I Reietti

di Lodd Fantasy Factory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fallimento ***
Capitolo 2: *** Rimpianti ***
Capitolo 3: *** Rivelazioni ***
Capitolo 4: *** Il sogno di Samael ***
Capitolo 5: *** Finale Alternativo ***



Capitolo 1
*** Fallimento ***


“La libertà non è un diritto,

ma una capacità di espressione.

Non tutti gli uomini la possiedono.”


 


Fallimento.
 

Un timido spicchio di luna si palesò fra le tossiche coltri d'ebano che, come gli anelli di una rugginosa catena, strozzavano il cielo, facendogli vomitare lacrime acide.

Appariva scarlatta, proprio come la sua iride sinistra.

Per la prima volta, da che era nato, James aveva la rara occasione di contemplarla. L'ironia della sorte voleva che ciò accadesse nello stesso istante in cui il ragazzo andava esalando i suoi ultimi, affannati respiri. Aveva gli occhi sbarrati verso una volta celeste avvelenata; eppure, così beatamente incantevole. Le costellazioni, che avvolgevano come un mantello argentato quello spicchio cremisi, esprimevano l'assoluta perfezione dell'infinito.

Si sentì talmente piccolo, insignificante. I suoi problemi, per un breve attimo, gli parvero talmente insulsi da farlo sentire uno sciocco. Cos'era il suo piccolo mondo, a confronto con l'universo, se non uno sputo nell'oceano, o forse ancora meno?

Quelle stelle erano l'elemento più naturale che James avesse mai scorto nella sua intera esistenza; il primo prezioso dono del creato che gli uomini non erano ancora stati in grado di stuprare con la loro tecnologia, con la loro scienza, chiusi nella loro stretta ed angusta isola di cemento sospesa sul mare, dove tutto ormai dipendeva dalle macchine. Dove niente era più reale, originale.

Le avevano raggiunte, le stelle, secoli addietro, ma era un glorioso traguardo che apparteneva unicamente al passato. Un ricordo sbiadito della grandezza che aveva innalzato il genere umano ad un gradino superiore della scala evolutiva, quando ancora l'orgoglio razziale prevaleva sulla lucida follia. Quando sentirsi esseri umani era ancora sufficiente, per essere felici.

Pensò che fosse un buon modo di morire, dopotutto. Andarsene al cospetto del giudizio universale, sotto una pioggia di astri che forse altri miliardi di uomini come lui avevano potuto ammirare nel corso della storia. Inermi davanti alla sconfinata immensità e perfezione del firmamento. Era un po' come sottomettersi alla volontà dell'esistenza, del fato, degli antichi o di un presunto Dio, che ormai non era più venerato.

Gli stessi uomini si erano ormai elevati a Dei.

 

Aveva fallito.

Si era macchiato del più arcano disonore, venendo meno alla promessa fatta a Samael. Eppure, era riuscito ad arrivare così vicino al tener fede alla parola data, tanto che ritrovarsi in quello stato, ora, incapace di muoversi, lo faceva sentire uno sciocco. Un inetto.

Era stato uno sprovveduto.

Cosa credeva mai di poter fare, ridotto in quelle condizioni? Era poco più che un ammasso d'inutile ferraglia, messa su alla bene e meglio, eppure aveva creduto di poter cambiare le sorti del mondo. Si chiese se bruciasse realmente in lui la volontà di mutare il proprio destino, e con esso quello di tutti gli abitanti di Arcadia; o se, invece, non si fosse semplicemente lasciato trascinare dagli eventi, ammaliato dalle parole di coloro che vedevano in lui una speranza, sino a ritrovarsi a vestire i panni più adatti al suo personaggio: quelli della vittima; oppure, del sacrificio.

Tutto sarebbe precipitato, a prescindere dal suo deplorevole fallimento. Aveva innescato un rapido susseguirsi di eventi che nessuno avrebbe mai potuto arrestare.

Tutto sarebbe cambiato, forse in peggio.

Avrebbe tirato un sospiro di sollievo, se solo ne avesse avuto le forze, per aver sfatato il ridicolo mito della vita che scorre davanti agli occhi, prima del soggiungere della morte. Invece, ormai privo della sua maschera, assimilava a stento una minima quantità di ossigeno dalla tossica aria che impregnava in una cappa l'immensa isola galleggiante.

Desiderava sognare l'ormai mitologico Vecchio Mondo, dove ancora lo splendore della natura prevaleva sulla fredda tecnologia. Quanto avrebbe voluto poter assaporare a pieni polmoni il profumo delle foreste in primavera, o ammirare le immense montagne indossare una candida barba di nuvole e neve in inverno; le foglie danzare sul dorso della fresca brezza autunnale, o godere del maestoso spettacolo del nascere del giorno sopra un orizzonte marino tinto d'oro in estate.

I libri, quei pochi che si erano salvati, narravano di una terra in continua evoluzione, in costante rinnovo. Gli uomini rappresentavano solo una millesimale parte della sua storia. Ora, invece, banchettavano sul cadavere del mondo che avevano annientato a causa del loro egoismo.

Sorrise amaramente.

Una calda lacrima abbandonò il suo occhio destro, l'unico ancora naturale, del colore della cenere. Era una tonalità estremamente rara ad Arcadia, dunque assai richiesta fra i ricchi. Facevano di quelle sofisticate e rischiose operazioni chirurgiche di sostituzione un vero e proprio svago, divenuto ormai becera routine. Era un business raccapricciante, perpetuato alla luce del sole.

Gareggiavano a raggiungere il limite della trasgressione, arrivando a spendere ingenti somme, pur di accaparrarsi le attenzioni e l'approvazione del resto della comunità. Quando si stancavano, sostituivano semplicemente il pezzo. Tutto ciò era la normalità ad Arcadia.

I civili non erano altro che semplici accessori per i potenti; li tenevano al sicuro dietro un muro, che gli impediva di vedere cosa si trovasse al di fuori. Per proteggerli, asserivano, dall'atrofizzazione del globo.

Niente di diverso, effettivamente, rispetto al comportamento che l'uomo aveva da sempre tenuto nei riguardi delle mode.

Eppure, in tutto quel folle e pubblico mercato di organi e vere e proprie esistenze, era stato smarrito il prezioso tassello che definiva e simboleggiava il senso di “umanità”, in una razza che si poteva oramai definire alla deriva. Del tutto aliena alla propria natura.

James aveva sofferto molto, quando si era visto strappare via l'ennesima parte di sé. Era uno di quei pochi che credevano ancora che gli occhi fossero l'unica breccia in grado d'indagare dentro l'anima di un individuo; nei suoi poteva scorgersi una determinazione unica, rinvigorita dall'ardente desiderio di vivere. Almeno, questo era prima che la sua iride sinistra gli venisse asportata.

Lo avevano ricompensato col vile denaro, ovviamente, ma non aveva avuto arbitrio alcuno in quella decisione, nessuna possibilità di obiezione. Arcadia prendeva, pagava, ma non accettava un no come risposta. La sua inutile opposizione avrebbe portato al non troppo misterioso decesso del ragazzo; il suo pregiato pezzo, come loro erano soliti definirli, gli sarebbe stato portato via comunque, insieme alla sua vita.

Ripensò ancora al mondo esterno, ed alla famosa seconda possibilità che a lui non sarebbe mai spettata; quella stessa preziosa occasione che James avrebbe voluto donare al resto dell'umanità, col suo ultimo gesto.

La rinascita.

Ma ora giaceva lì, agonizzante, sul ciglio di una spoglia scogliera artificiale, ad un tiro di schioppo da una cinta muraria elettrificata, sorvegliata da alte torrette. I fasci di luce dei fari di guardia ricercavano la sua esile figura fra le tenebre, come per scovare eventuali complici.

Coloro che lo braccavano sarebbero rimasti tremendamente delusi, se si aspettavano di poter stringere fra le proprie mani un prezioso membro della rivolta.

Ora vedeva tutto per ciò che era realmente: una prigione travestita da paradiso. In fin dei conti, gli uomini tendevano a farsi ingannare facilmente: forse, perché le bugie davano più speranza delle verità. Rendevano tutto più semplice.


 

Continua...

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Capitolo 2
*** Rimpianti ***


Rimpianti



L'impeto delle onde che s'infrangevano sulla barriera di cemento lo teneva ancora legato alla putrida realtà, destinata a sgretolarsi ad una ventina di metri di caduta libera dalla libertà. La fortuna era venuta meno nel momento sbagliato.
Nei quartieri bassi si era sparsa la voce che molti fossero morti nel tentativo di raggiungere il mare, seppur nessuno avesse mai conosciuto in quali circostanze. Si diceva anche i pochi riusciti nell'impresa erano stati inghiottiti dagli abissi, e divorati dalle immense e truci bestie che li popolavano. Oppure, che erano deceduti nell'impatto con le onde, o ancora, si erano infranti contro gli scogli.

Quel che James aveva potuto scoprire, suo malgrado, era che i fuggitivi fossero incappati in un fitto campo minato. L'ennesima trappola.

Vi era un recondito terrore nei confronti del mare, da sempre latente negli animi dei cittadini di Arcadia. Lo società lo aveva gradualmente instillato nelle menti dei civili, divulgando inquietanti storie, giustificando le sparizioni di importanti esponenti, ed alimentando i focolai dei miti popolari, che volevano l'immensa distesa d'acqua popolata da creature mitologiche.

James lo aveva da sempre ritenuto un timore infondato.

Si chiese a più riprese perché fosse ancora tanto lucido: aveva una gamba mozzata, e l'altra lo era per metà. Il braccio sinistro, sostituito anzitempo da una protesi meccanica, dotata di particolari nanocellule in grado di ripristinare i tessuti e la cute, continuava a schioccare, contorcendosi convulsamente su se stesso.

I proiettili, rivestiti di Acidorosso – una sostanza capace di mandare in tilt gli obsoleti meccanismi metallici – lo avevano danneggiato gravemente. Inoltre, aveva affilati frammenti di metallo sparsi in tutto il corpo, a causa della mina su cui aveva sfortunatamente posato il proprio piede. L'urto, oltre ai brandelli delle sue gambe, avevano scatenato altre esplosioni nei dintorni. Perlomeno, erano servite a far perdere le sue tracce.

Portava in corpo parecchia ferraglia, vecchia di almeno cent'anni. Il sistema che la collegava ai suoi nervi, per consentirgli di muoversi, era stato sciolto.

Le sue funzioni motorie erano irrimediabilmente compromesse.

La protesi sbatteva sul freddo pavimento, contorcendosi fra spasmi irregolari, e provocando un raschio tanto fastidioso quanto deprimente. Pulsava al ritmo del proprio battito, che calava d'intensità ad ogni secondo che trascorreva.

Odiava ciò che era divenuto, benché quella strumentazione gli avesse più volte salvato la vita. Si considerava un uomo per metà, nonostante egli non fosse diverso dalla maggior parte degli abitanti di Arcadia. Tutti avevano perso una parte naturale del proprio corpo, acquistata dal primo offerente per pochi spiccioli, e l'avevano rimpiazzata con una protesi meccanica.

Gli organi cibernetici avevano lo scopo di stabilizzare le funzioni vitali del soggetto, affinché i soccorsi potessero giungere in tempo, e salvargli la vita. O per, come James aveva recentemente scoperto, salvaguardare la tecnologia, ed impedire che si arrestassero. Ciò poteva danneggiarli, e renderli quindi inutilizzabili.

Inoltre, la capacità di ripristino dei tessuti non era stata estesa a tutto il corpo, affinché i feriti fossero sempre recuperabili, ma impossibilitati a tramutarsi in ostili e pericolose macchine da guerra, qualora avessero deciso di ribellarsi. Il sistema poteva essere arrestato facilmente; e, quando si rimaneva gravemente danneggiati, andava autonomamente in sospensione.

Insomma, la società imponeva che fossero controllabili, qualora vi fosse un cattivo utilizzo della tecnologia.

In passato, c'erano stati dei gruppi che si erano ribellati alla volontà di Arcadia, e che giuravano di aver raggiunto il mare, e di aver contemplato ciò che vi era oltre. Dissero di aver visto altre terre, e che si trattasse di luoghi naturali, probabilmente fertili. Si trattava di un manipolo di costruttori, programmatori e medici che avevano sfruttato le proprie conoscenze per offrire ad un discreto numero di volontari l'attrezzatura necessaria per fronteggiare le forze militari schierate a protezione del centro del potere.

Volevano ribaltare i vertici, per rendere pubbliche le preziose e vitali conoscenze che i ricchi stavano utilizzando per soggiogare i poveri. Ma i disordini vennero messi a tacere in breve, in seguito all'improvvisa morte del leader della fazione, ed i ribelli dispersi. Il nome dell'uomo che li aveva guidati venne bandito dalla società, e chiunque fosse stato udito pronunciarlo, avrebbe dovuto rispondere del reato di terrorismo e tradimento. La pena era la morte, per mezzo di un'iniezione letale. Oramai, non lo ricordava più nessuno.

Da allora, nessun altro aveva più avuto il coraggio di opporsi, o di far aprire gli occhi ai cittadini; perlomeno, sino a quell'ultimo, folle – o eroico – gesto di James. Era stato estremamente efficace, fintanto che era passato inosservato all'attenzione delle forze dell'ordine. Ora, però, pagava a caro prezzo gli errori che aveva commesso nell'esecuzione del proprio piano.

Se solo fosse stato appena più accorto, sarebbe sicuramente riuscito a completare l'incarico.

Si maledì.

Per sua immensa sfortuna, poi, gran parte dei proiettili rivestiti di Acidorosso erano stati arrestati dalle fasce imbottite del giubbotto antiproiettile; la sostanza non era così riuscita a penetrare sotto pelle, in modo da danneggiare gli organi interni.

Comprese che la sua agonia sarebbe durata ancora a lungo, forse abbastanza da consentire ai cani da guardia della N.I.D.A (Nanomachines Intelligence Department of Arcadia) di trovarlo, interrogarlo e poi dissezionarlo senza pietà alcuna.

Gli avrebbero estorto ogni minima informazione utile.

Tutto quel che restava della silenziosa resistenza, che si era egregiamente nascosta sino alla prima occasione propizia, sarebbe stato spazzato via in poche ore. Gli uomini sarebbero rimasti imprigionati nel loro vuoto oblio mascherato da paradiso.

In seguito, dopo averlo probabilmente utilizzato per attirare allo scoperto i restanti ribelli, avrebbero recuperato dal suo cadavere tutti i pezzi ancora funzionanti, ed avrebbero provveduto a riciclare quanto di integro restava della sua struttura. Sarebbe stato smantellato e rottamato, così come si faceva per le cose inutili.

Non sarebbe rimasta alcuna traccia di lui. Nessun funerale, nessuna bara. Sarebbe stato come se non fosse mai esistito.

Poi, un fastidioso ronzio gli rivelò l'imminente arrivo di un piccolo drone. Volava basso, grazie all'ausilio di quattro eliche circolari. Da un occhio posto al centro della struttura, dotato di campo visivo a 360°, fuoriuscì una cascata di luce rossa che investì l'inerme profilo di James; serviva a comunicare la sua posizione, mutando gradazione, sino a raggiungere un blu acceso, alle torrette di guardia. Puntarono immediatamente i propri fari nei dintorni.

Lo avevano trovato!

 

Continua...

 

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Capitolo 3
*** Rivelazioni ***




RIVELAZIONI
 

Dannate Nanomacchine!”, inveì dentro di sé.

Se avesse avuto anche solo un braccio funzionante, si sarebbe sforzato perlomeno di mostrare il dito medio alla telecamera, che aveva iniziato a scansionare la sua retina buona. A quella distanza, gli sarebbe stato facile abbatterlo. Sarebbe servito a poco, oramai; ma quantomeno si sarebbe tolto un piccolo sfizio.

«ID AAA 395712584 - James Sunderland, nato il 13 Novembre 2365, Arcadia. Ricercato per disordini, terrorismo e l'omicidio di Samael Mason» sentenziò l'inespressiva e metallica voce del drone. «Status vitale del soggetto: critico; necessita cure immediate. Livello di ostilità: inoffensivo; è disarmato. Non rilevo testimoni civili, ribelli o cadaveri. La zona è sicura»

James lo fissò con odio viscerale.

Dentro di lui eruttò un vulcano di rabbia, innescato da quelle assurde accuse, dalle bugie che lo avrebbero fatto apparire per ciò che non era ai posteri, se qualcuno avesse mai serbato memoria della sua esistenza, una volta che la N.I.D.A si fosse occupata di lui. Era un reato ricercare la propria libertà? Era forse un crimine voler rivelare all'intera Arcadia sotto quali menzogne aveva vissuto la propria esistenza? Era davvero un reato... essere umani?

Con l'occhio gonfio di lacrime, sbarrato sulla fredda iride violacea della macchina che lo sovrastava, provò a muoversi, nel tentativo di aggravare la sua situazione. Fu del tutto inutile.

Dalle sue labbra fuoriuscì poco più che un rantolo.

Lasciatemi morire. Voglio sapere cosa c'è dall'altra parte. In fin dei conti... non può essere peggio di questo schifo! Lasciatemi morire...”

Poi, la sensazione di odio, mista alla collera, generarono in lui una paralisi cerebrale. I suoi occhi non videro più, ed ogni suono venne sostituito da un prolungato fischio.

Si sentì scivolare nel nulla.

 

«Ah, ragazzo mio... te lo dico io: dell'umanità resta solo un pallido e vano ricordo!». Gli rimbombarono d'improvviso in testa le ultime parole di Samael, pronunciate in quella tragica notte di un anno prima.

La stessa in cui morì.

James non era riuscito suo malgrado a dimenticare quella conversazione. L'aveva portata dentro di sé, come parte delle colpe che aveva giocato nella dipartita del caro amico. Aveva fatto tesoro delle sue riflessioni, sino a tramutare la silenziosa battaglia di Samael nella sua personale crociata. Aveva finalmente aperto gli occhi.

Il problema dei sognatori desti, però, sta nell'essere incapaci di uscire dalla propria realtà. Non esiste via di fuga.

«Ahimè, non possiamo più definirci uomini. Sarebbe... inappropriato» soleva ribadire, prendendosi lunghe pause.

Le sue parole erano ponderate, frutto di una vita di lunga osservazione e meditazione. Lo considerava una sorta di saggio, James. Era diverso da chiunque altro avesse mai incontrato, e non aveva paura di esprimere la propria opinione.

«È una via senza ritorno, quella che abbiamo imboccato. Nel tentativo di sottrarci all'estinzione, quando il mondo stesso tentò di cancellarci, ci siamo estinti a poco a poco, consapevolmente; azzarderei aggiungere, senza remore. Hanno osato addirittura definirla evoluzione... Il termine che ritengo più appropriato è prigionia, o regressione. I nostri antenati, logorati dalla fame e dalla miseria, si sono fidati ciecamente delle promesse di salvezza offerte da omuncoli votati unicamente ai propri interessi. E noi paghiamo ancora per i loro sbagli!».

Rammentò l'intenso odore della pelle di Samael, lo stesso della terra bagnata d'estate. Era un profumo unico, che aveva potuto apprezzare solo nello strettissimo e segreto giardino dell'amico. Era lì che nascondeva un fazzoletto di vera terra fertile. Non gli aveva mai rivelato come ne fosse entrato in possesso.

Ad Arcadia, infatti, il settore agricolo si sviluppava all'interno di enormi casolari, sottoposti ad una costante e rigida sorveglianza. Si trattava di immensi laboratori, gestiti da personale estremamente specializzato. I prodotti ottenuti erano di eccelsa qualità, ed avevano sempre lo stesso sapore. Li accomunava tutti un vago retrogusto plastico. Gli alimenti erano prodotti in ambienti sterili, onde evitare contaminazioni da parte di agenti patogeni esterni. Proprio per tale motivo, l'agricoltura privata era rigorosamente vietata, perché ritenuta veicolo di malattie. Inoltre, si riteneva impensabile coltivare qualsiasi frutto a causa dell'estrema tossicità dell'aria.

Nel piccolo giardino di Samael, però, crescevano delle patate eccezionali. Lui ne andava estremamente fiero, ed il sapore non era mai lo stesso. In un boccone si potevano riscoprire una marea di sfumature differenti, ormai dimenticate. Gli parve quasi di avvertire quel profumo, anche in quel momento.

Si sentì a casa.

Il pungente ricordo lo catapultò nell'angusto monolocale abbandonato dove l'albino viveva in solitudine, immerso nell'immensa e caotica periferia. Era una delle zone più povere di Arcadia, affollata di cittadini che si guadagnavano da vivere assemblando macchinari, pannelli solari e strumenti di ricambio. Il lavoro consisteva prevalentemente nel supervisionare gli impianti robotizzati, che svolgevano il grosso del lavoro, e nel riavviarli qualora vi fossero problemi di produzione. La paga era delle più basse, e garantiva a stento la sopravvivenza del lavoratore. Le famiglie vivevano di rinunce e sacrifici. Sopravvivevano.

Nel grande quartiere, l'aria era talmente pregna di tossine che i cittadini erano costretti ad uscire con le maschere per l'ossigeno, un bene assai costoso, ma dal quale dipendeva gran parte di Arcadia. I più, che non potevano permettersi i salati ricambi, finivano con l'agonizzare sul ciglio della strada, dispersi nei freddi vicoli. Moribondi. Altri, quelli che non sparivano senza lasciare alcuna traccia, erano costretti a svendere il proprio corpo, trasformandosi in ibridi che ben poco avevano da spartire con un essere umano, e molto invece con gli stessi macchinari che avrebbero continuato a fabbricare. Automi, era il termine esatto per definirli.

L'albino gli aveva rivelato che l'esorbitante quantità di tossine presenti dell'aria avrebbe ucciso all'istante un uomo del Vecchio Mondo.

«Cos'altro potevano fare?» li giustificò James. «La Terra era un luogo inospitale. Erano tutti ammalati. Le radiazioni li stavano decimando. Ancora oggi il problema persiste... ancora oggi siamo vulnerabili».

Se solo avesse conosciuto prima le risposte di cui Samael era in possesso, quel giorno non avrebbe perso tanto tempo. Sarebbero riusciti a scappare.

«Curare il pianeta, per iniziare, dopo averlo infettato. Le sofisticate tecnologie dell'epoca l'avrebbero permesso, se ben impiegate. Certo, molti abitanti di questo mondo sarebbero morti... Forse, se avessero ascoltato le proprie coscienze, oggi, noi due non saremmo neanche esistiti. Ma vi sarebbe un mondo rinato, naturale, al culmine del proprio splendore. Avremmo potuto raggiungere la perfetta simbiosi fra creato e tecnologia. I potenti, invece, hanno approfittato di una vana speranza per renderci inconsapevolmente schiavi» gli aveva rivelato tra alcuni colpi di tosse.

Il suo sguardo gli era parso più teso del solito, e la sua voce ansiosa, ma allora non vi aveva fatto caso. Samael era un individuo imprevedibile, difficile da decifrare. Ogni questione per lui aveva una spiegazione: bisognava solo scoprire quale.

«Com'è possibile tutto ciò?» chiese il ragazzo.

«Avevamo prosciugato le risorse naturali. Per semplificare le nostre vite, almeno così credevano i nostri avi, ci eravamo circondati di futili oggetti che sprigionavano costanti radiazioni: telefoni, forni, TV, addirittura vere e proprie case. In realtà, ragazzo, eravamo già succubi di qualcosa che credevamo ci stesse allietando l'esistenza: la tecnologia!» ribadì, scuotendo il capo con dissenso.

Le sue parole erano da sempre state in grado di generare dei veri e propri film nella sua mente, e quella visione gli fece correre un brivido gelido lungo la schiena.

«Dicevano, ed ancora oggi sostengono che sia tutto sano, James. Ma è una menzogna. Non riesci a vederlo con i tuoi occhi? Gran parte della popolazione era, ed è tuttora affetta da tumori terminali. Finché non giunse la S.I.N – Surrogates industry of nanotechnology – una società che prometteva di risolvere il problema, impiantando parti umane provenienti dai cadaveri, in sostituzione degli organi infetti. Nelle nazioni più povere scoppiarono improvvisamente sanguinose guerre, iniziate per cause che mai vennero specificate... Sembrerà un caso, ma i corpi delle vittime vennero utilizzati dalla S.I.N per guarire i cittadini dei popoli occidentali. Organi interni, arti, occhi. Ogni cosa poteva essere recuperata». Samael aveva tirato fuori dalla sua robaccia una polverosa sfera bluastra. Un vecchio mappamondo. Gli illustrò sopra di esso le zone ritenute all'epoca meno ricche, e quali territori caddero per primi sotto il controllo dell'immensa organizzazione farmaceutica.

«Poi, la Terra si ribellò: con violente catastrofi naturali, sconvolse in soli dieci anni il nostro pianeta. D'un tratto, da incuranti dominatori, eravamo divenuti le vittime prescelte. La natura si stava rivoltando contro i suoi stessi figli, che l'avevano calpestata, sfruttata, logorata e sviscerata. Nessun luogo era più sicuro per la nostra razza. Oggigiorno esiste solo l'Arcadia, per quel che la N.I.D.A vuol farci credere. Galleggiamo sullo sterminato oceano, come un'unica terra emersa fatta di cemento e metallo. Si dice si sorregga per mezzo di apposite ampie camere pressurizzate a tenuta stagna, le quali ci consentono di fluttuare sopra il pelo dell'acqua. Sostengono che non vi sia altro, oltre a noi» raccontò, lasciandosi scappare una sommessa risata sarcastica.

«Radunarono i sopravvissuti su questa piattaforma, che oggi chiamiamo casa. In breve cominciarono ad usarli come batterie, per conquistarsi l'immortalità. Devi sapere che il ricambio di organi favorisce il rinnovo delle cellule all'interno del nostro corpo, rinvigorendole. Il cervello è l'unica parte insostituibile, ma con i dovuti controlli, è possibile mantenerlo costantemente giovane. Non si raggrinzisce, anzi. Coloro che si trovano ai vertici della nostra società, ragazzo, altri non sono che gli stessi signori che hanno assistito, e causato essi stessi la rovina del Vecchio Mondo. Già, le stesse identiche persone ci hanno ingannato per tutto questo tempo. E per cosa poi... guardaci: viviamo come reietti, ai margini di questa immensa metropoli, a costruire ed alimentare una società che ci usa e getta, costantemente. Intanto, continuiamo ad ammalarci. Ma poco importa, fintanto che procreiamo e moriamo, regalandogli le nostre parti buone... non siamo altro che blandi accessori, capi di vestiario che possono cambiare, quando si stufano d'indossarli. Può essere definito vivere, tutto ciò? Dov'è l'armonia dell'esistenza, l'evoluzione delle coscienze, che ha da sempre contraddistinto la nostra razza, dov'è l'arte? Si sono presi tutto, James. Si sono presi ogni minima parte della nostra anima!».

Il tono di Samael si era fatto più cupo, ed i suoi occhi lucidi. «Scelgono i bambini, come lo eri tu, per i loro scopi. Le cellule sono più fresche, adattabili. In cambio di un misero compenso... Quel denaro è servito a ripristinare il tuo arto, ricordi? Non avremo mai la forza di ribellarci, fintanto che rimaniamo a marcire qui dentro»

«Perché nessuno li ha fermati?» chiese James, sconcertato. Tutte quelle informazioni, pur illuminandolo, lo stavano pugnalando come un milione di aghi dritti al cuore. Avvertì tutto il peso della sua prigionia rivelarsi improvvisamente, e schiacciarlo come un enorme macigno. La risposta che ottenne l'avrebbe imprigionato per sempre nella truce realtà.

«Perché nessuno li ha fermati?» chiese James, sconcertato. Tutte quelle informazioni, pur illuminandolo, lo stavano pugnalando come un milione di aghi dritti al cuore. Avvertì tutto il peso della sua prigionia rivelarsi improvvisamente, e schiacciarlo come un enorme macigno. La risposta che ottenne l'avrebbe imprigionato per sempre nella truce realtà.



Continua...

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Capitolo 4
*** Il sogno di Samael ***




Il Sogno di Samael

 

«Perché nessuno li ha fermati?» chiese James, sconcertato. Tutte quelle informazioni, pur illuminandolo, lo stavano pugnalando come un milione di aghi dritti al cuore. Avvertì tutto il peso della sua prigionia rivelarsi improvvisamente, e schiacciarlo come un enorme macigno. La risposta che ottenne l'avrebbe imprigionato per sempre nella truce realtà.

«Ci hanno provato. Ma è difficile rispondere al fuoco dei fucili con le sole pietre. Alice Rainero. Anni addietro ha donato la sua vita per ricordare all'intera Arcadia che doveva svegliarsi dall'incubo che stava vivendo. Sembra che il suo sacrificio si stato vano...»

«Alice Rainero... Questo nome non mi torna nuovo. Chi era?»

«Perché lei era la leader dei ribelli. La donna che prese sotto la sua causa alcune fra le più brillanti menti della società, ed ingaggiò una battaglia pacifica contro lo Stato. Certe bugie, però, quando costano la perdita del potere, se rivelate, vengono protette con le armi, facendo scorrere il sangue a fiumi. Scatenarono così una guerra civile, ma Alice, non propensa a nascondersi, venne catturata e giustiziata. I suoi compagni portarono avanti la causa, ma ben presto furono annientati. Il suo nome venne bandito dalla società, ed il suo stesso ricordo ritenuto reato pubblico»

«Perché il popolo non si è unito a lei?» protestò il ragazzo. Nel suo petto aveva già iniziato a battere l'ardente desiderio di rivalsa.

«Ahimè, le persone sono convinte di esser scampate alla catastrofe, e che la loro salvezza sia dovuta agli stessi signori che Alice Rainero avrebbe voluto destituire. I nostri concittadini si accontentano di sopravvivere, piuttosto che rischiare di perdere tutto. Si tratta di gente senza spina dorsale, schiava della propria ignoranza, delle proprie paure. La tecnologia lì ha privati della loro personalità, del coraggio, dell'umanità stessa. Non sono che marionette nelle mani di una società che è in grado di muovere tutti i fili. Chi sa troppo, viene tolto di mezzo. Subito. Ma benché siano stati assai scrupolosi nel ricercare i membri della resistenza, i soldati della N.I.D.A non sono mai riusciti a prenderli tutti. E la speranza di cambiare Arcadia non è mai morta. Ma occorre essere estremamente prudenti, ragazzo mio: anche se ci troviamo nella periferia, ci sono molte spie, telecamere e cimici utilizzate per scovare i ribelli. Oggigiorno non puoi fidarti neanche del tuo vicino, o della tua stessa famiglia!».

«Perché hai rivelato tutto ciò a me, dunque?» lo interruppe James, sorpreso.

«Qualcosa mi fa credere che tu possa giocare un ruolo importante in tutto ciò. Siamo amici ormai da molto tempo, e soffro molto nel vederti sprecare la tua gioventù al seguito di questa società in decadenza. Forse per questo, o perché sto pian piano perdendo le speranze. Poco m'importa se dovessi essere scoperto. Preferisco spirare rapidamente, piuttosto che dissolvermi lentamente, sciolto dall'acido che Arcadia versa costantemente su questo mondo»

«Raccontiamo tutto ciò che sai. Spieghiamo ai cittadini cosa è realmente accaduto, esattamente come lo hai rivelato a me. Facciamo rivivere il ricordo di Alice Rainero. Ci daranno ascolto!» lo spronò. «In fin dei conti, non possono ucciderci tutti!»

«Abbassa la voce, James!» lo rimproverò, appiattendosi contro la parete. Scrutò fuori dalla finestra con aria assorta. «Non mi ascolti, ragazzo? Ti ho già detto che sono disposti a qualsiasi cosa, pur di mettere a tacere la verità. Troveranno un modo plausibile per far apparire il tutto un semplice attacco alla stabilità, oppure un incidente. Il popolo continuerà a credere a qualsiasi cosa diranno, fintanto che qualcosa di concreto non dimostrerà il contrario. Ed anche in quel caso, dovremo fare i conti con l'inerzia che domina i cuori dei cittadini. Talvolta non è tanto la paura, quanto la mancanza di volontà a rendere l'uomo vittima degli eventi» gli spiegò, amareggiato. «Non possiamo commettere gli stessi errori di Alice. Senza prove, non possiamo dimostrare niente. Comprometteremo inutilmente la resistenza...»

«Secondo me esageri, Sam. Chi non sogna di essere libero? Perché dovrebbero ignorarci?» lo interruppe James.

«Se ti dicessi che il cielo è celeste, mi crederesti?» rispose l'albino.

Il ragazzo non seppe che rispondere. Si sentì spaesato. Allora Samael lo incalzò con altre allusioni: «E che la luna muta il suo colore, dal bianco, all'ocra al cremisi, e che le stelle sono talmente tante da non poterle contare? O ancora che, in rare occasioni, il sole e la luna si fondono in un evento chiamato eclissi? Oppure che a nord, dove prima risiedevano i ghiacciai, la notte si anima di luci multicolore?» fece una lunga pausa, come per lasciare a James il tempo di metabolizzare tutte quelle nozioni. Il ragazzo apparve stordito da tutte le congetture dell'amico, eppure la sua mente si sforzava di accettarle come verità. Sentiva il bisogno di dovergli credere, d'immaginare che il mondo esterno potesse essere davvero così infinitamente incredibile.

Samael scrutò la porta d'ingresso con occhio torvo. Riprese poi con il respiro affannato dall'agitazione:

«No! Poiché nella tua vita hai sempre visto solo un cielo gravido di piombo, ed il firmamento oscurato da potenti fari nottetempo. Non mi crederesti, semplicemente perché non potrei dimostrartelo... Dobbiamo andarcene, James, trovare le prove che oltre ad Arcadia esista ancora il mondo esterno, quello dove sono cresciuti i nostri antenati. Scavalchiamo la recinzione, e balziamo giù dalla scogliera!».

«Ma è una follia: è sorvegliata di continuo! Inoltre, nessuno è mai sopravvissuto alla caduta...».

«Perché credi che la tengano sotto controllo, ragazzo? Oltre essa si trovano le terre che ci hanno sempre nascosto: quella stessa natura che dona la vita. Se fossimo nuovamente liberi, lontano da qui, saremmo immuni alla malattia che ha annientato i nostri antenati. I potenti, impossibilitati a sfruttarci per i loro viscidi scopi, tornerebbero nuovamente mortali. È solo un'illusione quella in cui ci hanno costretti... Il mondo reale è diverso. È vivo!», gli disse afferrandolo per le spalle. Nei suoi occhi divampava la luce della speranza, accesa da una determinazione contagiosa.

James non aveva saputo cosa aggiungere; avrebbe voluto esprimersi con un discorso concreto, ma si sentiva troppo confuso per mettere insieme le parole in un commento sensato. Fra le mani stringeva quel piccolo mappamondo, dove una miriade di nomi affollava la cartina. La domanda gli venne fuori di bocca spontaneamente:

«Noi dove siamo, ora? Su quale di queste terre ci troviamo?»

Samael era inquieto.

Aveva continuato a sbirciare attraverso la vetrata per un po', prima di rispondergli. Apparve divertito, per un breve istante.

«Scorri con il dito sino all'isola più piccola che trovi sul mappamondo: noi siamo ancora più piccoli!» rivelò, prima di ritornare alla finestra. Era sempre stato un tantino paranoico, ma quel giorno apparve esserlo più del solito. Avvertiva che qualcosa stava per accadere.

«Scherzi, vero? Intendi dire seriamente che il mondo è così grande? È impossibile...»

«Ti sorprenderesti delle bellezze che ci sono state negate. Tutto è possibile, se si ha abbastanza pazienza e fiducia» rispose con un ghigno divertito.

«Voglio vederle, allora. Aiutami a vedere il vecchio mondo, amico mio...» lo implorò James.

«Dannazione!» esclamò d'un tratto l'albino, prima di fiondarsi di tutta fretta su una delle sue straripanti librerie, liberandola dal fardello di alcuni voluminosi tomi. «Che fai lì impalato, ragazzo? Dammi una mano a spostarla. Sbrigati!» gli aveva ordinato, rendendosi conto che non vi sarebbe stato il tempo per svuotarla.

«Che succede, Sam? Stai diventando pazzo?» gli chiese, aiutandolo a trascinarla di lato per quasi un metro.

Scoprirono una grata, grande abbastanza da farci passare un uomo attraverso. Era zeppa di ragnatele. Sembrava una sorta di condotto, ma per dove?

«Ci hanno scoperti, James. Qualcuno stava origliando la nostra conversazione. Sei il primo a cui ho rivelato tutta questa storia, da quando io stesso ne sono divenuto unico custode» gli rivelò mentre sollevava la rete della grata. Gli mise una minuscola scheda di memoria in mano. «Mi dispiace... ti ho coinvolto in qualcosa più grande di te. Sei diventato un bersaglio, ragazzo. Diffida di chiunque incrocerai sulla tua strada, d'ora in poi. Portala con te: è un bene prezioso; l'unica chiave in grado di consentirci di arrivare oltre il muro» il suo tono si era fatto più duro, ma i suoi occhi estremamente azzurri tradivano le sue emozioni. Erano lucidi, e James li vide riempirsi di colpevolezza.

«Trova i Reietti: ti aiuteranno! Li riconoscerai unicamente dai loro astrusi discorsi. Se sarai fortunato, forse, saranno loro a trovarti. Sbrigati: devi andartene da Arcadia, o ti uccideranno...» gli disse. «Promettimi che riuscirai a saltare dalla scogliera, che salverai questa gente!» gli sussurrò, stringendolo in un abbraccio paterno.

Era un addio.

 

James non ebbe neanche il tempo di rispondergli: l'uomo lo spinse con un calcio dentro il canale, sbarrando il passaggio alle sue spalle. La pendenza e la scivolosità del condotto lo fecero slittare nell'oscurità, mandandolo a sbattere contro una marea di deviazioni disseminate sul percorso.

«Te lo prometto, Samael!».

Quel grido gli morì in gola, proprio mentre scrutava quell'impressionante luna cremisi venir divorata dalla solita scura, tossica cappa. La truce aria si strinse attorno al suo collo come un'aguzza catena, strozzandolo. Tutto ciò che aveva fatto in quel breve periodo trascorso con i Reietti, per arrivare sin lì, seppur non concretizzato, valeva il prezzo della sua intera vita. Era nato come schiavo della società, ma ora moriva da uomo libero.

Esalò l'ultimo respiro.

 

 

Fine...

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Capitolo 5
*** Finale Alternativo ***



 

Finale alternativo.

 

James non ebbe neanche il tempo di rispondere: l'uomo lo spinse con un calcio dentro il canale, sbarrando il passaggio alle sue spalle. La pendenza e la scivolosità del condotto lo fecero slittare nell'oscurità, mandandolo a sbattere contro una marea di deviazioni disseminate sul percorso.

Udì subito dopo il raschiare del legno della libreria sul pavimento, che avrebbe in seguito ovattato il fracasso prodotto da porte e vetri che andavano in frantumi. Il battere insistente di una moltitudine di piedi gli diede da pensare avessero circondato il vecchio amico. La N.I.D.A li aveva scoperti!

Samael si esprimeva nel suo consueto e contraddistinto parco modo di fare, benché il suo interlocutore gli si rivolgesse in cagnesco. Sembrava stesse gridando degli ordini. Non avvertì nessuno obbedirgli. L'inconfondibile risata dell'albino colpì James di sorpresa. Rideva di gusto, come per una bella ed inaspettata battuta. Rideva della morte.

Le voci divennero confuse, man mano che il suo corpo rimbalzava contro le curve del condotto. Scendeva più rapidamente di quanto si aspettasse; ed il suo fisico, benché rinforzato dalle protesi meccaniche, cominciava ad accusare gli urti. Di questo passo si sarebbe rotto l'osso del collo!

Perché non sei venuto con me, Sam?”, si chiese James, stringendo i denti ed i pugni sino a sentire il dolore scuoterlo dentro l'anima. Nella mano destra custodiva gelosamente la scheda di memoria che gli aveva affidato.

Era il lascito dell'albino.

«Te lo prometto, Samael!».

Quel grido gli morì in gola, proprio mentre scrutava quell'impressionante luna cremisi venir divorata dalla solita scura, tossica cappa. La truce aria si strinse attorno al suo collo come un'aguzza catena, strozzandolo. Tutto ciò che aveva fatto in quel breve periodo trascorso con i Reietti, per arrivare sin lì, seppur non concretizzato, valeva il prezzo della sua intera vita. Era nato come schiavo della società, ma moriva da uomo libero.

Esalò l'ultimo respiro.

Nella sua mente rimbombò l'assordante tuono dello sparo udito mentre scivolava dentro il condotto, lo stesso che aveva posto fine alla vita di Samael. Un'ultima, amara lacrima sgorgò dal suo occhio buono. Non la versava per tristezza, bensì per un'inspiegabile gioia.

La sua mente rimase lucida, però, abbastanza da scorgere la vigile iride del drone che lo sovrastava spegnersi, e così anche il fascio di luce che segnalava la loro posizione alle torrette.

Le eliche smisero di roteare, ed il velivolo si schiantò ad una manciata di metri da James, con un assordante boato.

In lontananza si udivano le voci allarmate dei soldati della N.I.D.A. Erano ormai vicinissimi.

Una sagoma indefinita occupò il suo campo visivo. L'unico dettaglio che riuscì a distinguere furono le scintille prodotte da un rovente mozzicone fra le tenebre. Neanche il suo occhio sinistro, quello meccanico, riuscì a discernere nell'oscurità chi avesse davanti. Era invisibile, incorporeo.

Era pura ombra.

Si chinò su di lui, dopo aver sputato quel che restava della sigaretta, lasciandosi dietro una colonna di fumo che il vento diradò in pochi istanti.

Emanava un intenso profumo di sale, misto all'aroma della terra bagnata d'estate.

«Non è ancora giunto il tuo momento, ragazzo» esordì un fermo timbro maschile, caratterizzato da un accento mai udito prima.

«Questo è solo l'inizio della ribellione: resisti, Reietto».

 

 

Fine.

 


 

Nota dell'autore:

 

 

Caro lettore,

Se sei arrivato sin qui, significa che questa storia è riuscita a conquistarti; almeno, abbastanza da farti arrivare sino alla fine. O, per meglio dire, ai due finali che ho deciso di proporti. Ti ringrazio per la pazienza, e spero di averti regalato un viaggio gratuito verso un mondo dove nessuno (forse) vorrebbe mai vivere.

Questo racconto è nato in occasione di un Contest letterario, indetto da Wired, con sfondo narrativo di “futuro distopico”. Era un tema che non rientrava nelle mie solite ambientazioni, ed il pensiero di lavorare su qualcosa di diverso mi ha subito imposto di fare un tentativo.

Da buon autore prolisso, ho il vizio di creare delle storie piuttosto articolate, e quindi non rientrare mai nei limiti prefissati dal regolamento. Quando l'idea si genera nella mia mente, diventa difficile scacciarla, e vengono fuori episodi sempre più accattivanti.

Nella versione originale dell'opera, purtroppo, ho dovuto mutilare la narrazione, dando vita ad un racconto che ritengo incompleto. Non ho potuto esplorare al massimo il mondo che avevo creato nella mia mente, quindi ritenevo opportuno offrire una seconda chiave di lettura, ed ovviamente anche ai lettori, che si saranno sentiti sperduti, forse.

La scelta dei due finali è stata presa nel momento in cui ho scritto la parola fine. Mi sono detto che tutti, quando leggiamo, ci sentiamo in diritto di lasciar spaziare la nostra mente, e generare seguiti che l'autore forse non aveva immaginato. L'idea originale doveva finire in quel preciso modo, poiché voleva essere una critica, e senza un tale epilogo sarebbe stata vana. Ma da qualche parte, in un altro mondo (se me lo concedi), la storia potrebbe essere diversa.

Mi farebbe estremamente piacere conoscere la tua opinione a riguardo, su quale finale ritieni più interessante. Ovviamente, se lo fai pubblicamente, evita gli spoiler!

Ti ringrazio nuovamente per essere arrivato sino alla conclusione di questo racconto. Voglio invitarti a scoprire le altre opere che ho pubblicato, per conoscere tutti gli stili che adotto nella scrittura delle storie che passano per la mia mente.
Infine, se hai apprezzato l'illustrazione de "I Reietti" ti invito a scoprire l'artista su:
http://the-fantasy-factory.deviantart.com/
 

 

Grazie.
 

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