Panacea Project

di LadyRealgar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1461 giorni ***
Capitolo 2: *** Dove si impara quanto sia importante avere un telefono tra le strade di New York ***
Capitolo 3: *** Il Caffé Quotidiano ***
Capitolo 4: *** R(h)umor et silentium ***
Capitolo 5: *** Ricordi e cicatrici ***
Capitolo 6: *** Dove Peter viene coinvolto nelle attività del Daily Coffee e onora l'impegno preso con zia May ***



Capitolo 1
*** 1461 giorni ***


Disclaimer: i personaggi e le situazioni relative al mondo Marvel (fumettistica e MCU) non mi appartengono, ma sono frutto della fervida fantasia di Stan Lee e degli altri autori.

1. 1461 giorni

-Nella storia dell’uomo il tempo ha assunto connotazioni e caratteristiche- gracchiava la voce del professor Miller, dell’università di Harvard, resa metallica dagli altoparlanti della vecchia televisione –Differenti e varie sulla base della civiltà in cui tale concetto veniva preso in analisi. Nella cultura classica, come anche quella indiana, esso era rappresentato da un ciclo, assimilabile al trascorrere delle stagioni, per cui vi è la nascita, lo sviluppo, l’invecchiamento e, infine, la morte, a cui segue un nuovo ciclo di nascita, sviluppo, eccetera. Nel contesto biblico e coranico, invece, possiamo rappresentare il succedersi degli eventi come una linea retta, in cui le azioni umane sono irreversibili e destinare a rimanere tali per l’eternità. Sebbene la teoria di Lavoisier, con il concetto di eternità di massa e materia, tenda ancora ad avvicinarsi all’idea di tempo ciclico, gli studi newtoniani escludono questa visione, considerando, ad esempio, l’irreversibilità di alcuni processi chimico-fisici. La fisica moderna, invece, sembra ritornare al tempo-ciclo, anche se con alcune variazioni, come, ad esempio, la concezione a spirale formulata da Einstein nella Teoria della Relatività.

Mentre serviva l'ultimo caffè della giornata a una guardia notturna che stava per iniziare il suo turno di sorveglianza nel centro commerciale lì vicino, Chiara non avrebbe saputo spiegare la teoria di Einstein riguardo allo scorrere del tempo, ma di una cosa era certa: i suoi ultimi 1461 giorni1 se li sentiva tutti sulle spalle, con tutto il peso delle 35.064 ore passate da quando il Bifrost l'aveva fatta atterrare nel campo di grano da poco mietuto della famiglia Rossi, suoi vicini di casa.

Quando la tazza di ceramica giallo limone fu piena, la guardia la ringraziò con un sorriso, mostrando il vuoto creato dalla mancanza del quarto incisivo inferiore, e cominciò a zuccherare abbondantemente la bevanda scura.

-Arianne- chiamò una voce roca da dietro la porta della cucina -Puoi venire un momento?

Chiara appoggiò in fretta la brocca del caffè, ormai vuota, sul bancone del bar e, saltando il pavimento bagnato che la sua collega Talia, armata di mocho, stava pulendo prima della chiusura della tavola calda, arrivò alla porta della cucina, il cui oblò di vetro faceva intravedere l'interno del locale.

La ragazza spinse la vecchia porta di legno, che cigolando ruotò sui cardini arrugginiti, e un forte puzzo di bruciato le impregnò violentemente le narici, mentre un leggero borbottio di disappunto le giungeva alle orecchie da un vano del bancone alle sue spalle, in cui un cane meticcio, accoccolato sopra un cuscino di tela verde pisello, osservava la scena e sembrava molto contrariato da quel puzzo.

-Cosa succede, mr Bailey?- domandò Chiara, correndo ad aprire la finestra per arieggiare la cucina e far uscire la nuvola nera che si era formata sul soffitto.

-Dev'essere ancora quel maledetto fusibile!- imprecò il corpulento uomo, togliendo dal forno una teglia su cui una torta carbonizzata troneggiava tristemente, emanando fumi grigi.

Il signor Charles Bailey, proprietario del bar-tavola calda il Daily Coffee presso cui Chiara lavorava, era un uomo di colore di sessant'anni, dalla splendida voce baritonale, purtroppo resa roca e aspra dalle innumerevoli sigarette che fumava quotidianamente, e dai grandi occhi color ebano che rispecchiavano la sua natura gioviale e cortese.

Il signor Bailey, posata la teglia sul lavandino, si sfilò dalle mani callose i guanti da forno e rimase per un attimo ad osservare con disappunto il cadavere della torta di carote che giaceva davanti a lui: amava il suo lavoro più di qualunque altra cosa, eccezion fatta per la signora Bailey, e in quello che faceva metteva tutto il suo impegno e tutti i suoi cinquant'anni di esperienza, perciò, ogni qualvolta che un dolce si bruciava o un piatto gli scivolava dalle mani, la prendeva come una forma di sconfitta personale.

-Doveva essere molto buona!- disse la ragazza, cercando di risollevargli un po' il morale.

-È tutta colpa di quello stupido forno!- disse il signor Bailey, indicando l'elettrodomestico incriminato con l'indice teso, quasi fosse stato davanti a un giudice in un tribunale.

-Quel povero forno sarà più vecchio di te!- esordì Talia, entrando in cucina con le ultime stoviglie da lavare su un vassoio di latta -Sarà prossimo alla discarica.

-È un oggetto vintage!- ribatté quasi offeso l'uomo, mentre buttava il blocco carbonizzato nel cestino e si avvicinava al forno per esaminarlo meglio.

-Sarà anche vintage- riprese Talia, ridacchiando -Ma se un giorno la cucina prende fuoco io sarò quella che scapperà per prima!

Nel frattempo il proprietario del locale, facendo attenzione a non scottarsi, aveva staccato la presa e aveva rigirato il forno, per poi estrarre un piccolo fusibile annerito e fumante: -Eccolo qua, il piccolo criminale!- esclamò Charles, poi, rivolgendosi a Chiara, chiese: -Lo so che è la seconda volta questo mese, ma potresti chiede al tuo amico se può fare di nuovo il suo miracolo?

Chiara riusciva a leggere il senso di disagio che permeava quella domanda: il signor Bailey era un uomo di profondo orgoglio, che nella vita aveva sempre lavorato sodo per non dover mai chiedere niente a nessuno, ma quelli erano tempi difficili per il Daily Coffee, che lottava contro la spietata concorrenza delle grandi catene in franchising di caffetterie, ed era necessario stringere un po' la cinghia per tirare avanti.

Tempo addietro il signor Bailey aveva ricevuto dalla banca un avviso di pignoramento per via del debito che aveva contratto per mettere in regola l'impianto elettrico e quello idraulico secondo la nuova normativa: da mesi il signor Bailey, impegnato a pagare, oltre allo stipendio delle sue dipendenti, la clinica che si occupava della moglie affetta dal morbo di Ahlzeimer, non era riuscito a pagare le rate del mutuo.

E ora sulla sua testa pendeva la minaccia dello sfratto, perciò spese come la sostituzione di un vecchio elettrodomestico dovevano attendere momenti più rosei.

-Lo pagherò non appena avrò sistemato le cose con la banca- aggiunse l'uomo -Deve solo dirmi la cifra.

Chiara sospirò e, prendendogli dalle mani il piccolo oggetto di metallo, disse: -Non ti preoccupare, non è tipo che ha bisogno di essere pagato per questi lavoretti. Lo fa praticamente per hobby.

-In ogni caso, troverò il modo di ringraziarlo per i suoi miracoli!- sorrise Bailey, la cui indole allegra non gli permetteva di restare arrabbiato per più di dieci minuti.

"La vita è troppo breve per sprecarla in tristezza" era solito dire.

-Il pavimento della sala è uno specchio- disse Talia, mettendosi i guanti di gomma rosa per i piatti -La macchina del caffè è stata pulita e ora rimangono solo gli ultimi piatti per concludere la cerimonia della chiusura.

-Ottimo lavoro, ragazze- sorrise Bailey, puntellando le grosse mani sui fianchi -Ora però si è fatto tardi, perciò voi andate pure. Ci penserò io ai piatti sporchi.

-Ma mr Bailey...- tentò di protestare Chiara, interrotta, però, dall'uomo che con un gesto della mano chiuse il discorso: -Siete giovani, non potete certo rimanere a fare la muffa qui dentro! Andare a riposarvi. Ci vediamo domani, ragazze!

Le due cameriere si lanciarono un'occhiata complice: tentare di discutere con Charles era come cercare di abbattere un muro a testate, impossibile e controproducente. Rassegnate, salutarono educatamente il proprietario del caffè, si tolsero i grembiuli e, seguite a ruota dal cane, uscirono dal locale, facendosi investire dalla fresca e umida aria di fine Settembre. Per le strade di quel popoloso quartiere di Brooklyn c'erano già festoni, zucche, fantasmi fosforescenti e streghe di plastica in attesa della notte di Halloween; -Dovremmo cominciare anche noi ad addobbare il Daily- considerò con tono vago Talia, intenta ad accendersi una sigaretta, osservando una testa del mostro di Frankenstein di carta pesta che ondeggiava da un balcone del palazzo a fianco.

-Credo che Bailey voglia preparare qualche dolcetto a tema- rispose Chiara, agganciando il guinzaglio al collare dell'animale -Spero solo che non ci chieda di vestirci da zombie come l'anno scorso!

-Con le occhiaie che ci ritroviamo? Non avremo bisogno di travestirci!- ridacchiò la ragazza, espirando una nuvoletta di denso fumo grigio.

-E Annibale lo travestiamo da lupo mannaro- rise Chiara rivolgendosi poi al meticcio che al suo fianco annusava interessato l'asfalto del marciapiede -Che ne dici, giovanotto?

Quello alzò il muso e iniziò a scodinzolare, avvicinando il naso alla gamba della padrona per ottenere delle carezze: -Con questo musino dolce?- chiese Talia, facendo un buffetto sul naso dell'animale -Non spaventerebbe nessuno.

-Forse hai ragione- rispose Chiara, osservando distrattamente il quadrante del suo orologio da polso: erano le 22.11.

-Che farai stasera?- le chiese la squillante e armoniosa voce dell'amica.

-Andrò subito a trovare il mio amico elettricista o domani mattina non ci saranno brioches da servire- rispose vaga la ragazza iniziando a cercare nella borsa l'abbonamento dell'autobus ed estraendolo dopo qualche secondo dalla tasca laterale -Tanto dovevo già passare da lui.

-Passi molto tempo da questo elettricista- esordì maliziosa Talia, spegnendo il mozzicone della sigaretta sul cestino più vicino e buttandolo -Non è che per caso è un po' più di un amico?

Chiara alzò un sopracciglio: -Credimi, no. No, davvero- rimarcò il concetto notando l'espressione incredula dell'amica -Non ho né tempo né voglia di impegnarmi con qualcuno e, te lo assicuro, lui sarebbe l'ultima persona con cui vorrei fare coppia. E poi è già fidanzato e anche da qualche anno, oramai.

-Peccato- sospirò la cameriera mentre si incamminavano verso la fermata dell'autobus -Sarebbe carino sentirti parlare di ragazzi. O di ragazze. O di qualunque persona che possa attirare il tuo interesse.

-Forse un giorno- ridacchiò Chiara, avvolgendole le spalle con un braccio -Ma non ci spererei troppo! Tu, piuttosto, come è andata con Thomas? Non te ne ho più sentito parlare dall'ultima volta che siete usciti insieme. Quando è stato? Una settimana fa?

-Due settimane e mezzo, a dire il vero- precisò l'altra, stringendosi nella giacca a vento -Sembrava andasse piuttosto bene: era carino, simpatico e tutto, ma poi ha detto che Spiderman è un criminale al pari di quelli che pretende di catturare. Ti lascio immaginare in che modo l'abbia piantato.

-Avevi qualcosa di liquido in mano?

-Sì, una cioccolata calda- ridacchiò Talia.

-Povero ragazzo, l'avrai ustionato! Ma nessuno può osare toccare il tuo Spidey!

-No, nessuno, nemmeno J. Jonah Jameson!- la risolutezza dell'amica non fece altro che incrementare il riso di Chiara -Lo difenderò fino alla fine dei miei giorni.

-O dei suoi- ribatté asciutta la ragazza -Non vorrei davvero trovarmi nei suoi panni con tutti i criminali che lo vogliono morto.

-Ma lui sarà sempre una ragnatela avanti a loro!

Un paio di grossi fanali gialli, sormontati dalla scritta luminosa "Midtown, Manhattan" si avvicinarono alla pensilina e le due ragazze di salutarono in fretta, permettendo così a Chiara di salire sul mezzo e, mostrato l'abbonamento al conducente, di prendere posto in uno degli ultimi sedili in fondo. A quell'ora non c'erano molti viaggiatori e praticamente tutti i sedili erano vuoti, ma quella era un'abitudine che aveva acquisito ai tempi del liceo, in cui i posti in fondo sono quelli dei "fighi", e che non si era riuscita a togliere. Più per scaramanzia che altro. E inoltre le piaceva sentire il ronzio del motore sulla schiena e sotto al sedere: era quasi come essere cullati e su di lei aveva un effetto distensivo e rilassante.

Sentì il muso di Annibale appoggiarsi delicatamente sulle sue ginocchia e, accarezzandogli la testa affusolata, si mise ad osservare il caleidoscopio di luci della New York notturna. Era stata in una notte come quella, si ritrovò a pensare la ragazza, che la vecchia Ford di Clint aveva attraversato il ponte di Brooklyn, lasciandosi alle spalle la luccicante Manhattan e addentrandosi nelle strade ben più sobrie del distretto di Brooklyn, nel Long Island.

Non era la prima volta che lei e Clint arrivavano in una nuova città, ma quella era stata diversa: non sarebbero stati lì solo il tempo delle visite e delle analisi di consuetudine tra le quattro mura di una clinica, ma si sarebbero trasferiti a tempo indeterminato.

Così aveva deciso Fury dopo essere tornato dalla tomba in cui si credeva giacesse freddo e riempito di piombo: gli esperimenti dovevano essere mandati avanti, ma con discrezione. Dovevano nascondersi, celarsi agli occhi dell'HYDRA e apparire come comuni cittadini; quale posto migliore per nascondersi se non la frazione più popolosa della città più caotica di tutti gli States?

Se Chiara ripensava al viaggio che aveva programmato di fare in America per festeggiare la laurea, le veniva quasi da ridere: non poteva certo immaginare che sarebbe stata l'America stessa a venirla a prendere.

Era appena tornata da casa di Marco e gli occhi le bruciavano dopo il pianto fatto in macchina lungo tutta la strada del ritorno, l'unica cosa che desiderava era infilarsi nella doccia e continuare a piangere e non fece caso alla macchina nera che era parcheggiata dietro casa.

Lasciò l'automobile al suo posto abituale e corse alla porta, aprendola di scatto e trovando nel proprio salotto quella che sembrava essere una piccola riunione tra la sua famiglia e due sconosciuti: un uomo di colore in long coat nero di pelle e una benda sull'occhio e una donna dai capelli rossi in jeans e camicia lillà.

Il gruppo si voltò a guardarla non appena ebbe aperto la porta e suo padre le fece cenno di avvicinarsi. Sul volto dei suoi familiari Chiara lesse sgomento e la presenza dei due estranei non le suggeriva nulla di buono.

-Chiara, tesoro- esordì suo padre con un sorriso forzato -Ti presento il signor Fury e la signorina Romanoff, dall'ambasciata statunitense. Sono venuti qui per farti delle domande riguardo quello che ti è capitato.

L'uomo chiamato Fury si alzò dalla poltrona su cui sedeva e le strinse solennemente la mano; la sua stretta era ferma e salda. Chiara sentì la forza di quell'arto nascosto dal cuoio nero: avrebbe potuto romperle il metacarpo come se fosse stato fatto di cartapesta, ma le dita che si strinsero attorno al suo palmo erano perfettamente controllate.

La donna, invece, non si avvicinò per svolgere i consueti riti di presentazione, ma si limitò a studiarla con i suoi freddi occhi blu e a sorridere cordiale. Per la ragazza fu come trovarsi di fronte a una pantera: affascinante ma al contempo pericolosa.

-Cosa c'entrano gli USA con quello che mi è capitato?- chiese diretta Chiara ai due sconosciuti.

-Forse avrai letto sui giornali o sentito alla televisione dei fatti accaduti a New York- la pronuncia della donna era piuttosto incerta, con cadenze e suoni tipiche della lingua inglese, ma la grammatica era impeccabile -Abbiano saputo che in queste zone si è verificato di un fenomeno simile, con l'arrivo improvviso di creature non terrestri attraverso un passaggio interdimensionale. Abbiamo fatto le nostre ricerche ed esse ci hanno condotto a te.

-Specifico la domanda, allora- riprese la ragazza cercando di mantenere il sangue freddo -Cosa volete da me?

-Solo parlarti- rispose la signorina Romanoff -Per il momento- rettificò un secondo dopo -Dipende da quello che apprenderemo dal nostro colloquio.

I suoi familiari capirono l'antifona e uscirono in fretta dal salotto, lasciando i tre a discorrere in tranquillità; tra i due era Romanoff l'unica che parlava l'italiano perciò era anche quella che poneva le domande, ascoltava le risposte e le riferiva, tradotte in inglese, all'uomo. Fury ascoltava attento e osservava: per tutta la conversazione e gli anni a seguire in cui fu in stretto contatto con Nick Fury, Chiara si sentì quell'occhio scuro puntato su di sé senza un attimo di sosta, mettendola piuttosto a disagio.

Le chiese di raccontare quello che le era capitato, di descrivere fatti, luoghi e persone e, quando si arrivò a parlare di Phoneus e dei mezzi di trasporto degli Elfi chiari Chiara vide la Romanoff sporgersi in avanti e strizzare leggermente gli occhi, come un gatto in agguato. Per tutto il tempo Chiara fece attenzione a non nominare la figura di Loki.

Quando la Romanoff ebbe concluso le domande e riferito le ultime cose al suo superiore, i due si misero a confabulare fittamente in inglese; Chiara non era mai stata molto brava nelle lingue straniere ma riuscì a distinguere una frase che la fece rabbrividire: We must bring her to Washington.

A quel punto fu, finalmente, Fury a parlare: -È necessario per la tua sicurezza che vengano fatti degli accertamenti. Domani mattina verremo a prenderti alle 4, fatti trovare pronta.

La pronuncia era pessima e l'accento era caduto più volte sulla sillaba sbagliata, ma aveva proferito quelle parole con sicurezza: doveva essersi preparato quella battuta prima di incontrarla. Il che significava che per tutto quel tempo era già stato deciso cosa ne sarebbe stato di lei.

-Non voglio.

I due sconosciuti si bloccarono a metà della stanza, da cui stavano uscendo per avvisare i suoi genitori della decisione presa, e rimasero a fissarla per qualche secondo.

-Non vado da nessuna parte- ripeté la ragazza -Chi mi dice che posso fidarmi di voi?

I due si scambiarono un'occhiata eloquente e la Romanoff, emettendo un sospiro, le si avvicinò; il suo primo istinto fu quello di retrocedere ma si impose di rimanere ferma dove si trovava: non doveva mostrare timore.

-Chiara- iniziò la rossa -Ti ricordi di quello che è capitato a New York un paio di anni fa? Il signor Fury ed io facciamo parte di un'organizzazione antiterroristica che si occupa di affrontare emergenze di questo tipo e quello che ti è successo fa parte della nostra amministrazione: se quello che ci hai raccontato è vero, le conoscenze che hai acquisito potrebbero esserci di grande aiuto per prevenire eventuali altri attacchi. Potresti impedire che altri civili vengano coinvolti in guerre e attentati da parte di forze aliene. Terresti la tua famiglia al sicuro.

Un sobbalzo dell'autobus e il suono del clacson la svegliarono bruscamente, le ci volle una frazione di secondo per capire dove si trovasse e perché l'uomo al volante le stesse dicendo di scendere, ma quando comprese di essere giunta al capolinea, prese il proprio zaino dal sedile accanto e condusse Annibale fuori dal mezzo.

Attorno a loro la scintillante e rumorosa Manhattan li avvolgeva con la sua luce e il suo smog, che anche a quell'ora della sera non mancava mai di appestare l'atmosfera; il cielo a mala pena si vedeva tra le teste degli alti grattacieli pieni di uffici solitamente brulicanti di persone e appartamenti lussuosi. In alto all'edificio che maggiormente svettava nello skyline della Grande Mela la scritta luminosa STARK era come un faro tra le correnti di un mare di macchine, negozi, rumori di ogni sorta e odori di ogni tipo, la cui luce la ragazza si apprestò a seguire non appena fu scattato il verde dell'attraversamento pedonale.

Come sempre quando andava da Stark, la hall di ingresso alla Tower era buia e inanimata, ma dall'altoparlante del citofono una familiare voce la accolse pochi secondi dopo che ebbe premuto una combinazione di tasti: -Buonasera Miss Watson- la voce artificiale le arrivò gracchiante ai timpani, appena percettibile in quella bolgia di suoni di motori di automobili -Il signor Stark la sta aspettando all'ultimo piano.

-Grazie, Jarvis- rispose Chiara attraversando le porte di vetro antiproiettile che si erano aperte per farla entrare.

-Posso chiederle di lasciare il canide fuori dall'edificio?- riprese l'intelligenza artificiale sfruttando gli altoparlanti della hall, mentre i due nuovi arrivati la percorrevano in direzione dell'ascensore.

-No, Jarvis- ribatté Chiara -Per l'ennesima volta.

Ding! squilò allegro il campanello dell'ascensore raggiungendo il piano terra e aprendo le sue porte. Chiara entrò e premette il bottone con il numero 31, i meccanismi si attivarono di nuovo e la scatola metallica iniziò a salire lenta.

-Devo forse rammentarle che il canide ha quasi urinato sui miei circuiti l'ultima volta che è venuta a farci visita, Miss Watson?- chiese l'I.A.

-"Quasi", Jarvis- sottolineò Chiara con la voce -Se ben ricordi l'ho portato fuori prima che potesse fare alcunché. Questa volta, inoltre, mi sono assicurata che abbia fatto tutto prima di portarlo qui. Puoi stare tranquillo per i tuoi circuiti.

L'assistente computerizzato di Stark non disse più nulla e nell'ascensore gli altoparlanti diffusero la melodia della Primavera di Vivaldi come sottofondo della lunghissima ascensione verso il loft del miliardario. Annibale sbadigliò annoiato e si distese sul pavimento di metallo dell'ascensore.

Sulla porta un piccolo schermo si illuminava mostrando dei numeri in progressione e Chiara seguì con lo sguardo sul quadrante i piani raggiunti: 9...10...11...12...13...14...

Sospirò, cercando di ricordare quante volte aveva aspettato quegli interminabili 30 piani prima di raggiungere il genio/milionario/playboy/filantropo che aveva realizzato la H.A.D.: Health and Analysis Device, la macchina che, in pratica, teneva sotto controllo la sua vita da quasi due anni.

"Clint, tesoro" aveva chiamato Laura dalla finestra della cucina che si affacciava al granaio, dove Occhio di Falco stava piallando un'asse di legno che avrebbe fatto parte della nuova porta del piano di sopra "Al telefono!".

Chiara, seduta sul divano a guardare la televisione assieme alla figlia minore della coppia, aveva teso istintivamente le orecchie: le uniche telefonate che i Barton ricevevano erano da parte dei genitori di Laura e, solitamente, avvenivano tra le 18 e le 20. Erano soltanto le 16.37 e chiunque avesse chiamato di certo non era la nonna di Kate, che giocava con le bambole al suo fianco, mentre la televisione trasmetteva le immagini dell'abbattimento del Quartier Generale dello S.H.I.E.L.D. a Washington DC. "Attacco terroristico agli uffici del Triskelion" diceva la scritta che scorreva veloce sul fondo dello schermo "Steve Rogers aka Capitan America risulta disperso".

Alle sue spalle la porta si aprì e i familiari passi dell'agente Barton attraversarono il corridoio di ingresso e raggiunsero la cucina; con uno scatto felino, Chiara si alzò dal divano e, fingendo di scegliere un dvd dalla videoteca, drizzò le orecchie, concentrando tutta la sua attenzione sull'ascolto.

-Ma come diavolo...?- udì Barton imprecare alla cornetta poi il silenzio. Dopo circa un minuto Clint parlò di nuovo, la sua voce di nuovo fredda e controllata: -Sì, signore. Saremo lì.

Il click del tasto del telefono wireless decretò la fine della conversazione e Chiara poté facilmente immaginare quale espressione si fosse disegnata sul viso dell'agente dall'altra parte del muro. Un'espressione molto probabilmente simile alla sua: che Chiara sapesse c'era solo una persona a cui Clint Barton si rivolgeva con quell'appellativo. Ed era morta circa una settimana fa.

-Va tutto bene?- chiese istintivamente all'uomo sconvolto che le si era avvicinato.

-Prepara la valigia- rispose l'agente puntandole contro le sue iridi color del ghiaccio -Stasera abbiamo un appuntamento e ritengo che sia meglio essere preparati ad ogni evenienza.

-Chiara va via?- Kate aveva messo da parte i suoi giochi e li osservava dal divano con un'espressione preoccupata.

-Può darsi- le rispose Clint, prendendola in braccio e stampandole un grosso bacio sulla guancia, facendola ridere per il solletico che la sua barba di tre giorni le aveva procurato -Ma poi ritorna- aggiunse poi, rivolgendo a Chiara un sorriso, che però lei non ricambiò: le piacevano i Barton e in loro aveva trovato quel calore familiare che da due anni le mancava, dormire in una vera casa, abitata da persone vere e non da agenti federali con una pistola sempre attaccata alla cintola, era un'oasi verde nel bel mezzo di un deserto di cemento armato, asfalto e vetro antiproiettile. Rifugiarsi presso di loro era stata la cosa migliore che le fosse capitato in quegli ultimi mesi e, se solo avesse potuto, sarebbe rimasta lì a oltranza, ma l'incanto dell'idillio era svanito, come spesso accade, troppo presto e quella notte, messi a dormire i bambini e stretto un'ultima volta in un abbraccio la cara Laura, Chiara e Annibale salirono sulla vecchia Ford di Clint, viaggiando nell'oscurità.

In pochi minuti raggiunsero un locale notturno sull'autostrada, sporco, rumoroso e pieno di gente dall'aria poco raccomandabile, ma oramai, pensò Chiara quando ebbe oltrepassato la soglia dell'edificio, posti del genere non la spaventavano più. Non sapeva dire, però, se fosse dovuto al numero spropositato di motel che aveva frequentato negli ultimi mesi o per la presenza rassicurante di Clint.

"Forse entrambe le cose" si disse, quando vide l'agente lanciare un'occhiata intimidatoria a un uomo ubriaco che la stava osservando e che, spaventato dallo sguardo del Falco, aveva immediatamente focalizzato la sua attenzione sul bicchiere vuoto che aveva davanti.

-Hai detto che avevamo un appuntamento- bisbigliò la ragazza al suo protettore -Con chi?-; la risposta di Barton fu un veloce cenno del capo in direzione del tavolo in fondo alla sala, a fianco delle slot machines, e Chiara capì, paralizzandosi sul posto.

-Oh mio Dio...- sussurrò, riconoscendo nell'uomo in maglione scuro e berretto da baseball che sedeva al tavolo proprio il presunto defunto capo dello S.H.I.E.L.D., Nick Fury.

-Buonasera- le sorrise Fury, emettendo un sospiro di sollievo -Pensavi già di esserti liberata di me?

-Lo credevamo tutti- intervenne il Falco prendendo posto al tavolo e lanciando una veloce occhiata alla stanza -Natasha in persona mi ha chiamato per dirmi che un pazzo con una protesi di metallo ti aveva freddato, che l'Hydra si era infiltrata nell'agenzia e che tutti i files sul progetto Panacea erano spariti dai server e dalla banca dati. Poi ho visto al telegiornale il Quartier Generale venire ridotto a un cumulo di macerie e nessuna notizia né da Nat né da Steve né dalla Hill mi è pervenuta! Per l'amor del Cielo, hai idea della condizione in cui mi sono trovato?

-Lo capisco, Barton- disse con tono conciliante il capo dello S.H.I.E.L.D. -E credimi quando ti dico che mi dispiace, ma le condizioni e i tempi hanno richiesto l'inscenamento della mia morte. Nemmeno Romanoff aveva idea di quello che stava accadendo.

-Questo non mi rassicura- sbuffò Clint, ancora molto nervoso -Che ne è stato dei files?

-Se l'Hydra fosse riuscita a mettere mano sul progetto Panacea, a quest'ora avreste avuto ogni singolo agente corrotto e traditore alle spalle e, anche se sono sicuro che gli avresti dato diverso filo da torcere, non ci sarebbe stato un solo posto sicuro in cui rifugiarvi. Nemmeno il tuo Nido, Falco.

-Quindi dove sono?- sbottò impazientemente la ragazza.

-New York.

New York le si aprì luminosa davanti agli occhi allorché le porte dell'ascensore sparirono nelle pareti perfettamente bianche del loft elegante del miliardario dall'abito di ferro; era uno spettacolo mozzafiato ammirare l'Empire State Building, la Statua della Libertà e Central Park dall'alto, dorati delle migliaia di luci che mai si spegnevano nella città insonne.

-Anne, tesoro!- l'accolse una voce flautata, accompagnata dal ritmo secco e cadenzato dei tacchi -Come stai?

-Ciao Pepper!- le sottili braccia della donna la avvolsero in un abbraccio amichevole e caldo, nonostante il freddo colore delle sue occhiaie, che facevano apparire il suo viso stanco e provato -Sembri affaticata, da dove sei tornata questa volta? Bombay?

-New Delhi- precisò l'imprenditrice con un sorriso stanco, ma felice; Chiara adorava Pepper, era praticamente il suo idolo: intelligente, determinata, sveglia, paziente e bellissima, persino con quelle brutte occhiaie che le rigavano il viso. La ragazza avrebbe fatto carte false per essere come lei, soprattutto quando la mattina si svegliava con lo strascico degli incubi avuti durante la notte.

-Ah!- esclamò, facendo scivolare una spallina della borsa e iniziando a frugarci dentro -Ti ho portato la commissione.

Sotto lo sguardo impaziente della donna, Chiara estrasse un parallelepipedo rigido avvolto nel pluriball e con un nastrino dorato malamente annodato in un angolo e glielo porse: -Spero ti piaccia, non sono del tutto sicura di essere riuscita a cogliere lo sguardo che avevi nella foto che mi hai dato e poi...

-Anne, è bellissimo!- esclamò Pepper, dopo aver scartato l'oggetto con l'entusiasmo di una bambina alla mattina del 25 dicembre e aver rivelato un dipinto su tela della dimensione di un foglio A4.

-Le hai fatto il naso storto.

Un Tony Stark in jeans, camicia bianca e due flute di champagne in mano apparve da dietro il bar con il suo solito sorriso beffardo di chi crede di avere il mondo ai propri piedi. E quello che lo rendeva ancora più insopportabile alla ragazza era il fatto che in effetti il mondo era veramente ai suoi piedi.

-Il fatto che tu abbia il naso di Cirano di Bergerac non significa che sia il resto della popolazione mondiale ad avere il naso storto- sputò velenosa la ragazza. Come faceva una donna meravigliosa come Pepper a sopportare un uomo infantile e fastidioso dello stampo di Tony?

-Uuuh, sbaglio o si è abbassata la temperatura qui dentro?- ridacchiò Tony con fare superiore, ma la voce metallica di Jarvis si intromise: -Negativo, signore, la temperatura è sempre di 25°C.

-Jarvis, dobbiamo lavorare sul sarcasmo- sospirò l'uomo appoggiando i flute sul tavolino di vetro accanto alle donne -Coraggio, Arianne, andiamo.

Sospirando impercettibilmente, Chiara lasciò cadere all'ingresso la propria borsa e, seguita a ruota dal suo fedele Annibale, percorse il lussuoso loft dai pavimenti in marmo variegato e il ricercato mobilio, fino al vecchio laboratorio privato di Stark, convertito a infermeria dopo il suo trasferimento a Brooklyn. Ora Tony aveva dedicato due interi piani dell'edificio ai suoi giocattoli (per non parlare di quello che si trovava nella sua casa in California), mentre quella grande stanza era stata arredata con un lettino, una sobria scrivania con un largo schermo piatto, uno schedario e un armadio pieno di kit per il prelievo del sangue e delle urine. Sarebbe apparso un comune ambulatorio medico se metà dell'ambiente non fosse stato occupato dall'imponente H.A.D., costituente il 50% del progetto Panacea.

La restante metà era Chiara.

Appena entrato, il signor Stark prese posto alla scrivania, sulla cui superficie comparì una tastiera luminescente; l'uomo digitò la password e sullo schermo apparve la foto di Chiara, affiancata da una serie di numeri e sigle: -L'ultima volta che ci siamo visti avevi la pressione un po' bassa e il colesterolo nel sangue era ai minimi accettabili. Hai mangiato un po' meglio in questo ultimi giorni?- chiese Tony, leggendo pensieroso i dati sul computer.

-Sì, sì, non ti preoccupare- quella finta apprensione che il milionario ostentava ogni volta che si incontravano le dava ai nervi. Come se fosse stato veramente preoccupato per la sua salute.

-Dunque, procediamo!- esclamò l'uomo, accendendo una piccola videocamera e puntandola verso di lei: -Lei è Arianna Watson?- chiese poi, simulando la voce di Nick Fury; con una mano si copriva l'occhio sinistro, imitando la benda, mentre con l'altra faceva scorrere sullo schermo il file con le domande che aveva l'obbligo di porre alla sua cavia ogni volta prima di procedere al trattamento.

-Affermativo- rispose Chiara in uno sbuffo -Seriamente, dobbiamo fare tutte le volte questa sceneggiata?

-Nata a Washington DC il 12 Aprile del 1992?- continuò l'uomo, ignorando la domanda.

-Affermativo.

-Dichiara libertà allo S.H.I.E.L.D. di eseguire le dovute analisi sul suo metabolismo e di sottoporle i farmaci necessari per perpetrare le suddette analisi?

L'obiettivo della piccola telecamera appoggiata sul tavolo brillò di un bagliore freddo alle luci delle lampade, mentre su di essa una piccola spia rossa lampeggiava a intermittenza.

-Affermativo- rispose per l'ennesima volta la ragazza, abituata oramai a rispondere a quella serie di domande come una macchinetta.

-Ha assunto farmaci non prescritti, sostanze alcoliche e/o stupefacenti negli ultimi tre giorni?- continuò Stark, dondolandosi sulla sedia.

-Negativo- rispose asciutta Chiara.

-È in stato di gravidanza o ritiene di esserlo?

-Negativo.

-Ha accusato sintomatologie quali affaticamento, asma, nausea, vomito, vertigini e/o mal di testa persistenti?

-No, ma mi sta arrivando un gran mal di testa proprio adesso, se continuiamo con queste assurde domande- sbottò la ragazza, infastidita e a disagio -Si sta facendo tardi e gradirei tornarmene a casa il prima possibile.

-Molto bene, allora procediamo- l'uomo spense la videocamera e la ripose in un cassetto della scrivania, poi si alzò e si mise ad armeggiare con l'H.A.D per metterla in moto, mentre Chiara iniziava a sfilarsi il maglione.

Un brivido freddo le percorse tutta la lunghezza della schiena quando, sfilati anche i pantaloni e le calze, toccò il pavimento di marmo con i piedi nudi.

-Dovresti seriamente prendere in considerazione di fare installare un sistema di riscaldamento a induzione sul pavimento- suggerì fredda Chiara, rimasta oramai solo in intimo, mentre si sdraiava sul lettino.

-Ho appena preso un appunto mentale- le sorrise il milionario, digitando dei comandi sullo schermo della macchina -Dammi il via quando sei pronta.

"Inspira" fece entrare aria dal naso, con calma, concentrandosi sul rilassare le spalle e il collo "Espira".

-Potrebbe bruciare all'inizio- disse l'uomo dai folti ricci bruni al suo fianco, mentre disinfettava con cura l'incavo del suo braccio sinistro. Le sue mani erano ferme, ma il suo tocco era delicato, come se avesse avuto paura di poterle spezzare le ossa applicando anche solo una leggera pressione: -Se ti fa troppo male, non hai che da dirlo e fermiamo tutto, d'accordo?

Ecco quello che le faceva piacere così tanto il dottor Banner: la sua premura. Di medici, luminari, specialisti e infermieri ne aveva incontrati a mazzi negli ultimi mesi e tutti, dal primo all'ultimo, guardandola vi avevano visto un affascinante mistero della medicina da risolvere ad ogni costo. Chiara era la loro sfida e loro rispondevano ai trattamenti andati a vuoto con proposte e prodotti ancora più aggressivi e radicali.

Poi la sua strada si era incrociata con quella di un uomo dai grandi occhi timidi, che quando aveva letto la sua cartella clinica era inorridito e aveva passato un buon dieci minuti di esercizi di respirazione per mantenere la calma.

-Arianne- le aveva detto -Ora ti prendo i parametri vitali e un campione di sangue in maniera da assicurarmi che tu stia bene, poi desidero che tu esca di qui e ti prenda un paio di settimane di assoluto riposo. Non voglio che metti piede in una clinica finché non te lo dico io, è chiaro?

Dopo circa un mese dal loro ultimo incontro, il dottor Banner era venuto di persona al Triskelion in compagnia del signor Stark e di diverse casse di legno imbottito di Etaphoam, che avevano fatto portare nella sua stanza e disposte sul pavimento.

Quando aveva ricevuto quella visita inaspettata, Chiara aveva percepito subito una discreta tensione tra gli agenti che di norma pattugliavano quel piano, le cui mani scattavano continuamente al fodero della pistola al minimo rumore. Non riuscì a giustificare quell'insolito comportamento.

I due uomini, accompagnati da Fury, le avevano chiesto di spogliarsi e di distendersi sul letto, mentre loro iniziavano ad estrarre i macchinari dalle casse e a montarli, disseminando bulloni, viti e varie componenti metalliche sul pavimento.

-Questo è un siero- spiegò Banner, inginocchiandosi a fianco del letto e mostrandole la siringa che teneva in mano -Te lo inietterò in vena e poi verrà attivato con le radiazioni emesse da quella specie di grossa lampada di Wood che vedi lì- indicò il macchinario che Stark stava finendo di montare -Terremo monitorati i tuoi parametri vitali e la tua attività cellulare e, se tutto andrà bene, non dovrai più girare come una trottola per tutta la nazione.

Chiara annuì in silenzio, porgendogli l'arto e preparandosi a ricevere l'ennesimo medicinale in corpo, ma Banner la guardò per un momento e disse calmo: -Nessuno ti impone di ricevere questa cura, se hai paura o non te la senti, sei libera di rifiutarti.

-Sono pronta.

Non c'era esitazione nella sua voce: riportare alla memoria le parole del dottor Banner l'aiutava ogni volta a ricordare per cosa e, sopratutto, per chi aveva accettato di seguire gli agenti fino all'altro capo dell'Atlantico.

Stark passò il cotone imbevuto di disinfettante sulla pelle del braccio e, trovata la vena, vi affondò la punta dell'ago con un gesto pulito e preciso, nonostante il leggero tremore della mano, tipico di chi ha assunto per molto tempo grandi quantità di alcolici. Lo stantuffo iniziò a scendere e il liquido rosa cominciò a pizzicarle sotto la pelle.

Aveva imparato a convivere con quel bruciore e, con il susseguirsi delle sedute, aveva quasi smesso di sentirlo. Attese che il serbatoio della siringa da insulina venisse completamente svuotato, poi ordinò ad Annibale, che per tutto quel tempo l'aveva osservata a fianco del lettino con i suoi grandi occhi nocciola, di andare dietro la scrivania; quello obbedì e Tony, riposta la siringa in un sacchetto che sarebbe finito nell'inceneritore, lo seguì, per poi azionare a distanza H.A.D., che iniziò a vibrare mentre i suoi meccanismi si mettevano all'opera.

Una piccola spia rossa si accese sul macchinario e Chiara chiuse gli occhi, mentre il suo corpo veniva irraggiato delle radiazioni emesse da H.A.D.; poteva sentire il siero correrle veloce nel suo sistema circolatorio, infiltrandosi nel ventricolo destro, venire spinto nell'atrio destro e poi pompato fino ai polmoni, per poi tornare ad attraversare il suo corpo fino a raggiungere il ventricolo sinistro, l'atrio sinistro e l'aorta.

Ovunque esso andasse, qualunque cosa toccasse, era come una scintilla sull'erba secca, mandando le sue cellule a fuoco; nel frattempo le sue orecchie potevano udire il computer sulla scrivania riprodurre il battito del suo cuore sempre più accelerato.

-Coraggio, Anne- la rassicurò l'uomo dall'altra parte della stanza -È quasi finito e tu ti stai comportando alla grande.

-Facile per te!- ridacchiò la ragazza, ma la sua voce uscì più gutturale e cupa del previsto e fu costretta a schiarirsi la gola, facendo abbaiare Annibale.

Non potendo aprire gli occhi per evitare che le radiazioni le rovinassero i cristallini, Chiara gli diede il comando di silenzio con la mano e quello si acquietò, pur continuando a brontolare tra i denti.

Dopo dieci minuti di quel trattamento, finalmente H.A.D. si fermò e il suono di un campanello decretò la conclusione della seduta: -Potresti pensare di aggiungere una lampada abbronzante a questo trabiccolo, almeno avrei una tintarella invidiabile tutto l'anno!- disse la ragazza sollevandosi dal lettino e dando una carezza al suo fedele animale domestico che era andato ad accertarsi che la sua padrona stesse bene.

-Meglio di no- rispose Stark, osservando sullo schermo la scansione che la macchina aveva fatto della paziente durante il trattamento -A meno che tu non voglia avere il colore di un pollo arrosto e un bel po' di melanomi qua e là.

-No grazie- Chiara infilò le gambe nei jeans e li abbottonò -Hannibal, jumper!- ordinò e il cane trotterellò fino all'angolo dove giaceva il maglione, lo prese delicatamente in bocca e glielo portò, scodinzolando tutto contento.

-Good boy!- lo premiò la fanciulla estraendo dalle tasche un sacchetto di biscotti per cani, sotto gli occhi affascinati di Tony, il quale, salvati i dati acquisiti quella sera, chiese con ammirazione: -Ora sa anche distinguere gli indumenti?

-Solo qualcuno- rispose Chiara, mentre si allacciava le scarpe -Conosce jumper, socks e scarf. Confonde ancora gloves e shirt, ma sta imparando. Ah!- esclamò poi, portando la mano alla tasca -Stavo per dimenticare.

Estrasse il fusibile dal pantalone e lo lanciò all'uomo, che lo afferrò al volo e iniziò a studiarlo, mentre si lasciavano l'infermeria alle spalle e rientravano in salotto: -Fammi indovinare- disse Tony -Di nuovo il forno?

-Già- rispose asciutta -Puoi aggiustarlo?

-Sai che al centro commerciale vendono degli ottimi elettrodomestici?- domandò il milionario, ma l'eloquente occhiataccia della ragazza gli intimò di concentrarsi sul fusibile e, così, proseguì -C'è da sostituire il filo conduttore con uno della stessa portata amperometrica, dovrei avere qualcosa del genere in qualche cassetto. Ci metto un attimo.

Le porte dell'ascensore si aprirono al suo passaggio e in un attimo l'uomo sparì, diretto al suo laboratorio, mentre Pepper stava già scegliendo dove collocare il ritratto appena ricevuto.

-Mettiti pure comoda- le disse la donna, mentre sollevava il quadro contro una parete -Fa' pure come se fossi a casa tua.

"Una casa sei volte più grande e molto, molto più costosa" pensò la ragazza, confrontando il lussuoso loft con il suo bilocale preso in affitto a Brooklyn, ma, con un sorriso di cortesia cristallizzato in volto, rispose con un educato: -Grazie.

-Anne- riprese qualche minuto dopo la donna, avendo finalmente trovato il porto adatto per il dipinto -Stavamo per metterci a tavola. Vuoi unirti a noi?

-No, Pepper, ti ringrazio. Preferirei tornare a casa il prima possibile: domani dovrò essere a lavoro molto presto per avviare il forno.

In realtà sarebbe rimasta anche piuttosto volentieri: Pepper era una cuoca spettacolare e, di sicuro, avrebbe sfoderato qualche bell'aneddoto sul suo viaggio in India, ma non voleva fare da terzo incomodo alla coppia. Per via del lavoro di entrambi, i due fidanzati avevano ben poco tempo da trascorrere insieme e Chiara non aveva intenzione di rovinare quel loro momento assieme con la sua scomoda presenza.

Il suo stomaco sarebbe stato soddisfatto una volta tornata a Brooklyn.

Trascorse una mezzoretta di piacevoli chiacchierate e pettegolezzi prima che Tony riemergesse dal laboratorio con la sua scintilla di soddisfazione quando portava a termine con successo un lavoro: -A voi, madame!- disse, porgendole con un gesto plateale il fusibile tornato come nuovo e accuratamente riposto in una scatola imbottita di polistirolo.

-Grazie, Tony- Chiara prese la scatola e la infilò in borsa, poi fece scivolare il cappotto sulle spalle -Sarà meglio che torni a casa, ora.

-È piuttosto tardi- considerò l'uomo accompagnandola all'ascensore -È pericoloso uscire a quest'ora. Vuoi un passaggio?

-Con una delle tue macchine da corsa o con la limousine?- rise la ragazza -Meglio di no, attireremmo troppo l'attenzione. È già un miracolo che nessuno mi abbia ancora vista entrare qui. Prenderò l'autobus, come al solito. In fondo non è così tanto tardi.

Tony la squadrò dall'alto in basso con i suoi grandi occhi scuri, per niente convinto di quella soluzione, ma alla fine dovette cedere e chiese: -Hai il teaser che ti ho dato?

-Sì, tranquillo- sbuffò Chiara.

-Vedere- ordinò il milionario, porgendo la mano.

-Non ti fidi?

-Voglio solo verificare che funzioni bene.

La ragazza sospirò e, frugato nel caos della borsa per un momento, estrasse da una tasca laterale la scatoletta di plastica con due piccole sporgenze, da cui partirono delle scosse blu quando l'uomo premette il pulsante di accensione.

Tony studiò l'oggetto per qualche secondo, poi, soddisfatto, lo restituì alla proprietaria: -Mettilo dove puoi estrarlo rapidamente o non servirà a niente.

-Va bene, va bene!- esclamò esasperata quella, mettendosi il teaser in tasca -Posso andare ora?

-Ok, va' pure, ma stai attenta e se succede qualcosa, usa il comunicatore. Ce l'hai quello, vero?- chiese inquisitorio.

"Merda, l'ho lasciato a casa!" pensò Chiara, ma, esibendo un largo sorriso, rispose: -Ovvio che ce l'ho! Per chi mi hai presa? Davvero, Tony, la tua mancanza di fiducia mi offende.

-Va bene, non ti agitare!- ridacchiò l'uomo sotto ai baffi, poi, dopo aver lasciato un abbraccio a Pepper, la ragazza e il suo cane poterono finalmente ridiscendere l'edificio e tornare in strada.


1 corrispondono a quattro anni

Angolo dell'autrice: salve a tutte e benvenute alla fine del primo capitolo di Panacea Project! :D Spero che queste pagine vi abbiano incuriosito e che vogliate continuare a scoprire cosa accadrà alla nostra Chiara nella lontana New York.

Sono veramente contenta di essere riuscita finalmente a pubblicare il sequel de La sua paura, anche se, mi rincresce dovervelo dire, non sarò in grado questa volta di mantenere il ritmo di una pubblicazione a settimana: sono appena uscita da un brutto blocco dello scrittore e la stesura della storia non è avanzata quanto mi piacerebbe, inoltre quest'anno universitario si preannuncia particolarmente tosto e impegnativo. Farò il possibile per mantenere una cadenza mensile, ma, se non sarò sempre puntualissima, spero mi perdonerete.

Dunque, come avrete notato, questa storia, a differenza della prima, non è ambientata principalmente ad Asgard, ma per buona parte vedrà New York come teatro degli eventi che accadranno e coinvolgerà nuovi personaggi (della Marvel e non), creando un ampio crossover. Personalmente mi emoziona molto l'idea di far interagire Chiara con personaggi non appartenenti al mondo di Thor, voi che ne pensate? Comunque non temete: Thor e la sua crew si rifaranno vivi ad un certo punto.

Nel frattempo, che impressioni avete avuto di quello che avete letto finora? Cosa pensate della situazione in cui Chiara si è trovata e delle relazioni che ha intrecciato?

Vi mando un grossissimo abbraccio e un bacione, spero di ritrovarvi presto!

Lady Realgar

Ps. Riferendomi alla figlia di Clint (mi riaggangio a The Avengers: Age of Ultron) mi riferisco a lei con il nome di Kate per due ragioni: la prima è che non ricordo se nel film le viene dato un nome o se resta “etichettata” semplicemente come la figlia di Barton; la seconda per fare un piccolo omaggio al personaggio di Kate Bishop (Occhio di Falco negli Young Avengers), che è stata completamente dimenticata nel MCU. Ad ogni modo, se vorrete segnalare il vero nome della bambina, provvederò a sostituirlo per amor di precisione.

Grazie mille e un abbraccio!

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Capitolo 2
*** Dove si impara quanto sia importante avere un telefono tra le strade di New York ***


Uno dei vantaggi di attraversare Manhattan a quell'ora di notte, a cavallo tra il giovedì e il venerdì, era la notevole riduzione del numero di automobili in circolo nella ragnatela di asfalto che percorreva l'isola, eccezion fatta per qualche taxi e gli autobus notturni.

Un soffio di aria gelida si infiltrò nella spessa trama della sciarpa colorata che le avvolgeva il collo, facendola rabbrividire e stringere ancora di più nel cappotto di lana cotta. Al suo fianco, apparentemente indifferente alla fredda temperatura della Manhattan notturna, Annibale zampettava allegramente sull’asfalto, che risuonava secco sotto le sue unghie.

Le luci al neon dei market ancora aperti si riflettevano sulla liquida superficie delle pozzanghere scure che precedevano i tombini, da cui emergeva un maleodorante vapore caldo e denso, mentre in lontananza si udiva il suono lamentoso di una sirena e qualche clacson.

New York, la città che non sta mai zitta” pensò la ragazza, dando un leggero strattone al guinzaglio per guidare il cane dall’altra parte della strada dove si trovava la pensilina del suo autobus.

Sebbene fosse abituata da quasi due anni al trattamento dell'H.A.D., ogni volta che lo subiva poi incorreva un persistente senso di stanchezza e di fame: il suo stomaco brontolò vivacemente, facendo scattare sull’attenti Annibale, che rispose emettendo un ringhio.

Chiara ridacchiò al pensiero che il suo cane e la sua pancia stessero avendo una conversazione, ma dopo qualche secondo Annibale non aveva ancora smesso di ringhiare e, abbassate le orecchie, si era messo in posizione di attacco, puntando verso un vicolo alle loro spalle.

-Non è prudente per una ragazza sola passeggiare per le strade di notte- sentì dire -C’è un sacco di gente pericolosa a quest’ora.

Dall’oscurità emerse un uomo sulla quarantina alto e dinoccolato con spettinati capelli biondo cenere che emergevano dalla cappuccio della felpa, calato sul capo per nascondere il viso; i jeans che indossava erano larghi e strappati sulle ginocchia e Chiara poté notare una vistosa protuberanza a L nella tasca destra.

"Maledizione a me e a quel cavolo di comunicatore!"

-Grazie per il consiglio- rispose, trattenendo Annibale per il guinzaglio -Farò attenzione.

L’uomo avanzò di qualche passo, ponendosi sotto la luce del lampione, che disegnò delle ombre affilate lungo il suo viso: -Quella borsa che porti sembra essere piuttosto pesante- disse calmo -Perché non mi fai vedere cosa c’hai dentro, così ti aiuto ad alleggerirla.

La distanza tra loro si faceva sempre più breve e, quando fu arrivato a soli due metri dalla sua padrona, Annibale iniziò ad abbaiare; innervosito, l’uomo mise la mano in tasca e ne estrasse fulmineo una pistola calibro 22, che puntò contro la testa dell’animale: -Fallo stare zitto o gli faccio saltare il cervello!- sbraitò l’uomo.

-Ok, amico, calmati- rispose la ragazza, accarezzando il cane per ammansuetirlo, ma quello non smise di ringhiare -Non c’è bisogno di prendersela con lui- nel frattempo la sua mano iniziò ad avvicinarsi lentamente alla tasca dei jeans, ma contro un proiettile il teaser cosa avrebbe potuto fare?

Tenendo la canna della pistola sempre puntata contro l’animale, l’uomo allungò la mano verso la ragazza, facendole cenno di dargli la borsa, quando una seconda voce si alzò dall’oscurità: -Come iscritto al WWF non posso tollerare che qualcuno punti un’arma contro un povero animale innocente!

L’uomo sobbalzò dallo spavento e diresse la pistola alle sue spalle, senza però trovare un bersaglio da colpire: -Acqua, bello!- disse di nuovo la voce -Prova più in alto.

Chiara e il rapinatore alzarono entrambi lo sguardo e sul lampione videro una grossa macchia scura dalla forma di … un uomo! Il criminale sparò istintivamente due colpi, ma la macchia li evitò agilmente con un balzo e atterrò leggero sul marciapiede; l’uomo gli puntò di nuovo contro l’arma, ma prima ancora di riuscire a premere il grilletto, una rete viscosa gli colpì la mano, disarmandolo.

-Non è molto carino da parte tua sparare in presenza di una signora…- lo schernì il vigilante, ma non riuscì a completare la frase perché il rapinatore, in preda alle convulsioni, cadde al suolo con un tonfo. Alle sue spalle Chiara teneva in mano un piccolo oggetto che emanava scariche elettriche blu.

-Ehi!- esclamò Spiderman -Quello è il mio lavoro!

-Tu l’hai catturato, io l’ho neutralizzato- rispose Chiara, facendo spallucce e riponendo il teaser in borsa -E a chi avresti dato della signora? Non ho mica sessant’anni!

-Cercavo solo di essere gentile- ribatté il vigilante, intento ad avvolgere con le ragnatele il bandito, sotto gli occhi incuriositi di Chiara, che domandò: -Hai intenzione di lasciarlo qui?

-Di solito faccio servizio a domicilio, il nostro amico si sveglierà tra qualche ora dietro le sbarre di una cella della stazione di polizia.

Ci fu qualche secondo di silenzio, in cui Annibale si avvicinò a studiare il nuovo arrivato, annusando tutto interessato lo spantex della tutta, per poi iniziare a leccargli le mani e a scodinzolare.

-Ciao bello!- dietro la maschera rossa si poteva intravedere l’increspatura di un sorriso, mentre il vigilante, impacchettato per bene il malvivente, accarezzava con delicatezza la pelliccia bruna del cane -Quel cattivone non ti ha fatto del male, vero?

Chiara si soffermò per qualche secondo a osservare la bizzarra figura dell’eroe mascherato, così sottile, ben diversa dal modello di paladino grosso e muscoloso che aveva conosciuto in Clint e Steve, avvolta nello spantex blu e rosso e piegata sulle ginocchia per giocare con il suo cane, che, a quel che pareva, sembrava adorarlo. Era uno spettacolo buffo e a Chiara non riuscì di trattenere un sorriso davanti a tanta dolcezza: -Annibale si è fatto un nuovo amico, vedo.

-Annibale?- chiese il vigilante, alzando di nuovo lo sguardo su di lei -Sei un’appassionata dell’A-Team?

-Sì, ma non è per Hannibal Smith che l’ho chiamato così- rispose Chiara sorridendo e lasciando una carezza sulla testa pelosa dell’animale, che ricambiò scodinzolando ancora più vistosamente -E poi il mio preferito era Murdock!

Il vigilante si alzò in piedi di scatto e iniziò a sventolare la mani aperte a ventaglio: -Anche il mio!- esclamò entusiasta.

-Allora siamo proprio fatti per stare insieme noi due!- ribatté Chiara scherzosamente.

-Sbaglio o i miei sensi di ragno percepiscono un alto tasso di sarcasmo in questo momento?- disse Spiderman, puntellando i pugni sui fianchi. Rimasero per qualche secondo a fissarsi in silenzio, finché, alla fine, Chiara non scoppiò in una grossa risata di sollievo, imitata subito dopo dall’uomo in costume.

-Sai, ho un’amica che è pazza di te- Chiara riprese fiato dalle risate e passò l’indice sotto la palpebra dell’occhio sinistro per fermare una lacrima -Se sapesse che ti ho incontrato mi ucciderebbe di domande!

-Sì, lo so, di solito faccio questo effetto.

La ragazza richiamò Annibale, ancora intento ad annusare l’eroe mascherato: -Lavoriamo assieme al Daily Coffee, a Brooklyn, all'incrocio della trentottesima. Facciamo degli ottimi pancakes e il caffè è sempre caldo… passa pure quando vuoi.

-Ti ringrazio per l’invito- rispose l’uomo, grattandosi il capo -Ma, sai…

-Sì lo capisco- lo anticipò lei -L’identità segreta, mantenere un profilo basso, non avvicinarsi troppo alle altre persone… Davvero, è una storia che ho già sentito. Ho solo consigliato all’uomo sotto alla maschera dove può andare a fare colazione. Non ho altro modo per ringraziarti di avermi aiutata.

-In questo caso, sarò ben lieto di venire a trovarti.

Chiara, con un largo sorriso disegnato in volto, fece cenno di saluto con la mano e riprese il suo cammino verso la pensilina, quando un pensiero improvviso le passò in testa e non poté trattenersi dall'esprimerlo: -Dovresti alterare la tua voce.

-Come scusa?- chiese Spiderman, affacciandosi da una scala anti-incendio su cui si stava arrampicando.

-È per l’identità segreta- spiegò la ragazza -Non è semplice, ma una persona con un orecchio allenato potrebbe riconoscerla. Se vuoi essere più tranquillo sull’efficacia della maschera, devi pensare anche a questi dettagli.

-Ehm... grazie- ribatté perplesso l’altro -Sembra che tu sappia un sacco di cose sulle identità segrete.

-Qualcosina- fece spallucce la ragazza -È solo che so cosa vuol dire nascondersi dietro una maschera per proteggere chi ami.

-Qual è il tuo nome?- chiese l’uomo dopo un attimo di silenzio.

-Chiara.

La ragazza girò sui tacchi e andò sotto la pensilina proprio nel momento in cui l’autobus si stava avvicinando, salì al volo e si impose di non voltarsi a guardare il vigilante: non voleva incrociare lo sguardo dell’uomo con il quale si era liberata, per un momento, della propria maschera.

Che stupida!” pensò, mentre il motore del veicolo ronzava sotto di lei; non avrebbe dovuto, lo sapeva benissimo: Fury aveva passato le ore a riempirle la testa di parole su quanto fosse importante mantenere il segreto e non rivelare a nessuno nemmeno il più piccolo dettaglio sulla propria identità.

Però quello non era nessuno, era Spiderman. E se c’era qualcuno che sapeva quanto fosse importante rispettare un segreto era proprio lui.

Forse era per quello che aveva deciso di confidarsi e mostrare, anche se per solo un momento, il proprio vero essere. Il proprio vero io.

"Cretina, cretina, cretina" continuò a rimproverarsi per tutta la tratta "Basta che un qualunque fanatico in maschera sia carino con il tuo cane per farti abbassare la guardia! Cretina!"

La verità era che era stufa marcia di mentire; poteva sopportare di fare la cavia da laboratorio, poteva tollerare tutte le limitazioni e i divieti a cui doveva attenersi per risultare un fantasma tra la folla, si era addirittura rassegnata a dover sempre rendere conto a qualcuno delle proprie azioni, ma la menzogna le risultava un peso che si stava facendo sempre più insostenibile.

Aveva assunto il ruolo di Arianne Watson da quando Fury le aveva finalmente permesso di mettere il naso fuori dalle spesse e controllatissime mura del Triskelion e, sotto la scorta e l’occhio vigile dell’agente Barton, aveva iniziato a viaggiare per tutti e 50 gli stati, passando di clinica in laboratorio e di laboratorio in clinica. Da quel momento aveva dovuto mettere da parte la sua vita, i suoi ricordi e la sua personalità, per lasciare il posto alla storia di quella ragazza che aveva trascorso infanzia e giovinezza presso l’orfanotrofio cattolico di Santa Caterina, a Washington DC; aveva dovuto tingersi i capelli, abituarsi alle lenti a contatto, a rispondere al nome di Arianne e, soprattutto, aveva dovuto imparare a valutare con estrema attenzione ogni singola parola che le usciva dalla bocca, stando sempre attenta a non lasciarsi sfuggire la minima informazione che avrebbe potuto mandare all’aria la sua copertura.

Clint, in tutto questo, le aveva fatto da mentore, insegnandole a individuare le telecamere di sorveglianza e a evitarne l’obiettivo, a riconoscere se qualcuno la stava pedinando e a far perdere le proprie tracce (in uno scomparto nascosto della borsa, infatti, aveva sempre un cambio d’abito e una parrucca), e a prendere tutte quelle piccole precauzioni indispensabili per mantenere la propria copertura, come, ad esempio, non fidarsi di nessuno e evitare di stringere relazioni.

Per quanto c’avesse provato, l’ultimo dettame era stato il più difficile da mettere in pratica: ovunque andassero, Chiara riusciva sempre ad attirare le simpatie di qualcuno e a fare amicizia, ma, per quanto Clint apprezzasse quella sua innata spontaneità, essa rappresentava un enorme rischio per la segretezza che la missione imponeva, così, una volta trasferitisi a Brooklyn, l’agente aveva eseguito un’accuratissima ricerca sui profili dei loro condomini, dei vicini più stretti del quartiere e, successivamente, anche del signor Bailey e di Talia. Aveva passato giorni interi a raccogliere informazioni, sia al computer che sul campo, pedinando le sue “vittime” e scattando un’incredibile quantità di fotografie, che avevano fatto dubitare alla povera Chiara, a cui l’uso del bagno, occasionalmente convertito in camera oscura, era stato precluso, della piena sanità mentale del suo coinquilino.

Dopo lunga e faticosa ricerca, Clint aveva potuto ritenersi pienamente soddisfatto: quelle persone erano risultate pulite e, finalmente, la vita di Chiara aveva conosciuto un po’ di normalità.

Le ruote dell’autobus stridettero quando questo si fermò a pochi metri dalla vecchia palazzina in cui Fury aveva trovato il bilocale presso cui Chiara e, occasionalmente, Clint avevano residenza; raggiunto il portone di ingresso al condominio, estrasse il suo mazzo di chiavi dalla borsa e ne infilò una dentro la grossa serratura della vecchia porta di ferro, che si aprì cigolando e si chiuse altrettanto rumorosamente quando la ragazza ebbe oltrepassato la soglia.

Devo ricordarmi di mettere un po’ di olio lubrificante ai cardini” si appuntò mentalmente Chiara, oltrepassando l’androne e iniziando a salire le scale, dove, oltrepassato il primo piano, si ritrovò faccia a faccia con una graziosa donna mulatta di mezza età: -¡Hola, Arianna!- esclamò sorpresa, ma cortese -¿Acabas de trabajar ahora?1

-Sì, Carmen- rispose Chiara, facendosi da parte per farla passare: teneva in mano un borsone da palestra piuttosto ingombrante e la scala non era abbastanza grande per farcele stare comodamente entrambe -¿Por qué sigues despierta? ¿Vas al hospital?

-Empiezo mi turno en oncología pediátrica en media hora- rispose la portoricana -He tomado algunos viejos juguetes de Carlos para los niños - aggiunse, poi, accennando al borsone.

-Saludale de mi parte a Carlos cuando te llame- disse Chiara, mentre la donna scendeva le scale di gran carriera: -Claro. Buenas Noches.- si congedò quella sparendo dal portone.

-¡Buenas Noches y suerte!

Alla chiusura del portone alle spalle dell’infermiera, sul palazzo tornò il silenzio e la ragazza si trovò in pochi attimi davanti all’appartamento 3A, al terzo piano, aprì la porta e lasciò cadere la borsa a fianco dell’appendiabiti all’ingresso, mentre Annibale correva alla propria ciotola dell’acqua per dissetarsi.

La ragazza chiuse accuratamente la porta alle proprie spalle e, finalmente, si sentì libera di mettersi comoda: premette l’interruttore della luce, si sfilò sciarpa e cappotto, ripose le scarpe nella scarpiera e, oltrepassata la cucina, dove Annibale aveva attaccato la ciotola del cibo, si lasciò cadere per un momento sul divano. Era sfinita.

Dopo qualche minuto di totale immobilità, il suo stomaco riprese a brontolare, così si rimise in piedi e si diresse verso il frigorifero, che però, una volta aperto, rivelò sotto alla gialla luce della lampadina il magro contenuto che la ragazza già conosceva: una confezione di yogurt alla fragola, qualche carota, un cartone di latte mezzo vuoto, una bottiglia di acqua frizzante e una busta di insalata prelavata.

-Domani facciamo spesa, che ne dici giovanotto?- disse Chiara ad Annibale, che era spuntato da sotto il suo braccio e annusava incuriosito il frigorifero; estrasse la busta e la pose sulla penisola, prese dalla credenza una scodella e la riempì con l’insalata, che iniziò a mangiare svogliatamente, osservando il cavalletto nel piccolo salotto su cui il quadro finito la sera precedente se ne stava ad asciugare.

Era una rappresentazione di Upper New York Bay, con i mercantili in viaggio e una piccola imbarcazione di pescatori su un mare rosa increspato di blu; le ci erano voluti ben dieci tramonti per completarlo, con il rischio di prendersi anche un bel raffreddore, ma almeno il risultato era soddisfacente.

Dovrò trovare un posto dove metterlo” considerò la ragazza, guardandosi intorno: in giro per la casa si potevano contare una cinquantina di tele completate e ammassate in ogni angolo su fogli di pluriball. Se n’erano aggiunte un bel po’ da quando Clint era andato a “caccia di streghe”, come diceva quando veniva chiamato per una missione, e non sarebbe stato molto contento dello spazio che tutti quei quadri toglievano alla sala. Da un po’ di tempo, inoltre, Chiara aveva notato che i telai che comprava già pronti, con le loro tele belle bianche e lisce, tendevano dopo poco a screpolarsi, facendo cadere tutta la pittura, così si era comprata da un colorificio di Manhattan (e pagando anche una bella sommetta) un grosso rotolo di tela di lino, del gesso in polvere e della colla di coniglio, che ora ingombravano il mobile della televisione.

Certo, ora le sue tele erano molto più resistenti e la qualità della superficie ottimale, ma se Clint fosse entrato in casa in quel momento, avrebbe dato di matto: il suo impiego da spia lo aveva reso incredibilmente attento all’ordine, maniacale a detta di Chiara, e si aspettava che anche la ragazza mantenesse il rigore con cui aveva organizzato la casa.

Quello che la spia desiderava era che, in caso di necessità, Chiara potesse fuggire dall’appartamento in massimo venti minuti, prendendo il necessario e senza lasciar traccia del proprio passaggio dietro di sé, ma la ragazza, non avendo altro luogo in cui riporre le sue opere, aveva dovuto lasciarle nell’appartamento e ora quelle avevano preso il sopravvento, assieme a tutti gli album e i fogli volanti pieni di schizzi a carboncino.

Non potendo tenere fotografie di amici e parenti (a pensarci bene, nemmeno le aveva), i suoi quadri l’aiutavano a vedere quell’appartamento come una casa e non come l’ennesima gabbia in cui era stata rinchiusa, ma, doveva riconoscerlo, non poteva continuare ad ammassarli in 50 metri quadri di appartamento.

Verranno a registrare un episodio di Sepolti in Casa se non trovo un posto dove conservarli” rifletté Chiara, finendo di cenare e lavando scodella e forchetta nel lavandino “La lavanderia del condominio è esclusa: è umida da far schifo e poi dovrei aspettare la prossima riunione condominiale per chiedere il permesso. Meglio evitare!”

Cercando di trovare una soluzione a quel problema, si diresse in bagno e, spogliatasi dei suoi indumenti, si infilò in doccia; il getto di acqua calda le massaggiava delicatamente il collo e spalle, rilassando i muscoli tesi e lavando via il freddo e la tensione di quella serata.

Non era la prima volta che qualcuno la minacciava, d’altro canto lei e Clint tra un viaggio e l'altro avevano frequentato un discreto numero di motel di periferia, non sempre ben frequentati, e capitava abbastanza di frequente che qualcuno, per l’alcool o per l’abitudine, vedendo una ragazza tentasse di rapinarla, ma la presenza (e un paio di volte anche l’intervento) di Clint avevano sempre scongiurato la minaccia. Quella sera era stata la prima volta in cui si era trovata a fronteggiare un rapinatore da sola.

Era stata molto fortunata che ci fosse stato Spiderman a intervenire o si sarebbe ritrovata in guai seri.

-Maledizione…- imprecò sottovoce la ragazza, alzando la testa per ricevere il getto sulla fronte: se Fury fosse venuto a sapere di quel fatto, della sua negligenza nell’aver dimenticato il comunicatore di Stark a casa, le avrebbe tolto di certo persino quel poco di libertà che le aveva concesso.

Sperò con tutte le sue forze che lo S.H.I.E.L.D. non avesse assunto Spiderman tra i suoi supereroi o di certo il guercio sarebbe venuto a sapere persino che aveva rivelato il suo vero nome.

Aveva fatto un sacco di storie quando aveva scoperto del suo tatuaggio, non ci teneva certo a sapere come avrebbe reagito a quella notizia.

Chiuse l’acqua e uscì dalla doccia, rabbrividendo al contatto della pelle bagnata con l’aria fredda dell’autunno, che le tolse dagli occhi tutta la stanchezza che prima li appesantivano; sapendo di non riuscire a dormire, si infilò nella tuta che era solita indossare in casa e andò in salotto, dove estrasse un foglio bianco da una risma, prese un carboncino da un astuccio di latta e si mise alla penisola a disegnare.



*



L’alba stava per sorgere dietro agli alti palazzi tra i quali Peter Parker aveva preso l’abitudine di dondolarsi, come una scimmia tra i rami, per tenere sotto controllo le strade.

Era stata una notte tutto sommato tranquilla, fatta eccezione di quel tentativo di furto sulla ventinovesima, e l’unica cosa che Spiderman era riuscito a prendere era stato un gran freddo.

Dovrei pensare di fare una versione invernale della tuta” pensò il vigilante, mentre, saltando di tetto in tetto, raggiungeva la casa della zia e, assicuratosi di non essere visto, passava per la finestra aperta della propria stanza. Il filo della ragnatela che aveva lasciato tra gli stipiti era ancora intatto, nessuno era passato da lì.

Si sfilò la maschera dal volto e, passatosi una mano tra i capelli schiacciati, si lasciò cadere sul materasso: -Che noia…- sbuffò il ragazzo, osservando distrattamente il soffitto; certo, da un lato era contento che le strade ultimamente fossero state più tranquille del solito, ma dall’altro fremeva dalla voglia di partecipare a un vero scontro e sfogare la sua forza su qualche cattivone.

Dopo aver spedito Rhino dietro le sbarre del carcere di massima sicurezza, la fama di Spiderman aveva ripreso a crescere, incutendo timore nel cuore dei ladruncoli, che per lo più preferivano starsene a casa piuttosto che rischiare di ritrovarsi invischiati in una ragnatela.

L’ultimo caso interessante che gli era capitato aveva riguardato un gruppo di trafficanti di droga che distribuivano schifezze sintetiche nelle discoteche, ma oramai erano passate settimane!

Peter si tolse i guanti e gli spara ragnatele e iniziò a sbottonarsi la tuta: aveva disperatamente bisogno di una doccia calda.

Se non altro ho incontrato una fan” pensò il ragazzo, sfilandosi la parte superiore e iniziando a slacciare quella inferiore con una certa fatica: con quel freddo lo spantex si era irrigidito e toglierlo gli stava costando più impegno del previsto.

Che strana tipa” considerò il ragazzo, mentre piegava la tuta e la nascondeva in un angolo del suo armadio “Non sembrava essere spaventata dal rapinatore. Ha avuto un bel sangue freddo!”

L’acqua calda ci mise un po’ ad arrivare e Peter fu bloccato nell’angolo diametralmente più lontano dal getto per una manciata di minuti, poi, finalmente, la temperatura si fece più gradevole e il vigilante mascherato poté finalmente godersi la meritata doccia: alle nove di quella mattina avrebbe avuto lezione in università e voleva riuscire a rilassarsi abbastanza da prendere sonno e riposarsi quelle poche ore che gli rimanevano.

L’idea della voce alterata non è affatto male” il ragazzo si insaponò in fretta e si strofinò i muscoli delle braccia con una spugna “Forse con il microfono delle vecchie cuffie potrei arrangiare qualcosa di utile”.

Non era insolito per lui interagire con le persone che salvava: gli piaceva incoraggiare il malcapitato con qualche parola di conforto per aiutarlo a superare il trauma di un’aggressione e, il più delle volte, quello ringraziava con veemenza o chiedeva un autografo (una volta una ragazza gli aveva persino chiesto di andare al cinema con lei in costume!), ma mai, prima di quella sera, qualcuno gli aveva dato un consiglio su come difendere la sua identità segreta. Un consiglio intelligente, per di più, sapendo quanto gli piacesse parlare durante i combattimenti!

Quella ragazza… Chiara, sembrava saperla lunga in merito” Peter girò le manopole e il flusso d’acqua scemò fino a smettere, poi allungò un braccio verso l’asciugamano e se lo avvolse in vita “So solo cosa vuol dire nascondersi dietro una maschera per proteggere chi ami…”

Cosa voleva dire con quell’affermazione? Quale maschera poteva mai avere una sparuta e imprudente ragazza di New York?

Si frizionò i capelli con l’asciugamano e, indossati un paio di boxer, si buttò di nuovo a letto, ma ormai il tarlo di quella strana conversazione gli era entrato nel cervello e aveva iniziato a scavare, lento e inesorabile.

Iniziò, dunque, a rivivere mentalmente i minuti trascorsi in quella strada buia, analizzando ogni singolo dettaglio che riusciva a ricordare, ogni più piccolo indizio che poteva aiutarlo a sciogliere il rebus (era già arrivato a considerarlo tale) che quella ragazza gli aveva lanciato e più ci pensava, più gli sembrava di sentire odore di bruciato.

Poi, all’improvviso, gli si accese una lampadina e nella sua mente apparve nitida l’immagine del teaser con cui la ragazza aveva messo KO il rapinatore: sulla plastica scura dell’oggetto si leggeva chiaramente la scritta argentata Stark.

Da quando era tornato dall’Afghanistan, Tony Stark aveva chiuso tutte le sue attività nel campo della fabbricazione e della vendita di armi, convertendo le sue aziende alla produzione di impianti per la depurazione dell’acqua dai residui incombusti dei carburanti navali e per la generazione di energia pulita. Per quanto ne sapeva Peter, le Stark Industries non vendevano più da anni alcun tipo di strumento bellico o di autodifesa e avevano provveduto a ritirare dal commercio anche le vecchie partite di prodotti già distribuiti per il globo, perciò era alquanto strano che una ragazza possedesse un teaser marchiato Stark.

Quello era un buon punto di partenza per la sua indagine e, ricaricato da quell’intuizione, in un balzo arrivò alla sedia della scrivania, accese il computer e iniziò a cercare informazioni riguardo quel modello di teaser.



Traduzione del dialogo

1Carmen: Ciao Arianna, hai finito di lavorare adesso?

Chiara: Sì, Carmen. Perché sei ancora sveglia? Vai all'ospedale?

Carmen: Comincio il mio turno a oncologia pediatrica tra mezzora. Ho preso alcuni vecchi giocattoli di Carlos da portare ai bambini.

Chiara: Saluta Carlo da parte mia quando ti chiama.

Carmen: Certo, buona notte.

Chiara: Buona notte e buona fortuna.



Angolo dell'autrice

Salve a tutte e bentrovate alla fine del secondo capitolo di Panacea Project! Per prima cosa vorrei ringraziare con tutto il cuore AlessiaOUAT e Ragdoll_Cat per aver inserito la storia tra le preferite e MARS88 e Glendolina per aver cominciato a seguirla! Il vostro sostegno e le vostre belle parole sono un grandissimo incoraggiamento a proseguire e ve ne sono grata ^_^

Siamo a Novembre (cit. Robert Downey Jr. in Sherlock Holmes, 2009) e come promesso ecco il nuovo capitolo *esulta*! Spero con tutto il cuore che sia stato di vostro gradimento :)

Come annunciato, ecco che dal nulla appare un certo supereroe di quartiere ;) nonstante le circostanzepoco piacevoli, vi è piaciuto il loro incontro?

Un passo alla volta si comincia anche ad apprendere cosa è accaduto nei quattro anni che separano il rietro a casa della nostra eroina dal presente e, a quanto pare, non siamo i soli ai quali interessa saperne di più. ;) Che ne dite di Clint in versione casalinga stalker? XD

Vorrei ringraziare anche Kinnabaris per il suo aiuto nella traduzione ^_^

Rinnovo, dunque, la mia speranza nel fatto che vi sia stato gradito, invitandovi a lasciare un'opinione e/o, se lo riterrete opportuno, qualche suggerimento per migliorarmi.

Ci vediamo alla prossima!

Un grosso abbraccio!

Lady Realgar

Ps. Mi scuso per la brevità del capitolo, ma purtroppo i tempi che ho a disposizione sono quelli che sono. Cercherò di rimediare con i prossimi aggiornamenti. Grazie per la comprensione! :*



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Capitolo 3
*** Il Caffé Quotidiano ***


Il rumore di un clacson in lontananza fece sobbalzare la ragazza sulla sedia e una scarica di dolore lungo tutta la schiena le mozzò per un momento il respiro: si era addormentata piegata sulla penisola, circondata da una decina di fogli di carta imbrattati di graffite e sanguigna. Il soggetto di tutti quegli schizzi era uno solo: Spiderman.

Chiara si alzò lentamente in posizione eretta, già percependo il principio di quello che sarebbe divenuto da lì a poco un forte mal di testa; -Ohi, ohi..- si lamentò, intontita dal sonno, mentre Annibale, comodamente disteso sul divano, se la dormiva nella grossa.

-Bella la vita, eh?- ridacchiò, osservando le labbra del cane sollevarsi leggermente durante i profondi respiri che l’animale, rilassato, emetteva; si strofinò gli occhi con i pugni chiusi e rimase per un momento ad osservare la produzione di quella notte d’ispirazione: aveva ritratto il vigilante in varie pose molto dinamiche e complicate, cercando di mettere su carta l’agilità e la velocità dei movimenti a cui aveva assistito durante quel breve combattimento.

Non aveva mai visto nulla del genere e ne era rimasta affascinata, ma tra quei disegni non ve n’era uno che si avvicinasse abbastanza alla realtà. Non c’era nulla che suggerisse tanta abilità e lei, come artista, agognava riuscire a catturarla e a fissarla nel colore.

Mentre si massaggiava il collo, l’occhio le cadde sull’orologio appeso al muro a lato della porta e un “Porcavacca!” le scappò di bocca: erano le 6.23 e lei avrebbe dovuto essere al Daily da almeno venti minuti.

Si gettò in bagno come una furia, lavandosi e vestendosi a tempo di record, poi, infilato in borsa il sacchetto del cibo di Annibale, agganciò il cane al guinzaglio ed entrambi corsero alla fermata dell’autobus, riuscendo a prenderlo per un soffio.

Pur non essendoci il solito traffico mattutino che solitamente bloccava tutte le strade di Brooklyn, la corsa parve alla ragazza infinita e, quando finalmente raggiunse il Caffè, le sembrò strano che il signor Bailey stesse ancora alzando la saracinesca davanti alla vetrina: -Arianne, eccoti!- le sorrise cordialmente, prendendo tra le dita la sigaretta che stava fumando ed emettendo una densa nuvoletta grigia -Ho finito da poco di farcire i croissant, se il tuo amico ha fatto la sua magia anche questa volta puoi andare a scaldare il forno.

-Mi scusi per il ritardo…- esordì Chiara, ma l’uomo sventolò la mano con noncuranza, come per dire “Non ti preoccupare”, e le indicò con un’occhiata la cucina attraverso la vetrina, così la ragazza, risollevata nel morale, corse dentro al Caffè e sistemò il fusibile al suo posto.

Sopra i fornelli ben tre teglie piene di panciuti croissant erano in attesa di essere infornate e, mentre il forno, ora di nuovo funzionante, raggiungeva la giusta temperatura, Chiara accese la macchina del caffè e iniziò a distribuire le tovagliette di carta sopra i tavolini, mentre Annibale, a cui la padrona aveva riempito la ciotola di croccantini, faceva la sua colazione in un angolo della sala.

Quando Chiara ebbe messo la prima teglia in forno, il campanello all’ingresso suonò e una trafelata Talia entrò al Daily, lanciando il cappotto sull’appendiabiti e inforcando il grembiule, sbiascicando scuse sul suo ritardo per via di un autobus non passato.

Finalmente tutto il personale aveva raggiunto il posto di lavoro e il Daily Coffee poté accogliere propriamente la sua affezionata clientela: il primo a far suonare il campanello d’ingresso fu il signor Hevon, che accompagnava il nipotino Trevor a scuola.

-Buongiorno- salutò l’anziano signore, aiutando il nipote ad accomodarsi sugli alti sgabelli del bancone.

-Buongiorno!- rispose allegramente Talia -Allora, Trevor, come è andato il test di matematica?

-Bene, bene- disse evasivo il bambino, la cui attenzione era concentrata maggiormente sul vassoio di brioches che non sulla conversazione -Posso avere quella?- chiese poi puntando il ditino verso la più grossa.

-Certamente, tesoro! E lei cosa gradisce, signor Hevon?

-Delle uova e un po’ di pane bianco abbrustolito, per favore.

-Arrivano!

La ragazza entrò in cucina e Chiara iniziò a distribuire il caffè a signor Hevon e a un paio di altri uomini in abito da ufficio che si erano seduti a un tavolo.

-Buongiorno signor Hevon! Trevor!- salutò la ragazza, mentre riempiva la tazza all’anziano uomo, che rispose sorridendo: -Ciao Arianne, come stai?

-Come se mi avesse investito un’automobile- rise quella -Ma per il resto va bene. Come sta sua figlia? È da un po’ che non viene a trovarci.

-Mamma lavora un sacco, ultimamente- lo anticipò il piccolo Trevor, che già era riuscito a impiastricciarsi la faccia di marmellata -Però ha detto che verrà al saggio di musica ad Halloween!

Il nonno gli diede una carezza sul capo, mentre con l’altra mano gli porgeva un tovagliolo -Trevor è stato nominato primo clarinetto della banda quest’anno- disse l’uomo, i cui occhi brillavano di orgoglio.

-Allora dovresti accompagnarmi al provino di oggi- si intromise Talia, rientrando in sala con un grosso piatto pieno di uova strapazzate -Tu suoni e io canto.


*


Aveva passato la notte in bianco e le occhiaie che gli si erano formate sotto agli occhi liquidi ne erano la prova lampante. Quando zia May l’aveva visto scendere in cucina con una faccia da zombie, aveva insistito per fargli misurare la febbre, ma Peter, adducendo come motivo la severa politica dei professori sulla puntualità, aveva afferrato il sacchetto del pranzo ed era letteralmente scappato fuori di casa.

In fondo, si disse poi mentre scendeva le scale che portavano alla metropolitana, quella scusa non era poi così falsa: quello era il suo secondo anno alla facoltà di Biotecnologie e, dato che la retta era stata pagata per la maggior parte da sua zia, ci teneva a dare il massimo e, dati i primi esami, a risultare il primo tra i suoi compagni di corso.

Lo doveva a zia May e lo doveva a Gwen.

Dopo la sua morte, Peter aveva passato un anno terribile, trascorrendo le sue giornate in piedi di fronte alla lapide che riportava il nome di Gwen Stacy. La sua Gwen.

Sua zia si era dimostrata molto comprensiva e disponibile a dargli tutto l’aiuto possibile, credendo di comprendere appieno i sentimenti del ragazzo, ma il dolore di Peter non stava solo nella perdita, bensì a fondo, molto più a fondo. Quello che lo distruggeva dall’interno era il senso di responsabilità.

Di giorno rivedeva i grandi occhi verdi della ragazza che lo guardavano mentre cadeva nel baratro, di notte sentiva nel rumore dei rami che ondeggiavano al vento il suono del suo collo che si spezzava per il contraccolpo della ragnatela che si tendeva.

Aveva perso l’appetito e, con esso, diversi chili, riducendosi ad essere ancora più gracile e allampanato di quanto già non fosse e questo, aggiunto alla mancanza di sonno, lo aveva reso estremamente instabile, portandolo a oscillare tra l’irritabilità e l’apatia.

Nel frattempo, l’indice di criminalità era aumentato vertiginosamente e la polizia aveva avuto un bel da fare per tenere a bada tutti quei malviventi che, non vedendo più in giro il vigilante in maschera rossa, potevano delinquere in tutta libertà.

Poi, finalmente, un atto di coraggio aveva risvegliato in lui il Peter determinato e intrepido che si era nascosto sotto la coltre di depressione, ed era tornato a indossare la sua maschera; questo non significava che il suo senso di colpa si fosse attenuato, ma, almeno, aveva trovato un modo per tentare l’espiazione del peccato che gli macchiava indelebilmente la coscienza.

Facendo del bene, anche il suo umore era migliorato e, finalmente, si era deciso a riprendere gli studi: gli ottimi voti con cui si era diplomato al Midtown High gli avevano aperto le porte dell’università, ma la retta era comunque una bella batosta per la finanza familiare, così zia May aveva richiesto di poter fare gli straordinari in ospedale, presso cui era infermiera, e lui tentava di racimolare qualcosa vendendo le sue foto e facendo qualche lavoretto per i vicini.

Il vagone della metropolitana in cui salì era incredibilmente pieno e per tutta la tratta a Peter sembrò di essere un’acciuga in una scatola di latta, ma quando fu ridisceso i suoi polmoni poterono tornare a respirare e l’ambiente stimolante dell’università gli fece quasi dimenticare di essere uscito senza aver fatto colazione.

Peccato però che a metà mattinata il suo stomaco decise di esibirsi nel canto della balena, proprio durante la lezione del più burbero dei suoi professori, che commentò l’accaduto affermando che mai si sarebbe aspettato di ritrovarsi un cetaceo come allievo. Inutile dire che per la vergogna il povero Peter cercò malamente di nascondersi dietro allo zaino appoggiato sul banco.

Durante la pausa, si precipitò in caffetteria, dove si servì con del caffè freddo e un muffin che, da quanto era vecchio e malconcio, probabilmente aveva militato in Vietnam.

Annusando diffidente il muffin veterano, Peter non poté fare a meno di pensare all’invito che quella ragazza aveva avanzato la notte precedente e, di improvviso, si rivide davanti agli occhi tutti i siti internet e le pagine che aveva consultato per individuare quel modello di teaser, ma il risultato era stato: zero. Il nulla assoluto.

Sembrava quasi che le Stark Industries non avessero mai prodotto un simile oggetto e questo non faceva altro che incrementare i suoi sospetti; era addirittura arrivato a pensare che potesse essere una criminale, ma aveva subito scartato quell'ipotesi: era alquanto improbabile che le aziende di proprietà di Tony Stark alias Iron Man fossero coinvolte in attività illegali e, in secondo luogo, un furfante non avrebbe avuto ragione di dargli suggerimenti su come proteggere la sua identità segreta.

Ma allora cosa si nascondeva sotto?

Ad un tratto un’ombra gli si parò davanti e una deliziosa voce femminile gli domandò: -Scusa se ti disturbo, ma sto cercando l'auditorium, puoi indicarmi dove si trova?

Peter alzò svogliatamente gli occhi dal proprio caffè e per poco non si strozzò con l’ultimo sorso che aveva appena bevuto: in piedi davanti a lui, vestita con un paio di leggins neri e una giacca a vento rossa, stava una ragazza dai lineamenti piú graziosi che avesse visto da diverso tempo. Il suo viso era un ovale perfetto, in cui erano racchiusi un paio di profondi occhi a mandola e una bocca dalle carnose labbra colorate da un leggero velo di rossetto, il personale era sottile e armonico e le mani, che sbucavano appena dalle maniche della giacca a vento, erano molto curate. I capelli, invece, neri e lucenti, le scendevano morbidi lungo le spalle e una simpatica frangetta le incorniciava il viso.

La ragazza aveva uno sguardo gentile e gli sorrideva cordiale, ma il silenzio si stava protraendo un po’ troppo, così Peter si impose di concentrarsi sulla risposta: -Secondo piano, quarta porta a sinistra- disse in un lampo, poi, accorgendosi di quanto fosse stato brusco, aggiunse -Vuoi che ti accompagni?

-No, grazie- declinò quella, accennando un sorriso -Credo di potermela cavare. E comunque, se fossi in te, eviterei di mangiare quel muffin, sembra uno zombie di The Walking Dead.

-Eh già- ridacchiò il ragazzo, pensando a una frase intelligente da dire, ma quella era già uscita dalla caffetteria prima ancora che potesse proferire mezza parola.

-Idiota- mugugnò contro se stesso il ragazzo, facendo cadere la fronte sul piano del tavolo. Quella giornata era cominciata davvero male!

Nel corso delle lezioni successive, Peter cercò con lo sguardo quella ragazza e, passando davanti all'auditorim, buttò un occhio attraverso il vetro della porta, ma non gli parve di scorgerla, così si rassegnò alla figuraccia fatta e, una volta conclusa l’attività scolastica, si diresse dal suo fotografo di fiducia per far sviluppare i suoi ultimi scatti.

Questa volta si era concentrato maggiormente sul quartiere di Hell’s Kitchen: aveva sentito che da qualche tempo un nuovo vigilante mascherato era apparso in quella zona, dando diversi grattacapi alla criminalità organizzata che l’appestava.

Le foto di Spiderman, oramai, vendevano poco o niente e, inoltre, sarebbe stato pericolosamente sospetto se il suo nome fosse stato associato a una grande quantità di scatti dell’Uomo Ragno, così aveva provato a dare la “caccia” al nuovo collega, ma i risultati non erano stati quelli che aveva sperato: a differenza sua, il vigilante di Hell’s Kitchen non era un tipo loquace, ma, al contrario, preferiva agire nell’ombra e non lasciar parlare molto di sé.

Nessuno scatto del vigilante e nessuna notizia, ma in compenso i ritratti di vita urbana gli erano parsi molto buoni e sperava di riuscire a piazzarli a qualche giornale locale.

Compiuta anche quella commissione, i pensieri di Peter tornarono a focalizzarsi sull’incontro della sera precedente e sui suoi sospetti, decise, dunque, dato che erano le tre del pomeriggio passate e che non aveva ancora mangiato adeguatamente da quando si era alzato dal letto quella mattina, di andare a fare una visita al Daily Coffee.



Il viaggio in aereo da Roma Fiumicino a Washington Dulles National Airport. con uno scalo di tre ore a Madrid in compagnia di Nick Fury era durato quindici, interminabili ore, trascorse con il cuore pesante come un pezzo di piombo, al punto tale che, se fossero precipitati in acqua, Chiara era sicura che sarebbe andata irrimediabilmente a fondo.

Fury, abbigliato come un turista con grossi Rayaban scuri, un cappellino da baseball calato sulla fronte, una felpa degli Yankees sulle spalle e un paio di larghi blue jeans, teneva tutto e tutti sotto controllo, mentre Natasha, che aveva preso un secondo volo per Los Angeles assieme a una terza agente abbigliata alla stessa maniera di Chiara, aveva il compito di depistare eventuali inseguitori.

Dio solo, pensava Chiara, sapeva chi accidentaccio potesse essere interessato a lei oltre che a quei due pazzi americani.

Al check out dell’aeroporto, mimetizzato tra la folla, un uomo dalla mascella squadrata e i capelli biondo cenere tagliati a spazzola era giunto ad accoglierli: -Chiara, I'd like you to meet Agent Barton- aveva detto Fury, mentre l’uomo lo aiutava a caricare i bagagli su una vecchia Ford grigia e anonima.

L’agente l’aveva squadrata dall’alto della sua statura, il suo sguardo era freddo e impassibile e Chiara se lo sentì addosso come una doccia gelata.; stanca e a disagio, poté solo sbiascicare un vago: -Ciao.

Clint Barton non era un uomo di molte parole e durante il tragitto, in cui lui aveva avuto il ruolo di autista, non proferì verbo né tentò di fare conversazione, ogni tanto però, notò Chiara, lanciava occhiate allo specchietto retrovisore per studiarla e lei sentì quei glaciali occhi azzurri scrutarla attraverso il vetro, sforzandosi di ignorarli. Troppe erano le emozioni da gestire in quel momento per poter pensare anche a quegli occhi: certo, non era lontana da casa come quando era finita ad Asgard, ma ugualmente si sentiva sperduta e intimorita da ciò che quelle persone, che l’avevano allontanata dalla sua famiglia dall’oggi al domani, volessero da lei; la sua maggior preoccupazione, però, era quanto tempo sarebbe durato quella forzata separazione.

Seduta sul sedile posteriore dell’automobile, guardava distrattamente il paesaggio all’esterno, cogliendo solo le luci che si stagliavano sulla grande città notturna, ma senza effettivamente vedere alcunché.

Dopo circa un’ora, la vettura si arrestò nel parcheggio interno di un enorme edificio che svettava sopra un’isola nel bel mezzo del Potomac River e allora i due uomini scesero ed estrassero le borse dal bagagliaio: -Please, come- disse il Falco, aprendole la portiera, sulle spalle teneva lo zaino in cui Chiara aveva stipato lo stretto necessario per partire. Alla luce delle lampade, la ragazza notò che indossava un paio di jeans, una camicia a scacchi e una giacca di tela nera, era molto informale e i suoi modi, sebbene distaccati, erano tutt’altro che bruschi.

Con il sedere ancora dolorante per tutte le ore trascorse seduta in aereo, scese riluttante dal veicolo e seguì i due uomini attraverso il parcheggio senza dire una parola; era un ambiente piuttosto cupo, illuminato qua e là da qualche neon, e la ragazza notò che, pochi metri più a destra della Ford, era parcheggiata anche una BMW nera.

I tre entrarono in un ascensore, Fury premette il tasto 11 e la scatola metallica salì silenziosamente.

-Hill is already here, I saw1- disse Fury, fissando la porta dell’ascensore davanti a lui.

-Yes, she said she couldn’t wait ‘till tomorrow- rispose l’agente Barton

-How thoughtful.

-She couldn't wait for listenin' to what she has to tell. The lab-rats said that the amount of energy was massive, lots more intense than the last time Thor visited us.

Sanno di Thor?”Chiara riuscì a cogliere il nome dell’amico nella conversazione e tutti i suoi nervi iniziarono a fremere.

-Yeah- sospirò Fury, togliendosi il cappello da baseball e passandosi una mano sulla pelle del capo -This time was necessary to move the population of an entire city, we never considered how many people the so called “Bifrost” can bring and take away.

-But asgardians are our allies, aren’t they?- c’era un velo di inquietudine nella sua voce e Chiara non seppe se essere felice di scoprire che anche quello strano uomo provasse emozioni o se essere spaventata da cosa le avesse provocate.

-Yes, they are, but we don’t know who else can use that tecnology. Do you remember the Chitauris, don’t ya?

-Pretty clearly, sir.

-Well, we must find out more about this stuff and something interesting about the girl came out too, but some researches are needed to prove it.

-What do you mean?- la conversazione doveva essere volta attorno a lei, perché Barton si girò fulmineo a guardarla -She’s just a kid, what help can she bring to us?

-We’ll see- sospirò l’uomo -By now she can give us her knowledge. Did I mention that she went to Asgard?

Il campanello dell’ascensore suonò e il trio si ritrovò in un corridoio lungo e affiancato da numerose porte di uffici, sul viso di Barton si era dipinta un’espressione piuttosto sconcertata e Chiara, in qualche modo, sapeva di esserne stata la causa.

Venne scortata attraverso il corridoio, fino all’ultimo ufficio, l’ultimo in fondo, sulla cui porta stava appesa una targhetta di metallo nera con una scritta argentata che diceva: “Maria Hill, commander”.

Dling dlong.

Lo squillante suono del campanello appeso all’ingresso della tavola calda annunciò l’arrivo di Talia, avvolta dalla sua inseparabile giacca a vento rossa; la ragazza appese giacca e sciarpa all’appendiabiti, inforcò il grembiule e svanì dietro la porta della cucina senza dire una parola.

Chiara la fissò sconcertata, la bocca semiaperta dallo stupore: da quando si erano conosciute, circa un anno prima, Talia si era sempre dimostrata cordiale e aperta, sempre con il sorriso sulle labbra e una parola gentile nei confronti di tutti. Mai e poi mai si sarebbe aspettata di vederla attraversare il locale come una furia senza nemmeno rivolgere un saluto ai clienti abituali e senza sommergerla di parole, raccontandole con abbondanza di dettagli lo sviluppo del provino e…

Il provino!” la ragazza si batté la mano aperta sulla fronte, realizzando finalmente la causa di quello strano comportamento dell’amica e, servito il caffè a un cliente al banco, si affacciò timidamente dalla porta della cucina, dove in un angolo, seduta su una cassa vuota di gassosa, Talia singhiozzava.

-Ehi…- sussurrò la ragazza, rivolgendole il sorriso più caldo di cui fosse capace, che divenne una risatina trattenuta quando vide l’amica sobbalzare dalla sorpresa -Avanti, dimmi chi devo picchiare per farti tornare il sorriso!

Talia si passò velocemente le dita sotto agli occhi, cercando di celare il più possibile le lacrime, ma Chiara, avvicinatasi e inginocchiatasi di fronte a lei per poterla guardare in viso, le porse una manciata di tovaglioli: -Se vuoi far finta di niente, pulisciti almeno la faccia dai rivoli di mascara, anche se ti suggerisco di tenere in considerazione la possibilità di travestirti da Alice Cooper per Halloween. Ora che ti guardo bene, gli somigli abbastanza.

Talia prese i tovaglioli e iniziò a strofinarseli sulle guance, mentre il suo volto assumeva un’espressione indecifrabile; passarono qualche secondo in completo silenzio, finché la cantante, dopo aver preso un profondo respiro, si decise a parlare, anche se con voce piuttosto tremula e incerta: -Gallina strozzata…- singhiozzò -Mi hanno chiamata così, senza nemmeno permettermi di completare la canzone. Quei… quei…

-Lasciali perdere!- la interruppe Chiara, prevedendo un nuovo sfogo di pianto e anticipandolo -Erano soltanto gli organizzatori di una stupida festa universitaria! Cosa vuoi che ne sappiano di musica? E comunque quanto ti avrebbero pagata per esibirti? 20 dollari a dire tanto!

-Uno di loro era il docente di musica…- sussurrò piena di vergogna la ragazza, nascondendo il volto in un fazzoletto.

-E allora?- sospirò Chiara, facendo spallucce -Hai la voce più bella che abbia mai udito, hai iniziato a studiare canto quando avevi appena sei anni e, te lo giuro sulla sacra macchina del caffè di Bailey, che troverai un paio di orecchie abbastanza sturate da riuscire ad apprezzare il tuo talento. E, stanne certa, non le troverai tra quei vecchi tromboni!

La risata di Talia tolse al cuore della ragazza un grosso peso: Chiara non poteva definirsi un’esperta di musica e del suo business, se possibile, ne sapeva ancora meno, ma pensava sinceramente che la sua amica fosse dotata di una voce e di una passione nel canto invidiabile e, come sua fan n°1 ufficiale, aveva il sacro compito di spronarla a non arrendersi.

Le avvolse, così, le braccia attorno al collo e la strinse forte, cercando di trasmetterle tutto il suo sostegno; abbraccio che la ragazza ricambiò, sospirando forte e godendo della vicinanza dell’amica, ma il tintinnio del campanello all’ingresso spezzò presto quel momento di serenità e le due cameriere dovettero inforcare di nuovo i loro grembiuli e tornare in sala, dove un ragazzo allampanato con i capelli spettinati e una Reflex appesa al collo, si guardava attorno come un turista a Times Square.


*


Le ruote dell’autobus stridettero sull’asfalto allorché il mezzo fermò la sua corsa, le porte si aprirono sbuffando e Peter scese con un balzo sul marciapiede. Non era tanto male usare i mezzi pubblici, di quando in quando: non sprecava il liquido per le ragnatele, non sforzava inutilmente i muscoli delle braccia e poteva sfruttare il maggior tempo impiegato per svuotare la propria mente da ogni pensiero.

Ne aveva avuto parecchio da riflettere negli ultimi tempi: prima di tornare a indossare la maschera si era nascosto dietro al muro dei propri pensieri al punto tale che, completamente assorbito dalle sue riflessioni, aveva trascorso giorni interi senza nemmeno proferire mezza parola, con grande preoccupazione da parte di zia May, abituata da anni a sentirlo parlare per ore ininterrottamente.

Tornare alla sua attività di vigilante di New York City era stata, senza ombra di dubbio, la migliore delle decisioni prese dopo tanto pensare.

Appena in tempo per fermare Rhino” pensò tra sé e sé il ragazzo, aggiustandosi lo zaino sulle spalle e guardandosi attorno alla ricerca dell’insegna luminosa del Daily Coffee: era abituato a osservare Brooklyn da un punto di vista ben più alto e di bar in quella sola frazione di New York City ve n’erano un’infinità. Non era cosa facile cercarne uno specifico nel labirintico intreccio di strade della penisola.

Una folata di vento gelido lo fece stringere nelle spalle: avrebbe dovuto stare a sentire zia May e indossare il maglione che gli aveva regalato a Natale (anche se era decorata con un raccapricciante motivo a renne stilizzate). Il solo pensiero della pessima figura che avrebbe fatto, se fosse andato in giro con addosso le renne stilizzate, lo fece rabbrividire più del vento newyorkese.

Mille volte meglio affrontare il gelo!”

Per sua fortuna il campanello di una bicicletta attirò la sua attenzione e, alle proprie spalle, trovò quello che stava cercando: il neon blu dell’insegna stile anni ’70 del Daily mandava allegri bagliori nella sua direzione, mentre sull’ampia vetrina l’invitante immagine di una pila di caldi e soffici pancakes gli fece brontolare lo stomaco.

-Ora di merenda!- esclamò Peter, attraversando in fretta la strada e spingendo la porta d’ingresso, mentre l’allegro tintinnio del campanello annunciava il suo arrivo.

L'ambiente era più piccolo di quello che ci si poteva aspettare dall'esterno, c'erano solo quattro tavoli, ordinatamente separati dalle corte file dei divanetti foderati in sintetico color verde bottiglia e, sul lato opposto della vetrina, il bancone si estendeva solo per metà della lunghezza della parete; nonostante ciò, le luci, il profumo di caffé e l'arredamento vintage riuscivano a rendere l'ambiente caldo e accogliente.

Una serie di cornici ordinatamente appese sulla parete a lato del bancone attirò l'attenzione di Peter, che vi si avvicinò: lungo tutta l'area che da un metro e mezzo da terra arrivava fino al soffitto erano esposte decine di fotografie, poster e fogli di spartito riguardanti il mondo del jazz. Vi erano ritratti in bianco e nero di Louis Armstrong, Benny Gooodman, Duke Ellington, Cab Calloway, Woody Herman, Count Basie, Chick Webb, Ella Fitzgerald, Artie Shaw, Glenn Miller, Billie Holiday e molti, moltissimi altri; un paio di essi erano addirittura stati autografati.

Era una collezione vasta e invidiabile e persino lui, che di musica non poteva considerarsi un esperto, rimase affascinato da quella piccola Hall of Fame di straordinari artisti. In mezzo a quel mare di cellulosa e albumina dal sapore retrò, Peter notò che vi era una sola fotografia a colori: rappresentava un quartetto di musicisti, di cui tre uomini in giacca e camicia e una donna in un lungo abito rosa, su un modesto palcoscenico di teatro intenti a suonare e a cantare, sui loro visi la fotografia aveva impresso per i posteri il fuoco della passione che ardeva in loro.

Non poté resistere alla tentazione: tolse il coperchio dall'obiettivo della macchina fotografica, fece un paio di passi indietro e, aggiustata la messa a fuoco, scattò una fotografia della parete.

-Cosa stai combinando, di grazia?

Quella domanda inaspettata lo fece sobbalzare e per un pelo la Reflex non gli scivolò dalle mani: -Ehm, io... ecco...- balbettò Peter, sentendosi l'imbarazzo arrossargli le guance e le orecchie.

-Non volevo spaventarti, scusami- proseguì la cameriera, il cui ghigno sulle labbra tradiva il divertimento che la sua reazione le aveva provocato -Ma dovresti chiedere prima al proprietario se puoi fare fotografie al suo Jazz Wall. Ne è molto geloso.

Peter, riconoscendo nella cameriera la ragazza incontrata la sera precedente durante la ronda, boccheggiò per un altro mezzo secondo, mentre il suo cervello riordinava le idee, soprattutto quando notò che sulla targhetta appuntata sul suo grembiule era stato scritto a penna, con una calligrafia tonda e semplice, il nome Arianne.

-Posso aiutarti in qualche modo?- domandò di nuovo la ragazza, che iniziava a spazientirsi (ma che accidenti aveva quel giorno?).

-Sì, io- esordì finalmente Peter, esibendo un largo sorriso -Ecco, vorrei ordinare dei pancakes!

-Va bene, con cioccolata o sciroppo d'acero?- riprese la ragazza, appuntandosi l'ordine su un blocchetto di fogli che aveva prontamente estratto dalla tasca laterale del grembiule.

-Cioccolata, per favore- rispose Peter, scrutandola attentamente: era possibile che la ragazza che aveva salvato la sera precedente avesse una sorella gemella?

-La cioccolata è per i poppanti!- urlò un uomo seduto al bancone, brandendo una tazza ricolma di caffè e agitandola nella loro direzione -Solo lo sciroppo d'acero è il condimento dei veri americani.

-Si comporti bene signor Frederick- lo intimò scherzosamente la cameriera -Non mi spaventi così i nuovi clienti!

-È lui quello che ha ordinato la cioccolata!- ribatté convinto il signor Frederick.

-Mi arrendo, vada per lo sciroppo- sospirò Peter, disorientato, soprattutto quando l'uomo, lanciatagli un'occhiataccia penetrante, emise uno sbuffo, borbottando sottovoce un "L'avevo detto che lo sciroppo era meglio" per poi tornare silenziosamente sulla sua tazza di caffé.

-Accomodati pure- lo invitò Arianne, indicandogli con la penna un tavolo libero -I tuoi pancackes saranno pronti tra due minuti. Vuoi anche qualcosa di caldo da bere? Oggi si gela.

-Sì, grazie. Del caffè nero sarebbe ottimo.

La ragazza si congedò con un sorriso e svanì in cucina, così Peter, chiuso l'obiettivo della macchina e appoggiatala cautamente sul tavolo (era stata l'ultimo regalo di zio Ben), poté lasciarsi cadere sulla soffice imbottitura delle panche e scaldarsi un po', mentre la sua mente elaborava le informazioni appena acquisite.

Sebbene non fosse del tutto improbabile che potesse avere una sorella omozigote, il suo istinto gli suggeriva che ci fosse qualcosa di poco chiaro dietro l'identità di quella strana ragazza e che fosse necessaria un'indagine più approfondita.

"Perché mai una cameriera di Brooklyn" si chiese il ragazzo, giocando a far scivolare la zuccheriera sul piano del tavolo "Dovrebbe avere un nome falso e un teaser Stark post-Afganistan?".

Il cigolio della porta della cucina gli arrivò stridente alle orecchie e si girò istintivamente in quella direzione, aspettandosi di vedere Arianne/Chiara/chiunque fosse uscire con i suoi pancakes, ma una lunga e ondeggiante chioma corvina gli suggerì che non si trattava della bassa ragazza con i capelli corti che aveva preso la sua ordinazione.

Gli ci volle una frazione di secondo per riconoscere nella cameriera, che ora si era messa al bancone a preparare una nuova brocca di caffé, la stessa ragazza che aveva incontrato in università quella mattina.

Che coincidenza! E dire che New York è una città enorme!

Seguì con lo sguardo i movimenti della ragazza, mentre estraeva una scatola di latta colma di caffè macinato, ne metteva una certa quantità dentro il filtro della macchina con un cucchiaio, inseriva l’acqua e poneva la brocca nel suo incastro all’interno della macchina del caffè. La sicurezza e la fluidità di quei gesti denotavano una ripetitività nella loro esecuzione e, per quanto banali, Peter si scoprì ad ammirarli, affascinato dalla grazia e dalla leggerezza di quelle dita sottili che si destreggiavano sul bancone.

In pochi minuti la bevanda fu pronta e la ragazza la versò in una grossa tazza verde, pose la tazza su un vassoio e la affiancò ad un cucchiaino, un tovagliolo e un tubo di panna montata, prese il tutto e si avvicinò al suo tavolo.

Ok Parker, è la tua occasione per rimediare alla figuraccia! Sii calmo e divertente, come tuo solito”

-Ehi, questo caffè sembra molto meglio di uno zombie di The Walking Dead!- esclamò, appoggiandosi all’imbottitura dello schienale e distendendo le braccia su di esso, cercando si assumere una posa disinvolta.

Quello che ne seguì fu un silenzio imbarazzante, freddo e pesante come una cappa di ghiaccio sui due ragazzi, che si fissarono per qualche istante: Talia con un'espressione sconcertata e incredula e Peter con lo sguardo di qualcuno che avrebbe desiderato venire risucchiato dal sottosuolo per la vergogna.

-Fammi sapere se hai bisogno di altro- si congedò la cameriera, lasciando sul tavolo il contenuto del vassoio, per poi fuggire dietro al bancone.

"Calmo e divertente un corno, testa di ragnatela!" si rimproverò Peter, abbassando lo sguardo sul suo caffè e, brandito il barattolo della panna, ve ne versò una generosa quantità: un po' di dolce forse lo avrebbe tirato su di morale.

Iniziò a sorseggiarlo con calma, concentrando la propria forza di volontà sul non fissare Talia come un idiota: per quel giorno aveva già fatto abbastanza; il tocco umido di qualcosa dalla consistenza spugnosa sulla mano sinistra sotto al tavolo lo portò istintivamente a guardare in basso e i suoi occhi si incrociarono con quelli larghi e dolci di un cane meticcio dal manto color nocciola.

-Ciao Annibale!- salutò sottovoce Peter, accarezzandogli la testa pelosa mentre quello gli leccava le dita, scodinzolando allegramente -Come stai oggi, bello?

In tutta risposta, l'animale alzò la testa e, annusando l'aria, si voltò di scatto nella parte opposta da cui Chiara, portando un abbondante piatto di pancackes, stava arrivando: -Annibale!- chiamò la ragazza -Quante volte ti ho detto di lasciar stare i clienti? Torna nella tua cuccia, sciò!

-Non da nessun fastidio, davvero- si intromise Peter, lasciando un'altra carezza al vello dell'animale, che, concentrato sui pancackes ora appoggiati sul tavolo, iniziò a dimenare la coda ancora più velocemente.

La cameriera gli rivolse un ampio sorriso, poi, sporgendosi con il busto, continuò a bassa voce: -Ti chiedo scusa per il signor Frederick: può sembrare un po' strano sulle prime, ma è un cliente affezionato e, te lo assicuro, innocuo. Gli manca solo un venerdì (e forse anche un sabato), ma è un uomo gentile.

-Non c'è problema- ripeté Peter -Ne ho visti di peggiori.

-Questo non è uno di quei lussuosi bar di Broadway, ma abbiamo una clientela molto selezionata e più pittoresca- ammiccò l'altra -Se tornerai a trovarci, te ne accorgerai. Comunque, se vuoi la cioccolata ti porto un barattolo di sciroppo d'acero pieno di quella.

-Sono a posto così, grazie...Arianne- Peter si sporse, leggendo il cartellino sul grembiule -È un bel nome! È francese?

-Deriva dal greco, a dire il vero. Dalla principessa di Creta.

-Io sono Peter- riprese il ragazzo, anticipando la ritirata della cameriera, che gli lanciò un'occhiata interrogativa -Piacere...- disse poi, tornandosene in fretta a servire gli altri clienti.


*


-Hai notato quello strano tipo al tavolo tre?- chiese Talia all'amica, intenta a scaldare un piatto di zuppa a un cliente: -Quello carino ma che sembra non aver mai intavolato una conversazione in vita sua?- domandò Chiara.

-Esatto, lui- annuì -L'ho incontrato stamattina in università.

-Spero per la sua salute che non fosse una di quelle teste di rapa dell'audizione.

-No, no, non temere- sorrise divertita Talia -È uno studente, o almeno credo. Che coincidenza ritrovarlo qui, non trovi?

Chiara appoggiò sul bancone le stoviglie che stava adoperando e concentrò tutta la sua attenzione sull'amica: -Già, davvero una strana coincidenza!- esclamò con un tono eloquente, che fece alzare gli occhi al cielo alla cantante: -Non cominciare a fare strane congetture- ridacchiò Talia -Magari si tratta davvero di una coincidenza.

-Ti ricordi mio cugino Clint?- domandò Chiara, lanciando una veloce occhiata a Peter, che mangiava il suo dolce sotto lo sguardo torvo del signor Frederick -Lui dice sempre che le coincidenze sono in realtà fatti i cui collegamenti non ci appaiono ancora chiari, ma a me questo sembra piuttosto lampante.

-Non ti seguo- ammise la cantante, svuotando la lavastoviglie dai bicchieri e riponendoli in bell'ordine nella vetrina accanto alla macchina del caffè.

-New York conta 8 milioni di abitanti- iniziò Chiara -La sola Brooklyn ne vanta 2, di milioni, e non oso nemmeno immaginare quanti bar e tavole calde ci siano distribuiti sui suoi 789km². A te non sembra bizzarro che un ragazzo incontrato in un'università di Midtown si presenti lo stesso giorno nel bar in cui lavori a Brooklyn?

-Magari vive qua vicino oppure è venuto a trovare degli amici o...- iniziò Talia, le cui guance cominciarono a imporporarsi vistosamente mentre le sue dita si attorcigliavano nervose attorno a una ciocca di capelli corvini; -Pensala come vuoi- ammiccò Chiara, divertita -Ma sono pronta a scommettere che tu ti sia appena procurata un ammiratore. E comunque, questo qua è mooolto più carino di Thomasstempiatura.

-Aveva solo la fronte un po' ampia- ribatté la cantante, afferrando al volo l'occasione di cambiare discorso; -Solo un po'?- rise Chiara -Nemmeno la Piazza Rossa è così ampia.

-Sei crudele, ma ti voglio bene lo stesso- ammiccò Talia -Stasera cinese e film spazzatura da te?

-Certamente.



Note

1. Traduzione del dialogo

F: Hill è già qui, ho visto.

C: Già, ha detto che non poteva aspettare fino a domani.

F: Che premurosa.

C: Non poteva aspettare di sentire quello che ha da dire. I ratti di laboratorio (gli scienziati in termine gergale-dispregiativo) hanno detto che la quantità di energia era imponente. Molto più intensa dall'ultima volta che Thor è venuto a farci visita.

F: Sì, questa volta era necessario spostare la popolazione di un'intera città. Non abbiamo mai considerato quanta gente il così detto Bifrost può prendere e portare via.

C: Ma gli argardiani sono nostri alleati, vero?

F: Sì, ma non sappiamo chi altro può usare quella tecnologia. Ti ricordi dei Chitauri, vero?

C: Molto chiaramente, signore.

F: Beh, dobbiamo scoprire di più su questa roba e qualcosa di interessante riguardo alla ragazza è saltato fuori, ma sono necessarie delle ricerche per provarlo.

C: Cosa intende? Lei è solamente una bambina, che aiuto può portarci?

F: Vedremo. Per il momento può darci la sua conoscenza. Ho detto che è stata su Asgard?




Angolo dell'autrice: buonasera a tutte quante e benvenute al capitolo di Dicembre di Panacea Project! Come prima cosa, vorrei mandare un grossissimo abbraccione a Angel27, Emily Mortensen e Calliope82 per aver iniziato a seguire la storia e Stardust97 che l'ha inserita tra le preferite! Grazie!! ^-^

In secondo luogo, questo capitolo è incentrato sulla quotidianità dei nostri protagonisti e li seguiamo sui loro luoghi di lavoro/studio e nelle loro relazioni con chi li circonda. Spero di non avervi troppo annoiate ^-^"

Entriamo per un po' anche nella testa di Peter e iniziamo un po' a vedere come ha affrontato il lutto per Gwen e la ripresa dei suoi eroici intenti. Che ve n'é parso? Spero di essermi mantenuta attinente al personaggio e di non averlo reso troppo ridicolo.

Sono cominciate al contempo le indagini di Peter, che, non del tutto convinto di questa storia del teaser, vuole saperne di più. Cosa succederà?

Ma, soprattutto, vi è piaciuto quello che avete letto? Spero tanto di sì e che, alla fine della lettura, non abbiate avuto la sensazione di aver perso tempo ^-^"

Riguardo al dialogo in inglese (prometto che è l'ultimo pezzo in lingua straniera che inserisco, ma qui era necessario per far capire che Chiara non ha ancora dimestichezza con la lingua), questa volta non sono stata corretta da una persona più competente di me, perciò, qualora trovaste orrori grammaticali, vi prego di segnalarmeli in maniera tale che possa correggerli (e imparare anche qualcosina ^-^).

Ad ogni modo, vi ringrazio per essere passate di qua, spero di avervi intrattenute piacevolmente e che ci rivedremo presto!

Un abbraccio forte

Lady Realgar


Ps. Per ricambiare la gentile cortesia fattami, se siete interessate a leggere fanfiction a tematica Captain America, vi consiglio caldamente Certe cose non cambiano mai di Ragdoll_Cat (non sono capace a mettere il link, perciò potete cercarla tra le mie seguite o direttamente nella sezione Capitain America).

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Capitolo 4
*** R(h)umor et silentium ***


Aveva trascorso l'intero pomeriggio incollato alla poltroncina dalla foderatura verde bottiglia (tra l'altro sorprendentemente comoda), alzandosi sì e no un paio di volte per andare ai servizi; l'ambiente del Daily si era rivelato essere molto rilassante, eccezion fatta per il signor Frederick, e, dopo circa una mezzora da quando aveva fino i suoi pancakes, Peter aveva estratto i suoi quaderni di appunti e le dispense e aveva iniziato a studiare: se per un eroe dalla grande fama come Spiderman era piuttosto facile attaccare bottone con una ragazza senza sembrare strano o impacciato, per il comune Peter Parker la vita non era altrettanto semplice. Non poteva pretendere che una fanciulla aprisse spontaneamente il proprio cuore a un perfetto sconosciuto, così decise di prendersi del tempo e imporre la propria presenza come cliente finché la ragazza del mistero non avrebbe iniziato ad abbassare la guardia.

Il fatto che questo suo piano gli avrebbe permesso di rivedere Talia era una mera e assolutamente casuale conseguenza aggiuntiva; anzi, se fosse riuscito a ingraziarsi la sua amica, sicuramente Chiara sarebbe stata più ben disposta nei suoi confronti e, quindi, più incline al dialogo.

"Parker, sei un genio!" gongolò il ragazzo tra sé e sé, facendo roteare la matita tra le dita, mentre ai suoi piedi, accoccolato sotto al tavolo, Annibale ronfava nella grossa.

Il telefono cellulare vibrò nella tasca sinistra della giacca, lo prese e lesse sullo schermo luminoso:

Zia May: h.19.07 Vieni a casa per cena?

Non si era accorto di quanto si fosse fatto tardi: -h.19.08 Sì, ma farò un po' di ritardo- digitò in fretta e furia sul vetro dello schermo, poi, riposte le sue cose nello zaino, si avviò alla cassa.

-Già ci lasci?- chiese ironica Chiara da dietro il macchinario, digitando il prezzo della consumazione -Non credo che quella poltroncina abbia mai dovuto sostenere per così tanto tempo il peso di qualcuno.

-Mi ha conciliato lo studio- ammise ridacchiando Peter, porgendo il denaro alla ragazza -Mai stato tanto produttivo in un solo pomeriggio.

-Lo sciroppo d'acero ti ha dato l'energia giusta per studiare- ammiccò Chiara, che ridacchiò sommessamente quando sentì il signor Frederick al bancone borbottare qualcosa che assomigliava a un "L'avevo detto".

-Già...- disse vago Peter, cercando di ignorare il commento dell'uomo e guardando di sfuggita lo scontrino, per poi aggiungere sorpreso: -Non mi hai segnato il caffè.

-Lo offre la casa ai clienti che vengono qui per la prima volta- spiegò la cameriera, chiudendo la cassa.

-Ma ne ho bevuto a litri!- insistette Peter.

-È il volere del mio capo- Chiara gli lanciò un'occhiata interrogativa: nessuno si era mai lamentato per quella piccola tradizione del locale -Il signor Bailey sostiene che sia un piccolo incentivo per la clientela a tornare.

-Molto generoso da parte sua. Di solito è già tanto se non ti fanno pagare delle cifre spropositate per un solo bicchiere d'acqua.

-Non ti ci abituare, però- sorrise la ragazza -Dalla prossima volta dovrai pagare anche il bere, se vorrai tornare a trovarci.

"Eccome se tornerò!" sorrise tra sé Peter, leggendo in quell'affermazione il primo passo per la realizzazione del suo piano: -Basterebbe anche solo il ricordo dei pancackes a condurmi di nuovo qui.

-Bene- esclamò la cameriera, accarezzando la testa di Annibale, che si era svegliato e le si era seduto a fianco in cerca di coccole -Allora a presto, Peter.

-A presto, Arianne- salutò quello, avviandosi alla porta, dove Talia stava passando il mocho dove un bambino, poco prima, aveva rovesciato una tazza di latte: -Ciao- salutò timidamente Peter, prima di svanire dietro alla porta.

-Strane cose, le coincidenze. Non trovi?- chiese ad alta voce Chiara verso l'amica, distratta a seguire con lo sguardo il ragazzo appena uscito dal bar e che, per tutta risposta, le rivolse una linguaccia, per poi tornare a pulire il pavimento.

Sul suo viso però, notò Chiara, si era delineato l'abbozzo di un sorriso e fu sicura che la tristezza del provino fosse sparita del tutto.

*


Non appena svoltato l'angolo, Peter era andato alla ricerca di un vicolo abbastanza nascosto e poco frequentato per cambiarsi: le lancette dell'orologio correvano veloci e l'ora di cena era prossima, non poteva permettersi di perdere tempo nel caos del traffico serale o zia May avrebbe dovuto attenderlo davanti a una cena ormai fredda.

Volteggiando tra gli alti palazzi, in direzione del Queens, il vento fresco della notte che calava gli solleticava il volto attraverso lo spandex della maschera, mentre vigilava sulle strade sotto di lui: quella non era una vera e propria ronda, ma il crimine, come si suol dire, non dorme mai e Spiderman non era certo da meno.

Per la maggior parte delle volte era sufficiente farsi vedere ondeggiare tra i tetti per spaventare i piccoli criminali di quartiere, ma talvolta qualcuno più coraggioso degli altri sfidava la sorte nel tentativo di mettere a segno un colpo e allora il suo intervento era richiesto.

Oltrepassando Brooklyn, Peter sperò con tutto il cuore che per quella sera a nessun ladro venisse in mente di entrare in azione, ma, purtroppo, la sua buona stella aveva diretto la sua luce da un'altra parte, perché proprio a metà strada da casa incappò in una rapina a mano armata a danno di una farmacia.

Sospirando un'imprecazione, Peter atterrò sul tetto dell'edificio e, calandosi a testa in giù con una ragnatela, sbirciò l'interno del negozio attraverso una vetrina: due uomini in passamontagna neri puntavano delle pistole contro il farmacista, intento a riempire una grossa borsa di tela con il contenuto della cassa.

"Cattivi due, ostaggio uno, rischio personale prossimo allo zero, rischio dell'ostaggio prossimo al 73%. Troppo alto. Priorità: disarmare i cattivi e garantire l'incolumità dell'ostaggio. Tempo richiesto: 2 minuti."

Atterrò sul marciapiede, assicurandosi che nelle vicinanze non ci fossero automobili accese in attesa dei due criminali, poi, senza alcuna esitazione, entrò nella farmacia esclamando a gran voce: -Buonasera, vorrei un antiinfiammatorio muscolare. Sapete, fare l'amichevole Spiderman di quartiere alla sera lascia tutto un dolore alle spalle!

I malviventi, superata la prima sorpresa dovuta all'intrusione, puntarono le pistole contro di lui, pronti a fare fuoco, mentre uno dei due strappava di mano dal farmacista la borsa con il denaro.

-Che noia le pistole- esclamò Peter, lanciando una ragnatela sull'apertura della canna della prima e tirandola contro la seconda, facendole cadere entrambe a terra -Mai una volta che un cattivone si ingegnasse con qualcosa di insolito. Per esempio, nessuno mi ha mai minacciato con una balestra o dei nunchako o una mazza masai...

Con la coda dell'occhio il vigilante notò un bagliore provenire dalla mano di uno dei furfanti e con un calcio lo colpì, facendo volare quello che si rivelò essere un coltello a serramanico, che scivolò sulle piastrelle azzurre della farmacia con un sottile stridio metallico.

-Awwwn- sbadigliò teatralmente Peter, immobilizzando il malvivente con una ragnatela -Un coltello. Ma non mi dire, che novità!

Non potendo fare altrimenti, i due uomini, scambiatisi un'occhiata sconfitta, alzarono leggermente le mani in segno di resa, mentre il commesso, ancora tremante per lo spavento, componeva il 911 sul cellulare per chiamare i soccorsi.

Peter raccolse le armi da terra, rimosse i proiettili dai caricatori delle pistole e, riposto il tutto in un sacchetto che consegnò al farmacista, attese le sirene della polizia prima di svanire di nuovo nella giungla di asfalto del Queens.

Erano passati ben più dei due minuti previsti e già la sua fantasia gli mostrava l'immagine della zia seduta da sola al tavolo della cucina di fronte a due piatti vuoti: maledetta la sua boccaccia larga!

"Dovevo proprio mettermi a fare il pagliaccio come mio solito?!" si rimproverò atterrando nel buio di un vicolo vuoto a un isolato di distanza da casa; si guardò attorno con circospezione, cercando le testimonianze della presenza di qualche curioso, e una volta che fu sicuro che nessuno lo stesse osservando, estrasse dallo zaino i suoi vestiti civili e si sfilò la maschera dal volto.

Se avesse agito subito, si ritrovò a pensare mentre infilava le gambe nei jeans e si abbottonava la camicia a quadri sul petto, senza stare a blaterare come un idiota avrebbe potuto disarmare i due uomini in pochi secondi, colpire il primo allo stomaco, il secondo al volto e lasciarli KO sul pavimento senza perdere altro tempo.

Avrebbe potuto farlo, ma alla vista dell'ostaggio qualcosa dentro di lui era scattato, una paura colpevole lo aveva attanagliato e la sua risposta era stata, come ogni qualvolta che si trovava in difficoltà, lo humor.

Ogni volta che accadeva, ossia molto più spesso di quanto gli piacesse ammettere, diceva a se stesso che si trattava di strategia: distrarre i criminali dagli ostaggi e risultare abbastanza irritante da costringerli a puntare le loro armi contro di lui.

Lui era Spiderman, con tutti i vantaggi che il morso del ragno gli aveva conferito, e poteva gestire una raffica di proiettili che fischiano attorno a lui, cercando di forargli la carne, ma gli altri no. I restanti 7.999.999 abitanti di New York non avevano le sue capacità e nulla avrebbero potuto contro il fuoco di un'arma.

Lui era il loro paladino, il loro ragno custode avvolto nello spandex blu e rosso e, anche se i suoi metodi erano poco ortodossi e una grossa fetta dei suoi "protetti" lo reputava un criminale (in buona parte per colpa dei servizi del giornalista J.Jonah Jameson), ogni giorno votava il proprio dono alla sua città.

E lo humor era la sua firma.

Attraversò il piccolo giardino e sentì il familiare scricchiolio delle vecchie scale di legno sotto ai suoi piedi, poi iniziò a frugare nello zaino alla ricerca delle chiavi di casa, ma lo scatto della serratura lo anticipò e il volto sorridente della zia lo accolse in casa.

-Peter, finalmente!- esclamò May Parker, lasciando un leggero bacio sulla tempia del nipote non appena egli fu entrato nell'ingresso -Non ti sei fatto sentire per tutto il giorno e quando ha cominciato ha fare buio ho iniziato a preoccuparmi.

-Zia May...- iniziò il ragazzo, mentre la donna lo accompagnava verso la sala da pranzo, dove il tavolo era stato apparecchiato per due, ma quello lo interruppe -Sì, lo so, sei un adulto grande e vaccinato e non dovrei trattarti come un ragazzino, ma ai miei occhi tu resterai sempre il mio bambino e non potrò smettere mai di preoccuparmi.

Senza nemmeno tentare di ribattere, Peter l'afferrò delicatamente per un polso e la tirò a sé, avvolgendola in un abbraccio: forse era solo la stanchezza o un brutto scherzo della sua immaginazione, ma la sentì magra e fragile tra le sue braccia le incolpò i turni interminabili che faceva in ospedale come infermiera.

La forza proporzionale a quella di un ragno, che aveva acquisito qualche anno addietro, avrebbe potuto spezzare con il minimo sforzo la colonna vertebrale di un uomo dieci volte più grosso e muscoloso di lei e, anche se aveva imparato molto bene come controllarla e calibrarla a seconda delle occasioni, Peter, stringendola a sé, ebbe per un momento paura che la sua corporatura esile si sarebbe infranta sul suo petto.

Istintivamente allentò la presa, ma May Parker non era tipo da lasciarsi sfuggire così facilmente una di quelle rare occasioni in cui suo nipote era in vena di affettuosità (non che Peter fosse un tipo freddo, ma i loro orari di lavoro erano spesso incompatibili e di rado trovavano del tempo da trascorrere assieme), così, prima che potesse sfuggirle, lo agguantò di nuovo e, accarezzandogli delicatamente l'attaccatura dei capelli lungo il collo, si lasciò invadere dal calore del suo amato nipotino.

Era incredibile quanto, ogni giorno che passava, somigliasse sempre di più al suo Ben, sopratutto negli occhi: così grandi e gentili, macchiati solo da un velo di malinconia...

-Zia May- sussurrò Peter dall'incavo della spalla della zia, dove la sua testa era stata arpionata -Non respiro...

-Oh scusa tesoro!- esclamò May, lasciando la presa sul nipote -Non volevo sofforcarti. È che non mi capita più tanto spesso di averti così vicino e poi... non so... mi era sembrato che avessi bisogno di conforto: hai uno sguardo così triste...

-Triste? Io?- rise Peter, esibendo un largo sorriso, che gli fece comparire delle piccole rughette agli angoli degli occhi -Ma mi hai visto? Emergente fotografo e giovane promessa delle biotecnologie, sostenuto dalla zia migliore del mondo. Come mai potrei essere triste?

Senza considerare migliore supereroe di New York! Beccati questa Iron Man!” pensò tra sé e sé, mentre sua zia gli sorrideva di rimando e lo invitava a sedersi al suo posto al tavolo.

In pochi secondi i lori piatti vennero riempiti di polpettone e insalata e i due iniziarono a mangiare, mentre zia May, ritrovata la propria indole allegra, raccontava la sua giornata in ospedale; dopo qualche minuto in cui la zia aveva descritto la frattura scomposta dell’avambraccio che un ragazzino si era procurato andando con lo skateboard, ringraziando il Cielo che Peter avesse finalmente smesso di andarci, la mente del ragazzo iniziò a vagare nel mare dei suoi pensieri, riportando alla memoria gli eventi degli ultimi giorni.

È solo che so cosa vuol dire nascondersi dietro una maschera per proteggere chi ami” ricordò Peter, masticando con attenzione il saporito polpettone di carne che aveva davanti.

-Peter?- il ragazzo scattò sull’attenti, sentendosi chiamare -Mi stai ascoltando?- domandò May, alzando un sopracciglio.

-Sì, scusami- si affrettò a rispondere Peter, grattandosi la nuca imbarazzato -Ero solo un po’ distratto dalla bontà del tuo polpettone, sei la miglior cuoca del Queens.

-Allora posso contare su di te?- domandò zia May, lanciandogli uno sguardo di sfida che diceva “Voglio proprio vedere se hai prestato attenzione”.

-Ceeerto, zia- sorrise di nuovo Peter, maledicendosi per non aver ascoltato una parola di quello che gli aveva detto –Non ti preoccupare.

Parker, sei un idiota”

-Molto bene, allora. Finisci la cena e aiutami a sparecchiare.- concluse May, finendo di masticare l'ultimo boccone e portando il proprio piatto al lavandino, dove iniziò a insaponare le pentole.

A Peter non restò che obbedire a orecchie basse e sperare che qualunque cosa le avesse promesso si sarebbe rivelata, prima o poi.

"Meglio prima" si disse il ragazzo, porgendo alla zia le ultime stoviglie e lasciandole un leggero bacio della buonanotte sulla guancia, prima di ritirarsi nella sua stanza: voleva riposarsi una mezzoretta prima di uscire per la ronda notturna.

Attraversando di nuovo la sala da pranzo, la sua mano accarezzò leggermente il legno liscio e consunto della terza sedia posta attorno al tavolo: quella di zio Ben.

-Buonanotte zia May- salutò -Domani farà freddo, perciò ricordati di coprirti bene o dovranno ricoverare anche te in ospedale e sappiamo bene entrambi che con i dottori non vai d'accordo!

-Hai ragione, tesoro, grazie- ridacchiò May e fu lì che Peter vide la propria maschera riflessa nel sorriso della zia: non quella di Spiderman, bensì una molto più sottile, eppure più coprente.

Il suo volto, le sue azioni e le sue parole erano ben nascosti dal suo stesso humor.

Ora che ci pensava bene, mentre saliva le scale e si rifugiava nel buio della propria camera, quello era l'unico modo che conosceva per difendersi. Non da ladruncoli e spacciatori, e nemmeno da criminali dello stampo di Rhino o di Lizard (il suo cervello si rifiutò anche solo di nominare il Goblin), ma dalle sue insicurezze, dalle sue paure, dalle sue debolezze... In parole povere, da se stesso.

Sciorinare battute, talvolta anche infelici, nei momenti di tensione era il suo modo per autoconvincersi di avere il pieno controllo della situazione; certo, quando aveva iniziato a interpretare il ruolo del vigilante mascherato, lo humor era dettato più dall'eccesso di adrenalina che non da altro: la straordinarietà dei suoi poteri lo mandava letteralmente su di giri e ogni scontro era come un giro in giostra.

Poi aveva iniziato progressivamente a capire la gravità del suo ruolo, delle sue responsabilità, e la memoria dello zio defunto aveva iniziato a schiacciarlo.

Non che il ricordo dello zio Ben fosse associato a sensazioni negative, anzi! Fatta eccezione della mancanza, Peter non riusciva a ricordare un solo brutto momento passato assieme allo zio. Quello che lo opprimeva era l'impegno che si era preso in suo nome.

-Da grandi poteri derivano grandi responsabilità- ascoltò la propria voce sussurrare al buio, una volta che si fu disteso sul letto.

Aveva fatto di quella frase, una delle più ricorrenti tra le pillole di saggezza di Ben Parker, il proprio motto o, più accuratamente, il proprio comandamento. Gli ci era voluta una pallottola piantata nello stomaco dello zio per farla riaffiorare nella sua memoria, una vendetta mai compiuta contro il ladro che lo aveva reso ancora più orfano per comprenderla e una vertebra spezzata nel collo della sua donna per imprimerla a sangue nella sua anima.

Lui era il solo responsabile. E lo humor lo aiutava, almeno un po', ad alleviare quella consapevolezza.

Si svegliò di soprassalto con la schiena sudata e i piedi e le mani freddi come il ghiaccio, mentre le immagini del sogno che stava facendo sbiadivano sempre di più nella sua memoria, per essere poi irrimediabilmente perdute quando, afferrato con uno scatto da leopardo l'orologio da polso appoggiato al comodino, Peter si rese dolorosamente conto di essere rimasto addormentato per molto più del dovuto e di essere in terribile ritardo per la ronda notturna.

Si infilò nella tuta di spandex il più velocemente che potè e si assicurò che i caricatori del liquido per ragnatele fossero pieni, poi uscì sulle punte dei piedi fuori dalla sua camera, nel buio del corridoio, e, scostata appena la porta della stanza da letto di zia May, si assicurò che dormisse. Tornò nella sua stanza e sgattaiolò fuori dalla finestra, per poi iniziare a dondolarsi tra gli edifici a tutta la velocità che la legge del pendolo gli permetteva: da quello che aveva potuto leggere sulla porta del Daily Coffee, mancava meno di mezzora alla chiusura del locale e Peter voleva essere lì in tempo per poter pedinare la fanciulla del mistero e scoprire tutto il possibile su di lei e i suoi spostamenti.

Sorvolò il Queens senza incappare in rapine o sparatorie, né udì, incredibilmente, il lamentoso suono delle sirene della polizia: quella sembrava essere una serata particolarmente tranquilla e Peter si augurò che quell'andamento positivo si estendesse almeno fino al mattino.

L'irregolare profilo degli alberi di tasso di Prospect Park, le cui fronde ingiallite dall'autunno brillavano di mille calde sfumature alle luci dei lampioni e delle insegne, lo accolse nel quartiere che ospitava l'accogliente Daily Coffee, le cui vetrine, però, quando atterrò sul tetto della palazzina di fronte, erano chiuse dalle saracinesche e l'insegna al neon spenta.

-Dannazione!- imprecò sottovoce il ragazzo, cercando con lo sguardo la presenza delle due ragazze, ma invano.

Rimase per qualche secondo a riflettere sul da farsi: non poteva sperare di ritrovarle in quel groviglio di strade, tanto più che era arrivato in ritardo di quasi un'ora, vanificando sul nascere qualsiasi tentativo di ricerca.

Decise, così, di riprendere il suo abituale giro di pattuglia e, nel frattempo, di pensare alla prossima mossa.

*


-Sai già quale film vuoi vedere stasera?- chiese Chiara, facendo scattare la serratura della saracinesca e assicurandosi che la porta di ingresso fosse ben chiusa.

-Ooh sì!- ululò Talia, appendendosi al suo braccio e simulando una risatina maligna -Vedrai che ci faremo una bella risata!

-Così mi spaventi!- rise Chiara, infilandosi il mazzo di chiavi in borsa e assicurandosi di avere il telefono di Stark nel taschino laterale -Coraggio, Annibale, torniamo a casa.

Il cane le si affiancò docilmente e seguì le due ragazze verso la fermata dell'autobus, dove pochi minuti dopo, nel vento autunnale che iniziava a soffiare gelido, arrivò il mezzo, in cui i tre si rifugiarono.

-Per prima cosa dobbiamo fermarci da Blockbuster per prendere il film- continuò a spiegare Talia, slacciandosi la giacca a vento -Poi ci facciamo portare la cena a casa. Ho proprio una gran voglia di riso alla cantonese e maiale in agrodolce! È ancora aperto quel ristorante take-away... come si chiamava? Ah sì, il Pechino Blossom?

-Che io sappia sì...- iniziò Chiara, che fu però interrotta: -Meno male! Lì fanno gli involtini primavera più buoni del creato! Io non so cosa ci mettano ma per me è come una droga- rise la ragazza, dando una veloce carezza sul muso di Annibale, che scodinzolava allegramente.

Chiara si perse per un momento ad osservare i suoi amici e non poté trattenersi dal sorridere: -Si può sapere cosa avete da essere così agitati stasera?- domandò scherzosamente la ragazza, dando un colpetto al braccio dell'amica -Sembra quasi che tu non abbia mai mangiato cibo cinese in vita tua!

Talia si voltò a guardarla negli occhi, rispondendo al sorriso con uno ancora più largo e sgargiante: -Sono solo felice di poter finalmente trascorrere un po' di tempo in tua compagnia fuori dal Daily: Ultimamente siamo state così impegnate da non fermarci nemmeno a chiacchierare dopo il lavoro. Mi mancavi.

-Awwww!- esclamò commossa Chiara, avvolgendole le spalle con un braccio e appoggiando la testa sulla sua guancia -Anche tu mi sei mancata! Sono così contenta di vederti tanto allegra stasera.

-Dici per il provino?-chiese Talia, la cui voce si era improvvisamente abbassata di un paio d'ottave (Chiara aveva imparato a comprenderne l'umore sulla base dell'acutezza della sua voce) -Che vadano al diavolo, quei vecchi bacucchi! Io sono un'artista nuova!

-Così mi piaci!- Chiara la strinse ancora di più: Talia era molto suscettibile circa il parere delle altre persone e, quando qualcuno metteva in dubbio la sua abilità, le ci voleva parecchio tempo per riprendersi; il fatto che stesse reagendo così positivamente a una critica richiedeva da parte sua uno sforzo notevole, che Chiara riconosceva e apprezzava.

Passarono il resto della corsa così, a tenersi vicine l'una all'altra, bisognose dell'affetto che si trasmettevano, mentre Annibale, sdraiato sui sedili di fronte a loro, sonnecchiava pigramente, aprendo ogni tanto un occhio per assicurasi che la sua padrona fosse ancora seduta al suo posto.

Giiunte alla loro fermata, le ragazze scesero dal mezzo e diressero i loro passi verso il Blockbuster all'angolo della strada, dove si separarono: i cani non erano ben accetti all'interno del negozio e, inoltre, Talia voleva che il film rimanesse per l'amica una sorpresa fino all'ultimo momento. Chiara rimase, così, all'esterno a far fare i bisogni ad Annibale, mentre Talia si aggirava per le corsie del negozio in cerca del DVD che desiderava.

Il comandante Hill aveva ascoltato con attenzione ogni singola parola che Chiara aveva detto, traducendola all'agente Barton e al direttore Fury in inglese, poi, al termine del racconto, aveva chiesto a Clint di accompagnare la ragazza in una delle stanze destinate alle reclute, mentre lei si soffermava a discorrere con il direttore di quello che aveva appena udito.

Chiara aveva annuito con il capo, troppo stanca per poter ancora pronunciare anche solo mezza parola (che comunque non sarebbe stata ascoltata, dato che la Hill aveva completamente distolto la propria attenzione da lei, per concentrarsi unicamente su Fury), e si era affiancata all'agente, ma, quando egli si era chinato per prenderle lo zaino, quella lo aveva fermato e si era caricata il baglio sulle spalle, lanciandogli un'occhiata infastidita: era perfettamente in grado di farcela da sola.

L'agente aveva risposto allo sguardo con un'alzata di spalle e, congedatosi, era uscito dall'ufficio, seguito a ruota da Chiara. Ancora non lo sapeva, ma quella sarebbe stata solo la prima di una lunga serie di volte in cui si sarebbe affidata a Clint Barton per farsi guidare.

Riattraversarono il corridoio, ma questa volta, invece di prendere l'ascensore, passarono per una rampa di scale piuttosto stretta, che scendeva lungo tutta l'altezza dell'edificio. Quando Chiara ebbe imparato l'inglese abbastanza bene da poter intavolare una conversazione, Clint le spiegò quella scelta, affermando di volerle insegnare come muoversi nell'edificio senza essere notata, dato che in pochi preferivano le scale antincendio al più comodo ascensore, ma all'epoca la ragazza credette che quella fosse una sorta di vendetta per non avergli lasciato prendere lo zaino e iniziò a provare antipatia l'agente Barton.

Il primo incontro con Occhi di Falco non fu dei migliori, soprattutto quando, giunti al piano, egli la condusse ad una stanza piccola e parcamente arredata con un letto, un armadio a una sola anta e una piccola scrivania di legno con una sedia; l'illuminazione era fornita da una sola lampadina appesa al soffitto e il bagno era dietro una porticina in fondo alla camera. Nulla in quella stanza era anche solo lontanamente accogliente e Chiara venne colpita da una profonda nostalgia di casa, che per poco non la fece scoppiare in lacrime.

Riuscì a trattenerle con successo, ma non poté impedirsi di tirare su con il naso, cosa che non sfuggì all'agente Barton, il quale la osservò da capo a piedi con l'aria di chi non sa cosa fare, ma che non vuole darlo a vedere.

-Puoi anche andartene, adesso- sputò velenosa Chiara, buttando lo zaino sul letto ed estraendone un pacchetto di fazzoletti; non era del tutto certa che l'uomo alle sue spalle non la comprendesse, ma non le importava: aveva bisogno di sfogarsi, di lasciare uscire tutta la frustrazione e la malinconia, di piangere fino a sentirsi bruciare gli occhi e quell'uomo, con la sua presenza, glielo impediva. Voleva che se ne andasse, continuava a sentire il suo sguardo su di sé e lo odiava. Voleva essere lasciata sola.

-Ho detto: vattene!- ripeté, questa volta alzando la voce e, dopo pochi istanti, finalmente sentì la porta chiudersi e lo sguardo dell'agente svanire. Era sola adesso, ma non si sentiva affatto meglio.

-Eccomi!- esclamò gioiosa Talia, uscendo dal negozio con un sacchetto di plastica in mano -Pronta per andare a casa.

-Un attimo- rispose Chiara, raccogliendo con un sacchetto gli escrementi di Annibale e buttandoli in un cestino della spazzatura -Ok, andiamo pure.

Talia l'arpionò a braccetto e la trascinò entusiasta davanti al portone del condominio, dove Chiara estrasse le chiavi ed aprì il cancello, ma, superati appena due piani, Annibale tirò il guinzaglio verso la porta del 2B, dove un bambino biondo dai grandi occhi azzurri sbirciava l'esterno attraverso la porta socchiusa.

-Ciao, piccolo!- gli sorrise raggiante Talia, ma il bimbo, scuotendo la testa, si ritrasse, chiudendo maggiormente la porta; Talia, sorpresa da quell'atteggiamento, chiese aiuto con lo sguardo all'amica, che rivolgendole un mezzo sorriso di consolazione, le disse: -Non è colpa tua. È solo un po' timido.

Ciò detto, la ragazza si avvicinò alla porta e iniziò a gesticolare, sotto lo sguardo attonito dell'amica, che divenne ancora più sorpreso quando vide il bambino rispondere a quei gesti con un largo sorriso sulle labbra.

-Ti apro l'appartamento, poi, per favore, puoi ordinare tu la cena?- chiese Chiara, mentre il bambino svaniva dietro la porta -Io ti raggiungo tra dieci minuti.

-Va bene- rispose confusa Talia, seguendo l'amica al piano superiore e, una volta entrate nell'appartamento, la vide prendere una busta di cibo per gatti dal mobile della cucina e svanire di nuovo sul pianerottolo.

Quando Chiara fu ridiscesa, il bambino la stava aspettando davanti alla porta del suo appartamento, ben coperto da una giacca a vento celeste e una spessa sciarpa di lana.

-Hai perso un altro dentino, vedo- gli disse Chiara con il linguaggio dei segni.

-- rispose l'altro tutto soddisfatto, mostrando con orgoglio la finestra tra l'incisivo superiore sinistro e il canino superiore sinistro -Stasera la fata dei denti verrà e mi lascerà un dollaro sotto al cuscino.

-Sai già come spenderlo?- domandò la ragazza, mentre scendevano le scale e passavano attraverso la porta sul retro.

-Alla mamma piacciono i fiori- spiegò il bambino, chiudendosi meglio la giacca sul collo per ripararsi dal freddo -Volevo comprarne uno per lei, visto che tra poco ci sarà il suo compleanno.

-È un pensiero molto carino, Vincent; sono sicura che le piacerà un sacco! Ma ti basterà un dollaro?

-Ho gli altri dei denti prima- ridacchiò Vincent, tutto soddisfatto della propria lungimiranza -Adesso però chiamiamo i gatti?

A quella richiesta, Chiara annuì con il capo, sorridendo, e scosse vigorosamente la busta di croccantini; bastarono pochi secondi e il vicolo, presso cui erano disposti a ridosso dei muri di mattone i cassoni della spazzatura, si riempì di una dozzina di gatti miagolanti.

Da un angolino ben nascosto da un cumulo di mattonelle rotte, Chiara estrasse delle scodelle in cui, aiutata dall'emozionatissimo Vincent, versò il contenuto della busta e i due, allontanatisi di qualche passo, si sedettero sulle scale della porta ad osservare la cena dei gatti randagi.

Pochi giorni dopo che lei e Clint si erano trasferiti nel condominio di Foster Avenue, l'appartamento 2B era stato occupato da una operatrice di call-center, ragazza madre di Vincent, un bambino sordomuto con cui avevano fatto amicizia, sopratutto dopo aver scoperto la colonia di gatti randagi che abitava nel retro del palazzo e che l'amministratrice, una donna di mezz'età scorbutica e odiosa, aveva cercato di sterminare lasciando in giro bocconcini avvelenati con il veleno per topi.

Disgustati da quella crudeltà, Clint e Chiara avevano subito provveduto a rimuovere e distruggere quelle trappole, sotto gli occhi ammiranti di Vincent, con cui avevano iniziato una campagna di salvataggio segreta per quei poveri gatti randagi: quasi ogni sera, infatti, i tre o i due (quando Clint, come quella sera di autunno, era a caccia di streghe) scendevano di nascosto nel vicolo e distribuivano croccantini.

Dopo la prima volta, lei e Clint avevano iniziato a studiare il linguaggio dei segni e, settimana dopo settimana, erano finalmente riuscire a comunicare con Vincent, felice più che mai di aver trovato qualcuno, oltre a sua madre e l'insegnante di sostegno della sua scuola, con cui chiacchierare.

Per Chiara, osservare Vincent che guardava estasiato quegli animali era uno spettacolo unico: era un bambino estremamente curioso e interessato a tutto quello che lo circondava, che amava trascorrere le sue giornate a leggere libri sulla natura, sui dinosauri e sullo spazio. Una volta le aveva addirittura proposto di andare sul tetto del palazzo per osservare le stelle e cercare nel cielo le costellazioni che erano disegnate sul suo libro, ma, purtroppo, le luci di Brooklyn avevano reso impossibile scrutare il cielo notturno, costringendoli a rinunciare a quell'impresa.

Nonostante ciò, Vincent non si era perso d'animo e, la volta dopo, era arrivato con un libro di botanica e una busta piena di foglie raccolte nel parco, spiegandole a quali alberi appartenevano attraverso il confronto con le immagini del libro.

Ad un tratto il bambino la strinse per un braccio, indicandole con il dito un angolo buio del vicolo da cui, riluttanti, erano appena usciti quattro gattini di pochi mesi; i micetti si avvicinarono sospettosi a una delle ciotole e, annusatone il contenuto, iniziarono a mangiare, permettendo ai due spettatori di osservarli meglio: erano quattro gattini a pelo corto, di una razza indefinibile, ma tutti caratterizzati da una coda molto lunga e da orecchie ampie con un simpatico ciuffetto sulla punta. Due di loro erano a pelo grigio con delle striature brune, il terzo era completamente nero e il quarto, il più piccino, era un albino dal pelo bianco e gli occhi rossi.

-Dobbiamo dargli dei nomi!- gesticolò entusiasta Vincent, agitando le gambe che, per l'emozione, non riusciva proprio a tener ferme.

-Va bene- rispose Chiara -Comincia tu.

-Quello nero si chiama Baghera, come la pantera de Il libro della giungla.

-Allora quello striato a destra si chiama Raja- ribatté, ridacchiando, Chiara.

-Quell'altro a sinistra lo voglio chiamare Doppler, perché le sue righe mi ricordano il disegno del mio libro che descrive l'effetto Doppler.

-E quello bianco come lo chiamiamo?- chiese Chiara, divertita e al contempo sorpresa dal fatto che un bambino di sette anni conoscesse anche solo l'esistenza dell'effetto Doppler.

-Quello bianco si chiama...- Vincent rimase per qualche istante a osservare il vuoto, alla ricerca del nome perfetto per l'ultimo gattino; era talmente concentrato che Chiara poteva quasi vedere gli ingranaggi del suo cervello muoversi freneticamente: -Quello lì si chiama Sirio- stabilì alla fine Vincent -Come la stella bianca della costellazione del Cane Maggiore.

-È un nome perfetto! Non avrei potuto sceglierne uno migliore. Ora, però, è ora di andare a dormire.

-Ma domani non ho scuola!- ribatté contrariato Vincent, aggrappandosi con le mani allo spigolo del gradino; Chiara alzò gli occhi al cielo e incrociò le braccia, spogliandosi del vestito dell'amica-complice e assumendo il ruolo dell'adulta a cui si deve prestare ascolto e, così, dopo una stregua resistenza (ulteriormente indebolita dal fatto che stava crollando dal sonno) Vincent si arrese. I due nascosero le ciotole vuote e rientrarono nel condominio, si salutarono sul pianerottolo del secondo piano e, una volta che il bambino fu scomparso dietro la porta, Chiara fece ritorno al suo appartamento, dove Talia, comodamente distesa sul divano, aveva tolto il rotolo di tela di lino e i barattoli di gesso e colla dal mobile e aveva inserito il DVD nel lettore.

-Finalmente sei tornata!- esclamò la cantante, sentendo la porta dell'appartamento chiudersi -Pensavo che quel bambino ti avesse rapita e imprigionata a Narnia.

-Ti sorprenderà, ma non mi lamenterei proprio se qualcuno mi portasse a Narnia- rispose Chiara, che aggiunse un attimo dopo -Scusa se ti ho fatta aspettare, ma Vincent non voleva saperne di tornare in casa.

-Che bambino timido...- considerò la cantante, voltandosi nella direzione dell'amica e incrociando le braccia sullo schienale del divano.

Chiara rimise la busta del cibo per gatti nel mobile della cucina e, presa quella delle crocchette di Annibale, gli riempì la ciotola e rimase per qualche istante fissa a osservarlo mangiare: -Devi perdonarlo se non ti ha risposto- rispose alla fine -È sordomuto e non sa ancora leggere bene il labiale.

-L'avevo capito quando ti sei messa a fare tutti quei gesti con le mani- ribatté Talia, tornando a distendersi sul divano -Non sapevo conoscessi il linguaggio dei segni.

-So solo qualche gesto... le parole più comuni, l'alfabeto... insomma, il minimo indispensabile per comunicare, ma sono ben lontana dal conoscerla bene.

Chiara appese la giacca sull'appendiabiti e si sfilò le scarpe, poi, raggiunto il salotto, si buttò a peso morto sul divano, emettendo un lungo sbuffo: -Sono sfinita: questa giornata non finiva mai! Hai già ordinato la cena?

-Sì, mia cara- rispose Talia, mostrando il proprio telefono cellulare -Ho ordinato il tuo cibo preferito, spero vada bene.

-Andrà benissimo, grazie. Posso sapere ora che film stiamo per vedere?

-No, non ancora- ammiccò la cantante, nascondendo la custodia del DVD dalla vista dell'amica -Non lo saprai finché non sarà arrivata la cena e potremo mangiarla durante la visione.

-Quanti misteri per un film noleggiato da Blockbuster!- rise Chiara, accarezzando la schiena di Annibale, che, finita la pappa, era salito con loro sul divano.

Talia rise di gusto e ammiccò all'amica con l'aria di chi la sa lunga e, finalmente, il citofono suonò, annunciando l'arrivo del corriere del ristorante cinese. Chiara si alzò a rispondere e, riferiti al fattorino il piano e il numero dell'appartamento, andò ad accoglierlo, per poi rientrare in casa con due buste cariche di cibo profumatissimo.

-È il momento di rimpinzarsi!- esclamò allegra Talia, fregandosi le mani; Chiara appoggiò i sacchetti sulla penisola della cucina, proprio sopra i disegni della notte precedente, dimenticati e abbandonati là sopra, ma che attirarono l'attenzione di Talia: -Attenta!- esclamò, correndo a sfilare i fogli da sotto le buste.

Prima che Chiara potesse reagire, la cantante, cogliendo l'occasione, si mise a sbirciarli, restando a bocca aperta: -Arianne sono bellissimi!

-No, sono solo degli schizzi fatti di fretta- rispose quella, facendo spallucce -Figurati che me li ero dimenticati.

La cantante rimase per qualche istante a studiare con attenzione la grafite impressa sulla superficie rugosa della carta e nei suoi occhi l'ammirazione venne sostituita dal sospetto: -Pensavo che non fossi una grande fan di Spiderman, come mai hai fatto dei disegni su di lui? Il mio compleanno sarà solo tra sei mesi.

Chiara, tra il ritardo della mattina e la crisi di Talia per il provino, aveva totalmente rimosso dai suoi pensieri l'incontro con il vigilante, che, riaffiorato nella sua memoria, era tornato a tormentarla con il senso di colpa per la leggerezza commessa. Dall'altra parte, però, le offriva l'occasione per far dimenticare alla sua amica, una volta per tutte, il brutto ricordo del provino.

-Oh nulla di che- iniziò Chiara, ostentando un tono fintamente noncurante -Mi è solo capitato di incontrarlo ieri notte.

L'espressione che si disegnò sul viso di Talia fu impagabile e ogni volta che, anche diverso tempo dopo, Chiara tornava a pensarci, doveva fare un notevole sforzo di autocontrollo per non scoppiare a ridere: gli occhi della ragazza si sgranarono, diventando il doppio della loro larghezza, la bocca si aprì come se la mascella stesse per cadere ai suoi piedi e le narici si dilatarono. Se fosse stato uno di quei vecchi flipper, pensò Chiara, sulla sua fronte sarebbe comparsa la scritta Tilt.

-Co...cosa vuol dire che lo hai incontrato?- balbettò finalmente Talia, il cui cervello stava elaborando lo shock.

-Che tornando a casa mi ha salvata da un rapinatore e ci siamo fermati a scambiare due parole- rispose tranquillamente Chiara, godendosi fino all'ultimo tic facciale la reazione dell'amica.

-E cosa aspettavi a dirmelo, brutta antipatica? E...- iniziò infervorata Talia, che improvvisamente si bloccò, poi, con un tono di voce più basso, chiese: -Aspetta, un rapinatore ti ha minacciata?

Improvvisamente la sua espressione cambiò, come un giorno di sole muta in pioggia battente, e i suoi occhi si velarono di lacrime, lasciando Chiara, che tutto si sarebbe aspettata tranne quello, esterrefatta.

Talia le si avvicinò e, afferrandola per le spalle, disse con voce rotta: -Dannazione, Arianne, come è successo? Ti ha fatto del male? Perché non mi hai chiamata? Sarei corsa ad aiutarti! Chissà che paura avrai avuto... E io che ero così giù per il mio provino mentre tu avevi rischiato la vita! Mi dispiace, tesoro!

Davanti alle lacrime dell'amica, Chiara sentì come una secchiata d'acqua gelata caderle addosso: non aveva immaginato che Talia potesse reagire in quel modo. Abituata ad avere a che fare con persone di ben poco valore morale (e un mostro dello stampo di Phoneus), per Chiara essere minacciata da un criminale, per quanto pericoloso, non era poi gran cosa; non aveva pensato che per Talia la situazione sarebbe stata ben diversa e si sentì una stupida per averla fatta preoccupare in quel modo.

-Talia- sospirò, abbracciandola e facendole appoggiare il capo sulla sua clavicola -Sto bene, davvero. Non mi è capitato proprio nulla e mi dispiace tantissimo per non avertelo detto subito, ma era tardi e non volevo farti preoccupare inutilmente. E poi c'era Spiderman! È stato davvero un eroe: ha avvolto quel criminale nella sua tela prima ancora che potesse anche solo toccarmi con un dito.

A quelle parole e sotto le carezze rassicuranti dell'amica, i respiri di Talia, da brevi e irregolari, interrotti dai singhiozzi, tornarono ad essere progressivamente lunghi e rilassati e, dopo qualche secondo, sciolse abbraccio per guardare Chiara direttamente negli occhi: -Promettimi che da adesso in avanti, se ti capiterà qualcosa me lo dirai subito e mi permetterai di aiutarti. Promettilo!

-Potrei prometterti di non cacciarmi più nei guai- cercò di metterla sul ridere la ragazza, ma lo sguardo di Talia le fece comprendere che quella richiesta era molto più seria di quanto si aspettasse.

Emise un lungo, pesante sospiro: -Va bene- concesse alla fine -Però adesso ci mettiamo a mangiare o si raffredderà tutto e non ho proprio voglia di cinese riscaldato al microonde.

Soddisfatta della promessa ricevuta, la cantante sbozzò un mezzo sorriso e, prendendo dai sacchetti sul tavolo gli involucri di stagnola ancora caldi, disse con voce roca: -Accidenti... Oggi è stata proprio la giornata delle lacrime.

-Può ancora finire in risata!- ammiccò Chiara, prendendo la sua razione di cibo e lasciandosi cadere sul divano -Sto ancora aspettando di scoprire che film hai scelto.

-Hai ragione!- tornò a sorridere la cantante, riaquisendo la sua naturale vivacità -Sono certa che ti piacerà un sacco!

Talia prese la sua scatola di cibo dal sacchetto, inforcò le bacchette e seguì l'amica sul divano, dove agguantò il telecomando e premette il tasto Play.

Il televisore si accese e sullo schermo apparve la scritta Zombieland

Chiara lanciò uno sguardo interrogativo alla ragazza al suo fianco, la quale, già addentato un gustoso involtino primavera, rispose con un occhiolino e si voltò di nuovo verso lo schermo.



Angolo dell'autrice: salve a tutte e bentrovate alla fine del capitolo 4 di Panacea Project ! Grazie per la grande pazienza che state portando: poter pubblicare un solo capitolo al mese è una gran rottura -__-" Spero, ad ogni modo, che quello che avete letto finora sia valsa l'attesa.

Dunque, in primo luogo vorrei ringraziare _Adamma_ per aver iniziato a seguire la storia e fera_JD per averla inserita tra le preferite! ^-^ Inoltre, uno speciale ringraziamento va a AlessiaOUAT96, Glendolina, Emily Mortensen e Ragdoll_Cat che mi accompagnano in questo percorso, sotenendomi con le loro bellissime recensioni e ripagandomi dell'impegno e del tempo speso nella scrittura! Grazie di cuore! ^-^

Anyway, eccoci di nuovo qui: con un passettino minuscolo dopo l'altro la storia prosegue e, grattando sulla superficie, scopriamo che sotto il lucente strato dorato dell'eroe di Manhattan, si nasconde il male della ruggine. Pensieri, ricordi e parole che corrodono e intaccano la solidità dello spirito del nostro ragnetto. Fortuna che c'è zia May!

Notiamo anche che la nostra Chiara non ha perso il suo naturale istinto di protezione nei confronti dei bambini e, memore della piccola Myria nella lontana Asgard, ha stretto amicizia con l'entustiasta Vincent.

Flashback e lacrime anche in questo capitolo non mancano, spero che non suoni troppo ridondante per voi, in caso contrario fatemi sapere e cercherò di migliorarmi più avanti.

Lo facciamo un gioco? Ma sì, facciamolo! Dunque, in questo capitolo c'è un piccolissimo Easter Egg, il primo che lo trova vince in anteprima, come messaggio privato, la prima riga del prossimo capitolo ;)

Aiutini: 1. L'avevo già sugerito in un capitolo precedente; 2. È all'infuori del MCU.

Vi mando un grosso abbraccio e alla prossima!

Lady Realgar

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Capitolo 5
*** Ricordi e cicatrici ***


Aprì la bocca per incamerare nei polmoni quanta più aria potessero contenere, come se quello fosse stato il suo primo respiro, ma ciò che percepì fu come un fuoco che le si accendesse in gola, bruciandole il palato, la lingua e il petto. Faceva male, le dava la sensazione di soffocare e gli occhi erano impastati di un viscoso liquido giallastro dall'odore di uova marce.

Afferrò i lati della vasca con entrambe le mani e fece forza su quell'appoggio nel tentativo di sollevarsi, ma la gamba destra era come bloccata e tutto quello che poté fare fu lasciarsi cadere di peso fuori dal sarcofago. Il pavimento di pietra risultò freddo e rugoso sulla sua pelle quando vi cadde, ma anche lì l'aria continuava a bruciarle la gola.

Una risata grave e profonda la fece sussultare, ricordandole perché si era svegliata: "Non farò mai in tempo!" pensò, sentendosi il cuore batterle impazzito dietro lo sterno e le orecchie fischiare acute.

Cosa poteva fare lei? Non era nemmeno stata capace di morire, come poteva pretendere di sconfiggere Phoneus? Ad un tratto qualcosa di caldo le sfiorò la mano, come una carezza, e, dischiuse appena le palpebre, vide Gungnir, abbandonata tra le pietre del suolo, che brillava. In mezzo all'opprimente oscurità della catacomba, quello scintillio era uno spettacolo incantevole e, Chiara stentava a crederlo, sembrava fatto apposta per lei. Per attirare la sua attenzione.

Come mossa da fili di burattino, le mani della ragazza si allungarono sulla sottile asta dell'arma, avvolgendola con le dita, e la sentirono tiepida e fremente.

Il solo tocco dell'arma sacra bastò a infonderle speranza e, colma di una nuova fiducia, puntò la cuspide in direzione della coda del mostro, alzata in aria per vibrare il colpo di grazia.

Prese un profondo respiro, incurante del bruciore e concentrò ogni particella del suo corpo sul bersaglio, ogni nervo a fior di pelle, ma l'attesa cresceva e nulla accadeva. L'asta diveniva sempre più fredda e l'aculeo, raggiunto il suo apice, era pronto a cadere impietoso sulla sua vittima, accasciata al suolo, immobile.

-No! No!- implorò Chiara, scuotendo l'arma nella speranza di farla funzionare, ma quella non diede alcun segno di attività e, sotto gli occhi attoniti della ragazza, il grosso pungiglione nero calò veloce sulla gola dell'uomo, recidendola.

-NO!- gridò con quanto fiato avesse in corpo Chiara, sentendo Annibale sobbalzare ai suoi piedi e ringhiare. Aprì gli occhi e tutto tornò buio e silenzioso attorno a lei; un buio familiare che l'aiutò a calmare il respiro, mentre grosse gocce di sudore scendevano lente lungo la fronte e la schiena.

-Anne, stai bene?- chiese nel buio la voce sonnolenta di Talia.

-Sì- ansimò la ragazza, passandosi il braccio sul volto per tergere il sudore alla bell'e meglio -Solo un brutto sogno. Ora è passato.

Attese qualche secondo e alle orecchie le giunse il respiro di Talia, reso tranquillo e profondo dal sonno, poi, quasi per istinto, le sue dita andarono a cercare attraverso il tessuto dei pantaloni la cicatrice sulla coscia, prodotta dal taglio della lama elfica.

Il piccolo bozzo oblungo era ancora lì, liscio e regolare, a memoria perenne della sua impresa a Eitur Myri.

"Chissà Loki dove si trova in questo momento?" si ritrovò a domandarsi la ragazza, mentre, confortato Annibale con qualche carezza, cercava di riprendere sonno.

Quella era una domanda che negli ultimi anni si era sforzata di non porsi mai o, se non altro, il meno possibile: pensare al Dio degli Inganni era per lei fonte di sentimenti estremamente contrastanti, che oscillavano dall'odio alla malinconia, dalla rassegnazione alla speranza di vederlo comparire alla sua porta, con lo stesso sorriso beffardo con cui si era presentato a lei la prima volta nelle prigioni asgardiane.

Il ricordo del suo risveglio ad Asgard ebbe come effetto quello di toglierle dagli occhi ogni traccia di sonno, così, facendo attenzione a non svegliare di nuovo Talia, che dormiva accucciata sull'altra metà del divano strettamente avvolta in un plaid, scivolò sui cuscini e si alzò in piedi, dirigendosi verso la cucina, dove giacevano i resti della cena cinese.

Accese la lampadina sopra ai fornelli e, nel più assoluto silenzio, iniziò a fare ordine: tenersi impegnata era un buon modo per distrarsi e non pensare a tutte quelle volte in cui, sdraiata sul letto della sua stanza al Triskelion, aveva osservato il soffitto grigio cercando di percepire la presenza di Loki. Non aveva detto lui stesso che tra loro esisteva un legame? Il Vincolo Sacro, da quello che ne sapeva, avrebbe dovuto tenerli uniti in qualche modo, perciò, se Loki aveva detto di essere in grado di trovarla grazie ad esso, perché lei non avrebbe potuto fare altrettanto?

Aveva trascorso ore e ore cercando anche la più piccola traccia del dio, ma nulla, nemmeno un sussurro o un frammento di immagine aveva ripagato i suoi sforzi. Alla fine, col passare delle settimane, aveva smesso di cercare e un nuovo pensiero era giunto ad aggravare quella solitudine che l'aveva abbracciata nella lontana Washington: era stata dimenticata.

Sigyn la Vittoriosa, la Salvatrice di Asgard era stata dimenticata dagli stessi amici con cui aveva combattuto e che con lei avevano salvato i Nove Regni.

A conti fatti, si era detta, tutti quei titoli si erano rivelati solo parole vuote e l'amicizia che quei valorosi guerrieri le avevano dimostrato sul campo di battaglia svaniva quando non c'era alcuna guerra da combattere. Cosa si era aspettata da un popolo di divinità guerriere? Che vegliassero su di lei, pronti ad accorrere in suo soccorso nel momento di difficoltà?

Non c'era più alcun mostro da combattere, nessuna minaccia gravava su Asgard e i problemi di Chiara erano soltanto i suoi, non di Thor, non di Fandral, non di Volstagg né di Sif. Solo suoi e da sola doveva affrontati.

Gettò le confezioni di cartone e la carta stagnola sporca nel sacco della spazzatura, chiudendolo accuratmente e trascinandolo fuori dalla porta; accese le luci sulle scale e, in punta di piedi, scese fino al pianterreno. Aprì la porta sul retro e gettò il sacco dentro uno dei cassonetti, facendo scappare con il rumore un gatto randagio dal suo nascondiglio; non appena ebbe chiuso il cassonetto, un insolito silenzio scese sul vicolo al punto tale che alle orecchie della ragazza il suo stesso respiro pareva fare un gran fracasso.

Sopra di lei il cielo era scuro e senza stelle, coperte da una fitta coltre di nuvoloni carichi di pioggia. Alzò lo sguardo su quella cortina scura e trasse un profondo sospiro, mentre si stringeva le braccia attorno al corpo nel tentativo di proteggersi dal freddo.

-Heimdall- sussurrò -Davvero non mi vedi?

Attese per qualche secondo, le orecchie ben drizzate e gli occhi puntati verso il cielo nella speranza di udire o vedere quel familiare fascio di luce, che più volte aveva sognato di scorgere attraverso la finestra dell'ennesimo motel in cui lei e Clint avevano fatto sosta prima di riprendere il viaggio. Passando per il New Mexico, una volta, Clint le aveva addirittura indicato in mezzo alle dune il luogo dove aveva puntato per la prima (nonché ultima) volta il suo arco contro Thor. Inutile dire quanto avesse fantasticato per tutta la durata della trasferta che il Bifrost si aprisse di nuovo in quel deserto rovente.

La sirena di un'ambulanza la fece sussultare, destandola da quei ricordi, e con un sospiro incastrato tra i denti rientrò nel condominio: era inutile perdere tempo in un passato ormai remoto, ora la sua vita era lì a New York e tra poco il sole sarebbe sorto, dando inizio a una nuova giornata di lavoro.

Qui e ora” pensò Chiara, rientrando in casa “Devo pensare al qui e all'ora. Sigyn non c'è più, ora è il tempo di Arianne”.

Quando rientrò nell'appartamento Talia dormiva ancora, occupando tutta la lunghezza del divano, mentre Annibale la aspettava impaziente all'ingresso e inizò a scodinzolare vistosamente non appena la vide aprire la porta.

-Ciao ragazzone- sussurrò Chiara, accarezzando la testa dell'animale -Ci siamo svegliati! Ma la zia Talia è ancora tra le braccia di Morfeo- aggiunse poi, sentendo l'amica russare sul divano.

Camminando sulle punte dei piedi, Chiara si infilò il cappotto, agganciò il guinzaglio ad Annibale ed uscì di nuovo di casa, chiudendo a chiave la porta alle sue spalle.

Quando uscì dal portone del condominio, i primi raggi dell'aurora avevano iniziato a fare capolino in uno spiraglio tra due grosse nubi grige, suscitando in Chiara un sorriso aperto: dietro ai giorni più bui si nasconde sempre la luce della speranza.

Rinfrancata da quel pensiero, la ragazza si incamminò lungo la via che le si apriva davanti, in cui i negozi più mattineri avevano appena iniziato ad aprire serrande e saracinesche per il nuovo giorno; nonostante quel piccolo sprazzo di sole, l'aria era ancora fredda e umida, a previsione di una bel periodo di pioggia, che, si augurò la ragazza, sarebbe finito prima della notte di Halloween: sebbene non fosse il tipo da andare in giro di casa in casa a chiedere “dolcetto o scherzetto” in costume (Clint sarebbe inorridito anche alla sola idea), adorava vedere i bambini sfilare per le strade travestiti da mummie, vampiri, zombie e supereroi (spesso capitava che un mini Iron Man e un mini Capitain America litigassero su chi dei due fosse il più forte o avesse il costume più bello).

Inoltre la notte di Halloween era una delle più redditizie dell'anno, in quanto il Daily Coffee rimaneva aperto ad orario continuato fino all'alba, permettendo a bambini e genitori di rifocillarsi durante il giro del quartiere, e le mance che venivano lasciate di solito erano eccezionalmente generose (anche se spesso in caramelle).

Dovette scansarsi di scatto a lato del marciapiede quando il furgone della nettezza urbana vi salì sopra per raccattare i sacchi dei rifiuti, ma in due balzi raggiunse la sua meta: un market aperto 24/24h.

Sebbene la sera prima la cena fosse stata rimediata al Pechino City, il frigorifero del bilocale era ancora miseramente vuoto ed era necessario procurarsi delle vettovaglie; legò Annibale fuori dal negozio, gli diede il comando di attesa e si infilò tra le porte automatiche, accolta dall'aria condizionata e dall'odore delle confezioni appena rimosse dai cartoni.

Prese da un angolo un cestino di plastica e, entrata nella prima corsia, iniziò a rimuovere dagli scaffali il necessario per la colazione.

La graffiante voce di un uomo alla radio raccontava dei quarti di finale din un torneo nazionale di football, ma Chiara, sdraiata sul letto, a mala pena stava a sentire: erano trascorse alcune settimane da quando era arrivata a Washington DC e ancora doveva attendere degli orari ben precisi per poter uscire dalla sua stanza e da lì a qualche minuto finalmente avrebbe potuto mettere il naso fuori dalla porta. Con il passare del tempo la sua mente aveva iniziato a porsi diverse domande, scandite dai turni di lavoro delle reclute che abitavano quel piano assieme a lei: non li aveva mai visti, né, dall'altra parte, loro avevano mai visto lei, ma ogni mattina li sentiva uscire dalle loro stanze per l'addestramento e ogni sera li udiva rientrare; aveva imparato i loro nomi e, un po' alla volta, aveva iniziato a comprendere anche i loro discorsi. Da queste loro conversazioni, assieme a tutto il tempo libero di cui disponeva, il suo cervello aveva iniziato a elaborare dei quesiti, primo tra tutti: perché non poteva uscire quando voleva?

Sentiva i ragazzi discutere di strategie, allenamenti, esami... se lei era stata messa tra loro, era perché Fury e Hill volevano reclutarla? E allora perché la tenevano rinchiusa?

Non riusciva nemmeno a capacitarsi del fatto che, quasi ogni giorno, la interrogassero circa i fatti vissuti ad Asgard , talvolta mostrandole immagini di creature mostruose o di antiche rune, domandandole se ne riconosceva qualcuna.

Per quanto si sforzasse, nessuna di quelle immagini aveva fatto accendere in lei una lampadina, ma questo non sembrava scoraggiare i suoi interrogatori , che tornavano la volta dopo con nuove fotografie e nuove domande.

-Puoi uscire se vuoi- disse una voce dalla porta, facendola sobbalzare di sorpresa. Quando si voltò, la porta era stata aperta e, appoggiata allo stipite, Natasha la osservava con il suo solito sguardo felino, un mezzo sorriso disegnato sulle labbra carnose -Coraggio- insistette la donna -Sarai affamata.

A conferma di quelle parole, lo stomaco di Chiara emise un brontolio e la ragazza, dovendo riconoscere di aver bisogno di mangiare qualcosa, seguì la spia lungo le scale anti-incendio, finché non sbucarono nell'ampio locale della mensa, apparentemente ancora più grande per il fatto di essere completamente vuoto.

Natasha si versò una tazza di acqua calda, prese una bustina di té e un cucchiaino e si sedette ad uno dei tavoli vicini alla porta, da cui poteva tenere d'occhio sia l'ingresso, sia Chiara che, frugando in giro, aveva trovato del pane e del formaggio in bustine.

Assemblato il suo panino, la ragazza prese posto al tavolo dove Natasha sorseggiava il suo té e iniziò a mangiare lentamente, meditando sulle sue domande e chiedendosi se fosse il caso di parlarne con la rossa: da quanto ne sapeva, era l'unica, oltre alla Hill, in grado di parlare italiano, ma, dall'altra parte, Chiara dubitava che avrebbe acconsentito a condividere con lei alcun tipo di informazione.

Totalmente immersa nelle sue riflessioni, la ragazza non si accorse di essere arrivata a mangiare fino al tovagliolo che avvolgeva il panino e da un momento all'altro si sentì in bocca un grosso boccone di cellulosa asciutta, che la fece tossire.

-Mi chiedevo quando te ne saresti accorta- ridacchiò dietro alla tazza la russa -Sei distratta.

Chiara alzò lo sguardo verso la donna e si perse per un momento nei suoi grandi occhi blu, la cui freddezza lasciava trasparire un'intelligenza fuori dal comune: -Prego?- domandò quando i colpi di tosse furono cessati.

-Sei distratta- ripeté lentamente Natasha, appoggiando la tazza quasi vuota sul tavolo -Ma è comprensibile. In molti avrebbero difficoltà ad affrontare un simile trasferimento dopo quello che ti è successo ad Asgard.

-Asgard non c'entra- ribatté Chiara, infastidita dal fatto che quella donna cercasse di trovare in lei una debolezza, giustificandola come qualcosa di “normale” (solo il Cielo sapeva quanto poco normale fosse tutta quella situazione!) -Non risento di quello che è capitato. Sto cercando di capire cosa sta succedendo adesso.

La spia alzò un sopracciglio e il sorriso, che poco prima le irradiava il volto, svanì: -Cosa vuoi capire?- chiese calma.

La giovane senese rimase sorpresa da quella domanda, cercandovi una qualche traccia di sarcasmo o di rimprovero, ma non ne trovò; al contrario, la donna aveva appoggiato i gomiti sul tavolo e aveva sporto il busto leggermente in avanti, nella tipica posa di chi è disposto ad ascoltare.

-Beh- esordì Chiara, raccogliendo i propri pensieri -Ad esempio come avete fatto a trovarmi.

-Il Bifrost si è aperto in quelle campagne per ben quattro volte nell'arco di poche ore l'una dall'altra- rispose pazientemente Natasha -Pur fingendo che un tale fenomeno non rilasci grandi quantità di scariche elettromagnetiche anomale, facilmente individuabili anche dal più rudimentale dei rilevatori, il fatto che un gigantesco arcobaleno compaia per ben quattro volte nello stesso punto è un evento che difficilmente passa inosservato. Soprattutto se coinvolge diverse centinaia di persone appartenenti a un altro pianeta, che sporoloquiano di un mostro leggendario e di una ragazza terrestre che si è sacrificata per permettere la loro fuga.

-Sì- ammise Chiara -Ma perché io? Ci sono altre famiglie che abitano la zona, altre ragazze...

-Sono state scattate delle fotografie- la interruppe la donna -Un giornalista, forse, o solo un curioso che si trovava lì proprio nel momento in cui sei atterrata l'ultima volta. Abbiamo cercato di distruggere o alterare quei file, ma temiamo che delle copie siano finite nelle mani sbagliate. È stato un miracolo se siamo arrivati per primi.

-Il che spiega perché sono qui...- rifletté ad alta voce la ragazza, accartocciando il tovagliolo e stringendolo forte nella mano -E il perché di tutte quelle precauzioni... Ma chi mai...?

-Potrebbe essere interessato a quello che hai visto?- la interruppe di nuovo la donna -Prova a rifletterci: dopo quello che è accaduto a New York e a Greenwich, l'interesse per gli alieni si è rafforzato enormenente e Asgard rappresenta uno dei punti di riferimento più importanti per alcune associazioni criminali: sia per la tecnologia militare (avrai probabilmente sentito parlare di quello che è accaduto nel New Mexico alcuni anni fa), sia per l'uso di arti che, al momento, ci sono per lo più sconosciute.

Per una frazione di secondo Chiara rivide nella sua mente il tubicino argentato del Vincolo Sacro arrotolarsi intorno al suo braccio e collegarsi a quello di Loki. E capì a cosa Natasha si riferiva.

-Da quello che sappiamo- stava continuando la donna -Solo un uomo è arrivato a padroneggiare competamente queste conoscenze e la sua buona fede è l'unica ragione per cui l'intero pianeta non si trovi sotto al suo dominio, ma molti altri, con intenti meno pacifici, possiedono un grande interesse per questo genere di potere. E strappare a una ragazzina indifesa le informazioni necessarie per ottenerlo è per loro facile come bere un bicchiere d'acqua.

-Chi sono “loro”?- domandò esasperata la ragazza, stufa di tutti quei misteri.

-Hai mai sentito parlare della Mano?- chiese la spia, abbassando involontariamente la voce al pronunciare quel nome.

-No...- ammise Chiara, perplessa; -La mano ha cinque dita- iniziò a recitare Natasha, mostrandole la propria mano aperta a ventaglio -Ognuna delle quali può esistere indipendentemente dalle altre, tuttavia, quando le cinque dita della mano si uniscono per un solo scopo unificato, la mano diviene un oggetto di potere incrollabile- concluse, stringendo il pugno attorno al manico della tazza, spezzandolo di netto in tanti frammenti (e facendo sobbalzare Chiara di sorpresa).

-Continuo a non capire- disse la ragazza, osservandola raccogliere i pezzi di ceramica e ammucchiarli tutti sul tavolo; -Augurati di non doverlo mai scoprire sulla tua pelle- rispose quella -E comunque è solo uno dei diversi candidati ai quali potrebbe fare gola quello che hai visto.

-E la mia famiglia?- domandò Chiara -Loro non sono in pericolo?

-Dopo la tua partenza abbiamo piazzato degli agenti a protezione dei tuoi congiunti, come precauzione, ma non sarebbero di alcuna utilità per gli assassini della Mano: sei tu quella che vogliono.

-Ma allora perché mi tenete rinchiusa anche qui?- domandò esasperata la ragazza -Perché non posso girare liberamente per l'edificio? Sono al sicuro qui, no?

-Qui non si tratta solo di tenere al sicuro te. Ogni persona che sa chi sei e quello che ti è capitato è una potenziale vittima delle trame delle multinazionali del crimine. Meno gente sa chi sei e meglio sarà per tutti.

-Fanno 23 dollari e 80- disse la commessa, con voce nasale, mentre le porgeva il sacchetto con la sua spesa; Chiara estrasse il portafogli dalla tasca del cappotto e le porse tre banconote da dieci dollari, ritirò il suo resto e, sciolto Annibale, ritornò in strada nella direzione opposta.

Tornata nel suo appartamento, la ragazza notò che Talia non era più sul divano, così andò alla porta del bagno e, sentendovi attraverso il rumore della doccia, iniziò a preparare la colazione, mettendo il bollitore sul fuoco e disponendo in bell'ordine i biscotti al cioccolato che aveva appena comprato. Estrasse dalla credenza la propria tazza a righe gialle e bianche e ne prese una verde a fiorellini viola per Talia e si mise a riordinare la spesa nel frigorifero, mentre Annibale, contento della passeggiata, si stendeva sul divano.

Qualche minuto dopo, la cantante uscì dal bagno, avvolta da un lungo asciugamano e una nuvola di vapore: -Sei tornata- esclamò contenta -Mi sono presa la libertà di farmi una doccia , ma non ti preoccupare: non ho finito l'acqua calda.

-Ottimo- rispose l'altra -L'acqua del tè si sta scaldando sul fuoco, ti do il cambio alla doccia e tra due minuti possiamo fare colazione. Ho preso i tuoi biscotti preferiti. Non mangiarteli tutti!- rise, chiudendosi in bagno e iniziando a spogliarsi.

Non appena l'acqua tiepida ebbe iniziato a scorrere sulla sua pelle, formando dei piccoli rivoli che percorrevano le sue curve come cascatelle, un profondo senso di leggerezza avvolse le sue membra, facendola rilassare: “Qui e ora” ripeté nella propria mente, mentre faceva cadere sulla mano un po' di bagnoschiuma al gelsomino regalatole da Pepper e iniziava a strofinare.

Io sono qui e ora”, ma il mantra si interruppe quando le dita scivolarono sopra il piccolo dosso pallido della cicatrice sulla coscia destra e di nuovo le sua fantasia le mostrò le immagini dell'incubo di quella notte.

Non era la prima volta che la sua psiche si divertiva a tormentarla con scene come quella, ma ogni volta era più nitida e viva della precedente. Come se, con il passare del tempo, i ricordi venissero sostituiti da un presentimento che con gli anni si era insinuato nel cuore della ragazza, che insistentemente cercava di ignorare, ma che puntualmente tornava a presentarsi non appena faceva l'errore di abbassare la guardia: e se gli eventi di Eitur Myri non fossero stati sufficienti per tenere Loki in vita?

Chiara alzò la testa verso il getto, in un istintivo tentativo di lavare via quel pensiero dalla sua mente: “È un dio” si disse, mentre lo spruzzo caldo le distendeva i muscoli della fronte.



*



Peter non si curò nemmeno di chiudere la finestra alle proprie spalle, ma, stanco morto per la nottata di ronda, si lasciò cadere sulle lenzuola del letto, ancora avvolto dal costume di spandex.

-Devo metterlo a lavare- considerò il ragazzo, quando alle sue narici arrivò l'odore di sudore che il costume emanava; si sfilò la maschera dalla testa e, rigiratosi supino, rimase per qualche istante ad ascoltare i rumori della casa: le tende bianche della finestra si gonfiavano e sbattevano contro il vetro, un tubo nel muro fischiava per la pressione dell'acqua, la lavatrice al piano di sotto ronzava e lo strombazzare del clacson di un'automobile attraversò la finestra.

Non si udivano rumori di passi, né della doccia o di alcuna altra attività, il che suggerì a Peter che la zia fosse già uscita; ribellandosi al sonno che lo teneva arpionato al materasso, il ragazzo si alzò in piedi e si spogliò del costume, per poi gettarlo nel lavandino del bagno, dove lo lasciò in ammollo in acqua e detersivo, mentre lui si lasciava avvolgere dal tepore di una bella doccia bollente.

Dopo qualche minuto ne uscì e, avvolto un asciugamano di spugna attorno alla vita, lavò a mano il costume nel lavandino, strofinando vigorosamente per rimuovere tutto lo smog e il sudore rimasti impiglati tra le maglie del sintetico. In poco tempo l'acqua si colorò di rosa e azzurro, cosa che strappò al ragazzo un mezzo sorriso: la prima volta che aveva avuto bisogno di lavare il suo costume, aveva fatto il madornale errore di metterlo nella lavatrice, con il risultato di macchiare di blu e rosso tutti gli altri capi che erano stati messi sventuratamente a lavare; quando zia May gli aveva chiesto cosa aveva provocato quel disastro, si era giustificato, sotto lo sguardo incredulo della donna, dicendo di aver voluto lavare la bandiera americana.

Non era stata una delle sue scuse migliori, ma non gli si era potuta negare una certa prontezza di riflessi.

Quand'ebbe finito, mise il tutto ad asciugare nella doccia e accese il deumidificatore: zia May non sarebbe tornata prima di sera e per allora il suo costume sarebbe stato ben asciutto e pronto all'uso.

Strofinandosi i capelli umidi con un asciugamano, scese le scale, attraversò il salotto e si infilò in cucina, dove, sul tavolo apparechiato semplicemente con una larga tazza blu e un cucchiaio, zia May gli aveva lasciato il latte e i suoi cereali preferiti con un post-it. Peter afferrò la scatola dei cereali e ne versò un po' nella tazza, poi, mentre aggiungeva il latte, prese il bigliettino e lesse la calligrafia inclinata ed elegante della zia: Ti ho lasciato il pranzo in frigorifero, mi raccomando per stasera, ci conto.

Lesse le ultime parole e rimase a fissarle per un tempo indefinito, finché non sentì qualcosa di freddo e umido bagnargli fastidiosamente la coscia sinistra; abbassò lo sguardo sulla proria gamba e la vide ricoperta di liquido bianco, che la sua mente, ancora intorpidita dalla stanchezza, gli suggerì essere il latte, che, strabordato dalla tazza, aveva iniziato a scorrere lungo il tavolo e a cadere sul pavimento i piccoli rivoli.

-Dannazione!- imprecò il ragazzo, correndo a prendere una spugna dal lavandino per rimediare al pasticcio combinato.

Mentre passava la spugna gialla sul piano del tavolo, Peter ripensò alla cena della sera precedente, tentando di riportare alla memoria l'intera conversazione che aveva avuto con la zia, ma, a parte il vago ricordo di qualcosa legato agli skateboards, non riuscì a ricordare nulla che fosse anche lontanamente collegato all'impegno preso con zia May.

Strizzò la spugna nel lavandino e si mise a mangiare i suoi cereali, ormai divenuti molli come una pappetta, mentre nella mano libera studiava il bigliettino, nella speranza che potesse dargli qualche informazione per quella sera.

Girò e rigirò più volte il pezzo di carta gialla tra le dita, ma l'unica cosa che ottenne fu di impiastricciarsi le mani con la colla del post-it: non c'era assolutamente nulla di utile e si sentì un imbecille per non aver prestato attenzione al momento opportuno.

Non sapendo cos'altro fare, misa la tazza, ormai vuota, nella lavastoviglie e andò a vestirsi: “Il compleanno di zia May è ad Agosto” pensò mentre infilava la testa in una t-shirt “Quello di zio Ben a Dicembre... non possono essere queste le occasioni per cui mi ha chiesto di fare qualcosa. Sì, ma cosa??”

Si sedette alla scrivania e accese il computer, fece l'accesso alla mail universitaria e controllò i nuovi messaggi, poi, notando sull'orologio che non avrebbe avuto lezione prima di tre ore, estrasse da un cassetto un vecchio auricolare, un paio di occhiali a forte ingrandimento e un cacciavite e, sotto lo sguardo di Gwen, che sorrideva nella foto appesa al muro, iniziò a lavorare al modulatore vocale suggeritogli da Chiara.



*



-Scendiamo qui!- esclamò ad un tratto Talia, afferrando la propria borsa con un mano e il braccio di Chiara con l'altra e tirandola in mezzo alla ressa di viaggiatori ammassati sull'autobus. La ragazza si aprì la strada a gomitate e i tre scesero sul marciapiede (non senza una certa fatica, soprattutto per il povero Annibale, che dovette zigzagare tra le gambe degli altri passeggeri).

-Perché mi hai fatto scendere qua?- domandò Chiara con una punta di fastidio, dato che nell'uscita uno dei passeggeri le aveva pestato un piede senza nemmeno chiederle scusa -Mancano ancora tre fermate al Daily!

-Oh, andiamo!- la incalzò Talia -È una bella giornata, siamo insieme e qui c'è Prospect Park che si staglia davanti a noi in tutta la sua bellezza autunnale. È un'ottima occasione per farci una passeggiata!

Vedendo l'autobus svanire dietro l'angolo, Chiara alzò gli occhi al cielo ed emise uno sbuffo, ma Talia aveva già varcato i cancelli d'ingresso del parco, seguita a ruota da un gioioso Annibale, che sembrava approvare quell'inaspettato cambio di programma, e così non poté far altro che stringersi meglio la sciarpa attorno al collo e seguirli.

Conosceva a memoria ogni singolo ettaro di quel parco: il lago, il ponte, il pontile per le barche... ogni singola panchina le era nota tante erano state le volte in cui vi si era rifugiata per cercare ispirazione per un nuovo quadro o anche solo per lasciare Annibale correre sui prati in libertà.

Era uno dei suoi luoghi preferiti in tutta Brooklyn, l'unico in cui potesse respirare senza sentire il puzzo dei tombini o dei gas di scarico delle automobili, ma quella mattina non era proprio in vena di passeggiate nel parco: voleva rifugiarsi nel caldo e accogliente abbraccio del Daily e aspettare la sera per andare da Stark.

Ma, evidentemente, Talia e Annibale avevano un'opinione differente e si erano messi a giocare con un bastone come se fosse la cosa più naturale da fare alle 6.30 della mattina.

-Ma dove accidentaccio la trovate tutta quest'energia?- disse Chiara, alzando la voce per farsi sentire -Io a mala pena riesco a camminare.

-Non dovresti lamentarti- rispose Talia, prendendo il bastone che Annibale le aveva riportato e scagliandolo su un prato -Non sei tu quella che ha dovuto sentirti borbottare in italiano per tutta la notte!

-Ho parlato?-domandò Chiara, sentendosi una scarica di paura lungo la schiena: non aveva controllo di quello che diceva nel sonno. Se avesse detto qualcosa di troppo?

-Lo fai tutte le volte che mi fermo a dormire da te- disse vaga Talia, affiandosi a lei -Borbotti qualche parola strana finché non ti do un calcio e allora riprendi a dormire. Non ti si secca mai la gola?- domandò poi, ridacchiando, ma, quando si accorse che l'espressione sul viso dell'amica era tutt'altro che divertita, aggiunse -Qualcosa non va?

-No, nulla- rispose Chiara di fretta. Un po' troppo di fretta, infatti Talia, per niente convinta, le lanciò un'occhiata sospettosa e domandò di nuovo -Ha qualcosa a che fare con il tuo incubo?

Da oggi sono esattamente quattro anni che sono tornata da Asgard e che la mia vita è andata a rotoli pezzo dopo pezzo, inoltre i miei amici mi hanno totalmente dimenticata e Loki non ha mai mantenuto la sua promessa,; quindi, sì, l'incubo c'entra in qualche modo”.

-Ho solo rivissuto quella volta che Suor Christine mi ha chiusa nell'armadio delle scope perché avevo rotto una finestra con il pallone- rispose Chiara con un sorriso forzato -Ogni tanto mi tornano in mente i giorni a Santa Cecilia.

-Il che spiega perché non borbotti mai in inglese- annuì seria Talia -Ma a che serve insegnarlo in un orfanotrofio, mi chiedo!

-Santa Cecilia è un istituto cattolico popolato dal più sfegatato fan club del papa: le suore dicevano che se lui doveva sapere la lingua di Roma per tenere messa, anche noi dovevamo impararlo per poterlo guardare in tv la domenica. Potrei recitarti in italiano anche tutte le preghiere conosciute!

-Se non altro hai imparato una lingua in più- considerò la cantante, lanciando di nuovo il bastone ad Annibale -Ma, per favore, ricordami la prossima volta che mi fermo da te di portarmi dietro anche i tappi per le orecchie!

Una fragorosa risata scoppiò tra le due amiche, che si presero a braccetto e iniziarono a chiaccherare amabilmente del più e del meno: dei prossimi provini che Talia sperava di riuscire a fare, dei nuovi progetti per dei quadri che Chiara aveva in mente (con l'augurio da parte di Talia che, oltre all'ispirazione, trovasse anche un posto migliore dove tenerli) e come organizzare il locale per Halloween.

-Dovrebbe esserci ancora qualche ragnatela finta nel retrobottega- pensò ad alta voce Talia -E mi sembra di aver visto un set di ragni e pipistrelli finti a 20 dollari nel negozio per le feste sulla diciottesima, potremmo metterne qualcuno nel vassoio delle brioches. Già mi immagino Trevor che risate si farà!

-Meglio evitare di mettere quelle schifezze vicino al cibo- commentò Chiara, mentre Annibale, ben stretto il suo bastone tra i denti, zampettava allegramente al suo fianco, giocando ogni tanto con le foglie cadute sul sentiero -Non oso pensare di quale plastica da due soldi siano fatti! Meglio evitare che ci denuncino all'ufficio sanitario.

La cantante sbuffò, ma non ribatté: sapeva bene che l'amica aveva ragione e si concesse qualche istante di silenzio per pensare a qualche altra idea.

Nel frattempo alle loro orecchie giunsero tutti quei suoni che le loro voci avevano fino ad allora coperto: le foglie secche scricchiolavano allegramente sotto i loro piedi, il vento muoveva le fronde degli alberi, facendoli sussurrare una melodia lenta e grave, l'acqua del fiume sotto di loro cantava a ritmo della corrente, mentre la sua superficie, increspata dal vento, rifletteva i timidi raggi solari che filtravano attraverso le nuvole.

Ad un tratto la voce roca di Annibale si intromise in quella melodia stagionale, ringhiando in direzione di un cespuglio, da cui, tenendo una grossa noce tra le zampe, uno scoiattolo rosso uscì saltellando; l'istinto cacciatore dell'animale iniziò a emergere e, abbassatosi sulle zampe anteriori, si preparò per scattare alla rincorsa del roditore, ma venne bloccato dal comando della padrona, che lo richiamò al suo fianco.

-Vieni qui, Annibale, e lascia stare quel povero animale!- esclamò la ragazza, indicando con l'indice il terreno vicino ai suoi piedi.

-Cosa c'è? Hai paura di inimicarti Squirrel Girl?- rise Talia -Non siamo mica a Central Park!

-Io non la sottovaluterei- ribatté seria Chiara, mentre attraversavano i cancelli e uscivano dal parco -Gli scoiattoli sono bestioline astute e anche lei non mi sembra da meno. Non vorrei davvero dovermi confrontare con lei.

-Bah!- fece spallucce la cantante -A mio parere non è uno dei supereroi che si possono annoverare tra gli orgogli di New York.

Tornarono così in mezzo al traffico, divenuto nel frattempo più intenso, e all'asfalto su cui i newyorkesi correvano come formiche verso i rispettivi luoghi di lavoro, in un caos di pedoni, biciclette e automobili che rendevano quell'ora della giornata particolarmente viva e movimentata.

Quando giunsero finalmente al Daily il signor Bailey aveva già aperto la saracinesca e avviato la cucina, così, una volta entrate e inforcati i grambiuli, a loro non restò che dare una veloce pulita ai tavoli e accogliere la clientela.

-Buongiorno, ragazze!- esclamò Charles con la solità giovialità, uscendo dalla cucina con un vassoio di muffin alle noci appena sfornati -Come è andata ieri senza di me?

-Tutto molto calmo in realtà- disse vaga Talia, sorridendogli di rimando -Nulla di nuovo dal solito e il forno ha retto tutta la giornata.

-E abbiamo conosciuto il nuovo spasimante di Talia!- ammiccò Chiara da dietro la spalla della cantante, che si girò facendole la linguaccia.

-È solo un ragazzo incontrato all'università- ribatté poi verso il signor Bailey, che sorrideva divertito, mentre disponeva con cura i muffin nella vetrina -Nulla a che fare con uno spasimante o simili!

-Ah, la gioventù!- sospirò l'uomo con una risatina -Quando ero giovane io le cose erano un po' più semplici... No, a dire il vero non è cambiato poi molto- la sua risata baritonale scoppiò nell'aria come un tuono e, per un istante, a Chiara ricordò molto quella di Volstagg e le immagini dei festeggiamenti dopo la sconfitta di Phoneus le percorsero la mente, come un film proiettato nella parete inferiore dei suoi occhi.

La sala era gremita di gente quella sera, mille voci salivano verso il soffitto, leggere come il fumo delle candele che si ammassava sugli splendenti marmi che lo decoravano, per poi scivolare lente verso la notte attraverso le finestre. Tutt'intorno l'oro dei piatti e dei bicchieri abbacinava lo sguardo e il profumo delle prelibatezze e del vino fruttato, preparati appositamente per quell'occasione speciale, inebriava i sensi.

La guerra sembrava già un ricordo lontano, nascosto dalle costose e ricercate vesti dei prestigiosi ospiti radunati alla corte di Odino, che seduto sul suo trono, brindava in compagna di Regalrex; Thor e i Tre Guerrieri, in un altro angolo della sala, chiacchieravano, o, meglio, urlavano allegramente, sotto lo sguardo divertito di Sif, che sorseggiava del vino scarlatto da una coppa.

Avrebbe voluto unirsi a loro e godere della loro compagnia, ascoltando i favolosi racconti delle loro avventure in giro per i Nove Regni, ma più avanzava nella loro direzione e più essi si allontanavano; più tentava di richiamare la loro attenzione e più il frastuono di voci diveniva alto e forte, coprendo la sua. Iniziò a correre, ma il pavimento sotto di lei divenne improvvisamente molle, appiccicandosi ai sandali e rallentandola, mentre le luci lentamente si abbassavano e le figure attorno a lei svanivano, come miraggi, sostituiti da un panorama di rocce spigolose e aguzze, avvolte da un cielo scuro, in cui brillavano fredde delle stelle lontane.

Non era così che era andata la serata! Era andato tutto diversamente: dov'erano i baldi guerrieri di Asgard? Dov'erano gli elfi e nani? Dov'era Odino, che l'aveva proclamata Vittoriosa? Dov'era Loki, che sulla tomba di Reicknar le aveva promesso un nuovo incontro?

Tutto quello che ricordava non c'era più, sostituito da aspre rocce e oscurità, ma più osservava quel paesaggio e più dentro di lei cresceva la convinzione di esserci già stata.

Come era possibile? Non ricordava nulla che potesse assomigliare anche in maniera remota a quel luogo inospitale.

All'improvviso vide la sua ombra allungarsi davanti a lei, avvolta da un caldo bagliore, e incuriosita si voltò.

E fuoco fu tutto quello che vide.

-Arianne? Arianne?- la chiamò Talia, passandole una mano davanti agli occhi -Ci sei?

-Sì, scusa- si affrettò a rispondere -Credo di aver avuto un calo di zuccheri improvviso.

-Che strano. Eppure hai fatto colazione...

-Tutte le scuse sono buone per assaggiare i miei muffin, non è vero?- rise il signor Bailey, porgendole un dolcetto e invitandola a sedersi -Coraggio, da' un morso, così mi dici se sono buoni.

-Come se non lo sapesse già!- si sforzò di sorridere la ragazza, ma nella sua mente aveva già iniziato a suonare un campanello d'allarme: quella che aveva avuto era stata una visione troppo nitida per essere dovuta alla stanchezza o alla mancanza di glucosio nel sangue.



*



La prima lezione del giorno era Statistica 1 e se c'era una cosa che Peter odiava era proprio Statistica, ma il suo odio non si limitava alla materia in sé, ma anche a tutto il contesto in cui essa veniva affrontata: l'aula, l'ammasso di gente accalcata sui banchi, il professore... tutto ciò che faceva parte quella lezione suscitava in lui un profondo e istintivo rigetto, che lo portava a trascorrere quelle due ore di agonia raggomitolato sul banco a prendere appunti e a contare i minuti che lo separavano dal prossimo caffé.

L'unica cosa che lo aiutava a sopportare quella tortura era la soddisfazione di essere riuscito a ricavare dal microfono di una vecchia cuffia sgangherata un modulatore vocale funzionante e dalle dimensioni così ridotte da non provocare alcun fastidio sotto la maschera.

Mentre il professore, la cui voce bassa e lenta aveva già fatto addormentare un paio di ragazzi davanti a lui, mostrava degli astrusi diagrammi proiettati sulla parete, Peter estrasse dalla tasca il prodotto del suo lavoro e se lo rigirò tra le dita per qualche istante ammirandolo soddisfatto: il design era estremamente semplice, ma ogni linea era pulita e pensata per risultare totalmente invisibile sotto allo spadex, anche a diverse condizioni di luce; all'auricolare era collegato il micofrono che scendeva fino a metà dello zigomo.

Sfruttando una vecchia radiolina, aveva anche ideato una trasmittente che, collegata via radio al suo apparecchio, permetteva di udire suoni e conversazioni fino a un kilometro di distanza.

Sì, era estremamente soddisfatto del suo operato e non vedeva l'ora di metterlo alla prova sul campo: -Ehi, tu! Là in fondo- tuonò la voce adirata del professore -Se ti becco di nuovo ad armeggiare con diavolerie tecnologiche, giuro che non ti ammetto nemmeno agli esami.

Peter alzò lo sguardo dal modulatore vocale e vide una sessantina di occhi puntati su di lui, mentre in fondo all'aula, da dietro la cattedra, l'indice del professore lo puntava con fare accusatorio.

Sentì il calore propagarsi dalla punta dei piedi fino alle orecchie e, rimettendo lentamente in tasca l'oggetto, abbassò la testa sui suoi appunti, cercando di nascondere il rossore del viso a quegli sguardi indesiderati.

Quanto avrebbe desiderato lanciare una ragnatela oltre alla finestra e svignarsela veloce come il vento! In questo caso il suo humor non gli sarebbe stato di alcun aiuto contro quel burbero dell'insegnante, così rimase con il naso sugli appunti per tutto il tempo e, non appena la lezione fu terminata, fu tra i primi ad uscire dalla classe.

-Che palle!- sospirò Peter, mentre inseriva le monetine nella macchina del caffé e premeva il pulsante alla voce Espresso.

Due figuracce in due giorni” rifletté prendendo il bicchierino di plastica “Sto per fare il record”; scorto un posto libero a un tavolo della mensa, vi si sedette e iniziò a sorseggiare il suo caffé: il sapore era quello stantio tipico del caffé preso alle macchinette, ma l'odore gli ricordò per un istante i polsi sottili di Talia mentre gli serviva il caffé al tavolo.

Non poté trattenere un sorriso involontario, che si affrettò a smorzare non appena riprese il controllo di sé: “Mantieni un minimo di professionalità, Testa di Ragno! Devi rimanere concentrato e attento, non puoi lasciarti abbagliare da un paio di occhi dolci.”

L'arrivo di un gruppo di studenti che conosceva di vista e che frequentavano con lui il corso di Genetica, gli ricordò che la prossima lezione sarebbe stata tenuta di lì a un paio di minuti e che doveva sbrigarsi; raccolse la sua roba e si accodò al gruppo e, per il momento, il problema venne archiviato.

A differenza di Statistica, Genetica era per lui materia di grande interesse e stimolo: dopo il morso del ragno nei laboratori Orscorp, aveva cercato di comprendere meglio la sua mutazione e l'approfondimento che quelle lezioni fornivano erano una grande fonte di spunto per avvicinarsi alla soluzione. L'insegnante, inoltre, era un giovane uomo di grande fascino, capace di trasmettere, con il suo entusiasmo, tutta la sua passione per la materia anche allo studente più svogliato.

Grazie a lui il clima durante le lezioni era molto più disteso.

-Buongiorno a tutti- salutò il professore, facendo il suo ingresso nell'aula e posando sulla cattedra la borsa in pelle -Prima di iniziare vorrei annunciarvi che anche quest'anno il dipartimento di ricerca genetica delle Stark Industries con sede a Midtown ha dato la sua disponibilità a prendere alcuni stagisti di Biotecnologie per tutto il semestre. Dato che il numero di posti è piuttosto ristretto, verrà fatto un test d'ingresso. Da quello che so le domande sono piuttosto toste per degli studenti del vostro livello, ma l'occasione è davvero ghiotta e vi consiglio caldamente, se siete interessati, di tentare: avere sul curriculum il nome di Stark è la chiave per aprire molte porte.

Terminato l'annuncio, la lezione iniziò, anche se Peter notò che molti degli studenti erano troppo impegnati a borbottare tra di loro, valutando se provare o meno a fare il test, per prestare attenzione a quello che aveva da dire il professore, il quale dovette riportare all'ordine un paio di ragazze che si erano messe a discorrere sull'opportunità di abbordare il miliardario durante uno di quegli stage.

Per quanto Peter cercasse di concentrarsi sulle diapositive e di scrivere ogni singola parola che usciva dalla bocca del suo professore, inevitabilmente la sua mente iniziò a valutare l'opportunità che gli si presentava: al di là della sua grande stima per il genio e il coraggio di Tony Stark, doveva riconoscere che per la sua formazione sarebbe stato di grandissimo interesse avere la possibilità di girare per i laboratori supertecnologici delle Stark Industries, cercando di carpire anche il più piccolo segreto che in un futuro lavorativo avrebbe potuto fargli comodo. Un battito di ciglia e già riusciva a immaginarsi a progettare con Tony Stark, davanti a una tazza di caffé bollente, un qualche macchinario rivoluzionario per migliorare la condizione di vita dell'umanità.

Un secondo battito di ciglia e volteggiava nella notte tra i palazzi di New York, avvolto in un costume high tech di sua progettazione, in compagnia di Iron Man: un nuovo supereroe era arrivato in città e il suo nome era Iron Spider.

Un vivace brusio attorno a lui interruppe la sua visione, riportandolo alla realtà in cui la lezione era conlusa e gli studenti stavano abbandonando l'aula, i più audaci fermandosi alla cattedra per ritirare il modulo di iscrizione al test.

Peter raccolse in fretta e furia le sue cose, rimproverandosi per non essere stato attento alla lezione e per aver preso sì e no tre righe di appunti (scritte male, per giunta), e si avviò a sua volta verso l'uscita, ma il professore lo chiamò: -Parker- disse, sorridendogli cordialmente sotto la barba lasciata leggermente incolta -Non sei interessato allo stage? Mi sembra cosa che potrebbe destare particolare interesse in uno studente diligente e ambizioso come te.

-Ambizioso, prof?- chiese Peter, sorridendo imbarazzato -Cosa glielo fa credere?

-Oltre al fatto che nei laboratori sei estremamente attento a procurarti il materiale migliore e a fare gli interventi più intelligenti?- Peter sentì lo sguardo del suo insegnante studiarlo da cima a fondo, come se i suoi occhiali da vista gli permettessero di osservarlo anche all'interno -Te lo si legge in faccia, Peter, che ambisci a fare qualcosa di grande, a dare il tuo contributo in grande stile. Per questo ti chiedo: davvero non sei interessato?

Il ragazzo fissò per qualche istante il foglio che il professore gli porgeva, compilando mentalmente tutte le voci e spuntando tutti i quadratini: era tentato, questo era certo, ma dentro di lui la voce della sua coscienza gli suggeriva che no, non aveva il tempo di fare tutto. Non poteva studiare, salvare New York, prendersi cura di zia May e anche seguire uno stage; le giornate sono sempre composte da sole 24 ore e già aveva rinunciato ad alcuni aspetti della sua vita che solo pochi anni prima riteneva indispensabili, come ad esempio mantenere una vita sociale. Aveva ridotto le sue attività fino all'osso e sarebbe bastato poco per rompere quel fragile equilibrio che aveva trovato.

-Io...-esordì Peter a malincuore -Non credo che riuscirei a gestire il mio tempo se aggiungessi ancora qualcosa alle attività che faccio già.

-Ascolta, Parker- continuò serio l'uomo -Non devi decidere adesso: il modulo deve essere consegnato tra una settimana. Prenditi il tempo necessario per rifletterci, nel frattempo te ne terrò da parte una copia.

-Grazie prof- sospirò -Ci penserò. Arrivederci.

-Arrivederci, Parker.





Angolo dell'autrice: salve a tutte e benvenute alla fine del quinto capitolo di Panacea Project!!! :) Dunque, dunque, vorrei ringraziare Alexia Dubhe Black e _Mollica_ per essersi unite al party, seguendo la storia (benvenute!) e alle mie commentatrici che non mancano mai di lasciarmi una recensione, riempiendomi il cuore di gioia con le loro belle parole!

Eccoci qui: Chiara non ha perso il vizio di avere le sue visioni, che ne dite, dovrebbe farsi vedere da qualcuno? Ma uno bravo? XD

Finalmente, dopo lunga attesa, ecco che si comincia a capire cosa cavolo è successo alla nostra Chiara al Triskelion e perché la tengono come un uccellino in gabbia; inoltre non mancano le piccole citazioni all'universo Marvel qua e là. A chi si riferiva Natasha durante il suo discorso sulle forze sconosciute? ;)

Per quanto riguarda il giochino della volta scorsa, il riferimento "a caccia di streghe" è connesso al film Hansel & Gretel, cacciatori di streghe (2013) in cui Jeremy Renner (il nostro Clint Barton) interpreta il protagonista maschile. Ora, non so se l'avete visto e quale impressione vi siate fatte, ma a me ha fatto piuttosto ridere per quanto splatter e trash fosse e per il personaggio di Hansel, che per la maggior parte del tempo sembra stufo marcio di tutte quelle streghe che svolazzano in giro. Ad ogni modo, mentre lo guardavo, il mio cervello bacato ha visto in Hansel un Occhio di Falco del XV secolo e ha espresso il desiderio di un AU in cui gli Avengers combattono in un'Europa rinascimentale.

Se sapete dell'esistenza di qualcosa del genere, vi prego di segnalarmelo perché brucio dalla voglia di leggerlo XD

Anyway, spero che il capitolo vi sia piaciuto e che sia valsa l'attesa. Nel frattempo mando un forte abbraccione a tutti quanti!

Alla prossima,

Lady Realgar

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Capitolo 6
*** Dove Peter viene coinvolto nelle attività del Daily Coffee e onora l'impegno preso con zia May ***


Cercò a tastoni nel buio l'interruttore della luce e, quando le sue dita ne sfiorarono la plastica fredda, attivò la lampadina che dal centro del soffitto penzolava diffondendo una fioca luce fastidiosamente bianca e facendo brillare della medesima sfumatura i due surgelatori che ronzavano a ridosso della parete.

Ma non era interessata ai surgelatori (Yoghi e Bubu, come li chiamava Talia, dato che uno era grosso e l'altro più piccolino), bensì alle scatole di cartone ammucchiate sugli scaffali di metallo fissati con spesse viti alla parete opposta; con i pugni ben piantati sui fianchi, iniziò a studiarli dal basso, cominciando a escludere quelli da cui uscivano ghirlande di pino e festoni dorati. Ne adocchiò uno ben sigillato dal nastro adesivo su cui si potevano scorgere, scritte a pennarello, le lettere Hallow; prese da un angolo una scaletta pieghevole, la dispose sotto alla mensola e vi salì, sporgendosi per tutta la sua lunghezza in direzione della scatola: “Questo sarebbe un pessimo momento per avere una visione” pensò tra sé e sé, concentrandosi sul non perdere l'equilibrio e rovinare sul pavimento.

-Avanti, vieni qui!- sussurrò, sentendo le dita sfiorare il cartone della scatola, così si allungò ancora un po' e, finalmente, riuscì ad afferrarla -Presa!- esultò, trascinandola fuori dalla mensola e stringendola al petto per avere una presa migliore -Pensavi di sfuggirmi, vero? E invece no!

-Parli da sola anche da sveglia?- sentì dire da sopra le scale -Hai trovato la scatola?

-Sì, ora la porto su- rispose ad alta voce Chiara, spegnendo la luce e imboccando le scale, oltre le quali si lasciò alle spalle il retrobottega e ritornò nel cuore del Daily Coffee -È questa?- chiese, poi, mostrando a Talia lo scatolone recuperato.

-Sì, quella è una- rispose la ragazza, finendo di versare il caffé a un cliente -Ma dovrebbe essercene un'altra in giro. Se non ricordo male l'anno scorso avevamo diviso i festoni dalle lanterne a forma di zucca.

-Allora dovrete procurarmi una scala più alta, perché già per prendere questa ho rischiato di strapparmi un tendine- ribatté, appoggiando la scatola sul bancone e frugando nei cassetti in cerca di un coltello per tagliare il nastro adesivo.

Talia le si affiancò dietro al bancone e studiò per un secondo la scatola: -Questa è quella dei festoni- disse ancor prima che Chiara togliesse lo scotch -Se fosse stata l'altra non saresti riuscita nemmeno a sollevarla: non hai idea di quanto pesino quelle maledette zucche!

-Ci penserà Bailey, allora. Nel frattempo possiamo cominciare a sistemare questi- passò il filo della lama al centro del nastro adesivo e svincolò le ali di cartone, che sollevò riportando alla luce un groviglio di pipistrelli, zucche ghignanti, ragni di plastica e fantasmi fosforescenti.

-Gran bel nodo gordiano...- considerò ad alta voce la ragazza, tirando per un'ala uno dei pipistrelli, che si trascinò dietro una rete di ragnatele e spago -Sarà difficile procurarsi una spada qui a Brooklyn!- rise Talia, tirando un ragno, rimasto impigliato per una zampa ad una zucca.

-Basterà aspettare la prossima convention di fumetti, sono certa che qualche Luke Skywalker sarà più che lieto di prestarci la sua per un secondo.

-Purtroppo non possiamo aspettare così tanto: mancano due settimane ad Halloween, perciò coraggio!- disse Talia, ponendole una mano sulla schiena per incoraggiarla, per poi sparire un attimo dopo dietro le porte della cucina.

-A noi due, allora- sospirò Chiara, rimboccandosi le mani e iniziando a sciogliere un po' per volta quell'informe ammasso di fili.

Si era trasferita (forzatamente) in America da quattro anni, ma non era ancora riuscita a comprendere la ragione di quel fermento e di quell'agitazione che serpeggiava tra la gente all'avvicinarsi della notte di Halloween: in Italia, essendo una festa importata, rappresentava più un pretesto per travestirsi e andare a fare baldoria fino a tarda notte e lei per prima non aveva mai sentito la necessità di farne parte. Nel nuovo continente, invece, vi era una cura e un'attenzione nell'organizzazione della Notte delle Streghe tali da risultare normale la ricerca del costume più di un mese prima della fatidica data. E questa cosa non coinvolgeva solo i bambini, ma anche, e soprattutto, gli adulti.

La stessa Talia, l'anno prima, si era occupata personalmente della realizzazione dei loro costumi, curando con attenzione ogni minimo dettaglio.

"Quest'anno, in effetti, non ha ancora tirato in ballo l'argomento... Sarà stata troppo impegnata a pensare all'audizione. Speriamo che non mi tiri scema come l'anno scorso o...."

-Ma che...?- esclamò Chiara, alzando distrattamente lo sguardo sopra il proprio lavoro e notando un foglio di carta familiare, appeso a fianco della macchina del caffé.

Si alzò di scatto e vi si avvicinò per studiarlo meglio, riconoscendovi uno dei suoi disegni a tema Spiderman: -Come c'è finito questo qui?- chiese a Talia, che stava uscendo dalla cucina con un vassioio di dolci appena sfornati.

-Hai detto che non ti piacevano- rispose la ragazza, disponendo i dolci nella vetrina -Così ne ho salvato uno dall'oblio al quale era destinato. Ritengo che sia un bel modo per celebrare l'operato del nostro eroe preferito e poi- proseguì sfoggiando un largo sorriso -Non sta benissimo lì appeso?

Chiara si voltò di nuovo ad osservare il disegno, le diverse sfumature create dalla polvere di carbone e dal rosso della sanguigna, le linee slanciate e sottili intrecciate a rappresentazione del corpo dell'eroe, tutti quei piccoli difetti che avrebbe voluto correggere: -Non lo so- mugugnò con una smorfia -Non amo che i miei lavori vengano esposti alla vista di tutti.

-Dovresti valorizzare di più il tuo talento: hai davvero una bella mano, è un peccato che la tenga nascosta.

-Bah- sospirò quella, tornando a sbrogliare la matassa -Se proprio ti piace, tienilo, ma decisamente non gli rende giustizia.

-Ora non cominciare a tirartela solo perché lo hai visto di persona- rise Talia, avvolgendole la vita con un braccio -Prima o poi anch'io riuscirò a parlarci.

-Ti auguro solo di farlo in circostanze migliori delle mie- sorrise Chiara, riuscendo a togliere dal nodo una ghirlanda di pipistrelli di cartone.

Rispondendo al sorriso, la cantante andò a prendere l'ordinazione di un cliente appena entrato nel locale, lasciando l'amica a terminare il lavoro.

Di lì a pochi minuti tutti i festoni furono sciolti dal nodo e la ragazza, estratti la scala e del nastro adesivo dal retrobottega, si mise ad appenderli lungo la vetrina, attraverso la quale poteva osservare il fermento della strada.

Salita sulla sommità della piccola scala, strappò un po' di nastro adesivo, con cui fermò un capo del festone con i ragni di gomma, e iniziò a decorare la vetrina.

Aveva appena finito di appendere tutta la ghirlanda, quando l'arrivo di un autobus attirò la sua attenzione e la figura ormai nota di un ragazzo alto ed allampanato le strappò un mezzo sorriso: -Hai visite, Talia!- disse ad alta voce appena prima che Peter, annunciato dal tintinnio del campanello, entrasse nel locale.

-Buongiorno!- salutò il ragazzo, facendo cenno a Chiara, che lo osservava dall'alto della scaletta come un falco appollaiato sulla roccia -Ciao, Peter- rispose -Sei tornato a trovarci.

-Ero curioso di scoprire se il caffé che fate pagare è buono quanto quello che offrite ai nuovi clienti.

-Attento a quel che dici- lo avvisò scherzosamente Chiara, scendendo dalla scaletta e spostandola di qualche metro per appendere la ghirlanda di pipistrelli -Il signor Bailey è molto geloso del suo caffé: sceglie personalmente le miscele. Non è vero, signore?- domandò poi, in direzione della cucina da cui il proprietario del Caffé, sentitosi chiamare, si era affacciato.

-Ci puoi scommettere, giovanotto!- esclamò l'uomo uscendo dalla cucina e pulendosi le mani nel grembiule -Piacere di conoscerti, ragazzo- proseguì, offrendogli la mano callosa -Benvenuto al Daily Coffee. Mi chiamo Charles Bailey, qual è il tuo nome?

-Parker, Peter Parker- rispose Peter, ricambiando la stretta (e ringraziando di essere dotato di super forza: pur con quella percepì una fastidiosa pressione attorno al metacarpo quando l'uomo gli strinse vigorosamente la mano).

-Hai una stretta di mano salda, Peter- disse con voce seria Charles -Questo dice molto di un uomo.

-Questo è il ragazzo di cui le parlavo- si intromise Chiara, ammiccando all'amica che, dietro al bancone, nascondeva malamente una risatina -Quello che ieri ha fotografato la sua Hall of Fame del jazz.

Vedendo il viso del signor Bailey rabbuiarsi improvvisamente, Peter si sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena e, quando percepì la pressione della grossa mano dell'uomo sulla propria spalla, si aspettò che lo accompagnasse fuori dal locale; già si preparava alla tirata d'orecchi quando il signor Bailey, dirigendolo davanti alla parete tempestata di ricordi, disse: -Strana cosa la fotografia- la sua voce, dapprima vivace e squillante, si era fatta bassa e profonda, colma di un'armonia inaspettata -Arte recente e meravigliosa, ma molto ambiziosa: essa cattura momenti pensati per svanire nell'oblio del tempo e nella fragilità della memoria umana. Li cattura e li ferma per sempre. Sono molto grato alla fotografia- aggiunse dopo un attimo di pausa, in cui si era perso ad osservare malinconico i volti appesi sulla parete -Senza di essa non potrei più ammirare il viso della mia Rebecca mentre cantava: abbiamo cominciato così, noi due. Io suonavo il sax agli angoli delle strade e lei cantava, illuminando con la sua sola voce tutta Brooklyn. Poi con gli anni il nostro duo è diventato un quartetto e dalle strade siamo passati ai locali dalle pareti impregnate di fumo di sigaretta, ma per noi non c'era palco più prestigioso. Ah, che tempi, ragazzo mio. Che tempi!

Peter ascoltava e non osava parlare: osservava rapito la fotografia rappresentante il quartetto di cui Charles parlava, riconoscendovi nel sassofonista lo stesso uomo che in quel momento lo teneva per la spalla e gli raccontava con affettuosa malinconia la bellezza di quei tempi passati.

-Adesso è compito dei giovani rendere omaggio alla dea della Musica- continuò Bailey, ritrovata la sua naturale giovialità -Non appena la nostra Talia avrà trovato un paio di orecchie buone, sarà lei ad incantare l'animo dei newyorkesi.

Sentendo chiamare il nome della ragazza, istintivamente Peter si voltò nella sua direzione, incrociandone lo sguardo per un istante: -Quindi era per l'audizione che eri venuta all'università- considerò ad alta voce -Per il party di Halloween. Come è andata?

-Non molto bene a dire il vero...- rispose vaga la cantante, incapace, però, di impedire al proprio viso di arrossire di imbarazzo, cosa che non sfuggì a Peter, che si affrettò ad aggiungere: -Non me la legherei al dito: il professore che gestisce questi eventi ha insegnato musica tutta la vita, ma, da quel che si dice, l'età lo sta privando dell'udito e non è più nemmeno in grado di distinguere il suono di un violino da quelo di una chitarra. Sarebbe dovuto andare in pensione l'anno scorso ma è un tizio piuttosto caparbio.

Gli occhi di Talia si spostarono verso l'amica, che ricambiò con un'espressione che diceva: "Te l'avevo detto!". Sorrise e, tornando verso Peter, disse: -Mi sento molto più sollevata, ora. All'inizio avevo temuto di dover appendere la chitarra al chiodo.

-Sciocchezze!- si intromise Charles -Ti conosco abbastanza da poter dire che non ti saresti lasciata abbattere dal primo venuto!

-E in ogni caso- riprese Peter -Non avresti avuto comunque molta audience: nessuno va mai al party di Halloween dell'Università. Dicono che sia un mortorio.

Un colpo sordo improvviso fece sobbalzare tutti dallo spavento e si voltarono verso dove il signor Bailey aveva battuto con enfasi la mano sul bancone: -Ho deciso!- affermò con soddisfazione -Organizzeremo un'esibizione dal vivo qui al Daily: Talia potrà finalmente dar prova di sé davanti a un pubblico vero e il Daily potrà farsi un po' di pubblicità. La pubblicità è l'anima del commercio!- citò solennemente, esibendo un largo sorriso.

Talia e Chiara si scambiarono un'occhiata emozionata, mentre il signor Bailey, con la mente completamente immersa nel suo progetto, pensava ad alta voce: -Sposteremo i tavoli verso la vetrina e libereremo tutto quell'angolo per piazzare casse e microfono. Talia ed io prepareremo una scaletta dei brani, mentre Arianne si occuperà di allestire le luci e fare qualche piccola decorazione qua e là. E tu- aggiunse poi puntando l'indice verso Peter -Ti occuperai delle fotografie da apporre sui volantini pubblicitari. Se vuoi- aggiunse più mestamente in un secondo momento, accorgendosi della propria imperiosità -Ovviamente ti darò un compenso per il disturbo.

Peter rimase per qualche istante interdetto da quella richiesta, boccheggiando senza sapere cosa rispondere: "È l'occasione giusta per indagare più da vicino" gli suggerì una vocina dai meandri della sua mente.

-Va bene- rispose infine -Quando cominciamo?

-Subito!- sorrise l'uomo, dandogli una sonora pacca sulla schiena.



*



-Non vorrei impicciarmi dei suoi affari, mr.Bailey- esordì Chiara, entrando nella cucina e assicurandosi di chiudere bene le porte alle proprie spalle.

-Ma?- domandò l'uomo, allacciando meglio le corde del grembiule che si erano allentate sulla schiena e mettendo un piatto sporco nella lavastoviglie.

-Ma non le sembra di essere stato un poco avventato, assumendo quel Peter Nonmiricordoilcognome?

-Dici Parker?- sorrise l'uomo -Capisco quello che vuoi dire: è la seconda volta che mette piede nel mio locale e la prima in cui lo vedo in faccia; non mi sorprende che tu sia confusa, anzi, mi preoccuperei del contrario.

-Allora perché?- insistette Chiara, affiancandosi al suo capo e aiutandolo a caricare la lavastoviglie.

-Ho avuto a che fare con persone di tutti i tipi nel corso della mia vita- spiegò Charles, passando una spugna insaponata nella cavità di un bicchiere sporco di succo di frutta -Belle persone, persone mediocri e persino persone orribili. Ne ho viste davvero di tutti gli stampi e, in qualche modo, ho imparato a riconoscerle. Non è stato sempre così: quando ero giovane ho spesso frainteso per buona volontà quello che non era altro che un pessimo scrupolo, ma ho imparato dai miei errori e oggi, alla luce di tutti quegli anni, posso dirmi certo che quel Peter Parker è un bravo ragazzo.

Chiara non ribatté, ma continuò a sciacquare piatti e a riporli nell'elettrodomestico in assoluto silenzio, finché Bailey non riprese: -C'é qualcosa che ti turba, mia cara?

-No... non esattamente- rispose incerta la ragazza -Mi è solo difficile accettare pienamente un simile giudizio basato sul... niente, in realtà.

Insomma, Clint per assicurarsi che solo nel condominio non ci fossero terroristi ha impiegato quasi un mese di ricerche”.

-Capisco il tuo punto di vista, mia cara- sorrise di nuovo Bailey -E, in effetti, persino per me è difficile spiegare il mio metodo, ma ti ho mai dato motivo di dubitare delle mie scelte?

I grandi occhi color ebano dell'uomo scrutarono la ragazza senza freddezza, ma con grande serietà, a cui Chiara sentì di rispondere con altrettanta sincerità: -No, mai.

-Allora abbi fede, Arianne, e concedi a quel ragazzo la possibilità di dimostrare che ho ragione. Sono certo che sia tu che Talia trarrete giovamento dalla sua compagnia.

-Se lo dice lei...- rispose dubbiosa la fanciulla, che dopo un attimo di silenzio riprese: -Cosa ha visto in me il giorno in cui ho risposto al suo annuncio sul giornale?

-Ritieni che saperlo possa migliorare l'opinione che hai di te stessa?

-No- rispose Chiara -Conosco il mio valore. Sono solo curiosa di sentire un punto di vista diverso.

-Ed è esattamente questo quello che ho visto in te quel giorno, nonché il motivo per cui ti ho assunta.

Scese di nuovo il silenzio, interrotto solo dal rumore dell'acqua che sgorgava dal rubinetto e dalla ceramica che batteva contro la plastica degli scaffali della lavastoviglie.

-Aspetta un momento- disse Chiara, alzando di scatto lo sguardo -“Sia tu che Talia trarrete giovamento dalla sua compagnia”? L'ha assunto per fare in modo che lui e Talia si frequentassero?

-Diciamo che ho dato a quei due una piccola spinta- ammiccò il signor Bailey, suscitando la risata di Chiara.



*



Sotto lo sguardo sospettoso del signor Frederick, Peter spostò dalla parete uno dei tavoli e, dopo averlo trascinato di qualche metro più lontano, prese uno sgabello da dietro il bancone e osservò quello che sarebbe stato il suo set per fotografare Talia.

-Arriva molta luce dalla vetrina- considerò ad alta voce, lanciando uno sguardo al vetro -Ci sarà un contrasto piuttosto forte, ci vorrebbero almeno un faretto e un diffusore.

-Devi solo premere un pulsante- gracchiò il signor Frederick, sventolando la sua tazza di caffé nell'aria -Quando usavo io la mia vecchia Polaroid non mi lamentavo certo della luce!

-Ehi, amico, sto solo cercando di fare un lavoro fatto bene- gli rispose irritato il ragazzo -Ti dispiacerebbe tenerti per te i tuoi commenti?

-Ragazzi, comportatevi bene- si intromise Talia, lanciando sguardi minacciosi ai due litiganti -Non costringetemi a mettervi in due angoli separati.

-È lui quello che non è capace a schiacciare un bottone!- ribatté il signor Frederick, che però di fronte a un'occhiataccia della cameriera, non poté far altro che riprendere a bere il proprio caffé e a osservare immusonito la scena.

-In quanto a te- riprese la ragazza, rivolgendo la propria attenzione sul fotografo -Mi dispiace che il signor Bailey ti abbia coinvolto in questo progetto così su due piedi, ma non credere che mi lascerò fotografare senza un'adeguata preparazione. Non ho nessuna intenzione di ritrovare la mia faccia da fine giornata di lavoro in giro per le strade di Brooklyn, chiaro?

Peter sgranò gli occhi e alzò le mani in segnò di resa: -Ok, Superstar- disse -Non avevo intenzione di farti un servizio fotografico nei panni di cameriera, ma approfitterei comunque dell'occasione per fare qualche scatto di prova per vedere come rende la composizione. Ovviamente se mi si lascia lavorare in pace- aggiunse poi, alzando la voce in direzione del signor Frederick, che borbottò qualcosa di incomprensibile in risposta.

-Ehi- lo rimbeccò Talia, piazzandosi esattamente davanti a lui -Non ti permettere di usare quel tono con i nostri clienti.

I due rimasero fissarsi per qualche istante, l'uno cercando un segno di cedimento negli occhi dell'altra, ma non trovandone alcuno, Peter non poté che emettere un leggero sospiro e, imbracciata la propria macchina fotografica, disse calmo: -Va bene. Cominciamo?

-Tra un momento- rispose Talia, con l'ombra di un sorriso soddisfatto proiettata sulle labbra -Prima devo servire un cliente.

Squadrò per l'ultima volta i due uomini e, giratasi sui tacchi, prese un vassoio dal bancone, per poi dirigersi verso un ragazzino che aspettava impazientemente la sua cioccolata calda.

Dopo qualche attimo, la ragazza tornò, nuovamente sorridente: -Ok- esclamò con un sospiro -Finché non arriva qualche altro cliente, possiamo fare tutte le fotografie che vuoi.

-Bene- esclamò Peter, togliendo il coperchio dall'obiettivo della macchina e indicando lo sgabello con l'indice -Siediti lì e vediamo come vieni in foto.

Talia si sfilò il grambiule di dosso e lo appoggiò con cura su una sedia, poi si sciolse i capelli, lasciando che cadessero disordinatamente sulle spalle e lungo la schiena e, infine, si sedette sullo sgabello, accavallando le gambe e osservando un punto lontano oltre il vetro.

-Proviamone una così- disse, continuando a guardare fuori.

Per un istante Peter si soffermò a studiare il profilo della ragazza, i suoi lineamenti delicati che si stagliavano contro le forti ombre create dalla luce del tramonto, i riflessi quasi blu dei suoi capelli alla luce fretta dei LED e il rosso carminio del suo rossetto; poi inforcò la macchina fotografica, regolò il tempo di esposizione e inizò a scattare, spostandosi ogni tanto di qualche metro per catturare diverse pose e inquadrature.

Talvolta si avvicinava per spostarle una ciocca di capelli fuori posto o per darle indicazioni riguardo alla postura e Talia, dal canto suo, si dimostrò essere una modella disciplinata e paziente, ascoltando attentamente i consigli del fotografo e mettendoli in pratica alla perfezione, finché una coppia di donne non entrò nel locale, interrompedo quell'attività e costringendo la cameriera ad allontanarsi dalla postazione per prendere le ordinazioni.

Mentre Peter osservava sullo schermo digitale della macchina le fotografie scattate, da dentro la cucina comparve Chiara con un vassoio di biscotti al cioccolato appena sfornati e, porgendolo al ragazzo, domandò: -Come procede?

-Stiamo facendo qualche scatto di prova- rispose Peter, scegliendo dal vassoio uno dei biscotti più grossi e dandogli un morso deciso -Giusto per valutare quali possono essere le pose e le luci migliori. Diamine, questi biscotti sono fenomenali! Ad ogni modo, la prossima volta dovrò portare un cavalletto e un faretto per ottenere delle foto ottimali.

-E la modella come se la cava?- sorrise cordiale Chiara.

Il ragazzo afferrò un secondo biscotto e, con la bocca ancora piena del primo rispose: -L'ha presa molto seriamente. Inoltre quando posa sembra una statua di gesso: non muove nemmeno un muscolo. Certe volte mi sembra che nemmeno respiri.

-È una tipa molto atletica. Piuttosto, Peter, visto che sei in pausa, ti andrebbe di darmi una mano a prendere una cosa?

-Di cosa si tratta?

-È uno scatolone di decorazioni di Halloween- rispose Chiara, conducendolo nel retrobottega -Quello là in alto- aggiunse, indicandolo col dito -Pesa un po' ed è in una posizione scomoda. Mi faresti la cortesia di prendermelo?

-Certo, non c'è problema.- rispose Peter, osservando lo scaffale e valutandone l'altezza -Hai una scala?

-Che testa!- esclamò Chiara, dandosi una pacca sulla fronte -L'ho lasciata di là in sala. Corro a prenderla.

Il ragazzo aspettò che la cameriera fosse uscita e, assicuratosi che la porta fosse chiusa e che nessuno potesse vederlo, con un salto raggiunse il soffitto e, appeso a testa in giù, afferrò saldamente lo scatolone; si staccò dal soffitto e con una capriola tornò in posizione eretta sul pavimento proprio un attimo prima che Chiara rientrasse nel piccolo magazzino con in mano la scaletta pieghevole.

-Alla fine non mi è servita- sorrise Peter in risposta allo sguardo sorpreso di Chiara, che, ripresasi, ribatté: -Lo sai che le persone alte soffrono maggiormente di problemi alla schiena in vecchiaia?

-Come scusa?- domandò incredulo il ragazzo.

-Nulla, solo invidia- ridacchiò Chiara, appoggiando la scaletta, ormai inutile, in un angolo della stanza -Grazie mille, posso chiederti di portarlo in sala? Poi prometto di lasciarti in pace nella miglior compagnia di Talia.

Peter seguì di nuovo la cameriera lungo le scale e, ritornati nell'ambiente principale del Daily Coffee dove Talia aveva finito di servire le due clienti e di ritirare le stoviglie sporche, lasciò lo scatolone su un tavolo.

-Soldato Parker- scherzò Chiara, impettendosi e raddrizzando la schiena -Missione compiuta. Riposo!

-Signorsì, signora!- esclamò l'altro, facendo il saluto militare.

-Se voi due avete finito- si intomise Talia, avvicinandosi e sfilandosi di nuovo il grembiule -Possiamo riprendere con le fotografie. E comunque il saluto si fa con la mano destra, Peter.

Peter e Chiara si scambiarono una risatina imbarazzata e tornarono ai rispettivi lavori, l'uno alla macchina fotografica e l'altra di nuovo in cucina.

-Gli scatti che abbiamo fatto finora sono piuttosto buoni- considerò il fotografo, mentre Talia riprendeva posto allo sgabello -Stasera li trasferisco su pc e lunedì li mostro al signor Bailey. Se volessi portarti la tenuta da battaglia, potremmo anche concludere in circa una mezzora.

-La tenuta da battaglia?- domandò confusa Talia.

-Beh, l'abbigliamento che vorresti avere sul volantino- rispose Peter -E magari anche la chitarra, così mi fai sentire anche qualche brano, visto che fino ad adesso non ti ho sentito cantare nemmeno una nota.

-Se farai un buon lavoro- rise Talia -Potrai ascoltare tutti i miei concerti pagando un biglietto scontato del 10%!

-Ah, grazie- rispose sarcastico l'altro -Che generosità!

Stava per riprendere a scattare nuove fotografie quando il suo sguardo cadde su un foglio di carta appeso a fianco della macchina del caffé; rimase per qualche istante a fissarlo, incredulo: -Che cos'é quello?- chiese.

-Cosa?- domandò a sua volta Talia, volgendo lo sguardo verso il punto che Peter stava fissando: -Oh, quello!- esclamò -L'ha fatto Arianne. Non ci crederai mai, ma è stata salvata da Spiderman!

Il ragazzo si avvicinò abbastanza da poter studiare con maggiore attenzione il disegno e, più dettagli i suoi occhi scorgeva, più rimaneva sorpreso dalla dinamicità e dalla somiglianza del ritratto: era quasi come osservare una fotografia in bianco e nero.

-Sei un fan di Spiderman?- sentì domandare da Talia alle proprie spalle; -In un certo senso sì...- rispose vago, quando all'improvviso il suo cellulare nella tasca sinistra dei pantaloni vibrò, lo prese e, sbloccato lo schermo, lesse quello che era un messaggio da parte della zia.

Zia May, h.18.27: Immagino che non ti sarai ricordato dell'impegno preso, così ho pensato che sarebbe stato meglio, per la cara Carmen, che ti rinfrescassi la memoria. Ha comprato per il figlio un televisore nuovo, ma non ha tempo di andare a prenderlo prima della chiusura del negozio e non è capace di avviarlo, quindi dovresti andare al negozio di elettronica all'incrocio tra la Bredford e la Lincoln e portargliela al numero 33 di Foster Avenue, appartemento 5B. Così impari la prossima volta a prestare attenzione.

Quando ebbe finito di leggere il messaggio, per poco a Peter non venne un colpo: totalmente preso dalla sua "missione", si era scordato del post-it trovato quella mattina.

-Tutto bene?- chiese Talia, alla quale non era sfuggita l'espressione smarrita del ragazzo, che rispose prontamente: -Sì, non ti preoccupare. Il generale May mi ha riportato all'ordine ricordandomi una promessa che le avevo fatto.

-Chi è? Tua madre?- domandò incuriosita e divertita la ragazza.

-Quasi, in realtà. May è mia zia, ma mi ha tirato su come un figlio, perciò per me è alla stregua di una mamma.

-Scommetto che è una tipa tosta, per riuscire a tenerti in riga!

-Oh, lo è eccome!- sorrise Peter, riponendo la macchina fotografica nella cusodia e infilando il tutto nello zaino -È la persona migliore che abbia mai incontrato, dopo mio zio, ma è meglio non farla arrabbiare o dalla dolce e affettuosa zia è capace di trasformarsi nel Sergente Istruttore Hartman.

-Non l'ho mai incontrata, questa May- esordì Talia, alzandosi dallo sgabello e indossando nuovamente il grembiule -Ma già mi piace! Spero ce la porterai un giorno: dille che se racconterà qualche storia buffa della tua infanzia, avrà una fetta di torta in omaggio. Ovviamente la dimensione della fetta sarà proporzionale alle risate che ci faremo!

L'immagine di zia May circondata dalle cameriere e dal proprietario del Daily, mentre raccontava le sue figuracce davanti a un pezzo di torta, gli provocò un brivido freddo lungo la schiena, che dissimulò con una risata imbarazzata e, salutando con la mano, scappò dal locale, promettendo di ritornare l'indomani.



*



Chiara, spogliatasi del grembiule, prese la propria borsa da sotto il bancone e, fatto segno ad Annibale, si avvicinò a Talia, che stava raccogliendo i bicchieri vuoti di un paio di clienti: -Per oggi ho finito il turno- esclamò stampandole un grosso bacio sulla guancia -Tutti i piatti sono già in lavastoviglie, a parte quei due bicchieri, ovvio.

-Che programmi hai per stasera?- domandò Talia con un gran sorriso -Esci con qualcuno?

-Certamente, Annibale adora passeggiare per la città di sera! Piuttosto, l'amico Fritz che fine ha fatto?

-Peter? Ha ricevuto un messaggio dalla zia ed è schizzato fuori come una lepre mentre tu stavi in cucina a lavare i piatti.

-Che tipo strano...- considerò Chiara, aggiustandosi la borsa sulle spalle -Ad ogni modo, domani mattina ci vediamo per il jogging?

-Certamente, stesso posto stessa ora.

-A domani, cara.

-A domani.

Affiancata dal fedele Annibale, la ragazza uscì nel freddo della serata e attese che il suo autobus arrivasse, poi, trovato un posto a sedere libero, si accomodò sulla plastica del sedile, aspettando di giungere a destinazione: aveva ancora un po' di tempo prima di dover andare da Tony, così ne avrebbe approfittato per farsi una doccia e cenare con calma.

Erano passati quasi sei mesi da quando era arrivata a D.C. e, sdraiata sul suo letto, Chiara stava cercando di concentrarsi sul testo di grammatica spagnola che teneva in mano, ma, per quanto ci provasse, la sua mente aveva iniziato a giocarle dei brutti scherzi: era da circa sei settimane che aveva riscontrato serie difficoltà a dormire, arrivando progressivamente a trascorrere intere notti a fissare il soffitto nell'oscurità senza riuscire ad addormentarsi.

Si sentiva stanca ad ogni ora del giorno e della notte, le sue capacità di apprendimento erano rallentate e aveva smesso di trarre piacere dai pasti.

"Come se il cibo della mensa fosse vagamente appetibile" pensò la ragazza, aprendo la zip della felpa che indossava: l'aria si era fatta improvvisamente calda e difficile da respirare.

Aveva la sensazione che le pareti attorno a lei si stringessero, come per schiacciarla su quel letto, togliendole il respiro, affievolendole la vista e costringendola in uno spazio angusto. Senza che se ne rendesse conto, le sue mani iniziarono a tremare incontrollabilmente, rendendola incapace di reggere ulterioremente il libro, che finì aperto al suolo; spaventata da quella reazione, incrociò le braccia, infilando le mani sotto le ascelle nel tentativo, inutile, di fermarle, e iniziò a inspirare ed espirare profondamente, concentrandosi sui battiti accelerati del proprio cuore, contandoli.

"Uno...due...tre...quattro..." ma quell'esercizio, invece di aiutarla a calmarsi, non fece che aumentare la sensazione di cluastrofobia; i respiri si fecero affannosi e le orecchie presero a fischiare fastidiosamente, come una teiera lasciata sul fuoco.

"Chiara, calmati" si disse la ragazza, cercando di prendere fiato "Ti prego, calmati".

Ribellandosi a quella condizione, la ragazza tentò di alzarsi, ma non appena le ginocchia sentirono il peso del suo corpo, cedettero, facendola rovinare sullo scendiletto.

Tentò di chiamare aiuto, ma quando aprì bocca la sua voce le morì in gola; cercò, dunque, di strisciare, cercando un appiglio con le braccia e puntellando i piedi in un grottesco passo del giaguaro, in direzione della porta.

Usando le proprie mani come arpioni, spinse il suo corpo verso l'uscita dalla stanza, ma a pochi metri dalla porta le sue forze la tradirono e fu di nuovo incapace di muoversi.

Rimase così, dunque, distesa al suolo, la schiena scoperta a contatto con il freddo pavimento, ad aspettare che qualcosa cambiasse; sperò per un momento che qualcuno, incuriosito da quella porta sempre chiusa, cercasse di scoprire cosa vi si nascondeva dietro e la trovasse, ma di nuovo le tornarono in mente le parole di Natasha: chiunque avesse saputo di lei sarebbe entrato nel mirino dei "cattivi". E questo non poteva permetterlo.

Si mise, così, ad osservare il soffitto e, chiudendo gli occhi, immaginò di vedervi il suo vecchio lampadario, poi, abbassando lo sguardo, l'ampia finestra che volgeva a oriente, verso i campi, il suo letto, con tutti i suoi bei cuscini soffici e colorati, la libreria con i suoi testi preferiti, la scrivania piena di fogli di appunti e penne sparse in giro, la sua vecchia porta e, oltre di essa, il corridoio, le scale, il salotto, la cucina, la veranda, il giardino, la strada, la sua città...

Senza quasi che se ne rendesse conto, il suo respiro tornò normale, così come i battiti del suo cuore, le mani smisero di tremare e le ginocchia, tornate in forze, riusciro di nuovo a sostenerla; esitante, tornò in posizione eretta.

-Toc toc- sentì dire da Natasha dietro la porta.

-Avanti- rispose, sforzandosi di avere un tono di voce normale; la porta si aprì, mostrando una Natasha avvolta in abiti civili, che, sorridendole, entrò nella camera: -Sono tornata da poco da un lavoro e volevo vedere come te la cavavi. Hai più disegnato dall'ultima volta che...

Ma non riuscì a finire la frase, perché Chiara, senza dire una parola, si era buttata tra le sue braccia, stringendola a sé con forza.

Finalmente a casa, si tolse scarpe e cappotto e, riempita la ciotola di Annibale con acqua fresca, andò nel bagno ad far scaldare l'acqua.

Ripensare al suo primo attacco di panico le aveva messo addosso un gran freddo e non vedeva l'ora di scaldarsi sotto il getto caldo della doccia; dopo tanto tempo, il ricordo di quei momenti aveva ancora effetto su di lei e, soprattutto, il responso dato dal consulente scientifico di livello 8, il dottor Donald Blake, che Natasha e, conseguentemente, Fury avevano interpellato dopo quell'episodio.

-Si è trattato di un attacco di panico- aveva sentito dire dall'uomo, origliando attraverso la porta dell'ufficio del direttore Fury -Quello, più l'insonnia e i valori di colesterolo e ferro così bassi emersi dalle analisi del sangue, sono sintomatici di un disturbo depressivo in uno stadio non iniziale, ma nemmeno eccessivamente avanzato. Se preso in tempo e curato adeguatamente, può essere affrontato con successo.

-È quello che abbiamo intenzione di fare- si intromise Natasha, che, a giudicare dal rumore provocato dai suoi tacchi, era avanzata di un passo in direzione del medico.

-Ne sono certo- proseguì l'uomo -Ma è un'altra la questione che mi rende perplesso.

-Di cosa si tratta?- chiese Fury.

Chiara drizzò le orecchie, tutta l'attenzione concentrata nell'ascolto: -La ragazza ha una strana forma di leucocitosi, ma né dalla visita né dalla sua storia medica sono emersi altri sintomi che spesso accompagnano questa anomala quantità di globuli bianchi. Insomma, bisognerà fare un'indagine più approfondita, ma non ci sono segni di infezioni, la ragazza non soffre di asma, non vi è traccia di alcuna malattia autoimmune diagnosticata... dovrei fare qualche ecografia per scartare anche l'ipotesi del linfoma di Hodgikn e di leucemia, ma sembra che non abbia alcuna correlazione con patologie note.

Il getto caldo l'accolse in un abbraccio rassicurante e rinvigorente, che la liberò dalla stanchezza della giornata di lavoro e la fece sentire, quando la doccia fu terminata, come una farfalla appena uscita dal bozzolo.

Percependo il freddo pungente, Chiara si affrettò ad avvolgersi in un asciugamano e a frizionarsi i capelli, poi, notando che lo specchio si era coperto da una spessa patina di vapore, iniziò a disegnarci sopra con il dito, come quando era bambina. Disegnò nell'angolo in basso a sinistra una casa tra le colline, con tanto di staccionata per il giardino, poi si spostò più un alto e inizò a rappresentare la sala del trono di Asgard, con le ampie finestre coperte da lunghi drappeggi leggeri come brezza di primavera, e, infine, nell'angolo in basso a destra, l'Albero degli Elfi Chiari, con le larghe piattaforme e i ponti sospesi.

Dopo il primo attacco di panico, ripensare ad ambienti noti si era rivelato un piccolo aiuto per affrontare la tachicardia e la calustrofobia, sicché, a furia di riportare alla memoria tutti quei dettagli che aveva avuto modo di apprezzare nel suo "viaggio", si era decisa a riportarli su carta e, successivamente, su tela. I primi tentativi erano risultati degli ammassi informi di colori e forme indefinibili, ma con il tempo e la pratica, la sua mano era diventata più obbediente e la sua mente più accurata, finché non era riuscita ad ottenere un risultato accettabile.

Il suo primo dipinto su tela, infatti, rappresentava la veduta di Asgard che aveva ammirato la prima volta dalla balaustra lungo la quale Thor e Volstagg l'avevano condotta per l'interrogatorio con Odino. Quando Natasha l'aveva visto, aveva espresso il desiderio di poterlo avere in dono e così, lusingata da quella richiesta inaspettata, Chiara aveva acconsentito, anche come forma di ringraziamento per le particolari attenzioni che la spia russa, nei mesi di permanenza presso il Triskelion, le aveva riservato.

Oramai il suo dito aveva calcato quasi tutta la superficie dello specchio, lasciando solo poche aree bianche, troppo piccole per poterci disegnare, così prese un asciugamano e pulì il tutto, ritrovando il proprio riflesso nella superficie riflettente. Era così diversa dalla ragazza che quattro anni fa viveva la sua vita normale nella stupenda città di Siena. Ora quei grandi occhi scuri che la guardavano non erano più i suoi, i capelli lunghi e scompigliati erano stati sostituiti da un caschetto corto, appiccicato al collo dall'acqua.

Quell'espressione infantile e irriverente che quattro anni prima l'avevano subito resa simpatica al dio del Tuono era svanita, come i petali di una rosa seccano alla bollente luce del mezzogiorno d'Agosto; da quelle ceneri erano nate spine e da domestica, la rosa era divenuta un rovo.

Sospirò: si vedeva invecchiata e sfinita, ma una sola cosa non era mutata in tutto quel tempo. L'immagine che lo specchio le restituiva le appariva ancora incompleta, una metà di un disegno più grande.

Chiuse gli occhi, fece un quarto di giro sul proprio asse e, stringendosi nell'asciugamano, uscì dal bagno, in direzione della camera da letto, dove terminò di asciugarsi e vestirsi, sotto lo sguardo affettuoso di Annibale.



*



Se spostarsi in metropolitana con uno zaino sulle spalle e una macchina fotografica appesa al collo è complicato, Peter Parker quella sera scoprì quanto più difficile potesse esserlo trasportando un televisore da 32 pollici con tanto di scatola.

Per il giovane vigilante dalla forza migliorata, il problema del trasporto non risiedeva certo nel peso dell'oggetto né, tantomeno, nel mantenere l'equilibrio, bensì nel caos creato dai newyorkesi, che, ammassati sui vagoni della metropolitana, che lo spintonavano ad ogni pié sospinto, rendendogli estremamente difficoltoso il viaggio.

Quando, finalmente, il treno raggiunse la fermata di Newkirk Avenue, il ragazzo poté riprendere a respirare normalmente e, appoggiato lo scatolone sui piedi, di sgranchirsi un po'. Nonostante il sole fosse ormai calato da tempo sulla città, l'illuminazione artificiale sopperiva perfettamente alla mancanza, illuminando a giorno la via trafficata, così Peter, non volendo indugiare ulteriormente per non fare tardi alla ronda notturna, si caricò nuovamente il televisore sulle spalle e si incamminò con sicurezza in direzione dell 33 di Foster Ave.: pattugliare la città nottetempo lo aveva reso una sorta di navigatore ambulante, sviluppandogli, inoltre, un certo sesto senso circa la geografia della sua città. In pratica, aveva visto tante di quelle strade e tanti di quei quartieri, da riuscire a individuare una serie standard che si ripetevano un po' ovunque. Infatti, di lì a un quarto d'ora si ritrovò di fronte al vecchio portone di metallo del condominio, cercò il nome dell'infermiera tra quelli del citofono e suonò.

-¿Sì?- chiese una voce femminile, resa metallica dall'altoparlante.

-Buenas tardes signora, sono Peter, il nipote di May Parker- rispose il ragazzo.

-Pedro!- esclamò allegra la donna -Entra, niño!

Con uno scatto la serratura del portone si aprì e Peter, nascosto dietro lo scatolone, scivolò nell'ingresso e iniziò a salire le scale; all'interno il palazzo era piuttosto anonimo: pavimento grigio, pareti intonacate di bianco, vecchie scale scricchiolanti di legno e numeri in ottone ossidato affissi su ogni porta. Insomma, un ambiente ben diverso dalla villetta a schiera in cui abitavano lui e la zia. Quello che, però, notò subito, fu il forte rumore della strada, che rimbombava sulle pareti in una fastidiosa eco.

"Non riuscirei mai a prendere sonno qui dentro" considerò mentre raggiungeva il quinto piano e, alla sua sinistra, la porta contrassegnata dal 5B di ottone si apriva: -¡Hola Pedro!- esclamò una donna, che Peter dedusse fosse Carmen -Che piacere conoscerti! May mi ha raccontato un sacco di cose su di te!

Il ragazzo sorrise imbarazzato, ben sapendo quanto zia May tendesse ad esaltare un po' troppo le sue qualità con amici e colleghi: -Dove lo porto?- chiese, riferendosi al televisore.

-Da questa parte, prego- rispose prontamente la donna, addentrandosi nell'appartamento e guidandolo attraverso l'ordine e la pulizia delle stanze, finché non arrivarono davanti a una porta recante un grosso poster dei New York Giants.

"Scommetto che questa è la stanza del figlio" sogghignò tra sé il ragazzo, ammirando i colori bianco, blu e rosso del logo della squadra di football, mentre Carmen gli faceva strada: -Carlos compie tra poco gli anni e verrà a trovarmi- stava raccontando entusiasta -È un ragazzo molto diligente e studioso e sarà felicissimo di trovare il telvisore nuovo al suo ritorno! Abbiamo guardato spesso il football assieme quando era piccolo, ma ancora oggi non riesco a ricordarmi tutte le regole.

Nel frattempo gli aveva indicato un basso mobile bianco, accuratamente predisposto ad accogliere il nuovo elettrodomestico, così Peter l'aveva appoggiato lì accanto ed aveva iniziato a studiare la parete per assicurarsi che vi fossero tutte le prese necessarie.

-Vuole che glielo installi?- domandò.

-Sì, por favor. Se non ti è di troppo disturbo.

-Nessun disturbo, non si preoccupi- si affrettò a rispondere Peter -Ci vorrà solo qualche minuto in più.

Non appena la donna l'ebbe lasciato da solo, aprì lo scatolone e ne estrasse il contenuto, collegando fili e prese di corrente ai loro posti.

Si accertò che il televisore si accendesse e che lo schermo non avesse difetti di sorta, poi iniziò a installare i vari canali, assicurandosi che non ci fossero interferenze e che tutto funzionasse adeguatamente.

Tale attività lo assorbi completamente, facendogli perdere la cognizione del tempo, al punto tale che, quando Carmen rientrò nella stanza circa un'ora dopo, gli parve che non fosse passato nemmeno un minuto.

-Come sta andando?- chiese la donna con un largo sorriso e porgendogli un vassoio recante un grosso sandwich, un bicchiere di succo di frutta e una grossa fetta di torta al cioccolato.

-Bene- rispose Peter -È praticamente finito. Non doveva disturbarsi a prepararmi da mangiare.

-Vuoi scherzare? È il minimo che possa fare per ringraziarti, niño.

Un leggero imbarazzo depose un velo di rossore sul volto di Peter, che rispondendo al sorriso smagliante della donna con uno impacciato e stiracchiato, iniziò a mangiare lentamente, mentre Carmen guardava entusiasta la televisione.

-Soy così contenta che funzioni bene!- esclamò la padrona di casa, battendo le mani dalla gioia -Carlos sarà muy felice. Potresti venire a trovarci qualche volta! Tu segui il football?

Peter terminò di bere il succo di frutta e, riposto il bicchiere sul vassoio, rispose: -Mio zio era un grande appassionato di sport; ha cercato di trasmettermi il suo interesse, ma ha rinunciato quando mi ha scoperto a leggere di nascosto un testo di chimica durante una partita del Super Ball.

-Mi ricordo di Benjamin- disse Carmen, suscitando lo stupore del ragazzo -L'ho incontrato solo poche volte, purtroppo, ma si è sempre dimostrato gentile. Una volta si è presentato in ospedale con un grosso mazzo di fiori per May! Mi è dispiaciuto molto quando ho saputo che...- fece una pausa imbarazzata, cercando di trovare le parole adatte -Il Signore lo aveva chiamato a sé- concluse.

-Grazie- sospirò Peter -Zio Ben era il migliore.

"Anche Gwen lo era".

In un battito di ciglia accadde un fatto che al ragazzo non parve subito chiaro, ma quando egli sentì la pressione attorno al petto e alla schiena intensificarsi realizzò che quella gentile sconosciuta lo aveva cinto in un abbraccio caldo e materno, nel quale Peter si concesse di sprofondare per qualche istante.

-Lo siento- disse Carmen, sciogliendo l'abbraccio con la stessa velocità con cui vi aveva dato inizio -Mi sono lasciata trasportare.

-Non c'è problema- ribatté educatamente Peter -Ora però dovrei proprio andare. Grazie della cena.

-Claro, grazie a te per l'aiuto.

Carmen attese che Peter avesse ripreso tutta la sua roba e lo condusse alla porta, dandogli commiato con un ultimo sorriso e una carezza sulla schiena, dopo i quali si ritirò nel suo appartamento, lasciando il ragazzo da solo sul pianerottolo.

Scendendo le scale Peter ripensò a quell'abbraccio inatteso, il cui calore, nella sua mente, si stava già raffreddando al sospetto che fosse stato mosso dalla pietà. Non era corretto nei confronti di Carmen interpretare a tal modo quel gesto tanto spontaneo, Peter lo riconosceva, ma, dall'altra parte, egli aveva sviluppato un inconscio rigetto nei confronti di chi tentasse di consolarlo: dopo la morte di Gwen sembrava che chiunque lo conoscesse si arrogasse la facoltà di comprendere i suoi sentimenti, esibendosi in frasi e in contatti fisici che, a parer loro, avrebbero avuto l'effetto di farlo stare meglio.

Inizialmente aveva accolto educatamente quelle carinerie, apprezzando perfino l'impegno e l'interesse, ma con il passare del tempo non era più riuscito a tollerare quella profusione di aiuti e sostegno, dietro alla quale aveva iniziato a leggerci null'altro che pietà.

E Peter Parker non aveva bisogno di essere compatito.

Carmen era stata gentile, ma alla fine non si era dimostrata diversa da tutti gli altri, vedendo in lui qualcuno per cui provare pietà. Lo scatto della maniglia di una porta lo distrasse dai suoi pensieri e intravedendo la figura che ne uscì, scattò come una molla verso il soffitto, aggrappandocisi e rimanendo in attesa: la persona che era uscita dall'appartamento e che stava scendendo le scale era proprio Chiara.





Angolo dell'autrice: salve a tutte e benvenute alla fine di questo capitolo! Come sempre, esordisco ringraziando di cuore AlessiaOUAT96, Glendolina e Ragdoll_Cat per il loro sostegno, espresso in forma di splendide recensioni di cui sono un'avida lettrice.

In secondo luogo, ci terrei a precisare subito che io non sono un medico, né uno psicologo, né studio queste materie e che le informazioni riguardo alla condizione di salute di Chiara provengono da ricerche su internet, di conseguenza non sono medicamente affidabili. Lo so, vi sembrerà una precisazione superflua ma credo sia importante metterla per iscritto (un po' come quando negli spot televisi sui coltelli da cucinano mostrano un tizio che affetta al volo un ananas con la scritta "Non fatelo a casa" in sovrimpressione. A nessuno verrebbe in mente di farlo, ma è giusto che venga detto).

Detto ciò, eccoci qui! L'università è una brutta bestia, ma, anche se sul filo di lana, sono riuscita a pubblicare questo capitolo (urrà!). Come avrete capito già dal titolo (molto originale) prima ancora di buttarvi sul capitolo, il nostro Peter è ufficialmente diventato parte dello staff del Daily, anche se con una mansione un po' diversa. Voi che ne dite? Il ragnetto urbano avrà gradito questo incarico? Questa nave salperà? ;)

Come in ogni capitolo, un nuovo episodio dei quattro anni trascorsi da Chiara sotto l'ala dell'aquila dello S.H.I.E.L.D. è stato svelato e un nuovo carico di ottimismo arriva dallo schermo direttamente nelle vostre case, non c'è bisogno che mi ringraziate. ^-^

Dulcis in fundo, la sorte è propizia al nostro sventurato Peter e l'oggetto delle sue indagini gli si manifesta sul cammino come un miraggio. Cosa succederà? Quanti muri dovrà scalare e quanti televisori dovrà trasportare il nostro amichevole Spiderman di quartiere prima di arrivare alla soluzione del mistero?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbia stuzzicato il vostro interesse. Vi ringrazio per la lettura e, se ve la sentite, potete lasciare un piccolo commento nello spazio delle recensioni, oppure spedirlo al 33 di Foster Avenue, Brooklyn. Nella busta, mi raccomando, mettete qualche francobollo in più per la risposta ;)

Un abbraccio a tutte voi e buona Pasqua!

Lady Realgar

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