bene. E poi gli umani sono simpatici. A parte Lilliagrin, ma secondo me quella è una pietra trasfigurata.

Poi se la va a prendere tra tutti proprio con Ellyn! Ma insomma.

Sarei stata d’accordo se se la fosse presa con sua madre o suo padre, sono antipatici oltre ogni dire, ma proprio lei in persona… così dolce…

Che ci invita sempre a colazione e non vuole essere chiamata principessa…

Con che confidenza ha cominciato ad approfittarsi della sua bontà?

Oh dei. Come sto parlando. Sembro una vecchia bacucca, di quelle moraliste antipatiche. Tipo le sacerdotesse di Uruk. Tutte comprese nel loro ruolo di custodi dei libri sacri e bla e bla e bla e bla e bla

Niente in contrario contro le sacerdotesse, per carità, ce ne sono di così simpatiche, ma altre sono noiose da far cascare le braccia.

E loro, senza di loro la città sacra cosa mai sarebbe, da quando Nemys (mamma. Si chiamava così. Che bel nome, vero, Willie? Mamma aveva un bel nome) è morta non c’è più nessuno che salvaguarda la sicurezza morale della gente, che Isnark (e questo è papà) si occupa solo della guerra (e ci credo, con quella pazza di Lainay. A loro piace avere la pelle in salvo eh) e così via.

Insomma. Che rottura di scatole.

Il bello è che poi cercano di fare diventare me la prossima Nemys.

Cioè con tutto il rispetto agli dei, per carità, contro di loro non ho niente, anzi, però…che noia.

Ogni volta che faccio qualcosa di sbagliato apriti cielo!

Non basta la zia (che tra parentesi detesta i sacerdoti) che mi sgrida quando faccio un dispetto.

Non basta papà che mi mette in punizione per un secolo o due.

Non bastano nemmeno le occhiatacce da parte dei nonni e di Zipherias, Capouille e Benagi. Oh no.

Anche loro si devono mettere a fare un infinito predicozzo.

E non sta bene per una principessa, e non si fa, e non puoi, e non devi…ah.

I divieti sono fatti per essere infranti, altrimenti dove sta il divertimento?

Saggia lezione di Machin.

A volte quello sa essere un genio. A volte.

La maggior parte delle cose che combiniamo sono guai.

Temo di avere perso il segno. Di nuovo.

Che cosa stavo dicendo? Mi sono messa a raccontare delle sacerdotesse ed ho dimenticato del resto. Ah si, ecco. Roxen che mi parla.

O meglio, non è che parla….aspetta, comincio daccapo o altrimenti finisco per perdermi di nuovo.

Stamattina non ho fatto niente di proprio particolare. Visto che saremmo andati tardi nei quartieri dei nobili mi sono presa un po’ di riposo. Non ho fatto colazione con Ellyn perché oggi doveva stare con i genitori, e me ne sono stata un po’ per conto mio.

Sai, ero proprio tranquilla. Non c’era più niente che poteva preoccuparmi, figuriamoci. Ieri a teatro è stato molto bello, ho avuto sempre bisogno dell’interprete, però mi è piaciuto.

Una specie di storiella drammatica che ha fatto piangere come una fontana Ellyn e ridere come una cretina una certa Nilyan.

Tutto perché uno dei protagonisti era un elfo. Mi ha fatto ridere perché, in tutta la loro serietà, hanno fatto degli strafalcioni terrificanti peraltro nei momenti più drammatici.

Certo proprio non ci conoscono. Pensano di noi proprio in modo strano.

Siamo così ridicoli ai loro occhi? Creature a volte apatiche e criptiche, dalla morale sconcertante?

Beh, per noi gli umani sono bambini fastidiosi. Questione di punti di vista.

E sicuramente non quando muore quello che sarebbe il migliore amico del protagonista un elfo non se ne uscirebbe con frasi strappalacrime e filosofiche.

Credo che non abbiano mai visto un elfo soffrire. Mica siamo tanto diversi, eh. Piangiamo anche noi.

Solo perché abbiamo le orecchie a punta e viviamo tanto non siamo fuori dal mondo.

Comunque, Willie, non sono qui per pettinare le bambole.

Stavo parlando della mia giornata.

Comunque, ieri mi sentivo un po’ in colpa per come ho trattato Roxen. Le ho detto cose molto cattive, in fondo.

Ero inquieta. Già la immaginavo nella sua stanzetta a piangere. L’avevo vista molto fragile, ed in fondo le ho detto cose cattive, no?

Comunque, mi era venuta in mente l’idea di farmi perdonare. Magari con un bel regalo, oppure l’avrei consolata un po’.

Sono ancora combattuta, ti dirò. Che faccio? Mi faccio perdonare o no?

C’è una vocina che mi dice che no, perché è lei che ha sbagliato. Ma poi ci penso e dico che ho sbagliato anche io.

Come dice Ellyn, non si combina niente quando c’è l’orgoglio di mezzo.

Lei ha già perdonato Roxen. Dice che non c’è bisogno di fare mille e mille sceneggiate, tanto lei ha imparato e su questo non ci piove.

Ci credo, con quella bella umiliazione inflittale da Faldio.

Poi dice che è naturale che mi abbia ferita, si sentiva prigioniera.

Bah. A volte mi chiedo cosa abbia in testa per fare di questi ragionamenti assurdi.

Ho deciso, comunque che finchè non ci chiederà scusa io non la perdonerò.

Ellyn mi ha detto che faccio prima a vedere gli elfi volare sul dorso di draghi.

Non l’ho capita. Ma pazienza.

Comunque, dopo un po’ sono scesa perché Ellyn mi aveva chiamato. Era momento di andare.

Tutta contenta, sono scesa, ed ho raggiunto Ellyn. Siamo entrate tutte e due nella sua vettura, ed indovina chi c’era dentro?

Ovviamente, Roxen. Mi sono chiesta come mai stesse lì. In fondo, era ancora debole.

Mi sono subito vergognata, ma poi ho fatto finta di niente e non le ho parlato né l’ho salutata.

Vestita poi in quel modo. Mai vista così sobria. Era in tenuta da viaggio, ed era addirittura armata.

Con i capelli legati. Roxen se li lega solo quando è in servizio come guardia.

Era pallida pallida. Il giorno dopo essere ferita era in giro, pazzesco!

Ma dove diavolo stava andando conciata in quel modo, bianca come un lenzuolo? A chi voleva fare pietà?

Mi sono preoccupata. Va bene non parlarle, ma se fosse morta o qualcosa del genere la zia me l’avrebbe fatta pagare molto cara. Lei ama Roxen come se fosse sua figlia.

Non che ami me di meno, ma…bah, lasciamo stare. La zia è un po’ squilibrata.

L’ho guardata male, ma lei mi ha fissata in un modo strano.

Non so, come se…bah. Come se non avesse niente a che fare con me. Come se mi rispettasse, e basta. Come se non fossi la sua cuginetta.

Chi la capisce è bravo.

Mi ha guardata, poi ha guardato Ellyn che stava salendo, e ha chinato la testa.

Ho sentito del freddo addosso. Che cosa avevo fatto? Che avevo combinato? Che cosa era successo?

Un gesto di sottomissione. Quella non era Roxen. Non poteva esserlo.

“le mie signore mi perdoneranno se non m’inchino”. L’ho guardata strano. Inchinarsi?

Willie, ci rendiamo conto? Roxen non si è mai inchinata nemmeno a papà. Lei lo chiama zio, accidenti.

In servizio certo, lo tratta con deferenza, ma non ha mai piegato la schiena. Mai. l’ho guardata strano, come per chiederle che stesse facendo, ma lei non ha alzato lo sguardo.

“ma sono al momento…impossibilitata. Perdonate la mia scortesia”.

Sono saltata sul posto. Ma si poteva sapere che diavolo stava succedendo?

Ho aperto bocca subito, per chiederle che voleva dire con quella sceneggiata, ma poi ho sentito qualcuno che mi stringeva il braccio.

Mi sono girata ed era Ellyn. Mi ha fatto segno di no.

Ho come l’impressione che qualcuno stia tramando alle mie spalle, ma non so il perché.

Ellyn mi ha fatto sedere, ed io ero troppo stupefatta per disobbedirle.

Roxen…mia cugina…che faceva così?

Era arrivata a questo punto pur di non scusarsi con noi?

Ah, ma che maledetta. Trovava tutte le scuse pur di non fare la cosa giusta e continuare a sbagliare.

Ellyn ha sorriso ed è stata gentile come sempre.

“non preoccuparti, Roxen. Non c’è bisogno che tu t’inchini quando sei così debole”.

Al che mia cugina ha annuito senza battere ciglio.

Ho guardato Ellyn stupefatta. Perché non si era per niente stupita di quel comportamento?

Lei mi ha fatto un gesto, mi ha chiesto di restare in silenzio.

Per inciso, Roxen si è comportata così per tutto il viaggio, e per tutto il giro.

Come una guardia qualsiasi.

Fino a quando è riuscita è stata con noi, seguendoci come un’ombra.

Poi è quasi svenuta, poverina. Cavolo, appena ieri si è scontrata con Faldio!

Lilliagrin era proprio inviperita oggi, accidenti. Si è sfogata contro di Roxen in una maniera orrenda.

L’ha sgridata per essere venuta con noi, lei, un’infima guardia. Non era più disposta a sopportare le sue insubordinazioni, guarda un po’!

Ovvio. Le aveva rovinato l’unica occasione per umiliare la figlia. Strano che non se la sia presa con lei, comunque.

Beh, meglio per tutti. Magari ha capito che prendersela con Ellyn porta solo guai.

Si comportava come sempre, ovvero ci ignorava. Meglio questo che altro senza dubbio.

Comunque Roxen ha sopportato tutto senza dire una parola.

Un paio di volte mi sono rivolta a lei come se nulla fosse, e quello che sono riuscita a cavare è stato questo. Faccio un esempio delle nostre conversazioni:

-Rox! Rox, guarda com’è bello! (ah si, perché il quartiere dei nobili è grandioso. Bellissimo davvero. E la gente è sempre così cortese!)

-molto bello, mia signora. (pronunciato con tono davvero davvero…inerte? Apatico? Ehi, lei sarebbe andata benissimo a fare quel tipo nel dramma!)

Oppure una cosa del genere:

-ti senti bene?

-non vi preoccupate per me, mia signora. Tornate a divertirvi. (questo due secondi prima di svenire. Molto scenografico)

Questo è stato il tono dei discorsi tra me e Roxen. Ed Ellyn che la lasciava pure fare!

Insomma, io mi sono sentita così in colpa che mi sono quasi rovinata il giro. La mia amica ha fatto di tutto per non farmi pensare.

Mi ha anche offerto dei dolci. Peccato che fossero quelle cose orribili col buco.

Per poco non mi veniva un attacco di nausea.

Poi mi ha fermata quando io mi sono avviata verso dove avevano portato Roxen, mi pare in una specie di caserma, per farla riprendere.

Io volevo andare a vedere come stesse, ma lei mi ha fermata ed ha ordinato di portarla al palazzo, nel suo alloggio.

Allora io le ho chiesto perché facesse così.

E vuoi sapere che cosa sono venuta a sapere?

In pratica, ieri sera, prima del teatro, Ellyn è andata da Roxen per vedere come stesse. L’ha trovata in uno stato pietoso, in lacrime.

Ovviamente quella stupida è corsa da lei come una Guaritrice, perché si è spaventata nel vederla in quel modo.

Ovviamente. Dopo che lei l’aveva insultata per tutto quel tempo le va incontro e cerca di consolarla.

Altrettanto ovviamente quell’altra capra che non cambia mai si è rifiutata di lasciarsi consolare. Ha solo detto che non doveva immischiarsi in affari che non la riguardavano.

Allora Ellyn un po’ si è infastidita. Ha semplicemente detto, però, che non cambiava mai, e che quello che le serviva era un po’ di disciplina, che lei era un principessa e Roxen una semplice guardia.

Allora mia cugina ha detto che se tutto quello che voleva era una guardia, benissimo, lei sarebbe stata tale.

Ha in pratica offerto la vendetta su un piatto d’argento ad Ellyn.

Lei dice che non vorrebbe fare così la superiore, ma la mia cara elfa ha bisogno di essere un po’ considerata di meno, che è viziata e che se io continuerò a correrle dietro si crederà sempre superiore a tutti e potrebbe soffrire molto.

Ha detto così. Ha paura di farla soffrire ancora di più!

Ah. Ellyn crede che Roxen piangesse per la sconfitta. Non sa delle mie parole.

Non ho avuto il coraggio di confessare.

Ora mi sento davvero, davvero in colpa.

Vorrei fare qualcosa, ma mi sento così prigioniera.

Come faccio ora? Ho promesso ad Ellyn che non mi sarei immischiata in quello che stava facendo, ho promesso che avrei lasciato stare Roxen, le ho anche dato il permesso di trasferirla dove sono le guardie, ed io non so assolutamente dove trovarla, ora…

Oh, Willie. Se zia fosse stata qui tutto questo non sarebbe successo. Mi sento confusa, molto confusa.

Chi ha ragione? Chi no?

Ho combinato un casino, ecco. Lo so pienamente. Oh, non so nemmeno che fare!

Povera cuginetta mia. L’ho lasciata sola, e…ah, basta. Se continuo così Roxen si crederà di nuovo la padrona dl mondo, ne sono sicura. Quella non cambia mai.

Non impara mai dai suoi errori. Lo so, è cattiveria gratuita, ma deve imparare e basta!

Ho pensato quello oggi, ed infatti mi sono goduta il resto della giornata relativamente serena.

Abbiamo salutato molti nobili con la puzza sotto il naso. Correvano come cagnolini dietro la coppia reale, che antipatia!

Molti altri invece erano simpatici. Specialmente un uomo anziano con un ragazzo, doveva essere suo figlio.

Erano, come mi ha detto Ellyn, di un’altra parte lontana. Sempre umani, però. Ora mi sfugge di dov’erano.

L’uomo era veramente anziano, aveva i capelli bianchi come i miei, ma era pieno di rughe. Che schifo. Sembrava un albero avvizzito. Però era solare ed aveva un bel sorriso.

Anche il ragazzo aveva un bel sorriso. Però i capelli neri, e anche gli occhi neri, non come quelli di zia, che sono proprio neri, ma un po’ più sul castano. Scuri, insomma. Capito?

Bel ragazzo, comunque.

Si è presentato come Lurak. Il vecchio, che poi era suo padre, non me lo ricordo. Forse non ha nemmeno detto il nome.

Sono stati un po’ più a lungo con noi, segno che proprio dovevano essere di alto rango.

Lurak poi è stato con noi due e con Guaren, mentre il padre con i reali. Sono rimasti a pranzo con noi, che gentili!

È un ragazzo proprio simpatico. Ha chiamato Ellyn gemma di Fiya, e le ha fatto un sacco di complimenti.

È stato galante anche con me.

Lo vuoi sapere che cosa ha detto quando mi ha vista?

Mi ha guardata, stupito, e poi ha sorriso di nuovo. Mi ha parlato con uno strano accento.

Prima di tutto, però, mi ha baciato la mano. L’ha fatto anche con Ellyn.

Io sono arrossita, credo. Insomma.

Nessuno ha baciato la mia mano, mai! Che strano.

Poi vuoi sapere che mi ha detto?

A quanto pare il vento del Nord ha deciso di farci un regalo strappando alle nevi di Uruk il suo fiore più bello!

Forte. Me la sono segnata.

Fiore più bello. Roxen, ha! Prendi questa!

Questo Lurak, comunque, ha il genio delle frasi poetiche.

Compone anche poesie. Forte. Non ho mai incontrato nessuno che scrivesse poesie.

Forse Machin, qualche volta, spinto dalla zia, che cercava di tenerlo buono. Ma lui è più il tipo da il cielo è mare ed il mare è blu.

Roba senza senso, comunque.

Mio cugino non ha mai fatto qualcosa con un senso, a pensarci bene.

Mai.

Comunque, non siamo qui a parlare di mio cugino.

Lurak dopo un po’ se n’è andato con il padre. Peccato, era così simpatico.

Ci ha raccontato di tante cose belle, e del viaggio che ha fatto per arrivare qui.

A quanto pare, comunque, è qui per incontrare qualcuno di molto importante. È stato piuttosto evasivo, ma in realtà non ha detto granchè su di lui.

A Ellyn è piaciuto davvero molto. Anche a Guaren. Mi piacerebbe che quei due diventassero amici, e che lui diventasse amico anche con me ed Ellyn.

Sai che belle chiacchierate potremmo farci.

Chissà. Magari un giorno lo potremmo invitare al castello.

Ha detto che sarebbe rimasto qui un mese.

C’è tutto il tempo, quindi!

Che bello. Non vedo l’ora di incontrarlo di nuovo. Mi è piaciuto così tanto chiacchierare con lui!

Oh, aspetta, Willie.

C’è qualcuno che bussa alla porta. Chi sarà mai?

Aspetta un momento, vado a vedere. Magari è Roxen.

Ci sentiamo dopo!

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Capitolo 75
*** Nessuno di noi deve morire. ***


“stammi bene a sentire ora

“stammi bene a sentire ora!”.

Ops, non intendevo urlare tanto. Porca miseria che eco che c’è qui.

Abbassa la voce, idiota. Non vorrei che quella sottospecie di lucertola alata ti sentisse.

Sono nero di rabbia.

Ma dove diavolo siamo finiti? Un elfo che fa la ramanzina ad un drago.

Questo non l’ho sentito in nessuna leggenda. Di solito sono i grandi e saggi draghi che fanno da consiglieri a cavalieri senza macchia e senza paura.

Certo che la realtà è una grande fregatura, eh.

Non vedo l’ombra di grandi e saggi draghi, né di cavalieri senza macchia e senza paura. Ne avremmo bisogno, ora.

Eh, ma io mi sono rotto le scatole di tutto questo. Quale parte non è chiara di io voglio tornare vivo e sano a casa?

Se grandi cavalieri non esistono, tocca a cuccioli di drago con problemi di autostima e attoruncoli  con macchia e paura (tanta paura) il ruolo principale.

Eroe. Uhm. Suona bene. Machin Tijorn, l’Ammazzaviverne.

Bene, ma noi non siamo qui per ammazzare quel coso ma per scappare.

Ed io voglio scappare, se non si è capito.

Quando Machin Tijorn vuole una cosa la ottiene. Ancora di più se si tratta della propria incolumità, e di quella delle persone a cui vuole bene.

Cioè, guarda Chekaril. Santi numi, mi sento tanto in colpa per averlo convinto a venire con me.

Quindi, visto che sono stato io a volere tutto questo, io me la cavo.

E Nep non deve fare così, la piccola.

Cioè, è grande quanto Jaunussir, per la miseria. Forse quello sarà più vecchio e più forte, ma figuriamoci se un drago può farsi vincere da un non drago.

Questo non sta per niente bene.

Quindi, Nep si deve svegliare.

Più facile a dirsi che a farsi. Ma guarda come mi osserva, con quell’aria sconfitta. Ma non vuole vivere? O è sempre stata abituata ad essere considerata come un cucciolo?

Anche io sono sempre stato il cucciolo per tutti, ma sono stufo di questa situazione, anche io ho un pizzico di dignità, anche se non si capisce.

Insomma, credo di essere cresciuto un po’.

Mi stufa essere considerato il piccolo. Che poi Ninì è più piccina di me.

Ma lei è andata con la zia, quindi figuriamoci, se solo un malintenzionato la guardasse si ritroverebbe con ben più di un arto in meno.

Si, però io sono sempre stato visto come il bambino. L’irresponsabile, il piccolo…mi sono rotto di questa situazione.

Quasi come se zia si sentisse in colpa perché io sono orfano!

Cioè, c’è niente di più idiota?

E ora si ci mette anche questo drago sfiduciato, ed io non ne posso più. Sono un elfo adulto e lo devo dimostrare.

Visto che non c’è nessuno a prendere in mano la situazione, io devo lottare.

Ah, Machin Tijorn. Sempre tu.

“se siamo qui mica vuol dire che non possiamo scappare”.

Logico, no? Siamo scappati da quel covo di draghi, scapperemo anche da qui, che di bestia simpatica ce n’è solo una.

Oh, ma che fastidio. Io odio da morire quando la gente non mi guarda negli occhi.

E guardami, lucertola pelosa che non sei altro! Che cosa, non hai coraggio?

Non sei ferita gravemente, non sembra mica che hai qualcosa di rotto, sei tutta intera. Perciò possiamo almeno provare dannazione.

Non costa nulla.

Se non ci riusciamo beh, pazienza, ma non mi rassegnerò a morire finché c’è un modo per evitarlo, siamo d’accordo?

Non accetto di finire la mia vita nella pancia fetida di quella cosa fetida.

Ma che rabbia.

La prenderei per le orecchie, a quella cosa.

Machin, stai calmo che è meglio. Qui dobbiamo restare calmi ed essere superiori.

Che silenzio. Vorrei parlare, dire tutto quello che ho pensato, ma c’è qualcosa che me lo impedisce.

Come se qualcuno mi dicesse che è meglio stare in silenzio.

Nep non mi sembra tanto…la solita Nep.

Quella con manie di tirannia continue, insomma.

Sembra che non mi stia nemmeno a sentire.

Come posso scappare? Io sono solo un cucciolo.

E vai con la solita solfa. Ed io sono solo un cucciolo, ed io non so fare nulla, ed io qui ed io là.

Ehi, senti, stura ben bene quelle orecchie che hai.

Sono sicuro che tu hai intenzione di vivere quanto me. Oh ma perché sto parlando tra me e me? Non serve a nulla. Queste cose le devi dire.

Voglio che papà sia fiero di me. Fiero di essersi sacrificato per un figlio degno.

Non voglio che si dica che Machin Tijorn non era capace nemmeno di fare una missione semplice come questa e che è sparito nel nulla nel regno, come tanti altri.

Io non voglio essere uno dei tanti. Io voglio tornare a casa, rassicurare la zia che tutto va bene sarà così in pensiero per me, quasi mi pento di averla lasciata, se la ricordo quando non parlava a nessuno mi viene mal di stomaco.

Io voglio che finalmente lei capisca che io sono cresciuto. Zio Isnark si è fidato di me. Ha capito l’importanza di farmi fare questo viaggio.

Voglio sapere: sono davvero degno di essere adulto o no? Quando quel tipo mi ha rubato la spada di papà mi sono sentito morire. Possibile?

Non sapevo nemmeno conservare una stupida spada?

Non voglio che la zia soffra nel non vedermi tornare. Soffre già tanto per la mancanza di papà e mamma.

Sono una delle poche cose che le rimane di suo fratello. Mi sento in colpa per essermi dimostrato così poco responsabile ed egoista.

Io l’ho spiata tante volte quando va alla tomba. Se non ci va sta troppo male, ma quando ci va soffre lo stesso. Troppo.

A volte penso che quella che ha più bisogno di qualcuno accanto è la zia.

Tante volte mi da l’impressione di trascinarsi per inerzia, come se non sapesse dove andare e cosa fare di lei.

Tanto lo so che spessissimo Chekaril e Miobashin scambiano le fiale di sonnifero che zia tiene nascoste con delle fiale uguali, piene d’acqua.

So tante cose che lei non sa che so.

So perché è morto papà. So perché è morta mamma. So che mamma non mi ha mai preso in braccio, che si è rifiutata di farlo perché voleva morire. So che la zia è diventata Ch’argon anche per proteggere me.

So anche una cosa molto brutta. So anche che la zia ha cercato di uccidersi, molto prima che nascessi. So che c’è quasi riuscita.

Zio Isnark ce l’ha raccontato a tutti, un po’ di tempo fa. Riteneva necessario che sapessimo, e che proteggessimo zia Lalla.

Loro in fondo si vogliono molto bene.

Perciò, io voglio crescere. Forse sono stato bambino per troppo tempo.

Voglio farle vedere che sono cresciuto, voglio far capire che non ho bisogno di lei per appoggiarmi. Ho le gambe per camminare. Se mi crederò cucciolo a vita lo sarò per sempre.

Perciò, voglio vivere. E nulla mi distoglierà.

Ora Nep mi fa un po’ pena. Sembra tanto triste.

Le voglio posare una mano addosso, così si sente confortata. Com’è morbida, e fredda. Lei non si distoglie.

Lasciala pensare in silenzio, Machin. Non ha bisogno delle tue parole.

Credevo di potercela fare, quando Hypia mi ha chiesto di farvi fuggire.

Ed infatti ce l’ha fatta. Che voce amara. È brutto quando sta così male. Non voglio sentirla così.

In fondo mi ci sono affezionato.

Guardo Chekaril. Mi sta guardando in un modo davvero strano.

Ho davvero un così brutto taglio? Beh, in effetti se me lo tocco, ahi che male, non è così carino. Spero non mi rimanga nessun segno. Sono troppo bello per una cicatrice.

Il mio dolce visino sfregiato! Povero piccolo me.

Ehi, però una cicatrice fa tanto eroe. Non di certo mezzo volto sfigurato come quello della zia, ma una cicatrice da un’aria vissuta.

Sicuramente farebbe colpo e meriterebbe rispetto.

Sai che bello?

Eh, ho guadagnato questa cicatrice combattendo contro una viverna. No, niente di preoccupante, poi è scappata a gambe levate. Non poteva nulla contro di noi!

Anche perché credo che i miei compagni sarebbero felici di raccontare questa versione dei fatti. Sarebbe brutto dire siamo scappati a gambe levate noi.

Bene, ma almeno dobbiamo scappare. Per ora a questo passaggio della storia non ci siamo ancora arrivati.

Guarda quel povero drago. È proprio giù non c’è nulla da fare.

Credevo di potervi proteggere. Credevo di essere adulta. Invece mi faccio battere da una viverna…

Guarda, per fortuna si è girata. Oh, che faccia colpevole. Ho imparato un po’ a capirla, Nep, ed ora mi sembra proprio giù di morale.

Mi guarda con quegli occhi azzurri come se ci avesse uccisi.

Sembra disperata. Oh, come mi dispiace. Vorrei farla sorridere. Non mi piace vederla giù, è una mia amica ed i miei amici non devono essere tristi.

Ci ho condannati tutti. Cosa penserebbero i miei avi di me? Ho fatto vergognare l’intera razza dei draghi, e solo perché sono una cucciola presuntuosa!

Eh no. Questo non lo accetto.

Noi siamo quello che decidiamo di essere, cavolo.

Se ci buttiamo giù buonanotte.

“prima di tutto, noi siamo ancora vivi, no?”. Logicamente parlando. A meno che non sono un fantasma e non lo so.

Mi domando perché Chekaril mi stia guardando con quello sguardo strano. Mi chiedo se sia davvero in sé. Spero solo che la febbre non l’abbia vinto.

Nep mi guarda, ma non dice nulla.

“senza di te non saremmo scappati dai draghi, e chissà dove saremmo ora”.  Molto probabilmente sottoterra, o peggio.

Preferisco non pensarci.

“se tu pensi di essere un cucciolo lo sarai per sempre. Se non provi non potrai mai sapere se sei nel giusto o meno!”.

Mi domando da dove sia venuta tutta questa saggezza.

Nep abbassa lo sguardo. Sembra che si vergogni. Bene, già è meglio rispetto alla tristezza. Almeno è una reazione. Ed io ho intenzione di farla incazzare da morire.

Sta a vedere, Machin. Non è difficile.

“e ora viene la prima viverna e tu ti fai mettere sotto senza nemmeno provare a combattere? Dov’è finito il tuo orgoglio, drago?”.

Ah, ora va già meglio. Spero solo di non esagerare però.

Nep mi sta guardando in un modo che non mi piace. Se potesse mi trafiggerebbe.

Ecco tornata la mia vecchia amica. Che mi ringhia e si scosta dalla mia carezza.

Non osare, elfo!

Ah no? Non dovrei osare? E per quale motivo?

So che sto esagerando, ma non mi importa.

Insomma, a me interessa uscire vivo di qui.

Se poi dopo andrò incontro alla vendetta di un drago arrabbiato poco importa. Voglio uscire ed essere vivo.

“ah, e perché non dovrei osare?”

Ma da quanto la mia voce è diventata così fastidiosa?

 Metti in atto i tuoi trucchi di attore, Machin, fai in modo che sia così incazzata da voler andare lei stessa in cerca della viverna per ammazzarla.

“è la verità. Tremi come una pecorella impaurita solo perché sei convinta di essere solo un cucciolo, ma Jaunussir è grande quanto te. Sei solo parole e niente sostanza, fai l’arrogante solo con i più deboli di te! Io non intendo finire nella pancia di quell’animale solo perché tu scappi con la coda fra le gambe quando i giochi si fanno duri!”.

Oh oh, penso di aver esagerato.

No, non ruggire, Nep. Mi fa male la testa, sai che nemmeno io mi sento così bene. Mi pulsa tutto.

Però già è un passo avanti vederla schizzare sulle sue zampe, vederla aprire le ali e ruggire.

Non mi piace il modo in cui mi guarda, mi fa mettere paura, però almeno l’ho punzecchiata.

Spero solo non mi mangi.

 Non voglio morire per mano sua. Poi se ne pentirebbe.

Non una sola altra parola, lurido elfo.

Accidenti, la sua voce quando è arrabbiata mi fa paura. Sembra, che so, più voci messe insieme no?

Spero solo non mi mangi per errore. Non so, ma io vorrei vivere.

Però mi indispettisce. Ora si sveglia?

Bene, ora Chekaril sembra impaurito e mi guarda allarmato. Non importa, io continuerò a darle fastidio fino a quando non capirà.

“non eri ferita e debole, Nep? Come mai ora sei così energica, è perché puoi prendertela con qualcuno più debole di te?”.

Qualcosa dice di fermarmi. Non mi piace quella specie di suono che ha fatto.

Meglio non tirare troppo la corda.

Ehi però. È stato facile. Credevo fosse molto più complicato fare ragionare un drago. Basta punzecchiarli sull’orgoglio e si può fare quello che si vuole.

Va bene, va bene! Cercheremo una via di uscita. Non sia mai che Schnepscybilie si fa mettere sotto da una creatura inferiore!

Sono in dubbio. Si riferisce alla viverna o a me?

Non importa. L’importante è vederla finalmente in azione.

Certo che ha un orgoglio quella… ah, finalmente.

Finalmente si muove. Mi sta guardando in cagnesco.

No dai. Mi fa troppa paura.

State fermi qui.

Ah, e dove potremmo andare? Chekaril è ferito…. Ed io…io mi sento poco bene.

Maledetta testa che pulsa e gira. Ho cercato di ignorarla fino ad ora, ma fa davvero troppo male.

Se solo chiudessi gli occhi un attimo…forse mi sentirei meglio.

Ah! Chi mi scuote e mi muove? Accidenti, che muso freddo. No, zia, non voglio svegliarmi, mi fa male la testa.

…zia?

Oh, è Nep. Fa impressione vista da così vicino. È aliena ed inumana, diversa da ogni altra cosa, come se appartenesse ad un altro mondo.

Sembra un po’ preoccupata. Sembra tornata in sé però.

Almeno è in piedi. Sono contento di averla svegliata. Ora non ne ho la forza. Vorrei solo dormire…

No, Machin. Non è ora di dormire. Potrete riposarvi quando sarete al sicuro.

Ho la nausea ed un gran mal di testa. Sento della roba che mi cala sul viso, roba umida.

Spero non sia sangue. Ho paura di toccarmi e scoprire che il taglio sanguina ancora.

Machin? Ti senti bene?

Non mi sembra più tanto arrabbiata. I suoi occhi azzurri scintillano al buio.

Machin, sai che non devi mollare vero? Non puoi mollare ora che Nep è tornata nel mondo dei vivi.

Non c’è nessuno che può prendere il tuo ruolo. Chekaril non mi può curare, non sta bene, sta peggio di me.

Devo resistere. Resistere finchè non sarò al sicuro. Devo mettermi seduto.

Su che ce la fai… ecco. Ce l’ho fatta. Annuisco verso Nep, che non mi sembra rassicurata.

Si è avvicinata e mi scruta. Ma che vuole?

Ecco, almeno si è scostata.

Ho trovato una via d’uscita. Salitemi in groppa.

Oh, ottimo! Ora devo solo mettermi alzato… ecco.

Oh, povera testa.

Sto per cadere…oh. C’è qualcosa che mi mantiene.

Nep…oh. Grazie. Mi sta sorreggendo con la testa.

No, non posso contare su di lei. Devo mettermi dritto. Ecco…

Accidenti, ora è un affare complicato prendere Chekaril. Sembra completamente immobilizzato. Chissà che cosa gli è successo.

Almeno c’è Nep, mi sta aiutando. È così gentile. Sembra che stia curando un cucciolo.

Almeno Chekaril ha il buongusto di non lamentarsi. Sembra aver capito.

Ma che brava Nep, sta aiutando anche me a salire. Eccoci qui.

Mantieni Chekaril che non ce la fa…ecco. Ora possiamo andare.

E ora, fuggiamo, più veloce che possiamo!

Già, vedo una piccola luce. La mia dragonessa preferita. Io la adoro.

“ma dove state andando, piccoli ospiti? Non vorrete certo lasciare il vecchio Jaunussir da solo?”.

Oh no. No! Non è possibile. Maledizione.

Nep si gira. Sembra terrorizzata, o forse arrabbiata. Mi giro anche io.

Eccolo lì. Ma che schifo.

Deve essersi nascosto nell’oscurità da chissà quanto tempo.

Prevedo botte.

Mantieniti forte, Machin, e chiudi gli occhi.

Copro Chekaril. Spero che non succedano altri casini. Chiudi gli occhi che è meglio.

Ho troppa paura per vedere.

Oh no. Sento che quell’altra idiota si sta girando! Ma scappa piuttosto di cercare la rissa! Ci siamo noi in groppa!

Spero solo di non farmi più male, stavolta.

Ma proprio un drago idiota ci doveva capitare?
lasciaci andare, verme!

Almeno Nep non ha paura. Accidenti, ma che cosa le ho detto di male? Sembra davvero arrabbiata. Ha quella voce strana.

Mantieniti forte.

Sento dei rumori strani, scricchiolii. Devo guardare.

Bleah. Meglio chiudere gli occhi di nuovo.

Quel coso è davvero troppo vicino. Sento la sua puzza di morte.

La nausea sta peggiorando di molto.

Di nuovo, quel grugnito, quella risata, vicina.

“come amo il cibo ribelle. Da’ un tocco in più al pasto!”.

Col cavolo che io sarò il tuo cibo. Da come è arrabbiata Nep io direi di stare attento a te stesso.

La sento ringhiare. Io dico che ora per Jaunussir è molto pericoloso.

“su piccolo cucciolo, non mi dire che se…”.

Ah!

Cosa sono questi rumori orrendi! Cavolo Machin, mantieniti!

La mia povera testa!

Jaunussir ruggisce, Nep ruggisce!

Guaiti, ringhi. Strani rumori. Sento sotto di me dei movimenti, come se Nep stesse respirando forte. No, accidenti, devo aprire gli occhi. Sono troppo curioso.

Oh. Ah. Ah ah ah!

Questo si che è un drago!

Ha messo al tappeto la viverna. E anche perbene!

Le ha quasi congelato una zampa, e l’ha morso al collo. Questo si che è combattere.

In un attimo. Brava, Nep!

Mi piace vederlo così sottomesso. Guaisce come un cane bastonato. Drago contro viverna, uno a zero!

Ben ti sta. Che gioia!

E che questo ti sia da lezione, creatura inferiore!

Esattamente. Ora Nep, però ,adiamocene.

Ecco, finalmente.

Jaunussir vorrebbe morderle le zampe. Ma credo che proprio non ce la faccia. L’ha letteralmente inchiodato al suolo.

Spero che muoia.

Ecco, ora andiamo. Via, verso la luce!

Però… non so.

Perché Nep zoppica?

Oh no. No, non dirmi che si è fatta male… ti prego. Non potrei sopportarlo.

“Nep? Tutto bene?”.

Accidenti, la voce mi trema per l’emozione. Sono ancora sconvolto da tutto questo che ci è successo.

Ora dobbiamo trovare aiuto. Non possiamo sopravvivere senza. Ma chi può aiutarci?

Non ne ho la minima idea. L’importante ora è scappare di qui.

Ce la faccio.

Ma che razza di risposta è questa?

Mi sporgerei, solo che non ce la faccio. Mi sento male.

È come se stesse tornando tutto insieme. Che dolore… fa male dappertutto.

Sento tutto strano, ovattato.

Ahi. La luce del sole. Siamo usciti. Siamo via. Ah, il profumo del bosco e del vento!

Mi sento un po’ meglio.

Ecco, Nep ha aperto le ali. Sono contento: almeno se dobbiamo morire non moriremo così, mangiati da una creatura.

Ma dove andremo ora? Siamo tutti e tre deboli e feriti.

Che strano. Lo sento, siamo in volo però…c’è qualcosa che non va bene. Sento Nep traballante.

Apri gli occhi, Machin.

Accidenti, alla luce del sole vedo che nemmeno lei è messa così bene.

Il pelo bianco è tutto macchiato di rosso. Di sangue. Il suo sangue.

Anche lei è ferita. Povera Nep. Vola basso e veloce.

Spero solo che Jaunussir non l’abbia ferita. Spero solo di no.

Non riesco a guardarmi indietro. Mi fa male tutto. Come se tutto fosse addormentato.

Chekaril? Ha chiuso gli occhi, sembra mezzo svenuto. Respira? Si,  è tutto a posto.

Dobbiamo fuggire. Scappare. Conosco un posto…dobbiamo scappare.

Povera Nep. Sta ripetendo questo in continuazione. Dove andremo?

Che cosa faremo?

Dannazione.

Non voglio morire. Non posso. A casa c’è bisogno di me.

La zia…Ninì… Rox. Poi i miei amici…gli altri attori, e tutti quanti…vorrei vederli tutti e stare un po’ con loro.

Non voglio morire. C’è anche Miobashin… zio Isnark si sentirebbe in colpa…

Penso di tutto. Perché non riesco a concentrarmi? Su Machin, c’è ancora bisogno di te.

Oh! Perché stiamo perdendo quota?

Sento le orecchie tapparsi.

Accidenti, apri gli occhi!

Che sta succedendo?

Ma certo!

Vedo una casa, più in là. Una casa bianca e rossa. Grande, con un grande giardino ed una piccola cinta di mura.

Lì ci potranno aiutare!

Vorrei dire a Nep di andare lì, ma non ho la forza di urlare. Comunque lei sembra aver capito.

Accidenti, un altro po’ e sfioriamo gli alberi. Non va bene, per niente.

C’è qualcosa che non va in Nep, ma…

Ah!

Dannazione, perché scendiamo veloci?

Ah, che botta. Non capisco più nulla. Dove siamo?

Apri gli occhi, Machin.

Mi è entrato nel naso un profumo di foglie.

Di foglie?

Accidenti. Nep!

Siamo a terra. È la seconda volta che ci succede.

La mia testa…

Nep… che cosa le è successo?

Oh. Oh no, accidenti. È ferita. Quel mostro prima deve averla colpita alla gola. Ha gli occhi chiusi ed il collo tutto rosso.

“Nep?”.

Non mi risponde. Fa solo un lamento. Oh accidenti. Non può finire così!

No! Non deve morire! Non può.

Io non lo accetto. Finché c’è una possibilità noi la sfruttiamo!

Io sono Machin Tijorn, e devo dimostrare di esserlo davvero!

Dove siamo? La casa è vicina. Sembra che ci sia qualcuno lì… mi sembra di vedere qualcosa.

È tutto così appannato… mi sento così male…ho le orecchie tappate. Mi gira il mondo intorno. Spero solo che ci abbia visti.

Alzati, Machin, fa’ vedere che non abbiamo cattive intenzioni…chiedi aiuto.

Devi. Non puoi morire. Nessuno di noi deve morire.

Mi tremano le gambe, non riesco a stare in piedi. Coraggio Machin. Coraggio. Devi alzarti in piedi.

Visto? Ce l’hai fatta. Puoi farcela ancora. Non riesco a vedere bene.

Non riesco… però mi sembra che qualcuno corra. Qualcosa si avvicina.

“aiuto! Qualcuno ci aiuti!”.

L’ho gridato o no? Sto gridando? Sono in piedi? Dove sono?

Non lo so. Non riesco più a capire nulla…

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 76
*** In terra grigia. ***


A parte quel noioso ed imbarazzante incidente con il funzionario, credo di frontiera, il nostro breve, brevissimo soggiorno ad Ogis fu una vera pacchia

A parte quel noioso ed imbarazzante incidente con il funzionario, credo di frontiera, il nostro breve, brevissimo soggiorno ad Ogis fu una vera pacchia.

Beh, permaneva una certa sensazione di disagio.

Certo, eravamo trattati con una certa familiarità che sembrava più che gradita e ci metteva a nostro agio, ma eravamo scarrozzati avanti ed indietro in modo da prepararci per la permanenza ad Atlantis.

In quell’isola sperduta sembravano tutti appartenere ad un’unica, grande, famiglia.

Elfi, uomini, Inu, Tengu, Insathi, tutti collaboravano per far funzionare il baraccone con armonia.

Venni a sapere che quella meta era ambita da molti. Le richieste per venire a far parte del gruppo lavorativo di Ogis erano innumerevoli.

Spesso, sempre accettate. Rare erano le persone che rimanevano lì per più di due anni.

L’unica persona capace di vivere a vita in quel buco smorto era stato il funzionario che ci aveva accolti.

Da ormai secoli attendeva e smistava.

Per forza che fosse divenuto così. C’era da morire lì dentro.

Il motivo era semplice: quello era un posto di passaggio.

Diamine, sarei morta lì dentro, se fossi stata costretta a starci a vita.

Se non ci fosse stata quella familiarità tra il gruppo penso che l’idea di buttarsi a mare un giorno di tempesta sarebbe stata presa in considerazione da molti.

L’isoletta era piccola, e, a quanto pareva, tutta occupata da quella stazione di cambio.

Ogis era poco più di uno scoglio senza vita.

Gli svaghi erano pochi. Almeno, io non ne vidi traccia.

Sempre le stesse facce, sempre la stessa vita.

Quella era una terra grigia. Né il continente, né Atlantis vera e propria.

Funzionale, adibita ad uno scopo solo. Vegliare e smistare.

Per me, abituata ai grandi spazi, alle montagne, alle foreste, un vero suicidio.

Per forza che dovevano andare tutti d’accordo!

Lì tutti sapevano tutto di tutti, anche quante volte starnutivi in un giorno. Insopportabile.

Quel luogo era un covo di comari, comunque.

In mancanza di altri svaghi, l’antica e rispettata arte dell’inciucio era dovunque praticata e tollerata.

Incredibile di quanti fatti io sia venuta a conoscenza, in quella settimana. Assurdo.

Gli amori di quello, la vita travagliata di quell’altro. Il fatto che quello fosse stato cacciato di casa e che quell’altro era lì per una punizione, che peraltro aveva proprio l’aria di godersi.

Vite che per un attimo sfioravano la nostra. Non raramente finivamo per guardarci con perplessità. Ma chi erano tutti quegli sconosciuti?

Dovunque andassimo eravamo inoltre spiati con fervida determinazione. Tutti chiedevano, tutti si presentavano, tutti fin troppo entusiasti di avere elfi del continente da mettere sotto torchio.

Rimpiansi così il nostro drammatico isolamento.

Non volevo fare altro che sedermi da qualche parte, con il bosco e le montagne da guardare ed una bella tazza di tè fumante tra le mani.

Placidi momenti di tranquillità, senza Machin a scodinzolare tra i piedi, senza i dispetti di Nilyan, senza il broncio di Roxen.

Quei brevi momenti in cui mi chiudevo in me stessa e pensavo.

Rarissimi, tra l’altro.

Lì non eravamo mai soli, né eravamo mai fermi.

A dispetto del clima di familiarità che c’era in quell’isola, tutti sapevano fare alla perfezione il loro mestiere.

Venne fuori che il capo, quello strano elfo che ci aveva accolti, esigeva massimo rispetto ed efficienza.

Potevano trattarlo come un amico, ma guai a lasciarsi andare alla pigrizia, guai a non fare il proprio lavoro.

Comunque, in una settimana girammo parecchio. Alla fine riuscivamo a muoverci alla perfezione in quello squallido luogo, in cui la cosa più brillante erano mazzi di fiori messi qui e là.

Passai due o tre giorni a chiedermi perché sembrassero così ingessati e, soprattutto, perché non appassissero mai, prima di capire che erano finti.

Come Muzal, che si beava del prestigioso ruolo di guida ufficiale, ci spiegò, ridendo, era impossibile coltivare fiori con il clima tremendo che ci si ritrovava, spesso e volentieri molto piovoso.

Quindi avevano risolto il tutto mettendo fiori finti.

Più di tanto, non mi stupii. Anche da noi da un po’ di tempo avevano cominciato a girare certe trovate diaboliche di quel tipo.

Machin me ne regalava un giorno si e uno no, credendo di prendermi per scema e di farmi grandi scherzi.

Mi sono sempre chiesta cosa passi realmente nella testa di quello squinternato.

Comunque,  ci spedirono in ogni dove.

Partivamo dalle nostre camere, una per me, solitaria e squallida, rigorosamente a picco sul mare (non ho mai aperto la finestra), una per i miei due cari elfi, la mattina, quando ci veniva a prendere Muzal.

Poi, aveva inizio il nostro giro.

Siamo stati portati, nell’ordine:

 a leggere vari documenti che ci parlavano di Atlantis in generale, nulla di nuovo, sul fatto che fosse stata costruita sulle rovine di una città misteriosa e precedente, piena di oggetti misteriosi, alcuni dei quali ancora da studiare.

Non dimenticherò mai le espressioni sempre più incredule dei miei amici. Soprattutto per Capouille l’ansia di partire cresceva di giorno in giorno. Si sarebbe detto che stessero per partire per un paradiso.

Spesso intere ore si mettevano, tutti e due, a discutere su come poteva essere Atlantis, sulle novità, sulle loro reazioni.

Zipherias era parecchio attratto dalle armi. Ne aveva viste, ma non riusciva a farsi spiegare il funzionamento da nessuno. Tutti sembravano piuttosto restii a discutere di cose potenzialmente pericolose, cose da non fare conoscere agli elfi cattivi.

Tutto questo frustrava enormemente il mio grande e buono amico. Non faceva nulla di male, solo essere un po’ curioso!

Capouille era invece stregato e basta. Non vedeva l’ora di vedere tutto di Atlantis.

I grandi palazzi bianchi, la torre di metallo del Senato, tutto.

Non vedeva l’ora di incontrare i veri e proprio abitanti, fare domande su domande.

La più indifferente ero, paradossalmente, io.

Mi sentivo un pesce fuor d’acqua.

Nel senso, non avevo particolarmente voglia di finire ad Atlantis.

Mi ero scocciata. Non avevo più curiosità, né altro.

Che cos’era in fondo, Atlantis, se non un mucchio di gente con le stesse abitudini nostre, solamente un po’ più evolute?

Tutta quella curiosità mi dava sui nervi.

Non volevo vedere. Mi rifiutavo.

Non volevo vedere quel prodigio. Volevo solo tornare a casa e ficcare la testa sotto la sabbia.

A nulla valevano le battute di Zipherias, che mi dava della vigliacca, o gli incoraggiamenti di Capouille.

Era vero, ero una grande vigliacca. Ero stata trascinata in una missione di cui non mi importava nulla, che avrebbe solo distrutto, io lo sapevo, quel poco che rimaneva di me.

Ero stata allontanata dai miei protetti. Chi avrebbe badato a loro? Non erano capaci, Machin specialmente, di guardare nemmeno loro stessi, figuriamoci vivere da soli!

Machin poi, in viaggio!

E se la situazione mi fosse sfuggita di mano?

E se fosse successo un disastro?

Cercavo di non pensare alle possibili catastrofi che sarebbero sicuramente accadute in mia assenza, ma esse si ripresentavano con insistenza alla mia mente.

Una crisi di Nilyan. La morte di Machin o di Chekaril o di tutti e due. Roxen che si ficcava nei guai.

Tutto quello mi angosciava, mi faceva venir voglia di tornare indietro di corsa.

I miei amici, ad un certo, punto, capirono quanto il mio malessere fosse profondo. Quando bramassi di tornare indietro.

Dapprima cercarono di alleggerire il mio umore nero con battute e con piccole cattiverie varie, per farmi ridere, ma senza risultato.

Smisero presto quando io misi sotto Zipherias e lo conciai nero, in senso figurato e non. Temo ancora mi voglia far pagare lo stivaletto che gli ho lanciato dietro, con tutte le mie forze.

Non volevo essere scocciata.

Inoltre, ero parecchio infastidita dal modo in cui ci stavano trattando in quei giorni.

Avevamo avuto un paio di sgradevoli incontri con l’infermeria. Di nuovo, dopo tanto tempo ,avevo visto quegli aggeggi infernali che uno degli amici di Regis, comparso per magia proprio quando meno me lo aspettavo, aveva usato su di me.

Cominciavano quindi a studiarci come animaletti strani appena scoperti, il che non mi piaceva.

Le creature che svolgevano la mansione di Guaritori erano per la maggior parte Inu. Creature gentili, per carità, ma non ne potevo più di tutta quella curiosità scientifica.

Sono stata bucherellata come non mai, in quel periodo. Sempre a prenderci del sangue, che uso ne facessero mi è tuttora oscuro, poi a mettere della roba strana in quegli aggeggi, altri aggeggi, e conficcarli di nuovo in un altro punto.

Quella roba, cosa fosse, spesso ci faceva stare male. Ho passato, giuro, una settimana d’inferno.

Roba di routine, dicevano. Bisognava evitare che attaccassimo ai delicati abitanti di Atlantis qualche schifezza che ci portavamo dietro. Lo facevano anche con gli umani.

Mi sono sempre sentita offesa a quelle parole. Io sono una persona molto molto pulita.

Lo stesso dicasi per Capouille e Zipherias.

Comunque, tutte quelle punture, come di mille insetti, davano un fastidio enorme. Spesso non mi sentivo bene, febbre leggera ed altri malanni, ed ero dunque più seccata del solito.

Dopo l’episodio dello stivaletto i miei due amici presero ad ignorarmi prudentemente..

Mi fecero sentire per un giorno davvero in colpa. Oltre ai miei pensieri quotidiani si misero in mezzo anche i sensi di colpa.

Non riuscivo e non potevo stare sola. Avevo bisogno dei miei amici come di una droga.

Senza di loro facevo troppi pensieri neri.

Il momento di semi indifferenza passò quasi subito, dopo che io, mortificata, andai a chiedere scusa quasi in ginocchio, in lacrime.

Molto idiota da parte mia.

A parte questi intervalli, la settimana passò molto tranquilla.

A parte i momenti in cui dovevamo seguire Muzal nei suoi giri senza fine eravamo lasciati in pace.

Verissimo, spesso avevo l’impressione di avere ben più di un paio di occhi puntati addosso, invadenti, ma nessuno o quasi ci rivolgeva la parola.

Non c’era tanta differenza da Fiya, a parte un paio di particolari bizzarri, come, che so, le porte che si aprivano senza maniglie, o quei montacarichi violenti. Davano il tempo di abituarci.

Che soggiorno da paura, in quella Terra Grigia.

Fui felice quando ci avvisarono, un giorno, che una nave di Atlantis era in vista.

La sonnolenta base cominciò a ronzare come un vespaio impazzito.

Tutti che mettevano a posto, scomparve improvvisamente la polvere e comparvero vasi aggiuntivi, Muzal fu sostituito da un umano che borbottò il suo nome e si mise le mani in tasca, svogliato, si vide improvvisamente uscire dalla sua tomba di polvere e libri il capo della base, lindo  nella sua uniforme blu scuro, impettito come un gallo.

Tutti presero a comportarsi con anomala professionalità da macchine. Si assistette a scene di disperazione collettiva, che non mancavano di lasciarci interdetti.

A quanto pare, oltre all’arrivo della nave doveva esserci in arrivo un controllo.

Altrimenti non si spiegava.

Comunque, dopo tutta questa catastrofe e rivoluzione, tutto fu pronto.

Una sera fummo riuniti dal capo. Ci intimò di prendere le nostre cose e seguirlo.

Gli obbedimmo, trepidanti. Quel giorno mi ero lasciata influenzare dall’entusiasmo di Capouille e Zipherias, e fremevo dall’impazienza.

Come sarebbero stati? Che cosa sarebbe successo? Cosa mai ci avrebbe riservato la seconda parte del nostro viaggio di andata, finalmente verso la meta?

Come sarebbe stata, soprattutto, la nave?

Di nuovo una carretta ambulante come quella che ci aveva portati fin lì?

Speravo di no. A quanto pare ci si prospettava un viaggio abbastanza lungo. Non volevo stare male ad oltranza. Mi ero stancata dal mal di mare, se non si è capito.

Seguimmo, tre pecorelle obbedienti, l’ormai impettito elfo fino al punto in cui eravamo stati lasciati dalla nave umana.

Il contrasto non poteva essere più stridente.

Mi fermai di botto, in quella caverna, quando vidi ciò che stavo guardando.

Ah. Già così andava meglio.

Davanti a noi, scivolando silenziosa sul mare piatto del piccolo porto, si stagliava una grande nave dai colori chiari.

Sembrava, almeno nelle forme, un grosso veliero a tre alberi di vecchia data. Cosa molto più familiare di quella scatola di latta arrugginita degli umani.

Già poteva andare meglio. Vidi riflessa anche nei miei amici la stessa mia soddisfazione.

Tuttavia, se osservata meglio, quella nave aveva poche cose in comune, forma a parte, con le navi che eravamo abituati a guardare.

Non si vedeva l’opacità familiare del legno, solo lucido scintillio di superfici simili a specchi.

Era troppo grande per essere un veliero, enorme a confronto. Mi sentivo piccolissima. Quale civiltà aveva potuto creare cose così grosse?

Inoltre, quel poco che riuscivamo a vedere delle vele, ora chiuse, mi destava perplessità.

Sembravano di una forma strana, cosparse come di olio.

La nave procedeva stranamente silenziosa, ma l’acqua attorno ad essa gorgogliava e schiumava.

Me ne chiesi vagamente il motivo. Non c’erano scricchiolii, né, mi sembrava, ondeggiamenti. Solo lontane urla, ed ordini.

L’insieme non era per nulla sgradevole, anzi.

Dava una certa aria di sicurezza.

A dispetto dei giorni di malumore che avevano preceduto quel momento, mi sentii stranamente curiosa.

Curiosa, ed euforica.

Il cuore si fece più leggero, e dimenticai i miei pensieri.

Guardai i miei amici, ugualmente affascinati. Loro guardarono me, e sorrisero.

Beh, se Atlantis si prospettava così era un buon inizio.

Ecco…per la prima volta in vita mia, non vedevo l’ora di salire su quella nave.

Cosa ci avrebbe aspettato, lì su?

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Capitolo 77
*** Guai in vista. ***


Oh Willie

Oh Willie.

Oggi non è proprio giornata. Sembrava essersi messo tutto a posto, invece…

Quello che devi sapere, è che ormai mattina, e che Ellyn è rimasta a dormire da me. Non ce l’ho fatta a scriverti ieri, mi devi scusare.

Non ne ho avuto proprio il tempo. È tutto successo così in fretta.

E pensare che stavamo così bene. Roxen è stata messa in riga, Faldio stava bene, Ellyn era tutta tranquilla, si avvicina una bella festa, dove si mangerà tanto (io ne sono sicura. Basta che non mi offrano quei dolci), Lilliagrin ha avuto il suo bello schiaffo morale…

Ed ecco che il peggio succede.

Oh, è sempre così. Tutto va bene finchè: pam! Arriva il patatrac.

Io proprio non lo so. Sono venuta qui per stare tranquilla!

Io dico, qui secondo me non hanno un po’ di sale in zucca.

Ma pensare agli altri no vero?

Io credevo che gli umani fossero più intelligenti. Invece…

Comunque, ferma, Nilyan, calma. Tira le redini e vai al passo.

Non che nessuno leggerà, qui, ma ho assolutamente bisogno di schiarirmi le idee.

Willie, tu ci credi che ancora non riesco a capire?
Sono così confusa… quasi non ho dormito. Eh si, perché anche io ce l’ho, un cuore.

Nonostante quello che ho fatto con Roxen, io un cuore ce l’ho. E poi Ellyn mi è amica.

Figurati, Willie, tutto questo mi ha rovinato totalmente il buonumore.

Insomma, ieri sera smetto di scriverti e vado ad aprire la porta.

Prova ad indovinare.

Mi si è precipitata contro Ellyn in lacrime. Mi sono sentita abbracciare senza nemmeno capire perché!

Ero sconvolta (come se ora non lo fossi). Cioè, non ho mai visto Ellyn piangere. Perlomeno, piangere in quel modo!

Completamente disperata.

Cioè, io mi sono fatta dieci migliaia di migliaia di brutti pensieri, quando l’ho vista.

Poi perché, tra l’altro, singhiozzava tanto che quando provava a spiegare le veniva fuori solo una specie di suono strano. Tanto che lei cominciava a singhiozzare di più.

Mai sentiti suoni così. Forse una cosa simile la ascolto quando, d’estate, io e Machin facciamo la gara a chi resiste di più con la testa in un secchio pieno d’acqua, mentre facciamo le bolle.

Si, ma di solito quelli facevano ridere (infatti non abbiamo mai concluso una gara, ridiamo sempre troppo).

Ellyn invece mi ha spaventato molto.

Non riuscivo a calmarla! Sapessi quanto mi sono preoccupata!

Ho pensato subito a Faldio, che gli fosse successo qualcosa. Magari li avevano beccati ed era successo un guaio.

Oppure era morto qualcuno. Sperai non Roxen.

Subito ho pensato a lei ed al fatto che fosse ferita. Magari le era successo qualcosa…

E quella testona ancora non si decideva a parlare!

Che cosa era successo? Una guerra? Qualcosa a Guaren?

La regina Lainay aveva deciso di combinare un tiro mancino ed eravamo tutti perduti?

Se solo fosse successa una cosa del genere non avrei saputo che fare.

Insomma, ti rendi conto, Willie?

Se fosse successa una cosa del genere io sarei stata fregata.

Io sono qui e non a casa mia. Zia è molto lontana, ormai.

Papà non c’è a proteggermi, e nemmeno Zipherias (anche Capouille mi dicono che sia bravo quando c’è bisogno di lui, ma io tendo a fidarmi più di Zipherias. È sempre così calmo e sicuro di sé!) e nemmeno le sacerdotesse.

Sono in un territorio estraneo senza vie d’uscita. Non posso scappare.

Ho litigato con Roxen.

E se Lainay avesse invaso Fiya?

Io non volevo essere presa prigioniera da nessuno.

Non voglio certo finire nelle mani di quella vipera!

Quella lì ha ucciso un sacco di gente, e poi ha fatto del male alla zia, a Roxen e Chekaril.

Mi ucciderei, piuttosto che venire ingabbiata da quella. Toglierei la mia catenina col ciondolo che mi protegge e darei fondo apposta a tutti i miei poteri.

Ah, la farei penare!

Ma poi zia soffrirebbe, anche papà… oh!

Non voglio pensarci.

Va beh, tanto non è accaduto e non accadrà.

Comunque non si è trattato di questo.

Anzi, nessuna dichiarazione di guerra o robe simili. Lainay se ne sta al sicuro nel suo castello, con accanto quel cane rognoso di suo figlio.

Qualcosa di peggio.

Almeno per Ellyn. Io non sono altro che a dir poco stupita.

Allora, sono riuscita a calmarla dopo un po’, a forza di abbracci e coccole. Calmarla.

Insomma…

Beh sicuramente di più di prima. Almeno è riuscita a raccontarmi che cosa è successo.

E allora mi sono arrabbiata. E tanto!

Allora, vuoi sapere che cosa è successo?

Praticamente, quando siamo tornate dal giro, ad aspettare Ellyn c’era Guaren.

Ellyn dice che aveva una faccia strana, e che l’ha abbracciata forte forte.

Poi ha detto che la loro madre voleva vederla perché c’erano ospiti a cena, quindi si doveva preparare e cose così.

Sai che noia, comunque.

Comunque, quando lei ha raggiunto la madre, Guaren ed il padre, indovina chi c’era?

Anche quel tipo tutto galante, Lurak, e suo padre.

A quanto pare sono il principe ed il re di un regno vicino a Fiya.

Sapessi com’era contenta Ellyn di vederlo! In fondo, Lurak è proprio gradevole.

Molto galante, gentilissimo.

Per fortuna che per tutta la cena c’era lui, perché Lilliagrin è stata sottilmente odiosa.

Non ha detto niente apertamente, è troppo cauta per prendersela con la figlia quando ci sono ospiti così importanti a cena, ma comunque non ha mancato di esprimere disprezzo per le miserevoli figure che quegli stranieri ci fanno fare.

In tutto ciò, Lurak ci ha difesi.  Ha detto che gli elfi sono molto interessanti, e che hanno una cultura non deprecabile.

Se non fosse implicato in questa brutta faccenda direi che mi sta molto simpatico.

È gentile, intelligente, e gli piacciono gli elfi.

Comunque, Lurak ed Ellyn hanno fatto amicizia. Si trovano molto bene insieme…purtroppo.

Comunque, hanno passato una buona serata.

Poi Lilliagrin, il marito e l’altro re si sono chiusi dentro per discutere di alcuni affari, ed i ragazzi sono rimasti fuori.

Lurak non sapeva assolutamente il motivo per cui fossero lì. Credeva che fosse solo per siglare un’alleanza!

Comunque quei tre hanno passato un po’ di tempo a chiacchierare, così.

Poi, gli adulti sono usciti, ed è venuta l’ora dei saluti.

Tuttavia, Lilliagrin ed il marito hanno trattenuto Ellyn.

Guaren se n’è andato, ma lei è rimasta.

Il motivo era la grande notizia.

In pratica, sai perché Lurak ed il padre erano qui?

Perché il signor re doveva mettersi d’accordo, si, per un’alleanza…ma ad un prezzo.

Un prezzo che mi ha lasciata basita.

Oh, Willie, non ho il coraggio di scriverlo. Non ce la faccio.

Altrimenti la voglia di strappare il ciondolo e di lasciare che il potere mi scorra dentro si farebbe troppo forte.

Ah, va bene, lo dico. Ma non dire che non ti avevo avvertito!

La condizione per una duratura pace è…

che Ellyn sposi Lurak. Ecco l’ho detto.

Tutto ciò è stato fortemente voluto da Lilliagrin. È stata un’idea sua.

Ma come può? Come può, quella bastarda?

Oh, Willie. Come può fare soffrire tanto la figlia? Ora mi viene pure il dubbio che lei abbia capito di Faldio!

E ora? Ora che lui lo saprà?

Cosa succederà? Loro si devono vedere oggi pomeriggio, ed Ellyn non ha quasi il coraggio di andare. Non vuole che succeda chissà che guaio!

E se Faldio sfida Lurak, che, piccolo, non c’entra nulla? E se Faldio fa una sciocchezza? Lo sappiamo tutti com’è fatto quella testa calda…

Ma è sempre Lilliagrin! Sempre lei che combina questi guai!

Cioè, ma come si fa a fare una cosa del genere?

Ma Lilliagrin odia la figlia, ma la odia davvero tanto, per farle un tiro cattivissimo del genere!

Sono stupita.

Secondo me la madre vuole fare diventare identica a lei la figlia.

Guarda, Willie, ho anche la mezza idea di andare da Lilliagrin e minacciare di rompere l’alleanza con Uruk in caso di matrimonio, ma poi ho pensato una cosa:

zia è nelle mani di Fiya. Uruk poi mica ce la può fare da sola contro Lainay.

Papà non sarebbe d’accordo.

Ma poi papà non avrebbe mai fatto una cosa del genere.

Oltre che c’è zia che se solo gli venisse un’idea simile gli leverebbe gli attributi facendoli lentamente a fettine…

Ma da noi elfi queste cose non si fanno più da secoli.

Poi gli umani si danno le arie da grandi moderni.

Si è vero, loro vivono con degli oggetti che noi nemmeno conosciamo, ma senti, Willie, la loro mentalità è tale e quale a quella dei loro antenati molto lontani, quelli dell’era di Regis.

Papà non lo farebbe mai.

Io sono libera di scegliere chi voglio…ovviamente quando verrà il tempo. Anche perché se lo facessi ora credo che andrei incontro a crisi di gelosia da parte di cugini un po’ possessivi, zii acquisii che non ne parliamo, una zia isterica, un padre apprensivo e delle sacerdotesse molto noiose.

E poi io non lo voglio.

Io sono libera come il vento, l’aria e l’acqua. E non voglio nessuno.

È noioso fare i pollastrelli con un tipo con gli occhi da pesce lesso.

Comunque, io non so proprio che fare.

Ho cercato un pochino di fare star calma Ellyn, ma non ci sono riuscita…

Ha smesso di piangere veramente tardi, e si deve essere addormentata solo per stanchezza.

Povera amica mia…ma sarà mai tranquilla con Faldio?

Avranno un giorno un vita insieme? Se continua così, non lo credo proprio.

Accidenti, maledizione a Lilliagrin ed alle sue idee!

Ci sarà un modo per scampare a questa tortura no?

Non che Lurak non sia gradevole, anzi. È una persona proprio allegra, piena di senso di responsabilità e cose del genere.

Ha anche detto ad Ellyn che, in quel momento, l’ultimo suo pensiero era sposarsi, perché è già sposato con il suo cavallo!

Nel senso, Willie. Non che è un pazzo con strane manie. È solo un appassionato di cavalli ed equitazione. Fa anche gare. Un giorno lo sfiderò volentieri. Nessuno mi batte a cavallo. Ho imparato a fuggire da uno stuolo di sacerdotesse infuriate, a cavallo!

È solo che… insomma.

Ellyn ama Faldio. Lui soltanto. È completamente fusa per lui!

Perché deve soffrire tanto solo perché la madre è così cattiva? Sono sicura che l’ha fatto apposta.

Secondo me c’era anche un altro modo per siglare quella alleanza, ne sono certa.

Ah, come vorrei che ci fosse qui Roxen, che non avessimo litigato…

Lei sicuramente avrebbe trovato una scappatoia. Insomma, le parli di questi intrallazzi e lei è nel suo!

Certo, molte delle sue scappatoie includono metodi in genere poco puliti, ma sicuramente lei saprebbe come comportarsi.

Rifiutare non se ne parla. Si rischierebbe un incidente diplomatico di proporzioni colossali!

Oh Willie, come vorrei fosse sempre tutto facile.

Come vorrei che Ellyn potesse sposare Faldio.

Sono sicura che un metodo c’è.

Magari potrei convincere papà, e non è difficile, a dargli dei titoli, a renderlo nostro referente ed alleato…

Ah, ma perché queste idee non mi vengono prima?

Ora c’è bisogno di trovare una soluzione a questo grande e grosso guaio.

Una soluzione che non preveda spargimenti di sangue comunque.

Ah. Soprattutto, prima di una settimana.

Tra una settimana la coppia verrà presentata.

Argh!!!!!!

Che rabbia!!!!!!!!!!!!!!

Oh Willie, tienimi, perché se qualcuno non mi calma qui ci scappa il morto davvero.

E questo morto non sarò di certo io.

Basta!!

Vado a lavarmi, ho bisogno di un po’ di acqua fresca o prenderò a bollire dalla rabbia.

Umani degradati!

Lilliagrin è marcia dentro! È una bastarda! Non merita di vivere!

Qualcuno la uccida!!!!

Oh, Willie.

Voglio che questa situazione si allenti. Odio la rabbia, l’odio, la sofferenza. Voglio vedere tutti stare bene!

Spero solo che succeda qualcosa che fa cambiare idea a qualcuno.

Magari Lilliagrin si ravvede.

Datemi un modo per posticipare questo annuncio ed io lo metterò in pratica.

Non voglio mai più vedere Ellyn piangere!

Io voglio che lei sia felice. Felice, con Faldio.

Non felice con Lurak!

Magari… senti qui, Willie.

Potrei andare a parlare con Lurak di nascosto di tutti.

Mi serve solo spiarlo un po’.

Oppure lo cerco e gli propongo una sfida a cavallo o qualche altra cosa.

Potrei scappare… tanto non c’è nemmeno Roxen che mi sta dietro…

Si, ecco cosa potrei fare!

Oggi pomeriggio scappo dal castello. Mi travestirò e poi andrò in giro per la parte nobile finchè non trovo Lurak.

Poi gli parlerò e ci daremo un appuntamento.

Anzi, sai che faccio? Mi preparo e ci vado ora.

Subito. Così tagliamo immediatamente la testa al toro.

Non sarà contento del matrimonio…ne sono sicura.

Beh, Willie, ora vado, di corsa.

Che bella idea che ho avuto!

Ti voglio tanto tanto tanto bene, amico mio. Grazie per avermi ascoltato.

 

La tua Nilyan.

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Capitolo 78
*** Essere un eroe. ***


Ahi

Ahi.

Dove sono? Accidenti, che mal di testa.

Che ho combinato ieri? Ah, non me lo ricordo. E’ tutto ovattato.

E mi fa male la testa.

Ohi. Pulsa come se fosse fasciata stretta. Molto stretta.

Ho una nausea tremenda.

Che mi sia sbronzato ieri? Non riesco a ricordare esattamente quello che ho fatto…

Buon motivo in più per credere che abbia esagerato. Che qualcuno di quei cretini del teatro mi abbia fatto uno scherzo?

Probabile.

Oh, la zia si arrabbierà da morire. Mica lo sopporta, eh Machin, quando mi capita di alzare un po’ troppo il gomito, eh.

Oh per gli dei, spero di non essere a casa sua.

L’ultima volta che è successo mi sono trovato con lo stesso mal di testa…te lo ricordi, Machin? A casa sua.

O almeno mi pare. Non riesco ad afferrare bene le cose. Come se guizzassero e sfuggissero come pesci appena usciti da un lago.

Che sonno. Quanto avrò dormito? Un bel po’, temo.

Ma se mi facessi un altro pisolino? Questo mal di testa magari scompare. Magari mi sento meglio.

Poi posso far finta che avevo solo un po’ di…non lo so. Vediamo vediamo…

Emicrania?

Dovuta a cosa? Vediamo…ieri sono stato alzato fino a tardi per completare una prova.

Si così mi piace.

Ah, che sogni strani che ho fatto. Speriamo di non farne altri.

Anche se cavolo, per nulla noiosi. C’era tanta avventura dentro.

Ci dovrei scrivere che so, un libro.

Bello. Chekaril, io, un drago… quella viverna…

Quella viverna…

Oh per la miseria nera di un giorno di fame.

 

Io non ho sognato.

Quello non è stato un sogno. Io quelle cose le ho vissute davvero!

Dove sono ora? Ricordo di essere stato ferito… e anche Chekaril.

E Nep…Nep che non stava bene! Devo svegliarmi assolutamente!

Eravamo arrivati vicini ad una casa…ci avranno salvati? Dove siamo ora?

E la mia testa? Perché pulsa così forte? Ricordo, ero stato ferito…vediamo…sarò stato curato?

Ah! Oh per gli dei. Chi mi sta bloccando la mano? Maledizione, io voglio sapere che mi sono fatto.

“sta’ fermo”.

Eh? Chi è? Di chi è questa voce? Non la conosco, una voce femminile. Sarà una persona della casa.

Apri gli occhi, cretino.

Ahi. Che dolore. C’è qualcuno accanto a me.

Non riesco a capire cosa sia, però.

Vedo tutto sfumato. Tutto nebuloso. Ho un velo negli occhi.

Se strizzo gli occhi va meglio però. Mi lacrimano tutti, e sembrano incrostati.

Quanto tempo avrò dormito?

Oh per gli dei, mi sento preoccupato. Chekaril? Come starà Chekaril? E Nep, quella povera Nep che ci ha salvati?

Ah. Ora va meglio.

Ci sono due persone accanto a me. Caspita, come sembrano preoccupati.

Ma chi sono? Sembrano un po’ anziani.

E c’è una signora ed un signore. La signora mi tiene la mano. Che faccia gentile. Mi sorride e sembra simpatica.

Il signore sorride anche. Sarà suo marito?

Ehi però.

Che roba sono?

O la testa mi gioca brutti scherzi o questi due hanno delle orecchie strane. Un po’ troppo pelose. Marroni con la punta chiazzata di grigio, come quelle di un vecchio cane.

Ma si, che stupido. Devono essere Inu. Quelli che sembrano mezzi uomini e mezzi cani. Ne ho visti alcuni a casa…ahi, che mal di testa.

Mi sembra scoppiare. Accidenti.

Dove sono?

Nel regno? Ad Uruk? In ogni caso, meglio essere prudenti.

Di Inu ce ne sono dappertutto.

Che strana casa però. Ora che mi guardo intorno vedo meglio. Tutto legno scuro. Tutto scuro. Deve essere notte.

Fortuna, già così mi fanno un male gli occhi…

“dove sono?”.

Già, bella domanda. Dove diavolo ci ha portati Schnepscybilie? Da notare che ho ricordato per intero il suo nome.

Ma tu guarda come sorride quella tipa. Accidenti, che dolore. Ma Chekaril? Nep? Cioè è vero mi sembra tanto gentile questa. Ma non so quanto potermi fidare.

Siamo fuori dalle grinfie di Lainay o no?

Se solo questi sapessero chi siamo noi ci troveremmo i soldati alle calcagna in un attimo.

E diavolo, siamo tutti feriti. Non potremmo scappare.

Quindi, idiota di un Machin, ricordati che tu ti chiami Flanner, Chekaril si chiama Liam e Nep…beh, si chiama Nep.

E che siete Guaritori.

“al sicuro, non temere. È una fortuna che la dragonessa sia riuscita a volare fin qui!”.

Si, però non ridere. Mi fa male la testa.

Lei mi guarda sorridendo. Poi fa un cenno al tipo che esce e mi saluta. Chissà dove sta andando.

Però è simpatica dai. Mi piace. Mi sembra una nonna gentile. Come Dae. Solo che lei non è una nonna e non è gentile.

“sei stato fortunato a farti solo quel graffio, piccolo. Avete fatto proprio un bel capitombolo”.

Non è il caso di spiegarle che siamo andati incontro alle ire funeste di una viverna affamata, vero?

No, non credo. Sempre meglio evitare, poi magari quando mi sentirò meglio racconterò qualcosa. Se Nep non l’ha già fatto, ovviamente.

La Inu sta sorridendo. Che carina, mi accarezza anche il viso. Sembra una mamma.

Anche se io non ho mai avuto una mamma….ah, va bene. Sembra zia Lalla.

“è una fortuna che Nausk vi abbia visti. Io sono Mia, comunque. E tu, signorino?”.

Ah. Ma che non dia fastidio.

Le borbotto qualcosa, ma non so nemmeno se abbia capito e sinceramente non è che mi interessa molto. Fa solo un sorriso e poi mi accarezza di nuovo. Non è che mi importa molto se ha capito o no.

Ho altre cose a cui pensare, papera. Nep. Chekaril. Dove sono loro?

Mi sto guardando intorno come se riuscissi a trovarli così.

Oh. Ora riesco a vedermi un po’ più attorno. Al sicuro. Gran bella risposta, al sicuro.

Si, ma dove siamo? Si va beh, se dico di essere un Guaritore non ci dovrebbero essere problemi.

Devo essere su un letto molto basso, basso davvero. Vedo quasi il pavimento. Cioè, lo vedo e bene.

Oh. Guarda un po’ chi c’è accanto a me.

Devono averci messi vicini per non farci avere paura. Che gentili!

C’è Chekaril lì. Povero cuginetto mio.

È pallido come un morto ed ha gli occhi chiusi. Ed è pieno di bende.

Poverino.

Ora mi sto preoccupando. Sarà morto? Si sarà già svegliato? Spero solo che non sia così grave.

Lo chiamo? Che faccio? Non so che fare. Come lo chiamo?

Liam? Cugino? Ehi tu?

Vediamo un po’.

Magari Lì, così nessuno si accorge del suo nome, e…

Ah!

Oh per gli dei. Che spavento.

Ho deciso.

Io ho un cugino idiota.

 Un cugino che fa finta di essere moribondo. E mi fa preoccupare a morte.

Poi apre gli occhi e mi fa l’occhiolino. E poi ridacchia.

Il peggio è che ridacchia anche Mia o tua o come diavolo si chiama.

Grande intelligente, lui. Ha fatto il grande scherzo.

Certo che è un po’ pallidino. Ma sembra non in pericolo di vita se mi fa prendere certi colpi. Povero piccolo me.

E poi quando sono io a fare gli scherzi ovviamente non va mai bene.

“ben svegliato, principino!”.

…Ben svegliato un corno.

Ho un mal di testa colossale, un branco di lupi mi ulula in testa e poi ci sei tu che fai pure dello spirito.

E mi fai venire il batticuore. Ed io che pensavo fossi in fin di vita!

Un giorno io ammazzerò mio cugino. Lo ammazzerò sul serio. Poco ci manca che si è messo le bende apposta solo per farmi prendere paura.

Ma non credo. È…un pochino troppo immobile direi. Sta a pancia in su e mi guarda. Ha girato solo la testa. E poi è pallido. Anche lui si deve essere svegliato da poco.

Questo però non mi autorizza ad essere delicato con lui.

“va’ a quel paese. Molto lontano da me, preferibilmente”.

E ora che ha da ridere? Che ho detto di strano? Mi sento preso in giro. Da lui e da Mia.

Che ovviamente ride più di tutti. Zitta tu, papera sghignazzante.

Oh, povero Chekaril. Insomma, ben gli sta. Ha cominciato a tossire ed ha smesso di ridere. Si tiene il petto, povero cugino mio. Quella caduta deve avergli fatto male.

Ed ecco che subito Mia va da lui. Che bello. Provo l’inebriante sensazione dell’essere finalmente ignorato.

Mi ha pure lasciato la mano. Finalmente, cominciava ad essere fastidioso.

Ora posso toccarmi. Sono tutto bendato. Ho la testa fasciata. Altre ferite?

Non mi sembra. Mi è andata molto, molto meglio del previsto.

Rispetto a Chekaril, che in questo momento è una benda vivente…

Ma Nep?

Non ho il coraggio di chiedere. Ma se Nep fosse… insomma. Chekaril non sarebbe così allegro. Ma le tengo come domanda di riserva, quindi.

Poi magari quando sto meglio vado e la cerco. Si, magari faccio così.

No.

Non ce la faccio.

Devo sapere.

Che fine ha fatto la mia amica?

Sono mortalmente preoccupato, d’accordo? Ho paura. E se poi è morta?

E se poi è morta mi sentirò in perenne colpa. Insomma, sono stato io a spingerla a combattere contro Jaunussir.

Non me lo perdonerò mai.

“la dragonessa? Nep? Dov’è? Come sta?”. Insomma, non intendevo essere così veemente nelle mie parole.

Ahi, la mia povera testa.

Mia mi guarda. Anche Chekaril. Chekaril mi guarda strano. Ancora? Ma questo non fa altro che guardarmi strano. Avrà seri problemi di vista, che so.

Ah. Mi sento meglio. L’Inu sta sorridendo. Questa invece non fa altro che sorridere.

Ma questo sorriso in questo momento mi sta scaldando il cuore.

È il sorriso così dolce di una persona ch vuole bene a tutti.

“la dragonessa? Si sta riprendendo. Devono esserci il Maestro e Rizniir con lei”.

Ah, d’accordo. Posso sospirare. Ora mi sento più tranquillo. Sto meglio.

Ma chi saranno questi due? Altri Inu? Che poi guarda quella coda tutta brizzolata. Ah. Quanto darei per avere anche io una coda. È stupenda.

L’importante è che si sta riprendendo. Questa è la cosa migliore. La giornata sta davvero migliorando.

La prima cosa, è che siamo al sicuro.

La seconda, siamo tutti vivi.

Cosa può esserci di meglio?

Guarda come sorride, quella. Secondo me avrà la faccia paralitica.

“ci ha raccontato quello che è successo. Sei stato molto coraggioso ad affrontare una viverna”.

Eh? Io affrontare una viverna?

Io e Chekaril ci guardiamo.

Si, idiota che non sei altro. Ridi pure. Eh, la classe non è acqua.

Qualunque cosa abbia raccontato a Mia e agli altri…dei, come mi sento eroe, oggi. Ora si che zia, zio, papà e mamma possono essere fieri di me.

No, ragazzi, non lusingatemi. Chiamatemi pure Machin Tijorn. Non serve che mi chiamiate Grande Ammazzaviverne.

Mia mi sta guardando molto orgogliosa.

Come se avessi vinto un premio enorme. Boh,  chi la capisce è bravo. Ora che vuole da me?

Deve aver compreso la mia perplessità, credo.

E sorride, di nuovo. Mi viene voglia di tapparle la bocca con qualcosa di puzzolente. Vediamo se poi sorride ancora.

“pensa, il Maestro ha anche accettato di conoscervi. È molto colpito dalla vostra avventura”.

Ah. Grande. E questo sarebbe il mio premio? Incontrare questo fantomatico tizio? Ah.

Idiota. Chekaril sogghigna. Lo riempirei di botte. Appena possiamo alzarci lo ridurrò di nuovo al letto. Idiota.

Io credevo un biglietto di sola andata per casa ed un rifornimento a vita di biscotti al burro. Biscotti al burro…

Chissà. Magari, visto che sono l’Ammazzaviverne magari Mia potrebbe prepararmene qualcuno.

Devo ricordarmi di chiederlo. Ora non ho molta fame. Ho mal di testa e la nausea.

La Inu mi pare abbia capito il mio incredibile entusiasmo per questo tipo che non mi interessa di conoscere. Sembra accondiscendente.

“di solito non incontra nessuno, sai. Siete molto fortunati. Ora Nausk è andato a chiamarli”.

Ecco. Chi bussa mai alla porta? Ma chissà.

Sono annoiato. E dire che avevo pensato di farmi un bel riposino. Ma non poteva aspettare un po’ prima di gratificarci della sua illuminante presenza?

Grande. Abbassiamoci alla grandiosità del grande Maestro. Che viene a trovare due piccoli feriti in compagnia di un tizio dal nome impronunciabile come se non bastasse quello di Nep.

Sono proprio così contento che improvviserei un balletto. Qui ed ora.

Bene, Machin. Stampati un sorriso perenne in faccia, sii gentile ed educato e quello forse se ne andrà in fretta.

Così potrò dormire.

Mia ci sorride. Sembra tutta raggiante.

Vedo che Chekaril condivide le mie opinioni. Ha la stessa mia aria scocciata.

Su, resisti. Che mal di testa. Che stordimento. E ora dobbiamo pure sopportare gli sproloqui di chissà chi.

Detesto avere troppa gente intorno che mi guarda come se fossi ferito. Io in realtà sono ferito, ma…

Lasciamo perdere.

Ecco che corre alla porta e la apre. E poi entra quel Nausk. Deve essere tipo il maggiordomo.

Accidenti, complimenti. Ha una zazzera di capelli che nemmeno Nilyan. Povera cuginetta mia. E povero quello.

Sembrano i petali di un soffione. Bianchi e vaporosi. Sembra più anziano di Mia. Chissà. Sarà suo marito?

Ha un’aria simpatica. Magari con lui si possono fare conversazioni divertenti.

D’accordo, Machin. Sorriso perenne, sguardo gagliardo ed educazione da nobile.

Mi sembra di ripetere una delle lezioni annoiate della zia, quando mi diceva che no, non potevo fare il muso quando mi toccava fare i turni di notte come Guardia.

E non potevo nemmeno fare chiasso.

Sguardo…com’era? Sguardo da nobile sorriso gagliardo ed educazione perenne? C’è qualcosa che non va. Pazienza.

E ora chi sono questi appena entrati.

Mormora un saluto. E non guardarli con l’aria di uno che ha appena avuto una botta in testa.

Questi sono elfi, accidenti!

E da come Mia li saluta con rispetto devono essere tipo i padroni, roba del genere. Accidenti.

Ora mi sento molto meno sicuro. Chi sono questi? Servi del Regno?

Machin. Sei un Guaritore e ti chiami Flanner. Tanto mi è servito…pazienza.

Uno deve essere anziano quanto il nonno. Che poi non vale perché il nonno è forte come un bue. Questo mi sembra tremendo. Ha uno sguardo…

Ha i capelli tutti bianchi. Chissà se sono suoi o sono come quelli del nonno che prima erano neri.

d’accordo però. Mi fa un po’ senso guardarlo.

Cioè. Sono abituato a zia Lalla che ha metà viso tutto pieno di cicatrici…però insomma.

Non guardarlo, ho detto! Non ha un occhio. Che orrore. Deve essere un guerriero. Brutto segno.

E poi è vestito proprio in maniera strana, con quei vestiti tutti larghi. Mah. Chi diavolo è?

Che poi mi guarda come se fossi un fantasma. Che ha contro di me, per caso, eh?

Mi guarda proprio strano. Accidenti. Ho paura. Che vuole da me?

Ma dove diavolo siamo capitati?

Pure quell’altro è un pochino strano. Ha un’aria familiare, che strano. Come se sapessi già chi è.

Accidenti. Spero solo di non avere le allucinazioni.

È giovane, però sembra anche vecchio. Cioè…non riesco a capirlo.

Che strani capelli. Celesti?

Nulla. Se chiudo e riapro gli occhi rimane ancora lì. Deve esserseli tinti, accidenti.

Sembra essere stato scolpito nel ghiaccio, che strano.

Anche gli abiti sono chiari, azzurri. E anche gli occhi.

Ed ha un brutto sguardo. Avrà assunto qualche droga?

Che diavolo guarda?

Sembra qui ma allo stesso tempo non è qui. Come se ci fosse un altro mondo sovrapposto al nostro. Come se stesse viaggiando in una dimensione parallela.

Non mi piace. È pallido come un cadavere. Cioè. È la sua pelle, non è pallido.

Mi fa paura. Chi è, ora?

Mi guardo con Chekaril.

Anche lui non sembra particolarmente contento. Sta guardando quel tipo strano con aria scombussolata.

Come se non credesse ai propri occhi.

Li conosce, per caso?

Beh. Magari lui sa che questi sono amici di Uruk.

Se è così è siamo a cavallo.

Ma se così non è…tesoro mio, mio caro amore, temo proprio che siamo nei guai.

Se non è così ricordati che sei un Guaritore.

E se ti chiedono di dimostrarlo inventati qualcosa.

Magari un’amnesia.

Ora davvero sto desiderando di non essere un eroe. Questi due mi intimoriscono troppo.

Specialmente lo sguardo del vecchietto. Ci guarda come se rappresentassimo per lui un sogno ed un incubo.

Il più grosso problema è che non capisco nemmeno perché.

 

 

 

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Capitolo 79
*** Che razza di benvenuto. ***


Mio buon Willie

Man mano che la nave si avvicinava, lenta e silenziosa, a noi raggruppati sul piccolo porto, cominciai a distinguere meglio i particolari.

Rimasi di stucco.

Accidenti: mi avevano fregata.

Quella nave assomigliava ad un vascello, ma più vicina si faceva più le somiglianze venivano meno.

Ricordavo i vascelli, quelle poche volte che li avevo visti, quando, ancora Ombra, mi ero spinta per le missioni fino alla fredda costa nord dei regni elfici, o alla ben più calda zona a sud.

I più resistenti e grandi vascelli elfici, dalla forma semplice e robusta, adatti a resistere ai venti fortissimi e alle grandi onde dei mari del nord, e quelli più piccoli, veloci ed agili,  in uso nei docili mari più caldi, fatti apposta per seminare, nell’intrico di isole che punteggiava quelle coste, gli innumerevoli pirati che le infestavano.

Si che mi ricordavo bene di quelle navi. Rammentavo benissimo il terrore che mi scatenava il solo immaginare di ficcarmi in una di quelle imbarcazioni puzzolenti, magari inseguita dai pirati o sbattuta dalle onde.

Quella nave non corrispondeva ad alcuno dei miei ricordi. Sembrava un armonico miscuglio tra le due forme: aveva la semplicità tipica delle costruzioni elfiche, ma era affusolato come i vascelli umani.

Non ondeggiava quanto quelle navi demoniache, che mi spingevano a pensare come accidenti facessero i marinai a non finire a gambe all’aria, o peggio, fuoribordo.

Non era nemmeno uno scatolone di sardine come la nave che ci aveva portati da Fiya ad Ogis.

Assurdo pensarvi, ma mi piaceva.

Mi faceva venire in mente certi  ambienti luminosi ed accoglienti di Galinne, quando io ero ancora bella, ingenua e giovane, e l’indottrinamento delle Spie non aveva ancora fatto presa su di me, sconvolgendomi una volta e per tutte la mente.

Quando ancora ero una cocciuta apprendista Spia che si inventava nomi ogni volta che si presentava e faceva a botte con gli elfi più grandi, quando ero la tragedia di tutti i maestri, e non Ombra, quella creatura pericolosa che spargeva silenzio e panico ogni volta che entrava in una stanza nel Quartier Generale con un cipiglio un po’ più marcato.

Quelle stanze decorate, di legno stuccato e lucente, confortevoli, che raccoglievano tutti i raggi del pallido sole invernale o tutto il calore del fuoco, brillando ad ogni ora del giorno e della notte.

Ecco, quella bella nave mi faceva venire in mente tutti quei ricordi che normalmente lasciavo accuratamente seppelliti.

Tutto il mio primo anno da apprendista. Il mio ultimo anno ancora da Lsyn Amarto, prima che venisse schiacciata dall’oscurità di Ombra e poi tirata fuori dalla tomba, mezza morta, da una lama e dal fuoco, e da un paio di pupazzi colorati.

Tutto quello che facevo prima che le atroci punizioni e i terribili lavaggi del cervello a cui ci sottoponevano mi cambiassero totalmente, spegnendomi l’ingenua allegria di una volta ed insegnandomi ad essere subdola, che la Regina è la migliore, la lucente e la superiore, che senza di lei noi saremmo stati costretti a zappare la terra, che dovevamo considerarci i migliori perché eravamo normarian, la razza eletta e superiore che dovevamo difendere da ogni cattivo straniero.

Le fughe  con Tijorn per rubare mele al mercato, le volte in cui si era portato dietro Akita e ci avevano beccati, le volte in cui Amarto veniva a trovarci e ci portava  nei boschi per un po’ d’aria, le volte in cui i maestri tentavano di domare quella testarda giovane campagnola così promettente, ma che mordeva le mani quando la si picchiava e spariva puntualmente senza che nessuno riuscisse a trovare lei e suo fratello.

Si, quella nave era bella.

Pura, ancora intoccabile, nemmeno le bestemmie che ogni tanto arrivavano alle nostre orecchie potevano scalfire quel biancore, quel silenzio intriso di ricordi, quando ancora non mi sottoponevano alle lezioni speciali che uccidevano a suon di colpi la mia ribellione, lasciandomi l’umiliazione di parole dure e le lenzuola del mio letto macchiate di sangue e lacrime.

Per un attimo, mi sentii inebriata, come se avessi scampato un grande pericolo. Forse sorrisi, addirittura.

Non erano stati loro ad averla vinta su di me. Io mi ero liberata. Io ero libera.

Loro no.

Come bruchi e serpi strisciavano sul terreno per farsi calpestare da Lainay, e ne erano contenti.

Io mi ero già fatta schiacciare a sufficienza, e ne ero stata contenta anche io.

Quel pensiero scacciò in parte il buonumore. Ma perché loro non soffrivano ed io si? Perché non mi ero mai trovata bene, perché mi ero sempre ribellata, perché mi dovevano spezzare?

Semplicemente, perché?

Perché i miei genitori erano Spie? Perché non hanno fatto come Tijorn ed Akita hanno fatto per Machin?

Mi costrinsi a concentrare altrove il mio sguardo per tentare di dirottare i miei pensieri su altro.

Fissai Capouille, che aveva gli occhi fuori dalle orbite dalla meraviglia, poi Zipherias, che invece guardava me, assorto. Forse confondendo il mio sguardo assente con quello impaurito, e temendo altri capricci come all’andata, mi si avvicinò un po’, e mi mise una mano su una spalla, stringendola con fare protettivo.

Mi scoprii addossata a lui come in cerca di affetto. Mi piaceva stare accanto a lui, mi rilassava.

Era come se Zipherias non si fosse mai fatto domande su io chi fossi davvero, e che mi avesse accettata con tutti i miei pregi e difetti senza preconcetti alcuni.

Strano a dirsi, ma era diventato il mio migliore amico. Anche se non gli avevo mai raccontato dei fantasmi che mi assillavano di continuo e dei miei orrendi incubi.

Forse un giorno l’avrei fatto. Mi rinfrancava il pensiero. Sapevo, quasi una certezza, che lui mi avrebbe ascoltata senza giudicare. Mi avrebbe offerto una spalla su cui  appoggiarmi.

Sentii un moto di affetto verso il mio gigante preferito, e gli sorrisi. Lui mi sorrise in risposta, incoraggiante.

Ma poi, i miei occhi furono attratti, come calamitati, di nuovo dalla nave.

Mi costrinsi a chiudere a chiave i ricordi che tornavano a sommergermi, e cercai di guardare un po’ meglio.

In tutto quello, non era passato molto. La nave, però, si era avvicinata di parecchio.

Mi sentii minuscola, intimorita. No, non aveva le proporzioni di nessuna nave mai vista fino a quel momento: anche quella di Fiya sembrava piccola e gracile al confronto.

Chissà. Magari lì non avrei sofferto mal di mare. L’idea mi piacque: decisi che non avrei fatto capricci per entrare.

Che poi, ero troppo curiosa. E quella nave, lo ripeterò fino alla nausea, era bellissima.

Non capivo se fosse fatta di legno o di altro, ma quasi riluceva, colma di bianco e oro.

Tutto, fino agli alberi, era bianco con rifiniture color del sole.

Davanti a tutto, addirittura, campeggiava una grossa ed agile scultura dorata, a forma, credo, di gabbiano in volo.

Sembrava un grosso cigno, candido e dorato, che scivolava tranquillo e maestoso sulle acque.

Oh dei, non tanto tranquillo. Qualcuno stava bestemmiando forte, lì dentro.

E cominciava a sentirsi un certo gorgoglio, una specie di risucchio, che mi lasciava perplessa. L’acqua intorno alla nave spumeggiava come se qualcuno facesse delle bolle da sotto.

Cosa si muoveva?

Le vele erano ammainate e penzolavano tranquille, come se non avessero bisogno di essere usate. E poi erano strane.

Sembravano troppo lucenti. Erano degne del più nero dei sospetti.

Quel particolare, più di tutti, mi fece ricordare che quello non era un veliero, e noi non eravamo a casa.

Poteva pure ricalcare certe forme antiche…ma, da quello che avevo letto, Atlantis era tutto fuorché antica.

Quella nave bizzarra me ne dava sempre più la conferma.

Mi girai verso il nostro accompagnatore, un po’ perplessa. L’elfo rispose al mio sguardo con la solita aria annoiata.

“dovreste ritenervi dei privilegiati”. Disse, scrollandosi nelle spalle, come se la cosa non gli riguardasse. “pochi diplomatici hanno avuto la fortuna di salire sulla nave ammiraglia di Atlantis. Complimenti”.

Quel tono indifferente mi fece irritare, e dimenticai la domanda gentile che volevo rivolgere al nostro accompagnatore.

Ma che antipatico! Come osava rivolgersi a me con quel tono? E chi ero, nessuno?

Mi ci volle un attimo per ricordare che, in effetti, io lì dentro non ero nessuno.

Che cosa avrebbe potuto dire ai raffinati abitanti di Atlantis il mio essere Ch’argon? A chi avrebbe potuto dire qualcosa?

A nessuno, immaginavo. Sarebbero stati tutti come lì, in un’armonia che per noi era così difficile da raggiungere, e che mi faceva sentire tanto inferiore, a grattarsi la pancia in pace.

Nemmeno tutta l’armata di Lainay avrebbe potuto anche solo scalfire la tranquilla e potente Atlantis. Ora capivo perché Isnark avesse contato tanto sul suo aiuto.

Se solo avessero accettato….sentii un empito di nervosismo quando mi resi conto che chi doveva smuoverli dal loro ritiro spirituale tanto beato eravamo noi.

Stranieri, per giunta elfi, non dovevamo dare solo notizie del mondo del continente, ma anche smuovere il colosso, nella flebile speranza di ricevere aiuto e non qualche sassata, come si fa con i cani randagi.

Come potevamo essere credibili, infagottati in quei vestiti che lì sembravano miseri e ridicoli stracci, con l’aria di pulcini lasciati improvvisamente senza la chioccia, con una vita miserabile ed antiquata alle spalle?

Con i nostri piccoli bagagli ed un accento strano, chi ci avrebbe accettati?

Provai un forte senso di ingiustizia. Non era giusto. Perché ero lì?

Perché Isnark ci aveva mandati da Lilliagrin? Lui, che era mio amico? Lui che mi voleva bene, perché mi aveva fatto questo, perché mi aveva sradicata dalla mia tranquillità, e poi separata dai miei affetti per un tempo orribilmente lungo, lasciata sola con due amici ancora più sperduti di me?

Ah, se l’avrebbe pagata. L’avrei rincorso anche in capo al mondo, se solo fosse servito. Rigorosamente con una mazza chiodata in mano.

Prendendo per ovvio il saperla maneggiare, ovviamente. Non ricordavo di essere stata mai particolarmente brava con quell’arma troppo pesante per me.

Ma non importava. Mio obiettivo era di conciarlo nero e di insegnargli una volta per tutte il rispetto nei miei confronti.

Guardai, ora con timore, la stupenda nave lucente.

Come sarebbe stata l’accoglienza lì?

Lo avremmo saputo entro poco tempo: ormai il vascello era lì, vicinissimo. Potevo distinguere i marinai che formicolavano sul ponte, i particolari dorati della nave, che ricalcavano esattamente nei minimi particolari l’imbarcazione che avevano copiato. La nave non era più tanto silenziosa.

Cercai la mano di Zipherias, ancora sulla mia spalla. Avevo sentito un improvviso morso allo stomaco. Ero nervosa. Tutti quei pensieri, uniti alla certezza che ci aspettava un altro viaggio lunghissimo, non mi aiutavano.

Quando la trovai, il mio amico mi strinse delle dita, rassicurante.

Sentii un fiotto di calore sciogliere il nodo che si era formato all’altezza del petto. Ah, Zipherias era prezioso per me. Come Capouille, era indispensabile, nella mia nuova vita, forse anche di più del mio amico dai capelli rossi.

Chi mi avrebbe rassicurata, se non lui? Ci mi avrebbe tenuto la mano nei momenti di panico? Ah, lo adoravo. Mi sentivo tranquilla, quando c’era lui.

Guardammo, tutti e tre in religioso silenzio, la nave che si avvicinava, molto più velocemente di quanto pensassi.

Ora che era più vicina, alcuni schizzi cominciarono ad arrivare fino a noi, ed il rombo si fece più intenso.

Borbottai, scontenta. Odiavo prendere l’acqua addosso, specialmente la puzzolente e salata acqua di mare.

Cercai però di darmi un contegno. Insomma, stavo per incontrare delle persone di Atlantis, magari anche il capitano, non potevo essere così nervosa e capricciosa come una piccola infante.

Non era quello il momento. Dovevo tenere duro ed aspettare, anche se non ero di buon umore.

Ad una certa distanza dal piccolo porto, la grande nave bianca si fermò. Scese il silenzio.

Io mi guardai attorno, perplessa.

Perché si era fermata? Che era successo?

Un incidente? Un problema?

Tutti sembravano troppo calmi. Come se quella fosse stata una cosa normale.

Mi rassegnai ad aspettare anche io stolidamente, come faceva il nostro capo.

Ad un certo punto, dopo poco, si svelò l’arcano.

Una barca, non troppo grande, larga e profonda, di legno bianchissimo, si avvicinò velocemente a noi, sollevando schizzi d’acqua.

Sopra, c’erano evidentemente alcune persone.

Mi sentii incuriosita. Come faceva a spostarsi con così tanta velocità? Non avevo mai visto  una barca andare a quella velocità.

Non avevo mai visto nulla di così veloce, a dire proprio la verità.

Vedevo una specie di cubo di un materiale scuro che ronzava. Da lì venivano gli schizzi d’acqua.

Forse era quello che faceva muovere la barca. Chissà come,poi.

Beh, se quelle persone fossero state un po’ disponibili l’avrei chiesto con piacere.

Sperai ardentemente non facessero gli antipatici.

Sul piccolo molo su cui c’eravamo anche noi, alcuni marinai cominciarono la loro attività.

Misero freneticamente a posto delle cose, prepararono delle corde, in un silenzio pieno di tensione.

Poi si sistemarono, tutti impettiti.

Controllo in vista, forse?

Comunque sia, la barca comincio ad avvicinarsi molto velocemente, fino a quando non fu praticamente accanto al molo.

Ebbi così l’occasione di guardare i suoi occupanti.

Erano sei persone, due avanti, tre in mezzo e una dietro, con una mano su una specie di leva.

Tutte, irrimediabilmente tutte, vestite allo stesso modo. Pantaloni bianchi, di un tessuto resistente, ed una specie di giacca dello stesso colore, con alamari d’oro.

Solo due persone avevano l’oro anche sulle spalle, ed una anche una piccola mostrina  più giù a forma di punta di freccia.

Con una velocità che mi sorprese, la barca si arrestò, proprio di fianco al molo.

I marinai di Ogis cominciarono a sciamare, chi buttando delle corde, chi invece indaffarato con altre cose.

Noi rimanemmo leggermente in disparte, imbarazzati.

Di nuovo ,sentii torcermi lo stomaco.

Mi addossai ancora di più a Zipherias, ansiosa.

Lui, in tutta risposta, mi accarezzò il dorso della mano con un dito, e mi diede una stretta che mi consolò leggermente.

Finalmente, la confusione che c’era in quel punto cominciò a diradarsi.

Ad Ogis, in quel momento, c’erano quattro persone in più.

Le due persone davanti, e due di quelle che erano state in mezzo.

Si trattava, con grande equilibrio, di due elfi e due umani.

Quello che aveva la mostrina a forma di freccia era un elfo. Meglio, un’elfa.

Aveva capelli piuttosto corti, di un bel nocciola, ed occhi ugualmente scuri, che si guardavano attorno guardinghi. Doveva essere più piccola di me di forse un paio di secoli.

Sembrava quella di più alto grado tra quella combriccola. Gli altri, un elfo biondo e due umani che sembravano fratelli, sembravano trattarla con rispetto.

Mi sentii toccare la spalla libera. Sobbalzai, spaventata, e mi girai di scatto.

Mi trovai a fissare gli occhi annoiati del nostro calmo accompagnatore.

Lui fece un gesto vago verso l’elfa.

“Quella è Naive Kewslar, il capitano della nave”. Mugugnò, poco cordiale. Chissà. Non sembrava che gli stesse così simpatica. “fa parte di una delle famiglie più importanti di Atlantis. Lei sa già della vostra presenza, ho provveduto ad avvisare. Vedete di portarle rispetto”.

Sbuffai. Perché non avrei dovuto rispettare quell’elfa?

Non doveva essere molto più alta di me, e questo mi rinfrancava, ma aveva un’aria formidabile, da persona capace di stenderti in un batter d’occhio.

E poi era il capitano. Non volevo farmela nemica per nessun motivo al mondo. Il viaggio sarebbe stato lungo.

Poi guardai il nostro amico con aria di sfida, e sorrisi. Lui parve innervosirsi. Faceva sempre così quando sorridevo. Doveva dargli fastidio quel ghigno storto che ormai era il mio sorriso fisso, l’unico che riuscissi a fare con quel volto rovinato.

Dentro di me, fui felice dell’effetto che avevo creato, e mi girai di nuovo, con calma. Adoravo averla vinta con quell’elfo.

Naive Kewslar si stava avvicinando, accompagnata da uno dei due umani, a grandi passi verso di noi. Aveva un sorriso di circostanza, piuttosto freddo, stampato in volto, ma l’espressione non era cordiale.

Sospirai e mi tesi. Ecco che stava per ricominciare il mio viaggio.

Che razza di benvenuto.

 

 

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Capitolo 80
*** Quanto mi chiamo Nilyan Nemys. Accidenti. ***


Ah

Ah.

Ciao Willie!

È qui il tuo genio preferito che ti parla. Stravaccata sul suo letto ed ancora mascherata da ragazzo umano. S’è fatto notte, ed è meglio che mi vada a levare tutte queste schifezze da dosso prima che mi becchi Ellyn e mi chieda perché abbia i capelli rossi e la pelle scura.

Ufficialmente, dai, nonostante tutto quello che dice Machin che dice che io sono una principessa con l’anima da marinaio, e non nel senso buono del termine, io sono un genio.

Non c’è storia!

Si vede che sto un po’ meglio, eh?

Beh, non proprio benissimo. Una situazione a tutto questo guaio non si è mica ancora trovata.

Lilliagrin crede ancora che  tra un po’ sua figlia diventerà la felice consorte di Lurak. Beati i sogni.

Io non glielo permetterò.

Non ho la minima intenzione di vedere separati Faldio ed Ellyn.

Però, Willie, c’è una buona notizia: sono riuscita a far spostare la data della presentazione della coppia di qualche giorno. Così avremo più tempo per architettare qualcosa.

E per fare mandare tutto all’aria. Tanto non sono solo io a lavorare. Sono tutti dalla mia parte, ha!

Come ho fatto? E ti chiedi pure il perché?

Sono andata a cercare Lurak, come ti avevo promesso.

Ora ti racconterò tutto.

Devo solo sfogarmi un po’ però, prima.

Come può? Lilliagrin, dico. Non Lurak e nemmeno il papà, sono tanto cari. Il papà è vedovo, e Lurak non ha la mamma come me. Solo che lui l’ha conosciuta. Io no.

È sempre lei. Antipatica, cattiva, e pure una grandissima imbrogliona.

E mi chiedi pure perché? Perché è lei.

Perché ha quel sorriso simpatico e gli occhi che vorrebbero ucciderti nello stesso tempo.

Perché se ne inventa di tutti i colori per rendere la vita un inferno a tutti, ma specialmente a sua figlia.

Ancora mi chiedo perché non si sia mai alleata con Lainay.  Forse perché ha troppa paura.

E poi per tutto quello che ho scoperto oggi. Ma parto dall’inizio, altrimenti tu dici come al solito che non capisci nulla.

Oggi pomeriggio sono riuscita a rintracciare Lurak.

Sono fuggita dal castello: è stato facile come l’altra volta.

Stamattina sono andata in giro per il giardino a cercare delle cose che mi servivano, e poi ho preparato il mio camuffamento.

Mi sono messa nuovamente i miei abiti da viaggio e poi mi sono infagottata nel mantello per non farmi riconoscere.

Mi sono travestita da maschio. Ora che non posso usare la magia mi sono dovuta un po’ arrangiare, ma ce l’ho fatta.

Mi sono messa un po’ di schifezza rossa tra i capelli e poi scurita la pelle.

Altrimenti i capelli bianchi avrebbero dato nell’occhio. E anche se sono di carnagione scura un tocco di abbronzatura da guerriero in più non avrebbe fatto male!

Poi me li sono legati in modo che sembrassero corti corti.

Dovevo trovare il modo per cambiare la faccia, ma poi alla fine ho fatto una cosa furba furba. Me la sono sporcata tutta con un carbone, poi mi sono messa il cappuccio in modo che sembrasse, a prima vista, che io avessi barba e baffi.

Lo ripeto, sono un genio.

Le lezioni che mi ha dato Machin e la zia hanno dato i suoi frutti!

Faceva un caldo boia, lì dentro… qui a Qerin fa davvero troppo caldo, è inverno e si schiatta!

Non c’è un posto di mezzo? O fa freddo come a Kyradon o caldo.

Ma si decidano, prima o poi, è sgradevole al massimo!

Comunque, ti stavo raccontando.

Ho finito tutto quel casino di primo pomeriggio.

Anche perché prima di prepararmi sono andata a pranzo da Ellyn.

Lei mi è sembrata strana. Un po’ troppo nervosa. Ma ci credo. Dopo tutto quello che sta succedendo…

Anche io sarei nervosa se ad un certo punto papà decidesse che devo sposarmi con Kamarducil perché si e basta.

A parte che si ucciderebbe prima di farlo, e che è troppo geloso (anche se lì sono tutti gelosi. Anche Manolìa, il che è tutto dire), io farei fuoco e fiamme pur di non finire nelle mani di una persona che non amo e che non mi ama.

Non le ho parlato di quello che intendevo fare, né lei mi ha detto nulla su qualche suo piano. Non abbiamo parlato di questo.

Molto sospetto. Mi chiedo cosa stia architettando. Si arrende così alla madre? Non è da lei. Sarà pure un pezzo di pane ma Ellyn tiene troppo a Faldio.

Faldio. Chissà se lo sa.

Non penso, non ne avrà avuto il tempo. Anche se so che quando io ero via uno sconosciuto ha cercato di infiltrarsi nel castello, ed appena è stato beccato è fuggito via veloce come il vento prima che lo potessero acciuffare.

Spero che non si sia trattato di lui, altrimenti…

Altrimenti lo sa, e questo è un gran bel guaio.

Un'altra cosa che mi ha insospettito, o meglio, un’altra persona ,è stata…indovina chi?

Roxen era presente al pranzo.

Era già lì quando sono entrata.

Giuro, mi è venuto un colpo al cuore. Volevo correrle tra le braccia e farmi stringere forte forte.

Poi chiederle perdono in ogni lingua mai conosciuta.

Vorrei solo fare pace con mia cugina. Ma temo che le cose siano più difficili di quanto immaginassi. In fondo le ho detto cose orribili, per vendicarmi della sua acidità.

Vorrei piangere, ma non voglio. Non posso farlo ora, ho troppo da fare.

Magari chiederò il suo aiuto. Forse le cose tra noi si aggiusteranno così.

Mi manca tanto. Anche se è tanto noiosa.

Era già seduta quando sono entrata, ed era ancora pallida. Non potevo crederci. Mi sono bloccata e l’ho chiamata.

Lei si è girata, e si è alzata.

Mi è saltato il cuore in gola.

Mi aspettavo chissà cosa, che mi venisse incontro, che mi sorridesse...invece aveva uno sguardo neutro, come se io non fossi la sua cuginetta.

Come se appena mi conoscesse.

Ho poi notato che era vestita come le guardie del palazzo, solo più elegante. Che ha in mente Ellyn?

Mi ha salutato addirittura con un inchino, e mi ha chiamata principessa Nilyan Nemys.

Con la massima serietà e formalità possibile, tra l’altro.

Ci sono rimasta di sasso. Mi sento ogni giorno più in colpa per averla trattata male.

Volevo piangere, ma poi è entrata Ellyn, ed era così giù che ho fatto finta di nulla.

Sai poi che sono venuta a sapere?

Roxen ha ottenuto il posto di guardia di onore di Ellyn. Ciò vuol dire, non ci sarà verso di staccare quelle due.

A quel punto mi è saltata la mosca al naso.

Che stanno combinando quelle due? Le ho spiate per tutto il pranzo.

Sembrano comportarsi con insolita complicità. Eh, io mia cugina la conosco bene, so che a quella vecchia donnola non sfugge nulla.

Mi sono sentita ignorata per tutto il tempo. Non è da Ellyn fare così.

Ho un sacco di sospetti. Insomma, Roxen non è il tipo da stringere così amicizia con qualcuno che non sopportava fino ad un poco fa.

E, soprattutto, non è il tipo da affari puliti.

Quelle due stanno escogitando qualcosa, e per come conosco mia cugina nulla di parecchio pulito.

Devo assolutamente trovare il modo di parlare a quattr’occhi con Ellyn per farmi dire cosa diavolo ha in mente di fare con quella lì.

Comunque, dopo pranzo ho aspettato un po’ anche andassero tutti a riposare, ed intanto mi sono preparata.

Poi sono sgattaiolata fuori. Fare fesse le guardie è stato un giochetto da ragazzi (la cosa mi preoccupa, dovrei avvertire Ellyn. Ma quella falla nella sorveglianza mi fa troppo comodo. Ma non vorrei sentire in colpa in caso succeda qualche guaio. Che faccio?): c’è un punto, nel castello,  piuttosto ripido, che non è ben sorvegliato. Ebbene, io ho scalato da lì. Per me abituata a saltellare tra gli alberi e le rocce non è stato affatto un problema.

Poi via di corsa verso la zona dei nobili!

Dovevo far presto.

Facile a dirsi, meno a farsi. Come diavolo avrei trovato Lurak?

Ho passato ore a rimpiangere di non avere un piano.

Dovevo essere al castello per ora di cena, altrimenti avrei messo tutti in allarme e addio segretezza!

Ho cominciato a vagare senza una meta, sperando di beccarlo da qualche parte.

Ho cercato di infiltrarmi anche nel posto in cui so che dormono padre e figlio, ma mi hanno quasi beccato ed io sono finita (che schifo) su un mucchio di spazzatura.

Ho aspettato un po’ fuori, ho fatto pure un giro dentro la sala. Nulla.

Mi sono stufata. Ed ho poi deciso di fare un altro giro.

Non che ci sperassi, ma tentar non nuoce.

Ed infatti mi sono imbattuta in Lurak, in compagnia di un tipo tutto muscoli grande circa il doppio di me, che mi faceva paura solo a guardare tanto aveva un’espressione cattiva (poi è venuto fuori che si trattava della sua guardia del corpo. È una persona dolcissima, accidenti).

Più che altro mi sono battuta in loro.

Nel senso, ero così presa dal guardarmi attorno nella confusione e nei miei pensieri, che ad un certo punto mi sono scontrata con lui.

Ero così assorta che non l’avevo riconosciuto.

Ho fatto per scusarmi e mi sono trovata davanti la sua faccia che mi guardava, perplesso.

Sembrava avermi riconosciuto e voler capire chi io fossi.

Gli ho sorriso. Anche perché quel tipaccio incombeva praticamente con aria minacciosa e cominciavo a non essere proprio tranquilla.

Il suo guardo si è schiarito, come se mi avesse riconosciuto. Poi mi ha guardato, sbigottito, ed ha fatto un cenno verso l’energumeno, che, con mio sollievo, ha smesso di avanzare.

“Nilyan!”.

Ha detto, ad alta voce. Sono saltata e gli ho fatto cenno di stare zitto. Voleva farci scoprire? Lui è arrossito. Che bravo ragazzo. Poi ha continuato a voce bassa.

“sei proprio tu?”.

Devo dire, a quella domanda estremamente intelligente il mio sorriso si è spento. Insomma. Mi aveva riconosciuta ed ancora mi chiamava per nome? Era scemo?

Poi pensai che forse i capelli rossi ed il viso sporco e strano non potessero giocare a mio favore. Ho annuito e poi gli ho fatto cenno di stare zitto.

Poi gli ho chiesto, sussurrando, se ci fosse un posto tranquillo dove avremmo potuto parlare in pace.

Lui ha annuito ed ha fatto cenno di seguirlo.

Ho obbedito, tenendomi ad una certa distanza, come se lo seguissi per puro caso.

Siamo scesi fin quasi alla cerchia di mura che separa la zona altolocata da quella media.

Lui è entrato di scatto in una locanda anonima che non diceva nulla e non attirava per niente.

L’ho imitato. Lui si era già accomodato in disparte, insieme alla guardia del corpo.

L’ho raggiunto, ma non mi sono tolta il mantello.

Siamo stati zitti fin quando l’oste è arrivato, ed ha parlato un po’ con Lurak. Sembrava non averlo riconosciuto, ed era piuttosto indifferente a lui.

Poi se n’è andato.

Al che Lurak mi ha chiesto se il motivo della mia visita sotto mentite spoglie fosse tutto quello che era successo con Ellyn e Lilliagrin.

Io l’ho guardato ed ero severa. Poi ho annuito. Lui non ha fatto altro che sospirare, ed ha detto una cosa alla sua guardia del corpo. Lui prima ha guardato lui, poi me.

Sul volto gli è passata un’espressione apprensiva. Poi ha detto qualcosa al ragazzo.

Lui mi ha sorriso, e poi ha parlato nella lingua franca, in modo che lo capissi.

“non ti preoccupare, vai a chiamare pure mio padre”.

Ha detto, con calma ed un sorriso cordiale. Sembrava volermi lusingare.

“sai che sono in grado di difendermi, e fidati, quest’elfa è perfettamente capace di badare a se stessa. È scappata dal castello!”.

L’uomo si è fatto una risata, poi mi ha guardato con una sorta di affetto. Io l’ho guardato strano. Decisamente non mi piaceva.

Poi dopo Lurak mi ha spiegato che aveva paura per me, che se ci avessero attaccato io mi sarei potuta fare molto male perché sembravo così delicata.

Per me, figuriamoci!

Non sarò mica scema. Avevo portato nella manica il mio coltello.

Ovviamente sono perfettamente in grado di usarlo. Mi ha insegnato zia.

Anche lei sembra delicata ma se ti ha sotto mano ti concia nero come un carbone.

Comunque, poi siamo stati un po’ in silenzio. Alla fine Lurak l’ha rotto dicendo che mi avrebbero spiegato tutto. Io ho annuito e gli ho detto che ero venuta per sentire la storia, magari così potevamo tutti uscire sani e salvi fuori da questo guaio e lui non avrebbe sposato Ellyn.

Lurak mi è parso molto amareggiato.

“è impossibile, amica mia”.

Mi è sembrato molto triste quando l’ha detto. Abbattuto e nervoso come Ellyn. Chissà se anche lui ama qualcuno. In quel caso sono doppiamente spronata a mandare all’aria questo matrimonio. Chissà e avvertendo papà ci può fare qualcosa. Magari qualche pretesto…ci penserò per bene.

“solo gli dei sanno quanto io non abbia minimamente voglia di sposarmi, e né tantomeno con Ellyn, che vedo solo come amica. Ma devo farlo. Altrimenti rischieremmo un incidente diplomatico enorme!”.

Come mi è sembrato disperato! Io non ho capito.  Che problema c’è? Che incidente si dovrebbe creare? Nessuno dei due si piace, mancano i presupposti per un matrimonio. Un matrimonio di convenienza, poi, non fa bene a nessuno. Tanto vale stipulare un alleanza senza matrimonio. Tanto la guerra incombe e tutti sono disposti a salvarsi la pelle.

Quando gli ho detto i miei ragionamenti Lurak ha sospirato. Ha detto che le cose da loro umani non andavano così, che capiva la mia cultura ed il mio modo di vedere, ma con Lainay alle porte non si potevano permettere di fare gli schizzinosi e rischiare di sollevare un polverone.

Mi sono arrabbiata, tanto che ad un certo punto ho sentito come se il ciondolo non fosse lì. Ho risentito tutta la magia, e sono stata sul punto di sentirmi male.

Ho avuto una paura matta e mi sono calmata all’istante.

Ma perché?  Perché non poteva essere così facile?

Che poi Lilliagrin indirettamente stava pure per farmi sentire male di nuovo, ecco (dovrei parlare con gli umani di questo fenomeno. È abbastanza pericoloso. Sono io che ho troppo potere o il ciondolo sta smettendo di funzionare? Oh, non voglio rimanere barricata in camera ancora una volta).

Comunque io e Lurak abbiamo passato tutto il resto del tempo in silenzio.

È arrivato l’oste e ci ha pure portato dei boccali di birra. Al che Lurak si è scusato non sapendo se io bevessi o meno.

Mentre lo diceva avevo già scolato il mio. Tsè. Io che mi infiltro con Machin nelle osterie delle Guardie per fare a gara con loro a chi beve di più faccio la schizzinosa.

L’ho ammutolito. Mi ha fatto ridere quando mi ha detto che per lui gli elfi erano una continua sorpresa.

Comunque, dopo poco è arrivato il papà.

È un signore molto tranquillo, proprio una brava persona.

È stato molto sorpreso di vedere la principessa Nilyan lì, travestita da giovane uomo.

Quando gli ho spiegato la situazione ha capito all’istante e si è incupito tanto.

Alla fine mi hanno spiegato tutto, Willie.

Era tutto come le mie più nere previsioni immaginavano.

In pratica, Lilliagrin li ha attirati qui con la promessa di un’alleanza.

Poi, una volta al castello, ha specificato una certa clausola del patto.

Il matrimonio.

In caso avessero rifiutato, erano tutti già pronti ad imprigionarli ed invadere il loro paese, annettendolo con la forza.

Un’ingiustizia totale!

Ero così incredula ed arrabbiata che temo di aver sorpassato di nuovo i limiti.

La birra che la guardia del corpo stava bevendo gli è schizzata tutta in faccia. Accidenti. Tutto questo proprio non mi piace.

Mi sono scusata, mi sono calmata subito, e tutto è tornato nella norma. A parte le facce di tutti e tre gli umani che mi guardavano come se fossi una creatura aliena e strana.

In effetti per loro lo devo essere, e molto.

Ma comunque. Come si permette, Lilliagrin,  di fare una cosa del genere?

La mia stima di lei si sta abbassando sempre di più.

È solo una…oh, una cattiva. Ma cattiva tanto. Perfida.

Vuole del male a tutti.

Ma oh se le darò il benservito!

Quanto mi chiamo Nilyan Nemys. Accidenti.

Comunque, devo aiutare Lurak e suo papà. Sono così simpatici!

Mi hanno trattata tanto bene, sembravano essersi arresi e pensavano non si potesse far nulla.

Invece mi è venuta un’idea.

Non è granché ma serve per avere più tempo. In pratica,  la presentazione della coppia doveva avvenire due giorni prima di un’importante festa per Qerin.

La mia proposta era quella di chiedere a Lilliagrin se, visto che era una festa importante e che tutti avrebbero partecipato, perché non posticipare e fare coincidere tutto con la festa. Una data da ricordare, no?

Così avevamo più  tempo per pensare una contromossa. Io ero dalla loro parte, e anche Ellyn.

Ho visto la speranza accendersi nei volti di quei due.

Hanno trovato la mia un’ottima idea, che avrebbero subito portato all’esame di Lilliagrin.

Mi sono sentita sollevata.

Un po’ di tempo in più è un po’ di tempo in più, accidenti.

Serve per pensare.

A posto di una settimana, nove giorni.

Possiamo pensare a come ritardare ancora di più o come annullare del tutto. Magari  ci sarà un qualche ripensamento…

Sarebbe bello se fosse così, vero?

Comunque, poi siamo rimasti a parlare un altro po’.

Mi hanno raccontato della loro vita, del loro piccolo regno, di come vorrebbero morta Lainay.

Di come considerano amici solo noi di Uruk.

Che poi zia è anche andata lì da loro, una volta. Tanti anni fa, per stipulare l’alleanza (sto riscoprendo un sacco di parole belle).

Quando l’ho detto il padre di Lurak c’è rimasto di sasso.

Mi ha chiesto se Lsyn Amarto fosse ancora in vita.

Io l’ho guardato strano. Zia è così giovane (anche se poi a volte si crede vecchia)…

Quando poi l’ho detto è toccato a loro guardare strano me.

Comunque, dopo un po’ sono dovuta fuggire a gambe levate.

Si era fatto tardissimissimo.

Ho avuto anche paura di non esserci per ora di pranzo.

Mi sono pure persa per i vicoli. E sulla mura stavo per essere scoperta!

Comunque ora sono in camera, Willie, non ti preoccupare.

La prima cosa che ho fatto è stata prenderti e scrivere tutto, anche perché era più presto del previsto, e mi è rimasto ancora un po’ di tempo per togliermi questa robaccia di dosso.

Così non me ne dimentico.

Credo che stasera stessa saprò se Lilliagrin ha accettato o meno.

Speriamo di si, così avremo due giorni in più, che non sono poco.

Comunque, amico mio dolce, ora io devo andare.

Tra un po’ è ora di cena, ed io mi devo preparare per non destare alcun sospetto. Sono stata in giro per il giardino tutto il tempo, ricorda (ti devo nascondere meglio del solito oggi).

Devo anche essere elegante. Sono da Ellyn, oggi, e sicuro c’è Roxen. Chissà, magari riesco a beccarla e parlarle. Se continua così io impazzirò. Voglio la mia cuginetta!

Mi manca tanto, mi fa tanto male quel suo comportamento.

Comunque, Willie, per me è proprio ora di andare. Non vorrei creare sospetti.

Ti voglio un mondo di bene, amico mio.

                 

                                                                          Nilyan.

 

Ps: si! Ha accettato! Ha accettato! Torno ora da cena e Lilliagrin ha accettato! Sono proprio felice.

Ora abbiamo altri due giorni per pensare. Ora scappo che Ellyn vuole passare la serata con me. Ah, nulla sul fronte Roxen. Sempre calma gelida.

Ma ti aggiornerò presto, lo giuro!

 

                                                              La tua cospiratrice preferita.

 

 

 

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Capitolo 81
*** Accidentaccio. ***


Ma davvero, mi chiedo chi diavolaccio siano questi

Ma davvero, mi chiedo chi diavolaccio siano questi. Ma in che razza di posto siamo capitati?

C’è qualcosa nella mia mente che mi bisbiglia di stare attento. Grazie, come se già non lo sapessi.

Chi sono questi? E se poi sembrano bravi come Poldo e Lunsch e ci trascinano in un altro guaio perché non lo sono?

Sono servi di Lainay? Oppure neutrali?

Spie? La zia mi ha detto che a volte le Spie si travestono da ricchi ed influenti nobili, o da mercanti, per infiltrarsi al meglio in…com’era? Eventuali sacche di resistenza sotterranea, si.

Certo che le Spie devono essere proprio dei  gran figli di cagna. Manco si può stare un po’ in pace con loro in mezzo.

Machin, ti chiami Flanner e sei un Guaritore e a causa di una brutta botta in testa hai un po’ perso lo smalto.

Ma santissimi dei in che guai ci stiamo cacciando…

Insomma. Io rivoglio indietro i miei soldi!

Zio Isnark ci aveva promesso che non ci sarebbe accaduto nulla di male, che sarebbe stato solo un giro come ne faceva tanti lui quando ancora era viva la zia Nemys e c’era ancora l’Impero.

Aveva detto che saremmo tornati a casa presto, proprio perché io ho fatto finta di essere un Guaritore.

E invece?

Chissà da quanto siamo in viaggio. Spero solo che la zia non sia già tornata a casa, non voglio che stia male perché non ci vede arrivare.

E poi nemmeno il tempo di girare un po’ che già i guai ci sono venuti a cercare.

Perché ovviamente sono loro che vengono a cercare noi. Io non volevo guai, anzi. Vorrei tornare il più presto possibile a casa. E poi vantarmi con qualche bella damigella di corte di essere stato impavidamente in giro per il Regno.

Ecco. Nemmeno il tempo di fare una sosta nel primo posto di viventi che incontriamo in viaggio e veniamo catturati da un paio di cacciatori scemi che prima uccidono dei cuccioli di drago e ancora mi chiedo come ci siano riusciti, poi si approfittano di un paio di cavilli nelle leggi dei draghi per scaricare la colpa su di noi.

Ancora più scemi di loro perché siamo stati catturati.

Abbiamo perso i nostri cavalli e siamo stati presi in ostaggio da un branco di lucertoloni pazzoidi e ricoperti di pelo.

Per chissà quale miracolo siamo riusciti a scappare, senza quasi nulla e vestiti in modo davvero indecente, come due cumuli di panna montata. Che poi ora i miei abiti per quando li ricordo facevano talmente schifo…devo puzzare come un cavallo.

Oh povero piccolo me. Povero piccolo Machin, che cosa ti hanno costretto a fare!

Io che faccio del profumo il mio stile di vista costretto a vivere come un cacciatore puzzolente!

La zia mi ammazzerà quando lo verrà a sapere. Che figuraccia che devo aver fatto con questi…

Comunque prima scappiamo in groppa ad un giovane drago con problemi di identità e poi, quando proprio casualmente credevamo di essere quasi al sicuro, visto che non pensavo proprio ci fossero problemi per un drago ad attraversare il Regno visto che un mago scapperebbe a gambe levate solo a vedere un drago…

Ci becca una viverna.

Una viverna molto affamata.

Ma che schifo.

Che schifezza di avventura. O siamo noi molto sfortunati o lo zio ci ha raccontato una grande bugia.

Che poi, dovevamo raggiungere un contatto.

Un po’ lontano, verso Nord. Dovevamo raggiungere una…che era?

Boh, ho dimenticato tutto dal momento in cui ho deciso di fuggire a gambe levate a casa.

Doveva tipo essere una casetta in mezzo alle montagne, vicina ad un piccolo villaggio.

Due vecchi amici di papà, comunque, che ci avrebbero subito riconosciuti.

Chekaril dovrebbe ricordarsi qualcosa in più, comunque. Non che abbia voglia di chiedergli qualcosa.

L’unica cosa che voglio al momento è riprendermi e poi fuggire a casa alla massima velocità consentitami.

A proposito di riconoscimento.

I nostri camuffamenti devono essere svaniti da un bel po’ di tempo, cavolo. Va beh, pazienza.

Chi vuoi che ci riconosca, in questo buco?

E comunque ora siamo qui. Questi tizi ci hanno salvati ma comunque non ho la minima idea di chi siano.

Due vecchi Inu, un vecchio elfo che ci guarda come se fossimo due fantasmi sorti dai suoi incubi per tormentarlo, ed un tipo dai capelli celesti e lo sguardo da ubriaco.

Fantastico.

Ecco, il tipo vecchio si è ricordato di essere ancora vivo, probabilmente.

Ha una faccia…è stranamente pallido. Come se noi non gli fossimo per nulla simpatici. Come se volesse cacciarci e allo stesso tempo non potesse. Però si è ricomposto.

Il tipo strano invece ci guarda e sorride. Almeno credo. Non capisco bene cosa stia facendo.

È inquietante.

Molto inquietante.

Preferirei non mi guardasse così, grazie. Mi sento un pezzo di carne ben cotta che occhieggia su un piatto dato ad un affamato. E non mi piace.

Cos’è questa soddisfazione? L’averci salvati ti implica una così grande felicità?

Io proprio non capisco. Guardo Chekaril. Nemmeno lui sembra così convinto.

È molto perplesso.

Il vecchio ha fatto un passo in avanti. Ci sorride, ma non mi sembra così cordiale. Gli occhi…beh, l’occhio, è chiuso come una porta di un castello nemico.

L’elfo vecchio è innegabilmente ostile. Sembra un predatore, acuto e cauto. Mi sta guardando da un pezzo, come se volesse passarmi attraverso. Che ho di sbagliato?

Boh, lo sa solo lui.

“benvenuti nella mia umile dimora”. Almeno, ha una bella voce. Profonda, sembra quella di un giovane coraggioso. Non me la sarei aspettata.

Mi sento un po’ spiazzato. E ora che devo dire?

Mi escono un paio di ringraziamenti borbottati. Non so nemmeno cosa diavolo stia dicendo.

Mi sento imbarazzato. Tutti questi sguardi addosso non mi piacciono.

Strano, ma vero. Per una volta non sono tanto contento di essere guardato in questo modo.

Sembro una preda. Una mucca.

Che diavolo ha raccontato Nep a questi due? Appena la becco la ammazzo.

Mi sta facendo sciogliere nei miei abiti.

Non sono mai stato così a disagio in tutta la mia vita. Nemmeno quando faccio gli scherzi a zia Lalla mi sento a disagio.

In quel caso mi diverto.

Però…insomma, ora non è una bella atmosfera. Sembra un rito funebre, accidenti.

Che sta facendo ora il tipo giovane? Perché fa quel gesto ai due Inu?

Eh no. No no e no. Non dirmi che…

Oh no, non ci provare!

No, ti prego, no, fa’ che non sia così.

No, oh porca la fame nera, no…

Ma se ne stanno andando! Maledizione, ci stanno lasciando soli con questi due cosi strani!

Perché gli unici membri sani di mente del piccolo gruppo stanno facendo un inchino e si stanno avviando verso la porta?

E ora, che succederà mai? ci uccideranno?

Ci diranno che ci hanno beccati e che hanno capito, malandrini che non siamo altro, che non siamo chi diciamo di essere.

Oppure Nep ci ha traditi. Ha detto tutto e…no, non posso dubitare di Nep. È troppo giusta e troppo forte ed onesta per tradirci.

O forse no? Ah, accidenti.

Oppure…ah, orrore!

Ho parlato nel sonno. Chekaril ha parlato nel sonno.

Ci siamo lasciati beccare come due novellini perché chiacchieravamo nel sonno?

Oh dei, è probabile. Chekaril ogni tanto li fa di questi lampi di genio.

L’ho sentito fare discorsi interi, a volte anche con un certo senso. Come faccia non lo so. Qualche volta rimango sveglio un po’ più a lungo per sentirlo cianciare.

Facile che nel delirio dovuto al dolore abbia detto un paio di parole di troppo. Vorrei scappare ma…ah, non posso!

Primo non riesco ad alzarmi. Poi c’è Chekaril che non riesce a muovere altro che la testa. Poi non saprei dove andare.

E poi…oh ho un nodo in gola…la porta si sta chiudendo.

So che non ne uscirò vivo da qui. So che morirò in qualche modo brutto e doloroso. Lo so. Me lo sento.

Oh, povero Machin. Guardati. Guardati, come sei bello, come sei giovane…

Morto nel fiore degli anni, sparito durante un’eroica missione, per sacrificarsi nel nome di un alto ideale!

Ma anche no.

Io voglio vivere, altroché.

Sacrificarsi un corno. Io non sono mio padre ed in questo frangente non intendo esserlo.

Sono troppo bello per finire in questo modo orribile!

Eppure questi non mi sembrano così minacciosi, stai calmo.

Beh, magari sono dei pazzi schizzati come quel Jalim di cui ci racconta ogni tanto zia, che un momento è tutto calmo e freddo e quello immediatamente dopo comincia ad urlare e menare fendenti.

Uno squilibrato totale, insomma. Spero che questi non ne siano l’imitazione.

Oh, il tizio dai capelli celesti ci sorride. Finalmente. È sempre un sorriso strano però.

Accidenti se mi inquieta, questo. Che vede in me? Sembra gongolare al pensiero di qualcosa.

Vecchio sempre ostile. Ci guarda diffidente.

“è un piacere avervi qui…”.

Oh porci comodi. Chi ha parlato? Insomma, è il tipo giovane che ha una voce del genere?

Comincio ad avere i brividi. Ma dove siamo capitati?

Questo qui ha una voce strana. Cioè, pure la voce strana.

Come se venisse da un altro mondo molto lontano di qua. Come se non fosse realmente qui, come se fosse una specie di fantasma.

Va bene, calmo, Machin. Non andare troppo in là con l’immaginazione. Potresti sbagliare drammaticamente.

Non farti troppi pensieri. Tanto di qui non puoi scappare strillando. Tanto vale accettare tutto così com’è.

Un bel respiro e sii impavido. Dopo la viverna non devi aver paura di nulla.

Chekaril non mi sembra proprio della stessa opinione.

Tra poco salterà fuori dalle bende e, ossa rotte e non ossa rotte, scapperà chiedendo della mamma.

Non lo biasimo.

Vorrei farlo anche io.

Ah, viverna o meno questo qui mi fa venire una fifa blu addosso.

O meglio, una fifa multicolore.

È inquietante. Decisamente innaturale.

Ahi, il mal di testa sta peggiorando… non mi ero accorto di essermi messo seduto, accidenti. E non mi ero nemmeno reso conto di essere crollato come un cretino tra i cuscini.

No Machin. Non arrossire. Non sei tu quello con la voce di oltretomba.

Il tipo sorride ancora di più, come se la nostra reazione lo divertisse.

Ma accidenti, che sadico che è…

Prendi nota, Chekaril, non ascolterai mai più zio Isnark finchè non si deciderà a diventare una persona sincera.

Darai ascolto a zia Lalla quando ti dirà che il Regno è un posto dannatamente pericoloso.

Non penserai che così vendicherai quel ladro maledetto che prima ti ha menato e poi si è preso la spada di papà facendoti un altro po’ la linguaccia.

Prendi esempio da tutto questo per il futuro.

Per essere ottimisti, se ne esiste uno, di futuro. Accidenti.

“chi siete?”.

Ottima domanda. Bravo Chekaril, mi ha risparmiato di parlare. Accidenti che voce acuta che gli è uscita. Se fossi stato io altro che squittio. Avrei raggiunto i limiti dell’udibile dalla paura.

Il tipo smette di sorridere, e ci sta proprio guardando strano. Il vecchio ci guarda anche.

Strano, la sua espressione si è addolcita. Come se avesse pietà di noi.

“non c’è nulla di cui avere paura, piccoli. Siete al sicuro”.

Che strano. La sua voce sembra rassicurante. Per la prima volta il vecchio ha sorriso davvero. È un sorriso un po’ triste.

Sembra quello della zia Lalla, non so perché.

Anche la zia ogni tanto sorride in questa maniera malinconica, con gli occhi pieni di fantasmi.

Mi sento un po’ più calmo. È un dettaglio familiare in questo mondo così strano.

Il vecchio fa un cenno verso l’amico giovane così poco rassicurante. Molto poco rassicurante.

“lui è un mio amico. Si chiama Rizniir”.

Lo dice in tono casuale, con un gesto. Ma è come se ci fosse una sorta di gerarchia tra i due, lo sento. Come se uno fosse il maestro ed uno l’allievo.

“io sono solo un innocuo, vecchio maestro d’armi. Mi chiamo Rasnak”.

cosa?

Oh per tutti gli dei.

No…questo è un sogno causato dall’alcool o dalla botta in testa.

Io…io non posso crederci. Non voglio crederci!

O si tratta di un caso di omonimia…o abbiamo avuto il più grande e grosso colpo di fortuna della nostra intera vita.

Venerazione totale. Ma tu guarda chi abbiamo incontrato…

Ora mi stendo a terra e mi genufletto come davanti ad un dio.

Almeno questo mi fa sentire un po’ rassicurato.

Perché il maestro Rasnak è un mito.

Anche ad Uruk.

Anche perché si dice che faccia parte della resistenza, e sono voci molto fondate.

Oh per gli dei, mi brilleranno gli occhi. E così questo vecchietto è proprio Rasnak.

Non ci credo! Cioè, sono nel mondo dei sogni!

Mi hanno raccontato tante storie su di lui…so che un tempo serviva Lainay ma che poi si è distaccato totalmente dal suo modo di fare e non credo che i due siano proprio amici.

Un punto a favore. Insomma, più o meno credo che Rasnak non venderebbe mai due persone alla regina.

So che è stato un grande mago e un grande guerriero. So che da tantissimo tempo non esce più dalla sua casa e non accetta allievi. So tutto!

E noi siamo stati salvati da lui! Sono al settimo cielo…

Ma si, ora mi posso ritenere una persona fortunata, e…

Oh per gli dei, che cos’è questo rumore orribile? Come una specie di urlo.

Ah. Ora posso dire che Chekaril è ufficialmente un idiota. Ma ci credo. Pur essendo un Guaritore ha sempre avuto un’ammirazione per il maestro.

Gli ho fatto una testa a furia di parlare di lui…

Poverino, ha cercato di alzarsi. E ora deve fargli un male cane tutto, a giudicare dalla sua faccia. Non se l’è passata tanto bene.

Oh povero cuginetto mio…

Bene. Rizniir è saltato subito vicino a lui e lo sta aiutando a stendersi.

Ma Chekaril sta guardando il vecchietto come se vedesse, che so, Lainay buona o una zia mentalmente stabile.

A giudicare dalle occhiate risentite che Rasnak mi sta lanciando credo che lo stia imitando alla grande.

Oh santo cielo, non vorrei mancargli di rispetto. Guardiamo Chekaril che è meglio.

Ma stiamo incontrando un mito! Un mito, ti rendi conto, Machin?

Sono…ah. Dopo tutti questi problemi un po’ di fortuna ci voleva.

“Rasnak?”.

Accidenti povero Chekaril, che voce che gli è uscita. Non deve fargli troppo bene avere tutte quelle ossa rotte. Povero cuginetto mio.

“il Maestro Rasnak?”.

Ah, che strano. Sembra così infastidito dal suo tono di voce.

Incredulo. Pieno di ammirazione, nonostante il dolore. Ha fatto uno strano gesto, come se volesse scacciare una mosca molto fastidiosa.

Che gli da fastidio? Mah. Io proprio non lo capisco.

Arrivassi come lui non mi limiterei a fare un gesto.

Il grande Machin, maestro Machin…ehi, mi piace. È adatto per me.

“non chiamatemi così”.

Ma perché sembra così infastidito? Se qualcuno chiamasse così me in quel modo farei la ruota come un pavone.

Non mi darebbero altro che il giusto rispetto….però…

Va bene. Sono una schiappa e vorrei essere un eroe. Si dice che Rasnak alla mia età fosse già un grande.

Io sono stato fregato da un umano idiota. Mi vergogno molto a pensarci.

Meglio non pensarci, allora.

“io sono solo un vecchietto. Nient’altro”.

Che strano. Un altro sorriso di quelli tristi. E poi guarda me ancora in quel modo.

Come se mi avesse riconosciuto e no. O come se non volesse riconoscermi.

Ancora disagio. Non mi piace essere guardato così.

Lui sorride come a volersi scusare. Sembra aver capito, finalmente. Sollievo. Grande o no questo qui è proprio un tipo strano.

Almeno non mi guarda più. Però sembra turbato. Che cosa ho di sbagliato?

“piuttosto voi…”.

Ahi, accidenti. Non voglio sapere la domanda che verrà con questo tono. Sa di domande alle quali non si può rispondere se non mentendo. Accidentaccio.

“chi siete? Come vi chiamate? Sembrate Guaritori, ma non è da Guaritori affrontare una viverna in quel modo…”

 

 

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Capitolo 82
*** Sotto i migliori auspici. ***


Non nego, accidenti, l’attrattiva che in me suscitava l’idea di confrontarmi con i veri e propri abitanti di Atlantis, e non con quella specie di esseri dediti dal gustoso inciucio

Non nego, accidenti, l’attrattiva che in me suscitava l’idea di confrontarmi con i veri e propri abitanti di Atlantis, e non con quella specie di esseri dediti dal gustoso inciucio.

Ero, come sempre, innegabilmente curiosa.

Avevo fantasticato per giorni. Tutte le domande avevano viaggiato instancabilmente nella mia mente, nelle lunghe ore passate e non far nulla.

Era strano il pensare che avrebbero ben presto trovato una risposta. Sembrava strano, quasi innaturale.

Come sarebbe stato il primo contatto? Come ci avrebbero trattati? Come avrebbero preso l’arrivo di tre elfi sperduti, portatori di una civiltà ed una cultura che era anche quella della disprezzata Lainay?

Avrebbero capito la differenza che ci distanziava e ci rendeva nemici?

Quella era l’unica domanda a cui mi ero data una risposta valida.

Se solo, malauguratamente, ci avessero scambiati per nemici, non saremmo sbarcati vivi dalla nave di Fiya.

Ma per il resto? Come avrebbero reagito vedendo per la prima volta elfi del continente?

Dopo tanti secoli, come sarebbe stato quel primo incontro tra modi di vivere e pensare così diversi?

Ben presto avrei avuto una risposta. Già sapevo, non mi sarebbe particolarmente piaciuta.

Era evidente quanto quel cambio di programma inatteso avesse sconvolto non poco certi delicati equilibri.

Si erano aspettati degli umani, che sapevano come trattare, di cui conoscevano le richieste, magari i soliti diplomatici che potevano essersi fatti amici più di uno di loro, e invece eccoci lì.

Tre elfi dall’aria spaesata, sbarcati con una nave di Fiya, fatto inaudito.

Tre completi sconosciuti.

Potevo vedere le domande sui loro visi innocenti.

Chi eravamo? Perché eravamo arrivati con una nave di Fiya? Chi ci aveva dato il permesso? Cosa era successo?

Sperai che comprendessero la gravità della situazione.

Il non averci rimandato indietro con spregio era un segno di apertura, a mio parere.

Tuttavia, la simpatia era l’unica emozione che non si vedeva su quei volti sospettosi.

Il capitano di quella nave, quell’elfa così sana, così lucente, così pulita, ci guardava, noi viaggiatori dispersi in uno spazio sconosciuto, elfi fuori luogo e fuori moda, fuori dal loro tempo e dal loro spazio, fuori dal loro tutto, come si guarda un contrattempo sgradevole.

I suoi sottoposti ci analizzavano attentamente, con espressioni di chiara superiorità.

Com’era ovvio, io, specialmente, mi sentivo uno di quegli animaletti esotici e strani che ogni tanto arrivavano anche a Kyradon.

Una creatura bizzarra e spaventata, rannicchiata nella sua gabbia, circondata da decine di bambini curiosi e dame nauseate.

Quella ero io.

Quell’elfa così insolita, piccola come un’infante, oh, uno sguardo così stanco, ma com’è strano, di certo non è anziana, e quei capelli spruzzati di bianco e grigio e quel volto così sfregiato, un orrore, cosa mai le sarà capitato, a quell’elfa insolita, a quella bestiolina così strana.

Avrebbe riscosso grande successo, era già perfettamente domata e pronta da mettere in mostra come una grande rarità.

Doveva solo essere portata al serraglio, ma non c’erano particolari difficoltà.

Gli animaletti esotici erano così facili da trattare. Così sperduti, cani messi in una stanza vuota e sconosciuta.

Pronti a seguire uno sguardo severo o a leccare la mano che li picchia.

E come poter dimenticare quei primi sguardi?

Ad Ogis ero stata accolta con una discrezione compassionevole, il mio primo contatto con Atlantis era di pietoso disdegno.

L’avevo visto, quell’altro elfo, guardarmi con un’espressione che aveva tante domande, nessuna di queste che avesse una benché minima traccia di educazione.

Quanto erano evidenti le sue domande!

Il suo chiedersi perché mai fossì così, il suo domandarsi perché semplicemente esistessi.

Sguardi pesanti di cui da anni ormai non portavo più il peso tornavano a gravare, maligni, sulle mie spalle. Ricordavo, i primi mesi senza maschera non erano stati granché facili, anche se non fossero coincisi con il periodo più buio della mia vita.

A volte guardare in viso qualcuno era difficile. Avevo sempre il terrore di trovarvi qualche minimo

cenno di ansia, disagio, delicatezza ipocrita.

Tutti quei sentimenti che in generale mi fanno pensare più ad una richiesta di portarmi fuori dai piedi che ad una reale voglia di mettermi a mio agio.

Quelle cicatrici pendevano su di me come la lama di una ghigliottina. Un grosso sasso pronto a schiacciarmi, una belva feroce tenuta solo da lacci laceri.

E, volente o nolente, ero costretta a convivere con i miei incubi.

Non mi lasciavano scelta, mi mettevano faccia a faccia con me stessa anche solo se mi grattavo il naso.

Avevo i miei errori sotto gli occhi, nella mia voce, nel mio sorriso. Ero stretta in una gabbia troppo piccola per girarmi e fuggire.

Automaticamente, ci stringemmo, noi tre, gli uni agli altri. Capouille aveva perso la curiosità iniziale, e sembrava una persona bruscamente risvegliata da un bel sogno.

Il nostro simpatico accompagnatore sembrava oltremodo soddisfatto dell’accoglienza tanto calorosa che ci avevano riservato.

Perfetto silenzio. Un inizio coi fiocchi.

Mi veniva voglia di legare quell’elfo e riempirlo di botte. Solo così, per sfogare la rabbia che sentivo montare.

E se dire quattro parole di cortesia veniva difficile, come sarebbe stato parlare di un compromesso?

Lilliagrin era pazza. Perché diavolo non aveva mandato i suoi segretari di fiducia, diplomatici navigati, per una richiesta così grande?

Più o meno mi avrebbero ascoltato nel modo in cui si ascolta una blatta quando la si trova nel cibo.

Mi accorsi che l’elfa capitano mi guardava.

Capii immediatamente di aver trovato un’anima affine, così affine che strapparle i capelli sarebbe stato un gesto di amore eterno.

Una testarda, cocciuta e difficile da trattare, riconosce un’altra testarda, cocciuta e difficile da trattare, non appena la vede.

Io la guardai con sfida, e il suo sguardo indagatore si assottigliò, diventando ostile. Le sorrisi, lentamente, fino a quando il mio sorriso non mostrò i denti. Lei serrò le labbra fino a farle divenire bianche.

Rimanemmo a fissarci in cagnesco per un po’.

Quello si che era un dimostrare simpatia!

Sentii la vecchia, familiare, voglia di sentirmi superiore. Per una volta, la assecondai.

A quella capra avrei insegnato che esistevano capre con  il cranio più duro.

Poteva mettersi quello stupido disprezzo da pidocchio travestito da principe dove voleva.

Scienza più avanzata e roba del genere non mi importavano.

Mai nessuno mi avrebbe mai messo i piedi in testa.

Né tantomeno uno stupido capitano viziato e ricco.

Una parte di me mi diede dell’incorreggibile testona. Mi venne una voglia matta da fare una linguaccia a Naive Kewslar, ma poi pensai che quello non era il modo giusto di iniziare trattative diplomatiche.

“capitano Kewslar, è davvero un piacere accogliervi nella nostra umile dimora!”.

L’esordio soddisfatto dell’elfo nostro accompagnatore ruppe l’atmosfera di tensione che si stava creando.

Il dolce capitano spostò il suo sguardo inferocito sul malcapitato. Lo guardai anche io.

L’elfo, di solito piuttosto apatico, aveva un’espressione così giuliva che quasi ridacchiai.

Probabilmente lo scambio segreto di gentilezze tra me ed il capitano non gli era passato inosservato.

Sembrava gradire l’idea che avessimo trovato pane per i nostri denti.

Mi sembrava uno spettatore di uno spettacolo tra belve feroci, ansioso di vedere come e quando si sarebbero scannate a vicenda.

Mi guardai rapidamente attorno.

Il disprezzo ed il disagio negli occhi dell’elfo e dei due umani era cambiato, trasformandosi in una smorfia quasi di orrore.

Probabilmente Naive Kewslar, la mia cara amica, non avrebbe sbollito da sola quello smacco.

Al contrario delle mie aspettative, che prevedevano occhi al cielo ed espressioni rassegnate, sia Zipherias che Capouille sembravano ridacchiare tra sé.

Probabilmente i guanti di velluto con cui ci avevano trattati avevano messo a disagio anche loro.

Era ora di far cascare dalle sue nobili altezze siderali la cara elfa.

Insegnare che i tre diplomatici non erano esattamente barbari retrogradi.

Io, nata e cresciuta in una delle zone dalla cultura più raffinata, vissuta immersa nella storia che aveva fatto anche quei piccoli presuntuosi, non intendevo lasciare che ci sottovalutassero.

Il nostro amico accompagnatore continuò a parlare, con un sorriso soddisfatto. Accidenti, dovevano essere pochi quelli capaci di punzecchiare il sedere di quel pezzo grosso, per ottenere una simile reazione dal signor Vivacità in persona.

Beh, quello lì mi doveva un bel favore.

“permettetevi di presentarvi i diplomatici inviati qui…”

piantatela, signor Silh Sumiar”. Esordì il capitano, con una voce secca e cristallina, facendo un gesto deciso e freddandolo con uno sguardo.

Oh dei. Com’era strano, sentire parlare un’elfa nella lingua franca con un altro elfo!

Supposi che non conoscesse la nostra antica lingua. Toccò a me disprezzarla. Quello era uno scandalo indicibile. Dimenticarsi così delle proprie radici!

Quello che aveva chiamato Silh richiuse la bocca, ed il suo sguardo soddisfatto venne sostituito da un broncio contrariato.

Anche la voce della deliziosa Naive non sembrava altro che dolce zucchero filato. O, in alternativa, una barra di acciaio temprato.

Gli occhi freddi dell’elfa guizzarono verso di noi, fermandosi in particolare su di me.

Aggrottai le sopracciglia, poi sorrisi di nuovo.

Stava cercando di intimorirmi?

Non sembrava che un grosso pavone ciccione che faceva la ruota per sembrare ancora più grande.

Forse stavo esagerando. Dovevo ricordarmi che non ero nessuno, e blabla vari.

Ma era così difficile davanti a tutta quell’aria tronfia…del resto, se Nilyan, Machin ed il resto dei piccoli rispondevano ai superiori non poteva essere che colpa della loro zia dalle tendenze leggermente anarchiche.

“Possono parlare anche da soli. Chi di voi è il capo?”.

Risposi con un cenno al suo abbaiare, e feci un piccolo passo in avanti. Gongolavo come un’idiota, prevedendo ciò che sarebbe successo.

Vidi il suo sguardo inflessibile caricarsi quasi di incredulità. Più o meno, l’aria di chi ha visto le sue peggiori aspettative confermarsi in pieno.

“è un vero piacere fare la vostra conoscenza, capitano Naive Kewslar”. Esordii, con la mia voce più flautata, guardando dritto gli occhi gelidi dell’elfa, caricando di ironia il suo titolo, facendo di tutto per rendere il mio accento più forte che mai.

Non ci potevo fare nulla. Da quando mi ero liberata da Lainay ogni forma di potere mi dava sui nervi.

Lei continuò a fissarmi in cagnesco, senza poter far nulla. A volte essere diplomatici è un gran bel vantaggio.

“mi chiamo Lsyn Amarto, e sono la Ch’argon del Matriarcato di Uruk”.

Che strano. Udii un leggero brusio avanti a me, proveniente da dove erano gli accompagnatori del capitano, e lei stessa, per un attimo, mi guardo in modo diverso.

Come se, in un certo senso strano, mi avesse riconosciuta.

Come se avesse visto in me qualcuno di familiare.

Per un attimo mi sentii di nuovo prigioniera del disagio che mi aveva afferrata quando il capo di Ogis, l’elfo che ci accompagnava, mi aveva guardato in modo strano.

Ma fu un attimo breve. Dopo pochi secondi, difatti, avevamo ripreso la nostra amichevole schermaglia da capre ostinate.

Feci un gesto verso Capouille e Zipherias. Spero per loro che abbiano fatto la mia stessa impressione da creatura intrattabile e fiera.

“sono stata mandata insieme ad i miei amici, congiuntamente dal Principe Reggente di Uruk, Isnark, e dalla regina di Fiya, Lilliagrin…”.

 E qui sbagliai volontariamente sul nome, storpiandolo in maniera suonasse in modo vagamente ridicolo. Vidi con soddisfazione le narici di Naive dilatarsi dal fastidio. Una soddisfazione.

“per discutere con il vostro Senato di questioni della massima urgenza. Chiediamo dunque umilmente asilo”.

Chinai per un breve momento la testa, ma solo perché era meglio non esagerare, ma poi la rialzai quasi subito, con una specie di smorfia serena.

Naive Kewslar, intanto, bolliva placidamente nel suo brodo.

Beh, non tanto placidamente. Se solo gli sguardi potessero uccidere lei mi avrebbe ammazzata nella maniera più violenta e sanguinosa a sua disposizione.

Le feci un altro brevissimo cenno di rispetto, un guizzo da uccello che più che altro sembrava una presa in giro.

Il capitano respirò profondamente, per calmarsi.  Poi mi guardò, irritata.

“è molto tempo che qui non si vedono elfi, Ch’argon Lsyn Amarto, e non sapevamo fossero a conoscenza di Atlantis”.

Disse, con una voce calma che mi spinse ad ammirarla per il suo autocontrollo, guardandomi con evidente sospetto. Ecco, anche questo non era un punto a nostro favore. Sperai con tutto il cuore capissero la nostra buona fede.

Però…com’era brutto sentire il mio nome con l’accento sbagliato. Da un elfo, poi. Oltre al danno, la beffa.

Scrollai le spalle. Optai per la sincerità.

“la regina Lilliagrin ci ha reputati degni di fiducia per questa missione. Il vostro segreto è al sicuro”.

Accidenti, come avrebbe reagito il Senato?

Sentii il primo lieve palpito di timore. Ci avrebbero aiutati?

O quello sarebbe stato un viaggio a vuoto? Temevo fosse successo così.

Sarebbe stato troppo per me, tornare umiliata a casa. Quella guerra non sarebbe finita mai. ed io sarei morta di dolore.

Il capitano Kewslar fece un cenno di comprensione, ma gli occhi, se possibile, diventarono ancora più duri.

“capisco”. Disse, secca, con la classica aria tronfia di chi non ha capito un tubo e manda un topolino in pasto alle vipere. Mi venne voglia di picchiarla. Una bella rissa coi fiocchi.

“ora, se non vi dispiace, vi prego di accomodarvi sulla scialuppa. Sarete portati alla nave, dove vi attende un mio sottoposto. Vedete di portare rispetto”.

Aggiunse, con un cipiglio leggermente più marcato, guardandomi storto.

Io le sorrisi, e le assicurai, con la voce melliflua che Isnark aveva imparato a temere, perché foriera di guai per lui, che il rispetto per noi era la cosa essenziale.

Poi la guardai con aria dispettosa.

Lei arricciò il naso e mi diede le spalle, sdegnosamente.

Io ridacchiai e salutai con un sorriso Silh, che mi fece l’occhiolino e, con la stessa aria soddisfatta di prima, cominciò ad avviarsi dentro con una rigida Naive, seguiti da qquel cagnolino dell’altro elfo, che, nel passarmi accanto, mi aveva guardato così timidamente che mi era venuta voglia di giocare alla belva feroce.

Io guardai Capouille e Zipherias. Entrambi stranamente molto allegri, alla massima potenza.

Mi girai verso i due umani. Uno dei due aveva un sorriso represso sulle labbra. L’altro mi guardava con una certa aria di approvazione.

Sembrava che mi fossi guadagnata un certo rispetto. Era soddisfacente.

“andiamo?”. Dissi, usando la nostra lingua, ai miei due amici.

Loro due annuirono, e si misero ai miei lati.

Fu senza capricci che salii sulla piccola barchetta, aiutata da Zipherias perché ero troppo minuta.

Anzi, rimasi eretta e regale come una regina, come se fossi di nuovo Rian.

Feci di tutto per sembrare a mio agio, benché le prime, piccole, onde, già mi stessero dando una certa nausea.

Qualcuno mi si avvicinò all’orecchio. Riconobbi Zipherias, alla mia sinistra.

“vedi di non esagerare”. Bisbigliò, divertito. Non mi girai verso di lui.

Non potevo smettere la mia pantomima. Un solo gesto avventato e sarei stata preda del mal di mare.

Decisamente ero un lupo di montagna.

“la bella tonalità di verde della tua pelle non si addice ad una principessa…”.

Il mio povero amico non ebbe la forza di continuare.

Per rimarcare la mia regale persona, gli diedi una gomitata nelle costole tanto forte da farlo tossire per tutto il brevissimo viaggio.

A parte il malessere, mi sentii soddisfatta. Ero troppo rabbiosa per avere paura.

L’ultima parte del mio viaggio stava cominciando molto meglio.

Una schermaglia, ed ero su una barca senza terrore.

Quali migliori auspici di quello?

Ci sarebbe potuta essere ogni difficoltà possibile. Ma io non avrei mollato.

Un empito di ottimismo strano per me.

 

 

 

 

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Capitolo 83
*** Mille aghi sulla mia pelle. ***


Caro, piccolo, dolce, Willie

Caro, piccolo, dolce, Willie.

Oggi sono così triste che nemmeno ti immagini.

Sono passati tre giorni da quando ti ho scritto per l’ultima volta, scusami. So che non sei abituato a questi ritardi.

Solo, non avevo quasi nulla da dire.

Volendo essere brevi, non si è mosso nulla.

Lilliagrin ancora ha nella sua agendina degli eventi il matrimonio di sua figlia, Roxen ha deciso secondo me che non mi parlerà più, quella falsa ha ancora qualcosa in mente e sta attaccata ad Ellyn più della colla…

Entrando invece nel dettaglio…

Ho litigato anche con Ellyn.

In questo momento, sei rimasto l’unico. L’unico amico con il quale posso parlare.

Zia, Capouille e Zipherias sono tanto lontani, di Machin e Chekaril nessuna traccia, gli altri, tutti, sono ad Uruk, a casa.

Roxen mi detesta, e temo che Ellyn stia seguendo le sue orme.

In più, quelle due stanno facendo comunella, e non mi piace questa cosa.

Mi sento sola, sola, sola. E non sto bene (ora ti racconto).

Accidenti, perché le cose sono peggiorate così tanto in così poco tempo?

Sembrava che tutto si stesse mettendo a posto…invece…

Ma perché la zia mi ha lasciata qui e non mi ha portata con sé?

A posto di portare Capouille, che si sorbisce quella strega di Roxen che è una meraviglia, perché quei due sotto sotto hanno molte cose in comune, non poteva portare me?

A questo punto sarei stata all’avventura con la zia, su una nave, oppure a contatto con altre persone, un’altra civiltà.

Nulla. Sono qui ad ammuffire, senza poter usare la magia pena una crisi, in mezzo ad un guaio stratosferico…

Ed ora pure sola.

Almeno, prima avevo Ellyn… ora temo di essermi giocata anche la sua amicizia.

Io a quella non la capisco più, è stata davvero molto ingiusta con me.

Io allungo il brodo riuscendo a strappare qualche giorno in più di libertà da Lilliagrin…e lei mi sputa in faccia che io non sto facendo nulla per lei.

Sai dov’è il problema, Willie?

Lei mica lo sa, che sono stata io a dare l’idea a Lurak ed al padre.

Sono stata molto attenta a non farmi uscire nulla. Tutto questo perché quella falla nelle mura mi è troppo comoda per scappare.

Comunque, non è proprio da Ellyn una reazione del genere. Negli ultimi tempi è molto nervosa, nasconde troppe cose e questo la mette a disagio.

Beh, vorrei sapere cosa sono queste cose che nasconde.

Se sono frutti della mente di Roxen mi sento in dovere di metterla in guardia.

Anche perché le idee di mia cugina non sono sempre derivate dalla strada più pulita e facile.

Non lo sono mai, a dire proprio la verità.

Ma la candida principessa mica le sa, queste cose.

Mica sa che di solito i consigli di Roxen sono i più cattivi che una persona possa dare.

Di sicuro non conosce la fama di mia cugina, posso scommetterci un braccio.

Io, l’ultima volta che sono stata a sentire quell’elfa pazza sono finita in un guaio incredibile.

Mi sono inimicata la zia, papà, e pure Machin. E pure Benagi, Capouille e Zipherias (e tu, Willie, devi sapere che per farlo arrabbiare ci vuole un disastro di dimensioni catastrofiche. Mica è come la zia, che al minimo sospetto salta su e soffia come un gatto arrabbiato).

In pratica, tutti.

Anche Roxen si è arrabbiata. Diceva che non avevo seguito bene i suoi consigli.

Al che le avevo risposto che erano i suoi consigli ad essere sbagliati.

Quel pomeriggio è stato storico.

Ci siamo prese a capelli, che rissa artistica!

Tutto questo casino è partito perché c’era un tipo che mi faceva il filo.

Un nobile, un tipo antipatico, che sembrava avere un’intera scorta di letame di mucca sotto il naso.

Sai, di quelli che sanno perfettamente come usare tutti i tipi di piatti, bicchieri, posate, ma che se devono mangiare il pollo con le mani si schifano, e se devono fare una gara a chi beve di più finiscono stesi dopo un sorso di birra.

Un tipo noioso del genere, comunque. Di quelli che non valgono niente, insomma.

Bene.

Questo elfo si era messo in testa di volermi conquistare.

E via con i regali, gli appostamenti, compariva nei posti più impensati nei momenti più impensati.

Un paio di volte mi ha raggiunta fino a Sharilar.

Quel tipo antipatico mi stava sui nervi in una maniera terribile.

Allora ho chiesto a Roxen di aiutarmi. Oh, non l’avessi mai fatto…

Ti dico com’è andata a finire, così capisci.

In breve, Roxen mi dava dei consigli assurdi, adatti solo per una civettuola come lei. Fare la preziosa, dirgli di levarsi dalle scatole…

Il risultato è stato che questo era diventato ancora più appiccicoso.

Mi chiamava piccola cara. Si era messo in testa che il mio comportamento fosse dovuto al fatto che lo trovassi attraente!

Ed eccolo che cominciava a fare la ruota come un pavone, agghindarsi nei modi più eleganti ed orribili quando mi vedeva.

C’era sempre ad ogni festività, e mi chiedeva sempre di ballare.

Machin ad un certo punto si era pure rotto le scatole, giustamente. Diceva che era impossibile stare tranquilli con me quando c’era quel damerino alle costole.

Ad un certo punto, ho deciso di fare a modo mio.

È stato quando quel tizio si è presentato davanti a me con un mazzo di fiori.

Sissignore, un mazzo di fiori! A me!

Dopo di questo mi sono rotta le scatole anche io. Ho deciso di mandare a quel paese tutti i consigli diabolici di Roxen, accetta i regali e chiudigli la porta sul muso, e roba del genere.

Ho deciso di agire a modo mio.

Metodo Nilyan, andavo sul sicuro. Non fallisce mai, il metodo Nilyan.

Ho buttato i fiori a terra e gli ho assestato un bel pugno sul muso, altro che porta!

Ah, ci voleva proprio, credimi.

Ho visto quel damerino impomatato cambiare da un momento all’altro. Finalmente.

Siamo finiti a prenderci a botte ed insultarci usando un vocabolario degno del miglior marinaio.

Visto, Willie? Dietro ogni nobile con la puzza sotto il naso c’è un pezzente nascosto.

In ogni caso era molto più simpatico così che con quell’espressione perennemente schifata in viso.

Alla fine ci ha divisi Zipherias, che era corso per vedere cosa fosse tutto quel rumore.

Il tipo, poverino, è scappato via.

Io però mi sono sorbita la sgridata di zia, di papà, e le loro punizioni seguenti, la tirata d’orecchie di Zipherias, il sermone religioso di Capouille, le strida di quelle arpie delle sacerdotesse, il paternale di Benagi, e, per ultima, la litigata con Roxen (che diceva che ero una stupida. Ho fatto a botte anche con lei).

L’unico che diceva di stimarmi era Machin. Ma ci credo. Lui l’ha sempre pensata come me, al riguardo.

Tutta quella roba sul sei l’erede al trono, non puoi inimicarti in questo modo un nobile con queste risse da osteria, non sei più una bambina… che noia.

Sempre la solita solfa.

Comunque, poi ho avuto la conferma che i miei metodi funzionano sempre.

Vuoi sapere com’è finita col tipo, che, per inciso, si chiama Olf?

Dopo la nostra rissa si è presentato da me, tutto ammaccato, e mi ha detto che se proprio non lo volevo potevo anche non picchiarlo.

Ora siamo amici. Ho scoperto che non è affatto male, credeva solo che presentandosi come un nobile affettato avrebbe riscosso più successo (si, è un po’ un donnaiolo. È rimasto malissimo quando ha visto che non me lo filavo proprio).

Suo padre (si, è davvero un nobile di alto rango) gli ha permesso di fare una carriera nell’esercito.

È, insieme a Machin, il mio compagno di fughe all’osteria.

Ogni tanto, tanto per rivangare i bei, vecchi, tempi, ci prendiamo a botte.

Ma è solo un sano sport.

Tutto questo, Willie, per farti un esempio: mai, mai stare a sentire Roxen.

È una consigliera molto malfidata. Ma non è colpa sua, non lo fa per malizia. Ha solo un senso strano di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Comunque, ti stavo raccontando della mia litigata con Roxen.

È capitata oggi, a colazione.

Ora è ora di pranzo, ma non ho fame. Ho pianto troppo e non mi sento molto bene.

Mangerò sola, credo. Così posso anche non toccare nulla e nessuno si preoccupa.

Ho lo stomaco chiuso e mi sento debole.

Credo che domani andrò dai Guaritori di qui. C’è qualche problema con il mio ciondolo, lo sento.

Come se non bastassero gli altri guai, c’è qualcosa che non mi quadra.

O sono io troppo forte, o il potere dello scudo sta scemando.

Riesco, se mi concentro, a percepire la magia, e così non va.

Bloccata, e, allo stesso tempo, libera, rischio di avere una crisi terrificante, e stavolta potrei combinare qualcosa di peggio di un braccio rotto.

Non voglio pensarci.

Comunque, già stamattina non mi sono svegliata al massimo della forma. Avevo dormito male, mi sono svegliata prestissimo.

Anche perché mi stava uscendo un sacco di sangue dal naso, senza motivo.

Quando fa così non è nulla di confortante.

Significa che non sto bene, e che ci sono guai in arrivo.

Comunque, domani vedrò di sistemare tutto questo con i Guaritori. Sicuramente è perché questo coso sta invecchiando e lo scudo si è indebolito.

Comunque, sempre per questo mi sono avviata prima da Ellyn. Avevo voglia di stare un po’ in compagnia.

Mica ci voglio pensare, a queste brutte cose.

Comunque, mi sono fatta aprire da Peggy, che ormai ha tanta confidenza con me che mi ha fatta entrare solo dopo aver bussato una volta.

Sono entrata.

Ho trovato Roxen ed Ellyn confabulare in modo sospetto.

Ellyn era seduta su una poltrona. Strano. Non si è nemmeno avvicinata per salutarmi.

Ho avuto l’impressione di non essere ben accetta. C’era un certo gelo nell’aria.

Tutto diretto contro di me.

Io ho fatto finta di nulla, e le ho salutate come se nulla fosse.

Anche Ellyn era stranamente fredda.

Sembrava non aspettarsi il mio arrivo così presto.

Comunque, mi sono avvicinata, ed ho notato che Ellyn era seduta su quello che doveva essere un abito.

Scuro, molto. Doveva essere nero.

Strano. Io non ho mai visto Ellyn con colori più scuri di, che so, beige, verde scuro, lilla.

Lei è sempre per i colori chiari, pastello. Allegri.

Parliamoci chiaramente, Willie.

Nemmeno Roxen ama indossare troppo il nero.

Solo la zia si lamenta sempre che non può indossare nulla di nero perché è Ch’argon.

Ma, cavolo, lei è l’unica ad amare quel colore dannato.

È un colore che ricorda troppo le Spie. Solo loro si vestono tutte di nero. Per nascondersi meglio nel buio, per poter colpire senza essere viste.

Mi è parso strano vedere quell’abito lì.

Soprattutto, vedere Ellyn seduta sopra.

Io l’ho indicato. Ehi, mica volevo fare nulla di male, ma ho visto Ellyn saltar su come punta da un’ape.

“Ehi, Ellyn, che ci fai seduta su quel vestito nero malaugurio?”.

Sia chiaro. Io volevo solo fare un po’ di sano divertimento. L’atmosfera era più ostile del solito.

Mi sono sentita improvvisamente esclusa. Qualunque cosa stiano complottando quelle due.

Ellyn, a questo punto, è arrossita molto. Ha fatto anche una cosa strana.

Ha nascosto quella manica, e mi ha guardata male. Un comportamento che non capisco.

Non è da Ellyn.

Che le passa per la mente?

E soprattutto, che le avrà proposto di fare Roxen?

Poi lei ha detto una cosa strana. Ha detto che era un vecchio abito, e che l’avrebbe dovuto buttare.

Però era strana mentre lo diceva. Molto imbarazzata.

E poi c’era Roxen. Mi guardava malissimo, come se mi volesse uccidere.

Mi sono sentita in imbarazzo anche io. Che voleva da me? Che ho fatto di tanto male?

Poi comunque ho chiesto ad Ellyn perché allora avesse nascosto la manica, e lei è arrossita ancora di più.

Poi ha cercato di fare un sorriso e ha detto, si, proprio lei, la signorina dolcezza in persona, quella che non fa mai male a nessuno, che non erano proprio affari miei su dove fosse lei seduta.

A questo punto mi sono offesa, e pure un sacco.

Sembrava Roxen a parlare, con la sua acidità, non Ellyn, la mia dolce amica.

Da lì è partito il litigio.

Io mi sono scusata acidamente, dicendo che proprio non era mia intenzione di essere innocentemente curiosa, ed Ellyn mi ha ripetuto di farmi gli affaracci miei.

Al che le ho risposto che potevo anche farmi gli affaracci miei quando veniva a piangere da me perché la mamma è una prepotente che lei non sa gestire.

Ehi. Quando mi toccano nel torto io mi arrabbio, Willie.

Ed Ellyn non mi sembra in sé. Sembra…un’altra persona. Una gemella cattiva.

Alla fine mi ha detto che io non faccio niente per lei, che mi limito a bighellonare di qua e di là senza concludere nulla, lasciandola sola.

Mi sono sentita punta sul vivo.

Non potevo dire quello che ho fatto davanti a Roxen, altrimenti quella mi ammazza.

Mi sono risentita parecchio, ed ho sentito un’ondata di rabbia incredibile. Ma tu guarda che bambina!

Le ho dato dell’immatura, le ho detto che è lei che è così cieca che le cose non le vede se non quando sono sotto al suo nobile naso, e poi ho fatto per andarmene.

Ero stanca di tutte quelle discussioni, e non avevo più fame. Né voglia di stare con quelle due arpie. Che confabulassero tra di loro e mi lasciassero sola!

Poi…oh, Willie.

Ho all’improvviso sentito come se ci fosse una specie di peso grosso sulle mie spalle.

Mille aghi sulla mia pelle…di nuovo.

Poi un dolore orribile. Ho risentito tutto il peso della magia, ed è stato molto doloroso.

Ho gridato, ed ho perso l’equilibrio.

È stato un attimo, però. Tutto è tornato normale. Io però ero quasi caduta a terra.

Mi sono guardata indietro, ed ho visto Ellyn di nuovo spaventata, e Roxen, che strano, credevo mi odiasse, bianca come un cencio dalla paura.

Poi mi sono girata verso la porta e me ne sono fuggita più veloce della luce qui in camera.

Anche perché aveva ripreso a scorrermi sangue dal naso, e non volevo vedessero.

Ho una paura enorme, Willie. Ho paura e sono sola.

Perché mi sta succedendo così?

Ho voglia di piangere, ma ho pianto già troppo.

Non posso parlare a nessuno di questo, solo con te.

Ma tu non mi puoi confortare. Ho paura… una paura enorme.

Domani dovrò andare dai Guaritori da sola. Parlare con loro da sola. Tutto da sola.

Io non voglio essere sola. La solitudine mi spaventa, specie quando non sto bene.

Come se non bastassero tutti questi guai…

Aspetta, Willie, scusa. Bussano alla porta. Chi sarà?

Vado ad aprire. A dopo, amico mio.

 

                                                                                             Nilyan (oggi malata).

 

Oh.

Ora…si. Ora sono più felice. Ma ho ancora troppa paura.

È come avere freddo. Solo che al freddo si rimedia con le coperte, con la paura non c’è coperta che tenga.

Ho appena scoperto che Ellyn non mi odia. Era lei alla porta.

Appena ho aperto si è buttata tra le mie braccia e ha cominciato a scusarsi con me.

Ha detto che si sentiva un verme per avermi trattata male, che era così nervosa e che non aveva intenzione di ferirmi, di ferire la sua migliore amica, che mi voleva tanto bene, che anche se non avevo fatto nulla l’importante era che le stavo vicina, che avevo ragione, che potevo pure non perdonarla e cose del genere.

Allora io ho controllato che Roxen non ci fosse, l’ho fatta entrare ed ho chiuso la porta.

Poi le ho spiegato quello che avevo fatto. Sai, solo per giustizia.

Ellyn ha cominciato a piangere e non la finiva più.

Si è data della stupida non so quante volte. Mi ha pregato di non perdonarla. Al che le ho dato uno scappellotto, e alla fine, non so nemmeno come, siamo finite a ridere come due idiote.

Abbiamo riso e riso fino a quando non è cominciato di nuovo quell’inferno del naso.

Ellyn ha mangiato la foglia, immediatamente.

Mi ha chiesto cosa mi stesse succedendo.

Quella mattina sia lei che Roxen si erano preoccupate a morte vedendomi inciampare e gridare.

Roxen le aveva detto di aver percepito la mia magia (noi possiamo, lo sai, no?), e si stava letteralmente angustiando.

Avevano bussato alla mia porta, ma era chiusa a chiave e non rispondevo.

Strano, non me ne ricordo. Forse non le ho sentite perché stavo piangendo troppo forte…o… o davvero non voglio sapere perché non lo ricordo.

È toccato a me cominciare a piangere.

Le ho raccontato tutto di questi giorni. Le ho confessato la mia paura.

Ellyn si è allarmata. Ha detto che non avrebbe dovuto succedere, e che è un grossissimo problema.

Domani mi accompagna lei nell’infermeria del castello.

Almeno, ho qualcuno con cui andare. Qualcuno con cui dividere il terrore.

Ora però mi vuole a pranzo. Ha detto che Roxen preferisce avermi sott’occhio. Strano, credevo che mi odiasse.

Quando gliel’ho fatto notare Ellyn ha riso ed ha detto “nessuno ti vuole più bene di Roxen, qui. Sei sua cugina, dopotutto. Anche se avete litigato”.

Il mondo è più bello e più colorato, ora.

Sono allegra. Magari così posso fare pace con Roxen.

Perciò, anche se non ho fame, vado.

Anche se ho un paio di domande da fare ad Ellyn.

Ad esempio, il perché di quel vestito nero.

Tutto questo non mi piace. Ho troppi sospetti, e sono sospetti di qualcosa di losco.

Ora però non è il momento di inferire.

Pace fatta, comunque. Questo, per ora, è l’importante.

Ti aggiornerò quando ci sono novità. Domani mattina vado dai Guaritori, e spero mi diano un altro ciondolo. Sono stanca di stare male.

Ora Ellyn mi chiama.

Ti bacio tanto tanto, e ti voglio un mondo di bene, mio piccolo amico di carta.

A domani, Willie.

                                                                                                      Nilyan.

   

  

 

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Capitolo 84
*** Va' dove ti porta la fame. ***


Se c’è una cosa che io, Machin Tijorn, proprio non sopporto, è il trovarmi in trappola

Se c’è una cosa che io, Machin Tijorn, proprio non sopporto, è il trovarmi in trappola.

E ora? E ora che dico a questi due tipi strani?

Il vecchio Rasnak sembra che mi stia facendo un ritratto con gli occhi

Il tipo brutto invece ci guarda e sorride. Ridacchia. Ghigna.

Ho voglia di dargli un pugno in faccia, accidenti.

Oh, che mi guardi con quella faccia, gattastro rognoso?

Ma tu guarda com’è antipatico questo tizio. Se solo potessi alzarmi gli gonfierei la faccia a forza di pugni.

Poi vediamo come ride più.

Che vuoi, che sai di noi? Ti sembriamo così sfortunati? Così inesperti? Così idioti?

Ma va’ a ficcare la testa in un letamaio e lasciaci soli con il Grande Maestro Rasnak.

Che poi…ci sarà proprio da fidarsi?

Nonno e zia spesso mi hanno raccontato che lui è dalla parte di Uruk, solo che non lo da mai a vedere.

Ma posso proprio raccontargli tutto tutto?

Poi magari lui fa il doppio gioco e rimaniamo fregati.

Tanto, da qui non possiamo muoverci.

Io mi sento come se fossi sballottato di qua e di là e Chekaril è praticamente un osso rotto.

Se pure riuscissi ad alzarmi, dove trovare Nep? E se poi lei si fida di lui e spiattella tutto?

E ora?

Poi ora che gli racconto?

Deve sembrare strana la storia di due Guaritori a spasso con una dragonessa dei ghiacci, e poi che abbiamo combattuto una viverna, e che poi…

Ah, che casino immane.

Voglio tornare a casa! Avere un letto caldo, la pappa pronta e la zia vicina, a proteggermi…

Quanto mi mancano le coccole di zia Lalla…se fosse qui con me, ora, sarebbe accanto a noi e ci avrebbe detto che presto saremmo stati bene.

Ci avrebbe abbracciati, tenuto le mani, e…oh no, Machin, non pensarci.

Poi penserai a Ninì, a Roxen, a tutti quanti, e ti viene la nostalgia.

Bene. Parentesi passata. E ora che dico a questo?

Prova a metterti seduto…no, non ci riesci. Ah, mi gira tutto intorno. Mi sento malissimo di nuovo…

Stai fermo, calmo e tranquillo.

Chiudi gli occhi e tutto andrà benissimo.

Si, ma ora chi gli risponde, al vecchietto?

“sapete…”. Ah ma bravo, Chekaril, grazie. Io non ho la forza per inventarmi qualcosa. Vediamo che dice.

Temo per noi, di solito non è un gran bugiardo.

Chi le spara grosse dei due non è lui. Chi sa farlo sono io, accidenti!

Ma qui se parlo vomito, ecco.

Mi sento uno schifo.

Non posso che rimettermi nelle mani tue, cugino caro.

Vedi di non combinare disastri che se lo fai ti ammazzo, quando posso.

“dovevamo pure salvarci la vita in qualche modo…quel mostro ci avrebbe mangiati. Dovevamo provare…qualcosa. Speriamo solo di non averlo ucciso, le viverne sono così rare e quella aveva solo fame…non è colpa sua, poverina!”.

Oh, dei.

Sembra proprio una cosa detta da un Guaritore!

Bravo Chekaril. Hai detto la prima bugia verosimile della tua vita.

Un momento, torna indietro.

Chekaril è un Guaritore, idiota.

Lui è nato per esserlo.

Oh dei, ma sarà quello che pensa davvero?

Ho il presentimento che davvero rimpianga di aver fatto del male a Jaunussir.

A quel caro animaletto domestico che aveva solo fame, e stava per uccidere tutti e tre!

Oh, ma che idiota.

Spero solo che Nep sia riuscita ad ammazzarlo, quel mostriciattolo antipatico. Io ci godo, al pensiero.

Tu ci hai fatto del male, noi facciamo del male a te. Più giusto di così si muore.

Ah, però ora posso rilassarmi. È così bello stare ad occhi chiusi e non pensare a nulla. Rimanere semplicemente sdraiati, aspettando che la nausea passi.

In effetti sto meglio. Sto una meraviglia, steso su questo letto morbido, in effetti.

Beh, proprio male non ci è andata.

L’alloggio è ottimo, grazie.

Attimo di silenzio. Vorrei aprire gli occhi per vedere le faccia di quei due furboni, ma preferisco di no.

Sto troppo bene così.

Quasi quasi faccio il pensierino di addormentarmi per un po’.

E andassero a quel paese il maestro e il tipo strano.

“in effetti…”. Deve essere capelli azzurri che parla. La voce è quella. “per voi Guaritori dev’essere difficile vedere qualcuno soffrire, e…

Si, si, parlate quanto  volete.

Ciao ciao, buonanotte.

Io sto troppo bene così, e mi faccio un sonnellino.

Se solo zia fosse qua…

 

Mh?

Oh. Ah, accidenti. Mi sono svegliato.

Nah, non ho ancora gli occhi aperti, se li tengo chiusi poi magari mi addormento di nuovo.

Come sto bene.

Ho fatto un sogno proprio strano.

Ho sognato un tipo uguale a me però con  la barba e dei capelli neri, ricci e corti corti, che io chiamavo papà.

Che poi zia Lalla ha detto che lui portava i capelli sempre lunghissimi e mai la barba perché la odiava.

E che aveva i capelli lisci, più di me che li ho come la mamma.

E poi questo tipo strano parlava con zia Lalla e le diceva che si, era inammissibile.

Qualcosa era inammissibile. Non so di che tipo, ma sembravano parlare di me.

E poi eccomi qui. Sveglio.

Ma io vorrei dormire ancora…

Uffa.

Chissà che ore sono. Quanto ho dormito. Se quelli se ne sono andati…

Va bene, va bene.

Il sonno è completamente sparito. Qualcuno vuole che io mi svegli?

D’accordo, d’accordo. Apro gli occhi.

Così posso almeno farmi un’idea dell’ora.

Oh.

Accidenti, non credevo di aver dormito tanto.

Deve essere notte fonda, c’è buio pesto e solo una candela accesa. E la porta socchiusa.

Tanto per risparmiare, immagino.

Chekaril?

Si, va beh.

Non potevo aspettarmi qualcosa di diverso, da lui.

Dorme alla grossa, ma così alla grossa che mi pare strano non stia russando tutto contento. Ogni tanto lo fa.

Uffa. Che noia.

Non ho nemmeno lui con cui parlare.

Che diavolo faccio sveglio, steso sul letto?

Che noia.

Quasi quasi, torno a dormire. Almeno così il tempo passa.

Così do il tempo a Chekaril di svegliarsi. Non voglio svegliarlo, sta male, piccolo cugino mio, è tutto bendato, sembra una salsiccia.

Così, spendo il tempo dormendo. Così magari capisco che cos’ era quell’inammissibile del sogno.

Oh.

Forse sto dimenticando una cosa.

Fame.

Ah che fame boia che ho.

Sto morendo di fame!

Ho un buco nello stomaco.

E ora chi dorme più?

Voglio mangiare…da quant’è che non mastico qualcosa?

Fame fame fame fame.

Magari quelli lì ci hanno lasciato qualcosa in caso di…beh, languorino.

Altro che famina, io qui mi mangerei Nep intera!

Vediamo…guardiamoci un po’ intorno…

Niente. Non vedo niente. Figuriamoci! Nemmeno un po’ di cura per i poveri ospiti feriti!

Aspetta un attimo.

Oh che ho fatto, mi sono messo seduto!

Ora mi sentirò malissimo, e

Chiudi gli occhi, veloce.

Ehi, però…

Ah.

Riapri gli occhi, idiota. Tanto non ti gira tutto intorno. Stai bene.

Mi sento solo un po’ la testa pulsare…

Ma non è niente rispetto alla fame che ho.

Ho fame!

E ora? Come faccio? Non c’è nemmeno un tozzo di pane, sono sicuro che Chekaril si è sbafato tutto.

E io sono rimasto a bocca asciutta, povero, piccolo principino.

Si, ma ora? Che faccio?

Machin Tijorn non guarda in faccia a nessuno, quando ha fame.

Anche quando non c’è nessuno. Non lo guardo in faccia, al nessuno.

Ho fame. Ho. Fame. Ho. Fame.

H.F. Acca-Effe. Ho fame.

Due parole fondamentali. Io devo crescere!

Sono ancora un giovane elfo nel pieno della mia fioritura, vorreste farmi dimagrire?

Tsk, che barbarie. Condannare alla tortura per fame questo povero giovane.

Però…guarda un po’ lì…

La porta è aperta.

E se facessi una bella cosa? E se andassi in punta di piedi, pian piano, fuori di qui?

Magari posso provare ad alzarmi.

Poi scappo via in dispensa, e mangio.

Quando Machin Tijorn vuole mangiare non c’è prigione che tenga.

Ok, ora provo.

Oh…che fatica.

Un piede, l’altro piede…mettiti seduto con le gambe fuori dal letto…

Perfetto, niente giramenti di testa.

Piano ora…piano…

Ecco. Sono in piedi. Mi sento debole come un gattino, la testa mi ronza e fa un pochino male, però mi mantengo.

Proviamo a camminare…va bene, ondeggio un poco ma più o meno posso andare.

È anche la fame, accidenti.

Non mangio da un po’.

Ih ih ih, Machin, ora fuori di qui!

E che fanno le Spie a te, grande figlio di Tijorn!

Si…perfetto però.

Ora dove vado?

Ci sono tre corridoi. Tutti uguali.

Porte chiare, muri di legno, pavimento boh, è troppo buio.

Nemmeno una luce, ovviamente.

Apriamo una porta…no, niente. Stanza vuota.

L’altra…ah! Orrore, c’è Rizniir dentro che dorme.

Shh.

Zitto Machin.

Richiudi pian piano la porta…

Va bene, vai avanti.

Ora? Dove devo andare?

Oh, forse era meglio che rimanevo dentro…va beh, proviamo a sinistra.

Ma che diavolo di casa c’ha, questo?

Manco un castello è così intricato, perdinci.

Che rabbia. E che fame.

Andiamo avanti…e speriamo in un colpo di fortuna.

Destra…sinistra…dritto, destra…

Un’altra porta, apriamo… no, niente. Stanza vuota.

Ma quante stanze vuote ha questo tipo?

Ho fame.

Oh, a questo punto meglio che torno indietro.

Mi sento ansioso, e se mi scoprono?

Magari becco qualcosa che non dovrei, e poi…

Va bene, ora ho troppa paura. Sono stanco di girare per corridoi bui.

Torno indietro.

Si…ma…destra o sinistra, ora? Questi corridoi sono tutti uguali.

Vado dritto, non si sa mai. Bisogna andare sempre dritto, dice la zia, che poi se si devia son guai.

Tanto la mia porta è socchiusa. Sono certo di averla lasciata così.

E se ricordassi male? Oh, non voglio essere beccato mentre vago sconsolato per questi corridoi.

Che poi non vorrei fare certe figure con Rasnak.

Che poi quella statua a forma di tizio non mi pare di averla mai vista.

E nemmeno quel tavolino bianco, lì.

E nemmeno quella specie di quadro con gli alberi.

Va bene, Machin. Ferma, ora ferma.

Analizziamo la situazione da un punto di vista lucido e logico.

Mi sono perso.

Non ho la minima idea di dove mi sono ficcato, credo proprio che tra poco prenderò la prima anima viva e la sbranerò per fame, non voglio fare una figuraccia.

Basta, ora?
Oh, voglio la zia. Voglio andare a casa!

Va bene, Machin, tira un respiro, coraggio.

Mi sento svenire, accidenti, forse era meglio che non mi alzavo. Ho speso le mie ultime energie vagando a vuoto.

Ho bisogno di qualcuno, la testa mi fa male, ma un male incredibile.

Vai avanti, Machin. Indietro non si può, non sai la strada.

Magari vai avanti e trovi qualcuno.

Oh, mi sento male. Non capisco nemmeno più dove sto andando, con questo buio…

Ahi.

Maledizione a questa cosa maledetta, ahia ahia. Che dolore.

Povero Machin, oggi nessuno gli vuole bene.

Ma dove sono andato a sbattere?

Ah, maledetto tavolino. C’è su un vaso che sembra di porcellana.

Maledetto a te, eco! Mi hai fatto male!

Oh. Oh cavolo.

Io sono un idiota, ma un idiota totale.

Perché ho dato quel calcio?

No, vasuccio bello, non cadere, non farlo no!

Ih!

Non ho avuto la forza per chinarmi.

Diavolo, che rumore ha fatto. Beh, magari è una cosa buona. Attirerò qualcuno.

“chi è là?”.

Ecco. Ah, sollievo istantaneo.

Accidentaccio però, deve essere Rasnak, mi sembra la sua voce. E anche vicina. Sento dei passi.

Oh, diavolo, il vaso.

Ehm. È rotto. È in mille pezzi. Spero solo non fosse prezioso.

Ma con tutto questo buio mica posso vedere dove vado!

Lui ci sarà anche abituato, ma io no!

Intanto però nascondi il vaso. Mettiti così…ecco. Forse così non si vede.

Sento dei rumori. Dei passi.

Accidenti, doveva essere vicino.

Eccolo lì. Grande Maestro, mio salvatore!

Mi sento malissimo, e ho fame. Guarda, sembra sollevato per avermi trovato. Sollevato e anche molto perplesso.

Abbassa qualcosa. Che aveva in mano? Ah, un bastone. Povero vecchietto. Povero…

Lui mi sorride.

“ah…sei tu”. Mi dice. Si sta avvicinando. Spero che non guardi a terra…beh, sembra impegnato a guardarti negli occhi.

Mi sento a disagio. Che cerca? Perché mi guarda così? Ci conosciamo, per caso?

Oh, quanto mi sento male…

Ah, Rasnak, io ti voglio bene.

Mi porti a mangiare qualcosa?

Magari glielo chiedo. Sempre meglio essere educato.

“cosa ci facevi in giro a quest’ora?”.

Ma io mi chiedo, perché mi tratta con così tanta familiarità? Sembra quasi conoscermi già. Mi guarda con un affetto incredibile. Come se fossi suo figlio.

Mi dispiace, io un padre lo ho, o lo avevo almeno, ed era Tijorn Amarto. Tu non sei nessuno.

Solo il Maestro Rasnak, accontentati di essere una leggenda davanti ad un idiota.

Caspita, mi gira tutto di nuovo…devo mangiare. Assolutamente. Sono troppo debole. Magari lui mi aiuta.

Mi sento male. Non riesco a capire…

“cercavo qualcosa da mangiare…”.

Si, ho tanta fame. Si, ma perché mi guardi così strano? Sorridi ancora di più.

Oh, ma te lo metti in testa?

Io non sono tuo figlio ritrovato. Né tuo nipote o robaccia simile.

Sono solo un estraneo che tra poco ti cade lungo lungo qua a terra. Capito?

Lui scuote la testa. Oh, qualcuno mi sta mantenendo… mi sento le gambe così deboli…

Oh, è lui. Sembra anche preoccupato. No, non è nulla, ho solo fame.

“mi sembri confuso. Cercavi da mangiare nell’ala delle stanze da letto?”.

Accidenti, vedo tutto come attraverso una garza. Mi sento definitivamente male. Ma che diavolo vuole, questo?

Io mica ci sono mai stato, qui. È la prima volta che ci metto piede.

“e mica lo sapevo, io…mica ci sono mai stato!”.

Scusa per l’arroganza, ma quando ci vuole ci vuole. Mi sento male e tu mi parli come se io dovessi già sapere tutto.

Bella storia, questa.

Forse è meglio chiudere gli occhi. Qualcuno mi sta trascinando in silenzio…

Ah, ora va meglio. Fa freddo però posso poggiare la testa da qualche parte. Mi sento meglio…

Il freddo fa diminuire il mio mal  di testa.

Grazie, tipo che mi hai fatto stendere. Devo essere steso, almeno credo.

“dai...”. deve essere la voce del tipo, questa. È così lontana e debole.

Accidenti. Ora non ho più fame, voglio solo andare di nuovo a letto, e presto.

“non scherzare…ti senti bene?”.

Ma che vuoi scherzare, scusa?

Ti prendi gioco di me, povero, piccolo Machin Tijorn…ma io mica ci sono mai stato qui dentro!

E no che non mi sento bene!

Povero piccolo me… vorrei dirgli qualcosa, a questo qui. Ma mi gira tanto la testa, di nuovo.

Non ci riesco, mi sento tanto debole…tanto confuso…tanto…

 

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Capitolo 85
*** La seconda tappa. ***


Quell’empito di ottimismo molto strano per me, come poteva essere perfettamente prevedibile, svanì ben presto

Quell’empito di ottimismo molto strano per me, come poteva essere perfettamente prevedibile, svanì ben presto.

Facile comprendere il perché, no?

Ero in un simpaticissimo guscio di noce che procedeva, ondeggiante, ad una velocità piuttosto anomala, verso quella grande nave bianca.

Attorno a me, solo acqua scura.

La presenza di Capouille e Zipherias non serviva perfettamente a nulla.

Che poi entrambi si fossero messi ai miei lati, come cani di pietra, poco importava. Piuttosto, mi riempiva di un fastidio incredibile.

Non ero scema, e vedevo lo stesso. Che pensavano, che mi sarei sentita al sicuro? Certo, come no.

Nonostante mi sentissi davvero male, però, tenni duro.

Giurai che avrei baciato la terra, una volta messo piede sul suolo vero, e non sul legno marcio di una nave. Quando saremmo arrivati ad Atlantis? Quando avrei potuto rimettere piede sul suolo della mia terra?

Io odio le navi. Le odiavo, le odio e le odierò per sempre.

Sono un’elfa nata e cresciuta tra le montagne ed i boschi, non sono di certo una creatura acquatica.

Il mare mi terrorizza e le onde solo a guardarle mi fanno venire la nausea.

Avrei tanto voluto scappare strillando, tornare di nuovo indietro, verso quella rassicurante stazione di cambio, che ormai mi faceva irrimediabilmente ciao ciao con la manina.

Non potevo. C’era il mio orgoglio di elfo da difendere.

Mi sentivo male? Ebbene, pazienza. Avrei resistito, resistito, resistito.

Beh, finché non fossi stata sola con i miei amici, almeno. Con loro non c’era orgoglio che tenesse.

E io non potevo resistere all’infinito, il mio stomaco non era di ferro, né tantomeno il mio equilibrio.

Ma nessuna Naive Kewslar o tipi del genere mi avrebbero visto in una condizione di debolezza. Oh no, soprattutto quella stupida gallina pomposa.

Un’elfa che non parlava la nostra lingua, puah. Scandaloso è dire poco. E poi era lei a guardarci con quell’aria di superiorità!

Oh, povera me. Che assurda, schifosissima situazione. Com’ero povera e derelitta.

Cercai di consolarmi, pensando a tutti i modi possibili per eliminare un certo Isnark dalla faccia di ogni terra. L’avrebbe pagata cara, carissima.

Dove mi aveva gettata

Non si trascina Lsyn Amarto in una situazione del genere. A sua insaputa.

A contatto con una Naive Kewslar qualunque, poi.

Ringhiai di rabbia. Quell’altra. L’ennesimo pallone gonfiato di una lunga serie! Ma proprio mi dovevano capitare sempre individui del genere tra i piedi, o al peggio non c’era mai fine, per me?

Se proprio ci tenevano a vedermi in preda ad una crisi di nervi, beh, non c’erano problemi. Preparavo l’esplosione…beh, circa da quando quel verme sotto spirito di Isnark mi aveva consegnato una certa lettera malandrina.

Io l’avrei ammazzato, dopo una lenta agonia. Oh si, l’avrei proprio ammazzato a furia di botte. Ribollivod’ira nei suoi confronti, e nei confronti del mondo intero.

Mi volevano fare arrabbiare? Benissimo.

Doveva pur esserci qualcuno capace di farsi sotto.

Accidenti, poi avrebbero visto quanto e se mordevo. Metaforicamente e non. Si sarebbero divertiti proprio tanto da morire.

E poi vediamo se tutto quell’addestramento da Spia serve o meno.

Una gomitata mi riportò bruscamente alla realtà.

Alzai lo sguardo di scatto. Chi è che disturbava i miei sogni di gloria?

Incontrai gli occhi dorati di Zipherias, evidentemente perplessi.

Che cosa voleva? Quale altra cattiveria doveva farsi uscire dalla sua bocca?

Più che divertito sembrava pensieroso, certo, ma ciò non voleva significare che qualcuna delle sue sconfinate perle di saggezza non fosse in arrivo.

Mi preparai mentalmente a mietere la mia prima vittima. Ero abbastanza di malumore per dare di nervi, anche contro di lui. Anche se sapevo che mi sarei fatta leggermente male.

“che stai borbottando?”.

La sua domanda mi fece cambiare umore in meno di un attimo. Sentii la rabbia sgonfiarsi in un attimo. Cominciai a provare un vago senso di vergogna.

Oh cavolo. Per caso avevo parlato tra me e me?

Di solito non avevo questo vizio. Ma, come dicevo sempre, Machin è da sempre stato parecchio contagioso.

Era lui che faceva da sempre lunghi monologhi a mezza voce.

Non di certo io. Io no, mai.

Sentii le mie guance molto calde, ed abbassai lo sguardo.

Oh accidenti, che vergogna. Sperai ardentemente non si fosse sentito esattamente nulla.

Mormorai qualcosa, sempre a testa bassa.

Fu il peso di qualcosa sulla mia testa a farmi rialzare lo sguardo. Che cos’era?

Incontrai di nuovo gli occhi di Zipherias.

Stavolta il mio amico sorrideva, un sorriso a metà tra il dolce ed il sornione. Non sapevo assolutamente come classificarlo.

Il peso sulla mia testa era la sua mano, per inciso. Provai l’intensa voglia di morderla a sangue.

Nel contempo, però, quel contatto mi piaceva. Troppo. Mi turbava. Sentii quello che rimaneva della  furia smontare gradualmente.

Non l’avrei mai ammesso, ma Zipherias conosceva il modo per domarmi. Non era come Tijorn, che era stato capace di ridurmi a consigli davvero molto miti quasi con un solo sguardo…

Cercai di non indugiare troppo su quei pensieri. Pensare di mio fratello al passato mi spezzava ogni volta il cuore, lo riduceva a brandelli. L’avrebbe fatto, sempre e sempre e sempre.

Chi ha detto che i fantasmi non esistono?

Certo, forse non come le storie ci raccontano, niente figure spettrali che gironzolano di notte o che ritornano sotto orribili aspetti per spaventare i loro cari.

Ma nella testa, nella nostra testa, lì ci sono i fantasmi. E non c’è luce che tenga, in quei labirinti.

Avevo imparato discretamente ad escludere il mio stupidone dai miei pensieri. Era meglio così, se volevo restare sana di mente e non sprofondare di nuovo nella disperazione.

Meglio così, avevo già troppi incubi ad infestare il mio sonno.

Il buffetto che seguì, ad un certo punto, mi fece tornare di umore bellicoso. Ehi.

D’accordo. Zipherias provava ad essere come Tijorn, ma proprio non lo sarebbe mai stato.

Mio fratello aveva sperimentato molti morsi per molto meno.

Mano sulla testa si, buffetto no. Non serviva ricordarmi che lui era un gigante ed io una nanerottola. Soprattutto, non era il momento di fare quelle cose. Lui sapeva benissimo quanto mi desse fastidio il ricordarmi la mia statura.

Soffocai a stento la voglia di strozzarlo e buttarlo a mare.

Poco importava sapesse nuotare, accidenti. L’avrei fatto affogare io.

Lo guardai dritto negli occhi, e di nuovo mi sentii parecchio confusa.

Il suo sorriso, accidenti, era l’unica cosa che mi impediva di saltargli addosso per sgozzarlo con i denti.

Non era beffardo. Mi piaceva quando mi sorrideva in modo così dolce. Valeva la pena di tenerlo in vita solo per quell’espressione.

“ecco. Ora stai meglio, con un po’ di colore. Prima mi sembravi un cadavere”.

Ecco, ebbi di nuovo l’ennesimo cambio di umore. Odiavo i cambi di umore immotivati.

Che aveva detto di così male? Tanto io sembravo un cadavere piuttosto brutto già di norma.

Beh, non sempre, ma sicuramente Zipherias mi aveva visto conciata peggio, quando ancora potevo contare buona parte delle mie ossa solo guardandomi allo specchio.

Però…accidenti. Di che colore ero stata, verde pallido?

La rabbia scomparve d’un tratto, sostituita da un’emozione che avrei potuto chiamare imbarazzo.

Dovevo davvero essere pallida come un lenzuolo. Per forza, quella bagnarola non si stava ferma.

Quella silenziosa lamentela fece di nuovo scattare la rabbia. Odio, odio, odio.

Per Isnark, per Naive, per la barca, per il mare, per il mondo.

E ora quella mano cominciava davvero a darmi fastidio. Mi dava fastidio tutto, stavo male, perché infierire?

E basta frecciatine ironiche sul mio colore ben poco sano.

Lo sguardo che  lanciai al mio amico fu sufficiente per fargli cambiare espressione in un secondo.

La mano rimase lì, sulla mia testa, come bizzarro copricapo.

Il sorriso si era trasformato in un ghigno spaventato. Zipherias sapeva benissimo i limiti della nostra amicizia, ed uno era mai toccarmi se non lo voglio io.

E, in quel momento, tutto volevo fuorché essere  anche solo sfiorata.

Solo i miei piccoli protetti potevano farlo. Mi irritava profondamente farmi sfiorare da qualcuno che non fosse loro.

“leva quella zampaccia dalla mia testa, se non vuoi fartela tranciare dai miei denti”.

La voce che mi uscì spaventò anche me. Anche Capouille, di solito immune alle schermaglie che non lo coinvolgevano, si girò leggermente verso di noi, evidentemente preoccupato.

Almeno, ebbi il risultato che desideravo. La mano sulla mia testa scomparve come se non ci fosse mai stata.

Zipherias l’aveva nascosta dietro la schiena, con un sorriso alquanto preoccupato.

Faceva bene. Io mantengo sempre quello che prometto.

Bizzarro, come quel gigante avesse paura di me, a volte. Forse le cicatrici facevano ancora un certo effetto.

Beh, un certo effetto mi fece anche l’aver parlato.

Forse era meglio se fossi rimasta come stavo prima, impalata e rigida come un baccalà.

Chi soffre di mal di mare non dovrebbe mai assecondare movimenti bruschi ed improvvisi.

Ne pagai caramente lo scotto, con un attacco di nausea che mi piegò in due, alla faccia dell’orgoglio della mia razza, che buttai tranquillamente alle ortiche.

Ebbi solo una fugace visione dell’arrivo sulla nave, sul ponte lindo, di legno chiaro.

Ricordo vagamente delle figure che non conoscevo aiutarci a salire.

Poi qualcuno che ridacchiava e mi prendeva in braccio. E poi quello stesso qualcuno che strillava.

Sono poi venuta a sapere di aver morso Zipherias su una spalla, dopo una sua incauta battuta, e di non aver mollato la presa per un bel po’.

Poi mi sono accasciata su di lui lanciando maledizioni prese dal mio peggior repertorio.

Fu una fortuna che Naive non ci fosse, altrimenti la mia figura di elfa imbattibile avrebbe subito una forte flessione.

Credo che ci sia una certa persona che quell’uscita non me l’abbia ancora perdonata.

Altro che orgoglio di razza, accidenti. Temo che ci abbiano presi per pazzi. Ma tant’è, pazienza.

 

Dopo un po’, il movimento ridotto della nave mi fece stare meglio.

In effetti, non soffrii più di quel tremendo mal di mare per un po’. Stavo quasi sempre bene, a parte quando il mare era davvero grosso.

Eccellente, davvero, quella nave era un paradiso. Era perfetta da fuori, era perfetta anche da dentro. Altro che carretta degli umani!

La nave era bellissima.

Anche dall’interno assomigliava ad un vascello antico. Come al solito, predominavano i colori tenui. Bianco e dorato, specialmente, tanto da far male agli occhi.

Quando mi ero sentita male ero stata portata subito in un piccolo cubicolo che poi scoprii essere la mia stanza.

Piccolo, dai muri chiari e dal lettino candido.

Un posto piuttosto claustrofobico, ma io non soffro nei luoghi troppo stretti. L’importante era che non vedessi il mare, e che tutto fosse pulito e profumato.

Per il resto, avevo passato di peggio.

Mi ci volle un po’ per ottenere il perdono del mio amico gigante, a forza di moine, e sorrisini, e scuse.

Non ero in me quando l’avevo morso, decisamente. Che diavolo mi era passato per la testa? Che idiota che ero.

Mi sentivo dannatamente in colpa.

Come risultato, divenni talmente appiccicosa che, alla fine, Zipherias fu costretto a perdonarmi per sfinimento.

Dopo aver fatto la pace con il mio gigante preferito, passavo la maggior parte del tempo libero nella loro stanza, decisamente più grande e più luminosa, anche grazie ad una piccola finestrella rotonda, che dava sul mare.

Era una strana finestra, troppo piccola e non si apriva. In compenso, però, dava quella luce che la mia piccola tana non aveva.

E poi era troppo in alto per me perché potessi avvistare anche solo fugacemente il mare.

Ah, la sfortuna di essere in svantaggio numerico!

Non mi ero mai fatta particolari problemi, fin da quando ero apprendista Spia al quartier generale mi avevano insegnato a lavorare con tutti, ma mi  sarebbe piaciuto avere con me mia figlia, o mia nipote, o anche Miobashin. Se non altro, avrei avuto una stanza più grande.

Comunque, il viaggio fu sicuramente più piacevole e sereno di quello della prima tappa.

Certo, a volte era difficile passare sopra le stranezze di quel popolo ridicolo.

Per esempio, per i primi giorni non incontrammo anima viva, a parte un silenzioso umano, addetto ai pasti.

Passavamo la giornata allegramente buttati nella camera di Zipherias e Capouille,  a bearci nella nostra stessa noia.

Il giorno trascorreva sempre identico, ed era un sollievo andare a dormire.

Niente di niente. Niente notizie, niente Naive, cosa positiva, niente di niente.

Dopo un po’, tuttavia, tutto cambiò.

Il quarto giorno fummo portati, dallo stesso giovane silenzioso dei pasti, in una specie di ambiente luminoso di media grandezza, da tutte le tonalità di bianco e altri colori tenui, arredato con vari armadietti di ferro e da alcune brande.

Anche le divise delle persone che erano lì erano tutte bianche. Abbagliante e assurdo.

Da quell’incontro, furono giorni di quasi tortura. Passavamo lì quasi tutte le ore in cui c’era luce, e accoglievamo come una benedizione il momento del congedo.

Certo, riuscimmo a stringere un contatto minimo con quelle persone strane, ma non si poteva dire che fosse del tutto piacevole, nonostante tutti fossero tanto cordiali e gentili.

C’era anche un elfo come noi, dall’aria più anziana di Naive, che riusciva a parlare, a stento, la nostra cara lingua.

Era sconcertante, vedere come un fiero ed orgoglioso rappresentante del nostro popolo avesse rinnegato e disprezzato la propria cultura e la propria natura, diventando un ibrido molliccio come gli altri, e non un elfo come si deve.

Prima di tutto, nessuno ci diceva assolutamente niente. Oh, certo, si parlava, e tanto, ma, appena accennavamo a qualche discorso su Atlantis, cominciavano a fare i misteriosi. Dicevano che avremmo ricevuto le adeguate istruzioni una volta lì.

Snervante, davvero.

Seconda cosa, ben più importante… venimmo a sapere che quegli esseri vestiti di bianco erano Guaritori, medici, come li si voleva chiamare.

E poi fummo a conoscenza anche del motivo per il quale eravamo lì. Fu l’unica cosa che ci spiegarono.

Semplicemente, dovevano proteggersi da noi, in un certo senso.

Ci diedero una confusa spiegazione, così confusa che furono costretti a scusarsi, dopo che avevo cominciato ad agitarmi perché avevo frainteso.

Il messaggio che avevo recepito riferiva di una certa nostra presunta sporcizia. Quasi uccisi l’umano che si era spiegato in un modo così stupido.

Dopo quell’episodio quei tizi diventarono improvvisamente molto cauti e prudenti, nonché grandi oratori.

In pratica, noi e loro eravamo, per qualche motivo, diversi. Loro erano vissuti per secoli su un isola, e, di conseguenza, avevano interrotto ogni contatto con il continente, diplomatici a parte.

Erano rimasti fuori dal mondo.

Così, per qualche motivo, quello che per noi era innocuo, per loro poteva diventare un’epidemia devastante, o una malattia grave.

Non ne capii il motivo, ma cercai di fidarmi.

Già ad Ogis eravamo stati trattati ed isolati in modo discreto, ma non bastava. Perciò eravamo stati isolati, perciò eravamo da loro.

Dopo qualche girono, ci assicurarono, avremmo potuto fare tutto, saremmo stati trattati come dei veri diplomatici.

E poi erano eccessivamente curiosi. Insomma, da tanto non si vedevano elfi del continente, in quel luogo.

Chiesero di poterci studiare, senza farci ovviamente del male.

Avemmo la malaugurata idea di assentire.

Da quel momento, Lsyn, Zipherias e Capouille, diventarono tre puntaspilli dalle orecchie puntute.

Ci prendevano del sangue con quelle cose che avevo visto anche in mano all’amico di Regis, tanti anni prima.

Poi, con oggetti simili, ci pungevano. Questo, molto, spesso ci faceva stare male, come era successo anche alla stazione di cambio.

Io mi beccai un orrendo bozzo pruriginoso sul braccio, lì dove mi avevano punto. Robaccia che non sparì per più di due giorni, disturbando il mio sonno, già precario, con il terribile prurito che provocava.

Capouille, poveretto, una febbre alta che causò la mia solita crisi di nervi, e una profusione di scuse da parte di quei loschi macellai.

Dicevano che era necessario. Fu solo l’intervento di Zipherias che mi impedì di specificare cos’era necessario, secondo me, che facessero loro.

Lo dissi ugualmente nella nostra lingua, e lo scandalizzai.

Poi ci facevano tenere degli oggetti che suonavano.

Cosa imbarazzante, e molto, misuravano la nostra altezza. Ci pesavano. Ci scrutavano. Ci misuravano.

Tutto quello condito da mille scuse ed avvertimenti.

Arrivammo a sentirci mucche in vendita.

Finalmente, dopo averci maltrattato in ogni modo possibile con un sorriso educato, i Guaritori ci lasciarono andare, con la stessa espressione di sempre.

Il mio odio per quel genere di professione aumentò a dismisura.

L’unico lato positivo fu che, dopo nemmeno un giorno, fummo catapultati immediatamente nella vita sociale della nave.

Il tipo dei pasti scomparve, sostituito da un ciarliero e fastidioso giovane mozzo, che aveva il compito di scarrozzarci  di qua e di là.

Mangiavamo in mensa, sotto gli occhi di tutti, al tavolo degli alti ufficiali.

Appunto, a differenza degli uomini di Fiya, lì erano tutti insieme. Divisi da tavoli, più si saliva di grado e più si era staccati dagli altri, ma comunque era una cosa diversa.

Il primo giorno fu un colpo, per me, sedermi proprio di fianco a Naive Kewslar, e fu ancora più traumatico il vedermi rivolgere, come saluto, le parole: ricordatevi, Ch’argon, che non ho dimenticato il vostro imbarco.

Al che mi venne spontaneo il chiederle, in tono petulante, se ci fosse, per caso, qualcosa da perdonare.

Fu una soddisfazione vederla tirare un gran respiro per calmarsi.

Quella sera finimmo per guardarci in cagnesco, mentre facevamo sfoggio della nostra più squisita cortesia.

Sfruttai le maniere apprese dalle Spie per figurare bene a corte, forse un po’ anacronistiche, ma di certo sempre efficaci.

Feci un figurone e sorpresi i miei due amici a vita, abituati alla Lsyn, ben più pragmatica, che inseguiva certi giovani elfi, per tutta la casa di Sharilar, brandendo un mestolo ben in alto sulla sua testa.

Da quel giorno, per qualche misterioso motivo, Naive mi prese in simpatia.

Cosa ben più grave, io cominciai a trovarla simpatica!

Il capitano, ad ogni cena, volle avermi vicina. Finivamo per cominciare infinite schermaglie a suon di battute educate e gentili, ma prendemmo a stimarci a vicenda.

Era una bravissima elfa, dopotutto. Abituata a farsi rispettare e ben decisa a comandare, detestava che nei suoi ranghi vi fosse il servilismo.

Aveva la stoffa del capo, e si intendeva alla perfezione di navigazione.

Il suo rango era stato raggiunto grazie a sacrifici, e non, come avevo inizialmente pensato, grazie alla sua posizione sociale.

L’equipaggio la seguiva fedelmente, gli ufficiali la trattavano come loro pari, benché fossero in maggioranza umani.

Aveva inizialmente detestato il mio modo insolente di fare, ma poi aveva avuto il sopravvento la sua abitudine di trattare con tutti come suoi pari.

Ci trovavamo di rado d’accordo, ma instaurammo una specie di amicizia.

Mi ricordò, alla lontana, il rapporto conflittuale che avevo avuto con la mia cara Akita, i primi tempi.

Comunque, il nostro viaggio fu molto più piacevole rispetto alla prima tappa.

Si respirava, in generale, un’aria più libera e meno sospettosa. Come se tutti fossero consapevoli di appartenere ad un unico, grande, popolo, al di là di ogni differenza di razza.

L’equipaggio era piuttosto eterogeneo.

Si contendevano la maggioranza umani ed elfi, quasi allo stesso numero.

Riuscii ad intravedere un paio di Tengu e qualche Inu. Unici assenti, gli Insathi.

Ma gli Insathi non hanno mai amato il mare, pensai. Quella spiegazione mi era sufficiente.

Per il resto, la razza non importava. Erano tutti uguali, nelle loro splendide uniformi d’oro e neve, dal taglio insolito, piuttosto strette per la mia concezione di uniforme.

Noi eravamo guardati con una certa circospezione, ma mai con aperta ostilità.

Eravamo diversi e come tali eravamo trattati, ma mai ci fu un episodio fuori dalle righe.

In generale, ci sentivamo piuttosto a nostro agio, benché il nostro accento suscitasse a volte ilarità.

Spesso mi sentivo goffa ed inadatta per tutte quelle cose, ed ero spaventata, però riuscivo a calmarmi, di solito.

Fu un colpo scoprire che la nave non era a vela, ma era alimentata da magia ed energia solare. A quello servivano quelle strane vele bianche ed iridescenti.

Mi capitò di vederle all’azione, un bellissimo giorno di sole in cui fummo invitati sul ponte principale.

Vederle gonfiarsi al vento, e rilucere, mi fece venire in mente un gioiello.

Un grosso gioiello di legno, metallo e misteri che navigava veloce sul mare.

Mi spiegarono che Atlantis era tutta così.

Riprendeva schemi antichi, pur lasciando intravedere benissimo gli elementi nuovi.

E tutto era armonico, tutto a magia e fonti naturali, come gli elfi avevano insegnato.

Mi sentii fiera della nostra cultura.

Naive mi disse che non dovevo crogiolarmi nelle false sicurezze. Avremmo avuto un bel colpo quando saremmo approdati.

Non mi volle dare spiegazioni, asserendo che dovevo vedere io, con i miei occhi.

Tutto sarebbe stato nuovo, per noi.

Sapevo che sarebbe stato difficilissimo accettare Atlantis. Già Qerin mi aveva riempito di inquietudine, figuriamoci una città completamente diversa, come disse il capitano, da qualsiasi cosa avessimo mai visto in vita nostra!

Io conosco perfettamente i miei limiti, e sapevo che, quella volta, sarebbero stati ampiamente superati.

Cercai di prepararmi all’idea.

Mi afferrò uno strano senso di ansia, mista a curiosità.

Cosa aveva di così incredibile la nostra meta?

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 86
*** Punto critico. ***


Ciao Willie, amico mio

Ciao Willie, amico mio.

Innanzitutto, scusa, scusa, scusa.

So di avere sbagliato, perdonami. Questo dimenticarmi di scriverti sta diventando un vizio.

Per una volta, davvero, ho bisogno delle tue scuse.

Insomma. So che tu mi scuserai, ma… ah, non fa niente. Mi rimangio tutto.

Sto davvero impazzendo, e questa è la prova. Ma insomma!

Mi scuso con un pezzo di carta, è questo il modo?

La zia si preoccuperebbe fin troppo se lo sapesse. A parte che sarebbe già preoccupata di suo.

Eh si, Willie, perché sto di nuovo male. Perciò non ti ho scritto per tutto questo tempo. Quindi, credo perdonerai la mia negligenza.

Il ciondolo ha impedito l’ennesima crisi, ma non basta a proteggermi del tutto. Anzi, è un limite.

Non posso sfogare in nessun modo il potere, altrimenti potrei uccidere qualcuno senza accorgermene.

Allo stesso tempo, riesco a percepire il potere, ma non a usarlo. La città è intrisa di magia, e questo mi crea tutti i problemi. Tutto questo è frustrante, mi sento in una trappola.

Sono protetta da una crisi, ma, allo stesso tempo, sono prigioniera di me stessa.

A volte vorrei essere debole, nella magia. Come la zia, come Roxen. Loro non hanno tutti questi problemi, io si.

Maledetta sia mia madre, accidenti. Potevo prendere da papà, che è ancora più scarso della zia. Oppure prendevo dalla zia. Avrei avuto magia a sufficienza per fare qualche piccolo trucchetto, e poi niente.

Invece no.

Sono troppo forte, e la magia si sta vendicando a modo suo.

Non posso fare nessuna magia, perché il ciondolo me lo impedisce, però percepisco me stessa e il mondo che mi circonda, ormai.

Non posso stare male tutto in una volta, il che sarebbe meglio a questo punto, ma sto male nel tempo. Ed è peggio, fidati di me.

Tutto questo perché mi sono abituata allo scudo, e quindi ho imparato ad eluderlo almeno in parte.

Ecco, tutto questo me l’hanno detto quei tipi, i medici o come si chiamano.

Ci sono andata la mattina dopo che ti ho scritto, molto presto, con Ellyn.

Mi ha accompagnata in un posto che doveva essere l’infermeria o una cosa del genere, insomma, lì dove vanno i malati del castello, se proprio non sono gravi.

Roxen non ci ha accompagnate. Non lo sapeva. Siamo andate lì a quell’ora, prima della sveglia della principessa, proprio per fare in modo che lei non sapesse nulla. Roxen dorme da qualche altra parte, e raggiunge Ellyn solo dopo che si è svegliata. Spesso è lei a darle la sveglia.

Sono stata io a non volerla avvisare. Non ho la minima voglia di vederla preoccupata o cose del genere, visto che non mi parla, e non volevo mi accompagnasse anche lei.

Mia cugina è asfissiante, ha una paura mortale delle mie crisi.

Che poi ho raccontato alla principessa tutta la verità su quello che le ho detto.

Quell’altra se n’è uscita fuori che già lo sapeva. Ha costretto Roxen a confessarglielo.

E il suo unico commento è che forse sono stata troppo dura con lei, in fondo mia cugina è proprio un’elfa come si deve. Molto dolce.

Molto dolce? Questo mi puzza un po’. Assolutamente, devo scoprire in che modo Roxen ha plagiato Ellyn. Potrebbe metterla in pericolo.

Comunque, siamo andate in infermeria e ci ha accolte un tipo piuttosto giovane, che era molto stupito di vederci lì.

Comunque la mia amica gli ha ordinato, per favore, di andare a chiamare un tipo, perché era urgente.

Ehi, i medici di qui le obbediscono. Se solo facessi così con un Guaritore di casa mia mi manderebbe a quel paese. Anche se mi presentassi strisciando in ginocchio.

Comunque poi è venuto un umano che doveva essere molto più anziano del primo.

Era un po’ assonnato, ed era in vestaglia. Non capiva perché l’avessero svegliato così presto.

Ellyn si è scusata e scusata mille volte, poi ha detto che la questione era abbastanza grave, perciò prima facevano e meglio era.

E poi ha indicato me. Sapessi come mi ha guardato strano il medico…

Comunque mi sono fatta piccina piccina. Ero stata tranquilla a fianco di Ellyn fino a quel momento, e avrei dovuto parlare.

Credo di essermi fatta rossa dalla vergogna quando ho detto che secondo me il ciondolo non funzionava più, perché cominciavo a stare di nuovo male.

Il tipo anziano ha detto che era impossibile, ma si vedeva che era preoccupato.

Comunque, mi ha fatto sedere e ha cominciato a domandarmi tutto. Tutto tutto. Perché, quando avevo ricominciato a star male, dove… cose di questo genere.

Poi si è rivolto ad Ellyn e le ha detto che non poteva dire nulla di nulla, lì. Doveva portarmi proprio a quello che sarebbe il nostro Lazzaretto, e le ha chiesto il permesso. Solo per quella giornata, poi la sera sarei tornata.

Lei ha detto che potevo andare, ma aveva una faccia… ho capito subito.

No, non era una questione da poco, o quel vecchietto non riusciva a capire. Due cose poco confortanti.

Siamo andati subito via con una di quelle strane carrozze senza cavalli, il tempo di far mettere al vecchietto abiti decenti. La principessa non ci ha seguiti: lei doveva rimanere al castello, per forza.

Mi sono sentita così sola, così persa!

Roxen non c’era, nemmeno Ellyn. E io stavo male. Volevo casa mia, la zia, papà… e pensare che ero così contenta di quel viaggio!

Ho cominciato a piangere come una sciocca davanti a quel medico anziano. Lui è stato molto gentile con me.

Mi ha consolata, e mi ha tenuto compagnia per tutto il tempo.

Sono stata tutto il giorno in una stanzetta che avevano schermato. Senza ciondolo: dovevano vedere se ci fosse qualche problema.

Comunque era la stessa cosa.

Sentivo sempre gli aghi, mi sentivo debole come un gattino e poi  ogni tanto mi usciva sangue dal naso.

Comunque, anche a me hanno fatto un sacco di cose.

Mi avvicinavano delle lampade e mi chiedevano di accenderle. Cosa che ho fatto senza problemi, ma non doveva essere molto positiva come cosa, perché il vecchietto è diventato molto pallido.

Poi mi cercavano di farmi fare piccoli incantesimi, senza successo. Cercare di fare una magia era come afferrare una saponetta umida. E poi sono quasi svenuta tentando di incendiare un pezzo di carta. Cose del genere, insomma.

Ho visto i tipi diventare sempre più pallidi e tesi, e non mi sembrava una cosa buona.

Mi hanno lasciata andare che era ora di cena, promettendo di farmi sapere dove fosse il problema il giorno dopo.

Ho passato la serata con Ellyn, ma non eravamo allegre. Abbiamo parlato pochissimo, e io non avevo voglia di mangiare.

Roxen non si è vista. La mia amica dice che è morta di paura quando le ha detto di me, ma io non ci credo.

Sono sicura che non si è fatta vedere perché non vuole far finta di essere preoccupata. Io lo so che mi odia, ormai.

Comunque poi la mattina dopo è venuto il vecchietto da me, perché io ero stanca, e mi ha spiegato tutto.

Mi ha consigliato di stare a riposo.

Oh, Willie, ho tantissima paura. Sono passati appena un paio di giorni, ma a me sembrano secoli.

Mi hanno dato un ciondolo nuovo, ma non è servito a niente. Ho una voglia matta di toglierlo e fare un gran casino.

Solo che potrei uccidere qualcuno. Una volta ad Uruk è quasi successo. Sono stata malissimo quando ho saputo di aver quasi ammazzato una povera sacerdotessa che stava aiutando zia e papà a calmarmi.

E poi non voglio stare male come l’altra volta. Non mi va per niente, anche perché so che sarei punto e a capo.

Mi sento angosciata. Ci voleva solo questo, ci voleva. Non bastavano  i problemi di Ellyn, tutto il mistero che sta facendo, Roxen che è diventata incomprensibile, Lilliagrin che rompe le scatole… dovevo pure star male.

E non è il momento di stare male, maledizione a me!

Ho un sacco di cose da fare.

Devo boicottare questo maledetto matrimonio, devo trovare Lurak e parlare con lui, devo scoprire che hanno in mente Roxen ed Ellyn, devo impedire che Ellyn si cacci nei guai per colpa di mia cugina, devo… devo fare mille cose.

Ma non posso.

È da ieri che ho la febbre alta, e non ho la forza nemmeno per scendere dal letto.

I medici sono preoccupati, e il vecchietto ha detto a me ed Ellyn che forse è meglio farmi tornare a casa, dove sarei al sicuro.

Tornare a casa? Quando la mia amica sta per essere imprigionata in un matrimonio di convenienza?

Io non voglio accidenti, devo aiutare la mia amica.

Lei dice di non preoccuparmi e cose del genere…ma come faccio a non preoccuparmi?

Domani sera ci sarà una cena tra alti dignitari, nobili e la famiglia reale. Sarei invitata anche io, ma chi ce la fa?

Ho cercato in tutti i modi di convincere Ellyn a portarmi. Ci saranno anche Lurak e suo padre…

Mi sarei messa d’accordo con loro due, avremmo trovato un metodo per non fare questo matrimonio e farli tornare, allo stesso tempo, sani e salvi a casa.

A quella cena avrei potuto esprimere il mio parere contrario, qualcosa, insomma, che avrebbe potuto ritardare questa sciocchezza.

Quando ho cercato di alzarmi dal letto per fare vedere ad Ellyn che era tutto a posto sono svenuta, tutto qui.

Ecco, ora mi metto a piangere.

Sono una stupida elfa inutile, ecco. Ellyn mi dice che è tutto a posto, ma come faccio a essere tranquilla?

Tra tre giorni ci sarà quella famosa festa, e allora la nuova coppia verrà finalmente presentata.

Il mio umore è al momento sotto le scarpe. La data si avvicina e io sono inchiodata a letto.

Beh, insomma, non che l’umore generale sia molto più allegro.

Ieri sera è venuto a trovarmi Guaren, con Ellyn e Roxen. Era un po’ che non lo vedevo, e la sua visita mi ha fatto molto piacere.

Però quando è arrivato mi sono spaventata.

Cioè, non è che io abbia una cera ottima, ma a guardare lui…

Aveva certe occhiaie da fare impressione, una faccia bianco cadavere e dall’espressione sepolcrale.

Si è scusato quando gli ho fatto notare la sua aria, ed ha detto che in quel periodo stava studiando molto, ma il suo atteggiamento mi ha dato molto a pensare.

E quando dico molto, dico molto.

E ora pure lui ha i suoi misteri? Io non ce la faccio più.

Si è comportato in un modo stranissimo.

Ad un primo sguardo si sarebbe detto normale, sempre timido e simpatico con me.

Però…non lo so. Mi è parso tormentato.

Era nervoso, teso, sembrava un agnello che ha capito di dover essere macellato.

Con la sorella normalmente è sempre premuroso, ma a me è sembrato che i suoi gesti fossero strani.

O sono io che ho le allucinazioni o davvero Guaren evitava accuratamente di guardarci negli occhi. Sembrava lì per scoppiare in lacrime e confessare un odioso peccato. Mah, sarà il dolore di vedere la sorella maritata così giovane.

Che poi anche Ellyn mi ha detto di essere preoccupata per lui. Lo vede sempre più amareggiato ed arrabbiato, spesso non si fa trovare e si rende irreperibile, passa tutta la notte in biblioteca oppure ad allenarsi.

Poi evita di stare con lei per troppo tempo, e non la guarda da giorni.

Ah, si, ed evita i pasti in famiglia.

Boh. Secondo me non riesce a sopportare quella maledetta della madre e quell’altro scemo del padre (nota. Ellyn mi ha detto, arrabbiata, che mai come ora stanno andando d’accordo. La prospettiva di quel matrimonio mette pace, a quanto pare), ed io sarei anche d’accordo.

Con quei genitori lì…

Comunque, non è che Ellyn stia meglio, ma ci credo. Da quando ho la febbre ha ottenuto il permesso di stare con me, perché il medico dice che non posso essere lasciata sola, che sono troppo debole.

Ogni tanto c’è anche Roxen, ma non parliamo di lei. Continua a non rivolgermi la parola, ma, Willie, ci credi se ti dico che è di una premura incredibile? Mah, non la capirò mai.

Io cerco di attaccare bottone, ma lei niente.

Mi sistema i cuscini, mi porta dell’acqua fredda, sta sveglia di notte, ma mai una volta che mi ha chiamato Nilyan. Mi da’ del voi, ormai.

No Willie, non voglio parlare di lei. Se ci penso mi sento in colpa e mi viene da piangere tanto.

Comunque, Ellyn ha anche dormito da me. Tutta la sera ho cercato di farmi dire da lei il piano escogitato da lei e Roxen, ma è una tomba.

Mi guarda e mi dice che per me non è il momento di parlarne. Voglio riempirmi di pensieri inutili, ora che sto tanto male?

Non ottengo nulla se comincio a strepitare ed insistere, Ellyn ha addirittura minacciato di chiamare il medico se avessi continuato ad agitarmi in quel modo.

Però intanto si confida con me, dice che senza Faldio sarebbe come morire, che lo ama tanto e che sperava di trovare una soluzione al muro che li separa, ma che ora con quel matrimonio tutto sarebbe andato in fumo.

Però mi sembra tranquilla, dopotutto. Se fossi io al posto suo mi sarei fatta venire un colpo, pur di non sposarmi. Avrei fatto di tutto.

Invece lei sembra calma in modo sospetto.

A volte apre la bocca e sembra che stia per sputare il rospo, ma poi niente. Cambia argomento.

Io non riesco a capire. Deve essere qualcosa di grosso per spingerla ad un comportamento del genere.

Il guaio è che non so fino a dove Ellyn riesce a spingersi. Non la conosco così bene da sapere certe cose.

Fatto sta che sto cominciando a sospettare che anche Faldio sia direttamente coinvolto.

Ieri notte è stato visto di nuovo quella strana figura che scalava i muri del castello.

L’hanno quasi beccato, e l’hanno anche ferito, a quanto pare dalle macchie di sangue che hanno trovato.

Tutto questo me l’ha detto Ellyn, e mi sembrava tranquilla. Io però non ci sono cascata.

Non voleva dirmi nulla? Benissimo. Allora avrei tentato di ricavare le mie informazioni da qualcun altro.

Stamattina, dopo colazione (o meglio, dopo aver visto Ellyn e Roxen mangiare, e dopo aver litigato con la principessa perché ormai non riesco a mandar giù quasi nulla e il vecchietto dice che devo mangiare), ho chiesto espressamente di voler vedere il mio amico.

So che non è una mossa saggia, qualcuno potrà subodorare qualcosa, ma non mi importa più.

Devo scoprire e basta. E poi lui è mio amico. Mi manca, voglio parlargli.

Ellyn ha fatto mille storie per questo, ma sono stata irremovibile al riguardo.

Comunque è venuto di pomeriggio, poco fa.

Ellyn ha fatto in modo di trovarsi altrove, visto che disapprova la scelta di farlo venire così pubblicamente, ma visto che non c’è alternativa perché non posso sgattaiolare via, e lui mi ha fatto compagnia per un po’.

È stato sorpreso dalla mia chiamata, ma era ancora più sorpreso quando ha visto in che condizioni ero. Non si aspettava che arrivassi fino a questo punto.

Intanto che scambiavamo le prime frasi di circostanza, l’ho scrutato ben bene. Volevo vedere se vi fosse segno di qualche ferita.

Non mi pare di aver visto alcunché di sospetto, ma è anche verso che esistono le maniche lunghe degli abiti invernali. O la ferita poteva stare da qualche altra parte. A zoppicare non zoppicava.

Comunque ho sondato un po’ il terreno. Non gli ho parlato direttamente del matrimonio, ma lui mi ha capita.

Ha detto di non volerne parlare. Mi ha guardata con una tale espressione di sofferenza che ho preferito lasciare stare, e l’ho consolato un po’, dicendo che sicuramente si sarebbe arrivati ad una soluzione, che era impossibile.

Faldio ha sorriso tristemente, ed ha scosso la testa. Poi mi ha detto che era meglio che mi riprendessi il più in fretta possibile, e mi ha chiesto come mai l’avessi chiamato.

Io gli ho risposto che mi annoiavo. Il che è vero.

Sono troppo stanca per lamentarmi, ma muoio di noia. Non faccio altro che dormire, scrivere, leggere. Ah si, e tentare di estorcere la verità ad Ellyn.

Comunque ho tentato qualche altra domanda, ma Faldio è stato irraggiungibile. Nulla.

Non sono riuscita a ricavare niente.

A questo punto, come posso fare?

Domani c’è la cena, e il momento di annunciare la coppia reale si avvicina.

E io sto qua. Forse magari il medico ha qualcosa che mi permetterà di partecipare almeno alla cena. Devo chiederglielo.

A proposito di medico, credo che ormai sia l’ora della visita serale.

Di solito vengono a controllarmi verso quest’ora, e non vorrei mi trovassero con te fra le mani. Mi seccherebbe alquanto.

Per ora sono sola, ma immagina Roxen che scopre il mio diario, ed Ellyn che legge queste pagine.

No no, meglio metterti via.

Prometto solennemente che scriverò presto un’altra lettera, amico mio.

Per ora, passo e chiudo. Spero che tra oggi e domani si muova qualcosa.

 

 

A presto, amico mio.

                                                                                                            Nilyan.

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Capitolo 87
*** So che lui sa. ***


Ahi ohi

Ahi ohi. Sto svenendo un po’ troppo spesso, ultimamente.

Che sonno, che fame, che mal di testa. Che tutto, insomma.

Uh,  ed è tutto così confuso. Non riesco a ricordare esattamente quello che è successo. Avevo fame, mi sono alzato e mi sono perso in questa dannatissima casa dalle porte tutte uguali. Ma poi?

Che ho fatto? Non riesco proprio a ricordare, accidenti. Ho un vuoto pazzesco, peggio di quello che c’è nel mio stomaco, il che è tutto dire.

Non riesco a ricordare un tubo. Che la mia testa sia stata danneggiata dalla botta che quel mostro mi ha fatto prendere? La mia povera, bellissima testa?

Se è così, lo ammazzo. È un crimine contro il patrimonio degli elfi!

Dove sono, ora? Ho perso il conto delle volte in cui me lo sono chiesto.

Dannazione, e vorrei ricordarmi di cosa diavolo ho fatto.

Devo essere steso, comunque. Che bella morbidezza, come mi sento bene. Starei così per sempre.

Se solo non fosse per questa cosa che mi sta muovendo la spalla… no, non mi sveglio, zia. Sto benissimo così, grazie.

Inutile che poi mi picchierai, io corro veloce e Nilyan mi aiuterà a scappare.

“ehilà? Coraggio, sveglia!”.

Un momento. Questa voce non è quella della zia. È una voce di maschio.

Di un elfo. Di…

Oh dannazione.

“e dannazione, idiota, apri questi occhi!”. Questa voce è di Rasnak, del Maestro Rasnak!

Oh, mi sono fatto beccare come un idiota a gironzolare per la sua casa…proprio da lui.

E questa voce non mi sembra per niente addolcita, anzi.

Non è che mi ha chiamato idiota con tono preoccupato. Ahi ohi, mi aspetta una bella lavata di capo, come se non bastasse zia Lalla…

Miseria boia.

Oh. Non mi sono reso conto di aver aperto gli occhi. Devo essere seduto. Come diavolo ci sono arrivato, così, ad un millimetro dal grande Maestro?

Accipicchia, che paura. È brutto, visto da vicino. Quell’occhio…brr. Ecco, così va meglio, sono più lontano.

Fa un po’ impressione, non ho mai visto elfi così anziani. Non che ci sia molta differenza di aspetto, da, che so, una zia Lalla o dal nonno, ma…ecco, sono a disagio.

Mi chiedo come faccia ancora ad essere vivo, questo vecchio bacucco.

Ohi, ferma, elfo, tira le redini. Stai parlando del Grande Maestro Rasnak, mica noccioline.

Sarà, ma mi fa impressione. Ed ha i capelli ingrigiti, come il nonno. Non è naturale, mica quel bel colore di Nilyan.

No, è malato, un colore da vecchio.

Bleah.

Ma perché mi guarda così? Mi sento una bestiolina al macello. Oh, ma che vuole davvero?

Mi sento un topolino tra le zampe di un grosso gatto, mi guarda come se avessi fatto qualcosa di sbagliato.

Che c’è? Mi fissa come se mi volesse buttare fuori di casa a calci, e, nello stesso tempo, non potesse. Sto cominciando ad irritarmi, è davvero insopportabile.

Ma che vuole? È lui che non ha messo niente da mangiare nella nostra stanza.

Non è colpa mia se mi sono perso, mica ci abito in questa casa.

“non mi guardate così!”. Oh accidenti. L’ho detto davvero.

Ho chiesto di non guardarmi così al Maestro Rasnak.

Machin, quante volte ti è stato detto di tenere accuratamente la bocca chiusa e non dire tutto quello che ti passa per la testa al primo che trovi di fronte?

Mille volte. E mille e duecento l’ho fatto comunque.

La zia mi ucciderebbe. Ma forse sono già morto. Da come mi guarda questo tizio…

Oh, ti prego, io non ho fatto nulla. Solo una domanda più che lecita, visto che siamo esseri viventi anche noi. E che io continuo ad avere fame. E che tu mi guardi malissimo.

Nemmeno se gli avessi chiesto scusate, Grande ed Eccelso Maestro di tutti i Maestri…ma quante volte andate in bagno?

E insomma, mica poco!

Brr, zio Isnark mi può anche raccontare tante belle storie sul maestro Rasnak, ci possono anche essere voci sul suo disaccordo con Lainay, ma…

Fa paura quando guarda così. Davvero.

“e perché non dovrei guardarti in questo modo? Sei tu che ti aggiri in casa mia di notte, non io”.

Brr. Non mi piace questo tono di voce. Sembra la zia quando sa che ho fatto una marachella, ed io non so che lei sa. Quando mi deve intrappolare prima di una punizione memorabile.

Un dolce tono carezzevole, ma cosa mai hai fatto di sbagliato, piccolo dolce Machin.

Oh, ma che vuole questo? Mi guarda come se già sapesse chi sono, che voglio. Come se tutto quello non gli piacesse, ed io fossi un pericoloso nemico sconosciuto. Manco le Spie, accidenti, sono guardate così.

Che irritazione.

“ehi, non è colpa mia se non c’era niente da mangiare!”.

Di nuovo? Machin! Perché, per una buona volta, non ti stai zitto?

Il tipo ti guarda storto.

Non so perché, ma desidero aver perso, almeno momentaneamente, ogni capacità di parlare.

Sicuro, Machin, ora ti prende e ti butta fuori da casa a calci.

Fortuna che la nostra copertura di Guaritore, per quanto precaria, tiene… altrimenti non avrei proprio saputo che fare. Così, almeno, non può cacciarci di casa.

Non so perché, ma dubito fortemente nell’obbedienza di Rasnak alle tradizioni. Soprattutto quando un perfetto sconosciuto viene a rimproverarlo in casa sua, e lì non esiste Guaritore che tenga.

Poi, lui scuote la testa, e sospira. Mi sembra quasi di aver visto uno strano sorrisetto, ma non ci voglio sperare. Poi fa un movimento. Lo seguo.

Mmm. Ora va sicuramente meglio. Vedi, Machin, non dovevi stare zitto. Hai fatto bene, molto bene.

Che bel piatto pieno di cibo che sta prendendo…sembra una buona zuppa, qualcosa di gustoso. Mmm. Zuppa.

Gnam, gnam, ho l’acquolina in bocca. Ecco, me lo sta porgendo con un cucchiaio. A diavolo il cucchiaio, ho troppa fame.

Da quant’è che non mangio? Da un po’. Ho fame.

Aspetta, Machin, sta’ buono e non avventarti sul cibo. Abbi almeno la decenza di essere educato. Poteva andarci peggio.

Molto peggio.

Bene, ora fa’ finta di essere contrito.

Rasnak non sta dicendo nulla. Mi sta porgendo la ciotola con indifferenza assoluta. Certo, almeno uno sforzo per sembrare educato lo potresti fare. Io l’ho fatto.

“grazie”. Bene, l’ho detto basta solo questo, è la parola magica che ti apre ogni porta.

Poi mangio, e chi se ne frega.

Ahh. Che bello. È freddo, ma è buono. Gnam!

Ah, mi sento meglio, molto meglio. Già la testa gira di meno. Forse, ora che ho finito, potrei stendermi un po’, o magari tornare nella mia stanza e continuare a dormire.

Bene, dove posso posare la ciotola? C’è un comodino, di fianco, ma io non lo raggiungo. Rasnak è seduto più vicino. Non è che potrebbe…?

No, niente. Ma perché mi guarda in questo modo? Non oso nemmeno chiederglielo.

Brr, mi fa paura. Come se mi stesse giudicando accuratamente. E la cosa non gli piacesse. Si è anche avvicinato un po’.

Mi guarda con sguardo gelido. Mi fa paura.

“allora, giovane elfo. Cosa ne dici di fare una bella chiacchierata?”.

 

cosa?!”.

Ma questo sta scherzando o fa sul serio? Ah, mi è anche sfuggita la ciotola di mano dalla sorpresa, ho sporcato tutto.

Ma è un cretino, un cretino forte. Che diavolo gli passa per la testa? Ha la segatura, altro che grande cervello.

“no! Ma state scherzando?”.

Forse faresti meglio ad abbassare la voce, Machin. Sembri arrogante.

Ma come posso non esserlo? Questo qui sta sbarellando davvero, avverte i primi segni di demenza!

Cioè,  ma davvero. Prima mi fa delle domande del tipo cosa avete fatto a quel povero drago per convincerlo a coprirvi così ed io già non capivo, e poi mi guarda in modo gelido e mi chiama Spia?!

Questo qui non ha capito niente del mondo, è peggio della zia Lalla, che vede complotti ovunque.

Va bene, noi non siamo Guaritori, o almeno, io non lo sono, ma da qui a pensare che abbiamo plagiato il drago per i nostri oscuri scopi, che vogliamo fargli chissà cosa….cavolo se ce ne vuole.

Certo, lui non sa chi siamo davvero noi, né sa tutta la storia…ma non sarò io a dirgliela.

Può anche guardarmi con occhi di fuoco, io non ci casco. Mi sto arrabbiando davvero.

“noi? Spie?”.

Brr, nemmeno morto. Le Spie sono quanto di più lurido c’è in questo mondo, la cosa più orribile, schifosa, maligna di tutte, possano crepare tutti quanti, Regina maledetta compresa.

Mi ucciderei, se fossi nato Spia, piuttosto che vivere quella vita da cane rognoso.

E poi, immaginare i miei genitori Spie, zia una Spia, nonno una Spia… ah, mi viene da ridere. Certo, zia Lalla è terribilmente pericolosa quando impugna quella spada, ma può darsi che abbia avuto un ottimo maestro.

Mica le Spie sono per forza ottime combattenti, eh.

E mica gli ottimi combattenti sono Spie. A questo punto, diciamo anche che zio Isnark è una Spia, e facciamola finita!

Oh, no. Questa è troppo bella….troppo divertente. Devo ridere. Devo ridere…devo…

Ah, una bella risata in faccia a questo vecchio paranoico ci sta, ecco.

Che strano, però. Mi guarda in una maniera diversa da prima.

Ora si che è interrogativo. Sembra soppesare qualcosa…qualcosa che io non so.

Non so perché, ma mi sento inquieto. Così, all’improvviso.

Perché mi fa queste domande? E perché mi guarda con quella luce strana negli occhi? Cosa sa che io non so?

Ci ha scoperti?

Forse è meglio cercare di mettere una falla al buco, prima che faccia affondare la zatterina della nostra copertura.

Mi devo costringere a sorridere, anche se non ne ho voglia.

“no, davvero, vi state sbagliando. Siamo solo Guaritori in viaggio. Nep ci ha tirati fuori da un bel guaio, e ora viaggiamo insieme”.

Ma perché Rasnak mi sta guardando con tanto scetticismo? Che ho detto di male, eh?

Sono stato così conciliante ed educato…un tesoro. Forse mi sono comportato male, prima, ma ora sono deciso a dare il bravo elfo.

Sorridi, Machin. Sii convincente.

“davvero…noi non siamo Spie. Non abbiamo nulla a che fare con quel manipolo di canaglie”.

Secondo me, mi sta credendo. Nei suoi occhi c’è qualcosa di diverso, come un peso in meno. Sarà il disgusto nella mia voce ad averlo convinto…finalmente.

 Lui fa un respiro profondo, e poi sogghigna. Non mi piace per niente, quel sogghigno. Mi sembra…ecco, falso.

“Guaritori in viaggio, in questo momento così difficile?”.

Ecco, ora muoio. Ha mangiato la foglia, ne sono sicuro! Voglio morire.

Davvero, voglio morire.

Su, Machin, mantieni la calma. Faccia di bronzo e sorriso sincero, non lasciare innervosirti.

Lo dice sempre la zia, il miglior modo per mentire è essere calmi.

Non mostriamo nervosismo, non voglio che capisca che è tutta una bugia.

“certo. Ci piace aiutare, quando ce n’è bisogno. Altrimenti, non potremmo chiamarci Guaritori”.

Bravo, Machin, calmo come sei ora. Continua così.

Almeno, Chekaril ti ha insegnato bene come si fa. La tiritera me l’ha insegnata molto bene…

Ma perché Rasnak mi guarda ancora con quello sguardo divertito, e quel sorriso? Non mi crede?

Cerca di mostrarti indignato, Machin. Che so, incrocia le braccia…

Lui annuisce lentamente, con l’aria di un predatore che si avvicina alla vittima ignara.

“capisco, capisco…Guaritori speciali. Non è normale che un drago si leghi a persone del genere…e, devo dire, hai molti calli e cicatrici per essere un Guaritore. Sembreresti più un guerriero che altro, ma non porti armi…”.

Oh oh. Ecco, lo sapevo. A questo qui non si può nascondere niente. Sento il mio sorriso congelarsi.

Sbrigati, scemo, inventa qualcosa per giustificare. Subito, in fretta, o il sorriso diventerà ancora più ampio.

Oh, cosa succederà se mi beccano? Se ci beccano? Mica sappiamo questo chi è. E se è dalla parte del Regno?

Posso salutare tutti per sempre, allora. Di me verrà ritrovato solo un orecchio, o poco più…

Machin, sbrigati. Il sospetto affiora di nuovo. Continua a sorridere. Sempre più, sempre più.

Zia, dov’è la zia? Non voglio morire. Non qui, non dopo che mi sono salvato per un pelo da Jaunussir.

“è che…le armi sono il mio passatempo. Mi affascinano…”.

Oh per gli dei, ma cosa mi è passato per la mente? Sono stato un guerriero non è meglio?

Ma ora non c’è più tempo per rimediare.

Idiota, idiota, idiota. Mi picchierei, se solo potessi.

Cerco di sorridere, ma quello che ne viene fuori è un ghigno storto, credo.

Lui scuote la testa, e ridacchia. Proprio così. Ridacchia.

Sono fritto. Io e Chekaril siamo fritti.

Oh, perché non me ne sono rimasto buono buono a casa mia?

Lo giuro, se mai uscirò vivo da qui, non uscirò mai più dai confini di Uruk. Mai più, finchè c’è questo stato di cose. Ma non credo ne usciremo mai vivi, di qui.

Rasnak mi sta guardando. Sembra ancora vagamente divertito, ma è affiorato di nuovo, nel suo sguardo, quella punta di gelo.

“quindi le armi sono il tuo passatempo…”. Dice, con voce dolce. Poi scuote di nuovo la testa, e ridacchia. “scusa peggiore di questa non potevi trovarla, ragazzo”.

Oh, mamma. Stringo le coperte del letto. Ho paura. La sua voce è divertita e franca, ma chi può dirlo? Magari è un pazzo psicotico come Jalim.

La zia mi racconta che era tutto matto. Un momento prima gentile, l’altro pazzo, completamente fuori di zucca.

Magari anche lui è così. Magari è diventato pazzo quando è invecchiato.

In fondo, nessuno lo vede più da un pezzo. Si è isolato del tutto dal mondo.

Ecco che mi guarda di nuovo nel modo severo.

Oh diamine, voglio piangere tutte le mie lacrime. Voglio la zia, perché non può venire qui?

Sono un cretino, un cretino assoluto.

Ecco, ora per me è finita.

Sento goccioline di sudore anche se non ho caldo. È che ho paura.

Una paura immensa.

Chi è Rasnak? Cosa vuole da noi? Perché accidenti ci ha beccati?

Forse è  questa la cosa che sa. Perché lui sa. Oh si che sa.

È o non è stato il miglior guerriero di tutti?

Penso che ne riconosca uno quando lo vede, ed io, in quanto Guardia di Ninì, lo sono.

Sono stato addestrato come tale.

Povero Chekaril. Perché anche lui? Lui si che è un Guaritore. L’ho trascinato io in questi guai, ed è sempre lui ad andarci peggio.

“voglio che ci parliamo con chiarezza, giovane elfo, non sopporto le perdite di tempo”.

Ecco, ora la voce è tornata fredda ed inquisitoria. Come la zia dopo una marachella.

No, io non ho combinato nulla. Sono innocente ed ho paura. Tanta, tanta paura.

“forse il tuo amico può essere un Guaritore, ma tu non lo sei, e non ne hai il carattere. La cosa mi sembra sospetta. Chi sei? Chi siete davvero, voi due? Perché siete qui?”.

Ecco. Sono morto. Lo so. Lui sa. Lui sa, si che sa.

 

 

 

 

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Capitolo 88
*** Cosa dobbiamo aspettarci? ***


La fine dell’ultima tappa del nostro rocambolesco viaggio di andata non fu esattamente la più tranquilla di tutte

La fine dell’ultima tappa del nostro rocambolesco viaggio di andata non fu esattamente la più tranquilla di tutte.

Arrivai a bramare intensamente Atlantis. Pur essendo un salto nel buio, uno scrigno di misteri nemmeno lontanamente immaginabili, era pur sempre terraferma.

Come tale, stava ben ferma e non si muoveva come un cavallo imbizzarrito.

A due giorni dall’arrivo, infatti, si scatenò la fine del mondo.

Già un paio di giorni prima, la situazione aveva preso, lentamente, a cambiare.

Il caldo che avevamo avvertito durante la nostra peregrinazione cominciò a farsi poco sopportabile, almeno per me.

Non avevo mai provato quell’orribile sensazione di essere immersi in una bacinella di vapore.

Umido. Si sentiva da tutte le parti, si poteva quasi toccare.

Da noi era tutto così diverso: anche Fiya, molto più calda del gelido nord dal quale provenivo, era una primavera perpetua rispetto a quello.

Dannazione, ero abituata alla neve, al freddo che di notte si faceva insopportabile, alla frescura anche d’estate, o al massimo all’aria secca e ben più tiepida di Qerin, non a quello.

L’unico che sembrava un po’ più a suo agio era, paradossalmente, Capouille, il perenne freddoloso.

Perfino Zipherias, vissuto per molto tempo ben più a sud di noi, non riusciva a sopportare quel caldo appiccicoso che si insinuava dappertutto.

L’equipaggio aveva preso con indifferenza, se non con divertimento, quel cambio di clima. Molti sembravano sollevati, come se avessero percepito l’aria di casa.

Nessuno, e dico nessuno, era a disagio quanto noi.

Naive, a cena, ci spiegò che, obiettivamente, non faceva tutto quel caldo. Il clima di Atlantis era mite e regolare, senza troppe escursioni termiche.

Se fosse stata estate si sarebbe trovata perfettamente d’accordo con noi, ma si avvicinava la primavera, e si stava semplicemente bene.

Eravamo noi, abituati al gelo tremendo delle montagne, agli inverni lunghi e secchi, e alle estati brevi, a percepire come insopportabile quel clima ben più umido.

Anche i precedenti diplomatici umani avevano avuto qualche difficoltà: la loro patria, pur essendo vicina al mare, era ben più a nord, ed il clima era più secco.

Accolsi con fastidio quelle notizie, e, dentro di me, sperai ardentemente che l’affare si risolvesse prima dell’arrivo dell’estate, da loro ben più lunga e calda. Non volevo morire per autocombustione volontaria.

Zipherias si mostrò molto d’accordo con me.

Comunque, oltre all’umidità, come se non bastasse, il tempo peggiorò notevolmente.

Cominciarono ad ammassarsi nuvole nere e minacciose, che non promettevano nulla di buono.

Mi innervosivano, anche se la cosa che mi faceva più paura era l’assoluta freddezza dei marinai di fronte a quel clima assurdo.

Giuro, non ho mai visto una pioggia più forte. Terribile, lunga, rendeva il panorama grigio e monotono, una sola tonalità di colore che deprimeva.

Sembrava di essere rinchiusi in una bolla di nulla. In quei giorni, feci accuratamente in modo di non guardare fuori.

La pioggia da noi era così bella…così romantica…non quella roba avvilente che ci faceva sembrare sospesi nello spazio e nel tempo.

L’unica cosa buone fu che il clima cominciò a divenire più freddo, ma, per il resto, tutto era così brutto con quella pioggia…

Non sopportavo quella cappa oppressiva di tristezza. Mi faceva pensare a cose brutte ed angoscianti.

A Machin e Chekaril. Erano sopravvissuti o il ritorno mi avrebbe portato notizie di una tragedia?

A Nilyan. Si sentiva sola, Roxen le dava fastidio?

A Roxen. Sopportava i dispetti della cugina?

Il Regno si era mosso? C’era una guerra? Uruk era stata sconfitta? Erano morti tutti?

Ben presto, però, non ebbi più occasione per far fare ginnastica al mio pensiero.

Sarebbe stata una cosa molto positiva, se solo non fosse stato per il motivo.

Oltre alla pioggia scrosciante, infatti, il maltempo portò anche un vento tremendo, e, altro regalo, onde molto alte.

Così alte, in effetti, che la nave procedeva saltellando allegramente. Un toccasana per me.

Gli ultimi giorni di navigazione, infatti, li passai nella mia camera, a letto, cercando disperatamente un modo per alleviare la nausea e la paura.

Zipherias e Capouille cercavano di starmi vicino, ma non dovevo essere uno spettacolo gradevole, né la persona più simpatica del mondo.

L’unica cosa che ricordo chiaramente di quel breve periodo fu il tentativo, da parte dei miei amici, di chiamare uno di quei macellai diabolici, altresì chiamati medici.

Tentativo sventato da una mia crisi di nervi. Non dovevano mettermi assolutamente la mani addosso, quegli assassini volgari!

Feci tante storie che, alla fine, rinunciarono al proposito, e mi lasciarono agonizzare in pace come avevo chiesto loro.

Smisero addirittura di farmi compagnia, tanto ero divenuta sgradevole.

Passai, quindi, quel poco di viaggio che ci rimaneva in completa solitudine. Anche se fossi stata insieme ai miei compagni, comunque, non ci avrei fatto caso, tanto stavo male.

La situazione si stabilizzò solo l’ultima mattina di viaggio. Che fortuna.

La nave smise di ballare solo a notte fonda. Io, che non riuscivo a dormire bene per colpa del rollio che mi spaventava, e del mal di mare, mi addormentai quando quasi era l’alba, quando il mio stomaco si calmò un po’.

Mi svegliò, dopo quello che mi parve un attimo, il suono di qualcuno che bussava alla porta.

Aprii gli occhi, di malavoglia.

Doveva essere mattino inoltrato: avevo dormito solo poche ore, ed ero ancora abbastanza sconvolta. Ancora il mal di mare non mi era passato del tutto.

Avevo bisogno di sonno, urgentemente.

Imprecai mentalmente, e mi rigirai dall’altro lato, borbottando. Non chiudevo mai la mia porta a chiave, ed i miei amici lo sapevano benissimo.

Se volevano entrare…benissimo, liberi di farlo, non c’era niente di sconveniente il vedermi dormire alla grossa.

Mi avevano vista in situazioni ben più ridicole.

Quindi, pensai che non fossero loro.

Chiunque fosse, bene, poteva anche aspettare. Ero io quella che non aveva dormito tutta la notte.

Cercai di riprendere sonno.

Inutile sogno di una mente folle…

Il disturbatore continuò, imperterrito, la sua opera di smantellamento del mio sacro sonno. Cominciò a montarmi una vaga rabbia, che si tradusse in una voglia matta di strozzare quell’idiota, chiunque fosse.

Ringhiai, ed aprii di nuovo gli occhi. Niente, il mio piano di riprendere sonno stava lentamente andando in fumo.

Mi sollevai sui gomiti, decisa a farla pagare all’incauto casinista.

Prima che potessi parlare, però, sentii una voce provenire da fuori.

“Lsyn! Lsyn, pe-per favore, c-ci fai e-e-ntrare?”.

La voce di Capouille. Quella era la voce di Capouille. Solo lui poteva balbettare in un modo così osceno.

Quel vago sentore di rabbia si trasformo in vera e propria cattiveria. Da quando quei due chiedevano il permesso di entrare? Erano impazziti, per caso? Sapevano benissimo che non mi sentivo bene.

Non riflettei sul motivo di un così strano comportamento, né sul perché di quello strano tono quieto. D’altra parte, Tijorn mi ha sempre tacciato di avventatezza, Zipherias ed Isnark hanno continuato e continuano la tradizione, e sarà sempre così, per quanto mi ripeta che forse devo ragionare un po’, prima di partire a testa bassa.

Mi ritrovai, prima di poterci pensare su, seduta.

Pagai quel movimento avventato con una fitta allo stomaco. Borbottai, mentre la rabbia montava di più, sempre di più, ed io cominciavo a desiderare follemente di uccidere i miei amici a mani nude.

Intano, il bussare continuava, leggermente più garbato di prima.

Mi misi, lentamente, in piedi.

“arrivo, arrivo subito!”. Mugugnai, cominciando ad avanzare verso la porta, strascicando i piedi e tenendo una mano sul mio povero stomaco sedizioso. Ero rabbiosa.

“hai dei trucioli nel cervello, per caso, idiota balbuziente? La porta è sempre aperta!”.

E con questa perla di saggezza, ancora offuscata dal sonno e dal malessere, aprii la porta.

Mi ritrovai di fronte, con espressione più offesa che mai, il mio amico dai capelli rossi. Accanto, un imbarazzato Zipherias e Naive Kewslar.

Mi ci volle qualche attimo per registrare l’insolita presenza.

Naive Kewslar. Naive Kewslar. Un momento. Naive?

Battei un paio di volte gli occhi, guardando il capitano come se fosse un’allucinazione. La rabbia scomparve di botto.

Ecco il perché di quel comportamento strano.

L’elfa mi guardò, inarcando le sopracciglia, con la sua solita aria indifferente.

“buongiorno, Lsyn. La vostra leggiadra sfumatura di verde è alquanto affascinante”.

Se avessi avuto forza per arrossire, credo l’avrei fatto.

Lei aveva un tono che rasentava l’ironia. Sicuramente le sue parole non erano tanto simpatiche.

Ma era possibile? Tutte le volte che ci vedevamo dovevo fare, puntualmente, una figuraccia colossale. Provai un’intensa voglia di seppellirmi.

“ero a conoscenza del vostro piccolo…problema, ma non sapevo foste stata così male”.

La sua falsa sollecitudine mi fece venir voglia di sprofondare ancora di più nella melma di vergogna nella quale mi ero impantanata.

Sorrisi vagamente, ancora abbastanza sorpresa.

Li feci entrare senza nemmeno accorgermene, ancora con quel sorriso congelato sul volto.

Poi chiusi la porta dietro di me,  sottoterra.

Che figuraccia avevo fatto con Naive. Per di più, avevo offeso Capouille. L’avevo chiamato idiota balbuziente, una cosa del genere.

Sapevo che questa non me l’avrebbe perdonata così facilmente. Lui odiava chi sottolineava quel suo difetto.

Lo guardai con la coda nell’occhio, ancora più di malumore. Stava fissando un punto al di sopra della mia testa, con indifferenza glaciale.

Ecco, l’avevo offeso. Con lui non l’avrei spuntata facilmente come con Zipherias, che si inteneriva in un attimo. Capouille era di una permalosità rognosa. Avrei dovuto faticare.

Cercai di sorridergli in segno di scusa, ma lui non mi guardava.

Piena di sensi di colpa rivolsi il mio sguardo verso Naive.

Pian piano, la sorpresa per la sua incongrua presenza lì cancellò tutto il resto. Cosa diavolo ci faceva lì?

La sua presenza nella mia disordinatissima stanza era incredibile. Un po’ come vedere un Machin sano di mente.

Vederla guardarsi intorno con aria di sufficienza, sempre con quel sopracciglio inarcato, mentre giudicava il livello di disastro in cui avevo gettato quel cubicolo, era una fonte di vergogna perpetua.

Sperai ardentemente che al ritorno non fosse lei il capitano.

“capitano Naive!”. Riuscii infine ad esclamare, mentre cercavo di pettinarmi con le dita la selva in cui erano ridotti i miei capelli, imbarazzatissima.

“cosa ci fate qui?”.

Finalmente, l’elfa concentrò la mia attenzione su di me, la sua espressione, d’un tratto, cambiò.

Quell’ostinato cipiglio sarcastico scomparve, sostituito da un sorriso ugualmente intriso di ironia.

Sentii un empito di sospetto farsi strada in me. Che diavolo erano quelle espressioni sornione? Che significavano?

Il sorriso si allargò ancora di più.

“siamo quasi in vista di Atlantis, manca poco più di un’ora all’attracco”.

Il  suo sorriso divenne un ghigno poco rassicurante.

“Avevo pensato che forse sarebbe stato un gesto carino da parte mia portarvi sul ponte a dare uno sguardo. Sono sicura che vi piacerebbe, visto che non siete abituati”.

A quelle parole, gentili e divertite, sentii una stretta allo stomaco che non era dovuta al mio mal di mare.

Atlantis. Eravamo quasi arrivati ad Atlantis. Il viaggio di andata stava per finire.

Così in fretta? Non mi ero abituata a quella nave chiara, in cui l’acqua per lavarsi non si doveva bollire prima per riscaldarla.

Nemmeno il tempo, e già dovevamo cambiare luogo…

Atlantis.

Oh, accidenti.

L’idea più bizzarra di tutte si fece strada, lentamente, nella mia mente annebbiata.

Atlantis. Atlantis. Stavamo per arrivare nella città delle meraviglie.

Lo stomaco si strinse ancora di più. La città dei misteri, da cui non sapevamo cosa aspettarci.

Eravamo in vista di Atlantis. Avremmo visto Atlantis dal ponte della nave, e poi…poi saremmo sbarcati come diplomatici stranieri, i primi elfi da tantissimi anni.

Stavamo per avere il primo contatto con una civiltà sconosciuta.

E io ero verde.

Avevo una faccia orrenda.

Avevo i capelli arruffati.

Avevo tutti i miei averi sparsi per la camera.

E…oh, per gli dei. Impietrii.

Ero ancora in camicia da notte!

 

Tra tutti i pensieri possibili ed immaginabili, proprio quello fu il più importante.

Così importante che spinse a darmi una mossa, figuriamoci.

No, non la curiosità o la paura o il timore.

No. Il fatto che ero letteralmente impresentabile.

Cacciai garbatamente fuori i miei amici, implorando loro di aspettare, che avrei fatto in fretta.

Poi, fui più veloce di un lampo.

Cacciai i miei beni nella borsa che mi accompagnava, alla rinfusa. Avrei avuto il tempo per sistemarli una volta scesa a terra e sistemata lì dove dovevamo andare.

Cercai di darmi una sistemata, poi legai i capelli in una coda dignitosa e mi vestii con i miei abiti da Ch’argon, il tutto in meno di dieci minuti.

Addirittura, per mascherare il mio colore leggermente malsano, mi tirai il cappuccio fino al naso, nonostante facesse sempre caldo.

Me ne fregava, ero verde  e sbattuta. Non potevo presentarmi così.

Finalmente, uscii dalla mia tana. Trovai i tre ad aspettarmi un po’ discosti, impegnati in una discussione, che interruppero di botto non appena mi videro.

Naive mi guardo divertita, Zipherias scocciato e Capouille gelido. Sospettai si stesse parlando di me, ma non mi importava. Avevo sopportato di peggio.

Li raggiunsi, chiudendo la porta alle spalle. Cercai di sorridere, invano.

Mi venne fuori un’espressione terrificata, presumo. Ero ancora abbastanza debole per via del mal di mare.

“andiamo?”. Fu l’unica cosa che riuscii a dire, timorosa, con voce flebile.

Ci avviammo verso sopra, in silenzio. Mi trovai tra il capitano e Zipherias.

Capouille camminava avanti con ostentata indifferenza.

Cercammo di intavolare una breve discussione, ma cadde nel vuoto.

Noi tre eravamo nervosi, sia per quello che era successo nella mattinata, sia per quello che ci aspettava.

Che cosa sarebbe successo? Cosa avremmo mai visto?

Salii sul ponte preda di un malessere che non aveva nulla a che fare con il mal di mare.

Lo stomaco era stretto in una morsa mortale, e sentivo un blocco di ghiaccio farsi strada nel mio cuore.

Non sapevo cosa aspettarmi, assolutamente.

La pioggia, fortunatamente, aveva lavato via quell’umidità spaventosa.

Era una giornata soleggiata, molto limpida, pulita e leggermente ventosa. L’aria era pura, trasparente, rendeva nitido ogni contorno.

Il mare era leggermente increspato, e blu cobalto, di un blu intenso, perfetto.

Una bellissima giornata.

Naive, precedendoci improvvisamente, ci guidò verso una parte più sollevata del ponte.

La nave, come ogni giorno, ferveva di attività, ma c’era una nota insolita: nelle voci dei marinai si sentiva la gioia di essere quasi arrivati a casa.

Era quasi contagiosa. Perfino Naive, di solito molto severa con chi alzava troppo la voce, sembrava molto tollerante. Quasi allegra, in effetti.

C’era, indubbiamente, aria di festa.

Ci fermammo accanto ad una balaustra.

Guardai, in ansia, il panorama.

Si, c’era un isola. Stavamo doppiando un promontorio. Per ora non vedevamo ancora nulla.

Da quello che mi sembrava, Atlantis era un’isola rocciosa, di qualche materiale chiaro, piena di vegetazione.

A quello spettacolo, piuttosto che calare, il mio terrore aumentò, fino a farsi insostenibile. Sentivo il cuore battere come un tamburo.

“cosa dobbiamo aspettarci, Naive?”. Sussurrai al capitano, con voce venata d’ansia.

Guardai i miei amici. Anche loro scrutavano attentamente il profilo dell’isola, come in cerca di qualcosa.

In quel momento non si vedeva nulla, solo una normalissima isola, dalla costa alta, con qualche graziosa spiaggia di sabbia chiara battuta dalle onde.

Non aveva nulla di diverso da Gerinti come struttura, a dire la verità, solo era più grande. La città non si vedeva ancora.

Il capitano sorrise, e si appoggiò alla balaustra.

Ogni traccia di divertimento era sparita, e lei sembrava solo felice di rivedere casa.

“vedrete”.

Disse, sibillina, guardando avanti.

La imitammo docilmente, in silenzio. Quasi senza accorgercene, noi tre, elfi di continente, ci eravamo stretti tra di noi, come per farci coraggio.

Era un salto nel buio. Presumevo che ne saremmo usciti traumatizzati.

Non mi sbagliavo tanto.

Dopo un po’, infatti, doppiammo quella punta di isola, entrando in quella che mi sembrava un’ampia baia.

Per un attimo, rimasi abbacinata. Non riuscivo a capire dove guardare.

La tensione salì alle stelle. Sentivo il mio cuore battere forte, tanto forte da farmi pensare volesse uscire fuori dalle costole.

Dov’era? Dov’era la città?

Finalmente, riuscii a raccapezzarmi in quello spettacolo anomalo.

Mi stropicciai gli occhi un paio di volte, incredula.

Mi sentii stordita come da una forte mazzata.

Perché eravamo quasi arrivati.

Davanti a noi si stendeva una città d’avorio, di gioielli e di argento, che splendeva luminoso alla luce chiara e fresca del mattino.

La città delle meraviglie.

Atlantis.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 89
*** Sto ferma, ed aspetto. ***


Willie, mio caro amico

Innanzitutto, è doveroso per me scusarmi per l’attesa tremendamente lunga, sicuramente la più lunga in tutta la mia storia.

Purtroppo, questi ultimi mesi sono stati piuttosto convulsi.

Il secondo anno di università è peggio del primo, e, nonostante abbia preso casa lì vicino, la vita in comunità non offre tempo a sufficienza per scrivere un buon capitolo.

Dover concentrare nel finesettimana gli affari lasciati in sospeso, e, dovendo essere questo un capitolo lungo, ha fatto il resto.

Mi scuso, spero che chi legge ancora mi possa perdonare.

Vi lascio al capitolo, un bel regalo, spero.

Buon Natale a tutti.

                                                               Akita

 

 

 

Willie, mio caro amico.

Sarai felice di vedere che ti ho scritto subito, vero?

Sicuramente ti starai chiedendo come sto. Sono migliorata? Peggiorata?

Lasciami dire una cosa, prima.

Sono incazzata come una bestia.

Ora sarai sicuramente preoccupato, vero?

Cosa sarà mai successo?

Lo so, non è bene per me arrabbiarmi, ma ormai sono così debole che non potrei nemmeno riuscire a uccidere un moscerino.

Sicuro, non riesci a capire perché mai sono così nera.

Aspetta un attimo che ti spiego, ma prima lasciami sfogare. Ne ho bisogno, sennò scoppio.

Quello che devi sapere, è che Ellyn e Roxen, insieme, sono due capre. Due caprone pelose e puzzolenti, ecco!

Testarde come mai, figuriamoci.

Ma almeno quella stupida umana ha un motivo!

Quella è accecata dall’amore (l’amore è così brutto! Io non mi innamorerò mai, lo prometto, Willie. Non voglio diventare un vermetto molle, senza spina dorsale, e poi dicono anche che di amore si soffre. Io voglio essere felice. Ho la mia famiglia, e così mi va bene), ma l’altra? La capra numero uno?

La Signorina Maledetta macchina. Di mia cugina mica mi fido. Diamine! Odia Ellyn. Sono sicura, sicurissima, che sta tramando qualcosa.

Roxen è troppo simile a mia zia, e si capisce quando stanno architettando un piano malvagio.

E tutte e due hanno un gusto per le trame e la tendenza a tenerle nascoste (anche se la zia ci riesce meglio), accidenti a loro!

E Roxen, posso metterci la mano di Machin (mica la mia, s’intende) sul fuoco, non ha buone intenzioni.

Intende fregare Ellyn, ne sono sicura.

Basta vedere il piano idiota che stanno combinando!

Solo un idiota totale o una persona con cattivissime intenzioni sarebbe capace di pensare una cosa simile.

E, in questo caso, abbiamo sia l’idiota totale che la cugina con cattive intenzioni.

E figurati, secondo te, se Ellyn non si fosse tradita, avrei capito qualcosa di quello che stava succedendo?

No, e sarei stata messa al corrente della cosa una volta combinato il disastro.

Roxen avrebbe tenuto il segreto, e, se Ellyn non fosse stata così irrimediabilmente ingenua lo avrebbe fatto anche lei.

Sono stata costretta a rivalutare quella…quella…quell’umana, ecco.

Mi sembrava fossimo amiche, sembrava che lei si fidasse di me e che fosse una persona con la quale potersi confidare, una di quelle  fatte apposta per diventare migliori amiche.

E poi mi sembrava matura, e sveglia.

Invece è come tutti dicono: gli umani sono degli scemi.

Si è lasciata fregare da Roxen. Da Roxen, capisci? Quando io le dico sempre di non fidarsi di lei!

Lasciamo stare il fatto che qui nessuno si fida di me, a quanto pare, perché il problema è più…problemoso.

Ma non si rendono conto di quello che stanno facendo? Così mettono in pericolo la vita di tutte le persone a cui tengono.

Io non la farei, una cosa simile.

Sono scavezzacollo e mi piace ficcarmi nei guai, lo ammetto questo (è un complimento, dopotutto), ma non mi piace coinvolgere persone che non siano Machin, Olf o qualcuno dei nostri amici dispettosi.

Loro ce l’hanno, di sale in zucca, e la pensano come me. Non rischiano e non sono né saranno mai in pericolo. Ormai siamo affiatati.

Loro invece rischiano un sacco, rischiano davvero di coinvolgere molti indesiderati, e tra di loro c’è pure Lilliagrin. Capisci, ora, il guaio?

Una mossa sbagliata, e Lurak e il padre saranno nei guai. Oh, come faccio? Sono disperata!

Come? Non ti sembro abbastanza arrabbiata?

Il fatto è che ho già provveduto a lanciare contro Roxen tutto quello che avevo sottomano (tranne te, ti nascondo sotto il materasso e ti tengo lì. Ma l’ho beccata con il cuscino, un libro, e quasi anche la lampada, solo che con quella l’ho mancata, peccato), e sono così stanca che ho raggiunto una situazione di pace apparente.

Questo non mi impedirà di pestare mia cugina non appena mi sentirò meglio, stanne sicuro.

Ancora mi sento ribollire.

Grr.

Ma perché, io dico, perché non mette un po’ di sale in quella testa vuota che ha?

O forse, troppo piena di vestiti, scarpe belle, e di vendetta contro Ellyn.

Perché tanto io lo so, la vuole rovinare. È lei che le ha messo queste pazzie in mente!

Oh, ma perché non mi posso alzare da questo letto? Troverei qualcosa per finire questa pazzia!

Ok, calmati, Nilyan.

È ora di raccontare… anche se non ho  voglia, quando mi arrabbio peggioro, e prima, quando mi sono arrabbiata, all’improvviso ho risentito tutta la magia.

E, strano, quando ho sentito la magia mi sono subito sentita meglio, forte, qualcosa di caldo mi scorreva a posto del sangue.

Dovranno solo cambiare i vetri alle finestre. Sono esplosi tutti.

Però ora mi sento meglio, e non solo fisicamente. Molto meglio.

Avrei voluto rompere quella noce secca che mia cugina si ritrova a posto della testa (è tutta raggrinzita, fuori dura e dentro moscia. Così è Roxen), allora forse sarei stata ancora meglio.

Ma perché sto così male, Willie? La vita mi scorre intorno, tutti architettano cose, ed io sono fuori da tutto.

Ora capisco che significa frustrazione! Darei non so cosa anche per rimanere incastrata con Machin a casa, per una lezione delle più noiose (storia, magari).

Ellyn e Roxen hanno fatto comunella e architettano piani senza che io venga coinvolta, mia cugina non mi parla più, Lilliagrin ha i suoi piani (e la festa non è così lontana. Non lo è per niente. Oh, Willie… è stasera. Ed è pomeriggio), Lurak e suo padre cercano gli ultimi appigli per scappare da questa farsa…e io sto qui.

Sto ferma, e aspetto.

Eppure la festa sarà stasera, e domani mattina quella maledetta presenterà la coppia reale.

E io non posso nemmeno andare alla cena. Mi hanno invitata, ma ho dovuto rifiutare.

Poteva essere l’ultima occasione di trovare una scappatoia.

E cavolo, io sono Nilyan Nemys, figlia di Nemys, la Stella di Uruk, il faro di ogni speranza, la Principessa, che un giorno (speriamo molto, molto lontano) erediterà lo scettro dal padre!

Conterò pure qualcosa negli equilibri della resistenza (sto cominciando a parlare come un elfo adulto. Brava Ninì, questa responsabilità mi piace. Devo solo dimenticarmene al punto giusto, ovvero quando tornerò a casa).

Avevo pensato di oppormi in modo molto diplomatico al matrimonio, accusando magari qualche disaccordo razziale o stupidaggini simili.

Tanto, l’ho visto, questi qui mica ci conoscono. Pensano che siamo una massa di babbei senza spirito, tutti morale.

Come quell’elfo dello spettacolo, ricordi? Boria, noia, boria, noia.

Morale, morale, morale. Legge, legge, legge. Onore, onore, onore.

Se esistesse un elfo simile sarebbe la fine!

Tsk, me li sarei mangiati a colazione, con qualche stupidità di ordine etico.

Una voce educatamente contraria (perché ho imparato in fretta come fregare le persone. L’educazione della zia è stata un po’ atipica) avrebbe frenato Lilliagrin, forse.

Allungato il brodo, il tempo si sarebbe dilatato e forse si sarebbe arrivati ad una conclusione diversa.

Certo, sicuramente poi zia me l’avrebbe fatta pagare cara, al suo ritorno, ma avrebbe capito le mie ragioni e mi avrebbe lasciata stare. Anzi, sarebbe stata contenta di me (zia odia che qualcuno si metta in mezzo alle storie d’amore).

Un piano perfetto, se non fosse per un piccolo particolare.

Ho cercato di alzarmi e sono svenuta. Così, senza nemmeno mettermi seduta.

Mi sento sempre così stanca…come se avessi corso per ore.

Non posso nemmeno parlare con Lilliagrin o qualche altra cosa, perché lei potrebbe facilmente far passare le mie opinioni per un delirio dovuto alla febbre.

Tanto, di notte è già così, dopo un poco dal tramonto non capisco più niente e comincio a dire di tutto. Perché non dovrebbe essere così di giorno?

Roxen è d’accordo con il piano pazzo di Ellyn (o, meglio, Ellyn è d’accordo con il piano pazzo di Roxen), e quindi lei non è dalla mia parte.

Per giunta, credo che mi vogliano rimandare a casa. I medici si stanno preoccupando molto,  non faccio altro che peggiorare.

Non me l’hanno detto apertamente, perché altrimenti farei la matta, ma sono sicura che un giorno o l’altro mi faranno addormentare, e, quando mi sveglierò, sarò già lontana.

Come faccio a mettere i bastoni tra le ruote a tutti i piani cretini che stanno facendo senza di me?

Ecco, ora ti spiego.

Oggi mi sono svegliata molto tardi, perché stanotte ho dormito male per colpa della febbre.

Di solito, la mattina vengono sempre Roxen ed Ellyn a fare colazione insieme, per tenermi compagnia.

Oggi, visto che ho fatto davvero tardissimo, sono venute a pranzo, visto che, a quell’ora, sono sempre sola come un cane.

Ho notato subito che erano strane, tutte e due.

Mia cugina sembrava particolarmente cupa (era più sgarbata del solito nei miei confronti, anche se non mi parla mai di solito mi riempie di premure asfissianti. Deve aver paura che la zia mi trovi in questo stato, e sarà anche colpa sua), mentre Ellyn aveva proprio fretta.

Più che mangiare, divorava. E poi, non mi sgridava perché non toccavo cibo.

Ho provato a non mangiare, e lei nemmeno se n’è accorta. Di solito mi fa una testa quadra, perché se non mangio, come guarisco?

Io mi sono sentita a disagio.

Nessuno parlava, quelle due mangiavano come due lupi affamati.

Quando avevo chiesto ad Ellyn se stesse bene mi ero sentita dire “pensa a te, piuttosto”, detto in tono sbrigativo.

Avevo pensato che il suo malumore fosse dovuto a questa sera, e alla festa di oggi, e perciò non mi sono offesa, e ho cercato anche di essere carina con lei.

Mi sono scusata anche, perché, con quello che mi è successo, non ho potuto stare con lei come una vera amica.

Allora lei, all’improvviso, è sembrata cambiare.

Ha cominciato a mangiare il secondo con più calma, e mi ha anche detto che non importava, e che mi voleva bene lo stesso.

Di punto in bianco, è tornata la Ellyn dei giorni scorsi. Un po’ giù, arrabbiata, ma comunque molto gentile con me. Mi ha rimproverata perché non avevo toccato nulla.

Abbiamo continuato come al solito (ovvero, io non mangio e lei mi sgrida), quando le ho chiesto se si sentisse preoccupata per oggi.

Lei ha annuito, annuito solo.

La cosa ha cominciato a non convincermi.

Soprattutto, perché, cosa importante, Ellyn non aveva l’aria preoccupata.

Mangiava tutto sommato tranquilla, come stasera ci fosse una normalissima cena.

Era serena, capisci? Come una persona che ha trovato una soluzione.

Allora, mi sono incuriosita. Che avesse parlato con Lurak? Magari avevano trovato qualche stratagemma.

Tanto, Ellyn e Lurak si trovano anche simpatici: magari, convivere per un po’ non peserà loro. Magari Lurak sa di Faldio, e permetterà a quei due di vedersi, chissà.

Mi sono rallegrata. Non sapevo che stesse lavorando anche lei.

Così, le ho chiesto come mai fosse così tranquilla: forse c’era qualche cavillo che le avrebbe impedito di legarsi a quel povero principe?

In quel momento, Roxen stava bevendo, e qualcosa le è andato storto. Ha cominciato a tossire e lacrimare. Ben le sta!

Intanto, Ellyn ha smesso subito di mangiare, ed ha stretto la forchetta. È arrossita tantissimo, ma gli occhi hanno preso una strana espressione determinata, e mi ha guardata, con un certo orgoglio.

Ho sentito un palpito di speranza: forse c’era ancora un rimedio al quale non avevo pensato! Che bello!

C’è stato un attimo di silenzio. Poi Ellyn ha parlato, con una voce molto decisa.

“sai, ci sono tantissimi modi per fare tornare qualche passo indietro mia madre!”.

Roxen l’ha guardata male, e subito Ellyn ha abbassato lo sguardo.

Io, invece, avevo sentito quella piccola bolla di speranza scoppiare. Che cosa stupida, da dire, la sua.

Non risolveva il problema, dire che sua madre poteva essere frenata.

Gliel’ho fatto notare, e le ho detto, un po’ scherzando perché era anche divertente, quali sarebbero, visto che tutti ci stanno pensando da giorni e nessuno ne ha ancora trovato uno.

La loro reazione ha cominciato a farmi insospettire.

Roxen si è irrigidita, e Ellyn è praticamente sprofondata nella poltrona, guardando a terra.

C’è stato un attimo di silenzio, terribile.

Non mi è piaciuto. Che cosa avevano in mente di fare? Era pericoloso? Per caso, sapevano i rischi che corrono Lurak e il padre? Sapeva di dover agire con prudenza?

E poi, di solito Ellyn mi dice tutto. Se avesse avuto qualche idea me l’avrebbe detta.

All’inizio, ho pensato che me l’avesse detto tanto per dire.

Le ho anche detto “tu non hai in mente niente”, e lei ha cominciato ad insistere e insistere che i piani ce li aveva.

Quando, però, io chiedevo di spiegarmeli, stava zitta.

Ho guardato Roxen, e lei non mi ha nemmeno rivolto lo sguardo. Era pallida pallida, una cosa molto strana, e guardava freddamente la principessa.

Ho cominciato a temere che c’entrasse lei qualcosa. Sarebbe stato un guaio enorme!

Ellyn in combutta con Roxen! Non sia mai! Quella si inventa solo cose pericolose.

Pian pianino, però, questo sospetto si è andato a rafforzare. Insomma, è intelligente guardare Roxen con aria implorante? Così ha fatto Ellyn.

Non c’era modo più limpido e trasparente di farmi capire la situazione. Quelle due stavano architettando qualcosa.

Conoscendo mia cugina, ho subito cominciato a preoccuparmi. Per Ellyn, più che altro.

Sapevo che da quella capra numero uno non avrei cavato nemmeno un ragno fuori dal buco, Roxen quando decide di starsi zitta e buona lo fa. E anche bene: penso che sappia i segreti di tutta la banda di cugini. È la confidente di tutti, perché un segreto è al sicuro, con lei.

Comunque, l’esperienza (papà insegna. Nessuno è bravo come lui ad estorcere segreti, anche la zia ci casca) mi diceva che, parlando con Ellyn, avrei forse potuto avere le notizie che desideravo.

Ho cambiato tono, e mi sono fatta preoccupata.

Ho cominciato con il dirle che io le volevo bene, che ero sua amica e lo sarei stata sempre, che ho fatto e farei ancora tutto quello che era possibile, che, se non fosse stato per il fatto che sono a letto, avrei affrontato Lilliagrin con lei, che adoravo Faldio e sapevo che Lurak non avrebbe mai architettato una cosa del genere.

Ora, sinceramente, Willie: io sono o non sono un genio della miglior specie? Sono semplicemente ed assurdamente grande, come Machin dice sempre che è lui.

Solo che lui è un fifone e casca sempre nelle trappole. Si vede, le femmine sono meglio.

Oh, Willie, sto dicendo queste cose e cerco di scherzare, ma mi sto arrabbiando di nuovo. Grr, se ci ripenso…

Comunque, tanto ho fatto, tanto ho fatto, che alla fine la principessa ha vuotato il sacco.

Mi ha guardata con un’aria così dolce, da cane bastonato. Era così tenera che ha finito per farmi preoccupare ancora di più.

Io, di solito, quando faccio una faccia così è perché l’ho combinata grossa. Che avevano architettato?

A vedere quella faccia, Roxen ha fatto uno strano gesto, evidentemente molto contrariata, come se la volesse fermare.

Devo averla guardata così storto che è diventata piccola piccola nella sua sedia.

A quel gesto ho capito che avevano qualcosa di tremendamente brutto da nascondere, un guaio di quelli giganteschi. Mia cugina non si fa piccola piccola per niente.

Solo quando ha la coda di paglia riesco a domarla.

Ne ho pensate di tutti i colori, in quel momento, davvero.

Soprattutto quando Ellyn mi ha detto “Nilyan, se te lo dico mi prometti di non arrabbiarti?” con una vocina da bimba.

Ero così infastidita che ho finito di risponderle che non davo nessuna garanzia, ma che, se non avesse parlato in fretta, avrei finito per arrabbiarmi lo stesso.

Allora lei ha cominciato a piangere, a piangere forte, e mi ha abbracciata.

Poi, ha cominciato, pian pianino, a raccontare tutto.

Oh, stai un po’ a sentire che razza di piano! Sono pazzi!

Mi limito a raccontarti com’è andata, altrimenti distruggo qualcosa, e non vorrei fossi tu, tu sei il mio unico amico, qui dentro.

Qui gli altri mi vogliono tutti male.

Vogliono male a se stessi!

Comunque, Faldio ha saputo quasi subito del fatto di Lurak. Si è precipitato, di nascosto, a notte fonda, da Ellyn. Era infuriato come un toro, poveretto.

Era arrivato ad un punto tale di esasperazione che  per poco non prendeva Ellyn in spalla e se la portava via, così.

L’hanno fermato Roxen e Peggy. Era così arrabbiato che hanno fatto subito a buttarlo a terra.

Dopo un po’ sono riuscite a farlo ritornare ad uno stadio più o meno ragionevole.

Puoi ovviamente immaginare l’immane tragedia successa, chi dava fondo alle lacrime di lì, chi bestemmiava di là, si aprano le cateratte e piovano rane.

Dopo un po’, si sono calmati.

Hanno deciso, Faldio, Ellyn e Roxen, di lavorare insieme per risolvere la faccenda.

Peggy non era d’accordo, ma, per amore della sua piccola, ha promesso di coprirli in ogni caso. Un giorno riempirò di pugni anche lei (poi ti racconto perché quell’anche).

Comunque, hanno passato un paio di giorni a pensare.

Poi, ecco l’idea geniale partorita da quell’insana di mia cugina.

Si è ricordata di come Faldio stava per portare via Ellyn, e ha avuto un’illuminazione.

Semplice: inscenare un finto rapimento.

Il piano è questo: tutto tranquillo fino a dopodomani.

Poi, una notte, Roxen avrebbe preso Ellyn e l’avrebbe portata via.

Peggy, in qualche modo, avrebbe avvisato, disperata, che Ellyn era stata rapita da un gruppo di persone vestite di scuro, e che Roxen era stata ferita ed era andata in cerca dei colpevoli.

Un paio di giorni dopo, Faldio, con qualche scusa tipo l’onore ed il mantenimento della stabilità del Regno, si sarebbe accollato tutti i problemi della ricerca, e con lui la sua squadra (come spiegherebbe la cosa, non so).

Da solo, avrebbe raggiunto Ellyn…e poi avrebbero pensato, una volta al sicuro, cosa fare. Di sicuro avrebbero spaventato Lilliagrin così tanto che sarebbe stata ben contenta di fare ogni cosa.

Ora capisci?

Non ci volevo credere.

Ero così pietrificata che i pensieri scorrevano lenti, lentissimi. Puoi facilmente immaginare che paura ho avuto.

Quello era un piano pazzesco. Malvagio!

Ma non si rendevano conto che, se solo fosse andata una sola cosa storta, avremmo dovuto pagare tutti le conseguenze?

Non sono acutissima, lo so, ma senti un po’ qua.

Io ho pensato queste cose, in quel momento.

Lilliagrin avrebbe potuto scoprire Faldio, e, allora per lui sarebbe stata la disgrazia totale. Sarebbe stato anche messo a morte, magari.

Lilliagrin avrebbe potuto pensare che i rapitori fossero persone a conoscenza del suo trabocchetto teso a Lurak ed al padre, e che, quindi, il rapimento di Ellyn fosse ad opera di persone vicine a loro. Quindi, guerra, e Lurak ed il padre sarebbero morti.

Oppure avrebbe potuto pensare che c’entriamo noi elfi. Quindi, problemi con Lainay (che non ci metterebbe nulla a distruggere tutti) e, soprattutto, con noi, con me e, soprattutto, con zia, Zipherias e Capouille, che sono via, e molto fragili.

Non ci sarebbe voluto nulla ad ucciderli.

La cosa che, però, mi ha fatto montare la rabbia, è stata un’altra.

Ellyn mi ha guardata, tutta tenera e tutta piagnucolante, e mi ha detto “non ti pare un piano stupendo?”.

A quel punto, non ci ho visto più dalla rabbia. Da un punto, molto lontano, sentivo dei vetri tintinnare.

Ellyn e Roxen si sono guardate, e mia cugina era un cadavere, in pratica.

Ho scostato da me  la principessa con tutta la rabbia che avevo, e l’ho fatta quasi cadere. Lei mi ha guardato terrorizzata.

Roxen si è subito alzata, e si è avvicinata a me, pian pianino, per non spaventarmi.

Sorrideva con una strana aria.

Probabilmente, pensava che fossi in preda a qualche crisi dovuta alla rabbia. Invece, non potevo essere più lucida. E più arrabbiata.

Appena è stata a portata ho caricato.

Quando si è chinata su di me, chissà, per rassicurarmi, le ho dato un pugno così forte da farle uscire il sangue dal naso.

Lei era stupefatta, tanto che si è anche dimenticata che non mi deve parlare.

“perché lo hai fatto?”. Mi ha domandato.

Io allora ho cominciato a parlare, non ce la facevo più. A gridare, meglio.

Ne ho dette di tutte i colori. Che era colpa sua, tutta sua, che lei era una strega che non voleva altro che il male di Ellyn, che le idee pessime erano sempre le sue.

Poi ho detto che Ellyn è un’ingenua, che si è fatta imbrogliare da lei, e che lei sta approfittando del fatto che, sostanzialmente, la principessa è una sciocca innamorata (penso che non me lo perdoneranno più, questo).

Le ho detto che erano tre immaturi, perché nessuno di loro aveva pensato alle conseguenze.

Ellyn si è ribellata vagamente, tutta bianca bianca, ed ha cercato di dire che non capiva cosa ci fosse di male.

Ho cominciato a gridrare anche a lei.

Ho detto che si deve stare zitta, che non fa altro che lasciarsi trascinare come una bestia ottusa (ancora una volta, mi sono giocata un’amica) da chi è più furbo di lei.

Poi le ho detto quello che avevo pensato prima, tutti i possibili guai. E poi le ho rivelato quello che mi sono detta con Lurak ed il padre.

Ad un certo punto,anche Ellyn si è arrabbiata. Ha cominciato a gridare anche lei, e mi ha detto che mi si stava annebbiando il cervello.

Io le ho detto che il cervello annebbiato ce l’aveva lei, perché vive nella nuvolette rosa e non vede quello che è ovvio.

Ora capisco dove sono le differenze tra elfo e uomo. Lei è una bambina, una bambina capricciosa.

Lei poi mi ha detto che io nono capisco un tubo dell’amore, che lei non è disposta a rinunciare a Faldio, per nulla al mondo e che, se pensassero di farla sposare con un tipo qualunque, si sbagliavano.

Alla fine lei si è messa a singhiozzare, ed è scappata via.

Ah, si, non mi pento di quello che ho detto ad Ellyn. Erano tutte cose vere. Lei sicuramente sarà Regina prima di me, e deve imparare a non farsi fregare, e che sono poche le persone buone.

Spero solo che abbia capito, però, e che questo piano vada in fumo. Anche se la cara principessa mi è sembrata molto testarda.

Siamo rimaste solo io e Roxen.

Mi sono calmata di botto.

Eccola lì, la pietra dello scandalo.

Roxen si è di nuovo fatta minuscola, e mi ha supplicato di stare calma, perché avrebbe pensato a tutto lei.

Io non ho risposto.

Ho sentito, dentro di me, diventare tutto calmo. Come un lago che prima bolle, poi si fa tutto piatto.

Qualcosa, comunque deve essere esploso. Non ho mai visto mia cugina così terrorizzata. Da me.

Faceva bene. Ora ha davvero superato ogni limite consentito.

Siamo state per un bel po’ in silenzio.

Lei ha cominciato ad indietreggiare. Perdeva ancora sangue dal naso.

Mi supplicava di stare calma, di non esagerare.

Allora io le ho detto “ti conviene andartene, Roxen. Davvero”.

Avevo una voce così calma, così fredda, che mia cugina si è terrorizzata ancora di più.

Ha ripreso di nuovo a parlarmi, chiamandomi cuginetta, Ninì, e tanti altri vezzeggiativi.

Maledetta. Ora mi parlava, quando era troppo terrorizzata da me per fare l’offesa.

Mi sono arrabbiata di nuovo, e le ho urlato di andarsene. È stato allora che ho cominciato a buttarle la roba appresso.

Lei è fuggita con tutta la velocità consentitale. È stato allora che sono esplosi i vetri.

Io ho agito d’impulso.

Dovevo muovermi! Fare qualunque cosa, insomma, dovevo rimediare.

Prendere Roxen per la collottola, che serve sempre, dovevo parlare ancora con Ellyn.

A me non frega nulla dell’amore, so solo che, facendo così, si immergeranno in un mare di guai.

Io non potevo restare a letto, dovevo agire anche io. Magari, parlando con Peggy…

Mi sono alzata di botto. Dovevo andare!

Ho visto, subito, tutto girarmi intorno, e mi sono trovata a fissare il soffitto, stesa a terra, senza sapere come cavolo ci fossi arrivata.

Il naso ha preso a sanguinare, e non lo riuscivo nemmeno a fermare.

Sono stata presa dalla rabbia, ed ho provato ad alzarmi, ancora ed ancora. Solo che non riuscivo nemmeno a mettermi seduta, nemmeno per andare a letto.

Allora ho provato a strisciare, ma nemmeno quello mi riusciva. Ero letteralmente inchiodata a terra, e non potevo fare nulla. Ero inutile.

Ho cominciato a piangere e piangere, perché mi sentivo completamente rotta, dolorante, arrabbiata, triste, preoccupata.

Ho paura per tutti. Io voglio bene ad Ellyn, non voglio che si senta responsabile se poi succede un disastro.

Poi, ho paura per la zia. Lei è tanto lontana, e totalmente in mani estranee. Tutte persone che, poi, sono amiche di Fiya. Un ordine di Lilliagrin e tutti e tre moriranno, o saranno sbattuti in prigione.

Ho visto queste cose con tanta lucidità, e mi sono disperata.

Sono rimasta a terra a piangere fino a quando Ellyn non è tornata indietro, perché era troppo preoccupata per me.

Si era arrabbiata, ma, quando aveva tirato un paio di respiri, si era resa conto che, forse, un pochino avevo ragione.

Era tornata per parlare con me, e scusarsi. Roxen aveva troppa paura per presentarsi, la vile.

Quando mi ha vista a terra, a piangere, con il sangue che continuava ad uscire dal naso, una manica completamente sporca di sangue, un casino immane nella stanza, vetri rotti ovunque, le è venuto un colpo.

Ha sistemato il letto, e poi mi ha aiutata a salire, stendermi, e poi è riuscita a fermarmi il sangue dal naso.

Nello stesso tempo, parlava.

Mi diceva che mi voleva bene, che non sarebbe successo nulla, ero troppo pessimista. Avrebbero preso ogni precauzione per impedire succedesse qualsiasi cosa, la mia sfuriata era stata utile.

Mi ha anche sgridata, perché non le ho detto in tempo del fatto di Lurak, pensa un po’!

Poi mi ha chiesto se fossi mai stata davvero innamorata.

Io sono stata sincera, le ho detto che proprio non mi interessava avere qualche maschietto noioso tra i piedi, e non volevo fare la sdolcinata con nessuno.

Allora lei mi ha risposto che io non posso capirla. Che l’amore è come una specie di attrazione, come quello che ci tiene attaccati alla terra, e solo chi l’ha provato lo sa capire.

Che ti trovi a diventare una sola cosa, una sola persona, con quello che ami, che nei pensieri non c’è altro che lui.

Che cominci a pensare con due teste, come se avessi due cuori e due cervelli.

Che l’idea di essere separati è intollerabile, un po’ come essere separati da un braccio, da una gamba.

Che mai e poi mai lei sarà disposta a rinunciare a Faldio, perché lei ruota intorno a lui e lui intorno a lei.

Davvero, io non la capisco. Quello che mi dice sono cose assurde.

Pensare solo ad una persona, essere legata a lui. Che fifa che mi fa. Mi sento prigioniera solo a pensarci, davvero.

E poi? Non si può pensare a nessun altro? Sei vincolata? Sai che cosa orribile…

Comunque, mi sono tenuta questi pensieri per me, e le ho solo detto di non fare stupidaggini di nessun tipo.

Ho continuato a piangere, e le ho parlato delle mie paure.

Di zia e degli altri lontani, di Lurak che tutto sommato è un amico. Di loro.

Non voglio che Lilliagrin li separi, sono così carini, ma, nello stesso tempo, non voglio nemmeno che si caccino nei guai con qualche idea stramba.

Le ho detto di non fidarsi di Roxen, che le vuole solo male, le ho detto tutto quello che fa a casa, come frega tutti quei tipi nobili e snob, le ho detto che lei la odia perché è tutto quello che lei non è.

Ellyn si è fatta una risata, ed ha detto che sono io a fidarmi poco di mia cugina.

Lei ha cercato di trovare una soluzione pratica, ha detto.

Io le ho risposto che ha cercato di trovare una soluzione che la mettesse nei guai.

Stavamo ancora parlando quando ho cominciato a sentirmi molto stanca. Ellyn se n’è accorta, ed ha preso a rassicurarmi.

Non poteva far vincere sua madre, non in quell’ambito.

Avrebbe pensato ad una soluzione diversa, avrebbero tutti pensato a come non cominciare un pasticcio di proporzioni immani.

Mi ha detto che dovevo stare tranquilla, perché lei avrebbe vinto.

Che stupida testarda.

Alla fine mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata, era tutto pulito ed hanno messo qualcosa sui vetri, per evitare al vento di passare.

Ellyn non c’era.

A quest’ora, si starà preparando per la cena importante.

Oh, Willie!

Come faccio? Lei mi è sembrata fin troppo decisa, e, sono sicura, niente di quello che ho detto servirà.

Succederà un guaio, e, stavolta, ci scapperà il morto..

Oh, Willie… ecco, sto piangendo di nuovo.

Perché deve essere tutto così difficile? Perché mi dovevo sentire male? Perché ora?

Non voglio che qualcuno muoia. Voglio che Lilliagrin capisca, e che tutto finisca bene.

Ma ora il tempo è poco, è praticamente finito.

Io non ho pensato a nulla, l’unica soluzione l’hanno trovata due scemi innamorati (perché sì, scemo uguale innamorato, innamorato uguale scemo. Non li invidio per niente), ed una subdola maligna con cattive intenzioni.

Io sono stata inutile.

Oh, Willie. Come vorrei che tu fossi un amico in carne ed ossa. Come vorrei che ci fosse Machin, qui, a giocare con me.

Lui sicuro mi avrebbe appoggiata. Non sopporta quando gli scherzi si traducono in guai e male per qualcuno. Quando la zia si è sentita male perché avevamo fatto finta che lui era ferito, non ha parlato per un giorno intero. Lui!

Capisci, ora?

Non sai cosa si sta agitando, in me.

Rabbia, perché non sono riuscita a fermare Roxen.

Senso di inutilità, perché ora come ora non posso cambiare niente.

Frustrazione…perché…perché sì.

Tristezza, perché non voglio che le cose vadano come vadano.

Preoccupazione, perché non voglio scappi il morto.

Willie…ho paura. Tanta paura.

Ho bisogno di tanti abbracci, di coccole.

Perché la zia mi ha lasciata sola, qui? Se ci fosse stata lei… se solo non ci fosse stata Roxen, con me, ma Capouille o Zipherias…

Willie.

Basta, amico mio, scusa se me ne vado così di fretta. Sto piangendo tanto, e non voglio macchiare le pagine.

Forse è meglio che mi distragga un po’, anche se so che non ci riuscirò.

Ti voglio bene, Willie, anche se non esisti. Voglio più bene a te che a mia cugina, che è un’irresponsabile.

Basta. Non voglio parlare di questo.

Ti voglio tanto bene.

                                                                                              Nilyan.

 

 

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Capitolo 90
*** Col cavolo. ***


Mio caro mostriciattolo sfregiato;

Innanzitutto, non so per cosa scusarmi prima.

Il mio ultimo aggiornamento risale praticamente a Natale, e, peraltro, quest’ultimo capitolo è molto piccolo ed insignificante.

Mi scuso di entrambe le cose: non potevo posticipare ancora di più, ma non avevo energia necessaria per arrivare dove volevo. Anche se narrare di una Naive in versione troll mi ha divertito.

Lo so, questo capitolo avrebbe dovuto essere tutto per Machin, ma ho deciso, per una volta, di invertire l’ordine.

Altrimenti, il caro lettore Olivera mi avrebbe uccisa una volta e per tutte.

Bah, questo è tutto quello che ho da dire in proposito.

Al prossimo capitolo, quando sarà.                                                                                                                                       

                                                                                 Akita.

 

 

                                                                             

 

 

Qualcuno ha mai provato la netta sensazione di non riuscire assolutamente a capire quello che si sta guardando?

Come se davanti vi fosse un rompicapo, un enigma ingarbugliato, una specie di gomitolo di cose che non si riescono a districare, e tutto quello che vedi è, francamente, un ammasso insensato di roba.

Benissimo.

Io mi sentivo esattamente così.

Ero sul ponte di una nave, con i miei amici e il capitano Naive Kewslar, o dovevo esserlo, e guardavo davanti a me, dove, ormai vicinissima, c’era la città di Atlantis.

Insomma, mi avevano detto che quella cosa era Atlantis, ed io non potevo far altro che crederci. Ero troppo confusa per avere delle opinioni sensate in proposito

Ci sarebbe stato da ridere forte, se solo quella situazione fosse stata meno seria.

Ad un certo punto, mi ricordo bene, pensai addirittura che stessero scherzando. Doveva essere uno scherzo. Per forza.

Strizzai gli occhi, cercando di ricavare qualche informazione dal paesaggio, qualcosa che non fosse un’accozzaglia poco comprensibile di colori e forme.

L’ansia tremenda che avevo provato fino ad un secondo prima si era dissolta, sostituita da un sentimento indefinito, che mi faceva bruciare lo stomaco, come se dentro ci fosse fuoco.

Qualcosa tipo confusione, paura, aprire gli occhi e scoprire di vedere niente, aprire la bocca senza saper parlare. Non riesco a definire questo sentimento, e non credo fosse molto positivo.

Cercai, disperatamente, qualcosa che potessi ricondurre al conosciuto.

Stavamo costeggiando lo strapiombo, pietra chiara battuta dalle onde di un mare tutto sommato calmo.

Non era un’isola piccola, non aveva le dimensioni di Gerinti, ma non si poteva definire enorme.

Piuttosto graziosa, conservava ancora moltissima vegetazione. Il paesaggio naturale, a primo acchito, non era molto diverso dalle isole che costeggiavano il continente, anzi.

Sarei stata felice di mettere piede in quel luogo di pace, ma quella cosa chiamata città mi terrorizzava, ed era poco.

I miei pensieri erano totalmente calamitati lì. Non pensavo che si stava avvicinando il momento dello sbarco e dell’arrivo finale, né che stavamo per  immergerci in un mondo che ci avrebbe divorati alla minima debolezza.

Ero troppo confusa. Sarò ripetitiva, ma non c’è altro da dire.

Niente, non c’era niente da fare. Anche se cercavo di guardare altrove, in mio sguardo veniva irresistibilmente calamitato su Atlantis.

Non c’era niente da fare. Oltretutto, eravamo così vicini che era impossibile guardare da qualche altra parte.

Mi costrinsi a mettere ordine nei miei pensieri, e cercare di mettere ordine anche nella confusione che si stendeva davanti ai miei occhi.

Feci un paio di respiri profondi, cercando di calmarmi. Il risultato fu un conato di vomito. Non dovevo dimenticare il mal di mare, né  la relazione complicata che c’era tra il mio stomaco ed il mio umore.

Inoltre, piuttosto che calmarmi, quel gesto mi fece venire voglia di scappare dritta nella mia stanza, chiudermi dentro ed insistere per essere riportata immediatamente a casa.

Mettere piede lì? Proprio lì? Col cavolo.

Io non ci andavo. Non ci sarei andata per niente al mondo, nemmeno pagata. Di nuovo, per l’ennesima volta, pensai ad Isnark.

Immaginai anche di stringergli il collo non tanto amichevolmente, ma il mio umore non migliorò di molto.

Disorientata, recalcitrante, guardai i miei amici e compagni di viaggio. Di certo loro mi avrebbero confortata.

In fondo, ero io quella dalle reazioni esagerate, ero io l’isterica. Capouille poteva innervosirsi facilmente, ma era di fondo un guerriero, Zipherias era praticamente un blocco di pietra solida.

Io ero stata una Spia, ma stavo cercando, in ogni modo, di dimenticarlo. Ero una Ch’argon e basta.

Ero un’elfa isterica e basta. Ero isterica e basta, forse così è meglio.

Quindi, tralasciando queste considerazioni oziose, ero io che stavo reagendo male. Dovevo solo prenderla con più filosofia, e cosa c’era di meglio di un paio di amici equilibrati per riprendere il controllo?

Sicuramente mi avrebbero presa in giro, mi avrebbero rassicurata, ed io mi sarei sentita stupida, e meglio. Sicuramente già mi stavano fissando e ridacchiando tra loro, le comari, come avevano fatto durante tutto il viaggio. Su, Lsyn, non fare così, se tu che hai i nervi troppo tesi, calmati.

Mi sentii fiduciosa, e li guardai.

Per poco non mi sfuggì un’esclamazione di incredulità. O forse mi è sfuggita e non me lo ricordo.

Quello che mi ricordo benissimo, invece, sono le facce dei miei amici.

In quel preciso istante, Capouille si stava coprendo gli occhi con una mano. Si era rifiutato di vedere.

Zipherias invece, il mio caro Zipherias sempre calmo e granitico, strizzava gli occhi, come infastidito dal sole.

Ebbi anche una fugace visione di Naive, con l’espressione di una persona in procinto di ricevere il regalo più grosso della sua vita ed un sorriso furbo sulle labbra.

Il mio amico dalla pelle scura fu l’unico che ebbe il coraggio di parlare.

Non si voltò nemmeno verso Naive, la sua sembrava piuttosto una domanda retorica. Tutte le sue energie erano concentrate sul rompicapo, per cercare di prenderlo nel migliore dei modi.

“cos’è?”. Domandò semplicemente, con una voce che quasi non riconobbi come la sua. Non ho mai più sentito la voce di Zipherias tremare in quel modo.

Il sorriso odioso di Naive si accentuò, e lei non rispose. Non ne aveva bisogno, tutti sapevamo benissimo dove e come guardare.

Mi sentii afferrare da un panico indicibile. Cercai disperatamente di concentrarmi sulla città. Va bene, visto che non potevo farci assolutamente niente, meglio imitare Zipherias.

Prenderla con filosofia, quello era il segreto. Era tutto normale, niente ci stava minacciando e niente voleva farci del male. Filosofia.

Più facile a dirsi che a farsi. Filosofia.

Niente, la sensazione di oppressione non voleva andarsene.

Pian pianino, però, tutto cominciò ad avere un certo senso. A forza di costringere a fissare, tutto cominciò a ricomporsi in una dimensione più familiare.

Da lontano, Atlantis sembrava una specie di incarnazione della nave. Splendente e gloriosa, quasi artefatta.

Al centro della città c’era una specie di edificio, credo, altissimo, il più alto mai visto in vita mia.

Aveva una forma slanciata, agile, bucava il cielo come un ago. Sembrava ricoperto d’oro, alla luce del sole.

Non vedevo chiaramente tutto il resto, da quella distanza, ma mi sembrava che l’impianto fosse regolare ed ordinato, tipico di una città degli elfi, particolare che mi fece sentire un po’ più a casa.

Non era abbastanza tranquillizzante, ma, se mi fossi soffermata sulla forma un po’ strana di tutto, credo sarei impazzita in brevissimo tempo.

A mare, inoltre, c’era un gran traffico.

Prima, così stordita dalla quantità di nuove informazioni, non ci avevo fatto minimamente caso, ma, ora che le cose stavano riprendendo il loro senso, per modo di dire, potevo guardarmi meglio intorno.

C’erano barche di tutti i tipi, colori e dimensioni.

Alcune piccole, dall’aspetto molto umano, piene di reti, colorate allegramente, piene di bandierine, altre a vela, più grandi e tozze, dai colori scuri.

Alcune erano simili alla nave su cui stavamo viaggiando, e differivano solo per piccoli particolari, come i colori e le polene.

Una di queste, di legno scuro e lucido e argento, e dalla polena a forma di delfino, ci passò vicinissima, facendo una confusione mortale.

La nostra nave rispose con altrettanta foga. Intorno a me, tutto sembrò tremare per un suono sgradevole e profondo. Qualche marinaio di diede ad esclamazioni di gioia, che nessuno curò di soffocare.

Quello fu leggermente troppo per me. Non ero abituata a sopportare quel tipo di stress.

Non riesco a ricordare né come cominciai né cosa dissi esattamente, ma sono sicura di aver investito il capitano Naive Kewslar di una salva di ingiurie, suppliche per tornare a casa, domande, tutto, ovviamente, nella lingua degli elfi, dimenticandomi totalmente che lì nessuno mi capiva.

Una cosa molto strana, nessuno dei miei due compari intervenne per sedarmi. Anzi, sono tuttora sicura che non si siano nemmeno accorti della mia esplosione.

Quell’elfa maledetta mi guardò, grattandosi l’angolo del naso, perplessa.

“Lsyn Amarto, temo di non aver capito cosa mi state dicendo.  Anche se sono sicura che non fossero complimenti, potreste ripetere in un idioma civile?”.

Quella domanda, quel tono così ilare, fecero saltare quel poco di calma che mi ero imposta. Che cosa aveva detto? Idioma civile?

Che cosa stava insinuando? Stupida testa di gallina.

Accidenti, il capitano avrebbe potuto scrivere un intero tomo su come offendere un elfo del continente.

È vero, ma che importava? Noi eravamo gli ultimi tra i diplomatici, elfi imbecilli da trattare come si voleva, da sballottare qui e lì a piacere, senza chiedersi cosa pensassero loro di tutto quello.

Da quando avevamo lasciato Fiya era stata una sequela continua di umiliazioni. Anzi, da quando eravamo a Fiya.

Insomma, ero un po’ stanca di essere trattata come una specie di creatura primitiva, non del tutto senziente.

Ma che idea degli elfi aveva, quella tipa? Suo padre non le aveva insegnato che nel continente avevamo una cultura, una storia che a loro faceva un baffo?

Bella storia, la loro, invece. Erano arrivati lì e basta. Avevano costruito.

Tante grazie, chiunque avrebbe potuto farlo.

Non avevano una lingua, né un’identità. Erano solo tante persone di etnie, razze ed idee diverse che si erano messe d’accordo.

Tante teste che cercavano, volenti o nolenti, di non scannarsi.

Se quello era il loro concetto di modernità, allora, col cavolo che l’avrei accettato, e tante grazie all’idea di elfi trogloditi.

Ah sì, e tante grazie alla diplomazia: non sapevo dove mettermela, dopo quell’affermazione.

La straordinaria uscita sulle lingue civili aveva prodotto anche un altro effetto, oltre a farmi uscire definitivamente di testa.

Capouille e Zipherias avevano sentito, e avevano deciso che, in quel momento, Atlantis non era molto interessante.

Prima che potessi aprire minimamente bocca, sentii un paio di mani diverse posarsi sulle mie spalle.

Una presa solida, sicura, ed una più delicata.

I miei amici mi erano venuti in soccorso.

Vedevo praticamente rosso. Accidenti, dire a me una cosa del genere era il miglior modo per fare un bel bagno a mare. Avevo dimenticato il mal di mare, addirittura.

Intanto, Naive continuava a ridere. Ma che aveva, quella lì? Era stupida?

Stavo per parlare, quando Zipherias mi anticipò.

“quanti anni hai, Naive?”. Cominciò, con voce pacata. Lo invidiai. Lui sì che sapeva mantenere la calma.

Il capitano non sembrò minimamente scomporsi di fronte a quella palese mancanza di rispetto. Era la prima volta che le davamo del tu. Non smise nemmeno di sorridere.

Sbuffai con tutta la forza che avevo. Mi stava davvero dando sui nervi. Il sorriso della maledetta si allargò ancora di più, e lei rispose con voce che definirei soave. Odiosa.

“non vedo cosa c’entri la mia età. È un po’ scortese chiedermelo, non trovate?”.

Ecco, allora voleva proprio provocarci. Scortesi, noi? Ma si era vista allo specchio, lei, la personificazione della maleducazione? Animale che non era altro.

Zipherias strinse un po’ più forte la sua presa, di solito quasi impercettibile. Ecco, si stava arrabbiando un po’ anche lui.

Ci fu un lungo momento di silenzio.

Non mi resi nemmeno conto di essere io a parlare, a bassa voce.

La mia voce uscì più distorta del solito per via della rabbia. Cominciai a tremare, e fui costretta a stringere le mani a pugno. Ah, come mi sarebbe piaciuto schiaffeggiare quella faccia impertinente.

“c’entra che…”. Ringhiai, guardando storto il capitano. Ah, se solo fosse stata mia nipote… per quella frase le avrei dato una punizione esemplare. Che educazione insegnavano quegli elfi, ai propri figli?

Il sorriso di Naive non si spense, ma nei suoi occhi vidi un pizzico di apprensione. Ah, finalmente.

“c’entra che forse esiste qualcosa che si chiama educazione. Tua madre non te ne ha mai parlato, o forse nella tua lingua civile questa parola non esiste? O forse la tua stupida civiltà non permette queste finezze?”.

Presa com’ero dal mio discorso, non mi accorsi nemmeno della strana vibrazione della nave.  Si era fatta molto forte. C’era un rumore cupo nell’aria, ed un odore strano, quasi acre.

Non me ne importò molto. Niente era più importante dell’umiliazione che intendevo infliggere a quella scostumata.

Non ne potevo più. Avevano decisamente oltrepassato il limite!

La cara scostumata, intanto, si era guardata attorno, oltre le nostre spalle, ed il suo sorriso si era fatto ancora più furbo.

Ero sul punto di strozzarla con le mie stesse mani. Piccola presuntuosa… chi si credeva di essere?

Forse la presa dei miei amici sulle mie spalle non serviva solo per supporto.

Lei ci guardò, ancora più soave di prima, come se il nostro discorso non l’avesse minimamente toccata.

“forse”. Disse, serena, la voce strana, come se stesse reprimendo la più grande risata del mondo.

Ci fu un attimo di silenzio indispettito, una pausa di riflessione in cui, ancora fumante di rabbia, ebbi modo di rendermi conto di due cose.

Primo, c’era più rumore del solito.

Secondo, la nave non vibrava più.

Sentii puzza di fregatura imminente. C’era qualcosa che non quadrava a dovere.

“fatto sta che siamo arrivati. Siete meno spaventati, ora? Giratevi pure. Benvenuti ad Atlantis”.

 

 

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