Isareily

di DaGio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Penna e Inchiostro ***
Capitolo 3: *** Partenza! ***
Capitolo 4: *** Sempre in Prima Linea ***
Capitolo 5: *** Tumulti dai confini ***
Capitolo 6: *** Un Viaggio Rischioso ***
Capitolo 7: *** In Marcia ***
Capitolo 8: *** La Verità Svelata ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


ISAREILY - PROLOGO

Molte sono le storie che narrano di leggendarie imprese, in mondi ed emisferi inesplorati, riguardanti città incantate e intere civiltà perdute. Nel continente di Beastarh, però, ce n'è una in particolare che sembra essere nota a tutti.
Questa storia comincia in un epoca buia come molte altre e, sempre come molte altre, ha un protagonista, anche se non si tratta del solito ragazzo sui venti anni che aiuta le donzelle in difficoltà o compie atti eroici traendo in salvo il suo mondo da pericoli imminenti e presunte minacce.
La storia di cui tratteremo è leggermente diversa ma comunque conosciutissima e gli abitanti delle città principali amano chiamarla "Isareily", che nella loro precedente lingua significa: "origine leggendaria", poiché nessuno sa con esattezza come questa storia abbia avuto inizio, né da dove abbia avuto luogo con esattezza. Tuttavia esistono diverse ipotesi al riguardo; solo di una però viene tenuto maggior conto.
Molti infatti credono che tutto cominciò nel periodo delle Grandi Invasioni, ovvero quando Beastarh venne sconvolta dalle lotte religiose che videro lo schierarsi sul campo di battaglia due regioni, già in conflitto da tempo: Ennearel e Sikowalth, i cui corrispondenti feudi principali, Pemry ed Oskaret, volevano fare dominare la propria religione.
Il protagonista di questa storia apparteneva alla regione di Ennearel ed era un membro importante della casata dei Tenbri, ai quali era stata concessa la possibilità di non essere annessi sotto lo stesso vessillo del feudo Pemry, benché fossero comunque obbligati a prestare loro aiuto durante la guerra contro gli Oskaret.
Come già premesso non si tratta di un giovane combattente, né di un grande stregone,
ma semplicemente di un uomo sulla trentina: alto circa un metro e settantadue, capelli neri, occhi grigi ed un folto pizzetto.
Molti gli hanno dato nomi diversi ma anche in questo caso la maggioranza afferma che egli si chiamasse Rart, Rart dei Tenbri. Il suo compito all'interno della casata in quel periodo, nonostante avesse ricevuto lezioni di combattimento sin da piccolo, era quello di registrare ed annotare tutti i nomi degli uomini della zona che dovevano partire per la guerra poiché chiamati alle armi.
Rart aveva conosciuto la pace solo nei suoi primi quindici - venti anni di vita, perché in precedenza non si erano mai aperti scontri così vasti. Suo padre, Anvol, era il fratello del capofamiglia, Sire Fendaron, il quale a sua volta era molto amico del signore dei Pemry. Le due casate, in effetti, avevano sempre avuto buoni rapporti ed anche per questo motivo ai Tenbri era stato concesso di rimanere quasi indipendenti, privilegio che solo poche casate avevano ottenuto, mentre tutte le altre erano state annesse al feudo dei Pemry.
Si racconta infatti che questi ultimi annettessero più casate possibili per rafforzarsi, pur concedendo alle famiglie di mantenere i loro titoli nobiliari: nessuno poteva mescolarsi direttamente con la nobile famiglia omonima al feudo, però l'essere annessi portava al semplice fatto che tutti i territori dovevano appartenere al "feudo dominante", quindi venivano imposte delle tasse e richiesti uomini per poter affrontare le guerre tra i rivali e contro chiunque si opponesse al volere dei Pemry.
Questi fatti avevano sconvolto l'opinione pubblica e inizialmente c'era chi proponeva ribellioni. Quando il feudo degli Oskaret attaccò il confine tra le due regioni, però, tutti si convinsero che unirsi ai Pemry sarebbe stata la cosa migliore da fare in una situazione del genere, e così accadde, senza che nessuno obiettasse più di tanto: in fondo le tasse non erano così alte, certo sarebbe stato meglio non averne proprio ma di sicuro la guerra sarebbe potuta arrivare a minacciare i campi a sud dell'intera Ennearel, da dove proveniva la maggior parte dei raccolti. Le terre che i contadini coltivavano da secoli dovevano rimanere intatte se l'economia della regione non voleva essere mandata in rovina in pochi giorni, per questo non appena la notizia della distruzione del piccolo paese di Terrival si dilagò, la gente non poté che accettare la sottomissione al feudo dei Pemry.
Come previsto però, anche il feudo avversario aveva degli alleati e così le due intere regioni si ritrovarono in contrasto fra loro. Ciò che invece nessuno poté prevedere fu l'ampiezza e lo spargimento di sangue di tale conflitto.

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Capitolo 2
*** Penna e Inchiostro ***


- Capitolo 1- Penna e inchiostro


Il paggio correva con affanno lungo la cinta muraria interna del grande palazzo in pietra, quando ad un tratto una manica della sua tunica rosso porpora si appigliò alla maniglia di una porta in legno di quercia, quindi tirò con violenza provocandone uno strappo, ma non badò all'inconveniente e proseguì per la sua strada.
Le pietre con le quali era stato costruito il castello erano molto particolari, difatti erano color blu scuro e molto leggere, anche se incredibilmente resistenti.
"Sire Rart! Sire!" gridava il paggio mentre percorreva il corridoio, illuminato dalla luce del sole proveniente dalle innumerevoli finestre.
Rart era seduto davanti alla sua scrivania, nella sua stanza, anch'essa ben illuminata dai raggi solari nonostante la luce fosse filtrata attraverso le tende. Non appena udì la voce del paggio si raddrizzò dalla sua postura curva per scrivere, poi si massaggiò la schiena dolente ed infine si alzó.
Il servitore entrò nella stanza la cui porta era già aperta, rallentò il passo fino a fermarsi, prese fiato e riferì la notizia all'uomo.
"Hanno deciso mio signore, vogliono che tu vada. È un ordine proveniente da vostro zio Sire Fendaron!" annunciò.
Rart spalancò gli occhi per un istante, dopodiché si mise la testa tra le mani e tirò un lungo sospiro.
"Ho capito...va pure", rispose l'uomo e con un gesto della mano congedò il paggio.
Dopo che quest'ultimo ebbe lasciato la stanza, Rart si voltò, mise a posto i documenti ed i vari pezzi di carta in disordine sul tavolo di legno e chiuse con un tappo il piccolo contenitore per l'inchiostro. Con quest'ultimo gesto però una goccia cadde inavvertitamente sopra uno dei fogli puliti, quindi si formò una macchia di piccole dimensioni che prese subito ad espandersi notevolmente.
"Mmh, brutto segno, segno di sventura" mormorò.
Qualche minuto più tardi Rart giunse alla Sala del Consiglio, il salone principale e più grande dell'intero palazzo. Qui erano giunti alcuni membri della nobile casata dei Pemry e Sire Fendaron in persona, il quale stava discutendo con una donna di corte e con il fratello Anvol.
"Finalmente tra noi nipote!!" esclamò Fendaron non appena vide Rart voltandosi, così tutti i presenti rivolsero l'attenzione sull'uomo appena arrivato.
"Zio, padre, desideravate vedermi?" fece quest'ultimo.
"Immagino tu sappia già cosa vorremmo tu faccia, non è così?" chiese Anvol con gli occhi rivolti verso il basso.
"Già...e lo vengo a sapere ufficialmente qui, in questo salotto dove si parla e si scherza, ma su cosa ci sia da scherzare veramente nessuno lo sà. Un'altra persona, un'altro membro della famiglia se ne va ma è come se non fosse successo nulla, io che avevo già un compito ben preciso, ora dovrò abbandonare tutto e tutti! Ma tanto va bene così, nessuno dice niente!" replicò con rabbia Rart.
Tutti i presenti si misero a guardarlo perplessi, nessuno parlava più ma I Pemry sembravano sconcertati ed offesi da quelle parole.
"Ehi, ehi stai esagerando nipote! Che motivo c'è di preoccuparsi così tanto? Dobbiamo fare tutti la nostra parte in questa guerra. E poi tu sei stato addestrato anche per casi come questo giusto?" rispose Sire Fendaron avvicinandosi sorridendo per cercare di calmare l'uomo.
"Certo che una risposta del genere non si addice proprio ad un nobile" intervenne una donna che doveva far parte del feudo dei Pemry.
"Invece voi dovreste vergognarvi, tutti! Chi ha il diritto di mandare i propri famigliari a combattere? Chi mai userebbe un proprio nipote come soldato pronto a morire?!" disse Rart.
"Taci! Dovresti ubbidire senza discutere invece. È un onore poter difendere la propria casata, e poi tutte le famiglie devono fare la loro parte!" sbottò il padre all'improvviso.
"Non ho fatto che scrivere, per tutto questo tempo ed ora volete mandarmi al macello, come potete? Io non sono nato per..." rispose Rart, ma non riuscì a finire la frase che lo zio lo interruppe.
"Ma nipote mio, non devi mica andare al "macello": dovrai semplicemente ordinare alle truppe di muoversi e mettere in pratica ciò che hai appreso in tutti questi anni. Nessuno ha detto che morirai o che perderai la battaglia, noi abbiamo fiducia in te e negli altri membri della famiglia. Scrivere è un lavoro che possono fare i servi, combattere insieme alla gente di rango più basso è un nostro dovere".
"No...è un mio dovere ora, non il vostro di certo", disse malinconico Rart, dopodiché si voltò ed abbandonò la sala.
"Non l'ha presa affatto bene eh? C'era da aspettarselo da uno che non ha fatto altro che scrivere; combattere gli servirà, inoltre è importante che tutti collaborino insieme, anche noi" disse Fendaron rivolto al fratello, il quale a sua volta si scusò con i presenti.
"Lo dovete scusare ma è un periodo difficile per lui, è molto preso dal lavoro ed ora si vede tutto perso".
Rart si avviava con passo veloce verso camera sua, salì le scale e chiese ad una guardia dove si trovasse il maestro di spada, poi proseguì fino al terzo piano, svoltò a sinistra dove un piccolo passaggio ad arco portava alla parte esterna più larga del castello, difesa da diversi arcieri e merlata ai bordi. Sembrava di trovarsi su un immenso balcone, al cui centro era posto un piccolo giardino, all'interno del quale si trovava il maestro di spada del signore feudale.
"Buongiorno Sire Rart" salutò l'uomo vedendo arrivare il nipote di Fendaron.
Egli aveva circa sessant'anni, portava una corta barba incolta ed aveva capelli grigio-neri; era poco più alto di Rart e vestiva con una cotta in cuoio senza maniche e sotto portava una maglia di stoffa verde scuro; indossava un paio di pantaloni neri e due stivali dello stesso colore in cuoio anch'essi.
Rart lo salutò a sua volta con un gesto della mano e si avvicinò al vecchio mentore abbracciandolo.
"Mi serve il tuo aiuto Palrid" disse disperato.
"Cosa succede?" domandò il maestro.
"Mi vogliono mandare in guerra, per affiancare i membri delle altre casate!".
"Capisco...tu non ami combattere, ma ti ricordo che anni or sono arrivasti alle finali nel secondo torneo più importante della regione, fidati se ti dico che è stata dura per me vederti sprecato nella scrittura" contestò Palrid.
"Ma io non voglio avere parte ai combattimenti, comunque sono venuto qui a chiederti l'equipaggiamento che dovrei procurarmi poiché ogni mio lamento sarebbe vano. Dove posso trovare ciò che mi serve?" chiese Rart.
"Sire, ti ricordo che sei un membro della famiglia nobile ed hai già a disposizione tutto ciò che ti serve. Seguimi, ho il tuo equipaggiamento da me", rispose il vecchio mentore sorridendo.
I due scesero dalla scalinata sulle mura interne del palazzo e giunsero fuori dal castello, si recarono in un edificio in legno e pietra situato proprio su un lato delle mura affianco alla saracinesca che separava la parte interna della prima cinta muraria dal paese che si trovava entro le seconde mura, le quali racchiudevano la città principale dei Tenbri.
"Ecco tieni, questa è la tua spada che mi regalasti al termine del torneo, dicendomi che non ti sarebbe più servita. A quanto pare avevi torto" disse Palrid porgendo all'ex allievo la sua stessa spada. L'arma aveva la lama di una lega di acciaio, argento ed una pietra particolare che si trovava solo in quella zona e che dava alla spada la peculiarità di essere leggera e resistente al tempo stesso, inoltre donava alla lama sfumature blu e azzurrine che comparivano come onde sui lati e al centro sullo sfondo bianco argentato talmente pulito che rifletteva i raggi del sole.
"E non è finita qui!" esclamò il maestro, intento ad aprire uno scatolone di legno, dal quale tirò fuori una veste nera con qualche rifinitura ai bordi, dove si potevano notare fili argentati e dorati che avevano perso poco del loro splendore col tempo.
Rart si cambiò e dopo un paio di minuti si guardò allo specchio.
La veste era divisa in due parti: una maglia nera in stoffa con diverse placche in acciaio sul petto e sopra di questa vi era una tunica senza maniche dello medesimo colore, in stoffa ed arrivava più in giù della vita, quindi era chiusa da pochi bottoni e in basso da una cintura marrone in cuoio lucido cui era legato il fodero della spada.
Anche i pantaloni erano neri, mentre gli stivali erano marroni.
"Mi sta proprio a pennello, gli stivali invece sono un po' stretti" commentò l'uomo guardandosi allo specchio.
"In fine ti sarà utile anche qualcosa che possa proteggerti dalle frecce, questo ha il simbolo della vostra casata: due mezze lune ai lati con al centro una T su sfondo blu scuro" disse Palrid sollevando uno scudo non troppo grande con cinque lati e cinque angoli che finiva a punta.
"Questo lo metterò dietro la schiena, sai che preferisco combattere impugnando la spada con entrambe le mani. Ti ringrazio, anche se non vorrei mai utilizzare ciò che mi hai dato, vorrei non essere costretto ed estrarre la spada" rispose Rart.
"Anche se così fosse dubito che saresti tu a perdere, non capisco di cosa ti preoccupi..." replicò il maestro di spada, "Oltretutto sai anche utilizzare molte altre armi: ricordo che nel combattimento con il bastone eri uno dei migliori, anche per quello con le catene e con l'arco sapevi destreggiarti".
"Non sono più un ragazzo in cerca di fama e potere, quelli li ho sempre avuti, è solo che non me ne ero mai accorto. Ora so che chi ha voluto guadagnarseli in quel modo ha fatto una brutta fine" disse Rart.
"Ti riferisci forse alla scomparsa di uno dei tuoi cugini, il secondogenito di tuo zio Fendaron? Secondo me non è morto ma lo tengono semplicemente come ostaggio, pronto da tirare fuori al momento più opportuno, in fondo è da solo una settimana che non se ne ha notizie. Potrebbe essere fuggito".
"Io veramente mi riferivo alla morte di uno dei nostri migliori comandanti, il capitano Jirk...eravamo amici e all'inizio della guerra partì alla testa di mille uomini. Venne trafitto da una lancia il secondo giorno di scontri. Non riesco a capire come la gente possa esaltarsi per questo! Mio padre in realtà teme per me, non vorrebbe spedirmi in battaglia, ma lui non ha l'autorità per contraddire suo fratello e così finge di essere orgoglioso di suo figlio solo perché lotterà insieme ai Pemry" spiegò Rart.
Palrid tacque ed abbassò lo sguardo. Sapeva che colui che aveva davanti non era più il ragazzo di una volta, dall'inizio della guerra, quando il migliore amico Jirk era stato ucciso. Rart però era diverso: tutti si erano resi conto che quell'uomo aveva un talento innato per i combattimenti, talento che lui stesso non voleva sfruttare mai più.
I due rimasero ancora a parlare e discutere dei vecchi tempi per diversi minuti, poi Rart lasciò quello che un tempo fu il suo maestro e aveva sempre ritenuto un amico per ritornare al palazzo.
Erano le sette di sera e quando l'uomo varcò il portone d'ingresso principale del castello , suo padre Anvol gli corse in contro.
"Figlio mio! Mi dispiace ma non ho potuto fare niente, voglio però che tu sappia quanto mi dispiace. Ho fatto preparare per te gli uomini migliori e domani dovrai prepararti per la cerimonia"disse abbracciando il figlio.
"Non importa, lo so che non è colpa tua. Ma a quale cerimonia ti riferisci?" domandò Rart.
"Tu non hai che il tuo nome e l'anello di famiglia ma non hai mai voluto titoli nobiliari. Tutto ciò che mi chiedesti, quando eri un ragazzino, era di investirti cavaliere ma voglio che tu abbia almeno il rispetto degli altri soldati poiché ti troverai anche al fianco di altri eserciti. Domani mattina riceverai il grado di capitano di Ennearel: uno dei cinque che la nostra regione abbia" rispose Anvol.
Il figlio lo ringraziò perché almeno avrebbe potuto avere una posizione di rilievo, alla pari con quella dei membri più importanti degli altri feudi, quindi avrebbe anche potuto evitare lo scontro diretto col nemico.
Il mattino seguente Rart si svegliò alle cinque e mezz'ora più tardi si trovava in chiesa per cominciare la cerimonia.
Egli era vestito con gli abiti che gli aveva consegnato il maestro il giorno prima e Palrid stesso era presente poiché Fendaron aveva avvisato tutto il feudo dell'evento, al quale erano presenti anche i consiglieri, il comandante della guardia scelta, alcuni Pemry presenti in città già dal giorno prima per discutere di affari importanti e ovviamente c'erano tutti i membri della casata Tenbri, fra cui la sorella di Rart, Irda, il cugino primogenito il Conte Kitran con suo padre e un centinaio di cittadini e soldati; a consegnare il medaglione di capitano della regione al cavaliere era Anvol stesso.
La chiesa era grande abbastanza da riuscire a contenere tutta quella gente ed era notevolmente ornata e decorata. Il soffitto era diviso in grandi sezioni, ognuna delle quali era abbellita da un diverso affresco. Ai lati delle pareti erano presenti quattro statue, due a sinistra e due a destra, rappresentanti ognuna una divinità diversa. La religione che dominava l'intera Ennearel infatti era politeista e le quattro divinità erano due appartenenti alla luce e le altre appartenenti alla notte. Le rispettive prime due erano Realthas e Invara, mentre le ultime due si chiamavano Astorx e Mindael. Si dice che il mondo fosse sempre esistito e che solo con la comparsa degli uomini giunsero anche gli dei, i quali aiutarono gli abitanti di quel mondo a progredire ed insegnarono loro a costruire utensili e città ed altro ancora. A partire da questo progresso gli uomini cominciarono però a voler dominare l'uno sull'altro ma le divinità spiegarono loro che l'ostilità non avrebbe portato da nessuna parte. Non tutti gli abitanti del mondo seguirono il consiglio delle divinità e alcuni decisero di ribellarsi ed attaccare i templi e gli altri uomini. Nel frattempo si erano sviluppate due grandi città: una era stata costruita dagli dei della luce, mentre l'altra era nata per merito di quelli della notte, così nacquero due ordini: l'ordine della luce e l'ordine della notte. Le città vennero attaccate subito dagli uomini che volevano dominare su tutti gli altri, così decisero di formare un'alleanza.
Le due città, insieme, riuscirono a contrastare gli invasori e riportarono la pace in tutto il mondo, così che gli dei poterono lasciarli vivere in armonia ma senza più intervenire nello sviluppo poiché temevano che il progresso avrebbe potuto portarli nuovamente ad avere e volere di più. Le due città presero così il nome dei rispettivi ordini: Pemry e Tenbri, che erano anche le due famiglie che avevano unito le loro forze e portato le loro città alla vittoria, assumendone il comando.
Rart era si era sempre mostrato indifferente a questi racconti, forse perché non facevano che narrare storie di guerre e combattimenti guidati da eroi.
In quel momento il cavaliere venne colpito in viso dai primi raggi solari che giungevano dalla grande finestra di fronte e lui e si inginocchiò, aspettando che il padre gli legasse al collo il medaglione. Tutti tacquero ed Anvol si avvicinò per compiere quell'atto molto significativo, quel gesto che per un padre, in quella situazione, voleva dire " questo ti proteggerà, non sarai tenuto a combattere e i soldati saranno pronti a morire per te".
"Giuro di onorare la nostra e le altre casate, così come la regione di Ennearel, fino a quando la guerra sarà conclusa o il mio corpo venga sopraffatto dal nemico. Giuro di adempiere al mio compito perché gli dei possano tornare a guardarci con orgoglio.
Giuro di abbattere ogni ostacolo che troverò davanti ai miei occhi, con ogni mezzo, porterò libertà ovunque i pagani hanno portato sofferenza" recitò Rart, quindi si alzò e baciò l'anello del padre, così la cerimonia finì e quando si voltò tutti i presenti si inchinarono, anche i Pemry e Fendaron.
Il nuovo capitano uscì per primo dalla chiesa, affiancato dal padre e seguito da una cinquantina di guardie scelte. Il popolo applaudiva ed esultava il nuovo capitano che sarebbe partito per compiere gesta eroiche rappresentando la loro città, cosa a cui Rart non pensava minimamente, anche se sentirsi acclamato lo portava a pensare agli anni in cui voleva avere fama, nel periodo antecedente alla guerra, quando si batteva contro mostri immaginari e ogni anno si iscriveva ai più importanti tornei, sempre in rivalità con i Pemry e con le altre, allora più numerose, casate della regione.
Intanto Fendaron stava a guardare la scena da dietro, insieme ad Anvol ed ai Pemry; scrutavano la speranza in quell'unico evento.
"Al popolo serve qualcuno che rappresenti la vittoria, un simbolo! Con questo gesto non avremo più lamentele da parte dei cittadini, né dai sacerdoti" disse a bassa voce il signore dei Tenbri.
"Si ma quanto durerà? Se mio figlio non dovesse farcela, allora la guerra proseguirebbe ancora per anni ed il malcontento arriverebbe ancora più forte di prima, ci potranno essere delle rivolte" aggiunse Anvol.
"E allora sarà meglio che non fallisca, inoltre ci basta che per adesso la situazione si calmi" replicò una donna della famiglia Pemry.
Fendaron annuì lentamente , dopodiché raggiunse la fila di guardie, acclamato anch'esso dalla folla che sembrava in preda al delirio.

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Capitolo 3
*** Partenza! ***


Capitolo 2- Partenza!


Nelle regioni di Ennearel e Sikowalth era appena finita la stagione autunnale e cominciava quella invernale. In tutto il territorio appartenente ai Tenbri, composto da pianure e, lungo i confini, da monti, il paesaggio cominciava a mutare: sulle vette più alte si depositava sempre più neve, mentre gli alberi erano già spogli delle loro foglie, ormai secche a terra o portate via dal vento. La temperatura scendeva notevolmente la notte e alcuni torrenti si erano addirittura ghiacciati, specialmente quelli situati ad ovest e a nord. La maggior parte della vegetazione, i boschi e la fauna, erano tutti situati a sud o comunque dal castello dei Tenbri in giù.
Il territorio che la nobile famiglia possedeva si estendeva per diversi chilometri e confinava: a sud con la regione ostile, ad ovest con la casata dei Pemry, ad est con quella dei Lubers e a nord con i Villi. A nord-ovest inoltre confinava con gli Aspur, anche se solo per un breve tratto, uno stretto passaggio attraverso le montagne.
La città fortificata dei Tenbri, Foraz-Dor, aveva aperto il portone principale in modo da permettere al contingente di circa mille uomini di uscire, per ricongiungersi con le truppe al confine ed unirsi ad un unico vessillo: quello di Ennearel, la regione per la quale combattevano.
"Figlio mio! Sono orgoglioso di te, lo sono sempre stato. Compi il tuo dovere e stai in guardia, sempre" disse Anvol rivolto al figlio. Anche la sorella lo salutava, tacita ma con le lacrime agli occhi.
Questa si chiamava Irda Giada Tenbri ed era sempre stata piuttosto legata al fratello maggiore, il quale se n'era preso cura nei momenti difficili, come durante la morte della madre. Ella era ritenuta una delle donne più belle del feudo ma, in realtà non era così affascinante come tutti credevano, infatti si trattava di giudizi messi in circolazione dai cittadini poiché Irda si faceva vedere raramente, tendendo ad uscire solo alla sera, quando comunque era solitamente coperta da un velo. Un fatto che poteva spiegare perché la ragazza non si fosse ancora sposata, nonostante avesse ventisei anni.
Quella mattina la sorella di Rart non indossava il suo solito velo, ma erano solo sei del mattino ed il suo viso era ancora coperto dall'oscurità.
"Sono sicuro che porterai gloria alla nostra regione. Che gli dei possano guidarti!" esclamò Fendaron.
Il capitano non disse nulla e si unì alla lunga fila di soldati che confluivano dalla via principale, a capo dei quali vi erano due uomini.
Si trattava di Rion Tenbri, terzo figlio di Fendaron, seguito da Eonas Felictis, il cugino di terzo grado di Rart da parte della madre e gli avrebbe fatto da scudiero.
I due parenti si fermarono per consentire al capitano di passare alla testa dell'armata e lo salutarono portando il pugno della mano destra sul torace, quindi ripresero ad avanzare con Rart che li precedeva. Quei mille uomini circa erano stati chiamati ed addestrati dall'anno precedente, ma sarebbe stato l'ultimo esercito di rinforzo composto da così tanti soldati. Infatti la popolazione, col proseguire della guerra, continuava a diminuire e coloro che si sposavano non volevano generare figli per non vederli prendere parte al conflitto un giorno; tutti aspettavano la fine delle ostilità per poter avere una prole.
"E così oggi si parte per la guerra eh? Almeno cerchiamo di vincerla o aspettiamo un qualche congedo entro questo anno..." pensò Rart con ironia. Ovviamente la guerra sarebbe proseguita ancora per anni e probabilmente lui sarebbe fuggito o morto entro l'anno.
La lunga fila di cavalieri passò anche l'ultima saracinesca della città-fortezza mentre le urla dei cittadini si facevano sempre più deboli e più lontane. Il capitano conduceva la propria armata al Vallo dei Prodi, luogo dove accamparsi prima di raggiungere il confine del feudo, situato ai piedi delle montagne ed era a tre giorni di cavallo.
La fila di soldati era lunga e lenta nonostante fosse stato dato l'ordine di aumentare il passo, ma non era semplice per i fanti e per i carri che trainavano macchine d'assedio, viveri e tende.
Ora la truppa di cavalieri avanzava per le praterie, marciando e cavalcando sull'erba corta e umida ancora coperta dalla brina, mentre alcuni raggi del sole cominciavano ad illuminare i vessilli dei Tenbri. Dopo mezz'ora di viaggio iniziò a soffiare forte un vento gelido proveniente da ovest e il cielo cominciò a coprirsi di nuvole grigie.
Iniziò anche a cadere qualche goccia d'acqua ma si mise solo a piovigginare, smettendo improvvisamente dopo dieci minuti.
Rart avrebbe preferito stare all'interno di uno dei carri per poter scrivere comodamente il suo diario che aggiornava di continuo e per poter continuare a riempire gli annali della casata con gli eventi e le imprese della famiglia. Sfortunatamente gli fu sconsigliato di salire sui carri e le carrozze, poiché solitamente più esposti ad attacchi e privilegiati come bersagli durante possibili imboscate che potevano provenire benissimo anche dai banditi dei boschi e nelle montagne.
Verso mezzo dì la truppa fece una breve pausa per far riposare i cavalli e rifocillarsi con un po' di pane e qualche galletta dolce, pasto che permetteva di arrivare a sera senza lamentarsi e rinvigoriva i cavalieri abbastanza.
Rion Tenbri si avvicinò al capitano mentre tutti si preparavano a ripartire, lo salutò con un lieve cenno e si rivolse al cugino in tono arrogante.
"Allora, cosa ne pensi? Secondo te è il caso di fermarsi al Vallo?".
"Direi proprio di si Rion. Perché?" rispose Rart.
"Se procediamo con questo passo e ci fermiamo per ogni maledetto spuntino, finiremo col tardare"
"Non mi sembra che qualcuno abbia stabilito il nostro arrivo per un determinato giorno, e comunque stai tranquillo che la guerra non finirà prima del nostro arrivo"
"E nel frattempo i nostri uomini crepano al confine... Sei tu il capitano, dovresti prendere la decisione più saggia".
Il capitano si alzò da terra e fece un piccolo passo verso il parente.
"Mi pare di avere afferrato che tu dubiti delle mie decisioni. Inoltre mi sembra di avere avvertito un poco di gelosia nelle tue parole. Non voglio far stancare troppo i miei uomini, né farli arrivare deboli e assonnati sul campo di battaglia, quindi direi che le truppe al confine possono anche aspettare. Nessuno ha stabilito un tempo limite per raggiungere il fronte. Questo non è uno spuntino, come dici tu ma una breve pausa per rifocillarsi. Se ci tieni puoi sempre andare avanti e precederci, magari ti mangerai il cavallo mentre ci aspetti al confine." replicò Rart.
Rion rimase in silenzio: non sapeva come rispondere, conosceva il cugino che sapeva avere una grande abilità oratoria, fatto che lo aveva contraddistinto per anni ed era servita anche prima e durante i tornei, quando umiliava i suoi avversari che non riuscivano a contrastarlo con la stessa forza e la tenacia che avevano in precedenza.
Eonas si avvicinò ai due parenti, intento ad avvicinare a Rart il suo cavallo essendo lui lo scudiero del capitano.
"Grazie, va pure" disse l'uomo afferrando le briglie del destriero.
"Ahahah! Mi ero quasi scordato che tu sei l'unico miserabile della casata a ringraziare la plebe" rise Rion.
"Non è la "plebe" ma mio cugino di terzo grado, quindi un nostro parente, ora preparati. Non vorrai arrivare in ritardo?" rispose Rart montando a cavallo.
Dopo aver fissato per diversi secondi Eonas, il capitano si voltò e raggiunse la testa dell'armata a galoppo.
La lunga fila di cavalieri continuò la marcia, rinvigoriti dalla pausa si muovevano più velocemente e giunsero al Lago dei Gyrri che erano le sette e mezza, mentre il cielo si era già oscurato per lasciar posto alla notte. Il Lago non era così grande a dire il vero ma considerato importante per la quantità di pesci che conteneva, infatti i gyrri erano pesci dal sapore prelibato, grandi una quarantina di centimetri erano la fonte di cibo più utilizzata in quelle lande, abitate solo per pochi chilometri da paesani che risiedevano in piccole e umili case di legno.
"Sbaglio o tu sei nato da queste parti, Eonas?" chiese Rart all'improvviso, dopo essersi guardato intorno un paio di volte.
Il ragazzo si avvicinò al capitano, poi rispose a bassa voce.
"Si è così... io abitavo in un paesino dall'altra parte del lago, vicino ad un bosco".
"Non c'è bisogno che tu nasconda le tue origini agli altri, parla pure a voce alta".
Eonas annuì e prese a raccontare della sua infanzia felice, trascorsa per pochi anni insieme alla madre poiché il padre era morto in un agguato dei banditi mentre portava delle spezie a Foraz-Dor. Gli ultimi giorni trascorsi in quei posti li ricordava abbastanza bene, quando andava in cerca di funghi addentrandosi nel bosco lì vicino e giocando con gli altri bambini con i quali aveva stretto amicizia. Un'infanzia che era durata un soffio e si era trasformata in una lunga e noiosa vita di corte, luogo dove veniva umiliato e preso per sempliciotto, compreso il giorno della sua nomina a scudiero, poco prima della partenza per il fronte.
Il ragazzo si era dovuto trasferire a Foraz-Dor proprio quando la zia si era sposata col padre di Rart, per questione di comodità e per il semplice fatto che i parenti della moglie di un nobile dovevano avere un certo "aspetto", dovevano apparire aristocratici, anche se si trattava di semplici paesani, di sudditi che avevano dovuto accettare quell'invito a corte a causa della loro stessa povertà.
"Perché non torni qui un giorno? Tu che puoi dovresti scegliere una vita semplice e tranquilla" gli disse Rart.
"È questo il problema..." mormorò il cugino, "non ho scelta, a causa di mia madre che vuole farmi frequentare le persone più nobili e brillanti della regione. Così dice lei. Mi ha costretto ad andare in una accademia per quattro anni circa, dove ho imparato a leggere e scrivere. A me però non piace molto quell'ambiente...".
Il capitano annuì mentre dava l'alt alla fila di cavalieri, i quali cominciarono ad organizzarsi per i bivacchi che avrebbero assestato lungo due grandi campi ai lati del sentiero dove si trovavano.
"E tua madre invece? Lei cosa ne pensa della vita di corte?" domandò Rart dopo essere sceso da cavallo.
"Non lo so..." rispose lo scudiero scuotendo lentamente la testa, poi riprese: "sembrerebbe che si trovi abbastanza bene ma in realtà ha sempre un atteggiamento molto, come dire... indifferente. In fondo in fondo anche lei se ne vuole andare da lì, secondo me. Non so che cosa diamine la trattenga!"
"Seafor! Vieni qui" esclamò il capitano. Dopo qualche secondo giunse di fronte a loro un cavaliere vestito con una tunica bianca a ricami dorati.
"Signore" fece l'uomo scattando sull'attenti.
"Prepara immediatamente una linea difensiva intorno all'accampamento e i turni di guardia".
Il cavaliere salutò portando il pugno sul petto, quindi si affrettò a raggiungere una tenda per impartire gli ordini ad altri soldati che attendevano sul posto. Tra loro vi era anche Rion, il quale doveva pianificare una strategia difensiva in caso di attacco.
Eonas aveva il compito di badare agli armamenti e al cavallo del capitano, mentre quest'ultimo si recò in una grande tenda appena montata, pronto a ricevere gli ufficiali per i chiarimenti sulla strada e sui tempi, oltre che ascoltare le lamentele dei nobili per la posizione scomoda, così vicina ai semplici fanti, per il freddo e altro ancora. Insomma, ancora una volta aveva deviato la soddisfazione della scrittura per dedicarsi ad altri affari decisamente più noiosi.
Qualche ora più tardi i preparativi per l'intero accampamento erano stati completati e
l'esercito si era rimesso in sesto grazie ad una modesta cena. Una volta consumato un più abbondante pasto, Rart Tenbri si distese sopra il piccolo ma sfarzoso telo imbottito riservato solo ai più ricchi uomini ed ai membri delle famiglie nobili. Il capitano si addormentò mentre pensava al periodo in cui aveva conosciuto il cugino, quando entrambi erano ancora dei ragazzi. Rion era molto impulsivo e scarno anche allora, benché fosse uno dei più abili lanceri dell'intera regione. Rart lo aveva battuto diverse volte durante i vari tornei, lo aveva umiliato di fronte a tutta la corte e all'intera folla che acclamava il giovane vincitore. Come era tradizione i più abili spadaccini dovevano fare da maestri ai perdenti e fu così che il ragazzo si impegnò ad addestrare il parente che incassava un'umiliazione dopo l'altra, dando inizio a un odio reciproco alimentato da quelle lezioni che si tenevano a palazzo, nei giardini e nei boschi della famiglia. Anche per questo tutti i nobili della regione, perfino i Pemry, rimasero scioccati quando notarono il cambiamento di carattere di Rart, il più abile spadaccino su cui tutti contavano per il proseguimento della guerra.
Rion Tenbri era stato sconfitto e umiliato, aveva sofferto e perso fiducia in se stesso, ma una cosa l'aveva ottenuta e ne era certo: l'addestramento col cugino aveva infatti dato i suoi frutti e anche lui aveva cominciato a vincere. Dopo il ritiro del campione della famiglia, Rion era comparso giusto in tempo per salvare l'onore della casata, giungendo al terzo posto nel torneo di Beastarh.
Ma proprio dopo aver concluso quel ricordo, il capitano cadde in un sonno profondo, afflitto dalla stanchezza e prese a fare un sogno più assurdo dell'altro. Si trovava a casa sua, nella fortezza dei Tenbri, ma non in un posto qualsiasi perché di fronte a lui si ergeva il portone della piccola ma sfarzosa chiesa di famiglia, la più importante della città. Degli appena udibili sussurrii lo condussero e invitarono ad aprire la porta in legno e metallo. Una moltitudine di voci si mescolavano in un vortice di caos mentre Rart si guardava attorno cercando di capire cosa stesse accadendo.
"Perché sono qui?" mormorò il capitano. Una flebile luce penetrava dalle due finestre, nei dintorni non c'era nessuno a parte le inquietanti statue scure raffiguranti due divinità e che sembravano essere state dimenticate col tempo.
"Perché non preghi anche tu, cavaliere?" disse una voce che sembrava provenire da una statua.
"Chi è?! Che cosa vuoi?" esclamò Rart guardandosi attorno. Ma in vista non c'era proprio nessuno, anche se all'uomo sembrava di vedere decine e decine di ombre spostarsi nelle pareti, come demoni danzanti sul soffitto, fra le colonne e sul pavimento. Un forte vento soffiò all'improvviso, permettendo ad alcune foglie secche di entrare dalle finestre, mentre il capitano sguainò la spada lucente e si mise in guardia da qualsiasi cosa o persona si avvicinasse.
"Fatti vedere!" sbottò Rart.
Ad un tratto il vento cessò di soffiare e la luce scemò fino ad oscurare del tutto la chiesa, tutto venne avvolto dal buio. Anche i sussurrii si spensero come la poca luce presente e l'unica figura a rimanere illuminata fu il capitano.
"Così tanti me lo hanno chiesto, ma per te potremmo anche fare un eccezione e decidere di mostrarci a te. Anche se tu non hai mai dato molta importanza alla nostra presenza, cosa che altri hanno fatto dalla loro comparsa in questo mondo, fino alla morte" rispose la stessa voce di prima. Un attimo dopo una luce fioca illuminò anche le due statue ai lati di Rart.
L'uomo prese a indietreggiare mantenendo la guardia ma le forze cedettero come di colpo alla vista di una strana aura celeste che apparve più chiara non appena si udì un rumore metallico che squarciò il silenzio. Si trattava della spada di Rart, il capitano doveva averla fatta cadere involontariamente poiché entrambe le mani ora erano aperte e lui stesso si senti come avvolto da un enorme peso.
Uno spirito color verde acqua era comparso proprio di fronte a lui, aveva due sottili ma densi occhi rossi che lo fissavano attentamente. Qualche secondo più tardi si materializzò anche un'altro spirito ma di forma di versa e con gli occhi blu.
"Non è possibile..." disse il capitano con voce sfuggente.
"Inginocchiati quando ti trovi al cospetto delle tue divinità!" esclamò l'essere dagli occhi cremisi.
L'uomo si sentì cedere anche le gambe e con un tonfo si inginocchiò a terra, impotente contro quegli spiriti.
Quello che gli stava parlando era Astorx, la sua forma era simile a quella di un uomo in armatura, anche se non era facile capire con esattezza quali fossero i suoi tratti che lo delineavano, i suoi lineamenti. A fianco a lui era situato un drago delle stesse dimensioni, quindi alto tre metri circa, con quattro paia di zampe e due ali, mentre la testa era coronata da robuste corna. Si trattava di Mindael.
"Che cosa volete da me?" domandò Rart.
"Tu esigi delle domande? Sappi che non ti è consentito!" rispose Astorx.
"Vorremmo aiutarti" aggiunse Mindalel con voce profonda.
"Perché mai dovreste aiutarmi?! Non lo avete mai fatto, se davvero esistete, e non avete mai aiutato nessun altro, nemmeno chi ha sempre creduto e pregato per voi!" replicò l'uomo con più decisione. Ora sentiva la rabbia farsi più viva, sapeva che la collera dentro di sé lo avrebbe riscosso da quello stato di parziale impotenza, stato causato dalla paura probabilmente.
"Non osare parlarci così! Le vostre stupide guerre non sono affari che ci riguardano, non quando siete voi nel torto!" disse Astorx furente. Il capitano rimase momentaneamente perplesso.
"Che vuoi dire? Pensi forse che ci sia una guerra giusta? O forse lo è quando fa comodo a voi, magari riuscirete a mantenere la paura tra il popolo" rispose Rart.
"Non è affatto così e ora taci, cavaliere!" esclamò Mindael.
"Stupidi inetti! Possibile che nessuno se ne sia accorto? Non è forse evidente?" continuò Astorx avvicinandosi di poco.
"Cosa dovrebbe essere evidente?" chiese l'uomo non capendo ciò a cui la divinità si riferiva.
"Sono i Pemry a causare le guerre, vogliono il potere assoluto! I loro dei non li controllano più da secoli ormai. Sono loro a tenere le redini, a mantenere il controllo assoluto. Vogliono dominare anche sulla casata protetta da noi, quella dei Tenbri!" rispose malinconico Mindael. Il capitano spalancò le palpebre e le pupille si illuminarono: questo poteva significare molte cose.
"Come fate a dirlo con certezza?" domandò.
"Stolto! Con chi credi di avere a che fare? Noi siamo dei e sappiamo tutto"disse Astorx
"Loro possono contare su molte più truppe per vincere la guerra, questo perché hanno sottomesso molte casate e manca poco prima che pretendano anche la vostra..." continuò la divinità.
"E perché lo dite proprio a me? Non sapete che sono in marcia per raggiungere il confine? Mio zio Fendaron non permetterà certo un simile affronto, ammesso che voi abbiate ragione!" rispose il capitano.
"Ma allora sei proprio uno sciocco! Non hai capito niente, possibile che sia così difficile immaginare Foraz-Dor in fiamme a causa dei Pemry? Loro sono in grado di vincere contro i Tenbri e approfitteranno della vostra assenza per sferrare l'attacco! Tu sei ancora in tempo per tornare indietro e fermarli. Tuo zio non ti avviserebbe pur di lasciarti lontano da uno scontro impari di quella portata. I Pemry posseggono ancora migliaia di uomini e stanno cominciando il loro piano. Il primo passo era quello di allontanare il migliore spadaccino dalla città. Spero tu capisca ora" spiegò Mindael.
"Ma io non posso di certo affidarmi ad un sogno! E poi raggiungeremo i Pemry al confine" disse Rart, ancora confuso.
"Hai le qualità per poter compiere questo compito, adesso destati!" concluse Astorx.
L'uomo sembrava essere ancora più confuso di prima, ora si erano accese delle candele all'interno della chiesa ed il vento aveva ripreso a soffiare come non mai.
"Devi fare affidamento sui tuoi uomini, sui tuoi parenti e sugli amici. Raggiungi Foraz-Dor e guardati dagli altri soldati alleati dei Pemry, non puoi permetterti errori" fu l'ultimo suggerimento di Mindael, poco prima di scomparire insieme all'altro dio, lasciando al loro posto una fitta nebbia che invase ogni antro dell'edificio. Ora regnava la quiete e dalla finestra si poteva vedere un cielo oscuro, era notte.
Rart impugnò nuovamente la spada ma non la rinfoderò per sicurezza. Si alzò e cominciò a dirigersi verso l'unica via d'uscita. Cosa doveva fare? Sembrava tutto così reale ma non riusciva a svegliarsi. Perché? Forse non aveva visto tutto quello che avrebbe dovuto vedere.
Quando la mano dell'uomo afferrò una maniglia del portone, le voci sussurranti ripresero ad infestare la costruzione. Rart si voltò per un ultima volta, le due statue erano al loro posto, immobili. Come il capitano spalancò la porta, si trovò di fronte ad un grande leone semitrasparente. L'uomo riconobbe quella imponente figura, si trattava del grande Realthas, il dio della luce. La grande belva sembrò sogghignare per qualche secondo, poi si scagliò verso il cavaliere, il quale schivò l'attacco buttandosi a terra da una parte. Il capitano corse sotto il lungo portico verso una piccola galleria attraverso un muro. Ma con grande sorpresa dell'uomo, a bloccare il passaggio vi era un'altra creatura. Sembrava una donna con grandi ali da angelo, coperta da velluto dorato. Era la dea della luce Invara, che fluttuava aggraziata dinnanzi a lui.
Rart decise allora di spostarsi verso il centro del piccolo giardino all'interno di quella sorta di cortile. Ad un tratto ritornò il leone che decise di scattare contro l'uomo, ancora una volta. Il cavaliere indietreggiò fino ad inciampare sopra una pietra e quando la creatura gli fu a pochi centimetri dal viso, questo gli puntò contro la spada, infilzandolo nel torace. Il tempo sembrò fermarsi per un istante e tutto venne risucchiato in un vortice. La chiesa, gli alberi, i portici, le due divinità e persino il cielo stellato, tutto scomparve freneticamente in un enorme vortice che finì per risucchiare anche Rart, portandolo a destarsi definitivamente.
Quando l'uomo si svegliò era ancora tutto buio e lui si trovava disteso in posizione fetale sulle fastose lenzuola, mentre fuori si udiva lo strepitare del braciere. Il capitano aveva infatti ordinato che diversi falò rimanessero accesi fino all'alba, così che le guardie potessero anche controllare meglio la situazione nell'accampamento dalle alture dove erano situate.
Rart si distese per bene e rimase sdraiato per ancora un'oretta circa, pensando allo strano sogno, ma lui non era mai stato un tipo religioso e non aveva intenzione di diventarlo in una notte per via di un sogno che qualsiasi altra persona avrebbe definito "premonitore".
Passata un'ora giunse il cavaliere Seafor, il quale chiese permesso prima di entrare nella grande tenda.
"Dovrei dare la sveglia signore" annunciò.
" Procedi pure" rispose il capitano alzandosi lentamente.
Così dopo un minuto cessò il silenzio, sovrastato dal suono di cinque trombe che avrebbero dovuto svegliare i soldati con una piccola melodia, accompagnata dal rullare di un paio ti tamburi. Era la procedura per gli accampamenti di grandi dimensioni, quindi sarebbe stata una delle ultime volte che qualcuno la avrebbe sentita. Per le pattuglie o durante gli spostamenti, quando si mobilitavano piccole parti di un intero esercito, erano soliti dare la sveglia direttamente a voce, a volte facendo il passaparola.
Le truppe sembravano ancora assonnate ma evidentemente rinvigorite dal riposo, anche se nessuno avrebbe fatto colazione: due pasti al giorno d'ora in avanti sarebbero stati sufficienti. Entro poche ore tutti gli uomini erano pronti, le tende al loro posto sui carri e i cavalli abbeverati.
"Si parte!" urlò Rion. La grande massa di soldati riprese il viaggio per il Vallo dei Prodi, luogo ancora lontano e che ora distava due giorni a cavallo, forse più. Il Lago dei Gyrri era alle loro spalle ed Eonas continuava a voltarsi per cercare di ricordare quel posto dove era nato e aveva trascorso una bellissima infanzia.
Seafor si avvicinò al capitano seguito da Rion, il quale teneva in mano una mappa.
"Mio signore! Dovremmo parlarle con urgenza" disse il cavaliere.
Rart si voltò di scatto e rallentò, poi venne raggiunto dai due uomini che lo affiancarono da entrambi i lati, quindi il cugino gli mostrò una mappa e indicò con l'indice un percorso alternativo.
"Cosa vorreste dire? Parla" ordinò il capitano.
" Questo è un bosco che porta direttamente al Vallo, potremmo tagliare la strada ed accorciare il cammino fino ad arrivare con un giorno di anticipo" disse il cugino.
"Quindi saremo al confine entro domani sera" aggiunse compiaciuto Seafor.
Rart scosse la testa lentamente dopo aver valutato la situazione attentamente.
"Non è conveniente affidarci ad una via che non sia stata tracciata dai nostri esploratori. Potrebbe rivelarsi pericoloso" rispose l'uomo.
"Ma cugino! Sarebbe conveniente arrivare prima al Vallo dei Prodi! E poi nessun bandito oserebbe mai affrontare un intero esercito" replicò Rion.
"Non è per questo che mi preoccupo! Se non è stato ritenuto praticabile ci sarà un motivo! Non voglio correre rischi inutili! Quel percorso potrebbe anche essere interrotto da uno strapiombo, o da una montagna impervia, oppure potrebbe essere infestato da insetti nocivi e creature più infide. Mi spiace ma intendo procedere con questo percorso" disse il capitano.
Seafor sembrò convinto da quella risposta soddisfacente, ma Rion voleva insistere a tutti i costi, arrivando ad alzare la voce.
"Vuoi forse rovinare la nostra casata?! Perché rallenti il viaggio? Hai paura di combattere forse? Nel caso non lo avessi notato, non ci sono segnalazioni che indicano
l'impraticabilità del percorso!" sbottò l'uomo infuriato.
"Ora basta! Mi hai stancato!" tuonò Rart fermandosi, poi si rivolse al cugino.
"Questi sono gli ordini, io sono il capitano e io decido così! Non me ne frega niente se arriveremo tra due secondi o fra una settimana, quel che conta è arrivarci e sta tranquillo che la guerra non finisce prima del nostro arrivo! Ha continuato per anni e per anni continuerà!" esclamò il capitano.
" Quindi significa che non dobbiamo dare aiuto ai nostri commilitoni che si stanno battendo valorosamente al fronte, che muoiono ogni giorno e che magari potrebbero sollevarsi vedendo arrivare i rinforzi con viveri e bevande fresche! La guerra potrebbe finire con il nostro arrivo al fronte!" rispose il cugino. Le truppe sembravano dare segni di assenso per quel discorso anche se rimanevano sempre dalla parte del capitano che molti di loro avevano visto combattere durante i tornei, o di cui avevano sentito le gesta, narrate dai familiari o dagli amici. Rart si era sempre rivelato un perfetto strumento di propaganda.
"Non ho detto questo e i soldati non cesseranno di morire col nostro arrivo! Ora vedi di stare al tuo posto e non discutere più, se non vuoi che ti faccia mettere ai ferri! Proseguiamo per questa strada!" replicò il capitano per concludere la discussione. Rion rimase in silenzio ma non intendeva starsene in disparte durante il lungo viaggio. Qualche uomo a lui fedele lo avrebbe seguito per il percorso alternativo, senza rallentare o fare pause, ma soprattutto senza il cugino. La lunga fila di soldati riprese la marcia senza dire una parola, anche Seafor la pensava come il capitano e sapeva che qualsiasi cosa avrebbe deciso sarebbe stata un successo per tutti. L'ufficiale luogotenente sapeva che Rart era diventato più saggio e ne aveva avuto la conferma proprio in quel momento. Lui era stato un allievo del maestro Palrid proprio nell'ultimo periodo in cui il capitano si allenava.
Anche quel pomeriggio i soldati fecero una breve pausa della durata di pochi minuti, quanto bastava per fare riposare gli uomini ed i cavalli che furono anche abbeverati. Rion si era spostato fino alla retroguardia e Rart non si fidava a lasciarlo laggiù, anche se doveva ammettere che era un sollievo non averlo tra i piedi. In effetti il cugino era ben più distaccato dal resto dell'esercito, più di quanto il capitano potesse immaginare. Anche una decina di uomini erano andati con lui, preferendo la sua decisione o perché si trattava di amici che non avrebbero potuto non seguirlo. Effettivamente la maggior parte degli uomini rimanevano fedeli al capitano, benché molti di loro non avessero capito pienamente il suo ragionamento, in fondo non sarebbe stato così male stare lontani dai combattimenti per ancora pochi giorni. Rion aveva scelto due ufficiali, tre cavalieri e quattro fanti semplici, un piccolo numero che lasciava immaginare quanto l'uomo si sentisse sicuro. Con un numero così ristretto di soldati anche i banditi non avrebbero tentennato ad attaccarli, senza contare che un cavaliere portava una lunga asta con un enorme vessillo che sventolava vistosamente, cosa alquanto assurda se si trattava di un percorso non praticato.
Quando la lunga fila di uomini riprese il tragitto, nessuno si accorse dell'assenza del gruppo di soldati al seguito di Rion Tenbri, non fino a quando un porta ordini che doveva comunicare una cosa urgente notò che l'uomo che cercava era apparentemente scomparso.
"Capitano! Mio signore, tuo cugino non c'è!" esclamò un cavaliere galoppando in tutta fretta verso Rart.
"Come sarebbe a dire? Spiegati meglio!" rispose il capitano.
"Non lo troviamo da nessuna parte, anche altri otto uomini sembrano essere scomparsi. Un fante ha detto di averli visti partire per un piccolo sentiero. Dicevano di essere stati autorizzati a fare un giro di pattuglia!".
Il capitano spalancò del tutto gli occhi e cominciò a sudare, forse perché conosceva il cugino e sapeva benissimo cosa aveva in mente di fare. Era fin troppo ovvio ma lui come avrebbe dovuto agire in quel caso? Per quale motivo ci doveva sempre essere qualcosa o qualcuno a complicargli la vita? Rart non era mai stato il tipo di persona da abbandonare gli amici o commilitoni. Bisognava andare a recuperarli.
Due ore dopo il loro distacco dal resto dell'esercito, Rion e i suoi pochi uomini fidati avevano raggiunto il percorso da loro designato come più veloce per arrivare al Vallo dei Prodi, anche se non avevano tenuto a mente l'importanza di altri fattori decisivi per il proseguimento di quella via. Non appena il gruppo era giunto di fronte al sentiero desolato, avevano potuto notare tutti un cartello che indicava la presenza di possibili briganti nella zona. Verso le tre e mezza circa si trovavano nel bel mezzo di un fitto bosco di sempreverdi e più proseguivano, più faceva freddo e si vedeva la neve sopra alberi e sul terreno circostante, a chiazze, come se non avesse più nevicato da giorni.
"Avevi ragione tu Rion, questa strada ha solo bisogno di una ripulita. Il capitano è davvero un fifone!" disse uno degli ufficiali di nome Versal.
"Mi pare ovvio..." rispose Rion stizzito.
Mentre cavalcavano si sentiva un rumore di foglie secche calpestate alla loro destra, dietro un rilievo nascosto da diversi pini innevati. Forse si trattava di un animale, forse della foglie che cadevano ma i fanti cominciarono a bisbigliare qualcosa a proposito dei banditi e Rion fece un gesto con le mani che imponeva al gruppo di fermarsi.
"Non penserete mica di dare importanza a quel dannato cartello? Gli unici esseri che possono vivere in luoghi come questi sono i cerbiatti o, al massimo, i cinghiali" disse l'uomo rivolgendosi ai fanti, ora scrupolosamente guardinghi.
Ma ad un tratto udirono qualcosa che non poteva provenire certamente da un animale, una voce stridula prese a farfugliare qualcosa, poi esplose in una rumorosa e acuta risata che spaventò il gruppo.
"Gli spettri!" gridò un soldato che prese a correre indietro, sperando in vano di sfuggire agli assalitori. Non passarono neanche due secondi che uno sperone appuntito legato ad una catena centrò la schiena del fuggitivo, il quale cadde in ginocchio con un gemito e prese a gridare disperato. Subito dopo qualcuno tirò con forza la catena trascinando di colpo il malcapitato nel bosco dal quale ne uscì privo di occhi e con la gola che grondava sangue.
Rion ordinò di stare compatti e formare un cerchio, ma i fanti armati di lancia e scudo si rivelarono incapaci di mantenere la posizione.
"Serrate le fila ho detto, sovrapponete gli scudi a scaglia e non fatevi colpire!" esclamò
l'uomo tentando l'impossibile, anche perché quello che successe poco dopo fece rabbrividire persino lui. Ad un tratto dalla vegetazione uscì un uomo calvo e talmente magro da sembrare scheletrico, aveva occhi color rosso sangue e marci denti affilati; impugnava una sorta di bastone ricurvo a cui era attaccato un rostro di punte acuminate. Non appena il bandito agitò l'arma al cielo, una ventina di uomini assetati di sangue comparvero ai lati del sentiero, ora avvolto da una sottile nebbia. Come se non fosse già una situazione alquanto disperata, pochi secondi dopo prese a nevicare, rendendo le cose ancora più difficili. Quegli abbietti rinnegati continuavano a sghignazzare e sussurrarsi cose in una strana lingua, incomprensibile per l'ufficiale della nobile casata dei Tenbri, il quale cominciava a temere il peggio.
"Dannazione serrate i ranghi! Sono reietti!" gridò Versal, anche lui preso dal panico nonostante si trovasse a cavallo proprio al centro del cerchio difensivo formato dai fanti.
Ad un tratto il reietto scheletrico che stringeva l'arma ricurva gridò spalancando più che poté la bocca, emettendo un urlo stridulo e inquietante che portò gli altri briganti ad attaccare il piccolo gruppo di soldati e cavalieri. Alcuni fanti abbassarono le lunghe lance per impedire agli avversari di avanzare, anche se l'azione si rilevò quasi del tutto vana. Un paio di reietti rimasero infilzati e stramazzarono a terra ma non passarono nemmeno cinque di secondi che altri briganti scagliarono delle piccole falci arrugginite dal tempo contro i soldati avversari. Un ufficiale e tre fanti perirono sul colpo, mentre un cavaliere cadde a terra ferito.
"Attaccate! Se li attacchiamo forse riusciremo a spingerli indietro!" gridava Rion agitando la spada a destra e manca. Non passò molto che un altro reietto intrappolò con una corda un ufficiale a piedi che stava aiutando il cavaliere ferito, poi venne trascinato dai briganti, i quali lo sgozzarono tagliandolo più volte al collo con falcetti e coltelli arrugginiti. A quel punto la posizione non era più difendibile e il clima non poteva certo dirsi dalla loro parte, così l'unico fante rimasto corse via, cercando in vano la salvezza nel tentativo di giungere a piedi al Vallo dei Prodi.
"Ripiegare! Continueremo la strada, non c'è altra scelta" annunciò Rion, d'altronde non si poteva fare altrimenti, anche perché l'inferiorità numerica era davvero troppa. All'uomo non piaceva l'idea di doversi ritirare contro una banda di briganti ma ora non c'era davvero scampo e aveva già perso la metà dei suoi uomini. Versal e un'altro cavaliere saltarono la piccola catasta di morti intorno a loro, preceduti da Rion, il quale aveva già superato il fante sopravvissuto, indeciso se mozzargli la testa per il codardo mostrato oppure lasciare che ci pensassero gli assalitori. In effetti avrebbe potuto fargli prendere tempo se lo avesse lasciato in vita e così fece. I briganti presero a correre come un branco di bestie selvagge inferocite e catturarono vivo il povero cavaliere ferito per poterlo torturare nel caso avessero perso di vista i suoi compagni.
I tre cavalieri galoppavano più velocemente che potevano perché cominciavano a pensare di essersi salvati dato l'assenza di cavalli tra i briganti, i quali non potevano certo permettersi di allevare e tenere in vita delle creature che potevano servire a sfamarli. Il fante correva con ancora la lancia stretta in pugno e la spada al fianco, mentre dietro la schiena era posto uno scudo non troppo grande, ma ben presto si era trovato ad essere solo, perso in quel sentiero maledetto. Non lontano da lui si udivano i briganti e se fosse rimasto lì in mezzo lo avrebbero sicuramente raggiunto e ucciso in chissà quale modo orribile, quindi decise di nascondersi sotto una roccia che spuntava da un rilievo affianco alla strada e formava una sorta di cavità naturale, al cui interno si trovavano solo una decina di pigne e ghiande ammucchiate.
Il terriccio era bagnato e faceva ancora più freddo di prima, mentre la neve continuava a scendere e la nebbia si faceva più fitta, come se qualcuno avesse voluto nasconderlo.
"Che Mindael mi protegga!" si disse mentre seppelliva la lunga lancia sotto la neve poiché rischiava di farlo scoprire. Non c'era più tempo, ormai era giunti di corsa i reietti e passarono proprio sopra di lui, con furiosi scatti e grida spaventose. I briganti calpestavano foglie secche, rami, urtavano alberi buttandoli a terra e uno di loro finì per inciampare sulla lancia del fante. Quest’ultimo si tirò più indietro che poté, cercando di non fare sporgere il mantello dalla cavità. L'abbietto raccolse l'arma, la osservò per qualche secondo e notò delle tracce sulla neve che portavano dritte dal soldato scampato. Il brigante però non le seguì e continuò la sua strada con la lancia del fante.
Quando il rumore dell'orda era cessato, solo allora l'uomo decise di uscire allo scoperto con cautela, ma doveva fare attenzione perché la neve poteva rivelare agli assalitori la sua posizione. Ora vicino a lui c'erano delle altre tracce, troppo grandi per appartenere ad uno di quei briganti, che si trattasse di un animale? Questo poteva spiegare le ghiande e le pigne all'interno della cavità e se quelle dovevano essere le provviste, allora non c'era tempo da perdere. Quando uscì completamente allo scoperto vide che un grosso animale simile a un orso si stava dirigendo proprio verso di lui. Il fante riuscì ad uscire con un capriola dopo essersi tolto lo scudo che aveva lanciato più avanti, per recuperarlo in seguito. La belva era alta almeno quanto lui e possedeva due fila di denti acuminati che parevano delle sciabole, aveva un pelo grigio chiaro con sfumature che andavano sul nero. Non appena il soldato si voltò per controllare che non ci fossero più abbietti, una orribile faccia gli si presentò davanti. Gli occhi rossi e le labbra viola, ancora sporche di sangue fresco dopo il pasto appena fatto col corpo di uno dei suoi commilitoni. Oltre alla grande belva quindi c’era anche uno dei briganti che doveva essere rimasto indietro precedentemente.
D'istinto il fante sguainò la spada cercando di compiere un fendente laterale, ma il reietto schivò l'attacco con un balzo indietro, poi cominciò a sghignazzare.
"Possibile che voi bastardi dobbiate sempre ridere? Ora ti do un ottimo motivo per smettere!" esclamò il soldato, quindi diede inizio ad una serie di colpi veloci che furono parati uno dopo l'altro dalla falce dell'avversario, il quale passò al contrattacco compiendo qualche fendente mirato alla gola. Nel frattempo l’animale si era stancato di aspettare e decise di caricare contro i due ma il reietto si scansò all’ultimo e fermò la belva con un colpo di ascia dritto in testa, mentre l’avversario si era allontanato e cercava di avvicinarsi approfittando dell’intervento della bestia. Proprio quando il brigante tentò un fendente dall'alto verso il basso, il fante si spostò di lato, gli afferrò il braccio e lo mozzò con un poderoso colpo ascendente. L'avversario indietreggiò agonizzante e cadde in ginocchio, quindi il soldato si fece avanti per porre fine alle sue sofferenze.
Il sangue del reietto bagnò il terreno, provocando come uno squarcio rosso scuro sopra la neve che cominciava ad avvolgere anche quella macchia rossastra e il corpo privo di vita che giaceva a terra.
Nel frattempo Rion e gli altri due cavalieri erano giunti di fronte ad un grande rilievo, dove li attendevano altri cinque briganti.
"Mietete le loro sudice anime!" gridò Versal agitando la spada. D'altronde loro tre erano a cavallo e meglio armati, inoltre erano stati addestrati a combattere e non si sarebbero mai potuti lasciare intimorire da quel gruppetto di bifolchi.
"Carica!" esclamò Rion cavalcando alla testa dei cavalieri rimasti. La formazione a triangolo dei tre uomini a cavallo riuscì a sfondare la piccola fila di reietti, facendo di loro una catasta di corpi esanime. Ma non appena ebbero compiuto il massacro, i cavalieri videro che il resto dei briganti li stava ancora inseguendo e Rion temeva di avere capito il perché. L'ufficiale ordinò ai due sottoposti di mantenere la posizione e si diresse più avanti, dove finiva il dosso e notò che la via era interrotta da uno strapiombo. All'estremità del rilievo era posto un piccolo santuario e quel percorso non era altro che una meta per i pellegrini.
"Ed io avrei perso degli uomini per raggiungere un luogo di preghiera? Luogo dove nessuno può pregare a causa dei briganti..." mormorò il cavaliere afflitto. Ma doveva pur avere uno scopo quel loro viaggio, forse erano stati gli dei a guidarli, o forse, più semplicemente, era stato l'egoismo di Rion stesso.
"Via da qui! Dobbiamo proseguire lungo il dosso sperando che non ci raggiungano!" gridò l'ufficiale. In effetti dovevano contare più sulla stanchezza degli avversari che sulla velocità dei loro cavalli. Mancava un chilometro prima del bosco che li avrebbe portati oltre il baratro ed i briganti stavano già correndo lungo la collina. I tre cavalieri spronavano i cavalli a galoppare più veloci ma non c'era niente da fare e gli avversari erano sempre più vicini. Ora le distanze tra la via di fuga e gli assalitori erano uguali ma i reietti potevano lanciare oggetti e un coltellaccio colpì in testa uno dei cavalieri, il quale perse coscienza ma, fortunatamente, non cadde da cavallo. A cadere fu invece il fidato amico di Rion, l'ufficiale Versal. Sfortunatamente per il cavaliere, due briganti si lanciarono addosso al suo cavallo, atterrandolo. "Versal!" gridò Rion voltandosi. L'amico strizzò l'occhio destro, dopodiché avvolse i due nemici col braccio e tirò le redini del cavallo verso il baratro, dove finiva il dosso e precipitò nel vuoto trascinando giù anche i due briganti.
Rion non si era fermato perché quell'atto era stato fatto dall'amico per dare più tempo agli altri cavalieri e se si fosse fermato non avrebbe fatto altro che rendere vana quell'azione.
"È caduto con onore e Astorx lo ricorderà!" si disse poi mentre sfuggiva agli inseguitori che avevano cominciato ad imprecare per il fallimento. Per consolarsi avrebbero torturato a dovere il prigioniero per qualche giorno, fino a mangiarselo vivo, sempre che non si fosse suicidato nel frattempo.
Rart aveva rinunciato a continuare le ricerche per via del tempo sotto suggerimento di Seafor, il quale si era imbattuto con la sua pattuglia in una decina di briganti. Il cavaliere ed i suoi uomini non avevano subìto perdite fortunatamente ma se avessero continuato avrebbero rischiato di perdere uomini e il capitano voleva tutt'altro.
"Maledizione! Speriamo di ritrovarli al Vallo sani e salvi" disse Rart, anche se le possibilità che ci fossero riusciti tutti non erano molte. Il cugino era avventato ma di certo non poteva dirsi così sciocco, inoltre non bisognava scordarsi che era stato addestrato da Palrid anche lui.
Quando calò la notte il giovane fante sopravvissuto al massacro da parte dei reietti era giunto di fronte ad un colle, sulla cui cima comparivano delle rovine. Pezzi di mura e mattoni sparsi nei dintorni; qualche rudere e tavole di legno marcio, consumato dal tempo. L'unica costruzione che pareva essere rimasta poco più intatta era una sorta di tempio, proprio al centro di quella che doveva essere una piazzetta. Il soldato camminò fino a giungere di fronte all'edificio dalle mura ancora solide ma semplici.
Davanti a lui era situata una grande porta in legno di quercia, solida anch'essa e con qualche rifinitura dorata sugli angoli. Il fante girò la maniglia e aprì la porta, quindi varcò la soglia con passi più indecisi e si assicurò di richiudere il portone alle sue spalle poi avanzò e mentre proseguiva si accorse di trovarsi in quello che una volta sarebbe stato sicuramente uno splendido giardino, ai cui lati erano poste delle aiuole colme di cespugli, ora secchi e un piccolo ruscello congelato percorreva parte del prato dividendolo da una parte, collegata tramite un piccolo ma elegante ponticello di legno.
Ad un tratto riuscì ad udire il cinguettio di qualche uccellino e si sforzò di immaginare quanto doveva essere stato bello quel posto un tempo, quindi si immaginò i fiori delle aiuole avere i colori più spettacolari che lui avesse mai visto.
Al centro del giardino troneggiava un bellissimo albero dal tronco ampio e possente, il quale presentava un fogliame rigoglioso e sembrava che le sue radici affondassero negli strati più profondi del terreno. Il soldato si avvicinò all'imponente albero fino a scorgere l'interno del tronco e sembrava emanare un'energia pura, libera e delicata.
Il giovane soldato poteva percepire i lunghi secoli da cui esisteva quell'albero così potente, poteva avvertire la forza della terra e riusciva a sentire la possanza indistruttibile della pianta, compresa la sua bellezza così rara e l'energia universale che celava al suo interno. Quell'enorme albero creava la vita e l'assorbiva; era forza ma anche debolezza; la sopravvivenza di quella pianta era indispensabile per la sopravvivenza degli uomini stessi ed essere coscienti di ciò significava anche avere l'elemento chiave per la propria e l'altrui vita. Il fante cadde in ginocchio, sopraffatto da quella vista e si soffermò su tutte le sensazioni terrene che riusciva a percepire, poi ritornò a guardare il giardino con i suoi occhi, lasciando che l'immaginazione svanisse come quelle foglie che ora si perdevano col vento e lasciavano silenziosamente quella mistica area. Dopo alcuni minuti il soldato si rimise in piedi e tornò indietro. Si sentiva stranamente felice perché ora aveva compreso veramente qualcosa e doveva assolutamente discuterne con il suo capitano ma ciò significava anche riuscire a sopravvivere ai briganti e alle bestie feroci che circondavano la zona. Si diresse ancora una volta verso la porta di legno di quercia posta all'estremità del giardino e la attraversò assicurandosi di richiuderla lentamente alle sue spalle, come se si trattasse di un elemento protettivo oltre ad essere una semplice soglia da varcare. Il soldato non aveva visto solo l'albero ma era riuscito anche a comprendere le parole di Mindael, il dio che aveva invocato lui stesso quel pomeriggio, mentre cercava di seppellire la lunga lancia poco prima di nascondersi dentro alla cavità. Mindael era il dio più legato alla natura, benché non esistesse una divinità che non lo fosse, lui era anche quello più saggio, capace di decidere per il bene del mondo e degli elementi che lo costituivano.
Quella guerra non era altro che il principio di un lungo e vasto futuro di sofferenze per la natura e tutto ciò che esisteva di bello in terra e dovunque, compreso l'antico albero. Il fante aveva compreso il suo scopo e sapeva che ad aiutarlo doveva essere Rart così che gli uomini potessero comprendere il vero significato della loro esistenza.
"Noi siamo stati scelti per badare alla natura, per proteggerla e accudircene. Se la guerra e il progresso continueranno saremo spacciati. Il significato della morte sta nella possibilità di riunirci alla natura ed alla sua costante energia, così delicata che si potrebbe spezzare in un attimo. Se l'equilibrio della civiltà cadrà, il mondo intero ne soffrirà!" si disse il giovane fante, consapevole del ruolo di tutti gli uomini.
"Bisogna ricordare al mondo intero che noi non possiamo svolgere il ruolo degli dei!".
Era notte fonda e Rion giaceva a terra, stremato dalla giornata confusa e affiancato dall'unico cavaliere sopravvissuto, ancora incosciente. Con le ultime forze rimaste e un briciolo di fortuna l'ufficiale era riuscito a raccogliere un po' di legna per accendere un falò, anche se ci volle più di un'ora prima che le pietre focaie riuscissero a bruciare i rami freddi raccolti, già scaldati sfregando un bastoncino che grazie all'attrito aveva provocato calore fino a rendere possibile l'accensione del fuoco.
Dopo aver seminato gli inseguitori, i due erano riusciti a proseguire senza incontrare altri ostacoli e avevano raggiunto un grande colle coperto da numerosi alberi, un luogo che dava le spalle al baratro dove si aggiravano i briganti, quindi non sarebbe stato troppo rischioso accendere un fuoco per scaldarsi. Inoltre si era fatto più freddo quando era calata la notte ed era possibile incontrare animali notturni che avrebbero rinunciato ad avvicinarsi a quel falò. Ma in quei luoghi si celavano bestie che avrebbero fatto di tutto pur di mangiare in un periodo così freddo, gli animali notturni
come i lupi dal manto nero non potevano di certo esitare di fronte ad una cena così ricca, inoltre uno dei due cavalieri era privo di sensi a terra. Rion udì un ululato e si guardò subito attorno, poi vide qualcosa aggirarsi fra gli alberi intorno a loro, così decise di sguainare la spada, di certo quella notte non avrebbe potuto permettersi di chiudere occhio, ammesso che fosse riuscito a sopravvivere.
D'un tratto apparvero tre feroci lupi coperti da una folta pelliccia blu, erano animali particolari che vivevano soprattutto entro i territori dei Tenbri, i quali si erano subito mostrati capaci di addomesticarli e molti facevano la guardia ai giardini di Foraz-Dor.
Quando arrivava la primavera e le giornate cominciavano a farsi più calde, i lupi dal manto nero, detti anche férali dagli abitanti della zona o dai cittadini con i quali avevano fatto più amicizia, riuscivano a perdere il pelo in pochissimo tempo fino ad accorciarlo di molto, mentre la pelliccia passava da essere ispida a liscia, così i bambini amavano accudire queste creature che venivano abbandonate dalla madre e dal padre quando erano ancora dei cuccioli perché potessero imparare da soli a sopravvivere in quel mondo così duro e pieno di pericoli. Ora il cavaliere doveva cacciare quelle belve selvagge cresciute senza amore né affetto, in mezzo ad un bosco rischiando di morire di freddo. Quando un lupo fece per attaccare l'uomo, questo si preparò ad attaccare ma non si accorse che un'altra bestia era scattata contro di lui da dietro con un ringhio, atterrandolo dopo aver effettuato un balzo e mordendolo al braccio sinistro. Rion sembrava spacciato ed ora anche il lupo che aveva di fronte fino a qualche secondo prima si stava avvicinando con aria minacciosa, spalancando la bocca per mostrare le fauci così fatali. Ad un tratto qualcosa trapassò la bestia che lo aveva scaraventato a terra e costrinse l'altra a indietreggiare. Si trattava del cavaliere che aveva perso conoscenza ed in quel momento era riuscito ad affondare la spada contro il lupo, troppo affamato per guardarsi attorno mentre Rion si era affrettato a tornare in piedi, pronto a difendersi anche se ferito e stremato.
"Grazie figliolo, ora cerchiamo di spaventarli" disse l'uomo.
"Io ti guardo le spalle. I férali sono astuti e cercheranno di aggirarci" rispose l'altro cavaliere.
Ora si che la probabilità di sopravvivere si era alzata. Si ma di quanto? Di sicuro in due potevano guardarsi le spalle, la cosa più logica da fare quando si è in minoranza e c'è il rischio di essere attaccati era proprio quella ma non era l'unico modo per cavarsela. I Tenbri, infatti, conoscevano i punti deboli di quelle bestie e sapevano perfettamente che per liberarsene bastava provocare molto fumo.
"Dai fuoco a quello straccio" disse Rion convinto, indicando un pezzo di stoffa vicino ai cavalli, i quali erano miracolosamente vivi nonostante fossero presenti almeno ancora tre lupi. In effetti era risaputo che la carne di cavallo era indigesta per i férali, anche se creature carnivore e, in quel caso, estremamente assetate di sangue.
I férali non erano comuni lupi e avevano punti deboli diversi così come avevano abilità diverse, oltre a quella di poter vivere anche nelle condizioni più impervie a diverse decine di gradi sotto lo zero.
Dopo aver incendiato il panno ed averlo passato con cautela a Rion, il cavaliere si rimise subito in guardia.
Il membro della famiglia Tenbri si affrettò poi a posare lo straccio a terra tra alcune foglie secche e la neve, dopodiché afferrò lo scudo e si affrettò a soffocare le fiamme. Il miscuglio di neve, aria fredda, foglie e calore provocato dal fuoco stesso provocarono una vampata di fumo che si liberò appena in tempo, quando due lupi decisero di attaccare contemporaneamente l'uomo, il quale sollevò lo scudo e fece scaturire la cortina che mise in fuga le belve.
"Strani animali i férali..." mormorò poi asciugandosi le lacrime provocate dal fumo.
"A proposito, io sono Derath" si presentò l'altro cavaliere.
"Sei il parente del mio amico Versal?"
"Si esatto, sono suo nipote. Mio zio è morto, vero?"
Rion rimase per qualche secondo in silenzio, ricordando come il fedele amico era morto eroicamente permettendogli di fuggire.
"Era un brav’ uomo..." rispose in fine, poi si voltò e rinfoderò la spada.
Il mattino seguente la truppa guidata da Rart era giunta in un incrocio a “t” alla cui sinistra ci si poteva collegare con la strada percorsa dal cugino. Il capitano si chiedeva se non fosse il caso di prendere quella scorciatoia e se il parente fosse già arrivato alla meta.
"Che idiota, con la velocità attuale anche noi potremo arrivare questa sera al vallo. Perché mi deve disubbidire?" si disse.
"Signore, si avvicina qualcuno da sinistra!" lo informò Seafor indicando il sentiero che avrebbero potuto prendere come scorciatoia.
Una piccola pattuglia era stata inviata in precedenza per verificare che la strada non fosse bloccata e che non ci fossero banditi, così avevano sentito il rumore di più cavalli che galoppavano nella loro direzione.
"Preparate diverse sentinelle per controllare la situazione lungo tutta l'area circostante e dì all'avanguardia di assumere una formazione difensiva a semicerchio qui davanti. Al resto della truppa ordina di serrare i ranghi e che tutti gli arcieri siano pronti!" ordinò Rart con decisione ma senza perdere la calma.
Ad un tratto si riuscì a notare movimento vicino ad un rilievo, dove alcuni alberi avevano preso ad oscillare, poi un gruppo di corvi si alzò in volo all'improvviso, allarmando ancor di più i cavalieri.
"State in guardia e non lasciatevi intimorire, qualsiasi cosa esca fuori dalla vegetazione" disse Seafor sguainando la lunga e pesante spada a due mani regalatagli dal maestro Palrid in persona durante un torneo in cui arrivò terzo, dopo Rart Tenbri.
Dopo pochi minuti di attesa però ecco comparire due cavalieri dall'aria afflitta, stravolti dal viaggio percorso probabilmente o da chissà quali è quante minacce incontrate lungo il cammino.
"Dì agli ufficiali di fare muovere la baracca. È quell'idiota di mio cugino che torna ad implorare perdono..." ordinò il capitano rivolgendosi al luogotenente Seafor.
Rion sembrava essere tornato da una battaglia durata anni e forse ora sapeva cosa voleva dire rischiare la pelle per ritrovarsi poi senza più uomini con cui lottare insieme, ma l'orgoglio dell'ufficiale era troppo e chiedere scusa voleva dire lasciare che i soldati prediligessero il cugino e questo non sarebbe dovuto accadere. La lezione l'aveva imparata e ora stava a lui decidere se rimanere avventato e scaltro, oppure usare il cervello e riflettere sulla quantità di uomini persi senza aver inferto danni agli avversari che probabilmente staranno banchettando con i corpi dei fedeli cavalieri che avevano fatto l'errore di seguire Rion. Tuttavia non c'erano scuse per l'accaduto e non sarebbe mancata la punizione per il trasgressore.
"Tutta qui la tua truppa?" fece Rart avvicinandosi al cugino, il quale non poté fare altro che abbassare lo sguardo, "Ma certo! Devono essere tutti al Vallo che ci stanno aspettando! Ovviamente tu sei tornato per dirmi che avevi ragione" continuò in tono ironico.
"Se avessi avuto più uomini non ci avrebbero attaccati! O comunque saremmo riusciti a respingerli con facilità" replicò Rion pur sapendo di aver torto.
"Ancora cerchi di giustificarti? A quale prezzo saremmo riusciti a passare dalla scorciatoia? Forse non ti rendi conto della situazione! Ti farei giustiziare immediatamente ma non do l'ordine per il semplice fatto che sei un membro della famiglia, comunque sarai addetto alla pulizia dei piatti, inoltre dovrai pensare a dare da mangiare a tutti i cavalli ed eseguirai ordini da qualsiasi uomo si trovi in questo esercito, anche se si dovesse trattare del cuoco o del tuo stesso scudiero e così sarà fino all'arrivo al vallo!" rispose il capitano mostrandosi severo più che poté.
Il cugino alzò lo sguardo, poi diede un cenno di assenso chinando il capo e si recò al carro contenente le riserve di mangime per i cavalli poiché gli animali erano tanti e lui da solo avrebbe dovuto pensare a sfamare ogni singola bestia. Un lavoro più umiliante, una giornata così raccapricciante non l'aveva mai passata e pur non sopportando questo genere di mansioni avrebbe dovuto mostrarsi pentito per potersi riscattare e fare in modo che i soldati non lo vedessero come l'uomo che avrebbe potuto portarli tutti alla sciagura.
Nel frattempo una figura irrequieta si avvicinava alla lunga fila di cavalieri del potente feudo. Si trattava di un uomo che portava sull'armatura il simbolo della regione di Ennearel.
"Signore! Abbiamo trovato un altro superstite!" esclamò una sentinella correndo dal capitano.
Quando Derath, il nipote di Versal, vide il fante scampato al massacro, lo riconobbe subito e si apprestò a dargli soccorso.
Il ragazzo non indossava più l'elmo ed i ricci capelli neri gli cadevano sul viso; aveva un mantello marrone con un colletto rivestito di pelliccia nera e l'armatura predefinita dei fanti reclutati dal feudo dei Tenbri. La spada al fianco non era quella in dotazione ai soldati regolari che venivano presi dalle campagne o dalla servitù ma si trattava di un’arma ben più sfarzosa a giudicare dall’elsa e il suo viso sembrava alquanto stravolto, come si poteva notare dalle occhiaie e dalla sporcizia che i suoi abiti avevano accumulato. Gli occhi dall'iride verde erano fissi sul capitano e quando anche Rart si voltò a guardarlo, un ghigno sembrò apparire su viso del fante poco dopo, anche se il comandante delle truppe non riuscì a capirlo poiché la barba mal curata del soldato gli copriva quasi del tutto le labbra.
"Portate subito acqua e cibo ma prima fate in modo che si lavi e che indossi degli abiti puliti. Non vorrei che cominciasse proprio adesso un'epidemia tra le fila di questo già abbastanza sporco esercito! Inoltre il cavaliere di nome Dareth ha detto di aver contratto dei parassiti che infestano i capelli quindi sarà bene fare dei controlli e accertarci che gli insetti non dilaghino" ordinò Rart, anche se consapevole del fatto che prima o poi sarebbero stati tutti vittima dei parassiti o peggio. D'altronde si trattava di un esercito e in quanto tale non c'era il tempo di pensare alle pulizie, quindi gli abiti sarebbero diventati sempre più sudici, giorno dopo giorno.
Il contingente continuava a marciare per il luogo prefissato per fermarsi prima di andare in prima linea al confine ma probabilmente ci avrebbero messo ancora diverse ore prima di giungere al Vallo come aveva stabilito il capitano.
Eonas Felictis era stato incaricato di prendersi cura del fante reduce dall'imboscata degli abietti, aveva deciso di andare a prendere una piccola botte d'acqua e la stava portando sul carro dove il soldato scampato alla morte cercava di riprendersi.
"Grazie ma non c'è bisogno che vi preoccupiate" mormorò con voce rauca il fante sdraiato sotto due coperte di lana.
"Hai bisogno di rimettenti in forze e poi Dareth ci ha raccontato ogni cosa. Deve essere stato tremendo..." rispose Eonas porgendogli una piccola caraffa di legno colma d'acqua.
Non appena il soldato afferrò la brocca, il carro urtò una buca, permettendo ad alcune gocce del liquido di sobbalzare fuori andando a bagnare una coperta. Il cavaliere non badò più di tanto all'inconveniente e prese a bere avidamente il contenuto della caraffa, arrivando a svuotarla entro pochi sorsi.
"Come ti chiami?" domandò poi lo scudiero.
"Io sono Jirk Lubers, piacere" sussurrò l'altro distendendosi dopo aver posato a terra la brocca di legno ormai vuota.
Una volta udito quel nome, le palpebre di Eonas parvero spalancarsi del tutto e il giovane scudiero si alzò per recarsi dal capitano.
"Non ti avevo forse detto di badare al ragazzo sopravvissuto?" sbottò Rart vedendo Eonas avvicinarsi di fretta.
"Lo so, chiedo scusa ma avrei una domanda da farti" rispose lo scudiero cercando di prendere fiato. Il capitano scese da cavallo per consentire al ragazzo di spiegarsi senza doverlo rincorrere a piedi.
"Vuoi chiedermi cosa ci faccia qui un membro dei Lubers, non è così?" fece Rart.
"Quindi tu lo sapevi?"
"Diciamo che lo ho riconosciuto quando poco fa si è presentato miracolosamente di fronte al reggimento. Ovviamente lo conoscevo già e credo di sapere il perché della sua presenza qui".
Rart aveva conosciuto parecchi membri delle altre casate e sapeva bene che i Lubers non erano in ottimi rapporti coi Tenbri da quando, anni prima, il capostipite dei Pemry aveva ordinato l'esecuzione degli abitanti di un piccolo villaggio al confine che erano stati accusati di brigantaggio. Non vi erano prove di quelle accuse ma alcuni mercanti e cavalieri provenienti da ovest erano stati trovati morti nei pressi di quel villaggio. I Lubers non vollero permettere che dei loro sudditi venissero passati per le armi e quando decisero di andare a trattare con i Pemry per poi dichiarare guerra in caso di esito negativo, i Tenbri si schierarono dalla parte opposta, nonostante le due famiglie si fossero sempre aiutate a vicenda nel momento del bisogno.
Alla fine i Lubers videro quel gesto come un tradimento e non poterono dichiarare guerra perché troppo inferiori di numero rispetto alle due casate che, oltretutto, erano le più potenti. Gli abitanti del villaggio furono giustiziati tramite impiccagione, risparmiando solo i bambini come gesto "caritatevole" poiché secondo il capo famiglia non avevano colpa, contando poi che dai tredici anni in su non erano considerati bambini. Alla fine si scoprì che i furti e gli omicidi erano avvenuti a causa di una banda di mercenari che compivano razzie pagati dagli Oskaret e spostandosi di regione in regione. Quando i Lubers vennero a sapere della notizia, non ci furono più trattative con i Pemry e il feudo si chiuse in se stesso, chiedendo per un'ultima volta l'aiuto dei Tenbri i quali rifiutarono mettendosi in rapporti ancor più difficili con i Lubers. Questi ultimi si aprirono ai commerci con tutti gli altri paesi solo un anno prima che la guerra contro la regione di Sikowalth cominciasse, per salvaguardare il proprio feudo dagli infedeli invasori. I Pemry si scusarono e per dimostrarlo diedero ai Lubers la possibilità di non essere annessi e continuare a rimanere un feudo indipendente.
La presenza dei Lubers tra le fila dell'esercito era stata decisa dai Pemry stessi, giustificandola con la riappacificazione di entrambe le famiglie ma secondo il capitano i conti non tornavano e c'era qualcosa sotto a questa faccenda.
"Eonas, tu avrai anche il compito di tenerlo d'occhio" disse poi Rart fissando l'orizzonte e scrutando il cielo che si tingeva di sfumature arance e gialle durante il tramontare del sole.
"Vuoi dire che devo spiarlo?" chiese lo scudiero a bassa voce.
"No. Intendo dire che devi proteggerlo" rispose semplicemente il capitano che montò a cavallo e si avvicinò ad uno degli ufficiali per dare ordini riguardo a dove accamparsi per la notte e come disporre le sentinelle.
Il Vallo dei Prodi distava ancora pochi chilometri nonostante quel giorno avessero pranzato in anticipo e in poco tempo, quando erano tornati Rion e gli altri due cavalieri.
Quando il sole calò del tutto lasciando al suo posto l'oscurità, la lunga fila di soldati prese disposizioni per l'accampamento momentaneo e una distesa di torce e falò illuminarono il campo su cui erano state montate le tende. Due gruppi composti da pochi cavalieri erano stati mandati a pattugliare intorno alla zona e avrebbero ricevuto il cambio solo dopo quattro ore. Una prima pattuglia cominciava il giro da percorrere e quando si trovavano a metà strada partiva anche il gruppo successivo, così l'area interessata era protetta in modo costante da più individui, oltre alle sentinelle, una decina in tutto, sparse lungo l'accampamento. Rart aveva organizzato questo tipo di sorveglianza proprio perché si avvicinavano sempre più al confine e non era da escludere la possibilità di incontrare piccole truppe di soldati nemici inviate a fare razzia nel posto.
Eonas si chiedeva che intenzioni avesse il capitano e perché gli aveva detto di sorvegliare il ragazzo della casata Lubers. E perché persino Rart non sapeva della sua presenza fino a quel giorno? Forse era stato inviato per rafforzare i rapporti di amicizia delle due casate ma ora lo scudiero si domandava se non ci fossero altri membri di feudi indipendenti. Comunque le cose non cambiavano molto perché una volta raggiunta la postazione a sud dove erano stanziati i più grandi eserciti, il battaglione comandato da Rart si sarebbe mescolato agli altri e cavalieri di più casate avrebbero dovuto lottare insieme sul campo di battaglia.
Jirk Lubers, invece, si domandava perché i suoi parenti lo avessero mandato nel contingente dei Tenbri, da solo e senza neanche una piccolissima scorta. Tutto questo gli sembrava assurdo ma quando gli diedero l'ordine non rifiutò, temendo di mancare al giuramento di fedeltà fatto quando aveva dodici anni, appena prima di essere nominato ufficiale comandante della guarnigione. Il padre lo aveva addestrato di persona e aveva fatto di lui un buon stratega e gli era stato dato un rango alto appena possibile perché si accorgesse quante responsabilità comportava essere il secondogenito del signore feudale Darren Lubers. Purtroppo la chiusura del loro paese aveva fatto si che il giovane non potesse confrontarsi con gli altri membri dei feudi principali durante i tornei e per questo non poteva dirsi uno spadaccino alla pari di Rart o suo cugino. Rion sapeva della sua provenienza perché era stato avvertito dal padre Fendaron e avrebbe avuto il compito di comunicarlo anche al capitano ma così non era successo. In effetti i due avevano legato molto da quando era cominciato il viaggio, forse perché Rion ci teneva ad apparire bene di fronte ad un membro importante di un'altra casata e Jirk doveva trovare qualcuno con cui parlare e da prendere come riferimento durante il tragitto, per questo aveva deciso di seguire l'avventato terzogenito di Fendaron Tenbri in quello che si era rivelato un massacro disastroso, finendo per metterlo gravemente in pericolo. Fortunatamente il ragazzo era sopravvissuto: morire a diciassette anni non era tra le sue aspirazioni più ambite e durante la nottata, forse a causa del freddo, forse a causa della paura, gli era parsa una rivelazione davanti agli occhi. La vista dall'albero e immaginare quel l'insieme di elementi così meravigliosi dopo essere scampato per un soffio alla morte, avevano contribuito ad aprirgli la mente e visualizzare lo scopo secondo cui erano stati creati dagli dei. Jirk per un attimo si era spaventato ripensando alla sera precedente, forse stava delirando e avrebbe cominciato ad impazzire sempre più, anche se gli era apparso tutto così naturale e piacevole.
"Quale sarà il nostro destino? Alla fine chi perderà questa guerra? Probabilmente tutti, perché nessuno potrà ritenersi veramente vincitore..." mormorò infine, penando che avrebbe dovuto affrettarsi a comunicare al capitano ciò che aveva scoperto in quel tetro posto sperduto nella foresta.
Nel frattempo Rion era impegnato a pulire i piatti e i bicchieri che molti uomini avevano sporcato più del solito apposta perché grazie a lui erano morti diversi cavalieri e ad essersi salvati erano solo due soldati e l'ufficiale stesso che li aveva mandati in rovina.
"Ancora col muso?" domandò Rart venendogli in contro.
Il cugino si voltò per pochi istanti ma non rispose, anche perché non voleva finire per essere giustiziato veramente poiché le parole che sarebbero potute uscire avrebbero potuto urtare non di poco il capitano.
"Capisco, non vuoi che io infierisca troppo su di te anche perché, a quel punto, saresti costretto a rispondermi, quindi potrei decidere di farti impiccare su uno di questi bellissimi alberi che ricordano tanto quelli del percorso da te scelto come scorciatoia" continuò Rart sapendo di irritare il parente.
"Perché hanno scelto te come guida e ti hanno addirittura conferito il grado di capitano? Proprio non riesco a capacitarmi di questa decisione" rispose poi Rion in tono afflitto, tenendo il broncio.
"Allora, siccome non riesci a comprenderlo, ti conviene accettare la situazione com'è e basta. E fossi in te non cercherei il favore dei soldati con atti simili al precedente perché se vuoi rischiare la pelle, fallo da solo e non trascinare con te persone innocenti" lo rimproverò il capitano.
In fondo Rion non era cattivo e non aveva nemmeno intenzione di mandare allo sbaraglio l'esercito commettendo imprudenze, o meglio, non più adesso che aveva capito cosa voleva dire essere responsabili. Rart decise di togliere il disturbo e lasciare il cugino a riflettere in solitudine, com'era giusto che fosse.
Quella notte non era più fredda rispetto alle altre perché, nonostante si avvicinasse l'inverno, la regione meridionale era decisamente più calda e la presenza del mare lungo un piccolo tratto del confine ad est permetteva un clima temperato. L'accampamento era stato sistemato e suddiviso lungo tre grandi campi che i contadini non coltivavano più a causa delle irruzioni durante il primo anno di combattimenti.
Derath intanto aveva consumato il pasto e scrutava la strada che li avrebbe condotti al luogo dove rifocillarsi e riposare a dovere prima di gettarsi in prima linea. Si trattava di una piccola fortezza ai piedi della montagna più alta della regione, dove erano state costruite molte mura nel corso degli anni, da prima che la guerra ebbe inizio. Da quel punto ben sorvegliato era impossibile che irrompessero nemici provenienti da Sikowalth ma ultimamente le guardie erano diminuite di numero perché si dava più importanza al mantenimento delle imponenti mura al ridosso dei monti. Gli unici punti dove era possibile aspettarsi di ricevere attacchi erano al confine con i feudi Pemry e Lubers dove c'erano solo pianure o foreste. Il Vallo dei Prodi aveva tale nome perché a dare inizio ai lavori di fortificazione erano stati una manciata di uomini, circa cinquanta, che avevano dimostrato di essere capaci di resistere ad un'orda di mille reietti, ponendoli sotto costante pressione con dardi avvelenati e piccoli massi fatti rotolare da appositi condotti situati all'interno delle mura. I cavalieri che avevano difeso il feudo presidiarono quella zona che nel corso dei secoli fu soggetta ad altri innumerevoli attacchi e non sempre provenienti dall'esterno delle mura. I pochi discendenti dei “prodi” di quel paese diroccato alle pendici delle montagne non avevano obbligo di andare oltre al confine perché svolgevano un ottimo lavoro di sorveglianza e addestravano le truppe a dovere. Inoltre fabbricavano armi e armature proprie in modo da essere autonomi anche in stato di assedio e possedevano viveri a sufficienza per quei pochi uomini che avevano da sfamare.
La zona era diventata così sicura che nei dintorni avevano prosperato parecchi villaggi, prima che iniziassero le ostilità e quando i territori vennero presidiati dalle truppe appartenenti da più feudi.
Dareth era convinto che una volta superato quel punto non ci sarebbe stato più scampo per nessuno e ultimamente gli era giunta voce che i combattimenti non avevano accennato a migliorare, né l'uno, né per l'altro schieramento.
Ora però sarebbe stato più utile riposare per prepararsi al meglio alle giornate successive e magari avrebbe potuto trovare conforto nei sogni, ammesso che riuscisse a chiudere occhio.
Il mattino seguente le trombe suonarono la sveglia verso le sei e mezza e dopo una mezz'ora buona il contingente era pronto alla partenza, mentre Rart aveva previsto l'arrivo al vallo per l'una, infatti mancava davvero poco e l'esercito poteva permettersi di accelerare il passo rimanendo ad una velocità costante perché tutti erano riposati a dovere e quello che serviva perché la guerra volgesse a loro favore erano truppe fresche, anche se il capitano continuava a non farsi illusioni riguardo alla possibilità di vincere le battaglie contro Oskaret e feudi loro alleati.
La marcia proseguì fino a quando giunsero all'interno di una fitta boscaglia dove la strada era mal tenuta e più carri trovarono difficoltà ad avanzare perché spesso il peso che contenevano era troppo e le ruote si staccavano e volte si rompevano quando finivano col passare dentro una buca. A questo Rart rimediò riempiendo di terriccio le piccole fosse lungo il sentiero o ponendo per terra delle tavole sottili ma resistenti abbastanza per poter sopportare il peso dei carri, anche se voleva dire rallentare il passo, per non parlare degli alberi che impedivano il passaggio e facevano pensare a ostacoli messi apposta dai briganti per assaltare i convogli che portavano rifornimenti all'esercito in frontiera. In questi casi Seafor suggeriva di allargare il campo visivo delle sentinelle che percorrevano la strada parallelamente alla fila di cavalieri e veniva ordinato ai soldati di muoversi con cautela per evitare trappole da parte di eventuali reietti che amavano divertirsi con particolari congegni dotati di sottilissimi fili in grado di trascinare persone e animali dentro a fosse colme di sostanze corrosive, ottenute da una particolare muffa quando invecchiava. L'esercito proseguì a rilento il sentiero ma una volta usciti dal bosco dopo una serie di falsi allarme, la marcia riprese con più velocità e il contingente riuscì a scorgere il punto dove fermarsi per le due del pomeriggio.
"Eccoci finalmente!" esclamò Seafor indicando di fronte a lui con sguardo incredulo.
Davanti a loro si ergeva una grande vallata al cui termine l'orizzonte era nascosto da una imponente catena montuosa la cui cima rimaneva oscurata da una moltitudine di nuvoloni neri e al di sotto delle montagne si poteva scorgere una piccola città dalla quale partiva una serie di più grandi fortificazioni composte da torri e mura dello stesso colore dei mattoni con cui era stata costruita la fortezza di Foraz-Dor. Poco prima della cittadina fortificata era presente un laghetto che rifletteva i raggi del sole provenienti da ovest, provocando un luccichio scintillante che quasi abbagliava la massa di mille uomini che si era radunata sopra ad uno dei colli nei dintorni per poter ammirare il mitico paesaggio.
"Signori, siamo giunti al Vallo dei Prodi" annunciò Rart rimasto impassibile di fronte a quello spettacolo del quale lo sguardo percepiva solo inquietudine.

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Capitolo 4
*** Sempre in Prima Linea ***


- Capitolo 3 - Sempre in prima linea –

 
La città principale del feudo dei Tenbri, Foraz-Dor, era particolarmente rumorosa quel giorno. Le strade erano affollate, così come le piazze principali, di fronte alla cattedrale e davanti al palazzo del signore della seconda famiglia più importante di tutta Ennearel.
Quando sire Fendaron giunse sulla piccola terrazza, a soli pochi metri da terra, vide il suo popolo che gridava parole difficili da comprendere poiché mescolate tutte assieme, con cattiveria, mentre si spintonavano e alzavano i pugni al cielo, senza temere che le guardie poste su due schieramenti non accorressero a metodi drastici per farli tacere. C'erano contadini, fabbri, frati ma anche nobili e qualche cavaliere giunto da città vicine e lontane, apposta per protestare e lamentarsi. Non erano arrabbiati con il loro signore feudale, non più di tanto ma volevano farsi sentire da lui perché potesse intervenire e prendere le difese del popolo. Nel frattempo anche il fratello Anvol si avvicinò rimanendo però sul ciglio della porta che portava al terrazzo.
"Misura con attenzione le tue parole. Sappi che i Pemry sono ancora nostri ospiti" gli riferì silenziosamente da dietro. Fendaron fece un cenno con la mano sinistra per chiedere silenzio, così la folla taque per ascoltare ciò che il loro signore aveva da dire.
"Ho saputo proprio ieri che il castello del nostro vassallo Ser Intorv, posto sotto la nostra diretta protezione, è stato accerchiato e bruciato dagli alleati Pemry." disse a voce alta l'uomo, facendo una breve pausa per osservare i volti del popolo impaziente di ascoltare la spiegazione di quell'atto, poi proseguì il discorso.
"L'accusa, secondo i nostri amici e alleati, sarebbe quella di tradimento..." a quel punto la gente cominciò a farfugliare, bisbigliare e lamentarsi a bassa voce, mentre un paio di uomini gridavano il loro dissenso per quella frase ma Fendaron non vi badò.
"Un gruppo di parenti di Intorv che come ben sapete, in questo momento si trova al fronte con mio nipote, si pensa abbiano aizzato la servitù a bruciare quadri raffiguranti le divinità della luce e alcuni ritratti di sua eccellenza Ser Giulian Pemry, signore del feudo nostro alleato. Questo atto sarebbe stato fatto in presenza di un ufficiale e alcuni cavalieri che stavano galoppando proprio qui, con l'incarico di unirsi alla scorta delle damigelle e di alcuni membri della famiglia Pemry presenti a Foraz-Dor come ambasciatori e che questo pomeriggio torneranno in patria, nelle terre dell'Ovest" continuò l'uomo ma molte più grida iniziarono a levarsi dalla folla che prese a spintonare le guardie scelte.
"Menzogne! Sono tutte menzogne! Conosciamo Ser Intorv e la sua famiglia!" urlava un cavaliere, altri accusavano i Pemry di volere annettere anche quel territorio e di approfittare dell'assenza di molti uomini fedeli per impossessarsi di sempre più terre.
Le guardie serrarono i ranghi e unirono gli scudi per resistere agli urti e alle spinte della popolazione mentre la fila più indietro spingeva e teneva fermi gli uomini davanti, in modo da non farli retrocedere nemmeno di un passo e quando serviva, anche i soldati spingevano a loro volta.
"Perfavore! Sono certo che si possa arrivare ad un compromesso! I parenti di Ser Intorv sono ancora vivi quindi tratterò affinché vengano risparmiati, abbiate fiducia!" esclamò Fendaron tentando di contenere la folla e per fortuna vide i contadini e i nobili andarsene uno ad uno, fino a rimanere solo una decina di persone, composte per la maggior parte da cavalieri e vassalli provenienti da luoghi più lontani, sul confine con i Pemry e che non avrebbero lasciato la città senza ricevere prima una conferma che non gli sarebbe accaduto nulla. Molti di loro volevano essere ricevuti da Fendaron in persona perché assicurasse loro una maggiore sorveglianza e perché prendesse provvedimenti in caso di atti simili.
Il signore dei Tenbri rientrò nel palazzo per potersi sedere nella sala più grande, dove Anvol lo attendeva.
"Che cosa intendi fare?" gli chiese il fratello minore.
"Cosa vuoi che faccia? Tratterò con i Pemry affinché liberino i nostri protetti" disse Fendaron schietto.
Sapeva bene che il popolo si sarebbe ribellato in caso di esito negativo e anche molti suoi alleati e vassalli, se non fosse riuscito a calmare i capricci dei Pemry che cominciavano ad atteggiarsi da esseri superiori. La servitù della famiglia di Ser Intorv era stata massacrata, questo lo sapeva e il castello messo a fuoco e fiamme, posto a un rudere. Perché avventarsi così su una famiglia che doveva essere sotto la sua diretta giurisdizione? Ser Giulian Pemry non aveva il diritto di porre rimedi e giudizi avventati in un territorio che non gli apparteneva. A cosa era servito mandare Rart in guerra, cosa che avevano chiesto anche gli alleati per risolvere il malcontento del popolo, quando poi i Pemry commettevano azioni che portavano atti di ribellione?
"Voglio che tu conduca cento uomini ad ovest e organizzi qualche giro di pattuglia lungo tutte le terre situate sul confine" ordinò Fendaron.
"Ma cosa dici? A questo punto bisognerebbe ricostituire il corpo di difesa delle valli ad Ovest, con mille uomini o anche solo cinquecento! Lungo il confine esistono ancora le torri e gli avamposti edificati secoli fa!" replicò Anvol.
"Sei impazzito? Così i Pemry si insospettirebbero ancor di più e rischieremo di peggiorare i nostri rapporti, proprio in un momento così delicato! Lo escludo e poi credi forse che io abbia mille uomini da poter inviare lungo un confine così vasto? Non se ne parla" concluse l'uomo, poi uscì dalla sala per recarsi al suo trono dove lo attendevano decine di uomini impazienti di riceverlo.
Anvol rimase in silenzio, in quella stanza così buia, dove il colore dominante era il nero marmoreo delle sei colonne e delle pareti, dove erano appesi pochi quadri dalla cornice dorata e ciò che era dipinto dava ancor di più un senso di malinconia. L'uomo aveva i capelli neri più corti perché se li era tagliati il giorno della partenza del figlio e da allora non li avrebbe più tagliati fino al suo ritorno in città.
Chi aveva ragione e chi torto? Il popolo o i Pemry? Anche lui ormai non sapeva da che parte voltarsi e i fatti sembravano ben diversi da quelli descritti dagli alleati. Ad un tratto entrò nella sala una ragazza, capelli castano chiari e occhi azzurri, si trattava di Irda Giada, la amata figlia di Anvol.
"Papà, cosa sta succedendo? Credi che quelle persone abbiano veramente potuto bruciare quegli oggetti sacri di fronte ai Pemry? Io li conosco, sono delle brave persone" chiese la ragazza confusa.
"Mia cara, tutti li conosciamo e sappiamo bene che non commetterebbero mai atti del genere! Non ti preoccupare perché tuo zio Fendaron farà il possibile per risolvere questo malinteso" si affrettò a rispondere il padre andandole in contro.
"Ma allora perché hanno fatto una cosa del genere? Come hanno potuto?!" domandò ancora la figlia avvicinandosi fino a quando l'uomo la accolse in un abbraccio.
"Vedi figlia mia, non tutti i soldati sono persone sincere e attente, spesso bevono e si confondono; vedono cose che non sono mai accadute e creano fatti inesistenti. I Pemry avranno sicuramente notato che i loro uomini hanno commesso un atto deplorevole e saranno loro a doversi fare perdonare" disse Anvol cercando di giustificarsi, anche se a stento riusciva a far uscire quelle parole dalla sua bocca perché la realtà doveva essere ben diversa e quello che gli alleati avevano fatto era talmente grave da poter rompere l'alleanza tra i feudi. Ora non restava altro che attendere notizie dai Pemry stessi e soprattutto dal fronte, dove era riunita la più grande armata di tutta Ennearel.
Nel frattempo Rart udiva i corni delle guardie del Vallo dei Prodi, mentre gli enormi portoni si aprivano dinanzi a quei mille uomini.Le mura erano davvero imponenti e alte quanto quelle che si affacciavano al confine, oltre la montagna perché in molti anni avevano sostenuto assedi provenienti sia dai monti che da dietro, da parte dei briganti che credevano di attaccare una piccola città dimenticata da tutti e trascurata persino dagli alleati, in un posto sperduto del mondo. A quanto pareva i briganti si sbagliavano e la città non cadde mai mentre le mura venivano rinforzate sempre più, così che anche in periodi difficili come quello, in assenza di uomini, anche poche centinaia di guardie potessero reggere ad attacchi da parte di eserciti anche cinquanta volte più numerosi.
Rart Tenbri fece avanzare la lunga colonna di fanti e cavalieri attraverso la soglia del Vallo, dove nessuno li accolse né gli venne incontro. Ai lati della strada principale c'erano solo due fila di case in pietra e legno, davanti alle quali si trovavano poche persone che con sguardo indifferente esaminavano l'esercito appena arrivato. Probabilmente li vedevano come uomini che li avrebbero privati di cibo, acqua e case dove si sarebbero riposati, avrebbero preso tutto ciò che gli fosse sembrato necessario avere e poi se ne sarebbero ripartiti come se nulla fosse mai accaduto, quindi sarebbe arrivato un nuovo esercito dopo un mese circa e avrebbero fatto lo stesso.
Le uniche volte che qualcuno attraversava i portoni della città fortezza, erano quando i messaggeri facevano avanti e indietro dal fronte per portare messaggi e notizie dalle città al fronte e viceversa. L'ultima volta si trattava di un portaordini che circa due settimane prima dell'arrivo di Rart doveva portare la notizia della presunta scomparsa di Weyl, il secondogenito di Sire Fendaron.
I soldati al seguito del nobile capitano avanzavano silenziosi tra quel paesaggio che ora sembrava così cupo da fargli scomparire il sorriso per la gioia di essere arrivati in quel luogo di ristoro. Da lontano, in effetti, sembrava tutta un'altra cosa e il paesaggio circostante aveva illuminato la piccola città come se fosse un dipinto.
Rion osservava le case e le mura, gli abitanti che erano tutti dotati di almeno un coltello, qualcuno lo nascondeva sotto la tunica e altri nelle calzature mentre altri ancora lo tenevano fieramente in vista nella cintura. L'uomo cercava di catturare quanti più dettagli possibili, tutti i pochi particolari dei rari decori e ornamenti lungo le fortificazioni. Sembrava quasi che i prodi non badassero alle decorazioni quanto al l'efficacia di porte e mura, perché non importava se fossero presenti disegni e incisioni assurde lungo tutta la città ma si pensava solo a costruire e riparare, senza perdere tempo in opere d'arte. In fondo cosa importava se una porta era bella a vedersi? Un fante provò a domandare ad una robusta guardia perché non ci fossero incisioni né abbellimenti e la risposta fu alquanto soddisfacente: "Se il muro cade, lavoro inutile, città distrutta e con essa tutte decorazioni! Mura utili, decori no!" una frase priva di qualche articolo, non c'era dubbio ma sicuramente molto significativa.
Anche Eonas Tenbri cercava di cogliere la bellezza della città ma preferì soffermarsi su altri dettagli, infatti aveva notato come fossero presenti pochissime donne e ragazze e di come quelle poche presenti fossero così graziose, un particolare che trovò strano dato la città fortificata con abitanti che parevano rozzi, decisamente poco colti e di aspetto orrendo, almeno questo riguardava i soggetti maschili. L'atmosfera che avvolgeva quel posto non era assolutamente vivace e il freddo cominciò a farsi sentire più pungente che mai.
Dopo pochi minuti, quando Rart giunse davanti ad una sorta di bastione alto una ventina di metri, solo allora il capitano vide arrivargli incontro quello che doveva rappresentare una sorta di comitato di benvenuto. Quattro uomini a cavallo che portavano lunghe lance sulle quali sventolavano dei vessilli, erano insieme ad altri due cavalieri vestiti con abiti pesanti come mantelli e pellicce.
"Benvenuti al Vallo dei Prodi! Qui avrete modo di riposare e banchettare prima della partenza per il fronte" annunciò un tipo alto quanto Rart e magro, occhi castani, capelli lunghi tirati all'indietro neri e una barba piuttosto corta, mal curata. Al suo fianco un cavaliere decisamente più grasso e di corporatura più robusta ma basso di statura, capelli rossi e occhi castani che prese la parola.
Il mio nome è Corassath e costui al mio fianco è Norren ma potete chiamarlo Norr, a lui non dispiace" a quel punto l'altro cavaliere gli diede un'occhiataccia e sbuffò.
"Come dicevamo, siete i benvenuti al Vallo e ora vi mostreremo la zona dove potrete fermarvi e tutte le abitazioni dove alloggiare. Se ne avete bisogno, abbiamo tre fabbri per riparare armi e armature e due locande dove poter bere qualcosa" concluse l'uomo.Forse avevano una grande importanza dato la grande quantità di armi che si vedeva in giro, come aveva potuto notare in precedenza. Tutti gli abitanti avevano almeno un coltello e magari i fabbri erano proprio utili anche perché servivano a tutte le truppe che sostavano al Vallo ma Rart trovava comunque un'esagerazione averne ben tre. L'esercito dei Tenbri salì una stradina che conduceva alla parte più alta della città, in gran parte costruita nella roccia del monte. Dopo una decina di minuti risalirono un'altra via più ripida fino a giungere di fronte ad un vasto piano spazioso dove erano presenti centinaia di piccole case a due o tre piani, tutte in pietra a distanza ravvicinata una dall'altra. Al l'orizzonte si poteva notare il cielo coperto da diverse nuvole grigie, infatti non c'erano mura e dove il piano finiva, sul bordo, non c'era altro che il vuoto. Infatti da li si aveva una vista fantastica e il livello della città più bassa era almeno a una quindicina di metri. Ci dovevano essere almeno cinque livelli e quello dove si trovavano loro in quel momento era il terzo, mentre la parte più "abitata", ampia e con il maggior numero di case, doveva essere quella situata proprio sotto di loro. Dal quarto piano in poi le case erano sempre meno e si incontravano solo più guardie, poste nei punti più alti per difendere le entrate e uscite dei vari cunicoli e tunnel che portavano da una parte all'altra delle montagne, lungo le cime più basse fino ad arrivare alle più alte ma ormai a presidiare le torri era presente solo un paio di vedette ogni tanto.
I soldati si organizzarono per sistemarsi nelle piccole abitazioni e preparavano il pasto da consumare quel pomeriggio, potendo finalmente permettersi una pausa decente dopo il lungo tragitto.
Jirk Lubers era ancora dentro al suo carro per ordine di Rart che non voleva si sforzasse troppo dopo quel periodo passato in solitudine, al freddo e con il costante pericolo che qualche reietto lo assalisse, ma il ragazzo aveva deciso già da tempo di sporgere la testa fuori per ammirare la somma e famosa città diroccata tra le montagne, da dove si ramificavano parecchie mura su ogni lato, dalle pendici dei monti alle cime più difficili da raggiungere. La vista del paese dall'interno, invece, non lo attirava per niente, anzi: lo lasciava alquanto a desiderare. Una cosa che non aveva ancora capito era il motivo del suo scarso equipaggiamento e perché il padre Darren non gli avesse concesso almeno un'armatura decente o che raffigurasse lo stemma di famiglia, rappresentato da una foglia di ortica travolta dal mare agitato su uno sfondo verde.
L'emblema stava a significare che, in qualche modo, l'erbaccia va sempre eliminata così come le rivolte e chi comincia a volere di più o pretendere cose impossibili. Invece il padre lo aveva mandato nell'esercito dei Tenbri privo di scorta, provvisto solo di un'armatura dell'esercito regolare dei Tenbri, uno scudo e i suoi abiti personali, tra i quali il caldo mantello che lo aveva salvato dal freddo in diverse occasioni. L'unico oggetto di valore era la sua spada, donatagli dal padre quando lo investì cavaliere e capo della guarnigione a soli dodici anni. Un manico dorato, sul pomo era posto lo stemma di famiglia e due piccoli smeraldi erano incastonati lungo l'elsa, mentre la lama pareva essere stata appena affilata e si mostrava lucente in tutto il suo splendore. Un'arma da nobili o da comandanti, di sicuro l'unico pezzo di valore che avesse con sé in quel momento, quando era ridotto a camminare come un semplice fante perché il padre non gli aveva concesso di cavalcare durante tutto il tragitto. Ciò che avrebbe ricevuto se lo sarebbe meritato, oppure lo avrebbe conquistato con la forza ma certamente non grazie all'oro di cui era a corto. Jirk cominciava a chiedersi perché il padre avesse preso a comportarsi in quel modo, anche se il suo carattere non poteva certo dirsi comprensibile, così come i suoi modi di fare. Agiva secondo una sua logica ma senza badare troppo al pensiero altrui, lui conosceva la verità, soltanto lui sapeva quel che andava fatto e come aggirare le minacce delle altre casate e infatti non aveva mai ceduto il suo territorio ai Pemry né ad altri feudi, anche più grandi.
Derath nel frattempo aiutava l'amico Rion a portare i cavalli nelle scuderie, situate in una notevole apertura nella roccia della montagna, in pratica una grande caverna.
"Perché mi aiuti ragazzo?" domandò burbero l'ufficiale dei Tenbri.
"Ho deciso che voglio servirti, ti guarderò le spalle come faceva mio zio!" esclamò entusiasta il cavaliere.
Rion si fermò di colpo, ripensando all'amico morto a causa sua, poi rivolse lo sguardo severo al ragazzo che gli stava a fianco.
"Versal era un bravo cavaliere ma non la mia balia. E comunque non pensare di poterlo sostituire perché sarebbe inutile. Quando saremo sul campo di battaglia ti consiglio di badare a te stesso, senza dover guardare chi ti sta attorno" rispose con freddezza l'uomo.
Il sorriso si spense velocemente sul volto del ragazzo, sostituito da un'espressione incredula e perplessa, forse perché non si sarebbe mai aspettato parole dure e secche come quelle appena udite. Come se la sua parentela con lo zio, che lo aveva addestrato nell'uso della spada, non valesse nulla e la loro presentazione la sera in cui i férali li avevano assaliti, non volesse dire niente. In fondo aveva salvato la vita a quell'uomo, nonostante li avesse mandati allo sbaraglio e tutti lo odiassero, lui gli rimaneva accanto. Magari era solo arrabbiato per tutto l'insieme di avvenimenti accaduti e nominare lo zio Versal non aveva suscitato in lui altro che rancore.
Quando si fece notte, l'esercito era sistemato al meglio e ogni singolo alloggio era stato occupato, mentre i cuochi avevano preparato una cena che probabilmente avrebbe superato tutte le successive al fronte, dove le risorse e i viveri scarseggiavano e l'acqua potabile era una rarità. Dopo cena Rart decise di uscire dalla sua tenda per recarsi al secondo livello della città, osservando le case antiche e le torri che non mostravano una crepa. Faceva davvero freddo e la temperatura doveva essere scesa sotto i zero gradi perché aveva preso a nevischiare e un paio di pozzanghere che aveva incontrato durante il cammino, erano ghiacciate. Il capitano vide come a quell'ora non ci fosse più quasi nessuno per le strade e anche quando giunse nella piazza centrale del centro abitato, dove notò solo qualche coppia aggirar si per le stradine e i vicoli che portavano verso l'interno della montagna. Voltandosi verso un sentiero che portava al livello inferiore, da dove erano entrati quel pomeriggio, notò una grande statua alta circa cinque metri che sembrava raffigurare una sorta di guerriero corazzato da testa a piedi, reggendo sulle spalle una grossa ascia e appoggiando la mano destra sopra al grande scudo tondo, posto proprio alla base del piedistallo.
"Conosci lo zio Merwin?" domandò una voce familiare proveniente dalle sue spalle. Rart si voltò di scatto, pronto ad estrarre la spada ma non lo fece perché ad aver parlato altri non era che Norren, l'uomo che li aveva accolti quel giorno.
"Davvero impressionante, chi sarebbe?" chiese a sua volta il capitano, alludendo alla grande statua.
"Quello è lo zietto Merwin, uno dei prodi che si stabilirono qui per primi e che ne divenne il capo a seguito di una battaglia" rispose l'uomo avvicinandosi lentamente al capitano dei Tenbri.
"Ma perché lo chiami zio? È forse un tuo parente?"
"Oh no, forse alla lontana ma chi può dirlo. È solo che con quella faccia e quello sguardo cattivo, penetrante, non puoi fare altro che chiamarlo zio o zietto".
Rart era decisamente confuso ma sapeva che il prode si stava chiamava così la statua solo per trovare un po' di ironia in quello che sembrava un titano severissimo, quel che non comprendeva, invece, era il motivo per cui non era riuscito a percepire anche un minimo rumore prima che egli parlasse. Norren era comparso improvvisamente come se nulla fosse anche se non sembrava certo il tipo da agire di soppiatto, nonostante fosse alto sulla media e magro. Ora che lo esaminava con occhi più attenti, il capitano notò la presenza di una spada legata al fianco dell'uomo, un fatto non poi così strano dato quello che aveva visto in giornata.
"Quando partirete per il confine?" domandò Norren curioso.
"Credo domani pomeriggio o più tardi, ancora non lo so" rispose Rart scrutando il cielo.
Anche il prode rivolse lo sguardo al cielo allo stesso modo, come per cercare di capire cosa il cavaliere stesse cercando attraverso le nuvole che coprivano il Vallo.
"Mi chiedevo perché tutti in questo posto sono armati, dalle donne ai bambini, anche i vecchi" ammise il capitano. Il prode distolse lo sguardo dal cielo per rivolgerlo a Rart.
"Forse sarà perché questo posto è a continuo rischio di assedio, o forse perché ogni due settimane deve ospitare centinaia di guerrieri stanchi, affamati e impazienti di vedere una donna" disse Norren.
"Non hanno motivo di preoccuparsi per i miei uomini, loro sono tutti lassù a dormire. Ma tu come fai a sapere che si comporterebbero così? Eppure sei un diplomatico e di solito quel tipo di gente non ha idea di come si comporti un esercito" replicò il comandante dei Tenbri insospettito.
"Già infatti, concordo pienamente" concordò il prode.
"Ma allora come fai a dirlo, che i soldati si comporterebbero in quel modo?" fece Rart.
"Non pensavo di avere una faccia da diplomatico. In effetti credo nessuno ce l'abbia da queste parti" disse semplicemente Norren mentre si girava per tornare al livello inferiore, avvolto dal mistero di chi sa e non vuol far sapere. Forse non aveva rivelato ciò che in realtà era ma non sembrava una persona malvagia, così come non aveva l'aria di un uomo ingenuo.
Il capitano dei Tenbri decise di riprendere il suo giro notturno, anche se sarebbe durato ancora poco dato il freddo che diveniva quasi insopportabile, quindi si diresse davanti a una piccola torre, lungo il margine ovest del livello in cui si trovava. Pensandoci attentamente, Rart avrebbe potuto chiedere a quell'uomo di fargli da guida per pochi minuti ma non voleva essere inopportuno e dopo tutto lui non si trovava lì per una gita turistica. La torre dove era diretto l'aveva notata da quando era sceso per la stradina che arrivava fino al terzo livello e gli sembrava di aver visto l'interno della costruzione illuminarsi, come se qualcuno vi avesse acceso un fuoco. Mentre si diresse verso la torre, attirato da chi potesse averne illuminato l'interno, non si accorse che due uomini lo stavano pedinando. Rart pensava di trovare un gruppo di guardie di vedetta sulla costruzione e aveva qualche domanda da fare riguardo alla intera struttura che formava la città fortezza e il meccanismo di difesa ideato secoli prima.
Probabilmente era curioso di sapere se le leggende che si raccontavano in tutta la regione i soldati e gli abitanti delle varie città, fossero vere oppure no, anche se una guardia che non aveva mai vissuto quel lontano periodo, non avrebbe di certo potuto dare informazioni dettagliate sull'argomento, comunque il capitano si aspettava di ricevere qualche spiegazione più logica rispetto a quelle ascoltate per anni.
Una leggera brezza cominciò a spirare dalle pianure più a nord, portando con sé qualche foglia secca e polvere che si era depositata sopra alle grandi mura. Rart giunse di fronte alla piccola torre illuminata all'interno e sentì delle voci bisbigliare qualcosa e ogni tanto una risata rompeva la quiete che avvolgeva i dintorni. Si poteva udire il lento crepitare di un falò, così il capitano aprì la porta d'ingresso in legno che sembrava marcio e coperto per metà da muffa e salì una stretta scala a chiocciola.
Le ombre di due figure apparivano a solo pochi metri, dove i gradini portavano ad uno dei due piani della costruzione. Infatti, non appena arrivato sul piccolo spiazzo, Rart vide tre uomini seduti intorno ad un fuoco, mentre ridevano e si scambiavano pettegolezzi, forse riguardanti l'arrivo dell'esercito dei Tenbri.
"Oh, un soldato della capitale dei Tenbri, quale onore" annunciò in tono ironico una delle vedette che notò l'ospite.
"Sono il capitano Rart Tenbri ma fate ugualmente con comodo".
Le tre guardie si scambiarono un'occhiata a vicenda e si affrettarono ad alzarsi per salutare a dovere l'uomo di nobile casata, accolto forse nel modo sbagliato.
"Non disturbatevi, non resterò a lungo ma volevo solo porvi qualche domanda" disse Rart ricredendosi riguardo alla sua intenzione di chiedere a quelle persone, ciò che desiderava sapere.
Intanto al secondo livello del Vallo dei Prodi, lo scudiero Eonas cercava di fare come ordinato dal capitano e non perdeva d'occhio il nobile Lubers neanche per un minuto, o almeno fino a quando notò che Rion gli stava venendo incontro insieme al cavallo di Rart che aveva dovuto pulire e nutrire a causa della punizione inflittagli.
"Ciao Eonas, ti ho portato il cavallo di cui ti dovresti occupare tu, in teoria" disse l'uomo avvicinandosi al ragazzo che si trovava in ginocchio appoggiato ad una parete del suo alloggio, poi si alzò e rispose al parente.
"Ciao, grazie ora ci penso io..."
"No, in effetti sei tu lo scudiero di mio cugino Rart e mi domandavo se fossi contento di avere tutto questo libero, ora che io svolgo il tuo lavoro".
Rion sembrava avercela col giovane scudiero, forse perché non aveva mai pensato di fare il lavoro di una persona di rango decisamente più basso.
"Senti io non centro con tutto questo, mi dispiace va bene? Se preferisci torno ad occupare e io ma non so come il capitano potrebbe reagire" rispose il ragazzo.
"Ah si? Ti dispiace davvero? Allora, dato che hai questo bel rapporto col mio caro cugino, perché non gli parli un po'?" domandò con tonto arrogante Rion, avvicinandosi sempre di più, "perché non gli dici che vuoi riavere il tuo posto come scudiero? È perché non mi riveli perché ti ha ordinato di spiare Jirk?!" continuava con voce insistente, arrivando a colpire con un calcio l'addome di Eonas, facendolo cadere a terra.
Il giovane gemette e indietreggiò trascinandosi con le mani, cercando di spiegarsi come facesse il parente a sapere del suo incarico.
"Ti stai forse chiedendo come diamine io faccia a saperlo? Bé non è difficile notare qualcuno che ha lo sguardo sempre fisso verso un'altra persona, neanche si trattasse di una bella donna! Allora perché lo fai, eh?!" disse Rion a voce più alta.
L'uomo però smise immediatamente non appena vide svoltare l'angolo della parete, l'ufficiale Seafor, seguito da Dareth che facevano un giro di controllo tra gli alloggi dei soldati. I due avevano sentito il tono di voce del cavaliere ed erano accorsi immediatamente, inoltre entrambi sapevano che sarebbe stato meglio badare alle imprudenze di Rion, prima che questo si facesse mettere ai ferri a causa del suo carattere avventato e arrogante.
"Signore cosa succede?" domandò Seafor, mentre Dareth aiutava lo scudiero ad alzarsi da terra, ormai al sicuro dalla prepotenza di Rion, o almeno così sembrava. Il nobile cavaliere della famiglia Tenbri lasciò la presa sulle briglie del cavallo e si voltò per tornare al suo abitacolo senza dire una parola.
Erano le undici passate ormai e per le strade non si vedeva più nessuno a quell'ora, forse a causa del freddo sempre più pungente, anche se una figura si accingeva ad uscire da una piccola torre ad ovest del secondo livello della città fortezza.
Si trattava di Rart che, stanco e assonnato, si affrettava a tornare allo spiazzo dove era stabilito il suo esercito. Una leggera foschia aveva avvolto in quegli istanti gran parte della strada principale che doveva condurre al terzo livello ma l'uomo riusciva comunque ad orientarsi perché la città era piuttosto piccola ed estesa solo lungo la linea verticale della montagna, infatti spaziava fin sopra alle alture ma in quanto a larghezza era decisamente ridotta.
Ecco però che dopo aver udito un frastuono alla sua destra, il capitano vide bloccarsi il passaggio da due uomini poco più alti di lui e armati di ascia, spade e coltelli.
"Allora piccolo uomo, cosa ci dici?" domandò uno di loro con voce profonda.
"Cosa ci fai qui, piccolo uomo?" aggiunse l'altro tizio.
I due presero a girargli intorno, continuando ad infastidirlo e arrivando addirittura a estrarre le lame dai vari foderi.
"Mi spiace ma non so chi sia questo piccolo uomo e non lo conosco dato che non sono di qui. Potrei passare ora?" chiese Rart cercando di mantenere la calma e di avere pazienza.
"Ma come? Sei tu il piccolo uomo, piccino!" rispose uno dei due sconosciuti, finendo poi per scoppiare in una risata senza alcun senso apparente.
"Sentite io non ho tempo di giocare a chi dice le frasi più idiote a questo mondo, fatemi passare o vi consegnerò alle guardie!" replicò il capitano, cercando di imporsi mentre la mano destra era pronta a sguainare la spada lucente.
"Ahi ahi ahi! Il piccolo uomo cerca forse di ribellarsi eh? Forse combattere due contro uno è anche troppo per te" rispose uno degli sconosciuti.
Ribellarsi? Rart non riusciva a comprendere come diamine fossero capaci di formulare frasi talmente senza senso: perché la parola ribellarsi? Aveva per caso combattuto in precedenza con quei tizi ed era forse stato sconfitto? No, e allora come poteva essere considerato un atto di "ribellione" il suo. Ad ogni modo gli sconosciuti non avevano poi così torto perché, infatti, il freddo aveva rallentato di molto le dita e le articolazioni in generale, quindi avrebbe dovuto fare molta più cautela a vagare entro determinate ore notturne e da lì a poco, stessa cautela nel caso di un combattimento. Quei due non avevano l'aria di essere persone particolarmente furbe o abili ma Rart avrebbe dovuto muoversi con agilità per evitare di essere colpito da una delle armi avversarie e il clima non era proprio a suo favore. Le mani erano gelide e la spada rischiava di rimanere incastrata nel fodero a causa del freddo.
Ad ogni modo, meglio tentare di risolvere la questione in fretta e senza pensarci troppo, quindi non appena uno dei due estranei si avvicinò puntandogli al viso un coltellaccio lungo una trentina di centimetri, il capitano si affrettò ad afferrare la mano dell'avversario con la quale impugnava l'arma e la spinse via proprio nel momento in cui l'uomo provò a tirargli un pugno diretto al ventre. In tal modo Rart fece deviare il colpo e con un poderoso calcio spinse via l'aggressore. Subito dopo il capitano decise di estrarre la spada, avendo allontanato uno degli avversari e quando anche l'altro gli corse contro tentando un fendente con l'ascia, Rart non fece che spostarsi lateralmente e con un veloce taglio ascendente spezzò l'arma del nemico.
Quest'ultimo indietreggiò velocemente imprecando qualcosa di incomprensibile, poi estrasse una spada corta e si preparò ad attaccare nuovamente, sperando questa volta di riuscire nell'intento. Il compare sembrava decisamente adirato dall'azione dell'avversario e dal modo in cui era riuscito a respingere i loro colpi.
"Proprio come pensavo, vi muovete esattamente come un branco di bestie zoppe che cercano disperatamente cibo! Fossi in voi scapperei, finché siete in tempo" infierì Rart tentando di indurli alla fuga. Gli sembrava di essere tornato ai vecchi tempo, quando era ancora un ragazzino impaziente di confrontarsi con sempre più avversari, ma le circostanze non erano così dalla sua parte come poteva sembrare, infatti il capitano non si era accorto che stava tremando come una foglia. Erano anni che non combatteva e affrontare due avversari contemporaneamente non era il modo migliore per ricominciare a farlo: magari prima avrebbe dovuto pensare ad un piccolo allenamento per vedere quanto si fosse arrugginito col tempo. Quando Rart notò che aveva il fiatone e che aveva preso a tremare vistosamente, cosa che parve dare una certa sicurezza agli aggressori.
Rart era bloccato, non sapeva il motivo di quella paura improvvisa, non conosceva il perché, nonostante la sua iniziale sicurezza ma una cosa era certa, ovvero la carica degli avversari che ora stavano scattando contro l'uomo rimasto immobile, placcato dalla sua stessa incredulità.
Il capitano chiuse gli occhi, sforzandosi di agire, in un modo o nell'altro e richiamando a sé tutte le forze che ancora aveva, sperando di riuscire a comandare il suo stesso corpo che rimaneva fermo tranne che per il fremito continuo. Non ci riusciva e il panico cominciò a prevalere fino ad aver la meglio sulla sua coscienza, ma ormai sapeva di aver perso troppo tempo, mentre la luna lo illuminava schiarendo poco o niente la zona a causa della foschia.
I due aggressori si avvicinarono e quando attaccarono contemporaneamente, il suolo si colorò quasi immediatamente di rosso, proprio come il sangue che proveniva da un braccio mozzato caduto a terra. Il silenzio della notte venne squarciato da un grido improvviso, seguito da un tonfo. Rart ebbe per un attimo il coraggio di aprire gli occhi, avvertendo il sangue che gli colava dalle guance e dalla fronte, mentre si accorse di essere ancora vivo per miracolo.
Era ancora scioccato ma questa volta a causa di ciò che vedeva. Infatti di fronte a lui c'era una lama scura sporca di sangue e, poco più in basso, uno degli avversari in ginocchio, privo del braccio destro. Che cosa significava?
Non appena trovò la forza per voltarsi a sinistra, vide Norren che impugnava quella lama con cui aveva mozzato l'arto all'aggressore sconosciuto che giaceva a terra sconvolto.
L'altro nemico era rimasto pietrificato dall'intervento dell'uomo arrivato all'improvviso, senza farsi sentire e che aveva atterrato il compare senza pensarci due volte, parando anche l'affondo che stava eseguendo per eliminare il capitano.
Norren diede un'occhiata al tizio senza un braccio e decise di scaraventarlo ulteriormente con un calcio in faccia, poi agganciò con l'elsa della spada la lama dell'arma dell'altro nemico e la strattonò verso l'aggressore stesso mettendo gli in leva il braccio e il polso. Lo sconosciuto gemette per un attimo e cercò di fare forza sulla presa, tentando di sganciare la propria spada da quella avversaria ma non ottenne nulla e fu costretto a mollarla estraendo contemporaneamente un coltello.
Norren utilizzò l'arma dell'avversario scagliandogliela contro ma l'altro riuscì a deviarla col pugnale, parando poi un successivo e veloce affondo. L'uomo che prima si trovava in vantaggio con la lama puntata contro il capitano della famiglia Tenbri, ora stava sudando come mai si sarebbe aspettato, cosa che col freddo sarebbe risultata decisamente scomoda, in più il signore che lo stava mettendo in difficoltà era il più bravo spadaccino del Vallo e il discendente del possente Merwin, perciò la situazione era a suo sfavore e sarebbe dovuto scappare.
Norren però decise di non lasciare questa opzione all'avversario e lo costrinse a battersi armato del solo coltello.
"Non è consentito ad un abitante del Vallo, di fuggire" esclamò secco l'uomo.
Così anche l'ultimo aggressore rimasto decise di andare incontro alla propria sorte che, guarda caso, era proprio la spada di Norren. Quando il brigante si avvicinò con agili scatti verso il nemico, cercando una qualche apertura nella guardia colpendo con veloci fendenti diretti all'addome, l'avversario non fece che scoprire il viso dalla sua difesa e diede all'aggressore l'opportunità che quest'ultimo cercava, gettandosi in un veloce affondo alla gola dell'altro. Invece Norren alzò improvvisamente la spada e con un fendente precisamente orizzontale, tagliò senza fatica la testa dell'avversario che nemmeno riuscì a fermarsi mentre scopriva di essersi tuffato contro la lama dello spadaccino, comprendendo ormai la sua sorte.
Rart era rimasto allibito da quella scena, mentre il superstite stava lentamente morendo dissanguato. Quel prode non era un diplomatico, ne un governatore o consigliere ma un guerriero a tutti gli effetti!
"Mi hai salvato la vita. Ti sono debitore!" farfugliò il capitano, un po' perché era ancora scioccato, un po' perché era troppo orgoglioso per dire certe cose.
"Cerca di riprenderti, mio signore" gli disse il prode accennando un sorriso.
Il capitano cercò di prendere il controllo totale del suo stesso corpo e riuscì a muoversi lentamente, rinfoderando la spada. Il tremolio era diminuito parecchio ma continuava per via del freddo, cosa a dir poco disdicevole per lui che proveniva in un luogo ancora più a nord.
"Norren, io non so come ringrazianti, davvero..." disse con voce tremante.
"Non ce n'è bisogno, e chiamami Norr" rispose lo spadaccino.
Dopo aver spostato il corpo del cadavere e aver posto fine alle sofferenze dell'altro nemico privo di un braccio, i due si diressero lentamente verso la strada in salita che conduceva al terzo livello, dove Rart avrebbe raggiunto il suo alloggio e si sarebbe potuto riprendere per bene dalla spiacevole serata.
Una volta arrivati in cima allo spiazzo, Norren salutò il capitano avendo notato ormai che si era ripreso quasi del tutto e si muoveva con normalità, fatta eccezione della particolare lentezza dovuta alla temperatura scesa di un po' di gradi sotto zero.
"Mi raccomando signore, riposa e scaldati più che puoi, finché puoi" disse quindi Norren, mentre faceva un leggero inchino per salutarlo definitivamente.
Rart ricambiò chinando leggermente il capo, affrettandosi poi a tornare al suo alloggio dove era sempre presente un fuoco acceso e quel poco calore avrebbe trasformato, con quel tempo che c'era fuori, qualsiasi grotta nella più confortevole delle dimore, qualsiasi tana nel più magnifico dei castelli e qualsiasi capanna nella più grande e comoda locanda di tutto il continente. Insomma, quella notte avrebbe potuto dormire bene e più a lungo, tutto grazie a Norren che gli aveva salvato la vita.
C'era solo un unico problema in quel momento e si trattava di se stesso. Rart avrebbe dovuto cambiare e ritornare ad essere un combattente temerario, senza paura e fiducioso nelle proprie forze; un abile guerriero che un tempo era stato grazie ad un costante ed efficace allenamento.
Il giorno seguente avrebbe brandito nuovamente la spada ma solo per esercitarsi un po' e aveva già deciso chi lo avrebbe aiutato a farlo.
Il mattino seguente la sveglia suonò più tardi e comunque nessuno era in realtà tenuto ad alzarsi obbligatoriamente, in particolare Rart, che dormì fino alle undici senza che nessuno irrompesse nel suo abitacolo.
Quando il capitano si svegliò, gli sembrava di essere appena tornato da una giornata di combattimenti, sentiva i muscoli appesantirsi ad ogni seppur minimo movimento e solo dopo un paio di minuti riuscì ad abituarsi a quello stato in cui si trovava al momento. L'uomo decise allora di uscire fuori per recarsi al lavabo poco distante, così notò che in tutta la zona, i soldati erano in movimento. Rart ricordò improvvisamente che il pomeriggio sarebbero partiti per il fronte e rimandare la partenza sarebbe stato un ottimo modo per ricevere conteste da tutti gli ufficiali.
Al solo pensiero di dover cominciare un giorno e mezzo di viaggio per arrivare alla linea di schieramento di tutta Ennearel, il capitano sentì una fitta alla testa ma poi decise di non pensarci, quindi raggiunse il lavabo per darsi una sciacquata alla faccia con quell'acqua gelida che aveva formato uno strato superficiale di ghiaccio molto sottile.
Nel frattempo Derath stava discutendo con Jirk Lubers e l'amico Eonas Felictis, i quali erano tranquillamente appoggiati con la schiena alla staccionata delle scuderie. Il cavaliere amico di Rion era curioso di sapere perché lo scudiero stesse spiando il nobile Lubers di soppiatto.
"Ieri sera sei stato beccato e Seafor ed io ti abbiamo difeso ma la cosa non mi convince. Lo sappiamo che lo stai tenendo d'occhio ma perché?" domandò sospettoso il cavaliere.
"Te lo direi se non mi interrompessi di continuo. Io non stavo spiando proprio nessuno!" replicò Eonas.
"Perdonami Derath ma credo che tu ti stia sbagliando. Lo scudiero si è apprestato a darmi servizio da quando sono tornato stravolto dalla mia fuga nella foresta. È normale che possa ancora preoccuparsi per me, inoltre mi pare di aver capito che non si aspettasse di vedere un Lubers da queste parti" aggiunse Jirk, prendendo le difese del ragazzo che lo aveva aiutato molto durante quei giorni fino all'arrivo al Vallo dei Prodi.
Derath annuì e saltò sopra alla staccionata, sedendosi sul legno più in alto, poi attese qualche istante prima di rispondere ma ormai non poteva più replicare, anche perché sembrava che i due avessero stretto spontaneamente amicizia.
"Ebbene non c'è da dire nulla in contrario allora. Scusate se ho avuto dei dubbi ma potete capire che il malinteso non era difficile da intuire".
I tre videro arrivare a passi decisi il capitano ma non fecero in tempo a mettersi sull'attenti come si deve, che questo gli fece cenno di non scomodarsi.
"Eonas, vai subito a chiamare nostro cugino. Fate in fretta" ordinò Rart.
Lo scudiero annuì e corse subito in direzione del parente che al momento si trovava nelle cucine.
Jirk fissò attentamente il capitano che si affrettava a recarsi verso uno dei carri posti lungo l'estremità di quel livello. Avrebbe dovuto dirglielo, sarebbe successo prima o poi e quando avrebbe avuto l'occasione per parlargli, Rart avrebbe saputo ciò che andava fatto, della guerra che non faceva altro che provocare morte e distruzione e del l'albero della vita visto quella notte nel giardino in mezzo alla foresta.
Rion Tenbri era impegnato ad aiutare nelle cucine per il pranzo, quando vide arrivare di corsa Eonas che si apprestava a chiamarlo.
"Tu! Dannato babbeo! Sei venuto qui perché non ne hai avute abbastanza eh?" disse il cavaliere, diventato già rosso per la rabbia.
"Calmati sire Rion, lascia che parli!" fece uno dei cuochi cercando di afferrargli il pugno destro che stava per partire contro il volto del ragazzo.
"Il capitano Rart ti vuole vedere immediatamente" annunciò lo scudiero mantenendo si distante il più possibile.
"Cos'è? Hai bisogno della sua protezione eh? Forse non hai il coraggio di farti sotto!" sbottò improvvisamente Rion, senza accennare a volersi calmare un secondo.
"No, hai frainteso! Io non ho detto niente a Rart, anche perché lui deve essere tornato molto tardi ieri sera" disse Eonas che cominciava a sudare per la paura.
L'ufficiale sembrava non voler sentire ragione ma dopo qualche secondo si calmò e decise di seguire il ragazzo senza aggredirlo.
Quando i due furono davanti al recinto per i cavalli, notarono che gli animali erano stati fatti uscire e si trovavano legati ai piccoli abitacoli in pietra. Vicino all'ingresso della staccionata, invece, vi era il capitano che stava attendendo il nobile cugino, impugnando una spada di legno mentre un'altra era posta al fianco, infilata nella cintura.
"Che cosa significa tutto questo?" domandò Rion avvicinandosi a passi inverti alla recinzione.
"Eccoti finalmente! Non sei contento di aiutare il capitano nel suo allenamento?" lo accolse Rart, lanciandogli la spada di legno.
Il parente afferrò l'arma, comprendendo l'intenzione del cugino: voleva sfidar lo a duello, uno contro uno e siccome il capitano non aveva fatto altro che scrivere per tutti quegli anni, il vantaggio non poteva che essere di Rion stesso.
"E allora giochiamo un po'!" esclamò l'uomo, quasi esaltato.
Attorno alla staccionata si stava radunando sempre più gente, oltre a Derath, Jirk e lo scudiero, mentre i cuochi imprecavano perché il pranzo era quasi pronto e si sarebbe raffreddato entro poco tempo.
Anche Norren e Corassath che erano giunti per chiedere al capitano della partenza, si accingevano ad osservare i due nel duello.
Rart sguainò la spada da allenamento dalla cintura in cuoio, quindi si mise in guardia afferrando l'arma con una sola mano, portando il peso sulla gamba sinistra che stava più in dietro rispetto all'altra.
Rion reggeva la spada con entrambe le mani, tenendola in alto a destra mentre lasciava scoperto tutto il corpo da eventuali attacchi. Il capitano contò già quello come primo errore, mentre aveva pianificato come capire quando e come sarebbe migliorato. Ogni volta che avrebbe fatto una mossa falsa si sarebbe dovuto correggere e ogni volta che avrebbe messo in difficoltà l'avversario, sarebbe stato un punto a suo favore, significando in un piccolo miglioramento.
Rion non voleva rimanere sulla difensiva, così decise di cominciare con un montante diretto alla faccia del cugino.
Rart, per tutta risposta, si spostò lateralmente a destra rispetto all'avversario e spinse l'arma lontano, tentando poi un fendente laterale al fianco del cavaliere. Quest'ultimo non perse tempo e si spostò in diagonale andando contro al capitano, portandosi più vicino a lui in modo da schivare l'attacco ed essere più vicino per un colpo ascendente, veloce e preciso che l'avversario parò per un soffio, alzando la spada e facendo scivolare la lama dell'altro alla sua sinistra in basso.
Rart aveva già commesso uno sbaglio e il cugino ne aveva approfittato, entrando nel suo spazio e impedendogli di muoversi con facilità, anche se la parata si era dimostrata efficace nonostante brandisse la spada con una sola mano mentre Rion le utilizzava entrambe. Infatti avendo inclinato l'arma verso il basso, la spada dell'avversario e l'impatto scivolarono completamente a terra, portando a vantaggio il capitano.
I due avevano preso le distanze e si studiavano movimenti a vicenda per capire quando fosse il momento più giusto per sferrare un'attacco. Fu così che Rart mise in atto una vecchia strategia ideata anni prima e fatta a posta per occasioni di stallo come in quel momento. Fortunatamente si era ricordato, infatti, che la soluzione era lasciare un,apertura nella propria difesa, in modo che l'avversario attaccasse e reagisse all'ultimo, schivando o spostandosi di scatto.
Rion aveva notato che il cugino stava spostando il peso sulla gamba davanti, mentre portava la spada più verso il fianco sinistro, sollevandola e inclinando la come aveva fatto prima per parare. Sapeva bene che c'era qualcosa sotto ma non approfittarne poteva significare perdere una grande occasione. Dopo tutto Rart non era più abituato a combattere e di certo i suoi movimenti non erano gli stessi di una volta, così decise di avvicinarsi e attaccare con un affondo diretto al fianco sinistro dell'avversario.
Rart reagì come una trappola innescata, quindi portò improvvisamente il peso sulla gamba sinistra e fece roteare la spada, già alzata, contro la schiena del cugino. Rion si accorse che l'affondo era preciso e mirato al punto esatto in cui si trovava l'avversario quando aveva il peso in avanti ma al momento il colpo non poteva arrivare. Decise allora di scattare in avanti ancor più velocemente, buttandosi a terra e rotolando più lontano che poté. Rart riuscì comunque a colpire la spalla del cugino ma non era sufficiente, così decise di non perdere tempo e lasciarsi all'attacco. Era un'altro punto a suo favore che significava molto, però non poteva correre d'impeto contro il parente che ormai era quasi in piedi. Commettere imprudenze del genere non era da lui ma il capitano cercò ugualmente di scattare di fianco al cugino, preparando un montante diretto al petto.
Rion vide il capitano appena in tempo per parare il colpo ma Rart aveva sempre una mano libera, quindi cambiò e decise di reggere l'arma con la sinistra, bloccando la spada con la punta a terra, per reggere contro quella dell'avversario e con la destra gli afferrò la spalla, portandosi poi con metà corpo dietro di lui.
A quel punto Rion sapeva di essere spacciato ma la spada del capitano stava cedendo e quando l'ufficiale spinse ancora di più, ruppe l'arma di Rart. Era troppo tardi però e il pubblico rimasto col fiato sospeso, vide quel l'ultima azione del capitano che sbilanciò l'avversario con la mano destra e con il piede sinistro, che tra i due piedi di Rion, spazzò con violenza quello del cugino, facendolo cadere a terra mentre mollava la spada per cercare di appigliarsi a Rart. Mossa ancor più incauta perché il capitano si spostò di pochi centimetri e afferrò prontamente l'arma del cugino, appoggiandola con la punta semplicemente al petto di quest'ultimo che rimase a terra, sopraffatto. Il movimento aveva provocato una piccola nube di sabbia che si era levata intorno ai due, posandosi a terra solo dopo alcuni istanti.
Le persone che si erano radunate intorno alla recinzione rimasero ancora in silenzio per un paio di secondi, ma poi tutti finirono inevitabilmente per esultare, gridando il nome del capitano più e più volte, rendendosi conto che in realtà Rart non era mai cambiato ma aveva solo bisogno di una semplice "spolverata" dall'assenza di allenamenti durata anni. Norr accennò un sorriso, notando con piacere che i Tenbri erano veramente degni di dominare su tutto il loro territorio e sul Vallo dei Prodi.
Anche Corassath sembrava compiaciuto da quella sfida così emozionante, non che i prodi fossero da meno, chiaramente.
"Aah..." gemette Rion, massaggiandosi una spalla.
Entrambi erano sporchi di sabbia e terriccio ma, tra i due, il capitano era ovviamente quello messo meglio.
Rart provò ad aiutare il cugino a rialzarsi, tendendogli una braccio ma l'altro rifiutò scostando via la mano del parente, cosa alquanto prevedibile.
I soldati acclamavano il loro capitano, arrivando addirittura a pensare che con lui la guerra sarebbe finita prima e Rart si sentiva quasi come ai vecchi tempi, quando vinceva tornei o si guadagnava il secondo posto, facendo divenire sua anche la folla.
Rion si rialzò lentamente e si diede una scrollata, cercando di ripulirsi da tutta quella sabbia che gli aveva anche rovinato gli indumenti, probabilmente a causa dell'impatto a terra quando si era gettato per rotolare e fuggire, e quando con quell'ultimo attacco il cugino lo aveva atterrato.
Rart si avvicinò a Norren e Corassath, intuendo che volevano parlargli.
"Un'ottima prova capitano, lieto di vederti intero e più in forze" disse Norr.
"Ti ringrazio. Mi ero accorto che non potevo andare in battaglia senza saper più combattere" rispose Rart accennando un inchino per salutare.
"Vorremo chiederti quando avresti intenzione di partire, se questa sera o prima" aggiunse Corassath inchinandosi a sua volta.
"Questo pomeriggio tardi, verso le cinque. Ho già dato le disposizioni per i miei uomini" disse il capitano uscendo dal recinto.
"Molto bene, allora faremo in modo che il passaggio attraverso le montagne sia davvero sicuro, invierò un paio di esploratori e una pattuglia prima della vostra partenza" affermò Norr.
"Si, dopo tutto è il minimo che possiamo fare perché siete stati il primo esercito a non chiederci praticamente nulla durante la permanenza al Vallo, comunque vi aspetteremo davanti al portone principale a nord verso le cinque" aggiunse Corassath.
"Vi ringrazio signori, spero di riuscire a contattare mio padre per dirgli di inviare in questa zona più uomini e magari anche qualche contadino che occupi le terre attorno al Vallo, che un tempo erano la ricchezza dell'intero continente" rispose il capitano, quindi si congedò e si diresse verso un grande capanno dove erano presenti i graduati più esperti e i veterani più fedeli.
"Capitano, abbiamo ordinato di predisporre i carri e le attrezzature per la partenza, mentre le macchine d'assedio sono state spostate al secondo livello" annunciò Seafor non appena vide entrare il capitano.
"Dopo pranzo fate mobilitare la cavalleria da inserire nell'avanguardia, mentre il resto delle truppe ha ancora tempo per prepararsi a dovere. Riguardo al resto della cavalleria, va tutta nella retroguardia, tranne qualche cavaliere da tenere come esploratore" aggiunse in fine Rart.
Alle quattro e mezza i preparativi erano già terminati, i soldati pronti a mettersi in marcia mentre viveri e diverse risorse come pietre focaie e medicinali erano stati aggiunti ai carri. La lunga fila di uomini, animali e mezzi che copriva un ampio spazio, dal terzo livello dove erano accampati, al primo dove avrebbero raggiunto il portone per uscire, erano tutti pronti. Seafor e Rion erano in prima fila ad affiancare il capitano, il resto degli ufficiali, invece, era diviso in vari punti al centro e nella retroguardia, in modo da poter comandare i soldati al meglio, avendo ricevuto istruzioni in caso di attacco.
"È tutto pronto? Possiamo partire?" domandò Rart guardandosi attorno.
"Si capitano" confermò Seafor.
Ecco che anche l'ultimo giorno di tranquillità era finito e si cominciava a fare sul serio, infatti anche le imboscate sarebbero state molto più probabili da lì in poi, dopo la città fortificata.
"In marcia!" gridò Rart, dando inizio al piccolo viaggio che sarebbe durato poco più di mezza giornata, contando di non cadere in attacchi da parte degli Oskaret o dei loro alleati.
Il portone a nord era una struttura che qualsiasi persona avrebbe definito come epica, tanto era la sua imponenza. Si trattava di un grande passaggio attraverso la roccia della montagna, scavata e allargata dai prodi secoli e secoli prima, chiamata anche Himlok dal nome di colui che ne ideò la costruzione. Le porte erano poco arricchite da qualche ornamento, dettaglio che in ogni caso il resto delle fortificazioni nella città non possedeva. Una scala alta una decina di metri conduceva ad una piccola terrazza dove erano situate trenta feritoie ma solo un paio di uomini vi erano appostati.
Non appena Himlok venne aperto, si ebbe subito un gran fracasso dovuto allo strusciare a terra delle due porte. Il materiale con cui era costruito era conosciuto soltanto ai prodi e consisteva in una miscela di diversi tipi di roccia, sali e intrugli particolari a base di pietre e fango.
Ad attendere l'esercito e davanti al portone c'erano Corassath e Norren, i quali erano affiancati da una ventina di guardie corazzate pesantemente.
"Siete di qualche minuto in anticipo, capitano" disse Corassath facendo pochi passi in avanti.
"Ahah, si è vero. Me ne meraviglio io stesso" rispose Rart sorridendo mentre scendeva da cavallo per poter salutare meglio i due.
"Ti saluto e auguro a tutti voi di vincere e finire al più presto questa guerra" concluse l'uomo più basso e grassoccio, aprendo le braccia per abbracciare il capitano in segno di saluto.
"Stammi bene amico mio" salutò anche Norren.
"Norr, amico mio" fece Rart stringendo la mano al prode, poi però lo abbracciò ringraziando a bassa voce per la sera precedente.
"Ora non avrai più problemi da quel lato" disse Norren sorridendo.
"Certo ho scoperto che non conviene smettere di allenarsi" rispose il capitano.
Anche gli altri ufficiali salutarono i due governatori del Vallo dei Prodi, poi si rimisero in marcia e varcarono la soglia del loro destino, che li attendeva oltre al Vallo. Nella parte del portone che dava all'esterno, il materiale con cui erano fatte le due grandi ante sembrava essere più spessa e lo strato superficiale era coperto da spuntoni acuminati e ricoperti di una sostanza secca infiammabile che, in caso di attacco, poteva essere incendiata per ostacolare ad eventuali arieti di sfondare l'ingresso.
La fila di uomini uscì dala Vallo dei Prodi, varcando per una decina di minuti lo stretto corridoio naturale che formava la roccia e che diveniva più largo man mano che andavano avanti. Le mura non erano più in vista da un pezzo quando l'esercito sfociò fuori dal passaggio e iniziò un sentiero in salita che passava sopra ad una piccola parte della catena montuosa. Il cielo era grigio, coperto da innumerevoli nuvoloni che minacciavano pioggia.
Solo dopo tre ore circa di viaggio, tra pendenze di vario tipo e passaggi bloccati da frane e alberi caduti, il capitano riuscì a scorgere in lontananza una torre elevata sopra la quale si intravvedeva un grande falò. Doveva essere l'inizio dell'avamposto lungo il fronte, dove, più lontani, erano ben visibili fumi neri e bianchi, sparsi per tutto l'orizzonte.
I soldati non dissero nulla, nessuna esclamazione si levò dalle truppe ma solo parecchi bisbiglii di voci rauche per il freddo preso e lamenti misti a mugugni per la delusione che si provava nel trovarsi lì, in quei luoghi così vicini alla morte.
"Seafor" disse Rart rivolgendosi al sottoposto.
"Signore?"
"Ordina alle truppe di aumentare il passo. Preferisco andarmene al più presto da questa zona che sarebbe perfetta per le imboscate"
"Subito" rispose l'ufficiale recandosi prima dagli attendenti e poi nelle retrovie.
Il capitano non temeva più di tanto un attacco, quanto di cadere in depressione nell'osservare attentamente la meta. La vista del campo di battaglia dall'alto non poteva certo dirsi il migliore degli scenari e Rart volle evitare sbrigativamente che i suoi uomini cominciassero a voltare lo sguardo e correre diventando disertori, anche perché il dovere di giustiziare chiunque fuggisse era proprio riservato a lui stesso.
Pochi minuti più tardi il sole cominciava già a tramontare e il cielo si tingeva di sfumature rosse, arancioni e violacee, colorando anche le nuvole e formando uno spettacolo che poteva anche dirsi perfetto come ultimo ricordo prima di dire addio al mondo intero.
Oltre il confine il cielo, invece, era più limpido che mai, non che la cosa importasse molto ai cavalieri delle due regioni che, in ogni caso, non potevano certo dire di vivere abbastanza da goderselo.
L'esercito dei Tenbri scendeva dalla strada in pendio che portava alle prime tende dell'accampamento, dove una decina di soldati avevano notato i rinforzi e stavano preparando i bracieri per cuocere la poca carne da aggiungere alla brodaglia quotidiana.
"A quanto pare questa sera riusciremo a mangiare qualcosa di decente" fece uno di loro mantenendo sempre la stessa espressione cupa.
"Si, ci voleva proprio" aggiunse un'altro.
I due si rimisero al lavoro e non salutarono nemmeno con un cenno i rinforzi, cosa che Rart non trovò molto simpatica ma scontata, dato che quei fanti dovevano trovarsi lì da mesi e le cose che potevano aver visto non avrebbero potuto certo dirsi piacevoli.
Inoltre, a giudicare dalle uniformi e dai blasoni sugli scudi e cuciti nelle vesti, dovevano essere degli uomini appartenenti al feudo degli Aspur, il cui stemma era una lettera A posta su di una saracinesca e affiancata da due lance.
"Buona sera, sono il capitano Rart. Sapete indicarmi dove posso trovare la tenda del capitano più vicino?" domandò il comandante dell'esercito appena arrivato.
"No, io non lo so ma forse puoi chiedere a quell'ufficiale laggiù" rispose uno dei fanti in tono stizzito, indicando un piccolo avamposto più avanti.
Il capitano si diresse al luogo indicato accompagnato solo dagli altri due ufficiali, mentre il resto dell'esercito rimase in attesa. Rart non ringraziò nemmeno l'uomo che gli aveva risposto in quel modo e non lo fece per ragioni ovvie: rivolgersi a quel modo ad uno dei cavalieri più alti in grado dell'intero fronte, non era cosa accettabile e qualcun altro, al posto suo, avrebbe ringraziato a modo suo il soldato.
Rion scese da cavallo per primo perché non vedeva l'ora di sgranchirsi le gambe, atto poco praticato da un qualsiasi cavaliere che viaggi su di un destriero. Anche il cugino fece lo stesso, seguito dall'altro ufficiale, quindi entrarono nel piccolo avamposto e chiesero del capitano che comandava quella parte del fronte.
Pochi secondi più tardi comparve un uomo alto e dai capelli grigi che portava il vessillo della casata Villi, una delle cinque ancora indipendenti ma anche la "minore" insieme agli Aspur. Il loro feudo si trovava a nord, esattamente sopra ai Tenbri e affiancata da Aspur a ovest e dai Lubers a est.
"E così siete arrivati, finalmente" disse l'uomo avvicinandosi a Rart e stringendogli la mano.
"Siamo giunti con quanti più viveri potevamo portare con noi, forse per questo abbiamo tardato un po'" rispose Rart.
"E ai miei uomini non farà altro che piacere. Devo ammettere anche che ormai non ci speravo nemmeno più nell'arrivo di rinforzi, per via della popolazione che continua a diminuire sai..." continuò il capitano Villi, poi fece segno a Rart di seguirlo e lo condusse sopra ad una piccola palizzata in legno e fango, "comunque il mio nome è Gunìn e bado a tutta questa sezione qui, che dovrebbe essere larga due chilometri circa, ogni tanto aumenta e a volte diminuisce" proseguì l'uomo, indicando il fronte all'orizzonte.
"Piacere, io sono Rart Tenbri e ho al mio seguito un migliaio di uomini. Mi è stato detto di prendere in comando una parte del fronte".
"Allora avrai quella di Giagud, che ha una porzione di territorio troppo ampia e difficile da controllare. Si trova ad ovest di qui, a fianco alla mia zona" stabilì Gunìn.
I due capitani si congedarono e ognuno ritornò ai suoi compiti, mentre Rion era andato a riferire agli altri ufficiali che si sarebbero accampati più a ovest.
Se c’era uno stemma che Rart non ricordava mai alla perfezione, quello era sicuramente l’emblema dei Villi, non che si trattasse di un simbolo particolarmente elaborato: un fulmine argenteo su sfondo blu. Il capitano poteva non averlo memorizzato bene, forse proprio perché le popolazioni nordiche erano quasi sempre in disparte, sia quando si trattava di spostarsi, sia quanto riguardava la politica. I loro ambasciatori erano presenti di rado e così anche lo stemma del feudo non si vedeva mai o in rare occasioni.
A volte, quando i soldati dei Tenbri attraversavano alcune zone del grande campo colmo di tende, sentivano una puzza insopportabile, nauseante che doveva provenire dal capannone dove erano portati i feriti, o dal recinto per le bestie dove si trovavano solo un paio di maiali sporchi di fango.
Lungo tutto il fronte non c'erano altro che tende, grandi e piccole; bandiere di ogni dimensione e forma, uomini lerci e cavalieri che dormivano per terra e piccole carovane di soldati che portavano l'acqua di tenda in tenda, cavalli morti, forse perché uccisi durante la giornata dai nemici, da portare alle cucine. Qualche schiavo veniva maltrattato e fustigato pubblicamente perché non aveva eseguito alla perfezione il proprio compito o perché chiedeva un pezzo di pane e da bere. Qualche donna veniva lasciata passare o usciva dalle tende degli ufficiali e in ogni angolo si sentiva un odore sempre più pestilenziale, di sangue, di qualsiasi cosa che potesse provocare la nausea.
Una decina di uomini sboccarono non riuscendo a sopportare la vista e la puzza che li circondava, o al solo pensiero che avrebbero dovuto sopravvivere in quel posto e in condizioni sempre peggiori.
"Prima avanziamo e meglio è..." mormorò Seafor.
"Già, non ci tengo a rimanere in questo luogo, se ci spostiamo di qualche chilometro in più la situazione non cambierà molto però " disse Rart.
"Perché? Non sarebbe meglio andarsene da questo fetore?" domandò l'ufficiale perplesso.
"Non credo che l'accampamento degli avversari puzzi meno del nostro" concluse il capitano, ponendo fine a ogni dubbio sul perché non fosse meglio avanzare prendendosi un pezzo di terra dubbiamente meno appestato. L'unica cosa che poteva spingerli ad andare avanti era la vittoria e la possibile conclusione della guerra.
Un paio di ore più tardi, dopo che l'esercito arrivato da poco ebbe completato l'accampamento in una zona più lontana dal cattivo odore, i soldati si adunarono per la cena, alla quale parteciparono anche diversi altri cavalieri di paesi differenti. C'erano molti Arvi, assimilati dai Pemry dall'inizio della guerra e molto numerosi, anche se in costante odio verso il feudo che li aveva sottomessi e trattati con disprezzo a causa delle ribellioni iniziali. Poi erano presenti anche altre casate minori, molte delle quali, sempre sotto il dominio dei Pemry, ad esempio c'erano i Delfi, gli Orrfera e gli Hurr. Questi ultimi, in effetti, erano parte di un feudo molto antico ma dalle origini sconosciute e non proprio nobili, molto probabilmente legato alle popolazioni barbare che vivevano sulle montagne al confine ovest con i Tenbri.
I militari di altri accampamenti si erano uniti ai nuovi arrivati per la quantità di viveri e acqua incontaminata presente, portando così il fetore anche in quella postazione.
"Finirò presto col vomitare, di questo passo..." mormorò Jirk mentre trangugiava un boccone di minestra e pane, affiancato dall'amico Eonas.
"Ma guardali, stanno spazzolando via tutto" osservò lo scudiero, un po' irritato da quel fatto.
Anche gli ufficiali, molti dei quali erano abituato a mangiare per conto loro o, comunque, lontani dai soldati semplici, trovarono disdicevole quel comportamento da parte degli alleati e alcuni di loro andarono a lamentarsi dal capitano.
"Allora? Hai deciso di farmi sboccare, cugino? Non ti danno ribrezzo questi... esseri?!" sbottò Rion sperando che il parente facesse qualcosa.
"Fidati che tra qualche giorno saremo tutti ridotti allo stesso modo, e anche tu spererai di poter partecipare a qualche cena da parte di rinforzi. Non ti preoccupare per il cibo e l'acqua, ho posto le guardie più fidate a controllare i carri" rispose Rart che, dal canto suo, era tentato di scacciare via gli ospiti indesiderati.
Le bistecche erano sopra una brace, insieme al poco pesce salato e speziato e molte verdure e formaggi si trovavano su di un piccolo e basso tavolo in legno, dentro a vassoi e contenitori di ogni dimensione. Anche il vino, l'acqua e gli alcolici erano sistemati sul tavolino al centro esatto dell'accampamento, dove centinaia di uomini brindavano con liquori a tutto andare, per cercare di dimenticare che si trovavano in quel luogo, con quella puzza.
Sul fuoco del grande falò e legate ad un'asse di metallo, erano situate almeno quattro pentole di diverse dimensioni, contenenti minestroni di verdure miste, cereali, pane e tuberi. La frutta era quasi del tutto assente, fatta eccezione per una ventina di mele, arance e una grande quantità di limoni, utili anche per condire la carne e la verdura. Gli agrumi erano stati inviati anche a due tendoni per le medicazioni, dato le proprietà curative per cui erano ritenuti famosi.
I volti delle persone erano rossi o violacei per la quantità di alcol bevuta e tutto cominciò a farsi più caotico. Perfino Rart bevve più del solito ma per fortuna era un tipo che reggeva abbastanza, anche se molti ufficiali e soldati sembravano aver perso il controllo già da tempo. C'era chi danzava, chi ruttava a non finire, così qualcuno rideva osservando gli altri e c'era chi rideva da solo, sbraitando a volte cose senza alcun senso. Il capitano era divertito da tutto quel movimento e dagli schiamazzi inopportuni e vivaci dei commilitoni, mentre Rion era già partito da un pezzo e ora si apprestava a scavare una piccola buca nel terreno per poi sputarvi dentro e ricoprirla.
Che senso aveva tutto ciò? Quasi certamente nessuno, però cosa importava? Non era forse l'ultima notte di pace per i suoi uomini? E allora non potevano esserci troppe polemiche al riguardo, almeno non sino a quando giunse un soldato stranamente serio che spingeva con violenza un cavaliere apparentemente ubriaco.
"Cosa succede?" domandò Rart alzandosi in piedi.
"Capitano, abbiamo trovato un disertore che stava fuggendo dall'accampamento con uno zaino colmo di viveri" disse il soldato che doveva essere di guardia lungo il confine delle tende.
"Non è detto che sia un disertore e poi non vede che è ubriaco?" fece notare il capitano, osservando il poveraccio che rideva come un idiota senza alcun motivo.
"Con tutto il rispetto, da quel che ne sappiamo potrebbe essersi finto ubriaco e poi stava portando con se abbastanza viveri per affrontare cinque giorni di cammino" insistette la guardia.
"No, quest'uomo lo ho visto io mentre trincava vino a volontà. Avrà bevuto almeno due litri di alcol, quindi non posso giustiziarlo se non sono certo che si tratti veramente di un disertore" mentì Rart, sapendo che probabilmente si trattava di un fuggiasco ma non sentendosela di decapitarlo, "ad ogni modo voglio che lo gettiate nella recinzione per i prigionieri e che lo leghiate a un palo, così domani potrò parlargli di persona e valutare se condannarlo o no" aggiunse per non farsi apparire debole di fronte ai suoi uomini.
"Come ordini" rispose il soldato, quindi scortò l'uomo nel recinto dove venivano condotti tutti i prigionieri.
Per quella sera Rart aveva potuto evitare di giustiziare un uomo, ma la volta che sarebbe accaduto nuovamente, non ci sarebbe stata alcuna speranza per il malcapitato di turno.
La quiete nel grande campo non smise nemmeno un attimo, anche se il rumore si affievolì di molto intorno alle due di notte, momento in cui gli ufficiali si concessero di andare a dormire alle proprie tende.
Rart aveva il capogiro, forse perché dopo la breve discussione con la guardia, si era lasciato andare la mano un po' troppo con il vino rosso, nonostante avesse mangiato anche molto tra carne, verdura e tanto pesce che doveva essere la prima cosa a finire tra tutta la quantità di cibo.
Il mattino seguente il capitano non si svegliò naturalmente, sentedosi ben riposato e più lucido che mai, ma per merito degli assordanti squilli di tromba provenienti da tutto il fronte, che imponevano a chiunque di svegliarsi.
Dovevano essere le sei e mezza e da fuori alla grande tenda si udivano ancora grida, possibile che i soldati fossero ancora ubriachi? Qualcosa gli diceva che tutto il campo doveva essere in movimento e che qualcosa di più spiacevole stava per accadere, così si sciacquò il viso, mise gli abiti ricevuti dal maestro Palrid e uscì. Scostando il velo dell'ingresso nella tenda, Rart notò con stupore il caos assordante dei cavalli e dei soldati che si preparavano per la battaglia.
Seafor e Derath si stavano dirigendo proprio verso di lui, anche se il capitano li riconobbe solo dopo essersi avvicinato a sua volta ai due, perché il cielo era ancora buio e solo ad ovest cominciava a schiarirsi, mentre le nuvole si erano spinte a nord est e la temperatura si era abbassata notevolmente, anche se doveva essere sopra lo zero perché l'acqua nei vari secchi e piccoli pozzi, non era ancora ghiacciata.
"I nemici, signore. Stanno per caricare!" lo avvertì Seafor agitato.
Attorno a loro stavano arrivando anche gli altri ufficiali per chiedere istruzioni, compreso Rion che aveva una faccia così stravolta da non sembrare più lui.
"Molto bene, vedete di radunare gli uomini intanto e fate in modo che si dispongano in file ordinate lungo la linea di confine, intanto andrò a consultarmi col capitano Gunìn per eventuali strategie da attuarsi" ordinò Rart, ancora un po' confuso.
I due cavalieri rimasero un tantino perplessi da quella risposta così vaga che non era da lui, ma non obiettarono confidando in ordini più dettagliati in seguito.
Il capitano era rimasto meravigliato da se stesso: di solito era lui stesso ad avere una strategia pronta ma questa volta si era dimenticato di pianificare e organizzare la disposizione delle truppe, proprio in un momento del genere, quando la priorità andava alla strategia da attuarsi. Ad ogni modo si sarebbe recato da Gunìn perché un piano di battaglia era necessario e gli schieramenti dovevano collaborare un minimo tra loro per poter affrontare al meglio gli avversari.
"Capitano Rart!" esclamò il cavaliere della casata Villi quando vide l'uomo entrare nella tenda dove si erano radunati pochi ufficiali.
Insieme a Rart c'erano anche Rion, Derath e altre due guardie di scorta.
"Mi scuso per il ritardo, quale azione suggerisci?" domandò velocemente il capitano dei Tenbri.
"Bé, una sola direi: serrate i ranghi e avanziamo, diamine!" rispose semplicemente Gunìn, indicando una carta che raffigurava il territorio circostante. "Guarda bene, da qui in poi sono tutte colline deserte e nient'altro. Pensa che addirittura ci sarà un tratto di deserto più avanti ancora!" concluse l'uomo.
"Vuoi dire che non è stata definita alcuna strategia? Nessuno ha pensato di inviare piccole pattuglie anche solo per spiare o esplorare la zona oltre il confine? I miei uomini cosa faranno?" replicò Rart sconvolto dalla situazione in cui si trovavano.
"Dunque il terreno è quello che è, quindi non ci sono zone più nascoste o meno difese dove potersi infiltrare, comunque hai a disposizione tutti i soldati che rientrano nella tua fascia di controllo" disse Gunìn.
"E le manovre di attacco? Almeno un minimo di supporto tra noi dovremmo darcelo" fece il capitano dei Tenbri osservando la mappa.
"Infatti dovremmo metterci meglio d'accordo non appena giungerà anche il messaggero del capitano Giagud. Presumo che lui impegnerà tutta la fascia ad est, mentre io controllerò quella ovest. Le manovre di accerchiamento e semi accerchiamento sono tutte escluse, rischieremmo di sbilanciarci troppo".
La situazione era complicata e Rart doveva farsi venire qualcosa in mente e subito, anche se il tempo a disposizione non era pochissimo, dato che sarebbe rimasto lì insieme agli altri ufficiali e alti graduati, per pianificare lo scontro.
"Signore, il nemico comincia l'avanzata!" esclamò un cavaliere irrompendo all'improvviso nella grande tenda.
"Va bene! Rart, fai preparare i tuoi uomini che la battaglia si avvicina, dai il comando a uno degli ufficiali e sistemati qui" ordinò Gunìn Villi, riferendosi a una piccola poltroncina davanti ad una bottiglia di vino posta sul tavolo. Il capitano dei Tenbri non sembrava molto allettato dalla proposta, pensando che, in fondo, il suo compito era quello di condurre gli uomini e di vincere la guerra; rammentò il combattimento al Vallo, quella sera, ricordò Norr e la sfida contro il cugino. Aveva condotto quell'esercito fino a lì e non poteva abbandonare i suoi uomini proprio in quel momento, quando avrebbe dovuto incoraggiarli. Dopotutto era il suo sogno di quando era una ragazzo, un po' sfrontato e desideroso di farsi valere e di combattere.
"No!" sbottò il capitano.
Il rumore continuo di servi e attendenti che blateravano e di ufficiali che sbraitavano ordini tutto il tempo, cessò di colpo e tutti si erano voltati verso Rart.
"Io combatterò con i miei uomini. La strategia ve la illustrerò adesso, in poco tempo e fate in modo di ricordarvela bene!"
Solo cinque minuti più tardi i soldati dei Tenbri videro tornare il loro capitano, tutti in riga come era stato ordinato in precedenza.
Rion era confuso perché inizialmente preoccupato di dover prendere il comando delle truppe sotto ordine del cugino che, invece, aveva deciso di guidare i suoi uomini di persona e direttamente sul campo di battaglia. Nel frattempo la moltitudine di nemici infedeli si erano schierati dalla parte opposta, avanzando lentamente e fermandosi a volte per mantenere l'ordine delle file.
Il capitano non voleva pesanti armature tranne il pettorale in metallo leggero, dov'era posto l'emblema della sua famiglia, quindi una T affiancata da due mezze lune su sfondo blu scuro. Montò sul cavallo nero e brandì lo scudo che solitamente poneva dietro la schiena, poi infilò, per la prima volta dopo tanto tempo, l'elmo che copriva giusto testa, fronte, orecchie e naso, quindi si recò da ogni ufficiale per dare istruzioni più dettagliate, in base anche agli accordi fatti con gli altri due capitani che comandavano gli schieramenti ai loro lati. Ma non c'è persona che non abbia mai ascoltato di condottieri abili nel combattere quanto nel rincuorare i propri uomini, quindi Rart cercò di incoraggiare i soldati da lui comandati e si pose al centro dell'intero schieramento.
"Uomini! Signori di Ennearel! Io non dovrei essere qui in questo momento, a condirvi laggiù, tra le armi avversarie, tra il sangue e la morte. Io non dovrei e non avrei voluto trovarmi qui oggi ma ho capito che se voglio andarmene dovrò lottare. Vi ho portati fin qui e intendo portarvi oltre, anche a casa se ci sbrighiamo a finire questa guerra! Avete visto o sentito quanto possa valere un cavaliere o un fante qualsiasi di Foraz-Dor e del nostro feudo. Avete visto me è mio cugino mentre ci allenavamo! Ora, voi stessi, vedrete cosa sarete capaci di fare! Come vi distinguerete in battaglia! E i nostri nemici vedranno di cosa siamo capaci! Tra di noi ci sono molti uomini delle montagne: Villi, Aspur, Lubers, Tenbri e Pemry con tutti gli antichi feudi, e io credo che gli dei della luce e delle tenebre possono aiutarci, oggi e per sempre! Ennearel avanza! Ennearel abbatte chiunque la ostacoli! Rendiamo questo giorno memorabile e facciamo tremare quelle pecore che si trovano di fronte a noi, sfortunate per la sorte che le attende! D'ora in poi, sempre in prima linea!" gridò Rart con più forte che poté, con tutto il fiato che aveva in corpo, in modo che almeno i suoi mille uomini riuscissero a sentirlo, anche perché metà del discorso era principalmente rivolto a loro, ragione per la quale il capitano aveva deciso di schierarli davanti agli altri uomini. Da quel momento in avanti sarebbe andato sempre in prima linea.
I soldati esultarono all'unisono, gridando e sguainando le lame , alzando le lance e gli stendardi, le asce e gli archi con le frecce già incoccate. Un discorso un po' banale forse, tuttavia perfetto perché all'interno vi era tutto, dal ricordare la propria patria al dare del codardo all'avversario, erano stati nominati tutti i feudi accennando anche quelli annessi dai Pemry, senza usare il termine "sottomessi" che avrebbe potuto urtare non di poco buona parte dell'esercito. Proprio un discorso che ci si sarebbe potuti aspettare da Rart. Gli uomini gridavano anche loro frasi per darsi carica, come "Mindael ci proteggerà" oppure, "Cacciamo gli eretici e bruciamo i loro figli": frasi dal significato inesistente secondo il capitano, che aveva preferito evitare di ricorrere alla religione per lanciarsi all'attacco.
Il nemico era fermo ma più in alto rispetto a loro che si sarebbero stancati nel lanciarsi in una faticosa carica in salita, però gli avversari avrebbero sfruttato la pendenza che poteva permettergli un impatto di gran lunga maggiore, così le trombe squillarono e tutti i cavalieri sguainarono le proprie spade dai foderi, quindi Rart prese a galoppare facendo avanzare velocemente tutti i cavalieri, mentre i fanti che stavano dietro e non erano visibili dai nemici, camminavano normalmente senza accelerare. I soldati della regione di Sikowalth erano schierati secondo un tradizionale ma efficace metodo, infatti i fanti che comprendevano picchieri, lancieri e alabardieri stavano davanti, mentre gli arcieri erano posti direttamente dietro e le truppe a cavallo e su cammello che potevano contare su una maggiore velocità e resistenza.
D'un tratto lo schieramento avversario riprese a muoversi ma solo per aprire un passaggio alla cavalleria, con grande sorpresa del capitano dei Tenbri.
Rart aveva già intuito le intenzioni dell'avversario e sapeva che avrebbero mandato prima una parte di truppe a cavallo, poi le avrebbero fatte ritirare per dare ordine agli arcieri di scoccare frecce e dardi, una volta che lo schieramento di Ennearel si fosse lanciato all'inseguimento della cavalleria. Un piano astuto che avrebbe funzionato contro un ufficiale qualsiasi ma Rart non lo era.
Intanto l'esercito di Sikowalth non si era accorto che la linea che stavano formando gli avversari era parecchio storta e tendeva a scendere in diagonale, nonostante lo scontro si mostrava frontale, benché i soldati fossero estremamente convinti, lo schieramento centrale di Ennearel era storto, in un certo senso, proprio perché tutto il lato destro aveva cominciato più tardi l'avanzata e più a destra si trovavano, più gli uomini tendevano a stare in dietro.
Mentre la cavalleria degli Oskaret era ancora impegnata a posizionarsi, Rart decise di caricare prendendo ancora più velocità, precedendo gli avversari per evitare che rimanessero in vantaggio trovandosi sopra di loro.
Così le truppe a cavallo non poterono fare altro che lanciarsi all'attacco a loro volta, poiché era troppo tardi per tornare dietro alla linee, quindi decisero di caricare subito senza nemmeno riuscire a serrare i ranghi. Ecco che Rart era riuscito a porre la sua situazione a suo discreto vantaggio e l'orda di cavalieri che lo seguiva cominciò a posizionarsi affianco a lui, nascondendo ancora l'avanzata dei fanti che marciavano a formazione a triangolo senza essere visti. La fila comandata da Gunìn era storta anch'essa ma rivolta più verso ovest, come se avessero voluto accerchiare gli uomini di Rart e così aveva fatto anche il capitano Giagud dalla parte opposta.
I cavalieri delle due regioni erano sempre più vicini e galoppavano a pari velocità, durante quegli ultimi istanti che parvero interminabili. Il capitano si sporse più in avanti che poté per reggere meglio l'impatto con tre uomini che lo avevano puntato e strinse le redini.
L'impatto provocò un frastuono spaventoso e per gli uomini che si trovavano nelle retrovie sembrava di assistere ad un macello senza precedenti, anche se molti cavalieri di Ennearel riuscirono a sfondare la linea nemica in diversi punti, infiltrandosi e colpendo ai fianchi o alle spalle molti avversari, sbaragliando la loro formazione. Il capitano era stato ferito ad una coscia ma non riusciva a capire di quanto grave e profonda potesse essere la ferita, però non aveva tempo per preoccuparsene, infatti era già un miracolo che fosse vivo, grazie anche al cavaliere alla sua sinistra che aveva deviato con la spada un colpo a lui diretto.
Non c'era niente da dire e la situazione parlava benissimo già da sé: la cavalleria nemica era stata già dimezzata e molti cavalieri erano in rotta o allo sbando raggruppati e isolati in diversi punti del campo di battaglia, quindi sarebbe durato ancora pochi minuti se non secondi, prima che qualcuno ordinasse la ritirata.
Rion stava combattendo contro due cavalieri mentre vicino a lui si trovava Derath che si faceva strada con la lunga lancia.
Ecco che, come previsto, le truppe a cavallo di Sikowalth battono in ritirata, troppo vicini alla loro stessa fanteria e quindi rendendo impossibile lanciare frecce per bloccare l'avanzata dell'esercito di Ennearel. Gli arcieri scagliarono comunque, anche se le frecce erano dirette alle retrovie e alla fanteria degli avversari. I soldati non esitarono a proteggersi con gli scudi, anche se molti caddero perché non riuscivano a difendere bene e interamente il corpo, venendo colpiti alle gambe o ai piedi, o perché non erano proprio dotati di scudo. Rart ordinò di continuare l'avanzata della cavalleria fino a giungere al resto dello schieramento dov'era sistemata la fanteria, pronta a riceverli con lance, picche e alabarde.
La situazione in quel momento non poteva certo dirsi delle migliori per il capitano dei Tenbri, sapendo che la prima e la seconda fila composta dalla fanteria si sarebbe rivelata efficace contro i cavalieri, quindi aspetto che anche le sue truppe a piedi giungessero lì, il più vicino possibile e ordinò agli arcieri a cavallo di aprire un varco dove potersi insinuare senza rischiare troppo.
Quando anche la fanteria raggiunse la posizione della cavalleria, Rart ordinò l'attacco frontale, che portò sorprendentemente ad una impetuosa carica da parte di fanti e uomini a cavallo insieme, mentre gli arcieri tra la cavalleria cercavano di fare strada ai commilitoni. I tiratori rimasti nelle retrovie, invece, ebbero l'ordine di scagliare frecce a volontà più in lontananza dove era ritornata la cavalleria nemica e dov'era situato il resto dell'esercito.
Le truppe di Sikowalth decisero di spingere a loro volta gli avversari e mandarono all'attacco tutta la fanteria, cosa che Rart aspettava già da qualche minuto. Infatti il capitano diede ordine a tutti gli uomini di mantenere la posizione a triangolo e fece ripiegare la cavalleria, in modo tale che, quando i nemici avanzarono per attaccare, si trovassero ai lati molto più vicini alle retrovie dell'esercito di Ennearel. La formazione non era stata decisa a caso, poiché Rart aveva dato ordine di piazzare diversi pezzi di artiglieria, comprendente baliste e piccoli onagri, proprio lì dietro, nei punti in cui era stato fatto avvicinare lo schieramento avversario e in modo di poter utilizzare le macchine da una giusta distanza, senza rischiare di colpire lo sbarramento diagonale di fanteria. Dall'alto dei monti una persona qualunque avrebbe potuto notare il campo di battaglia e le formazioni dei soldati nei dettagli. Lo schieramento del capitano Rart aveva formato un largo triangolo con la fanteria, i cui due angoli alla base si trovavano vicinissimi all'accampamento ed all'artiglieria, mentre ai lati erano poste altre lunghe fila di soldati che tornavano a salire allontanando i nemici nel punto in cui le macchine non avevano gittata sufficiente da poter operare. Per capire meglio bastava immaginarsi una sorta di tridente, le cui tre punte erano a forma di triangolo. Il dente centrale era più basso e largo e subito attaccati alla base, sui lati, gli altri due triangoli rettangoli più allungati verso l'alto.
Quando l'artiglieria fece fuoco nei punti più vicini dove si trovavano i nemici, gli schieramenti laterali, impegnati contro ai battaglioni degli altri due capitani, si spostarono per colmare quei "buchi" che si erano formati grazie all'efficace azione delle baliste e degli onagri, che sparavano dardi e grappoli di pietre e sassi. Riempiendo quegli spazi, però, l'esercito di Sokowalth ridusse le fila laterali che badavano ad attaccare gli schieramenti di Ennearel che affiancavano quello centrale. Gunìn osservava bene la situazione da sopra un avamposto nelle lontananze e diede ordine ad un cavaliere di attuare l'ultima fase del piano.
In lontananza si udirono tre suoni di corno e Rart intuì che era giunto il momento di resistere il più possibile, mentre i battaglioni del capitano Giagud e di Gunìn iniziarono una manovra avrebbe chiuso le fila nemiche.
La cavalleria tornata dei due reggimenti laterali passò in prima fila a formazione serrata e la stessa cosa fecero i cavalieri che erano stati fatti ripiegare al centro da Rart.
Una combinazione a dir poco eccellente, con gli uomini a cavallo che caricarono ai fianchi la fanteria nemica, mentre il resto degli uomini andava a circondare e chiudere totalmente la loro postazione. Ora l'esercito di Sikowalth era stato accerchiato e quando gli ufficiali degli Oskaret se ne accorsero, era troppo tardi per suonare la ritirata.
Rion aveva il volto coperto di sangue, la vista quasi annebbiata e continuava a combattere senza sosta da almeno un quarto d'ora. Intorno a lui non c'era altro che gente morta a terra o corpi mutilati e facce di uomini disperati, sia nemici che alleati.
Purtroppo lo scontro non era così come se lo immaginava, perché aveva sempre creduto in combattimenti di persone valorose, forti e leali, in grado di conquistarsi da sole grandi onori. Quello che vedeva, invece, non era altro che un grande ammasso di soldati che si spingevano l'un l'altro, facendosi largo con lo scudo e con l'ascia, calpestando cadaveri e persone ferite, urlando di rabbia o per il dolore, stramazzando a terra senza nemmeno aver assestato un colpo al nemico. Che cosa orribile e quanto spargimento di sangue! Solo tristezza e sconforto avrebbero dominato i loro animi inizialmente impetuosi.
Ad un tratto l'ufficiale non si accorse che un uomo armati di mazza lo stava per colpire con una mazzata in testa, cosa che accadde facendolo cadere a terra, vivo per miracolo, probabilmente grazie all'elmo. Era vulnerabile e non poteva nulla contro l'avversario che nel frattempo aveva anche ucciso un fante che gli si era parato davanti. Rion era incespicato tra i brandelli di cadaveri e feriti, cercando di alzarsi ma sembrava più pesante, come se stesse sguazzando senza trovare appiglio per rimettersi in piedi. Il nemico lo guardava un po' incredulo, come meravigliato per il fatto che fosse ancora vivo, tra il caos e la confusione totale, così sollevò la mazza chiodata per assestargli il colpo di grazia dritto in faccia.
"È così che morirò? Spero solo di non soffrire troppo..." biascicò Rion, consapevole che la sua voce non si sarebbe sentita nemmeno se avesse gridato con tutta la sua forza e nemmeno lui stesso era riuscito ad ascoltare le sue parole.
Il destino era quello? Forse no, perché un cavaliere era giunto in suo soccorso, parando il colpo. Era Derath che aveva affondato e incastrato la lama della sua spada nel legno della mazza del nemico. Quest'ultimo non permise al ragazzo di averla vinta, così portò il vantaggio dalla sua parte, tirando con forza l'arma e facendo cadere il cavaliere in avanti, vicino a Rion. Ora le vittime del nemico erano due, belle che pronte davanti ai suoi piedi, immobili. Peccato solo che il capitano Rart avesse assistito alla scena e non aveva esitato a dare un colpetto sulla spalla di quell'uomo, il quale si voltò ricevendo come sorpresa uno scudo in piena faccia, facendo gli sanguinare il naso. Il soldato armato di mazza sembrava un gigante, alto due metri, grosso e robusto. Rart non aveva tempo per poter badare unicamente a quell'avversario, quindi gli scattò incontro e quando l'altro fece per colpirlo al viso, il capitano si abbassò a terra compiendo una strisciata dirigendosi contro i piedi del guerriero. L'uomo lasciò cadere la mazza chiodata e stramazzò a terra come un sacco di patate, quindi il capitano gli tagliò la gola prima ancora che potesse accorgersene.
I due cavalieri a terra erano ancora sbalorditi e si affrettarono a rialzarsi, lasciandosi aiutare da Rart, che dopo avergli dato un'occhiata per constatare sbrigativamente che non fossero feriti, si gettò nuovamente nella mischia. Poco dopo i nemici batterono in ritirata in modo disordinato, cosa di cui i cavalieri di Ennearel approfittarono, accerchiando e chiudendo piccoli gruppi di fuggiaschi, massacrandoli.
Rart ordinò ai suoi uomini di non inseguire i nemici, perché lo avrebbero fatto i battaglioni ai lati, in particolar modo la cavalleria che per gran parte della battaglia si era tenuta da parte, fatta eccezione per quella centrale che aveva attaccato per prima, ovviamente.
Quello scontro si era concluso e il numero di morti per loro non era così elevato come al solito, prima dell'arrivo di Rart, anche se erano stati fatti pochissimi prigionieri e molti dei quali erano feriti gravemente.
Il capitano si guardò attorno e vide il campo quasi deserto, colmo solo di corpi senza vita e di uomini che lanciavano grida di dolore e lamentele. Cosa stavano facendo lì? Che cosa avevano fatto? Com'era possibile che ancora nessuno avesse aperto gli occhi di fronte ad uno simile scempio? Rart non riusciva a spiegarselo.
Jirk era ferito lievemente ad un braccio ma niente di irrimediabile, mentre Eonas aveva subito la mutilazione di un dito alla mano sinistra, a causa di una sciabola che era riuscita a penetrare nello sbarramento di scudi e la prima cosa che aveva trovato era stata proprio la mano del ragazzo. Rion e Derath sembravano anche più sconvolti e disperati, guardando come la cavalleria degli alleati si fosse lanciata all'inseguimento mentre dal campo veniva fatta avanzare l'artiglieria pesante.
Il primo scontro, la prima vittoria o forse l'ultima. Nessuno poteva prevedere quante altre volte ancora sarebbero sopravvissuti, ma per quel giorno era fatta e non si poteva tornare indietro, a meno che qualcuno non lo avesse ritenuto necessario. A meno che la guerra si fosse spostata alle loro spalle, lontano, direttamente a nord.

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Capitolo 5
*** Tumulti dai confini ***


Capitolo 4 -Tumulti dai confini-


Ombre sinistre si muovevano silenziose nella notte, tra il freddo e l'oscurità dietro agli alberi e lungo le staccionate attorno ai campi coltivati. Con sguardi assetati di sangue, crudeli come pochi esseri, si avvicinavano alla frontiera e ai piccoli villaggi composti da poche case lontane le une dalle altre.
"Hai disposto per la guardia?" domandò Anvol ad uno dei suoi ufficiali.
"Si mio signore! Il confine tra il nostro feudo e quello dei Pemry è vasto ma almeno abbiamo sotto controllo le zone abitate dai nostri contadini" rispose un'uomo piuttosto alto che reggeva una torcia.
Le armature dei pochi soldati presenti in quella determinata zona erano appannate e in alcuni casi, coperte da un sottile strato di acqua o da qualche goccia che portavano alla formazione di una patina di vapore acqueo. Il gelo era quasi insopportabile ma quegli uomini sarebbero dovuti rimanere a sorvegliare le fattorie che si stagliavano da lì a chilometri di distanza fino a nuovo ordine.
Il nobile Anvol era riuscito a portare con sé centotrenta soldati, di cui solo poco più di una ventina gli facevano da scorta, mentre il resto era sparpagliato lungo parte del confine tra i due feudi. L'uomo aveva organizzato diverse pattuglie composte da dieci uomini ciascuna e inviato un paio di piccole squadre, composte da due o tre cavalieri, a presidiare dei vecchi avamposti in modo da avere almeno sempre un po' di uomini fissi in un punto che fungevano da vedette, e per ricevere e trasmettere messaggi alle guardie più lontane. Non che si aspettasse davvero un attacco in un periodo come quello ma nulla era da escludere, inoltre il cielo e la luna stessa erano oscurati completamente da nuvoloni grigi carichi di pioggia o neve. Un segno che lasciava pensare a mantenere un atteggiamento guardingo.
Dopo un'ora passata a ultimare i preparativi per il presidio di quella zona, Anvol si concesse finalmente un po' di riposo e scese da cavallo per recarsi alla locanda dove avrebbe alloggiato fino a quando non fossero giunti nuovi ordini dal fratello. L'ufficiale si tolse le calzature sudicie, come il resto dei vestiti, sporche di fango e impregnate d'acqua, quindi le mise in un angolo vicino al grande camino che emanava un gran calore, rendendo accogliente il piccolo edificio. Ma l'uomo non fece in tempo a salire le scale e salutare il proprietario al bancone, che uno dei suoi cavalieri giunse gridando dopo aver spalancato la porta, facendola urtare violentemente contro la parete.
Si trattava in un soldato sulla trentina, quasi irriconoscibile perché sporco di terriccio in faccia e sulla armatura. Le due guardie rimaste all'esterno nn avevano fatto in tempo a fermarlo che il cavaliere si era precipitato dentro alla locanda ma non era una minaccia, anche perché si trattava di uno dei più nobili e fidati uomini del feudo.
"Aiuto! Stanno arrivando, stanno arrivando! Sono troppi..." urlò con affanno l'uomo.
"Che cosa è successo?!" domandò furente Anvol, chiedendo spiegazioni, "che fine ha fatto il resto della tua scorta?"
Il pover'uomo crollò a terra, nel pavimento di legno ormai fradicio, mentre una serva accorse per aiutarlo a riprendersi, insieme ad altri soldati che irruppero dopo aver sentito il fracasso.
"Voglio che aduniate tutti gli uomini! Illuminate bene le strade e le vie di collegamento con gli altri avamposti. Voglio che nessuno rimanga solo e tutti gli abitanti devono ritornare nelle loro abitazioni" ordinò Anvol tentando di prendere in mano la situazione con prontezza.
"A quanto pare ha iniziato a piovere là fuori, signore" commentò il proprietario della locanda, un vecchio amico di famiglia.
"Già. A quanto pare non potrò riposare questa notte..." rispose Anvol guardando la finestra che faceva rumore e vibrava per il forte vento all'esterno.
Là fuori gli uomini che presidiavano quella zona si riunivano in gruppi più numerosi che potevano e si dirigevano verso le strade della zona abitata, facendo la ronda per evitare che qualcuno potessero arrivare a minacciare il loro comandante. Quei pochi contadini e civili che erano ancora fuori vennero costretti a rientrare immediatamente nei loro capanni e tutti gli animali trovati all'aperto finirono chiusi nelle stalle, ben protette perché contenevano quasi tutti i cavalli.
Le torce e lampade erano state accese dentro e intorno al villaggio, anche se molte fiamme si spegnevano con il vento e la pioggia e dopo poco dovevano accorrere più uomini a riaccenderle. Non si sapeva con esattezza chi aveva eliminato la piccola scorta di messaggeri provenienti dal paese vicino ma gli avvenimenti si susseguivano uno dopo l'altro proprio come era accaduto per la piccola cittadina di Terrival, rasa al suolo dopo il primo attacco da parte degli Oskaret. La storia si ripeteva e quella notte nessun messaggero sarebbe potuto uscire per dare notizie a Foraz-Dor.
Ma quel confine non era esattamente l'unico a rischio, perché un fronte ben più esteso aveva altri problemi da risolvere.
Dopo una giornata intera di festeggiamenti, Rart e gli altri due capitani che lo affiancavano avevano proposto anche un'ora dedita al ricordo e al dolore delle perdite subite, in memoria di tutti i caduti durante quell'attacco. Almeno trecento secondo alcuni ufficiali, ma le statistiche non erano ciò che veramente contava e il capitano dei Tenbri sapeva che le vittime erano almeno una cinquantina di più. In quel momento il sole era quasi tramontato del tutto, mentre si poteva avvertire nell'aria l'odore di foglie secche e legna bruciati. Il falò più grande era proprio situato al centro della linea del fronte controllata da Rart, dove si erano riuniti migliaia di soldati per festeggiare ancora un po', anche se con più autocontrollo rispetto alla volta precedente, quando Rion si era ridotto piuttosto male a forza di bere.
"Allora come stai? Credi di farcela?" chiese Jirk, uscendo da un capanno e aiutando un'altro ragazzo ad uscire.
"Si, grazie. Ora mi sento un po' meglio" rispose Eonas Felictis, aiutandosi ad avanzare con una stampella e grazie all'amico Lubers.
"Ahah, ma dai quindi è così! Che fortuna però, solo il mignolo. Meglio del pollice di sicuro" esclamò Derath vedendolo uscire dal piccolo abitacolo.
"Spiritoso! Ora ti amputo io qualcosa e poi sappimi dire..." replicò il ragazzo con la mano ancora avvolta da un panno bianco.
Eonas doveva ancora ringraziare gli dei per essere salvo, mentre i due amici ridevano per la battuta e continuavano a scherzare per sdrammatizzare la situazione in cui erano. La realtà in cui si trovavano era ben più terribile di quanto non volessero immaginare e le grida e urla di dolore e sofferenza per le atroci ferite avevano colpito a fondo l'animo di quei soldati poco più che ventenni.
"Che dici? Andiamo a prendere qualcosa da mangiare e da bere?" domandò Jirk Lubers ascoltando la musica e le risate provenienti dal grande falò.
"Sbrighiamoci dai! Che ho voglia di sbronzarmi per bene e riempirmi la pancia come un porco. Oggi non avevo appetito dannazione" aggiunse Derath impaziente.
"Non mi pare il caso. È già tanto se non vomito e l'odore si farà più pesante, a meno che tu non voglia una bella crema direttamente prodotta all'interno del sottoscritto?" rispose Eonas alludendo al suo stato di salute momentaneo.
Gli amici fecero gesto come per chiedere silenzio dato le parole che lasciavano a desiderare e provocavano loro solo nausea.
Anche Rion si trovava laggiù, tra la massa di gente che iniziava a festeggiare prima che i capitani facessero i loro discorsi volti a farsi notare. Le tenebre cominciarono ad oscurare tutt'intorno il paesaggio ma non l'accampamento che rimase ben illuminato, in quella vasta landa desolata, strappata ai nemici dopo uno scontro andato a buon fine.
Ogni genere di persona partecipava con entusiasmo o molta euforia a quella sorta di banchetto, dai soldati dei Villi, a quei pochi Pemry presenti solo per approfittare del pasto decente. Solo dopo mezzanotte i festeggiamenti si conclusero, dato la giornata pesante e traumatizzante che aveva stancato quasi tutti, fatta eccezione per diversi ufficiali rimasti seduti a discutere mentre si svolgeva la battaglia.
Alla fine Eonas non era riuscito a mangiare granché ma al suo posto ci avevano pensato i due amici che, senza pensarci due volte, si erano lanciati fra i tavoli apparecchiati e i vassoi colmi di cibo.
Derath aveva bevuto almeno cinque o sei boccali di densa birra e un paio di calici di vino rosso, il più denso che avesse mai assaggiato, rimanendo così intontito per il resto della nottata che sembrò concludersi al meglio. Anche per Rart non c'erano stati problemi riguardo a finti ubriachi che cercassero di fuggire dal fronte, quindi non fu costretto a decapitare nessuno.
Quel lasso di terra era molto più caldo rispetto alla loro precedente posizione, prima che conquistassero l'accampamento nemico più vicino dopo la battaglia vinta, per merito del capitano dei Tenbri. Ma nonostante i soldati si sentissero più comodi e al riparo dal freddo, quella quiete così sonnolenta non poteva fare altro che favorire eventuali minacce, perché di guardie rimaste sveglie, soprattutto vicino al contingente comandato da Rart, ce n'erano ben poche.
Era notte fonda ormai, così oscura e la luna non riusciva ad illuminare per bene il territorio circostante, anche se Rion aveva deciso di farsi una piccola camminata riflettendo sulle attuali circostanze, ammirando il cielo. Suo cugino il capitano lo aveva salvato durante lo scontro quella mattina e le perdite subite erano molto inferiori rispetto a quelle che si aspettavano. La strategia ideata poteva dirsi praticamente perfetta e in poco tempo avevano scacciato da quella zona gli avversari, come se Rart rappresentasse la svolta che l'intero esercito della regione avrebbe compiuto. Una magnifica svolta.
Ma una minaccia incombeva proprio lì vicino, dove le tende erano state sistemate in modo irregolare, separate anche per molti metri le une dalle altre, forse a causa del tanfo che proveniva dal centro dell'accampamento. Tre figure avvolte da neri mantelli si avvicinarono di soppiatto ad una tenda in particolare.
Jirk Lubers aveva spento la candela da un pezzo e dormiva come mai aveva fatto in vita sua, sentendosi schiacciato e oppresso da tutta quella stanchezza e quello stress accumulati in pochi giorni. Ad un tratto un'uomo incappucciato irruppe silenziosamente ed estrasse con estrema lentezza un coltello lungo una quarantina di centimetri, ponendo la lama a pochi millimetri dal collo del ragazzo. La sua vittima era spacciata e per l'accaduto i suoi familiari avrebbero chiesto giustizia, arrivando a mettere a rischio la diplomazia di Ennearel. Dopotutto il giovane cavaliere si trovava nell'accampamento dei Tenbri e Rart aveva la responsabilità di mantenerlo in vita, come segno di rispetto e amicizia nei confronti dei Lubers. Era deciso e il fato voleva quel ragazzo, tanto che una mano si preparava a coprire la bocca della vittima per evitare rumori inopportuni. Solo per un secondo l'assassino tentennò, dopo aver avvertito un rumore alle sue spalle, pur sapendo che due suoi compagni facevano la guardia per evitare che qualcuno scoprisse l'azione. Un secondo che si rivelò decisivo per l'uomo che dopo essersi voltato vide scaraventarglisi contro uno degli uomini di vedetta. I due fecero tanto frastuono quanto bastò a Jirk per svegliarsi allarmato, senza contare poi che proprio il suo assalitore gli era caduto sulla gamba sinistra. Fuori dalla tenda Eonas fronteggiava un'altro degli aggressori posti di guardia e lo spinse anch'esso all'interno, afferrando l'amico per la mano e facendolo uscire.
Il cavaliere aveva fatto in tempo a prendere e sfoderare la sua spada e si preparava ad affiancare lo scudiero per difendersi.
"Dove sono le guardie?" domandò
"Ne ho trovata una morta qui vicino, quando mi sono precipitato alla tua tenda e ho visto questi tizi" rispose Eonas, ancora debole per la ferita alla mano sinistra che per sua fortuna non era fondamentale per combattere.
I tre aggressori scattarono contro i ragazzi, estraendo pugnali e spade, quindi cominciarono un combattimento che avrebbe potuto attirare l'attenzione di altri soldati, se solo non fossero così distanti dal resto dell'accampamento.
Jirk si difendeva egregiamente ma doveva badare anche all'amico che sembrava essere quasi privo di forze, dopo aver affrontato inizialmente quegli uomini da solo nonostante dopo e durante il combattimento avesse perso una grande quantità di sangue. Gli assassini avevano la meglio e uno di loro riuscì con un calcio ad atterrare lo scudiero, il quale non riusciva più a rialzarsi. Sembrava impossibile tentare di tener testa a quei tre che ormai li avevano in pugno, ma ecco che qualcuno aveva udito il rumore metallico provocato dalle spade, accorrendo in loro aiuto.
Uno degli assassini morì trapassato da una lunga lama che dalla schiena trovò forza a sufficienza per oltrepassare anche il petto dell'uomo, il quale dopo pochi attimi stramazzò a terra sputando sangue.
"Lasciate stare mio cugino e il mio amico! Anzi, morirete comunque solo per aver provato ad ucciderli!" sbottò all'improvviso Rion, estraendo la spada dal corpo privo di vita che aveva trafitto. Jirk ne approfittò subito e afferrò velocemente Eonas rimettendolo in piedi, quindi provò a contrattaccare mentre uno dei due avversari rimasti si mise ad affrontare l'ufficiale arrivato dalle loro spalle. La situazione si era capovolta e gli assalitori non potevano fare altro che tentare di eliminare almeno il loro obiettivo, anche se la questione si fece per loro ancor più critica quando Rion disarmò e amputò la mano al suo nemico. Un gemito si udì in gran parte della zona ma nessuno sembrava accorrere, magari pensando che poteva trattasi di qualche ubriaco o forse perché qualcuno aveva rimediato prima.
Eonas riuscì anche a distrarre il loro aggressore gettandogli in faccia del pietrisco misto a sabbia, lasciando all'amico l'opportunità di agire una volta per tutte, ponendo fine allo scontro. Jirk afferrò l'occasione al volo, uccidendo il nemico con un'affondo che fu talmente veloce da non dare all'assassino nemmeno il tempo di riaprire gli occhi per vedere in faccia la morte.
Lo scudiero infierì tagliandogli anche la gola, in segno di disprezzo per l'atto che volevano compiere i tre.
Ma sfortunatamente i due riuscirono a percepire troppo tardi un quarto uomo che con il pomo della spada mise fuori combattimento Rion, il quale perse i sensi rotolando a terra. Si trattava di uno dei sette capitani della regione e a giudicare dallo stemma sullo scudo: un sole raggiante, doveva appartenere alla casata dei Pemry.
"Potete rassicurarvi, perché quando le guardie hanno chiesto che cosa fosse successo, ho risposto loro che io in persona sarei andato a controllare" annunciò l'uomo con un ghigno che faceva venire i brividi, parendo cinico oltre l'immaginabile. Perché aveva appena aggredito un suo stesso alleato? Cosa aveva intenzione di fare con loro? Di sicuro non doveva avere buone intenzioni e nonostante i due ragazzi tentarono disperatamente di farlo ragionare, il capitano continuò ad avanzare lentamente verso di loro, con la spada ancora sguainata. Solo un appena percettibile rumore riuscì a distrarlo per un momento. Rart aveva sempre saputo destreggiarsi nelle strategie e in tecniche furtive ma era tanto tempo che non si esercitava veramente e quella volta si fece notare per un soffio. Difatti la lama del capitano dei Tenbri vibrò e sibilò per la velocità con la quale era stata agitata, che il comandante Pemry andò a parare il fendente diretto alla gola, giusto in tempo.
"Maledizione" mormorò il traditore digrignando i denti.
Rart spinse via con forza la spada dell'avversario che riprese immediatamente a contrattaccare con ferocia, pur sapendo che i suoi colpi erano inutili se effettuati a quel modo. L'impeto e la velocità non erano tutto e il capitano dei Tenbri lo sapeva fin troppo bene, pensando subito che il nemico traditore si sarebbe stancato immediatamente o quasi.
"Tu sei Oscar Pemry, ora mi ricordo di te. Ti ho battuto durante l'ultimo combattimento a cui partecipai anni fa. Il tuo stile di combattimento non è cambiato di molto!" disse Rart, premendo sulla spada dell'avversario, facendola roteare mentre avanzava, fino ad allontanare la lama di quel tanto che bastò per eseguire un deciso affondo, preannunciato da un forte gemito da parte dello sconfitto.
Era fatta e questa volta per davvero. I ragazzi e il capitano si guardarono ancora bene attorno, per sicurezza, poi presero e trascinarono fino alla tenda per le cure l'ufficiale Rion, che avrebbe così ricevuto le medicazioni e i controlli per l'urto subìto.
"Ma chi erano quelli?! Si può sapere?" urlò Jirk in preda alla disperazione.
"Ora calma, calma!" gridò Rart per far tacere i due ragazzi che continuavano a fare avanti e indietro da una parte all'altra della tenda, ancora agitati.
"Ma come si può stare calmi? Quattro tizi sconosciuti appaiono dal nulla avvicinandosi di soppiatto per ammazzarci, senza un motivo e rischiando di riuscirci per davvero!" rispose Eonas abbassando lo sguardo.
"A tutto c'è una spiegazione e il panico spesso può nascondere molte cose..." lo avvisò il capitano, che nel frattempo aveva fatto chiamare Gunìn Villi per metterlo al corrente sulla situazione.
"Ah si?una spiegazione dici? Quale sarebbe, tanto per sapere?!" domandò il giovane scudiero, nervoso.
Rart rimase un attimo in silenzio, come se si fosse bloccato improvvisamente e i due ragazzi immaginarono che in realtà l'uomo non sapesse proprio un bel niente, intuizione che risultò assolutamente errata.
"Innanzitutto ho ragione di credere che l'obiettivo dell'aggressione fosse proprio Jirk Lubers, secondo a ciò che mi avete detto. Inoltre è stato un capitano del feudo Pemry ad attaccarci rassicurando le altre guardie, per questo anche gli altri uomini sconosciuti, come li hai definiti, altro non erano che soldati al servizio dei nostri alleati. Con ogni probabilità si trovavano già qui sul confine e devono aver ricevuto l'ordine di uccidere Jirk per fare in modo che la colpa venisse addossata a me e quindi ai Tenbri stessi, dato il rapporto ancora instabile tra le nostre due casate. In parole povere si tratta di tradimento e più esplicito di così non potrebbe essere. Avete altri dubbi ora?" rispose l'uomo dopo aver parlato a raffica per spiegare come realmente stessero le cose.
I due ragazzi rimasero impietriti e lo scudiero comprese il perché dal compito affidatogli dal cugino stesso.
"È per questo che mi hai chiesto di tenerlo d'occhio..." mormorò Eonas.
L'amico lo guardò storto, come sconvolto da quella dichiarazione che non gli era piaciuta affatto, come se non avesse mai dovuto fidarsi del ragazzo di cui aveva preso le difese quando Derath lo aveva accusato.
Ma non c'era tempo di litigare e chiedere ancora chiarimenti, perché qualcosa di ben più grosso era in atto, senza parlare del fatto che si trovavano ancora tutti in pericolo.
Quando Gunìn Villi entrò nel grande capanno, chiedendo immediatamente cosa fosse successo e perché gli era stato ordinato di svegliarsi nel bel mezzo della notte, Rart cominciò a spiegagli quel che era accaduto e quindi del tradimento dei Pemry.
"Cosa?! Spero tu voglia scherzare, anche se non sembra che tu abbia intenzione di prenderti gioco di me, però ciò che affermi è grave" disse Gunìn dopo aver ascoltato tutta la storia.
"È così purtroppo e bisogna che gli altri Pemry presenti lungo tutto il fronte non sappiano nulla, è imperativo, mi hai capito?" domandò Rart, confidando sull'altro più vecchio capitano.
"Va bene ma come si fa? È un disastro e perderemo la guerra! Come hai intenzione di agire adesso?" chiese il Villi trattenendo a stento uno sbadiglio.
"Devo tornare indietro e portare sano e salvo Jirk, per mostrare ai Lubers che i Pemry li vogliono usare per iniziare un conflitto contro di noi".
Erano parole dure, davvero tremende e se ascoltate a quell'ora che erano tutti ancora storditi dal sonno, sembravano ancora più angoscianti ma l'esercito al fronte sarebbe rimasto dov'era e nessun messaggero avrebbe potuto avvertire i Pemry del loro piano fallito. Ma se qualcuno avesse comunque dato per scontato l'omicidio di Jirk, allora sarebbe stata la fine e gli ex alleati dovevano aver messo degli uomini lungo la strada per accertarsi che messaggeri non portassero notizie sul vero stato del nobile Lubers.
Sarebbero partiti quella sera, anche se Rart non poteva certo dirsi solo per affrontare il viaggio di ritorno a Foraz-Dor.
Intanto, più a nord-ovest di lì, il tempo non voleva azzardarsi a migliorare e le pattuglie erano in subbuglio, mentre si parlava di mercenari inviati da oltre il confine per sterminarli. Anvol riusciva a malapena a trovare un secondo per fermarsi o una breve tregua a causa della notte insonne e per via dell'allarmante notizia del cavaliere sopravvissuto all'agguato. Per fortuna alla fine non era accaduto niente e aveva potuto inviare due messaggeri quella mattina, anche se non aveva idea di come organizzarsi e che strategia usare, poiché privo delle informazioni necessarie. L'uomo si chiedeva se quegli aggressori fossero in molti; magari erano dei nomadi e si spostavano di continuo. Ad ogni modo il suo compito era quello di proteggere i villaggi, gli abitanti e le fattorie da qualunque minaccia, quindi si sarebbe dato da fare nonostante avesse con sé pochi uomini.
"Signore, notizie da Cerefoll" disse un soldato, avvicinandogli una piccola pergamena.
"A quanto pare chiedono istruzioni sul da farsi" riassunse Anvol dopo aver letto attentamente. Effettivamente nemmeno lui sapeva bene come e cosa fare, perché gli uomini a disposizione erano già pochi e inviarne una parte in cerca di briganti per i boschi, non poteva dirsi una saggia decisione.
Cerefoll era uno dei piccoli e lontani villaggi tra quelli situati poco prima della linea di confine con il feudo Pemry, luogo ancora insicuro per via delle recenti aggressioni, forse dovute agli alleati stessi. Chi poteva saperlo? Di certo l'accorto Anvol in persona comprendeva l'idea del fratello maggiore ma un contingente così minuto, composto da poco più di cento uomini, non avrebbe potuto competere nemmeno lontanamente contro l'esercito di prima classe dei vicini oltre il confine ovest. I Tenbri speravano soltanto che tutto potesse risolversi in maniera diplomatica, magari organizzando un matrimonio tra il primogenito Kitran e la figlia dei Pemry. La soluzione non pareva certo semplice in ogni caso e la criticità della questione si manifestò tutta in una sola notte.
I messaggeri sarebbero tornati entro due, al massimo tre giorni, anche se il comandante e fratello di Fendaron aveva un brutto presentimento. Quando calò il sole, Anvol era riuscito a richiamare a sé una decina di uomini che aveva inviato più ad est la mattina precedente. In quel momento erano una trentina i soldati a presidiare quel paesino e il coprifuoco vedeva impegnati piccoli gruppi di guardie reclutate temporaneamente tra gli abitanti locali, i quali avevano il compito di far rientrare gli altri civili e non permettergli di uscire di casa dalle diciotto e mezza fino all'alba. Ecco però che le ombre con sguardi assetati di sangue riapparvero più numerosi e non si limitarono a guardare passivamente come la sera prima. Questa volta avrebbero soppresso tutti i nemici e non potevano certo dirsi in svantaggio numerico, essendo almeno in mille. Un gruppo di tre cavalieri che facevano la guardia all'ingresso del paese, ebbero la sfortuna di essere le prime vittime.
Uno degli ufficiali sembrava particolarmente audace e rideva e scherzava rincuorando i commilitoni, sollevandoli da tutte le preoccupazioni accumulate, come se la speranza fosse più accesa e viva che mai.
I sorrisi si spensero all'istante quando l'uomo venne colpito e trafitto al collo da un pugnale scagliato dal nulla a gran velocità, facendolo stramazzare a terra coperto da un rivolo di sangue che sgorgava di continuo. I due sguainarono le spade e si guardarono intorno ma non videro nulla, quindi decisero di scappare per dare l'allarme.
Uno di loro non fece in tempo a gridare aiuto che un'altra lama lo centrò, questa volta alla schiena, mentre il compagno che continuava a correre più avanti emise un grido prima ancora di essere ucciso, per avvertire gli altri. Tutti e tre erano morti e l'ultimo ad essere stato colpito era riuscito a vedere in faccia uno degli assalitori, coperto da un'armatura leggera nera e rossa e con lo sguardo da assassino quale era.
Naturalmente Anvol non riuscì a sentire subito l'urlo di quella vittima, però i soldati più vicini al luogo dell'attacco avevano udito eccome, mentre uno di loro si era diretto subito alla piccola campana per avvertire tutti dell'attacco in corso. Fortunatamente quei soldati posti di guardia erano tra i più preparati di quel modesto presidio e non ebbero problemi né si fecero scrupoli, utilizzando gli scudi in dotazione per proteggersi l'un l'altro dalle frecce avvelenate che avevano già ucciso una delle sentinelle, morta agonizzante sotto l'effetto della sostanza intinta nella punta del dardo che lo aveva colpito al petto. I cinque uomini presenti in quella zona, non distante dalla locanda dove alloggiava il loro comandante, continuarono a resistere e uno di loro possedeva un'arco con almeno venti frecce. Inutile dire che quel soldato fu l'eroe della serata, sebbene fu anche l'obiettivo numero uno degli avversari e per questo cadde ferito da un pugnale dopo un paio di minuti, quando aveva già ucciso sei nemici.
"Chiamate tutti gli uomini, date l'allarme e preparatevi alla difesa del paese!" sbraitava Anvol rivolgendosi a chiunque gli capitasse davanti, non sapendo né chi fossero i nemici, né quanti erano. In realtà era già da almeno un minuto che una guardia faceva squillare la tromba dando il segnale di pericolo, prima ancora che il comandante lo ordinasse. Ai quesiti che si era posto il nobile Tenbri, la risposta si era fatta strada da sola e apparve di fronte agli occhi dell'uomo sotto forma di un mare di uniformi rosse e nere, tra le quali era possibile distinguere più vessilli dei Pemri.
I nemici erano usciti completamente allo scoperto e mentre le loro trombe suonavano l'avanzata, quella dei Tenbri imponeva la ritirata, nonostante non fossero giunti comandi dall'ufficiale a capo del gruppo di pattuglia. Le diverse squadre situate più distanti e i gruppi di cittadini cui era stato affidato il compito di sorvegliare gli altri abitanti, si erano rivelati immediatamente degli obiettivi da eliminare per primi, essendo facili bersagli. Le cose non andarono male solo in quel paesino, poiché anche gli altri villaggi e i piccoli avamposti, uno dopo l'altro, erano stati assediati e presto non ne sarebbe rimasto più nulla oltre alla cenere. I soldati, sparsi in gruppetti e divisi da chilometri di distanza, non ressero quasi per niente l'attacco, essendo in quei luoghi per contrastare i briganti ma non di certo un'esercito intero. Mentre i messaggeri correvano da ogni presidio per avvertire Fendaron alla città-fortezza, i cittadini cercavano invano di fuggire verso est, scortati da pochi uomini armati. Purtroppo i Pemry avevano previsto un'eventuale fuga da quella parte e avevano sbarrato il passaggio agli abitanti dei villaggi, circondandoli tutti e facendo strage tra uomini, donne, vecchi e bambini. Intanto una decina di cavalieri avevano deciso di utilizzare la locanda che li ospitava, come fortezza, per quanto fosse vecchia e semplice ma si trattava della costruzione più grande; dove Anvol era rinchiuso e disperato, con le lacrime agli occhi. Non aveva paura tanto di morire, quanto di non poter avvisare nessuno e piangeva per gli abitanti indifesi che proprio dalla sua finestra poteva osservare, mentre correvano inutilmente per finire braccati e dissanguati o soffocati, bruciati e ammazzati in modi diversi. Era anche colpa sua se non aveva fatto preparare il villaggio per una eventuale evacuazione, che avrebbe potuto disporre comodamente quella mattina. Ma come poteva sapere? Inoltre gli ordini erano quelli di restare lì e difendere. Ormai non poteva fare altro che afferrare una delle ultime armi giunte tramite gli scambi commerciali con i Villi, puntarla contro gli assalitori e ucciderli dalla finestra, per quanto avrebbe potuto resistere. Si trattava di una balestra in legno e metallo: complicata e sofisticata ma allo stesso tempo, facile e comoda da usare. L'uomo infilò un primo dardo, aprì la finestra e premette la leva che fece scattare il meccanismo dell'arma, scagliando il proiettile che andò a centrare in testa uno dei nemici che lo avevano notato. Non passò molto prima che qualcuno sfondò il portone della taverna, già in fiamme a causa di una moltitudine di frecce infuocate. Anvol continuò imperterrito a sparare dardi per altri quattro minuti, tempo nel quale i cavalieri avevano combattuto e respinto orde di nemici che non potevano entrare troppo numerosi da una porticina come quella, così fino a quando una parte del soffitto gli cadde addosso, ferendone due e uccidendone uno sul colpo. I soldati dei Tenbri non ebbero proprio fortuna quei giorni e gli assalitori entrarono tutti assieme approfittando dell'incidente, riuscendo ad eliminare tutte le guardie.
Quando giunsero al piano di sopra, due soldati dei Pemry furono trapassati da un paio di dardi provenienti dallo stretto corridoio, dove Anvol si accingeva ad estrarre la spada. I nemici non si fecero intimorire e si gettarono contro l'unico avversario rimasto, che rimase vivo ancora per tre minuti buoni, uccidendo altri cinque aggressori, mentre sotto alla finestra un centinaio di soldati si erano fermati a osservare i quindici corpi privi di vita che quel Tenbri aveva causato tutto da solo.
Inutile dire come andò a finire quella notte. Inutile dire quanto sangue fu versato in poco tempo, senza un motivo apparente. La vita di centinaia di uomini e donne si era consumata dolorosamente e tragicamente, proprio come Anvol e il fratello avrebbero voluto evitare. Inutile dire anche, che di messaggeri non ne tornò nessuno a Foraz-Dor.

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Capitolo 6
*** Un Viaggio Rischioso ***


Capitolo 5 - Un Viaggio Rischioso -


Nessun rumore, il silenzio totale colmava quell'atmosfera, dove la nebbia si faceva largo tra gli alberi nudi, privi di foglie. I ramoscelli secchi e umidi scricchiolavano ogni tanto, mentre la brina ricopriva quella poca erba tra il fango e terriccio cosparso di pozzanghere.
Rion Tenbri tirò sù col naso, sentendo il freddo fin dentro le sporche narici, quando si accorse che si era fatto tardi. Il sole era sorto da un paio di minuti ma le nuvole lo coprivano in parte. Anche il cugino Rart si era svegliato e dopo neanche cinque secondi era già in piedi pronto per tornare in marcia, nonostante Jirk si rannicchiasse ancora su sé stesso, avvolto da una spessa coperta di lana sporca e bagnaticcia.
"Avanti signorino, dobbiamo camminare ancora un po' prima di raggiungere il Vallo" disse Rion calciando la gamba del ragazzo.
Proprio così: i tre si erano allontanati dall'accampamento con il consenso del Capitano Gunìn Villi e avevano deciso di tornare a Foraz-Dor per avvisare gli altri della situazione, mentre i Pemry non dovevano venire a conoscenza di quel loro spostamento. Eonas Felictis era rimasto al fronte per avvertire e informare il resto del loro contingente, badando anche a non far destare sospetti agli altri soldati. La prima tappa sarebbe stata proprio il Vallo dei Prodi, città teoricamente sotto il controllo dei Tenbri e a loro fedeli. Il piano era semplice ma non sarebbe stato facile percorrere quel lungo tragitto da lì fino a Foraz-Dor, dove la strada era sinuosa e molti più pericoli avrebbero potuto ostacolarli. Il rischio era elevato ma se non fossero riusciti a raggiungere la capitale del feudo, le probabilità di essere dominati e distrutti dagli ex-alleati sarebbero divenute più che certe. Non erano plausibili né percepibili errori durante quel loro spostamento, perché i Pemry dovevano aver previsto eventuali azioni e per cautela avevano sicuramente posto sentinelle e mercenari lungo la strada per la grande città dei Tenbri.
"Ancora una ventina di minuti e saremo dentro il Vallo, forza!" annunciò Rart, incalzando gli altri a muoversi in fretta.
Erano tutti stanchi e assonnati, dopo la notte passata a marciare per allontanarsi dall'accampamento lungo il fronte, dove erano stati aggrediti. Fortunatamente il primo luogo fortificato dove avrebbero potuto accamparsi non distava molto dal confine e lì si sarebbero riposati come si deve, magari i prodi li potevano scortare per un bel pezzo di strada, in modo da viaggiare più sicuri.
Il confine sembrava ancora così vicino ma era solo un'apparenza, dato che, in realtà, i tre avevano già camminato per ben quattro chilometri, evitando la strada principale che poteva essere controllata dai Pemry. Fu così che dopo altre due ore e mezza, il capitano, affiancato dal cugino e dal ragazzo, giunsero di fronte alla mitica montagna dentro alla quale si ergeva probabilmente la più grande fortificazione di tutti i tempi su quel continente. Davanti a loro, ancora una volta, si vedeva la soglia d'accesso per un luogo diverso da quello in cui si trovavano, forse più calmo e non deturpato da guerre ma ricco di pericoli: il gigantesco portone Himlok si rifletteva nella luce degli occhi dei tre. Ancora una volta avrebbero passato un po' di tempo al Vallo dei Prodi ma non di certo l'intera giornata, poiché bastava loro farsi carico del necessario per continuare. Avrebbero preso cavalli, coperte e viveri in abbondanza, dato l'abbassarsi netto della temperatura. Rart gemette per qualche secondo.
"Ehi! Tutto bene?" domandò Jirk.
"A posto, tranquillo. Devo solo riposare un po'" rispose il capitano.
In realtà l'uomo non ebbe altro che una fitta di dolore alla coscia, dov'era stato ferito durante la battaglia al fronte e se n'era ricordato solo in quel momento. Non si trattava di un taglio particolarmente grave ma abbastanza profondo e probabilmente nn era stato pulito in tempo. Bisognava solo sperare che non dovesse ricorrere all'amputazione.
"Siamo di Ennearel, fateci passare!" gridò Rion sperando che Himlok venisse loro aperto.
"Non dirmi che ci credi davvero? Chiunque potrebbe affermare di essere un alleato e se le guardie dovessero aprire a tutti coloro che urlano, con ogni probabilità la nostra regione sarebbe sotto dominio nemico da un pezzo..." commentò Rart.
"E allora che cosa suggerisci, genio?" domandò il cugino, irritato.
"Ehi ascoltate! Sono il Capitano Rart Tenbri, dite a Norr di controllare lui stesso! Fateci passare!"
La frase si rivelò la soluzione per i tre che videro aprirsi, dopo qualche istante, il portone imponente del Vallo, dove una trentina di guardie armate fino ai denti erano state schierate per sicurezza, non che fossero necessarie in ogni caso. Diversi calderoni erano pronti a rovesciare dall'alto una sostanza corrosiva ottenuta dalla decomposizione di funghi particolari, senza contare la miriade di arcieri che tenevano sotto tiro gli individui ancora al di fuori della città. Man mano che si avvicinavano, Rart si accorgeva sempre di più che al centro del piccolo schieramento doveva esserci una persona in particolare, un'uomo dall'aria compiaciuta. Egli portava una lunga tunica grigio-nera e una maglia di una tessitura non riconoscibile avvolta da una cintura in cuoio nera. Un paio di stivali marroni e una spada al fianco, non dimenticando l'amuleto che gli pendeva dal collo.
"Norr!" esclamò il capitano con un sorriso.
L'altro gli diede un'occhiata, poi si voltò e fece cenno con una mano ad alcuni uomini, permettendo ad un cavaliere di avanzare verso i tre appena arrivati.
Quel soldato aveva l'armatura dei Pemry e il simbolo stesso era inciso nello scudo che portava, poi anche un'altra dozzina di armati dello stesso feudo si affrettarono a circondare i fuggitivi.
"Che cosa significa?!" mormorò Rion esterrefatto.
"Norr, loro non sono dalla nostra parte! Fai qualcosa!" esclamò Rart in preda al panico, non capendo cosa diamine stesse accadendo e per quale motivo.
"Voi traditori dovete essere giustiziati immediatamente, prima di entrare in città" annunciò un soldato dei Pemry estraendo la spada, mentre i suoi commilitoni avevano accerchiato del tutto i tre, puntado loro le lance contro. Non poteva essere la fine, di già, in quel punto così distanti dalla patria.
"Signore le consiglio di fare uscire anche le truppe qui dietro. Non si sa che il nostro capitano non ci abbia fatto una sorpresa! Magari ha portato con sé parte del suo stesso contingente" disse Norren rivolgendosi all'ufficiale dei Pemry, il quale diede l'ordine ad un centinaio di truppe di andare a verificare che nel tratto di strada prima non ci fossero altri eventuali nemici.
"Ora però il tuo compito è finito! Non seccarmi e osserva la giustizia di Ennearel!"
"A dire il vero no" rispose il prode con assoluta tranquillità.
Il cavaliere Pemry pareva proprio non aver capito cosa l'uomo stesse dicendo, quindi aggrottò la fronte come per esigere spiegazioni.
Non passò molto che una dozzina di dardi trapassarono i soldati intorno, liberando un varco ai tre che si trovavano circondati. Allora non si era schierato veramente dalla parte degli ex-alleati, non aveva tradito sul serio la casata che avevano giurato di servire per sempre.
Norren estrasse un pugnale ed infilzò l'ufficiale nemico dritto in pancia, sussurrandogli qualcosa di veramente umiliante e spiacevole o almeno così doveva essere, a giudicare dall'espressione del cavaliere mentre moriva lentamente.
Non appena si accorsero dell'accaduto, i cento uomini che erano andati a controllare la strada iniziarono a correre indietro, temendo di rimanere chiusi fuori ma non ce n'era bisogno: come già spiegato, quelle trenta guardie erano lì solo per motivi di sicurezza. Rart, Jirk e Rion si diressero di corsa verso l'interno della città, mentre Norr aveva continuato ad eliminare gli altri pochi soldati che si trovavano già lì, affrontandone anche cinque alla volta.
Il resto della truppa dei Pemry non riuscì a raggiungere il portone che una selva di frecce li investì tutti, fatta eccezione per qualcuno che era dotato di scudo e riuscì a farne un giusto uso ma a questi era bastato scagliare contro dardi più grandi, lanciati da potenti baliste situate proprio lungo feritoie dentro Himlok.
Intanto l'ufficiale moribondo biascicava qualcosa di continuo, emettendo le sue ultime parole.
"Finito, il tuo compito era... finito"
Probabilmente il cavaliere faceva riferimento alla frase detta in precedenza, quando aveva fatto spostare il resto dei soldati più avanti sulla strada ma Norr non esitò a dare il colpo di grazia e trafisse il petto del Pemry con la spada.
"Ora lo è" disse semplicemente, alludendo a quello che doveva essere il suo compito in realtà, "bentornato capitano Rart".
Un gran frastuono segnalò la chiusura dell'immenso portone alle spalle dei fuggiaschi, qualche minuto più tardi. Il prode Corassath, console del Vallo insieme a Norren, li aveva raggiunti con un manipolo di guardie, armato con una daga e sporco di sangue sul volto.
"A quanto pare non avete riscontrato grossi problemi! Grazie al cielo" disse l'uomo col fiatone, dando ordine alla scorta di fermarsi.
"Non abbiamo subito perdite e voi?" domandò Norr.
Corassath fece segno con la mano unendo indice e pollice, rappresentando un cerchio: stava a significare zero perdite.
"A quanto pare avevano previsto la nostra possibile fuga" disse Rion, il quale cominciava a comprendere che i Pemry avevano intenzione di corrompere l'intera città dei prodi.
"Noi non stiamo fuggendo! Vogliamo solo tornare a Foraz-Dor per avvertire la nostra casata del tradimento!" intervenne Rart.
Norren annuì e gli fece cenno di seguirlo, quindi li condusse fino ad un'armeria situata nel primo livello della città fortificata, dove si erano raggruppati una ventina di uomini e donne. Una volta entrati, il capitano e gli altri due compagni rimasero sbalorditi dalla moltitudine di armi e materiale bellico. C'era veramente di tutto: dalle spade alle lancie; dai bastoni alle mazze chiodate; scudi di ogni forma e dimensione; armature ricamate in centinaia di modi differenti e ancora coltelli e sciabole; dardi e archi; balestre e baliste; frecce dalle punte più complicate che avessero mai visto; boccette colme di veleni, acidi o purghe; medicinali e attrezzi per il riparo dell'equipaggiamento, briglie per cavalli elaborate, pesanti o leggere, corazzate con materiali diversi.
"Ma questa è casa mia..." mormorò Rion esterrefatto.
"Da questa parte" li richiamò all'attenzione Norr che si accingeva a scendere una scalinata, poco illuminata e dal pavimento bagnato dall'umidità.
"Ecco, qui abbiamo due casse colme di viveri e vestiti, qualche moneta che può fare comodo durante il viaggio e molte armi. Prendete quello che volete" annunciò il prode.
Rart abbracciò l'uomo che gli stava offrendo aiuto gratuitamente, quel comandante che non aveva esitato ad eliminare il contingente Pemry che avrebbe potuto ricompensarli in cambio della vita dei tre fuggiaschi.
"Non so come ringraziarti, davvero!"
"Oh oh, bé a dire il vero potresti portare qui un po' di oro e più viveri. In realtà confido in te per la conclusione di questa inutile guerra" rispose Norr.
Il capitano dei Tenbri non poteva fallire, non lui e soprattutto non dopo aver ascoltato quelle parole. Rart aveva capito che in molti avevano riposto fiducia nella sua figura e da lui stesso dipendevano molte persone, compresi i suoi amici e la sua casata che, ora, più di ogni altro tempo, necessitava aiuto.
"Che gli dei ci aiutino!" esclamò Jirk.
"Credo che ci stiano pensando i prodi" disse Rion vedendo arrivare un ufficiale delle guardie.
Dopo essere usciti dall'armeria, i tre videro una decina di cavalieri armati salutarli alzando in alto le spade, mentre Norr portò il pugno al petto come saluto in onore ai Tenbri. Anche Rart fece lo stesso in tutta risposta.
"Mi ero dimenticato di dirvi che ci saremo anche noi ad accompagnarvi" li informò il prode.
"Ma tu servi qui! Anche i tuoi uomini perché già il Vallo è a corto di uomini..." replicò il capitano, senza riuscire a concludere il discorso poiché interrotto dai volti offesi e colmi di rabbia di quel manipolo di prodi. I soldati e gli abitanti del posto erano molto fieri e orgogliosi, pertanto non potevano accettare blasfemie riguardo alla insicurezza della loro città, protetta più che mai da possenti mura.
"Fidati che quei pochi cavalieri basterebbero a respingere l'intera Ennearel e qualsiasi esercito di Sikowalth, se uniti alle fortificazioni del Vallo" aggiunse Norren.
Dopo tutto si trattava dei prodi e non di un qualsiasi reggimento di fanteria composto da mercenari o bifolchi, nonostante l'aspetto potesse far pensare proprio ad individui del genere.
E così un'altra piccola mossa a favore dei Tenbri aveva fatto in modo che il destino si predisponesse ad essere migliore per tutti loro, in quel momento in cui forze più a nord e ad est progettavano l'invasione della capitale del feudo centrale della regione. La meta era ancora parecchio lontana ma le probabilità di successo erano aumentate tanto quanto bastasse per avere più fiducia e più speranza, grazie proprio all'intervento dei prodi che avevano ribaltato la situazione in sfavore dei Pemry.
A nord est, invece, qualcosa di ben più temibile era in atto, tra le viscere del sottosuolo, alle pendici dei Monti Folli, dov'era situata una delle roccaforti più antiche mai esistite, ora quasi in decadenza. Nelle segrete, sotto a cunicoli e camere sotterranee, luoghi alquanto angusti, abitati da sorci e muffa, un'ambasciatore aveva appena raggiunto la stanza dov'era atteso da un uomo alto e dalla barba ben colta, il quale indossava abiti regali, tra i quali un mantello verde acceso ricamato da filettature dorate. Sul capo aveva una piccola corona splendente ma senza alcuna incisione, semplice e leggera.
"Sire, è arrivato l'ambasciatore" annunciò una guardia avvicinandosi all'uomo, che annuì e fece cenno con la mano di far passare l'ospite.
"Spero tu abbia validi motivi per farmi giungere sino a questo posto così squallido, Darren Lubers, signore del nobile e indipendente omonimo feudo" disse l'ambasciatore.
"Salute, Temphol Pemry. Conferiremo qui a causa delle spie che potrebbero origliare, uomini, donne e bambini che vorrebbero attentare alla mia vita. Di cosa volevi parlarmi così urgentemente?" domandò in tono seccato il signore della casata Lubers.
Temphol fece qualche passo, diede un'occhiata alle putride pareti circostanti e al soffitto così umido da gocciolare acqua e muffa, prima di rispondere con un ghigno.
"Tuo figlio, il secondo genito Jirk, è morto!" annunciò.
"Chi? Chi è stato?" chiese Darren stringendo le mani ad un tavolino, facendolo scricchiolare.
"Rart Tenbri" fu la risposta.

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Capitolo 7
*** In Marcia ***


Capitolo 6 - La Marcia –


Irda Giada Tenbri stava avanzando lentamente lungo un portico, avvolta da un abito lungo di seta roseo e bianco che arrivava fino al pavimento, sporcandosi di foglie secche, terriccio e polvere. C'era molto freddo e una leggera nebbia sembrava rendere l'atmosfera ancora più inquietante, mentre la strana quiete che avvolgeva quel cortile sembrava rendere la ragazza irrequieta. Una volta giunta di fronte a uno specchio, le sembrò di vedere come un'altra persona in quell'immagine riflessa e mano a mano che si avvicinava, ne aveva sempre più la certezza. Gli abiti ed i lunghi capelli castano chiari erano indubbiamente i suoi ma passo dopo passo si accorgeva di vedere un viso sempre più diverso, fino a quando decise di accelerare il passo, notando che gli occhi della sua immagine riflessa cominciarono a decomporsi lentamente e la bocca prese ad aprirsi e chiudersi convulsamente, fino a formare un ampio sorriso. Irda Giada corse e corse fino a quando si fermò, presa dai brividi causati dal freddo ma ancor di più dalla paura. Ad un tratto l'immagine riflessa scomparve e per un attimo sembrò che un fantasma avesse attraversato da lato a lato il vetro dello specchio. La ragazza mise le braccia conserte per cercare di tenersi più caldo, cosa che non funzionò affatto, poi indietreggiò di qualche passo, notando che se nemmeno la sua immagine veniva riflessa più, doveva essere accaduto qualcosa di ancora più agghiacciante. Ad un tratto, mentre faceva qualche passo indietro, le sembrò di schiacciare un altro piede e s'irrigidì di colpo.
Si trattava di qualcosa di vivo, forse, che per un attimo le sfiorò la schiena, facendola rabbrividire. Sentiva il suo respiro, la sua presenza.
Irda non aveva il coraggio di voltarsi per guardare quale ostacolo ci fosse, non ce n'era bisogno perché credeva di saperlo già.
Lo fece ugualmente, dopo essere avanzata di qualche passo.
"Aaaaah!" gridò la ragazza, vedendo l'immagine di prima camminare verso di lei, priva di una forma vera e propria, indossando i suoi stessi vestiti.
Irda si girò ancora chiudendo gli occhi, forse per il timore di vivere quella che si presentava come una morte orribile e angosciante.
Nessuna strana creatura però fece del male alla ragazza, mentre un'altra presenza apparve dal nulla, all'improvviso, come per incanto.
"Puoi darmi la mano?" le chiese una voce che sembrava pura.
Giada socchiuse gli occhi, poi li riaprì del tutto all'improvviso, trovandosi davanti un ragazzo piuttosto alto che brandiva una spada, in piedi al posto del fantasma di prima.
"Chi sei?" domandò la ragazza.
"Puoi fidarti, mi chiamo Dave".
I due si avviarono verso un piccolo tempio, dove una statua piuttosto grande, alta circa due metri, sembrava vegliare sul posto con sguardo severo. Si trattava del busto di Mindael, la divinità dalle sembianze di un drago, una figura religiosa legata molto alla natura, secondo gli enneareliani. Pareva quasi una creatura dormiente, pronta a risvegliarsi da un momento all'altro per impedire a intrusi di profanare quel luogo sacro.
"Dove ci stiamo recando?" chiese la ragazza guardandosi attorno.
"Non lo so nemmeno io di preciso. Mindael mi ha guidato fin qua, dove ho incontrato te e il tuo fantasma" rispose il ragazzo dall'aria imperturbabile.
"Di che cosa si tratta? Cos'era quello spettro?" domandò ancora Irda.
"Ah se non lo sai tu... comunque nulla di buono, presumo. L'importante è che sia svanito".
Dopo pochi istanti i ragazzi entrarono nel piccolo edificio, quasi vuoto e spoglio; privo di qualsiasi decoro o riferimento religioso, se non un piccolo santuario composto da una grande lastra in marmo sopra la quale era presente una statuetta e diverse incisioni che formavano scritte e disegni apparentemente astratti, privi di significato. Una candela spenta e completamente integra, mai utilizzata, era posta al centro della lastra.
"Sembra quasi che rappresentino una grande luce e diverse battaglie in sequenza..." disse Dave provando ad interpretare quelle incisioni.
Intanto la ragazza continuava ad osservare stupita l'interno del tempio, retto da cinque colonne bianche sulla destra e altrettante leggermente più scure a sinistra. Si domandava ancora in quale strano sogno o incubo fosse capitata e per quale motivo, nonostante si sentisse più al sicuro da quando il ragazzo l'aveva trovata, salvandola dal suo stesso fantasma, però lui chi era esattamente? Capelli castani e occhi del medesimo colore, un viso ben curato e senza barba ma una leggera marcatura dei corti baffi che si univano a quell'accenno di pizzetto sul mento, sotto alle labbra carnose.
"Ehi, forse ho capito di cosa si tratta! Ascolta: sembrerebbe raffigurare la storia del mondo dalla creazione fino ad ora! Guarda, alla fine puoi anche notare la guerra e..." fece Dave, indicando diversi punti sulla lastra, quando ad un tratto si interruppe, come sconcertato.
"Cosa c'è?" chiese la ragazza quasi spaventata.
"Ma questo è il futuro..." mormorò il ragazzo con irrequietezza.
Le incisioni formavano strane figure, illustrando passo dopo passo come la guerra sarebbe proseguita, spostandosi da sud a tutto il centro e il nord di Ennearel, dove comparivano scritte e nomi come Darren, Fendaron o Temphol, affiancati da piccole spirali, simboli che solitamente venivano utilizzati per indicare il passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti.
"Non è possibile! Vuol forse indicare la guerra tra feudi? Qui a Ennearel?!" esclamò indietreggiando.
"Ma c'è scritto anche il nome di mio zio!" disse Irda Giada, scossa.
Poi un grande vortice prese a risucchiare ogni cosa, fuori e dentro il tempio, dalla statua di Mindael alle colonne che reggevano la struttura stessa, poi anche la lastra e la candela.
"Tuo zio? Presto, dimmi come ti chiami, chi sei?" gridò Dave assordato dal frastuono provocato dal vortice.
"Io sono Irda Giada Tenbri!" rispose lei tentando di resistere alla forza del vento che la strappava da terra.
"Dave Lubers!" rispose l'altro, cercando di tendere una mano alla ragazza per non separarsi.
Due urla si mescolarono quando tutto sparì dentro a quell'enorme varco che si era aperto proprio sopra di loro. I due non erano riusciti a rimanere uniti ma forse avrebbero creduto a quella visione, una volta svegli e pienamente coscienti. Il problema stava nel riuscire ad accettare tutto ciò e nel tentare di spiegarlo ai propri familiari.

Quello stesso giorno il capitano Rart Tenbri si era messo in marcia insieme al cugino Rion, Jirk Lubers e al cavaliere Derath, con la scorta di nove prodi capeggiati da Norren in persona, nel tentativo di rendere il viaggio più sicuro possibile. Non sarebbe stato facile di certo riuscire a raggiungere Foraz-Dor senza incombere in qualche minaccia, però dovevano sperare di agire meglio dei loro nemici, anche se i reietti presenti in zona non potevano proprio dirsi prevedibili ed evitare le strade per paura di incrociare i Pemry poteva significare andare incontro ai briganti o peggio.
"Cerchiamo di mantenere costante questa velocità, così raggiungeremo Foraz-Dor entro due giorni!" esclamò Rart, contando su uno strano e forse insolito ottimismo, cosa non da lui. Forse credeva davvero di potercela fare in così poco tempo: dopotutto si trattava di un piccolo gruppo di soldati e non di un intero contingente come quello guidato la prima volta all'andata; oppure diceva così solo nel tentativo di far crescere la speranza nelle truppe? Ma in fondo non serviva nessun incoraggiamento, nessuna frase colma di ottimismo, per infondere coraggio e fiducia nell'animo dei prodi che lo seguivano, perché loro avevano lo scopo di combattere per la loro città e per i Tenbri, essendo in origine parte del nobile feudo. Quei cavalieri, quei soldati dall'atteggiamento quasi passivo e dallo sguardo torvo, vivevano al Vallo, un luogo creato per la difesa della casata da tutti i nemici e oppositori, quindi erano nati per resistere fino alla morte per fare in modo che nessuno giungesse con intenzioni ostili sino alla capitale del feudo. Ora che gli avversari si trovavano dalla parte opposta, non potevano di certo ignorare quella minaccia, anche se la priorità, per i prodi, era sempre quella di rimanere al Vallo e lì resistervi.
Il capitano non avrebbe potuto chiedere di meglio e ora che il cugino aveva finalmente rimosso ogni segno di rancore e gelosia nei suoi confronti, sapeva di essere circondato da uomini fidati, forse proprio per questo motivo era arrivato al punto di dichiarare così tanto ottimismo.
"Si, arriveremo presto, tutti" aggiunse poi.
Cinque ore. Cinque lunghissime ore di marcia passarono in attesa di qualche minaccia, mostrandosi guardinghi verso qualsiasi rumore proveniente da infondo la strada; dietro agli alberi o sul fianco di una collina. Sempre più spesso capitava che balenassero nella testa del capitano idee come quella di proseguire la via camminando lontani dal sentiero principale, dove si sarebbero potuti aspettare un'agguato. Non che fosse una grande pensata ma il viaggiare in mezzo alla strada come aveva fatto all'andata non gli sembrava una trovata lodevole: forse avrebbero dovuto accorciare la via passando per i boschi. Il problema però era la presenza certa di reietti sul vasto territorio a soli quattro chilometri dal Lago dei Gyrri, per non parlare della costante presenza di lupi férali nell'intero feudo.
"Signori, proseguiremo per una via alternativa che non sia il sentiero" ordinò comunque Rart.
"Ehi ma che dici?!" si affrettò a domandare il cugino, il quale sapeva benissimo cosa si celava in quei boschi.
"Sempre meglio i reietti disorganizzati e morti di fame, che un battaglione disciplinato e bene armato dei Pemry" rispose il capitano.
Derath sembrava non essere molto d'accordo, Norren non disse una parola così come il resto dei prodi, mentre un vento forte cominciò a spirare, facendo frusciare rumorosamente le foglie dei cespugli e sui rami degli alberi.
Il sole stava cominciando il suo declivio che indicava la prevalenza sempre maggiore delle tenebre, nonché il tramonto stesso, momento dal quale cominciava la cautela più assoluta per via dei branchi di lupi che si aggiravano in cerca di possibili prede.
Quando il vento cessò, un rumore molto più innaturale, metallico e quasi impercettibile, riuscì ad essere captato da uno dei prodi.
"Ehi, lo avete sentito anche voi?" chiese il soldato della scorta.
Dopo aver ascoltato l'uomo, tutti gli altri tentarono di aguzzare l'udito in cerca di qualche suono.
"No. Il vento ha solo smesso di soffiare ma..." replicò un altro soldato, non facendo in tempo a concludere la frase, però, che una freccia lo colpì al braccio sinistro.
Immediatamente i cavalieri e le guardie si misero in guardia formando un cerchio, quindi chi possedeva uno scudo si affrettò ad impugnarlo.
Subito dopo una banda composta da circa una ventina di uomini armati si parò davanti e attorno alle vittime dell'imboscata, emettendo grida e versi volti a terrorizzare.
"Briganti!" esclamò Rart cingendosi ad afferrare il piccolo scudo da dietro la schiena.
Non sembravano una minaccia così temibile e soprattutto erano composti da vecchi o da persone in pessime condizioni, dalla barba grigia o nera molto folta e incurata, così come il resto del corpo a partire dagli stracci indossati.
"Svestitevi e gettate a suolo ogni cosa!" doveva aver urlato un vecchio biascicando non poco le parole.
"Che facciamo? Questi qui non accetteranno accordi e la diplomazia non farebbe altro che ritardare il nostro arrivo per Foraz-Dor" bisbigliò Rion rivolto al cugino, mantenendosi in guardia.
"Sempre di fretta tu eh?" rispose Rart asciugandosi le guance dal sudore, provocato dalla camminata sotto il sole... e forse anche dallo spavento iniziale.
"Penso di dover concordare. Non abbiamo tempo!" aggiunse Norren sottovoce.
Il capitano diede uno sguardo anche all'amico e pareva che non ci fosse altra scelta, quindi fece un cenno col capo per indicare il consenso all'azione di contrattacco.
Derath si fece coraggio e diede inizio allo scontro vero e proprio, quindi lanciò un pugnale contro uno degli assalitori, colpendolo però con il manico e senza procurargli danni fatali. Quella mossa era stata fatta per distrarre gli avversari che si erano concentrati sul giovane cavaliere, mentre quest'ultimo si lanciò di corsa verso i nemici, gridando a squarciagola.
Nel frattempo Rion aveva scagliato un piccolo giavellotto contro uno dei briganti, trapassandogli il petto e spingendolo addosso ad altri uomini.
Gli aggressori reagirono ma da com'era incominciato il combattimento non potevano certo dirsi in vantaggio e quando anche tutti gli altri soldati e cavalieri presero a caricare gli avversari, comandati abilmente da Rart e Norren, sembrò quasi che non ci fossero speranze per i briganti che iniziarono a retrocedere inesorabilmente, fino ad essere costretti alla fuga senza aver inferto un solo colpo fatale al gruppo meglio addestrato ed equipaggiato. Rart combatteva contro due uomini mettendoli seriamente in difficoltà, quando uno di questi tentò un fendente dall'alto ma il capitano lo deviò spazzando via la spada con un calcio, poi roteò su sé stesso per usufruire del movimento causato dal calcio e tagliò lo stomaco al nemico, mentre l'altro voleva approfittare del momento ma si mostrò decisamente troppo lento.
Rart parò un affondo esageratamente mal fatto e con lo scudo spinse giù da un tronco anche quel brigante. Norr stava agendo quasi d'impeto, lanciandosi da un'avversario all'altro e mettendoli a terra a pugni, gomitate e calci, anche se nessun soldato qualunque avrebbe potuto mai sperare di avere la meglio su tutti quegli uomini solo con la ferocia e l'impeto ma il prode poteva dirsi sufficientemente esperto e agile da poterselo permettere. Ciò che li metteva in difficoltà erano, invece, quei pochi arcieri che si spostavano di continuo e scagliavano quante più frecce possibili. Lo scontro non durò molto in ogni caso, perché due prodi armati di arco avevano provveduto ad eliminare anche quegli arcieri che tanto li infastidivano e rischiavano di colpirli nonostante la scarsa mira. Rart aveva cominciato a inseguire uno degli avversari armato di ascia ma non si era accorto che un brigante lo stava prendendo di mira e con ogni probabilità avrebbe centrato il bersaglio, se Norren non si fosse messo in mezzo deviando la freccia che comunque si conficcò tra le costole dell'uomo, seppur entrando di poco nella carne. Il prode gemette e si estrasse da solo il dardo dal corpo, spezzandolo e gettandolo a terra con vigore, mentre il capitano dei Tenbri aveva assistito sconcertato alla scena. Quell'arciere morì un attimo dopo, trafitto da una lancia da dietro la schiena fino a uscire dal petto. Era stato Rion che si era lanciato all'inseguimento dei briganti, ormai in fuga.
"Restate uniti! Rimaniamo uniti qui, non inseguiteli!" ordinò Rart.
Il primo attacco del loro viaggio dal Vallo si era concluso più che bene, considerando lo svantaggio numerico del gruppo capeggiato dal capitano, inoltre non avevano subito perdite mentre gli aggressori erano stati più che decimati. Ora regnava la quiete lungo il sentiero e si decise di riprendere la marcia, nonostante Rart volesse constatare la gravità della ferita inferta all'amico Norr, il quale si mostrò troppo orgoglioso per farsi medicare per bene da qualcuno.
Ma le cose erano destinate a peggiorare presto e notevolmente, poiché il cielo si stava oscurando e l'aria si era fatta più gelida e pungente: tutte condizioni non proprio favorevoli a quei guerrieri, sopratutto per i due prodi feriti da lame troppo scure e viscide per essere solo sporche.
Si era fatta sera ormai, quando il prode colpito al braccio sembrò sentirsi mancare il fiato e si accasciò a terra con un tonfo.
"Ehi! Che ti succede?! Capitano Rart aiuto!" gridò Derath che stava viaggiando proprio affianco all'uomo svenuto.
Rart accorse subito allarmato, così come il resto dei soldati che avevano immediatamente formato un cerchio intorno all'infortunato, il quale sembrava stesse sudando e aveva un colorito paonazzo sulle palpebre e rossiccio sulle guance. Come se non bastasse aveva cominciato a nevicare intensamente e un freddo vento iniziò a soffiare e urlare tra gli alberi del posto, distante circa un chilometro dal sentiero principale.
"Non conosco questi sintomi. Parrebbe quasi una sorta di febbre ma è strano che abbia colpito così all'improvviso" commentò il capitano.
"Fino a un attimo fa camminava normalmente..."aggiunse Derath con tono preoccupato.
Ad un tratto anche un'altra voce gridò aiuto, poco più avanti dove era rimasto il comandante dei prodi.
"Oh no..." mormorò Rart disperato.
L'amico Norren era a terra e pareva muovere appena la testa ma le palpebre erano completamente chiuse e ogni tanto dava un colpo di tosse molto forte. Il capitano sospettava già cosa potesse essere accaduto ai due uomini e dall'espressione del suo viso non pareva si trattasse di una faccenda da poco.
"Cosa gli è capitato?!" domandò il ragazzo, disperato.
"Dobbiamo subito fermarci e allestire un accampamento, presto!" ordinò il capitano.
"Ma non siamo ancora in un luogo sicuro. C'è il rischio che..." replicò un prode, venendo poi interrotto.
"Il rischio era contemplato fin dall'inizio ma la morte di due dei nostri diverrà una certezza se non provvediamo all'istante!" esclamò Rart, mentre il vento gelido cominciava a soffiare con sempre più forza tra loro.
I cavalieri annuirono dopo qualche attimo di perplessità, poi cominciarono a darsi da fare e prepararono lo scarso materiale per la realizzazione di un piccolo accampamento. La neve era ormai ovunque, per terra, sugli alberi e negli indumenti di quei pochi uomini che si affrettavano a preparare la postazione al riparo di eventuali minacce. Norren era un tipo ostico e questo il capitano lo sapeva bene ma ciò che lo aveva colpito era ben più temibile di una semplice freccia.
"Di cosa si tratta?" chiese Derath avvicinandosi di più al comandante.
"È stato avvelenato, così come è successo all'altro prode" rispose Rart in tono sconsolato.
La giornata si concluse in quel modo e le tenebre inghiottirono ogni cosa col calare della notte, mentre il freddo aumentava ed il vento urlava tra gli alberi. Solo un piccolo braciere lasciava spazio a un po' di luce e calore, attorno al quale si erano riuniti gli uomini della spedizione per raggiungere la città dei Tenbri.
I due malati si trovavano all'interno di una tenda vicina al falò che li riscaldava quanto più possibile. Il capitano si guardava attorno, contemplando quello che poteva definirsi un paesaggio superbo, nonostante la situazione in cui si trovavano lo rendesse un luogo pericoloso. La neve candida splendeva sotto la luce lunare, tanto da allontanare l'oscurità e portando uno stato di quiete generale nell'aria, mentre i pochi fiocchi di neve fluttuavano più lentamente rispetto a qualche minuto prima, posandosi delicatamente sul suolo già innevato. Sembrava che ogni cosa nella foresta si muovesse a rallentatore, apparendo magicamente affascinante sotto gli occhi dell'uomo.
Solo un fruscio appena percettibile fece allarmare Rart, suscitando in lui un stato d'ansia considerevole.
D'un tratto un muso apparve in mezzo al fogliame secco, a una ventina di metri dal capitano, mostrando occhi giallognoli con sfumature marroni chiaro.
"Un férale..." bisbigliò l'uomo.
L'animale non si mosse, fissando dritto negli occhi l'umano che aveva di fronte, scrutandolo come per cercare di comprenderne le intenzioni. Dal canto suo, Rart sembrava meravigliato dall'atteggiamento di quel lupo che aveva la pelliccia di colori e sfumature differenti: blu scuro sulla schiena che andava a schiarirsi lungo i fianchi e bianco sull'addome e sulle zampe che si confondevano con la neve. Pareva quasi che quella bestia facesse parte del terreno proprio per via di quelle zampe bianche. La coda non si riusciva ad intravvedere, poiché nascosta dietro i rami, però doveva essere scura almeno quanto i fianchi perché se fosse stata chiara, il capitano l'avrebbe certamente notata almeno parzialmente. Il lupo non avanzò né si decise ad arretrare, fino a quando una voce chiamò l'umano, portando l'animale a scomparire tra gli alberi, per istinto.
"Capitano, capitano! Accorri immediatamente! I feriti si stanno aggravando"
Quando Rart giunse dentro la tenda del prode ferito alla spalla dalla freccia avvelenata, dovette trattenere a forza un conato di vomito per via del tanfo e di ciò che vedeva.
Il malato aveva la bava alla bocca e doveva aver rigettato tutto ciò che aveva nello stomaco e anche più, a giudicare dalla saliva che rivestiva la pelliccia sopra la quale si trovava sdraiato. "Ha cominciato a tremare pochi secondi fa e ora ha smesso. Deve essergli venuta una terribile febbre che ha peggiorato la situazione. Siamo disperati!" ansimò Rion con il viso stravolto e colante di sudore.
"Ora vai a riposarti, prima che venga anche a te la febbre. Qui ci penso io" rispose il cugino avvicinandosi al ferito.
"Norren sembra essere stabile. Non ha dato segni di cedimento però continua a tremare lievemente" aggiunse Rion, informando il capitano riguardo lo stato di salute del prode cui si era affezionato.
"È normale che tremi. Fa freddo..."
La risposta che Rart pensava realmente era ben più drammatica e sconfortante rispetto a quella che aveva dato realmente al cugino, però non poteva rassegnarsi e perdere la speranza così facilmente. Dopo tutto ne avevano passate tante e l'avevano sempre spuntata, quindi avrebbero continuato ad andare avanti con tutte le loro forze fino a quando la meta fosse stata raggiunta.
Il tempo trascorse e anche quella giornata giunse al termine, portando i cavalieri ad assopirsi per via della stanchezza e del viaggio che aveva prosciugato loro le forze. Quando il capitano si destò a causa del freddo, vide che il tempo era notevolmente migliorato ma una triste sorpresa lo aspettava, perché il soldato ferito era morto per via del veleno e della febbre causata da freddo, che ne faceva un cadavere rigido e dalla colorazione bluastra.
"No..." mormorò Rart.
Quando anche gli altri soldati arrivarono sul posto, non gli rimase che decidere di seppellirlo lì vicino.
Non si trattò di una cerimonia funebre lunga e particolarmente commovente ma sicuramente poteva dirsi molto significativa, così come il breve discorso del capitano dei Tenbri.
"Non farò un lungo discorso, perché non conoscevo bene quel prode. Posso dire però di sapere chi era in realtà. Non si trattava di un soldato qualunque, di una persona priva di valori o di un mercenario"
Tutti i presenti ascoltavano affranti quelle parole, sapendo che anche loro sarebbero potuti finire così da un momento all'altro ma quando l'uomo proseguì il discorso, qualcosa cambiò, anche se di poco, nei loro volti.
"Posso dire, con certezza..." continuò Rart alzando la voce, "...che non era una persona malvagia, perché se ha scelto di partecipare a questa impresa e se ha dato la sua stessa vita per condurci a Foraz-Dor; se ha combattuto con coraggio e onore, con tenacia e possanza, come un vero prode, lo ha fatto perché aveva un cuore puro! Perché ha preferito lottare per quel poco di bene che ancora è rimasto su questo mondo! Ha visto un nitido barlume di vittoria, di pace e di gioia nella svolta della nostra missione! Che Mindael e Astorx possano tendergli le mani e accoglierlo con bontà nella terra infinita delle divinità! Che possano proteggerci perché il suo sacrificio non sia stato vano!"
Fu così, con quelle parole che lui stesso avrebbe considerato ridicole, che riuscì a rinvigorire tutti i cavalieri e sé stesso, non sapendo bene dove avesse trovato frasi del genere così all'improvviso.
Il gruppo di prodi non si sarebbe certo scoraggiato facilmente in ogni caso, proprio perché loro stessi avevano un carattere generalmente forte e imperturbabile, che faceva di loro ottimi guerrieri in grado di affrontare pericoli e insidie senza arretrare o arrendersi con facilità. Non per tutti era così, naturalmente, trattandosi comunque di qualche centinaio di individui e alcuni potevano ritenersi diversi ma i soldati scelti da Norren erano sicuramente i migliori.
Il comandante ferito, intanto, stava lottando strenuamente contro la morte, nonostante i segni di miglioramento fossero ancora del tutto impercettibili, nel caso ve ne fossero. Un'altra giornata stava passando e tutti loro erano bloccati in quel punto della foresta.
Rart si recò nella tenda dove era stato coricato Norren, tanto per verificare in che condizioni fosse ma il colore della pelle e le gocce di sudore presenti sul volto dell'uomo, non potevano dirsi certo sintomi di guarigione e il capitano cominciava a pensare di dover riprendere il viaggio a tutti i costi, perché quel posto era troppo pericoloso per restarvi. Fu così che dopo pranzo il gruppo di uomini smontò le tende e occultò tutte le possibili tracce lasciate nella zona dov'erano accampati, poiché il nemico poteva essere ovunque e Rart avrebbe preferito evitare scontri inutili.
"Derath, portarmi il cavallo!" ordinò al cavaliere che stava aiutando Rion a sotterrare i tizzoni ardenti di un braciere.
"Ehi!" si lamentò il cugino, vedendo andar via l'aiutante.
Ecco però che il vento cominciò a spirare più forte d'un tratto e fiocchi di neve si mescolarono all'aria gelida che sembrava soffiare in più direzioni e dopo pochi istanti si decise a prendere un unico verso. Era una bufera di neve che si dirigeva a ovest.
Un evento più unico che raro in quella zona boscosa e Rart pensò che dovevano essere proprio sfortunati per capitare in un momento simile.
"Jirk, dì ai prodi che dobbiamo sbrigarci!" gridò l'uomo per farsi sentire.
Il vento sopprimeva molti rumori e tra questi vi erano anche quelli di rami spezzati, foglie secche calpestate e un rumore metallico simile a quello provocato da pezzi di ferro arrugginito.
Una moltitudine di voci e grida coperte dal vento giunsero miracolosamente fino alle orecchie del capitano che decise di andare a controllare, estraendo la spada per sicurezza, nonostante l'arma fosse incastrata al fodero per via del freddo che l'aveva congelata.
In lontananza, seminascosti dalla bufera, si intravedevano quattro prodi isolati combattere disperatamente contro degli esseri scheletrici e pallidi. Uno dei soldati venne trafitto alla schiena da un pugnale seghettato e stramazzò a terra agonizzante.
"Diamine!" imprecò Rart, accorrendo sul posto, "allarme! Serve aiuto, ci attaccano!" gridò con voce colma di rabbia e disperazione. Con la fronte aggrottata e lo sguardo che incuteva timore, l'uomo avanzò a passo deciso, pensando solo a farla finita con tutte quelle perdite che stavano subendo. Basta, doveva fare qualcosa e fra sé e sé giurava vendetta per ogni soldato colpito. Scattò la furia dentro lui, accecato dalla rabbia e allora non ci fu più nulla cui pensare.
I reietti che aveva di fronte esitarono per qualche secondo ad attaccare, cosa assolutamente strana per degli esseri assetati di sangue e famelici quali erano. Un falcetto a mezza luna roteò verso il capitano, lanciato da uno degli assalitori, ma Rart lo deviò con la spada senza alcuna difficoltà.
Nel frattempo anche Rion, Derath e Jirk avevano sentito le urla e si affrettarono a giungere sul campo di battaglia, dove videro sconcertati il massacro che il capitano aveva iniziato, aiutato da tre prodi.
Rart avanzava e si faceva largo tra la miriade di reietti che spaventati vedevano in quella figura una sorta di demone, il quale li avrebbe massacrati senza pietà. Un fendente ne trapassò due in una volta, poi un calcio dritto sulle costole più deboli, spezzandole ad un altro nemico che venne soppresso definitivamente con un pugnale conficcato nell'occhio destro e poi in bocca.
I nemici erano moltissimi e tentennavano ad attaccare, perché si erano resi conto dell'abilità dell'avversario, molto più abile. Dal canto suo, il capitano cominciava ad essere stanco e tutta quella rabbia e quella tenacia si stavano man mano affievolendo, rallentandolo nei movimenti.
I rinforzi si affrettarono ad affiancare il loro comandante, rendendo più semplice e veloce la decisione che i reietti stavano valutando da tempo: una ritirata.
La cinquantina di nemici era in fuga, anche se sarebbero tornati più tardi, poiché il vento spirava proprio dalla direzione opposta e gettarsi nel vertice della bufera non era tra i loro interessi più ambiti.
"Allontaniamoci in fretta!" gridò Rion.
"No! Uccidiamoli tutti!!" replicò Rart senza ragionare.
Era evidente che tutti quegli avvenimenti lo avevano portato al delirio e proprio in un momento delicato come quello.
"Dobbiamo sfruttare la situazione a nostro vantaggio! Il vento ci spinge proprio sul sentiero per Foraz-Dor!" aggiunse Derath, trattenendo il capitano che aveva preso a menar colpi di spada al vento, non rendendosi conto che il nemico era già scappato da un pezzo.
I prodi avevano già sistemato le sacche di viveri rimasti ed il resto dell'equipaggiamento, quindi si misero subito in marcia non appena ricevettero l'ordine di muoversi sul passo per la roccaforte dei Tenbri. I guerrieri di Norren ancora in grado di combattere erano rimasti in sette.
Il piccolo gruppo, sempre più ristretto, continuava ad avanzare nella speranza di giungere a Foraz-Dor in tempo ma le probabilità di arrivarci diminuivano ogni giorno sempre più e il cibo cominciava a scarseggiare, mentre le condizioni igienico-sanitarie peggioravano vistosamente, senza contare il freddo che divorava i loro corpi facendoli rallentare di molto. I cavalli sarebbero stati i prossimi a cadere se non avessero trovato riparo entro quella notte.
Dopo quattro ore di marcia ininterrotta, il cielo prese già ad oscurarsi e il gelo si intensificò fino a raggiungere livelli insopportabili.
"Al... allora? Perché siamo sul sentiero principale?" domandò Rart con voce rauca, battendo poi qualche colpo di tosse.
Nessuno gli rispose, o forse era lui a non aver sentito la risposta poiché ancora stordito, così provò a riformulare la domanda con più convinzione.
"Si può sapere che diamine ci facciamo qui noi? Il sentiero non è sicuro! Cosa ci faccio io qui?!" sbraitò l'uomo in un crescendo di tono, alzando la voce così tanto da far imbizzarrire il cavallo che s'impennò bruscamente.
"Woooh buono bello!" gridò il capitano, rintontito.
Ad un tratto, ecco che Rart udì delle voci familiari: si trattava di Jirk ma si aggiunsero anche Rion e Derath, finendo col mescolarsi in un unico schiamazzo che prese a vorticare incomprensibile nella mente del capitano, il quale si accorse a malapena che stava inevitabilmente andando contro una perdita di coscienza.
Poco dopo, quando riaprì entrambi gli occhi, l'uomo riuscì a distinguere subito le figure che lo circondavano.
"Buon giorno capitano Rart" lo salutò Derath, provando a mostrare un leggero sorriso.
Il ragazzo sembrava dondolare davanti a lui, come qualsiasi altra cosa in effetti, poiché i cavalli erano ancora vivi e l'uomo si trovava proprio sul dorso di uno di essi.
"Ho fame" mormorò.
Il ragazzo si affrettò a porgergli una ciotola con della carne bollita in un brodino di verdure e spezie.
"Sapevo che avresti voluto mangiare qualcosa e così ti ho preparato questo"
Dopo aver dato un morso allo spezzatino il capitano si rese subito conto che era davvero troppo gustoso per essere semplice carne di maiale speziata come quella che conservavano da giorni ormai e si trascinavano in un sacco di cuoio.
"Derath ma questa..." disse l'uomo con un filo di voce, ancora confuso e senza riuscire a concludere la frase, che il ragazzo lo precedette.
"Vuoi prima la notizia buona o quella cattiva?"
"I cavalli?"
"Esatto, tranne il mio, il tuo e quelli di tuo cugino e del principe Jirk. I prodi volevano mangiare di più per non farsi trovare deboli e affamati di fronte ad altre minacce".
Rart aveva mal di testa ed era preoccupato già per troppe cose e l'uccisione dei cavalli li avrebbe anche rallentati. La città distava ancora diversi chilometri ed il sentiero che percorrevano era troppo pericoloso, senza contare che era mattina e ciò significava che dopo essere svenuto, il capitano aveva passato la notte a dormire ancora incosciente, mentre Norren era ancora in gravi condizioni. L'unica cosa positiva pareva essere la fine della tormenta di neve, cessata durante la nottata.
"Ora vuoi sentire la buona notizia?"gli domandò Derath apparentemente allegro.
"Più cibo per tutti?" azzardò Rart indifferente.
"Non solo! Norren sta migliorando visibilmente!" annunciò il ragazzo ridacchiando.
Il capitano tirò un sospiro di sollievo. Almeno una buona notizia che avrebbe significato molto: un combattente in più; maggiore velocità; nessun ferito cui prestare attenzioni e forse più probabilità di giungere vivi a Foraz-Dor. Sicuramente i guai non erano scomparsi ma il giorno dopo sarebbero giunti sicuramente a destinazione, probabilmente verso sera.
Il sole li sovrastava pallido nel cielo, troppo debole per riuscire a scaldare l'atmosfera del gelido inverno che si affacciava lungo tutta Ennearel, dove la neve aveva ormai ricoperto gran parte del terreno.
Strano quanto il destino potesse rivelare ancora sorprese a quel pugno di uomini in cerca di salvezza, perché effettivamente la sventura non aveva finito di perseguirli. Non ancora. Un fischiettìo e il nitrito di più cavalli misero subito in allerta la dozzina di cavalieri e soldati che fiutarono immediatamente l'inconfondibile odore di pericolo. Il capitano fece subito cenno di silenzio con l'indice e diede a bassa voce l'ordine di ritirarsi verso il lato destro del bosco, poiché gli eventuali aggressori facevano rumore proprio sul tratto di curva dove conduceva la via principale.
"Eccoli! Abbiamo trovato i Tenbri!" gridò una voce proveniente dalla sommità di un grosso albero nel bosco.
Non c'era altra scelta, Rart avrebbe forzato il blocco a qualunque costo, anche perché ormai non avevano più molte alternative, senza contare che c'erano ancora i reietti sulle loro tracce e presto li avrebbero raggiunti chiudendogli la strada del tutto.
"Attenzione! Sono armati di balestre quindi tenetevi pronti con gli scudi!" urlò il capitano, facendo la conta degli avversari di fronte a lui. Anche dal lato opposto del sentiero giungevano dardi ma si trattava solo di un paio di uomini. I prodi caricarono verso i soldati nemici che si preparavano a riceverli. Inaspettatamente il gruppo di fuggiaschi riuscì ad eludere con facilità e senza perdite il posto di blocco. Forse la sfortuna era passata dalla parte opposta.
Una volta superati quei soldati dalle insegne dei Pemry, i cavalieri Tenbri e prodi giunsero davanti ad un altro convoglio ben diverso. Sopra i carri e legate alle aste degli uomini armati, infatti, sventolava il vessillo del casato Tenbri.
Rart non riusciva a comprendere come fosse possibile che si fossero imbattuti in ben due blocchi di fazioni opposte, a distanza di solo un centinaio di metri gli uni dagli altri.
"Woh" fece il capitano, arrestando il cavallo e facendo gesto con la mano di fermarsi.
"Mio signore! Mio signore sei davvero tu? Non ci aspettavamo di vederti proprio qui. Non immagini quanti gravi problemi mettono a rischio l'incolumità vostra e del feudo intero" annunciò uno dei soldati del convoglio, inchinandosi per salutare il capitano.
"Che cosa ci fate qui? Avete visto che ci sono dei Pemry lungo il sentiero?" domandò Rart aggrottando la fronte.
"Ma capitano, gli uomini di cui parlate dovrebbero distare centinaia di miglia da qui, se non vado errato" rispose l'uomo con aria innocente.
Il capitano però notò dopo qualche minuto che qualcosa non andava affatto bene e soprattutto le uniformi di quei soldati non lo convincevano. Pareva quasi che fossero bucate in alcuni punti e fin troppo logorate; perfino sporche di sangue in zone che stavano a coprire organi vitali. Anche Rion e gli altri avvertivano la stessa sensazione di Rart, il quale non era certo che si trattasse di un inganno ma per sicurezza portò lo scudo a coprirgli ben bene il busto, mentre aggirava lentamente il convoglio mantenendo una distanza quasi esagerata.
"Mio signore, non ti sentì bene? Sembri preoccupato" gli rivolse la parola un soldato armato di ascia.
"Fateci largo! Vi ordino di restare qui per impedire ai Pemry di raggiungerci! Dobbiamo arrivare a Foraz-Dor il prima possibile".
Gli uomini non reagivano e pareva fossero rimasti indifferenti a quell'ordine, nonostante si trovassero proprio di fronte al nobile Rart Tenbri di Foraz Dor e protettore del Centro di Ennearel.
"Non mi sembra che tu abbia in serbo grandi piani per noi, mio signore. Si direbbe, anzi, che tu voglia farti scudo con i nostri corpi. Magari dobbiamo starcene qui fino a quando il freddo non ci ammazzerà tutti, oppure i lupi o i nemici. Prima che giungano notizie dalla fortezza, avrò fatto in tempo a scavare la fossa a me ed ai miei uomini!" si lamentò quello che doveva essere il comandante del convoglio.
"Ah si?" fece Rart, stringendo le redini del cavallo che girò su sé stesso, "ebbene state tranquillo, perché quando tornerò vi ci ficcherò io stesso in quelle fosse! Vendicherò i veri soldati ai quali avete rubato indumenti e armature, quindi cominciate pure a scavare!" gridò sguainando la spada e tagliando la testa di netto al soldato che brandiva la scure, lì vicino.
D'un tratto anche i Pemry che li stavano inseguendo avevano ormai raggiunto la posizione dove si trovava il capitano, mentre uno dei soldati travestiti da Tenbri fece partire un dardo di balestra contro uno dei prodi, trafiggendolo in pieno petto.
"Correte via, dobbiamo evitare lo scontro ora!" gridò Rion.
Derath stava fronteggiando un cavaliere nemico armato di spadone a due mani, quando una lama trafisse da dietro l'avversario, disarcionandolo da cavallo.
"Norr!" esclamò il ragazzo incredulo.
"Sempre a disposizione figliolo" rispose il prode con aria ancora stravolta.
Il piccolo gruppo si diresse velocemente verso nord, continuando la strada lungo il sentiero principale, ormai disperati.
I prodi si dispersero correndo il più velocemente possibile o cavalcando su destrieri catturati agli assalitori, anche se non ci volle molto prima che due di loro si decisero a sacrificarsi perché rallentando gli inseguitori, forse, gli altri avrebbero goduto di qualche minuto di vantaggio. Un gesto che permise a Rart di galoppare verso la salvezza con la speranza di riuscire a portare a termine la missione, ma sfortunatamente uno dei cavalieri Pemry lo stava raggiungendo a cavallo, senza contare che quello che stava cavalcando il capitano Rart era un animale troppo debole e affamato per riuscire a muoversi ancora. Jirk e Derath erano troppo lontani da lui e l'unico modo per riunirsi era superare il bosco.
"Sei già morto, idiota!" sentenziò inferocito l'inseguitore.
Quando i due cavalli furono abbastanza vicini, il cavaliere dei Pemry disarcionò Rart, facendolo cadere a terra, sulla neve al bordo del sentiero.
Schizzi di fango e ghiaccio accecarono il capitano che tentò di pulirsi il viso, rialzandosi da terra in tuta fretta per affrontare l'avversario, il quale stava caricando proprio in sua direzione. L'aggressore cercò di colpire il suo bersaglio con un fendente, approfittando della velocità e l'altezza maggiore grazie al cavallo che ancora galoppava.
Rart dovette schivare immediatamente l'attacco effettuando un rotolamento laterale, nonostante lo scudo impacciasse di molto i suoi movimenti, cosa di cui il nemico si era accorto fin dal principio.
A parte una rauca risata, in quello scontro non si udirono altre parole, forse perché entrambi sapevano già chi in teoria avrebbe portato a casa la pelle e chi no.
Quando il cavaliere Pemry galoppò con ancor più foga contro l'avversario, impassibile e decisamente troppo stanco per azzardare mosse che richiedessero agilità, qualcosa interferì. Un'ombra si scaraventò con un ruggito dal piccolo rilievo fuori sentiero, addosso all'uomo a cavallo che vide la morte in faccia: essa aveva una folta pelliccia blu e due occhi giallognoli; zanne acuminate ed una schiera di artigli affilati. Il férale che Rart aveva già visto una volta e che lo aveva seguito, fu la salvezza del capitano.
L'animale azzannò il cavaliere dritto alla gola, facendo sgorgare un consistente rivolo di sangue rosso chiaro che andò a colorare la candida neve sottostante, mentre il corpo dell'uomo ancora agonizzante cadde lentamente al suolo. Il lupo che ancora lo strattona a e mordeva sempre con più forza, lacerando e tirando a sé la carne della sua vittima, come se lo avesse ucciso proprio per via della fame. Era ovvio che un qualsiasi férale avrebbe preferito cibarsi di una preda già morta o della più debole, ma qualcosa fece pensare a Rart che quel lupo non avrebbe mostrato odio nei suoi confronti.
"Grazie, grazie amico mio" biascicò l'uomo con affanno.
Quella forse fu l'ultima delle disavventure del capitano, o almeno così sembrava, dato che la boscaglia era quasi finita e solo un paio di chilometri lo separavano dal Lago dei Gyrri, raggiungibile in circa una ventina di minuti o anche meno.
Il férale seguì Rart ancora fino a pochi metri, dove gli alberi non erano più presenti ed incominciavano le distese di praterie e campi.
"Mi lasci di già?" domandò l'uomo, in attesa di una qualche risposta da parte dell'animale.
Il lupo, dal canto suo, emise un lieve ululato e guaì mostrando il rostro di zanne giallognole, poi si voltò e ritornò tra la fitta boscaglia.
"Ci vedremo ancora, grazie!"
In lontananza un piccolo gruppo di persone sembrava avvicinarsi al capitando, mulinando lance e spade, come per farsi notare: si trattava di Rion, Jirk e quattro prodi al seguito di Norren.
Rart emise un unico sospiro che poteva significare molte cose, comprese stanchezza e sollievo, ma anche tristezza nel vedere che solo in pochi erano riusciti a sopravvivere al viaggio. Un sospiro che significava anche vendetta.

In quello stesso momento, molto più a est e, precisamente, nella roccaforte situata lungo la catena montuosa dei Monti Folli, il signore della casata Lubers si affrettava a percorrere il lungo corridoio che lo avrebbe portato alla camera del figlio primogenito.
"Dave!" esclamò l'uomo, spalancando la porta della stanza.
"Padre, dimmi è successo qualcosa?"domandò il ragazzo allarmato da quell'entrata.
"Devi subito recarti in fucina per indossare la tua armatura. Stiamo per entrare in guerra!" rispose in tono secco il padre.
"È da qualche giorno ormai che te ne stai rinchiuso nei sotterranei ed ora te ne esci che devo partire per invadere Sikowalth?" replicò il giovane, allargando le braccia in segno di incomprensione.
"Non marciamo contro quei nemici" spiegò Darren Lubers, voltandosi, "i Tenbri hanno ucciso tuo fratello Jirk. Mi è stato riferito da Temphol Pemry in persona". Il ragazzo rimase a bocca aperta, scioccato e confuso per aver ricevuto una simile notizia e per il fatto che il padre ne era già a conoscenza da giorni. Poi si ricordò del sogno.
"Te lo ha riferito la persona sbagliata, Jirk non può essere morto e comunque di sicuro non a causa di..." si apprestò ad obiettare Dave ma l'uomo intervenne prima che egli riuscisse a finire la frase.
"Cosa?! Che diamine ti prende, si può sapere? Tuo fratello è morto assassinato da quei traditori dei Tenbri".
"Io ho avuto una visione... ho fatto un sogno nel quale scoprivo cosa sta veramente accadendo in questa regione. Ero insieme a Giada Tenbri" confessò i ragazzo arrossendo.
Il padre spalancò gli occhi, incredulo, come se volesse fulminare con lo sguardo il figlio, senza emettere parola, perché non c'era altro da dichiarare. Quel che Dave avrebbe voluto far capire all'uomo era decisamente troppo complicato, forse anche lui stesso cominciava a rendersi conto che quel sogno, probabilmente, non stava a significare nulla e lui stesso non aveva abbastanza volontà da voler affrontare la situazione come avrebbe desiderato.
"Andrò a ritirare la mia armatura" disse infine.

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Capitolo 8
*** La Verità Svelata ***


Capitolo 7 - La Verità Svelata -




Il vento sembrava essere l'unica voce di quel paesaggio. Le sue urla giungevano da ovest e coprivano tutte le praterie e i villaggi nel feudo centrale di Ennearel, la regione dei Tenbri. Come una mano invisibile, esso accarezzava l'erba in tutte le sue distese, mentre pochi altri rumori si facevano largo, più a sud del Lago dei Gyrri.
Gli stivali fradici e consumati di Derath strascicavano nel fango, fra le pozze dell'enorme campo che aveva inizio proprio da quel punto, dove finiva la fitta boscaglia.
Il cavaliere avanzava con lenti passi verso il gruppo malandato, dove si trovava anche il nobile capitano Rart.
"Eccoti! Ho temuto che fossi rimasto troppo indietro!" disse l'uomo, andando incontro al ragazzo dall'aria stravolta.
"Diamine, siamo arrivati finalmente. Non riesco quasi a crederci" ammise Rion guardandosi attorno.
Il problema purtroppo non era tanto la residua distanza da Foraz- Dor, quanto i Pemry alle loro spalle che li avrebbero raggiunti in meno di un quarto d'ora.
"Il tuo cavallo era qui, spaventato" disse Jirk, porgendo all'amico le redini dell'animale.
Senza aggiungere altro, i nove sopravvissuti galopparono lungo la via che li avrebbe condotti prima al Lago dei Gyrri e poi alla città fortezza, nella speranza di incontrare anche cavalieri o pattuglie alleate. Il lago era ancora un luogo troppo pericoloso dove rimanere e gli inseguitori non si sarebbero di certo fermati di fronte ad un paesino di contadini e pescatori, ormai spopolato di giovani. 
Le praterie erano esattamente come Rart le aveva lasciate: egli si ricordava di quel senso di desolazione, mentre folate di vento gelido rischiavano di piegare i loro corpi già scossi da fin troppi avvenimenti. 
Dopo una ventina di minuti, il capitano col seguito giunsero effettivamente al Lago dei Gyrri, dove erano state erette delle fortificazioni leggere e una piccola torre di legno e pietre, sulla cui sommità sventolava chiaramente la bandiera con la T affiancata dalle due mezze lune, in campo blu scuro. Il vessillo dei Tenbri fu una gioia per i loro occhi, così come i paesani si meravigliarono nel vedere già di ritorno il nobile nipote del Signore Fendaron.
Il capitano si addentrò frettolosamente nel villaggio, rammaricandosi di non aver portato con sé anche lo scudiero e cugino Eonas, che era originario di quel posto. Nel frattempo la gente bisbigliava e mormorava frasi colme di stupore, incuriosita per quel ritorno inaspettato e senza preavviso.
Due guardie ben armate ed equipaggiate corsero immediatamente verso il capitano che si accingeva a smontare da cavallo.
"Mio Signore, mio signore! Per gli dei della luna!" 
"Non mi aspettavo di vedere soldati qui. Cosa è successo?" domandò Rart.
I prodi, però, parvero diffidare di quegli uomini, ricordando cosa era accaduto quello stesso giorno nel bosco.
"Potete stare tranquilli, loro provengono da Foraz-Dor" li rassicurò Rion.
"Perché siete qui? L'ultima volta che vi ho visti eravate a Foraz-Dor nel corpo di guarda sulle mura" insistette Rart curioso.
"A tempo debito le spiegazioni, intanto seguiteci al tempietto! Siete davvero in terribili condizioni!" rispose uno dei due, notando lo stato pietoso in cui si trovavano i compagni alleati.
Una buona mezz'ora dopo, il piccolo contingente era stato pulito e rifocillato nei limiti del possibile, anche se per un cambio di abiti avrebbero dovuto aspettare di giungere alla capitale del feudo.
Il tempietto, altro non era, come poteva suggerire il nome, che un piccolo tempio in mattoni grigi, dedicato alle divinità della notte: Astorx e Mindael, i due protettori del paesino, insieme al martire Joah, un vecchio sacerdote che secondo una leggenda, evocò la divinità Mindael, dall'aspetto di un dragone verde, cavalcato dal possente Astorx, sotto le sembianze di un cavaliere. Leggenda vuole che il sacerdote si avvalse delle due divinità per contrastare e scacciare gli antichi popoli evoluti, da quelle terre. La storia si rifà ai racconti della nascita dell'intero continente, quando gli dei lasciarono che l'umanità progredisse ed alcune civiltà cominciarono a rifiutare le origini mistiche della loro esistenza, evolvendosi e massacrandosi a vicenda con potenti armi che sputavano fuoco. Nella regione di Ennearel si attribuiscono i discendenti di quelle civiltà agli abitanti della regione del sud, Sikowalth. Il tempietto, al suo interno, era piuttosto spoglio e poco illuminato ma nel piccolo cortile all'esterno erano situate delle vasche comuni per potersi lavare durante i periodi caldi. Nonostante la temperatura non fosse delle migliori e neanche un raggio solare  fosse riuscito a passare attraverso i folti nuvoloni di quelle buie giornate, i nove cavalieri avevano la necessità di togliersi quel prurito, quella puzza e quel fango che avevano accumulato incessantemente dalla sera in cui erano partiti dall'accampamento al confine, o da quando avevano lasciato il Vallo dei Prodi.
Rart aveva spiegato di fretta e furia cosa era accaduto lungo il fronte a sud, mentre le due guardie illuminarono il capitano riguardo alla situazione critica del territorio e delle risorse all'interno del feudo, illustrando al nobiluomo come suo zio avesse disposto le poche truppe disponibili, per presidiare i paesi ed i villaggi minori per via di possibili atti di brigantaggio. Dopo aver chiarito la situazione, ovviamente, risultò chiaro quanto non si trattasse di brigantaggio ma delle azioni di disturbo da parte dei Pemry. 
"Mio padre dove è stato inviato?" domandò Rart, preoccupato.
"Non lo sappiamo. Noi siamo partiti con un altro contingente poco prima di lui e comunque tutti i movimenti sono stati effettuati velocemente e silenziosamente" rispose uno dei soldati.
"Capisco" mormorò il capitano, "...ad ogni modo, avete detto di essere una cinquantina in tutto, giusto?" 
"Proprio così"
"Dunque se giocherete bene le vostre carte ed alzerete qualche stendardo in più, i nostri inseguitori non dovrebbero osare attaccarci in questa zona. Sono poco più numerosi di voi e un piccolo contingente è formato da soldati travestiti con indumenti di cavalieri del nostro feudo, quindi state allerta! Hanno armature e vessilli logori, per questo li riconoscerete nel caso dovessero apparire" li ammonì Rart, issando a cavallo.
"Ho capito!" rispose con fermezza una delle guardie.
Una volta chiariti anche quei dettagli, sapendo che il posto era fuori pericolo da assedi, almeno per il momento, il gruppo si mise al galoppo verso Foraz-Dor, ormai distante solo pochi chilometri.
Le guardie aprirono un cancello di legno e fecero passare i nove cavalieri che rappresentavano l'unica speranza per la sopravvivenza del feudo stesso. I soldati facevano avanti e indietro, preparandosi per rafforzare le difese e seguendo il suggerimento del capitano.
Il freddo non accennava a diminuire e per un breve periodo cominciò anche a nevischiare, mentre lungo le praterie l'erba corta era stata quasi completamente sommersa dalla neve. Rispetto all'andata, il tempo che sarebbe occorso al gruppo per spostarsi dal Lago dei Gyrri alla capitale dei Tenbri, non sarebbe risultato lo stesso, poiché l'esercito numeroso era composto da fanteria e macchine d'assedio che rallentavano il contingente, diversamente dai nove che erano tutti a cavallo.
La città fortezza era già ben visibile alle sei di sera, quando i cavalieri al seguito di Rart videro Foraz-Dor ergersi su di una collina di fronte a loro, silenziosa e ben illuminata come fosse un miraggio. 
Una vedetta, dall'alto delle mura, urlò alle guardie sottostanti di alzare la saracinesca e aprire il portone esterno, anche se l'uomo fu costretto a ripetere più volte l'ordine a causa del vento che ululava sovrastando qualsiasi altra voce.
Il suono degli zoccoli dei cavalli che passavano sopra le mattonelle del grande piazzale, riecheggiava attraverso le pareti blu scure delle mura e del bastione centrale. La piazza era decisamente poco trafficata e non era illuminata se non grazie alla luce lunare, mentre la parte più vicina all'uscita della città era proprio vuota, senza monumenti, animali o persone. 
Da pochi metri di distanza, in una zona sopraelevata per via di un paio di gradini in marmo, un giovane cavaliere assisteva all'entrata in città del piccolo gruppo di soldati.
"Non un'anima attraversava questa porta da giorni, ormai. Chi sono i nostri ospiti?" si disse il ragazzo, a bassa voce. 
Una decina di guardie si avvicinò a Rart e al suo seguito, circondandoli con atteggiamento guardingo.
"Sono il Capitano Rart. Ho bisogno di parlare urgentemente con Sire Fendaron mio zio" annunciò il capitano.
Le guardie si stupirono immediatamente non appena riuscirono a constatare con i loro occhi l'identità del nobile Tenbri e poco dopo riconobbero anche Rion, il quale era rimasto leggermente indietro per via del cavallo stanco.
Il giovane cavaliere che da subito li aveva visti entrare, si avvicinò a passo veloce per cercar di comprendere la situazione e chiedere di persona a Rart il motivo del suo ritorno. Il capitano lo scrutò da lontano. A vedersi, poteva sembrare una delle guardie giurate del castello ma gli abiti e l'armatura erano leggermente differenti. Pareva quasi che il ragazzo, probabilmente sui venticinque anni, fosse il responsabile del corpo di guardia delle mura esterne, inoltre indossava la fascia azzurra che lo distingueva dalle altre guardie e che lo designava come uno dei comandanti. 
Rart aveva anche una strana sensazione, come di nostalgia di quel posto che non vedeva da settimane. Faceva parecchio freddo e l'umidità sembrava aver avvolto ogni pietra del piazzale, dove echeggiavano i passi delle guardie e l'alito di persone e animali formava nubi di vapore acqueo che si dissolveva dopo corti istanti.
"Buona sera capitano! Io sono Febion, il nuovo comandante delle mura esterne. Vi accolgo nella speranza di non dover pensare ad una diserzione, perché so che siete un uomo d'onore" disse il cavaliere, rivolgendosi a Rart.
"E infatti non avete di che temere. Sono giunto fin qui per discutere con mio zio di questioni allarmanti" rispose il capitano chinando leggermente il capo.
"Permettetemi dunque di scortarvi fino al castello" concluse il ragazzo in tono pacato, quindi fece un lieve inchino e si avvicinò ad un bianco destriero condotto lì vicino da uno scudiero.
Fra le mura dell'antico castello, dentro la sala da dove la famiglia era solita pranzare e cenare in compagnia di amici nobili o lontani parenti, proveniva ed era ben percettibile anche all'esterno il suono di uno strumento a corde poco più piccolo di una chitarra, accompagnato da un'arpa. 
Quando Rart e Rion, scortati da Febion e un'altra guardia, si avvicinarono alla porta della sala, mentre attraversavano il lungo e stretto corridoio, una profonda voce cominciò ad intonare una vecchia canzone.



"Due mezze lune
un campo blu,
e la speranza brilla più.



Le tre spighe,
di oro il grano,
tra le righe un capitano.



Le tre spighe,
di oro il grano,
tra le righe un capitano.
 
Nella notte di un blu scuro,
solo un cuore è il più puro.
I suoi uomini ha guidato
e contro il forte ha marciato.



Non vi è più anima alcuna,
poiché ormai il fato ha deciso
che solo per la mezza luna,
in nostro emblema non sarà liso!



Non vi è più anima alcuna,
poiché ormai il fato ha deciso
che solo per la mezza luna,
il nostro emblema non verrà liso!"



La cena di corte si interruppe con la canzone, quando Rart fece irruzione bruscamente, aprendo la porta  fino a spingerla contro la parete, provocando un frastuono considerevole. 
Fendaron Tenbri, allegro e vivace fino a un attimo prima, divenne pallido come un lenzuolo non appena vide l'uomo, il quale aveva ormai una barba piuttosto folta e incurata, oltre all'aspetto malandato, così come Rion alle sue spalle.
"Lasciateci soli! Voglio che rimangano qui solo mio figlio e mio nipote!"



Più ad est rispetto a dove si stavano svolgendo quelle vicende, forse segno di un'ottimistica soluzione a tutta quella confusione che rischiava di avvolgere il mondo intero, un'altra importante casata si impegnava a schierare le proprie truppe ma sfortunatamente si trattava dei Lubers, i quali erano convinti di dover attaccare i Tenbri, accusati di aver assassinato il secondogenito del signore Darren.
Dave era in piedi, sopra alla torre più bassa del bastione, intento ad osservare e controllare che il trasporto di trabucchi e altre macchine d'assedio avvenisse senza disordini, anche perché l'uscita dal grande cancello principale proseguiva con un ponte di roccia largo solo cinque metri e più volte vi era volato di sotto un macchinario... o una persona.
La fortezza dei Lubers, conosciuta più comunemente come Roccia Aguzza, si ergeva proprio alle pendici dei Monti Folli, estendendosi anche sui lati dei colli e delle montagne più giovani che finivano con una punta ben acuminata, da cui si poteva intuire da cosa derivasse il nome della costruzione. La città o la parte più abitata in linea di massima, partiva da una collina in leggera pendenza e si allargava con i suoi casolari, le chiese e le torri lungo il dorso dei monti più bassi, formando con i tipici tetti appuntiti una sorta di criniera sopra parte della catena montuosa. Il tutto era circondato da mura non troppo spesse con merlatura a lingua biforcuta.
Uno dei nomi che la gente usava per identificare quel luogo era "La Città Verde", perché tra i mattoni delle case e le pareti di torri, oltre che le mura stesse, cresceva spontaneo un muschio verde e viscido, che spesso si tramutava in muffa dall'odore sgradevole: questo succedeva quando i liquami provenienti dalle fognature si mescolavano al muschio, scaldandosi e imputridendosi, secernendo una sorta di gas nauseabondo. La città appariva spesso tetra ma la causa di ciò poteva essere trovata nelle mattonelle e dalle pietre nere con le quali venivano costruiti proprio tutti gli edifici. Il colore così scuro era dovuto soprattutto alla catena montuosa, dalla quale gli abitanti estraevano roccia, sabbia e terra di colore grigio scuro o nero, quasi quanto la pece. In fine si poteva dire che Roccia Aguzza e la Città Verde formavano un centro abitato tetro e difficile da raggiungere poiché le mura esterne concludevano con un profondo e oscuro baratro, del quale non si riusciva a vedere la fine se non durante le giornate estive, quando pochi raggi solari illuminavano l'intera zona che rimaneva comunque nascosta dall'ombra dei monti per la maggior parte del tempo. Il largo, profondo e buio fosso era attraversabile solo in un punto, se si voleva arrivare in città e lo si faceva grazie alla sporgenza prolungata ad arco che formava un ponte naturale, composto da semplice roccia e che si ricongiungeva, da un lato con la parte abitata, dall'altro con le Lande Desolate, le quali non erano altro che tali: lande desolate che terminavano con la foce sul mare ad est di Ennearel. Dalla parte opposta dei Monti Folli, invece, le montagne erano più antiche e ricurve e laggiù si trovava Foraz-Dor, situata proprio nella parte centrale della regione.
"I trabucchi son stati ben manovrati lungo il passaggio. Schierate l'esercito in posizione di marcia" disse Dave, rivolgendosi ad un ufficiale alle sue spalle, "...E date ordine al resto delle truppe di fanteria, di iniziare la scalata ad ovest".
La strategia di attacco, ben pianificata dal padre, Darren, consisteva in un attacco a sorpresa su tre fronti: a sud e ad est di Foraz-Dor. Per quanto assurdo potesse sembrare, il signore feudale Lubers aveva  deciso di mettere in campo tutte le sue unità, inclusa la fanteria volontaria di difesa ai confini. Un centinaio di soldati addestrati per scalare le pareti rocciose, avrebbero attaccato direttamente la città, piombando da sopra le montagne che la chiudevano. Questo sarebbe accaduto solo una volta messo in difficoltà il grosso delle truppe, composte prevalentemente da cavalleria a nord, e da fanteria affiancata da macchine da assedio, a sud. In quel momento, il grosso dell'esercito era ancora unito in un unico schieramento, lungo le Lande, fatta eccezione per gli scalatori che presto avrebbero cominciato il movimento. Di certo non sarebbe stato facile ma di sicuro il feudo Tenbri era a corto di umini e risorse, quindi assolutamente vulnerabile a qualsiasi attacco. Inoltre bisognava contare sul supporto dei Pemry, i quali avrebbero assestato il colpo di grazia a Fendaron Tenbri e tutta la sua famiglia, nonché all'odioso Vallo dei Prodi che da sempre resisteva sotto il controllo degli stessi Tenbri.
"Dave!" urlò una voce.
Il ragazzo si scosse dai pensieri che lo sorbivano totalmente.
"Dave, vieni qui" si sentì chiamare nuovamente.
Era il padre, assillato dagli altri ufficiali e comandanti, i quali sembravano ronzar come mosche attorno all'uomo, investendolo di domande e perplessità da chiarire.
"Cosa succede qui?" intervenne il ragazzo.
"Spiega un po' a questi caproni che non possiamo far partire le truppe adesso, perché dobbiamo aspettare che gli scalatori giungano almeno a metà percorso!"
farfugliò Darren alzandosi dalla sedia sulla quale sedeva, per dirigersi poi verso una feritoia.
"Capitano Dave, noi stavamo solo suggerendo di muovere subito tutte le truppe, poiché durante il tragitto si possono riscontrare problemi di ogni sorta e rallentare sarebbe ancor peggio..." si spiegò uno degli ufficiali.
Dave scosse la testa.
"No. Se rischiamo di arrivare prima del previsto, le sentinelle o eventuali vedette potrebbero avvisare Foraz-Dor con largo anticipo. Così facendo, daremo al nemico il tempo di organizzarsi e magari chiamare aiuto dal Vallo, rompendo l'effetto a sorpresa. Più saranno organizzati loro, più uomini perderemo noi! Mi sono ben spiegato, ora?" 
L'uomo fece un leggero inchino e indietreggiò fino alla porta, da dove si dileguò entro pochi istanti, avendo capito di essere in torto, mentre Darren era rimasto estremamente soddisfatto dalla risposta esauriente del figlio. 



Quella stessa notte, alla medesima ora, il fuoco scrosciante dell'ornato camino del salotto dei Tenbri riscaldava l'ambiente così teso, che sarebbe bastato spalancare una porta per far sussultare i presenti. 
"Allora è così... che stanno le cose" mormorò Fendaron, sorseggiando un calice di denso vino rosso liquoroso.
Rion annuì, senza dire una parola.
"Va bene, và pure a chiamare gli altri" disse il padre.
Fendaron aveva interrogato uno per uno tutti i superstiti giunti fin lì, in modo da avere la certezza che non si trattasse di disertori e che il figlio e il cugino affermassero la verità. Quello che i due affermavano, si trattava di qualcosa di grave e disastroso, quindi bisognava essere sicuri che corrispondesse all'assoluta verità.
Rion aprì la porta d'ingresso al salotto, dalla quale entrarono anche Il cugino; Norren e Jirk.
Derath era rimasto nel salone principale, insieme agli altri quattro prodi, sorvegliati solo dal comandante Febion e due guardie scelte.
Il capitano Rart entrò nello spazioso e accogliente vano dove un piacevole calore scaldava l'atmosfera circostante. L'uomo si sentiva veramente a casa ed un forte senso di nostalgia gli afferrò il cuore, portandolo a ricordare i tempi in cui si metteva a leggere e disegnare cose assurde, quando ancora era un ragazzino. Tempi che ora non avrebbe più nemmeno immaginato.
"Ebbene, hai in mente qualcosa, zio?" chiese con voce profonda.
Il signore feudale si sgranchì le braccia, fece un lungo sospiro per mettere in ordine i pensieri e infine si alzò dalla comoda sedia.
"A questo punto direi che non ci sono poi così tante alternative. Ciò che mi avete riferito è molto grave e siamo stati fortunati a sapere del tradimento" borbottò Fendaron massaggiandosi il mento, quando Rion prese la parola.
"Fortuna la chiameresti? Fortuna! Hai idea di quante persone siano già morte fino ad ora? E di tutte quelle che moriranno nel corso di questa assurda 'fortuna'?"
Il figlio si era rivelato impetuoso e sgarbato, come al solito, attirando l'attenzione di tutti i presenti e portando ad essi delle improvvise emicranie causate proprio dal tono di voce così alto. Fendaron scosse la testa e proseguì rispondendo alla domanda posta in precedenza da Rart.
"Ed è proprio per questo che bisogna agire con cautela! La situazione con i Pemry sembrava già fin troppo tesa ma ora sappiamo cosa ci aspetta. Bisogna avvertire gli uomini sui confini del pericolo e raggiungere i Lubers per dir loro la verità"
Rart si chiedeva che fine avesse fatto suo padre e sapeva che lo zio cercava di evitare l'argomento.
"Dov'è? Dove si trova ora mio padre?"
Gli occhi di Fendaron cercavano di evitare lo sguardo sempre più cupo del capitano e ben comprendeva il perché di quel volto tempestato da mille pensieri ed altrettanti problemi.
"Si trova al confine con i Pemry, con un centinaio di uomini".
Il silenzio colmò la stanza per diversi secondi che sembrarono fin troppi, per i presenti che erano rimasti piuttosto scossi dalla risposta.
Rart si alzò all'improvviso, dirigendosi verso la porta alle sue spalle, quindi lo zio fece lo stesso, allontanando bruscamente la pesante poltrona sulla quale sedeva, spostandola di almeno mezzo metro con una manata.
"Dove credi di andare? È troppo pericoloso e tu servi altrove!"
Il nipote si fermò poco prima di afferrare la maniglia della porta.
"A cercare mio padre".
Detto questo, il capitano aprì la porta ma la voce di Rion richiamò la sua attenzione prima che riuscisse ad oltrepassare la soglia.
"Fermati cugino. Capitano"
Rion Tenbri, da sempre suo rivale, indisciplinato e scontroso, si era appena rivolto a lui con rispetto. Forse valeva la pena ascoltare ciò che avesse da dire.
"Ascoltami, lo so che chi tratta di tuo padre ma ci sono ancora probabilità che sia sano e salvo. So cosa vuol dire perdere qualcuno che ti è caro. Mio fratello è disperso da molto tempo ormai, però sono convinto che sia vivo. Dopotutto si tratta del miglior spadaccino di Foraz-Dor e se non vado errato riuscì a batterti in tutti i duelli a cui partecipò. Ora ci servi qui! Perché tu sei il secondo miglior spadaccino dopo mio fratello! Sei il capitano e ci hai ricondotti a casa vivi. Non lasciarci proprio ora".
Rart sapeva bene che non si trattava di una semplice richiesta ma di una supplica, perché ogni singolo uomo sarebbe stato fondamentale per la sopravvivenza della famiglia.
"E va bene. Non andrò al confine con i Pemry..." fece il capitano sospirando, "ma ci recheremo al confine con gli Oscaret!"
"Cosa vuoi dire?!" domandò Fendaron sbigottito.
"Ci serviranno tutti gli uomini possibili per distruggere i traditori. Prendiamo le armate che difendono il confine dei Pemry a sud, le portiamo qui e difendiamo il nostro feudo, mentre la regione nemica Sikowalth riverserà tutta la sua furia dritta al cuore de nostri cari vicini traditori. Nel frattempo Jirk e Rion si saranno mossi verso i Lubers, dove li avvertiranno dell'inganno e Darren avrà suo figlio come prova che i Pemry li hanno solo usati. Inoltre sarebbe assolutamente necessario chiedere aiuto agli unici feudi rimasti indipendenti, ovvero Aspur e Villi".
Di fronte ad un simile piano, elaborato sbrigativamente e più che valido, lo zio e gli altri presenti avrebbero voluto fare un applauso. Era davvero incredibile: neanche un minuto di tempo per pensarci e già sapevano come muoversi a fronte della situazione critica che li tormentava. Nonostante tutto, sorgevano ancora molti dubbi che dettagli più accurati avrebbero potuto esaudire, così Fendaron Tenbri prese la parola.
"Questo vuol dire perdere la guerra con Sikowalth! Non possiamo lasciare la regione in mano di altri nemici!"
"Così abbiamo anche trovato il modo per concludere questa maledettissima guerra! È l'unico modo e gli uomini che difendono il confine sud sono quasi tutti Tenbri, Villi Lubers e Aspur. Se portiamo dalla nostra parte solo quelli che coprono la regione dei Pemry, otterremmo un esercito di almeno settemila unità, se non di più" replicò Rart con decisione.
"E come speri di convincere quei soldati? Cosa succederà una volta persa la guerra con gli infedeli? Adoreremo tutti delle divinità pagane?"sbottò lo zio.
"Non lo so cosa diamine accadrà ma di sicuro non possiamo lasciarci distruggere dai nostri vicini! È l'unica soluzione sensata, per il momento...".
Rart non riuscì a concludere del tutto la frase, quando fecero irruzione improvvisamente tre guardie della fortezza, dietro alle quali vi erano due soldati decisamente mal ridotti, sporchi e dal viso coperto di sangue e fango. Gli occhi esterrefatti dei presenti che fissavano irrequieti le vesti e le armature stracciate, bagnate fradice a causa di neve e ghiaccio che si erano accumulati in diverse parti degli indumenti, oltre a barba e capelli.
"Mio Signore!" esclamò il comandante Febion, sorreggendo uno degli uomini malconci.
"Parla" ordinò Fendaron spaventato.
"Questi soldati appartengono al contingente inviato al confine ovest. Sono gli unici scampati ad un attacco ma..."
"È opera dei Pemry..."
"Così sembra. Per quale motivo? Perché mai dovrebbero attaccarci?"
Il Signore feudale rimase in silenzio per almeno un minuto, facendo avanti e indietro per la stanza e lanciando sguardi torvi ai due superstiti. Così Rart si decise ad aprir bocca.
"Il vostro comandante?"
Uno dei due soldati si mise in ginocchio ed attaccò a singhiozzare, ponendo le mani sopra la testa e premendo poi contro le tempie, cercando di trattenere quelle urla strazianti che avrebbe voluto liberare il prima possibile e che non poteva trattenere ancora per molto. L'altro, invece, decise di rispondere con chiarezza.
"Tuo padre, Anvol... ha difeso fino all'ultimo respiro quella locanda. L'ha difesa uccidendo decine di nemici e poi è caduto".
Il Capitano rimase a bocca aperta, troppo confuso e inorridito; decisamente troppo afflitto e incredulo, per proferir parola. In quel momento una moltitudine di lacrime gli accarezzarono il viso, finendo poi a terra, infrangendosi contro il pavimento e disperdendosi in una moltitudine di scintillii, così come il suo animo si sentiva affranto e perso, così come il cuore aveva perso un pezzo abbondante che non sarebbe mai più tornato. A volte non si riesce a comprendere come diverse persone siano parti di esso ed ogni volta che un nostro caro, animale, uomo o donna, un essere a cui vogliamo bene, scompare, allo stesso tempo se ne va anche una parte del cuore. Perché volevamo bene a quella persona e nonostante non riuscissimo ad esprimere il nostro affetto per essa, non vuol dire che non vi fosse nulla: l'amore. E Rart sentiva proprio tutto questo, in fondo al suo animo. Avvertiva una mancanza, un vuoto.
Non era l'unico però, infatti lo zio aveva perso non solo un ottimo comandante ma, soprattutto, un fratello. Non vi erano più dubbi sul da farsi e probabilmente a destare e scuotere rabbia in Fendaron era stata proprio la scioccante notizia.
"L'ho mandato a morire" sospirò. Lo sguardo perso nel vuoto, poi alzò le pupille.
"Jirk, recati immediatamente in patria e porta un messaggio a tuo padre! I Pemry manipolatori e traditori devono morire!" ordinò al ragazzo di fronte a lui, poi si girò verso il secondogenito: "Figlio mio, accompagnerai il giovane Lubers, insieme ad una scorta di sei uomini. Una volta stabilita la pace con quel feudo, farai ritorno a Foraz-Dor".
Poi volse lo sguardo al nipote, si avvicinò lentamente e lo strinse forte a sé, quindi fece un cenno di assenso.
"Va bene, fai ciò che devi. Mio figlio Kitran verrà con te".
A quel punto, un'altra via si era aperta davanti a quell'uomo così stremato dalla miriade di avvenimenti che avevano cominciato a tormentarlo dalla mattina della cerimonia d'investitura a capitano di Ennearel. Questa volta, però, il destino pareva muoversi a suo favore: con i Lubers al loro fianco e l'esercito dell'intera regione al comando, sarebbe stato possibile porre fine ad una strage di milioni di innocenti. La sua vita era passata dal giovane spadaccino e idealista, al più calmo, quieto notaio, fino a giungere al ruolo attuale. 
Furono stabilite così le prime disposizioni per dare inizio alla controffensiva e la possibile salvezza del continente intero, poiché forse cominciavano ad avanzare anche le premesse per un accordo, un armistizio con Sikowalth, la regione dominata dai pagani. 
Il comandante delle mura esterne di Foraz-Dor, diede ordine ad una ventina di cavalieri, affinché scortassero Kitran, figlio primogenito del signore feudale, insieme al capitano ed il manipolo di Prodi che avrebbero fatto volentieri ritorno al Vallo.
Non rimaneva che rimettersi in marcia!
 

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