Ohana

di flightfree
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Keiki kane ***
Capitolo 2: *** Pilikia ***
Capitolo 3: *** Ha'i ***
Capitolo 4: *** Hakaka ***
Capitolo 5: *** Hale ma`i ***
Capitolo 6: *** Maluhia ***
Capitolo 7: *** Ninau ***
Capitolo 8: *** Akamai ***
Capitolo 9: *** Wala'au ***
Capitolo 10: *** Nalowale ***
Capitolo 11: *** Kaikua`ana ***
Capitolo 12: *** 'Imi a loa'a ***
Capitolo 13: *** Pa'ani ***
Capitolo 14: *** 'Oia'i'o ***
Capitolo 15: *** Hanai ***
Capitolo 16: *** Ue ***
Capitolo 17: *** Ohana ***



Capitolo 1
*** Keiki kane ***


Il sole splendeva già da un paio di ore quando, nella loro villa ad Honolulu, i coniugi Noshimuri si prepararono ad uscire. Mentre Adam finiva la sua colazione, Kono infilò le cartelle mediche nella borsa e si assicurò di avere il cellulare in tascha. Suo marito la osservò alzare la suoneria per le chiamate di lavoro. Scosse la testa. -Avresti dovuto prendere un giorno di ferie-, disse mettendo il piatto del Loco Moco nel lavello. Si sciacquò le mani e prese le chiavi della Ferrari. -Non voglio che Chin lo sappia, sai com'è fatto, si preoccuperebbe troppo-, ribattè lei, molto amareggiata dalla decisione di non parlarne col cugino. Dentro di lei sapeva che, anche se non lo davano a vedere, lei e il suo migliore amico si erano molto allontanati dal matrimonio con Adam. Lui credeva ancora che avesse legami con la Yakuza. -E poi, quante possiblità ci sono che mi chiamino proprio oggi?-, sorrise dando un bacio al marito per rassicurarlo.

Adam parcheggiò la Ferrari lungo la strada, difronte al centro. Si trattava di un edificio ad un piano in vetro e cemento, con l'intonaco lucido e una grossa scritta sul lato: "Keiki Kane Centre". Farsi visitare lì costava molto più di quanto l'ottantacinque percento degli hawaiani si potesse permettere, ma di certo i Sig.ri Noshimuri non avevano ristrettezze economiche, sopratutto se si trattava della loro famiglia. Adam aprì la portiera a sua moglie ed entrarono insieme nel piccolo ospedale. La signora alla reception sorrise, controllò l'appuntamento sul grosso Mac che troneggiava sulla scrivania, e indicò loro la strada. Lo studio del Dr. Hugman, medico di fama mondiale, si trovava nel seminterrato ed era una delle cose più fredde e distaccate che si potessero immaginare. A Kono ricordò la stanza degli interrogatori che avevano al quartier generale. -Benvenuti-, salutò il Dr. Hugman con un espressione che non lasciava scampo alle emozioni. -Sig.ra Noshimuri si cambi pure-. Kono fu cambiata, interrogata e visitata, mentre Adam aspettava impaziente seduto su uno sgabbello rivestito di TNT. Guardò sua moglie oltrepassare l'arco che divideva in due parti la stanza, e gli sembrò più fiduciosa di prima. Si abbracciarono e lui spostò lo sgabello vicino al lettino di lei, che sorrise guardando come suo marito avesse ordinatamente ripiegato i vestiti firmati che era stata costretta a togliersi. Aspettarono in silenzio il dottore.

-Sig. Noshimuri, Sig.ra Noshimuri, mi vedo costretto ad informarvi che, a causa del considerevole numero di aborti naturali ripetuti ed inspiegabili, ci troviamo oggi di fronte ad un caso di infertilità senza possibilità di trattamento-. Ancora una volta, nonostante stesse spezzando il cuore di una giovane coppia, l'anziano uomo sembrò non provare assolutamente niente. -Mi dispiace-, aggiunse poi. Per un momento Adam e Kono sembrarono non aver capito qual che era stato loro detto. Poi lei si guardò la pancia e scoppiò a piangere mettendosi il viso fra le mani, suo marito ebbe giusto il tempo di stringerla a sè prima di iniziare a sua volta a piangere. Il telefono di Kono squillò.

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Capitolo 2
*** Pilikia ***


-Lasciami lì, ci vediamo a casa-, disse sbrigativa Kono indicando il ciglio della strada a suo marito. -Non dovresti andare-, le fece notare lui. Era abbastanza seccato dalla cosa, l’unica cosa che voleva era proteggerla ma lei glielo impediva. -Capirebbero-, aggiunse accostando. -Non voglio che capiscano, voglio andare a lavorare-. Prese le chiavi dalla borsa e aprì lo sportello dell’auto. -Allora vengo con te-, decise Adam facendo segno al parcheggiatore di avvicinarsi. -Non ti lascio-.

McGarrett aspettava Kono fuori l’unità di terapia intensiva con un tablet in mano. Aspettò che la collega gli fosse vicina, poi cominciò con l’illustrazione del caso. -Incidente automobilistico, un taxi è stato deviato fuori dal guardrail: due morti e un ferito-, mentre spiegava con fare frettoloso, Steve si avviò lungo lo stretto corridoio dell’ospedale. Ancora più spedita del solito, Kono lo seguì. Adam rimase bloccato dalle porte scorrevoli. -Cosa ci fa lui qui?-, chiese allora McGarrett assicurandosi che il marito dell’amica non potesse sentire. -Niente-, rispose secca lei. Un atteggiamento del genere non era da Kono, c’era qualcosa che non andava. -Se è un incidente d’auto perché ci hanno chiamato?-. Steve non l’aveva mai vista così impaziente, nemmeno il giorno del suo matrimonio. -C’è qualcosa che non va?-, domandò con il poco tatto che lo caratterizzava. Nessuna risposta. -Allora? Perché ci hanno chiamato?-. -Giudica tu stessa-.

Il cadavere posto sul lettino davanti a lei, ancora attaccato ai macchinari per la respirazione assistita, era il cadavere di una donna che aveva visto spesso in quei mesi. -Maggie Thompson, moglie di Mark Thompson, il multimiliardario scomparso sei mesi fa-. Ora le era chiaro perché avessero coinvolto i Five-0, quella famiglia aveva poteri decisionali praticamente su tutto il mondo. -Chi è l’altra vittima?-. Chin, spuntato da dietro l’angolo, tirò sua cugina per il braccio. -L’altra vittima è il tassista, abbiamo controllato, nessun collegamento con gli affari di Thompson-, disse oltrepassando un paio di stanze. -Perché è sorvegliata questa stanza?-, domandò Kono squadrando i due soldati da capo a piedi. -Questa è Sophie Thompson, figlia di Maggie Thompson e Mark Thompson, erede di tutte le ricchezze dei suoi genitori-. -E noi abbiamo paura che ora gli assassini dei suoi genitori vogliano fare fuori anche lei-. -Esattamente-.

Stesa fra un mucchio di coperte e cuscini, vi era una ragazzina non molto più grande di Grace. Aveva i capelli castani raccolti in una coda ed era collegata ad un numero indescrivibile di apparecchi. Dall’intervento che le era costato la gamba destra non si era ancora risvegliata. La sua fronte era coperta di punti, aveva varie escoriazioni sulle braccia e una mano praticamente carbonizzata. Il suo petto si gonfiava e si sgonfiava a un ritmo innaturale. Danny apparve alle spalle di Kono. -Come si può fare questo ad una bambina?-. La sua domanda retorica era piena di rabbia e tristezza. -Eppure l’hanno fatto-, rispose Kono.

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Capitolo 3
*** Ha'i ***


-Trovato niente sulla scomparsa del Sig. Thompson?-, chiese Steve entrando nel quartier generale seguito da Danny. -No, niente che non sapessimo già-, rispose Chin facendo apparire sullo schermo varie finestre riguardanti il miliardario. -Ha fatto carriera molto giovane, prima come dirigente di un’azienda di proprietà di un amico di famiglia, poi aprendosi la sua. Già ricco si è trasferito a Tokyo con la moglie, di sua figlia nessuna traccia. Lo scorso ottobre era alle Hawaii in visita ad una delle sedi della sua compagnia, poi il buio-. Kono era distratta, non aveva seguito per niente, eppure aveva capito. Le spiegazioni di suo cugino erano sempre così, chiare e precise, come le sue del resto: aveva imparato dal migliore. -Kono, Adam messo lì così mi inquieta-, ridacchiò Danny riportando la giovane donna alla realtà. Quasi non si era accorta che suo marito era piazzato dietro il vetro del suo ufficio, seduto con la testa fra le mani e lo sguardo atterrito. -Non ci posso fare niente, ha detto che non mi lascia-, spiegò controvoglia mentre prendeva il suo tablet dalla scrivania. Danny rimase sorpreso dalla durezza con cui Kono aveva risposto e si scambiò uno sguardo con McGarrett, nemmeno lui sapeva cosa le prendesse. -Avete detto che Thompson prima lavorava nell’azienda di un amico di famiglia. Potrebbe essere gelosia?-, domandò il comandante esaminando le cartelle dell’uomo scomparso. -Ma certo! Lui si fa strada, guadagna soldi, poi lascia l’azienda per aprirsene una sua che fattura molto di più dell’altra. L’”amico” vorrà certo indietro quello che ha dato-, concordò Danny gesticolando alla newyorkese. -Sappiamo di che socio stiamo parlando?-. -No, ma possiamo scoprirlo-, rispose Chin cercando notizie sul tavolo interattivo. Sua cugina non gli diede il tempo di attendere i risultati, già aveva fatto tutto. Fece scorrere un dito sullo schermo del tablet ed una grossa foto segnaletica apparve davanti a tutti. Nessuno parlò, Chin si girò verso l’ufficio per assicurarsi che Adam non stesse guardando. Danny alzò lo sguardo, poi guardò Kono. -Quello è Hiro Noshimuri-.

-Non se ne parla Kono, sei troppo coinvolta-. McGarrett voleva essere chiaro fin da subito. -L’ultima volta che mi hai impedito di lavorare a un caso perché “ero troppo coinvolta” sono finita all’ospedale-, controbatté lei, chiedendosi quali conseguenze avesse avuto quella ferita sulla sua capacità di avere figli. Forse tante. Chin entrò nello studio del comandante fissando ancora Adam. -Ha ragione lei, Steve. Se Adam è coinvolto in questa storia stai certo che non se ne terrà fuori anche se provi ad impedirglielo. La cugina, qui, ha la testa dura e noi lo sappiamo-. Sorrise guardando Kono. Lei non ricambiò. -Io a casa non ci vado, Capo. Ho bisogno di stare qui-. McGarrett guardò il giapponese che la sua amica aveva deciso di sposare, poi guardò la foto di suo padre sui loro schermi. Se fosse stato il padre di Chaterine avrebbe fatto lo stesso, eppure loro non stavano più insieme da un po’. -Ok, come dite voi-.

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Capitolo 4
*** Hakaka ***


-Cugina, è successo qualcosa fra te e Adam?-, chiese Chin mentre guardava la cugina guidare con lo sguardo fisso sulla strada. -No, niente-, rispose lei senza nemmeno voltarsi. Eppure lui sapeva che c’era qualcosa che non andava, sentiva che Adam aveva fatto un torto alla sua migliore amica, non si era mai fidato di lui. -Se ti ha fatto qualcosa devi dirmelo, sappi che quando avrò finito non potrà più fare niente-. Da quando Malia era morta, Chin aveva il terrore che potesse succedere la stessa cosa anche a Kono. Non avrebbe mai voluto che le si spezzasse il cuore. -Chin, non è successo niente-, lei non ce la faceva più, avrebbe solo voluto piangere, ma sapeva che se avesse cominciato non avrebbe più smesso. Per questo non era andata a casa, per questo non era lì, al quartier generale insieme ad Adam. Insieme a suo marito. -Va tutto bene-.

-Sig.ra Noshimuri, cosa ci fa qui?-, domandò il facchino all’ingresso dell’albergo. Conosceva bene Kono, era la moglie del suo capo, la moglie del Sig. Noshimuri, il proprietario dell’albergo. -Non avrà intenzione di tradire il signore con quest’uomo, vero? In tal caso sarei costretto a chiamare suo marito-, borbottò il ragazzo che, più che semplice rispetto, nutriva per il suo capo un sentimento quasi di venerazione. -Five-0, Carl. Lui è il Tenente Chin Ho Kelly-. Carl rimase straniato da quella voce così autoritaria, che prima di allora mai avrebbe associato alla Sig.ra Noshimuri. -Allora prego-.

-Quindi questa dovrebbe essere la stanza in cui Mark Thompson ha alloggiato sei mesi fa, sbaglio?-, chiese Chin alla direttrice in tailleur viola che li aveva accompagnati all’ultimo piano. Non poteva credere che tutto quello appartenesse a suo “cognato”. -Non sbaglia Tenente-. -Bè, niente male-, commentò ironico. Poi riprese un tono più serio. -Allora, lei ha detto che il Sig. Thompson si è presentato qui con tre guardie del corpo in borghese e che ha richiesto il massimo anonimato. Aveva prenotato per una settimana ma, dalla terza sera, non si è più presentato in albergo. Giusto?-. -Giusto-. -E delle guardie del corpo? Che mi dice di loro, sono tornate durante quelle tre notti rimanenti?-. -Non ne ho idea, Tenete. Quegli uomini soggiornavano nell’albergo di fronte-.

-Che senso ha, per te?-, domandò Chin Ho a sua cugina. -Io proprio non capisco-, aggiunse. La ragazza lo guardò e si mise le mani in tasca. -Avrà avuto i suoi motivi. Forse voleva stare solo-. Chin si ricordò l’ultima volta che aveva fatto così, quando gli nascondeva la sua relazione con Adam. Per un attimo, nella testa del Tenente, balenò l’idea che ci fosse la possibilità che Kono sapesse qualcosa a riguardo. -Kono, sei sicura che non hai niente da dirmi? DI me puoi fidarti cugina, ne abbiamo superate tante insieme-, disse con tono dolce, pensando alla morte del proprio padre, o a quando lei lavorava per gli Affari Interni, o a quando era stata accusata di omicidio, o a quando era scappata in Cina per salvarsi dalla Yakuza, o a quando lei ed Adam erano stati vittima di Gabriel. Non l’avrebbe lasciata mai sola, anche se, come in quel momento, le cose fra loro due non fossero andate bene. -Cugino ti ho già detto che non c’è niente!-, urlò Kono attirando l’attenzione di tutti. -Io torno dal Capo, ci vediamo dopo-. Girò i tacchi e se ne andò, lasciando Chin spiazzato e a piedi.

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Capitolo 5
*** Hale ma`i ***


-Che ci fai già qui? E Chin?-. McGarrett e Danny si scambiarono uno dei loro sguardi. Davvero non riuscivano a capire cosa ci fosse che non andava in Kono quel giorno. -Chin è rimasto lì. Ho qualcosa di cui posso occuparmi?-, domandò lei oltrepassando i due amici. -Occupati di Adam, perché non penso che se la passi bene-, disse Danny pensando a come sarebbe andata se si fosse occupato di più di sua moglie. Fra tutti i Five-0, Kono era l’unica la cui relazione stesse andando bene, nessuno voleva che le succedesse qualcosa. -So come se la passa mio marito. Ho qualcosa di cui occuparmi?-, domandò di nuovo, osservando Adam disperato dietro il vetro. Le si strinse il cuore. -Vai-, le disse McGarrett. Danny annuì.

-Adam, vai casa, riposati-, sorrise a suo marito cercando di non piangere. Lui la guardò con gli occhi gonfi di lacrime. -Vieni con me, riposiamoci insieme, parliamone, superiamolo insieme-. -Io devo restare qui, Adam. C’è un caso importante, un caso che dovrebbe interessare anche a te-. Adam in quel momento non era più triste, era solo arrabbiato. Come poteva essere un caso più importante della loro famiglia? Più importante di loro? -Kono…-, la supplicò prendendo in mano le chiavi della Ferrari. McGarrett bussò alla porta.

-Non correre! Non correre, non correre!-, urlava Danny seduto al sedile del passeggero. Steve ridacchiava fra sé. -Andiamo Danno, per quanto tempo deve andare avanti questa storia? E poi non sto correndo, guarda Kono, non dice una parola-. -Ma certo, lei ha una Ferrari! E poi non chiamarmi Danno-. Kono era seduta dietro, guardava fuori dal finestrino mentre la macchina sfrecciava diretta all’ospedale. Sophie Thompson si era risvegliata. -Steve, ti prego! Se non vuoi farlo per me, almeno fallo per Grace e Charlie. Cos’è un bambino, se non ha i genitori?-. Di certo qualcosa in più di genitori senza bambino, pensò Kono. McGarrett frenò bruscamente all’ingresso del Pronto Soccorso.

La dottoressa disse che quella ragazza era prodigiosa. Nel giro di poco non solo si era svegliata, ma si era anche messa seduta e aveva iniziato a scrivere. Consapevole del suo ruolo di “esperta” di bambini, Kono si avvicinò alla ragazza. -Ciao Sophie, io sono l’Agente Kono Noshimuri, Five-0. Io e i miei amici vorremmo farti qualche domanda-, disse, e per la prima volta da quella mattina abbozzò un sorriso. Non si era ancora abituata a presentarsi come “Kono Noshimuri”, le sembrava molto buffo come suonava. Pensò a suo marito da solo nella loro immensa villa. Di sicuro stava piangendo. -Sophie, sono Steve McGarrett. Potresti descrivermi quello che è successo stamattina?-. La ragazza non rispose. Anzi, sembrò non sentire nemmeno. Continuava a scrivere con il pennarello sul vassoio del pranzo. -Steve, segnati questi numeri-, fece Danny all’amico osservando la sequenza ripetitiva che la ragazza si ostinava a scrivere. -Cosa vogliono dire?-, le chiese. Ancora, nessuna risposta. -Sophie? Ci sei?-.

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Capitolo 6
*** Maluhia ***


ARRIVATI A QUESTO PUNTO DELLA STORIA, VORREI CHIEDERVI SE VI STA PIACENDO (SEMPRE CHE QUALCUNO LA STIA LEGGENDO) E COSA PENSATE CHE ACCADRÀ. CRITICHE E CONSIGLI SONO BEN ACCETTI. GRAZIE.

-Come mai non parla?-, chiese Chin di ritorno dall’hotel dove Kono lo aveva lasciato. Aveva rivoltato le camere delle guardie del corpo da cima a fondo, eppure niente. Era come se non fossero mai state lì. -È affetta da DGS-NAS-, rispose McGarrett senza alzare troppo la voce. Chin Ho alzò un sopracciglio. -È autistica-, spiegò Danny. -Non è “autistica”. Ha un Disturbo Generalizzato dello Sviluppo Non Altrimenti Specificato-, precisò McGarrett. -Non penso possa esserci d’aiuto con le indagini-, continuò Danny senza badare a quello che aveva detto l’amico. -Io penso di sì, Danno. Quando ero nei SEAL abbiamo mantenuto varie volte la sicurezza nazionale grazie a dei ragazzini affetti da qualche Disturbo dello Spettro Autistico-. Chin aggrottò le sopracciglia. -Non ho mai sentito parlare di nulla del genere, a che operazione ti riferisci?-, domandò grattandosi il capo. -È top secret-, risposero in coro gli altri due. Risero tutti. Seduta nella stanza con la ragazza, Kono non rideva, continuava a fissare i numeri che ormai avevano riempito anche il lenzuolo per cercare di trovarvi un senso. Il telefono di Chin squillò, si alzò per andare ad ascoltare. -Era Fong-, disse il cugino chiudendo la chiamata. -Ha rianalizzato una prova del “Caso Thompson”: a quanto pare la prima volta gli era sfuggito qualcosa-. -Cosa?-, domandò impaziente Kono. -Guardate qua-.

-Pensavo che Shuya Ogawa fosse in prigione-, disse Kono con le spalle agli schermi mentre fissava la sua borsa ancora a terra nel suo ufficio. -È uscito ieri per buona condotta-, spiegò Chin aprendo il fascicolo del mafioso. -Com’è possibile? Sono passati solo tre anni dalla morte di Michael Noshimuri-. McGarrett aveva già aggiunto il nome alla no-fly list, e aveva chiesto a Duke pattuglie su tutta l’isola: sapevano bene di cos’era capace Ogawa. -Ho mandato degli agenti in borghese a casa tua, Kono. Adam sarà al sicuro-. La donna annuì ancora distratta, in quel momento non le importava assolutamente niente del socio di suo cognato, continuava a pensare alle parole del medico, al pianto disperato di Adam. Le venne in mente la morte di Michael, già allora aveva visto Adam piangere, ma allora era giusto, quello che avevano scoperto quella mattina invece non era affatto giusto. -Ci sono!-, fece McGarrett guardando Danny. -Danno dimmi i numeri che scriveva Sophie, usiamoli come numero di telefono-.

Chin Ho sfrecciava sulla strada con la sua moto. Avevano localizzato il cellulare di Shuya Ogawa in una casa a North Shore, Steve e Danny lo seguivano in macchina. Mentre guidava fendendo l’aria con il corpo, i suoi pensieri erano rivolti a sua cugina, la sua amata cugina rimasta al quartier generale per monitorare gli spostamenti di Ogawa. Quando i due colleghi gli avevano chiesto cosa cosa fosse successo a Kono, lui aveva mentito. Aveva detto che era sconvolta per il coinvolgimento della famiglia di Adam, che era sconvolta perché l’uomo che l’aveva costretta a scappare per mesi era ancora in libertà: niente di più falso. La situazione sembrava non averla minimamente sfiorata, come se la cosa non la riguardasse. Chin sapeva che lei soffriva, e non spigandogli perché faceva in modo che soffrisse anche lui. Kono si fece sentire all’auricolare.

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Capitolo 7
*** Ninau ***


I giubbotti antiproiettile, le pistole automatiche alla mano, un piano su come trovare Ogawa. McGarret sfondò la porta con un calcio benché fosse già aperta, Danny lo seguì dentro mentre Chin controllava che nessuno li avesse visti. All’interno era una casa normale, come quasi tutte quelle dei loro sospettati: un salotto, una cucina, degli sgabelli e delle librerie. I tre Five-0 si divisero, ognuno controllava una parte dell’abitazione. -Libero-, fece McGarrett. -Libero-, fece anche Chin. Mentre attendevano il “libero” di Danny si sentì uno sparo. -Questo bastardo volevo scappare-, disse tenendo ancora la pistola contro il sospettato. In tre anni Shuya Ogawa non era cambiato di una virgola, era tale e quale a quando lo avevano arrestato per salvare Kono e Adam. -Cosa volete da me? Ora sono un libero cittadino-, si lamentò il giapponese cercando di fermare il sangue che fuoriusciva dalla gamba. Chin e McGarrett si guardarono in silenzio. -Cosa aspettate, portatemi all’ospedale!-

-Complimenti per la tua scarcerazione, Shuya. Posso chiamarti Shuya, no? Ormai ci conosciamo-. Chin camminava avanti e indietro per la stanza degli interrogatori, lanciando di tanto in tanto un’occhiata al sospettato. -Che sei coinvolto nella sparizione del Sig. Thompson, questo è chiaro-. Ogawa non muoveva un muscolo, ascoltava quello che il poliziotto gli diceva con molta attenzione. -È chiaro anche perché: i soldi di Hiro Noshimuri, e di conseguenza quelli di Michael Noshimuri, hanno fatto arricchire quell’uomo a dismisura. Non ti sembrava giusto, diventare più ricco di quello che ti ha fatto diventare ricco, non si fa. E tu, da paladino della giustizia quale sei, hai voluto mettere a posto le cose. Sbaglio?-. Ogawa si era reso perfettamente conto che ormai era stato incastrato. -No-, rispose annuendo. -Ma io mi chiedo come. Come hai fatto a far rapire il Sig. Ogawa dal carcere di massima sicurezza? Devi essere bravo-. -Ho i miei trucchi-, sorrise. -E ora veniamo alla Sig.ra Thompson e a sua figlia-, continuò Chin sempre camminando. -Rapito il Sig. Thompson ti sei reso conto che ad ostacolarti c’erano ancora le sue due eredi. Con loro ancora vive, il patrimonio era al sicuro. La mia ipotesi è che, uscito dal carcere, tu abbia deciso di rapire anche le due donne, ma qualcosa è andato storto. Di nuovo, mi sbaglio?-. Chin era sicuro di sé, della sua ipotesi, del suo metodo di interrogatorio. -Bella idea, Chin. Perché posso chiamarti Chin. Purtroppo per te, non è vera-, disse Shuya Ogawa guardando il poliziotto che già una volta lo aveva spedito in carcere. -Fino a due minuti fa, non sapevo assolutamente niente dell’incidente. Me lo hai detto tu-. Fece una pausa per osservare la reazione dell’altro. Anche lui era impassibile, davvero un bravo agente. -Non avevo motivo di desiderare la morte di quelle due donne, non sono eredi di niente. Abbiamo controllato tutti i conti del Sig. Thompson, pochi spicci in confronto alla sua ricchezza effettiva-. Chin si fermò davanti alla sedia alla quale Ogawa era ammanettato. -Non ti credo-. -Io non posso farci niente, se vuoi controlla pure. Sono tornato a Oahu stamattina, ero andato a trovare mia zia sulla Grande Isola-.

-L’alibi di Ogawa è confermato Chin, non lo possiamo incriminare dell’incidente-, disse McGarrett, dispiaciuto quasi quanto l’amico. -Si farà comunque un bel po’ di anni per l’omicidio del Sig. Thompson-, aggiunse Danny guardando Kono attraverso il vetro dell’ufficio. -Che sta facendo?-, chiese. -Non ne ho la più pallida idea-, rispose Chin. -Oggi non la capisco proprio-. Come se l’avessero chiamata, Kono si alzò e andò verso di loro. -Ti sbagliavi, Capo. la sequenza di numeri che ci ha dato Sophie Thompson non è un numero di telefono, è un conto bancario-. McGarrett alzò le sopracciglia, sorpreso, ma anche un po' infastidito dalla spavalderia con cui la collega gli aveva detto che si sbagliava. -Il conto bancario di chi, esattamente?-, domandò. Kono fece apparire le sue ricerche sul tavolo interattivo. -Il conto bancario di suo padre-.

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Capitolo 8
*** Akamai ***


-Akemi Stark, nata nel 2000. A cinque anni ottiene il diploma di scuola superiore, a otto viene ammessa ad Harvard dove si laurea con il massimo dei voti. Ha un QI di 215, superiore a quello del 99,9% della popolazione mondiale. È stata insignita di diversi riconoscimenti e del titolo di “Persona più intelligente del mondo”. Riguardo alla sua vita privata non ci sono notizie, né il nome dei genitori né la nazionalità-, spiegò Kono al resto della squadra. -E questa specie di intelligenza superiore sarebbe quella ragazzina che abbiamo visto oggi all’ospedale? Scusate se ve lo faccio notare, ma non parlava nemmeno-, contestò Danny, stupito dal fatto che i suoi amici credessero a quella storia. -Se il fatto che i suoi studi siano finanziati dal padre non ti basta, abbiamo anche una foto-, disse Chin aprendo un file. -L’abbiamo trovata in un articolo di Science dell’anno scorso. Non si può sbagliare, è lei-. Danny osservò la foto che apparve sullo schermo e si dovette ricredere. Quasi gli venne da ridere ripensando a tutte le volte che aveva detto a Grace che lei era super-intelligente solo perché aveva preso un B+ a scuola. -Comunque-, continuò, -non capisco come questo possa aiutarci nelle indagini-. Steve lo guardò perplesso, sapeva benissimo come poteva aiutarli. -Probabilmente il colpevole non cercava Sophie Thompson la figlia del multimiliardario, piuttosto Akemi Stark il genio capace di fare qualunque cosa-. -Dovremmo andare all’ospedale a “parlare” con lei-, fece notare Chin.

Il Capo le aveva fatto i complimenti, Chin aveva detto che lui non ci avrebbe mai pensato, ma nulla di tutto ciò aveva fatto sentire meglio Kono. Guardava per strada e in ogni uomo vedeva suo marito, suo marito che lei aveva abbandonato. Preferiva sentirsi male per come aveva trattato Adam piuttosto che per quello che sapeva. Eppure non riusciva a capacitarsene, loro due non avevano fatto niente di male per meritarsi quello. Il loro amore era stato cercato, era stato sofferto. Si erano visti di nascosto, poi non si erano visti per niente, poi si erano visti attraverso le sbarre della prigione della Yakuza. Era convinta che, almeno in quel momento, meritassero un po' di felicità. -Capo si è fatto tardi, forse è meglio se torniamo domani-, disse ricordandosi del fatto che avrebbe dovuto prendere un pullman per tornare a casa dato che Adam aveva preso la Ferrari. -È urgente Kono, ricordati che lo facciamo per lei-, rispose Steve guardando fuori dal finestrino dell’auto di Danny. -Ma si è appena operata, Capo. Ha bisogno di riposo. Quando hanno operato Adam è dovuto stare a riposo per molto tempo, non mi permettevano quasi di vederlo-, continuò allora lei, ricordando la lunga convalescenza del marito. -Noi ci andiamo, Kono-.

All’ospedale la dottoressa disse che Sophie era stata portata d’urgenza in sala operatoria dopo una crisi causata da un infezione al moncone della gamba. Non sapeva quanto sarebbe durato l’intervento, e disse ai Five-0 di tornare la mattina successiva. Mentre percorrevano il corridoio dell’unità di terapia intensiva, Kono notò che le tapparelle della stanza della ragazza erano completamente abbassate, si chiese il perché. -Hai bisogno di un passaggio?-, chiese Danny quando furono al parcheggio. -No, preferisco andare col pullman-, rispose lei. -Non lasciarla sola-, mimò Chin col labiale. -Sicura Kono? Non dovresti fare tutta quella strada dopo una giornata di lavoro-. Senza parlare, Kono si allontanò. Quella frase le aveva fatto pensare a quel che si diceva alle donne incinte, di non affaticarsi. A lei non sarebbe mai successo. Diede un calcio ad una lattina buttata per terra.

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Capitolo 9
*** Wala'au ***


Kono infilò le chiavi nella serratura e la fece scattare. La porta si aprì davanti a lei, l’enorme salotto della villa era vuoto. Lasciò tutto sul tavolino all’ingresso e andò in camera da letto. Adam la aspettava sdraiato al di sopra delle coperte, si era lavato il viso e non erano rimasti segni delle sue lacrime. -Kono-, sorrise facendole segno di andarsi a sedere affianco a lui. -Adam-, mormorò lei. -Adam, mi dispiace. Mi dispiace così tanto-, singhiozzò mentre si spogliava. Con solo la biancheria indosso Kono raggiunse suo marito sul costoso letto in mogano. -Kono, non ti devi scusare di niente-. Adam strinse l’amata a sé e coprì entrambi con il lenzuolo. -Io…-. Kono non riusciva a dire due parole di fila senza che le si formasse un nodo in gola. -Adam io…-. Adam le prese la testa fra le mani e le diede un bacio. -Piangi-, sussurrò. A Kono tremarono le labbra, sentì il cuore che smetteva quasi di battere, poi le lacrime che le scorrevano calde sulle guance. Pianse per ore, tremando, sempre stretta a suo marito come se fosse l’unica cosa che la tenesse in vita. Quando le lacrime furono esaurite, Adam le accarezzò i capelli. -Penso che ne dovremmo parlare-. Nessuno dei due aveva voglia di farlo, ma in un certo senso erano costretti. -Possiamo aspettare ancora un po’?-, chiese Kono, rannicchiandosi leggermente infreddolita. -Va bene-, rispose lui. -Raccontami qualcosa-, aggiunse. -Oggi abbiamo arrestato Shuya Ogawa, aveva ucciso un ex-socio di tuo padre-. -Davvero?-. Kono sapeva benissimo che Adam non era per niente interessato alla cosa, e gli era grata per permetterle lo stesso di parlare. -Sì, Steve pensava che volesse uccidere anche sua figlia, ma io ho scoperto che erano due casi distinti. Quella ragazza è un genio, penso che volesse lasciarmi un messaggio. Ne sono convinta-. Descrisse tutte le sue teorie all’uomo al suo fianco, gli raccontò tutto per filo e per segno finalmente libera da quel masso che si portava dietro da quella mattina. Poi si addormentò sognando una famiglia felice. Lei, suo marito e un loro bellissimo figlio. Un sogno che sfiorava l’incubo. Anche Adam sognò la stessa cosa.

La colazione era pronta sul vassoio da letto, da quando si erano sposati Adam aveva imparato bene a cucinare. Kono ricordava ancora il loro primo giorno da marito e moglie, quando il cognato di Chin li aveva legati e torturati: allora Adam aveva cucinato la sua prima colazione. -Ora ne possiamo parlare?-, chiese lui. -Va bene-. -Io… io sono abbastanza sconvolto dalla cosa, Kono. Almeno quanto lo sei tu-. Non era esattamente così, al contrario di suo marito, Kono era convinta di avere tutta la colpa, di essere lei il motivo per cui non potevano avere figli. -Io non mi voglio arrendere, Kono. Se non possiamo avere un figlio nostro, possiamo pensare ad una madre surrogata, alla fecondazione in vitro se quello è il problema-. Nella voce di Adam si sentiva l’emozione, la tristezza, ma anche un po' di speranza. -Cosa ne dici?-. Kono posò la forchetta nel piatto dell’insalata di mango e papaya e sorrise a suo marito. -Penso che tu abbia ragione-.

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Capitolo 10
*** Nalowale ***


-Davvero mi avete fatto rinunciare al mio weekend con Charlie e Grace per interrogare una ragazza che non parla?-, chiese parecchio scocciato Danny. Steve lo aveva chiamato mentre stava preparando la colazione per i suoi figli, gli aveva detto di correre in ospedale e nient’altro. -Non posso continuamente lasciarli da Amber, se Rachel lo sapesse non me li farebbe più tenere-. I figli di Danny erano continuamente sbattuti da una casa all’altra, non avevano stabilità, erano confusi. Quando Danny veniva chiamato a lavoro li lasciava da Amber, e l’amore della donna per i due bambini era probabilmente l’unico motivo per cui lei e il poliziotto non si erano ancora lasciati. Kono era sempre stata dalla parte di Danny, ma dal giorno precedente pensava che fosse davvero ingiusto che il suo amico avesse dei figli così belli che erano però destinati ad un infanzia instabile. -Non dobbiamo interrogarla, Danno-, disse Steve mentre un infermiera entrava nella camera di Sophie Thompson con uno straccio. -Akemi Stark è scomparsa-, aggiunse guardando l’amico. -Come ha fatto a scomparire in ospedale? Aveva anche due guardie-. -È stata portata in sala operatoria e non ne è più uscita. Se l’intervento era fasullo potrebbe rischiare la morte per setticemia-, precisò Kono mentre controllava il cellulare. Adam aveva detto che l’avrebbe chiamata in mattinata. -Tu raggiungi Chin e interrogate chiunque sia stato qui tra ieri pomeriggio e stamattina, io e Kono controlliamo la stanza-.

L’unico rumore che si sentiva nella stanza era lo sfregare dello strofinaccio contro il vetro che dava sul corridoio. I macchinari erano spenti, niente monitor con i parametri vitali, niente flebo, niente pompa per il sondino naso-gastrico. Su tutte le lenzuola, sulle finestre e sui vassoi c’erano infinite sequenze di numeri, sempre gli stessi me diversi da quelli del conto. -Me li segno, Capo-, disse Kono cercando di capire dove iniziasse e dove finisse il blocco. -La ragazza già sapeva-, osservò Steve prendendo in mano uno dei vassoi. -Sapeva già tutto-.

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Capitolo 11
*** Kaikua`ana ***


-Non è un numero di telefono, non è una carta di credito, non è un indirizzo-, ricapitolò Danny guardando il numero scritto sul foglietto. Erano tornati in centrale da un po’, cercavano di trovare un senso a quel che stava accadendo. -Forse sono solo numeri a caso, forse non tutto quello che scrive quella ragazza è un indizio-, commentò sempre scettico sulle capacità effettive di Sophie Thompson. Perché lui si rifiutava di chiamarla Akemi Stark. -Forse dobbiamo solo aspettare i risultati di Charlie-. Lui e Chin avevano interrogato tutti quelli di cui c’era traccia, ma non avevano scoperto niente. Avevano però trovato delle impronte digitali sulla sacca per flebo che doveva essere della ragazza. Ovviamente avevano mandato tutto a Fong. -Dobbiamo trovarla-, disse Steve leggermente innervosito. -Deve soffrire parecchio-. Se la flebo era ancore in ospedale, voleva dire che la ragazza era senza antidolorifici, senza anticorpi. Kono, ancora al telefono, bussò alla porta dell’ufficio facendo segno ai due colleghi di uscire. -Oggi la vedo molto meglio. Tu no?-, fece Danny alzandosi dalla poltrona. -Sì, anch’io-, rispose Steve.

-Delano! Mi dite come ha fatto Delano a rapire una ragazzina in ospedale?-, sbraitò Chin sbattendo la mano sul tavolo interattivo. Paul, più che Frank, era un uomo davvero senza scrupoli, ma non immaginava fino a quel punto. -Sapevamo che era fuori di prigione per il suo cancro al cervello. Ce lo dovevamo aspettare-, commentò McGarrett osservando l’enorme impronta digitale sullo schermo difronte a sé. -Di certo la obbligherà a curarlo-, fece notare Danny. -Dobbiamo localizzare Delano, è fondamentale-. Kono stava ascoltando in silenzio, poi scattò d’improvviso. -Ragazzi, abbiamo un problema-, esclamò cominciando a trafficare con il tablet. -Direi che ne abbiamo più di uno-, disse Danny sarcastico. -No, non quello che intendete. Abbiamo un’altro problema-, spiegò lei. -Akemi non parla perché è affetta da DGS-NAS. Questo Delano però non lo sa, potrebbe pensare che si rifiuti di collaborare-. Nessuno parlò. -Potrebbe ucciderla-.

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Capitolo 12
*** 'Imi a loa'a ***


La Ferrari blu sfrecciava per le strade di Oahu. Avevano trovato Delano e non se lo potevano far scappare. Di certo Chin e Kono non se lo sarebbero fatto scappare. -Rapire una ragazzina…-, borbottò Chin seduto sul sedile passeggero. La cugina non gli rispose, non sapeva cosa rispondere. Anche se le cose andavano meglio, anche se si era sfogata con suo marito, quello che aveva scoperto il giorno precedente continuava a tormentarla. -Cugina, sembri pensierosa. È per lo stesso motivo per cui ieri eri nervosa?-. La donna premette il piede sull’acceleratore seguendo la macchina di Danny. Stava riflettendo che forse era il caso di parlarne con Chin, di sicuro prima del matrimonio lo avrebbe fatto. -Io…-, iniziò allora, guardando suo cugino. -Io ti dovrei dire una cosa-. Chin sorrise, sollevato dal fatto che finalmente avrebbe saputo quel che affliggeva la sua migliore amica. -Ieri…-. Squillò un telefono. Chin controllò. Era quello di Kono. Adam. Passò lo smartphone a sua cugina.

-Come va?-, chiese l’oro dall’altra parte del telefono. -Va-, rispose lei. -Io ho iniziato a documentarmi-, comunicò lui cercando una qualche forma di reazione emotiva. -Adam…-, sussurrò Kono lanciando uno sguardo a suo cugino. Non aveva voglia di parlarne, sopratutto con lui in macchina. Adam sospirò. -Come procede il caso?-, domandò capendo di non avere altre possibilità. -Stiamo andando a prendere Delano-. Chin cercava di capire qualcosa della conversazione, e Kono se ne accorse. -Ti devo lasciare-, disse. -Ti amo-.

Le due macchine si fermarono difronte ad una grossa casa in legno in pieno stile hawaiano. I Five-0 al completo, vestiti con i giubbotti antiproiettile e con le armi in mano, entrarono nell'abitazione. Corsero ognuno in una direzione, Steve che controllava la porta. -Libero!-, gridò Danny dalla cucina. -Libero!-, gridò anche Chin dallo studio. -Libero, Capo!-, gridò infine Kono al piano di sopra. -Maledizione!-, imprecò Mcgarrett. Poi cominciò a guardarsi intorno, il divano, la TV, la libraria. La libreria. Con il calcio del fucile ne tastò il contorno, finché non trovò un incavatura. -Di qua!-, urlò agli altri.

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Capitolo 13
*** Pa'ani ***


La squadra scese veloce lungo le strette scale che portavano alla cantina, i fucili puntati e gli occhi vigili. Sentivano delle urla, vedevano dei fasci di luce, speravano che Akemi Stark fosse ancora viva. McGarrett fece cenno agli altri di circondare la stanza. Kono si mise di fianco alla porta. Chiuse gli occhi e ascoltò quello che stava succedendo. I passi pesanti di Paul Delano rimbombavano sordi per tutto il seminterrato, la sua voce bassa sembrava provenire da un cartone animato. -Ti serve solo questo?-, domandò probabilmente alla ragazza. Di tutta risposta lei urlò. Ma tutti i Five-0 riconobbero che il suo non era un urlo di ribellione, bensì uno straziante urlo di dolore. -Rispondi!-, gridò Delano. -Certo che non mi serve solo quello, beota. Le tue analisi e le tue tac sono solo l’inizio della ricerca-, ansimò lei con una voce abbastanza matura per una ragazza della sua età. I quattro componenti del team si guardarono fra di loro, sorpresi dal fatto che Akemi stesse parlando. -Ora dovresti darmi dell’antidolorifico e dell’antisettico, altrimenti muoio e puoi scordarti la cura-, aggiunse decisamente non con il tono di qualcuno che sta per morire. Eppure era vero, senza quelle medicine sarebbe morta di sicuro e ne era consapevole. Kono si disse che probabilmente era per il disturbo che aveva. -Mi hai chiamato beota?!-, tuonò Delano battendo il pugno su quella che sembrò essere una superficie di legno. -Sì. Vuoi uccidermi per questo?-, chiese lei in tono di sfida. -Forse dovrei-, rispose lui caricando una pistola. -Ripeto, se io muoio, muori anche tu. Non c’è nessun altro al mondo che può salvarti-. Ormai era chiaro, la ragazzina che fino a poco prima non pensavano nemmeno parlasse, ora stava sfidando un criminale come Delano. E per di più si stava divertendo a farlo. Il gioco era durato troppo, Chin sfondò la porta con un calcio.

-Five-0!-. Quella parola riecheggiò in tutta la stanza. -Abbassa la pistola, Delano-, ordinò McGarrett puntando la sua arma contro il vecchi nemico. -Danno ammanettalo-, disse poi facendo un cenno all’amico. Mentre i due superiori se la vedevano con Delano, Chin e Kono andarono a liberare la ragazza legata al centro della stanza. Teneva in mano delle cartelle non molto diverse da quelle che la poliziotta e suo marito avevano portato a far analizzare il giorno precedente. Nonostante facesse la dura con il suo rapitore, aveva il viso rigato di lacrime e contorto dal dolore. -Non ti preoccupare, Akemi, ci siamo noi. Ti portiamo all’ospedale-.

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Capitolo 14
*** 'Oia'i'o ***


Mentre seguiva l’ambulanza con Akemi a bordo, Kono era stata contattata da Adam. -Ho prenotato un consulto per stasera. Per te va bene?-, aveva chiesto. -D’accordo. Mi vieni a prendere in ospedale e ci andiamo insieme?-, aveva detto lei con scarso interesse. Non era quello il modo in cui voleva formare una famiglia, in vita sua non avrebbe mai pensato di doverlo fare, avrebbe voluto rifletterci meglio ma Adam sembrava così impaziente. -A tra poco-. Chin, che era sempre seduto di fianco a lei, l’aveva guardata preoccupato. -Tutto bene?- domandò pensando a quale potesse essere il problema. Rispetto al giorno precedente, Kono gli era sembrata stare molto meglio. Anche lei pensava di stare meglio, ma salvando Akemi, mettendo fine a quel caso, aveva anche messo fine a ciò che le aveva tenuto la mente impegnata. Poi ci si era messo anche suo marito, che sembrava aver superato la cosa in una manciata di ore. -Già te l’ho detto ieri, cugino. Tutto bene-, mentì lei senza staccare gli occhi dalla strada.

Danny ringraziò il medico e raggiunse il resto della squadra. -Come sta?-, chiese McGarrett. -Fortunatamente era riuscita a bloccare da sola l’infezione alla gamba prima che fosse troppo tardi. Ora è a riposo, le hanno cambiato il bendaggio al moncone e le hanno somministrato una forte dose di antidolorifici. Se la caverà-, spiegò l’altro. “Se la caverà”, aveva detto così anche il chirurgo che aveva operato Adam. In effetti se l’era cavata, ma oltre ad una grossa cicatrice e a mesi di riabilitazione, quella ferita lo aveva segnato dentro. -Possiamo farle qualche domanda?-, continuò McGarrett. -Il medico ha dato il consenso-. I Five-0 uno di fila all’altro entrarono nel corridoio di terapia intensiva. Akemi era stesa sul letto con gli occhi semichiusi.

-Ci vuoi parlare?-, domandò Chin. -Non voglio, ma posso-, rispose lei senza guardarli. -Perché non vuoi?-, intervenne allora Danno. -Perché vorrei riposare. Ma lo so che primo o poi dovrò rispondere alle vostre domande-. -Perfetto. Allora, prima di tutto, sei Akemi Stark o Sophie Thompson?-. -Akemi Stark-. -Di chi è questo cognome?-. -Di mia madre-. -Come mai hai preso il cognome di tua madre?-. -Mio padre non voleva che il mio successo nella vita dipendesse dal mio cognome-. -Hai avuto successo lo stesso. Tuo padre ti pagava gli studi?-. -Sì-. -Sai come è morto?-. -È morto?-, chiese lei lasciando trasparire per la prima volta un filo di emozione. -Io… io pensavo fosse solo scomparso-. Danny stava per rispondere, ma Kono lo fermò. -Akemi, tuo padre è stato ucciso da un uomo della Yakuza. Voleva i suoi soldi-. -L’ha ucciso per niente, i suoi soldi erano su un conto non ufficiale-. -Esattamente-. -Ora è in prigione? Quello che ha ucciso mio padre, intendo-. Kono annuì. -Quindi ci ha solo perso-, commentò la ragazza cercando di trovare conforto in qualcosa. Kono annuì di nuovo. -Delano voleva che trovassi una cura alla sua malattia, vero?-. Questa volta fu Akemi ad annuire. Danny parve illuminato. Il cancro di Charlie era regredito, ma non era del tutto sparito. -Ne sei davvero capace?-, domandò fremendo. -Probabilmente. Dipende dal caso, ma in linea di massima posso farlo-. Dimenticandosi completamente dell’indagine, Danny le illustrò il caso del figlio. Lei ascoltò più o meno interessata, fino a quando, oltre la finestra della camera, non vide un giapponese vestito elegantemente bussare alla porta. -Michael?-, sussurrò.

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Capitolo 15
*** Hanai ***


-Quindi sei il fratello di Michael?-, chiese Akemi fissando dubbiosa Adam. Quando era entrato nella stanza quella ragazza lo aveva chiamato come mai avrebbe voluto, aveva fatto riaffiorare ricordi di cui in quel momento non aveva proprio bisogno. -Sì-, borbottò lui guardando Kono in cerca di aiuto. -Tu come conosci Michael?-, domandò allora lei alla ragazza. Quella situazione era così strana. -Quando avevo tre anni venne per cinque martedì di seguito a casa mia con suo padre, arrivavano alle 16 e se ne andavano alle 18. Lui giocava con me in giardino. Era simpatico-, spiegò Akemi continuando a guardare Adam. -Michael è morto, come mio padre?-. Adam sentì una stretta allo stomaco. Quando pensava alla morte di Michael si odiava. Quasi quando pensava a quali responsabilità potesse avere nella questione dei figli. -Sì, è morto-, rispose Kono con un nodo in gola. Anche lei si sentiva responsabile. -Perché non venivi anche tu con tuo fratello?-. -Stavo studiando-. -E Michael non studiava? In effetti non sembrava molto furbo-, commentò Akemi ricordandosi di quel ragazzo che aveva preso l’abitudine di portarle dei dolci quando l’andava a trovare. -Tu mi sembri più furbo-, sorrise poi, convinta di quel che diceva. -Grazie-, mormorò Adam. Sperava che la conversazione fosse finita. -Come è morto Michael?-. Per un momento il mondo si fermò.

L’assistente sociale era entrata nella stanza evitando ad Adam di dover rispondere a quella domanda tremenda. Steve, Danny e Chin si erano girati a guardarla perplessi. -Cosa ci fa qui?-, chiese McGarrett. -La Sig. Thompson è orfana dientrambi in genitori ed in mancanza di parenti a cui affidarla è sotto la custodia dei servizi sociali-, spiegò lei annotando qualcosa su un blocco che teneva in mano. -E cose ne sarà di lei?-, domandò allora Chin. -È una cittadina giapponese, quindi verrà rimpatriata, lì probabilmente verrà messa in un orfanotrofio fino al compimento della maggiore età-. Danny ripensò a quello che la ragazza gli aveva detto, che era capace di guarire suo figlio. -Non c’è modo di farla restare qui?-. L’assistente sociale guardò Akemi stesa sul letto dell’ospedale che, a sua volta, guardava un uomo asiatico in piedi davanti a lei. -No, almeno che non venga adottata-, rispose scrivendo ancora sul blocco. Kono, che stava seguendo quel che diceva la donna, spostò gli occhi su suo marito, poi su Akemi. Ripensò all’impazienza di lui, alla madre surrogato, al fatto che avere un figlio loro non sarebbe stato possibile. Ripensò alla prima volta che aveva visto lei, la sua fragilità oltre quella corazza di genialità, il fatto che involontariamente l’avesse aiutata ad andare avanti in quei due giorni, la sua tristezza quando aveva scoperto di essere rimasta sola, senza genitori. -La adottiamo noi-, disse.

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Capitolo 16
*** Ue ***


-Come ti è saltato in mente, Kono?!-. -Io sono con te, ma pensaci bene: ritrovarsi all’improvviso con un figlio non è facile-. I Five-0 erano nella sala d’attesa dell’unità di terapia intensiva. Adam stava spiegando all’assistente sociale il collegamento fra le due famiglie, ovviamente omettendo l’omicidio del Sig. Thompson, e a quanto pareva la cosa, sommata al fatto che fosse anche lui giapponese, e ai suoi soldi, velocizzava di parecchio le cose. Da quando aveva detto quelle parole, “l’adottiamo noi”, gli altri membri della squadra sembravano impazziti. Loro non sapevano, loro volevano solo proteggerla, la vedevano ancora come quella giovane donna ancora un po' ragazzina che avevano conosciuto anni prima. Per non parlare di Chin, poi, per il quale Kono sarebbe sempre stata la bambina che portava a prendere il gelato. -Cugina, se questa cosa serve a risolvere un problema, se pensi che possa aiutare il vostro matrimonio, ci sono altre strade, c’è la terapia-, disse avvicinandosi a lei che, di tutta risposta, scosse la testa sorridendo. -Fra me e Adam va tutto benissimo, non voglio usare quella ragazza come cerotto. Hai sbagliato strada Chin-, replicò lei in un tono che sembrava gridato e sussurrato allo stesso tempo. -E allora perché Kono?-, chiese frustato McGarret che non aveva smesso di ripeterle quella domanda da quando erano usciti dalla stanza. -Davvero, come ti è venuto in mente?-, ripeté per l’ennesima volta. -Per lo stesso motivo per cui ieri stavo come stavo-, rispose lei andandosi a sedere. Guardò i suoi colleghi, i suoi amici, la sua famiglia, pensò che meritassero di sapere la verità. Respirò profondamente, poi abbassò lo sguardo. -È da un po’ che io e Adam cerchiamo di avere un figlio, più o meno da quando si è sistemata la storia con Gabriel. Ci abbiamo provato, ma non è successo. Anzi, un paio di volte ero anche rimasta incinta, ma per così poco da non accorgermene-, cominciò mentre le lacrime affioravano sulle palpebre. Gli altri pendevano dalle sue labbra. -Quindi abbiamo deciso di andare da uno specialista, il migliore in circolazione. I soldi li abbiamo, perché non usarli. L’appuntamento era ieri mattina, Adam mi aveva chiesto di spegnere il cellulare, ma io avevo pensato che non ci sarebbe mai capitato un caso proprio in quel momento. Quando il medico è venuto a parlarci eravamo fiduciosi, pensavamo che finalmente avremmo potuto avere la famiglia che desideravamo-, continuò con un nodo alla gola, scuotendo la testa di tanto in tanto. Il resto della squadra era abbastanza sconvolta, Chin, sopratutto. Com’era possibile che lei non gliene avesse parlato? Com’era possibile che non se ne fossero accorti prima? McGarrett si mise a sedere di fianco a lei. -“Ci troviamo difronte a un caso di infertilità senza possibilità di trattamento”, così ha detto. “Non potete avere figli”, intendeva-, a quel punto Kono si mise a piangere. Chin la strinse forte a sé. -Prima o poi saremmo stati costretti ad adottare qualcuno-, singhiozzo sommersa dagli abbracci dei suoi amici. -E poi Akemi è simpatica-, aggiunse asciugandosi le lacrime.

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Capitolo 17
*** Ohana ***


VI LASCIO CON L’ULTIMO CAPITOLO DI QUESTA STORIA. AVEVO PENSATO, MA È SOLO UN’IDEA, DI SCRIVERE ALTRI RACCONTI CON QUESTI STESSI PERSONAGGI, COME SE FOSSERO “PUNTATE” DELLA SERIE. SPERO CHE MI FACCIATE SAPERE COSA NE PENSATE. GRAZIE

Kono aveva arredato una stanza della villa per Akemi. Come tutte le camere di quella casa, era abbastanza grande, con un guardaroba e un bagno privato. Di certo non aveva mai pensato di saltare tutte la tappe, la culla, il lettino, ma le andava bene così. I medici avevano parlato dell’impossibilità di trovare una protesi adatta per la gamba della ragazza quindi l’avevano trattenuta in ospedale finché non aveva imparato per bene a muoversi con le stampelle. Intanto Adam si era fatto mandare tutte le sue cose da Tokyo, le aveva chiesto di cosa avesse bisogno e le aveva comprato dei vestiti nuovi. Lui, più di sua moglie, era davvero entusiasta di aver trovato così presto una figlia.

-Akemi, andiamo, Adam ci sta aspettando alla macchina-, gridò Kono affacciandosi nella stanza della ragazza. Lei, che si rifiutava di chiamarli mamma e papà, alzò lo sguardo da suo progetto e le sorrise. -Guarda qui-, disse poggiando per terra qualcosa che sembrava provenire dritto da un film di fantascienza. -Niente è impossibile-. Sistemò il moncone nella protesi bionica e, poggiandosi al letto, si alzò. Kono, sul ciglio della porta, rimase allibita. -Questa cosa mi frutterà milioni-, aggiunse la ragazza raggiungendola. -Dove mi porti?-, chiese ad un Adam sconvolto mentre entrava nella Ferrari. -Andiamo sulla tomba di Michael-, rispose lui mettendosi al volante. -Perchè?-, domandò Akemi che non aveva mai capito il senso di tombe e cimiteri. -Ti devo dire una cosa-, spiegò lui. Kono poggiò la mano su quella di suo marito. Sapeva quanto si sentisse in colpa per la morte di Michael, sapeva anche che il fatto che Akemi lo ritenesse suo amico lo faceva sentire in colpa ancora di più. D’altronde, anche lei si sentiva responsabile della morte di Malia, e di certo se lei e Chin avessero avuto un figlio, si sarebbe sentita ancora peggio. Pensò ai suoi amici. Dopo averla ascoltata, l’avevano sostenuta in tutto e per tutto. Le avevano dato dei giorni liberi per stare un po’ con la ragazza, le avevano detto di chiamarli per qualunque cosa. Danny le aveva anche proposto di far incontrare Akemi e Grace, ma avevano concluso che a causa dei due caratteri così diversi non fosse proprio una buona idea. Adam accelerò mentre superavano una curva. -Io… sono stato io a uccidere Michael-, spiegò alla ragazza trattenendosi a stento dal piangere. -Come mai?-, chiese lei come se stessero parlando della spesa. Ogni tanto la sua incapacità di esprimere le emozioni era frustante. -Lui voleva uccidere Kono. E anche me, probabilmente-, rispose lui guardando la sua sposa sul sedile del passeggero. Lei gli sorrise. -Pensi che sia arrabbiata con te?-, domandò Akemi. Adam annuì voltandosi un po’ verso di lei. -Se Kono fosse morta, io ora non avrei una famiglia-, sorrise lei. E Kono fu felice della scelta che avevano fatto. Lei e Adam non potevano avere figli, forse avevano affrettato un po’ troppo le cose, ma per lei la sua famiglia era perfetta. Loro due e quella ragazzina un po’ particolare erano “ohana”.

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